Valore Del Simbolo

  • Uploaded by: jovenezia
  • 0
  • 0
  • February 2021
  • PDF

This document was uploaded by user and they confirmed that they have the permission to share it. If you are author or own the copyright of this book, please report to us by using this DMCA report form. Report DMCA


Overview

Download & View Valore Del Simbolo as PDF for free.

More details

  • Words: 7,851
  • Pages: 22
Loading documents preview...
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI ROMA TRE FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA A.A. 2010/2011

IL VALORE DEL SIMBOLO Cattedra di Diritto delle Istituzioni religiose Prof. Carlo Cardia

Relazione di

Francesca Grande, Antonio La Bella, Domenico Cappadona

INDICE

I parte Premessa Natura del simbolo: sue caratteristiche e ruolo che esso svolge nella collettività Simbolo e multiculturalismo: “simboli di Stato” e simboli religiosi

II parte Il valore del simbolo nella filosofia Tra simbolo, segno, mito e allegoria

III parte Il simbolo e la religione Simbolo religioso ed allegoria Simboli religiosi realistici ed idealistici

2

Premessa

In un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla multiculturalità, dal pluralismo religioso, dal principio di laicità visto come principio essenziale per una società pluralista, non può stupire il fatto che la tematica dei simboli, da quelli “profani” a quelli più specificatamente religiosi, risulti ancora in grado di suscitare notevole interesse. In molte parti d’Europa i fenomeni legati alla globalizzazione hanno portato popoli diversi – per origine, costumi e religioni – a contatto gli uni con gli altri: ciò ha reso le democrazie occidentali assai meno omogenee dal punto di vista religioso e culturale rispetto al passato. Da qui l’inattesa reviviscenza dei simboli, soprattutto di quelli religiosi, che si mostrano essere gli unici rimedi di fronte al crescente bisogno di un rafforzamento della coesione sociale e di una forte identità collettiva.

Natura del simbolo: sue caratteristiche e ruolo che esso svolge nella collettività

Il simbolo è un costrutto culturale, una rappresentazione convenzionale; è un’entità che “sta per” un’altra cosa: non è la cosa stessa ma è una sua rappresentazione o evocazione. Il simbolo rimanda sempre a qualcos’altro, in quanto esprime la presenza di qualcosa di assente o che è impossibile percepire, qualcosa la cui esistenza o conoscibilità dipendono, in qualche modo, dal simbolo stesso. Attraverso l’esperienza simbolica si passa da una considerazione delle realtà esterne come semplici oggetti empirici ad una loro percezione come “immagini”, queste ultime dotate di una peculiare capacità unificante. Il simbolo può essere individuale o collettivo: il primo è un simbolo che potremmo definire “autobiografico”, in quanto sintetizza e richiama una storia umana, magari d’amore; il simbolo collettivo, invece, è un simbolo che sta per una credenza, fede o passione condivisa da più individui. I simboli semplificano all’estremo, e non per via di sintesi ragionata, ma in modo adialettico, arazionale il sistema della credenza, fede o passione; essi non stanno per concetti, ragionamenti o 3

discorsi, e non sono né veri né falsi, né verificabili né falsificabili: sono fuori da ogni dominio, analitico o empirico che sia. Ogni simbolo ha , pertanto, la capacità di evocare concetti complessi in maniera altamente sintetica sul piano cognitivo e fortemente mobilitante sul piano affettivo e volitivo. Per questa sua “capacità di sintetizzare messaggi e di comunicarli con immediatezza”, il simbolo “è strumento di richiamo identitario; se però è tanta la sua capacità di suscitare e rafforzare appartenenze, altrettanta è quella di determinare esclusioni”1. Il simbolo, infatti, unisce e divide: unisce i “partecipi” della stessa credenza, fede o passione, e li divide dai “non partecipi”. Unisce nel senso che crea legami sociali tra persone che neppure si conoscono: è questo il c.d. carattere intersoggettivo proprio di ciascun simbolo. Per questa sua funzione “aggregante”, vale a dire per la sua capacità di esprimere precisi messaggi di appartenenza, il simbolo deve essere “vago” e fortemente evocativo. A volte questo sentimento di appartenenza, di partecipazione e di convinzione è così forte da superare la stessa validità di un simbolo. I simboli a forte carica identitaria – quelli di religione, di nazione, di classe sociale, di partito politico – sono i più pericolosi, in quanto tendono a funzionare da “catalizzatori di aggressività”, a mobilitare contro. “I simboli”, infatti, “come gli slogan, esprimono e generano un livello intellettuale e relazionale primitivo, quello delle semicieche fissazioni ed appartenenze”2.

Il simbolo è caratterizzato, oltre che dal rimando e dall’intersoggettività, anche da un’ambiguità strutturale: “la vista di un simbolo fa in generale subito sorgere il dubbio se una figura vada considerata come simbolo o no”3. Un oggetto è simbolo anche in relazione al luogo in cui si trova: ad esempio il triangolo in una chiesa cristiana è considerato simbolo della Trinità, mentre sulla lavagna di una scuola è una semplice figura geometrica. Diversa da questa ambiguità è quella interpretativa: ogni simbolo è suscettibile di assumere significati diversi in relazione al contesto etnico-culturale in cui è situato, vale a dire in relazione alle persone che si rapportano ad esso.

1 Guazzarotti A. – “Giudici e minoranze religiose”. 2 Vallauri L. – “Simboli e realizzazione”. 3 Hegel – “Vorlesungen uber die Asthetik”.

4

Per fare un esempio: il simbolo della croce rossa (simbolo dell’omonima organizzazione internazionale umanitaria) dovrebbe essere simbolo di solidarietà neutrale, con valenza universale; tuttavia, popoli appartenenti a contesti etnico-culturali diversi non lo riconoscono come simbolo di solidarietà imparziale, ma lo riconducono sempre alla cristianità. Pertanto, ogni simbolo è suscettibile di diverse interpretazioni. Per arrivare al significato di un simbolo, si parte sempre dal simbolo stesso, o meglio, dal dato sensibile in cui esso si manifesta. Questo aspetto del simbolo è stato da alcuni definito in termini di “trascendenza” semantica, proprio in relazione al fatto che al significato del simbolo si arriva attraverso un “oltrepassamento” dello stesso.

Ogni simbolo, sia esso “sacro” o “profano”, deve la propria esistenza alla sua effettività: esso potrà svolgere la propria funzione soltanto quando il suo impiego avrà luogo in forza di una consuetudine diffusa nella società civile. Non è per nulla scontato, infatti, che una prescrizione normativa (sia essa contenuta in un decreto o in una legge, piuttosto che nel codice canonico) riesca da sola ad imporre il rispetto e la devozione nei confronti di una qualche configurazione simbolica. Molto più spesso i simboli prima si impongono nel sistema sociale e successivamente reclamano il loro riconoscimento nelle forme giuridiche congrue.

Simbolo e multiculturalismo: “simboli di Stato” e simboli religiosi I “simboli di Stato”, anche detti simboli del potere sovrano, rappresentano elementi costitutivi essenziali di quelle “religioni della politica” che, in epoca moderna, hanno condizionato (e tuttora condizionano) in modo determinante le vicende degli Stati nazionali: queste sono forme di “religione secolare” (o “laica”), intendendosi con tale espressione “un sistema, più o meno elaborato, di credenze, di miti, di riti e di simboli, che conferisce carattere sacro ad un’entità di questo mondo, rendendola oggetto di culto, devozione e dedizione”4. Sistemi di tal sorta risultano compatibili tanto con regimi di ispirazione totalitaria, o comunque autoritaria, quanto con regimi democratici, i cui principi fondanti divengono oggetto di sacralizzazione. 4

Gentile E. – “Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi”.

5

La simbolica evocativa del potere sovrano non è altro che una rappresentazione dei valori espressi nelle carte costituzionali. In riferimento agli ordinamenti democratici si è soliti usare la metafora della “sovranità dei valori”, questo perché nel II dopoguerra, con la scomparsa dei totalitarismi, si è giunti ad una ridefinizione del concetto di sovranità, da “suprema potestà soggettiva di comando” questa è stata “oggettivizzata in un nucleo essenziale di valori”: le democrazie pluraliste occidentali sono, quindi, caratterizzate da un politeismo di valori sovrani, che trovano espressione nella simbolica istituzionalizzata.

Le difficoltà di gestione del pluralismo religioso hanno determinato la diffusa convinzione che l’Occidente stia perdendo la propria identità e si stia trasformando in un’entità “multiculturale senz’anima”; ciò ha portato ad un utilizzo della religione come “linguaggio pubblico delle politiche di identità”. Sempre più frequentemente si assiste a tentativi di “sostituzione” dei simboli ufficiali con simboli religiosi; questi ultimi, infatti, sono considerati maggiormente in grado di proteggere una omogeneità culturale (quella “occidentale”) sempre più percepita come minacciata dai fenomeni legati alla globalizzazione. Emblematica, a tal proposito, è la questione del crocifisso in Italia, che ha visto dapprima il TAR Veneto e poi il Consiglio di Stato arrivare ad affermare il carattere “semi-laico” del crocifisso. Ciò è perfettamente in linea con quella nuova declinazione di “laicità” che vorrebbe che lo Stato abdicasse al ruolo di “osservatore esterno”, di garante imparziale del pluralismo e che si calasse apertamente nel conflitto fra le varie concezioni religiose (e culturali), assumendone una come superiore. Nell’intento di fornire un antidoto alla deriva relativistica che sembra colpire l’Occidente nell’era della globalizzazione, si chiede il “riconoscimento pubblico” del patrimonio religioso nazionale; nel crocifisso non si vede più soltanto un simbolo religioso, ma anche un simbolo identitarioculturale per la storia sia del nostro paese che dell’intera civiltà europea. Per imporne la presenza negli spazi pubblici il giudice italiano si è fatto “teologo”: è entrato nel merito del significato di questo simbolo ed ha sottolineato come i valori cristiani, che il crocifisso non smette mai di rappresentare, siano perfettamente compatibili con quelli espressi dalla nostra Costituzione. In quest’ottica il simbolo del crocifisso potrebbe, pertanto, rientrare nella simbolica rappresentativa di una democrazia costituzionale; un discorso analogo non sembra, invece, possibile per simboli di altre religioni, in quanto alcuni risultano del tutto inconciliabili sia con i principi della democrazia che, in particolare, con i diritti dell’uomo.

6

Il valore del simbolo nella filosofia Tra simbolo, segno, mito e allegoria

La parola simbolo deriva dal greco “sumbaàllein” che significa “mettere insieme”. Nell’antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi altro oggetto, e darne una metà ad un amico o ad un ospite; le due parti, conservate dall’una e dall’altra parte, di generazione in generazione, consentivano, in tal modo, ai discendenti dei due amici di riconoscersi. Ognuna delle due parti si chiamava “simbolo”. Il significato della parola però non si arrestò a questo solo significato pratico, ma andò ad indicare tutte le relazioni che si ratificavano per così dire tramite un segno visibile. Tra i vari significati rilevano: il principio di unione tra Stati; lo statuto di una confederazione; un accordo giuridico commerciale tra Stati; pegno di qualsiasi specie di acquisto o contratto; una garanzia delle operazioni di cambio; la parola d’ordine dell’esercito; la fede nuziale. Come si vede la parola simbolo ha una lunga storia e ha indicato i più diversi eventi e rapporti umani. È naturale pertanto che si tenda a questo punto ad eguagliare il significato di simbolo a quello di segno. Tuttavia una connotazione sinonimica nell’uso dei due termini non appare corretta. Infatti per cogliere il più elevato senso del termine simbolo bisogna guardare ai suoi altri significati, quali imbattersi improvvisamente, incontrarsi, indovinare da oscuri accenni. Proprio da questi ultimi significati prende il via l’indagine filosofica condotta dai filosofi che andiamo ad analizzare.

Platone ci fornisce una sua definizione di “simbolo” nell’opera il Simposio (189 d -193 d): il commediografo Aristofane, prendendo la parola, ricorre ad un mito per spiegare la potenza di Eros sugli uomini, e quindi la tematica del simbolo. “L’antica nostra natura – scrive Platone – non era la medesima di oggi. In principio gli uomini erano l’uno e l’altro, uomini e donne allo stesso tempo, la loro forma circolare, il loro aspetto intero e rotondo. […] Zeus, volendo castigare l’uomo per la sua tracotanza, avendo voluto sfidare gli dèi, non volendo distruggerlo, lo tagliò in due.” Per curare l’antica ferita, Zeus, dopo averla inflitta, inviò Eros “fra gli dèi, l’amico degli uomini, il

7

medico […] colui che riconduce all’antica condizione. Cercando di far uno, ciò che è due”5. Platone pertanto intende dire che ciascuno di noi è il simbolo di un uomo, la metà che cerca l’altra metà, il simbolo corrispondente. Il simbolo, dunque, come il segno, è caratterizzato dal rinvio; ciò ha consentito da un lato di includere concettualmente il simbolo nell’ambito del segno, come un suo caso specifico; dall’altro di opporlo al segno perché mentre il segno unisce convenzionalmente qualcosa con qualcos’altro (aliquid stat pro aliquo), il simbolo, evocando la sua parte corrispondente, rinvia ad una determinata realtà che non è decisa dalla convenzione, ma dalla ricomposizione di un intero. Una seconda opera di Platone utile ai fini della nostra indagine è il Sofista (240 A-B); in essa Platone, analizzando la tematica dell’immagine, in particolare dello specchio, afferma: “ogni immagine (segno, simulacro) è ciò che, fatto a somiglianza di una cosa vera, è però distinta da questa e simile”6. Il segno, in effetti, pone un complesso e problematico legame vero-falso: esso non è vero in sé, ma nei limiti del suo essere appunto “immagine di qualcos’altro” e rappresenta uno strumento di conoscenza.

Aristotele, la cui indagine filosofica è volta a definire scientificamente l’accadere, analizza il concetto di simbolo in un passo degli Elenchi sofistici, in cui afferma: “Dato che non è possibile discutere presentando gli oggetti come tali […] ci serviamo invece dei nomi, come simboli che sostituiscono gli oggetti”7. Come ribadito anche nell’opera De sensu, la parola per Aristotele è simbolo, ed essa lo è per una convenzione simbolico-linguistica, per un accordo stabilito tra gli uomini affinché un discorso possa compiersi. Egli non fu il primo pensatore ad introdurre la nozione di simbolo per spiegare il rapporto tra nomi e cose. Lo stesso Democrito, in un suo frammento, afferma: “La voce era inadatta a significare ed era confusa per la scarsa articolazione delle espressioni; gli uomini stabilirono perciò tra di loro dei simboli per gli oggetti, e così resero intellegibili a loro stessi il loro esprimersi intorno a qualsiasi argomento”8. Aristotele quindi intende il simbolo come convenzione della mente, identificando il simbolo al linguaggio: esso era “parola discorsiva”. Ciò verrà, come vedremo, ripreso nella semiologia.

Il simbolo poi ha trovato una sua rilevante funzione nel neoplatonismo e nel cristianesimo. Non è pertanto inutile richiamare in questo contesto l’emanazionismo di Plotino, ossia il rapporto

5

Platone: Simposio (189 d – 193 d) 6 Platone: Sofista (240 A-B) 7 Aristotele: Elenchi sofistici (165 a 7-13) 8 Democrito: frammento B 5 1

8

che lega l’uomo all’Assoluto, a Dio9: ogni suo grado è l’immagine simbolica del grado superiore. Plotino intende unire la trascendenza e purezza delle idee platoniche, alla trascendenza di Dio nelle scritture: tale teoria si basa sul rapporto di continuità tra Dio ed il mondo. Essa è rappresentabile come passaggio dalla Luce all’ombra e ritorno alla Luce. Plotino fa un consueto uso dei simboli nel suo linguaggio di derivazione platonica, ma il simbolo “luce”10 riveste una parte preponderante. In tale contesto si pone anche la differenza tra simbolo e allegoria, che ha caratterizzato i primi tempi dell’era cristiana e tutto il medioevo. Mentre il simbolo esprime staticità e concretezza e viene interpretato intuitivamente, l’allegoria utilizza l’elaborazione intellettuale dell’uomo il quale attraverso un ragionamento mentale del tutto soggettivo interpreta e dà concretezza ad un’idea astratta. Nel simbolo il significato è già contenuto nell’immediatezza sensibile, mentre nell’allegoria necessita di una convenzionalità linguistica. Nel simbolo è racchiuso uno sfondo metafisico di segrete affinità tra il mondo visibile (concreto) e l’invisibile (divino) che si compenetrano reciprocamente. Nella tradizione cristiana, invece, il rapporto del simbolo con l’allegoria è determinato dal peso di volta in volta assunto dalla coscienza teologica nella storia. Il simbolo è, così, nettamente prevalso negli indirizzi teologici di derivazione neoplatonica, meno inclini a porre al centro della loro analisi l’incontro fra l’uomo e Dio. In tale ambito il simbolo rappresentava un mezzo atto a penetrare l’infinita ricchezza dell’unità divina.

In epoca moderna alla tematica teologica si sostituisce la riflessione estetica: un’estetica di impostazione classicistica, riconducibile essenzialmente ad Hegel, e un’impostazione romantica, che riscopre l’allegoria non più come strumento retorico, ma come interpretazione soggettiva: nell’allegoria infatti, a differenza del simbolo, il legame tra oggetto significato e immagine significante non può essere decodificato in maniera intuitiva e immediata, ma necessita di un'elaborazione intellettuale.

Un importante simbolo nel pensiero giusnaturalista di Hobbes è il Leviatano. Hobbes non ci fornisce una definizione del termine simbolo, quindi sembrerebbe improprio un riferimento in questa sede a questo filosofo. Risulta invece interessante trattarlo brevemente per le diverse opinioni dei critici: se il Leviatano11 sia un simbolo, o un’allegoria. Il giurista tedesco Karl Smith,

9 Luigi Pelloux, L'assoluto nella dottrina di Plotino, ed. Vita e Pensiero, 1994, pp. 107 e ss. 10 Vedi nota 5 11 Giuseppe Antonio Di Marco, Thomas Hobbes nel decisionismo giuridico di Carl Schmitt, ed. Guida Editori, 1999, pp. 670 e ss.

9

nella sua opera Teologia politica, ci fornisce una sua analisi molto particolare circa la natura del Leviatano individuando un’incongruenza tra la forza evocativa del simbolo leviatanico, e il senso dell’opera di Hobbes. Da un primo punto di vista, è possibile notare che la figura del Leviatano, storicamente evocava un simbolo mitico, demoniaco, pieno di reconditi significati di origine medioevale, un vero e proprio mostro; da un altro punto di vista, secondo Smith, tale è la potenza di questo simbolo, che nell’opera di Hobbes, nonostante il termine Leviatano compaia solo tre volte, è stato distorto il messaggio che Hobbes, tramite questo simbolo voleva trasmettere. Il simbolo del Leviatano, infatti, all’epoca di Hobbes, aveva perduto già nel passaggio dal 1500 al 1600 la forza evocativa del simbolo demoniaco con cui proveniva dal Medioevo. Su Hobbes è stata quindi scaricata la valenza negativa del simbolo del Leviatano, imputando al pensatore dello Stato moderno, la negazione di quanto invece proprio lui aveva teorizzato. Il Leviatano, secondo l’interpretazione che quindi Smith fornisce, rappresenta una costruzione fatta dagli uomini, e, poiché ha una forza superiore a ciascuno degli individui, è in grado di proteggerli e governarli, e non deve essere inteso come qualcosa di demoniaco, di negativo che deve schiacciarli. Quindi Hobbes è privo di contenuti metafisico - religiosi della tradizione medioevale che riempivano il simbolo di una potenza evocativa; il Leviatano è tutt’al più un’allegoria, intesa, come detto prima, non come un artificio retorico, ma come elaborazione intellettuale, anche se la questione resta ancora aperta.

Kant può essere considerato, per certi aspetti, il precursore del concetto di simbolo, a noi più familiare, che poi i romantici sapranno poi sviluppare. Nella Critica del giudizio (§ 59), egli concepisce il simbolo quale “rappresentazione emblematica”12: “Tutte le intuizioni sono o schemi o simboli. I primi procedono dimostrativamente, i secondi per mezzo di analogia”13. Una tale accezione di simbolo, è affiancata da un’altra definizione che viene fornita dallo stesso Kant: sempre nella Critica del giudizio (§49) scrive: “Il poeta osa rendere sensibili idee razionali di esseri invisibili, il regno dei beati, il regno infernale, l’eternità, la creazione, l’amore, la gloria, la morte e tutti i vizi […] in cui l’immaginazione gareggia con l’intelletto, rappresentando tutto ciò di cui la natura non ci dà esempio”14. Dunque nel pensiero di Kant, si individuano due accezioni del termine simbolo: da un lato il simbolo come rappresentazione indiretta di un’idea per mezzo di un’analogia; dall’altro simbolo “come mezzo per comunicare le sensazioni”.

12 Elio Franzini, Maddalena Mazzocut-Mis, I nomi dell'estetica, Pearson Paravia Bruno Mondad, 2003, pp. 32 e ss. 13 Omar Calabrese, Breve storia della semiotica: dai presocratici a Hegel, Feltrinelli Editore, 2001, p. 126 14 Vedi nota 7

10

Le prime organiche riflessioni sul simbolo presero avvio nel XIX secolo nel circolo romantico di Heidelberger con G. Friedrich Creuzer, autore della Simbolica. Creuzer studiò la simbolica e la mitologia dei popoli antichi che lo portarono ad individuare un significato di simbolo che non aveva nulla a che fare col simbolo aristotelico inteso come “parola discorsiva”15. Questa è solo un’accezione tarda del termine simbolo che compare dopo un lungo travaglio e cammino millenario. Il simbolo era “l’essenzialità del gesto evocativo”: esempi possono essere il dare un nome a cose prima prive di nome; le preghiere recitate in forma breve e coincisa. Anche lo stesso insegnamento arcaico, secondo Creuzer, consisteva nel rivelare: “Il sacerdote ammaestrava se esponeva un’idea in una sentenza enigmatica. Ed ammaestrava anche quando indicava, nella potenza degli elementi, i potenti dèi, quando mostrava i segni del cielo e le figure delle stelle, quando esibiva le interiora della vittima sacrificale. Questi discorsi non erano dimostrazioni, né potevano esserlo, né dottrine del divino; erano guide al divino, rivelazioni direttive”16. Anche nell’opera Simbolo e mito, Creuzer fornisce un’altra importante definizione di simbolo utile ai fini della nostra indagine; parla del simbolo come “epifania del divino, come un raggio che giunge dalle profondità dell’essere e del pensiero, come un fulmine che di colpo illumina la notte buia”17. Con ciò Creuzer vuole sottolineare l’originaria simbolicità del mito, che altro non sono che “simboli pronunciati” con una portata ontologica.

La posizione di Creuzer fu condivisa anche da J. J. Bachofen, autore di numerose opere romanistiche e di storia del diritto, il quale si avvalse di vastissime conoscenze filologiche e archeologiche (tra cui lo stesso Creuzer) per tentare una ricostruzione della storia dei popoli e delle religioni antiche, ricostruzione che prendeva le mosse dai risultati dell'indagine romantica sul mito e sul simbolo per giungere a risultati a di grande originalità anticipatrice. Nell’opera Saggio sul simbolismo funerario degli antichi (1859), Bachofen definì il concetto di simbolo, come “qualcosa di in sé concluso e autosufficiente che possa offrirsi a varie spiegazioni, restando tuttavia nella sua essenza completamente autonomo da ogni spiegazione”18. Il simbolo, inoltre, viene definito come “qualcosa che non rappresenta altro che sé e che, rappresentando sé, attinge alla verità metafisica

15 Anna Cazzullo, Il concetto e l'esperienza: Aristotele, Cassirer, Heidegger, Ricoeur, Editoriale Jaca Book, 1988, pp. 16 e ss. 16 Università cattolica del Sacro Cuore, Società italiana per gli studi filosofici e psicologici, Università cattolica del Sacro Cuore. Facoltà di lettere e filosofia, Rivista di filosofia neo-scolastica, Volume 80, Agostino Gemelli, ed. Università cattolica del Sacro Cuore, 1988 17 Vedi nota 7, pp. 34 e ss. 18 Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, Terza edizione, p. 1001

11

incarnata nella storia”. Il mito, il quale aduna i simboli nelle sue forme, è dunque per Bachofen al tempo stesso immagine mediata di una verità trascendente e riflesso delle forme sociali e degli eventi della storia.

Questa posizione non è invece condivisa da W. F. Hegel che confutando la concezione di Creuzer, ritiene che “il simbolo in generale è un’esistenza esterna che è immediatamente presente o data all’intuizione, ma che non deve essere presa in base a lei stessa, così come immediatamente si presenta, bensì in un senso più ampio e universale. Quindi nel simbolo vanno distinti due lati: il significato e la sua espressione. Il primo fa del simbolo una rappresentazione il cui contenuto è relativo, la seconda è un’esistenza sensibile o un’immagine qualsiasi ”19. Il simbolo, secondo questo suo concetto, rimane essenzialmente ambiguo. Una simile dubbiosità cessa solo se vengono nominati entrambi i lati, cioè il significato e la sua espressione, e venga espresso il rapporto tra loro. Hegel nella sua opera Enciclopedia (§ 458) ribadisce, in conformità a come si erano già espressi i filosofi del passato, la differenza tra simbolo e segno: quest’ultimo “rappresenta un contenuto del tutto diverso da quello che ha per sé”20, cioè tra il segno e ciò che rappresenta e significa vi è un rapporto di reciproca indifferenza e convenzionalità. In tal senso è possibile quindi assimilare concettualmente il termine segno, secondo la teoria hegeliana, al termine segnale; il simbolo, invece riassumendo, “è il contenuto che esso esprime come simbolo”21 il cui contenuto non è indifferente, poiché tra simbolo e oggetto simbolizzato si pongono relazioni di somiglianza e analogia.

Dopo l’età romantica ed idealistica il tentativo condotto fino a quel momento di tener distinti segno e simbolo fallisce. I pensatori successivi risolvono il concetto di simbolo, nel segno, operando una equiparazione semiologica dei due termini. La scienza del simbolo diviene di pressoché esclusivo interesse della semiologia ossia, la scienza che studia i segni in relazione alla produzione, trasmissione, interpretazione, scienza che ha origini molto antiche rispetto a come si è soliti erroneamente ritenere: basti pensare all’Organon aristotelico in età antica; al Saggio sull’intelletto umano di Locke, in età moderna. È quindi possibile affermare come ai giorni nostri non sia sentita più dai filosofi la necessità di riflettere ed di elaborare una definizione concettualmente univoca del termine simbolo, ma è sentita dai semiòlogi la necessità di indagare il simbolo-segno, soffermandosi sull’aspetto linguistico, visivo, gestuale. Ciò può risultare più chiaro facendo un rapido accenno alla

19 G. W. F. Hegel, Estetica, Feltrinelli, 1963, p. 346 20 Matteo Bonazzi, Il libro e la scrittura: tra Hegel e Derrida, Mimesis Edizioni, 2004, pp. 29 e ss. 21 Paolo D'Angelo, Simbolo e arte in Hegel, Laterza, 1989, p. 198

12

teoria dei giochi linguistici nell’opera Libro blu, dell’austriaco Wittgestein, nel quale egli vuole combattere il desiderio di generalità, che ci induce a cercare definizioni univoche di una parola, ossia ciò che è stato fatto facendo riferimento alla parola simbolo nel corso della storia della filosofia. Non è possibile una definizione univoca, in quanto la parola, come il simbolo, è indefinibile una volta per tutte perché ogni volta assumono un significato diverso a seconda dell'accordo e non accordo con altre parole, spazio, tempo e società.

Ch. S. Peirce, fondatore del pragmatismo, corrente filosofica che si presenta come reazione all'idealismo dell'Ottocento, che assume la pratica quale criterio di verifica di fronte al fallimento della ragione in ordine ai problemi metafisici, avvia una critica radicale ai metodi dell’impostazione classica, opponendo due dottrine logiche fondamentali sia alla logica aristotelico-kantiana sia alla logica hegeliana: egli fonda la sua analisi su una triade del segno22 composta da icona, che si riferisce all’oggetto in virtù di caratteri propri come ad esempio la similarità, l’indice, che vi si riferisce in virtù di una determinazione come ad esempio la causalità fisica, e il simbolo, che è un segno che si riferisce all’oggetto in virtù di un’associazione di idee. Risulta evidente quindi che il simbolo rientra nell’ordine dei segni, essendo legato all’oggetto da una convenzione sociale, riprendendo per quest’ultimo aspetto quella che era la nozione aristotelica di simbolo.

Ad una identificazione tra simbolico e semiotico giunge anche E. Cassirer. il quale facendo propria la premessa kantiana di simbolo come “mezzo di comunicazione delle sensazioni”, definisce il simbolo “non come un rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale; ogni pensiero veramente rigoroso ed esatto, dunque, trova il suo punto fermo solo nella simbolica, nella semiotica, sulla quale esso poggia”23. In questo seguace ideale di Kant, Cassirer non intende la conoscenza come copia, in quanto non crede che l'uomo possa arrivare all'in - sé delle cose: il linguaggio è lo specchio di noi stessi, della coscienza delle cose, e non lo specchio delle cose stesse. Cassirer, nella sua opera Filosofia delle forme simboliche, intende perciò dire che l’uomo si caratterizza per la sua capacità di dare senso al molteplice e ciò viene operato grazie a funzioni simboliche originarie che egli ha, quali il mito, il linguaggio, la conoscenza intellettuale. Il simbolo per Cassirer è quindi lo strumento che permette all'uomo d'operare una mediazione attiva tra il concreto e il concetto; la forma simbolica è il mezzo mediante il quale un contenuto spirituale viene collegato a un segno sensibile. In altre parole, la forma

22 Vedi nota 12 23 Ernest Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, 1921-1929, La Nuova Italia,Firenze, 1960-1966, p. 20

13

simbolica è un codice attraverso cui si oggettiva lo spirito, mediante cui si esprime lo spirito umano. In Cassirer esistono rapporti tra religione e mito, anche se - a dire il vero - quando viene a predominare il momento religioso il superamento della visione mitica è ormai inesorabilmente in atto. Nel mito i simboli sono essenziali per la comprensione, mentre nella religione, secondo Cassirer, si fa maggiormente largo la razionalità a scapito del simbolo: il numero meno cospicuo di simboli utilizzati dalla religione non impedisce però che essi siano usati con più consapevolezza e per supportare una certa idea di divinità, così come questa immagine emerge dai testi sacri. Dopodiché Cassirer riconosce una differenza tra le forme simboliche “di natura concettuale” e le forme simboliche “di natura puramente imitativa”24, ma raccoglie queste differenze sotto l’identica categoria del simbolico - semiotico.

Lévi – Strauss, insigne antropologo, psicologo e filosofo francese, dalla seconda metà degli anni sessanta alla prima metà degli anni settanta del secolo scorso, si dedica alla realizzazione di un grande progetto di oltre duemila pagine, ossia la scrittura dei quattro volumi di studi dal titolo Mythologiques, nei quali raccoglie milletrecento racconti mitici delle diverse tribù Indios. Quest’opera si presenta come un immenso labirinto all’interno del quale vi sono numerosi richiami da un racconto all’altro, tra una mitologia e un’altra. Egli nella sua indagine rileva come, nonostante vi siano versioni leggermente diverse di uno stesso mito, ossia segmenti diversi di uno stesso mito, essi pongono in rilievo un medesimo elemento che assurge a simbolo. Tra i tanti miti indios , quali le origini delle tempeste, il veleno, l’arcobaleno, il miele, il tabacco, le eclissi, viene riportato quello relativo all’origine del fuoco, mito che fu elaborato anche da popoli molto lontani dal Sud America, come il mito greco, ad esempio, di Prometeo: “Quando gli uomini ancora non conoscevano il fuoco, accadde che un indigeno invitò il cognato a salire su di una roccia (o su di un albero), per catturare alcuni pappagalli che lassù avevano il loro nido. Ma poiché il ragazzo, una volta raggiunto il nido con una lunga scala, cerca di ingannarlo negando che lassù vi sia alcun uccello, l’altro si vendica portandosi via la scala e lasciando il giovane cognato bloccato sulla roccia. Dopo un po’ di tempo il ragazzo viene salvato dall’intervento del giaguaro, il quale lo conduce poi alla propria dimora, ove può offrirgli da mangiare della carne arrostita: perché a quei tempi il giaguaro era il signore del fuoco. Il racconto infine si conclude con la fuga del ragazzo dalla casa del giaguaro, al quale egli però sottrae un tizzone acceso: grazie ad esso la società umana potrà accedere all’uso del fuoco”25. Tramite le due opposte categorie del cotto e del crudo,

24 Vedi nota 12 25 Guido Ferraro, Il linguaggio del mito: valori simbolici e realtà sociale nelle mitologie, Meltemi Editore srl, 2001 pp. 47 e ss.

14

secondo Lévi – Strauss, il pensiero simbolico indigeno sembra voler la contrapposizione tra ciò che è allo stato di natura, crudo nel senso di non aver subito alcun intervento da mano umana, e ciò che invece tale intervento ha subito, è diventato cotto, cioè segnato da un procedimento tipicamente culturale. È dunque evidente qual è il ruolo simbolico del fuoco da cucina: è una sorta di piccolo sole sulla terra, esso rappresenta la giusta e moderata unione dei due elementi; ad esso si oppone da un lato il mondo bruciato, prodotto da un’unione eccessiva tra il sole e la terra, e dall’altro il mondo putrido, il mondo freddo della luna. Fondamentale è dunque la questione da dove provenga questa efficacia dei simboli che Lévi – Strauss pone in un capitolo dell’opera Anthropologie structurale: egli, da antropologo, risponde con lo studio della cura sciamanica, mostrando che tutta l’azione dello sciamano è simbolica. L’influenza dello sciamano, che opera per mezzo dei simboli, indurrebbe una trasformazione organica, consistente essenzialmente in una riorganizzazione strutturale. Portando ad esempio un malato a vivere intensamente un mito, lo sciamano opera sui processi organici, sull’inconscio e sul pensiero riflessivo. Ed è proprio l’inconscio, secondo Lévi – Strauss, l’organo della funzione simbolica26.

U. Eco, infine, legge il simbolo come una decisione: “Il mondo simbolico presuppone sempre e comunque un processo di invenzione applicato ad un riconoscimento. Ogni segno, linguistico e non, è definibile e interpretabile solo attraverso altri segni in una catena infinita, come quando apriamo il dizionario per cercare il significato di una parola e troviamo altre parole per descriverci il senso del termine cercato, in una serie interminabile di rimandi”27. Ne deriva quindi secondo la visione di Eco, un andamento circolare, che per fare un esempio possiamo individuare anche nel famoso romanzo Il nome della rosa, che si chiude con la frase: “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”28, tradotto con “permane la rosa originale con il nome, abbiamo poi soltanto nudi nomi”. Frase da intendere, secondo l’autore, in senso nominalista, con la parola “rosa” che non avrebbe alcun significato se le rose dei nostri giardini smettessero di esistere. Se la rosa come tale scompare, scompare anche il suo nome. Ecco, allora, il significato del termine simbolo: simbolo come mezzo convenzionale d’espressione letterale e figurativo allo stesso tempo29.

26 Julien Ries, Opera omnia Mito e rito Le costanti del sacro, Editoriale Jaca Book pp. 198 e ss. 27 Umberto Galimberti, Psicologia, Le Garzantine, Garzanti, p. 968 28 Franco Forchetti, Il segno e la rosa: i segreti della narrativa di Umberto Eco, Castelvecchi, 2005 29 Renato Giovannoli, Nome della Rosa, Bompiani, 1985, p. 119

15

Il simbolo e la religione

Per cogliere la “struttura” dell’oggetto della religione è di importanza capitale lo studio dei simboli. Ogni religione possiede un pensiero filosofico-metafisico che si esprime implicitamente o esplicitamente ed in generale ogni religione si esprime nel linguaggio simbolico complesso dei propri miti e credenze, preghiere e proverbi, riti e sacrifici. Il simbolo costituisce un “richiamo all’origine”30 dove resta nascosta e gelosamente custodita o la verità originaria, o la fonte da cui si dischiudono nuovi sensi e nuovi significati.

Con l'espressione simbolismo religioso si indica l'insieme di segni che, per astrazione, rappresentano e mettono in particolare evidenza aspetti importanti delle religioni. Nella religione cristiana la croce è un simbolo di Gesù Cristo, la mezzaluna rappresenta l'Islam, nella religione ebraica la stella a sei punte fa riferimento a Davide e più in generale a tutta la religione ebraica, mentre il lingam induista richiama Shiva e la fertilità maschile.

I simboli religiosi non sono la realtà che rappresentano ma, pur non essendolo, la richiamano immediatamente. Inoltre hanno il grande vantaggio di essere immediati, semplici e universali. In particolare sono indipendenti dalla lingua e dall’appartenenza. I simboli numerici sono assolutamente universali, semplici e immediati. Infatti i numeri sono un elemento conosciuto da tutta l'umanità e sciolto da qualsiasi appartenenza locale o nazionale. Il simbolismo religioso, per le sue caratteristiche di semplicità, immediatezza ed universalità, facilita la comprensione e la diffusione di concetti-chiave delle rispettive religioni in vasti strati della popolazione. Le immagini sacre (quadri, affreschi, statue,...) sono altrettanti simboli che aiutano la preghiera e rafforzano la devozione. Diventa questo l'uso più tipico del simbolismo religioso e come tale è stato ampiamente diffuso e utilizzato. Il simbolo nelle religioni colma la distanza fra uomo e Dio, mette insieme il visibile e l'invisibile, ha perciò il potere di mettere l'uomo in relazione con il sacro, con l'eterno e con il divino, mediante oggetti e forme che hanno significati sempre da scoprire, come la croce, il

30

G. Van der Leeuw, M. Eliade, R. Guenon e H. Corbin

16

tao, la stella. Nei simboli i significati non stanno tanto nel segno in sé, quanto nell'interiorità dell'uomo che li contempla.

Nella terminologia delle religioni misteriche “simbolo” è la formula che- come mottoserviva di riconoscimento tra gli iniziati. Nel cristianesimo, il simbolo indica il compendio delle fondamentali verità di fede che il candidato al battesimo deve recitare come segno e manifestazione della sua fede, e che deve sempre osservare come norma universale ed assoluta della propria vita.

Conformemente al suo significato generale, anche nella storia delle religioni i simbolo è un segno o oggetto che “rappresenta qualcosa : le discussioni sul suo più preciso significato vertono sul modo di rappresentare e sul genere di cose rappresentate. Nel senso più vicino a quello originario ( ed etimologico), il simbolo religioso dovrebbe essere , come “segno di riconoscimento” una cosa semplice che indicasse o ricordasse qualcosa di più complesso, ma ovviamente sottointeso: così per esempio un cantaro può esser simbolo del dio Dioniso o del suo culto, una lingua simbolo di Siva o della sua venerazione, ecc.

Simbolo religioso ed allegoria Presto però, sotto l’influsso dei simboli delle religioni misteriche il termine assunse un significato un po’ diverso: il simbolo appariva come un’allusione, come un’espressione cifrata che volesse ricordare qualcosa che non doveva esprimersi direttamente. A questo punto si ebbe poi l’origine della confusione tra simbolo e allegoria: se infatti il simbolo è una cosa che vuol rappresentare , in linguaggio velato, un’altra, non c’è apparentemente differenza

tra esso e

l’allegoria. Una prima differenza si delinea tuttavia, se si considera che l’allegoria non si riferisce necessariamente a cose segrete o inesprimibili. L’esegesi allegoristica della religione, sorta già nell’antica Grecia, sosteneva che una divinità o un mito fosse l’allegoria di qualcosa di ben preciso: Efesto del fuoco, il mito della sua caduta dal cielo, del fulmine. Più tardi però anche per tali casi si adoperava il termine simbolo. Nel romanticismo si cercava di distinguere il simbolo dall’allegoria, dicendo che esso, segno concreto, limitato e sensibile, esprimeva qualcosa di astratto, infinito, invisibile. Più decisiva fu la distinzione (sin da Goethe) che metteva in rilievo, come, a differenza dell’allegoria, il simbolo fosse espressione

spontanea che avesse un rapporto di intima

corrispondenza con il suo oggetto, espressione insostituibile, anziché segno convenzionale. Non è 17

simbolo, in questo senso, per esempio, un triangolo con dentro un occhio, che allude al concetto, esprimibile anche in parole chiare, del Dio onniveggente uno e trino, mentre non costituisce l’espressione spontanea dell’esperienza che di questo Dio ha il soggetto religioso: ma la spiga matura mostrata agli iniziati a Eleusi, poteva esser simbolo della Dea Demetra, simbolo irriducibile a concetti razionali. Anche questa concezione più raffinata del simbolo si presta a malintesi ed errori: tra questi è l’idea che un simbolo abbia necessariamente una validità universale; a quest’errore si è giunti con l’accentuazione eccessiva del rapporto di <> corrispondenza tra il simbolo e il suo oggetto, mentre la validità di tale rapporto è evidentemente limitata precisare condizioni storiche ( la spiga di grano non può essere simbolo di qualche cosa nelle civiltà non agricole; diverso è il valore simbolico dell’acqua per un popolo che vive presso il mare e per gli abitanti di un deserto tropicale, ecc.).

La teologia è stato il primo grande scenario delle operazioni simboliche volte a colmare il divario tra la lettera e lo spirito. La storia dell’esegesi prevede che la Scrittura sia fonte infinita di interpretazioni, ma ciò che l’interpretazione scopre deve già ritrovarsi nella scrittura. In questo circolo si aprono due itinerari, quello allegorico che deve avere un codice per tradurre le proprie figure in significati socializzabili e comunicabili, e quello simbolico che non può avere codice e resta perciò aperto e disponibile a tutte le proiezioni dell’interprete. Quando una determinata lettura simbolica si afferma e, da proiezione inizialmente privata, diventa modo comune di vedere e di intendere, allora è la lettura simbolica a fornire le regole di quella allegorica, in caso contrario è il simbolo a essere codificato allegoricamente. Questi due itinerari contraddistinguono l’esperienza mistica da quella codificata dalla tradizione condivisa.31

L’esperienza religiosa determina una riqualificazione simbolica dello spazio e del tempo. La verità dei simboli religiosi si risolve interamente nella loro finalità antropologica. Essi contribuiscono a far si che l’uomo si collochi nel reale rendendolo a se familiare. Il ruolo che riveste il simbolo religioso si esplica nel favorire l’emersione dell’uomo dalle differenti situazioni di crisi che minacciano di farlo scomparire32.

31 32

Le Garzantine – “Psicologia” Umberto Galimberti “Teologia Fondamentale” – Giuseppina De Simone

18

Il simbolo religioso non afferma nulla direttamente di Dio ma si riferisce ai suoi rapporti con l’uomo; esso non è che un residuo sintetico evocatore di un’esperienza, una guida di comportamento, un segnale indicatore. Pensando Padre, Luce, Voce, Albero, Montagna , Cielo, evochiamo uno stato d’animo che orienta la coscienza nella direzione in cui si situa ogni incontro con Dio.

Simboli religiosi realistici ed idealistici L’ultimo sviluppo della generalizzazione del valore dei simboli è rappresentato dagli “archetipi” dello psicologismo storico religioso recente. Ma anche a parte l’estensione illecita della validità del simbolo, è da chiedersi se ogni simbolo, nella sua origine sia veramente simbolo, oppure soltanto diventi tale, a condizione di perdere

la propria funzione originaria. Quando si vuol

distinguere tra i simboli realistici e i simboli idealistici, intendendo per i primi quelli che per una civiltà religiosa sono semplicemente identici con quanto rappresentano, il significato stesso del termine simbolo rischia di annullarsi; è chiaro , infatti, che quando per esempio presso popoli a organizzazione totemistica gli esecutori di un rito vestono pelli di animali o si mettono maschere, essi non mirano tanto a rappresentare quanto a essere realmente gli antenati totemici; ma in tal caso essi non si servono più di simboli bensì di mezzi atti a trasformarli in ciò che il simbolo soltanto esprimerebbe; e simile è la funzione di tanti altri cosiddetti simboli: l’acqua lustrale non è simbolo ma mezzo della purificazione effettiva, lo spegnimento e la riaccensione dei fuochi non simboleggia ma realmente inaugura l’inizio dell’anno, ecc. D’altra parte i cosiddetti simboli idealistici si confondono facilmente con i segni convenzionali privi di un valore simbolico nel senso sopra definito: se la svastica spirale, la stella, ecc. in determinate civiltà arcaiche (anche preistoriche) hanno indubbiamente valore di simbolo in quanto esprimono complessi idee religiose irriducibili ad altri termini, la croce nel cristianesimo e la mezzaluna nel mondo islamico, benché di origine analoga, sono simboli al massimo nel senso etimologico del termine, cioè segni convenuti di riconoscimento.33

Bisogna infine ricordare la reciprocità del rapporto simbolico: la raffigurazione di una donna triforme o con le corna (Hathor) può essere simbolo della luna, la luna a sua volta, dati i suoi periodi, può essere simbolo della femminilità: in realtà donna e luna, in determinate civiltà, sono

33

Enciclopedia Treccani

19

simboli reciproci intercambiabili di un’esperienza non riducibile ad altri termini. Per questi valori differenti del termine simbolo, negli studi storico-religiosi è opportuno definire sempre con esattezza l’accezione che si intende attribuire alla parola.

Simbolo e allegoria nel Medioevo Il Medioevo è l’epoca dei simboli per eccellenza. La cultura medievale è senza dubbio quella che maggiormente ha reso visibile nelle sue manifestazioni la dimensione simbolica che la permeava. Questo è stato possibile perché gli uomini "tradizionali" del medioevo percepivano chiaramente l’unita spirituale che unisce tutte le parti dell'universo e che permette di scoprire le analogie e le corrispondenze tra le parti e la loro unione al Creatore che da vita a queste parti. Gli uomini "moderni" schiacciati e svuotati dalla ricerca scientifica quantitativa hanno perso la speranza di una spiegazione globale e totale delle cose.

"Noi vediamo come in uno specchio, in immagine, solo allora [nella vita eterna] vedremo invece faccia a faccia". Su queste parole di san Paolo (lettera ai Corinzi, XIII, 12), riprese da sant’Agostino, si fonda il modo di pensare e di rappresentare il mondo tipico del Medioevo. L’intera natura appare come un libro scritto da Dio, che manifesta attraverso i fenomeni e le creature sensibili i segni della sua volontà. L’universo è dunque un grande sistema di simboli da decifrare. La ricerca dei significati occulti delle cose si basa essenzialmente in questo periodo su un procedimento analogico e intuitivo, che tende a illuminare le corrispondenze segrete tra i diversi piani dell’esperienza. Le piante, gli animali, i minerali sono descritti nelle loro caratteristiche naturali, nei colori e comportamenti, in quanto spie di virtù o vizi o comunque di qualità che li oltrepassano e li rendono simbolici. Le pietre gialle e verdi guariscono per analogia le malattie del fegato, quelle rosse le emorragie. La rosa bianca rimanda alla verginità, quella rossa alla carità: entrambe simboleggiano la Vergine. La mela (da malum) simboleggia il male, il grappolo di uva il Cristo che ha versato il sangue per l’uomo. Gli animali incarnano soprattutto il male: il caprone la lussuria, lo scorpione la falsità. Il Fisiologo, che è il modello di tutti i bestiari medievali, unisce sistematicamente alla descrizione naturale o fantastica dell’animale la rivelazione del significato morale e religioso, sostenuto da passi della Bibbia. Anche i gesti hanno un ricco significato simbolico, da quelli liturgici (il segno della croce, i gesti di benedizione) a quelli politici e sociali (la cerimonia di investitura cavalleresca, i gesti di sottomissione, di omaggio, di sfida — si veda per esempio l’offerta del guanto a Dio da parte di Orlando morente nella Chanson de Roland. I numeri 20

nel Medioevo non servono tanto a misurare quanto a stabilire corrispondenze simboliche tra microcosmo e macrocosmo; quattro sono gli elementi della natura (aria, acqua, terra e fuoco), quattro gli elementi del corpo umano (carne, sangue, respiro, calore). Fondamentale è l’uso simbolico della proporzione numerica che riproduce nella cattedrale l’ordine cosmico. Ma è soprattutto la parola la chiave che permette l’accesso al senso delle cose: il loro significato si recupera risalendo alla loro origine ed essenza per mezzo del nome: di qui il valore e la diffusione delle etimologie dove parole e cose si corrispondono. Lo studio della grammatica, della littera, è anche alla base dell’interpretazione allegorica dei testi, che si fonda sulla distinzione tra senso letterale e senso spirituale: questo metodo di lettura fin dall’antichità era applicato alla Bibbia, per cogliere il vero senso che si nasconde dietro le metafore dei Salmi e delle parabole. Esteso poi anche ai testi profani dell’antichità classica ne permise un uso strumentale, funzionale al loro inserimento nella concezione morale cristiana. Fulgenzio, autore cristiano del V secolo, lo applica all’Eneide, che si trasforma così in una specie di allegoria della salvezza dell’anima.

L’interpretazione allegorica o tipologica esprime una concezione cristiana della storia in cui il passato il presente e il futuro sono legati da un rapporto di prefigurazione nella prospettiva della salvezza finale, il Vecchio Testamento prefigura il Nuovo, Adamo prefigura Cristo e Cristo la salvezza dell’anima. "L’interpretazione figurale — osserva Auerbach — stabilisce fra due fatti e persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche l’altro, mentre l’altro comprende e adempie il primo. I due poli della figura sono separati nel tempo, ma si trovano entrambi nel tempo come fatti e figure reali”

21

Bibliografia - Vallauri Luigi Lombardi: "Simboli e realizzazione" (saggio); - Morelli Alessandro: "Simboli e valori della democrazia costituzionale" (saggio); - Gattamorta Lorenza: "Teorie del simbolo: studio sulla sociologia fenomenologica", Milano, F. Angeli, 2005; - Mancini Susanna - "Il potere dei simboli, i simboli del potere: laicità e religione alla prova del pluralismo" - Padova: Cedam, 2008; - Maurizio Calvesi, Lo specchio, simbolo del simbolo, Fabbri, 1987; - Linda M. Napolitano Valditara, Platone e le "ragioni" dell'immagine, Vita e Pensiero, 2007; - Sandro Briosi, Simbolo, Volume 4,Edizione 1, Edizioni Dell'Orso, 1995; - Guglielmo Ferrero, I simboli: in rapporto alla storia e filosofia del diritto, alla psicologia e alla sociologia, Edizioni scientifiche italiane, 1995; - Friedrich Creuzer, Simbolo e mito, Pgreco, 2010; - Giampiero Moretti, Heidelberg romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Guida Editori, 2002 ; - G. A. Di Marco, Thomas Hobbes nel decisionismo giuridico di C. Schmitt, Guida Editore, 1999; - F. Creuzer, Simbolica e mitologia, Editori Riuniti, 2004; - Virgilio Melchiorre, Simbolo e conoscenza, Vita e Pensiero, 1988; - K. Smith, Teologia politica, Giuffré, 1992; - G. W. F. Hegel - F.Matarrese, Hegel e la logica dialettica, Edizioni Dedalo, 1976; - Massimo Ferrari, Ernst Cassirer: dalla scuola di Marburgo alla filosofia della cultura, L.S. Olschki, 1996; - G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle Scienze filosofiche, vol. I, Laterza, 1973; - L. Wittgestein, Libro blu e libro marrone, Einaudi, 1983; - U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, 1975; - U. Eco, Le forme del contenuto, Bompiani 1971; - U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, 1997; - Dizionario critico di filosofia, Società francese di filosofia, André Lalande, ISEDI; - Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio. ISEDI 1972; - Dizionario di linguistica (diretto da G.L. Beccaria). Einaudi 1994 e 1996. 22

Related Documents


More Documents from "remofilho"

Valore Del Simbolo
February 2021 0