Fascismo Sarah

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Come si viveva ai tempi del

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cosa si mangiava, - . l'educazione e la scuola, l'assistenza medica.
treni arrivavano dawero in orario? • Le parole del Ventennio, da "pantofolaio" a ezza cartuccia" • Quanto costava fare la spesa • Come ci si spostava: in nave, . .drovolante, ma ànche in veloci no • Cosa rischiava chi non era iscritto al partito? I prodotti "nazionali": dalla salpa al lanital, dai tessuti di ginestra al carcadè -

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Storia

}ÒCUS

In questo numero ECONOMIA

46

Aconti fatti ...

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~z=e aveva _- Cl di edifici e luoghi per ~~-;:2.:'ese stesso. Nacquero - -palazzoni" fascisti. Ma ~ alcuni capolavori.

I~

La vita era più cara di oggi e mettere da parte qualcosa difficile. Ma nel campo del lavoro ci furono anche importanti progressi sociali . GRAFICA

54

Il tratto di un'epoca

Manifesti e cartoline di propaganda, copertine di libri e riviste, pubblicità. La grafica del Ventennio ha uno stile inconfondibile. VITA QUOTIDIANA

S

dei geloni

-'= condizioni

sanitarie dei nonni. tormentati freddo e minacciati da . malaria e sifilide.

.• t. .. •

Quando la sottoveste era d'obbligo, i cappellini fantasiosi e le calze con la riga indispensabili.

l

La macchina

62 Era Achille Starace, fedelissi-

Controllo sulla stampa, so sapiente della radio, usura, campagne martellanti: le efficaci tecniche della ropaganda.

mo di Mussolini e per otto anni segretario del partito. Oggi le sue disposizioni agli iscritti possono anche farei sorridere.

2 2 del consenso

I

56

Vèstiti, usciamo

ntempo

VITA QUOTIDIANA

3O

Cavalli, binari, eliche e pedali

ulle strade si incrociavano tram, moto e auto, ma sopratrutto bici. Navi e aerei erano invece riservati a pochi. GIUSTIZIA

38 .

L'assassino ·dibambine

Lna serie di atroci delini. un clamoroso errore giudiziario, 'Italia della dittatura. È la storia di Girolimoni, =mostro innocente.

Il fascista perfetto

N. 3 - Estate 2005 GrunertJahr / Mondadori Spa Corso Monforte, 54 20122 Milano

Un Ventennio lontano anni luce abati e sabati passati a S marciare, epidemie di geloni, divieto assoluto di fare l'albero di Natale e di bere caffè. Niente strade asfaltate né wc in casa o televisione. Telefono e auto solo per pochissimi. Il Ventennio fascista, visto nei suoi aspetti meno politici, più concreti, belli o brutti che fossero, è un mondo lontanissimo. In questo numero di Focus Storia abbiamo cercato di raccontarlo trattandolo per quello che è:storia di un passato ormai remoto, di cui si può scrivere con serenità e distacco, senza badare troppo alle odierne esibizioni di svastiche e saluti romani, ormai limitate ad alcuni stadi di calcio. Con due obiettivi. Fare capire a chi ancora si dichiara fascista quanto sia soprattutto ridicolo farlo: è un po' come schierarsi per Napoleone. E rendere evidente quanto sia anacronistico oggi interpretare il mondo attraverso lo schema della contrapposiriane tra fascismo e antifascisma. Il fascismo, è vero, è stato la negazione della democrazia. Ma la dittatura non è un'esclusiva di Mussolini: nel corso della Storia ci sono stati tanti modi di realizzarla. E oggi la democrazia non è minacciata dal fascismo: semmai da fenomeni molto più nuovi e complessi. Chiamarli fascismo è pericoloso, perché significa non comprenderli. E non comprenderli significa non poterli combattere. Sandro Boeri, direttore

I

)(Jcus Storia \lliA QUOTIDIANA Giochi 4 da balilla Scalzi per strada e in divisa a

la e in colonia: la vita dei bini, quando anche la Be~a era fascista e i giocattoli latta. I

MEMORIE Undici pittori O per un Ventennio Dai futuristi alla retorica del

regime, dalla metafisica al rea§InO, una selezione di opere

~ artisti dell'Italia degli anni "enti e Trenta.

ni mancate (il radar) e altre incomprese (l'elicottero). VITA

•••

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76

••



Parole in fascistese

Erano quelle pompose dei discorsi ufficiali. _la anche quelle ridicole della italianizzanone forzata. I

UOTIDIANA

&

ItREGIME

Niente carne, siamo italiani

1 O6 Sulle tavole del Ventennio re-

INDICE DEI NOMI

EREDITA'

13 7 I personaggi che, nel bene o Nomi e luoghi di questo numero

11 2 e Scritte inneggianti a Mussoli~u~lcosa rlmasto

ni, fasci littori, sigle e nomi autarchici. Non è !'Italia del 1930, ma quella del 2005.

~ solo colpa del fascismo? Oppure in Italia il germe delantisemitismo trovò un ter::-5l0 fecondo?

L'IMPERO

VITA QUOTIDIANA

6-

Dal focolare al bordello

r-: crteggiamenti a distanza. - zrrimoni di massa, madri -5fiche, amanti fisse e proe: l'amore e il sesso duil Ventennio.

2trascorsi solo settant'an) tempo libero in mo. diverso da noi. Ecco

nel male, hanno fatto la storia di questo Ventennio italiano. E le aziende, i Paesi, le organizzazioni che di quella storia sono stati parte.

114 Così vivevano contadini. funun posto al sole

zionari e affaristi nelle colonie dell'Africa orientale italiana, nata nel '36 con la sanguinosa conquista dell'Etiopia. IL REGIME

122 Come se la passava Lavita scomoda

Quando non c'era il "week-end"

i nostri nonni passavano

132~~ascio

Il tragico epilogo di vent'anni di fascismo,fra le bombe degli Alleati e le mine dei tedeschi.

gnava la penuria. Ma anche l'arte di arrangiarsi.

80 --..adiscriminazione degli ebrei

Fratelli d'Italia

MEMORIE

chi non aderiva al fascismo? E chi (in pochi) vi si oppose apertamente? SPORT

scienziati del. duce

del "genio itali~:::;s:iS::no..tra nuovi com~ sorgo). invenzio-

-=~:'!llO

Pochi campioni, pantofolai 1Migliaia 2 6 tanti di nuovi impianti e

una pletora di associazioni sportive. Il duce li voleva atleti. ma gli italiani preferirono diventare tifosi. Extra 5

"Vent'anni di vita italiana" L'ascesa del fascismo, le ragioni del consenso, i limiti dei conflitti ideologici e il senso di quell'esperienza, nelle parole di un padre della nostra Repubblica.

S

ono passati sessant'anni dalla caduta del fascismo, ma le polemiche ideologiche sul significato di quel ventennio non si placano. Nemmeno gli studiosi ~ono d'accordo sulla sua interpretazione. E possibile dame una visione distaccata, basata sui fatti e sulle esperienze degli italiani che vissero quegli anni, senza farsi condizionare dall'ideologia o, peggio, cadere nel revisionismo? Ne abbiamo parlato con Vittorio Foa, uno dei protagonisti della lotta contro il fascismo storico e tra i "padri fondatori" della Repubblica italiana. Il fascismo prese il potere in un clima di violenza e intimidazione. Eppure godette per molti anni di un largo consenso. Come fu possibile?

gimenti europei e anche per questo arretrata. Nel nostro Paese si era affermato un provincialismo protettivo. E poi c'era stata la Prima guerra mondiale, che segnò per sempre il Novecento. Fu una scuola di violenza, una violenza sconosciuta fino ad allora». Anche per questo, forse, la maggioranza degli italiani non reagì alla violenza squadrista ••.

«La violenza aveva già caratterizzato il "biennio rosso" (1919-20) e con la guerra c'era stato il primo contatto dei contadini con la modernità: molti avevano visto per la prima volta (spesso per l'ultima) un treno. Si era così diffuso un bisogno di progresso, che il fascismo disse di voler soddisfare (cosa che in realtà non fece), unito al senso patriottico del sacrificio. Questa associazione di morte e progresso conteneva il seme del fascismo».

«Il consenso ai regimi di destra, come ha spiegato lo storico francese Mare Bloch, non nasceva tanto dall'adesione alle loro idee politiche, quanto dal forte bisogno di sentirsi parte di un insieme, di essere come gli altri. In quali aspetti della vita quotidiana fio nì per manifestarsi il fascismo? Ma siccome era il potere, attraverso il controllo su ogni aspetto della vita quotidiana (v. «Il fascismo lo vivevi ovunque, giorno per giorno, al lavoro, nella scuola (v. a pag. 64), articolo a pago22), a decidere come si doveva essere, si finiva per desiderare di diventare nel tempo libero (v. a pag. 92) ... Ha rappresentato vent'anni di vita del nostro Paese e proprio come il potere ti voleva. Ci furono momenti di autentica adesione al fascismo, comprendeva aspetti belli e brutti, ma che rieome nel '36 durante guardavano tutti. la guerra d'Etiopia (v. Nei riti del regime Gandhi a Roma con alcuni balilla. Era articolo a pag.114). In c'erano molti ele• 1931 e l'Italia appoggiava la causa menti grotteschi e riquel caso, molti ebbelana, contro l'Inghilterra. dicoli (v. a pag. 62). ro l'illusione di risolvere alcuni problemi O almeno io li giudistorici dell'Italia, cocavo tali già allora, e me il sovrappopolaquindi inaccettabili. mento e l'emigrazioDietro i gesti ridicone verso Paesi strali della vita pubblica, nieri». però, c'erano spesso tragedie vere. L'ascesa del fasci«Parlando come smo aveva però ano ebreo, poi, posso diche radici storiche •.• re che non ci dava«Bisogna consideno la caccia per ucciderci (v. a pag. 80): rare la particolarità dell'Italia, esclusa da gli ebrei nell'Olanda -molti grandi sconvoloccupata dai nazisti, j

Focus Storia 6

Vittorio Foa, 95 anni, è nato a dove aderì al movimento antifasl: Giustizia e Ubertà. Nel '35 fu C(JI nato a 15 anni di prigionia. scae to nel' 43, fu tra gli estensori d Costituzione. Sindacalista e poi ha insegnato Storia conternpores

per esempio, sono morti tutti. Molti tra q li italiani sono sopravvissuti». ~Che cosa spingeva a opporsi al regi rischiando il Tribunale speciale (v. riquaa a pago 42) e la vita?

«Nel mio caso un fortissimo senso di bellione alle prevaricazioni. Come qual); nel 1923 Mussolini, al potere da pochi me fece bombardare Corfù per ritorsione con; l'uccisione di alcuni italiani in Grecia: reazione sproporzionata, un atto di barbar O come quando, nel '25, iniziò la repressi contro i Senussi, una confraternita mus;

_"",!.!---...-~~duce ordinò l'impiccagasi, del loro capo spi,}~::ttl3I..solo per mostrare ~::-::='::::==::";::3;;00i' così, ripresi da tut-=:::..._=:::=;c;::::c.:::o diffusie suscitavano ==::Sii:-.=:;;:;,!Cc:: ragazzino, un'intensa

~ipOI1i' con chi invece

per la sua arrogan. e lo sostenevano. ~=_==:::::""5:::::=::i:i:: zmici. e io cercavo di ~ come gli altri, an-

Per definire il fascismo fu coniato il termin cco in sintesi i momenti chiave della storia del fascismo. le date sono E owiamente riferite al nostro calendario,

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anche se dal 1927 in Italia era diventato obbligatorio aggiungere all'anno dell'era cristiana quello della cosiddetta "era fascista". Che si faceva cominciare dal 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma. 1919 • 23 marzo: a Milano Mussolini fonda i Fasci di combattimento, nucleo del futuro partito fascista. • 1921 15 maggio: sono eletti in parlamento 35 deputati fascisti. Imperversano le violenze degli squadristi. 7 novembre: nasce il partito nazionale fascista (pnf).

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• 1922 28 ottobre: i fascisti marciano su Roma senza incontrare resistenza. 29 ottobre: re Vittorio Emanuele 111 incarica Mussolini di formare il governo. 15 dicembre: prima riunione del Gran consiglio del fascismo e creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, la polizia politica. . . I l' apr e: tra minacce e tensioni, a ìsta fascista (con liberali e popolari) ottiene la maggioranza assoluta in parlamento.

1925 • 3 gennaio: Mussolini rivendica i fatti _ dei mesi precedenti, segnati dall'omicidio del leader socialista Giacomo Matteotti. 24 dicembre: approvazione delle leggi ! "fascistissime". Inizia la dittatura. 1929 24 marzo: prime elezioni plebiscitarie (cioè con una sola lista, quella fascista).

• ~~Jobre: la Società delle Nazioni punisce con sanzioni economiche l'Italia per l'aggressione all'Etiopia .

I

1943 • 25 luglio: il Gran consiglio sfiducia Mussolini, che si dimette ed è arrestato. Capo del governo diventa Pietro Badoglio. 8 settembre: Badoglio annuncia l'armistizio con gli angloamericani. 12 settembre: i tedeschi liberano Mussolini, che fonda nell'Italia del Nord la Repubblica sociale italiana, con sede a Salò (Bs).

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1945 • 25 aprile: il Comitato di liberazione . ordina l'insurrezione generale. J Mussolini fugge da Milano. Tre giorni dopo viene catturato e fucilato.

«Quella contrapposizione l'abbiamo creata noi - Resistenza attiva, partigiani di sinistra e democristiani, liberali - nel dopoguerra, per rafforzare l'idea che l'Italia fosse stata tutta antifascista. Era necessario dare un'identità alla Repubblica, che così conquistò una sua dignità politica, anche internazionale. L'importanza di quella contrapposizione fu enorme, ma non bisogna eternizzarla perché ormai è storicamente superata».

Il continuo riferimento alle categorie "fascismo" e "antifascismo" è quindi un ostacolo per la politica italiana ...

«La realtà oggi è cambiata: nella comunicazione, con Internet, nel rapporto tra la

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1940 • 10 giugno: Mussolini dichiara guerra alla Francia e all'Inghilterra.

1944 31 gennaio: nasce il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, che organizza la Resistenza contro i nazifascisti.

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Sfilata di gruppi provinciali fascisti negli Anni '30: sulle insegne, l'aquila romana.

• 1936 9 maggio: proclamazione dell'impero. I 24 ottobre: nasce l'asse Roma-Berlino. {

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«Gli ex fascisti e i neofascisti hanno commesso l'errore di identificare il fascismo solo con la Repubblica di Salò (v.cronologia in questa pagina), prendendo a modello quell'esperienza sciagurata. Nel 1944 Mussolini era in forte polemica con tutte le istituzioni (monarchia, burocrazia, Chiesa). Questo rifiuto delle istituzioni fu ereditato dalla cultura neofascista, con risultati meschini. Invece si dovrebbe considerare il fascismo come un lungo episodio della storia italiana, che nei suoi 20 anni è stato anche molto altro. Un periodo storico di cui si può avere una visione problematica, positiva o negativa, a seconda dei casi». La contrapposizione ideologica tra fascismo e antifascismo soprawive anche nell'Italia del 2005. Quando nacque?

-W.4 24 , 611

I

Per la maggior parte degli storici il rischio di un ritorno del fascismo (almeno nelle forme incarnate da Mussolini e Hitler) non è reale. Eppure, dagli Anni '80 e '90 i movimenti di ispirazione neofascista si sono moltiplicati. Che cosa ne pensa?

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litarismo: un sistema che invade ogni aSRetto dell'esistenza Sorgenti di Romagna "QUi

nasce il Tevere, fiume sacro qi destini della patria". E la lapide, dettata da Mussolini, che fu collocata alle pendici del monte Fumaiolo nel 1923. Il duce però non sopportava che le sorgenti del fiume fossero in provincia·di Firenze. Così cambiò i confini, assegnando la zona alla natia Romagna.

lottare per la libertà vuoi dire dare spazio agli altri, dare una possibilità di libertà a chi ne è privo. Essere antifascista oggi vuoi dire proprio difendere il valore della libertà, sapendo però che i problemi da affrontare sono altri. Problemi che nemmeno la democrazia riesce a risolvere».

Come si difendono la libertà e la gìustìzìa oggi?

scienza e l'uomo ...Persino la guerra è completamente diversa. Bisogna prendere coscienza del distacco storico. Durante il fascismo si lottava per la libertà individuale, per sé e per i propri amici e famigliari. Oggi

Focus Storia

«E difficile definire la libertà, ma si può definire che cosa non è libertà. Quando una libertà è violata. sento dentro di me il bisogno di riparare al torto, di dire qualcosa. Lo stesso vale per la giustizia: ciò che è giusto per alcuni, può non esserlo per altri. Ma l'ingiustizia si riconosce, è l'evidente disprezzo della convivenza civile,qualcosa che va contro i nostri doveri verso gli altri. Chi vuole la giustizia e la libertà deve agire contro queste sopraffazioni». :] Aldo Carioli

SAPERNE DI PiÙ Tra Storia e vita quotidiana Mille lire al mese, Gian Franco Venè (Mondadori). Il libro più riuscito sulla vita quotidiana della famiglia nell'Italia fascista. Camicia nera, Silvio Bertoldi (Bur). Fatti e misfatti del Ventennio. Breve storia del fascismo, Renzo De Felice (Mondadori). La sintesi delle ricerche del massimo storico italiano del fascismo. Fascisti, Giordano Bruno Guerri (Mondadori). L'Italia e gli italiani tra il 1922 e il 1945. L'Italia in camicia nera (1919-1925), Indro Montanelli (Bur). La storia raccontata da un grande giornalista e narratore. L'Italia littoria (19251936), Indro Montanelli (Bur). L'Italia dell'Asse (19361940), Indro Montanelli (Bur). Il fascismo in tre capitoli, Emilio Gentile (Laterza). Chiaro ed essenziale, scritto da uno studioso di fama internazionale.

llf';cismo in tre capitoli o...,~

Dizionario del fascismo, a cura di A. De Bernardi e S. Guarracino (Bruno Mondadori). Storia, personaggi e storiografia in 1.250 voci. Il fascismo in azione, Robert O. Paxton (Mondadori). Fascismi europei a confronto.

I\IZIATIYA SPECIALE: LA STORIA DI Q[ESTE PAGI\E ORA RIVIYE A_~CHE1\ tv

-1]gime aveva bisogno di edifici e luogbip.er celebrare se stesso.



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marmo

L'archùeuuta fascista è sinonimo di monumentalità grigia e opprimente. Ma in quegli anni si costruirono anche chiese, stazioni e asili d'infanzia ispirati ai movimenti d'avanguardia. E spesso ancora oggi in uso.

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Nelle Raludi bonificate furono costruite le cosiddette città nuove. In tutto, 60 borghi e 13 centri urbani nati dal nulla

Città ideale, un po' irreale Un particolare della Chiesa dell' Annunziata a Sabaudia (Lt), la città fu costruita sul litorale laziale nel 1933 con una pianta razionalista: larghi assi viari, il municipio e i servizi al centro, aree residenziali tutt'intorno.

Focus Storia 12

Stazione di testa la stazione ferroviaria di S. Maria Novella, a Firenze. Progettata da un "pool" di architetti guidati da Giovanni Michelucci (1891-1990), fu terminata nel 1935. E tra le più riuscite opere pubbliche dell'epoca.

Vetrate e giardini L'asilo infantile Sant'Elia a Como fu progettato tìa -Giuseppe Terragni nel 1936. Luminoso e innovativo, funziona ancora.

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Lo stile architettonico d'avanguardia negli Anni '20 e '30 era il

Marmi e mattoni

Molti Rrogetti fallirono. Come le borgate di Reriferia, destinate a oSRitare i romani "sfrattati" Rer aRrire via della Conciliazione

Focus Storia 16

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Una civiHà ingombrante 1/Palazzo della civiltà italiana all'Eur fu eretto fra il 1938 e il 1940. Alto 68 m, ha un volume di 205 mila m3 e 216 archi romani. Oggi è uno spazio espositivo.

wcl in casa era un miraggio, figurarsi la vasca da bagno! Si mangiava poco, e si soffriva il freddo. La malaria uccideva nelle campagne, la sifilide in città e le malattie infettive ovunque. A dispetto di cm, anni dopo, avrebbe continuato a dire che "si stava meglio quando si stava peggio", nel periodo fra le due guerre gli italiani non stavano poi così bene di salute. Poche cose erano democratiche, ma fra queste vanno di sicuro annoverati i geloni. Favoriti dalle carenze vitarniniche.e scatenati dal freddo patito anche nelle case più agiate, i geloni colpivano le signore borghesi così come le serve, gli operai quanto i contadini. Si annunciavano con un po' di prurito sull'orlo superiore dell'orecchio e poi dilagavano sulle mani, sui piedi, sulle ginocchia. Contro di loro c'era ben poco da fare, tanto che al medico il problema veniva sottoposto raramente. Facevano insomma parte della vita, proprio come la nascita, la morte, il duce e... la mancanza del bagno. Quest'ultima, per la verità, era già meno democratica. Un censimento del 1931rivela che ne erano dotati 12 appartamenti su 100: si trattava delle case dei benestanti. Per tutti gli altri, di notte c'era il pitale e di giorno lo stanzino comune ricavato sul ballatoio. con la turca. Cm vo~ leva si portava dietro la carta, spesso l..~c.~: riciclando quella dei // Co."1!/!t/I;::r:;: giornali o del macel.$8/uh. "",,, laio,resistente e spugnosa. Il bagno fu La pubblicità di un una conquista post ricostituente a base bellica: quando si ri- di ferro per signore. costruirono le case distrutte dai bombardamenti, i nuovi appartamenti furono finalmente dotati di una stanza apposita. Sci e mutandoni. Eppure Mussolini l'aveva capito: per guadagnare consensi e fare in modo che il popolo italiano lavorasse e fosse più produttivo, le malattie andavano debellate. Per questo il regime avviò diverse campagne per incentivare l'igiene (per esempio promosse la costruzione di bagni pubblici). E in tempi di ristrettezze economiche fece in modo che gli italiani si adattassero a fare di necessità virtù. Al freddo e alla neve, i "veri" fascisti dovevano andare incontro col sorriso sulle labbra, gli sci ai piedi e i mutandoni sotto i pantaloni. E se il pane non bastava, gli italiani dovevano rallegrarsene, perché i medici consigliavano di seguire, per mantenersi in salute, una dieta ipocalorica. Se poi, nelle case più borghesi, si eccedeva con il cibo, si poteva sempre ricorrere a un cucchiaino di "Magnesia Bisurata - Prodotto di fabbricazione italiana". Mentre per le ~

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Focus Storia 19

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Come ricostituente si consig Iiava l'lschirogeno, a base di "fosforo, ferro, calcio e stricnina" ~ "affezioni intestinali da fermentazioni anormali" c'era l'Enterosil, per via orale. Le medicine per la verità erano inadeguate. Quando Mussolini salì al potere, l'Aspirina aveva poco più di vent'anni. «Le malattie del cuore si curavano con la canfora, la digitalina e lo strofanto, estratti da piante» spiega Giorgio Cosmacini, storico della medicina e docente all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Alla fine degli anni Venti arrivò l'insulina per curare i diabetici e gli estratti di fegato per le anemie». Contro le malattie infettive c'era invece poco da fare, perché i sulfamidici giunsero solo nel 1939, e gli antibiotici dopo la guerra. Medico e confessore. Il medico condotto, pagato dal comune, era la figura di riferimento per chi si ammalava. A lui, proprio come a un confessore, non bisognava nascondere nulla. Mussolini sottolineava: «Il medico è come il sacerdote; accompagna l'uomo dal principio alla fine. Il sacerdote tutela la nostra anima e il medico ci protegge la salute e il corpo». «Il rapporto, stretto e confidenziale.era anche il risultato Un angelo soccorre una della mancanza malata di malaria, nella pubblicità di un farmaco. di quegli strumenti ed esami che oggi sono usati per fare le diagnosi» riprende Cosmacini. «Per individuare una malattia i medici avevano a disposizione solo il loro intuito e la loro abilità. Raccogliere il maggior numero di informazioni possibile sul malato e sulla sua famiglia era quindi cruciale». Inoltre, in mancanza di medicine adeguate, i malati venivano-seguiti in modo più assiduo durante tutto il decorso della malattia. L'assistenza del medico e il ricovero in ospedale erano gratuiti per chi riceveva il "certificato di povertà". «Per questo» dice l'esperto «anche chi non ne avrebbe avuto diritto cercava di infilarsi nella lista dei poveri». Gli ospedali erano organizzati in padiglioni, in cui i malati venivano ricoverati in base al tipo di malattia (una divisione che favori la nascita delle diverse speciaIizzazioni mediche). Sulla scia dei tentativi già portati avanti dai governi che l'avevano preceduto, il fascismo volle estendere l'assistenza sanitaria al magFocus Storia 20

gior numero di persone possibile. Con questo obiettivo furono istituite le casse mutue per i lavoratori, che venivano finanziate per metà dai datori di lavoro e per metà da chi godeva dell'assistenza. «Alcune, come quella dei tranvieri di Milano o quella dei giornalisti, funzionavano bene» sottolinea Cosmacini. «Il sistema però era molto disomogeneo perché ogni cassa aveva le sue regole e spesso le prestazioni risultavano inadeguate».

I.

Guerra alla malaria. Tre-erano gli spettri che si aggiravano per l'Italia di allora: la malaria, la tubercolosi e la sifilide. Queste malattie non erano ai primi posti nelle cause di morte (polmoniti, infezioni alimentari e malattie cardiache uccidevano di più) ma su di loro si concentrarono gli sforzi del regime. Le campagne contro la malaria iniziarono nei primissimi anni dell'''Era fascista", in continuità con le iniziative già intraprese nel

Germania e Italia divise dalle sigarette er un aspetto P la politica sanitaria italiana fu diversa da quella di Hitler: il fumo. In quegli anni i danni di pipe, sigari e sigarette iniziavano a diventare evidenti e i medici tedeschi avevano già rilevato un legame tra fumo e cancro ai polmoni. Per Hitler, il fumo era un vizio che corrompeva la razza. E per limitarlo, in Germania furono prese misure drastiche (in molte città era proibito fumare anche per strada). Fasci in fumo. In Italia una campagna simile sarebbe stata impossibile, perché il fumo era diffusissimo. Mussolini aveva smesso (pare per via della

xriodo liberale. Alla cura dei malati col chi-. o si aggiunsero le opere di-bonifica degli zmbienti paludosi in cui si riproducevano le zanzare che trasmettono il parassita causa -1 lla malattia. Il risultato fu che dagli oltre 4 ~a morti denunciati nel 1922 si passò a :::::enodi mille nella seconda metà degli anni 1Ìenta. «Ma le cifre rivelano anche un'altra realtà» spiega Cosmacini. Fra il 1935 e il 1940 % dei morti di malaria si registrò nel Sud e nelle isole. «La malaria, anche se in arretramento, contribuì più che mai a fare la differenza tra le due ltalie. Regredita e quasi scomparsa nel CentroNord, rimase, anche se più contenuta del passato, nel profondo Sud». La lotta contro la tubercolosi ebbe una svolta nel 1927, quando fu o

istituita l'assicurazione obbligatoria contro questa malattia e furono adottate misure per limitare il contagio. Per esempio, poiché la tisi si trasmette con la saliva, fu istituito il divieto di sputare per terra, un'abitudine piuttosto in voga all'epoca. Ancora oggi, il cartello "Vietato sputare" è affisso in alcuni edifici e sui mezzi pubblici più vecchi. Sanatori-carcere. Ma, soprattutto, si volle favorire il riconoscimento precoce dei malati e il loro ricovero (gratuito) nei sanatori, fatti costruire apposta. Le rigide regole disciplinari facevano sì che nelle strutture destinate alle classi meno abbienti la vita si svolgesse un po' come in un carcere. Come ha scritto lo storico della medicina Domenico Preti, si trattava spesso «di una vera e propria reclusione, dominata da mille paure, resa ancor più penosa dalla segregazione sessuale». Al contrario, i sanatori destinati ai ricchi borghesi erano più simili ad alberghi di lusso che a ospedali. I risultati, amplificati dalla propaganda fascista, furono che se nel 1929 i morti di tubercolosi erano oltre 37 mila, tre anni più tardi erano scesi a circa 32 mila e continuarono a calare negli anni successivi, per poi

sua ulcera). Ma i fascisti della prima ora ricordavano di aver infilato una sigaretta fra le labbra delle loro vittime morte valorosamente. La virilità si misurava dal colore giallo che le sigarette lasciavano sulle dita. Chi non poteva permettersele (un pacchetto da dieci, negli anni Trenta, costava da 1,60 a 2 lire) riciclava le cicche usate, raccogliendo il tabacco che veniva rollato nelle cartine vendute appositamente, oppure nella carta di giornale.

Un'elegante fumatrice in un'illustrazione del 1925. tornare a impennarsi guerra mondiale.

durante

la Seconda

Prostitute "garantite". La campagna contro la sifilide, che prevedeva fra l'altro controlli medici periodici obbligatori per le prostitute, ottenne invece scarsi risultati: la mortalità per questa malattia, trasmessa per via sessuale, calò nella seconda metà degli anni Venti, ma nel 1938 era tornata a valori più alti di quelli registrati nel '24. A sconfiggere la sifilide, negli anni a venire, sarà la penicillina. :J Margherita Fronte

SAPERNE DI PiÙ Il Ventennio, ma non solo Medicina e sanità in Italia nel XX secolo, Giorgio Cosmacini (Laterza). Dall'epidemia di influenza spagnola alla Il guerra mondiale. Focus Storia 21

Propaganda

Controllo sulla stamQa, uso saRiente della radio, censura, camRagne martellanti: le efficaci tecniche della RroRaganda fascista

C

hissà se qualcuno, allora, si chiese perché nei romanzi gialli del Ventennio ladri e assassini avessero nomi che suonavano stranieri, l'eroe fosse sempre italiano e non ci si imbattesse mai in suicidi. Anche quell'aspetto, apparentemente secondario, della vita degli italiani era passato attraverso gli ingranaggi di un meccanismo perfetto, messo a punto per diffondere la falsa immagine di un Paese felice, raccogliere consensi e confondere la Storia. «Il fascismo creò un'efficace macchina propagandistica» spiega lo storico Emilio Gentile «utilizzando la stampa, la radio e il cinema per valorizzare i successi del regime e mantenere le masse in uno stato di mobilitazione emotiva permanente, attraverso riti e cerimonie collettive». Un mito da inventare. La macchina fu subito avviata, nel 1923,con l'istituzione dell'ufficio stampa della presidenza del Consiglio che, attraverso i prefetti, suggeriva ai giornali quali notizie dare e quali no. Era il primo passo di una strategia di controllo che avrebbe invaso persino la sfera privata. Nove anni dopo, nel decennale della marcia su Roma e della conquista del potere, il meccanismo era ormai ben oliato. E il fascismo si celebrò con una delle sue più plateali messinscena, affidata alla regia del futuro ministro della Propaganda, Dino Alfieri: una grande mostra per ricordare i "3 mila caduti" della rivoluzione fascista ... Il problema era che quei morti e quella rivoluzione, alla quale Mussolini peraltro aveva partecipato da Mila-

no (pronto a scappare in Svizzera se qualcosa fosse andato storto), non c'erano mai stati: a malapena si era riusciti a scovare 500 vittime, molte delle quali morte nel loro letto per malattia. Per le altre 2.500 si ricorse a un elenco di nomi scelti a caso, accanto ai quali fu incisa la scritta "Presente". Che fossero vivi o morti poco importava. Campagna stampa. In pochi anni Mussolini riuscì a inculcare negli italiani il senso di appartenenza a uno sforzo collettivo. Come? Per esempio attraverso martellanti campagne "promozionali" affidate ai cinegiornali del regime, dal 1927 obbligatori in tutti i cinema. In Italia si cominciò a vivere in un clima da grandi imprese, sempre annunciate e di rado portate a termine. Come quando, nel '25,per ridurre l'importazione di cereali dall'estero fu lanciata la "battaglia del grano" (v. riquadro a pag. 48). L'obiettivo era ampliare l'area seminativa per assicurarsi l'autosufficienza alimentare. Ma la vasta opera di persuasione contribuì anche ad avvicinare i contadini al fascismo e a pacificare le zone rurali, dove le tensioni sociali erano ancora forti. Anche la campagna per la bonifica integrale dei territori paludosi, lanciata nel '28,si rivelò soprattutto un'operazione propagandistica. Il risanamento dell'Agro pontino, avviato nei secoli precedenti, fu effettivamente completato, si fondarono nuove città

Vi piace il mio partito? Manifesto per le elezioni del '34: si poteva votare solo "sì" o "no" al partito fascista.

Il

~ (v. a pag.12) e furono assegnate terre ai braccianti, ma nel complesso solo un decimo delle bonifiche annunciate fu realizzato. Un decimo che il megafono del partito amplificò a dismisura, assicurandosi il plauso (anche postumo) degli italiani. Nel '29 fu la volta della campagna autarchica (v. a pag. 51). Ancora una volta fu il pretesto per spingere sull'acceleratore dell'orgoglio nazionale. Si inaugurava uno stabilimento per la produzione di cellulosa? I giornali dovevano sottolineare che i forni bruciavano solo carbone nazionale. li duce aveva visitato il Centro sperimentale di cinematografia? I tecnici avevano di sicuro messo a punto un apparecchio «essenzialmente autarchico». Operazione immagine. Ma il successo più grande Mussolini lo ottenne con il culto quasi religioso della propria personalità. Carismatico fin da ragazzo, aveva capacità mimiche straordinarie, sguardo penetrante, era attento all'abito e studiava nel dettaglio parole e gesti. Della sua immagine, fin dagli esordi, fece un monumento, atteggiandosi a capo instancabile: ordinò di lasciare accesa la luce del suo studio (affacciato su piazza Venezia) fino a tarda notte, per far credere che il Grande Nocchiero fosse impegnato a tempo pieno per il bene dell'Italia. Si fece ritrarre in decine di migliaia di istantanee (in realtà meticolosamente selezionate dalla censura) in atteggiamenti che dovevano trasmettere superiorità e competenza: il dittatore con le braccia ai fianchi e il petto in fuoFocus Storia 24

Stando ai comunicati ufficiali, Mussolini avrebbe accumulato 17 mila ore di volo. Quanto un Rrofessionista in un'intera vita Le parole del duce analizzate da un esperto discorsi dei politici, di Isolito, sono scritti da addetti stampa, di cui non conosceremo mai i nomi ma dei quali possiamo apprezzare l'abilità oratoria.

-= (nella posizione irriverentemente detta - ìla damigiana"), in versione sportivo, ope'o, guerriero, scrittore, padre, aviatore, so di Dio in terra». A commentare le agini ci pensavano le "veline" (v. riquaa pag. 28) e l'agenzia Stefani. Fondata nel dal giornalista torinese Guglielmo Ste-=-=-era stata ereditata dal regno sabaudo e 'ormata in agenzia di stampa ufficiale, - quale era obbligatorio seguire le indi, i, Un giorno, visitando i poderi di ApriLt), Mussolini si fece ritrarre a torso nu=entre trebbiava con i contadini. La Stenel commento alle immagini, non man_ sottolineare come il duce «non fosse tanco dopo quattro ore di trebbia,E pazienza se in realtà si era limitato a ~::::-:aree a fare apprezzamenti. _- campo della fotografia e della docuostica,poi, i cineoperatori dell'Istitu.•••(v. a pag. 99) fecero miracoli: allaril campo di ripresa, realizzarono gi==~me con le quali tappezzare stadi, citti, ne occultarono i difetti fisici.

-=

c

Convincente. La stessa abilità si ritrova nei discorsi di Mussolini, come questo del 9 maggio 1936 che annuncia, con la conquista dell'Etiopia, la nascita

dell'impero. Abbiamo chiesto di analizzarlo a Enzo Kermol, psicologo della comunicazione all'Università di Trieste (in colore, le parti commentate).

Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere della rivoluzione! Italiani e italiane in patria e nel mondo! Ascoltate! [...l. Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L'Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza aet tittorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le e lerg;e prorompenti e disciplinate ae e giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l'Italia vuole la pace [...l. Impero di civiltà e di umanità per tutte le poootazioni aetrettooia. Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava; popoli al suo destino. [...l Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere! Italiani e italiane! Il popolo italiano ha creato col suo sangue rimoero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la napparizione dell'impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni? Questogrido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte! [...l

Focus Storia 25

CJ-'

Per la Mostra della rivoluzione fascista furono stamRati 1 milione e 300 mila cartelli Rubblicitari ~

Antichi fasti. Se il capo era un eroe senza macchia, il suo popolo non poteva però essere da meno. Fu così che per l'Italia fascista del XX secolo Mussolini rispolverò un passato glorioso:quello dell'antica Roma. I! mito della romanità, i cui simboli avevano segnato l'origine e il nome stesso del fascismo (v. riquadro a pag. 8), fu il tormentone del Ventennio. Il movimento introdusse il saluto romano e organizzò i suoi seguaci sullo schema delle legioni. Mussolini si scelse come predecessore nientemeno che Giulio Cesare e fu presto colto dal "mal della pietra", cioè dalla smania di erigere monumenti ovunque. Il duce aveva in mente una radicale metamorfosi di Roma per mettere in luce le vestigia dell'età imperiale, e per dare maggiore visibilità al mausoleo di Augusto o al Colosseo (e a se stesso) fece abbattere e spostare palazzi, aprendo via dei Fori imperiali e via della Conciliazione. Bavaglio. Il motore del carrozzone promozionale del regime, il ministero della Cultura popolare (detto gli inizi e la più brevemente Seconda guerra Minculpop) namondiale ogni soldato to nel 1937dalla ricevette in dotazione trasformazione anche una fotografia del ministero del duce in uniforme della Propaganda primo maresciallo. da, funzionava Più tardi, quando si adesso a pieno cominciarono a troritmo. Il controlvare quelle fotQgrafie buttate e gualcite ai lo sulla stampa bordi delle ferrovie e era assoluto. nei bagni, venne dato Già nel '23 il duordine di sospence aveva chiesto derne la distribuzione. «la soppressione di alcuni giornali pleonastici» (cioè inutili),come Epoca e il Mondo, e ottenuto la rimozione dei direttori poco graditi. Molte testate erano passate sotto il suo diretto controllo e per chi scriveva divenne obbligatorio iscriversi all'Albo dei giornalisti e al partito fascista.Per promuovere le posizioni governative, il ministero arrivò a prezzolare giornalisti compiacenti. A scuola, prima alle elementari e poi anche alle medie, furono adottati testi unici (v. articolo a pag. 64), le biblioteche passate al setaccio ed epurate. «Ma in un'Italia semianalfabetas spiega Mimmo Franzinelli, studioso dell'Istituto nazionale per

A

,

.

Focus Storia 26

Tradizione istizzata izione 1937 ell'lnfiorata di nzano (Roma). Ie...composizioni floreali della tradizione si ncano quelle agandistiche.

la storia del movimento di liberazione «libri e giornali erano appannaggio di un'élite. Per arrivare a tutti il regime dovette inventare nuove forme di pubblicità». E così, in stampatello e a caratteri cubitali, fin nelle più piccole località, sui muri e lungo le strade, comparvero decine di slogan. Lapidari e comprensibili a tutti, dovevano entrare nelle teste della gente, anche in quelle più dure. Arma segreta. Ma la vera arma segreta fu la radio, sperimentata in Italia tra il '22 e il '24. Mussolini ne intuì le potenzialità e la utilizzò per fare un altro dei suoi gol: grazie

alla radiofonia e agli altoparlanti installati nelle piazze italiane, mobilitò per anni, un sabato dopo l'altro, milioni di uomini e donne, schierati in adunata. Il messaggio era chiaro: "Insieme siamo forti". Cose del genere, in Occidente, non si erano mai viste: la politica imposta con tecniche commerciali. Radio libertà. Eppure, proprio dalla radio Mussolini ricevette lo schiaffo più doloroso. Dalla fine del '39, quando gli abbonati erano diventati, dai 40 mila del 1927,circa un milione, i rapporti dell'Ovra, la polizia segreta (v. riquadro a pag. 124), segnalarono ~

Contlltti imezzi Un aerostato sfila a Roma il 2 giugno 1935 in occasione della festa dello Statuto, la costituzione monarchica. Sul pallone campeggia il nome del principe ereditario Umberto.

Domatore di popoli Mussolini "doma" l'imperatore d'Etiopia in una caricatura di Paolo Garretto del 1935, pubblicata negli Stati Uniti.

Anche l'infanzia di Mussolini fu mitizzata. In realtà, era stata frustrante e solitaria ~ l'intensificarsi dell'ascolto di emittenti estere in lingua italiana, naturalmente ostili al duce. Prima fra tutte, Radio Londra. «Attenzione, attenzione! Antifascisti di Bari, Trieste, Ancona, Palermo. L'ora è giunta. Il movimento rivoluzionario è alle porte». Voci esili,notturne. Poi sempre più chiare e seguite. Il governo si rese conto del pericolo e tentò invano di disturbarne le frequenze. L'apparato propagandistico scricchiolò.«L'ideologia e la finzione» conclude Franzinelli «avevano acuito il divario con la realtà:!'Italia efficiente e invincibile, dietro la maschera della propaganda, si rivelò un bluff». Ma fino all'ultimo il regime continuò a simulare. Dopo che gli Alleati arrivarono a Roma, fu allestita una finta radio clandestina, che affermava di trasmettere dall'Italia occupata. Era l'ennesima, patetica, bufala: Radio Tevere, così era stata battezzata, aveva sede a Milano. O M. Scozzai eA. Carioli Focus Storia 28

SAPERNE DI PiÙ Uno sguardo dietro la propaganda Il duce proibito, Mimmo Franzinellied Emanuele Valerio Marino (Mondadori). Le foto censurate di Mussolini. Il culto del littorio, Emilio Gentile (Laterza). Simboli, miti e riti del fascismo. Le veline del duce, Riccardo Cassero (Sperling & Kupfer). Una selezione delle più singolari "disposizioni alla stampa".

Più chiaro di così ••• Roma, 1937: un inequivocabile slogan domina la Mostra del tessile, vetrina di prodotti dell'industria autarchica.

Come si stava alla fine degli Anni '307 Le risRoste della statistica

taliani a confronto Un "faccia a faccia" di cifre tra due Italie, quella del Ventennio e quella di oggi. L'esperienza fascista è riassunta dai dati del 1939, anno di svolta per il nostro Paese: la catastrofe della guerra mondiale era ormai alle porte.

Matrimoni (ogni 1.000 abitanti)

7,2

4,5

Figli per donna

3,21

1,2

Telefoni (abbonamenti ogni 100 abitanti)

1,2

50

Appartamenti con bagno (% nei centri maggiori) 12

100

Popolazione (milioni)

42,9

57,9 (di cui 1,3 stranien]

1411

192

maschi: 53 femmine: 562

maschi: 77 femmine: 82

Densità (abitantifkm2) Produzione di energia elettrica (milioni di kWh) di cui idroelettrica di cui termoelettrica

'"

Lavoratori agricoltura (% della popolazioneattiva)

18.417 92% 8%

258.841 20% 78%

501

Speranza di vita alla nascita (anni) Mortalità infantile entro il 1° anno di vita (su 1.000 nati)

5 1

Lavoratori industria (% della popolazioneattiva)

271

Lavoratori commercio e servizi (% della popolazioneattiva)

231

1

2

ito annuo pro capite -

mo annuo pro capite carne bovina (kg) o annuo capite di pasta (kg) li bancari

-~~::.

-~

3.029 lire 1

..

63

Oggi

1939 21%1

Oggi 1,5%

Biglietti teatrali (vendutiall'anno)

20 milioni

27.878.000

Biglietti cinema (vendutiall'anno)

360 milioni

115 milioni

3 milioni

5.835.185

Quotidiani (vendutial giorno)

21.000 euro

9

25

14

28

7.049

27.1322

o al 1938; pari, considerata la rivalutazione, a circa 1.880 euro.

Ferrovie (km)

22.992

Strade (km)

173.022

Autostrade (km)

~_~-=

5

••

Percentuale di analfabeti

. o al 2002.

~_~ __ =

100

Dato riferito al 1936, anno dell'ultimo censimento in epoca fascista. Dato riferito al 1932, calcolato sulla base del censimento del 1931.

32

Dato riferito al 1936, anno dell'ultimo censimento in epoca fascista.

1939

2

~_---1

Automobili circolanti

479

~~--~~~~~~====~~~ 290.000

34.310.446

Il Vita

quotidiana

Si incrociavano tram, moto e auto, ma SORrattutto bici. Treni, na . "Circolare, circolare!" Nella foto grande, un autiere dirige il "traffico" alle manovre militari del 1939. Sulle strade del Ventennio era difficile rimanere bloccati in un ingorgo: le auto erano poche, perché troppo costose.



p

aerei c'erano, ma solo Rer p'ochi

-------

1II

L'asfalto era una rarità. Ma, nel 1928, -3 m-ila fanali irlum-inarono Rerla Rrima volta al mondo una strada: la Roma--Ostia

-o

-per le 11 sono a casa". E via ggi, secondo-un'indagine Istat, 2 italia-di eorsa». Inoltre-le-strade ni su 3 si recano al erano sterrate e con la pioggia si trasformavano in acquilavoro in auto. Negli Anni '20 e '30 la maggior partrini, mentre le vie lastricate te ci andava a piedi, percorerano sconnesse e scivolose. rendo anche decine di chiloL'asfalto, quando fece la nverno1938: Musmetri, oppure, come facevano sua comparsa, rappresentò solini, al monte Termolti impiegati, in bicicletta. dunque una svolta. «Dobbiaminillo, posa a torso nudo per inaugurare MuHe e fango. «il boom mo la sua diffusione a Piero la nuova stazione delle biciclette precedette l'avPuricelli, titolare di un'aziensciistica non lontana vento del fascismo» spiega da di costruzioni» racconta da Roma. Si organizFrancesco Ogliari, storico dei Ogliari. «Puricelli, nel 1922, zano torpedoni per trasporti e fondatore del Muraccolse la sfida di realizzare portare i gitanti sulle il circuito di Monza in tempo seo europeo dei trasporti di nevi appenniniche e Ranco (Varese). «Fu promosso per l'inaugurazione, prevista durante la settimana all'inizio del Novecento dal di lì a pochi mesi». Ci riuscì gli impianti funzionano Touring Club, che in origine e, forte di questo successo, a pieno regime per nientemeno che ... propose a-Mussolini una sua era un'associazione di "veloci50 turisti. invenzione, che non era altro pedisti"». La prima bicicletta (rigorosamente "da lavoro", che una strada asfaltata. «Nacque così, nel 1925,la prima autostrada perché quella da corsa restava di solito un del mondo: la Milano-Laghi». sogno) si conquistava con il diploma: la Bianchi, più economica, o la Wolsit inglese, destiVia libera. «Tra i veicoli a motore, su quelle poche strade circolavano soprattutnata ai figli della borghesia. to motociclette» continua Ogliari. «Come la Chi viaggiava a pedali non aveva vita faGuzzi 500 della milizia della strada, antenacile.«Circolare a fanale spento poteva costare una multa di 10 lire e lO centesimi» ricorta della polizia stradale, o le moto Gilera e da Luigi Losio,95 anni. «Ma quando il caraBianchi». Le automobili invece, specie in campagna dove prevalevano biniere diceva "Sono lO e lO", noi carri e calessi, restaroragazzi rispondevamo: _=~, no un bene di lusso "Ah be', allora (v. articolo a pag. 46) fatto per stupire. Nel 1922 le quattroruote in circolazione in Italia erano appena 22 mila, anche se verso la fine degli Anni '30 erano già salite a 290 mila. Code e ingorghi erano sconosciuti, ma gli incidenti er~no numerosi: -

In gita al Terminillo

I

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~~~~~~<~~~

e

C'è un bus sulle rotaie La Littorina fu introdotta nel 1932: faceva a meno della locomotiva.

3.400 morti e 45 mila invalidi nel solo 1935. Colpa della scarsa segnaletica, dei pochi passaggi a livello, di greggi e mandrie che sulle strade avevano la precedenza, oltre che dell'imperizia dei guidatori. La "licenza di guida" era richiesta, ma pochi l'avevano. Dal 1926 una convenzione internazionale impose di circolare a destra, ma molti, specie in campagna, ignorarono la nuova regola. In più, per risparmiare sulla benzina, si percorrevano le discese a motore spento, mettendo a rischio freni e incolumità dei passeggeri, già provati dal mal d'auto che tormentava chi non era abituato al nuovo mezzo. Scambi a petardi. Certamente più sicuri delle auto erano i treni, puntuali come il regime esigeva. «La proverbiale puntualità dei treni nel Ventennio dipendeva dal rigido sistema di controllo» spiega Ogliari. Severe sanzioni colpivano infatti i macchinisti "ritardatari". E guai a sputare in terra o schia-

e: l'onnipresente milizia era inflessi; anche con i viaggiatori indisciplinati. -'=' famiglie dei ferrovieri, come quella di ----";Losio, avevano diritto ad alloggiare in no. «Mamma azionava le sbarre del '0 a livello» ricorda Luigi «mentre quando c'era nebbia, doveva piazzare _ tardi sulle rotaie per avvertire il macdella prossimità dello scambio». Es!lI8Iil"l11enti. La rete ferroviaria italia- partiva quasi da zero, lasciava spazio ~entazioni. «La principale novità fu ::::::Scazione» dice Ogliari. «Sulla linea -furto Ceresio (Va) fu provata la "ter_- _che restò in uso fino agli Anni - _ ema prevedeva una linea elettrica ~cllerotaie, collegata alle ruote tramite nntone di ferro. Aveva un solo inconre: faceva strage di polli e galline, fulo ogni tanto anche qualche umano. - Anni '30 la corrente alternata unì Mi-

lano a Reggio Calabria» prosegue Ogliari. «Da Milano a Roma, con l'elettrotreno Etr 200, ci volevano 6 ore. Si superò la barriera dei 200 kmIh e, in un viaggio dimostrativo del '39, fu stabilito il record Milano-Firenze: 1 ora e 59 minuti». TIregime mise il proprio

marchio (il fascio littorio) anche su un'altra innovazione: la Littorina. «Prima del '32. nelle stazioni di testa bisognava staccare III locomotiva per invertire la direzione. La Littorina, che era un'automotrice a nafta con due cabine, faceva risparmiare tempo».

Ma il mezzo di trasporto principale restavano i piedi e ne vedevano in giro S meno di quante auto si incrocino oggi sulle nostre strade. Eppure le scarpe erano il primo mezzo di trasporto del Ventennio. "A che ora parte il treno?»: per saperlo bisognava andare a piedi fino alla stazione. "Dov'è quella pratica?»: in assenza di e-mail e telefoni, in ufficio

o in fabbrica si scarpinava su e giù per le scale da un reparto all'altro. AI Duomo in ciabatte. I contadini usavano semplici zoccoli, ma le scarpe di tutti gli altri, come oggi l'auto, erano uno status symbol. "Mia sorella» ricorda Angelo di Milano, classe 1912 "andava in ciabatte fino a piazza Duomo (il tram era

troppo caro per noi) e le scarpe le infilava solo arrivata in via Dante». Per proteggerle si usavano le calosce, ma siccome ghiaia, fango e ciottoli tormentavano comunque le povere scarpe, i ciabattini godevano di grande rispetto. E invece che dal benzinaio, ci si fermava dal lustrascarpe ambulante.

Focus Storia 33

Con 150 album di figurine BuitoniPerugina (comRleti del raro "feroce Saladino") si vinceva una TORolino ~

Binario classista. I treni, però, erano cari. Per andare da Milano alla Liguria si spendevano più di 30 lire (25 euro di oggi) in terza classe (80 lire in prima) in anni in cui un operaio specializzato guadagnava meno di 600 lire al mese e un bracciante non arrivava a 300.Anche per questo ~........... i treni popolari domenicali di sola terza classe,introdotti nel 1931-32, furono un successo. Finalmente gli italiani potevano passare una giornata al mare o ai monti a poco prezzo: il bigliet-

to era infatti ridotto del 7080%. Certo, toccava svegliarsi poco dopo mezzanotte perché i treni popolari partivano all'alba e bisognava rientrare in giornata. Ma doveva valerne la pena, se nel 1937 i "viaggiatori popolari" furono 1.261.267. Tram in corsa. Anche le città erano percorse dalle rotaie. Erano quelle dei tram, elettrici sulle linee urbane, a vapore su quelle extraurbane, e che si prendevano in corsa. A Milano, dopo il 1928,entrarono in servizio

Tra i misteri del fascismo c'è anche un Ufo econdo alcuni S documenti, nel giugno del 1933 un aeromobile sconosciuto precipitò a Milano. Il velivolo fu preso in consegna dalla sicurezza e se ne perse ogni traccia. Un telegramma ai giornali datato 13/6/1933 awisa: "D'ordine personale del Duce disponesi assoluto silenzio su presunto atterraggio su suolo nazionale at opera aeromobile sconosciuto" . Top secret. I resti dell'Ufo sarebbero stati nascosti negli stabilimenti dell'azienda aeronautica Siai Marchetti,

Pompa littoria Un distributore di benzina del 1931, di tipo volumetrico: la pressione ne muoveva cioè le lancette. Un litro di benzina, negli oltre 16 mila distributori italiani, costava allora quasi 3 lire (circa 2,5 euro). Ma con un litro la Balilla faceva oltre 12 km. i:

Focus Storia 34

presso Varese. Stabilimenti che avrebbero preso misteriosamente fuoco nel 1943. Paolo Toselli del Centro italiano studi ufologici, però, è scettico: «Lefonti sono molto incerte. I documenti su cui si basa l'intera storia sono fotocopie e l'unico originale non risulta negli archivi. Quindi come prova vale zero». Eppure, nel '33, Mussolini creò un comitato segreto per studiare simili awistamenti. Temeva si trattasse di velivoli sperimentali inglesi o francesi. (d. p.)

le vetture a carrelli, molte delle quali ancora oggi in circolazione. «All'inizio c'era un salottino nella parte posteriore, dove si poteva fumare. E avevano solo 2 porte: al centro e davanti» spiega Ogliari. «A bordo, oltre al conducente, c'era il bigliettaio, che aveva anche il compito di scendere a riposizionare la carrucola dell'alimentazione che spesso si sganciava dal filo».A partire dal '33 apparvero i filobus. che avevano il vantaggio di non richiedere la posa delle rotaie. Gli autobus invece erano mossi dal gassogeno, un enorme bruciatore che trasformava il carbone o, in tempi di autarchia (v. a pag. 51), la legna in gas combustibile. I trasporti pubblici erano più "democratici" del treno: costavano 70 centesimi e li usavano persino le domestiche di ritorno dal mercato. Ma solo se avevano davvero fretta.

I veicoli a motore erano Rochi. Tra LRrimi ad aP-Rarire le autoRomRe doei RomRieri ~

Decollo stentato. Se salire su un treno era un evento memorabile, gli aerei appartenevano per i più alla sfe-='", ra dell'irraggiungibile. «La prima linea - ~~k!!. aerea, del 1926, fu affidata agli idrovolan- --.:-~r ti, in teoria ideali per un Paese affacciato _;;co sul mare. Si andava da Torino a Trieste -~ facendo scalo a Pavia (sul fiume Ticino) e a Venezia» spiega Ogliari. «Ma capitava. di dover tornare indietro perché il mare mosso impediva l'ammaraggio». Fu così che già a metà degli Anni '30 gli idroscali di Roma e Milano si convertirono alle attività sportive e gli idrovolanti andarono in pensione, lasciando il cielo agli aeroplani. Con 40 lire si poteva decollare per un volo dimostrativo dall'aeroporto di Milano Taliedo (la "città aviatoria" di Linate fu inaugurata solo nel 1937), ma pochi pensavano seriamente all'aereo come a un mezzo di trasporto. Nel 1932 dagli aeroporti italiani transitarono appena 46 mila passeggeri (nel 2003 sono stati oltre 100 milioni) e le linee dell'aviazione civile fascista non superarono mai la settantina. I grandi viaggi, allora, -si facevano a bordo dei transatlantici. Magico Rex. E viaggiare per mare poteva significare imbarcarsi sul Rex, la nave mito degli Anni '30. Chi l'aveva visto ne parlava come di una magica apparizione. «Era una specie di totem» scrive Ulderico Munzi cesco Ogliari. Ma solo i 1.100 passeggeri della prima e delle classi speciale e turistica ponel suo libro Il romanzo del Rex (Sperling & Kupfer). «Il fascismo volle inserirlo nella sua tevano contare su una sala da pranzo da 800 liturgia, ma pochi ci credettero». Nemmeno m2, un cine-teatro, negozi, due piscine con quando nel 1933 conquistò il Nastro azzurro, tanto di spiaggia sabbiosa, campi da tennis, bagni turchi, biciclette ...Le cucine potevano strappando ai tedeschi il record della traversata atlantica (4 giorni, 13 ore e 58 minusfornare 9 mila pasti al giorno e 1.500 dolci ti) ed entrando nella leggenda. «La diffeall'ora. E c'era persino l'aria condizionata. renza rispetto ai transatlantici precedenti Il Rex, che faceva la spola tra Genova e era il comfort garantito a tutti, anche agli New York, finì nel mirino della polizia poli860 passeggeri di terza classe» spiega Frantica,che lo riteneva un covo di spie,ma anche

in quello degli espatriati antifascisti. «A New York gruppi di italiani dissidenti erano sempre pronti a organizzare manifestazioni di protesta all'arrivo e alla partenza del Rex» racconta Munzi. Falsi miti. Nel 1940. con l'entrata in guerra dell'Italia, il "levriero dei mari" fu disarmato e ancorato presso Capodistria. Qui fu saccheggiato dai tedeschi dopo 1'8 settembre 1943 e, un anno più tardi, fatto colare a picco dagli aerei alleati. Scompariva così il simbolo del vagheggiato primato italiano. Ma quanto c'era di vero nella tanto sbandierata supremazia tecnica dell'Italia fascista? «I trasporti nel Ventennio conobbero un progresso generalizzato» conclude Ogliari. «Ma non fu certo merito della "ferrea volontà del Duce". Era l'Europa intera, in quegli anni, a vivere un' epoca di grandi innovazioni». -

Ip cerca di clienti? Fatevi pubblicità con le Poste n un'epoca in cui ad avere il telefono Ierano in pochi, il più

!

diffuso mezzo privato di comunicazione continuava a essere la posta, con milioni di cartoline e lettere scambiate ogni anno. Annullo postale. Già ai primi del Novecento ci si era serviti delle macchine bollatrici per comunicare l'apertura delle grandi esposizioni internazionali di Milano, Roma e Torino. Nel

~,

I

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1923 nacque l'idea di vendere lo spazio dell'annullo postale per pubblicizzare aziende private. Iniziato in sordina con pochi clienti e limitato ad alcune grandi città, il fenomeno si svìluppò notevolmente. Sottoposti a migliaia di messaggi, gli itaIiani non poterono piu ignorare l'efficacia delle cure· di SALSOMAGGIORE, la bontà delle sigarette EJA-SAVOIA-EVA,

la resistenza delle TENDE MORETTI. Evoluzione. La forza di questo mezzo di comunicazione, in assenza di altri più potenti ma ancora poco diffusi, come la radio, non sfuggì ai responsabili della propaganda governativa, che l'usarono per diffondere i loro slogan: dal

"Pubblicità postale" del Ventennio. VOTATELA LISTA NAZIONALEagli appelli per la battaglia del grano, dalla campagna per l'uso del chinino alla promozione turistica, fino al famosissimo TACI!OGNINOTIZIA GIOVAAL NEMICOdel periodo bellico. (p. z.)

e soli erano i colori Rossibilidi questo moderno prodotto della nologia: l'uno, raffinato, da tabarin; l'altro,_Riù serio, da ufficio

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il servizio .elefonico era stato ugurato nel 1881, ma i nni successivi erano traall'insegna dell'incertezza, ",~.!.5lldo ora l'orientamento di :-- favorevoli alla sua ge_nr'c-_"lbblica, ora quello di altri amçe=:si- a lasciarne la conduziocrivati. Dopo la riorganiz~ el 1925. che aveva rierritorio nazionale in 5 date ad altrettante con.iI:L::ri-e~e riservato allo Stato ;: telefonica interurbana _~:a.zi·,onale, il servizio mienamente. Non così la sua _iLne:;-- in quegli anni solo un _ 300 poteva vantarsi di _ ..•."__ - •..•ono, che diveune non

solo simbolo di modernità ma anche di un benessere a cui ancora pochi avevano accesso. Pronto signorina? Dal punto di vista tecnico, a metà degli anni Venti fu salutata come una rivoluzione il passaggio dalle centrali manuali a quelle automatiche, che permettevano di fare chiamate urbane senza l'intervento della centralinista. Fiumi di inchiostro si sprecarono per dare l'addio alle amate-odiate "signorine", ritenute causa di ogni disservizio. Le "signorine", invece, non scomparvero affatto e le telefoniste, un giovane esercito femminile sottoposto a rigida disciplina, continuarono a essere

essenziali per la maggior parte dei collegamenti interurbani e per i tanti "servizi speciali" attivati già dalla fine degli anni Venti: chiamando il centralino, in città come Torino e Milano, si poteva chiedere la sveglia, prenotare un taxi. ottenere informaziollÌ sugli spettacoli, sui risultati delle partite, sulle farmacie di turno, sull'orario dei treni ecc. Simbolo d'eleganza. Gli apparecchi telefonici negli uffici,come quei pochi nelle case, erano di norma neri; al cinema, invece, campeggiavano quelli bianchi nelle commedie cosiddette all'ungherese, realizzate in Italia dopo il 1936 per supplire alla carenza di pellicole americane (v. articolo a pag. 97). Nelle commedie nostrane,poi soprannominate "dei telefoni bianchi", la vita rappresentata era quella dell'alta società di un Paese inventato, spesso un'im-

maginaria Ungheria. Splendide contesse, in fruscianti vestaglie di seta, intrecciavano conversazioni e intrighi utilizzando telefoni rigorosamente bianchi. Ma il telefono, che nelle commedie svolgeva, come tuttora, una funzione spesso fondamentale nell'intreccio narrativo. creando occasioni per situazioni equivoche o scambi di persone, era anche fra i "protagonisti" principali di tanti film polizieschi e di genere noir. L'apparecchio telefonico, in definitiva, era molto più presente sugli schermi cinematografici di quanto non lo fosse nella vita quotidiana delle famiglie italiane. Solo alla vigilia della Seconda guerra mondiale fu raggiunto l'obiettivo di un allacciamento telefonico ogni cento abitanti. Un traguardo che nel Mezzogiorno fu toccato soltanto nel 1955. O Chiara Ottaviano

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Una serie di atroci delitti, un clamoroso errore giudiziario, l'Italia

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erBenito Mussolini, quella del1'8maggio 1927 fu una gran bella serata. Era appena stato informato dal capo della polizia che il "mostro di Roma", l'assassino di bambine che da tre anni terrorizzava la capitale, era stato finalmente arrestato. L'indomani tutti i giornali del Regno d'Italia strillarono unanimi la loro soddisfazione e la loro gratitudine al dittatore: «Ancora una volta la volontà del Duce, personalmente e recisamente manifestata, ha trovato tenacie fedeli esecutori [__l DaLgiomo in cui Benito Mussolini, rabbrividendo nelle più profonde fibre del suo tenerissimo cuore di padre disse: "Voglio che l'immondo bruto venga arrestato", tutti ebbero la convinzione assoluta, incrollabile, che il mostro ""

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non sarebbe sfuggito alle maglie della rete, e tutti attesero fiduciosi, senza impazienza, senza commenti, che il comandamento del Duce venisse eseguito». Ma tanta fiducia era malriposta. Quell'arresto non rappresentò la fine di un incubo, ma l'inizio di uno dei più colossali errori giudiziari del nostro Paese, quello di cui rimase vittima un incolpevole mediatore d'affari, Gino Girolimoni. Una brutta primavera. Tutto cominciò a Roma il.Sl marzo 1924quando, dai giardinetti di piazza Cavour, fu rapita una bambina di 7 anni, Emma Giacobini. Fu ritrovata più tardi, in un orto alle pendici di Monte Mario, sconvolta e piangente: qualcuno l'aveva violentata e aveva cercato di strango-

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Colpevole fino a prova contraria Eccocome l'agenzia Stefani, unica e ufficiale fonte d'informazione durante il regime (v. articolo a pago 22), diede la notizia dell'arresto di Gino

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Girolimoni. I passaggievidenziati mettono in luce come la notizia fosse costruita per indurre i lettori a credere nella colpevolezzadel malcapitato.

Roma, 9 maggio - Le incessanti, febbrili indagini per la scoperta degli assassini delle bambine sono state coronate da pieno successl!Dopo una lunga serie di appostamenti.e.osservazioni, l'3ssassino è stato . identificato e arrestato. Egli è il mediatore Girolimoni Gino, nato il L" ottobre 1889 a Roma, dove possiede vari appartamenti. Precedentemente ha dimorato nei distretti di Borgo el:!. Ponte, vale a dire nella zona dei delitti. Procedutosi al suo arresto, l'assassino, sottoposto a stringenti interrogatori, ha mostratsil più ributtante cinismo, negando sempre e rivelando quella audacia e quella scaltrezza che aveva già dimostrato nei suoi orribili delitti; ma contro di lui stanno prove schiaccianti~

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Altro che garantismo Così la Stefani diede il "la" a tutti i giornali: 1. Per prima cosa si "spara" il successo della polizia: mamme e cittadini possono stare tranquilli; 2. Girolimoni è subito definito "assassino", in barba al principio della presunzione .d'ìnnocenza (ogni indagato va ritenuto innocente finché non sia dimostrato il contrario); 3. Aver vissuto nella zona dei delitti (una circostanza casuale) è considerato una prova; 4. Girolimoni non negava per cinismo, ma perché era dawero innocente; 5. Le "prove schiaccianti" si riveleranno inconsistenti.

larla. Le indagini della polizia non portarono a nulla e la pratica fu archiviata. In quei giorni l'Italia si preparava ad andare alle urne, i16 aprile, in un clima di tensione e di allarme. Pochi mesi prima, infatti, la Camera aveva approvato una controversa legge secondo cui la lista che avesse ottenuto il maggior numero di voti si sarebbe vista assegnare automaticamente i due terzi dei seggi in Parlamento. Sembrava una legge fatta apposta per il partito fascista che, arrivato al governo con Benito Mussolini in seguito a una crisi parlamentare, puntava a diventare maggioranza in Parlamento attraverso le elezioni. Utile mostro. Due mesi dopo, il 5 giugno, il cadavere di una bambina di 3 anni, Bianca Carlieri, venne rinvenuto lungo l'erbosa scarpataferroviaria.nei.pressi.della basilica di San Paolo. La piccola era stata violentata e questa volta l'assalitore era riuscito anche a strangolarla. Il caso esplose l'indomani su tutti i giornali e sollevò un'ondata di indignazione in tutto il Paese. I funerali

storia di Giroli _

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DORO il 1933 Rer insegnare nelle scuole, lavorare alle Poste e Rersino Rer diventare giudici bisognava essere iscritti al Rartito che seguirono trascinarono in strada una folla immensa. Per una settimana la stampa gonfiò la vicenda con titoli a effetto. Tutto questo, però, ottenne anche il risultato di far passare in secondo piano il dibattito acceso dalla denuncia fatta in Parlamento, il30 maggio, dal deputato socialista Giacomo Matteotti: le elezioni di aprile, vinte come previsto dal partito fascista, non erano state libere ma si erano svolte in un clima di violenza e di palese illegalità. Le intimidazioni dei fascisti, che avevano impedito ai partiti d'opposizione di tenere comizi, e le irregolarità registrate durante le votazioni rendevano nulla la consultazione, che pertanto doveva essere invalidata. I giornali già "inseriti" nel sistema diedero poco spaIl duce disse: zio alle denunce di Matteotti. sfruttando invece fatelo tacere la morte di Bianca CarIl deputato lieri da un lato per disocialista strarre l'attenzione del Giacomo pubblico e dall'altro per Matteotti Un alimentarne il desiderio alto) e Amerigo Dumini, capo dei di vendetta e di ordine. Fu il Mondo, un quotisuoi assassini. diano d'opposizione, a far sparire il "delitto della Biocchetta" dalle prime pagine, quando il 13 giugno uscì con un titolo a caratteri cubitali: «L'on. Giacomo Matteotti misteriosamente sparito». Sequestrato. el pomeriggio della giugno, intorno alle 16, alcuni ragazzi che gio-

cavano in strada e altre persone attirate dalle grida avevano assistito al rapimento di Matteotti sullungotevere Arnaldo da Brescia. il 12 giugno Mussolini si presentò alle camere, per assicurare che sarebbe stato fatto tutto il possibile per ritrovare Matteotti, ma mentre parlava non riusciva a nascondere l'imbarazzo. Come si sarebbe poi accertato, sapeva benissimo che Matteotti era stato rapito e ucciso da una banda di fascisti capitanati da Amerigo Dumini, uno squadrista stipendiato dalla presidenza del Consiglio.L'auto su cui era stato caricato a forza il deputato socialista risulterà addirittura appartenere a Filippo Filippelli, direttore del Giornale Italiano,fiancheggiatore del regime. Senza ritorno. Il cadavere di Matteotti fu ritrovato solo il 16 azosto. Nonostante la forte emozione suscitata da quel corpo vilipeso,il duce rimase in sella. L'inerzia delle opposizioni permise infatti a Mussolini di organizzarsi e di riprendere saldamente in mano il potere. Intanto,il mostro tornava a colpire. I! 25 novembre 1924,in località Balduina, allora aperta campagna, fu trovata, orribilmente seviziata e uccisa, un'altra bambina, Rosina Pelli, di 2 anni. Le indagini nemmeno questa volta portarono a risultati concreti e i giornali se la presero con le forze dell'ordine: «La verità» scrissela Voce Repubblicana «è che [...]la polizia ha centinaia e centinaia di cittadini da sorvegliare, e non può correre dietro ai delinquenti». Era l'ultima volta che qualcuno criticava l'operato del regime. Passate le feste, Mussolini gettò la maschera, si assunse la responsabilità politica della morte di Matteotti e instaurò la dittatura. Ai giornali, per co-

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minciare, fu subito vietato di dare spazio la cronaca nera. Ma non basta tappare bocca alle cattive notizie per eliminare Male. E il 30 maggio di quel 1925,Anno to,il Male tornò a colpire.Questa volta la , .

Qui riposa Rosina La tomba di Rosina Pelli, una delle piccole vittime, al cimitero romano del Verano. La sua morte e quella delle altre bambine furono inizialmente sfruttate dal fascismo per far crescere il desiderio di "ordine". Poi tutto venne messo a tacere, fino all'arresto del presunto . assassino. Nel particolare a sinistra, la lapide posta dalla regina Elena.

Cheta la polizia? Sotto, un titolo della Tribuna del 6 giugno 1924. In tre anni furono seguite molte piste, ma senza risultato.

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rima fu Elisa Berni, una bimba di 4 anni, rizrovata sul greto del Tevere, a due passi dal ~aticano, anche lei seviziata e strangolata. Suigiornali non comparve quasi nulla. Censurate. Seguirono due tentativi falli'. il 26 agosto 1925 fu rapita dalla sua culla Celeste Tagliaferri, di 18 mesi. L'assassino la _ rtò dall'altra parte di Roma, sulla via Tuseolana, dove fu ritrovata seminuda e sanguinante, ma viva. La stessa cosa si ripeté il febbraio 1926,quando il mostro riuscì ad , escare Elvira Colletti, 6 anni: la violentò _ greto del Tevere e poi si allontanò, laiandola viva. Di questi fatti sui giornali non uscì nulla e 7€I un bel pezzo ai romani sembrò davvero e i delitti sulle bambine fossero finiti. Ma , non era: il mostro tornò a colpire un'ula volta, il 12 marzo 1927,quando seviziò cciseArrnanda Leonardi, di 5 anni. Anche se aveva messo il bavaglio ai gior" Mussolini vedeva il rischio che questi - litti rappresentavano per il regime: per te promesse facesse,infatti, l'ordine non

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regnava affatto. Bisognava trovare il mostro a ogni costo.La città fu passata al setaccio da centinaia di poliziotti, che fermavano ogni vagabondo e ogni ubriacone, inutilmente. Fu solo quando il padrone di una locanda e i suoi tre dipendenti dissero di aver visto un uomo insieme ad Armanda Leonardi nel 10-

ro locale la sera del delitto, che S1 penso di avere finalmente trovato la pista giusta. Si fece poi avanti un ingegnere, che aveva notato come un suo dirimpettaio, Gino Girolimoni, sembrava avvicinare con fare misterioso la sua domestica, Olga, di 12 anni. L'uomo fu subito messo sotto sorveglianza, e la prima volta che tentò di parlare con 01- ~

Se ci fosse stata la scientifica, forse lo avrebbero preso lprimo "gabinetto di poliIistituito zia scientifica" italiano fu a Napoli nel 1892, su iniziativa dell'antropologo Abele De Blasio. E il primo corso universitario di "Polizia scientifica", tenuto da Salvatore Ottolenghi, risale al 1896 (ma divenne obbligatorio per le forze dell'ordine dal 1903). Ritratto parlato. A quei tempi, lo strumento principale della polizia scientifica

era il bertillonage o "ritratto parlato", metodo ideato da Alphonse Bertillon per descrivere un individuo: l'antenato dell'identikit. Il sistema costituiva un notevole progresso nel riconoscimento delle persone ricercate, basato prima di allora su vaghe o generiche descrizioni. La tecnica prevedeva di definire gli elementi del viso, la statura, la corporatura, il porta-

mento, l'aspetto generale, il linguaggio, gli abiti e i segni particolari. Senza impronte. Solo più avanti sarebbe stata aggiunta a questi elementi anche la raccolta delle impronte digitali. Una tecnica che, se fosse stata impiegata nel caso del "mostro di Roma", forse avrebbe potuto scagionare subito Girolimoni e portare alla cattura del vero assassino.

Focus Storia 41

L'uomo dietro lo Stato di polizia o Stato di polizia L che fu l'ltalìa fascista ebbe un

Rovinato dalla sua disawentura, Gino Girolimoni non riuscì mai a riabilitarsi. Morì in ,miseria a 72 anni, nel 1961 ga fu ammanettato e portato direttamente in galera. Pro\le inconsistenti. Girolimoni era un procacciatore di affari legali, guadagnava abbastanza bene. viveva da solo e girava con una Peugeot verde. Tutti lo conoscevano nel quartiere come "il sor Gino", imbattibile dongiovanni. In carcere, però, Girolimoni si proclamò innocente. Gli indizi contro di lui erano piuttosto vaghi, ma dopo il suo arresto i delitti si fermarono e questo sembrò bastare. Sui giornali si chiedeva a gran voce la fucilazione del mostro. L'innocente Girolirnoni si dibatté nella morsa delle false accuse per 11 mesi e fu so-

lo grazie all'impegno e alla serietà di un magistrato, Rosario Marciano, che la sua situazione si ribaltò. Prima, infatti, si scoprì che l'uomo visto nella locanda era un operaio veneto, entrato con la figlia a bere un bicchiere di vino;poi si venne a sapere che l'ingegnere che aveva denunciato Girolimoni lo aveva fatto per una questione di "corna": non era alla servetta che il giovanotto prestava le sue attenzioni, ma alla moglie dell'ingegnere. Alla fine si dimostrò addirittura che, il giorno dell'ultimo delitto, Girolimoni era fuori Roma, ospite di un amico prete. L'8 marzo 1928 Girolirnoni fu assolto con formula piena dalla Corte d'Assise. La notizia passò invisibile sui giornali; solo sulla Tribuna dellO marzo. tra le "brevi di cronaca" in quarta pagina é senza titolo, si leggeva che Girolirnoni era stato scarcerato. Un reverendo sospetto. Quanto al vero colpevole, un commissario di polizia che seguì il caso - Giuseppe Dosi - si convinse che questi fosse il reverendo canadese Ralph Lionel Brydges, pastore della Chiesa anglicana a Roma. Brydges era stato sorpreso a Capri mentre molestava una bambina e Dosi, sulla base di una serie di labili indizi, arrivò a ritenerlo responsabile anche dei delitti di Roma. Il reverendo fu arrestato e sottoposto a perizia psichiatrica, ma fu giudicato affetto da demenza senile e assolto dalla Corte d'Assise, Il vero mostro rimase ignoto, Forse era qualcuno che conosceva molto bene le

padre riconosciuto: Alfredo Rocco ffoto), giurista e ministro di Grazia e Giustizia dal 1925 al 1932. Fuluia fornire a Mussolini gli strumenti della dittatura, dalle leggi che aumentavano i poteri del capo del governo il dei prefetti all'istituzione del Iribunale speciale. E reato! Quest'ultimo, usato a fini di repressione politica, tra il 1927 e il 1943 condannò per reati contro lo Stato 4.596 persone, per un totale di 27.735 anni di carcere e 42 sentenze di morte (31 delle quali eseguite). Si poteva finire dietro le sbarre anche solo per una parola sbagliata, come accadde alla

casalinga Ersilia Palpacelli, condannata a 2 anni e 8 mesi questa frase: pigliasse un al podestà e al duce», Riabilitato? Alfredo Rocco dobbiamo però anche il nostro codice penale, detto appunto "codice Rocco introdotto nel 1930 e in parte ancora in vigo E oggi molti ne rivalutano le studioso del Tanto che un antifascista c l'ex presidente della Corte c zionale Giuli Vassalli lo ha definito di r «un giurista e politico aute Nonostante p Rocco avesse riportato in I la pena di mo -~ Aldo

vittime. visto che almeno tre delle b ~ erano imparentate tra di loro. Quanto al povero Girolimoni, inosservata la sua assoluzione, trascro" resto della vita come un miserabile. nandosi da un'osteria all'altra. Con q ~ me, divenuto sinonimo di depravazio suno voleva più avere nulla a che fa:spiegabilmente, la sua domanda di car;:J:Wt1 cognome venne respinta, né gli fu mai cesso alcun indennizzo. Marchio d'infamia. Ancora alla del fascismo, nella primavera del '4:_ cuno si ricordava di lui. Quando il 29 corpi di Mussolini, della sua compag retta Petacci e di alcuni gerarchi f rono appesi per i piedi a un traliccio' zale Loreto, a Milano, ce n'era uno ; suno seppe riconoscere. Per non lasci nominato, qualcuno scrisse,accanto al_ dal quale pendeva, un nome che an ceva paura: "Girolimoni", Massimo P,

SAPERNE DI PiÙ Storie che più nere non si p Cronaca nera: indagine sui de hanno sconvolto l'Italia, Massimo (Piemme, in uscita a settembre).

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li italiani vivevano dawero Riù sicuri durante il Ventennio? co i dati reali sui delitti e i furti. E il caso dei suicidi nascosti

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i poteva lasciare la porta di casa aperta. I furti, le aggressioni, gli omicidi erano rari. Persino la mafia era sotto controllo. I suicidi poi non vano, in una società sana e ottimista. Di cosa stiamo parlando? Di alcuni lati po--i degli anni del fascismo,oppure di luoghi uni costruiti ad arte?

Solo buone notizie. «La risposta emerge abbastanza chiara considerando le leggi speciali sulla stampa. Volute da Mussolini a partire dal 1926, imponevano di parlare il meno possibile di cronaca nera» spiega Enzo Magri, docente alla Scuola di giornalismo di Milano. «Venivano diffuse istruzioni dettagliate ai giornali da parte di un regime che

aveva come capo un giornalista: ex direttore del quotidiano l'Avanti, fondatore de Il Popolo d'Italia e poi "editore" di una radio, quella rurale, che puntava a raggiungere tutti gli italiani». Benito Mussolini voleva insomma trasmettere l'immagine di una società pulita, laboriosa, felicemente nazionalista. «Le notizie di suicidi, per esempio» continua Magri «andavano date con il minimo spazio possibile, e questi dovevano sempre essere descritti come incidenti: un proiettile era partito per sbaglio mentre si stava pulendo un'arma, un piede in fallo o un giramento di testa avevano fatto precipitare da un ponte o da un balcone uno sfortunato italiano, magari un fascista modello». Se poi si trattava di qualche reietto. come il noto editore ebreo Angelo Fortunato Formiggini, gettatosi dalla torre della Ghirlandina a Bologna, nel novembre del 1938,dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali, la notizia non veniva nemmeno data. Insabbiatori. La cronaca nera era tabù. E se un fatto non veniva divulgato dalla stampa, era come se non fosse mai avvenuto. Diceva per esempio una "velina" (v. riquadro ~

Calma apparente Due attrici posano accanto a un vigile urbano a Roma, nel 1934.

Attraverso la censura il fascismo cercò di imporre l'immagine di una nazione sicura e felice, senza criminali.

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Fra il 1931 e il 1940 nelle carceri italiane erano rinchiusi in media ~ a pag. 28) del 29 agosto 1942 destinata ai direttori di tutti i giornali: "Si ricorda che i furti fanno parte della cronaca nera, che deve essere limitatissima e pubblicata, anche nei casi di maggior mole, con nessun rilievo". Nello stesso periodo, un'altra nota richiamava all'ordine: "Si ricorda che le notizie relative ai suicidi sono abolite da un pezzo sui nostri giornali e non devono riaffiorare neppure in forma velata". Buon vicinato. Ma qual era allora la situazione reale della criminalità comune sotto il fascismo? «La società contadina dell'e-

poca, grazie al controllo sociale garantito dalla famiglia allargata (e dai vicini di casa) consentiva effettivamente in molti casi di tenere aperte le porte delle abitazioni. Ma ciò avveniva in quegli anni anche nelle democrazie,dove un'urbanizzazione ancora limitata e la vita nelle campagne assicuravano una convivenza civile rispettosa» spiega Magri. «In più, le guerre coloniali permettevano di avere in patria qualche testa calda in meno». Nonostante ciò, le statistiche (v. riquadro a destra) non indicano affatto che la criminalità fosse inferiore durante il fascismo ri-

spetto al dopoguerra. Inoltre, la pace s "beneficiava" di alcune leggi speciali izcompatibili con la democrazia e poco guardose dei diritti personali. L'istituzi dal 1928 del confino di polizia, per ese permetteva, a discrezione dei prefetti, lo dicamento dal loro ambiente di semplici spettati. E ciò preveniva episodi di crimirzlità. Dopo i tre attentati al duce negli am Venti, fu inoltre ripristinata la pena di m (che era stata abolita alla fine dell'Ottocerto dal governo Crispi). Nel 1928, di conseguenza, venne fucilato Michele Della M~

249.056 detenuti. Fra il 1951 e il 1960 erano scesia 90.059 giora, un disoccupato che aveva ucciso due fascisti del suo paese, Ponte Buggianese (Pistoia). Nel 1931 vennero invece condannati alla pena capitale due anarchici, Michele Schirru e Angelo Sbardellotto, accusati di aver manifestato l'intenzione (ma solo quel-la) di attentare alla-vita di-Musselini. Guerra antimafia. Incontestabile è invece l'aperta conflittualità fra il fascismo e la mafia. La concorrenza ai poteri dello Stato era inammissibile per il regime. TI22 ottobre del 1925 si insediò a Palermo il prefetto Cesare Mori, poi soprannominato il "prefetto di

ferro", che ricorrendo a metodi da esercito d'occupazione stanò e catturò più mafiosi nel solo 1927 che in tutti gli altri anni della storia d'Italia. Christopher Duggan, nel suo libro La mafia durante il fascismo (Rubbettino), racconta di saccheggi, violenze sulla -popolaziene-prese di ostaggi,fra cui donne-e-bambini: tutti metodi usati dagli uomini del "prefetto di ferro" per averla vinta sulla mafia. In quel clima, molti mafiosi si rifugiarono negli Stati Uniti, dove ingrossarono le file di Cosa Nostra. I pessimi rapporti fra mafia e potere fascista furono all'origine dei movimenti indipendentisti della Sicilia e anche dell'appoggio fornito dalla mafia agli Alleati durante la lr maggio 1928, Seconda guerra in occasione della mondiale. Lefesta dei lavoratori, gami che proa Chiavenna le acque seguirono nel del fiume Mera si dopoguerra, cotinsero di rosso. la me dimostra la beffa, nonostante la strage di Portelcittadina fosse stata sorvegliata per l'intera la delle Ginenotte dalla milizia, stre (Palermo), riuscì pienamente. dove il1 o magI sospetti caddero sul gio 1947 i bracfarmacista e su alcuni cianti riuniti per elementi "di sinistra", la festa dei lainviati al confino. voratori furono • presi a fucilate (11 morti e 65 feriti) dai banditi di Salvatore Giuliano, alleato della Cia e dei poteri occulti. O Franco Capone

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La vita era Riù cara di oggi e mettere da Rarte Qualcosadifficile.

A conti atti ••• U

na lira e 60 centesimi per un chilo di pane o di mele (v. tabella di conversione in euro a pag. 50). Due lire per la stessa quantità di riso. Molto più alto il prezzo della "fettina", quasi 9 lire al kg. Meglio due uova, 45 centesimi l'una, e un bel piatto di pasta al sugo: con poco più di una lira e mezza si portavano a casa 5 etti di salsa di pomodoro. Erano questi i prezzi con i qualici si confrontava a metà degli Anni '30.A fine mese, tra pane, pasta, riso, uova, un poco di carne e molta verdura, se n'andava la metà dello stipendio medio di un impiegato (oggi la voce "alimentari" incide sul bilancio famigliare per circa il 20% ). Ora d'aria. Andare a fare la spesa era uno dei compiti più ambiti dalle "servette", che potevano così distrarsi qualche ora dai mestieri di casa. A quell'epoca anche le famiglie piccoloborghesipotevano permettersi una cameriera. In genere le domestiche si accontentavano di 70-80 lire al mese, oltre al vitto e all'alloggio, e di un giorno di libertà ogni quindici. La fuliggine da togliere in cucina, la biancheria da lavare al lavatoio pubblico, il parquet del salotto da tirare a lucido con "olio di gomito", rendevano il loro aiuto prezioso. Di solito provenivano da qualche paese di montagna. I loro parenti, più che della retribuzione, si preoccupavano di collocarle in famiglie di provata moralità. Per questo rinunciavano a sistemarle in fabbrica, dove avrebbero guadagnato di più. Ma per le servette più in gamba, non mancavano le occasioni di arrotondare facendo la "cresta" sulla spesa, dopo aver spuntato uno sconto maggiore con il negoziante di fiducia o aver trovato la stessa merce su qualche bancarella. Anche se per le statistiche il 92 % del volume di vendite era in mano ai "commercianti stabili". esisteva in realtà un sottobosco inestricabile di ambulanti e abusivi. A Torino c'erano 3.600 bancarelle contro 2 mila negozi. A Napoli 1.060 negozianti e un numero tale di ambulanti che era impossibile censirli.

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Pane e fichi. D'altronde c'era poco da scialare. «Quando poteva, mia mamma mi dava 5 o 10 centesimi per comperare un panino e un fico secco per fare merenda a scuola» ricorda Ivone Sandano. 77 anni. Ma ai bambini si insegnava anche 'ilpotere nutriti-

vo dei torsoli. E la rivista dell'Ente nazi nale italiano per l'organizzazione scientifi del lavoro, nato nel 1925,pubblicava suggerimenti spiccioli per il risparmio domesti le bucce di frutta erano ugualmente co gliate come sbiancanti per il lavandino o -

lavoro ci furono anche Rrogressi sociali

Quando c'era la lira

Dieci centesimi di ~dolci Sopra, una pasticceria durante le feste pasquali. Solo la domenica o per le feste si compravano beni "voluttuari".

me aromatizzanti per i dolci, e il sughero dei tappi, dopo un procedimento alquanto machinoso, poteva ben sostituire il cuoio. Risparmi. Mettere via due lire non era facile. Ma chi ci riusciva investiva i propri risparmi in Buoni del Tesoro ("la rendita". ome venivano anche chiamati), in obbligazioni sicure (tipo Ina, Imi o Iri, v. riquadro a pag. 48) o in alcune - selezionate - azioni come Bastogi, Edison e società elettriche

Un mercato a Milano, all'inizio degli Anni '30. I conti si facevano a mano: le calcolatrici (sopra) erano solo negli uffici.

Freschi di stampa Sotto, biglietti di cartamoneta "fior di stampa" (cioè mai usati) del Ventennio. Fanno tutti parte della collezione Gaglio.

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~ in genere). Per i contadini c'erano i libretti delle Casse di Risparmio ma, più frequentemente, ci si accontentava di un nascondiglio sicuro. «Mia madre, quando riusciva a risparmiare qualcosa, metteva i soldi in un fazzoletto sotto il materasso» conferma Anna Maria Manghi, classe 1933. Superministro. Eppure, prima dell'avvento del fascismo, le cose andavano anche peggio: «La "fortuna" di Mussolini» dice Edoardo Borruso, docente di Storia economica all'Università Bocconi «fu di salire al potere nel momento in cui l'economia nazionale si stava riprendendo dopo la profonda crisi successiva alla Prima guerra mondiale». Nel '24 il "superministro" economico Alberto De Stefani, a capo sia delle Finanze che del Tesoro, riportò il bilancio dello Stato in pareggio, grazie a un taglio della spesa pubblica senza eguali nella storia del nostro Paese e all'idea di spingere le imprese a reinvestire i capitali (sostanzialmente emettendo pochissimi titoli di Stato). «Quella manovra fu uno dei fiori all'occhiello del fascismo», che invece in altre occasioni falli nei propri piani (v. riquadro a destra). In campo pensionistico e assicurativo ci fu un notevole progresso con la costituzione dei vari "Istituti nazionali fascisti": della previdenza sociale (Infps), per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Infail) e per l'assicurazione contro le malattie (Infam); che nel dopoguerra, perduto dal nome l'attributo "fascista", diventarono i noti Inps, Inail e Inam. «Aumentarono anche le tutele economiche a favore dei lavoratori» aggiunge Borruso. «Tra queste la cassa integrazione, gli assegni famigliari, la gratifica natalizia, la liquidazione, l'aumento dell'indennità di disoccupazione. Per non parlare della rivoluzionaria legge sulla tutela della maternità delle lavoratrici» che sanciva il diritto alla conservazione del posto di lavoro e prevedeva un periodo di "licenza" prima e dopo il parto, nonché permessi obbligatori per l'allattamento. Comodità. La costituzione di uno Stato assistenzialista,al di là della propaganda, fornì una base solida per lo sviluppo degli anni a venire, mettendo ordine nel marasma precedente l'epoca fascista. Alla sua origine ci furono due motivazioni diverse: da una parte un sincero desiderio di migliorare le condizioni di vita delle classi più umili, dall'altra l'intuizione che l'assistenzialismo potesse essere un formidabile strumento di controllo delle masse. È comunque un fatto che il 16 luglio 1937il duce scrivesse così al prefetto di Torino: «Comunichi al senatore Agnelli che nei nuovi stabilimenti Fiat devono esserci comodi e decorosi refettori per gli operai. ~ Focus Storia 48

Abbiamo chiesto a Edoardo Borruso, docente di Storia economica all'Università Bocconi di Milano, un giudizio (in corsivo) sulle principali manovre economiche dell'epoca fascista.

• Accordi sul debito di guerra

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•Battaglia del grano 1925

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Tra l'estate e l'autunno del 1925 il ministro delle Finanze Giuseppe Volpi ottenne da Stati Uniti e Inghilterra la rateizzazione in 25 anni del debito contratto dall'Italia per finanziare il conflitto mondiale. Gli americani, in particolare, fecero grandi sconti.

Dal si combatté la stagnazione agricola con dazi sull'importazione del grano, incoraggiando così la produzione nazionale. Aumentarono le coltivazioni di frumento ma altre, più produttive o competitive a livello internazionale, diminuirono.

Fu una manovra positiva per l'economia. Conquesta vertenza risolta, vennero attratti ingenti capitali per sistemare finanziariamente le grandi imprese.

Pur migliorando la bilancia alimentare nazionale, peggiorò le condizioni dell'agricoltura italiana. Inoltre, incentivando questo settore, si rallentò lo sviluppo industriale, bisognoso di manodopera. ,-.., • Bonifica integrale r,yo'(~ La politica agraria fascista disegnò un piano

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• Ura a "quota 90" vo'( .

Per stabilizzare il valore della lira sui mercati internazionali, in particolare nei confronti della moneta inglese, Mussolini impose tra il 1926 e il 1927 una drastica riduzione dei prezzi e dei salari, fino a riportare il cambio con la sterlina da 153-156 lire a 90 lire, cioè ai livelli del 1922 (anno in cui aveva preso il potere).

La manovra bloccò l'espansione del ciclo economico: produzione ed esportazioni diminuirono, e i salari scesero più di quanto fosse calato il costo della vita. Ma fu una delle condizioni necessarieper attrarre i capitali stranieri, più propensi a investire in Paesi con una moneta stabile.

organico di bonifica delle aree paludose che prevedeva l'utilizzazione delle acque per l'irrigazione e la produzione di energia elettrica, la costruzione di strade per collegare i territori bonificati con i vicini centri abitati e l'utilizzazione dei canali per la navigazione interna.

Non raggiunsegli obiettivi fissati. Buoni risultati si ebbero nella valle del Volturno e nell'Agro pontino. Ma presto le opere di trasformazione fondiaria furono private dei finanziamenti, che vennerodestinati alle necessità militari. Così la bonifica restò

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Avanguardia di campagna Avanguardisti rurali nelle campagne dell'Agro pontino, nel 1932. La "batta~lia del grano" fu lanciata nel 1925, ma si rivelo controproducente.

Occhio alle code! A destra, cartoline diffuse tra contadini e allevatori dalle Casse mutue infortuni agricoli nel 1935. Dovevano servire a prevenire gli incidenti sul lavoro.

parziale. Molti dei miglioramenti ottenuti, inoltre, andarono perduti per incuria. • Riforma industriale-bancarla ~~ Tre banche - Comit, Banco di Roma e Credit - finanziavano tutte le grandi imprese del periodo. Ma per evitare che dopo la grave crisi mondiale del '29 queste fallissero per l'impossibilità di recuperare i crediti, nel 193110 Stato creò l'lmi (Istituto mobiliare italiano) con il compito di sostenere le industrie in difficoltà al posto delle banche. el 1933 nacque anche l'lri (Istituto per la ricostruzione industriale) con lo scopo di accollarsi le quote azionarie delle grandi - prese in perdita per poi risanarle. Là riforma risolse il punto debole italiano del rapporto banca-impresa e fornì una base duratura per la crescita del sistema - ustriale nazionale. L'lmi soprawiverà o al 199B, fondendosi poi con l'Istituto bancario San Paolo, l'lri fino al 2004.

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Corporativismo averso il corporativismo il fascismo eò una terza via tra capitalismo liberista, poneva al suo centro l'individuo, e socialismo marxista, che metteva al centro lotta di classe. Questa politica prevedeva collaborazione obbligata tra le diverse i sociali, nel superiore interesse dello to (una delle conseguenze fu il divieto di

sciopero e di serrata). I principi del corporativismo vennero istituzionalizzati con la creazione delle corporazioni (1934), che raggruppavano nelle diverse categorie sia imprenditori che lavoratori, e avevano il compito di guidare la vita produttiva e risolvere pacìflcamente i conflitti sociali. Il corporativismo non riuscì a realizzarsi a pieno in quanto non fu mai un reale strumento di organizzazione della società: gli enti creati dal regime, eccessivamente burocratizzati e poco efficienti, ebbero uno scarso impatto pratico.

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• Autarchia La politica autarchica degli Anni '30, che aveva come obiettivo il raggiungimento dell'indipendenza economica del Paese, consisteva nel consumare solo prodotti nazionali. Con tali stimoli l'industria manifatturiera italiana crebbe tra il 1934 e il 1937 a un tasso medio annuo del 7,5%. Fu una politica velleitaria, per un Paese privo di materie prime come il nostro, ma migliorò la bilancia dei pagamenti e favorì i grandi gruppi industriali italiani: nella chimica la Montecatini, la Pirelli nella gomma, la Hat per la meccanica.

BANCA VOGHERESE VOGHERA

Dati principali desuntì dalla Situaz. al31 Dicembre 1931 llcis:.ù!! u;::ukSolwk

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Sopra, il manifesto pubblicitario di una banca di Voghera nel 1933.

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I prezzi medi nel 1934 (tra parentesi l'equivalente in euro considerata la rivalutazione)

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] Affitto di una casa borghese da 200 a 300 lire al mese (€ 150-225) ] Serv.da toeletta (brocca,catino, orinale) da 60 a 250 lire (€ 45-185) ] Scaldabagno e vasca in ghisa 1.300 lire (€965)

] Farina di mais 1,2 lire al kg (€0,9) ] Pane 1,6 lire al kg (€ 1,2) ] Pasta 3 lire al kg (€2,2) CJ Riso 2 lire al kg (€ 1,5) ] Latte 1,2 lire al litro (€0,9) ] Burro 1 lira all'etto (€0,7) ] Zucchero 6,5 lire al kg (€4,8) ] Filetto di manzo 17 lire al kg (€12,6) ] Carne di maiale da 10 a 13 lire al kg (€ 7,4-9, 7) O Trippa e coniglio 5 lire al kg (€ 3, 7) Cl Merluzzo secco 2,5 lire al kg (€ 1,9) :I Tonno sott'olio 14 lire al kg (€ 10,4) ] Cipolle 0,8 lire al kg (€0,6) :I Fagioli e lenticchie 3 lire al kg (€2,2) :I Patate 0,7 lire al kg (€0,5) :I Vino da pasto 1,8 lire al litro (€ 1,3) Cl Caffè tostato in grani 3,2 lire all'etto (€2,4) Cl Caffè surrogato (cicoria) 1,5 lire all'etto (€ 1,1)

Nel 1940,_Rerrifornire di ferro l'industria bellica, si arrivò a seçJuestrare le Rentole ~ Gli dica che l'operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista. Aggiunga che l'uomo non è una macchina adibita a un'altra macchina». Mille lire al mese. Ma quanto guadagnava un operaio? Nel 1935 il suo salario medio era di 500 lire mensili, l'equivalente, oggi, di 360 euro. Sempre meglio delle 9 lire al giorno (6,4 euro) di un bracciante agricolo,che però spesso riceveva anche una razione di pane e di vino. Un impiegas to di buon livello, a fi-~""'--.= "'''. ne mese poteva contare in busta paga 850 ••.- ~ ~ lire; le "mille lire al :.__~-:.--.:::.-='-.,mese" della nota canzone erano il traguardo di un funzioP,l.RTt1"O

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] Camicia da uomo da 30 lire, in satin, a 95, in seta (€22-71) ] Abito da uomo invernale 235 lire (€175) ] Corsetto con reggipetto di fine pizzo 100 lire (€74) ] Mutandine con reggicalze unito da 40 lire in su (€30) ] Scarpe in cuoio o vacchetta da 15 a 50 lire (€ 11-37) ] Cappellino da 15 a 70 lire (€ 11-52)

.. Libri da 2 a 5 lire (€ 1,5-3,7) Quotidiani 0,3 lire (€O,2) Biglietto del cinema 1,5 lire (€ 1,1) Edizione in 19 dischi dell'''Aida'' 610 lire (€ 453)

Focus Storia 50

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Il prezzo dell'impero A destra, l'oro raccolto a Milano nel '35 dopo l'appello di Mussolini a donare le fedi alla patria per far fronte alla guerra d'Etiopia. Sopra, una ricevuta.

nario di livello direttiva. Solo generali e professori universitari raggiungevano la cifra quasi astronomica di 3 mila lire (2.250 euro). La sproporzione numerica tra operai e colletti bianchi era abissale. La fabbrica di cicli e motocicli Bianchi di Milano contava 1.400 operai e solo 10 impiegati, di cui nessuno laureato. Nelle piccole e medie imprese il rapporto fra operai e impiegati era in media di 50 a 1.In tutta Italia i dirigenti qualificati erano solo qualche migliaio, occupati quasi esclusivamente nella grande industria. Sul lavoro non si tolleravano errori: bastava non accorgersi di una voce errata in una fattura per rischiare il licenziamento o giocarsi la carriera. Anche un ritardo era imperdonabile agli occhi dei direttori del personale, spesso ex-militari. I dipendenti pote-

vano essere perquisiti all'uscita dalla ditta, e non di rado venivano controllati anche i cassetti e i cestini della carta straccia, con buona pace della privacy.In piena Seconda guerra mondiale le fabbriche furono militarizzate, e anche le questioni disciplinari aziendali divennero competenza dei tribunali militari: per un'assenza ingiustificata si poteva finire in carcere per 6 mesi. Ma la fedeltà alla propria ditta rimase sempre fuori discussione. Cambiare lavoro impensabile. Solo i disoccupati rispondevano agli annunci economici. Gli altri li leggevano, ma non osavano di più. Occhio alla bolletta. Con quegli stipendi, anche servizi di cui oggi dispongono tutti in abbondanza. come la corrente elettrica, erano un privilegio. «In casa mia le lampadine erano da 40 watt» ricorda Angelo Limido,93 anni «ma se si accendeva quella della camera da letto, la luce spariva in cucina. lo per leggere usavo la candela». li ferro da stiro consumava una follia. Qualche ora di troppo con la stufetta a riflessione accesa e il ri-

sparmio mensile andava in fumo. L'ondulacapelli e il bollitore elettrici erano "vizi" per le famiglie dei pochi impiegati di livello. Qualche lusso si cominciava però a vedere. Fra il 1922 e il 1926 il numero di auto in circolazione passò da 40 a 100 mila. Certo non tutti potevano permettersela: nel 1932la Fiat Balilla, pubblicizzata come "auto per il popolo", costava di fatto circa lO mila lire, dieci mesi di stipendio di un dirigente. Quasi un miraggio era l'Augusta della Lancia,

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per la quale si doveva spendere praticamente il doppio. Più a portata di mano la prima utilitaria italiana, la Topolino: 8.600 lire nel '36 (6.400 euro di oggi). Le donne, dal canto loro, non rinunciarono a belletti e profumi, nonostante i prezzi. La "dotazione" minima richiedeva circa 50 lire (35 euro): 15per il rossetto,25 per la scatola di cipria e 8 per il rosso compresso per le guance, quello che oggi chiameremmo fard. O Isabella Ruschena

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E dalla risRosta alle sanzioni economiche internazionali nac~uero...

Lanital e Vinidur rrangiarsi. Un'arte molto italiana, che raggiunse il suo apice nell'era fascista, quando diventò una direttiva di regime sotto il nome di "autarchia". Questo termine deriva dal greco autarkeia, che significa "bastare a sesteso". L'autarchia fascista portò all'estremo il tentativo di affrancare l'Italia dalla dipendenza dalle importazioni, mirando a far sì che il Paese si sostenesse completamente o quasi con le proprie risorse interne. li periodo autarchico iniziò ufficialmente nel marzo del 1936,in risposta alle sanzioni he la Società delle Nazioni (che poi diventerà l'Onu) aveva imposto pochi mesi prima all'Italia, accusata di aver aggredito l'Etiopia v.articolo a pag.114). Le sanzioni furono ritirate nel luglio dello stesso anno, ma la politica autarchica proseguì anche in seguito. Alimenti surrogati. Sulle tavole degli iraliani il caffè fu sostituito da ~ di OIZO o cicoria, il tè dal carcadè, mentre il regime consigliavadi lavare i piatti con l'acqua ~ella pasta e sosteneva la campagna con

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slogan come «L'appetito è il miglior condimento», «Ne uccide più la gola che la spada» e «Gli obesi sono infelici». Il prefisso o il suffisso "ital" iniziarono a identificare i prodotti frutto delle risorse nazionali: nelle minestre, quindi, niente dado, ma ltaldado. Per contro, quando si riusciva a offrire qualcosa di originale si prese l'abitudine di raddoppiarne il nome: carne-carne, caffè-caffè. Per limitare le importazioni di frumento, il regime scoraggiò il consumo di pasta in fa-

vore del riso, che l'Italia aveva in abbondanza. La salsa rubra (la versione italiana del ketchup) affiancò l'olio e il burro come condimento. Scarpe sciolte. La gente cominciò a vestirsi con illanital, una fibra tessile artificiale,simile alla lana, ricavata dalla caseina del latte, e di vermene, un tessuto ottenuto dai rametti delle ginestre. Dalla canapa si poteva poi ricavare il cafioc, un surrogato del cotone. Le pellicce di animali esotici furono ~

IN QUESTO NEGOZIO ~ VENDO

a SOLTANTO PRODOTTI ITAliANI

L'alluminio divenne il metallo nazionale", impiegato al Rosto del rame come conduttore, del fer'ro nei motori e del legno negli infissi Il

~ sostituite da quelle di gmigliQ, e la seta delle calze dal raion, ricavato dalla cellulosa. Scarseggiava il cuoio per le scarpe, e Antonio Ferretti, un modesto tecnico bresciano della Snia Viscosa già inventore dellanital, ottenne dagli scarti di lavorazione il "cuoio rigenerato", che brevettò con il nome di salIlli. Quando anche gli scarti non furono più sufficienti, il cuoio fu rimpiazzato da un mi-

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sto di cellulosa e cartoni compressi, e le suole da copertoni usati. Erano fatti così anche gli scarponi dei soldati che intrapresero la tragica campagna di Russia. Il risultato fu che si sciolsero anch'essi come la neve. Nuovi materiali si affacciarono sul mercato anche nel campo delle costruzioni: fra questi, il Vinidur, un materiale plastico a base di pvc (cloruro di polivinile) usato per tubazioni e condotti. Per risparmiare sul ferro presente nel cemento armato, si pensò di alleggerire le strutture degli edifici utilizzando pietra pomice al posto dei mattoni. Motori a carbonella. Ma era a un livello superiore che si giocava la vera partita dell'autarchia. L'Italia infatti dipendeva molto dalle importazioni per i combustibili. Fu intensificata l'estrazione di carbone, identificati nuovi giacimenti in Sardegna e ci si rivolse anche a varietà di carbone di minor pregio (come la lieanite), ma ben presto risultò chiaro che i carburanti nazionali non potevano arrivare a soddisfare il fabbisogno. Per risparmiare carbone, le ferrovie furono riconvertite a elettricità (il "carbo-

ne bianco"), prodotta per lo più da centrali idroelettriche (v. scheda a pag. 29). Per far marciare auto. camion e mezzi pubblici ebbe un certo successo il ~, una specie di stufa con un piccolo forno, in cui veniva bruciato carbone o legna su cui veniva inviato un getto di vapor d'acqua. In questo modo si produceva un gas (monossido di carbonio e idrogeno) che inviato al motore faceva da carburante, sia pure a bassissimo rendimento. In pratica, con il gassogeno auto e camion andavano a carbonella. Nel 1936 un'Alta Romeo 1750 così alimentata partecipò alla Mille Miglia. Consumando 45 chili di carbonella ogni 300 km, completò il percorso alla media di 51 kmlh, tra soste nei boschi per fare legna e salite affrontate in retromarcia. O Gianluca Ranzini

SAPERNE DI PiÙ Ricette chimiche Gli scienziati del duce, Roberto Maiocchi (Carocci). Il ruolo dei ricercatori nella politica autarchica del fascismo.

Gli scienziati del Duce

DIRETTORE:EIRICO VIA TROITO,

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Sguardi un po' retro

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Volti di oggi truccati e pettinati in stile Anni '30. le ricostruzioni di queste pagine riprendono la moda del tempo.

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ui amava i capelli lunghi, ma molte di loro continuarono ostinatamente a tagliarseli corti, "alla maschietta". Lui le voleva in divisa, oppure in abiti tradizionali. Ma loro, le signore benestanti degli Anni '20, almeno sui vestiti opposero un fiero "me ne infischio" alle direttive che venivano dall'alto. Quando, a partire dal decennio successivo, le imposizioni fasciste si fecero più pressanti, anche la moda cercò di adeguarsi. Ma di certo «se il consenso al regime si fosse dovuto valutare dall'osservanza dei consigli di moda impartiti alle donne della media borghesia, Mussolini sarebbe risultato l'uomo meno obbedito d'Italia» si legge nel libro di Gian Franco Venè Mille lire al mese (Mondadori). Forse perché, quando il duce salì al potere, le donne avevano iniziato già da tempo a fare di testa loro, senza dare ascolto agli uomini. A imprimere una svolta decisiva erano stati gli anni della Prima guerra mondiale, «quando le donne si erano trovate a svolgere compiti che prima erano stati tipicamente maschili» spiega Emanuela Mora, docente di Sociologia della cultura all'Università Cattolica di Milano. «Le borghesi, che non avevano mai lavorato, si impegnarono ad assistere i malati o a svolgere lavori d'ufficio; le popolane diventarono spazzine, carrettiere e, a Milano, si misero alla guida dei tram. Questo contribuì a cambiare il gusto e a far avvertire, in tutte le classi sociali, che l'abbigliamento poteva coniugare gusto e funzionalità». Così,messi al bando i busti rigidi con le stecche di balena e i gonnelloni lunghi e ingombranti, negli Anni '20 la moda iniziò a guardare ai modelli più pratici che provenivano dal di là delle Alpi. ~

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Vestivamo alla francese. TIcentro ispiratore era la Francia: «Dopo le sfilate, i sarti parigini vendevano i diritti di copia a distributori ufficiali che li portavano in Italia. dove venivano riprodotti su centinaia di cartamodelli in modo che in poche settimane ' qualsiasi sartina potesse già reinterpretare l'ultimo grido parigino» spiega Silvia Grandi, storica dell'arte dell'Università di Bologna. «Si trattava di modelli che nascevano per l'alta moda, ma che nelle città italiane erano accolti da tutti gli strati della popolazione» sottolinea Emanuela Mora. L'interesse era stimolato anche dalla diffusione di riviste femminili specializzate per i diversi tipi di pubblico e dal cinema hollywoodiano. Negli Anni '20 esplose la moda della vita bassa, dei seni piatti e della figura sottile e scattante. Per le più audaci fu l'epoca dei capelli alla garçonne, corti con un ricciolo che scendeva sulla gota, e dei pantaloni, che si diffusero nonostante l'aperta ostilità del regime e della Chiesa. Condannati da papa Pio XI, i pantaloni erano per Mussolini «adatti alle gambe rinsecchite delle suffragette» (termine usato per indicare le femministe dell'epoca). Più in generale «il fascismo non incoraggiò le donne a occuparsi della loro bellezza» dice Stefano Anselmo, truccatore. Ne è un esempio l'ostilità nei confronti del trucco, che «nonostante fosse appena accennato, era fatto oggetto di indignazione, come si può leggere in un articolo della rivista Anni Venti,che paragonava le unghie smaltate delle donne a quelle di persone che immergono le mani in piaghe sanguinanti, o le sopracciglia depilate ad arco a quelle dei pagliacci». Esplodono le forme. A partire dalla seconda metà degli Anni '20, però, almeno per alcuni aspetti i gusti delle signore cominciarono ad allinearsi a quelli propagandati dal regime. «La donna asciutta e senza curve, lasciò il posto a una figura che iniziava a recuperare fianchi, seno e vita» racconta Silvia Grandi. «Negli abiti e nei tailleur da giorno il me si usa oggi» spiega Graziano Ballinari, punto vita tornò a rialzarsi, le linee si fecero studioso del costume e collezionista di bianpiù fluide e le gonne si allungarono, mosse in cheria intima che ama autodefinirsi "mutandologo", TIreggicalze, nato come un semfondo con pannelli sbiechi o volant». Per evidenziare meglio le forme si indosplice accessorio. si arricchì di tulle e nastri. savano guaine elastiche che rimodellavano i Mentre la forma delle gambe era sottolineata e slanciata dalla cucitura posteriore fianchi. «E per sollevare il seno si diffusero i primi reggiseni, a volte imbottiti proprio codelle calze di seta, un vero oggetto di culto

Il trucco femminile era allora malvisto: le per le donne dell'epoca. Indispensabili nel guardaroba delle signore, le calze erano però piuttosto costose e per questo, quando si smagliavano, venivano riparate dalle rammagliatrici. Le più economiche costavano 10 lire, più o meno come allora 3 kg di pasta, le più eleganti 22 lire (circa 18 euro di oggi). La voce incideva non poco sui bilanci familiari e per questo «nell'inferno della guerra, ancor prima che una riserva di calze di seta fosse assegnata in dotazione ai soldati occupanti per ottenere facili amori e informazioni, le signore della piccola borghesia accolsero l'invito geniale di chi mise sul mercato il necessario per la "fintacalza": una tintura da spalmare fino alle cosce corredata da una matita a carboncino, per disegnare lungo il polpaccio la riga» si legge nel libro di Venè. Biancheria fantasiosa. «Le mutande da donna erano a calzoncino e, negli anni del consenso, spesso ricamate con motivi che si ispiravano al regime. Claretta Petacci,

Un rasoio per due la pubblicità di un rasoio ne sottolinea l'utilità anche per le donne. Gli uomini erano sempre ben rasati. Qui lui indossa una giacca da casa, un indumento allora comune. I~

Dalle colonie, un indumento ancora alla moda a giacca L sahariana, con il colletto aperto, le quattro tasche applicate sul davanti e la cintura in vita, si presenta puntuale ogni anno fra le proposte di moda per l'estate. In pochi però sanno che i primi a indossarla furono i soldati italiani impegnati nella guerra d'Etiopia (\I. a pago 114). La sahariana, infatti, fu creata per loro, ma il successo nella moda quotidiana fu immediato e passò i confini nazionali.

Motivo di vanto. Con orgoglio, i giornali degli Anni '30 sottolineavano che l'italianissimo modello, simbolo della nostra potenza militare e del nostro buon gusto, aveva successo persino in America, dove la indossavano giovani, sportivi, ma anche maturi uomini d'affari. I colori più utilizzati ancora oggi vanno dal cachi al marroncino, sfumature che, non a caso, chiamiamo genericamente "coloniali".

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Mussolini ordinò che da giornali e riviste ~ amante del duce, ne aveva un paio con la scritta: "Sei stato grande"» riprende Ballinari. La sottoveste non mancava mai. «Nemmeno le contadine ne facevano a meno. Era un obbligo igienico, ma anche un indumento che denunciava inequivocabilmente lo stato sociale di chi lo portava: di cotone o canapa per le donne dei ceti più poveri, era invece di seta o raso per le più ricche». Se si eccettua la biancheria intima, negli Anni '30 in tutta Europa si nota però una certa mancanza di fantasia nella moda, dovuta anche alla progressiva austerità. I tessuti, stampati a fiori o a pois, erano per lo più blu o neri. I soprabiti femminili, dello stesso colore, erano arricchiti da sciarpine, guanti e,

soprattutto cappellini. Creati dalle modiste, e vero orgoglio della donna borghese di quegli anni (che misurava il suo benessere in base a quanti ne possedeva), i cappellini passarono di moda nella decade successiva, sostituiti dal turbante. I benestanti potevano permettersi un negozio di sartoria, ma la maggior parte degli abiti veniva confezionata dalle sarte, che lavoravano in casa e si occupavano anche di rammendare, rattoppare e rigirare stoffe e colletti, per allungare quanto più possibile la vita dei vestiti. Le classi meno abbienti. infatti, si arrangiavano con quello che avevano, ma erano disposte a fare qualche sacrificio per apparire eleganti nei giorni di festa o al-

......._sRarisserole foto di donne trOR.ROmagre le cerimonie. Racconta Angelo Limido, un testimone dell'epoca: «A 18 anni avevo un solo vestito buono. Lo mettevo la domenica oppure per andare a ballare, o se c'era un funerale. Era uno ed era solo quello».

come le gonne a pieghe sul tipo di quelle toscane, o i cappelli di paglia decorati con nastri, frutta e fiori» spiega Alessandra Vaccari, che si occupa di design all'Università di Bologna. Verso il 1940,in omaggio alle aree Fra divise e tradizioni. alpine, si diffuse la moda Col tempo, le imposizioni si delloden e delle camicette SAPERNE DI PiÙ fecero più pressanti. TIregime con le maniche a palloncicaldeggiò il recupero delle no. Persino in spiaggia, Vestire Il tradizioni, tanto che l'abito mentre in Francia si lanVentennio, tipico, indossato dalle contaciavano i primi due pezzi S. Grandi e A. dine, era considerato al pari e il pare o, si indossavano Vaccari (Bononià University Press). della divisa fascista. «La mocostumi con bretelle di Dai capelli alla ispirazione tirolese, simboda cercò di adeguarsi e di garçonne alla mediare, creando modelli lo di un'italianità che però giacca sahariana. ispirati ai costumi regionali, strizzava l'occhio anche alla Germania amica. Negli anni dell'autarchia (v. a pag. 51) l'orbace, tiSòtl:o pico tessuto di lana sardo, fu usato per confezionare gli indumenti invernali. E Achille ivestiti Starace, segretario del partito fascista, lo imLa sottoveste di pose anche per le divise dei gerarchi. lei, in raso e Camicie nere e mutande rinforzate. Rizzo, è quella Per il fascismo, comunque, la moda era un di una donna campo da lasciare alle donne. L'abbigliadi classe. Così come le calze, mento maschile non seguiva uno stile ben velatissime, in preciso. Della moda che aveva preceduto il pura seta. Lucrollo di Wall Street (1929) rimase soltanto il porta mutando gilet, per i più eleganti. Le bombette, le ghetal ginocchio e I te, i bastoni e le giarrettiere, che negli anni retina per capel Venti fissavano le calze sotto il ginocchio, della notte: caddero invece in disuso. Per gli impiegati era d'obbligo la cravatta, considerata un segno distintivo del proprio status, visto che operai e contadini la indossavano solo per le feste. Si facevano fare il nodo direttamente dal commerciante: poi sfilavano e rimettevano la cravatta facendola passare dalla testa, giorno dopo giorno. Per economizzare si poteva comprare la cravatta con il finto nodo, che si allacciava con un elastico e costava meno perché richiedeva meno stoffa. I visi erano sempre ben rasati e i capelli pettinati all'indietro e impomatati. «Deriva da qui l'uso di mettere i centrini di stoffa a livello della testa sulle poltrone dei salotti borghesi: una decorazione già in uso nell'800 che proteggeva dalle macchie di brillantina» spiega Daniela Casati Fava, costumista.

Dietro le quinte di queste pagine Il nostro staff al lavoro_ Le foto dei modelli sono poi state montate su immagini di interni di case d'epoca.

Gli uomini dormivano con la camicia da notte con il colletto basso, "alla coreana", mentre la canottiera, bianca o nera, era un indumento da giorno. Le mutande a calzoncino, bianche o al più azzurrine, si allungavano fino alla caviglia in inverno. Non si cambiavano tutti i giorni, ma alcune avevano un triangolo di rinforzo che si poteva staccare e lavare a parte. Un modello molto amato da Mussolini aveva una taschina foderata di pelo di coniglio, per scaldare il pene. :::J Silvia Bragagia

I completi di Greta Garbo e il fondotinta di Rodolfo Valentino a moda tra le due guerre L subì il fascino di Hollywood: i completi di taglio maschile degli Anni '20 si ispiravano a quelli indossati da Greta Garbo; lo stile sofisticato delle volpi argentate e dei lunghi bocchini era invece quello di Marlene Dietrich. A lanciare

il biondo platino fu Jean Harlow, attrice morta a soli 26 anni. E a Rodolfo Valentino si deve il primo fondotinta: il grease paint, creato da Max Factor su richiesta del divo, che voleva accentuare il suo fascino mediterraneo con un incarnato più scuro.

Bocche rosse. Anche il rossetto era nato per soddisfare un'esigenza del cinema, allora in bianco e nero. Le pellicole infatti non erano abbastanza sensibili e l'unico modo per evidenziare i contorni della bocca degli attori era quello di accentuarne il colore con il rosso.

Focus Storia 61

Il regime

Era Achille Starace, fedelissimo di Mussolini e Rer 8 anni segretario

Q

uando, nel 1931,fu proposta la nomina di Achille Starace a segreta-

rio del partito fascista, Leandro Arpinati, sottosegretario agli Interni, obiettò: «Ma Starace è un cretino!». «Lo so» rispose il duce «ma è un cretino ubbidiente». E difatti il suo maniacale attaccamento alla causa fascista e al suo capo gli varranno l'appellativo di "mastino della rivoluzione" da parte dello stesso Mussolini, che però finirà per scaricarlo. Ma fino al 1939 Starace avrà modo di redarre - con i suoi "Fogli di disposizioni" diretti a tutti gli organi del partito (e di cui presentiamo qui degli estratti) - alcune delle pagine più assurde e grottesche della storia italiana. "Staraciate". li passo romano, il "saluto al duce", la lotta alle parole straniere (v. articolo a pag. 76),il "sabato fascista", le frasi di Mussolini scritte sulle facciate delle case sono tutte invenzioni di Starace. Che non si accontentò di pretendere che i panciuti gerarchi sostenessero spettacolari prove ginniche, con salti nel cerchio di fuoco e altre acrobazie, ma arrivò a dettare regole sui particolari più privati e personali del perfetto fascista: come stirare il colletto della camicia nera (senz'amido), di quanto alzare il braccio teso nel saluto romano (170 gradi), che cosa non bere (il caffè) ... «Ricordo ai Segretari federali le disposizioni già da me impartite per l'abolizione della vecchia usanza, di importazione straniera, dell'albero ~i ~a~ale>~ recitava un suo foglio di disposizioni. DI fronte a tanta pedanteria, persino Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro, lo definì «un coglione che fa girare i coglioni». Allergici alle regole. Se oggi siamo allergici alla retorica e al patriottismo è forse anche a causa di Starace e di quello "spirito da caserma", ossessivo e formale, ma vuoto e ridicolo, che impose all'Italia negli anni del consenso. ::. Marco Casareto

Sul saluto romano Il saluto romano non impone l'obbligo di togliersi il cappello. Tale abbligo è da osservare quando il saluto sia reso in luogo chiuso. 112giugno 19331

Distintiti di cattito gusto

t'è un so\o sabato

Sono ritornati in circolazione distintivi del Partito di foggie diverse che, a parte ogni altra con= siderazione, lasciano anche a desi= derare dal punto di vista artistico.

Da qualche tempo a questa parte si vanno inventando "sabati" di ogni genere. Siamo così al sabato dell'arte, della musica, della primavera, della lettura, coloniale, del lavoratore. Naturalmente si tratta di iniziative non autorizzate. Ricordo che c'è il "sabato fascista", nel quale rientrano tutte le attività: premilitari, ginnico-sportive, culturali,

128 agosto 19321

Una moriatramontata Ricordo che la cravatta nera svolaz= zante non è consentita. A presc~naere da quanto sopra, è una moda ormai tramontata da un pezzo. 17 agosto 19331

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------_~--....III

intendersi sull'aggetti'o lrella corrispondenza fra camerati, anziché "All'Egregio", "All'Ill.mo" ecc., si scriva "Al Fascista", lroto però al riguardo che la parola "fascista", pur essendo di natura aggettivale, quando si adopera come sostantivo, va scritta con la iniziale maiuscola; va scritta invece con la iniziale minuscola quando si adopera come aggettivo di un determinato

111aprile 19341

sostantivo, ~

••••.••• _?"~

Del mettersi a sedere In questi giorni, nelle cronache, si è fatto largo uso del verbo "insediarsi", si è scritto abbondantemente di "insediamenti" e simili, Leggendo, si atraec.ìa alla nostra mente, sia pure per assonanza, la sedia, o peggio la poltrona che il Fascismo nettamente respinge, quanto la tendenza alla vita comoda, dalla quale, fatalmente, si precipita nella stasi. Che un gerarca, una commissione debbano, come primo loro atto, dare l'impressione di mettersi a sedere, proprio no,

14 febbraio 19351

Roma, 1936: il segretario del partito nazionale fascista assaggia un grappolo d'uva durante la visita alla Mostra di prodotti agricoli e artigiani.

artistiche.

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13 marzo 19371

~.

del RartitD. Oggi le sue disRosizioni agli iscritti ci fanno sorridere E c'è c-hiraec.anda i giudei

Il riposo dei gerarehi

Vieto ai Fascisti di inoltrare raccomandazioni di qualsiasi genere a i'aYore di giudeì. 17,1.1939)

Il periodo estivo non deve, in alcun modo, segnare un rallentamento ~ell'a~tività dei Gerarchi~ Biposeremo, se ci sarà consentito, quando non saremo più tali. 118agosto 1933) ~

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Fregare i nemici I Fascisti e coloro che militano nelle organizzazioni del Regime, validi, non bevano caffè o ne riducano al minimo il consumo. In questo modo fregheremo i Paesi che per vendercelo, anziché prendere in cambio -le nostre merci, vorrebbero il nostro oro. 110maggio 1939)

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Bravi, mi compiaccio

Partita di bocce all'inaugurazione della Casa del!' Opera nazionale dopolavoro di Littoria (oggi Latina).

La corrispondenza d'ufficio deve essere aggiornata nella forma. lIiente "caro camerata", "caro Tizio o Sempronio", "gentile eccellenza", "cara eccellenza". L'indirizzo in testa o in calce alla lettera è sui'ficiente. lIiente "saIu-ti cordiali", "saluti fascisti", o peggio "devoti ossequi fascisti", "vive e defererrt cordialità fasciste" o al tre chiuse de l genere, che fanno pensare al saluto romano accompagnato con la riverenza. ì,

Coloro che insistono nell'annunziare la "posa della prima pietra" dimostrano, in modo evidente, di non essere aggiornati con lo stile del Fascismo. La "posa della prima pietra" ricorda i vecchi tempi, che il Fascismo, giova ripeterlo, ha superato integralmente. Il Fascismo annunzia l'inizio dei lavori o il primo colpo di piccone: annunzio dinamico e concreto.

124 settembre 1938)

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SAPERNE DI PiÙ La vita e le (misere) opere Achille Starace e il vademecum dello stile fascista, Carlo Galeotti (Rubbettino). La vita e le disposizioni del più longevo segretario del pnf. Starace, Antonio Spinosa (Mondadori). La vita pubblica e privata dell'uomo che inventò lo "stile fascista", dall'esordio al tragico epilogo.

Focus Storia 63

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Vita quotidiana

Scalzi Rer strada e in divisa a scuola e in colonia: la vita di Dio ~ deU"l:o.Ue ç:IUfo. d1 .stguirll SU C'l'dl:>iò.lDUe:. I! èis.fV'.:·~Q= Ntt.ll!::U'!o~•• se •••.• e.SSo.;"Ìo col ::'1.10. Se;lçt:.J..~...s4ci.Uo. lti-;oi-..::.io::.. :OS(j.~o.·

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Tessera della Gioventù italiana del littorio, che dal 1937 prese il posto dell'Opera nazionale balilla.

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ilano, aprile 1934.Un ragazzino scalzo scende in strada con un gessetto in mano. Subito un gruppetto di coetanei gli si raduna attorno e tutti insieme decidono' i!percorso. Il "giro d'Italia", oggi, parte dall'angolo del marciapiede, gira attorno al tombino, arriva fino all'ingresso della panetteria e torna indietro, costeggiando lo scolo per l'acqua piovana, che scorre a lato della strada. Si scelgono le biglie e vince chi arriva per primo al traguardo. Chi cade nel tombino è eliminato. Chi finisce nello scolo deve ricominciare daccapo. Settant'anni non danno l'idea della distanza che separa i giochi dei bambini di oggi da quelli dei loro bisnonni. I bambini degli Anni '20 e '30 inventavano da sé i propri passatempi. E quasi sempre lo facevano all'aria aperta. Cerchio, lippa e bambole di pezza.

«Giocavamo in strada. anche in inverno con il ghiaccio» racconta Ivone Sandano, classe 1928. «C'era miseria e i giocattoli li costruivamo noi con quello che avevamo» aggiunge Angelo Limido, di qualche anno più vecchio. «Uno comunissimo era il cerchio, ricavato dalle ruote di vecchie biciclette, che si faceva rotolare. Poi c'era il monopattino: facevamo il giro delle officine per recuperare i cuscinetti a sfera, e su quelle "ruote" montavamo una tavola». Con due bastoni si giocava alla lippa, colpendo al volo i!più piccolo con quello più grande (vinceva chi lo scagliava più lontano). E con quattro stracci si facevano le bambole per le bambine che, a differenza dei loro coetanei, giocavano più spesso in casa. «Fra i pochi giochi che si potevano comprare c'erano i soldatini di carta, venduti dal cartolaio. Li collezionavamo e ce li scambiavamo, proprio come si fa oggi con le figurine» dice Angelo. Per il resto però «chi aveva un giocattolo comprato in negozio lo teneva gelosamente nascosto in casa, e lo faceva vedere soltanto agli amici più cari. Infatti, se lo avesse portato in strada, gli altri per giocarci lo avreb- ~ Focus Storia 64





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lJ.-

dei bambini,..Quando la Befana era fascistae i giocattoli di latta Non solo divise Una piccola palermitana fotografata in posa femminile nel 1935. Sotto, un bimbo pettinato con "la banana" a Camogli (Ge) nel 1941.

Quando sarò grande ... ...non ruberò più la marmellata; ...mi sistemerò . la giacca da solo; ...avrò un ragazzo che mi porterà in moto.

Focus Storia 65

Un dettato delle elementari, nel 1938, in cui si esalta il fascismo. "Lodevole".

~ bero presto rotto». Anche perché, a differenza di oggi, i giocattoli di un tempo non erano "a prova di bambino". I camioncini e i soldatini di latta, i trenini e le automobili a molla, le bambole di celluloide o, per le bambine delle famiglie più agiate, di porcellana, andavano in pezzi con estrema facilità. Per questo, comprare un gioco equivaleva, per molti, a buttare via i soldi. «A Natale non ci regalavano mai giocattoli ma cose che servivano. Come le scarpe» ricorda Angelo. Fu così che, per guadagnarsi le simpatie dei più piccoli, a partire dal 1928 il regime istituì la Befana fascista, che però, come ricorda un'anziana signora triestina «no iera dada a tuti, ma solo ale familie bisognose». E consisteva in un pacco con dentro «un poco de magnar, un poco de vestir, qualche zogatolo e qualche dolzeto». Tutti in divisa. La necessità di tirare la cinghia fu messa a dura prova quando l'Opera nazionale balilla (Onb), istituita nel '26 col compito di accompagnare la formazione dei futuri fascisti, mise in commercio un fucile giocattolo lungo una settantina di centimetri, copia in scala minore di un'arma vera. I fascisti convinti non ebbero cuore di negarlo ai figli e lo comprarono, a completamento della divisa, che i piccoli indossavano fin dalla più tenera età. L'iscrizione dei bambini all'Onb non era obbligatoria, ma fame parte permetteva di accedere ad alcune forme di assistenza (come i risarcimenti in caso di malattia, oppure la possibilità per i più poveri di avere gratis libri e quaderni) e di partecipare alle molteplici attività extrascolastiche volute dal regime. Nel 1934, nella «gaia schiera

I

Copertine di quaderni con immagini celebrative.

Focus Storia 66

dei ragazzi di Mussolini» erano inquadrati quasi 4 milioni di bambini, divisi per sesso e per fasce d'età in figli della lupa (6-8 anni), balilla e piccole italiane (8-14 anni), avanguardisti e giovani italiane (fino ai 18 anni). A partire dal 1935,Mussolini volle estendere l'iscrizione anche ai più piccoli, così che, quando nasceva un bambino, i genitori ri-

cevevano a casa una lettera di congratulazioni e la tessera dell'Onb, da pagare 5 lire. Fra esercitazioni e bagni di sole. Una volta alla settimana, i bambini indossavano la divisa e si recavano nel cortile di una scuola oppure in un campo sportivo per svolgere esercizi che assomigliavano più a un addestramento militare che a un gioco. Per le

Secondo il mito, Balilla era il ragazzino che

IMISTERO DEll'EDUCAZIONE MAZIONAl

A'XIX

Future donne di casa La copertina @ lato) e l'interno della pagella di una bambina di 4" elementare. Fra le materie: "Lavori

donneschi e manuali". -

I

bambine, quei pomeriggi erano spesso l'unico diversivo alla monotonia della vita quotidiana. «Facevo parte delle piccole italiane» racconta Giovanna Lazzaroni, 87 anni. «Ci riunivano, ci facevano marciare e fare ginnastica. Ero contenta, perché se non avessi fatto questo, attorno agli 11-12 anni, non sarei mai uscita di casa».

In estate, far parte dei balilla significava poter andare in vacanza in una delle strutture che il regime aveva fatto costruire, a partire dagliAnni '20,al mare e in montagna. Al Lido di Venezia, a Rimini, a Giaveno (To), a Limone Piemonte, a Cattolica e in molte altre località, il tempo dei bambini trascorreva organizzato fra adunate, eserci- ~

~::========t===~---------

el1746 aveva dato il via alla rivolta di Genova contro gli austriaci ~~-



Focus Storia 67

~ tazioni, giochi e bagni di sole.Ai pasti, la carne, che a casa i bambini vedevano di rado (v. articolo apag.l06), veniva servita due o tre volte alla settimana. Le colonie ospitavano anche i figli degli italiani che vivevano all'estero, che potevano così «tornare oltre confine con la chiara e precisa visione della bellezza e della grandezza della loro Patria» si legge in un documento ufficiale del 1928. Ineluttabile destino. All'Onb fu affidata anche l'educazione fisica nelle scuole. «L'insegnante di ginnasticadistribuivale tessere da balilla» dice Vladimiro, classe 1921.Fu il primo di una serie di ritocchi a quella che Mussolini aveva definito «la più fascista delle riforme»: la riforma della scuola di Giovanni Gentile, attuata con una serie di decreti, e senza discussione in Parlamento, nel '23. «La riforma Gentile cercò di costruire un sistema scolastico basato su percorsi paralleli, che rispecchiavano la struttura della società e che incanalavano i bambini verso un destino determinato in partenza e difficile da modificare» spiega Dario Ragazzini, docente di Storia dell'educazione all'Università di Firenze. «Passare da un ramo di studi a un altro, infatti, era pressoché impossibile». Furono creati il liceo classico, che aveva il compito di formare l'élite, e quello scientifico, considerato di livello inferiore. Fu istituito l'esame di Stato, che affligge ancora oggi gli studenti alla fine delle scuole superiori. «Nacque allora anche l'approccio storico all'insegnamento della filosofia e della letteratura» aggiunge Angelo Gaudio, docente di Analisi dei sistemi educativi all'Università di Udine. La scuola fascistissima. Più in generale «la riforma privilegiò la cultura classica e fece un deciso passo indietro rispetto a quella scientifica che, seppure in modo disorganico e nozionistico, era presente nella scuola degli anni precedenti» dice Ragazzini. «Per le scuole elementari Gentile giustificavala scelta dicendo che la matematica serve a risolvere i problemi, e che dunque i bambini potevano fame a meno perché non avevano problemi». Ma fu proprio questo uno dei punti deboli della riforma. Ci si rese infatti conto di avere una scuola che non era in grado di formare tecnici, anche se non furono presi provvedimenti efficaciper ovviare al problema (che di fatto permane ancora oggi). Gli sforzi di chi negli anni successivi mise mano alla riforma, di fatto stravolgendola con modifiche che Gentile definì "tradimenti", si concentrarono piuttosto a far sì che dalla scuola uscissero bambini ubbidienti e indottrinati. Nel 1929, alle elementari, fu adottato il libro di testo unico, che doveva essere approvato dalle autorità centrali. NegliAnni '30, a partire dalle medie furono inFocus Storia 68

trodotti l'insegnamento della cultura militare per i bambini e la puericultura per le bambine. Scomparvero dai programmi gli autori stranieri e i discorsi di Mussolini diventarono oggetto di studio. Il cambio di rotta, progressivo ma deciso, è chiaro nelle testimonianze di chi frequentò la scuola in quegli anni. Giovanna, nata nel '18, ricorda «il grembiule bianco per le bambine e nero per i maschietti». Aurelia Lepore, classe 1930, ha in mente «la divisa con un ferma-colletto con il profilo di Mussolini». Di tre anni più anziana, Anna Maria Manghi racconta: «Per andare a scuola ero obbligata a indossare la gonna nera e la camicia bianca da "piccola italiana", a fare il saluto romano e a cantare Giovinezza». A bottega. «Con grandi differenze fra le campagne e le città, e fra il Nord e il Sud, in media i bambini frequentavano le scuole dai 5 agli 11 anni d'età» riprende Ragazzini.Proseguire oltre era un lusso.«Sono andato a lavorare a 12 anni, perché una bocca di meno in casa mia valeva qualcosa. Lavoravo in una pasticceria e mangiavo e dormivo là» racconta Angelo. «Iniziavo alle 6 del mattino a pulire il negozio e la strada. Tutto doveva essere pronto per le sette e mezza, quando aprivano, e durante il giorno facevo il garzone. A Natale portavo a casa le mance e un panettone gratis. li mio arrivo "era qualcosa". Ma non perché era arrivato il figlio. Era arrivato il panettone!». O Margherita Fronte

I licei femminili,J~er le I Dvd: crescere

nel Ventennio

Giochi educativi Il meccano (1) era un gioco di costruzioni. Il piccolo proiettore (2) riproduceva la magia del cinema. E il Corriere dei Piccoli (3) pubblicava le awenture del signor Bonaventura.

signorine bene

ll

II

,

non ebbero successoRer mancanza di alunne L'enciclopedia Treccani: 80 anni ben portati 'idea di prepaL rare un'enciclopedia nazionale sul modello di quelle francese e inglese aveva già quasi vent'anni quando l'industriale Giovanni Treccani decise di intraprendere l'opera. Appassionato di arte e libri, il 18 febbraio 1925 fondò un istituto che già nel nome denunciava i suoi obiettivi: Istituto Treccani per la pubblicazione dell'enciclopedia italiana e del dizionario biografico degli italiani (dal 1933, Istituto della enciclopedia italiana). Proteste. A dirigere l'opera fu chiamato Giovanni Gentile che, nell'intento di renderla apolitica, coinvolse uomini di cultura non legati al fascismo (fra le poche defezioni, quella del filosofo

Benedetto Croce). Ma non mancarono le polemiche. Papa Pio XI, nel 1932, protestò perché nella definizione di "fascismo" redatta da Gentile stesso, si sosteneva che "nulla di umano e di spirituale può davvero esistere fuori dallo Stato », La polemica indusse Mussolini a riscrivere di suo pugno la voce. L'opera fu completata nel '37, al ritmo di un volume ogni 3 mesi. Che fico! Nei suoi 80 anni di vita, la Treccani ha mantenuto il suo stile, con qualche aggiornamento segno dei tempi. Oggi, alla voce "fico", si legge anche: "Di persona abile, astuta, che si fa ammirare per qualche sua particolare capacità, o anche elegante, di bella presenza».

(s.g.)

GUAlDO ARMSTRONG ERA BRlCCiOFORTE emmeno i noN mi d'arte si salvarono dalla furia "italianizzante": l'attore Renato Rascel divenne Rascele e la diva Wanda Osiris perse la "5" finale e cambiò la "W"

Benny Goodman louis Armstrong Churchill Chamberlain Washin too BuenosAires

Grida al vento Benito Mussolini durante uno dei suoi discorsi alla folla, il7 luglio 1939.

in "V". AI cinema, i vari John, Mary e Clark dei film americani si chiamarono, nei doppiaggi, Giovanni, Maria e Carlo. E queste sono altre tra le più buffe traduzioni di nomi:

L'arroganza del Rotere arrivò a modificare la lingua Quotidiana



aro e In ascistese Erano quelle pompose dei discorsi ufficiali. Ma anche quelle ridicole della ualianizzazione forzata.

U

n regime fondato sulle parole, è stato detto del fascismo, di cui si ricordano spesso gli aspetti piateali e ai nostri occhi ridicoli: il bluff degli "otto milioni di baionette" o dello "spezzeremo le reni alla Grecia", le parole d'ordine "tireremo diritto", "chi si ferma è perduto", "credere, obbedire, combattere", gli slogan "se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi", "meglio un giorno da leoni che cent'anni da pecora". Mezza cartuccia. Più originali, e alcuni coniati proprio da Mussolini, i modi per schernire nemici e "disimpegnati": panciuti, panciafichisti, bracaioli, pantofolai, borghesoidi. Ma l'offesa preferita era "mezza cartuccia", sopravvissuta nella lingua corrente. Primo bersaglio fu nientemeno che Vittorio Emanuele 1lI: «Non ho colpa io se il re è fisicamente una mezza cartuccia» disse il duce al genero Galeazzo Ciano «è naturale che lui non potrà fare il passo romano senza essere ridicolo». Ma la lingua quotidiana dei cittadini fu davvero cambiata dal fascismo? Fino a un certo punto. Tra la gente comune, certi modi di dire e alcune parole altisonanti diventarono familiari, ed era possibile appropriarsene in situazioni particolari. Un quindicenne così si rivolse a Mussolini: «Eccellenza, sono un giovane ragazzo dell'Italia Fascista e Imperiale che Le scrive queste poche ma fedeli righe. Da tempo combatto la più tenace, la più irresistibile tentazione che possa, in questa fulgida Era Fascista, sopportare il cuore di un giovane ...». Ma chi combatteva davvero, più semplicemente chiamava "cicogne" gli aerei da

PiCCOLO VOCABOLARiO iTALiANiZZATO eco come il Esta regime fascipropose di italianizzarealcune parole straniere,

Gliadattamenti più ridicolifurono presto dimenticati, ma altri sono giunti fino a noi.

alcool bou,ette boy-scout

alcole mescita giovaneesploratore ~b;-u'"ffe"':'t----:ri"""nfresco o tavolafredda champagne sciampagna cognac arzente cotillons cotiglioni croissant bombolone film filmeo filmo flirt amoretto gangster malfattore garage rimessa garçonnière giovanottiera ou,erture overtura panorama tuttochesivede papillon cravattino parquet tassellato pied-à-terre fuggicasa plaid scialle da viaggio P-i-pla-'ybo;O-y-e-v;-i,e-ur--,itaiolo pullman torpedone pullo,er maglioneo farsetto sandwich tramezzino smoking giacchetta dasera "'-so-:'ub-re-tt-e ---""'-brillante tennis pallacorda water-closet sciacquone whisky acqua,iteo spiritod'avena ~--~~~~---zar e zarina cesare e cesarina

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Per la s~uadra del Milan (ufficialmente Milan Football and Cricket Club)kRroRosto IIMilano Gioco del Calcio e Pallamaglio ll

~ ricognizione, "tigre" il carro armato, "Giacomino" gli aerei inglesi, "Pippo" il bombardiere incursore e "picchiatelli" i famigerati aerei da caccia tedeschi Stukas. Curiosamente, "picchiatello" fu accolto anche nei comunicati ufficiali. Del resto il distintivo fascista era da sempre "la cimice" e l'aquila sul fez "il pollo". E contro le disposizioni dall' alto si diffusero in tutta Italia il "mugugno" e il "mugugnare", parole liguri. Mi dia del voi! I principali cambiamenti della lingua, nel Ventennio, riguardarono la sostituzione del "lei" di cortesia con il "voi", le parole straniere e i nomi propri. La campagna in favore del "voi" risale al 1938 e fu voluta dal segretario del partito nazionale fascista, Achille Starace (v. a pago62). Mussolini approvò immediatamente: il "lei" era straniero (fatto peraltro non vero), borghese e snob, dunque antifascista. Andava rimpiazzato, così come il saluto romano doveva sostituire la stretta di mano «per temprare il carattere degli italiani». Per non correre rischi, persino la rivista femminile Lei (in questo caso pronome personale femminile) cambiò la testata in Anna bella. Non ci fu mai una vera legge (solo una disposizione limitata agli uffici pubblici) e il "voi" ebbe fortuna soprattutto tra i ceti medio-bassi, sia per cieca obbedienza, sia perché in molti dialetti italiani, specie al Sud, già si usava correntemente. Ma a molti diedero fastidio la petu1anza e l'arbitrarietà immotivata di quell'imposizione. Benedetto Croce, che da buon nael Flovemlire del poletano aveva 1934, durante fin lì usato il uno spettacolo di "voi",passò imrivista al teatro mediatamente capitolino delle al "lei". E un alQuattro Fontane, il tro risultato fu grande comico Totò la diffusione del così si espresse sull'imposizione di "tu", che non sostituire il/ei con era proibito. il voi nelle conversaTassati. La zioni, ((Setomasse battaglia per il Galivoi•••», ((Galivoi?». purismo della ((Sì,sa il/ei è abolito». lingua italiana

E Totò se me: fece un baffo

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Focus Storia 78

non fu un'esclusiva dei fascisti, che però la fecero propria. Le insegne con termini stranieri non furono proibite, ma tassate già a partire dal 1923. Furono penalizzate in particolare quelle di cui era disponibile un sinonimo italiano. Coiffeur, bar, garage, hotel caddero sotto imposta maggiorata. Tram, rhum, the ne furono esentati. Ma nel 1926 anche "bar" fu dispensato: il corrispondente "taverna" risultò inadeguato. Nel 1937 si arrivò a colpire le scritte esotiche con imposte 20 volte maggiori (quota minima 750 lire, 490 euro di oggi). Il dizionario commissionato da Mussolini alla Reale Accademia d'Italia per «estirpare la mala pianta dell'errore e dell'esotismo» non si realizzò mai. Ma i linguisti lavorarono sodo per formulare le loro ipotesi (v. riquadro allapagina precedente) e i cittadini vennero coinvolti dai giornali. Alle campagne del Popolo d'Italia per il purismo della lingua, si affiancò nel 1932 la toricocktail ci si arrese dopo il tentativo di chiamarloarlecchino. nese Gazzetta del Popolo, pubblicando 300 schede quotidiane per «ripulire la nostra linTogliere il menu. Lo stesso Mussolini ingua dalla gramigna delle parole straniere tervenne di persona, per esempio, contro la che hanno invaso e guastato ogni campo». scritta Majestic Soda Parlor in via Veneto a Poco prima il periodico Scena illustrata aveRoma e contro un ristorante di Bologna che va animato un dibattito con i lettori per sceesponeva in vetrina il menu (<
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Usare la parola "tedeschi" e la parola "germa.ruc~ nella proporzione del 70 e del 30 per cento: cioè dire più spesso "tedeschi". gliere il "menu" e di mettere una "lista?»), E si preoccupò di dirimere alcune controversie. Nel caso di bidet ordinò di lasciare le cose come stavano: dar spazio a una pubblica disquisizione sul tema non era confacente al regime. Che invece si spese, sul versante dei nomi dei comuni, per sostituire quelli che parevano imbarazzanti e quelli stranieri. Nel Lodigiano, Cazzimani divenne Borgo Littorio (oggi Borgo S.Giovanni); nel Trevigiano, Melma fu ribattezzato Silea; nel Forlivese, Scorticata cambiò in Torriana. In Valle d'Aosta tutti i toponimi furono italianizzati. Quart divenne Quarto Pretoria, La Thuile Porta Littoria e Courmayeur Cormaiore. Nacquero ex novo Littoria (oggi Latina) e Mussolinia di Sardegna (oggi Arborea). Via del Uttorio. Accanto a città e paesi, cambiarono nome strade e piazze. Dei simboli del fascismo, illittorio ebbe la maggior fortuna. Ancora oggi, in una dozzina di comuni, sopravvive una via del Littorio. Mussolini avversò invece l'intitolazione a sé o ai propri familiari di vie (e di istituzioni, edifici ecc.). Nel 1934 ordinò ai prefetti di far sostimire il proprio nome con quello di Caduti in guerra o con le date 23 marzo (fondazione dei fasci di combattimento), 21 aprile (il Natale di Roma), 24 maggio (dichiarazione di guerra all'Austria, nel 1915),28 ottobre (maria su Roma), 4 novembre (anniversario delVittoria). Peraltro una legge del 1927 vie-

tava d'intitolare luoghi pubblici a viventi. ltalimpera. Quanto ai nomi di battesimo, genitori zelanti provvidero a onorare la loro fede laica, come del resto era già costume tra i socialisti e gli anarchici. Al duce e famiglia furono dedicati tanti Benito nonché Bruno, Vittorio e Romano (i figli maschi di Mussolini). Altri nomi s'ispirarono ai simboli e alle parole del regime, da Allarmi a

eja, alalà!". Così si esultava e si brindava, ci si incoraggiava e talvolta ci si salutava. Ma quel curioso grido di giubilo, la cui invenzione si attribuisce a Gabriele D'Annunzio (nell'agosto del 1917, durante il bombardamento di Pola) era in realtà la combinazione di due esclamazioni antiche. "Eja" era legata al mondo romano e fu tramandata dai crociati. "Alalà" era il grido di guerra dei Greci: Achille lo usava per aizzare i cavalli. Poetico. Di "eja" si trovano tracce in racconti e poesie, da Boccaccio a Pascoli. E sempre Pascoli fu il primo

a recuperare, nei Poemi conviviali, il grido "alalà", L'esclamazione, che doveva sostituire il barbarico "hip, hip, urrah!", venne fatta propria dagli aviatori e poi dai fascisti, che la gridavano nelle adunate e la inserirono nei loro canti, primo fra tutti il rifacimento di Giovinezza: "Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, della vita nell'asprezza il tuo canto squilla e va. E per Benito Mussolini: eja, eja, alalà!".

Guerriero, da Ardito ad Ariano. Altri all'impero e alle imprese in Africa: Makallé, Tripolina, Endertà, Addis- Abeba, Dema Italiana, Impero e Italimpera, Natale Romano e ovviamente Roma. Con perfino qualche composto del tipo Vittoria Itala Germana, Benito Vittorio Umberto o Edda Benita Galeazzo. O Enzo Caffarelli

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La discriminazione degli ebrei fu solo colga del fascismo? ORRure

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n colpo non meno vigoroso è stato inflitto agli ebrei dal Consiglio dei ministri nella tornata del 2 settembre». Parole di Goebbels? No, di Civiltà Cattolica, rivista dei gesuiti, da sempre interprete del pensiero della Chiesa sulle questioni politiche e sociali. Occasione, il varo delle leggi

Italiani brava gente? Il cartello affisso dopo la promulgazione delle leggi razziali (1938) da un negozio nei pressi del ghetto ebraico di Roma.

In fuga verso la libertà Ebrei italiani in preghiera a bordo del transatlantico Conte di Savoia in viaggio verso gli Usa, nell'aprile del 1940.

Focus Storia 80

razziali nel 1938. «Vediamo attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo». Un inquisitore medievale? No, padre Agostino Gemelli, fondatore dell'Università cattolica del Sacro Cuore, in appoggio a quelle leggi. Nel 1924,per la morte di un intellettuale ebreo, aveva scritto: «Ma

'n Italia il germe dell'antisemitismo trovò un terreno fecondo? se insieme con il positivismo, il socialismo, il libero pensiero e con il Momigliano morissero tutti i giudei che continuano l'opera dei giudei che hanno crocifisso nostro Signore, Don è vero che al mondo si starebbe meglio?». Poi, per giustificarsi, rincarò la dose: era stata una «reazione alle brutture che ogni giorno si vedono: sono ebrei che ci hanno regalato il comunismo, la massoneria, il dominio delle banche e mille altre stregonerie di questo genere». Insomma, quanto basta per chiedersi legittimamente se ci fosse antisemitismo in Italia già prima delle leggi razziali approvate dal regime. E come queste furono accolte dagli italiani. Ferventi patrioti. Secondo gli storici l'antisemitismo di massa e accanito, diffuso da

secoli nell'Europa centro-orientale o in Francia. in Italia non c'è mai stato. Non ci furono mai, come in Germania, in Austria, in Ungheria, movimenti politici o religiosi antisemiti. Rari nella storia ipogrom, i massacri di ebrei, abituali invece in Russia, Polonia, Ucraina. Due i motivi principali: lo scarso numero di ebrei presenti sul territorio italiano, mai più di 40-45 mila, e la riconosciuta parità di diritti con gli altri sudditi, sancita da Carlo Alberto di Savoia nel 1848. Gli ebrei aderirono con entusiasmo al Risorgimento, accettando poi senza riserve il nuovo Stato italiano, e in gran parte persero progressivamente i tratti esteriori della religiosità per un ebraismo più laico e personale. "Ebrei di complemento" li definiva lo scrittore Primo

Levi. Ci furono, agli inizi, anche molti ebrei fascisti. Difficile quindi, per la propaganda religiosa o politica, eccitare fanatismi contro di loro. C'erano però gli antisemiti. I portatori dell'antigiudaismo teologico, l'antico odio del cristianesimo per gli ebrei, accusati della morte del Cristo, responsabili di orrende pratiche sacrileghe, da rinchiudere nei ghetti (v. riquadro a pag. 85). Causa di ogni male. Sulla stampa cattolica o nelle prediche, già dalla fine dell'800 si ripeteva fino alla nausea che gli ebrei erano causa della rivoluzione francese, del Risorgimento, del capitalismo e del socialismo. Dopo il primo conflitto mondiale divennero colpa degli ebrei anche la guerra e la rivoluzione russa. E all'antigiudaismo cattolico si ~

1. Ai quattrini l'israelita ha votato le-sue vita:

Cattivo maestro A destra, uno dei fumetti antisemiti pubblicati dal Salii/a, settimanale della Gioventù italiana del littorio.

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Zelanti delatori Una lettera anonima del '38 con cui impiegati "ariani" denunciano come ebreo un dirigente giudicato dispotico.

La porta della Palestina Ebrei in carrozza a Trieste negli anni Venti. la città era il porto d'imbarco degli europei diretti in Palestina. ,

5. ed un n quoìtro, un poco storto vi dà 1'occhio obliquo e smorto;

~ affiancò quello politico dei nazionalisti e dei fascisti più accesi. Per loro, imbevuti di futurismo, culto della bellezza e della violenza, gli ebrei erano pacifisti, borghesi privi di spirito di avventura e di qualsiasi altro valore che non fosse il denaro. Fra i più attivi vi fu il giornalista Giovanni Preziosi, con la rivista Vita italiana, al quale si unì un prelato, Umberto Benigni. Il loro cavallo di battaglia furono i Protocolli dei savi anziani di Sion, un falso confezionato all'inizio del XX secolo dalla polizia zarista per avallare la tesi di un "piano ebraico di conquista del mondo". Il seme dell'odio. Antigiudaismo cattolico e antisemitismo nazionalista rimasero a lungo fenomeni marginali. Ma, spiega il massimo storico del fascismo, Renzo De Felice «ciò non toglie che alcune gocce del veleno Focus Storia 82

6. tutti sanno che i giude' hanno il naso fallo .a •

antisemita si spargessero in quasi tutti gli ambienti». L'Italia non divenne antisemita, ma gli italiani «fecero in un certo senso l'orecchio e si abituarono inconsciamente a certi argomenti» convincendosi che,in fondo, qualcosa di vero dovesse pur esservi. Gli effetti si videro con le leggi per la difesa della razza promulgate a partire dal settembre 1938.Per la Chiesa avevano «alcuni lati buoni». «Discriminare e non perseguitare» fu la posizione più o meno ufficiale. Ma «la discriminazione era persecuzione, la più barbara e la più ingiusta che da secoli la terra italiana avesse conosciuta» scrive De Felice. Anche se talvolta le amministrazioni applicarono con scarso zelo le normative razziali, per la preoccupazione di bloccare interi settori commerciali tradizionalmen-

La spada dell'islam Il duce con la spada d'oro donatagli dai libici.: In realtà fu forgiata e cesellata in Italia.

7. e i capelli' arricciolati son di numeri formati.

su 1.000 morì suicida te in mano agli ebrei, in pochi mesi migliaia di persone persero il lavoro. Emma Terracina racconta che il marito, meccanico specializzato all'azienda tranviaria di Roma, nel giro di tre giorni «fu allontanato dal lavoro, come altri ebrei che lavoravano con lui, senza ricevere alcun compenso per il mancato preavviso e nessuna solidarietà da parte dei colleghi». Rovinati. Molti, vivendo solo di stipendio, finirono sul lastrico o dovettero subire odiosi ricatti. «Mio padre fu licenziato dalla compagnia di assicurazioni per la quale lavorava e iniziammo a peregrinare da Torino a Milano a Roma, alla ricerca di chi gli desse un lavoro qualsiasi, sempre clandestino e precario» ricorda Lia Levi, oggi scrittrice. I professionisti dovettero chiudere gli studi,

I loro documenti avevano la dicitura "razza ebraica". Il RassaRorto nO,_Rer . . ~Rlngerea emigrare •• studenti e professori ebrei furono espulsi dalle scuole. «Quando fui cacciato avevo appena iniziato la prima elementare e non riuscivo a capire quale colpa avessi commesso» testimonia Renato Astrologo: «ricordo molto bene la rabbia e la vergogna provata». Persero la licenza perfino venditori ambulanti, tassisti e osti. «Per continuare a lavorare, mio padre dovette cedere a un prestanome "ariano", ma pagandolo, la sua licenza di tagliatore di diamanti. Mio zio, commerciante, dovette trasformarsi in garzone di merceria» aggiunge Luciano Tas, oggi giornalista. Tra le tante norme vessatorie imposte dal regime, anche il divieto di possedere radio, di figurare negli elenchi telefonici, di raccogliere lana per materassi, di gestire scuole da ballo, di accedere alle biblioteche pubbliche, di pilotare aerei, di allevare colombi viaggiatori,di appartenere a club sportivi e di avere domestiche "ariane" «perché la razza "superiore" non poteva fare servizi a quella "inferiore"» spiega De Felice. Chi poté, emigrò; altri si fecero battezzare. nella vana speranza di sfuggire alle persecuzioni: nelle famiglie miste si ufante-Ia visita in crearono tragiItalia di Hitler, nel che lacerazioni.

Un Paese di cartapesta

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maggio del 1938, si fece abbondante uso della cartapesta per abbellire le strade di Roma lungo il tragitto del dittatore tedesco. Grazie a questo stratagemma, la stazione Termini cambiò volto e i palazzi di via Nazionale, di altezza diseguale, furono perfettamente allineati.

Complicità.

Se la responsabilità maggiore fu del fascismo, dice ancora De Felice, è anche vero che «l'antisemitismo, dopo che superò il primo momento di resistenza degli italiani, fu da moltissimi di questi accolto come qualcosa di meno grave di quanto fosse sembrato in un primo momento». I giornali si riempirono di attacchi e calunnie sempre più personali e dirette ad avvocati, medici, attori e perfino sportivi ebrei. Partì la caccia al cognome ebraico, quasi sempre in base a criteri malamente orecchia ti. Si diffusero le denunce anonime e le estorsioni. Peggio ancora fece il mondo della cultura: per scrittori, docenti, giornalisti fu l'occasione per mettersi in mostra, fare Focus Storia 84

carriera, denaro, per sfogare rancori, per prendere il posto tolto al collega ebreo. Solo con il crollo del fascismo e l'occupazione tedesca si comprese la vera natura delle leggi razziali e il Paese mostrò il meglio, e purtroppo anche il peggio, di sé: da una parte i molti che, rischiando la deportazione o la

fucilazione, salvarono la vita a migliaia di ebrei nascondendoli nei conventi, nelle chiese,nelle soffitte, nei fienili,fornendo loro documenti falsi. Dall'altra tutta una serie di collaboratori, volenti o nolenti, che i tedeschi trovarono tra gli italiani per la realizzazione dei loro piani di sterminio. E un fatto, dice

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De Felice, che «polizia, carabinieri e militari, tranne casi sporadici, eseguirono passivamente gli ordini dei comandi tedeschi, compiendo arresti, rastrellamenti, traduzioni di ebrei». Lia Levi e la sua famiglia furono avvertiti in tempo e sfuggirono alla razzia del 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma. La famiglia di Luciano Tas spese fino all'ultimo centesimo per procurarsi documenti falsi e corrompere le guardie confinarie fasciste nella fuga verso la Svizzera. Tutti i beni mobili e immobili appartenenti agli ebrei furono confiscati. Nelle città della Repubblica sociale le spoliazioni non si fermarono neppure davanti agli oggetti di uso domestico: il mobilio, gli attrezzi da cucina, la biancheria personale. Persino i vasi da notte furono requisiti. Atteggiamento ambiguo. La Chiesa ufficialmente tacque, pur appoggiando l'opera dei religiosi a favore degli ebrei. Ma non rinunciò del tutto alle sue posizioni. Quando il governo Badoglio decise di abolire le leggi razziali, nell'agosto del 1943, un incaricato del Vaticano, padre Pietro Tacchi-Venturi, comunicò al maresciallo d'Italia che la legislazione razziale «secondo i principi e le tradizioni della Chiesa cattolica, ha bensì disposizioni che vanno abrogate (quelle sui convertiti e i matrimoni misti) ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma». O Franco Bordieri

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Esclusi da tutto Gli strumenti dell'odio Un numero del quindicinale La difesa della razza, pubblicato fra il '38 e il '43, e una tavola con "vari prototipi di ebrei" tratta dalla stessa rivista. . Il suo direttore Telesio Interlandi era un antisemita convinto anche prima delle leggi razziali.

Sopra, manifesto sulle leggi del novembre 1938, che bandivano gli ebrei dagli uffici pubblici. A destra, lettera della Siae di esclusione degli autori ebrei e una circolare del Club alpino italiano che ne limita l'iscrizione ai soli "ariani".

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Vita quotidiana

Corteggiamenti a distanza, matrimoni di massa,madri Rrolifiche, li uomini di qua e le donne di là: per cm era giovane durante il Ventennio, gli approcci con l'altro sesso erano decisamente meno agevoli che oggi. Perché, fin da piccoli, ragazzi e ragazze conducevano vite separate: quasi sempre divisi a scuola (i bidelli sgridavano i bambini che rivolgevano la parola alle bambine), non si incontravano neppure fuori, perché le fanciulle, tenute per lo più in casa, uscivano raramente da sole. «Se le scuole fossero state come adesso la mia vita sarebbe stata tutta un'altra cosa. lo invece le ragazze le ho conosciute da vecchio» sospira Angelo Limido, raccontando gli anni della sua gioventù nella Milano fascista. E come lui, sono in molti a ricordare la clandestinità dei primi contatti, i timori di essere scoperti e la paura di apparire, agli occhi dell'altro, troppo sfacciati. Nelle sale da ballo uno dei pochi luoghi di incontro - invitare troppo spesso la stessa ragazza equivaleva a una dichiarazione d'amore. Ma la necessità aguzzava l'ingegno. E così,mezzo secolo prima del telefono cellulare, per comunicare con l'amata «si ricorreva all'antenato dell'sms, il bigliettino all'amica, con la speranza che la messaggera di turno non lo buttasse o ne modificasse il contenuto» ricorda Luigi Losio, classe 1910. «Cm voleva spendere qualche lira si affidava al "segretario galante", uno che i bigliettini li scriveva su commissione, per cm era un po' debole di penna». Una volta stabilito il contatto, la possibilità di uscire da soli non era neppure contemplata: fino al fidanzamento ufficiale i due colombi si incontravano solo in presenza di un'amica, o della sorella della ragazza. Proibito baciarsi in pubblico, gli innamorati potevano al massimo tenersi per mano. Organi fascisti. Eppure il regime incoraggiava i matrimoni in ogni modo. E lo faceva per raggiungere gli obiettivi di una delle campagne cui Mussolini teneva di più: quella demografica, annunciata nel 1927. L'anno dopo Mussolini scriveva: «li tasso di natalità non è soltanto l'unica arma del popolo italiano, ma è anche quello che distinguerà il popolo fascista, in quanto indicherà la volontà di tramandare la sua vitalità nei secoli». Achille Starace, dal 1931 segretario del partito fascista (v. a pag. 62), traduceva per la plebe: «Tutti gli organi del partito funzionano. Devono perciò funzionare anche gli organi genitali». Alla fine degli anni Venti, la popolazione italiana contava circa 40 milioni di abitanti: Mussolini voleva portarla a 60. I provvedimenti furono numerosi. Si istituì una tassa sugli scapoli con più di 25 anni (solo per gli uomini perché si supponeva che le zitelle fossero rimaste tali contro la loro volontà, v. distintivi nella prossima pagina), mentre ai giovani sposi furono concessi assegni e pre-

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Focus Storia 86

amanti fisse e Rrostitute: l'amore e il sessodurante il Ventennio

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Considerati "cattivi italiani", i celibi erano p'er la Rolizia Rotenziali ~ stiti. Vennero date agevolazioni a chi faceva figli e le "madri prolifiche", che ne avevano almeno 7, venivano premiate con un assegno di 5 mila lire e una polizza assicurativa. Con solennità venivano celebrati matrimoni di massa: a Roma in un solo giorno, il 30 ottobre del 1933,ben 2.620 coppie si scambiarono le fedi. Le madri in difficoltà e gli orfani venivano assistiti dall'Opera nazionale della maternità e dell'infanzia (Onmi) che, fra le altre cose, provvedeva a dare un tetto e un'istruzione ai bimbi senza genitori e organizzava corsi di puericoltura per le mamme. Aspettative deluse. «La campagna demografica fu l'unica iniziativa del regime a penetrare nella vita coniugale per essere attentamente valutata, priFocus Storia 88

ma di essere disattesa» ha scritto il giornalista Gian Franco Venè. Dal 1922 al 1941 il tasso di natalità scese infatti da 28,3 a 23,6 nati per mille abitanti. A farlo crollare sotto i 20 fu però la guerra, tornata a sconvolgere per la seconda volta in un secolo i territori della penisola. Sembra quindi chiaro che gli italiani si affidassero a qualche forma di contraccezione. il controllo delle nascite ricadeva spesso sulle donne, che praticavano clandestinamente l'aborto (un crimine, secondo la legge) con purganti, infusi di prezzemolo o ferri da calza. «Un'inchiesta svolta sulle lavoratrici torinesi del Ventennio mostra che l'aborto non era considerato un atto immorale, ma un evento fisiologico, proprio come il parto» spiega Concetta Brigadeci, studiosa di storia delle donne.

I preservativi invece erano visti più come una barriera contro le malattie veneree che come ~• PER un metodo per non avere figli. 1!]p> A Ci s: Il, Nel 1923, a Bologna aveva g L.J:, T A aperto la prima fabbrica italiana, la Hatù. La pubblicità era vie- . tata, ma i preservativi erano venduti nelle farmacie che esponevano un'insegna a forma di termometro, con la scritta Hatù. Erano di caucciù, grossolani e poco scorrevoli. E costavano circa il doppio di adesso: per una bustina da tre del modello standard si sborsavano 5 lire e mezza (rapportate a oggi 4,6 euro), 14 lire e 80 centesimi per una confezione da sei della serie "oro". Gli acquirenti aspettavano che la farmacia fosse vuota per entrare, e nessuno avrebbe mai osato chiederli a una commes-

___ -re,;;..,;;,sRonsabili di atti osceni in luo9Q..Rubblico,..QRRure sa donna. Anche perché farlo significava confessare un'abitudine tanto diffusa quanto imbarazzante: la maggior parte dei preservativi, infatti, veniva usata nei bordelli. Tre lire la marchetta. Le case del piacere aprivano alle 10 del mattino e, con una pausa per il pranzo e una per la cena, lavoravano fino a notte inoltrata. La clientela variava a seconda dell'orario: al mattino erano frequentate da vecchi e contadini, scesi in città per il mercato. Al pomeriggio, in quelli di prima categoria, arrivavano i professionisti,i gerarchi e gli ufficiali.Nelle ore serali, soprattutto nei giorni di paga, i bordelli si riempivano anche di operai e impiegati. All'ingresso, la guardiana (un'ex prostituta che

nessuno più voleva e che viveva di mance) si faceva consegnare borse, ombrelli e bastoni, che erano vietati all'interno, e controllava le carte di identità dei più giovani, che solo a partire dai 18 anni potevano avere nei bordelli le loro prime esperienze sessuali. Nelle sale affollate,fra i divanetti umidi,le "signorine" vestite di veli adescavano i clienti e se li portavano nelle camere, poste in genere al piano superiore. La contrattazione cominciava appena chiusa la porta e la tariffa era calcolata in base al tempo: l'unità di misura era la "marchetta", ovvero i cinque minuti. Costava 3 lire nei bordelli di infimo ordine, ma oltre 20 in quelli più lussuosi. Scaduto il tempo, la ragazza, che teneva per sé la

omosessuali

metà di quanto guadagnava, accompagnava il cliente alla cassa. Difficilmente si sarebbero rivisti, perché j le signorine si fermavano nello stesso posto soltanto per due settimane. Per questo la loro pattuglia era chiamata "la quindicina". Amanti fisse e violenze impunite. I bordelli non erano mal visti dalle mogli, che pensavano che in questo modo gli uomini si sarebbero astenuti dal farsi un'amante fis- ~ sa, mettendo a rischio l'unità della famiglia. Spesso però il calcolo si rivelava sbagliato. L'esempio veniva da Mussolini in persona che, come raccontò più tardi il suo usciere «rispetto alla donna era veramente come Focus Storia 89

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Alla nascita del secondo figlio si aRRendevano alla culla caramelle il medio uomo borghese italiano, che ama le avventure galanti rapide e non comprorande-scalpore mettenti e che, fece nel 1936 a una certa età, la pubblicazione sui non può fare a giornali della foto meno di prendella consegna del dersi un'amanpremia di natalità a te fissa e un una "signorina" con appartamen to 13 figli. La campagna fuori casa». demografica fu molto L'amante fissa, scossa da questa notizia: «In questo modo» a partire dal riferirono al duce «si 1936, fu Clarischia d'ince tiv re retta Petacci. la prostituzione»" che gli rimasé fedele fino alla morte. Prima di lei, però, le donne che Mussolini aveva ricevuto a Palazzo Venezia erano state moltissime. Gli uomini, del resto, avevano poco da temere dalle leggi che punivano il concubinato (il termine "adulterio", sanzionato con pene maggiori, si riferiva solo ai tradimenti commessi dalle donne). Infatti, chi avrebbe dovuto perseguirli era anche ben disposto a chiudere un occhio di fronte a fatti che non testimoniavano nulla più che la virilità di chi li aveva commessi. Il reato, inoltre, era persegui bile solo su denuncia della moglie. Raramente le scappatelle dei mariti facevano sgretolare il matrimonio. Ma in caso di separazione (il divorzio non sarà contemplato fino agli Anni '70) una volta accertata la colpa di lui «le donne avevano diritto a ricevere gli alimenti per i figli» spiega Piero Meldini, autore del libro Sposa e madre esemplare (Guaraldi). «In questo come in altri casi, le leggi del fascismo tutelavano la donna, ma solo nel suo ruolo di moglie e, soprattutto, di madre». Sulla stessa linea, il codice Rocco, entrato in vigore nel 1931 (v. riquadro a pag. 42) «distingueva fra il reato di violenza sessuale a scopo di libidine e quello a scopo di matrimonio» spiega Meldini. «In pratica, venivano punite soltanto le violenze commesse su donne già sposate. Negli altri casi, un matrimonio riparatore salvava l'onore della ragazza ed estingueva il reato».

Malafemm"na ma prolifica

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Focus Storia 90

Come appestati. Il codice Rocco non prevedeva invece, nella sua stesura finale, misure contro l'omosessualità. Un articolo specifico era stato elaborato in una versione precedente, ma poi eliminato perché «per fortuna e orgoglio dell'Italia, il vizio abominevole non è così diffuso tra noi da giustifi-

care l'intervento del legislatore» si legge nel testo della commissione guidata dal giurista Giovanni Appiani, incaricata di discutere il progetto di legge. Piuttosto che affrontare un tema scomodo e che poteva dare scandalo, il fascismo preferì negare il fenomeno. Alla polizia tuttavia furono date ampie pos-

e mandarini destinati al p'rimogenito,-,:~erchénon s'ingelosisse sibilità di manovra e gli omosessuali che subirono pestaggi e restrizioni della propria libertà personale furono numerosi. «La misura più severa, il confino, fu comminata a un centinaio di loro» racconta Giovanni Dall'Orto, direttore della rivista Pride. «Non servivano prove: era sufficiente che in paese "si

7 DICEMBRE

dicesse" che la persona fosse omosessuale». Le donne invece venivano emarginate dalla società e spesso bollate come isteriche e malate di mente. «Conosco un solo caso di una lesbica inviata al confino» dice Dall'Orto. Ricorda Vittorio G., omosessuale confinato a Carbonia, in Sardegna: «Stavo in mi-

1940

DISPOSIZIONI

ALLA STAMPA

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Il tutore degli italiani Sopra, operaie addette al controllo qualità nella prima fabbrica italiana di preservativi, la Hatù, il cui nome venne considerato l'abbreviazione di Habemus tutorem ("Abbiamo un protettore") . A destra, una confezione.

niera con altri come me e alcuni comunisti. li peggio fu quando arrivò un certo Calascione. Questo tipo ci odiava. Ci mise dei campanelli ai polsi e alle caviglie, in segno di scherno credo. "Così la gente quando vi sente arrivare scappa: siete peggio degli appestati"». O Margherita Fronte

Dalla stalla all'lmax -A destra,unastalla adattata a sala di proiezione negli Anni '30. Sotto, lo schermo gigante di un moderno cinema.

uan o non c'era i "wee -en " Estati in Romagna Due foto-ricordo scattate a Rimini: negli Anni '30 (a sinistra) e nel 2003 (wu:ID. le vacanze al mare, nel Ventennio, erano riservate a pochi fortunati.

Autocase e autocaravan Una famiglia olandese visita l'Italia nel 1932 in "autocasa", una curiosità per quei tempi. I camperisti di oggi~in Europa sono circa 3 milioni.

Sono trascorsi solo 70 anni, ma i nostri nonni Rassavano il (ROCO) temRo libero in modo assai diverso da noi. Eccocome Stasera mi butto Un'orchestrina di campagna formata da contadini e impiegati: gli amanti del ballo si dovevano accontentare. Sotto, discoteca con cubista.

Focus Storia 93

Tra le letture c'erano i gialli Mondadori. Costavano 2 lire (1,5 euro) a giornata di lavoro è finita: stanco, il capofamiglia torna a casa, si infila ciabatte e vestaglia, si sdraia in poltrona. Ma manca qualcosa: il televisore non c'è. E neppure Internet, il digitale terrestre, i dvd e il telefono cellulare. Non rimane che ascoltare la radio: quella del vicino benestante, naturalmente, se si ricorderà di aprire la finestra per far arrivare la musica anche ai dirimpettai. Sembra preistoria, ma non siamo andati poi molto indietro nel tempo: era così,infatti, che i nostri nonni e i loro genitori passavano le serate negli Anni '30. Eppure, anche senza televisione, durante il Ventennio fascista gli italiani sapevano bene come trascorrere il tempo libero. E quando non lo sapevano, era il regime a procurare loro le idee. Con il dopolavoro, il sabato fascista, i treni popolari e le colonie balneari. Dopocena in città. A parte la lettura serale del giornale o l'osteria dopo cena, il lavoratore di città, durante la settimana, non aveva né tempo né soldi per divertirsi. «Dal lunedì al venerdì eravamo assillati dai problemi familiari o di studio» ricorda Enrico, classe 1916,con alle spalle la Seconda guerra mondiale e una medaglia da partigiano. «Ma il sabato era un giorno particolare, che ognuno utilizzava a seconda delle proprie possibilità economiche: io con gli amici giocavo a ramino, a bocce, a scala quaranta e a mercante in fiera. Non sempre si poteva andare a teatro o al cinema, perché costavano, così ci riunivamo in casa a ballare con i dischi che andavano per la maggiore (v. riquadro qui sotto )>>. Operai e impiegati, poi, avevano il dopolavoro. L'Opera nazionale dopolavoro (Ond) fu istituita nel 1925 per prendere il posto delle associazioni ricreative spazzate via dagli squadristi fascisti. Quando, negli Anni '30, l'Ond (che dipendeva dal partito) assunse il monopolio del tempo libero italiano, i suoi membri raggiunsero i 4 milioni

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e mezzo, organizzati in 25 mila circoli. «Si trattava di strutture ricreative per adulti» spiega Fiorenza Tarozzi, docente di Storia contemporanea all'Università di Bologna e autrice del libro Il tempo libero. Tempo della festa, tempo del gioco, tempo per sé (Paravia). «C'era il caffè per chiacchierare, lo spazio per giocare a bocce e fare ginnastica, le

aule per le lezioni serali. Ma erano anche uno strumento di controllo usato dal fascismo per acquisire consensi». Veglia serale. Ben diversa la situazione nelle campagne, dove la natura dettava i ritmi del lavoro e dove, a dispetto dei luoghi comuni, i contadini non andavano affatto "a letto con le galline". D'estate si ballava sul-

, Le discoteche non ..esistevano, . ma i giovani potevano ballare lo stesso. In casa.

E qui la festa? e festicciole tra amici, i cosiddetti "tè danzanti" del VenL tennio, non somigliavano molto ai party di oggi. Si svolgevano prevalentemente la domenica pomeriggio, tra i giovani della media borghesia. A turno si sceglieva la casa dell'una o dell'altra famiglia per riunirsi a mangiare,chiacchierare e, soprattutto, ballare. Fonovaligia. Protagonista principale

era il grammofono a valigetta, che funzionava a molla, recente sostituto del fonografo. Chi lo manovrava, di norma il proprietario, aveva ben poco dei moderni dj: necessariamente escluso dalle danze, ogni due o tre minuti, non appena le note della canzone cominciavano a distorcersi, doveva ricaricare la molla girando con lena la manovella. Un grammofono Durium modello Dux, tutto in cartone.

e vendevano in media 40 mila cORie l'uno

I

In gita con il treno Un "carro della neve" del Dopolavoro Fiat a Milano. Reclamizza la stazione di sport invernali piemontese del Sestriere, raggiungibile anche in Littorina. Chi non poteva permettersela, doveva ripiegare sui treni popolari (sopra).

l'aia, d'inverno, invece, specie in Lombardia, Emilia e Toscana, si "andava a veglia". Uomini, donne, vecchi e bambini si riunivano cioè dopo cena nelle stalle o nelle grandi cucine, i luoghi in genere più caldi: gli adulti pensavano alle piccole riparazioni, le madri cucivano, i più anziani raccontavano storie. E non si ascoltavano solo favole: la veglia era l'unico modo di conoscere gli avvenimenti del giorno, dal momento che la televisione non esisteva e, nonostante la campagna per la diffusione della radio nel mondo rurale, quasi nessuno poteva permettersela. Sintonizzatl. Anche in città questi apparecchi non erano poi così diffusi (il milione di abbonati fu raggiunto solo nel 1938). Pertanto alle otto di sera, quando iniziavano i programmi musicali, ci si riuniva nei cortili o nelle case di chi una radio la possedeva: c'era chi sistemava l'apparecchio sul tavolo della cucina vicino alla finestra aperta e chi predisponeva le sedie per gli ospiti in giardino o in salotto, davanti a un liquorino. La piccola e media borghesia si lasciò conquistare dall'opera, dall'operetta, dai concerti e dal radiodramma. «Ma per alcuni giovani» ricorda ancora Enrico «le trasmissioni preferite erano quelle di politica, nazionale e internazionale. Solo che la radio trasmetteva soprattutto musica leggera: c'erano due orchestre

che si alternavano, sul primo e sul secondo Programma. La mia preferita era la Angelini: era lei che ci mandava a letto». Forse per il costo (430lire per la "popolare" Radiobalilla, circa 250 euro di oggi), forse perché i primi apparecchi si surriscaldavano facilmente lasciando nell'aria un odore di pentola bruciata, la radio conobbe una diffusione lentissima. Nonostante ciò, nel 1927 l'Ente italiano audizioni radiofoniche (Eiar, la futura Rai) decise di trasmettere in diretta le cronache delle partite di calcio.Fu allora che i responsabili del dopolavoro nelle zone rurali tentarono con ogni mezzo di ottenere un apparecchio in dono e l'esenzione dal canone: «I nostri giovani non hanno mai udito la voce del Duce» si giustificavano. Sabato in nero. Tra le poche occasioni in cui i giovani italiani praticavano in prima persona qualche sport, del resto, c'erano i sabati fascisti. «Nel 1938 avevo 16 anni» racconta nonna Lea, 14 tra nipoti e pronipoti. «Amavo lo sport e nel periodo fascista le maggiori soddisfazioni si raccoglievano proprio sui campi sportivi. Abitavo a Roma e ricordo il sabato fascista con il saggio ginnico Pedalata di tutto riposo e le gare nel Foro Italico di fronte a Mussolini e alle autorità: non c'erano premi, si gaGita organizzata da un Dopolavoro di reggiava perché ci piaceva. Lanciavo il giaMilano nel 1941. Nel riquadro, una vellotto, facevo la corsa a ostacoli, nuotavo e ~ tessera dell'Opera nazionale dopolavoro. Focus Storia 95

•. sciavo. Ma ricordo ancora il dolore quella volta che, saltando un ostacolo, inciampai infilandomi nel ginocchio i chiodi della suola delle scarpette da corsa: quel sabato fui costretta a passarlo in ospedale». I ragazzi partecipavano alle adunate tra le 14:30 e le 16 e. affidati com'erano alle cure del partito, non c'era pericolo che tornassero a casa all'improvviso. Una pacchia per i genitori, che in quel paio d'ore potevano godersi un po' di intimità. Vacanze dietro l'angolo. La domenica, invece, si trascorreva nel segno della bicicletta. «Ero un appassionato della gita domenicale» ricorda ancora Enrico. «In estate, con gli amici, pedalavamo lungo tutta la circumvesuviana da Nola a Napoli per raggiungere le spiagge di Posillipo». Per molti la domenica era infatti il giorno dedicato alla gita fuoriporta: i treni popolari (v. articolo a pag. 30) trasportavano folle di cittadini verso località balneari e città d'arte. Più spesso, si organizzavano giri in carrozza, una variante più allegra della passeggiatina festiva. Queste erano anche, per la maggioranza, le uniche forme di vacanza che ci si potesse permettere. Se i benestanti passavano l'agosto in villeggiatura nelle località alla moda (Taormina, il Lido di Venezia, la Riviera ligure e la Versilia, il lago Maggiore) tutti gli altri, se privi di parenti al mare o in montagna, in occasione delle ferie (mai più di una settimana) dovevano accontentarsi di località raggiungibili in giornata con i mezzi pubblici.Ai più piccoli, invece, ci pensava il regime: nel 1936, ben 772 mila bambini furono ospiti delle colonie estive (v. articolo a pago64). Struscio e ballo. Le famiglie che nei giorni festivi rimanevano in città si radunavano intorno ai tavolini dei caffè per un gelato: il cremino ai piccoli e la coppa per le signore, cui era vietato, per decoro, il cono da passeggio. I giovani invece si davano a divertimenti più moderni, come il ballo e il cinema. Nelle sale da ballo, le ragazze erano rigorosamente accompagnate da madri o zie: toccava agli uomini invitarle per un valzer o per un tango, ben più pudico di quello argentino. Nelle balere invece si radunavano gli estimatori del più popolare ballo liscio, delle polche e delle mazurche, eseguite da orchestrine di fisarmoniche. Erano questi gli unici momenti in cui ragazzi e ragazze avevano la possibilità di sfiorarsi (v. articolo a pag. 86). Tutti al "cine". Ma la vera passione degli italiani era il cinema, che negli Anni '30 diventò un fenomeno di massa tra la borghesia, soprattutto grazie ai film americani. n prezzo era abbordabile (2-3 lire, circa 2 euro) e nel 1938 furono venduti 360 milioni di biglietti, contro i poco più di 100 milioni del 2001. Nelle campagne, invece, arrivava l'''autocinema" (l'istituto Luce ne aveva 32), un furgone attrezzato con un proiettore sul tetto.

!LRrimo successoradiofonico di massa fu un Rrogramma comico trasmesso tra il 1934 e il 1937: la Rarodia /4 moschettieri

Guardare la radio Negli studi dell'Eiar si recitava come se il pubblico fosse presente. Sopra, un rumorista.

«Ho iniziato a 6 anni a frequentare il cinema» ricorda Giovanna, 87enne di Milano. «Quando sentivo che qualche adulto ci andava - capitava una volta alla settimanami accodavo. Prima del film proiettavano il cinegiornale del Luce, che era seguito da tutti con attenzione. Era come il telegiornale di oggi». E suo marito Angelo aggiunge: «Non c'erano tante réclame come adesso. Mi ricordo che al cinema Orfeo, finito il film, una voce diceva in milanese: "Signori, adess che gh'è finì 'l dramma, andé al Pozzi a mangiar la panna". Pozzi era una gelateria fuori dal cinema». O Maria Leonarda Leone

Cani da corsa Roma, 1938: corsa di ·Ievrieri aìcinodromo della Rondinella.

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erché l'Italia fascista diffonda nel mondo più rapida la luce della civiltà romana». Così si leggeva sul manifesto che nel 1937 annunciava la nascita degli studi di Cinecittà, che - almeno nelle intenzioni del duce - proprio per questo era stata fondata. TI 28 aprile di quell'anno Mussolini aveva partecipato alla cerimonia d'inaugurazione degli studi sulla via Tuscolana, alle porte di Roma, dove un suo motto campeggiava a caratteri cubitali: «La cinematografia è l'arma più forte». Ma, soprattutto, il cinema piaceva agli italiani. Passione. All'inizio degli Anni '30 più della metà degli incassi di tutti gli spettacoli (comprese le manifestazioni sportive) veniva dalle sale cinematografiche, dove fino al 1932 i film erano muti. E il cinema. dove si proiettavano obbligatoriamente i cinegiornali (v. a pag. 99), formava l'opinione pubblica. Anche per questo, fin dal '31, lo Stato fa-

scista si era interessato, finanziandola, a quell'industria ormai in crisi. Erano infatti lontani i tempi dei fasti dei primi kolossal (Qua Vadis, del 1913,e Cabiria, del 1914) quando Torino era la capitale mondiale dei cineasti, La nuova Mecca del cinema era Hollywood e la concorrenza da battere era quella americana. In pochi anni Greta Garbo, Marlene Dietrich, Gary Cooper e Jean Harlow avevano conquistato gli italiani. Anche quelli al potere. «L'atteggiamento del regime verso il cinema americano» spiega lo storico del cinema Gian Piero Brunetta nel suo libro Cent'anni di cinema italiano (Laterza) «fu favorevole, per la sua qualità narrativa e il suo carattere di intrattenimento». Bastava sforbiciare qua e là le "pellicole" (film era un termine straniero e quindi bandito) e vigilare attentamente sui doppiaggi. Ma si poteva andare oltre: imparare dagli americani e fare da so-

li. Se gli Usa avevano Hollywood, l'Italia doveva avere i suoi teatri di posa. Rinascita. Così, sulle ceneri di un incendio tanto misterioso quanto provvidenziale che nel 1935 aveva distrutto gli stabilimenti della Cines (i più importanti dell'epoca), nacque Cinecittà. Dapprima gestita da un privato, Carlo Roncoroni, ma alla sua morte (due anni dopo l'inaugurazione) gli eredi cedettero gli studi allo Stato fascista, che li affidò al fedele Luigi Freddi. Le pellicole girate nella città del cinema nel 1937 furono 20.Tra queste c'era Scipione l'Africano, kolossal in costume, di Carrnine Gallone, che proponeva un improbabile parallelo tra guerre puniche e campagna d'Abissinia, e tra Scipione e Mussolini. Nel film abbondano i discorsi (in uno si cita persino la "battaglia del grano", v. a pag. 48) e le Focus Storia 97

o:

Gli italiani si erano adattati ai surrogati del caffè. Ma non volevano rinunciare a Greta Garbo

Il primo festiva I del cinema: la Mostra di Venezia le eredità del VentenTdelraniocinema c'è anche la Mostra di Venezia. Inaugurata il 6 agosto 1932 in occasione della Biennale d'arte, che all'epoca aveva già 39 anni di vita, fu il primo festiva I del cinema al mondo. . Il conte ministro. L'idea di una rassegna cinematografica internazionale l'aveva avuta Luciano De Feo, direttore dell'Istituto Luce (v. a pago 99), e fu appog-

Figlio di duce e cineasta Vittorio Mussolini (seduto, col cappello) sul set di Luciano Serra pilota (1938) interpretato da Amedeo Nazzari.

~ scene di massa. E qua e là si vedono pali della luce e persino un orologio al polso di un legionario. Ma questo era il tipo di spettacolo che aveva in mente il duce. Che voleva storie eroiche, come quella di Luciano Serrapilota (1938,di Goffredo Alessandrini), aviatore sul fronte etiopico. Ma nonostante gli sforzi, gli Usa continuavano a vincere al botteghino. «Ancora nel 1938, il 73% degli incassi andava alla produzione americana» conferma BrunetFocus Storia 98

giata dal conte Giuseppe Volpi di Misurata, ministro delle Finanze dal 1925 al 1928. Il conte, che era diventato ricchissimo grazie anche alle concessioni sulle coltivazioni di tabacco in Montenegro, voleva infatti rilanciare il Lido di Venezia. Quasi libera. Benché il suo scopo fosse valorizzare le pellicole italiane (nel '37 fu premiato Scipione l'Africano), negli Anni '30 la mostra rappresentò l'unica

ta. Evidentemente, era ora di passare a misure più drastiche. Nel '38 un decreto assicurò all'Ente nazionale industrie cinematografiche il monopolio della distribuzione su tutto il territorio. Le major americane si ritirarono dal mercato italiano, e nel '39 i film importati dagli Usa scesero da 161a 60,mentre la produzione italiana passò in 4 anni da 45 a 171 film. Per lo più usciti da Cinecittà. A corto di star. Lo stop imposto ai film stranieri aprì le porte ai divi nostrani. La "fidanzata d'Italia" divenne Alida Valli, che aveva raggiunto la fama intonando nella commedia Mille lire al mese l'omonima can-

occasione di vedere film di generi diversi, tra cui autentici capolavori del cinema straniero (americani, sovietici, francesi) mai proiettati in Italia. Oscar itallco. La prima edizione non prevedeva premi, ma dal '34 (quando la mostra diventò annuale) fu istituita la coppa Volpi per i migliori interpreti maschile e femminile. Un "Oscar" italiano che si assegna ancora oggi.

zone, ma l'unica ad avere successo anche all'estero fu Isa Miranda. Il "lui" che incarnava l'uomo nuovo italiano aveva invece il volto di Arnedeo Nazzari. Tra i registi,Alessandro Blasetti firmò film storici conditi di retorica, ma è ricordato più per il primo nudo del cinema sonoro italiano: nella Cena delle beffe (1941) mostrò a tutti il seno di Clara Calamai. Mentre Mario Camerini, che aveva lanciato la stella di Vittorio De Sica (Gli uomini, che mascalzoni. .., 1932), raccontò il mondo piccolo-borghese, anticipando alcuni aspetti del cinema neo realista del dopoguerra. Il posto dei comici americani venne preso da una generazione di grandi attori, tra cui Totò e i De Filippo. E il pubblico? Come reagì, una volta rimasto orfano degli amati divi a stelle e strisce? «Si adattò a un black-out che spera temporaneo» spiega Brunetta. «Ma la luce Hollywood alimenterà, per tutti gli anni guerra, sogni, speranze e desideri di milio di italiani». Aldo Ca .

Li Rroiettavano al cinema, nelle Riazze, nelle scuole. Erano i filmati dell'Istituto Luce, che esaltavano Mussolini e il fascismo

L'era dei cinegiornali C'

Il megafono del duce ~,Mussolini posa la prima pietra della nuova sede dell'Istituto Luce, presso Cinecittà, neI1937.~, un furgone Luce durante una proiezione in piazza San Giovanni, a Roma, nel 1932, e (a destra) un operatore del Luce a Trieste.

è stato un tempo in cui il telegiornale si guardava al cinema. Si chiamava Giornale cinematografico Luce (ma per tutti era "il cinegiornale"), durava 10 minuti e veniva proiettato, anche nelle scuole, 4 volte la settimana. A realizzare i filmati era l'Istituto nazionale Luce. Statalizzato. Nel 1924, per iniziativa del giornalista Luciano De Feo, era nato il Sindacato istruzione cinematografica (Sic), una società privata che aveva lo scopo di realizzare documentari educativi per le masse di un'Italia ancora in gran parte analfabeta. De Feo presentò la sua iniziativa a Mussolini, che ne capì subito le potenzialità come strumento di propaganda e suggerì di ribattezzare la società L.U.C.E. (L'Unione Cinematografica Educativa), prima di trasformarla, nel 1925, in ente statale con il nome Istituto nazionale Luce. Nel 1926 una legge rese obbligatoria in tutti i cinema italiani la proiezione di parate militari, eventi sportivi e, dal '27, dei cinegiornali.Negli anni del regime, in tutto, ne furono prodotti più di 3 mila. Forza dell'immagine. Mussolini aveva compreso che la forza delle immagini, magnificando i traguardi raggiunti e soprattutto dando enorme risalto alla sua figura, gli avrebbe fatto guadagnare consenso popolare. Inoltre, le tecniche di mon-

taggio permettevano di prendersi gioco degli avversari: il presidente Usa Roosevelt, mostrato con la moglie davanti al caminetto, appariva, a confronto con Mussolini, ridicolo. Eppure, a metà degli anni Trenta, una parte della classe dirigente fascista ritenne che il Luce non fosse più in grado, da solo, di produrre una propaganda degna del regime. Fu così che nel 1938 il giornalista Sandro Pallavicini fondò la società privata Incom (Industria cortometraggi Milano), che si specializzò nella produzione di filmati propagandistici e che ruppe il monopolio del Luce nel settore dell'informazione audiovisiva, senza però fargli davvero concorrenza. AI fronte. Gli anni della guerra furono seguiti con particolare attenzione dal Luce, che inviò al fronte ben 17 unità di ripresa, pagando il suo contributo di vittime. I documentari dovevano dimostrare che l'eseroito italiano era invincibile, non~stante le scarne vittorie. Con la nascita della Repubblica di Salò.il Luce si trasferì a Venezia, ma la sua attività si limitò a produrre il Giornale cinematografico e a distribuire i cinegiornali tedeschi, doppiati in italiano. La fine della guerra spazzò via il vecchio regime, ma non l'Istituto Luce che, tornato a Roma, continuò a esistere come Istituto Nazionale Luce Nuova. O Emiliano Longo

Scienza

Il contributo del"genio italico" al fascismo,tra nuovi combustibili rrivato al potere nel 1922, il fascismo non aveva certo tra le sue priorità quella del rilancio della ricerca scientifica. «Se nel '23 fu creato il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) , destinato nonostante tutto a diventare il motore della ricerca italiana» dice Raffaella Simili, docente di Storia della scienza all'Università di Bologna «fu solo perché lo richiedevano gli accordi internazionali, ai quali il capo del governo era in quel momento molto sensibile». Del resto Mussolini, all'inizio, non sapeva neppure che cosa chiedere agli scienziati. «Fino al 1930» conferma Roberto Maiocchi, massimo esperto di scienza del periodo fascista «era stato persino in dubbio se sopprimere il Cnr e puntare tutto sulla neonata Accademia d'Italia, creata per soppiantare quella dei Lincei, che si era dimostrata un covo di antifascisti». Il duce, che puntava più sull'agricoltura che sull'industria, si intendeva invece bene con Nazareno Strampelli, titolare di una "cattedra ambulante di Granicoltura". Mussolini fece leva su di lui per la "battaglia del grano", lanciata nel 1925 e clamorosamente vinta nel 1931, quando si giunse a produrre in casa tutti gli 81 milioni di quintali di grano necessari per dare pane agli italiani. Le nuove varietà prodotte per ibridazione da Strampelli avevano dato un contributo essenziale, che valeva, secondo il regime, un premio Nobel, che invece non venne. Si gridò all'ingiustizia e alla discriminazione (Strampelli era iscritto al partito e diede ad alcuni dei suoi grani i nomi dei figli del duce) ma nel 1933 Mussolini rimise le cose a posto decretando allo scienziato, che era già stato fatto senatore, solenni onoranze nazionali. Arrangiarsi. La battaglia del grano, che storici ed economisti hanno poi giudicato improvvida (v. riquadro a pag. 48), servì comunque a Mussolini per mettere meglio a fuoco l'uso che il regime poteva fare della scienza: renderla lo strumento chiave per il raggiungimento dell'autarchia, vale a dire la completa autosufficienza economica del Paese (v. a pag. 51). Per produrre autonomamente la ghisa e l'acciaio necessari all'industria, la nazione aveva bisogno di ferro, carbone e petrolio (che venivano importati per il 60% ). Mancavano poi rame, cotone e cellulosa. E in generale difettavano i combustibili per far funzionare tutto il sistema produttivo. Erano carenze enormi, che Mussolini e il suo governo pensarono di risolvere con scelte strategiche (come quella, inattuabile, dell'elettrificazione dell'aratura) e con l'aiuto della chimica, che fu in effetti la protagonista della vita scientifica del Ventennio. Presenti! I chimici italiani risposero entusiasticamente all'appello. Mentre Nicola Parravano, membro influente del direttorio del Cnr, delineava la figura dello "scienziato fascista" come «uomo di cultura, tecnico applicatore e individuo etico e politi-

A

Focus Storia 100

co», Giovanni Battista Bonino, pioniere della chimica quantistica, proponeva di trasformare i chimici in «una grande e speciale milizia agli ordini del regime fascista». «Ma nonostante l'impegno» spiega Maiocchi «i chimici riuscirono a raggiungere solo in parte gli obiettivi e l'autarchia nel suo complesso fu un fallimento». La messa a punto di un forno elettrico che consentiva di riciclare le ceneri di pirite permise di produrre solo la metà (2 milioni di tonnellate) dell'acciaio necessario al Paese. La produzione di alluminio (il "metallo nazionale" che doveva sopperire alla scarsità di ferro e rame) a partire dalla leucite, secondo il metodo messo a punto dal geochirnico Gian Alberto Blanc, risultò antieconomica. La Montecatini non fu in grado di soddisfare il bisogno di fertilizzanti azotati per l'agricoltura né di nitrati per gli esplosivi (ma in compenso le nostre truppe ebbero a disposizione 500 tonnellate di gas tossici da usare in Etiopia, v.articolo a pag. 114). Per produrre poca e costosissima gomma artificiale, la Pirelli pretese la copertura totale dei costi da parte dello Stato. E neppure gli sforzi di grandi chimici come Domenico Marotta, Francesco Giordani e lo stesso Nicola Parravano servirono a mettere a punto un metodo efficiente ed econo-

dal sorgo), invenzioni mancate (il radar) e incomQrese (l'elicottero)

Nel 1933 il governo riunì gli organi del settore sanitario del Cnr in ~ue"o che Roi diventerà l'Istituto sUReriore di sanità I,

•. mico per sostituire il cotone con la canapa (il cosiddetto cafioc). Motori ad alcol. Nel settore dei combustibili, furono realizzati sistemi di produzione di alcol etilico e metilico a partire da prodotti vegetali come la barbabietola e il sorgo. Ma la produzione fu insufficiente, l'industria boicottò la costruzione di motori adatti e si constatò che quelli tradizionali rendevano meno con benzine miscelate ad alcol, anche solo in minima parte. Né fu praticabile l'idea di ricavare "nafta nazionale" a partire da rocce asfaltiche e bituminose. Persino l'utilizzo del petrolio albanese risultò problematico e costoso per la sua scarsa qualità. «A conti fatti» conclude Maiocchi «il contributo dei chimici all'autarchia fu deludente non solo perché gli obiettivi erano troppo impegnativi, ma anche perché in Italia mancarono organizzazione e coordinamento».

Sicuramente effetto di questa disorganizzazione fu il mancato sviluppo del radar da parte degli italiani e dei tedeschi, che pure erano partiti avvantaggiati rispetto agli alleati (v. riquadro nella prossima pagina). Fedeli al duce. Nell'agosto del 1931 un regio decreto impose a tutti i docenti universitari di giurare fedeltà «al re, ai suoi reali successori e al regime fascista». Dei 1.225 titolari di cattedra, solo 12 si rifiutarono, e di questi solo 2 erano scienziati: il matematico Vito Volterra e il chimico Giorgio Errera. A essi va aggiunto Michele Giua, che allora era solo un assistente ma che venne allontanato dal Politecnico di Torino nel 1933,quando rifiutò di iscriversi al partito. Il consenso del mondo scientifico al fascismo fu dunque pressoché totale e unanime, anche se non sempre convinto ed entusiastico. «In generale però» commenta lo storico della mate-

matica Giorgio Israel «anche chi avrebbe potuto starsene dignitosamente in disparte, come i matematici Mauro Picone e Francesco Severi, si sbracciò indegnamente per offrire al regime una "matematica fascista" da mettere al servizio del Paese». In questo clima era difficile valutare lucidamente priorità e proposte. Il duce, che si aspettava dall'inventore della radio Gu- •.

Persino Rarecchi scienziati ebrei aderirono al fascismo. Tra Questi il matematico Federico EnriQues e suo fratello Paolo,.genetista ~ glielmo Marconi un miracoloso "raggio della morte" (v. Focus Extra n o 8), liquidò sbrigativamente il prototipo di elicottero proposto nel 1930 da Corradino D'Ascanio: «Non ho soldi per questi progetti né tempo da perdere». Sembra invece che non si possa imputare né a ottusità né a disorganizzazione la mancata comprensione dell'enorme potenzialità della ricerca di base portata avanti da Enrico Fermi sulla fissione dell'atomo. Che dall'energia così liberata si potesse ricavare un nuovo potentissimo ordigno bellico lo intuì forse, e ne rimase terrorizzato, Ettore Majorana, uno degli allievi di Fermi (v. riquadro nella pagina precedente). Fuga di cervelli. Fu però sicuramente responsabilità del regime se quella potenzialità venne sfruttata altrove: con l'emanazione delle leggi razziali, nel 1938 (v. articolo a pag. 80), anche in Italia cominciò la "fuga dei cervelli". Si è calcolato che. dei 37 scienziati più illustri dell' epoca, ben 13 emigrarono all'estero (tra cui 3 futuri premi Nobel: lo stesso Fermi, Emilio Segrè e Salvador Luria). Il generale clima di consenso aveva infatti prodotto gli effetti peggiori tra i biologi e gli antropologi, che avevano abbracciato l'applicazione razzista della genetica mendeUna pubblicità della Montecatini.

liana arrivando a sostenere, con il Manifesto degli scienziati razzisti pubblicato il 14 luglio del 1938,il principio dell'esistenza biologica di una «pura razza italiana». D'altronde la convinzione che l'idea di razza, per quanto umanamente indegna, avesse un fondamento genetico, era all'epoca ben radicata nella cultura scientifica internazionale, anche in quella americana. Verrà definitivamente abbandonata solo all'inizio degli anni Settanta, soprattutto in virtù degli studi del genetista italiano Luigi Cavalli Sforza. Il colore della pelle, il taglio degli occhi e, più in generale, tutte le caratteristiche che pensiamo siano distintive delle "razze umane" dipendono da un numero piuttosto ridotto di geni. Più importanti, e numericamente molto maggiori, sono invece le differenze genetiche tra individui, come il gruppo sanguigno oppure la suscettibilità a certe malattie. Prese nel loro complesso, le differenze genetiche fra due popolazioni considerate di razze diverse sono inferiori a quelle che si riscontrano fra due individui di una stessa popolazione. Avanti i mediocri.Einstein ripeteva spesso che non si possono fare scoperte su ordinazione, né tantomeno a pagamento. Pensare che la creatività scientifica possa essere politicamente imbrigliata e condizionata è un errore comune anche a tutte le democrazie moderne, ma sotto il fascismo, nonostante il clima di mobilitazione tipico dei regimi dittatoriali, questa logica fu ancor più controproducente, perché riuscì a coinvolgere (quand'anche non discriminò gli studiosi di origine ebraica) soprattutto gli scienziati più docili o fanatici, che non erano ne-

cessariamente i migliori. Ne è una prova il fatto che tra i 180firmatari del manifesto sulla razza vi fossero, accanto al patologo Nicola Pende, noto come "il Marconi della medicina", solo altri 5 accademici di rilievo. O Federico Di Trocchia

SAPERNE DI PiÙ Il contributo degli storici della scienza Scienza e fascismo, Roberto Maiocchi (Carocci). Le diverse sfaccettature della relazione degli scienziati italiani con il fascismo. Preferirei di no, Giorgio Boatti (Einaudi). Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini. Scienza e razza nell'Italia fascista, P. Nastasi e G. Israel (Il Mulino). Il ruolo degli scienziati nell'elaborazione della politica razziale.

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Renu:ia. Ma anche l'arte di arrangiarsi

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a carne ingrassa e può portare alla sterilità» si diceva. Oppure: «La vita frugale contribuisce alla robustezza del corpo e alla conservazione della salute». Ma anche: «La parsimonia alimentare è in ogni tempo una virtù; nei tempi di costrizione essa è un dovere civico». E poi: «Si muore più facilmente di indigestione che di fame». Tutti motti (e falsi miti) della propaganda fascista alle prese con l'educazione alimentare. E con la penuria di cibo. Pane e latte. «Si sapeva da tempo che una dieta equilibrata è composta da carboidrati e vitamine, ma anche da proteine della carne» spiega Alberto Capatti, storico e direttore della rivista Slow. «Tuttavia il regime promosse i prodotti nazionali - ortaggi, riso e pesce - per ridurre i consumi di quelli d'importazione, come appunto la carne». Il risultato fu una dieta a base di zuppe di verdura, frittate, minestroni, formaggi (come il patriottico formaggio Roma), riso (diffuso al Nord, ma poco amato al Sud), polenta e pesce secco.L'alimento principe era però il pane. Con lo zucchero e il burro diventava la merenda dei più piccoli,con un filo d'olio uno spuntino pomeridiano. Ma poteva anche essere la base di un "piatto unico": pane e pomodoro, pane e formaggio, pane e baccalà, e soprattutto pane e latte. Buona domenica. La carne faceva capolino solo la domenica. I macellai aprivano un paio di volte la settimana (comunque sempre il sabato), tanto i prezzi troppo alti avrebbero tenuto alla larga i clienti negli altri giorni. Così il pranzo domenicale diventò un rito sia per le famiglie della piccola borghesia che per quelle contadine. Anche se menù e "stili" erano diversi. «Le differenze tra ceti erano grandi» spiega Paolo Sorcinelli, docente di Storia sociale all'U-

una gallina, o è ammalato il povero o è ammalata la gallina"». Nelle sale da pranzo delle famiglie in cui papà era capufficio o ufficiale,la tavola domenicale si apparecchiava con il servizio buono. Si cominciava con la minestra, portata in tavola dalla servetta con tanto di grembiulino di madapolàm (un tessuto di cotone resistente) e crestina. Ingredienti: brodo di carne (in realtà di dado), zucchine, un po' di burro, cipolla affettata e tre cucchiaini di olio d'oliva. A volte si aggiungeva un po' di riso o di pasta. . La seconda portata era la tanto agognata carne, «Silessava e se ne mangiava solo un po'» ricorda Angelo, classe 1912.«Nei giorni successivi,col brodo si cucinava il risotto». Si comprava la "polpa-famiglia" (7 lire al chilo, circa 5 euro e 50 centesimi di oggi), un taglio di manzo di seconda scelta. Insaporita con pezzetti di lardo o rari dadini di prosciutto, veniva cotta e avvolta nella gelatina e servita sotto l'occhio attento della padrona di casa. In alternativa c'erano lingua, carne trita d'asino o cavallo, conigli (in città si allevavano sui balconi) e piccioni,oppure, in campagna, capretti con la menta raccolta nei campi. Alla fine del pasto arrivava il caffè.Quello vero, non il surrogato autarchico che si beveva durante la settimana (v. a pag. 51).Autentico caffè

dell'epoca recitava: "Se un povero mangia

mala, Santo Domingo o San-

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Focus Storia 106

Centro agricolo Milano, estate 1943: mietitura del grano in piazza Duomo. Nel periodo bellico, piazze e giardini furono convertiti in orti di guerra, cioè in aree coltivabili, per far fronte alla crisi alimentare.

S.A.LATTE(ONOlNSATOLo!'lBAlZDO Via v. ~oatl. 11

MllAl'iO

Menò promozione Tre manifesti pubblicitari di generi alimentari degli Anni '20 e '30. Dall'alto: il "prezioso" cacao, l'italica pasta all'uovo e il salutare brodino.

Focus Storia 107

Panetteria autarchica Qui sotto, il panettiere di una scuola professionale impasta alcune "vere pagnotte italiane".

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AI mercato si trovavano anche i Riccioni. Si comRravano vivi, a 4 lire l'uno (3 euro)

I I ~ tosoI pranzi della domenica erano questo: ingredienti semplici elaborati con fantasia e

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serviti con un tocco di ostentazione. Veri lussi del dì di festa erano poi il dolce comprato la mattina dal pasticciere, la cioccolata autarchica (cioè con farina di castagne al posto del cacao), il gelato dell'ambulante con il carretto a forma di nave. E se la voglia di caffè coglieva durante la passeggiata pomeridiana? «C'era un ambulante specializzato che andava a raccogliere i fondi nei

bar» racconta sempre Angelo «li scaldava e rivendeva il caffè. Costava poco, ma era acqua sporca». Polenta regina. La domenica di operai e muratori era invece a base di verdure, polenta, baccalà, uova al tegarnino, patate e pane. Al massimo, un piatto di pasta al pomodoro e un polpettone di manzo. I contadini, specie i braccianti, se la vedevano ancora più grigia. «TIraccolto veniva in parte pagato con il grano stesso» ricorda

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Ivone Sandano, 77enne veneto. «Venivaportato al mulino, dove periodicamente andavamo a ritirare il pane o facevamo preparare il "panbiscotto": un pane condito con strutto e seccato. che veniva tenuto in casa (per la gioia dei topi). Il cibo era poco, mangiavamo principalmente polenta, che veniva accompagnata a latte, fagioli o pancetta; poi minestra con lardo e verdure raccolte nei prati. Solo quand'era festa grande, a Natale e a Pasqua, si mangiava carne. Allevavamo qualche gallina per le uova, da mangiare o da barattare con zucchero, burro o sapone». E anche il vino (spesso di produzione casalinga) era riservato alla domenica. «Quelli che mangiavano peggio erano i piccoli contadini del Sud, le famiglie rurali delle valli alpine e appenniniche e i lavoratori precari» conferma Alberto de Bernardi, docente di Storia contemporanea all'Università di Bologna. Sulle Alpi, nelle campagne venete o in Sicilia i commensali si riunivano a volte attorno al tavolo con un'aringa affumicata appesa a una corda. Un pezzo di polenta o di pane vi veniva strofinato sopra perché si insaporisse. Ed era tutto. Virtù domestiche. Il denominatore comune delle tavole del Ventennio era il ricic1o. I cibi si susseguivano secondo una precisa "catena di avanzi":il lesso della domenica diventava polpettone il lunedì, si trasformava in polpette il martedì e in ravioli ripieni (più che altro di formaggio) il mercoledì. Le buece dei piselli servivano per il passato di verdura e i noccioli di ciliegia finivano nei li-

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I ricettari raccomandavano di non sRrecare l'acgua di bollitura dei legumi. Poteva servire Rer RreRarare ottime zURp'e e salse

~ quori. Le massaie più apprezzate non erano quelle che sapevano cucinare bene, ma quel,le che con poco riuscivano a mettere insieme un pasto completo. E L'arte di utilizzare gli avanzi della mensa di Olindo Guerrini (18451916) diventò un best-seller. L'altra virtù era saper risparmiare. Il burro si faceva in casa sbattendo una bottiglia piena di latte per intere mezz'ore, compito di solito assegnato ai più piccoli. Anche pane, focacce e torte salate venivano impastate in casa e poi portate al panettiere che metteva a disposizione il forno, a pagamento. Dispensa. Ma come si riforniva la dispensa? Si faceva la spesa, al mercato o nelle botteghe, tutti i giorni, perché conservanti e frigoriferi non esistevano. Solo le famiglie agiate possedevano la ghiacciaia, una dispensa di legno e zinco che conteneva grossi pezzi di ghiaccio venduti dagli ambulanti. «A Milano, per esempio, il latte si comprava

dal lattaio itinerante» dice Angelo. «Lo vendeva a misurini: un quarto, mezzo litro ...». I prodotti confezionati quasi non esistevano. Il riso, la farina, i legumi e il sale si acquistavano a peso e si portavano a casa impacchettati in fogli di giornale. Lo zucchero era invece avvolto in un involucro di carta blu, da cui il colore "blu carta da zucchero". Esotica bresaola. La grande distribuzione ovviamente non esisteva (i primi supermercati alimentari apparvero negli Anni '50). Così al Sud la bresaola era sconosciuta e al Nord la mozzarella di bufala non arrivava. Si beveva l'acqua del rubinetto o del pozzo e il vino si comprava in osteria in fiaschi da 2 litri. Quanto al ristorante, era "roba da ricchi" e fu poi bollato dal regime come un vezzo esterofilo. Per fortuna c'erano le trattorie che servivano i piatti "italici", come la pasta e fagioli e la trippa. O Paola Grimaldi

Eredità

Scritte inneggianti a Mussolini, fasci littori,Jigle e nomi autarchici.

La caduta del fascismo non ha cancellato tutti i simboli materiali di quel tempo. Oltre a istituzioni economiche, edifici, città e intere province, ci sono vie, scritte e persino grandi magazzini che sono lì a ricordarci come eravamo 70 anni fa.

J

Qui non c'è più molto Via del Littorio a Roccasecca (Fr). la targa è ormai illeggibile, ma la via c'è ancora, come in altri 14 comuni italiani.

Un passato ingombrante l'obelisco del Foro Italico (ex Foro Mussolini) a Roma. Fu eretto nel 1932, 10° anno (rutl particolare) della cosiddetta, "era fascista". E alto 17,5 metri e pesa 350 tonnellate. Sopra c'è scritto "Mussolini dux" (duce, in latino).

Non è l'Italia del 1930, ma Quella del 2005

Tra Stato e Chiesa Sopra, un pilone del viadotto delle ferrovie vaticane (circa 1 km), costruite nel 1929: le otto arcate recano il fascio littorio.

Un "dux" scritto con gli abeti Sotto, l'abetaia piantata nel 1939 sul monte Giano, presso Antrodoco (Ri), e "restaurata" nel 2004. La D ha una superficie di oltre 22 mila m2, la U di circa 14 mila e la X di 18 mila.

C'era una voHa ... Affresco con lo stemma regio e il fascio littorio (a sinistra), sulla facciata dell'ex municipio di Malesco, in Piemonte.

Sotto i piedi dei romani Un tombino di Roma. La scritta Spqr ("Il senato e il popolo romano") fu ereditata dall'antichità e "riciclata" dal fascismo.

Focus Storia 113

';L'impero

La vita di contadini, funzionari e affaristi nelle colonie dell'Africa

19maggio 1936 Mussolini annunciò la «riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma». La guerra d'Etiopia era durata poco più di sette mesi. L'Abissinia andava ad aggiungersi alla Libia e alle altre due colonie del Como d'Africa: Eritrea e Somalia. Nasceva così l'Africa orientale italiana (Aoi), amministrata da un governatore generale con il titolo di viceré. L'Aoi, anche se priva di materie prime (come ferro, carbone o petrolio), era però in grado di fornire metalli preziosi (pochi), carne, latte, pelli, cotone, caffè e legni pregia ti. Ma soprattutto sembrava finalmente offrire ai contadini diseredati del Sud uno sbocco alternativo alle Arneriche, che già avevano assorbito oltre 9 milioni di emigranti. L'obiettivo di questo "colonialismo demografico" era di trasferire in Aoi almeno un milione di italiani. Alla fine il totale non supererà le 200 mila unità. Terra da spartire. I primi coloni giunsero nel 1937,raggruppati in tre nuclei regionali: "Romagna d'Etiopia", "Puglia d'Etiopia" e "Veneto d'Etiopia". Al primo, sponsorizzato da Mussolini in persona, vennero distribuiti 11 mila ettari di terra (ma ne saranno coltivati solo 3 mila), al secondo, sostenuto dal segretario del partito fascista Starace, ne andarono 5 mila (e ne sarà coltivato un migliaio), mentre il terzo rimase praticamente a bocca asciutta. Assai di più ottennero alcune grandi imprese agro-

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Bottino di guerra: gli abiti e la spada di un capo abissino.

Focus Storia 114

commerciali, ma anche in questo caso le terre coltivate rappresentarono una percentuale abbastanza modesta rispetto agli obiettivi proclamati. TIprogetto della colonizzazione contadina non ottenne i risultati auspicati per problemi di fondo (scarsità di terre libere, difficoltà di ricollocare gli indigeni espropriati, ina-

orientale italiana, nata nel'36 con la sanguinosa conguista dell'EtioRia

soe

Il bilancio della guerra d'EtioRia: 4 mila morti tra italiani e àscari,_ ~ deguata conoscenza del terreno, scarsità di attrezzi e mancanza di tecnici agrari) aggra. vati da alcuni vizi italici (come le occupazioni abusive da parte di "pirati della terra", spesso in... camicia nera; o le assegnazionipremio ad alti funzionari, generali ed ex gerarchi). Così alla fine gli ettari acquisiti dallo Stato furono solo 350 mila (ma ne sarà coltivato solo un terzo) e la vita per le famiglie dei coloni si rivelò assai dura a causa dell'isolamento, dei rapporti spesso difficili con le autorità, della guerriglia e dell' ostilità delle popolazioni locali, a causà della sconsiderata decisione di utilizzare i contadini italiani quali esattori delle tasse indigene. GrancI opere. Altre migliaia di italiani intanto lavoravano alla costruzione della rete stradale, voluta da Mussolini per motivi sia economici che ideologici, ispirati al ricordo delle "vie consolari" vanto dell'antico impero romano. Il progetto prevedeva 5 grandi arterie asfaltate larghe 7 metri per un totale di 2.850 km, più altri 18 mila km di strade secondarie e piste carrozza bili. In meno di due anni furono aperti 3.200 km di strade (di cui 1.800 asfaltate) e completate opere grandiose come la galleria del Termaber, a più di 3 mila metri di quota. Il bilancio dell'impresa fu però pesante, perché il cemento era costato 50 volte ilprezzo d'origine, mentre gli operai bianchi venivano pagati 70-80 lire al giorno (circa 45 euro di oggi), cosicché le strade asfaltate gravarono sul bilancio coloniale per oltre un milione di lire a km, a fronte delle 350 mila lire standard in Italia. Anche le condizioni di lavoro e ambientali si rivelarono assai gravose, tanto che oltre 2.500 operai rimasero vittime di infortuni o malattie, mentre altre decine di migliaia dovettero essere rimpatriati. Il loro posto fu occupato da lavoratori indigeni, con un salario pari a un decimo di quello degli italiani. Uno degli obiettivi proclamati dalla propaganda bellica fascista era stato infatti la liberazione dei 300-500 mila schiavi ancora esistenti in Abissinia. Dopo la vittoria il go-

verno coloniale ne aveva decretato sì l'affrancamento, introducendo però la precettazione dei maschi tra i 18 e i 45 anni per eccezionali lavori di pubblica utilità. Pescecani. Una sola categoria di lavoratori trovò davvero in Aoi la terra promessa: i proprietari di automezzi (i cosiddetti "padroncini") che riuscivano a guadagnare fino a 600 lire al giorno (a fronte delle 300 mensili di un manovale in Italia) provocando l'indignazione degli stessi funzionari fascisti. Fra il 1937 e il 1938 un paio di decreti intervennero per ridurre le tariffe e introdurre una certa disciplina, ma il "pescecanismo" (come si usava dire allora) non fu mai estirpato e i padroncini continuarono a imperversare sulle strade con un frusto cappellaccio calcato in testa, una pistola al fianco e una fascio di biglietti di banca in tasca. capitale d'Africa. Il vero palcoscenico della vita coloniale era però la capitale etiopiea, Addis Abeba, che si andò rapidamente occidentalizzando. Vi risiedevano oltre 20 mila italiani, con una stratificazione sociale assai marcata. Al vertice c'era una "crema" di militari, gerarchi, diplomatici, funzionari di grado elevato, affaristi, grossi imprenditori e professionisti di grido, accompagnati dalle loro famiglie: ville con giardino ereditate dall'aristocrazia etiopica, mobili d'epoca importati dall'Italia.e servizi da tavola con posate d'argento. «Una vita favolosa» come ricorderà dopo la guerra Teresa Piacentini, figlia di un diplomatico «con almeno due o tre boys abissini,pantaloni all'indiana e giacca tipo guru bianca, più un'alta fascia alla vita di colore diverso per ogni famiglia». E Mario Corsi, figlio del comandante della guarnigione: «Le nostre madri andavano a far compere in centro in calessino o con le automobili di servizio, dall'uso non consentito ma tollerato. Nel pomeriggio si riuniva- ~



Razzismo ufficiale Una storia a fumetti di stampo razzista pubblicata sul Balilla nel 1939. Una disposizione alla stampa del 1936 ordinava di astenersi "dalle sdolcinature" nei confronti degli abissini. E aggiungeva: "Nessuna fraternizzazione. Assoluta e netta divisione tra la razza che domina e quella che è dominata".

250 mila etioRi uccisi dai bombardamenti a taP-Reto e dai gas Niente sesso, preserviamo la "stirpe"



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DA "IL POPOLO D'ITALIA."

.lo geneea]e

della Gioventù italiana del Litlorio

el 1936 fu pubN blicato un Decalogo del lavoratore fascista in Africa orientale italiana che consisteva in 10 frasi lapidarie (tra cui "Abbi sempre presente la Patria", "Sii disciplinato", "Cura l'igiene", "Risparmia") seguite da un breve commento ideologico.

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Spedizione in abbonam. postal~ 30 L U G L I 0_ 1939 - XVII

Non mescolarti.

Ecco quello del 4° comandamento, "Difendi la stirpe": «La più nobile e forte

stirpe che il mondo abbia conosciuto, quella di Roma, cui tu hai l'alta fortuna di appartenere, si difende evitando che tu possa essere contaminato da qualsiasi apporto di sangue inferiore. Tu hai da esser buono con gli indigeni, indulgente e caritatevole, affettuoso anche... Ma devi vivere la tua vita da bianco e non mescolarti mai ad essi, a nessun patto! Ricorda che fra gli indigeni sono diffuse molte

malattie che l'Europa non conosce da secoli o non ha conosciuto: la lebbra, la dissenteria, il colera, il tracoma ... Parlane un po' al medico e sentirai! E poi, anche se fossi così fortunato da non ammalare, ricorda che i connubi con le donne indigene sono il primo segno di decadimento del bianco... Tu sei in Etiopia alfiere di civiltà. Tuo primo dovere è di non dare alla Patria una degenere discendenza: e tu non la darall».

ta strada delle "sciarmutte" a Mogadiscio (Somalia), dove vivevano le prostitute. In alto, una bellezza somala •

.'

-A destra, cotone steso sull'aia in un podere della Somalia.

-.

Focus Storia 117

lLgenerale Graziani ricorse anche alle armi chimiche e a Debra Libanos trucidò 2 mila cORti. Per l'Onu fu un criminale di guerra

•. no per interminabili partite di bridge, con sfoggio di toilettes e largo consumo di whisky». Gli stipendi erano alti, i negozi di lusso numerosi e le feste del viceré affollate. Avventurosi. A un livello più basso,Addis Abeba era affollata da una piccola borghesia di impiegati, modesti funzionari e piccoli commercianti. Per molti di loro la prima residenza era stata una casa con un tetto di lamiera e mobili di fortuna, ma poi l'Istituto nazionale case impiegati statali cominciò a costruire villette e piccoli condomini. E l'Opera nazionale dopolavoro (v. a pag. 92) mise a disposizione anche per loro campi da tennis, calcio e pallacanestro. Su tutta l'Etiopia gravava però un incubo: quello della sicurezza. La guerra del 1935-36 era stata infatti vinta rapidamente utilizzando anche metodi spietati (come i gas), ma 1"'Impero" era tutt'altro che pacificato. Di fronte alle titubanze del primo viceré, Pietro Badoglio, Mussolini affidò l'incarico di governare con pugno di ferro all'altro protagonista della campagna d'Etiopia, Rodolfo Graziani, che già aveva dato prova della sua efferatezza durante la cosiddetta "riconquista della Libia", negli Anni '20 (v. riquadro nella pagina a destra). Resistenza a oltranza. La guerriglia però continuò fino al 1939, minacciando non solo gli isolati insediamenti dell'interno ma anche la stessa capitale, e scavando un solco profondo fra colonizzatori e colonizzati. In Focus Storia 118

realtà gli italiani erano giunti in Africa con una mentalità carica di luoghi comuni sulla barbarie abissina e sul proprio ruolo di "dominatori". Erano pochi i coloniali che la pensavano come Ciro Poggiali, che annotava (ma soltanto nel suo diario): «Fa ridere sentir parlare di prestigio della razza. Se togli il la contessa lalli sbarca a Obbia (Somalia). L'Italia aveva acquistato il protettorato di Obbia nel 1892.

Verso il fronte Napoli, 24 agosto 1935: soldati italiani SI imbarcano alla volta dell'Africa, alla vigilia della guerra etiopica.

colore della faccia che differenza c'è fra certi nostri scalcinatissimi connazionali e i contadini etiopici?». Molti erano invece quelliche condividevano l'atteggiamento del funzionario Vmcenzo Ambrosio, che in una lettera scriveva:«Tuttigliindigeni,anche le donne, al passaggio degli italiani devono salu-

tare rispettosamente: se no botte da orbi!». E in questo spirito che il ministro delle Colonie Alessandro Lessona impartì al neo viceré Graziani le prime direttive per instaurare una sorta di apartheid, con quartieri separati, nessuna famigliarità fra le due comunità ed esclusione della popolazione

di colore dai pubblici ritrovi frequentati dai bianchi. La segregazione andò ancora più accentuandosi con il divieto di promiscuità nei trasporti, il divieto ai proprietari di automezzi di impiegare autisti neri, l'introduzione di sportelli separati negli uffici pubblici e di posti distinti nei cinema.

Guerra al sesso. La separazione investì sin dall'inizio e con particolare veemenza la sfera dei rapporti sessuali. Al tempo della guerra d'Etiopia la canzone forse più popolare in Italia era stata Faccetta nera, la "bella abissina" che - come scriverà più tardi Leo Longanesi - aveva fatto sognare «una ster- •.

Focus Storia 119

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Nelle colonie affluì anche un gran numero di sbandati «affetti da tare, alcolismo,J~recedenti p'enali o scarsavoglia di lavorare» ~ minata selva di seni turgidi e puntuti» a una generazione di giovani italiani. Ma questo implicito appello alla promiscuità non era piaciuto al regime, che oltre a tentare (con scarso successo) di mettere in un cassetto la canzone, aveva promosso una "campagna di rettifica" per la condanna sia dello "sciarmuttismo", ovvero la frequentazione di prostitute locali (dette sciarmutte, dall'amarico) sia del "madamismo", cioè della convivenza more uxorio con donne etiopi. Data la scarsità di donne bianche in Aoi (in totale circa lO mila) la "questione" - come l'aveva definita Lessona - si presentò però assai spinosa sul piano pratico. Tanto che il governo, fallito un primo penoso esperimento per l'''importazione'' di prostitute francesi da Marsiglia, decise di affrontare direttamente il problema: prima legalizzando temporaneamente uno "sciarmuttismo domiciliare", con bandiere di vario colore sui tetti dei tucul (gialle per ufficiali,verdi per truppa e civili,nere per le truppe indigene) poi provvedendo all'invio dall'Italia di un adeguato numero di "signorine" da smistare nelle tre "case" di Addis Abeba e in quelle di tutte le altre città principali. Tramonto razzista. Con il varo delle leggi razziali, alla fine del 1938 (v. a pag. 80), la "questione" assunse un risvolto drammatico con la lotta contro la cosiddetta "piaga del meticciato", capace - secondo Lessona - di trasformare «questo nostro magnifico popolo di pionieri, colonizzatori, navigatori ed eroi in una stirpe di ibridi». Battaglia che condusse all'introduzione del reato di "lesionedel prestigio di razza" e a un crudele Focus Storia 120

tentativo di "squalificare" quali indigeni tutti gli oltre lO mila piccoli mulatti dell' Aoi. Ma la Seconda guerra mondiale era ormai alle porte e nel 1941 ebbe inizio la riconquista dell'Aoi da parte delle forze armate britanniche. Sull'onda della loro avanzata vittoriosa, il5 maggio 1941il negus Hailé Selassié arrivò in vista di Addis Abeba: dal giorno del trionfale ingresso delle truppe italiane nella capitale erano passati esattamente 5 anni. O Sergio De Santis

SAPERNE DI PiÙ I perché di quell'awentura Oltremare. Storia dell'espansione coloniale italiana, Nicola Labanca (Il Mulino). L'Italia coloniale, Silvana Palma (Editori Riuniti). Una storia fotografica della società italiana in Africa. Gli italiani in Africa orientale, Angelo Del Boca (Mondadori). In 4 volumi, la più completa e accurata monografia sul colonialismo italiano.

Il regime

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istanti. Non ostili, ma neppure sostenitori: la gran parte degli italiani, durante il fascismo, subì il regime in maniera passiva. Compressa tra i (pochi) sostenitori e gli (ancor meno) antifascisti, la maggioranza si adeguò, tentando di evitare le conseguenze peggiori. Un rapporto riservato della polizia dopo la grande parata del 1932 per il decennale della marcia su Roma segnalava che, anche tra quanti vi parteciparono, il sentimento prevalente nei confronti del fascismo era un interesse molto tiepido. In Italia, insomma, i più avevano la tessera del partito in tasca semplicemente perché non averla significava complicarsi la vita. Ricorda Vladimiro, 84 anni; figlio del proprietario di un negozio nel centro di Milano: «MiO'padre era socialista di idee, ma non si interessava di politica. Avevamo pressioni cont:intie,ma blande. Ci chiedevano di iscriverei al partito fascista o di abbonarei alloro giornale. Venivano in negozio, insistenti ma mai aggressivi.L'unico vero spavento lo prese mia sorella: aveva 18 anni e i guanti rossi. Venendo in negozio incontrò una manifestazione fascista e la insultarono pesantemente perché aveva un po' di rosso addosso. Tornò a casa terrorizzata e piangente». L'apparenza era fondamentale. «Anche chi non era faseista portava il distintivo, sennò lo prendevano a cazzotti. E non solo nei primi anni del fascismo» racconta Angelo Limido, classe 1912. La tessera del pane. Dal 1926 chi non era fascista ebbe molte difficoltà a intraprendere la carriera diplomatica. E tre anni dopo, 40 prefetti sprovvisti di tessera furono sostituiti da altrettanti colleghi iscritti al partito. A partire dai primi Anni '30, per i dipendenti pubblici (dai funzionari agli impiegati delle Poste, dai ferrovieri agli insegnanti) l'iscrizione al partito nazionale fascista (pnf) divenne l'unico modo di salvare il posto. La tessera fascista fu ribattezzata "la tessera del pane" e la sigla pnf venne declinata come "per necessità familiari". In pubblico, la prudenza suggeriva di «non parlare di politica e di ricordarsi di alzarsi in piedi e levare il cappello quando alla radio parlava il duce» dice Luigi Losio, un testimone dell'epoca. «La vita quotidiana era molto dura e le persone normali erano per lo più impegnate a sopravvivere» spiega Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all'Università Cattolica di Milano.

Antifascisti inviati al confino. Fra loro, da destra, Carlo Rosselli e Ferruccio Parri, futuro presidente del Consiglio.

«Questo non favoriva di certo l'adesione convinta al fascio», In alcuni casi i neo iscritti approfittarono della tessera per lucrare soldi e favori. Per arginare il fenomeno, Giovanni Giuriati, segretario del partito fra il 1930 e il 1931,bloccò i nuovi ingressi e diede il via a una massiccia epurazione che portò gli iscritti da un milione a 660 mila. L'opera di bonifica però durò poco: con l'arrivo di Achille Starace, succeduto a Giuriati (v. a pag. 62), le porte si riaprirono, così che nel 1939 gli iscritti erano risaliti a 2 milioni e mezzo. Croce contro fascio. Il controllo sulle masse esigeva anche azioni più decise, volte ad annientare qualsiasi opposizione. «Quando è salito il fascio avevo dieci anni» racconta Angelo Limido. «Mi ricordo i pestaggi e l'olio di ricino. Abitavo sopra un circolo operaio, di fronte ai pompieri. Quando annunciarono che stavano arrivando i fascisti, i pompieri si misero a difesa del circolo con le pompe: se si fossero avvicinati li avrebbero annegati. Tutti i circoli milanesi furono bruciati. Noi invece ci salvammo». Ma la chiusura delle sedi sindacali, delle società operaie di mutuo soccorso e dei partiti che '\ non fossero quello fascista, non ''\ a un incremento dell'affluenza nelle le del fascio, ma solo al rilancio di al .

Focus Storia 122 -----

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Come se la assa a ehi non aderiva a I fascismo? E eh i (i n Roeh i) vi si 0p-Rose aRertamente? Sotto

pressione Nel fotomontaggio, il piede di una gigantesca statua di Mussolini schiaccia le iniziative dell'opposizione. Fra queste, una caricatura apparsa in occasione del Concordato con la Chiesa, che allude al tentativo di mettere a tacere i cattolici, e una vignetta pubblicata dall'Avanti! nel 1920,secondo cui il fascismo era figlio della Grande guerra.

L'Ovra sRiava anche gli awersari interni ~ luoghi di aggregazione, prime fra tutti le parrocchie. Così, dopo gli anni della grande fuga verso i partiti anticlericali - quello socialista in testa - le chiese tornarono a riempirsi e divennero i primi centri dell'antifascismo. Infatti, se da un lato i cattolici plaudivano al regime per aver firmato nel 1929il Concordato con lo Stato del Vaticano, dall'altro condannavano la sua concezione totalitaria. Non a caso, anche dopo il '29 la Chiesa e le organizzazioni cattoliche furono prese di mira e ostacolate in quanto unico baluardo rimasto alla fascistizzazione della società. Deportati In patria. La mano del regime perdeva però ogni moderazione nei confronti degli antifascisti che cercavano di opporsi in maniera decisa allo stato delle cose. Contro coloro che finivano . nelle liste nere la polizia non si una delle prime risparmiava e, adunate delle per sanzionarli donne che avevano con più forza, aderito al regime nel 1927 entrò parteciparono anche in funzione il camerate "gagliarde e Tribunale specombattive". ffa queciale per la difeste vi erano le sorelle sa dello Stato. liguri Baschetto, una delle quali si era fatta FIDO al 1943,dadegli orecchini con vanti ai giudici due denti sputati speciali furono dalla vittima di una deferiti 15.806 manganellata, antifascisti (fra cui 748 donne), si celebrarono 5.619 processi e furono comminate 160 mila ammonizioni (una sorta di arresti domiciliari). La pena più dura, il confino, fu decisa in 12.330 casi nei confronti di antifascisti attivi politicamente. Attraverso viaggi durissimi, sottoposti a umiliazioni e violenze, i confinati - veri e propri deportati in patria - raggiungevano le isole destinate a fare da Cayenna italiana. Un idraulico di Modena, Sergio Golinelli, partito dall'Emilia in ottima salute, arrivò a Ponza, dopo 26 giorni, con una «febbre altissima e probabile paratifo» si legge nei documenti ufficiali.Aveva 21 anni e morì due settimane dopo in ospedale, accanto alla madre chiamata ad assisterlo. E non mancavano, per i deportati, vessazioni e aggressioni fisiche da parte dei fascisti di guardia. A Lipari, le squadracce pestarono a sangue i confinati che avevano osato reagire.

A

Focus Storia 124

Una tessera del partito fascista con il giuramento: «Giuro di eseguire senza discutere gli ordini del Duce ... »,

Temendo le critiche internazionali, A NN 0 l X il fascismo tentò di accreditare il conERA, FASGISTA IL fAS€lSTA fino come una sorta di vacanza, una . -: ff 233U8.!j , ...~. "villeggiatura". L'idea venne da Ar- FAS€10 Dl·;r~ turo Bocchini, efficientissimo capo . .. _- .. della polizia, che convinse Mussolini che inviare i confinati sulle più belle isolette itadelle bellezze della natura e dell'ospitalità liane avrebbe giovato all'immagine del regidegli abitanti. me. Nel settembre del 1929,il giornalista MiRicomincio dal triciclo. Né, al ritorno dai no Maccari, di ritorno da Lipari e Ponza, luoghi di detenzione, la vita poteva ricominscrisse una serie di articoli in cui le due isole ciare come prima. Perché chi era stato in venivano descritte come luoghi ameni dove carcere o al confino per motivi politici troi confinati godevano, in maniera immeritata, vava tutte le porte sbarrate. E esemplare il caso di Angelo Aliotta, classe 1905, arrestato nel 1927 e condannato a tre anni di reclusione perché sorpreso a partecipare a una riunione segreta del partito comunista. «Quando lasciò il carcere di Asti, scontati

*

.

qLp.artito. I gerarchi caduti in disgrazia finivano al confino altri due anni di libertà vigilata, non riuscì a trovare lavoro» racconta il figlio Gianfranco. «I fascisti gli avevano fatto terra bruciata intorno: nessuno osava assumerlo. Alla fine si comprò un furgoncino, una sorta di grosso triciclo a pedali, e con quello girava tutti i mercati per vendere maglieria». Dopo 1'8 settembre 1943 entrò nella Resistenza nell'Oltrepo, ma fu catturato e fucilato. O . - Davide Parozzi

SAPERNE DI PiÙ La morte civile di chi si opponeva La villeggiatura di Mussolini, Silverio Corvisieri (Baldini Castoldi Dalai). Il confino politico era tutt'altro che una "villeggiatura".

Sport

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vrei un'opinione, ~ccell~nza: credo SIauna questione di razza». La chimera di un'Italia di nuotatori, corridori e guerrieri, di UIl popolo di atleti forgiati nel fisicoper esserlo nella mente, si disperse in una battuta. Le Olimpiadi di Amsterdam del '28, la ribalta delle "Pavesine", le piccole ginnaste di Pavia che avevano conquistato il pubblico con la loro età (17 anni la più grande, Ula più piccola) avevano deluso il duce. Sette medaglie d'oro (pugilato, scherma, canottaggio e ciclismo:«titoli francescani» li avrebbe definiti il famoso giornalista sportivo Gianni Brera) e, soprattutto, il podio mancato nell'atletica, erano UIl risultato troppo scarno per un regime che anche nelle palestre stava investendo la propria immagine. La giustificazione di Lando Ferretti, capo della spedizione azzurra, non bastò, e il massimo sostenitore dello sport per tutti (per educare e formare gli animi) dovette lasciare la presidenza del Coni ad Augusto Turati, segretario del partito. Da lì a poco il fascismo avrebbe abbandonato l'idea di far diventare sportivi tutti gli italiani e imboccato la strada del divismo,scegliendo di PUIltare sulla creazione di pochi campioni, eroi da coccolare e mostrare. E gli italiani avrebbero scoperto la loro vera vocazione: quella di un popolo di spettatori e tifosi (neologismo, quest'ultimo, entrato non a caso nel dizionario di Alfredo Panzini nel 1935). Sport di massa. Fino al primo conflitto mondiale, lo sport era rimasto una faccenda

Il duce li voleva atleti, ma gli itali~niRreferirono diventare tifosi Infila

per tre Per le vie di Milano, sfila un gruppo di studenti universitari, vincitori per la quarta volta della "Emme d'oro" del duce, ai Littoriali.





Focus Storia 127

Mussolini giocava a tennis, ma di nascosto,_Rerché era considerato uno sRort borghese e ROCO italiano

r

per pochi. Lo Stato liberale non se n'era mai interessato e gli impianti si contavano sulle dita delle mani. La trasformazione del Paese, a partire dagli Anni '20, e la riduzione dell'orario di lavoro incentivarono momenti di svago e aggregazione. Mussolini per primo intuì la portata del fenomeno e ne seppe sfruttare le potenzialità anche politicamente, facendo diventare lo sport un mezzo di propaganda internazionale e di controllo sociale. Imitato dal Terzo Reich, dalla Francia, dall'Ungheria, dalla Spagna, il duce fece costruire piscine,palestre e stadi, dal Giovanni Berta di Firenze (l'attuale Artemio Franchi) allo stadio Littorio di Palermo (oggi La Favorita): nel 1930 erano già 2.405 i nuovi campi sportivi gestiti dai comuni. Per coinvolgere i giovani, si fondarono istituzioni parascolastiche dove «la primavera sana, pura, ardita della nostra razza si prepara a tutti i primati e a tutte le vittorie». Gli iscritti, vincolati al giuramento del partito (<
I pugni del fascio Campione dei pesi massimi, Primo Carnera (a lato) fu osannato dai giornali (sotto).

LA T~rnUN~~J!i~ -~~~~~ .-

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mo Bassetti, autore di Storia e storie dello sport in Italia (Marsilio) «l'attività sportiva dei Guf fu seria e organizzata, ma con il passare degli anni i Littoriali divennero una chiassata». Impregnata di goliardia, con bidelli e amici che si fingevano matricole per scendere in campo, la manifestazione si trasformò in una parodia di se stessa. Una volta, a Bologna, alle automobili dei gerarchi venuti per assistere alle gare fu sostituita la benzina con acqua e vino; un'altra, a Padova, un drappello di studenti riuscì a pungere sul sedere con uno spillone da signora il segretario del partito, Achille Starace, mentre parlava alla folla. Campioni da guardare. Se da un lato lo sport italiano, trascinato dall'ideologia fascista, fece passi da gigante, dall'altro non si era ancora, e mai si arriverà, a una sportivizzazione della nazione. Nel 1930 i tesserati del Coni erano circa 600 mila, ma più della metà erano cacciatori. E anche i dopolavoro non potevano certo essere considerati fucine di campioni: sebbene contassero, nel 1935, quasi 16 mila sezioni sportive e 1,6 milioni di praticanti, i circoli aziendali proponevano gare di pesca, bocce, tamburello o, tutt'al più, tiro alla fune. Non è sullo sport di massa, dunque, che il regime puntava, ma sui talenti. E i risultati gli diedero ragione. Negli Anni '30, con la presidenza del Coni assegnata ai vertici del partito nazionale fascista, l'Italia sportiva spopolò in Europa e nel mondo. <
Arrivano le medaglie. Alle Olimpiadi di Los Angeles, nel '32, gli azzurri vinsero 12 medaglie d'oro e furono secondi solo agli Stati Uniti. Non fu da meno il football, subito ribattezzato "calcio" per fingerne «una sana origine italiana». Raccontata da Nicolò Carosio, la voce più popolare della radio, la nazionale si aggiudicò i mondiali del '34 e del '38, e i vari Monti, Cesarini, Piola, Meazza di-

vennero i nuovi eroi, i nuovi idoli. Ad atleti come Luigi Beccali, il re dei 1.500piani (<<1' espressione e la perfezione di una razza»), o Romeo Neri, ginnasta d'oro in America, a piloti, ciclisti e pugili, «ai loro muscoli e alloro spirito», Mussolini affidò «l'onore e il prestigio» della nazione. Ne fece gli ambasciatori del Ventennio: i loro successi erano, prima di tutto, i suoi successi, i successi del fa-

Il CamRionato del 1929-30,jLRrimo giocato a girone unico ("all'italiana"), fu vinto dall'lnter ~ scisma. Le gigantesche statue allo Stadio dei Marmi di Roma altro non erano che un ammonimento per il popolo, il modello cui adeguarsi. «Anziché seminare con serietà l'amore per lo sport, il regime ne esaltò solo i valori» commentò Vittorio Pozzo, commissario tecnico della nazionale di calcio due volte campione del mondo. A torso nudo o in divisa, anche il duce indossò più e più volte i panni dell'atleta, coraggioso e tenace. Proprio lui che atleta non era, che si era lasciato appassionare dal pugilato senza mai indossare i guantoni, che si faceva ritrarre con gli sci ai piedi senza essere in grado di avanzare di un solo metro o che giocava di nascosto a tennis (troppo borghese e troppo poco italiano) senza mai aver provato un rovescio «perché noi italiani» chiarì al suo allenatore «tireremo sempre diritto». Un bimbo chiamato cavallo. Criticato dalla Chiesa, che con lo scioglimento della Federazione sportiva cattolica si era vista privare di uno dei principali canali di reclutamento, ma censurato anche da alcune riviste ed esponenti fascisti (come lo stesso Landa Ferretti), il divismo sportivo divenne uno dei maggiori veicoli di consenso del regime, contrapposto all'inettitudine della classe liberale. I giornali, ai quali fu spesso proibito di pubblicare le foto delle sconfitte, can-

L'Alfa Romeo "P 2" da corsa, nella versione modificata del '30. Fu pilotata da Achille Varzi.

tavano le gesta di calciatori e corridori d'automobile e il pubblico applaudiva, si esaltava, s'inorgogliva. Tra il '24 e il '34 nacquero più di cento testate sportive, in un dilagare di retorica: chi correva lo faceva «rabbiosamente» e «si inipegnava con ogni energia», ogni evento era «uno spettacolo di grazia e di forza», ogni risultato «superbo», in campo non si giocava ma «si combatteva», possibilmente per «vincere nel nome dell'Italia». Fumetti, figurine, album illustrati, documentari e qualche film fecero dello sport uno dei soggetti preferiti: Ondina (come Valla, la lepre degli 80 metri a ostacoli), Tazio

(come Nuvolari, v. riquadro qui sopra) e persino Nearco (come il cavallo che, con «garibaldino impeto italico», fu condotto al trionfo al Grand Prix di Parigi del 1938) divennero nomi di battesimo comuni. La prima grande Juve. il volto dei campioni, vezzeggiati dal regime, gratificati con stelle al merito e medaglie al valore sportivo, entrò nella pubblicità, facendo muovere i primi passi al professionismo: nel 1928, sotto la guida della famiglia Agnelli, la Juventus inaugurò la stagione del calcio spettacolo e ingaggiò l'oriundo Raimundo Orsi. Lo stipendio: 8 mila lire al mese e una Fiat 509.Privilegiati e ben pagati, dipendenti di aziende private o enti pubblici, gli atleti, quelli veri, partecipavano a parate e cerimonie, si allenavano due volte al giorno e, naturalmente, erano esentati dall'andare in ufficio. Gli italiani, come oggi, li adoravano. E per vederli, più che per imitarli, spendevano 40 milioni di lire all'anno. Q Michele Scozzai

Calcio spettacolo GENNAIO 1939 DISPOSIZIONI ALLA STAMPA 6

Nelle cronache delle pàrtite di calcio e nei co~ menti sul Campionatonon "sfottere" gli arbitri I

Guaita segna il 2 a 1 in Roma-Torino del 17 marzo 1935. Sotto, la vittoria italiana ai Mondiali del 1934.

Tagliare i rifornimenti Le bombe Usa cadono su una raffineria a Uvorno. La città fu obièttivo di ripetuti raid che fecero oltre 1.300 vittime. Gli sfollati furono circa 20 mila. Vennero distrutti il duomo, il porto, la stazione e la zona industriale.

Ritirata distruttiva Il ponte Santa Trinità a Firenze distrutto dalle mine tedesche nell'agosto del 1944. Per ostacolare l'avanzata delle truppe alleate verso nord, furono fatti saltare in aria tutti i ponti della città, tranne Ponte Vecchio.

Bombe sulla Città eterna Nuvole di fumo sul quartiere San Lorenzo, a Roma. Nel primo violento attacco alleato, il 19 luglio 1943, _ 321 bombardieri sganciarono ben 682 tonnellate di bombe: i morti furono 1.500 e i danni ai beni storici e artistici ingenti.

1/25 aprile dei bronesi, vittime degli entre in tutta Italia il 25 aprile si festeggia la M Liberazione, a Broni, paese dell'Oltrepo pavese, è giorno di lutto. Nella stessa data del 1945, infatti, due degli ultimi bombardamenti degli Alleati uccisero 6 persone, fra cui due ragazzini. Il diario. "Mentre il popolo è in chiesa, verso le 7, uno stormo di aerei anglo-

~

Il popolo insorge I funerali di 20 giovani partigiani, studenti Iiceali, morti nelle "quattro giornate di Napoli" (28 settembre • 1 ottobre 1943). In quei giorni, prima dell'arrivo degli Alleati, il popolo si ribellò all'occupazione tedesca. In 300 persero la vita.

americani sgancia bombe» si legge nel diario di Angelo De Tommasi, parroco di Broni in quegli anni. Nelle ore seguenti i soldati tedeschi della Sicherheit e i fascisti delle brigate nere presero il controllo del paese, minacciando rappresaglie. Il secondo raid iniziò verso le 21: caddero bombe sul cimitero e sulle case

della via Emilia, che tagfia in due il piccolo centro. Uberi. La mattina seguente Broni si svegliò al suono delle campane: il Comitato di liberazione nazionale stava chiamando la gente in piazza. I partigiani, scesi dalle colline, avevano arrestato i soldati della Sicherheit. La guerra era finita anche lì. (e. d.)

Sorrisi dolci e amari Due bambini sulle macerie della loro casa distrutta dai tedeschi mostrano le caramelle donate dai ~Idati americani. E il 9 gennaio del 1944 e uno dei dolciumi ha la forma di Babbo Natale. Basta questo a far tornare il sorriso.

Le tradizioni

più forti

Due donne. in preghiera in ciò che restava nel 1947 del duomo di Uvorno. Anche prima che l'edificio fosse ricostruito, rispettando l'architettura originaria, i livornesi non smisero mai di recarsi sul posto per pregare.

Nomi e luoghi di questo numero I personaggi che, nel bene o nel male, hanno fatto la storia del Ventennio fascista. E le aziende, i Paesi, le organizzazioni che di quella storia sono stati parte. Abissinia, pago 21, 114, 116 Addis Abeba.pag, 116, 120 Agip, pago 113 Agro pontino, pago 22, 48, 49 Alessandrini, Goffredo, pago 98 Alfieri, Dino, pago 22 al-Mukhtar, Ornar, pago 7 Aoi (Africa orientale italiana), pag.114-120 Arpinati, Leandro, pago 62 Astrattismo, pago 73 BadOglio, Pietro, pago 8, 85, 118 Balbo, Italo, pago 36, 119 Balilla, pago 6, 64-69, 91 Bartali, Gino, pago 129 Beccali, Luigi, pago 129 Befana fascista, pago 65, 66, 68 Binda.Alfredo, pago 129 Blasetti.Alessandro, pago 98 Bocchini, Arturo, pago 124 Bottecchia, Ottavio, pago 129 Calamai, Clara, pago 98 Cambellotti, Duilio, pago 55, 73 Camerini, Mario, pago 98 Camera, Primo, pago 128 Carosio, Nicolò, pago 128 Carrà, Carlo, pago 72 Casorati, Felice, pago 71, 87 Ciano, Galeazzo, pago 62, 77 Cinecittà, pago 97, 98, 99 Cirenaica, pago 119 Cm (Consiglio nazionale delle ricerche), pago 100,102 Comitato di liberazione nazionale, pago 8, 135 Concordato, pago 113, 123, 124 Coppi, Fausto. pago 129 _. Croce.Benedetto, pago 69 D'Annunzio. Gabriele, pag. 9. De Feo. Depero, fu-.sSil. pa;g. De Sica. ,'Y--~~ .•.....• "" De Stefani_:-L.J;:;'",,-,I..-""!5Dietrich.S .....,= DuilleTIll~L~~~~:~ LLl.~u.

Eiar,pag. Einstein..

Eritrea, pago 114 Etiopia, pago 6, 8, 21, 28, 50, 51,-52,59,1.00,115-120 Eur, pago 3, 11, 13, 17 Fermi, Enrico, pago 102, 104 Ferretti, Lando, pago 126, 130 Fiat, pago 48, 49, 95 - 500 Topolino, pago 34, 51 - 508 Balilla, pago 30, 34, 51 - 509, pago 130 Foa, Vittorio, pago 6-9 Franco, Francisco, pago 125 Futurismo, pago 70, 74 Gallone, Carmine, pago 97 Garbo, Greta, pago 61, 97, 98 Gemelli, Agostino, pago 80 Gentile, Giovanni, pago 68, 69 Gil (Gioventù italiana del littorio), pago 64, 82 Girolimoni, Gino, pago 38-42 Giua, Michele, pago 102 Giuliano, Salvatore, pago 45 Goebbels, Joseph, pago 80 Graziani, Rodolto.pag. 118, 119 Gros, Mario, pago 55 Guerra, Learco, pago 129 Hai/é Selassié, pago '120 Harlow, Jean, pago 61, 97 Hitler, Adolf, pago 8, 21, 84, 102,130 Imi, pago 47, 49 Ina,pag.47 Incom, pag:99 Iri, pago 47, 49 La Rinascente, pago 113 Levi, Primo, pago 81 Libia, pago 7, 114, 119, 120 Littoria, pago 63, 79 Littorina, pago 30, 32, 33, 95 Longanesi, Leo, pago 119 Luce, Istituto, pago25, 96, 98, 99 Luria, Salvador, pago 104 Maccari, Mino, pago 124 Magrì.Enzo.pag, 43, 44 _fajorana, Ettore, pago 102, 104 ni, Guglielmo, pago 104 ~.!!::;:~ti,' _Filippo Tommaso,

Matteotti, Giacomo, pago 8, 40 Micheluzzi, Giovanni, pago 12 Minculpop, pago 26, 28 Miranda, Isa, pago 98 Montecatini, pago 49, 100, 104 Mori, Cesare, pago 45 Mussolini, - Edda, pago 24 - Foro (Foro Italico), pago 15, 24,95,112 - Vittorio, pago 98 ~azzari,AmedeO,pag.98 Neri, Romeo, pago 129 Nuvolari, Tazio, pago 130 Onb (Opera nazionale balilla), pag. 64, 66, 68 Ond (Opera nazionale dopolavoro ),pag. 63, 94, 95, 118 Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia), pago 88 Orsi, Raimundo, pago 130 Ovra, pago 26, 124

P allavicini, Sandro, pago 99 Parri, Ferruccio, pago 122 Patti lateranensi, pago 113 Pavesi, Atti/io, pago 129 Petacci, Claretta, pago 42, 58, 90 Pio XI, pago 58, 69 Pirelli, pago 49, 100 Pnf (Partito nazionale fascista), pag. 8, 23, 26,38,40,61, 62-63, 78, 86, 100, 114, 116~122,124,126,128 Ponti, Pino, pago 72 Portella delle Ginestre, pago 45 Pozzo, Vittorio, pago 130

- Natale di, pago 8, 79 Rosselli, Carlo, pago 122 SalÒ, Repubblica di, pago 8, 99 Sansoni, Guglielmo, pago 55 Savinio, Alberto, pago 74 Sciascia, Leonardo, pago 102 Segre, Dino (Pitigrilli), pago 54 Segrè, Emilio, pago 102, 104 Sironi, Mario, pago 71 Snia Viscosa, pago 52 Società delle Nazioni, pago 8, 51 Somalia, pago 114, 117, 118, 120 Standa, pago 113 Starace, Achille, pago 61, 6263,78,86,114,122,128 Stefani, agenzia, pago 25, 38

T

ato, v. Sansoni Guglielmo Terragni, Giuseppe, pago 14, 15 Totò, pago 78, 98 'Iripolitania, pago 119 Turati.Angusto, pago 126 UfO,pag.34 Upim, pago 113 Valentino, Rodolfo, pago 61 Valla, Ondina, pago 130 Valli, Alida, pago 97, 98 Varzi, Achille, pago 130 Venè, Gian Franco, pago 9, 57, 58,88 Venezia, Mostra del cinema di, pago ~8 Vittorio Emanuele III, re d'Italia, pago 8, 24, 77, 120 Volpi di Misurata, Giuseppe, pag.48,98

Rai,v.Eiar

Razionalismo, pago 15 Rex, pago 33, 36 Rocco.Alfredo, pago 42 - Codice, pago 42, 90 Roma - Marcia su, pago 7, 8, 45, 79, 112, 122

I NOSTtU ER..R.OlU J Focus Storia n° 1, didascalia a pago 137: la festa del Calendima~io di Assisi non si tiene piu alla fine di aprile, ma dal giovedì al saa-bato successivi al r maggio. . I

Focus Storia 137

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Fascismo Sarah
January 2021 1