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  • Pages: 437
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ARTQU Z

®

TEORIA

Edizioni Giurleo

Web site: www.artquiz.it e-i;nail: [email protected]

o o o o u o

Artquiz Teoria - ISBN 978-88-908284-8-5 Quarta. Edizione Copyright© 2012-2015 E
info@artqui;r,.it Web i;itc: www.artqubdt

Tutti i diritti :;ouo riserva.ti a. nonna di legge e ,\ norma delle convenzioni interu11Y.iotmli. A uorma di legge, le p,\giuc cli questo volume nott possono essere fotocopiate o ciclostilate o couumqne riprodotte con n.lcnn mezzo meccanico. Ogni cvcmtnale viola�ionc suri\ perseguita a norma di legge. 1\1tti i diritti cl'antore sono tntelat\.

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Sviluppo del progetto e coordinatore rcdnzionale: Arturo Giurlco Iconogrnfia: Renato Marvasi

I.

Stampato da

Ri.: Grafica Venotn. S.p.A. - 'I.\-ebn.r;cleghe Pcl' conto di Giurlco Arturo Aprile 2016

(PD)

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Artquiz Teoria

I Auto,;,�.J

Prof. Franco Quadrifoglio

Profcst.orc Ordinario cli Biologia Molecolare Facolth. cli Meùicilm e Chirnrgia. - Università degli Studi cli Udine Prof. Giuseppe Damante

Professore Ordinario di Geuetica Medica Facoltà di Medicina o Chirurgia - Università degli Stncli cli Ucl,ine Prof. Paolo Viglino

Professore Ordinario cli Biofisica Facolti\ cli Mccliciua e Chirurgia - Università degli Stu

  • Professore Associato di Biologia. Molecolare Facoltà cli Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di Udine Prof. Giovanna Lippe

    Professore Associato cli ' Biochimica Facoltà di Medicina e Chirurgia - Universitu. degli Studi di Udine

    Prof. Dora Fabbro

    Professore a coni.ratto cli Genetica Medica Facoltit di Medicina e Chirurgia. - Università degli Studi cli Udine Prof. Paolo Alberto Beltrami

    Ricercatore Universitario di Anatomia Patologica. Facoltà cli Mccliciua e Chirurgia - Università. degli Stuùi di Ucliue Prof. Alfio Marini

    Pl·ofcssore a contratto di Matematica Facoltà di Agraria - Università degli Studi di Udine

    '

    Indice I

    1

    LOGICA

    1 1 3 4 7

    1 Rag ionamento logico 1.1 Sillogismi . . . . . 1.2 Modus ponens 1.3 Derivazioni logiche 1.4 Logica concatenativa

    o o

    2 Ragionamento logico-matematico 2.1 Succcssioue muueriche, di lettere e di figure 2.1.1 Successione numeriche 2.1.2 Succcssioui di lettere . 2.1.3 Successioni di figure 2.2 Rclazioui insicmi$tiche , 2.3 Rela�ione d ordine ... 2.4 Esercizi cli crittografia

    11 11 11 13 14 14

    3

    19 19 19 20

    Problemi logico-matematici 3.1 Problemi con soluzione logico-matematica 3.2 Problemi con i giorni della settimana . . . 3.3 Problemi con i rapporti di parentela . . . ::J.4 Calcola quante persone sono necessarie per fare determinate cose in :un , . certo lasso di tempo . . . . . . .. . 3.5 Calcola quanto tempo occorre per... . . . . .. . . . 3.6 Calcoli con i clm;aggi . . . . . . . . . . , . . . . . . . 3.7 Calcoli relativi alla distanza percorsa e alla velocità.

    4 Probabilità e Statistica 4.1 Percentuali . . . . ·. . , 4.2 TclSso d interesse ... 4.3 Calcolo delle probabilità 4.3.1 Probabilità condizionata . ·. 4.3.2 Calcolo combinatorio .... 4.3.3 Monete, dadi, ume e simili 4.4 Statistica . . .. . .. . . . . . . 4.4.1 Moda, mediana e media .. VII

    16

    17

    20 20 21 21 23 23 24 24

    25 25 30 30

    ' 31

    INDICE

    II

    © Artquiz

    MATEMATICA

    33

    1 Aritmetica 1.1 Numeri naturali e interi. Relazione d>ordine 1.2 Divisibilità, numeri primi, mcm e MCD 1.2.1 Potenze . . . . . . . . . . . 1.3 Numeri razionali, reali e complessi 1.3.1 Notazione decimale . . .. 1.3.2 Radici . . . . . . . .... 1.3.3 Numeri complessi (cenni)

    33 33 34 35 35 36 38 38

    2 Algebra 2.1 Monomi e polinomi . 2.1.1 Frazioni algebriche 2.2 Equazioni e disequazioni . 2.2.1 Equazioni ..... . 2.2.2 Disequazioni .. . 2.2.3 Equw:ioni parametriche 2.3 Sistemi di equazioni e disequazioni 2.3.1 Sistemi di equazioni .. 2.3.2 Sistemi di disequazioni . . 2.4 Equazioni razionali e radicali .. 2.5 Dh:iequa-Lioni razionali e radicali . 2.6 Esponenziali e logaritmi . . . . .

    39 39 40 41 41 43 44 45 45 46 46 48 49

    3 Geometria 3.1 ,ntroduzione . 3.2 I Poligoni . . 3.2.1 Triangoli 3.2.2 Quadrilateri . 3.3 La circonferenza in ottica euclidea 3.4 I poliedri ... . ..... . . . 3.4.1 Pamllelepipedo e cubo . 3.4.2 Piramide . . 3.5 I solidi di rotazione . 3.5.1 Cono .. 3.5.2 Cilindro . . 3.5.3 Sfera ... . 3.6 Il piano cartesiano 3.6.1 Luoghi di punti. 3.6.2 Distanze·e punto medio 3.6.3 La retta . . . . . . . . . 3. 7 Le coniche . . . . . . . . . . . . 3.7.1 La circonfèrnnza in ottica cartesiana 3.7.2 Parabola 3.7.3 Iperbole .. . . 3.7.4 Ellisse . . .. . 3. 7.5 Luoghi comuni

    53 53 53 54 55 57 58 58 58 59 59 59 60 60 60 61 62 63 63 64 65 66 67

    VIII

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    © Artquiz

    INDICE

    4 'frigonometria

    69 69 70 71 73

    5 Funzioni

    75

    4.1 Misura degli angoli . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Coseno, seno, tangente e cotangente di un angolo 4.3 Uguaglian7.e e relazioni trigonometriche . 4.4 Equazioni e disequazioni trigonometriche .

    5.1 Introdu:tione ........... . 5.2 Le proprietà delle funzioni ... . 5.2.1 Dominio di una fun�ione . 5.2.2 La. funzioue inversa . . . . 5.2.3 Zeri di una funzione . . . 5.3 Grafici di alcune funzioni fondamentali. 5.4 Limiti e calcolo differenziale ... 5.4.1 Limiti di una funzione . . 5.4.2 Derivata di una funzione . 5.4.3 Crescenza e decrescenza 5.4.4 Massimi e minimi . . . .

    o

    III 1

    . '. • •

    FISICA

    83

    Grandezze fisiche e unità di misura

    1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . 1.2 Multipli e sottomultipli delle unità di misura 1.3 Grandezze scalari e vettoriali 1.4 Errore assoluto e relativo

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    4

    ..

    83 83 84 84 86

    2 Cinematica 2.1 Introduzione . . . . . . 2.1.1 Moto rettilineo uniforme . . . . . . 2.1.2 Moto rettilineo uniformemente accelerato 2.2 Moto in un campo gravitazionale e la balistica 2.3 Moto circolare uniforme 2.4 Moto armonico . . .

    87 87 87 88 88 89 90

    3 Dinamica 3.1 I principio della dinamica 3.2 II principio della dinamica . . 3.3 III principio della dinamica 3.4 Quantità di moto e impulso

    93 93 94 94 94

    ..

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    75 75 76 76 77 77 79 79 80 82 82

    4 Statica 4.1 Le forze e loro unità di misura . . . .. . . 4.2 Massa, forza gravita'.!lionaie, gravità e peso 4.3 Densità e peso specifico 4.4 Forze elastiche . . . . . . 4.5 Forze di contatto � . . . 4.5.1 Reazioni vincolari

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    95

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    95 95 96 96 96 96

    IX

    © Artquiz

    INDICE

    4.6 4. 7 4.8

    4.5.2 Forze di attrito ..... 5 3 Pulegge e corde flessibili ll.. Statica dei corpi estesi Momento cli una forna Le leve .

    96 97 97 97 98

    5 Energia 5.1 Introduzione..... . 5 2 Il lavoi·o . ... . . .. . 5.3 Poten�a e rendimento 5.3.1 Energia cinetica 5.3.2 Campi di forze com;ervative ed energia potenziale ,

    101 101 101 102 102 102

    6 Dinamica dei corpi estesi 6.1 Momento d'incrxia e momento angolare G.2 Urti ................... .

    105 105 106

    7 Meccanica dei fluidi 7.1 Statica dei Huidi. La pressione 7.1.1 Unità di misura della pressione 7 1.2 Pressione idrostatica_ . . 7.2 Spinta di Archimede 7.3 Dinamica. dei Hui
    107 107 108 108 108 109

    8 Termodinamica 8.1 La temperatura. ........... . 1 1 La misma della temperatura 8.. 8.1.2 Il calore ........ . 8.2 Pa�i-mggi di stato .. . . ... . 8.3 I principio della termodinamica 8.4 Legge dei gas perfetti .. . . . . 8.5 II principio della. termodinamica 8.6 Teorema di Carnot e macchine termiche

    111 111 111 112 112 113 115 115 116

    9 Elettrostatica 9.1 Legge di Coulomb 9.2 Il campo elettrico . 9.3 Teorema di Gam;s 9.4 Energia potenziale elettrostatica e differenza di potenziale 9.5 Corrente elettrica e leggi di Ohm 9.6 Corrente alternata ..... .. . 9. 7 Effetto Joule e potenza elettrica . . 9.8 Resistenze .. . . . . . . . . ... . 9.9 Condensatori ........... . 9.10 Pile e batterie (generatori di forze elettro;notrici)

    117 117 117 118 118 119 120 121 121 122 123

    10 lviagnetismo 10.1Il campo magnet ci o . 10.2 lndu7.ione magnetica

    X

    .

    ,.

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    125 125 126

    o o o a

    © Artquiz

    INDICE

    11 Fenoqieni ondulatori

    129

    IV

    143

    11.1 Le onde . . .. ·. . 11.1.1 Riflessione, rifrazione e diffusione 11.2 Le onde sonore 11.2.1 Il suono ....... 11.3 Ottica ...... . .... . 11.4 Le onde elettromagnetiche .

    1

    CHIMICA La costituzione della materia

    1.1 Stati di aggregazione e passaggi di stato 1.2 Elementi e composti

    2 L'atomo

    129 132 135 135 136 140

    143

    143 146 149

    2.1 L'atomo e i suoi co:.tituenti. Gli isotopi.La ra
    157 3 Sistema periodico degli elementi 3.1 Tavola periodica degli clementi .. . . .. . . . ... . . . . . . .. . . 157 t : 2 Metalli, non metalli e semimetalli. Raggio atomico, energia di ionir,zazioue e affinità elettronica. Elettronegatività . . .. . . . . . . .. . .. 158

    o o

    4 Il legame chimico

    161

    5 Stati delta materia · 5.1 Lo stato gassoso 5.2 Lo stato liquido . 5.3 Lo stato solido

    171 171 173 175

    6 Termodinamica

    177 177

    4.1 Iutrodmdonc ...... . . .4 1.1 Legame ionico .. 4.1.2 Legame covalente . 4.1.3 LHgami covalenti con orbitali ibridi . I legami del carbonio 4.1.4 Forze

  • 6.1 Principi generali

    o

    7

    Le soluzioni

    7.1 Unità di misura per esprimere la concentrazione . 7.1.1 Calcoli sulle soluzioni 7.2 Solubilità dei gas ......... . · 7.3 Elettroliti .. . ..... ..... . 7.4 Proprietà colligative delle soluzioni 7.4.1 Pressione osmotica .....

    161 161 162 165 167 168 168 168

    179

    179 180 180 181 181 183

    XI

    © Artquiz

    INDICE 8 Nomenclatura e formule dei composti inorganici 8.1 Principi generali . . . . . . . . .. . . . . . 8.1.1 Ossidi basici e ossidi acidi o anidridi 8.1.2 Idruri . . 8.1.3 Idracidi . 8.1.4 Idrossidi . 8.1.5 Ossiacidi 8.1.6 Sali ...

    185 185 185 186 186 186 186 186

    9 Le reazioni chimiche 189 9.1 Definizioni e tipologie , . .. ... . . . . . 189 . . Nwneri di ossidazione . . . . . . 9.1.1 190 9.1.2 Reazioni di ossido-riduzione (redox) 191 9.1.3 Calcoli stechiometrici 194 9.1.4 Reazioni di equilibrio. . . . . . . . . 195 9.2 Acidi e basi. Il pH . . . . . . . . . . . . . . 197 9.3 Peso equivalente e grammoequivalente di un acido, di una base, di nn ossidante e di 1111 riducente. 202 9.4 Solnzioni tampone 202 10 Cinetica chimica 10.1 Velocità delle reazioni e parametri che la influenzano

    . .

    � . . . . .

    11 Elettrochimica 11.1 Pile. Equ�iono di Nerust 11.2 Elettrolisi ...... . 12 La chimica del carbonio 12.1 Ibridhr.zazione del c�rbonio . 12.2 Formule e isomerie dei composti organici . 12.3 Isomeria . . . ... . . . . . 12.4 Gruppi funzionali . . . . . . . 12.4.1 Idrocarburi alifatici. . 12.4.2 Idrocarburi aromatici 12.4.3 Alcoli e fenoli .. . 12.4.4 Eteri.. ... . ... . 12.4.5 Ammine e immine.. 12.4.6 Composti carbonilici. Aldeidi e chetoni 12.4 .7 Acidi carbossilici . 12.4.8 Anidridi organiche 12.4.9 Esteri 12.4.10 Ammidi 12.5 Lipidi . . . . . 12.6 Saponificazione e saponi 12.7 Reazioni di addizione e di sostituzione 12.8 Polimeri ........ ........ .

    XII

    .

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    205 205 207 207 209

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    .

    211 211 211 212 213 213 214 215 216 217 217 219 221 221 221 221 . ·223 . · 224 224

    @ Artquiz

    INDICE

    13 Le hiomolecole 13.1 Iiitroduzionc ..... 13.2 I carboidrati . . . . . . 13.2.1 Monosaccaridi 13.2.2 Disaccaridi . . 13.2.3 Polisaccaridi . 13.3 Le proteine: costituzione chimica 13.3.1 I vari livelli di struttura delle proteine 13.4 Valori calorici di carboidrati, proteine e lipidi

    225 225 225 226 228 229 230 234 235

    V

    237

    BIOLOGIA

    1 Istologìa, anatomia e fisiologia ' 1.1

    1.2 1.3

    1.4

    1.5

    1.6 1.7

    Cellule. te:;suti 1 organi e apparati 1.1.1 Tessuto epiteliale . .. . 1.1.2 Tessuto connettivo 1.1.3 Tessuto mu:;colare 1. 1.4 Tessuto nervoso . . Apparato tegumentario . 1.2.1 Cute e annes:;i cutanei 1.2.2 Patologie dcll 1apparato tegumentario . Apparato locomotore . . . . 1.3.1 Apparato scheletrico 1.3.2 Apparato articolare 1.3.3 Apparato muscolare Apparato cardiocircolatorio 1.4.1 Cuore ..... . . . 1.4.2 Vasi :;anguigni: arterie. vene e capillari . 1.4.3 Sistema linfatico . ... . . . . ... . . 1.4.4 Il sangue. le cellule del sangue e la circolazione sanguigna 1.4.5 Emoglobina e mioglobina 1.4.6 Milza ... . . . . . . . . 1.4.7 Patologie cardiovascolari . Apparato respiratorio ..... . .1.5.1 Muscoli re:;piratori e respirazione 1.5.2 Vie aeree 1.5.3 Polmoni . . . Sistema olfattivo .. Apparato digerente . 1.7.1 Cavità orale . 1. 7 .2 Faringe . 1.7.3 Esofago .. . 1.7.4 Stomaco.. . 1.7.5 Intestino tenue 1.7.6 Intestino crasso . 1.7. 7 Fegato e ch::tifellea 1.7.8 Pancreas .. 1.7.9 Digestione .....

    237 237 237 238 240 240 241 241 242 242 242 248 249 252 252 254 256 257 25 9 261 262 263 264 264 265 267 267 267 26 7 268 268 269 270 270 271 272

    XIII

    INDICE

    1.8

    1.9

    1.10

    1.11

    @ Artqui2

    1.7.10 Alimenti .. 1.7 .11 Vitamine Apparato urinario 1.8.1 Rene ... . 1.8.2 Ureteri, vescica e uretra Apparato riproduttivo (genitale) 1.9.1 Genitali maschili . . . . . 1.9.2 Genitali femminili e gestazione Sistema nervoso . . . . . . . .. . . . . 1.10.1 Sistema nervoso centra.le e periferico 1.10.2 Organi di scuso: l'occhio . . 1 .10.3 Organi di senso: l'orecchio . . Sistema ghiandolare . ... . . . .. 1.11.1 Ghiandole e cellule endocrine 1.11. 2 Ormoni . . . . . . .. . . . 1.11.3 Feedback positivi e negativi

    273 274 276 276 277 278 278 279 281 282 284 285 286 286 287 290

    2 Biologia cellulare e molecolare 2.1 Introduzione . . 2.2 Teoria cellulare ...... . . 2.3 Il microscopio..... ... . 2.4 Misure e dimensioni di alcune i-trutture biologiche 2.5 La cellula . . .. .. .. . . . . . . . . . . . . . .. 2.5. l La cellula procariotica cd eucariotica. Differenze 2.5.2 La cellula vegetale e animale. Differenze ... . 2.5.3 Morte cellulare: apoptosi e necrosi ...... . 2.6 La comunicazione intercellulare e le giunzioni cellulari 2.7 Il differenziamento cellulare .... . . ........ . 2.8 La membrana plasmatica ............ . .. . 2.8.1 Funzioni della membrana plasmatica: osmosi, diffusione, trasporto, endocitosi ed esocitosi, fagocitosi e pinocitosi 2.9 Nucleo, nucleolo e pori 1mcleari 2.10 Il citoplasma . .. .. .. 2.11 I ribosomi . . . . . ... . . 2.12 Il reticolo endoplasmatico 2.13 L'apparato di Golgi . . . . 2.14 I lisosomi e i perossisomi . 2.15 I mitocondri . . . . . . . . ..r. cellulare: microtubuli, microfìlamenti, filatnen2.16 Citoscheletro e motilità ti intermedi, ciglia e .flagelli . .. . . . . . . . . . .... . . . . . . . .

    291 291 291 292 293 293 294 296 299 300 300 301

    3 Gli 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6

    313 313 314 316 321 323 327

    XIV

    acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione Storia e scienzio.ti del DNA ..... DNA e RNA: costituzione chimica . La conformazione degli acidi nucleici Il genoma e la sua organi'.!l·im:done . . Replicazione del DNA .... . .. . 'Iì:ascrizione e maturazione dell'mRNA

    303 306 307 307 307 308 308 309

    o

    310

    o

    @. Artquiz

    I'

    INDICE

    3.7 DNA ricombinapte. Organismi transgenici.Polymerase chain reaction (PCR) ......... ..................... ...... 3.8 Il codice genetico. 'Iì·aduzione o sintesi proteica.. . . . . . . . .. . . 3.9 Mutazioni del DNA. Riparaz.ìone. Ricombinazione omologa. Sequen­ ziamento del DNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 3.10 Le modifiche post-tradnzionali e la localizzazione delle proteine nella cellula encariota . . . . .. , . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . .

    330 334 338 343

    4 Biochimica metabolica 4.1 Gli enzimi . . . . . . . . . . . . . . ... . . 4.2 Il metabolismo del glucosio e del glicogeno. 4.2.1 Introduzione al metabolismo 4.2.2 La glicolisi . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.3 Il metabolismo del glicogeno . . . . 4.3 Il ciclo di Krebs ·e la fosforilazione ossidativa . . 4.3.1 I mitocondri . . . . . . . . 4.3.2 Il ciclo di Krcbs. . . . .. . 4.3.3 La fosforilaz.ione ossidativa 4.4 La fotosintesi . . . . . . . . ... . 4.4.1 Le reazioui alla luce . . . . 4.4.2 Le reazioni indipendenti dalla luce (ciclo di Calvin-Benson)

    345 345 ·347 347 349 350 350 350 351 351 352 353 354

    5 Le basi della genetica 5.1 Caratteri . .. . . . . . . . . . . 5.1.1 Alleli, genotipo e fenotipo 5.1.2 Omozigosi ed eterozigosi . 5.1.3 1ì·asmis::;ione dei caratteri: leggi di Mendel 5.2 Rapporti mendeliani atipici . . . . .. . . ... 5.2.1 Dominanza incompleta e codominanza . 5.2.2 Alleli multipli e gmppi sanguigni . 5.3 Mitosi, meiosi e cromosomi . . . . . . . . . .. 5.3.1 Cromosomi, ciclo cellulare e mitosi . . . 5.3.2 La riproduzione: Meiosi e gameti. Crossing-over 5.3.3 Associazione genica e mappe di ricombinazione 5.3.4 La fecondazione negli animali . . . . . . . . . . . 5.3.5 Lo sviluppo embrionale . . . . . . . . . . . . . . 5.4 Corredo cromosomico umano e alterazioni cromosomiche . 5.4.1 Il con-edo cromosomico umano . 5.4.2 Analisi del cariotipo nell'uomo . . 5.4.3 Alterazioni cromosomiche . . . 5.5 Ereditarietà legata al sesso . . . . . . 5.5.1 I cromosomi sessuali nella specie umana 5.5.2 Inattivazione del cromosoma X 5.5.3 Ereditarietà X-linkcd . 5.6 Ereditarietà mitocondriale . 5.7 Mutazioni . . . . . . . . . . . . 5.7.1 Generalità. . . . . . . 5.7.2 Mutazioni puntiformi . . 5.7.3 Mutazioni di sequenze ripetute , . . .

    355 355 355 356 356 359 359 360 362 362 366 371 372 373 375 375 377 378 385 385 386 388 389 391 391 392 395

    .

    .

    .

    xv

    Indice

    @ Artquiz

    5.7.4 Mutazioni da amplificazione di triplette ..... 5.8 Interazione tra geni diversi e interazione gene-ambiente . 5.9 Malattie genetiche e alberi genealogici 5 .9.1 Malattie genetiche umane 5.9.2 Caratteri autosomici . ... . . 5 .9.3 Alberi genealogici ... ... . . 5.10 Genetica di popola,,.tioni, evoluzione e speciazione 5.10.1 Frequenze alleliche e genotipiche . .. .. 5.10.2 La legge di Hardy-Weinberg....... . 5.10.3 Fenomeni che allontanano le popolazioni dalrequilibrio Hardy-Weinberg ........... ........... 5.10.4 Evoluzione e specia¼ione . ................ . 5 .11 Genetica quantitativa e ereditarietà poligenica o multifattoriale 5 .11.1 Il modello poligenico additivo ....... . ... . . 5.11.2 Il calcolo del numero di geni e l'utilizzo del modello 5.11.3 L'ereditabilità... ............ ...... .

    39 5 395 397 397 397 39 9 401 401 401 404 406 410 410 412 413

    6 Il mondo animale e vegetale

    415

    7 Interazione tra i viventi

    421

    S. Microrganismi e sistema immunitario 8.1 Virus .. 8.2 Batteri . 8.3 Funghi . 8.4 Protozoi 8.5 Sistema immunitario 8.5.1 Immunità specifica cellulo-mediata 8.5.2 Immunità specifica umorale . ... 8.5.3 Le fasi della risposta immunitaria e la vaccinazione . 8.5.4 Reazioni di ipersensibilità .... . . . ... . .. . .

    427

    6.1 Classificazione. . . . . . . . 6.. 1 1 Il regno delle Monere . 6 .1.2 Il regno dei Protisti . 6 .1.3 Il regno dei Funghi .. 6.1.4 Il regno degli Animali . 6 2 L'evoluzione dell'uomo . 6 3 Le piante ..... . .

    415 417 418 418 418 419 419

    7.1 Ecosistema e comunità biologiche . . .. . .. . . .. . . . .. 7.1.1 Catena alimentare .... . .......... ... .. 7.1.2 Simbiosi, competizione, parassitismo e opportunismo . 7.2 Cicli biologici e degli elementi chimici 7.2.1 Ciclo del carbonio 7.2.2 Ciclo dell,azoto .........

    9 Patologie e farmaci

    9.1 Patologie e loro cause 9.1.1 Farmaci ... .

    XVI

    421 422 423 424 424 424

    ..

    427 429 430 431 431 432 432 433 434

    435 435 436

    o

    [ PARTE I

    LOGICA

    Capitolo 1 Ragionamento logjco 1.1 Sillogismi Il sillogismo è un tipo di ragionamento dimostrativo in cui tre termini A, B e C sono legati a 2 a 2 da opportune relazioni di tipo insiemistico (ossia, del tipo "essere contenuto in" o "essere elemento di") con il quale si giunge ad una conclusione, cioè ad una relazione tra due dei tre termini, partendo da brevi enunciati, detti premesse, anch'essi sotto forma di relazione. Ad esempio, se le premesse sono tra A e B e tra Be C, si giunge ad una conclusione tra A e C. Dati due termini A e B sono possibili 4 tipi di relazione: • universale affermativa del tipo "tutti gli A sono B"; • universale negativa del tipo "nessun A è B"; • particolare affermativa del tipo "qualche A è B"; • particolare negativa del tipo "qualche A non è B".

    Esempio da Artquiz: Ogni uomo è un mammifero - qualche animale è uomo - dunque è un mammifero. Si individui il corretto completamento del sillogismo: Qualche animale è mammifero. Infatti, ci troviamo in una situazione del tipo: • qualche A (animale) è B (uomo); • tutti i B (nomini) sono C (mammiferi); da cui segue che: qualche A (animale) è C (mammifero).

    1

    © Artquiz

    Capitolo 1 Ragionamento logico

    Si presti attenzione alle diverse forme verbali che si possono incontrare, sebbene queste siano del tutto equivalenti, ad esempio "tutti gli A sono B" si trova anche sotto forma di "ogni A è B", oppure "chi è A, allora è anche B" ed altresì "gli A sono B". Oppure, al posto di "qualche A è B", spesso si trova "alcuni A sono B''. È da notare che in generale la conclusione di un sillogismo corretto non è neces­ sariamente vera o sensata dal punto di vista semantico, ma è tale solo dal punto di vista logico. La corrette-bza di un sillogismo deriva dalla sua correttezza come relazione tra insiemi, quindi il sillogismo sarà corretto se la relazione tra gli insiemi è corretta. Vale qnindi il seguente schema: • "tutti gli A sono B" è da intendersi come "l'insieme ( degli) A è contenuto nell'insieme (dei) B"; • "nessun A è B" è da intendersi come "l'insieme (degli) A è dh,ginnto dall'insieme (dei) B"; • "qualche A è B'' è da intendersi come "l'insieme (degli) A e l'insicmo (dei) B hanno interse:r,ione non vuota"; • "qnnlche A 11011 è B" è da intendersi come "l'insiem� (degli) A non è contenuto nell'insìeme (dei) B". È del tutto t:vidcnte che l'ordine con il quale vengono enunciate le due premesse è inilcvante, in quanto ciò che conta ò la loro verità che è ru;sunta nelle ipotm;i. Quindi, per poter determinare la conclusione che rende corretto un sillogismo, è importante eventualmente invertire l'ordine delle due premesse in modo tale da far sì che il termine medio (identificato come "B" nella tabella sottostante) leghi la prima premessa alla seconda, come esemplificato dai sillogismi cosiddetti autoevidenti che sono illustrati nella seguente tabella: Premessa 1 tutti gli A sono B tutti gli A -sono B qualche A è B qualche A è B

    Premessa 2 tutti i B sono O ne:,-ssun B è c tutti i B sono C nessun B è C

    Conclusione tutti gli A sono C nessun A è C qualche A è C qualche A non è C

    Tabella 1.1: Sillogismi autoevidenti. ,i

    Nei quiz ufficiali si sono presentati solo i seguenti due casi, non inclusi tiella tabella precedente, che illustriamo prima in senso astratto e poi con esempi concreti: Premessa 1 tutti gli A sono B tutti gli A sono B

    Premessa 2 tutti gli A sono C qualche C non è B

    Conclusione qualche B è C qualche C non è A

    Tabella 1.2: Altri sillo9ismi.

    2

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    LOGICA

    Esempio da Artquiz: I bugiardi sono ingiusti (esiste almeno un bugiardo) - i bugiardi sono uomini - dunque ... sono ingiusti. Si individui il corretto completamento del sillogismo: Alcuni uomini sono ingiusti. Infatti, ci troviamo in una situazione del tipo: 1. gli A (bugiardi) sono B (ingiusti); 2. gli A (bugiardi) sono C (uomini); da cui segue che: alcuni C (uomini) sono B (ingiusti). Si noti che iu qne.sto sillogismo la conclusione è simmetrica, ossia vale anche che ,, "alcuni B sono C . Esempio da Artquiz: Tutti i piccioni mangiano le fave - alcuni uccelli non mangiano le fave - dunque ... non sono piccioni. Si individui il corretto completamento del sillogismo: Alcuni uccelli non sono piccioni. Infatti, ci troviamo in una situazione del tipo: 1. tutti gli A (piccioni) wno B (mangiatori di fave); 2. alcuni C (uccelli) non sono B (mangiatori di fave)� da cni segue che: alcuni C (uccelli) non sono A (piccioni).

    1.2 Modus ponens Il modus ponens è mm forma di derivazione logica, o inferenza, che ha la seguente struttura: se "A implica ff1 e se A è vera, allora anche B è vera. ,, Insiemisticamentc, il termine "A implica B , spesso scritto A�B, va interpretato ,, come "Pinsieme degli A è contenuto nclPinsieme dei B . Quindi, se è vera Pimplica­ ,, zion� precedente e la sua premessa, cioè se "A è contenuto in B e si è in presenza di un elemento x di A a.llora si è in presenza pure di un elemento di B, ossia lo stesso x. ,

    Esempio da Artquiz: Se: Giovanna ama i qnndri di Kandinskij; Kandinslc.ij è un pittore astrattista; a chi ama K.andinslc.ij non piacciono tutti i quadri di Picasso , quale affermazione è vera? Dopo aver osservato che la seconda nffermazione non è utile ai fini della soluzione, si tratta di applicare il modus ponens: Giovanna ama i quadri di Kandinskij, e come membro di tale categoria di persone (di tale insieme), non le piacciono t�tti i quailii di Picasso. Quindi 1 1 affermazione derivabile logicamente è: Giovanna apprezza solo alcune opere di Picasso. Esempio da Artquiz: I cani a dne te.c:ite sono esseri viventi. Tutti gli esseri viventi si nutrono. Dando per vere queste due affermazioni, quale affermazione consegue logicamente? Tutti i cani a due teste sono esseri viventi, e dunque, come tali, si nutrono. Quindi è vero che: Tutti i cani a due teste si nutrono. 3

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    Capitolo 1 Ragionamento logico

    1. 3 Derivazioni logiche Una completa trattazione delle regole di derivazione logica implicherebbe un appro­ fondimento eccessivo per quanto richiesto in sede d 1 ammissioue. Pertanto ci limitiamo ad esplicare alcune regole principali che permettono di risolvere i quiz proposti nei test ufficiali. Date 2 proposizioni A e B, diciamo che: ,, • la negazione di A (scritto "non A ) è vera se e solo se A è falsa; ,, • "A e B è vera se e solo se entrambe le proposizioni A e B sono vere; ,, • "A o B è vera se e solo se almeno una oppure entrambe le proposizioni A e B sono vere. ,, Una scrittura del tipo A-+B, che :-.i legge come "A implica B , indica che se la proposbdoue A è vera, allora lo è anche la proposizione B; per esempio "se oggi è domenica (A) allora (-+) io non lavoro (B)». Il campo di applicazione delPimplicazio­ ue si estende con Pintro'duzione dei quantificatori, il quantificatore universale: "per ogni x » e il quantificatore esistenziale: "esiste x» . Con i quantificatori si producono enunciati del tipo "ogni domenica nessuno lavora» , che si interpreta "se una giçmiata x è domenica., allora non esiste alcun uomo y tale che y è al lavoro.» A-+B non è equivalente a B-+A Esempio da Artquiz: Se gli studenti si applicano, conseguiranno la promozione. Se quanto affermato è vero, allora è necessariamente vero che: Se uno .c,tudeute è promosso, non è detto che si sia applicato. Infatti (Logica§ 1.2), ,, A-+B è insiemisticamente equivalente ad "A è contenuto in B e ciò non è certamente ,, equivalente alFimplic�ione contraria, ossia "B è contenuto in A . Esempio da Artq1tiz: "Per poter continuare a giocare a pallavolo, Carlo deve risolvere ,, il problema. alla schiena . Se la precedente afferma-tione è vera, allora non è certamente vero che: Se Carlo risolve il problema alla schiena allora può certamente continuare a giocare a pallavolo. Si tratta di riconoscere che da A-+B non si può concludere che B-rA. In ,, questo caso, Pimplicazione è ."Carlo gioca a pallavolo -+ "Carlo ha risolto il problema ,, alla schiena . Viceversa, il semplice fatto di aver risolto il problema alla schiena non è condizione sufficiente (ma solo necessaria) per poter giocare (Carlo potrebbe avere, a


    I

    Pii1 in particolare, la forma quantificata di questo caso è: ,, "per ogni x in A, allora x in B equivale a "non esiste x in A e x non in B >1



    Esempio da Artqui":: Nella città di Colleallegro è possibile sostenere Pesarne per il conseguimento della patente di guida ogni mese, finché non lo si supera. Quest 1 anno, tutti i candidati provenienti dalFautoscuola Guidabene, che si sono presentati alP�a­ me di marzo, lo hanno superato in quell'occasione. Determinare, sulla base di queste sole informazioni, quale delle seguenti affermazioni è sicuramente vera:

    4

    @.A_r�qui�

    LOGICA

    Riccardo 1 che si è presentato all'esame di marzo e non lo ha superato, non provie­ ne dall'autoscuola Guidabene. Infatti, se Riccardo, che si è presentato all'esame di marzo, provenisse dall'autoscuola Guidabene, avrebbe passato l'e same. Quindi non .avendolo passato, non può provenire dall'autoscuola Gnidabene. A-+B implica che se x è A, allora x è (anche) B Più in partkolare, la forma quantificata di questo caso è: "per ogni x in A, allora x in B" implica "se (uno specifico) x è in A, allora x è in B". Esempio da Artquiz: Se è vero che "chi vede una stella cadente è fortunato", allora è necessariamente vera anche l'affermazione: Se vedi una stella cadente, sei fortunato. Infatti, si passa dal generale al partico­ lare: se vale per "tutti" coloro clw vedono una stella cadente, val� anche "per te" che sei nell'insieme di chi le vede. Non(A-+B) equivale a (A e non B) PiiI in par ticola.re, la forma. quantificata di questo ca.-;o è la negazione di: "por ogni x in A, allora x in B", che equivale a "esiste x in A e x non in B". Esempio da Artquiz: II corso di logica prevede 120 ore di lezione. All'inizio del corso il docente afferma: "Per superare l'esame è necessario, ma non snflìcieute, avere seguito almeno 60 ore di le½ionc". Cosa deve accadere affinché l'affermazione del docente risulti falsa? Almeno uno studente supera l'e�mme pur avendo seguito meno di 60 ore di le�ione. Dalle premesse segue che se uno studente supera l'esame, allora dev_e essere accaduto (essendo necessario) che ha seguito almeno 60 ore di lezione. Ciò non è compatibile con quanto affermato nella risposta (che invece ne è la negazione). Se A-tB e B-tC, allora A-tC (catena di implicazioni) Esempio da Artquiz: "Chi legge libri o ascolta musica classica ama l'arte. Chi ama l'arte ama la natura". Se le precedenti affermazioni sono vere, allora è vero che: Chi leggo libri ama la natura. Infatti, chi legge libri ama l'arte, e in quanto amante dell'arte, ama (anche) la nalura. Se A:-+B e A-tC, all ora A-t(B e C) Esempio da Artquiz: Sandro è una persona atletica; le persone alte sono tutte atleti­ che; le persone alte sono magre. Se le precedenti afferm�ioni sono vere, allora è vero che: Chi è alto è magro e atletico. Infatti, tralasciando l'afferma�ione che "Sandro è una persona atletica" che non è utile, la conclusione segue dalla congiunzione di "le persone alte sono tutte atletiche" con "le· persone alte sono magre". 5

    I.

    li

    Capitolo 1 Ragionamento logico

    @ Artquiz

    A----+B è equivalente a (non B)----+(no n A) Esempio da Artquiz: "Se c'è lo sciopero dei treni, rimando la partenza per le vacan­ ze", In base alla precedente afferma�ione, è necessariamente vero che: Se non ho rimandato la partenza per le vacanze, vuol dire che non c'è stato lo sciopero dei treni. Infatti, non potrebbe verificarsi simultaneamente che non ho ri­ mandato le vacanze e c'è statq lo sciopero dei treni (in quest'ultimo caso si dovrebbero, infatti, rimandare le. vacanze). Dunque non c'è stato lo sciopero.

    "A se e solo B" è equivalente a "A----+B e B----+A" Esempio da Artquiz: "Se e solo se mangio cibi dietetici, riduco i miei grassi superflui". In base alla precedente affermazione, è necessariamente vero che: I miei grassi superflui si riducono quando mangio solo cibi dietetici. Infatti, se i gra&ii superflui si riducono, allora ho mangiato solo cibi dietetici, perché "(se e) solo se" mangio tali cibi riesco a ridnrre i miei grassi superflui.

    Non(non A)) è equivalente ad A Skcome la doppia nega�ione di una proposbr.ione A è c'quivalente ad A, segue che una i;eqnen�a di neg�ioni di A equivale ad: • A se il numero di uegm�ioni è pari; • (non A) se il numero di negazioni è dispari. Esempio da Artq1tiz: Non è sbo.gliato evitare di rinunciare a non violare la legge pur non avendo dubbi sull'impossibilità di essere colti in flagrante. Qual è il corretto significato della precedente affermazione? Non si deve violare la legge in ogni caso, Quindi, la parte "Non è sbagliato evitare di rinunciare a non violare la legge" è una sestupla negazione, composta da tre coppie: "non è sbagliato", "evitare di rinunciare" e "non violare", equivalenti, altresì, a "è giusto seguire la legge", La seconda parte "pur non avendo dubbi sull'impossibilità di e8Sere colti in flagrante" è una tripla negazione, equivalente a "essendo certi èhe non è possibile essere colti in flagrante". Pertanto, si riformuli H testo come "è giusto seguire la legge pur essendo certi che non è possibile essere colti in flagr8.!lte" o, più semplicemente, come "è giusto seguire la legge pur sapendo di farla franca'' e, quindi, "in ogni caso" . Esempio da Artquiz: "Non è possibile negare l'inesistenza di un filtro pe1: il corretto funzionamento del motore", Qual e il corretto significato della precedente afferma��

    .

    Non esiste alcun filtro che permetta il corretto funzionamento del motore, Infatti, l'impossibilità di negare l'inesistenza di un filtro per il corretto funzionamento del motore equivale ad affermare l'inesistenza di un filtro per il corretto funzionamento· del motore. (Si noti: tripla negazione, equivalente ad un'unica negazione). 6

    © Artquiz

    LOGICA

    Non(A e B) equivale a "non A o non B" Più iu particolare, la forma quantificata di questo caso è la negazione di: "per ogni x vale che x è in A e x è in B", che equivale a "esiste x· tale che x non è in ·A o x non è in B". Esempio da Artquiz: "Per superare il provino ed entrare in una squadra di calcio è necessario, ma non sufficiente, saper giocare bene_ e non avere più d:i 14 anni". Determinare quale delle seguenti situazioni è non compatibile con la· frase precedente: Elena non sa giocare bene a calcio, ha meno di 14 anni, e supera il provino. Infatti, per superare il test si devono soddisfare entrambe le condizioni date. Elena però non rispetta la condizione di saper giocare bene. Quindi non può superare il prqv-ino, e ciò contraddice Paffern1c.1.Y..io11e del testo. Non(per ogni x vale A) equivale a "esiste un � per il quale non vale A"

    .

    . Esempio da Artquiz: Andrea afferma che tutte le pecore toscane so�o nere. Quale condi:1.fone è necessario che si verifichi affinchè l'affermazione di Andrea risulti falsa? Deve esistere almeno una pecora toscana non nera. Infatti, l'afferma�io.ne proposta e falsa qualorn non tutte le pecore toscane siano nere. Ossia, qualora esi�ta almeno una pecora toscana che non sia nera. Esempio dà Artquì:z: Quale aff�r��-ione equivaJe a dire:_ "Non tutti i laureati in Medicina Veterinaria fauno il veterinario"?. Vi è almeno un laureato in Medicina Veterinaria eh� non fa il veterinario. Non(per ogni x esiste y tale che A) equivale a "esiste un x per il quale non esiste y tale che A'' Esempio da Artquiz: Simona afferma: ·"In ogni corso di Ia�f�a iu Medicina e Chhurgià c'è almeno uno studente che-·ha superato tutti gli esami del primo anno". Se tale affermazione è falsa, allora sicuramente: C'è almeno un corso di laurea.in Medicina e Chirurgil.1n cui nessuno studente ha .�mperato tutti gli_esami del primo anno: Infatti, la falsità della proposizione proposta si riconduce ad una forma del tipo "non è vero che per ogni X esiste un Y" ( con X "corso di medicina" e Y "studente che ha superato tutti gli esami"). Ciò è logicamente èquivalente a: "esiste un X tale che non esiste Y", come nella risposta �atta del quiz. Attenzione: esistono diversi quiz che non rientrano in casistiche. particolari, ma costituiscono casi a sé stanti. Pertanto, per essi, si rinvia alle singole solu:doni commentate in Artquiz Studio_. . 1:,,-

    1.4 Logica concatenativa Nei problemi di questo tipo vengono presentate delle proposizioni che devonp esse­ re soddisfatte dalla soluzione richiesta. Dalle proposizioni in premessa si possono escludere le varie opzioni proposte o arrivare direttamente alla soluzione desiderata. Talvolta, vista la complessità delle situazini proposte, è utile costruire una tabella con una colonna per ogni soggetto/elemento proposto dai quiz e con una riga per ogni 7

    © Art.quiz

    Capitolo 1 Ragionamento logico

    proprietà che devono soddisfare i soggetti nelle colonne. Anche in questo caso pre­ sentiamo un paio di esempi per chiarire la situazione e rimandiamo al volume Artquiz Studio per nno studio puntuale dei vari casi possibili. Esempio da Artquiz: Delle tre società Alpha, Beta e Gamma almeno due sono lus­ semburghesi. Sapendo che se Alpha è lussemburghese anche Beta lo è, che se Gamma è lussemburghese lo è anche Alpha, e che tra Beta e Gamma almeno una è non lussemburghese, si può dedurre che: 1. Alpha, Gamma e Beta sono lussemburghesi; 2. Gamma è lussemburghese e Beta non è lussemburghese; 3. Alpha. non è lussemburghese e Beta è lussemburghese; 4. Alpha e Gamma sono lussemburghesi; 5. Gamma non è lussembnrghCl:le e Beta è lussemburghese; \

    Partiamo dalla tabella: Alpha Stato

    Beta Stato

    Gamma Stato

    e cerchiamo di stabilire cosa mettere negli spazi relativi aglt stati: se Gamma fosse lussemburghCl:le, ossia se fosse Alpha Stato

    Beta Stato

    Gamma Lussemburghese

    o

    allora dovrebbe essere lussemburghese anche Alpha, ossia si avrebbe anche Alpha Lussemburghese

    Beta Stato

    Gamma Lussemburghese

    Dall'essere Alpha lussemburghese, avremmo poi che anche Beta lo sarebbe, ossia si avrebbe che Alpha Lussemburghese

    Beta Lussemburghese

    Gamma Lussemburghese

    Assurdo perché almeno una società non è lussemburghese. Quindi il .Primo passo doveva essere t

    Alpha Stato

    I



    Beta Stato

    Gamma non lussemburghese

    I'

    il

    1·'I,, l�­ •

    li!

    Ma dovendo esserci almeno 2 società. lussemburghesi, si può ora completare la tabella: Alpha Lussemburghese

    Beta Lussemburghe.se

    Quindi la risposta corretta è la 5. 8

    Gamma non lussemburghese

    o

    @ Artquiz

    LOGICA

    Esempio da Artquiz: Aldo, Barbara, Carlo, Daniele, Elio, Federica e Giuliana sono sette bambini le cui età sono sette numeri interi e consecutivi compresi tra 1 e 10. Sapendo che:

    1. Daniele ha 3 anni meno di Aldo; 2. Barbara ha un'età tale per cui è la mezzana; 3. Aldo ha un'età di 2 anni superiore a quella di Barbara; 4. Federica è inferiore a Barbara dello stesso numero di anni di cui Carlo e maggiore di Daniele; 5. Giuliana è maggiore di Federica; quanti anni ha Elio meno di Giuliana? Dobbiamo siI,temare le posiiioni consecutive:

    Barbara sta in mez�o (2.), Aldo le sta 2 posti avanti (3.) e Daniele 3 posti dietro Aldo (1.), dunque la tabella a questo punto è

    I Daniele I Barbara I

    :J Aldo

    Carlo può avere solo 2 o 4 anni più di Daniele (ci sono solo 2 caselle a disposizione a destra di quest'ultimo), e Federica può avere solo 2 o 3 anni meno di Barbara (ci sono solo 2 caselle a disposizione a sinistra di quest'ultima), quindi i suddetti anni di distanza, per coincidere (condizione 4.) devono essere 2, e dunque la tabella ora diventa

    I Federica I Daniele I Barbara I Carlo I Aldo

    Siccome Giuliana è maggiore di Federica (condizione 5.), questa deve occupare l'ultima ca.<:iella, e per esci usione Elio occupa la prima.

    [ Elio

    I Federica I Daniele I Barbara I Carlo

    Aldo

    I Giuliana I

    Essendo le varie età date da anni consecutivi, la differenza tra Elio e Giuliana è di 6 anni.

    9

    Capitolo 2

    Ragionamento logico-matematico 2.1 Successione numeriche, di lettere e di figure ln un problema di questo tipo si deve stabilire una regola generale che pennette di spiegare logicamente perché da una successione nota di numeri, di lettere o di figure, ogni elemento segue dal precedente o dai precedenti. Si tratta quindi di un ragionamento induttivo. Più precisamente, la spiegazione logica sarà di due tipi: matematico o geometrico. Il tipo matematico riguarda i numeri e le lettere, con la prccisa:tione che per Je lettere si usa. l'ordine alfabetico e che quindi, per i nostri fini, le lettere si possono sostituire con il numero associato alla loro posi:donc ndl'alfabeto. Il tipo geometrico riguarda le figure, che quindi si possono ruotare, riflettere e in generale manipolare con "movimenti rigidi".

    2.1.1 Successione numeriche In questo tipo di problemi viene proposta nna succes8ione del tipo: a0, ai, ... an; dove n è un numero naturale e per ogni 1 :'.S i :'.S n, ai è un numero teale. Si tratta di trovare la regola f per la quale ai+1 = f(ai) o, in generale, ai+1 = f (ai, a2, ... ai). Elenchiamo alcuni cru:ii classici e poi presentiamo degli esempi per ognuno di essi: • ai+l

    = f(ai) =ai+ k, ossia ai+I - ai = k. La suc<..:essione è del tipo: ao, ao + k, a1 + k, ... an-1 + k '-v-' ao+ 2k

    ----a0 + nk

    ed è detta progressione aritmetica; • ai+1

    = f(ai) =ai+ ik, ossia lti+1 - ai = ik. ao, ao + k, a1

    • ai+I

    La successione è del tipo:

    + 2k, ... an-1 + nk;

    = f(ai) =ai+ ki , ossia ai+1 - ai= k i . La successione è del tipo: ao, ao + k, a1 + k 2 , ... an-l + k11 ; 11

    © Artquiz

    Capitolo 2 Ragiona.mento logico--rnatematico o

    ai+1 = f(ai) = aik, ossia ai+i/ai = k. La successione è del tipo: ao, aok, ... aokn

    ed è detta progressione geometrica. Inoltre, k è detta ragione della progressione. • ai+1 = f(ai) = ai+ ai-I, ossia ai+1 - ai = ai-I, con i ?: 2. La successione è del tipo: ao, a1, a1 + ao, ... an-1 + an-2i a2 an

    ...._____., .____.,

    Nel caso a0 = O, a 1 = 1 si ha la celeberrima successione di Fibonacc;i. Si presti attenzione al fatto che non di rado capita che i numeri in posizione pari seguano una regola e i numeri in posizione dispari una seconda regola. Si tratta dunque di lavorare con dne successioni: la sottosnccessione pari e quella dispari. Inoltre, talvolta vengo proposte successioni simili alle suddette ma con la moltiplicazione al posto della somma, ad esempio, an�iché f(ai) = ai + k, si ha: f(ai) = ai · k; e così via.

    ,,

    E,c;ernJJÙJ d
    I'.

    -1

    j;'

    -1

    -1

    (\,. (\,. (\,. [Q)

    9 10 8 11 7 12

    \J' \J' \J' +1

    ,'

    +1

    +1

    Fignra 2.1: Schema grafico della successione 9, 10, 8, 11, 1, 12.

    ·I

    I

    1-;

    h. I

    ::,; I

    V!

    li:·'[

    CJ

    �:

    Esempio da Artquiz: In una progressione geometrica il primo elemento :è 2 e il sesto è 0,0625. Il quinto elemento della progressione è: 0,125. Infatti, sia x la ragione, allora vale 2 · x 5 = O, 0625; quindi x5 = O, 0625/2, cioè x5 = O, 03125 = O, 55 • Pertanto il termine precedente al sesto è 0,_0625/0, 5 = o, 125. Esempio da Artquiz: Individua tra quelli sotto riportati il numero mancante nella serie: "51 - 49 - 45 - 37 - , .. " Dopo aver notato che ogni numero si ottiene dal precedente sommando -2i : 49 = 51 - 2, 45 = 49 - 4, 37 = 45 - 8 etc. segue che 37 - 16 = 21 è il successivo.

    12



    © Artquiz

    LOGICA

    Esempio da Artquiz: Individuare l'alternativa che completa correttamente la seguente serie di numeri: 1; 15; 16; 31; 47. Basta notare che ogni numero è dato dalla somma dei precedenti: 1 + 1 5 = 16; 15 + 16 = 31 etc, quindi manca 31 + 47 = 78. Esempio da Artquiz: Completare la successione numerica: 360; 72; 18; 6: Si erva che 360 · i·= 72, 7 2 · � = 18, 18 · � = 6 e quindi manca un x tale che � - 3. .x- 6· 2Esistono anche successioni che hanno come regola un misto delle regole suddette, e magari qualche ulteriore e fantasiosa complicazione, come il seguente esempio 1�ostra:

    Esempio da Artquiz: Individuare qual è il numero mancante nella seguente serie: 6, 8, 24; 9, 4, 19; 5, 6, 17; 4, 4. L a regola è ((6 · 8)/2) -!-O= 24, ((9 · 4)/2) + 1 = 19, ((5 · 6)/2} + 2 = 17 e dunque il numero mancante si ottiene eseguendo ((4 · 4)/2) + 3 = 11. Si noti che non è possibile fare una clas8ificazionc completa delle succC:'.S8Ìoni perché diverse successioni sono, per così dire, casi a sé stanti. Pertanto, per tali queHiti, si rimanda alle Hingole soluzioni commenta.te nel volume Artquiz Studio.

    2.1.2 Successioni di lettere Come accennato nella premessa al presento capitolo, questo tipo di successioni consi­ stono in una sequemm di lettere dell'alfabeto, ossia in una seqnemm del tipo: Xo, Xi, ... X, 1; con Xi E {A, B, C, ... Z}, O :s; i :s; n. Una siffatta sequenza è riconducibile ad una successioue numerica dopo aver so­ stituito ad ogni elemento Xi il numero naturale relativo alla posizione nell'alfabeto di tale elemento. Si faccia sempre attenzione al fatto che alle volte viene utilbt,mto l'alfabeto anglosassone, che rispetto all'alfabeto italiano contiene anche le lettere "J, K, W, X, Y" e dunque ha 26 elementi. Spesso l'alfabeto usato è dichiarato nel testo del quiz, ma talvolta è compito del candidato riconoscere quale alfabeto usare per giungere alla soluzione. Una volta sostituite le lettere·con i relativi numeri delle po­ si:tioni nell'alfabeto, la risoluzione del quiz si ottiene utilizzando quanto detto per le successioni numeriche, come i seguenti esempi mostrano.

    Esempio da Artquiz: Completare la seguente sequenza di lettere: URO L G . , . Sono le lettere in posizione 19; 16; 13; 10; 7 ... quindi ad ogni passo si somma al numero_ precedente -3. Dunque la lettera mancante si trova in posi:tione 7 - 3 = 4 che corrisponde alla lettera D. Con le successioni di lettere si incontrano ulteriori variazioni alle regole più note, come i seguenti eaempi dimostrano: Esempio da Artqui.z: Quale tra le coppieRS, QS,RU, SW, PV, completa la seguente serie (alfabeto internazionale) CZ FY IX LW OV ... ? 13

    Capitolo 2 Ragionamento logico-matematico

    @ Artquiz

    Le seconde lettere delle coppie della suc,-cessione sono, nell'ordine dato, Z, Y, X, vV, V, e quindi nella coppia mancante la seconda lettera deve essere una U. Elemento di per sé sufficiente a individuare la risposta corrett�: RU. Esempio da Artquiz: Sillogismo alfabetico AZ BV CU DT ES: L'n-esima coppia di lettere è formato dalle lettere dell'alfabeto italiano in posizione (u, 21-n), quindi la coppia mancante ha le lettere in posizione (6, 21 - 6): FR. Esempio da Artquiz: Quale tra le opzioni F 29, I 26, D 28, E 23, D 23 completa correttamente la seguente successione, utilizzando Palfabeto italiano: E; 5; I; 6; Q; 11; U; 17; '!; ? Osservando la parte numerica della successione (ossia i dati nelle posizioni pari) si nota che dopo i primi dne numeri, ogni numero è dato dalla somma dei due numeri nelle posizioni precedenti (infatti 11 = 5 + 6; 17 = 6 + 11). Dunque il numero mancante è 11 + 17 = 28. Solo la terza opzione prevede tale numero: D 28. Si faccia attcniione chG la parte letterale altro non e che un elemento di distmbo ��r la ricerca _ della soluzione corretta. Anche per le successioni di lettere e le relative innumerevoli varianti non classificabili, 8i rimanda alle singole soluzioni commentate nel volume À 7:"tquiz Studio.

    2.1.3 Successioni di figure

    Le :mccei:;sioui di figure introducono ulteriori varianti alle classificazioni di successioni di tipo nmnertco elencate in precedenza, questo a causa della possibilità di usare regole legate a schemi e simmetrie spaziali a differenza del caso di numeri o lettere, per i quali gli schemi sono lineari. Riportiamo nn e8 empio a sostegno di quanto detto e rimandiamo al volmne Artqniz con i quiz proposti e le relative soluzioni per avere un quadro adeguatamente esaustivo dei casi possibili. Esempio da Artquiz: Inserisci la terna mancante tra le seguenti:

    8 - 4 - 2;. 7 - 14 - 14; 3 - 1 - 3; 5 - 10 - 5; 6 - 2 - 3

    21

    ?

    150.,5 5

    '?

    10[��} 10

    3�} 10

    -I

    '•

    Si vede che i numeri nei quadrati sono il prodotto dei numeri esterni se la tema corretta è 3 - 1 - 3.

    2.2 Relazioni insiemistiche ii'

    :t·

    !l'1:1

    I quesiti sulle relazioni insiemistiche si rifanno a.Ila teoria degli insiemi in modo del tutto intuitivo: un "insieme A è inteso come una famiglia, o collezione, di elementi che Io caratterizzano completamente. In altre parole, un insieme è definito compiu­ tamente dalla totalità degli elementi che contiene. Graficamente, un insieme è spesso 14

    @ Artquiz

    LOGICA

    rappresentato da un diagramma di Eulero-Venn, che consiste in una curva chiusa (tipo un cerchio) entro il quale, all'occorrenza, si pone un puntino per_ ogni elemento con il relativo nome. Dati due insiemi A e B, ha senso considerare in che relazione stanno vicende­ ·volmente, ed in particolare determinare la loro intersezione, denotata AnB, che per definizione è l'insieme contenente tutti e soli gli elementi comuni ad A e B. Possono · · · ., · succedere 3 casi: · · • A e B non hanno elementi in comune e quindi i relativi diagrammi di Eulero-Venn sono 2 curve una esterna all'altra. AnB è l'insieme vuoto; o A e B hanno sia elementi in comune, sia elementi solo in A che elementi solo in B e quindi i relativi diagrammi di Eulero-Venn sono 2 curve che si sovrappongono e determinano tre aree chiuse: quella contenente gli elementi di A e non di B, quella contenente gli elementi di A e di B, quella contenente gli elementi di B e 11011 di A. AnB non ò l'insieme vuoto ed è diverso sia da A che da B;

    .

    • nno dei due insiemi, diciamo A, ha tutti gli elementi che appartengono anche all'al­ tro insieme, quindi a B, e dunque i relativi diagrammi di Eulerç-Venn sono 2 curve una (A) interna all'altra. (B). AnB coincide con A. I qni¼ proposti ai test di ammissione 'consistono nell'identificare Ldiagrammi di Enlcro-Venn che rapppresentano correttamente 3 insiemi dati, ossia. èon le giuste relazioni tra-gli insiemi presi a due ·a due. Dei 27 c�si possibili (3 casi per ognuna delle 3 possibili coppie di insiemi), ne sono apparsi solo 7. Presentiamo perciò l'elenco di eletti 7 casi tramite 1111 esempio per ognuno facendo riferimento alla Figura 2.2.

    e::>

    � Diagramma 1

    Cv Diagramma 2

    cr; ®

    Dlagramma 3

    Dlagramma4

    @=>

    00 o

    Diagramma 5

    Dlagramma6

    � Olagramma 7

    Figura 2.2: Relazioni insiemistiche. Esempio da Artquiz: Personaggi famosi, Persone nate a Milano, MonÙmenti equestri. Individuare il diagramma che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i tre termini dati. Ci possono essere persone simultaneamente famose e di Milano, o anche facenti parte di una sole delle due categorie. Ma nessuna di esse è una statua equestre. Quindi il diagramma 1 è quello corretto. Esempio da Artquiz: Tori, Maiali, Suini. Individuare il diagramma .che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i tre termini dati. L'insieme dei maiali è contenuto nell'im,ieme dei suini. Mentre i tori non possono mai essere anche suini, quindi l'insieme dei primi è disgiunto dall'insi�me dei secondi, per cui il diagramma corretto è il secondo. Esempio da Artqniz: Mele, Pere, Fì·utta raccolta quest'anno. Individuare il diagram­ ma che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i tre termini dati. . 15

    ..

    Capitolo 2 Ragionamento Jogico-matematico

    © Artquiz

    Nell'insieme della frutta raccolta quest'o.nno è certamente inclusa anche una parte dell'insieme delle mele e una parte dell'insieme delle pere (le parti dì tali frutti raccolti appunto quest'anno). Tuttavia, tra questi ultimi due insiemi non ci sono elementi in comune, e dunque l'intersezione è necessariamente vuota. Quindi il diagramma 3 e quello corretto.

    Esempio da A rtquiz: Indicare il diagramma che soddisfa la relazione insiemistica esistente fra i tre termini dati: numeri compresi tra 15 e 20, numeri compresi tra 5 e 30, numeri compresi tra 10 e 25. Vale che: "numeri compresi tra 15 e 20" è contenuto in "numeri compresi tra 10 e 25" che è contenuto in "numeri compre1:1i tra 5 e 30". Quindi il diagramma 4 e quello corretto. Esempio da Artquiz: P<�scatori tarantini, Pescatori con più di trentadue anni, Pescatori biondi. Individuare il diagramma che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i tre termini dati A priori è perfettamente possibile che ci siano pescatori che appartengono a esattamcnte 1 o 2 degli insiemi suddetti, o anche a tutti e tre simultaneamente. Quindi il diagramma 5 e quello corretto. · Esempio da Artquiz: Individuare il di agramma che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i termini dati. Galline, Rettili, Anfibi Nessun tipo di animale (Gal�ine, Rettili, Anfibi) può appartenere simultaneamente a due o tre delle tipologie proposte. Dunque il diagramma corretto è il sesto.

    Esempio da Artquiz: Identificare il diagramma che rappresenta correttamente i se­ guenti insiemi: A: Numeri compresi tra 1 e 22. B: Numeri compresi tra 5 e 11. C: Numeri pari divisibili per 7. A = {1, 2, 3, ... 22} contiene propriamente l'insieme B = {5, 6, ... 11}, inoltre l'intersezione tra A e C = {14, 28, 42, ... } è {14} -(cioè, AnB non è l'insieme vuoto) mentre l'intersezione tra B e C è vuota. Quindi il diagramma 7 e quello corretto.

    2.3 Relazione d'ordine Una relazione d'ordine binai·ia, solitamente detta "minore o uguale" e denotata con $, è una relazione tra due clementi di un insieme A tale, che comunque si scelgano a, b, e E A, valgono le seguenti proprietà : • riflessività: a $ a;

    lt! ,_1·..i

    • simmetria: a $ b e b $ a implica a

    'j

    i·�Jr

    = b;

    • transitività: a$ be b $ e implica a$ e;

    I

    Se si pensa all'insieme dei numeri (dai naturali a.i reali), $ è l'usuale relazio­ ne a tutti nota. Si usa per mettere in relazione quantità di quàlsiasi tipo (purché omogeneo), come le distanze, le masse, gli intervalli di tempo (età), il denaro, ecc. Si presti attenzione al fatto che spesso in luogo di � si usa la relazione "maggiore o uguale", denotata � e così definita:

    a 2 b se e solo se b $ a.

    16

    o

    @ Artquiz

    LOGICA

    In altre parole, quando si incontra una frase del tipo "a è maggiore o uguale a b", la si può sostituire con "b è minore o uguale ad a". Infine, se è noto che a � b e a =I= b, spesso si scrive solamente a< b (e similmente con �). 'Esempio da Artquiz: Giovanni è più vecchio di Carlo; Lorenzo è più vecchio di Mario; Mario è più giovane di Alessandro; Carlo ed Alessandro sono gemelli. Sulla base delle precedenti si può affermare che ... Sia G l'età di Giovanni, C quella di Carlo e così via. Dunque G > C= A> M, per cui G > M.

    2.4 Esercizi di crittografia Questo tipo di esercizi consistono in problemi dove compaiono simboli (@, #, & etc.) o sillabe (TEP, ZOP ... ) ma che in realtà si risolvono con le regole usuali della matematica (dove invece si è soliti usare x, y, z ... ). Un esempio chiarificherà la situazione, e in generale si rimanda al volume Artquiz Studio per l'usuale pratica. Esempio da A1·tquiz: Se§·@= 1; §= 5/3; @ + 2/5= #. Allora# è uguale a: # = 1. Infatti, sostituendo 5/3 a§ nella prima uguaglianza si ottiene (5/3)·@ = 1, da cui @= 3/5. Infine, sostitutendo@ = 3/5 nella terza uguaglianza si ha 3/5+2/5 =

    #.

    17 o

    Capitolo 3

    Problemi logico-matematici 3.1 Problemi con soluzione logico-matematica ,, Un problema di questo tipo è riconducibile al classico "problema di matematica della scuola clementnre, benché chiaramente nel contesto delle prove di ammissione il livel­ lo di difficolt.ù. sia

  • 3.2 Problemi con i giorni della settimana In un problema di questo tipo viene solitamente chiesto di stabilire che giorno della settimana è un dato giorno, in base ad un numero di affermazioni e tenendo conto dell'ordine convenzionale tra i giomi della settimana e la suddivisione degli anni in mesi. Attenzione agli anni bisestili, che ricordiamo essere i multipli di 4. Anche in que::ito caso si rimanda allo studio delle singole soluzioni commentate dei quesiti di A rtquiz Studio. Esempio da Artquiz: Una "non-stop televisiva" inizia alle ore 21:00 del 25 ottobre, e prosegue ininterrottamente per 400 ore. Quando termina'? Alle ore 13:00 dell'll novembre, infatti eseguendo la divisione tra 400 e 24 (il numero di ore in un giorno), si ottiene 16 con resto di 16, rispettivamente il numero di giorni e ore passate dal momento in questione. Data e ora richieste si ottengono

    19

    ,

    r

    Ciipitolo 3 Prohlemi logico-matematici

    @ Artquiz

    aggiungendo 16 ore dopo 16 giorni trascorsi dal 25 ottobre alle 21:00. Quindi 16 ore dopo il 10 novembre alle 21:00, ossia 1'11 novembre alle 13.00.

    3.3 Problemi con i rapporti di parentela Quiz di questo tipo riguardano il tipo di parentela che lega due persone X e Y, note alcune assunzioni sul rapporto che intercorre tra X, Y e altri individui ancora. Per giungere alla soluzione è sufficiente un po' di attenzione e la conoscenza dei termini (nipote, cognato, nuora, ecc.).

    Esempio da Artquiz: Mario è il secondogenito di una coppia con due figli, e sua moglie è figlia unica. Uno dei nonni del figlio di Mario ha una figlia che si chiama Fì·ancesca, la quale ha d uc anni meno di Mario. Date queste premesse, chi è la Fì·ancesca di cui si parla nel testo? La moglie di Mario; infatti uno dei nonni del figlio di Mario è il padre di Mario o di �ma moglie. Siccome tale nonno ha una figlia(che si chiama Fì·ancesca) che è più giovane di Mario, detta Fì·ancesca non può essere sorella di Mario, che è il secm�do­ genito di una coppia con due figli. Dunque Fì·ancesca è figlia del nonno materno(del figlio di Mario), per cui Fì·ancesca è moglie di Mario.

    3.4 Calcola quante persone sono necessarie per fare determinate cose in un certo lasso di tempo La quasi totalità dei problemi di questo tipo si possono ricondurre nl problema del seguente esempio. Si vedano come sempre i quiz del volume Artquiz Studio.

    Esempio da Artquiz: Se 2 dietisti elaborano 6 diete in 120 minuti, quanti dietisti sarebbero teoricamente necessari per elaborarne 12 in 7200 secondi? Un dietista elabora 3 diete in 120 minuti, quindi una ogni 40 minuti. 7200 secondi sono pari a 120 minuti, nei quali un dietista elabora 3 diete. Quindi sono necessari 4 dietisti.

    3.5 Calcola quanto t�mpo occorre per... Si tratta di problemi che riguardano il tempo e risolvibili con l'uso della matematica e le ovvie nozioni di secondo, minuto(= 60 secondi), ora(= 60 minuti), giorno(= 24 ore), ecc. Spesso questo tipo di problemi non si discostano dai problemi del pai·agrafo pre: cedente (Logica 3.4), oppure sono riconducibili all'esempio seguente:

    I° I

    I•

    I, · '

    I.

    '1 -�

    j.

    }ijl

    ,,,

    Esempio da Artquiz: 'Ire architetti df?vono completare insieme un progetto. Sapendo che, lavorando singolarmente, ciascuno di loro impiegherebbe rispettivamente 10, 8 e 9 giorni per terminare il progetto, in quanto tempo lo porteranno a termine lavorando insieme? In un giorno, singolarmente, completano 1/10, 1/8 e 1/9 di progetto. Quindi al giorno, insieme, completano una frazione di progetto pari-a circa 1/10 + 1/8 + 1/9 = (72 + 90 + 80)/720 = 242/720 � 0,336. Dunque, per completare il progetto, impiegheranno circa 1/0,336 = 2,975 � 3 giorni. 20

    © Artquiz

    LOGICA

    3.6 Calcoli con i dosaggi Esempio da Artquiz: Tizio e Caio devono ricevere una certa quantità di farmaco, in maniera da avere una quantità di principio attivo proporzionale al proprio peso cor­ poreo. Tizio pesa 50 kg, Caio pesa 60 kg. Due flaconi identici di farmaco contengono, complessivamente, la dose totale necessaria per il fabbisogno di entrambi. Qual è la dose esatta da somministrare a Caio? , Un flacone intero e un undicesimo dell altro flacone. Infatti, fissiamo come unitaria la quantità di principio attivo di ogni flacone; in totale abbiamo dunque 2 unità. Si tratta ora di suddividere in 11 parti dette unità: 6 parti per Caio e 5 per Tizio (infatti il rapporto tra le loro massa corporea è 6 a 5). A Caio spettano quindi 6 undicesimi di 2 unità, ossia 12 undicesimi di unità (2 · 6/11 = 12/11). Essendo 11 undice.':limi pari ad una unità, cioè ad un flacone, a Caio spetta un flacone e un undicesimo dell'altro (12/11 = 11/11 + 1/11).

    .

    3. 7 Calcoli relativi alla distanza percorsa e alla velocità Il mncetto principale da conoscere in questo contesto è quello di velocità, crn:;l definita: velocità=

    distamm percorsa . . . tempo 1mp1egato

    Per i
    21

    © Artquìz

    Capitolo 3 Problemi logico-matematici

    Esempio da Artquiz: Luigi decide di fare un giro nel fine settimana ma non ha una meta. All'inizio si dirige verso est per 248 km, poi gira a sinistra e gnida verso Nord per 310 km. Quanti km avrebbe risparmiato guidando in linea retta fino a destinazione? Tramite il teorema di Pitagora si ottiene che dal punto di partenza Luigi ha per­ corso J2482 + 3102 km = 397 km. Luigi avrebbe quindi risparmiato circa (248 + 310- 397) km= 161 km. Esempio da Artquiz: Un autoveicolo percorre metà dei giri di una pista a 300 km/h poi percorre l'altra meta a 100 km/h. In media a che velocità ha viaggiato? Questo è il tipico problema che si risolve con la media armonica: tralasciando le unità di misura, la velocità media cercata. è pari alla media armonica tra 300 e 100, ossia 2/(1/300 + 1 /100) = 2/(4/300) = 600/4 = 150 (km/h).

    1

    22

    Capitolo 4

    Probabilità e Statistica In questo capitolo ci limitiamo a presentare le nozioni essenziali del calcolo delle probabilità, approfondendo invece maggiormente gli esercizi e le r€lative soluzioni.

    4.1 Percentuali La percentuale x di nn numero a rispetto ad un secondo numero b esprime la pro­ porzione tra i due numeri a e b in termini della stessa proporzione tra x e 100. In altre parole, la percentuale di a rispetto a b è data da "quel" x che rende vera la proporzione: a: b =X: 100. Operativamente, x si ottiene dal seguente calcolo: :r: =

    a

    b · 100.

    È ampiamente utilizzata la notazione x% per indicare che il numero x indica una percentuale. Nel linguaggio comune si suol dire che "fatto b uguale a 100, x è la frazione di 100 equivalente a quella rappresentata da a rispetto a b". Solitamente si usa la percentuale per numeri tali che O � a � b, ma le eccerbioni non sono così insolite. Esempio da Artquiz: Calcolare il 35% di 150. Dalla definizione è 150 · (35/100) · 52,5. Esempio da Artquiz: Il 70% degli iscritti a medicina veterinaria mangia pizza almeno una volta alla settimana. Tra questi, il 60% ci beve insieme una bevanda alcolica. Determinare la percentuale degli iscritti a medicina veterinaria che mangiano pizza almeno una volta alla settimana, senza accompagnarla con bevande alcoliche.· 28%. Infatti tra gli iscritti a medicina veterinaria che mangiano pizza almeno una volta alla settimana, la percentuale di quelli che non l'accompagnano con una bevanda alcolica è del 40%. Quindi, la percentuale cercata è (O, 7, O, 4 · 100)% = 28%. Esempio da Artquiz: Aumentando del 10% le lunghezze della base e dell'altezza di un rettangolo, l'area aumenta del: 23

    © Artquiz

    Capitolo 4 Probabilità e Statistica

    21%. Infatti, siano B e h la base e l'altezza di partenza, che aumentate del 10% danno B' = (1 + 10/lO0)B = 1, 1B e h' = (1 + 10/lO0)h = 1, lh. L'area del rettangolo finale è B'h' = Bhl, 12 = Bhl, 21 = Bh(l + O, 21) = Bh(100 + 21)/100, cioè Bh + Bh · 21%. 4.2 Tasso d'interesse Il tasso di interesse tè la percentuale del capitale C prestato che viene pagata an­ nualmente per ìl prestito ricevuto oltre alla restituzione del capitale C stesso. Quindi, dopo un anno di prestito, iL capitale che il creditore si vede restituire è:

    e

    . ( + �o) = e + e 1

    1

    1�0.

    Se invece il tempo trascorso tra il prestito e la restituzione è pari a g, con O < g < 365, allora il capitale restituito è:

    e· ( + 1

    {I) = e + e 100t · 365g ·

    t · 365 100

    Infine, per n anni di tempo trru;corsi dal prestito, vale la formula:

    (

    e. l + 1io) n Esempio da Artquiz: Se investo 12000 € per 3 mesi al tasso annuale del 5%; l'interesse che ottengo per tali tre mesi è: 150 €. Infatti, siccome gli interessi maturano per 3/12 di anno, il problema si traduce in 12000 € · (3/12) · (5/100) = 150 €.

    4.3 Calcolo delle probabilità Nella definizione classica di probabilità, dato un insieme di eventi possibili rispetto ad un dato esperimento (in senso esteso) si·definisce probabilità P che si verifichi un evento x come il rapportò tra i casi favorevoli nei quali x si verifica rispetto ai casi possibili che si possono verificare.

    Esempio da Artquiz: La probabilità che lanciando contemporaneamente tre monete 1 uguali esse presentino la stessa faccia è: 1/4. Infatti, le combinazioni favorevoli sono testa-testa-testa e croc�croce-croce, su 8 totali, dunque 2/8 = 1/4. Si dice che due eventi x e y sono incompatibili quando non si possono verificare simultaneamente. In tal caso si ha che la probabilità P(x oppure y) = P(x) + P(y). Ad esempio, l'esito del lancio di un dado non può essere simultaneamente pari (p) e dispari (d) e dunque P(p oppure d) = P(p) + P(d) = O, 5 + O, 5 = 1; infatti, è certo che l'esito sarà pari o dispari. Due eventi x e y sono indipendenti quando il verificarsi di un esito non influenza il verificarsi dell'altro. In tal caso si ha che la probabilità P(x e.y) = P(x) · P(y). Ad esempio, gli esiti dei lanci di due dadi sono indipendenti, e se si calcola la probabilità l'!! a

    24

    @ Artquiz

    LOGICA

    che il primo lancio sia pari (p) e il secondo dispari (d), si ottiene P(p ed) = P(p) . P(d) = O, 5·0, 5 = O, 25; infatti, i possibili esiti sono pari-pari, pari-dispari, dispari-pari e dispari-dispari, quindi si ha un caso favorevole su 4 possibili, appunto O, 25 = 1/4. · Esempio da Artquiz: Siano A e B due eventi incompatibili con P(A) = O, 4 e P(B) = O,3. Allora P(A U B) vale: P(A U B) = P(A) + P(B) = 0,4+ 0,3 = O, 7.

    4.3.1 Probabilità condizionata La probabilità condizionata cli nn evento A rispetto a un evento B, scritto P(AIB) è la probabilità che si verifichi A, sapendo che B si è verificato. Dalla teoria si sa che:

    P(AIB) =

    P(A n B) P(B) '

    (4.1)

    dove P(A n B) è la probabilità che si verifichino entrambi gli eventi. Dalla formula 4.1 segue che P(A n B) = P(AIB) · P(B), da cui, invertendo i moli di A e B, si ottiene che deve anche valere P(A n B) = P(BIA) · P(A). Date le due formule per P(A n B), si ,ottiene il Teorema di Bayes: Siano A e B dne eventi, allora vale

    P(AIB) · P(B)

    = P(BIA) · P(A).

    Esempio da Artquiz: In una scatola ci sono 4 monete. Due preseiitano testa su un

    lato e croce sull'altro. Le altre due presentano testa su entrambi i lati. Si sceglie a caso una moneta che presenta testa sul lato di chi osserva. Qual è la probabilità che sull'altro lato ci sia croce? Sia A l'evento: "la faccia presenta croce" e B l'evento: "la faccia presenta testa". Si tratta di calcolare la probabilità di A noto B, che in notazione probabilistica si scrive P(AIB). Il teorema di Bayes afferma che P(AIB) = P(BIA)P(A)/P(B). Ora P(BIA) = 1, ossia la probabilità che una faccia sia testa se quella osservata è croce. P(A) = 2/8 perché ci sono 2 croci su 8 facce, e similmente P(B) = 6/8 perché ci sono 6 teste su 8 facce. Quindi P(AIB) = P(BIA)P(A)/ P(B) = (1 · 2/8)/(6/8) = 1/3.

    4.3.2 Calcolo combinatorio Oggetto del calcolo combinatorio è quello di determinare il numero dei modi mediante i quali possono essere 1·aggruppati, secondo prefissate regole, alcuni elementi di uno stesso insieme. In molte applicazioni sorge il problema di Hapere in quanti modi pos­ sibili si può presentare un certo fenomeno. Il problema, all'apparenza, sembra banale: ciò è vero se il numero degli elementi presi in considerazione è piccolo, ma quando que­ sto numero è elevato si presentano delle difficoltà nel formare tutti i raggmppamenti possibili e senza considerare ripetizioni. Il calcolo combinatorio costituisce anche uno strµmento aritmetico che è di sup­ porto indispensabile nel calcolo delle probabilità poiché consente di determinare il numero di eventi possibili (ma anche quelli favorevoli e contrari) che si possono ve­ rificare in una prova. Iu definitiva possiamo dire che il calcolo combinatorio fornisce 25

    © Artquiz

    Capitolo 4 Probabilità. e Statistica

    quegli strnmenti di calcolo per determinare il numero di raggruppamenti che si pos­ sono formare con un numero k di oggetti presi da 1111 insieme contenente n oggetti secondo certe modalità che andiamo ad espletare: Pensiamo ad un raggruppamento come ad una estrazione di k oggetti da un insieme composto da n oggetti (ad esempio da 1m 1 urna). Si possono allora distinguere le modalità seguenti: • estrazione con ordine, ossia Pordine con cui i k oggetti vengono estratti conta (ad esempio, Pordine di arrivo di una gara, pensando alPinsieme dei concorrenti come gli oggetti di un'urna, e ogni arrivo come ad una estrazione). In questo caso si parla di disposizioni; • estrazione senza ordine, ossia l'ordine con cui i k oggetti vengono estratti non conta (ad esempio, nelle estrazioni del lotto, o un terno è tale qualsiasi sia l'ordi'ue col quale sono estratti i tre numeri vincenti). In questo caso si parla di combinazioni. Inoltre: • estrazione senza ripetizione o semplice, ossia dopo ogni estrazione 11011 si reinserisce Poggetto estratto nell'urna ( come nelle estrazioni del lotto o nella tombola). • estrazione con ripetizione, ossia. dopo ogni cstra1.ione si reinserisce l'oggetto estratto nell'urua; Introduciamo ora cluc defini1.ioni utili per la trattazione. naturale n E N, si definisce il fattoriale n! come: O!= 1;

    n!

    Fissato un numero

    = n · (n - 1) · (n - 2) · · · 3 · 2 · 1 se n �

    1,

    ossia come il prodotto dei primi n numeri naturali. Dati inoltre due numeri naturali n, k E N con k ::; n, si definisce anche il coefficiente binomiale (�) come:

    (n) k

    =

    n!

    (n · k)!k! ·

    Disposizioni semplici

    Consideriamo un insieme formato da n elementi distinti ed un numero k ::; n. Un raggruppamento ordinato formato da k degli n elementi dell'insieme dato è detto disposizione semplice della classe k su n elementi. Si faccia attenzione ai seguenti aspetti: • in ciascun raggruppamento figurano k oggetti senza ripetizione;

    -.

    • due di tali disposizioni si ritengono diverse quando differiscono pe1· almeno un elemento oppure per l'ordine con_ cui gli stessi elementi si presentano. i I

    ... ijJ

    ,!l'J;

    rr.,

    lf

    Il numero delle possibili disposizioni semplici di n elementi distinti della classe k si indica con il simbolo Dk,n e il suo valore è dato dalla formula che deriviamo dalle seguenti osservazioni: alla prima estrazione si hanno n possibili esiti, alla seconda (:,'Straziane se ne hanno n - 1, e così via fino alla k-esima estra7,ione, per la quale gli esiti possibili sono n - k + 1. Quindi, il numero di casi possibili è: Dk,n = n · (n - 1) · (n - 2) · .. (n - k + 1)

    26

    =

    nl

    ' · k)!, n-

    @ Artquiz

    LOGICA

    Permutazioni semplici Nel caso di una disposizione semplice della classe k seguenti uguaglianze: Dk,n

    S7t

    n in cui k

    =

    n, valgono le

    = n · (n - 1) · (n - 2) · · · (n - k + 1) = n · (n - 1) · (n - 2) · · · 1 = ,

    nl

    ". = n!

    In tal caso, si definisce Dn,n = Dn come il numero di permutazioni di n clementi, che è il numero di possibili modi con i quali si possono disporre detti elementi, che dunque è pari a n!. Se ne deduce che le permutazioni semplici sono raggruppamenti che differiscono soltanto per l'ordine con cui sono disposti tutti gli n oggetti distinti contenuti.

    Esempio: Si vuole calcolare D3,1 e D1 ,1- Si ha: D3. 1 = 1 · 6 · 5 = 210 D 1 = 7 · 6 · · · 2 · 1 = 5.040

    Esempio: Quante sono le disposi¼ioni (senza ripetbr.ioni) delle basi del DNA prese a tre a tre? Risposta: n è uguale a 4, k è uguale a 3 e quindi Da,1 = 4!/(4 - 3)! = 24/1 = 24. Infatti le pm;sibili triplette �ono: ATG, AGT, ATC, ACT, AGC, ACG, TGA, TAG, TCA, TAC, TGC, TCG, CTA, CAT, CGA, CAG, CTG, CGT, GAT, GTA, GCA, GAC, GTC, GCT. Combinazioni semplici

    Una combinazione semplice con n, k E N e k � n si ottiene da una disposizione D sen¼a consiclemre l'ordine degli clementi. Diverse cfo;posizioni senza ordine produco­ no la stessa. combim1.¼ione se gli elementi dei relativi raggruppamenti sono gli stessi e differiscono solamente per una pennntMione. Siccome il numero di possibili pernm­ tazioni di k clementi è k!( = Dk,k), il numero cli possibili combinazioni Ck ,n è pari al numero cli disposizioni senza ripetizioni Dk ,n diviso per il numeri di pennutazioni dei k clementi Dk ,k , e si ottiene: Ckn

    '

    n = = D1,:, D1,:,1,:

    n!

    (n - k)lk!

    =

    (n)· k

    Si noti la differenza fra cli.<,posizioni e combinazioni (semplici): a differenza delle disposizioni, per le quali si tiene conto dell'ordine, d ue combinazioni si considerano distinte solo qnanclo i relativi raggrnppamenti differiscono almeno per un elemento.

    Esempio cla Artq·1tiz: Aci un concorso per 4 posti partecipano 9 candidati. Quanti sono i grnppi possibili di vincitori? 126. Infatti, è il numero cli insiemi di 4 clementi che si possono formare da un insieme cli 9 clementi (chiarai�ente, senza ordine). Tale numero è C,i ,9 = G) = 126. Disposi.zioni con ripetizione

    Consideriamo un insieme formato da n clementi distinti ecl un numern k E N. Una sequernm ordinata formata da k elementi, anche ripetuti, dell'insieme dato è detto disposizione r.on r-ipetizione della classe k su n elementi,

    27

    Capitolo 4 Probabilità e Sta.t.istica

    © Artquiz

    Si faccia atteniione ai segncnti aspetti: o

    in ciascuna sequenza figurano k oggetti;

    o due di tali disposizioni si ritengono diverse quando differiscono per almeno un elemento in almeno una posizione della sequenza. Il numero delle possibili disposizioni con ripetizione cli n elementi distinti della classe k si indica con il simbolo Dk,n e il suo valore è dato dalla formula che deriviamo dalle seguenti osservazioni: alla prima estrazione si hanno n possibili esiti, alla seconda estrazione se ne hanno nuovamente n, e così via fino alla k-esima estrazione. Quindi, il numero di casi possibili è: k D k,n I' =n Un esempio classico di clisposizioui con ripetizione è il codice segreto di una cassaforte (nell'uso comnne, erroneamente detto combinazione). Permutazioni con ripetizione

    Nel caso delle permutazioni semplici abbiamo supposto che gli n oggetti dell'urna fossero tutti distinti. Supponiamo ora che di questi n oggetti ve ne siano a uguali tra loro (a < n). Ci proponiamo allora di trovare il nnmero delle loro permntm�ioni che indicheremo con D�. Esempio: Consideriamo la parola ORO che contiene due lettere ugnali. Abbiamo visto che il numero cli permntaY.ioni di una parola (con lettere tutte diverse) cli tre lettere è dato da: D3 = 3! = 6. Nel caso della parola ORO i possibili anagrammi distinti sono soltanto: ORO, ROO , OOR, cioè sono tre e non sci come ci si sarebbe aspettato. In ge�1cralc, volendo calcolare le permutazioni di n oggetti in cui ve ne siano a identici fra loro, si ottiene un numero di permutazioni dato da: D� = Du/a! = n!/a!. Nel nostro caso quindi è: D§ = 3!/2! = (3 · 2 · 1)/2, 1 = 3. Se poi, datl\ un'urna di n oggetti nella quale un oggetto è ripetuto a volte, un altro b volte, il numero delle pennuta1.ioni distinte con clementi ripetuti che si possono ottenere è dato da: D!tu, b) = n!/a!b!.

    La generalizzazione è ovvia se si aumenta il numero cli elementi ripetuti a volte, poi b volte, poi e volte, ecc.

    I!

    i�

    l

    1

    1:f li

    �j � 11

    IlI�

    Esempio: Se prendiamo in considerazione la parola MATEMATICA osserviamo che nelle 10 lettere in essa contenute, la lettera M si ripete 2 volte ( a = 2), la lettera A si ripete 3 volte (b = 3) e la lettera T si ripete 2 volte (e= 2). Il numero dJ anagrmnmi ,., distinti che si possono costruire con essa è dato da: .J , D�� 3, ) = 10!/2!3!2! = (10 ·O· 8 · 7 · 6 · 5 · 4 · 3, 2 · 1)/(2 · 3 · 2 � 2) .' 151.200. 2

    Esempio: In quanti modi si può anagrammare la parola OTTO? Risposta: il numero delle permutazioni 8emplici con n = 4 è 4. 3 · 2 · 1 :::: 24, mà t�c numero dovrà essere diviso per il numero di modi con cui possono essere scambiati tra loro le lettere uguali nelle stesse posizioni (es: OTtO e OtTO; oTTO e OTTo e tutte le altre). In questo caso le permutazioni di T sono 2 e quelle di O sono 2. Quindi tutte le permutazioni dovranno essere divise per 2 · 2 = 4, In totale quindi si avranno 6 permutazioni con ripetizione: OTTO, OTOT, OOTT, TOOT, TTOO, TOTO.

    28

    LOGICA

    @ Artquiz Combinazioni con ripetizione

    Consideriamo un insieme formato da n elementi e fissiamo un numero k E N e ci proponiamo di costruire i possibili raggruppamenti distinti prendendo k elementi · dell'insieme dato in modo che: • in ciascun raggruppamento figurino k elementi dell'insieme dato potendovi uno stesso elemento figurare più volte; • due raggruppamenti sono distinti se uno di essi contiene almeno un elemento che non figura nell'altro, oppure gli elementi che figurano in uno figmano anche nell'altro ma sono ripetuti un numero diverso di volte. Esempio: Se consideriamo l'insieme cli tre elementi {a, b, e}, le combinazioni di classe

    2 (cioè prendendone due alla volta) con ripetizione, sono: (aa), (ab), (ac), (bb), (bc) f (cc), quindi sono sei; le combinazioni di classe 3 , con ripetizione; sono: (aaa), (a.ab), (aac), (abb), (abc), (ace), (bbb), (bbc), (bcc), (ace), quindi sono 10. La formula che dà il numero delle combina�doni con ripeti1.ione di n elementi di classe k è: tt + k · Cn, rk = ( k

    1)

    Negli esempi precedenti si ha:

    c;·,3 = (3 + 2 - 1)!/2!(3 -1)1 = 4!/(2. 2) = (4. 3. 2)/4 = 6,

    c;;, 3 = (3 + 3 - 1)!/3!(3 - 1)1 = 5!/(3. 2. 2) = (5. 4. 3. 2)/12 = 10.

    notazione

    kS:n

    nnmero cosi

    SI

    Dk,n



    (n-k)I

    sl



    nr.n

    no

    nk

    Combinazione

    no

    no

    ck,n



    Combinazione

    SI

    '

    110

    C'kn

    no

    n+ -I t ( )

    Permutazione

    no



    Dn

    n=k

    n!

    Permutazione

    SI

    sl

    (a.,b, ... ) D1t

    n=k

    n!/a!b! ...

    Tipo estmzione

    ripetizione

    ordine

    Disposi�ione

    no

    Disposizione

    '

    '

    --

    iii

    Dk,•, Dk,k

    =

    (1t) k

    Tabella 4.1: Numero di disposi�ioni, combinazioni e permutazioni con o senza \'i petizione.

    29

    © Artquiz

    Capitolo 4 Probabilità e Statistica

    4.3.3 Monete, dadi, urne e simili Concludiamo il presente capitolo con una sel'ie di quesiti esplicativi sul calcolo delle probabilità. ·1(1

    ti

    lfl

    '!,l,l '1�

    ·,1

    �i

    ;'

    .h ;� I· �i ..f !:

    1! �

    .�!

    Esempio da Artquiz: Una moneta è lanciata 4 volte. Qual è la probabilità di ottenere 2 croci e 2 teste sapendo che la prima volta si è ottenuto croce? 3/8. Infatti, si vuole ottenere 2 teste uei secondi 3 lanci, il che è possibile in (�) = 3 modi, su un totale di D2,3 = 23 = 8 possibili esiti di 3 lanci (chiaramente, con ordine). Esempio da Artquiz: Se si lancia 1111 dado 5 volte con qua.le probabilità il "2" esce �a.ttamente 3 volte? 2 :: . Infatti, si hanno = 10 combinazioni favorevoli (i 3 lanci nei quali deve

    (!)

    uscire il 2, ad es. 222?? oppure ?222?), ognuna. cli probabilità:

    lf,I' "'t

    nj

    lm probabilità di uscire 1/6, il "non 2" ha probabilità e.li m;circ 5/6 e ogni lancio è 1 r::i 13 r:2 indipendente dagli altri). Quindi, in totale, ln probabilità cercata. è 10 3 �2 = 2 �5 • 6

    . _8_ . � 2 8 + :t: 7 + X

    l

    -,r 11

    r,.

    1 ,'

    (il "2"

    Esemvio
    t

    ,. . I



    (1)3 (r:)2 6 *

    =

    16 45

    dove 8/(8 + a:) è ltt probabilità di estrarre una pallina bianca e 7/(7 + x) è la pro­ babilità cli estrarne i;imnltaneamente una rossa. Notar e che il fattore 2 è dovuto al fatto che anèhe invertendo l'ordine, ossia rÒssa-bianca, si userebbero rispettivamente le probabilità x/(8 + x) e 8/ (7 + :i:), che non cambiano la. probabilitit dell'evento favorevole.

    E:,·empio da Artquiz: In 1111 esperimento si ottiene una miscela mescolando 2 liquidi divcr�i scelti a caso da 4 flaconi contrassegnati dalle lettere A, B, C e D. La probabilità che la miscela non contenga il liquido del flacone A è pari a: 1/2. Infatti, i casi favorevoli sono quelli nei quali la miscela è fatta con 2 liquidi presi dai flaconi B, C e D. Il calcolo combinatorio ci dice quindi che ci ?-bno (;) = 3 possibili combina'l.ioni favorevoli su (�) = 6 posi;ibili combinazioni. Quindi il numel'o cercato è 3/6 = 1/2.

    4.4 Statistica Dato un insieme A detto popolazione, una variabile statistica (solitamente denotata con X, Y ... ) è una funzione che ad ogni elemento a della popolazione assegna un dato valore X(a), non necessariamente numerico. Ad esempio, sulla popolazione degli studenti di una data scuola, si consideri la varia�ilc statistica che ad ogni studente 30

    © Artquiz



    LOGICA

    assegna il colore dei suoi occhi; oppure la variabile statistica che ad ognuno assegna la distanza dalla sua abitm�ione alla scuola. Data una popolazione con n elementi a 1 , a2, •.. an e una variabile statistica X su A, si ottengono n valori non necessariamente distinti X(a 1), X(a 2), ..• X(a n )- Siano Xi, X2, •.. Xi gli i valori assunti da X, con i < n e la disuguaglianza stretta nel caso generale in cui ci sono valori assunti più volte. Si definisce frequenza assoluta � del valore Xi il numero di volte che tale valore viene assunto da X. Si definisce frequenza relativa li del valor4i! Xi il rapporto -Pifn. Esempio da Artquiz: Dati i seguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, la frequenza (relativa) della classe 5 vale: 0,2. Infatti, il 5 compare due volte su 10 valori rilevati. Dati gli x 1, X2, ... Xi valori assunti da una variabile statistica X, si definisce campo dì variabilità la difforenut tra il valore mcwsimo e il valore minimo assur1,ti da X, ossia tra il massimo e il minimo degli :v 1, X2, ... Xi-

    .

    Esempio da A1·tquiz: Da.ti i :-;eguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, il campo di variabilità elci da.ti vale: 6 - 1 = 5. Infatti, 6 e 1 sono rispettivamente il mas:.;hno e il minimo dei valori dati.

    4.4.1 Moda, mediana e media Data una variabile stati:-;tica X, si clefini:,;cono i Hcguenti indid di centralità, ognuno elci quali è un numero che vuole in qualche modo sintetizzare l'informazione contenuta nei dati X(at),X(ci2), ... X(a 1J di X e i cui valori cli:-;tinti 80110 :i: 1, :i:2, ... :vi: • moda: è quel valore tra gli x 1, :v2, ... Xi valori assunti da X e denotato con Xucodn la cui frequenza è massima; • mediana: è quel valore tra i dati X(a i ), X(a2),, •• X(a n ) che, una volta riordinati (con le.eventuali ripetizioni), occupa la posizione a metà tra il primo e l'ultimo valore, e che quindi divide la successione di valori in due sottosuccessioni di pari lunghez'l.a; viene denotato con X,acdinccn; • media: è il valore che si ottiene facendo la somma dei va.lori X(a 1 ), X(a2), ... X (a ii ) divisa per la popolosità n e denotato con Xmcdin· Quindi: tt

    Xmc clin.

    1 1 i = - LX(aj) = - LXj/J· n .=l n .= l J

    J

    Esempio da Artquiz: Dati i seguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, la moda vale: 3. Infatti, 3 è il valore che compare pii1 volte, pari a 3 (ossia, 3 è il valore la cui frequenza è massima). Esempio da Artq1tiz: Dati i seguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, la mediana vale: 3. Infatti, riordinando i valori si ottiene 1, 2, 2, 3, 3, 3, 4, 5, 5, 6 e il 3 divide questa successione in dne insiemi di pari popolosità, o8sia di 5 elementi. 31

    © Artquiz

    Capitolo 4 Probabilità e Statistica

    Esempio da Artquiz: Dati i seguenti valori 1 > 3 > 4 > 2 > 5 > 3 > 3 > 2 > 6 > 5 > la media vale: 34/10. Infatti> basta eseguire il calcolo:

    1+3+4+2+5+3+3+2+6+5 10

    34 10

    Esempio da Artquiz: Uno studente universitario > dopo aver superato 3 esami> ha la

    media di 28. NeWesame successivo lo studente prende 20. QuaPè la sua media dopo il quarto esame? 26. Infatti > la somma dei 4 voti dà 28 · 3+20 = 104 > e la media si ottiene dividendo tale somma per 4 > quindi la media cercata è (28 · 3+ 20)/4 = 104/4 = 26.

    o o o o o

    '.,

    ·

    ;..-,i·.'. 1·

    Il "I r• l ff,.

    I� 32

    o o

    t

    I

    PARTE II

    MATEMATICA

    Capitolo 1

    Aritmetica 1.1 Numeri naturali e interi. Relazione d'ordine L'insieme dei numeri naturali è, d'ora in poi, denotato con la lettera N. Esso è l'insieme dei numeri che si usa pcl' contare, ossia:

    N= {0,1,2,3, ... }. Per dire, ad esempio, che 17 appartiene a N, useremo la notazione 17 E N. In generale, il simbolo E si usa per dire che un elemento a appartiene ad un dato insieme A, e si scrive quindi a E A. Inoltre, se tutti gli elementi di un insieme A sono anche elementi di un insieme B, allora diremo che A è sottoinsieme di B e scriveremo A ç B. In N ci sono due operazioni binarie dette somma e prodotto, denotate rispettiva­ mente con+ e· (questo _simbolo è spesso omesso e, in luogo di a· b, si scrive ah), e una relazione d'ordine binaria detta "minore o uguale", denotata con <. Per la somma, il prodotto e la relazione d'ordine valgono, comunque si scelgano a, b, c E N, le seguenti proprietà: • Riflessività: a < a. • Antisimmetria: a ::; b e b ::; a implica a

    = b.

    • Transitività: a :::; b e b ::; e implica a < c. o Associatività di somma e prodotto: (a+ b) +e= a+ (b + e), (ab)c = a(bc). • Commutatività di somma e prodotto: a+ b

    = b+ a,

    ab= ba.

    • Esistenza dell'elemento neutro dì somma e prodotto: a+ O = a, a· 1 = a. • Distributività della moltiplicazione rispetto all'addizione: a(b+c) = ab+ac.

    33

    © Artqniz

    Capitolo 1 Aritmetica

    Siccome in N non esiste un elemento x tale che x + 1 = O (tuttavia si noti che al posto di 1 si potrebbe usare qualsiasi numero natura.le non nullo), si estende l'insieme dei numeri naturali aggiungendoci i numeri del tipo -1, -2, -3,... , così da ottenere l'insieme dei numeri interi (denotato con la lettera Z), ossia: Z

    = { ... , -3,-2, -1,0,1,2,3, ... }.

    (1.1)

    In Z valgono le stesse proprietà di Ne l'ordine è quello evidenziato nella definizione 1.1, inoltre, comunque si scelga a E Z, vale anche la seguente proprietà: • Esistenza dell'inverso additivo: esiste b E Z tale che

    a+ b = O.

    L'inverso additivo (unico) o opposto, di a E Z è denotato con -n.

    Esempio da Artqu.iz: Dati 2 numeri interi com.;ecutivi si indica con S la loro somma. Si può affermare che, per tutti i numeri interi, tale :,;omma S è: Dispari. Infatti, due numeri interi consecutivi sono sempre uno pari e uno dispari, e quindi la somma è dispari. Esempio da Artquiz: Le quantità positive H, I< e L sono legate dalle relazioni H < I< e L � I<, quale reln¼ione è sempre vera? Da lI < I< ( ossia, H =:;; I< e H � I<) e I< =:;; L e per la proprietà transitiva si ha H
    1.2 Divisibilità, numeri primi, mcm e MCD

    Dati due numeri a, b E Z, diciamo. che a divide b (scritto alb), se esiste 1111 elemento e E Z tale che ac = b. In tal caso, diciamo che b è multiplo di a. Un numero intero a si dice primo se ha come divisori solo 1, -1,a, -a. Ad esempio, 6 non è primo perché 216, mentre 2, 3, 5,... 23813,... sono primi. È possibile dimostrare che ogni numero intero è scrivibile come pl'Odotto di primi, eventualmente ripetuti, e tale scrittura è unica a meno dell'ordine dei fattori primi. Ad esempio, 116620= 2 · 2 · 5 · 7 · 7 · 7 · 17. Inoltre, è un risultato noto già ai classici che l'insieme dei numeri primi non è finito.

    D o O

    o o

    o

    mcm e MCD

    .!.

    '' ..

    iti

    Dati due numeri non nulli a, b E Z, è possibile definire l'insieme M ç Z di tutti i multipli comuni ad a e b ( M contiene cert·amente ab e - ab) e l'insieme D ç Z di tutti i divh;ol'i comuni ad a e b (D contiene certamente 1 e -1). Si definisce il minimo comune multiplo di a e b, scritto mcm(a,b), come il più piccolo numero naturale di M. Si definisce inoltre il massimo comun·e divisore di a e b, scritt� MCD(a, b), / come il piì1 grande numero naturale di D. Quindi, dati due numeri a, b E Z, si ha che mcm(a,b) = m se e solo se alm, blm e se alm' e blm' allora mlm'. Similmente, :rviCD(a,IJ) = d se e solo se dia, dlb e se d'lb e d'lb allora d'Id,

    Esempio da Artquiz: Il minimo comune multiplo di 2, 4, 5, 8 è: 40. Infatti, fattorizzando i numeri proposti sì ottiene, rh,pettivamcnte, 2, 2 · 2, 5 e 2 · 2 · 2, dunque dalla definizione mcm= 5 · 2. 2 · 2 = 40. 34

    i

    © Attqntz

    MATEMATICA

    Se due numeri a, b E_Z sono tali d1e MCD(a, b) = 1, diciamo che a e b sono coprimi (o primi tra loro). Ad esempio, 15 e 14 sono coprimi.

    . 1.2.1 Potenze

    .

    Si definisce la potenza

  • = 1;

    se n >Osi definisce a n

    Operativamente, nel caso non banale in cui n > I, si ha a n Ora, anziché scrivere 116620

    = an-t

    · a.

    --------

    (1.2)

    = n · a· ... ·a. n-voltc

    = 2 · 2 · 5 · 7 · 7 · 7 · 17, possiamo usare la notazione:

    116620

    = 22 · 5 · 73 • 17.

    Dalla defini�ione 1.2 si dimostra che per ogni a, b E Z, a =/= O=/= le seguenti proprietà: a"am = a n+m ;

    (a")m. = a70";

    a1 tb 1'

    6 e m, n E N valgono

    = (ab)".

    (1.3)

    E.i,empio da Artq1tiz: Quanti sono i divisori (con resto nullo) del numero 100, 1 e 100· compresi? 9, infatti è sufficionto fattorizzare 100 come 52 · 22 , dunque tra i divisori ci sono 5 i · 2i con O :s; i :s; 2 e O :s; j :s; 2, in totale 9 possibili valori al· variare

  • :s; T :s; b - 1.

    1.3 Numeri razionali, reali e complessi Siccome in Z non osiste un elemento x tale che 2x = 1 (ma al posto di 2 si potrebbe usare qualsiasi numero intero diverso da Oe ±1), si estende l'insieu�e dei numeri interi aggiungendoci i numeri del tipo 1/n, dove n è un numero intero non nullo e per il quale vale n · 1/n = 1. Imponendo che le operazioni soddisfino ancora le proprietà elencate precedentemente, si ottiene l'insieme dei numeri razionali (denotato con la lettera Q), ossia: Q=

    {:,

    m, n E Z, n =/= O} .

    35

    © Artquiz

    Capitolo 1 Aritmetica

    1 m m' m Si presti attenzione al fatto che - =m· - e che - = - se e solo se mn' =m'n; n n n � m 14 · 10 · · �1orma - s1· d ice m · ad esempio - = - (veri'ficar1o) . Uu numero raziona1e scritto n 21 15 . 10 14 2 · . . Ad esempio - = - = -, dove 1 'u1tima scrittura e· n"dotta seme n sono copnm1. 21 3 15 appunto ridotta. Per le operazioni vale inoltre: m m' · mn' +m'n -+-=---nn' n'· n

    m m'

    o

    mm'

    ;: · n' == nn' ;

    mentre per l'ordine si ha che: rri 1n'
    se e solo se mn

    ,

    <m'n.

    In Q valgono le �tesse proprietà di Z. Inoltre, comunque si scelga a E Q, a =j:. O, vale anche la seguente proprietà: • Esistenza dell'inverso moltiplicativo: esiste b tale che a· b

    = 1.

    L'inverso moltiplicativo (unico) di a E Q, a =j:. O è denotato con a-1 e in particolare -1 1 (: ) = : . Si noti che a- è la potenza di a con esponente -1. In generale, la definizione di potenza n-esima di un elemento non nullo a E Q ò come nella definizione 1.2 se n E N, mentre se n E Z e n < O la definizione Hi estende come segue: a-1 è ·l'inverso moltiplicativo di a; -1, allora - n > O e si definisce an = (a-1 )-n.

    se n se n

    <

    = -1,

    (1.4)

    r-i

    o

    Chiaramente le proprietà in 1.3 continuano a valere anche in Q. Esempio da Artquiz: La potenza (-1/4)- 2 è uguale a: Ricordando che a-1 = 1/a, segue che (-1/4)-2 = ((-1/4)-1 ) 2

    = (-4)2 = 16.

    Si noti che dalla definizione di numero razionale segue una (curiosa) proprietà che in Z non vale: per ogni x, y E
    ·

    . da Art.qu.iz: Esempw ' Q uant'1 sono 1· numeri· raz1on · ar1 compresi tra Da quanto detto, segue che ce ne sono infiniti.

    1

    1 '

    'I

    4 e 3?.::

    1.3.1 Notazione decimale Si noti che i numeri razionali si possono scrivere in notazione decimale, ossia come sequenza di cifre da O a 9 separate eventualmente da una virgola, alla destra della quale si trova la cosiddetta parte frazionaria, che si può dimostrare dover essere finita o periodica. Per convenzione, una cifra n in posizione i prima della virgola, partendo da i= O, corrisponde al numero n· lOi , mentre se si trova in posizione i dopo la virgola

    36

    o o o o

    o

    MATEMATICA

    @ Artquiz

    corrisponde al numero n · 10-i. La seqnenza di numeri nella nota1.ione decimale è da intendersi come somma, quindi, ad esempio 12, 3 = 1 · 10 1 + 2 · 10 ° + 3 · 10- 1. Viceversa, facendo uso della divisione con resto, si trova che, ad esempio: 9/8

    = 1 + 1/8 = 1 + 10/80 = 1 + 8/80 + 2/80 = 1 + 1/10 + 2 /80 = 1 + 1/10 + 20/800 = 1 + 1/10 +2 · 8/800 + 4/800 = 1 + 1/10 + 2 · 1/100 + 5/1000

    ì

    = 1 + 1 · 10- 1 + 2 · 10- 2 + 5 · 10- 3 = 1, 125

    Oppure 1/6 = O+ l · 10- 1 +6 · 10- 2 +6 · 10- 3 + · · · = O, 1666 · · ·· = 1, 16, che come si vede non può avere parte frazionaria finita (ma comunque periodica). Inoltre, si può dimm;trare che ad ogni scrittura di numero decimale finita o periodica corrisponde un numero ra�ionale (e viceversa).

    Esempio da Artquiz: 0,0076 è uguale a: 7 · 10- 3 + 6 · 10- 4 = 76/10000.

    r

    Esempio da Artquiz: Quale serie riporta in ordine decrescente i seguenti numeri? a=73/1000; b=7,3; c=0,03;·d=7; e=0,07. È sufficiente osservare che 73/1000 = O, 073 e che 7, 3 > 7 > O, 073 > O, 07 > O, 03. Incompletezza di Q Anche Q presenta delle mancanze perché, ad esempio, non esiste alcun elemento x E Q tale che x2 = 2. Infatti, s0 fosse m/n E Q tale che (m/n) 2 = 2, allora si avrebbe che m2 = 2n2 ; ma in tal caso, nella scomposizione in fattori primi di quest'ultimo numero, il fattore primo 2 comparirebbe un numero pari di volte a sinistra e un numero dispari di volte a destra, il che è assurdo. In Q non esiste neppure la misura del perimetro di una circonferemm di raggio 1, che notoriamente è 21r, in quanto 1r = 3, 14 . . . non è razionale (ha parte frazionaria non periodica). In altre parole, se su una retta (Matematica, § 3.1), si scelgono 2 punti in modo tale che uno abbia coordinata O e l'altro 1, allora tramite i multipli e le frazioni si può associare ad ogni numero razionale un determinato punto della retta. Con questa costruzione esistono dei punti ai quali non è viceversa associata alcuna coordinata razionale, come appunto v'2 e 1r (in realtà, esistono infiniti punti di questo tipo). A detti punti è possibile tuttavia avvicinarsi arbitrariamente per mezzo dei numeri ra,�ionali, che costituiranno un'approssimazione della coordinata del punto in questione. Ad esempio, al punto che si raggiunge partendo dal punto di coordinata O percorrendo, verso il punto di coordinata 1, un segmento di lunghezza pari a metà del perimetro della_ circonferenza di raggio 1, ci si avvicina, via via con maggior precisione, mediante i numeri razionali 3; 3, l; 3, 14; 3, 141; 3, 1415; 3, 14159; ecc. Si denota con la lettera JR l'insieme dei numeri che ammettono una scrittura decimale con parte frazionaria eventualmente anche illimitata e non periodica, ad esempio 37

    © Artquiz

    Capitolo 1 Aritmetica

    -/2 ;:;;..

    J,4142135623 ... e 1r = 3,141592653 ... (i puntini significano che la sequenza non si arresta). La trattazione dei numeri reali e la loro corretta assiomatizzazione è molto laboriosa ed esula dalle finalità del presente mmmale,pertanto ci limitiamo ad evidenziare che valgono tutte le proprietà di Q e delle potenze in 1.2, 1.3 e 1.4, anche nel caso iu cui la base delle potenze sia un numero reale qualsiasi purché positivo non nullo e l'esponente reale; ossia,è definito ax per ogni a > O ex E JR mediante un opportuno processo di passaggio al limite (Matematica§ 5.4.1).

    Esempio da ATtquiz: Stabilire quali tra i seguenti numeri è irrazionale (cioè reale ma razionale): a= J3 · �; b = /3; e= 1,02; d = O,25; e= ./49.

    11011

    1:

    È sufficiente osservare che O,25

    =

    1.3.2 Radici

    D o o

    1/4, che 1,02 è periodico (qnindi razionale), eh�

    ./49 = 7 e v'3 · � =1,che �0110 tutti numeri razionali. tra i proposti è /3.

    f

    D o

    Dunque,il numero irrazionale

    t

    Una potemm del tipo ai con a > O e E Q si può notoriamente scrivere come zy'a; essa definisce un muncro rea.le positivo b, tale che t,n = a. Si suole dire che b ò la radice n-esima. di a. Ad esempio, -e,'32 = 2. Chìanuuentc, a.W = am fi = (am ),\- è un numero reale positivo b tale che bn =arn. Le proprietà in 1.2,1.3 e 1.4 continuano a valere u.nchc per le radici in qrniuto trattasi in ultimn istanza di poten'l.e ad esponente razionale.

    O O

    Esempio da A1·lquiz: Il radicale Z1/4 è uguale a: 256 1 1 1 2, infatti dalle regole dei rndicali va.le y'4=4 1 /3 =44 / 1 2 = 256 1 / 1 2.

    1.3.3 Numeri complessi (cenni) .I

    .. '

    .f, .

    Completiamo la tratta1,ione degli insiemi numerici introducendo brevemente i numeri complessi: dopo aver constatato che in JR non esiste nessun elemento che soddisfa l'uguaglianza. :i: = -1, si introd nce nell'insiemc dei realt un elemento i tale che i 2 =-1. Imponendo a questo nuovo insieme,chiamato l'in sieme dei numeri complessi e denotato
    .

    z+ z' = (a+ a')+ i(b + b'); �

    z · z'= (aa' - bb') + ·i(ab'+ a'b).

    Infine,-z=-a-ib e se z#,O=O+iO,si haz- 1 =

    hl

    j:, ih

    I

    I I

    a

    -i� �· a 2 + 1>2 a +b

    Esempio da Artq·uiz: Il prodotto dei due numeri complessi (5+ 2i) e (7+ 3i) equivale a: (5+ 2i)(7+ 3i) = (5 · 7 - 2·· 3)+ i(5 · 3+ 2 · 7) = 29+ i29. 38

    o D o D o

    Capitolo 2

    Algebra Nota: In questo capitolo gli insiemi numerici utili�¼ati si intendono es:mre Q o R

    2.1 Monomi e polinomi Quando si lavora con i numeri , ci si imbatte inevitabilmente nelle formule. Nel cru;o dell'area di un rettangolo si trova la formula. base per altezza, che solitamente Hi denota simbolicamente con bh; per un cilindro � se--,r,ione circolare si calcola. il volume con la formula a1·ea di base ver altezza, la cui formula ò 7rr2 h. E così via. Definiamo monomio una scrittura in cui figurano solo oper�ioni di prodotto tra numeri, noti o meno. Per indicare i "numeri non noti" si usano delle lettere opportune, che vengono solitamente chiamate variabili. Sono quindi monomi ab, 1rr2 h. come altresì

    J3

    ax 3 z, ecc. 17, x, 2ac3 , 2 I monomi si possono :.;ommare tra di loro, e ciò eh<.! si ottiene in genernfo è un po linomio.

    V:

    Ad esempio sommando i monomi precedenti si ottiene 17 + x + 2ac3 + ax 3 z. Siccome deve valere la proprietà distributiva, se si sommano monomi che hanno la stessa parte letterale (monomi simili) si ottiene nuovamente un monomio, ad esempio: 2ac3 + 5ac3

    = (2 + 5)ac3 = 7ac3 .

    Es!;endo un polinomio una sequenza di monomi legati dall'operazione di somma, è possibile anche sommare polinomi tra loro. Ad esempio, sfruttando anche la proprietà commutativa della somma, Hi ha:

    J3 ax3 z) + ( 5x - 2) = +2 J3 3 17 - 2 + x + 5x + 2a_c3 + 2 ax z = J3 3 15 + 6x + 2ac3 + 2 ax z.

    (17 + x . + 2ac·3

    Utilizzando le proprietà.
    = 2 · 3a 5 a2 c·1x 3z = 6ar,+2 c3x 3 z = 6a1 c3x 3 z. 39

    i::

    rI I

    @ Artquiz

    Capitolo 2 Algebra

    Infine, utilizzando tutte le proprietà viste in precedenza, si possono moltiplicare polinomi in modo da ottenere un nuovo polinomio, come nel seguente esempio: (15 + 6x + 2ac3 )(2 + x)

    =

    (15 + 6x + 2ac3 )2 + (15 + 6x + 2ac3 )x

    I

    =

    + 4ac3) + (15x + 6x2 + 2ac3 x) = 30 + 12x + 15x + 6x2 + 4ac3 + 2ac3 x = 30 + 27x + 6x2 + 4ac3 + 2ac3 x.

    (30 + 12x

    Grado di un polinomio Il grado di una variabile di un monomio è l'esponente con la qua.le quella lettera figura nel monomio. Ad t'\Hempio, il grado di a in 2ac3 è 1, mentre il grado di c è 3. Il grado di un monomio è la somma degli esponenti delle variabili del monomio. Ad esempio, il grado di 2ac3 è 4. Nel caso del monomio nullo, ossia di O, non è definito il grado. Per quanto riguarda un polinomio, il grado è definito come il massimo grado dei monomi che lo compongono; si badi che nella scrittura di tale polinomio non devono figurare monomi simili, che devono essere sommati, cose da porlo in forma ridotta o normale. Ad esempio, 30 + 27x + 6x 2 + 4ac3 + 2ac 3 x ha grado 5. Allo steb-so modo, si definisce il grado di un polinomio rispetto ad una variabile come il massimo grado di tale variabile tra i monomi del polinomio. Ad eserp.pio, il grado di x nel polinomio precedente è 2. Nel caso di polinomi in una variabile x si è soliti usare il simbolo o o deg (dall'inglese degree) per indicare il grado. Ad esempio, se p = x2 - 1, allora o(p) = 2 (o deg(p) = 2).

    2.1.1 Frazioni algebriche Come nel caso dei numeri interi, diremo che il polinomio p divide il polinomio p' se esiste un polinomio q tale che p' = p · q, e si scriverà pjp'. Diremo inoltre che p' è un multiplo di p. Ad esempio (x + l)l(x 2 - 1), infatti (x 2 - 1) = (x + l)(x - 1). Per i polinomi p in una variabile x, solitamente denotati p(x), esiste un teorema di divisibilità del tutto simile al caso in Z. Teorema: dati

    I

    f

    a(x), b(x) polinomi in una variabile x con O =f:. b(x), esistono unici polinomi q(x), r(x) tali che: 1. a= ql>+r; 2. O::; deg(r) ::; deg(b) - 1 oppure

    7'

    = O.

    ., · Anche per i polinomi è possibile definire una scomposizione in fattori primi, ma la ricerca di tali fattori è in generale piuttosto difficoltosa. Inoltre, dati due polinomi p e q, si definiscono: • mcm(p, q) come il polinomio di grado minimo tra i multipli comuni a p e q; • MCD(p, q) come il polinomio di grado massimo tra i divisori comuni di p e q.

    !. r. !i

    Si noti che MCD e mcm sono unici a meno di una costante moltiplicativa non nulla. Una frazione algebrica f è una scrittura del tipo / = E dove p e q sono polinomi. q 40

    o

    © Artqutz

    MATEMATICA Ad esempio, f

    2

    x -

    l

    = --è una frazione algebrica. X

    Chiaramente, non è ammissibile assegnare alle variabili i valori che annullano il . denominatore. Nell'esempio precedente, non ha quindi senso sostituire Oalla variabile x. Come per i numeri razionali, una frazione algebrica/= P. si dice in forma ridotta se p e q sono coprimi, ossia se MCD(p, q) = 1. Operativamente, per ridurre una frazione si deve scomporre i polinomi p e q in fattori primi e semplificare i fattori tn comune. Ora, date due frazioni algebriche/ = P. e g = P, si può definire somma e prodotto: q q f+g

    =

    pq' +p' q . qq' '

    fg

    = pp'

    qq'.

    Ove possibile, la somma ò più agevole calcolarla come segue: p(mcm(q, q')/q) +p1 (mcm(q, q1 )/q 1 ) f +g=-------C..'--------'-----'' mcm(q, q') Esempio:

    x-l x+l x+l x-1 --+--=---+--­ 2 2 :t - x x +x x(x -1) x(x +1) (x +l)(x + 1) + (x - l)(x - 1) ,,;3 - X 2

    - (x + 2x + 1)3-+ (x 2

    x -x

    -

    2x + 1)

    2x 2 +2 x 3 -x

    Si noti che:

    x3

    -

    x .= x(x+ l)(x - 1) = mcm(x(x - 1), x(x + 1 ))

    e che:

    x + l = (x3

    -

    x)/x(x - 1) ex - l

    = (x3 - a:)/x(x + 1).

    2.2 Equazioni e disequazioni 2.2.1 Equazioni Spesso in matematica ci si trova a decidere se due quantità a e b sono uguali, ossia se vale a= b, o più comunemente, se vale a - b = O; il problema non è banale nel caso in cui a e b contengano delle variabili. Se p è un polinomio in una variabile, solita­ mente x, il problema di decidere per quali clementi a vale p(a) =Osi chiama ricerca delle soluzioni di un'equazione, ossia la ricerca di quegli elementi a che �ddisfano l'uguaglianza data. Si noti che va preliminarmente specificato l'insieme con U quale si intende lavorare, tipicamente Q o R

    41

    !('r'

    Capitolo 2 Algebra

    © Artquiz

    Esempio: il problema 2x - 1 = x si traduce in 2x - 1 - :i; = O e infine in x - I = O, che ha come unica soluzione 1. In generale, un 1 equazione algebrica è del tipo p(x) = q(x), che può essere ridotta nella formap(x)-q(x) = O. Sia dunque P(x) il polinomio (p-q)(x). I casi risolvibili immediatamente sono quelli in cui deg(P) = 1 oppure deg(P) = 2. Analizziamo quindi la relativa casistica.

    D

    Equazioni di primo grado

    Data ! > equazione ax+b = O, sommando -b ad entrambi i membri si ottiene ax+b-b = -b, ossia ax = -b. Moltiplicando ora ambo i membri per a- 1, che esiste perché a=/- O, si ottiene x = -b/a, che dunque è Punica soluzione delPequazione. Esempio: risolvere Pequazione:

    5x + 3 = 2-x.

    Si porta a sinistra il secondo membro: 5x + 3 - 2 + .T.

    = O, da cui 6:c + 1 = O e infine x = -1/6.

    Equazioni di secondo grado Data ! >equazione ax 2

    + b:-c +e= O, riscriviamo il polinomio associato come segue:

    ax 2 + bx + c = o, (x2 + � � +

    =a

    !.

    I,

    = I i;

    !l ,·

    1li:: :1:

    l1•\1lf:I•l

    ii,_!•.

    a ((.

    (n;J

    ]�i

    l:,

    ) _!!_) x+

    2 . b2 b x+ - 2 2a 4a 2a

    2

    _

    b2

    -

    +

    e)



    4ac

    4a 2

    )

    ·

    Nuovamente, si noti che da a=/- O segue che 1/a esiste. Comunemente, b2 - 4ac è indicato con la lettera greca À ed è detto il discriminante dell 1equazione. A questo plinto, siccome a =/- O, la soluzione delPequazione di partenza è equiva"I lente alla soluzione delPequazione: \

    iL

    .t-.J

    ((

    �)

    Dopo aver notato che il termine (x +

    drato), si possono presentare 3 casi: •

    1. À < O, allora (x+ : )

    il

    a

    42

    2

    b2 -4ac 4a 2

    !)

    2

    = O.

    >·,

    non può essere negativo (è un qua­

    ' . • --- > O e ! > equazione non ha dunque soluz1om;

    b2 - 4ac

    o o

    © Artquiz 2. �

    MATEMATICA

    = o, allora

    (, + :a)

    2

    (X+

    b 2a

    2

    -) -

    &2

    _

    4ac

    4a 2

    b = (X + -2a)

    2



    - -4a2

    b = X + -2a ) (

    e l'equazione associata ha un 'unica soluzione (doppia) x '

    b b2 - 4ac 3. � > O, allora (x + cui x da + . , = 4a2 2a 2 -b± /b -4ac l'equazione ha due soluzioni :1: 1 2 = 0a b ) 2a

    2

    2

    o

    -4a2

    - - :a;

    b - 4ac

    =

    ·

    e quindi = ±� 4a2

    I

    Esempio: risolvere l'eq�mzione ·

    (x - 3) 2 +X-= 4 + X.

    Sviluppando e portando tutto a sinistra si giunge i. x2 - 6x+ 9 + x - 4 - x quin

  • =

    6 ± \!'36 - 20 2

    = 1;

    =Oe

    5.

    2.2.2 Disequazioni Una disequazione è mm scrittura (x) :::;. q(.1;) (o, simmetrica­ mente, p(x) > q(x) o p(x) � q(x)). Analizziamo sol amente il primo caso (essendo gli altri ). Analizziamo la relativa casistica. Disequazioni di primo grado Data la disequazione ·ax + b < O, sommando -b ad enti·ambi i membri si ottiene a.'t + b- b < -b, ossia a::i: < -b. Moltiplicando ora ambo i ·membri per a- 1, che esiste perché a. =J O, si ottiene:

    {x < .:.....b/a se a > O; x > -b/a se a< O. L'insieme cli soluzioni ·è quindi del tipo:

    {x E

    IRI x > -b/a}

    (oppure, {x E

    JR! :i;< -b/a}).

    Esempio: risolvere la cli.,;equaziouc

    2-X

    :::;

    5.'t + 3.

    Si poi·ta a sinistra il secondo meqibro:

    -5x - 3 + 2 - x � O, da cui -6x - 1 � O, e infine x 2: -1/6. 43

    © Artquiz

    Capitolo 2 Algebra Disequazioni di secondo grado

    Data la disequazione a:i: 2 + bx + c < O, si cercano le soluzioni dell'equazione associata, quindi ci si trova in uno dei tre casi seguenti: 1. ò. < O. L'equazione associata non ha soluzioni e ci sono due sottocasi: se a > O nessuno elemento soddisfa la disequazione di partenza; se a < O ogni elemento soddisfo la disequazione di partenza.

    2. ò. = O. L'equazione associata ha un'unica soluzione a:1 e la situazione è la medesima "' del caso precedente. Attenzione: nel caso a< O si esclude dalle soluzioni xi, mentre nel caso ax 2 +bx+ c s-; O, se a> O allora x 1 (solamente) soddisfa la disequazione di partenza.

    3. ò. > O. L'equazione ha due. soluzioni x1, x2 e di nuovo: se a> O, allora. l'insieme di soluzioni è dato da {x ERI x1 < x < x2}; se a< O l'insieme di soluzioni è dato da {x E Rj x < x1 oppure :c2 < x}. Esempio: risolvere la disequazione

    a:(x + 1)

    < -(4 + x).

    Sviluppando e portando tutto a sinistra si giunge a: x2

    + x + 4 + x < O, e quindi a x2 + 2x + 4 < O.

    Il discriminante dell'equazione associata è: ò. = 22

    -

    o o o o

    16 < O, e quindi dettc1, equazione non ha solu�ioni.

    Siccome il coefficiente del monomio :r: 2 è 1 zione iniziale non ha soluzioni.

    > O, si conclude che anche la disequa­

    2.2.3 Equazioni parametriche

    < ';

    _! , ·f

    I

    r

    Un caso particolare di equazioni è quello nelle quali figura un cosiddetto parametro, solitamente denotato con a. Per la ricerca delle soluzioni si deve procedere come per le del equazioni normali, ma con la differenza che in questo caso si lavora con i coefficienti I polinomio associato all'equazione che contengono il parametro. Infatti, ip generale, si 'J incontrerà un'equazione del tipo a(a)x2 + b(a)x + c(a) = O. Si dovrà procedere in sottocasi come segue:

    o

    a) Si studia l'equazione a(a) = O, poi pe1' gli elementi ai che la soddisfano, si studia l'equazione (non più parametrica) b(ai)x + c(ai) = O.

    b) Per gli elementi a che non annullano a(a) si studia per quali elementi il di­ scriminante ò.(a) = b(a) 2 - 4a(a)c(a) è positivo, nullo o negativo (si devono cioè risolvere delle disequazioni), quindi si risolve l'equazione come visto in precedenza. 44

    O

    o

    MATEMATICA

    @ Artquiz Esempio: risolvere l'eqµazioue parametrica

    (a+ l)x 2+ ax - a

    = O.

    Osserviamo che i coefficienti (parametrici) dell'equazione sono: a(a)=a+ 1, b(a)

    = a, c(a) = -a,

    quindi procediamo: • a(a) = a+l = O ha come soluzione a= -1. In questo caso, l'equazione di parteil7.a si riduce all'equazione -x + 1 =O, che ha come soluzione x = 1; • se a :f:. -1, si studia il discriminante A(a)

    = a2 - 4(a+ 1)(-a) = 5 a2+ 4a:

    - A(a) > O se a< -4/5 oppure a> O. In tal caso

    x1,2

    =

    -a± v'5a 2+ 4a n,_ .

    1,

    ;

    - A(a) = O se a= -4/5 oppure a=O. Se a= O, l'equazione si riduce a x 2 =O che ammette l'unica soluzione x = O; se a= -4/5 , l'equazione si riduce a x2 /5 -4x/5+4/5 =O da cui x2 -4x+4 = O, e infine (x -2)2 = O che ammette l'unica soluzione x = 2; - A(a) < O se -4/5 < a < O, caso in_ cui l'equazione iniziale non ha soluzioni.

    2.3 Sistemi ·di equazioni e disequazioni 2.3.1 Sistemi di equazioni Un sistema di equazioni è nna serie di equazioni in più variabili, e la ricerca delle relative soluzioni consiste nell'insieme di clementi da sostituire alle variabili in modo tale da soddisfare le equazioni simultaneamente. Solitamente, si studiano sistemi cli 2 o 3 equazioni con altrettante incognite, e il grado delle equa:,,.ioni è al più 2·. Per risolvere i sistemi si utilizza il seguente procedimeuto. A titolo esemplificativo si consideri un sistema in 2 equazioni e 2 incognite: p(x, y) = O; { q(x, y) = O. Si risolve una delle 2 equazioni come un'equa:,,.ione parametrica, diciamo p(x, 11) = O, in una delle 2 variabili, diciamo x, così da ottenere le soluzioni in funzione di y, ossia x(y). A questo punto si sostituiscono le soluzioni nella seconda equa:,,.ione, che ora è nella sola incognita 11 e ha quindi come soluzione un numero finito di elementi Yi· Sostituendo tali elementi in x(y) si trovano le coppie di elementi che soddisfano il sistema. Esempio da A rtquiz:

    y -2 = 4 -2x; (x + y) = 3.

    {

    La prima equazione dà y = 6 -2x. Sostituendo tale soluzione parametrica nella seconda equazione si ottiene x + (6 -2x) = 3, che ha come soluzione x = 3. Risosti­ tuendo tale valore in y si giunge a y = 6 -2 · 3 = O. L'unica soluzione al sistema è dunque x = 3, y = O, o meglio, la coppia (3, O). 45

    r·· ©_ Art.qnìz

    Capitolo 2 Algebra

    Si noti che in genero.le si lavora con piil variabili ed equazioni, ma il priuc1p10 rimane lo ste:;so: si risolve una equazione alla volta, e si sostitui8cono le soluzioni trovate alle variabili delle equazioni rimanenti. St faccia attenzione che si può giungere a casi in cui non ci sono soluzioni, o ce ne sono infinite.

    2.3.2 Sistemi di disequazioni La differenza. soi;tanzialc tra i sistemi di disequazioni e i sistemi di equazioni è che nel caso delle disequazioni c'è una sola variabile, e la soluzione del sistema consh;te nel trovare l'insieme i etti clementi soddisfano simultaneamt>ntc tutte le disequazioni date. Si tratta quindi di risolvere ogni singola diseq1mzione come visto in prcccdemr,a., e procedere infine con l'intersezione degli insiemi trovati (insieme degli elementi comuni agli insiemi di soluzioni delle singole diseqnn.zioni). Esempio: Risolvere la disequazione {

    :e -2 > 4 -2x; 2x � 5.

    La prima clisequazione clìt 3x > G, da cui :e > 2. Lu. i;ccondit è immcdiatn. e pone :e � 5/2. L'irn,iemc di solu'/,ioni del shitcma è {x tcùc che a: > 2 ex � 5/2}, · ossia. {2 <X� 5/2}. Anche in questo caso, le discqna¼ioni possono essere cli secondo grado e in numero maggiore

  • 2.4 Equazioni razionali e radicali Equazioni razionali Un'equazione razionale è una equazione i cui termini sono frazioni algebriche che, con le regole di calcolo viste in prcccden?.a, si può ricondnrro ad una ugnagliu.nza del tipo: p(x) = , O (2.1) q(x) dove p e q sono polinomi in umi. variabile. Dopo aver risolto l'equazione q(x) = O, le cui soluzioni Xi non possono essere ammesse tra quelle dell'equazione di partenza percl�é annullano il denorninatore, si osserva che le soluzioni all'equazione 2.1 sono le stesse di p(x) == O, putché diverse d·alle xi suddette. Escmvio: Risolvere l'equazione ra:�ionale

    x -1 - == o. 2

    J. •11

    �,;

    u.



    't{

    Si impone preliminarmente che il denominatore non si annulli: xi- O. A questo punto i:ti pone x2 - 1 = O, le cui b-oluzioni x = 1, -1 sono compatibili con la limitazione xi- O e dunque costituiscono le soluzione dell'equazione.

    46

    MATEMATICA

    @ �rt�1._�1i_z

    Equazioni radicali , Un equazione rad icale è una equazione i cui termini contengono delle potenze con esponente razionale, cioè scrivibili con il segno di radice. In generale i casi di interesse ' si possono ricondurre, dopo opportuni passaggi, a un'equazione radicale che si può assumere essere nella forma: (2.2) vJ(zj = g(x); con n E N, n =/:- O e f(x), g(x) polinomi in x. Ora, è necessario affrontare due casi ppssibili: n pari on dispari. Nel secondo caso (di più semplice soluzione) l'equazione 2.2 è del tutto equivalente alla f(x) = g(x)n, perché l'elevamento a potenza reale è di tipo 1 a 1 (anche detto biettivo, vedi Matematica § 5). E, dunque, il metodo risolutivo di questo caso è il medesimo utilizzato per le equazioni polinomiali (vedi Matematica§ 2.2.1). Viceversa, se n è pari, preliminarmente si deve fare attenzione che l'argomento della radice non può essere negativo, e dunque va imposto f(x 2 O, che è una disequazione (vista. in precedenza). Allo stesso modo, 8iccome '' f(x) 2 O, deve anche valere g(x) 2 O. Fatto ciò, si può ora notare che elevando alla n, l'ugna.gliamm deve ancora sussi8tere, e quindi, con le due restrizioni precedenti, deve valere f(x) = g(xr. Tirando le �onune, abbiamo visto che risolverc-1 l'equazione 2.2 con n pari, è equivalente a risolvere simultaneamente le seguenti equazioni o diseqmt7.ioni: f(x)

    = g(x)'i; f(x) 2 O; g(:t) 2 O.

    Esempio: Risolvere l'equazione radicale v'x + 1 - y'x = 1. Si impongono le condizioni iniziali x + 1 2 O e x 2 O, riassumibili in a: 2 O. Si osserva che la radice quadrata è crescente, ossia che per ogni coppia :i:, y He vale a:� y allora xn ::s; yn e viceversa (per una definizione rigorosa di crescenza vedi Matematica, § 5.4.3). Quindi da x + 1 > x segue che: Jx+T > ,jx e .,/x + 1- ,lx> O. A que_"lto punto si possono elevare i membri dell'equazione al quadrato e ottenere: x + 1 - 2./(x + l)(x) + x = 1. Dopo aver sottratto il termine 1 - 2-J(:e + l)(x) ad ambo i membri si ottiene l'equazione: 2x = 2J(x + l)(x). Moltiplicando per 1/2 cd elevando nuovamente al quadrato si ottiene infine: x2

    = x2 + x, ossia :t = O,

    soluzione compatibile con i vincoli iniziali, e dunque (unica) soluzione dell'equazione.

    47

    r

    © Artquiz

    Capitolo 2 Algebra

    2.5 Disequazioni razionali e radicali Disequazioni razionali

    Per risolvere una disequazione razionale, che dopo opportuni passaggi si può sup­ porre essere del tipo:�:� 2'.: O, si deve imporre il denominatore q(x)

    i= O e poi risolvere

    :i:�

    separatamente le disequazioni p(x) � O e q(x) � O. Siano P1 l'insieme dove f è posi­ tiva e similmente P9 l'insieme dove g è positiva. Ora, la frazione

    è positiva se

    numeratore f e denominatore g hanno segni concordi. Quindi, l'insieme delle soluzio­ ni è dato dall'intersezione P1 n P9 e dall'intersezione degli insiemi N1 n N9 (insiemi dove f e g sono negative). Esempio: Risolvere la disequazione razionale

    x-1 - � o. 2

    Si impone preliminnrmente che il denominatore non si annulli: x i= O. A questo punto si studia il segno del numeratore e del denominatore: x 2 -1 2'.: O, che è verificata 8e x � -1 oppure x � 1, e re� Q. · x2 1 sta a1ge bnca --e' e11e 1a frazmne · · · 1 nesta La ne dunque ehe numeratore · · negat1va, X e denominatore abbiano segni discordi. Ciò succede sex < -1 oppure O� x � 1. Ricordando che deve essere x i= O, l'insieme di soluzioni è {x tale che :e � -1 oppure O < X� 1}. -1

    O

    +

    x2 - 1

    +

    +l+

    X x2

    1

    1

    ; BI+ IBI

    +

    ---ì - - ]-J - -

    Figura 2.1: Schema grafico delle soluzioni di (x 2 - 1)/x� O. Esempio da Artquiz:

    x + 25 2'.: O X 2 - 4X 2

    . 1 va S.1 nso

    .,

    .,

    Siccome per ogni x vale x 2+ 25 > O, è sufficiente x2 - 4x > O (si noti il segno di disuguaglianza forte, perché il denominatore non può annullarsi). Quindi, deve valere x(x - 4) > O, che ha soluzioni x < O oppure x > 4.

    Disequazioni radicali

    d

    fl I

    ,�

    In questa tratta:lione suddividiamo il problema in due casi: 48

    o

    © Artquiz 1. 2.

    MATEMATICA

    v'i(x) S g(x); v'i(x) 2 g(x).

    Se nè dispari, basta elevare i due membri alla ne ottenere la disequazione equiva­ lente f(x) S g(x)n (rispettivamente f(x) 2 g(xt). Si noti che si è sfruttato il fatto che l'elevamento a potenza dispari è crescente (Matematica, § 5.4.3), ossia per ogni coppia x, y se vale x S y allora xn S yn e viceversa. Se invece n è pari, abbiamo visto che va imposto f(x) 2 O. Fatto ciò, veniamo allo studio separato dei due casi: 1.

    2.

    v'i(x)

    S g(x). Siccome sicuramente v'i(x) 2 O, si deve impone, per la proprietà transitiva di S, che pure g(x) .2 O. A questo punto, entrambi i membri della disequazione sono positivi, e quindi si può procedere con la disequazione , f(x) S g(x) i (in quanto l'elevamento a potenza pari è crescente per i numeri positivi).

    .

    v'i(x) 2 g(x). Nell'insieme in cui g(x) SO la disequazione è certamente veri­ ficata (perché v'i(x) 2 O). Viccwersa, nell'insieme in cui g(:r.) 2 O si lavora nuovamente con quantità po­ sitive, e in tal caso la disequazione. ini�iale equiva.le, come prima, alla f(x) >

    g(x)n.

    Esempio: Risolvere la disequazione radicale

    VX - 2 S X+ 3. Si impongono sia x - 2 2 O che x + 3 2 O, cioè x 2 2. Lavorando ora con numeri positivi, si può elevare al quadrato ambo i membri e ottenere: x - 2 S x 2 + 6x + 9, da cui x2 + 5x + 11 2O. Si cercano ora le soluzione dell'equazione associata all'ultimo polinomio: siccome .6. = 52 -4· 1 · l 1 < O e il coefficiente del termine quadratico è 1 > O, il polinomio assume valori positivi per ogni x, e quindi la disequazione è sempre verificata. Ricordando i vincoli imposti, ::ii conclude che l'insieme delle soluzioni della disequazione è dato da {x tale che x 2 2}. � I sistemi di equazioni e di disequazioni razionali o radicali seguono lo stesso metodo risolutivo dei sistemi di disequazioni polinomiali: si risolvono le varie disequazloni separatamente e si intersecano i vari insiemi di soluzioni.

    2.6 Esponenziali e logaritmi Abbiamo visto (Matematica, § 1.3) che nell'insieme JR è possibile definire ax per ogni a > O e x qualsiasi. Si presti attenzione che se fissiamo la base a e lasciamo libero x, otteniamo un oggetto matematico detto esponenziale che 11011 va confuso con i monomi, dove erano gli esponenti ad essere fissati. Chiaramente, valgono tutte le proprietà 1.3 e la definb�ione 1.4. Con strumenti di matematica superiore si può

    49

    Capitolo 2 Algebra

    @ Artquiz

    dimostrare che gli esponenziali sono positivi per ogni base a (maggiore di O) e ogni esponente :'l:. Non essendo di alcun interesse Pesponenziale 1x , si richiede anche che la base non sia 1. Per varie ragioni (la cui trattazione esula dalle finalità del presente manuale) una base in particolare è stata privilegiata dai matematici, ossia il numero di Eulero e = 2 1 71828 ... , che è un numero reale non razionale. Strettamente connesso al concetto di esponenziale è il concetto di lo,i;aritmo di un elemento reale x rispetto ad una base fissata a, la cui notazione è Ioga ,-i; e la cui definizione è la seguente: loga x = y se e solo se aY

    = x.

    Si noti che dal fatto che ax > O per ogni x, segue che Pargomento, di un logaritmo non può essere negativo o nullo. Dalle proprietà delle potenze, e quindi degli esponerndali, segue che valgono le seguenti proprietà: log(t xy

    logCl xY

    = loga x + loga y· I

    = y loga x· I

    log a b =

    Iog b __ e_ log a' C

    , (2.3)

    Siccome Pesponenziale più importante è quello di base e, si è definito un logaritmo privilegiato con la stessa base e e detto naturale, la cui notazione è ln al posto di loge. Esempio da Artquiz: Quanto vale il logaritmo decimale di 5000, sapendo che il logaritmo naturn.le di 5 è 1,609 e quello di 10 è 2,303? ln5 log 10 5000 = log 10 (5· 1000 ) = log 10 5+log10 1000 = -- +3 = 1, 609/2, 303+3 = 1nlO O, 699 + 3 (si è usato, tra le altre, la regola del cambio di base dei logaritmi). Equazioni esponenziali

    Questi tipi di problemi possono essere molto complicati, tuttavia nei quiz vengono affrontati solo cosi relativamente semplici, come i seguenti: 1. af(x) = an(x) 1 da cui deve essere f(x) crescente (Matematica, § 5.4.3);

    = g(x)

    perché la funzione esponenziale è

    2. a2 b2x + a 1 bx + a0 = O, che si risolve ponendo bx = t in modo tale da ottenere Pequaiione polinomiale di secondo grado a 2 t 2 + a 1 t + ao = O. Date�le radici t 1 e t2 1 si deve infine porre bx = t 1,2 1 facendo attenzione ad eliminare 1'e radici in t non positive.

    I I•:1

    Esempio: Risolvere l'equazione 22:v

    I I

    -

    3 · 2 :v - 4 =

    o.

    Si sostituisce 2x con t e si ottiene t2 - 3t - 4 = O, cha ha soluzioni 4 e -1. Dopo aver scartato 11 11ltima soluzione in t, si ha che 2 x = 4, da cui segue che x = 2. I',. :

    d:

    50

    O

    o

    MATEMATICA

    © A1tqniz Equazioni logaritmiche

    Le equazioni logaritmiche sono equazioni che. con le regole di calcolo dei logaritmi, 1. si possono ricondurre ad equazioni del tipo logn p(x) = O, che è equivalente a p(x) · In realtà i calcoli possono essere anche molto laboriosi, qui ci limitiamo solo a dire che in tutti i passaggi si dovrà sempre avere cura di imporre agli argomenti dei logaritmi di essere strettamente positivi.

    =

    Esempio: Risolvere l'equazione log3x

    + loga(a: + 1) = 2log3(x - 1).

    Si impone che gli argomenti siano positivi, ossia x > O, x > -1 e x > 1 (basta dunque x > 1). Ora, sfmttando le regole dei logaritmi, si ottiene:

    + 1) - 1og�i ( a; - 1)2 = 0,

    1Og3 X ( a:

    Ciò è equivalente a.:

    x(x -I- 1) . _, n = 0. e qulll
    :c(:i: + 1) = 1. (x - 1)2

    Avendo già richif'.sto in pmticoln.re x =/:- l, possinmo scrivere: :c(x

    + 1) =

    (x - 1) 2 , da cui :c 2

    + x = :c 2 - 2x + 1,

    poi 3:r, = 1 e infine x = 1/3.

    Soluzione che va scartata e quindi l 'equa:.r.ione non ha solm�ioni. Disequazioni esponenziali e logaritmiche La ricerca delle soluzioni di mm clisequa;,.ione esponenziale o logaritmica è strettamente legato alla soluzione dell'equa'l.ione associata, come vedremo nell'esempio sottostante. Ciò che va sottolineato è che ax e Iog a x sono crescenti se a> 1, decrescenti se a< 1 (Matematica, § 5.4.3). Riassmnendo: 1. sea>l:

    ax

    2. se O
    < a11

    -

    e log(L x

    a

    y se e solo se x

    < 1'J'

    -•

    )

    a': =::; aY e Iog a x =::; Iog a y se e solo se y =::; x.

    Esempio: Risolvere la disequazione

    Si osserva che 9

    < log

    -

    = 32,

    3x+l =::; gx-1.

    quindi riscriviamo la disequazione come:

    3:v+l =::; (32)x-l, e p oi 3:e+l =::; 32(x-l),

    Siccqme 3 rel="nofollow"> 1, la precedente disequazione è soddisfatta se e solo se x+l =::; 2(x-1), ossia x � 3. 51

    Capitolo 3

    Geometria 3.1 Introduzione In questo capitolo tratteremo le principali caratteristiche geometriche delle figure piane e solide, descrivendo anche i principali aspetti della geometria analitica, ossia di quel ramo della matematica elementare che coniuga la geometria con l 1algebra. In altre parole, svilupperemo una sorta di �lgebrizzazione della geometria. Preliminarmente definiamo i principali concetti di punto, retta, segmento, distan­ za, angolo. perpendicolarità e parallelismo: • il punto è un concetto primitivo che intuitivamente equivale ad un'entità adimen­ sionale spaziale; • la retta è un concetto primitivo. Un filo ben teso tra due punti è un modello mate­ riale che ci può aiutare a capire cosa sia un tratto di una retta, un ente g(:,'Ometrico immateriale senza spessore e con una sola dimensione. La i·etta è inoltre illimitata in entrambe le direzioni e contiene infiniti punti;

    X

    • un segmento è una parte di retta delimitata da due punti, detti estremi; • la distanza fra due punti è la misura del segmento avente per estremi i due punti; • un angolo è una parte di piano definita da due semirette aventi l'origine in comune; • la. perpendicolarità indica la presenza di un angolo retto tra due entità geometriche; • il parallelismo tra due enti geometrici si verifica quando tutti i punti dell'uno hanno la stessa distanza dall'altro e viceversa.

    ·•

    Per quanto riguarda il concetto di congruenza tra due oggetti geometrici, questa è sostanzialmente corrispondente al concetto di uguaglianza:, o meglio, uguaglianza a meno di un movimento rigido che sovrappone i due oggetti geometrici. L'asse di un segmento è la retta perpendicolare al segmento e contenente il suo punto medio. La bisettrice di un angolo è la retta che divide l'angolo in due angoli congruenti.

    3.2 I Poligoni Un poligono è una figura piana data dall'unione di n segmenti aventi estremi a due a due coincidenti e non gi�enti su una retta comune. Il perimetro di un poligono,

    53

    Capitolo 3 Geometria

    @ Artquiz

    solitamente denotato con 2p, è la somma della misura dei suoi lati, mentre P n.rea è la misura della porzione di piano delimitata dai lati del poligono. Dato un poligono convesso fJìJ con n vertici (e quindi n lati e n angoli), siano a1 1 02 ... On gli angoli interni di fJìJ e sia d il numero di diagonali di & . Allora valgono le seguenti uguaglianze: n

    Lai i=l

    =

    ay

    + a2 + · · · + CTu = (n - 2)180° ;

    d = n(n - 3)/2.

    Esempio da Artq1tiz: In un poligono convesso che ha 54 diagonali il numero dei lati è: 12. Infatti, detto n il numero di lati, vale che il numero cli diagonali è n(n-3)/2 = 54, da. cui n = 12. Ciò è vero perche:

    1. ogni vertice è Pestremo di n -3 diagonali ( una per ognuno degli altri n - 1 vertici, tranne i due adiacenti, con i qmùi vengono formati due lati); 2. ogni diagonale si trova 811 2 vertici.

    Esempio da Artq11,iz: Sia. ABCDEF un esagono regolare. Determinare Pampie'lza
    3.2.1 �iangoli Un triangolo è Punione di tre segmenti aventi estremi a due a due coincidenti e non giacenti su una retta comune. Gli estremi dei l11ti si dicono vertici del triangolo, i:;olitnmente denotati con A, B, C. Il lato oppo8to nl vertice A e di estremi B, C è denotato con a e l 1 angolo interno al triangolo di vertice A è denotato con a; similmente per B e C si definiscono, rispettivamente; i lati opposti b e e e gli angoli /3 e 1. Dato tl lato di un triangolo, diciamo b, siano r la retta contenente ·b e s la retta contente il vertice B (opposto u b) e perpendicolare a r. Sia H Pinternezione di s con r. Il segmento h di ei:;tMmi B e H è detto altezza relativa al lato b. Uarea del triangolo vale A = 1 bh.

    e

    .•

    '• �

    a

    e

    P,

    B

    Figura 3.1: Triangolo di vertici A, B, C.

    Un triangolo è detto isoscele se due dei suoi lati 0 1 equivalentemente, due dei suoi angoli, 80110 congruenti. Un triangolo è detto equilatero se i 8uot lati 0 1 equivalentemente, se i suoi angoli, 8ono congruenti.

    54

    o o o o o

    © Artquiz

    MATEMATICA

    Nel caso in cui nn triangolo sia rettangolo, ossia abbia un angolo retto, si de,. finiscono 1:potenusa il lato opposto all'angolo retto e cateti i rimanenti lati. Vale il celeberrimo Teorema di Pitagora: dato un triangolo rettangolo di ipotenusa a e cateti be e, risulta a2

    = b2 + c2 .

    Esempio da Artquiz: I cateti di un triangolo rettangolo sono lunghi, rispettivamente, 303 e 404. Determinare la lunghezza dell'ipotenusa. Per il teorema di Pitagora l'ipotenusa misura (303) 2 + (404) 2 = 505. Due triangoli sono detti congruenti se con 1111 movimento rigido si possono far coincidere. Due triangoli sono, invece, eletti simili se hanno gli angoli a due a due uguali. Si elencano i principali risultati elementari sui triangoli: 1. la somma della misura di due lati deve eccedere strettamente la misura del terzo lato. In simboli, ad esempio, a + b > e; 2. la somma degli angoli interni di un triangolo è 180° ; 3. due triangoli sono congrnenti se vqrificano uno dei seguenti criteri: a) hanno congrnenti due coppie cli lati e i duo relativi angoli compre8i; b) hanno congrnenti un lato e i due angoli a esso adiacenti; c) hanno tntt.i i lati (ordinatamente) congruenti. Esempio da A rtquiz: In un triangolo, gli angoli a, {:J e , sono legati dalle relazioni (3 = a + 20 ° e , = (3 + 50° : si ha che , è uguale a: 100° . Infatti, si ha {:J - 20 ° = a, dnnqne a+ f3 +, = ,B - 20 ° + (3 + {:J + 50° = 180° , quindi (3 = 50° e , = 100 ° .

    3.2.2 Quadrilateri Un quadrilatero è un poligono con quattro vertici. Di particolare interesse :-mno i quadrilateri convessi, ossia quelli con gli angoli minori cli 180° . Per €ssi si definisce diagonale un segmento congiungente dne vertici 11011 giacenti su uno stesso lato, da cui segue che un quadrilatero ammette dne diagonali. Esempio da Artquiz: La somma degli angoli interni cli un poligono è 360° . Si può affermare che il poligono è certamente: Un quadrilatero. Infatti, la somma degli angoli interni di un poligono con n lati è (n - 2)180° . Dovendo essere tale espressione pari a 360° , si co_nclude che n = 4. Un trapezio è un quadrilatero con due lati paralleli. Siano be b' i due lati paralleli di un trapezio e sia h l'altezza relativa ad uno qualsiasi dei lati bob' (che corrisponde alla distanza tra le rette parallele sulle quali giaciono be b', e che quindi è indipendente dalla scelta di base e vertice). L'area del trapezio è data.da A = (b + b')h/2. Un trapezio con i due lati non paralleli congruenti è detto isoscele; un trapezio con un angolo retto è detto rettangolo. 55

    1:lt

    @ Artquiz

    Capit.o]o 3 Gcomctrìa

    Esempio da Artquiz: Un trapezio isoscele ha perimetro di 50 cm e le basi di 7 cm e 17 cm. Qual è la sua area? 144 cm2 • Infatti i lati obliqui del trapezio misurano (50- 7 - 17)/2 cm = 13 cm, inoltre il piede di un altezza h dista dal vertice sulla base {l 7 - 7)/2 cm = 5 cm. Dal teorema di Pitagora si ottiene h = /13 2 - 52 cm = Ji44 cm = 12 cm. L'area del trapezio misura quindi A = (a+ b)h/2 = {17 + 7)12/2 cm2 = 144 cm2 •

    Uu parallelogrammo è un quadrilatero con i lati a due a due paralleli o, equi­ valentemente, congruenti. Come per il triangolo, si può definire l'altezza h relativa al lato b di un parallelogrammo { che, grazie al parallelismo, uo;n dipende dal vertice scelto tra i
    È maggiore della diagonale maggiore. Infatti, due lati adiacenti e la diagonale maggiore formano un triangolo.

    .

    b

    A

    (a) 'fro.pezto

    B

    D

    O

    B

    C

    (b) Parallelogro.mmo

    Figura 3.2: Quadrilateri

    particolari.

    Un Rombo è nu parallelogrammo con i. lati congruenti (cioè . av�nti la stessa misura). In un rombo le diagonali d e D sono perpendicolari e l'area è data da

    O

    A= dD/2.

    Esempio da Artquiz: In un rombo uua diagonale è il doppio dell'altra e l'area vale 36 cm2 • Quanto vale il lato del rombo? 3/5 cm. Infatti, siano de D la misura delle diagonale minore e maggiore. L'area è quindi pari a (d·D)/2 = (d-2d)/2 = d2 = 36 cm2 , da cui d = 6 cm. Ora, un lato del rombo è l'ipotenusa di un triangolo i cui cateti sono le semidiagonali che, nel presente caso, misurano 6 cm e 3 cm. Il teorema

  • ! �;·_

    !'.t,

    j

    t. '

    Un Rettangolo è un parallelogrammo avente tutti gli angoli retti. Un'altezza rispetto ad un lato a è uno dei lati adiacenti be l'area è data da A= ab. Le diagonali dei rettangoli sono congruenti (basta applicare il teorema di Pitagora ad a e b). Esempio da Artquiz: La somma di due lati di un rettangolo è 110 cm, la loro differenza

    è 10 cm. Il lato minore misura: 50 cm. Infatti, il problema si traduce nel sistema x + y = 110 cm, x - y = IO cm, dove x è il lato maggiore e y quello minore. Quindi x = 60 cm e y = 50 cm. 56

    o o o o

    © Artquiz

    MATEMATICA

    Un quadrato è un rettangolo con i lati cougrueuti. È quindi simultaneamente un rombo e un rettangolo, e ammette in particolare tutti gli angoli retti. Sia a la misura di un lato l di 1111 quadrato (misura, comune ai quattro lati). Dalla formula dell'area di un rettangolo segue che l'area del quadrato è data da A= a2 . Le · diagonali dei quadrati sono congruenti e perpendicolari e misurano d = ,v'a2 + a2 = av'2, e dalla formula per l'area del rombo si riottiene A = (av'2)(av'2)/2 = a2 •

    3.3 La circonferenza in ottica euclidea Una circonferenza di centro Ce raggio r è una figura piana data dal luogo geometrico dei punti P la cui distanza da C è pari ad r. Il perimetro di una circonferenza di raggio r è dato dalla formula 2p = 21r1·, mentre l'area è data dalla formula A= 1rr2 • Benché 1r sia un unmero irrazionale, solitamente si usa l'approssimazione 1r = 3, 14. La diagonale di una circonferenza misura d = 2r. Dato un poligono /?JJ e una circonferenza <'ttJ', si definisce: 1. /?JJ circoscritto a 'if se ogni lato di /!JJ è tangente a CC; 2. /?JJ inscritto a Y/ se ogni vertice di ./?JJ giace su cc. Il caso più interessante è qnello in cui .<:i' Hia un triangolo. In qnesto particolare caso valgono le seguenti proprietà: a) ogni triangolo può essere inscritto in una circonferenza il cui centro è dato da un punto chiamato circocentro dato dall'i utersczione degli assi del triangolo; b) ogni triangolo può essere circoscritto ad una circonferenza il cui centro è dato da un punto chiamato incentro dato dall'intersezione delle bisettrici del triangolo.

    Figura 3.3: Trian,qolo inscritto in una circonferenza.

    Esempio da Artquiz: Qual è il rapporto tra l'area di un cerchio di raggio unitario e l'area del quadrato inscritto? 1r/2. Infatti, l'arca del cerchio è A = m·2 = 1r 1 2 .= 1r, mentre il diametro d del cerchio misura d = 2r = 2. Ma il diametro del cerchio è la diagonale del quadrato inscritto, da cui segue che il lato l del quadrato misura l = d/v'2 = ,v'2. Quindi l'area A' del quadrato misura A' = l 2 = ( v'2)2 = 2 e il rapporto richiesto è A/A' = 1r/2. 57

    © Artquiz

    Capitolo 3 Geometria

    3.4 I poliedri Un poliedro è l'unione nello spazio tridimc1tsionale di un numero finito

  • o

    (Formula di Eulero).

    Indichiamo ora i principali poliedri e le loro relative caratteristiche.

    3.4.1 Parallelepipedo e cubo Un parallelepipedo è un poliedro le cui facce sono 6 parallelogrammi; tuttavia qui nseremo l'accezione più comune secondo la qnale le facce sono rettangoli. Siano a, be e le misure dei lati di un parallelepipedo; è immediato calcolare l'area della superficie esterna: A=2(ab+bc+ca) e il volume occnpélto: V= abc. Si noti che qneste formule, cosi come le formule relative ai poHgoni, altro non sono che polinomi.

    -

    ; ····--r�__.........-:----..;_ -... ....._

    e

    -L- '

    Figura 3.4: Parallelepipedo.

    l i i

    Un caso particolare di parallelepipedo è il cubo, per il quale si impone la con­ 6a2 ; dizione che le facce siano quadrati. In tal caso l'area e il volume sono A 3 V=a .

    .

    ,,...,

    �:i,,

    Esempio da Artquiz: Il rapporto tra i volnmi di due cubi è 4. Qual è il rapporto tra



    ,,t

    !l: 1,

    .,

    =

    le loro superfici? Infatti, siano l e l' i lati dei cubi in questione. Dunque vale l 3 6l2 = 6?'42l'2 = 4l'3 • Si ricava che l = {1/4l'

    W.

    es=

    Ws'.

    = V= 4V' = 1

    1,

    -I

    �, r



    �­ itu t1

    3.4·.2 .Piramide Una piramide è uua figura geometrica solida, con una base poHgonale e un vertice, detto apice piramidale, che non giace sullo stesso piano della base. Il poligono di base e le facce triangolari della piramide che hanno per base un lato della base piramidale e come vertice l'apice piramidale sono facce della piramide. Solitamente si studiano le piramidi che hanno per base un poligono regolare (come ad esempio un triangolo equilate�o, un quadrato, un pentagono regolare, ecc.) e 58

    o

    @ Artquiz

    MATEMATICA

    l'apice posto sulla retta perpendicolare alla base e contenente il centro di simmetria della base. 11 segmento congiungente l'apice piramidale e il centro della circonferenza circoscritta alla base è detto altezza della piramide. Il volume della piramide è data rlalla formula V= Bh/3, dove B è l'area della base eh è la misura dell'altezza. Esempio da Artquiz: Una piramide ha per base un quadrato di lato 3 cm, ed è alta 4 cm. Il suo volume è quindi: 12 cm 3 . Infatti, ·il volume della piramide è pari a V = Bh/3 = (3 cm)2 · 4 cm/3 = 12 cm3.

    3. 5 I solidi di rotazione 3.5.1 Cono Un cono è una figura nello spazio tridimensionale ottenuta facendo compiere una rotazione di un angolo giro (360 ° ) ad un triangolo lungo un suo lato. Solitamente si intende che il tria.golo in questione è rettangolo e il lato rispetto al quale avviene la rotazione è 11110 dei cateti, che a8sume il nome di altezza del cono. La circonferenza che descrive il secondo cateto è detta base rlel cono. Il volume del cono è dato dalla fo�mnla usata per la piramide (della quale il cono può essere consiclerato un caso particolare): V = 1n-2h/3, dove Ab = 1rr 2 è chiaramente l'area della base (circolare) eh è la misura. dell'altezza. L'ipotenusa del t.riangolo che genera il cono è detta apotema e 1.nisura a = Jr 2 + h2 • La s11perficie laterale del cono ·si calcola mediante la formula Ai = 1r1·a da cui si ricava la superficie totale: A= Ab+ A, = 1r1·2 + m·a = 1rr(r + a). Esempio da Artqniz: Due coni C1 e C2 circolari retti hanno uguale base di raggio r. L'altezza h1 del cono C1 è uguale alla metà dell'altezza h2 del cono C2, In che rapporto stanno i volumi Vi e V2 dei dne coni? 1/2. Infatti, dai principi teorici sopra esposti segue che Vi = 1rr2 hi/3 e V2 = 1rr 2hi/3 = m· 2 2h i /3 = 27fr 2 hi/3 = 2Vi, quindi Vi/V2 = 1/2.

    3.5.2 Cilindro Un cilindro è una figura nello spazio tridimensionale ottenuta facendo compiere una rotazione di m1 angolo giro (360 ° ) ad uil rettangolo lungo un suo lato, detto altezza e solitamente indicato con h. Qualsiasi delle due circonferenze, descritte dai lati adiacenti al lato h rispetto al quale avviene la rotazione, è detta base del cilindro. Il volume del cilindro è dato dalla f01mula V= Bh = 1rr 2 h, dove B = 1rr2 è l'area della base (circolare) e h è la misura dell'altezza. La superficie laterale del cono si calcola mediante la formula A, = 21rrh (infatti la superficie laterale è un rettangolo di base 21rr e altezza h) da cui si ricava la superficie totale: A = 2B + A1 = 21rr 2 + 21rrh = 21rr(r + h). Esempio da A1·tquiz: Se il raggio di un cilindro viene raddoppiato mentre la sua nltezza viene dimezzata, come varia il suo volume? Raddoppia. Infatti, siano 1·, h e V il raggio, l'altezza e il volume del cilindro di partenza. Il volume V' del cilindro modificato è pari a V' = 1r(21·)2 h/2 = 2m· 2 h = 2V. Quindi il volume viene raddoppiato. 59

    .mf1':

    @ Artqutz

    Capitolo 3 Geometria

    h\

    . .. ·,

    (o.) Cono

    (b) Ctlìndro

    Figm·a 3.5: Due solidi di rotazione.

    o o

    3.5.3 Sfera Sebbene anche la sfera sia un soHdo di rotazione, in quanto ottenuta tramite la rotazione di una circonferenza rispetto ad un suo diametro, è più intuitivo defluirla come la figura tridimensionale data dal luogo geometrico dei punti P, la cui distanza da un punto O, detto centro, -è pari ad una fissata distanza r, detta raggio. Il volume V e l'u.rea A della sfera sono dati dalle seguenti formule: 4 V = 1rr3 ,

    3

    A = 41rr2 •

    Esempio da Artquiz: Il diametro di una sfera ha lunghezza 6 cm; approssimativamcm­ te, H volume della sfera è:

    ;1r1·

    113 cm3 . Infatti, nella formula V = da ottenere V= 41r33 /3 cm3 = 41r9/3 cm3

    3

    si sostituisce r 3 � 113 cm .

    = 6 cm/2 = 3 cm, cost

    3.6 Il piano cartesiano Il piano cartesiano è il piano euclideo nel quale st è fissato un sistema di riferimento, ossia si sono fissate due rette perpendicolari x e y dette assi, una unità di misura comune ai due assi e un verso di percorremm su ogni asse. Nel piano cartesiano rimdngono definiti tre punti privilegiati: 1. l'origine del piano cartesiano, indicata con O, data dall'intersezione dei due assi;

    ,.

    !,

    2. il punto 1 dell'asse x èbe si trova spostandosi da O di un'unità nel verso di percorrenza scelto su x; _,

    rnI• •::--

    3. il punto 1 dell'asse y che si trova spostandosi da O di un'unità' nel verso di percorrenza scelto su y.

    acl.[ ;1.:

    ì}· ,,r:,

    11,1.:

    �.j!f'

    •'

    ; I

    !ioi

    l ·�

    ,.. e•

    ..

    'il

    �l t·1···

    3.6.1 Luoghi di punti Avendo ora definito il punto O e il punto 1 su ogni asse, ad ogni punto di ognuno dei due assi rimane associato un numero reale. Di conseguenza, ad ogni punto P del piano si può associare una coppia dì numeri, dette coordinate del punto P, come esplicato dalla seguente costruzione: 60

    o

    © Artquiz

    MATEMATICA

    • si tracciano le rette P:c e Pv contenenti P e perpendicolari agli assi x e y;

    • si osserva che la retta Px interseca l'asse x in un punto al quale è associato il numero xp, similmente Py interseca yin un punto al quale è associato il numero yp; • i numeri Xp e yp sono le coordinate di P, scritto (xp, yp). y

    4j

    -2 -1

    3 2 1

    -

    01 1

    -1 -2

    lP(2, 3) 21 3 4

    X

    Figura 3.6: Il piano cartesiano �,;y con il pmito P(2, 3). Dato un punto P di coordinate (xp, YJ> ), diciamo che xp è l'a.<Jcissa di P mentre yp è l'ordinata di P. Il piano cartesiano è diviso convenzionalmente in quattro quadranti: il primo quadrante è ln porzione di piano i cui punti hanno coordinate positive, quindi si trova sopra l'asse xe a destra dell'asse y. Il secondo quadrn.nte è definito similmente, ma con la richiesta che i suoi punti abbiano ascissa negativa e ordinata positiva. E cosi a seguire fino al quarto quadrante ruotando in senso antiorario.

    3.6.2 Distanze e punto medio

    Dati due punti P = (xp, yp) e Q = (xq, yq), definiamo la distanza tra P e Q, che indichiamo con la notazione d(P,Q) come segue:

    d(P,Q)

    = J(xp - xq)2 + ·(yp - yq)2.

    (3.1)

    Si noti che la definizione segue dal teorema di Pitagora, perché grazie alla perpen­ dicolarità degli assi, si ha che il segmento di C8tremi P o Q è l'ipotenusa del triangolo rettangolo di estremi P, Q e (xp, yq), i cui cateti misurano lxp - XQI e IYP - Y QI­ Si vede immediatamente che per ogni terna di punti P, Q e R del piano valgono: 1. d(P,Q)

    = O se e solo se P = Q;

    2. d(P,Q) =d(Q,P);

    3. d(P, R) < d(P, Q) + d(Q, R).

    Il punto medio M del segmento di estremi P = (xp, yp) e Q dalla formula: xp xq y yq M= p+ )· 1 · ( + 2 2

    = ( xq, YQ), è dato

    E,,;ernpio da Artquiz: Il segmento individuato da due punti di coordinate cartesiane pari a (2, 4) e (-2, 1), ha lunghezza uguale a: d((2, 4), (-2, 1)) . ../(2 - (-2))2 + (4 - 1) 2 = ,/25 = 5. _

    61

    fr11r

    Capitolo 3 Geometria

    @ Artqutz

    Esempi o da Artquiz: Determinare l'area del triangolo che ha come vertici i punti (0,0), (0,1 ), (13, 12) del piano cartesiano: Utilizzando U punto ausiliario P(0,12), l'area cercata è pari alla differenza tra l'area del triangolo T di vertici (0,0), P, (13,12) e l'area del triangolo T di vertid P, ( 0,1), {13,12), entrambi rettangoli in P come è facile notare. L'area cercata vale quindi { 13 · 12)/2 - (13 · 1 1)/2 = 13/2.

    3.6.3 La retta Dalla geometria eudidcu. è noto che una retta r è definita tmivocruncnte da 2 p1mti distinti su di essa. Siano quindi P1 = (:z:1,yi) e P'2 = (x2 ,Y2 ) due p1tnti appru·tenenti ad r; cosa si pnò clirn cli un �cnerico punto P = (x, y) E r? Studiamo inizialmente 2 casi pru-ticola.ri: 1. se x1 = x2 allora tntti i punti di r, in particolare P, devono avere ascissa comune, e quindi l'eq1ta2ione di 1· Hi rid1tce a x = x1 {o, equivalentemente x = x2);

    I'..._!

    r:

    2. se y 1 = Y2 allora tutti i punti di r, in rn1.rttcola.re P, devono ::werc ordinata com1tne, e quindi l'cq1tru-.ione dir ,,;i riduce n y = Yt (o, eq1tivalentementc y = y2 ).

    Il CéIBO generico è infine quello in cui :2:1 -:/- :c2 e y1 f. y2, In que:-;to caso il '1/1 - y2 rapport.o 'I/· -112 · deve essere uguale al rapporto · , cioè
    :i:1 - X2

    In tntti e tre i casi si ottiene nn'eqtta7.ione data da nn polinomio di primo grado in dm.: variabili, infatti dall'cqu�,done 3.2 si ottiene l'eqtu'l.Y.ionc: (y -112)(:c1 - x2) = fo1 -112)(x - x2).

    .,

    Viceversa, si può dimostrare che un'equazione di primo grado del tipo ax+by+c = O, detta equazione implicita, definisce una retta. Dall'equazione generica 3.2 si può passare alla formt1:

    ,(.

    !f

    1/

    ,.

    v•,,, {.-

    �-t·,I J· 11

    ,;· !!f

    ·,

    =

    (

    1/t - Y2 )

    X1 -X2

    X

    +(

    Y1 - Y2

    Y2 - X2--- ) , X1 - X2

    che possiamo scrivere come y = mx + q, detta equazione e.<;plicita della retta, dove Y1 - Y2 e• eletto coe,tr;·icien Y1 - Y2 e. etta . rn = --. te angolare e q = y2 - x2--intercetta cl'1 d JJ X1 - X2 X1 - X2 ! 1· con l'a.ssc y. Il coefficiente angolare m delPcqnazioue esplicita di una retta r rappredèuta quindi l'inclinazione della retta, ossia il rapporto tra l'incremento lungo l'asse y e l'incremento lungo l'asse x tra qualsiasi coppia di punti distinti sn dì essa. Si presti attenzione che trrunite le equazioni esplicite non è possibile scrivere le rette verticali, che invece hanno cqt1a'lio1tc del tipo x = k. Esempio: Si definiscano le equazioni delle rette contenenti il punto P = {l,2) e, rispettivamente, i punti Q1 = (1,- 1), Q2 = (-2,2), Q3 = (3,3). Si osserva che l'ascissa di P e Q1 è in comune e vale 1, dunque un'equazione della retta ·contenente P e Q 1 è x = l. Viceversa, l'ordinata dt P e Q2 è pure in comune e

    62

    O O

    o o o o o o o o o o o �

    © Artquiz

    MATEMATICA

    vale 2, dunque un'equazione della retta contenente P e Q2 è 1J = 2. Infine, utiliz�ando la formula3.2 si ottiene l'equazione esplicita della retta contenente i punti P e Q3 :

    y

    =

    2-3 2-3 (1-3) x+ (3-31-3) ;

    ossia y = x /2 +3/2. Oppure, in versione implicita, x - 2y +3 = O. Si noti che data l'equazione esplicita di una retta, è immediato passare ad un 'e­ quazione implicita, infatti d�l'equazione y = mx+ q basta scrivere y - mx - q = O. Viceversa, da un 'equazione implicita del t.ipo ax + b-y + e = O si può ricavare un'equazione esplicita solo nel caso in cui b =f. O, in modo da ottenere y = -�x - �Siano re 1" due rette di equazione, rispettivamente, ax+by+c = O e a'x+b'y+c' = O, oppme, nel caso in cui b f=. O f=. b', di equazione esplicita y = ma:+ q e :IJ = rri' x +q'. Indichiamo con r Il r' il caso in cui le rette sono parallele e con r .l 1·1 il caso in cui le rette sono perpendicolari. Allora valgono le Heguenti proprietà: eq. implicita eq. esplicita

    r//r' ab' = a'b m= 1n'

    r .l 1·1 aa' + bb' = O mm.'= -1

    .

    Tabella 3.1: Relazione tra. i coefficienti delle equaziop.i di rette parallele o perpendicolari Esempio da Art<11tiz: Date le due curve y + 8- 5x= O e y-3 + O, 2:r= O, è vero che:

    Le rette sono normali. Infatti, dopo aver riscritto le cqna.7,ioni in forma csplièita: y = 5x - 8 e y = -0, 2x +3, si verifica immediatamente che il prodotto dei coefficienti angolari 5 ·(-0, 2) è -1. Sia ora P = ( x 0, y 0) un punto del piano cartesiano. Una retta 1· contenente P è sempre del tipo a(x - xo) + b(y - Yo) = O, con a e b 11011 entrambi nnlli, come è immediato verificare sostituendo ad x e y le coordinate di P. In alternativa, le rette contenenti P non verticali hanno equazione esplicita y- yo = k(x - xo)- Altrimenti, l'unica retta verticale contente P ha equazione x = Xo, Infine, dato un punto P = (x 0, y 0) e una retta r di equazione ax + by + c = O si può dimostrare che la distanza( minima) tra P e 1· è data dalla formula: d(P, 1,)

    =

    laxo + b?Jo +cl , ../a2 + b2

    Esempio da Artquiz: La dh,tanza tra il punto(1, 2) e la retta 1·

    �- Infatti, riscrivendo



    = {:e+ y = O}, si ha:

    3 ( 3 . )

    = {y = -x} è:

    1 1 +1 · 2 + 01 � = d((l ' 2) ! r) = 1 · v'l2 + 12 -12 •

    3, 7 Le coniche 3.7.1 La· circonferenza in ottica cartesian a

    Il luogo geometrico dei punti P = (x, y) la cui distanza da un punto fissato C = (xc, Yc) è costante e pari a 1· > O è detta circonferenza di centro C e raggio r. 63

    © Artquiz

    Capitolo 3 Geometria

    Indichiamo con Ctf tale circonferenza. Dalla formula 3.1 segue che per poter valere P E Ctf deve essere soddisfatta l'uguaglianza /(x - xc)2 + (y- Yc)2 = r, o meglio, dopo aver elevato ambo membri al quadrato, deve valere: (.1:- xc)2

    + (y- Yc)2 = r2 •

    Sviluppando l'equazione precedente, si ottiene un'equazione di secondo grado in due incognite: x2 + y2 + ax + by + c = O con a = -2xc, b = -2yc e c = xb + Yb - r2 • Si faccia attenzione che tm'equa:L.ioue di secondo grado in due incognite del tipo x2 +y2 +ax+bu+c = O definisce una circonferenza se e solo se vale (a/2)2 +(b/2)2 -c > O, e in tal caso si ha che il centro della circonferenza ha coordinate C = (-a/2, -b/2) e il raggio misurar= ..j(a/2)2 + (b/2)2 - c. y

    o

    Figura 3.7: La circonferenza di equazione: x2 + y2 - 2x- 2y+ 1 = O. X

    +LO

    +2.0

    Esempio: Data la circonferenza di equazione x2

    + y2 - 2x- 2y + 1 = O, determinare

    centro C, raggio re hmghezza 2p. Dalle formule precedenti si ricavano le coordinate del centro C = (-2/2, -2/2) = (1, 1) e la mhmra del raggio: r = ..,/(-2/2)2 + (-2/2)2 - 1 = 1. A questo punto si utilizza la formula del perimetro di una circonferenza, da cui st ottiene 2p = 21r · 1 = 21r.

    3. 7.2 Parabola

    Data una retta d di equazione ax + by + c = O chiamata direttrice e un punto F = (xF, 1/F) detto fuoco non appartenente ad, si definisce la parabola & di direttrice de fuoco F come il luogo geometrico dei punti P = (x, y) del piano carte:siano la cui distanza da d è uguale alla distanza da F. Deve cioè valere l'uguagltanza:;

    d(P,d) = d(P, F),

    (3.4)

    dove d(P,d) e d(P, F) sono calcolabili tramite le formule in 3.3·e 3.1. ,,1 1'1i11 •1-t

    t\ .<,

    iU I

    I casi studiati a livello pre�universìtario sono quelli in cuid è parallela ad uno dei due assi coordinati, nel qual caso si può facilmente dimostrare che l'equazione che deriva dall' ug uaglianza 3.4 è, nel caso in cuid Il {y = O}, del tipo:

    y = ax2 64

    + bx+ c.

    (3.5)

    o

    o

    o o o

    MATEMATICA

    @ Artquiz

    Figura 3.8: La parabola di equazione y = x2 - 2x, con evidenziate le distanze del punto O = (O, O) dal fuoco e dalla direttrice.

    -2.a

    Altrimenti, basta invertire i ruoli delle incognite x e y. Ci sono inoltre due altri luoghi geometrici associati ad nna parabola: l'asse di simmetria s, che è la retta perpendicolare alla direttrice de conten�mte il fuoco F e il vertice V della parabola, che è il punto della parabola avente distanza minima dalla direttrice d (dato anche dall'intersezione tra l'asse se la parabola). Data mm p,u·abola di equazione come in 3.5, si definisce D:.. = b2-4ac (esattamente come nel ca8o dell'eqUa7rione di secondo grado) e si può dimostrare che valgono le seguenti uguaglianze: V=

    (-!i ,-!); F= (-� �)2a'

    4a

    b 2a

    S: X - --;

    d: y=-l+D:.. 4a

    Esempio È dnta la parabola di equazione y = x2 - 2x. Si calcolino le coordinate del fuoco e del vertice e si determinino le equazioni della direttrice e dell'asse di simmetria. Preliminarmente si calcola D:.. = (-2) 2 - 4 · 1 · O = 4. Quindi, dalle formule precedenti si ricavano:

    4) = (1, -1)·,

    (-2) , -V= ( - 4 2

    S: X= lj

    F

    (-2) 1 - 4) = ( --, - - = 2 4

    (1, -3/4);

    d: y = -5/4.

    3.7.3 Iperbole

    Dati due punti distinti F1 e F2 del piano cartesiano e un numero reale a > O tale che 2a < d(F1 , F2 ), si definisce l'ip erbole J di fuochi F1 e F2 come il luogo geometrico dei punti P del piano che soddisfano l'uguaglianza: ld(P, F1) -d(P, F2)I = 2a.

    In altre parole, P E J se e solo se il valore assoluto della differenza tra le distanze di P da F1 e F2 è costante e pari a 2a . La retta contenente i due fuochi F1 e F2 è detta a.s.'Je focale, mentre il punto medio tra F1 e F2 è detto centro dell'iperbole. Come nel caso della parabola, anche per l'iperbole i casi studiati a livello pre­ universitario sono dei casi particolari, ossia quelli in cui i fuochi giaciono sull'asse delle x e sono simmetrici rispetto all'origine, ossia hanno coordinate del tipo F1 = (-c, O). 65

    @ Artquiz

    Capitolo 3 Geometria

    � ,i

    e F2 = ( c, O) con e > O. In questo contesto si può dimostrare che con opportuni passaggi algebrici un punto P E J se e solo se soddisfa l'equazione: x2 y 2 2 2• 2 �2 - 2 = 1, con b > O e b = c - a b

    Le rette di equazione y = ±bx/a sono detti asintoti dell'iperbole e nel caso in cui a = b, l'iperbole è detta equilatera. Nel caso in cui i fuochi giacciano sull'asse delle y, basta invertire x e y nella formula precedente. Quindi, data l'equazione di un'iperbole, è possibile calcolare le coordinate dei fuochi in quanto va.le e= Ja 2 + b2 . 2

    2

    Infine, se un'iperbole equilatera di equazione :2 - t2 = 1 viC'ne fo.tta ruotare di 45 ° , si ottiene un'iperbole con gli asintoti coincidenti con gli assi coordinati e l'equazione è xy = k, notoriamente associata al concetto di proporzionalità inversa. Esempio È data l'iperbole di equazione

    x2

    2 4 -y =

    1. Si calcolino le coordinate dei fuochi, del centro e le equazioni dell'asse focale e degli asintoti.

    lt

    2

    I,

    Figura 3.9: Iperbole di equazione :

    -

    y2 = 1 e gli asintoti y

    = ±x/2.

    o o

    Si noti che per l'iperbole in questione i parametri associati all'equazione sono a = 4 e b2 = 1. Dalle formule precedenti si ottiene che deve essere e = .;;r=T = ./3, e dunque i fuochi cercati hanno coordinate F1 ,2 = (±./3, O). Il centro dell'iperbole è il punto medio tra i fuochi-testè calcolati che è l'origine O= (O, O). Similmente, l'asse focale è sempre uno dei 2 assi coordinati, e in questo caso l'asse delle x. Infine, i 2 asintoti hanno equazione, rispettivamente, y = x/2 e y = -x/2. 2

    3.7.4 Ellisse

    .}



    Dati due punti distinti F1 e F2 del piano cartesiano e un numero reale a> O tale che 2a > d(F1 , F2 ), si definisce l'ellisse Cdi fuochi F1 e F2 come il luogo geometrico dei punti P del piano tali che soddisfano !_'uguaglianza: ld(P, F2 ) + d(P, F2 )l

    ,:. ·,

    r· L i"•i: ';;j�, lf ·"[

    I [j.j.

    = 2a.

    In altre parole, P E C se e solo se la somma delle distanze di P da F1 e da F2 è costante e pari a 2a. La retta contenente i due fuochi F1 e F2 è detta asse focale, mentre il punto medio tra F1 e F2 è detto centro dell'iperbole. 66

    o

    @ Artquiz

    MATEMATICA

    Come nel caso dell'iperbole i casi studiati a livello pre-universitario sono dei casi particolari, ossia qHelli in cui i fuochi giacciono sull'asse delle x e sono simmetrici rispetto all'origine, ossia hanno coordinate del tipo F'1 = (-c, O) e F2 = ( c, O) con c > O. In questo contesto si pnò dimostrare che, con opportnni passaggi algebrici, un pimto P E cf se e solo se soddisfa l'eqnazione: 2 x2 y = 1, con b > O e· b2 = a2 - c2 . + b2 a2 Quindi, data l'equazione di un'ellisse, è possibile cn.lcolare le coordinate dei fuochi in quanto vale c = Ja2 - b2 • I numeri positivi a e b sono detti, rispettivamente, il semiasse maggiore e il semiasse minore dell'ellisse. Nuovamente, uel caso in cui i fnochi giacciano sull'asse delle y, basta invertire i ruoli di x e y nella formula precedente. .2

    2

    Esempio È data nn'cllisse di equazione � + � = 1. Si calcolino. le coordinate dei 5 6 fuochi, e il seminsse maggiore e minore dell'ellisse.

    y +2 -,I

    +2

    -2

    -2

    +4 J

    X

    Figura 3.10: Ellisse di equazione: x2 y2 + 16 = 1. 25

    Si noti che per l'ellisse in questione i parametri associati all'equazione sono a2 = 25 e b = 16. Dalle formule precedenti si ottiene che deve essere c = v'25 - 16 = v'9 = 3, e dnnqne i fuochi cercati hanno coordinate F 1,2 = (±3, O). Infine, il semiasse maggiore e il semiEIBse minore valgono, rispettivamente, 5 e 4. 2

    � Circonferenze, parabole, iperboli ed ellissi prendono il nome di sezioni co­ niche, in quanto si possono ottenere come intersezione nello spazio tridi­ mensionale tra la superficie di un cono e un piano.

    CD

    (2)

    ®

    Figura 3.11: Le quattro sezioni coniche ottenute quando un cono doppio è intersecato con 1in piano: 1 Parabola; 2 Circonferenza ed Ellisse; 3 Iperbole.

    3.7.5 Luoghi comuni Uu luogo di punti è un sottoinsieme del piano dato da un numero finito di punti, oppure è un sottoinsieme 11lgebrico, definito cioè da un'equa:.tione algebrica al pi� 67

    @ Artquiz

    Capitolo 3 Geometria

    di secondo grado in 2 incognite. Nel secondo caso si ottengono rette, circonferenze, parabole, i perboli ed ellissi. Da.ti due sottoinsiemi algebrici .91 e fÀ di grado a.l più 2 del piano cartesiano, di equazioni rispettivamente P(x, y) = O e Q(x, y) = O, si definisce il luogo comune di .91 e � come l'insieme di punti P appartenenti sia ad .PI che fÀ, ossia l'insieme dei punti dell'intersezione Jl1 n fÀ. Dal punto di vista algebrico si tratta di risolvere un sistema in 2 equazioni e 2 incognite (Matematica, § 2.3), ossia:



    ·�

    .f

    P(x, y) = O; { Q(a:, y) = O. Le soluzioni del sistema, che sono coppie di numeri (x, y), sono le coordinate dei punti cercati. I casi comunemente affrontati sono le intersezioni tra 2 rette o tra una retta e una ser.tione conica, mentre in generale l'intersezione tra 2 coniche è di ardua risoluzione in quanto si tratta di risolvere un sistema iu 2 equazioni cli secondo grado e 2 incognite. Diciamo che una retta r e una conica PI sono tangenti se l'intersezione 1· n .PI si riduce ad un unico punto P. Altrimenti, si pos::;ono verificare i casi in cui l'intesezioue è vuota (11011 ci sono punti in comune), oppure l'interscz,ione è data da due punti distinti.

    j

    I

    � Se tma retta intersecata con una parabola o un'iperbole è parallela all'asse di simmetria nel primo ec·,so o a un asintoto nel secondo caso, allora si ha un solo punto di intersm�ione che tuttavia uon è di tangenza.

    Esempio Determinare il luogo comune all'iperbole f di equazione xy = 2 e alla retta di equazione y = 3x e dire se 1· è tangente a .f o meno.

    7'

    +4

    X

    Figura 3.12: Intersezione tra l'iperbole xy = 2 e la retta y = 3x. Si tratta di risolvere il sistema.:

    :;

    {xy = 2; Y =3x.

    ;i

    t � ,I t':I

    Sostituendo y = 3x nella prima equazione si ottiene 3x = 2, da cui x 1,2 = ±y'ff3, da cui y 1,2 = ±3y'ff3 == ±./6. Dunque si ha Jnr = {( y'ff3, ./6); (-y'ff3, -./6)}. Essendo l'intersezione data da 2 punti, si conclude che r non è tangente a .f. 2

    68

    J 4

    Capitolo 4

    Trigonometria Introduciamo in questo capitolo un nuovo potente strumento per lo studio della geometria e degli angoli in particolare: la trigonometria.

    4.1 Misura degli angoli

    ·--- .... .. ,

    amd =­ r

    o..,;

    ...

    ...



    Figura 4.1: L 'angolo a in radianti.

    Consideriamo una circonferenza Cfl e osserviamo che la lunghezza di un arco A di W è proporzionale all'ampiezza dell'angolo al centro a che definisce A. Sia r il raggio di W; definiamo come unità di misnra degli angoli, detta radiante e abbreviata in rad, un angolo il cui arco associato su W ha lunghezza pari ad r. Segue che la misura di qualsiasi angolo (al centro) a è l/r, dove l è la lunghezza dell'arco corrispondente. Chiaramente, se Cfl è di raggio unitario (cioè, r = 1), allora la misura in radianti di a è l/1 = l. Dunque, poiché un augolo giro (360° ) definisce come arco corrispondente Cfl stesso, la misura in radianti dell'angolo giro è pari a 21r e, pi·oporzionalmentc, un angolo piatto misnra 1r, un angolo retto 1r/2, ecc.

    .

    Esempio da Artquiz: A quanti radianti corrispondono 225 ° '! È sufficiente notare che un angolo pari a 1r radianti è 180° , dunque 225° = 51r/4. In altre parole abbiamo stabilito la proporzione 225° : 180° = x : 1r, dunque: = 2250 . 11" X = 51r/4. 180 °

    69

    © Artquiz

    Capitolo 4 Trigonometria Angolo (gradi)

    Angolo (radianti)

    360 180 90 60 45 30

    ·27f

    Tabella 1J. l: Conversione di alcuni angoli notevoli da gradi sessagesimali a radianti.

    7r

    1r/2 1r/3 1r/4 7r

    /6

    ':

    4.2 Coseno, seno, tangente e cotangente di un angolo Nel piano cartesiano consideriamo la circonferenza Ceff' di raggio unitario con centro O= (O, O), quindi di equazione x2 + y 2 = 1. Dato un angolo a, realizziamo tale angolo utilizzando la semiretta s contenuta nell'asse x, di eBtremo O e ascisse positive (ossia, la semiretta {(x, O) tale che x >O}) e la semiretta s' di estremo sempre O e ottenuta ruotando in senso antiorario s di un angolo pari ad a. Si estende la definizione nel cru:;o a < O ruotando in senso orario di 1111 angolo lai. Sia P = ( x p, yp) il punto in comune a <:cf e s' (ossia, { P} = '@' n s'). Si definiscono coseno e seno

  • Hin(o:) = yp.

    Segue immediatamente che devono valere le uguaglianze in tabella 4.2: Q

    cos(n) siu(a)

    o

    1r/2

    7r

    1

    o

    -1

    o

    o

    1

    31r/2

    21r

    o

    1

    -1

    Tabella 4.2: Coseno e seno di multipli dell'angolo retto.

    o

    Dopo aver notato che da a = 1r/2 + k1r, k E Z segue cos(a) = O, si definisce la # 1r/2 + k1r, k E Z:

    tangente di a per a

    _ sin(a) _ YP tanct ( ). Xp COS( Q)

    �.

    Similmente, per

    '·I

    a# k1r, k E Z si definisce la cotangente di a:



    cos(a) xp . cot(a) = = sin(a) 1/P Si osservi che nella Figura 4.2 i triangoli OCD e OAB sono simili, essendo retti in Ce A e avendo l'angolo x in comune. Dunque è verificata la proporzione OC: CD= OA: AB. F.osendo OC= cos(x), CD= sin(x) e OA = 1, segue che: CD· OA sin(x) · 1 · AB = ---,=-- = _...;.....;.._ = tan(x) cos(x) OC

    70



    .:j

    f

    MATEMATICA

    @ Artquiz

    I:�

    c�:1---

    Figura 4.2: Coseno, seno e tangente di un angolo x. Si noti infine che la stessa relazione valo anche se il punto D si trova in qualsiasi altro quadrante, tenendo in considerazione il segno di seno e coseno. Utilizzando il teorema di Pitagora e delle semplicissime considerazioni geometriche non è difficile dimostrfl.,re che per gli angoli 1r/3, 1r/4 e 1r/6 valgono i seguenti valori di seno e coseno: a

    cos(a)

    sin(a)

    tan(a)

    7r / 3

    1/2

    VJ/2

    V3

    1r/4

    V2 /2

    V2/2

    1

    1r/ 6

    VJ/2

    1/2

    -/3/3

    Tabella 4.3: Coseno, seno e tangente di angoli particolari. Esempio da Artquiz: Determinare il più grande tra i seguenti numeri: cos(40° ), sin(30° ), cos(20 ° ), cos(60 °) e sin(50° ) Si tratta di calcolare i valori delle funzioni proposte. Dopo aver osservato che se O < a < 90° vale sin(a) = cos(90 ° - a), tali valori sono, rispettivamente, cos(40° ), cos(60° ), cos(20° ), cos(60 ° ) e cos(40° ). Essendo il coseuo decrescente per angoli tra 0 ° e 90° , si conclude che il valore massimo tra quelli proposti è cos(20° ).

    4.3 Uguaglianze e relazioni trigonometriche Riportiamo di seguito una serie di identità e relazioni trigonometriche fonda­ mentali delle quali omettiamo le varie dimostrazioni. Dal teorema di Pitagora risulta evidente che: cos2 (x) + sin2 (x) = 1 per ogni x E JR.. 71

    Capito lo 4 Trigonome tr ia

    @ Artquiz

    Dalle definizi oni se gue immediatamente che: • -1 � cos(x) � 1, -1 � sin(x) � 1; • cos(x) = cos(x+21r), sin(�)= sin(x +21r); • tan(x) = tan(x+1r); • cos(x) = cos(-x), sin(x)= -sin(-x).

    " '

    Relazione tra seno e coseno

    sin(x) = cos (x- i),

    cos(x) = sin (x+i).

    a o o o o

    Siano x, y E JR, allo ra valgono le seguenti formule: Formule di duplicazione

    sin(2x) = 2 sinxcos x,

    cos(2x) = cos2 x-sin2 x.

    Formule di bisezione

    . 2( x/2 ) sm

    _ 1 -cosx , cos2 (x/2 ) 2

    o .o

    = 1 + cosx

    Formule di addizione e sottrazione

    sin(x+y) = sinxcosy+siny cosx; cos(x+y) = cosxcos y-sinx sin y; sin(x-y)= sinxcosy-sinycosx; cos(x-y) = cosxcosy+sinxsiny.

    o

    Formule di Werner e Prostaferesi

    sinxcosy·= �(sin(x+y) +sin( x-y)); 1 cosxcosy = (cos(x+ y) +cos(x- y));

    2

    sinxsiny= �(cos(x-y)-'cos(x+y)); x x sinx+sin y= 2 sin ( ; cos ( ; . . . x-y x+y smx-smy= 2 sm ( - -) cos ( - -) ; 2 2

    ,,,

    Y);

    y)

    I!. ' ,·

    ·'l r,

    COS

    X

    + COS y = 2 COS

    (

    X ; y) COS

    (

    X ; y)

    x y x cosx -cos y = -2 sin ( ; ) sin ( ; 72

    t'

    ;

    Y)

    o o

    MATEMATICA

    @ Artquiz

    Esempio da Artquiz: Il seno di un angolo di 75 ° è uguale a? Per la formula del seno di una somma vale:

    + 45° ) = sin30° cos45 ° + cos30° sin45°

    sin 75° = sin(30 °

    =

    v'3 v'2 = v'2 + v'6 = v'2 (1 + v'3). ! v'2 + 2 22 2 4 4 4 Esempio da Artquiz: L'espressione goniometrica sin(9a) - sin(3a) equivale a7 È un'applicazione diretta della formula di prostaferesi, cioè di:

    ,

    .

    .

    smx - smy =2sm dove x

    = 9a e y = 3a.

    (X - y) -

    2

    (X+ y)

    - cos -

    2

    - ,

    Si ottiene quindi:

    90 30 90 3 sin(9a) - sin(3a) =2sin ( ; ) cos ( ; a) =2sin (3a) cos (6a),

    4.4 Equazioni e disequazioni trigonometriche Un'equazione trigonometrica è una scrittura del tipo f (x) = O nella quale , in /, cpmpaiono una o pii1 funzioni trigonometriche, ossia coseno, seno, ecc. Ln. trattazione approfondita di tale argomento esula dalle finalità del p�·eseute manuale, pertanto ci limitiamo n.d analizzare gli aspetti principali emersi dai quiz passati. Equazioni elementari

    Le equazioni elementari souo quelle riconducibili alla seguente equazione: ·sin(x)

    = a,

    (4.1)

    ( oppure, cos(x) = a, ecc.). Si osserva preliminarmente che l'equazione 4.1 non ha soluzioni se !al > 1. Inoltre, siccome la funzione seno ha periodo21r, le soluzioni dell'equazione 4.1, qualora esistano, sono sempre del tipo a+2k1r e 1r - a+2k1r, con a E {O :5 x <21r} tale che sin(a) = a e k E Z. Invece, un'equazione del tipo: · cos(x ) = a,

    (4.2)

    qualora le soluzioni esistano (lal � 1), sono sempre del tipo ±a+2k1r, con a E {O x <21r} tale che cos(a) = a e k E Z.

    :5

    Esempio da Artquiz: L'insieme delle soluzioni in x dell'equazione trigonometrica: sin2 x -4 sinx + 4 = O è: Vuoto. Infatti, l'equazione equivale a ( sinx -2) 2 = O, ossia sinx =2. Dunque, non esistono soluzioni reali. Esempio: Si risolva in x l'equazione trigonometrica2cos2 x + cosx - 1 = O. Per semplificare la scrittura, conviene porre cos x = t. La soluzione dell'equazione di partenza è equivalente alla soluzione dell'equazione algebrica2t 2 + t - 1 = O, che ha soluzioni: . ��·, 1 -1 ± J1 +s = -1, ti, 2 = 2· 4

    73

    iru

    Capitolo 4 'Iì-igonometria

    © Artqui�

    Dunque, l'equazione proposta si può scrivere come 2(cosx + l)(cosx - 1/2) = O, le cui soluzioni sono gli x tali che cos x = -1 oppure cos x = 1/2. Si conclude che :e = 1r + 2k1r oppure x = ±1r/3 + 2k1r con k E Z.

    o

    Disequazioni

    Si osservi la relazione fondamentale per ::ieno e coseno: -1:::; cos(x):::; 1,

    -1:::; sin(x):::; 1,

    dalla quale segue che disequazioni del tipo sinx > a con a > 1 o sin x < a con a < -1 (lo stesso vale per il coseno) non ammettono solm�ioni. Viceversa, se lal � 1, allora si può procedere risolvendo l'equazione associata e poi guardando il cerchio trigonometrico in Figura 4.2 per stabilire l'insieme di soluzioni S nell'intervallo {O:::; x < 21r}. Influe, si considerano tutte le soluzioni (in JR) partendo da Se prolungando tale insieme per periodicità. Per le funzioni tangente e cotangente non ci sono problemi, in quanto entrambe assumono tutti i valori reali. Si faccia però attenzione: • che la funxione tangente è crescente;

    • che la funzione cotangente è decrescente;

    • che entrambe hanno periodo 1r (Matematica, § 5.4.3).

    Bsempio da Artquiz: Nell'intervallo { O :::; x < 21r} la disequazione cos :e > sin a: è verificata per: {O:::; x < 1r/4} U {51r/4 < x < 21r}. Infatti, la disequazione proposta equivale a sin :e sinx -- = tau x < 1 se cosx > O e a cosx -- = tau x > 1 se cosx < O. cosx Dalla Figura 4.2, si evince che:

    • nel primo caso le soluzio�i appartengono all'intervallo: {0

    s:; X< 1r/4} U {31r/2 <X< 21r},

    • nel secondo caso le soluzioni appartengono a:

    .

    {51r/4 <X< 31r/2}.

    I casi cos x = O, ossia x = 1r/2 oppure x' = 31r/2 sono immediati, e solo x' soddisfa la disequazione propoota. ._'Y . Dunque l'insieme di soluzioni è dato da: {51r/4 < x < 31r/2} U {31r/2} U {O:::; x < 1r/4} U {31r/2 < x < 21r}

    ;; ••

    {O :::; x < 1r/4} U { 51r /4 < x < 21r}.

    =

    Si noti che se le soluzioni si fossero cercate in tutto JR, l'insieme risolutivo sarebbe stato: {51r/4 + 2k7r < x < 91r/ 4 + 2k1r, k E Z}.

    74

    o o

    Capitolo 5

    Funzioni 5 .1 Introduzione Siano A e B due insiemi non vnoti. Diciamo che f è una funzione da A in B, e scriviamo f : A � B, se per ogni elemento :i; di A è associato un'nnico elemento y di B, e in tal caso scriviamo f(x) = y. L'insieme A è detto dominio, l'insieme B è detto codominio e y è detta immagine d� x tramite f. Nei casi di nostro interesse, dominio e codominio (spesso indicati con Dom(f) e Cod(f)) sono solitnmeute insiemi numerici o loro sottoinsiemi, quindi N, Z, Q o JR, mentre/ è solitamente data da una legge matematica, ad esempio f(x) = 2x + 3 oppure J(x) = 2x , ccc. Due funzioni f : A � B e .<J : A' -, B' sono ugna.Ii se e solo se A = A', B = B' e per ogni x E A = A' vale J(x) = g(:z:). � Le radici pari 11011 definiscono una fum:ioue. II problema non è dovuto al fatto che non ammettono argomenti negativi; basta infatti usare come dominio un sottoinsieme numerico contenente solo numeri positivi. II pro­ blema consiste nel fatto che la radice pari di un nmpero positivo non nullo ammette sempre un valore positivo e il suo opposto additivo. Ad esempio, ,&'4 = ±2. Quando si parla di una radice pari come funzione, si intende convenzionalmente che si considerano solo le radici positive, quindi in tal cuso varrebbe, ad esempio, .if.i = 2. Le funzioni si usano spesso per calcolare quantità che dipendono da nn certo valore indipendente, come si vede dal seguente esempio. Esempio da Artquiz: Un triangolo isoscele ha base lunga 12 cm e x rappresenta la lunghezza di ciascuno dei 2 Iati uguali. Quale formula espl'i�e l'area S del triangolo in funzione di x? L'altezza relativa alla base divide quest'ultima in 2 parti uguali (lunghe 6 cm ciascuna). Per il teorema di Pitagora h = .,Jx2 - 62 • La formula richiesta segue dal calcolo: S = bh/2 = (12\/'x 2 -62 )/2 = 6\l'x2 - 62 •

    5.2 Le proprietà delle funzioni Per descrivere una funzione è necessario preliminarmente definire alcune sue proprietà fondamentali. 75

    r

    I'

    © Artquiz

    Capitolo 5 Funzioui

    (

    5.2.1 Dominio di una funzione

    Spesso una funzione viene succintamente definita solamente tramite la legge f che determina come ottenere da un elemento x la sua immagine y = f(x). Un problema che spesso si pone è il seguente: fissata una legge f, trovare il più grande dominio D dove f è ben defluita (al posto del termine "dominio" vengono usati anche altri termini: insieme di definizione, campo di esisten�a, ecc.). Presentiamo un elenco delle situazioni più comuni: 1. se in f compare una frazione ��:� , si devono escludere dal dominio gli elementi x tali che h(x)

    =

    O;

    2. se in f compare una radici pari g(x) < O;

    yg{x), si devono escludere gli elementi x tali che

    2

    3. se in f compare un logaritmo Ioga g(x), si devono escludere gli elementi x tali che g(x) � O. Dall'elenco precedente si evince che per studiare il dominio di nna legge f si deve saper risolvere, rispettivamente, nel primo caso un'cquai,ione, negli altri due casi una disequazione (Matematica, § 2).

    Esempio da Artquiz: II campo di esistenza della funzione f(x)

    =

    1 ./x2

    -1

    L'insieme nel quale la radice ha senso e 11011 assume valore O, ossia x 2 ./x 2 - 1 =J=. O, dunque :.i: 2 > 1. Quindi il dominio D di f è dato da D = {x < -1 ex> 1}.

    �:: -

    1 ?: O e

    5.2.2 La funzione inversa

    Data una fun7,ione f : A --t B diciamo che f è invertibile se esiste una funzione g: B --t A tale che y(f(x)) = x per ogni x E A e tale che f(g(y)) = y per ogni y E B. Si può dimostrare che questo è possibile se e solo se: 1. per ogni coppia di elementi x, x' E A tali che x si dice che f è iniettiva;

    =J=.

    x' vale f(x)

    2. per ogni y E B esiste un elemento x E A tale che f(x) f è suriettiva.

    '

    '

    !r; � . : i�· -

    = y.

    =J=.

    f(x'). In tal caso

    In tal caso si dice che

    Si presti attenzione al fotto che non tutte le funzioni sono invertibili,, ad esempio f(x) = x2 11011· ammette una funzione inversa perché per ogni x =J=. O si Ivi x2 = (-x) 2 (oppure perché per ogni y < O non esiste x tale che x 2 = y). Spesso per l'invertibilità si chiede che la funzione f : A --t B sia solo iniettiva, e si considera come codominio l'im�ieme B' di elementi y di B che sono immagine di qualche elemento x di A, ossia tali che y = f(x) per un qualche x. Addirittura, se si restringe il dominio A di f ud un Rottoinsieme A' ç A, si può ottenere l'iniettività, e a quel punto si può considerare l'inversa della funzione f: A' --t B. Ad esempio, x 2 è bicttiva 1 nell'irn;ieme dei numeri positivi JR+ = {x?: O} e assume 1 Una. fun�lonc che è sfo iniettiva. che suriettivo è detta biettivo.

    76

    l

    © Artquiz

    MATEMATICA

    valori positivi, dunque l'inversa, y n = :1:. A titolo di esempio, riportiamo le principali fun�ioni inverse: r Funzione 1 1 1- 1 xn ,n ·pari v'x x", n dispari y'x ex Inx siux arcsinx cosx arccosx tanx arctaux

    I Dom(f-1) ]R+ IR IRJ" = {x [-1, 1] [-1, 1] IR

    0:

    � + ·-, ]R+

    I Cod(f-1) I Legge 1-1

    > O}

    ]R+ IR IR

    I t, �I [O, 1r]

    1-.t, �[

    y'x = y <=> y" = X y'x = y <=} y" = X In x = y <=> eV = x arcsìnx = y <=> siny = x arccos x = y <=> cos y = x arctan x = y <=> tan y = x

    Ta.bella 5.1: Elenco delle funzioni inverse principali. 3 -3 · Esernpw . d aIl'equazione: mversa e' espressa . d a A rtquiz: . L a fuuz10ne . . c1·1 f (x) -= --x

    3 3-y Infatti, dopo aver ristretto il codominio a {�: E IR tali che x # 3}, basta porre 3x - 3 y= da cui ottenere �:y = 3x - 3, poi xy - 3x = -3, quindi x(y - 3) = -3 e :i: cooì giungere all'eqnm�ione cercata. X=--.

    5.2.3 Zeri di una funzione Data una funzione f : A � B si definisce l'insieme degli zeri di f come l'insieme Z contenuto in A tale cbe per ogni x E Z vale f(x) = O e se x (/: Z allora f(x) # O. In tal caso, x E Z è detto 11110 zero di/. La ricerca dell'insieme degli zeri di una funzione si riduce-quindi alla ricerca delle soluzioni dell'equazione J(x) = O (Matematica, § 2). Esempio da Artquiz: La funzione f(x)

    4 = 4+x 2

    non ha zeri. Ilasta notare che il numeratore non assume mai valore O.

    5.3 Grafici di alcune funzioni fondamentali Data una funzione f : A� IR il grafico di/, scritto W(f), è il sottoinsieme del piano cartesiano i cui punti hanno coordinate (x, f(x)) al variare di x E A. Quindi, ad esempio, il punto di coordinate (1, e) appartiene al grafico di ex , infatti (1, e) = (1, e 1 ), mentre invece il punto di coordinate (O, O) non appartien e al grafico di ex in quant,o (O, e0 ) = (O, 1) # (O, O). Esempio da A1-tquiz: II grafico della funzione f(x)

    = log 1 0(x - 2):.

    Giace tutto nel primo e quarto quadrante. Infatti, il dominio deve essere·x-2 > O, quindi x > 2 (escludendo così il secondo e il terzo quadrante). Inoltre il logaritmo assume sia valori negativi che po8itivi, quindi il grafico giace sia nel primo che nel quarto quadrante. 77

    @ Artquiz

    Capitolo 5 Funzioni

    ,1

    +2

    (a) f(x)

    +2

    -2

    = x2

    (b) f(x)

    =x

    (e) f(x)

    3

    =e

    "'

    Figura 5.1: Grafici di funzioni {la parte).

    y

    +I.O +2.0

    +I.O

    ---·-"'·

    -�I.O

    (a) f(x)

    ·

    = ._fi

    (b) f(x)

    =

    (e) f(x)

    if:i;

    ------- -

    ;, t

    f.

    1.0

    y:

    +I.O

    7. ---·-

    +1.0

    ··-·x·

    �1.0

    I

    �2.0

    [,

    (a) f(x)

    ...3_0

    x

    -I.O

    -I.O

    = sinx

    (b) f(x)

    = cosx

    Figura 5.3: Grafici di funzioni {2a parte).

    78

    = h1x

    Figura 5.2: I grafici delle funzioni inverse della Figura 5.1.

    +I.O

    ii

    +4.0

    -3.0

    -I.O

    +2.0

    y

    ;, ,, ,.

    +3.0

    -I.O

    (e) f(x)

    = tanx

    © Artq11iz

    MATEMATICA yr

    '1

    yl

    +w2

    +I.O

    ·--- -Ù

    /f

    ----+I.O

    -I.O

    +I.O

    --·y

    (a)

    f(x)

    = arcsinx

    (b) f(x)

    x

    -ru2

    ___________ ,______.____.. -I.O

    +2.0

    ,

    = arccosx

    (e)

    f(x)

    = arctanx

    Figma 5.4: I grafici delle funzioni inverse della Figura 5.3.

    5.4 Limiti e calcolo differenziale 5.4.1 Limiti di una funzione In questo paragrafo si introducono i concetti e le definizioni di base che ci permette­ ranno di sviluppare la teoria dei limiti di una funzione. Introduciamo due nuovi elementi, indicati con +oo e -oo (si legga "più influito e meno influito"), aIFinsieme JR e definiamo il concetto cli intorno come segue: • un intorno I di xo E JR è un sottoinsieme del tipo I = { a < x < b} contenente xo;

    r

    • nn intorno I di

    +oo è un sottoinsieme del tipo I= {a< x} con a E;:: R.;

    • un intorno I di

    -oo è un sottoinsieme del tipo I= {x < b} con b E JR.

    Siaùo ora A e B sottoinsiemi di JR e f una funzione f: A � B. Inoltre, sia dato un elemento xo E JR o x 0 = ±oo tale che per qualsiasi intorno J di xo esista un elemento x E A nI. Si dice che il limite di f per x che tende as x 0 è L (con LE JR o L = ±oo) e si scrive: Iim J(x) = L

    :c ---U;o

    se e solo se per ogni intorno J di L esiste un intorno I di xo tale che per ogni elemento x E A n I vale J(x) E .J. Dalla definizione segue che, in generale, il limite di una data funzione non necessariamente deve esistere. Una funzione è continua in xo se vale: Iim f(x) = J(xo),

    :i:-t:co

    Tutte le funzioni elementari e loro somme, prodotti, inverse e composizioni sono continue. Per i limiti vale un'algebra (che riportiamo qui di seguito) per la quale si intende chef: A -+ JR e g : A� JR sono due funzionf per le quali hanno senso le qpei-azioni specificate e xo E JR o xo = ±oo è tale che ha se:t;1so il calcolo dei limiti. Inoltre, dato

    79

    TP

    @ Artquiz

    Capitolo 5 Funzioni e E JR, si assume convenzionalmente che:

    (±oo) + (±oo) = ±oo; (±oo) · (±oo) = +oo; -

    I:

    c

    ±

    =

    00

    ± oo +e = ±oo; (±oo) · (=Foo) = -oo; ± oo·c= {±oo see> O

    O· )

    =fOO se c < O.

    Non sono definite invece le operazioni:

    11

    ±oo ±oo'

    ±oo· O;

    +oo + (-oo);

    o -·

    ±oo



    o'

    Con queste premesse, e dati: lim (x) x-+xo f

    = L;

    lim g x) = L' x-+xo (

    si può dimostrare che valgono questi limiti: lim (x + g( x) = L + L'; x-+xo f ) ( ) Hm f x = �x-+xo g( X) L' '

    lim (x · g(x) = L · L'; x-+xo f ) lim x-+xo

    (5.1)

    lf(x)I = ILI.

    (5.2)

    Per alcuni importati casi, non definiti dall'algebra dei limiti, si può dimostrare che valgono i seguenti limiti: xn lim x-++oo ax

    Iog a x = O; lim xn Ioga x Iim x-++oo x x-+0 . 1 x In{l + x) hm (1 + - ) = e; hm ---- = 1; x-+±oo X x-+0 X . sin x ' 1- cos X I1m -- = 1 ; Ilm x-+0 X x-+O x"

    = Oi

    n

    .

    = O;

    per ogni n E N, a> 1;

    -

    . cx 1 hm --X-+0 X

    = 1;

    = 1/2.

    1. 4

    2x11 Esempio . da A rtquiz: . L'espressione . 1· 1m C7i + x è : • x-+O 1 + vx3 O. Infatti, si tratta di un limite che si può calcolare direttamente, essendo tutte le funzioni elementari e quindi continue. Dunque, x11 tende a O così come ./x3 e ovv iamente x stesso. Applicando poi l'algebra dei limiti delle uguaglianze 5.1 e 5.2 si

    I�

    ottiene che l'espressione data è del tipo � 1+0

    1:· [t, I!

    Il1,,

    t

    5.4.2 Derivata di una funzione

    ltl

    I

    + O, e il limite tende quiti,tli a O.

    I

    ''

    Data una funzione f : A -+ JR la derivata di f in un punto xo interno al dominio A è data dal limite del rapporto incrementale: I1. m x-+xo

    f(x) - f(xo) X - Xo

    ,

    purché detto limite esista e sia finito (cioè sia un numero reale).

    80

    (5.3)

    MATEMATICA

    @ Artquìz

    II significato matematico e geometrico della derivata è legato aIPandamento della funzione f nelle vicinanze di xo; infatti, la derivata "quantifica" la relazione tra f(x) e f (xo) contenuta nel termine J(x) - J(xo) (si veda la definizione 5.3) rispetto alla variazione di x vicino a x0 (variazione contenuta nel termine x - xo della definizione 5.3). In altre parole, si studia come varia la variabile dipendente f(x) in relazione alla variazione della variabile indipeJ?.dente x vicino xo. Nel caso in cui una funzione f : A � JR sia derivabile per ogni x E ,:4 si dice che tale funzione / è derivabile. In tal caso, facendo uso della notazione: J(x) - J(xo) 1.lm _ X-tX f'(Xo) u X - XQ si può defluire una nuova funzione f' :. A � R, detta la derivata prima di /. Ripetendo questo procedimento, ove possibile, si ottengono la derivata seconda, t erza e cosi · , via . (f" , f"' , . . . J(i) , .... ) Non è difficile dimostrare che valgono le seguenti regole per la derivazione di somme e prodotti di funzioni: (J + g)'(x) = J'(x) + g'(x);

    · (Jg)'(:i:) = J'(x),q(x) + J(x)g'(x). (5.4) Inoltre, sotto opportune condbdoni di generalità, si può dimostrare che la derivata di una composizione di funzioni/ e g e della funzione inversa 1- 1 verificano le seguenti uguagI•ianze: I

    (J g)'(x) = J'(g(x)). g'(x);

    u- )'(x)= � ... . � 1

    �� .

    Utilizzando anche le considerazione sul calcolo dei· limiti, si può dimostrare che per le funzioni elementari le relative funzioni derivate sono le seguenti: Funzione costante

    Derivata

    Inx

    1/x 1/ (x In a)

    a

    x ex ax

    Ioga x

    Funzione sinx

    o

    Derivata cosx

    cosx -sinx ta.nx 1 + tan 2 x arcsinx 1/-/1- x2 arccos:t: -1/-/1- x2 arctanx 1/(1 + x2 )

    axa-1 ex , ax Ina

    Tabella 5.2: Elenco delle fm1zioui derivate principali. ,' Infine, con il termine integrale indefinito di una funzione f: A� R si intende una qualsiasi funzione F : A � R tale che F' = f per ogni x E A e si scriverà: F' =

    j

    f(x) dx.

    Esempio da Artquiz: La derivata della funzione J(x) = 5x+2 Inx (con Inx logaritmo in base e di x) è: 5+2/x. Infatti, si usano le regole di derivazione in 5.4 in quanto si sta trattando la derivata di una somma, quindi si ottiene la somma delle derivate di 5x e 2 In x: a loro volta questi due termini sono prodotti, quindi con la regola 5.4 per il prodotto e dalla Tabella 5.2 si giunge a (5)'x+5(x)' +(2)' Inx+2(In x)' = 0,x+5· 1+0-In x+2· (1/x) = 5+ 2/x.

    81

    Capitolo 1 G!:andezze fisiche e uuità di misura

    f'.[f �h

    @ Artquiz

    Ogni gra11 dez1.a fisica è caratterizzata da una unità di misura, oltre alle unità fon­ damentali esistono quelle da esse derivate che hanno delle dimensioni legate alle leggi dalle quali vengono derivate. Il calcolo dimensionale permette di verificare la corret­ tezza di qualunque espressione di una grandezza fisica. L'espressione delle dimensioni di una grandezza fisica si indicano come potenze in parentesi quadra dei simboli delle dimensioni delle grandezze fondamentali. Per la meccanica i simboli sono L per la lunghezza, M per la massa, T per il tempo. Ad esempio: • le dimensioni della velocità sono: [velocità] = [spazio)/[tempo] • le dimensioni del volume sono: [volume) = [L3 ].

    =

    [L]/[T];

    Altro sif>tema adottato in passato era il CGS, che utilizza come unità di misura fondamentali il centimetro, il grammo e il secondo. Per passare da un s�tema di unità di misura ad un altro occorre utilizzare i fattori di conversione, ad esempio 1 metro= 100 cm.

    Il

    o

    ,I

    1.2 Multipli

    e

    sottomultipli delle unità di misura

    In fisica, visto il grande intervallo di valori che si può incontrare nel misurare una stessa gro.ndez¼u., è necessario l'uso di multipli e sottomultipli: ' ·� p

    1,, :'1 '1 I





    M ulflpl'l =

    : ·.l� ,j

    ·;

    jl·

    • i: 'I "

    r. ·�

    exa: peta: tera: giga: { mega: kilo: etto: deca:

    101s 10 15 1012 1 09 100 103 102 101

    1.3 Grandezze scalari

    Unità: 10° .

    e

    deci: centi: milli: micro: nano: pico: femto: atto:

    Sottomultipli �

    vettoriali

    I risultati di una misura possono esse re espressi da due tipi diversi di grandezze. Il primo tipo è costituito dalle grandezze scalari che, una volta stabilita una unità di misura, sono definite da un numero. , Il secondo tipo è costituito dalle grandezze vettoriali, che sono definite solo quando di esse si conoscano il valore numerico (modulo), una direzione e un verso. Anche il punto di applicazione di una grandezza vettoriale può essere importante. I vettori godono di proprietà. particolari, come di seguito indicate. Il prodotto di n:n grarnlezza scalare per un vettore è sempre un vettore.

    M: '' i l

    .I

    I I

    � I

    1 0-1 10-2 1 0-3 10- 0 1 0- 0 10-1 2 1 0- 15 10-18



    Somma tra due vettori 1. a+b=c; 2. regola. del parallelogramma (Fig. 1.1 ). 84

    o

    @ Artquiz

    FISICA

    ·�-__:.--�e

    (a)

    e

    e o o

    (b)

    O

    B

    b

    Figura 1.1: Somma di due vettori secondo la regola del parallelogrammo. II vettore c, somma dei vettori a e b, è la diagonale del parallelogramma costruito con i vettori a e b disposti in modo da avere l'origine in comune. Differenza fra due vettori 1. e= a - b;

    2. e= b- a. A

    A

    1

    2

    Figura 1.2: Differenza tra due vettori. Nella parte 1 della figura è indicata la differenza e = a - b. Nella parte 2 della figura è indicata la differenza e= b - a. Prodotto scal are di due vettori Si veda la Figura 1.3.

    A•B=

    IAf • IBI • cos 8

    Figura 1.3: Prodotto scalare di due vettori.

    85

    @ Artquiz

    Capitolo 1 Grande7.7.e fisiche e nnità di misura

    '�11 'I

    Questo prodotto dà come riimltnto una grn.ndez1.a scalare il cui valore è il prodotto dei due moduli per il coseno dell'angolo fra. i vettori. Il prodotto scalare è simmetrico, cioè non dipende dall'ordine dei fattori.



    Prodotto vettoriale di due vettori



    Si veda la Figura 1.4.



    :1

    11 �i

    �·lii 11

    B x A :;; IBI • IAI • sen {)

    �!

    '

    il�. •I

    o

    ,,

    i

    ..

    l:·_

    A x B = IAI • IBI • sen {)

    1

    ,,

    ;,. t1·�

    t: 1

    ':1•

    Figura 1.4: Prodotto vettoriale di due vettori. Il prodotto vettoriale fra, due vettori vieue indicato con il simbolo x. La dirc-.lionc del vettore prodotto è perpendicolare al piano definito da A e B. Il verso è dato dalla regola della vite. Il prodotto vettoriale è una operazione 11011 simmetrica in quanto A x B -# B x A.

    t

    ,..f.

    1.4 Errore assoluto e relativo

    \I I

    .1•· 1 �1 '

    '

    I.,:' ,,; '

    Quando si effettua una misura, il valore ottenuto non è generalmente preciso, quindi il numero

  • .i

    t

    ,l



    lojj i,,n

    86

    Capitolo 2

    Cinematica 2.1 Introduzione La cinematica è quella branca della meccanica che studia il moto di un corpo, mentre non si occupa delle cause del moto. Il corpo viene locali'l'lato in un punto (punto rappresentativo del corpo, a
    2.1.1 Moto rettilineo uniforme Considerando: •

    Xo

    = posizione al tempo t;

    • x • vo •

    v

    • a

    = posizione iniziale;

    = velocità ini'liale;

    =

    velocità al tempo t;

    = accelerazione. 87

    ·I

    Capitolo 2 Cinematica

    @ Artquiz

    Le equazioni che caratterizzano il moto rettilineo uniforme sono:

    x = xo + vot;

    V= Voi

    a=O;

    v=

    x-xo

    t

    X

    X

    Vo

    t

    t

    J.i'igura 2.1: Moto rettilineo uniforme. L'equazione dello spostamento (Fig. 2.1 a sinistra) è un > equazione di primo grado dove il coefficiente angolare è la velocità; mentre Pequazione della velocità (Fig. 2.1 a destra) è rappresentata da una retta oriizontale.

    2.1.2 Moto rettilineo uniformemente accelerato Le equazioni che descrivono il moto rettilineo uniformemente accelerato (Fig. 2.2) sono:

    a

    = costante;

    dove,

    Vm

    =

    v = vo + at;

    Vm=

    1

    x = xo + vot + at2 i

    vo+v 2 ;

    2

    a=

    v-vo t

    velocità. media.

    X

    V

    Xo

    t

    t

    Figura 2.2: Moto rettilineo uniformemente accelerato.

    .,

    ·1

    I

    t

    f,. �

    h:t ,;l �

    J

    lj

    L'equazione dello spostamento (Fig. 2.2 a sinistra) è un'equazione di;secondo gra,.. do (segmento di parabola) dove il coefficiente angolare è la velocità> mentre l'equa­ zione della velocità (Fig. 2.2 a destra) è rappresentata da una retta il cui coefficiente angolare è l'accelerazione ..

    2.2 Moto in un campo gravitazionale e la balistica La caduta dei corpi in un campo gravitazionale è un moto uniformemente accelerato. La accelerazione di gravità è g = 9 >81 ms- 2• La balistica è un esempio di moto in due dimensioni che studia il movimento di un

    88

    .,

    FISICA

    @ Artquiz.

    proiettile lanciato in presenza di un campo gravitazionale. Per proiettile si consideri qualunque oggetto battuto o lanciato con una generica velocità iniziale e lasciato libero di percorrere la sua traiettoria (8i trascura l'attrito dell'aria e la rotazione della �erra). Il moto osservato è di tipo parabolico, perché è presente una acceleraiione costante lungo l'asse y dovuta alla gravità (Fig. 2.3). y Vy

    ig

    =0

    VxO

    VyO

    �(!-----------,,--

    .

    X

    Vxo

    Figura 2.3: Moto parabolico.

    ··� �



    In particolare la componente del moto lungo l'as::;e x è un moto rettilineo uniforme, mentre il moto lungo l'asse y è un moto uniformemente accelerato. Le condizioni iniziali sono: Vox

    = Vo · cos0o

    'Voy

    = vo · sen00

    Durante la traiettoria avremo:

    Vx = Vox = VQ • COS0o ay = -g ax = o Le componenti dello spostamento saranno: x - Xo

    = Vox · t

    y - 'Yo

    Vy

    = Voy - g · t

    = vo11 • t - 21 g · t2

    Se punto di partemm e punto di arrivo sono alla stessa quota si può ca,lcolare facilmente la gittata G del proiettile: G

    = v5 · sen20o

    g Questa relazione mostra che la gittata dipende dal quadrato della velocità di partenza ed è massima quando sen:200 = 1, cioè quando l'angolo di partenza è 00 = 45° .

    2.3 Moto circolare uniforme Il moto circolare uniforme è il moto di un punto P che si muove lungo una circon­ ferenza di raggio R con velocità costante in modulo (Fig. 2.4). La velocità v con cui si muove il punto si chiama vèlocità lineare. Il moto è soggetto ad una accelerazione centripeta (perpendicolare alla velocità e diretta al centro)· in quanto la velocità pur rimanendo costante in modulo cambia continuamente direzione. La velocità con cui ruota il raggio R è la velocità angolare w (detta anche pulsazione).



    89

    '

    © Artquiz

    Capitolo 4 Statica

    Uequivoco fra massa e peso nasce dallo scorretto uso delle unità di misura nel linguaggio comune. Vunità di misura della massa è il kg, mentre J >unità di misura del peso è il Newton (talora si usa il chilogrammo peso). Quindi, quando diciamo che un uomo pesa 60 kg ci riferiamo alla sua massa, se diciamo che pesa 588 Newton ci riferiamo al suo peso.

    4.3 Densità e peso specifico La densità d (o anche p) è il rapporto fra massa e volume (d = ; ) di un corpo e si misura in chilogrammo per metro cubo [ML- 3]. Ad esempio la densità de!Pacqua è 1.000 kg/m3 . Il peso specifico è il rapporto fra peso e volume (peso specifico = peso/volume). Il p·eso specifico relativo è il rapporto fra il peso di una sostanza e quello di un uguale volume di acqua distillata a 4 °Celsius e quindi un numero puro.

    4.4 Forze elastiche Le forze elastiche si osservano ad esempio quando si tende un elastico o una molla. F = -k-x. Il segno meno nella equazione è dovuto alla forza di richiamo che si oppone all'allun­ gamento, quindi riassumendo, per una forza elastica, avremo: F = m · a = -k · x. La forza elastica di richiamo è proporzionale ma di verso opposto alla accelerazione.

    4.5 Forze di contatto 4.5.1 Reazioni vincolari Un corpo in quiete appoggiato ad una superficie piana, sperimenta una forza uguale e contraria a quella di gravità F0 che viene chiamata forza di contatto o reazione vincolare del piano Fc : Fc = -F9 •

    '

    [r·

    '· •·, Le reazioni vincolari sono quelle che impediscono ai corpi immersi in un campo gravitazionale di penetrare nei piani di appoggio. I

    ' i/-t·

    t�t

    J�

    I,.,I

    4.5.2 Forze di attrito L >attrito è una forza di contatto, che una superficie di un qualsiasi materiale esercita sulla superficie di un corpo a contatto con essa. La forza di attrito è parallela alle superfici di contatto e si oppone al moto del corpo. Ogni coppia di materiali è caratterizzato da un coefficiente di attrito µ.

    96

    o

    © Artquiz

    FISICA

    4.5.3 Pulegge e corde flessibili Una puleggia (o carrucola) è un dispositivo (macchina semplice) che consente di variare la direzione di una forza. Una corda flessibile trasmette una forza solo nel senso della lungher.lza. 4.6 Statica dei corpi estesi La prima legge della dinamica è una condizione necessaria ma l'equilibrio di un corpo esteso.

    11011

    sufficiente per

    Importanza del punto di applicazione delle forze nei corpi estesi Il primo principio della dinamica assicura l'equilibrio traslazionale (:EF = O) solo se il punto di applicazione è sempre lo stesso per tutte le forze applicate. Quando le forze applicate ad un corpo esteso sono applicate in punti diversi del .corpo il corpo può entrare in rotazione (Fig. 4.1).

    ---

    F2

    Figura 4.1: Corpo este_cw sottoposto ad una coppia di forze parallele di u_quale entita ma di verso opposto applicate in punti diversi del COTJ)O.

    Il corpo in Figura 4.1 non è in equilibrio e tende a ruotare. Le linee di azione delle forze non coincidono e non passano per il baricentro del corpo, pertanto, anche se F1 + F2 = O il corpo non è in equilibrio. 4. 7 Momento di una forza La grandezza fisica che misura l'intensità del movimento rotatorio indotto da una forna si chiama momento della forza r). Supponiamo una barretta r libera di ruotare intorno al vincolo O (Fig. 4.2).

    --· o

    Figura 4.2: Momento di una forza.

    97

    Capitolo 6

    Dinamica dei corpi estesi Le condi�ioni di equilibrio statico per un corpo esteso rigido sono: �r = O;

    �F = O.

    Tali condizioni sono necessarie ma non sufficienti (se un corpo è già in moto con­ tinuerà a muoversi, se sta ruotando continuerà a ruotare). Se vogliamo variare la quantità di mdto deve essere: �F =/:- O. Analogamente per variare la velocità angolare deve essere: �r = =/:- O.

    6.1 Momento d'inerzia e momento angolare Si introduce a questo punto una nuova grande��a, il momento di inerzia I rispetto ad un a.sse di rotazione (Fig. 6.1), dove m è la mussa del corpo alla distan�a r dall'asse di rotazione.

    Figura 6.1: Momento d'inerzia di un corpo libero di ruotare intorno ad un asse O. Il momento d'inerzia J del corpo in Figura 6.1 è dato da: J = m · r2 • Per un corpo esteso di massa M = �mi dove mi è l'elemento di massa del corpo alla distanza ri dall'asse di rotazione, il momento d'inerzia risulta: J = �mi1'?. Se vogliamo variare la velocità di rotazione di un corpo esteso dovremo applicare ad esso il momento di una forza r. La legge di variazione della velocità di rotazione è: Ttot = I · a dove, a è l'acce­ lerazione angolare. Cioè il prodotto del momento d'inerzia per l'accelera�ione rotazionale è uguale alla somma dei momenti applicati ad esso. Questa legge è l'analogo rota;1,ionale della seconda. legge della dinamica (F = m · a), infatti,_il momento d'inerzia è l'analogo della massa e l'accelerazione angolare a è l'analogo dell'accelerazione; la diffel'enza sostanziale è che mentre la massa è una proprietà intrinseca dei corpi che non varia 105

    © Artquiz

    Capitolo 6 Dine.mica dei corpi estesi

    nello spazio e nel tempo, i momenti di inerzia dipendono da!Passe di rotazione: al variare di esso (o al variare di 1·i) varia anche il momento di inerzia. Quindi un corpo , esteso può possedere infiniti momenti d inerzia (per quanti possono essere gli assi di rotazione). Per un corpo in rotazione si definisce come momento angolare L ( detto anche momento della quantità di moto) il prodotto: L=I ·w dove, I è H momento di inerzia e w è la velocità angolare. L è un vettore diretto lungo Passe di rotazione ed è Panalogo rotazionale della quantità di moto (p = m · v). I

    A questo punto possiamo ricavare la seconda legge della dinamica. generalizzata per il moto rotatorio:

    ,

    I;

    6.w 6.L ET= I· a= I, - = -. 6.t 6.t

    ' ,' !.

    1l·

    ,

    !1 .. -� !

    o

    Questa legge ci dice che:

    I·I

    1. la somma dei momenti agenti su un corpo è pari alla variazione nel tempo del momento angolare ed è analoga alla F = 6.p/ 6.t vista precedentemente;

    JL

    2. se su di un sistema non agiscono dei momenti di forze, il momento angola.re non vn.ria (tale enunciato costituisce il principio di conservazione del momento angolare, a.nalogo a quello di conservazione della quantità di moto in assenza cli forze).

    '

    i�

    i, ,I

    i '

    ,I

    lt

    6.2 Urti

    1

    Possiamo dividere gli urti fra due corpt m due cutegorie: urti elastici ed urti anelastici (sebbene esistono situazioni intermedie).

    :11. i;.



    Urti completamente elastici

    Sono caratterizzati dalla conservazione della quantità di moto totale p

    1

    .

    =

    m·v e

    .

    delPenergia cinetica totale �( = m · v (vedi i principi di conservazione nei sistemi 2 conservativi). Dopo Purto, c >è conservazione di p e di J(, Punica soluzione possibile è J >inversione del moto iniziale (ad esempio il rimbalzo di una palla perfettamente elastica).

    ,,. :i-

    , 1.

    "

    ·!'

    \[

    t�:: ... i

    Urti completamente anelastici

    2

    ,:,:1.

    Sono caratterizzati dalla conservazione della quantità di moto totale, mentre Penergia cinetica si trasforma, almeno i:Q parte, in calore (ad esempio il proiettile che colpisce e penetra in un albero).

    f

    " •rlt

    �f

    106

    o

    Capitolo 7

    Meccanica dei fluidi I liquidi hanno volume definito, come i solidi, ma non hanno forma. definita (completa deformabilità dei fluidi), mentre i gas non hanno né forma nè volume definito. La massa dei fiuidi è distribuita nel volume occupato, e per caratterizzare la distribuzione di uu fluido nello sp�io usiamo il concetto di densitii p (o n.uche ,1): dove, m. = massa e V

    1n p= V

    = volume.

    I liquidi sono poco comprimibili, quindi la. densità di un liqnido 'è nornmlmcl!te costante in t;ntte le sue parti. Si definisce come densità relativa quella riferita all'acqua., presa come unità (la densità relativa è un numero puro). La densità dell'acqua è 1.000 kg/m :l a 4 °C.

    7.1 Statica dei fluidi. La pressione Si definisce come pressione in un liquido in quiete il rapporto fra il modulo della. componente della forz_a perpendicolare ad una superficie generica (anche all'interno del liquido) e la superficie ste.
    Fn

    p= J!hl. 6S

    Figura 7.1: Pressione in un liquido in quiete. La pressione, in un punto cli un liquido in quiete, è la. stessa quahmq11c sia. la superficie scelta in quel punto (se non fosse così il liquido entrerebbe in movimento, ma allora non sarebbe più in quiete). Nei fluidi in quiete la pressione è una grandezza scalare. La pressione si indica con p (o anche P) e le sue dimensioni sono M L- 1 T- 2• 107

    1

    © Artquiz

    Capitolo 7 Mcccnnica dE>i fluidi

    7.1.1 Unità di misura della pressione

    '

    L'unità di misura della pressione nel S.I. è il Pascal (Pa) = Newton/m2 • Altre unità di misura usate sono: • Atmosfera: 1 atm = 1,013 · 10 5 Pa = 760 Torr; • Bar: 1 bar = 10 5 Pa; • Torr (mmHg): 1 torr = 133 Pa. La pressione totale ?tot in una miscela gassosa è la somma delle pressioni parziali Pi:

    I

    '

    ;I

    Ptot

    =

    BPi.

    i!,;j;

    In un fluido in quiete le forze tangenti alla superficie limite sono nulle (altrimenti si avrebbe scorrimento degli strati superficiali fino aWequilibrìo). Ne segue che le forze agenti su di un corpo immerso in un fluido sono perpendicolari alle superfici

  • "•.,

    7.1.2 Pressione idrostatica

    ,.

    r ,'l..i

    u�,�' ,.

    11'

    '

    •j

    J

    ,1f:

    \

    '

    Se si considera solo il peso del liquido la pressione dipende dalla quota h (distanza verticale dalla �mperficìe libera) secondo la legge di Stevino:

    P=Po+ p · g · h

    li,

    dove, Po è la prcssio11e esterna al liquido e g è la accelerazione di gravità. La legge di Stevi110 si applica solo ai fluidi con densità (p) costruite.

    :;

    r,

    \ ,f

    q

    7 .2 Spinta di Archimede .

    lii I• I

    I

    I

    Il i

    Il principio di Archimede afferma che: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l'alto uguale al peso del liquido spostato.

    La spinta di Archimede SA è dovuta alla diversa pressione agente sulle superfici superiore e inferiore del corpo di ,altezza .6h immerso in un fluido di densità d (Fig. 7.2).

    ,, :�1¼'· 1 ', ,. I

    �,

    � ·'

    I•

    .j

    :·�

    P1 = dgh1

    ,.j

    I

    V= Sf.h

    ------ ·- ----..... P2 = dgh2 108

    ..

    Figura 7.2: Spinta di Archimede.



    © Artquiz

    FISICA

    La spinta di A rchimecle è dovuta ai diversi valori della pressione sulle superfici del solido (nella Fig. 7.2 un cilindro) immerse nel liquido. Le pressioni sulla superficie laterale del cilindro si annullano a vicenda e non contribuiscono alla spinta di Archi­ mede, quelle sulle basi del cilindro hanno valori diversi e quindi generano la spinta di 'Archimede SA. La spinta cli Archimede è una forza e, in base alla legge di Stevino e al principio che F = p · S, avremo:

    SA

    =

    P2 · S- P1 · S

    = d · g · h2 - d · g · h1

    · S = d · g · S · l:l.h

    = d · g ·V = m · g

    dove, m è la massa del liquido spostata dal corpo. Questa relazione, ricavata per un cilindro, è generalizzabile per nn corpo immerso di qualunque forma. Gli effetti della spinta di Archimede dipendono dalla forza di gravità, dal rapporto fra le densità del liquido e del corpo in esso immerso. Se il liquido è piil denso il corpo galleggerà: se il liquido è meno denso il corpo andrà sul fondo, i.n caso di uguaglianza avremo eq11ilibrio. La spinta di Archimede nei gas è circa un millesimo di quella in acqua. La densità dell'acqua è maggiore di quella del ghiaccio, e la massima densità dell'acqua si ottiene alla temperatura di 4 °C.

    7.3 Dinamica dei fluidi Il moto dei fluidi è un fenomeno complesso e non esiste uu unico modello concettuale per descriverlo. Una grandezza che descrive il moto di un fluido che scorre con velocità v all'interno di un condotto è il flusso o portata Q, ·definito come il volume V che attraversa la sezione S del condotto nell'unità di tempo (Fig. 7.3).

    s Figura 7.3: Flusso di un liquido all 1interno di un condotto.

    vdt )

    Ricordando che il volume V= S · v · dt, segue che: Q =

    V S·v·dt = .. dt

    = S · ·u.

    Equazione di continuità del flusso per liquidi incompressibili Si veda la Figura 7.4.

    dt

    F,

    l '.

    kJ �

    Figura 7.4: Equazione di continuità per un liquido incompressibile.

    Dall'analisi della Figura 7.4 emerge che: • Il volume che attraversa nel tempo dt la sezione 1 è: dVi

    = S1 · v 1 '. dt.

    • Il volume che attraversa nel tempo dt la sezione 2 è: dVi

    = S2 • v2 • dt. 109

    @ Artquiz

    Capitolo 7 Meccanica dei fluidi • Essendo il liquido ìucompressibile risulta essere: S 1 · v 1 · dt S1 · v,

    = S2 · V2.

    = S2 · v2 · dt, ossia:

    o

    • La velocità all'interno del condotto e inversamente proporzionale alla sezione. r,,

    'I

    ,,il-

    IJ· t,!

    I!:

    r �I

    ,,�IILI.»

    Equazione di Bernoulli

    Questa equazione è valida per un sistema conservativo, cioè per un Huido incom­ pressibile e privo di attriti che scorre in 1111 condotto rigido nel quale si riscontrano variazio1 1i di sezione e di quota: Si applica il principio di conserva'l,ione dell'energia, pertanto l'energia totale di un liquido perfetto in moto stazionario attraverso un con­ dotto rigido di sezione e quota variabile è costante nelle diverse se'.lioui

  • + pgh1 + 2 pv 1 = P2 + p.Qh2 + 2 pv2 2 = costante 1

    2

    1

    dove, p = pressione, p = densità, !J = accelerazione di gravità, h.= quota, v

    = velocità.

    11

    I fluidi reali sono viscosi e la viscosità di un liquido dipende dalle forze di attrito interno che ostacolano lo scorrimento delle molecole:� ii, movimento.

    i :: 1·

    Tensione superficiale

    ,.

    I,•

    �·-I!;.,! �� 1 t'

    'I

    ' !ì

    1�1

    Nello studio dei liquidi è importante prendere in c0 1 1siden\.'l,io 1 1e le spechùi for:,,,e che si manifestano alle loro superfici, quali conseguenze delle forze di coesione tra le molecole del liquido (forze attrattive). La superficie di un liquido si comporta, in un certo sem;o come mia mc1nbrana te�m, per aumentare l'arca. snperficia.lc di un liquido bisogna quindi compiere un lavoro. La tensione superficiale è una energia
  • 'Serveremo che:�· • se il menisco è concavo avremo un innalzamento della colonna

  • 110

    Q

    D

    Capitolo 8

    Termodinamica 8.1 La temperatura La temperatura T (o anche t) è la misura dell'energia cinetica molecolare interna. media di un corpo. Più la temperatura è alta più l'agitar.ione termica delle molecole in esso contenute aumenta. Quando due corpi, a differenti temperature, entrano in contatto tendono nel tempo a raggiungere l'equilibrio termico, cioè ad avere la stessa tempera.tura. La grandezza. che i chtc corpi si scambiano per raggiungere l'equilibrio termico è il calore Q. Il calore transita. dal corpo piii caldo a quello più freddo. Il calore è una forma di energia. 1\1tti i corpi si dilatano all'amnent.are della temperatura. (unica. eccezione l'acqua che nell'intervallo fra. O e 4 °C si contrae ragghmgcmdo il massimo cli densità), in ge­ nere i liquidi si
    8.1.1 La misura della temperatura Le scale di misura della temperatura più comunemente usate sono tre. La scala di temperatura Celsius ( ° C) 1:ii costruisce attribuendo il valore di O °Calla temperatura del punto H1:i1:iO del ghiaccio (cioè alla temperatura di fusione del ghiaccio alla pressione di 1 atmosfera) e 100 ° C alla temperatma del punto fil:iso del vapore acqueo (cioè alla temperatura di ebollizione dell'acqua alla pressione di una atmosfera). La scala di temperatura Fahrenheit ( ° F) si costruisce attribuendo il valore di 32 ° F al punto fisso del ghiaccio e 212 ° F al punto fisso del vapore acqueo. Questi sono i fattori di conversione fra le due scale:

    = �9 (TF

    - 32 °F) e Tp

    =

    �-(Te + 32 °F). 5 La terza scala di misura della temperatura è la scala ussoluta delle temperature (scala Kelvin K) che differisce d�la scala Celsius per la sccl�a della temperatura zero (lo zero della temperatura Kelvin è lo zero assoluto). Te

    TI(

    = Te + 273, 15 I<.

    Nel sistema internazionale (S.I.) ::ii utilizza la scala Kelvin. 111

    �,�! i· ! ;,

    Capitolo 8 Termodinamica

    @ Artquiz

    8.1. 2 Il calore Quando due corpi a differenti temperature entrano in contatto tendono nel tempo a raggiungere l'equilibrio termico, cioè ad avere la stessa temperatura. La grandezza che i due corpi si scambiano per raggiungere l'equilibrio termico è il calore Q. Il calore transita dal corpo più caldo a quello più freddo, cd è una forma di energia. Se si fornisce calore a una sostanza la sua temperatura generalmente aumenta secondo la legge:

    ;1

    I:I

    r

    L

    Q = C · !J.T

    = m · e · !J.T

    dove, m = massa, c = calore specifico (calore per unità di massa), C = capacità termica della sostanza. L'unità di misura del calore nel S.I. è il Joule J (il calore è una forma di energia), e le dimemlioni sono [M L2 r- 2 ]. Un'unità storica della misura del calore era la caloria (cal). L'equivalente meccanico della caloria è: 1 cal = 4,18 J. Questa equivalenza fu dimostrata da Joule in uno storico esperimento. Quindi il calore specifico è la quantità di calore da somministrare ad una unità di massa di una sostanza per aumentarne la temperatura di un grado. L'acqua possiede un calore specifico molto elevato. Mescolando fra loro le masse m 1 e m2 di due liquidi della stessa natura, ma a temperature differenti, la temperatura finale della miscela è data dalla relnzioue: Tp

    =

    m1 · T1 m1

    + m2 · T2 + m2

    Quando si mescolano due sostanze con calori specifici c 1 e c2 differenti la relazione diventa: Tp

    :I:

    ,,

    li'

    J. ..

    l'Ì iv ' '.

    ,

    1

    e'

    L �;

    IJ1f I.

    · m1 · T1 + c2 · m2 · T2 = c1 ---------c 1 · m1 + c2 · m2

    Il trasporto del calore all'interno di uno stesso corpo o da un cOl'po all'altro, quando vi sia una differenza di temperatura, avviene secondo tre pm;sibili meccanismi. 1. Conduzione: trasmissione di energia attraverso collisioni molecolari all'interno di un corpo. I solidi e i liquiqi sono migliori conduttori

  • 8.2 Passaggi di stato La materia si presenta a noi in tre possibili stati (fasi) facilmente identificabili: stato solido, s tato liquido e stato g�ssoso (nella realtà alcune sostanze presentano più fasi solide). I passaggi da un stato all'altro sono legati alle variazioni della temperatura. Se ce­ diamo calore a un solido ( composto puro) questo aumenta la sua temperatura, quando 112

    © Artquiz

    FISICA

    però si arriva alla temperatura cli transizione di stato, il calore viene utiliz7,ato per fondere il solido mentre fa temperatura rimane costante (trasformazione isoterma). Il calore assorbito a temperatura costante clnrante la transizione di fase viene chia­ mato calore latente di fusione ,\. Per la trasformazione inversa (solidificazione) si "parlerà di calore latente di solidificazione che avrà lo stesso valore numerico di quello di fusione ma con il segno cambiato in quanto in questo caso il calore viene ceduto all'ambiente. Analogamente si definisce il calore latente di evaporazione per il fenomeno dell'eb ollizione e il suo inverso condensazione, e il calore latente di sublimazione (passaggio diretto da solido a gas, come ad esempio per naftalina e ghiaccio secco). La temperatura di ebollizione di un liquido dipende fortemente dalla pressio­ ne. Un liquido è sempre in equilibrio con la sua fase vapore (la tensione di vapore di un liquido dipende fortemente dalla temperatura), quando la tensione di vapore raggiunge la pressione atmosferica si ha l'ebollizione e quindi il pa..c;saggio di tutto il liquido a ga'> (ad esempio per l'acqua, la tensione di vapore è 47 ton a 37 °C ma diventa 760 torr a 100 °C). Una conseguemm di questi fenomeni è che la temperatu­ ra di ebollizione dell'acqua varia notevolmente in montagna con la quota (perché la pressione atmosferica varia con la quota).

    8.3 I principio della termodinamica La termodinamica fa una precisa distinzione fra sistema e ambiente. Un sistema è una parte cli spa:do o materia delimitato da un preciso confine, tutto ci<> che è al di fuori di esso viene dei,to ambiente. La termodinamica identifica i seguenti sistemi: • sistema aperto: può scambiare materia, calore e lavoro con l'ambiente; • sistema chiuso: non può scambiare materia con l'ambiente; o sistema adiabatico: non può scambiare calore con l'ambiente; • sistema isolato: non può scambiare né calore né lavoro né materia con l'ambiente. Un altro schema concettuale fondamentale della termodinamica è quello che defi­ nisce la nO'liione di stato e di trasformazione. Si definisce stato termodinamico (stato di equilibrio) quello per il quale è possibile definire un numero sufficiente di variabili che lo caratterizzano. Le variabili che lo definiscono possono essere estensive in quanto dipendono dalle dimensioni del sistema. (massa, volume, energia totale, ecc.) oppure intensive in quanto sono carat­ teristiche uniformi nel sistema (pressione, temperatura, concentrazione, densità, e·cc.) che non dipendono dalle dimensioni. Si definiscono come trasformazioni quei processi che collegano fra loro due stati di equilibrio. Le trasformazioni possono essere aperte (quando si passa da uno stato ad un altro diverso) oppure cicliche ( quando stato di partenza e dì arrivo coincidono), possono essere altresì reversibili quando possono essere viste come una successione di sta.ti estrema.mente vicini a stati di equilibrio, e questo significa che leggeri cambia­ menti delle condizioni di alcune variabili possono inver�ire la direzione del processo. Mentre nelle trasformazioni irreversibili si hanno varia'l,ioni defini�e delle variabili che determinano inequivocabilmente la direzione del processo. La maggioranza delle tra­ sformazioni reali è irreversibile. 113

    @ Artquiz

    Cap itolo 8 Termodinamica Esistono alcune trasformazioni caratteristiche: • trasformazioni isobare: trasformazioni a pressione costante; • trasformazioni isocore: trasformazioni a volume costante; • trasformazioni isoterme: trasformazioni a temperatura costante;

    • trasformazioni adiabatiche: trasformazioni senza scambio di calore con l'am­ biente.

    Q,,

    Il primo principio della termodinamica è un enunciato del principio di con­ servazione dell'energia. Per una generica trasfor�mzione fra due stati di equilibrio esso può essere espresso nella forma:

    6-U

    = Q-L

    dove, 6-U = variazione di energia interna del sistema, Q = calore fornito al sistema, L = lavoro compiuto dal sistema. U è una funzione di stato del sistema che dipende solo dallo stato iniziale e quello finale del processo, indipendentemente dalle modalità del processo (calore e lavoro non sono funzioni di stato e qui11di dipendono dai dettagli della trasformazione). Anche P, V e T sono fu117,ioni di stato. Poiché Q non é funzione cli stato esistono più �alori specifici. Sono di particolare interesse nei gas il calore molare a pressione costante (cv) e il calore molare a volume costante (c11 ). Nei gas abbiamo:

    e,,

    - Cv

    =

    R

    dove R è la costante dei gas. Per 1111 gas perfetto la dipendenza dell'energia interna dalla temperatura è data dalla relazione:

    6-U

    = Ct1

    · 6-T

    dove, Cv è il calore specifico a volume costante. L'energia interna U di un gas perfetto è data dalla somma dell'energia cinetica delle molecole. Si può dimostrare che essa vale: 3 U= -n·RT 2 dove, n = numero di moli, R = costante dei gas, T = temperatura in gTadi Kelvin. L'energia interna di un solido è associata ai gradi di libertà dell'energilJ, vibrazionale delle molecole che lo costituiscono: ,;· U = 3n·RT.

    ..

    !�

    . i ,i

    Il lavoro di espansione (o _di compressione) di un gas può essere espresso dalla relazione:

    L = F · 6-x = P · A · 6-x = P · 6- V

    dove, 6- V = A · 6-x rappresenta la var iazione di volume del gas (dove A è una superficie). Un gas che si espande nel vuoto non compie lavoro (P

    '

    114

    = O).

    ..;

    © ArtquJ�

    FISICA

    8.4 Legge dei gas perfetti I gas reali, in condizioni di bassa pressione e lontani dal punto di liquefazione, si comportano come gas perfetti. Leggi dei gas perfetti:

    • A temperatura costante P · V

    = costante (legge di Boyle-Mariotte).

    • A pressione costante V= Vo (1 + aT) (I legge di Gay-Lussac). • A volume costante P = Po (1 + o.T) (II legge di Gay-Lnssac).

    dove, o

    = coefficiente termico dei gas.

    Equazione di stato dei gas perfetti:

    P·V=n·R·T dove, n = numero di moli, R = coota.nte dei gas perfetti, T = temperatura in gradi Kelvin. La costante R si ottiene moltiplicando la costante k cl.i Boltzmann per N mnnero di Avogadro. Questa eqm�ioue ha carattere g<-mer�ùe per i gru; perfetti ed è omnicomprensiva delle altre tre leggi precedentemente esposte. Secondo questo modello concettuale 1m gas pe1fetto è sempre allo stato gasso,c,o aùche a temperature bassissime. In concli'l,i01�i standard (O °C, 1 atm) una mole di gas perfetto occupa. 22,4 litri. I gas reali invece possono li.qnefare se la. temperatura. è sufficientemente bassa (cioè sotto la temperatura critica) e la pressione sufficientemente elevata. Ogni gas reale è carn.tteri'l,zato da una temperatura critica. Esiste una distin:tione concettuale fra gas e vapore: un vapore è un gas che si trova sotto la temperatura critica e quindi pub essere liquefatto per compressione isoterma, un gas è sempre a temperatura superiore a quella cri�ica. Ad esempio la temperatura critica dell'acqua è circa 400 °C quindi il vapore acqueo può essere eletto gas solo oltre i 400 °C.

    8.5 II principio della termodinamica Il secondo principio della termodinamica mette in evidenza una differenza so­ stanziale fra calore e tutte le altre forme di energia. Tutte le forme di energia sono convertibili fra loro, l'energia elettrica (o meccanica) può essere convertita in lavoro o calore, ma non tutto il calore può essere trasformato in altre forme di energia. L'enunciato del secondo principio, secondo Kelvin-Planck, afferma che: È impossibile che una macchina operante in un ciclo produca come solo efjetto quello di sottrarre calore ad una sorgente per produ,rre una equivalente quantità di lavoro. Una macchina termica cioè può operare tra dne sorgenti (la sorgente 1 alla quale sottrae calore, la sorgente 2 alla quale ne restituisce una parte). Il lavoro compiuto risulta:

    =

    1 - Q2, Q Si definisce come rendi mento rJ della macchina il rapporto fra lavoro prodotto e calore sottratto: L

    11

    = !:__ = Q1

    Qi

    -

    Q1

    Q2

    = 1 - Q21 • Q

    115

    © Artquiz

    Capitolo 8 Termodinamica

    I

    � li

    r. l. 11.l ·,

    :1 rt-1•

    M

    r; �:

    1 ·i,

    1J

    .,,

    rr ,,

    ',1 ,I•

    Una seconda formulazione di tale principio, dovuta a Clausius, afferma che: che una macchina frigorigena operante in un ciclo produca come solo effetto quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno piu caldo. Una macchina frigorigena quindi per tra.c;ferire calore da un corpo più freddo ad uno più caldo deve ricevere dall'esterno lavoro.

    E impossibile

    8.6 Teorema di Carnot e macchine termiche Il teorema di Carnot afferma che: Nessuna macchina che lavori fra due sorgenti di calore puo avere un rendimento maggiore di una macchina reversibile che lavori tra queste due sorgenti. Un ciclo reversibile particola"rmente semplice è quello costituito da una macchina. termica a gas perfetto che operi �eguendo in successione: una espansione isoterma, una espansione adiabatica, una compressione isoterma e una adiabatica tornando così al punto

  • ottieue che:

    1

    r:'

    'f/ =

    1

    Q2 , si Qi

    Q2 _ T2 Q 1 - Ti .

    La funzione di stato entropia

    I r:

    Una delle conseguenze del secondo principio della termodinamica. è uno. nuova gran­ dez:m, funzione di stato, l'entropia S. • Per una trnsformazione reversibile: �S

    J f)�, dove Q è Q

    =

    • Per una trasformazione irreversibile: �S

    rcv ·

    >

    J f)�,
    Poiché S é una funiione di stato segue che: Q,·cv

    :, 1! I

    ,It

    ,1

    ,il

    !

    >

    Q;n·

    cio è il calore reversibile è quello massimo realiz7,abilc in una trasformazio�e.

    Per un sistema isolato o adiabatico che effettua. una trasformazione si p.a �Q = O (infatti un sistema isolato è anche adiabatico), segue che: • �S = O trasformazione reversibile; • �S > O trasforma�ione irreversibile.

    Per un sistema termodinamico isolato quindi l'entropia totale aumenta o resta costante. Da queste considerazioni nasce l'affermazione che l'entropia dell'universo (come sistema isolato sede di processi irreversibili) è in aumento.

    116

    '

    .:;

    Capitolo 9

    Elettrostatica La materia è costituita da particelle cariche, infatti ogni atomo è formato da un nucleo centrale positivo intorno al quale orbitano uno o più elettroni catichi negativamente. Cariche di eguale segno si respingono, cariche di segno opposto si attraggono.

    9.1 Legge di Coulomb Se Q1 e Q2 sono due cariche a distanza r l'una dall'altra nel vuoto, la forza con In. quale interagiscono fra loro è: F = I
    Q1 . Q2 1'2

    (

    . legge d1 Coulomb ) .

    La forza elettrica gode cli proprietà conservativa. L'unità· di misura della carica elettrica è il Coulomb C. Il Coulomb è la carica (puntiforme) che posta nel vuoto a distanza di un metro da una carica uguale la attrae o la respinge con una forza F = 8, 99 · 10 9 Newton, cosi la costante nel vuoto risulta fissata in ko = 8,99 · 109 • Nm 2 C- 2 , 1 Per ragioni pratiche si preferisce esprimere ko come ko = -471"€0 dove, €O è la costante dielettrica del vuoto. Se siamo in presenza di un mezzo diverso dal vuoto la costante €O va moltiplicata per fr, che è la costante relativa del mezzo r rispetto al vuoto; € 7, è sempre maggiore di 1. Esistono materiali (come l'ambra, determinate plastiche, ecc.) che strofinati con un panno di lana si caricano elettricamente e quindi possono dare origine a intera�ioni coulombiane.

    9.2 Il campo elettrico Una carica genera nello spazio un campo elettrico E, che è del tutto simile al campo gravitazionale generato da una massa (sebbene possa essere attrattivo o repulsivo a seconda del segno della carica che Io sperimenta). Il campo elettrico è un campo vettoriale conservatiyo e viene definito come il rapporto fra la forza dovuta ad una carica e una carica dì prova qo molto piccola: F Q l E=-=--· . Qo

    41r€0

    117

    r2

    !'

    © Artquiz

    Capitolo 9 Elettrostatica

    Quando sono presenti pii1 cariche i campi elettrici da esse generati si sommano vettorialmente. Il campo elettrico all'interno di un conduttore è nullo e, se esso è carico, le cariche si distribuiscono sulla superficie del conduttore.

    9.3 Teorema di Gauss

    l.·

    Il teorema di Gauss mette in relazione H campo elettrico su di una superficie chiusa (ad esempio una sfera) con la carica totale racchiusa all'interno della superficie. Se chiamiamo flusso elettrico il prodotto della componente del campo elettrico, perpen­ dicolar e alla superficie, per un elemento generico di superfide (Fig. 9.1), H teorema di Gauss afferma che: Il flusso r.lettrico totale t/1 attra·uerso una superficie chiusa è uguale alla carica totale all 'intemo della superficie. divisa per Eo. Quindi: '1/J

    .

    =

    Q;nt.

    Eo

    En

    4' = EnS Figura 9.1: Flusso di campo dettrico attmverso una .rn,pcrfù:ie.

    9.4 Energia potenziale elettrostatica e differenza di potenziale Le forze elettrostatiche quando spostano una carica. elettrica compiono un lavoro (che può essere positivo o negativo a seconda del seguo delle cariche): L = F · Àx. In presenza cli una carica Q che genera un campo elettrico E in un punto generico p, dove si trova uu a carica dì prova positiva Qo, si definisce energia potenziale elettrostatica U l'energia associata alla forza elettrica presente nel punto p. Questa considerazione è del tutto analoga a quella fatta per l'energia pot.enziale iu un cainpo gravitazionale, infatti entrambi i campi sono conservativi e l'energia potenziale è una funzione delle coordinate. Se la carica qo pas1.;a da un puuto A in cui ha.una energia UA ad un punto B in cui ha energia poten?.iale Un il lavoro L compiuto dalla forza del campo elettrièo sarà:

    ,,

    .,

    L=ÀU=UB-UA.

    Si definisce potenziale elettrico Vp in un punto p l'energia potenziale posseduta dalla carica unitaria di prova Qo in quel punt.o:

    VP.

    Up =Qo

    .. .

    e pm m generaIe u AV

    U -. =À qo

    Da cui il lavoro elettrico per spostare una carica q0 risulta: L = ÀV , q0• Il potenziale elettrico di una carica puntiforme Q è una grandcz¼a scala r e e varia con la distanza r secondo la relazione:

    118

    © Artquiz

    FISICA Q

    V(r) - -­ 47r�or · Quindi il potenziale elettrico in un punto p è il lavoro che le forze del campo elettrico devono compiere per portare la carica unitaria eia quel pnnto a distanza infinita. Nel sistema S.I. l'unità di misura del potenziale elettrico è il Volt V, 1 V = 1 J/1 c. Relazione fra campo elettrico e differenza dì potenziale Ricordando che per uno spostamento generico :e:

    L

    . .

    bi.V = F · x = AU ='lo· E· x =A· Vqo, si ricava E=-. X

    II potenziale generato da più cariche elettriche è la somma algc_brica dei potenziali elettrici generati dalle :,;ingolc cariche.

    Superfici equipotenziali Si definiscono superfici equipoten�iali le 1mperfici che hanno lo stesso potcn¼iale elet­ trico, e quindi tra due punti qualsiasi della :,;uperficic: AV = O. Le superfici equipotenziali godono di due proprietà: 1. Quando i:;i sposta u�ia carica elettrica Q tra due punti di una 1mperficie equipo­ tenziale il lu.voro è nullo (L = AVq0, ma in una superficie equipotenziale bi.V = O). 2. Nei punti di una superficie equipote11ziale il campo elettrico è perpendicolare al­ la superficie stessa (se il campo elettrico avesse delle componenti tangenti alla superficie essa non sarebbe più equipotenziale).

    9.5 Corrente elettrica e leggi di Ohm Consideriamo un conduttore metallico a cui applichiamo in due punti A e B una differenza di potenziale costante (ad esempio con una batteria). In questo caso il conduttore non è in equilibrio elettrostatico cd è sede di un campo elettrico che agisce tmlle cariche libere del conduttore, si genera pertanto 1111 flm:1:,;o di car iche detto intensità di corrente i (o anche J) che viene definito come la quantità. di carica che,

    nell'unità di tempo, attraversa una se-hioue del conduttore i = � . uf, L'unità di misura dell'intensità di corrente nel sistema S.I, è l'Ampere A, 1 A = 1 C/1 s. Convenzionalmente, si considera verso positivo della corrente quello concorde con il campo elettrico, cioè lo scorrimento di cariche positive da poten¼iale più alto a potenziale più basso. In realtà ciò è falso perché in un conduttore le cariche che si muovono sono gli elettroni (negativi) e quindi in senso contrario a quello del campo

    E.

    119

    Capitolo 9 Elettrostatica

    @ Artquiz

    Leggi di Ohm La prima legge di Ohm definisce il rapporto esistente tra
    ÀV=i·R.

    L'unità dì misura della resistenza nel sistema S.I. è l'Ohm n, 1 n = 1 V /1 A. La seconda legge di Ohm definisce i parametri da cui dipende la resistenza di un conduttore:

    l R=p­ S

    dove, l = lunghezza del conduttore, S = sezione del conduttore, p = resistività elettrica, che è mm cnratteristica intrim;eca del materiale del conduttore. La resistività di un conduttore aumenta con la temperatura.



    l!

    f

    ,il

    � ·�

    J

    , !� ,, ·•1,,

    .

    ··t

    9.6 Corrente alternata La corrente elettrica fiu qui trattata è la corrente elettrica continua (con una intensitii costante nel tempo) generata da pile o accumulatori. La corrente generata. dalle centrali elettriche e di normale utilizzo nelle nostre case è la corrente alternata sinusoi�alc. II verso della corrente cioè si inverte nel tempo 50 volte til secondo (in ltaiia, 60 volte al secondo negli Stati Uniti) cioè con una frequenza di 50 Hertz. Anche la differenza di potenziale (Fig. 9.2) oscilla nel tempo. con In. stessa frequenza secondo la legge: V(t) = Vo · sen(21rvt).

    ,ij ·1 l•

    1, 11' l

    ·�!

    Vo

    1-:»

    ;1

    I

    ì14

    -Vo

    n:1d j

    H ;i

    w ,,

    ,r

    I.

    iii

    � i!�

    Figura 9.2: Andamento della differenza di potenziale di una corrente alternata 'I

    Come si vede in Figura 9.2 la tensione alternata oscilla fra due val�ri di picco +Vo e -V0 • La legge di.Ohm è valida anche per le correnti alternate. II valore della tensione della corrente alternata in uso nelle nostre città (220 Volt) fa riferimento al valore efficace della tensione alternata ¼rr, tale valore si ottiene dalla relazione: I

    1

    Verr = v'2

    il,�

    Vmax

    dove, V,nax è il valore di picco della tensione alternata. In questo modo ad una tensione efficace di 220 V corrispondono valori di picco (di cresta) di circa 310 Volt. 120

    © Artquiz

    FISICA

    9. 7 Effetto Joule � potenza elettrica Un conduttore percorso da corrente si scalda e il fenomeno viene chiamato effetto Joule. Su questo fenomeno si basano ad esempio le lampadine ad incandescenza e le stufe elettriche, Il calore dissipato nell'unità di tempo, cioè la potenza P dissipata è data da:

    P = i2 • R = V · i =

    V2 • R

    I tre modi di esprimere la potenza dissipata sono assolutamente equivalenti. Si

    sceglie il più opportuno caso per caso. È importante ricordare che in un conduttore R è costante mentre V e i sono collegati fra loro dalla Ia legge di Ohm. La potenza 8i esprime nel 8istema S.I. in Watt W, 1 W = 1 J /1 s = 1 V · 1 A. II consumo di energia nelle nostre case normalmente si esprime in chilowattora kWh, 1 kWh = 103 W · 3.600 8 = 3,6 · 106 J.

    9.8 Resistenze Resistenze in serie Due o più resistenze o conduttori si dicono collegati in serie (Fig. 9.3) quando sono attraversati dalla 8tessa corrente i.

    R3

    R2

    R1

    !!

    ! ''y'j!: : I, I .: ::

    n

    I

    ' '

    ,,

    i:

    i: ;:

    ::

    Req



    ':P

    .:

    I /.

    i

    LL\.V1 _j LL\.V2_JLL\.V3_j

    L\.V

    I

    L\.V

    Figura 9.3: Resistenze in serie. Le resistenze possono essere lampadine, stufe elettriche, ecc. Ai capi di ogni resi­ stenza ci sarà una caduta di potenziale!::,.¼, In definitiva, per un gruppo di resistenze in serie avremo: 6.V = E6.¼. E la resistenza complessiva (resistenza equivalente R0q ) sarà: Rcq

    =

    E./4.

    Mentre l'intensità di corrente è la stessa per tutte le resistenze.

    121

    ·1

    •;/

    !,"

    I

    Capitolo 9 Elettrostatica

    © Artquiz

    Resistenze in parallelo Due o più resistenze sono collegate iu parallelo quando su ciascuna di esse è applicata la stessa differenza di potenziale V (Fig. 9.4).

    i

    '

    ;1 �V :

    i i3

    i2

    R1� Rz

    I

    �V

    Ra�

    �Req

    I

    i

    i

    4

    -è ¼j

    Figura 9.4: Resistenze in parallelo. Per tali resistenze avremo: i= E· ii,

    Mentre per la resistenza equivalente avremo:

    l Rcq

    =

    E l .. Rt

    R1 . R2 . . pno. e.-;sere scn·ttu. come: .1,,t-cq = R l' u1t·una relmuone Pcr d ue res1st.enY-e . •l + R2 Relazioni analoghe si possono ottenere per tre o più resistenze in parallelo.

    9.9 Condensatori Si definisce come capacità elettrica C di un conduttore isolato il rapporto tra la sua carica Q e il suo potenziale elettrico V:

    C=

    Q



    Il concetto di capacità elettrica può essere esteso a.I condensatore che consiste in un sistema

  • Q

    C=V1 - Vi.

    Per un condensatore piano nel vuoto, costituito cioè cla due condutto�i piani e paralleli di superficie S e separati da una distanza d vale la relazione: ;·

    s

    C = Eo d' Inti·oducendo fra le armature del condensatore un dielettrico (cioè una sostanza non conduttrice con costante dielettrica €7,) la relazione diventa:

    s

    e= €o€,, d' L'unità di misura della capacità è il Farad F, 1 F = 1 C/1 V. Per usi pratici si usano sottomultipli (µF, nF e pF) perchè questa unità cli misura è troppo grande.

    122

    :i

    © Artquì¼

    FISICA

    Condensatori in parallelo Collegando in parallelo dne o pii 1 condensatori la capacità risultante (capacità equi­ valente) risulta: Ccq = C 1 + C2 + ... + Cn . Mentre la carica complessiva è la somma 'delle cariche Q = Q1 + Q2 + ... + Qn , e la differenza di potenziale b. V è uguale per tutti i condensatori. Condensatori in serie Collegando in serie clne o più condensatori la capacità risultante è data dalla relazione: 1

    1

    c. =-c CC)

    l

    1

    1

    +-c2 + ... +-cn ·

    Da cui, ad esempio per due condemm.tori, si ricava:

    C

    CC)

    _ C1 · C2 - C1 + C2

    La differem�a cli potenziale fra gli estremi della serie è la somma di quelle dei singoli condensatori: b. V = b. V1 + b. V2 + ... + S� t . La carica Q è la stessa (in w.lorc m;solnto) per tutte le arrnature, e ogni comlemm.torc avrà un armatura. positiva e l'altra negativa.

    o

    9.10 Pile e batterie (generatori di forze elettromotrici) I generatori cli forna elettromotrice sono dei dispositivi capaci di trasformare in ener­ gia elettrica altre forme di energia (chimica, meccanica, solare, ecc.). Si definisce forza elettromotrice f.e.m. la differenza cli potenziale tra i terminali ciel generatore quando non eroga corrente ad un circuito esterno. La forza elettromo­ trice si misura in Voi t V. Quando il generatore è collegato ad 1111 circuito esterno eroga corrente elettrica che va nel circuito esterno compiendo quindi 1111 lavoro elettrico. Un generatore di f.e.m. ha al suo intemo una propria resistenza ?'in (legata alla sua struttura) che, quando il generatore lavora, va considerata in serie al circuito esterno. Un 'altra caratteristica · di un generatore è la capacità (da non confondere con la capacità dei condensatori); essa rappresenta la carica che il generatore può fornire e si misura in Ampereora Ah, 1 Ah = 3.600 Coulomb. Generatori collegati in serie

    o

    Le forze elettromotrici si sommano, e la corrente è la stessa per ogni generatore. Generatori collegati in parallelo La corrente totale ·i è la so mma delle correnti generate da ciascun generatore e aumenta anche la capacità del generatore.

    123

    Capitolo 10

    Magnetismo 10.1 Il campo magnetico Il magnetismo è un fenomeno legato al movimento di cariche elettriche. Una carica in movimento (ad esempio un filo percorso da corrente) genera un campo magnetico B (detto anche induzione magnetica) e, nel caso del filo percorso da corrente, le linee di forza del campo magnetico 8ono delle ,circonferenze concentriche e normali al filo (Fig. 9.4).

    Figura 10.1: Linee di forza del campo magnetico generato da un filo percorso da corrente. Due fili paralleli percorsi da corrente interagiscono fra loro attraverso forze ma­ gnetiche che sono ortogonali ai fili e attrattive o repulsive a seconda che le correnti siano concordi o dirette in sen�o opposto: _ 6._ l_ · · F = _µ . _i 1_· i_2 271" d dove, d = distanza fra i fili, 6.l = lunghe-h7..a dei fili, JLl = permeabilità magnetica del mezzo in cui sono immersi i fili. Questa forza può essere scritta nella forma F = B · i2 · 6.l, dove con B si intende il campo magnetico generato dal filo 1: µ µ i1 i1 B = km = • d, dove km = 71" • 2 211" d volt. s Newton , · • . deI campo magnetico . e. 1.111esIa ·r, 1 T = = · · d'1 misura L umta Ampere·m m2 Il campo magnetico non è un campo conservativo.

    125

    > F�

    1.

    f·1

    © Artquiz

    Capitolo lO Magnetismo

    t di particolare interesse il· campo magnetico generato da un filo avvolto in più

    spire circolari che costituiscono un solenoide. All'interno di un solenoide costituito da N spire e di lunghezza l il campo magnetico B è uniforme:

    B

    = Jt · ·i · n, dove n = N . l

    Movimento di una carica elettrica in un campo magnetico uniforme Una particella car ica Q in movimento alla velocità vin un campo magnetico uniforme è soggetta alla for2>a di Lorentz Ji' uguale alla carica Q moltiplicata per il prodotto vettoriale fra ve B:

    F

    = Q · v · B · senB

    dove, B è l'angolo comprcs© fra la direzione di v e quella di B. Ovviamente la direzione di F è perpendicolare al piano definit.o
    Uun calamita immersa in uu campo magnetico uniforme B tende n orientarsi secondo la direzione del campo ( come la bussola). Una spira o uu solenoide percorsi da corrente e immersi in un campo magnetico uniforme si comportano come un ago magnetico.

    t0.2 Induzione magnetica .

    '

    Si definisce come flusso di campo magnetico concatenato ad un circuito elettrico (ad esempio una spira) il prodotto del campo magnetico B per l'area delimitata dal circuito per il coseno dell'angolo formato fra la perpendicolare alla superficie e la direzione del campo magnetico ·(Fig. 10.2). Come indicato dalla formula: (B)

    = S · B · cosa. .

    J

    Figura 10.2: Carnpo rnagnr.tir.o concatenato ad una spira.

    126

    FISICA

    @ Artquiz

    r

    .



    L'unità cli misnra del flusso di c ampo magnetico è il \Veber Wb, 1 Wb = l'fesla · 111 2 . Il flusso può variare nel tempo ::ie il circ uito viene mosso nel campo magnetico (ad esempio viene fatto ruotru·e) o se il campo ,•aria nel tempo, in quest'ultimo c aso si .osserva agli estremi del circ uito aperto una differenza di potenziale elettrico per tutto il periodo in c ui varia il flusso. li fenomeno viene chiamato induzione elettr�ma­ gnetica e la differenza di potenziale osservata viene chiamata forza elettromotrice indotta¼. La legge di Faraday-Newmann afferma che:

    Vit __ ò[(B))

    òt

    dove il segno meno sta ad indicare che tale f.e.m. si oppone ( con il c ampo da lei generato). al flusso che l'ha generata. Una. applic azione importante dell'inclmàone elettromagnetic a si ha nei trasfor­ matori per c orrente alternata. Tali dispositivi (costituiti eia un. circuito primario e uno secondario avvolti su di un nuc leo di ferro ad elevata permeabilità magneti ca) ::iono in grado di trasformare correnti alternate da alta tensione a ba!-lsa tensione e viceversa.

    o

    1Z7

    Capitolo 11

    Fenomeni ondulatori

    1

    11.1 Le onde Molti fenomeni naturali sono di natum ondulatoria, hanno cioè caratteristiche ricor­ sive, come le onde sonore, le radiazioni luminose, le onde del mare, i terremoti e i fenomeni oscillatori in genere. Appartengono, altresì, a questa categoria di fenomeni, il ciclo cardiaco e il conseguente moto pulsatile del sangue, come anche i moti armo­ nici, che abbiamo incontrato in meccanica, e alcune delle equazioni che li descrivono sono generalizzabili. I fenomeni ondulatori si dividono in due categorie, in dipendenza della rela�io­ ne tra direzione della vibrazione e direzione della propagazione della perturbazione. Una perturbazione ondulatoria può prnpagarsi lungo una direzione che può essere parallela ( onde longitudinali) o perpendicolare ( onde trasversali) alla direiione delle oscillazioni (Fig. 11.1).

    = �

    -.it·�

    Figura 11.1: A sinistra: propa­ gazione delle onde trasversali, a destra: propagazione delle onde longitudinali in una molla.



    Le onde sonore sono onde longitudinali, mentre la luce è un'onda trasversale. Molti aspetti dei fenomeni ondulatori possono essei·c studiati tutti assieme e de­ scritti con rela�ioni matematiche che sono di validità generale, invece altri aspetti dovranno essere trattati singolarmente a seconda della tipologia del fenomeno consi­ derato. I fenomeni ondulatori sono importanti in fisica perché descrivono una modalità di trasferimento di energia piuttosto comuQe. Le grandezze fisiche che caratteiizzano i fenomeni ondulatori sono funzioni perio­ diche, ovvero ricorsive, del tempo descrivibili come: 1 Il Ca.p. 11 non è più parte del programma d'esame, ne conserviamo tuttavia la. t"ra.tta.zione per completezza. espositiva. e utilità anche per Biologia § 1.10.2.

    129

    I -Ì



    I ! !

    @ Artquiz

    Capitolo 11 Fenomeni ondulatori

    J(t) = J(t + nT), dove n

    = 1, 2, 3, ...

    Con T definito come periodo del fenomeno.

    Quando un fenomeno ondulatorio si propaga trasmette le oscillazioni a punti con­ tigui del mezzo in cui si propaga. Si definiscono superfici d'onda i punti dello spazio in cui la perturbazione ondulatoria è massima. Le superfici d'onda che noi tratteremo saranno quelle piane e quelle sferiche. Le onde generate da una sorgente si propagano nello spazio e nel tempo, infatti ogni punto dello spazio sarà sede di oscillazioni S (Fig. 11.2) che varieranno nel tempo secondo una legge del tipo: 27ft

    T + <J>) dove, A = ampie-.11ia massima dell'oscillazione, T = periodo, cioè la distanza minima S(t) =A· sen (

    fra due punti con la stessa fase, = angolo di fase ini:àale.

    Ali:

    a

    w

    »

    I \ / \ / \ / lll

    -A I

    V

    V

    t

    V

    Figura 11.2: Propagazione di un'onda nel tempo.

    Si definisce come pulsazione della perturbazione la grandezza w, data da: 27f w=-



    Si definisce frequenza 11 (ma anche/) il numero di oscillazioni nell'unità di tempo. La frequenza si misura in 1-Ierti (Hz). Per definizione 11

    = �, da cui segue:

    w = 21r �.

    Ma le onde si propagano anche nello spazio circostante S (Fig. 11.3) secondo una legge del tipo: S(x)

    ) = Asen (27rX T +
    dove, À = lunghezza d'onda dell'oscillazione, cioè la distanza minima fra due punti in fase.

    Al.

    w

    L-i

    w

    i,

    .,

    »

    I \ I \ I \ I .,s Figura 11.3: Propagazione di un'onda nello spazio. La velocità di propagazione v dell'onda è data da: À v =-



    130

    FISICA

    @_ Artq_ui� _

    Ftu" l t

    Quando una sorgente puntiforme emette delle onde (come un sasso gettato in uno stagno), queste si espandono conccntricarnente secondo fronti d'onda. In modo più generale, le onde si propagano nello spazio, cioè in tre dimensioni, e se la sorgente è puntiforme e il mezzo di propagazione è isotropo le onde propagandosi generano delle 'superfici d'onda sferiche (allo stesso modo del suono o di una lampadina). In queste condizioni l'equazione cli propagazione è ancora valida (basta sostituire la x con il raggio r·). L'energia della sorgente, mano a. mano che ci si allontana da essa, si clistribujsce su sfere sempre più grandi, cioè, considerando il principio di conserva:7-ione dell'energia in assenia di fenomeni dissipati,,i, si ottiene.per nn pnnto di una superficie sferica alla distania r:

    ,.

    E(r) -

    E

    - 471"1'2

    Quindi, l'energia in un punto generico della snperficie d'onda di una sfera di propagazione diminuisce con il quadrato della distamm. Interferenza

    o o

    La propagazione Hinmltauea cli pii1 onde nello stesso meizo avviene: per ogni onda, iu maniera indipendente dalle altre. Quando due o pii1 onde coesistono nello stesso punto dello spw.io vale il princi]Jio cli sovrnpposizione, l'effetto risaltante che si ottiene viene chiamato interferenza e dipende dalle caratteristiche delle onde che interagii-icono. Un caso molto importante di interferenza è quello che �i osserva fra due onde · che hanno la stessa fr eqmmza e viaggiano nella stessa dirc�ionc, in questa 8itnazione l'interferenia dipende dalla differen�a dell'angolo cli fase fra le due onde: se la differenza di fase è O ( concordanza di fase) le onde si Hommano, l'ampiezza l'isultante è la somma dello ampiezze delle singole onde (interferenza costruttiva); se invece le onde sono sfasate di 180° ( opposizione

  • o o

    Le onde stazionarie nascono dalla interferenza fra due onde che hanno uguale fre­ quenza ma che viaggiano in senso opposto. Vediamo ora in coHa differisce un 'onda stazionaria da una normale onda viaggian­ te: in un'onda che viaggia nello spa�io e nel tempo i punti dello spa�io con x diversi oscillano con fasi diverse nel tempo (Fig. 11.4 a), in un'onda stazionaria tutti i punti dell'asse x oscillano in fase, ma con ampie�ie di oscillazione differenti e dipendenti da x (Fig. 11.4 b). In un'onda stazionaria i punti sull'asse x con ampiezza nulla sono detti nodi, i punti con ampiezza massima (positiva o negativa) sono detti ventri. Le onde stazionarie sono importanti perché sono le onde che possono essere localiz¼ate e persistere in uno spazio limitato (le alt1·e onde interferiscono in maniera distruttiva). Queste sono le onde che troviamo naturalmente quando studiamo il moto oscillatorio di un mezzo a dimensioni finite, come la coula di una chitarra o di un violino, che sono corde tese fra estremi fissi. 131

    (J, (!,

    l!f,

    @ Artquiz

    Capitolo 11 Fenomeni ondulatori s

    direzione dl propagazione')

    ,

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    a)

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    b)

    Figura 11.4: Confronto fra onde nonnali viaggianti e onde stazionarie. :-j•

    �-/rr1

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    11.1.1 Riflessione, rifrazione e diffusione

    I

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    ·:· .

    Quando un'onda si propaga in un me1.w omò'geneo viaggia in linea. retta (raggio di propagazione) e con una velocità che dipende dalle caratteristiche del mezzo. Quando questa onda arriva sulla superficie di separa7.ione fra due mezzi, parte dell'onda viene riflessa e torna indietro nel primo mezzo e parte penetra e si propaga nel secondo mezzo; questa seconda parte viene definita onda rifratta (Fig. 11.5).

    1 ,ii

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    MEZZO 1

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    111;1I

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    Il

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    MEZZ02·

    Figura 11.5: Riflessione e rifrazione.

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    '

    t I

    l! I:

    n l.

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    i1

    I. I

    Riflessione

    r I,

    Secondo le leggi della riflessione, angolo di incidenza e angolo di riflessione dol raggio di propagazione, misurati rispetto alla normale al piano di riflessione sono uguali, inoltre angolo di incidenza, angolo di riflessione e normale, giacciono nello stesso piano (Fig. 11.6 a sinistra). Il fronte d'onda AA' avanza da sinistra, quando l'estremo A' dell'onda tocca il piano di riflessione, l'altro estremo A deve percorrere la distanza d per raggiungere il piano nel punto B. Qu�do questo succede Pestremo A' ha raggiunto il punto B' e la retta BB' rappresenta il fronte d'onda dopo la riflessione. I due triangoli AA' B e A' B' B risultano uguali perché raggio incidente e raggio riflesso si propagano, con 132 À

    FISICA

    @ Artquiz

    identica velocità, nello stesso mezzo, come conseguenza 81 e 0'1. risultano uguali come previsto dalla legge di riflessione. Questa trattazione è valida solo se la superficie di riflessione è effettivamente piana e levigata (come ad esempio uno specchio), cioè l'angolo d'incidenza è costante per tutti i punti del fronte d'onda incidente. Quando · ciò non accade, punti diversi del fronte d'onda incontrano la superficie di riflessione (scabra) con angoli diversi e vengono quindi riflessi con angoli diversi; si parla in questo caso di riflessione diffusa della luce (Fig. 11.6 a destra). MEZZO 1

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    :·r-...-.:•. :1 :�:

    Figura 11.6: A sinistra: il fenomeno della riflessione; a destra: la riflessione diffusa.

    Diffusione

    La diffusione si osserva quando le onde incontrano nel loro percorso superfici scabre. Il fenomeno è del tutto generale> si verifica nei gas, nei liquidi e nei solidi trasparenti all'onda, quando essi contengono impurezze che agiscono come superfici riflettenti. Dato l'ol'Ìcntamento casuale di queste impure-.t;Ze abbiamo la diffusione in tutte le direzioni. Il colore del cielo è dovuto a questo fenomeno, ed il colore varia al variare del tipo di impurez7.e presenti. In un cielo limpido, dopo una pioggia prevale l'azzurro> in aree industriali inquinate prevale il grigio, in caso di nebbia prevale il bianco. Se, ad esempio, non ci fosse diffusione della luce solare nell'aria il cielo apparirebbe nero come di notte, le stelle ·sarebbero visibili di giorno ed il contrasto fra luci ed omb1·e sarebbe molto più forte. Rifrazione

    Il fenomeno della rifrazione si osserva quando l'onda incidente supera la superficie di separazione fra i due mezzi e si propaga nel secondo mezzo. Di norma i fronti d'onda che viaggiano nel secondo mezzo cambiano direzione, ma anche in questo caso raggio di propagazione incidente, normale al piano di incidenza e raggio rifr atto giacciono nello stesso piano (Fig. 11.7). L'onda piana AA' incontra un piano che separa due mezzi; la penetra:.t;ione inizia nell'estremo A dell'onda mentre il punto A' deve perconere ancora il tratto A' B' prima di incontrare la superficie di separazione. Quando dopo il tempo dt, l'estremo A' raggiunge il punto B', Pestremo A è arrivato nel punto B, in questo caso però le velocità di propagazione nei due mezzi sono differenti come quando ad esempio V1 > v2.

    133

    �;r f"! . V'!Jj

    © Artquiz

    Capitolo 11 Fenomeni ondulatori

    t.

    A'

    ;· I !I.

    .

    B

    Figura 11.7: Il fenomeno della 1'ifrazione.

    Con semplici consiclera:tioni trigonometriche sulla figura si vede elle:

    = vi · dt e AB' 1 .sen r = v2 · dt. Dal rapporto fra. AB' · sen ·i = v·, · dt e AB' · s<�-i r = v2 · dt si ricava: AB' · sen i

    i

    i

    n2

    -=n12 = -. sr,n r = n1 V2 S�"n

    Vi

    '

    Si defiuh;ce con n = c/u Pindice di rifrazione del mei7.o considerato rispétto al vuoto ( indice di 1·ifrazione assoluto), dove e è la velocità della luce nel vuoto (e = 300.000 km/s) e n 12 è Pindice di rifrazione frn due mei.zi 1 e 2. Sperimentahncnte .'li o�scrv-d. che se si passa da un me'l.zo meno rifrangente ad nno più rifrangente (a.cl <>�'!empio dalParia al vetro), Pa.ugolo del raggio cli propagazione rifratto sa.rà più vicino alla perpendicolare alla superficie di separazione. Nella situa­ zione opposta, cioè pa�-sando da un mezzo piì1 rifrangente a.d 11110 meno rifrangente Pangolo rispetto alla normale aumenta. In questo caso esiste un angolo limite di incidenza per il quale Pangolo di propngazione rifratto è di 90 °, cioè parallelo alla superficie di separazione fra i due mezzi, superato qucs1; 1a11golo (Fig. 11.8) non si osserva più la rifrazione ·e il raggio incidente viene totalme11te riflesso. Esistono molte applicazioni pratiche che sfrnttauo il principio dclPangolo limite (fibre ottiche, prismi a riflessione totale, ecc.).

    ·1

    ,,

    I,

    "2

    n1 -

    Figura 11.8: Angolo limite di rifrazione.

    Passando da un mezzo trasparente ad un altro la frequen�a rimane costante, ma velocità e lunghezza d 1 onda possono cambiare, se cambia Pindice cli rifrazione. Un mezzo viene definito otticamente più denso di un altro quando possiede un indice di rifrazione maggiore. L 1 in
    134

    1

    o

    FISICA

    @ Artquiz

    11. 2 Le onde sonore Le onde sonore sono onde elastiche longitudinali che si propagano in un me'hZO deformabile come l'aria; infatti nei gas le forze di richiamo elastiche esistenti non · consentono l'oscillazione delle molecole in dire�ione trasversale alla propagazione del­ l'onda, mentre nei liquidi o nei solidi le onde sonore possono essere sia longitudinali che trasversali. Le onde del mezzo entrano in oscillazione e questa vibrazione si pro­ pa.ga nello spazio e nel tempo. Le onde sonore non si propagano nel vuoto. Lo, velocità cli propagazione del suono è: in aria :::::: 340 m/s, in acqua :::::: 1.500 m/H, e nei solidi 2.000 m/s. Queste differenze cli velocità danno origine ad effetti significativi in corrispondenza delle superfici di sepm·azione tra mc7.zi diversi (echi, ecc.). L'intero spettro acustico viene suddiviso in tre regioni:

    >

    l. infrasuoni, con frequenxe < 20 Hx; 2. s1wni udibili, con frequen�e fra. 20 Jfa e 20.000 H�; 3. 1tltras·uoni, con f rcquen�c

    > 20.000 I-fa.

    Ricordando che in aria v = 340 m/H, �vremo per le frcqnen¼e acustiche udibili un intervallo di lunghezze d'onda compreso f ra. 1,72 cm e 17,2 ni. Esistono notevoli applica�ioni degli ultrasuoni in medicina, ad esempio tutte le tecniche ecografiche si ba8ano sull'utili�zo di ultrasuoni.

    11.2.1 Il suono Esiste una sostanziale differenza fra suono e rumore. Il rumore è una vibrazione del tutto inegolarn alla quale manca un predi-lo carn.ttere cli periodicità. Il suono, se purn, è una semplice vibrazione a r monica (un semplice sinu�oide), se complesso, è costitui­ to dalla sovrapposizione di onde semplici. Il suono compleHso è scomponibile nella somma di una sede di comp01}enti sinusoidali 8e?Iplici iù relazione armonica fra loro, la componente a frequenza più bassa viene chiamata prima armonica o fondamentale, mentre le armoniche superiori hanno frequen�e multiple cli quella fondamentale. L'altezza di un suono (la nota) nei suoni complessi dipende dalla frequenza. della vi brazione fondamentale. Il timbro di un suono dipende dalla forma della vibrazione complessa, cioè dal numero e dalle ampiez�e della varie armoniche presenti. L'intensità I di un'onda sonora è la quantità di energia che attraversa nell'unità di tempo l'unità di superficie e si misura in watt/m 2 ; essa dipende dall'energia tra­ sportata dall'onda sonora, cioè dal quadrato delle ampie�1.e massime delle vibrazioni Hemplici che la compongono. L'ampiezza è massima in prossimità della sorgente. Il suono emesso da una sorgente puntiformè Hi propaga per onde sferiche in tutte le direzioni e, su tali superfici sferiche, l'energia sarà uniforme. Pèr il principio di c�nservazione dell'energia ricaviamo la rel�ione fra intensità 1-lonora e la distanza r: I

    E

    = -41r-r-.2-.-�-t' 135

    '·�t -1ij:

    Capito]o 11 Fenomeni ondulatori

    @_ Artquiz

    Effetto Doppler

    Se una sorgente di onde e il sistema che riceve e misura le onde si muovono Puna rispetto all'altro, la frequenza delle onde misurata risulta differente da quella emessa dalla sorgente. Se il movimento relativo è di avvicinamento la frequenza osservata è maggiore di quella della sorgent.e, se invece il movimento è di allontanamento, la frequenza risulta inferiore a quella della sorgente. Qu�to fenomeno, chiamato effetto Doppler, è ben conosciuto da tempo (esempio tipico è il suono di una ambulanza in avvicinnment.o o in allontanamento).

    11.3 Ottica La luce è un'onda elettromagnetica costituita dalla vibrazione di un campo elettrico E e di un campo magnetico B, che oscillano su piani perpendicolari fra loro e per­ pemlicolari alla clh-czione di propagazione. L'unità di misura dell'intensità luminosa, nel sistema S.I. è la candela cd. Quando è possibile trattare la propagazione delle onde in termini di onde piane che si propagano perpendicolarmente al fronte dell'onda (raggi) e la si tratta in un contesto in cui le dimensioni degli oggetti e degli strumenti di misura sono molto più grandi della lunghe-tzu. d'onda della luce, parliamo di ottica· geo)'lletrica. In questo contesto si utilizzano la riflessione e la rifrazione nonché la geometria Euclidea. Quando è invece necessaria una trattazione in cui gli aspetti microscopici della radiazione sono prevalenti, parliamo di ottica fisica. Vediamo di seguito alcuni aspetti elementari della ottica fisica. Luce coerente

    Una sorgente luminosa comune (come per esempio il sole) emette radiazioni (o fo­ toni) di frequenza, lunghezza d'onda, fase e piano di polarizzazione, diyersi, inoltre la sorgente emette radiazioni in tutte le direzioni. Questo tipo di luce viene definita non coerente. È tuttavia possibile ottenere sorgenti luminose di luce coerente, carat­ teriz?:ate dalla costanza dei parametri visti, _in cui tutti i fotoni sono uno la fotocopia delPaltro; un esempio classico di queste sorgenti sono i laser. '

    .�rr .J

    ·I'

    I· j, ' ,

    La polarizzazione della luoe

    Si definisce come piano di polarizzazione della luce quello in cui oscilla il campo magnetico B, Normalmente la luce solare o quella emessa da una sorgente generica non sono polarizzate. Esistono dei materiali in grado di polarizzare la luce o cli ruotare il piano.�i polariz­ :i:azione della luce, un esempio classico sono i materiali polaroid, che se attràversati da raggi luminosi lasciano passo.re solo quelli con un ben preciso piano di polarizzazione. La diffrazione

    La diffrazione è un fenomeno che si osserva quando raggi monocromatici interagisco­ no con oggetti dalle dimensioni paragonabili con la loro lunghezza d'onda, in queste condizioni non valgono più le regole dell'ottica geometrica e si osservano fenomeni di­ rettamente collegati alla natura ondulatoria delle onde, quali le frange cli interferenza o la propagazione di onde non in linea retta. 136

    o

    © Art�uiz

    FISICA

    Ottica geometrica Alla base dell'ottica geometrica sussistono alcune considerazion e di carattere fonda­ mentale: · • La lunghezza d'onda della luce è molto più piccola della dimensione dei sistemi ottici. • In un mezzo omogeneo la luce si propaga per linea retta. • La traiettoria seguita dai raggi luminosi non dipende dal verso di propagazione. • Un raggio luminoso segue sempre il percorso più breve per andare da un punto ad un altro (principio di Fermat). Due mezzi distinti, con indice di rifrazione diverso, separati da una superficie sfe­ rica, costituiscono un diottro sferico. Ut� diottro sferico è un sistema ottico stigmatico (Fig. 11.9).

    n1

    p

    p' p

    oggetto

    / V\T

    asse otnco

    acla

    q

    Immagina

    , valto

    Figura 11.9: Diottro sferico. Un raggio proveniente dal pun­ to P posto sull'asse ottico si rifrange s1tl diottro sferico e interseca l'a.,;.,;e nel p1tnto P' di coordinata q nello spazio immagine.

    Un sistema ottico si dice stigmatico quando i raggi luminosi, che partono da un punto che si tl'Ova. su di un lato della superficie di sepura:,done del sistema ottico, convergono biunivocamente, dopo la rifrazion e, sn di un punto posto sull'altro lato del sistema. Lenti sottili La lente sottile è un sistema ottico limitato da due superfici rifrangenti (diottri sferi­ ci o piani) che hanno in comune l'asse ottico. Lo spessore della lente è molto inferiore ni raggi delle superfici. Le lenti sottili sono sistemi ottici stigmatici. Una lente è carattcriz'iata da un asse ottico e da due raggi di curvatura. Per convenzione l'Mse p, a sin istra, ci dà le coordinate del punto oggetto, mentre l'asse q, a destra ci dà le coordinate del punto immagine. Una lette sottile è caratterizzata da due fuochi, il primo nello spazio degli oggetti e il secondo nello spazio delle immagini. Per una lente sottile le due distanze focali hanno lo stesso valore assoluto. A seconda che la distanza focale sia positiva o negativa si distinguono lenti con­ vergenti o divergenti (Fig. 11.10). La formula delle lenti sottili mette in relazione la coordinata del punto oggetto, la coordinata del punto immagine e la distamm focale: 1 1 -+-

    P

    q

    dove, p = coordinata del punto oggetto, q distanza focale.

    1

    =-

    F

    = coordinata del punto immagine,

    F

    =

    137

    © Artquiz

    Capitolo 11 Fenomeni ondulatori

    � .:::; :�;:i:=�yp:_ :� :�···· ..-:····· ..

    (a) Posizione del fuoco in una lente convergente: il fuoco è reale (si trova nello spa1.io dell'immagine) e positivo.

    (b) Posizione del fuoco iq una lente divergente: il f11oco è virtuale (si trova nello spuzio degli oggetti ed è costruito sui prolungamenti dei raggi) e negativo.

    Figura 11.10: Lenti conveTgenti e lenti divergenti. Il potere diottrico

  • p

    p-F

    F

    Lenti convergenti

    In Figura 11.11 sono riportati alcuni esempi di costruzione e caratterizzazione del punto immagine di lenti convergenti.

    . In Figura 11.12 sono riportati alcuni esempi

  • Lenti divergenti

    punto immagine di lenti divergenti. Lente di in�randimento

    I I,

    ,, La lente di ingrandimento è una lente convergente con piccola distanza focale che permette di aumentare l'angolo sotto il quale l'immagine di un determinato oggetto viene osservata. (che quindi apparirà più grande ). Specchi

    Uno specchio piano fornisce l'immagine virtuale e ribaltata (una mano destra osser­ vata allo specchio diventa una mano sinistra) di un oggetto reale conservandone le dimensioni. L'immagine di uno specchio convesso è sempre più piccola dell'oggetto ( come per le lenti divergenti).

    138

    © Artquiz

    FISICA

    (n) Se l'oggetto si trova nel una distnnza 111aggiore del doppio delln distn.nza focale, l'immagine è renle, capovolta e rimpicciolita.

    8,,,__

    o o

    4I

    (b) Se l'oggetto si trovn mi lllll\ distm,za p�ri al doppio della clistmrna focale, l'immagine è reale, capovolta e cli uguale dimensione.

    B' (e) Se l'oggetto si trova. tra il fuoco e il doppio della clistunzu, focale, l'immagine è reale, capovoltn e ingrandita.

    BrI' ,.

    '�"·•

    B,w::: A=F2



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    _J _____ .,2____ _ A'

    J&..

    F.

    A

    (cl) Se l'oggetto si trova in corrisponden­ (e) Se l'oggetto si trova nel unn, distan,,m mino, zll del fuoco, i raggi emergono paralleli re della distm11.a focale, l'immagine è virtnale, diritta e ingmnclita. (immagine all'infinito). Fig11ra 11.11: Lenti convergenti.

    o

    139

    © Artquiz

    Capitolo 11 Fenomeni ondulatori

    __,,-

    .. -· ··-·--

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    ,,-· F2 A

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    1

    F1

    F1

    2

    Figura 11.12: Lenti divergenti. L ,immagine è sempre virtuafo dritta e rimpic­ , ciolita.

    ·� •t

    11.4 Le onde elettromagnetiche La luce è un'onda elettromagnetica trasversale costituita dalla vibr�ioue di un cam­ po elettrico E e un campo magnetico B, che oscillano su piani perpendicolari fra loro e perpendicolari alla direzione di propag�ioue. In Figura 11.12 sono riporto.ti la rappre, sentazioue di un onda elettromagnetica e lo spettro delle radiazioni elettroma.guetiche con la suddivisione nelle varie regioni spettrali.

    ·0. . · . ·.

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    infrarosso

    raggi X

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    ultravioletto raggi Y

    1

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    microonde onde radio

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    I

    I 6

    LogÀ(cm)

    visibile

    viola

    blu

    giallo

    ro�so

    400

    500

    600

    700

    lunghezza d'onda À(nm)

    b)

    ·,

    .'

    Figura 11.13: Onde elettromagnetiche e spettro delle radiazioni elettrpmagneti, che. Fig. a: rappresentazione di un,onda elettromagnetica; il campo magnetico B è perpendicolare al campo E; fig. b: spettro delle radiazioni elettromagneti• · che, sulla scala orizzontale è riportata la lunghezza d,onda delle varie regioni spettrali.

    140

    • -4

    FISICA

    @ Artquiz

    La velocità di propagazione della luce nel vuoto è e= 300.000 km s- 1 i c = >i.v. Questa velocilà è collegata alla permeabilità magnetica del vuoto µo e alla costante dielettrica del vuoto € 0. Nei me1,zi materiali la velocità .della luce diminuisce (vedi indice di rifrazione). Lo studio della interazione fra le onde elettromagnetiche e gli atomi o le molecole ha condotto alla scoperta delle proprietà corpuscolari delle onde elettromagnetiche 1 che in determinate _condizioni si comportano come onde 1 in altre come particelle prive di massa 1 chiama.te fotoni 1 il cui numero è proporzionale all 1 intensità dell 1onda1 mentre Penergia del singolo fotone aumenta con la frequenza della radiazione. Venergia di un fotone è legata alla frequenza dalla relazione di Planck: e E= h-v = h . >,, Effetto fotoelettrico L 1effetto fotoelettrico era un fenomeno assolutamente inspiegabile con i modelli del­ la meccanica classica. Si era infatti osservato che quando la luce colpiva una superficie metallica in opportune conc�i7.ioni questa emetteva elettroni 1 iu particolare Penergia cinetica degli elettroni emessi dipendeva dalla frequenza della radiazione incidente 1 an7.i esisteva una soglia di frequemm sott<;_> la quale i[ fonomeno non :,;i verificava 1 inol­ tre Pintcnsitò. della radiazione incidente influiva sul numero degli elettroni emessi ma non 1 e questo sembrava del tutto stupefacente 1 sulla loro energia. La spiegazione cli Einstein era semplice ed elegante 1 il quanto di luce 1 il fotone appunto 1 possedeva una energia legata alla sua frequenza dalla relazione di Planck: E = hv. Quando il fotone colpiva la superfir.ie metallica era in grado di trnsfcl'ire la sua energia ad un elettro­ ne del metallo. Se essa era :mperiore alI 1 energia che teneva Pelettrone vincolato al solido (poten7,iale di estrazione) si osservava Peffetto fotoelettrico. Venergia cinetica che l 1 elettrone espulso acquisiva era data dalla differenza fra Penergia del fotone e il potenziale di estrazione. Ossia Penergia cinetica dell 1 elettrone espulso risultava: 1

    2 2 mv = hv - hvo,

    dove 1 vo era la frequenza di soglia legata dalla relazione di Planck al potenziale di estra:,done. Raggi X Indichiamo le caratteristiche principali dei raggi X: • Sono onde elettromagnetiche di frequenza molto elevata (10 1 7 lunghezza d 1onda >,, < 1 nm.

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    1021 Hz) e

    • Il loro indice di rifrazione nella materia è praticamente 1 ( quindi non possono essere focalizzati) . • Danno origine a fenomeni di diffrazione quando interagiscono con materiali ·cri­ stallini che con la loro distribuzione spaziale regolare agiscono come reticoli tridimensionali ( questi fenomeni sono alla base delle tecniche di cristallografia a raggi X). • Attivano schermi fluorescenti e impressionano lastre fotografiche.

    141

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    Capitolo 11 Fenomeni ondulatori

    © Artquiz

    • Attra.vcrsuno qua�i tutti i materiali, anche quelli opachi alle radiazioni ottiche, essendone tuttavia più o meno assorbiti. • I raggi X a frequenze pii1 alte sono piit penetranti. • Radiotrasparenza e quindi radioopacità di uu materiale dipendono, a parità di energia della radiazione, da tre fattori: il numero atomico degli atomi che costituiscono il materiale, lo spessore e la densità del materiale. • L'energia dei raggi X (e delle particelle nucleari) si misura in elettronvolt (eV). 1 eV = 23,06 kcal/mole = 96,48 kJ/mole. • S0110

    in grado di ionizzare l 'a.ria.

    Per generare raggi X si può utilizzare una sorgente cli elettroni a�ocinta ad una forzn. che li acceleri e 1m bersaglio che li freni (tubo di Coolidge) 1 il tutto sotto vuoto. Gli elettroni vengono emessi da un catodo (spiralina di tungsteno) per effetto termo­ ionico, vengono accelerati da una differc11�"'1. di potenziale .(variabile) e incontrano un anticatodo nel qmtle vengono frena.ti emettendo coi;i raggi X.

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    142

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    PARTE IV

    CHIMICA

    Capitolo 1·

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    La costituzione della materia 1.1 Stati di aggregazione e pa�saggi di stato

    (

    La. chimica è lél. disciplina che studia la costitmdone della materia. 1 la sua. trasforma, �ionc• <' Penergin in gioco nella trm-1formazio11e. Viene definita materia tut.to ciè> che occupa uno spa.r.io e ha mm massa. Tutta 111 materiél. esistente è� costituita da atomi. Gli atomi sono le particelle più piccole che costituh:;cono la materia. Gli atomi si combinano tra loro in modi diversi per dare le molecole. La molecola è la più piccola quantità della materia a cui corrispondono le proprietà chimiche cioè la cn.pacità di reagire con altre molecole per dare nuovi composti. Le molecole contribuiscono anche a definire le propri età fisiche delle sostanze. La materia con la quale abbiamo interazioni tutti i giomi e di cui siamo fotti è in genere costituita da miscele di sostanze. Si intende per miscela l 1 insieme di dne o più ::i0stanze 1 a composizione variabile. Le miscele (o miscugli) possono es:-.ere omogenee! o eterogenee: Si noti che nei quiz il termine miscuglio viene spesso ·usato impropria, mente pe1· definire una miscela eterogenea. Una miscela omogenea è costituita da una sola fase1 cioè una porzione della materia nella quale le proprietà sono identiche punto per punto. L1 aria 1 l 1 acqua del rubinetto 1 il vino 1 la benzina 1 un diamante 1 una sbarra di alluminio sono esempi di miscela omogenea. Si può avere una sola fase in tutti e tre gli stati di aggregazione1 solido1 liquido e gassoso. Qualsiasi sostanza o miscela di sostanze allo stato gassoso (soluzioni gassose) è costituita da una sola fase 1 perché qualsiasi porzione del gas (a meno che non si scelga una porzione corrispondente ai volumi clello molecole) presenta sempre le stesse proprietà. Lo stesso è vero per le soluzioni liquide1 come l 1 acqua del rubinetto ( che oltre all 1 acqua contiene gas e sali disciolti) 1 il vino (che è costituito da acqua1 alcol etilico e altre sostanze disciolte) 1 Pacqua del mare (se filtrata) e la benzina (che è una miscela di idrocarburi liquidi). Ma è vero anche per le soluzioni solide. Una barra di alluminio contiene solo alluminio e quindi non è una soluzione, così come non è una solmdone un diamante 1 che è carbonio puro. Ma una barra di acciaio o di bro117.0 1 che sono leghe 1 cioè una soluzione di ato_mi diversi 1 è una solu­ zione solida. 143

    t: i;

    Capitolo 1 La costitu7.ione della materia

    © Artquiz

    Una miscela eterogenea è costituita da più fo.si, è cioè possibile suddividere la miscela in porzioni definite che hanno proprietà di\•erse. Mescolando acqua e olio (che sono insolubili l'uno nell'altra) si ottengono due fasi, anche se costituite da piccolis­ shne goccioline, una fase acquosa e una fase oleosa. 'Ira i liquidi biologici il sangue è una miscela eterogenea, nella quale è possibile distinguere le varie cellule che vi sono disperse dalla soluzione acquosa. Le lacrime, invece, sono costituite da una sola fase. La nebbia, costituita da goccioline di liquido disperse nel gas aria, è una miscela eterogenea, come il fumo, costituito da particelle solide disperse nel gas. 'Iì·a le miscele eterogenee molta importanza, dal punto di vista biologico, hanno le dispersioni colloidali o sospensioni colloidaH, in cui particelle solide sono sospese in un liquido. Il sangue e il latte appartengono a questa categoria. Un modo per distinguere sperimentalmente una soluzione da una sospensione col· loidale è quella di farla attraversare da un raggio di luce: nel caso della soluzione il raggio passa senza lu!>ciare traccia, nel caso delle sospensioni il raggio viene percepito perché viene disperso in tutte le direzioni dalle particelle sospese (effetto Tyndall). Tale effetto si osserva quando un raggio di sole penetra da una fessura della finestra in una stanzo. buia: il raggio vieue individuato perèhè disperso dalle particelle solide (polvere) sospese nell'aria.. I singoli componenti di una miscela spesso possono essere purificati usando mezzi fisici. 'I'l:a i pii, usa.ti c'è la fil trazione, che separH. i solidi sia dai liquidi che dai gas, �fruttando le dimensioni più grandi delle particelle solide per trattenerle su un filtro. Anche la centrifugazione è un mezzo comunemente usato quando si vogliono sepa­ rare particelle che hanno diversa densità: in questo modo dal latte si separa il grasso (burro) che galleggin. :ml liquido dopo la centrifuga¼ione, o dal sangue si separano i globuli rossi che invece si raccolgono al fondo della provetta dopo la centrifugazione. � Le proprietà della materia vengono suddivise in ìntensive ed ·estensive. Le prime non dipendono dalla quantità di materia che si prende in consi­ derazione. Esempi di proprietà intensive sono la densità, la temperatura, il pH, l'indice di rifrazio ne, il calore specifico, il punto di fusione, la con, centrazione, ecc. Esempi di proprietà estensive sono la massa, il volume, la quantità di calore, l'entropia, ecc. Gli stati della materia sono: lo stato solido, lo stato liquido e lo stato gassoso (o aeriforme). Lo stato solido è caratteriz1mto dall'avere un volume e una forma propria, grazie alla forte interazione tra gli atomi e le molecole che lo costituiscono. Una definizione piii restrittiva è quella che individua nel solido solo una sostanza allo stato cristal­ lino, in cui cioè tutti gli atomi componenti hanno una precisa posizione netrreticolo cristallino. Secondo questa definizione un vetro non sarebbe un solido ma unHiquido sottoraffreddato ad alta viscosità: le molecole del vetro infatti sono disordinate (come tutti i liquidi), solo che per il loro attrito non sono capaci di muoversi se non a velocità bassissime (tanto basse da non essere misurabili in tempi normali). Questi tipi di solidi non hanno un punto di fusione definito. Lo stato liquido è caratterizzato dall'avere un volume proprio ma non una forma ropria: ciò è dovuto al fatto che, pur essendoci tra le molecole una forza di attrazio­ p ne tale da tenere le molecole vicine l'una all'altra, essa non è tanto forte da fissarne la posizione nello spa:.tio. Le molecole quindi sono libere di muoversi (più o meno facilmente e questo carattcriz�a la proprietà che si chiama viscosità).

    144

    @ A1tqui1,

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    CHIMICA

    Lo stato gassoso è c�atterizzato da non avere né una forma nè un volume pro­ prio. Le molecole non hanno tra loro un'attrazione tale da tenerle vicine una all'altra e tendono a muoversi in modo disordinato in tutte le direzioni e quindi ad occupare tutto il volume a disposizione. · A seconda della sua natura e della temperatura e pressione alla quale si trova, una sostanza assume uno dei tre stati. I diagrammi di stato per ogni sostanza individuano i campi di temperatura (T) e pressione (P) ai quali ogni stato di aggregazione è sta,. bile. Nella Figura 1.1 è riportato il diagramma di stato dell'acqua. Un punto in una della tre aree in cui è suddiviso il diagramma rappresenta una coppia di valori P, in cui quello stato di aggregazione è stabile in assenza degli altri. Un punto qualsiasi su una curva individua i valori di P e T ai quali due stati di aggregazione sono in equilibrio. Le tra curve si incontrano in un punto, chiamato punto triplo, dove sono in equilibrio tutti e tre gli stati di aggregazione.

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    Figura 1.1: Diagramma di stato dell'acqua. Alla pre.'ìsione atmosferica l'acqua La retta 1 che divide lo stato solido dallo e bolle a 100 congela a O ,'ìtato liquido ha una pendenza negativa perché l'acqua solida ha una densità inferiore a q1tella dell'acqua liquida: la pres.'ìi one facilita quindi il passaggio dallo stato solido allo stato liquido e la temperatura di congelamento diminui, sce con l'aumentare della pressione. Al di sopra della temperatura critica è stabile solo lo stato gassoso. La curva 2 rappresenta la pressione di vapore del liquido in funzione della temperatura. La c1trva 3 rappre.,:umta la pressione di vapore del ,'ìolido in funzione della temperatura. La scala delle ascù;.�e non è proporzionata.

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    Nel caso dell'anidride carbonica il diagramma di i-,tato si difforen7,ia da quello dell'acqua per due caratteristiche: 1. La retta che divide lo stato solido dallo stato liquido ha una pendenza positiva perchè l'anidride carbonica solida ha una densità superiore a quella dell'anidride carbonica liquida.

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    2. Il punto triplo si trova a circa 5 atm di pressione per cui l'anidride carbonica nel nostro pianeta non potrà mai apparire nella forma liquida (a meno di esercitare su di essa una pressione superiore a 5 atm). L'anidride carbonica solida infatti si chiama ghiaccio secco appunto perché non fonde ma s11blima. 145

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    © Artquiz

    Capitolo 1 La costituzione dello. materia

    Cambiando la temperatura (e la pressione) la sostanza può cambiare stato di aggregazione, senza variare la sua composizione chimica. A pressione costante il pas· saggio di stato avviene a temperatura costante, nel senso che, anche se si riscalda o si raffredda il sistema, la temperatura non cambia fino a che sono presenti i due stati di aggregazione. Il calore che viene fornito o sottratto serve a far passare una parte del sistema da uno stato di aggregazione all'altro. Si chiama ebollizione il passaggio dallo stato liquido allo stato gassoso (vapore; Chimica,§ 5:2). Tale passaggio non deve essere confuso con l'evaporazione, un pro, cesso che avviene a tutte le temperature (vedi infra). Il processo inverso si chiama condensazione. Il passaggio dallo stato liquido allo stato solido si chiama solidificazione e il pro­ cesso inverso si chiama fusione. Il passaggio dallo stato solido allo stato gassoso (vapore) si chiama sublimazione e il passaggio opposto si chiama brinamento (Fig. 1.2). ;, I cambiamenti di stato sono processi che mettono in gioco dell'energia. Quando si passa da uno stato pii1 stabile (solido) ad uno meno s'tabile (liquido o gassoso) bisogna fornire al sistema energia. I processi sono eodotermici e si parlu. di calore di fusione, di sublimazione o di ebolliiione. I pass�ggi iuvel'si sono invece esotermici e si definiscono i calori di solidificazione, di liquefazione e di brina.mento. VAPORE

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    SOLIDIFICAZIONE LIQUIDO+--------- SOLIDO FUSIONE

    Figura 1.2: I passaggi di stato. � Poiché il passaggio di stato avviene a temperatura costante e la temperatura di un corpo è la misura dell'energia cinetica media delle molecole che lo costituiscono (,�m·u 2 ) l; molecole nei diversi stati hanno la stessa velocità media.

    1.2 Elementi e composti t,

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    Un elemento è una sostanza costituita da atomi dello stesso tipo. Solo nel CEJ.80 dei gas nobili la molecola è costituita da un solo atomo (es. He); le altre sostanze sono costituite da molecole contenenti due, tre, quattro o pii1 atomi (es. Cb, P 4 , N2 ), Nel caso dei metalli, dei sali e del car bonio la molecola consiste nell'aggregato di tutti gli atomi costituenti la quantità di sostanza presa in considerazione. In altri termini, in alcuni solidi, la molecola non è identificabile, perché tutti gli atomi sono legati tra loro (Chimica,§ 4.1.3). Gli atomi degli elementi noti sono 105. Alcuni di questi sonq prodotti artificial­ mente. Ognuno è caratterizzato da un simbolo formato da una o due lettere e occupa

    146

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    © Artquiz

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    CHIMICA

    un posto preciso su una Tavola (dettn periodica), da cui è possibile dedurre alcune proprietà (Chimica,§ 3.1). I composti chimici souo formati da. più atomi di specie diverse, che costituiscono 1� molecola di quel composto. Nella formazione di una molecola gli atomi che la compongono si legano tra loro secondo rapporti fissi determinati dai numeri che ap, paiono nella formula chimica o formula molecolare (es. H2S04, C2HsOH, C02). La formula chimica individua il composto dal punto di vista qualitativo e quantita­ tivo. Per i composti di natura ionica (Chimica,§ 4.1.1) la formula indica solamente i rapporti quantitativi tra gli ioni costituenti la sostanza. La formula di strutt ura di un composto indica il modo con cui gli atomi :,;i legano tra loro per formare la moleco, la. Spesso ad una formula grez za o bruta corrispondono più formule di struttura. Con formula minima si intende il rapporto quantitativo più smnp1ice tra gli atomi costituenti il composto.

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    147

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    Capitolo 2

    L'atomo



    2.1 L'atomo e i suoi costituenti. Gli isotopi. La radioattività. Il peso atomico e il peso molecolare. La mole · In maniera molt.o generale ogni atomo è costituito da un nucleo centrale con çarica positiva circondato da particelle con carica negativa., chiamati elettroni, che si muo, vono intomo al nucleo. Lo �par.io entro il qun.le si trovano quei-;t;e particelle è di natura pressochc sferica e il raggio delle sfere è dell'ordine cli grande;,.xa degli angstrom (A).

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    1

    A= 10- 8 cm= 0,1 nm = 10- 10 m = 100 pm.

    Il nucleo è costituito da particelle elementari d1iamate protoni e neutroni ( o nucleoni). I protoni hanno carica po�itiva, della steS8a entità di quella negativa degli elettroni, mentre i neutroni �ono :,;carichi. Protoni e neutroni hanno massa pressoche equivalente e circa 1.800 volte più grande della mas:·m degli cl�ttroni, per cui la massa di un atomo è praticamente concentrata nel nucleo. � I protoni, gli elettroni e i mmt;roni hanno la loro corrispondenza in particel, le opposte che costituiscono l'antimateria. Gli antiprotoni hanno la stessa massa de protoni ma carica negativa, gli antineutroni hanno la stessa massa e sono semm carica, gli antielettroni hanno la stessa massa ma carica po, sitiva (sono chiamati anche positroni, usa.ti nella tecnica PET, "positron emission tomography"). Quando due particelle di antimateria si incontrano si annichilano ed emettono una gTande quantità di energia pari a E = mc 2 , in cui E è l'energia emessa, m la massa delle particelle annichilite e e la velocità della luce.

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    La specie chimica cli ogni atomo ( e quindi il suo simbolo atomico) è definita dal numero di protoni contenuti nel nucleo. Tale numero viene chiamato numero ato­ mico e definito dalla lettera Z. L'atomo più semplice ha un solo protone nel nucleo e corrisponçle all'elemento idrogeno il cui simbolo atoEJii.co è H. I tre concetti sono sinonimi. Il carbonio ha nunrnro atomico 6 e il suo s'ffliholo è C. Poichè nél nucleo ci sono i neutroni viene definito anche il numero di mas sa (A) che rappresenta la somma del numero dei protoni e dei neutroni presenti nel nucleo. Quando si vuole mettere in evidenza que.c:;ti due numeri nel simbolo dell'elemento si mette il valore di Z in basso a sinistra del simbolo e il valore di A in alto a sinistra del simbolo. Esempi: 12c a1p 6

    I 15

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    149

    © Artquiz

    Capitolo 2 L'atomo

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    La stn.bihtà di un uncleo dipende dal rn.pporto tra. il nnmcro dei protoni e quello dei neutroni. Questo rapporto è variabile all'interno di un certo intervallo, per cui un atomo può essere stabile pur avendo nn nu11tero di neutroni diverso nel nudeo. Gli n.tomi che hanno nel nucleo Io stesso numero di protoni ma diverso numero di neutroni vengono definiti isotopi. Essi quindi hn.nno lo stesso valore di Z, ma un diverso valore di A. Gli isotopi di un elemento possono eb-scre separati sottoforma di specie ioniche dallo spettrometro di massa, che separa le sostanze sulla. base· del rapporto massa/carica. Per esempio gli ioni 56 Fe2+ e 58 J:<è2+ possono essere separati perché la carica è sempre ln. stessa mentre le masse dei dne ioni sono diverse. Se il · rnpporto tra protoni e neutroni eccede o è al di sotto di 1111 certo valore, il nucleo è instabile e tende n. trasformarsi. In tnl caso si pn.rla di isoto pi radioattivi, essendo la radioattività mm emissione di particelle e di energia (decadimento radioattivo) (esempio l'isotopo 1 dell'idrogeno, �H, o protio e l'isotopo 2, ?H, o deuterio, sono 11gnn.Imente stabili, mentre l'isotop o 3, r H, o tritio, non è stn.bile ed è rndion.ttivo). Le radiazioni emesse sono di tipo a (nn nucleo di elio, He, contenente due protoni e due neutroni) poco penetranti, di tipo /3 (elettroni e positroni) più penetranti, o di tipo, (radiazioni elettromagnetiche molto energetiche e penetranti). Qun.uclo vengono emesse particelle a cambia nel nucleo il numero di protoni e quindi, a seguito dell;cmil;sione, ca1nbia la. nn.turn. dell'elemento. Esempio: J�U --> 2g3Th + �He++

    2

    Quando vengono emesse pa.rt�cellc /3 (elettroni o positroni) un neutrone nel nucleo si trasforma in protone o viceversa, e qniudi anche iu questo caso cambia la. mttura dell'atomo. Esempio:

    ooc 21

    ° --> 2aooN·t + e -

    La cinetica di decadimento di un isotopo radioattivo è specifica di og11i isotopo. Si definisce tempo di dimezzamento (o emivita) di un isotopo radioattivo il tempo ·necessario per perdere metà della sua radioattività. Esso viene usato per datétre reperti' fossili sulla base della radioattività del 14 C, il cui tempo di dime-tzamento è di 5.760 n.nni. Il tempo cli dime-1,zamento è inversamente propor1.ionale all'attività specifica di un radionuclide: più corta è la vita più pericoloso è U radionuclide, in quanto emette la sua radioattività in un tempo minore. L'emissione di radiazioni gamma accompagna in genere le emissioni beta. Se emesse da sole, le radiazioni gamma non cambiano la Qatura. dell'atomo. La natura dei nuclei, oltre che per decadimento radioat.tivo, può essere cambiata per bombardamento con neutroni. I nuclei pesanti subiscono in taL,modo una scissione in più nuclei di massa intermedia con grande emissione di energia.�Il processo si chiama fissione ed è utili7:,mto sin. nella bomba atomica che nelle centtali nucleari per produrre energia elettrica. Il processo inverso, quello di unire nuclei di idrogeno per formare un nncleo di elio, si chiama fusione nucleare. Esso avviene nel sole e produce una qmmtità di energia molto superiol'e a qncllo della fissione (sul processo di fusione si basa la bomba termonucleare o a idrogeno). � Nella bomba atomica si usa come combustibile 235 U. In natura l'uranio è presente sotto forma di due isotopi 235U e 238U. Per costruire la bomba è necessario sepal'are 238 U da 235 U. Questo processo prende il nome di arricchimento dell'uranio. 150

    @ Artquiz

    CHIMICA

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    Alcuni isotopi radioattivi, come il 6°Co, sono utilizzati per la terapia dei tumori (radioterapia). Il principio è quello di indirizzare le radiazioni (raggi , ed elettroni) sulla massa tumorale, per provocarne la distruzione. Poiché le radiazioni sono genotossiche (capaci di provocare mutazioni sul DNA) esse sono anche causa di cancro. Un atomo è neutro quando il numero di elettroni che contiene è pari al numero dei protoni. Quando i due numeri sono diversi l'atomo viene chiamato ione. Esisto­ no, per ogni specie atomica, ioni positivi o cationi (per carenza di elettroni) e ioni negativi o anioni (per eccesso di elettroni). Esempi: Ca2 + , A]3+ , Li+ , ci-, s2 -. I protoni e i neutroni hanno una massa quasi uguale di 1, 67 · 10-2 4 g. Uelettrone ha una massa di 9, 11 · 10- 2 8 g, molto pii1 piccola. Data la bassissima massa di queste particelle non è pratico usare il grammo o il chilogrammo come unità di misura delle masse atomiche. Si usa invece una unità di misura che è il dalton (Da) (sp9Sso in­ dicata nei quir. anche come u.m.a., unità di massa atomica), che è definito come la dodicesima parte della massa deWisotopo 12 del carbonio (pari .a 1, 66054 · 10-24 g). Poiché quc.c;t> u]timo contiene 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni, il dalton corri­ sponde alln massa di mC'1:1,o elettrone più quella di mer;,:,,o protone più quella di me7,7,0 neutrone. Ma data la pratica uguaglianza delle uui.::;se dei protoni e dei neutroni e la trascmatC'.-;:;,,a della massa dell'elettrone, si può dire che il clalton corrisponde in pra­ tica alla massa ciel protone (o del neutrone). Per questa ragione ogni specie chimica dovrebbe avere un peso atomico (misurato in da.ltou) quo.si intero, corrispondente alla somma ciel numero dei protoni e dei neutroni contenuti nel nucleo. Cionono­ stante, se si va a controllare i pesi atomici riportuti nella Tavola periodica per ogni elemento, spesso si vede che esso non è un numero quasi intero. Questo dipende dal fatto che nella Tavola periodica vengono riportati i pesi atomici degli elementi secon­ do la composizione isotopica che essi hanno in natura. Se Piclrogeno in natura fosse presente solo come protio (fatto da un protone e un elettrone) il :=mo peso atomico sarebbe praticamente 1. Se fosse presente sòlo come cleuterio il suo peso atomico sa­ rebbe praticamente 2. Se fosse presente come tritio, sarebbe 3. Se l'idrogeno presente in natura fosse una miscela al 50% di protio, 30% di deuterio e 20% di tritio, il suo peso atomico sarebbe O, 50 · 1 + O, 30 · 2 + O, 20 · 3 = 1, 70 Da. Poiché il peso atomico reale deWidrogeno è 1,01, questo ci suggerisce che ] >idrogeno in natura è costituito essenzialmente da protio. Il peso atomico è usato anche per ricavare la massa delle molecole (peso moleco­ lare), che si ottiene semplicemente sommando i pesi atomici degli atomi costituenti. Esempio: la CO2 ha un peso molecolare pari a 12, 01 + 2 · 16, 00 = 44, 01 Da. Viene definita mole (o grammomole, indicata con il simb�lo mol) la quantità di sostanza in grammi che corrisponde al peso molecolare (o atomico se si tratta di ato­ mi, in tal caso si chiama. grammoatomo) della sostanza. 44,01 g di CO2 sono una mole di CO2 . 2 g di I-12 (il peso molecolare di H2 è 2) sono una mole di iclrogeno. 12 g di carbonio (C) sono una mole (o grammoatomo) di carbonio. È immediato capire che una mole di una qualsiasi sostanza contiene lo stesso numero di molecole: tale numero è il numero di Avogadro pari a 6, 02 · 10 23. Il. numero di moli di una sostanza (indicata con la lettera n) viene facilmente ricavato se si conosce il numero di grammi della sost11nza e il suo peso molecolare: • n = (massa della sostanza)/(peso molecolare della sostanz�). Da questa relazione si può ricavare qualsiasi grandezza incognita conoscendo le_ altre due: 151

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    © Artquiz

    Capitolo 2 L > atomo

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    • massa della sostanza

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    = 11 · peso molecolare;

    • peso molecolare= massa della sostauza/n. Una reazione chimica è un processo con il quale si cambia la natura delle so­ stanze. Questo avviene perché alcuni legami si rompono e se ne formano degli altri. Per esempio quando si brucia carbone con ossigeno si ottiene l'anidride carbonica. La reazione, utilizzando i simboli delle sostanze, può essere scritta come: C + 02 � CO 2 Questa reazione può essere letta in due modi: il primo, di tipo qualitativo, ci dice che il carbonio reagisce con l'ossigeno per dare anidride carbonica; il secondo, di tipo quantitativo, ci dice che una mole di carbonio (pari a 12 g) reagisce con una mole di ossigeno (pari a 32 g) per dare una mole di anidride carbonica (pari a 44 g). Come si vede la massa di CO2 è pari alla somma delle masse di C e di 02 che hanno reagito. Questa è l'espressione della legge di Lavoisier. Un altro esempio:

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    + 2 H2 O � 2 HNO3

    Anche in questo caso la somma delle masse dei reagenti (le sostanze a sinistra della freccia) <� uguale alla somma delle masse dei prodotti (a destra della fr eccia). Questa reazione ci dice anche che ci vogliono due molecole di acqua per reagire con una molecola di anidride nitrica (o peutossido di diazoto) e clte la rea:lione porta alla formaiioue di due molecole· di acido nitrico. Per rispettare la legge di Lavoisier è quindi necessario mettere i corretti coefficienti davanti ai simboli delle specie chimiche che reagiscono. Un altro modo di esprimere la legge è quello di dire che durante la reazione chimica non si crea né si distrugge materia (e quindi gli atomi di a:.wto, di ossigeno e di idrogeno presenti nei reagenti debbono essere ritrovati nei prodotti). La reazione corretta si dice bilanciata. Nel caso di reazioni nelle quali compaiono gli ioni, oltre alle masse debbono essere bilanciate anche le cariche. Esempio:



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    + 8 H + � 2 Cr3 + + 3 so.?- + 4 H2 O

    In un composto gli elementi che lo formano si combinano sempre con un rapporto in peso definito: è questa la legge delle propornioni definite che va sotto il nome di legge di Proust.

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    2 .2 Modello atomico e configurazione elettronica degli elementi Il primo modello di atomo fu concepito da Thomson il quale suppose cl,ie esso fosse fatto da una massa di carica positiva che conteneva immerse in essa le cariche negative. L'esperimento 'di Rutherford, il quale inviò un fascio di nuclei di elio (due protoni e , due neutroni) su una lamina d oro molto sottile, dimostrò che lo spazio occupato dagli atomi era essenzialmente vuoto e permeabile al fascio di nuclei di elio. Solo una pic­ colissima parte di essi (3%) venivano deviati, seg110 che avevano incontrato un nucleo carico positivamente: il modello di Thomson avrebbe portato all'attraversamento sen­ za deviazione di tutto il fascio. L'atomo di Rutherford può essere schematizzato come una pallina centrale (il nucleo) dove è concentrata quasi tutta la sua massa e la carica positiva, e una nube elettronica intomo ad essa (molto più grande del nucleo stesso) che definisce il volume dell'atomo (oltre che costituirne la parte con carica negativa). 152

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    © Artquiz

    CHIMICA

    Poiché le proprietà chimiche delratomo (cioè la sua capacità di combinn.rsi con altri atomi per formare le molecole) dipendono da come sono distribuiti gli elettroni nello spazio intorno al nucleo, lo studio di questa distribuzione è stato fondamentale per definire un modello di atomo. In breve, e schematicamente, alla base della stabilità di un atomo sta la interazione che c >è tra la carica negativa di ogni elettrone e la carica positiva del nucleo. Tuttavia la fisica cosiòdetta classica non riesce a spiegare Pesistenza separata degli elettroni e dei nuclei, nel senso che Papplicazione delle leggi note della fisica porterebbe comun­ que alla caduta degli elettroni nel nucleo, con emissione di energia elettromagnetica. Gli atomi sono invece stabili e quindi gli elettron1 non cadono nel nucleo e inoltre emettono e assorbono energia non in modo continuo ma con definite lunghe1s¼e d> on­ da o frequen'l,e (non dimenticar si Pequazione di Planck-Einstein: E = hv, dove h è la costante di Planck e J/ è la fr equemm della radiazione elettromagnetica emessa o assorbita. Jl pacchetto di energia E si chianm anche fotone). Ogni tipo di atomo, infatti, ha un definito spettro di assorbimento e di emissione che è fatto a righe (sulla base di questi spettri vengono identificati i tipi cli atomi presenti in un crunpio- · ne). Ogni riga rappresenta Penergia emessa o assorbita quando un elettrone salta da 1111 livello energetico ad un altro. Questi spettri ci dicono che gli elettroni di un atomo si trovano in uno stato energetico stabile: solo quando vengono eccitati essi saltano da quello �tuto stabile ad un altro stato,stabile assorbendo energia. (o emettendola. nel salto inverso). Uenergia degli elettroni in un atomo non è quindi continua ma quantizzata. Bohr fu il primo n clescrivere nit modello qnantiz:,,ato cli atomo, con gli elettroni capaci di percorrere determinate orbite permesse, nelle quali sono stabili e non emettono ennrgia. Uenergia viene eme:;sa, o nHsorbita. solo quando c>è il salto , , da. un orbita ud uu altra. Il tentativo di prevedere il moto dcWclettrone nel suo stato sta.bile (cioè de8criver­ ue il moto con una equazione) si è poi scontrato con un ostacolo fortissimo costit.uito dal principio di indeterminazione di Heisenberg, il quale asserisce che non è possibile prevedere contemporaneamente posiz.ione e velocità di una particella come Pelettrone. Questo precludeva la scrittura di una equa:,;ione del moto delPelettrone, come si fa per un satellite intorno ad un pianeta. L'ostacolo fu aggirato dopo aver scoperto la natura duale della materia: essa infatti ha proprietà ovvie di corpuscolo ma ad essa è associata anche la proprietà di onda. Uequazfone che lega i due aspetti è quella di De Broglie: À=

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    dove À è la lunghezza d> onda delPonda associata alla mru:;sa m di nn_ corpo che si muove a velocità v e h è la costante di Planck. I due concetti, di impossibilità di descrivere il moto deWelettrone e di natura on­ d ulntoria dello stesso, permisero a Schrodinger di costruire una equ�zione d'onda degl i elettroni. Le soluzioni di questa equazione forniscono si� Penergia degli sta­ ti elettronici permessi che lo spazio occupato dai singoli elettroni intorno al nucleo. Si badi bene che la posizione degli elettroni (e quindi lo spw,do da essi occupato) è de:;critto in termini di probabilità (per non violare il principio di indeterminaz.ioue). Schrodinger ha dimostrato che la soluzione deWequazioue è possibile solo per certi valori di alcuni numeri, chiamati numeri quantici. Ogni soluzione (1/J, o meglio -il sno quadrato, 1/)2) definisce nn orbitale (per distinguerlo dalle orbite che sono per­ cori:;i ben definiti) e rappresenta lo spazio entro il quale c > è una probabilità finita di 153

    @ Artquiz

    Capitolo 2 L'atomo ,j il ·.�,

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    trovare l'elettrone e a cui corrisponde un'energia definita dell'elettrone. Gli orbitali descrivono quindi glt stati possibili e quantiiiati che l'elettrone può assumere in un determinato atomo. I numeri quantici i cui vnlori permettono di trovare solu�ioni all'equazione di Schrodinger sono: 1. Il numero quantico principale (definito dalla lettera n) che può assumere valori positivi interi da 1 in poi (n = 1, 2, 3, ecc.). Il suo valore è per buona parte proporzionale all'energia dell'elettrone e alla sua distanza media dal nucleo. Esso definisce il livello nel quale si trova l'elettrone, che viene in q11alche testo designato con le lettere K (n = 1), L (n = 2), M (n = 3), N (n = 4), ecc. 2. Il numero quantico secondario (definito dalla lettera 1) rappresenta la forma dello spa:.t;io occupato dall'elettrone e, in parte, anche l'energia dell'elettrone. Esso può assumere valori che dipendono da n, nel senso che, fissato 11, 1 può variare da O a (n-1), comprendendo tutti i numeri interi intermedi. Quindi, quando n = 1, 1 può essere solo O. Quando n = 2, 1 può essere solo O e 1, e cooì via. Quando 1 = O, la forma dell'orbitale è sferica. Quando l = 1 la forma dell'orbitale è a d11e lobi sferici opposti. Quando 1 = 2, la forma dello spa2io è a quattro lobi, come nn quadrifoglio, ecc. La forma sferica dello spazio è indicata anche <-'Ome un orbitale di tipo s, la forma a due lobi è indicata come orbitale di tipo p, la forma a quattro lobi è indicata come orbitale di tipo d. In seguito ci �ono gli orbitali di tipo f e g. (Fig. 2.1). 3. Il numero quantico magnetico (definito dalla lettera mL o solo dalla lettera m) rappresenta l'orientazione nello spa7.io degli orbitali. Esso può variare tra -1 e +l. Quindi quando 1 = O, IIlL è 7,ero (la sfera non ha. orientazione, c'è un solo orbitale di tipo s). Quando 1 = 1, mL può as�mmere i valori -1, O e +1 (i doppi lobi hanno tre orientazioni lungo i tre assi cartesiani e quindi ci sono 3 orbitali di tipo p), come nella Figura 2.1. Quando 1 = 2, mL pnò assumere i valori -2, -1, O, +l, +2 (ci sono cinque orienta7.ioni diverse per gli orbitali a quattro lobi, di tipo d). E così via. 4. Il numero quantico di spin (definito dalla lettera m8 ). Esso caratteriZ7.a due stati possibili dell'elettrone, indipendenti dall'orbitale che esso occupa, e raffigu­ rabili come due rotazioni possibili (destrogira e levogira) intorno all'asse. I due valori possibili sono +1;2· e -1/2.

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    Figura 2.1: Rappresentazione degli orbitali atomici di tipo s e di tipo p.

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    Orbitali P

    Partendo da queste premesse si può costruire la configurazione elettronica di qualsiasi atomo nel suo stato fondamentale, cioè nel suo stato stabile a bassa 154

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    © Artquiz

    CHIMICA

    energia. Questo vuol dire che in un dato atomo, con il suo numero atomico e quindi con il suo numero di elettroni> questi possono essere assegnati agli orbitali secondo delle regole> che sono così riassunte: 'A. Gli elettroni cominciano ad occupare gli orbitali partendo da quelli a più bassa energia> quindi prima quelli con 11 = 1> poi quelli con n = 2 e così via (principio dell'Autbau). B. Gli elettroni non possono avere tutti e quattro i numeri quantici uguali (principio di esclusione di Pauli). Quindi > poiché un orbitale è designato da tre numeri quantici (n > l e m) > esso può essere occnpnto solo da due elettroni di spin opposto. C. Quando gli elettroni hanno la pos.sibilifa di occupare diversi orbita.li alla stessa energia> lo fauno occupando il mas..�imo numero possibile di essi (regola di Hu nd o della massima molteplicità). Ln scala di energia degli orbitali è riportata nella Figura 2.2.



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    Figura 2.2: Ordine crescente delle energie degli orbitali atomici.

    Proviamo a costruire la configurazione elettronica degli elementi seguendo Piucre­ meuto del numero atomico. Il primo elemento è l'idrogeno (H)> con Z = 1. L'unico elettrone si dispone nel­ l'orbitale ad energia più bassa> con n = 1 e l = O. Questo orbitale viene designato con il termine ls. Il numero rappresenta il valore di n > mentre la lettera rappresenta il tipo di orbitale (s perché quando n è uguale a 1 > l non può essere che O). Quindi la configura:-,;ione elettronica delPidrogeno è ls. Il secondo elemento è l'elio (He). Ha Z = 2 e quindi ha due elettroni. Essi pos­ sono andare entrambi nelPorbitale ls > perché possiedono il numero di spin opposto e quindi non contraddicono il principio di Pauli. La configura¼ione elettronica è quindi ls 2 > con il 2 cp.e non rappresenta una potenza ma il numero di elettroni contenuti nell >orbitale. Il terzo elemento > il litio (Li) ha tre elettroni: due Ii dispone nell'orbitale 1s. Il terzo non può esservi alloggiato perché si violerebbe il principio di Pauli > quindi va in

    155

    © Artquiz

    Capitolo 2 L'atomo

    un nuovo orbitale, che avrà nutnero quantico principale 2. Con n = 2 si può n.vere 1 = O e 1 = 1, quindi orbitali di tipo s (sferici) e orbitali

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    • Na = ls2 2s2 2p6 3s • Mg

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    = ls2 2s2 2p6 3s2 3p6

    L'argon ha 18 elettroni. ll 19 ° èlettrone dovrebbe anelare in uno degli orbitali 3d (1 = 2). Ma poiché, come si è detto, l'energia di un orbitale dipende sia da n che da 1, l'orbitale 4s del livello successivo ha un'energia inferiore a quella posseduta da un orbitale 3d (Fig. 2.2). Quindi il potassio (K) e il calcio (Ca) hanno configurazione ·1 elettronica: I,

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    • Ca = ls 2 2s 2 2p6 3s2 3p6 4s2 ·

    Dopo aver riempito l'orbitale 4s, gli ulteriori elettroni possono andare negli orbitali 3d, che sono 5 e quindi possono alloggiare complessivamente 10 elettroni. Questi elettroni sono alloggiati seguendo la regola di Hund e il principio di esclusione. Gli elementi che progressivamente riempiono gli orbitali d sono Se, Ti, V, Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Cu e Zn. La configurazione elettronica degli altri elementi può essere facilmente ricostruita usando la Figura 2.2, che riporta in sequenza gli orbitali con energia via via crescente.

    156

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    Capitolo 3

    Sistema periodico degli elementi 3.1 Tavola periodica degli elementi Lo. configma�ionc elettronica d egli elettroni piì1 esterni clcgli elementi viene 11tili;1,zntn per incascdln.re gli clementi stes..�i in 1111 modo ra;1,ionale dal qnn.lc si possnno clednrrc > in mnniera immediata> alcune proprietà. Tale incasellamento porta alla forma�ioue della. cosiddetta Tavola periodica degli eleqienti o Tavola di Mendeleev > clal nome dello scienziato russo che cominciò a collocare in maniera ordinata gli elementi stessi in base alle lorn proprietà chimiche. Infatti le proprict;à chimiche di un elemento dipcnclono dalla configurazione elettronica degli elettroni piì1 esterni, come si vedrà quando si affrontcrh il problema della formazione elci legami per ottenere le molecole. Lu. Tavola pc-•riodicn. (Fig. 3.1) è suddivisit in righe (chiamate anche periodi) e colonne (chiarnu.te anche gruppi). Nei periodi vengono disprn-;ti gli elementi con il numero atomico crescente du. sinistra a. destra. Un perioclo finisce �empre con un gas nobile, 1111 elemento che si trova allo stato gassoso (a temperatura e pressione ambien­ te) e che è straordinariamente poco reattivo (in questo consiste la �un nobiltà). Un gruppo è costituito dagli elcmwuti che hanno lit stessn confi.,;mnzione elettronica degli el<:ttroni estern·i> e quindi k stesse proprietà chimiche > indipendentemente dal numero complessivo di elettroni che essi posseggono e quindi della grandC'.-;za del loro atomo. Questi elettroni vengono chiamati anche elettroni di valenza. Se si prendono gli elementi ciel primo gruppo (denominato anche IA) si vede che tutti pos:-;icdono nel gm:;cio più esterno un solo ·elettrone di tipo s. 'l\1tti questi elementi (con Peccc--1.iouc deWidrogeno) vengono anche chiamati metalli alcalini (per la definizione di metallo> Chimica > § 3.2). Se si prendono gli dementi del i,,econdo gruppo (IIA) si vede che tutti po:-;sieclono nel guscio piì1 esterno due efottr-oni con coufig111·1Y1.-ioue elettronica s2 (] >elio> pm avendo questa. configurazione > fa. eccezione� vedi infra). Gli clementi appartenenti n. questo gruppo vengono denominati metalli alcalino-terrosi. Analo­ gamente gli clementi del terno (IIIA > configura:-.-;ioue elettronica degli elettroni esterni s 2 p)> ciel quarto (IVA > s 2 p2 )> del quinto (VA > s 2 pa ), del sesto (VIA> s2 p,a )> del Hcttimo (VIIA > :,;2 p5 ) e dcWottnvo gruppo (VIIIA > s2 pG). Gli clementi del Hcttimo gruppo sono chiama.ti alogeni> quelli cleWotta.vo gruppo> rome detto> gas nobili. Tra il gruppo IIA e il IIIA sono· inseriti altri 10 gruppi (dns:-;ificati come gruppi B nella tavola), pcrtauto i gruppi iu totnle (A + B) sono quindi 18. 1 gruppi B comprendono i cosiddetti metalli di transizione. Essi �0110 carntteri;1,zati dal fatto di riempire progressivamente gli orbitali di tipo d > che > come abbiamo visto in pre­ cedenza> sono sempre utilizzati dopo aver riempito il livello s del numero quantico 157

    Cnpito[o 3 Sistema periodico degli elementi

    @_ Artquiz

    principale seguente (3d dopo 4s, 4d dopo 5s, ecc.). Gli orbitali d non appartengono a livelH molto pi"it interni rispetto ai livelli s esterni e quindi quesU clementi hanno proprieth che in parte rispecchiano quelle del secondo gruppo e in parte propricth proprie, come la possibilità di dar luogo a ioni colora.ti e di formare composti di coor­ dinazione. A partire dal numero atomico 57 (Lantanio) e dal numero.atomico 89 (Actinio) si riempiono anche gli orbitali f, che però sono più interni rispetto agli elettroni del guscio esterno. Le due serie sono costituite da elementi chiamati anche lantanidi e actinidi, che, proprio perché sono diversi solo per questi elettroni f interni, hanno proprietà chimiche molto simili e sono quindi difficili da separare tra loro. Come si è visto il primo periodo contiene solo due elementi, l'idrogeno e l'elio. Il primo ha proprietà speciali, anche per [a sua dimensione, e quindi non è considerato metallo alcalino. Il secondo appm·tiene ai gas nobili, anche se non ha la configurazione elettronica esterna s2 p6 come gli altri. Esso è poco reattivo perché ha chiuso il primo livello con due elettroni. Gli altri sono poco reattivi perché il numero di elettroni esterni ha raggiunto il vnlol'e di otto, che è una specie di numero magico, che tutti gli elementi tenderebbero ad avere nel guscio esterno (regola dell'ottetto, Chimica§ 4.1.2).

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    3. 2 Metalli, non metalli e semimetalli. Raggio atomico, energia di ionizzazione e affinità elettronica. Elettronegatività Ln disposizione degli elementi nella tavola periodica. può dare luogo ad alcune classi­ fica,,1,ioni di facile memorizzazione. Gli dementi che occupano tutta la pmte sini:;trn.
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    CHIMICA

    ..., L'affinità elettronica, è definita come Penergia in gioco quando un atomo pren­ de un elettrone (questa energia può essere emess� o acquistata a seconda dei casi). Essa aumenta dal ba.,;so in alto in un gruppo e da, sinistra a destra lungo un periodo. Gli alogeni, con sette elettroni nel guscio esterno, prendono più volentieri di tutti gli aÌtri elementi Pelettrone in più per completare Pottetto. Mentre i gas nobili son o molto r!luttanti a prendere un altro elettrone perché sconvolgerebbe il loro stato di "beness�re". Poiché la reattività di un elemento è correlata alla capacità di cedere o acquistare elettroni, nel primo gruppo la reattività cresce dalPalto verso il basso (in parallelo con la capacità di perdere più facilment.e Pelettrone esterno) mentre nel settimo gruppo la reattività cresce dal basso verso Palto (in parallelo con la capacità di acquistare più facilmente un elettrone). Una proprietà chiamat� elettronegatività è correlata sia alPenergia di ionizzazio­ ne che alPaffiuità elettronica. E�sn infatti viene definitn come In tendemm ad attrarre gli elettroni di legame (gli elettroni che sono meH..<{i in comune tra due atomi, Chimica, § 4.1.2) ed è rappresentata da un numero. Come le altre proprietà (rnggio atomico, affinità elettronica, ecc.) anche qucst,t varia in maniera progreHSivn scorrendo lungo i gruppi e i periodi sulla Tavola periodica. Più precisamente Pclettroncgntività cresce dal basso ver1:>o Palto lungo i gruppi e da sinistra verso destra lungo i periodi. I tre elementi piÌl elettronegntivi sono il Hnoro (valore 4), PosHigcno (3,5) e Pnzoto (a parità con il cloro) (3). In qneHta scaln Pidrogcno ha valore 2,1 e il carbonio 2,5.

    159

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    Tavola Periodica degli Elementi

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    o Capitolo 4

    Il legame chimico 4.1 Introduzione Un legame chimico trn atomi si forma quando si genera nn'attra7,io11e forte e sta­ bile tra di e�si tanto da generare nna entità definita, che chiamiamo molecola. È

    o

    necessario aggiungere gli aggettivi forte e stabile perché gli atomi e le molecole pos:m110 attrar}ii senza genenu·c un legame ma �;olo nua generica interazione. Per rendere chiaro questo concetto: in nu bicchiere di acqua liquida ci sono delle molecole di ac­ qua. Nella molecola d'acqun, di formula I-hO, i legami chimici Rono qndli che legano i dne atomi di idrogeno all'atomo cli oRsigcuo, mentre le iutcraxioui sono quelle che Hi geucrruw tra le molecole di acqua per stabilire lo stato liquiclo. In altre parole ln mo­ lecola d'n.cqna i.� sempre present.e o iudivtcluabile tu tutti e tre gli stati

  • 4.1.1 Legame ionico

    o

    Il legame ionico si instaura quando la differen;..a di elettronegatività tra i due atomi che si lega.no è superiore al valore 1,9. Questo avviene tra tutti metalli (bassa energia di ioni7,Zazione) e gli clementi del sesto-settimo gruppo, come l'ossigeno, lo zolfo e gli alogeni (alta affinità elettronica). In queste condizioni l'elemento meno elettronegativo perde gli elettroni esterni (diventa catione) a favore dell'elemento più elettronegativo (che diventa anione). Ti:a i cationi e gli anioni si genera una forte attraiione di tipo elettrostatico. Questo legame è tipico dei sali, degli oi:isidi e degli idro$idi dei metalli sia allo stato solido che liquido. Allo stato solido i composti che si ottengono vengono chiamati solidi ionici. In questi solidi cristallini gli ioni positivi sono circondati da un certo numero di ioni negativi e viceversa, per cui non è possibile riconoscere la molecola. Per esempio, nel cloruro di sodio (NaCl) ogni ione Na + è circondato da.sei ioni c1- e viceversa. La formula NaCl non ha quindi il significato di formula chimica, come nel caso di H20, ma semplicemente esprime il rapporto numerico con cui sono presenti nel cristallo i due tipi di ioni. Negli ossidi dei metalli, per cse�pio Al203 1 161

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    Capitolo 4 Il legame chimico

    © Art<1niz

    gli ioni sono Al3 + e 02-. Negli idrossidi, come NaOH, gli ioni sono Na.+ e OH-. Poiché l'attrazione tra gli ioni dipende solo dalla distanza i legami ion-ici non sono direzionali. Gli ioni dei solidi ionici permangono anche allo stato fuso, anche se essi non sono più disposti nello spazio in modo ordinato. � Poiché la differenza di elettronegatività tra ossigeno e idrogeno è circa 0,9 tra questi atomi non ci può essere legame ionico.

    4.1.2 Legame covalente Si è visto in precedenza che un atomo è stabile quando raggiunge nel suo guscio elet­ tronico più esterno lo stato di ottetto. QueHto c.: lo stato posseduto dai gas nobili, che, non a caso, 80no monoatomici e molto poco reattivi, perché la loro energia è al valore minimo. Gli altri a.tomi hann o vari modi per raggiungere questo stato di "be­ nessere". Uno
    Tutti gli elementi, molecole o ioni, che hanno un elettrone spaiato vengono chia­ mati radicali o radicali liberi. Per la pre.senza di questi elettroni spaiati e8si hanno vita molto breve perché sono molto reattivi: tendono infatti a reagire con altri radicali o con altre molecole per appaiare l'elettrone spaiato. Sono molto importanti in molti campi, compresa la biologia (Biblogia, § 3.9). In modo del tutto simile all'idrogeno si comporta un atomo di cloro che ha sette elettroni nel guscio esterno (3s2 3p5). Uno degli orbitali p possiede un elettrone spa­ iato. È proprio questo elettrone che viene messo in comune con l'altro simile di un altro atomo di cloro, per formare la .molecola di Ch, Ogni atomo di cloro h� quindi otto elettroni, i sei propri (s2 p4 ) più i due ora in comune: Cl:Cl o Cl-Cl. ,: L'atomo di ossigeno ha sei elettroni nel guscio elettronico esterno (s2 p1 ), gliene mancano quindi due per raggiungere lo stato stabile del gns nobile neon che lo segue. Un modo per raggiungere questo stato è quello di mettere in comune con un altro atomo di ossigeno due elettroni e formare quindi la molecola 02 . Poiché gli elettro­ ni messi in comune sono quattro la molecola può essere rappresentata in questi due modi: 0::0 oppure 0:::::0. Il ,doppio trattino rappresenta il doppio legame. Un altro modo per raggiungere lo stato stabile da parte dell'ossigeno è quello di combinarsi con l'idrogeno per formare l'acqua. In questo caso l'ossigeno mette a dispo�izione un elettrone per ciascun atomo di idrogeno e la molecola è descritta in questo mod�:

    162

    i

    '

    © Artquiz

    CHIMICA

    H:O:H oppure H-0-H. V.idrogeno ha assunto anch'esso lo stato stabile dell'elio. ·.

    a o D

    L'azoto ha cinque elettroni nel guscio esterno (s2 p3 ): gliene mancano 3 per rag­ giungere l'ottetto. Esso può mettere in comune i tre elettroni p con un altro atomo di.azoto che fa altrettanto da.ndo luogo alla molecola N2 , descritta in questo modo: N:::N oppure N=N. Può miche mettere in comune i tre elettroni p con tre atomi di idrogeno per formare l'ammoniaca, NH3, in cui ogni legame N-H è formato da una coppia di elettroni. La lunghezza (e quindi l'energia) di un legame dipende dnl numero di C'lettroni condivisi: un legame semplice è piit lungo (e meuo forte) di un legame doppio, che a sna volta è più luugo (e meno forte) di un legame triplo. Ora si cercherà di spiegare come si ottengono gli orbitali molecolari dove alloggiano gli elettroui condivisi. Un approccio molto usato è quello di fare la combinazione degli orbitali atomici. Questa è una operazione matematica che alla fine porta a nuove fun­ Y-ioni d'onda (chiamate appunto orbitali molecolari) che descrivono lo spazio occupato dalla coppia di elettroni di legame. Se si combinano due orbitali atomici si ottengono due orbitali molecolari (nno a piit bassa energia, uno a più alta). La combinazione si può formare tra orbitali s, tra orbitali p (in due modi), tra un orbitale s e nn orbitale p. Le combinazioni sono rappresentate in Figura 4.1 dove sono rappresentati solo gli orbitali a piì1 bassa euergia ( che sono quelli effettivamente occupati dalla coppia di elettro11i di legame). Dei due modi con cui gli orbitali p possono combinarsi (invece di combinm�ione si usa spesso il termine sovrapposir.ione) uno avviene lungo l'asse degli orbitali p, l'altro avviene in una direiione perpendicolare agli assi degli orbitali p ste8si. La prima sovrapposir.ione è migliore e il legame è più forte. Quando l'orbita­ le molecolare che si ottiene è cilindrkameute simmetrico rispetto all'asse del legame, quest'ultimo viene definito come legame sigma (a), qnaudo questa simmetria è pe1�­ duta il legame viene chiamato lega.me pi greco (1r). Tra due atomi non può esserci più di un legame a. Quindi nu doppio legame è costituito sempre da un legame a e da un legame 1r, un triplo legame è sempre formato da un legame a e da due legami 1r. Un legame a tra due atomi è piì1 forte di un legame 1r tra gli stessi due atomi, per cni quest'ultimo è il primo a rompersi se si forniisce euergia.

    e e s

    s

    o o

    o

    D
    + + +

    e s

    C><) _. C>·<J _. p

    p

    --· O' (s+s)

    ·-0--:3· O (s+p)

    �B(j (p+p)

    ___ _. e::>

    + � p

    _.

    ___ ....

    .

    � p

    ,..___ ..

    ç:;;;,

    1t (p+p)

    Figura 4.1: La formazione degli orbitali molecolari leganti mediante combinazione degli 01'bitali atomici. Non sono rappresentati gli orbitali a energia più elevata (orbitali molecolari antileganti).

    163

    I

    Capitolo 4 Il legame chimico

    © Artqniz

    Rkapitolando: un legame tra due atomi si forma mettendo in comune due elettroni per ogni le&ame. In genere gli elettroni provengono uno ciascuno dagli atomi che si legano. E tuttavia possibile avere un legame tra due atomi di cui uno mette a disposizione due elettroni e l'altro un orbitale vuoto. Questo legame è del tutto uguale al precedente, anche se qualche libro di testo dà ad esso il nome di "legame dativo" o "legame coordinato11 • D'altra parte gli elettroni sono tutti uguali e la provenienza non dà ad essi un carattere speciale (Chimica, § 4.1.3). Mettere in comune elettroni tra due atomi vuol dire che e�si subiscono l'attrazione contemporanea dei nuclei dei due atomi. La domanda che ci dobbiamo porre ora è se l'attrazione esercitata dai due nuclei è uguale. In altri termini: gli elettroni di legame sono equamente condivisi? È ovvio che se i due atomi che si legano sono uguali (come nelle molecole di H2, Ch, ecc.) la condivisione è completa e il legame \•iene definito covalente omopolare o covalente puro. Ma se gli atomi sono diversi (esempio HF) c'è da aspettarsi che la condivisione uou sia completa e si formi quindi un lega.me covalente polare. Con altre parole: gli elettroni di legame subiscono un'attrazione maggiore da parte del nucleo di un atomo piuttosto che dall'altro. L'elettronegatività degli atomi è responsabile di questa differen�a di attl'a"/,Ìonc e quindi della polarità dei legami e, di conseguenza, della polarità delle molecole. La polarità di un legame è misurata dal dipolo che si forma per la diversa attrazione degli elettroni di legame. A sua volta la grandezza di un dipolo è definita dal �uo momento dipolare (µ) che è il prodotto di due grandezze: la carica (q), positiva in un polo e ncgn.tiva nell'altro, e la distanza (d) tra i due poli. (Fig. 4.2).

    +q

    -q

    � �

    µ=q·d

    & ' ' ' l " "" l-120

    Figura 4.2: Rappresentazione dei momenti dipolari della molecola di HF e della molecola di H20.

    Molecole come HF o HCl sono sicuramente polari perché costituite da due atomi, uno dei quali è più elettronegativo dell'altro e quindi attrae gli elettroni di legame più dell'altro e diventa baricentro di carica negativa, mentre l'altro diventa baricentro di carica positiva. In modo del tutto analogo si può dedurre la polarità della molecola di acqua (H2 0). Ogni legame 0-H è polare perché l'ossigeno è più elettr\'.megativo dell'idrogeno. Se la molecola d'acqua fosse una molecola lineare (H-0-H) ,� polarità di un legame sarebbe annullata dalla polarita opposta dell'altro legame, e la molecola risulterebbe non polare. La molecola d'acqua non è però lineare (i due legami formano ° tra loro un angolo di 104 ) e quindi le polarità dei due legami (rappresentabili da due vettori) si sommerebbero vettorialmente per dare un vettore risultante non nullo. Detto in un altro modo: l'ossigeno costituirebbe il baricentro della carica negativa, mentre il baricentro della carica positiva si troverebbe a metà strada tra i due atomi di idrogeno. Quindi: mndizione necessaria, ma non sufficiente, per a11ere 1ma molecola polare é la prnsenza di legami polari. La geometria della molecola può annullare la polarità dei legami.

    164

    © Artquiz

    CHIMICA

    4.1.3 Legami covalenti con orbitali ibridi. I legami del carbonio

    � u

    �-�•·.;

    Si è visto che la fon1ta¼io11c' di 1111 l<-'géllll<' chimico covalente:! co111porta la �ovraµposi­ zione di orbitali atomici. Non sempre gli orbitali atomici utilizzati sono quelli finora visti (s, p, d). Quando una molecola contiene atomi di carbonio (è il caso di tutte le molecole "biologiche" appartcnentì alla cosiddetta chimica organica) gli orbitali ato­ mici usati da questo atomo per formare legami cova.lenti sono sempre orbitali ibridi. Il concetto di ibrido è quello di mm mescolanza di caratteri. Gli orbitali ibridi utilizzati dal carbonio sono quelli ottenuti mescolando in vario modo gli orhìt,ali atomici s e p. La regola è che il mnnero di orbitali ibridi che si ot­ tengono è uguale al numero di orbitali di µ,utenza che si mescolano. Il mescolamento (Fig. 4.3) può riguardare: (.

    1. un orbitale s e un orbitale p (ibridi sp): si ottengono due orbitali a 180 ° l'uno dall'altro1 formati _da due lobi (cnrn.ttere p), ma con un lobo molto piit grande dell'altro (carattere s). Quando il carbonio utiliz:t.a que�to tipo di ibridizimzione · rimangono due orbitali p utifo,.'l.abilì; 2. un orbitale s e due orbitali p (ibridi sp 2 ): vengouo fuori tre orbitali ugna.li disposti su un piano n 120° l'mto dall'altro, sempre formati da due lobi (carattere p), ma con nno piit grande dell'altro (carattere s). Rimane un orbitale p perpendicolare al piano; 3. un orbitale se tre orbitali p (ihridi sp 3 ): vengono fuori quattro orbitali diretti verso i vertici di nn tet.raedro (109.5 °)1 :-.emprc con carattere s e p mescolati.

    o

    '\80°

    Orbitali sp (lineare)

    Orbitale sp2 (triangolare planare)

    Orbitale sp3 (tetraedrica)

    Figura 4.3: Rappresentazione degli orbitali ibridi usati dall'atomo di carbonio. Stabilito che il carbonio utilizza sempre orbitali ibridi per formare i legami, ve­ diamo alcuni esempi in cui vengono usate i tre tipi di ibridizzazione. Una regola facilmente memorìzzabìle è la seguente: • quando il carbonio forma quattro legami semplici è ibridir.'l.ato sp\

    ..

    • quando forma un doppio legame è ibridizzato sp2;

    o

    • quando forma un triplo legame o due doppi legami è ibridb:xato sp. Esempi del prjmo tipo di ibridiz7,azione sono la molecola di metano (CH4), le molecole degli idrocarburi saturi (Chimica, § 12.4.1), la molecola dì tetracloruro di carbonio (CCl,i ). In quest'ultimo caso, pur essendo i legami C-Cl polari, la molecola

    165

    o Capitolo 4 Il legarne chimico

    @ Artquiz

    risulta non polare per la. sua geometria. Anche alt.ri atomi, oltre al carbonio, utilizzano molecola cli ammoniaca (NH3) e> nello ione ammonio l'ibridi:tza7,ione: l'a7,oto :i nella 3 > (NH4 +) è ibridizzato $ p , l ossigeuo nella molecola. d'acqua (H 2O) è ibricliizato sp . Esempi del seconclo tipo sono le molecole di alcheui (Chimica, § 12.4.1) come l'etilene H2 C=CH2 - I due atomi di carbonio utilizzano gli orbitali sp2 (ciascuno con­ tenente un elettrone: non dimenticarsi che il carbonio ha quattro elettroni nel guscio esterno, tre li mette nei tre orbitali ibridi sp2 e uno rimane nell'orbitale p) per formare legame rispettivamente con due atomi di idrogeno (il cui orbitale s si sovrappone al lobo grande dell'orbitale sp2) e con l'altro carbonio (il lobo grande delPorbitale sp2 di un a.tomo cli carbonio si sovrappone al lobo grande clell'orbitale sp2 dell'altro). Rimane un orbitale p a ciascuno clegli atomi di carbonio con un elettrone. I due orbitali p si dispongono paralleli e si sovrappongono per dare un legame 7T. Esempi del terw tipo sono le molecole cli CO 2 (O=C=O) e di HCN (H-C=N). ° Nella prima i due orbitali sp (a. 180 l'uno dall'altro e contenenti ciascuno un elettrone) vengono utilizzati per formare uu legame con l'orbitale p dei due atomi di ossigeno (legami a). Rimangono a cia.scun atomo di carbonio due orbitali p con un elettrone cim;cuno. Ciascuno di questi orbitali p si mette parallelo all'orbitale p con 1m elettrone dell'ossigeno e forma 1111 legame 7T. Nel caso cli HCN, il carbonio forma un legame a tra il suo orbitale sp e l'orbitale s dell'idrogeno, e uu legame a tra l'altro orbitale sp (a 180 ° dal primo) e l'orbitale p clell'azoto. Rimangono due orbitali p al carbonio e due orbitali p all'azoto, tutti con un elet,troue. Essi si sovrappongono iu modo parallelo formanclo due legami 7T. Sulla base delle strutture ricavate Vùdiamo se le molecole risultano polari o meno. Nd caso cli CO2 , rossigeno è piì1 elettronegativo clel carbonio per cui attrae i quattro elettroni rli lcgamn più cli quanto non faccia qnest,'ultimo: i due dipoli risultano però uguali e opposti, per cni l> a.niclricle carbonica non è? una molecola polare (questa è la ragione per cui non si scioglie molto nell'acqua, Chimica, § 7.2). Nel cm;o di 1-ICN, il legame H-C è poco polare, data la bas.'>a differemm

  • 166

    @ Artqniz

    CHIMICA

    2. Benzene, CoH6. Anche in questo caso tnttt gli atomi di carbonio sono ibridizzati sp 2 , ognuno dei quali forma nn legame con l'elettrone ls dell'tdrogeno e un legame con l'elettrone sp 2 dei due atomi di carbonio che l'affiancano. 1ùtti questi legami . sono di tipo CJ. Si forma in questo modo un esagono perfetto ai cui vertici ci sono i sei atomi di carbonio. Rimane a ogni atomo di carbonio un elettrone in uu orbitale p perpendicolare al piano generato dai legami tra gli atomi di carbonio descritti prima. Questi orbitali p paralleli tra loro si sovrappongono per formare tre orbitali molecolari a bassa energia 1r delocalizzati su tutto l'anello, dove alloggiano i sei elettroni p. Anche nel caso di CoHo il legame tra due C è più di un legame semplice ma meno di un doppio legame.

    o

    3. Grafite, una delle forme allotropiche del carbonio. 'I\1tti gli atomi di carbonio sono ibridizzati sp2 e con gli elettroni in essi alloggiati formano i legami carbonio­ carbonio: ogni carbonio sta al centro di un triangolo equilatero ai cui vertici ci sono altri tre atomi di carbonio: in tal modo si forma un piano di atomi di carbonio disposti ai vertici di esagoni regolari tutti fusi tra loro come le cellette di un'arnia. Per ogni atomo di carbonio rimane un elettrone in un orbitale p perpendicolare al piano infinito di tutti gli atomi di carbonio. Questi orbitali si sovrappongono tutti e formano orbitali che si estendono a tutto il piano di atomi di carbonio. Gli elettroni sono liberi di muoversi su tutto1 il piano e quindi conducono la corrente ·elettrica. Il solido che si ottiene è 1111 solido covalente, perché tutti gli atomi sono legati tra loro e non si può distinguere la molecola di cm·bonio. Un piano di atomi di carbonio disposti in questo modo si chiama grafene, e sta assumendo una hnportan?:a straordinaria in molte tecnologie chimiche. Quando si hanno molti piani paralleli che interagiscono tra loro (vedi in seguito van der \,Vaals, § 4.1.5) si ottiene la banale grafite che è la fuliggine o il materiale con cui si fa.uno le matite. Oltre che nella forma allotropica grafite il carbonio è presente in natura sotto forma di diamante, molto piìt pre:àoso della grafite. In esso il carbonio è ibridiizato sp3 e ciascun atomo di carbonio è al centro di un tetraedro ai cui vertici ci sono altri atomi di carbonio. Il legame tra gli atomi di carbonio è singolo e di tipo CJ. Il solido che si ottiene è molto duro. Anche esso è un solido covalente perché non si distingue la molecola. Poiché non ci sono elettroni delocalizzati, il diamante è un isolante elettrico. Uu esempio di utilizzo di orbitali ibridi per formare legami di tipo "dativo" o ucoordinato", in cui i due elettroni sono messi a disposizione da un solo atomo è dato dallo ione ammonio (NH4 + ). Esso si forma per addizione di H+ alla molecola di ammoniaca NI-1 3 ,. Iu quest'ultima molecola N è ibridizzato sp 3 . In tre di questi orbitali ibridi è localizzato un elettrone, nell'ultimo ci sono due elettroni (l'azoto ha 5 elettroni esterni). Con i primi N forma tre legami N-H con l'atomo di idrogeno. N si trova al centro di un tetraedro: a tre dei vertici sono sistemati i tre atomi di idrogeno, al quarto vertice è sistemata la coppia di elettroni. È proprio questa coppia di elettroni che forma un legame semplice con lo ione H+ (senza elettroni). Questo legame è esattamente uguale agli altri tre (è formato dagli stessi tipi di orbitali atomici) e quindi lo ione NH4 + è un tetraedro perfetto con una carica positiva.

    4.1.4 Forze di interazione intermolecolari TI·a le molecole, tra gli ioni e tra molecole e ioni ci sono sempre interazioni. Que­ ste interazioni condizionano lo stato di aggregazione della materia _ma sono anche

    167

    Capitolo 4 Il legame chimico

    @ Artqui2

    responsabili di molti processi naturali, tra cui quelli biologici. Esse coprono uno spet­ tro di energie molto ampio. 'I\itte hanno una base elettrostatica perché gli atomi e le molecole sono tutti costituiti da protoni ed elettroni, tuttavia per comodità es­ se sono suddivise iu interazioni di van der Waals, interazioni dipolo-dipolo, interazioni ioni-dipolo e legami idrogeno.

    4.1.5 Interazioni di van der Waals

    1

    Le interazioni di van der Waals si esercitano tra da tutti i tipi di molecole. Esse derivano dal fatto che nelle molecole e negli atonii ci sono dettroui in movimento. In ogni istante la posizione degli elettroni genererà un baricentro delle cariche negative in una posizione che, con grande probabilità, sarà diversa da quello generato dalle cariche ..c.\ ,-: -.;p.,1..-·JJ posi�ive dei. nuclei. Ci sarà q�indi un dipo}� istant��eo dive�·so sia in intensità _ .....�.f; _ 1 che m direzione da quello dell'istante successivo. In vicmanza di un'altra molecola il dipolo istantaneo indurrà in quest'ultima la formazione di un dipolo istantaneo (dipolo indotto). I dipoli i8tantanei delle dne molecole oscilleranno in fose e tra essi ci sarà sempre un'attraxioue. L'entità del dipolo istantaneo dipende da due fattori: il numero di elettroni e la grandezza della molecola. Il numero di elettroni influenzerà il valore q medio dei dipoli istantanei, mentre la grandezza della molecola influenzerà il valore d medio (Fig. 4.2). In questo modo si spiega perché il fluoro (F2 ) e il cloro (Cl 2 ) sono gassosi a temperatura ambiente, mentre il bromo (Br 2 ) è liquido e lo iodio (1 2 ) è solido. 'lì-a queste molecole c'è solo l'intera-6ione di van der Waals: ma il numero di elettroni e la dimensione delle molecole crescono progressivamente scendendo in basso lungo il gruppo rendendo i dipoli istantanei sempre più grandi.

    4.1.6 Interazioni dipolo-dipolo e ione-dipolo Le molecole polari i;ouo quelle
    4.1.7 Legami idrogeno Il legame idrogeno è un tipo di legame elettrostatico particolare che si instaura tra due molecole in una delle quali c'è un atomo di idrogeno legato a uno dei tre elementi più elettronegativi (F, O, N) e nell'altra è presente di nuovo uno dei tre elementi. Nella prima molecola il legame X-H è molto polarizzato e l'atomo di idrogeno è fortemente positivo e si mette vicino all'atomo negativo dell'altra molecola. L'atomo di idrogeno positivo fa da ponte tra due atomi molto elettronegativi e carichi negativamente: X-H- - -X, in cui X è F, O o N (Fig. 4.4), Questo legame è direzionale nel senso

    168

    ù

    © Artquiz

    CHIMICA

    che i tre a.tomi teudono a. mettersi sulla stessa retta. L'energia del legame idrogeno dipende molto da questa orientazione. Il legame idrogeno è basilare per le proprietà dell'acqua, sia allo stato liquido che solido. Il gl1iac;cio ha una densità inferiore all'acqua liquida (unico esempio di densità di' solido inferiore a quella del liquido corrispondente) gra-..de alla presenza di legami idrogeno. L'ossigeno della molecola d'acqua si trova al centro di un tetraedro distorto (l'ossigeno- infatti ibridizza ·8p 3 ): a due vertici sono posti i due atomi di idrogeno appartenenti alla molecola d'acqua. Agli altri due vertici (un po' più lontani) ci sono due atomi di idrogeno, ognuno dei quali appartiene ad un'altra molecola di acqua, legati attraverso legami idrogeno. Esso è molto importante anche dal punto di vista biologico (Biologia, § 3.3 e Chimica, § 13.3.1). 0

    ·O Q

    o o o

    F-H- - -F/

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    N:--H--1'\f-H I I "-. "-. Hl-I Hl-I

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    H • I-I I-I_,, /

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    H

    Figura 4.4: Rappresentazione dei legami idrogeno intermolc:colari che si fonna­ no tra le molecole di HF, di NHs e di H20. Notare che i tre atomi che formano il legame idmgeno sono disposti su una retta.

    o 169

    Capi'tolo 5

    Stati della materia 5.1 Lo stato gassoso Mqlte sostanze sono capaci di esistrn·e a.Ho stato solido, liquido o gassoso in funzione della temperatura e della prcsl:iioue alla quale si trnvano. Si è visto che tra le molecole esistono delle forze di interazione piì1 o meno consistenti a sec01�da. della natura delle molecole stesse. Que::;te for�e tcndcrebbefo a tenere unite le molecole 1:1otto forma di liquido o di solido. Quando però la t.empern.tura del sistema è tale per cui l'energia cinetica corrispondente è superiore all'energia di interniione trn le molecole, eS8e si separano e il sistema diventa gru;soso. La temperatma neceS8aria affinché questo av­ venga è tanto più alta quanto più forte è l'intera'l.ione tra le molecole. Questo spiega perché l'acqua a temperatura e pressione ambiente è liquida (tra le molecole di ac­ qua. ci sono interazioni di van der Waals, interazioni dipolo-dipolo e legami idrogeno) mentre l'ossigeno nelle stc::;se condizioni è gassoso (tra le molecole di ossigeno ci sono 1:1010 interazioni di van der Waals). Lo stato di aggregazione gassoso è caratterizzato dal fatto che le molecole che lo costituiscono sono tra loro indipendenti, si muovono in tutte le direzioni e quindi tendono ad occupare tutto il volume a di1:1posizione. Per questa ragione un gas ha densità variabile, si mescola con qualsiasi altro gas in tutte le proporzioni, è com­ primibile ed esercita una pressione ( data dalla frequenza e dalla violenza degli urti sulle pareti del recipiente che lo contiene). Le molecole di un gas si urtano anche tra loro e negli urti si scambiano l'energia cinetica, per cui l'energia cinetica di ogni molecola è variabile con il tempo ment1·e non cambia né l'energia cinetica totale né la distribuzione dell'energia cinetica tra tutte le molecole se non cambia la temperatura (Fig. 5.1). L'energia cinetica media è quindi una funzione crescente della tempera­ tura. Da notare che l'energia cinetica non fa riferimento solo al moto traslazionale delle molecole ma anche al moto rotazionale e ai moti vibrazionali (variazione della lunghezza dei legami e variazione degli angoli di legame in una molecola). Infatti la molecola di un solido e di un liquido in equilibrio alla stessa temperatura hanno la stessa energia cinetica media. Pe1· lo stato gassoso sono state ricavate delle leggi che ne spiegano il comporta­ mento: 1. Legge di Boy le: a temperntura costante il prodotto della pressione P e del volume V è una costante (PV = costante). Quindi a temperatura costante il volume è inversamente proporzionale alla pressione e viceversa.

    171

    @ Artquiz

    Capitolo 5 Stati della materia T,

    .si o

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    ...

    'l'i < T2

    •I

    ol <2)

    Energia cinetica E,

    E2

    Figura 5.1: Distribuzione dell'energia cinetica tra le molecole di un gas a due temperature fissate. Il punto scelto indica quante molecole del gas (il numero è letto suWasse delle ordinate) hanno il valore deWenergia cinetica, letta sull'asse delle ascisse. Tali valori rimangono sempre costanti se la temperatura non viene variata, ma una molecola può acquisire o perdere energia cinetica a causa degli urti con altre molecole o con le pareti del recipiente, senza però cambiare la distribuzione. E 1 ed E2 rappresentano i valori dell'energia cinetica media alle due temperature T1 � T2. 2. Legge di Charles: a pressione costante il volume di un gas è proporzionale alla temperatura. 3. Legge di Gay-Lussac: a volume costante la pres.�ione è dirntt.amente proporzio­ nale alla temperatura. Tutte queste leggi sono riassunte in un'unica. legge che prende il nome di equa­ zione di stato dei gas:

    PV

    = nR'.l'

    dove P è la pressione, misurata in atmosfere (1 atm = 760 torr o 760 mmHg), V è il volume, misurato in litri (L), n è il numero di moli del gas (rapporto tra massa del gas e peso molecolare dello stesso), T è lu. temperatura assoluta, misurata in gradi Kelvin (K), definita come la somma algebrica della temperatura in gradi centigradi e 273,15. R è una costante pari a 0,0821 atm · L/(mol · K). Questa equazione ci dice 11nche che una mole di un gas qualsiasi in condizioni standard (O °C, pari a 273,15 K, e 1 atm di pressione) occupa un volume definito pari a 22,414 L (che viene chiamato volume molare di un gas a TPS, nelle condizioni standard) e che in tale quantità di gas ci sono un numero di Avogadro di molecole, pari a 6,02 · 1023 • 1 Un corollario delPequazione è che volumi uguali di due gas nelle stesse fOndizioni di temperatura e pressione contengono un ugual numero di moli, e quindi di molecole (principio di Avogadro).

    Un altro corollario di questa equazione è che può essere definito in una miscela di gas il contributo di ciascuno alla pressione totalè. Tale pressione si chiama pressione parziale e può essere calcolata dalla semplice relazione: P1

    =p

    'X1

    dove x1 è la frazione molare del gas 1, pari a ni/(n 1 + n2 + ecc.) cioè al rapporto tra le moli del gas 1 e la somma delle moli di tutti i gas presenti nella miscela. P è la 172

    © Artquiz

    .it

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    o o o o

    CHIMICA

    pressione totale della miscela gassosa. Per esempio, l'm'ia è costituita da circa il 20% in moli di ossigeno e da circa 1'80% in moli di a7,0to. Alla pressione ambiente cli 1 atm la pressione dell'ossigeno è quindi circa 0,2 atm e quella dell'azoto è circa 0,8 atm. La legge dei ga.8 vale solo per i gas ideali, i gas nei quali l'interazione tra le mo­ lècole è nulla e nei quali il volume delle singole molecole è nullo. I gas reali non seguono perfet,tamente la legge perché tra le loro molecole ci sono sempre interazioni più o meno forti e il volume delle loro molecole 11011 è zero. Per avvicinare il com­ portamento dei gas reali all'idealità bisogna che il gas sia il più rarefatto possibile (bassa pressione) e che la temperatura sia piì1 alta possibile (conumque sopra la tem­ peratura critica, Chimica, § 5.2 e Fig. 1.1). In tal moclo il volume delle molecole è trascurabile rispetto al volume ciel recipiente clove il gas è contenuto e l'interazione tra le molecole è trascmabile perché l'cnergia cinetica
    5.2 Lo stato liquido Come già ricordato lo stato liquido è caratterizzato dal fatto che le snc molecole hanno una interazione sufficientemente forte da tenerle vicine. Per questa ragione i liquidi non sono molto comprimibili. Se mettiamo un liquido in un recipiente aperto lo molecole che si trovano sulla superficie del liquido stanno in uno stato energetico più alto cli quelle che sono immerse: la ragione sta 1iel fatto che le molecole immer-

    173

    Capitolo 5 Stati della. materia

    i

    i

    -

    © Artquiz

    se sono attratte da tutti i lati mentre le molecole che sono sulla supeTfìcic sentono l'attrazione solo delle molecole immerse. Per questa ragione si genera una forza che è tangenziale alla superficie del liqnido che tende a ridnrne l'area per diminuire al massimo il nnmero di molecole che si trovano in quella sitnazionc svantaggiata. Tale foTZa si chiama tensione superficiale ed essa spiega perché qualsiasi liquido sospeso sotto forma di goccia ha nua forma sferica: la sfera infatti è il solido che, a parità di volnme, ha la snperficie minore. La temperatma superficiale, inoltre, tende a com­ primere le molecole snperficiali e a creare una specie di pellicola. Fissata la temperatura del liquido è fissata anche la sua energia cinetica totale e, come nel caso dei gas, anche la sua distribuzione. Le molecole del liquido si urtano e si scambiano l'energia cinetica ma mantengono costante la sua distribuzione. Tra di esse c'è nua frazione ad alta energia cinetica capace di superare la barriera superficiale (bncare la pellicola) e passare allo stato vapore. Le molecole in questo stato sono però capaci di ritornare nel liquido. Ad ogni temperatma si crea un equilibrio tra il nu­ mero delle molecole che escono e di quelle che entrano. La pressione che corrisponde a questo equilibrio si chiama pressione di vapore (qnalcuno la chiama tensione di vapore). Essa è nna costante se la temperatura è costante. Se la temperatura aumenta, aumenta anche la pressione di vapore, pcrchR aumenta la quota cli molecole allo stato liqnido capace di superare la barriera snperficiale. La pressione

  • @ Artquiz

    CHIMICA

    re quanto più elevata è la temperatura esterna e quanto più bassa è l'umidità dell'aria. Un ventilatore dà refrigerio perché sposta. l'aria umida a contatto con l'epidermide e favorisce l'e·,apornzione. È lo stesso meccanismo per cui si soffia sulla tazzina del caffè per abbassarne la tempera.tura (evaporano le molecole a più alta energia cinetica, l'energia cinetica media del liquido si abbassa e quindi si abbasssa la temperatura).

    5.3 Lo stato solido

    ·i

    I,"

    �;-

    I solidi sono considerati come quei composti nei quali l'interazione tra le molecole o gli atomi (ioni) costituenti sono forti e dire-.tionali. Il solido è quindi cristallino. Come abbiamo visto esistono vari tipi di solidi: • molecolari, quelli nei quali sono distinguibili le molecole (per esempio acqua nel ghiaccio, ben7,ene, anidride carbonica); • ionici, quelli nei quali i costituenti sono gli ioni (tutti i sali, gli ossjdi, gli idrossidi); • covale riti, quelli nei quali gli atomi sono legati tra loro in tutto il solido (diamante, grafite, silicati, ccc.); • metallici, quelli nei quali gli ioni positivi dei metalli occupano posizioni fisse nel cristallo e alcuni elettroni (chiamati elettroni di valenza) sono alloggiati in un or­ bitale esteso n tutto il cristallo. Sono questi ultimi che conducono il calore e la corrente elettrica.

    o o o

    175

    Capitolo 6

    Termodinamica 6.1 Principi generali Un processo può essere di uatnra fil:,ica.. (.un corpo che cade, due cariche che si attrag­ gono, una frn,ione) oppure di natura chimica (una reazione). In tutti i casi i proces::;i (definiti chi. 11110 stato iniziale e da 11110 finale) sono accompagnati da una variazione di energia. La termodinrunica si occupa di queste vm·inzioni pc�r prevedere se uu processo prn,sa o non possa avvenire. Uu 1,istcma tennodinmnico viene definito isolato se esso 11011 può 1,cmuhim·e né cm:rgia né materia con l'esterno, chiuso se pnè> scambiare energia ma 11011 materia, aperto se può scambiare sia energia che materia (come 1111 organismo vivente). La tennocliumnica nella descrizione dei prncesi,;i utilizza delle grandezze che sono chimrmtc funzioni di stato perd1é esse dipendono solo dallo stato in cui si trova il sistenm. (definito a 1,ua volta da pressione, tempcra_tma, concentrazione, ecc.). Tali grru1dc:tze 1,ono l'entalpia (H), l'entropia (S) e l'energia libera (G). Ogni proces­ so è caratterizzato
    I

    ''

    ,.�\= Sr - S;

    ; �1= Gr- G;

    �n processo pub essere spontaneo o indott9_. Un gas si espande spontaneamente se il volume a sua disposizione viene aumentato, mentre non è spontaneo il processo inverso. Cosi una determinata reazione chimica può avvenire o meno spontaneamen­ te. In genere un processo avviene spontaneamente se l'energia. Jentalpia) dello 1>tato finale è più bl:l8sn dell'energia dello stato iniziale: per questo l'acqua cade sempre ver­ so il basso. Ma se fosse sempre cosi le sostanze di cui è formato l'nniverso sarebbero sempre e tutte allo stato solido, che è lo stato dove l'energia del sistema è minimo perché l'interazione tra le molecole è al suo massimo stato. Noi sappiamo che così non è perché u_p.'altra tendenza universale per un sistema e_ quello di possedere lo stato piu probabil;, L� ;,'i,�to più probabile cqi!lcide con lo stato 'piu disordinato. C'è una defidel disordine (misurato CO� la.grandezza entropia) che COl'risponde al numero di descrizioni pos1>ibili per un sistema. Maggiore è il numero di descrizioni maggiore

    -nìzfoné

    177

    © Artquiz

    Capitolo 6 Termodinamica

    è il disordine. Con un esempio semplice: il sistema palla-buca può essere descritto in un solo modo, la palla nella buca. Ivh� se si ha una palla e tre buche il sistema può essere descritto in tre modi possibili. E quindi piit disordinato. I sistemi tendono ad essere più disordinati possibiH, a possedere cioè l'entropia più alta. Fissate queste due tendenze è stato necessario definire un'altra grandezza che tenga conto di entrambe, ·che si chiama energia libera, per prevedere la direzione di nn processo. Esistono processi che, quando avvengono, sono favoriti sia dall'entalpia che dal­ l'entropia: per esempio nn solido che si scioglie nell'acqua con sviluppo di calore. Lo sviluppo di calore ci dice che il sistema finale lta. un'energia più hassa.. La 1-;oluzio1te è inoltrn (generalmente, non sempre) un sistema più disordinato del solvente e del solido iniziale. Esistono proce!:iSi che sono favoriti dall'entalpia ma sfavoriti dall'entropia. Sarà allora la temperatura che deci
    �G

    = �H -T�S

    Quando il �G è negativo il processo risulta. spontaneo (esoergonico). Qna.nclo è· ·positivo (endoergonico) il procc:-;so non avviene a. meno che la. diffcrcn:ta. cli cnPrghi. libera non venga �mpplita cla un altro processo concomitante.. È qmmto avviene alla maggior parte
    ·rct). ,. -t

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    --•

    178

    Capitolo 7

    Le soluzioni 7.1 Unità di misura per esprimere la concentrazione

    .

    o o o o o o o o

    Le soluzioni sono miscele omogenee di più composti. Un componente della solu­ zione liquida viene chiamato solvente (in genere è la. sostanza presente in maggior quantità) gli altri compoueut,i :-muo chiamati soluti. Una sostanza ::;i scioglie in un solvente se con e::;so instrnll'a delle interazioni. Più forti ::;0110 le interazioni tanto più la so::;tauza si scioglierà. In genere V!ÙC la regola simile scioglie il s11,o simile. Sostanze polari sciolgono sostanz e polari, mentre sostan'l,e a.polari sciolgono sostanze a.polari. Esistono vari modi pC'r misurare la couceutra,1:ionc delle soluiioui liquide. Si hanno tre classi cli conccut.razioni: volnmc/volnme, peso/peso e peso/volume. Al primo gruppo appartiene il percento in volume: è il modo
  • O) o svilup pare calore e quindi essere esotermica (�H
    179

    © Artquiz

    Capitolo 7 Le soluzioni

    7.1.1 Calcoli sulle soluzioni Le formule chi ricordare sono: • numero di moli di una sostanza= massa della sostanza (in g)/peso molecolare della sostanza; -- � • •

    ..

    , ,_ �

    = moli della sostanza/volume in litri; normalità (N) = grammoequivalenti della sosta11?:a/volnme in litri; normalita (N) = molarita (M) · numero di protoni (elettroni) scambiati;

    • molarità (M)

    • peso eqnivalentc

    = peso molecolare/numero di protoni (elettroni) scambiati;

    • densità (g/mL) = massa (in g)/volume (in millilitri) Qn�c/t��solu���ne diluita con il solvente vale l'uguaglianza M1 V 1 M 2 V2 , dove V 1 e M 1 sono il volume e la molariti1. iniziale, mentre lvh e V2 sono il

    volume e la molarità finale. Il prodotto MV rappresenta le moli del soluto che, nella diluizione con il solvente, Timane invarinto. Se l'esercizio chiede a quale volume si deve portare la soluzione per portare la molarità dulle condizioni 1 alle condizioni 2, allora V2 e la risposta. Se l'esercizio chiede quanto solvente bisogna aggiungere per ottenere lo stesso risultato allora la risposta è V2 - V 1 ( che è un risultato approssimato perché c7è una variazione di densità della solu1.ioue).

    7.2 Solubilità dei gas I gas si sciolgono nei liquidi. Naturalmente la quantità di gas che si séioglie dipende · da diversi fattori: 1. La natura del gas e la natura del liquido. Se il gas è polare si scioglierà meglio in un solvente polare. Se il gas è apolare si scioglierà meglio in un solvente apolare. L'ammoniaca si scioglie bene in acqua perché è polare, l'ossigeno no, perché non è polare. 2. Un gas si scioglie in misura maggiore in un liquido quanto più alta è la sua pres­ sione. La prnssione favorisce,sempre i processi che avvengono con diminuzione di · volume, come la dissoluzione di un gas in nn liquido. 3. Un gas si scioglie in misura maggiore in un liquido quanto più bassa è la temperat11.­ ra. Infatti la dissoluzione di un gas in un liquido è sempre un processo esotermico perché si creano interazioni che pri�a non c'erano. Come tutti i pro��ssi eso­ termici la solubilità di un gas in un liquido è sfavorita da un innalzamento della temperatura. La legge che governa la solttbHità dei gru:; nei liquidi è la legge di Henry che può essere espressa come: XA

    =

    KPA

    dove XA è la frazione molare del gas nella soluzione, K è una costante che dipende dalla natura del solvente, dalla natura del gas e dalla temperatura (I< diminuisce con l'aumentare della temperatura) e P A è la pressione parziale del gas.

    180

    p ;O

    o

    © Artquiz

    CHIMICA

    7.3 Elettroliti Si chiamano elettroliti quei ,'ioluti che una volta messi in ::mlnzione acquosa si dis­ sociano in ioni. La dissociaz;ionc pnò essere totale e, in tal caso, i soluti si chiamano elettroliti forti, oppure parziale e i soluti si chiamano elettl'oliti deboli. La for:m cli un elettrolita viene misurata da una grandezza che si chiama grado di dissociazione (a): esso è il rapporto tra le moli dissociate e le moli totali. E quindi un numero compreso tra O e 1. Quando a = 1 l'elettrolita è forte, quando a = O il soluto è 1111 non elettrolita, quando a è compre::m tra O e 1, l'elettrolita è debole. Gli elettroliti si chiamano così perché in ::mluzioue sono in grado di condurre la cor­ rente elettrica. Piì1 1111 elettrolita è forte più è capace cli condurre la corrente elettrica (a parità di couccutrmdone e di cm-ica. degli ioni: uno ione con duq cariche positive conduce più di uno ione con una carica positiva). L'acqua pura è 1111 debolissimo elettrolita perché ·capace di dare solo in misura molto ridotta ioni HaO + e ioni OH­ (Chimicn, § 9.2). L'acqua del rubinetto e capa.cc cli condurre la. corrente elettrica perché contiene disciolti elettroliti forti, come alcuni sali. I sali sono tutti elettroliti forti, mentre la maggior parte degli acidi e delle basi ::;uno elettroliti deboli (alcuni, come HCl, sono forti). Tutti gli elettroliti deboli diventano forti quando sono estrcmmncute diluiti. Per essi la clissociazioru:
    7.4 Proprietà colligative delle soluzioni Una solu'l,iouc liquida si ottiene mescolando due o più liquidi oppure sciogliendo nel solvente un soluto solido o p;a..<;soso. Come si è visto in prccedemm ogni liquido ha una sua intrinseca teuden'l,a a pas:m.re allo stato vapore. Questa tendenza è definita dalla. pressione cli vapore P0 che ha 1111 preciso valore ad ogni valore della tcmpcn.\.t.ura. Una solu¼ioue ottermt,a a partire
    o o o D

    = P 1x1

    + P 2x2 + ccc.

    dove 1, 2, ecc. sono i comp onenti della soluzione, x 1 , x2, 1 ccc. le rispettive fra-1,ioni molari e P1, P 2, ccc. le pressioni cli vapore
    181



    @ Artquiz

    Capitolo 7 Le soluzioni

    molto vicina a zero (salvo qualche eccezione co1Ue lo iodio, la naftalina, ecc.). Per cui la pressione di vapore della soluzione coincide con la pressione di vapore del solven­ te. Avendo il solvente una frazione molare nella soluzione minore di 1, la pressione di vapore della soluzione sarà più bassa della corrispondente pressione del solvente puro. Una soluzione (ottenuta con i soluti solidi) presenta quindi un abbassamento della pressione di vapore. Tale abbassamento è proporzionale alla frazione molare del soluto. Se la pressione di vapore della soluzione è più bassa di quella del solvente puro, essa ragginugerà tl valore della pressione esteTna ad una temperatura piit alta di quella alla qnale la raggiungerebbe il solvente puro: la soluzione avrà nna temperatura di ebollizione più alta. L'aumento della temperatura di ebollizione sarà tanto pii1 alta quanto più i:: concentrata la soluzione. In modo del tutto analogo nna soluzione avrà una temperat1tra di congelamento più bassa rispetto al solvente pnro. L'ebullioscopia e la crioscopia sono le due tecniche che permettono di ricavare dalla misura delle temperature di ebollizione e di congelamento la. concentrazione delle solu1.ioni. Le formule che legano le proprietà descritte alle concentr�ioni sono le seguenti:

    = x2 per l'abbassamento della pressione di vapore; dove �p = P0 P e x2 è la fra'l.ionc molare del soluto.

    • �p /P 0

    -

    • �T = Km per l'inmilzamento del punto di ebollizione e per l'abbassamento del pnnt.o cli gelo; dove K è mm costante che dipende dal solvet"1tc e nte la molalità della solu�ione e �T è la difforenY.a, prnim sempre con U segno positivo, tra punto di ebollizione o punto di congelamento del solvente puro e il punto di ebollizione o di congelamento della �mluzione. Poiché nna parte elci soluti sono elettroliti, cioè sostanze che in soluzione si tro­ vano totalmente (elettroliti forti) o parzialmente (elettroliti deboli) sotto forma di ioni, le formule sopra riportate debbono essere corrette, perché i fenomeni illustrati dipendono dal numero delle particelle e non dal numero delle molecole. Inoltre una particella piccola (per esempio lo ione Li+ ) conta quanto una particella grande (per esempio nna proteina). Le proprietà che dipendono dal numero delle particelle sono anche chiamate pro­ prieta colligative. Quindi abbassamento della pressione di vapore, innalzamento del punto di ebollizione e abbassamento del punto di congelamento (insieme alla pressione osmotica) sono proprietà colligative. Ognuna di queste proprietà è sempre �c,sociata alle altre tre. Le formule sopra riportate debbono essere quindi corrette per l'�ventuale dissocia:i;ione del soluto in soluzione. Quindi: t:i.P/P0

    = x2(l + a(v

    - 1))

    dove a è il grado di dissociazione e v (in qualche testo viene usato 'Y invece di v) è il numero di ioni prodotti dalla dissocia,7,ione stessa. Analogamente:

    = Km(l + a(v - 1)) Non bisogna confondere il termine (1 + a(r/ - 1)) (che viene chiamato anche indice �T

    di van't Hoff, e indicato con la lettera i), che trasforma il numero

  • 182

    CHIMICA

    @_ Art.quiz

    n �

    o o

    ;...

    numero di particelle (sia ioniche che 11011 ioniche), con il termine ''forza ionica" la quale invece è una misura dell'intensità del campo elettrico generato dalle cariche degli ioni cd è uguale a:

    1

    , ,2 - Ec·z· 2 dove e; è la concentrazione di ogni specie ionica e z; è la carica di ogni specie ionica. E è il simbolo di sommatoria. Esempio. Se si ha una soluzione: 0,1 Mdi NaCl e 0,1 M di Na2SO,i , la forza O, 1 · 1 + O, 1 · 1 + O, 2 · 1 + O, 1 · 4 . , , = O, 8 = O , 4 . 10mca e ugnaIe a 2 2 I primi due termini sono il contributo cli NaCl, mentre i secondi due sono il con­ tributo di Na2S04. In questo cru;o le particelle 11011 contano tutte allo stesso modo: la particella So,i2- conta di più delle particelle Na+ e c1-. Il termine [1 + a(v - 1)] per la stessa soluzione sarebbe: O, 1 · 2 + O, 1 · 3 = O, 5. II primo termine si riferisce a NaCl, che si dissocia in due ioni, 1"nentre il secondo termine si riferisce a Na2 S0 ,i , che si dissocia in tre ioni.

    7.4.1 Pressione osmotica TI·a le proprietà colligative è annoverata anche la pre ssione osmotica, una proprietà molto importante in campo biologico. Tecnicamente la pressione osmotica di mm soluzione pub essere considerata come la pressione che il soluto esercita sulle pareti del recipiente dove è contenuta la soluzione ed è pari a quella che lo stesso soluto eserciterebbe se fosse allo stato gassoso (cioe senza il solvente) alla stessa temperatma e nello stesso volume occupato dalla soluzione. L'applicazione della legge dei gas alle molecole di solnto darebbe l'espressione: 1rV

    = nRT

    dove 1r rappresenta la pressione osmotica (misurata in atm) e le altre grandez7,e sono quelle già incontrate con i gas. Tale espressione diventa: 1r

    = cRT

    dove e è la concentrazione molare del soluto (= 11/V). Poiché la pressione osmotica è una proprietà colligativa anche questa espressione deve essere corretta dal fattore che tiene conto dell'eventuale dissociazione del soluto. Quindi: 1r

    o o o

    = cRT[l + a(v I

    - 1)]

    La proprietà pressione osmotica viene m/4ssa in evidenza quando la soluzione in questione è separata dal resto da una membrana semipermeabile, una membrana ideale che fa passare il solvente e non fa passare il soluto. Tale membrana è in qualche misura rappresentata dalla membrana citoplasmatica delle cellule che, per la sua composizione, permette il passaggio dcll'acqua (e di pochi- altri soluti come ossigeno, azoto e altre piccole molecole neutre) ma non di molecole grandi o ioni. Quindi i vari soluti all'interno di una cellula esercitano una pressione osmotica che, se non è bilanciata, da una pressione osmotica uguale e contraria all'esterno, producono degli effetti sulla cellula. 183

    © Artquiz

    Capitolo 7 Le soluzioni·

    Quando la pressione osmotica esterna e interna. sono uguali si dice che le due soluzioni sono isotoniche. In questo caso la quantità di acqua che entra nell'unità di tempo è uguale alla quantità di acqua che esce. Quando la pressione osmotica di una delle due prevale sull'altra, quella che ha pressione maggiore è ipertonica e quella che ha pressione minore è ipotonica. Una cellula (come un globulo rosso) immersa in una soluzione ipotonica fa entrare acqua (perché l'acqua va sempre dalla soluzione più diluita a quella più concentrata come effetto globale) e si rigonfia fino, al limite, a scoppiare ( se è nn globulo rosso il processo si chiama emolisi) mentre una cellula immersa in una soluzione ipertonica fa uscire acqua e si raggrinzisce. Una cellula vegetale in queste condizioni dà luogo al fenomeno della plasmolisi, cioè al distacco della membrana plasmatica dalla parete cellulare. La concentrazione in particelle responsabile della pressione osmotica viene anche definita

    osmolarità.

    L'osmosi è il processo con il quali si attua la dialisi, processo con il quali si purifica il sangue dai prodotti tossici del catabolismo (per esempio urea ). In tal caso la membrana usata uon è semipermeabile perché è in gTado di far passare gli ioni e le molecole piccole presenti nel sangue. La membrana, in questo caso, serve a impedire il passaggio delle macromolecole (come le proteine) e ovviamente delle cellule contenute nel sangue. Il sangue quindi passa a.ttrnverso un tubo che ha le pareti permeabili alle molecole piccole, ma non alle grandi, e il tubo è immerso in una soluzione di sali la cui concentrazione è quella che si vuole· resti nel sangue. La soluzione esterna uon · conticme le molecole da cni il sangue deve essere ripulito (per esempio l'urea), che quindi dal sangue e..'-¾cono. Il processo di salnt;ura per conservare i prodotti alimentari è basato sulla pressione osmotica. Il sale usato toglie acqua alle cellule batteriche e quindi le uccide. Gli impacchi di acqua e sa.le servono a ridurre gli edemi.

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    184

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    Capito!� 8 !,. l:

    Nomenclatura e formule dei composti • • • 1norgan1c1 8.1 Principi generali

    o o o o

    I composti sono formati da combinazioni di atomi uniti tra loro da legami covalenti o ionici. Essi sono indicati da una formula çhe contiene i simboli degli atomi che costi­ tuiscono il composto e il numero di volte ogni singolo atomo è presente nel composto. Per esempio C0 2 significa che esiste una molecola costituita da 2 atomi di ossigeno e un atomo di carbonio, legati tra loro in un certo modo ( che dalla formula non appare) ma che rispetta i principi illustrati nella forma7.-ionc dei legami. .Per esempio non esiste la molecola Ha perché non c'è nessun modo per legare tre atomi di idrogeno, mentre oltre all'acqua (H2 0) esiste l'acqua ossigenata (H2 0 2 ) perché si possono legare due ossigeni tra loro cd esiste l'o'llono (Oa) perché è possibile legare ancora nn atomo di � ossigeno ad una molecola di ossigeno. In alcuni casi la formula rappresenta solo il rapporto tra gli atomi che costituiscono la sostanza. Per esempio CaCh vuol dire che la sostanza allo stato solido è costituita da ioni Ca2+ e da ioni Cl-, in rapporto 1 a 2 per rispettare la elettronentralità. In effetti nel solido non è distinguibile la molecola di CaCh. I composti inorganici (per distinguerli dai composti organici, derivati del car­ bonio) sono a loro volta suddivisi in vari tipi. Le regole più usate per la nomenclatnra dei composti verranno descritte nelle sezioni dei vari tipi di composti.

    8.1.1 Ossidi basici e ossidi acidi o anidridi Viene definito ossido, il composto di un elemento con l'ossigeno. Poiché gli elementi sono divisi tra metalli e metalloidi, gli ossidi di un metallo (CaO, Na 2 0, Ah03, ecc.) sono chiamati ossidi basici perché se posti in acqua danno luogo agli idrossidi che hanno un comportamento basico (Chimica, § 9.2). Essi allo stato solido sono costituiti dagli ioni metallici e dallo ione 02-. Il nome dell'ossido è dato dalla dizione ccossido di <nome del metallo>". Quando il metallo presenta numeri di ossidazione diversi vengono usate le desinenze -oso e -ico, per designare rispettivamente lo stato a più basso e più alto numero di ossidazione (es. FeO, ossido ferroso, Fe2 03 , ossido ferrico) (Chimica, § 9.1.1). Quando l'ossido è fatto con un metalloide (non metallo) l'ossido viene chiamato

    185

    Capitolo 8 Nomenclatura e formule dei composti inorganici

    @ Artquiz

    ossido acido (in italiano anche anidride) perché in acqna dà luogo alla formazione di nn ossiacido con reazione acida. Anche in questo caso si usano le desinenze -osa o -ica (anidride solforosa, SO 21 anidride solforica, SO3 ) quando gli stati di ossidazione sono diversi. L'acidità o la basicità deriva dal fatto che i due tipi di ossidi in acqua producono sempre 1111 composto del tipo M-O-H. Quando M è un metallo il legame più pola­ rizzato è M-O, e quindi l'acqua lo rompe per formare M+ e OH- (comportamento basico). Quando M è un non metallo, il lega.me piì1 polarizzato è O-H, e quindi l'acqua lo rompe per formare MO- e H"f- (comportamento acido).

    8 .1.2 Idruri Come già detto, gli idruri sono i composti binari formati da idrogeno e un metallo (LiH, idruro di litio; CaH 2 idruro di calcio; A�H3 idruro di alluminio, ecc.). Poiché in questi composti l'idrogeno ha una carica negativa, essi tendono facilmente a cedere elettroni e sono quindi riducenti (Chimica, § 9.1.2). 1

    1

    8.1.3 Idracidi Gli idracidi sono composti binari tra idrogeno e gli elementi del VII e lo zolfo del VI gruppo. Gli esempi sono HF, HCl, HBr, Hl e H2S. Sono acidi perché tendono a cedere l'idrogeno sotto forma di protone (Chimica, § 9.2). I loro nomi finiscono sempre con la desinen1..a -idrico (acido fluoridrico, cloridrico, bromidrico, iodidrico, solfidrico). I loro so.li (l'idrogeno sostituito da 1111 metallo) prendono la desinenza -uro (fluoruro, cloruro, bromuro, ioduro, solfuro di <nome del metallo>).

    8.1.4 Idrossidi Gli idrossidi sono i composti tra ioni metallici dei primi tre gruppi e dei metalli di transizione e gli ioni ossidrili (OH-). Si ottengono facendo reagire gli ossidi basici con l'acqua. Hanno comportamento basico.

    8.1.5 Ossiacidi

    •.

    Gli ossiacidi sono i composti che i non metalli formano con idrogeno e ossigeno. Essi si ottengono per reazione degli ossidi acidi, o anidridi, con l'acqua. Hanno comporta­ mento acido più o meno marcato in acqua. Uno stei:;so elemento può formare diversi ossiacidi: in tal caso il nome, pltre alla desinenza -oso e -ico, può assumere il prefisso ipo o per. Come esempio st possono usare gli ossiacidi che forma il cloro. Essi sono HClO, HC1O 2, HClO3 e HClO4 .i cui nomi sono acido ipocloroso, cloro!:>'0 1 clorico e perclorico, rispettivamente.

    8.1.6 Sali I sali sono i composti che si formano !:>'OStituendo l'idrogeno negli ossiacidi o negli idracidi con un metallo e che provengono dalla reazione tra gli ossiacidi e gli idracidi con gli idrossidi. Sono sempre composti ionici, sia allo stato solido che allo stato liquido (fusi). Ovviamente in soluzione acquosa sono sempre totalmente dissociati. 186

    CHIMICA

    @ Artqui� l"'

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    � Non confondere la d·issoc'iazione in ioni con la solubilità: un sale pnò essere molto o poco solnbile 1 ma la parte sciolta è completamente sotto forma ionica. I sali provenienti dagli ossiacidi prendono la desinenza -ito se provengono da un acido con desinenza -oso e la desinenza -ato se provengono da un acido con desinenza -ico. Dall'acido solforoso (1-12S03) si ottengono i solfiti e dalPacido solforico (H2S04) i solfati. Nella sostituzione degli idrogeni da parte dei metalli bisogna tener conto che la nonnna delle cariche positive dei cationi metallici sia uguale alla somma delle cariche negative dell'anione dell 'ossiacido. Per esempio il solfato di sodio è Na2SO,i e il solfato di ammonio è (NH,i )2S0,1, il solfato di calcio è CaSO ,i , il solfato ferroso è FeS04, il solfato ferrico è Fc2(S04 ) 3 e il solfuro di alluminio è AhS.1. Esistono anche i su.li ottenuti per pan:iale .-;ostituzioue dell'idrogeno degli ossiacidi come NaHC03 , cmbonato
    o

    o

    • Monoprotici: HF (acido flnori
    o

    5. A causa della sua alta tensione 8Uperficiale l'acqua presenta una forte tendenza alla "capillarità", la capacità di risalire attraverso fessure e tubi sottilissimi. Questa tendenza è utilizzata, tra gli altri, dalle piante che prendono l'acqua dal suolo e la fanno risalire fino alla cima.

    187

    Capitolo 8 Nomenclatura e formule dei composti inorganici

    @ Artqniz

    6. L'acqua pura conduce pochissimo la corrente elettrica perché la concentrazione dei suoi ioni idrossonio e ossidrile è bassa. Ma l'acqua comune contiene disciolti sali che aumentano notevolmente la capacità di condurre la corrente. 7. L'acqua dovrebbe avere un pH pari a 7 ma, poiché contiene disciolta l'anidride carbonica, il suo pH è vicino al valore 5 ( a meno che non contenga disciolti sali con proprietà basiche).

    I I,

    4

    188

    r.!':

    Capitolo 9

    Le reazioni chimiche ' 9.1 Definizioni e tipologie

    o o

    o o o o o

    Si definisce reazione chimica un processo nel quale alcune sostanze cambiano natura chimica. In una reazione chimica quasi sempre alcuni legami chimici sono rotti e si formano nuovi legami. La reazione viene espressa da una equazione chimica del tipo: aA+bl3-tc C+
    + S03

    --, H 2 S04

    • Decomposizione: CaC03 --; CaO+ C02 • Dissociazione: MgS0 4

    --;

    Mg2+ + S04 2 -

    • Neutrali1,zazione: 2 NaOH+ H 2 SO,i --, Na2 S04+ 2 H 20 Bilanciare questo tipo di reazioni è molto semplice. Più difficile è bilanciare alcuni tipi di re�ioni di ossido-riduzione. Le reazioni chimiche possono anche assorbire o sviluppare energia. Quando Pe­ ncrgia è sotto forma di calore le reazioni si dividono in reazioni endotermiche, quelle che assorbono calore, e l'eazioni esotermiche, quelle che producono calore. 189

    · Capitolo 9 Le reazioni chimiche

    @ Artqniz

    Il calore prodotto o assorbito coincide con le variaiioni di entalpia ("6.II>0, reazioni endotermiche; "6.H <0 reazioni esotermiche). · Una reazione può essere spontanea o non spontanea. Una reazione è spontanea quando la varin:tione di energia libera (�G) a essa connessa è negativa (esoel'gonica). Quando la reazione non è spontanea la variazione di energia libern. è positiva (endo­ ergonica). Come si fa a far avvenire una reazione che 11011 è spontauen (come è la maggior parte delle reazioni biologiche)? Basta accoppiare ad essa una reazione spontamm con una variazione di energia libera negativa maggiore della variazione positiva della renzione non spont.anea. Quasi sempre, in biologia, questa rea¼ione è la reazione

  • 9 .1.1 Numeri di ossidazione Abbiamo visto che nella formazione delle molecole i legami tra gli at.omi sono costituiti da coppie di elettroni condivisi. La condivisione è completa se i dnc atomi tra cui c'è nn legame sono ug1mli (per es. H2)- Qua.udo c.lnc a.tomi sono diversi sarà quello più elettronegativo che attirerà di più i dne elettroni condivisi. Se assegniamo comple­ tamente gli elettroni di legame all'atomo più elettronegativo, gli è\tomi costituenti la molecola potranno risultare con cariche positive o negative. La carica apparente che ciascun atomo possiederebbe dopo questa nsscgnazione arbitraria si chiama numero di ossidazione. Le reazioni chimiche possono essere sndclivisc in reazioni di scambio, nelle qua.li nessun elemento cambia numero di ossidazione, e reazioni di ossido-riduzione ( o reazioni redox) dovt� invece almeno dne clementi cambiano munero di o..c.;sidazione, uno lo aumenta (si ossida) e 1'11.ltro lo diminuisce (si riduce). Come si vedrà, le rea­ zioni cli ossido-riduzione sono molto comuni e con esse si possono costruire apparati nei quali l'energia chimica svolta da una reazione è trasformata in energia elettrica (le pile). Nelle rea¼ioni di ossido-riduzione il loro bilanciamcmto è facilitato se si tiene èouto delle varia:tioni del numero di 081:!idmdouc. L'attribu1,ioue del numero di ossidazione dovrebbe essere fatto sulla base della conoscenza dei valori di elettronegatività degli atomi. Poiché la. memorizzazione di questi valori uou è facile esistono delle semplici regole che permettono di assegnare ai · singoli atomi costituenti la mol�coln. il numero di ossida:,-;ione: 1. Gli atomi nelle sostanze allo stato elementare hanno numero di ossida.-1,ionc zero (e..,;. 1-12 , Cl2 , S, C, �cc.). 2. Il numero di ossidazione dell'idrogeno è sempre +1, salvo quando l'idrogeno è allo '· stato elementare (numero di ossidazione O) e quando forma gli idruri, i composti con i metalli (es. NaH, LiH, ecc.) (numero cli ossida·zione -1). 3. Il numero di ossidazione dell'ossigeno è sempre -2, salvo quando l'ossigeno è allo stato elementare (numero di ossida-tione O), quando è legato al fluoro (che è piì1 clett.ronegativo dell'ossigeno e quindi quest'ultimo assume numeri di ossidazione positivi) e quando si trova in composti dove esiste il legame 0-0 (perossidi come l'acqua ossigenata, H 2 O 2 , dove il numero di ossidazione è -1). 4. Il numero di ossidazione di uno ione monoatomico è uguale alla carica dello ione (Mg2 +, c1-, Al3+, ecc.).

    190

    @ Artquiz

    CHIMICA

    5. Il numero di ossidazione degli clementi del I gruppo ( metalli alcalini) è sempre + 1 (con l'eccezione di quaudo·souo allo stato elementare) e

  • o.

    ?'· �

    In una molecola neutra la somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi che la formano è uguale a zero. In 11110 ione la somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi che lo formano è uguale alla carica dello ione.

    Esempi: a) Nella molecola di H2S0 41 ogni atomo di idrogeno ha numero di ossidn:zione +1, quindi in totale +2, ogni atomo di ossigeno ha numero di ossidazione -2, in totale -8. La somma algebrica tra +2 e -8 è -6. Quindi lo zolfo deve avere numero di ossida�ione +6 perché la somma complessiva deve essere zero. b) Nella molecola K2Cr20 7 , K ha numero di os...,idazione +1 (primo gruppo) quindi somma +2, l'ossigeno ha numero di ossidazione -2, quindi -14. La somma alge­ brica è -12, quindi i due atomi di cromo devono avere complessivamente numero di ossidazione +12, cioè +6 per cia::;cun atomo di cromo. . c) Nello ione C2 oi- (ione ossalato), l'atomo di ossigeno ha numero di ossida:dciuc -2, quindi in totale -8. I due atomi di çarbonio debbono avere in totale +6 (cioè +3 per ciascun atomo di carbonio) perché la somma +6 -8 deve essere uguale alla carica -2 dello ione. In genere per ogni elemento si nota che il massimo numero di ossidazione che esso può avere corrisponde ul numero del gruppo della Tavola periodica n cui l'elemento appartiene. La ragione è comprensibile: il numero del grnppo rappresenta il numero

  • 9.1.2 Reazioni di ossido-riduzionE:': (redox) Come già detto sono le reazioni nelle quali qualche elemento cambia il proprio numero. di ossidazione. Questo avviene mediante acquisto o perdita di elettroni. La sostanza che contiene l'elemento che aumenta il numero di ossidazione si ossi­ da (cede elettroni) cd ò quiutli riducente, mentre la sostanza che contiene l'elemento che diminuisce il numero di ossidazione si riduce (acquista elettroni) ed è quindi ossidante. 'Iì·a gli ossidanti piì1 usati c'è il permanganato di potassio (KMnO ,i ), l'acqua os­ sigenata (H202), il fluoro (F2), il cloro (Ch), il cromato e il bicromato (Na2CrO,i , Na2Cr20 7 ) e l'ossigeno (02). 'Iì·a i riducenti più usati l'idrogeno (H2), i metalli alcali­ ni e i metalli alcalino-terrosi, i solfuri (derivati dell'acido solfidrico) e i tioli (composti che contengono il gruppo -SH). Una reazione redox può essere scritta in questo modo (non ci può essere ossidazione se non c'è contemporanea�1ente mm. riduzione): RED1 + OX2 � OX1 + IlED 2 - la sostanza 1 viene oAsidata e la sostania 2 viene ridotta 191

    © Artquiz

    Capitolo 9 Le reazioni chimiche

    Il bilanciamento delle rea�ioni redox spesso non è così semplice come quello delle altre reazioni. Il principio di base è quello che il numero di elettroni ceduti deve essere uguale al numero degli elettroni acquistati. Per facilitare la comprensione delle regole si fa un esempio di reazione, affrontato in tre modi diversi. Reazio ne in forma mo lecolare: K2Cr2O1

    + K2SO3 + HCl -+ KCl +

    CrCl3

    + K2SO4 + H2O

    Si calcolano tutti i numeri di ossidazione degli elementi presenti nella reazione. K ha il valore +1 sia nei comp o::�ti a sinistra che in quelli a destra. L'ossigeno ha sempre il valore -2. L'idrogeno ha sempre il valore +1. Il cloro ha sempre il valore -1. Gli elementi che cambiano numero cli ossidU'òone sono: il cromo che nel bicromato di potassio ha numero di ossidazione +6 e passa a numero di ossidazione +3 nel cloruro di cromo e lo zolfo che ha numero di ossidazione +4 nel solfito di potassio e numero di ossidazione +6 nel solfato di potassio. Quindi il bicromato si riduce (ed è l'ossidante) mentre il solfito si ossida (ed è il riducente). Il cromo nel passare da +6 a +3 deve acquistare 3 elettroni: di atomi di cron.10 nel dicromato ce ne b'OllO 2 e quindi in totale la molecola di bicromato deve prendere G elettroni. Lo zolfo nel pussare da +4 a +6 deve cedere due elettroni e poiché c'è nn solo atomo di zolfo nel solfito questo è il numero di elettroni che la molecola cede. In una reazione redox il rmmcro di elettroni ceduti dal riducente deve· essere u,q-uale al numero di elettroni acquistati dall'ossidante. Se l'ossidante in questo caso acquista G elettroni ci vorranno tre molecole di solfito per poter cedere 6 elettroni. Quindi il bilanciamento degli elettroni ceduti e acquistati porta a definire i primi due coefficienti stechiometrici (il coefficiente 1 in genere non si scrive ma in questo caso si mette per ricordare che esso è definito): 1 K2Cr2O1

    + 3 K2SO3 + HCl -+ KCl + CrCla + K2SO4 + H2O

    I due atomi di cromo del bicromnto li dobbiamo trovare a destra sotto forma di cloruro e quindi il coefficiente di quest'ultimo sarà 2. In maniera del tutto analoga i tre atomi di zolfo contenuti nelle tre molecole di solfito dovranno essere trovati a destra come solfato: quindi il coefficiente di quest'ultimo sarà 3. In questo modo saranno stati sistemati i coefficienti dell'ossidante, del riducente, dell'ossidato e del • ridotto:

    1 K2Cr2O1 + 3 K2SO3 + HCl -+ KCl + 2 CrCl,3 + 3 K2SO4 + H2O

    �,

    bilanciamento delle masse: a sinistra sono s+ati usati Il resto diventa un banale ne troviamo 6 nel solfato, quindi gli altri du� saranno 8 atomi di potassio. A destra sotto forma di KCl:

    1 K2Cr2O1 + 3 K2SO3 + HCl -+

    2 KCl

    + 2 CrCls + 3 K2SO4 + H2O

    A destra ora ci sono 8 atomi di cloro che provengono dall'HCl a sinistra; quindi ci vogliono 8 molecole di HCl:

    1

    K2Cr2O1

    + 3 K2SO3 + 8 I-ICl -+ 2 KCl + 2 CrCl3 + 3 K2SO4 + H2 O

    A sinistra ora ci sono 8 atomi di idrogeno che dovremo ritrovare tutti sotto forma di acqua a destra. Quindi si formeranno 4 molecole di acqua: 192

    o

    CHIMICA

    @ Artquiz

    1 K 2 Cr 2O7 + 3 K2SO3

    + 8 HCl ---; 2 KCl + 2 CrCb + 3 K2 SO,i + 4 H2O

    Il controllo del bilanciamento può ora essere fatto usando gli atomi di ossigeno, che infatti sono nel numero di 16 sia a destra che a sinistra. �,·t. �:: r



    �f

    o o o o o

    Reazione in forma ionica:

    La stessa reazione quando si svolge in acqua -avviene nella seguente forma: . Cr2 Or 2 -

    o o

    ---; Cr3 +

    + SO,i2- + H2 O

    Come si pnò vedere scompare dalla reazione sia il potassio che il cloro. Essi infatti non cambiano numero di ossidazione nella reazione e sono quindi dei semplici spettatori. I passaggi sono praticamente ngnali a quelli di prima. Il cromo passa da +6 a +3 e acquista 3 elettroni (Io ione bicromato ne acquista 6). Lo zolfo passa da +4 a +6 e cede due elettroni (lo ione solfito quindi ne cede 2). Il numero di �lettroni acquistati e ceduti deve essere lo stesso, quindi ci vorranno 3 ioni solfito per ione dicromato: 1 Cr2O/--

    + 3 Soi- + H+

    ---; Cr3+

    + SO,i2 - + H2O

    Questo porterà a destra nd avere dne ipni cromo e tre ioni solfato: 1 Cr2O12 -

    + 3 SO:?- + H+ ---; 2 Cr3+ + 3 SO,t 2- + H2O

    Poiché in una reazione in forma ionica devono essere bilanciate, oltre alle masse, anche le cariche, si può vedere che a sinistra abbiamo due cariche negative dello ione bicromato piit sei cariche negative dello ione solfito (totale otto cariche negative: sono le cariche degli ioni a cui è già stato assegnato il coefficiente) mentre a destra abbiamo sei cariche positive dello ione cromo e sci cariche negative dello ione solfato (totale zero cariche). Dobbiamo q11indi usare otto ioni idrogeno positivi per bilanciare le otto cariche negative a sinistra e portare il conto a zero, come a destra: 1 Cr2O7 2 -

    + 3 SO:?- + 8 1-1+

    ---; 2 Cr3 +

    + 3 Sol- + H2O

    Resta da bilanciare l'idrogeno: da otto ioni idrogeno si ottengono quattro molecole di acqua. Il controllo può essere effettuato usando gli atomi di ossigeno: 1 Cr2O 12 -



    + SO32- + H+

    + 3 SO 32 - + 8 H+

    ---; 2 Cr3+

    + 3 SO4 2- + 4 I-12O

    Reazione con le semireazioni di ossidazione e dì riduzione: La reazione in forma ionica può essere bilanciata usando le semìreazioni di ridu­

    zione e di ossidazione:

    Cr2or2-

    + e-

    ---; Cr3+ (semireazione di riduzione)

    Soi- ---; sO4 2 -

    +

    e- (semireazione di ridu?.ione)

    La prima semircazione si bilancia sapendo che lo ione bicromato contiene il cromo che passa da +6 a +3, quindi ha bisogno di sei elettroni in totale: 1 Cr2O12 -

    + 6 e-

    ---; Cr3 + 193

    @ Artqui7.

    Capitolo 9 Le reazioni chimiche Due atomi di cromo a sinistra producono dne ioni cromo a destra: 1 Cr2 012 -

    +

    6 e- --+ 2 Cr3 +

    A sinistra si hanno le due cariche negative del bicromato più le sei cariche negative degli elettroni (totale otto cariche negative). A destra abbiamo le sei cariche positive dello ione cromo: poiché la reazione avviene in ambiente acido ci vogliono quindi 14 ioni idrogenò per bilanciare. Questi ioni produrranno sette molecole di acqua: 1 Cr201 2-

    +

    6 e-

    +

    14 H+ --+ 2 Cr 3 +

    +

    7 H2 0

    In modo analogo nella seconda semireazione il solfito per passare a solfato deve cedere due elettroni: 1 SOa 2- � 1 S042 -

    +

    2 e-

    A sinistra si hanno le dne cariche negative del solfito, a destra le due cariche nega­ tive del solfato più le due cariche negative degli elettroni (totale 4 cariche negative). Per bilanciare le cariche, poiché la reazione avviene in ambiente acido, bisogna ag­ giungere a destra due ioni idrogeno per avere sia a destra che a sinistra due cariche negative: 1 SOa 2i

    ,. ,·

    +

    H2 0 --+ 1 SO,:i2-

    +

    2 e-

    +

    2 H+

    Se la reazione fosse avvenuta in ambiente basico il bilanciamento delle cariche sarebbe stato fatto aggiungendo a destra o a sinistra di ogni semireazione ioni OH-. La scmireazione risulta ora bilanciata (si può controllare con l'ossigeno). Se ora vogliamo bilanciare la re.azione complessiva dobbiamo fare in modo che gli elettroni acquistati dalla prima semirea?.ione siano uguali agli elettroni ceduti dalla seconda.. Basta lasciare la prima così come è e moltiplicare la seconda per tre: 1 Cr2 01 2- + 6 e- + 14 H+ � 2 Cr3 + + 7 H2 0 3 SOa 2- + 3 H2 0 --+ 3 S04 2 - + 6 e- + 6 H+ Sommando i componenti a sinistra e a destra della freccja· e semplificando si ottiene: 1 Cr2012 -

    +

    3 SOa2 -

    +

    8 H+ � 2 Cr3+

    +

    3 S04 2-

    + 4 H2 0

    che è esattamente il risultato ottenuto con il secondo metodo. L'nso delle due semireazioni non è solo importante come tecnica per assegnare i coefficienti. Esse esprimono la "realtà quando si mettono i reagenti delle due semi­ reazioni in recipienti separati che sono collegati tra loro da un conduttore di seconda specie (una soluzione elettrolitica) e da due elettrodi metallici inerti collegati tra lo­ ro. La reazione avviene ugualmente senza che l'ossidante venga a contatto con il riducente: basta che gli elettroni vengano trasportati da un recipiente all'q)ltro me­ diante il collegamento degli elettrodi. Questo è il principio della costruzione della pila

    (Chimica, § 11.1).

    9.1.3 Calcoli stechiometrici Una reazione chimica bilanciata ci dice molte cose. Dal punto di vista qualitativo ci dice cosa avviene nel processo: la rottura di alcuni legami chimici nei reagenti e la formazione di nuovi legami per dare i prodotti. Dal punto di vista quantitativo una reazione bilanciata ci dice in che rapporti devono reagire le molecole dei reagenti per ottenere i prodotti. Per esempio la reazione: 194



    ·�

    © Artquiz

    CHIMICA C{s) + I-I20(g)

    o

    o .. o o

    � CO {g ) + H2{g)

    ci dice che il carbone allo stato solido è capace di reagire con l'acqua allo stato di vapore per dare, in modo reversibile, ossido di carbonio gassoso e idrogeno gassoso. ·Ma ci dice anche che nella reazione una mole di carbonio (12 g) reagisce con una mole di acqua (18 g) per dare (se la reazione è completa) una mole di ossido di carbonio (28 g) e una mole di idrogeno (2 g). Si parte da 30 g di reagenti e si arriva a 30 g di prodotti. Poiché ci sono reagenti e prodotti che sono allo stato gassoso, invece di usare per essi le masse si possono usare i volumi (ovviamente se è definita la pressione e la temperatura). Se la re�ione avvenisse a O C ° e alla pressione di un atmosfera una mole di carbonio (12 g) reagirebbe con 22,414 L di vapore d'acqua (volume molare di un gas a temperatura e pressione standard, TPS) per dare 22,414 L di ossido di carbonio e 22,414 L di idrogeno. Non è detto che nel recipiente della rea·tioue i reagenti siano nelle condi¼ioni ste­ chiometriche giuste per reagire. Per esempio si potrebbero uvere 15 g diC e 40 g di vapor d'acqua: in tal caso quanto CO e H 2 verrebbe prodotto, t1.mmettendo che la reazione vada a termine e non sia una reazione di equilibrio? Il calcolo delle moli dei reagenti ci dice che 15 g diC sono 15/12 = 1,25 moli diC, mentre in 40 g di acqua ci sono 40/18 = 2,22 moli di acqua. Poiché dalla stechiometria della rea¼ione Hi deduce che una mole diC reagi1:,ce con una mole di acqua, 1,25 moli diC reagiranno con 1,25 moli di acqua (che quindi nel recipiente è in ecce8so) per dare 1,25 moli diCO (pari a 35 g) e 1,25 moH di idrogeno (pari a 2,5 g). In questo caso si dice che il carbonio è il reagente limitante.

    9.1.4 Reazioni di equilibrio Si è già visto che mm reazione può procedere completamente verso la forma¼ione dei prodotti oppµre può apparentemente ferman;i e 11011 cambiare pii1 la concentrazione dei reagenti e dei prodotti nel tempo. In questo caso si parla di reazione di equili­ brio. Queste reazioni sono caratterizzate dal fatto che la reazione diretta ha la stessa velocità della reazione inversa. Si tratta quindi di 1111 equilibrio mobile. Le reazioni di equilibrio si hanno quando l'energia libera dei reagenti diventa ugua­ le alla energia libera dei prodotti, cioè qnando .6.G = O. In qne1:,te condiiioni per una generica reazione del tipo: aA+bB�cC+dD Dove le lettere minuscole 1:,ono i coefficienti stechiometrici della reazione e le let­ tere maiuscole rappresentano le specie chimiche della reazione, all'equilibrio vale la relmdone: K

    =

    !?t · ��!:1

    �love K è la cosiddetta costante di equilibrio.

    I simboli tra le parentesi quadre indicano la concentrazione molare della sostanza all'equilibrio. Una reazione si dice all'equilibrio quando il rapporto tra il prodotto delle concen­ trazioni dei reagenti e quello dei prodotti rispettano il valore di K, indipendentemente dal valore di 1tna concentrazione o dell'altra. La costante di equilibrio ha un valore che 1lipende dalla natura della reazione e 195

    Capitolo 9 Le reaiioni chimiche

    © Artquiz

    dalla temperatura. Poiché nell'espressione di K compaiono solo conceutra,'.ioni ( even­ tualmente elevate ad una potenza) essa avrà le dimensioui di una concentrazione (mol/L) elevata ad un esponente positivo o negativo a seconda se la somma c + d è maggiore o minore della somma a + b, rispettivamente. Quando la somma dei coefficienti a ,destra è uguale aila somma dei coefficienti a sinistra (c + d = a + b) il numero che rappresenta la costante di equUibrio K è adimensionale. Quando una reazione ha tra i suoi reagenti o prodotti una sostanza aIIo stato so­ lido o ailo stato liquido puro essa non compare neil'espressioue deIIa costante, perché il solido e il liquido puro (finché è presente neIIa miscela di reazione) ha nna concen­ trazione costante. Con lo stesso criterio quando una reazione avviene in soluzione acquosa e l'acqua compare tra i reagenti o tra i prodotti, se la soh17.ione dei reagenti e prodotti è dilnitn, si può considerare la concentrazione dell'acqua costante in prima approssimazione e quindi essa non appare ueila espressione della costante di equili­ brio. Se una rea�ione avviene aIIo stato gassoso la costante di equilibrio può essere espressa mediante le pressioni parziali dei reagenti e dei prodotti, invece deile concen­ traiioni (d'altra parte, secondo la legge dei gas, la pressione parziale dì un gas in una uiiscela è direttamente prop�rzionale aila coucentrn:tione di quel gas ueila miscela). I(

    =

    Pc . p� dove P e' 1a pressmne . de1. van· component1. PA·P131

    Fissata la reo.1.ione e fissata la temperatura la costante K ha 1111 valore dctcrminn.to. Questo ha come conseguenza che nn equilibrio può eHsere modificato se si aggiunge o si toglie alla misceln. aII'equilibrio 11110 o più componenti deila miscela di rea'l.ione. Se ueila reazione generica considerata all'equilibrio si aggiunge una certa quantità di A, il prodotto al denominatore deIIa costante diventa piì1 grande di prima e quindi il rapporto diminuisce. Ma K deve rimanere costante e quindi alcune molecole di A reagiranno con alcune molecole di B (producendo C e D) fino a che il valore del rap­ porto non ritomi al valore di K. AIIa stessn maniera l'equilibrio può essere disturbato se si toglie una o più deile sostan7.e presenti. Cosa succede ad un equilibrio se si cambia la pressione esercitata sul sistema.? La risposta è duplice: a) il sistema è incomprimibile (o· quasi). Vuol dire che la rea·tione avviene ailo stato solido o allo stato liquido: la variazione deila pressione non esercita nessun effetto; b) il sistema è aIIo stato gassoso. In tal caso se il numero di molecole gassose a sinistra deila rea�ione è uguale a.I numero di molecole a destra, la variazione di p�)essioue non ha nessun effetto suil'equilibrio. Questo per�hé in qualunque direzidne vada la reazione il volume rimane sempre lo stesso. Ma se 1� reazione avviene con diminuiione di numero di molecole (o con aumento) ·si ha una diminuzione (o un aumento) del volume e quindi la variazione cli pressione ha un grande effetto. L'aumento di pressione favorisce sempre la reazione che avviene con diminuzione di volume e viceversa. D'altra parte non poteva essere altrimenti: l'aumento di pressione fa sempre diminuire il volume. Cosa succede ad un equilibrio se si cambia la temperatura? Anche in questo caso la risposta è duplice: 196

    o --

    �-

    © Artquiz

    CHIMICA

    a) se la reazione è esotermica (sviluppa calore, .6.H<0) l'aumento di temperatura fa diminuire il valore di K, e quindi la reazione diretta è sfavorita; b) se la reazione è endotermica (assorbe calore, .6.H>0) l'aumento di temperatura fa · aumentare il valore di K e quindi la reazione diretta è favorita. Abbassando la temperatura si ha l'effetto contrario.

    o o

    Gli effetti della temperatura, della pressione e dell'aggiunta di sostan7.e ad un equilibrio sono tutti descritti dal principio dell'equilibrio mobile di Le Chatel-ier che dice "se un equilibrio è disturbato il sistema reagisce in modo da annullare l'effetto dell'agente perturbante". 1ì·a le reazioni di equilibrio ci sono anche quelle di preci pitazione. Esse riguar­ dano i composti ionici poco solubili in acqua e l'equilibrio in questo caso è tra il solido indisciolto e gli ioni prodotti dalla parte disciolta. Per esempio il fluoruro di calcio è nn sale poco solubile: CaF2 (s) q Ca2+

    +

    2 F­

    E la coHtante di questo equilibrio è: Kµ11

    o o

    = [Ca' 2 ·l·J[F-] 2

    La costante viene designata con il simbolo K 11 che viene indicato come prodott o p di solubilità. Un sale poco solubile si scioglie fino a soddisfo.re K1,:-1. Viceven;a, quando il prodotto della conceutraiione degli ioni supera 1( >11 si forma il sale t;olido che precipita. 1 1ì·a i sali poco solubili c'è il solfato di bario (BaSO4 ) che si nsa in diagnostica radiologica perché il bario è un metallo pesante opaco ai raggi X. Il precipitato di solfato di bario si dispone sulla superficie dei tessuti molli e li rende opachi, in modo che la loro superficie possa essere esaminata dai raggi X. Altri sali poco solubili sono il cloruro d'argento (AgCl), il carbonato di calcio (CaCO3), il solfato di calcio (CaSO4 ). Se ad una soluzione satura di un sale poco solubile si aggiunge nna 8oluiione di uno ione costituente il sale poco solubile, tale aggiunta provoca ulteriore precipitaiione del sale. Infatti: AgCl(:-1) !::i Ag +

    o o o o

    +

    CI-

    Se si aggiunge a questo equilibrio altro CI- (sotto forma di NaCl), il prodotto [Ag+ ][c1-1 supera Kps e quindi altro sale precipita. Viceversa la solubilità di un sale può essere aumentata se si aggiunge alla soluzione satura un composto che sottrae uno degli ioni in soluzione. Il carbonato di calcio è praticamente insolubile in acqua, ma se si aggiunge un acido (H+ ) questo sottrae ioni Co3- dalla soluzione e quindi altro CaCO3 si scioglie.

    9.2 Acidi e basi. Il pH Ci sono due definizioni normalmente usate per gli acidi e le basi. La prima è quella di Arrhenius (molto vecchia) che dice che un acido è una sostanza che in soluiione acquosa libera gli ioni H+ (protoni) che possiede nella sua molecola, mentre una base è una sostanza che libera gli ioni or-r- (ioni ossidrili). Bnllnsted-Lowry cambiarono la definizione di acido e di base relativiizandola. 197

    @ Artquiz

    Capitolo 9 Le reazioni chimiche

    Un acido è tale se è capace cli cedere un protone ad un'altra sostamm cl�e per questa ragione diventa nna base. Questa definizione fo, i:l parallelo con la defini1.ioue di ossidante e ridncent.e: 11011 può esistere il primo se non c'è il secondo. Quindi secondo Brnmsted-Lowry vale la reazione: AH+ B

    !::.

    A-+ BH +

    dove AH è l'acido e B la bnse. L'acido, dopo aver perduto il protone, si trasforma nella sua base coniugata A-, mentre la base B, dopo aver acquistato il protone, si trasforma nel suo acido coniugato BH+ . Se si legge la rea�done in senso contrario, infatti, BH+ è l'acido e A- è·la base. Un acido in acqua quindi 11011 libera il protone, come dice Anhenins, ma lo cede all'acqua che si comporta perciò da base: AH+ H20 !:=i A-+ I·hO+ L'acido è forte se cede completamente il protone all'acqua, altrimenti è debole. Una base in acqua si prende il protone da qnest 'ultima.: B+ H20 !:=i BH+ + OHDi nuovo la base è forte se la reru:-.iouc procede completa.mente verso destra, altri­ menti è debole. Esempi: • 0 2 - + H20 --t OH-+ OH- (comportamento da base forte degli ossidi dei metn.lli) • NHa + H20

    !::.

    NH4 + + OH- (comportamento da base debole dell'ammoniaca)

    Poiché una base accetta uno ione idrogeno e lo lega a sé, c'è da aspettarsi che la base abbia una coppia di elettroni 11011 condivisi con cui formare il legame (dativo) con H+ che 11011 lm elettroni. Come tutte le reazioni di equilibrio le reazioni degli aci

  • H3Q +

    .,,

    + OH-

    La prima molecola cli acqua si comporta da acido perché cede un protone ad un'altra molecola d'acqua, che a sua volta si compo'i·ta da base. La molocola che si comporta da acido si trasforma in OH-, sua base coniugata, mentre quella che ha preso il protone si trasforma. nel suo acido coniugato H3Q + (lo ione ossonio o idronio o, meglio, idrossonio). La c01;tante di rea7.ioue: Kw 198

    = [H30 +][oH-] a 25 °C ha nn valore di 1,0 .

    10-14

    ;:,

    :

    ..

    o

    © Artquìz

    CHIMICA

    Da not,tre che a denominatore dell'espressione della costante non compé:Lre il ter­ mine [H 2 O] 2 perché l'acqmt ha una concentra)'.ione costante e tale valore è inglobato nel computo di Kw· Poiché la concentrazione di H3O + è u�ua.le a quella di OH- (i coefficienti della rea:tione sono uguali) e il prodotto delle due concentrazioni è 10- 14, 1a concentrazione di ciascuno dei due ioni sarà 10- 7, Questa è la condizione di neu­ tralità di 1ma solu:done acquosa. Quando si mette un acido in acqua la concentrazione di H3O + aumenta e quindi la concentrazione di OH- diminuisce: il prodotto delle due concentrazioni dovrà sempre essere uguale a 10- M. Normalmente l'acidità n la basicità di una soluzione acquosa viene misurata da nna grande?'.za che 1,i chiama pH, definito come il logaritmo (in base 10) con il segno cambiato della concentrazione dello ione idronio: pH

    = -log10 [H3O +]

    In modo analogo viene definit;o il pOH: pOH

    = -log10 [OH-]

    Poiché: Kw

    =

    [H:io + I 1or-r-1

    = 10- t-1

    se si fa il logaritmo con il seguo cmnbittto di entrambi i termini dell'uguaglianza si ricava eh.e: pH

    o­ o

    o

    + pOI-I = 14

    Quindi conoscenclo il pI-I si può ricavare il pOH e viceversa. La neutralità è definita quindi da pI-I = 7 e pOH = 7. Quando la soluiioue è acida la concentrazione di H3 o+ è maggiore di 10-7 e quindi il pH è inferiore a 7. Per le soluzioni basiche il pH è superiore a 7. Se si usa il pOH, le �mluzioni acide hanno nn pOI-I>7, mentre le solmdoni basiche hanno nn pOH<7. Il pH di una solu�.ione può essere misnra.to con un apparecchio chiamato pHmetro il cui funzionamento è quello di una pila. Il pH può ei:isere misnrato approssimati­ vamente anche con delle speciali cartine imbevute di sostanze colorate, il cui colore risultante cambia con il valore del pH, per cui confrontando il colore ottenuto sulla cartina con quello di una scala cromatica fornita dal produttore della cartina si ot­ tiene il valore approssimato del pH. C'è una particolare cartina, chiamata cartina al tornasole che è imbevuta della sostanza tornasole il cui colore è rosso se immersa in una soluzione acida, blu se immersa in una soluzione basica. La cartina al tornasole, quindi, non è in grado di darci un valore, nepptire approssimato del pH, ci dice solo i-;e la soluzione nella quale la cartina è stata immersa è acida o basica. Il pH di una sohrnione può anche essere calcolato se si conosce la concentrazione e la uaturn dell'acido o della base in essa sciolti. Come esempio si vuole ricavare il pH di nua solm.ione di nna acido forte come l'HCI a concentraiione 10-3 M. Poiché l'acido è forte ed è monoprotico, la sua concentrazione coincide anche con la concentrazione dello ione idronio. Quindi il pH = -log1010-3 = 3. Se la concentraiione dell'I-ICI è 10- 8 quale sarà il valore del pH? Poiché I-ICI è un acido forte esso produce in soluzione una conceutra¼ione di H3O+ pari a 10- 8 e il pH sarebbe 8. Come è possibile avere un pH basico mettendo in acqua un acido'? L'errore sta nel fatto che HCI non è l'unico fornitore di H3o+ in acqua, essendo l'acqua, come 199

    © Artqutz

    Capitolo 9 Le reazioni chimiche

    abbiamo visto prima, antoprotonata. Mentre nell 1 esercizio precedente si è trascurata (e si è fatto bene) la quantità di ioni idronio fomiti dalPacqua rispetto a quelli forniti dalPHCl, nel secondo caso la quantità fornita dall 1acqua è superiore a quella fornita dall 1acido e quindi il pH sarà leggermente inferiore a 7. Il calcolo preciso (che può essere fatto) va al di là degli scopi di questo manuale. Se invece di mettere un acido forte si mette in soluzione un acido debole anche in questo caso si può calcolare il valore del pH se si conosce la concentrazione dell 1 acido e il valore della sua costante di ionizzazione, che si riferisce alla reazione: AH+ H2 0 la cui espressione è: I
    =. H3Q+ + A-

    = (H3Q+ l(A -J (AH)

    Il calcolo va al cli là degli scopi di questo manuale, ma a parità di concentrazione acido forte abbassa il valore del pH più dell 1acido debole. In maniera del tutto simile si può calcolare il pH di una base forte e di una base debole. La teoria di Briausted-Lowry prevede la coppia acido-base coniugata e viceversa. Piì1 l'acido è debole piì1 forte è la sua base coniugata e viceversa. Questa affermazione ha grande rilevan'6a perché permette di ctipire come anche sostanze nel cui nome non compare la parola acido o base, possano però presentare proprietà acide o basiche. Questi composti sono i sali, prodotti che si ottengono per la rea·tione tra una acido e una base. Si cousiclcriuo questi s11li: ·NaCl, NaF, NH,i Cl, NaHC03, N�C9:i- Quando i sali messi in acqua producono una solnv,ioue acida o basica il processo viene anche indicato con il nome di idrolisi salina. NaCI in acqua è dissociato negli ioni Na+ e c1-. Il primo ione non ha proprietà né acide (non possiede un protone nella sua formula da cedere) né basiche (non prende certamente un protone). Lo ione c1- è invece la base coniugata dell'acido cloridrico HCl. HCl è un acido forte quindi la sua base coniugata ha forza zero. Quindi una. soluzione acquosa di NaCl non altera il pH dell 1 acqua, che rimane 7. NaF � dissociato in acqua negli ioni Na + e F-. Il primo ione non è né acido né base, come visto in precedenza. Lo ione F- è la base coniugata dell 1 acido HF, che è un acido debole, e come base ha una certa forza. La soluzione di NaF ha quindi proprietà basiche. La reazione che avviene in soluiione acquosa è: 1111

    p- + H2 0

    =. HF + OH-

    con produzione cli ioni ossidrili che rendono basica la reaiione. La costante di equili­ brio della reazione è: � _ (HFl(OH-J K b(F-J

    �-

    'I

    se si moltiplica e si divide per [H3Q+] si ha: K

    b

    _ [HFl[OH-l(H3Q +] (F-l(H3Q+]

    Il prodotto (OI·I-l(H3Q +] ·corrisponde a Kw, mentre il resto è la costante K 0 rove­ sciata, per cui il risultato è Kw = K,J{b, cioè il prodotto delle costanti di ioniizazione dell 1 acido e della sua base coniugata è uguale al prodotto di ionizza"tione delPacqua. 200

    ••

    @ Artqui�

    CHIMICA

    Da quest.a relazione si deduce quanto detto iu precedenza che più grande è K a più piccola è Kb e viceversa. NH 4 Cl è dissociato in acqua in NH,i + e c1-. NH4 + è l'acido coniugato della base debole NH3 (NH3 + H2 0 !::; NH,i + + OH-) e quindi è un acido, mentre CI- è la base coniugata di un acido forte (HCl) e quindi non si comporta da base in acqua. La soluzione quindi risulta acida. La reazione che avviene in acqua è: NH4 + t

    '-'

    +

    H2 0 q NHa

    +

    H30 +

    NaHC03 (carbonato di idrogeno e sodio o bicarbonato di sodio) in acqua produce gli ioni Na + e HC03-. Il primo non è né acido né base. Il secondo è sia nn acido che una base. È un acido perché può dare un protone all'acqua: HC03- + H2 0 q HaO + + C032ma è anche una base perché è la. base coniugata di un acido debole: H2C03

    o

    o

    + H20

    t:; H30 +

    +

    HC03-

    Il suo comportamento complessivo dipenderà dal valore delle costanti di ioniz'..m­ zione come acido e come base. La costante (K1,) come base di HC03- è più alta della K1, come acido e quindi il bicarbonato di ,imdio si comporterà da base: non a caso viene ingerito in soluzione acquosa quando si ha acidità di stomaco. Na2C0 3 in acqua si dissocia in dne ioni Na+ (né acido né base) e iu uno ione carbonato (C032-). Que.o;;t'nltimo è la base coniugata dell'acido HC0:1- (ione bi­ carbonato), che è un acido molto debole. Questo vnol dire che il carbonato è una ba.se abbnstan·1,a forte: infatti il carbonato di sodio viene chiamata anche soda, che è notoriamente una base abbastanza-forte, poco meno della soda c aus tica (NaOH, idrossido di sodio). Un altro modo per prevedere se una soluzione salina possa risultare acida o basica è quello di analizzare il sale: se un sale è costituito dalla reazione tra un acido forte e una base forte il sale non sarà capace di modificare il pH dell'acqua. Se il sale proviene da un acido forte e una base debole (NH,i Cl) il pH risulterà acido. Se invece il sale è formato da una base forte e da un acido debole (CH3COONa, acetato di sodio) il pH risulterà basico. Alcuni acidi sono monoprotici, cioè sono in grado di cedere all'acqua solo un protone (tipo HCl, CH3COOH). Altri acidi sono poliprotici: diprotici come H 2 SO,i (acido solforico), come H2C03 (acido carbonico), o triprotici come H3PO,i (acido fosforico). Un acido poliprotico possiede più di una costante di ionizzazione. Per esempio l'acido fosforico cede il primo protone all'acqua con nna "forza" misurata dal valore della KIL di circa 10-2 , cede il secondo con una Ku. di circa 10-7 e il terzo con una Kn di circa 10- 1 2 . Ci sono sostam�c che possiedono sia uno o più gruppi acidi sia uno o più gruppi basici. Queste sostanze si chiamano anfoli ti. Tipici anfoliti sono gli aminoacidi e i loro derivati che sono le proteine. Il valore del pH che queste sostam�e determinano, quando sono i:;ciolte in acqua, dipende dal numero dei gruppi acidi e basici e dalla loro forza. Si definisce punto isoele ttrico di un anfolita il valore del pH al quale la loro carica è zero. Per esempio un aminoacido come la glicina (H 2 N-CH 2 -COOH) che posi:;iede sia nn gruppo acido (-COOH) che un gruppo basièo (-NH2 ), a valori molto acidi di pH ha la forma H3N+ -CH 2 -COOH (e quindi carica positivamente); a valori molto basici ha la forma I-I2 N-CH 2 -COO- (e quindi carica negativamente).

    201

    Capitolo ·g Le rea1.ioni chimiche

    @ Artquiz

    Ad un valore preciso del pH (corrispondente al punto isoelettrico) si ha solo la for­ ma H3 N+-CH2 -COO- (e quindi scarica). Ad ogni proteina corrisponde un punto isoelettrico che dipende dalla composizione in aminoacidi. Al punto isoelettrico la sostanza non si muove in un campo elettrico e non migra quindi verso il catodo (come fa un catione) o verso l'anodo (come fa un anione).

    :;!�n .

    .

    9.3 Peso equivalente e grammoequivalente di un acido, di una base, di un ossidante e di un riducente Si definisce grammo equivalente (o semplicemente equivalente) di un _acido e di unn. base o di un ossidante e cli un riducente la quantità che è capace cli cedere o acquistare un numero di Avogadro di protoni (acido/base) o cli elettroni (ossidante/ riducente). Da questa definizione è automatica l'altra affermazione che un equivalente di base (ossidante) reagisce sempre con un equivalente di acido (riducente). Qual è il rapporto tra peso molecolare dell'acido/base/ossidante/riducente e peso equivalente dello stesso? Se un acido in una reazione cede solo 1111 protone il suo peso molecolare è uguale al suo peso equivalente. Lo stesso vale per una base che acquista un solo protone, oppure per un ossidante o riducente che scambia un solo elettrone. Se invece un acido (come l'acido solfori°co) è capace di cedere due protoni allora nua mole è capace cli cedere due volte il numero di Avogadro di protoni e quindi con­ tiene due grammoequivalenti. Il sno peso equivalente è quindi h.\. metà del suo peso mole<.:olare. In modo simile si può ragionare per le basi, gli ossidanti e i riducenti, mettendo per questi ultimi gli elettroni al posto dei protoni. In pratica il peso equivalente è uguale al peso molecolare diviso il numero dei protoni (o elettroni) scambiati per molecola. Ragionando in tP.rmiui cli concentrazioni la molarità (M) può essere trasformata in normalità (N, numero cli grammoequivalcmti/litro di soluzione) con la semplice for­ mula N = M · numero di protoni (o elettroni) scambiati. Quindi la normalità è qu_asi sempre un multiplo intero della molarità. Con lo stesso meccanismo razionale si può dire che il numero di equivalenti è uguale al numero di moli per il numero di protoni (o elettroni) scambiati. Nel caso dei sali la formula ci dice quanti protoni sono stati scambiati nella for­ mazione del sale, oppure si può Vedere quanti ioni idrogeno sono stati sostituiti dal metallo nella formula dell'acido di pru:tenza. Esempi: la molecola di NaaP0 4 contie­ ne tre equivalenti perché deriva da HaP04, Fe 2 (PO.i h contiene 6 equivalenti perché deriva da 2 molecole di HaP04, ecc. r,

    9.4 Soluzioni tampone Una soluzione tampone serve per mantenere pressoché invariato il pH di una solu­ zione quando ad essa si aggiungono modeste quantità di acido e di base. Poiché il pH è un fattore importante per regolare l'attività di molte molecole biologiche esso deve essere mantenuto entro certi limiti negli organismi. Il sangue è infatti una soluzione tampone che regola il pH fisiologico intorno al valore 7 ,4. Solo lo stomaco e in parte il duodeno hanno un pH diverso da quello del sangue: lo stomaco è notevolmente acido (pH 2-3) mentre il duodeno ha un pH leggermente più basico del sangue (7,8). Una soluzione tampone è ottenuta da una miscela di una base debole con il suo 202

    .

    ò

    u

    :o

    ..t��

    © Artqui�

    CHIMICA

    acido coniugato, oppure da nna miscela di nn acido debole con la sua bas e coniugata. Come deve essere fatta la scelta della miscela opportuna per avere nn tampone ad un valore prefissato del pH? Supponiamo di voler preparare una soluzione tampone a pH = 5. Per fare questo bisogna cercare tra tutti gli acidi deboli quelli che hanno un valore del pK (= -log K0 ) il più vicino possibile a 5, comunque non più di 6 e non meno di 4. Se si è fortunati e si trova l'acido con pKa = 5 (l'acido è HX) si prepara nna soluzione di questo acido ad una certa concentrazio ne ([HX]) e a questa bisogna agginngere la sna base coniugata alla stessa concentrazione ([X-]). Ricordando che: [X -l[H3O+ ] K= = 10_ 5 se [X-J

    = [HX]

    allora K li

    =

    [I-1:3O+

    [HX]

    ] e quindi pKa

    = pH.

    Ma perché una soluzione del genere deve funzionare in modo da bloccare ( o far cambiare poco) il pH della soluzione quando si aggiunge un acic-1.o o nna base? Se si aggiunge un acido vuol dire che si aggiungono H3O+ . Questi reagiranno con per dare HX. Se l'aggiunta non è elevata si avrà nna variazione modesta del rapporto [X-] • . d'1 d'1 [H·3 o+] • I111èl.tt1. �. ', e qum [I-IX]



    o o D

    [HaO + ]

    = K,i

    ·

    [HX] - e pi-I [X J

    = -log [H3O+ ] =

    -log (Kn ·

    [HX] -) [X J

    Se il rapporto ���� cambia poco il logariti�to cambia ancora di meno e il pH

    rimane pressoché invariato.

    Perché il pH cambi di una unità è necessario che il rapporto f��� cambi da 1 a 10,

    o da 1 a 0,1. Se invece di aggiungere nn acido si aggiunge una base il ragionamento rimàne lo stesso: l'unica variazione è che 01-1- reagirà con I-IX per dare Se il rapporto cambia poco il pH cambia ancora meno. Per fare in modo che il rapporto

    x-.

    ���� cambi il meno possibile, per determinate aggiunte di acido o di base, è bene

    fate le concentrazioni Riassumendo:

    [x-J e [HX] pitt grandi possibili.

    • Un tampone è sempre una miscela

  • • La scelta dell'acido debole o della base debole è fatta in modo tale che pKn sia più vicino possibile al valore del pH che si vuole tamponare oppure che il valore di pKb sia il più vicino possibile al valore del pOH che si vuole tamponare (ricordare che pi-I+ pOH = 14).

    • Una volta scelte le sostanze la concentrazione del tampone (o meglio dei due pai,tner) deve essere la piit alta possibile per aumentare la capacità t�mponante.

    o

    Il sangue è nn tessuto tamponato a pi-I 7,4. I componenti del tampone ematico sono le coppie H2 CO3/HCO3 e H2 PO4 /HPO4 2 . La grande concentrazione di emoglobina nel sangue (insieme alle altre proteine ematiche) contribuisce al sistema tampone con i residui aminoacidici sia acidi che basici.

    203

    Capitolo 10

    Cinetica· chimica 10.1 Velocità delle reazioni e parametri che la influenzano

    o o o o

    La termodinamica, mediante la variazione della graudez�m energia libera G, ci dice se una reazione può avvenire o 110, ma non ci dà alcuna indicazione sul tempo necessario per avvenire. Questo è compito della cinetica chimica. La velocità di una reazione è definita come la variazione della concentrazione dei reagenti con il tempo. Come è noto una reazione è 1111 processo nel quale alcuni legami chimici sono rotti e altri h'e ne formano. È quindi intuitivo che una reazione nella. quale i legami da rompere sono deboli e quelli
    o

    3. che la temperatura sia più alta possibile. L'aumento della temperatura aumenta sempre la velocità di una reazione, qualunque essa sia. La ragione sta nel fatto 205

    © Artquìz

    Capitolo 10 Cinetica chimica

    che l'aumento della temperatura sposta verso destra la cnrva di distribnzione del­ l'energia cinetica. (Fig. 5.1) e quindi ci saranno più molecole che avranno l'energia sufficiente a dare il complesso attivato. La velo cità cresce in maniera esponenziale con la temperatura (raddoppia ogni 10 °C circa di aumento). COl\•I PLESSO ATTIVATO /

    � �

    w z w

    w ;,;

    � �

    s <

    w e,-+

    REAZIONE NON / CATALIZZATA

    REAZIONE CATALIZZANTE

    i

    PRODOTTI

    PERConso DELLA RELAZIONI;�

    Figura 10.1: Diagramma dell'energia duranfo ·una reazione esotermica. Come si è visto ogni reazione ha una sua ::;tcchiomctria ma la rea.zione bilanciata non necCb.':iariamentc rappre::;enta il meccanismo di nna ren,'l,ione. In altre pnrole Re nna reazione è del tipo: 2A+3B-+2C+D è impossibile che la reazione avvenga con il mccca.nismo secondo il quale 2 molecole di A debbano incontrare 3molecole di B. Quest.o incontro è staticamente altamente improbabile. La. reazione avviene quindi a stadi; alcuni pii1 lenti, altri più veloci. In tal ca.so la velocità. della reazione tiene più conto degli stadi lenti che degli stadi veloci. Non c'è una teoria sulle reazioni chimiche: solo gli e::;perimenti possono dare indicazioni sul loro m(..'CCanismo. La velocità di una reazione può essere modificata da sostanze che alla fine della reazione si trovano inalterate, non consmnate, ma che modificano il percorso della reazione rendendolo più facile (doè abbassando l'energia di attivazione dcg�i stadi con cui la reazione avviene); si veda la Fignra 10.1. Queste sostanze sono cltiamate catalizzatori. I catalizzatori biologici più noti sono gli enzimi, che sono capaci di legare le molecole reagenti e con i loro gruppi chimici intervengono nel meccanismo della reazione (Biologia, § 4.1). \

    206



    o Capitolo 11

    Elettrochimica 11,1 Pile, Equazione di Nernst

    o D D D

    La pila è un dispositivo con il quale si sfr�ttauo le reazioni cli ossido-ridm�ioue ver trasformare la loro energia chimica in energia elettrica. Viceversa il processo

  • p

    ......·

    0'.

    anodo eleilrodo di 1111, plallno

    alln �/ �

    ,,

    ,,.,

    ®

    catodo

    ,; ·:_ ,

    ISemlreezlone di riduzione

    '.Semlr88zlone di ossidazione

    Figura 11.1: Rappresentazione schematica di una pila.

    207

    © Artqnii

    Capitolo 11 Elettrochimica Esempio del tipo 1

    '

    Viene usata la reazione redox che è ::;ervita per spiegare come si trovano i coefficienti della reazione mediante l'nso delle semireazioni: 1 Cr2 0l- + 6 e- + 14 H + � 2 Cr3+ + 7 H2 0 3 80 32- + 3 H2 0 � 3 804 2- + 6 e- + 6 H+ Nel redpiente a sinistra si trova una soluzione acquosa contenente Cr2 0l-, H+ e Cr3+ , in quello a destra si trova nna soluzione di 8032-, di 80 4 2- e di H+ . Nelle dne soluzioni vengono immersi due elettrodi platino che è un metallo inerte (il platino è un metallo nobile: la nobiltà consiste nella grande difficoltà ad ossidarsi) e le due soluzioni vengono collegate da nn ponte salino (basterebbe uno straccio imbevuto di una soluzione di KCI). Se si prende un voltmetro si può misurare unn differenza di potenziale e gli elettroni si muoveranno dalla soluzione contenente lo ione solfito alla soluzione che contiene il bicromato . Quale sarà il valore della differenza di potenziale miHurato con il voltmetro? Esso dipenderà dallo. natura della reazione, dalla concentruzione dei singoli com­ ponenti della reazione e dalla temperatura. Il primo pnnto è facile da spiegare: se l'ossidante è forte ha una grande capacità 'cli strappare elettroni, così se il riducente è forte avrà nna grande capacità di cedere gli elettroni: In piìt alta. differenza di potenziale si avrà accoppiando il più forte ossidante e il pii1 forte riducente. Si è visto in preccdcn'l,a che una rea:iionc di equilibrio viene più spostata verso i prodotti quanto più ·elevata è la concentrazione dei rea.genti e minore quella dei prodotti, per cui la tendenza a dare o a prendere gli elettroni nella reazione dipenderà dalla concentrazione di tutti i componenti. Ogni semireazionc avrà una sna tenden1..a ad avvenire che è misurata da un valore di E 0 definito come il potenziale standard che si genera in una pila fatta nel modo seguente. In un recipiente ci sono gli ingredienti della semireazione in questione tutti a concentrazione 1 M (o a pressio­ ne 1 atm, se sono gas) e alla temperatura di 25 °C, nell'altra c'è una semireazione di riferimento, che è il cosiddetto elettrodo a idrogeno. Quest'ultimo è fatto da idrogeno gassoso alla pressione di 1 atm, che gorgoglia intorno ad un elettrodo di platino, a sua volta immerso in una soluzione 1 M di H+ . A questo elettrodo, per convenzione, viene attribuito il valore O per E 0 per cui la differenza di potenziale che si misura nella pila cosi costruita è attribuibile (con il segno) all'elettrodo in questione. I valori di E0 di tutte le semireazioni sono noti e tabellati. Le semireazioni di riduzione che avvengono meglio della semireazione 2 H+ + 2 e- � H2 (g) avranno un E 0 positivo (più ossidanti di H+ ), quelle che avvengono peggio .un E 0 negativo (più riducenti di H2 ). Cosa succede se le concentrazioni non sono 1 M o la pressione dei gas �on è 1 atm? Viene in soccorso l'equazione di Nernst che permette di ricavare il valore di E di una semire�ione in qualsiasi condizione, conoscendo il valore di E 0 L'equa:tione di Nernst è: [OX] RT E= E 0 + ln nF ,

    ,



    Dove E 0 è il potenziale standard, R è la costante dei gas, pari a 8,31 joule/mol K) T è la temperatura ussoluta, n è il numero di elettroni in gioco nella semireazione bilanciata, F è chiamato Fara.day e corrisponde a 96.500 Coulomb. [OX] e [REDJ rappresentano i prodotti delle concentrazioni di tutte le sostanze (elevate al proprio 208



    o

    CHIMICA

    @ Artquiz

    L

    ·=-�

    coefficiente stechiometrico) che stanno dalla parte della forma ossidata e dalla parte della forma ridotta, rispettivamente. A 25 °Ce trasformando i logaritmi naturali in decimali la relazione diventa:

    E_ E + 0,0591og [OX] n [RED] 0

    I valori di E calcolati tramite l'equazione di Nernst permettono di definire il catodo (il valore di E più positivo, o meno negativo) e l'anodo (il valore di E meno positivo o più negativo). La FEM (forza elettromotrice) della pila si ricava dalla relazione: FEM = Ec - En (in Volt).

    11.2 Elettrolisi L'elettrolisi è il processo in cui fornendo energia elettrica (con un potenziale che deve essere superiore a quello generato dalla pila che si basa su]la reazione inversa) ad una soluzione si fa avvenire una reazione redox. Per esempio fornendo la giusta differenza di potenziale all'acqua si può far avvenire la reazione di elettrolisi: 2 H2O --t 2 H2 + 02 ' Ad un elettrodo l'acqua si riduce, prende elettroni e trasforma JI + in I-b. All'altro elettrodo l'acqua cede elettroni, si ossida e il suo ossigeno passa da -2 a O. È il processo inverso di quello che avviene in una. pila dove l'ossida-1,iouc dell'idrogeno e la riduzione dell'ossigeno producono energia elettrica. Quando nell'apparecchio di elettrolisi passa un Fara.day di corrente questo corri­ sponde ad un numero cli A vogadro di elettroni che verranno assunti per ridurre un equivalente di sostanza. Nel caso dell'elettrolisi dell'acqua un Faraday produrrebbe un equivalente di I-b gassoso pari a 11,207 L misurati a condizioni normali e a un equivalente di 02 gassoso, pari a 5,u03 L di ossigeno misurati a condizioni normali. Si ricordi che per ottenere una mole di H2 a partire da H + ci vogliono 2 volte il numero di Avogadro di elettroni (2 equivalenti), mentre per ottenere una mole di 02 ci vogliono 4 volte il numero di Avogadro di elettroni (4 equivalenti).

    D D 209

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    Capitolo 12

    La chimica del carbonio 12.1 Ibridizzazione del carbonio Ln chimica organica è la chimica dei composti del ca.rbouio, di cui è costituita la maggior parte della materia. vivente. Il carbonio appartiene al quarto gruppo deIIa Tavola. periodica e forma un inmunercvole i-;eric di composti sia perché è capace di formare ca.tene di atomi, sin. perché è capace di legarsi a molti altri tipi dì atomi, tra i quali idrogeno, ossigeno, azoto, wlfo, fosforo, cloro, bromo, ccc. II carbonio forma sempre quattro legami e per fare ciò è sempre ibridizzato. La regola dell'uso degli orbitali ibridi è la seguente: • quattro legami semplici: ibridizzazione i-;p3 ; • un doppio legame e due legami semplici: ibridizzazione sp2 ; • due doppi legami o lega.mc triplo e un legame semplice: ibridiziazione sp. I composti del carbonio conoi-;ciuti (che sono potenzialmente un numero iIIimitato, imperiore attualmente a 100 milioni) sono raggrnppati i-;econclo la presenza in essi di grnppi funzionali che ne definiscono le p1'oprictà chinùche.

    12.2 Formule e isomerie dei composti organici

    D

    o D

    In genere i composti del carbonio contengono catene più o meno lunghe çli atomi di carbonio, a cui sono attaccati i gruppi funzionali. Per la presenza di queste catene gli atomi di carbonio vengono designati come primari, se i-;ono legati ad un solo atomo cli carbonio; s econdari, se sono legati a due atomi di carbonio; terziari, se sono legati a tre atomi di carbonio e quaternari, se sono legati a quattro atomi di carbonio. Proprio perché il èarbonio può dare origine a. numerosi composti di essi si possono scrivere diversi tipi di formule: 1. la formula minima, rappresenta il rapporto numerico più semplice con cui si trovano gli atomi costituenti la molecola. Es. un carboidrato ha formula minima CH2 0; 2. la formula molecolare o grezza o bruta che rappresenta H numero di atomi costituenti la molecola ma non ci dà alcuna indicazione del modo con cui sono formati i legami neIIa molecola. Es. CoH 1 20 6 rappresenta sia il glucosio che il galattrn;io e tanti altri esosi; 211

    [l

    © Artquiz

    Capitolo 12 La c:himica del c:arbonio

    3. la formula di struttura, che ci indica come sono formati i legami tra tutti gli atomi della molecola. Quando due molecole hanno la stessa formula molecolare ma diversa disposizione degli atomi nello spazio si chiamano isomeri (Fig. 12.1).

    A. ISOMERIA DI STRUTTURA Isomeri di catena

    Isomeri di funzione Formula bruta C2H6 0

    Isomeri di posizione Formula bruta C2H1CI

    CHa-CH2-CH2-CHrCH:1 11-pc11t1, 110

    CH3 -CHrCHO propn1111lc

    CH2CI-CHrCH3 1-cloropropono

    CH:1-CH-CH2-CH:1 I CHa

    CHrCO-CHa propauouc

    CHa-CI·ICI-CH:1 2-cloroprop1,110

    2-metilbutnno

    Clh

    I CH3-C-CH;i I CI-la 2 ,2-dln1ctilprop1,110

    B. STEREOISOMERIA Isomeri geometrici

    Enantlomeri OH

    011

    kcH'..! rn rn cooH

    H2C�

    nooc·

    acido 2-idrossi-2-cloropropionico

    Cl ,

    )'I

    1/

    'èi

    C=C

    Cl

    CI

    'c=
    Ln,nii-1 ,2-dicloroctene cis-1 ,2-diclornetenc

    Figura 12.1: Isomeria

    12.3 Isomeria Esistono due classi di hmmeri, gli-isomeri di struttura e gli stereoisomeri. Tua gli isomeri di struttura si distinguono: isomeri di catena, isomeri di funzione e isomeri di posizione (Fig. 12.1 A.). Tm gli stereoisomeri si distinguono gli isomeri ottici e gli isomeri geometrici (Fig. 12.1 B.): • Gli isomeri o ttici o enantìomeri sono i composti in cui tutti gli atomi sonb legati allo stesso modo ma differiscono per la posizione nello spazio. Questi is6meri sì hanno ogni volta che nna molecola possiede un carbonio che forma quatt1:o legami semplici (quindi con ibridizzazione sp3 ) con quattro sostituenti differe.nti. Un carbonio di questo genere viene definito carbonio asimmetrico (o stereogenico o chirale) e porta alla formazione di due composti non sovrapponibili, ognuno dei quali è l'immagine speculare dell'altro. Gli cnantiomeri hanno proprietà chimiche e fisiche uguali, eccettuata la capacità di ruotare (a destra o siuistra) .il piano della luce polarizzata che li attraversa. La luce polarizzata è la luce le cui onde elettromagnetid1e vibrano su un unico piano, invece che su infiniti piani come fanno le onde elettromagnetiche di una luce non 212



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    @ Artquiz

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    CHIMICA

    polarizzata. I due enantiomeri sono come la 111ano (o il piede) destra e si11istra. Ma proprio come è impossibile stringersi la mano con la sinistra di uno e la destra dell'altro, le molecole euantiomere possono interagire con un'altra molecola in modo diverso. I farmaci chirali sono attivi solo in uqa delle clue forme. La miscela in parti uguali dei due stereoisomeri viene designata come miscela racema. Tale miscela non è in grado di ruotare il piano della luce polarizzata. Una molecola può possedere più di un carbonio asimmetrico. In tal caso il numero di isomeri che si ottengono (definiti diastereoisomeri) è 2'1, se n è il nnm�ro di atomi di carbonio asimmetrici.. Questo è il numero massimo di diastercoisomeri ottenibili: ci possono essere infatti dei diastereoisomeri uguali tra loro che sono chiamati forme meso. • Gli isomeri geometrici o cìs-trans: si originano dalla presenza nella molecola di un doppio legame, intorno al quale non può essere effettuata alcuna rotazione se 11011 dopo rottura del legame 1r del doppio legame. I gruppi legati agli atomi di carbonio uniti dal doppio legame possono trovap,;i dalla stesSc\ parte o dalla parte opposta rispetto al doppio legame. Quelli descritti sono tutti isomeri configurazionalì, cioè isomeri che possono essc1:c convertiti uno nell'altro rompendo legami e riformandoli iu altro modo. Di una molecola po�souo csh;terc anche isomeri ,conformazionali che derivano da. posizioni diverse nello spazio degli a.tomi che li costit11iscono, ottenute mediante rotazioni in­ torno ai legami semplici. Ogni volta che si cambia l'angolo di rota¼ioue alcuni a.tomi della molecola si allontanano e si avvicinano tra. loro. La molecola cercherà in questo modo il minimo energetico che corrisponderù. a.lln. massimiziazione delle attrazioni tra gli atomi e a.Ila minimizzazione delle repulsioni tra gli atomi. Questa regola è importante specialmente per le biomolecole (proteine, acidi nucleici, glucidi) la cui funzione biologica d strettamente legata alla conformazione che e,<Jse a.ssumono.

    12.4 Gruppi funzionali I gruppi funzionali sono i raggruppamenti degli atomi che defi_niscono le proprietà chimiche di un composto organico. I principali gruppi funzionali sono rappresentati nella Figura 12.2.

    12.4.1 Idrocarburi alifatici Gli idrocarburi sono i composti formati solamente da atomi di carbonio e idrogeno. Essendo costituiti da atomi con elettronegatività molto simile, tutti gli idrocarburi sono poco polari: non si mescolano con l'acqua ma si mescolano con solventi apolari. Essi si dividono in idrocarburi alifatici e in idrocarburi aromatici. I primi sono caratteriz¼ati da catene di atomi di carbonio più o meno lunghe e più o meno rami­ ficate. I secondi sono caratterizzati dalla presenza di uno o più anelli benzenici fusi con delocalizzazione degli elettroni 1r e quindi con ibridazione sp2 • Gli idrocarburi alifatici, a loro volta, si dividono in idrocarburi saturi, nei quali sono presenti solo legami semplici C-C (con gli atomi cli carbonio tutti ibridiziati sp:i), e idrocarburi insaturi, dove sono presenti doppi (C=C) e tripli (C=C) legami tra gli atomi di carbonio. Agli idrocarburi saturi appartengono gli alcani (catene lineari di formula generale C2H 2n + 2 e con nome che ha come desinenza -ano) e i ci­ cloalcani (catene chiuse di formula generale CnH2n ), 213

    © Artquiz

    Capitolo 12 La chimica del carbonio

    ]' ,''!_

    GRUPPI FUNZIONALI Classe

    Strutture

    Strutture

    -i: l

    -C=C-

    Doppio legame

    Alcheni

    ,-;' -C=c-· . ·.· .

    1Hplo legame

    Alchi11i

    R-OH

    Ossidrile

    Alcoli

    '

    R "C=O

    (R}H

    /

    R-C

    '-

    .l'o 'b

    '

    H

    ) ·,

    Carbossile

    'b

    R-C/

    A11dridi



    Aldeidi, Chetoni

    Carbonile

    o

    .I'

    R-C

    Eteri

    R-0-R

    Classe

    R-C� NI-12

    Amniidi

    R-NI-h

    Ammi11e

    r R-SH

    Acidi \

    i\



    Tioli

    ,,-;

    Figura 12.2: Gruppi funzionali.

    Gli alcani a ca.tena lineare con meno di 5 atomi cli carbonio (metano, etano, pro­ pano e butano) sono gassosi a. temperatura ambiente. Gli ultimi dne possono essere facilmente liquefatti sotto pressione e diventano GPL (gas di petrolio liquefatto). Quelli con catene da 5 a 17 atomi di carbonio Bono liquidi, quelli con più di 17 atomi sono solidi. Gli alcani e i cicloalcani sono tra i maggiori componenti elci petrolio. I cicloalcani possono essere formati a partire da tre atomi di carbonio (ciclopro­ pauo) anche se la. molecola è molto instabile per l'a1 1golo cli legame molto pii1 piccolo di 109 ° (angolo corrispondente all'ibrido spa ). Gli alcani e i cicloalcani sono composti che reagiscono facilmente con ossigeno, dando C02 e acqna, ma non altrettanto fa­ cilmente con altri reagenti (sono poco reattivi). Se si toglie un atomo di idrogeno ad 1111 alcano o ad un dcloalcano si ottiene un radicale alchilico (0spresso normalmente co1� la lettera R) che prende il nome dall'alcano corrispondente terminando con la desi11en7,a -ile (Fig. 12.3 a sinistra). Gli idrocarburi con doppi legami si chiamano alcheni (la cui formula generale è C1< H2,.), quelli con triplo legame si chiamano alchini (la cui formula generale è Cn H2,1-2), Un alchene può contenere piii doppi legami: si chiama dìene se ne con­ tiene due e triene se ne contiene tre. I due doppi legami dei dicni potrebbero essere coniugati, cioè separati da un solo legame semplice: in tal caso i quattro �tomi di carbonio si comportano come quelli del benzene, con delocaliz7,azione degli �lettroni 1r (fenomeno della risonanza). Vedi Figura 12.3 a destra.

    ,. L

    12.4.2 Idrocarburi aromatici ..

    .,, _,,,. ,

    Gli idrocarburi aromatici sono composti che contengono uno o più anelli benzenici fusi tra loro. Gli idrocarburi aromatici sono tutti composti molto stabili e in genere pericolosi per la salute ( cancerogeni), vedi Figura 12.4. Un piano infinito di anelli benzenici fusi tra loro costituisce il grafcne. Più piani di grafene sovrapposti costitui­ scono la grafite. 214·

    -·l

    © Artquiz

    CHIMICA

    <,

    Idrocarburi alifatici insaturi

    Idrocarburi alifatici saturi Gruppo alchilico (C,,H2n+1)

    Cìcloalcani (C nH2,1)

    CH,1 metnuo

    -Clh metile

    CH 3 -CH3 et nno

    CH3 -CH2 et.ile

    CI-l 3 -CH 2 -Clh propano

    CH 3 -CH2 -CH2 propilc

    H2 \( fh ciclopropnno H H H,t-t,...H



    J

    Alcani (C nH2,,+2)

    CH;,-(CH2h-CH;1 CH 3 -(CH2h-CIh - Imtile butnno

    C

    I

    I

    , I-1,...C-C I I H li H Ciclobntnno

    \( Alcheni

    (Cn H2 n)

    �, Alchini (C nH2 n +2)

    -

    CH2 =CH2 eteue (etilene)

    CH::CH etino (ncetileue)

    CH2 = CH-Cfb propene

    CH::C-CH3 propino

    Clh=.CH-CH2 -CH3 1-lmtcnu CH3 -CH=CH-Clh 2-1.>ntene CH2 =CH-CH==CH2 l,3-Imtn,Ii�11c (cliene coniugato)

    CH:1-CH-CH:1 I CH:i 2-mcti lpropluto

    CH 2 =CH-CHrC1·I:::CH2 1,4-pu11tudienu (, licnu non ,:oningl\Lo)

    Figura 12.3: Idrocarburi alifatici .c;aturi e in.rnt1J,ri.

    o o

    Se si toglie un idrogeno ad un idrncarbnro a.romatioo quello che reste viene gene­ rica.mente chiamato arìle, e indicato con R, come nel caso degli alchili. Gli a.rili più comuni sono il fenile, C6 H 5 -, e il benzile, CoH 5 Clh-. Alla stessa categoria appartengono anche gli idrocarbmi aromatici cterociclici, che contengono atomi diversi dal carbonio negli anelli (Fig. 12.4). IDROCARBURI AROMATICI

    @00

    bouzeuc

    naftalene

    IDROCARBURI AROMATICI ETEROCICLICI

    � @ @ © l?J lsr§( 11

    Il

    pirrolo f11m110 Liofcnu piridina pirimidim\ pmitm fenantrene

    Figura 12.4: Idrocarburi aromatici ciclici ed eterociclici.

    12.4.3 Alcoli e fenoli Gli alcoli sono composti che contengono la funzione alcolica -OH legata ad un gruppo alchilico (R-OH). Poiché il gruppo -OH può essere legato ad un atomo di carbonio primario, secondario o terziario, anche gli alcoli vengono definiti primari, seconda­ ri o terziari. Gli alcoli sono i:;ostanze liquide anche se contengono pochi atomi di carbonio, perche, contenendo il gruppo -OH, sono capaci di formare tra loro legami idrogeno. Per questa ragione sono miscibili con l'acqua se la catena di atomi di car­ bonio del gruppo alchilico non è molto lunga. Essi prendono il nome dell'alcano da cui provengono a cui viene aggiunta la desinenza -olo (Fig. 12,5). 215

    © Artquiz

    Capitolo 12 La chimica del carbonio

    Esistono anche alcoli bivalenti come il glicol etilcnico (contiene due gmppi funzio­ nali alcolici) o trivalenti come la glicerina (o triidrossipropano ). Se il gruppo funzionale -OH è legato ad un radicale aromatico il composto ap­ r pa tiene alla serie dei fenoli (Fig. 12.5). Gli alcoli, pur possedendo un gruppo -OH, non hanno né caratteristiche basi­ che né caratteristiche acide. I fenoli, poiché possiedono un gruppo aromatico che è un elettronattrattore (gli elettroni 7f aromatici sono particolarmente stabili: questa è la ragione per la qnale essi ne attraggono degli altri) che rende il legame 0-H più polarizzato, hanno deboli proprietà acide, cioè sono capaci di cedere parzialmente all'acqua il protone. Gli alcoli possono essere ossidati blandamente (la reazione con 02 non è completa altrimenti si otterrebbero C02 e acqua): in tal caso si ottengono le aldeidi dagli alcoli primari e i chetoni dagli alcoli secondari. Gli alcoli terziari non subiscono ossidazione blan CH:1-CH2OH etn.uolo

    Alcoli secondari

    Alcoli te1·zìnrl

    CH·1 I . CHa-C-O1-1 I CH:1 -CHOH-Cl·h-CHa · CH:1 2-1nctll-2,prop1•nolo 2-butauolo . Clla-CHOH-0H3 2-J)l'OJ>NIOlo

    Glicerolo

    CI-I'.lOI-1 I CH2OH

    Cl-12 O1-1 I

    91-10H

    Cl-12O1-I Fenolo

    CH:i-CHrCI·I2OH 1-propnuolo

    Figura 12.5: Alcoli e fenoli.

    12.4.4 Eteri

    Glicole

    @ ,,

    Gli eteri sono composti che possiedono il gruppo funzionale -0- legato a due gruppi alchilici e/o arilìci. Essi possono essere considerati come derivati dalla reazione tra alcoli o tra fenoli con eliminazione di una molecola d'acqua. L'etere più noto è l'etere dietilico (CH3-CH2 -0-CH2-CH3), chiamato comune­ mente e più semplicemente etere. Esso è un liquido molto volatile perché non possiede la capacità di formare legami idrogeno con sé stesso. Poiché però contiene un atomo di ossigeno, che è un ricevente di legame idrogeno, esso presenta una discreta solubilità in acqua. 216

    i

    © Artquiz

    -

    n ·;t. r.

    o

    CHIMICA

    12.4.5 A1nmine e immine Le ammine sono i derivati organici dell'ammoniaca, in cui uno o più dei suoi atomi di idrogeno sono sostituiti da gruppi alchilici o arilici. Se la sostituzione riguarda . uno solo degli idrogeni si hanno le ammine primarie, se riguarda due idrogeni le ammine secondarie (immine), se tre idrogeni le ammine terziarie. Poiché l'azoto dell'ammoniaca co11tiene una coppia di elettroni non condivisa es so può legare un protone (H+) e quindi comportarsi da base. Questo comportamento è mantenuto anche dalle ammine che sono quindi basiche. In genere i gruppi alchilici, poiché sono elcttronrepellcnti, rendono la coppia elettronica ancora più disponibile e quindi rendono le ammine più basiche dell'ammoniaca e tanto più basiche quanto maggiore è il numero di gruppi alchilici presenti. Un'ammina ten�iaria è quindi più basica di un'ammina secondaria che a sua volta è pii1 basica di un'ammina primaria. L'opposto succede per le� ammine aromatiche, perché gli anelli aromatici attirano gli elettroni e quindi rendono meno disponibile la coppia elettronica sull'azoto. Così come esiste Io ione ammonio (NH4 +) esistono anche i rispettivi derivati al­ chilici o arilici (NR,i +) con i quattro radicali R uguali o dìven;i. i sali con un acido dì questi derivati vengono chiamati genericamente sal ì dell'ammonio quaternario. Ci sono molte ammine importanti in biologia: in genere quasi tutti i composti i cui nomi terminano in �ina sono ammine (anilina, spennina, spermidina, putrescina, cadàveriua, ccc.). Alcuni di questi compòsti sono poliammine perché contengono piì1 gruppi amminici nella. stessa molecola. Le ammine primarie, scconcla.ric e terzia.rie possono essere distinte dalla rca:,.ione con acido nitroso: le prime danno alcol, azoto e acqua., le secondo danno le nitroso ammine, le torne non rèagiscono (Fig. 12.6). Ammonio quaternario

    Ammine primarie

    Ammine secondarie

    Ammine terziarie

    CH3-NH2 motilammin1t

    CI-!3 '-N-H / CI-13 climetilamminu.

    CI-13 CI-h-N ' / CHa trin1etilammina

    CI-l3-CH2-Nl-h etilammina

    "

    CH3

    CI-!3

    '-.+/

    /

    N

    "

    CI-13 CH3 tetrn.metilammouio

    REAZIONI DISTINTIVE DELLE AMMINE CON ACIDO NI TROSO (HNO2 )

    Ammine primarie Ammine secondarie Ammine terr.in.rie

    CI·b-NH2

    + HONO

    --t

    Cl-faOH + N2 + H20

    CH.1 CH3 � N-H + HONO --t IhO + �N=NO CH:i (dimetilnitroso ammina) CH3 non reagiscono

    Figura 12.6: Ammine e reazione che le distingue.

    o

    12.4.6 Composti carbonilici. Aldeidi e chetoni I composti carbonilici sono caratterizzati dalla presenza nella loro molecola del gruppo funzionale carbonile >C=O. Nelle aldeidi, le due valenze libere del car-

    217

    © Artquiz

    Capitolo 12 La chimica del carbonio

    bonio sono satmate da un idrogeno e da un radicale alchilico o arilico. Nei chetoni, entrambe le valen1,e sono saturate da radicali alchilici o arilici. Il nome ufficiale di tutte le aldeidi è preso dall'idrocarburo corrispondente e ter­ mina con la desinenza -aie. Il nome ufficiale di tutti i chetoni termina invece con la desinenza -one. La reazione di riduzione delle aldeidi porta alla formazione di un alcol primario, mentre la sua ossidazione blanda porta alla formazione di un acido carbossilico. La reazione di riduzione di un chetone porta nlla formazione di un alcol seconda­ rio mentre la sua ossidazione blm1da non avviene (l'ossidazione spinta porta a rottura della molecola o a formazione di C02 e H20). Di converso, ossidando 1111 alcol primario si ottiene un 'aldeide, mentre ossidando un alcol secondario si ottiene un chetone. Le aldeidi e i chetoni hanno alcune reazioni in comune, per esempio reagiscono con l'acido cianidrico (HCN) per dare le cianìdrine. Questa è una reazione di addizione al doppio legame del gruppo >C=O, che ambedue i composti contengono (Fig. 12.7).

    ALDEIDI E CHETONI Aldeidi

    Chetoni

    H H

    "c=O /-

    mctanale o formaldeide o aldeide formica

    CHa, '\ 'r /C=q � CI-la

    2-propanonc o acetone

    CI-h "-c=O / H

    etanale o acetaldeide o aldeide acetica

    REAZIONI CARATTERISTICHE :. R'\. R '\. I C= 0 Ossidar.ione blanda C=O / Q+ 2 2� I · H OH -,L·(ncido)

    Rel\Zione con acido ciu.nitrico

    Rcn1.ione di riduzione

    /OH "e "c=O + HCN � (R}H/ (R}H/ '-cN R

    R\

    (cinuldrinn)

    C=O + 1-h � R-CH20H

    I-I/

    Reazione di riduzione

    R

    (nicol pri1n11rio)

    R'\. R /C=O + I-h � �CHOH R R

    (nicol 8CCondnrio)

    I chetoni non si ossidano

    Figura 12.7: Aldeidi e chetoni e reazioni caratteristiche.

    218

    . T

    1

    © Artquiz

    CHIMICA

    12.4. 7 Acidi carbossilici Gli acidi carbossilici sono gli acidi o?'ganici caratteriz7.ati dalla presemm nella loro formula del gruppo carbossile -COOH, dove il C è legato mediante un do ppio le. &_ame ��?.�sJg;�.-�_11]..ec;l_ianJe u� �e�-seÌnpffèe �Jgfiippo�:.:-oK-(U-grHppo éa1:bo·ssile contiene sia il gruppo carboriilè-·che il gruppo ossidrilico, tha questo non significa che possiede contemporaneamente le proprietà delle aldeidi e dei chetoni, da una parte, e degli alcoli, dall'altra). Gli acidi carbossilici (R-COOH) sono tutti acidi deboli specialmente se R è un gruppo alifatico, che è un elettronrepulsore e quindi rende il gruppo -OH meno po­ larizzato e quindi meno propenso a cedere il protone. Se R è un grnppo arilico (come il fenile) l'acido risulta meno debole del corrispondente con R alchilico, perché un gmppo arilico è un elettroua.ttra.ttore e quindi rende più polarizzato il legame 0-H. Se nel gruppo R alchilico ::;ono presenti atomi molto elettronegativi, come F e CI, que­ sti rendono il gruppo elettronattrattore e quindi rendono l'acido tanto meno debole quanti piì1 atomi di CI o di F sono presenti. La desinemm degli acidi carbossilici è -oico, quindi acido metanoico, etanoico, propanoico (ecc.), nia hanno anche un nome connme come acido formico, acetico e propionico. Se agli aèidi carbossilici si toglie il gmppo -OH, quello che rimane viene chiamato radicale acilico e il nome cle,I diventa quello dell'acido con la desinernrn. -ile al posto di -ico (per esempio formile dall'acido formico, acetile dall'acido acetico, propunoile dall'acido propanoico, ccc.) (Fig. 12.8). REAZIONE DEGLI ACIDI ACIDI CARBOSSILICI ESTERI C ON GLI AL COLI CARBOSSILICI E TRIGLICERIDI PER FORMARE ESTERI H, -?" O C '01-1 ncido 111cto.11oico o acido formico CI-I:1 'C=O

    (mdi�nlc forn1ilc)

    acido ctn11oico o ncido ncctico

    (rndicnlc ncctilc)

    ÒH

    il

    CHl-CI-12-COOH

    II,

    /C=O

    Il-COOII +HO-Il� R-CO-O-Il. acido nicol cstc:ru

    CH:i 'C=C)

    CHa-CI-h 'C=O /

    ncido propanico o acido propi11ico (mdic:ilc propionilc) CHa-(CI-12)1,1-COOH acido esndccnnoico o ncido pnhnitico CI-I:1 -( CI-12)7-CH=CH-(CI-hh-COOH ncido cis-0-octndccanoico o 1\cido oleico

    Figura 12.8: Acidi carbo,'lsilici, esteri e trigliceridi.

    o

    Gli acidi grassi sono acidi carbossilici con una catena idrocm·burica composta da 4 a 36 atomi di carbonio ( C4 - C36), ma nelle piante e negli animali superiori sono predominanti gli acidi grassi a catena lineare formata da Cm a C 1 s (acidi palmitico, oleico, linoleico e stearico) (Fig. 12.9). La maggior paite degli acidi grassi possiede un numero pari di atomi di C poiché viene biosintetiz7.ato mediante la concatenazione di unità di C2, La catena può essere 219

    Capitolo 12 La chimica del carbonio

    @ Artquiz

    completamente satura o iusat.ura, cioè contenere uno o più doppi legami, quasi Lutti in configurazione cis (circa il 50% degli acidi grassi presenti nelle piante è insaturo o poliìnsaturo). Le proprietà fisiche degli acidi grassi sono molto influenzate dalla lunghezza della catena e dal numero di doppi legami: a temperatura ambiente (25 °C) gli acidi grassi saturi Ci2 - C24 hanno una cousistenza cerosa, in quanto le catene adottano uua con­ formazione estesa che consente loro di impaccarsi strettamente mediante interazioni cli van der Waals e formare strutture quasi cristalliue. La presem:a di doppi legami cis produce invece dei ripiegamenti nelle catene carboniose, che non sono iu grado di impaccarsi strettamente e gli acidi grassi iusaturi di ugual lunghezza sono liquidi oleosi alle stesse temperature. Nell'uomo gli acidi grassi iusaturi liuoleico e liuolenico souo essenziali e devouo essere forniti con la dieta (legumi e pesci li contengono in maggior quantità). Essi sono precursori di importanti metaboliti, come le prostaglandine, che mediano diversi proce.<ìsi, quali l'infiammazione e la pressione del sangue. Quando c'è più cli un doppio legame gli acidi grassi si chiamano polinsat,µ ri.. Tra di essi sono importanti i cosiddetti omega 3 e omega 6. Si chiamano così perché hanno il primo doppio legame nell'atomo cli carbouio numero 3 o uumcro 6, contando questi atomi a partire dal carbonio più lontauo dal gruppo carbossilico. Alcuni acidi grassi sono riportati uella Figura 12.9.

    c

    lh

    I-li

    1-12

    1-h

    c

    c

    1-h

    c

    Ha c / '--c(" '--if" '--if" '--if" � lh

    lh

    H2

    ---....



    c

    ---....

    l·l 2

    1-h

    I-12

    H2

    1-12

    c

    c

    coo1-1

    if"

    H2

    Acido Pa.lmitico H2















    c c e, e _.,,,... ---.... _.,,,...c---.... /e , _.,,,...e---.... /comi _/c---....e _.,,,... ---....e e e e 'e HaC/ '--if" 'e H2

    H2

    1-h

    H�

    1-12

    lh

    I-12

    1-12

    Acido Stearico H2

    I-12

    H2

    I-12

    H2

    /

    I-b

    1-12

    Acido Oleico

    H

    I-I

    '--�

    H

    I

    1-12

    H2

    H2

    H2

    112

    H2

    e e e e e H:, c :"" '--if" '--e/ '--if" '--ç=(

    e e e '--if" '--if" 'èoo1-1 H2

    H2

    H2

    H2

    H2

    u �e e e e e ·--......e� --....,_ç=( '--if" '--if" '--if" 'èooH

    I

    CH 2 I-Ì2C/

    /

    H

    lh

    I-12

    H2

    H

    /lh H2C

    I

    /I-12 H2C

    Acido Linoleico

    Figura 12.9: Gli acidi _grassi più abbondanti nei lipidi. 220

    ·,

    '•

    © Artqni:r.

    CHIMICA

    12.4.8 Anidridi organiche Le anidridi organiche possono essere preparate da due molecole di acidi carbossilici (uguali o non) con sottrazione di una molecola di acqua. Il gruppo funzionale è quindi · -CO-O-CO-. Il nome delle anidridi deriva dal nome degli acidi che le costituiscono (Fig. 12.10). R-C

    o



    o n.-c, o ....._

    /

    Fig11ra 12.10: Anidridi organiche.

    12.4.9 Esteri

    n

    Gli esteri Rouo i prodotti di reazione tra un acido (sia organico che inorganico) e un alcol (sia alifatico che aromatico, come il fenolo) con eliminazione di una molecola di acqua. Se l'acido è organico essi contengono il grnppo funzionale -CO-O-. Essi, oltre che per elimilm¼ione di acqua da un acido e un alcol, possono essere preparati dalla reazione tra gli alogenuri acilici (per esempio cloruro di acetile, CH3 CO-Cl, o bromuro di butanoile, CH3CH2CI-I2CO-Br) e un alcol. TI·a gli esteri più importanti vanno annoverati i trigliceridi (vedi lipidi) ottenuti per esterificazione del glicerolo con acidi grassi a catena lunga. Gli esteri sono idro­ li�zati a caldo sia in ambiente basico che in ambiente acido: se l'idrolisi è acida si ottengono gli alcoli e gli aeidi, se l'idrolisi è basica si ottengono gli alcoli e i sali degli acidi. Poiché i sali di sodio e di potassio degli acidi a catena lunga vengono chiamati saponi, il processo prende il nome di saponificazione (Chimica, § 12.6).

    12.4.10 Ammidi

    ..

    -

    Le ammidi sono composti organici contenent.i il gruppo funzionalé -CO-NH2, Si possono pensare derivate dalla reazione tra un acido e l'ammoniaca,J con eliminaiione di una molecola d'acqua. È chiaro che questa re�ione non potrebbe avvenire in acqua in quanto un acido con l'ammoniaca (che è una base) darebbe un sale. La reazione d'idrolisi delle ammidi porta invece alla rew:ione opposta, con formazione di acido e ammoniaca. Il nome delle ammidi deriva dal nome dell'acile corrispondente con la desinenza -ammide (esempi: acetilammide, propionilammide, ecc,). Se l'ammide viene ridotta il gruppo >C=O viene trasformato in gruppo >CH2 e l'ammide si trasforma nell'ammina primaria corrispondente. Le ammidi non hanno proprietà acide o basiche: sono composti neutri. Le ammidi possono essere anche sostituite: i due atomi di idrogeno del gmppo NH2 possono essere sostituiti da radicali alchilici o arilici R, uguali o non uguali, e possono essere monosostituite e bisostituite.

    12.5 · Lipidi I lipidi sono una categoria di sostanze strutturalmente differenti, che hanno in comu­ ne l'idrofobicità, cioè la bassissima solubilità in acqua. I lipidi sono invece solubili nei 221

    t1

    Capitolo 12 La chimica del carbonio

    © Artquiz

    solventi organici, come cloroformio e metanolo, e, di conseguenza, è po$sibHe separar­ li facilmente da altri materiali biologici mediante estrazione con solventi organici. A differen7,a delle altre categorie di biomolecole non formano polimeri, tuttavia si aggre­ gano (per ridurre il contatto con il solvente acquoso) e alcuni di essi formano struttnre complesse, come le m icelle e le membrane cellulari. La loro diversità strutturale si riflette in diversità funzionale e i lipidi, oltre a essere componenti essenziali delle biomembrane, costituiscono le maggiori riserve energetiche negli organismi superiori (un uomo di 70 kg contiene 15 kg di grasso, che costituisce 1'85% delle sue riserve energetiche) e partecipano a numerosi eventi di segnalazione intra- e intercellulare. I trigliceridi sono composti da tre acidi grassi, ognuno legato con un legame estereo a uno dei tre gruppi -OH del glicerolo (1,2,3-propautriolo) (Fig. 12.11). So­ no molecole a.polari, es8en�ialmente insolubili in acqua e costituiscono la forma di deposito per l'energia metabolica. H2C-O HC-0 lhC-()

    Figunt 12. II: I trigliccri,di.

    Sono contenuti sia nei semi elci vegetali, dove vengono utilii�ati per la germina:;.io­ ne, che nei vertebrati. In quest'ultimi, i trigliceridi sono prevalentemente inmt.agn1.ii­ nati nel tessuto adiposo (in piccola parte anche nei mm;coli), carico positivamente (la colht.a nella �osfatidilcolina o lecitina; Fig. 12.12). Sono pertanto molecole anfifiliche o anfipatiche con "code" non polari alifatiche e "te1-:1tc" polari. Le interazioni idrofobiche tra le catene idrocarburiche e quelle idrofiliche tra parti polari e acqua dirigono la dispo:-�izionc dei glicerofosfolipidi in foglietti, eletti doppi strati di membrana. Come nei trigliceridi la fluidità cli una membrana dipende dal contenuto cli acidi grassi insaturi nel fosfolipide. Gli steroidi, che sono presenti solo nelle cellule eucariote, sono derivati di un composto costituito da quattro anelli saturi fusi, cli cui tre sono a sci atomi cli C e uno a cinque atomi, detto ciclopentanoperiiclrofenantrene, che forma mt nucfoo, definito steroideo, quasi planare e relativamente rigido (Fig. 12.13), 222

    '

    CHIMICA

    @ Artquiz Cll3

    C1

    C

    o

    � / P

    I

    o

    o�if "-oo�o

    Ao

    n

    C:s

    r!L.cH, Cil3

    I

    n. Figura 12.12: La fosfatidilcolina (R, catena alifatica sat1tra o insatura). Il colesterolo rappresenta Io steroide più abbondante negli animali ed è definito a.nche come sterolo a. causa del Hno grnppo -OH sul C :1 , che Io rende a.nfipatico. Infatti il colesterolo è un componente esHenziale delle membrane·plusmatiche animali. Nei mammiferi il colesterolo è inoltre il precursore 1netabolico degli ormoni steroidei, preposti alla regoh.w.ione di un'ampia gamma di nm:r.ioni fo-;iologiche, dei sali biliari e della vitamina D.

    I

    CI-la

    Cl·I:1

    I I

    CI-I -ClhCII2 Cl-hCI-I

    Clb

    Figura 12.13: Il cole:,temlo.

    o

    12.6 Saponificazione e saponi I saponi sono i sali di sodio e di potassio degli acidi grassi a catena lunga. Essi poHsoIIo essere preparati dalla idrolisi con NaOH o con KOH dei trigliceridi con forma¼ione anche di glicerolo.. I saponi sono molecole anfipatiche perché prn;skxlono una testa e una coda lunga apolare. Se queste 8ostan¼e polare (Io ione carbossilato, vengono messe in acqua interagiscono con essa con la parte polare, mentre la parte apolm·e cerca cli evitarne il contatto. Qnesta doppia tenden:r.a produce degli aggregati particolari a forma di sfera allungata, chiamati micelle. Nella parte esterna di questi aggregati sì trovano le teste polari mentre le code idrofobiche interagiscono tra loro ed escludono l'acqua. Questi aggregati vengono formati anche da molecole diverse dai saponi, come i detergenti (la testa polare non è il gruppo carbossilato) e i sali biliari. Le micelle hanno la capacità di solubiliz¼,We molecole apolari perché le inglobano all'inten10 di CS8e. I sali biliari hanno una grande importanza dal punto di vista fisiologico perché agiscono come emulsionanti dei grassi nell'intestino tenue con l'obbiettivo della loro digestione da parte delle lipasi.

    coo-)

    223

    Capitolo 12 La chimica ciel carbonio

    @ Artquiz

    12. 7 Reazioni di addizione e di sostituzione Le reazioni di addizione vengono definite come le reazione nelle quali i due reagenti si mettono insieme per dare un nuovo composto. Nella maggior parte dei casi questa reazione riguarda l'acldizione cli molecole ad un doppio legame ( come quello presente in un gruppo carbonilico, negli alcheni, negli alchini). Le reazioni di addfaione si dividono in re�ioni nucl eofil e ed e l et trofi.le. Le prime si hanno quando il doppio legame è formato tra clue atomi tra ·cui c'è una grande differenza cli elettronegatività, come nel caso >C=O o nel caso >C=N, per cui alla rottura del legarne 1T si forma un carbocatione a cui si aggiunge un gruppo con una coppia di elettroni non condivisi (nucleofilo). Le seconde si hanno quando l'attacco è fatto eia un gruppo elettrofilo, rompendo il legame 1T.

    12.8 Polimeri I polimeri sono lunghe catene di atomi ottenute per polimerizzazione di opportuni monomeri. Essi possono essere ottenuti mediante monomeri con doppio legame ( ti­ pici i monom eri vinilici, CH2=CH-R, con R molto variabile: alifatico, aromatico, idrofobico, polare, ionico) che Hi adcli¼ionano uno all'altro mediante rottura dei legami 7T e unione elci legami rntti tra due monomeri. Questo porta a catene lineari molto lunghe con proprietà molto diverse a seconda della natura di R. Quando R = H si ha il polietilene, usato per fabbricare i comuni sacchetti per la ,')pesa. Altri polimeri si ottengono per condensazione di monomeri che hanno opportu­ ne fnn�ioni ai due terminali, come fanno gli aminoacidi per formare le proteine. In tal modo si po88ono ottenere le poliammidi (per unione di un gruppo carbossilico terminale di un monomero con un gruppo ini¼iale amminico di un altro monomero, come nel nylon, o i polie steri (con unione di un gruppo terminale carbossilico di un monomero con un gruppo ini:dale alcolico di un altro monomero). Vecli Figura 12.14. POLIMERI DI ADDIZIONE n

    H H . / ---- H" / C=C C( C) 'R n H/ "-R H/ POLIMffil DI CONDENSAZIONE

    H,

    nH2N-(CH2 )x-COOH - (-HN-(CH2) x -CO-NH-(CH2 )x -CO-) Figura 12.14: Polimeri.

    �·,

    ,;

    224

    Capitolo 13

    Le biomolecole 13.1 Introduzione Alla categoria delle biomolecole appa1tengono tutte le molecole che hanno fnrndoni essen?.iali nella vita delle cellule: • gli zuccheri e i polisaccaridi, chiamati anche carboidrati o idrati di carbonio perché hanno formula generale C11 (I-120) 11 ; • gli aminoacidi e le proteine; • i m1cleot.idi e gli acidi nucleici; • i lipidi e i fosfolipicli, di cui si è già trattato (Chimica, § 12.5). Poiché la fun�ione di una molecola in biologia è strettamente correlata con la forma che essa assume nello spa:do, le biomolecole hanno una conforma7.ione particolarmen­ te stabile, che corrisponde al minimo di energia libera conformazionale, fmtto della nmssimi:r.za�ione di tutte le interaiioni attrattive e della minimiiiaiione di tutte le interazioni repulsive tra gli atomi. In questo gioco un ruolo fondamentale è assunto anche dalle interazioni degli atomi della biomolecola con il solvente. Esempi di con­ formazioni particolarmente stabili (e quindi corrispondenti ad un minimo profondo della energia libera conformazionale) sono la struttura a doppia elica del DNA e la struttura terziaria e quaternaria delle proteine.

    13.2 I carboidrati I carboidrati sono le biomolecole più abbondanti sulla terra in quanto. ogni anno le piante, le alghe e i batteri fotosintetici convertono più di 100 miliardi di tonnellate di C02 e di acqua in cellulosa e in altri prodotti pofo:mccaridici, quali le emicellulose, pectine, lignine, etc. Alcuni carboidrati (iucchero e amido) sono tra i principali alimenti nell'uomo e la loro ossidazione fornisce una percentuale importante delle calorie necessarie al fobbi.c.iogno energetico (Chimica,§ 13.4). I carboidrati sono aldeidi o chetoni poliossidrilici e molti, ma non tutti, hanno la formula empirica (CH20)n, alcuni contengono anche atomi di azoto, fosforo o 7.olfo (S). Si distinguono in: • monosaccari�i, costituiti da una singola unità poliossidrilica aldeidica o chetonica, di cui il più abbondante in natura è il D-glucosio; 225

    Capitolo 13 Le biomolecole

    @ Artquiz

    -Q

    • oligosaccaridi, costituiti da corte catene cli monosaccaridi (non più di 8) uniti da legami 0-glicosiclici; i più abbondanti sono i disaccaridi, cli cui l'esempio piìt tipico è il saccarosio; • polisaccaridi, o glicani, costituiti anche da lunghe catene di centinaia o migliaia

  • 13.2.1 Monosaccaridi I monosaccaridi sono solidi cristallini, incolori, solubili in acqua, generalmente cli sapore dolce. Se il gruppo carbonilico è un'aldeide, il mono.c;accaride vien<' detto aldo­ .'lu (e il nome del composto termina con il sufl'i5so -osio, come glucosio) se invece è un chetone ìl monosaccaride viene eletto chetoso. La catena linem·e deve contenere alme­ no tre atomi di C, che vengono mm1erati part;eudo dall'estremità più vicina all'atomo di C carbonilico. I gruppi ossidrilici tc-irminali sono gruppi alcolici pri1mU'i, i rimanen­ ti secondari. I monosacctU'icli piit semplici sono il clii dell'RNA e del DNA. In solu�ione acquosa, .gli alclotetrnsi e tutti gli altri monosaccaridi �on 5 o più atomi

  • i

    CHIMICA

    @ Artquiz

    te contengono un altro atomo asimmetrico, chiamato C anomerico, che determina la formaiione cli altre due forme stereoisomeriche, dette anomeri a e {3, caratterizzate da una diversa rotazione ottica. Gli auomeri a e /3 si interconvertono liberamente in soluzione acquosa. Così, i due anomeri con anelli a 6 atomi del D-glucosio, definiti a­ é {3-D-glucopiranosi, ragghmgono in soluzione acquosa una miscela di equilibrio, in cui l'anomero f3 è il 63,6% e l'anomero a il 36,4%, mentre la forma lineare è presente in quantità minima (Fig. 13.lc). Questo processo si chiama mutarotazione. Aldosi e chetosi possono andare incontro a reazioni di ossidazione e riduzione. L'ossid�ione blanda del gruppo aldeidico a carbossilic<;> genera gli acidi aldonici, come l'acido glucouico dal glucosio. Il gruppo chetoriico nelle stesse condizioni non si ossida. L'ossidazione specifica del gruppo alcolico primario da origine agli acidi uronici, come l'acido glncuronico. Altri derivati importanti dei monosaccaridi sono i dcossizuccheri, in cui un gruppo ossidrilico .OH è sostituito da un H, come nel {3-D2-deossìribosio componente del DNA, e gli aminozuccheri, in cui uno o più OH sono sostituiti da un gruppo amminico, che sovente è acetilato, come nella a-D-glucosamina (2-amino-2-cleossi-a:-D-glucopiranosio) componente di molti eteropolisaccaridi. CHO

    CI-IO

    HO-C-H

    H-C-OH CII-iOI-1 D-Gl,Y

    CI-1201-l

    L-GI,Y Cl-IO

    n

    H HO I·I H

    I

    OH 1-1 OH OH

    CI-1201-1 GLU

    o {]

    H

    I-I H

    HO HO H

    OH OH

    I-I

    H

    CII-iOII MAN

    H H � HO � H H

    a-D-Glu

    o

    HO HO

    A)

    CHO I

    CHO I OH 1-1 I-I OH

    CI-1201-1 HO H H

    CH2 0H

    B) -:Y o I

    GAL

    o

    H

    OH OH

    CH20H FRU

    OH H �HO OH � HO OH

    I CH20H

    C)

    fi-D-Gln

    Figura 13.1: a) i due stereoisomeri della glicemldeide (GLY}; b} i monosacca­ ridi della serie D più abbondanti in natura glucosio (GLU), mannosio (MAN), gala ttosio (GAL} e fruttosio (FRU}; c) gli anomeri a e /3 del D-glucosio; c) la reazione tra il 01 e il 05 della strutturo lineare del glucosio che porta alle due strutture cicliche a- e {3-anomeriche.

    227

    @ Artqutz

    Capitolo 13 Le biomolecole

    13.2.2 Disaccaridi I disaccaridi sono costituiti da due monosaccaridi uniti da un legame 0-glicosidico, che si forma per reazione di un gruppo emiacetalico di un monosaccaride con un gruppo ossidrilico dell'altro con liberazione di una molecola di H20. I due atomi di C uniti dal legame glicosidico sono indicati tra parentesi con una freccia interposta tra i due numeri. Quando il legame glicosidico è ottenuto per rea:tione tra due gruppi emiacetalici lo :tucchero risultante non è più riducente, essendo scomparsi i due gruppi aldeidici originari. I legami glicosidici sono facilmente idrolizzabili dagli acidi, mentre sono resistenti all'a:tione delle basi. I disaccaridi pitt comuni sono: • Saccarosio: rappresenta la principale forma di trasporto di carboidrati nelle pian­ te. È formato da gluco.<;io + fruttosio legati attraverso i rispettivi C anomerici (Cr nel glucosio e C2 nel f ruttosio) e quindi non è riducente. Il suo nome sistematico è 0-o-D-glucopiranosil-(1�2)-{3-D-f ruttofuranoside. • Lattosio: è presente solo nel latte dove la sua concentrazione varia a seconda della specie. È formato da galattosio+ glucosio, in cui il C 1 dell'attomero /3 del galattosio è legato al C4 del glucosio, per cui è uno �ucchero riducente, conservando inalterato il C 1 anomerico del glucosio. Il suo nome sistcmtttico è 0-,8-D-galattopiranosil­ (1 �4)-/3-D-glucopiranosio. Il lattosio è l'unico carboidrato con legami {3-glicosidici che è digeribile dall'uomo, gra:tie all'aiione dell'ell?;ima specifico lattasi. Il gene che codifica per questo em�ima viene in genere spento alla· fine del periodo di latt�ione (non per tutti gli individui). • Maltosìo: è il disaccaride generalmente prodotto dalla i;cissione dell'amido ad opera delle amilasi. fs formato da glucosio + glucosio, in cui il C 1 dcll'anomero a del gluco8io è legato al C., dell'altro monomero, tramite un legame 0-a-glicosidico. Il suo nome sistematico è: O-o-D-glucopiranosil-(1�4)-/3-D-glucopiranosio. • Cellobiosio:
    o H

    OH

    Saccarosio

    OH

    H

    'OH

    li

    OH

    Maltosio

    H

    OH

    OH H Cellobiosio

    OH

    Lattosio

    o

    o H

    OH

    II

    H

    Figura 13.2: I disaccaridi più comuni: ltac.ca.r·o1�io, lattosio, maltoBio e cellobio­

    sio.

    228



    © Artquiz

    CHIMICA

    13.2.3 Polisaccaridi

    Iò., :· \,u,! �

    ·

    1�

    I polisaccaridi o glicani svolgono fumr,ioni molto diversificate e, a differenza delle proteine, non hanno una massa molecolare definita. Per la loro sintesi non esiste infatti uno stampo e il processo è controllato solo dagli enzimi che catalizzano la polimerizzazione dei monosaccaridi. Gli omopolisaccnridi possono servire come riseYva di sostn.n7.e nutrienti. Esempi sono: • Il glicogeno: è il principale polisaccaride di riserva delle cellule animali ed è par­ ticolarmente abbondante nel fegato e nel muscolo. È un polimero compatto co­ stituito da catene lineari di unità cli glucosio legate da legami {al�4) con punti di ramificazione ogni 8-14 residui che iniziano con legami {al�6). La presenza di molte ramificazione favorisce la sua rapida degradazione per Pntilizzo energetico delle unità di glucosio da, parte delPeuzima glicogeno fosforilasi, che scinde il legami (al�4) e dell 1enzima clernmificaute, che scinde i legami (al->6) (Biologia,§ 4.2.3).

    .

    • L'amido: la maggior parte delle cellule vegetali è in grado di formare amido, ma l'amido è particolarmente abbondante nei tuberi (patata) e nei semi (grano). È fot'mato da duo tipi di polimeri cli glucosio, Pamilosio e l'amilopectina. L'n.milosio è costituito cla lunghe catene 11011 ramificate di unità cli glucosio legate


    Tra gli eteropolisaccaridi, si distinguono i glicosaminoglicani. Questi sono una famiglia di polimeri lineari costituiti da una ripetizione di unità disaccaridichc, in cui i due monosaccaridi sono zuccheri modificati. Formano, assieme a proteine fibrose come collageno, elastina (ccc.), la matrice extracellulare che tiene unite le cellule di un tessuto. Un esempio è l'acido ialuronico, formato da circa 50.000 coppie di acido D-glucuronico e N-acetilglucosammina. Oligo- e poli-saccaridi di varia complessità possono cs.<;ere uniti covalcntemente a proteine di membrana a formare le glicoproteine. Queste sono presenti sulla super229

    Capitolo 13 Le biomolecole

    -�

    @ Artquiz

    i::à

    ficie cellulare, dove forma.no siti di riconoscimento molto specifici per altre proteine, in alcuni organelli endocellulari, come il Golgi e i granuli cli secreiione, e nel sangue. Gli oligosaccaridi possono legarsi anche a lipidi di membrana formando i glicolipidi, che agiscono da siti di riconoscimento per glicoproteine.

    13.3 Le proteine: costituzione chimica

    Le proteine costituiscono il maggior componente biologico delle cellule. La compo­ si:i.:ione proteica di una cellula (il proteoma) rappresenta in qualche modo anche il fenotipo della cellula. Le proteine hanno molte funzioni nelle cellule:

    • strutturale, es. le proteine del citoscheletro come la tubulina e l'actina, il collagene che costituh,ce la struttura della matrice extracellulare, ecc.

    • enzimatica, tutte le proteine che aumentano la velocità delle rel.'1:1,ioni biologiche, come la RNA polimerasi nella tra:scrizione, gli eniimi digestivi come la tripsina, la pepsina, le lipasi, ecc.

    • regolatrice, le proteine che attivano la tra8cri�ione dei geni, le proteine che riconoscono il DNA danneggiato, le proteine che modificano altre proteine, come le chinasi, le acetilasi, ecc. • motrice, le proteine che producono i movimenti cellulari, come le chinesine, le dineine, la miosina, ecc.

    o

    • di trasporto, come l'emoglobina che trasporta l'ossigeno, l'albumina che tra.sporta molti composti idrofobici nel sangue, i trasportatori di ioni sodio e potassio sulle membrane, i trasportatori cli glucosio i:;1.Ille membrane, ccc.

    • di recezione, come i recettori degli ormoni all'interno delle cellule, i recettori del­ l'insulina sulla superficie delle cellule, i recettori delle LDL, i recettori dell'adesione cellulare, ecc. • ormonale, gli ormoni, come i fattori di crescita, l'in.mlina e il glucagone, ecc., costituiscono i segnali regolatori del metabolismo;

    • di accumulo, che costituiscono la riserva cli aminoacidi come l' ovalbumina nelle uova, le proteine di riserva dei semi, ccc.

    • anticorpale, gli anticorpi sono le proteine che riconoscono in maniera specifica determinati antigeni e che avviano il processo cli distruzione degli stessii

    • velenosa e tossica, le proteine che esercitano un effetto tossico nei confronti cli organismi competitori come la ricina, il botulino, ecc. }

    Le proteine sono chimicamente costituite da catene di a-aminoacidi, che sono molecole che contengono sia il gruppo acido (gruppo carbossilico: -COOH) sia il gruppo a.rninico (-NH2). I due gruppi sono legati a un atomo di carbonio tetraedrico (ibridizzato sp3 ), come in Figura 13.3. Le altre due valenze del carbonio sono saturate da un atomo di idrogeno e da 20 gruppi diversi, per cui si hanno venti aminoacidi naturali diversi. Solo nel caso della glicina il quarto gruppo è uguale al terzo, è cioè un idrogeno. Negli altri casi il quarto gruppo (chiamato catena laterale degli aminoacidi, R) è diverso dagli altri tre per cui l'atomo di carbonio centrale può assumere due configurazioni spaziali divel'se 230

    a �



    CHIMICA

    @ Artquiz

    MONOMERI H

    H O

    O

    I Il I Il H2N-c-c- OH + li -N-C-C-OH I

    I

    R

    R A,ntuoacidi

    POLIMERI H H O H H O1 H H O1 H H O I I Il ; I I Il : I I Il : I I Il H-N-c-c�N-C-CTN-C-CTN-C-C-OH

    7,

    1

    I

    R1

    :

    legame pcptidtco

    I

    I

    I

    <

    I

    R2

    :

    Ra

    !



    Polipeptide

    Figura 13.3: La strutt1tra chimica di uno dei 1Jenti aminoacidi naturali, l 1a­ �anina. Gli altri aminoacidi differiscono per la natura chimica della catena laterale. Il carbonio Q e ibridizzato sp 3 e, poiché i q1wttro gruppi a esso legati sono tutti diversi (salvo che nella glicina, dove la catena laterale è un idroge­ no) è asimmetrico. Tutti gli aminoacidi naturali 1tsati per fare le proteine sono nella fo1ma L. Notare che a pH fisiologici i due gruppi, l 1acido e il basioo, sono ionizzati.

    iO

    bI

    b

    (stereoisomeri). Di queste due configuraiioni solo una (la forma cosiddetta L, in contrapposizione alPa.ltrn forma D) è m,snnta dagli aminoacidi natnrali. La catena laterale è costituita da 20 gruppi atomici diversi che vanno dal semplice idrogeno a gruppi piÌI complessi (Fig. 13.4). I venti aminoacidi utili¼¼ati in natma sono chianmtì standard o normali, per di­ stinguerli dagli aminoacidi che vengono modificati quando già legati nella proteina (un esempio è Pidrossiprolina presente nel collagene, che deriva dalla prolina) o da par ticolari aminoacidi utilizzati da vari organismi (per esempio la seleuocisteina nei mammiferi o la piri·olisina negli archehatteri). I gruppi carbossilid e amminici legati al Ca possono ionizzarsi, per cui un ami­ noacido può fungere sia da base che da acido, è cioè un co mposto anfotero. In tutti gli aminoacidi in condizioi1i fisiologiche {pH 7,4) i gruppi a-carbossilici sono deproto­ e quelli c.N1.mminici sono protonati a nati, cioè nella forma di carbossilato, + -NH3 . Si definisce pi di nn composto il valore di pH in cui il composto ha una carica elettrica netta nulla. Tale valore è di circa 6 per gli aminoacidi monoamminici e monocarbossilici {Fig. 13.5) La natura della catena laterale definisce il nome dcll 1 aminoacido. Le catene la­ terali possono essere polrui (contenenti cioè legami chimici polari) e quindi idrofile (che interagiscono bene con l 1acqna) oppure apolari (contenenti legami chimici con bassa polru·ità) e quindi idrofobe {che cercano di tenersi lontano dalPacqua). 'lì-a i gruppi idrofili sono compresi i anche i gruppi acidi e basici, che in soluzione acquosa fisiologica assumono una carica negativa {gli acidi) o positiva {i ba,c;ici). Tutti gli aminoacidi derivano da intermedi del metabolismo dei carboidrati. Le vie di sintesi di alcuni aminoacidi sono relativamente semplici, mentre altre sono piutto­ sto complesse. La maggioranza dei batteri e delle piante può sintetizzare tutti e 20 gli aminoacidi standard. I mammiferi invece sono in grado di produrre solo la metà degli aminoacidi, quelli che richiedono le vie piì1 �emplici e che sono definiti aminoacidi non essenziali, per indicare il fatto che non è necessario siano presenti nella dieta. Gli altri, gli aminoacidi essenziali, devono essere recuperati dal cibo. NelPuomo gli aminoacidi essenziali sono 8 nclPadulto (leu, ile, val, ly8, met, phe, thr, trp ) e 10 nel bambino (in aggiunta arg e hh;).

    -Coo-,

    231

    Capitolo 13 Le biomolecole

    @ Artquiz AMINOACIDI IDROFOBICI

    coo-

    coo-

    I + H 3 N-C-H I

    I + H 3 N-C-H I

    /e�

    CH3

    CH 3

    H 3C

    coo-

    coo-

    I I + H 3 N-C-H ·1-1-1:JN-C-H I I CH2 H-C-CH 3 I I CH2 /e� I 11:JC CH CH3

    lsolencb1n (Ile o I)

    Vnlina (Vnl o V)

    Alm1ina (Alno A)

    +

    3

    coo-

    I +H 3 N-C-H I Clh I CH2 I s I

    I IhN-C-H I

    OH Tirosina. (Tyi- o Y)

    6

    Fcnilnlauina (Pite o F)

    coo-

    I I Cl-12 I

    +HaN-C-H

    B

    CH2

    I . I

    H 3 N-C-H CH2

    CH3 Met ionina (Met o M)

    Leuciua (Len o L)

    coo-

    +

    coo-

    H

    '1\-ipLufonu ('lì'p o W)

    AMINOACIDI IDROFILICI

    coo-

    Aminoacidi basici

    coo-

    I I coo+II3 N-C-H I +H:iN-C-H I I CI-I, CH:2 I I I CI-I, CII:z C-NH I I cooClh ;n Aspnrtato I C- N+ (Aspo D) NH I-I H I cooC=NI-IÌ I I -1-H:,N-C-H Nih I Arginino. Istidinn CI-1 1 (Argo R) (I-Iis o H) I Cl·h I

    I +I·bN-C-I-I I CI-I:2 I CH, I CH, I CI-I, I +

    +H:iN-C-I-I

    Il

    .

    NH :i

    Lisino.

    {Lys o K)

    AMINOACIDI SPECIALI

    oo-

    +

    I-I3 N-C-II

    I CH, I

    SH Cisteina

    (Cys o C)

    Aminoacidi acidi

    coo-

    +

    /u

    I-bN-C-H

    I

    H Giicinn (Gly o G)

    +u,N

    I

    /c,

    CI-I,

    I

    I

    coo-

    Gluta1nmato (Giu o F:)

    Aminoacidi polari con gruppi R non carichi

    coo-

    I +H:,N-C-H I CH, I OH Serina (Scr o S)

    +

    coo-

    I tt:i N-C-H I CH1 I H2{'

    +

    coo-

    I I H-C-OH I

    HaN-C-H

    CI-b Treonino. (Thr o T)

    coo-

    I I CI-I, I CI-12 I

    +H3 N-C-H

    /�

    lhN: O Asparagina (As n o N)

    Glnt�mminn (Gin o Q)

    IhC--CH2 Prolinn (Pro o P)

    Figura 13.4; I venti aminoacidi naturali divisi per le loro proprietà.

    232

    q

    © Artqniz

    � l/ r;,_;_ ,-14

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    CHIMICA

    HOOC---------------N H:i + carica 11eU1t +l

    pk,

    � ---------------NH3+ � -OOC

    pk2

    � - oo� NH2

    o

    -1

    Figura 13.5: Le forme ioniche e zwitterioniche di un aminoacid o m onoamino e monocarbossilico. Gli aminoaoidi si legano tra loro mediante il legame peptidico che si forma per reazione tra il gruppo carbossìlico di un aminoacido e il gruppo aminico di un altro aminoacido {Fig. 13.6). Una catena di aminoacidi legati nel modo descritto dà luogo a un polipeptide. MONOMEru

    POLIMERI

    A 111i11oncidi

    Pollpcpticlc

    H H Q>H H 0 1 H H" 0 1 H HO HO O H I I Il: I I Il: I I Il : I I Il I Il Il I HN 2 -C-C- OH + H-N-C-C-OH H-N-c-c�N-C-CTN-C-CTN-C-C-OH , I < I Il' I I I R, : R2 : R3 : llt R R lci;num peptidico

    D

    o o

    o

    Figura 13.6: La reazione tra il gruppo ca1·bossilico di un aminoacido e il gruppo aminico di un altro aminoacido prod1tce 1m legame peptidico, che è il legarne che tiene uniti gli amin oacidi in un polipeptide. Tutte le proteine (che sono sostan�e naturali presenti negli essere viventi, batteri, piante, animali, virns) sono fatte da polipeptidi, mentre non è vero il contro.rio, nel senso che un polipeptide può essere preparato in laboratorio senza essere presente in nessun organismo vivente. 'I\1tti i polipeptidi cominciano con un gruppo aminoter­ minale carico positivamente (-NI-13 +) e terminano con un gruppo carbossilato carico negativamente ( Le catene laterali R ionizzabili determinano il comporta­ mento acido-base del polipeptide o della proteina, che è espresso dal valore del pl globale. Proteine con pl inferiore a 7, sono prot.eine acide e sono caricate negativamente a pH fisiologico. Proteine con pl superiore a 7, sono basiche e sono caricate posi­ tivamente a pH fisiologico (come gli istoni che devono interagire con il DNA nella cromatina). Grazie alla carica che ogni proteina possiede a valori definiti di pH e che dipende dalla composizione in aminoacidi, le proteine possono essere separate per via elettroforetica, sfruttando in tal modo la loro diversa mobilità in un gel sotto campo elettrico, che dipende sia dalla carica che dalla. dimensione media. Si definisce oligopeptide una breve catena di aminoacidi, polipeptide una lunga catena di aminoacidi. Una proteina può essere formata da un 1unica catena polipepti­ dica (nn esempio è la mioglobina), e allora la proteina viene definita monomerica, o da più catene, che possono essere identiche o diverse tra loro, a formare un complesso proteico. Se almeno due catene sono identiche, la proteina viene definita oligomerica {un esempio è Pemoglobina, che nelPadulto è formata da due catene di tipo a e due catene di tipo /1). Molte proteine contengono soltanto aminoacidi e vengono definite proteine sempli-

    -coo-).

    233

    Capitolo 13 Le biomolecole

    © Artquiz

    ci. AlLre proteine contengono, oltre agli aminoncidi ! altri grnppi chimici o ioni metal­ lici, definiti cofattori, che sono necessari per la funzione biologica di tali proteine. I gruppi chimici vengono definiti coenzimi, se si associano in via transitoria all'enzima, come il uicotiuamide adeuin diuncleotide NAD + nelle deidrogenasi o gruppi proste­ tici se associati in modo permanente, mediante legami covalenti, come il gruppo eme contenuto in mioglobiua ed emoglobina.

    13.3.1 I vari livelli di struttura delle proteine In una proteina si possono individuare vari livelli di struttura (Fig. 13.7). Si chiama struttura primaria di una proteinn. la sequCit't.a degli aminoacidi che la costituiscono (Fig. 13.7n.}. Tale sequenza è letta a partire dal gruppo aminotermi­ nale: infatti ogni ca.t<::nn. comincia con un gruppo amiuico e termina con un gruppo carbossilico. La sequenza ha quindi 1111 verso che corrisponde anche all'ordine con cùi naturalmente gli amiuoaddi sono monta.ti durante la sintesi proteica. Poiché il legame peptidico contiene i gruppi >NH e >CO, il primo dei quali costi­ tuisce nn donatore di legame idrogeno e il secondo un accettore di legmne idrogeno, i gruppi peptidici in una cnteuo. polipeptidica vos.•;orw sistemarsi m�llo spa¼io per for­ mare legami idrogeno tra loro. Le forme piìt comuni di queste strutture presenti nelle proteine sono la cosiddetta o-elica destra (Fig. 13.7b} in cui il gruppo NH di 1111 aminoacido forma legame idrogeno con U gruppo CO del quarto aminoacido che lo precede (o viccver�a il gruppo CO di nn aminoacido forma legame idrogeno con il gruppo NH del quarto amit1oacido' che lo segue). questi legami idrogeno portnuo n.Ila forma¼ioue di mm struttura elicoidale destra regolare. Un'altrn. struttura regolare è quella del foglietto beta (Fig. 13.7b} nel quale i legami idrogeno (sempre fatti tra gruppi NH e gruppi CO) è fatta tra catene pepti­ diche diverse quando le catene corrono in modo parallelo o quando corrono in modo antiparallelo. La presenza di alfa eliche e di strutture beta in nua proteina costituisce la struttura seco ndaria. La definizione della struttura secondaria delle proteine fu in larga misura fatta da Linns Pauliug, per i cui studi ricevette il premio Nobel. Ogni proteina lm. il suo contenuto tipico di struttura alfa-elicoidale e di struttura beta. Se presenti, queste strutture sono connesse tra loro da tratti di sequenza non ordinata: il modo con cui la catena polipeptidica si sistema nello spazio costituisce la struttura terziaria (Fig. 13.Vc). Tale struttura corrisponde a quella carattcriz-iata dnl minimo di energia libera (che si ottiene massimiziando le attrazioni e minimizzan­ do le repulsioni tra. i vari gruppi R idrofilici, idrofobici, carichi etc. e massimizznndo l'interazione con il solvçnte) ed è quella che può ('A,;serc determinata sperimentalmente sia attraverso la diffrazione dei raggi X del cristallo della proteina, oppure usando la risonanza magnetica delln proteina in soluzione acquosa. Generalmente, g;ii aminoa­ cidi idrofobici tendono a raggruppé�rsi all'interno delle proteine, lontano -dall'acqua, formando strutture molto compatte, mentre quelli idrofili tendono a rimanere sulla superficie, dove formano un gran numero di legami idrogeno con l'acqua. I diversi segmenti della catena possono essere mantenuti nella loro posizione ter¼iaria anche da ponti disolfuro, sebbene questi siano abbastanza rari. Tale struttura è responsabile della funzione della proteina in vivo, cd è denomina.: ta struttura nativa, alla quale si contrappone la struttura disordinata, detta anche denaturata. In altri termini struttura e funzione sono interdipendenti e questa è la ragione per cui Lutte le muta�ioni che cambiano la natura degli aminoacidi e quindi la 234

    © Artquiz

    CHIMICA

    struUnra portano alla compromissione della funzione. Nella struttura terziaria posso­ no essere individuati anche domini, porzioni la cui struttura è indipendente da quella di altri domini, nel senso che se gli altri domini fo�sero tolti il primo conserverebbe la sua struttura {Fig. 13.7c). · Quando una proteina è costituita da due o piì1 catene polipeptidiche la relazione spaziale tra queste catene costituisce la struttura quaternaria (Fig. 13.7d). (a) Struttura primaria -Ala - Glu - Val - Thr -Asp -Pro - Gly · (b) Slruttura secondaria o elica -.,.,,.,..,...

    o

    foglietto P. J� '

    "'�&

    Dominio

    Figura 13.7: I vari lfoelli di strnttura di una proteina.

    o

    La conformazione finale che una proteina assume in vivo è funzione solamen­ te della sua struttura primaria. Questa è la ragione per la quale le mutazioni dei suoi amiuoacicli portano in genere a modificare la sua conformazione e quindi la sua funzione biologica. La conformazione può essere cambiata anche per modificazioni chimiche post-traduzionali {fosforila�ione, acetilazione, metilazione, ecc.), che av­ vengono cioè dopo la sua ,,;intesi. Queste modifiche avvengono spesso su segnalazione che la cellula è capace di recepire mediante i suoi recettori esposti sulla membrana ( trasduzione del segnale). Altre modifiche conformazionali avvengono mediante l'in­ terazione con molecole piccole (ormoni, cofattori, ecc.). Le proteine, come gli acidi nucleici, possono essere denaturate da mezzi fisici (calo­ re) o da mezzi chimici (pH, aggiunta di sostanze come l'urea, l'alcol, ecc.). In tal modo perdono la struttura secondaria, terziaria ed eventualmente quaternaria e diventano polipeptidi mobili strutturalmente (come gli spaghetti cotti).

    13.4 Valori calorici di carboidrati, proteine e lipidi

    [J

    Gli organismi, anche i pfo semplici, sono sistemi ordinati di molecole che svolgono fun­ zioni e necessitano di energia sotto forma di ATP. Inoltre le molecole che adempiono le diverse funzioni (come ad esempio gli enzimi metabolici) vanno incontro a continuo "turnover", cioè degradazione, in quanto danneggiate, e. biosintesi da precursori me­ tabolici, che a sua volta consuma energia. Per la maggior parte degli organismi esiste poi. un periodo di "crescita", cioè di acquisizione di nuova massa vivente, che richie­ de biosintesi ed energia .addizionali. Vivere significa quindi assumere dall'ambiente esterno le molecole che fungono da precursori biosintetici e da sorgenti di energia. Queste molecole costituiscono i nutrienti e gli alimenti sono i materiali, introdotti con la dieta, che forniscono i nutrienti. I nutrienti possono quindi ·essere distinti in nutrienti plastici ed energetici, necmisari a sostenere, rispettivamente, i fabbisogni biosintetici ed energetici.

    235

    Capitolo 13 Le biomolcçole

    @ Artquiz

    Carboidrati (principalmente D-glucosio, ma nuche D-fruttosio e D-galattosio), proteine (come fornitori di aminoacidi) e lipidi (come fornitori di acidi grassi e glice­ rolo) sono nutrienti energetici, in quanto ciascuno di questi nutrienti viene nelle cellule ossidato ad acqua e anidride cn.rbouica fornendo energia immagazzinata sotto forma di ATP. L'ossidazione intracellulare dei nutrienti energetici è un processo complesso, che avviene attraverso nùmerose reazioni. È comunque possibile misurare il conte­ nuto energetico di questi nutrienti in chilocn.lorie (kcal) sottoponendoli a ossidazione completa in una bomba caloriruetrica, cioè in un apparecchio che consente la misura del calore prodotto dalla loro combustione mediante la determinazione delPaumento di temperatura di una massa di acqua in cui la camera di combustione è immersa. Si ricorda che 1 kcal è la quantità. di calore-energia necessaria ad innalzare da 14,5 a 15,5 °C 1 kg di acqua. A livello internazionale è raccomandato impiegare come unità di misura delPenergia il chilojoule e 1 kcal = 4,186 kJ. I valori ottenuti mediante la calorimetria diretta, cioè mediante la. bomba calorimetrica, sono: • carboidrati (glucosio) 4,1 kculfg; • proteine (aminoacidi) 5,4 kcal/g; • lipidi (trigliceridi) 9,3 kcal/g. I trigliceridi sa.turi producono una quantità di energia. leggermente superiore a quella degli insaturi (a causa di un numero minor� di atomi di idrogeno nella mole­ cola degli insaturi e quindi ad un numero minore cli molecole d'acqua prodotte nella loro combustione). Tuttavia, nel ca.c;o delle proteine, la loro ossidazione alPinterno delle cellule por­ ta alla liberazione di NHa, che viene poi organicata uelPurna mediante un proces.<;o richiedente euergfo.. Inoltre ln digestione degli alimenti nel sistema digerente implica anch 1esso un dispendio energetico, per cui si considera che la produzione netta di energia o equivalente energetico dei nutrienti è: • 4 kcal/g per i carboidrati; • 4 kcal/g per le proteinei • 9 kcal/g per i lipidi. Utilizzando questi valori è possibile calcolare il contenuto energetico di un alimen­ to, che è dato dalla somma elci contenuti energetici dei suoi nutrienti energetici. È opportuno ricordare che carboidrati, lipidi e proteine, assieme ad altre composti come le vitamine, l'acqua, i sali minerali etc., sono anche nutrienti plastici ..r ·,'1

    236

    [ PARTE V

    BIOLOGIA

    CElLULl -r-. ,e �Vi) _,

    9R.6AN, -• APP(tf¼ti

    Capitolo 1

    Istologia, anatomia e fisiologia

    d

    1.1 Cellule, tessuti, organi e apparati Vorganizzazione dì nn organismo può essere paragonata a quella di una società. In tale parallelismo, i singoli individui che compongono le società sono le cellule; cel­ lule simili per fun7,ione e struttura si organi7,zano a formare dei tessuti (si pensi, ad esempio, ai medici e agli infermieri cli nna specifica unità operativa); nn insieme di tessuti si organiz7,a a formare nn organo deputato ad nna specifica funzione (si pensi ad uno specifico reparto costituito da più unità operative); un insieme di organi, infine, coopera a svolgere nna determinata funzione organiz:mndosi in un apparato (quindi diversi reparti costituiBcono Pospedale la cui funzione è quella di curare gli stati morbosi dei pazienti). Vacqua è il principale cm,titncnte cli nn organismo, nel corpo umano ( e quindi nei suoi tessuti) il contenuto medio di acqua è tra il 60 e il 70%. Tutte le cellule, di qualsiasi organismo e di qualsiasi tipo, contengono come elementi chimici prevalenti il carbonio, Pidrogcno e Possigeno. . In questò capitolo tratteremo dello studio dei tessuti (disciplina che prende il nome di istologia) e degli apparati, soffermandoci sulla descrizione degli organi che li com­ pongono (disciplina nota come anatomia) per poi trattare del normale funzionamento delPorganismo (disciplina nota come fisiologia). I principali tessuti sono di quattro tipi: epiteliale, connettivo, mus colare e nervoso. Di seg1dto elencheremo brevemente le principali caratteristiche di ciascuno di questi.

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    1.1.1 Tessuto epiteliale Il tessuto epiteliale è composto quasi esclusivamente da cellule. In esso le cellule aderiscono strettamente le une alle altre e si dispongono a formll.rc foglietti, tubuli o cordoni solidi. Esso comprende gli epiteli di rivestimento e gli epiteli ghiandola­ ri. I primi rivestono tanto la superficie esterna deIPorganismo, quanto le cavità interne degli organi. I secondi sono costituiti da cellule dotate della funzione secretoria, tanto 237

    • 'I' ;: l·

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    @ Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    endocrina .(ovvero secernente sostanze che vengono immesse all'interno del torrente ematico o iu liquidi presenti uell'iutersti�io fra le cellule) quanto esocrina (ovvero se­ cernente sostanze che vengono immesse all'esterno del corpo o in cavità comunicanti con l'esterno, ad esempio nello stomaco). Un aspetto caratteristico delle cellule epi­ teliali è di essere polarizzate: la superficie apicale è diversa dalla superficie basale . Per esempio le cellule dell'epitelio intestinale hanno sulla superficie i microvilli ( che servono ad aumentare la superficie di sc�mbio con l'esterno). 'Iì'a le cellule epiteliali ci sono speciali connessioni come i desrnosorni.

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    SEMPLICE

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    Squamoso

    Squamoso non cheratintzzato

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    TRANSIZIONE

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    � � Cubico

    Cnindrlco

    Cheratlnizzato

    Cubico

    Pseudostratificato cilindrico

    Cilindrico

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    Transizione (disteso)

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    Fignra 1.1: I diversi tipi di epiteli di rivestimento.

    1.1. 2 Tessuto connettivo

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    Il tessuto connettivo ha la funzione di connessione funzionale e strutturale dei tessuti, di riempimento degli �pazi tra un tessuto e l'altro e di sostegno. È composto · non solo da cellule, ma anche da abbondante matrice extracellulare (prodotta dalle cellule e costituita da proteine come il collagene, glicoproteine e polisaç'caridi come l'acido ialuronico) che svolge diverse funzioni, fra cui quella di supporto meccanico, donando resistenza alle forze ten8ili e compressive alPorganismo. I principali tipi di cellule del tessuto connettivo sono i fibroblasti, i coudroblasti, i macrofagi, i mastociti e gli aclipociti. Il tessuto connettivo (Fig. 1.2a) può essere ulteriormente suddiviso in: • Connettivo propriamente detto (lasso, composto da poche fibre e molte cellule e denso, composto cla molte fibre e poche cellule); • Connettivo di so stegno, quali il tessuto cartilagineo e quello osseo;

    238

    BIOLOGIA

    @ Artquiz

    • Connettivo a funzione trofica, come il sangue e la linfa. Il collagene (o collageno) è la proteina più abbondante nei mammiferi ed è la principale proteina del tessuto connettivo. Ha un peso molecolare di circa 300 kDa e ' forma una struttura molto lunga e sottile, di 14 x 3.000 A. La molecola di collagene è formata da tre catene polipeptidiche avvolte in una struttura superelicoidale d�strorsa stabilizzata da interazioni idrofobiche. Ogni catena contiene circa 1.000 residui e presenta una strnttma secondaria unica, formata da un'elica sinistrorsa con tre residui per giro {F'ig. 1.2b). II collagene è costituito per il 35% di glicina e per il 21 % di prolina {in parte poi trnsformata in idrossiprolina). Molte molecole di collagene si associano in modo sfalsato a formare le fibre di collagene, in cui le interazioni vengono stabilizzate da legami covalenti crociati.

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    Nucleo ,l, della cellula

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    Tessuto connettivo fibroso (forma lendini Cellula e legemenli) Fibra di IIWIJ: collagene Fibre elasliche

    osseo

    Figura 1.2: (a) I diversi tipi di tessuto connettivo; (b) il collagene.

    239

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

    @ Artquiz

    1. 1. 3 Tessuto muscolare ll tessuto muscolare, che condivide la sua origine embriologica con quello connetti­ vo, è costituito da cellule dotate di attività contrattile. Esso può essere distinto in due principali tipi in base alle sue proprietà ottiche all'osservazione al microscopio, che riflettono la diversa organizzazione degli elementi contrattili all'interno delle singole cellule muscolari: • Tessuto muscolare striato. È caratterizzato dall'alternanza di bande chiare e scure che si alternano lungo l'asse maggiore della fibra. Esistono due tipi principali di tessuto muscolare striato: il muscolo striato scheletrico (responsabile del movimento volontario) e il muscolo striato cardiaco (responsabile della contrattilità cardiaca). L'unità contrattile del muscolo striato è il _sarcomero, costituito da due tipi di filamenti, l'act ina e la miosina. • Tessuto muscolare liscio. Le cellule sono prive. di striature, sono innervate dal sistema nervoso autonomo (Biologia, § 1.10.1) ed è responsabile della contrazione involontaria dei visceri.

    Figura 1.3: A sinistra, il tessuto muscolare striato,· a destra, queUo liscio.

    1. 1.4 Tessuto nervoso Il tessuto nervoso è costituito da due tipi principali di cellule altamente differen­ ziate: i neuroni e la glia. I neur oni sono cellule specializzate a generare, condurre e trasmettere l'impulso net·voso. Quest'ultimo consta di una variazione rapidissima del potenziale di membra­ na (potenziale d'azione) che si genera spontaneamente o a seguito della stimolazione della cellula nervosa. I neuroni sono costituiti da un corpo centrale o sgma, detto pirenoforo, contenente il nucleo circondato da citoplasma. Il soma si •espande in prolungamenti arborescenti, detti dendriti. I più lunghi fra i prolungamenti (di so­ lito unici) di ciascun neurone sono detti neuriti o assoni. La loro lunghezza può assumere valori macroscopic;i (fino a un metro). I neuroni non prendono stretto con­ tatto gli uni con gli altri, se non in particolari zone specializzate dette sinapsi. Le cellule della glia, invece, sono in stretto contatto con i neuroni e ne avvolgono sia il pirenoforo che i prolungamenti. Le cellule del tessuto nervoso hanno la caratteristica di non proliferare e di non riprodursi ulteriormente (cellule post-mitotiche).

    240



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    © Artq11iz

    BIOLOGIA

    1.2 Apparato tegumentario L'apparato tegumentario è costituito dalla cute e dagli annessi cutanei. Le funzio­ ni dell'apparato tegumentario sono quelle di dividere mediante una struttura resistente l"ambiente interno dall'ambiente esterno, prevenendo danni di natura fisica, chimica e meccanica, infezioni e disidratazione. Inoltre, l'apparato tegumentario ha un ruolo importante nella termoregolazione. 1.2.1 Cute e annessi cutanei

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    La pelle o cute è l'organo del corpo umano di maggiore dimensione. Essa consta di due componenti, una epiteliale ( epide1mide, è la parte superficiale) e una connettivale ( denna, è la parte più profonda). L'epidermide è un foglietto epiteliale costituito da diversi strati di cellule appiat­ tite a formare 1111 epitelio pluristratificato. Le cellule che costituiscono questo epitelio vengono chiamate cheratin ociti. · L'epidermide è soggetta a un continuo ricambio, per cui si assiste ad un continuo flusso di proliferazione e maturazione cellulare passan­ do dagli strati più profondi a quelli piii superficiali. Lo strato basale, ovvero quello piil profondo, dell'epidermide è costituit.o da una sottopopolazione cherutinocitaria dotata di capacità proliferativa e responsqbile della sostituzione delle cellule morte che desquamano dagli strati più superficiali (negli anfibi la pelle non è fatta a squame mn. presenta uno strato corneo, che viene perso a brandelli). Lo strato basale pog­ gia su di una matrice extracellulare, detta membrana basale. Mano a mano che le cellule si avvicinano alla superficie si riempiono di proteine del citoscheletro ( che­ ratine), si appiattiscono, muoiono e sfaldano dallo strato piit superficiale della cute (strato corneo). In questo processo, perciò, le cellule si tro.sformano in lamelle cornee desquamanti. Nell'epidermide troviamo anche i melanociti, incaricati di prodmre melanina, re­ sponsabile della pigmentazione cutanea e dell'assorbimento di radiazioni ultraviolette nocive, oltre a cellule del sistema immunitario. Il derma è costituito da connettivo fibroso contenente due componenti della ma­ trice { collagene ed elastina) capaci di dare resistenza tensile cd elasticità alla cute. Nel derma si trovano anche i vasi sanguigni che forniscono le sostanze metaboliche all'epidermide, non altrimenti vascolarizzata e terminazioni nervose responsabili della sensibilità tattile, dolorifica e termica. L'ipoderma o connettivo sottocutaneo è lo strato che si trova sotto il derma ed è costituito da connettivo lasso contenente adipociti (cellule specializ�ate ad accumulare lipidi di riserva). Il suo spessore è variabile (massimo nel palmo della mano e nella pianta dei piedi). Oltre alla cute, l'apparato tegumentario consta di diversi annessi cutanei, in par­ ticolare, peli e capelli che sono derivati epidermici corneificati, affondati profonda­ mente in rientranze modificate della superficie cutanea dette follicoli piliferi. Anche le unghie sono da com;iderarsi un derivato cutaneo. Nell'uomo esse sono costituite da un tavolato di cellule epiteliali cheratinizzate. Oltre a peli e unghie, anche diverse ghiandole costituiscono gli annessi cutanei. Fra esse ricordiamo le ghiandole sebacee, deputate a produrre sebo, una sootanza composta di lipidi, cere e frammenti di cellule ghiandolari morte che lubrifica la cute, i peli e i capelli. Generalmente esse sono localizzate nelle zone di cute ricoperte da peli e immettono il loro secreto nei follicoli piliferi. Infine, le ghiandole sudoripare

    241

    © Artquiz

    · G�pitqlo _ 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    I-e ghiandole ma11:1mari� _ vengono constderate da ,1lcum a.uton costituiscono anch'esse un annesso delle ghiandole sudoripare modificate. L'o:-chera.tina. è il principale costituente dello strato corneo dell'epidermi.de, delle unghie, capelli e corna nei mammiferi. Ha un peso molecolare di circa 45 kDa ed è formata da una catena lunga 450 À in o:-elica che si associa a formare dimeri, i quali a loro volta si associano tra loro e sono stabi.­ lizzati da numerosi ponti disolfuro per formare il protofilamento e successivamente la protofibrilla.

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    Eplde,mlde lpode,ma oe,me Stiato eplnoso Cellula di Me,kel Cellute Lenge1hens Melenoclla sI,e10 basale Memb,ene besele Vaeo eangulgno

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    PELLE SOTTILE

    Figura. 1.4: Cute e annessi cutanei.

    1.2.2 Patologie dell'apparato tegumentario Una. condizkm<' patologica cubitwa. comune è Peritema. un t\.rrosimmento della pelle generato dàlla dilati\.'l.i.onc dei vasi art.criosi dovuta a cause diver�c, hi piit comune delle quali è fa. sovraesposizione ai raggi sofa.ri. Un'altra patologia della pelle e delle mucose, spcci.almcntc delle lahbrn o degli organi genitali, è l'infezione erpetica dovuta. al virus Herpes simplex.

    1.3 Apparato locomotore L'apparato locomotore è costi.tnito dall'apparato scheletrico, dall' an,arato arti­ colare e dall' an,arato muscolare. L
    1.3.1 Apparato scheletrico

    L'apparato scheletrico umano è costituito da ossa fuse e indivi.duali, Tali rn,sa sono da legamenti �-fÙ-ngoiiO da i;ito di ancoraggio pè{tendini, muscoli ..Ò -cartilagini.

    �nite 242

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    © Artquiz

    BIOLOGIA

    Nt>i vertebrnti, Io scheletro è contenuto all'interno del corpo, ricoperto da tessuti molli e prende pertanto il nome

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    Diafisi

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    Tessuto osseO' compatto

    Tessuto connettivo fibroso Epifisi [

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    Cartilagine

    sanguigni Figura 1.5: Osso spugnoso e osso compatto.

    Lo scheletro

  • Anatomicamente si

    • Ossa lunghe, che sono costituite da una porzione centrale allungata,
    243

    © Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia



    • Ossa piatte, che sono ge11en1lmc11tc ricurve, e costituite da due strati di osso compatto che delimitano l'osso spugnoso. Esempi sono le ossa del cranio e lo sterno. • Ossa irregolari, che nou possouo essere classificate con i criteri esposti in prece­ denza. Sono costituite da osso compatto che delimita l'osso spugnoso. Esempi sono le vertebre e l'anca. Lo scheletro può essere distinto in assile (colonna vertebrale e gabbia toracica), appendicolare ( arti s1iperiori e inferiori) e cranio.

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    Osso Irregolare

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    Oseo piatto



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    Calcagno Vista posteriore

    Vista anteriore

    ( b) Lo scheletro umano.

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    BIOLOGIA

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    oolonne vertebrale vertebre

    Figura 1.6: Il sistema scheletrico.

    Scheletro assile La colonna vertebrale com;ta di 24 vertebre articolo.te fr a loro e 9 vertebre fuse. In particolare, distinguiamo 7 vertebre cervicali, 12 vertebre toraciche, 5 vertebre lom­ bari, 5 fuse a formare l'osso sacro e 4 vert.ebre fuse a form11rc il coccige. Le vertebre articolano fra di loro mediante un disco articolare fibrocartilagineo e delimitano un cnnnle vertebrale all'interno del quo.le è contenuto'il midollo spinale. I dischi interver­ tebmli hanno anche la funzione di ammortiz�are i colpi che possono essere trasmessi al crnnio. Fì·a due vertebre
    245

    © Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e .fisiologia

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    diaframma e superiormente dallo stretto toracico superiore e protegge organi vitali, quali cuore, polmoui e grandi vasi. L'uomo possiede 12 paia di costole articolate po­ steriormente con le vertebre. Fra queste, distiuguiamo 7 costole vere che articolano anteriormente con lo sterno, 3 spurie che si fondono anteriormente cou la cartilagine del 7° paio e 2 fluttuanti che nou raggiungono lo sterno anteriormente e che si artico­ lano con l'undicesima e dodicesima vertebra toracica. Il cranio è il complesso osseo presente nella testa dei mammiferi le cui funzioni sono quelle di proteggere cervello, cervelletto e tronco encefalico e di alloggiare orgaui sensoriali, quali occhi e orecchie, naso e lingua. Generalmente viene distinto in neu­ rocranio (contenuto nella volta crauica e contenente le strutture nervose della testa) e splancn ocran io (ricompreso sotto alla fronte e comprendente organi sensoriali). Esso è costituito da ossa piatte m1ite fra loro da articolazioni fibrose dette suture che tendono a chiudersi con l'avammre dell'età. Le eccezioni sono rappre"sentate dalle articolazioni t.empuru-mandibolari. Il neurocranio è costituito da osso o ccipitale (che si trova nella parte posteriore del cranio), sfenoide, ossa parietali, osso frontale, etmoide, ossa temporali; lo splanc­ nocraniq è costituito da: ossa nasali, ossa mascellari, mandibola, osso ioide, ossa zigomatiche, o.-;sa palatine, ossa lacrimali. Infine, il cranio è connesso alla colonna vertebrale t,ramitc l'articolazione oecipito­ atlantoidca.

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    Osso p arlatale 7 vonebce cerv1ce11

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    Osso lrontale

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    Sulura coronale

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    Cornello nasale medio Lamine perpendicolare delrosso etmoldeo Preluberenze mentoniere delle mendlbola

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    Figura 1.7: In alto, la colonna vertebrata e il cranio. A sinistra, la gabbia toracica. Essa è formata da 24

    costole, dallo sterno e da 12 vertebre, 246

    © Artquiz

    BIOLOGIA

    Scheletro appendicolare Lo sterno, insieme con le clavicole e le scapole, va a costituire una congiunzione fra lo scheletro assHe e le ossa degli arti superiori, che prende il nome di cingolo scapo· lare (o cintura scapolare). In purticolaxe, l'articolazion e acromio-clavi.colare {fra scapola e clavicola), l'articolazione sterno-clavicolare e l'articolazione scapolo-omerale assolvono questo compito. L'osso sacro articola con le ossa dell'anca e contribuisce con esso a formare il cinto pelvico, che permette di collegare lo scheletro assile alle ossa dell'arto inferiore. L'arto superiore è costituito da: • Omero: è un osso lungo che costituisce lo scheletro del braccio, articola supe1ior­ mente con la scapola e inferiormente cou radio e ulna. • Radio e ulna: sono due ossa lunghe che costituiscono lo scheletro dell'avambraccio, articolano superiormente con l'omero e inferiormente con le ossa della mano {carpo). Il radio è posto esteriormente e l'ulna è più vicina alla linea mr,diana del corpo. • Mano: è costituita da 27 ossa, suddivise in: a) Carpo: formato da 8 ossa piccole disposte su due file (quella che nrticola con l'avambraccio comprende: sqlfoide, semilunare, pirnmi.dale e pisiforme, mentre la seconda: trapçzio, trapuzoi
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    Osso navlcola'8 � �c;roldel Osso sernllma'8 lub8fcolo � - -� Osso plremlclala osso 1,epeilo � Osso pisiforme Ossa '' ' • a suo ::-- Osso capllelo del carpo �m!JI"'!LiW· lube,colo Osso 1J1ciJ1Blo IR.:: 0sso bapeioldo . 11:!1· · e suo unàno . /. Ossa -S8S8 -OIJ)I� Ossa meleca,pall S8S8moldl Tesla Basa -Corpt� Fel8fl91 posslmaa ·Tesi ,Base .Corpi� Felangl medie tesla

    Ossa del carpo

    Falangi �� � dlslell 'Tube1osDà Tesla

    Figura 1.8: L'arto superiore. L'arto inferiore è costituito da: • Femore: è un osso lungo che costituisce l'osso della coscia, articola superiormente con l'anca e inferiormente con la tibia. 247

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    @ Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    • Tibi a e pero ne: sono ossa lunghe che costituiscono lo scheletro della gamba. La · tibia articola superiormeute con il femore, lateralmente con il perone e anterior­ mente con I� patella (o rotula) e inferiormente (insieme al perone) con le ossa del piede. • Piede: è costituito da 26 ossa, distinte in: a) Tarso: costituito da 7 ossa disposte su due file (una posteriore contenente l'astragalo e il calcaguo e una anteriore coutente tre ossa cuneiformi, lo scafoide del piede e l'osso cuboide). b) Metatarso: costituito da 5 ossa lunghe che articolano posteriormente con il tarso e anteriormente con le falangi. e) Falangi: distinte in prossimali, medie e distali, in analogia a quelle della mano. Anche in questo caso l'alluce è provvisto di due sole falangi.

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    Intermedio Lalerale rtlcolazlone tarso-melalersele � n�sa metalersell Falangl

    Figura 1.9: L'arto inferiore.

    1.3.2 Apparato articolare L'apparato articolare è formato da tessuto cartilagineo e connettivo fibroso or­ ganizzato irt strutture, dette articolazioni, il cui compito è unire le ossa fra loro J permettendo il movimento. I capi articolari sono mantenuti in sede e con11essi da un complesso sistema di fibre connettivali che vanno ad organizzarsi in capsule ' articolari e legamenti. Le articolazioni possono essere distinte, sulla base della loro escursione in tipo mobile (ad esempio l'articolazione della spalla), semimobile (fra le vertebre) o fis­ so (ossa del cranio). Le articolazioni possono ancora distinguersi in sinartrosi e diartrosi:

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    • Le sinartrosi sono giunzioni fra capi articolari continui. Le suture craniche fanno parte di questa categoria. Il movimento fra capi articolari in questo caso è molto ridotto.

    248

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    © Artqni?:

    BIOLOGIA

    • Le diartrosi sono gi11n7.ioni fra capi articolari contigui. Le por7.ioni dì osso che vengono in contatto fra loro nelParticolazione sono protette esternamente da un sottile strato cartilagineo le cui funzioni sono quelle dì: favorire lo scorrimento dei capì articolari, provvedendo una superficie articolare liscia, e di fornire resistenza · alle forze compressive. Nel caso in cui i capi articolari non siano perfettamente corrispondenti, le discordanze vengono eliminate dalla presenza di menischi fibro­ cartilaginei. Inoltre le articolazioni sono avvolte in una membrana detta sinoviale che secerne un liquido lubrificante (liquido sinoviale).

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    Fignra 1.10: Diartrosi: 1. enartrosi; 2. condiloartrosi; .'-J. a sella (o pedartrosi); 4. ginglimo angolare (o trocleoartrosi); 5. ginglimo laterale (o trocoidi) .

    1.3.3 Apparato muscolare I muscoli si dividono in volontari e involontari. I primi costituiscono la mnsco­ latma scheletrica, mentre i secondi coi;tituiscono la mnscolat.ura liscia e il mm,colo cardiaco. La muscolatnridiscia riveste e pennette la contrazione degli organi interni, come l'intestino, l'utero, la vescica e i vasi sanguigni. I muscoli volontari si contrag­ gono attraverso il sistema nervoso periferico somatico, mentre quelli involontari si contraggono gTa¼ie al sistema periferico autonomo. Il tessuto muscolare è costituito da cellule specializxate ed eccitabili, chiamate fibrocellule o fibre muscolari. Al loro interno sono contenute le miofibrille che sono le componenti contrattili della fibra muscolare. In esse si può osservare un > ulternanza di bande chiare (bande I) e scure (bande A). Le bande I sono divise in due da una linea Z. Il tratto compreso tra due linee Z adiacenti si chiama sarcomero ed è l >unità ripetitiva della mfofibrilla. L >apparato musc olare scheletrico indica l'insieme dei muscoli di una specie che ne permette il movimento. Esso è determinato dalla contrazione e dal rilassamento di coppie cli muscoli, che per questa ragione sono detti antagonisti. Uno viene eccitato e contratto quando l'altro è rilassato ed esteso. Il movimento muscolare in generale è controllato dal sistema nervoso. I �nscoli (e altri tessuti come il ghiandolare) sono un tessuto effettore perché attivato da fibre nei·v(?Se afferenti. I nervi, o neuroni motori, prendono contatto con i muscoli mediante la terminazione presinaptica e le giunzioni specialiw.ate che prendono il nome di placche neuro-muscolari o placche motrici. Quando un poten¼iale di azione giunge alla placca neuromuscolare, il neurotrasmetti­ tore acetilcolina contenuto nelle vescicole, presenti nel citoplasma della terminazione nervosa, viene rilasciato nello spazio compreso fra la membrana plasmatica del neu­ rone e quella del mm;colo. L'acetilcolina si lega, quindi, ai recettori presenti sulla membrana plasmatica delle cellule muscolari ( miociti ), induce in essi la liberazione di ioni calcio dal reticolo sai·coplasmatico che provoca la contrazione. Quest >nltima è dovuta principalmente all'a1.ione di due proteine: la miosina e l'actina che scivolano 249

    Capitolo 1 Istologia, anat,omia e fisiologia



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    @ Artquiz

    l'una sull'altra a spese di grandi quantità di ATP (la miosina è capace di idrolizzare ATP per modificare la sua conformazione tridimensionale). Le fibre muscolari si distinguono in fibre rosse (più ricche di mioglobina nel loro citoplasma) e fibre bianche, perché povere di mioglobina. Le prime sono anche dette fibre lente, perché danno luogo a contrazioni lente ma durature, mentre le seconde fibre veloci, perché danno luogo a contrazioni rapide ma assai dispendiose. Sulla base del contenuto di mioglobina (che è una proteina di deposito di ossigeno) si può de­ durre che le prime consumano molto più ossigeno. I muscoli hanno depositi di ATP di scarsa entità e pertanto debbono rapidamente rigenerare ATP a partire
    250

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    © Artquiz.

    BIOLOGIA

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    Figura 1.11: Rappresentazione dei piani anatomici.

    5. Flessione: indica \ > avvicinamento, mediato da una o più articola:�ioui, delPe­ stremità piì1 lontana di un distretto corporeo a quella più vjcina del segmento contiguo. (5. Estensione: indica. l > allouta.uameuto, meclia.t.o da mm o più articolazioni, delPe­ stremità più lontana. di un distrct.to corporeo a quella più vicina del segmento contiguo. 7. Circonduzione: movimento rotatorio cli un arto attorno alla propria. articola­ zione. Si tratta di un movimento tipico delle enartrosi ( es. spalla o ancaf Le contrazioni muscolari si dividono in: isometric:he e isotoniche o concentriche. Le prime non prevedono variw.ioni di lunghez:ta ciel muscolo; le seconde avvengono con tensione costante. G< onde zlgomettco , F
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    Copo lungo del ldcipUe

    Cepo me dlele del ldclplle

    Fless0<e <edlele del ce<po

    G<eclle

    ------ lleopsoes ,______ Pel\lne.o

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    Figura 1.12: Apparato muscolare. 251

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    1.4 Apparato cardiocircolatorio L'apparato cardio circolatorio può essere, in realtà, considerato parte del più am­ pio sistema cir<--olatorio, insieme al sistema linfatico. Esso è costituito dal cuore, dai vasi e dal sangue. Le sue funiioni sono quelle di trasporto di cellule, liquidi, gas, ormo­ ni e nutrienti. È importante a nche per stabili'l,zare il pH del sangue e la temperatura corporea.

    1.4.1 Cuore Il cuore si trova al centro del sistema carcliovascolu1·c (Biologia, § 1.4.4). Ed è co­ stituito da miocardio, pericard:io, epicardio c:d endocardio. Il miocardio è il muscolo cardiaco. Il pericardio è una membrana che circonda il cuore. L'epicardio è uno strato di cellule mesoteliali che ricopre la �mperficic esterna del cuore rendendola translucida e liscia. L'endocardio è una membrana sottile translucida e biancastra che riveste internamente tutte le cavità cardiache e le superfici delle valvole. Il cuore è irrorato da due arterie coronarie, la destra e la :,;inistra, che partono dall'aorta. Ed è costituito da quattro camere: 1. Atrio destro, che riceve Hnngne veno:.;o (povero

  • teria polmonare attraverso il cono artcrio.-;o. 3. Atrio sinistro, che riceve :muguc mterio.-;o (ricco di oi;sigeno) dal circolo polmo­ nare attraverno le vene polmonari e lo immette: nel ventricolo sinistro attraverso la valvola mitrale. 0 b\LV?�\,."Ott

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    4. Ventricolo sinistro, clm riceve sangue arterioso dall'atrio sinistro e lo eietta

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    © Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia.

    252

    Figura 1.13: Le quattro camere cardiache e i rapporti con aorta, arteria polmonare, vene cave e vene polmonari.

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    © Artqni7,

    BIOLOGIA

    Il cuore è dotato di attività contrat.t.ile spontanea involontaria e di un ritmo di contrazione proprio ck•ttato da c:;ellule capaci di ccci tarsi spontaneamente ( dette pa­ cemaker). Lo. frequen7,a di contra7.ione del cuore pnò essere modulata, in base alle richie5te delPorganismo, anche dnl sistema nervoso autonomo simpatico (accelera) e 'parasimpatico ( decefora). Il ritmo fisiologico è in media di circa 70 battiti al minuto (minimo 60, massimo 100). Al di sotto di 60 battiti al minuto si ha brachicardia, al dì sopra di 100 battiti al minuto si ha tachicardia. Lo stimolatore del battito cardiaco è il nodo seno atriale, che si comporta come un pacemaker cd è situato nelPatrio destro. È costituito da abbondante tessuto connettivo che circonda alcune miofibrille. Lo stimolo elettrico da esso prodotto prosegue nel nodo atrioventricolarc, poi nel fascio di His ( che si divide iu branca destra e branca sinistra) ed infine nella rete delle fibre di Purkinje a diretto contatto con le fibre della muscolatura ventricolare (Fig. 1.14). Nodo atriovantrlcolare

    Nodo seno atriale

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    Figura 1.14: Schema di conduzione elettrica del cuore.

    La variazione del campo elettrico cardiaco nel tempo pnò essere rc�gistrnto alla superficie del corpo mediante Pelettrocardiogramma. In es..r.;o �i osserva una pri­ ma deflessione detta onda P dovuta a.Ha dcpolariizazione atriale, nn complesso QRS dovuto alla depolariz:1..a�ione ventricolo.re e un 1 onda T dovuta alla ripolarizzazione ventricolare (Fig. 1.15). Le attività elettrica e meccanica del cuore sono perfet­ tamente accoppiate poiché, quando, in condi:,àoni di a.liera.1.ioni dd ritmo (aritm·ie) importanti: esse vengono disaccoppiate (fibrillaz-ionc ventricolare), il cuore non svolge piì1 la sua. funzione di pompa in modo adeguato e il soggetto può andare incontro n. morte. Per ripristinare il normale ritmo cli contra:,r.ione c:n.rdiaco si pnò interveni­ re, applicando al cuore mm corrente clcttrica attraverso la parete toracicn,, mediante un >apparecchiatura detta defibrillatore. Il metabolismo cardiaco è di tipo aerobico puro. Per supportarlo, il cuore è molto fittamente vascolari'l,zato mediante rami delle arterie coronarie (rami clelPaorta deputati a vascolari zzare il cuore). Il movimento direzionale del sangue è dato dalla prcsun7.a. cli nn sistema valvo­ lare clw si apre e si chiude in maniera coordinata con le fasi del ciclo cardin.eo. In particolare, due valvole atrio-uentricolari ( tricuspide, che collega l'atrio destro con il ventricolo destro, e mitrale, che collega Patrio sinistro con il ventricolo sinistro) impediscono il reflusso del sangue dal ventricolo alPatrio durante la fase di contra­ zione (sistole) ventricolare e due valvole Bernilunari poste alla radice dei grossi vasi (la valvola aortica per Paorta e la valvola polmonare per rarteria polmonare) impedi8cono il reflusso del sangue dal circolo sistemico e polmonare clnrfJ,nte la fase

    253

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

    © Artquiz

    di rilascia.mcnt.o veutricolare (diastole). L 'apcrtma e la chiusura delle valvole sono responsabili dei toni cardiaci che si possono am-;cnltarc mediante il fonendoscopio. Le valvole possono subire un restringimento, che si chiama stenosi, spesso dovuto ad infiammazione. R

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    Figura 1.15: Schema di tracciato elettoca1·diografico; l'onda P é do·vufa alla depolarizzazione at1·iale, il comvlesso QRS alla depolarizzazione ventricolare e l'ond a T alla ripolarizzazione ventricolare.

    1.4.2 Vasi sanguigni: arterie, vene e capillari Il cuore eietta il sangue all'interno di clue circoli sanguigni chiusi disposti in serie l'nno con l'altro. Iu particolare, distinguiamo: • Circolo polmonare o pìccola circolazione, ovvero un circolo che partendo dal ventricolo destro porta il sangue dcosi-;igenato a.i polmoni, nei cni alveoli avviene lo scambio con l'ambiente esterno (l'ossigenaY..ione e la cessione dell'anidride carboni­ ca). Il sn.ngnc ritorna al cuore immettendosi nell'atrio sinistro attraverso la vena polmonare. • Circolo sistemico o grande circolo, che distribuisce }mnp;nC' ossigenato a tutti gli organi e gli apparati per portare ossignno e nutrienti e di·cna.rc m1idride carbonica, H+ e cataboliti dni tessHti periferici. Parte con l'aorta dal ventricolo sinistro e ritorna con la vena cava. nell'atrio destro. I vasi principali possono essere dii;tinti in: 1. Arterie: portano sangue ossigenato a pressione c)levata dal cuore. Sono respon­ sabili delle resistenze nl flusso e
    254

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    @ Artquiz

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    BIOLOGIA

    polmon'tre > partendo dai polmoni, porta sangue ossigenato al cuore a livello ....,._ ·-' 'o sinistro. La vena cava raccoglie tutto il sangue deossigena.to e lo convoglia alPatrio destro del cuore. La vena cava. è divisa in due vasi: la cava superiore, che drena il sangue dagli arti superiori > collo e testa> e la cava inferiore che drena il sangue dal torace> addome > pelvi e arti inferiori. Sulla cava superiore confluiscono, direttamente o indirettamente > la vena succlavia e la vena gingnlare che insieme formano la vena anonima. Sulla cava inferiore confluiscono > direttamente o indirettamente > la vena iliaca> la vena femorale > la vena safena.

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    3. Capillari: tra il versante arterioso e quello venoso esiste una rete di vasi costituiti da un singolo strato di cellule > detta rete capillare. Questo è il punto in cui avvengono gli Bcambi di ossigeno e nutrienti (dal sangue alle cellule) e prodotti del metabolismo cellnlare (C0 2 e cataboliti > dalle cellule al sangne) frn distretto vru;colare e distretto tissutale. I capillari sono preceduti e seguiti > rispettivamen­ te > dalle arteriole e dalle vennle 1 vosi dallo spes..<,ore molto pic�olo (0 > 2 mm). Nel punto di origine dei capillari > dalla. parte delle arteriole > è presente nn anello di fibre muscolari lisce > chiamato sfintere precapillare, che ha la funzione di chiu­ dere il capillare e quindi di impedire il passaggio del sangue attraverso la rete capillare. In qur$tO caso il passaggio del sangue dal sistema arterioso al sistema venoso è garantito dalla metarteriola che è collegata direttamente alla venula postcapillare. La pressione esercitn.tn. dalla pompa cnore durante la sistole è intorno n 120-130 1nmHg> corrispondente alla depolarizzazione dei ventricoli (complesso QRS deWelet­ trocardiogramma). Essa varia dnrm1te il tragitto attraverso le arterie e subisce la caduta più elevata quando il sangue po8Sa per le arteriole e per i capillari. In caso di ipertensione il valore della pressione sistolica può sa.lire anche fino a 180 mmHg. Il valore della pressione diastolica è normalmente intorno a 80 mmHg e può salire fino a 110 mmHg> in caso di ipertensione. I capillari > che hanno un diametro compreso tra 5 e 30 µm, sono costituiti da nn solo strato di cellule endoteliali che poggiano su una membrana basale. Questa struttura permette il continuo passaggio > in entrambe le direzioni > di gas > nutrienti e cataboliti. Poiché il lnme dei capillari è molto piccolo essi risultano il maggior osta­ colo al flusso sanguigno: nei capillari pit\ sottili i globuli rossi possono passa.re solo uno alla volta . Le arterie e le vene sono costrnite con tre strati tissntali: il piì1 esterno è tessuto connettivo > \ >intermedio è tessuto musc;olare liscio e Pinterno è tessuto endoteliale. Le arterie hanno una struttura piìt robusta perché debbono sopportare una pressione più alta. Le vene > inoltre> hanno all'interno delle valvole n. nido cli rondine (Fig. 1.16) per impedire che il sangue rifluisca per effc�tto della. forza di gravità. Quando queste val­ vole non funzionano si hanno le vene varicose, un rigonfiamento delle vene > presenti specialmente negli arti inferiori. Le valvole che si trovano nel cuore e nelle vene sono delle appendici di tessuto fibroso con forma che può essere a nido di. rondine o a quarto di luna > che si chiudono e si aprono sulla ba.se della pre8sione generata clal fhrnso sanguigno. Il dotto di Botallo viene usato clma.nte la vita intrauterina per collegare Pa.rteria polmonare del feto con l > aorta e dirottarvi tutto il sangue. Questo perché nel feto i polmoni non hanno nesimna funzione e gli i-;cambi avvengono a livello di placenta. 255

    @ Artquiz

    Cap itolo I Istologia, anatomia e fisiologia

    I capillari sono permeabili all'acqua che può quindi uscire da essi per andare verso il liquido interstiziale o viceversa. Questo flusso dipende dalla differenza della pres­ sione idrostatica tra l'interno e l'esterno del capillare e dalla differen�a di pressione osmotica tra l'interno e l'esterno del capillare (pressione oncotica). Sul versante ar­ terioso la pressione idrostatica è superiore alla pressione oncotica e l'acqua esce ma sul versante venoso avviene il contrario (per la forte caduta di pressione attraverso i capillari) e l'acqua rientra. L'equazione di Starling descrive questo flusso. La vasodilata'.idone e la vasocostrizione è l'aumento e la diminuizione, rispettiva­ mente, del diametro dal vaso sanguigno a causa della contrazione o dilatazione della tunica muscolare (lo strato intermedio) presente sia nelle arterie che nelle vene. I processi di dilatazione e restrizione (che variano l'entità del flusso sanguigno e del­ la pressione) sono provocati da vari agenti, tra cui anche la temperatura. La bassa temperatura è un vasocostritt ore perché così diminuisce il flusso di sangue sulla su­ perficie corporea e quindi riduce la dispersione di calme che tale flusso provoca (non dimenticarsi che normalmente la temperatura del saugue è superiore a quella ester­ na). Quando la temperatura del corpo è elevata: la vasodilatazione favorisce il flusso sanguigno nel derma e quindi la dispersione di calore all'esterno .

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    Capillari

    Figura 1.16: A sinistro, sezione illustronte la parete di un'arteria. A differenza delle vene, le arterie hanno una parete più ricca di cellule muscolari lisce e tessuto connettivo elastico. Al centro, la strutturo di una vena. Le valvole a nido di rondine che caratterizzano questi vasi permettono di donare al flusso ematico una direzionalità centripeta (verso il cuore}. A destra, la rete capillare che connette il versante arterioso a quello venoso del circolo sanguigno. In questo distretto avvengono gli scambi gassosi e di nutrienti fra tessuti e sangue. !

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    1.4.3 Sistema linfatico

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    Il sistema linfatico è una parte specializzata del sistema circolatorio. È costituito dalla linfa che circola in un sistema di vasi linfatici simili alle vene, cou valvole a nido di rondine. Il contenuto dei vasi linfatici viene alla fine riversato nel sangue attraverso la vena cava superiore. La comprnfrtione chimica della linfa varia a seconda dei tessuti che attraversa perché essa raccoglie i composti dal liquido interstiziale che non viene riassorbito dai capillari venosi. In genere la linfa è ricca di sostanze grasse, specie quella che si forma durante la digestione. Nella linfa sono presenti anche i linfociti. La funzione della linfa è quella di n,antcncrc l'ambiente idrico e di drenare i liquidi in eccei:;so nei tesRuti. Ha anche fum:ione di sorveglianza immunologica e di produzione e circolaiione di linfociti. 256

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    BIOLOGIA

    @ Artqui'l.

    1.4.4 Il sangue, le cellule del sangue e la circolazione sanguigna 11 sangue è nn tessuto composto da una fase liquida (plasma) e una cellulare. Il plasma è 1111 liquido ricco cli proteine le cui funzioni sono quelle cli arrestare le emorragie (proteine della cascata coagulativa), contrastare le infezioni (proteine del complemento e immunoglobuline o anticorpi), veicolare ormoni e nutrienti (albumina e lipoproteine). ln una persona 1\0rmalc il volume di sangue è compreso t.ra 4 e 6 litri. Il sangue ront.knc la maggior parte dell'anidride carbonica trasportata sotto forma cli ione bi­ cnrbonat.o, il quale contribuisce anche a tamponare il valore del pH sanguigno intorno al valore 7,4. Anche gli ioni fosfato e le proteine (specialmente Pemoglobina contenuta negli eritrociti) coutribniscono notevolmente n.lla funzione tampone'. Nel tmngne ven­ gono miche trasportate le scorie del metabolismo proteico, specialmente sotto forma di nrea. Poiché queste scorie contengono azoto, la loro misura è espressa. sotto forma cli azotemia. La circoln:1.ionc sanguigna nei mammiferi è do ppia e co mple�a, nel scuso che il sangue venoso e quello arterioso non sì incontrano mai. 11 cuore è una pompa aspiran­ te (rid1imna il sangue venoso e lo manda ai polmoni a.tt.raverHo Pnrteria polmonare) e premente (spinge il im.ngue arterioso in rete attraverso l'norta). 11 ciclo cardiaco ò costituito da due f11-<,i. La. sistole ò la fase prementu, dovuta alla contra.7.ionr.: che spinge il Hnnguc venoso ai polmoni, attravHrso il ventrkolo destro, e il sa.ugne arterio�o a.i tessuti, attraverso il ventricolo sinistro.· Dura circa OA secondi. La diastole è nna fase cli rilassamento, durante la quale si riempiono tutte e quattro le cn.vità. Anche essa clma. circa. 0.4 secondi. Si definisce gittata cardiaca la quant.ità cli sangue pompata in nu minuto: es�m., in condizioni di riposo è di circa 5 litri/min. Essn. può aumentare fino a quattro volte in condi1.ioni cli attività pesante. CIRCOLAZIONE POLMONARE (Picco In Circolnzioue) Il imngue (venoso) 1>overo (ii 02 è ricco di CO2 vn a scambiare i gns 11ei Polmoni

    CIRCOLAZIONE SISTEMICA (Grnudo Circolazione) Il sangue (nrterioi;o) povern di CO2 è ricco di 02 va n scambiare i gru; nei Tessuti

    Funzione: Ossigorinr.ione dol sa11g110

    Funzione: Distribm-.io110 or;sigc110/n11tric11ti Allontauameuto dei Cataboliti

    PERCORSO

    PERCORSO

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    Figura 1.17: A sinistra, il percors o del sangue venoso, a destra quello arterioso. 257

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    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fo,iologia

    @ Artquiz

    Le cellule del sangue vengono prodotte ( emopoiesi) nel mìdollo osseo rosso (contenuto nella spongiosa delle ossa) a partire da cellule staminali, progenitori e precursori emopoietici. Tra di esse ricordiamo:

    • Gli eritrociti o emazie o globuli rossi: sono piccoli elementi cellulari, privi di nucleo (solo net mammiferi), ricchi in emoglobina e deputati al trasporto dell'ossi­ geno. Essi sono gli clementi presenti in numero maggiore nel sangue ( 4-5 milioni per 1111113 ). Hanno mm vitn media di 120 giorni e vengono distrutti uel fegato e nelln milza. Gli eritrociti possono e::;::iere cuu::ii
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    • Le piastrine: sono fr mmneuti cdlnln.ri (
    • I leucociti o gl obuli bianchi sono cellule nucleate deputate alla difesa immuni� tnrin., cioè al riconoscimento e all'elimiml.zione di agenti infettivi o alla rimozione di cellule alterate ( es. ccllnlc tumorali) o morte. Esse, pertanto, fanno parte del sistema immunitario. Sono pre.,;cnti ud sangue umano nella misura di 5.000-10.000 per mm:i. 1ì·a cli esse ricordiamo, perché presenti in quantità significativa:

    a) i monociti: cellule dotate di notevole capacità cli ingolfare e digerire (proprietà dette'- fagocitosi) sostanze poteni;iahncnte danno:-ie (es. agenti infettivi); b) i granulociti: cellule capaci di produrre e liberare 11otevoli quantità di sostanze antimicrobiche e di enzimi litici. I granulociti Hi dividono iu neutrofili in quanto non capnci di essere colorati sul vetrino da eosina (un colorante acido) o da ematosi;ilina (un colorante basico); co,c;inofili se sono colornti da cosina (e quindi contengono strutture a carnttere basico); basofili se sono colorati da cmatossilina (e quindi contengono sti-utturc a carattere ncido). e) i linfociti: cellule capaci

  • La centrifnga1.ione a basso numero di giri

  • 258

    © Artquiz

    BIOLOGIA

    generato dalla presenza in circolo
    1.4.5 Emoglobina e mioglobina L'emoglobina (Hb) è la. proteina contenuta ad elevnta concentrazione (34% in peso) nll'interno , di una parte dell'a­ nidride carbonica e

  • 259

    @ Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia. e fisiologia

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    Figura 1. 18: Le globine: a) mioglobina (i dlindri rappresentano i segmenti ad a- elica),· b) curve di saturazione di mioglobina ed emoglobina (P.c;o = pressione di o.c;sigeno acni conisponde la metà della saturazione).

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    successive molecole di 02 ai rimanenti gruppi eme. Per tale ragione l'associazione tra 02 e Hh è definita cooperativa e l'Hb è clc1finita mm proteina allosterica, cioè che modifica le proprietà l'ltruttnrali e quiudi fttn1,iouali in seguito a.I legame di un ligando (che, in questo cai,;o, coincide con il substrato). Tale comportamento è alla base della ,, capacità della Hb cli saturarsi al 96% nel sangue arterioso, cioè di "ca.Ticar�i di 02 nei polmoni dove la pO2 è elevata (100 mm Hg - 13,3 kPa) e di ridurre la sua saturazione. al 64% nel sangue venoso, dove la pO2 è di 30 mm Hg (circa 4 kPa), cedendolo ai tessuti. Oltre a trasportare 02, l'Hb tra,�portn dai tessuti verso i polmoni due prodot­ ti del metabolismo cellulare, e cioè H + e CO2. Le molecole di CO2 rilasciate nel sangue venoso (e prodotte dalla rcsph·azione ceU11lare) vengono immediatamente trn­ sformate in bicarbonato dall'anidra.si carbonica pr<:..>seute negli eritt·ociti, con ulteriore liberazione di H+ , e si legano alle estremità ammino-terminali di ciascuna catena del­ l'Hb. A sua volta la maggior E:oncentrazione di H + influenza negativamente il legame dell'O2 alPHb favorendone quindi il rilascio ai tessuti. Tali effetti sono evidenziati dallo spostamento della curva di saturazione della Hb verso destra al diminuire del pH e vengono definiti, nel loro complesso, effetto Bohr, dal nome dello scienziato che li ha descritti per primo nel 1904. Va.ffinità delrl-Ib per 02 viene marcatamen­ te diminuita anche da un altro ligando, il 2,3-bifosfoglicerato (BPG), prq:dotto dagli eritrociti in condi1.ioni di bassa pO2, così da favorire il rilru:icio di 02 verso i tessuti. Tale regolazione ha una funzione essenziale nello sviluppo fetale. Infatti l'Hb fetale (HbF), che differisce dan>HbA per contenere catene di ,-globina al posto delle cate­ ne di /j-globina, ha tm 1 affinità particolarmente ba.ssa per il BPG e quiudi mantiene un 1 affinità molto elevata per 02, che è in grado di sottrarre all'HbA della madre. In condizioni patologiche, anche il monossido di carbonio (CO) si lega alPemoglo­ bina con un 1affinità tale da soppiantare il legame con PO2 e rende questo gas (prodotto dall'ossidazione parziale di composti contenenti carbonio, come, per esempio, utiliz-. zando stufe e caminetti in un ambiente povero di ossigeno) un pericoloso veleno. 260

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    7

    © Arlquiz

    BIOLOGIA

    Sono sta.te identificate quasi 900 forme mutantì di Hb umana, il 90% del­ le quali contiene singole sostituzioni amminoacidiche. Sebbene non tutte le va:rianti producano sintomi clinici, alcune sono causa di malattie invalidanti. Esempi sono: ·• Panemia emolitica, in cui le mutazioni destabilizzano la struttura terziaria, ridu­ cendo Paffinità per P02 e il grado di cooperatività, e portano a lisi gli eritrociti; '

    • la policitemia, in cui si ha un aumento del numero di globuli rossi per compensare le mutaz.ioni delPHb, che è più affine per P02 e non è in grado di rilasciarlo ai tessuti; • Panemia falciforme, in cui le catene /3 delPHb contengono in posizione 6 una val al posto di 1111 gin. Tale sostituzione porta PHb priva di 02 (deossiHb), definita S, a formare lunghi polimeri insolubili alPinterno degli eritrociti che assumono una for­ ma a falce. Il pericolo della fo]ci7,,mzione, che può portare ad ischemia nei tessuti e ad emolisi, è massimo quando gli eritrociti passano attraverso i capillari, rilasciando 02. Le fibre di
    1.4.6 Milza La mìlza è un organo che si trova nelPaddomc nella parte intraperitoneale e che 8volge importanti funzioni sia nel metabolismo dei globuli rossi che nel sistema immunitario. Nel metabolismo dei globuli rossi, la mil?.a è deputata, gra,r,ie alla presen7,a di una ricca popola,r,ione di cellule mnnocitarie specializzate alla fagocitosi, alla rimozione e distruzione dei globuli rossi senescenti. Essa metaboliz7,a l 1emoglobina presente negli 261

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    eritrociti e degrada l'eme a bilirubina che è poi veicolata I\[ fegato dove verrà <-$creta con [a bile. La milza costituisce inoltre una riserva di sangue che viene introdotto in circolo in caso di necessità. Nel sistema immunitario, la milza gioca un ruolo di pdmo piano anche nelPim­ munità acquisita, essendo importante tanto per Pimmunità umorale (produzione di anticorpi), che per quella cellulo-mediata. Prima della nascita la milza è anche un sito di emopoiesi. Dopo la nascita [a sua funzione emopoietica è sostituita da q1tella del midollo (salvo ria.cquisirla in alcune condizioni patologiche emopoietiche).

    1.4. 7 Patologie cardiovascolari

    1



    @ Artquiz

    Le malattie cardiovascolari costituiscono, nel loro insieme, la principale causa di morte nel mondo occidentale. Diversi fattori di rischio ambientali incidono su una predisposizione genetica, dando origine alle principali condizioni patologiche predisponenti a futuri accidenti cardiovascolari acuti o cronici che conducono infine il pa¼iente a morte o a insufficienza d'organo. I principali fattori di rischio sono rappresentati da fumo di sigaretta, dieta erra­ ta (in particolare: introito eccessivo di calorie, grassi animali, sa.le, scarso introito di frutta, verdura e fibre alimentari), sedentarietà e sesso maschile (almeno fino alla menopausa). La somma dei fattori di rischio ambientali e dei fattori genetici predisponenti può determinare l'insorgenza di a[cnn� condb�ioni patologiche fortemente associate a futuri accidenti cardiovascolari debilitanti. Fra queste ricordiamo:

    • Diabete: è caratteri'tzato da una elevata concentra:t,ione di glucosio ne[ sangue (valori di glicemia elevati, superiori a 110 mg/dl a digiuno). Sebbene circa il 10% dei pazienti diabetici sia affetta da diabete giovanile (dovuto alla distruzione delle insule pancreatiche da parte del sistema immunitario), la maggior parte dei pazienti affetti da questa patologca del metabolismo (circa il 90%) lo diviene a causa della resistenza dei tessuti periferici all'a:tione dell'ormone ipoglicemizzante insulina che si asi=:ocia frequentemente ad obesità. Il diabete si associa ad aterosclerosi e ad aumento della mortalità secondaria a patologie cardiova.scolari.

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    • Ipertensione: così si definisce una condizione patologica caratterizzata da un per­ sistente innalzamento della pressione arteriosa (tanto sistolica quanto diastolica) sopra ai valori di norma (120 -sistolica-/80 -diastolica- mmHg, valori misurabili con lo sfigmomanometro). Tsle stato patologico si associa li.cl un aumento persistente del lavoro cardiaco che ne determina una progres�ivo aumento di massa (ipertrofia) fino alla perdita della sua capacità di compenso e di funzione (scompensq cardiaco). L'ipertensione si associa anche ad alterazioni patologiche di altri distrct�f (principal­ mente l'encefalo e il rene). L'ipertensione si combatte con i farmaci beta-bloccanti che riducono sia il battito cardiaco che la pressione all'interno dei va�i. • Aterosclerosi: è un'alterazione progrcs.'iiva della struttura delle pareti delle artt'­ de caratteriz·;,ato. da deposito di lipidi (in particolare colesterolo), infiltrazione della parete dell'arteria da parte di cellule infiammatorie, iRpessimento della parete del­ l'arteria con conseguente riduzione del suo calibro e indebolimento della parete del­ l'arteria. L'ipercolesterolemia (ovvero nn livello eccessivamente alto di colesterolo nel sangue, specie quello contenuto nelle LDL, si associa ad atcros?le(osi).

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    BIOLOGIA

    n·a i principali accidenti cardiovascolari acuti e cronici, ricordiamo: • Trombosi. Si parla di trombosi quando, in segui1;o alla somma di diverse con­ cause (es. danno all 1endotelio, circola7.fone turbolenta e stati che determinano un . aumento della coagulabilità del sangue), si attiva la cascata coagulativa e si forma un coagulo all 1interno di un vaso. Il risultato di questa evenienza è quello di ridurre drammaticamente il flusso sanguigno attraverso il vaso colpi�o. Nel caso in cui ciò avvenga in un arteria che porta sangue ai distretti periferici, esso potrà determina re una gangrena (necrosi massiva di una considerevole quantità di tessuti), nel caso in cui venga ostruita Punica arteria che porta sangue ad un organo (o a parte di esso) si avrà un infarto. 1ì·a gli infarti più pericolosi ricordiamo l 1 infarto acuto del miocardio (cuore) che può determinare morte acuta del paziente o debilitamento cronico della funzione cardiaca e gli infarti cerebrali (ictus o stroke). Per la sua fon­ zione antiaggregante del sangue le trombosi e le trombo-embolie vengono prevenute dall 1acido acetilsalicilico (a8pirina). • Trombo-embolie. Si definisce tromboembolia una condizio1te per ctù parte di materiale trombotico si distacca da un coagulo e si incunea in un distretto vascolare periferico. Tipica., ad esempio, è la forma7,ione cli un trombo nelle vene principali degli arti inferiori (ad esempio in pa7,ienti alletta.ti dopo intervento chirurgico), il distacco e il successivo incuneamcnto di parte di cHso nelle arterie polmonari ( tromboembolia polmonare, ad esempio la prima volta che tali pazienti si a.Izano in piedi e vanno in bagnn dopo Ph1t1-Jrvento chirurgico). • Aneurismi. Uatcrosclerosi può esitare in 1111 progressivo sfiancamento delle pareti delle arterie colpite e in una loro clilata7,ione patologica. Tale condizione prende il nome di aneurisma. Le pareti delle ,trtcric colpite da aneurismi sono più deboli e possono fissurarsi e sanguinare copiosamente. Nel cru;o in cui sia colpita Paorta ciò può portare a morte il pa'lrientc in pochi minuti. • Patologia ischemica cronica. Un difetto cronico nella perfusione di un organo periferico può portare alla progressiva perdita di funzione deWorgano (insufficienza) a seguito di un apporto inadeguato di sangue rispetto alle richieste metaboliche di quelPorgano (ischemia). In alcuni pazienti lo scompenso deWorgano può essere talmente grave da necessitare la sostituzione dello stesso (es. trapianto cardiaco in pazienti con scompenso cronico intrattabile).

    1.5 Apparato respiratorio Uapparato respiratorio è integTato con Papparato cardiocircolatorio. Esso è co­ stituito dalla gabbia toracica, costituita da 12 paia di coste, 12 vertebre e sterno, dai muscoli respiratori, dalle vie aeree e dai volmoni. Le vie aeree sono costituite da naso e cavità orale, faringe, laringe, trac;hea e bronchi. Le fun7,io11i deWappa.rato respiratorio sono di riscaldare e umidificare Paria, fil­ trare gli elementi particolati presenti nelParia, favorire Piugresso di gas dalPambiente esterno cd eliminare gas prodotti dalPorganismo neWambiente. Permette inoltre gli scambi gassosi fra aria alveolare e sangue. Vapparato respiratorio permette inoltre altre due funzioni: Polfatto (Biologia, § 1.6) e la fonazione (che è il processo di vi­ brazione delle corde vocali a seguito del passaggio di aria spinta dai polmoni e dal diaframma). 263

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

    © Artquiz

    1.5,1 Muscoli respiratori e respirazione



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    La respirazione è costituita da due fasi: inspirazione ed espirazione. La prima av­ viene per la contrazione dei muscoli intercostali e del diaframma, che è un muscolo a forma di cupola con la convessità rivolta verso Palto che si trova tra il torace e Paddo­ me. I muscoli intercostali innalzano le coste, aumentando il diametro antero-posteriore della cassa toracica, mentre il second<;> si abbassa e si appiattisce aumentando Paltezza verticale della stessa. A questa azione corrisponde un aumento del volume polmonare. Vespirazione, che è nn processo passivo, avviene per il rilassamento di questi muscoli a cui corrisponde una diminuzione del volume polmonare. Vazione di questi muscoli ricorda quella di un mantice e in analogia a questo il risultato netto della loro azione è quello di favorire Pingresso (durante Pinspirazione) e Puscita (durante Pespirazione) del aria nelle vie aeree. Gli scambi gassosi avvengono a livello delt > alveolo p olmonare, dove il sangue , viene a contatto con l aria imipirata. Lo scambio constste nelPingresso di ossigeno , , dall'alveolo al sangue e dcll anidride carbonica dal sangue all alveolo. Il tutto è re­ golato dalla diffusione che avviene per effetto della differenza di concentrazione dei , due gas nel sangue e nell alveolo. La diffusione regola anche il passaggio dei due ga.<1 dalle cellule al plasmn e viceversa. La frequenza respiratoria è il numero di atti respiratori compiuti al minuto. Essa è legata alla frcquen'l-a cardiaca. In condi'lioni di riposo essa è di 12-18 atti al minuto. In condizioni di stress, poiché serve pitt ossigeno, l�t frequenza respiratoria aumenta.. Si chiama apnea la condizione di assenza di atti respiratori. La dispnea, invece, è la condizione di avere bi�ogno di aria (mancanza di respiro). La dispnea è spesso dovuta u è troppa anidride carbonica nel sangue che deve essere espulsa con Panmento della frequenza respiratoria. Quando la pressione parziale dell'ossigeno nel sangue diminuisce o la pressione par'l-iale dell'anidride car­ bonica aumenta., la frequen'la. respiratoria aumenta. Questo si nota quando si sale in alta montagna: la pressione parziale delPossigeno dell'aria diminuisce, quindi meno ossigeno viene preso dal sangue negli alveoli e quindi cala la pressione parziale delPos­ sigeno nel sangue, con conseguente aumento della frequenza respiratoria. Di converso respira.udo con la testa chiusa in un sacchetto si ha un aumento della fr�quenza re­ spiratoria sia perché diminuisce progressivamente il contenuto di ossigeno dell'aria inspirata sia perché aumenta progressivamente il contenuto di anidride ca:'�bonica. La frequenza respit'atoria dipende anche dalla temperatura, dallo stato emotivo e dalla presenza di particelle irritanti nelle vie respiratorie.

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    1.5.2 Vie aeree Le vie aeree sono strutture cave comunicanti con l'esterno che permettono di convo­ gliare Paria verso i polmoni. Questa loro funzione è critica tanto che strutture ossee e cartilaginee impediscono loro di collassare.

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    BIOLOGIA

    Le vie aeree vengono distinte in s11,periori e inferi.ori.. Le vie aeree superiori sono il naso e la cavità orahi } i seui parc1nasali e la nasofa­ ringe (o rinofaringe). Sono par7,ialmente condivise con Papparato digerente e hanno funzione di umidificare e riscaldare Paria e di arrestare i materiali particolati mediante ·vibrisse e muco. Le vie aeree inferiori sono la laringe} la trachea e i bronchi. Nella loro parete tro­ viamo una componente cartilaginea che permette di mantenerle aperte } permettendo il libero flm,so clell }aria inspirata ed espirata. La successione degli organi incontrata dalParia inspirata. nelle vie aeree è la. seg11e11te: faringe } laringe (epiglottide } che è un } appendice cartilaginea che serve a chiudere la laringe durante la deglutiiione } altrimenti il bolo entrerebbe nelle vie aeree) } trachea e bronchi. La lru:inge è anche Porgano della fonazione in quanto contiene le conle vocali } che sono strutture tendinee che vibrano per il passaggio cle!Paria.

    1.5.3 Polmoni La tntchea si divide in due bronchi principali (destrn e Hinistro) } i quali si nunificano} entrando nei polmoni } in tronchì Hempm più 1>iccoli: bronchi lobari (che vanno ad aerare i diversi lobi pohno1rn,ri) } segmentàli (che andranno a ventilare i diversi seg­ menti polmonari)} lobulari e infine bronchioli intralobulnri e bronchioli terminali che si suddividono ulteriormente in bronchioli respiratori. Questi ultimi sono deputati alla ventilazione

  • @ Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

    Superiore . Osso fron lale Meah nasali{ Medio . . olfallivo Inferiore � Ep1leho . . " .-�.,,.. Superio r c onche . Media J n asali -� Inferiore -

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    (a) Vie aeree superiori, in alto e vie aurcu inferiori, in basso.

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    Figura. 1.19: Apparato re.c;piratorio.

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    BIOLOGIA

    1.6 Sistema olfattivo Con questo sistema si percepiscono la qualità e la concentrazione di alcune molecole (chiamate odoranti) presenti nell'aria che si respira. Uepitelio olfattivo è costituito '
    1. 7 Apparato digerente L'apparato digerente è costituito dalla cavità orale, faringe, esofago, stomaco 1 duo­ deno, intestino tenue ( digiuno e ileo), intestino crasso, sigma, refto e ano. Ad esso si associano una serie di ghiandole esocrine (ovvero ghiandole che riversano il loro con­ tenuto in cavità comunicanti con l'esterno), come le ghiandole salivari, le ghiandole gm:itriche, il pancreas e il fegato. Le funzioni dell'apparato digerentH Hòno di introdurre il cibo, digerire e assorbire i principi nutritivi in esso contenuti e di <�liminare gli elementi indigeriti sotto forma di feci.

    1.7.1 Cavità orale

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    Nella bocca avviene la prima digestione del cibo, sia per l'azione meccanica di tritura7,ione operata dai denti mediante la masticazione che per opera degli enz_imi contenuti nella saliva (il secreto delle ghiandole salivari sottolinguali, sottomandibolari e pa­ rotidi). Il principale enzima digestivo contenuto nella saliva è la ptialina o amilas i salivare che iniiia In digestione degli amidi in 'l,Ucchel'i più semplici. La masticazione produce il bolo. Per operare la masticazione sono necessari i denti, che possono essere diversi nei vari animali a seconda dell 'alimentaz.ione. La dentatura dell'uomo è costituita da 32 denti, cli cui 12 molari, 8 premolari, 4 canini e 8 incisivi. Nei primi anni di vita la dentat�ra è quella lattea, costituita da 20 denti. Essi sono denti decidui, cioè destinati a cadere a circa sei anni di età. I denti hanno una parte esterna, visibile, chiamata corona. Essa è formata da den­ tina che, a sua volta, è ricoperta di smalto, prodotto da un organo chiamato abbozzo dentario. Lo smalto è un tessuto altamente mineralizzato. La radice è la parte del dente inserita nell'osso: è fatta anch'essa di dentina che però è ricoperta di cemento. La dentina del dente contiene una cavità dove si trova la polpa del dente, che accoglie cellule, vasi sanguigni e nervi. La dentina è un tes.�uto calcificato composto per la maggior parte di cristalli di idrossiapatite. La giunzione tra corona e radice viene chiamata c:olletto.

    1. 7.2 Faringe La faringe è una 7.ona condivisa fra apparato digerente e apparato respiratorio. Essa riceve il bolo alimentare dalla bocca e lo dirige verso l'esofago con 1st deglutizione. 267

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    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    Figura 1.20: Apparato digerente e strutt.ura del dente. Durante quei:;ta fase, la faringe si innal'l-a, mentre l'epiglottide occlude l'ingresso della trachea, evitando che il bolo vada ad ostruire le vie aeree.

    1.7.3 Esofago L'esofago è la prosecuzione verso il bru;so della faringe e collega quest'ultima allo sto­ maco, attraversando il diaframma. Esso è un tubo cavo, localizzato posteriormente alla trachea, che permette di �oi-pingere il bolo alimentare mediante la contrazione e il rilasciamento coordinato della, sun muscol1J.tura. Quest'onda coordinata,.di contra­ zioni muscolari prende il nome di perù;talc,;i e sospingerà il cibo lungo tut.�o il tratto gastroenterico.

    1.7.4 Stomaco

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    Lo stomaco è nu organo ca.vo connesso all'esofago (superiormente) e al duodeno (inferiormente). Si trova nella cavità addominale, nella porzione superiore sinistra dell'addome. La connessione tra l'esofago e lo stomaco avviene attraverso il cardias, mentre la connessione con il duodeno avviene cou una valvola chiamata sfintere pi­ lorico, che si trova nella parte inferiore dello stomaco chiamato piloro. Lo sfintere

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    BIOLOGIA

    pilorico è nn anello di muscolatura liscia che, quando è contratto, impedisce al conte­ nuto dello stomaco di passare nel duodeno. Nella parete dello stomaco sono contenute diverse ghiandole deputate alla secrezione di HCl ed enzimi digestivi (pepsina in pri­ mis) che servono a degradare le proteine in polipeptidi. Attraverso lo stomaco inizia · anche l'assorbimento di alcune molecole, quali alcol, acqua, ioni, molecole liposolu bili e caffeina. Lo strato di muco e la ricca vascolarb:zazione dello stomaco impediscono che il contenuto gastrico danneggi l'epitelio della mucosa che lo riveste. Nel caso in cui ciò avvenga, si possono sviluppare lesioni la cui gravità varia dall'erosione dell'epitelio all'ulcera (perdita di sostanza della parete). La peristalsi dello stomaco permette il rimescolamento del suo contenuto (chimo) e la progressione, attraverso lo sfintere pilorico rilassato, verso il duodeno. Il reflusso gastroesofageo, cioè la risalita del contenuto acido dello stomaco nell'e­ sofago, è impedito da un tratto dell'esofago, lungo circa due centimetri, che funziona come uno sfintere (sfintere esofageo), pur non avendone le caratteristiche tissutali. Nota bene che in alcuni quiz ministeriali questa fumdone viene assegnata erroneamente al cardias, che non è una valvola.

    1. 7.5 Intestino tenue L'intestino tenue è il primo tratto cli intestino ed è quello in cui il chimo si tra­ sforma in chilo. L'intestino t,e1me è un organo cavo tubulare che iuh:ia dal piloro e termina con la valvola ileo-cecalc, collegando lo stomaco con l'intestino crasso. La sua lunghezza compkssiva è in media cli 6-8 metri. Esi,;o
    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    costituite da ispessimenti della sottomucosa, la cui fun�ione è quella di aumentare la superficie di nssorbimento. La nmco::;a ha, inoltre, mm superficie vellutata, in quanto si solleva in milioni di propaggini di forma conica o lamellare, dette villi intestinali. Ogni villo è alto da 0,5 a l mm cd è costituito da un asse centrale connettivale, ri­ vestito in superficie dall'epitelio. Nella parte centrale sono presenti un vaso linfatico (vaso chilifero), vasi sanguigni e nervi. I villi, a loro volta, sono costituiti in superficie da un singolo strato di cellule la cui membrana rivolta verso il lume intestinale contiene nn numero elevato di estroflessio­ ni, chiamati microvilli, che aumentano sensibilmente la superficie di assorbimento. Le sostamr.e nutritive contenute nel chilo (zuccheri, aminoacidi, grassi emulsionati) vengono assorbite dall'epitelio elci villi e innnesse in parte nella rete dei capillari epa­ tici e principalmente nel sistema vascolare linfatico, attraverso i vasi chiliferi. Questi ultimi tributa.no a vasi linfatici di dimeusi01l via via crescenti che riversano il loro contenuto, attraverso la C'istcrna del chilo o di Pequet, nel
    1.7.6 Intestino crasso

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    L'intestino crasso è la seconda parte di intestino, lunga circa 2 metri e composta da: cieco, appendice, colon ascendente, colon trasvenm, colon cl�scendonte, sigma e retto. La funzione fondamentale ciel crasso è quella di ru;sorbirc acqua cd elettroliti da qnollo che rimane del chilo, compitttaudo le feci e mantenendole nel retto fino a che non possono O/:iscrc H<.:nr icate dall'ano tramite la defccttnioue. Altra. importante funzione del colon è quclht di assorbire vitamine prodotte clalla flora batterica intestinale (es. Vitamina K, Vitamina B12, Vita.mina. Bl e Vitamina B2). L'appendice vcrmifo1·mc è ricca in tessuto linfoide ecl è coinvolta principalmente nella difesa imumnitaria. Per questa sua attività frequentemente può infiammarsi (appendicite acuta) e può rendersi necessaria. mrn sua a�porta'l.ioue (appendicectomia).

    1. 7. 7 Fegato e cistifellea II fegato è una ghiandola a Hecrczione Hia. endocrina che esocrina. Esso è un organo di grandi dimensioni (il.secondo clopo la cute) e svolge una serie di importanti funzioni: • Metabolismo: immagaz�dna glucosio sotto forma di glicogeno e lo mobilizza da questi depositi in base alle richieste clell'organhnno, l:ivolge un molo irpportaute nella i:;intesi di a.cicli grassi e colesterolo, siutetiz:t.a amminoacidi non cssenziall'e proteine X della plasmatiche (r.s. albumina e fibrinogeno, protrombina, fattori V, VII, coagular.ione), converte l'acido lattico in gh1co1:iio, interviene nel catab'olismo delle proteine, dcamina gli mnminoaci

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    • Digestione: il fegato sintet;i22a la bile, che viene immagm�zinata nella colecisti (eletta anche cistifellea) tra i pasti e rilasciata nel duodeno dopo il pru;to. La bile :1

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    BIOLOGIA

    è un liquido di colore verdastro, basico, prodotto dagli epatociti (le cellule epiteliali che compongono il fegato), costituito da acqua, colesterolo, lecitina, acidi biliari e bilirubina (pigmento biliare). QueBt'nltima deriva dal metabolismo del gruppo eme dell'emoglobina, mentre gli acidi biliari sono derivati del colesterolo che svolgono funzione emulsionante atta a facilitare la digestione dei grassi e l'assorbimento degli stessi e delle vitamine liposolubili (A, D, E e K) ad opera. dell'intestino tenue. • Funzione endocrina: il fegato produce l'ormone Insulin-like Growth Factor-1 (IGF-1) o somatomedina se stimolato dall'ormone della crescita ( Growth Hormone o GH). Entrambi questi oriuoui sono particolarmente importanti nell'accrescimento e un loro difetto o eccesso determinerh nnuismo o gigantismo, rispettivamente.

    1.7.8 Pancreas Il pane1·eas è una ghiandola che svolge, anch'essa, Hia una fu117,ioue endocrina che una funzione esocrina: • Funzione esocrina. Il pancreas produce il succo pancreatico, un liquido incolore, basico, costituito per la maggior parte da acqua, cout.enente diversi en�imi digestivi, quali tripsinogeno, chimotripsinogeuo, da.stasi, lipa8i, n.mila�i, fo:-;folipasi e nucleasi pancreatiche deputati alla digc.-,tionc cli proteine, lipidi e carboidrati complcsHi. La secrezione pancreatica viene regolata.
    b) le cellule /3, costitneutil il 65-80% cl('lla cellularità totale, poste centralmente nelle isole, secernenti insulina;

    c) le ro.re cellule o (3-10% della cellularitù totale), distribuite uniformemente nelle insule, secernenti somatostatina; d) altri tipi cellulari più rari, quali le cellule F secernenti il polipeptide pancreatico (PP) e le cellule e secernenti l'ormone grelina. Di particolare rilievo sono gli ormoni insulina e glucagone che svolgono effetti op­ posti sul metabolismo. In particolare, l'insulina è un ormone anaboli�zaute (aumenta la sintesi cli biomolecole} il cui effetto è quello di riclnrre la glicemia (concentrazione di glucosio nel sangue), attivando il metabolismo cellulare: L'insulina ha anche un ruolo importante nella sintesi proteica e nella sintesi cli acidi grassi. Il glucagone, cli contro viene rilasciato quando i livelli ematici di glucosio scendono sotto la soglia di 80 mg/100 mL e attiva la degradazione delle riserve di glicogeno (soprattutto epatico), favorendo l'innalzamento della glicemin. Un difetto nell'ai',ione dell'insulina dovuto alla distruzione delle insule pancreatiche o conseguente ad una reBisteuza dei tessuti periferici al suo effetto esita in un inadeguato controllo della glicèmia. Tale patologia prende il'nome cli diabete.

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    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    La digestione è il processo meccanico-chimico (quest'ultimo di natura enzimatica) che permette di scindere il cibo in nutrienti assimilabili dall'organismo. Ess;t inizia nella bocca e prosegue lungo tutto il tratto digerente. Quando la digestione è difficile il quadro patologico viene chiamato dispepsia. Di seguito presenteremo in maniera sintetica le sue principali tappe:

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    • Bocca. Questa è la prima tappa ciel processo digestivo. In essa si esercita l'azione meccanica di triturazion e ad opera dei denti cui si associa l'attività della lingua, un muscolo volontario mobile che impasta il cibo durante la masticaiione preparandolo per la deglutizione. Il cibo ingerito e tritnrato viene pertanto mescolato alla saliva, portato a temperatura ottimale per la digestione e in parte demolito chimicamente dalla saliva. Quest'ultima è una solu7.ione contenente: l'amilasi salivare e la ptialina ( enzimi prodotti dalla parotide che iniziano la demoli7.ione dei carboidrati complessi, quali gli amidi, in costituenti più se!Ilplici), la lipa.'>i salivare (enzima che agisce sui trigliccricli, scindendoli in componenti più semplici) e il Usozirnn, (un enzima dotato di attività battericida). Il cibo, impregnato di saliva e impastato, forma il bolo, che viene deglutito attraverso la foringe e sospinto dalle contr�ioui perb,;taltichc dell'esofago per giungere allo :;tomaco.

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    1.7.9 Digestione

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    • Stomaco. Una volta entrato nello stomaco, il bolo viene mantenuto all'interno cli quest'organo grazie alla prese1r,m di una valvola, Io :;fì.nterc esofageo, prevenendo il refhrnso di contem1to gastrico acido ven;o l'esofago. Le ghiandole compre8e nelle pareti dello stomaco secernono un ,<,mcco costituito da acido cloridrico, pepsina (en­ zima digestivo ad a:done proteolitica, ovvero capace di rompere i legami peptidici che legano gli amminoacidi co8tituenti le proteine), chimosina (enzima idrolitico capace di digerire la caseina, una fosfoproteina del latte) e il fattore intrinseco (gli­ coproteina che favorisce l'assorbimento di vitamina B12 e ferro). Le cellule della mucosa gastrica secernono anche del muco che forma una patina protettiva che impediHce ai �nicchi gastrici di ledere la mucosa dello stomaco. Nel suo insieme, quindi, Io stomaco ha la funzione di dissolvere il cibo e digerirlo, ma in genere non di assorbirlo. Nondimeno, alcune sostanze (acqua, alcol, caffeina, alcune vitami­ ne, aspirina e glucosio) possono essere direttamente assorbite nello stomaco senza arrivare nell'intestino. Ciò avviene perché le loro molecole, di piccole dimensio­ ni, passano direttamente nel sangue che scorre nei vasi delle pareti dello stomaco. Quando il cibo esce dallo stomaco (attraverso il piloro), per entrare nell'intestino, è una poltiglia semi-solida lattiginosa e acida (il pH dello stomaco è 1-2), chiama­ ta chimo. II chimo si trasforma in chilo quando passa nell'intestino tenne dove, grazie alla bile prodotta dal fegato, vengono scomposti i grassi. r.}rJ • Intestino. Nell'intestino si completa la digestione chimica e ha luogo l',àssorbimento dei nutrienti contenuti nel cibo. AI fine di massimiz;r,are l'area disponibile per queste funzioni, l'intestino tenue è estremamente lungo ed è altamente ripiegato. • Duodeno. II duodeno è la porzione dell'intero appm·ato digerente in cui avviene la maggior parte della digestione chimica. Quest'ultima è dovuta all'azione combinata del succo enterico, secreto dalle ghiandole presenti nella mucosa del duodeno, del succo pancreatico e della bile. II succo enterico e quello pancreatico contengono diversi enzimi, muco e bicarbonato per tamponare il pH acido del chimo. Gli en­ zim� piìI importanti sono: trip,'>inogeno (che diventerà tripsina), chimotripsino_q_eno 272

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    © Artquiz

    BIOLOGIA .

    (che diventerh chimot.ripsina) ed elastasi (proteasi deputate alla demolizione delle proteine), lipasi e Josfolipasi (deputate alla degrada7.ionc di lipidi), amilasi (depu­ tata alla degradazione di zuccheri complessi) e nucleasi (capaci di degradare acidi nucleici). La digestione dei grn�si è facilitata dalla bìle contenuta nella colecisti e immessa nel duodeno circa 30 minuti dopo il pasto. I sali biliari in essa contenuti fungono da detergenti, avendo una struttura dotata cli un'estremità idrosolubile e una liposolubile ed essendo capaci di disperdere i grassi in goccioline più piccole che restano separate le une dalle altre in solrndone acquosa (funzione emulsio nante). Questo processo aumenta la superficie su cui possono agire g·li enzimi. In conclu­ sione, nell'intei-;tino, per l'azione chimica dei succhi digestivi e per quella meccanica dei movimenti peristaltici, il chimo proveniente clallo stomaco viene trasformato in un liquido latte.-,cente, detto chilo, che contiene in i;olu¼ione molecole piècole che possono attraversare la pinete intestinale. In particolare, i glucidi vengono assorbiti dopo clemoli¼ionc en¼inm.tica. Gli emdmi che intervengono sono: a) enzimi intraluminali: alfa-amilasi (sia salivare che panrJ.·eatica) che clegracln amiclo e glicogeno ad c�-destrine, maltrn.;io e maltotrioso. b) enzimi intracellulari: i clhmccnricli e i t;rhmccaricli vengono scissi cla oligo­ saccarasi localizzate sulla superficie cellulare clegli cntcrociti (cellule epiteliali intestinali). La maltasi scinde i legò.mi clc:l maltosio e del maltotrioso fommndo glucosio; la ,.;accarasi idrolizza il sacca.rosi<> in glucosio e fruttosio; l'Ct'.-destrinasi idroliz¼a le a-destrine in gluern,io e la. lattw;i iclroli%.¼a il lattosio in galattosio e glucosio. In maniera i;imilc, anche le proteine vengono dcgraclatc in pepUcli via via sempre più piccoli nel duodeno e nel digiuno. Di- e t.ri-pcpticli vengono infine degradati nel citoplasma degli enterociti
    1. 7.10 Alimenti L'alimenta¼ione consiste ncll'introclrndouc, con la·
    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

    @ Artquiz

    • fornire abbastanza energia per il sostentamento deIPindividuo {glicidi, lipidi e pro­ teine) per un totale di circa 2.000. kcalorie (1 kcaloria = 4,18 kjonlc); 1 • fornire materiale plastico per l'accrescimento, il rimodellamento e la riparazione dei tessuti (proteine);

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    • fornire elementi essenziali {ovvero che non p ossono essere sintetizzati dall'organi­ smo) regolatori delle reazioni metaboliche.

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    Una corretta alimentazione si basa sull'introduzione degli alimenti secondo la cosiddetta piramide alimentare. I grassi o lipidi sono gli alimenti a piì1 elevato contenuto calorico. Gli inccheri o carboidrati ::;ono quelli a più immediato rilascio del contenuto energetico. Essi sono contenuti nei cercali e nei loro derivati {pane e pasta). Le fibre alimentari, costituite essem�ialmcntc da cellulosa non digeribile, sono contenute nei vegetali e sono essenziali per stimolare la perbta.lsi intestinale.

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    1.7.11 Vitamine

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    Le vitamine Hono sostanie organiche m;snntc con la dieta, indispensabili per il cor­ retto funzionamento del nostro organismo, Esse sono considerate micronutrienti che devono .essere introdotti con la dieta poichc non possono essere sintetiz·.mti dall'or­ ganismo. Possono essere distinte in base alfa. loro ::;olnbilità in liprn,olnbili: A, D, E e K e idrosolubili C, Bl, B2, B5, B6, PP, 1312, B9, H. Frcqmmtementc fungono eia coem�imi, indispensabili per facilitare la catali.<;i delle reru-.ioni chimiche.

    Principali vitamine (o loro sinonimi) e rispettive funzioni:

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    • Vitamina A (retinoicli e carotenoidi). È liposolubile. Funzione: visione e differenziamento cellulare.

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    • Vitamina B1 {tiamina). Funzione: è il coenzima ·delle decarbossilasi dei chctoacidi e delle transchetolasi. Infatti, ha 1111 ruolo importante nella decarbossila'i;ione ossidativa del piruvato e dell'a:-chetoglutara_to nel ciclo di Krebs (importante per la formazione di energia metabolica) e nella reazione transchetolasica nel ciclo dei pentosi fosfato (impor­ tante per la proclniione di NADPH e di ribosio 5-fosfato). La sua carenza provoca una malattia, chiamata bcri-beri, che danneggia. il sistema nervoso.

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    • Vitamina B2 (o vitamina G o riboflavina). Funiione: i metaboliti derivati da questa vitamina sono componenti esb'enziali de­ gli em�imi flavinici, funzionando da gruppi pl'ostetici. Essi intervcngo�o in varie rea·tioni di ossidoriduzione del metabolismo dei carboidrati, proteine e lipidi. • Vitamina B3 (o vitamina PP o niacina o acido nicotinico). Funzione: è una componente fondamentale di due cocn7;imi: la nicotinammide ade­ nina dii-mclcotide (NAD) e la nicotinammide adenina dinuclcoticle fosfato (NADP). Questi ultimi sono coinvolti in molteplici reazioni di ossidoriduzione di vie sia cataboliche che anabolichc. La sna earenza provoca la pellagra. 1 Noi linguaggio co!'reute si pado. di calorie invece di kcalorie.

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    BIOLOGIA

    • Vitamina B5 ( o vitamina W o acido pantotenico). F\mzione: è un componente del Coem:ima A, elemento essenziale per il trasporto di gruppi acili e acetili. • Vitamina B6 (o vitamina Y o piridossina o piridossale). F\mzione: è coinvolta in qualità di coenzima nel metabolismo degli amminoacidi e di altri composti. • Vitamina B8 (o vitamina Ho biotina.). Funzione: la biotina svolge il ruolo di cofattore di diverse carbossilasi ATP-dipen­ denti, favorendo il trasferimento di una molecola

  • 275

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    Capitolo 1 Istologia, a11atomia e fisiologia.

    1.8 Apparato urìnario L'apparato urinarìo è costituito da reni, ureteri, vescica e uretra. Le funzioni dell'apparato urinario consiHtono nella filtrazione del plasma ed elimi­ nazione dei rifiuti metabolici, principalmente dei composti azotati, nella regolazione del volume di acqua nel sangue, della concentrazione di acqua e degli elettroliti nei tessuti corporei. Contribuisce anche al mantenimento dell'equilibrio acido-base. Gli animali eliminano i grnppi amminici non riutilhrzati dall'organismo sotto di-, verse forme chimiche e pertanto vengono classificati in ureotelici, qualora eliminino urea, ammoniotelici, se producono ammoniaca, e uricotelici, se eliminano acido urico. Fonte principalo dell'mmto catabolico sono gli amminoacidi provenienti dalle pro­ teine ingerite che, nei mitocondri, vanno incontro alla deaminazione ossidativa. Lo io­ ne ammonio viene trasportato al fegato sotto forma di glutammina o a.lanina (due am­ minoacidi). Nello stesso fegato, il ciclo dell'urca (nei mammiferi) provvede a convertire lo ione ammonio in questo composto. Arteria renale

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    , F igura 1.21: Apparato urinario umano e sezione del rene.

    1.8.1 Rene I reni sono clnc organi della forma cli un fagiolo localiz�ati nell'addome, subito ai lati della colonna vertebrale. Essi si estendono verticalmente dalla 120. vertebra toracica alla 3n lombare. L'unità fim:lionale del rene è il nefrone (Fig. 1. 22) ( da cui nefrologia, la branca. dellii medicina d1e studia il rene e le sue patologie), costituito da:

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    ovvero • Corpuscoli di Malpighi, compm,ti a loro volta da un glomerulo ren�le, ' un gomitolo di capillari il cui plasma viene ultrafiltrato e una capsula di Bowman, regione attraverso c:ni Hi forma e 8i raccoglie l'ultrafiltrato glomerulare da cui si originerà l'urina (6ltru�icmc). L'ultrafiltrato glomerulare contiene acqua, sali e composti organici a bnsso peso molecolare (come il glucosio e l'urca), Non contiene cellule e non dovrebbe contenere neanche proteine, anche se alcune a basso peso molecolare riescono a pas!·m.rc. • Tubuli renali sono la prm1ecuzionc delle vie urinarie originate dalla capsula 'di Bowman. Essi sono distinti (nell'ordine) in tubulo contorto prossimale, ansa di

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    BIOLOGIA

    Henle, tubulo contorto dh:;tale e dotti collettori. Nel tubulo contorto prossimale si ha il riassorbimento da parte dei capillari sanguigni dell'acqua e dei prodotti utili, come il glucosio, gli aminoacidi, le vitamine, i sali e quelle proteine piu piccole che erano riuscite a passare nel filtrato. Nell'ansa di Hen le si ha un ulteriore riassorbimento di acqua e di ioni sodio e cloruro. Nel tubulo cont orto distale si ha la secrezione da parte dei capillari di sostanze che necessitano di unà rapida eliminazione e che si aggiungono alle sostanze filtrate come i farmaci, ioni ff+ e tossine. 'I\1tto ciò avviene in seguito a stimolazione ormonale ad opera di diversi ormoni, fra cui: l'ormone antidiuretico (ADH), l'aklosterone, e il fattore natriureti.co atriale (ANF). I dotti collettori immettono l'urina (essa si chiama così a partire dal dotto collettore, prima si chiama preU1ina) concentrata nella pelvi o bacinetto renale da cui passa nell'uretere (escrezione). La corretta successione dei processi che avvengono nel rene è quindi: filtra.7,ione, riassorbimento, secrezione ed escrezione. I reni assolvono anche all'importante funzione endocrina di produrre eritropo­ ietina, ovvero l'ormone che regola la prodm�ione cli eritrociti da parte del midollo osseo.

    uttrafìltrato

    ansa di Henle

    filtrato tubulare

    Figura 1.22: Il nefrone.

    1.8.2 Ureteri, vescica e uretra Gli ureteri sono due piccoli condotti che collegano la pelvi renale con la vescica, ove terminano nel meato ureterale. La loro funzione e quella di convogliare l'urina nella vescica, La vescica è un organo muscolare, ca.vo, impari e mediano la cui funzione è quella di immagaz7,inare l'urina e di contenerla fra una minzione (espulsione) e la successiva. Il volume di urina contenuto al suo interno è variabile: generalmente è compreso fra i 200 e i 300 mL, ma può giungere ai 2 L. L'espulsione dell'urina avviene attraverso l'uretra (Fig. 1.21). La continenza vescicale è garantita dalla presenza di un muscolo sfintere esterno (che regola. l'immissione di urina nell'uretra) sottoposto a controllo volontario. Di contro, la minzione è pern1essa grazie ad un riflesso midollare autonomo. L'uretra è un piccolo condotto che unisce il collo della vescica urinaria con l'esterno. Nella femmina essa ha la sola funzione di permettere il passaggio dell'urina. Al contra­ rio, nel maschio serve anche per il passaggio dello sperma poiché in essa si immettono i condotti eiaculatori.

    277

    Capitolo I Istologia, anatomia e fisiologia

    1.9 Apparato riproduttivo (genitale)

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    Fanno parte clcll'apparato genitale maschile: i testicoli (gonadi maschili, cliclimo ed epididimo), i funicoli spermatici, le vescichette S<'!minali, la prostata e il pene. Fanno parte dell'apparato genitale femminile: le ovaie (gonadi femminili), le tube di Falloppio, l'utero, la vagina e i genitali esterni. Le funzioni dell'apparato genitale sono quelle della formazione dei gameti (cellu­ le uovo e spermatozoi, che sono cellule sessuali aploidi, prodotte per meiosi), della fecondazione (fusione dei gameti maflchili, spermatozoi, e femminili, oociti) e dello sviluppo embrio-fetale fino al parto. Gli ermafroditi sono individui in cui sono coesistenti sia. gli organi sessuali maschili che quelli femminili.

    1.9.1 Genitali maschili I genitali maschili sono le gonadi nrnschili, ovvero gli organi deputati alla genera7,ione dei gameti ma�chili, chiamati spermatozoi. La. produ'l,ione cli queste cellule germina.li avviene per tutta la. durata della vita del maschio. Essi producono am.:he gli ormoni sesstmli maschili, chimnati androgeni, tra cui il testosforone. Sono organi pari a forum ovoiclalc, situati all'esterno dell'addome, nello scroto. Quando i testicoli non scendono nello i;croto si parla di cripton:hidùmw. Intermuncnte il testicolo (Fig. 1.23) (! cliviso in diversi scompartimenti, chiama­ ti logge. All'interno di queste trovano alloggiamento dei tubuli a. fondo cieco, detti tubuli seminiferi, in cui avviene la forma.:done e nmtnra:done degli spermato;;oi. Ta.li tubuli sono costituiti da particol'a.ri cellule, ·elette cellule di Sertoli, che hanno fun:donc cli far ma.tura.re gli l-ipermatodti. Vicino ai tulmli :-ieminiferi ci sono numerose cellule, chiamate cellule inters tiziali o cellule di Leydig, che producono il testo­ sterone. I tubuli forma.no una rete da cui originano
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    BIOLOGIA . ____________________________

    dell'uretra e ricopre dnll'ulto le estremità distali dei corpi cavernosi del pene. All'apice del glande si apre il meato uretrale (l'apertura esterna dell'uretra). Il rivestimento cutaneo del pene è lasso e forma mm piega (prepu7,io) che ricopre, nei soggetti non circoncisi, il glande. Con il termine orchite si intende l'infiammazione dei testicoli.

    Retto (sistema digerente) Vescica seminale

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    Vescica (sistema escretore) ·B Osso·pubico f,...,,_ Tessuto erettile del pene Uretra � ,,\ (sisttlma escretore) Vaso deferente E�ididimo Glande : � Testicolo : � Scroto---'""'7�c

    Rete teslis

    Lobuli testicolari .

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    ·-..........Testicolo Figura 1.23: Apparato genitale maschile e sezione longit1.tdinale del testicolo.

    1.9.2 Genitali femminili e gestazione Gli organi genitali femminili sono costituiti dalle gonadi femminili (ovaie), dalle tube di Falloppio, dall'utero, dalla vagina e dai genitali esterni. Le ovaie sono due organi a forma e dimensioni di nna mandorla e si localizzano nella cavità pelvica superiormente e lateralmente all'utero. Esse sono responsabili della produzione delle cellule uovo (oociti) e ·degli ormoni sessuali femminili (estro­ geni e progesterone). Microscopicamente esse sono rivestite di un epitelio che poggia 6opra uno stroma connettivale denso. All'interno cli quest'ultimo sono presenti i fol­ licoli ovariçi, costituiti da oociti in varie faRi cli maturazione e da cellule follicolari di supporto. Quando la maturazione dell'oocita è c'l.vvenuta il follicolo si rompe e lo li­ bera. Questo processo si chiama ovulazione. Subito· dopo l'ovulazione il coTpo luteo

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    Capitolo I Istologia, anatomia e fisiologia

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    produce una grande quantità di progesterone, l'ormone che impedisce una ulteriore ovulazione e crea le condhdoni per dare inizio alla gravidanza, durante la quale con­ tinua ad essere prodotto. Gli oociti maturi discendono lungo strutture tubulari cave, l'ovidotto, chiamate tube di Falloppio. In queste avviene la fecondazione: Se la cellula uovo non viene fecondata, viene eliminata durante la mestruazione, mentre se avvie1�e la fecondazione, il prodotto del concepimento (�igote) discende nell'utero, ove si annida per svilupparsi ad embrione, prima, e feto, poi. La mestru�ione è lo sfaldamento della mucosa uterina ed è un segno di .non avvenuta fecond azione. L'utero è un organo cavo, impari e mediano, della forma di una pera rovesciata le cui spesse pareti sono costituite in maggior parte da muscolatura liscia (miometrio). Esternamente è rivestito dal peritoneo, mentre internamente la cavità è rivestita da mucosa (endometrio), punto in cui avviene l'annidamento dell'embrione. Anato­ micamente possiamo distinguere l'utero in tre parti: corpo, istmo e collo. Il collo dell'utero protrude, verso il basso, nella vagina, il can�le che si apre all'esterno e che accoglie il p<'me nel rapporto sessuale. Lo spermatozoo, per fecondare l'oocita, deve percorrere l'utero e risalire lungo le tube. La vagina ha normalmente un pH acido: a questo fine contribuiscono i lattobacilli con le loro secrc�ioni acide. Il ciclo mestruale femminile dura 28 giorni e l'ovulmdone avviene intorno al 14° giorno. La placenta è nn anneHso embrionale che permette gli scambi metabolici tra la madre e il foto: attraverso essa viene fornito sang11c che contiene ossigeno e sostanze nutrit,ive. Mediante l'amniocentesi è possibile prelevare con un ago una porzione di liquido amniotico che circonda l'embrione per fare analisi prenatali di carattere genetico. Esiste un asse ipotéÙamo-ipofisi che influenza la prodmdone di ormoni da parte delle gonadi che influenzano a loro volta l'utero, per cui la catena di stimolazione è: ipotalamo-ipofisi-ovaio-utero.

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    BIOLOGIA

    1.10 Sistema nervoso Il sistema nervoso è un ) unità morfo-fun;,,iouale contenente una rete di cellule spe­ ciali, chiamate neuroni, capaci di elaborare segnali bioelettrici, coordinare le azioni · clell'organismo e trasmettere segnali fra· le diverse parti dell'organismo. I neuroni sono costituiti da un corpo cellulare (pirenoforo o soma) e da dei prolungamenti (dendriti e assoni). I dendriti portano i segnali al corpo cellulare, in senso cen­ tripeto, mentre gli assoni lo trasmettono in senso centrifugo. Le cellule nervoi:ie si differenziano dalle altre cellule perché incapaci di dividersi. Nei vertebrati possiamo distinguere: il sistema nervoso centrale (SNC), costi-. tuito da encefalo, midollo spinale e retina, e il sistema nervoso pe1·iferico (SNP) costituito da neuroni sensitivi (raccolgono gli stimoli e li trasportano al SNC)., gangli (corpuscoli contenenti la parte centrale dei neuroni fuori dal sistema nervoso centrale) e nervi. I neuroni comunicano tramite onde elettrochimiche (potenziali d,a.zione) che viag­ giano lungo gli assoni e determinano il rilascio cli piccole molec<.>le, dette neurotra­ smettitori, in giun:,,ioni cellulari spccinliz;,,ate dette sinapsi. Tali neurotrasmettitori agiscono su cellule bc�r.�aglfo dotate cli proteine (recettori) capaci di riconoscere seletti­ vamente specifici ncurometliatori, determinando nn'mnpiu, gannna di rispoi;te cellulari che varia dalla mo
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    • neuroni. motori (motoneuroni) o efferenti, cllC' inviano impulsi motori alla periferia. Possono essere distinti in ,.;omatomotori (innervano la mm;coln.tnrn striata volontaria) e visceroejf('.ttori (innervano la muscolatura involontaria per me;,,zo dei neuroni autonomi contenuti nei �angli simpatici o parasimpatici). TI:a la superficie interna ed esterna della membrana cçllulare di un neurone c'è una differenza di potenziale con la parte interna u(-)gativit rispetto all'esterno (-70 mV). QueHt;a differenza è dovuta a.lle diverse concentra:1.ioui cli ioni sodio e potassio, creata dalle pompe trasportatrici e dalla diven;a permeabilità della membrnua ai due ioni. Quando lo 8timolo nervoso è imffidentemente forte da
    Capitolo 1 ]stologia, anatomia e fisiologia

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    © Artquiz

    un'eccitazione e un'altra e questo stato corrisponde ad una iperpolariz:lazione (po­ tenziale più negativo di -70 mV) che dura. per un certo periodo (1-2 ms) prima di tornare al potenzia.le di riposo. Que8to garanti8ce che il segnale prosegue sempre in una certa direzione e non torna indietro. Il valore soglia è molto importante: parecchi segnali, ma tutti al di sotto del valore soglia, non portano ad alcuna risposta. Oltre che dai neuroni, il sistema nervoso è composto anche da cellule gliali che danno supporto strntturale e metabolico ni primi. Inoltre·, cellule glièùi specializza­ te (oligodendrociti nel sistema nervoso centrale e cellule di Schwann nel sistema nervoso periferico) rivc8tono a.lcuni assoni mediante una guaina specializzata (guaina mielinica}, che isola elettricamente, in parte, l'assone, aumentando la velocità di trasmissione clell'impul8o (fino a 150 m/s). Gra:1.ie a questa peculiarità la depolariz­ zazione della membrana assonica. procede in maniera saltatoria fra i punti dell'assone non rivestiti dalla guaina (nodi di Ranvier}. L'ingTeS80 e l'uscita degli ioni che provocano il potenziale cli azione avviene proprio nei nodi di Ra.nvier, dove non c'è la protezione della guaina mielinico.. Negli asi,;oni amielinici l'impulso nervo:�o è continuo e non saltatorio ed ò molto più lento (20 m/s) .

    1.10.1 Sistema nervoso centrale e periferico Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituit.o d,i encefalo, micìollo spinale e retina. Esso è rive8tito da tre membrane o meniup;i, clctt;e JJia madre (interna, semitrasparen­ te, molto sottile), aracnoide� (simile acl una ragnatela) e clnra madre (esterna, dura, incstem;ibilc, simile al cuoio). Lo spazio compreso trn aracnoide e piti madre è eletto �mb-aracnoideo cd e bagnal;o dal liquido ccfalo-rachiclim10 o liqnor. Quest,'nltimo, pro­ dotto dai ples,,;i corioidei, bagna, isola iclranlicnmente, drena e nutre ogni parte del sistema nervoso centrale. Strutturalmente il SNC �i organb:1mto in: sostamm bianca in cui decorrono fasci di a8soni mielini:t,zat.i e sostamm grigia in cui sono localizzati i corpi neuronali, gli alberi dendritici e le tcrmina'lioni assonichc. In particolare, nel SNC, le strutture in cui si organiz%'auo i corpi neuronali prendono il nome·di nuclei (ricordiamo che in periferia prendono il nome cli gangli). Il forarne magno occipitale del cranio divide il SNC in encefalo (contenuto nella scatola cranica) e midollo spinale (localizzato nel canale vertebrale). L'encefolo è a sua volta distinto anatomicamente in cervello (più craniale, deputato ad esercitare le funzioni pit1 complesse) e tronco encefalico (in continuità con il midollo :,pinale). Embriologicamente, invece, l'�ncefalo può essere distinto in: a) prosencefalo (equivalènte al cerv�llo) che è a sua volta �udclivif;o in diencefalo (cui appartengono ad esempio ipotalamo, talamo e ipofisi) e telencefalo (cui ap­ partciigono gli emisferi cerebrali e le 8trutture comuni ai due emi8feri, cmp.e il corpo calloso);

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    b) mesencefalo, conispondcnte alla pondone rostrale del tronco cncefalié::o;

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    e) romboencefalo, corrispondente alla por�ione caudale del tronco, quest'ultimo sud­ diviso, a sua volta, in metencefalo (a cui appartengono il ponte e il cervelletto) e in mielencefalo, che costituisce il bulbo.

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    La corteccia contiene neuroni che lm.nno sia connessioni tra loro (connessioni cortico-corticali) sia connessioni con neuroni appartenenti ad altre aree, come il talar mo e il cervelletto ( connessioni cortico-sottocorticali), Le stimolazioni provenienti dal tatto, dalla vista e dall'udito passano attraver8o il talamo. Quelle dell'olfatto arrivano

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    282

    BIOLOGIA

    @ Artquiz

    direttamente dalla corteccia olfattiva. L'ipotalamo controlla il sistema nervoso au­ tonomo {che si occupa della motilità viscerale, del bilancio idrosalino, dell'appetito, del mantenimento della temperatura corporea, dei riflessi) e il sistema endocrino, con . l'asse ipotalamo-ipofisi. Il talamo ha funzioni di coordinamento di funzioni esercitate da varie aree del SNC {come tra midollo spinale e cervello). Jl cervelletto ha come funzione principale quella di coordinare i movimenti degli arti, degli occhi e di mantenere l'equilibrio del corpo. Il sistema limbico, che si trova al di sotto degli emisferi cerebrali e di cui fanno parte l'amigdala e l'ippocampo, controlla le reazioni emotive, è coinvolto nelle risposte allo stress, alla paura, al panico ed è implicato anche nella formazione della memoria a lungo termine e quindi dell'apprendimento. Le cellule endoteliali dei capillari che irrorano il SNC hanno delle giunture partico­ larmente strette che impediscono l'ingresso di varie sostam�e. Inoltre la presenza delle cellule gliali è a sua volta un ostacolo per le stesse sostan�e. Questo sistema raffigura la barriera emato-encefalica che fa passare solo acqua, ossigeno, anidride carbonica alcune sostanze liposolubili e quelle, come il glucosio, che sfr uttano particolari canali selettivi.

    Tronco

    encefallco

    LMesencefalo' Pon10

    Bulbo

    Figura 1.25: Schema illustrante il roppor­ to fra telencefalo, diencefalo, mesencefalo, ponte, bulbo e cervelletto.

    Dall'encefalo originano 12 paia cli nervi cranici, che prendono il nome di olfat­ tivo, ottico, oculomotore, trocleare, trigemino, abducente, faciale, statoacustico o vestibolococleare, glossofaringeo, vago, accessorio e ipoglosso. Essi innervano diverse strutture del volto, della porzione superiore del tronco, ma forniscono anche innerva­ zione parasimpatica di stomaco e parte dell'intestino. Il midollo spinale è organizzato, invece in midollo cervicale, toracico e lombare. Funzionalmente il sistema nervoso centrale è deputato all'integrazione degli stimoli provenienti dalla periferia e al controllo delle reazioni a tali stimoli. Il sistema nervoso periferico (SNP), invece, è il nome collettivo con cui si indicano tutte quelle strutture nervose che non sono contenute nel cranio o nel canale midollare, anche se i corpi neuronali dn cui derivano risiedono in uno di questi. Il SNP può essere distinto in: SNP somatico, che è costituito da nervi che innervano cute, articolazioni e muscoli. I corpi cellulari di tali fibre nervose risiedono nei gangli delle radici dorsali del midollo spinale; e in SNP viscerale o autonomo, costituito dai neuroni che innervano i visceri, i vasi e le ghiandole. Il sistema nervoso autonomo si suddivide ulteriormente in simpatico (la cui fun­ zione è quella di attivare l'organismo durante le reazioni "attacca· o fuggi") e para­ simpatico (che consente di conserval'e energia e promuove funzioni di mantenimento durante il riposo).

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    283

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

    @ Artquiz

    l.10.2 Organi dì senso: l'occhìo

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    L'occhio è un organo che capta la luce e la converte in impulsi nervosi.. Negli orga­ nismi superiori esso è nn complesso sistema ottico che raccoglie la. luce dall'ambiente, ne regola l'intensità attraverso un diaframma, la focaliz�a attraverso una serie di lenti regolabili per formare un immagine, converte quest'immagine in una serie di impulsi nervosi e li convoglia, tramite il nervo ottico, alla corteccia visiva occipitale e ad altre aree cerebrali. Gli occhi dell'uomo hanno forma sferica e sono costituiti da tre t.ouuche: uuù to­ naca fibrosa o sclera, una tonaca vascolare o uvea e una tonaca nervosa o retina. La tonaca fibrosa è costituita d;ùla cornea i\.nt.eriormeute e dalla sclera posterior­ mente. La cornea è trasparente, non vascolarii�ata e la sua funzione è quella di una lente ç:apace cli far convergere i nl.ggi luminosi verso la fovea (vedi sotto). La sclera (o sclerotica) è una membrmm fibrosa cli rivestimento, che costituisce i 5/6 della tunica esterna dell'occhio. Su cli essa si inseriscono i muscoli estrinseci dell'occhio (che ne consentono il movimento). L'uvea è posta all'interno della sclera e ha fun:.done vascolare di nutrimento del bulbo oculare. Essa è pigmentata (per evitare fenomeni di riflessione interna della luce) e divisa anatomicamente in: iride, corpo ciliare e coroide (dall'avanti in dietro). L'iride è un'area drcolmu di fibre muscolari costituenti il diaframma che regola la quantità di luce che entrn nella camera posteriore dell'occhio. La sua porzione centrale è la pupilla, un foro circolare il cui diametro varia al variare del tono dei muHcoli presenti nl �·uo iutemo. Il corpo ciliare è un segmento circolare che si estende dall'iride alla coroide. Ne • bilc dell'accomodamento visivo (ovvero il mecca­ fa parte il muscolo ciliare, rei;p011.m nismo cli contrn�icme m1tonoum cld c,•ristallino, che permette di focali¼zare sulla retina immagini ·capovoltn cli oggetti posti a diversa distanza). Il cristallino, che è una lente biconves.-ia, è costituito cla cellule permanenti che non si rinnovano e per questo p ossono dar luogo ad un fenomeno cli opaci?.'l,a7,ione, chiamato cataratta. La coroide è la lamina che riveste posteriormente il bulbo oeulare. La tonaca nervosa (retinu) è lo 8trato fotosensibile che si trova internamente alla coroide. E:-;sa. può essère considerata nn'estensione periferica dell'encefalo. La retina contiene i fotorecettori dell'occhio, che tl'ùsducono i segnali luminosi in segnali nervosi e li convogliano verno il nervo ottico. Es.-ii contengono una proteina, chiamata rodopsina, che è un pigmento visivo che cambia forma a seguito dell'�ione della lu­ ce. L'energia clel fotone luminoso provoca una transizione dalla forma cis alla forma trans cli una molecola chiamata 1·etinalc legat.a alla proteina opsina. La trasforma�io­ ne del cis-rctinalc provoca una varia:.-lione conformazionale sull'opsina che attiva una proteiua-G che amplifica il segnale e alla fine genera un impulso nervosd. Il tran.'J­ retinale non è più seni;ibile alla luce e quindi la molecola deve essere rige�'1erata nella forma cis. Per questo pa8saggio è necessaria la vitamina A. I fotorecettori possono essere diHtinti in coni e bastoncelli. I coni sono sensibili ai colori, ma ad ·intensità luminose piuttosto elevate. EHsi si dividono in tre categorie, ognuna contenente una op:-,ina capace di avere il massimo di assorbimento di uno dei tre colori primari (rosso, verde e blu. L'opsina clw assorbe il rosso 1->arà verde, perche è il colore complementare al rosso. Quella che asHorbe il blu sarà arancio e quella che assorbe il verde sarà rossa), I bastoncelli, invece, sono sensibili a basse intensità luminose, ma non ai colori. Dell'occhio distinguiamo inoltre 3 camere: l'anteriore, com.presa tra cornea e iri­ de, la posteriore, compresa tra iride e cristallino e la vitrea, ripieno. del corpo vitreo, 284

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    © Artquii:

    BIOLOGIA

    Seno venoso della sclera Sacco Lacrimale Corpo ciliare:

    Congiuntiva Fibre della zonula del cristallino

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    Muscolo retto mediale Camera vitrea (contiene corpo vii reo) �� MEDIALE

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    Muscolo retto laterale

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    Fovea centrale

    Fignra 1.2G: L'occhio. una mas.�a gelatinosa che dli. la forma all'occhio. La camera anteriore e 1>osterio­ re dell'occhio contengono umore acqueo, nn liquido trasparente prodotto dal corpo ciliare.

    1.10.3 Organi di senso: l'orecchio L'orecchio è l'organo dell'udito e si divide in tre parti: orecchio esterno, medio e interno. L'orecchio esterno è formato dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo esterno, costituiti da cartilagine ricoperta da cute. La sua funzione è quella di convo­ gliare i i.noni verso l'orecchio medio. L'orecchio medio è costituito dal timpano (membrana sensibile alle onde sono­ re, posta al termine del condotto uditivo) e dagli ossicini (martello, incudine e staffa, nell'ordine in cui sono disposti a partire dal timpano) che trasmettono le vibrazioni della membrana timpanica al labirinto. Gli ossicini sono prn,ti in mta cavità detta cassa timpanica, che comunica con la faringe tramite la tromba di Eustachio (la cui funzione è quella di compensare le pressioni ai due lati della membrana timpanica). L'orecchio interno è la porzione interna dell'apparato stato-acustico, deputato al senso dell'equilibrio e dell'udito. Esso è costituito da due pondoni che prendono il nome di labirinto osseo e lnbirinto membranoso, le cui pareti sono ossee e connetti­ vali, rispettivamente. Il labirinto osseo è costituito da nna parte centrale cava (scala vestibolare) che comunica anteriormente con la coclea o chiocciola (componente del­ l'orecchio interno deputata alla trasduzione dei segnali sonori, mediante l'organo del Corti) e posteriormente con i tre canali semicircolari (anteriore?, superiore e laterale) in cni si trovano i recettori dell'equilibrio (recettori stato-cinetici). 285

    © Attquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia Orecchio medio

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    Orecchio interno

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    1.11 Sistema ghiandolare

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    Il sistema ghiandolare ?1 costituito da. 1m insieme di ghiandole e cellule cpiteliuli capaci di sec�H'nnre sostm1,1,c ntili all'orga.uhm10. Es.c;e !?i dividono in ghiandole endo­ crine che� riversnuo uel torrente: circolatorto onnoui peptidici o lipidici, e iu ghiandole esocrine che riveri.ano le sosta.n1,c secrete all'esterno del corpo o in cavità che comu­ nicano con l'esterno. Iu quest'ultimo caso la sostanza secreta può essere di diversi tipi (enzimi, come quelli emessi clal paucrea.c.; ucll'intestino, latte emesso dalle ghiandole mammarie, sebo che lubrifica la pelle, muco, sndore, lacrime, ecc.). Il sistema cuclocriuo èi iu rc�tltà strutturalmente e fmrnionalmentc collegato al si­ stema nervoso a formare il cosiddetto sistema neuro-endocrino, di cui fa parte l'a<;se ipotalamo-ipofisario. Dall'ipotalamo vengono emessi i fattori di rilascio ipotalamici che agiscono dircttmncute sull'ipofisi e la inducono ad em(:ttere il relativo ormone. La funzione del sistema enclocriuo è quella

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    1.11.1 Ghiandole e cellule endocrine

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    Il sistema ncnro-endocl'ino è costituito da: ipotalamo, ipofisi, surrene, gonadi, tiroide, paratiroidi, pancreas, epifisi, cuore, rene, timo, fegato, cute e cellule del sistema neuro­ endocrino diffuso ( ovvero cellule presenti, ad esempio, lungo (;utto il tratto digerente, ove modulano aciclit.à gastrica, motilità intestinale, svuotamento clella colecisti o nel polmone, in cni regolano le secrezioni). 'J):a le ghiandole piì1 importanti sono cla annoverare: • il pancreas che è nna ghiandola sia endocrina (immette nel sangue l'ormone peptidico insulina) che esocrina (secerne molti en1,imi digestivi nell'intestino teni1e);

    286

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    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    • il fegato, che è ln ghiandola sia esocrina che endocrina. piit gra.ncle; • il surrene che è una ghiandola endocrina che secerne, trn Paltro, il cortisolo e Padrenalina, sotto lo stimolo dclPormone udrenocorticotropo rilasciato dalPipofi­ si; secerue anche aldosterone che regola Peqnilibrio snliuo a livello renale, insieme alPADH o vasopressina; • Pipofisi, una ghiandola endocrina che secerne molti tipi di ormoni, a seconda dei segnali che riceve dalPipotalmno, e secerne anche, dal sno lobo anteriore, le beta­ endorfine, sostanze ad nttività oppiacea, e la prolattina che promuove la lattazione; • la tiroide, nna ghiandola endocrina di tipo follicolare che produce, sotto stimolo ipofisario, gli ormoni tiroidei, che contengono a.tomi di iodio e che controllano il metabolismo cellulare, e la ca.lcitouina., nn ormone che regola il metabolismo dello ione calcio agendo da antagonista al paratormone, secreto dalle paratiroidi; • Pepifisi, una ghiandola endocrina che produce� la mclatouinp., che regoln il ritmo circadiano veglia-sonno.

    1.11.2 Ormoni

    Gli ormonì sono molecole capaci di stintolare una rh,posta biologica da parte di tutte quelle cellule che siano dotate di proteine (recettori) capaci di ricouoi;cerli specifica.­ mente. Gli ormoni sono prodotti clnlle ghia.nclole endocrine e riversati nel sa.ugne che li trasporta in all;ri distretti. Dal pnuto cli vista molccolaru :,i cliviclouo in: ormoni peptidici, e quindi idrosolubili; ormoni steroidei, in quanto derivano clal colestero­ lo, e qnincli idrofobici; ormoni derivanti dagli aminoadcli come gli ormoni tiroidei, Pistamina e la serotonina. I primi 11011 sono capaci di entrare nelle cellule e quindi esercitano la loro azione sn di esse mediante Piutera¼ione con specifici recc�ttori po8ti sulla membrana di alcune cellule. Il legame onnone-recettore produce nna modifica strutturale del recettore che si iro.ducc in nn segna.le interno alla cellula e ne cambia il metabolismo (trasduzione del l-!egnale). Gli ormoni steroidei, gra�ie alla loro natura idrofobica, sono invece capaci di penetrare nelle cellule attraverso il doppio strato lipidico e di interagire in maniera spedfica con proteine recettrici che si trovano nel citoplasma o nel nucleo, modificandone la struttura e quindi innescando una risposta metabolica (attivazione o disattivazione di geni specifici). Degli ormoni derivanti da­ gli aminoacidi, i tiroidei sono capaci cli entrare nella cellula, mentre gli altri si legano a recettori esterni. Tabella 1.1: Ormoni: chi li produce, il tessuto bersaglio e la funzione fisiologica. Ghiandola endocrina Ipofisi prn;teriore ( nenroipofisi)

    Ormone Anticlimetico (ADI-1) Ossitocina.

    Tessuti bersaglio Dotto collettore elci nefrone rena.le Utero e ghianclole mammarie

    Funzioni flsiologìche principali Favorisce la ritenzione renale di acqua, aumentando il volume piasmatico e mantenendo lo stato di idratazione tisimtale. Inclnce le contrazioni uterine duraute il parto e In. secrezione clel latte. Continua nella pagina seguente

    287

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e foiologia

    Ghiandola endocrina

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    Tabella 1. J Ormone

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    Continnct rlalla pagina precedente Tessuti Funzioni fisiologiche principali bersagllo Stimola la riproduzione cellulare e la crnscita tissutale, mediante: au­ mento del trasporto di aminoaci­ di attraverso le membraue cellulari, Quasi tutti i at1111c11to della sintesi proteica e di­ Somatotropo tessuti deW minuzioue del catabolismo proteico, (GH, STH) organismo diminniione dell'utilizzo del glico­ ge110 uu1scolnre, n10biliz1.azione cd ntiliziazione dei grassi, deposizio­ ne di calcio nel! 'osso, aumento della secrezione di iusulina Induce la liberazione della triodoti­ Tireotropo Tiroide tonina (t3) e tiroxiua (t4) da parte (TSH) della tiroide. Induce la produ½iono di glucocor­ Cortic.ile Ade11ocorticotropo ticoidi uclln parte corticale delle elci surrene (ACTH) ghiandole surrenali. Nolln donna induce lo sviluppo de i Goundi Follicolostil11olai1tc follicoli ovadci, la secrezione degli maschili e estrogeni e l'ovnlazioue, nell'uomo (FSH) fonuninili la maturuzioue clcgli spermatozoi. Nella clounu regola l'ovulazione, la Goua.di for111cw,ione del corpo luteo e stims,schili o 1uoln In produzione di progesteronei Luteotropo (LI-I) femminili nell'uomo stimola la proclnzione di testosterone da parte dei testicoli. Induce lo� sviluppo della gliiandola mammaria e la produ:tione di lat­ Ghiandole te dopo il parto. La sua produ­ Prolattiua rnannnarie zione è 1>timolata dalla snzioue del capcziolo. Antagoni1.za la calcitonina poiché aumenta la concentrazione plasma­ Mucosa tica di ioni calcio, mediante mobi­ iutestinale, li7,za1,ionc dai depositi ossei e dimi­ ucfroue, Paratormone nuzione dell'escrezione renale; indu­ tessuto ce l 'attiva7,ione della vitamina D fo­ osseo voreudo l'assorbimento intestinale di. ioni calcio. 1 Diminuisce la' coricenfraiione pla­ Mucosa smatica di ioni calcio,,·' mediante intestinale, la riduzione dei processi di mobi­ uefrone, Calcitonina lizzaiionc di calcio osseo, aumen­ tessuto to dell'eliminazione renale di cal­ osseo cio e inibizione dell'attivazione della vita.min� D. Continua nella pagina seguente -

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    Ghiandola endocrìna

    Tiroide

    BIOLOGIA Tabella 1. 1 - Continua dalla 7,agina precedente Tessuti Funzioni fisiologiche principali Ormone

    bersaglio

    'Iì-iiodotironina (T3) e Tiroxina (T4)

    Tutti i tessuti

    Alclosterone

    Dotto collettore del 11efro11e

    Cortisolo e cortiwne

    ·.rutti i t<.,-'ssnti

    Aclrermlìna e noradrcnnlina

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    Fegato, muscoli striati e tessuto adiposo

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    Tutti l tessuti

    Ghiandole surrenali: corticale

    Ghiandole sun-ennli: midollare

    Pa.n_croas endocrino

    Rilnsciati i11 rispostn. a TSH, au­ mentano il consumo di ossigeno cel­ lnlnre, senza corrispondente pro­ duzione energetica e la prodnzio­ n
    289

    © Artquiz

    Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

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    Tabella 1. 1 - Continua rlalla pagina precedente Tessuti Ormone Funzioni fisiologiche principali bersaglio Stimola lo sviluppo degli organi sesTutti i suali e dei caratteri sessuali secoutessuti, iu dari maschili; induce la spermatoTestosterone particolare genesi e la maturazione degli sperle gonadi uw.tozoi; stimola la sintesi proteica in geuerale, anche nei muscoli. Rilasciato in risposta a FSH, pro1\ttti i muovono lo sviluppo dei caratteri tessuti, in sessuali fenuniuili e regolano, asEstrogeni particolare sieme al p1·ogcsterone, il ciclo mele gonadi strnale, favorendo l'ispessimento e la vascolartzza.zione dell'utero. Rilasciato in risposta a LII, prepaEn< !on 1ctrio ra la parete uterina per l'impian-. Progesterone to dell'uovo fecoudato. Inibisce il verifìca.rsi di un'altra. ovulazione.

    Ghìandola endocrina Gonadi maschili

    Gonadi femminili: Follicoli e corpi lutei ovarici

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    1.11.3 Feedback positìvi e negativi Il sistema neuro-enclocriuo è organii:1.-ato come nua. rete gerarchica, regolato da mec­ canismi di feed-forward (stimola.:doue/1nibi1,ioue in avanti lungo la scala gerarchica) e feed-back (stimolazione/inibi1,ione indietro lungo la scala. gerarchica). Ad esem­ pio, nell'asse ipotafomo-ipofisi-surrene o ipotalamo-ipofisi-tiroide, l'ipotalamo libera ormoni che stimolano l'ipofisi a libera.re ormoui stimolanti l'organo bersaglio (tiroi­ de o surrene). Queste ghiandole liberano ormoni che, oltre ad agire sui loro tessuti bersaglio, regolano negativam<:nte l'asse ipotalamo-ipofisi.

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    Figura 1.28: Feedback positivi (linee continue:) <: negativi (linee tratteggiate) del sistema neuroendocrino,

    290

    Capitolo 2

    Biologia cellulare e molecolare 2,1 Introduzione Lo studio della biologia cellulare è uno dei piì1 importanti ambiti di ricerca legato alle unove conoscen1.e nel contesto della moderna medicina molecolare e alle discipline di ambito biomedico e biotecnologico. L'evoht'lrione delle conoscenze in ambito moleco­ lare associate alle tecniche di analisi sn larga scala di genomi (l'insieme dei geni) e proteomi (l'insieme delle proteine) degli esseri viventi consentono oggi di mettere in rapporto una serie di eventi molecolari con un fenotipo biologico definito e pongono la base per la possibilità di sviluppare terapie farmacologiche mirate e individualizzate, nuova frontiera della. moderna medicina. Lo scopo di questo capitolo è quello di evidenziare gli elementi distintivi, dal punto di vista i,truttnrale e morfologico, legati alle proprietà biologiche fondamentali delle cellule, mettendo in risalto le similitudini e le differenze tra le cellule dei vari organismi viventi.

    2.2 Teoria cellulare Tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule. La cellula è l'unità fondamentale degli organismi viventi. Molti organismi consistono di nn 'unica cellula (organismi unicellularì) mentre altri sono costituiti da una complessa organizzazione di miliardi di cellule (organismi pluricellulari). La teoria cellulare, elaborata a metà dell'Ottocento da Schleiden e Schwann, definisce l'alba della biologia moderna, affermando che: • tutti gli organismi �iventi sono costituiti da cellule, caratterizzate dalla p�·esenza di materiale genetico; • la cellula è l'unità fondamentale della materia vivente; • tutte le cellule derivano da cellule preesistenti. È stato ipotizzato che la prima forma cli vita abbia avuto origine circa 3,8 miliardi di anni fa con la comparsa cli una cellula primordiale che progressivamente si è evo­ luta, prima sottoforma di organismi unicellulari e quindi in organismi pluricellulari organizzati, sempre più complessi.

    291

    Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare

    © Artquiz

    2.3 Il microscopio

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    Pur essendo le dimensioni cellulari molto variabili, la maggior parte delle cellule ha dimensioni delPordine del millesimo di millimetro (micron, µm) ed è visibile mediante l'utilizzo di un microscopio ottico. Il microscopio ottico è una tipologia di micro­ scopio (Fig. 2.1) che sfrutta la luce con lunghezza d 1 onda dal vicino infrarosso aWul­ travioletto, coprendo tutto lo spettro visibile. I microscopi ottici sono storicamente qnelli più vecchi e sono nnche tra i piìt semplici. -.- A

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    Figura 2.1: Microscopio ottico composto mo1wc:1tlarc: clel tipo pi1ì. semplice, rappresentato sc hematicamente; percor so del fascio lumino­ so e elementi ottici strutturali in evidenza. La messa a fuoco, cioè la variazione della di­ stanza pre1>arato/obiettivo, si attua spostando il tubo ottico. lll1tminazione esterna allo strumento. A: Oculare. B: Obiettivo. C: Preparato. D: Condensatore. E: 'làvolino portaoggetti. F: Specchio. H: Vite macrometrica. I: Vite micrometrica.

    Il potere di risoluzione ( d) cli un microscopio è la distanza minima tra due pun­ ti che risultano distinti. Nel caso lo strumento si basi sulPntilizzo di radiazione con una proprfr1. lunghezza d'onda Hssociata, come i tradizionali microscopi ottici, riso­ lu�ione e lunghcz".a ci >oncla utilizzata sono parametri trn loro strettamente correlati. Microscopi che si basino :m diverso tecnologie rispondono a considerazioni differenti. La relaziono cho lega il potere ri:;olutivo, Papertura numerica di un sistema ot­ tico (AN, che può essere immaginata come le dimensioni del cono di luce che colpisce le lenti del microscopio dopo e!iserc pru:;sata. attraverso il campione ed � calcolabile ma­ tematicamente) e la lunghezza d 1 onda (>.) della radia�ione utilizzata (che può variare tl'a 0,4 e O, 7 µm) è:

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    Questa reJazione è generalmente nota come principio di AbbE;� Per un microscopio ot;tico in luce visibile, d raggiunge i 0,2 µm, cioè un potere risolutivo mille volte più elevnto di quello dclPocchio umano, mentre il microscopio elettronico ginngc ad uu potere risolutivo di 0,1 nm, cioè mille volte pit1 elevato cli quello del microscopio ottico. Quindi, con il microscopio ottico è possibile osservare le cellule eucariotiche, i batteri (ma non i virns), i cromosomi i11 movimento, gli organismi unicellulari (protozoi e funghi), gli organelli cellulari come i mitocondri ma non i ribosomi. Il microscopio ottico consente inoltre Panalisi in vivo (a fresco) delle cellule, mentre.con il microscopio elettronico i preparati biologici devono essere opportunamente fissati e non t� possibile studiarli in vivo.

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    BIOLOGIA

    2.4 Misure e dimensioni di alcune strutture biologiche • 1 angstrom (À) corris ponde a 0,1 nanometri o 1 · 10- 10 metri. • 1 nanometi-o (nm) corrisponde a 1 milionei;imo cli millimetro o 1 millesimo di micron. • 1 micron (o micromètro, µm) corrisponde a 1 millesimo di millimetro o 1 milionesimo

  • STRUTTURA Atomo di idrogeno Aminoacido Doppia elica di DNA Proteina globula.re Microfilumenti Filamenti intermedi Membrana cellulare Ribosoma Microtnbnli Poro nucleare Grande virus Ccntriolo Lisosoma Perossisoma. Virus gigante Mimivirns Mitocondrio Mitocondrio Batterio Cellula procariotica Batterio E. Coli Batterio E. Coli Cloroplasto Nucleo Globulo bianco (linfocita) Globulo rosso Cellula eucariotica animale Cellule vegetali Piccola ameba Ovocita umano Grande ameba

    DIMENSIONI 0,1 A (diametro) 0,8 nm (diametro) 2 nm (diametro) 4 nm (diametro) 5-10 nm (diametro} 7 nm (diametro) 7-10 nm (spessore) 11 nm (diametro) 25 nm (diametro) 50 nm (diametro) 100 nm (diametro) 200 nm (diametro) 200-500 nm (diametro) 200-500 nm (diametro) 800 um (diametro) 0,1-2 µm (diametro) 1-4 µm (hmghe'l.7.n) 0,5-5 /Lnt (diametro) 1-10 1m1 (lnnghe:r,za) 0,5 µm (diametro corto) 2-5 µm (lunghezza) 5 µm (lunghezza) 5-6 /tm (diametro) 5 /tm (diametro) 7-9 µm (diametro) 10-20 µm (diametro) 10-100 µm (diametro) 90 µm (diametro) 100 µm (diametro) 800 µm (diametro)

    2.5 La cellula Tutte le cellule mostrano delle proprietà fondamentali in comune e che sono state conservate durante l'evoluzione. Ad e,c:;empio, tutte le cellule impiegano DNA come 293

    Capitolo 2 Biologia cellnlarn e molecolare

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    materiale genetico, sono circondate da. melllbrane plasmatiche ( clett,t anche plasma­ lemma) e usano nno stesso meccanismo di base per il mt>tabofonno (Pinsierne di t.ntte le rea.zioni chimiche di un organismo) energetico. 1ì.1tta,•ia 1 mentre organismi unicel­ lulari molto diversi tra loro come lieviti, batteri, amebe, parameci sono autosufficienti e capaci di autoreplicazione indipendente, gli organismi plnricellulari sono costitniti da cellule specializzate a svolgere determinate f1m1.ioni in maniera altmnente coordi­ nata in strutture dette tessuti, i quali a loro volta contribuiscono a formare-gli organi e poi, qne:-;ti, gli apparati. Il corpo umano, ad esempio, è costituito da, circo. 100.000 miliardi ( 10 14 ) di cellule distinte in pii1 di 200 diversi tipi cellulari. All 1orgo.nismo umano sono nssociati nn mmwro cli batteri di �pccie diverse fino a 10 volte il numero di cellule delPorganismo stesso (microbiomu). A differei1za degli orgm1ismi nnicellulari che possono riprodursi autonomamente e dare origine ad altri organismi perfettmncnte ùg11ali con una perpetuazione teorica­ mente indefinita. del proprio patrimonio genetico, tali da essere co1isidcrati orgi:u1ismi potenzialmente immortali, gli organismi plnriccllnlmi che presentano mm riprodnzione cli tipo sessuato si riproducono grar.ie alPunioue cli cellule germinali aploidi (l3iologia, § 5.3.2). NelPcssere mnano queste cellule scmo lo spermatozoo e Poocita. Le cellule di un organilm10 1 étd esclmiione clolle cellule scs:ma.li, si chiamm10 cellule sonintiche e sono diploidi. Negli organismi plnricdlnlari. le ccllnle somatiche, che Ht differcmdano iu base a fnm�ioni specifiche, invecchiano e mucJiono. Lo sviluppo delle cellule (e degli organismi)� stretta.mente regolato e comli:t.iouato ch:i.ll 1 mnbiente nel quule vivono. Infatti, sebbene ogni tipo cellulare (o organismo) siét potenzialmente in gra
    2.5.1 La cellula proca!iotica ed eucari c:>tica. Differenze La vita è costituita da tre domini: gli Eubatteri, gli Archeobatteri e gli Eucario­ ti. I primi due sono d<::finiti anche Procarioti e sì differenziano clagli Eucarioti pe1·

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    Passenza del nucleo. Le cellule procariotiche sono organismi unicellulari, prevalentemente chcmioc­

    terotrofi (usano come fonte di energia Possida1.ioue di sostanze oi-ganiche E}�come fonte di carbonio i composti organici provenienti da fonti esterne) sprovvisti cli nucleo e di membrane interne. I batteri, come lo pneumococco o le danoficee (alghe az.1,urre), costituiscono un esempio cli cellule procariotiche e hanno una dimensione compresa fra 0,5 e 5 µm quindi, come nel caso delle cellnle eucariotiche, 11011 sono visibili ad occhio nudo nm solo facendo uso di un microscopio. Generalmente il diametro di una cellula eucariotictt è compreso tra i 10 e i 20 Jtm, tutto.via alcune cellule animali, come le cellule delPuovo di strn'l.½O, pos::.·ono presentare nn diametro
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    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    li), la membrana plasmatica, il citosol, contenente i ribosomi, e il nucleoide (zona non delimitata dove si trova il cromosoma batterico costituito da un'unica molecola di DNA circolare a doppio filamento contenente il programma genetico del batte­ rio ossia i geni batterie-i organizzati norumlmente in operoni, cioè in un'unica unità · trascrittiva contenente l'informazione per piì1 di un polipeptide). I batteri, inoltre, possono contenere anche altre piccole molecole cli DNA circolare a doppio fil amento, i plasmidi, in grado di replicarsi autonomamente e che normalmente sono respom�abili della resistenza. batterica a.gli antibiotici, perché contengono i geni per enzimi che mo­ dificano gli antibiotici, depotenziandoli. I plasmidi ingegnerizzati ( cioè modificati per l'inserimento di geni e.5trauei) vengono mnpiameute utilizzati in ingegneria genetica per il clona.ggio cli geni e per l'espres.'iioue di proteine ricombinanti (Biologia, § 3.7). Gli enzimi necessari per le va.rie fmrnioui biologiche possono es::;erc localizza.ti sulla membrana plasmatica o nel citosol. Nella struttura della cellula batterica vi po::;sono inoltre essere, e::;ternamente alla parete, dei flagelli ( db:itinti eia quelli presenti nelle cellule eucariotiche) e una capsula esterna. La riproclnzione elci batteri avviene mediante ·divisione cellulare per scissione binaria. Membrana cellulare

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    Figura 2.2: Stmttura di una cellula procariotica elettr(!nico).

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    Le cellule eucariotiche, che costitui::;cono l'elemento bnse cli organismi animali e vegetali, sono caratterizzate da un nucleo ben distinto e clelimita.to eia. un involucro membranoso a doppio strato (nucleolemma) che contiene il materiale genetico (DNA organi½zato in cromatina nei diversi cromosomi ) e da una serie di orgmmli citopla� smatici, come i mitocondri e i cloroplasti (solo nelle cellule vegeta.li), n::;senti nelle cellule procariotiche, e che contengono anch'essi materiale genetico. All'interno del nucleo sono pre::;enti delle strutture, non delimitate da membrane, elette nucleoli de­ putati alla sintesi di RNA ribosomiali (rRNA) che andranno a costituire i ribosomf Il ribosoma della cellula eucariote è compo::1to da una snbnuitit grande e mm snbunità piccola, presenti anche nei procarioti e neces8ari per la sintesi proteica. La presenza di 1111 sistema continuo di endomembrane, costituito eia: membra­ na plasmatica, reticolo endoplasmatico liscio e mvido, apparato di Golgi, membrana nucleare, endosomi, lism;omi, peros.<;isorni e vescicole di trasporto, nonché eia pla­ smodesmi e pla.<;tùli nelle cellule vegetali, è nna. caratteristica specifica delle cellule eucariotiche. A differenza dalle cellule procariotiche dw possono cssc�re ::;olo unicellulari, le cel­ lule eucariotiche po::;::;0110 far parte sia di organi::;mi unicellulari (come i protozoi) che multicellulari (come i mammiferi e le piante). La divisione cellulare avviene mediante i processi di mitosi e meio si. 295

    Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare

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    2.5.2 La cellula vegetale e animale. Differenze

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    Le cellule animali e vegetali sono cellule eucariotiche nelle quali il nucleo è la sede del materiale genetico. A differenza delle cellule animali, le cellule vegetali presentano: nna parete cellulare costituita da cellulosa (polimero di glucosio), i plastidi (organuli limitati da membrana ove avvengono i processi di fotosintesi. Essi comprendono: cloroplasti, a01iloplasti, cromoplasti, ecc.) e i vacuoli (sacchetti ripieni di acqua limitati da una membrana che possono svolgere funzioni di accumulo di sostanze nutritive). Il leucoplasto è un tipo di plastidio e, come tale, di organulo che si ritrova nelle cellule delle piante e di alcuni protisti (gruppo eterogeneo e polifìletico di organismi, che comprendono quegli eucarioti che non sono considerati né animali né piante o funghi, come i proto¼oi e le alghe unicellulari). Il leucoplasto, al contrario di altri plastidi come i cloroplnsti, non possiede pigmenti. Non e8sendo verde, lo si ritrova prefcrenr.ialmcnte nelle radici e nei tessuti non fotosintetici delle pia.nte. Il tonoplasto è una sottile membrana, presente generalmente nelle cellule vege­ tali, posta attorno al vacuolo centrale. Essa è costituita da numerose proteine (che consentono l'ingresso e l'uscita

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    BIOLOGIA

    3. Cellule permanenti: durano per tutto il periodo a, prosentamlo la. po.<;8ibilità di.dare origine a tutti i tipi cellulari doII'organismo vengono clcli11ite cellule emb_rio­ nali totipotenti (staminali emlwionali). Atttmlmcntc, il loro impiego terapeutico in ambito mtmno è precluso dai principi bioetici sottoscritti a, livelio mondiale perclté causa l'elimina'l.ione dell'embrione a. seguito clelia proceclnrn cli c)spianto cleIIe cellule totipotenti che Io costitniscono e pertanto queste strategie vengono a.pplirate soltanto nei modelli animali. Negli ultimi anni sono stati fatti molti tentativi per proclnrre ceIIule Htaminali a partire da cellule somatiche differenziate. Uno cli qnc�t;i tentaLivi ha ntiliz
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    Capitolo 2 Biologia. cellulfl.re e molecolare

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    Figurn 2.3: StruUttm rU ·unn <:cllula eucariotica 1Jegetale.

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    BIOLOGIA

    2.5.3 Morte cellulare: apoptosi e necrosi Le cellule eucariote possono morire attraverso processi distinti di apoptosi e necrosi. L'apoptosi indica una forma di morte cellulare programmata, termine con il quale · il processo è altresì chiamato. Si tratta di mt processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare e, in condizioni normali, contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema garantendo pertanto l'omeostasi tissutale e può avvenire in particolari condizioni di danno cellulare come quello indotto dalle infezioni virali o dal danno al DNA. L'apoptosi è un proces.c,o biochimico che può coinvolgere il mitocondrio e che si sviluppa in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia (ATP). Fn parte integrante dei processi di sviluppo embrionale e genernlmente porta ad nn vantaggio dmante il ciclo vitale dell'organismo (è infatti chiamata da alcuni morte altrnista o morte pulita). Durante il suo sviluppo, ad esempio, l'embrione umano presenta gli abbozzi cli mani e piedi "palmati": a.ffinclté le clita si differem:ino, è necessario che le cellule che costituiscono le membrane interdigitali muoiano. Dagli inizi degli anni '90 la ricerca. sull'apoptosi ha visto una ct·escita spettacolare. Oltre alla Rlla importanza come fenomeno biologico, ha acquisito nn enorme valore medico, infatti processi difettosi di apoptosi riguardano numerose malattie. Una eccessiva attività apoptotica può causare disordini da perdita di cellule (si vedano ad esempio alcune malattie nenro-deget�erative, come il morbo di Parkinson), mentre un'apoptosi carente può implicare nm{ crm�cita cellulare incontrollata, meccanismo alla base delle ncoplm1ie. Una. cellula in apoptosi mostra evidenti caratteristiche morfologiche in
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    Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare

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    2.6 La comunicazione intercellulare e le giunzioni cellulari Nei tei;snti degli anima.li, le cellule sono unite tra loro da vari tipi

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    Con il termine necrosi si indica Pi11sieme dei fenomeni morfologicamente osserva­ bili cui la cellula va incontro in seguil:o a morte per cause non naturali. Le possibili cause di necrosi sono molte: ipossia, temperature estreme, tossine prodotte da batteri, virus litici infettanti. Nella necrosi si osserva la lisi (cioè la disgregazione parziale o totale) della cellula: il nucleo _si distrugge fino ad uniformare la cromatina con il citoplasma, la membrana cellulare o plasmatica si disgrega velocemente e il citoplasma si riversa all'esterno danneggiando le pn.reti cli altre cellule e i suoi organuli. Ciò determina una reazione immuuit.nria. imprevista dell'organismo e una probabile risposta infiammatoria. La necrosi è dunque un fenomeno patologico. Esiste, comunque, un processo detto apop ­ tonecrosi o necroptob"Ì, per il quale una cellula che comincia i processi apoptotici, se giunta ormai ad un punto in cui non può tornare indietro, non ha più disponi­ bilità di ATP (necessaria all'apoptosi), tenninn. la. sua morte programmata con le caratteristiche della necrosi.

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    • giunzioni aderenti (o cli ancoraggio o "anchoring junctions'' ) come i desmosomi che tengono unite fo;icmnente due cellule adiacenti o tra esse e la matrice extracel­ lulare (mediante gli emùlesmo.som·i) fornendo re�istenza meccauica ai tessuti. Ad esse sono ancorati i filamenti intermedi permettendo così la trasmissione degli stress meccauici su tutto il tesimto.

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    Il contatto intercellulare conclhr,iona. sia i procei,-si di differenziamento che di proli­ ferazione cellulare. Uno degli.eventi chiave nei procel>'SÌ di cancerogenesi è la perdita da parte delle cellule tumora.li dell'inibizione da. contatto con la quale viene mantenuta l'omeostasi cellulare di un tessuto.

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    2. 7 Il differenziamento cellulare

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    Negli organii;mi plmiccllula.ri, le cellule si specializzano iu modo da svol�ere ognuna una determinata fun¼ione. Questa. specializza7,ione conferisce agli organismi pluricel­ lulari un vantaggio
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    © Artquiz

    BIOLOGIA

    dei vari tessuti di un organismo e altera:.:ioni in tale processo sono coinvolti nella pato­ genesi dei tumori. Un esempio del rapporLo tra differenziamento difettoso e malignità è rappresentato dalle leucemie. 1\1tti i
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    Figuro. 2.5: Schema del proce.'>so di dif­ ferenziamento di un precursorn emopoie­ tico e alterazione di tale processo nelle leucemie.

    2.8 La membrana plasmatica AI fine cli mantenere un ambiente adatto allo svolgimento di tutte le reazioni chimiche necessarie per la vita, nonché di assicurare il corretto scambio di materiali tra il corpo cellulare e l'ambiente, tutte le cellule preHentano un rivestimento esterno denominato membrana plasmatica. La membrana plusmatica, che Im uno spessore medio di 7 nm (70 A), presenta una permeabilità seleLtiva verso determinate sostamm (molecole e ioni) ed è pertan­ to definita membrana semipe1·tneabile. La membrana plasmatica è costituita da un doppio strato di fo.'>folividi, proteine, colesterolo e glucidi (glicoproteine e glicolipidi). Secondo il modello del mosaico fluido, che descrive la i;trnttnra della membrana plasmatica, i fosfolipidi, gra'l.ie alla loro caratteristica fisico-chimica anfifilica (una testa idrofilica/polare con nn gruppo fosfato carico negativamente e una coda idrofo­ ba/apolare costituita da due catene cli acidi grassi a diverso grado di insatura�ione) si dispongono in maniera da mantenere In porzione polare rivolta verso la parte acquosa del mezzo esterno, uientre le code apolari sono rivolte verso l'interno (Fig. 2.6). Secondo questo modello, le proteine e i fosfolipidi che compongono la membrana sono in grado di muoversi lateralmente e quindi la membrana costituisce un mezzo

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    Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare

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    Figura 2.6: Schema di una membrana plasmat·irn 11cc:orulo ·il modello del mosaico fluido.

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    fluido. Tu.le fluidità è regolata dal contenuto di colesterolo (l'unica membrana priva di colesterolo è quella mitocondriale) e dal gr,tdo di insaturaY,ione degli acidi gra88i componenti. Ltt mcmbn.ma plasmatica impedisce la libera diffm,iouc di soluti ionici. L'usim­ metria nella dh;tribn¼ioue di ioni tra l'interno H l'esterno della membrana plasmatica genera uu potenziale élettrico che, nei ncmroui, <� clcll'ordiuc dei -70 mV (il potenziale elettrico è mi,;ur,tto riHpctto alla. ·snperficin esterna della. membn.um) ma può vnTiarc a seconda <;icnrato dalle proteine infrinseohe di membrana mentre il trasporto di molecole idrofobiche avviene passiva­ mente scn¼a necesi.;ità di meccanismi di trasporto mediati. Altre proteine di membru.­ ua assicura:no il contatto cellula-cellula e cellula-matrice, nonché costituiscono degli specifici recettori di membrana che assicmano, n.ttraverso processi di tmsduzione del segnale per via biochimica, la risposta cellulare a �timoli e mediatori esterni (es. or­ moni e neurotrasmettitori). Le glicoproteine, che comprendono molte proteine integrali di membrana, re­ sponsabili della comunicar.ione cellula-cellula, oltre ad innumerevoli proteine secrete come gli o.nticorpi, sono proteiRe alla cui catena peptidica è legata una catena oligosac­ caridica (composta dunque di carboidrati e definita ,qlicano). Spesso un polipeptide di questo tipo viene definito con il termine di proteina glicosilata. Il glicano è attacca­ to mediante una modifica'l.ione post-traduzionale (in alcuni casi anche co-traduzionale) della proteina, attraverso 1111 processo genericamente definito glicosilazione d1e avvie­ ne nell'apparato di Golgi. I glicani sono spesso aggiunti a proteine che presentano un segmento extracollnlare. Le proteine integrali di mombrana sono ad esempio quasi sempre glicosilate. I glicolipidi sono delle molecole formate
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    BIOLOGIA

    pi imnguigni. Giocano moli anche 11el formare i tessuti aiutando le cellule a restare attaccate, e a fomire energia al la cellula. Vinsieme delle membrane interne delle cellule eucariotiche che costituisce il si­ stema di endomembrane, completamente assente uei procarioti, comprende tutte · quelle che ricoprono i vari organelli subcellulari come il reticolo endopl asmatico, Pap­ pa.rato cli Golgi, i lisosomi, i mitocondri e Pinvolucro nucleare. La struttura delle eudomembraue è del tutto simile a quella della membrana plasmatica, fatta eccezione per quella mitocondriale che è priva cli colesterolo. Pertanto, le principali funzioni della membrana plmmmtica e delle eudomembrane sono: • separazione del materia.le cellulare clulrambieute esterno grazie alla funzione di barriera semipermeabile; • organi'l.zazionc e localizza:1.ioue di specifiche fumdoni cellulari grnzie alla comparti­ mentaliz�mzione subcellulare degli organnli; • consentire il coordinamento elci processi di trmiporto e il mantenimento del poten­ ziale elettrochimico; • consentire il rilevamento di segnali extrn.cellnlari grazie alla presenza di recettori di membrana; • cousenlire la comunicazione intercellulare e tra. cellula e matrice alla. base delPor­ ganizzaziouc sovracellnlare in tessuti. Alcune cellule, in particoln.re quelle coinvolte in scambi

  • 2.8.1 Funzioni della membrana plasmatica� osmosi, diffusione, trasporto, endocitosi ed esocitosi, fagocitosi e pinocitosi Le membrane sono barriere semipermeabili, cioè pos.<;ono essere attraversate libera­ mente, per diffusione seguendo il proprio gradiente di concentrazivne, 8olo da picco­ le molecole non polari (come ossigeno e anidride carbonica), o neutre, come Pacqua (sebbene recentemente siano i:1tate caratterizzate proteine di membrana specifiche per 303

    Capitolo 2 Biologia. cellulare e molecolme

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    trasportare l'acqmt, denominate ,tcquaporine) e l'nrea, mentre non possono essere at­ traversate da grosse molecole polari (come il glucosio) e dagli ioni (come H + e ATP), la cui concentrazione determina essem,iahnente la pressione osmotica delle soluzioni. La concentrazione dei soluti in una soluzione è il principale fattore che condi7.iona il potenziale osmotico. Qualora le cellule si trovino immerse in soluzioni aventi una pressione osmotica minore (soluzione ipotonica) o superiore (ipertonica) rispetto a quella interna: nel primo caso l'acqua entrerà nelle cellule, eventualmente fino a farle scoppiare, nel secondo uscirà facendole raggrin1.ire. Ad esempio, per il mantenimento dell'integrità dei globuli rossi, essi devono essere mantenuti in un liquido isotonico. Tale fenomeno di movimento di solvente attraverso nna membrana semipermeabile si definisce osmosi e obbedisce alle leggi della diffusione. Il passaggio di ioni e molecole polari è mediato dalle proteine di trasporto, che sono altamente specifiche. Il trasporto mediato, o diffusione facilitata, può es­ sere passivo, doè secondo il gradiente di concentrazione senza necessità di utilizzare energia, o attivo, cioè avvenire dalla soluzione più diluita a quella più concentrata. In quest'ultimo caso, il trru;porto necessita di energia, fornita
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    BIOLOGIA

    membrana cellular e in eccesso e di specifiche molecole esposte sulla sua superficie in modo da regolare la morfologia, l'area e la funzione di segnalazione della membrana plasmatica. Si riconoscono tre tipi di endocitosi: endocitosi mediata da recettori, endocitosi in Jase fluida e fagocitosi. L'endocitosi mediata da recettori è regolata e specifica. In questo tipo dì en­ docitosi la cellula riconosce il suo substrato (materiale da ingerire) mediante proteine di membrana. Queste proteine sono in grado di legare, esternamente, il materiale da introdurre e, internamente, particolari proteine chiamate clatrine. Viene così or­ ganizzata una rete di clatrine che possiede già una sua curvatura intrinseca e che contribuisce all'invaginazione del plasmalemma (fossette rivestite). Quando il ligan­ do si lega al suo recettore specifico, il ligando-recettore si accumula nelle cosiddette fossette rivestite ("coated pits"). È importante notare che l'endocitosi mediata da recettore è molto più veloce della fagocitosi o della pinocitosi. L'endocitosi in fase fluida è costitutiva e aspecifica, ossia la cellula introduce piccole gocce di matrice extracellulare in maniera indifferenziata: Questo è possibi­ le perché il materiale in questione è presente disciolto in soluzione acquosa. Questo particolare tipo di endocitosi è detto pinocitosi. La fagocitosi è la capacità posseduta da diverse cellule (come alcuni globuli bian­ chi) di ingerire materiali estranei e di distruggerli. La fagocitosi, per portare materiale all'interno della eellula, richiede da parte della cellula ste::;sa, l'emissione di espansioni citoplasmatiche delimitate da membrana, chiamate pseudopodi. Queste estroflessioni della membrana plasmatica sono costituite da un'impalcatura esterna formata da fila­ menti cli actina che avvolge completamente il materiale da ingerire (batterio, nutrienti ecc.) portandolo all 'interuo della cellula fagocitaria. Una variante della fagocitosi è l'autofagocitosi, una modalità con cui la cellula decide di degradare dei suoi organuli per rinnovarli ( dato che niente è opportuno scar­ tnre e/o buttare): avvolge l'organulo con membrane del suo reticolo endoplasmatico liscio (REL). Questo processo nella cellula animale solitamente av viene nei lisosomi. Quello che si forma in seguito sarà una grossa vescicola chiamata autofagosoma che sarà poi espulsa per esocitosi. La membrana plasmatica interviene anche nei fenomeni di escrezione, vale a dire nella liberazione dei prodotti elaborati dalla cellula. L'escrezione cellulare è un fenomeno discontinuo o continuo. V es crezione continua non controllata è un mecca­ nismo più raro, caratteristico spesso di cellule patologiche. V escrezione dis continua e controllata avviene per liberazione indotta da uno stimolo. Un esempio può essere il pancreas endocrino, nel quale i granuli di secrezione contenenti insulina vengono liberati nel sangue quando la concentrazione ematica dì glucosio aumenta. Numerose cellule a secrezione interna o esterna liberano i loro prodotti in modo discontinuo: cel­ lule delle ghiandole salivari, degli acini pancreatici, cellule della midollare del surrene produttrici di noradrenalina. V esocitosi propriamente detta è preceduta da una fase di migrazione dei granuli di secrezione o di una vescicola lisosomiale.' La vescicola si sposta per aderire alla faccia interna della membrana citoplasmatica e la sua migra7,ione avviene grazie a correnti citoplasmatiche create dalla contra7-ione dei microfilamenti del citoscheletro e la cui direzione è imposta dai microtubnli. Questo meccanismo è ATP e Ca2 + dipendente. Le membrane della vescicola e del rivestimento cellulare si fondono provocando così l'apertura della vescicola e la liberazione del suo contenuto all'esterno.

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    Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare

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    2.9 Nucleo, nucleolo e pori nucleari

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    Il nucleo è la struttura subcellulare di maggiori dimensioni in una cellula eucariotica e contiene il materiale genetico organizzato in cromatina nei cromosomi. Il nucleo è la sede principale della sintesi degli acidi nucleici e contribuisce pertanto indiretta­ mente alla sintesi proteica. È limitato da una serie di due membrane concentriche che costituiscono l'involucro nucleare ed è in .comunicazione con il citoplasma cellulare attraverso strutture proteiche complesse che formato i pori nucleari. Cellule eucariotiche specializzate e terminalmente differenziate come gli eritrociti nei mammiferi sono prive di nucleo perché si sono evolute per ottimizzare l'esclm;ivo trasporto di ossigeno. Analogamente, le piastrine, che derivano da cellule giganti po­ linucleate del midollo osseo (i megacariociti) e che svolgono una funl.ionc principale nel processo di coa.guh1.,r.io11e del sangue, sono prive di nncleo. Un altro esempio di cellule prive di nucleo è rappresentato dalle cellule epiteliali dello strato corneo delln pelle. La conseguenza piì1 immediata dclPasscnxa di 1111 nucleo in cellule altamente spe­ cializzate è rappresentato dalla loro impossibilità a dividersi, pertanto in 1111 organismo il loro numero viene mantenuto costante gra7.ie a continui processi differenl.iativi che portano le cellule precursori (dotate di nucleo fnnl,ioualc) a diventare cellule terrni­ nalmente differenziate prive di nucleo e specinlfa½ate a svolgere principalmente una precisa funzione biologica. Il nucleo presenta delle struttnre specialil.zate come il nucleolo e �umerosi com­ plessi multienzimatici, come lo spl-icevsoma (deputato alla rimoiione degli introni dal trascritto di RNA immaturo e costituito da proteine e piccole molecole di RNA nn­ clearc denomhtato snRNA). Il nucleolo è una. struttura subnucleare non delimitata da membrane in cui av­ vengono i processi di sintesi e maturazione degli RNA ribosomiali (rRNA) e Passem­ blaggio delle subunità_ pre-ribosomiali necessarie per la sintesi proteica che avviene a livello citoplasmatico. Questa regione non è 1111 organulo interno al nucleo, bensì una regione particolarmente densa di materiale genetico e proteico, che risulta quindi mol­ to evidente nella microscopia cellulare. Si tratta di una struttura fibrosa e granulata presente in una o piì1 copie nel nucleo della maggior parte delle cellule eucariotiche superiori, specialmente quelle che presentano una attiva sintesi proteica. Al micro­ scopio ottico appare come ùn granulo rotondeggiante, non delimitato da membrana e circondato da uno strato di cromatina condensata. È costituito da tratti di DNA che codificano per l'rRNA, da filamenti di rRNA nascenti e da proteine. Il nucleolo è presente durante le fasi Gl, S e G2 del ciclo cellulare e scompare du­ rante la mitosi, momento in cui la cellula interrompe la sintesi proteica e �on necessita quindi di ribosomi. Ricompare poi quando la cellula ha completato la,.'.clivisione cel­ lulare e riprende la sua attività di sintesi. Probabilmente il nucleolo interviene anche in altre importanti attività cellulari: ad esempio sembra avere un ruolo centrale nel trasferimento dell'RNA messaggero (mRNA) dal nucleo al citoplasma. Recentemente, studi di proteomica hanno dimostrato che nel nucleolo sono anche localizzate alcune migliaia di proteine, apparentemente non associate alla funzione principale del nucleolo, come fattori di trascrizione e enzimi coinvolti nei processi di riparazione del danno al DNA. Durante un danno dal DNA, la struttura del nucleolo viene disassemblata e questo processo porterebbe ad un arresto della sintesi pro.teica per favorire il processo di riparazione del danno.

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    BIOLOGIA

    La membrana nucleare non è continua, ma presenta dei fori, detti pori nucleari, il cui scopo è quello di permettere il passaggio delle molecole dal citosol al nucleo­ plasma e vi.ceversa. I pori nucleari presentano un diametro di circa 120 nm e sono composti da 8 proteine canale disposte ad ottamero e da centinaia di altre proteine èhe formano le diverse subnnità, per un totale di 120 MDa di massa. Questi canali vengono anche definiti compl essi del poro nucleare. Le molecole più piccole (fino a 5 kDa) passano per diffusione come pure molecole piit grandi (fino a 20-40 kDa) che passano con velocità inversamente proporzionale alla loro massa. Altre proteine più grandi necessitano di un meccanismo di trasporto atti­ vo che prevede il riconoscimento di nna particolare sequenza di localizzazione nucleare (NLS) da parte di proteine di trasporto dette recettori per il trasporto nucleare a cui appartengono le carioferine che funzionano come importine o esportine.

    2.10 Il citoplasma Il citoplasma è un materiale piuttosto viscoso costituito prevaleittemente da acqua contenuto all'interno delle cellule in cui sono sospesi gli organuli cellulari. In es.�o si svolgono alcune attività fondamentali per la vita della cellula come la rc8pirazione, il movimento, la glicolisi, molti processi catabolici e auabolici, Papoptosi, ecc. Il dtoplusma di due cellule diverse pu'ò essere in continuità mediante dei canali detti plasmodesmi che attrnvernano le membrane cellulari. Oltre agli organuli, al nucleo e al citoscheletro, nel citoplasmn di alcune cellule possiamo trovare dei rec,�ttoTi per specifiche molecole segnale {es. ormoni steroidei) che vengono attivati dal legame cou il proprio liganclo e regolano l 'esprcssione genica a livello nucleare.

    2.11 I ribosomi I ribosomi sono particelle, non delimitate da membrane, costituite da RNA riboso­ miale (rRNA) e proteine, pro:.;enti in tutte le cellule conosciute e, nelle cellule encn­ riotiche a livello citoplasmatico. Le cellule dei mammiferi in fase di crescita attiva contengono da. 5 a 10 milioni di ribosomi che devono essere ripristinati ad ogni divi­ sione cellulare. I ribosomi sono responsabili della sintesi proteica (traduzione). Vengqno sintetiz­ zati e preassemblati nei nucleoli in due distinte subunità pre-ribosomiali,. attraverso i pori nucleari fuoriescono nel citoplasma dove le due subunità si assemblano net' ribo­ soma maturo. Gruppi di ribosomi che si associano allo Htcsso RNA messaggero per effettuare la sintesi proteica si definiscono polisomi.

    2.12 Il reticolo endoplasmatico Il reticolo endoplasmatico (RE) è costituito da una serie continua di membrane ripiegate e interconnesse tra loro che attraversa il citoplasma delle cellule eucariotiche ed è interconnesso con la membrana nucleare. Lo spazio interno a queste membrane si definisce lume. Le membrane del RE possono avere la struttura, di cisterne o tubuli contenenti all'interno diversi tipi di enzimi. Vi sono due tipologie di RE differenti per morfologia e funzione, il cui preva.lere delPuno sulPaltro dipende dalla tipologia cellu­ lare: il reticolo endoplasmatico ruvido (in qualche testo e nei quiz viene usato, in 307

    Capitolo 2 Bio).ogia cellulare e molecolare



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    maniera non corretta, Paggettivo ccrugo.so» ) (RER) e il reticolo endoplasmatic o liscio (REL). Lo sviluppo del RE è in diretta correlazione con Pattività di biosintesi proteica cellulare. Alle membrane del RER aderiscono, sul versante citoplasmatico, i ribosomi, dove vengono sintetizzate le proteine a destinazione non citoplasmatica (proteine di secre­ zione, protein� di membrana cellulare o di organelli intracellulari) che vengono poi trasferite, mediante un flusso di vescicole

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    2.13 L'apparato di Golgi

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    Uapparato di Golgi è un organulo citoplasmatico, molto sviluppato nelle cellule con attività secretoria, costituito da una struttnra di sacd1e membranose appiattite dette cisterne contenute nel citoplasma. La sua principale funzione è di provvedere alle modificazioni post-tradnziouali (es. glicosil�ioue) e allo smistamento delle pro­ teine sintetizzate nel RER, in particolare di quelle protHine destinate alla membrana plasmatica, le proteine di secrezione o di quelle destinate ad altri organuli come i lisosomi. L 1 apparato di Golgi presenta un orientamento definito: le cisterne del la.to cis-Gol9i sono rivolte verso H nucleo mentre il lato opposto verso la membrana citoplasmatica viene definito trans-Golgi. Le proteine di secrezione immature arrivano dal RER al ci.,;-Gol,qi mediante le vescicole di trasporto; alJ >iuterno del Golgi subiscono Popportuuo processo di matu­ razione che comporta una serie di modificazioni chimiche e lasciano quindi il Golgi stesso dal suo lato tra ns mediante le vescicole di secrezione.

    2.14 I lisosomi e i perossisomi �·

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    I lisosomi sono organuli citoplasmatici, costituiti da sacchetti (aventi alPinterno un pH acido) circondati da una singola membrana, nei quali avviene la digestione in tra­ cellulare di corpi estranei inglobati dalla cellula mediante un processo di fagocitosi oppure di degradazione di macromolecole cellulari o di molti complessi org_anici, grazie alla presenza di una serie di enzimi idrolitici (es. idrolasi acide) in essi contenuti. Il lisosoma si forma per gemmazione dalPapparato del Golgi che provvede anche al processamento degli enzimi litici prodotti dal reticolo endoplasmatico /uvido. Que­ sti enzimi sono diretti nei lisosomi perché contengono residui di ma.nuòsio-6-fosfato ottenuti tramite fosforilazione a livello del versante cis del Golgi ad opera di una fosfo­ transferasi. Gli enzimi così marcati vengono diretti specificamente verso i pre-lisosomi (così definiti in quanto il pH non è sufficientemente acido) tramite vesdcole cndoso­ mali dotate di pI-I più basso. Quindi, man mano che nuove vescicole apportanti nuovi enzimi si fondono al pre-lisosoma, il suo pH si abbassa attivando infine gli enzimi litici e trasformandosi in· vero e proprio lisosoma. I lisosomi sono_particolarmente sviluppati nei granulociti neutrofili, in quanto que­ ste cellule del sangue hanno il compito di catturare e distruggere sostanze estranee mediante il meccanismo della fagocitosi.

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    BIOLOGIA

    I perossisomi sono organuli simili a.i lisosomi, nella forma di vescicole dotate dì membrane, � contengono enzimi specifici preval�ntemente coinvolti nella deaminazio­ ne ossidativa degli aminoacidi grazie alla loro capacità di produrre acqua ossigenata (H202) a partire da ossigeno molecolare (02) per me7.zo di specifici enzimi tra cu� la perossidasi e cli distruggerla mediante la catalasi.

    2.15 I mitocondri I mitocondri sono organuli subcellulari (di forma allungata, il mitocondrio è lungo mediamente 1-4 µm e ha un diametro medio di 0,2-1 µm) deputati alla respirazio­ ne cellulare con produzione di ATP, e rappresentano pertanto la sede di conversione delPenergia cellulare iu forma molecolare. Sono le centrali energetiche delle cellule. In mm cellula comune ci sono un migliaio di mitocondri, che vivono come inquilini, conservando le proprie informazioni genetiche, dup(icaudosi secondo un loro program­ ma e parlando la propria lingua. Quasi tutto il cibo (e l'ossigeno insieme ad esso) che immettiamo nell'organismo, dopo essere stato elaborato, è inviato ai mitocondri, dove viene trasformato con produzione di energia che a sua volta serve per siutctiizare una particolare molecola (ATP). È l' ATP che ci tiene in vita. Le sue molecole sono piccole batterie ricarica.bili che si m11ovono,o.ll 1interno della cellula fornendole energia. In ogni istante nua cellula contiene circa. un miliardo cli queste molecole che in solo 2 minuti sono consumate e rhnpiazzate subito da un altro miliardo. In un giorno si producono mediamente e si consumano circa 500 kg di ATP. I mitocondri sono dotati di 1111 doppio strato membranoso: una membrana ester­ na (liscia) e nua membrana interna (couvolnta in strutture dette crù;tae mitocon­ driali) separate da uno spazio intennembrana. La &mzioue di queste strutture della membrana interna, caratterizzate dalla pre.-;cnza di numerosi avvolgimenti, rientranze e sporgenze, è di aumentare la superficie di membrana che permette di disporre di un numero maggiore di complessi dì ATP sìntetasi (l'enzima che trasforma ADP iu ATP) e di massimizzare la produzione di energia. La membrana interna ha un rap­ porto proteine/lipidi che si aggira intorno a 3: 1 (che significa che per ogni 3 proteine vi è un fosfolipide) e contiene più di 100 tipi di molecole polipeptidiche. L'elevato contenuto proteico è ra:ppresentato da tntti i complessi deputati alla fosforilazione os­ sidativa e, in ultimo, alla produzione di ATP attraverso il complesso dell'ATP sintasi (o sintetasi), che genera ATP sfruttando la differenza di concentrazione di protoni che si è generata sui due lati della membrana. Un'altra caratteristica particolare, in quanto propria delle membrane batteriche, è la presenza di molecole di cardiolipina (difosfatidil-glicerolo) e l'asse nza di colesterolo. La membrana interna, contrariamente a quella esterna, è priva di porine, ma con trasportatori transmembmna. altamente selettivi per ogni molecola o ione. A seguito di ciò le dne facce della membrana interna vengono chiamate, rispettivamente, ver­ sante della matrice e versante citosolico (in quanto viene facilmente raggiunto dalle piccole molecole del citosol cellulare) oppure versante N e versante P in ragione del diverso potenziale di membrana (neutro nel versante citosolico e pm;itivo nello spazio intermembranoso interno). Il processo di produzione di energia da parte del mitocondrio viene svolto ntiliz­ zaudo i principali prodotti della glicolisi: il piruvato e il NADH. Essi vengono sfruttati in due processi vitali: il ciclo di I
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    Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare

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    interno è contenuto il materiale genetico del mitocondrio nella sua forma di cromoso­ ma mitocondriale (DNA circolare a doppio filamento covalentemeute chiuso, simile a un plasmide). Quest >ultimo codifica per alcune proteine mitocondriali, per i tRNA e gli rRNA mitocondriali. Il mitocondrio è inoltre dotato di propri ribosomi ed effettua una autonoma sintesi delle proteine codificate dai geni mitocondriali. Queste caratteristiche di autonomia supportano l'ipotesi (formulata da Lyuu Margulis negli anni 180) dell'origine endo­ simbiontica dei mitocondri (e dei cloroplasti vegetali), ossia il fatto che possano essere il risult;.\.to evolutivo dell'iuglobamento, da parte di cellule eucariotiche primordiali, di cellule batteriche specializzate attraverso un processo di simbiosi. Oltre alla funzione principale nella produzione di ATP, il mitocondrio interviene inoltre in una sei'ic di altri processi come: l'apoptosi e la morte neuronale da tossicità da glutammato, la regolazione del ciclo cellulare, la regolazione dello stato redox della cellula, la sintesi dell'emP-, la sintesi del colesterolo e la produzione di calore.

    2.16 Citoscheletro e motilità cellulare: microtubuli, microfilamenti, filamenti intermedi, ciglia e flagelli Il supporto alla struttura e al movimento cellulare è assicurato dal ci toscheletro, un sistema di filamenti e tubuli proteici interconnessi che comprende tre diversi tipi di strutture distinte �mlla base del loro diametro e composizione proteica in: microtubuli ({liamctro cli circa 25 nm), microfilamenti (diametro di circa 7 nm) e filamenti inter­ medi (diametro di circa 10 nm). I microtubuli sono strutture filamentose formate da eterodimeri della proteina tubuliua (a-tubulina e fi-tubulina) che si associano a spirale alle estremità del microtu­ bnlo. formando 1111 cilindro cavo (Fig. 2. 7). La facilità. con cui si ha la polimerizzazione e depolimeriz�azione di tali filamenti determina la capacita cinetica di tali strutture. Alcune sostan2e agiscono impedendo la dinamica dei microtubuli, come ad esempio il paclitaxel, che appartiene alla classe dei farmaci del taxolo usati nella lotta contro il cancro, e la citocalasina B (vedi infra). I microtubuli solitamente presentano un 1estremità attaccata ad un unico centro organiz�atore detto centrosoma, situato vicino al nucleo. Il centrosoma. contiene generalmente due centrioli (assenti nelle cellule vegetali) formati anch 1 essi da mi­ crotubuli e che hanno la forma di una botte. Essi svolgono una funzione essenziale durante la mitosi, in quanto sono coinvolti nelPassemblaggio del fuso mitotico. Du­ rante la fase S del ciclo cellulare i centrioli si duplicano, ma restano uniti in un unico ceutrosoma. AIPinizio della profase le due coppie si separano migrando ai poli op­ posti della cellula e dando origine a due centrosomi distinti, a cui sono attaccati i microtubuli, che costituiscono i due poli del fuso mitotico. Ai microtub�li del fuso si attaccano, mediante il centromero, i cromatidi (i cromosomi duplicati) che migrano ai poli opposti della cellula.sia durante la mitosi che nella meiosi. La citocalasina, impedendo la formazione dei microtubuli, impedisce la mitosi e la meiosi. I microtubuli costituiscono anche l'impalcatura. interna di flagelli e ciglia e sono i responsabili del traffico di organuli e vescicole all'interno della cellula. Inoltre, svol­ gono 1111 ruolo importante nella secrezione degli ormoni della tiroide e del pancreas. I mic rofilamenti sono costituiti da polimeri di una. proteina globulare detta ac­ , tina che assieme alla miosina è responsabile della contrazione muscolare. I filamenti intermedi sono costituiti da cordoni di proteine fibrose (non globulari), come le che-

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    BIOLOGIA

    l'atine. che adempiono al compito di conferire stabìlit.h. mer.cankn. alla cellula.. La lamina nucleare è una struttura di filament.j intermedi che niantiene in posi�ione il nucleo cellulare.

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    Figura 2.7: Modello spaziale di un .'ìe_qmento di microtubulo proveniente da mi­ croscopia c1'io-elettronica. I protofilamenti sono visibili .'ìcorrendo lnngo l'asse del segmento. Le estremità (+) del microtubulo sono rivolte ven,o l'alto.



    311

    Capitolo 3

    Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione 3.1 Storia e scienziati del DNA Dopo la proposta di Sntton e Boveri, fatta nel 1902, che i cromosomi fossero alla base dell'ereditarietà, visto il loro comportamento parallelo ai caratteri studiati da Mendel, fu solo nel 1928 che il microbiologo inglese Fì·ederick Griffith dimostrò l'esistenza di un "principio trasformante,, ereditabile, contenuto nei batteri che causano la polmonite. L'esperimento fu fatto con cellule di Streptococcus pneumoniae di tipo S patogene e con cellule di tipo R non patogene sn topi. Mentre i ceppi non infettivi non erano contagiosi, lo diventavano se mescolati con i ceppi infettivi uccisi con il calore. Griffith concluse che il principio trasformante non veniva intaccato dal calore e che veniva trasferito alle cellule non infettive, che acquistavano le proprietà patogene (Fig. 3.1).

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    Figura 3.1: di Griffith.

    L'esperimento

    ,, La natura del "principio trasformante fu scoperta nel 1944 da Avery, McLeod e McCarty, i quali dimostrarono che esso era il DNA, non una proteina, come ge­ neralmente ritenuto. Infatti la trasformazione era inibita dalla presenza di deossiri­ bonucleasi (un enzima che degrada il DNA) ma non dalla presenza di diversi enzimi proteolitici o da ribonucleasi (che degrada l'RNA). La patogenicità è dovuta alla presenza di un gene nel genoma del batterio, che co­ difica per la formazione di una capsula sul batterio stesso che gli permette di sfuggire al sistema immunitario dell'animale e di infettare iI tessuto. Poiché questa capsula è di aspetto liscio, il gene è stato contrassegnato dalla lettera S ("smooth,,). La presenza nel batterio della forma mutata del gene (forma R) impedisce al batterio di costruire la capsula e quindi gli conferisce un aspetto rugoso ( "rough » ) e la mancanza di pato­ genicità. La spiegazione dell'acquisto della patogenicità dei batteri R in presenza di 313

    © Artquiz

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

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    batteri S uccisi con il calore sta nel fatto che i frammenti di DNA che provengono dal genoma del batterio ucciso sono resistenti al calore e possono essere trasfcttati (tra­ sferiti) nel batterio non patogeno e conferire a esso la proprietà trasformante (Fig. 3.2).

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    Isolamento del DNA

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    Figura 3.3: I componenti chimici de_qli acidi nucleici. Notare che la numerazio­ ne dello zucchero contiene 1m apice, per non confonderla con la nu.merazione delle basi. Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi (polinucleotidi) che, a loro volta, sono costituiti da un nucleoside (l'unione dello zucchero con la base) e da uno o più gruppi fosfato (Fig. 3.4). 314

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    3.2 DNA e RNA: coi:;tituzione chimica

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    Nel 1949 i coniugi Vcndrely e A. Boiviu dimostrarono che la quantità di DNA nelle cellule di tutti i tessnt.i di uno stesso animale è costante, mentre negli spcrmatoxoi questa quantità è ridotta alla metà.

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    Figura 3.2: La spiegazione dell 'esperirnento di Griffith.

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    Cellula R (ruvida) non palogena

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    BIOLOGIA Base

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    } Nucleotidi

    Figura 3.4: La struttura chimica di im deossinucleotide trifosfato.

    Il nome del nucleoside viene ricavato dal nome della base cootituente: citidina è il nome del nucleoside formato dalla citosina e rappresentato nella Figma 3.4). Adenosina, guanosina 1 timidina e uridina sono i nomi dei uucleosidi contenenti, rispettivamm;1te 1 la adenina, guanina, timina e nracile. Il nome del nucleotide viene ricavato dal nome del nnclcoside1 aggiu11gm1do il termine afosfato11 • Il nucleotide della Figura 3.4) 1 poiché la. base è la citosina, si chiama citidina monofosfato. Lo zucchero è il ribosio nell 1RNA e il desossiribosio nel DNA (Fig. 3.3). La ba..<.;e è un derivato della purina (una molecola aromatica eterociclica, perché contiene negli anelli oltre agli atomi di carbonio anche atomi di azoto, costituita da un anello a sei atomi condensato a un a.nello a cinque atomi) o della pirimidina (molecola aromatica eterociclica con sci atomi nell'anello). La differenia tra ribosio e desossiribosio sta nel fatto che quest'ultimo manca del gruppo ossidrile in posizione 2 11 per cui i derivati saranno i nucleosidi o i clesossiuucleosidi. Le basi sono legate agli zuccheri mediante un legame N-glìcosidico in posizione l 1 (questo legame è simile a quello che si forma nei disaccaridi e nei polisaccaridi, solo che è fatto con un atomo di azoto della base e non con uno di ossigeno) (Fig. 3.4). Da notare che l'apice aggiunto alla numerazione degli atomi dello zucchero serve per non confondere questa numerazione con quella degli atomi delle basi. Quando i gruppi fosfato nel nucleotide sono più di uno (difosfato e trifosfato) essi sono legati tra loro mediante un legame anidrico. Inoltre, poiché gli ossidrili del gruppo fosfato a pH fisiologici sono ionizzati, si forma in questi casi una concentrazione di cariche negative in uno spa:,1;io limitato. Questa è la ragione per la quale i nucleotidi trifosfati sono molecole molto ricche di energia. La rottura di un legame anidrico nei trifosfati per formare difosfati o monofosfati riduce la densità di carica negativa nella molecola e libera quindi energia (circa 7 kcal/mole). L'ATP (o adenosina trifosfato) è la molecola che svolge nella cellula la funzione di accumulo di energia. Essa viene sintetizzata a partire da ADP nel processo di fosforilazione ossidativa (Biologia,.§ 4.3) e degradata ad ADP in tutti i processi metabolici endoergonici. Nell'uomo vengono sintetizzati e degradati giornalmente fino a 500 kg di ATP. Fu solo nel 1950 che E. Chargaff dimostrò che, nel DNA 1 le quantità di Adenina (A) e cli timina (T) sono uguali, come lo sono le quantità di guanina (G) e di citosina (C) (regola di Chargaff), Il DNA si trova nel nucleo delle cellule eucaTiote e negli organelli mitocondrio e cloroplasto ( quest'ultimo solo nei vegetali). 315

    Capitolo 3 Gli acidi m1cleid. Il genoma: replicazione ed espressione

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    L'RNA è costituito da varie specie e si trova dappertutto nelle cellule eucariote. Le specie pH1 comuni di RNA sono: 1. l'RNA messaggero (mRNA) che ha il compito di portare l'informazione, conte­ nuta. nei geni, dal nucleo al citoplasma, dove è usato per la sintesi proteica, e che, ne­ gli eucarioti prima della sua maturazione, viene chiamato hnRNA (heteronudear RNA);

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    2. l'RNA ribosomale (rRNA) che, insieme ad alcnne proteine, costituisce i riboso­ mi, le particelle dove avviene la sintesi proteica; 3. l'RNA transfer (tRNA), la molecola. che trasporta i singoli aminoacidi nel ribo­ soma per la sintesi proteica; 4. vari altri tipi di RNA, presenti negli eucarioti, come gli snRNA (small nuclear RNA, che si trovd.no nello spliccosoma), gli snoRNA (small nucleolar RNA, che si trovano nel nucleolo e hanno varie funzioni), i mìcroRNA (chiamati anche siRNA, srnall interfering RNA) che si trovano nel nucleo e nel citoplasma e che hanno la funzione di regolare l'espressione genica, degradando in maniera mirata alcnni mRNA o impedendone la tradu?.ione e tanti altri RNA non codificanti, di cui l->1 stanno scoprendo le straordinarie proprietà nella vita di una cellula ..

    3.3 La conformazione degli acidi nucleici

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    Nel 1953 Ro.<mlind Fì·anklin (ne.1 laboratorio di Manrice Wilkins) pubblicò lo spettro di diffrazione dei raggi X di una fibra (non di m1 cristallo: in una fibra l'ordine è solo nella direzione della fibra, nel cristallo l'ordine è in tntte e tre le direzioni dello spazio) di DNA, dalla quale si poteva dedurre che la molecola aveva una struttura regolare ripetitiva. Questo spettro di diffrazione, i dati chimici di Chargaff e quelli biologici permisero nel 1953 a J. \iVatson e F. Crick cli proporre, in un famoso ar­ ticolo p�1bblicato su Nature, la strnttura a doppìa elica del DNA, che spiegava il comportamento biologico della molecola, ma la cui conferma sperimentale venne solo nel 1980, da spettri di diffrazione ai raggi X su cristalli di oligonucleotidi, effettuati nel laboratorio di R. E. Dickerson. La doppia elica di Watson e Crick (chiamata. anche conformazione B del DNA, per distinguerla da altre possibili forme, che lo stesso DNA può assumere in condizioni non fisiologiche e per particoÌari sequenze di basi, e dalla conformazione a doppia elica dell'RNA, che è contrassegnata dalla lettera A) è costituita da due filamenti (chia­ mati spesso nei quiz emieliche) polinncleotidici antiparalleli (che corrono in direzione opposta dal terminale 5' al terminale 3') avvolti à spirale destra intorno a un asse comune e legati tra loro mediante l'accoppiamento per legame idrogend tra le basi complementari appartenenti ai due filamenti (Fig. 3.5). Si chiamano,:basi comple­ mentari perché la guanina (G, una purina) si accoppia sempre con una cìtosina (C, una pirimidina), e l'adenina (A, una purina) si accoppia sempre con la timina (T, una pirimidina). Questi .accoppiamenti spiegano la regola di Chargaff che può anche essere espressa. con la formula (A + G)/(T + C) = 1, cioè il numero di puri11e in una doppia elica è sempre uguale al numero di phimidine. Il diametro della doppia elica B del DNA è di 20 A (Fig. 3.5). Ci sono tre legami idrogeno nella coppia guanina-citosina e due legami idrogeno nella coppia adenina-timina (i legami �ratteggiati nella Figura 3.5). La sequenza delle basi in ciascuno dei due filamenti rapp1·esenta la struttura primaria del DNA (come 316

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    @ Artquiz

    BIOLOGIA

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    Figura 3.5: La disposizione d,�i due filam<mti di DNA, die corrono in senso ovposto, nello spazio forma una dovpia elica antiparallela destrorsa. A d<:8tra il modo con cui le basi si acco ppiano con la formazione di le_qami idto_qeno complementari tra le basi, rappresentati dai tratteggi. la sequenza degli aminoacidi nelle proteine; Chimica, § 13.3.1) mentre la conforma­ zione (A, B, Z ... ) è la struttura secondaria che la doppia elica assume. Il gruppo fosfato deriva ossidrile alcolico in 3 1 e con quello in 5 1 del deossiribosio. Per questa ragione si dice che i deossinucleotidi nel DNA sono legati da legami fosfodiesterei. Il terzo ossidrile de!Pacido fosforico perde, in condi'l,ioni fisiologiche di pH vicino a 7, il pro­ tone e quindi il gruppo fosfato risultante possiede una carica negativa. A ca.usa della carica negativa di ogni gruppo fosfato i due filamenti di DNA hanno una rilevante carica negativa. TI:a i due filamenti c 1è quindi una forte repulsione che tenderebbe a separarli se non ci fossero nella soluiione acquosa, nella quale il DNA si trova in vivo, ioni positivi, come ioni sodio, calcio e magnesio (oltre a delle proteine cariche positivamente, vedi in seguito), che scherma.no questa repulsione. La struttura a doppia elica ordinata è stabile perché: 1. Le coppie cli basi sono planari cs�cndo tutti i loro .atomi (con i > esclusione di quel­ li dcli > idrogeno) ibridizzati sp2 ( come gli atorrii di carbonio nel benzene e negli idrocarburi aromatici). 2. Gli elettroni dei rimanenti orbitali p formano legami 1r delocalizza.ti, quindi liberi di muoversi su tutta la superficie degli anelli purinici e pirimidinici (come nel benzene e negli idrocarburi aromatici). 317

    Capitolo 3 Gli aèidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

    © Artquiz

    3. La mobilità di questi elettroni genera dipoli elettrici H uttuanti sul piano degli anelli.

    4. L'interazione tra i dipoli elettrici fluttuanti di una coppia di basi con quelli delle coppie poste al di sopra e al di sotto di essa genera una forza di attrazione molto forte (in inglese forza di stacking).

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    5. Poiché i dipoli che si vengono a generare nelle coppie G-C sono più forti di quelli che si vengono a generare nelle coppie A-T, i DNA con un contenuto maggiore di G-C (minore di A-T) sono più stabili di quelli con un contenuto minore di G-C (maggiore di A-T). La natura ha sfruttato questo fatto arricchendo di coppie A-T le zone di DNA che debbono aprirsi per prime (come nella replicazione del DNA per formare la prima bolla di replicazione).

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    Contrariamente a quanto riportato in quasi tutti i libri di testo, i due filamenti quindi non sono tenuti insieme dai legami idrogeno che si vengono a formare nelle coppie di basi, per cui si dice erroneamente che un DNA pii1 ricco di G-C è più stabile di un DNA ricco in A-T perché nella prima coppia ci sono tre legami idrogeno e nella seconda due. �nesti legami idrogeno sono invece importanti per accoppiare nella maniera giusta i due filamenti e permettere loro di assumere la struttura ordi­ nata, quella che permette l'esplicarsi delle forze di stackin_q. Nella conformazione B del DNA il polimero ha un diametro di 20 A (un Angstrom è pari n 10· 8 cm o 10-10 m) e la struttura a doppia elica presenta due scanalature (solchi), una più grande dell'altra. I solchi permettono ad alcune proteine di avvici­ nar:,i alle coppie di basi e di poterne individuare la sequenza per dare inizio a processi biologici importanti come la replica:tione, la trascrizione, il taglio ecc. La letturn. del­ la sequenza da parte delle proteine avviene mediante gruppi donatori e accettori di legame idrogeno, pre:,-cnti nelle catene laterali delle proteine, che si incastra.no come un lego con i gruppi accettori e donatori delle coppie di basi che protrudono nei due solchi del DNA (sono presenti gruppi donatori e accettori di legame idrogeno nelle basi in aggiunta a quelli che servono per l'accoppiamento delle stesse). Poiché questa interazione è un incastro ogni proteina è capace di interagire solo con una determinata sequenza di DNA. Il DNA in vivo è principalmente sotto forma di doppia elica (solo alcuni virus e batteriofagi hanno un genoma formato da un singolo filamento di DNA), mentre per l'RNA è in genere il contrario: è presente in vivo generalmente come singolo filamen­ to, anche se nei genomi di al�uni virus è sotto forma di doppia elica. Le basi presenti nell'RNA sono A, G, C e uracile (U, una pirimidina) al posto della timina, dalla guale si differenzia solo per la mancanza di un gruppo metile. L'uracile è complemen­ tare all'adenina e capace di formare con essa due legami idrogeno, esattamente come 1 la timina. Le basi possono accoppiarsi mediante legame idrogeno in modi divèrsi da quelli descritti da Watson e Crick (basi complementari) e riportati nella Figura 3.5. Ogni base può accoppiarsi con un'altra qualsiasi (compresa sé stessa). La natura ha sele­ zionato questi due accoppiamenti (A-T e C-G) perché presentano una struttura simile (vicariante): avendo geometria praticamente uguale una qualsiasi delle quattro cop­ pie (A-T, T-A, G-C e C-G) può sostituirne un'altra nella doppia elica regolare senza modificare la struttura B di Crick e Watson (vedi Fig. 3,5, nella quale è evidente che i quattro accoppiamenti occupano tutti lo stesso spazio), esattamente come si possono scambiare due cassetti qualsiasi in una credenza ben fatta, o i pioli in una scala o i gradini in una scala a chiocciola. Gli altri accoppiamenti non consentirebbero questo

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    BIOLOGIA

    interscambio e la struttura del DNA risulterebbe altamente irregolare e dipendente dalla sequenza delle basi. Grazie agli accoppiamenti Watson-Crick il DNA naturale è invece sempre un cilindro regolare molto lungo e flessibile (come uno spaghetto cotto), indipendentemente dalla sequenza delle basi. Esso diventa una bacchetta rigida ( spa­ �hetto crudo) solo se la sua lunghezza è inferiore ad alcune decine di coppie di basi. La struttura a doppia elica del DNA ha una certa stabilità, che dipende dalle condizioni ambientali nel quale il DNA si trova. Se si riscalda una soluzione acquosa di DNA, oppure si cambia il suo pH (al di sotto di 4 e al di sopra di 10), oppure si aggiunge all'acqua una sostanza che cambia la natura del solvente (per esempio urea o dimetilformammide), esso subisce il processo della denaturazione, cioè la separa­ zione dei due filamenti complementari. Il processo di denaturazione è cooper?,tivo, cioè avviene in un intervallo ristretto di temperatura, di pH o di concentrazione di dimetilformammide, invece che avvenire con progressività. La stabilità di un DNA dipende inoltre, come già detto, dalla composizione in basi (più elevato è il contenuto delle coppie di G-C più è stabile il DNA), dalla concentrazione di ioni positivi che schermano le cariche negative dei fosfati e dalla sua stessa concentrnzione. Due filamenti di DNA, se hanno la sequenza complementare, p0$ono riappaiarsi per dare luogo a una doppia elica regolare. Questo processo si chiama ibridazione se i due filamenti sono di origine diversa (per esempio un filamento è di origine naturale e un filamento sintetico, oppure due filamenti naturali che provengono però da due organismi diversi), o rinaturazione se i due filamenti provengono dallo stesso DNA originario (è il processo inverso della denaturazione) (Fig. 3.6).



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    Poiché l'uracile forma con l'adenina gli stessi legami idrogeno che forma la ti.mina, l'ibridazione può avvenire anche tra un filamento di RNA e uno di [?NA, purché complementari. Inoltre, poiché le interazioni di stacking sono molto forti, il processo di appaiamento può avvenire anche tra basi appartenenti allo stesso filamento mediante ripiegamento dello stesso (intracatena, per distinguerlo da quello intercatena, tra due filamenti diversi): è quello che avviene normalmente in un RNA, che è fatto da un singolo filamento, se esso contiene sequenze di basi complementari. La struttura tridimensionale che ne viene fuori non è una struttura regolare come una doppia 319

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replica7.ione ed espressione

    @ Artqutz

    elica, ma ciononostante è Ql!asi sempre molto importante dal punto di vista biologico (Fig. 3.7). (Vedi il tRNA in Biologia,§ 3.8).

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    O. Figura 3. 7: La struttura secondaria di un ipotetico RNA che ripiegan­ dosi su sé stesso f01ma dei tratti di doppia elica con leg ami idmgcno intracatena (cioè fatti dallo stesso filamento).

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    Poiché il DNA e l'RNA sono polielettroliti carichi negativamente, per la presenza di una carica negativa sn ogni gruppo fosfato, essi st muovono verso il polo positivo di un campo elettrico. Questa è la base della separazione degli acidi nucleici per elettroforesi. Questa separazione avviene all'interno di gel appositamente costrniti in laboratorio. I gel sono reticolati di molecole molto lunghe (poliacrila.mmide, uu polimero idrofilo sintetico, o agarosio, un polisaccaride naturale), che formanò pori cli dimensioni mediamente prestabilite. La grande��a dei pori influenza la velocità con cui le molecole di acidi nucleici si muovono all'interno del gel: le molecole pii, grandi hanno piit difficoltà a passare attraverno i pori (Fig. 3.8) e quindi sono piit lente.

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    Figura 3.8: L'elettroforesi del DNA. Nella parte superiore un tipo di apparec­ chiatura con cui si effettua {elettroforesi orizzontale). Nella parte: inferiore il gel dopo l'elettroforesi { effettuata con un apparecchio v�rticale) con, le bande separate e colorate. .?

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    Con l'elettroforesi su gel è possibile separare sia gli acidi nucleici a doppia elica che quelli a singolo filamento. La separazione è fatta in genere sulla base della differen�a. in numero di coppie di basi (o di basi nel caso di filamenti singoli), ma nella separa­ zione è importante anche la fOl'ma complessiva delle molecole, nel senso che molecole più compatte corrono attraverso le maglie del gel più velocemente di quelle a forma più aperta, pur avendo lo stesso numero di coppie di basi (cioè, nella separazione elet­ troforetica, la forma è altrettanto importante della grandezza delle molecole, come avviene pe1· la forma delle auto nelle corse di Form ula 1). _

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    BIOLOGIA

    3.4 Il genoma e la sua organizzazione

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    Il DNA di una cellula qualsiasi (procariote o eucariote) costituisce la base materia­ le dell'eredità, contiene cioè l'informazione geneti ca (il genotipo) caratteristica della specie a cui la cellula appartiene e ne determina le caratteristiche strutturali e funzionali (il fenotipo). La diversità tra il DNA di un organismo e quello di un altro si trova nella sequenza delle basi, che è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza evolutiva tra i due organismi. Il DNA è fondamentale per tutti gli esseri viventi e costituisce il genoma di quell'organismo. Questa afferma�ione deve essere spiegata. Se anche i virus sono considerati esseri viventi, allora l'affermazione NON è vera, in quanto ci sono virus che possiedono come materiale genetico l'RNA e non il DNA (si chiamano retrovirus). 1\1ttavia oggi si tende a non considerare i virus esseri viventi per la loro incapacità' ad autoriprodursi (lo possono fare solo infettando altre cellule) e quindi l'affermazione può r,ssere considerata corretta. Il genoma è quindi l'insieme dei geni che lo costituiscono e ogni gene codifica per un prodotto funzionale che è una catena polipeptidica (proteina o-subunità proteica) o un RNA funzionale (rRNA, titNA ... ). 11 numero di geni misurato nell'organismo umano è compreso tra 22.000 e 23.000, mentre il numero di coppie di basi che costi­ tuisce il genoma aploide è 3,2 · 10 ° . Poiché le cellule sono suddivise iu procariotiche ed eucariotiche, in queste ultime il DNA si trova nel nucleo, sottofonna di cromosomi, complessi molecolari costituiti da DNA e da proteine. Il DNA nelle cellule eucariote si trova anche in organelli come il mitocondrio e come il cloroplasto (quest'ultimo presente nelle cellule vegetali). Il numero dei cromosomi contenuto in una cellula dipende dalla specie. Gli eucarioti pluricellulari sono tutti diploidi, cioè possiedono due copie del DNA genomico. I batteri sono normalmente aploidi, cioè possiedono una copia del genoma. Anche gli eucarioti monocellulari possono essere aploidi come lo sono le cellule germinali o gameti (Diologia, § 5.3). Negli umani ci sono 23 coppie di cromosomi, di cui 22 si chiamano autosomì. La coppia numero 23 è la coppia dei cromosomi sessuali, XX per le femmine e XY per i maschi. I cromosomi autosomici sono, a due a due, omologhi, hanno cioè la sequenza delle basi del DNA molto simile, anche se non uguale (Fig. 3.9). La metà. del corredo cromosomico umano (ma anche di tutti gli altri animali) deriva da uno dei due genitori e l'altra metà dall'altro genitore. Il contenuto di DNA e la sequenza dello stesso è uguale in tutte le cellule di un determinato organismo, con l'esclusione dei gameti. 2

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    Figura 3.9: Il cariotipo di un maschio umano. I cromosomi sono raccolt·i in metafase, dopo la replicazione del DNA e prima della mitosi. Sono ordinati per grandezza; anche se il cromosoma 21 è più piecolo del cromosoma 22. Il cromosoma Y, è il più piccolo di tutti. 321

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    I cromosomi sono organizwti sotto forma di cromati na. un complesso a or­ ganizzazione ripetitiva ( discreta) dì DNA e proteine (con circa 50% dell'uno e delle altre). Il suo nome deri\·a dal fatto che è� colorabile. Il nucleosoma è alla base di questa organizzazione ed è costituito da un tratto di 146 coppie di basi di DNA avvolto a spirale sinistrogira intorno a un complesso formato da 8 proteine (chiamati istonì) a due a due uguali. Gli istoni del nucleosomn sono quindi di quattro tipi, H2A, H2B, H3 e H4. Ciascun nucleosoma è collegato a un altro mediante un tratto di DNA (chiamato DNA linker) lungo circa 50 coppie dì basi. Nel. cromosoma i nucleosotnì possono presentarsi in forma discreta, a grani di rosa­ rio, e allora la cromatina viene chiamata eucromatina, oppure in forma condensata perché tenuti insieme da nn quinto tipo di istone (Hl), e allora la cromatina viene chiamata anche eterocromatina. La differenza funzionale tra le due forme sta nel fatto che la prima è più facilmente tra8crivibìle mentre la seconda no. L'eterocroma­ tina può essere inoltre costitutiva cioè sempre presente sotto forma condensata, o facoltativa, cioè pnò presentarsi in forma condensata o rilassata. È in genere pos­ sibile trasformare una forma nell'altra mecHante complesse ·reazioni biochimiche che riguardano sia gli istoni che il DNA e quindi rcgolu.re il processo cli trascrizione. Così come è possibile modificare la forma e la posizione del nucleosoma mediante l'a:1,ione cli complessi proteici che consmnn�m energia. e che si chiamano complessi di rimo­ dellamento. I tratti di DNA che �ono sempre sotto forma cterocromatinica, e quindi non sono trascrivibili, sono alla bnse della cosiddetta epigenetica ( 0sopra alla genetica"). Con questo termine si vuole- c8primcrc il concetto che non solo è ereditabile la sequenza di DNA corrispondente ma anche l'orga.niz7,a¼ione spa7,ialc, cioè la sua i:itn1ttura compat­ ta. Un esempio sta in tutte le cellule femminili nmaue, dove uno dei due cromosomi X (qnello cli origine paterna o quello di origine materna, scelto a caso) è sotto forma compatta irreversibile e va sotto il nome di corpo di Barr. Questo cromosoma X non è mai espresso nella cellula. Lo. scelta del cromosoma X che viene compattato nelle singole cellule è fatta allo stato embrionale iniziale, quando le cellule sono po­ che e non sono ancora differenziate (sono tutte uguali). Questa scelta è mantenuta durante la crescita dell'embrione e dell'intero organismo, e quindi il corpo femminile è un mosaico, è fatto cioè da raggruppamenti cli cellule che hanno silenziato uno dei due cromosomi X (tutte quelle che originano da una stessa cellula embrionale), vicini a raggruppamenti che hanno silen'l,tato l'altro ( che derivn.no cioè da una cellula embrionale che ha silenziatò quest'ultimo). Una gatta con il pelo a macchie nere e arancione è la chiara espressione cli quei-;to mosaicismo ( 11 gatta calico") perché il colore del pc�lo è definito cla un gene che si trova nel cromosoma X. La mutazione di uno dei due geni porta all'espressione del mosaicil:imo. Il silenziamcnto di un X nelle femmine è necessario per permettere una uguale e.c;pre.%fone det geni in esso contehuti rispetto al maschio, che ha un solo X (compensazione del dosaggio). ,:i Il filamento di DNA nei cromosomi è organizza(;o a
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    BIOLOGIA

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    Figura 3.10: a. Il filamento di DNA in un cromosoma è organizzato ad anse., la cui base. è fi,r;sata a un micleo centrale. p roteico, chiamato scaffold. Nella figura le. anse. del <;romosoma sono state ripulite. de.gli i,r;toni p_e.1· • cui l'an.r;a è costituita dal solo DNA. b. L'ansa del cromosoma, p1LÒ essere costituita.
    3.5 Replìcazione del DNA Il dogma centrale della biologia molecolare è rappresentato dalla Figura. 3.11. . Trascrizione TreduziOne Replicazione DNA----+ RNA ----+Prole1na o del DNA . . Re1ro1rascr,z1one

    Figura 3 .11: Il doqma ce.ntrale. della biolo,qia mole.colare.

    Esso ci dice che l'informazione passa dal DNA all'RNA (trascrizione) e da questo alle proteine (traduzione). Dopo la scoperta che i retrov irus, che hanno il genoma costituito da RNA e che, per riprodursi, hanno bisogno di trasforma.re l'RNA in DNA mediante un enzima che si chiama trascrittasì inversa, il dogma è stato parzial­ mente corretto. Nella figura la freccia. circolare che circonda il DNA vuol dire che il DNA può es8cre replicato (o duplicato). La struttura a doppia dica del DNA spiega bene come nua cellula, di qualsia­ si tipo, sia capace di trasmettere alla sua discendenza l'informazione genetica che è contenuta nella sequenza delle basi. Il processo si chiama repl icazione del DNA, avviene nella fase S del ciclo cellulare, è sem iconservativo nel senso che il DNA ri­ sultante è fatto da un filamento del DNA originario e da un filamento neo sintetiz1,ato ed è effettuato da enzimi che si chiamano DNA po limerasi. Da nna doppia. elica del DNA si ottengono (salvo errori fatti durante il processo) così due doppie eliche per­ fettamente uguali tra loro e uguali al DNA originario: a ogni proc�sso di replicazione corrisponde il raddoppio del DNA. Le due copie sono poi separate durante la mitosi nelle due cellule figlie. Questo· meccanismo cli replicazione fu dimostrato da Meselson e Stahl nel 1958 (nei quiz è .r;pe.sso scritto 1957) ed è rappresentato nella Figma 3.12). 323

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    Figura 3.12: Il meccanismo di -replicazione del DNA. I dne oggetti grigi sono le due DNA polimerasi, gli enzimi che catalizzano la crescitci della catena usando come stampo i filamenti più chiari (parentali). Poiché le DNA polimerasi non sono in grado di avviare il processo, esse necessitano di un innesco (rappresen­ tato dal tratto nero e sintetizzato da appositi enzimi chiamati primasi). Es{,e inoltre polimerizzano sempre nella direzione 5'--t3', per cui la DNA polimerasi nella parte superiore della figura, ·una volta innescata, è capace di procedere nella direzione con cui si muove la farcella e quindi alla sintesi fino alla fi­ ne del filamento stamvo (filamento contin-uo). La DNA volimerasi raffigurata nella parte inferiore è costretta invece a muoversi nella direzione opposta a quella con cui si apre la forcella e q,tindi può sintetizzare il DNA solo a pezzi, ognuno dei quali con il proprio innesco, chiamati frammenti di Okazaki che poi verranno riuniti (filamento discontinuo). È da tener presente che le due copi e di DNA polimerasi in realtà sono ferme sulla forcella replicativa e dii si muove è il filamento stampo, in maniera molto complessa e coordinata. Nella figura manr-ano tutte le altre proteine ed enzimi necessari per la sintesi, che sono descritte nel testo.

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    I due ricercatol'i hanno prima fatto crescere un ceppo di Escherichia coli in un mezzo contenente come fonte di a.Zòto solo l'isotopo pesante 15 N, in modo che tutto il DNA contenesse solo questo isotopo. Passarono poi i batteri in nn terreno conte­ nente come fonte di azoto solo il normale· isotopo 14 N. E8aminarono quindi, mediante ultracentrifngazione, il DNA estratto nelle varie generazioni. Nella generazione zero (ceppo cresciuto in 15 N) tutto il DNA era uguale e ccpesan­ te". Nella prima generazione (dopo aver cambiato il terreno) tutto il D�A era uguale ma misto, con un filamento leggero contenente 1'1N e un filamento pesante contenente 15 N. La seconda generazione forniva due tipi di DNA nel rapporto 1:1, uno di tipo leggero (i due filamenti contenevano solo ltlN) e uno misto (nn filamento pesante e uno leggero). Nella terza generazione si avevano due tipi di DNA: uno misto e l'altro leggero nel rapporto 1:3 (cioè 25% misto e 75% leggero) e così via. La replicazione del DNA in una. cellula eucariote avviene nella fase S (che 8ta per sintesi del DNA) del ciclo cellulare ed è un meccanismo molecolare molto com­ plicato, basato sull'aggiunta di un deossinucleotide al terminale 3' di una catena in crescita con formazione di un legame fosfoestcreo, catalizzato da.ll'en¼ima DNA poli324

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    BIOLOGIA

    merasi. Tale legame è altmnente eudoergouico e quindi è necessario trovare una fonte di energia che provvede alla reazione. Tale fonte di energia è contenuta nel nucleotide che viene aggiunto, che si trova sotto forma di desossinucleotide trifosfato (Fig. 3.4). La reazione prevede la rottura del legame (anidrico) tra il primo e il secondo fosfato che si trova nella catena dei gruppi fosfato con libera:.::ione di 7 kcal per. mole. La replicazione del DNA prevede i seguenti passaggi: 1. Individuazione di 1111 inizio di replicazione sul DNA da replicare. Nei procarioti c >è solo un inizio di replicazione perché il genoma è corto. Negli eucarioti superiori ci sono molteplici inizi di replicazione, sia perché il genoma è suddiviso in cromosomi sia perché i cromosomi coutengouo parecchio DNA e un solo inizio allungherebbe troppo i tempi clcllo. rcplica½ione. 2. In corrispondcmm degli inizi (che sono riconosciuti da appositi complessi proteici) si formano delle bolle (i due filamenti del DNA si separano per un tratto di qualche decina di coppie di basi, generalmente ricco in AT perché pii'1 facile da aprire) ai cui terminali si formano due forcelle (dette forcelle di replicazione o.forche replicative). 3. Sulle forcelle si a,;sembla un complesso di proteine cd en:timi capace di procedere alla replicazione. 4. La replica.;1,ionc procede :mlle due forcelle della bolla e come conseguenza. 8i ha 1111 allargamento della bolla iniziale fìuo a che non incontra la·fiuc del DNA da replicare o 11n 1altra bolla adiacente. 5. La replica:done, come dimostrato da Meselsou e Stal1l, avviene mediante la sintesi di DNA complementare al filamento che fa da stampo. 6. La disponibilità dei due filamenti singoli che fauno da stampo è possibile perché uno degli enzimi che si trova i:mlla forcella è una elicasi, una proteina che è capace di separare i due filamenti di DNA, commmando ·energia (degradando ATP). 7. Le DNA polimerasi sono en:dmi molto efficienti e fedeli (fanno cioè pochissimi errori, intendendo per errore Pinserimento di basi sbagliate, non complementari). 8. Per poter essere così fedeli le DNA polimerasi hanno il difetto di non essere capaci di cominciare la sintesi ex novo di DNA, pur avendo a disposizione il filamento che fa da stampo. 9. Per questa ragione la replicazione del DNA comincia semprn con la sintesi di un pezzo di RNA (Piunesco o primer) effettuata da una RNA polimerasi che viene chiamata primasi e che si trova nella forcella. 10. A questo innesco si attacca la DNA polimernsi che continua la sintesi senza mai staccarsi dalla forcella (sintesi processiva). 11. Le DNA polimerasi sintetizzano solo nella direzione 5 1 -t 3 >, ma i due filamenti di DNA sono antiparalleli (uno in direzione 5 1 -t3 1 e Paltro nella direzione 3 1 -t5'). La conseguenza è che una DNA polimerru:;i che ::ita sulla forcella (cc ne sono due per ogni forcella) è capace, una volta innescata la sintesi, di procedere nella direzione 5 1 -t31 fino a quando il filamento stampo fluisce. Valtra DNA polimerasi deve procedere nella direzione opposta perché il filamento che le fa da stampo corre nella direzione opposta. È quindi costretta a sintetizzare il DNA in maniera discontinua

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    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

    @ Artquiz

    (a pezzi). Ognuno di que�tt frat��e�ti (l�nghi drc� 200 bas� ne�li eucarioti, circa 1.000 nei procarioti) contiene all nuzt0 un mnesco d1 RNA e s1 chiama frammento di Okazakt. 12. Al termine del lavoro della DNA polimerasi è necessario degradare gli inneschi di RNA e sostituirli con DNA. Il meccanismo è complesso e diverso tra procarioti e eucarioti. I vari pezzi di DNA sintetizzati sono legati tra loro dall'enzima ligasi. 13. Questo meccanismo porta come conseguenza il fatto che ad ambedue i terminali di un DNA lineare (non per un ge11oma circolare, come quello dei batteri) un pez·t.0 di DNA non p1iò e.,;sere ricopiato e quindi l'informazione in esso contenu ta verrebbe persa. 14. Per evitare questa conseguenza la natura ha evoluto un enzima, chiamato telo­ merasi. Esso aggiunge sequell?',e ripetute (telomeri) ai due tetminali 3' di un cromosoma lineare. Questo meccanismo non -risolve il problema della perdita di DNA a ogni ciclo di replicazione, ma la perdita riguarda queste sequenze ripetute, non contenenti informazioni genetiche.

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    15. Le telomerasi non sono attive in tutte le cellule. Sono attive nelle prime fasi della vita embrionale e in quei tipi di cellule che sono in continuo ricambio, come le cellule dell'epitelio, o in continua crescita, come le cellule tumorali. Per le cellule non in continua replicazione (post-mitotiche) la telomerasi è inattiva e quindi le poche replica7,ioni cellulari portano alla progressiva perdita di DNA e quindi al processo della senescenza cellulare (camm, pare, della senescenza vera e propria dell'organismo e anche dell'impos�ibilità di far crescere in laboratorio una coltura di cellule animali oltrn un certo numero di cicli). Quando nna cellula normale degenera (dà lnogo allo sviluppo di un tumore) si riaccende il gene della telomt!rasi, che permette la crescita del tumore sern:a perdere DNA. Questo avviene anche in laboratorio: le cellule tumorali possono crescere all'infinito (sono immortalizzate) gro.¼ie all'�ione della telomerasi. 16. Durante il processo di sintesi del DNA la bolla replicativa si allarga in ambedue le clire1.ioni a nna velocità piuttosto elevata: nei procarioti il filamento si allunga di circa 1.000 basi al secondo (negli eucarioti la velocità di sintesi è circa un decimo di qnella dei procarioti). Corrie conseguem.a. è necessario che il DNA da replicare separi i due filamenti còn la stessa velocità. La separazione comporterebbe la rotazione lungo l'asse della. doppia elica da aprire e tale rotazione sarebbe così rapida da portare per attrito a un forte riscaldamento, oppure al blocco della. sintesi. Per evitare questo processo deleterio si sono evoluti degli enzimi, chiamati topoisomerasi, che sono capa.ci di tagliare i filamenti di DNA da �'eplicare e di richiuderli subito dopo aver permesso la rotazione di un filamento risJetto all'altro. Questo processo evita la rotazione del DNA da replicare e in pra.tica'evita il blocco della sintesi del DNA. Senza topoisomerasi non c'è sintesi del DNA: essi sono enzimi essenziali, nel senso che senza topoisomerasi la cellula muore.

    Il complesso di proteine ed enzimi che si forma nella forca replicativa contiene altri attori che servono a coordinare il processo e a permettere che, in caso di errore, esso venga riparato. Il DNA contenuto nelle cellule di un organismo pluricellulare è uguale in tutte le cellule, indipendentemente dal tessuto a cui le cellule appartengono. Esso è presente

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    © Artquiz

    BIOLOGIA

    nei nuclei delle cellule eucariote (quindi è assente nelle cellule eucariote sen:;m. nucleo, come gli eritrociti dei mammiferi) sotto forma di cromosomi, in numero diverso a seconda della specie, e di ogni cromosoma sono presenti due copie (genoma diploide) (Fig. 3.9). Fanno eccezione a questa regola le cellule germinali (gameti), che sono aploidi, cioè possiedono solo una copia di ciascun cromosoma. Le cellule germinali sono gli oociti femminili e gli spermatozoi maschili. La fecondazione, che consiste nella fusione di uno spermatozoo con un oocita, por­ ta alla formazione di unn cellula diploide (zigote) capostipite del nuovo organismo, le cui cellule, quindi, possiederanno il 50% di DNA di origine paterna e il 50% di DNA di origine materna. Due figli degli stessi genitori, pur possedendo il 50% di DNA paterno e il 50% di DNA materno, non saranno uguali, perché Passortimento dei cromosomi materni e paterni nelle cellule germinali è casuale (eterozigoti). Solo i gemelli omo­ iigoti (o mouo-ovulari, derivanti cioè dalla fecondazione dello stesso oocita da parte di uuo spermatoioo) sono quindi perfettamente uguali (anche nel sesso). Il DNA è presente anche in alcuni organelli di cellule eucariotiche, come i mi­ tocondri (responsabili della respirazione cellulare o fosforilazimte ossidativa) delle cellule animali e vegetali e i cloroplasti delle cellule vegetali (responsabili della foto­ sink-si clorofilliana). I genomi dei cloroplasti e dei mitocondri codificauo per alcune (non tutte) proteine che in questi organelli lavorano.

    a·.6 'Iì:ascrizione e maturazione dell'mRNA

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    Come già detto il genoma di una specie è Pinsieme dei geni di quella specie. I geni sono tratti di DNA che contengono Pinformazione (codificano) per ottenere un pro­ dotto fm1-;.;ionale (proteine o RNA fim'l,iouali, come PRNA ribosomiale). NelPnomo e ·negli organismi eucarioti multicellulari una. gran parte del genoma non contiene geni ma sequenie ripetute migliaia di volte sia corte che lunghe. Nei primati, quindi anche nelPuomo, il contenuto di DNA sotto forma di geni non supera Pl,5% delPintero geno­ ma. Il resto del genoma (da alcuni autori chiamato anche DNA spazzatura) contiene sequenie inserite nei geni, ma non codificanti, chiamate introni ( vedi infra), sequenze ripetute lunghe e corte, e trasposoni, sequen'l,e di DNA eapaci sia di replicarsi autono­ mamente, indipendentemente dalla replicaiione del cromosoma a cui appartengono, che di staccarsi dal sito dove si trovano e riposizionarsi in altri siti, anche in corri­ spondenza di geni e quindi alterandone Pespressioue. In quest > ultimo caso potrebbero contribuire alPinsorgenza di tumori. La ricercatrice Barbara McClintock (che per questa ricerca fu premiata con il Nobel) riuscì a scoprirli 8tudiando le ragioui per cui alcuni chicchi di mais in una spiga sono di colore diverso dal giallo naturale. Tutte le cellule delPorganismo contengono lo stesso DNA, ma non tutti i geni contenuti nel DNA sono espressi in ogni singola cellula. Il differenziamento, cioè il processo che permette alle cellule iuiz;ali di un embrione (che sono tutte uguali) di specializzarsi, cioè diventare neuroni, cellule muscolari, epatociti ecc. è proprio il processo che seleiiona i geni da esprimere nei singoli tipi di cellule, anche sotto Pin­ fluenza deIPambiente esterno, oltre che per interaxioni cellula-cellula. Ci sono però geni che vengono espressi in tutti i tipi cellulari (chiamati in inglese, geni housekeeping o geni costitutivi), perché govemauo i proces8i metabolici basali (per esempio i geni della DNA polimerasi), senia i quali una cellula qualsiasi non può vivere, o perché codificano per alcune proteine strutturali pr<:..'8enti in ogni cellula (per esempio tubu­ lina). L 1espressione di un gene vnol dire che esso è ricopiato, mediante il processo 327

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replkaiionc ed csprci;sioue

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    di tràscrizione, in un numero ,•ariabilc di singoli filamenti di RNA. Alcuni tipi di RNA sono i prodotti finali della trascri?:ione e hanno una fnn�ione (sono cioè RNA funzionali, per esempio i tRNA e gli rRNA). Altri invece sono un prodotto interme­ dio pex costruire le proteine. Questi ultimi si chiàmano mRNA o RNA messaggeri. Nel processo di trascrizione, che avviene durante l'interfase del ciclo cellulare degli eucarioti, si copia solo uno dei due filamenti di DNA e la rea�ione è catalizzata da un enzima che si chiama RNA polimerasi. È un processo molto complesso e regolato gene per gene negli eucarioti, mentre può riguardare più geni contemporaneamente nei procarioti (operone). Mentre la replicazione è un processo che coinvolge tutto H DNA e avviene solo una volta pet· ciclo cellulare (per ogni divisione delle cellule), la trascrizione è ttn processo che riguarda singoli tratti di DNA (i geni) ed è control­ lato in maniera stretta, sia nella qualità (quali geni trai;crivere e qnali no), sia nella quantità (quante copie di RNA fare) poiché da esso dipende la complessa vita della cellula, compresi i suoi rapporti con l'ambiente (vedi infra). I geni sono tratti di DNA di lunghez:m variabile (da qualche centinaio di basi ad alcune centinaia di migliaia di basi). Negli eucarioti i geni sono sempre monocistro­ nici, cioè essi codificano per un solo polipeptide, mentre nei procarioti alcnni geni sono policistronici, cioè codificano per pii1 proteine. Le proteine codificate da nn gene policistronico (chiamato anche operone) sono in genere enzimi che intervengono in un determinato processo metabolico. Due esempi: l'operom� del triptofano, nn gene policistronico che codifica per gli enzimi capaci di catali?;r.are la sintesi del trip­ tofano, un aminoacido, e il lac operon, un gene che codifica per gli en�imi capaci di metabolizzare il lattosio. Il primo è acceso o spe11to a seconda se il batterio vive in un me7.7,o che contiene triptofano.oppure no. È lo stesso triptofano che funge dn segnale per spegnere l'operone. Se invece il triptofano è assente l'operone viene trascritto. L'operone lac (il primo operone ud essere scoperto da .Jacob e Monod) è trascritto qnando nel mez7.o dove vive il batterio c'è lattosio ma non c'è glucosio. La scoperta del modo come un gene è regolato da fattori positivi (che inducono la trascrfaione) e da fattori negativi (che la reprimono) ha garantito ai due ricercatori francesi il premio Nobel. Il processo di trascrizione nel suo meccanismo operativo è molto simile nei procarioti e negli eucarioti, nel senso che la sintesi dell'mRNA è catalizzata da una molecola di RNA polimerasi. Quello che diversifica i due processi è il modo con cui la RNA polimerasi è attivata. In ambedue i casi l'attivazione avviene mediante sequenze di DNA più o meno complesse chiamate promotori. Nel caso dei procariotr il promotore è costituito da sequenze, in genere molto. semplici, situate a monte dei geni e riconosciute più o meno bene dalla stessa RNA polimerasi batterica, che quindi procede alla trascrizione (il riconoscimento in biologia vuol dire interazione, formazione di complessi stabili tra proteine e DNA in genere sul solco maggiore, grazie alla formazione di legami idrogeno a incastro). Nel caso degli eucarioti, dove sono prei;enti tre diversi tipi di RNA pòlimerasi, tut­ te incapaci (a differenza della RNA polimerasi batterica) di riconosce1:e il promotore, quest'ultimo è costituito da sequenze di basi più o meno lunghe e complesse, esterne ·e vicine al gene, ma in molti casi interne al gene o molto distanti da esso (in questo caso denominate enhancer). Il promotore euca_r iotico, per attivare il gene che controlla, deve essere prima rico­ nosciuto da particolari proteine che sono chiamate fattori di trascrizione. I com­ plessi tra proteine e promotori richiamano (mediante interazioni proteina-proteina) e attivano l'RNA polimerasi che è capace di cataliz�are la copiatura di uno dei due

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    BIOLOGIA

    filamenti di DNA sotto forma di RNA. Gli RNA che sono prodotti sia nei procarioti che negli eucarioti possono essere RNA funzionali (capaci di svolgere direttamente un ruolo nei processi biologici): tra di essi possono essere ricordati gli RNA ribosiomali (rRNA), gli RNA transfer (tRNA) e tanti altri tipi di RNA con funzioni speciali. 'Oppure possono essere RNA che sono prodotti intermedi per la sintesi delle proteine. Questi prodotti si chiamano direttamente RNA messaggeri (mRNA) nel caso dei pro­ carioti, o trascritti primari (o pre-mRNA) nel caso degli eucarioti, trasformabili poi in RNA messaggeri (vedi infra). Un mRNA è quindi il pezzo di informazione che serve per fare una determinata proteina (o meglio uua determinata catena polipeptidica, che a sua volta può essere una proteina completa oppure parte di una proteina, vedi infra). Come si è visto, i fattori di trascrizione hanno un ruolo fondamentale nell'attiva­ zione della trascrizione nel caso degli eucarioti (in qualche caso anche uei procarioti). Essi sono delegati a riconoscere precise-.sequenze di DNA e a formare complessi con !'RNA polimerasi. Per svolgere compiutamente questi processi essi debbono possedere la conformazione giusta. Spesso tale conformazione è adottata salo se nella cellula è presente una molecola segnale che, legandosi alla proteina, le permette di assumere la forma opportuna per attivare un gene (vedi proteine allosteriche. Biologia, § 4.1). Esempi di tali molecole segnale sono l'AMP ciclico (che funziona sia nei procarioti che negli eucarioti) e gli ormoni steroidei, la cui presenza o assenza determina se un particolare gene eucariotico è attivo o no (il doping degli atleti con ormoni Ressnali maschili determina una maggiore attivazione dei geni codificanti per le proteine delle fibre mm,colari). Un meccanismo che utili¼7,c't molecole segnale é presente éUiche nei batteri per accendere o spegnere la trasclizione degli operoni. Nei procar ioti, che sono privi di nucleo, la trascrizione dcll'RNA messaggero è accoppiata al suo ntilizw (traduzione). '!\·ascrizione e traduzione (Biologia, § 3.8) sono cioè contemporanei. Negli eucarioti, invece, la trascrizione avviene nel nucleo, dove si trova il DNA. Il prodotto della trascrizione non è ancora un RNA messaggero e quindi, prima di essere trasportato nel citoplasma, necessita di modifiche o di ma­ turazione. Gli eventi molecoliu-i di questa maturazione sono: la formazione di. un cappuccio, cioè la sintesi nella testa dell'RNA trascritto di uu cappello molecolare che protegge !'RNA dalla degradazione e lo rende riconoscibile al macchinario di sin­ tesi proteica (Biologia, § 3.8); l'aggiunta alla coda di una catena polinucleotidica fatta solo di basi adenine (poliadenilazione) con il compito di regolazione della stabilità. dello stesso RNA; lo splicing, il meccanismo con il quale si eliminano dal trascritto primario i tratti non <,'Odificanti, chiamati introni. A questo punto bisogna chiarire il fatto che, mentre nei procarioti i geni sono continui, cioè fatti da un'unica sequenza di DNA, nel caso degli eucarioti la stra­ grande maggioranza dei geni è costruita in modo discontinuo: a pezzi che portano informazioni (cioè codificanti) seguono pezzi (quasi sempre più lunghi dei primi) non codificanti. I primi sono chiamati esoni mentre i secondi sono chiamati introni. Un gene comincia sempre e finisce sempre con un esone, mai con un introno. Per rendere il trascritto primario un mRNA è quindi necessario, negli eucarioti, procedere alla eliminazione degli introni. Lo splicing è effettuato da grossi complessi (che si chiama­ no spliceosomi) di proteine e piccoli RNA (chiamati small nuclear RNA, snRNA, che sono RNA funzionali). L'eliminazione degli introni procede sempre mediante il riconoscimento delle giun7.ioni esoni-introni e di quelle introni-esoni, che sono sempre uguali. In tal modo il processo di splicing può avvenire in vari modi, ma sempre in 329

    © Artqui7.

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

    modo controllato, come dimostra la Fignra 3.13 e questo è un gnm vantaggio per le cellule eucariote , perché da uno stesso gene, con spHcing al ternativi, si possono ottenere mRNA diversi e quindi proteine diverse. Questo rende conto anche del fatto che organismi complessi come gli eucarioti superiori (tra cui gli umani) possano avere un numero di geni ( appena superiore a 22.000) che è comparabile con quello posseduto da organismi molto meno complessi come piccoli vermi, piante o insetti.

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    TRASCRIZIONE E MATURAZIONI ALTERNATIVE, l TRAMITE LA SCELTA TRA VARI SPLICING E VARI TERMINALI 3' DA POUADENILARE

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    Figura 3.13: Comr.
    3.7 DNA ricombinante. Organismi transgenici. chain reaction (PCR)

    Il DNA in vivo o in laboratt>rio ( in vitro) può cs..-sere tagliato da enzimi che prendono il nome di endonucleasi e di esonucleasi. Tutti tagliano H legame fosfodiestereo tra gruppo fosfato e uno dei dnc ossidrili degli zuccheri a cui U fosfato è legato, ma le esonucleasi lo fanno a partire dai terminali del filamento, mentre le endonucleasi lo fanno all 'intemo della catena. Le cudonucleasi possono tagliare a caso ·o in maniera mirata a seconda della i;pedfidtà. 'n·a quelle che tagliano in maniera mii'ata ci sono le endonucleasi di restrizione ( e.nzimi di rest.rizionc ), che i;ono purifiéate da batteri (che le usano come armi cli difesa contro gli v.ttacdti dei batteriofagi di cui tagliano il DNA) e sono capaci di tagliare il DNA a doppio filamento solo in prei;enza di specifiche i:;equenze di basi (sequen�e di restrizione). Il taglio normalmente avviene i:;u ,'ìr.quenze palindromiche (sequcn'l.e ugna.li se lette nella direzione 5'--43' sni due filamenti) con numero pari di coppie di basi e su cui il tuglio avviene in modo netto oppure in modo sfalsato, cioè in punti diversi nei due filamenti, pro
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    BIOLOGIA

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    Figma 3.14: E.,;empi di tagli specifici del DNA da parte di enzimi di' re.r;trizi one {il cui nome é posto sopra la freccia). Le sequenze su cui i vari enzimi di re­ strizfone effettuan o il tagl·io sono tutte palindromiche. Nel primo caso il taglio avviane in maniera netta. Negli alt1·i due avvienr. in maniera sfalsata, produ­ cendo terminali a sing olo filamento che1 per il fatto di essere complementa1"i tra loro e quindi tendenti a riconnettersi, si chiaman o appiccicosi.

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    La scoperta di questi en:dmi ha avviato Pera della biotecnologia del DNA 1 perché ha permesso di tagliare e cucire (mediante enzimi che svolgono il compito biochimico oppo�to a quello delle eudonucleasi e che si chiamano ligasi) pez:,,,i di DNA 1 anche di origine diversa 1 dando luogo al cosiddetto DNA ricombinante. Gli organismi che contengono nel loro genoma pezzi cli DNA che non gli appar­ tengono e che sono stati ricavati da altre specie 1 00110 chiamati anche organismi transgenici o organismi geneticamente modificati (OGM). La tecnica del DNA ricombinante è largamente usata per la produzione di farmaci di natura proteica da parte di organismi semplici 1 come i batteri e i lieviti. Essa con8iste ne1Pintrodnrrc 1 mediante gli enzimi di restri:doue e le liga.':li 1 i geni corrispondenti alle proteine da produrre 1 nel genoma delPorganismo e nel fare crescere Porganismo. Esso produrrà in grande quantità la proteina codificata 1 che a sua. volta sarà purificata dalla massa cellulare. La tecnica è anche usata per produrre vegetali per alimenta­ zione con caratteristiche che ne migliorino la qualità o li. rendano più resistenti o comunque economicamente più vantaggiosi. È anche usata per ottenere animali con caratteristiche qiverse: tra di e8si 1 oltre agli animali da allevamento 1 sono da iuserire anche i topi transgenici 1 animali nei quali sono stati inseriti specifici geni umani e che sono usati come modelli di patologie umane sia per lo studio della malattia in sé sia per saggiare i relativi farmaci curanti. Poiché uu DNA ricombinante è comunque un DNA a tutti gli effetti 1 esso si replica come un DNA normale 1 per cui se si inserisce un gene umano alfintemo di un DNA batterico (per e8e�pio in•un plasmide 1 piccolo DNA circolare batterico extracromo­ somico) e si fa moltiplicare il batterio iu coltura1 si possono attenere molte copie del gene umano. In questo caso si dice che il gene è stato clonato. Uinsieme dei plasmidi (o dei batteriofagi) contenenti i geni di interesse viene comunemente chiamata libreria 331

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione cd espressione

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    genomica.. Con essa :-;i possono infettare celhtle batteriche e dalla coltma di queste cellule isolate il clone contenente il particolare DNA di interesse. La clonazione non è-altro: quindi, che una amplificazione, utilizzando in questo caso un processo biologico come la crescita dei batteri. Il processo di clonazione, che vuol dire amplificazione, può essere anche applicato a interi organismi. La pecora Dolly si dice clonata, perché non ottenuta mediante fecondazione di nu oocita di pe­ cora; ma con un processo che parte da un oocita di pecora a cui è stato tolto il nucleo e sostituito dal nucleo di una cellula somatica (cioè del corpo) estratta da un'altra pecora donatrice. Questo nucleo si comporta come uno zigote, è diploide ma possiede entrambi i tipi di cromosomi che provengono dallo stesso individuo (H donatore del nucleo): i caratteri genetid posseduti sono esattamente qnelU del donatore e il nnovo organi.5mo sarà la copia perfetta del donatore (con qualche difetto di tipo epigenetico, sembra!). Una tecnica molto nsata per amplificare sequenze di DNA è la PCR (polymerase chain rear.tion, reazione a catena della polimerasi) rappresentata in Figura 3.15. Essa si husa sul meccanismo della replicazione di porzioni di DNA ben definite ed è costituita da tre fasi, come illustrato nella parte (A) della figura.

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    Figura 3.15: Rap presentazione schematica dell'amplificazione di un tratto di

    332

    DNA mediante la tecnica PCR. Nella parte S'lLperiore (A), vengono rappresen­ tate le tre fasi di un ciclo, fatte a tre temperature diverse {95 °G, denaturazione; 45 °G, ibridazione degli inneschi; 70 °C, polimerizzazione). Nella parte infe­ riore {B) vengono rappresentati tre di questi cicli, al termine dei quali si hanno 8 copie di DNA ottenute a partire da una sola copia di DNA.

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    BIOLOGIA

    Nella Fase l la soluzione contenente il DNA da amplificare viene riscèùdato a circa 95 °C. A questa temperatura il DNA si denatura e i due filamenti che lo costituiscono si separano. Nella Fase 2 la temperatura viene abbassata a circa 40-'15 °Ce in questa fase dne primer (frammenti di DNA sintetizzati in laboratorio e complementari a specifiche sequenze che si trovano nel DNA da amplificare 1 rappresentati nella figura dalle frec­ cette e costituenti gli inneschi per la sintesi successiva) si ibridizzano alle s�quenze complementari e in questo modo delimitano 1 a destra e a sinistra 1 il tratto di DNA da amplificare. È importante che questi inneschi siano di lunghezza tale da identificare in maniera esclusiva le dne sequenze 1 a destra e a sinistra 1 del DNA da amplifica­ re: sequenze troppo corte potrebbero ibridiziare in altre wne del DNA e dare luogo quindi a risultati spuri. La Fase 3 è la polimeriziaiione vera e propria da parte di una DNA polimerasi che sfrutta gli inneschi e utilizza i quattro deossinncleotidi trifosfati 1 che fauno da precursori per la crescita della catena. A questa fose corrisponde nna temperatura di circa 70 °C. I costituenti de�la miscela (DNA 1 primel\ DNA polimel'asi e deos8inucleo­ tidi trifosfati) sono presenti fin tla!Pinh:io. La DNA polimerasi 1 che è nna proteina 1 nonostante subi::;ca le variaiioni di temperatura delle tre fasi 1 non viene denaturata · perché purificata da batteri termofili 1 batteri capaci di vivere in ambienti che hanno temperature vicim\ e anche snperiori 1 a 100 °C. Le tre fasi descritte costituiscono 1111 ciclo. A ogni ciclo la quantità di DNA 1 com­ presa nel tratto delimitato dai prime1\ viene raddoppiata. I cicli vengono ripetuti 1 come mostra la figura 1 e in genere si protraggono per un 1muiero compreso tra 30 e 40. Oltre questo stadio è inutile m1dare perché sia i primer che i precursori sono a questo punto presenti in piccola qnantità 1 e Pefficiemm della replicaiione crolla. Ma anche con soli 30 cicli e a partire da una ,r;ola copia di DNA iniziale1 si avrebbe alla fine 1111 numero di copie del DNA amplificato di circa 1 miliardo. La tecnica è molto potente ed è utilizzata anche per amplificare DNA presenti in piccolissime quantità in campioni biologici 1 per obbiettivi foremd (la ricerca del reo 1 la definizione della paternità ecc.) o per obbiettivi evoh1:tioni:-;ti (DNA di reperti fossili). Precedentemente è stato detto che i virus non sono considerati organismi viven­ ti1 in quanto incapaci di riprodursi autonomamente. Essi hanno bisogno di infettare altre r.ellule per moltiplicarsi. Alcuni dei virus hanno- il genoma costituito da RNA e si chiamano retrovirus. Di essi il più noto è il virus HIV I Pagente responsabile dell'AIDS. Si chiamano così perché 1 per replicarsi dopo Pinfezione 1 debbono trasfor­ mare in DNA il loro genoma fatto di RNA. Per fare questo debbono usare un enzima che portano con sé e che si chiama trascrittasi inversa. Questo enzima è capace di catalizzare la reaiione di sintesi di DNA copiato da RNA. Uuso è:.lella trascrittasi inversa su RNA messaggeri trasforma questi ultimi .in DNA 1 chiamati comunemente cDNA 1 che significa DNA complementare. Per riassumere 1 esistono vari enzimi che sono capaci di catalizzare diversi tipi di reazioni sugli acidi nucleici: 1. Le DNA polimerasi capaci di catalizzare la sintesi del DNA avendo come stampo il DNA. Questi enzimi sono usati nella r<=:plicazione del DNA e ogni volta ci sia la necessità di rifare pezzi di DNA a seguito della riparazione dei snoi errori. 2. Le RNA polimerasi capaci di cataliizare la sintesi di RNA avendo eome stampo il DNA. Questi eniimi sono usati per il processo di trascrizione. 333

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

    © Artquiz

    3. Le trascrit tasi f nverse che sono usate in vivo dai retrovirus e in vitro per trasforma.re gli mRNA in copie di DNA (cDNA).

    4. Le endonucleasi che catalizzano le reazioni di degradazione del filamento di DNA a partire dall'interno del filamento. 5. Le endonucleasi di restrizione che cntalizzano lo stesso processo ma a livello di sequenze di DNA specifiche.

    6. Le esonucleasi che catali7.za.no le reazioni di degradazione del DNA (e anche dell'RNA) a partire dai terminali del filamento.

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    7. Le ligasi che catalizza.no la reazione inversa della degradazione, cioè la formazione del legame fosfoestereo.

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    3.8 Il codice genetico. Traduzione o sintesi proteica



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    BIOLOGIA

    ottenere contro 20 aminoacidi). Con le triplette di basi si hanno 64 possibili combina­ zioni (4 3 = 64) contro 20 aminoacidi. Questo codice, che è quello usato dalla natura, si dice ridondante o degenerato, nel senso che a un aminoacido può corrispondere più di una tripletta di basi (Fig. 3.16).

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    AUU AUC} Ile AUA AUG Met

    ACU ACC } Thr ACA ACG

    AAU} Asn AAC AAA } Lys AAG

    GUU GUC Val GUA }

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    GUG

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    Seconde base

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    AGC AGA }Arg AGG

    GGU GGC } Gly GGA GGG

    Figura 3.16: Codice genetico. Gli aminoacidi sono riportati con i nomi abbreuiati . Si ricorda che le triplette sono lette sull 'RNA messaggero e quindi la 1' del DNA è sostituita dalla

    u.

    Il codice genetico si dice universale in quanto è! usato da tutti gli organismi. Anch > es:-10, come la vita, si è evoluto. Codici genetici leggermente diversi da quello riportato in tabella esistono ancora in alcuni organelli, corno i mitocondri e i cloro­ plasti, che sono residui cli forme cli vita primitive entrate in simbiosi con altre forme di vita. Come si vede dalla Figura 3.16, delle 64 combinazioni, tre sono utilizzate come STOP, nel senso che, quando la macchina siutetiY.zatrice arriva a una di quelle tri­ plette, smette di sintetizzare e blocca la crescita della catena polipeptidica. Tutti i messaggi genetici, sia nei procarioti che negli eucarioti, cominciano con la tripletta AUG, che codifica per Paminoacido metionina. Questa triplettn, come detto prima, non è mai alPinizio delPRNA messaggero, ma interna, così come la tripletta di STOP non è mai alla fine dello stesso RNA. Il messaggio genetico· è quindi solo una parte delPmRNA. Ogni tripletta che codifica viene chiamata codone. Come si fa nella pratica a tradmre operativamente un linguaggio nelPaltro? Per fare questo ci vuole un vocabolario, una specie di adattatore tra i due linguaggi. Que­ sta funzione è svolta da una série di RNA fmw;ionali che si chiamano RNA transfer o tRNA. Essi sono fatti tutti allo stesso modo (hanno cioè una stessa forma, non la stessa sequenza di basi) che è rappresentata in Figura 3.17. Il perché i tRNA hanno tutti la stessa forma sarà reso chiaro in seguito. Alla estremità 3' (costituita dall 'OH in 3> dello zucchero) accettrice è legato uno dei 20 aminoacidi mediante un legame estereo tra il ....:cooH delPaminoacido e l'OH stesso. La scelta dell'aminoacido legato è funzione solo della natura della tripletta che prende il nome di anticodone (in basso nella Figura 3.17), ehe è capace di legarsi al corrispondente codone (con la regola degli accoppiamenti A-U e G-C). 335

    © Artqntz

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione stato a ccenore

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    Figura 3.18: Il ribosoma, la macchina di sintesi delle proteine, mentre sta svolgendo il suo la­ ·voro. Essa e costituita da due subunità, piccola delle quali si lega {il nastr·o grigio-bianco). All'interno del riboso­ ma sono ricavati due siti che hanno di alloggiare ciascuno un tRNA durante di crescita della catena polip

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    BIOLOGIA

    li ribosoma si lega alPmRNA (il meccanismo di legame è diverso nei procarioti e negli eucarioti, in questi ultimi è usato il cappuccio dell'mRNA) e contiene due siti per alloggiare i tRNA (poiché i siti sono sempre gli stessi e uguali tra loro, questa è la ragione per la quale tutti i tRNA che li devono occupare devono avere la stessa forma, indipendentemente dall'aminoacido che sono in grado di legare). I due siti (chiamati sito P, a sinistra, e sito A, a destra), all'inizio della sintesi, sono occupati dai tRNA (caricati del rispettivo aminoacido) che hanno Panticodone complementare al codone che è presente nel pavimento del sito. Come detto in precedenza il sito P all'inizio si trova sempre ad avere come pavi­ mento la tripletta AUG (tripletta iniziatrice a cui si lega il tRNA iniziatore), mentre nel sito A la tripletta può essere un'altra qualsiasi (non STOP, ovviamente). Dopo che i due tRNA carichi sono entrati nei clne sit.i, i due aminoacidi tra.sportati si trovano in condizione di potersi legare tra. loro e formare il legame peptidico: il car­ bossile dell'aminoacido a sinistra (cioè quello alloggiato nel sito P) si stacca dal suo tRNA e forma un legame peptidico con il gruppo aminico dell'aminoacido a destra (cioè quello alloggiato nel sito A). Questa reazione è catalizzatà cla 1111 componente clelln. snbunità grande del ribosoma (la parte superiore). Al termine di questa rea¼ione il tRN A a sinistra si trova senza aminoacido, mentre quello a destra si trova legato a mm catena (nel caso specifico nn dipeptide fatto di clne aminoacidi) peptidica. Dopo la reazione nessuno clei due tRNA si trova ora bene nel sito corrispondente: infatti il sito P si chiama così perché si trova bene c1uando è occupato da un tRNA che contiene una catena peptidica (cla cui P), mentre il sito A si trova bene quando è occupato cla nn tRNA che ha legato un aminoacido soltanto (da cni A). Ne consegue 11110 spostamento (trasloca!lioue) di tutto il ribosoma, che scorre sull'mRNA, cli tre basi: in tal modo il tR.NA con il peptide sintetizzato fino a quel momento si trova nel sito P (quindi sta bene) mentre il sito A si svuota. Esso sarà ora riempito da un tRNA (carico del rispettivo aminoacido) che ha Panticodone complementare al codone che si trova nel suo pavimento, si ripete la reazione descritta prima e la sequenza degli eventi continua allo stesso modo fino a quando nel pavimen­ to del sito A non si viene a trovare una delle tre triplette di STOP. A questo punto, poiché la tripletta di stop non può essere letta da alcun tRNA, la sintesi termina e, , grazie ad alcune proteine che leggono le triplette cli stop nel sito A, la catena peptidica sintetizzata viene staccata dall'ultimo tRNA utiliz;.:ato (Figura 3.19). La catena polipeptidica così sintetizzata assume la conformazione ( cioè la forma nello spazio a cui corrisponde il minimo di energia libera) che le compete e si dirige al posto giusto nella cellula per compiere la sua funzione. Il raggiungimento della forma funzionale finale spesso è assistita da proteine specializzate chiamate chaperonine, ' che sono anche adibite a ripristinare questa forma su quelle proteine che l'avessero perduta per vari stress (come lo stress termico). La sintesi proteica è il meccanismo con il quale si attua l'espressione genica: le proteine sono infatti il prodotto finale che govema la biologia della cellula. Tuttavia, poiché misurare quantitativamente le proteine prodotte da una cellula (proteoma) è una operazione molto complicata e al momento fattibile solo per le proteine presenti in quantità apprezzabili, l'espressione genica cli una cellula in prima approssimazione viene misurata sulla base dei tipi di mRNA e delle quantità cli essi prodotti ( tmscrit­ toma). Questa misnra, che spesso viene fattn per compnra7,ione con cellule standard, è più facile perché è basata sull'ibridazione, mentre l'espressione delle proteine può essere misurata solo con apparecchiature speciali come gli spettrometri cli mass�. 337

    Capitolo 3 Gli addi nucleici. II genoma: replicazione ed espressione

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    ·La sintesi del legame peptidico comporta il trasferimento del polipeptide all'amminoacil-tRNA l'ammtnoacil-tRNA entra nel sito A

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    La catena polipeptidica viene trasferita sull'ammtnoacil-tRNA

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    La traslocazione sposta il poliptidil-tRNA nel sito P

    Figura 3.19: Le tre fasi ripetitive di unà sintesi proteica. A sinistra il sito P è occ1ipato dal tRNA a cui è attaccata la catena sintetizzata fino al punto descritto, mentre il sito A è ·uuoto e q11.indi occupabile dal tRN A carico che ha l 1anticodone complementare al codone che si trova sul pavimento del sito A. In mezzo è descritta la reazione tra il gruppo carbossile dell'ultimo aminoacido inse1ito e il gruppo aminico del nuovo aminoacido {pallina nera). A destra è descritta la traslocazione, il movimento di I.re basi di tutto il macchinario rispetto all'mRNA. Tutte le proteine, come i vari tipi di RNA, hanno una vita media più o me­ no lunga. Il turn-over delle p·rotein_e dipende dalla sequenza dei snoi aminoacidi all'amino-terminale: questa è la ragione per la quale, pur essendo nella sintesi la metionina il primo aminoacido di ogni proteina, raramente lo si ritrova come ta­ le. Questo dipende dal fatto che praticamente tutte le proteine subiscono modifiche chimiche post-traduzionali, catalizzate da appositi enzimi. Queste modifiche non influenzano solamente la �tabilità delle proteine ma anche la funzionalità: nna protei­ na, per esempio, può diventare un fattore di trascrizione, cioè una proteina capace di legarsi al DNA e attivare la trascrizione di nn gene, a seguito di una fosforilazione di un residuo aminoacidico. Le proteine vengono degradate in vivo da una speciale struttura chiamata pro­ teasoma.

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    3.9 Mutazioni del DNA. Riparazione. Ricombinazione omologa. Sequenziamento del DNA La conoscenza della sequenza delle basi del DNA cli un organismo (compreso l'orga­ nismo umano) è diventata sempre più importante, sia per confrontareAa sequenza di una specie con quella di un'altra spede (per studiare l'evoluzione, per esempio: dal sequenziamento dei genomi di uomo e di scimpanzé si è vis.to che i due DNA si differenziano per circa 1'1%) ma anche perché all'interno della specie la sequenza del DNA di un individuo può dare informazioni sui rischi (o sulla inevitabHità) di con­ trarre patologie da parte dell'individuo ::,tesso. Il sequenziamento di tratti di DNA (amplificato mediante la tecnica PCR) è ormai nn mezzo comunemente impiegato nei laboratori di genetica per la ricerca delle mutazioni che causano patologie. È infattl noto che mutazioni nella sequenza di basi di un gene (una base trasfor­ mata in un'altra, una delezione, una inserzione) porta a proteine mutate o addirittura 338

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    BIOLOGIA

    alPincapacità di produrre una determinata proteina. Il cambiamento di una b ase in un'altra sul DNA di un gene (mutazione puntiforme) non comporta necessariamente la sostituzione di un aminoacido in un altro, perché il codice è degenerato e triplette diverse codificano per lo stesso aminoacido. Anche se la mutazione dovesse cambiare un aminoacido in un altro, questa variazione non è detto che sia deleteria per il fun­ zionamento della proteina risultante. Alcuni aminoacidi sono molto simili tra loro e mettere l'uno o l'altro cambia poco nella funzionalità. Quando invece la mutazione cambia la natura dell'aminoacido (un aminoacido idrofilo al posto di uno idrofobico, un aminoacido carico positivamente al posto di uno carico negativamente e così via) la struttura della proteina può subire variazioni così drammatiche da alterare com­ pletamente la sua. funzione e produrre quindi patologie. Se la muta'tione consiste in un inserimento di una base o di una sua dcle'tione nella sequenza del gene, questo porta al cambiamento della cornice di lettura del gene (in inglese, frameBhift). Si rammenti che la sequenza delle basi nell'mRNA è letto dal ribosoma(� dai tRNA) a triplette consecutive: se si aggiungono una o due basi (o si tolgono) si cambia il modo di leggere le triplette e questo porta qirnsi inevitabilmente a produrre triplette di STOP e quindi a terminare prematuramente la i;intesi proteica, oltre a. cambia.re la sequenza degli aminoacidi. Questi danni snl DNA producono quindi proteine tron­ che, non funY.ionali. Se le inserzioni o le dclC',àoni riguardano tre basi, la cornice di lettura non è invece modificata, ma Pinse1;imento o la perdita di aminoacidi potrebbe essere _lo stesso deleteria per il funzionamento della proteina ri:mltante. Sono infatti note patologie molto serie (di tipo nemodcgenerativo) dovute alPn.mplificazioue di triplette. Alcune patologie sono monofattoriali, dipendono cioè da nua o più mutazioni che si verificano su un gerie. In questo caso individuare la muta.¼ione significa avere informazioni sulla possibilità che la patologia si manifesti (Biologia, § 5.1.1) o meno. Quando una patologia è multifattoriale è difficile che dalle analisi dirette dei geni si possa risalire alla possibilità di stabilire Pinsorgenza della malattia. In tal caso si fa ricorso· all'analisi nel DNA dell'individuo di alcuni marcatori. Questa analisi si basa sul fotto che due tratti di DNA in un cl'omosoma hanno la probabilità di separarsi tanto piii facilmente in un procei:;so naturale chiamato croBsing-over o ricombina­ zione generale, quanto più sono·distanti tra loro nella catena di DNA. Il processo di ricombinazione avviene sempre durante la meiosi. Esso serve a rime­ scolare i geni presenti nei singoli cromosomi e quindi allestire combina,,,ioni diverse di geni nello stesso cromosoma. Il processo di ricombinazione presuppone Pallineamento di cromosomi omologhi ( che vuol dire simili ma non uguali, nel scuso che la sequenza di DNA di un gene in un cromosoma non è esatt�mente uguale a quella dello stesso gene nell'altro cromosoma omologo, si parla in questo caso di alleli diversi dello stesso gene, che danno luogo a prodotti con funzionalità poco o molto diversa). In una fase del processo di meiosi si trovano quattro cromosomi omologhi paralleli tra loro: con Paiuto di gruppi di enzimi dal comportamento molto complicato, i due filamenti di un cromosoma souo tagliati e resi capaci di infiltrarsi nella doppia elica di nn cromo­ soma vicino, spostare il filamento omologo, che a sua volta si infila nel cromosoma da cui sono partiti i dne filamenti. Questo porta a una struttura a quattro branche ( riportata in' Fig. 3.20) che viene risolta con due tagli e due congiunzioni. Il risultato finale è lo scambio della parte destra (o sinistra) tra i due cromosomi: un gene che si trovava all'estremità di un cromosoma ora si trova all'estremith dell'altro e quindi si . è separato dal gene che si trovava nell'estremità opposta dello stesso cromosoma. 339

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    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicmdone ed espressione

    È chiaro che due tratti di DNA vengono separati in questo modo con maggiore probabilità quanto più essi si trovano lontani nello stesso cromosontn. Al contnu-io due tratti molto vicini è estremamente difficile che si separino, perché per separarsi è necessario che l'invasione iniziale dei filamenti avvenga nel tratto (corto) che separa i due tratti in questione: evento molto poco probabile. Grazie a questo processo, misu­ rando la probabilità con cui dnc caratteri (due geni) si separano si ottiene in qualche modo la distanza che separa i due geni nel cromosoma, e i:.i pnò quindi costruire una mappa genetica. cromosoma A

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    Figura 3.20: Meccanismo molecolare della ricombinazione omologa. I due: DNA omo­ loghi (mpprcsentati con i colori grigio e ne­ ro), a seguito della rottura dei llue filamen­ ti di uno dei due DNA, danna.fluogo a una reciproca invasione dei fil,amtmti, con for­ mazione di un chiasma. La risoluzione tra­ mite due tagli porta alla formazione di due DNA che si sono scambiati la parte a de­ ,<;tra (o a sinistra): i due DNA non sono più tutti gri_qio o nero, ma grigio e nero contempomrteamente.

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    BIOLOGIA

    Ritornando ora alle patologie multifattoriali che sono il ri:mltato del malf1m7,io11a­ mento di molti geni mutati, si può fare un 1aualisi della probabilità che la malattia si sviluppi anche senza sapere (e questo è lo stato delle conoscenze) quali siano i geni che influenzano la malattia. È sufficiente analizzare su base statistica 1111 numero elevato · di pazienti e vedere se nel loro DNA si riscontrino prevalentemente alcune anomalie di sequenza non presenti nelle persone ::m.nc. In caso positivo queste differenze vengono definite come marcatori probabili della patologia. In genere questi marcatori sono variazioni (mutazioni) di una sola bnse che vengono chiamate SNP (polimorfismi a singolo nucleotide) e vengono determinate mediante seqnerndamento. L 1 insieme di SNP possono caratterizzare il rischio di una patologia perché queste mutazioni si tro­ vano molto vicine ai geni che definiscono la patologia e quindi la ricombinazione è difficile che separi il marcatore (SNP) dal gene. Il sequenziamento del DNA è ormai un processo a.ltameute automatizzato e condotto in maniera. sempre piì1 rapida. Esistono macchine cap,ict cli effettuare se­ quenze di decine di milioni cli basi al giorno. È vicino il gioruo in cui una. persona potrà ordinare il sequenziamento del proprio DNA al costo cli >110110 di 1.000 euro. Quel giorno permettedi ai singoli individui cli conoscere (se lo vuole) il proprio rischio di contrarre alcune patologie. Abbiamo visto come le nmta.zioui di basi prc-seuti in sequenze specifiche cli geni possano es.<;ere cmum di patologie. Come si origimino q�1este umta.i'iioni? Alcune di esse po�souo provenire da errori effettuati dalla. DNA polimerasi dumnte la replica­ ¼ionc clel DNA. Questi errori 80110 perè, molto limitati grazie alla capacità che le DNA polimerasi hanno cli accorgersi da sole dell'errore ccnmnesso. Si genera infatti un ac­ coppiamento sbagliato delle basi tra. il 1ilameuto stampo e il filamento neo sintetizzato (in inglese, rnismatch). Questo accoppiamento distorce la regolarità della doppia eli­ ca.: è questo l'evento molecolare che la DNA polimerasi "percepisce 11 e che lèi costringe a interrompere la sintesi e a tornare indietro, "mangiandosi" la base scorretta e ripri­ stinando la doppia elica regolare. A questo punto può riprendere la 8intcsi. Tuttavia, nonostante le DNA polimerasi sim10 capaci di autocorreggersi commet­ tono mediamente un errore ogni 10 milioni cli basi. Essendo la lunghezza del genoma pari a 3 miliardi di coppie di ba.si nell'uomo, la DNA polimerasi commette in media qualche centinaia di errori nel ricopiare tutto il genoma. Come vengono eliminati questi errori? In ogni cellula esiste nn sistema complesso di riparazione (formato da gruppi cli proteine capaci di accorgersi e di riparare i vari tipi di errore) che ripristina il DNA corretto. Bisogna tenere presente che la. fonte maggiore di muta:tione non è la DNA po­ limerasi con i imoi enori ma l'ambicmte nel quale il DNA si trova. Esistono cioè meccanismi mutageni sia chimici che fisici. I meccanismi fisici sono le radiaz.ioui (sia le radiazioni ultraviolette cl_ie quelle a più alta energia come i raggi X e i raggi gamma, chiamate anche radiazioni ioni½¼anti). I meccanismi chimici sono quelli dovuti alle trasformazioni delle basi per reazioni chimiche con sostanze eventualmente presenti nella cellula. TI:a di c.�se le più diffuse sono quelle che costitui:-;couo i ROS (reactive 02ygen .,;pecie.,;1 specie reattive dell'ossigeno), molecole che contengono atomi di ossi­ geno con elettroni spaiati (i cosiddetti radicali liberi) molto reattivi e che ossidano diversi tipi cli biomolecolc, tra cui gli acidi nucleici e le proteine, alterandone l'infor­ mm�ione o la funzione. Molto pericolose sono anche le sootanze alchilanti che sono / capaci di aggiungere gruppi alchilici alle basi del DNA e gli idrocarburi aromatici po­ liciclici (come il ben�opirene e la diossina) che -si legano anch'essi alle basi del DNA.

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    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

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    Un altro tipo di lesione molto comune è quello della rottura della doppia elica. Per tutte queste lesioni esistono speciali meccanismi di riparazione due dei quali sono i più usati: • Meccanismo BER ( riparazione per escissione delle basi) che riconosce particolari tipi di base sbagliata e la elimina mediante il taglio del legame che la tiene ancorata allo zucchero. Il sito senza base viene a sua volta tagliato da ambo i lati e la base giusta ripristinata da una apposita DNA polimerasi, con chiusura finale da parte di una ligasi.

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    • Meccanismo NER (riparazione per escissione dei nucleotidi ) che riconosce la di­ storsione nella doppia elica del DNA provocata dalla base sbagliata ed effettua due tagli, nno a monte e uno a valle della base sbagliata, elimina il tratto del filamento che contiene la base sbagliata, ripristina il filamento corretto mediante una DNA polimerasi e poi chiude con una ligasi.

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    Esistono altri tipi di riparazione degli errori più complicati dei precedenti e con aspetti non ancora completamente chiariti. Poiché le mutazioni sono possibili cause di inoorgenza di malattie, tutti gli eventi mutageni (siano essi chimici che fisici) aumentano il rischio d'insorgenza delle malattie stesse. L'aumento di rischio è legato anche alla inefficienza dei sistemi di riparazione, essendo essi costituiti da complessi proteici, i cui componenti possono essere difettosi per effetto delle mutazioni dei geni che li codificano. Le mutazioni nei geni possono .essere silenti in quanto la modifica della base in un codone può lasciare l'aminoacido codificato inalterato per la degenerazione del codice genetico. Oppure la modifica può portare alla sostituzione di nn aminoacido con un altro (modificazione mis,�ense) con proprietà simili (per esempio valina in leucina o viceversa) senza che le proprietà della proteina siano alterate sensibilmente. Quando la mutazione cambia la natura dell'aminoacido (da i
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    BIOLOGIA

    3.10 Le modifiche post-traduzionali e la localizzazione delle proteine nella cellula eucariota

    14

    per le diverse funzioni che le proteine debbono compiere esse hanno nella cellula una precisa collo�azione. Le proteine di nna cellula eucariota sono suddivise in proteine che svolgono la ioro funzione ucl citoplasma e nel nncleo, e in proteine che svolgono la loro funzione in alcuni organelli (per es. lisosomi, perossisomi), in associazione con le varie membra.ne (proteine di membrana) oppure clevono essere secret<:: all 1esterno della cellula. Le prime sono sinteti.,,.r,ate da ribosomi �'Ospesi nel liquido citoplasmatico. 'll·a di esse, le proteine con fnmdoni nucleari contengono nella loro struttura primaria una sequenza (NLS, nnc,;lear lowlization signal, segnale di localizzazione nucleare) che è riconosciuta da appositi trasportatori che hanno la capacità cli attraversare la barriera costituita dal poro nucleare. Le seconde vengono sinteth�1iate cla ribosomi la cni locali:1:,mzione è sulla superficie del reticolo endoplasmatico (che gra'l.ie alla loro prcsen'l.a diventa.' ruvido, llER). La proteina nascente è capace di "bncaren la membrana del reticolo en
    343

    Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione

    © Artqutz

    proteine è quello di interualizzarle nei lisosomi dove sono presenti proteasi attive a basso pH. � Il progetto internazionale ENCODE (acronimo per Enciclopedia degli ele­ menti del DNA), che è lo studio fatto da un Consorzio di oltre 400 ricercatori in tutto il mondo, sta rivelando che i processi metabolici che utilizzano il DNA sono molto più complessi di quanto non si sia finora crednto. Una descrizione dei risnltat.i di questi studi va al di là degli scopi di questo libro. A solo titolo di esempio vale la pena citare il dato che, nonostante il conte­ nuto approssimativo delle sequenze codificanti del DNA di un mammifero sia solo l'l,5% della lnnghezza del genoma, il DNA è trascritto per circa H 70%. Molto deU'RNA è quindi non codificante e al momento si pensa che tale RNA sia il precursore di piccoli RNA (meno di 200 basi) con funzione regolatrice dell'espressione genica (come i cosiddetti microR.NA).

    ALCUNE DEFINIZIONI USATE COMUNEMENTE IN BIOTECNQ;LOGIE

    • Genoma: l'insieme dei geni contenuti in un organi8mo. • Proteoma: l'insieme delle proteine prodotte danna cellula, da un organismo ecc. La proteomica è l'insieme delle tecniche che permette di caratterizzare le proteine per la funzione, la struttura e le mutue interazioni. • Trascrittoma: l'insieme dei trascritti di RNA prodotti da una cellula. La trascrit­ tomica è l'insieme delle tecniche che permette di ricavare il trascrittoma. • Esoma: l'insieme dei trascritti codificanti prodotti da una c�llula. È l'insieme degli esoni. • Metaboloma: l'insieme dei metaboliti prodotti da una cellula, da un tessuto, ecc. La metabolomica è l'insieme d�lle tecniche che permette di ricavare il metaboloma. Mentre il genoma è nna proprietà fissa, gli altri sono variabili nel tempo e da cellula a cellula. '�

    344

    o o Capitolo 4

    o

    Biochimica metabolica 4.1 Gli enzimi

    a

    o

    ·O

    o o

    o o

    .

    Gli enzimi sono proteine che Hvolgouo la fun¼ioue di catalizzatori biologici. Si possono defiuile quindi polimeri biologici con attività catalit.ica. Essi sono essemdali per la vita, in q�1anto in loro a8seu:m le reazioni avverrebbero con velocità 11011 compatibili per Pesplctmuento delle normali attivitit cellulari. Gli enzimi infatti i;ouo in grado di accelerare la velocità delle reazioni chimiclie cli molti ordini di granclc:r,za. Un esempio è PanidraHi carbonica che nei gl�buli ros::;i accelera

  • © Artquiz

    Capitolo 4 Biochimica metabolica

    dàlPcnzima, che rimane chsponibile per iniziarne una nnova. L'attività degli enzimi è quindi mediata dalla struttura proteica terziaria e quaternaria (se presente), O\•vcro dalla conformazione tridimensionale della proteina che determina la struttura spazia­ le del sito attivo. La sostituzione di nn aminoacido con tm altro di natura diversa nel sito attivo o tale da alterare il sito attivo pnò determinare la perdita parziale o totale dell'attività enzimatica. La conformazione del sito attivo può essere a sna volta controllata da molecole regolatrici che si legano ad nn altro sito, definito sito allosterico. La presenza o assenza delle molecole regolatrici clefìnisconc> qnindi la proprietà enzimatica. della proteina, che viene definita allosterica in quanto capace di cambiare forma. La maggior parte degli enz.imi metabolici sono altamente specifici e sono in gra­ do
  • iperbole rettangolare de.<;crivibile dall'equazione di Michaelis-Menten: Vo

    = Viniix · �

    •'

    ,.:

    Risolvendo l'cq�a�ione per [SJ = Km, 8i ottiene Vo = ½ V,onx da cui si deduce che Km è equivalente alla concentrazione di substrato a cui Vo è uguale a metà Vmux• Mi­ nore è Km, maggiore è l'affinità delPemdma per un substrato. Un approccio cinetico simile viene utiliz�ato per descrivere l'attività catalitica e.li enzimi a più subi-;trati. Come tutte le reazioni chimiche, anche quelle enzimatiche 1:1ono influenzate dalla temperatura. Per la maggior parte degli cn�imi le curve di Vo in ftm¼ionc della tem346

    ò �

    o o o 8

    © Artquiz

    BIOL OGIA

    peratura si presentano con una forma. a campana, che, negli enzimi dei mammiferi mostra un massimo intorno a 40-45 °C; al di sopra di questa temperatura gli enzimi si denaturano e perdono l'attività catalitica. Al di sotto di 40 °C l'aumento di V0 in funzione della temperatura è pressoché lineare e generalmente un aumento di 10 °C ùetermina un aumento del 100% dì Vo ( e conseguentemente un aumento di 20 °C del 300%). I Alcuni enzimi hchiedono la presenza di gruppi prostetici o coenzimi per poter funzionare. La parte proteica non attiv:a viene definita apoenzima. Altri enzimi vengono attivati in modo irreversibile mediante proteolisi parziale, come gli enzimi proteolitici della digestione, che vengono secreti in forma di protei­ ne inattive (zimogeni) e attivati solo nel lume intestinale per degradare le proteine alimentari (altrimenti degraderebbero anche le proteine cellulari). Altri esempi sono gli enzimi della coagulazione del sangue, che vengono attivati per proteolisi solo in seguito a danni tessutali e formano nna ((cascata proteolitican altamente specifica. L'unione Internazionale di Biochimica e Biologia Molecolare (IUBMB) ha stabilito un sistema che classifica gli enzimi in sei classi principali: 1. Ossidored uttasi: catalizzano re�ioni di ossidoriduzione. 2. Transferasi: catalizzano il trasferimento di nn gruppo funzionale. 3. Idrolasi: catalizzano l'idrolisi di vari tipi di legami chimici.

    o

    o o o o

    4. Liasi: ea.taliz:mno la rottura di legami covalenti attraven;o metodi alternativi all'idrolisi o all'ossidoridm�ionc. 5. lsomerasi: cataliizano reazioni di isomerizzazione, di inven;ione e di trasferimento intramolecolare di raggmppamenti chimici. 6. Ligasi: catalizzano la formnY..ione di lega.mi covalenti tra molecole e intf:rvengono nelle vie biosintetiche.

    4.2 Il metabolismo del glucosio e del glicogeno 4.2.1 Introduzione al metabolismo Prima di descrivere dettagliatamente le vie cataboliche, è utile richiamare alcuni con­ cetti generali sul metabolismo cellulare. Questo è un'attività altamente coordinata, in cui cooperano molti sistemi multierndmatici a formare le diverse vie metaboliche. Ogni via metabolica è costituita da nna successione di reazioni nella quale viene pro­ dotta una piccola ma specifica modificazione chimica ai metaboliti, come la rimO'�ione, il trasferimento o l'aggiunta di un atomo o di un gruppo funzionale. Le vie metabo­ liche possono essere lineari, ramificate o ciclieh<-t Il catabolismo è la fase degradativa del metabolismo, in cui le molecole organiche dei nutrienti energetici (Chimica, § 12.5, 13.2, 13.2.3) e i costituenti cellulari vengono convertiti in prodotti intermedi e quindi in composti finali semplici fornendo energia immagazzinata sotto forma di ATP. I prodotti finali Bono anidride carbonica e acqua (se il metabolismo è aerobio, eioè procede in presenza di ossigeno). Negli animali superiori, compreso l'uomo, gli zuccheri alimentari, che consistono essenzialmente in amido, glicogeno, saccarosio e lattosio (Chimica, § 13.2), vengono degradati a monomeri e come tali assorbiti in circolo e convogliati ai tessuti, dove 347

    © Artquiz

    Capitolo 4 _Biochimica metabolica

    vengono ossidati nella glicolisi, che prodnce ATP e NADH (Biologia, § 4.2.2). In. condizioni di digiuno l'organismo utilizza la riserva del glicogeno epatico, che viene degradato a D-glucosio-1-fosfato per poter essere ossidato nella glicolisi. I trigliceridi (Biologia, § 12.6) alimentari vengono trasportati come aggregati !i­ poproteici detti chilomicromi ai tessuti dove vengono degradati ad acidi grassi e glicerolo per poter essere ossidati (principalmente dai nmscoli) o depositati come tri­ gliceridi (tessuto adiposo). In condizioni di digiuno il tessuto adiposo è in grado di rilasciare acidi grassi per fornire energia agli altri tessuti (ad esclusione cli cervello e globuli rossi, che 11011 sono in grado di utilizzarli). Anche le proteine possono essere degradate ad aminoacidi e questi ossidati a scopi energetici. Ciò avviene se le proteine alimentari sono in eccesso rispetto alle richieste dell'organismo per la sintesi di nuove proteine, o in condizioni di digiuno, quando i c1u·boidrati sono carenti, oppnre nel diabete, quando i carboidrati non sono utilizzati in modo appropriato. Le vie c1Ltabo­ liche sono convergenti, in quanto da glucosio, aminoacidi e acidi grassi viene prodotto l'intermedio comune acetHCoA (Biologia, § 4.3). Eb-se rilascia.no energia libera, parte della quale viene conservata mediante la formazione di ATP e parte viene rilasciata sotto forma di calore.· L'ATP è"nna molecola ricca. cli energia perché possiede tre gruppi fosfato legati tra loro mediante legami anidrici. A Ci.Ut:-m della carica negat.ivn, contenuta in ogni gruppo fosfato nell'ATP c'è nna elevata concentrazione di ca­ riche negative. L'idrolisi enzimatica (da parte cli ATPasi) di ATP arl ADP riduce questa concentrazione rli cariche negative e quindi libera energia (circa 7 kcal/molc) che serve per le reazioni endoergoniche dell'anabolismo. I primi due atomi di C clelPa.cetilCoA vengono ossidati a CO2 nel ciclo di Krebs, durante il quale si ha la. contmnporanea riduzione di NAD + e FAD. La riossidaidone cli NADH a FADH2 ad opera. dHll'ossigeno dnrantc la fosforilmdone ossidativa 8osticne la sintesi cli elevate qnantitit di ATP e produce acqua. Il ciclo di Krebs e la fosfo­ rilazione ossidativa sono quindi le vie convergenti finali, comuni al catnbofonno di carboidrati, lipidi e proteine (Fig. 4.1).

    GRASSI

    POLISACCARIDI

    PROTEINE

    � acidi grassi e glicerolo

    � glucosio e altri zucchert

    � amminoacidt

    �-

    � acettlCoA

    � �

    CoA �

    .·l

    � elettroni

    :•

    H,:')[I] � ATP

    F igura 4.1: Le tne cataboliche convergenti: OXPHOS {sistema della fosforila­ zione ossidativa).

    348

    o

    il o o D o o

    BIOLOGIA

    @ Artquiz

    L'anabolismçi è la fase sintetica del metabolismo, in cui i precursori semplici ven­ gouo uniti tra loro per costruire molecole complesse. Le vie mmboliche sono quindi divergenti e richiedono energia, :,;otto forma di ATP. e potere riducente, principalmen­ te sotto forma di NAOH e FAOH2 (Biologia, § 4.:j), prodotti dalle vie cataboliche. Nel metabolismo cellulare, carboidrati, lipidi e proteine subiscono quindi reazioni cataboliche, ma costituiscono anche i prodotti finali di reazioni a11aboliche. Per esem­ pio, gli acidi grassi vengono ossidati per fornire energia ed equivalenti riducenti, ma possono anche venire sintetizzati a partire da acetilCoA consumando NAOH, FAOlh e ATP (la sintesi degli acidi grassi avviene prevalentemente nel fegato). Se sintesi e degradazione avvenissero i;inmltaneamente in nna cellula, si avrebbe un ciclo futile, co11 spreco di energia. Ciò viene evitato mediante la regolazione separata delle sequen­ ze catabolica e a.nabolica, in modo che quando mm è attiva l'altra venga bloccata. La regolazione indipernfonte viene consentita, poiché le due vie sono catalhizate da enzimi regolatori distinti (altrimenti entrambe le vie verrebbero inibite o attivate). Inoltre, nel cnso degli acidi grassi, la via catabolica ha luogo nei mitocondri, mentre quella sintetica nel citoplasma.

    4.2.2 La glicolisi

    o o o o o o o o

    Il principale substrato ossidabile per la maggior parte degli organismi è il O-glucosio e la via. catabolica respomm.bile della sua ossidazione è la glicolisi, che probabilmente è il processo metabolico piì1 antico per ottenere energia e l'unico presente ad ogni livello di organi:!:�azionc della vita. Anche in alcuni tipi cli cellule dei mammiferi la glicolisi è la sola (eritrociti) o la principale (neuroni, spennatozoi) fonte di energia metabolica. La glicolisi com;ii-;te nella scissione ossidativa del O-glucosio in due molecole cli piruvato (CI-IaCOCOO-), nella quale una parte dell'energia libera rilai;ciat.a dal glu­ cosio viene convertita in ATP e NAOH. Avviene nel cito:ml attraverso 10 tappe e pnò c�ssere rins:mnta nella reazione: O-glucosio+ 2 ATP + 2 NAD++ 4 AOP + 2 frn;fato--+ 2 piruvato+ 2 AOP + 2 NAOH + 2 H+ + 4 ATP + 2 I·hO e cam:cllando i termini comuni: O-glucosio + 2 NAO + + 2 AOP + 2 fosfato--+ 2 pimvato + 2 NAOH + 2 ATP + 2 H + -fJ 2 lhO Poiché le cellule contengono nna quantità limitata di NAO+, la glicolisi si ·blocche­ rebbe /-ìe la forma ridotta NAOH non venisse continmunente rios.c.;idata a NAo+. In condizioni aerobiche (glicolisi aerobia), cioè in presenza cli 0 2, le molecole di NA­ OH sono riossidate nella fosforilazione ossidativa. Inoltre il riruvato può entrare nei mitocondri cd e:,;sere decarboi-;silato ad acetilçoA e quindi entrare nel ciclo di Krebs, che, assieme alla fosforilazione ossidativa, fornisce elevate quantità cli· ATP (Biologia, § 4.3.2). Quando i te::,suti animali 11011 sono riforniti con quantità �mfficicnti di 0 2 a /-ìoste­ nere la fosfqriluzione ossidativa, le molecole di NAOH forniate nella glicofo;i vengono ossidate nel citosol a :,;pese del piruvato, che viene ridotto a latt.ato ad opera della lattico deidrogenasi: piruvato (CH3-CO-Coo-) + NAOH--+ lattato (CI-1:J-HCOH-COO-) + NAO+ 349

    Capitolo 4 Biochimica metabolica

    © Artquiz

    La glicolisi anaerobica quindi sostiene la sintesi di sole due molecole di ATP per ogni molecola di O-glucosio ossidata a 2 molecole di acido lattico. Inoltre, un intenso lavoro muscolare in carenza di 02 (ad esempio in uno sprint) può portare ad elevate concentrazioni di acido lattico e alla conseguente acidificazione del muscolo, che pro­ voca dolore, e del sangue (glicolisi anaerobica lattacida). Nei lieviti e in altri microrganismi il glucosio viene fermentato ad etanolo e CO2 invece che a lattato mediante la deca.rbossilazione del piruvato ad acetaldeide, poi ridotta ad etanolo con contemporanea ossidazione di NADH (fermentazione alco­ lica).

    4.2.3 Il metabolismo del glicogeno Nelle cellule animali la forma di deposito del O-glucosio è il glicogeno (Chimica, § 13.2.3), che consente di poter immagazzinare una grande quantità di unità di esoso mantenendo relativamente bassa l 'osmolarità del citosol. Il glicogeno, che viene conti­ nuamente formato (glicogenosintesi) e demolito (glicogenolisi) da due vie distinte regolate in modo reciproco (e.lai due ormoni, insulina che attiva la glicogenosiutesi, e glncagone che attiva la glicogenolisi), è particolarmente abbondante nel fegato e nel muscolo, dove è sotto stretto controllo ormonale. Nel fegato il glicogeno serve come riserva di glucosio che viene rapidamente rilruiciato nel sangue per essere distribuito agli altri tessuti e il suo contenuto varia significativamente in funzione dello stato di digiuno/alimentazione (0,5-10 g di glicogeno/100 g di tesi:mto); nel muscolo invece il glicogeno viene demolito per generare l'ATP necessario alla contra?rione muscolare e la sua concentrazione rimane abbastanza costante (0,5-1 g di glicogeno/100 g di tc.o:;snto).

    4.3 Il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa 4.3.1 I mitocondri I mi tocondri sono le 0 centrali energetiche" delle cellule eucariotiche, in quanto con­ tengono gli enzimi del metabolismo ossidativo (ciclo di Krebs, ,B-ossidazione degli acidi grassi e fosforilazione ossidativa). Una cel�ula contiene in media 2.000 mitocondri, che occupano circa un quinto del volume totale. I mitocondri sono delimitati da una membrana esterna, liscia e contenente protei­ ne dette porine, che permettono la libera diffusione di molecole fino a circa 10 kDa. I mitocondri contengono inoltre una membrana interna particolarmente ricca di pro­ teine (che costituiscono il 75% della sua massa) e organizzata a formare invaginazioni dette creste. La membrana interna, che contiene gli enzimi della fosforilazjone os­ sidativa, divide i mitocondri in due compartimenti, lo spazio intermembr�na e la matrice interna. Nella matrice è contenuto, oltre agli enzimi del ciclo di· Krebs e della ,B-ossidazione, il macchinario genetico dei mitoconc.lri, costituito da DNA, RNA e ribosomi, che tuttavia produce un numero molto limitato di proteine mitocondriali: Una caratteristica funzionalmente molto rilevante è che la membrana interna mi­ tocondriale è impermeabile alla maggior parte degli ioni e dei metaboliti, come H+, ATP, ADP, NADH e FADH2, e possiede numerose proteine di trasporto che ne con­ trollano il passaggio. Ciò permette la formazione di gradienti ionici e determina la compartimentazione delle funzioni metaboliche dei mitocondri rispetto a quelle
    o o

    @Art9_uiz

    BIOLOGIA

    4.3.2 Il ciclo di Krebs Il ciclo di Krebs (dal n0111e dello scopritore) o ciclo degli acidi tricnrbossilici o ciclo delPacido citrico rappresenta il punto di convergenza del catabolismo degli zuccheri, .degli acidi grassi e di nlcnni amin oacidi, che sono trasformati in acetilCoA nella mn­ trice mitocondriale. Nel ciclo di I
    + CbA +NAD + ---? + C02 + NADH °"t" H +

    Gli ,widi grassi vengono ossidati direttamente ad acetilCoA durante la /3-ossidazio­ ne. E.,;si sono trnsportati da nn trasportatore specifico sotto forma di esteri della caruitinn. all'interno dei mitocondri, dove la ,B-ossiclazione li scinde iu aco di reazioui, nel quale sono coiuvolti l'acido citrico, l'acido succinico e l 'aciclo ossalacetico, avviene la riduzione d·i tre molecole di NAD+ a NADH e una di FAD a FADH2 e la vroduzione dì 1ma molecola di GTP ver ogni molecola di acetilCoA degradata.



    o

    4. 3. 3 La fosforilazione ossidativa La fosforilazione ossidativa consiste nella sintesi cli ATP sostcmnta dalla respira­ zione cellulare. Avviene a livello della membrana mitocondriale interna, dove le forme ridotte di NADH e FADH 2 vengono ossidate dai 4 complessi della catena re:-;pirato­ ria con contemporanea riduzione di 02 ad H 2 0, L'energia della reazione cli ossido­ riduzione viene utilizzata per pompare protoni attnwerno la membrana e creare un gradiente di concentrazione protonica. Tale potenzia.le chimico viene utili�zato per sostenere la l-lintcsi di ATP da ADP e fosfato inorganico (Pi) catali�zata dal complesso enz�matico ATP siutasi (Fig. 4.2). In sintesi, per ogni molecola di acetilCoA che vien<-i m;sidata nel ciclo di Krebs a 2 molecole di C02 si ha la sintesi di 12 ATP. Per l'intero processo cli m;sidazione aerobia di 1 molecola di O-glucosio t\ 6 molecole di C02 tramite la glicolisi, la remdone della piruvato deidrogenasi, il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa la resa globale è di 38 ATP: C5H1 2 0o

    + 38 ADP +

    :{8 fosfato

    + 6 02

    ---? 6 C02

    + 44 H 20 + 38 ATP

    La glicolisi aerobia produc<� quindi 19 volte più ATP ddla glicolisi anaerobia.

    351

    © Artquiz

    Capitolo 4 Biochimica metabolica

    spazio intermembrane 4 H+

    NAD +

    + 4H

    succi nato fumarato

    2H +

    02

    matrice ADP + Pi

    3/4 H +

    ATP

    Figura 4.2: Il .i;;istema
    4.4 La fotosintesi La fotosintesi è il processo mediante il qnn.Ic viene catturata l'energin. della luce e convertita nell'energia chimica di composti organici ridotti (principalmente _qlucòsio, saccarosio e glicogeno) ottenuti dalla riduzione cli C02. Gli organismi che la cata­ lizzano sono le piante e alcuni tipi

  • 352

    o o

    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    con la contemporanea fotolisi

  • o o o o o o o o o o o o

    NADP+ + H

    +

    stroma

    ADP + Pi

    ATP

    Fignra 4.3: Le reazioni alla luce dellafotosinte.'3i: le frecce dritte e nere indicano

    il flusso di elettroni, quelle ,qrigie il flusso di protoni. PSI (fotm�istema I); PSI! pc (plastocianina); e (comple sso che libera (fotosistema II); ba/ (c.itocromi b6 02 ), CFoF1 (ATP sintasi).

    J);

    \

    4.4.1 Le reazioni alla luce I pigmenti che nei tilacoicli delle piante assorbono la luce sono le clorofille, pigmenti verdi costituiti da Htruttnre policicliche planari simili nH'eme dell'emoglobina (Chi­ mica, § 13.3). Esse coordinano al centro uno ione Mg2 + e i-;ono in grado di assorbire , luce visibile nella regione del rosso (maggiore lunghezza d onda) e del blu, dando luogo alla reaxione di fotoossidazione. Assorbendo fotoni le clorofille passano ad uno stato eccitato, in cni nn elettrone viene trasferito da un orbitale molecolare legante ad un orbitale ad alta energia. Le molecole di clorofilla cosi eccitate sono forti ridu­ centi e decadono in tempi di picosecondi (10-1 2 s), trasferendo gli elettroni eccitati ad una catena di accettori molecolari e quindi ossidandosi. Gli elettroni alla fine della catena vengono presi da molecole di NADP + che si riducono a NADPH. Le clorofill e fotoossi
    Capitolo 4 Biochimica metabolica

    @ Artqui1.

    Le clorqfillc presenti nelle piante verdi sono di vario tipo e sono caratterb�zate da spettri di assorbimento della luce complementari, così da nmplinre la regione di asRor­ bimento dei fotoni. La luce assorbita viene inviata ai centri fotochimici di reazione, dove avviene la fotoossidazione secondo la reazione: 2 H20

    + 2 NADP + + 8 fotoni � 02 + 2 NADPH + 2 H +

    Uassorbimento di 8 fotoni consente il passaggio di 4 elettroni da 2 molecole di H20 a 2 molecole di NADP + , producendo una molecola di 02 e due di NADPH. I protoni prodotti dalla reazione si accumulano alPinterno, generano un gradiente che è opposto rispetto ai mitocondri e che vione utilizzato per sintetizzare ATP da ADP e fosfato, nel processo definito fotofosforilazione ossidativa. La sintesi è cataÌizzata dal complesso della ATP sintasi legato alla membrana interna dei tilacoidi, che è molto simile a quello presente nei mitocondri (Fig. 4.3).

    4.4.2 Le reazioni indipendenti dalla luce ( ciclo di Calvin-Benson) Le reazioni indipendente dalla lncc formano il ciclo di Calvin-Benson e hanno luogo nello stroma dei cloroplasti. Esse utilizzano NADPH e ATP prodotte nelle reil7.ioui di fotoossida:r,ione e C02 per produrre glucosio con mm serie cli reazioni complesse in cui viene utilfazato un enzima, il ribnlosio 1,5-bifosfato carbossilasi, chiamato rubisco (l•enzima in assoluto piit abhondrn1 tc nel pio.neta). Ucnr.ima permette-: Pattacco clel­ Panidridc carbonica al rihnlosiol.5-hifosfato, uno zucchero a 5 atomi cli carbonio con fomm1,ionc cli dm, molecole con 3 atomi cli carbonio. Il prodotto finale della reazione sono 2 molecole di gliceralcldde-3-fosfato che servono per la sintesi 1H nua molecola di glucosio. Per questa reazione vengono commmat.c 3 molecole cli ATP (9.1c si tra­ sformano in ADP) e 2 molecole cli NADPH (che Hi t.rasformano in NADP+ ) prodot.tc dalle reazioni dipendenti dalla luce. La reazione complessiva della fotosintesi, che viene definita anche di organicazione del carbonio, è praticamente opposta alla demolizione ossidativa del glncosio: 6 C02

    + 6 H20 + energia (686 kcal/mole) --t

    C6H 1 20a

    + 6 02

    Uenergia necessaria per ottenere una mole di glucosio è ottenuta dalla i
    )

    354



    Capitolo 5

    o

    Le basi della genetica 5.1 Caratteri Alla base della genetica classica c'è il concetto di gene: fattore èn·cclitario capace cli condizionare una particolare caratteristica semplice o carattere. Con il termine carattere s'intende tutto ciò che �i può osservare o misurare in un organismo. I caro.tteri si possono dividere in caratteri qualitativi e quantitativi. r primi (colore dei petali di nn ti.ore, colore della pelo cli un animale, ecc.) sono difficilmente • rahili, hanno una variabilità clh,continua, non sono inflnemmti dall'ambiente. Per mi.m la maggior parte cli questi caratteri la. manifestazione esteriore (fenotipo) dipende di­ rettamente e unicamente dal patrimonio ereditario (genotipo) e sono regolati da uno o pochi�imi geni. I caratteri quantitativi (altez:m, peso, ccc.) esprimono nna quantità e sono per­ ciò facilmente misnrabili, flono a variabilità continua, sono fortemente influenzati dall'ambiente e dipendono da un gran numero di geni (ereditarietà poligenica).

    o o o o o

    5.1.1 Alleli, genotipo e fenotipo I geni sono tratti di DNA presenti nel genoma in duplice copia (una di origine materna e una paterna) e sono localizzati in un punto specifico del DNA detto locus. Ogni gene può presentare due o più forme alternative dette alleli. Per cui, il termine allele si usa quando si vuole mettere in evidenza una delle forme alternative di un gene. I diversi modi in cui si può manifestare un carattere in un singolo soggetto si dicono fenotipi. Per esempio, per il carattere colore degli occhi, nella specie umana possiamo distinguere soggetti con fenotipo occhi chiari e soggetti con fenotipo occhi scuri. Nelle specie a riproduzione sessuata per ogni gene un individuo possiede due alleli, ognuno di provenienza da un genitore. Le combinazioni alleliche di uno o più geni in un soggetto si dicono genotipi. Nel modello mendeliano classico, gli alleli possono avere un effetto dominante o recessivo. Un allele con effetto dominante è sempre espresso (cioè, si manifc.c.;ta) a livello fenotipico, sia quando è presente in una copia che quando è presente in due copie. L'allele con effetto recessivo, invece, è espresso, solo se sono presenti due copie dello stesso allele (cioè se il genotipo per quel gene è omozigote, vedi infra).

    355

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artqniz

    5. 1.2 Omozigosi ed eterozigosi Gli organismi (o le cellule) provvìsti cli due copie (alleli) cli ogni gene sono detti diploidi; i due alleli cli un gene presenti in un organismo diploide possono essere uguali (condizione detta omozigo si) o diversi (condizione detta eterozigosi). Perciò un orga11ismo che per un dato gene possiede alleli uguali si dice omozigote per quel gene. Viceversa, un organismo che per un dato gene possiede alleli diversi si dice eterozigote per quel gene.

    5.1.3 Ttasrnissione dei caratteri: leggi di Mendel I meccanismi dclJ > ercclitarictà hanno incominciato a farsi strada con il lavoro di Gre­ gorio Mendel (1822-1884), nn monaco ceco che basò le proprie affermazioni sull'os­ servazione della riproduzione iucrociata tra diverse varietà di piselli. Nella sua ricerca prese in consiclcra.ifone caratteristiche ben definite della specie Pisum sativum, il pisello da giardino, che presentavano poche variazioni. Un indivi­ duo della pianta di pisello contiene sia i gameti maschHi (granuli cli polline) che quelli femminili (ovuli). Per cui, con queste pianto è po&;ibile ottenere incroci sia tra sog­ getti cliversi che trn Io stes::io soggetto (autoiucrocio o autoimpollinazione). Mend_el per i suoi studi sc:Ioi.ioua le cosiddette linee pure, cioè popola.¼ioni cli soggetti che, se incrocia.ti tra loro molte: volte (o atttoincrocia.ti), mo�travano per un clato carattere· sempre Io stes.<-:o fenotipo. Egli conclui;se numerosi e.<;pcrimenti tenendo nota elci eia.ti numerici dei risultati degli incroci. Da queste osserva1.ioni egli formulò tre leggi, note come leggi cli Menckl, che poi vennero riassunte in due leggi: legge della scgrega¼ionc e legge dell'assortimento indipendente. Legge della segregazione indipendente: I due membri di mm coppia cli alleli

    si separano e segregano indipendentemente quando si formano le cellule germinali. Incrociando due individui puri, generazione parentale (P), che differiscano per il feno­ tipo di un dato carattere, si ottengono nella prima genera1.icme (Fl) discendenti con caratteristiche omogenee rispetto al carattere in questione, cioè nella Fl uno dei ca­ ratteri scompare completamente, senza lasciare traccia. Questo fenotipo e altri aventi Io stesso comportamento, vengono detti recessivi, mentre quelli che determinano il fenotipo della pianta clella Fl prenclouo il nome di dominanti. Gli individui etera1,igoti della Fl sono definiti ibridi, in quanto generati da sog­ getti puri ma con fenotipo diverso tra loro. Per verificare ulteriormente la condir.ione di dominania, Mendel incrocia per autoimpollinazione individui Fl. Nella genera­ zione così ottenuta. (F2) i fenotipi non sono uniformi, ma si rimanifcstano i fenotipi parentali secondo questi rapporti: 3/4 dei discendenti presenta il fenotipo donhnante; 1/4 dei discen
    356

    @ Artquiz

    o o

    BIOLOGIA

    Fl e nella F2 viene �piegata con il seguente modello. In un individuo adulto (in una cellula somatica), UII dato ca rattere (per esempio il colore del seme) è controllato da un gene presente in clue copie (alleli) (corredo genetico diploide). Quando l'individuo forma i gameti, i due alleli si separano (segregano) e ogni gamete contiene 1111 solo allele (corredo genetico aploide). La nuova generaiione cli individui è creata dall'incontro casuale di un gamete ma­ schile· con uno femminile, ricostituendo il corredo genetico con due alleli (diploide). Il fenotipo verrà determinato dalla combin azione di alleli presentì in nn individuo: il fenotipo dominante sa rà dovuto al la presenza dì due alleli domìmu1ti ( soggetto omo­ zigote per l'allele dominante) o di un allele dominante e un allele recessivo (soggetto eterozigote); il fenotipo recessivo sarà determinato dalla presenza cli due alleli recessivi (soggetto omo'.tigotc per l'allele recessivo). I concetti di dominanza e recessjvità, dun­ que, dai fenotipi possono essere traslati agli alleli. Un a llele dominante si manifesta a livello fenotipico sia in omozigo si che in eterozigosi; un allele recessivo si manifesta a livello fenotipico solo in omozigosi, 1

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    I generazione ibrida F1

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    Il generazione Ibrida F2 B = allele dominante b = allele recessivo

    Figura 5.1: facTociando 0 BB (pisello gial­ lo) e bb (pisello verde} alla prima generazione F1 si ottengono tut­ ti in
    Legge dell'assortimento indipendente: I membri di differenti coppie di alleli vengono assortiti indipendentemente l'uno dall'altro quando r-.;'i formano le cellule ger­ minali. Incrociando due individui differenti per dne o piì1 cm·atteri, si può os.c;ervare che ciascun carattere compare nei figli indipendentemente dagli altri e variamente associato. Mendel incro ciò due ceppi di piselli di linee pure, che differivano per due coppie di caratteri: ad esempio piante che producevano semi gialli e lisci con piante che produ­ cevano semi verdi e grimmsi. Nella ·prima generazione ottenne tutte ptante che pro-

    o

    1 Nel modello mcncleliallo un gene controlla. un carattere. Pcniltrn, esistono tu.ntissimc situM:ioni in cui un gene controllii o inflnemm più di un carattere. Questu è un fonomeno molto comune e viene indicato con il termine "plr!iotn,pirt". Dunque, un gene hn un effetto pleiotropico quando influenza più caratteri.

    357

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    ducevano piselli gialli e lisci (cioè con i due caratteri dominanti). Successivamente, attraverso l'incrocio di questi "diibridi" Mendel ottenne: • piante con i due caratteri dominanti (piselli gialli e lisci); • piante con un carattere dominante e uno recessivo (piselH verdi e lisci); • piante con l'altro carattere dominante e l'altro recessivo (piselli gialli e rugosi); • piante con entrambi i caratteri recessivi (piselli verdi e rugosi). La proporzione tra queste quattro categorie era eguale a 9:3:3:1. (Fig. 5.2) Questa legge è perfettamente valida per geni che si trovano in cromosomi differenti mentre è solo in parte verificata per i geni dello stesso cromosoma .

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    Figura 5.2: L incrocio pisello giallo liscio YYRR x verde rugoso yyrr produce 1

    in F1 tutti piselli gialli lisci Y yRr; l 'incrocio di questi di ibridi tra loro pro,duce in F2 una popolazione varia: 9 gialli lisci, S verdi lisci, 3 gialli rugosi e 1 Jerde I rugoso.

    Il testcross o reincrocio viene usato dai genetisti come prova per stabilire se un individuo con fenotipo dominante è omozigote o eterozigote, poiché i due organismi, genotipica.mente diversi, sono indistinguibili fenotipicamente. Il testcross è l'incrocio tra un individuo con fenotipo dominante, ma di genotipo incognito, con un fenotipo recessivo (sicuramente omozigote recessivo). Se nella di­ scendenza il 50% ha fenotipo dominante e il 50% recessivo, il genitore è eterozigote. Se invece tutti i discendenti presentano carattere dominante, il genitore è omozigote. 358

    © Ar!_qui7,

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    BIOLOGIA

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    Fenotipo recessivo Genotipo noto

    Fenotipo dominante G�notipo sconosciuto PP o Pp?

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    Figura 5.3: Incrociando due pian­ te di 1,isello una a fiore viola di genoti7,o incognito con una a fiore bianco, omozigote recessiva pp, si possono ottenere discendenti tutti viola o metà bianchi e metà vio­ la. Se i piselli sono tutti a fio­ re viola allora ,ti. genotipo incogni­ to era omozigote dominante PP; viccv,�rsa Be i piselli hanno fiori metà bi<mchi e metà viola, allora il genotipo inco,qn·ito era eterozigote Pp.

    5.2 Rapporti mendeliani atipici 5.2.1 Dominanza incompleta e codominanza Le caratteristiche dominanti e recessive non sono sempre così nette come osservato da Mendel r1ella pianta di piHello. Alcune caratteru;tiche sembrano mescolarsi: per c>sempio, incrociando una pianta di "bella cli notte11 (MirabiliB .ialapa) a. fiori rossi RR (omo½igote dominante) con un 1 altra a fiori bianchi rr (omm�igote recessivo), in prima generai;ione Fl si producono eterozigoti cli colore roi:m. Rr. Quando le piante ibride rosa ,.;i antoincrociano tra loro, i colori rosso e bianco ricoufafono nella generazione F2 nella quale �mno prodotte piante con fiori ro8sÌ, roim e bia.nchi in rapporti dì circa 1:2:1. Questo fenomeno, in cui il fenotipo delPeterrndgote è intermedio tra quelli dei due omrndgoti, è eletto dominanza incompleta. II fenomeno può essere spiegato dalla dominan¼a incompleta tra Pallele CR per il colore ros.')o del fiore e Pallcle cr per il colore bianco. L 1allele cR codifica nn enzima che produce un pigmento rosso, ma sono necessarie due copie delPallele c R per produrre una quantità dì e1rnima (in forma attiva) sufli.cicmte a determinare il colore ros.')o. Nelle piante C1·cr Pen:tima è inattivo completamente e le piante hanno fiori bianchi. Le piante eterozigoti C R cr hanno un unico allele c R e dunque producono una quantità cli pigmento sufficiente a determinare solo il colore rosa· dei fiorì. Quando sì incrociano due piante eterozigoti a fiori rosa, i colori rosso e bianco ricompaiono nella F2 insieme al colore rosa. In altri casi gli alleli possono agire da coclominanti; in questa condizione ambedue gli alleli si esprimono in maniera uguale, per cui Petero¼igote manifesta il fenotipo di entrambe Io sitna�ioni omozigoti. Questa condizione è dunque detta codominanza e i due alleli �ono eletti codominanti tra loro.

    359

    @ Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

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    Figura 5.4: E.<;ernpio di dominanza in­

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    completa tra clu.e piante di Bella di notte a fiori rosso e bianco: nella F1 tutti i fiori sono rosa.

    1ì·a gli esempi di codomhmnza possiamo citare il gruppo sanguigno del sistema MN. M e N sono antigeni e.c;pressi sngH eritrociti umani, indipendentemente dagli antigeni ADO. Il sistema MN è controllato da n11 gene e gli alleli che determinano il gruppo sanguigno MN sono due, LM e LN . Essi sono codominanti, cioè coesistono. Individui M hanno solo alleli LM ; individui N hanno solo alleli L N e gli eterozigoti MN possiedono entrambi i tipi di molecola sulla superficie del globulo rosso. Nella Tabella 5.1 sono desci'itte le combinazione dei genot�pi e i corrispondenti fenotipi. Genotipi

    Fenotipi

    LMLM LM LN LNLN

    M MN N

    Tabella 5.1: Esempio di codominanza: il gruppo sanguigno MN esprime entrambi gH alleli M e N sulla superficie delle emazie.

    5.2.2 Alleli multipli e gruppi sanguigni

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    È stato osservat.o che molti geni sono presenti nelle popolar.ioni in più di clue forme alleliche: ci possono essere tre o più alleli diversi per unQ stesso locus e questa condi­ zione viene definita allelia multipla o poliallelia. Il concetto di allelia multipla si evidenzia solo in una popolazione poiché ciascun individuo può avere solo una coppia di alleli per ogni gene (perché diploide), una su un cromosoma e una sull'altro omo­ logo. Alcuni individui di una certa popolazione possono avere gli alleli B e b, altri gli alleli b 1 e b2, altri ancora b3 e b5 e così via. Quindi, anche se un individuo può avere solo due alleli di uno stesso gene, nella popolazione ce ne possono essere molti cli più. L'origine degli alleli multipli è dovuta

    360

    © Artquiz

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    BIOLOGIA

    alle mutm�ioni. Alcuni loci sono molto stabili e 11011 presentano che un solo allele (monomorfici), altri, come quelli trattati in precedenza, ne presentano due (dimorfici) e altri di più (polimorfici). Ciò dipende dal fatto che il segmento di DNA che forma la base fi�ica del gene è più o meno sensibile alle mutaiioni> che intervengono a modi0ficare le caratteristiche di un allele già esistente tramutandolo in una nuova versione, cli poco differente dalla prima, dello stesso gene. L'allele più diffuso in una popolazione viene indicato come allele selvatico o wilde-type, mentre gli alleli alternativi sono eletti alleli mutanti. Si definisce polimorfismo genico, invece, nna variazione genetica con una frequen­ '.la superiore all'l % nella popolazione che non provoca generalmente alcuna evidente conseguenza biologica. Un esempio molto noto dì allelia multipla e di varianti polimorfiche è quello dei gruppi sanguigni ciel si.<;tema AB0. II tipo di gruppo sanguigno nell'uomo è determi­ nato eia 3 a.lleli: IA , 1 13 , 1° , con entrambi gli alleli J A e 1 8 coclominanti. Sulla. superficie dei globuli rossi si trovano delle glicoproteine diverse la cui composiiioue glucidica è rappresentata. clagli antigeni ciel g1·uppo AB0. · Le persone cli grup110 A presentano sul­ le emn½ie l'antigene A e nel siero anticorpi contro antigene I3, le persone cli gruppo I3 hanno l'antigene B e ant.icorpi auti-A. Gli individui cli gruppo O non hanno antigeni A e B, ma ha.uno anticorpi auti-A e anti-B. Gli individui di grnppo AB, che presentano entrambi gli antigeni di superficie A e B, non hanno iU1ticorpi contro gli antigeni cli superficie. La Tabella 5.2 mostra i quattro gruppi sc.mgnigui con i relativi genotipi che derivano clalln combiua�ione diverse clegli alidi I A , 1 13, 1 ° . Oltre a.I SÌ.<.;tema AI30, la maggior parto degli uomini pr<.!senta sui globuli rossi nn fattore agglutinante, il "fattore Rhes11,.c; (o Rh)"; gli iucliviclni i cui globuli rossi presentm10 tale fottore (1'8G% circa della popolmdoue di n1.z·1.a bianca) sono detti Rh positivi (Rh + ), m9ntre gli altri (il restante 15%) sono ck:tti Rh negativi (Rh-). An� che il fattore Rh viene trm:;messo secondo le leggi di Mendel, ma iudipenclentemeute dai gruppi del sistema AB0. Per quanto riguarda. il fattore Rh gli alleli sono due: D (dominante e responsabile dell'Rh+ ) e cl (recessivo: Rh-). Nella Tabella 5.2 sono descritte le combina¼ioue elci genotipi e i corriBponcleut;i fenotipi. II sangue scambiato tra le persone deve essere grnppo-compatibìle e cioè: il san­ gue della persona ricevente non deve contenere anticorpi contro le proteine presenti in quello del donatore. In caso contrario, le cellule clonate vengono riconosciute come estranee e, quindi, clb;truUe. Un soggetto elci gruppo O R.h- viene definito donatore universale in quanto i �·uoi globuli rossi non 80110 riconosciuti eia alcun anticorpo e, quindi, può donare il suo sangue a tutti, ma. pnè> riceverlo solo ed esclusivamente da persone che appartengono al suo stesso gruppo. AI contrario, il ricevente univer­ sale è un soggetto del gruppo AI3 Rh + , poiché non possiede alcun tipo cli anticorpo e, pertanto, può accettare qnalsiasi tipo di gruppo sangnigno. Tabella 5.2: Genotipi e fenotipi dei gruppi sanguigni e del Fattore Rh. Genotipi

    Fenotipi

    Gen otipi

    Fenotipi

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    1n1n , 1 B1o J A 1n 1010

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    361

    Capitolo 5 Le basi clella genetica

    @ Artquiz

    5.3 Mitosi, meiosi e cromoso1ni 5.3.1 Cromosomi, ciclo cellulare e mitosi In tutti gli organismi viventi è presente una sostanza detta. materiale genetico. 'Il-anne per alcuni virus, questa sostanza è il D�A (acido desossiribonucleico). Nel DNA sono contenute "informazioni" attraverso cui un organismo si sviluppa e vive e che vengono trasmesse alla progenie. Le uniti\. funzionali del materiale genetico sono detti geni. II DNA è organizzato tu grandi strntture dette cromosomi. Per cui i geni sono co­ stituiti da DNA e sono localizzati nei cromosomi. I cromosomi sono trasmessi da una generazione all'altra e da una cellula madre alle cellule figlie. Dunque, i cromosomi sono tramnessi attraverso le divisioni cellulari. Negli eucarioti abbiamo due tipi di divisione cellulare: mitosi e meiosi. Benché questi due processi siano abbastanza simili, il loro risultato è molto differente. La mitosi determina la produzione di clne cellule, ogunua con Io stess� numero di cromosomi della cellula madre. Queste cellule si dicono diploidi perché contengono due copie di genoma (e dunque due copie per ogni cromoi;oma), 11110 proveniente dal pa
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    Figura 5.5: Schema delle fasi del ciclo cell�lare.

    Esso è anche detto ciclo di duplicazione cellulare (CDC) ed è composto dalla divisione cellulare vera e propria (M) e dall'intcrfose. Quest'ultima comprende 3 fasi differenti che si succedono: • Gl: (Gap 1) è l'intervallo che segue la mitosi e precede la duplicazione del DNA • S: è la fase in cui il DNA cellulare viene duplicato • G2: (Gap 2) fa.se di prepara'.tione alla mitosi/meio::ii; è l'intervallo tra la dupli­ cazione del DNA e la nuova mitosi.

    362

    © Artquiz

    BIOLOGIA

    Durante l'interfase l'attività metabolica è intensa. La cellula può anche uscire dal ciclo cellulare e andare nella fase GO. In questa fase la cellula è quiescente da l punto di vista della proliferazione cellulare e non si divide. Var i segnali extracellulari possono far uscire la cellula dalla fase GO e farla entrare in G 1. Il ciclo cellulare è ·unidirezionale Gl (-+ GO) -+ Gl -+ S -+ G2 -+ M. I cromosomi mitotici costituiscono il massimo grado di compattazione del DNA e si riescono ad osservare unicamente durante la divisione cellulare. Infatti, quando una cellula non si divide, una certa parte del DNA è decompattato e appare nel nucleo come un network diffuso (cromatina). 2 Schematicamente, nel nucleo di una cellula che non si divide si possono distinguere l'eucromatina (corrispondente al DNA decompattato; i geni contenuti nel DNA decompattato sono attivi: viene prodotto RNA) e l'eterocromatina (corrispondente a DNA fortemente compattato; i geni contenuti in esso sono inattivi). Quando una cellula si divide, è fondamentale che si producano cellule figlie con la stessa quantità di materiale genetico (che abbiano cioè gli stessi cromosomi); ciò si ottiene pii1 facilmente se il materiale genetico è molto compattato come dura.nte la 1n:itosi, in partièolare durante la metafase (Fig. 5.6).

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    Cromatina nella forma di "collana di pe1le"

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    Condensazione delle fibre spiralizzate

    Cromosoma metafasico '

    Fignra 5.6: Illustrazione della gerarchia di compattazione del DNA.

    21n effetti la cromatina è costituita sia da DNA che da proteine ad esso adesc. Viene chiamata cos} perché è colorata intensamente (blu-viola) clall 1 cnmtossilina 1 unn sostnmm molto usata per la colorazione dì cellule da osimrvarc al microscopio.

    363

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi
    La cromatina si condensa. L fovolucro nucleare scompare.

    Profase

    I cromosomi duplicati si allineano a livello della piastra equatoriale.

    Metafase

    ! Anafase

    I centromeri si dividono e I cromalidi fratelli si separano.

    La cromatina si condensa. Il citoplasma si divide.

    Telofase Le due cellule flg�

    Fig1trn. 5.7: La mitosi e le .me fa!ri.

    La mitosi è caratterii1m.ta dal susseguirsi cli 4 fasi: profase, metafase, anafase e telofase (Fig. 5.7). I centrioli hanno uu molo fondamentale nel meccanismo della mitoi-;i. Durante l'interfase essi si trnva.no nel citoplasma (vicini all 1 invol11cro nucleare) in una struttu­ ra chiamata centro.wnna e nella profase migrano ai poli della cellula, dove orgar1i7,r.a110 le fibre del fnso mitotico, una serie cli microtnbuli che vanno da. 1111 polo all'altro della cellula e che sono rc:-1po11sabili della migrazione dei cromrnmmi. Sempre durante la profase, l'involucro nucleare gradualmente scompnre così come il nucleolo. Nella profase inizia la compattaiione dei cromosomi i quali sono già duplicati (la cluplica:tioue è avvc1111tu durante la fo.sc S), tranne in l\na zona detta centromero. I cromosomi duplicati cominciano ad e&>ere visibili durante il passaggio dalla profase alla metafase. Questo intervallo è detto prometafase e corrisponde al momento del­ la migrazione dei cromosomi duplicati verso l'equatore della cellula. In prometafa.-,e i cromosomi 11011 sono ancora completamente compattati e appaiono come strutture molto allungate. La metafase corrisponde al momento i cui i cromosomi si trovano allineati all 1 e­ quatorc della cellula, formando la piastra metafasica. In questa strnttura i crpmooomi si trovano appaiati al1 1 eq1.1atore della cellula e raggiungono il massimo gracld cli com­ pattazione. Il cromosoma mctafasico (Fig. 5.8) ha una l::ltruttura particolaré: csl::lenclo duplicato in ogni cromosoma si distinguono clne metà, dette cromatidi. A meno cli I cimante la duplicaiione del DNA, per ogni cromosoma q11Cl::lte due metà l::lono errori identiche e, per questo, l::li chiamano ,;romatidi fratelli. Separati dal centromero, in ogni cromosoma metafusico 8i clistiug,110110 i bracci corti (indicati con la lettera p) e i bracci lunghi (indicati con la lettera q). A seconda della pooiiionc del centromero si pool::lono avere cromosomi di diversa forma. I cromo­ somi metacentrici 80110 quelli in cui il centromero è quasi al centro del cromosoma: bracci corti e bracci lunghi hanno qual::li la stesl::la luugheiia.

    364

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    BIOLOGIA

    Nei cromosomi submet acentrici, invece, il centromero è spostato verso l'estre­ mità del cromosoma e in effett i il,br�cdo corto è più piccolo del braccio lungo. I cro­ mosomi acrocentrìci hanno un bracc io co rto estremamente ridotto, appena visibile. Nei cromosomi telocentrici · ù'.'��riW���ro èorrisponde al terminale del cromosoma · ::•,..:·..:,,,_é:;'.i-'�·:·, .._. ._. (detto telomero). ;· ., ;·J: ;� .: f,-,{:H 1

    Cromosoma non duplicato

    . ,-·,. r r· td!;·.i:S<· ... ,..:-·! -�, ._;J� �-�1·rt:-�.'.��- -� ·t�·-;

    Cromosoma duplicato (metafasico)

    • •;:

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    I diversi tipi di cromosoma



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    Bracc(o

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    Cromatidi

    · -: :;;\i�t;;��t�canfrico

    Subme/ecentrico -Acroc�nlrico

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    Te/ocen/rico

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    -di un cromosoma non cl-nplicato. Figura 5.8: I cromosomi. � Questa struttura non è mai OS,$.�WJ${ftl�:t_i1.ç,romosoma diventa, osservabile d·u­ rante la metafase, in cui appanWc�\ìi\lrdttura delineata (1, fianco. A cfo,<;tra alla vosizionc del centromero. sono indicati i cli11cr.<Ji tipi di cromlJio{tiòA.ì"ti,�:base =

    ,,)4-, -·--· ..

    È importante nota.re che nel corri · d,·t·mosomi telocèntrici. Alla fine della. metafase i centrom con i bracci rivolti vcrno i poli della�:. di ogni cromosoma si separano grazj�� (ora chiamati cromosomi figli) migr'' telofase i cromosomi figli hanno ter� la citochi nesi, cioc la. vera e propri{ Tutti i movimenti dei cromosomf s, ragiscono a livello del centromero in;J{· II processo del ciclo celi ulare è � Iutivo ed è praticamente identico pef conservati i meccanismi dì controllo d; cosiddetti checkpoints (punti di contrct prima di procedere lungo il ciclo. Esii(. 1

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    • II primo è il Gl/S chcckpoint: !� ·· ,presenza di danni al DNA; se q' ciclo viene arrc."lta.ta.

    • II secondo dieckpoint è il G2/M�I_..., la sua riparazione. Anche in quei( "' non sono stati ultimati.

    iti-allineati all'equatore della cellula tt-eil 1 anafase, i due cromatidi fratelli �q�e .del centromero e i due cromatidi --��� poli opposti della cellula. Nellt\ ·"·�ione ai poli della cellula e avviene .]fisica delle due cellule figlie, .1ie fibre del fuso mitotico che inte­ < : aétta cinetocoro. .tJ,' �,nservato dal punto di vista evo_ eucariotiche. Sono anche molto 1e,., 'é, In particolare sono conservati i nei quali la cellula è monitorata J'lti chr,ekpoint,<1.

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    �;:le dimensioni della cellula e la '\\�':ordine la progressione lungo il ..... ....



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    ���rolla la replicazione del DNA e r Jli!a è a re8tata se i due processi 365

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    © Artquiz

    • Il controllo finale avviene durante PM checkpoint, a livello del quale si controlla la formazione del fuso mitotico e la corretta interazione al livello del cinetocoro. 11·

    Tutti questi processi sono controllati da proteine dette cicline e enzimi fosforilanti detti cdc chinasi (cdc sta per cell division cycle). Questi enzimi fosforilauo le cicliue influenzando Pattività di quest 1 ultime a livello dei vari checkpoint. Una cdc chinasi che controlla il ciclo cellulare assieme ad una ciclina viene detta Cdk protein (proteina chinasi ciclina dipendente). Molte altre proteine sono coinvolte nei checkpoint. Una proteina molto importante è p53. Essa è coinvolta nel controllo delfintegrità del DNA. Nel caso di DNA danneggiato non riparabile, p53 induce Papoptosi (morte cellulare programmata) attraverso cui la cellula viene rimossa dalla popola:done.

    5.3.2 La riproduzione. Meiosi e gameti. Crossing-over

    '

    :f,:

    Con il termine riproduzione s 1 intendono tutti i meccanismi attraverso i quali esseri viventi di una specie generano individui della stessa specie. Esistono cluc tipi cli riproduzione: 1. Riproduzione asessuata (agamìca): presuppone la mitosi e pnò avvenire sia in organitnni procarioti che eucarioti. A meno di insorgemm di nmt�ioni spontanee, le cellule figlie hanno lo stesso patrimonio genetico della cellula madrn. Esistono varie moclalith cli riproduzione asessuata: • Scissione binaria: dopo la mitosi la cellula si divide in due parti identiche. • Gemmazione: le due cellule figlie hanno dimensioni diverse, con citoplasma non egualmente ripartito. • Spomlazione: consiste nella formazione cli spore, cellule riproduttive molto adat­ te a sopravvivere in umbicnti sfavorevoli. • Schiwgonia: consiste nella scissione multipla della cellula; tipica dei protowi. • Fì·ammentazione: si ha quando una parte di un organismo pluricellulare si distacca e da origine ad un intero organismo. • Partenogenesi: consiste nello sviluppo cli un individuo da un ovocita non fecon­ dato; è attivata da stimoli di natura fisica. 2. Riproduzione sessuata (gamica o anfigonica): i nuovi individui si _formano da!Punione di due gameti aploidi, prodotti da soggetti diploidi. Con questo tipo di riproduzione, la progenie presenta un corredo genico diverso da quello di ognuno dei genitori. Nella progenie si avranno combina:doni alleliche diverse da quelle presenti nei genitori, incrementando la vai:iabilità genetica degli organismi. Un 1elev-d,ta variabilità genetica alPinterno di una specie determina la possibilità di nn migliore adattamento a cambiamenti ambientali. .� Per gli organismi che generano la progenie attraverso la riproduzione sessuata, come Puomo, è dunque importante la generazione di gameti contenenti una sola copia di genoma (corredo aploide), Negli animali i gameti maschili sono chiamati sperma­ to:wi, quelli femniinili ovociti. Al momento della fecondazione, nello zigote (la prima cellula di un organismo ) viene ricreato il corredo diploide (Fig. 5.9). NelPorganismo adulto, tutte le cellule somatiche hanno un corredo genetico diploi­ de. Ogni cromosoma è presente in due copie, una paterna, Paltra materna. Hanno un corredo diploide anche i precursori dei gameti. Dai precursori diploidi si forma­ no gameti aploidi attraverso un processo di divisione cellulare particolare, chiamato 366

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    © Artquiz

    BIOLOGIA

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    Meiosi nolo ovele

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    Fertilizzazione



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    Melo1l nei1eaocoi

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    Uovo (n)

    Sperma (nJ

    Figura 5.9: Ciclo vitale nell'uomo. Organismi adulti generano gameti aploidi {n) che con la fecondazio­ ne danno origine allo zigote diploi­ de. Attraverso molte mitosi e proces­ si di differenziamento, dallo zigote si forma tutto l'individuo.

    .

    meiosi. La meiosi consiste in effetti in due divisioni cellulari; per cui dal precursore dei gameti diploide si fornmno quattro cellule aploidi. Le due divh,ioni cellulari sono chiamate: meiosi prima (I) ( detta anche riduzionale) e meiosi seconda (II) ( detta anche equazionale). Prima delle due divisioni cellulari, nella fase premeiotica S, av­ viene la duplicazione del DNA. La meiosi I conducé alla formazione di due cellule aventi uno solo dei due cromo­ somi omologhi duplicati, che dunque passano da 2n a n. Nella meiosi II i cromatidi di ogni cromosoma omologo duplicato si separano con un meccanismo simile a quello visto nella mitosi; al termine si formano quattro cellule aploidi, con un genoma costi­ tuito da n cromosomi figli. Nella meiosi I è molto importante la profase (profase I). Questa si divide i 5 stadi: Leptotene, Zigotene, Pachitene, Diplotene, Diaciuesi (Fig. 5.10). Meiosi prima: Profase I



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    Leptotene

    Zlgotene

    .

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    Pachitene

    .

    Oiplotene



    Dlacinesi

    Figura 5.10: Le fasi iniziali della meiosi I.

    Nello stadio di leptotene i cromosomi duplicati iniziano a compattarsi (in mer do che non si nota la scissura tra i cromatidi fratelli) e inizia l'appaiamento dei due omologhi. Nello stadio di zìgotene continua il compattamento dei cromosomi e i due omolo­ ghi si appaiono l'un l'altro. Alla fine di questo stadio i due omologhi appaiati formano i bivalenti. Per ogni specie il numero di bivalenti è uguale al numero di cromosomi aploide. Nello stadio di pachitene i cromosomi continuano a compattarsi e in ogni biva­ lente i due omologhi sono intimamente appaiati a formare le cosiddette sinapsi. Per 367

    !�

    @ Artquiz

    Capitolo 5 1:,e basi della genetica

    ogni bivalente si possono osserva1·e i quattro cromatidi, per cui queste strutture sono chiamate te tradi. Nello stadio di diplotene i cromatidi di una tetrade possono incrociarsi dando luogo ai chiasmi. A livello dei chiasmi si ha lo scambio di segmenti di cromosoma tra i due omologhi. Lo scambio di segmenti che avviene durante questa fasi si chia­ ma crossing-over (Fig. 5.11). Attraverso il crossing-over le combinazioni alleliche . presenti in un cromosoma della progenie sono diversi da quelle ancestrali. Sinapsi: appaiamento del cromosomi omologhi

    Pa�mo

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    I

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    Crosslng CNer ---

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    Figura 5.11: Il crossing-over.

    Avvengono fenomeni simili a quelli osservati nella mitosi: le tetradi sono allineate all'equatore. L'allineamento delle tetradi è casuale nel senso che cromosomi paterni e materni si posizionano casualmente in un lato o nell 1altro indipendentemente per ogni tetrade. Questa casualità dell'allineamento spiega il principio della segregazione indipendente di Mendel. Inizia l'anafase I: per ogn� tetrade un cromosoma dupHcato viene attratto verso un polo della cellula, l'altro verso il polo opposto. Pertanto in questa fase avviene la disgiunzione tra i due omologhi. Se il fenomeno della disgiunzione non avviene (non-disgiunzione) si formano gameti anomali con un cromosoma in più o in meno (Biologia, § 5.4,3). A questo punto si ha la telofase I, nella quale la cellula si divide in due. Per cui alla fine della meiosi I si hanno cellule con un corredo cromosomico aploide ( una copia per ogni tipo di cromosoma), ma ogni cromosoma è duplicato, con i due cromatidi tenuti assieme al livello del centromero (Fig. 5.12). Dopo· un intervallo temporale più o meno lungo, a seconda della specie, inizia la meiosi II con la profase (profase II). Nel passaggio tra profase II e metafase II i cromosomi si allineano:all 'equatore della cellula, alla fine della metafase II tutti i cromosomi saranno allineati. Nella anafase II i centromeri di ogni cromosoma si dividono, i due cromatidi si separano e migrano ai poli della. cellula. A questo punto ogni cromosoma è costituito da. una singola struttura, detta monade. Nella telofase II inizia la divisione cellulare che si completa con la formazione dei gameti. Alla fine della meiosi II, ogni gamete presenta un solo cromosoma (non duplicato, come era invece alla fine della meiosi I) per ogni coppia di omologhi, possiede dunque un corredo cromosomico aploide. Maschi e femmine producono gameti diversi (spermatozoi e ovociti, rispettiva.­ mente)\ Dunque, le meiosi maschile e femminile hanno delle differenze. Per quanto l'iguarda la spermatogenesi, essa avviene nel testicolo, dalla maturità sessuale in poi in 368

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    © Artquiz

    BIOLOGIA

    continuazione. Le cellule staminali diploidi che attraverso mitosi rinnovano continua­ mente il proprio pool si chiamano spermatogoni. Differenziandosi, lo spermatogonio può diventa.re spermatocita primario, la cellula diploide da cui inizia la meiosi. La prima divisione meiotica produce due spermatociti secondari, ambedue conte­ nenti un numero aploide dì diadi ( coppie dì cromatidi). In ogni spermatocita primatio avviene la seconda divisione meiotica, che genera gli spermatidi. Dunque, per ogni spermatocita primario, dopo la meiosi si ottengono quattro spermatidi. Questi ultimi subiscono una serie di processi di differenziamento e diventano spermatozoi. I proces­ si di maturazione più importanti sono la compattazione della cromatina a livello del nucleo e la formazione dell'acrosoma, the consiste in un lisosoma primario di notevoli dimensioni che incappuccia il nucleo per una parte della sua lungheZ?:a. Nucleo e acrosoma sono le strutture principali della testa dello spermatozoo. Sì forma anche una coda che conferisce allo spermatozoo una notevole capacità di movimento.

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    Figura 5.12: La meios·i dalla metafase I alla fo,mazione dei gam-eti. 369

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    :1 .I

    Il

    I (!

    I;

    Per quanto riguarda l'ovogenesi, essa av viene nell'ovaio. La cellula staminale diploide indifferenziata iniziale è l'ovogonio. Essa, attraverso mitosi, da origine all'o­ vocita primario a livello del quale inizia la meiosi. Con la prima divisione meiotica si formano due cellule contenenti un numero aploide di diadi: l'ovocita secondario e il ·primo globulo polare. Quest'ultimo riceve molto meno citoplasma rispetto all'ovocita secondario. Il primo globulo polare può avere la seconda meiosi o no, ma in ogni caso, questa cellula non produrrà gameti maturi. Invece, a livello dell'ovocita secondario avviene sempre la seconda divisione meiotica, con la formazione dell'ovotidio e del secondo globulo polare. Come precedentemente, il secondo globulo polare riceve po­ chissimo citoplasma e non produrrà gameti maturi. L'ovotidio, infine, differenzia in ovocita. In molte specie animali (tra cui l'uomo) la prima divisione meiotica avviene nell'ovaio embrionale ma si arresta allo stadio della prima profase. La meiosi ripren­ de al momento della maturità sessuale: al momento di ogni ovulazione, un ovocita primario riprende la prima divisione meiotica. La seconda divisione meiotica si com­ pleta solo dopo la fertilizzazione. Le differenze tra spermatogenesi e ovogenesi sono delineate nella Figura 5.13.

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    Spermatogonio

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    Spermatozoo (..

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    Primo globulo po/ere

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    Secondo globulò

    Ovocita

    Figura 5.13: Spermatogenesi e ovogenesi.

    370

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    Ovocita primario

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    Ovogonio -

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    polare

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    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    5,3.3 Associazione genica e mappe di ricombinazione Nelle divisioni cellular i (sia mitosi che meiosi) l'entità fisica che segrega nelle cellule figlie è il cromosoma. Per questo motivo, geni localizzati sullo stesso cromosoma possono non seguire la legge della segregazione indipendente. Il perche di questo fenomeno è delineato nella Figura 5.14.

    A

    B Dupl. DNA

    Dupl. DNA A-j

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    A B

    Gameti:

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    B

    A B

    1

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    b-l b

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    Gameti :

    1

    8 B

    2

    8 b

    3

    4

    Figura 5.14: Effetto clel crossing-over. A, meio,'3i in cui non avviene il crossing­ over. B) meiosi in cui am,iene il cro.c;sing-over (C. O.). Come si vede, per i geni A e B il 8oggetto in esame è un doppio eterozigote (genotipo AaBb). I due geni sono loca.lizzati sullo stesso cromosoma e sono abbastanza vicini Puno all'altro. Consideriamo una singola meiosi. Se tra i due geni non avviene il fenomeno del crossing-ove.1· (Biologia, § 5.3.2), i 4 gameti che si formeranno conterranno unicamente le combinazioni alleliche AB e ab (Fig. 5.14 A). Viceversa, se fosse stata seguita la legge della segregazione indipendente, i 4 gameti avrebbero avuto le combinazioni AB, Ab, aB, ab. In effetti la legge della segregazione indipendente è seguita se tra i geni A e B avviene il crossing-over (Fig. 5.14 B). Tutto ciò quando si analizza una sola meiosi. Analizziamo ora tante meiosi. In ogni meiosi il crossing-over tra A e B può o non può accadere. Infatti, il crossing-over è un fenomeno casuale (cioè può avvenire o no in qualsiasi zona del cromosoma). Dunque, se si analizza,,no più processi meiotici il crossing-over tra i geni A e B potrà avvenire in alcune meiosi ma non in altre. La frequenza con cui avviene il crossing-over· (frequenza di ricombinazione) tra i geni A· e B dipenderà dalla distanza relativa tra i due geni (Fig. 5.15). Esiste infatti una reiazione tra ·frequenza di ricombinazione (cioè possibilità che avvenga un crossing-over) e distanza relativa tra questi geni. Pii1 i due geni sono lontani tra loro, più facilmente potrà avvenire il crossing-over, dunque più alta sara la frequem1,a di ricombinazione. Data questa relazione, conoscendo una var iabile (fre­ quemm di ricombinazione o distanza relativa tra due geni) possiamo ricavare ·Paltra. Attraverso questa relazione sono costruitp le crniiddette mappe geniche di ricombi­ nazione. Cioè, valutando la f requemm di ricombinazione tra due o più .geni si può ottenere la loro posi7.ione relativa lungo il cromosoma.-

    371

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    I geni A e B sono molto vicini tra loro è meno probabile che accada un crossing-over. La frequenza di ricombinazione tra A e B sarà bassa. Dunque la frequenza dei gameti non ricombinati (AB e ab) sarà alta rispetto alla frequenza dei gameti ricombinati (Ab e aB)

    a

    A B

    b-

    -

    I geni Be C sono molto lontani tra loro : è più probabile che accada un crossing-over. La frequenza di ricombinazione tra B e e sara alta. Dunque la frequenza dei gameti non ricombinati (BC e be} sarà simDe alla frequenza del gameti ricombinati (Be e bC)

    e

    Figura 5.15: Relazione esistente tra distanza relativa tra geni e frequenza di ricombinazione.

    Geni-

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    Distanze lncM -

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    1o"> ()....'?�

    I

    11,7

    Figura 5.16: Mappa di ricom­

    binazione di un frammento del braccio lungo del cromosoma 1 umano.

    Vunità di misura delle mappe geniche di ricombinazione è il centiMorgan (cM) detto anche unità di mappa (u.m.), la distanza per la quale la frequenza di ricombi­ nazione è pari a 1%. Nella Figura 5.16 è indicata una mappa di ricombinazione di un frammento del braccio lungo del cromosoma 1 umano. I I

    I I l

    i.

    5.3.4 La fecondazione negli ani_mali3 Gli spermatozoi possono fec�ndare l 1 ovocita nelJ > ambiente esterno (fecondazione esterna) o alPinterno delle vie genitali femminili (fecondazione interna). Nella fecondazione esterna., ambedue i tipi di gameti vengono emessi nelPambiente. Per questo motivo, le femmine degli organi8mì che si riproducono per fecondazione esterna (pesci e anfibi, tra i vertebrati) producono un numero molto elevatJ di ovociti. Nella fecondazione interna, invece, gli spermatozoi vengono immessi aWinterno del­ le vie genitali della femmina che produce un piccolo numero di ovociti. 'Il pru3saggio dalla fecondaiione esterna a quella interna ha permesso Pevoluzione di specie comple­ tamente terrestri, che non hanno bisogno di un ambiente acquatico per riprodursi. 3In questo paro.grafo vengono descritte la fosi dello. fecondazione naturale, facendo riferimento all'uomo. La fecondazione oltre che no.tura.le può eBSorc artificiale. Lo. fecondazione artificiale è utile in zootecnia, permettendo uno. trasmissione rapida del patrimonio genetico "migliore". Nell'uomo ei fa ricorso a.Ila fecondazione artificio.le per do.re la possibilità di procreazione o. soggetti che, a causo. di diversi tipi di patologia, non sono In grado di effettuo.re la fecondazione no.turo.le. Nell'uomo si po.rio. di fecondazione assistita (FIVET, fecondazione in vitro ed embryo transfer). 372

    o

    © Artquiz

    o

    o

    BIOLOGIA

    Con il termine di ovulazione � 1intcude il rilascio
    5.3.5 Lo sviluppo embrionale4

    I

    I

    Circa 25-30 ore dopo la fccoudaiione1 lo zigo te va incontro alla prima divisione cellulare. Da questo momento in poi viene detto embrione e contimm it dividersi mentre scende lnngo la tuba di Falloppio. In queste prime flli:li lo Y,igote si divide per mitosi 1 e forma la cosiddetta morula 1 che consiste in una piccola mas�.;a di ·cellule senia alcuna cavità. La forma;�ione della morulu. è detta segmentazione 1 e non comporta nu aumento dimensionale dell 1uovo. La morula migra attraverso le tube di Falloppio 1 e circa quattro giorni dopo la fecondazione entra nella cavità uterina (Fig. 5.17). Dopo circa cinque giorni Pembrione si trova nelPntero e assume l 1 aspetto di mm sfera caviti eletta blastula; la cavità formatasi prende il nome di blastocisti. Dopo altre 24-48 ore 1 la blastula si annida a livello della mucosa uterina (endometrio) 1 che formu. lo strnto più interno della parete uterina. La mucosa nterina in qnesta fuse appare ispessita e molto vascolarizzat�1 1 in modo da nutrire Pembrione con le sostnn¼e tra8portate dal sang,11e materno. L1 ispcssimento e Paumenl;o di va.c.;colarizzw.ioue della mucosa uterina avviene grniie all 1azione delPormone progesteroue 1 la cni produzione aumenta quando avviene il concepimento. In moltissimi organismi auimali 1 tra cui Puomo 1 alla fase di blasl�nla segue la ga­ strul�. La gastrulazione ( con cui si arriva o.Ila gastrnln) è una fase in cui Pembrioue 4Co11 il termino ontogene.<Ji s1 il1tc11de Piusicmo dei prncessi ni ediai1te i quali si compi e lo sviluppo e111brionale. Con il termine filo9cnes1.i invece 1 s 1inteudc il processo di rm11ifica:r.ione delle varie Bpecic durante J lovolm-·,ione.

    373

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    o

    © Artquiz

    Impianto dell'ovulo fecondato Tuba di Falloppio

    Figura 5.17: Ovulazione, fecondazione e annidamento.

    precoc� è organiziato nei tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoder­ ma) e, nell'embrione mmmo, inizia al 15° giorno di sviluppo. I foglietti
    374

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    BIOLOGIA

    @ Artquiz

    Figura 5.18:

    Allanlolde

    Annessi embrio­ nali. A sinistra e a destra sono disegnati embrioni umani dopo 3 e 1 settimane la fecondazione. Per evidenziare le varie strut­ ture i due disegni non sono in scala fra loro.

    Nei mammiferi il sacco vitellino è importante solo per un tempo limitato 1 in quanto la funzione nutritiva viene successivamente svolta dalla placenta. Il corion è costituito da una membrana che avvolge Pembrione e delimita con la propria parete la cavità extraembrionaria. Ha nn 1 importante funzione nutritiva; nei mammiferi da esso si ·sviluppa la parte fetale della placenta. Attraverso la placenta il sangue dell 1embrione e del feto viene messo in contatto con il sangue materno scambiai1do gas1 sostanze nutritive e di scarto. 5 La placenta è formata da una componente fetale (proveniente dul corion) e nna componente materna (decidua1 proveniente dalla mucosa uterina). Anche Pallantoide è un armesso fetale con funzioni respiratorie 1 nutritizie ed escretorie per Pembrionu. Nei mammiferi Pallantoide è un residuo vestigiale1 essendo stato sostituito dalla placenta. Lo 8vilnppo embrionale è un processo molto complesso 1 guidato dalPespressione selettiva di determinati gcni 1 a sµa volta regolata dalPambiente (interazione cellula­ cellula1 presenza di sostanze chiamate morfogeni ecc.). I geni che contribuiscono allo sviluppo vengono accesi a cascata. La specificazione delle strutture anatomiche durante lo sviluppo embrionale di un organismo (compreso Puomo) è definito da una classe di geni ( comune a molti animali) detti geni omeotici (nelPuomo geni HOX) che codificano per fattori di trflScrizione e che controllano 1 1 identità dei singoli segmenti del corpo.

    5 .4 Corredo cromosomico umano e alterazioni cromosomiche 5.4.1 Il corredo cromosomico umano Il numero di cromosomi è fisso per ogni specie. Individui della stessa specie condi­ vidono lo stesso numero di cromosomi. Il numero di cromosomi di vari organismi è indicato nella Tabella 5.3. Il numero di cromosomi diploide della specie umana è 46. I gameti umani 1 avendo un corredo aploide 1 presentano 23 cromosomi. Ogni cellula umana diploide 1 dunque 1 contiene 23 coppie di cromosomi. Per ogni coppia 1 un cromosoma è di provenienza paterna 1 Paltro di proveniemm materna.. I cromosom i umani si dividono in due tipologie: • Autosomi. Corrispondono nella cellula diploide a 22 coppie. Il loro assetto è identico per maschi e femmine. Ogni coppia viene chiamata con un numero 1 per 5Nell a specie umana, si parla di embrione dallo zigote fin o alla fine della 10 ° settimana di gravi­ danza. Successiva.mente 1 fino alla nascita, si parla di feto. Alla fine del periodo embrione.le tutti gli organi sono sta.ti forma.ti. Dunque nella. vita. feta l e si ha prevalentemente un processo di accrescimento dell 1orga.nismo.

    375

    © Artqui�

    Capitolo 5 Le basi della genetica



    ,!

    cui si va dal cromosoma 1 al cromosoma 22. La progressione della nnmerazione è inversamente proporzionale alla grandezza del cromosoma. Dunque, il cromoso­ ma 1 è il piì1 grande, seguito dal cromosoma 2 e così via. Questa regola non vale per i cromosomi 21 e 22, in quanto il cromosoma 21 è più piccolo del cromosoma 22. • Cromosomi sessuali. Nella specie umana si hanno due cromosomi sessuali, chia­ mati X e Y. Il cromosoma X è grande, contiene geni per svariate funzioni ed è presente in due copie nelle femmine. Dunque, Passetto corretto dei cromosomi sessuali nelle femmine è XX. Il cromo soma Y, invece, è un piccolo cromosoma e contiene essenzialmente geni che determinano lo sviluppo dell'embrione in senso maschile e geni importanti per la fertilità. Il cromosoma Y è presente solo nei ma­ schi, in singola copia. Dunque, Passetto corretto dei cromosomi sessuali nei maschi è XY. I gameti aploidi (ovociti) delle femmine conterranno sempre un cromosoma X.

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    Per quanto riguarda l'assetto dei cromosomi sessuali, dunque, la femmina produce gameti tutti uguali. Per questo motivo, il sesso femminile della specie umana è detto sesso omogametico. Viceversa, il maschio produce gameti aploidi (spermatozoi) diversi per quanto riguarda i cromosomi sessuali, contenenti il cromosoma X o il cromosoma Y. Perciò, il sesso maschile è detto sesso eterogametico. È dunque chiaro che il sesso di un soggetto dipende dal cromosoma sessuale presente nello spermatozoo che lo lm generato, cioè dipende dal padre. Il corredo cromosomico umano (per soggetti senza anomalie strntturali) viene espresso con una cifra indicante il numero diploide di cromosomi, seguita dall'assetto dei cromosomi sessuali. Dunque, per femmine e muschi normali l'assetto cromosomico normale è rispettivamente 46XX e 46XY.

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    Figura 5.19: Corredo cromosomico umano. È mostrato il cariogramma di u.n soggetto di sesso maschile1 ottenuto tramite bandeggio G.

    376

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    © Artquiz

    BIOLOGIA·

    Tabella 5.3: Numero di cromosomi presenti in va.rie specie animali e vegetali.

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    Nome comune

    Specie

    Uomo Scimmia Rhesus Bue Cane Cavallo Topo Ratto Porcellino d'India Gallina Alligatore Rana Carpa Baco da seta Moscerino della frutta Cipolla Grant1rrco Pomodoro Pisello

    Homo sapiens Macaca mulatta Bos taurus Canis familiaris Equus caballus Mus musculus Rattus norvegicus Cavia cobaya Gallus domesticus Alligator mississipiensis Rana pipiens Cyprinus carpio Bombyx mori Drosophila melanogaster Allium cepa Zea mais Lycopersicum esculentum Pisum sativum

    N ° Diploide

    46 42 60

    78

    64 40 42 64

    78

    32 26 .104 56

    8 16 20 24 14

    5.4.2 Analisi del cariotipo nell'uomo

    o D o

    Con il termine cariotipo s'intende l'assetto cromosomico di un soggetto o di una specie dal punto di vista morfologico. L'analisi del cariotipo di un soggetto consiste nello studio morfologico dei suoi cromosomi, effettuato tramite tecniche microscopiche sia durante la vita prenatale che dopo la nascita. Per effettuare l'analisi del cariotipo nella vita postnatale si utilizzano le cellule nucleate del sangue: i leucociti (globu­ li bianchi). Dopo prelievo di sangue i leucociti vengono separati dai globuli rossi e messi in coltura. La proliferazione dei leucociti (quella dei linfociti T, in particolare) viene attivata dall'utilizzo di una sostanza d'origine vegetale detta fitoemoagglutinina (PHA). Successivamente, i linfociti proliferanti sono bloccati in metafase con l'utilizzo della colchicina. Questa sostanza agisce inibendo la formazione dei microtubuli del fuso mitotico e arresta le cellule in divisione nello stadio della metafase. A questo punto le cellule vengono fatte scoppiare tramite lisi osmotica su un vetrino da mi­ croscopia. I preparati vengono colorati e osservati al microscopio. Vengono isolate le piastre metafasiche (l'insieme dei cromosomi metafasici di una cellula) e fotografate. I cromosomi vengono contati e ordinati in base alla loro struttura. Oggi, a partire dall'osservazione al microscopio fino alla fine della procedura, si utilizzano sistemi computerizzati d'analisi d'immagine. Se l'indagine del cariotipo viene fatta in fase prenatale, le cellule fetali vengono ot­ tenute tramite amniocentesi o prelievo di villi coriali. Sono ambedue tecniche di tipo invasivo. L'amniocentesi consiste nel prelievo di liquido amniotico da cui vengono ottenute cellule vitali che sono messe in coltura. Queste cellule sono tutte d'origine fetale. L'amniocentesi viene normalmente effettuata tra la 14° e la 16° settimana di

    377

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    I

    I:

    gravidanza e il rischi.o di danneggiare la gravidanza è non superiore a 1/200. Il prelievo di villi coriali (detto anche coriocentesi o villocentesi) consiste nel prelevare un frustolo di placenta. Dopo il prelievo, la parte fetale viene pulita da eventuale contaminazione di tessuto materno e analizzata direttamente e messa in coltura. Il prelievo di villi coriali viene effettuato intorno alla 10° settimana di gravi­ danza; il rischio di danni è circa doppio rispetto a quello delPamniocentesi. La colorazione dei cromosomi può essere fatta tramite tecniche e coloranti diffe­ renti. Per Panalisi. del cariotipo umano, le tecniche più usate sono quelle di bandeg­ giamento. Attraverso queste procedure ogni cromosoma si presenta con un pattern di bande chiare/scure utilizzando il quale (assieme alla grandezza e alla posizione del centromero) è possibile identificare i singoli cromosomi. NelPanalisi del cariotipo uma­ no le tecniche di bandeggiamento più comuni sono: il bandeggio G (in campo chiaro, si utilizza la colorazione di Giemsa) e il bandeggio Q (in fluorescenza, si utilizza come colorante la quinacrina). Attraverso le tecniche di bandeggiamento metafasico classi­ che, un corredo cromosomico aploide umano presenta dalle 350 alle 400 bande. Dato che un genoma umano aploide è composto da circa 3.200 milioni di basi, la grandezza media di una banda cromosomica è intorno a 10 milioni di basi. In accordo con questa stima, il potere risolutivo di un bandeggio metafasico classico non è superiore a 5-10 milioni di basi.

    5.4.3 Alterazioni c.romosomiche Le alt.erazioni cromosomiche possono essere classificate in due grandi gruppi: • Alterazioni cromosomiche numeriche. Sono caratterizzate da un numero di cromosomi diverso da quello normale. • Alterazioni cromosomiche strutturali. Sono caratterizzate dalPalterata struttura di uno o più cromosomi. Alterazioni cromosomiche numeriche

    Allo scopo di descrivere le alterazioni cromosomiche numeriche, bisogna prima definire 3 condizioni, quelle di euploidia, poliploidia e aneuploidia. Con euploidia s'intende un numero di cromosomi pari.a due o più set cromosomici aploidi. Con poliploidia s1 intende un numero di cromosomi in più rispetto al corredo diploide, multiplo del corredo aploide. Così, si potranno avere le triploidie (soggetti con 3 set ·aploidi com­ pleti di cromosomi), le tetraploidie (soggetti con 4 set aploidi completi di cromosomi), e così' via. Dal punto di vista biologico, le poliploidie fanno parte delPeuploidie. Con ,, aneuploidia s 1intende un numero di cromosomi diverso dal normale coµ, aggiunta o perdita di uno o più cromosomi. Le aneuploidie più comuni sono le ,monosomie (un cromosoma in meno rispetto· al corredo diploide) e le trisomie (un cromosoma in più rispetto al corredo diploide). Tutte queste condh1ioni sono sc:hematizzate nella Tabella 5.4. Le poliploidie sono sempre incompatibili con la vita nella specie umana ma possono esserlo in altre specie animali, in particolare in anfibi e pesci. Le poliploidie sono invece abbastanza comuni nelle piante. Le triploidie (3n) possono originare da un ovocita anomalo ( con un numero diploide di cromosomi invece che aploide) fecondato da uno spermatozoo normale. Più raramente, la triploidia può insorgere perché due spermatozoi fecondano lo stesso ovocita. La tetraploi.dia (4n) può essere prodotta da I

    3·1s



    © Artquiz

    BIOLOGIA

    Tabella 5.4: Terminologia usata per le alterazioni cromosomiche numeriche.

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    Terminologia

    Corredo cromosomico

    Euploidia - Diploidia - Poliploidia - TI·iploidia - Tetraploidia Aneuploidia - Monosomic - TI·isomia - Tetrasomia, Pentasomia, ecc.

    multipli di n 2n 3n, 4n, 5n, ecc. 3n 4n 2n ± X cromosomi 2n - 1 2n + 1 2n + 2, 2n + 3, ccc.

    un difetto durante la mitosi, quando mm cellula duplica i cromosomi ma non riesce n dividersi in due cellule figlie. Le aneuploidie ( monosomie o trisomie) immrgouo a causa cli un fenomeno che può avvenire durante la meiosi: la non-disghrm:iQne. Il fenomeno della non-disgiunzione è raffigurato nella Figura 5.20.

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    Non-disgiunzione


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    Olsglunzlons 11om,sla

    Prima divisione meiotica

    CD ®®00 CDCD®0 o CD I Dill illIJ DJ DJ I CD I illJ [I] [III] DJ ®

    Olsgiunzlons normals

    Gamete aploide

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    Seconda divisione meiotica �

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    Ttisomlco Monosomico Mono,omlco Gamele I Nor mala I aploide ·

    Progenie

    Non disgiunzione du,enle i.1 • dM110na maiolica.

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    Non-dlsglunzlono

    Olsglunzlono normols

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    Normale

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    Trisomlco MonosomlcO

    Progenie

    Non dlaglunllone du,anle la 11· divisione melOUca.

    Figura 5.20: La non-disgiunzione meiotica. La non-disgiunzione consiste nella mancata separazione dei due mèmbri di una coppia di cromosomi omologhi (se avviene durante la prima divisione meiotica) o di due cromatidi (se avviene durante la seconda divisione meiotica). Il fenomeno della non-disgium�ione ha una frequenza relativamente elevata; si stima che al momento del concepimento circa il 10% delle uova fecondate siano trisomiche 379

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artquiz

    80 70 Ovochl aneuploldl 60 l�I

    50

    40 30

    34 35 36 37 38 39 40 4 t 42 43 44 45 Età materna

    Figura 5.21:

    Aumento della frequenza della non-disgiunzione con Cetà

    materna.



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    • Aneuploidie dei cromosomi sessuali; • Trisomie dei cromosomi 13, 18 e 21.

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    o monosomiche. La. non disgiunzione aumenta di frequenza. con l'età ma.terna. Per cui una donna. meno giovane ha. una tendenza a. concepire progenie con aneuploidie più frequentemente rispetto a una donna più giovane. Nella specie umana circa 2/3 delle non disgiunzioni avvengono durante la prima. divisione meiotica. Nel maschio non si ha un incremento della non-disgiunzione con l'età. L'evento di �on-disgiunzione può avvenire, più raramente, anche durante la mitosi. La non-disgiunzione mitotica genera organismi mosaico. Un m?sa.ico è un organismo con cellule aventi corredi genetici differenti, provenienti da un unico zigote. Bisogna distinguere il mosaico dalla chimera; con questo termine si definisce un organismo con cell11le aventi corredi genetici differenti ·ma provenienti da zigoti differenti. Per cui si ha una chimera quando si ha la fm:1ione di due embrioni diversi. Nella specie umana le uniche alterazioni cromosomiche numeriche compatibili con la vita sono le:

    •I

    !-

    Si possono avere vari tipi di aneuploidie dei cromosomi sessuali. Quelli medical­ mente più rilevanti sono due: la. sindrome di Klinefelter e la sindrome di Turner. La sindrome di Klinefelter è caratterhizata dal cariotipo 47:XXY. Per cui si tratta di una trisomia dei cromosomi sessuali. Questi soggetti, essendo presente il cromosoma Y, sono di sesso maschile, di solito di alta statura.. Lo sviluppo delle masse muscolari, la deposiziòne del tessuto adiposo e la peluria sono simili a quelli presenti nei soggetti di sesso femminile. I testicoli sono atrofici; questi soggetti sono sterili per assenza di cellule germinali. Possono anche presentare sintomi differenti, quali osteoporosi, disturbi comportamentali e altri. Questa sindrome ha. una frequen� za. di circa 1/600 soggetti nati di sesso maschile. La sindrome di Turner è caratterizzata dal cariotipo 45X (si può'a.JJ.°t!he definire con 45X0). Si tratta dunque di una monosomia.· La. sindrome di Turiler è l'Jlnica monosomia umana compatibile con la vita. I soggetti con questa sindrome sono di sesso femminile (non hanno il cromosoma Y), presenta.no bassa statura e amenorrea primaria (assenza completa di mestruazioni). La mancanza di un secondo cromosoma X determina la presenza di un ovaio atrofico, per cui i soggetti con questa sindrome sono sterili. Possono a.vere tanti altri sintomi quali: anomalia della. forma del torace e del collo, malformazioni dell'apparato circolatorio, attaccatura bassa dei capelli e altro. Questa. sindrome ha una frequenza di circa 1/2500 soggetti nati di sesso fem­ minile. 1

    380

    o o

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    BIOLOGIA

    Altre aneuploidie d�i cromosomi sessuali (47XYY o 47XXX) possono presentare lievi disturbi com portamentali e hanno una rilevamm medica Hmitata. Per quanto riguarda le trisomie degli autosomi1 la più importante è certamente ln trisomia del cromosoma 21 1 detta anche sindrome di Down. Essendo un 1 alterazione degli autosomi1 sia maschi che femmine possono presentare questa sindrome. La fre­ quenza è di in un caso ogni 800-1.000 nati vivi. Molti di più sono i concepimenti che riguardano la trisomia 21 1 dato che 3 casi su 4 si concludono con '1111 aborto o con la nnscita di un/a bambino/a moito/a. Il rischio di generare un soggetto cou sindrome di Down è in rela:done all 1età della madre. Tabella 5.5: Valori di rischio approssimativo della nm�cita di 8oggetti con sindrome di Down in relazione alPetà della madre.

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    Fasce d'età della madre (anni)

    Rischio in percentuale

    20-2 4 25-29 30-34 35-39 40-44 45 in poi

    0 106% 0 1 08% 0 1 15% 0 1 26% 1/13% �3 1 42%

    La sintomatologia di questa sindrome è caratteri��ata da vari sintomi. 1ì·a i più rilevanti il ritardo mcutalo 1 la fo.cies caratteristica con occhi a mandorl n.1 ln. mncro­ glossia (ingrandimento della lingua) 1 il collo corto1 la las:,ità legn.meutosa 1 Pipotonia muscolare. Quo�ti soggetti possono presentare freq1tentemcnte n.normùie dello :,viluppo cardiaco e del canale nlimentare 1 e sono soggetti iùlo sviluppo cli leucemie. Dtùl 1età di circa 35-40 anni 8i assiste alPinsorgenza di una forma di malnttia di Al i heimer precoce che determina 1111 ulteriore decadimento cognitivo. Con adeguati interventi terapeutici 1 l 1 aspettativa di vita di soggetti con sindrome cli Down può arrivare fino a 50-60 anni. La trisomia del cromrnmma 18 è detta anche sindrome di Edwards. Ha una frequenza di circa 1/5.000 soggetti nati. I soggetti nati cou questa sindrome sono più frequentemente di sesi:;o femminilej per molti dei soggetti cli i:;esso mnschilc la gravi­ danza s 1 interrompe spontaneamente. I soggetti con quest.a sindrome presentano una sintomatologia molto complessa. 'Ira i sintomi principali ricordiamo il ritardo psico­ motorio 1 l 1 ipotonia mnscolare1 le malformazioni in vari organi 1 le anomalie a livello dei piedi e delle mani dovute ad abnormi contrazioni muscolari. Circa il 9(1% di questi soggetti muore entro i primi sei mesi di vita. Rarisi:;imamente possonn raggiungere l 1età puberale. La trisomia del cromosoma 13 è detta anche sindrome di Patau. Ha una fre­ quenza di circa 1/12.000 soggetti nati. Anche in questo caso i soggetti nati sono pii1 frequentexnente di sesso femminile. Hanno una sintomatologia complessa 1 i sintomi più frequenti sono: labbro lcporino 1 schisi del palato 1 malformar.ioni cardiachc 1 ipoto­ nia muscolare1 polidattilia 1 anomalie dello sviluppo degli occhi e del si:.;tema nervoi:;o centrale. Gran parte dei 8oggetti con sindrome di Patau muore entro i primi cinque anni di vita (2/3 entro il primo anno). Molto raramente arriva1 10 a 8-10 anni d 1 età. 381

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica Alterazioni cromosomiche strutturali

    Le alterazioni cromosomiche strutturali sono caratterizzate da anomalie strutturali di uno o piìt cromosomi. Esse sono distinte in due grandi classi: alterazioni cromoso­ miche bilanciate e sbilanciate. Con alterazioni cromosomiche bilanciate s >intendono le anomalie strutturali caratteriziate da un riarrangiamento della struttura di uno o più cromosomi ma nelle quali non si ha perdita o guadagno di genoma. Viceversa, si parla di alterazioni cromosomiche sbilanciate quando Panomalia strutturale consiste nella perdita o guadagno di frammenti di genoma. I soggetti con alterazione cromosomica sbilanciata, presentano di solito un feno­ tipo patologico. 11 tipo di patologia dipende dal/dai frammenti di cromosoma/i che 1>ono in eccesso o in difetto riispetto al corredo diploide. Invece, i soggetti portatori di alterazione cromosomica bilanciata sono generalmente soggetti sani con un unico problema: hanno un rischio molto elevato di generare prole con alterazioni sbilanciate e, dunque, con patologia. La mancanza di un frammento di cromosoma viene chiamata delezione. Le dele­ zioni sono sempre alterazioni sbilanciate e, in dipendenza della posizione e della gran­ dezza della delezione, possono causare patologia. di vario tipo. Sono dovute a rottura di cromosnmi in uno o pii1 punti. Le delezioni possono essere termina.li o interstiziali. Nelle prime si perde la parte terminale (più o meno grande) di un cromosoma, la qua­ le, mancante del centromero viene pm·duta dalln cellula. Nelle delezioni interstiziali, invece, il cromosoma i;i rompe in due pm1ti e si perde un frammento alPinterno del cromosoma. Quando ::ii luumo nello stesso cromosoma due dele1,ioni terminali (com­ prendenti Puna il tclomero del braccio corto, Paltra il telomero del braccio lungo, i terminali del cromosoma residuo possono unirsi, generando il cromosoma ad anello. a:!l"u:� ..... '""';W I<'l

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    Delezione lnlersllzlale

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    Cromosoma ad anello

    Figura 5.22: Delezioni cromosomiche.

    Un esempio di malattia umana dovuta a delezione cromosomica è la sindrome del Cri Du Chat (grido del gatto). Ha una frequenza di circa 1/50.000 n'ati vivi ed è caratterizzata. dalla dele-.lione di parte del braccio corto del cromosoma,�5 (5p-). Il nome di questa sindrome è dovuto al pianto particolare, simile al miagoli'o del gatto, caratteristico dei soggetti affetti. Il :;intorno più importante di questa malattia è il ri­ tardo mentale che può essere anche grave. I soggetti presentano anomalie della facies, microcefalia, ritardo della crescita. Possono anche avere malformazioni cardiache. Le delezioni cromosomiche interi;tiziall possono essere dovute al fenomeno del crossing­ over ineguale (Fig. 5.23). Questo fenomeno è dovuto ad un appaiamento scorretto di cromosomi omologhi soggetti a crossing-over e, dunque, ad uno scambio di fram­ menti di diversa lunghezza. Come conseguenza si avranno nei gameti cromosomi con delezioni e duplicazioni. 382

    BIOLOGIA

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    Figura 5.23: Il crossing-over ineguale dà origine a cromosomi· contenenti delezioni o duplicazioni.

    Anche le duplicazioni, determinando uno sbilanciamento (guadagno di genoma), possono essere causa di patologia. Alterazione cromosomiche bilanciate sono le inversioni. Consistono nel cambio di polarità di un segmento all'interno di un cromosoma. Le inversioni possono essere pericentriche, quando il segmento invertito coinvolge il centromero e, paracentriche quando, al contrario, il segmento invertito non coinvolge il centromero (Fig. 5.24).

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    Centromero


    Cromosoma normale

    @ViiMM•:IGNidìlD

    Inversione pertcentrtca

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    H·· ,1.·:_;:c i;·l>':··h.1 ,.)"i.tll•1.,:;i[�·) Inveratone paracentrlca

    Figura 5.24: Inversione pericentrica e paracentrica.

    • Regione invertite

    Un'alterazione cromosomica sbilanciata è quella dovuta alla creazione di un iso­ Quest'alterazione è caratterizzata da un cromosoma che, invece di un braccio corto e un braccio lungo, presenta due bracci corti o due bracci lunghi. Dun­ que, la presenza di un isocromosoma determina la duplic�ione di un braccio e la delezione dell'altro. cromosoma.

    D

    Cromosoma melatastco

    -->

    Cromosomi normali

    Cromosoma metataslco

    P11inodi � segregazione � anomalo

    lsocromosomi



    lso P

    o

    Pieno di segregazione no,me/9

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    Figura 5.25: Isocromosomi. 383

    Capitolo 5 Le basi della genetica

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    Artquiz

    U11 1alterazi011e cromosomica strutturale relativamente frequente è la traslocazio­ ne, che è presente in circa 1/1.000 nati. Esistono due tipi di traslocazione: reciproca e robertsoniana. Con traslocazione reciproca s'intende uno scambio di materiale genetico tra cromosomi non omologhi. Può avvenire tra tutti i cromosomi. La tra­ slocazione reciproca può essere sia bilanciata che sbilanciata. In quest'ultimo caso i soggetti presentano alterazioni anche molto gravi, talvolta incompatibili con la vi­ ta. Nel caso di traslocazioni reciproche bilanciate i soggetti sono in genere normali; 6 tuttavia, hanno una alta possibilità di generare figli con traslocazione reciproca sbilan­ ciata e dunque affetti da anomalie. L'elevato rischio di un soggetto con traslocazione reciproca bilanciata di generare progenie con traslocazione reciproca sbilanciata è causato dell'errato appaiamento dei loro cromosomi durante la meiosi che può deter­ minare la produzione di gameti con una distribuzione cromosomica anomala. Con traslocazione robertsoniana ( detta anche fusione centrica) s'intende la fusione di due cromosomi acroccntrici (nell'uomo cromosomi acrocentrici sono: 13, 14, 15, 21 e 22) attraverso i bracci corti.

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    Anche le traslocazioni robertsoniane possono essere bilanciate o sbilanciate. Nel primo caso i soggetti sono normali ma hanno un alto rischio di generare prole con sbilanciamenti, nel secondo caso, i soggetti presentano anomalie. Quando le traslo­ cazioni robertsoniane sbilanciate presentano 3 copie del braccio lungo del cromosoma 21, i soggetti saranno affetti da sindrome di Down (Pig. 5.27). Circa il 3-4% di casi di sindrome di D0V11 n sono dovuti a traslocazione robertsouiaua sbilanciata.

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    6Qunndo la. traslocazione fonde due geni che prtma. si collocava.no 3u cromosomi separa.ti si potrebbero avere conseguenze patologiche.

    384

    @ Artquiz

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    BIOLOGIA

    5.5 Ereditarietà legata al sesso 5.5.1 I cromosomi sessuali nella specie umana I ·caratteri controllati da geni localizzati nei cromosomi sessuali sono detti caratteri legati al sesso. Essendo l'assetto dei cromosomi sessuali diverso tra maschio e femmina, i caratteri legati al sesso hanno un'ereditarietà diversa rispetto ai caratteri controlla ti da geni localizzati negli autosomi. Ciò è particolarmente importante per i geni localizzati nel cromosoma X. Infatti, mentre il cromosoma Y è un piccolo cromosoma che contiene essenzialmente geni importanti per sviluppo in senso maschile e per [a fertilità del maschio, il cromosoma X è molto grande e contiene una gran quantità di geni. Molti dei geni contenuti nel cromosoma X non sono in relazione alla determì"nazione del sesso, ma a funzioni comuni ai due sessi. Per esempio, il cromosoma X contiene geni importanti per la discriminazione dei colori, per la funzione muscolare, per il metabolismo intermedio. Dal punto di vista evolutivo, si ritiene che i due cromosomi sessuali erano prima due.autosomi (capaci di crossing-ove1' in tutte le loro porzioni) che poi si sono differenziati. Una prova di ciò consiste nel fatto che ancora oggi nella specie umana i due cromosomi sessuali a livello delle due estremità si comportano come_ gli autosomi. Infatti alle estremità dei cromosomi X e Y sono presenti le cosiddette .regioni pseudoautosomiche, omologhe fra loro. Per c1d, a livello delle regioni psendoautosomiche pnò avvenire cmssing-over tra i cromosomi X e Y (Fig. 5.28). X

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    cromosomi X e Y e posizione del gene SRY.

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    Per quanto riguarda i geni localizzati nel cromosoma Y, si ha la trasmissione da padre a figlio maschio. Per cui, tranne che per le regioni pseudoautosomiche, tutti i soggetti maschi di una famiglia condividono lo stesso cromosoma Y.7 Per quanto riguarda ogni gene localizzato sul cromosoma X, i soggetti di sesso femminile potranno essere omozigoti o eterozigoti (a seconda se i due alleli siano tra loro uguali o no).8 I soggetti di sesso maschile, avendo solo una copia di cromosoma X, per ogni gene localizzato su questo cromosoma sono emizigoti, cioè nel corredo genetico diploide presentano una sola copia. Nel braccio corto del cromosoma Y è presente il gene SRY, la cui funzione è necessaria per lo sviluppo dell'embrione in senso maschile. 7Ovvtamente tra i soggetti moschi di una famiglia potranno esserci variazioni a livello della sequenza del cromosoma Y in seguito a nuove muta:,;ioni (Biologia, § 5. 7). 811 concetto di uguaglianza tra due alleli dello stesso gene corrisponde a impossibilità. di distinguere differenze tra i due alleli. 385

    ,

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artquiz

    5.5.2 Inattivazione del cromosoma X L'espressione dei geni autosomici è, di solito, biallelica, cioè, entrambi gli alleli sono trascritti e ambedue contribuiscono ai livelli di RNA messaggero e, successivamente, di proteina. Alcuni geni autosomici (oggi si stima circa un centinaio) funzionano invece in maniera monoallelica: in ogni cellula un allele è trascritto e l'altro è silenziato. Ciò è dovuto ad un fenomeno detto imprinting genomico: funziona solamente l'allele trasmesso dal padre o dalla madre (a seconda del gene). Esempi di geni umani sotto­ posti ad imprinting sono: l' Insulin-like growth factor 2 (IGF2), di cui viene silenziato selettivamente l'allele materno e il cui RNA messaggero deriva quindi dall'espressione del solo allele paterno, o il gene H19, sottoposto viceversa a imprinting paterno, e di cui viene quindi espresso solo l'allele di origine materna. Per ciò che riguarda i geni localizzati nel cromosoma X, maschi e femmine han­ no un dosaggio genico diverso. 9 Peraltro, se si osservano i prodotti genici (RNA messaggero o proteina), in maschi ·e femmine si osservano gli stessi livelli. Dunque, esiste un fenomeno di compenso: benché maschi e femmine abbiano dosaggi genici differenti, la quantità di prodotto genico è la stessa. Nella specie umana e, più in generale, in tutti i mammiferi, questo compenso avviene tramite inattivazione trascri­ zionale di uno dei due cromosomi X. Questo fenomeno di inattivazione è stato per la prima volta ipotizzato dalla ricercatrice inglese Mary Lyon, viene per questo anche detto lyonizzazione del cromosoma X. L'inattivazione trascrizionale (silenziamento) di uno dei due cromosomi X nelle cellule di organismi femminili avviene tramite eterocromatizzazione del cromosoma che viene silenziato. Dal punto di vista morfologico, il cromosoma X inattivo appa­ re come un corpo sferoidale intensamente colorabile (corpo di Barr) In ogni cellula diploide dell'organismo si può mettere in evidenza un numero di corpi di Barr pari al numero di cromosomi X meno uno. Dunque, un maschio normale non ha corpi di Barr; una femmina normale ha un corpo di Barr. per cellula; un maschio con sindrome di Klinefelter ha un corpo di Barr per cellula; ecc. L'inattivazione di uno dei due cromosomi X avviene secondo le seguenti caratte­ ristiche: • precoce: avviene d11rante le fasi precoci dello sviluppo embrionale, quando si ha la blastocisti;

    .

    • casuale: ogni cellula inattiva l'X paterno o materno a caso, in modo indipendente da cellula a cellula. Statisticamente, dunque, in un 50% di cellule è inattivato il cromosoma X di provenienza paterna, nell'àltro 50% quello di provenienza materna; • permanente e propaga ta in maniera clonale: una volta scelto il cropiosoma X da inattivare (paterno o materno), l'inattivazione dello stesso cromosom� continua / in tutte le cellule figlie; • non completa: alcuni geni localizzati sul cromosoma inattivo continuano ad essere espressi. Dunque, oltre che i geni localizzati nelle regioni pseudoautosomiche, alcuni geni localizzati nel cromosoma X sono espressi in maniera biallelica. Dal punto di vista molecolare, l'inattivazione del cromosoma X viene iniziata da un notevole aumento dell'espressione del gene XIST a livello del cromosoma che sarà 0con il termine dosaggio genico s'intende il numero di copie dt un gene presente in un genoma. diploide.

    386

    BIOLOGIA

    @ Artquiz

    inattivato. II gene XIST produce un RNA non codificante che si stratifica sul cro­ mosoma che lo produce, iniziandone l'inattivazione. L'inattivazione del cromosoma X procede poi con altri fenomeni molecolari. Modifica·.tioni post-traduzionali degli istoni e metilazione del DNA a livello di residui di citosina sono tra i più fenomeni più rile­ vanti che determinano il mantenimento del silenzia.mento di uno dei due cromosomi X in tutte le cellule figlie. L'inattivazione casuale di uno dei du� cromosomi X e la propagazione in maniera clonale nella progenie determina che, dal punto di vista dell'espressione dei geni lo­ calizzati nel cromosoma X, l'organismo femminile sia 1111 11mosaico11 : alcuni gruppi di cellule esprimono i geni localizzati sul cromosoma X paterno, altri gruppi di cellule esprimono i geni localizzati sul cromosoma X materno (Fig. 5.29).

    Prime mitosi

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    Inattivazione casuale

    Trasmissione alla progenie

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    L'organismo femminile è un "mosaico''

    Figura 5.29: Inattivazione ,fol cromòsoma X durante l'embriogenesi femminile. Il cromosoma attivo è indicato con nna linea, quello inattivato con un ovale {corpo di Barr). P: paterno; M: materno. 387

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artquiz

    5.5.3 Ereditarietà X-linked Data la notevole quantità di geni conteuuti, è importante conoscere in dettaglio la tra­ smissione ereditaria di geni che stanno nel cromosoma X. Questo tipo di ereditarietà è detta X-linked. L'ereditarietà X-linked è importante anche in patologia umana: esistono tante malattie trasmesse attraverso questo tipo di ereditarietà. Come l'ere­ ditarietà autosomica, anche quella X-linked può essere dominante o recessiva. Per quanto riguarda l'ereditarietà X-linked dominante, una femmina affetta avrà un genotipo eterozigote. Dunque, dato che la femmina trasmette sempre uno dei due cromosomi X, ogni figlio che viene generato (indipendentemente dal sesso) avrà un rischio del 50% di ereditare l'allele responsabile della malattia (e, dunque, la malattia). Un soggetto maschio affetto trasmetterà sicuramente il suo unico cro­ mosoma X a tutte le figlie femmine. Dunque il 100% delle figlie femmine erediterà la malattia. Nessuno dei figli maschi, invece, sarà affetto, in quanto il padre ai figli maschi trasmette il cromosoma Y. Per quanto riguarda l'ereditarietà X-linked recessiva, un maschio è emizigote (vedi sopra) per tutti i geni localizzati nel cromosoma X. Dunque, se uno di questi geni conterrà una. mutazione responsabile di malattia, il soggetto sarà affetto. Invece, perché un soggetto di sesso femminile sia malato è necessario che sia omozigote per l'allele responsabile della malattia. Una femmina eterozigote sarà una portatrice sana. Per queste ragioni, le malattie con ereditarietà X-linked recessiva sono molto più fre­ quenti nei maschi che nelle femmine. A meno di nuove mutazioni, perché sia generata una femmina omozigote per l'allele respon::;abile della malattia, è necessario che sia il padre che la madre trasmettano il' cromosoma X con la mutazione responsabile della malattia. Dunque, il padre deve esserne affetto. In caso di malattia poco grave (il daltonismo, ad esempio), che non abbassa significativamente la fitness riproduttiva del maschio, la generazione di figlie omozigoti è possibile. 10 Nel caso invece di malat­ tie gravi che riducono o addirittura azzerano la fitness riproduttiva dei soggetti affetti (come, ad esempio, l'emofilia o la distrofia muscolare di Duchenne), il maschio affetto non riesce a generare figli. Dunque, figlie femmine omozigoti per l'allele responsabile della malattia non potranno essere generate. A meno di nuove mutazioni, un soggetto affetto maschio è generato da una femmina portatrice sana. Ogni femmina portatrice sana avrà un rischio del 50% di generare figli affetti (se sono di sesso maschile). Vice­ versa, una portatrice sana, se il suo partner è sano, non genererà mai figlie femmine malate. Però ogni sua figlia femmina avrà il 50% di possibilità di essere una portatrice sana (Fig. 5.30).

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    10La fitness riproduttivo. è un paro.metro che misura il successo riproduttivo di un individuo o di un certo genotipo. Con successo riproduttivo s'intende li mlmero medfo di fìgli genero.ti, o. loro volta. capa.ci di riprodursi. Lo. fitness riproduttiva viene comunemente indicato. con lo. lettera. w ed è unn. misura. relativa. o.Ilo. popolazione di riferimento. Il suo valore può varia.re da. 1 (quel soggetto o quel genotipo ha un successo riproduttivo pari o. quello della. popola.?1ione di riferimento) o. O (quel soggetto o quel genotipo non riesce o. riprodursi, cioè ho. un successo riproduttivo-pari o. O).

    388

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    BIOLOGIA X-llnked dominante,- padre malato

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    Figura 5.30: Ereditarietà X-linked.

    5.6 Ereditarietà mitocondriale I mitocondri sono organeHi citoplasmatici prosenti in numero dì 100 o più per ogni cellula. Sono la sede dove viene prodotta adenosinatdfosfato (ATP), una. molecola. che fornisco direttamente enel'gia all'organismo. La fosforilrur.ione om,ida.tiva è il processo mctaholioo atti·avorso cui viene prodotto l'ATP ccl è costituito cla una serie di reazioni ossidoriduttìve effettuate dai c,0mplessi respira.tori I, Il, lll t IV. I mito�ondri sono pertanto gli organelli chiave per la SO· pravviven�.a. cellularn. Quando si vctifica un dam10 mitocondriale la quantità. dj ATP all'intorno della c-cHuJa è alterata. Cervello, cuore e muscoli scheletrici sono tessuti Le cui ce1lule lichk.'Clono molta. energia e quindi sono più vulnerabili. La foi,forilazione ossidativa è regolata da due sistemi genetici: U genoma nucleare e mitocondl'iale. Ge­ ni contenuti nel DNA nucleare (nDNA) codificano per ln maggior parte delle protolne mitoc-0ndriali, comprese alcune snbun1tà. proteiche dei complessi respiratori. Le altre subunità sono codificate dal DNA mìtocondria.lc (mtDNA). 389

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    11 mtDNA umano è una molecola costituita da una doppia elica circolare di 16.569 paia di basi, presente in copie multiple nei mitocondri. Il mtDNA contiene solo 37 geni, di cui 13 codificano polipeptidi della catena respiratoria. La caratteristica di questo DNA è di presentare un'alta tasso di mutazione, assenza di istoni e introni, pochi sistemi di riparo e 1.1.na facilità di esposizione al danno da radicali ossidanti. A differenza del DNA nucleare per il quale abbiamo un corredo diploide nello zigote e nelle cellule somatiche, il mtDNA è presente in 2-10 copie per organello e quindi per centinaia o migliaia di copie per cellula (poliplasmia). Se esiste una mutazione nel DNA mitocondriale questa può interessare tutte le cellule (omoplasmia), oppure solo una parte, e dunque si avrà la coesistenza di due popolazioni di mtDNA, dì cui uno normale e l'altro mutato (eteroplasmia). Il mtDNA viene ereditato esclusivamente dalla uiadre perché i mitocondri degli spermatozoi sono localizzati nella coda, che non penetra nella cellula uovo durante la fecondazione. Quindi figli e figlie dì donne affette sono a rischio di essere affetti, mentre i maschi non trasmettono il carattere. Virtualmente tutti i tessuti, ad eccer.lione dei globuli rossi e della cute, sono fisio­ logicamente dipendenti dal metabolismo aerobico. Pertanto il quadro clinico di un disordine mitocondriale è vario. Poiché i mitocondri sono ubiquitari, le mahi.ttie mi­ tocondriali possono colpire qualsiasi organo, ma più spesso interessano il muscolo e il cervello; per questo motivo sono spesso definite come encefalomiopatie mitocondriali.

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    Figura 5.31: La figura in alto raffigura un albero genealogico esemvio di e1·e­ ditarietà mitocondriale. Come si vede, mentre i soggetti di sesso femminile possono trasmettere la malattia, i soggetti di sesso maschile non trasmettono mai la malattia. La figura in baBso mostra l'eteroplasmia e la trasmissione del ,.

    DNA mitocondriale eteroplasmico tra la cellule.

    390

    @ Artqufz Padre sano

    Madre malata

    BIOLOGIA Padre malato

    Madre sana

    Figura 5.32: Ereditarietà mitocondriale: esempio di trasmissione matrilineare dove sola la madre malata trasmette il carattere patologico.

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    5.7 Mutazioni 5.7.1 Generalità Con il termine mutazione si può intendere una qualsiasi modifica dell'informazione genetica. Una mutazione è dunque una modifica della sequenza del DNA. 11 Quando la modifica del DNA coinvolge una frazione talmente grande del genoma da modificare Passetto cromosomico osservabile attraverso l'analisi del cariotipo, allora si parla di alterazione cromosomica (Biologia, § 5.4). Per cui il termine mutazione è di solito utilizzato per descrivere modifiche del genoma così piccole da non poter essere rilevate tramite analisi morfologica dei cromosomi. Con il termine di mutazione puntiforme s'intende un'alterazione che coinvolge poche basi (anche una sola). Le mutazioni possono avvenire sia nelle cellule somatiche che nei precursori delle cellule germinali. Dunque, le mutazioni possono essere raggruppate in due classi: • Mutazioni somatiche. Esse sono presenti unicamente in cellule somatiche e non nei gameti. Dunque, non possono essere trasmesse alla progenie. • Mutazioni germinali. Esse sono presenti nei gameti. Dunque possono essere trasmesse alla progenie. Quando un soggetto è generato da un gamete con­ tenente una mutazione germinale, tutte le sue cellule (somatiche e germinali) conterranno quest'alterazione. Le mutazioni possono avvenire in qualsiasi regione del genoma. Quando una mu­ tazione insorge "de novo,, (non è presente nel genoma dei genitori) si parla di nuova mutazione. Le nuove mutazioni sono eventi casuali che nei precursori delle cellule germinali avvengono con una frequenza media di circa 1 mutazione/gene/10 5 -106 gameti. Que­ sto parametro viene chiamato tasso di mutazione e viene indicato con la lettera grecaµ. In organismi animali il tasso medio di mutazione oscilla tra circa 10-5 e 10-6 , 11Ovviamente et si riferisce agli organismi nei quali il materiale genetico è il DNA. In al cuni virus il materiale genetico è costituito da!PRNA.

    391

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    Capitolo 5 Le basi della genetica

    .,;.

    Artquiz

    a seconda del gene coinvolto. Il tasso di mutazione può aumentare quando l'organi­ smo è esposto ad agenti mutageni (chimici, radiazioni iouizzanti, ecc.). Sulla base degli effetti biologici e dal punto di vista dell'evoluz;ionc, le mutazioni possono essere schematicamente suddivise in 3 gr uppi:

    A. Neutre o neutrali. Queste mutazioni non determinano evidenti effetti biologi­

    ci e, dunque, non modificano la fitness riproduttiva dell'organismo. Per questo, lungo le generazioni questo tipo di mutazioni non sono selezionate positivamente né negati vamente e la loro diffusione in

    Ulla

    popola-t;ione è dovuta unicamente alla

    deriva genica (Biologia, § 5.10). Nelle specie animali e vegetali la maggioranza di mutazioni sono di tipo neutrale.

    B. Svantaggiose. Determinano l'alterazione della. funzione di uno o più geni. L'or­

    ganismo in cui sono presenti ha una fitness riproduttiva ridotta. Dunque, lungo le generazioni questo tipo di mutazioni sono sottoposte ud una selezione negativa (purifying selection) che tende a ridurne la frequenza. In effetti, la frequenza di queste mutazioni tende a rimanere costante lungo le generazioni perché l'effetto della selertione negativa è compensato do.Ha gencra.1.ione di nuovi organismi mutanti tramite le nuove mutazioni.

    C. Vantaggiose. Sono nettamente le più rare. Queste mutazioni determinano un vantaggio selettivo per l'organismo in cui sono presenti. Du11que, aumentano la fit­ ness riproduttiva dell'organismo e, con il passare delle generazioni, la loro frequenza tende ad aumentare. i,I

    In alcuni casi, i concetti di mutazione neutrale, svantaggiosa e vantaggiosa dipen­ dono dall'ambiente in cui vive l'organismo e dal suo background genetico. Cioè, una mutazione può determinare effetti biologici solo in particolari ambienti e/ o solo in alcuni individui.

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    5. 7.2 Mutazioni puntiformi

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    ,! ,j

    Le mutazioni puntiformi possono e.<;sere dovute alla sostituzione di una base o al­ l'inserzione o delezione di una o più basi. Per quanto riguarda le sostituzioni, qu<:?Ste possono essere distinte in due tipi: - transizioni, qualora si ha lo.scambio di una purina con un'altra purina (A {=:> G) o di una pirimidina con un'altra pirimidina (T {=:> C)i - transversioni, qualora una purina viene sostituita da una pirimidina e viceversa (C/T {=:> A/G). Quando le sostituzioni avvengono in una sequenza codificante, cioè a Vvello del­ le triplette cli codificazione (codoni) dei vari amminoacidi, rispettq agli qffetti sulla proteina, le mutazioni per sostituzione si dividono in diverse classi: 1. Mutazioni sinonimo. A causa della degenerazione del codice genetico (Biologia, § 3.8), la sostituzione di una base non modifica l'amminoacido codificato. Quest'ef­ fetto si ha prevalentemente quando la mutazione coinvolge la terza base del codone. Dunque, il prodotto proteico resta immutato. Per questo motivo, le muto:�ioni si­ nonimo sono chiamate anche mutazioni silenti. Queste mutazioni normalmente non determinano effetti biologici e, dunque, neppure fenomeni patologici.12 12 Molto raramente le mutazioni sinonimo possono determinare degli effetti biologici perché possono condizionare la stabilità dell'RNA messaggero o ridurne l'efficienza di traduzione.

    392

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    @ Artquiz

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    BIOLOGIA

    2. Mutazioni missenso. Sono quelle mutazioni che determinano la modifica del­ l'amminoacido codificato. Dunque possono modificare anche in maniera signifi­ cativa la struttura del prodotto proteico e determinare effetti biologici. Dunque, possono anche essere causa di malattie nell'uomo. La possibilità che una mutazione · missenso produca effetti biologici è funzione di due parametri principali: a) La natura della mutazione. Se il cambio di amminoacido è conservativo, cioè l'amminoacido sostituente e quello sostituito hanno caratteristiche chimico-fisiche simili, è probabile che la mutazione non determini una modifica delle funzioni del prodotto proteico e, dunque, non causi effetti biologici. Se, invece, la sostitu­ zione avviene tra amminoacidi con caratteristiche chimico-fisiche diverse, allora potrà esserci una modifica significativa delle funzioni del prodotto proteico con ripercussioni sugli effetti biologici. b) La posizione dell 'arnminoacido sostituito lungo la sequ enza della proteina. Non tutti gli amminoacidi di una proteina sono sempre importanti per le sue fum::io­ ni. Per esempio, all'interno di una sequenza proteica ci possono essere serie di amminoacidi che esercitano unicamente una funzione di linker tra due domini funzionali di una proteina. Ovviamente, la presenza di una mutazione missenso in una regione linker non determinerà modifica delle funzioni della proteina. 3. Mutazioni nonsenso. Que::1te mutaziopi si hanno quando un codone codificante viene trasformato in uno dei tre codoni di stop (Biologia, § 3.8). A causa della presem,;a di una mutazione nonsenso si ha l'interruzione prematura della sintesi proteica e la produzione di una proteina tronca. Per questa ragione le mutazioni nonsenso aboliscono le funzioni del prodotto proteico e determinano sempre effetti biologici. Le mutazioni dovute a deler.,done o aggiunta di basi hanno conseguem::e diverse a seconda del numero dì basi delete o aggiunte. Infatti, ::1e abbiamo la delezione o l'aggiunta di un numero di basi pari a 3 o ad un multiplo di 3, a livello del prodotto proteico avremo 1� delezione di uno o più amminoacidi o l'addiiione di uno o più amminoacidi. Se, invece, il numero di basi delete o aggiunte è diverso da 3 o da un multiplo di 3, si avrà il fenomeno dello scivolamento della cornice di lettura, detto più semplicemente frameshift. Per e!:lempio, la delezione o l'aggiunta di una base alla sequenza di DNA determina un'alterazione dell'ordine di lettura di tutti i codoni a valle della mutazione. Dunque,, gli amminoacidi inseriti a valle della mutazione saranno tutti alterati fino alla comparsa, molto probabile, di una tripletta nonsense che porta ad una catena tronca. Per questa ragione, le mutazioni tipo frameshift determinano sempre abolizione delle funzioni di una proteina causando, dunque, sempre effetti biologici. Esempi schematici di cosa siano e cosa provocano a livello del prodotto proteico le mutazioni sinonimo, missenso, nonsenso e frameshift sono delineati nelle Figure 5.33 e 5.34. Le mutazioni puntiformi possono determinare effetti biologici anche quando si localizzano nelle regioni non codificanti del gene. 'D:a queste mutazioni, si possono schematicamente distinguere 3 gruppi: • Mutazioni a livello dei siti di splicing o delle sequenze di controllo dello splicing (Biologia, § 3.6). • Mutazioni a livello delle sequenze che regolano la trascrizione del'RNA messaggero (promotori, er,,hancers trascrizionali). 393

    �:

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artquiz

    • Mutazioni a livello del 3' non tradotto dell'RNA messaggero che possono deter­ minarne una ridotta stabilità.

    e TTAGTGA e TA e GGTAAA G AAT e A e TGATG e e ATTT

    tipo selvatico

    DNA

    CUUAGUGACUACGGUAAA mMA Leu • Ser • Asp , Tyr • Gly . Lys proteina

    !

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    e TTAG ,e GA e TA e GGTAAG _ DNA GAAT e G e TGATG e e ATT e,

    mutazioni sinonimo

    CUUA G C GACUACGG UAA G mRNA Leu , Ser • Asp , Tyr • Gly • Lys proteine

    !

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    CCTAGTGAATACGGTAAA D NA GGATCACT TATGCCATTT CCUAGUGAAUACGGUAAA mRNA "8 , Ser • � • Tyr · Gly • Lys proteina

    mutazioni missenso

    i CTTAGTGACTAGGGTAAA D GAATCACTGATCCCATTT � mRNA CUUAGUGACUAG

    mutazioni nonsenso

    codone di stop

    Leu , Ser • Asp

    proteina

    Figura 5.33: Esempio di mutazioni per sostituzione di una base.

    tipo selvatico

    ACAAAAAGTCCATCACTTAACGCC TGTTTTTCAGGTAGTGAATTGCGG

    DNA

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    mRNA

    e A AAAAG u e e A u e A e u u AA e G e e

    · Ser · Leu • Asn · Ala Thr ··----- · Lys � Ser · Pro----

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    aggiunta di una base

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    proteina

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    A A AA G ACAAA AA�G �A TGTTTTTTCAGGTAGTGAATTGCGG

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    r, ACAAAAAAGUCCAUCACUUAACGCC mR� .' Thr · Lys · Lys · Ser · Ile , Thr codone proteina

    --iACAAAAGTCCATCACTTAACGCC di atop

    delezione di una base

    TGTTTYCAGGTAGTGAATTGCGG ACAAAAG,U

    e CAUCAC u UAACG e e

    Thr , L� Val · His • His · Leu , Thr • Pro

    Figura 5.34: Esempio di mutazioni di tipo frameshijt. 394

    DNA mRNA proteina

    ,. @ Artqui?.

    BIOLOGIA

    5.7.3 Mutazioni di sequenze ripetute Sequenze ripetute di pochi nucleotidi tendono a far "scivolare" la DNA polimerasi durante la duplicazione del DNA, determinando un aumento o diminuzione delle unità ripetute. Per esempio, se abbiamo una sequenza in cui il dinucleotide 5'-CA-3' è ripetuto 8 volte (5'-CACACACACACACACA-3'), la mutazione può consistere in un aumento (9) o diminuzione (7) del numero di dinucleotidi 5'-CA-3'. Sequenze ripetute di pochi nucleotidi sono chiamate microsatelliti e, a causa della formazioni di nuovi alleli con numero diverso di ripetizioni, presentano un alto grado polimorfismo nella popolazione. I microsatelliti sono molto frequenti nel genoma umano: sono presenti con una frequenza media di 1 ogni 10.000-20.000 basi. Per queste ragioni l'analisi dei microsatelliti è oggi lo strumento piì1 usato nei test di DNA di genetica forense (test di paternità, test di riconoscimento, ecc.).

    5. 7.4 Mutazioni da amplificazione di triplette

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    o o

    Un particolar0 tipo di mutazione che è causa di alcune malattie umane è quella da amplificazione di triplette. Per ciò che si è detto ch·ca i microsatelliti, sequenze ripetute formate da nnità di tre basi (ad esempio 5'-CAG-3'), dnrante la duplicazione del DNA po�ono modificare il numero di unità. Alcune volte il numero di triplette. aumenta e, quando ciò avviene in particolari geni, si determinano specifiche malattie. A causa della lesione genetica, queste vengono chiamate malattie da amplificazione di triplette. Sono di solito malattie del sistema nervow o neuromuscolare. Per e8empio, la malattia di Huntington è determinata dall'amplificazione della tripletta 5'-CAG-3' all'interno del gene HTT. A livello di questo gene, soggetti normali hanno un numero di ripetizioni della tripletta 5'-CAG-3' fino ad nn mnssimo di circa 40_ ripetizioni. Un numero più elevato determina invece l'inwrgen½a della malattia. Un altro esempio di malattia da amplificazione di triplette è la distrofia miotonica. Questa malattia è causata dall'amplificazione della tripletta 5'-CTG-3' a livello del gene DMPK. Soggetti normali hanno un numero di triplette fino a. un massimo di circa 50-100 ripetizioni. Numeri più elevati determinano l'insorgenza della distrofia miotonica. In tutte queste malattie il quadro clinico è proporzionale al grado di amplificazione delle triplette.

    5.8 Interazione tra geni diversi e interazione gene-ambiente Spesso un carattere è controllato da più geni. Schematicamente, l'interazione tra geni diversi può essere di due tipi: additiva ed epistatica. Si ha interazione di tipo additivo quando l'effetto a livello fenotipico è prodotto dalla somma degli effetti dei singoli geni che agiscono indipendentemente l'uno dal­ l'altro. Facciamo un esempio teorico. S'immagini che in un dato organismo il peso dell'adulto sia controllato da due geni: il gene A che determina un miglior assorbimen­ to intestinale dei nutrienti e il gene B che determina la sintesi di un fattore di crescita che agisce su tutti i tessuti. Per ognuno dei due geni abbiamo due alleli. Per il gene A, l'allele A determina un miglior assorbimento intestinale e ha un effetto dominante, mentre l'allele a non è funzionante (dunque non migliora l'assorbimento intestinale) e ha un effetto recessivo. Per il gene B, l'allele B determina la sintesi di nn fattor� di crescita fun½ionante e ha tin effetto dominante, mentre l'allele b determina la sintesi di un fattore di crescita non funzionante e ha un effetto recessivo. Chiaramente, gli individui che posseggono per ambedue i geni l'allele dominante (A e B) sa.ranno quelli 395

    @ Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    I.

    che avranno H peso pii1 elevato; gli individui che posseggono l'allele dominante solo per uno dei due geni (A o B) avranno un peso intermedio; infine i doppi omozigoti per l'allele recessivo di ambedue i geni (aabb) avranno il peso piit basso. In quest'esempio, i geni A e B hanno due funzioni completamente diverse e la loro interazione avviene unicamente come somma dei loro singoli effetti a livello fenotipico. L'interazione epistatica (detta epistasi) si ha invece quando un gene interferisce con l'espressione o la f�mzione di un altro gene. Un esempio di epistasi è quello della colorazione della pelliccia del topo, delineato nella Figura 5.35. Fenotipi

    Genotipi

    Mcc; AaCC; MCc; AaCc

    � aaCC; aaCc

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    Mcc; Aacc; aacc

    Figura 5.35: Epistasi: il gene C è epistatico su gene A. Quando è presente il genotipo cc, il geno­ tipo del gene A è irrilevante. Il genotipo del gene A diventa rilevante solo in presenza dell'allele C.

    In questo caso, il gene C determina la produzione di pigmento e presenta due alleli ( C, allele funzionante, dominante, determina la produzione di pigmento; e, al­ lele non funzionante, recessivo, determina assenza di pigmento). Il gene A determina la deposizione del pigmento sul pelo e presenta anch'esso due alleli (A, dominante, determina una deposizione discontinua del pigmento che conferisce un colore grigia­ stro, detto agouti, alla pelliccia; a, recessivo, determina una deposizione continua del pigmento che conferisce un colore nero alla pelliccia). Come si vede nella Figura 5.35, l'omozigote cc, non producendo pigmento, sarà albino e la configurazione del gene A è irrilevante. Il gene A esercita il suo effetto solo se il gene C presenta Pallele domi­ nante. fo quest'esempio, il gene C controlla gli effetti del gene A, solo se è presente l'allele dominante C il gene A può avere effetti sul fenotipo. Il gene C è epistatico rispetto al gene A . L'effetto dei geni a livello fenotipico può essere condizionato da variazioni ambien­ tali. Con il termine variazione ambientale s'intende una modificazione riguardante un qualsiasi componente non genetica quali le variazioni fisiche ambientali (luce, tem­ peratura, presenza di sostanze particolari, ecc.) la dieta, i farmaci, il comportamento di altri soggetti, ecc. Un esempio tipico di come nna variazione ambientale modifica l'effetto dei geni sul fenotipo è quello dell'allele 'hymala ian (é) nel coniglio. Questo allele (dominante rispetto all'allele albino e) è sensibile aila temperatura. Esso funziona solo a basse temperature, dunque de.termina la presenza di pigmento solo in conigli (dal genotipo d•ch o cc:11-) allevati a bassa temperatura e unicamente nelle parti del corpo che vengono "raffreddate" dalla bassa temperatura ambientale (padiglioni auricolari, n1:�so, zam­ pe, coda) (Fig. 5.36). Questo effetto della temperatura ambientale sulla c.Òlorazione della pelliccia si osserva anche in altri animali (gatti, topi, chinchilla, ecc.)'.

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    396

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    Allevalo elle lemperelure di 30 "C o più

    Figura 5.36: La temperatura ambientale controlla l'effetto dell'allele eh .

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    © Artquiz

    BIOLOGIA

    5.9 Malattie genetiche e alberi genealogici 5.9.1 Malattie �enetiche umane

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    a

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    o o o o o

    o o

    I. principi della ereditarietà scoperti da Mendel e dimostrati sulla pianta di pisello possono essere applicati anche alla genetica umana, con ovvie limitazioni; tra queste l'impossibilità di fare incroci preventivi al solo fine di studio e i tempi generazionali che sono molto lunghi nella specie umana, anni rispetto alle settimane delle piante di pisello. Inoltre, la prole esigna dei nuclei familiari umani rispetto a quelli di piante e ani­ mali rende difficile quantificare la frequenza dei fenotipi e verificare i rapporti attesi secondo le leggi enunciate da Mendel. Nell'uomo ci sono anche altri fattori che ren­ dono complessa la manifestazione dei caratteri come le condizioni di penetranza ed espressività variabile, il fatto d1e certi geni regolano l'espressione di altri geni o che sono a loro volta regolati da geni epistatici, o l'influenza. dell'ambiente. Tenuto conto di tutte queste difficoltà, tuttavia si può 1>roce
    5.9.2 Caratteri autosomici Caratteri autosomici dominanti Sono noti oltre 5.000 caratteri autosomici dominanti, molti dei quali correlati a ma­ lattie che spesso sono rare nella. popolru-.ione. Tuttavia ci sono patologie autosomiche dominanti che hanno frequenze maggiori (1:500 - 1:1.000) rispetto ad altre più rare (1:10.000 o meno) che rendono poco probabile il matrimonio tra due 1)erso11e affette. Per questo motivo, tranne rarissime eccezioni, i soggetti affetti da malattia a tnlsmiH­ sione autosomica dominante sono eterozigoti. Un carattere autosomico dominante segrega secondo le leggi di Mendel e quindi si manifesterà fenotipica.mente anche ad opera di un solo allele presente nella coppia di omologhi. I pazienti possono nascere 397

    @ Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genet.ica

    dall'unione tra un genitore ammalato eterozigote (Aa) e uno non ammalato omozigo­ te selvatico (aa). 13 Il genitore etero1,igote produce due tipi di gameti 11110 con l'allele selvatico & � l'altro con l'[email protected] A. Pertanto un eterozigote ha una probabilità cli 1/2 (50%) di trasmettere la mutazione ai figli. La metà dei figli che non riceve la mutazione non è ammalato. 'I\1ttavia, per la casualità della segregazione, un picco­ lo numero di concepimenti/figli può non rispettare le attese, anche se la probabilità teorica di ogni figlio di ricevere nno dei dne alleli è 1/2. Si possono utilizzare dei criteri per riconoscere piit facilmente questa modalità di trasmissione: • la mntazione è presente in proporzioni simili nei maschi e nelle femmine; • le persone affette possono essere presenti in tntte le generazioni ( trasmissione verticale) senza salto di generazione; • sia maschi che femmine trasmettono la mutazione; • ciascnn individuo portatore di mntazioue pnò trasmetterla al 50% dei figli; • nel caso di mutazioni patologiche, il fenotipo degli omozigoti (molto rari) è spesso clinicamente più grave cli quollo degli eterozigoti.

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    Figura 5.37:

    E.,;empio di ereditarietà au­ tosomica dominante: soggetti eterozigoti -: maschi e femmine trasmettono il carattere ! patologie.o al 50% della prole.

    Caratteri autosomici recessivi Sono noti circa. 3.200 caratteri autosomici recessivi conosciuti nell'uomo, con frequen­ ze variabili. I caratteri recessivi sono quelli che si esprimono solo negli omozigoti, quindi perché si manifestino a livello fenotipico necessitano della doppia do�e allelica. I soggetti eterozigoti per geni che danno origine a malattie recessive vengono chia­ mati portatori sani. I soggetti affetti (omozigoti) originano dall'unione tra 2 soggetti eterozigoti asintomntici e si manifestano in media in 1/4 dei figli, indipendentemente dal sesso. 13Nell'ereditnl·iotà. o.utosomlco. dominante l'allele rc.�pons1\b1le delln mnlu.ttiu., aver1do ur1 effetto dominante, si sci-ive in 1nal11scolo. Invece, l'allele selvatico, noi-male, avendo un effetto recessivo s1 scdvo 1n minuscolo. Più in generale, nella tern\inologia genotlca un allele dominante è scritto in maiuscolo menti-e uno 1·eceRS1vo è scl'ltto in minuscolo.

    398

    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    Elenchiamo i criteri per riconoscere più facilmente questa modalità di trasmissione: • generalmente i genitori di soggetti affetti non manifestano il carattere e quindi saranno eterozigoti (portatori sani) dell'allele causa di malattia; • la malattia ricorre tra i fratelli e spesso c'è una salto di generazione ( trasmissione orizzontale);

    • maschi e femmine sono colpiti con stessa freqnen7,a; • un potenziale fattore di rischio per questa ereditarietà è rappresentato dalla consang uineità dei genitori, che possono essere portatqri della stessa mutazione ereditata da un antenato comune; • da genitori eterozigoti portatori sani di un carattere potranno nascere 25% di figli affetti, 25% di figli sani e 50% di figli eterozigoti portatori sani. Se la malattia è sufficientemente rara e il matrimonio avviene trQ. soggetti estranei, il rischio di ricorrenza della malattia tra i figli dei fratelli non affetti e degli altri consanguinei dei pazienti è trascurabile.

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    Figura 5.38: Esempio di ereditarietà au­

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    tosomica recessiva: da soggetti eterozigo­ ti maschi e femmine portatori sani, 25% della prole sarà malata, 25% sarà sana e 50% sarà eterozigote portatr ice sana.

    5.9.3 Alberi genealogici Ogni carattere mendeliano, fisiologico o patologico, si trasmette in una famiglia spesso in modo particolare e quindi riconducibile ad una precisa modalità di trasmis!:lione. Per questo motivo è fondamentale iniziare una consulenza genetica raccogliendo l'a­ namnesi della persona (probando/a) che richiede la consulenza a cui poi fa seguito la raccolta di notizie degli altri soggetti della famiglia (anamnesi familiare). Le informazioni raccolte vengono schematizzate disegnando un albero genealogico utilizzando simboli standardizzati (Fig. 5.39). I simboli indicanti persone che appar­ tengono alla stessa generazione si disegnano in successione sulla stessa linea orizzon­ tale, da sinistra a destra in ordine decrescente di età; ogni generazione viene indicata con i numeri romani, dove il numero I indica la generazione più vecchia e così via. Per costruire un albero informativo è utile raccogliere informazioni di almeno tre generazioni. -I numeri arabi definiscono ogni persona di una stessa generazione. È

    399

    © Altquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    utile iniziare a disegnare un albero dal basso, cioè dalla generazione a cui appartiene il probando, per poi salire fino alle generazioni più remote. La progenie è indicata da sinistra verso destra in ordine temporale di nascita. È importante identificare ogni persona anche con nome e cognome e anno di nascita. L'albero deve contenere in­ formazioni anche su aborti, morti perinatali, malformazioni e consanguineità. I dati contenuti nell'albero sono poi integrati e raccolti in una cartella clinica, nella quale si registra anche il recapito della famiglia o del probando e tutte le informazioni cliniche di rilievo.

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    Incrocio Incrocio fra perenll (consanguinei) Genllorl e flall. Le numerezTone romena lndlu le generazioni. Le numamzlone araba eimbollua l'ordine di neecna In une generazione (maschlo, femmine, maschio).

    Gemelll monozlgoll

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    Figura 5.39: I simboli usati per l'analisi degli alberi genealogici.

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    Figura 5.40: Albero genealogico che mostra la !ra.�missione di un carattere attraverso numerose generazioni di una famiglia.

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    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    5.10 Genetica di popolazioni, evoluzione e speciazione 5.10.1 Fì·equenze alleliche e genotipiche

    ·O

    Lo. genetica di popolazioni è la disciplina che studia la modifica delle fr equenze al­ leliche e genotipiche all'interno di una popolazione o tra popolazioni differenti. Per popolazione s'intende un gruppo di individui della stessa specie che vivono nella stes­ sa area geografica e che, dunque, possono incrociarsi tra loro e generare progenie. In questo tipo di popolazione tutti gli individui, essendo interfertili, condividono gli stessi loci e gli stessi alleli. Cioè hanno lo stffiso pool genico. Il pool genico è costi­ tuito da tutti i gameti (spermatozoi e ovociti) fatti dai soggetti della popolazione ad una certa generazione. Tutti gli eventi di fecondazione di un ovocita da pa1te di uno spermatozoo genereranno gli individui della generazione successiva. Per ogni locus possono esistere pii1 alleli (variabilità genetica), dunque gruppi di individui possono presentare ussortimento allelici differenti, cioè avere genotipi differenti. Se si considera un certo locus 1 ogni gamete può avere un certo. tipo di allele. La proporzione di gameti di un pool genico che contiene un certo tipo d'allele rappre­ senta la freqnen�a di quell'allele nella popolazione. I concetti di frequenza allelica e frequenza genotipica sono centrali in genetica delle popolazioni. Nella Tabella 5.6 è descritto come determinare le fr equenze alleliche partendo da dati rigum·danti il genotipo. Tabella 5.6: Determinazione delle frequenze alleliche di una popolazione.

    A. Conteggio dal n ° di alleli

    !o

    :O 'O

    b

    Genotipi N° individui N° alleli A N° alleli a N° totale alleli

    o

    Aa

    20 20 o . 20 156 40

    aa 2

    o

    4 4

    Totali 100 176 24 200

    Frequen�a allele A: 176/200 = 0.88 = 88% Frequenza allel� a: 24/200 = 0.12 = 12%

    B. Conteggio dalle frequenze genotipiche Genotipi

    AA

    Aa

    aa

    Totali

    N° individui

    78

    20

    2

    100

    78/100 0.78

    20/100 0.20

    2/100 0.02

    1.00

    Frequenze genotipiche

    'O

    AA 78 156

    Frequenza allele A: 0.78 + (0.5) 0.20 = 0.88 = 88% Frequenza allele a: (0.5) 0.20 + 0.02 = 0.12 = 12%

    5.10.2 La legge di Hardy-Weinberg La genetica di popolazioni si basa su un modello matematico sviluppato indipen­ denteménte dall'inglese G.H. Hardy e dal tedesco W . Weinberg. Questo modello 401

    f

    Capitolo 5 Le bas� della genetica

    © Artquiz

    matematico (detto anche equilibrio di Hardy-Weinberg o H-W) mostra come sono relato tra loro frequenze alleliche e genotipiche in una popolazione "ideale" in una data generazione e nel susseguirsi di generazioni. Questa popolazione ideale è costituita da soggetti con genoma diploide nelle cellule somatiche (due alleli per ogni gene) che danno origine ad una nuova generazione tramite riproduzione sessuata (incontro di gameti aploidi, un allele per ogni gene). Inoltre, per questa popolazione "ideale" si fanno le seguenti assunzioni:

    1. Individui con i vari genotipi hanno lo stesso tasso di sopravvivenza e lo stesso snccesso (fitness) riprodnttivo; cioè non ci sono fenomeni di selezione.

    2. Non vengono creati nuovi alleli e non c'è la conversione di un allele in un altro; cioè non ci sono mutazioni. 3. Non ci sono eventi di migrazione da una popolazione all'altra.

    4. La popolazione è estremamente numerosa (tendente all'infinito) cosicché i feno­ meni di errori di campionamento e variazioni rispetto alle predizioni sulla base delle leggi della casualità sono trascurabili. 5. Gli individui s'incrociano in maniera casnalc (random mating).

    Come si può notare, la popolazione "ideale" dell'equilibrio H-W è una popola­ zione teorica nella quale non esiste alcuna spinta al cambiamento (forza evolutiva). Dunque, l'equilibrio H-W è molto utile perché è da considerarsi come ipotesi di base ( null hypothesis): se per un dato gene la popolazione è in equilibrio significa che le assunzioni elencate nei punti 1-5 (esistenti nelle popolazioni reali) sono rispettate. Se invece la popolazione si allontana significativamente dall'equilibrio significa che è in atto qualche fenomeno (o più fenomeni) non previsto dal modello matematico. L'equilibrio H-W è delineato nella Tabella 5.7. In una data popolazione, per un dato gene esistono gli alleli A e a. L'allele A ha una frequenza p; l'allele a ha una frequenza q. Dunque, essendo presenti per questo gene solo gli alleli A e a: •p+q=l.

    A e a avranno rispettivamente le frequenze p e q nei gameti prodotti da maschi e femmine, dunque in una situazione di random mating i genotipi AA, Aa e aa sru·anno presenti con le frequenze p2 , tpq e q2 . Dato che per questo gene AA, Aa e aa sono gli unici genotipi possibili: •p2 + 2pq + q2

    = 1.

    Dunque, se una popolazione è in equilibrio H-W, fra frequenz�; allelìche e frequenze genotipiche esiste una precisa relazione matematica.-' Ciò signl­ fica che conosce11do le frequenze alleliche possiamo calcolare le frequenze 'genotipiche e viceversa. Ciò è molto utile anche dal punto di vista medico. Per esempio, per una data malattia ad ereditarietà autosomìca recessìva t conoscendo la frequenza dei soggetti affetti è possibile calcolare la frequenza dei portatori sani. Se in una popolazione i genotipi AA, Aa e aa sono presentì alle frequenze p2 , 2pq 2 e q la frequenza con cui soggetti con i vari genotipi s'incrociano è data dalla Tabella 5.8. Le frequenze globali dei vari tipi d'incrodo e le frequenze dei genotipi nella gene­ razione successiva sono indicati nella Tabella 5.9. 402

    Q

    © Artqui7,

    BIOLOGIA Tabella 5.7: L'equilibrio di Hardy-Weinberg. Gameti paterni

    Gameti materni

    A(p) AA 2 (p ) Aa (pq)

    A(p) A(q)

    _ a(q) Aa (pq) aa (p2 )

    Se le frequenze (fr.) alleliche sono: fr. A = p e f r . a = q allora le fr. dei genotipi saranno: fr. AA = p2 ; fr. Aa = 2pq; fr. aa

    = q2 .

    Tabella 5.8: Frequenza di diversi tipi d'incrocio. Genotipo paterno

    Genotipo materno

    AA (p2 )

    Aa (2pq )

    aa (q2 )

    AA (p2 )

    AAxAA (p")

    AAx Aa (2p 3q)

    AAxaa (p 2 q 2 )

    Aa 2p ( q)

    AaxAA (2p3 q)

    Aa.xAa (4p2 q2 )

    Aax aa 3 (2pq )

    aa (q2 )

    aaxAA p2 q2

    aaxAa 2pq3

    aaxaa (q4 )

    Tabella 5.9: Frequenza dei diversi genotipi nella generazione successiva p er o gni tip o d'incrocio. Discendenti

    -

    Tipo di incrocio

    Frequenza

    AA

    AAxAA

    P"

    p4 2p:i q

    AA xAa AAx aa Aax Aa Aax aa aaxaa

    3

    4p q 2p2 q2 4p2 q2 4pq3

    q"

    p 2 q2

    Aa

    aa

    2p3 q 2p2 q 2

    2p2q 2 ·2pq3

    p2 q2

    2pq3 q"

    2 2 2 2 Figli AA = p"+2pa q+p2 q2 = p2 (p2 +2pq+q2 ) = p2 (p+q) = p (l) = p .� 2 2 Figli Aa = 2p3 q+4p2 q2 +2pq3 = 2pq(p2 +2pq+q2 ) = 2pq(p+q) = 2pq(l) = 2pq.t­ 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 a Figli aa = p q +2pq +q•t = q (p +2pq+q ) = q (p+q) = q (l) = q .t-

    403

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    Come si vede dai valori delle somme per i diversi genotipi, nella gencra:.tione suc­ cessiva i genotipi AA, Aa e aa sono presenti alle frequenze p2, 2pq e q2. Dunque, se una popolazione è in equilibrio H-W, le frequenze genotipiche non cam­ biano da una generazione all'altra. Cioè, la popolazione non evolve. Come si fa a valutare se una popolazione è in equilibrio H-W? Basta osservare (mi­ surare) le frequenze genotipiche e alleliche presenti nella popola1,ione e confrontare le frequenze genotipiche osservate con quelle attese. Se la popolazione è in equilibrio, tra frequenze genotipiche osservate e frequenze genotipiche attese non ci sarà. una differenza significativa. La Tabella 5.10 fornisce un esempio di tale procedimento. Tabella 5.10: Procedura se una popolazione è in equilibrio H-W. Genotipi presenti nella popolaz ione °

    N individui Fì·equenze genotipiche osservate: N° alleli A N ° alleli a N ° alleli A + a

    AA. 1785 0.291 3570

    o

    3570

    Aa 3040 0.496 3040 3040 6080

    aa 1304 0.213

    o

    2608 2608

    Totali 6129 1.000 6610 5648 12258

    Fì·equenze alleliche osservate: A = 0.54, a= 0.46 Frequenze genotipiche attese in base delle frequenze alleliche osservate: AA = 0.292, Aa = 0.497, aa = 0.211 Essendo le frequenze genotipiche attese molto simili (non statisticamente differen­ ti) alle frequenze genotipiche osservate, si può concludere che, per questo gene, la popolazione della Tabella 5.10 è in equilibrio H-W. Questo modello si applica ai geni localizzati negli autosomi e nel cromosoma X per quanto riguarda il sesso femminile (nella specie umana le femmine hanno due copie del cromosoma X). Per quanto riguarda i soggetti maschi, i geni che sono localizzati nei cromosomi X e Y sono in singola copia (i soggetti sono emizigoti), dunque la frequenza allelica corrisponde alla frequenza genotipica.

    5.10.3 Fenomeni che all9ntanano le popolazioni dall'equilibrio Hardy-Weinberg Ovviamente, le popolazioni reali non sono un ente matematico come la popolazione "ideale" dell'equilibrio H-W. Dunque, nelle popolazioni reali ci possono essere dei fenomeni che allontanano significativamente dall'equilibrio H-W. Fenomeni, ç,\oè, che determinano una situazione di non equilibrio. 'Ira questi fenomeni annoveri�mo: 1. La selezione. La prima assunzione della legge di Hardy-Weinberg è che indivi­ dui con i vari genotipi hanno lo stesso tasso di sopravvivenza e la stessa fitness riproduttiva. Non sempre questo è vero. Individui con un certo genotipo possono avere un più elevato successo riproduttivo. Oppure, soggetti con un genotipo che determina una malattia genetica possono avere un successo riproduttivo ridotto rispetto al resto della popolazione. Se avvengono fenomeni di questo tipo, con il susseguirsi delle generazioni sì avrà una variazione dì frequenze alleliche e genoti­ piche. 404

    o

    o o

    © Artquiz

    BIOLOGIA

    Un esempio di effetti della selezione è fornita dall'alta frequenza di talassemia in particolari aree del mondo. La talassemia è una malattia ad ereditarietà autoso­ mica recessiva. dovuta a difetti nei geni della alfa o beta globina. La talassemia fa parte, dunque, delle emoglobinopatie. L'omozigote per l'allele difettoso sviluppa · la malattia, mentre l'eterozigote è un portatore sano. In alcune aree geografiche la frequenza degli alleli responsabili di talassemia è molto elevata. Ciò è dovu­ to ad un effetto di selezione, infatti i soggetti eterozigoti sono più resistenti alla malaria. L'agente della malaria, plasmodium Jalciparum, si sviluppa nei globuli rossi dell'ospite che infetta e li distrugge. Nel soggetto eteror,igote ) a causa della quota di emoglobina anomala, i globuli rossi sono meno aggredibili dalla malattia. Dunque, i soggetti eterozigoti si riproducono di pii'r rispetto ai soggetti omozigoti normali (hanno una fitness riproduttiva più elevata), elevando le frequenze degli alleli tesponsabili di talassemia. 2. Le mutazioni. Le mutazioni sono eventi casuali e costituiscono l'unico fenome­ no con cui vengono creo.ti nuovi alleli. Negli organismi pluricellulari, il tasso di mutazione medio di un gene (µ: 11° mutazione/gene/numero di gameti) è intorno a 10- 0• Per un dato gene, cioè, viene generata in media una nuova mutazione ogni 100.000 gameti. Anche se può aumentare in caso di esposizione ad alti livelli di radioattività o mutageni chimici, questo valore è troppo basso per la modifica significativa di frequenze alleliche rispetto ad altri fenomeni quali la selezione o la deriva genica (vedi sotto).

    o o o o

    o

    3. Le migrazioni. Per migrazione s'intende lo spostamento di individui da una po­ polazione ad un'altra. Se, per un dato gene, le due popolazioni hanno frequenze alloliche diverse, la migrazione tende a fo.r variare le frequenze alleliche della popo­ lazione ricevente. La modifica delle frequen'l.e alleliche della popolazione ricevente sono proporzionali: • alla frazione di individui provenienti dalla popolazione donatrice rispetto alla ricevente; • alla differenza di frequenze alleliche tra le due popolazioni. Le migrazioni tendono �d avvicinare le popolazioni in termini di frequenze alleliche. Quando due popolazioni si avvicinano tra loro per quanto riguarda il pool genetico si parla di evoluzione convergente. 14 4. La deriva genica. L'equilibrio H-W si applica efficientemente alle popolazio­ ni numerose. In questo caso, infatti, essendoci un campionamento molto grande (n° di gameti che danno origine alla generazione successiva) le deviazioni rispetto alle equazioni matematiche sono, eventualmente, molto modeste e non significati­ ve. Nelle popolazioni poco numerose, invece, le frequenze alleliche dei gameti che danno origine alla generazione successiva possono essere diverse rispetto a quelle della popolazione attuale, unicamente per fenomeni casuali. Dunque, nelle piccole popolazioni ad ogni generai,ionc si può assistere ad una variazione delle frequenze 14Si ho. una evolu7.ione (o sele�ion�) divergente quando vengono favoriti i fenotipi estremi all'interno di unn popolmdonc, a. spese delle fol'me intermedie. Questo può avvenire, per esempio, per ca.use ambientali. In un ambiente con forte esposb-.ione solare ( equatore) si favoriscono gli individui con pigmentazione scura, mentre una. bassa. esposizione solal'e (poli) fo.vol'Ìsce gli individui con pelle chiara.

    405

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    © Artquiz

    alleliche, dovnte unicamente al caso. Questo cambiamento casuale del pool genico di una popolazione è chiamato deriva genica. Essa è tanto più rilevante quanto è più piccola la popolazione. In casi estremi, quando si hanno due alleli nella po­ polazione iniziale, uno di essi può scomparire in una delle successive popolazioni. Cioè, si ha la fissazione dell'allele rimasto: nella popolazione et sarà solo un allele, i soggetti saranno tutti omozigoti e, a meno di nuove mutazioni, non ci saranno più mo difiche nelle generazioni successive. Questo meccanismo può portare all'in­ staurarsi dell'effetto del fondatore: un piccolo numero di individui porta. alla formazione di una nuova popolazione nella qua.le solo un gruppo di alleli della po­ polazione originaria viene salvato in modo da dare luogo ad un differenziamento sia genotipico che fenotipico. Questo meccanismo può portare anche a nuove specie.

    .,

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    4

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    5. Gli incroci non casuali. Un'importante assunzione dell'equilibrio H-W è che gli incroci siano casuali. Ciò non sempre avviene nelle popolazioni reali. Si parla di incrocio assortativo positivo quando tendono ad incrodarsi tra loro soggetti con genotipo simile. Viceversa, si parla di incrocio assortativo negativo quando ten­ dono ad incrociarsi tra loro soggetti con genotipo diverso. L'incrocio assortativo positivo è molto più frequente rispetto a quello negativo. L'incrocio assortativo positivo non modifica le frequenze alleliche ma modifica le frequenze genotipiche, aumentando la frazione di individui omozigoti rispetto a quanto predetto dall'e­ quilibrio H-W. Una tipo particolare di incrocio as5ortativo positivo è l'incrocio tra consanguinei (inbreeding). Il grado di consanguineità di un incrocio ( o il grado medio di consangnineità tra gli incroci di una popolazione) viene espresso con F (coefficiente di consanguineità). Questo coefficiente può avere un valore da 1 a O e esprime la probabilità che i due alleli di un dato gene di un individuo siano identici perché provenienti da un singolo allele di un antenato. L'incrocio tra consanguin�i aumenta la frequenza dei genotipi omozigoti e, dunque, nell'uomo aumenta la fre­ quenza di malattie ad ereditarietà autosomica recessiva.. Infine, mentre i fenomeni di selezione, mutazione, migrazione e deriva genica ten­ dono a far variare le frequenze alleliche e, di conseguenza., le frequenze genotipi­ che, l'incrocio non casuale tende a modificare le freqnenze genotipiche lasciando inalterate le frequenze alleliche.

    .

    5.10.4 Evoluzione e speciazione La legge di Hardy-Weinberg è un modello che consente di determinare se in una po­ polazione stia avvenendo (o sia avvenuta) o meno evoluzione. L'equilibrio H-W è da considerarsi l'ipotesi zero: esso è valido in assenza di evoluzione. Tutti i _fenomeni che allontan�no le popolazioni reali dall'equilibrio H-W (vedi sopra) contpibuiscono alPevoluzione. Si parla generalmente di evoluzione quando ci si riferisce a un qualsiasi cambiamento che avviene nelle specie durante il susseguirsi di generazioni. In maniera. più specifica, si parla di evoluzione molecolare quando ci si riferisce a cambiamenti a livello del genoma. Varie discipline contribuiscono �ll'elaborazione di teorie e modelli evolutivi: pa,­ lcontologia ed esame di fossUi, embriologia e anatomia comparata, biologia molecolare. Attraverso tutti questi approcci si definisce la filogenesi: le relazioni evolutive degli organismi viventi. Infatti, secondo la teoria evolutiva, tutte le specie viventi pro­ vengono da un organismo ancestrale comune dal quale si sono diversificate. Questo

    406

    BIOLOGIA

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    concetto è support.ato anche dal fatto che sono molto simili tra loro embrioni di specie che nello stadio adulto sono morfologicamente molto diverse ( ad esempio un uccello e un mammifero). Avendo originj comuni, durante lo sviluppo embrionale gli organismi . si assomigliano di più che non nello stadio adulto. Una specie è rappresentata da quegli individui che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Ovviamente, questa definizione non è valida per tutti gli organismi in cui sia assente la riproduzione sessuale (i batte­ ri, per esempio). Ogni specie, dunque, è formata da tutti gli individui potenzialmente interfertili capaci di generare prnle feconda . L'evoluzione delle specie può essere suddivisa in due tipi: • evoluzione filetica, detta anche anagenesì, nella quale tutti gli individui di una specie diventano una seconda specie, cioè da una specie si forma un'altra specie; • cladogenesi, quando da una specie si generano due specie. Quando in una specie 11011 avvengono cambiamenti allora si parla di stasi (Fig. 5.41).

    � �ladogenesi � · �speciazione) Anagene;Y'



    Stasi

    �-



    Figura 5.41: Fasi dell'evoluzione.

    Come avviene l'evoluzione delle specie? Un meccanismo estremamente importante è quello della selezione naturale, proposto indipendentemente da Darwin e Wallace. Questo meccanismo può essere riassunto come segue: A. 'fra gli individui di una specie esistono delle variazioni di fenotipo (grandezza, colÒrazione, agilità, capacità. a procurarsi cibo, ecc.). B. Queste variazioni sono ereditabili. Cioè, possono essere trasmesse alla progenie. C. Gli organismi tendono a riprodursi ìn maniera esponenziale. Ad un certo momen­ to saranno generati più individui rispetto a quelli che possono sopravvivere (per limitazioni di cibo, per esempio). Si genera, dunque, una lotta per la sopravvivenza. D. Nella lotta per la sopravvivenza, individui con fenotipi particolari (più adatti alla sopravvivenza) avranno più successo di altri e si riprodurranno più degli_ altri.

    b

    Come co�seguenza si avrà una modifica della specie nel tempo. I fenotipi che sono più adatti alla sopravvivenza diventeranno sempre pit1 comuni, mentre quelli meno adatti tenderanno a scomparire. Questa teoria si oppone a quella dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti, proposta da Lamarck. Ambedue le teorie si basano sul fatto che le specie possono subire cambiamenti nel tempo. Ma, mentre la teoria di Lamarck propone la trasmissione lungo le generazioni di caratteri acquisiti (la forza muscolare dovuta ad allenamento, per esempio), quella di Darwin propone la selezione degli individui più adatti per trasmissione lungo le generazioni di caratterì non acquisiti.

    407

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artquiz

    La selezione può essere anche artificiale, quando è determinata dall'uomo. Nella se­ lezione artificìale, si sceglie un particolare carattere che sì vuole accentuare nella popolazione. Se, per esempio, si vuole ottenere del mais che produce tanto olio, si parte da una popolazione di piante eterogenea per quanto riguarda questo carattere e s'incrociano tra loro le piante a più alta quantità di olio. Se la quantità di olio pro­ dotta dal mais è ereditabile, la progenie produrrà una quantità d'olio media superiore a quella della prima generazione. Dunque, il procedimento si ripete, incrodando fra loro gli individui della progenie che producono più olio. Ripetendo il processo per varie generazioni si seleziona sempre di più del mais con alta produzione di olio. Benché la teoria di Darwin e Wallace abbia proposto un meccanismo evolutivo, essa non riusciva a spiegare come le varianti fenotipiche all'interno di una specie (cioè il materiale su cui agiva la selezione naturale) venissero prodotte né come potessero essere trasmesse alla progenie. Solamente nel ventesimo secolo, con l'applicazione della genetica mendeliana al­ le popolazioni, la sorgente delle varianti fenotipiche è stata compresa (le mutazioni) nonché la loro trasmissione alle genera7,ioni successive (segregazione degli alleli). La rielaborazione della teoria della selezione naturale a partire dalla genetica mendeliana e delle popolazioni ha dato origine alla cosiddetta sintesi neodarwiniana (neòdar­ winismo). Questa corrente di pensiero indica che, in un qualsiasi locus, la sele-1,ione naturale favorisce la presenza di un unico allele, quello che favorisce di più l'adattamento. Dun­ que, secondo questo modello, ogni popolazione sarebbe dovuta essere molto omogenea dal punto di vista dell'informazione genetica. In effetti non è così, la sequenza del­ l'intero genoma ha ormai definitivamente dimostrato come all'interno di ogni specie esiste una enorme variabilità genetica. Una teoria che spiega la notevole variabilità del genoma all'interno di una specie è quella della teoria neutrale dell'evoluzione molecolare, proposta. dallo studioso giapponese Moto Kimura. Questa teoria dice che la gran parte di mutazioni che insorgono nel genoma non hanno effetti significativi a livello fenotipico; sono cioè neutrali, non determinano né vantaggi né danni all'or­ ganismo. La frequenza di questi alleli neutrali in una popolazione sarà determinata unicamente dal tasso di mutazione e dalla deriva genica, non dalla selezione naturale. Probabilmente ambedue i fenomeni, selezione naturale e diffusione di mutazioni neu­ trali tramite deriva genica contribuiscono all'evoluzione molecolare. Questo tipo di fenomeni tende a differenziare le popolazioni tra loro. Viceversa, le migrazioni (determinando un flusso genico da una popolazione all'altra) tendono a ri­ durre la divergenza tra popolazioni differenti. Quando il flusso genico è molto ridotto o assente due popolazioni possono divergere a tal punto che i soggetti di una popola­ zione non riescono pii1 ad incrociarsi (e/o produrre progenie fertile) con i so�getti di un'altra popolazione. Le due popolazioni sono isolate dal punto di vista riprciduttivo: i' le due popolazioni sono diventate due specie differenti. 15 I

    16Denominnzione delle specie. Secondo Ja nomenclatura binomiale (o binomia) il nome scientifico di una. specie viene coniato dalla combinazione di due nomi. Il primo nome o.sa.to sull'osservazione dell� diverse caratteristiche delle specie viventi. In zoologia, una specie animale può risulta.re ulteriormente suddivlsa in sottospecie, le quali vengono identifica.te con il sistema di nomenclatura. trinomiale. Il

    408

    © Artquiz

    BIOLOGIA

    I meccanismi che determinano l'isolamento riproduttivo, dunque > determinano la creazione di nuove specie (speciazione). I meccanismi d'isolamento riproduttivo si dividono in pre-zigotici e postzigotici. Di seguito, sono elencate queste due classi di meccanismi. I meccanismi prezigotici sono quelli che impediscono la fecondazione e 'la formazione dello zigote; i meccanismi postzigotici sono quelli in cui si ha la fecon� dazione, vengono generati degli zigoti ibridi ma questi producono soggetti non vitali o sterili. Per esempio, dall'incrocio tra un asino e una cavalla nasce il mulo, che è sterile. Viceversa, dalPincrocio tra un cavallo e un'asina nasce un bardotto, anch'esso sterile. Meccanismi d'isolamento riproduttivo:

    1. Prezigotìci (impediscono .la fecondazìone e la formazione dello zigote):

    (1

    o o

    • Geografici o ecologici: vivono in regiouì diverse o nella stessa regione ma occupano habitat differenti. • Temporali o stagionali: raggiungono la maturità sessuale in tempi o stagioni differenti. • Comportamentali: ristretto solo agli animali; incompatibilità di comporta­ menti che portano all'incrocio. • Meccanici: l'incrocio vero e proprio è impedito da differenze dell'apparato riproduttivo. • Fisiologici: i gu.meti non sopravvivono all'interno del tratto riproduttivo stra­ niero.

    o o o o

    2. Postzigotici (si ha la fecondazione, vengono generati degli �igoti ibridi ma questi producono soggetti non vitali o sterili): o Non vitalità o debolezza degli ibridi. • Sterilità degli ibridi dovuta a difetto di sviluppo delle gonadi o a meìosi non complete. • Sterilità degli ibridi dovuta a difetto di segregazione di cromosomi o segmenti cromosomici. • Sterilità della F2. I soggettì ibridi generati sono fertili ma l'infertilità insorge nella seconda generazione (F2). Quando la speciazione avviene per cause geografiche, si parla di speciazione al­ lopatrica; viceversa se la speciazione avviene nella stessa area geografica, si pru'la di

    speciazione simpatrica.

    o o

    termine "sottospecie" viene utili2zo.to per indicare organismi dello. atesso. specie mo. con delle differen�e minime, che non sono sufficienti per considerarli una specie completamente diversn. Per esempio, con Salmo trutta fa1'io e Salmo trutta lacustris si indicano due sottospecie diverse di trote che, però, fanno parte della stesso. specie.

    409

    © Artquiz

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    5.11 Genetica quantitativa e eredital'ietà poligenica o multifattoriale

    5.11.1 Il modello poligenico additivo Nel modello mendeliano le variazioni del fenotipo costituiscono in numero molto pic­ colo di classi, nettamente �parate fra di loro (classi discontinue). Per esempio, il colore dei semi della pianta di pisello possono essere giallo o verde (2 classi) senz 'al­ cuna forma intermedia. Questo tipo di caratteri si dicono qualìtativi. Peraltro, esistono numerosi caratteri in cui la variazione del fenotipo nella popola­ zione è caratterizzata da un numero grande di classi, ognuna definita da una piccola variazione del carattere (classi continue). Per esempio, la statura nell'uomo: nella popolazione esistono tante classi diverse di statura (es. da 150 a 152 cm, da 153 a 155 cm, da 156 a 158 cm e così via), la variazione di fenotipo è continua. Questo tipo di caratteri si dicono quantitativi. Caratteri quantitativi sono tutti quelli definiti da una misura (es. statura, peso, glicemia,, pressione arteriosa, ecc.). I caratteri quanti­ tativi sono di solito controllati da piii geni; per questa ragione, l'ereditarietà di questo tipo di caratteri è detta poligenìca. La variazione dei caratteri quantitativi, inoltre, può essere dovuta ad eventi non genetici (ambientali). Per esempio, il peso corporeo è sicuramente controllato da geni, m a anche da qnauto si mangia e quanto ci si muove. Per questa ragione l'ereditarietà poligenica è spes so eletta anche multifattoriale. Nell'ereditarietà poligenica la variazione continua del fenotipo in una popolazione è spes.�o descritta da una distribuzione normale (curva di Gauss). Per esempio, la var iar,ione di Body Ma;;s Index (BMI: peso in Kg/[altezw. in m)2) in una popolazione è riepilogata da una distribuzione praticamente normrue (Fig. 5.42).

    I I



    O

    Allllllllllllk

    ·1

    10

    f

    20

    I

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    30 40 e�

    I

    50



    60

    - I

    70

    Distribuzione della va_pazione di BMI in una popolazione di soggetti· maschi.

    Figura 5.42:

    Ma come effetti di più geni possono spiegare la variazione continua di un carattere in una popolazione? Attraverso un meccanismo di tipo additivo. Facciamo un esem­ pio: in una specie di pianta, l'altezza è dovuta all'effetto additivo di due geni (A e B). Ogni gene presenta due alleli: A e a per un gene e B e b per l'altro. Ogni pianta ha un'altezza di base di 50 cm. Gli alleli A e B aggiungono ognuno 10 cm in più, mentre gli alleli a e b non incrementano l'altezza della pianta. Ammettendo che gli alleli deì due geni abbiano la stessa frequenza (0,5), la distribuzione delle classi d'altezza delle piante e gli effetti di ogni genotipo sono quelli descritti nella Figura 5.43. 410

    o

    BIOLOGIA

    @ Artquiz

    0.4� 0.3 §

    u. 0.2-

    0.1 Allezza cm:

    50 60 70 80 90

    Figura 5.43: Distribuzione della variazione di un carattere <',ontrollato da due geni in maniera additiva (vedi Tab. 5 .11). Tabella. 5.11: Esempio di nn carattere controllato da due geni con effetti nclditìvi. Genotipo

    o

    aabb Aabb,aAbb,aaBb, aabB AAhb,AaBb,AabB,aABb,aAbB,aaBB AaBB,aABB,AABb,AAbB AABB

    Fenotipo altezza (cm)

    Frequenza nella popolazione

    50 60 70 80 90

    0.0625 0.2500 0.3750 0.2500 0.0625

    Dunque il controllo genetico dei caratteri che presentano una variazione continua può essere riepilogato come segue:

    o

    A. Due o piì1 geni ne influenzano il fenotipo in maniera additiva. Per questo motivo si parla di ereditarietà poligenica. B. Per ognuno
    o

    411

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    @ Artquiz

    5.11.2 Il calcolo del numero di geni e l'utilizzo del modello Dato che un carattere continuo è controllato da più geni, è importante calcolare il numero di geni coinvolti. Una procedura sperimentale basata su incroci è la seguen­ te. Immagìniamo di avere una specie di piante nella quale il peso del seme ha una variazione continua descrivibile da una gaussiana. Come generazione parentale si in­ crocino piante dal peso del seme più basso con piante dal peso çlel seme più alto. Cioè> s >incrociano fra loro individui con i fenotipi estremi. Nella Fl avremo individui tutti con fenotipo intermedio. A questo punto s'incrociano fra loro gli individui della Fl e nella F2 avremo individui con variazione,del fenotipo descrivibile da una gaussiana. Si misura quindi il rapporto tra numero di individui aventi uno dei due fenotipi estremi e numero di individui totali della F2. Indichiamo questo rapporto con K. Il numero di geni coinvolti sarà dato dall'equazione indicata nella Figura 5.44. N° geni 1 2 3 4 5

    Frazione di individui che esprimono un fenotipo estremo 1/4 1/16 1/64 1/256 1/1024

    Misura la frazione degli individui della F2 che esprimono un fenotipo �tremo = K

    1

    K=--4n

    n = numero dì geni

    Figura 5.44: Metodo per la stima del numero di geni che controllano un carattere poligenico con effetti additivi. Il modello poligenico additivo è molto importante perché serve da base per cono­ scere la genetica dei caratteri di animali d'allevamento (altezza> peso> produzione di carne o di latte nei bovini, produzione di uova negli uccelli, ecc.) e di piante (quantità di olio e quantità di raccolto del mais, ecc.). Tutti questi parametri risentono anche di effetti non genetici (ambientali). Infatti> perché dia risultati attendibili, l'esperimento delineato nella Figura 5.44> deve essere fatto in un ambìente molto ben controllato in modo da ridurre al mini­ mo gli effettì ambientalt. Il modello poligenico additivo è utilizzatò per comprendere le basi genetiche di moltissimi caratteri della specie umana quali la staturaSil peso, il grado di pigmentazione cutanea, ecc. Questo modello viene utiliz1.ato anche per comprendere la predisposizione genetica di malattie comuni quali obesità, diabete, malattia aterosclerotica.> demenza senile, ecc. Per tutti i tratti fisiologici o patologici dell'uomo a cui si applica il modello polig� nico additivo si deve anche considerare l'eventuale presenza di effetti ambientali (per esempio la dieta e l'attività fisica per ciò che riguarda il peso corporeo e l'obesità). Per queste ragioni, molti stati patologici umani hanno una base multifattoriale e vengono dette malattie complet1se. Il modello poligenico/multìfattoriale è utilizzato per tutte quelle malattie umane per le quali esiste una co_mponente genetica ma nelle quali il 412

    O.

    o

    a

    o o o o

    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    modello monogenico mendeliano non riesce a spiegarne l'ereditarietà. n·a queste si annoverano anche malattie il cui fenotipo è chiaramente di tipo qualitativo (labbro leporino, cardiopatie congenite, difetti di chiusura del tubo neurale quali la spina bi­ fida, malattie oculistiche quali il glaucoma e lo strabismo). In questo caso, a livello ·di popolazione i geni determinano una variazione della predisposizione descrivibile da una gaussiana; sviluppano la malattia solo i soggetti ad alta predisposizione genetica, al di là di una ipotetica soglia. Per questo motivo, questo modo di utilizzo del modello poligenico è detto "modello a soglia11 (Fig. 5.45)

    Soglia

    Sviluppano la malallfa solo I soggalli al di lè della soglia

    Q)

    ::,

    m

    I

    Predisposizione genetica

    Figura 5.45: Il modello di predisposizione genetica "a soglia".

    5.11.3 L'ereditabilità

    o o

    Dato che i caratteri per i quali si applica il modello poligenico additivo possono significativamente risentire di effetti ambientali, è importante quantificare il ruolo relativo esercitato da geni e da ambiente. Questa stima può essere fatta tramite lo strumento dell 1 ereditabilità. Con il termine ereditabilità s 1 intende quanto la variazione di un carattere in una popolazione è attribuibile a fattori genetici. Il valore di ereditabilità può variare da 1 a O. Per nn dato carattere, ereditabilità uguale a 1 (100%) significa che la variazione di quel carattere nella popolazione è tutta dovuta a fattori genetici; se invece è uguale a O la variazione di quel carattere nella popolazione è tutta dovuta a fattori ambientali. Uereditabilità di un dato carattere può essere stimata in varie maniere. Negli umani il metodo più utilizzato è quello dello studio di coppie di gemelli. I gemelli monozigoti (MZ) (detti anche monovulal'i) provengono da un unico zigote (dovuto ad un solo evento di fecondazione) e dunque condividono il 100% del genoma. I gemelli dizigoti (DZ) (detti anche biovulari) provengono da �igoti differenti (dunque sono prodotti da eventi di fecondazione indipendenti) e statisticamente condividono il 50% del genoma. Dunque, se i fattori genetici hanno rilevanza, gemelli MZ avranno una varianza fenotipica inferiore a quella di gemelli DZ. Valutando la varianza di un certo carattere tra gemelli MZ e DZ, l'ereditabilità (espressa con il simbolo H2 ) può essere stimata secondo l'equazione: H2

    = Varian�a in coppie di DZ - Varianza in coppie di MZ Varianza in coppie di DZ

    413

    Capitolo 5 Le basi della genetica

    © Artquiz

    Per ogni carattere il valore di ereditabilità non è un fattore assoluto. Può infatti cambiare da popolazione a popolazione. Inoltre, per la stessa popolazione, il valore di ereditabilità di un carattere può variare a seconda della variazione ambientale. II valore di ereditabilità del peso di un animale, per esempio, sarà relativamente alto se la popolazione che è valutata viene allevata in condizioni ambientali molto controllate e con bassa variabilità. In questo caso infatti, tutti gli individui avranno Io stesso regime dietet�co e, dunque, le differenze di peso saranno dovute prevalentemente a fattori genetici. Viceversa, se gli individui vengono allevati in condizioni di alta variabilità ambientale, si potranno avere delle grosse differenze di regime dietetico. In questo caso, dunque, i fattori ambientali saranno relativamente più importanti rispetto ai fattori genetici.

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    414

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    Capitolo 6

    Il mondo animale e vegetale 6.1 Classificazione La tassonomia o sistematica ha l'obiettivo di raggruppare gli esseri viventi secondo le loro affinità e le loro rela7,ioni evolutive e ha due importanti suddivisioni:

    o

    • La classificazione, che consiste nella disposizione dei viventi in mm gerarchia di gruppi maggiori e minori. • La nomenclatura, che è il procedimento con cui vengono a.c,segnati i nomi. La prima enumerazione ampiamente accettata di tutti gli esseri viventi fu fatta dal naturalista svedese Carlo Linneo nel 1758, in cui l'unità base era la specie, rappre­ sentata da un gruppo di organismi simili capaci di accoppiarsi tra loro e di generare prole feconda. Linneo ideò la nomenclatura binomia per le specie e organizzò un si­ stema gerarchico-, ancora in gran parte in uso. Linneo assegnò il nome a 4.236 specie; successive enumerazioni compresero numeri sempre maggiori di specie e attualmente è stato assegnato il nome ad oltre un milione di specie animali, sebbene si stima che nel mondo ne possano esistere almeno due milioni. Linneo però era un fissista, riteneva cioè che le specie non subissero modificazioni nel corso del tempo. La moderna classificazione è invece basata sulle teorie evolutive e utilizza il sistema di Linneo per inquadrare i diversi organismi in gruppi definiti in base alle relazioni di parentela evolutiva. Nella tassonomia moderna le categorie superiori al livello di specie sono: genere, famiglia, ordine, classe, phylum (per gli animali) o divisione (per le 'piante), regno e dominio (eucal"ioti). Il modo per ricordare l'ordine con cui le categorie sono dispo­ ste è quello di memorizzare la seguente frase: Dobbiamo Ricordare Perennemente Come Ogni Favola Generi Speranza. La lettera ini�iale di ogni parola corrisponde alla lettera iniziale delle diverse categorie (Fig. 6.1). La tassonomia è quindi una forma logica in cui le osservazioni sulla anatomia e fisiologia dei singoli organismi sono utilizzate per formare gruppi con caratteristiche simili. Per la classificazione evolutiva è importante individuare le str utture omo� loghe, cioè q uelle parti corporee che hanno la stessa derivazione embrionale, ma non necessariamente una funzione comune, come ad esempio, l'ala degli uccelli e il braccio umano. Le strutture che sono in grado di svolgere in organismi distinti funzioni simili, pur avendo origini differenti, sono invece definite an1;tloghe 1 come ad esempio le ali 415

    Capitolo 6 II mondo animale e vegetale

    © Artquiz

    DOMINIO: EUCARIOTI

    .<- ·Pissiri�dj9;·· t_'/.\/ ;;.'-'·: :·. .'\:

    fungo:po·rcl�o; "Girasole t'-Medusa, ·.Tartaruga;,.orata, Cavallo, Orso • :j�èi"rifio/-Aqui�.�-$rjll�i):�.l�ori,e�; U<>m(),-: _Mcisca; Ver[ilefr.:�eo"ne,;. Cane, lupo, Coyote, i:";\//\i)\-7 \·i:-" . ·:: Volpe, .Llcaonè;-'�èiacallo,:· :·_. · -,,. ·

    REGNO: ANIMALI

    ·... M�dt���)ra·rt��Qa; ùrata: ·cavallo:·.ors·o;. _b:;lflri·o·, Aquila, GrlllO,

    oyote., �VP�ije! :_F:lt?l'.l� ...y_9�p,/��;��9:.�!/X .� PTI.,�,:-b1 ()r.,.,};Y1�1' �-�-,J�eqttç 1 - ' L Icaone, s c1aca o ... ·, · · ;



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    PHYLUM: CORDATI Tartarugà, Orata, Cavallo, Orso, Delfino, Aquila, Pitone, l)omo, Mosca, Leone, Cane, Lupo, Coyote; Volpe/ licaone, Sclacallo

    CLASSE: MAMMIFERI Cavano, Orso, Delfi'no,· Uomo, Leone!·'Can·e·,. Lupo, Coyote, Volpe, licaone·, Sola�allo

    ORDINE: CARNIVORI

    P.r�q" _L�on�,-.C�_ne,. �!JP9,. Go,19te

    �'.-: ,'!e>lp��J-�19a9n�,;- p,è�ap�d.19·: ;_:_ FAMIGLIA: CANIDI

    _.; Ca_ne,_ l:,lJPQì ç:Oyo(e·; .. �lpe_,.�lça_oQe,_ �eia�

    GENERE: CAN/S

    iarie ,: U:ipb:

    , (, ·çoyb��� SPECIE: CAN/S FAMILIAR/S _ @an, Figura 6.1: Classificazione tassonomica.

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    degli uccelli e delle farfalle. Le discipline che hanno la finalità di confrontare l'anato­ mia e la fisiologia di specie diverse sono definite anatomia e fisiologia comparata. Un altro criterio utilizzato per la classificazione evolutiva si basa sulle differen­ ze tra le sequenze amminoacidiche di proteine omologhe, cioè che svolgono la stessa funzione, come ad esempio il citocromo c nella respirazione cellul�re. Tali differenze si sono accumulate nel corso dell'evoluzione in seguito a mutazioni, per cui quanto maggiori sono le differenze nella sequenza, tanto maggiore è la distanza evolutiva. Si416

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    © Artquiz

    BIOLOGIA

    milmeute, vengono anali1.zati tratti omologhi di acidi nucleici, in particolare del RNA ribosomiale. Anche in questo caso, maggiori sono le somiglianze, tanto più stretto è il legame di parentela. Utili¼zando i diversi criteri, specie simili vengono associate nello stesso ge nere. · Ad esempio, il lupo e il coyote sono collocati nello stesso genere Ganis. II nome del genere si affianca a quello della specie per dare ad ogni organismo un 'identificazione univoca. Così il nome scientifico del lupo è Ganis lupus (il genere è in corsivo maiu­ scolo, la specie in corsivo minuscolo), mentre quello del coyote è Ganis latrans. Come specie simili appartengono allo stesso genere, generi simili appartengono alla stessa famiglia. Il genere più simile a Ganis è Vulpes, a cui appartengono le volpi. Questi due generi, insieme ad altri, formano la famiglia dei Canidi. Famiglie simili appartengono allo stesso ordine: la famiglia Canidi appartiene all'ordine Carnivori. Ordini simili appartengono alla stessa classe. L'ordine dei Carnivori fa parte della classe dei Mammiferi, in cui sono raggruppati animali a sangue caldo, coperti di pelo, che allattano i loro piccoli. Classi simili appartengono allo stesso phylum. Tutti gli ammali con una corda dorsale (Urocordati, Cefalocordati, Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi) appar­ tengono al phylum Cordati. Phyla simili appartengono allo stesso regno. Il regn o è la categoria tassonomica più controversa, :'3oprattutto per quanto riguarda gli organismi inferiori. Lo schema ancora in uso a livello scolastico, basato sul tipo cellulare e la modalità di nutrizione, prevede la suddivisione in cinque regni: Mo nere o Pr ocarioti, Protisti, Fu nghi, Pia nte e Animali. Il modello a cinque regni è attualmente messo in discussione perché i Procarioti vengono distinti in Archeobatteri, privi della parete di peptidoglicano, e in Eubatteri o "batteri veri". Secondo questo modello i viventi dovrebbero essere distinti in tre domini, una categoria superiore al regno: • il dominio Archaea, comprendente il regno degli Archeobatteri (o Archibatteri); • il dominio Bacteria, comprendente il regno degli Eubatteri;

    o

    • il dominio Eukarya, comprendente i quattro regni degli Eucarioti. Prima di descrivere il regno animale, verranno presen,tati i regni degli organismi inferiori.

    6.1.1 Il regno delle Monere

    o

    Le Mo nere sono organismi procarioti unicellulari e, in base alle differenze biochi­ miche, formano due grandi gruppi, gli Archibatteri e gli Eubatteri, che secondo la. classificazione più recente rappresentano due regni o domini distinti. Gli Archihatteri, che non contengono peptidoglicauo nella parete cellulare, sono caratterizzati da una grande versatilità metabolica e si sono adattati a vivere in am­ bienti estremi, come sorgenti sulfuree calde (>70 ·ce pH acidi), acque salate (come quelle del Mar Morto), fosse oceaniche o l'intestino dei i:urhiuanti (dove operano la demolizione della cellulosa a glucosio). Gli Eubatteri, che posseggono una parete cellulare costituita di peptidoglica­ no, sono chimicamente più simili alle cellule eucariote e non vivono in ambienti così estremi. In condizioni sfavorevoli molti ceppi possono però formare spore resistenti 417

    Capitolo 6 II mondo animale e vegetale

    © Art.quiz

    che sono in grado di rimanere quiescenti per lungo tempo, finché le condi1.ioni am­ bientali non ritornino favorevoli. Tutti i batteri presentano vie metaboliche molto diversificate, che spesso non sono presenti negli organismi superiori. In base al tipo di metabolismo vengono distinti in: • fotoautotrofi, in quanto utilizzano la luce sola.re come fonte di energia per sinte­ tizzare composti organici a partire da CO 2 . Esempi sono i cianobatteri (o alghe az­ zurre) che possiedono sistemi di membrane interne contenenti clorofille e utilizzano l'acqua come donatore di elettroni producendo 0 2 ; • chemioautotrofi, che ossidano sostanze inorganiche diverse dall'acqua p0r ridurre la CO 2 a glucosio. A seconda dei composti inorganici ossidati vengono distinti in idrogeno-, solfo-, ferro-batteri o batteri nitrificanti; • eterotrofi, che assumono dall'ambiente i composti orgamc1. La maggior parte sono saprofiti, cioè utilizzano materiale organico morto, ma possono essere batteri parassiti, che si nutrono a spese di altri organismi viventi, o batteri patogeni, che provocano nell'ospite malattie, come il colera o la tubercolosi.

    6.1.2 Il regno dei Protisti I Protisti sono organismi eucarioti prevalentemente nnicellnlari o coloniali, in cui tutte le cellule sono simili (cioè non si differenziano in tessuti). La riproduzione può essere sia sessuata che asessuata. Vi appartengono le alghe, che vivono in ambiente acquatico e compiono la foto­ sintesi, e i protozoi, che non sono fotosintetici e possono essere saprofiti o parassiti o simbionti. Alcuni protozoi provocano gravi malattie nell'uomo, quali la malaria (Plasmodium falcipa.rum) o la malattia del sonno (Tripanosoma brucei).

    6.1.3 Il regno dei Funghi I Funghi sono organismi eterotrqfi, sia uni- che pluri-cellulari. Possono essere saprofiti o parassiti. Generalmente operano la digestione esterna, seguita dall'assorbimento attraverso la parete cellulare, che contiene chitina (e non cellulosa come le piante). Hanno il corpo a tallo, cioè non suddiviso in radici, fusto e foglie; nei funghi più evoluti il tallo è rappresentato da un micelio filamentoso. Comprendono anche i lieviti che operano la fermentazione alcolica utilizzata nella panificazione e nella prod1��ione di

    �a

    6.1.4 Il regno de�li Animali Gli Animali sono organismi eterotrofi costituiti da numerose cellule prive di parete, tipicam�nte disposte in strati o a formare tessuti, e si riproducono prevalentemente in modo sessuato. Sono classificati in phylum in base al tipo di simmetria del corpo, al numero di strati cellulari da cui si sviluppa l'organismo e alla presenza o meno di cavità corporee e di strutture scheletriche. ·

    418

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    © Artqnb�

    BIOLOGIA

    6.2 L'evoluzione dell'uomo Tutti gli esseri umani attuali appartengono alla specie Homo (genere) sapiens, sotto­ specie sapiens. II genere Homo fa parte della famiglia degli Ominidi, che comprende . anche i generi dei scimpanzé (Pan), gorilla ( Gorilla) e orangutan (Pongo), molto si­ mili in base al DNA. Gli Ominidi formano, assieme alla famiglia dei Ilobatidi (gibboni) che sono filogeneticamente più lontani, la snperfamiglia degli Ominoidi, noti anche come Grandi Scimmie o Scimmie Antropomorfe. Entrambi appartengono all'ordine dei Primati, classe dei Mammiferi. In base ai fossili ritrovati si ritiene che la separazione fra la linea evolutiva dell'uo­ mo e dei scimpanzé, le scimmie piì1 simili all'uomo, si sia verificata circa 6-8 milioni di anni fa. I primi ominidi dotati di postura eretta e locomozione bipede sarebbero comparsi 4-5 milioni di anni fa e sono stati assegnati al genere Australopithecus (di cui il fossile piì1 noto è quello appartenente a Lncy ritrovato in Africa), che è carat­ terizzato da una capacità cranica ancora molto ridotta (500 cnr3 ). Da 1111 ceppo di A 1tstmlopithecus si sarebbe evoluto ìl nuovo genere H01no, caratterizzato da una mag­ giore capacità cranica, acni appartengono le specie Homo habilis, compm·so circa 2,5 milioni di anni fa, Homo erectus, risalente a circa 1,6 milioni di anni fa, che imparò a ntiliz7,are il fuoco e sviluppò il linguaggio, e Homo sapiens, che comparve circa 200400.000 anni fa. I più antichi fossili di Homo sapiens appartengono alla sottospecie neanderthalensis ( dal nome della valle è-love furono ritrovati in Germania). La sot­ tospecie Homo sapiens sapiens, l'unica attualmente non estinta, si 1:mrebbe evoluta da un altro ceppo di Ominidi, probabilmente in Africa, e per prima addomesticò gli animali e sviluppò l'agricoltura.

    6.3 Le piante Le piante sono organismi pluricellulari, eucarioti e (foto) autotrofi che sintetizzano gli zuccheri attraverso lafotosintesi (Biologia, § 4.4). Le loro cellule contengono clo­ roplasti e sono delimitate da pareti rigide formate da cellulosa. Tutte le piante sono potenzialmente in grado di riprodursi per via sessuata me­ diante l'alternanza tra una generazione aploide, il gametofito, e una diploide, lo spo­ rofito. Molte piante hanno la capacità di riprodursi per via asessuata o vegetativa, che permette loro una rapida diffusione in ambienti favorevoli.

    419

    o o o o o o o o o o o o

    Capitolo 7

    Interazione tra i viventi 7.1 Ecosistema e comunità biologiche Una delle caratteristiche più sorprendenti della natura è la sua tendenza all'equili­ brio: in genere, infatti, il numero di vegetali e ç1.nimali che vivono in un dato ambiente rimane pressoché costante nel tempo. L'equilibrio viene mantenuto in quanto nessun gruppo

  • 421

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    Capitolo 7 Interazione tra i viventi

    @ Artquiz

    che è influenzata innanzitutto dai fattori climatici e, di conseguenza, può essere simile anche in aree geografiche diverse. • Foresta pluviale tropicale: è caratteristica delle regioni con clima caldo e ab­ bondanti precipitazioni. La vegetazione è formata prevalentemente da alberi molto ' alti, popolati da un gran numero di uccellì, insetti e scimmie e da un sottobosco ricco di organismi decompositori. Rappresenta una preziosa fonte di biodiversità. • Foresta temperata decidua: è caratteristica delle zone temperate, situate tra i tropici e i circoli polari, ed è formata prevalentemente da latifoglie, che perdono le foglie nella stagione fredda. Abitanti tipici sono scoiattoli, lepri, daini, volpi e cervi. A causa dello sviluppo dell'agricoltura, molte foreste sono state eliminate. • Foresta boreale (taiga): è situata nell'emisfero boreale, a nord delle foreste di latifoglie, dove il clima cont.inentale è molto rigido. È formata da conifere (abeti, pini e larici) e da un sottobosco ricco di funghi e licheni. Abitanti tipici sono lupi, linci, scoiattoli, alci e moscerini. È stata abbattuta per larghi tratti. • Prateria: è situata tra l'equatore e i tropici nelle zone dove le precipitazioni sono scarse e concentrate in una sola stagione. Prende il nome di pampas in Sud America, steppa in Asia e savana in Africa. La vegetazione dominante è costituita da piante erbacee perenni e ospitano grossi erbivori come bufali, giraffe che costituiscono le prede di leoni, ghepardi, ecc. • Macchia: è tipica. delle zone temperate caratterizzate da abbondanti precipitazioni invernali ed estati calde e secche ed è formata da alberi e arbusti con foglie coriacee e sempreverdi (pini marittimi, mirti, allori, ecc.). Animali caratteristici sono il coniglio selvatico, il cinghiale e un gran numero di insetti e piccoli uccelii. Oltre che sulle rive del Mediterraneo, è presente sulla costa occidentale degli Stati Uniti, in Cile e lungo la costa meridionale dell'Australia. • Tundra: è situata nelle regioni settentrionali di Canada, Asia ed Europa e in alta montagna (tundra alpina), dove le precipitazioni sono scarse e nevose, i venti forti e le temperature molto basse. II clima non consente la presenza di alberi e il suolo è quasi sempre congelato, limitando quindi la decomposizione della materia organica che si accumula formando spessi strati di torba. Un animale caratteristico è la renna. • Deserto: si sviluppa nelle regioni dove le precipitazioni sono molto scarse e irre­ golari e l'insolazione è massima. La vegetazione è nulla o scarsa, spesso presente sotto forma di semi che germinano molto rapidamente quando sopraggiungono le l piogge. È popolata prevalentemente da rettili, insetti e aracnidi.

    7.1.1 Catena alimentare 1\1tti gli organismi di un ecosistema vengono classificati in base alla modalità di nutrizione in: a) Produttori: sono organismi autotrofi (piante, alghe unicellulari e batteri) in grado di sintetizzare sostanze organiche semplici, come il glucosio, a partire ·da composti chimici inorganici. 422

    o

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    @ Artquiz

    BIOLOGIA

    b) Consumatori: 5ono organismi eterotrofi che si nutrono del materiale organi­ co fornito dai produttori. Si distinguono in consumatori primari se mangiano i produttori (erbivori) e secondari, se si nutrono di altri consumatori (carnivori). 'e) Decompositori: sono organismi eterotrofi che si nutrono di organismi morti (animali) o di deiezioni di organismi vivi, degradando le molecole complesse in composti semplici così riutilizzabili dai produttori. Sono rappresentati da lombrichi, funghi, batteri, ma anche iene, maiali e avvoltoi. La sequenza di organismi attraverso cui avviene il passaggio delle molecole orga­ niche in un ecosistema è detta catena alimentare. La sequenza fondamentale dei livelli nutrizionali o trofici è formata: produttori � consumatori primari-* consumatori secondari � decompositori che in un ambiente terrestre diviene: piante verdi � erbivori � carnivori � decompositori

    o O. o o o o

    Acl ogni passaggio di livello trofico, dai produttori ai decompositori, l'energia con­ tenuta nelle molecole organiche diminuisce marcatamente, in media di circa il 90%, in quanto viene dissipata principalmente sotto forma di calore. Parallelamente alla diminuzione di energia si ha una dimintrbione di biomassa, e quindi del numero di organismi. Le catene alimentari cli un ecosistema sono generalmente interconnesse: ad esem­ pio un erbivoro può nutrirsi di più piante e un camivoro di più erbivori. L'insieme di tutte le catene alimentari presenti in un ecosistema è definita. rete alimentare.

    7.1.2 Simbiosi, competizione, parassitismo e opportunismo In un ecosistema possono instaurarsi diversi tipi di rapporti tra organismi di specie diverse, definite interazioni interspecifiche, che si distinguono in: • Competizione: nella maggior parte dei casi riguarda lo sfruttamento delle risorse ed è alla base della selezione naturale e quindi dell'evoluzione. Secondo il principio di esclusione competitiva (o principio ·di Gause) in una comunità non possono coesh;tere due specie aventi la stessa nicchia. Una competizione duratura tra due specie pnò infatti portare o all'esclusione competitiva, cioè all'eliminazione fisica di una specie, o alla diversificazione della nicchia (molto rara). • Predazione: è l'interazione in ctù un animale predn.tore uccide e mangia un altro animale o preda. Esercita un'importante azione di selezione, sia tra i predatori, che devono essere abili nel trovare, catturare e uccidere le prede, che per le popolazioni delle prede, che devono sviluppare adattamenti antipredatori, come il mimetismo. • Parassitismo: è un tipo di intera:done tra due specie in cui una tra.e beneficio dalla rela7.ione (il parassita) mentre l'altra ne è danneggiata (l'ospite). I parassiti che vivono sulla superficie dell'ospite sono detti ectoparassiti (funghi sulla corteccia degli alberi), mentre quelli che vivono all'interno dell'ospite endoparassiti (la tenie nell'intestino umano). 423

    I

    Capitolo 7 Interazione tra i viventi

    @ Artqui7.

    • Opportunismo: è la capacità di proliferare in un ambiente non competitivo. I microrganismi opportunisti sono quelli che si sviluppano in un individuo immuno-­ compromesso (ad esempio un malato di AIDS). • Simbiosi: è un'associazione stretta e spesso permanente tra organismi di due specie diverse. Può essere facoltativa o obbligatoria e può assumere due forme. Nel commensallsmo una specie ne trae vantaggio mentre l'altra non ne ricava alcun beneficio, ma non ne viene danneggiata (le orchidee crescono sugli alberi che usano come supporto). Nel mutualismo entrambe le spede ne ricavano un vantaggio (associazione tra un fungo e nn'alga nei licheni).

    7.2 Cicli biologici e degli elementi chimici Nelle reti alimentari gli atomi degli elementi chimici sono continuamente tro.sferiti da un organismo all,altro, dall'ambiente fisico agli organismi e viceversa seguendo dei percorsi definiti cicli biogeochimici, in quanto interessano sia le componente biotica , che abiotica. Particolarmente importanti son'O il ciclo del carbonio e il ciclo dcll azoto.

    7.2.1 Ciclo del carbonio Gli atomi di C entrano negli ecosistemi attraverso la fotosintesi, che riduce la C02 atmosferica a glucosio, poi utilizzato per produ�Te altri composti organici. Le sostanze organiche entrano quindi nei tessuti dei produttori e diventano fonte di energia sia per i produttori che per i consumatori. La C02 torna all'atmosfera in seguito ai processi di ossidazione (respir�ione e fermentazione) delle sostanze organiche sostenuti da tutti gli organismi viventi, ma anche a causa delle reazioni di combustione, come incendi naturali e utilizzo di combustibili fossili. Il continuo incremento di emissioni di C02 nell'atmosfera da parte dell'uomo è la causa dell'effetto serra. e del temuto aumento della temperatura, dovuto all'aumentato assorbimento da parte della C02 atmosferica delle radiazioni infrarosse emesse dalla superficie terrestre.

    7.2.2 Ciclo dell'azoto L'azoto entra nelle reti alimentari dall'atmosfera grazie ai batteri azotofissatori che trasformano N2 gassoso in ammoniaca (che in acqua si protona a ione ammonio) (Fig. 7.1). Questi batteri vivono sia nel suolo (ad esempio in relazione mutualistica con le I�guminose, che per questo sono in grado di sopravvivere anche in suoli poveri d,i azoto come le praterie di montagna) che in acqua. Lo ione ammonio viene quindi �;orbito dalle piante come tale o previa trasformazione in ioni nitrato dai batteri nitrificanti. Ioni ammonio e nitrato sono poi utilizzati dai produttori per la sintesi di amminoacidi e altre molecole organiche azotate, che passano ai consumatori nella rete alimenta.re. L'azoto organico ritorna al suolo o all'acqua in forma inorganica di ione ammonio grazie all'artione dei batteri decompositori ammonificanti. Il ciclo comprende infine un'ultima tappa, la denitrificazione, compiuta dai batteri denitrificanti che converto­ no gli ioni nitrato in N2 gassoso e in questo modo impoveriscono il suolo di una forma di assimilazione molto importante per le piante. Le attività umane interferiscono anche con il ciclo dell'azoto a causa dell'uso mas­ siccio in agricoltura dfli fertilizzanti artificiali che arricchiscono eccessivamente il suo-

    424

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    BIOLOGIA

    lo e conseguentemente fiumi e laghi di ioni ammonio o nitrato. Qu�sti sono tossici per l'uomo e nei laghi determinano il fenomeno dell'eutrofizzazione, dovuta alla proliferazione incontrollate di pfoduttori come le alghe.

    o o o o

    Norg nel produttori

    Noru in orgenlsml morti

    I ammonificazione

    I

    Norg nel produttori

    assimilazione

    assimilazione

    -



    nitrificazione

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    ,

    denitrificazione

    fissazione N2

    almosfera

    o o o o o o o

    ,-...---rr,c1:xr--------. 3 nel batteri nltrlllcanU



    N2 nel batteri denarllie&nll

    Figura 7.1: Il ciclo dell'azoto.

    425

    . jI

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    Capitolo 8

    Microrganismi e sistema immunitario 8.1 Virus I virus sono entità biologiche (non sono organi:m1i cellulari) che� per moltiplicarsi sono obblign,ti ad infettare cellule bersaglio (:,;ono paras,,;iti endocellulari obbligati) e a sfruttare a loro vantaggio i mn.cchinari che controllnno la prolifcrn.iioue cellula.re. Le cellule bersaglio apparten{?;ono a tutti i regni biologici, tanto che e�istono virus che infettano batteri, funghi, piante e animali. I virus che infettano i batteri sono chiamati batteriofagi.

    Filamenll ,Identici di RNA

    Figura 8.1: Immagine schematica illustrante

    la struttura del virus umano dell 'immunode­ ficienza (HIV).

    I virus hanno dimensioni comprese tra 10 e 400 nm e quindi microscopio. I loro costituenti elementari sono:

    11011

    sono visibili al

    1. un picc olo genoma a DNA o RNA. Esistono genomi di DNA a singolo e doppio filamento, così come esistono genomi di RNA a singolo e doppio filamento. Tra i virus a RNA sono compresi i ret1"ovirus che utiliz:mno intermedi di DNA per ripro­ dursi. A questa categoria appartiene l'HIV (virus dell'immunodeficienza umana) che provoca l'AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) infettando un tipo specifico di leucociti. Essi contengono uno spcciole emdma., cl1iamnto trascrittasi inversa, capace di cataJiz�mre il processo di sintesi del DNA a partire da RNA. 2. una parete proteica (capside) che rncchiude il genoma e permette l'interaiione con ln. cellula bersaglio. Il capside Ì·! formato da unità proteiche pii1 piccole dette capsomeri, codificate clal genoma virale. I diversi capsomeri si assemblano al ge­ noma all'interno della cellula infettata, generando particelle virali di forma diversa

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    Capitolo 8 Microrganismi e sistema immunitario

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    (elicoidale, icosaedrica e altre). Alcuni virus hanno una parete esterna simile a quella di una cellula, compost.a da fosfolipidi e glicoproteine (l'HIV è uno di que­ sti). Essa permette di nascondere gli antigeni virali e favorisce la fusione con le membrane cellulari. L'infezione virale può avvenire con diverse modalità: • tramite insetti ematofagi (ad esempio zanzare, pidocchi, zecche); o per inalazione di aerosol (ad esempio le goccioline di saliva presenti nell'aria a seguito di uno starnuto); • mediante contamina�ione di cibo con, materiale fecale; • mediante inoculazione diretta di sangue o altri liquidi biologici (ad esempio rapporti sessuali non protetti o trasfusione di sangue infetto). Il ciclo infettivo di nn virus è un processo a più stadi: a) Adesione del virus: avviene grazie all'interazione fra proteine virali e recettori presenti sulla membrana della cellula bersaglio (chiamate anche cellule sensibili). è s ecifica e permette la coltivazione in laboratorio del virus Questa inter · · me 1ante l'infezione di colture di cellule sensi 11. b) Ingresso del virus o del suo materiale genetico nella cellula. c) Replicazione del virus: ciò implica in genere la sintesi di RNA messaggero virale, la sintesi di proteine virali e l'auto-assemblaggio dei virioni. Al termine del processo i virus possono essere rilasciati dalla cellula ospite m
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    BIOLOGIA

    genoma i11 un punto preciso del genoma batterico e si mantiene in quello stato, anche a seguito della replicazione del genoma batterico ( stato lisogenico) fino a quando il genoma del fago non è espresso e produce le proprie proteine con induzione del ciclo litico. La lisi è dovuta a specifiche proteine fagiche (chiamate lisine, da non confondere · con l'aminoacido dello stesso nome) che sono capaci di ledere la membrana batterica. Oggi si pensa all'uso di queste proteine per aggredir� i batteri che hanno sviluppato la resistenza agli antibiotici.

    8.2 Batteri I batteri sono organismi unicellulari procarioti (privi di nucleo e organelli, vedi 2.5.1) le cui dimensioni variano da 0,5 a 5 µm, quindi osservabili al microscopio ottico. I batteri possono essern divisi in: 1. Aerobi obbligati, che necessitano di o58igeno come accettore finale di elettroni.

    .

    2. Aerobi e anaerobi facoltativi, che possono utilizzare sia l'ossigeno che altre molecole come accettore di elettroni e sono capaci di sopravvivere anche in assenza di ossigeno. Mentre i primi crescono meglio in presenza

  • 3. Anaerobi obbligati, che non sono in grado cli sopravvivere in presenza di ossigeno poiché non sono dotati di enzimi (come la perossidasi, la superossido dismutasi o la catalasi) capaci di proteggerli dallo stress ossidativo. Un importante criterio classificativo dei batteri si basa sulla colorazione di Gram, che identifica delle importanti caratteristiche della parete batterica. In parti­ colare, i batteri Gram positivi (che si colorano di blu-viola alla colorazione di Gram) sono caratterizzati da una parete cellulare esterna spessa, mentre i batteri Gram ne­ gativi ( che rimangono colorati di rosa alla colorazione di Gram) sono caratterizzati da una parete cellulare molto piÌI sottile. La struttura del batterio è organizzata (dall'esterno all'interno) in: • capsula (più propriamente glicocalice), struttma saccaridica che dona al batterio resistenza all'essiccamento, capacità adesive, riserve energetiche e resistenza alla fagocitosi; • parete cellulare, struttura rigida che protegge il batterio (ad esempio dalla lisi osmotica) la cui composizione, come abbiamo visto, differisce fra batteri Gram positivi e negativi; • fimbrie e flagelli che protrudono dalla parete e dalla capsula, facilitando la motilità del batterio e· possono o non possono essere presenti; • membrana plasm atica interna, che ha composizione simile a quella degli eu­ carioti, anche se non contiene steroli (ad eccezione dei micobatteri). Su di essa si trovano quasi tutti gli enzimi batterici; • nucleoide, costituito da DNA circolare a doppio filamento associato a proteine che regolano la trascrizione genica; esso, a differenza degli eucarioti, non è racchiuso in una membrana nucleare a distinguerlo dal citoplasma.

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    Capitolo 8 Microrganismi e sistema immunitario

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    I batteri possono essere distinti anche sulla base delle loro interazioni con gli organismi con i quali convivono in: • Bat teri commensali, che vivono in simbiosi con l'organismo in un rapporto di reciproca utilità. Gli esempi più importanti sono: - la flora bat teric a intestinale, comprendente 500-1000 specie di differenti mi­ crorganismi (il più noto nell'uomo è Escherichia Coli), la maggior parte dei quali anaerobi. Essa è costituita da 10 14 -10 15 batteri (fino a 10 volte il numero di cellu­ le di un organismo adulto), le cui funzioni variano dalla digestione di sostanze che altrimenti risulterebbero indigeribili da parte del nostro organismo, alla sintesi di vitamine, come la vitamina K; - la flora batterica vaginale, la cui carica batterica è una delle più alte del­ l'organismo. È composta principalmente da batteri del genere Lactobacillus e sono responsabili dell'acidità deli'ambiente vaginale. Ciò serve, ad esempio, a prevenire le infezioni fungine come le candidosi vaginali. • Batteri patogeni, ovvero batteri la cui infezione è causa di malattie. Essi si dividono in patogeni facoltativi, batteri che normalmente non causano patologia, ma possono divenire patogeni per aumento del loro numero o per colonizzazione di regioni in cui generalmente non sono presenti, e in patogeni obbligati che causano sempre una patologia ( come ad esempio il tifo, la psittacosi, il tetano, la tubercolosi, la polmonite, la salmonellosi, il botulismo, le cistiti, le carie dentali, vaginosi, la sifilide, la gonorrea, endometrite, ecc.). La sterilizzazione è il processo con il quale si procede all'eliminazione della ca­ rica batterica in un alimento o in uno strumento di carattere medico. Essa avviene normalmente portando gli alimenti a temperature elevate, qualche volta superiori a 100 °C, mediante l'uso di autoclavi come per gli strumenti medicali.

    8.3 Funghi Al regno dei Fungi (o miceti) appartengono più di 100.000 specie di organismi eu­ carioti che includono lieviti (unicellulari), muffe e funghi propriamente detti. Esso si distingue da piante, animali e batteri, sebbene condivida con essi alcune caratteristil che. I funghi sono organiBmi ete rotrofi: non sono infatti in grado di sintetizzare' il loro nutrimento a partire da sostanze inorganiche, per cui necessitano di composti organici sintetizzati da altri organismi. Alcune specie crescono come lieviti unicellulari che possono riprodursi per gem­ mazione o per fissione binaria. Molti funghi si comportano da parassiti nei confronti degli animali� possono cau­ sare patologie molto gravi se non curate. In particolare i soggetti immunodeficienti sono particolarmente suscettibili alle infezioni fungine, quali quelle da ABpergillo, Can­ dida, Oryptococco, Hi8topla8ma e PneumocyBtis. Più frequenti sono, infine, le infezioni cutanee da parte di funghi, ad esempio da dermatofiti. 430

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    o o o o

    BIOLOGIA

    8.4 Protozoi I protozoi sono organismi unicellulari euca1-iotici, appartenenti al regno dei protisti, . molti dei quali mobili. Essi possono essere autotrofi o, pii1 frequentemente, eterotrofi. Le loro dimensioni variano da 1 O a 50 1im, ma possono anche raggiungere dimensioni maggiori. La loro motilità è dovuta alla presenza di strutture quali flagelli o ciglia· o per movimenti citoplasmatici, detti movimenti ameboidi. L'importanza dei protoioi nella patologia umana è testimoniata dalla gravità delle seguenti infezioni: • Malaria: è un infezione, trasmessa da una. zamm.ra (del genere A nopheles), causata da diverse specie di Plasmodi·um ( P. falciparum, P. vivax, P. oval e, P. malariae e P. knowlesi). L'infezione è conseguente a.Ila replicazione dell'agente infettivo all'interno dell'organismo. I farmaci antimalarici noti da piìt tempo sono il Chinino e la Clorochina.

    .

    • Amebiasi: è un'infezione causata dall' Entamoeba histolytica (un'ameba). La trasmissione è conseguente all'ingestione di cibi contaminati (via oro-fecale).

    o o o o o

    • Toxoplasmosi: è un'infezione causata da Toxoplasma gondii. Questo protozoo infetta divenii animali a sangue caldo, ma il suo ospite principale è il gatto. L'in­ fezione è dovuta all'ingestione di cibo contaminato da feci

  • 8.5 Sistema immunitario Il sistema immunitario è una complessa rete costituita da molecole e cellule la cui funzione è quella di proteggere l'organismo da potenziali cause di danno (quali agenti infettivi, fisici o chimici). Le principali caratteristiche e funzioni del sistema immunitario sono: la capacità di distinguere strutture endogene che non costituiscono pericolo e che devono essere preservate (self o non-infectious sel/) da strutture esogene o endogene che costitui­ scono pericolo e devono essere eliminate (quali microrganismi, cellule infette o cellule tumorali; non-self o in/ectious self). Le molecole contro cui montare una risposta immunitaria vengono chiamate antigeni. Invece una molecola con basso peso mole­ colare (inferiore a 10.000) incapace di indurre da sola una risposta immunitaria viene chiamata aptene. Il sistema immunitario si suddivide in due branche fra loro embricate: • Immunità aspecifica o innata, comprendente meccanismi di barriera fisica, me­ diatori chimici (ad esempio peptidi ad azione antimicrobica, istamina che genera la risposta anafilattica che può portare allo shock anafilattico) e cellule (mastociti, granulociti, macrofagi e cellule dendritiche, cellule Natural Killer e alcuni sottotipi 431

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    Capitolo 8 Microrganismi e sistema immunitario

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    di linfociti) responsabili della prima linea di difesa contro il danno. Riconosce con­ dizioni generali di "pericolo11 e favorisce l'attivazione dell'immunità specifica. La risposta infiammatoria fa parte di questa linea di difesa. • Immunità specifica o adattiva, comprendente mediatori chimici e cellulari capaci di montare una risposta mirata e più potente, ma più lenta. Si suddivide a sua volta in immunità specifica cellulo-mediata e immunità specifica umorale (mediata da anticorpi).

    8.5.1 Immunità specifica cellulo-mediata Questo tipo di immunità si basa principalmente sull'azione di cellule della linea lin­ foide (Te B) e da cellule accessorie come i linfociti Thelper, che attivano i macrofagi e i linfociti B mediante la produzione di particolari proteine, chiamate interleuchine. I linfociti Tsono principalmente deputati a orchestrare, regolare la risposta cellulo­ mediata e ad esercitare un'attività. di lisi cellulo-mediata. Essi maturano in organi linfoidi come il timo, dove imparano a riconoscere il self dal non-self I vari tipi di linfociti T sono caratterizzati da recettori di membrana, costituiti da glicoproteine della classe CD. I recettori di tipo CD4 sono quelli che permettono al virus HIV di penetrare nella cellula e quindi a dare luogo all'infezione che termina con la manife­ stazione dell'AIDS (sindrome da deficienza immunitaria acquisita). I linfociti B sono invece deputati alla produzione di anticorpi (vedi sotto).

    8.5.2 Immunità specifica umorale In questo tipo di immunità un ruolo fondamentale è giocato .dagli anticorpi (detti anche immunoglobuline). Essi sono proteine prodotte dalle plasmacellule (cel­ lule derivate dalla maturazione dei linfociti B) e dotate della capacità di riconoscere in maniera specifica molecole (dette antigeni) in grado di esplicitare una risposta immunitaria. Essi sono strutturalmente tutti uguali, avendo una struttura di base costituita da due catene leggere e da due catene pesanti, a loro volta ugu�i tra loro, che danno lugo a una tipica struttura a Y. 'Iì·a un anticorpo e un altro (a parte la classe, di cui si parla dopo) esiste una differenza di sequenzu di aminoacidi nelle due parti terminali della molecola. Queste diverse sequenze sono quelle che stabiliscono una interazione specifica con un particolare antigene. Le sequenze diverse di ami­ noacidi sono prodotte da un riarrangiamento casuale del DNA genomico, chiamato ricombinazione sito-specifica, che avviene in ogni linfocita B. La casualità del riarran­ giamento produce miliardi di tipi diversi di sequenze aminoacidiche e quindi miliardi di immunoglobuline diverse. 'Tutte le immunoglobuline prodotte da un linfocita}B maturo sono uguali tra loro. ,1 Esistono 5 classi di anticorpi che differiscono nella loro strnttura moleéolare e localizzazione. Specificamente: • lgG: sono le più abbondanti immunoglobuline del siero (circa il 75%), sono mono­ meri della struttura base, capaci di attraversare la placenta, di stimolare il comple­ mento (un gruppo di proteine che può essere attivata a cascata, determinando lisi cellulare o microbica) e di favorire la fagocitosi dei microbi; • lgA: costituiscono il 20% delle immunoglobuline sieriche, ma sono presenti nelle secrezioni (ad esempio saliva, lacrime, secrezioni mucose del tratto gastroenterico 432



    o o o o o o o o o o o o o o M

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    BIOLOGIA

    e delle vie aeree) e sono quindi un mezzo di difesa nelle infezioni locali. Sono in forma monomerica o dimerica. Stimolano l'attivazione del complemento. • lgM: costituiscono il 5-10% delle immunoglobuline sieriche. Sono la classe dianti­ corpi sintetizzata dopo la maturazione del linfocita B a plasmacellula.. Sono sotto forma pentamerica e quindi in grado di legarsi in maniera più forte all'antigene nella risposta primaria. Non passano la barriera placentare. • IgD: rappresentano lo 0,2% delle immunoglobuline sieriche, ma sono presenti sulla membrana dei linfociti B e ne inducono maturazione a plasmacellula. Sono in forma monomerica. • IgE: sono molto poco abbondanti nel siero. Sono responsabili della risposta immu­ nitaria ai parassiti e della loro fagocitosi. Si legano, con la base della Y, a recettori presenti sui mastociti e inducono liberazione di mediatori della risposta allergica presenti in queste cellule in seguito al legame dell'antigene.

    8.5.3 Le fasi della risposta immunitaria e la vaccinazione La prima volta che un antigene viene a contatto con il sistema immunitario viene stimolata una risposta primaria. Dopo alcuni giorni da questo contatto (5-15 gior­ ni) vengono prodotte quantità notevoli di immunoglobuline (prevalentemente di tipo lgM) specifiche contro l'antigene. La produzione di grandi quantità di anticorpi spe­ cifici è dovuta all'espansione clonale (crescita di cellule tutte uguali) di quei linfociti B che sono stati stimolati dall'antigene grazie all'interazione tra antigene e anticorpo specifico prodotto da quei linfociti B. La fase primaria produce anche linfociti B me­ moria che rimangono in circolazione per tutta la vita e sono capaci di accelerare la risposta e di potenziarla nel caso in cui l'antigene dovesse ripresentarsi nell'organismo in una fase successiva (risposta secondaria). In questo caso gli anticorpi prodotti sono di tipo lgG. Su que8ti principi è basata la vaccinazione (una pratica iniziata da Jen­ ner alla fine del '700) che permette di aumentare e migliorare la risposta immunitaria ad un particolare agente infettivo, sfruttando la memoria del sistema immunitario che è costituita da particolari linfociti. In pratica si attiva una risposta immunitaria primaria in un organismo mediante il vaccino, in maniera tale che, in caso di infezione da parte dell'agente patogeno, la presenza di linfociti memoria permettano una più efficace e pronta risposta immunitaria secondaria con la pratica eliminazione dell'a­ gente infettante prima che esso produca danni. Il vaccino può essere costituito da un microbo la cui infettività è stata attenuata, da un microbo ucciso o da uno o più pro­ dotti (ad esempio tossine o proteine) del microbo stesso (in tal caso si parla di vaccini subunità). Alcuni vaccini sono prodotti da tecniche ricombinanti che permettono di togliere i geni della virulenza dall'organismo infettante o di preparare organismi non patogeni contenenti antigeni del patogeno. I vaccini possono essere dati a scopo profilattico (per prevenire patologie gravi cau­ sate dall'infezione con il ceppo selvaggio del microorganismo) o a scopo terapeutico c.ontro una patologia già in atto per potenziare la risposta immunitaria dell'organi­ smo. La vaccinazione ha permesso di ridurre drasticamente mortalità e morbilità per patologie molto gravi, quali: vaiolo, poliomielite, difterite, tetano, pertosse, epatite B, morbillo, parotite e rosolia congenita. I vaccini antinfluenzali che vengono sommini­ strati, specialmente agli anziani in prossimità dell'inverno, debbono essere preparati

    433

    Capitolo 8 Microrganismi e Ristema immunitario

    @ Artqui�

    ogni anno perché i virus che causano l'influemm sono capaci di mutare continuamente gli antigeni che li caratteriz1,ano 1 e quindi non può esserci memoria.

    8.5.4 Reazioni di ipersensibilità Le reazioni di ipers ensibilità sono patologie conseguenti all'attivazione del sistema immunitario. Esse possono essere classificate sulla base del meccanismo immunologico in tipi diversi, tra i quali sono da annoverare le risposte di tipo anafilattico agli allergeni e il rigetto degli organi trapiantati (tra cui il rigetto del sangue trasfuso di tipo A o B in individui di tipo O).

    �:

    434

    oI

    o Capitolo 9

    Patologie e farmaci 9.1 Patologie e loro cause

    o o o o o.

    Si definisce patologia Palterazione dello stato di behessere cli un individuo, capa.cc di ridurre o eliminare le funzioni normali del corpo. La patologia viene diagnosticata d o.I medico utilizzando la semeiotica medica, la scienza che studia i sintomi della malattia e i modi per rilevarli. TI·a questi modi, oltre all'uso di tecniche e metodiche strumen­ tali, è compresa anche l'anamnesi che è la raccolta dei dati .fisiologici, patologici ed ereditari

  • • agenti fisici, come radiazioni ionizzanti, elettricità, traumi, variazioni di temperatura, variazioni di pressione e gravità; • agenti chimici, quali acidi o ba.si forti, radicali liberi, veleni o tossine; • agenti microbiologici, quali virus, batteri, muffe o parassiti. Cause interne:

    • TI·a.smissione ereditaria di un patrimonio genetico alterato (malattia genetica ere­ dita.ria), come l'ereditarietà Mendeliana dominante o reces.siva (nel ca.so in cui il carattere ereditato si manifesti fenotipicamente in tutte le generazioni portatrici o solo in omozigosi), la predisposizione ereditaria (l'ereditarietà è multifattoriale, pertanto si tra.smette la propem1ione ad ammalarsi). e le patologie da anomalie cromosomiche (trasmissione. alla prole di un patrimonio genetico anomalo per la presenza di cromosomi anomali per forma o numero; l'esempio più conosciuto è la trisomia del cromosoma 21 o sindrome di Down, dovuta alla presenza di un cromosoma 21 soprannumerario). • Alterazioni nell'apporto ematico di nutrienti e ossigeno (ischemi� o ipossia). 435

    Capitolo 9 Patologie e farmaci

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    • Patologie dovute all'aggressione di organi o tessuti appartenenti all'organismo stesso da parte del sistema immunitario (malattie autoimmuni). Esempi sono: il diabe­ te insulin�dipcndeute o di tipo 1, conseguente alla distruzione delle cellule beta pancreatiche da parte del sistema immunitario o la sclerosi multipla, dovuta alla distruzione delle guaine mieliniche del sistema nervoso centrale. • Patologia neoplastica (o tumorale), dovuta alla formazione di una massa anormale di tessuto che cresce in eccesso e in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali (perdita dell'inibizione per contatto, che è il normale meccanismo che impedisce alle cellule normali di crescere all'infinito in un organismo e di crescere ulteriormente in coltura dopo aver coperto il fondo del recipiente), persistendo in questo stato anche dopo la cessazione degli stimoli che ne hanno indotto il processo. La crescita incontrollata è conseguenza di un complesso processo caratterizzato da: alterazioni del patrimonio genetico delle cellule tumorali (favorente la loro proliferazione e la resistenza alla morte cellulare), stimolo alla formazione di nuovi vasi ed evasione della risposta innnunital'ia. Le neoplasie vengono classificate sulla base del tipo istologico di cellule da cui originano in: tumori di origine epiteliale, tumori origina­ ti da cellule mesenchimali, tumOl'i originati da cellule del sistema emolinfopoietico e neoplasie originate dal tessuto nervoso. In aggiunta, sulla base dell'aggressività e della tendenza a formare foci di disseminazione a distanza (metastasi), si distin: guouo tumori benigni (generalmente delimitati da capsula fibrosa e non invasivi né localmente né a distanza), da tumori maligni (dotati di crescita invasiva localmente e/o a distanza). In linea generale i carcinomi tendono a disseminare inizialmente per via linfatica ai linfonodi drenanti, mentre i sarcomi per via ematogena. A causa della loro crescita invasiva, le neoplasie maligne provocano danni locali o a distan­ za che possono portare al decesso il paziente. Per tale ragione si sono sviluppate terapie farmacologiche aggressive (radioterapia, chemioterapia o farmaci biologi­ ci quali anticorpi monoclonali) capaci di bersagliare più o meno specificamente le cellule tumorali e portare a remissione o guarigione il paziente. I tumori maligni più frequenti sono quelli di origine epiteliale (carcinomi), in particolare: polmone, colon-retto, mammella e prostata. Il cancro è una malattia genetica nel senso che la sua insorgenza è dovuta a mutazioni che riguardano alcuni geni (come i protooncogeni, i geni soppressori dei tumori, i geni del sistema di riparazione del DNA). Poiché la probabilità di una mutazione è tanto più elevata quanto più lunga è l'esposizione agli agenti mutageni, è comprensibile che i tumori hanno. una probabilità più alta di insorgenza quanto più elevata è l'età dell'individuo. Oltre all'età, i fattori di rischio comprendono tutti gli agenti mutageni, come l'esposizione a radiazioni, comprese quelle solari, a temperature elevate, a fumi (compreso quello del tabacco), al consumo di alcol, all'infezioni di virus oncogeni, ecc. Tra i fattori di rischio non c'è lo stretto contatto con un ammalato di tumore perché il cancro non è infettivo.

    9.1.1 Farmaci I farmaci so110 sostanze organiche o inorganiche dotate di un'attività biologica in un organismo vivente somministrati allo scopo di diagnosi, cura, trattamento o pre­ venzione di un processo patologico. Essi possono essere classificati sulla base delle caratteristiche chimiche, modalità di somministrazione, sistema biologico bersaglio ed effetto terapeutico. Essi contengono il cosiddetto principio attivo che è la molecola 436

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