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t:wç É7CL 1tp6crw1t6v µou (Dan. 10,9 [LXX]). 'r)'tELa., 7tpO &.vwv. Theo oMJa.la - in lob (3 volte) e Prov. (4 volte). 11 Leisegang registra per poµ.<pala. solo passi di cher. (il vocabolo µ&.xa.tprL non è elencato; per !;lq>oc; sono indicati 7 passi). alct. suggerite dalla comune esperienza. Passi come Is. II,4; Ps. Sa!. 17,24.35; Os. 6,5, nei quali la parola (À.6yoc; o p1jµoc) è indicata sl come strumento di punizione o di annientamento, ma non chiaramente come arma, e men che meno come spada, possono avere offerto scarso spunto. Più importante appare, quantunque venga ·usa26 ol
f) X«'t'à. 1tPOCTW'ltOV (li/ne, ecc.): davanti, di fronte a 24 ; xa't'à 'ltp6irwrcov
1ta\l'tW\I 't'WV aoEÀ
20 ~ ]OHANNESSOHN 348.
DEBRUNNER
In quest'uso di 7Cp6crwJtov abbiamo palesi semitismi; altrimenti in greco si usa soltanto la locuzione Xet:ccì. 1tp6crwJtov (~ coli. 408 s.). 22 L'articolo può mancare perché si tratta di traduzione di espressioni semitiche. Cfr. BtASS-
23
21
§ 259,I.
Rendendo letteralmente l'ebraico li/né (Gen. x7,1), Aquila traduce 7tEPL7ta:tEL tZ<; 7Cp6crw7C6'11 µou . Cfr. P. KATz, Notes on the Sept1111gint: JThSt 47 (1946) 31 s. 24 La locuzione xa:i:cì. 1tp6crw1to'll che s 'i neon-
te!li» (Gen. 16,12); Y.a:tà np6rrw7to\I TIOÀ.Ewc;, «di fronte alla città» (Gen. 33,18); Y..a.-;à 7tp6a-0mov 'tOU O,acr-n1plou, «davanti al propiziatorio» (Lev. 16, r,p5); dr. inoltre Num. 3,38; Deut. 9, 2; rr,25; 'IEp. 18,q; 41,18 (34,18). Frequentemente xa-.ù.. 7tp6o-w'ltov è usato per indicare la posizione geografica; ad es., o~ Èo"'tL\I XU'tà itpOuW'l':OV Ma.µ(3pT), «che sta di fronte a Mamre» (Gen. 23,17); il fo·nv xa.'tà. np6crwr.ov Atyu1nou, «che è di fronte all'Egitto» (Gen. 2 5, l 8); xa:t à 7tp6rrw1to\I 't"?jc; 'ApaPlac,, «di fronte all'Arabia» (Iudith 2 ,2 5 ). 'tfjc;
g) µE'tà. 'tou 7tpocn.d7tou ('et-panim): ;.;ÀTJPW
't"OU
~poo-w7tou
o-ou, «mi riempirai di gioia presso di te»(~ 15,n).
h) 1tpò 7tpOO"W1tOU (lifné, millifne, ecc.): innanzi, avanti a 25 ; à7tOO"'tÉÀ.),w 't"Ò\I a:yyE).6\1 p.ou 7tpÒ 1tpO
La parola 7tp6crw7tOV è usata nei LXX per indicare, in rispondenza all'ebraico piinzm, il volto di Dio, cioè la faccia, la parte di Dio rivolta verso l'uomo. a) L'A.T. parla antropomorficamente del 1tp6
l.f rund!" 1:1.... H.u .-. 1
S'invoc~ Dio che faccia risplendere
il
suo volto sugli Israeliti: €1.L
n. 2.
25 In Gen. m:mca la locuzione ?tpò 1tpocrC.:l1tou; al .suo posto abbiamo ÈVGtV'tLoV, Eµ7tpovl>E\I e ~\IW1tLO\I.--') JoHl\NNESSOHN x90.
7tp00"W1t0V
D l 31t-O \-"- !AJU>C/
Dio a faccìa n faccia» (Gen. 32,:u; dr. !ud. 6,22). Avendo visto Dio a faccia a faccia, Giacobbe chiamò il luogo in cui aveva incontrario Dio p•nt'el (Gen. 32,31; LXX: dooç 1}Eov 26 ). Vedere Dio è estremamente pericoloso, perché l'uomo deve venir meno al cospetto della santità di Dio. L' A.T. non nega che in determinate circostanze si possa vedere il volto di Dio; ma ciò non si deve fare, perché la struggente santità di Dio è fatale all'uomo 27 • Cos) Mosè viene avvertito che non potrà vedere il volto di Dio, «perché l'uomo che veda il mio volto non potrà restar vivo» (Ex. 33,20: où owr'Jcrn UM"' µov -rò 1tp6crw1tO\I' où yap 1-1:li i'.ou 0..\117pw1toç -.ò 7tpo
b) Accanto alla gamma di significati dell'espressione volto di Dio appena de· scritti troviamo nell' A.T. un uso cultuale dell'espressione rtp6crw7tov (l}i;ou): vedere il volto di Dio significa andare al tempio, recarsi al suo santuario. Probabilmente questa espressione è ripresa da culti non israelitici, nei quali il simulacro del Dio si trovava nel tempio e là veniva adorato dai fedeli. In senso traslato questa frase è entrata anche nel linguaggio dell'A.T. 28 • L'orante, pieno di nostalgia, chiede: 7tO't'E i)l;w xat 6qiM1croµaL .-Q 'ltpo<1W1t!{.> 't'OV i)i;o\i;, «quando potrò venire e comparire al cospetto di Dio?» (lj/41,J; 94,2). I credenti cercano il volto di Dio e lo trovano frequentando il tempio: Èx~t)'t'fj
26 Come nome geografico &Eov 7tp6crw1tov ( = p'né 'el?) è attestato per il promontorio di Ras Sha.J.c~a in Libano: Strabo 16,754; Pseudo-Skylax, periplus 104 (ed . C. Mi.iLLER, Geographi
Graeci MinoreSI [1855] 78). Cfr. K. GALLING, Die syrìsch-pa/iistiniscbe Kiiste nacb Pse11do· Skylax: ZDPV 61 (1938) 74 s.
Cfr. ~ BAumss1N 184 s.; E. FASCHER, Dem invisibilis: Marburger Theol. Studien I (1931) 41-77; R. BULTMANN, Untermcb1mge11 wm Joh. -Ev., B. i>EÒV oòlMc; ewpctY.E\I 1tWrc0· 21
..
.
i
·"tE: ZNW 29 (1930) 169-192 e quanto W. MxcHAELIS dice a proposito della visione di Dio nell'art. 6pd:w --+ vm, coli. 912 ss. 929 ss. 28 ~ BAUDISSIN :i:89-197; __., GULIN 5-7; ~
88-95; G. KITTRL, Religionsge· schichte und Urcbristent11111 (1932) 100.
NoTscHER
Più tardi si cercò di evitare la frase cultuale «mirare il volto di Dio~. Cosl il testo ebraico di Is. 1,12 (lir'ot piiniii) è stato letto Jera'ot pìi11a; e tradotto poi nei LXX con 6q>lnjwxl µo~ [J. FrcHTNER J. 29
µuxrçf)pcriv, ÈBooµ~ cr-.6µ0'.·n, da parte principale dell'essere vivente, il volto, presenta sette fori: due occhi e due orecchi, un numero uguale di narici, infine, settima, la bocca» (leg. all. 1,12). Negli scritti filoniani si parla ripetu· tamente del volto di Dio: Caino deve ritirarsi Èx 7tpocrw7tou -roi:i i>Eov (poster. C. 12.22 e passim); la parola di Dio procede Éx 7tpocrw7tou l}E.ov (deus imm. 109; plant. 63; conf. ling. 168; mut. nom. 39 e passim). Filone parla anche di un oracolo profetico che procede dal sovrano dell'universo: ÀoyLOV ÉX 1tpOCTW1tOU l}E0'1tLO'Ì)~v 'tOU 't'WV oÀ.wv 1)yE~lovoç (mut. nom. r3). In accordo con l'A.T., anche Ricordiamo infine che i pani della Filone afferma che il volto di Dio riproposizione vengono chiamati nei LXX mane nascosto all'uomo. Perciò inter(r Ba.cr. 2r,7) &p-ro1 -rov 'ltpocrw'lt'ou, per- preta l'episodio di Ex. 33,12-23 nel senché vengono conservati nel luogo sacro, so che sono conoscibiii le sue opere, non la sua natura (poster. C. r69) 31 • Cfr. annel luogo della presenza di Dio. che /ug. r65: a\hapxEç y
senza del Signore. Perciò, considerando b vita quotidiana del credente, \)J 104.4 esorta a cercare sempre il volto di Dio: slJ'tTJCTCX.-rE 'tÒ 'ltp6crw'itoV mhov 01!X ttav-i-6ç. Qui la frase è ormai libera da qualsiasi riferimento cultuale e sottolinea la necessità di conservare ogni giorno il giusto rapporto con Dio. Quando l'orante promette di cercare il volto del Signore ( ljJ 26,8: 'tÒ 1tpOC1W'itOV
30 Per t)I 26,8 --+ N5TSCHRR r36 . Indicazione di G. BERTRAM.
31
Cfr. per questo passo M. PoHLENZ, Paultts mzd die Stoa: ZNW 42 (r949) 7r s.
32
7tpéO"W7tOV
B
II rn-2
In alcuni passi, infine, '7tp6crw1to'\I significa probabilmente persona: -rl OE~ -rèt.c; 'tW'\I 'itpOCTW1tWV àµul}1)i:ouc; lofo~c; xa-ro:.ÀÉyEcrDa.t;, «quale bisogno c'è di elencare gli innumerevoli generi di persone?» (poster. C. no); -rà. 1tpayµo:.-ra. xcd. -rà. 7tp6crw'lto:., «le materie e le persone» (poster. C. I I l ); È'ltÌ. ·nµn 1tpocrC:l· 'ltW'\I (spec. leg. l ,245).
{E. Lohse)
l VI,77,5) -12-f
~toÀ.EµlvlV,
«battendo costoro ( = gli uomini di Pacoro) sul tempo, Erode partì una notte con i più intimi per l'Idumea, all'insaputa dei nemici». 2.
Scritti pseudepigrafici e 1·abbinici
b) Flavio Giuseppe usa np60'W1tOV nell'accezione di volto: 'ltEO'WV ÈnÌ. 'ltp6o-WitOV -ròv l}Eòv txÉ'tEUO'E, «(gettatosi) con la faccia a terra (Ezechia) implorò _Dio» (ant. ro,rr ). Per la locuzione dr. inoltre ant. 6,285; 7,95.114; 9,1r. 269; ro,211. Se il fratello di un morto rifiuta di sposarne la vedova (legge del levirato), la donna respinta deve «sputargli in faccia», 'lt'tVEW dc; 'ltpOO'W1tOV (ant. 4,256; 5,335; cfr. Deut. 25,8 s.). 7tp6uw1tov può anche significare i lineamenti di una persona: È'lttO'X'l)µa-rl~wv -rò 7tpOO'W1tOV Elc; À.U'Jt"Y}V, «atteggiando il volto a dolore» (bell. 2,29). La faccia esterna del tempio è detta -rò t'.çwlkv m'J-rou np6crw7tov (beli. 5,222). Abbiamo anche 1tPOO'W'ltOV nel senso di parte (bell. l ,517 ). La locuzione preposizionale, frequente nei LXX, xa:rò. 1tp6o-W'ltoV, reggente un caso, è anche d'uso corrente in Giuseppe: xa.-rà. 7tpOO'W1tO'\I 'ti)c; -rpa.nÉS'l)c; (ant . 3,144); xa.'tÒ. 'ltpOO'W'ltOV -rou vo:.ou (ant. 9,8 ); xa-rà. 1tp6o-w'ltov a.ircou ( scil. del re)( ant. xr ,2 3 5 ). Giuseppe parla una sola volta (ani. l,334) del volto di Dio, quando deve spiegare la parola ebraica p"nt'el: i)criMç oÈ -rov-roLç 'Ia~w~oc; o:.'\IOVTJÀ.O\I 6voµasEL -ròv -r6'ltOV o v'l')µa.lVEL 1'EOV 'itpOO'W'ltO\I, «rallegrato da queste cose Giacobbe chiamò il luogo FanueI, che significa 'volto di Dio'» (ant. l,J34). In bell. l,263 1tp6rrw7to\I significa pel'sona: 'ltpoÀ.a~wv 'Hpworiç µE-rà 'tW\I olxEto'ta"t'W\I npoO'W'ltW\I \IVX-rwp È1ti 'IOovµa.laç ÉXWPEL À.al}pa. 'tWV
Esula dal nostro compito un'esposizione dei numerosissimi passi della letteratura giudaica in cui è usata la parola piinlm. Anche in tali scritti ricorrono tutte le accezioni già trovate nell'A.T. (-7 coll. 413 ss.): parte rivolta verso chi guarda, volto, faccia, facciata, superficie, parte anteriol'e, ed anche tutti i costrutti con le diverse preposizioni (-7 coll. 415 ss.). Oltre i dati dell'A.T. va l'affermazione degli pseudepigrafi che il volto dei giusti perfetti brillerà nel mondo futuro come il sole, perché Dio fa splendere la sua luce sul volto dei santi e dei giusti eletti (Hen. aeth. 38,4; cfr. Dan. 12,J; Hen. aeth. 39,7; 104,2). Questo significa però che «essi saranno mutati... dalla bellezza fino allo splendore e dalla luce fìno al folgore de1la gloria» (Bar. syr. 51, ro). I pii godranno cosl dell'immediata vicinanza di Dio (Bar. syr. 51,3). La sesta gioia riservata a coloro che hanno fedelmente custodito le vie dell'Altissimo è «che a loro viene mostrato come il loro volto splenderà un giorno al pari del sole» (4 Esdr. 7 ,97 ). La settima gioia consiste nel loro lieto correre a «vedere il volto di colui che essi hanno servito in vita e dal quale dovranno ricevere lode e ricompensa» (ibid. 7,98) 33• Nell'ora della morte, dicono i rabbini, tutti gli uomini devono mirare il volto di Dio. Perciò R. Johanan b. Zakkai muore pieno di trepidazione (-7 III, col. 532) (Ab. R. Nat. 25; cfr. Ber. b. 28b). Gli empi vedranno il volto di Dio per ricevere la loro punizione (Midr. Ps. 22 § 3 2 [ 99a]) 34 • Invece, quale ricompensa
Per In visione di Dio nella letteratura pseudepigrafica e rabbinica cfr. STJtACK-BILLER-
BECK I 206-214; ~ VIII, coli. 952 ss. 31 Cfr. STRACK-BILLERDECK I 209.
33
per le loro azioni, i giusti nel mondo mantica che ,;p~<1WT-0'J ha nell'A.T. (-> futuro potranno vedere il volto della coli. 413 ss.). Shekinà (Men. b. 4 3b; Sofa b. 42:1) Js. Chi fa l'elemosina o opere mel'itorie a· vrà l'onore di salutare il volto della r. Il volto Shekinà (B. B. b. lOa). Frequente è l'uso di 7tpOuW7tO\I nel La frase vedere il volto di Dio, che senso di volto (-? coll. 407 ss. 413 s.): nell'A.T. aveva un valore cultuale, è trasformata dai rabbini nella formula Mt. 6,16 s.; Act. 6,15; Apoc. 4,7; 9,7; vedere o salutare il volto della Shekinà, Mc. I4,65; Mt. 26,67. In 2 Cor. u,20 e non solo è riferita alla visita del tempio, ma più tardi è usata anche per in- leggiamo: Elç n96owitov ÒÉpEtv, «percuodicare la partecipazione al culto sinago- tere in viso»?). Abbassare il volto (Le. gale (Deut. r. 7 [204a]) 36, perché la si- 24,5) o gettHrsi con la faccia 41 a terra nagoga è il luogo della vicinanza di Dio. (Mt. 17,6; 26,39; Apoc. 7,II; xr,x6; Inoltre anche coloro che pregano o stusenza cx;v'toG; Le. 5,12; 17,x6; I Cor. 14, diano salutano il volto di Dio, giacché Dio è vicino a coloro che pregano e si 25) sono atti che esprimono riverenza dedicano allo studio della torà (Sanh. b. e venerazione; cfr. la locuzione incon42a) 37. trata neH'A.T. (-? col. 4x3) "ltL7t't'E~'J "ltfJOO'(J}'JtO\I è penetrato nel vocabolaht ('t'Ò) r.p6vw~~'.)\I cx;u.-ou. La radiosità rio rabbinico anche come imprestito ed
35
Altre indicazioni in
STRACK-BILLERBECK
210·2!2.
36
STRACK-BTLLERBECK I 207. Cfr. STRACJC-BIU.ERBECK I 206 s. 38 Cfr. S. KRAuss, Griech. tmd lat. Lehnworler im Talmud, Midrasch tind Targum II (1899) 495· 39 1t?6crwrcov nell'accezione di persona si trova come imprcstito anche in siriaco: O. Sat. 31, 5 (ed. W. BAUER, KIT 64 [1933)): pr~wph == ~
40 Qui il termine è usato in senso figurato, forse .in un'espressione corrente che significa 'trattar male'; dr. LrnTzMANN, Kor., ad l. 41 Nella locuzione hct rcp6o-w1tov "Jtl-n:·mv l'nrticolo può mancare; cfr. BLAss-DEBRUNNllR § 25JA· ~2
Cfr. WINDISCH, 2 Kor. 112; LrnTZMANN, Kor., ad l. Per l'interpretazione delln pericope ~ 1, coll. un s.; II, coli. 1392 ss.; vu, coli. 819 s.; S. Sc1·1ULZ, Die Decke des Moses: ZN\Y/ 49 (1958) 1-30.
1tp617W1t0\I
e
I
(E. Lohse)
\VI ,777 J 420
coprirsi il viso con un velo perché i figli d'Israele non vedessero la fine della radiosità tmnseunte (v. l 3 ). A questo punto Paolo inserisce bruscamente un nuovo pensiero: non parla più del velo sulla faccia di Mosè, ma del velo che copre il cuore dei Giudei e nasconde loro l'A.T. impedendone Ja piena e reale comprensione (vv. 14ss.)~3 • I cristiani possono invece contemplare a viso scoperto la o6çoc xuplou e sperimentare la trasformazione ocnò &6çric; Elc; &6çocv che procede dal Signore dello Spirito (v. 44 I 8) • Questa argomentazione vien ripresa in 2 Cor. 4,6, dove è detto che la o6ça di Dio risplende per noi sul volto di Cristo. In una serie di passi np6uwnov significa poi la presenza fisica di una persona, l'essere presenti di persona e~ coll. 408 S. 41 3 S. ): Òpfiv 't'Ò 7tp60'W1t6V 't'L· voc;, rivedere qualcuno (Act. 20,25.38; Col. 2,1; xThess. 2,17b; 3,18: ebraismo, cfr. Ge11. 32,21; 43,J .5); &7topcpocvtai}Év't'Ec; àcp' vµWv ... 7tpOO'W1tl() ov xap&lq., «privati di voi... per quel che riguarda In presenza fisica, non i1 cuore»
W7tcp, «sconosdu to di persona» (Gal. r,22). Le. 9,51: aùTòc; TÒ 7tp6crwrcov ÈcrTi)pL
Per l'argomentazione paolina ~ V, coll. 73 ss.; 1x, roll. 919 s. 44 Per l'interpretazione del versetto cfr. J. DuPON't, Le Chrétien t11iroir de la gioire divine d'après II Cor. III I8: RevBibl 56 (1949) 39241x. 45 'Iep. 3,12; :21,10; [24,6); Ez. 6,2; 13,17; 14,8. Va confrontato anche 4 Bcxu. 12,18: ~'t'CX. ~Ev A~a1)À. 't'Ò 1tp60"w7tov a.1hou 6.va.f3TjvcxL É1tt 'IEpou11aÀ.TJµ. Cfr. A. W1FSTRAND, Lukas och Septuagintr;: Svensk Tcologisk Kvartal· skrift 16 (1940) 247-249. Altri paralleli nel· I'A.T.: Dan. n,17 (Theod.): 't'a;eL 't'Ò 1tp6o--
W7tOV cxv.-ov ELO't:Àl>t:LV, 'Jt:p, 51(44),n s.: ÉcplO"'t'T)µL -rÒ 1tp6CTW1t6V µou 't'OU a1tOÀÉO"ct.L, 2 Par. 20,3: ~6wxE'J Iwcrcx.cpa.'t' -tò 1tp6crw7tov ct.V't'OV Èx~1)'tfil7et.L 'tÒV xuptov [ p. KATZ]. 46 Cfr. ScmA'tTER, Lk., ad/.; inoltre STRACK· BILLERBECK II 165, ad/.; DALMAN, Worte J. I 24. 47 DALMAN, Worte]. I 25 : questa espressione lucana è un «ebraismo usato scorrettamente, che non potrebbe essere ritradotto in ebraico. Le. 9,53 si richiama nl v. 51 e avrebbe dovuto in realtà ripetere tutta la frase ivi usata: 'tÒ 1tp617W1tOV O:V'tOU ~O''t'i}pLO"E'J 't'OU 1tOpEVEO"l>m
43
(1 Thess. 2,17"); &:yvoouµEvoc; 'ti;> r.:pocr-
Talvolta 1tp6crw7to\I non indica il volto, bensì l'aspetto, le fattezze del vollo di una persona, e anche l'aspetto di una cosa. In Iac. 1,23 troviamo "t"Ò 7tp6crw· 'ltO\I •flc; yevÉO'"ewc; WJ't"Oli (cioè dell'uo· mo) invece di 'tÒ 7tpOCTW7tO\I ctÙ't"OU, come ci aspetteremmo. La frase si riferisce evidentemente all' «aspetto della sua esistenza» 48 • Iac. 1,11 parla dell'aspetto del fiore: ti eÙ7tpÉ7tHct ..-ou 7tpOCTW'ltOU CX.Ù"t"OU, «lo bellezza del suo aspetto», mentre Mt. 16,3 (par. Le. 12,56) parla dell'aspetto del cielo. 2.
Il lato esposto
Come nei LXX (-7 coll. 414 s.), cosl anche nel N.T. 7tp6CTwnov significa per estensione faccia, parte rivolta verso chi guarda, rnperficie: Èrc1. 11:p6vwito\I 'ita· O"l]<; 'tijc; yijç, «SU tutta la faccia della terra» (Le. 21,35 ); È1ti 'ltct\l't'Òç 7tpo
=
da);
20,II.
E~c; '!Epov
b) dc; 7tp6o-w7tov. 2 Cor. 8,24: dc; 7tpOO'W7tO\I 't"W\I ÈXXÀ.TJO'tWV, «agli occhi delle (altre} comunità». c) Èv 1tpoo-wm~. Con la frase Èv 1tPO· 2 1 IO) Paolo invoca Cristo quale testimone della sincerità del proprio perdono. 2 Cor. 5 1 12: npòc; -roùç Év 1tP0<1W1t4J xauxwµÉvouç, «contro coloro che si vantano di cose esteriori».
o-c.:mcp Xpt
d} Xct't"à. 7tp6uw7tO\I. Senza caso dipendente nel senso di presente di persona, a faccia a faccia (-7 coll. 408 s.): Act. 25, 16; 2 Cor. ro,r; Gal. 2,rr.'t"à.Xa't"à itp6· crumov, «ciò che sta davanti agli occhi» (2 Cor. 10,7). xa..-à itp6aw7tov seguito dal genitivo (come nei LXX) è usato solo negli scritti lucani 50; Le. 2 ,3 l : xa-rà. 1tp60"W7t0\I 51 7t6'.V't"WV 'tW\I À.ctwv, «davanti a tutti i popoli»; Act. 3,13: Xa't'Ò:. 7tp6vw1to\I Il~À.ci-rou, «davanti a Pilato». e) (J.E't'à. 1tPOO"W7tOU. Si trova solo nella citazione di 1)115,II in Act. 2,28. f) 7tpÒ 7tpOO'W7tOU. Mal. 3,1 = Mc. 1, 2; Mt. n,ro; Le. 7,27: Ò'..7tOCT't"ÉÀ.À.w 'tÒV yyeÀ.O\I µou 7tpÒ 7tpOO'W1tOU CTOU, «man. do il mio messaggero innanzi a te»; Le. 9,52: &.1tÉ
a
3. Il volto di Dio Riprendendo l'uso linguistico dell'A. T., anche il Nuovo parla più volte del volto di Dio (-7 coll. 417 ss.). Ciò avvieIl frequente uso di rcp6
50
51 rcp6
7tp6cr1;mov
431 (VI,7ì8)
e3 -D
ne in citazioni dell'A.T.: 7tpévW7tOV òf. xuplou È7tt no~ouv·tet.<; xa.xa, «il volto del Signore è rivolto verso coloro che fanno il male» (o/ 33,17 = I Petr. 3, 12; dr. inoltre Act. 2,28 = ili 15,II). Solo nel mondo celeste si può mirare il volto dì Dio: Cristo è entrato nel santuario, cioè nel cielo, vvv ȵCjla.v~crl}fjva~ -tQ npocrwmi-> -.oG l}EOG Ù7tÈp 'Ì)p.wv, «per presentàrsi ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Hebr. 9,24). Qui è trasferito al santuario celeste il linguaggio · u sato nell'A.T. per indicare l'andata al tempio. Gli angeli custodi dei µ~xpol vedono continuamente «il volto del Padre mio che è nei cieli» (-r:ò 1tp6crw7tov -cou 1ta.-rp6<; µou nu Év oùpa.voi:<;, Mt. 18,10), al quale sta particolarmente a cuore il bene dei minimi. Essi si trovano dunque nelle immediate vicinanze di Dio. Ai servi di Dio sarà concesso alla fine di vedere il volto di Dio, che è nascosto agli sguardi - degli uomini (Apoc. 22,4). Al presente noi possiamo però vedere soltanto per riflesso, in modo oscuro (----7 I, coll. 477 ss.), «ma allora vedremo a faccia a faccia» (.-6-cE ÙÈ 7tp6crw7tov 1tpÒ<; 7tpocrw1tov, I Cor. 13,12). Ciò significa che ora il nostro vedere e parlare non può essere che imperfetto, e soltanto nel compimento futuro ci saranno visione perfetta e conoscenza reale.
sz Cfr. WmorscH,
.i
Kor.;
LIETZMANN,
Kor.,
(E. Lohsc)
I
4. La persona
Nel N.T. TI(JOO"W1tO\I significa persona soltanto in 2 Cor. l ,II: i credenti di Corinto devono unirsi in preghiera con Paolo, affinché «da molte persone (ÈY. 'itoÀÀwv itpoO"wnwv) risuoni il grnzie per noi» 52 •
D.
L'uso LINGUISTICO DELLA CHIESA ANTICA
r. 7tpo
L'uso linguistico dei Padri apostolici non presenta particolarità di rilievo rispetto al N.T. Il termine ricorre molto spesso in citazioni dell'A.T.
=
a) np6crw7tov volto: I Clem. 4,3 s. (Gen. 4,5 s.); 16,3 (ls. 53,3); Barn. 5,14 (ls.50,6); mal't.Polyc.9,2; 12,1; Herm., vis. 3,10,r. 7tpOO"W'ltov = presenza personale: Barn. 19,IO: È1'S'll'tE!v 'tà. 1tp611w7t'<X. -cwv à.ylwv, «cercare la presenza dei santi»; Did. 4,2; inoltre Ign., Rom. 1,1; Pol. 1,1; Barn. lJ'4 (Gen. 48,u). b) 7tp6irw7tov =faccia, superficie, ecc. : citazione di ijJ 1,4 in Barn. II ,T ... ov Èxpln-i'E~ ò &veµo<; OC7tÒ r.:poirw7tOU 'tf]c:; yfj<;, «(polvere) che il vento disperde dalla faccia della terra}>. Frequentemente np6irw7tOV è retto da una preposizione: OC7tÒ 'Jt(JOO"W'ltOV (I Clem. 4,8.rn; 18, II [tjJ 50,13]; 28,3 [tjJ 138,7]; Barn. 6,9); Etc:; 7tp6irw1toV (Ign., Pol. 2,2; Herm., vis. 3,6,3 ); X<X.'tèt 7tp6crwTto\I ( r Clem. 35,rn [!Ji49,21]). Per X<X.-tèt 7tp6CTW1tov, presente personalmente, dr. Barn. 15,1; Polyé:3,2. In Barn. 19,7 e Did. 4,10 r.oc-cèt 7tp6irw7tov, usato assolutamente, significa facendo preferenze, parzialità. -rCpò 7tfJOl1W7tOU: r Clem. 34,3 (Is. 62,rr); Ign., Eph. 15,3. c) Il volto di Dio è nominato solo in ad I.
4Jj I
I
Vl,f /)!!
Clem. in citazioni dell'A.T. : I Clem. (4' 33 117; 60,3
18,9 (lJJ 50,11); 22,6 (Num. 6,25; ljJ 66,2).
d) Talvolta r.poO"WitO\I significa anche persona: ò).,ly(J. 7tpé<JW7tCJ., «poche persone» (I Clem. I , r ); g\I il 7tp6crwm:t., «una o due P,ersone>~ (I Clem. 47 16); -.à. npoyqpa.µi.~E\l(J. npocn,Jrm, «le persone sunnominate» (Ign., Magn. 6,r ).
ouo
2. 7tpéO"vmo'.I nella cristologia e nella dottrina trinitaria della chiesa antica
Nelle dispute per la definizione della dottrina cristologica e trinitaria nella chiesa antica il termine 7tpOO"WrtO\I ha avuto una parte di primo piano. Poiché nei primi due secoli dell'era cristiana Tip6
ss Cfr. K. B .\RTH, Kirchliche Dogmatik (r932) 375 s.
1 1
potuto esprimere in maniera piena e soddisfacente il mistero delle tre persone divine nella loro unità e distinzione 55. Cfr. Aug., de trinitate 8,6,rr: quamquam et illi (scil. Graeci) si vellent, sicut dicunt tres substantias, tres hypostases, possunt dicere tres personas, tria prosopa. Theodoret., dialogus r (MPG 83,36A): TfJ\I yà.p ùr.6
ylwv
1tt"Z.'t'ÉpW\I opoiç CÌ.XOÀ.ouìloi:i\l't'E';,
,
t
EÙ7tpO
Dall'aggettivo EU'ltp6crw'ltoç L, un dedvato di 1tp6cn,mov che non si trova nel N.T., viene formato più tardi un verbo EÒTCpo
Nel N.T. EV7tpOC1W7tÉW è usato solo in Gal. 6,12: ocroL lJÉÀouaw EÙ'ltpo
EÙ'ltpocrwnÉw 1 EÙ1tp60'1,moç= bello di faccia, attestato abbastanza frequentemente fin dal v scc. a.C. Cfr., ad es., Ge11. 12,rr (LXX): Abramo dice a Sarn che fa riconosce come una donna dal bel viso: chL ')'V\llJ EÙ7tp6
2 Cfr. anche DEISSMANN, L.0. 76 s.
43.5 (v1,780)
t
.i:po
npocrwnoÀ:qµ~la.,
"f 1tPOO'W7tOÀ:IUL7t"t"l}ç,
t 7tpOCTW7tOÀ:!)µ7t't'ÉW, °!" Ò:.7tpOCTW7tOÀ:r)µ1t't'Wç r. Nell' A.T. ricorrono più volte i costrutti niifii' piin'im = À.a.µ~&.vm1 7tp6crwnov I l>rx.u1.1.asEw np6o'wrcov e hikkir piinim = y~yvwcrxEw np6crw7tov. Per capire queste espressioni bisogna ricordare l'uso orientale di salutare piegando umilmente il volto a terra oppure prosternandosi a terra per esprimere rispetto e riverenza. Se la persona importante che viene salutata in questa maniera solleva il volto dell'altra che saluta, le dà un segno di riconoscimento e di stima. La traduzione di niifii' piinzm con À.rx.p.BocvEw 7tp6crwnov è un puro e semplice calco dell'ebraico 1• Certamente nel greco profano À.aµPri:vEtv non significa mai sollevare, ma solo prendere, afferrare, assumere. Dato però che in ebraico niifii' non significa solo sollevare, ma anche prendere, esso è stato reso in greco con À.a.µB&.vrn1. Certamente questa traduzione doveva essere quasi incomprensibile ai lettori greci 2• Nel costrutto 1>a.uµasEw 7tp6crw7tov il verbo 1'a.uµasEw significa stimare (~ IV, coli. 2t9 ss.). Dio non ha riguardo alla persona: oò i)auµ&.sE~ 1tp6crwnov (Deut. ro,q; dr. 2 Par. 19,7). Invece gli uomini si dimostrano mutuo onore salutando u-
l Vl,70UJ ' i jU
milmente e alzando il volto. Cosi Giacobbe spera che Esaù lo accolga benevolmente: l'.crwc; yà.p 7tpocr&É~E.'ttx.L 't'Ò 7tp6crwn6v µou (Gen. 32,2t). Il À.a.µBcivELV 7tp6crw'lto\I può però avvenire anche per scarso senso di equità e per riguardi personali, quando si è parziali verso una persona favorendola ingiustamente. Così. è diretta particolarmente ai giudici l'ammonizione: oòx É'JnyVWCTTI 7tp6crw7tOV Èv xplc;EL, «nel giudicare non aver riguardo alla persona» (Deut. I ,17; dr. anche Lev. 19,15; Deut. 16,19). Come Dio non ha riguardo alla persona, cosi anche il giudice terreno deve pronunciare un giudizio giusto e imparziale. Riallacciandosi all'A.T., anche il Nuovo parla di riguardo alla persona. 2.
BM7tEL\I Elç np6crw1to\I (Mc. 12,14 par. Mt. 22,16); Le. 20,2 t rende invece l'idea con À.o..µBavEw 7tp6crw7tov. Iudae 16 ha i>o..uµ
cfr. Deut. ro,17; Ecclus
35,13): Dio è un giudice incorruttibile, che non ha riguardo alla persona.
Dall'ebraismo À.
7tpOO'W'ltOÀ.7]µ1Jila X'tÌ-.. I
II periodo seguente è dovuto ad una osser·
vaz!one di D EBRUNNER.
2
Cfr. ]. LEIPOLDT-S. MoRENZ, Heilige Schri/-
ten (1953) 80.
l•)"VVUJr .. V•WIJt"''r"-
3,25; Iac. 2,1), che compare per la prima volta nel N.T., ma probabilmente era
già in uso nel giudaismo ellenistico 3 • La parola 'ltpoa-w1toÀ:r1µ\)Jla è usata più volte a proposito del giudizio di Dio, nel quale non c'è posto per riguardi personali. Perciò Giudei e Greci vengono giudicati con lo stesso metro (Rom. 2,u). Ai xupLOL che hanno schiavi ai loro ordini si ricorda che in cielo c'è un xupLoc; che ha potere sugli schiavi e sui padroni e non ha riguardo alle persone (1tpOtrW7tOÀ.TJµ\jlla : Eph. 6,9 ). I ooliÀ.oL devono però ubbidire ai loro padroni, nella consapevolezza di essere servi del xuptoc; Xpta--.6c;. «Chi agisce ingiustamente sarà ripagato di ciò che ingiustamente fece, e non c'è riguardo per nessuno» (xoct oùx
e
EO'•W 7t(l00'W7i:OÀT)µljiloc: ol. 3 '2 5 ). Dio non è uno che faccia parzialità o abbia riguardi personali ( 7tpotrw1toÀ.•ljµ-ç11c;) e perciò non favorisce i Giudei, ma fa venire a sé anche i pagani perché ricevano la salvezza (Act. 10,34). Dio giudica «seru:a riguardo per nessuno», &.7tPOO'W7toÀ:ljµTC.-wc;. Da questa consape-
Eph. 6,9 e Col. 3,25 hanno il termine nel testo di un codice domestico che conserva un 'antica trnclizio.ne parenetica. Perciò è vero-
3
, ..
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-
J
\ '-"• ._..., .......... ,
\ " -1F - - I (..I -
\·olezza la parenesi cristiana riceve la sua serietà e la sua importanza ( r Petr. 1, IJ). Come Dio non ha riguardo alla persona, così anche nella comunità cristiana non devono esistere «riguardi personali» ( 7.poo-tv1tOÀl)µtjllcx.i). È pertanto escluso che si possa credere in Cristo e allo stesso tempo indulgere a parzialità (lac. 2,r). Di che parzialità si tratti, è evidente dall'esempio del disprezzo del povero e delle preferenze accordate al ricco (Iac. 2 ,2-4). I cristiani sono severamente richiamati a non trascurare questa ammonizione: c.l Ok Tif>OO"W7tC· >..11µ7t•Et'tE, aµap·tla.v ÉpyasE~E, ÈÀ.Eyxoµc.voi v1to •oli v6µou w:; rcapa.Bti:ta~, «se invece avete riguardo alle persone, commettete peccato, convinti dalla legge quali trasgtessori» (Iac. 2 19). 3. Negli scritti dei Padri apostolici si parla di riguardo di persona nei seguenti passi: À.ocµ~OCVELV 7tp6trwrcov (Barn. 19, 4; Did. 4,3); 7tpOO'W7tOÀ.TJµljila (Polyc. 6,r ); Ù.'1tpo
Barn. 4,12 ). E.LOHSE
simile che In formazione del tel'mine sia di origine giudaica. Cfr. anche DIDELIUS, Jak. a 2 1 !; ScHLATTER,
Rom.
a 2,n.
439 (v1,781)
7tpOc,?TJ"t"IJ<; X"tÀ.. (H. Kriimer, R . Rcndtodt, R. Mcyer, G. Fricdrich)
-j- Tipocp-r]TT}c;,
t t
t
(v1,782) +10
7tpocpf)'t'Lc;,
npo
t ljlrnoorcpocp1)TT}c;
A. Il gruppo di termini 11elt11 grecità profana: I. i termini; II. !a realtà significata: 1. profeti oracolari; 2. il poeta quale itporp1J·n1.;; 3. altri usi; 4. riepilogo.
Il. nabi' nell'A.T.: I. origine del termine; II. il verbo: r. i testi più antichi; 2. i libri profetici; III. il sostantivo: l. congregazioni profetiche;
2 . figure isolate; 3. profeta come epiteto di personaggi più antichi; 4. niibi' nei libri profetici; 5. vero e falso profeta nel Deuteronomio; 6. niib1' negli altri libri; IV. altre denominazioni dei profeti:
l .
'ii 'eloh/111;
2. ro'eh; 3. f;ozch; V. forme e contenuto del messr.ggio profetico; VI. l'uso linguistico dci LXX.
C. Profetismo e profeti nel giudaismo dell'età
T.poqrfrtTJ<; X"tÀ. ln generale:
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441 (v1,782)
7tporpiy-:i1~
z-:i.. 11-1. K.:·a!Tlcr, I<.. Kendtortt, K !\leyc•·, u. rneam:n1
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\ 1•1,70314.µ
4. il principe con il 111111111s triplex; 5. i profeti messianici;
III. la letìeratur:i apocalittica; IV. il tr:imonto del profetismo. D. Profeti e profezie nel N.T. : I. uso e significato dei termini; II. i profeti dell'A.T.; III. profeti precristiani; IV. Giovanni Ilattistn; V. Gesù; \'I. profeti della comunità cristiana: indice s.c. 'Prophets'; O. MICHEL, Spiitjiid. Propbelenll:m, in Nt.licbe St11die11 ftir R.. Bultr;;,1;111 (195-}) 60-66; O. PLèiGER, Prophctisches Erbe in den Sel~teu dcs friihe11 ]11dent11111s: ThLZ /9 (1954) 291-296; K . SCHUDEP.T, Dit· Rcligio11 des 11acbbiblischen ]t1de11t11ms (1955) ind~ce. s.;;·.: Io., Die Messiaslehrc i1l den Texten i.:011 Chirbet Qumran: BZ, N.F. 1 (1957) r77-197; H. i\·1. TF.llPLE, Tbe Mosaic Eschatological Propbet, JBL Monography IO (1957); Votz, Escb. 193-195; S. VAN DER Wouor:., Die messi1111ischen Vorstelltmgen der Gemei11dc 11011 Qumran, Studia semitica Necrlandica 3 (1957}; F. W. YOUNG, Jcsus the Propbet, 11 Reexamin11tio11: JBL 68 (1949) 285-299.
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7tp0q>T]""ç1Jç X."tA. Il. 1 1
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\.1.1.. n.1u1111.:1 J
I. I termini I. 1tpocp1rn1<;: 11ome11 agentis 1, attestato fino dal v sec. a.C., formato dal tema verbale (j)T}· = dire, parlare, col preverbio 1tpo-. Proprio da tale prefisso verbale discende la difficoltà di determinare il significato preciso del sostantivo. Dato che il verbo presupposto (7tp6q>"l')µL} è attestato occasionaLnente soltanto nell'era cristiana 2 e non può quindi essere utilizzato per determinare il significato primitivo di 'ltpocp1rn1ç, bisogna prendere le mosse da altri verbi di dire col preverbio 1tpo- di antica attestazione 3. Verso questo procedimento c'indirizza anche un testo come Plat., resp. 10,619c: 'tOt<; "JtPOPP"lliki:aw Ù7tÒ 'tOU 7tpoq:i-ri-.ou. Questi verbi ('ltpoa:yopEvw,
pbétie 11'est ;amais vetme de la volonté de l'homme' (2 PJ. I,2.1) et les Pseudoclémentines: Studia Theoiogica 9 (1955) 67-85; G. STJIBCKBR, Das ]udenchristentum in den Pse11· doklementinen, TU 70 (1958) 145-153; TH. ZAHN, Der Hirt des Hermas (1868) 102-117; Io., Zur Gesch. des 111.lichen Ka11ons und der altkirch/ichen LJteratur lii, Supplementum Oementinum (1884) 298-302; L. ZscHARNACK, Der Dienrl der Fra11 in den ersten ]ahrhunderte11 der chr. Kirche (1902) 58-72.156-187. t E. FRARNKEIJ, Gesch. der gr. Nomina agentis I (1910) 34; SCHWYZl!.R 1 499 s.; per l'accento DEBRUNNER, Griech. \Ylortb. § 349. 2 Vedi i lessici, s.v. 3 ~ WACKERNAGEL 238-240;
505
SCHWYZJ!R II
s. Le difficoltà connesse con tale procedi-
mento sono però già evidenti nell'unico esem· pio omerico (Od. 1,37 ss.): -rçp6 ot Et-rçoµEv ... µ1rtt: ... xi:El\IEW µ1]'tE µv&cxcri>cxL, che~ W AKKERNAGEL 239 traduce: «noi l'avevamo avvertilo», intendendo un ordine o messaggio divino (cosl intendono anche~ FASCHER 5; ~ KoLP 798); invece ScHWYZER Il 505; LrnDELLScoTT, s.v. npoE~nov III dànno al verbo un senso temporale: «l'avevamo am111011ito, avvisato in anticipo».
-Epw, -E~1tO\I ecc., npoÀ.Éyw, il poetico ;i;po
Certamente accanto al significato di proclamare ecc. si afferma ben presto per 7tpoayopEvw x-.À. l'accezione temporale di proclamare prima, in anticipo 8 • Caso lampante di tale uso è Xenoph., sym. 4, 5: npoa.yopEUEL\I, predire (parallelo a 'ltpoopéiv, prevedere) 9 ; similmente Hippocr., progn. 15 (ed. Kiihlewein I 94): 'l'tpopp11crtç, predizione. In tutti i casi in cui forme future (ad es. Hdt. r,74, 10 2 ) oppure, ad es., i;à, 1.1.fÀ.À.o\l'ta. (ad es. Plat., Euthyphr. 3c 11 ) costituiscono l'oggetto di questi verbi, bisogna considerare che il preverbio 7tpo- poteva essere inteso non solo nel significato primario di fuori, ma anche (o addirittura unicamente) nell'accezione temporale di prima. Dal punto di vista metodico si
7tpoctyoptuw, a1111tmciare p11bblica111e11te: nell'assemblea popolare (Hdt. 3,142,3; Thuc. 2, 13,1), mediante un araldo (Hdt. 3,61,3; 62), a proposito di comandanti militari (Hdt. 8,83; Thuc. 7,50,3), di dichiarazione cli guerra (Hdt. 7,9~; Thuc. l,131,1; Xenoph., Ag. 1,17; Demosth., or. rr,20; dr. Polyb. 3,20,8: 'ltporx.yyfì..ì..w) o del contenuto della legge (Plat., Crito .Pd; Xenoph., resp. 1..Ac. 12,5). 7tpoì..lyw, dire, dichiarare con tutta chiarezza (Thuc. 1,139,1: ÈVOTJÀ.6-.u.-rct; Demosth., or. 9,13); proclamare 1111 oracolo (Hdt. 8,136,3), chiaramente senza alcun riferimento al futuro anche Luc:., Alex. 22 (prescrivere cure, farmaci). 7tpocpwvru: proclamare ad alta voce; ordinare, i11giutJgere (p11bblicame11te) (Soph., Oed. Tyr. 223 [par. !~Epw: 219]; Eur., Hipp. 956). A quest'uso di 7tpo- in greco corrisponde il prefisso latino pro- nei verbi pro11u11Jiare, pro/iteri, ecc., mentre prodigit1m è «ciò che dall'occulto esce pubblicamente come manifestazione e azione» (H. KLmNKNECHT, Laokoo11: Herme:s 79 [1944] no). s Cfr. nnche 7tpocplpw proferire, comunicare un oracolo (Aesch., Ag. 964; Hdt. 4,151,1; 5,63,1). 6 TRENCH II; WACKERNAGEL 239 s.; ~ FASCHER 6; - KERN U 112; ~ KOLF 798. 7 Per - FouRNJER 8 q>l)µl significava in origine «proferire parole magiche o sacre», come comproverebbero, oltre che 7tpo<Jl'li"ti]ç, nnche
forme come EU
4
=
7tEpt -.ci.iv lMwv, 1tpoÀ.éywv mho'i:c; 't'à. µÉÀ.ÀOV't'Gt, XIX"tct)'EÀWCW W<; µmvoµÉvou· XctkoL ouoèv l:hL oòx UÀ.'l}llèç dp'l}Xct W\t 'it(.IOEi:r.ov.
Gr. Plnt., Phaedr. 244b.
r.poqn'J-.rii; X•)•. A 1 1-6 (I-I. Kriimer)
deve a11orn ammettere che, in base alla composizione della parola, esisteva anche per 7tpocp1J-c7J<; xi; À.. la possibilità di subire uno sviluppo semantico analogo. Solo l'interpretazione di ogni singolo passo può però stabilire se ed eventualmente in quale misura ciò sia effettivamente accaduto.
2.1;;pocpfj·nc;, attestato fin dalla fine del v sec. a.C., è il femminile regolare di r.pO(j)lJ't'7):; 12 : annunciatrice, proclamatrice (Eur., Ion 42: 'ltpocpfj·nç foBa.lvoucru µa.v't'tfov l>i::ou, «venendo la profetessa verso l'oracolo del dio»; cfr. 92 s.: ài::loouo-' "EÀ.À.7)0"~ Bo6.c;, tic; a:v 'A;tOÀ.Àwv x€À.ao·fi011, la donna di DeHì « .. . la profetessa che canta ai Greci gli oracoli che Apollo fa risuonate»).
3. 1tPOCfl'rJ't'EUW, attestato già nel v sec. a.C., è il verbo deuominale di 7Cpocp1J--criç 13 : a) essere proclamatore, annunciatore; annunciare (Pind., fr. r 50, detto del poeta: µav";"EUEO, Mofoa, npocpa·m'.ia-w ò'€yw; Pseud.-Aristot., mund. r [p. 39rn 15 s.], detto dell'anima: -cà. iM:a xcx..-a.À.cx.~oµÉv7J [ var.] 'tote; -i-E ù.vi>pw'lto~ç 1tpocp-rrmiouo-o:} b) Esse1'e profeta
oracolare, coprfre la carica di prof eta presso u11 oracolo (IG VII 4155: ®Ehlowpw 'ltpocpa..i:EUO\l't'Oç; CIG II 285428 5 9: 7tpOCP7)"t'é'.UO\l'tO<;... ).
4. 'ltpOCfl'l')"t'Ela, astratto di 7tpoq>'r}-i-euw 14, si riscontra nella letteratura greca non giudnica so1o a partire dal II sec. d .C. a) Luc., Alex. 40: ii oÈ 1tPO(j>l)"t'El1) 12 DHllRUNNJ::R, ZER I
Griech. \Vortb. § 382; ScHWY-
464.
J3 SCHWYZER r 730.732: -Evw = «essere ciò che la parola base dice;>. Per l'aumento vedi SCli WYZER I 655 S.j HEl.J3ING 79; BLASS-DE2 nRUNNER § 69,4; RADERMACHER 86.
u DEllRUNNER, Griech. \Vortb. § 287.
FASCHER 53 s. i.-; Scnwvzr.n 1 497; \'(liirlb. § 396.
i:; -7
DEDRUNNER,
Griech.
òl11:; cppEv6ç È<J-cw f47toppw!;, il dono della proclamazione (della volontà divina), cioè la capacità di pronunciare un oracolo, è una parte dello spirito divino. b) Heliodol'., Aeth. 2,27,r: annuncio (della volontà divina), responso dell'oracolo. e) Luc., Alex. 60: ufficio di profeta 15 ; cosl anche Hcliodor., Aeth. 1,22, 7; 33,2 e l'iscrizìone microasiatica in Ditt., Or. n494,8 s.; CIG 11 2869.2880 ecc. 5. npocp-rrnx6c;, aggettivo indicante appartenenza o rapporto 16, significa pro-
fetico, appartenente o relativo al 1tPOcp1)-i-ric;. Come npocpt}i:Ela, anche 7tpoqn1·nx6c; è testimoniato, fuori del giudaismo, solo a partire da Luc., Alex. 60: ~POCfl7)'t'tleòv cr-cɵµa., «l'infula da profeta», del profeta di un oracolo; Preisendanz, Zattb. I r,278 s.; I 4,933 (IV sec. d.C.): 1tpOCfl'fJ1:~Y.Òv crxfiµa;, «abito da profeta» o «manto da profeta», parte dell'equipaggiamento richiesto per l'invocazione magica di Apollo, dio della luce, ovvero della luce stessa (ibid. 1 4, 957: scongiuro della luce). 6. Nel nome composto \j;EvooTipocpi)17 (non attestato nella grecità profana, fuori dell'ambito giudaico, prima dell'era volgare 18 ) la prima parte può essere intesa o come oggetto della seconda 19 ( = profeta menzognero, di menzogna; cfr. Ier. 14,14: \jlsuo-ij oi.1tpocpi)-.aL npo
falso profeta). 17 P. CORSSEN, Ober Bildtmg tmd Bede11t1111g der Komposita ljlwlìo" ltpocp'fi-t71c;, ljlwlì6µa.v·nc;, ljlwMµup-tvc;: Sokrates, N.F. 6 (1918) 106109; DeBRUNNER, Grieçh. Wiirtb. § u4; BLASS-DEBRUNNER § n9,5. 18 Vedi i lessici, s.v. J9 Come in \JIEUlìayyEÀ.oc; 11u11zio mendace (Hom., Il. 15,159), \JIEUlìoMyoc; menzognero (Aristoph., ra11. 1521; I Tim. 4,2). · 20 Come in ljlrnlìa'Tt6cr-toÀ.oc; falso apostolo (2 Cor. n,13, -7 1, coli. II91 s.).
=
=
=
II. La realtà significata 1. Profeti
oracolari a) Anche se il gruppo di termini non è attestato prima del v sec. a.C., la realtà che essi indicano è molto più antica ed è espressa, oltre che con 7tpocp1yt1'}c; X't" À.., anche dai composti Ù1tocp1)"t1']c; x-rÀ.. 21 . L'esempio più antico, l'unico anteriore al v scc., si riferisce al più antico oracolo dei Greci, quello di Zeus a Dodona, in una regione barbarica dell'Epiro 22. 21
Qui il prefisso Ù1to- non contiene il momento della dipendenza o della insubordinazione (come dice~ FAscHE.R 17.28.32), ma significa da sotto: rispetto a 1tpo-, che indica la direzione, il moto a luogo ( = /11ori davanti a tutti), Ù1to- sottolinea la provenienza, l'origine (risponde alla domanda: donde? fuori dall'occr1ltat11ento). Cfr. ÌJ?toxplvo1.la~, in origine = esprimere la propria opinione traendola dal segreto, dal profondo del cuore (SCHWyzER II 524 s.; Horn., Il. 12,228: interpretare un segno miracoloso, cioè trarne fuori il significato occulto; Od. 19,535.555: interpretare un sogno; Plat., Tim. 72b cosl parafrasa il termine 'ltpoq>fj-ca~: ""tijc; 8~' atV~yµ(;}v cp1)µ1)<; xo:t <j)IJ.V· 'tcXO-Ewç Ù7toxp~""tttl [interpreti),~ coli. 456 s.; cfr. anche A. LESKY, Hypokrites, in St11di in onore di U. E. Paoli [1955] 472 s. [indicazio· ne di H. KLEINKNECHT]). Quando il demone marino Glauco è chiamato N1)pÉW<; 7tpoqrli-c11ç (Eur., Or. 364 [v sec. a.C.)) o N11pfjoi; ..• Ù1toqrli't1]<; (Apoll. Rhod. 1,13II [m sec. a.C.)), non è possibile cogliere alcuna differenza .di contenuto tra 7tpoq>1)TI}ç e Ù7tO<jJTJ't1]<;, come è impossibile coglierla in Luc., Alex. (n sec. d.C.), dove sono usati promiscuamente 7tpoq>o/i't1)<; (Alex. I I .22.24.43.55) e Ù7toqrii-c11ç (ibid. 24.26). Il gruppo di vocaboli costituito da Ùltoq>-/j'tTJ<; x-.À.. ( = colui che trae fuori dal segreto ed esprime) ha dunque praticamente Io stesso significato cli 7tpoqrli-c11i; x-cÀ..: an111111ciatore, proclamatore (~ WACKERNAGEL 239; dr. anche Strnbo 7,7,12; Ù1toqrli-.a.ç..., Èv oti; 'ta-c-cow-co xliv ot 1tpoq>iha.~) e viene
In Hom., Il. 16,234 s. Achille invoca Zeus Dodoneo: «e intorno ti stanno i Selli, proclamatori, che mai lavano i piedi e dormono in terra» ( &.µcpL OÈ I:EÀ.Àot crot valova.. Ù1tocpfl'ta.L &.vmi:o'ltoOEc; xa.µa.LEV\10.L). Mentre la parola V1tocpfj't(x;L rimanda sicuramente all'oracolo, i due attributi non ci indirnno affatto come esso funzionasse 23 , ma definiscono una maniera di vita conservativo-primitiva 24, di tipo ascetico 25 o semplicemente barbaro 26 • Dal punto di vista del contenuto, questa antichissima notizia costituisce in greco un caso unico TT e dà l'impressione di qualcosa di non ellenico. Gli Ù1tocpij'tO.L proclamano la voloninfatti usato parnllelamente ad esso. Soltanto la ricercatezza di un'età successiva ha artificiosamente stabilito una differenza tra i due gruppi, ad es. Eustath. Thessal., comm. in Il. p. 1057,63 s.: v1tocpi]i:a.~ wç unoipl)-revov-cei; r.poq>1)-cEvov-ct -.~ bte'i:a-e .6.il; Zonaras, Lexicon (ed. J. A. H. TtTTMANN [1808] u 1773): 1i µtv 1tPOQlT}-CEla. 7tpÒ -.ou yEvfol)m À.ÉYEL -.à. i.iu-cepov YEVYJ
implicasse necessariamente la pratica dell'incubazione (come riteneva, ad es., Eustath. Thessal., comm. ili Il. p. 1057,64 s.). 2.1 W. KROLL, Unum ex11ta pedm1; Glotta 25 (1936) 153. P. I\RETSCHMER, Efo/. in die Gesch. der gr. Sprache (1896) 87 s.; KERN, op. cii. (~ n. 22)
25
1260.
Cosl N1LssoN 12 427. 27 Il termine ò.vm-c67toOEç compare ancora in un'iscrizione tralliana (ed. W. M. RAMSEY, Unedited Inscriptio11s o/ Asia Minor: BCH 7 [1883] 276 nr. 19), riferito ad un uso !idio, cioè non ellenico. KERN, op. cit. (n. 22)
21
1260; ~ LATTE 840.
1tpOqrfJ't'r]ç X'tÀ. A n 1a (H. Krìimer)
tà del dio che si manifesta nello stormire delle fronde della quercia sacra (Spvc;: Hom., Od. 14,328 19,297; Aesch., Prom. 832; Soph., Trach. n68; Plat., Phaedr. 275b; q>r}'y6c;: Hes., Jr. 134; Soph., Trach. 171) e più tardi (le prime testimonianze risalgono al rv sec.: F.G.H. m B nr. 327 [Demone], Jr. 20; Callim., hymn. 4,286) forse anche nel suono di bacinelle metalliche (XctÀ.xlov, À.É{31)c;) 28 • La volontà divina è cosl annunciata OLÙ'.. ·w.1wv cruµ{36À.wv (Strabo 7, fr. 1 29 ): compito e opera del profeta oracolare è di interpretare la volontà divina da questi segnali, traducendola in linguaggio umano comprensibile, e di proclamarla a chi si è rivolto all'oracolo 311. Lo U7toq>'I]'t1)c; di Dodona è pertanto interprete 31 dei segni rivelatori e insieme proclamatore della rivelazione divina. Le notizie in nostro possesso
=
2s
In realtà nessun testo collega esplicitamente il suono delle bacinelle al responso dell'oracolo, cosl che le riserve avanzate da N1LSSON 1' non sono prive di fondamento. L'area dell'oracolo era, per cosl dire, recinta da una fila di -tp{.1to8tc; collegati tra loro che, opportunamente sollecitati, risuonavano. Per l'ipotesi che da questa 1ttplo8oc; -rijc; 1Jxfic; si traesse l'oracolo cfr. F. }ACOBY, in F.G.H. mb, Supplement I 218 s. Secondo 1a versione più probabile, una sferza metallica mossa dal vento (Ò1tÒ 'tOU 'lt\IEUµ(noç) percoteva un bacino di bronzo (F.G.H. mll nr. 327 [Demone] fr. 2oa, 1933; cfr. Strabo 7, fr. 3) fornendo cosl una manifestazione più chiara - rispetto allo stormire delle fronde - de!Ia rivelazione avvenuta tramite lo spirare del vento e~ LATTE 830). Dubbie rimangono le antiche notizie (ad es., Hdt. 2,55; Soph., Trach. 171 s.; Strabo 7, fr. l) circa l'uso di ottenere oracoli dal movimen· to o dal tubare delle colombe sacre del san· tuario di Dodona: NILSSON 12 424 s.; ~ LATTE 830. 29
Stando a ciò che segue nel testo, Strnbone si riferisce tuttavia al principio della rivelazione, non alla forma del responso dato dallo Ù1tOqrfJ't'l}ç. 3-J
sebo/. Hom., Il. 16,235 (ed. W. DINDORF Il
non permettono di stabilire con precisione quale parte avessero nella proclamazione dell'otacolo le sacerdotesse (introdotte a Dodona evidentemente dietro l'esempio di DeHì e nominate per la prima volta in Hdt. 2,55), chiamate (ad es. in Strabo 7,7,x2; 9,2,4) 1tpocprrn8ec;, né quale rapporto corresse tra Ù7tocpfj-.a.L e 7tpoq>1),..LOE~ 32 • A quanto ci rivelano le tavolette plumbee (m vÙ'..XLct) 33 trovate a Dodona con incise le richieste di coloro che interpellavano l'oracolo, le domande vengono sempre rivolte a uomini (ol Awoww.ii:oi); cfr. anche la formula introduttiva della risposta profetica in Demosth., or. 21 ,53: 'tOV ALÒ<; ariµctlvet, Le domande, rivolte per iscritto 34, si riferiscono sempre ad un singolo caso: alcune presentano un'alternativa espressa con À.@OV xa.t aµELVOV o simili 35 , e allora basta che lo U7tO·
o
[1875] ): 1tpOqrlj'tat; yàp Myou
=
8
33
ttpna.
Le pubblicazioni delle iscrizioni sono indica-
te in ~
AMANDRY i71 n , 1; Ili nr. n6o-n66.
Dl'I'T., Sy!I.'
una scelta in
I TCWOCXta. mo-
strano che, l'oracolo fu frequentato ininterrottamente fino al 1 sec. a.C., ~ KERN 111 179. 34 Per quanto segue dr. ~ AMANDRY 171 s.; ~ LATTE 84i.848 s.; ~ KERN II n8. 35 DrrT., Syll.' m n65: lpou'tiiL KÀ.Eo1ha:(c;) -ròv .O.la:•. ., at fo'tt mhoi 1tpo~a-ctuov'tL (allevare pecore) 8vatO\I xcxt Wq>tÀ.LµO\I,
-}53 ( VI.7~(>J
;:r;:içnr:-ri; X'tÀ.. A
cp-fi,ric; risponda sì o no; altre vogliono sapere a quale dio il postulante debba rivolgersi per il problema che lo assilln 36; alcune riguardano questioni affatto private 37 , altre invece istituzioni pubbliche, particolarmente cultuali (--7 sotto). Le epigrafi conservano pochissime risposte dei profeti; ma quelle tramandateci per via letteraria 38 dovrebbero rispecchiare sostanzialmente la forma ufficiale dei responsi. Si veda, ad es., Demosth., or. 21,53: ò -tou lubç Oì)µaiNEL f.v .6.wowvn, .6.Lovvrr({.l &-qµc•EÀ:ij i.Ep&. •EÀ.s~v
xaì. xpa-.fjpa xEp
-hµÉpav· 6.d K-trirrl~ ~ovv ),E•Jxov, «il profeta di Zeus a Dodona avverte di immolare vittime a Dioniso a spese dello stato, di compiere libagioni e organizzare pubbliche danze in onore di Dioniso; di immolare un bue, inghirlandare tutti, liberi e schiavi, e osservare un giorno di riposo in onore di Apollo Apotropeo; di immolare poi un bue candido a Zeus Ctesio». I responsi degli interpreti dell'oracolo di Dodona sono Syll.3 m 1161: (u-rcpE~ N~xoxp&. -r( n]a., 'tt\IL i>EW\I ihJovcra À.WLo\I :r.a.t èi.µEWO\I r.prXO"O"OL XG.l 't~ V60"0V 7CaV
37 DITT ., Syll.' III n63: Èpwtjj Aucravla.ç Ala. ... , ~ oux Eu'tL È!;, mhou -rò 7CaLMpLO\I 'Av-
o
vuÀct XÙEL. 3~ Indirectamente: Hdt. 2,_ 52; Paus. 8,28,6; direttamente: Demosth., or. :u,53. 39 La notizia di Paus. 7,25,1; 10,12,10 e Macrob., sai. 1,7,28, secondo CLJi i responsi di Dodona erano dati in esametri, è dovuta alla suddetta (~ n. 32) confusione con Delfi. 1 .lJ Per tutta la sezione cfr. NILSSON 1 625653; ~ AMANDRY, con la recensione di H. BERVE: Gnomon 24 (19;2) 5-12; G. KLAFFUNllACH, Das delphische Orakel: Wissenscbaftlichc Annalen 3 (1954) 513-5:i6; H . W. PARKED. E. WoRMEL1., The Delphic Oracle (1956) spec. I 17-45. 41 Nu.ssoN 11 l70·173.546.625-6:i8. La formu-
H
rn-ba (H. Kriimer)
( VI,786) 454
in prosa 39 e si presentano come decisioni e istruzioni divine per la situazione attuale di colui che si è rivolto in quella circostanza all'oracolo. b) L'oracolo di Delfì 40 divenne il prindpale oracolo ellenico in virtù della mantica ispirntoria apollinea che, venuta in Grecia dall'Asia Minore all'inizio dell'età arcaica (--7 x, coll. 805 ss.), prese possesso di Delfi e sostituì quasi del tutto ln sentenza oracolare all'antica prassi di gettare le sorti 41 • Qui, dove i responsi oracolari avvengono otà )..6yw'V (Strabo I7 ,1A3 ), il gruppo di termini 7tPOC{JlJ1:T)<; x-. À.. trova il suo specifico impiego. a.) La Pizia, che nell'oracolo (µav-rEto'V), presa da una commozione 'entu-
siastica' (--7xr, coll. 805 s.), opera 'manticamente', viene indicata col nome ufficiale di r.péµa.v·nc; (Hdt, 6,66,2; ·7,141, 2; Thuc. 5,16,2; Luc., Hermot. 60) 42, ma in tutta l'antichità 43 è chiamata anI.i civE~),$'1 ò ilE6c;, conservatasi nel linguaggio sacrale di Delfi, conferma ]'a11tica pratica di ricavare il responso dalle sorti. Essa continuò contemporaneamente alle sentenze oracolari, com'è testimoniato nel caso di una domanda alternativa conservataci in una iscrizione della metà dcl IV scc. a.C. (P. AMANDRY, Co11ve11tio11 religie:m: concl11e e11tre Delphes et Skiathos: ncH 63 [1939] 184 = ~ AMANDRY 245 nr. 16; cfr. Nu.ssoN II 99 ·n. l) e nel caso del nome da dare a una persona (Plut., de fraterno amore :i.i [II 492a/b]). Entrambe le volte come 5orti si usano fagioli. Altri testi in -> AMANDRY :i5-36; BERVB, op. cii. (~ n. 40) 6 . 42 G. R.AoKE, art. 'Promantis :i', in PAULY·WissowA 23,1 (1957) 647 con altri passi. 43 Si vedano i testi indicati in ~ Kou: 815, ad es. Plar., Pbaedr. :i44a; IG xu 3 nr. 863; Strabo 9,3,5; Diod. S. 14,13,3; 16,26A; Plut., P)•th. or. / (n 397b); Iambl., myst. 3,n (p. 17.6,4).
itpoQJi)'tTJC, ·w tÀ. A u lba.-~ (H. Kramer)
che 7tpocpij·nç, per la prima volta in il profeta oracolare è menzionato talEur., !on. 42: 7tpocpi}"t'L<; Ècr~ct.l\louo-a. volta per nome (Acerato: Hdt . 8,37; Niµa.vTi;fo\I ih:ou; ibid. 321 e 1322: ol~ou candro: Plut., def. orac. 51 [n 438b]), 1tporpi'}"t'L<;. Entrambi i termini indicano ma per il resto ciò accade piuttosto di la stessa persona, ma il loro contenuto passaggio, comunque senza un espresso non è identico(~ coll. 463 ss.) 44 • Mentre riferimento al fatto che egli addiviene in 7tp6µix.v·nc; sta in primo piano lo sve- all'oracolo e lo comunica. Senza dubbio lamento, in particolare del futuro 45 il 1tpocp1J•1]c; è connesso all'annuncio (PJat., Charm. 173c-174a; Phaedr. 244 dell'oracolo (sebo/. Hom., Il. 16,235: b-c; Plut., E ap. Delpb. 6 [II 387b] ), 7tpocp1J•w; yàp À.Éyov
44
a.C.): '1tp6µa.V'tLt;; Paus. 2,24,1: itpO
cm..
45 Cfr. T. HoPFNER, art. Mtx.'ll'tLXTJ, WISSOWA 14,1 (1928) 1258 s.
~ ~ AMANDRY 121.
in
PAULY·
47 ~ AMANDRY II8-123.
168. 223;
~ KOLF
808 s. ~
W. ScmJBART (ed.), Aur einer Apo/1011·Aretalogie: Hermes 55 (1920) 188·195 (il passo
in questione si trova a p. 191); ~ FASCHER 41 s. 49 KLAFFENBACH, op. cit. (~ n. 40) 525 S.: cfr. ~ AMANDRY II9 s. 122.
"t'at) 50 e infine chiamati Tipocpii•aL µav-.woµÉvwv, «interpreti dei vaticini (o dei vaticinatori)», in contrapposizione ai µtivn:tc; 'entusiastici'. Il motivo interiore di questa descrizione e valutazione del «profeta assennato» (o-wcppwv 'ltpo
µo<; xa.t cpo~Ep&. emessa durante la successiva esagitata fuga, e che anche la Pizia è chiamata 7tpocp'ij-cLç. Tutto ciò induce a credere çhe la Pizia si esprimesse in uno stato di invasamento, ma sempre otèc. Mywv. Compito ptincipale del 7tpOq>lJ"t'1)<;; sarebbe stato allora quello di dare la prescritta forma ufficiale aUa sentenza della Pizia. Egli dunque interveniva sulla forma, non sulla sostanza dell'oracolo 51 , e proclamava il responso all'interrogante (Èxq>ÉpEtV, -+ col. 456). Le domande poste all'oracolo per iscritto 52 o a voce trattano gli stessi temi di quelle di Dodona (~col. 452 s .), ma vanno anche molto più in là: si chiede quale sarà l'esito di una guerra (Hdt. 1,53; 7 1 220) o, nel caso di una calamità pubblica, quale sia il motivo dell'ira divina (Hdt. 1,n4; 5 1 82); s'interroga l'oraco. lo prima di fondare una colonia (Hdt. 4 1 150-159; Thuc. 3,92,J) o per cancellare una colpa di sangue (Thuc. 1,134, 4; Ael., var. hist. 3,43), ecc. I respoo.si 53 sono formulati in esametri o in prosa (è:µµe:"tp&. "t'E xd liµe'tpoc: Strabo 9,3, 5 ), ai tempi di Plutarco soltanto 'in prosa (Plut., Pyth. or. 7 [u 397c-d]; cfr. Cic., divin. 2 1 56,116). L'uso dell'esametro epico rivela l'intenzione di affidare il responso a memoria perenne e di dettare agli uomini una norma di vita e di pensiero che andasse ben oltre il limitato orizzonte del caso concreto 54 • L'esem-
L'intero passo include i fenomeni rivelatori ottici (<JJ
delle laminette di piombo. L'uso cli porre domande per iscritto è attestato, ad es., da sebo!. Aristoph., Pl. 39 (ed. F. DiinNER [ r877 ]): ol µav-rEv6µ.Evo~ lyypaq>l(J &.va:xoww<m 'ltpòc; 'tÒ\I i>EÒ\I 't'Ò:c; 'l>EUO'E~ l7totOV\l'fO) ed è proba· bile che venisse seguito quando s'inviava all'o· rncolo un corriere. ~ A.MANDRY 149 s. 53 Raccolti ora PARKE-WORMELL, op. cit. · (~ n. 40) II: The Oracular Responses. All'oracolo delfico si rivolse anche l'imperatore Giuliano, e la sua è l'ultima consultazione di cui si abbia notizia.~ KERN III 181; NILSSON II 449 n. IL 51 --') LATTE 841 s. Anche il filosofo Senofane tenta, verso la fine del VI sec. a.C., di conqui-
s:J
in
pio più noto è il responso dato allo spartano Glauco (Hdt. 6,86y ), che aveva chiesto all'oracolo se con uno spergiuro potesse appropriarsi del denaro che uno stranìcro gli aveva lasciato in deposito: «Gh::uco, figlio di Epicide, certo per il momento è più vantaggioso guadagnare c~m uno spergiuro il denaro e cosi rubarlo. Spergiura pure, perché la morte attende anche chi si attiene ai giuramenti. Ma il giuramento ha un figlio ... che t'insegue senza sosta finché non abbia raggiunto e distrutto tutta la stirpe e tutta la casata. Quindi la stirpe dell'uomo che si attiene al giul'amento ha nel futuro una sorte migliore» . L'oracolo delfico formula cosl quella che è la norma etica generalmente accettata 55 , custodendo la tradizione e adattandola accortamente ai tempi 56 • Il linguaggio 57 dei profeti delfici è spesso oscuro per le ligure impiegate, che vanno dalla metafora allusiva 58 fino alla parabola completa 59, seguendo i canoni della poesia enigmistica (ad es. Hdt. 1,67; 3,57). Reso ancora più arduo dall'uso del paradosso 00 , il linguaggio oracolare sfida l'intelligenza dell'ascoltatore, pretendendo ch'egli non prenda il responso nel suo aspetto più ovvio e superficiale, ma cerchi il significato profondo nascosto sotto le parole: ..a.o.. wv Eù q>p&.sE~e. «riflettete dunque bene su queste parole», dice
a:
quistare come rnpsodo l'opinione pubblica usando l'esametro epico. ss K. LATTE, Heiliges Rechi (r920) r. Per il culto cfr. Xenoph., mcm. 1,3,1: Ti IIuDlct vbµ~ 1tbÀewç O:vatpE'i: 7tOto\iv,.ac; EUCTE~wç liv 1t0tEt\/. 56 Più profonda è l'influenza che l 'oracolo eser· citò sulla riforma del calendario rispondendo alle domande riguardanti l'ordinamento del culto e della vita religiosa: cfr. Nms SON 11 644-647. S7 Cfr. U. H5LscHER, Der Logos bei Heraklit, in Varia Variomm, Festgabe flir K. Reinhardt (1952) 72 s.; ~ LATTE 845 s. Heracl., fr. 93 (DIELS1 I l 72 ,6 s'): b ~va!;, oi'.i -.ò µct\/1'E~6v
l'oracolo ai Corinzi (Hdt. 5,92B). La comprensione piena (yvwva.t: Hdt. 3, 58) del responso viene affidata all'uomo, ma allo stesso tempo questi viene collocato entro i suoi limiti naturali nello spirito dell'iscrizione posta sul tempio di Del6: rvwi)t CTEIX.\J't'6v (scil. ocvfrpWltO\I OV't'a.), «conosci te stesso (cioè, riconosci che sei uomo)» 61 ; cosl una sentenza come, ad es., Kpoi:croç "A)..uv ota.Bàç µEy1}'t'TJ<; (Aesch., Eum. 19). Egli è il vero µti.v't'tç dell'oracolo (ad es., Aesch., Choeph. 559: µcX.v·nç &.IJ;eu81Jç), allo stesso tempo il portavoce di Zeus, che a sua volta è detto il più verace divinatore di tutti gli dèi (Archiloch., fr. 84 [Diehl 3 III 37]: µ!iV't'tç !i\jJEUOÉo"tan<;).
ma
c) L'uso del gruppo di termini nell'ambito degli altri oracoli greci 62 non ÉCT'tt
'\'Ò
È.v
AEÀ<po~c,,
o;J..E À.ÉyEL ou't'E xpu1t't'Et o DEÒC,... at-
?J..).),,à 0'1')µalvEt. Plat., ap. nb: vl1'1'E't'Clt.
>3 Ad es. Plut., Pyth. or. 24 (II 406e): 6pEµ1t6'tctt, «che bevono l'acqua dai monti», cioè i fiumi. 5~ Ad es. I-Idt . .5.92~: «Un'aquila sulle montagne è incinta e partorirà un leone». 60 Ad es. Hdt. 5,92!3-) n. 59; 7,141,3 : «Muro di legno»; F.G.H. m Il nr. 404 (Anassandrida di Delfi), Jr. I: «Prendi il vertice e hai il centro». 61 Per questa sentenza famosa cfr. K. KERÉNYI, Niobe (1949) 248 s. 62 Elenco degli oracoli con testi in -) Kou 803-806.809.815 s.
si discosta da quanto abbiamo detto per Dodona e Delfì. Si tratta soprattutto di oracoli di Apollo: a Ptoo 63 , a Corope ~, ad Argo (1tpocpi}-.tç, ~ n . 44), a Claro 65 , a Di
no é8 su Alessandro di Abonotico (una località sulle coste della Paflagonia) che colà nel II sec. d.C., sfruttando la passione per gli oracoli, fonda un oracolo di un dio che egli stesso proclama Glicone, nuorn Asclepio e nipote di Apollo (Alex. 43). Certamente rimane nell'alveo dell'uso greco l'espressione livEV V1tO<J>lJ•OV, «senza un particolare interprete dell'oracolo (o proclamatore dell'oracolo)» (Alex. 26), né da tale uso Luciano si discosta allorché, in occasione della sua visita, si rifiuta di chiamare Alessandro 7'pocp1rn1c; (Alex. 5 5 ); questo rifiuto probabilmente non solo è inteso a colpire il ciarlatano, ma rivela una sensibilità per i! peculiare contenuto greco del termine. Dove però Alessandro si attribuisce boriosamente i nomi di npoqi1J•nc; e u-:tocp'l)n1c; (Alex. 11.22.24) si scorge nei termini la presenza di elementi estranei alla profezia oracolare greca. Luciano chiama il suo avversario y6nc;, cioè incantatore (Alex. r.25; discepolo di un yo'l')c;: ibid. 5 ), includendolo così nella categoria non greca del iM:oc; èivllpw'ltoç 69 che pretende llOil solo di avere predetto (1tpOE~ TCE~V) il futuro e chiadto eventi oscuri, ma anche di aver operato guarigioni e richiamato in vita dei morti (Alex. 24). 66 Presso Mileto; il '!tpocp-IJ-rriç proviene da famiglie sacerdotali di alto rango; più tardi vi opera anche una rcpoq>fj-r~ç (Iambl., myst. 3,II [p. 127,12]). Le iscrizioni che riguardano i profeti sono raccolte ora in T. WmGAND, Didy11/(I n: .Die Inschri/te11, ed. A. REHM e R. HARDER (1958) 155-203 (nr. 202-306).
. 67
Ed. A. B. DRACHMANN I (1903). 63 Bibl. in N11ssoN II 452 n. 3; da notare particolarmente O. \VmNREICH, Alcxandros der Liigc11propbct 1111d seine Stellrmg in der Religiosi/iii des II. ]ahrhtmderts 11. Chr.: NJbch KlAlt 47 (1 921) l29-r5r. 69 Cfr. RE1TZENSTEIN, Hell. Myst. 26.
7tpoqn)TI)c;
X"t'A.
A II rd-e ll-1. l'..ramer1
Invasato dal suo dio, in istato estatico, con la schiuma alla bocca (Alex. 12 ), vestito in maniera stravagante (Alex. r r ), nei misteri connessi con l'oracolo egli si vanta di essere figlio di un dio (Alex. 38 s.) e afferma di avere avuto una figlia dalla dea Luna (Alex. 35) . Benché ministro del dio (itEp&.TtW'J Ù7tocp1}'t'1]c;), 1tpOq>lJ't1]ç xat µaitl}'ti)ç 't'OU itEOU (Alex. 24), egli ha però una posizione di gran lunga superiore a quella del comune profeta oracolare, se il dio élà alla sua intercessione un valore decisivo: fo't'at TI&.\l"tct, ò1t6Ta\l ÈoE).1)crw Èyw xat 'A).é~avopoç ò 1tpoq>1)'t'nc; µov OElJitii xat EV~1)-rct.t u7t~p ùµwv, <(tutto avverrà se io vorrò e se Alessandro, mio profeta, chiederà e intercederà per voi» (Alex. 22). In particolare la diversa natura del profetismo rappresentato da Alessandro si manifesta nel fatto di pronunciare responsi, sia ad individui (Alex_ 50) sia alle città d'Italia (ibid. 36), senza essere interrogato, mentre il profeta oracolare greco comunica la risposta del dio sempre e solo dietro specifica interrogazione. e) 1tpoq>iJ'tlJ<; e µci.n1ç non sono sinonimi 70 • Mentre le funzioni connesse con questi due nomi sono talvolta affidate a due diversi individui (ad es., Pind., fr. r50, ~ coli. 47r s.), spesso vengono attribuite alla stessa persona e indicano due aspetti distinti: al µ&.v-r1ç è data l'illuminazione, la chiaroveggenza, in particolar modo del futuro; al 7tpo
cft. -:>
FRAENKEI: 498;
done guida, stabilisca quali veri indovini i profeti del futuro» ('t''/i'J µav-.tx'Ì)v €tWJ.t ... Émo--.1)µ-qv -tou µ€).À.ov-.oç EO"Ecritat, xat -.l}v crwcppocruv1w ocù-.fjç ÉmO"'t'<X.'toucra'll ... 't'OÙç Wç b.À'l)i}wç µa\1't'Et<; xcdhcr-.
Il medesimo doppio aspetto dell'uso linguistico è attestato per l'oracolo di Apollo 11. Ptoo (1tp6µoc'V't'tt; e 7tpO
Atòc; u\j!CO""t'OU 1tpocpchav .. ., opMp.av"t'tv), An6arao (Aesch., Sept. c. Theb. 609 ss.) e Cassandra (Aesch., Ag. ro98 s.), ed anche quale attributo del demone marino Glauco (Eur., Or. 363 s.: µri.v"t'tc;... NTJpÉwc; 1tpOq>lJ"t'TJ<;). Questa distinzione dev'essere stata sentita a lungo in Occidente, certo fino al II sec. d. C., come dimostra Iren., fr. 23 71 : ov-.oc; OÙXÉ'tL wc; 1tpO
Ed.
w.HARVEY
II
(I857) 49I.
n HARNACK, Miss. I 362 n. 2. Solo una volta (Phaedr. 244a) menziona, usando un'espressione ormai fissata dall'uso, ii
73
largiti per mezzo d'una follia che è un dono divino», µ.ocvlrL t>zl~ òé
, .-,, / -,.--
Le informazioni che abbiamo non ci permettono di chiarire l'esatto procedimeng) Riepilogando, possiamo fissare al- to della comunicazione del responso ocuni punti fermi circa l'uso dei nostri racolare. f3) Il profeta oracolare annuntermini nel sistema oracolare greco. a) cia all'interrogante, nella sua presente e Essi indicano le persone oracolari, ma- concreta situazione (--+ coll. 453 s.) in schili o femminili, e la loro attività, rispondenza alle domande poste, la voche consiste nell'enunciare sentenze il lontà e il consiglio del dio. Quanto al cui contenuto non è dovuto ad esse, contenuto, l'oracolo riguarda tutta la ma al dio che rivela la propria volontà sfera della vita privata, pubblica e culin quella sede oracolare. Tale rivelazio- tuale (--+ col. 458). y) I profeti e le ne avviene per ispirazione diretta o per profetesse degli oracoli greci non vensegni (11uµ~0Àa) che necessitano ancora gono scelti dal dio, ma dagli uomini per dell'interpretazione umana (--+ coli. il loro servizio (--+ col. 455), tenendo 450 ss.; 461). La differenza tra le due conto delle loro predisposizioni umane : forme di rivelazione non ha alcun peso mentre nella mantica ispiratoria (-7 per l'impiego del gruppo di termini 75 : coli. 454 s. 465 ss.) potrebbe essere il gruppo stesso è indifferente nei con- stata presa in considerazione una certa fronti dell'ispirazione che può, ma non predisposizione psichica, in genere i prodeve necessariamente, essere inclusa. Il feti provengono dalle classi altolocate 76, gruppo terminologico 7tpOCJ>D't'f}ç x-.).., ad es. a Didima dall'antica stirpe dei conformemente al significato letterale Branchidi. L'iniziativa è però totalmen· dei vocaboli, indica essenzialmente l'e- te umana, non solo per quanto riguarda nunciazione pubblica della volontà divi- la scelta del personale oracolare, ma anna (precedentemente celata), in partico- che per quanto attiene a tutto il proceslare la manifestazione verbale di tale so divinatorio, che si mette in moto, per volontà all'interrogante che ha solleci- così dire, solo su ordinazione 77 : il protato il responso, e include naturalmente feta parla soltanto quando una singola una previa interpretazione di segni ( Ù7tO- persona pone un dato quesito all'oracoxplvE11Dm) ovvero la consapevole for- lo 78 • Anche l'ispirazione è provocata dalmulazione dell'oracolo (-7 col. 458). l'iniziativa umana (cf r. -7 x, coli. 808 y 'i'j<; Év't'W: ibid.
13
I I ( p. I 2 5 ,I O SS.) ).
La distinzione tra mantìca 'intuitiva' e 'induttiva' (gem1s divi11andi 11a11Jrale e gcnus divinandi artificiosum: Cic., divì11. I ,49,ro9 s.; 2, n,26) nd caso di 'ltpoq>i)"t'l')c; X't'À., è dunque recessiva. 76 Al tempo di Plutarco fa Pizia el'a una semplice contadinella (Pyth. or. 22 [II 405c]), ma si tratta, come sembra, di una eccezione: ~
op. cit. <~ 40) IO n. 2. Prophetc11tum 250. 78 ~ FASCHBR 58 s.; ~ KoLF 799. Il profeta dell'oracolo di Ammone saluta Alessandro Ma· gno chiamandolo figlio di Arnmone (Plut., Alex. 27 (1 680]); ma non si tratta di un oracolo, bensl del saluto con cui viene ricevuto ufficialmente e solennemente il nuovo signore AMANDRY n6; BBRVE,
71 ~ BACHT,
s.). In un solo caso si parla di ribellione contro questo servizio: a proposito di una Pizia che, ai tempi di Plutarco, si rifiuta di divenire portavoce del dio (Plut., def. orac. 51 [n 438a-c], cfr. -7 x, col.822). o) Il profeta oracolare gode di un tale prestigio sociale, da poter essere chiamato a particolari compiti di rappresentanza, ad esempio come capo ~ quindi portavoce di una delegazione 79; fa sua posizione è quella di un magistrato, come si può dedurre dall'uso d'indicare l'anno col nome del profeta in carica; cfr. in particolare le iscrizioni di Didima con la formula h;t -.ou 7tpocp1)'tOV ... ovvero 7tpOcpTJ'tEUo\l-to~ ... 80
(qui r;;poq>lJ'tEVW significa evidentemente
coprire la carica, l'ufficio di profeta otacolare ). E) Eur., lon 369: oùx Ecr't'L\I «non c'è chi ti profetizzerà queste cose»: qui il verbo 1tpocplJ'tEVW include l'enunciazione e la presentazione del quesito al dio dell'oracolo 81 (cfr. -7 coll.472 s.). o<J'tL<; <JOL 1tpocpt)'tEVCTEL 't
2.
Il poeta quale npocpl)'t''l'}<; a) Nella più antica poesia greca incon-
dcl paese; cfr. NILSSON II 138 s. Cfr. M. HoLLRAUX, Fot1illes att Tempie d'Apollo11 Ptoos: BCH r4 (1890) 53 s. 61) Vedi REl-IM, op. cit. e~ n. 66) indici IV e V, s.v. 81 Quest'uso linguistico, conformemente al già discusso rapporto tra µaV't'LC:, e 1tpOqni't''l'lC:. (~ coli. 463 ss.), potrebbe essere stato influenzato dal doppio significato di µav·m~oµa1: predire (ad es., Pfat., Ti111. 72b) e ottenere t1n oracolo (ad es., Plat., ap. 2rn); cfr. ~ FASCHER 15 n. 2. s2 Per quanto segue dr. ~ Donns 80 s.; W. F. OTTo, Die M11sen und der gottliche Urspm11g des Singens tmd Sagens (1954) 31-34; 7~
trinmo, quale elemento già chiaramente trndizionale che trova la sua espressione più semplice nell'invocazione alla Musa (Hom., Il. 1,1; specialmente 2,484-492 e passim), la credenza in una connessione tra la Musa divina e quell'essere umano che è il poeta 82 • L'aedo omerico sente di dipendere da un essere divino proprio nell'esercizio della sua atte (Hom., Od. 8,44: itEoç... OWXE\I ào~oT)\I) e per questo contatto è 1M:oç &otooç, «divino cantore» (Od. 1,336; 8,43 e passim). Certo, il dono delle Muse tiguarda anche l'effetto del canto (Od. 8,45: 'tÉpTIEW, dilettare), ma soprattutto il suo contenuto, il passato che il cantore vuol richiamate e descrivere: le Muse hanno visto tutto, cioè sanno tutto (Il. 2,48 5: fon 7t6:V't'ct), e lo 'rammentano' (µYrJ · crrurl>ctL: Il. 2,492) al cantore il quale, pertanto, è in un primo momento egli stesso ascoltatore e solo in seguito, in virtù della forza di ricordarsi che ha avuto in dono, poeta e narratore 83 • Svolgendo tale concezione, ma aIIo stesso tempo prendendo le distanze daU'epica cavalleresca, Esiodo presenta un· nuovo e secondo lui più veritiero (theog. 28: à_'X.111)fo. YTJPUO"(f.cri)cu) rapporto del poeta con la Musa nell'espetienza personale della vocazione poetica rivoltagli dalle Muse, che gli inspirano una voce divina (theog. 22-34, ~ x, col. 803). Basandosi su questa tradizione, Pindaro84 per primo tra i poeti greci si serve \Y/. ScHADEWALDT, V 011 Homers \Veli 111/ll 1flerk2 (1951) 76-83; K. LATTE, Hesiods Dich· terweihe: Antikc und Abcndland 2 (1946} 152-163.
Orto, op. cit. (~ n. 82) 34, dr. 85; LATTE, (~ n. 82) 159· 84 Cfr. ~ FASCHER 12; ~ Donns 82, con la · recensione di G. LucK: Gnomon 25 (1953) 364; H. GuNDERT, Pind. und sein Dichterbemf: Frankfurter Studien zur Religion und Kultur der Antike rn (1935) 62 s.; A. SPERDUTI, The Divine Nature o/ Poetry ù1 A11tiq11ity. Trnnsactionr. and Proceedings of the American Philological Association 81 (1950) 233&J
op. cit.
471 (vr,792)
r.poqri}'t'l')<; X'tÌ... A Il 2a-b lH.11..tamcr J
l V1,7'))14/-'
del termine npoqrii-c11ç e del suo gruppo per designare il suo rapporto con le
il poeta non proclama niente di suo,
237; W. KRAus, Die A11ffam111g des Dichterbemfs im fruhet1 Griechen/11111: Wiener Studien 68 (1955) 85 s.; J. DUCHEMIN, Pindare poète et prophète (1955) spec. 22-34.337. a> Cfr. P. FRIEDLANDBR, Platon 111 (19.n) 297
Flavii Philostrati Opera II [1871] 422,26 s.; ~ x, coll. 817 s.): le mani dell'artista µ.E't!Ì µa.vlttc; 'ltpOq>tj'tEVOU
bensl trasmette un compito e un sapere Muse: egli è portavoce delle Muse divino; dall'altro è espressione della (paean. 6,6: Il~Eplowv 7Cpocpa:raç; ana- profonda autocoscienza del poeta, che logamente Bacchilide si considera [9,3] può proporsi quale 7tpocp1)-.11ç perché Moucrav... iki:oc; npocpcha.ç). Con chiara grazie al favore degli dèi ha una crocpla: reminiscenza di Horn., Il. 2,484-492 {~ innata (Pyh. l,4I s.; Olymp. 2,86, cfr. sopra), Pindaro invoca le Muse (paean. 9,roo) e può cosl disporre di una durevole e continua potenza creativa: quan6,50-58) perché esse sanno tutto (54 s.: Urc.t't'E •.. mX.vw.) ciò che ai mortali sareb- do il poeta parla come 1tpocp1)-c'l]ç delle be altrimenti impossibile escogitare: do- Muse, il suo genio partecipa in maniera nano infatti l'inventiva (t::vµa.xavla.) e la essenziale a questo evento. È sintomaticrocpla, la sapienza (paean. 7b,n-15). co che mentre in quello stesso periodo 85 Quasi sinonimo di npocprrri}c; è in dithy- si forma l'idea (non documentata però rambus 2 [ = fr. 7ob],23 ss. x1)pu~: la prima di Democr., fr. I7 s. [Dicls 1 n Musa ha dato all'Ellade il poeta quale 146,5-r5] e Plat., Ion 534a-e; Phaedr. eletto e prediletto araldo di sagge paro- 245a.265b) di una µet.\lla. del poeta che le: È!;a.lpE't'O\/ xapUXrt. O'Oq>WV È1tÉW\/ nulla sa di ciò che dice (Plat., ap. 22c; Moi:cr'ocvÉcr't'a:
n. 7. ao L'uso documentato del nostro gruppo di termini per indicare l'opera 'ispirata' degli artisti, dal poeta allo scultore, comincia solo col m sec. d.C. (Callistratus, descriptio11es, in C. L.
KAYSBR,
mero ed anche di Pindaro: Theocr., idyll. 22, u6: El7tè. f>eO:, crù yàp otcrf>a: trw 8'hépwv ùnoqii)-.'11<; q>béyt;oµat, «dimmi, o diva, giacché tu sai: ed io, annunciatore ad altri, leverò la voce». Cfr. Callim., hym11. 3,186: ElnÈ lkq ... lyw 8'~>tlpotaw 1hlcrw.
473 \ v1,793J
le portavoce anche degli uomini. Ma anche in questo caso è presente l'analogia col profeta oracolare (~ col. 469); infatti secondo Ael. Arist., or. 8,48 (ed. Dindorf) i poeti esprimono nei loro inni il ringraziamento degli uomini e nel 1tpO
Fin dalle testimonianze più antiche si profila un uso del nostro gruppo di termini che non rientra in quanto abbiamo detto finora. a) I nostri termini sono variamente usati nella sfera religiosa generale. a.) In Aesch., Ag. 409, i S6µwv 1tpocplj'taL, «i portavoce della reggia» 89 , deplorano l'adulterio e la fuga di Elena. In Aristoph., av. 972 viene ricordato un 7tpoq>TJ't'l)~ che enuncia delle massime ( XP'YJ· crµol) e le interpreta con una felice ap· plicazione alla situazione. In Eur., Ba. 551 le baccanti si definiscono 1tpocpij'tCX.L di Dioniso perché proclamano a mezzo della danza e del canto estatico la natura del loro nuovo dio che le rende beate (ibid. 64-169.416-433). Nel mito escatologico di Plat., resp. ro,617 d-e un 1tpO
eia alle anime - che sulla terra iniziano una nuova vita di cui esse stesse debbono scegliere il contenuto - il verdetto della dea, che comincia con le parole: 'Av6.yx11ç ~uya"t"pÒç xopl)~ Aa.XÉ
Luciano «mescola insieme cdstiani, giudei e pagani». 91 7tPO!jlTJ'tTJc; potrebbe essere inteso anche alla luce del titolo egiziano di sacerdote(~ b, col. 457). Se la continuazione del testo (xa.t 'tW\I ~l~ÀWV -tàc; µèv ~!;TJ')'E~'tO xa.t 8tEU6.q>EL) va riferita a TCpoqni'tT]c;, allora nel momento dell'interpretazione avremmo un elemento greco tradizionale.
475 (vi,793)
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b) Fin dal UI sec. a.C. è documentato casione di manifestazioni ateniesi a Delun uso particolare di 7tpoq>'l)·n1c; quale fi, ad es. per le pitee 99 . traduzione dcl titolo egizio di servo di Dio (~m-nfr), che serviva a distingued) Nel campo della filosofia e della re i sacerdoti egiziani della classe più al- scienza il nostro gruppo è usato a parta 'll. Come tutti i sacerdoti egiziani, tire da Platone, talvolta con una nota questi 'profeti' vengono nominati dal religiosa o con l'accenno al momento re, al pari di tutti i funzionari 93 • lgno- dell'interpretazione. Plat., Phileb. 28b-c: damo quale fosse la loro funzione speci- 1tpo;'>TJ'tl}ç= portavoce, colui che deve fica nel servizio del tempio, mentre sap- far uscire In disamina da una aporia, e piamo che occupavano una posizione di al tempo stesso annunciatore dcl vouç riguardo nella scala gerarchica~ e che (divino). Pseud.-Aristot., mund. r (p. il loro ufficio poteva essere ereditato dal 391 a 15 s.): guidata dal vouc;, l'anima figlio 95 • Si sono fatte varie ipotesi per è -&Elctl ... !$µµa.'tt 'tà iMC1.. XC1..'tr.tÀaBoµÉspiegare l'origine di quest'uso linguisti- 'VlJ ( var.) 'tOLç 't"E avfipwrcoic; 7tpoq>rrm'.Jco: trasposizione dall'oracolo di Ammo- oucra, «capace, per divina visione, di ne (__,. col. 46 r) % oppure traduzione di- apprendere le cose divine e di rivelarle retta dettata dal prestigio di cui gode- ngli uomini». Gli Epicurei sono portavano i funzionari degli oracoli greci, voce del loro maestro (Plut., Pyth. or. cioè appunto i TCpoq>l)'taL, considerando 7 [ 11 397c]: 'Emxoupou 7tpocpfj'tm) e particolarmente che anche nell'area gre- proclamatori della sua dottrina (Athen. ca 7'poq>-fi'tTJ<; venne usato a poco a poco 5 ,187b: TCpoq>Tj'trJ.L à't6µwv ); similmencome un purn titolo 97 • te lo scettico Timone è 7tpocpl)-.nc; 'tWV Iluppwvoc; Àbywv (Sext. Emp., math. l, c) Quest'uso del gruppo di termm1 53). Dio Chrys., or. 12,47 chiama il fiper indicare un ufficiale o un funziona- losofo À.oy~ Èç1'JY1J't'Ì]c; xa.t 7tpo
teraria un passo di Manetone citato in Ios., Ap. 1,249; dr. W. G. WADDELL, Mane/ho with 2 a11 English Tra11slatio11 (1948) fr. 54· 91 BoNNET, op. cit. (~ n. 92) 601 s.; H. KRES, Agypte11, Handbuch AW III l,3,1 (1933) 242. 252.259.
Il termine cipxtnpoq>1)-rl]t; testimonia un'ulteriore differenziazione della classe profetica; ~ FAsCHBR 81; - KoLP 810 s. 9S Cfr. FASCHBR 8I. 96 Cosl 4 FASCHBR· 96-98. Altri oracoli egiziani sono menzionati solt:mto nel n sec. d.C.: Luc., deor11111 concilillm rn (Api XP~ xat 1tPO· q>1)'t<Xt; ~Xtt); Pseucl.-Luc., Syr. dea 36.
"ti I \ "'"J/ 7 "tl
ca alla xo:À.oxO:yo:i}lo: (le azioni degli uo- esso si limita ad esprimere la funzione mini virtuosi sono ÒLo:PowµE\IO:L 'tc'il formale dell'enunciazione, dell'informai}ELo'ta,'ttil 'tijç tcT'toplo:c; a-c6µa:n, ibid. zione, dell'annuncio. Quando compare 2,3); in Sext. Emp., math. l,279 la grammatica è detta esegesi (1tpocpi)·nc;) nella letteratura del v sec. a.C., è già laL·dei poeti. Infine ;;pocp1rn1<; può indicare gamente usato per indicare il profeta oral'esperto in botanica (Diosc., mat. med. colare(-> coll. 4.54 ss.), il poeta(~ coll. l,10) e, ironicamente, il medicastro, il ciarlatano (Gal., in Hippocratis prorrhe- 470 ss.) e, in più ampio settore di vita, ticum 3,23 [CMG V 9,2, pp. 134,1 s.]); non solo delle persone, ma anche, metala stessa accezione ironica ha anche, foricamente, delle cose (-7 3e). Eppure, sempre in contesto medico, il verbo 1tpOCj)1J'tEUW (Gal., in Hippocratis de natura anche considerando la formazione della parola(~ coll. 444ss.) e il termine omehominis 2,22 [CMG v 9,1, p . 88,2]). rico Ù7toq>1)'t1)<:; (-7 coll. 449 ss.), è indube) Nel linguaggio poetico il nostro gruppo di termini è usato con grande li- bio che 1tpocp1)"T1)c; si colloca in origine bertà per qualsiasi situazione, con effet- nella sfera religiosa, ove indica colui che ti ora solenni ed ora comici. Gli araldi parla in nome di un dio, che proclama che proclamano i vincitori delle gare in fa volontà e il consiglio divino espresso Bacchyl. ro,28 sono detti 1tpocpéi'tm; similmente in Anth. Pal. 6,46,1 la tromba in un oracolo (-7 col. 467). Il veggenè detta Ò'ltocpa'tt<;, annunciatrice di guer- te e il vaticinatore che non sono connesra e pace; il cratere nel quale si mesce si con un oracolo non sono mai chiamati il vino durante il simposio è chiamato da Pindaro (Nem. 9,50) yÀ.vxùv xwµou 7tpoq>1}-.o:i, ma XP1JO"µoÀ.6yoL o sim. D'alr.poq>cX'TO:V, «dolce annunciatore del co- tta parte non solo esseri umani, ma anmos ( = allegrezza sfrenata)» 100; Anti- che dèmoni e dèi vaticinatori possono fone (fr. 217,23 [C.A.F. II 106]) chiavenir detti "ltpocpfj-.m di una divinità suma la fame oi::l1tvou 1tpocp1)'t1)V, in quanto fa sapere di voler essere placata con periore (-7 col. 464), mentre è signifiun pasto; un uomo magro è qii}61]<; 7tpo- cativo che il dio sommo, Zeus, non sia cp1)'t'I}<;, «araldo della tubercolosi» (Pla- mai chiamato 'ltpocplJ'T'rJ<;. Infatti ogni to Comkus, fr. 184,4 [C.A.F. r 652]). Eur., Ba. 21 r: hw 7tpocplJ't1Jç aoi À.6- 7tpOq>lJ't'l'}c; pronuncia e proclama parole ywv yEvT]croµo:L, «t'informerò di ciò che non vengono da lui; perciò il sinoche accade». nimo più prossimo di 'ltpOq>lJ'T'!J<; è xli· pv~ 102• Anche il x1]pu~ non proclama un 4. Riepilogo proprio annuncio (--7 v, col. 402). Tale a) 7tpoq>i}"T1)ç X'\")... è un gruppo di ter- parallelismo è corroborato dalla funziomini caratterizzato tanto da solennità ne di portavoce e interprete della coquanto da insignificanza di contenuto 101 ; munità umana presso gli dèi, che è svol100
Diversamente intendono sia
lX s. sia ~ KoLF 813. 101 ~ FASGHER 51: «Una
~ FASCHER
senza contenuto concreto». coll.471 .473 .477; A11th. Pal. 7,6,1: 1)pwwv x&:pvx' &pE't"éi.ç, µocx&:pwv E r.poqnymv. 102 ~
'parola recipiente'
o
7tpoqrl)'t7]c; K•A. /\. 11
4 \1"1 . .l:\.Hlmt:r}
\ .,.&>f';)VJ
'f'VV
ta tanto dal x{jpvl; (~ v, coli. 410 s.) di chiamarsi 'ltpOq>lJ't1)c; (~ coli. 4 70 quanto dal 1tpoq>l}'t1)c; (~ coll. 463. s.) e alla filosofia e alla scienza di u469. 472 s.) e per la quale quest'ul- sare il nostro gruppo (--)- coll. 476 s.). timo viene ad assumere un ruolo di In questo ambito 1tpoq>1}-t'Y)c; si avvicina mediatore, giacché è portavoce del dio da un lato a Èl;1)y'Y)-tTJc; e a €pµ1)VEuc; (~ e anche degli uomini presso il dio . La coli. 476.477) ii», dall'altro a ÒLSci
•t
103 Ed. F. DiiBNER (1849) 103; per altri testi n. 21 alla fine.
~
104 PJat., fon 534e: il poeta quale ipµ'l}VEùc;
"w" ih:wv.
dati forniti dall'A.T. sarebbe incomple- I. L'origine del termine to e lascerebbe aperte proprio le queL'equivalente ebraico del termine grestioni decisive. Le difficoltà cominciano co 1tpOq>TJ't1']ç è quasi sempre niibt'. L'ogià con la terminologia. Il concetto
SERMANN 8-12; ~ HALDAR 109; ~ QUELL 23
n. 2; H. J. KRAus, Gottesdienst in Israel (1954) 63 n. xn. JOO H. ToRCZYNER, Das lìterarische Problem der Bibel : ZDMG 85 (1931) 322; ~ JEPSEN 5 n. l; W. F. ALBRIGHT, Van der Steinzeit zum
ChristeJJtum (1949) 301; ~ GUILLAUME n2 s.; ~ JoHNSON 24 n. i.l. 1()7 A. ALT, Die Staatenbildung der Israeliten in Paliistina, in Klei11e Schriften zur Geschicbte des Volkes Israel Il (1953) 23 n. 2 . 100 M. NoTH, Das System der zwolf Stamme Israels, BWANT IV r (1930) r62. 100 Cfr. W. v. SooEN, Grumlriss der akkadi· schen Grammatik (1952) § 16 l; J. J. STAMM, Die akkadische Namengebtmg: Mitteilungen der vorderasìatisch-agyptischen Gesellschaft 44 (1939) 258 sotto 2b.
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nif'al e hitpa'cl, derivate entrambe dal sostantivo, l 'elohim) che porta anche lui a hitnabbe'. In 10,5 sono menzionati degli strumenti musicali che servono evidentemente a provocare l'estasi. L'effetto è descritto in 19,24: Saul si spoglia completamente e giace nudo per terra un giorno e una notte 111 • In ciascuno di questi due testi è usata una forma nif'al (10,u; 19,20): si tratta di due participi 112 che indicano lo stato raggiunto mediante lo hitnabbe'. Che anche queste due forme verbali si riferiscano all'estasi risulta dal fatto che questo stato può essere 'visto'. Anche l'improvviso attentato di Saul alla vita di David (I Sam. 18,rns.) è fatto risalire a uno hitnabbe' di Saul, causato da uno «spirito malvagio di Dio» (r/Jap 'eloh2m ra'4): il raptus in questo caso è dunque reso autonomo. In I Reg. 18,29 110 Queste differenze sono completamente tra· scurate sia in GESENIUS-BUHL sia in KoEHLER· BAUMGARTNER, s.v.; dr. però---+ }EPSEN ,S·IX. 111 Anche 10,13 conferma che lo hitnabbe' è limitato nel tempo: quando questo momento è passato, Saul torna a casa e nessuno si accorge di niente. 112 Contro MANDELKllRN, nibbii' in 10,11 va considerato un participio, come dimostra il confronto con 19,20. m Secondo M. NoTH, Oberlfe/erungsgeschichte
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si tratta dell'estremo tentativo compiuto dai profeti di Baal per ottenere che le loro preghiere siano esaudite: l'azione è associata a una danza cultuale (v. 26) e ad automutilazioni (v. 28). In Num. u, 25-27 lo hitnabbe', quale effetto della rua~ intesa in senso del tutto concreto, è una manifestazione puramente estatica 113 •
Il profetismo estatico, quale appare da questi testi, non è un fenomeno specificamente israelitico, ma è documenta· to anche nelle religioni contemporanee del mondo circostante. Verso il 1100 a.C. l'egiziano Wen-Amon di Biblos dà notizia di un tal modo profetico di parlare in estasi 114 • In I Reg. 18,22 ss. si parla di 450 profeti di Baal (nebl'e habba'al; cfr. anche 2Reg. 10,19) 115 il cui comportamento è presentato come estatico nei vv. 28 s.; tuttavia qui nulla è detto d'un parlare in estasi. Inoltre si potrebbe ricordare Balaam (~ II, coli. 27 ss.). Anche se nel suo caso manca la parola nab1', la sua comparsa è descritta proprio come quella di un profeta estatico: la ruah 'elohtm scende su di lui (Num. 24,2). e i due oracoli più antichi (Num . 24,J-9 e 15-19) cominciano con una descrizione del dono della rivelazione nell'estasi 116 • Va notato che l'estatico di Biblos e Balaam sono figure profetiche individuali, non membri di un gruppo. Non è quindi affatto pacifico che l'estasi collettiva abbia costituito il momento storico-religioso originario dal des Pent. (1948) 141-143, l'episodio degli anziani di Nt1m. 11 ha lo scopo di legittimare il nabismo estatico. 114 Cfr. A.O.T. 72. JIS Secondo A. ALT, Das Gottesurteil 1111/ dem Karmel, in'K/eine Schriftet1 ~ur Geschichte des Volkes Israel II (1953) :r37 n . 1, la loro menzione nei vv. 19 s. non è originaria; ciò vale anche per i 400 n'bt'é hii'aierJ del v. 19. 116 Cfr. R. R ENDTORFF, art. 'Bileam umi Bileamspriìche', in RGG' I 1290 s.
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quale sarebbero poi emerse a poco a poco singole figure profetiche. A ogni modo, di una evoluzione di questo genere non si ha notizia 117 • In I Reg. 22 si può osservare uno spostamento e una differenziazione semantica dei due temi verbali. Nel v. ro si legge: mitnabbe'lm lifnehem, «(mentre i profeti) profetavano davanti a loro». Qui la forma hitpa'el serve quindi ad esprimere l'aspetto visibile del profetare, sottolineato da un'azione simbolica (v. ll)i ne! v. r2, per contro, dei ncbt'tm si dice: 11ibbe'tm kèn le'mor, «profetavano così dicendm>; In forma nif'al indica dunque il parlare, l'enunciazione di un oracolo che evidentemente è diventata possibile grazie allo hitnabbe' menzionato prima. D'altra parte, così Acab parla di Michea figlio di Imla: lo'-jitnabbe 'alai tob, <mon mi annuncia mai il bene» (vv. 8.18). II re usa quindi la fotma hitpa'el per indicare la comunicazione verbale ('al), ma in senso chiaramente spregiativo 118• 2. Nei libri profetici la distribuzione del verbo è molto irregolare; forme verbali si trovano solo in Amos, Geremia, Ezechiele, Gioele e Zaccaria. Ciò significa che prima della fine del vrr sec. a.C. il verbo compare solo in Amos, vale a dire nel regno settentrionale. Qui è usato al nif'al e indica l'attività del profeta legittimo inviato da Jahvé (Am. 3,8; 7, 15s.) 119, più precisamente il parlare pratico: secondo 3 ,8 lo hinnabe' è una conseguenza del dabber (parlare) di Jahvé; in 7 ,16 la frase lo' tinniibe' 'al·iifrii'el, ~
PLOGl!R, Priester 165 s. Similmente 4> J!!PSBN 7. 119 Anche in bocca ad Amasia (vv. 12 s.) la parola non ha alcun tono spregiativo; cfr. 4> WtiRTHWEIN, Amos-Studien 20 s. Senza dubbio secondario è 2,u s.
ll7
118
V. MAAG, Text, W ortschatz und Begriffsivelt des Buches Am. (1951) rn4. 121 ~ WiiRTHWEJN, A111os-St11dien 22, che pe·
120
.a. - -'\.&.\,. , .1.'\.\..JlULVlJ.1-j
«non profetare contro Israele», può indicare soltanto il discorso profetico contro Israele. Più ambiguo è invece il v. 15: tek hinniibe' 'el-'ammi jifrii'él. La preposizione 'el permette l'interpreta· zione: «va' e parla da profeta al mio popolo» 120, ma non esclude l'altra: <~pre sentati al mio popolo Israele come un profeta» m. Cosl anche nei vv. 12 s. non è affatto sicuro che si tratti della parola profetica, anche se tutto il contesto ( 7, ro-17) sembta favorire questo significato. Non vengono menzionati aspetti estatici. L'uso del vet·bo nei profeti seriori corrisponde essenzialmente a quanto abbiamo notato in Amos. La forma di gran lunga prevalente è il nif'al. Una gran parte dei passi di Geremia con questa forma mostra senz'altro che il verbo significa il discorso profetico: in questa accezione il nif'al è usato indifferentemente, sia quando parla Geremia sia quando parlano i suoi oppositori. A proposito di Geremia, ad es., in ler. 20,1 si dice: wajjisma' ... 'et-jirme;ahU .nibba' 'et-hadd•barlm hii'elleh, «(Pasur) udl Geremia che profetava queste cose» 122 ; Geremia cosl dice ad Anania (28,6): jiiqem jhwh 'et·d"barékii 'afor nibbe'tii, <(Jahvé compia la parola che hai profetato»; in· sieme con diibar ancora in 23,16 mi 26, 12; 27,16; con lé'mòr in 23,25; 26,9; 32,3; 37,19; con wajio'mer in 26,18. Anche quando il verbo è costruito con le preposizioni 'al (25,13 124 ; 26,20; 28, 8), 'el (26,n .12; 28,8) e ze (14,16; 20, 6; 23,16; 27,10 .14.15.16 [bis]; 29,9 . 2r.31; 37,19) il momento allocutivo è rò scrive «come 11iib1'» e perciò c:onferiscc alla frnse una nota particolare. 122 Cfr. anche 25,30. Secondo W. RunoLPH, Jeremia, Hanbuch A.T. I 12 (1947) l'espressione non è dello stile di Geremia. m Nella recensione lucianea dei LXX in 23,16 manca il verbo. m 25,13bp è un titolo secondario della peri· cope 25,15 ss.; dr. i LXX.
'ltpoqrfi'tTJc; ·wt À.. B u
evidente, come è chiaro che si tratta di parole e discorsi quando è indicato esplicitamente il contenuto dello hinniibè': la menzogna (Seqer: q,14; 23,25. 26; 27,10.14.16; 29,21 125 ), sogni menzogneri (/;iilomot Jeqer: 23,32), oppure quando si dice che i nebt'im operano profeticamente per la pace WsiilOm: 28, 9), per la menzogna (lasseqer: 27,15, o basseqer : 5,31; 20,6). Degli altri passi dove si ba il nif'al 11,21e14,15 parlano di «profetare nel nome di Jahvé» (hinnàbe' b"Jèm ihwh ), un'espressione che alla luce di 14,14; 23,25; 26,9.20; 27, l5i 29,9 indica anch'essa il parlare profetico. Lo stesso vale forse per la frase hinniibe' babba'al (2,8). Infine in 19,14 lo hinniibe' rimanda all'azione simbolica associata ad un oracolo (vv. rn.11 °). Non si parla di aspetti estatici, come non si parla di rtìaf;. In Geremia la forma hitpa'el è usata spesso con una nota spregiativa per indicare le profezie degli oppositori del profeta. Ciò avviene tanto nei discorsi di Jahvé a Geremia (14, 14; 23,13) quanto nella lettera di Semaia che si riferisce all'attività di Geremia (29,26 s.). In 29,26 il participio mitnabbe' sta in parallelo con meluggii' ('esaltato'); ma neanche questa espressione offensiva permette di concludere che l'attività profetica di Geremia fosse accompagnata da manifestazioni estatiche. Sorprendente è l'uso deli'hitpa'el in 26,20: Uria figlio di Semaia è descritto come «un uomo che profetizzava nel nome di Jahvé» ('IS mitnabbe' b8 Sèm jhwh), un giudizio che per l'agiografo è senz'altro positivo; subito dopo è usato di nuovo il nif'al (wajjinnabe' 'al-hii'1r) col significato di «parlare da profeta». In questo caso, dunque, l'hitpa'el sem125 29,9 legge b'Jeqer, ma forse b' va espunto; dr. Bibl. Hebr.' 126 In KonHLER-BAUMGARTNER, s.v. si osserva che «la frase hi1111abe' w"iimarta mostra che nibbi'l non indica necessariamente il parlare».
Tale osservazione è priva ·di qualsiasi foi-.ta
2 ( R.
Rendtorff)
bra esprimere l'idea più ampia e generale di «agire come profeta», «svolgere attività profetica». In Ezechiele l'uso del nif' al si è ormai fissato, e questa forma verbale ricorre prevalentemente nelle introduzioni dei singoli discorsi: szm paneka elI 'al) ... w"hinnabe' 'al ('el) (6,2; 13,r7; 21,2 .7; 25,2; 28,21; 29,2; 35,2; 38,2);
e'
(w"attii) ben-'iidiim hinniibe' ... w"iimartii 121i (13,2 127; 21,r4.33; 30,2; 34,2; 36, l; 39,1; similmente n,4; 36,3.6; 37A· 9.12; 38,14). Anche in 11,13 e 12,27 il nif'al indica il discorso profetico di Eze. chiele, in r3,16 quello del suo oppositore mi_ Soltanto in 21,r9 la formula w"'atta ben-'iidiim hinniibe' non introduce parole, ma un gesto di carattere quasi magico. Forse la forma va vocalizzata come hitpa'el (hinnabbe'), giacché in 37,10 è usato l'hitpa'el per indicare una parola profetica, che è sl presentata come parola di Jahvé, ma non annuncia, come ad es. i vv. 5 s., un'opera di Jahvé, bensl contiene un'immediata e decisa preghiera alla rtlèi~ perché venga e richiami in vita i morti: un uso quasi magico e del tutto singolare della parola profetica. Per il resto la forma hitpa'el è usata in Ezechiele solo un'altra volta (13, 17) per indiçare con una nota spregiativa l'attività delle profetesse; un uso analogo, dunque, a quello che abbiamo incontrato in Ier. 14,14; 23,13. In testi profetici tardivi troviamo ancora due passi che documentano due concezioni del tutto opposte. Ioel 3,1 prevede per il tempo della salvezza un'effusione della rt1af; che provocherà uno hinniibe' generale. Al contrario Zach. 13,2 ss. (~ col. 526) parla di un probante davanti a locuzioni come dabbèr... w"amartil (Lev. x,2 e passim). 127 In 13,2 bisogna forse leggere, coi LXX, un secondo hi1111àbe' al posto di hannibbii'ìm. 128 Nella glossa cli 4,7 con tiik111 pii11ékii w•nibbe'lil s'indica invece un gesto muto.
tempo in cui Jahvé farà scomparire i profeti insieme con lo «spirito impuro» (ruli~ !um't1), così che lo hinniibe' sarà considerato una vergogna e un delitto degno di morte. 3. Nell'opera del Cronista il verbo ri-
corre in 2 Par. I8,7.9.II.I7 come ripresa di I Reg. 22,8.rn.r2.I8, con variazioni minime. Sorprendente è l'uso della forma hitpa'el in 2 Par. 20,37, dove si dice che un certo Eliezer «intervenne come profeta contro Giosafat dicendo ... » (wajjitnabbe' ... 'al-(hOiafiif le'mor). Qui il Cronista ha rielaborato una fonte più antica 129 • In Esdr. 5,I l'hitpa'el aramaico indica l'attività di Aggeo e Zaccaria che si svolge «nel nome del Dio d'Israele» (b"Jum 'eliif? jifrii'el): l'uso della preposizione 'al mostra chiaramente che si tratta della predicazione dei due profeti. In I Par. 25,1-3 si ha invece un uso totalmente mutato del verbo: hinniibe' indica l'attività dei musici del tempio. I documenti a nostra disposizione non rivelano alcuna linea diretta che colleghi l'uso e la comprensione del verbo nei testi preesilici con questa concezione del Cronista. Possiamo cosl dire che nel complesso l'uso linguistico del verbo si presenta abbastanza chiaro: nei testi più antichi la forma hitpa'el indica una condizione estatica; in un secondo momento compare la forma nif' al come indicazione del parlare profetico, mentre l'hitpa'el è usato in senso spregiativo. Tale distinzione si riscontra anche nei profeti del VII e VI secolo, presso i quali predomina però di gran lunga il nif'al. Il verbo non viene ormai più usato per indicare fenomeni estatici.
129 Cfr. M. Norn, Obcrlieferungsgeschichtliche Stt1diet1 I ( 1943) x6x n. 4; W. RuooLPH, Chronikbiicher, Handbuch A.T. I 21 (1955) ad l.
III. Il sostantivo L'uso del sostantivo niibl' coincide solo in parte con quello del vetbo. I.
Congregazioni profetiche
Nei libri storìci troviamo spesso menzionati gruppi di n
491 (Vl,799)
rcpoqn'J't'1)<; X't'I... n m r-i
lari tradizioni. Si accenna anche a pasti presi in comune (4a8 ss. 42 ss.). D'altra parte, un membro di questo gruppo è sposato ed ha una propria casa (4,1 ss.). Le loro condizioni di vita sono quanto mai modeste (4,1 ss. 38 ss. 42 ss.; cfr. anche 6,1: l'ascia viene presa in prestito). Da r Reg. 20,38.41 si può forse dedurre che i membri di questa confraternita portassero sulla fronte un particolare segno distintivo.
\l\. l\enmoru1
\ Vl,OOOJ
492
da Jahvé (r Reg. 20,42); usando la medesima formula un altro di questo gruppo per ordine di Eliseo unge re Jehu ( 2 Reg. 9,3.6.12). Qui, dunque, a differenza dei nebt'lm di I Reg. 22 i b•ne hannebi'im sono presentati come profeti indipendenti dalla corte, che per incarico di Jahvé si oppongono al re o ne provocano addirittura la caduta indicando e ungendo il suo successore. Dietro questi interventi politici stanno evidentemente tradizioni anfizioniche: l'interdetta è un elemento costitutivo della guerra santa e l'unzione di .Jehu contrappone al tentativo di stabilire nel regno settentrionale una monarchia ereditaria l'idea di una monarchia carismatica 1l2.
Non c'è traccia qui di manifestazioni estatiche, ma in compenso la tradizione ha variamente tramandato sentenze derivanti da queste cerchie. Da un lato è possibile riconoscere un gruppo di brevi sentenze di tipo oracolare che esprimono una limitata e materiale speranza nel Per il resto dell'età monarchica le fonfuturo (r Reg. 17,14; 2 Reg. 2,21; 3,16. ti mantengono il più assoluto silenzio 17; 4,43; 7,1) 131 • Sembra che in seno a sui nebt'zm come gruppo 133 • I dati in noquesti bene hannebi'tm siano state tra- stro possesso non permettono minimasmesse tali aspettative escatologiche di mente di ricostruire una storia del 'nahiportata molto modesta, le quali promet- smo', e soprattutto non c'è prova evitevano che in futuro i bisogni elemen- dente e sicura di quella stretta connestari delle classi inferiori sarebbero stati sione di questi gruppi col culto, che soddisfatti. Nel contesto attuale tutti molti hanno creduto di scorgere nei tequesti oracoli sono introdotti dalla for- sti 134• mula koh 'amar ihwh; si propongono dunque come parole di Jahvé trasmesse 2. Figure isolate ad altre persone da uno che parlava a Molto complessa ed eterogenea è la nome e per incarico di Jahvé. Accanto a queste troviamo altre sentenze che ri- tradizione riguardante quei personaggi guardano più direttamente la vita poli- che vengono indicati col nome di nabt'. tica: uno dei b•ne hann•bi'im annuncia Soltanto pochi vengono messi in relaal «re d'Israele», esordendo con le pa- zione coi gruppi di profeti menzionati role koh-'ilmar jhwh, la punizione per sopra. Secondo r Sam. 19,18-24 Samuele aver egli violato l'interdetta decretato a Rama sta tra i neb2'1m, anche se è IJ1 Cfr. W. REISER, Eschatologische Gottesspriiche in den Elisa-Legenden: ThZ 9 (1953)
321-338. 132 Cfr. G. v. RAD, Der Heilige Krieg im alten lsrael, Abh. ThANT 20 (1951) 13; A. ALT, Das Konigtum in den Reichen lsrael u11d ]uda, in Kleine Schri/ten :t.11r Geschichte des Volkes lsrael II (1953) 116-134.
m La menzione separata dei sacerdoti e dei 11'b2'1m in 2 Reg. 23,2 non sembra originaria
(cfr. Bibl. Hebr. 1 ) e inoltre non ci dà alcuna utile informazione circa il ruolo dei tfbl'lm qui presupposto, m Il fatto che i profeti scendono dnlln boma (I Sam. 10,5) e che le località di Rama (I Sam. 19,19). Gilgal (2 Reg. 2,1), Bete! (v. 3) e Gerico (v. 5) sono anche noti luoghi di culto non basta a provare di là d'ogni dubbio il rapporto ipotizzato, come sostengono invece MoWINC· KEL, Psalmemtudien l7i ~ WiiRTHWEIN, Amos-St11die11 11; ~ PLOGl!R, Priester 176.
493 I Vl,OUU)
chiaramente distinto da loro. Elia è considerato l'unico sopravvissuto dei n"b1'é ihwh fatti eliminare da Gezabele (I Reg. 18,22; 19,10.14). In 2 Reg. 2 egli è associato, insieme con Eliseo, ai b"ne hann"bt'lm. Infine Eliseo è presentato come capo e guida dei gruppi dei b"né hanncbi'im, come colui che aiuta soprattutto coi suoi miracoli us. Ma si vede subito che questi aspetti non costituiscono che un particolare del quadro complessivo di questi personaggi offerto dalla tradizione, anche se nel caso di Eliseo il particolare è molto più rilevante che nel caso di Elia e Samuele. Considerando però proprio i testi che riguardano Eliseo si vede in quale misura e con quale forza egli sia presentato in altri strati della tradizione come individualità, perfino come un fenomeno del tutto unico nel suo ambito: egli è il niibl' in Samaria ( 2 Reg. 5 .3 ), o addirittura il nabt' in Israele (5,8; 6,12).
strada in misura sempre maggiore una sola caratteristica comune: il fatto di parlare per incarico di Jahvé. Che Samuele sia stabilito niibi' ljhwh, si riconosce dal fatto che Jahvé non faceva 'cadere' nessuna delle sue parole (I Sam. 3,19 s.), e tutti i profeti successivi si presentano con affermazioni come koh 'limar jhwh, «cosi dice Jahvé», o scma' d"bar jhwh, «ascolta la parola di J ahvé», oppure i testi dicono che Jahvé ha fatto giungere la sua parola per loro mezzo (I Reg. 16, 7.12; 2Reg.14,25). Nel caso di alcuni di tali profeti la tradizione riferisce unicamente che essi si presentarono con una parola di Jahvé. Questo è quanto si dice di Gad (I Sam. 22,5 136; 2 Sam. 24,11-13) , di Jehu (I Reg. 16,1-4.7.12), di Giona (2 Reg. 14,25), della n"bi'a Hulda (2 Reg. 22,14-20) e del nabt' anonimo di I Reg. 20 (vv. 13 s. 22.28 137).
Per il resto il 11iibt' nella tradizione compare sempre come individuo singolo. Se si getta un rapido sguardo sul gruppo di coloro che vengono designati con questo titolo, si vede subito che non è possibile parlare in alcun modo di un tipo omogeneo, dai contorni ben definiti. Soprattutto nei casi in cui il titolo viene attribuito a personaggi dell'età premonarchica, tale attribuzione è dovuta alle più diverse caratteristiche (4 coll. 500 ss.). Tuttavia in seguito si fa
Un nesso istituzionale fisso è evidente solo nel caso di Gad e di Natan. Certo in I Sam. 22,J Gad è detto semplicemente hanniib2', ma in 2 Sam. 24,u egli è chiamato anche flozeh diiwid, «veggente di David», per indicare la sua appartenenza al seguito del re. Di Natan i testi presuppongono la costante presenza a corte; egli infatti interviene anche in questioni politiche e partecipa anche agli intrighi di corte'(dr. 2 Sam. 7,1 ss. e specialmente I Reg. r) 138 • Nonostante
il> I detti escatologici ricordati sopra come patrimonio di que3ta cerchia profetica ricevono una nota particolare dal fatto che le speranze e le aspettative ivi espresse sembrano essersi compiute nella persona di Eliseo. Cfr. RmSER, op. cit. (--'> n. 13r) 337. 136 In r Sam. 22,5 non è detto che Gad parli da parte di Jahvé.
ll7 In r Reg. :20,28 abbiamo 'H 'hiz''éloblm invece che niibt', benché si tratti evidentemente del medesimo profeta. Il~ r Rcg. I,34-4.5 fa pensare che anche Natan abbia avuto parte attiva nella cerimonia dell'unzione di Salomone a re, mentre secondo il racconto della cerimonia stessa (v. 39) l'unico celebrante sembra essere stato il sacerdote
495 (v1,801)
1tpoqrfi-.ric; X't'Ì.. B
ciò, egli affronta David accusandolo senza mezzi termini (2 Sam. r2). Anche Gad gli annunzia il giudizio di Jahvé ( 2 Sam. 24,1 I ss.). Il legame con la corte non porta dunque alla dipendenza servile e alla limitazione della libertà della parola di Jahvé. Gli altri personaggi che vengono chiamati col nome di nàbt' sembrano del tutto indipendenti, anche se talvolta hanno, come ad es. Eliseo e Isaia, un rapporto piuttosto intenso con la casa regnante, alla quale è destinato in primo luogo il loro messaggio.
Ili 2
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{VI,il02J49t>
egizi, che non presentano alcuna figura profetica ma contengono tuttavia dei paralleli formali e materiali di parole profetiche dell'A.T. 141 • Nella maggior parte dei casi è il niibl' a prendere l'iniziativa di comunicare ad altri una parola di Jahvé (d"bar ihwh) che gli è giunta. Ma non è raro neanche che s'interroghi Jahvé attraverso il niibt' (I Sam. 28,6; I Reg. 14,2; 22,5 .7; 2 Reg. 3,u; 22,r3), e in 2 Reg. r9,1 ss. la parola di Jahvé che Isaia comunica è la risposta divina alla richiesta di intercessione. Tuttavia predomina sempre l'intervento non sollecitato, cosl che il niib2' non può esser considerato in primo luogo come un succedaneo di altre possibilità di ricevere l'oracolo 142• Bisogna piuttosto dire che la libertà e l'indipenza della loro opera rappresentano un'assoluta novità. Nelle sentenze di questi profeti autonomi predominano gli oracoli annuncianti il giudizio.
Particolare importanza hanno i paralleli di Mari 139• I vi in parecchi testi si parla di persone che, senza essere richieste, si presentano al re con una parola del dio Dagan, che contiene precisi ordini e talvolta un'aspra critica del comportamento del re. Questi messaggeri del dio sono chiamati mub/Jtlm, designazione strettamente connessa al titolo di mabbum che designa un gruppo di sacerdoti estatici. Tuttavia i nostri testi non padano di manifestazioni estatiche collegate con la ricezione di rivelazioni, e soltanto in un caso si accenna u un sogno. II parallelismo tra il comportamento di questi profeti a Mari e quello di Gad e Natan è palese. A queII fatto che questi oracoli siano diretsto proposito bisogna ricordare anche l'iscrizione del re Zakir di Jjamath 140, ti prevalentemente alla casa regnante (2 dove si legge (righe I I s.) che il dio Be- Sam. 12,r-r5a 143 ; 24,r2 s.; 2 Reg. I I , 'elsmain ha fatto pervenire al re un ora- 29-39 144 ; 14,7-r6; r6,1-4; 20,38-42; colo di salvezza «mediante veggenti 22,17-23; 2 Reg. 20,r.r6-18) è dovuto alla natura stessa delle fonti; ma spesso ( ~zjn) e indovini (? )». È incerto fino a qual punto si possano richiamare i testi il giudizio annunciato dal profeta riguarSadoq.
(1958) 31-38.
n9 Cfr. M. NoTH, Gesch. tmd Gotteswort im
142
A.T., in Gesammelte Studien zum A.T. (r957) 230-247; W. v. SoDEN, Verkiindtmg des Gotteswillens durch prophetisches Wort in den altbabylonischen Briefe11 at1s Mari, in Die \'(le/t des Orie11ts I 5 (1950) 397-403. 140 Cfr. A .O.T . 443 s. 141 Cfr. G. LANCZKOWSKI, Àgyptischer Prophetismus im Lichte des alt.liche11: ZAW 70
143
Cosl ~ JEPSEN 149. Secondo l'analisi di L. RosT, Die Oberliefe-
rtmg vo11 der Thro1111achfolge Davids, BWANT m 6 (1926) 93-99 soltanto i vv. r-7•.1 3-15• appartengono al testo primitivo di questa pericope, ampliata più tardi con l'aggiunta di due oracoli di minaccia. 144 Questa patte ha subito un ampliamento deuteronomistico di notevoli proporzioni.
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da tutto il popolo d'Israele. Il giudizio che colpirà Gerusalemme (2 Reg. 22,16 s.) risparmierà invece il re Giosia (vv. 18-20). Il racconto relativamente recente (--) n. 192) di I Reg. 13 contiene un giudizio contro l'altare di Betel (vv. 2 s.), il cui avveramento è narrato in 2 Reg. 23,(15)16-18. Accanto agli oracoli di giudizio troviamo poi altri oracoli annuncianti un positivo intervento storico di Jahvé: Dio garantisce la continuità della dinastia davidica (2 Sam. 7 m) e promette in diverse occasioni un esito vittorioso della guerra (r Reg. 20,13.28; 2 Reg. 19,6 s. 20-34). Isaia pronuncia un oracolo di salvezza quale risposta alla preghiera di Ezechia (2 Reg. 20,5 s.). In !ud. 6,7-rn il Deuteronomista attribuisce allo 'li niibt' la funzione specifica di rimproverare agli Israeliti la loro infedeltà a Jahvé. Secondo 2 Reg. 17,13.23 Jahvé ammonl continuamente Israele per mezzo dei suoi n•bf.'tm 146 e per bocca loro annunciò al popolo il suo giudizio (cfr. 21,rn-15; 24,2). In questi rapidi sommari storici i singoli ncbt'lm sono considerati come anelli di una catena ininterrotta e vengono chiamati 'abtidtm (servi) di Jahvé (17,23; 21, io; 24,2). Ci si chiede se tutti i personaggi indicati col nome di niib1' siano collegati tra foro, cioè se sia possibile identificare un ufficio di niibi' dai ben definiti contorni istituzionali. Il fattore istituzionale era senz'altro chiaro nel caso delle congrega14S Cfr. RosT, op. cit. (-+ n. r43) 47-74; M. NoTH, David tmd Israel in II Sam11el 7, in Mélanges Bibliqt1es. Scritti in memoria di An-
dré Robert (r955)
II2-130.
Al v. 13 si legga n'bl'iiw, espungendo koll;ozeh; dr. Bibl. Hebr. 3• 146
147 Il problema del rapporto tra gruppi e singoli non è stato visto da-+ }EPSEN con la do-
zioni profetiche e lo stesso può dirsi per i n•bi'1m di corte di David. Ma se si cerca di associare questi due fenomeni, s'incontrano gravi difficoltà 147 • Nelle differenze che corrono tra gli uni e gli altri si potrebbero vedere riflesse situazioni che variano tra il regno del nord e quello del sud 148 ; ma anche con tale ipotesi non si risponde all'interrogativo se si tratti veramente di due diverse conformazioni dello stesso ufficio, oppure no. La risposta potrebbe comunque essere negativa. Molti dei profeti individuali che compaiono più tardi non possono essere inquadrati entro un ufficio ben definito; al massimo vi possono essere inseriti solo con grande difficoltà. La risposta a questo quesito è tanto più ardua in quanto le fonti non ci offrono quasi alcun appiglio per un'interpretazione istituzionale dell'ufficio delle singole figure di profeti. Si dovrà pertanto essere molto cauti nell'avanzare ipo· tesi 149• I testi ci offrono pochi spunti anche per risolvere il problema, di recente tanto dibattuto, del rapporto di un tale ufficio profetico col culto. Samuele è educato nel santuario di Silo e Il riceve la sua prima parola da vuta chiarezza, cosl che molti interrogativi rimangono per questo rispetto senza risposta. La questione è stata invece posta, ad es., da -+ PLOOER, Priester 166. 148 Così -+ JePSEN, passim. 149 Nonostante l'accuratissima analisi, il libro di --+ }EPSEN è inficiato da troppe costruzioni in parte dovute a una concezione precostituita dcl 'nabismo'.
499 ( VI,802)
r.pOCfllj't"T)c; X'!:/,. 1' I II 2 -3 I!\. 1\.t:nu turu J
Jahvé (r Sam. 3,1 ss.). Alla fine dell'antico racconto di I Sam. 1-3 150 egli viene designato quale niibi' ljhwh (3,20). Tuttavia le circostanze in cui Samuele giunge al santuario e soprattutto il risalto dato al carattere eccezionale di questa rivelazione (3,i.21) rendono improbabile che si tratti di un ufficio fisso e ben preciso. Anche quando in 1 Sam. 9, 13 leggiamo che «il popolo non mangerà prima ch'egli ( = Samuele) sia giunto, perché è lui che deve benedire (berak) il sacrificio», abbiamo l'impressione che con questa notizia si voglia sottolineare la posizione particolare di Samuele. David parla con Natan del progetto di costruire il tempio, e il profeta gli trasmette una parola di Jahvé a questo proposito (2 Sam. 7,1 ss.); ma in questo caso non è possibile vedere alcun rapporto costante e continuo col culto. Lo scontro tra Elia e i profeti di Baal avviene nell'ambito cultuale; ma nell'antichità l'offerta del sacrificio non era affatto un privilegio riservato a un particolare funzionario del culto 151 , e questo scontro è paragonabile a quello narrato in !ud. 6,25 ss., che ha per protagonista Gedeone. In I Reg. 19,10.14 si nominano, quali segni dell'apostasia da Jahvé, la distruzione degli altari e l'uccisione dei profeti; ma neanche da tale accostamento si possono trarre troppe conclusioni. Anche per Eliseo si può al massimo addurre l'argomento che la gente si recava da lui solitamente alla luna nuova e di sabato (2 Reg. 4,23); ma per il resto egli non appare mai nelle vesti di 'profeta cultuale'. Da questo rapido esame risulta chiaramente che tra i profeti antichi e il culto si sono avuti dei punti di contatto, ISO Cfr. NoTH, op. cii.
(~
n. 129) 60 s.
1;1 Cfr. A. WENDEL, Das Opfer in der allisrae-
\ vl,UVJ
r JVV
ma che la tradizione non ha mai considerato come caratteristica di queste fì. gure profetiche il loro rapporto col culto. Pertanto tutto ciò che si può dire è che, stando all'immagine offerta dalla tradizione, i profeti dei secoli x e IX si trovavano in un rapporto positivo, più o meno stretto, col culto del loro tempo 1s2. 3. Profeta come epiteto di personaggi antichi
L'epiteto di niib'i' è .stato attribuito nella tradizione anche a personaggi antichi. In Gen. 20,7 (E) Abramo è detto appunto profeta, e ciò in grazia della sua opera di intercessione. Probabilmente risalgono a questa concezione della redazione elohista, che tuttavia non è sviluppata ulteriormente, anche due frasi insolite per le storie dei patriarchi: haja debar jhwh 'el-'abriùn bamma~azeh, «la parola di Jahvé fu rivolta ad Abramo in visione», e wchinneh d•bar-ihwh 'eliiw, «ed ecco, la parola di Jahvé gli fu rivolta» (Gen. 15,i.4). Ad Aronne il nome di niibl' è dato nella redazione sacerdotale (Ex. 7 ,1 ), che modifica l'immagine di Ex. 4 116 - secondo la quale Aronne dovrebbe essere «la bocca» di Mosè e Mosè «il .dio» ( 'elohtm) di Al'onne - dicendo che Mosè sarà 'eloh1m per il faraone e Aronne il niibt' di Mosè. Per la redazione sacerdotale niibl' è lilischen Religio11 (1927) 10 s. 1s2 Per tutta la questione dr.~ RowLEY, Ri-
lual, passim.
dunque colui che parla per incarico superiore. La notizia (Ex. 15,20) che Miriam sarebbe stata una nebt'a è probabilmente più antica ed è collegata con l'antico inno del Mat delle Canne (v. 21 ). In questo caso l'uso del nostro termine sarebbe stato suggerito dalla danza e dal canto cultuali. Il termine niibt' è usato spesso nei testi che riguardano Mosè. Quanto è detto in Num. 12 1 6-8 a proposito della sua posizione lo eleva nettamente sul niib'i': a quest'ultimo J ahvé parla in visioni e sogni, a lui invece «a faccia a faccia» (peh 'el-peh, cfr. Ex. 33,u: piin1m 'el-piintm ). L'eccezionalità della posizione di Mosè è sottolineata ancora con l'esptessione 'abdz, «servo mio»(--+ IX, coll. 299 s.). Nel nostro discorso rientra anche il rncconto di Num. 11,16 s. 24-26: il carisma di Mosè è così incomparabile, che una semplice parte della ruap «Che era SU di Jui» basta per far profetare (hitnabbe') 70 uomini (vv. 25 s.). Una diversa concezione vede in Mosè il 11iibi' per eccellenza, col quale Jahvé comunica piinzm 'el-piinim (Deut. 34, ro 153). Giosuè aveva ricevuto da Mosè la ruap mediante l'imposizione delle mani, eppure il testo afferma che un niibi' come Mosè non c'è più stato. Questo testo sottolinea dunque la singolarità
di Mosè pur usando l'espressione 11iibl'. Deut. 18,15-1 9 vede Mosè come il primo di una serie di n°b2'lm: Jahvé manderà continuamente un niibl' come Mosè 154 che annunci al popolo la volontà divina 155 • Qui sì pensa probabilmente ad un istituto, ad un ufficio non occasionale che proprio per la sua continuirà sembra essere in qualche modo legato ad una istituzione. La comparsa di un nàbi' non è considerata un evento fortuito, imprevedibile, bensì un fatto sul quale si può contare. Il compito di questo niib'i' non va quindi confuso con quello di quei profeti che scuotono il popolo; egli ha piuttosto una funzione preventiva: deve tenere il popolo in costante contatto con la volontà di Jahvé, così da sottrarlo all'influenza della mantica pagana (vv. 9-14) e impedire che si trovi direttamente esposto alla insostenibile vicinanza di Jahvé, che Io può distruggere. A questo proposito si ricorda quanto avvenne all'Horeb, quando Mosè fu stabilito. quale mediatore proptio per questo scopo. Nella prospettiva del Deuteronomio l'ufficio profetico va visto alla Juce deJla legge, di cui questo 11iibt' dovrebbe essere custode, mediatore e legittimo interprete 156•
153 Non si può dire a quale fonte appartenga questo versetto. I~ iiiqlm (Deut. 18,15) e 'iiq1m (v. 18) vanno probabilmente intesi in senso distributivo, conformemente all'opinione comune: Jahvé susciterà ogni volta un niibl'.
155
Infine il titolo di n°bt'a (profetessa) è attributo anche a Debora (lud. 4>4) Cfr.-+ v. RAD
II2
s.
156 KRAUS, op. cit. (-+ n. rn;) _59-66 vede in De11t. 18 115 ss. una prova a favore dell'ufficio
di 'mediatore dcl patto'. L'idea di una serie continua di n'b1'im si trova per la prima volta in Osea (6,5; r2,n),-+ coll. ,504 s.
che è detta anche sof
(1952) 62.
Diversamente intende, ad es., E. SELLIN, Das Zwol/prophetenbuch, Komm. z. A.T. 12 u (1929) ad l. loo O. PROCKSCH, Jesaia I, Komm. z. A.T. 9 (1930) ad I.: «Cos} che egli stesso si dà a conoscere, in questo modo, quale tJiih1'». 161 Tuttavia questo appellativo manca quasi regolarmente nei LXX. 159
cazione Ezechiele è chiamato enfaticamente nàht' ( 2 ,5) e tale è detto, indirettamente, anche in 14,4. Nei libri di Abacuc, Aggeo e Zaccaria la designazione di niibl' compare già nel titolo e poi nel corpo del libro (Abac. I,1; 3,r; Ag. 1,1.3.I2; 2,I.Io; Zach. 1,z.7; cfr. anche 8,9). È dunque chiaro che a partire da Geremia niibl' fu usato liberamente per i profeti scrittori 162• Ma anche i testi di Isaia e Osea mostrano di usare il termine senza esitazione. Anche Amos, se rifiuta di farsi chiamare niibi', non lo fa per principio, come mostra l'uso del verbo in 7,15 163• b) Il termine niibi' è riferito, generalmente al plurale, anche ad altre persone del passato. Troviamo la prima testimonianza di quest'uso in Osea 161 : Jahvé 'taglia' mediante i nebt'zm (Os. 6,5) 165, ha parlato 162 }EI'SEN 141: «Qui incontriamo per la prima volta 'nabi' non nel significato di appartenente a una determinata categoria professionale, bensl nell'accezione più generale di 'portavoce di Dio'». Tale osservazione si basa sulla petitio principii che nel suo uso normale niibi' fosse il titolo riservato ad un ufficio preciso e che i profeti scrittori non appartenesse· ro alle persone investite di tale ufficio. 163 La netta separazione tra uso del verbo e 'nabismo' sostenuta da - }EPSEN 6 è meto· dologicamente ingiu_stificata. 161 Am. 2,n s. e 3,7 sono certamente secondari. 165 L'interpretazione del versetto è discussa. Molti esegeti cambiano il testo, mentre SBLLIN, op. cii. n. r59) ad I., traduce: «Perciò ho tagliato con la scure tra ì profeti». Cfr. però H. W. WoLFF, Dodekapropheton, Bibl. Komm. A.T. 14 (1957) ad l. e ID., Hoseas geistige Heimal: ThLZ 81 (r956) 83-94.
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loro ( 12,n ), ha tratto Israele dall'Egitto e lo ha custodito mediante un niibt' (12,14). Ier. 5,I3 s. contiene una valutazione positiva dei n"bl'im: poiché il popolo li disprezza, Jahvé renderà le sue parole un fuoco in bocca a Geremia 166 • In 28,8 Geremia è posto nel novero dei n"bi'im apparsi prima di lui fin dai tempi remoti (min-hii'oliim). Nelle sezioni del libro di Geremia redatte in stile deuteronomistico è detto più volte, con formulazione ricorrente, che Jahvé ha mandato i propri servi, i n"bftm, per ammonire Israele {7,25; 25,{; 26,5; 29,I9; 35,15; 44,4). Secondo Ez. 38,17 i servi di Jahvé, i n"b'ì'e jifrii'el, hanno preannunciato la venuta di Gog da Magog. Nei passi non originali del Libro di Amos si dice che il sorgere di n"bi'tm e n"zir'ìm è un dono di J ahvé e si condanna chi impedisce loro di compiere la propria missione (Am. 2,II s.); secondo Am. 3,7 Jahvé non fa nulla senza dirlo ai suoi servitori, i n"bi'im. Zaccaria parla dei profeti primitivi (n"bt'2m ri'Sonim) che invitarono i padri al ravvedimento e li chiama setvitori di Jahvé (Zach. 1,4-6; 7,7.12). Mal. 3,23 si aspetta il ritorno del niibi' Elia. Nei tempi più antichi il richiamo positivo ad altri n"bi'zm si trova solo in Osea 167, mentre solo dopo Geremia esso diventa più frequente . c) La maggior parte delle affermazioni sui n•bt'zm che trnviamo nei libri profetici hanno carattere polemico (~ v, coll.112 ss.). 166
Cfr. l'accusa di avere ucciso i 11'b1'im (i,
30).
Cfr. WoLFF, Hoseas geistige Heimat n. 165) passiu1.
167
(~
168 Amos rifiuta il titolo di 11iib1', ma ciò non implica alcuna polemica; cfr. ~ WiiRTH\'QEIN, Ar11os-Studien 22 s. 169 Secondo SELLIN, op. cit. (~ n. r59) ad l.,
Tuttavia anche quest'uso è accertabile soltanto in una parte dei libri profetici. Abbiamo un primo accenno 168 in Or. 4, 5, dove l'oracolo di giudizio 'contro il sacerdote' abbraccia anche il niibi' 169 • In Isaia parecchi oracoli di giudizio riguardano, tra altri, anche il niibl' (lr. 3,1-3; 9,13 s.; 28,7 ss.; 29,rn). Nel Libro d'Isaia troviamo anche alcune accuse concrete: il niibt' è maestro di menzogna (moreh-Jeqer: 9,14) e nella sua ebbrezza si fa beffe delle parole del messo di Jahvé motteggiandone l'incomprensibilità (28,7 ss.). Michea polemizza coi n•bi'2m che fuorviano il popolo facendo dipendere il loro responso dal compenso che ricevono (Mich. 3,5-7). Il Libro di Geremia ci offre un quadro particolareggiato della controversia. L'accusa più frequente che il profeta rivolge ai n"bl'im è quella di predire 'Seqer, cioè menzogna (Ier. 5,31; 6,13; 8,10; l4,I3 S.; 23,14.25 S. 32; 27,9 S. l4·I6; 29,8 s.). Costoro parlano nel nome di Jahvé, benché egli non li abbia mandati ( 14,14 s.; 23,21.32; 27,15; 28,15; 29,9.31) 170, e i loro oracoli provengono dal loro stesso cuore (14,14; 23,16.26), sono sogni (23,25 .27.32; 29,8). Più concretamente Geremia li accusa di annunciare JiilOm senza l'autorizzazione di Jahvé (6,13 s. ; 8,IO s.; 14,I3; 28,9), predicen· do l'esito fortunato della guerra o l'imminente fine dell'esilio (14,13; 27,9.14. 16; 29,8-10), mentre egli annuncia proprio il contrario. Accanto a questo capo d'accusa primario, ai ncbi'lm vengono contestati anche l'adulterio e altri misfatti (23,14; 29.,23) per i quali il giuil sacerdote indiC1l Aronne, il niibi' Mosè (dr. Ex. 32); WoLFF, Dodekapropheton e~ n. 165) ad l. ritiene che il v. 5a{3 sia una glossa giudaica. 170 Soltanto quando si guarda retrospettiva· mente al passato si dice c:he essi avevano va· tidnato babba'al (2,8), accusa che altrimenti viene rivolta soltanto ai 11'bt'im di Samaria (2p3).
507 (VI,805)
TCPO<Jll)'tl)<; Y.'tA.. O
dizio di Jahvé Ji colpirà (14,15; 23,15. 30-32; 28,16; 29,21 s.). Ma più spesso i n"bi'tm sono menzionati negli oracoli di giudizio insieme con altri: con i sacerdoti (6,13; 8,10; 14,18; 23,n), con i sacerdoti e il popolo (23,33 s.; 26,7 s.} oppure con i re e i sacerdoti nella sequenza: re (principi), sacerdoti e n•bt'lm (2,26; 4,9; 8,1; 13,13). Nel Libro di Sofonia l'unico esempio di tale uso associa i n"bi'tm ad altri capi del popolo (neJl'ordine: principi, giudici, n•b1'1m, sacerdoti) nell'accusa di stravolgere il loro compito (Soph. 3,3 s.). Infine anche Ezechiele polemizza contro i n'bi'tm con accuse simili a quelle di Geremia: profetizzano secondo il loro cuore e la loro rtlah (Ez. 13,2 s.; cfr. v. 17), proferiscono vanità (.faw') e menzogna ( l 3,6-9 ), dicono «oracolo di Jahvé» (n"'um-jhwh) benché Jahvé non Ii abbia mandati (13,6s.), annunciano falsamente salom (13,10.16) 'intonacando' cosl la situazione reale del popolo (13,ro171 1 5; 2 2 ,2 8 ). Perciò il profeta annuncia il giudizio contro di essi (13,8 s. 11-16) e anche contro il niibi' che dà llll dobiir a un idolatra ( 14,9 s.). Il rifiuto radicale di Zaccaria (13,2-6, ~ coll. 488 s.) è l'ultimo giudizio contrario ai n•bt'tm nel profetismo postesilico. d) Dall'esposizione precedente risulta chiaramente come i profeti scrittori, da Isaia n Ezechiele, si sono messi in contrapposizione netta con una maggioranza di n"bi'im, contro l'attività dei quali polemizzano. Per sapere se i tanto cri· ticati n'bt'im fossero titolari di un ben preciso ufficio profetico, si potrebbe par171
In
22,25
dobbiamo Jeggcre, coi LXX, 'aier
n'Ji'eha. 172 Cfr. ~ MoWJNCKEL, Psalmemt11dien 17. m Cfr. Bibl. Hebr.' m Il testo di 29, 10 è inceno.
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4l:-ll \1\. n c uu•v•u1
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tire, come molti umano fare 172, dalla frequente associazione di profeti e sacerdoti. Tuttavia la maggiot parte dei passi solitamente addotti a sostegno della tesi affermativa è del tutto insufficiente a provare l'ipotizzata connessione dei n•bl'im con il culto. È abbastanza naturale vedere acco· rnllllati il profeta, proclamatore della volontà di Jnhvé, e iJ sacerdote, servitore del santuario. Privi di qualsiasi valore probante sono particolarmente quei passi che menzionano profeta e sacerdote insieme con altri capi del popolo, ad es. nella sequenza melek, far, kohen, niibz' (ler. 2,26; 4,9; 8,1; 13,13 [senza far]; dr. anche 18,18: kohen, l;akam, nabl'; Ez. 22,25-28: niifi' 113, kohen, far, niibi'): questi passi dimostrano unicamente che il nabl' era uno dei capi riconosciuti del popolo. Inoltre non bisogna dimenticare gli altri passi in cui il niib'ì' è menzionato insieme con altri funzionari, senza che tra questi appaia il sacerdote (ad es., Is. 3 1 2; 9,14; 29,ro 114 ; Ier. 27,9}. Questa associazione col sacerdote non costituisce dunque una caratteristica preminente del niibi'. Più distinto è invece il nesso del niibt' con il sacerdote e il tempio in Ier. 26, e lo stesso può dirsi, più o meno, per 23,u . In ogni caso, la semplice uguaglianza tra niibi' e profeta cultuale non è pertinente, perché soprattutto rimane affatto indecisa la misura di tale legame del profeta col culto. Certamente gli ultimi passi ricordati ed anche, ad es., Ier. 29, 26 s. (dove un sacerdote è chiamato «sovrintendente nena· casa di J ahvé su ogni mitnabbe'» 175 ), indicano che i 11"bt'im 11s Per il tcs10 dr. Dibl. Hebr.1 Non è affatto vero che qui sia «detto esplicitamente che Geremia faceva parte della corporazione orga· ruzzata dei profeti del tempio» (~ Wi.IRTH·
WBIN, Amos.S111dien r5).
esercitavano certe funzioni nell'11mbito del culto, ma non è affatto chiaro di che genere fossero queste funzioni cultuali 176 e quanto fosse stretto il legame col tempio. In questa materia è quanto mai difficile giungere a conclusioni chiare; comunque conviene essere molto più prudenti di quanto spesso non avvenga. Anche il problema di una collocazione istituzionale dei n'b/'1111 non può aver risposte certe e nulla ci costringe a credere che i n"bt'1m abbiano costituito in senso proprio ed esclusivo una categoria professionale. Che sia esistito, anche prescindendo dai 'profeti scrittori', un profetismo libero, carismatico, è del tutto possibile. Cosl, ad es., proprio nel caso dell'oppositore più noto di Geremia, Anania di Gabaon (Ier. 28), non c'è la pur minima traccia della sua appartenenza ad una precisa categoria professionale. e) Abbiamo cosl già toccato un altro problema: quale sia il rapporto che corre tra i profeti scrittori e i n•b1'1m (-4 m, coll. 338 s.). Sfo l'uso del termine niibt' (~ coll. 503 ss.) sia quello della forma nif'al del verbo (~ coli. 486 ss.) ci hanno già fatto capire che non è possibile stabilire una netta separazione tra i due gruppi 177• Questo fatto risalta in maniera ancor più evidente quando si considera la natura della polemica, particolarmente in Geremia. I suoi oppositori parlano, come lui, nel nome di Jahvé (besem jhwh) e si servono della formula koh 'amar jhwh, ecc. Evidentemente 176 Qui forse si può pensare, tra l'altro, all'ufficio profetico dell'intercessione; dr. -'> v. RAD n4s. 177
Cosl _,,.
JEPSEN
passim.
178 Cosi particolarmente--+ QuELL 43-67.
non c'è alcuna differenza nel modo di presentarsi; la polemica riguarda unicamente il contenuto del messaggio dell'uno o degli altri. Un passo come Ier. q, I 3 s. ci mostra come la questione della giusta e verace predicazione costituisse un problema anche per Geremia. Nello scontro con Anania, dove due parole di Jahvé si contrappongono, dapprima Geremia ha la peggio e deve cedere alla forza della coscienza che Anania ha di essere stato mandato da Dio, ma poi egli stesso riceve una nuova parola di Jahvé (ler. 28 178). Ciò che distingue Geremia dal suo avversario è in ultima analisi una diversa comprensione dell'opera storica di Jahvé. Nella catastrofe incombente Geremia vede la volontà di Jahvé, mentre Anania insiste nell'annunciare la salvezza, come aveva fatto piì1 di un secolo prima, ad es., Isaia 179 • Qui si vede l'elemento patticolare, imponderabile dei 'profeti scrittori': essi si fanno avanti con un messaggio per- il quale reclamano l'autorità di Jahvé e che in certi casi contrasta con tutta la tradizione teologica d'Israele 180• Geremia deve portare il suo messaggio senza avere le spalle coperte, mentre il suo avversario può richiamarsi alla tradizione. Questo fatto può benissimo dipendere anche da un più forte nesso istituzionale _di Anania, ma certo non è né possibile 179
Cfr.
~V. RAD II9
s.
Secondo 4 WiiRTHWEIN, Urspnmg la pre· dicazione del giudi:do è una funzione del profeta cultuale: cfr. però --+ n. 200.
180
5!1 \ Vl,OU/ J
né legittimo dedurne lo schema niibt' Deut. 13,2-6 tratta il caso di un niibt' di professione = profeta di salvezza, e che inviti il popolo ad adorare altri dèi: libero profeta di J ahvé = profeta di costui è da considerare un nemico di sventura. Ciò è dimostrato, ad es., dal Jahvé e va messo immediatamente a messaggio di Isaia durante la guerra si- morte. Deut. 18,20 prevede la sentenza ro-efraimitica (Is. 7,r-r6), quando del capitale anche per quel nabl' che parli resto egli si rifà proprio alla tradizio- in nome di Jahvé senza che Dio gli abne 181, e anche da altri oracoli di salvezza bia ordinato di farlo. Il criterio stabilito che troviamo presso i 'profeti scrittori' per decidere se il profeta abbia avuto o e la cui autenticità non può essere conte- no da Jahvé un ordine in tal senso è stata a limine 182• Viceversa Mich. 3,5 molto semplice: «Quello che il nabi' presuppone che anche i nebt'lm possano dirà in nome di Jahvé e che non succepronunciare oracoli di sventura. derà o non si avvererà, quella è la cosa li problema del rapporto dei 'profeti che Jahvé non ha detto» (v. 22). Questa scrittori' con i nebt'tm che essi combat- regola vale qui per ogni nabt'' ma in partono non può dunque esser risolto né ticolare per quello che col suo messaggio con una netta separazione, né con una potrebbe agitare il popolo. La differenza piena equiparazione. I 'profeti scrittori' tra questa posizione e quella espressa in sembrano essere meno legati ad una i- Ier. 28,8 s. è palmare: per Geremia solo stituzione, senza che d'altra parte sia il profeta che annunci un oracolo di salpossibile considerarli del tutto isolati e vezza è tenuto a provare a posteriori indipendenti. Il loro messaggio ha no- la legittimità del suo mandato dimotevoli affinità di forma e contenuto con strando che il suo annuncio si è avveraquello dei nebt'tm, ma in punti decisivi to; per contro il profeta di sventura non se ne separa. In ultima analisi la loro ha bisogno di dimostrare la veridicità particolarità consiste nell'ambito del tut- del proprio messaggio. to irrazionale della parola di Jahvé, che li oppone all'opinione dominante e co- 6. nabi' negli altri scritti stituisce così la loro posizione speciale. Nel Salterio Ps. 51,2 e ro5,15 indicano col nome di nàbi' personaggi antichi 5. Veri e falsi profeti nel Deuteronomio (Natan, Abramo). Ps. 74,9 lamenta che non ci sia più alcun niibi', non ci sia Anche il Deuteronomio affronta il cioè più nessuno (come chiarisce l'emiproblema del 'vero' e del 'falso' profeta. stichio parallelo) che sappia quanto du131
Cfr. v. RAD, op. cit.
(~
n. 132) 56-58.
IB2 Perciò partono da un errato presupposto metodico i tentativi di H. BARDTKE, Jer. der FremdvOlkerprophet: ZAW 53 (1935) 209-
239; .54 (1936) 240-282, e di~ Wi.iRTHWEIN, Amos-Studien 35-40, di scomporre l'attività di Geremia e di Amos in due periodi, in base al criterio dell'annuncio della salvezza o della sventura.
)13 l Vl 1000J
ti ancora la tribolazione (-7 C i
I b). Nella situazione descritta in Lam. 2 i n•bt'zm appaiono con il re e i principi: essi non ricevono più visioni (/;ii:t.611: 2,9); nella scena della distruzione\ si dà particolare risalto al fatto che sa-· cerdote e niibt' vengono uccisi nel tem-· pio di Jahvé (2 1 20). Nell'apostrofe alla città abbiamo però (2,14) una violenta requisitoria contro i n•bt'im: «I tuoi profeti ebbero per te visioni di menzogna e di vanità (faw'); essi non svelarono le tue iniquità per allontanare la tua sorte, ma ebbero per te visioni d'inganno, di menzogna e di seduzione» (dr. anche 4,13). Dan. 9 parla dei n•bt'im del passato: essi erano i servi di Jahvé, coloro che esortavano a seguire la legge di Dio (vv. 6 e ro); Geremia è il nribl' attraverso il quale Jahvé ha rivelato il numero dei 70 anni (v. 2) che ora viene 'sigillato' (v. 24), cioè scade col compimento. Per il Cronista niiM' è un termine favorito. Oltre ai casi in cui riprende la parola dalle sue fonti (r Par. 16,22; 17,1 183 ; 2 Par. 18; 32,20; 34,22) il Cronista accenna spesso ai n•bf1m: frequentemente parla in maniera generica dei profeti come di uomini inviati da Jahvé per ammonire il popolo (2 Par. 20,20; 36,16; Esdr. 9,u; Neem. 9 1 26. 30) oppure presenta alcune figure di niibl' per fare proclamare loro, in determinate situazioni, la volontà di Jahvé (2 Par. 12,5; 15,1-7, dr. 8; 21,12; 24,20; 25,15 s.; 28,9; cfr. 36,12). Inoltre aggiunge altre citazioni a quelle delle fon-
17,1 = 2 Sam. 7,2. Testo secondo R. SMEND, Die \\'!eisheil des ]esus Siracb (1906). 1ss In 48 113 invece di nbr' bisogna forse legge· re coi LXX nb'. Soggetto del verbo è Eliseo e l'episodio a cui ci si riferisce è narrato in 2 Reg. 13,20 s.: un morto torna in vita al semplice contntto con la salma del profeta. Il verbo significherebbe allora 'operate miracoli'. 186 Ed. dn H. ToRczyNBR e altri, Lachish I
ti preesistenti, facendo riferimento a scritti di diversi nebnm (I Par. 29,29; 2 Par. 91 29; 12,15; 13,22; 26,22; 32, 32). Secondo 2 Par. 29,25 la musica del tempio è stata ordinata da Jahvé attraverso i suoi neb2'2m. Nella preghiera di Neem. 9 i n•bnm vengono menzionati insieme con i re, i principi, i sacerdoti, i padri e tutto il popolo (v. 32). Esdr. 5,1 s.; 6,14 chiama n•bt'im Aggeo e Zac· caria. Secondo Neem. 6,7.14 ci sono n•bt"ìm che si lasciano corrompere per sostenere un determinato partito politico. Nel testo ebraico del Siracide 184 il termine 11bj' compare alcune volte. In Ecclus 361 20 s. si prega Jahvé dicendo:
whqm (Jzwn dbr bimk... wnbi'jk j'mjnw, «adempi le profezie che furono dette nel tuo nome ... cosl che i tuoi profeti si dimostrino veraci». Elia è definito nb;' k's, «un profeta come il fuoco» (Ecclus 48,1) e di Geremia si legge che «era stato reso profeta fin dal seno ma· terno», whw' mr{Jm 11Wfr ·nbj' (49,6 s.) 185• In Ecclus 44,3 tra i pregi che l'inno vuol celebrare è menzionata anche la
nbw'h. Nell'ebraico extrabiblico il termine niibi' è attestato negli ostrnka di Lakish del 588 a .C. 186• L'unica attestazione certa è però III 20 187 dove si parla di una lettera che è giunta m't hnb'. In base al contesto il profeta non può però essere l'autore dello scritto, ma solo il suo latore giacché (riga 19) spr fbjhw indica un altro quale autore della lettera. L'affermazione di VI 6 s. 188 che c'è gente
1113
(lell ed-dmoeir), T he Lnchish Lellers (1938);
184
dr. J. HEMPEL, Die Oslraka vo11 l.AkiJ: ZAW 56 (1938) 126-139;· K. GALLING, Textbuch wr Geschichte Israels (1950) 63-65. 1a1 In GALLING, op. cii. ( n. 186) nr. 36; cfr. D. W. THOMAS, 'The Prophet' in the Lachish Ostraca (1945); Io., Again 'The Prophet' in the Lachisb Ostraca, ìn Von UgariJ nach Q11mran, Festschr. O. ErsSFELDT, Beih. ZAW 77 (1958) 244-249. la& GALLING, op. cii. <~ n. 186) nr. 39·
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1tpOq>TJ'tTJc; X'\À.
B
III
6.
IV 2 (K.
l{endtorH)
che «fiacca le mani della campagna e della città» ricorda le accuse rivolte a Geremia (ler. 38,4), ma in questa occasione non si parla di profeta 189•
lativo onorifico. Nella stessa direzione sembra andare anche l'uso di questa espressione per il mal'iik (prima che lo si riconoscesse come tale) di Iud. 13,6.8 e per Mosè (Deut. 33,1; los. 14,6; Ps. 90, Tutto sommato si ha la chiara im- r). Soltanto in I Reg. 13 (cfr. 2 Reg. 23, pressione che nei secoli successivi all 'e- 16-18) si può notare una voluta differensilio il profetismo non abbia più svolto ziazione tra le due espressioni: un 'H 'el0h1m di Giuda che pronuncia una miparla naccia contro l'altare di Betel (vv. 1 ss.) una parte di rilievo, poiché se quasi esclusivamente come di un feno- viene contrapposto al niibi' di Betel. Comeno del passato 190• Col termine n8 bt'1m stui dice: gam-'ani niibl' kiimokii, «anche io sono un niibi' come te}> ( v. 18) ci si riferisce ora, in prima linea, ai 'prorendendo cosi i due termini equivalenti. feti scrittori'. Si potrebbe pertanto essere tentati di considerare 'fJ ,eloh1m come designazione giudaica, e niib1' come titolo nordIV. Altre denominazioni del profeti israelitico. Va però tenuto presente che I. L'espressione 'H (hii) 'eloh1m, «uoI Reg. 13 e 2 Reg. 23,16-18 sono certa· 192 mo di Dio», ricorre spesso in contesti mente sezioni recenti e che gli altri testi non confortano minimamente tale nei quali ha in sostanza lo stesso valore distinzione. Oscuro è il significato deldi nab2'. Ciò è vero particolarmente l'ìJ 'elohZm di Ier. 35 141 i cui figli hanno quando un 'H 1e/Ohtm si presenta con U· una stanza particolare nel tempio. Oltre na determinata parola di Jahvé (I Sam. un caso in cui riprende I Reg.·12 1 22 (2 Par. u,2) il Cronista usa il titolo per 2,27 ss.; I Reg. 12,22; 13,1 ss.; 20,28; Mosè (I Par. 23,14; Esdr. 3 2) e Davi
ne
189 Alla riga ;i non si può integrare il testo con h(nb'); dr. THOMAS, op. cii. (~ n, 187) 7 s. 190 Tuttavia Zach. 13,2-6 sembra t radire una certa conoscenza del profetismo estatico (~ CI Ia).
191 Cfr. ~ }l!PSBN 72-83. 192 Secondo NoTH, op. cit. (~ n. 129) 8r si tratta di una tradizione locale del tempo di Giosia, secondo A. ]EPSRN, Die Q11elfen des Konigsbuches (19,5 3) 102 di sezioni pr~venien ti dalla «redazione levitica:.> che è della- fine
del
VI
secolo.
'itpoqnr,11ç
X"t"JI. , D
sta designazione per Samuele (r Par. 9, 22; 26,28; 29,29) usandola inoltre una volta autonomamente (2 Par. 16,7.ro). In Is. 30,ro si può discutere se il participio abbia valore sostantivale (sia cioè un titolo) o verbale.
JV L - \' \!'\., J'l.CllUlUl"H/
no accanto a nabl' i termini ro'eh e [;ozeh rivela che in Israele il profetismo fu assunto, dal punto di vista esteriore, in forme e modalità diverse.
V. Forme e contenuto del messaggio profetico
Caratteristica essenziale del profeta 3 . Anche il termine l;Jozeh (~ vm, coll. 924 s.) è usato più volte come tito- dell'A.T. è il dabar, la parola (~ v1, lo, a cominciare da 2 Sam. 24,II dove coll. 266 ss.). Il profeta ha il compito di Gad è chiamato f.;ozeh dàwid oltre che comunicare il d"bar jhwh a lui rivela. col suo titolo di hanniibt', evidentemen- to. All'atto della vocazione profetica te per chiarire quale fosse la sua funzio- Geremia diviene certo che J ahvé pone ne a corte 193 • Lo ritroviamo poi in boc- la propria parola nella sua bocca (Jer. 1, ca ad Amasia quando costui si rivolge 9; cfr. Et.. 3,r ss.); ma neanche così il ad Amos (Am. 7,12), ed Amos stesso lo profeta può disporre in qualsiasi momenintende come sinonimo di nàbi' (v. 14). to della parola di Jahvé, ma deve aspet· tare che gli venga data (cfr. ler. 2.8,n . Gli altri esempi non d aiutano molto, tanto più che ci dobbiamo sempre l 2 !) e quando ciò avviene egli non può chiedere se il participio qal vada o no non pronunciarla (Jer. r,17; cfr, Am. 3, inteso come un titolo (ls. 29,ro; 30,10; 8). Anzi chi cerca d'impedirglielo viene Mich. 3,7; inoltre Is. 47,13: gli astrologi di Babilonia 1w). In r Par. 21,9 il colpito dal giudizio di Jahvé (ler. 5,13 Cronista ha ripreso il titolo di Gad da s.; cfr_ Am. 7,16 s.). Il momento in cui 2 Sam. 24,11 (e per questo ha tralasciato il profeta riceve 1a parola di Jahvé è 11abi') e lo ha usato più volte per Gad spesso indicato con la formula waj'hi stesso (r Par. 29,29; 2 Par. 29,25) e poi debar jhwh 'eJ (ad es. 2 Sam. 7,4; cfr. anche per altri (r Par. 25,5; 2 Par. 9,29; 12,15; 19,2; 29,30; 33,18.19; 35,15), 24,1 l ), ma la locuzione più frequentenssociando spesso in quest'uso il tito· mente usata per introdurre gli oracoli lo alla musica del tempio (r Par. 25,5; profetici è kòh 'amar jhwh. Nella tradi2 Par. 29,:3 5.30; 35 ,15). I dati a nostra disposizione non ci permettono di defini- zione tale formula è già usata con rifere nei particolari un eventuale ufficio rimento a Mosè (Ex. 4,22 e passim) e specifico di f.;ozeh . con riferimento a Samuele in sezioni di Il fatto che nella tradizione compaia- probabile matrice deuteronomistica ( r 193 -> } EPSEN 43 e 95 suppone che tale titolo sia dovuto all'influenza del Cronista e rappre· senti quindi un'aggiunta posteriore. Tale ipotesi è però poco verosimile e sembra piuttosto che imche a questo proposito il Cronista abbia
ripreso e ampliato l'uso linguistico preesi· sten te. l l)4 In 2 Reg. 1 7 ,1 3 kol-l;ozeh è probabilmente un'aggiunta(~ n. x46); Is. 28,r5 è incompren· sibile.
519 (v1,810)
7tpoCJYiJ-cTJ<; )(-;}.., B v (R. Rendtorff)
Sam. 10,18; 15,2); da Natan (2 Sam. 7 ,5. 8; 12,7 .n) e Gad (2 Sam. 24,12) in poi è invece usata costantemente. Tuttavia la diffusione di questa formula introduttiva non è uguale in tutti i libri profetici: abbiamo le punte di maggiore frequenza nei libri di Geremia e di Ezechiele, mentre poi manca del tutto nei libri di Osea, Gioele, Giona, Abacuc e Sofonia. In origine la formula serve ad indicare la delegazione di un messo, l'affidamento di un incarico ad un messaggero (Gen . 32,5), cosl che può esser detta 'formula d'ambasciata' (Botenspruchformel). Lo stesso profeta si considera dunque un messo di Jahvé, di cui ha il compito di trasmettere ad altri la parola. Come per l'ambasciata (Gen. 32,5 s.; 45,9 ss.; I Reg. ;20,3.5 e passim), cosl anche per la parola che il profeta deve trasmettere il discorso è in prima persona, come se parlasse direttamente il mandante, il delegante: ciò significa che l'oracolo profetico è formulato come discorso, sentenza di Jahvé. Frequentemente l'oracolo profetico comincia con hinnen'i, «eccomi», seguito dal participio (2 Sam . 12,II; r Reg. n,31; Am. 6,14 e JJassim ). Già questo costrutto particolare rivela che la parola di Jahvé annuncia generalmente un atto imminente di Jahvé. Questo atto può comportare salvezza o sventura, cosi che la parola di J ahvé è parola di promessa o di minaccia. La parola di promessa può riferirsi ad eventi dell'immediato futuro storico
(VI,8II) p o
(ad es. I Reg. II.Jr ; 20,13.28; 2 Reg. 20,5 s.) o ad eventi più recenti (ad es. 2 Sam. 7,8 ss.). Nei 'profeti scrit toti' le promesse sono soprattutto espressione di speranze e attese 'escatologiche' nel senso più lato. Qui troviamo frequentemente formule introduttive come wehii-
ia bajiom hahU', hinnéh ;amim ba'ìm, baiiamim hiihemma, bii'ét hahi,
ecc.(~
coll. 105 ss.). Vanno classificate qui anche le predizioni 'messianiche' (Is. II, r ss.; Mich. 5,1 ss. e passim,~ XPt
cazione del loro messaggio. Essi sono fiducia nella illusoria sicurezza riposta stabiliti quali 'saggiatori' (Ier. 6,27) e nel culto 193• La funzione responsabile dei profeti questo aspetto si riflette nel fatto che i profeti offrono spesso una motivazione 'si esprime anche nel fatto che essi non della parola di Jahvé 195• Soprattutto la si limitano ad annunciare il giudizio ineminaccia è accompagnata quasi sempre vitabile, bensl anche esortano ed ammoda una motivazione che rinfaccia agli in- niscono per scongiurare ancora il giuditerpellati i loro peccati. Tale motivazio- zio. Tra le altre forme del discorso prone è detta rimprovero. Tra la motivazio- fetico troviamo cosl l'ammonimento (ad ne e la sventura preannunciata sussiste es. Os. 14,2; Am. 5,4 ss.). In Ezechiele in genere una connessione molto stretta, (3,17 e passim) il profeta è visto come più precisamente il nesso tra azione e una 'sentinella' che deve avvertire in conseguenza, senza che però sia lecito tempo utile gli uomini che gli sono stati parlare di 'retribuzione' o di 'contrac- affidati. In tale contesto sì colloca anche cambio' 196. Il punto da cui muove il l'intercessione profetica (I s. 3 7 ,1 ss.; I er. rimprovero è molto vario e fortemente 7,16 e passim; Am. 7,2.5; cfr. anche condizionato dalla situazione del mo- Gen. 20,7; Ex. 32,31 s. e passim) nella mento. In Amos e Michea esso prende quale va forse vista una funzione cultuale mosse dall'accusa di non osservare il le del niibt' (cfr. Ier. 27,18) 1w. diritto di Dio 197 ; in Osea, Geremia ed I generi del discorso profetico. speciEzechiele domina l'accusa di onorare al- fico nominati fin qui mostrano una notri dèi; in Isaia è rinfacciato l'errore di tevole variabilità di forma e possono esriporre la fiducia in altre potenze. Nella re derivati senza difficoltà da un Sitz im maggior parte dei profeti ricorre inoltre Leben profano oppure spiegati sempliun'aspra polemica contro il culto, nella cemente con la necessità di una comuniquale non si può però vedere un rifiutò cazione appropriata della parola di J ahfondamentale del culto. Tuttavia in O- vé. Non sarà quindi il caso di supporre sca risuona con più forza l'accusa che il che essi abbiano la loro prima matrice culto non è diretto in realtà a Jahvé, in un ufficio profetico solidamente istitubensl ai Baal. Per il resto, ciò che i pro- zionalizzato. Ciò risulta ancor più chiafeti attaccano è in primo luogo la falsa ro dal fatto che i profeti hanno ripreso m Cfr. H. W. WoLFF, Die Begriindungen der prophetischen Heils- 1111d Unheilspriicbe: ZAW
.52 (1934)
.I-22,
ma
Cfr. K. KoCH, Gibt es ei11 Vergell1111gsdogim A .T.?: ZThK 52 (1955) 1-42.
197
Cfr.
196
~ WiiRTHWEIN,
Amos-St11die11 40-52;
R. BACH, Gottesrecht tmd weltliches Recht i11 der Verkt111digung des Prophete11 Amos, Festschrift fiir Giinther Dehn (1957) 23-34. 19Z Cfr. R. RENDTORFF, Priesterlicbe K11l1theologic und prophetische K11ltpolemik: ThLZ 81 (1956) 339-342. 199 ~
v.
RAD II4
s.
523 (VI,1:!1 2 /
1tpO!pl]'HJç X>.11..
D
generi di varia natura da altre sfere di vita: la disputa (ad es., Am. 3,3-6.8; frequente nel Deutero-Isaia) e le forme connesse del discorso giudiziario (Is. 3,r 3 s.; Os. 4,1 ss. 200), delle sentenze legali e di altre formulazioni del diritto sacrale (Ez. 14,x ss.; ~. 5,2 r ss.). Nel Deutero-Isaia sono usati diffusamente gli oracoli cultuali della salvezza e gli elementi costitutivi dell'inno 201 • Non mancano poi neanche canti di varia natura (Is. 5,1 ss.; Am. 5,r ss.). Secondo i testi i profeti non ricevono soltanto la parola, ma spesso anche visioni (-7 vm, coll. 925 ss.) (I Reg. 22, 17 ss.; Ier. l,Il ss. e passim; Ez., passim; Am. 7,1 ss.; Zach. 1,6; dr. le visioni connesse con la vocazione dei profeti: Is. 6,1 ss.; Ier. l,4 ss.; Ez. r -3). Dato che nella maggior parte dei casi queste visioni mirano ad una parola di Jahvé, si può pensare che spesso i profeti abbiano ricevuto la parola di Jahvé in una visione. Un aspetto particolare dell'attività profetica è dato dalle azioni simboliche 202 (I Reg. II ,29 ss.; 22,n; Is. 20,1 ss. e passim). In esse il profeta è come assorbito egli stesso nel suo messaggio. Spesso tali azioni simboliche sono profondamente connesse con la vita perso200 Il tentativo di ~ WtiRTHWBIN, Ursprung di far derivare j) discorso giudiziario dal culto non è convincente ed è molto più naturale vedere l'origine di questa forma di discorso profetico nella prassi giudiziaria profana. 201 H. E. v. WALDOW, Anlass und Hifllergrund der V erkiindigung des Deutero;esa;a, Diss.
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nale del profeta (ler. r6,1 ss.; Ez. 24, l 5 ss.; Os. r e 3 ), cosl che il profeta stesso diventa un 'segno' (Is. 8,r8; 2oa) . Tale identificazione del profeta col proprio messaggio può assumere persino la forma del martirio (ler. 37 s.). Cosl il Deuteronomio vede nel 'profeta' Mosè (cfr. Deut. 18,15.18) colui che soffre vicariamente (9,18 ss.; cfr. 1,37; 4,21 s.) 201 • Anche l'immagine del Servo sofferente di Dio che troviamo nel Deutero-lsaia si collega a questa tradizione (-7 IX, coli. 306 ss.).
VI. L'uso linguistico dei LXX Wl 1. Nei LXX nàbt' è tradotto costantemente con 1tpoq>TJ't"11ç,; in nessun caso si può dimostrare che in sua vece sia stato usato un altro termine. La tradizione presenta solo due tipi di incertezze: o i LXX non traducono il termine nab2' contenuto nel testo ebraico, oppure aggiungono un 1tPOcpTJ'M')ç, dove l'ebraico non offre un termine corrispon· dente. Nei libri delle Cronache i termini ebraici ro'eh e f;ozeh, che solitamente vengono resi con i participi ò {3À.É7tWV (cosl anche in I Par. 9,22; 29,29) e o opw\I (cosl anche in I Par. 21,9; 2 Par. 9,29; 12,15; 29,25; 33,18.r9; inoltre ò &:11axpov6µEvoç, in I Par. 25,5; ò (3M7tW\I in 29,29), sono tradotti più volte con '1tpocp1)-.'1}ç, (ro'eh : I Par. 26,28; 2 Par. 16,7.rn; cfr. anche Is. 30,10; l;ozeh: 2 Par. 19,2; 29,30; 35,15). In 2 Par. 36,r5 1tpoqy{)·t"l'}ç, traduce mal'ak.
Bonn (19,3). 202 Cfr. G. FoHRER, Die symbolischen Hand· ltmgen der Propheten, Abh ThANT 25 (1953). 20l Cfr. G. v. RAD, Tbeol. des A.T. I (19_17) 292 s. 201 Per tutta questa sezione d r. ~ F AS CHER 102·108,
2. Il femminile n"bt'a è tradotto costantemente con 1tpocplj·rn;. 3. Per il sostantivo piuttosto tardo n•bfJ'a (Neem. 6,12; Esdr. 6,14; 2 Par. 9,29; r5,8) abbiamo generalmente 'ltpo-
4. Le forme verbali al nif'al ed all'hitpa'el vengono rese senza distinzione con 'ltpocpryn:ve.w. L'unica eccezione è data da I Pm·. 25,1-3, dove la forma nif'al indica l'attività dei musici del tempio: qui i LXX hanno à.1toq>tl'ÉyyE<Ti>ct.t (v. l) e &.va.xpouEiri>cx.t (v. 3)m. In linea di massima la traduzione dei LXX segue pertanto meccanicamente il testo ebraico senza tentare di distinguere tra loro fenomeni che sono in realtà molto diversi. 5. Solo in un caso abbiamo un accenno a tale differenziazione. Nel libro di Geremia, soprattutto nei capp. 26-29 (nei LXX capp. 3y36), per designare gli altri profeti ai quali Geremia si contrappone (~ col. 506) viene più volte usato il termine lj/e.v8o'ltpo
E PROFETI NEL GIUDAISMO DELL'ETÀ ELLENISTICO-ROMANA
I. Il problema del profetismo contemporaneo r. Le fonti extrarabbiniche a) La più completa affermazione del Al v. 2 l'ebraico han11ibbii' del testo ebr. è tradotto con 6 npoq>TJ't'!J<;.
205
~
Cfr. TH. H. RODINSON-F. HoRST, Die zwolf kleinen Propheten, Handbuch A.T. 14 (1938) ad l.; K. ELLIGER, Das Bucb der zwiilf kleinen Propheten II, A.T. Deutsch (x950) ad l. N1 S'mot hii'afabbtm, con allusione, peraltro molto vaga, a Os. 2,19: I'mot babb"iilim.
208
rl2a!J hafft1m'd;
dr. a questo proposito -+
giudaismo postesilico sul profetismo contemporaneo è contenuta nella coppia di oracoli che leggiamo in Zach. 13, 2 s. 4 ss. e vanno datati tra il 400 e il 200 a.C. ~.Il primo oracolo (Zach. 13,2 s.) pone sullo stesso piano idoli 2ll1, profeti e «lo spirito dell'impurità}>~ e ne preannuncia la distruzione. L'oracolo si rivolge evidentemente contro qualsiasi forma di profetismo nell'Israele del tempo 20'.I; ma il fatto che l'oracolo sia presentato come «oracolo di Jahvé Sabaot» mostra che Zach. 13,2 s. vuole essere a sua volta una parola profetica. Coerentemente dunque anche i LXX parlano qui di «falsi profeti» 210 che saranno colpiti dalla sventura. Il secondo oracolo ( Zach. I 3 '4 ss.) non si presenta espressamente come sentenza di Jahvé, ma la sua formulazione rivela che anch'esso vuole essere inteso come tale. Dal punto di vista sia della forma sia del contenuto i due oracoli sono strettamente connessi: non si riferiscono all'immediato futuro, bensl a «quel giorno» (~ IV, coll. u2 s.) in cui spunterà per Gerusalemme il tempo della salvezza. Soltanto allora quanti si presenteranno e agiranno come profeti saranno n . 266.
Quindi BoussET·GRnssMANN 394: «L'autore è cosl convinto che in Israele non sorga più alcun profeta, che ordina di trattare da impostore chiunque si presenti come profeta». Tuttavia tale affermazione non tiene affatto conto dell'orientamento escatologico di Zach.
20'J
13,2-6. 210 LXX: xcr.i "COÙ<; \j1Evlìo1tpoq>i)i:cr.<; ... e~cr.pw : una evidente interpretazione del testo ebraico.
527 l VI,ISI3.l
Tuttavia la pericope di Zach. 13,2-6 non ci rivela soltanto l'aspetto più vio-
lento e primitivo del profetismo postesilico, bensl ci mostra anche quello opposto. Il riferimento a Deut. I3,5 s.; 18, 20 (~ n. 2u) e l'uso peculiare di Am. 7,14 (~ n. 212) suggeriscono la presenza di un clero che pronunciava oracoli, oppure di profeti cultuali ben addentro nelle tradizioni del tempio e nel)'interpretazione della legge tipica dell'età postesilica. Anche questi gruppi, che nel profetismo libero ed estatico dovevano vedere - potremmo dire per intrinseca necessità - lo spirito stesso del disordine e della ribellione 21 3, avevano dei precursori nell'età preesilica. Prescindendo dagli autori (per noi anonimi) di oracoli che sono poi fìniti nei libri dei profeti scrittori canonici 214, i massimi rappresentanti del profetismo non estatico dell'età persiana sono Aggeo, Zaccaria e l'anonimo profeta del libro di Malachia. Anche l'epoca successiva mostra però sacerdoti che profetizzano e profeti legati al culto, al tempio o alle scritture sacre. Detto questo, dobbiamo concludere che in Zach. 13,2-6 si confrontano due tipi di profetismo, con caratteristiche proprie ben distinte. Questi due tipi riflettono quell'opposizione altamente pro-
211
stesso tempo una reinterpretazione.
trafitti dai loro stessi genitori per aver proclamato menzogne nel nome di Jahvé 211 • D'altra parte, leggiamo nel secondo oracolo, i profeti stessi si vergogne~ tanno delle loro visioni e profe zie e si toglieranno il mantello di pelo; anzi, se qualcuno incontrandoli li riconoscerà, essi negheranno di essere mai stati profeti, dicendo di aver lavorato nei campi fin da ragazzi 212 • La pericope di Zach. 13,2 s. 4 ss. attacca un profetismo jahvista contemporaneo di tendenza estatica, i cui rappresentanti indossano, quale simbolo della loro confraternita, il mantello da profeta. Costoro non rappresentano certo un fenomeno illegittimo in Israele, giacché, con il loro carattere primitivo e derviscico, hanno illustri precedenti in Elia e prima ancora nei profeti dell'epoca di Saul (~ B II r). Nei tempi del N.T. incontriamo un personaggio che è palesemente un epigono del profetismo estatico così accanitamente combattuto da Zaccaria: si tratta di quel Gesù ben Anania che comparve come profeta di sventura pochi anni prima della distruzione del tempio (~ coli. 557s.).
Zach. 13,3, peraltro con un riferimento molto libero a Deut. x3,5 s.; x8,20. Un po' diversamente intendono ELLIGER, op. cit. (~
n. 206) ad l. e HORST, op. dt. 211
(~
Cosl secondo la congettura di
n. 206) ad 1.
J. WELLHAU-
snN, Skiu.en tmd Vorarheiten v (1892) 192 ad l.: 'adiimd qiniiin1 invece del masoretico 'iidàm hiqnant (cfr. Bibl. Hebr.1 a Zach. 13,5) con un'allusione ad Am. 7,14, che ne è allo
Cfr. già Am. 7,10-17 e viceversa la polemi· ca di Michea contro i profeti del tempio di Gerusalemme (Mich. 3,5-8). 213
214 È
degno di particolare nota il fatto che tra
i reperti di Qumran si trovino anche frarnmen· ti di opere profetiche non canoniche: DJD 100 s .
l
blematica di 'veri' e 'falsi' profeti che ha sempre accompagnato e agitato il profetismo ebraico (~ B III 4c). Tuttavia la pericope di Zach. 13,2-6 non può essere usata come prova della mancanza di spirito profetico o dell'illegittimità di qualsiasi profetismo che si fosse manifestato nell'età postesilica. b) Un altro testo che viene sempre chiamato in causa per dimostrare la supposta mancanza di profeti in questo periodo è Ps. 74,9: «Non abbiamo visto segni per noi; non c'era più profeta, non c'era più nessuno tra noi che sapesse 'fino a quando?'» 215 • La descrizione della distruzione del tempio contenuta nella sezione precedente (vv. 3-8) viene riferita, da coloro che sostengono il suddetto punto di vista, a I Mach. 4,38 216 e il motivo della mancanza di un profeta è connesso a I Mach. 4,46; 9,27; I4,4I 217 • Per contro è stato fatto nota1·e, e a ragione, che Ps. 74,J-8 non coincide affatto con 1 Mach. 4,38 proprio in punti essenziali. ' m Secondo la traduzione di H. ScHMlDT, Die Psalmen, Handbuch A.T. (1934) ad l. 5 216 Cfr. R. KlTTEL, Psalmen, Komm. A.T. 13 ·• (i929) ad l. Cosl, ad es., A. BERTHOLET in
217
KAUTZSCH,
ad l. ancora più precisa è fa traduzione «rovine totali» nel senso cli una clistruzione definitiva, dove 11e!a~ ha valore elativo. Cfr. D. w. THOMAS, The Use o/ ne~al~ as a Superlative in Hebrew: Journal of Scmitic Studies l (1956) 107. 219 E. BrcKERMANN, Der Gott der Makkabiier (i937) 80-84. 220 Inoltre .1 Mach. 4,38 dice che <mei cortili 218 maJJu'6t 11e!afJ;
Ps. 74,3 parla di «rovine eterne» m, mentre secondo I Mach. 4,38 la distruzione e profanazione del tempio è durata soltanto tre anni (167-164 a.C.) 219 • Anche se si può dire che Ps. 74.J è un'iperbole, pure la differenza rispetto a 1 Mach. 4,J8 è invalicabile quando si consideri che pe1· Ps. 74,7 il tempio è sta· to divorato dalle fiamme (cfr. 2 Reg. 25. 9), mentre I Mach. 4,38 dice che i nemici hanno devastato il tempio, profanato l'altare, bruciato le porte e distrutte le celJe 220• In base a tali considerazioni è pili che giustificato supporre che il Ps. 74 non rifletta l'età maccabaica, bensì Ja rovina del tempio salomonico nel 587 a.C. 221 • È in questo quadro che il v. 9 acquista il suo vero significato: nel momento della distruzione non ammutolirono soltanto, com'era da attendersi, i profeti di fortuna; anche un profeta di sventura come Geremia, cui pure il cotso degli eventi aveva dato ragione e che i Neobabilonesi avevano riabilitato, era condannato al silenzio davanti a tale immane tragedia 222• Anzi, come prova Ier. 44,15 ss., egli . poteva persino apparire colpevole era cl'esciuta la vegetazione come in un bosco o sopra una montagna». Bisogna conveaire con BrCKIIRMANN, op. cit. (~ n. 219) 110 s. che sicuramente .1 Mach. 4,38 non intende affatto parlare di una distruzione del tempio per mano dei Siri, bensì della metamorfosi di Sion «nell'antico tipo di santuario semitico, che era un'area sacra per i sacrifici, scoperta, con alberi e piante e circondata da un muro». In ·questa prospettiva si spiegano anche le 'distruzioni', o meglio le modifiche alla struttura del tempio. Cfr. anche M. NOTH, Gescb. lsraels 2 (1954) 332 s. 221 Cosl a ragione ScHMlDT, op. cit. (~ n. 215) ad I., con ulteriori indicazioni bibliografiche. m Cfr. ScHMIDT, op. cit. (~ n. 215) ad l.
.5 _31 [v1,815J
r.pocpirn1c; x-rÀ.
della sventura del popolo. In altre parole, era certamente possibile considerare il periodo successivo al crollo della monarchia davidica come un tempo senza segni e senza profezia e quindi di sgomento e disorientamento interiori. Corrispondentemente, l'ipotesi esegetica di gran lunga più verosimile è quella che vede nel Ps. 74 un lamento popolare dell'esilio, che prende le mosse dalla scomparsa del tempio salomonico e dalla conseguente situazione tragica. Per il problema del profetismo nell'età postesilica Ps. 74,9 non può essere invece utilizzato.
eI
rb-c (R_ Meycr)
(V1,llI6J
)32
syr. 85,3) la presenza di 'giusti' e 'profeti' è limitata alla precedente età ideale: «Ora invece i giusti si sono riuniti [ai lorn antenati] e i profeti si sono addormentati» 224 • In questa apocalisse, che si colloca sullo sfondo storico della distruzione del secondo tempio, incontriamo cosl il dogma del periodo canonico della salvezza, quale è sostenuto in Ios., Ap. I.41 e dai rabbini. Però anche se secondo il v . 1 i 'giusti' e i 'santi profeti' appaiono soltanto come 'soccorritori' dei tempi passati e delle generazioni di una volta, tuttavia Baruch siriaco non esclude affatto la presenza di oracoli, e quindi di profeti, nell'età di Vespasiano 225 • e) Particolare attenzione meritano
I
Mach. 4,46; 9,27 e 14,41. c) Molto vicina a Ps. 74,9 sembra essere la preghiera di Azaria (-6.a.v. 3,38): «Non abbiamo più in questo momento né re né profeta né condottiero, né olocausto né sacrificio né offerta né incenso né un luogo per offrire le primizie a te e ottenere misericordia» 223 • Il motivo di questo lamento non ha, nel suo insieme, alcun appiglio storico nell'età postesilica fino alla distruzione del secondo tempio. Evidentemente tale motivo intende descrivere la condizione durante l'esilio. -6.a.v. 3,38 non contribuisce invece in alcun modo a chiarire la questione del profetismo nell'età ellenistico-romana. d} Nella «lettera di Baruch, figlio di Neria, alle nove tribù e mezzo» (Bar. 22J Secondo 1a traduzione di W. RoTHSTEIN in KAuTzscH, Apkr. 11. Pseudepigr. 1 180; per il carattere letterario dell'aggiunta a Dan. 3,264 .5 (lamento popolare) cfr. O. EissFELDT, Bini. 1 (1956) 730.
m Secondo Ja traduzione di H. GUNKBL in Apkr. ti. Pseudepigr. II 445 s.
KAUTZSCH,
Cosl Bar. syr. 48,34-37 si riferisce chiaramente elle manifestazioni carismatiche al tem-
225
Secondo I Mach. 4'43 ss., quando Giuda consacrò il tempio nel 164 a.C., l'altare profanato dai Siri fu sostituito con uno nuovo. Le pietre del vecchio altare vennero poste «sul monte del tempio in luogo conveniente, fino a quando comparisse un profeta che dicesse loro che cosa farne» 226 • Anche se a tutta prima questo testo dice semplicemente che la decisione ultima circa la destinazione di un oggetto di culto inservibile viene lasciata a un profeta che prima o poi sarebbe apparso, pure I Mach. 4,46 assume un significato ben più pregnante quando lo si colleghi con gli altri due passi. Mentre I Mach. 4,46 sta al culmine di tutta la narrazione, I Mach. 9,27 ci po della distruzione del tempio. Le promesse menzionate qui, delle quali alcune si avverano e altre no, riflettono i due aspetti del profetismo dell'epoca: chi annuncia salvezza e chi annuncia sventura. In· BoussET·GRRSSMANN 394 abbiamo un'interpretazione fondamentalmente errata di Bar. syr. 85,I.3 . m I Mach. 4A6: xat &:rcl&EV'to -toòc; ).!Dove; ... (l.ÉXPt 'tOV 1tttpa')'E'111}Di}'llcu 1tpOqrlj't1}V 'tOV &.noxpLDi}'llttt 1tEpt au-rw'll.
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porta all'interno della storia maccabai- postazione e tendenza sembrano contrapca: nel 160 a.e . Giuda cade in battaglia porsi alla tesi di un fine lontano. Il libro e i suoi seguaci vengono consegnati a è costruito attorno all'alterna ascesa deBacchide: «Allora d fu in Israele una gli Asmonei fìno a Simone 2.12, alla quatribolazione così grande, quale mai si le segue il pericolo corso dalla dinastia era avuta dai giorni in cui non era più quando il principe-sacerdote e due suoi apparso un profeta» 227 • Resta incerto chi figli furono assassinati da un parente; vada considerato l'ultimo profeta nd tale pericolo venne scongiurato perché senso della storiografia asmonea; ma si Giovanni Ircano riusd a sfuggire e «diha l'impressione che I Mach. 9,27 non venne sommo sacerdote, dopo suo paabbia solo lo scopo di constatare dogma- dre» (I Mach. 16,11-22). Questi, che ticamente l'assenza di profeti in quell'e- rappresenta in fondo la meta verso cui tà. Secondo I Mach. q,41, nel 141 a.e. tende e si muove tutta la narrazione delSimone viene nominato generale in capo l'alterna lotta dei Maccabei in difesa e sommo sacerdote: «I Giudei e i sacer- della fede e della loro ascesa 233, è pasdoti decisero cosl che Simone fosse loro sato alla storia come colui che era dotacapo e sommo sacerdote per sempre, fi- to del munus triplex (~ coll. 559 ss.). no al sorgere di un profeta degno di fe- Nella prospettiva e alla luce del munus de» 228 • Ciò che colpisce in questa formu- profetico di questo principe e sommo la è che alla frase conclusiva Eù06x110'a.v sacerdote ricevono una spiegazione ade-rou Eiva.1 ocù-.wv l:tµwva. 1)youµevo\I guata i passi di I Mach. 9,27; 14,41 e, xcx.t &.px.1epfo. Etc; -r;òv cx.lwvoc viene appic- a quanto sembra, anche 4,46. Se secondo cicata la precisazione EWc; 'tOU &.va.a•t"ij· I Mach. 9,27 si ricorda il tempo «nel va.t 'ltPO<J>TJ'tTj'll 'lttO''tO'll. Pertanto alcuni quale era apparso loro per l'ultima volsostengono che la deliberazione popolare ta un profeta», ora finalmente, dopo tanvalesse soltanto finché il dono profetico te tribolazioni e tante lotte, con questo ora spento non si ravvivasse in un uomo principe sacerdote è apparso nuovamenispirato degno di fede e richiedesse una te un profeta, e quindi è presente l"età modifica costituzionale 229, mentre altri della salvezza' 234 • Inoltre se in I Mach. ritengono che I Mach. 14,41 rifletta l'at- 14,41 la deliberazione popolare circa il tesa di un profeta escatologico 230 che si principato e sacerdozio ereditario viene fatta dipendere dalla ratifica di un propresentasse come 'ltpoqrlj'tl)c; 'ltl.
121 I
ÈV
inteso in senso peculiare, partiticc:>-politico. Secondo la traduzione e la congettura di E. KAUTZSCH in KAUTZSCH, Apkr. 11. Pse11depigr. I 76. 229 Cosl, ad es., KAUTZSCH, op. cii. (-+ n. 228); contr11tia a questa interpretazione è però la formula precedente t!.t, >tÒv a!.Wva.
228
230 VOLZ,
Escb.
193; -+ SCHUBERT,
Religio11
66. 2.ll
Cfr. K. D. ScHUNK, Die Quelle11 des I tmd
II Makkabaerb11chcs (1954) 7-x5, con bibJio. grafia. 232 Cfr. pi\rticolarmcnte l'elogio poetico di Simone in I Mach. r4,6-l5. m In questo I Mach. si avvicina senza dubbio all'antica storiografia israelitica; cfr. anche Nom, op. cit. (~ n. 220) 343 s. .™ Per la presenza della 'salvezza' nella figura di un principe segnato dalla grazia divina cfr. G. WrnENGREN, Sakrnles Konigtum im A .T. und im Jude11t11m (1955) 17. Questo autore sottolinea il carattere sacrale della monarchia asmonea, ma a mio avviso esagera quando vi scorge una restaurazione della situazione prccsìlica.
5.35 (v1,8171
7tp0q>Tt'tl)ç
x;).. CI
ic-2
(R. Meyer)
1v1,11171 530
dpe e sacerdote, poiché egli in quanto La tradizione rabbinica è concorde nel tale è dotato del carisma profetico che riconoscere quale età classica dell'attivineanche i rabbini gli hanno contestato. tà dello spirito santo (-)o x, coll. 909 ss. Se infine secondo I Mach. 4,46 tocca ad 9r3 ss.) - sinonimo di spirito di proun pwfeta futuro decidere che cosa fa- fezia 236 - quel periodo della storia e. re con Je pietre del vecchio altare pro- braica che si chiude con la distruzione fanato, ecco che per i partigiani degli del tempio salomonico nel 587 a.C. QueAsmonei (~ .taooouxai:oç) con Giovan- sto periodo può essere detto l'età 'dei ni Ircano è sorto effettivamente un som- profeti anteriori'm_ Sota 9,l2: «Una mo sacerdote che ha l'autorità carisma- volta morti i profeti anteriori, cessarono tica di prendere decisioni legittime e va- gli utim e tummim)> 238 • Nel novero di lide in questioni riguardanti il tempio :w. tali primi profeti sono tutti i profeti, «e· sclusi Aggeo, Zaccaria, Malachia e i Jo. ro compagni» 239 • Secondo l' amoreo Jeho2. La tradizione rabbinica shua b. Levi (c. 250 d.C.) il profeta GeNell'ambito della tradizione rabbinica remia fu spinto a intonare le Lamentale cose stanno diversamente. Qui incon- zioni dalla distruzione di Gerusalemme, triamo una raffinata tiflessione teologica dall'incendio del tempio, dall'esilio e dal fatto che lo spirito santo si era alfontache mira a racchiudere il fenomeno pro- nato w_ Secondo alcuni rabbini lo spifetico legittimo nei limiti di un passato rito santo, ovvero lo spirito della profeideale, di un'età classica. A questo pro- zia, è anche una delle cinque cose che il secondo tempio ha in meno rispetto al posito va ricordato che la riflessione sul- tempio salomonico 2~1 • Tuttavia comunel'età classica del profetismo è stretta- mente si fa rientrare nell'età profetica mente connessa con l'elaborazione del anche l'epoca dei primi profeti postesilici, anche se non si esclude del tutto la concetto sinagogale di canone (~ v, coll. possibilità che pure in seguito venisse 1175 ss .), il quale trova la sua formula- concesso a qualcuno il dono della prozione definitiva nella prima metà del II fezia. Si parla allora di 'profeti posteriosec. d.C., quando si afferma la classifi- ri' e di un'età che non ha lo spirito profetico in misura piena, ma nella quale la cazione degli scritti sacri in Legge, Pro- volontà divina si fa comunque conoscefeti e Scritti. re con la 'figlia della voce' (bat qol} m. 2l5 Il personaggio antitetico è Alcimo, che ordina di abbattere il muro del cortile interno del tempio per distruggere «le opere dei profeti» h~ t'.pya. -r:wv 'ltpoqrn'\WV) e che viene quindi colpito dal giudizio divino: r Mach. 9, .54 s.; dr. sulla questione SCHURER I 225 s. 236 Per l'identìficazione dci concetti veterote· stamentari di 'spirito di Dio', 'spirito santo' con rt1ì1h haml'blì'a cfr. STRACK·BILLERBECK m :q ss. c.~ x, coll. 907 ss. 237 Questi profeti anteriori o antichi non vanno confusi con i 'profeti anteriori' e 'profeti posteriori' del canone. ™ STRACK-Bll.LERBECK 111 r3.
2.39 BARTENORA,
Mischnajjot, Seder Naschim
{1863) x24 a SoJa 9,12. 2o!O STRACK-BILLERBl!CK II l.33·
Taan. j. 2,1 (65a,6oss.) par.: «L'ultimo tempio ha avuto cinque cose meno del primo: ·il fuoco (celeste dell'altare), l'arca del patto, gli urim e turomim, l'olio dell'unzione e lo spirito santo». Autore di questa sentenza è R. Aha, vissuto intorno al po d.C.; dr. STRACK· BILLERBECK II 133. 242 bat qdl significa, nell'uso comune, eco; cfr. LEVY, Wort., s.11. Inoltre significa la parola (cfr. Dan. 9,23: «All'inizio della tua supplica usd una parola») o anche Ja voce (dr. Bar. syr. 241
.537 (VI,8J7)
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T. Sota 13,2: «Dopo la morte dei profeti 1321 ss.); infatti la legge ha carattere posteriori(~ n. 237) Aggeo, Zaccaria e tipico, nel senso di una filosofia della Malachia, lo spirito santo si allontanò da religione di tipo popolare-platonizzante. Israele (~x, colt 918 s.); tuttavia si fece In tale visione la legge contiene in sé giungere loro (scil. agli Israeliti) l'an- già tutta la storia della salvezza, i cui nuncio celeste mediante la bat qol» 243 • singoli stadi si attuano in questo monRitroviamo una concezion~ dogmatica do secondo il momento fissato da Dio 245 • Conformemente a tale concezione leg· simile in Ios., Ap. l,38 ss. (~ v, coll. I I 84 s. ): lo spirito profetico si è manifegiamo in Meg. b. qa bar. che «quaranstato ininterrottamente dai giorni di Mo- totto profeti e sette pl'ofetesse hanno sè fino ad Artaserse r (464-424 a.C.); profetato agli Israeliti senza togliere né ma, pur non negando da un punto di vi- aggiungere nulla a ciò che sta scritto sta dogmatico o in linea di principio che nella torà, con l'eccezione della lettura lo spirito profetico abbia operato anche del libro di Ester» 246• Secondo Mar Shedopo quell'epoca, Giuseppe nega che nel muel Ct 254 d.C.) nessun profeta è autoperiodo successivo si abbia «l'esatta suc- rizzato a dire qualcosa che non sia già cessione dei profeti». Inseriti nello sche- contenuto nella torà 247 e secondo R. Jema storico-salvifico risultante da tale hoshua b. Levi (c. 250 d.C.) Mosè ha concezione (che abbraccia un'epoca clas- già detto tutte le sentenze dei profeti e sica della profezia, il presente e il futu- «tutto ciò che è stato profetizzato in sero salvifico, caratterizzato dall'effusione guito proviene dalla profezia di Mogenerale dello spirito 244 ) i profeti non sè» 248 • Fino a quale punto la speculaziosembrano più le grandi personalità che ne prendesse la mano ai rabbini, è morappresentano lo spirito che opera e gui- strato da una lunga discussione di R. da liberamente, ma per il rabbinismo fa- Jishaq (c. 300 d .C.), che tra l'altro fa dirisaico la loro azione è comprensibile re al profeta Isnia queste parole: «Dal soltanto in connessione con la legge e in giorno in cui la torà è stata data sul Siintima dipendenza da essa (~ vn, coli. nai io sono presente e ho ricevuto que8,1: «Una voce dall'interno del tempio») che di regola 'esce' dal tempio celeste per ispirare gli uomini in una ben determinata situazione. In questo significato specifico è meglio non tradurre l'espressione bat qol. Si tratht infatti di una teologumeno molto diffuso, come mostra Philo, rer. div. her. 258: durante l'estasi nell'intimo del profeta «risuona un altro» (ùmixouv-toç htpou) (--+ col. 550). Per la documentazione cfr. STKACK-BILLERBECK, indice s.v. 'Himmelstimme' e --+ SCHUBERT, Re/igio11 21.1 n. 10, che rimanda a 'it1!iqlwpdih llmwdjt V (1953) 1-4. 24.3
Cfr. STRACK-BILLERBECK I
127 :
il plurale
mJmlin lh11 bbt qwl, che troviamo qui, rappresenta certamente un'allusione agli angeli che trasmettono agli uomini, attraverso la bat qol, la parola divina diretta a una precisa situazione o a una particolare persona. Si discosta un po' eia tale conce-.lione Sota b. 48b bar. (~ v, col. 1154) par.; STRACK-BILLERBECK I 133 e --+
SCHUBERT, Religion 6. 244 Cfr. N1m1. r. 15,25 a u,17: «Dio disse: 'In questo mondo solo alcuni hanno divinato, ma nel mondo futuro tutti gl 'Israeliti saranno profeti'» . Cfr. STRACK-BILLERDECK n 134 e - x, col. 917. HS Quanto tali concezioni potessero essere popolari è mostrnto, ad es., dall'esposizione di Ge11. 22,13 negli affreschi di Dura-Europos e nel pavimento a mos~ico di Ilct-Alfo; dr. R.
Betrach11mgen zu drei Freske11 der Sy11agoge vo11 D11r11-E11ropos: ThLZ 74 (1949)
MEYI!R,
30-34. Nella torà non si trovava alcun testo che giustificasse la lettura del libro di Ester nella festa di Purim; cfr. STRACK-IlILLRRBECK I 601 s. 2"6
247 Con riferimento a Lev. :z7,34 secondo Tem.
b. 16a.
m Ex. r. 42,8 a
32,7.
539 (v1,818)
7tp0(jl'~'\'Tlt; X'\'"À..
eI 2
(R. Meyer}
sta profezia; soltanto adesso Dio h,~ tanto per grado, non giR per natura. Di mandato me e il suo spirito 249• Fino ad conseguenza i profeti e i sapienti ven· ora non mi è stata data l'autorità di profetare» 250 • Cosi i profeti divengono i più gono a trovarsi sullo stesso piano e forantichi interpreti ddla legge autorizzati mano gli anelli di quella catena di pordallo spirito; essi hanno la loro ben pre- ra tori della 'legge orale' 253 che in Seder cisa e limitata collocazione nel quadro Olam rabba 30 (~ v, col. u85 n. 80) è del piano salvifico di Dio m. In questa concezione rientra l'insistenza con cui la sinteticamente descritta con questa bretradizione non si stanca di ripetere che ve sentenza: «fin qua (scii. fino all'epoca in realtà IsrAele ha avuto un grande nu- di Alessandro Magno) i profeti hanno mero di profeti: tutti i progenitori e tut· te le progenitrici furono profeti; ci fu. profetato nello spirito santo. Da o.ta in rono tanti profeti quanti furono coloro poi porgi il tuo orecchio e ascolta le pache uscirono d'Egitto; non ci fu in Israe- role dei sapienti». Quanto stretta potesle una sola città che non avesse profeti. Ma soltanto quella profezia di cui la se apparire l'associazione tra profeti e salegge ebbe bisogno per esplicarsi appie- pienti risulta anche dalle già citate (~ no venne scritta e inclusa nella storia coll. 538 s.) parole dell'amoreo Jishaq {c. della salvezza come momento indispen300 d.C.) che finiscono cosl: «Però non sabile 252 • soltanto tutti i profeti hanno ricevuto Affermazioni come queste, ispirate aldal Sinai la loro profezia, ma anche i sal'idea che nei profeti, per cosl dire, la pienti che sorgono di generazione in gelegge interpreta se stessa, ci spiegano nerazione: ciascuno di loro ha ricevuto senza difficoltà perché, nel modo rabbidal Sinai il suo». nico di intendere la Scrittura, i Profeti, In questo contesto anche la bat qol considerati come scritti sacri, non abbiaappare in una luce particolare: essa non no nemmeno lontanamente lo stesso rappresenta semplicemente il surrogato valore canonico della torà e~ v, col. dello spirito profetico attualmente per1196). Inoltre da questa visione deriva duto, ma piuttosto ne è la legittima conun'altra importante considerazione: se i tinuazione, nella stessa maniera in cui i sapienti sono gli epigoni dei profeti. profeti dell'età classica non sono, in fon- Corrispondentemente a questa visione, do, che interpreti della 'legge' i quali per es., la vittoria della linea di Hillel su parlano con l'autorità dello spirito e de- quella di Shammai nell'accademia diJamnia verso la fine del I secolo d.C. vono soltanto sviluppare ciò che essa già non è motivata con argomenti storico-racontiene, si distinguono dai 'saggi' sol- zionali, ma è ricondotta alla bat qt1! 254 e 249 Secondo ls. 48,16. 2.'iO Ex. r. 28,6 a 19,3 par.
Lev. r. 15 12 a 13,2: secondo R. Aha lo spirito santo si posa sul profeta solo 'a misura' (bmiq/) del compito a lui affidato. m Seder Olam rabba 21; altri documenti in STRACK·Bll.LERBECK II 130 s. 251
03 Nel trattato Abot abbiamo il tentativo dogmatico di dimostrare l'esistenza di una tale trnsmissione deUa tradizione; dr. ~ ScHU-
DRRT,
Religion
6 .2n
n. 11.
254 Cfr. Ber. ;. 1,7 (3b,73 ss.) bar.: le decisioni delle scuole di Hìllel e Shrunmai riguardanti la legge si equivalevano, ma una bat qol decise
54r (v1,819)
itpocpirr:·riç
X't̕. CI 2
quindi a divinazione. Una tale teoria, in virtù della quale i rabbini derivano la propria legittimità dal profetismo, è particolarmente interessante dal punto di vista della storia delle religioni, perché in questo modo in Israele vengono unificati due orientamenti, che di per sé non hanno nulla che fare tra loro e che anzi in linea di principio sono contrapposti 255 : il profeta è infatti sottomesso in primo luogo all'azione irrazionale e pertanto imprevedibile e spesso violenta dello spirito, mentre nel sapiente s'incarna lo spirito dell'ordine, della ragione, della saggezza e della prudenza. Tale peculiare associazione fu resa possibile perché nell'età postesilica i sapienti - e non solo quelli di tendenza farisaica 256 - divennero interpreti della legge e assunsero quindi la funzione che spettava al sacerdote o al profeta cultuale. Allo stesso tempo, come del resto già intravede l'autore di Zach. 13,2-6 (~coli. 527ss.), lo spirito profetico viene privato della sua violenza inquietante e imprevedibile e viene addomesticato: diventa un elemento divinatorio inserito nell'istituto sinagogale e al servizio di questo m. Certamente anche in questo caso la storia fu più forte del dogma. Da una parte c'era l'antico razionalismo del sapiente, fondamentalmente ostile alla natura profetica. Cosl si racconta come R. (e questo termine va certamente inteso nel senso di una ispirazione di gruppo) a favore dei seguaci di Hillel. Secondo R. Johanan (t 279 d.C.) l'accademia di Jamnia era il luogo dove 'usciva' la bai qol (bibnh i!'t bt qw/). m Tale opposizione di principio va sottolineata tanto per il primo giudaismo quanto per l'età preesilica. Di parere un po' diverso è J. F1cHTNl!R, ]esaja unler den Weise>1: ThLZ 74 (r949) 75-80. 2.56 Su questo punto cfr. R. MEYER, Die Bede11· trmg des Pharisiiismus fiir Geschicbte rmd Theologie des ]ride11trm1s: ThLZ 77 (1952) 677-684, spec. 68r s. m Questo aspetto si manifesta nel rito dell'or-
(R. Meyer)
(vr,820) 541
Hanina b . Dosa (c. 70 d.C.) abbia rifiutato di essere considerato un veggente per aver salvato qualcuno con la preghiera e la previsione 258 e come similmente R. Eliezer b. Ircano (c. 90 d .C.) non abbia voluto esser ritenuto un profeta, nonostante una sua predizione m . Quando agl'inizi della seconda rivolta giudaica, al tempo di Adriano, Akiba si presenta come profeta a Simone b. Koseba (~ coll. 555 ss .), urta immediatamente contro il razionalismo pessimista di Simone b. Torta. Ed è certamente nel ricordo delle amare vicende dell'ultimo tragico periodo della storia del suo popolo che l'amoreo Johanan b. Nappaha (t 279 d.C.) formula la massima sarcastica che dice: «Dai giorni in cui fu distrutto il tempio la profezia è stata tolta ai profeti e data ai pazzi e ai bambini» 2flJ. D'altra parte lo spirito, con la sua imprevedibilità, non si lasciava imprigionare in uno schema dogmatico e di tipo scribale: le grandi rivolte sotto Vespa· siano e Adriano non possono essere capite se si esclude la potente componente carismatica. Il primo fariseismo non solo fu intimamente impotente di fronte a questo fenomeno carismatico violento di tendenza escatologica 261 , ma talvolta gli dinazione mediante l'imposizione delle mani (smjkh ), che simboleggia la trasmissione dello spirito dal maestro al _discepolo. Cfr. BousSE.T-GR.ESSMANN 169; E. LoHSE, Die Ordi11atfon im -Spiiljudenlmn tmd im N.T. (1951) 54-56. 258 l59
]eb. b. 12rb;
STRACK-IlILr.ERDECK rr 627 .
Emb. b. 63a; STRACK-BII. Ll!Rlll!CK II 627. 2"0 B.B.b. 12b. D'altra parte questa tradizione viene ulteriormente elaborata con esempi di «profezia dnlla bocca dei bambini»; cfr.
STRACK-BILI.ERBECK I 607 . 261
A questo proposito Act. 5,34 ss. ci offre un esempio non solo particolarmente vivido, ma anche storicamente autentico: Gamaliele non
543 (VI,820)
ttpO
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2 - ![ I
(R. Meyer)
[VJ,IS20)
544
diede persino un contributo decisivo 262 • Tale constatazione impedisce però alla moderna analisi storico-religiosa di tro· vare senz'altro nella tradizione rabbinica la prova che il giudaismo dei tempi di Gesù e degli apostoli ignorasse del tutto o conoscesse solo marginalmente la manifestazione concreta del carisma profetico nelle sue diverse forme m.
che: digiuna 200, prega e si affligge con cenere e sacco. Al culmine degli esercizi ascetici gli appare 'l'uomo Gabriele', che già conosceva da precedenti esperienze estatiche, e questi gli partecipa una rivelazione (vv. 22b.23). In maniera simile a quanto avviene nelle visioni notturne di Zaccaria, un angelo fa da mediatore tra la reggia celeste e il veggente. Con una terminologia che mostra come la concezione rabbinica dell'uscita della bat qol dalla reggia o dal tempio celeste(~ n. 242) risalga a ben precise tradizioni, II. Le manifestazioni storiche del pro- si consente a Daniele di gettare uno sguardo nel fu turo: i 70 anni corrisponfetismo dono ad altrettanti settenni, di cui l'ultimo culmina nella malvagità di Antioco l . L'esperienza profetica secondo le fonrv Epifane e nella installazione della 'ati palestinesi bominazione della desolazione' tra il 167 In Dan. 9,r .2 s. 20-27 abbiamo la de- e il 164 a.C. Cosl il significato di un'anscrizione particolareggiata di una espe- tica parola profetica viene 'conosciuto' rienza pneumatica conseguente a una Jet· quando essa assume il suo senso pecutura contemplativa™ della Scrittura 265 • liare anche per il presente, che è ogni 'Daniele' si immerge nella lettura di Ier. volta anche momento escatologico, 'fi. 25,u s. e 29,10, dove si parla dei 70 ne': ciò che lo stesso Geremia non po:umi che devono trascorrere sulle rovine teva ancora sapere, Dio lo ha 'ora' rivedi Gerusalemme. Per raggiungere una lato a 'Daniele' mediante il proprio anconoscenza corretta, cioè non razionale gelo. Pertanto non solo 'Daniele' si troma pneumatica, del senso delle antiche va nella scia del profeta classico, ma gli parole del profeta, 'Daniele' si sottopo- è persino superiore, perché la concessione a tutta una serie di pratiche asceti- ne della 'piena comprensione' significa osa condannare in modo netto e assoluto il comportamento carismatico degli apostoli. Sulla questione v. HAENCHEN, Ag., ad I. 262 In genere si ritiene che il movimento degli Zeloti, contrassegnato da una forte componente carismatica, provenga dal fariseismo, che invece è più moderato (~ III, coli. 15o6 ss.). 263 Cosl, ad es., W. FORSTER, Nt.liche Zeilgeschichte 12 (1955) 16 s. Bo. 2b1 Nel concetto rabbinico di mdrJ è ancora presente, senza dubbio, un ricordo della meditazione contemplativa della Scrittura, nella misura in cui ìl termine si riferisce al processo ermeneutico. mdrJ risale ad una radice drl, che nell'ambito sacro indica l'interrogazione della divinità o la richiesta di un oracolo; cfr. GESE· Nms-BUHL e KoEHLER· BAUMGARTNER, s.v. 265 Per quanto segue ~ MEYER 43 s.
Anche i rabbini conoscono la mortificazione del corpo come premessa all'estasi; tuttavia già nella tradizione sono presenti momenti polemici. Sanh. b. 65b: quando R. Akiba arriva· va all'interpretazione di Dcut. r8,IO s. era so· lito piangere [e dire]: «Se lo spirito dell'impurità si posa su rolui che si priva del cibo perché lo spirito dell'impurità (rw~ h!m'b: cfr. Zach. 13,2) si posi su di lui, quanto più ciò dovrebbe essere vero per colui che soffre la fame perché lo spirito della purità si posi su di lui! Eppure che posso fare~ Infatti i nostri peccati sono la causa [che impedisce che ciò avvenga]!». Secondo il testo parallelo di S. Deut. § 173 a 18,12, autore di questa sentenza sarebbe invece Eleazar b. Asarja, un contemporaneo di Akiba, ma più vecchio di lui; dr. STRACK-BILLE RBECK Il 133.
266
allo stesso tempo l'adempimento dell'antica profezia. In I Qp Hab 7,1-5 si ha un'esegesi di Abac. 2,2 . Il profeta compare qui come cieco strumento di Dio, che ignora il fi. ne della sua profezia, il quale è invece ben noto al commentatore qumranita: il posso di Abac. 2,2 «Si riferisce al Maestro di giustizia, al quale Dio ha comu1~ic.ato t~tti i s.egr~ti delle parole dei profeti, suoi serv1torI» 267 • Avendo Dio svelato i 'segreti', vale a dire il significato escatologico degli oracoli profetici, al Maestro di giustizia, questi, quale interprete carismatico ovvero pneumatico è del pari il legittimo successore degli ~n tichi prnfeti, anzi è perfino superiore a loro,, gi~c~hé soltanto 'adesso', per mezzo d1 lu1, e venuto alla luce il significato recondito delle parole profetiche 268 • Allo stesso tempo questo testo mostra che non si deve dare un peso eccessivo alla tesi, spes~o ripetuta, che nell'età successiva all'esilio, dato il fondamentale e diffuso sentimento di essere puri epigoni, eventuali personaggi pneumatici dovessero necessariamente restare anonimi: infatti questo 'Maestro di giustizia', forse un oppositore di Alessnndro Ianneo (103-76 a.C.), nella sua comunità era senza dubbio un personaggio a tutti noto e da tutti venerato, nel quale «si era compiuto il tempo» anche se la sua apparizione non aveva segnato l'inizio della «fine estrema» (~ -rO.oc:;). Tale considerazione getta nuova luce 21>1 Per la figura del 'Maestro di giustizia' dr. F. NoTSCHER, Zur theal. Terminologie der Q11mran-Texte (1956) indice, s.v. ; -7 VAN DER WouDB, passim ; H. H. RowLEY, The Teacber a/ Righteausness and the Dead Sea Scrolls:
BJRL 40 (1957) n4-146. ;/:68 Per un giudizio psicologico-religioso su una tale figura di veggente, che è probabilmente di origine sncerdotale (1 Qp flab 94-7), è dcl tutto indifferente che la persona in questione ab· bia, da un punto .di vista storico, avuto 'ragione' o meno.
su Ios., beli. 2,159. Secondo lo storico giu?eo, le capacità divinatorie degli Essem erano dovute al fotto che sin dalla giovinezza essi si dedicavano alle sacre Scritture, a diversi riti di purificazione ed agli oracoli profetici. Gli Esseni giungevano dunque ad uno stato di conoscenza pneumatica grazie ad esercizi ascetici e allo studio contemplativo delle Scritture 269 • Il passo di rQpHab 7,r-5 permette dunque di comprendere più a fondo il modo in cui tali figure di veggenti intendevano se stessi, ovvero l'idea che ne avevano i loro contemporanei. Ma nello stesso tempo il materiale non rabbinico esistente mostra chinmmente che la teoria rabbinica secondo cui i sapienti sono i legittimi successori dei profeti ha i suoi presupposti storici in concezioni eh~ superano di molto i confini del fariseismo. Un altro genere di esperienza pneumatica si ha nell'interpretazione onirica 210 • In Ios., ant. 17,345 ss. (~ col. 553) si racconta ad es. che la caDacità didnatoria degli Esseni poteva m~nifestar si nell'interpretazione dei sogni. Ancora una volta è l'apocalisse di Daniele che ~semplifica il fenomeno descrivendo l'intt:rpretazionc estatica di un sogno. Nel racconto del delirio di Nabucodonosor (Don. 3,31-4,}4) 'Daniele' ascolta dap· prima la visione notturna del re e poi cade in estasi: restn muto per un po' e i suoi pensieri lo spaventano. Preso dalla forza dello spirito 271 , deve dire cose che us
-7
MEYER 43; ~ SqmBERT,
Religio11 77 s.
(qui anche i riferimenti ai testi di Qumran). 270
Per ii sogno come 'copia' (letteralmente 'a· vanzo', 'residuo': 1J6be/et) della profezia dr. Gen. r. 17,5 a 2,2 1 par., attribuito a R. Hnnina b. Jishaq (inizio del 1v sec.). Nello stesso contesto Rab (t 247 cl.C.) ritiene che il sonno profondo (trdmh) possa port:irc all:i profezia. 211 In Da11. 4,5 s. 15 si dice tre volte che «lo spirito di dèi santi» (rtiap 'e/iihin qaddiJin) è «ill» lui.
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\ . -,- - -,
Filone non si è limitato a riflettere sulla natura del fenomeno profetico. I suoi scritti, infatti, ci permettono di gettare uno sguardo sul contenuto dell 'esperienza profetica. Anche per Filone la torà è prototipo e punto di partenza di tutto l'evento salvifico 274 • In perfetta aderenza a tale concezione, i personaggi delInfine los., bell. 6,300 ss. ci presenta l'età patriarcale e .mosaica e poi anche un personaggio primitivo e violento, Ge- quelli della successiva storia d'Israele sù b. Anania, che si comporta in un mo- appaiono in misura notevole figure prodo che ricorda in tutto e per tutto il ti- fetiche 275 • Inoltre molte delle numerose po di profeta contro cui polemizza il osservazioni riguardanti le figure profedoppio oracolo di Zach. 13,2-6 (-7 coll. tiche antiche presentano una singolare 557 s.). attualità, cosl che l'esperienza profetica dello stesso Filone risulta tanto da tali 2. Il profetismo alla luce della teologia affermazioni quanto dalle discussioni di alessandrina carattere generale circa la natura della che spesso si rialMentre secondo la dottrina del rabbi- profezia e dell'estasi, 276 nismo farisaico la legge si dispiega, per lacciano ad esse • Mosè appare quale cosl dire, spontaneamente nei profeti e veicolo di rivelazione nel senso pieno nei loro legittimi successori, che sono i della parola: è re e legislatore, sacerdot(' saggi, nella teologia alessandrina che in- e profeta (ad es. vit. Mos. 2,292). Quan· forma il libro della Sapienza di Salomone do diede i comandamenti, Dio si limitò è invece la sapienza (-7
Cfr. le indicazioni in LEISEGANG, s.v. 7tpo·
m -+ MEYER
275
27l
144 n. 24. Secondo la traduzione di J. F1CHTNER, Die YVeisheit Salomos, Handbuch A.T. u 6 ( 1938) 30. 274 Per la coincidenza di 'legge' e ordine cosmico divino ~ vn, coli. 1317 ss.
216 DoussET·GRESSMANN
in
449-454.
Cfr. BousSl!T-GRl!SSMANN, indice s.v. 'A·
brah11m'.
nio dal quale «doveva uscire un intero popolo, anzi il popolo prediletto di Dio, al quale vennero assegnati, come mi sembra, per la salvezza di tutto il genere umano, i ministeri sacerdotale e profetico» 278 • Filone parla con eccezionale frequenza della natura del ministero profetico, mostrando la propria intima partecipa;done all'esperienza pneumatica. In rer. div. ber. 259 Filone afferma che la sacra Scrittura testimonia ad ogni saggio il dono profetico 279 ; questo rammenta Sap. 7,27 cd anche la concezione rabbinica del sapiente epigono ed erede dei profeti classici(~ coli. 540 ss.). Poiché per Filone, come del resto è sempre stato nel giudaismo, la sapienza include anche un predicato etico (~ crocpla.), ecco che i giusti sono forniti di spirito profetico 2 0 ; in proposito va forse ricordato che i rabbini fanno affermazioni simili per i giusti ed i timorati di Dio (~ x, coli. 9n ss.). Tra i giusti, che secondo la Scrittura sono anche profeti, Filone novera Noè, Isacco, Giacobbe e ovviamente Mosè ed Abramo (rer. div. ber. 260266). Tutti questi personaggi rappresentano però in fondo soltanto l'ideale per ogni vero pio, giacché, non appena que218
Cfr. la sentenza dì Hillel riportata in Shab. Jn quale gli I-
j. r 9,1 (17a4 ss.) par., secondo
sraeliti non sono più profeti, ma pur sempre «figli di profeti» (bn; 11b)'im); STRACK-BILLERBECK II 627. m 'lt(l.V"tL 81: "(Oç
du-.El
?tPO(jl'l)"tEl!r.V
o lEpbc; ÀÒ-
µap-.upEL.
Phllo, rer. div. her. 259 insiste csprcssamcn· te sul fatto che solo il sapiente (uoqi6ç), e non già il malvagio (q>a.vÀ.oç), partecipa dell'lv~ou
280
o-i.auµ6c;.
J. CoHN, Der Erbe des J. HEINEMANN, Die
2s1
Cfr.
L.
CoHN •
Golllicben, in Werke Pbilos von Alexandrien v (r929) 280 n. 2 con le ope·
re ivi indicate, particolarmente H. LmsllGANG, Der beilige Geist (1919) 209-212. 282 rer. div. ber. 249: Àvna. µav~w811c; mi;paVO~C1.'\I lµ?totoii
sti abbia raggiunto il sommo grado, diventa profeta 281 • Anche per Filone la strada che porta all'esperienza profetica passa per l'estasi. Secondo rer. div. ber. 249 ci sono, per la precisione, quattro gradi estatici: r. il furore folle che causa la pazzia 282 ; 2 . il profondo sgomento che si verifica al cospetto di eventi improvvisi 283 ; 3. la quiete dello spirito che si è placato 284 ; 4. la vera e propria esperienza pneumatica del possesso ed entusiasmo divino che è la caratteristica dei profeti: ~vì}Eoc; xo:.•oxwx'li -.E xo:.t µa.vla, 1i -.ò npocp'l)'t"txòv yÉvoc; Xpij't"OCt. Quando si trova all'ultimo stadio dell'estasi il profeta non dice nulla di proprio, bensl solo l'alieno, poiché in lui parla un altro: 1tpocp1J·rqc; yà.p rotov 1.~Èv oùoÈv &:ttocptMyyE-rrn, ocÀ.À.é't"pto:. oÈ 7t6:v·m Ù1tl}XOU\l'toc; E't°Épou (rer. div. ber. 259) 285 • Cosl il profeta è un semplice strumento di Dio per rivelare la sua volontà senza che l'uomo stesso sia consapevole di ciò che proclama (rer. dfo. ber. 266); figuriamoci poi se po~reb be capire ciò che dice mentre è invasato da Dio: oÙOÈ -yap, El À.É-yEt, OU\lrt.'tO:.t xa•rx.À.a..{3E~\I o yE xocux6µEvoc; ov"t"wc; xa.t Évi)ournwv (spec. leg. 1,65). D'altra pare niente rimane celato al profeta, perché parla Zacb. 13,2-6 e per quella di un Gesù b. Anania (-7 coll. 557 s.). UJ rer. div. her. 249: Ti l>è cr<pol>pà xai:a?tÀ."!)~~ç
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che nella letteratura rabbinica abbiamo trovato una concezione simile (-7 n . 270): quella del sonno profondo, che secondo R11b (t 247 d.C.) porta alla profezia (trdmt nbw'b). 285 .Cfr. inoltre praem. poetJ. 55. Si osservi l'uso di VltT)XE~v, 'riecheggiare', che chiaramente si avvicina al significato originario di bat qol (-7 n. 242). Tuttavia Filone colloca l'esperienz:1 pneumatica nell'intimo dell'uomo, mentre l'uso linguistico rabbinico si riferisce piuttosto alla voce che giunge al destinatario dalle rcgion i celesti.
5 51 (vr,823)
r.poq>iJTIJ.; x-rì... C
egli ha in sé un sole percepibile soltanto mentalmente e raggi senz'ombra: 'ltpo(j>lJ'tll &'ouOÈV &y\IWG''tO\I, EXOV'tL \IOl}'tÒV 'Ì'}À.Lov Èv a.ù'tQ xe.d &nxlovc; aùyaç (spec. leg. 4,192) . Filone descrive l'invasamento divino
(E.vi>oucna.G'µoc;) e l'esaltazione divina (1lElet. µocvloc) con In lingua di Platone,
il quale aveva sublimato nella propria filosofia la religiosità estatica dell'orfismo 286 • In pari tempo però nelle parole dell'Alessandrino traspaiono il mondo concettu aie e l'esperienza delle religioni misteriche del tempo m . Filone è perfettamente in linea col filosofo greco quando si. oppone categoricamente ad ogni tipo di sfrenata rozza estasi e sostiene invece una raffinata religiosità estatica. Tuttavia non sarebbe affatto giusto interpretare la concezione filoniana della natura profetica unicamente alla luce della sua formazione ellenistica, ignorando totalmente l'idea che della profezia e delle sue manifestazioni aveva il resto del giudaismo contemporaneo. Per quanto le affermazioni di Filone possano suonare platoniche o misteriche o essere influenzate da Platone o dai misteri, iri ultima analisi esse rimangono vincolate alla Scrittura, che rappresenta evidentemente per lui, da un punto di vista psicologico-religioso, la base dell'esperienza profetica. Pertanto egli attacca violentemente coloro che vogliono intendere la Scrittura letteralmente 1.88. Una tale polemica non·è dovuta soltanto al fatto che Filone è un fautore dell'interpretazione allegorica della Scrittura, bensl anche '.al fatto che egli è fautore della sua lettura 286 L'elementò nuovo per cui Filone si distingue da Platone è l'esclusione del voui;; BousSET-GRESSMANN 449· 2s1 BoussET-GRESSMANN 451 s.
288 Cfr.' cher. 42; BoussET-GREsSMANN 451 n. 2 . 289 Sulla questione dr. M. ADLER, V ber· die
II
2·Ja (K . Meyct)
\ Vl , O-"jJ ) )-"
contemplativa. Cfr., ad es., som. 2,252: «Tuttavia lo spirito invisibile (•Ò 7t\IEÙ· µoc ci6pcx."toV), che è solito muoversi in me senza che me ne accorga, mi sussurra nuovamente all'orecchio: - Ehi tu, mi sembri affatto ignaro di una cosa grande e importante; ora voglio generosamente rendertene edotto, giacché ti ho già fotto conoscere a suo· tempo molte altre cose» . Segue poi un'esegesi pneumatica sul tema della «Città di Dio» (Ps. 46 ,5), che si basa su di una i.spirazione superiore 2w. Certamente anche qui Filone usa il linguaggio del sapiente greco, ma per la sostanza non si distingue molto da posizioni si.mili che sono correnti in seno al giudaismo palestinese, anche se il mondo concettuale è in buona parte diverso. 3. Veggenti e profeti
Pur nella scarsità delle fonti, vi è una serie di personaggi storici che hanno avuto coscienza di essere profeti in uno dei tanti generi di manifestazioni provocate dallo spirito, o ai quali è stato attribuito un comportamento profetico. a) Come già si è accenn::\tO, ·specialmente gli Esseni godevano fama di possedere tra le loro file veggenti e profeti (~ coli. 545 s.). Cosl Flavio Giuseppe (ant. I 3,3 I I ss.) riferisce di un celebre veggente di nome Simone, che era evidentemente il capo di un 'intera scuola di pwfeti ~ e ave,va profetizzato la roTriiume· n , in J. HmNEMANN - M. ADLER, Die Werke Philos von Alexandrìell VI (1938) 269 nn. 1 s . Giuda .era scortato «dai suoi compagni e runici intimi, che si trattenevano presso di lui per imparate le predizioni dcl futuro»,·-+ MEYER 42 s. 143 ·n. 6; -+ ScHUDl!RT, Religìon 78.
.290
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vina all'asmonco Antigono, figlio di agli avversari del sovrano 29~. Profeti faGiovanni Ircano 1. Ancma secondo ani. risaici o rabbinico-farisaici compaiono, 15,373 ss. iJ veggente esseno Menahem, secondo le nostre fonti, in special modo un contemporaneo di Hillel, possedeva nei tempi inquieti che vanno da Vespail dono della predizione. Egli avrebbe siano ad Adriano. Negli anni precedenti predetto al giovane Erode una brillante lo scoppio della guerra contro Roma ebascesa, ma anche la sua empietà, e da be gran risonanza fra il popolo, secondo vero profeta, mentre camminava con lui, Flavio Giuseppe, un oracolo riguardangli avrebbe anche dato un segno 291 • te l'avvento di un signore del mondo. Giunto al vertice della sua potenza, Ero- · Poiché si diceva che quest'oracolo si trode si sarebbe poi ricordato del veggente, vava nella sacra Scrittura, sembra si poslo avrebbe fatto chiamare e poi riman- sa pensare a Dan. 7,13 s. 295 • Restava pedato onorevolmente dopo avergli posto rò dubbio se l'oracolo significasse salvezaltre domande. Flavio Giuseppe fa os- za o sdagllra per Israele. E anche la riservare in questo passo che Menahem e- sposta a tale problema la si ricercò non ra solo uno dei tanti Esseni che grazie già per via razionale, ma· pneumatica. alfa loro 'eccellenza' 292 avevano cono- Non sorprende, dunque, che anche per scenza di cose divine 293 • Infine in ant. l'interpretazione dell'oracolo vi fosse fie17,345 ss. (-7 n. 291) Flavio Giuseppe ra opposizione di profeti di salvezza e riferisce di un veggente, Simone, che a- profeti di sciagura. Fra gli ultimi, che in vrebbe predetto al figlio di Erode, Ar- tal modo varcavano al tempo stesso i chelao, interpretandone un sogno; la ro- confini del profetismo nazionale, Flavio vina imminente. Inoltre, nell'ambito di Giuseppe in bell. 3,351 ss_ annovera se questi veggenti esseni, anzi come figura stesso. Egli descrive il s_uo stato come dominante, si può annoverare il già ri- segue. Dapprima egli aveva sognato la cordato 'Ma.estro di Giustizia' (-7 col. sventura imminente dei Giudei e grazie 545), che possedette, insieme con i alla sua conoscenza delle. Scritture era suoi adepti, una coscienza escatolog~ca riuscito a precisarne il significato. Nel momento poi d~l supremo pericolo, domolto spiccata. b) Anche i Farisei annoverano profeti po che la città da lui governata, Jotapata nelle \oro fìlc. Flavio Giuseppe (ant. 17, in Galilea, era stata occupata dai Roma43 ·ss.) parla di un gruppo profetico di ni, egli si sarebbe rammentato dei suoi Farisei alla co1·te di Erode, appartenente sogni. In quello stesso istante sarebbe 291 ~MEYER 44292 A questo proposito
Giuseppe parla, alla greca, della xaÀ.oxa:yo.Dla del veggente: ant. 15, .379· ,. 291 Cfr. 1 QS rr,5-9, dove è detto che. si ere-
deva che i membri della comunità di Qurnran possedessero una chiaroveggenza divina che li accomunava agli angeli (b11i 1mim). 2:1-1 -7 MEYER 57 s . 2-13 -7 MEYER 52-54.
caduto in estasi e in quello stato di ra- ta adrianea 3Gl. In un tempo di grande pimento avrebbe compreso che doveva fermento politico Akiba, a quanto rifeannunziare a Vespasiano il dominio del risce il suo discepolo Simone ben Johai, mondo 296 • La narrazione di Flavio Giu- interpretava il passo di Num. 24,17 veseppe ha un parallelo significativo in dendo adempiuta la parola profetica «U· Gittin b. 56a.b: qui è Johanan ben Zak- na stella sorge da Giacobbe» nella figura kaj che, d'accordo con suo nipote, il ca- di Ben Koseba 305• In base a tutto ciò che po degli Zeloti, lascia in una bara Ge- sappiamo sulle esperienze estatiche di rusalemme assediata. Giunto nel campo Akiba, possiamo supporre che la sua coromano, saluta Vespasiano come impe- noscenza del 'vero' senso di Num. 24, ratore; di Il a breve tempo il suo saluto q, riferito alla situazione contingente, profetico è confermato da un annuncio si fondasse su ispirazioni pneumatiche. proveniente da Roma m. Solo cosl è possibile intendere l'efficacia I più diversi tipi di preveggenza 298 elettrizzante della sua designazione: vengono attribuiti dalla tradizione al pa- «Ecco il re, il Messia!» 306 e tutto il fatriarca Gamaliele II (T. Pes. 1 ,27 [c. 90 natismo destinato a portare a rovina si· d.C.] ), a Samuele 299, che allo stesso mo- cura. Ogni profeta è efficace solo se trodo per es. di Johanan ben Zakkaj 300 nel- va nel suo ambiente adeguata risonanza; l'ora della morte poté vedere il futuro, là ove regna la fredda ragione, i suoi ara R. Akiba 301 , a R. Meir 302 e, nell'età gomenti vengono meno. Anche Akiba successiva alla repressione della rivolta dovette farne l'esperienza. Il suo conadrianea, a R. Simone ben Johai 303 • Di temporaneo Johanan ben Torta non sub} particolare peso politico fu l'attività il suo fascino profetico e gli rispose: profetica di Akiba all'inizio della rivol- «Akiba, crescerà erba dalle tue mascelle, 296 ~
MEYER 55 s. m ~ MEYER 56s. 298 Per quanto segue ~ MEYER 58 s. m T . Sota 13, 4 par. Benché qui si narri una genuina esperienza profetica, pure si premette (evidentemente per una correzione dogmatica) che a Jamnia si era sentita una bat qol che aveva dichiarato Samuele il Piccolo degno dello spirito santo (r'wj lrwp hqwdJ). Lo stesso motivo è riferito poco prima (r3,3) a Hillel. 300 Sota j. 9,17 (24c,29 ss.) par.; Johanan non è considerato soltanto un profeta, ma anche un maestro della contemplazione scritturistirn che porta all'estasi: Hag. j. 2,1 (77a,49 ss.) par. JOl Lev. r. 21 18 a 16,3. 302 Sola j. I,4 (16d,<15 ss.) (c. 150 d.C.), con un carattere fortemente popolare e burlesco.
303
Sheb. j. 9,1 (38d,37 ss.) par. Per lo rivolta al tempo di Adriano cfr. H. BIETENHARDT, Die Freiheitskriege der ]uden unter den Kaiserfl Traja11 und Hadrian und der messia11ische T empelba11: Judaica 4 (1948) 57· 77.81-108.161-185; inoltre No11-1, op. cit. (30t
n. 220) 4or-406 e le opere ivi indicate. questa la grafia storicamente esatta del nome, che risulta dalle due lettere trovate nel wadi Murabba'àt. Ln.firma di uno dei due documenti è Jm'wn b[11] kwsbh nsi' jJr'/. Per una bibliografia aggiornata sull'argomento dr. H. BARDTKR, Be111erkrmge11 :w dcn beide11 Texte11 a11s dem Bar Kochba-Ari/slfmd ; ThLZ 79 (1954) 295-304; Noru, op. cit. (~ n. 220) 403 n. 2 . 306 Taa11. j. 4,8 (6Bd,50): din ht1/ mlk' mJi~'; dr. -> MEYI!.R 79 s. 305 È
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ma il figlio di David non sarà ancora ve- colare menzione un contadino incolto di nuto!» 307. Certo la voce della ragione nome Gesù ben Anania. Per la festa dei che parlava per bocca di Johanan ben tabernacoli del 62 d.C. egli andava per Torta non controbilanciò la parola en- Gerusalemme, che a quel tempo era in tusiastica di quell'uomo singolare e po- pace e nella prosperità, gridando incestente, che nella sua persona - un con- santemente e senza motivo apparente vinto 'am haare~ 3IJ8 d'un tempo - univa questa profezia di sciagura: «Una voce razionalismo nomistico, misticismo e dall'oriente, una voce dall'occidente, uprofezia, e che, secondo la leggenda, an- na voce dai quattro punti cardinali: dò alla morte per la sua fede professan- - Guai a Gerusalemme e al tempio! Guai allo sposo e alla sposa! Guai a tutdo l'unico Dio. e) Le manifestazioni profetiche non si to il popolo!» 312 • Arrestato dai capi giulimitano affatto ai gruppi degli Esseni e daici e consegnato come sobillatore al dei Farisei. Anche in altri campi profeti procuratore Albino, fu da questi riladi salvezza si affiancano a profeti di scia- sciato come demente, dopo una grave, gura :ioo. Flavio Giuseppe parla ad esem- ma vana, flagellazione. Per sette anni e pio di profeti di salvezza zeloti (beli. 6, cinque mesi il profeta di sventura portò 286), uno dei quali, quando ormai il turbamento in Gerusalemme. Durante tempio era alle sue ultime ore, spinse l'assedio di Gerusalemme rimase colpito alla morte 6000 uomini che si erano e ucciso dopo che alle sue solite parole raccolti in uno degli atri esterni per di minaccia aveva aggiunto ancora il griattendervi 'i segni della salvezza' 310• Nel do: «E guai anche a mc!». È questo genere della profezia di sciagura rientra senza dubbio un caso di quella esperienun'estasi collettiva che, a quanto riferi- za estatica genuina e spontanea che è sce Flavio Giuseppe, ebbero alcuni sa- sempre esistica in Israele e sempre è stacerdoti in una festa di Pentecoste negli ta considerata strana là ove i sacri testi ultimi anni di esistenza del tempio, du- costituiscono il presupposto di un'estasi rante la quale essi avevano sentito la sublime connessa con l'indagine contemcorte celeste abbandonare il tempio al plativa della Scrittura. grido: «Noi ce ne andiamo di qui» m. Tra i profeti di sciagura merita parti307 Taan. ;. 4,8 (68d,51): 'qjbh j'tw 'sbjm bll;iik uldjjn bn dwd l' jb'. 308 Pes. b. 49b: «Quando ero ancora un 'am biiiire! pensavo: 'Se avessi in mio potere uno scriba (tlmjd pkm), lo vorrei mordere come un asino». Cfr. R. MEYER, Der 'Am ba-Ares: Judaka 3 (1947) 179.
Bar. syr. 48,34-37 (~ n . 225) allude indubbiamente a questa tensione.
309
310
beli. 6,283 ss.;
~
MEYER .54 s.
bell. 6,299; ~ MEYER 50 s. 31Z Per la traduzione e per quanto segue cfr. ~M&YER.46 s.
31!
7tPOcini"l'TJ<; xù.
4. Il principe col munus triplex Accanto a veggenti e profeti in età ellenistico-romana troviamo il principe che ha doni profetici ed è presentato come sommo sacerdote col carisma della profezia. Nel quadro dello schema della corrispondenza tra tempo primordiale e tempo finale, nella sua persona si realizzano varie tipologie: da un lato Mosè, nella cui persona sono idealmente riunite qualità di governo, sacerdozio e ministero profetico 313 , dall'altro la figura prettamente mitica, primordiale-escatologica del re paradisiaco 314 • Sotto questa luce di principe spiccatamente carismatico è passato alla storia Giovanni lrcano I (135-rn4 a .C.) 315; cosl secondo Flav. Ios., ant. 13,299 Ircano morl «da Dio reputato degno dei tre supremi uffici: sovranità sul popolo, dignità di sommo sacerdote e carisma profetico» (cfr. bell. x,68). Secondo ani. 13,300 egli possedeva il dono profetico della preveggenza, e in ant. 13,282 s. lo troviamo dotato di doni carismatici in atto di svolgere nel tempio il suo ministero cultuale di sommo sacerdote quando improvvisamente intende qualcosa da comunicare tosto a tutto il popolo 316 • Con ogni probabilità ~ la stessa figura Cfr. Vou, Esch. 192 e~ col. .548. m Per la documentazione cfr. DoussET-GRnssMANN .260 s.; VoLZ, Esch. 191 s. 315 Per quanto segue ~ MEYER 60-70. 316 cpaO"tv i'cXP, lhL... cx.Ù"l'Òc, Év -rii> va4"> f}J. µtwv µovoc; 6'N tÌPXLEptùc; 1ixoùcrete cpwvljc;... xcx.t "\'OU"\'0 1t(lOEÀ.l>wv É~ "\'OU va.ou 1t0:V"l'L ..-0 nÀ:i}DeL q>cx.vepòv E'ltOlTJO"ev. Cfr. Le. 1 ,8 ss. 313
Cosl, seguendo W. BoussET,Die Tesi. XII, I. Die Ausscheidtmg der christliche11 Interpolationen: ZNW l (1900) 166; R. H. CHARLES, Thc Grcck Version of the Testaments of the Twelve Patriarchs (1908) 62-64; -> MEYER 64. Anche se in base ai reperti di Qumran è ab· bastanza certo che le parti più antiche dei Te-
317
e II 4 (R. Meyer)
{Vl,lSZC>J J bO
che ha fornito l'ispirazione alla versione greca di test. L. 8,n-17; 17,II-18,14 317, con la differenza che è ormai idealizzata e descritta secondo i canoni della divinazione del futuro dell'uomo, cioè secondo uno schema che conosciamo sia dalla letteratura sibillina diffusa in tutti i paesi del Mediterraneo orientale, sia dalle visioni storiche dell'apocalittica giudaica. Quale depositario del triplex m11m1s, Giovanni Ircano r appare così anzitutto antitipo escatologico di Mosè, e poi re paradisiaco che ridà all'umanità la condizione ideale degli inizi (test. L. 18,9 ss.) . L'opposto della riunificazione dei tre ministeri nell'unica persona cli un principe sacerdote dotato del carisma profetico può essere individuato nell'ideale escatologico della comunità cli Qumran cli ispirazione antiasmonea, secondo cui i tre ministeri sono clistribuiti su tre persone poste sullo stesso piano. Per I QS 9,7-II solo agli Aronniti - in senso più stretto ai Sadochiti cacciati da Gerusalemme(~ 1:aooouxai:oc;) - compete di esercitare il potere di giudicare la comunità e di amministrare il patrimonio comune «fino alla venuta di un profeta e degli unti da Aronne e Israele» 318• Il modello a cui si rifà questa att6sa ·escatologica dovrebbe essere ìl priin quale misura questi testi, ad es. test. L., siano stati utilizzati, mediante un'interpretazione secondaria, per legittimare l'ideologia monarchlca asmonea. A mio avviso i motivi pa-
ralleli tramandati da Flavio Giuseppe e· dai rabbini rendono probabile l'ipotesi di, una tale interpreta/io Hasmonaica . Di parere diverso sono invece, ad es., K. G. KUHN, Die beiden Messias Aarons und lsraels: NTSt 1 (1954/ 55) 168-179; ~ VAN DER WoUDE 210-216. Per 1 Q Levi cfr. J. T.MILIK, Le Testament de U vi en araméen: RB 62 (19.:i.:i) 398-4o6; DJD I 87·91 e le opere ivi indicate. Inoltre ~ l:aB· 8ovxa.i:o;.
stamenti dei xu Patriarchi sono di origine
QS.9,u : 'd bw' nbi' w1111il?i 'hrwn wjJr'J. A questo riguardo dr. DJD I 121 s.; KuHN, op. cit. (~ n. 317) 171; Né>TSCHER, op. cii.
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n. 267)
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mo periodo postcsilico così come si riflette in Zach. 4,14, in cui il profeta è il terzo consacrato di Jahvé accanto al sommo sacerdote Giosué e al davidico sovrano designato, Zorobabcle. A prescindere dal problema finora insoluto circa il ruolo attdbuito da r QS 9,n al profeta nell'attesa escatologica della comunità di Qumrnn di ispirnzione sadochita, in cui il sommo sacerdote viene gerarchicamente prima dell'autorità politica, si può comunque dire che il profeta a cui, secondo 4 Q Testimonia 5 ss., si è riferito il passo di Deut. r 8, I 5 ss. 319 (~ B III 3) va distinto dalle altre due figure messianiche 320 •
5. I profeti messianici Mentre il principe-sacerdote carismatico incarna nella sua persona la salvezza presente, il profeta messianico è proiettato nel futuro imminente. Costui e i suoi discepoli attendono la conferma di un miracolo che provi la legittimità del profeta e dia l'avvio all'èra della salvezza. Anche questi individui e i loro circoli sono convinti che gli eventi già prefigurati nella storia della salvezza d'Israele debbono realizzarsi nuovamente alla fine del presente eone. Pertanto i modelli del principe ideale sono Mosè ed anche Giosué, che secondo la tradizione ha condotto Israele dal deserto nella terra promessa.
J. M. ALLEGRO, Further Messianic Re/ere/I· ces in Q11mra11 Literature: JBL 75 (1956) 182-
319
187. Cfr. -> VAN DER WounE 186-189. Va ossetv11to che anche Simone b. Koseba (-> coli. 555 ss.) nvcva a fìanco un sommo sacerdote di nome Eleazaro, mentre Rabbi Akiba fungeva evidentemente 'da profeta: anche qui siamo quin· JZO
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Secondo Fhtv .- Ios., ani. r8,8 5 ss. nell'anno 35 d.C. sotto Ponzio Pilato comparve un sarnadtano che intendeva mo· strare ai suoi seguaci gli oggetti di culto del tempio che, secondo Ja leggenda, Mosè aveva nascosto sul monte Garizim. A quanto pare questo miracolo doveva provare che egli era colui che iniziava l'epoca ideale di Mosè contrassegnata dalla «tenda dell'alleanza». Comunque, questo fu il senso che il procuratore romano diede al movimento, e lo soffocò sul nascere 321 . Secondo ant. 20,. 97 s. sotto Fado incontriamo quel Teuda (~ vn, coll Boo s.), che ci è noto da Act. 5,36: «Egli si spacciava per profeta .e prometteva di dividere il :fiume e di permettere loro un facile passaggio». La prova miracolosa che Teuda promette alla grande folla, che lo ha seguito con tutti i suoi averi al fiume Giordano, rap· presenta l'attuazione escatologica del passaggio del Giordano avvenuto sotto Giosué (los. 3,15 ss.). Inoltre il prodigio è la premessa perché ora Teuda - quale Giosué redivivo - strappi il paese e la capitale ai Romani per riconsegnarle a Dio e al suo popolo. Cuspio Fado prese molto sul serio l'impresa utopica e sterminò Teuda e tutti i suoi seguaci 322• Un altro dei tanti esempi (ant. 20, i67 s.-; bell. 2,258 ss .) è quello menzio· nato in ant. 20,169 ss. Un profeta egiziano si offrl di ripetere su Gerusalemme la miracolosa conquista di Gerico da parte di Giosué (los. 6,16); dal Monte degli Ulivi voleva mostrare ai suoi adepti «come al suo ordine le mura di Gerusalemme sarebbero crollate. Attraverso di di in presenza di una divisione delle funzioni simile a quella che troviamo in Zach. 4,x4 e I QS 9,u. L'unica differenza è data dal fatto che, in rispondenza alla situazione storica, in primo piano abbiamo Simone, il principe se· colare. Cfr. anche ->VAN DER WoUDE n6. lll -> MEYER 82; STRACK-BILLERBl!CKU 479 s. ln
-> MEYER 83·85.
1tpOqn')'tTJ<; X't J... C Il
esse - così egli prometteva - li avrebbe fatti entrare nella città». Pare che tale profeta, apparso sotto il procuratore Felice (52-60 d.C.) e da lui sconfitto, disponesse di un largo seguito. Egli riusd a scampare aHa morte e stando ad Act. 2r,38 sembra che il popolo ne attendesse il ritorno 323 • Poco dopo che l'insurrezione sotto Vespasiano era stata schiacciata, secondo beli. 7>437 ss. a Cirene comparve un sicario di nome Gionata, il quale mostrò chi era inducendo i diseredati dcllà Pentapoli libica a seguirlo nel deserto, affinché davanti a loro potesse compiere «miracoli e mostrare visionh>. I giudei più ricchi, preoccupati per la loro vita e i loro averi, denunciarono il fanatico esaltato al competente procuratore Catullo, che ebbe facilmente ragione della schiera disarmata. Proprio il caso di Gionata illustra con chiarezza che il profeta escatologico non fa ricorso alle armi, ma ai miracoli; perciò anche il suo seguito è completamente disarmato 324• Dei tempi di Adriano non conosciamo alcun profeta; evidentemente Ben Koseba (-+coll. 555s.)aveva attirato al suo seguito tutti i nostalgici della libertà. Nell'età successiva, decisamente ostile ad ogni genere di carisma, era ufficiai· mente impensabile una qualsiasi figura di profeta messianico. Ma sotto la cenere il fuoco continuava a covare. Lo storico bizantino della chiesa Socrate narra che si ebbe un movimento di messianismo giudaico a Creta nel sec. v d.C. 325 • Qui comparve un individuo che si spacciava per Mosè redivivo sceso dal cielo per 32.l lii
-+ MEYER 85 s. -+ MEYER 86 s.
historia ecclesiastica 7.38 (ed. R. HussEY [1853] 822 ss.); -+ MEYER 87 s. 320 Cfr. ScHURER III 2,8-370; VoLZ, Esch. 162; BoussET-GRESSMANN, indice s.v. 'Apoka· lyptik'; H . RINGGREN, art. 'Apokalyptik r.n', 323
5 • lII ( !{. Meyer)
l Vl,1!21!) 504
ripetere il passaggio attraverso il mare verso la terra santa (cfr. Ex. 14,15-3r). Egli trovò numerosi seguaci e nel giorno stabilito si misero in cammino per attraversare il mare. Molti Giudei si gettarono in mare dalle alte coste cretesi e perirono miseramente. Quando poi si cercò il falso Mosè, questi era scomparso.
III. Gli scritti apocalittici Gli scritti 'apocalittici' (--+ v, coli. ss.), che si sono conservati contro la volontà e fuori della sfera d'influsso della sinagoga di tendenza farisaico-rabbinica, rientrano nella letteratura del periodo ellenistico-romano e possono, come tali, esser messi in rapporto coi movimenti in cui s'inquadrano profeti e veggenti della stessa età. Questi scritti costituiscono un fenomeno tipico del tardo giudaismo postesilico, che si chiarisce soltanto se si tien conto della si· tuazione spirituale e religiosa del giu· daismo stesso 326 • Le sue radici vanno ricercate in gran parte fuori d'Israele, precisamente nell'Iran e nei paesi del Me· diterraneo orientale. L'autentica apoca· littica di matrice iranico-indiana offre 'rivelazioni' sul sorgere, tramontare e succedersi delle età del mondo m. Assimilata in età persiano-eUenistica dal giudaismo che l'inserl nella propria concezione storica, la dottrina dei periodi storici diede infine origine a quello schema dei due eoni (-+ I, coll. 545 ss.) che doveva poi sopravvivere alla letteratura apocalittica e diventare patrimonio perenne della fede 3211 • 121
in RGG3 I 463-466 e la bibliografia ivi indicata. 327 G. WIDENGREN, Stand und Atlfgaben der iranischen Religionsgeschichte 1: Numen 1 (1954) 39·45; n: ibid. 2 (1955) 107-uo, con ulteriore bibliografia. 328 Cfr. R. MEYER, art. 'Eschatologie dentum', in RGG JH 662-66,.
111.
Ju-
Una seconda peculiarità essenziale IV. Il tramonto del profetismo dell'apocalittica giudaica è la consideraIn Israele non è mai esistita un"etìì. zione della storia quale vaticinium ex eventu. Questa 'storia in forma di fu- pr~fetica' come entità storica. Ogni proturo', che come 'predizione' narra j fetismo ha sempre dovuto subire il confatti anteriori al momento della sua trasto di correnti razionalistiche vive e composizione, probabilmente ha il suo feconde, cioè anticarismatiche, ma anmodello nel principio apocalittico pre- che da se stesso si è visto sempre riposupposto dalla oracolistica sibillina di sto in discussione dal problema della leorigine greco-orientale, che risale, com'è g.ittimità. Ma ciò che caratterizza pardimostrabile, al scc. vn1 a.C. e che eser- ticolarmente questo fenomeno in Israecita uno straordinario influsso sulle età le è la sua prodigiosa capacità di assumesuccessive 329• È probabile che !"antichis- re sempre forme nuove. Se infine le svasima veggente', che continuava ad atti- riate manifestazioni profetiche dell'età rare l'attenzione lungo i secoli, in epoca postesilica dovettero cedere a un razioellenistico-romana abbia spinto il giu- nalismo nomistico, ciò dipende da motidaismo a dare alle figure principali della vi storici facilmente individuabili. Mai storia della salvezza l'aspetto di procla- nella storia d'Israele come dono la mormatori di siffatte 'profezie'. Anzi tale as- te di Erode il profetismo era rimasto irsimilazione di vaticini da inserire nelle retito nelle vicende politiche. Dopo il proprie categorie era facilitata in quanto tramonto della ierocrazia di Gerusalemfin dall'inizio i tradizionali 'profeti scrit- me, che segnò una dura sconfitta per otori' offrivano spunti di riflessione sulla gni forma di carismatismo, il rabbinismo storia, benché in origine da presupposti farisaico poté dare origine a un patriardiversi. Oltre a questi aspetti teologici cato palestinese su basi nomistico-raziofondamentalmente rilevanti sotto il pro- nali. Si giunse cosl a stabilire un canone filo storico, l'apocalittica giudaica pre- fisso dei libri sacri(-? v, coll. u84 ss.) e senta speculazioni di vario genere. Tal- a respingere tutte le tendenze non corrivolta è espressione di veggenti che ci spondenti e inconciliabili con la norma comunicano le loro contemplazioni e le farisaico-rabbinica. Contemporaneamenloro esperienze(~ coli. 543 s.). In com- te fu eliminata tutta la letteratura che plesso ovviamente questa letteratura,.col usciva dai nuovi binari dogmatici e fasuo carattere spesso dotto e speculativo, vorito il trionfo del principio che i 'sagcoincide col profetismo contemporaneo gi' sono i legittimi continuatori dei prosolo in quanto le sue opere ci fanno co- feti(~ coll. 539 s.). Ciò nonostante l'innoscere qualche aspetto dei presupposti dirizzo nomistico, pur in tutta la sua coecosmologici soprattutto degli uomini renza, non fu abbastanza forte da soppriche, secondo lo schema di fede dell'ana- n:iere di colpo l'elemento carismatico, pelogia tra il tempo iniziale e il tempo fi- ricoloso particolarmente nell'ambito delnale, ritenevano di essere profeti mes- lo zelotismo. Divampò cosl la seconda insianici inviati per dare inizio al nuovo surrezione, a quanto pare sotto la guida spirituale di Akiba, che si presentò co. eone. me profeta(-? coll. 555 ss.). La radicale catastrofe e la politica romana di stermiInoltre questa letteratura ha influenzato anche dal punto di vista formale il giudaismo e il cristianesimo. Cfr. J. GEFFKEN, in HENNECKE 399-422; VoLz, Esch. 53-58; BouSSET-GRESS329
MANN 18
s.; EISSFELDT, op. cit. (-7 n. 223) 761
s. Qui c'interessa però in prima linea l'influen-
za sostanziale.
1tpOq>l]'t'flt; X't"A. LJ
r
I·J \"-'· rncuu<.111
nio durata fino all'editto di tolleranza scrutare l'animo delle persone che inemanato nel 138 sotto Antonino Pio de- contra (Le. 7,39). Nonostante questo titerminarono 1a fine di tutti i fenomeni di po di conoscenza non è un mago o un matrice pneumatièa: Con fatica poté es- indovino, ma per sua natura .il proda· sere riedificata 1a sinagoga, ma d'ora· in matore della parola di Dio. Tale. aspetto poi in essa il razionalismo nomistito pre- vale soprattutto per. i profeti delle covarrà al punto, che dietro a questa fac- munità paoline(~ coll. 569 s.). Poiché il ciata scomparve .il mondo policromo e messaggio dei profeti veterotestamentari ricco di tensioni che àveva costituito·Ia è fissato in libri, con 7tpOq>lJ'tTJ<; si può matrice della predicazione di Gesù·e dei indicare anche il libro del profeta (~ suoi apostoli. · col. 577).
R. D. PROFETI
MEYER
E PROFEZIE NEL N.T.
I. Uso e significato dei termini
2. 7Cpocpf]-ctc;, pro/e~essa, ric~rre solo due volte nel N.T. Benché neUe. t?rimitive comunità cdstianc vi fossero donne che avevano lo spirito della profezia (Act. 2,r7 s.; 21,9; I Cor. 11,5); esse non ricevono questo titolo (~ coll. 569 s.), che in Le. 2,36 viene invece attribuito alla giudea Annna (~ D III 4) e Apoc. 2,20 assunto arbitrariamente dalla seduttrice Jezabel (~ IV, coll .. 73r s.).
1. Di tutta la fo~iglia di vocah'l')'tEUW. Dei 28 passi in cui esso rirato. Prescindendo dalla menzione di Ba- corre, 11 sono dell'epistolario paolino. laam (~ II, col. 3·1) che troviàmo in 2 Come 7tpOq>TJ"tTJ<;, anche 7tpocp1J·n:ow ha Petr. 2,16 (cfr. Num . 22,18 con Num . 2.4, 1), vi è un solo passo del N.'f. in cui un vari significati. a) In senso ampio il verpagano riceve il titolo di pi:ofeta: Tit. 1, bo' si può parafrasare in questi tétmini: 12 1 dove viene cosl designato il poeta annunciare ·ra rivelazione comunicata al cretese (~ A n rn) Epimenide che aveva fama di possedere conoscenza di cose profeta, il messaggio di Dio (1 Cor. 11, divine e di poter predire avvenimenti fu- 4 s .; 13,9; J4,1.4 s. 39). Questo annunturi 330 • Per la rivelazi~ne conces~agli dal- cio può avere diversi contenuti, per cui lo Spirito il profeta biblico ha upa parassume vari significati ~peci6ci. b) Poiticolare conoscenza del futuro. Ciò vale il profeta conosce il futuro, 7tpoqn1ché per i profeti neotestamentari (Act; II, 28), ma soprattutto per quelli dell'A.T. -CEUW significa in particolare predire. Ad (~ çol. J78). Il profeta però conosce es., secondo l'immagine offerta dal N.T. anche il passato di uomo senza che nessuno gliene abbia in precedenza fat- i profeti veterotestamentari.(~ col. 578) to parola (Io. 4,19), ed è in grado di hanno predetto avvenimenti futuri (Ml.
in
un
3)(} PJat., leg. 1,642d.e ; Cic., divi11.
1 ,18,34;
Plut., Solo11
12
(1 84d).
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ì,6 par. Aft. r5,7; Mt. rr,13; r Pett. r, alle donne e si preferiva scegliere il ver10; Iudae 14); ma cosl hanno fatto anbo 7tPOq>TJ'tEUW che ne·indicava la funzioche Znccaria (Le. r,67), il sommo sacer- ne. g) In Mt. 7 ,22 7tpO
co; è un- insegnare, esortare, consolare (j)T)'tEla si . possono individuare diverse (r Cor. 14,3.31). Chi profetizza fa risuo- sfumature di significato: a) 7tpOq>'T)'tda. è nare l'appello divino a giudizio e a con- il carisma dell'annuncio profetico donaversione, che ad alcuni risulta molesto e to da Dio nlla primitiva ·comunità crifastidioso (Apoc. r r ,3 .ro) mentre con- stiana mediante lo Spirito. Di questo dovince altri dei loro peccati e-li induce ad no della profezia parla soltanto Pa~lo (r adorare Dio (1Cor.14,24 s.). e).In' Act. Cor. 12,ro; x3,2). In alcuni pas.si non è r9,6 il 1tpoc:prym)w, come indica la con- possibile distinguere con chiarezzi;t se nessione con À.a.À.Et\I y Àw
E.
BAMMEL,
'APXIEPEYl: IIPOHTEY-
nN: ThLZ 79 (x954) 355. • ·332 G. FRtF.DRICH, Beobachttmgen zur 111essia11ische11 Hohepriestererwarttmg ili de11 Synopt.: ZThK 53 (1956) 291 s.; di parere di-
verso è W. C. VAN UNNIK, Jest1 V erhohmmr,
vor dem Synedrium: ZNW 29 (1930) 310. 333 -7 FASCHRR
196.
334 PR1Zt1S CHEN-BAUER5 1
s.v.
1tpo1prrn1~
x-.À. D 1 4 - u 1 (G. Fricdrich)
di 7tpoq>l)'tEW. s'incontra prevalentemente nell'Apocalisse di Giovanni. In Apoc. 1 >3
7tpoq:n1-.Ela può essere tradotto diret-
tamente con libro delle predizioni, perché si parJa di OC\layLVWO"XEL\I -.oùc; À.6yovc; •ile; 1tpOq>1)'tElac; e -C'l'JpEt°v 'tà. tv mnfi "(EypaµµÉva. c) Jn quanto parofo del profeta, 7tpoq>11•da non si riferisce necessariamente solo al futuro, ma può anche contenere una istruzione autorita-
tiva del profeta, il comando trasmesso daJ profeta (I Tim. r,r8; 4,14). d) Dal]'accostamento di 7tPOq>1J'tElac; a -cà.c; 1}µÉpac; in Apoc. r r ,6 risulta che in questo passo con 7tpocp11nla s'intende l'attività dei profeti. Anche in 1 Cor. 13,8 ci si riferisce all'attività profetica. 5. L'aggettivo 7tpOQ>'ll'ttx6ç compare solo 2 volte nel N.T.: in Rom. 16,26 come attributo di ypacpal, in 2 Petr. 1,19 come attributo di À.Oyoc;. Con ò 7tpocp'l'}'ttxòc; À.6yoc; e ypa<pat npOCj>T)'tLxal si intendono gli oracoÌi dei profeti dell'A.T.
6. Il vocabolo lj/eu8o1tpocpl]'t1)c; (~ D vn) non è usato da Paolo. Nel N.T. si
feti senza che ciò risponda a verità. Secondo Mt. 7,15 si dànno contegno di profeti, ma sono in realtà dei mentitori. In Mc. 13,22; Mt. 24,24; I Io. 4,r, dr. 2,18 sono menzionati insieme con gli tVEU06XPLO"'tOL. Come lo IJJEuo6xpt(1'toc; non è un Cristo che diffonde falsità, ma un individuo che rivendica falsamente questo titolo 335, cosl lo pseudoprofeta è anzitutto un uomo che si arroga il titolo di profeta senza esserlo. Tuttavia proprio 1 Io. 4,1·3 mostra che lo pseudoprofeta è anche una persona che annuncia men?.Ogne; infatti egli viene ricono· sciuto come falso profeto perché sostiene una falsa dottrina. In 2 Petr. 2,r gli pseudoprofeti dell'A.T. sono paragonati ai falsi maestri del tempo presente, che introducono eresie funeste. Sono quindi uomini che annunciano lj/Euoij. In complesso però lo pseudoprofeta non si chiama così perché la sua dottrina e le sue predizioni sono menzogne, bensì perché rivendica ingiustamente di essere profeta. Comunque dal fatto che è un falso profeta il più delle volte deriva che dice anche cose false, ossia diffonde menzogne.
trova complessivamente l l volte, di cui 3 in Matteo e 3 nell'Apocalisse. L'interrogativo se lo pseudoprofeta sia un individuo che si spaccia falsamente per profeta di Dio oppure se sia cosl chiamato perché annuncia false dottrine (~ A 1 6) trova nel N.T. risposte diverse secondo il contesto. Nella maggior parte dei casi gli pseudoprofeti sono persone che rivendicano il diritto di essere pro·
1. Nel N.T. vengono citati per nome numerosi profeti veterotestamentari. Colui che è menzionato più spesso è Isaia: Mt. 3,3; 4,14; 8,17; 12,17; 13,14; 15, 7; Mc. 1,2; 7,6; Le. 3,4; 4,17; lo. 1,23; 12,38; Aci. 8,28.30; 28,25. Vanno poi aggiunti i passi in cui abbiamo il nome
m K. HoLL, Der 11rsprii11gliche Sin11 des Na·
me11s
Il. I profeti dell'A.T.
Miirtyrer: N]bchKIAlt 37 (.r9r6) 254.
di Isaia senza un termine del gruppo 7tpocp1)·n1c;: Io. l2.J9-4I; Rom. 9,27.29; 10,16,20; 15,12; oppure quelli in cui I-
saia è citato non col suo nome ma con l'appellativo di profeta: Mt. l,22; Io. 6, 45; Act. 7148 336 • Oltre ad Isaia vengono menzionati anche altri pwfeti: Samuele, l'ultimo dei giudici (Act. 13,20), secondo Act. 3,24 è il primo dei profeti in senso proprio, sicché con lui ha inizio la serie dei profeti. In Hebr. I 1,32 la successione storica è mutata e Samuele è collocato dopo David. Il cambiamento serve a sottolineare che Samuele va computato tra i profeti, tanto più che egli è collegato ad essi mediante xa.l, mentre David col "t'E viene computato tra gli eroi guerrieri della storia veterotestamentaria prima elencati. Peraltro in Act. 2, 30 anche David è considerato profeta (cfr. l,16; 2,25; Mc. 12,36; par. Mt. 22, 43). In 2 Petr. 2,16 è detto profeta Balaam (-?col. 567) e in Iudae 14s. ad Enoc (-? III, coll. 622 ss.; v, coll. 1201 Prescindendo dai casi indicati, nel N.T. abbiamo molte citazioni sia di Isaia sia del Deu· tero-Isaia introdotte semplicemente con yÉ· ypcx.7ti:CX.L o con espressioni sinùli: ad es., Mc. n,17 par.; Le. 22,37; Rom. 2,24; 3,15; 10,15; 11,26; 14,n; 15,21; 1 Cor. 1,19; Gal. 4,27; À.ÉYEL ·l) ypa:qrlj: Rom. 10,n, cfr. 2 Cor. 6,2; oppure À.ÉYEL xvptoc;: 2 Cor. 6,17, cfr. Aci. 13,34; Hebr. 2,12 s. Restano da ricordare le molte allusioni a testi di Isaia che troviamo nel N .T. 336
337 Elia compare molto spesso nel N .T. In ordine di frequew.a è al quarto posto dopo Mosè, Abramo e David (~ IV, coll. 83 ss.). È strano però che non venga mai chiamato profeta. Probabilmente allora non era affatto visto come un tipico rappresentante del profetismo, ma più come precursore (~ IV, col. 75 Ss,) O rappresentante del sommo sacerdote (~ IV, coll. 78 ss.). Se si prescinde da Act. 3,22 e 7 1 37, due passi che ricordano il profeta come Mosè di Deut. 18,15, neanche Mosè (~ col. 501; vn, coli. 808 s.) nel N.T. è mai chiamato esplicitamente profeta, benché abbia scritto di Cristo (Le. 24,44; Io. l,45; 546; Act. 3,22; 7, 37; 26,22 s.; 28,23) e sia l'archetipo del pro·
ss.), settimo patriarca dopo Adamo, si attribuisce un 7tpOq>TJ"t'EUEtv. Tra gli al-
tri profeti antichi solo Eliseo riceve questo titolo nel N.T. e precisamente in Le. 4,27 337• Geremia compnre per nome solo in Mt. e quale profeta propriamente solo nella citazione di Mt. 2,17, poiché la menzione in 2 7 ,9 è dovuta a uri erro· re di memoria(-? IV, coll. 734.738) 338 • Degli altri profcti·scrittori sono menzionati per nome e coll'attributo di profeti, una volta ciascuno, Daniele (Mt. 24,15), Gioele (Act. 2,16, cfr. Rom. 10,13) e Giona (Mt. 12,39} 33'1. Sono inoltre ci· tati come profeti senza che ne venga fatto il nome: Osea (Mt. 2,15) Wl, Amos (Act. 7,42; 15,15), Michea (Mt. 2,5, cfr. Io. 7,42), Abacuc (Act. 13,40, cfr. Rom. 1,17) e Zaccaria (Mt. 21,4, cfr. Io. 12, 15) J.U.
I profeti dell'A.T. sono la bocca per mezzo della quale Dio parla agli uomini: H.tiÀTJCTE\I ò ~Eòc; OLà. cr-r6µa.1:oc; 2.
feta messianico (- col. 562). Forse neanche in Le. 24,:q Mosè è posto nel novcco -dci profeti. quasi che bisognasse intendere il passo in que· sto modo: cominciando da Mosè, spiegò tutto ciò che i profeti avevano detto (cfr. KLOSTER· MANN, Lk., a
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......... -
'TWV a.yLwv c1:1t'a.lwvoç a.\rrov npocp'f)· 'TWV, «Dio parlò per bocca dei san-
ti c. antichi suoi profeti» (Act. 3,21, cfr. Le. x,70 e Act. 3,18). Matteo dice la stessa cosa con la formula: 'TÒ P'r!ftf.v
urcò xuplou Otà 'TOU 1tpOcplJ't'O\J À.Éyov-.oç, «quanto è stato detto dal Signore per mezzo del profeta con le parole ... » (Mt. l,22; 2,15), che equivale all'espressione veterotestamentaria: «Cosl dice J.ahvé» (~ B v). Colui che parla veramente non è il profeta, bensl Dio, che si serve dei profeti quando si rivolge al popolo. Dall'omissione delle parole Ù1tÒ xuplou in Mt. 2,17 si è dedotto 342 che Matteo non intendesse presentare la strage degli innocenti di Betlemme come un evento predetto e voluto da Dio. Però la formula abbreviata 'tÒ pT)i>Èv OL!Ì. 'TOU 1tPO
Mt.;
KwsTERMANN,
Mt.
e
W. Mr-
c11AEus, Das Ev. 11ach Mt., Prophezei (1948)
ad/. 343 Tuttavia colpisce il fotto che in Mt. 2,17 (fa strage degJi innocenti) é Mt. 27,9 (acquisto del'campo del vasaio coi 30 denari di Giuda) non si trovi né l'espressione lva. 'ltÀ:r)pwDjj (come in Ml. 1,22; 2,15; 4,14; 12,17; -zz,4) né
-- -
, - - - -- -
parola propria di Dio. Mentre nei sinottici il parlare di Dio mediante i profeti viene inteso interamente nel senso dell'A.T., nella Lettera agli Ebrei e nelle due di Pietro le cose stanno diversamente. Secondo Hebr. 1 ,1 Dio non ha parlato ai padri otà. 'tW\I 7tpoq>T}'t'WV, bensì Èv 'Toi:c; 7tPO
35), bensl
344 Cfr. bjd in Dam. 3,21 (5,6); 4,13 (6,9) .
parole oggetto di ricerca e di studio. Nelle loro profezie non solo essi parlano del Cristo (~ col. 578) bensì, secondo I Petr. l,II, lo stesso Cristo preesistente parla per bocca loro, poiché in essi inabitò lo Spirito di Cristo (-> col. 639) che li ispirò e fece loro pronunciare le parole. Forse Mt. 13,35 va inteso in senso analogo, di modo che secondo l'evangelista in ljJ 77,2 già pada Cristo. Secondo Io. 12,38 in Is. 53,1 Gesì1 si lamenta dell'incredulità dei Giudei. Questo modo di vedere corrisponde al logion apocrifo secondo cui Gesù nel vangelo ha detto: ÀaÀwv Év 'tote; 1tpo
o
3. I profeti non si sono limitati apredicare, ma hanno scritto o fotto scrivere le loro parole. yÉypa1t't'GtL OLÒ. 't'OV 7tp0qni't'OU, «è stato scritto per mezzo del profeta» (Mt. 2,5, cfr. Le. 18,31; Io. l, 4 5); al ypctq>a.Ì 't'WV 7tpO
«per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture» (Rom. l ,2); yÉypa;-1t'ta1 Èv -.0 'Hcra.t~ 't'@ 7tpocp1)'tn, «sta scritto nel profeta Isaia» (Mc. 1,2) oppure Èv Plf3).~ À6ywv 'Hcratou 't'OU 1tPO<J>lJ't'Ou, «nel libro delle parole del profeta Isaia» (Le. 3,4, cfr. 4,17; Act. 7,42); É1tpO
ypap.µÉvov Èv -toi:c; 7tpoq>1j't'a.LC,, «sta
scritto nei profeti» (Io. 6,45, dr. Act. 24,14). Ai libri profetici ci si riferisce con la formula «legge e profeti» (Mt. 5, lJ; 7,12; 22,40; Le. 16,16; Act. 13,15; 24,14; Io. 1,45; Rom. 3,21) o quando si menzionano i profeti e la legge (Mt. n, 13), Mosè e i profeti (Le. 16,29.31; 24, 27, cfr. Act. 28,23) o i profeti e Mosè (Act. 26,22) o la legge di Mosè, i profeti e salmi (Le. 24,44). Secondo Paolo i profeti dell'A.T. sono Scrittura; egli quindi ne introduce le citazioni per lo più con le parole xcd)wc; yÉypa'lt't<XL . 4 . Per il N.T. i profeti veterotestamentari sono uomini che hanno preannunziato ciò che in seguito s'è realizzato in Gesù e~ col!. 666 ss.; II, 646 ss.). I verbi usati a loro riguardo sono: 7tpOE1tayyÉÀÀE<1l>a~ (Rom. 1,2), 'ltpoopiiv (Act. 2, 31), 1tPOEL1tELV (Rom. 9,29;
2
Peti'. 3,2,
cfr. Aet. 1,16), 7tpoxcnayyÉÀÀEL\I (Act. 3,18; 7,52), 7tpoµap't'upEcri}aL (1Petr. 1, II) . Il prefisso 7tpo- in tutti que~ti casi non significa proclamare apertamente qualcosa (~ A I l), ma ha un univo· co senso temporale: preannunziare, predire(~ A I l). Secondo il Nuovo Testamento le predizioni dei profeti riguardano Gesù (Io. 1,45; Act. 28,23). L'annuncio di tutti i profeti, a cominciare da Samuele, mira al tempo di Cristo (Act. 3,24, cfr. 8,34). Egli è il compimento di tutte le promesse di Dio (2 Cor. l,20 [ ~ n, col. 690]). Secondo Le. 4,17 ss. Gesù applica a se stesso le parole di Is. 61,r s.: nella sua persona e nella sua opern giunge a compimento la parola profetica. Soprattutto Matteo mostta che i profeti hanno predetto
.,11;1 \ ..... , ......rt1
molti particolari della vita di Gesù 345 • La nascita verginale di Gesù e gli avvenimenti concomitanti (Mt. l,23), la nascita a Betlemme (Mt. 2,5 s.), il ritor· no dall'Egitto (Mt. 2,15), la strage degli innocenti in Betlemme (Mt. 2,17 s.), la scelta di Nazaret come luogo di dimora (Mt. 2,23), l'attività del Battista (Mc. l, 2,par. Mt. 3.J), la scelta di Cafarnao come luogo di residenza (Mt. 4,14 ss.), le guarigioni di Gesù (Mt. 8,17), l'opera soccorritrice prestata da Gesù di nascosto (Mt. 12,17 ss.), il discorrere in parabole (Mt. 13.J5), l'ingresso in Gerusalemme (Mt. 21,4 s.), la passione e morte di Gesù (Mt. 26,56, cfr. Le. 18,31 ss.; 24,25.44 ss.; Act. 3,18; ·13,27; 26,22 s.; I Petr. l,II). In altri passi del N.T.: la risurrezione (Le. 18,31 ss.; 24.44 ss.; Act. 2,30 s. ; 26,22 s. 27), la gloria di Gesù (Le. 24,25 s .; I Petr. l,I 1), la Pentecoste (Act. 2,16), ]'accoglienza dei pagani (Act. i5,15 ss.), la parusia (2 Petr. 3,2), il giudizio sugli empi (ludae 14 s.), l'à.1toxa.-cacr't'acr~<; escatologica (Act. 3, 21 ).
Ma non solo si realizza la salvezza annunciata dai profeti: si compie anche la riprovazione del popolo cli cui si parla nei profeti. Isaia ha già parlato dell'ipocrisia d'Israele (Mc. 7,6; Mt. 15,7) e della sua incredulità (Io. 12,38). Quando Gesù parla in parabole e non viene compreso, si compie la profezia di Isaia riguardante l'ostinazione d'Israele (Mt. 13,14, cfr. Act. 28,25). Anche l'acquisto del campo del sangue con le trenta monete d'argento di Giuda è già stato predetto (Mt. 27,9 [ ~ n. 343]). Come dimostrano i passi citati, al centro della prova scritturistica e in genere K. Wr::mm., Studien iiber den Einfluss dcs WIeissag1mgsbeweises au/ die eva11gelischc Geschicbte: ThStKr 83 (1910) 83-109.163-195. 3~5
346
Essi sono morti proprio come Abramo (Io.
dell'annuncio del primo cristianesimo stava la passione e la risurrezione di Gesù. Tuttavia la comunità cristiana vede già preconizzati nell'A.T. anche gli altri fatti della sua vita, le sue parole e le sue opere. Peraltro i profeti vanno letti rettamente e non interpretati a proprio arbitrio, come fanno gli eretici. 'ltacra. 'ltoprpE't'Ela. ypa.rpfjc; Uìla.c; ÈmÀ.UcrEwc:, où ylve:-ca.t, <
do se non ciò che i profeti e Mosè affermarono che sarebbe accaduto, cioè che Cristo soffrirebbe, e risuscitato per primo dai morti annunzierebbe la luce al popolo e ai gentili». Le parole dei profeti di solito non sono enunciate in forma di dichiarata profezia(~ coli. 640 s.), ma spesso contengono descrizioni di circostanze o addirittura trattano di eventi del passato che nel Nuovo Testamento vengono riferiti al presente, sicché si tratta più di prefigurazioni che di autentiche profezie. Per es. si considerano profezie l'enunciato storico È!; Alyu'lt'tOIJ ÈxciÀ.EO"« -.òv uì.6v µou, «dall'Egitto chiamai il fìglio mio» (Os. l1,1=Mt. 2,15), il pianto di Rachele per i Giudei fatti prigionieri (Ier. 31,15=Mt. 2,17 s.), l'annuncio dei benefici di Dio nella storia del popolo d'Israele (Ps. 78,2 = Mt. 13,35), il lamento del profeta per il culto formale del suo popolo (Is. 29,13 = Mc. 7,6 par. Mt. 15, 7 s.) e per l'incredulità dei suoi contemporanei (Is. 53,1=1o. 12,38). Gli autori neotestamentari non distinguono tra descrizione dei fatti e profezia. Essi non partono dal senso originario del passo, ma dal fatto concreto della 1'ealizzazione e poi cercano nell'A.T. ciò che serve al loro scopo. Non l'A.T . offre loro nuove conoscenze, bensl essi, partendo dal compimento, intendono gli enunciati veterotestamentari nel senso di profezie 347• J47
R. BuLTMANN, W cissagung und Erfiilltmg,
in Gla11be11 tmd Verstehe11 u (1952) 163-167; F. BAUMGARTEL, Verheiwmg (1952) 73-77.
5. I profeti veterotestamentari non sono per gli uomini del N .T. esclusivamente preannunziatori di fatti futuri. Essi sono citati dagli scrittori neotestamentari quali autorità che confermano la verità delle loro affermazioni. Nell'intervenire contro i cambiavalute e i commercianti nel tempio, Gesù si appella a parole dei profeti (Mc. n,17 par.). Is. 54,13 serve a Gesù per spiegare e confermare la sua affermazione che tutti saranno ammaestrati da Dio (Io. 6,45). Con le parole dei profeti si prova che Israele ha praticato l'idolatria (Act. 7 ,42) e che Dio non dimora nel tempio (Act. /,48). Tutti i profeti annunciano con decisione la remissione dei peccati nel nome di Cristo per ogni credente, dice Pietro nella casa di Cornelio (Act. ro, 43), e Giacomo giustifica l'ammissione dei gentili nella comunità con l'autorità dei profeti (Act. 15,15). Ad Antiochia Paolo ammonisce i Giudei che la parola profetica si compie (Act. 13,40). Si riportano dunque passi profetici per confermare importanti idee della predicazione e dar peso all'annuncio.
6. Con straordinaria frequenza nelle diverse parti del N.T. si narra che i profeti sono stati perseguitati e martirizzati dai Giudei(~ IX, coll. 430 s_). Nell'A.T. si accenna talvolta che i re, o anche il popolo, perseguitarono i profeti 348 • A quanUria, figlio di Semaia, fu ucciso da Joiachim (ler. 26,20-23). Zaccaria, figlio di Joiada, fu
343
lapidato nell'atrio del tempio per ordine del
to pare, negli scritti apocrifi era diffusa l'idea del profeta martire 349• Il cristianesimo primitivo e forse lo stesso Gesù hanno assunto questi concetti per illustrare le colpe dei Giudei contro Gesù e i cristiani (rThess. 2,15). Il destino del profeta è di morire a Gerusalemme: cosl pare si andasse allora ripetendo 350 (Le. 13,33 s.; Mt. 23,37). I Giudei sono non solo figli dei profeti e dell'alleanza (Act. 3,25), ma anche figli di coloro che hanno ucciso i profeti (Mt. 23, 31 ; Le. 6,23; n,47 s., cfr. Mt. 21,35; 22,6; Hebr. 11,36s.). In ciò i discepoli che sono perseguitati dai Giudei sono seguaci dei profeti (Mt . 5 ,I2). Perciò i profeti, che non temettero i dolori ma li sopportarono con pazienza, poterono essere presentati quali modelli alla comunità (Jac. 5,ro, cft. Hebr. 11,32-38). In Mt. 23,34 par. Le. IIA9 si cita una frase da uno scritto sapienziale apocrifo circa il martirio del profeta, frase che i due evangelisti cristianizzano in diverso modo e applicano alla loro situazione. In
Luca il titolo dello scritto giudaico è meglio conservato; infatti in Matteo le parole sono attribuite a Gesù . Viceversa in Matteo è più prossimo alla fonte il tenore delle parole, perché al modo giudaico vi si parla di profeti, sapienti e scribi, che Luca cristianizza in profeti e apostoli. Ma anche Matteo cristianizza la citazione aggiungendo la crocifissione in considerazione della morte di Gesù 351 • Mt. 23 ,29-35 par. Le. IIA7-51 è un tipico esempio di come il cristianesimo si appropria enunciati giudaici significativi per la propria epoca di persecuzione. Anche in Act. 7 ,52 si delinea il nesso tra uccisione dei profeti e crocifissione di Gesù: «Quale dei profeti non hanno perseguitato i padri vostri? Ed essi hanno ucciso coloro che preannunziarono la venuta del Giusto, di cui ora voi siete diventati traditori ed assassini».
re Joas (2 Par. 24,2r). Jezabel sterminò i pro· feti (1 Reg. I9A·13). Elia si lamenta con Dio perché «hanno ucciso di spada tutti i tuoi pro· feti: sono rimasto l'unico superstite e tramano per togliermi la vita» (I R eg. 19,10.14; Rom. u,3). Michea, figlio di Jemla, viene gettato in prigione da Acab (1 Reg. 22,27) e Banani subisce la stessa sorte per ordine di Asa (2 Par. 16,rn). La vita di Geremia è insidiata dagli uo· mini di Anatot (Ier. n,18·21). Il sacerdote Pashur, capo della polizia del tempio, fa bat· tere e mettere in ceppi Geremia (ler. :w,2). Dopo i discorsi nel tempio sacerdoti, profeti e tutto il popolo aggrediscono Geremia e lo dichiarano degno di morte (Ier. 26,8-II): «l superiori si adirarono contro Geremia, lo batti!-
rono e lo gettarono in prigione... Così Geremia fìnl n ella cisterna a volta e stette rinchiuso Il per lungo tempo» (ler. 37,15 s.; dr. 38, 4-6). A queste notizie si aggiungono poi le affermazioni più generiche: «La vostra spada ha divorato i vostri profeti» (ler. 2,30) e «ncd· sero i tuoi profeti» (Neem. 9,26).
III. Profeti precristiani Nel N.T . troviamo non solo profeti veterotestamentari e protocristiani, ma
l49 H. J. ScHOEPS, Die jiid. Prophetenmorde, in At1s friihchristlicher Zeit (1950) 126-143; H. A. F1SCHEL, Martyr and Prophet: JQR 37 (1946) 265-280.363-386; ~ 1x, coli. 430 s., nn.
470 e 471, 350 ~ BARRETT
351
97.
E. HAllNCHllN, Mt. 23: ZThK 48 (1951)
53 s.
nell'antefatto del vangelo di Luca uomini e donne giudei che vengono espressamente designati come profeti o caratterizzati come tali per il loro modo di comportarsi e di parlare. r. Za:xrx.pla<;... È1tÀ:11itTl nvEuµa't'oc;
à:ylov xat È:1tpoq>lJ't'EVtrEV, «Zaccaria ... fu ricolmo di Spirito santo e profetizzò» (Le. l,67). Dopo queste parole introduttive il Benedictus è per Luca non la lode personale di un cuore traboccante di gioia né un prodotto letterario desunto dalla tradizione, bensì una profezia ispirata dallo Spirito santo. Per la conoscenza che gli è stata concessa dei misteri del disegno divino di salvezza Zaccaria annuncia la volontà salvifica di Dio, che fra poco si sarebbe attuata. Che si tratti di predizione di eventi futuri è indicato dai futuri XÀ.1}tH1011. '!tpO'!tOpEVOlJ (v. 76), ÈmoxtlJiE'tat (v. 78). 2. Nella descrizione dell'incontro di Elisabetta con Maria non si fa uso del gruppo di vocaboli che fa capo a '!tpOq>l]'tEVW. Ma quando di Elisabetta si dice esattamente come di Zaccaria (~ sopra): È1tl1}11i}11 '!tVEuµa:toç &:ylou e si continuo con le parole avEq>W\IT}trE\I xprx.uyfi µEy
3. Anche per Simeone non si fa uso del gruppo lessicale di rcpocpl)'t'Euw, ma nemmeno nel suo caso v'è dubbio che egli sia da considerare profeta: 'lt\IEuµa. liv éiyiov bt'av'to\I (Le. 2,25), cioè su di lui posava lo spirito profetico (SttackBillerbeck n I47). Di lui inoltre si natta che gli era stato predetto dallo spirito che non avrebbe visto la motte finché non avesse contemplato l'unto del Signore (2,26). Infine egli si reca Èv 'ti;> 'lt\IEU· p.a.'t'i al tempio, in Gesù riconosce il Messia e su di lui pronuncia parole profetiche. Tutto ciò indica inequivocabilmente che Luca vuol descrivere Simeone come un profeta. 4. Al contrario di quanto avviene per Zaccaria, Elisabetta e Simeone, AMa viene definita esplicitamente profetessa (Le. 2,36). A parte ciò, si dice poco della sua attività profeticà. Il fatto che sia chiamata profetessa non significa che si sia presentata al popolo con aMunci di condanna o di grazia, come gli antichi profeti, ma probabilmente è stata considerata come tale perché possedeva il dono di prevedere e preaMunciare cose future. In quanto profetessa nel bambino Gesù presentato al tempio riconosce il Messia. Con la sua confessione di lode conferma le parole di Simeone. Il fatto che ella parli di Gesù a tutti coloro che attendono la liberazione di Getusalemme (Le. 2,38) significa che annuncia Gesù come Salvatore escatologico. Questi uomini e queste donne non sono ancora cristiani, sono semplicemente pii ebrei, ed è singolare che siano tutti in un certo rapporto col tempio. Zaccaria è sacerdote, svolge funzioni cultuali e secondo il contesto profetizza al mo-
mento della circoncisione del figlio. Elii:.abetta è moglie di un sacerdote. Simeone parla quando Gesù è presentato al tempio. Di Anna si dice esplicitamente che «non si allontanava dal tempio e serviva Dio con digiuni e preghiere giorno e notte» (Le. 2,37). In queste figure di profeti ai confini tra giudaismo e cristianesimo, profetismo e tempio non si contrappongono ma si accordano 352 • IV. Giovanni Battista r. In tutti gli strati della tradizione
dei vangeli Giovanni Battista è definito profeta, sia nella fonte dei racconti (Mc. II,32 par. Mt. 2r,26 e Le. 20,6) sia in quella dei logia (Mt. u,9 par. Le. 7,26), in Matteo (r4,5), come in Luca (r,76) e Giovanni ( r ,2r.25). Secondo i racconti dei vangeli, persone molto diverse intravedono in Giovanni un profeta. Secondo Mc. 11,32 par. e Mt. r4,5 è questa l'opinione comune del popolo. In Io. l ,2I .2 5 persino la commissione d'inchiesta del sinedl'io lo interroga a questo riguardo. In Le. r ,76 viene chiamato 7tpo
Guy 29.
353 ~ BARRETT
31; G . W. LAMPE, The Seal o/ thc Spirit. A Study i11 the Doclri11e o/ Bap-
La vocazione di Geremia è introdotta dalla formu1a "t'Ò pfjµrx -çoi) 1'Eov o ÉyÉVE"t'O É'ltt lEpEµta.V •ÒV 't'OV XE).xtou e da una precisa determinazione cronologica ottenut~ mediante l'indicazione dei regnanti (ler. 1,1 s., cfr. Os. r,1; Ioel r,r; Mich. 1,1; Zach. 1,1; 2 Sam. 7,4; r Reg. 17 ,2 .8). Allo stesso modo in Le. 3,1 s. la descrizione dell'attività del Battista viene inquadrata cronologicamente mediante l'indicazione delle autorità politiche e religiose e con la formulazione di stampo veterotestamentario: ÈyÉ'VE't'O pljµa. ~Eou Éni 'Iw&.vv11v "t'Ò\I Za.xa.plou ut6v, «1a parola di Dio fu rivolta a Giovanni figlio di Zaccaria». Anche la predicazione del Battista corrisponde a quella dei pro· feti, perché annuncia il giudizio dell'ira di Dio e proclama l'esigenza di una conversione radicale(~ VII, col. II73). Secondo Mc. 1,2 par. è l'ultimo dei profeti prima della venuta del Messia e al tempo stesso è compimento della parola profetica annunciata. Secondo la descrizione di Mc. 6,17 ss. Giovanni ha affrontato il suo sovrano quale autentico profeta israe1ita. Come Samuele parlò a Saul (r Sam. 15,ro ss.), Natan (2 Sam . 12,1 ss.) e Gad (2 Sam. 24,u) a David, Ahia alla moglie di Geroboamo (r Reg. 14,7 ss.), Jeu a Baasa (r Reg. 16,r ss.) ed Elia ad Acab (r Reg. 21,17 ss.), quando costoro commisero ingiustizie, cosi Giovanni Battista alza la sua voce quando il suo re contravviene ai comandamenti di Dio. Secondo i vangeli, Giovanni dà prova di essere profeta anche predicendo il futuro. Non solo annuncia l'imminente giudizio dell'ira (Mt. 3,7 ss.) ma, secondo Mc. r,7 s., preannuncia il Forte che verrà dopo di lui. Infine c'è da chiedersi se il battesimo di Giovanni non sia da considerare un'azione profetica (~ col. 591)3s3. tism a11d Con/irmatiot1 i11 the N. T. a11d thc Fathers (1951) 22 ; Io., The Holy Spiri/ in the Writi11gs of St. Luke, in D. E. N1NEHAM, Studies in the Gospels (1955) 168; W. F. FLE-
3. Pare èhe in origine Giovanni Battista non fosse considerato solo come precursore del Messia. Dalle fonti si ha l'impressione che fosse più di un comune profeta (Mt. u,9), una figura messianica. Almeno i suoi discepoli, e forse anche una parte dei Giudei, l'ha considerato l'atteso profeta escatologico (~ col. 560).
a) La peculiarità del Battista emerge chiaramente nell'antefatto del Vangelo di Luca. Ciò che di lui si dice in Le. 1,14 ss . ha carattere messianico-escatologico. L'annuncio della sua nascita è un evangelo (1,19): ~ III, col. 1054. Essa non solo causa la gioia dei suoi genitori (xapà xaì ò:yaÀ.À.la
s. 354 H. J. lfoLTZMANN, Die Sy11opt., Handcommentar ZL1m N .T.1 (1892) ad l. con rimando a Gen. 10,9. 355 K. H. R.ENGSTORF, Das Ev. nach Lk., N.T. Deutsch 3• (1958) ad l. Ios., a11t. 20,97 a proposito di Tcuda dice: 7tpoc:pirn1ç yàp E)..EyEv Elvat. A tale notizia rorrisponde Act. 5,36 (cod. D): ).lywv E!val 't'Wcx. µÉyav fo.v't'6v. Cfr. Aci. 8,9, ove a proposito di Sìmon Mago si legge: Mywv Elval -twrx. tav't"Òv µÉyav. 22
P. VrnLHAUER, Das Be1il!4ict11s des Zacharias: ZThK ·49 (1952) 266. 3S7 ~ Cuu..'MANN 20; cfr. test. B. 9,2: ~wc; ou 356
sta. µÉyaç non descrive il carattere del1'uomo 354, ma è una perifrasi di profeta 355 , Che Giovanni non sia chiamato solo µÉyac;, bensì µÉyac; Évwmov xuplou, intende significare che egli è profeta di Jahvé. La formulazione equivale a 1tpoq>1)·-n1c; ùtfilcr-tou (Le. x,76) 356 e secondo test. L. 8,15 'profeta dell'Altissimo' è una designazione del salvatore escatologico 357 • In Le. l,78 Giovanni è detto OCVC't"tOÀ."Ì"} È~ vljlouc; l53. Al popolo della salvezza egli dona la redenzione col perdono dei peccati e porta luce e pace nel mondo delle tenebre e della discordia. Nell'antefatto del Vangelo di Luca, Giovanni è descritto inequivocabilmente come colui che con la sua nascita, le sue parole e il suo operato porta al popolo d'Israele l'èra della salvezza escatologica (Le. 1,16 s.) (---? m, col. 1054). b) Forse anche il suo battesimo nel Giordano va visto alla luce della sua attività di profeta escatologico. Il suo non era un battesimo di proseliti, perché il battesimo giudaico non era per nulla escatologico, ma serviva ad accogliere i gentili nella comunità cultuale giudaica, non richiedeva battezzatori e di solito avveniva in un locale per bagni 359 (---? x, coli. 1504 s.). Né può essersi trattato di un rito esseno di purificazione, perché l'acqua fluviale non era particolarmente adatta a puriOu\jJLO"'t"Oç à.?tcO"'tElÀ.1) 't"Ò O"W'tTJPLOV aihoii E1tLO"X07tU µovoyEvoiiç 7tpoq>1)'t'ov. 358 VIELHAUER, 3511
op. cit.
(~
ÉV
n. 356) 266.
T. M. TAYLOR, The Begimiings o/ ]ewish
Proselyte Baptism: NTSt 2 (1955/ 56) 193-r98 suppone che il battesimo dei prosclitì abbia avuto origine soltanto alla fine ciel I sec. o all'inizio del n. Per tutta la questione nei suoi diversi aspetti dr. H. SAHLIN, Swdie11 Ztl/JJ 3. Kap. des Lk., Uppsala Univcrsìtets Arsskrift (1949) rr2 s.; ]. ]EREMIAS, Proselyte11ta11/e tmd N.T.: ThZ 5 (r949} 418-428; W . MICHAEus, Ztm1 jiidiscben Hintergrrmd der ]ohamu:s· tat1/e: Judaica 7 (19;;1) 81-.r20.
591 (v1,839)
1tpoqn'l-cTJ<; x.TÀ.. D 1v 3b-c (G. Fricdrich)
ficazioni rituali (~ x, coll. 1502 s. 1535 ss.) e Giovanni non poneva esclusioni come gli uomini della setta si rivolgeva a tutti e a tutti dava il battesimo senza lunga preparazione, col solo presupposto che confessassero a lui i loro peccati 300 • Infine non era una abluzione da rinnovate spesso per ottenere e conservare 1a purità, ma costituiva un atto unico che il Battista compiva su coloro che in atteggiamento di penitenza accettavano l'annuncio escatologico di salvezza. Tenuti presenti questi aspetti, è logico considerare il battesimo di Giovanni un atto simbolico del profeta escatologico. Come i profeti messianici conducevano il popolo al Giordano per mostrare colà i segni che avrebbero confermato la loro messianità (~ col. 562; III, col. 895; vu, coll. 800 s.). cosl Giovanni si presenta col suo annuncio presso il Giordano ed ivi battezza. Forse da questi presupposti si deve intendere l'accenno alla veste e al cibo del profeta. Marco, che descrive in modo molto conciso e sommario l'attività di Giovanni, ricorda esplicitamente che il Battista indossava una veste di crine di cammello, portava una cintura di pelle e si cibava di quanto offriva il deserto (Mc. l ,6). Se egli menziona in particolare questi aspetti a tutta prima molto secondari, si deve dedurre che per lui sono importanti per comprendere e giudicare quest'uomo. Dal vestito e dal cibo Giovanni fa comprendere di essere un uomo del deserto, e dal deserto viene Mosè, il redentore escatologico (cfr. Tg. ad Ex. 12,42 [Neofiti I] : Mosè sale dal deserto). Il battesimo di Giovanni è un segno profetico-escatologico di tipo particolare. Va notato che anche Paolo collega il battesimo col periodo di permanenza d'Israele nel deserto (1 Cor. 10,x ss.) e ciò è 360 I
QS 3.4 s.: «Non può santificarsi in mari o fiumi». Cfr. K. SCHUBERT, Die Gemeinde vom Toten Meer (1958) 51 s. u2; M. BURROWS, Mehr Klarheit uber die Schriftrollen (1958)
ancor più sorprendente perché, a motivo della correlazione Mosè-legge, Paolo evita di mettere in rapporto Mosè e Messia, e di Mosè parla più in chiave polemica che tipologica (~ VII, coll. 820 s.) 361 • Se, ciò nonostante, vede il battesimo dei primi cristiani in collegamento con Mosè, significa che questa tematica risale ad un'antica tradizione che considerava il battesimo un atto profetico-escatologico.
In Io. 1,25 il battezzare di Giov~nni appare come prova della sua attività messianica. Infatti la delegazione ufficiale dei Giudei gli chiede perché battezzi, se non è l'Unto né Elia (~ IV, col. 87) né il Profeta. Evidentemente non lo si considera un qualsiasi profeta; la domanda: «Sei tu il profeta?» (Io. l,21) intende molto esattamente: - Sei tu il profeta come Mosè, promesso da Deut. 18,15, che verrà alla fine dei tempi a portare la salvezza (cfr. Orig., comm. in Io. 4,7 e lJ)? c) Anche Erode ha considerato il Battista un pericoloso profeta escatologico. Secondo Flav. Ios., ani. 18,1 I7 ss. Erode non l'ha messo a morte perché Giovanni l'aveva rimproverato del suo matrimonio irregolare, ma perché temeva che potesse provocare una insurrezione. Poiché l'invito a penitenza del Battista trasmesso dal vangelo non offre alcuno spunto a mutamenti dinastici e a rivolgimenti politici, si deve ritenere che per Erode Giovanni non fu soltanto un rigoroso moralista, ma anzitutto un profeta messianico che col suo messag~io spingeva a radicali mutamenti politici 62 • 49·
Die Decke des Moses: ZNW 49 (x95s) 21 s. 2.ps.
361 S. ScHULZ,
362 ~ MEYER 90 ~-
Forse un indizio di questo modo di vedere è rimasto in Mc . 6 1 14 (par. Mt . I4,2 e Le. 9,7), dove si narra che la folla in Gesù vede Giovanni redivivo. Se immediatamente dopo la morte _del Battista s'è diffusa la voce che egli è risorto dai morti, non è probabilmente a motivo della credenza popolare che l'innocente assassinato torna sulla terra 36.ì, ma perché si era convinti che Giovanni era stato un personaggio del tutto singolare. Se si parla degli efficaci poteri taumatutgki del risorto e se Giovanni col suo ritorno dai morti viene collocato sul piano dell'Elia redivivo, ciò significa che in lui si è vista la figura del salvatore escatologico 364 • d) Importanti per comprendere il Battista quale profeta escatologico sono gli enunciati di Mt. II,9.IIa.13 che con-
tengono dati d'antica tradizione. Secondo il v. 9 Giovanni è pitt di un normale profeta. Il senso originario di questo detto di Gesù, sicuramente autentico, dev'essere che Giovanni è il portatore escatologico di salvezza 365 • L 'intel'pretazione è confermata dal v. rra (par. Le. 7 ,28), in cui Giovanni, in un logion che suona scandaloso alla sensibilità del cristiano, è definito il più grande di tutti gli uomini che mai siano nati da donna. Controverso è il senso del v. 13. Poiché in Le. 16,16 si trova in un contesto completamente diverso, la frase va considerata un logion disperso della fonte dei logia, che - probabilmente meglio conservato nel suo tenore letterale da Matteo è stato da questi inserito nella testimo· nianza su Giovanni 366 • Luca ha semplificato e cristianizzato il logion 367 • In Mat-
363 HAUCK, Mk., ad l. 364 O . CULLMANN, Le
masco avesse veramente atteso il ritorno del Maestro di giustizia, dovremmo trovare nel Documento tracce ben più consistenti di tale speranza. Cfr. ~VAN DER WouoE 71 s. 365 ~ CuLLMANN 23; CuLLM/\NN, Le prob/è. 111e <~ n. 364) 237. Quando in LIDZBARSKI, ]oh. 7!l 12 s.; 80,11 s. 25 s. leggiamo che Gio· vanni deve ricevere il Giordano ed essere chiamato profeta in Gerusalemme, queste espressioni richiamano alla mente l'attesa giudaica del profeta escatologico. 366 A. HARNACK, Zwci \'(/orte Jes11: SAB
problème Jittéraire et hìstoriqt1e dt1 ronUl/1 pse11docléme11ti11, Études d'Histoire et de Philosophie religieuses 23 (1930) 238; ~ CULLMANN 33 s.; ~ RrnsENFELD 142. Tuttavia non si può associare il ritorno del Battista alla tesi che nella setta di Qumran si contasse «sul ritorno escatologico del defunto Maestro di giustizia», come sostiene ~ RIESENFELD 142. È assai dubbio che il passo di Dam. 6,10 s. (8,10) parli della risurrezione del Maestro di giustizia, come pen· sano, ad es., G. MoLIN, Die Rollcn von E11 Fesha und ihre Stel/1mg in der jiid. Religio11sgcschichte: Judnic:a 7 (1951) 20.is .; CH.RA· DIN, The Zadokite Doc111ne11ts (1954) :z3,n n . :z; J. M. A L LEGRO, Die Botschaft vom Toten Meer (1957) n9.14r; ~ SCHUBERT, Messiaslehrc 180 s. e altri ancora. Contro una tale in· terpretazione si possono far valere obiezioni sia linguistiche sia storiche. Il verbo 'md nel Do· curnento di Damasco no~- significa in nessun altro luogo 'risorgere', ma è sinonimo di bw' e significa 'apparire'. Se la comunità di Da·
(1907) 956. 367
Di parere diverso sono M. GOGUEL, Jea11 Baptiste (19:z8) 66; E . LoHMEYER, Das Urchr. (1932) 20 n.1 ; W.G. KiiMMEL, Verheissung tmd Er/11/lu11g, AbhThANT 63 (1956) II5; J. ScHMID, Das Ev. 11ach Mt. 2 (r95:z) ad l. L'espressione insolita 'it!iV't"Eç ol 'ltpoqifi't"IX~ xo.t b v6µoc; di Matteo diventa in Luca la formula corrente 6 vbp.oc; xixl ol 1tPOq>Tj'tlX~ (-+ col. 578). Luca fa sparire la difficile espressione È· 1tpoqriinuuav, dando cosl alla prima parte d-::1 detto un chiaro senso temporale: l'età della
595 (VI,!S4J)
7tpDq>TJ't"TJ<; X't'/..,
u rv
30 \ u.
1'r1ecmcn}
teo si trova l'csptessione ewç 'Iwci:vvov É7tpocp1yn:uuav, che è difficile da inter-
ni». Poiché la traduzione letterale di 7tpo
non era ancorn
eù~yyé)..iov.
368 A. MERX, Das Ev. Mt. (1902) ad l .; SCHLc\1'TllR, Erl. ad l.; LoHMEYER, op. cit. (~ n. 367)
20; ~ OTTO 79. 369 KLOSTERMANN, Mt., ad l.; ~OTTO 79. 310 ScHLATT!lR, Erl. e ScHLATTER, Komm. Mt.,
adl. 371 PASSOW, 372 ].
s.v.; MAYSER II 2,522 .525.
WEiss, Die Predigt Jesu vom Reiche
Gottes1 (1900) 195; A. FRIDRICHSEN, Zt1 Mt. II, II-IJ: ThZ 2 (1946) 470.
l'iferimento a Giovanni. Con le loro affermazioni essi si riferiscono a lui, di modo che egli è il compimento di tutte le voci profetiche. Come in Le. la legge e i profeti profetizzano Gesù (Le. 24,27; Act. 26,22; 28,23, cfr. 3,24 e Io. 1,45), cosl in questo antico logion evangelico essi hanno profetizzato Giovanni. Luca dovette omettere 1tpocpri-te:ue:w, perché era in contrasto con i suoi principi teologici. Quindi Giovanni non è un profeta di realtà future che rinvia a ciò che verrà dopo, ma è lui stesso il portatore di salvezza, che dà inizio all'era nuova 373. e) Contro la valutazione del Battista rimasta viva presso i suoi discepoli anche dopo la morte di Giovanni prende posizione varie volte il N.T. Attraverso la disposizione della materia nel suo vangelo dell'infanzia Luca esprime una superiorità di Gesù rispetto a Giovanni, che in origine non era contenuta nei testi 374• Verso la fine dell'età protocristiana si perde di vista che il Battista possedeva lo Spirito (-7 col. 589) (Mc. 1,8; Act. 1,5; 19,2) 375• Quindi la vocazione di Giovanni dovette esser ridotta a quelE. KAsEMANN, Das Problem des historischen Jesus: ZThK 51 (1954) 149; G. BORN· KAMM, Jesus von Nazareth (1956) 46. m VIELHAUER, op. cit. (-+ n. 356) 264 s. 375 M . DIDELIUS, Jungfrauensohn tmd Krippenkind, in Botschaft und Geschichte I (1953) m
4· -+ CULLMANN 24. M. DIBELIUS, Die t1rchr. Oberlieferung 0011 Johannes dem Taufer (1911) u; cfr. Pseud.Clem., recogn. 1,60: Et ecce tmus ex dircipulir Joba1111is adfirmabat, Christt1111 Johan11em fuisse, et 11011 Jesum; in ta11t11m, inq11it, ut et ipse Jesus omnibus hominibus et prophetis maiorem esse prommtiaverit Joham1em. Si ergo, 376
377
la di profeta, in analogia ad altri profeti dell'A.T. (-7 col. 588). Il titolo di Kyrios ora non va più attribuito a Dio, ma a Cristo (Le. r ,76) 375 e cosl il battistrada di Dio diventa il precursore di Cristo. Secondo Io. r,2r.23 (cfr. Act. r3,25) Giovanni stesso rifiuta con decisione la pretesa di essere il profeta. Egli è semplicemente la voce di uno che grida. Anche nella redazione di Mt. II ,10 ss. si rifiutano pretese profetico-messianiche e Giovanni è dichiarato Elia redivivo. L'affermazione che Giovanni è più che un profeta (Mt. u,9) è spiegata con una citazione da Mal. 3, 1 . Poiché il v. r 1 si collega meglio direttamente al v. 9 e anche Le. 7 ,2 6 cod. D ha questa sequenza e solo dopo colloca la citazione, si potrà supporre che Mal. 3,1 sia stato aggiunto in seguito per limitare le pretese messianiche dei discepoli di Giovanni 3n. Anche il detto che elevava Giovanni al di sopra di tutti gli uomini ( v. II") doveva essere ridimensionato. Dato che il versetto r 1b si trovava già in Q, la polemica contro Giovanni è antica. Se sulla terra egli può essere chiamato il più grande di tutti gli uomini, nel regno dei cieli il più piccolo sarà a lui superiore. Con ciò si dice che Giovanni è ancora fuori del compimento escatologico, e non è affatto pensabile che egli sia il profeta escatologico (-7 III, col. 1054) 378• Infine inqt1it, maior est 011111ib11s, sille dubio et Moyse et ipso Jesu maior habendus est. Q11od si omnium maior est, ipse est Christus. E ancora (1,54) : Ex discipulis Joha1mis, qui videbant11r esse magni, segregartmt se a populo, et 111agistr11m mum veluti Christum praedicartml. 378 D1Bl!LIUS, op. cit. (-+ n. 377) 13; LoHMEYER, op. cii. (~ n . 367) 19 n . I . MtCH!ll. (-+ VII, coll. 238 s.) e-+ CuLI.MANN 23 nn. ;.i. 31 cercano in ogni modo di rendere plausibile la tesi proposta da F. DrnnLIUS, Zwei Worte Jes11: ZNW II (19ro) 190 secondo cui il det· to dovrebbe significare che Gesù, il quale ora è ancora il minore perché discepolo del Battista, diventerà più grande di Giovanni alla venuta del regno di Dio.
599 (vr,842)
T.poqin·n1ç r.-r>..
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l'ardita affermazione. che tutta la Scrittura con le profezie parla di Giovanni ( v. l 3) viene ridotta al senso che le profezie riguardano Giovanni quale Elia redivivo (v. q). Come indicano le parole d ilÉÀ.E'tE OÉça
V.Gesù I. Ad un controllo statistico la designazione di Gesù come profeta non risulta particolarmente frequente nel N.T. Nella fonte dei racconti si trova solo due volte : Mc. 6,15 (par. Le. 9,8) e Mc. 8,28 (par. Mt. 16,14 e Le. 9,19). Mc. 6, 4 (par. Mt. 13,57; Le. 4,24; Io. 4>44) non rientra in questo contesto, perché Gesù in questo passo non si definisce profeta 379 ma per mezzo di una frase proverbiale paragona la sua sorte a quella di un profeta. In Q Gesù non è mai presentato come profeta; come tale invece compare due volte nel materiale proprio di Matteo (21,11.46) e relativamente spesso in Luca (7,16.39; 24,19 ; Act. 3,22 s.; 7,37) e in Giovanni (4,r9; 6,14; 7,40; 9,17). In Luca va inoltre preso in considerazione 13,33, dove Ge379 Il .
Diversamente intendono WEtss, op. cit.
<~
372) 159 e MICHAELIS, op. cit. <~ n . 342)
3c - v
1
11..1. rneoricni
sù dice: «È impossibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme». Anche in questo caso, come in Mc. 6,4, non si tratta di un titolo che Gesù si attribuisce, bensi della citazione di un'opinione comune. Ma poiché Gesù non solo accetta quest'idea ma si accinge a realizzarla, si inserisce nella schiera dei profeti. Nella maggior parte dei casi il popolo vede in Gesù un profeta (Mc. 6,15 par.; 8,27 s. par.; Mt. 21,1i.46; Le. 7,16; Io. 6,14; 7AO). Talvolta sono singole persone a designarlo in questo modo: la samaritana (lo. 4,19) e il cieco nato (Io. 9,17). Il fariseo Simone vaglia criticamente la verità della voce secondo cui Gesù sarebbe un profeta e giunge a un risultato negativo (Le. 7 ,39). Anche in Io. 7 ,5 2 i Farisei rifiutano con la massima decisione Gesù come profeta per motivi teologici (-7 col. 6n )_Viceversa in Le. 24,19 si narra che alcuni discepoli l'hanno considerato un profeta e in Act. 3,22 Pietro vede in Gesù il profeta promesso da Deut. 18,15; cosl fa anche Stefano in Act. 7 ,37. Nessuno dei quattro evangelisti usa il titolo quando parla di Gesù con parole proprie e, a prescindere da Le. 13,33 e~ V. sopra), nemmeno Gesù si definisce mai esplicitamente profeta. Con ciò non si vuol negare che il titolo di profeta attribuito a Gesù in origine fosse più frequente di quanto appaia dalle testimonianze degli evangelisti 38.'J. ad l. 3so ~
GuY 62 .
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2.
v.i.,v~;,1
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Le concezioni riguardanti Gesù co-
me profeta sono quanto mai disparate. In Mc. 6,15 Gesù è probabilmente desi-
gnato come uno dei comuni profeti d'allora (-?>col!. 552 ss.), non un profeta veterotestamentario381 e ancor meno il profeta escatologico 382, se di lui il popolo dice: O'tL 7tpocp1yt1]c; wç EL<; -cwv 1tpocp11-rwv. EL<; non è qui il numero cardinale, ma ha il senso del pronome indeterminato 't'Lç 383 • Si considera Gesù come un profeta alla stregua di uno qualsiasi dei profeti che comparivano qua e là. Così pure in Mc. 8,28 (par. Mt. 16,14) non s'intende il ritorno di uno dei profeti della Scrittura, se in forma abbreviata di lui si dice: Elç -cwv 1Cpocp11-rwv. Anche in questo caso dç non ha valore numerale e non significa l'unico dei profeti, ossia quello preannunciato da Mosè 384 , ma, come in Mc. 6,15, è sinonimo di 'tL<;, di modo che Gesù viene considerato un profeta comune 385 . Un profeta ha il dono soprannaturale di conoscere i fatti nascosti(~ n. 400). Qiiando Gesù svela alla samaritana alcuni particolari del passato di lei, agli occhi della dorina egli è Eri.; ] . Wmss, Schr. N. J. ScHMm, Dar Ev. 11acb Mk.' (1954) ad l. ; ~ CuLLMANN 33 s. 31U Cosl ~ CuLLMANN 33 s. Egli appoggia la lezione occidentale (cod. D e altri) che trnlasda wc; e ha solamente le parole Elc; 'tW\I 'F.PO<JlT)'tCJV. In questo modo Gesù non viene paragonato ad uno dci profeti, bensl identificato con lui, cioè con uno dei profeti dell'A.T., senza precisare se si tratti cli Mosè, Ei10c, Geremia o qualche altro. Gesù sarebbe cosl uno dci grandi profeti che alla fine dei tempi viene in terra nelle vesti di salvatore messianico. 381
Cosl
T.;
LoHMRYER,
ScHLATTER,
Mk.
e
•
-
_,
... -
• -
---
------1
un profeta (Io. 4,19). Più diffidente è Simone il fariseo: «Se costui fosse un profeta, dovrebbe sapere chi e qual donna sia» (Le. 7 ,3 9). È vero che si rivolge a Gesù con il titolo di &t&actxaÀE, sorprendente in bocca a un fariseo, ma difficilmente ha visto in Gesù il profeta escatologico che adduce In promessa èra della salvezza JU. Egli dubita che Gesù sia un profeta. Nel corso del colloquio poi Gest1 gli mostta di conoscere molto bene il passato della donna e di poter scrutare il cuote di lei e dell'interlocutore.
3. In alcuni passi Gesù è paragonato a profeti veterotestamentari o addirittu· ra identificato con uno di loro. Le. 9,8 muta l'espressione wc; EL<; .. wv 'Itpoqn1'tW\I di Mc. 6,15 in TIPO<J>TJ't"ll<; -etc; 't'WV àpxalwv, di modo che Gesù non rientra più nella schiera dei profeti del suo tempo, ma è equiparato ai profeti dell'epoca classica. Lo stesso passaggio avviene per Mc. 8,28 nei paralleli Mt. 16,14 e Le. 9, r 9. Anche in questo caso Luca ha 'Itpo· <J>TJ'ti'J<; ne; 't'WV àpxalwv, mentre seconMa probabilmente il testo occidc:1tale non va preferito quale lectio dilficilior. 383 ~
384
vn, col. 791 n. n9; -+ Gu.s Cosl -+ BORNHAUSER 129.
2 r.
385 ~ MEYER I I.
Cosl ScHLATTER, Komm. Lk., ad I. L:i lezione 'ltporpTJ'tTJ<; del cod. B esprimerebbe proprio questa idea. Tale lezione va però considerata secondaria, perché gli altri codd. non avrebbero certo diminuito il \•:ilore e il significato di Gesù. 386
o
1tpoqrirrTJ<;
X'tÀ.
U V 3 (G. rrJedrtCh)
do Mt. 16,14 il popolo prende Gesù per Geremia (-> 1v, coli. 738 ss.) o per EVCI. -.wv 'ltpoq:nrrwv.
a quella implicita nella formulazione veterotestamentaria: «Così parla Jahvé» 389 • Con essa nell'A.T. i profeti iniziano i loro discorsi; nel N .T. con l'osservazione Èl;ova-lav lxwv il popolo esprime l'impressione che riceve dai discorsi di Gesù. In ambedue i casi si enuncia un'autorizzazione che viene da Dio, per cui anche il termine Èl;ovula indica che le parole di Gesù sono profetiche m. Nella rappresentazione degli evangelisti la maledizione dell'albero di fico (Mc. rr,13 s. 20 s. par. Mt. 21,19s.) è un'azione profetico-simbolica di Gesù 391 , che in forma di segno esprime realmente il ripudio d'Israele 392• Probabilmente in origine si trattava di un racconto parabolico, ma poi la tradizione lo modificò in parabola in atto, sicché ora corrisoondc alle azioni simboliche dei profeti·veterotestamentari 393 •
Come risulta dai passi, il raffronto tra Gesù e i profeti dell'A.T. è secondario, benché ovvio, in quanto Gesù, come prima di lui il Battista (~ col. 588), aveva ripreso l'appello dei profeti alla conversione (~ vn, coll. 1175 ss.; Mc. 1,15; Mt. 4,17; 11,20; Le. 5,32; 13,3.5) e nel combattere il formalismo cultuale giudaico si appellava a profeti quali Isaia (Mc. 7,6 par. Mt. 15, 7, cfr. Mc. 12,l par.), Osea (Mt. 9,13; 12,7), Geremia e Deutero-Isaia (Mc. 11, 17 par. Mt. 21,13 e Le. 19,46), come pure Giona (Mt. 12,41 par. Le. n,32) 387 • Gesù non spiegava la Scrittura didatticamente e pedantemente come i rabbini, ma si rivolgeva al popolo con un'immediatezza e un vigore che erano dono di Se la passione e la morte di Gesù soDio, esattamente come avevano fatto i profeti dell'A.T. (-7 III, col. 651). Perciò no viste come martirio del profeta (Le. il popolo si rendeva conto che: «Egli in- 13,33), Gesù è posto sullo stesso piano segnava loro come uno che aveva auto- del profeta perseguitato dell'A.T. (~ rità e non come i loro scribi» (Mt. 7,29; Mc. 1,22; cfr. r,27; Le. 4,32.36). Dai coli. 582 ss.). Contro questa tendenza si rabbini non lo distingueva un diverso sottolinea spesso che egli è superiore ai grado di conoscenza, ma un principio profeti veterotestamentari: «Vi è qui completamente diverso. Egli insegnava ben più di Giona» (Mt. 12,41). Gesù come uno che era stato autorizzato in non può essere agguagliato ai profeti delmodo particolare da Dio, per cui la sua era parola di Dio alla quale gli uomini 1'A.T., perché egli dà inizio alla nuova non potevano sottrarsi. Benché il ter- epoca che i profeti veterotestamentari mine H;ovula non sia applicato all'agire dei profeti veterotestamentari 388, tutta- si sono limitati a preannunziare(~ col. via nei vangeli dà corpo a un'idea affine 578). <{Molti profeti e re vollero vedere 387
H.
J.
CADBURY,
Jesus a11d the Prophets:
The Journal of Religion 5 (1925) 607-622. 38S ~ BARRETT 96; LOHMEYER, Mk. a I,22. 389 ~ DODD 74. .RErTZENSTl!IN,
390
4.JZ;
Poim. 48 n. 3;
ZAHN,
Lk. a
J. Wmss, Schr. N.T. a Mc. 1,22; STRACK-
Mt. 7,29; H. HuBER, Die Bergpredigl (1932) 164 s. m Cfr. le azioni paraboliche di Gesù,~ DoDD 77; FLEMINGTON, op. cit. (~ Il. 353) u8 s.; G .
BrLLERDllCK a
STAHUN, Die Gleichnisha11dlt1ngen ]esu, in Kosmos tmd Ecclesia, Festschr. fiir W. Stnhlin (1953) 9-22; J. }EREMIAS, Die Gleichnisse Jem' (1956) 192 s. 392 R. ScHNACKENBURG, Die sittliche DotschafI des N.T., Handbuch der Moraltheologie VI (19.H) 14 s.; cfr. ScHMID, op. cit. (- n. 381)
adl. 3~3 KLOSTERMANN,
Jrlk. , ad/.; }. SCHNIEWIND,
Das Ev. nnch Mt., N.T. Deutsch :z• (1956) ad l.
ciò che voi vedete e non l'hanno veduto, e udire ciò che voi udite e non l'han-
no udito» (Le. 10,24, cfr. Mt. 13,17). Essi sperarono soltanto, non vissero il compimento (I Petr. l,IO s.). Gesù non è solo profeta, è colui che realizza la profezia. 4. Numerosi episodi e discorsi di Gesù, pur non contenendo vocaboli della famiglia di 'ltpOcp'l')'tEVE~\I, presentano aspetti specifici dell'azione di un profeta.
a) Come i profeti dell'A.T. (~ col. B v; cfr. più tardi anche Gesù ben Anania ~ coli. 557 s.), anche Gesù ha pronunciato oracoli di salvezza e parole di minaccia 394. I vangeli presentano numerosi richiami di salvezza (per es. Le. 6,20 ss. par. Mt. 5.3 ss.; Le. ro,23 par. Mt. 13,16 s.; Mc. ro,29 s.) e minacce di Gesù (per es. Le. 6,24 s.; Mt. n,21 ss. par. Le. l0,13 ss.; Mt. 23,13-29 par. Le. n, 42-52).
b) In alcuni passi i vangeli accennano a visioni, audizioni ed esperienze estati.rn BULTMANN, Trad. n3-r24; H. WEINEL, Biblische Theol. des N.T.' (1928) 107; ~ MEYER IJ-I6.
Secondo HAUCK, Lk., ad l.; KtiMMEL, op. cit. <~ n. 367) 106 s.; ~ GILS 86 il passo indicherebbe un'esperienza visionaria. Altri invece intendono l'affermi12ione in senso figurato oppure come una visione spirituale, ciò che è del tutto possibile: WELLHAUSllN, Lk.; Rl!NGSTORF, op. cit. (-7 n. 355); J. ScHMrn, Das Ev. nach Lk.1 (x951) ad l.; M. GoGUEL, Pne11matis111e et eschatologie dans le chrìstia11isme primiti/: Revue dc l'Histoire des Religions r32 (1947) IH· 396 BAUER, ]oh., ad l. '391 ScHLATTER, Erl.; KLOSTBRMANN, Lk.; HAUCK, Lk., ad l .; - BARRETT 101 s.; - TAYLOR r 5; - RmsENFllLD r45; di parere diverso è invece H. v. BAER, Der bei/. ·Geist in den Lk.-Scbri/te11 (1926) 73 s. 395
che di Gesù(~ III, coH. 342 ss.). Al suo battesimo egli vede il cielo aperto e da esso scendere lo Spirito in guisa di colomba, e ode una voce parlare dal cielo (Mc. r,ro s.). Secondo Le. ro,I8 egli vede Satana cadere dal cielo come una folgore 395 e secondo Io. 12,28 risuona una q>wvi} éx 'tOU oùpcx.vou, come nelle apocalissi giudaiche 396• In Le. 10,21 si dice che Gesù i}ycx.À.À~Ma'to 't~ 1t\IEVµ<x.'tL 'tQ à.yl
Trad. u3; H. WINDISCH, Jetmd der Geist nacb sy11opl. Oberlie/er11ng, in S. ]. CAsn, Studies i11 early Christia11ity 399 BULTMANN, sttS
(1928)
:i35.
'400 ~
MEYER 12.104; ~ GuY 57 s.; ~ GrLS 87 s. I seguenti esempi mostrano che fa conoscenza soprannaturale è una caratteristica del
profeta: «Come giunse da casa a uno dei discepoli dì R. Akiba la notizia 'tua figlia è giuntà in età da marito, vieni e dàlla in sposa', subito R. Akiba guardò nello spirito santo (cioè in virtù del suo dono profetico) e disse ai suoi discepoli: 'Chi ha una figlia in età da marito vada e ln dia in sposa'»: Lev. r. u (120 e) in S'I'RACK-BILLERBECK II I33 · Pseud.-Clem.,
607 (Vl,ll-J.5J
l'episodio della guarigione del paralitico calato attraverso il tetto Gesù vede (lòwv) Ja fede dei barellieri (Mc. 2,5; Mt. 9,2; Le. 5,20), così come conosce anche i pensieri degli scribi (Èmyvovc;: Mc. 2,8 e Le. 5,22; Elowc;: Mt. 914). È a conoscenza (ilòe~) dei disegni degli scribi e dei Farisei (Le. 6,8; Mt. 12,25 par. Le. 11,17), come pure dell'ipocrisia dei Farisei e degli Etodiani (dowi;: Mc. 12, 15; yvovc;: Mt. 22,18; xci-ca..vo{ia-a.c;: Le. 20,23). Inoltre ·sa (elowc;) che cosa pensano i suoi discepoli (Le. 9,47). Egli scruta il giovane ricco (Mc. 10,21) e Zaccheo (Le. 19,5) e conosce la situazione della vedova povera (Mc. 12,43). EgLi ha la capacità di penetrare nei più reconditi meandri dcl cuore umano (I o. 2,24 s.). cl) Gesù non solo scruta l'animo degli uomini che incontra, ma conosce anche il futuro. Soprattutto la storia della passione descrive in forma leggendaria come Gesù abbia previsto molte cose nei particolari. Per la sua superiore conoscenza predice ogni dettaglio ai discepoli: l'animale è un puledro che nessun uomo ha mai cavalcato, ed è legato (Mc. 11,2 par. Mt. 21,2 e Le. 19,30). In prehom. 2,6,1: TCpocpni:ric; of; 0:)..'I)ftdO'.c; Eu'tb ? TC6:.v-coTE n6:.vTa. El&wc;, "Tà. µtv yryov6i:a. wç lyÉVE'to, -r:ò. &È ytv6~va. Wc; ylvETo.t, -cU. Sf; ~CT6~va. wç fo"tat. hom. 3,u,2: itpcqn'J1"1')c; &I: Ò.À.T)~ç fo'TL'll O "Jtà'V'l"a 1ta'\l't01"E El&wc;, ~n 01: xat -.àc; 1t&.'111"wv lvvola.c,. hom. 3,13,r s.: otò ·ul}appT)x6-r:wç H;ETlilETO 1ttpt '\"W\I µEÀ.M'V'tW'll foi:.o-&at... "Jtpoqn'JTT)ç yàp C:.'V a'TC'tcttO''t"Ot;, à."JtElP
parazione alla cena pasquale sa che i discepoli incontreranno un portatore d'acqua il cui padrone possiede una sala che metterà a disposizione di Gesù (Mc. 14, 13 ss. par. Le. 22,10 ss.). Anche che uno dei suoi discepoli lo tradirà, gli è noto in anticipo (Mc. 14,18; Mt. 26,21; Le. 22,21; Io. 6,64_7os. e lJ,II.18s.), e eh~ tutti gli altri patiranno scandalo (Mc. J4,27 par. Mt. 26,31) e Pietro lo rinnegherà (Mc. 14,30 par. Mt. 26,34 e Le. 22a4). Secondo Mc. 8,31 par.; 9,31 par.; lO,J2 ss. par.; 14,27 s. par. Gesù ha parlato della sua passione, morte e risurrezione prima che tutto ciò avvenisse. Per le allusioni del tutto concrete a particolari della storia della passione le formulazioni sono certamente posteriori alla risurrezione di Gesù; tuttavia, come indica Le. 13,33, durante la sua vita Gesù deve aver previsto di morire di morte violenta a Gerusalemme (~ IX, col. 430) 491 • In Io. 14,29 egli preannuncia il suo ritorno al Padre, in Io. 16,4 le petsecuzioni. Secondo Mt. ro,23 Gesù promise che il Figlio dell'uomo sarebbe venuto prima della fine della missione a Israele 402 , secondo Mc. 9,1 par. Mt. r6,28 e Le. 9,27 che alcuni contemporanei di Gesù avrebbero visto venire 401 ~ DODD
73;
~
GtLS
28.
402 Il detto annuncia l'imminenza del regno di Dio e contiene quindi una previsione che non si era ancora avverata quando il vangelo fu redatto. Per questi motivi si può ritenere che fa parola sia stata pronunciata proprio da Gesù. Di questo parere sono J. WElss, Schr. N.T. e SCHNIEWIND, op. cii. (~ n. 393) ad l.; Ki.iMMllL, op. cit. (~Il. 367) 56 s.; J. }llRI!MlAS, }eSII Vcrheimmg fiir die Volker (r956) 17 s.; di opinione diversa sono invece W. BoussET, Kyrios Christos2 (19:zi) ro n. 3; BuLTMANN, Trad. r29; E. GRXsSI!R, Das Problem der Parusicverzogerung in den synopt. Ev. und in der Apostelgeschichle, Beih.ZNW 22 (1957) I38; PH. VIELHAUER, Gottesreich u11d Mcnschensohn in der V crkiindigung ]es11, in Festschrift fiir G. Dehn (r957) 58-6r.
con potenza il regno di Dio 4i13 _ Anche se molti logia apocalittici non risalgono a Gesù, egli ha sicuramente parlato del futuro regno di Dio. Non è lecito rifiutare quali vaticinio ex eventu tutte le parole di Gesù riguardanti avvenimenti futuri, soprattutto se gli avvenimenti si sono svolti in modo diverso da quello predetto. Mc. I3 contiene elementi di tradizione desunti dall'apocalittica tardo-giudaica, parole di Gesù ed interpolazioni della comunità che rispecchiano esperienze d'un'età seriore. Tuttavia la predizione della distruzione del tempio (Mc. I3,2), che ricalca lo stile della veterotestamentaria profezia di sventura, è certamente anteriore ai fatti (~ IV, coll. 804 s.) <11». Anche la frase di Gesù sulla sorte dei figli di Zebedeo (Mc. I0,39) è un'antica profezia. Poiché probabilmente Giovanni non ha subìto il martirio, in Mt. 20, 22 la profezia di Gesù è corretta dall'omissione della frase riguardante il battesimo di sangue 405 . Questi esempi indicaSi tratta probabilmente di un orncolo di consolazione e di esortazione alla vigilanza della prima profezia cristiana al tempo in cui l'attesa escatologica perdeva d'intensità; tale O· racolo fu poi inserito nel discorso di Gesù. Per questo passo che tanto ha impegnato la critica dr., oltre ai commentari ad l., BULTMANN, Trad. 128;-+ Ono ux; W. MrcHAl!US, Der 40.l
Hcrr vertieht nicht die Verheissung der Parusie, in In Tllemoriam E. Lohmeyer (1951) n8; R. MoRGENTHALER, Kommendes Reich (1952) 52 s.; KiiMMEL, op. cit. (~ n. 367) 19-22; W. MtCHAELIS, Kennen die Synopt. ei11e Verzogerung der Pamsie?, in SynopJ. St11dien, Wikenhauser-Festschr. (1953) n6; E. PERCY, Die Botschaft Jesu, Lunds Universitets Arsskrift, N.F. 49,5 (1953) l77i H. CoNZELMANN, Die Mille der Zcit, Beitriige zur hlstorischen Theol. 1?2 (1957) 88 s.; W. MARXSEN, Der Evangelist Mk., FRL 67 (1956) 140 n. l; GRXsSl!R, op. cii. (-+ n, 402) 133 s. Prescindendo dai commentari ad l., dr. la discussione del passo in MEYER, Urspr. I 125 n. 1; ~ Dono 76; ]. ]EREMIAS, Jesus als Weltvol/e11der, BFTh 33,4 (1930) 39 s.; M. GoGUEL, Dfls Leben ]est1 (1932) 263 s.; G. H6L404
~
1ra1:1Je Jirul.:o :1.i
no che gli evangelisti erano fermamente convinti della prescienza di Gesù, il quale in effetti deve aver preannunciato alcuni fatti con chiaroveggenza profetica. 5. In alcuni passi del N.T. Gesù viene chiaramente considerato il promesso profeta del tempo finale(~ coli. 56I SS.).
a) Nei loro discorsi Pietw (Act. 3,22) e Stefano (Act. 7,37) applicano a Gesù Deut. I8,r5 (~ vn, coll. 817 ss.) 406 • Anche Io. 7AO e Io. 6,14 presuppongono l'attesa del profeta simile a Mosè. Dopo la moltiplicazione dei pani la gente dice: où'toç É
1tpocp'l)'t1Jç o ÈpxoµEvoç E.lç -tòv xéxrµov, «questi è veramente il profeta che deve venire nel mondo» (Io. 6,r4), perché ciò che ha1lllo vissuto ricorda loro il miracolo della manna {~ VII, col. 80 2) 407 . In SCHER, Der Urspr1111g der Apokfllypse Mk. IJ : ThBl 12 (1933) 192 s.; ""' OTTO 290; F. Busc11, Zt1111 Versta11d11is der synopt. Eschatologie; Mk. IJ 11eu 1111tersucht, NT.liche Forsch:rngen rv i (1938) 69; M. MEINERTZ, Theol. des N.T. I (1950) 58 s.; O . CULLMANN, Petms (1952) 222 s.; G. HARDl!R, Das eschfltologische Geschichtsbild der sog. kleine11 Apk. Mk. I3: Theologia viatorurn 4 (1952) 72; KUMMEL, op. cit. (-7 n. 367) 92-97; G. R. BEASLEY-MURRAY, Jesus and the Ft1tt1re (1954) 40; MARXSEN, op.
CÌJ. ( - n . 403) II5 . 405 ~Dovo 77; ~OTTO 291;
J. ScHNIEWINu,
Dfls Ev. nach Mk., N.T. Deutsch 1' (1958) ad I. STAERK 63 s.; ~ MEYER ScHOEPS 89; C. Ct·IAVASSE, Jesus
406 -
24 s.; ~
Cbrist fltld
Moses: Theology 54 (1951) 289; E. L. ALLEN, ]es11s and l\foscs in the N.T.: ExpT 67 (1955/ 56) 104; HAENCHF.N, Ag., (/d l. -401 JoH. ]EREMIAS, Das Ev. nach Job . (1931) ad l.; -+ MEYER 26; ~ DAVIES 244; ~ RIE· SENFELD 143; ~ TAYLOR 16; ~ CULLMANN 35; H. STRATHMANN, Dav Ev. nach Joh., N.T.
Deutsch 4' (1955) a
1tpoqJ'i)'t'lJ<; x-rA.. 1J
Io. 7.40 il popolo dice : oì.i't'6ç EO"'tW &.o1tpocp1)'t'r)c;, perché si attendeva che il profeta simile a Mosè ripetesse il miracolo dell'acqua della roccia in Horeb. In lo. 7,52 probabilmente si deve leggere ò 1tpocp1rn1c;, per cui risulta che s'è contestata l'origine galilaica del profeta escatologico 408 • Pare che anche i sinottici vedano in Gesù il profeta escatologico; in questo senso va probabilmente intesa l'osservazione di Mc. 6,14, secondo cui Gesù è il Battista risorto (~ col. 593). All'ingresso di Gesù in Gerusalemme il popolo proclama: oì.i-.6ç È· Cf'tLV ò 1tpocp1)'t1]ç 'l1J
408 Per Io. 740 cfr. ~ STAERK 66; SCHLATTER, Eri., ad I. e ScttLATTJ!R, Job. a 7,38; J. }l!REMIAS, Golgotha (1926) 83; BuLTMANN, ]oh., ad J. Per Io. 7,52 dr. E. R. SMOTHBRS, Two Readiflgs in Papyrus Bodmer II: HThR 51 (1958) 109-111. Non essendo vero che in Ga1ilea non sorga alcun profeta (il profeta Giona di 2 Reg. 14,25 è infatti galileo e secondo la tradizione rabbinica [dr. STRACK-BILLERBECK ad l.] da ogni tribù d'Israele deve essere uscito un profeta), è stato proposto di emendare il
v 5a-b ( ~. 1•nearicn1
tuttavia avevano sperato che egli sarebbe stato ben di più: infatti come Mosè (Aet. 7,22 ~ II, col. 1513) anch'egli si era mostrato potente in parole e opere. Perciò essi avevano sperato che egli avrebbe liberato Israele (Le. 24,2r) come Mosè era stato inviato per liberare il suo popolo (Act. 7,35) 410 • Anche Le. 7,r6 tratta probabilmente del profeta messianico. Ancora una volta Gesù non è detto ò '1tpoq>1)'t"f]c; ma è elevato al di sopra della schiera degli altri profeti, come dimostra l'aggettivo µÉyac;. Nella risurrezione del figlio della vedova di Nain l'impressione della folla è che si abbia un evento escatologico, come prova l'ossel'vazione riguardante la visita divina (~ n. 357) che avviene alla fine dei tempi (Le. 1,68.78) 411 • Le due frasi lhi 1tpoqi1Ji:"fJc; µÉyac; 1}yÉpi>T) Èv i}µ~v, «un grande profeta è sorto in mezzo a noi», e
]oh. e
op. cit. (~ n . 355) a Le. 7,16; diversamente interpreta~ CuLLMANN 29.
411 RENGSTORF,
613
(VI,H41SJ
\ .... JV'fV/ V A"f
In modo particolare in Mt. la storia di Gesù è chiaramente in parallelo coi racconti riguardanti Mosè 412 • L'annuncio della nascita da parte di astrologi, la strage degli innocenti e il salvataggio del bambino grazie all'avvertimento dato in sogno al padre (Mt. 2,2-16) ricalcano la leggenda giudaica sull'infanzia di Mosè (~VII, coli. 822ss.). Il ritorno in Egitto di Mosè fuggiasco (Ex. 4,19) e il ritorno di Gesù in Palestina (Mt. 2,20) sono descritti con le stesse parole. Come Mosè in Ex. 34,28 e Deut. 9,9.18 si trattenne 40 giorni e 40 notti sul monte di Dio senza prendere cibo, anche Gesù digiuna per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto (Mt. 4,2) 413 • Mosè ricevette i comandamenti di Dio sul monte Sinai, Gesù dal monte annuncia la volontà di Dio (Mt. 5,1 ss.). Quando i Farisei chiedono a Gesù un segno, vogliono avere il mil'acolo messianico di autenticazione (~ col. 562), che comprovi che egli è il profeta escatologico (Mc. 8,u par. Mt. 12,38 e Le. u,16) 414 • E questi miracoli avvengono realmente, ma in modo diverso da come i Giudei s'attendevano. Quando, alla domanda del Battista, Gesù risponde che i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono e i morti risorgono (Mt.
11 ,5), con ciò fa comprendere di essere il profeta messianico che porta la condizione paradisiaca dell'epoca del deserto. Infatti, secondo i rabbini, fino all'adorazione del vitello d'oro nel deserto nessuno soffriva di flusso, non c'erano lebbrosi, storpi, muti, ciechi, sordi, ottusi; persino la morte era sconfitta 415 • Forse anche la citazione di Deut. 18,15 nell'episodio della trasfigurazione (Mc. 9,7 par. Mt. 17,5 e Le. 9,35) allude al promesso profeta identico a Mosè 416 • Quando il N.T. descrive Gesù quale secondo Mosè, di solito lo fa in una certa forma tipologica antitetica; ad es. nel discorso dei pani di Io. 6,32 ss. ed anche in Mt. 5. I vi Gesù non è il legislatore che inculca agli uomini il 'dovere', ma il profeta messianico che porta la legge al compimento escatologico, di modo che l'uomo la può osservare (Mt. 5,17). La potestà e l'autorità del profeta escatologico si manifestano nella frase «ma io dico a voi», che si contrappone al «tu devi» di Mosè (Mt. 5,22.28.32.34.39. 44). In quanto profeta, Gesù non è so· lo un portavoce di Dio che deve introdurre il suo annuncio con le parole «oracolo di Jahvé», ma col suo ~yw oè Myw ùµ~v si colloca direttamente accanto a Dio(~ II, col. u47; III, coli. 55 s.) 417 •
P. DABl!CK, Siehe, es erschienen Moses und Elios: Biblica 23 (1942) I76.
417 Non si tratta qui cli una formula rabbinica corrente, come suggeriscono J. AnRAHAMS, Studies in Pharisaism and the Gospels I (1917) 16 s.; M. SMITH, 1'a1111aitic Parallels to the Gospels (1951) 27-30, bensl di qualcosa ùi più: dr. W. G. KOMMEL, Jesus tmd der jiidische Traditionsgedanke: ZNW 33 (1934) I26 n. 77; PERCY, op. cit. (-7 n. 403) x24 n. 3; R . SCHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des N.T. (1954) 37. Cfr. inoltre~ Guy 53 e l(A. SEMANN, op. cit. (-+ n. 373) 144 s., che interpreta queste parole alla luce della messianità di Gesù, mentre H. BRAUN, Spiitjiidisch·hiiretischer tmd f riihchr. Radikalismus 11. Die Sy. noptiker, Beitrage zur historischen Theol. 24 (1957) 5 e 9 ritiene le parole Éyw oè Hyw ùµ~v opera secondaria di Matteo e non trova nell'inasprimento del comandamento nessuna
412
413 Cfr. ScHLATTER, Komm. Mt., ad/.; ~ BORNHAUSER 30. 414 ~ MEYER 121 s. e SCHLATTl!R, Komm. Mt.,
(I(//. 415 Lev. r . 18 {n8a), cfr. STRACK·BJLLERilECK r 595 s.; -7 MEYER :i7 s.; FRll!DRICH, op. cit. (-7 n. 332) 278; dr. Pseud.-Clem., recogn. 5,10: Rie ergo est vertts propheta ... q11i stans publice sola i11ssio11e faciebat coecos videre, mrdos a11dire, fugabat daemo11es, aegris sanitatem redde· bat et mortuis vitam. 4 16 KLOSTERMANN, Mk.; LoHMEYBR, Mk., ad /.; ScHNIEWIND, Mk., op. cit. (--) n. 405) ad I.; RENGSTORF, Lk., op. cit. (-7 n. 355) ad l.; ~ GOPPELT 73; H. RrnsBNFELD;Jésus transfiguré ( 1947) 270; FRIEDRICH, op. cit. (-+ n . 332) 309.
'itpoqn')'n]I; Y.'TÀ. D v 5b·d (G. l'riedrich)
Al discorso del monte seguono in Mt. B9 dieci miracoli di Gesù, come Mosè in Egitto (~ E II) ha compiuto ro miracoli (Ab. 5,4), ma anche in questo caso si sottolinea la differenza fra Mosè e Gesù. Mentre i prodigi di Mosè erano castighi che causavano malattie e morte per gli uomini, le opere del profeta escatologico sono miracoli di salvezza che instaurano quella condizione escatologica in cui non vi sono più né malattie né afflizioni . c) Nel giudaismo i singoli titoli e le singole funzioni messianiche non si possono distinguere nettamente gli uni dagli altri e non è possibile tratteggiare con esattezza l'immagine del profeta escatologico(~ col. 559) 418 , perché nell'attesa escatologica vengono a confluire vari tipi di speranza. Altrettanto accade nel N.T., in cui i diversi modi di considerare Gesù si sovrappongono 419 • Per Io. 6,14 s. e Mt. 21,9-II (~col. 6n) Gesì1 è Messia regale e profetico insieme. Anche i discepoli di Emmaus attendono nel profeta il liberatore politico (Le. 24,19 [ ~ col. 612]). Pietro nel tempio parla sia del Cristo sia del profeta (Act. 3,1822) 420 , e in Mt. 24,24 ljlw06xpLCT'tOL e 4'euoo7tpoq>fj't'IJ.L sono menzionati insieme. Nel N.T. il motivo del profeta è intimamente unito ad altre attese messianiche. d) Che Gesù non sia mai designato esplicitamente come profeta escatologico non dimostra che egli non si sia considerato il profeta 421 , ma è tipico del suo traccia, neanche latente, di una qualsivoglia pretesa messianica di colui che pronuncia quella sentenza. Tuttavia bisogna osservare che in Mt. 5 abbiamo qualcosa di più del semplice inasprimento della legge che troviamo presso i teologi di Qumran. Il rifiuto del giuramento (Ml. 5>33 ss.) e della legge del taglione (Ml. 5,38 ss.), l'amore per il nemico (Ml. 5A3 ss.), stanno in diretto contrasto con la torà; dr. PERCY,
op. cit.
(ry n .
403) 163 s .
l Vl,ll49J blb
modo normale di predicare senza svelare il mistero messianico . Egli non si è mai definito direttamente l'apocalittico Figlio dell'uomo né ha mai rivendicato per sé alcun altro titolo messianico. Ma ha parlato e agito da profeta. Vari sono stati i motivi che hanno poi indotto la comunità primitiva a non dare alla figura di Gesù un aspetto più tipicamente profetico. In Paolo Gesù non è mai presentato come un profeta per motivi polemici, perché si trattava di un titolo usato dai giudeocristiani (~ E u), che erano legati alla legge e vedevano in Gesù il secondo Mosè m. Inoltre per i primi cristiani il titolo di profeta era inadeguato alla singolarità e diversità di Gesù, poiché esistevano anche profeti pagani, giudei e protocristiani 423 • La grandezza e la dignità di Gesù erano meglio espresse da titoli quali Figlio dell'uomo, Kyrios, Cristo e Figlio di Dio, e l'evento della croce era illustrato dalla figura del Servo di Dio meglio che dal rinvio al profeta perseguitato (~ col. 5 8 3 ). Può essere che in origine la tradizione circa Gesù quale profeta fosse senz'altro più ricca, poiché è più probabile che le espressioni che lo presentavano come profeta si siano poi tramandate nei titoli di Figlio di Dio, Figlio dell'uomo e Messia, che non che il titolo di profeta gli sia stato attribuito in un secondo momento 424 • E come i titoli di rabbie maestro sono stati abbandonati dall'uso, cosl può essere che ben presto la concezione di Gesù come profeta sia divenuta secondaria. 418
-1>
VAN DER WOUDE
419 FRrnDRICH,
83.248 S.
op. cii. (-1> n . 332) 305-311.
420 -I> MEYER 109.
421 -I> CULLMANN 35. 422 CHAVASSE,
op. cii. (-!> n. 406)
m --> DAvIEs 254;--> TAYLOR 4?4 -I> FASCHER
178.
17.
290.
VI . Profeti della comunità l.
Natura del profetismo protocristiano
La profezia protocristiana è il discorso ispirato del predicatore carismatico, mediante cui si rende noto il piano salvifico di Dio nei confronti del mondo e della comunità, oltre che la volontà di Dio per la vita del singolo cristiano. Il profeta ha qualche conoscenza dei misteri di Dio (I Cor. x3,2 ( ~ IV, col. 829] ), a lui è nota la volontà salvifica di Dio verso i pagani (Eph. 3,5 s.). Secondo Apoc. 22,6 s. uno dei suoi compiti precipui è di annunciare gli imminenti avvenimenti escatologici. Ma egli conosce anche altre cose del futuro. Per es. Agabo preannuncia la grande carestia che sta per abbattersi sul mondo (Act. u ,28) 425 e a Paolo predice la sorte che Io attende a Gerusalemme (Act. 21,10 s.). Ma il profetismo protocristiano non consiste solo nel rivelare avvenimenti imminenti, né si esaurisce nel tener desta l'attesa della parusia nella comunità: il profeta prende posizione anche a proposito di problemi molto concreti del presente (~ col. 634). Non solo dice ciò che Dio si propone di fare, ma annuncia anche ciò che Dio vuole che l'uomo faccia. È una parnla profetica quella che destina Barnaba e Paolo alla missione (Act. 13,1 ss.) e affida a Timoteo il ministero (r Tim. l,18; 4,14) . Il profeta Probabilmente con :>.tµ6., originariamente non s'intende una carestia comune, bensl uno dei terrori escatologici che colpiscono la terra (Mc. 13,8 par. Mt. 24,7 e""Lc. 21,u; Apoc. 6,
425
esorta gli indolenti e gli stanchi, consola e incoraggia (I Cor. 14,3; Act. l;>,32) i provati (--? rx, coli. 740 ss.). La sua predicazione d.iscopre la malvagità nascosta degli uomini (I Cor. 14,25). Poiché parla nella certezza di possedere un'autorità concessagli direttamente da Dio, pur essendo esposto alla critica(~ col. 636) dà norme autoritative. 2 .
Confronto con i profeti dell'A.T.
I profeti cristiani hanno molti aspetti in comune con quelli dell'A.T., per cui giustamente portano lo stesso nome. In Act. 2,17 si dice che nel parlare degli apostoli il giorno di Pentecoste si realizza la promessa dell'A.T. che nel tempo finale gli uomini avrebbero profetizzato. Per preannunciare la cattura di Paolo, Agabo ricorre a un'azione simbolica alla stregua dei profeti veterotestamentari (~ col. 524). Egli introduce il suo oracolo secondo lo stile dei profeti dell'A.T. (--+col. B 5 ), solo che in luogo di Jahvé è subentrato lo Spirito santo: 't'&.Oe 'MYEL 't'Ò mevµa -çÒ &yto\l (Aci. 21,10 s.). A prescindere da Act., è soprattutto l'Apocalisse("' coli. 620 s.) a mostrar la somiglianza dei profeti cristiani con quelli dell'A.T. La visione della chiamata profetica di Apoc. r,9 ss. ricorda le visioni vocazionali dei profeti veterotestamentari: Is. 6,r ss.; Ez. l,l ss. Il veggente deve mangiare il libro (Apoc. lo,8-n) come inEz. (2,8-3,3), e con un'azione simbolica deve misurare il tempio di Dio con una canna (Apoc. n,1) . Ma la profezia cristiana ha anche trat-
ti peculiari che la distinguono da quella 6). Luca ha privato la profezia escatologica di Agabo di tale sua dimensione e l'ha storicizzata.
\Yl.)UJJ./ V..C..V
veterotestamentaria e giudaica. A pre- T. il profetismo cristiano per certi versi scindere da alcuni gruppi di profeti men- ha avuto un ampliamento, mentre per zionati dai libri storici veterotestamen- altri risulta più ristretto. L'allargamento tari (--? B III l), nell'A.T. e nel giu- della base delle forze profetiche non daismo solo alcuni individui sono chia- comporta un affievolimento della conomati ad essere profeti. È vero che anche scenza profetica; i profeti neotestamennel N .T. si mettono in particolare evi- tari rivelano alla comunità cose celate a denza alcune figure di profeti, per es. tutte le generazioni precedenti (Eph. 3, Agabo (Act. 11,27 e 21,ros.), Barnaba 5). D'altro canto il profeta cristiano non e Sila (Act. 15,32),le quattrofigliediFi- possiede un'autorità illimitata come il lippo (Act. 21,9). Anche nella comunità profeta giudaico. Poiché, a differenza di di Antiochia si menzionano per nome quanto avviene nella comunità cristiana, diversi profeti (Act. 13,1) 4.1.6. Secondo nel giudaismo solo il ptofeta possiede lo Rom. 12,6; r Cor. 12,ro.28 s.; Eph. 2, Spirito, egli ha un'autorità maggiore su20; 3,5; 4,11; Apoc. 10,7; n,18; 16,6; gli uomini, che in parte lo seguono cie18,20.24; 22,9, i profeti sono uomini camente (-4 col. 562). Anche il profeta particolarmente dotati che hanno la cristiano annuncia con autorità la volonmansione di dirigenti nella comunità(~ tà di Dio(~ col. 617), ma non è signore col. 62 r ). Fondamentalmente però nel assoluto sugli altri, bensl è a sua volta protocristianesimo la profezia non è sta- soggetto al giudizio (~ col. 636). Egli ta limitata a pochi individui, uomini e non è al di sopra della comunità, ma, edonne. Secondo Act. 2,4 e 4,31 tutti so- sattamente come gli altri, è un membro no ricolmi di spirito profetico, e secon- della comunità 428 • Sotto questo profilo la figura che più do Act. 2,16 ss. il segno dell'età del compimento è che lo Spirito non afferra que- è vicina al profetismo giudaico è il prosto o quell'individuo, ma che tutti i com- feta dell'Apocalisse di Giovanni(~ col. ponenti della comunità escatologica, sen- 630). Non si prende nemmeno in consiza alcuna distinzione, sono chiamati alla derazione la possibilità di sottoporre a profezia. A Corinto evidentemente vi e- prova la veridicità delle sue affermazioni rano moltissimi profeti, giacché il nume- (-4 col. 636), perché sono state legittiro di coloro che prendono la parola nel- mate come degne di fiducia e veraci dalla !'assemblea cultuale deve essere limitato suprema istanza, da Dio stesso (Apoc. a due o tre individui (r Cor. 14,29). Ciò 21,5; 22,6). Il veggente si attribuisce nonostante Paolo invita i Corinzi ad am- un'autorità (~col. 622) che può essere bire il carisma della profezia (r Cor. 14, paragonata solo a quella degli apostoli. r.5.12.39). Essa non è un dono tiserva- Il suo annuncio è parola di Dio e testito a pochi detti, ma può essere comu- monianza di Gesù Cristo (Apoc. 1,2; r9, nicata a chiunque, anche se in pratica ri- 9). Perciò ha un ruolo determinante: mase naturalmente limitata a un gruppo µ~xap~oc; ò ocv~ywwcrxwv x~t o/. ocxovabbastanza fisso 427 • OV'té:c; -.oùc; À6youc; 'tfjc; 7tpoqrrrrEl~ X('X.L 'tlJPOU\J'tEç 'tà
tv ('LÙ'tij yEyp('LµµÉwi,
Rispetto all'attività profetica dell'A.
«beato chi legge e coloro che ascoltano
Secondo H. J. HoLTZMANN, Die Ag., Handcommcntar :rum N.T. 11 (1892) ad l. e HARNACK, Miss. 349 n. 2 l'uso delle particelle indicherebbe Barnaba, Simone e Lucio quali profeti, Manahen e Saulo quali dottori. 427 ...+ GREEVEN" 4-8; dr. Num. r. 15 (r8oc):
«In questo mondo solo alcuni individui hanno divinato, ma nel mondo futuro tutti gl'Israeliti saranno profeth> (STRACK-BILLERBECK II 134). 428 Scm,ATTER, Gescb. erst. Chr. 25 e ScHLATTllR, Komm. Ml. a 7,16.
426
le parole della profezia e osservano ciò che in essa sta scritto» (Apoc. 1,3, dr. 22,7). Non è lecito criticarne la parola. Accettazione, falsificazione o rifiuto determinano il destino ultimo dell'uomo. Il libro si conclude con queste parole: Map't'upw Éyw 7tav·d ... <;> ocxouov-.t -coùc; Myovc; 't'fjç npoq>l]'t'Elac; -rov (3t(3'X.lou -.ou-.ou· M.v ·ne; ~milii È7t'ocù-.oc, €.mihicri::i b ikòc; €.7t' ocu-.bv -.&.e; 1tÀ.'rryàc; -.&.ç yi::ypa.µµÉvcxc; Èv -tci'.J {3i{3'X.lctl 't'OU"t'C(l' xoct Mv "t'L<; aq>ÉÀ.l) li1tò -.wv À.6ywv 'TOU B•(3À.lou Tijc; 1tpO<j>'l')"t'Elocc; -.a.un1c;, ciq>EÀ.Et ò ~Eòc:; -tò µépoc; a.1J-.ou <Ì1tò -rov l;uÀ.ou -.fjc:; swiic; xcxt tx -.fjç. 1t6À.ewc; -.i]c; aylac,, -cwv yEypa.µµÉvwv iv -.~ {3iBÀ.l~ -cou-cl{J, «attesto a chiunque ascolt?- le parole della profezia di questo libro: se qualcuno dovesse aggiungervi qualcosa, Dio gli infliggerà le piaghe scritte in questo libro; e se qualcuno toglierà qualcosa alle parole del libro di questa profezia, Dio toglierà la sua parte dall'albero della vita e dalla città santa descritti in questo libro» (Apoc. 22,18 s.). 3. Il massimo carisma
Paolo dà alla profezia la precedenza su tutti gli altri carismi (r Cor. 14,1). I profeti vengono ripetutamente menzionati subito dopo gli apostoli (r Cor. 12, 28s.; Eph. 2,20; 3,5; 4,11 e Apoc.18, 20), mentre evangelisti, pastori e dottori vengono dopo i profeti (Eph. 4,n; Act. 13,1; Rom. 12.6 ss.; r Cor. 12,28 s.). Dei profeti Barnaba e Sila si dice esplicitamente che avevano un ruolo di guida nella comunità di Gerusalemme (Act. i5,22.32). Secondo Eph. 2,20 i profeti insieme con gli apostoli costituiscono il fondamento della chiesa (-Hr,col.737). 429
BoussET, Apok. 138.
Un ruolo primario hanno i profeti nel['Apocalisse (~ coll. 620 s. 132 s.) 429 • In Apoc. 11,18; I6,6 e 18,24 (~ I, col. 296) sono distinti dai comuni componenti della comunità e costituiscono un gruppo particolare nella moltitudine dei 'santi'. Il profeta ha un rapporto molto più diretto con Dio, con Cristo e con gli angeli di quanto non abbiano gli altri. Verso Dio si trova quasi sullo stesso piano dell'angelo, che è conservo col profeta, per cui il veggente non si deve inchinare all'angelo (Apoc. 22,9). Profezia è rivelazione e testimonianza di Gesìt Cristo, è parola di Dio (Apoc. 1,1 s. ~ n, coli. 811 s.; VI, coll. 1349 ss.). Gli Atti potrebbero lasciare l'impressione (cfr. anche Mt. I0,41) che i profeti fossero predicatori itineranti. Barnaba e Sile operano a Gerusalemme (Act. 15,22) e ad Antiochia (Act. 15, 32). Agabo si trova in un primo momento a Gerusalemme, poi ad Antiochia (Act. 11,27 s.) e fofine a Cesarea (Act. 21,rn). Tuttavia queste osservazioni non si possono generalizzare. Da Rom. 12,6; r Cor. 12,10.28; 14,1 ss.; Eph. 4,11 si può dedurre che originariamente in ogni comunità vi fossero fratelli dotati di carisma profetico. Benché nelle comunità protocristiane la profezia godesse tanto prestigio e lo stesso Paolo la stimasse molto, essa rimane qualcosa di inadeguato e provvisorio (rCor. 13,8 s . 12). Nella condizione finale la comunità può fare a meno della profezia, perché non ha più bisogno della rivelazione parziale, della con-
623 ln .85r ·
7tpoq>1}"t"T)ç x'TÀ.
DVI 3-,~
solazione e dell'esortazione.
(G. Fricdrichl
dell'io umano con quello divino e d~ insania profetica. Termini come µav·nc; (~ A n re), XPT)O"µoMyoc;, µa.lvoµcx.L (~ v1, col. 973), Èvi}ovcrLrurµoc; non sono mai usati a proposito dei profeti protocristiani 430 • Ciò non esclude che anche presso i profeti neotestamentari si siano avuti fenomeni di eccitazione estatica, come si può dedurre dai racconti degli Atti, quando vi si narra che i credenti furono ripieni dello Spirito (Act. 2>4.I7; 4,31; ro,44 ss.; u,15; 19,6). Ivi la profezia presenta fenomeni affini, come la glossolalia (~ coli. 626 ss.). Anche la profezia dell'apocalittico Giovanni presenta tratti estatici. In Apoc. r,ro e 4,2 il suo rapimento estatico, durante il quale ode e vede realtà sovrasensibili, è annunciato con le parole: ÈyEvoµl]V Èv 1tV~uµa'tLeinApoc. I7,3 e21,10: &.mivqxÉv µE Èv 1tVEvµcx:n. Le sue numerose visioni e audizioni fanno di lui più un veggente apocalittico che un profeta protocristiano(~ coli. 630 s.).
Paolo non si definisce mai profeta, ma sempre apostolo; tuttavia sostiene di parlare alla comunità profeticamente (I Cor. 14,6). Ciò avviene quando le comunica i misteri di Dio, la esorta e la consola . In Rom. 11,25 ss. rivela alla comunità che dopo la conversione dei pagani anche i Giudei, per il momento ancora impenitenti, giungeranno alla salvezza; in I Cor. r5,51 ss. annuncia la trasformazione dei cristiani nel momento della parusia e nei vv. 2 3 ss. rende noti gli e\'enti della risurrezione e del compimento (cfr. I Thess. 4,13 ss .). Secondo gli Atti egli predice avvenimenti ben concreti e precisi del futuro. Agli anziani di Efeso comunica che su di lui incombono sofferenze (Act. 20,22 s.) e che maestri d'errore de\·asteranno la comunità (Act. 20,29 s.). Nella tempesta scoppiata durante la na\·igazione verso Roma, Paolo predice che nessuno dell'equipaggio sarebbe perito (Act. 27,22 ss.). Le sue letDiversa è la descrizione del profeta tere sono paradesi (Rom. 12,1 ss.; I Cor. i,10 ss.; 2 Cor. 10,1 ss .; r Thess. 4, fatta da Paolo. Anch'egli riceve rivela1 ss.), contengono esortazioni e conforzioni (~col!. 629s.); ma le sue caratterito, sono annuncio profetico per l'edificastiche non sono visioni e audizioni che zione della comunità. lo estraniano dal mondo, bensl la parola di Dio a lui comunicata per l'annuncio. 4. Estasi e profezia Non sempre è possibile tracciare una Il profeta delle comunità paoline non è netta distinzione tra estasi, ispirazione un veggente, ma un individuo che riceve derivante dal possesso deUo Spirito e ri- e annuncia la parola. Non è una perso· velazione profetica(~ nr, coll. 326 ss.). Nel N.T. non compaiono i fenomeni di na posseduta dalla divinità, non più paperdita della coscienza, di identificazione drona dei suoi sensi, che deve fare ciò 430 TRENCH 10s. ; ~FASCHER r66s. ;~ BAcHT:
Scholastik 8 s.; ~ BACHT: Biblica :z53 s . Nei LXX il gruppo terminologico µa\l"t"EVOJ.J.GU è riservato quasi esclusivamente agl'indovini pagani ed ai falsi profeti (con l'eccezione di Prov. r6,xo: µa\1-tEto\I È7tl XElÀ.E
61 [ r862) 241): -toiho yà,p µ!i\l"tEWc; rnLo\I, "t"Ò t~ECf"tT)XÉ\ltl.L, "tÒ &.wi.yx'J}V tinoµ~'JEL\I, "tÒ wi>Ei'.crfraL, "t"Ò ~À.XECTDm, "tÒ uUpEai>tl.L 1 ill
\. A,- _,_,, -- -
che comanda la potenza che in lei inabita. Perdita di coscienza o delirio gli sono estranei. Il profeta protocristiano è un uomo perfettamente cosciente. Quando parla può interrompersi non appena viene comunicata una rivelazione a un altro, e se nell'assemblea hanno parlato due o tre profeti, gli altri possono tacere, anche se hanno ricevuto qualche rivelazione (I Cor. 14,29 ss.). Essi non possono influire sulla rivelazione, la quale viene da Dio senza il loro concorso. L'annuncio di quanto è stato loro rivelato dipende invece dalla loro volontà, per cui non occorre che avvenga immediatamente. La rivelazione non causa una frattura della personalità che faccia dell'uomo uno strumento privo cli volontà (---? col. 550); la persona del profeta rimane intatta benché tutto l'uomo con la sua ragione e la sua volontà stia sotto l'azione dello Spirito 431 • Forse è questo che si vuol dire quando, con una formulazione oscura, si prescrive che la profezia avvenga xcx'ttX. 't'Ì)\/ /lvcxÀoylcxv 't'i}ç 7tLCT'tEWc; (Rom. 12,6) (-H,col. 938). Con ciò si indica il limite e l'ampiezza della responsabilità personale del profeta. Paolo prende posizione contro pneumatici entusiastici, che abbandonano lo spassionato terreno della fede. Dio compartisce la misura della fede (v. 3), egli concede il carisma (v. 6). Quando Paolo parla dell'analogia della fede, per 7tlu·nc; intende la xaptc; vissuta. Dio elargisce
431 ScHLATTBR,
Gesch. crst. Cbr. 25 s.
il dono e l'uomo deve usare in modo responsabile il carisma ricevuto.
5. Glossolalia e profezia Profezia e glossolalia hanno molti elementi in comune, poiché entrambi sono in modo particolare effetti dello Spirito. Negli Atti lo stretto rapporto è evidente: È7tÀ.lJCT1ÌT]CTCX\/ 1ta\l'tEc; 'lt\IEVµct'tOc; &.ylou, xcxt 'ijp~CXV't'O À.a.À.t:i:v È't'Épa.tc; y Àwcrcrmc; xcxlJwc; 'tò 'ltvt:uµa. éolòou àTiocplJÉyyt:ui>cxt CXÙ'toi:c;, «furono tutti ripieni di Spirito santo, e cominciarono a parlare in altre lingue secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi» (Act. 2, 4). In Act. 2,17 questo modo di parlare è detto 'Tt(JOq>'l'J'tEUEW. Evidentissima è la sinonimia in Act. i9,6: dopo che Paolo ha imposto le mani ai discepoli di Giovanni già battezzati, -ijÀ.i>E 't'Ò 7.VEuµa. 'tÒ a:yto\/ É'1toc1houi;, aÀ.ouv ·n:. yÀ.wcrCTC<~ç xcx.t É1tpoq>1)'tEuov, «scese sopra di essi lo Spirito santo e parlavano in lingue e profetizzavano» . A differenza di Act., Paolo rivela maggiormente la differenza fra profezia e glossolalia. A lui preme molto additare ai Corinzi l'importanza e la preminenza della prima sull'altra (I Cor. !4,I. 5.39 [---? x, col. 816]). Entrambe riguardano i µuu't1}ptcx ; mentre però al profeta vengono rivelati i reconditi disegni di Dio (I Cor. i 3,2; Eph. 3,5) che egli poi con il suo annuncio manifesta alla comunità, ciò che il glossolalo dice
n.
itpocpi).-l')ç x.-).... D VJ 5-6 (G. Fricdrichl
rimane incomprensibile agli uditori (~
cui è possibile determinare il numero dei glossolali nell'assemblea liturgica (r Cor. mette sono simili a una lingua scono- 14,27). Tuttavia resta esclusa la partecisciuta (rCor. 14,11.16) 432 • Inoltre, se· pazione dell'intelletto (r Cor. 14,q), e condo Paolo, glossolalo e profeta hanno all'estraneo il glossolalo sembra un pazaspetti comuni e dissimili, perché en- zo (r Cor. 14,23 ~ vn, coli. 1058 s.). La trambi non sono isolati nella comuni- profezia invece è un discorso intelligibità, ma devono avere accanto a sé altri le. L'esperienza pneumatica viene dal fratelli: il glossolalo deve avere vicino a profeta appresa ed esposta in modo acsé l'interprete(~ II, col. 551) che espri· cessibile alla ragione, le sue parole sono ma in termini comprensibili ciò che egli comprensibili a chiunque, non solo ai dice (r Cor. 14,27), e il profeta deve a- fratelli, ma anche agli estranei (r Cor. vere vicino a sé l'esaminatore che giudi- r4,24 s. ~ VIII, coll. 398 ss.). chi ciò che il profeta dice (~col. 636). Tuttavia il glossolalo può anche essere 6. Preghiera e profezia interprete delle proprie parole e~ Ili, Già nell'A.T. i profeti sono i grandi col. 9 l r), men tre il profeta non può esa- oranti (~ B III 3). Analogamente nella minare se stesso. Inoltre profetismo e figura della profetessa Anna si dà rilieglossolalia sono affini nel loro effetto di vo alla preghiera(~ col. 587). Ma anedificare gli uomini (r Cor. 1413 .4). Ma che nel protocristianesimo vi sono rapproprio l'olxoooµti mette in evidenza la porti diretti tra preghiera e profezia: endifferenza tra i due carismi. Mentre la trambe sono in modo particolare effetti glossolalia è di profitto solo per il glos- dello Spirito. Ad Antiochia profeti e dotsolalo (~II, col. 550), il profeta edifica tori celebrano una liturgia di preghiera tutta la comunità: ad essa infatti egli si (~VI, col. 619). In I Cor. n,4 si parrivolge col suo annuncio; il glossolalo la deUa preghiera - s'intende ovviameninvece parla con Dio, e ciò non giova di- te la preghiera pubblica nell'assemblea rettamente alla comunità intera (r Cor. e della profezia dell'uomo; in l 1,5 del14,2 s.). È vero che anche nel caso del la preghiera e della profezia della donglossolalo non è esclusa la sua volontà na. Non è certo casuale che in I Thess. di uomo; infatti in quanto glossolalo 5,17-20 gli enunciati circa la preghiera Paolo è sempre padrone del suo agire (r stiano accanto a quelli riguardanti la Cor. l4,r9), e il glossolalo non è costret· profezia. Se si analizzano gli elenchi di to a parlare contro la sua volontà, per carismi (Rom. 12,6 ss.; I Cor. 12,8 ss. 28
vn, col. 701) perché i suoni che egli e-
m ~ BONW.ETSCH, Prophetie 4r4; H. L.EISE· GANG, Pnet1111a hagìon. Der Ursprtmg des Geistesbegriffes der synopt. Ev. aus der griech.
Mystik, Veroffcntlichungen der Forschungsin· stituts fiir vergleichende Rcligionsgcschichte an der Universitat Leipzig 4 (1922) n4-n 9.
<>29 \ \'1,11541
ss.), si nota con sorpresa che la preghiera non vi è mai menzionata. Probabilmente la preghiera che la comunità conclude col suo amen rientra nei compiti del profeta 411 • Che la preghiera rientri nella profezia può essere dedotto anche da I Cor. 14 434 che riguarda per intero il confronto tra glossolalia e profezia (cfr. v. 1ev. 39). I vv. 13-19 sulla preghiera non costituiscono un excursus all'interno di questo brano, ma fanno parte di questo confronto tra profezia e glossolalia. Il 7tpOO'EVX.EO'itru yÀWO'O'lJ (v. 14) e il 1tpOO'EUX.EO'~«XL 'tQ 7t\IEVµct:tt (v. 15) corrispondono al À.a.ÀEi:v yÀ.wa-O'ì} (v. 13). È ovvio quindi attribuire il 7tPOO'EVX.E· cr~aL 't@ vot (v. 15) al profeta, tanto più che questa preghiera mira evidentemente all'edificazione (v. 17), che proprio in questo capitolo è designata come effetto della profezia (vv. 3 s. 12). Profezia e preghiera non sono identiche, ma sono strettissimamente collegate . 7. Rivelazione e profezia
Ogni profezia poggia su rivelazioni (z Cor. 14,30). Il profeta non dice ciò che ha imparato dalla tradizione o che ha approfondito personalmente, ma ciò che gli è rivelato. I Cor. 14,26 parla di à:n:oCirca l'intercessione dei profeti nel giudaismo cfr. J. ]llREMIAS, Heiligengriiber ili Jern Umwelt (r958) r36 s. Secondo Did. 10,7 ai profeti della comunità è concesso rendere grazie liberamente (EVXaf)L
xocÀ.U1jnc; e si riferisce alla rivelazione comunicata al profeta, che deve diventare annuncio profetico nell'assemblea deHa comunità (z Cor. 14,26-30). Pertanto profezia e rivelazione sono strettissimamente congiunte (z Cor. 14,6.30: Eph. 3,5; I Petr. 1,10-12). La rivelazione ha per soggetto Dio, mentre nella profezia Dio non è che il soggetto indiretto.
L'Apocalisse di Giovanni costituisce il trapasso dal profetismo all'apocalittic.i (~ col. 624). Anche altrove è difficile tracciare una chiara linea di demarcazione tra le due 435, ma nel caso di Apoc. la difficoltà è particolarmente notevole. Il libro si definisce Ò'..'ltoxaÀ.u1!nc; l'l'JO'Oti Xpt
KNOPF,
Did. a
IJ,I.
Diversamente interpreta ---+ GREE.VEN ro. H. RINGGREN, art. 'Jiid. Apokalyptik', in RGG1 I 464. 436 G. GLOEGE, Mithologie und Lt1thertum : Luthertum 5 (1952) llO·II9. 434
435
o:i;oqiiJ•'TJ<; x-.)., DVI 7-9 (G. Fric
calisse di Giovanni, a suo stesso dire, vuol essere vera e autentica proi"ezia (I, 3; lo,rr; 22,7 .19 [~ v, coli. r5os.]). Che per Giovanni profezia non significhi solo rivelazione del futuro, risulta dalla descrizione dei due testimoni. Il loro annuncio profetico è un invito alla conversione (Apoc. I I a). Anche le lettere alle comunità di Apoc. 2.3 vanno considerate ammonizione e consolazione profetica. Ciò nonostante la differenza dalla profezia paolina è evidente. Mentre nei profeti dell'epistolario paolino il centro dell'annuncio poggia sulla paraclesi, e soltanto saltuariamente si fa menzione di predizioni, nell'Apocalisse le predizioni del futuro costituiscono la parte preponderante e le esortazioni sono più o meno marginali. 8. Gnosi e profezia
rivelazione, in quanto l'idea o l'immagine profetica viene al profeta dall'esterno (~coli. 629 s.). Anche la gnosi in quanto carisma serve a rendere nota all'assemblea della comunità la verità appresa. Perciò si parla esplicitamente del À.6yoç; y\lwcrewç; (1 Cor. 12,8) e del À.aÀ.Et'\/ Èv j'\IWCTEL (I Cor. r4,6). Tuttavia rispetto alla profezia la gnosi ha qualcosa cli individualistico, mentre la profezia, in rispondenza al pieno significato del termine e alla sua natura, è volta all'annuncio agli altri, vuol comunicare alla comunità. Perciò deila gnosi si può dire che gonfia (1 Cor. 8,r ), della profezia, invece, che edifica (r Cor. 14,3 s.).
9. Insegnamento e profezia
Come I Cor. 14 parla di profezia e glossolalia, così 1 Cor. r3,8-12 tratta di profezia e gnosi. Entrambe sono carismi ed in entrambe è in gioco la conoscenza di misteri. Entrambe rappresentano non qualcosa di definitivo e perfetto ma qualcosa di imperfetto. In I Cor. r3,2 lagnosi non è anteposta alla profezia; questa infatti è per Paolo il carisma sommo(~ col. 62 r ), non la gnosi. Esse si distinguono per il modo in cui si giunge alla conoscenza dei misteri e per l'uso che si fa della verità appresa. La gnosi fa parte dei «carismi razionali» 417 • Ad essi si perviene per via speculativa, immergendosi nella riflessione sui misteri della fede(~ n, col!. 5n s.). La profezia invece poggia sull'ispirazione. Ad essa la conoscenza viene comunicata da improvvisa
Profeti e dottori(~ n, coll. r151 s.) sono più volte definiti i principali proclamatori della parola nella comunità (Act. 13,r; I Cor. u,28 s.; Eph. 4,rr; Rom. r2,6 s.). Anche i profeti comunicano una conoscenza, per cui è possibile apprendere da loro qualcosa (I Cor. 14,31; Apoc. 2,20; dr. Did. r1,10 s.). Tuttavia la profezia non va equiparata all'insegnamento. Mentre i dottori interpretano la Scrittura, curano la tradizione di Gesù e spiegano i principi di fede del catechismo 438 , i profeti, senza esser legati alla Scrittura e alla tradizione, parlano alla comunità solo in base a rivelazioni (~ coli. 629 ss.). La otoauxaÀ.la è insegnamento, la rtpoq>n-.Ela è appello all'impegno nella situazione concreta (~ coll .
437 ---+ DELUNG
4l8
35.
--+
GREEVEN 22
s.
633 (vr,856)
617 s. 634). Il dottore indaga sul passato e, in base a quanto è accaduto o è stato detto, enuncia la direttiva per il presente Lo sguardo del profeta invece è rivolto al futuro e dispone il comportamento della comunità in rispondenza alla visione concessagli. Mentre l'autenticità dell'insegnamento è provata dalla conformità alla Scrittura e alla tradizione, per· la veridicità della profezia non esistono: criteri oggettivi di valutazione, perché la norma di giudizio è inclusa nello stesso annuncio profetico operato da Dio (~ col. 636). 10. Evangelo e profezia
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missionario. Il npoqnrm'.mv del giorno di Pentecoste (Act. 2,17 s.) è un OLct.µct.p..-vpEO'~ct.L e 7to:paxa.ÀEi:v: «Salvatevi da questa generazione perversai> (Act. 2, 40). Le parole dei profeti portano i non cristiani a riconoscere la loro colpa e ad adorare Dio (I Cor. 14,24 s.). Normalmente però profezia è predicazione alla :omunità ed evangelo è annuncio missionario. Di conseguen2:a anche il loro contenuto è diverso. Mentre l'evangelo proclama la regalità di Dio annunciando i prodigi di Dio in Gesù Cristo (~ III, coll. rn57 s. 1084 ss .), la profezia fa conoscere la volontà di Dio in ordine al mondo e al singolo credente (~ coll. 617s.). Il profeta è il pastore carismatico che dice concretamente alla comunità che cosa essa deve fare nella situazione concreta, che rimprovera e loda, che reca un messaggio di esortazione e conforto, di penitenza e promessa (I Cor. 14,_; ).
La profezia è annuncio, come l'evangelo, ma da questo si distingue sia per i destinatari, sia per il contenuto del messaggio. L'evangelo si rivolge principalmente a non cristiani che non hanno ancora udito e accolto l'annuncio di Gesù Cristo (~ III, col. 1055 ss.), la proCome indicano gli esempi della Didafezia invece è in primo luogo mes· ché, le istruzioni dei profeti si occupasaggio di Dio per coloro che già credovano molto concretamente dei problemi no e sono radunati nell'assemblea della quotidiani. Per es. esse prescrivono l'ofcomunità (I Cor. 14,3 s. 29 ss.). Essa ser- ferta di denaro (Did. 11, 1 2) o di viveri ve alla olxoooµ1) dei cristiani (I Cor. 14, (Did. II,9) per scopi particolari. Non è possibile invece stabilire con sicurezza se 3 s. 12 [ ~ VII, col. 398] ). Peraltro i due i cristiani rivolgessero ai profeti domantipi di annuncio non si possono distin- de ben precise per avere notizie o istrugue nettamente per quanto riguarda i zioni quando non sapevano quale fosse la volontà di Dio, come avveniva per e.~. destinatari; infatti, come l'evangelo non in Grecia (~ A II rn) o anche in Israesolo crea ma anche mantiene 1a comu- le (~ B III 2) allorché si prendeva connità, in quanto continua sempre a pro- siglio dai profeti. Comunque il profeta clamare Cristo (~ ur, coll. 1056 s. 1097 cristiano non ha subito una risposta pronta ad ogni domanda, perché può ins.), cosl la profezia non s_i rivolge esclusi- segnare solo se lo Spirito gli concede vamente a cristiani, ma ha anche valore una rivelazione(~ coll. 629 ss.). Secon-
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(G. Frieclrich)
r. Nel concetto di l)Jwoonpoq>1)'t'l)<; il N .T. comprende vari tipi di falsi profeti.
da pio (~ Iv, col. 506) e cerca di compiere ciò che ha fatto Elia, il precursore del Messia. Tuttavia non è un profeta cristiano che falsifica il vangelo, bensl un falso profeta, perché per mezzo di prodigi e con la forza bruta, seduce gli uomini alla pseudoreligione del culto dello Stato.
In Le. 6,26 e 2 Petr. 2,1 si tratta di profeti giudaici dcl passato; in Act. r3,6 questa qualifica è attribuita a un contemporaneo dell'apostolo Paolo, il mago giudeo Barjesu, che si era accodato al proconsole Sergio Paolo. Probabilmente era da molti considerato profeta perché faceva credere di conoscere il fu turo e misteri reconditi. In realtà è un falso profeta perché non agisce per mandato di Dio, ma è figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, pieno di ogni inganno e di ogni malvagità (Act. r3,ro). Balaam è detto profeta, e non falso profeta, in 2 Petr. 2,16, benché nella stessa lettera, in rispondenza alla tradizione giudaica, sia presentato quale rappresentante dei falsi profeti(~ II, coli. 29 s.). Soprattutto vi sono pseudoprofeti cristiani, maestri d'errore, appartenenti alla comunità o da essa provenienti, che la distruggono predicando ogni sorta di perniciose eresie. In 2 Petr. 2,1 questi discepoli dei falsi profeti veterotestamentari sono chiamati ~wlìolìLMcnuxÀ.ot, in 2 Io. 7 nÀ.6.voL, in I Io. 2,r8 &.v't'lXPLO"'t'OL (cfr. I I o. 4,1 ss.). Jezabel si definisce profetessa, mentre in realtà è una falsa profetessa (Apoc. 2,20 [ ~IV,col. 731]). Ci si attende la comparsa degli pseudoprofeti soprattutto nel tempo finale (Mt. 24,rr). Alla loro testa sta il grande aiutante dell'Anticristo (Apoc. 16,13; 19,20; 20, 10), la seconda bestia (Apoc. 13,11 ss.), che ha due corna come un agnello, ma parla come un dragone. Egli si maschera
Come nell'Antico Testamento (-> v, coli. 113 ss.), cosl nel Nuovo si dànno indicazioni per distinguere i falsi profeti(~ v, coll.153 ss.). Non si deve se· guire indiscriminatamente qualsiasi profeta; la profezia va di volta in volta esaminata (I Io. 4,1; I Thess. 5,21) . L'esa· me però non può essere di tipo razionale, ma deve essere cal"ismatico-pneumatico. Tutti i tentativi razionali di smascherare lo pseudoprofeta sono destinati a fallire perché non esistono criteri universalmente validi dai quali dedurre se un individuo è un falso profeta oppure no. Soltanto chi possiede lo Spirito, il dono del discernimento degli spiriti (I Cor. 12,ro), può giudicare se ciò che è detto dal profeta viene da Dio o se vi è frammisto altro. Secondo I Cor. 14,29 il giudizio sul discorso profetico spetta ad altri profeti 439 • In I Cor. 14,37 Paolo si attende che i profeti di Corinto ade· riscano alle sue argomentazioni. Solo i profeti possono vigilare affinché discorsi umani non vengano pronunciati nella comunità quasi fossero oracoli divini. Quando però lo Spirito abbandonò la comunità e scomparve il carisma del di-
do Herm., mand. rr,5 s. una caratteristica del falso p1·ofeta è che si fa consultare (~ E IV).
VII. Falsi profeti
H9 ·Di op io ione diversa è L. LERLE, Diakrisis Pne11maton bei Pa11/us, Diss. Heidclbcrg (r947)
2.
scernimento degli spiriti, mentre d'altro re una vita immorale e a mangiare la carcanto si faceva più intensa l'attività de- ne sacrificata (Apoc. 2,20) 441 . La comugli eretici, si cercarono criteri universal- nità protocristiana è fermamente convinmente validi dai quali poter riconoscere ta che alla fine, nonostante il travestii falsi profeti. Il miracolo non fu più ri- mento da persone pie, la vera natura detenuto segno di conferma 440 , perché pro- gli pseudoprofeti risulterà chiara. La loprio i falsi profeti del tempo finale usa- ro sorte però è ormai fissata: «Ogni alno i miracoli per sedurre gli uomini (Mc. bero che non porta buon frutto è abbat13,22 par. Mt. 24,24; Apoc. 13,13; 16, tuto e gettato nel fuoco» (Mt. 7,19). Se 13 s.; 19,20). Si prestò attenzione allora è difficile smascherare ogni singolo falso alla dottrina e alla condotta dei profeti. profeta in quanto tale, è facile invece inIl presupposto di un'autentica profezia è dividuare l'attività del vero profeta: le la retta professione di fede in Cristo: sue parole provocano olxoSoµl), 1Cctp6.«Da ciò riconoscerete lo spirito di Dio: XÀl]O"t<;, 'lt<.tpaµv~la (r Cor. 14,J). Per ogni spirito che confessa Gesù Cristo in effetto della sua predicazione si giunge quanto venuto nella carne è da Dio, e a riconoscere il peccato e ad assoggettarogni spirito che non confessa Gesù non si a Dio (r Cor. 14,25). è da Dio» (r Io. 4,2 s., cfr. I Cor. 12,3). Ma la conformità alla formula di pro- E. PROFETI NELLA CHIESA ANTICA fessione di fede cristologica della chiesa I.I profeti veterotestatnentari (--->VIII, col. 589 n. 34) non è sufficiente I . La Lettera di Barnaba chi.ama spesa provare l'autenticità della profezia. Anso in causa i profeti veterotestamentari che i falsi profeti possono senz'altro pro- per provare l'adempimento delle profefessar fede in Cristo, profetizzare nel zie (~ coll. 578 ss.). Essi rivestono una suo nome (Mt. 7,22) e in tal modo mi- grandissima importanza, poiché aiutano a comprendere rettamente il passato metizzarsi da autentici annunciatori con per passato Barn. intende probabilmentanta perfezione da rendete molto diffi- te l'incarnazioe di Gesù e la sua passiocile riconoscerli come mentitori. Perciò ne - e il presente in cui è sorta la comunità cristiana che è perseguitata. Ma è necessario esaminarne tutta la condotessi dimostrano anche di aver pregustato ta. È difficile dire che cosa significhi in il futuro che ora ha iniziato a realizzarsi particolare il xap7téç di Mt. 7,16. Nel (1,7). Peraltro, non tutti possono comcaso di Jezabel (---> x, col. 544; IV, coli. prendere immediatamente i profeti veterotestamentari(~ col. 640), che spes731 s.) i 'frutti' sono gli effetti della sua so presentano frasi enigmatiche il cui attività: ella seduce i cristiani a condur- senso può essere rettamente interpretato 4-IO
Cfr. S. Deut. i8,19 § 177 (ro8a), cfr.
STRACK-BJLLERDECK I 727 :
«Se.J.lD profeta che
comincia a profetizzare dii un segno e miraco-
lo, lo si deve ascoltare; ma se non lo lo si deve ascoltare». 441 ~ Guv II4.
d~,
non
1tpocpi')-tl}c; x-rA. . .t.
solo da chi è saggio, istruito ed nma il suo Signore (6,rn). Per gli avveduti, l'A. T. è una profezia del Cristo (5,6; 6,2.4; cfr. Ign., Phld. 5,2; 9,2; Mg. 9,2). In qualità di profeta Mosè ha preannunziato la venuta di Gesù nella carne {6,8 s.), David ha preconizzato che Gesù non è figlio di un uomo, ma Figlio di Dio (12, Io). Soprattutto però è stato predetto che Cristo avrebbe patito (5,5 ss.; 6,6 s.), gli avrebbero dato da bere aceto (7, 4) e sarebbe morto in croce (5,I3 s.; I2, 1-4). Ma i profeti non parlano solo di Cristo, bens~ anche dei cristiani, e precisamente del battesimo (ll,I-8) e della rinascita che avviene nell'età escatologica (6,13 s.). Israele non era degno di ricevere l'alleanza ( x4,x ss.). Nel caso dei cristiani invece s'è attuato ciò che i profeti hanno detto circa la circoncisione degli orecchi e l'ascolto della parola (9,1-3). Ora l'eredità passa ai cristiani (r3,1 ss.),poiché essi sono il popolo santo dell'alleanza (14,6 ss.). Tutto ciò è profetizzato negli scritti dell'A.T. e si realizza ora. I profeti possedevano la grazia di Cristo(~ col. 577): 5,6 (Ign., Mg. 8,2: ot yàp ih:t6'tct'tOL 1tpocpfj'tctL xa'tà. Xpto-'tòv 'I1111ovv tsTJcrav ... Év7tve6µEvot U1tÒ 'tijc; xapL'tOc; mho\i' «i profeti divini vissero secondo Cristo Gesù ... ispirati dalla sua grazia»; 9,2: ol 1tpo
I 1-2
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VJ.to.J
tico profeta è Mosè, su cui poggia tutta la filosofia greca: «Tutto ciò che filosofi e poeti hanno affermato riguardo all'immortalità dell'anima, alle pene dopo la morte, alla contemplazione delle realtà celesti o ad analoghe dottrine, l'hanno appreso e sviluppato solo grazie ai suggerimenti avuti dai profeti» (apol. 44,8 ss.). Il principio di Platone, secondo cui Dio ha creato il mondo trasformando la materia informe, proviene da Mosè (apol. 59,1) . I miti e le saghe inventate dai poeti sono imitazioni delle profezie della storia di Cristo, composte per suggerimento degli spiriti malvagi al fine di far passare per favole e rendere incredibili i racconti su Cristo (apol. 54; dial. 69 s.). I profeti ha11no preannunziato gli eventi futuri prima che accadessero (apol. 31 ,r). Perciò per provare la figliolanza divina di Cristo essi sono più importanti degli apostoli e dei dottori, i guali possono solo sostenere le loro idee, mentre i profeti sono stati comprovati dal corso della storia. Si può constatare coi propri occhi l'adempimento della promessa (apol. 30). Poiché sono così numerose le profezie già attuate, anche quelle non ancora adempiute si avvereranno (apo!. 52). Quando Giustino parla delle 7tpOq>Y)'t'LXat ypa.cpa.l non intende solo i veri e propri libri profetici, ma tutto l'A .T., che, secondo lui, tratta tutto di Cristo (dial. 32). Non tutte le profezie si possono dil'ettamente riconoscere in quanto tali e~ coli. 639 s.); alcune sono volutamente tenute oscure perché i Giudei non le comprendano immediatamente (dial. 52). I profeti dànno ai loro pensieri una veste enigmatica, li formulano in parabole e azioni simboliche, affinché chi li vuole trovare e conoscere sia costretto a impegnarsi (dial. 68.90). Spesso certe azioni sono modelli di atti futuri. Molte volte i profeti non usano il futuro, ma parlano di cose che dovranno avvenire quasi che si compissero in loro
presenza o fossero già accadute (di~l. r 14). In realtà però parlano di Cristo. I~ L~gos ,divin~ per pronunciare profezie s1 puo servire anche della bocca di popoli che rispondono al Signore e al Padre suo (apol. 36,2). Chi legge l'A.T. de~e conoscere questi metodi della profezia veterotestamentaria (dial. 114). Inoltre c'è da notare che vi sono diversi gradi di profezia. Spesso profeti successivi precisano e spiegano le profezie pro· nunciate in precedenza (dial. 68). Molte promesse misteriose si comprendono esatta?1~nte solo quand~ Cristo apre gli occhi di una persona (dtal. 76): è lui l'e.>egeta delle profezie non comprese (a-
pol. 32,2). La maggior parte delle profezie tratta di Cris~o, di cui lo Spirito santo ha preannunziato tutto tramite i profeti (apol. 6.1,13). Lo schema profezia-compimento diventa per Giustino il motivo di tutto il suo resoconto evangelico. Egli presenta brevi biografie di Gesù, stese col criterio delle profezie compiute (apol. 31,7 s.). I profeti hanno previsto in tutti i particolari la storia di Gesù. Perciò essi parlano del luogo della sua nascita (apol. 34,1), della sua nascita verginale (apol. 31,7; 32,9 ss.; 33,1; dia!. 54.63.76.84), dei suoi . miracoli (apol. 31,r, 48 ' I) del suo mgresso in Gerusalemme (apol. 32,5 s.; 35,10 s.), dell'istituzione dell'eucarestia (dial. 70), della sua passione (apol. 32,7; dial. 76.106), del sudore di sangue )
al Getsemani, della sua cattura e del suo abbandono (dial. 103), del suo silenzio davanti a Pilato (dia!. 102 s.), dell'accordo fra Erode, Pilato e i Giudei (apol. 40, 5 s.), del suo rinvio da· Erode a Pilato (dial. 103), delle beffe da lui subite (apol. 35,6; dia!. 101), della sua crocifìs· sione (apol. 31,7; 32,6; 35; dial. 73 .97), della sorte gettata sulle sue vesti (dial. ~04), d~lla sua morte (apol. 31,7; 48,4), nsurrez10ne (apol. 3I,7; diaZ..73.97.100. u8), ascensione (apol. 31::",7; 45; 51,6),
della sua regale sovranità (apol. 41; dial. 76), del suo ritorno nella gloria con la risurrezione dei morti e il giudizio finale (apol. 50,1 s.; 51,8; 52,3 s.; dial. 52). II.(;esù profeta
Nella chiesa antica Gesù continuò a vivere n~l giudeocristianesimo come profeta. Nei Kerygmata di Pietro è svilup· pata una specifica dottrina sul profeta. È vero che le Pseudo-Clementine parlano anche di Gesù quale maestro (hom. 2,51,1; 3,12,3; recogn. 2,28; 6,5), qu::i.le Kyrio~ (hom. 11,35,3; recogn. 3,5,3), quale Cristo (recogn. 1,59 s.). Ma il vero titolo caratteristico di Gesù è quello di profeta. Si tratta di un predicato cosl specificamente cristologico, che Pietro lo rifiuta per la propria persona: 7tpoqi1}'tOIJ ù.À.11l}ouc; µ.a.l}1yd1c; wv, ou npoqiiJn1c;, «essendo discepolo del vero profeta, e non profeta» {hom. 18,7,6; cfr. recogn. 3,45 e hom. 7,u,3). Gesù è detto ò npoq>lJ'tlJc; {hom. 3,13,1; 10,4,3; u,26,2; n,35,3; 13,14,3; recogn. l,37,2 s.) o più esattamente Ò &.À:riiH1c; 1tpOCfllJ'tl)c; (hom. 3,13,2; 10,3,3; recogn. 3>41'4i 5, 2.5.9.10; 6,14), ò "Tijc; àÀ.11i>Elt'X4 npocp1}•11c; (hom. 7,6,2; Ir,19,1; 12,29,1; recogn. 1,44,5 s.; cfr. hom. 8,22,4); ancor più precisamente o'tf\c; ù.À.11iklt'X4 µ6voc; 7tpoqrf1't'l'Jc; (hom. 7,8,1) oppure ò oE;~òc; a.ù.-ov {ikou) npoqrfi'tTJc; (hom. 7,n,3), ò &.ljJevoTic; 7tpop1J.-11c; (hom. n,33,1; cfr. 3,30,2), ò a.yo:i>òc; 1tpOq>TJ't'l'J<; (recogn. l ,40,1), ò E!c; npocp1}'t'T1c; (recogn. 1,50,7; 54,5), unus verus prophet4 .(recogn. 1,54; 4,35), solus fidelis ac verils propheta (recogn. 4,36), iustus et verus propheta (recogn. 9,29) . . L'impronta giudaica del concetto risulta dal fatto che non ci si stanca di porre in rilievo che Gesù è il profeta promesso in Deut. 18,15 (recogn. l,36, 2 ; 39,1; 40,4; 49,1; 54,5; 56,2; 57; 2, 48). «Spesso essi (i Giudei) mandavano a noi {discepoli) qualcuno a chiederci di
643 (v1,860)
1tpoq>"i}'tl'Jc; Y.'t A.
discutere con loro se egli è il profeta che Mosè ha predetto e che è il Christus aeternus» (recogn. l,43). Secondo hom. 3,53a Gesù stesso ha detto: iyw Elµt m:pt ov Mwu
c.
II \ u • .t' nconcn J
9); «non sono venuto a portare Ja pace sulla terra, ma la spada» (recogn. 2,28); «cercate prima la sua giustizia e tutto ciò vi sarà dato in sovrappiù» (recogn. 3, 4r,4); «in verità vi dico: se aveste fede come un granello di senape... » (recogn. 5,2); «nessuno può servire due padroni...» (recogn. 5,9); «siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste» (recogn. 5,r3); «la regina del Sud sorgerà con questa generazione... » (recogn. 6,14; hom. II,33,1). Gesù, vero profeta, condanna il sacrificio e il tempio e istituisce il battesimo per la remissione dei peccati (recogn. l,36 s. 39. 54). A questi aspetti veterotestamentari e cristiani si aggiungono altri elementi che provengono dalla gnosi o sono in contatto con idee gnostiche: i:i]c; 8€ yvW
oè
645 l VI,!!bOJ
cogn. 1 ,52; 2,22). Il vero profeta ha
il
compito di portare la verità agli uomini; senza lui non è possibile ottenere la verità che salva (hom. 2,4,J; 3,54). È necessario cercare questo vero profeta, poiché egli è l'unico che conosce tutto e sa che cosa e come ciascun individuo cerca (recogn. 8,59). Il mondo con i suoi peccati e i suoi errori è come una casa piena di fumo. Persino gli amici della verità devono gridare aiuto, affinché venga qualcuno dall'esterno e apra la porta per far entrare la luce del sole. Questo uomo che può portare aiuto -è il vero profeta, l'unico che può illuminare l'anima umana (hom. 1,18 s.).
III. Profeti della comunità cristiana
lo invita direttamente ad esaminare gli col. 636), secondo la Didachè, nonostante i falsi profeti che minacciano la comunità(~ col. 649), criticare i profeti quando parlano neUo spirito è un peccato irremissibile (n,7). Dagli enunciati della Didachè si può dedurre che il numero dei profeti va già scemando. Si considera l'eventualità che non o· gni comunità abbia i suoi profeti (13,4). Se in una comunità non vi sono a sufficienza uomini dotati di spirito profetico, spetta ai vescovi e ai diaconi assumere il ministero dei profeti e dei dottori t! presiedere le assemblee liturgiche. Che in questa età di passaggio dal servizio pneumatico a quello istituzionale i profeti fossero altamente stimati dalla comunità risulta dal fatto che questa non è disposta ad affidare senz'altro ai ministri i compiti dei pneumatici. Perciò si ricorda ai cristiani che anche i vescovi e i diaconi sono degni della loro stima spiriti(~
All'inizio dell'età subapostolica i profeti nella comunità cristiana godono ancora un notevole prestigio. Lo provano gli enunciati della Didaché, nella quale i profeti godono un'alta stima. Essi e- (15,1-2). mergono fra le altre guide della comunità e occupano una posizione particolare. Erma, che ha probabilmente ricevuto In Did. 13,1-7 sono detti sommi sacer- rivelazioni, non si definisce profeta. Egli doti ai quali spettano, a loro piacimen- non computa i profeti fra i dignitari delto, le primizie del torchio e dell'aia, dei la chiesa, come gli apostoli, i vescovi, i buoi e delle pecore, di ogni cosa cotta, dottori e i diaconi (vis. 3,5,1); però codel vino e dell'olio, di tutto il denaro nosce ancora profeti che hanno 1:Ò m1ei.1ricevuto, del vestiario, insomma di ogni µa 1:Ò i}Ei:ov e parlano ripieni dell'angelo proprietà, di modo che siano sollevati da dello spirito profetico (mand. n,9). I qualsiasi preoccupazione materiale. Il so- veri profeti non tengono sedute segrete stentamento dei profeti è più importan- per dare informazioni, non si fanno conte del soccorso ai poveri; infatti le pri- sultare come indovini e dispensatori di mizie vanno donate a questi ultimi solo oracoli (mand. n,5.8), ma devono attenquando nella comunità non vi siano pro- dere le rivelazioni dallo spirito allorché feti. Mentre gli altri cristiani si devono 1a comunità prega (mand. u,9). Lo spiattenere alla liturgia prescritta, il pro- rito santo parla non quando vuole l'uofeta è libero di pronunciare una sua pre- mo, ma quando vuole Dio (mand. 11 ,8 ghiera di ringraziamento poiché in qua- s.). Esso ha la òvvaµ~i; 'tiji; i>e6-r'Y].-oc;, lità di pneumatico non è vincolato alla «la potenza della divinità», perché viene lettera né alla durata delle preghiere co- dalla potenza dello Spirito divino (mand. muni (10,7 ). Quanto fosse alto il suo pre- II,5). stigio risulta anche dal fatto che egli non La stima di cui godevano i profeti in può essere messo alla prova e giudicato vari ambienti fin verso il 300 risulta dalquando parla nello spirito. Mentre Pao· la frase seguente: 1:Ò yb.p 'ltpocp'Y]"t'~xòv
647 (v1,861)
-;:~qii)"tT)ç x'tÀ..
E
III
(G. Friedrich)
1'\/EUµa 't'Ò O'Wµa-rE~O\I ÈO'•W •fic; 1tpoqn1- feti eminenti non dovevano essere mol't'LXfjç 't'OCçEW<;, O ECJ-;;W 'tÒ CTWµet. 't7}<; to numerose nella chiesa, poiché nella O'et.pxòc; 'I11crou XpW>OV -::b µtyÈ.\I -.ft polemica contro i Montanisti si menziocb.it1pw'lto'tl)'t't otà. Maplaç (P. Ox:y. I 5, nano come profeti cristiani solo Quadra9 ss.). Vi è quindi ancora un collegio di to e Ammia, a prescindere da quelli ciprofeti, che è il corpo della carne di Ge- tati nel N.T. (Eus., hist. eccl. 5,17,2.4; sù Cristo 442• In complesso, in età sub- cfr. 3,37,1) . apostolica i profeti della comunità vanno sempre più diminuendo, e ciò per un Già nella 2 Petr. non vi sono più produplice motivo. Anzitutto nella comu- feti protocristiani, perciò l'autore a difenità si estinguono le forze pneumatiche, sa della sua escatologia non adduce didi modo che ai profeti subentrano i chiarazioni di profeti della comunità, ma ministri e la Scrittura (~ coli. 646. ricorre ai profeti della Scrittura 443 • Ana648). In secondo luogo influisce negati- logamente, più tardi, nella polemita convamente la presenza di pseudoprofeti, tro la profezia pagana Origene non si apche fanno perdere prestigio e autorità pella a profeti cristiani ma a quelli delanche ai veri profeti; da essi la comuni- 1'A .T. (Cels. 7,3 s.; 8,45 s.). Non è certo tà non è in grado di difendersi perché le che Ireneo al;ibia personalmente visto omanca il carisma del discernimento de- pernre profeti ( haer. 5 ,6,1 ). Tertulliano, gli spiriti (->coli. 636 s.). Sarà accaduto che pure stima i profeti montanisti (de a più di un profeta di essere respinto co- anima 9 [CSEL 20,310]), nel suo elenme falso profeta, perché ormai si guar- co di persone eminenti nella comunità dava con sospetto ogrù forma di profe- non menziona i profeti (praescr. haer. 3 zia (4- col. 650). Ireneo ammonisce di [CSEL 70,4]). Origene sostiene che badare che la lotta contro i falsi profeti talvolta vi sono profezie (Cels. 1,46), ma non estingua nella chiesa la vera profe- nega che i profeti abbiano un ruolo di zia (haer. 3,u,9). I profeti non scompa- rilievo nelle comunità. Ai tempi di Celso iono all'improvviso. Probabilmente I- non vi erano più profeti che potessero gnazio si attribuisce doni profetici quan- essere paragonati agli antichi, poiché gli do parla della rivelazione concessagli uditori ne avrebbero tramandato per i(Eph. 20,2); ma secondo lui le _p ersone scritto le profezie, come è avvenuto per responsabili sono i vescovi, i presbiteri quelli antichi (Cels. 7,II). Le parole di e i diaconi (lgn., Phld. 7 ,r ). Anche Poli- Milziade: OEÌ:\I yàp E{W.tt 'tÒ 'ltpoc:p'l'}-.tXÒ\I carpo aveva il carisma della profezia xciptoµa. Èv 1toccrn "TI hxÀ.ncrlq. µéxpt (mart. Polyc. 16,2, dr. 5,2; 12,3) ed an- i:fjç -.EÀElac; 1tapovcrlac; o ém6cr-toÀoç, che Melitone di Sardi: Hier., de viris cH;to!, « ... l'apostolo ritiene che il caill. 24 (MPL 23 [ 1883] 677 A); Eus., risma profetico rimarrà in tutta la chiesa hist. eccl. 5,24,5; cfr. 2 . Giustino ri- fino alla venuta finale» (Eus., hist. eccl. 5, corda che nella chiesa cristiana, diver- 17,4) sono un principio desunto dalla trasamente dal giudaismo, vi sono uomini dizione teologica ma senza riferimento che hanno il dono della profezia (dial. alla effettiva presenza di profeti nella co39,2; 82,r; dr. 88,r). Pare tuttavia che munità. Il dogma secondo cui una conella comunità i profeti non abbiano più munità cristiana comprende profeti è a un .ruolo determinante. Le figure di pro- lungo sopravvissuto alla profezia stessa. A. HARNACK, Ober 2 von Grenfell und Hunt entdeckte-und publicierte altchristliche Fragmente: SAB 1898 (1898) 516-520.
442
E. KXSEMANN, Bine Apologie der tirchr. Eschalologie: ZThK 49 (r952) 289.
443
Con il rifiuto del montanismo nella chiesa è venuta meno la profezia.
IV. Falsi profeti I falsi profeti dànno molto da fare alla chiesa antica. Per smascherarli la Di-
ov
daché stabilisce la regola: 'ltac; oÈ ò Àa.À.wv f.v 'ltVEvµa.·n 'ltpoqrl)-cTJc; Ècr-tlv, éJ.).,).,'f.à.v ii:x;n -roùc; -tpé'ltouc; xuplou· &:itò ouv 'tWV 'tpO'ltWV yvwcrth10'E't(X.~ o \)JEV001tpocp1rtTJc; xctt ò 'ltpocp1J-cTJc;, <<non chiunque parla nello spirito è profeta ma chi pratica i costumi del Signore; dai costumi quindi si conosceranno lo pseudoprofeta e il profeta» (II,8). Nel vero profeta la dottrina corrisponde alla vita; chi non fa ciò che insegna è un falso profeta (11,ro). Soprattutto al profeta si richiede disinteresse assoluto. Se qualcuno ordina di imbandire una mensa per fini egoistici (n,9) oppure chie, de denaro o cose simili per motivi per~ sonali (u,12) è un falso profeta. Il numero aumenterà negli ultimi giorni ( 16,3). '
attendere la rivelazione, ma agisce come se sapesse sempre tutto; evita le assemblee liturgiche perché viene smascherato dalla preghiera dei cristiani; fornisce informazioni in segreto (mand. rr,r3 s.) e si fa consultare come un indovino (mand. II,2+6) . A lui interessa principalmente il denaro (mand. II,12). Perciò a quelli che lo consultano dice ciò che fa loro piacere (mand. n,2.6.13). Senza compenso non profetizza (mand. 11,12). Le opere e la vita sono i criteri decisivi per distinguere i veri dai falsi profeti (mand. II,r6). à'ltÒ -tf}c; swi'Jc; 00xlµa.sE 't'ÒV av~pW'ltO\I 'tÒV EXOV"m 'tÒ nVEVµct -rò iM:ov, «dalla vita riconosci l'uomo che ha lo spirito divino)) (mand. rr,7).
Secondo la grande chiesa sono pseudoprofeti anche i profeti montanisti, che si definivano v~ct 'ltpoq>"f]'t'El~, <muova profezia» (Eus., hist. eccl. 5,16,4; r9,2; Tertull., de ieiunio adversus psychicos r [CSEL 20,274)) 444 • Montano si ptesenta sostenendo di essere profeta. Con lui stanno le profetesse Prisca, Massimilla Ancor più concreta è la descrizione ed altre (Epiph., haer. 48,1,3; 49,2,3; del falso profeta in Erma: µ1]0Eµ.la.v Tertull., de anima 9 [CSEL 20,310]). EXWV ÈV fo.u-cifl ouva.µw 'ltVEuµa:toc; iM- Essi vivono nell'ardente attesa della :fine ou, «che non ha in sé potenza di spiri- (Epiph., haer. 48,2,4) e ritengono che la to divino» (mand. n,2); il suo 'lt\lsuµa. Gerusalemme celeste scenderà nelle lo••• Èmyst6v ÈO''t'W X<X.L ÈÀ.ct
11ism11s und die phrygiscbe11 K11lte (r929) ro.
ché le guerre preannunziate non sono scoppiate, la profezia montanista è falsa (Eus., hist. eccl. 5,16,18). Viene inoltre avversata l'estasi. L'anonimo di Eus., hist. eccl. 5,16,7 descrive il primo rapimento estatico di Montano: come egli, preso dallo spirito, cominciò a smaniare e ad emettere strani suoni (dr. 5,16,9). Lo stesso Montano si definisce strumento passivo dello Spirito santo che fa parlare il profeta come il plettro fa suonare la lira. L'uomo, per cosl dire, si addormenta, perde coscienza, e una forza estranea si impossessa di lui (Epiph., haer. 48,4,I; cfr. Eus.,hist. eccl. 5,17,2). Montano affermava che in lui il Padre scendeva tra gli uomini (Epiph., haer. 48,11,r.6.9). Contro i profeti montanisti Milziade stabilisce il principio µ1) OE~v 1tpocp1j"t'J]V Èv ÈX
t
tingono i capelli, si adornano e si fanno belli; amano giocare con tavolette e dadi e praticano l'usura (Eus., hist. eccl. 5,18, II). Perciò si dice: oe:i: yàp "toùc; xap1tOÙc; ooxLµasEcril'aL .-ov 1tpocp1J't'ov, «è necessario valutare i frutti del profeta» (5,18,8, cfr. II) . Estasi e condotta non conforme alle norme morali tradiscono la falsa profezia. Riguardo ai Montanisti è difficile dire che cosa fosse autentica profezia e che cosa eresia, distinguere fra calunnia e aberrazione. È necessario tener presente che Tertulliano ha sempre parlato con senso di alta stima dei profeti montanisti. Moltissimi non si aggregano a questo movimento perché lo trovano t roppo ascetico e rigorista (de ieiunio adversus psychicos l [ CSEL 20, 274]). Anche Epiph., haer. 48,1,4 scrive che sotto il profilo dogmatico nulla si può rimproverare ai Montanisti: 'lte:pt OÈ 1ta't'pÒç xat vtov xu.t aylov 'JtVEUµa"tOc;, op.olwç qJpOVOUCTL tjj tiyl~ xcd}oÀ.txjj ÈxxÀ.'J]O'l~, «quanto al Padre, al Figlio e allo Spirito santo concordano con la santa chiesa cattolica» . Il montanismo fu l'ultimo grande bagliore del profetismo nella chiesa. Combattendolo ed eliminandolo, il ministero istituzionale consegul una vittoria definitiva sul carisma.
G. FRIEDRICH
7tpoxe:~plsw
1. '1tPOXEtplsw non è un composto del verbo semplice XEtpll;w 1, ma è derivato direttamente dall'aggettivo 1tPOXEtpoç= a portata di mano, facile da avere, trovare ecc., che è usato sia per le cose
(nell'accezione di pronto, sempre disponibile: ad es ., Aesch., Prom. 54; Soph., El. nr6) sia per le persone (nel significato di pronto, deciso, ardito; ad es., Eur., Herc. fur. 161: "tfi cpvyfi; Polyb.
I XE~pl~w, avere in mano, nelle mani, fra le mani, maneggiare, tra/fare (detto, ad es., di un medico), è usato anche in senso traslato, specialmente nel significato di govemare, artr-
minirtrare (cosl spesso in Polibio, ad es. r,2.0, 4; 2,36,1). Anche nei LXX troviamo quest'u· so: -tà. itp&:yµa'ta. XELpt~e.w, «curare gli affari di stato» (Esth. 8,u•). XELpl~w manca invece nel N.T., nella prima letteratura cristiana e negli apologisti.
- -" .J \ -
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23,5,7: Èv -roc~c; òµtÀ.latc;) 2 • 7tpoxEtplsw, mano = palese, già iniziata, oppure imnella forma attiva ( consegnare, dare mùtente, incombente, prossima: «prosin mano, anche tenere pronto, ad es., sima e motivo di gioia è la rovina degli Polyb. 3,107,10), è frequente come de- empi». Per contro il verbo 7tpoxe:i.plsw ponente medio: prendere in mano, ma· è usato più volte. Al medio, col signifi11eggiare, preparare, ad es. navi o simili: cato di eleggere, nominare: Ex. 4,r3 allestire (Polyb. 3,97,2; l,16,2); riferito (Slf.J}; los. 3,12 (lqf.J>; 2 Mach. 3,7: 7tpoa persone: scegliere, nominare: 011µa- XEtpi.aiXµe:voc; (cod. A: 1tpOXELpTJCT&µeywyovc; (lsocr. 8,122), &pxov-roc (Ditt., '\/Oc;, errore grafico dovuto a itacismo); Syll.' Il 873,14 s. [II sec. a.C.]); -roùc; 2 Mach. 8,9 (nel parallelo I Mach. 3,38 -div 1tlcn:w EÙO'EBwc; -re xaL oLxalwc; abbiamo ÉitÉÀ.d;ev, come in Ios., ant. 't'l')pi}crocv-rac; (Ditt., Or. I 339,46 s. [n 12,298); 2 Mach. r4,12 (il cod. A legge sec. a.C.]); col doppio accusativo del. di nuovo 7tpoxe:tpncr<Xµe:voç , variante l'oggetto e del predicato (Diod. S. 12, 7tpocrx(X.À.Ea-aµEvoc;); al participio aoristo passivo; Dan. 3,22 (LXX), senza corri2 7 ,r ). In questa accezione il verbo è usato spesso anche al passivo, precisa- spondente nel T.M. 4 • mente al participo aoristo o perfetto: 3. Filone usa l 7 volte laggettivo 7tp67tpoxnpi.CTi>dc; ... &.-ywvoi>hnc; (Ditt., Or. XEtpoç (anche al comparativo e superlaI 268,4 [193 sec. a.C.J); 1tPOXEtpw·itdc; xaì. ùcp' ùµwv 7tpEO'BEucroci. (Ditt., Syll. 1 tivo), specialmente col significato di ovvio, evidente, superficiale, riferito a idee II 6or ,5 [ r93 a.e.]); tEpÉwc; 7tpOXEXET.· o concezioni; ad es., det. pot. ins. 155; pi.uµivou (BGU IV rr98,2 s. [I sec. a. C.]); 1tPOXELpln~ÉV't"E<; CÌ\l'rLO''t"plt't'l'))"Ol som. r,127; post. C. r; ebr. 65; dee. 69; (Polyb. 3,106,2); cfr. ò 1tpOXEXET.ptC1µi- conf. ling. r90; Deus imm. r33; al pl"imo voc; Èv -r4> vuv Myoc;, «il discorso previ- sguardo: sacr. A. C. 35; det. pot. ins. 47; 33. sto e appena iniziato» (Plat., leg. r ,64 3 ovvio: agric. 3; immediato: sobr. 5 a) . Nei papiri compare il medio, ma pre- Filone non usa invece il verbo , che è vale di gran lunga il participio passivo assente anche dal vocabolario di Flavio Giuseppe (~ sopra), il quale usa invece nell'accezione di disposto, intrapreso 3• l'aggettivo 7tp6xEi.poc; (ant. 8,214; Ap. 1, 2 . Nei LXX troviamo una volta l'ag24; beli. 4,85) e l'avverbio 7tPOXElpwc; gettivo 1tPOXET.poc;: 1tPOXEtpoc; OÈ ylvE· = deciso su due piedi (beli. 2,463). Il -roci. xaì È7tlxocp-roc; wn:Bwv &:7tWÀ.Eta. verbo 1tPOXELp6oµa.t === essere sottomes· (Prov. u,3). Il resto dello stico ripro- so già in precedenza (bell. 4.444) non duce il testo ebraico di u,10\ ma pro- deriva da 1tP6XEtpoc;, ma è un composto prio 7tp6xEtpoi; non ha un corrisponden· di XEtp6w. te nel T.M. né in rr,rob né in u,3. 4. Nel N.T . abbiamo soltanto il verbo L'aggettivo significa qui o a portata di
=
2 Anche nei papiri (II·III sec. d.C.). Cfr. PREI· SIGKE, Wort. II 428 (ibid. la documentazione per 1tp6XE~pov, borsa, cassetta).
Numerosi esempi (a partire dal II sec. a.C.) in PREISIGKE, Wort. II 420; III 151; Mom...
3
TO!ll-MILLIGAN 556; MAYSBR I 3,144; II x,93;
u 2,486. Il sostantivo 1CPOXEtpL0"µ6c;, equjpaggiamento, addestramento: o ÒE~vcx. 1)yeµWv 'tW\I tv 1Cpoxe1pLuµiì"l, «qt1esto istmttore delle reclute», ufficiale istruttore (P. Amh. 39,1 [II
sec. a.C.}). Teodozione e probabilmente anche Simma· co hanno tradotto 11sk al nif'al in Prov. 8,23 con 7tpoXEXElptuµa.i. (LXX: tDeµt).lwcrÉv fM:); 4
cfr.
FIELD II 326.
s Almeno LEISEGANG non registra 'ltPOXEtpll;t». Abbiamo comunque la stessa situazione in Clemente Alessandrino, che usa l'aggettivo (e l'11v· verbio), ma non il verbo (dr. l'indice, s.v. in
GCS
39.690).
b55 lVl,1Sò4)
'1tPOX.Etplsw (al medio e passivo), precisamente tre volte, tutte nel libro degli Atti. Nel secondo e nel terzo racconto 6 della conversione di Paolo (Act. 22,14 e 26,I6) 7 significa destinare, stabilire, eleggere 8 • Come abbiamo visto nei testi di
2
Mach . ricordati sopra (--+ col. 654) e
sione presa abbia un aspetto coattivo è forse particolarmente evidente quando si affidano incarichi e funzioni militari, ma non è del tutto assente neanche dall'uso più comune .e generale del vocabolo. Perciò potrebbe darsi che l'autore abbia volutamente scelto 1tPOXEtpl· SE
come si riscontra frequentemente nei papiri (-+ n . 3) 'ltPOXEtplsEoik1..t è certamente usato per indicare la nomina a incarichi militari. ·T ale uso tuttavia non è tanto prevalente rispetto a quello comune del verbo, da far pensare necessariamente a una sua influenza determinante in Act. 22,14 e 26,16. Inoltre negli Atti i concetti di µtip"tuc; (--+ vr, coli. I325 ss.) e di --+ Ù7tT)pÉ'tT)c; hanno un profilo sufficientemente netto e mostrano in quale direzione vada nel nostro caso la destinazione, pur non presentando da parte loro alcuna prossimità all'idea della militia Christi.- L'idea che una deci-
Corrispondentemente alla sua etimologia, il vocabolo non contiene l'idea di una predestinazione di Paolo da parte di Dio o di Cristo. Si tratta piuttosto della funzione alla quale l'Apostolo è 'destinato': in Act. 22,I4 tale destina· zione è comunicata da Anania come già avvenuta (questo è il valore dell'aoristo), mentre in Act. 26 1 16 avviene nel momento in cui la parola è rivolta all'Apostolo. Anche in Act. 3,20 non si tratta di predestinazione 9 , ma di destinazio-
6 Nel primo racconto della conversione (Act. 9) manca un'espressione parallela perché Je istruzioni date a Paolo nell'apparizione (9,6) sono, a confronto di 26,r6-:c8, molto succinte; lo stesso vale per la comunicazione di Anania a Paolo in 9,17 rispetto a 22,14-16. Comunque l'idea espressa in Act. 22,r4 e 26,16 mediante 1tPOXEtpl~Eirltti~ trova un parallelo sostanziale nell'espressione crxEuoc; tx).oyljc; e~ vr, col. 495) di 9,r5. 7 Per il costrutto col doppio accusativo in 26, 16 si ricordi il già citato (~ col. 653) esempio di Diod. S. 12,27,1. In Act. 22,14 abbiamo l'accusativo dell'oggetto seguito dall'infinito, una costruzione che non sembra attestata altrove e che in ogni caso è sconosciuta ai LXX. Tuttavia 1tPOXE~pl~oµa~ è costruito con l'infinito quando significa decidere, proporsi (ad es., Polyb. 3,40,2: 1tɵ7tE~\I Il61tÀ~ov), e per· sino con l'accusativo e l'infinito: DITT., Syll. 1 I 457,14 ss. (111 sec. a.C.; cfr. LIDDELL-ScoTT, s.v., 11 4). In Act. 22,14 non si può però tradurre «ha deciso che tu debba conoscere» (traduzione che presupporrebbe un ace. con
l'infinito), ma «ti ha destinato a ...» (
...... ) , \ • ... , ......... ,.,11
ne 10• Rivolgendosi al popolo dopo la guarigione dello storpio, Pietro dice che i Giudei devono tavvedersi e cercare il perdono dei peccati 01tWc; /lv ... a1tOO'"t'ELÀn -còv 7tpOXEXEtptuµÉvov ùµi:v XPtO'"t'ÒV 'I'l)a-ouv,
to della sua risurrezione (Act. 3,13.15) o fin dal principio. Se in Aci. 3,20 Luca dovesse veramente aver ripreso e rielaborato un testo più antico 12, allora da Act. 22,r4 e 26,r6 risulterebbe come usando 7tpoxnplsEO'i)ttt egli abbia voluto far valere un vocabolo che per lui ha anche altrove un valore particolare.
3,18 (~ I, coli. r92 s.). WETTSTEIN II 474 s.,
tro mostrerebbe ai Giudei «come questo Gesù sia destinato proprio quale 'Cristo per voi'». Tale interpretazione separa a torto ùµ~v dal verbo, ovvero comporta una formulazione af. fatto assente dal concreto testo greco. Per vµ~v WENDT, Ag. 106, od I., rimanda a Aci. 2,39. 12 Cfr. l'ipotesi di BAUERNFEIND, Ag. 66-68, secondo la quale in Act. 3,20 s. Luca avrebbe utilizzato uno scritto giudaico che originariamente trattava cli Elia redivivo. Per npoXEXELp~oµÉvoç egli rimanda a nkwn in Ecc/us 48,10, che secondo la congettura cli Smend (R. SMEND, Die Weisheit des ]es11s Sirach [1906] 460) nei LXX sarebbe stato dapprima reso con h-o~µoç (invece dell'attuale Èv éÀEyµo'&;): «Forse nel testo di cui si è servito Luca ha trovato una parola simile e l'ha sostituita con il più solenne 7tpOXEXELpwµlvoç» (p. 66; cfr. p. 68: «Probabihnente ha usato la forma npoxtXEt· ~L
il quale adduce numerosi testi extrabiblici a favore di 7tPOXEtpl!;oµ«t in Act. 3,20, ricorda anche che -il cod. minuscolo 46 legge 7CpOXE· XPLUJ.LÉvov. Tale variante è probabihnente un semplice errore di scrittura, non un voluto gioco di parole col xpicr-r6v successivo. Questa variante deve però essete stata particolarmente diffusa giacché il T1scHENDORF, N.T. II :i.7, ad l. nota che essa appare nella versione etiopica. È difficile pensate che ciò sia dovuto unicamente all'influenza del cod. minuscolo 46. IO Tra i composti con Ttpo- ai quali ci -si può richiamare per la concezione lucana del piano divino (cfr. H. CoNZELMANN, Die Mille der Zeit 2 [ 1957] 130) 7tPOXEtpll;oµ«L non si trova pertanto sullo stesso piano di 'ltpoopaw, r.poopl!;w ecc., a meno che non si voglia sup porre - come fa HAENCHEN, Ag. 172 n. 5 che Luca abbia «inteso il verbo, contro l'eti· mo, in senso temporale» (ma è il caso di attribuire proprio a Luca questa violenza linguistica?). Cfr. nnche ZAHN, Ag. 155 s. n. 65. 11 ùµ~v è un dativo di comodo, come in Ios. 3, 12, solo che là il dativo si riferisce al soggetto di 11'pOXEtpll;Ecrlhu. Secondo H . W. BEYER, Die Ag. (N.T. Deutsch .5 1 (19.57]) od l., Pie-
5 . Nella letteratura protocristiana fuori del N.T. il verbo 1tpoxnpll';w non è usato.
w.MICHAELIS
1tpG)-coç 1-3 (W. Michaclis)
6.J9 (vr,866)
(VJ,866) 660
7tpW'toc;, 7tpw"to\I, 7tPW't"oxcdh:oplcx., 1tpW't'OXÀ.t
1t()W'tEVW 'ltpW't'oc; 1. npGl"toc;, a partite da Omero, ha sviluppato il suo significato di primo in tre direzioni: a) il primo rispetto allo spazio, cioè l'anteriore, che sta davanti (ad es. Rom., Il. 15 ,340 ); più tardi questa accezione è passata notevolmente in seconda linea; b) il primo rispetto al tempo e al numero (ad es. Hdt. 7,168; Horn. Od. 9>449); c) il primo relativamente al rango e al valore: il più nobile, il più importante ecc. (ad es. Horn., Od. 6,60; Thuc. 6,28 1).
domanda a Giobbe: µl} npw't'oc; à.vt>pwnwv ÈyEv1)i}'l']c;; , «fosti forse tu il primo uomo?» (Iob 15,7a) si tratterà non dell'uomo primordiale che fu nel consiglio di Dio (cfr. 15,8), ma di Adamo (dr. l'accenno alla creazione in 15,7b). Dio è designato come npGhoc; in Is. 41,4; 44,6; 48,12 (~I, coli. 7 s.; per l'influs• so sul N.T. ~col. 664 n. 9). In Is. 41, 27 rì'son, quale pregnante designazione del profeta, è reso nei LXX solo in modo sbiadito (con à.px1))2 (come pure m•basser, ibid.). Cfr. anche ~ col. 661 e ~col. 665 n. II.
2. Nei LXX rcp6hoc; figuta, salvo errore, 240 volte, di cui più della metà in Gen.-Neem. e 25 in Mach.; dove c'è il testo masoretico, vi corrisponde per lo più ri'son, ri'son. Nella maggior parte dei casi ha valore di aggettivo numerale, e in più di un terzo dei testi offre un dato cronologico; né manca il significato di primo quanto al grado; ad es. Esth. 1,14; a proposito della gerarchia angelica Dan. (LXX, Theod.) 10,14; come titolo d'onore (rcpw"toc; cpl).oc; e simili): · I Chron. 27,33; I Mach'. 10,65; 11,27; 2 Mach. 8,9; LEpEÙc; 1tpw-toc; e sim., somcol. 862): 3 Brur. mo sacerdotale(~ 2,J5; 4 Bwr. 25,18 'fap. 52,24; 2 Chron. 26,20; cfr. 22,46. Nella ironica
3. In Filone, che usa 1tpw-coc; in vari contesti 3 , per connotare Dio si trova più volte rcpw"toc; 1h:6c;: poster. C. 183 (7tpw"toc; xal µ6voc;); migr. Abr. 181; Abr. n5; vit. Mos. 2{3),205. Secondo decal. 59 solo un demente può attribuire questo titolo ad altri. In Abr. 7 5 .88 Filone si leva contro l'idea che il x6oµoc; visibile (~ v, col!. 901 ss.) possa essere considerato 7tPW"toc; t>i::6c;; esso sarebbe piuttosto Epyov -.ov 7tpw-tov t>Eov xat -.ou cruµrc&v-.wv 1t<X"tp6c; (75; cfr. migr. Abr. 194). Niente di strano che nel contesto di una designazione del Logos quale OEU'tEpoc; ilE6ç (~VI, col. 254) la formula npw-toc; i)E6c; non compaia; alla
l Cfr. PAssow e LIDDELL-ScoTT, s.v. Nelle iscrizioni 1tpW'toç si riferisce particolarmente al rango, anche come titolo onorifico (cfr. gli indici in DITI'., Sy/l.' e DITT., Or.); anche nei papiri 1tpw-coç figura, sebbene solo di rado, come indicazione di wia funzione o di un grado militare (cfr. PREISIGKR, Wort. m 153,215; MoULT.-MILL., s.v.).
2 Cfr. J. ScHNIEWIND, Euangelion I (1927) 35 s. 67 s. I rabbini hanno spiegato il passo rife· rendolo al Messia (ad es. Ex. r. 15,2) e hanno innalzato ri'JOn a titolo messianico (STRAcKBILLERBECK I 65). 3 Cfr. la selezione in LEISEGANG, s.v., per 1tpi:>'toç iivDpw1toç anche alla voce li.vllpw1toc;, ibid. paragrafo 8.
rv, =
(101 \ Vl,OOO)
base di questo titolo non c'è infatti una enumerazione, ma con esso si esprime piuttosto la esclusività e unicità di Dio. Perciò in leg. ali. 3,207 Filone può dire che per gli a't'EÀ.EL<; il Logos (come €pµnve:vc, di Dio) può essere 1'e:6c;, ma per i rToqiol e 't'ÉÀ.e:~oL soltanto ò 'ltpW'tOC, (Dio stesso) è veramente Dio. Là dove Filone chiama Dio 1tPW'toc; xa.t µÉya.c; ~<WLÀ.e:vc; (op. mund. 88 e passim; dr. anche 7tpW'toç 't'W'\I oÀ.wv xa.t µOvoc; Sa;oùe:uç: poster. C. 101), si tratterà probabilmente di una formula di origine stoica 4• In Flavio Giuseppe, a quanto pare, non si ha un uso linguistico corrispondente 5. In lui è molto frequente la formula oi. 'ltpW'tOL ( <X.v&pe:c;) per designare gli uomini più in vista di una tribù, del popolo, della classe sacerdotale e simili (ant. 4,140.174; lo,71.213; rr,141; 13, 146; 18,7.64; 20,125.132.135; vii. 185, 381 e passim; al singolare: ani. 13,85; 20,130). Quando in ant. 11,121 Esdra è detto 'ltpw-i:oç i.e:pe:ùc, 't'OV 1'e:ov, per sottolineare la superiorità sul precedente apxLe:pe:vç, è difficile che si tratti di un influsso cli r Eo-op. 8,2; 2 Eo-op. 7,5, poiché qui 7tpw-.oc;, riferito ad Aronne, significa evidentemente il primo in ordine di tempo. Anche l'accezione di il precedente, l'antecedente figura in ani. l,81; 2,86; 16,1.68.258; 19,323; perciò in 7,85 è dubbio se 'ltpw't'oc; Pa.rTLÀ.tvc; voglia indicare Saul come primo re o come predecessore di David. Per Adamo in ant. l ,67 designato quale -n:pw'toc; be yijc; 4 Cfr. il titolo di 7tp(;j-coç xo:t idrta'toç
~o;
atÀEuç e designazioni simili date al supremo
dio del mondo, ad es. in Dio Chrys., or. 2,72 ss. 19,35 ss.; 36,n; 64,21 [segnalazione di H. KLEINKNECHTJ. Ricordiamo che 7tpW't'O<; come predicato divino ha avuto nella grecità una lunga e significativa storia (ad es. Ztùc; 'ltpG). "toç "(l'YE't'O nell'inno orfico a Zeus in Pesud.· Aristot., mund. 7 [p. 401 a 28]; il re terreno come ~«Àw-còç 'tW 'Jt'p&:tw i}Ew in Stob., ecl.
yi::v6µEvoc; dr. anche 82; 20,259.
4. Nel Nuovo Testamento npwnc; s'incontra in più di 90 passi, distribuiti in modo assai ineguale nelle singole accezioni. a) Il significato spaziale già raro di per sé (~ col. 659) compare soltanto nella descrizione del tabernacolo in Hebr. 9,2.6.8: 7tpW'tl) ~ o-xnvfi. b) Senza confronto più numerosi sono i testi con l'accezione di primo nel tempo, nel numero ed eventualmente nella serie 6 • Nella storia della passione ha un suo posto il primo giorno della festa di Pasqua (Mc. 14,12 par. Mt. 26,17; --> III, coll. 1557 ss.; --> n. 7). Il giorno della resurrezione è indicato come 7tpw'tl) rTa.~~
s Anche
ScHLATTER, Theol. d. Judt. non registra niente. 6 Cfr. il prospetto in PREUSCHEN·BAUER 5, s.v. Su 1tp&hoç o 1tpW'tO\I per 7tp6-ci;poç o 7tp6'ttpo'Y cfr. anche BL.-llillR. § 62. 7 È erroneo il tentativo di CHR. N. GmAoulWFF, Le jo11r de la Sainle-Cène, in Annuaire de l'Académie de Théologie «St. Clement d'Ochridm>, Sofia, tome II (XXVIII) (I951-1952) 145-
1tpw-roç 4b (W. Michaelis)
(vr,868) 664
i!pycx. 'ltOLTJCTO\I (Apoc. 2 ,5) significa: sii antiquata, vetusta (cfr. 8,13; --) II, di nuovo come fosti prima; 'tTJ\I &.ycbt't)V coll. ro83 ss.). Lo stesso uso linguicrou 'tTJ\I npw'tt}\I àcpijxac; (Apoc. 2,4) stico applicato a un co.nfronto tra il vuol dire: l'amore che hai avuto e dimo- passato (o il presente) e il futur~ si ·trostrato in passato, adesso non l'hai e non va in Apoc. 2 r ,r, dove 7tpGhoç oùpa.v6ç lo dimostri più. In ITim.5,12 a i:i)v e 'ltpW't''fl yfj fanno da controparte a oòT.PW't1)\I 'ltLCT'tW -i)M't'r)CJW..I fa contrasto pC/,\IÒç xaw6ç e y-ij xawlj (11, coll. 43 l non una seconda fede, diversa, ma l'àm- s.; vm, coli. 1440 s.); anche a -.à. 'ltpwcr"lcx. (cfr. 5,8). Altrettanto può dirsi 'ta Ò.1t-t}À.1>a.v di Apoc. 2 l '4 segue in 2 r, della contrapposizione che nella Lettera 5 looù XCXLVèt. 1t0LW 7ta\IW. (--) IV' coli. agli Ebrei ricorre tra r.pW't1) OLa.it1Jx.TJ 1348 s.) 8 • (8,7.13; 9,r.15.18) e xcxwi) 0Lcxit1)x'l") (8, Nel N.T. si trova di frequente anche 8.13; 9,15) o vÉcx Ota.l>ljx'l") (12,24). Soltanto in 8,7 la nuova OLa.~1}x1) è detta l'antitesi npw-.oc;/foxa.i:oc;. La definizioow.-Épa. (cfr. 10,9). D'altra parte la ne che il Cristo glorificato dà di se stes7tpw•n Otal>1}x1J nella Lettera agli Ebrei so come ò 'ltpw•oc; xa.l. ò t'.crx.a.-.oc; in non è detta 7ta.À.a.tà. otcx.l>rp<.'TJ, perché Apoc. l,17; 2,8; 22,13 si riferisce al 'ltpwni già per sé equivale a vecchia, tempo primordiale e al tempo ultimo 9 • r86, che vorrebbe sanare le divergenze tra la cronologia della. passione nei sinottici e in Giovanni avanzando la tesi che 'tTI 1tpW"tTI 1)µip~ 'tWV a!;uµti>V di Mc. I4,l2 par. si debba tradurre: «il giorno che precede la festa degli azzimi». Manca infatti qualsiasi testimonianza nel greco biblico (ed extrabiblico) per poter sostenere che npw-roç (o 1tp6-rEpoç) uni· to a un sostantivo di tempo in genitivo indichi che l'entità designata come 1tpW'toç non appartiene dn parte sua all'unità di tempo che segue in genitivo, ma cronologicamente la precede. Anche il testo di Iud. :zo,22, al quale l'autore si appella espressamente (op. cit. I63), non serve: è vero che qui si intende il giorno precedente, e i LXX hanno tradotto ÈV 'tTI i)µlpq, -rii 7tPW'tTI, ma non segue nessun genitivo. Cfr. la critica dell'articolo fatta da W. MrcH.AEus in Kirchenblatt fiir die reformierte Schweiz IIO
(1954)
Il.
Con un uso un po' diverso, cioè chiaramente riferito a un parallelo fra tempo primordiale e tempo ultimo (in Apoc. 2I,I.4 dev'essere compreso anche il presente e 7tpW'tOç quindi implica anche il significato di presente) il termine figura pure in Bam. 6,13: U.ioù 7tO~w 8
-.à. t'.crxa-.a i.:.iç -rà 7tpw-ra..
È per(l incerto se qui si tratti proprio di un «ritorno della stessa cosa» (così il BuLTMANN, Ursprrmg tmd
Sinn der Typologie als herr11e11et1tiscbe Metbode: ThLZ 75 [1950] 205). Si può anche intendere: Dio crea sia -rei. np{;',-ra. sia -.à. ~crxa· -ra. Anche ]. HEMPEL, Memch und Gott im A.T., BWANT I1I 2 (1926) 52, riferendosi a Is. 43,18 s. sostiene che in Bam. 6,13 si sottolinea l' «Identità della persona del creatore». Cfr. WINDISCH, Barn., ad I. 9 E evidente l'influsso dell'analogo predicato di Dio nel Deuteroisaia, soprattutto in 44,6, ma anche in 4r,4; 48,u. Con l'uso di ~O')C<J.· -roç che i LXX hanno intenzionalmente evitato (._... 1, col!. .5 ss.) l'Apocalisse mostra di aderire più strettamente al testo ebraico. Non avrà quindi importanza (né può esser colUlesso col suaccennato ritegno dei LXX ad usare ~crxa.-.oç a proposito di Dio) il fatto che nell'Apocalisse 1tpw-.oç/~crxa:to~ venga usato solo per Cristo e mai per Dio, tanto più che le formule di analogo significato -rò if);qia xett Tb e 1) apxT} xat 'tÒ 'tÉÀ.oç nell'Apocalisse SO· no dette sia dell'uno che dell'altro (..... I, col. 5 ). Quanto alla possibilità di connettere «A
w
665 (VI,868)
1tpw-roc; 4b-c (W. Michaelis)
l
VJ.,OUOJ uuv
ò 7tpG'li:oç allude alla preesistenza, cioè alla parusia allude l'É~ oùpavou di 15, al suo esistere nell'eternità prima di ogni 47 e perciò anche l'enunciato di 15,45b. L'antitesi 1'pw-roi;/foxa't'oç 'AMµ si ritempo 10, ò Ea"xai:oç al suo esistere nell'e- collegherà quindi al significato di anteternità dopo ogni tempo. Diverso è l'im- cedente, attuale, notato sopra. Cristo copiego di TCpW'toç/EO"XCX'tOç in Mt. I2A5 me capostipite di una umanità nuova par. Le. n,26; Mt. 27,64; 2 Petr. 2,20; viene contrapposto ad Adamo capostiApoc. 2,19 . Qui 'Jtpw-çoç significa quello di prima, l'antecedente ed foxa-.oi; quello di dopo, l'ultimo nel tempo e perciò anche l'attuale, il presente 11 • Rientrano in questo ambito anche le formule 7tpw-roç ed foxcx.-roç 'AMµ di r Cor. I5A5 (~I, col. 381). La designazione di 1tPW'toç 'AMµ non risale comunque alla preesistenza, ma si riferisce alla creazione di Adamo (~ III, col. )72); d'altra parte anche l'foxa-toç 'AMµ non è atteso dal futuro, ma è più probabile che Paolo volga uno sguardo retrospettivo alla risurrezione di Cristo; ad essa infatti e non e 0» egualmente a Is. 44,5 s., dr. W. MrCHAE-
us, Zeìchen, Siegel, Kreuz: ThZ 12 (1956) 516 n. 31. L'espressione che si legge in Io. x,15, grazie al 7tpG'noc; ( =7tpb-repoc;) costruito col genitivo, accenna alla preesistenza. 10
11 Cfr. il corrispondente uso di 7tpCn:oc;/foxa.-coc; nei LXX: Ruth 3,xo; 2 Boor. 13,16; Ag.
2,9. anche O. CuLLMANN, Die Christologie des N .T. 1 (1958) 171: Paolo avrebbe creato l'espressione Mcrxa."t'oç 'ASaµ «semplicemente per analogia con 7tpW't'oç 'Aliaµ. In tale antitesi essa significa né più né meno che 'secon· do uomo'». La pensano altrimenti ad es. J. Jeremias (~I, col. 384), secondo il quale fu «la funzione escatologica» del Cristo che «diede luogo alla denominazione di i:lcrxa.-roc; 'A!ìaµ»; e, in modo ancor più drastico, K. H. Rl!NGS· TORF, Die Au/erstehung ]es11 3 (1955) 65, che traduce ~uxa.-roç 'Aoaµ con «Adamo del tem· po ultimo» (formulazione di E. HIRSCH, Zur paul. Chrfrtologie: ZsystTh 7 [1929] 618 n. ll Cfr.
pite dell'umanità antica; ad ambedue è dato perciò il nome di 'AMµ o &wpw?toc;. Adamo, il 7tpw-.oc; 'AMµ. di I Cor. I 5 ,4 5, equivale al 1tpw'toç li'lli>pw'ltoç in I 5 .4 7, Cristo invece è bensl chiamato Òi;:u-.epoç èivilpw"Jtoç in 15 ,47, ma non oi::u·upoç 'AMµ in I 5 A 5: Paolo preferisce dire E
c) 1tpw-roc;/Ea-xcx."toç s'incontra inoltre nel senso dell'ordine gerarchico. È sicumente questo il caso del logion di Mc. 10,31 par. Mt. 19,30: 'JtOÀ.À.ot oÈ E
667 (VI ,868)
7tpW't'Oç.
4c ·
7tPW't'OV 1
•aL 7tpG'rc·oL ~axa-roL xal oì. EoXa•o~ npw't'ot, che, lievemente mutato nei termini, figura pure in Mt. 20,I6 e in Le. 13,30. È vero che 'ltpW't'O<; in Mt. 20,8.ro ed iiaxa•oc; in 20,8.r2. I4 è usato con valore temporale, ma in 20,16 questo significato è evidentemente scomparso per far posto a quello di
un ordine gerarchico, come in r9, 30 13 • Si tratta solo di un capovolgimento della sequenza iniziale o comunque attesa, ma il senso è questo: coloro che si considerano dei diseredati e non osano sperare di aver adito alcuno al regno di Dio, vi saranno ammessi; coloro invece che si reputano gli unici giusti, ne saranno tenuti lontani (cfr. Le. 13,28 s. par. Mt. 8,rr s.) 14 • 7Cpwnc; nel senso di primo quanto al rango (sinonimo di µéyac; in Mc. I0,43 par. Mt. 20,26 o di µEl~wv in Le. 22,26) è la parola chiave nella disputa tra i discepoli per il posto d'onore e nel severo ammonimento rivolto loro da Gesù (Mc. 10>44 par. Mt. 20,27; Mc. 9,35). TI suo contrario è oovÀ.oc; o otcixovoc; (Mc. rn,43 s. par. Mt. 20,26 s.) ed foxa-
13
Nonostante l'opinione espressa da J. JERl!Die Gleichnisse Jesu 4 (1956) 25, c'è da çhiedersi se questa differenza di significato obblighi davvero a mettere in dubbio l'appartenenza originaria di Mt. 20,16 alla parabola di Mt. 20,1 ss. Cfr. W. MtCHAELis, Die Gleichnisse Jesu J ( 1956) 180 s. (per 260 n. l2o dr. anche 257 n. 85). MIAS,
14
Si potrebbe tutt'al più vedere se, allorché
il logion è applicato ad Ebrei e pagani (ciò che peraltro avviene solo in Le. 13,30), non trapeli più marcatamente il significato tempo-
(W. Michaclis)
(vr,869) 668
'to<; (Mc. 9'35 -? n, coli. 958.962.1459 s. n. rq; III, col. 999). Per la domanda quale sia la Èv't'oÀ.i] 7tpW't'l'J 'ltcivi:wv (Mc. 12,28 par. Èv'toÀ.1} µEyaÀ:n Mt. 22, 3 6) e per la designazione di 1tpW't'l'J o OEU't'Épct. È'Y't'OÀ.TJ nella risposta di Gesù (Mc. 12,29 s. par. Mt. 22,38 s.) -? III, coli. 593 s.; vr, coll. 1450 ss.; per l'espressione 7tpW't''l'J Èv'toÀ.l] di Eph. 6,2 ~ III, coll. 603 s. ol 7tPW't'OL come indica-
zione del rango, in quanto sono gli uomini più ragguardevoli (~ col. 66r ), si trova in Mc. 6,21; Le. r9,47; Aet. 13, 50; 25,2; 28,7 (al singolare). I7 15 • 5. Per i Padri apostolici basterà ricordare: 7i ÈxxÀ.'l'}ula 7J 7tpW't"IJ di 2 Clem. 14,r (~IV, col. 1575; cfr. Herm., vis. 2,4,1), cosl chiamata nel senso di chiesa preesistente; oL èt.yyEÀ.Ot ol 'lt'pW· -roL X'ttal)Év'tE<; (creati prima degli altri) per indicare gli arcangeli, in Herm. vis. 3,4,I, cfr. sim. 5,5,3. Per Barn.
6,13-? n. 8. 'ltpw-.ov l . Il neutro 7tpw-.ov come avverbio significa: in primo luogo, dapprima, in un primo momento, antecedentemente; ad es. Hes., theog. 34 (questa accezione è di gran lunga la prevalente nel N.T.);
raie (~ coli. 669 s.). Nel caso che si tratti: di un logion in origine indipendente o appartenente a un altro contesto, occorre vedere se l'accento non debba essere posto sulla completa equiparazione dei due gruppi. Cfr. 4 Esdr. 5.42 (vis. n 4,2 V10LET): «come per gli ultimi nessun ritardo, cosl per i primi nessun anticipo» (trad. VtoLET). 15 Che 'lt'pw'toç in I Tim. 1,15 vada inteso in senso temporale (cosl A. K1RCHGASSNER, Erlii· sung u. Siinde im N.T. (1950] 169) non è ammissibile, nonostante il valore temporale di 7tp&l'toc; in l,16.
7tPW"l'O\I r-2b ( w. Mlcnae11s1
prima (:::: np6'tepov ); ad es. Xenoph. hist. Graec. 5,4,r. Lo stesso significa il plurale 7t{JW'tCX. (ad es. Horn., Od. 14, 158), che nei LXX e nel N.T. come avverbio non compare. Si usa anche la forma con l'articolo -rò 'lt{JW'tO\I, -.&. 7tpw-.a, dapprima, la prima volta (ad esempio in Horn., Il. 4,267), nel N.T. solo in Io. I0,40; 19,39, e col significato di per il momento, in un primo momento in 12,16 1• Nei LXX l'avverbio 'ltpGhov ricorre solo in 8 passi concordemente attestati e in altri 6 passi di singoli manoscritti; questi 14 testi sono distribuiti cosl: Isaia e Maccabei 4 per ciascuno; l Ba
a) Il significato è dapprima in Paolo, Rom. l,16, dove a 7taV'tL 'tfi> mO''tEUO\l'tt. è aggiunto 'Iovoetl
rilievo che il vangelo portatore di salvezza fu offerto in primo luogo ai Giudei (~ III, coli. 496 ss.; cfr. 1tpw-cov Act. 3,26; 13,46). Anche in Rom. 2,9 s. npw-cov avrà il compito di rafforzare la precedenza data per due volte al giudeo sul greco, nel nominarli 3• Di particolare rilievo è il npw-cov ocqi' 7]µwv nell'annuncio del giudizio di r Petr. 4,17; esso riprende il precedente &pçacrl)a~ ~rcò -.ov otxov 'tOU i>Eou; risulta cosl assicurato il suo valore temporale (-? v, col. 1070; VIII, coll. 359 ss.). b)Nel significato di prima, in primo lt1ogo, antecedentemente 1tpw-cov connota l'urgenza di certi particolari doveri posti da Gesù: riconciliarsi prima col fratello (Mt. 5,24); togliere in primo luogo la trave dal proprio occhio (Mt. 7,5 par. Le. 6,42) 4; calcolare in antecedenza le spese (Le. q,28.31). Al contrario, ciò che i discepoli non devono avere alcuna premura di fare viene indicato nella persona di quegli uomini che vogliono prima seppellire il padre, prendere prima congedo e poi venire alla sequela di Gesù (Mt. 8,21 par. Le. 9,59;
itpw-rov
a un testo corrotto; cfr. J. FuasT, Glossari11111
PAssow e LIDDELL-ScoTT, s.v. Dai papw PREISIGKE, W ori. II 4;1.2 s. per 'tÒ 7tPW't0\I
Graeco-Hebraeum (I 891) 71a.
1
registra anche il significato di sopra ogni altra cosa (a cominciare dal 1 sec. d.C.); dr. inoltre
s.v. prwti come barbarismo di uso raro negli
MAYSER Il ;i.,327 e MoULT.-MlLL., 2
scritti rabbinici sembra avere valore avverbiale; dr. S. KRAuss, Gr. ti. lat. Leh11worter in Talmud, Midrasch 11. Targum n (1899) 485. Tuttavia non è affatto sicuro.che sia connesso con itpW"l'OV, perché forse ci troviamo davanti
3
Quest'ordine di successione potrebbe nascere dalla preminenza attribuita fino a quel momento ai Giudei (dr. ScHLATTER, Rom. ad l.). Tuttavia 7tpW'l'O\I non ha certo il significato di sopra tutto, in particolare, ma chiarisce semplicemente un ordine di successione. Contra, PRBUSCHEN-BAUER ). s.v.;-+ IV, col. rr71. 4 Nei casi citati sin qui al itpw-rov corrisponde nella frase seguente xat 'tO'l'E. Cfr. anche Mc. 3,27 par. Mt. 12,29.
'ltpwnv 2b-c (W. Michaelis)
Le. 9,61). Con lo stesso significato ?tpG;l'tO\I serve più volte a inculcare che si badi alla successione degli avvenimenti escatologici, quale Dio l'ha disposta: prima· deve venire Elia (Mc. 9,II s. par. Mt. 17,10 [~IV, coll.87s.]); prima dev'essere ripudiato il Figlio dell'uomo (Le. 17,25); prima deve avvenire l'apostasia e comparite l'Anticristo (2 Thess. 2,3; cfr. Le. 21,9) 5.
7tpGnov, nel significato di soprattutto, a e:lç -miv-.ix -.à ewri e si considerasse il logion come inteso a sottolineare il dovere di una evangelizzazione completa di tutte le genti. Del resto 1tpw-rov col valore di soprattutto può essere unito anche a :x:ripu:x,itfjva.~ i:ò e:ùa.yyÉÀ.LO\I e e il logion messo in rapporto con la _situazione espressa in 13,9.u: la testimonianza dell'evangelo dev'essere portata anche davanti ai tribunali pagani; in vista di essi e non della risposta da dare alle domande poste negli interrogatori verrebbe fattç> sperare in 13,;u l'aiuto dello Spirito santo 7• Né può costituire una difficoltà contro questa interpretazione la relativa rarità del significato di soprattutto anche in altri testi (cfr.---:). col. 669 e n. l).
Tutto questo suffraga la tesi che anche nella frase di Mc. 13,10: elç ?tav"t'a 't<Ì. E~VYJ 7tpGhov OE~ X'l')pv:x,17ijvat 'tÒ EÙayyÉÀ.iov si debba prendere 7tpGli:ov nel senso di prima, antecedentemente, tanto più che nel parallelo di Mt. 24,14, dove manca 1tpw-.ov, ma segue xaì. i:6't"E {---:). n . 4), il concetto è certamente questo. A sostenere per Mc. 13,10 il significato di prima, potrebbe contribuire inoltre l'importanza del prindpio missionario che ne risulterebbe, non solo soppianta~do la regola vigente nel giudaismo: «prima Israele e poi le genti», ma potenziando ancor più quell'equiparazione di Israele e mondo pagano quali destinatari del messaggio 6 , che si può trarre dall'A.T. È vero che con questa interpretazione la frase di Mc. 13 ,IO deve essere tolta dal contesto in cui si trova {13,u si collega a x3,9) e considerata a sé, ma la stessa riserva varrebbe certamente anche se si volesse riferire
c) Nel N.T. l'accezione soprattutto, se si esclude Rom. 2,9 s. {~ n. 3), compare soltanto in Mt. 6,33. Questo logion non deve essere inteso nel senso che si debba aspirare prima al regno di Dio {---:).II, coll. 182.198) e dopo sia concesso rivolgersi anche ad altro. Alla posizione centrale che ha nella predicazione di Gesù il raggiungimento del regno di Dio corrisponde piuttosto solo il senso di soprattutto; anzi 'ltpw-.ov implica-qui una tale esclusività da assumere il valore di soltanto 8 •
Questo 7tPW"t'OV sarebbe «Un nesso tipicamente lucano, p-articolarmertte in contesto escatologico», «una parola tipica già pre-lucana per marcare gli albori del tempo escatologico», e Luca ne avrebbe esteso l'uso (cosl H. CoNZELMANN, Die Mitte der Zeit 1 [1957] 106 n. 1 ). Dato il numero relativamente esiguo di passi, l'ipotesi lascia adito a dubbi. Per 'ltp&°r "t'OV in Act. 15,14 cfr. HAENCHEN, Ag. 393.
In questo caso Mc. lJ,IO non ha comunque a che fare col problema del ritardo della parusia. Del resto anche se 'TtpW"t'O\I dovesse significare prima, non sarebbe necessario considerare la frase come esponente del suddetto problema, neppure nella redazione di Mt. 24, 14. Diversamente E. GR.Assl!R, Das Problem der Parusieverzogerung in den synpt. Ev. u. in der Ag, Beih._ ;lNW 22 (1957) 158 s. 169.
5
7
202. 6
Cfr. F. Busc~, Zum Verstiindnir der synpt.
Escbatologie; Mk IJ neu untersucht (1938) 89.
8 Cfr. 'Tt)...1)\1 nel passo parallelo cli (r.À.-.)\1 ~'fJ"t'E~"t'E in contrapposizione
Le..12131 a µ1) t;'X}-
1tptù't'.oxcd>diplct. (W. Michaelis)
t
rcpw-.oxcdMipla,
t 'ltPW't'oXÀ.tcrla
1tPW>OXailEoplu e 7tpW't'OXÀtcrla: figurano accoppiate nel logion di Mc. 12,39 par. Mt. 23,6; Le. 20,46 (sempre al plurale, ad eccezione di 1tPW•oxÀtcrlu in Mt. 23,6); npw't'oxa.i)E:opla: si trova inoltre nell'abbinamento di Le. u,43 (al singolare); 'ltpW't'oxÀ.Lcrla ancora in Le. 14, 7 s. (al plurale e al singolare). Ambedue i vocaboli, benché la loro formazione '\"E~'t'.E
di u,29). Anche al 1tpGli:ov di Mt. 23, 26 corrisponde in Le. IIAr 1tÀ:1iv.
'-PW"tOY.Cl.Ì>d)plct., 7tPW't'.OXÀLO'lct. 1tpw-roxa.bd)plC1. dovrebbe supporre un 7CPW't'.ox6:&1ipoc; non attestato, 1tptù'\"OXÀio'la. un 7tpwi:oxÀl't'.T)<; parimenti non attestato, come <.pwi:oÀoylct. (presente anche nei LXX) si riconnette a 7tpw-eol6yoc; e 7tpwi:ocr-et:t
sia perfettamente normale 1, sono molto rari anche al di fuori del N.T. 2 • Il significato, nell'ambito dei passi neotesta· mentari, è comunque convalidato dal contesto. 7tpw-coxalkopla. è il primo posto, il posto d'onore e precisamente Év 'tate; O'VVaywya.tc;, dove, come indica il plurale, di questi posti d'onore ce n'era più d'uno 3• 'ltpw't'oxÀ~crlu è il primo posto, il posto d'onore EV 'tote; oalno. Cfr. Clcm. Al, s/rom. 7,98,2. Suidas, s.v.: 1tfltù't'.OXÌ..Lula: 1i itpw·n1 xt:tbélipa;, In 2 Mach. 4,21 figura un 't'.à 1tpw-roxÀlmct. testimoniato soltanto qui, che significa evidentemente as-
stm:tione del potere (festa dell'ifltro11iuazio11e). PAssow, s.v. preferisce leggere col Cod. A 'ltpwi:oxì..Tima, nel senso di la prima chiamata; 1tPW'toXÌ..TJO'Lct. del resto potrebbe essere inteso anche come nome della festa (cfr. Polyb. 18,55,3; 28,n,8 e LIDDELtrScoTT, s.v.). 1tPl.ù't'.ox)..lvcxpxo.:; in un papiro del sec. v d.C. (U. WILCKEN, Heid11isches 11. Christliches aus Agypte11, APF 1 [r901] 413) è un titolo; cfr. PREISIGKE, Wort. JII 152; MoULT.-MlLL. 557. xabéopa, usato in Mc. 11,r5 par. Mt. 2r,12 per i banchi dei venditori di colombe nel tempio, è entrato come barbarismo negli scritti rabbinici (cfr. S. KRAuss, Gr. "· /al. Lehnwéirter in Talmud, Midrasch u. Targum n (r899) 572 a qtdr'. Serviva a connotare le poltrone a braccioli e spalliera che erano usate nelle case signorili e «sulle quali venivano fatti se· dere, durante i pasti, gli ospiti gradi th>; ma le usavano anche le donne (cfr. S. KRAuss, Talmudische Arcbiiologie I [r910) 62, 384 n. 62. 385 n. 67 s. È noto anche l'uso della qtdr' nelle sinagoghe. Cfr. STRACK-BILLERllECK I 909 a Mt. 23,2: lnL 'tljc; Mwucréwc; xaDflip1tc;; E. L. SuKENIK, Ancie11t Synagogues ìn Palesti11e and Greece (1934) 57-61; STAUFFER, Theol. fìg. 99. Mt. 23,2 ci fa pensare che da queste poltrone (una sola in ogni sinagoga) si impartisse l'insegnamento (a questo proposito un ottimo parallelo è D1Tr., Syll. J II 845,2 s.: 6... lm -riji; xcc.6é8pac; croqM'tTJt; [ sec. m d. C.]). Invece per Ml. 23,6 si dovrà pensare a J
1tpw.-6.-oxoc; Al (W. Mic:haclis)
t
7t\IOt<; 4;
anche di questi posti, specialmente nei grandi conviti, ce n'era evidenmente più d'uno 5• Gesù nel logion di Mc. I2,J9 par. rimprovera la boria e la presunzione dei Farisei che dappertutto, nelle sinagoghe e quando sono invitati in case private, vorrebbero avere i primi posti 6 ; servendosi degli esempi narrati in Le. 14,8 ss., che in realtà sono delle parabole, egli mette in guardia i discepoli dall'innalzare se stessi.
posti d'onore in genere, poiché il plurale evidentemente non vuol soltanto dire che i Farisei in tutte le sinagoghe hanno sempre bramato quel posto d 'onore, unico disponibile in ognuna di esse, e quindi hanno aspirato proprio alla cathedra Moysis. Cfr. anche STRACKBILLERBECK I 915 S., ad l. 4 A tavola si stava coricati; ~ v, col. 314. Cfr. xMvri, diva110 da mensa (Mc. 7,4 var.); x).tala., gruppo di persone adagiate per mangiare (Le. 9,14); xa.-a.xÀl\lw, dr. PREUSCHEN-BAUER" s.v. 5 Cfr. STRACK-BILLERBECK 1v 618: in ogni gruppo di convitati il posto d'onore è quello al centro del divano. In Le. 14,8 si parla al singolare dell'unica TCPW'tOXMalr.t in un banchetto di nozze, forse per far risaltare la contrapposizione con l'EO"X
lrJw11h ). 6 In Herm., vis. 3,9,7 figura 1tpc.>'toxa&ESp~'tCX.~ (dopo TCPOTJYOVJ.U:\IO~), ma è difficile che si tratti di una critica nel senso di Mt. 23,6 par.
1tpW't"O'tOXO<;,
t
A. IL GRUPPO DI
1tpW'tO'tOXELO.
VOCABOLI AL DI FUORI
DEL N.T. 1. rtpw.,,-6-coxoç, primogenito, è un vocabolo che figura raramente nell'ambito extrabiblico e prima dei LXX in genere non si trova. Più comune e testimoniata in epoca più antica (già in Omero) è la forma attiva 1tPW'to't6xoc;, che partorisce per la prima volta, primipara, detto di animali e di persone. Egualmente a partire da Omero, è frequente invece, nel senso di primogenito, 1tPW't6yovoc;, che può significare anche primo per grado; anche qui si ha la forma attiva, però tardi e raramente testimoniata (in Polibio) 1• Il testo più antico
Cfr. DIBELIUS, Herm. 476, ad I.; H. v . CAMPENHAUSEN, Kirchliches Amt ti. geistliche Vollmocht in de11 erste11 3 Jbdt. (1953) 9x. A quanto pare, questa designazione non ha trovato però larga diffusione, probabilmente per influsso del giudizio negativo di Mt. 23,6; tra i numerosi titoli ecclesiastici composti con 1tPW't"O-, registrati ad esempio da Suic., Thes. s.v., esso non figura. In Herm. mand. II,I2, quale tratto caratteristico dello pseudoprofeta si nota: l)f)..t~ 1tPW't"OlW.lh:8pla.-.i ~XEW e ciò potrebbe far pensare (l'osservazione è dello Schneemekher) che il vocabolo sia stato più corrente di quanto il materiale di cui disponiamo lascia vedere. Probabilmente però anche qui c'è un influsso diretto di Mt. 23,6.
TCPW't"61."oxoc;, 1tPW1."oi:oxeia CREMER-KOGEL, s.v.; A. DuRAND, Le Christ «premier-né»: Recherches dc science religieuse l (1910) 56-66; J. GEWIESS, Chris111s 11. das Heil nach dem Kol, Katholisch-theol. Diss. Breslau (1932) 31-48 (qui si tien conto anche dell'esegesi patristica); E. KXSEMANN, Das wa11demde Gollesvolk 2, FRL N.F. 37 ( 1957) = KAsEMANN I; ID., Bine urchr. Taufl.it11rgie, in Festschr. R. Bultmann (1949) 133-148 =
M1cHEL, Hebr. a l,6; W. Ml· Die bibl. Vorstellu11g von Christ11s als dem Erstgeborenen: ZsystTh 23 (1954)
KAsEMANN n; CHAELis,
137-157. I due significati non devono essersi svilup·
1
7tpW-rb-.oY.oç A
che finora conosciamo per ?tPW'tO'toxoc:; 2 è un'iscrizione sepolcrale giudaica dell'anno 5 a.C., proveniente da Teli el Jehudeijeh (Leontopoli), nella quale alla riga 5 s. si legge: WOEi:Vt ÒÈ Moi:pa 7tpw-ro-r6xov µE 'tÉxvou 7tpòc; 'tÉÀ.oc:; 'ilYE ~lov, «nelle doglie per la nascita del mio primo figlio il destino mi portò al termine della vita» 3 • Sebbene l'iscrizione, come parecchie altre trovate nello stesso luogo, sia composta in distici e riveli in questa e in altre frasi un'impronta chiaramente extrabiblica, proprio l'uso di 'TCpW'tO-roxoc:; in luogo del più comune 7tpw-.6yovoc:; 4 potrebbe risalire a un'influsso della lingua dei LXX. Un rapporto di tal genere è invece da escludere per l'epigrafe tombale di un gran sacerdote pagano, trovata nella Traconitide: lpEÙc:; yap Elµt ?tpW'tO'tOXW\I Èx 't"EÀ.EÌ}[ WV? ] ( ="rEÀE'tWv?) Epigramm. Graeca 460,4. Purtroppo essa non è databile con precisione; comunque è difficile che sia più antica della precedente o dei LXX. Il senso stesso non è chiaro 5 • La maggior parte degli altri testi riguarda animali; ad es. P. Osl. I r,3r2 (sec. IV d.C.), Preisendanz, Zaub. 14, ro92s. rror s. 3149 (sec. IV d.C.); Anth. Pal. vm,34 (cenni all'uso linguistico dell'A.T.). Merita particolare attenzione l'atto di adozione di P. Lips. 28,15 (38r d.C.): ?tpòc:; -.ò ELVa.l O"OV ulÒV "'(VTJr:TtO\I xai 1tpW't6-.oxo'J ti>c:; pati indipendentemente. Poiché per il senso passivo fin dai lontani tempi c'era a disposizione 1tpw"t"byovoç, non dovette sembrare necessario ricorrere maggiormente a 1tpw't'6-roxoç, e d'altra parte da "t"Ex~bxoç dovette sembrare più facile arrivare a una fonna e a un significato attivo, da yEv-ybvoç a uno passivo. 2
Nella iscrizione citata da
(DITI'., Syll. 3
III
MoULT.-MILL. 557 1024,17, c . .2.00 a.C.) si de-
ve leggere sicuramente: i'.iv É\IXuµov~ 1tpw-ro-r6xov, «una scrofa che è gravida e deve figliare per la prima volta». J Cfr. C. C. EDGAR, More tomb-stones /rom Tell el Yahoudieh: Annales du service des antiquités de l'Égypte :22 (1922) 9 s. ( = PRm-
I-2a
(W. Michaelis)
Èt;, iolov atµai;oc:; y E'J'l)i>ÉV'ta crot (cfr. la formula parallela alle righe 18 s.). Ne risulta che 7tpw•6i:oxoc:; in campo extrabiblico fu usato anche con significato più generico, nel quale il vocabolo, per l'affievolirsi dell'idea di nascita contenuta in --.oxoc;, finisce con l'indicare una posizione primaria in genere, come fu senz'altro il caso di 7tpW't6yovoc; (~ col. 676) 6 • Cfr. anche schol. a Eur., Or. 7 12 : Tieste come 7tpw't6'toxoc:; e Atreo come OEU'tEpoc:;. 2. Nei LXX, i cui testi anche più tardi sono sempre più antichi delle prime testimonianze di 7tpW't6-.oxoç extrabiblico, il vocabolo :figura in circa r30 passi. Di questi, 7 4 rientrano nel Pentateuco e 29 nel primo libro delle Cronache, dove si tratta soprattutto di prescrizioni legali e di dati genealogici. a) Nel testo ebraico per 1r1 passi vi corrisponde b"kor o bekor. In altri 6 passi figurano vocaboli ebraici degli stessi gruppi, in 5 casi manca il corrispondente nella Bibbia ebraica, 3 casi appartengono a scritti senza testo masoretico. D'altra parte b'kor è di regola tradotto con 'ltpw'to'toxoc:;, salvo pochissime eccezioni (7tatolov: Deut. 25,6; 'TCpEr:r~ui:t:· poc:;: lob r,I3.I8); c'è dunque una equivalenza molto evidente. 7tpW't6-eoxoç è SIGKE, Sammelbuch 6647). ~ n. 36. Nei LXX soltanto Mich. 7,1; :l:~p. 36,n (~ col. 68:z), nel N.T. manca completamente. s Cfr. DEISSMANN, L.O. 71. L'epigrafe tombale metrica per un bambino di due anni (Epigr. Graec. 730,3 == CIG IV 9727,3) è di provenienza cristìana (II/III sec. d.C.). 6 Qualora in simili testi appaia una «certa preferenza del primogenito» (MITTEIS-WILKKBN n l,234), questi è volentieri designato come 1tpEcr~unpoç o '](pE
'!tpw-cò-coxoc; A :2a-b (W. Michaelis)
riferito ad animali in Gen. 4>4; Ex. 34, I9 s. ecc., ad animali e uomini insieme in Ex. II,5; I2,I2; Num. 18,15 ecc.; in questo caso è usato spesso il neutro sostantiva to singolare ( rcéiv rcpw'té-i-oxov: Ex. I2,29 ecc., parecchie volte con l'aggiunta OLavo'tyov -i-'Ì}v µ1r•pcx.v o qualcosa di simile, ad es. Ex. 13,2 8 ; cfr. anche Le. 2,23) o plurale (cosl anche .in Iob II,28, in riferimento ad Ex. I2,r2 s.). Detto di uomini soltanto, rcpw't6"t'oxoc; figura come aggettivo con uloç (Gen. 25,25; 27,32 ecc.) o come sostantivo, senza utéç, ma unito a nomi propri (Gen. 10,15; 22,2I; 25,13 ecc.). b) Nei testi in cui s'incontrano bekor o, rispettivamente, 1tpw-i-6"t'oxoc; e le forme lessicali ad essi connesse (-:> coli. 684s.) trova espressione l'importanza straordinaria e concretamente sperimentata che ebbero le 'primizie' tanto per l'uomo antico di ogni civiltà, anzi per l 'uomo in genere, quanto per l'uomo veterotestamentario. Poiché la terra appartiene alla divinità ed è lei che dona la fecondità che si palesa nelle priData l'esistenza della poligamia, ci sarebbe da vedere se questa precisazione non supponga una distinzione tra il primo figlio del padre e il primo della madre (H. HAAG, art. 'Erstgeburt', in Bibel-Lexikon [1956) 4:2:2), Le formule relative suonano tuttavia generiche e non fasciano scorgere direttamente tale differenza; né appare qui più uno sfondo matriarcale; dr. J. liEMPEL, Das E1hos des A.T., Beih. ZAW 67 (r928) 68. D'altra parte è chiaro che nella poligamia il primo figlio (il primo generato) del padre dovette avere in pratica una posizione speciale, come «ré'Jit della sua virilità» (Geti. 49,3; Deut. :21,17). 9 Cfr. V. RYSSEL, art. 'Erstlinge u. Erstlingsopfer', in RE3 5,482-484; O. ErsSFELDT, Erstli11ge 11. Zehnten im A.T. (1917); ID., art. 'Erstlinge', in RGG 2 II 293 s.; A. WENDEL, art. 'Erstlinge', in RGG 3 Il 609 s, Per la possìbilità di un significato tipologico o rappresen· tativo delle prescrizioni sul sacrificio del primogenito, dr. M. BARnI, Die Taufe cin Sakrament? (1951 ) :291; W . MICHABLIS, VcrsohB
mizie, la divinità ha un diritto sui primi frutti della vegetazione e sui primogeniti di animali e uomini 9 • L'offerta dei primi nati in sacrificio, più tardi in tributo ai sacerdoti, ebbe un posto importantissimo nella religione israelitico-giudaica e parimenti l'offerta delle primizie dei raccolti. Per queste i LXX usano il termine 7tpW'tOyÉvv'l'}µa. o più esattamente rtpw-royÉ\l'l'}µa, quasi sempre al plurale, per lo più in corrispondenza di biktlrim. Ogni primogenito maschio di uomo o di animale era sacro al Signore (Ex. 22,28 s.; 34,19 s.; Num. 18,I.5 ss. [cfr. Le. 2,23s.]; Deut. r5,19ss.) 1G. Nella famiglia spettava al primogenito la preminenza sui fratelli (cfr. Gen. 2 .5. 29 ss.; 49,3; 2 Cron. 21,3), e dò si è ripercosso anche nel diritto ereditario. Questa posizione di preminenza del primogenito costituisce poi la premessa per un uso traslato prima di b'kor e quindi di 'ltpW't'o'Toxoç nei LXX. E qui che s'impone maggiormente il problema se e in qual senso l'equivalenza con bekor abbia potuto influire sulla storia del significato di 1tPW't'O't'OXOç u. nu11g des Alls (r950) 34 s. to La forma femminile b'kira si trova soltan· to in Gen. r9,31.33 s. 37; 29,26; I Sam. 1449· Il suo contrario è in I Sam. 14>49 q'fanna, altrove s"ira. I LXX hanno tradotto in I Sam. 14.49 ~pw-c6-coxoc; e ow-.Épa, altrove 7tpEa~v -cépa e VEW't'Épa. Noi traduciamo di solito h'kicon 'Ja maggiore' e cosl teniamo conto della circostanza che il gruppo di vocaboli ebraico non ha un rapporto etimologico né con un termine indicante generare, partorire, né con numerali indicanti uno, primo ( cfr. riga 21 ss.). Ciò nonostante, è chiaro che la traduzione prùnogenito (influenzata forse dal 7tpw't6'toxoç dei LXX e dal latino primogenìtus) per il maschile b'kOr cosl prevalente in confronto di b'klra non può possare per inadeguata o erronea .
ra
11 Cfr. W. MICHAELIS, Der Bei/rag der LXX :wr Bedeutungsgeschichte von npw't6'toxoc;, in Sprachgeschìchte 11. Wortbedeutrmg, Festschr. A. Debrunner ( 1954) 313-320.
c) Se si considera 7tPW't'O't'OXoc;, il senso traslato, dato l'affermante -'t'oxoç, sembra limitarsi ai casi in cui è conservata, sia pure solo in senso fìgurato, l'idea di nascita, o appoggiarsi esclusivamente sul npw't'o- con recessione completa dell'idea di nascita. Partendo invece da b•kor non esiste pregiudiziale alcuna, in quanto questa radice, come è dimostrabile, non solo può esprimere l'idea di giovane e piccolo, ma può anche significare primogenito, lasciando ancora indeciso quale di queste due accezioni, che non coincidono affatto, sia la più antica 12, e senza appurare fino a che punto i LXX nel tradurre abbiano potuto aver ancora presente l'una o l'altra sfumatura del vocabolo. Per contro un sicuro punto di partenza è costituito dal fatto che b•kor ecc. non è connesso etimologicamente né ad uno dei termini ebraici indicanti generare, far nascere, produrre, per il quale il gruppo possa essere riferito anche ai frutti ecc., né ai numerali uno, primo o al sostantivo testa, capo, che può avere lo stesso valore ( ~ n . 10 ). Poiché dunque b•kor per l'etimologia è completamente estraneo alle due componenti di cui è costituito itpW't'o't'oxoc;, sorgeva la possibilità che in 7tpW't'o't'oxoc; come equivalente di b"kOr l'idea di nascita, e quindi anche la questione dell'origine, venisse a ridursi sempre più o addirittura scomparisse. Il Per la storia del significato di b'k8r e dei verbi e sostantivi affini per radice in ebraico e nelle lingue semitiche, cfr. J. J. STRAMM in MICHAELIS, op. cit. <~ n. II) 317 s. 13 Cfr. il corrispondente sviluppo extrabiblico e~ coli. 677 s.) e l'affermarsi del significato di primo per grado per 1tpc.>"t"6yovoç ~ col. 676. 12
L4 Cosl E. W E CHSSLER, Hellas im Ev. (1936) 318: «tutti i popoli derivano da questo catxr stipite, ma Israele può vantarsi del nome di primogenito» (con rinvio a J. KLAUSNER, Jesus von Nazareth [ 1930] 524 a Ex. 4,22). 1s L'affermazione è vera anche sotto l'aspetto
concetto che il vocabolo intendeva d'ora innanzi esprimere non implicava necessariamente il confronto con altre entità dello stesso genere, poiché il primo poteva essere l'unico 13• Il materiale presentato dai LXX conferma questa supposizione?
d) Se in Ex. 4,22 si dice: vtòc; 'ltPW't'6-.ox6c; µov 'l
68.3 (v1,8/5)
'ltf:W'tO'tOY.oç A 2d-e (W. Michaelis)
figlio diletto e la sua educazione sarà come quella del pl'imogenito»; 18,4: li mx.~oc.la o-ou Ècp'1}µfu; wc; utòv 1tpw-c6nxov µovoyc.vfj, «la tua educazione su di noi, come figlio primogenito e unico». È vero che 7tpW't6't'oxoc; e µovoyEVlJ<; non sono completamente sinonimi (~ col. 690), ma se, come qui, sono usati in parallelo, è soltanto perché si presuppone che la posizione del ?tpw-c6't'oxoc; sia unica 17• Si deve intendere in questo senso anche l'uso di 7tpw't'6'toxoc; per il re in \); 88,28: x&:yw 1tpW'to-roxov ih)croµcu a.ù-ròv v\jni À.Òv 'ltocpà 'tOLç Poc
xoc; non implica più l'idea di una nascita o di una generazione 18, sia pure metaforicamente intesa; questa idea infatti non è esposta in nessun testo, e in ljJ 88,28 è addirittura esclusa a causa di -l)l]O"oµet~, che fa piuttosto pensare a una adozione (cfr. anche Ps. 2,7). Anche il concetto di una priorità temporale sugli altri figli resta del tutto estraneo. Il vocabolo non è più ordinato all'esistenza di altri figli; esso designa il popolo, l'individuo, il re in quanto particolarmente amati da Dio 19 . Questo valore di 7CPW't'O"toxoc;, che già si può notare nel1'A.T., è validamente comprovato dalla sinonimia coi titoli di Israele tratti dai libri dell'A.T.: «il (mio) primogenito, l'unico, l'eletto e l'amato» (4 Esdr. 6, 58)~.
In questi casi è chiaro che 1tpw.-6't'o-
e) Accanto a 'ltpw-.6...-oxoc; (7tpW't'O't'O· xoç non compare mai) si trovano nei LXX altre forme non testimoniate prima: 'ltpW'rO'tOXÉw, partorire per la prima volta, detto di animali (1Barl.6,7. 10); di una donna (Ier. 4,3I) 21 ; 7tpW't'o· 't'OXEUW col dativo, concedere i diritti di
11 Cfr. ~ DuRAND 60 s. Anche in Zach. r2,10 iii{Jld e b•kor si corrispondono. I LXX hanno tradotto &.ya.1tl)-t6<; e 'ltPl.ù't6"t'oxoç, senza trascurare l'idea di unicità presente in ;apid, in quanto con àya.'ltl)'t6ç (cfr. vlò<; &:yci-ITTJaewç in Ps. Sal. 13,9 -+ coli. 682 s.) si intende proprio l'untco-Oilctto.-+ col. 697; ~VII, coll. 469 ss.; ZAHN, Mt. a 3,17 n. 68. Il filius meus primogeniltls (in luogo di &.ya.'ltl)'t6ç) nella traduzione di Mt. 3,1
19 Nell'interpretazione messianica di 1j188,28, fìn dallo stesso v. 28 risulta la designazione del Messia come primogenito (-7 col. 687 ). lJl In ebraico, secondo B. V10LET (GCS 32, 64 s.) si dovrebbe supporre b'kori l/;1d1 b'{Jiri fdldi = 'ltp!.ù't6'tOXOV µovoyEvij lx>...Ex-.òv aya.1tl)'t'6V CTOV (µov). Un po' diverso ~ VII, col. 471. Cfr. anche W. H. TURNER, O YIOl: MOY O ArAIIHTO:E: JThSt 27 (1926) n2129; P . WINTER, MONOI'ENH:E rrAPA IlATPO:E: Zeitschr. fiir Religions- u. Geistesgeschichte 5 (1953) 347, cfr. anche 340. 21 Citato in I QH 3,8. Cfr. H. BARDTKE, Die Loblieder von Qumran II: ThLZ 8r (19,6) 592 e n . 66 s.; ibid. Bo (1955) 692; M. BuRRows, Mchr Klarheit uber die Schriftrol/en
7tpW'tO'tOXOt:;
rt
2t:·4 l
W. Jvu<;11>1cu~1
suo proprio nome. In questo contesto, al capitolo seguente, Filone presenta Caino come il 1tPW"t"O'tOXoç, oç tjv à.p:x:n i:fjç Èç àU,1}>.wv yEvfotwc; àvi}pw1totç, «colui che fu, per gli uomini, l'inizio della nascita per generazione dell'uno dall'altro»: Caino è cioè il primo uomo che oç OCV"t"t ~pW
(1958) 276. 22
La lezione migliore è 7tpW-rO'tOXEi:a e non
7tpW"CO't6XLa, come ha la maggior parte dei co-
dici per i passi dei LXX ed Hebr. 12,16. Nel significato di distinzione è d'uso corrente -Ei:a in parallelo a -Etiw; cfr. -rà- 7tpE
-La.
NER] ~ n.25.
Aquila con questo vocabolo avrà probabilmente cercato di rendere con maggior preci-
23
sione il singolare ebraico b'MrJ. [P. KATZ]. Senza corrispondente nel Testo Masoretiço, ma in base ai LXX potrebbe essere aggiunto anche H; cfr. Bibl. Hebr., Krrr. 1• 25 Cfr. LEISEGANG, s.v. Anche -.à. 7tpw-ço't6x~ct ricorre alcune volte (scritto çosl; ~ n. 22). 26 In questo senso va corretta la valutazione di cher. 54 in MrcHAELIS, op. cii. e~ n . II) 320. Cfr. ~ MrcHAELIS 155. ~ n. 30. 21 Contro W. STAERK, Die Erlosererwartung in dC11 ostlichen Religionen (1938} 72 s. 24
7tpw-c6"toxoç A 4 - B 1 (W. Michaelis)
con riferimento a Iub. 18,2 (Gen. 22,2). Questa accentuazione della posizione particolare che ha il primogenito compare anche in Iub. 19,28: Dio è padre di Giacobbe e Giacobbe figlio primogenito di Dio. È chiaro che si tratta di un riferimento a Ex. 4,22; anche Iub. 2,20 poggia sull'idea di una scelta di Israele riservata a lui solo: <{Ho scelto decisamente il seme di Giacobbe tra ciò che ho visto e me lo sono ascritto come figlio primogenito» ecc. (cfr. Hen. hebr. 44,ro). Per 4 Esdr. 6,58 ~ col. 684. Anche in 4 Esdr. 6,55, se dal latino primogenitum si deve arguire bekOr, biso· gnerà pensare che il primogenito sia Israele e non il mondo 28 • 5. Il giudaismo rabbinico ha designato come 'primogenito' (soprattutto in base a Ex. 4,22) Israele o Giacobbe; in seguito la torà e talvolta anche Adamo; inoltre Ex. r. 19 (81a) e Pes. r. 34 (159b) chiamano cosl il Messia-Re, rifacendosi a Ps. 89,28 e pure a Ier. 31,9 (Efraim come vezzeggiativo del Messia) 29 • L'appellativo è espressione dell'amore e della stima che Dio ha per un uomo 30 e può anche riferirsi alle particolari doti di una persona 31 • 28 Bar. syr. 44,1: «il mio (cioè di Baruch) figlio primogenito» risale forse a b•nt haggiidol (ad es. Gen. 27,1), come suppone B. VIOLET ad l. [GCS 32,261]). 29 Cfr. STRACK-BILLERBECK III 256-258 (a Rom. 8,29), 626 (a Col. 1,15), 677' (a Hebr. 1,6); M1cHeL, Hebr. a l,6 (52 e n. 2). 30 STRACK-BILLERBECK III 626. Anche Adamo, benché non 'nato', ma 'creato', in Num. r. 4 (141c) è detto «primogenito del mondo» e ciò dimostra quanto sia lontana dal termine l'idea di una nascita. Anche la priorità temporale non è mai considerata, ad eccezione di quei passi che si riferiscono alla torà e si ricollegano a Gen. 1,1; STRACK-BILLERBECK III 257. Cfr. S'.i'AERK, op. cit. (--') n. 27) 14; --') nn. 46.53. 31 STRACK-BilLERBECK III 258. 'Primogenito' può anche essere usato in malam partem: il
B. IL
(v1,877) 688
GRUPPO DI VOCABOLI NEL N .T.
Nel N.T. 'ltpW'tO't'O'XO<;, che compare al plurale solo in Hebr. n,28 (.-,. col. 679); 12,23 (.-,. co11. 701 s.), al singolare è sempre riferito a Gesù Cristo. r. In Le. 2,7 di Maria, madre di Gesù, si dice: xa.1. É'tEXE'V -.òv ULÒV a.ù-.1'}c; 'tÒ'V TCPW'tO'toxov. È questo l'unico passo del N.T. in cui TCPW'to'toxoc;, grazie all'uso paronomastico di 'tLX'tEW, è legato inequivocabilmente al fatto di una nascita e proprio nel senso naturale. È difficile stabilire quale peso abbia dato lo scrittore alla designazione del neonato come 7CPW'tO'tOxoc;. È improbabile che voglia semplicemente preparare Le. 2,22 ss.; anche nell'episodio di Gesù portato al tempio è fatto esplicito riferimento a Ex. 13, ma non mediante il termine I.PW'to'toxoc; che pur sarebbe suggerito da Ex. 13,2 (diversamente 13,12) 32 • Si più pericoloso e il più temuto del suo genere 258 s.); cfr. già in Iob 18,13 (T.M.) «il primogenito della morte», per indicare una malattia particolarmente grave. Cfr. anche 7tpw-c6-.oxoç "tOV rm.-.a.vfi per indicare un eretico (Polyc. 7,1; cfr. mart. Polyc. epil. 3, ed anche Iren., haer. 3,3,4). Cfr. W. BAUER, Rechl-
(ibid.
gliitJbigkeit
11.
Ketzerei im altesten Christen-
(1939) 74.237. Il nome proprio aramaico pe/rom (per le diverse grafie cfr. STRACK-BILLERBECK I 530 a Mt. xo,2) può connettersi a pfr e in questo caso significare il s~a.volywv "TÌJV µ111:pa.v ~ col. 679, il primogenito. Cfr. ~ x, col. 126 n. 8; O. CULLMANN, Petms (1952) 13 e n. n; 14 n. 13; O. BETZ, Felsenma11n ti. Felse11gemei11de: ZNW 48 (1957) 65 n.48. 32 Cfr. ZAHN, Lk., ad l. Il -itpw-.6"toxo~ di Le. 2,7, dato che qui è aggettivo (--') MrcHAELIS 137 s.), non può essere «predicato di Cristo» 111111
689 (vr,877)
7tpW't'O't'OXoç
D 1-2 \
w . lVJ.n.:m1cJI~J
può supporre che, mettendo in rilievo Gesù quale figlio primogenito di sua madre, l'autore voglia richiamare il tema della verginità di Maria, abbastanza chiaramente affermata in Le. r,27.34 33• Nell'usare npwi:o-coxoc;, l'intenzione non era tanto quella di «differenziare Gesù bambino da successivi figli di Maria>>, quanto di «escludere figli nati prima» 34 • Se non avessimo altre notizie che Gesù ha avuto dei fratelli (~ 1, coll. 386 s.), il tenore di Le. 2,7 da solo difficilmente permetterebbe di arrivare con sicurezza a una affermazione di tal genere; infatti il figlio primogenito è detto 1tpwi:6i:oxoc; perché è il primo a nascere, indipendentemente dal fatto che realmente lo seguano altri figli. D'altra parte npwi:6i:o-
xoç implica la possibilità e persino l'attesa che ne seguano altri (-'> Ix, coll. 773 s.) 35• npW"ro'toxoc; quindi in Le. 2,7 non ha assolutamente il significato di µovoyEvi)c; (~ vn, coll. 465 ss.) e non può ad esempio escludere che Maria abbia avuto altri figli~. 2. La metafora del primogenito nella cerchia dei fratelli è usata da Paolo in Rom. 8,29: ouç 1CpoÉyvw, xa.t 7tpowpL<1E\I uuµµopcpouc; -cijc; Elx6voc; -cov utov a.ù-cou, dc; 't"Ò dva.L a.ui:òv 7tpW'tO"COXOV Èv rcoÀ.À.oi:c; àoeÀ.q>oi:c;, «coloro che ha conosciuto da principio, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, per modo che egli fosse il primogenito tra molti fratelli». Si tratta qui della trasfigurazione escatologica 37 •
nel senso, ad esempio, di Col. 1,15, come sup· pone G. ERDMANN, Die Vorgeschicbte des Lk.11. Mt.-Ev. 11. Vergils 4. Ekloge, FRL N.F. 30 (r932) 41 s. 3J Una connessione di tal genere sarebbe certamente esclusa se Le. 2,1 ss. non fosse stato composto sin dall'inizio come continuazione di 1,26 ss., ma ricalcasse un racconto indipenden· te, nel quale Maria e Giuseppe comparissero come ·sposati e Gesù fosse presentato come figlio di questo matrimonio. Cfr. M. DrnELius, J11ngfraue11sohn 11. Krippe11ki11d: SAHeid 1931 /1932, 4 (1932) spec. 55-57. 34 KLOSTERMANN, Lk., ad l., ma con un'accentuazione precisamente contrarin. Cfr. ZAHN, Lk., ad I. 35 Se Gesù non avesse avuto fratelli, il 1tpcù't6't'oxoç di Le. 2,7 non si sarebbe forse conservato cosl intatto, e più tardi non sarebbe stato nemmeno accolto, come Mt. I,25 (var.). Il figlio unico è indicato con µovoyevfic;; cfr. Le. 7,12; 8,42; 9,38; Hebr. u,17. Giovanni Battista non è chiamato '1tPW't'6"Toxoc;, per quanto possa essere significativo che egli fu del pari il primo figlio dei suoi genitori. Anche per Sansone, richiamato come parallelo
da P. WINTER, The Proto-Source o/ Lk. I: NovTest 2 (1956) 190 s., manca in Iud. 13,24 una designazione del genere. 36 A torto J. B. FREY, La significatfon d11 terme 7tPW-t6't'oxoç d'après une inscription juive: Biblica 11 (1930) 373-390 (cfr. anche 1-IAAG, o c. [ ~ n. 8) 422) sostiene la perfetta sinonimia di 7tPW't'6't'oxoç e µovoyEvi}ç, appellandosi specialmente all'iscrizione tombale di Tell e1 Jehudijeh, ricordata sopra(~ coll. 676 s.). Tuttavia è vero che il bambino di quell'Arsinoe di cui parla l'epigrafe, morta al suo primo parto, rimase l'unico figlio di sua madre; ma non per questo è indicato come 1tpu>'t'6't'oxov i:Éxvov, ma perché fu il suo primo figlio. Cfr. anche H.KocH, Virga Eva - Virgo Maria (1937) rn:z-rn6 (appendice 5); ibid. 46-60 più dettagliatamente su Le. 2,7 nei Padri, particolarmente in Ireneo e Tertulliano. 37 «Con Elxwv s'intende il corpo trasfigurato dopo la resurrezione» (LIETZMANN, Rom., ad /.); ~ rn, col. 183. Cfr. anche 1 Cor. I5A9; Pbil. 3,21. Non si allude al Gesù storico, come se GUµµ6pqiovc; 't-ijc; Etx6voç si riferisse alla sequela di lui (cosi vorrebbe Zahn, Rom., ad I.). Avvalersi di Elxwv a questo scopo comporta
7tpW't6'toxoç B 2-3 {W. Michaelis)
Ciò che s'intende descrivere non è la resurrezione .in sé, e il 1tpw't'6'1'oxoc; non va interpretato nel senso del 1tpW't'6'1'oxoc; éx 'l'WV vExpwv di Col. 18 33; piuttosto si allude alla piena comunione con Cristo che inizia colla resurrezione dell'ultimo giorno e la cui premessa è lo stato di conformazione a lui (cfr. oµo~ot a.im~ fo·6µEi}a: I lo. 3,2). In questa piena comunione con Cristo, i credenti glorificati, quando entreranno nell'eredità come ovyxÀ'l')povbµot Xp~cnov (Rom. 8, I 7) e .raggiungeranno la loro escatologica vloitEafo.. (Rom. 8,23), saranno considerati fratelli di lui; egli sarà il 1tpW"t6't'oxoc;, simile ad essi e tuttavia superiore e preminente in rango e dignità,
perché resta sempre il loro Signore 39 • 3. Come nel 7tPW"t6-roxoc; di Rom. 8, 29 l'accento non batte particolarmente su -"toxoc;, cosl avviene in Col. r,18, dove Cristo è detto 1tpwi:6i:oxoc; Èx 'l'W\I Vexpwv 4ll. Con queste parole egli è designato quale primo risorto fra i morti: parlano in favore di questa interpretazione anche le formule àmx.px1J i:wv xExoLµ'l']µÉvwv di I Cor. 15,20 e 7tpGhoc; H; a\lr.t.0'1:6..0'EWç \/Expwv di Act. 26,23, per non citare che i paralleli più diretti. Tuttavia la priorità nel tempo non sta da sola in primo piano, ma vi è inclusa anche l'importanza che la sua resurrezione assume .in quanto avvio alla resurrezione generale nell'ultimo gior-
una formulazione moderna, ma per niente con· forme al N.T. Anche in 2 Cor. 3,18 si parla della vita presente, ma la Etxwv si riferisce del pari alla forma di esistenza del Risorto (cfr.-> KAsEMANN n 138). Ciò vale senza pregiudizio del fotto che [T. W.MANsoN], secondo Rom. 8,r4 ss.; I Io. 3,2, la filiazione divina è già possesso dei credenté; nemmeno il
genito di molti fratelli. Ma poiché questi fratelli risorgeranno nell'ultimo giorno, egli potrebbe essere chiamato oosl solo in senso pro· lettico.
33 ~ IV,
col. 189. Similmente E. BRUNNER, Das Ewige als Zuk1111/t u. Gegenwart (1953)
184: mediante la sua resurrezione al terzo giorno, Gesù Cristo sarebbe divenuto il primo-
39 Cfr. MICHAELIS, Phil. a 3,21. Non è verosimile che Paolo in Rom. 8,29 riprenda con ?tpw-c6-coxoç il titolo messianico in uso nel giudaismo (cfr. ScHLATIER, Rom., ad l.), perché ivi manca la relazione con i fratelli e si ha di mira soltanto il rapporto con Dio (-> col. 687). 40 Nel N.T. la resurrezione non è mai presentata sotto la forma metaforica di un parto. ZAHN, Ag. a 2,24 ravvisa qui l'idea che il fl'Q.va;-coç o, secondo una variante, l'/t.1ìTJc; abbia lasciato nuovamente libero il morto Gesù fra le doglie dcl parro e inqundra in questa interpretazione anche la frase 'ltpw'té'toxoc; Èx -cwv VEXpWV. Tuttavia fl'~V(l'\OC, e /j.1ìT}ç sono entità maschili e Mcra;ç 't~ w1ì~ \ltXç, nonostante WO~VCXC, 1ìt a;Ù-cWV g},,vcrac; di lob 39,2 e la singolare esegesi rabbinica di Ps. 18,5 (in STRACK-BILLERBECK II 617 s. a Act. 2,24), non significherà doglie del parlo, ma genericamente dolori (cosl anche in ljl 114,3). Cfr. inoltre HAENCHl!N, Ag. 148 n. 5.
no 41 . Si tratta insomma di una proclamazione del rango e della dignità di Cristo, tanto più che anche la proposizione seguente introdotta da ~\la (-+ col. 704) ha questo senso, il precedente apxfi è sulla stessa linea 42 e il parallelo costituito dall'altra frase con 7tpw't6-coxoc; in I, r5 (-+coli. 694 ss.) fa anch'esso pensare ad una graduatoria. Poiché Cristo fin dalla creazione ha di fronte a tutte le creature il posto di un npw't6'toxoc;, tale egli è anche e ben a ragione come risorto 43 (-+coli. 695.696 ss.).
+ In Apoc. r ,5 1tPW'tO'toxoc; 'tW\I
VE-
xpwv non è detto solo in ordine al tempo. Poiché la frase seguente ò &pxwv 'tW\I ~cx.cnÀ.Éwv -tijc; yijc; ricorda ~ 88, 28b, come del resto già ò µ6.p'tvc; b 1tLO-'t6c; richiama ò µap'tuc; Èv oùpcx.vQ mcn6c; di ~ 88,38 (vr, col. 1333), anche 1tPW'tO'tOXoc; si ricollegherà a xayw 1tflW't6•0XO\I i>l)o-oµo:~ CX.Ù'tO\I di o/ 88, 28a (-+ col. 683) e quindi intenderà 41 ~ 1, col!. 996 ss.; O. CuLLMANN, Unster· blichkeit der Sede u. Auferstehrmg der Toten: ThZ u (1956) specialm. 144-148. Anche nella formulazione cosl sobria di Act. 26,23 il concetto viene inteso allo stesso modo; cfr. H. CoNZ~LMANN, Die Mitte der Zeif (x957) 179. 202. Per una interpretazione ispirata al pensiero gnostico cfr. ~ Kii.SEMANN 1 66 n. 2.72 s.; II 139; con qualche riserva MICHEL, Hebr., excursus a 1,6 e 2,10. 42 Quindi àPX'fi sta in parallelo con gli enun· ciati di Col. 1,15 (~ I, coll. 1286 s .). Per &:pxfi riferito invece alla resurrezione ~ I, coll. 996 ss.; DrnELIUs, Gefbr. 3, ad l.; ~ DuRANn 64. 43 ~ MICHAELIS 144-146. 44
DrnELIOS, Gefbr. ', ad l. (traduzione: «pri-
connotare non solo la priorità temporale, ma anche e prima di tutto il rango che compete a Gesù quale primogenito dei risorti. La stretta connessione con ~ 88 convalida la tesi che non si tratta di una semplice ripresa da Col. I,18, dove un tale richiamo invece manca, ma o di un'affermazione che ha dietro di sé dei precedenti propri o addirittura di una formula indipendente dello scrittore apocalittico. 5. In Col. I,I5 la designazione di Cristo quale 7tpW'tO'tOXoc; mia"r)c; X'tLO'EWc; ha nella frase con o'tt che segue (1,16) una sua esplicita e precisa giustificazione e spiegazione: Cristo è il mediatore della creazione, al quale tutte le cose create senza eccezione sono debitrici del loro essere (-+ IX, coll. 956 s.). Di conseguenza in npw-c6'toxoc; 1t&:a'1)c; X't lo-Ewc; non è espressa la semplice priorità temporale di colui che a tutto preesiste 44• Se la formula ha infatti per ogmogenito avanti ogni creatura»). Anche l'espressione in uso per Dio qadmono lei 'oJam, «colui che è prima del mondo», che secondo STRACK·BILLERBECK Ili 67.6, ad I. si avvicina «moltissimo» alla frase paolina, non può va· 1ere come parallelo, dato che in quest'ultima non si tratta affatto esclusivamente della precedenza temporale. Per la designazione di Dio stesso quale primogenito nella tarda tradizione giudaica dr. la riserva avanzata in ~ DU· RAND 60 e n. 2. Del resto in DrnELIUS, /oc. cit. l'uso comparativo di 'ltpW'toc; o 'ltpw-.ov in Io. 1,15.30; 15,18 è chiamato in causa anche per 1tpw-.b-.oxoc;, ma stando a RADERMACHER 1 68.70 e BL.-DEBR, § 62 (cfr. § 185,1) l'illazione non è giustificata. 'ltpw-.b-.oxoc; significa il primo nato, ma non necessariamente quello nato prima (di un altro).
7tpw't'6-roxot; B 5 (W. Michaelis)
(vr,880) 696
getto la mediazione creatrice di Cristo, essa non può nello stesso tempo 45 affermare che egli sarebbe stato creato quale prima creatura 46• Contro tale ipotesi, secondo la quale 1ttl.
come sinonimo di ?tptù'tOX'tLO''toc; 47• Cosl l'unica possibilità che resta 48 è di intendere 1tpw-c6't'oxoc; nel senso del rango(~ qui sotto): si allude alla superiorità particolarissima e irrepetibile che Cristo possiede rispetto a tutte le creature, quale mediatore della loro stessa creazione. Anche la frase che segue in r,17• (m'.rtéc; È
45 In Io. 1,x.3 precedenza nel tempo e mediazione creatrice sono nominate l'una dopo l'altra. Ma non è come se i due enunciati fossero compresenti in 1tpW-r6-roxoç.
sere considerate non come generate, ma come 'create', dal momento che sono indicate con x-rl'11.<;. Il concetto presente in I Io. 5,18, ma non in Io. 1,13 (~ II, col. 414), secondo il quale Cristo dovrebbe essere considerato come generato da Dio, non si presta all'interpretazione di 7tpW't'6-roxoç; e neppure l'uso che il N.T. fa di Ps. -i.,7 (~ MrCHAELIS r45.147-149). Nella Bibbia, quando si parla dell'agire di Dio, la differenza fra yEwiiv e -.lx-reLV è sempre mantenuta. 48 Devono essere rifiutati tutti i tentativi di riferire il passo alla xa.w1} x'ticnç o di leggere 1tpw-ro-r6xoç. Cfr. ~ GEWIEss 3-i.; W. STAERK,
46 Il titolo di «primogenito del mondo» dato ad Adamo(~ n. 30; ~ KAsE.MANN 1128) non può in questo caso rappresentare un parallelo stretto. 47 Cfr. ~ DURAND 62. La contraddizione tra 1tpw-r6't'oxoç e x-rloi.ç non si eliminerebbe nemmeno se l'interpretazione venisse modificata in questo senso: «Cristo è il 1tpw-r6't'oxoç di tutta la creazione in quanto egli ed egli solo è stato generato dal Padre, mentre rutto il resto fu da lui creato - mediante il Figlio» (KocH, op. cit. [n. 36] 56 nota). Non è lecito, accentuando il -'t'OXO<;, prendere 7tpw-t6't'oXoç nel senso di colui che /u generato come unico; d'altra parte appena s'intende 1tpw-r6-roxoç come generato per primo, appellandosi al fatto che i significati di -rlx't'ELV e yEwiiv effettivamente si scambiano, la contradfuione emerge di nuovo, perché le creature devono es-
l,16.
In Col. r,r5 e poi anche l,18, per esprimere questa superiorità di genere assolutamente unico, la scelta di 1tpw-t6-i:oxoc; potrebbe essere stata determinata dalla grande importanza che il concetto di 'primogenito', come designazione di un primato di dignità, aveva acquistato nell'A.T. e conservato poi nel tardo giudaismo (~ coll. 682 ss. 687 ). Peraltro, in questo ambito il titolo è usa-
Soter I (1933) 155; ]. HÉRING, Die bibl. Grundlage11 des chr. Hu111a11ismus, Abh. Th. ANT (1946) 7 n. 4; E. FASCHER, Textgeschichte als hermene11tisches Problem (1953) xo3 n. 1. Lo stesso DIBELIUS, Gejbr. ', ad l. trova qui il rango «almeno implicito»; al contrario ~ GEWIESS 36 vede, e più a ragione, !'«elemento temporale» solo «brevemente sfiorato». Cfr. anche~ v, roll. 386.388.
49
'ltPW"t'O-roxoç B 5 (W. Michaelis)
697 (v1,880)
to per descrivere la posizione di fronte ro 51 • Non è tuttavia necessario pensare a Dio, mentre in Col. 1,15 non si pen- che tale uso particolare del vocabolo sia sa a ciò, e questa differenza permane stato preformato in una tradizione più anche di fronte all'osservazione, per sé antica; può benissimo risalire a Paolo rispettabile, che il rapporto di Cristo stesso. L'ipotesi che sia stato l'enunciacon Dio è espresso immediatamente pri- to di l,18 il punto di partenza che ha ma di l,15 e precisamente in 1,13 con ispirato a sua volta quello di 1, x5, in il titolo di ulòc; -ri)c; à.ycbtTJc; a.Ù'tov, quanto il riferimento di npw't6'toxo.; e che inoltre in Ps. Sal. 13,9 (~ col. alla resurrezione sarebbe stato più cor682) compaiono proprio appaiati utoc; rente e più facilmente comprensibile, &.ya.'ltlJO"EWc; e 'ltpW't6'toxoç 50 • D'altra non regge, perché l ,18 viene dopo x, patte, se in Col. l ,15 si tratta della po- 1 5 e perché non risulta che il vocabolo sizione di Cristo di fronte alle creature, fosse più diffuso in rapporto alla resurcome mediatore della loro creazione, nel- rezione (per Apoc. r,5-?coll. 693s., per le formule veterotestamentario-giudai- Hebr. 1,6 -7 coli. 699 s.). Sarà piuttosto che che abbiamo preso in considerazio- da ritenere il contrario, cioè che si sia ne qualsiasi premessa per tale concetto formato prima l'enunciato con 'ltPW>Omanca completamente. Anche Prov. 8, -roxoc; di 1,15 e che questo abbia poi 22: xupLoc; EX"tLO'É\/ µE (cioè la O'Ocpla.) tratto seco l'enunciato con npw-r6't'oxoc; à.px1Jv oSwv cdrcov, nonostante tutta del v. 18, salvo che le due frasi non sial'importanza che la speculazione giu- no tra loro più indipendenti, anche se daica sulla
~
.KAsEMANN II :r40. s1 Cfr. ~ KAsnMANN n I 34. 52 Cfr. ~ KXSEMANN l 58·61.66 n. 2.72 s. 98rn5 .128.136 s. 139. 53 Per Adamo come primogenito (4 .KAseMANN l 128; l i 137) 4 n. 30; per 1tpw't6yovoç in Filone ~ Ki\SEMANN rr 137.147 n. 29. Angeli e arcangeli quali 1tpw't'OX,.L!T't'OL ( ~ Kii.sEMANN 1 28.u6; Clem. Al., exc. Theod. 27,3 ss.; ]. BARBEL, Christos A11gelos, Theophaneia 3 [1941] spec. 199-201; W. LuEKEN, Michael [ 1898] n1-117, cfr. 38: paralleli rab-
binici) non possono costituire un parallelo a Col. r,15, perché qui si presuppone che Cristo sia non creato, ma preesistente e~ coll. 694 ss.). ~
MtcHEL, Hebr. a r,6. Questa cautela rispetto a una derivazione gnostica è indipendente dall'accettazione della proposta fatta da~ Kii.SEMANN II, che in Col. :r,15-20 vede un'elaborazione di una liturgia battesimale protocristiana che a sua volta poggerebbe su un inno precristiano (cfr. a questo proposito W.MICHAELIS, Einleint11ng in das N.T. 2 (1954]
7tpw-c6-coxoç B 5-6 (W. Michaelis)
siamo obbligati a supporre una stessa origine per tutti gli elementi che racchiude in sé l'espressione 1tp<.ù'to't'o:>eoc; 7ta
6. Nella frase o·mv OÈ 'JtUÀ,tv Ei.
215. Il mandeismo conosce 'primogenito' (co-
me anche 'primo' -,> 1, col. 8 n . 6) quale concetto mitologico, ad es. LrnzBARSKX, Gim.t1 R 5,1; LrnzBARSKI, Liturg. 28,n; 123,8 s. (Caino come «primo primogenito» -,> coli. 685 s.). 55 ~ MICHAELIS 146-152.
56
Cfr.
KASEMANN I 58-61. 131 n . 2. 136 s.; MICHllL, Hebr. a 1,6; F.]. ScHIERSE, Verheis-
sung u. Heilsvollendung. Zur theologischen Grundfrage des Hb (1955) 96; G. ScmLLE,
(vr,88r) 700
1} olxouµÉvl) senza la speficazione 1i µÉÀ,À,ouo-a (cfr. 2 ,5) non è certo che significhi il mondo celeste, e infine dcO:yw va bene anche per l'incarnazione e 7tciÀ.Lv potrebbe equivalere al m:l)..w di 1,5, sarà forse preferibile riferire la frase al Cristo preesistente. In tal caso npw.-6· 't'oxoc; corrisponde all'vt6c; usato prima in 1,2 e nelle citazioni di r,5 ab (cfr. anche r ,8) e connota come questo il rapporto filiale tutto particolare che il Cristo ha con Dio - prima di tutto, se non in modo esclusivo - quale preesistente.
Resta escluso(~ n. 47) che il termine rtpw.-6'toxoc; possa essere occasionato dal yEyÉWl)Xa
Die Btl5is des Hb: ZNW 48 (1957) 275. Invece G . WrnENGREN, Mesopotamian Eleme11ts in Ma11icheism, Uppsala Universitets Arsskrift 1946, 3 (1946) 24 n . 1, insiste molto sul rapporto che lega gli enunciati di H ebr. al pensiero veterotestamentario-giudaico. 57 CREMl!R-KOGEL, s,v.; MrcHEL, Hebr. a 1,6 (n. 2). Non è nemmeno il caso di confrontare 1,6 con gli vlol di 2,10, sebbene in sé anche Hebr. ammetta un rapporto tra la filiazione di Gesù e quella dei credenti.
701 (vr,88r)
l VI)S!S2J 702
'1tpw-r6-roxoç B 6-7 (W. Michaelis)
do di individuare da quale tradizione anteriore l'autore l'abbia preso, se da quella che soggiace anche a Col. 1 15 o da un'altra 58 . In 12,23 npw.-6-toxoc; è usato in un'accezione che non ha parallelo in altri passi del N.T. 7. In Hebr. 12,23 si parla di una ÉxxÀ:r111la. 'ltPW'tO'tOXtù\I Ò:.\la.yEypcx.µµÉVW\I Év oùpa.voic;. I 'ltpw-t6-toxoi, che fanno parte di questa festosa adunanza celeste (IV, col. 1524) ma evidentemente non si trovano ancora essi stessi nel cielo, e i cui nomi soltanto stanno segnati nel celeste libro della vita (n, coli. 276 ss.), non sono certamente angeli, tanto più che di essi si è già trattato in 12,22 59 . È difficile pure che si intenda con questo termine la comunità veterotestamentaria o i testimoni della fede di cui si parla nel cap. l l; si tratta piuttosto del58 Anche ammesso che sia esatto osservare che Ps. 2,7; 2 Sam. 7,14 e il concetto cli 'ltplù· -r6-roxoç del Ps. 89,28 stanno fra loro «in nesso esegetico diretto» (MICHEL, Hebr. a x,6; cfr. anche ~ DUllAND 60), resta da vedere se questo basti a spiegare la provenienza cli ?rpw-.6-roxoç in Hebr. x,6. Dopo tutto, è importante che in questo contesto, dove pure l'autore infila citazioni su citazioni adducendo in 1,5•·• 1Ji 2,7 e 2 Sam. 7,14, non sia affatto citato 1Ji 88,28. Può davvero questa lacuna essere colmata con l'osservazione sopracitata? Sarà pure giusto osservare che 7tplù't'O'toxoç in Hebr. l,6, dato che qui è usato «senza ag· giunte e interpretazioni» (diversamente da Rom. 8,29; Col. 1,15.18; Apoc. 1,5), costituisce una designazione di carattere più generale. Resta tuttavia da chiedersi se con ciò le aggiunte in Rom. 8,29 ecc. siano da intendere come «limitazioni intenzionali di una formula riguardante il Messia e avente in origine un signifi. cato più ampio», formula presente in lji 88,28 e riflessa in Hebr. 1,6 (MICHEL, Hebr. a r,6). Si tratta piuttosto di applicazioni del concetto a determinate realtà cristologiche, secondo le ri-
la neotestamentaria comunità di salvezza 60 • Ed è egualmente difficile dire co· me quest'accezione di 7tpw-.6-.oxo<;, unica anche nell'ambito del N.T., si sia inserita nell'uso linguistico precedente. Che la spinta sia venuta dall'apparte. nenza dei credenti a Cristo quale '1tpw-t6•oxoç 6 t, è un'ipotesi contraddetta da Rom. 8,29 (~ col. 690), dove la designazione di 'ltj)W'tO't'oxoc; esclude propriamente un'applicazione agli àoeÀ.cpol 62. Né d'altra parte è verosimile che il termine possa riferirsi al rapporto della comunità col resto della creazione (cfr. Iac. 1,18: eL<; -tò dwii 1)µ
~
spettive esigenze dcl contesto. 59
Contra 4 KXsEMANN I 28.126. Non è affatto il caso di pensare neanche al 1tpw't6x·ttcr'toç quale attributo degli angeli (4 n . 53; cosl MlcHEL, Hebr. a 1 16). 60 ]. ScHNEIDER,
Hebr. (1954)
122.
Cfr.
~
n , col. 277. Non è il caso di pensare soltanto ai cristiani già morti, dal momento che coloro di cui si parla qui sono presentati come non ancora «in cielo»(~ col. 701). MICHEL, Hebr. a 12,23: «Il 'primogenito' e i 'primogeniti' sono strettamente connessi tra di loro, come 'il Figlio' e 'i figli' (Rom. 8,29)».
61
Non si può trattare senz'altro di un «titolo d 'onore apocalittico della comunità)> (MICHEL, Hebr. a 12,23), perché, come mostra il plurale, non alla comunità come tale va l'at· tributo di «primogeniti» (cfr. Ex. 4,22 e i suoi riflessi storici ~ coli. 682 ss. 686.68ì ), bensl ai singoli credenti. 6!
63
CREMER-KOGEL 1076.
703 (v1,882)
'ltj)W"tEUW I·3
col. 679, per 'ltpw-.o-roxEi:a di r2,r6 col. 685 64•
~
T1tpW't'EVW I. 'ltPW•EUW, attestato a partire da Isocrate, Senofonte, Platone, significa essere il primo (per rango); la persona che viene superata viene indicata col genitivo (ad es. Xenoph., Ag. 1,3) o con preposizione (ad es. Xenoph., Cyrop. 8, 2,28); il campo in cui uno è il primo, col dativo (ad es. Xenoph., Ag. ro,r) o con Év: ad esempio 7tpw-re:ve:w Év EOpq.,, «essere il primo di seggio» (Xenoph., Cyrop. 8,4,5); Cl'1tEUOOV-re:c; -roùc; 'ltcti:oa<; f.v 'ltiicn 't'OCXLOV 1tpW'tEUCTIXL, «Studiandosi che i figli tosto primeggino in tutto» (Plut., lib. educ. 13 (II 9b) 1• Anche nelle iscrizioni, ad es. Ditt., Or. II 529,24 (sec. I d.C.); II 563,6 (sec. Il d.C.) e nei papiri, ad es. Preisendanz, Zaub. I 4,244: 't'OU't6 Ècr-rtv -rò 'ltPW'tEUo\I ovoµa; 't'OU Tvcpwvoc;, «questo è il nome di Tifone, che viene primo» (sec. IV d.C.)2.
2. Nei LXX 1tPW'tEuw ricorre in Esth. 5 ,II ( 'ltPW'tEUEL\I xa;L 1)ye:i:a1>at -rijc; ~a; CTLÀ.Ela<;, dr. 4,8: Aµav ò OEU't'EpEuwv -r~ Ba
Padri apostolici: Per Polyc. 7,1 ~ n. 31; inoltre Barn. 13,5 ( = Gen. 48,18); I Clem. 4,1 ( == Gen. 4A) . M
'ltpcù'tEVW
1 Cfr. PAssow e LIDDELL-ScoTT s.v. Nei papiri anche come indicazione di carica e di titolo militare, ma solo in testi tardivi. Cfr. P.REISIGKE, Wort. II 431; m l52.2I8;
2
(W. Michaelis)
(v1,883) 704
Flavio Giuseppe usa correntemente ol Ttpwnvov-.e:c;, i maggiorenti, i capi (= ot 7tpW'tot ~ col. 661), per lo più col genitivo: 'tOV 1tÀ:i)i)ou<; (ant. 9, r 6 7); 'tfjç ye:povcrlocc; (beli. 7>412); -rwv I'ocÀ.tÀoclwv (vit. 305); inoltre ant. 12, 18r; 20,182; vit. 313. Di rado al participio singolare: 1t()W'tEVW\I -.ijc; 1t6ÀEW<; (vit. 124); cfr. anche la designazione di Efeso quale 1t6ÀLc; 1tPW'tEVoucra 't-ijc; 'Aulac; (ant. 14,224). Cfr. ancora ant. 19,209; 20,100.147.173; bell. 1,123. La Lettera di Aristea usa 1tPW't'EUW ( 2 7.5) per indicare la serie dei commensali che secondo l 87 hanno preso posto per anzianità. In 229 l'EucrÉ~ELIX è definita xa.À.Àovlj TCpw-.e:uoucra., «bellezza sovrana». 3. In Col. 1,18 la formula oc:; lcr'tw &.pxl), 7Cptù'tO'tOXO<; ÉX 'tW\I \IEXpw\I è
congiunta alla frase finale che dichiara lo scopo che Dio si è prefisso: l'.voc yÉV'f}'tctt Èv 7téi.
W.
MrcHAELIS
MouLT.-MlLL. 556 s. Per ylvEO"&aL col participio cfr. BL.-DBBR. § 354 (la frase introdotta da Cva non direi che sia un accenno escatologico). Viene messo in rilievo non solo iv ?trun\I, ma anche a.v-r6~ (cfr. BL.-D1rn1t. § 277,3) e con questi due rilievi la frase è diretta nello stesso tempo contro le tesi degli eretici di Colossi. Qui 'lt{Xl>-tEVWV non può essere un titolo, perché è 3
.
,
T Jt"ta.tw 1. L'etimologia di questo v9cabolo, che figura a partire da Pindaro e anche in iscrizioni, papiri e nei LXX, non è sicura; un rapporto 1 con la radice 7tE't-, l.'t'Jl, 'cadere', sembra possibile 2 (~ x, coll. 299 ss.). Comunque il senso fondamentale non è molto diverso, solo che in 1t'ta.lw il cadere ha la sfumatura di urtare contro, cozzare. Mentre è raro l'uso transitivo (dare una spinta, far cadere, far scivolare), quello intransitivo è corrente, come risulta dalle seguenti frasi 3 : r.i:alt'.w 7tpÒç -.àç 'itÉ'tpa.c;, «cadere sulle rocce» (Xenoph., an. 4,2,J); µ:{} olc; 7tpòc; i:òv aù-ròv À.litov 7.'\ctLEtv, «non inciampare due volte nella stessa pietra» (proverbio) (Polyb. 31,n,5; 12,1); connesso a questo è il senso più traslato di incor-
2. Nei LXX 1t•alw ricorre una sola volta (Ecclus 37,12) col senso traslato di inciampare, sbagliare, peccare." Analogamente in Dettt. 7,25, dove 1t'tcx.lw corrisponde al nif'al di jqs, significa essere preso in trappola, essere sviato. Negli altri casi 7t"tCl.LW significa (di un esercito in guerra) aver la peggio, esser sconfitto e corrisponde all'ebraico ngp al nif' al in 1Bcx
rere, incappare, incespicare, cadere in ... , ad es. 'l't'tctt
un infortunio, incorrere in una sventura, ad es. µ1} 7tEpt Mapoovl~ 1t't'al
-.u
molto chiara la funzione verbale dell'espressione (contro E. KiisEMANN, Das wandemde Gottesvolk 1 : FRL N.F. [1957] 72); non può quindi esserci neppure un influsso di 'primo' quale attributo messianico giudaìco (~ col. 660 n. 2). Per q>~ÀonpW'l"EVW in J Io. 9 dr. PREUSCHEN-BAUER ', s.11.
r.·rcx.lw Questo articolo, con alcune aggjunte e muta-
3. Filone presenta in generale Io stesso uso linguistico del N.T. In alcuni passi come spec. leg. 4,70; leg. all. 3,16; 3 ,66 (1i oÉ YE òµoÀ.oyE~ ni:et.L
1 Forse con HoFMANN :i87 bisogna supporre una forma radicale r."Ti~-, 'lt't!r; WALnE-POK. II u ha invece dei dubbi. 2
Cfr.
ScHWYZER I 325
e 676; PRELLWITZ,
Etym. Wiirt. trova che 1'-tO'.lw sta a 'l"~ 1'-tWµa (la caduta) come ljlcclw a ljiwµ6c; (il boccone). 5 J Vedi PAPE e PREUSCHEN-BAUER ,_ s.v.
-rc-i:cxlw 3-4 (K. L. Schmidt)
cadere nella sventura.
4. Nel N .T. il vocabolo compare 5 volte, soprattutto nel senso traslato di sbagliare, errare, peccare: Ocr"ttc;... oÀo\I "tÒ\I véµov (~ vn, coli. 1391 ss.) "t1')pTJCT1J, ?t"tctlcrn oÈ É\I Èvl, yÉyo\IEV ?tOC\l"tWV Evoxoc;, «Se uno osserva tutta la legge, ma poi viene meno in un punto solo, è colpevole in tutto» (Iac. 2,10) 4; e anche (usato assolutamente) 1tOÀÀ~·-· 7t"taloµEv {j,'ltct.\l"tEç' Et 'ne; É\I À6y't} OU 'lt"tU.lEt, «in molte cose sbagliamo tutti; se uno non cade nella parola... » (Iac. 3,2). Inoltre -rav't'a ... 'ltOLOU\l't'Eç (cioè se vi studiate di rendere sicura la vostra vocazione ed elezione)ov µ'Ì) 1t.-alcr1')'t'E(Vg.: peccabitis): 2 Petr. l,IO. Forse questo passo sta in una posizione particolare perché qui entra in gioco anche il senso, testimoniato nella letteratura greca, di avere una disgrazia, cadere nella sventura 5. Il valore fondamentale del vocabolo è ancora ravvisabile in Rom. II,II: µÌ] E?t't'atcra\I (cioè i Giudei induriti) 4 Secondo DIBELIUs, ]k., ad l. si può dimo-
strare che il contenuto di questa frase è di derivazione ebraica; dr. anche WINDISCH, ]akbr., ad I. e soprattutto STRACK-BILLERBECK III 7_55; IV x.22. Anche gli Stoici, pattendo dall'interdipendenza delle virtù (e dei vizi) insegnavano che, se uno pecca contro una virtù, manca in tutte le altre; dr. DIBELIUS, Jk., ad l. s WINDISCH, Kath. Br. ', ad l. addita fra l'altro come passo di contenuto parallelo test. R. 4,5: qivì..
ov
tva '1tÉcrwow;, Vg.: numquid sic offenderunt ut caderent?, Lutero: «Hanno inciampato, sì da cadere in fallo?». Parimenti tutti i traduttori ed esegeti tedeschi intendono urtare, incorrere, inciampare, cozzare, senso che corrisponde all'inglese to stumble 6 . Ne risulta che in Rom. II,II 'Jt"t
n-cwxoc; (F. Hauck - E. Bammel)
709 (VI,885)
dere a causa del loro continuo incespicare e far passi falsi. 5. Nei Padri apostolici il vocabolo compare solo in I Clem. JI,I 9 : ocra. ... È7t'tCX.tO'O'.~V
OL&
'tLVa.ç 7CCX.pEµ7C-tWO'ELç
7t'tEPUYLOV ~ IV, coll. 779 7t'twµa ~ x, coli. 315 ss.
t
ss.
(vr,886) 710
a.v·mmµÉvov, IÌ.~LWCTWµEV àcpc.i}ijvcu l}µ~v, «per tutto ciò in cui abbiamo peccato a causa delle subdole insidie del1'avversario, imploreremo che ci sia perdonato». K. L. ScHMIDT
'tOU
7t"C'WCTLç -:>
x, coJl. 3 I 7 s.
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SOMMARIO:
I. i
poveri nei singoli suitti; l'atteggiamento di fronte alla proprietà. IV. La posizione dei poveri nel giudaismo palestinese: I. la compagine sociale; 2. l'interpretazione delle leggi sui poveri; 3. la beneficenza volontaria; 4. l'assistenza ai poveri da parte della co· munirà. V. II giudizio dei rabbini. D. Il Nuovo Testamento: I. I vangeli: I. Marco; 2. Matteo; 3. Luca; 4.Giovanni. II. Teologia comunitaria, Gesù, Giovanni Battista. III. Paolo. IV. La Lettera di Giacomo. V. L'Apocalisse. 2.
A. it-cwxéc; nel mondo greco: I. significato dcl vocabolo; II. valutazione della povertà. B. Il povero nell'A.T.: I. gli equivalenti ebraici. II. L'atteggiamento di fronte al povero: r. l'epoca primitiva; 2. il profetismo antico; 3. il Deuteronomio; 4. i salmi; 5. la profezia durante l'esilio; 6. la letteratura sapienziale. C. Il lardo giudaismo: I. l'uso linguistico nei rabbini, in Flavio Giuseppe e in Filone. II. La valutazione dcl povero negli apocrifi e negli pscudepigtafi. III. Qumran: but not to their (final) ruin» (Israele è veramente caduto, ma non per la sua rovina [finale]); secondo MrcHEL, Rom, ad l. ambedue le interpretazioni (finale e consecutiva) «possono rivendicare un certo diritto». Peraltro si tratta probabilmente di una con· gettura, dr. o. V. GEBHARDT-A. v. HARNACK. TH. ZAHN, Patrum Apostolicor11m Opera 6 (1920) 28.
9
7t-rwx6c; xù. Cfr. la bibliografia cli ~ 1tÉVl1t; e 7tÀ.ov-coc;. Opere di carattere generale: J. LEIPOLDT, Der soziale Gedanke in der t1rchr. Kirche (1952); E. PERCY, Die Botschaft ]esu : Lunds Universìtets Arsskrift 49,5 (1953) 40-108; A. GELIN, Les Pauvres de Yahvé ( 1953). Per A: J. HERMELRIJK, IIEvla en Ilì..oihoc;, Dìss.
7II (VI,886)
· VI. La comunità primitiva. E. L'età subapostolica: I. Il tardo giudeo-cristianesimo. II. I Padri apostolici.
'1t-tWX6ç A I r (F. Hauck)
A.1t'twx6ç
(VI,886) 712 NEL MONDO GRECO
I. Significato del vocabolo r. 't1-rwx6ç etimologicamente connesso
Utrecht (1925); J. ]. VAN MANEN, IlEvla. e11 tel der iiid. Wohltiitigkeitspflegc, in Festrn..o\hoç in de periodc 11a Alexander, Diss. scht. A. Bcrlincr (1903) 195-203; M. WEINUtrecht (1931); H .BOLKESTHIN, De armen in dc BERG, Die Orga11isatio11 der jiid. Ortsgemeinden. E 3: Die Almose11pflege: MGWJ 41 moraal, dc politiek cn de religio van de voor-cbristeliike oudheid, Verhandelingen der ko- (1896/97) 678-681; S. KRAUss, Talmttdische ninklijke Akademie van Wetenschappen te Archiiologic III (1912) 63-74; ]. ABRAHAMS, Amsterdam, Afdceling Letterkunde N.R. 12,2 S111dies in Pharisaùm a11d tbe Gospels I (1917) (1939); In., 1Vobltiiligkeit 11. Arme11pflege in n3-u7; ]. ]EREMIAS, ]crusalem zur Zeit ]evorchr. Altertum (1939) (cfr. la recensione di su 2 (1958) II A: Reicb u. Arm; M. KATZ, W. BAUER: GGA 202 (1940] 358-368). Protection o/ the 1Veak in the Talmud, CoPer B: lumbia University Orienta! Studies 24 (1925) H. GRAETZ, Krit. Komm. z. den Ps. (1882) 78-82; A. MARMORSTEIN, art. 'Armut iro Tal· 20-37; A. RAHLFS, 'Ani 11. 'if11iiw in den Ps. mud', in EJ m (1929) 370-374; CH. TcHER(1892); I. LoEB, La Lillérature des Pauvres NOWil'Z, dm'j, in Jewish Studies in Memory dans la Bible (1892); W. W. GRAF BAUDISSIN, of G. A. Kohut (1935) 46-58; A. CRONBACH, Die at.liche Religion u. die Armen: Pr. Jahrb. The Socia/ Ideas o/ tbc Apacrypha and thc 149 (1912) 193-231; A. BERTHOLEl', Kul/l/r- Pset1dcpigrapha: Hbr. Un. Coli. 18 (1944) n9geschichte Israels (1919) 170-174; F. WILKE, 156; S. W. BARON, A Social and Religiot1s Der Sozialismus ùJJ hbr. Altertmn, in Religion History of tbc Jews u (1952) 69-74; E. E. UR· BACH, mgmwt dtiwt wpbrtjwt btwrt h!dqh f[ u. Sozialismus, Pestschr. dcr ev.-theol. Fakultat in Wien (1921) 9-40; H. ScHMOKEL, Das pz"l !iWll 16 (1951) M7 . angewandte Rechi im A.T., Diss. Brcslau Per D: (1930}; H. BXRKELAND, 'Ant u. 'Aniiw in de11 ] . WEiss, Die Predigt]esu vom Reiche Gottes1 Ps. ( 1933) ( = BmKELAND 1}; In., Die Feinde (1900) 128-132.179-r87; 1D., Das Urchr. (1917) des lndividuums in der isr. Psa/menliteratur 47-56.269-272; ]. LEIPOLDT, Jesus u. die Ar(1933) 317-320 ( = BIRKELAND li); N. PETERS, mcn: NkZ 28 (1917) 784-810; R. A. HoFF· Die saziale Fiirsarge im A.T. (1936); P. A. MANN, Besitz u. Recht in der Gedankenwelt MUNCH, Eiltige Bemerkungen zu 'anliiim ti. des Urchr., in Religio11 11. Sozialismus, Festschr. de11 re!à'im in dc11 Ps.: Le monde orienta! 30 der ev.-theol. Fakultiit in Wien (1921) 41.63; A. STEINMANN, Jems ti. die saziale Frage ( 1936) 13-26; A. CAussE, Dt1 grortpe eth11iqrtc à la communauté religieuse (1937) 243-258; ]. (1925); H. v . CAMPENHAUSEN, Die Askese im HEMPEL, Das Ethos d. A.T., Beih. z. ZAW Urchr. (1949) 5-20; H . PREISKER, Das Ethos des Urchr. 2 (1949) 102-xo5; B. REICKE, Diako67 (1938), indice s.v.; A. KuscHKE, Arm u. 11ie, Festfreude u. Zelos: Uppsala Universitets reich im A.T. mit bes. Deriicksichtigtmg der 11achexilische11 Zeit: ZAW, N.F. 16 (:r939) 31- Jirsskrift 1951 1 5 (1951) 21-50.167-185; M. 57; ]. v. D. PLOEG, Les Pauvres d'Israiil et leur Drnlluus, Das saziale Motìv im N.T., in Piété, Oudtestamentische Studien 7 (1950) Botscha/t tl. Gesch. I (1953) 178-203; A. GEOR236-270; P.HUMBERl', Le 11101 biblique «è- GE, Le Dicu des Pauvres, Évangile 9 (1953); byo11»: Rev. H. Philos. Rel. 32 (1952} l-6; C. R. SCHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des VAN LEEUWEN, Le développement du sens so- N.T. (1954) 79-86; J. DuPONl', Les Béatitudes cial e11 I srael avant l'ère chr.étienne, Studia (1954) 184-244; DIBELIUS, Jk. I 37-44; R. Semitica Neerlandica l (1955); H. J. KRAus, Koctt, Die 1\7ertung des Reichtmns im Lk.: Psa/men, Bibl. Komm. A.T. 15,2 (1958) 82 s. Biblica 38 (1957) 15I-I69. Per C: Per E : J. HAMBURGER, Real-E11cyclopiidie des Judt. A. BIGELMAIR, Zur Froge des Sozialism11s u. Kommunis11111s im Christet1111111 der ersten drei 1 (1874) s.v. 'Almosen'; 'Arme' ccc.; 'Wohltatigkeit'; 'Zehent'; M. LAZARUS, Die Ethik Jbdt., in Beitriige, z. Gesch. des chr. Altertums des ]udt. (1898); K. KonLER, Z11m Kapi- 11. der byzantinische11 Lit. (1922} 73-93.
7r3 (vr,886)
n-cwxb.; A r r -3 (F. Hauck)
\ \'1,0071 7 ' 'I
a 1t'tWO"O"EW (Horn., Od. 18,363; Hes., op. 395) 1 = rannicchiarsi per la paura, come aggettivo significa povero, mendico; 'Jt'tWXÒ<; avi)p aÀcx.À:f)µ.evoc; ÈÀ~wv, «qui giunto un uomo mendico .vagabondo» (Horn., Od. 2 I ,3 2 7; 'Jt"t'WXOÙ<; aÀiicrJ)ai 1taioac;, «che i figli errino mendichi» (Eur., Med. 515); 1t-rwxòc; olavta, «un pane accattato» (Soph., Oed. Col. 75 1; P . Petr.nr36a,17 [sec.ma.C.]; composto in Timocles, Jr. 6,10 [ C.A.F. II 453]; in proverbio: '1t"tWXO"t'Epo<; xlyxÀ.ov, «più poveto di una cutrettola» (si credeva che non si facesse un proprio nido), Menand., Jr. 190 [Ké:irte] ; Plut., apophth. Aristides 4 [II 186b]; Epict., diss. 3,9,16); la forma 'lt'tWXl
(3vn, «vivere ramingo e povero in Libia» (Plut., Titus 21,12 [I 381d]); in senso traslato Polyb. 7,7,6 ('ltpa:yµ1hwv). Transitivo: mendicare, oat"ta (Horn., Od. 17,11.19); con l'accusativo di persona chiedere l'elemosina a qualcuno (Theogn. 1,922 [Diehl l II 56]).
I 'lt't'll· in Omero esprime l'idea cli rannicchiato, pauroso, 7t-cfi<J<JeL\I aver paura, 'lt-cwl; paura, 'lt't"OE~'V impaurire, WALDE-POK. u 19; Bor-
das, s.v.: 7t'tWX6ç· ò b'ltE'lt-CWxwç 't"OV EXl'W, Èmr.l-cnç. D 'altra parte Poli., onom. 3,109 s.: n)..ovcn.oc;... -cà lnva.v-cla. 7tÉV1Jc;... 1t'twx6c;, 6,197: g\l~O~ o~ 'ltlVT)'fct. "tÒ\l 1t'tWXÒV xal 'lt-CWXEltt\I -cliv 'ltEvlav (òvoµ&t;ovow) . Cfr, anche G . M EYE R, Laudes inopiae, Diss. GOttingen
3 . 7t"t'WXElcx: l'attività di mendico, il mendicare; €.e; 'Jt'tWXlJLl)V à:itt'x-.at, «si è ridotto a mendicare» (Hdt. 3,14,10); la condizione di mendico, la vita di un mendico; dc; 1t-cwxEla\I "ttJ\I Ècrx
S ACQ
8u s,
2 D IEHL J I II.
3 Fr. adespota 284,2 (T.G .F. 893): il nlvnc; può mantenersi da sé, il 1t'tWX6c;, un 'lt)..a.vfi-cnc;, no. Pscud.-Ammon., adfin. vocab. dif/., s.v. 1tÉVT)c; (p. 108): 7tÉVT)c; xat n-rwxòc; o~a. q>ÉpE~' 'ltÉVT)c; ~" yttp, ò G.nò -coii lpyat;E
(1915) I I S.
4 Aristoph., Pl. u2 ss.: 1t'twxou ~\I yàp ~(oç, 0\1 rro ÀtyELç, t;'i)v È<J'tW µT)litv EXO\l'tct., 'tOV Ot 1tl VT)'tO<; s'i)v
7>'\WXO<; A
l
la ma le resta inferiore per la misura dell'indigenza 5 • I nÉvrrn:c; come classe sociale e categoria politica erano il contrario dei 7tÀ.oucnoL o Eunopo~; i 1t-cwxol rappresentavano l'estremo opposto di questi; cfr. la contrapposizione di uso corrente 'ltÀOUCTLoc; ÈX 1t1:"WXOU YEYOVWc;, «divenuto da povero ricco» (Demosth., or. 18,131; 3,29; 8,66; 10,68) e viceversa. Luc., nec. 17 chiama massima mutazione di destino che re e satrapi divengano, nel mondo di là, dei mendicanti.
II. Valutazione della povertà Sullo sfondo della società nobiliare Omero descdve il tipo del mendicante locale (Od. 18,1 ss.), scansafatiche (14, 226 s.; 18,363; cfr. Hes., op. 381 s. 496), che vive da parassita sfruttando le case dei signori e non lasciando entrare nessun altro nell'ambito da lui occupato (Od. 18,49). Accanto a questo c'è il tipo di mendicante straniero che ha perduto per qualche motivo ogni diritto nella sua patria e se ne va ramingo elemosinando, colpito da grave infelicità (Od. 21,327; r7,10.18 s.; 19,74; Eut'., Med. jr5); anch'egli un giorno era un oÀ.~Loc; in una casa confortevole (Od. 19,76). Dei due tipi è dato un giudizio diverso, secondo che la povertà dipenda dalla colpa o dal destino (Theogn. 1,155 [DiehlJ II 12]), e in quest'ultimo caso per il povero si può provare anche simpatia (Od. 6,208); ma in generale il mendicante è disprezzato (Od. q,18) ; à·wl')p6c; (Od. 17,377). s -) BOLKl!STEIN, W ohltiitigkeit 549; bisogna però tener conto che questa differenza non si è conservata sempre. ~ HEMELRIJK 34 s. cita parecchi passi dei comici in cui 1t'\WX6c; e 1tÉVl'JC: hanno lo stesso significato e ~ VAN MANEN 19
è d'accordo.
6 H.El]µOcrUVlJ è forma tarda dell'Oriente ellenistico;~ III, coli. 420 s. e n. 4. col. 401 n, 8; ~ BoLKESTEIN, Wohltiitigkeit r46. 1 ~
BoLKESTEIN,
Wohltiitigkeit 177.179 a
3 - II (F. Hauck)
(VI,887) 7r6
È ovvio che al mendicante viene elar-
gito qualche piccolo dono (Od. 17,420), ma tale elemosina 6 non è mai considerata una virtù, e men che meno una virtù religiosa. È vero che talvolta Omero dice che stranieri e mendichi sono inviati da Dio (Od. 6,207 s.; 14,57 s.; cfr. 17'475) e che gli dèi stessi talora si mostrano in aspetto di miseri; ma l'idea che i più poveri siano sotto la protezione particolare degli dèi è estranea al mondo greco. Zeus è chiamato ~tvioc;, anche ixE"t'lJCTtoç, mai però 7t"tWXtOç 7. Anche l'assistenza ai poveri a cura dello stato restò ignota alla grecità 8• EUEP')'E"tEi:v, EÙ 7tOtEi:v non è fare l'elemosina, ma rendere quei servizi che riescono di vantaggio alla comunità (-7 III, coli. 881 ss.) 9 • Quando si parla di assistenza agli orfani, non s'intende un aiuto per quelli rimasti senza risorse, ma la tutela dei beni spettanti per eredità. Distribuzioni di viveri e simili provvedimenti sono destinati a tutti i cittadini e non in modo preferenziale ai bisognosi 10• ÈÀEuilEp16n1c;, cp1À1X.vilpwnl1X. valgono come virtù sociali, ma non hanno come oggetto le classi povere. Ci si attende però che il cittadino faccia perveHorn., Od. 6,207. Un'assiste112a 'organizzata' esisteva solo nell'ambito delle relative associazioni; cfr. B. LAUM, Stiftungen in der griech. ti. rom. Antike I (1914) 96 ss.; ~ BoLKESTEIN, Wohltiitigkeit 235-24r. 9 ~ BoLKESTEIN, \Y/ohltiitigkeit 213; il greco classico non ,ha un vocabolo per ' elemosina'. tu Testi in~ BoLKESTEIN, Wohltiitigkeit 164. 312-320. 8
717 (VI,888)
7C-twx6c; A 1l - B r
I
nire qualcosa a chi è caduto in miseria per disgrazia (Stob. 4,152,9 ss.). Un'interpretazione morale o addirittura religiosa della povertà è completamente assente dal mondo greco, e a loro volta nelle lotte sodali nemmeno i poveri si sono mai appellati all'aiuto degli dèi u. Sull'atteggiamento di Platone, di Aristotele, dei Cinici e della Stoa dr. ~ 1tÉ\IT}c; IX, coll. 1457 s. e~ 7tÀ.oucnoc; x, coll. 736 ss. F.HAUCKt B. IL
POVERO NELL'A.T.
I. Gli equivalenti ebraici l. 7t\wx6c;, presente un centinaio di volte nei LXX, ha per lo più come equivalente ebraico 12 'iin1; Jt-.wxEla. ricorre ro volte per il sostantivo 'on2 13 • 'iint, dalla radice 'nh, indica l'atteggiamento del rispondere e la buona volontà di farlo e, in uno stadio successivo di sviluppo, la posizione d'inferiorità di fronte a uno che esige una risposta. 'iin1 è quindi praticamente il servo della gleba e il dipendente 14; il vocabolo esprime cioè primariamente un rapporto e non una condizione di bisogno. Dove con 'iinz si voglia indicare una situazione economica; si usano concetti supplementari come dal (Ps. 82,3) e 'ebion
11 ~ 12 37
BoLKESTEIN, lVohltiitigkeit 181. volte, di cui 20 nei salmi, 12 nel nesso
'iini w"ebjon. 13 Per 'ani è d 'uso più corrente -.a.7CElvwo-tc; ( 19 volte).
Almeno la 1 e la u accC2ione di 'nh rientrano perciò nello stesso ambito. 15 ~ BIRKELAND r 6.8 comincia con questo significato. 16 Cfr. GESENIUS-BUHL, s.v. 11 Vedi ~ BIRKELAND 1 16. L'origine tardiva 14
(F. Hauck - E . Bammel)
(vr,888) 718
(Deut. 24,14; Ez. 16,49; 18,12; 22,29). Solo secondariamente 'iin1 indica un aspetto caratteristico della condizione di inferiorità e umiliazione, quindi un uomo di forze ridotte e di scarsissimo conto 15 • E qui si inserisce prima di ogni altra l'idea di povertà. Relativamente vicino al significato fondamentale è quello, frequente nel Pentateuco, di senza proprietà personale, nullatenente (Ex. 22,24; Lev. 19,10; 23,22; Deut. 15,11; 24,12.14.15 16) . Anche il fatto che il contrario di 'iinz non sia 'ii.Sir - che è piuttosto l'opposto di riis (e di 'ebjon: Ps. 49,3) -, ma prepotente, dispotico (rii.Sa'' piirz~, e6Jeq ), richiama il significato originario. Questa concezione di 'ani come di uno che è ingiustamente menomato, diseredato - 'iln'ì non si usa mai per la povertà dovuta a colpa - spiega perché Jahvé figuri come il difensore di questi 'anij;tm. L'uomo, che è davvero un 'iint di Jahvé, si presenta al suo cospetto pieno di fiducia, ed è proprio in quanto tale che finisce per assumere un valore religioso: umile e addirittura pio (Ps. 18,28: 't"OC1tEW6<;). La forma secondaria 'iiniiw dell'aramaico e del neoebraico, che in origine ebbe probabilmente lo stesso significato di 'iini 11 , assume, particolarmente nell'uso biblico - dove figura sempre al plurale 18 - , un colore decisamente religioso, e in senso religioso è intesa senza alcun dubbio dai Masoreti 19• I LXX traducono per lo più 'iiniiw con 7tpa\.ic; (~ coli. 68 ss.), mettendone è confermata dal fatto che I Qis" 61,1 legge 'mvjm, invece u,.g 14,32; 29,19 'njjm (trascrizione errata in BURROWS, ad l.). La ripartizione delle forme quadra bene con la tesi di P. KAHLE, Die hbr. Handschriften a11s der Hohle ( 1951) 72 s. circa i due testi-base di I QJs•. L'Isaia dei LXX sembra risalire allo stesso archetipo. IB Num. n,3 è un errore di grafia; dr. ~ BIRKELAND I 19 S. 19 ~ R.AHLFS 54 S.
'lt'tWXoc; B I 1-5 (E. Bammel)
così in rilievo l'aspetto morale 20 • Si trova tuttavia anche 'tct'Tt'EWoç, 1tÉ\l'fl<; e 1t't'WXO<;. 2.1t'twx6ç figura come corrispondente di dal 22 volte: 7 nei Proverbi, 8 in Amos, Isaia e Geremia; 1t't'WXEUEW si incontra 3 volte per dll: lud. 6,6; Ps. 79,8; Prov. 23,2r. dal è usato per indicare: a) la debolezza fisica: Gen. 4I,I9; :i Sam. I3,4 (àcri)evni;), b) la conclizione sociale (basso, povero, miserabile, meschino): Lev. I9,15; r Sam. 2,8 ecc.
dallat 'am-hà'iire1 (2 Reg. 24,14; 25,12; dr. Ier. 40,7; 52,15 s.; 39,rn) indica lo strato inferiore della popolazione. I LXX vi fanno corrispondere a volte -.am::woç (umile), ad es. Is. 25,4 ; 26,6 (II,4) e specialmente Soph. 3,12.
3. II volte n-rwx6ç traduce 'eb;on 21 • Dalla radice 'bh = volere, essere volenteroso (in arabo bramare), 'eb;on indica in origine colui che cerca di ottenere un'elemosina, il mendicante. Il vocabolo ha poi assunto il senso generico di povero 21 e perciò 21 non viene mai unito a ras. Dove non c'è il senso figurato, 'ebjon è usato largamente per caratterizzare il poverissimo, il senza tetto ecc. (r Sam. 2,8 e passim). Come 'ani, perché 'ebjon ha spesso un'accentuazione religiosa; ciò vale specialmente per il singolare abbinamento 'ani w"ebjon, che è, come pare, preistaelitko e diventa nei 1ll TH. HA.RING, Dic 'ani;iim u. 'anàwlm im A. T., Theol. Studien aus Wiirttemberg 5 (1884) 157-16r; ~ RAHLFS 57 .
li I LXX nella maggioranza dei passi traducono con 7tlVT)c; (sempre in Amos e Geremia) (~Ix, coll. 1458 ss.). 22 Cosl anche ~ BIRKELAND II 317 s. Per il modo di intendere dei Masoreti ~ RAHLFS 54. 23
Diversamente
~
HuMBERT
2.
Significato originario: il mendico è servo di Dio ('iini) e quindi si presenta a lui come un supplice ('cbjon). Come dimostra Ps. ro7,4r, questo significato finl per non essere più av· 24
Salmi una formula fissa per esprimete l'atteggiamento dell'orante di fronte a Dio 24 (Ps. 35,10; 37,14; 40,r8; 70,6; 74,21; 86,1; 109,16.22). I LXX traducono - tranne 109,16 - con 1t'tWXÒt; xat nÉvrJ<;. Talvolta i due termini compaio· no nel parallelismo (Am. 8,4 e passim).
rws, essere povero, essere bisognoso, mancare del necessario, esclusivamente in senso sociale ed economico, è una parola cara alla letteratura sapienziale, a cui appartiene anche la favola di :i Sam. 12,3. Nei Provetbi essa è tradotta l 1 volte con 'lt't'WXO<; (di solito in esplicita antitesi a «ricco»); 7 volte con ~ 1tÉV'fl<;, una volta con ~ -.am:w6ç (r Sam. 18,23); in Ps. 34, Il in corrispondenza di ras Sta 7:'tWXEUEW; per il patticipio hif'il in r Sam. 2,7 compare -:t-rwxlsw. 4· riis, participio di
5. misken 25 indica il dipendente 26 e in seguito chi è di una classe sociale inferiore. Il termine serve ancor oggi in Oriente al mendicante per designare se stesso. È entrato nell'A.T. solo attraverso gli scritti tardivi, quando 'ani aveva da un pezzo perduto il suo antico significato. I LXX lo traducono con~ 7tÉVT)<; in Ecci. 4,13; 9,15 s., con 'lt-rwx6ç in Ecclus 30,14 (in Ecclus 4,3 viene parafrasato con 7tPOO"ÒEoµEvoç). In Deut. 8,9 (materiale redazionale) miskenut è reso con TI't'WXEloc. vertito e i due termini sono usati in parallelo (cfr. anche 86,1 s.). ~ BIRKELAND II 319 vuol vedervi soprattutto il bisogno, e 'ànl richiamarebbe soprattutto il bisogno, e 'ebi6n l'es· sere senza aiuto di fronte a Dio. 2S Cfr. anche l'accadico muJkén11, che in
26
7C'CW:X6ç
nl
6 - II
6. In tiJ 9,35 n-cwx6c; sta per f;elkfi, che però non è lezione sicura (in ljJ 9,29 è tradotto con r-Évric;). I vocaboli ebraici fondamentali sono dunque 'ant, dal, e 'ebion. A volte sono usati come sinonimi, alla pari dei corrispondenti greci ~ nÉvl}c; e n"wxoc; 27• In parecchi passi tuttavia, dove figurano due di questi termini in parallelo op· pure congiunti con un w, nella traduzione si hanno dissimilazioni (Am. 8,6; Is. 26,6; 41,17 e passim) o anche assimilazioni (ls. IIA [?]; 14,30; 32,7 e passim). Costrutti col genitivo u o forme duplicate sono da ascriversi a tendenze particolari dei traduttori.
II. L'atteggiamento di fronte al povero r. La vita nomade o seminomade delle tribù israelitiche prima del loro insediamento nella terra di Canaan non conosceva una differenza netta e stabilizzata fra ricco e povero 29 • Coloro che appartenevano al clan avevano gli stessi diritti e partecipavano, a livello perfettamente equiparato, alla difesa della comunità. La vita sedentaria, che comincia con la presa di possesso del paese, da una parte procura in sorte ad ogni israelita una porzione della terra donata da Dio (~ v, coli. 619 ss.), dall'altra lo mette in contatto coi Cananei che vivevano già in parte in città e presentavano notevoli differenze sociali. La presenza dei vinti, che ben presto solo in parte potranno ancora essere considerati come Ad es. Prov. 22,22. Per l'uso indifferenziato di 1tt'llTJ<;, 1t-rwx6c; e -crJ.:1mv6ç nei salmi cfr. E . BATCH, Essays in Biblica/ Greek (1889) 73-79. Anche E. SnLLIN, Beitriige z. isr. u. iiid. Religionsgeschichte n ( 1897) 284-29r.294-299. 28 In Is. 10,2; 29,19 abbiamo una traduzione che si scosta dall'abituale impiego del vocabolo. 27
29 ~ BERTHOLET 170. 30 ~ HUMBERT 3 s. avanza l'ipotesi che
'ebion
sia entrato nella lingua ebraica proprio in que-
2
(E. Bammel)
ger'ìm e che in parte confluiscono in uno strato declinante dei conquistatori, fa sorgere il problema del povero anche fra gli Israeliti 30. Cercando di arginare l'evoluzione che si annuncia, il Libro dell'alleanza 31 dichiara volontà di Jahvé che nel suo popolo_non si produca nessun impoverimento definitivo e senza speranza. Chi, spinto dal bisogno, ha dovuto vendersi come schiavo, dopo 6 anni potrà ricuperare la libertà (Ex. 2r,2 ). Nell'anno sabbatico ciò che cresce spontaneamente apparterrà ai poveri (Ex. 23, ro s.: 'eb;on/n,.wx6c;). È vietato prestare a interesse a un connazionale povero (Ex. 22,24: 'iin1/1mnxp6c,). Jahvé proibisce ogni sopraffazione del povero nei processi (Ex. 23,6: 'ebion/'1tév11c;). Già in questi precetti fondamentali, che da un lato - almeno per il settimo anno - intendono ripristinare la situazione normale, cioè l'assoluto diritto di Jahvé al possesso del paese 32 e garantiscono dall'altro una permanente tutela dell'indigente, Jahvé, a differenza degli dèi greci e~ col. 716), figura quale difensore dei poveri 33, ed è questo un concetto che permane immutato in tutta quanta la storia di Israele. 2 . Il progresso economico dell'età dei re, che crea ceti nuovi e quindi dà luogo a una maggiore differenziazione sociale, e insieme il fatto che i possidenti - i soli che godono dei diritti civili - esercitano nello stesso tempo l'ufficio di giu-
sto periodo. 31 Per la cronologia del Libro dell'alleanza cfr. O. EISSFELDT, Bini. in das A.T.' (1957) 260 s. 32 A. ALT, Die Urspriinge des isr. Rechts, in
Kleine Schriften
z. Gesch. des Volkes Israel
I
(19:n) 327 s. 33 Presto vi si aggiunge l'idea che nel caso di violenza il povero mediante la preghiera e la maledizione può appellarsi alla particolare protezione di Jahvé (Ex. 22,26); ~ HEMPEL 129. 144.
1t't"wx6i; B u
dici, aggravarono la situazione dei poveri. Vivevano allora i profeti antichi (-7 IX, coli. 1459 ss.; x, coll. 745 s.) che nel nome di Jahvé entrarono in campo a favore dei poveri e li protessero quali ~add1qtm 34• Essi lamentano che gli uomini socialmente potenti siano degli oppressori (Am. 2,7; 4,1; 5,u: da//rr.-r:wx6ç) e sferzano la loro spietata brama di lucro (Am. 8,4; I s. 3, r 5 ). Per avidità di possesso essi cacciano i poveri - ]"eredità' di Ps. 94, 5 - dalla porzione toccata loro in sorte e trasmessa dai padri nella terra di Jahvé (Is. 5,8 s.; Mich. 2,2). L'ingiustizia dei ricchi attirerà inevitabilmente il castigo di Dio su tutto il popolo (Am. 2, 6 ss.), quel popolo che Dio stesso un tempo ha salvato facendolo uscire dal]'Egitto, quando anch'esso era come un povero (Am. 2,10; cfr. Ex. 22,20; 23,9 [ ger] ). La degenerazione è cosi grave che, in un singolare contrappunto ad Am. 2,6, si arriva a formulazioni che rasentano l'identificazione dei poveri col J4 Cfr. -7 V. D. PLOEG 244 s. 35 Giustamente -7 v. D. PLOEG 269.
36 E. TROLTSCH, Das Ethos der hbr. Propheten: Logos 6 (1916/17) 18. 37 Cfr. --+ KuscHKil 40. Diversamente -7 WrLKE 22. Non si tratta quindi di una vera e propria equiparazione fra !addlq e 'ebj8n (cosl U. Ti.iRCH, Die sittlichen Forderungen der isr. Propheten im 8. ]bdt., Diss. Gottingen (1935) 24 n. 19. Se è giusto non pretendere che i profeti siano dei riformatori sociali (cfr. M. LURJE, Studien zur Gesch. der wirlschaftlichen 11. so:dalen Verhiiltnirse im isr.-jiid. Reich, Beit. z. ZAW 45 [1927] 60), è d'altra parte esagerato considerare l'atteggiamento profetico come r!duzione del problema sociale ad eti-
2-3
(E. Bammel)
popolo di Dio (Is. 10,2: 'anijje 'amm'ì.; cfr. Is. 3 115; r4,32; Dam. 6,r6 (8,13]). Alla base di tutto questo non c'è tuttavia l'idea di una particolare elezione dei poveri - nessun profeta si identifica mai del tutto con essi 35 - , ma un principio giuridico, il legame col diritto antico 36 (cfr. ancora Is. 22,15 ss.), che si considera leso dalle vessazioni 37 • Un apprezzamento veramente religioso dei poveri compare in questo periodo solo in Soph. 3,12: Dio lascerà sussistere solo un 'am 'iint wadiil (À.a.òc; 'Ttpa.ùç xa.L 't'll1tELvéc;) che avrà fiducia in lui 38• 3. Un parallelo alla critica dei profeti 39 e insieme un coerente rifarsi all'ordine sociale dell'età del deserto 40 è rappresentato dalla legislazione del Deuteronomio (benché in questo libro manchi il termine 1t't"WX6c;) 41 • Il paese che Jahvé ha dato in eredità (na/JaliJ) al suo popolo è una terra di abbondanza e di ricchezza in cui non ci sarà nessun bisognoso ( l 5 A: È.voEiJc;) e quindi non si imporrà 'Tt't'WXElcx. di sorta (Deut. 8, 9). Questa promessa è fatta ad Israele nella sua totalità; tutti perciò hanno ca sociale (cosl ~ BERTI!OLET 172). 3~ Posto che il passo sia preesilico; contra L. P . SMITH e E. R. LACHEMAN, Tbe A11thorship o/ tbe Book of Zephaniab: Journal of Near Eastern Studies 9 (1950) 141 . 39 Vedi A. ALT, Die Heimat des Dt., in Kleille Schriften z. Gesch. des Volkes Israel n (19,n) 268 s. 40 Il movimento dei Rekabiti (Iud. 13,7.14)
dev'essere considerato come una radicale protesta contro la nuova struttura economica (dr. -7 Wmrn 13-15). 41 Il Deuteronomio ha potuto perciò essere definito un «sistema di garanzia per difendere i deboli a spese dei ricchi e dei forti» (E. RENAN, Gescb. des Volkes Israel III [1894] 226).
parte alla terra. Su ciò si basa il diritto del povero e ttova la sua giustificazione l'aiuto che deve esser dato alle vittime dell'ingiustizia umana (I 5 ,7-II ). Le leggi protettive stabiliscono però agevolazioni e misure di assistenza soprattutto per i connazionali caduti in povertà ('a{J, termine tecnico: 15,r ss. r2 ss.; 23,20. 25 s.; 24,6.14ss.; cfr. il Codice di santità42: Lev. 19,9s.; 23,22; 25,25; Ex. 22,24c; 23, II 43). A prescindere dalle prescrizioni di Lev. 25,8 ss. per l'anno sabbatico 44, esse vanno molto al di là di ciò che stabiliva la legislazione antica 45 . I risultati pratici tuttavia furono molto scarsi 46 . La tensione fra la 'legislazione' deuternnomistica e la realtà, il crescente inserimento dei gérlm ecc., che superò le previsioni degli stessi profeti Come termine tecnico è usato solo 'iinl. 'eb;on manca pure in tutta la legislazione sacerdotale; in passi aggiunti si trova tuttavia dal. Quest'ultimo termine è assente anche nel Deut. e probabilmente nel Codice dell'allean42
za; ~ v. BAUDISSIN 204 n. I. 41 In parte reinterpretazione di norme dettate in origine da altri motivi; vedi H. SCHMIDT,
Das Bode11recht im 1Ter/nmmgse11twurf des fai'., Hallische Universitiitsreden 56 (193.i) 26. 44 «Si tratta forse di un residuo dell'economia comunitaria» (J. WELLHAUSEN, Prolegome11a zur Gesch. Israels' [1899] 115). Per il problema storico cfr. AL·r, op. cit. (~ n. 32) 328 n. I . 45 Cfr. H. BRUPPACHER, Die Beurteiltmg der Arm11t im A .T. (19.i4) 4x s.; si capisce in questo contesto come il furto, «tipico reato del povero», in questa parte della tradizione israelitica sia punito in modo relativamente lieve (-> HEMPEL n8). Altri dati in proposito in F. HoRST, Der Diebstabl im A.T., in Stt1dien z. Gesch. des Nabe11 11. Femen Ostens, Festschr. P.Kahle (1935) 19-28. 46 ~ KuscnKE 44; M. WEBER, Das amike ]udt., Gesammelte Aufsatze zur Religionssoziologie m (1921) 73: derivata dalla parenesi, non dal diritto vigente. Un giudizio più positivo in v . BAUDISSJN zo3. Le agevolazioni per i poveri della legge sacerdotale (Lev. 5,7. u; 12,8; 14,21; 27,8) furono naturalmente applicate. L'abbozzo di costituzione presente in
antichi, l'inasprimento delia situazione sociale 47 e infine il crollo dello stato giudaico, che apparve come un castigo per l'oppressione del 'anz we'eb;on (Ez. 22,29: 'lt-çwxòc; xcd 7tÉVTJ<;), fecero sl che il problema della povertà rimanesse aperto. 4. Il topos del povero ha la sua sede fissa nell'inno cultuale dell'antico Oriente, dove non solo la povertà appare come un castigo divino 48 , ma Dio stesso è esaltato come colui che in modo tutto particolare fa sperimentare ai poveri la sua protezione 49 • Perfettamente nel senso di questi discorsi oggettivi 50 vengono usati dal, 'iint e 'cbjon nei canti regali del periodo preesilico (Ps. 72,2-4.12.13; r32,r5 51 ; tarda ripresa del genere letEzechiele (distribuzione uguale della proprietà, considerata come inalienabile) è invece una vera utopia. Anche la nuova distribuzione della proprietà prevista da Esdra per ogni anno giubilare non divenne mai una realtà. 47 Ne è un segno, fra l'altro, l'inasprirsi della condanna del furto; vedi ~ HEMPEL 244 n. 183. 48 A. FALKENSTEIN-\'Q'. v. SODEN, Sumerische ti. akkadiscbe Hym11e11 u. Gebete (1953) 263.270. 4? E. EnELING, Keilscbri/ttexte nt1s Asrnr religiose11 Inbalts (1919) 355,u; J. PINCKERT, Hynmen ti. Gebete a11 Nebo (1920) rn.55; A. ScHOLLMEYER, Sumerisch-bab. Hym11en (1917) 84,20 s.; J. HEHN, Hym11en u. Gebete a11 Mard11k (1903) 357.4i cfr. G. WIDENGREN, The
Akkadian a11d Hebrew Psalms o/ Lame11tation as Religior1s Documents, Diss. Uppsala (1936) 45 s. .54· 50 Un altro senso presenterebbe I Sam. 2,8, qualora (cosl afferma ~ BlRKELAND II 43) in questo salmo fosse il re a parlare di se stesso come 'ebjon e dal. Cfr. a questo proposito la iscrizione ZKR, dove secondo E. SACHSSE, 'Ani
als Ehre11bezeich111111g in inschriftlicber Beleucbttmg, in Festschr. E. Sellin (1927) rn8, il re chiama se stesso 's '11b '11h = 'H 'iin1 'an1. 51 Anche l'introduzione di 'ii11i in Ps. 68,11 (dr. vv. 6 s.) rientra stilisticamente nella linea dei salmi regali. Per l'antichità del salmo
cfr. S. Mow1NCKEL, Psa11!1e11studie11 r, Awii11
n-.wxoc; B u
4 (E. Banunel)
terario in r 8,28 ['am 'ont]) . Una prova dell'apporto dato dal patrimonio ideologico orientale si può scorgere nel Ps. 82, nel quale al mondo degli dèi è rivolto l'aspro rimprovero di non occuparsi del povero (dal, riis) 52,
dove la situazione di miseria finisce a sua volta per assumere lineamenti più generali. Tuttavia l'uso di 'anl quasi esclusivamente al singolare mostra ancora quale fosse la situazione originaria delle esperienze. Come nemici dei poveri figurano priLa situazione è diversa là dove il po· ma di tutto i rsiflm che soltanto in parvero si trova di fronte ad avversati (Ps. te vanno considerati come avversari po9,13.r 9; 10,2.9.17 ecc.). Egli, in una litici 55 • In molti casi, ·ad es. in Ps. 69, lotta umanamente senza speranza, si ri- 30; 86,1; 88,16, sembra trattarsi di volge a Dio: sa che Dio ha prnmesso estreme condizioni di bisogno 56 a cui i aiuto al povero, e questi ora lo reclama . poveri sono abbandonati ad opera dei loproprio come chi fa valere un suo dirit- ro avversari, e qui bisogna pensare a mato 53. Nel canto di invocazione e di rin- lattie, magie, ostilità esterne; la povertà gl'aziamento del singolo si arriva a una materiale ne è spesso la causa o la conidentificazione di orante e povero ('anz seguenza !il. In altri passi si tratta senza 'iinl w e'ebjon: Ps. 40,18; 86,1; 109,22; dubbio della povertà in senso sociale, cfr. 69ao e 25,16), quale non si era a- cioè dell'appartenenza ad una classe opvuta nei salmi reali 54 • Nei salmi 9.34 e pressa (Ps. 35,10; 37,14 [cfr. v. 16]; 140 si va anche più in là, nel senso che 22,27 [?] ). Il fatto che dei poveri, anciò che accade al singolo è visto come che in senso improprio, cerchino di enindicativo di un gruppo. In tal modo trare nella sfera di questa protezione questi salmi trapassano ad un uso collet- fa sì che il significato del vocabolo si tivo del termine 'ani (Ps. 74,19.21; 140, estenda e aumentino le forme di salvezza a cui si anela. Fin dall'origine il vol3j 37,14; 9,19; I0,2.9; cfr. 68,II), u. die individricllen Klagepsalmen. Skrifter utgit nv videnskapsselskapet i Kristiania, histo· risk-filosofisk klasse (1921) 144; ID., Der 68. Ps, Avhandlinger utgitt av det Norske Videnskaps-Akademi i Oslo (19.53) 72 s. (cfr. 29 s.). 52
Per la datazione del salmo clr. O . ExssEl and Y ahweh: Journal of Semi tic Studies l (1956) 29 s. 53 Questo diritto però, tranne forse nel tardo Ps. 109,16, non è avanzato rispetto ai r'si11m (cosl MOWINKEL, op. cit. [-+ n. 51) :n6, seguito dR -+ KuscHKE 49 n. 2). Cfr. i paralleli egiziani: «Amon, volgi il tuo orecchio a uno che si trova solo in giudizio, che è povero, mentre il suo (avversario) è ricco» (A. ERMAN, Lit. der Agypter [ 1923] Bo) e i testi orientali di implorazione, ad esempio in E.E BELING, Die · akkadische G ebetsserie 'Handerhebung' (1953) 17: «io... sono ... un miserabile ... prostrato davanti a te ..., possa io grazie nlla tua bocca uscire sano», e anche i testi citati da FELDT,
BIRKELAND I
103 s.
54 Cfr. tuttavia la ~ n. 50. Per la discussione su ricchi e poveri nei salmi cfr. ]. J. STAMM, Ein Vierteljahrhundert Psalme11/orsch1mg: ThR 23 (1955) 55-6o e la bibliografia ivi discussa. ss Cfr. -+ BIRKELAND I passim e -+ BuurnLAND n passim.
«Necessità attuale» (-+ PERCY 63; S. MoPsalmenstudien vi. Die Psalmendichter, op. cit. [-+ n. 51] [ 1924] 61 ); cfr. anche -+ Ruu.Fs 76 s. Bisogna qui considerare che il bisogno stringente è messo in particolare risalto perché proprio questo induce a pregare. 56
WINCK.EL,
Ambedue i punti di vista limitano la tesi di Mowinkcl, Birkeland e Percy (si veda -+ PBRCY 49.63). Da Ps. 22,7 s. non si può trarre motivo per negare uno sfondo sociale, poiché è soprattutto l'inasprimento della miseria morale .e materiale a spingere l'orante a isolarsi, mentre egli divide talvolta con altri (cfr. v. 27) quella stessa miseria (co11/ra-+ BIRKELANJ>
51
I
42}.
cabolo implica però un'istanza complementare etico-religiosa, in quanto il povero è menomato nella sua pienezza di vita voluta da Dio; questo tema è sviluppato nei salmi di lamentazione individuale. Il legarne col significato materiale è mantenuto mediante la prospettiva di un compenso tangibile. Viceversa, in 'iint viene inoltre sottolineato l'aspetto sociale, poiché l'avversario è bensl detto malvagio (riisii'), ma in genere per indicarne la posizione sociale privilegiata.
fisso tratto dalla vita, tanto più che non risulta in origine diverso da 'iint. La designazione di un aspetto di 'aniiftm nel senso di pii-umili, chiamati in aramaico 'aniiwìm, è entrata cosl nei saLni di prima o anche di seconda mano 61 . Il singolare 'iint in senso collettivo sembra non bastasse più. Accanto a forme integrative come 'am-'ànt (Ps. 18,28 62 ) e al comparire di 'ebi6n .subentra al suo posto 'iiniiw (cfr. la forma plurale in I QJsa 26,6; 32,7).
La forma secondatia 'anaw (~ col. 718) compare solo negli strati meno antichi del sàlterio (Ps. 9,19; ro,17; 22, 27; 34,3; 37,rr; 69,33; 76,10: 'anwe58 'ere~; 147,6; 149'4 ); e forse non in tutti i passi è originaria: in 22 ,2 7; 2 5, 9 59 ; 69,33 00 potrebbe essere un'aggiunta. Al di fuori dei salmi (76).147.149 si trova sempre in contesti in cui figura anche 'iint e talvolta 'ebjon; tuttavia 'iiniiw costituisce il termine di fondo. Formalmente 'iiniiw si distingue dai concetti affini perché si usa di regola al plurale, mentre per il contenuto non è avvertibile alcuna sicura differenza. Nell'inno o canto di ringraziamento si esalta un intervento di salvezza a favore degli 'aniiw2m, la cui portata è talvolta messa in evidenza dal confronto col destino che tocca ai nemici di Dio. Nella preghiera e nel ringraziamento del singolo, questi non è mai chiamato 'àniiw. L'uso del vocabolo è così singolare, che può trattarsi solo di un termine tecnico
5. La sventura dell'esilio ha portato, anche al di fuori dei salmi, ad un uso collettivo di 'iint e consimili. È significativo che anzitutto d si rivolga a Gerusalemme chiamandola 'aniijd (Is. 54,rr; dr. 51,21) e che 'aniijiiw compaia come parallelo di 'amm6, «popolo suo» (Is. 49,13). L'equivalenza è nata interamente dalle condizioni concrete, e perciò l'elemento religioso in queste designazioni di povertà è meno spiccato che nei salmi. Un'altra ragione può essere che il passo non esprime preghiere umane, ma proIDGsse divine. Diò salverà l'anima del 'ebjon (Ier. 20,13). In Is. 29,19; 61,1 è usato in questo senso 'aniiwlm 63 , e il contesto suggerisce un'accentuazione religiosa di 'iiniiw. In nessun testo tuttavia si arriva a presentare la salvezza come imminente, perché il popolo si trova nel1a condizione (ideale) della povertà M. Corrispondentemente, il senso che la maggior parte dei testi offre è quello realistico 65 : continua l'antica polemica contro la vessazione dei poveri da parte
Ps. 149 maccabaico; Ps. 69.147 rielaborati al tempo dei Maccabei.
61 ~ BrRKELAND I
58
59 ~ GRATZ
ad I.; H. GuNKBL, Die Ps., Handkomm. A.T. n 2 (1926) ad l. leggono 'ebjonim. 60 Diversamente dal Ps. 22,23 s. (inizio del canto di ringraziamento) e dal Ps. 31,24 s. (fine
di un ugual canto), si tratta di un'aggiunta. Diversamente ~ BIRKBLAND I 94; ~ PER-
61
CY 55-62. 62
Per la datazione tardiva dr.
GuNKEL,
op.
cit.
(~
n. 59) 67.
r5 s. A questo concetto si giunge solo con la traduzione di Isaia· nei LXX, in quanto qui, e proprio in contesti escatologici (29,19; 41, 17; 61,1; forse anche 14,30), per 'iiniiw e 'iinl non si usa 't
731 (v1,893)
1t'>WX6ç B
II
di Israele e in I er. 5,4 dal ha un valore del tutto negativo. 'iin1 come parola con cui il popolo designa se stesso - per quanto importante essa sia diventata più tardi - esprime uno stato d'animo passeggero orientato ai salmi, che in un primo tempo non lasciò un'impronta decisiva. Anche la soluzione che fu data al problema della povertà si accorda con alcuni dei salmi: il livellamento finale, che però in Is. rr,4 s. e altrove è già inteso in modo semi-escatologico. 6. Il maggior numero di enunciati sui poveri si trova, dopo i salmi, negli scritti sapienziali (~Ix, coli. r460 s.; x, coll. 746 ss.). Le linee generali possono essere fissate cos}: la saggezza biblica nelle sue sentenze collega le considerazioni sulla povertà col pensiero di Dio più di quanto già non faccia il circostante ambiente orientale 66, e si accetta fondamentalmente un ordine sociale differenziato 67, scostandosi cosl dalla critica stoica della società. Si trovano frasi che esprimono una stima del tutto ovvia della ricchezza (Ecclus 40,18; 47,18); corrispdhdentemente, la povertà appare in luce sfavorevole. Essa è considerata come conseguenza dell'agire umano, pensiero questo che è estraneo sia ai salmi sia ai profeti. Infingardaggine (Prov. 6,6-II e passim), brama di piaceri (Prov. 21,r7; Ecclus 18,32 s.), vita frivola (Prov. 23, 2 l ), ma anche invidia, si trascinano dietro la povertà (Pseud.-Menand. 85) 63 • Per questo il saggio giunge a disprezzare il mendicante (Ecclus 25,2; cfr. 40,30; Pseud.-Menand. 64). La vita dell'indiCfr. per es. Ame11emope 6: è meglio la povertà nella mano di Dio che la ricchezza nel magazzino (A.O.T. 2 40). Di solito l'interesse per i poveri nella sapienza orientale passa decisamente in second[\ linea. 66
11.
Su ciò insiste G. WOHLENBERG, Jesus Sirach die saziale Frage: NkZ 8 (1897) 332.
68
ED. J. LAND, Anecdota Syriaca I (1852).
67
5-6 (E. Bammel)
(v1,893) 732
gente non merita di essere vissuta (Ecclus 41,r-4; cfr. 38,19 [var.]; Pseud.Menand. 94) 69 • È quindi meglio morire che andar mendichi (Ecclus 40,28; Pseud.-Menand. 19). C'è però anche una critica del ricco (Ecclus r3,24a; 26,29) e comprensione per i poveri; è meglio essere povero e giusto che ricco e bugiardo (Prov. 19,22; 28,6; cfr. Ecclus 30,14). Si conoscono i pesi che il ricco addossa al povero (Ecclus 13,3 ss.) e ciò provoca un senso di comprensione per la vita del povero. L'isolamento che lo colpisce (Prov. 14,20; 19,4.7), il suo faticare senza pace (Ecclus 31,4; ma cfr. 29,22), l'umiliazione in cui si sente immerso (Prov. 18,23), i suoi meriti non riconosciuti (Ecci. 9,16) sono tutte realtà considerate e deplorate. Cosl ci si leva contro il disprezzo del povero (Pseud.-Menand. 16) e diventa possibile onorare il povero per la sua assennatezza (Ecclus 10,30) 70 • Ma sopra tutto se ne trae la conclusione che bisogna rendere al povero la sua condizione più sopportabile col fargli del bene (ep. Ar. 290) o almeno trattandolo amichevolmente (Ecclus 4,8). Per vero, non ad ogni povero si deve giustizia (tdiiqa), ma solo all'israelita o a chi se la merita (Ecclus I2,4; 29,20; 41,21; Tob. 4,6 s.). Dei 42 passi in cui si parla di poveri nei Proverbi, 3 3 sono nelle raccolte seconda e quinta 71 , probabilmente preesiliche, le cui tendenze emergono ancora in versetti postesilici come 30, 14; 31,9. La differenza di lessico e di concetto rispetto ai salmi è quindi determinata non dal tempo, ma dal genere Lo si dice con riferimento all'età. Cfr. Ahi· kar IO) (ed. A. COWLEY [1923] 216): non c'è nulla di più amaro della povertà ('11wh ). 7D Cfr. R. SMEND, Die W eisheit des Jesus Sirach (1906) roI.
UJ
Tutti i passi con riiJ provengono da questo complesso (solo un passo con 'ehjon è d'altra derivazione); qui naufraga la tesi di-+ KuscHKll 45 S. 53·
11
'lt'TWXOc; D Il t> - \... l .l \.C. na111111c11
letterario. Poiché gli insegnamenti sono ss.). Il Siracide ha, sotto un certo aspettratti dalla vita, la condizione del pove- to eticizzato il problema: µ1) o
o
Povero e pio non si identificano; dr.~ v. 253. 73 Cfr. G. HoLSCHER, Das Buch Hi., Handbuch A.T. I 17 (1937) adl. 74 Lev. r. 34,6 a 25,39; STRACK-BILLERBECK I 825 s. 7l
D. PLOEG
In B. M. b. IIIb è usato perché viene ripreso un versetto scritturale.
75
76
Teh. Ps. 70 (ed. S. BunER
[r891) 322 riga
12).
n Con senso semitraslato in B. B. b. 43a.
1t'tWX:6c;
eI
I - II 2 (E. Bammel)
usato quasi soltanto nel senso di dimesso, umile 18• 2. Nelle traduzioni 7t't'WX6c; e 7tÉVr)ç sono per lo più adoperati promiscua· mente 79 • Solo dove si scrive in buon greco viene avvertita la sfumatura 80 e talora 7t't'WX6<; è anche evitato, come ad esempio nella Lettera di Aristea. In latino 7t'twx6ç è spesso tradotto in modo pregnante con mendicus, ma anche con pauper ed egens. Flavio Giuseppe usa it't"WXO<; solo in bell. 5,570, 7t'tWXEla in ant. 11,8; 12,224. Egli adopera più spesso 7tÉV"!)c; per indicare una data condizione sodale 81 (ant. 4,269, dove figura anche 7tÉvoµat; 10,155; beli. 2,585; 7t't"wx6c; sembra escluso da questo significato), e 7tEVla per indicare una situazione economica (ant. 17,307, a proposito di Erode). In Filone, dato il suo linguaggio astratto e incurante delle forme fenomeniche della povertà, 1t'tWx6c; manca quasi del tutto. Il vocabolo compare solo in una citazione di Eusebio (-? n. 139).
Il. La valutazione del povero negli apocrifi e negli pseudepigrafi l. La situazione si presenta diversa negli apocrifi e negli pseudepigrafì. Una parte degli scritti apocalittici evita non solo 1t't'WX6c;, ma anche ogni accenno alla condizione sodale nell'era presente e in quella futura (mart. Is., Bar. gr., 78 Spiegazione del termine in S. Num. § 10r (27a) a l2,J, cfr. K. G. KmIN, Tan11aitische Midraschim Il S. Num. (1933) 264.135. Più frequente 'nwh; come virtù in Hen. hebr. 41,3, come potenza angelica in Hen. hebr. 8,1 s. Documenti rabbinici sull'umiltà in P. FlruJIG, ]es11 Bergpredigt, FRL 37 (r924) 2 s. 79 Scambio del _termine ad es. in test. lob rn, 6 s.; n; i2,1 (ed. J. A. ROBINSON, TSt v l [1899]). 80 Ioseph et Asenath 10,n-13 (ed. P. BATIFFOL, Studia patristica [1889 s.J): legge della gradazione.
vit. Ad., parti dei test. Xli Patr. ecc.) o la prospetta solo marginalmente (ad es. Pseud.-Philo). Altri testi invece sono pieni di accuse, ma non usano il termine 7C't'wx6c; né mettono in luce in qualche altro modo l'antitesi col ricco. 2. Un altro gruppo continua la linea della letteratura sapienziale (--+ coli. 73r ss.), accennando alla vita del povero (test. Iud. r 5 ,5: 7C'twxda; test. R. 4,7: 7tÉV"!)ç) ed esortando ad aver pietà di lui (test. Iss. 5 ,2: 7tÉVr)<; xcx.t àcri)Ev1]ç) e a fare elemosine (Tob4,7.16: n-.wxoç /7tEWWv); anzi, cosa strana, ci si rivolge persino al povero direttamente 82 • All'inizio di un elenco di prestazioni di servizio, nello Pseudo-Focilidc, è registrato 'R'tWX6c; 113 • Compaiono talvolta esempi di liberalità: Isacco (testamentum Isaac 10,8 [-? n. 82 ]), Issachar (test. Iss. 7, 5: 7t•wx6c;; dr. ep. Ar. 290), Giuseppe (test. Ios. 3,5) e Asenath (Ioseph et Asenath 10,12: it-.wx6c; [-? n. 80] ). Un posto particolare ha qui il Testamento di Giobbe 84 ; di questi si esalta meno la ricchezza che l'utilizzazione fattane in ordine alla Otcx.xovla 85 • Nella figura di Giobbe sono messi in luce i principi-base, e quasi tutta la descrizione si concentra sulla condotta che egli tiene verso i poveri. In test. Isaac 8,9 (-+n. 82) è promossa una giornata commemorativa con pranzo per i poveri. Si fanno riflessioni sul valore della liberalità in confronto ad altre virtù e vizi (test. A. 2,5: 7t-tW81
Non cosl in ani. I,314; 14,31, dove la condizione sociale è chiarita da altri aggettivi. 81 test. Isaac 8,12 (trad. W. A. BAI!NES, TSt n 2 (1892]). 8 3 vv. 22 ss. (DIEHL i u 93). I due primi membri provengono da Is. 58,7; qui però Tt"t'WJC6<; è autonomo e accentuato dal contesto. 84 13-14 volte è usato 1t-cwx;6c; (50,1, var.; ro, 7, aggiunta?), 8·10 volte 1tÉVTJ<; (9,7; 50,1, var.), 5 volte aovva-coc;. 85 Più spesso e diversamente da quanto avviene nei riferimenti rabbinici.
737 (v1,895)
'itTWXòt; L. II :i.-5
x.6c;) e sulla mercede che le spetta 86 • Questa corrente va a sboccare quasi immutata negli scritti tabbinid. 3. Altri scritti fanno menzione dei poveri solo in contesti escatologici. Nel nuovo eone la 1tEvloc scompare (Sib. 3, 378' dr. 8 ,208); ot 1t"t'WX.OL 1'CÀ.OV"t'tcrl}1)crov"t'(1.t, «i poveri diventeranno ricchi» (test. Iud. 25,4; cfr. test. Sal. ro,12). D 'altra parte il popolo che segue la meretrice Babilonia viene stigmatizzato fìn d'ora con il titolo di misero e gli è minacciata miseria e paupertas rn. Quando la fine sarà vicina, l'uomo di Dio consolerà i poveri (4Esdr. r4,r3). Questo futuro favorevole ai poveri è preceduto da uno stadio escatologico, la cui descrizione si mantiene entro linee neutrali, nel quale i poveri sono in lotta coi ricchi, i mendicanti coi principi (Iub. 23,19); concezione riscattata poi dal quadro di una fase .finale, durante la quale i poveri hanno la prevalenza sui ricchi. Questa fase tuttavia è intesa come un tempo di disordine (Bar. syr. 70,4). In tal modo Bar. syr. già si avvicina al rabbinismo. Esso per vero afferma che nell'altro eone non ci saranno più poveri&\ ma già al tempo degli Amerei tale tesi viene espre~samente respinta (Shabb. b. 15rb bar.). L'esegesi rabbinica di Deut. 15,4.II è orientata esclusivamente a un concetto etico (S. Deut. a 15,n; Tg. f. I a Deut. 15,4; Ber. b. 34b (Shemuel b. Nahaman), e in Ps. 18,28 'am-'ant è interpretato soltanto nel senso di un compenso individuale 89 •
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\V t,O~UJ-/ )V
rono introdotte in un secondo tempo. in altri scritti - parlano gli stessi poveri. Si tratta di appassionati lamenti contro i ricchi (Hen. aeth. 94,7; 96,4ss.; 97,8 s.; cfr. 63,10), di invettive in cui quegli stessi che si lamentano figurano in controluce come vittime di vessazione da parte dei pauperum bonornm comestores 9-0, come eanawlm e faddiqtm' che vengono oppressi (Hen. aeth. 96,5.8). L'affermazione indiretta di Ecclus 13,1519 (20) va ancora più in là. La contrapposizione rc-rwx.6c;-rcÀ.ovcrtoc;, costitutiva per l'insieme del passo, viene portata a un grado di vera inconciliabilità mediante precisazioni supplementari, nelle quali i termini rc't'wx6c; ed eùcref31)c; finiscono per coincidere e sono sfruttati ai fini di un'interpretazione aggressiva del passato e del presente.
5. Un posto a parte hanno Ps. Sal. 5, 2.n; lo,6; 15,1; 18,2, in quanto l'attributo 'povero' è qui usato esclusivamente quando l'uomo è oggetto di un intervento divino (dr. in particolare ro, 6a e 6b). Questa accezione corrisponde a quella di 'iiniìw nei salmi tardivi (-7 coli. 729 s.), anche se le espressioni sono meno stereotipe. Qui rc"t'wx6c; di fatto si identifica con &lxoctoc; e ocrtoc; e indica piuttosto una qualità interiore, tanto più che non è usato in confronto ad avversari. Per altro 1t't'WX6c;, dove è usato, è concetto fondamentale e deve perciò indicare un lato esseniiale della coscienza che ha di sé la comunità che si esprime in quei componimenti. Poiché essa soggiace a varie sventure, 1t"t'WX6c; 4. In un quarto gruppo di testi - si implicherà anche la povertà materiale 91 , tratta sempre di brevi sentenze che fu- · senza che tale povertà sia tuttavia il di-
Documentazione in ~ CRONBACH 139-143. 6Esdr.r,47-5r (ed O . F.FRITZSCHI!, Libri apocryphi Veteris Testamenti [ r87r ]). 88 Shabb. b. x51b bar. e in modo ancor più preciso Jirmja .a spiegazione di Zach. 14,2r: k'n '11j in luogo dì kn'nj (Pes. b. ;;oa). 59 Cfr. S'!'RACK-BILLERBECK I 136. Testi del
86 87
Targt1m in
~ RAHLFS
93.
ass. Mos. 7,8. A. HILGENFl!LD, Messias · Judaeorum (1869) 449 traduce 'lt"tW)tWV à:yai>wv
90
Xa.Taq>a.y&.8Eç,
Che poi in 4,6; 16,i3 s. TCF.v(u. abbia un senso negativo, dice poco; perché il corpus non è di provenienza unitaria.
91
'lt'tWX6c; e II 5 -
III I
(E. Bammel)
stintivo comunitario fondamentale o si debba trovare in essa il punto saliente del discorso. 'lt'twx6c; costituisce così il documento principale per far luce su una pietà religiosa che si emancipa da una greve concezione ideologica del povero 92. In alcuni passi il concetto di povero si arricchisce di elementi forniti dall'interpretazione teologica del martirio, Ja quale aggancia la povertà - a giudizio dei rabbini più dura di ogni sofferenza fisica (-7C v) - alle vie segnate da Dio nella storia. Con ciò il medesimo atteggiamento passivo (Ps. Sal. 15; ass. Mos. 9), che determinava quella concezione, si impossessò anche della teologia pauperistica, ostacolando il fot marsi di un attivo movimento di poveri. L'appendice dell'Henoch etiopico esalta i 'nwi-rwfl (ro8, 7), che nella tradizione siriaca di 4 Esdr. 14,13 sono stati resi con pios. Cosl ambedue questi testi si allontanano da un significato concreto di 'lt't'WX6c; ancot più di quanto non abbiano fatto i Salmi di Salomone. L'arco semantico del termine, da un potenziamento del significato contenuto in 'ni fino al suo volatilizzarsi, deve essersi prodotto di fatto attraverso varie generazioni, sicché sul piano storico bisogna parlare non di un partito dei poveri operante in modo conti-
Negli inni di ringraziamento individuali, l'autore - probabilmente il Maestro di giustizia 91 - parla di se stesso come di un 'nj, di un nps 'ni wrJ (I QH 5,1), di un 'bjwn (I QH 5,13 s. 16.18). Dio ha soccorso la nps 'biwn (I QH 2,32; cfr. Ier. 20,13 e Ps. 82,3). Non è possibile cogliere una distinzione più chiara tra i vari termini. In altri canti di lode si parla di un certo raggruppamento di uomini come di 'nw;m (I QH 5,21; 18,q) o di 'biwnjm (I QH 18,22), dove questi vocaboli sono dapprima semplicemente delle metafore (cfr. I QH 1,36), ma poi vengono usati con un particolare rilievo e costituiscono una specie di denominazione di gruppo 94 • La stessa accezione si incontt:a più volte nel Rotolo della Guerra: i 'figli della luce' sono 'poveri di spirito' (I QM 14,7) e questa caratterizzazione figura accanto ad altre come nk'i rw/;J (11,10) 95 e tmimj 96• Soprattut-
Questa pietà astrae pure dall'interpretazione rabbinica della '11wh come virtù. Alla tesi che i Salmi cli Salomone siano sorti in ambiente farisaico sembra perciò da preferire una loro proveniem:a da qualche comunità di orientamento qumranico. 93 Cfr. ad es. H. BARDTKB, Die H a11dschriftenfunde am Totm Meer (1953) 159; S. GLANZMAN, Sectarian Psalms /rom the Dead Sea : Theological Studies 13 (1952) 490; SUKENIK 34; J. P. HYATT, The view of man in the Qumran 'Hodayot': NTSt 2 (r955/J6) 277. Cfr. tuttavia H. BARDTKE, Das Ich des Meistcrs in den Hodajot Qumriin, Wissenschaftliche Ztschr. dee Karl-Marx-Universitiit Leipzig 6 (1956/57) 93-104. 9t Quest'uso linguistico non è semplicemente
mutuato dall'A.T. e lo dimostra il fatto che l)lk'jm in Ps. 10,ro indica l'uomo senza aiuto e come tale degno di una valutazione positiva, mentre qui caratterizza l'avversario del np1 'bjw11 (r QH p5; cfr. 38,25.35). Il significato del vocabolo fu già avvertito da E. L. SuKEN1K, gnwzwt mgjlwt II (r950) 39.47. 95 Cfr. r QH 18,15. Y. YADIN, ml{Jmt b11i 'wr bb11i {Jwlk (1955) 341 s. vede in quest'uso linguistico un colore veterotestamentario; «è perciò difficile basarvisi per sostenere la tesi che (la comunità di Qumrnn) è la setta degli Ebioniti»; cfr. H. J. ScHOBPS, Urgemeinde, ]11· denchriste11tt1m, Gnosis (1956) 71. 116 Altre espressioni caratterizzanti: nmwgi bzkjm (14,6), kw1lim (14,5), mkim (r4,7), tmi111; drk (14,7). L'uso del vocabolo è lo stesso
92
nuativo, ma di un movimento ondeg· giante di tensioni sociali nel cui svolgersi trova poi di volta in volta spazio una ripresa di termini pauperistici già presenti nell'A.T.
III. Qumran 1. È innegabile che in una parte delle
h6diii6t si ritrova la mentalità dei salmi.
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to però in passi di decisiva importanza sono detti 'poveri' in quanto oggetto dell'azione divina. Dio agisce 'm 'bjwnjm (13,13 s.); «mediante la mano dei poveri della sua liberazione» (bjd 'bjwnj pdw[ka]) le schiere di Belial sono sconfitte (rr,9); i nemici di tutti i paesi saranno consegnati «Ìn mano ai poveri» (bjd 'bjwnjm, u,13). In quest'ultimo passo la designazione di 'bjwnjm è parallela a kwr'j 'pr, «i curvi nella polve· re», come in 14,5 ss., i figli della luce sono chiamati kwfljm, «i vacillanti». Sulla stessa linea si muove il Comm. ad Abacuc: il sacerdote empio ha messo le mani sui poveri: gml 'l 'bjwnjm (r Qp Hab 12,3); ha cercato di annientarli: zmm lklwt 'bjwnjm (12,6); ne ha rubato i beni: gzl hwn 'bjwnjm ( 12,ro). In tutti e tre gli scritti 'povero' è appellativo di dignità, accanto ad altri. Bisogna inoltre osservare che, nelle formule che caratterizzano un gruppo, a tutti gli altri termini che designano il 'povero' è preferito 'bjwn - ci sono razzie contro gli 'mjm (r QpHab 8,12; 9,5 s.) e contro gli
'bjwnjm - e 'bjwn ricorre più spesso di altri nomi onorifici, sicché sembra che questo titolo abbia avuto un posto di preferenza su ogni altro. Ciò vale sicuramente per il Commento al Salmo 37'11. Nel testo si dice infatti che i qw'j jhwh o 'nwjm (Ps. 37,9.n) possederanno la terra e nel commento la frase è riferita prima alla 'dt bf;jrw e poi alla 'dt 'bjwnjm 98 (col. 1,5.9) 99 • Dato che non si tratta semplicemente di una continuazione della terminologia biblica tradizionale 100, «comunità dei poveri» potrebbe essere stata, a un certo momento 101 , la formula preferita con cui la comunità di Qumran designava se stessa o una parte di sé o almeno un'organizzazione che le era affine 102• Finora tuttavia il materiale che abbiamo a disposizione non ci permette di trarre, da un uso in realtà incerto della terminologia pauperistica, conclusioni veramente sicure su raggruppamenti diversi costituenti il movimento qumranico. II Documento di Damasco sferza aspramente la spoliazione degli 'njj 'mw compiuta dagli
nel secondo dei salmi apocrifi conservati in siriaco e appartenenti probabilmente all'ambiente degli scritti di Qumran, dove il qhl hrbjm si designa come 'bjwnjm (cosl traduce M. Norn, Die fiinf syr. iiberlie/erten apokryphe11 Ps.: ZAW 48 [1930] x8); dr. M.DELCOR, Cinq nouveaux Psalmes esséniens?: Revue de Qumran x (1958) 89.
sesso della terra; cfr. però col. 2,10. 100 Naturalmente, un certo rapporto con essa è innegabile; C1·J. RAnIN, The Zadokitc Doc11111e11ts 1 (r958) 40 n. 15, vede il modello in Prov. r9,22, senza che peraltro figuri qui la precisa formula contrappositiva 'is hkzb. 101 Se la stessa datazione generale dei documenti trovati a Qumran non è affatto fissata con certezza, tanto più il rapporto dei vari scritti fra di loro, cioè la cronologia interna e anche la stessa individuazione degli apporti esterni, sono questioni appena avviate; se ne potranno perciò trarre illazioni solo con grande prudenza. 102 Bisognerebbe qui mettere in rilievo I QSb 5,21 s., dove al nsj' h'dh è attribuito il compito il reggere 'nwj 'rf. La frase, sia per la sua provenienza (cfr. Is. n,4) sia per il contesto (dr. DJD I n8 s.), deve essere intesa in senso escatologico; non è tuttavia escluso che quanto è riconosciuto valido per il tempo di salvezza possa essere già realizzato nl presente, nell'ambito della comunità.
97
I frammenti sono stati pubblicati da
J. Air
A newly discovered fragment o/ a commentary 011 Psalm 37 /rom Qumra11 (4 Qp LEGRo,
Ps 37,8-rr.I9 b-26): Palestine Exploration Quarterly 86 (1954) 71; ID., Further light 011 the hislory o/ tbe Qumran sect: JBL 75 (1956) 94; le espressioni importanti per la nostra questione appartengono ai passi nominati per primi. 98 'dt è integ~azione, però sicura, come dimostra 4 Qp Ps 37 col. l,IO. 9'J Il povero è messo alla prova e liberato. Qui finisce il frammento e non si può quindi dire se seguisse anche la formula della presa di pos-
NJ (v1,897)
'lt't'WXOt;
e lil
I-2 (E. Bammel)
oppositori della comunità appartenenti alla casta sacerdotale (6,16 [8,13]). Essi vengono richiamati al dovere di soccottere 'nj w'bjwn wgr (6,21 [8,17]) 103 • In una istruzione della seconda parte (14,14 [18,3]) viene ordinato di consegnare il guadagno di almeno due giornate al mese a beneficio, tra l'altro, di 'nj w'biwn (si tratta evidentemente di un'endiadi). In questo passo l'istruzione riguarda di preferenza gli appartenenti alla comunità 104, mentre in 6,21 (8,17) il pensiero è rivolto a quelli di fuori 105• Invece in 19,9 (9,10) la comunità si identifica con i 'poveri del gregge' che sono salvati in mezzo alla persecuzione 1116 • 2. La vita della comwiità di Qumran, come è stabilita dalla Regola, è caratterizzata dalla proibizione di ogni proprietà personale; si è un jpd... bhwn (I QS 5,2). Nel primo anno il novizio resta, quanto al diritto patrimoniale, estraneo
alla comunità ( 6,17 ), nel secondo deve mettere hwn wml'kh 1117 a disposizione della comunità, senza però che nessuna di queste cose sia incorporata nel patrimonio comune (6,19). Ciò avviene soltanto quando, dopo due anni, egli è ricevuto definitivamente nella comunità (6,22). L'amministrazione dei beni è affidata ai figli di Aronne (9,7 ). Falsi dati sulla proprietà privata ( 6,25) 103 e appropriazione indebita del bene comune (7,6) vengono severamente puniti. Per gli appartenenti alla comunità 109 ogni proprietà è propriamente hwn pms (ro,r9)H0 • Ma non la proprietà in quanto tale è cattiva. Soltanto quando comincia il tempo del cammino nel deserto, essa viene abbandonata (9, 22) m. Prima la comunità stessa sviluppa una vasta organizzazione economica 112 ; ed è un'economia comunitaria che abolisce ogni distinzione fra ricco e po-
Hrl II testo di 6,14b (8,12) indica le premesse necessarie per ristabilire la comunione con i sacerdoti di Gerusalemme e lo fa in una forma che è nello stesso tempo un catechismo per gli estranei alla comunità; P. KAHLE, Die Gc-
101 = U1tapxov-.a. xai lliia? La sostituzione di /Jttm con mmwn in I QS 6,2 comprova una
meinde des Ne11e11 Brmdes ti. die hbr. Handschrifle11 aus dcr Hohle: ThLZ 77 (1952) 405 s., dà un'altra interpretazione. Nel frammento di 6 Q (ed. M. BAILLET, Fragments du Document de Damas Qumran Grotte 6: Rev Bibl 63 [1956] 520) le parole citate non figurano. te» Può essere stata richiesta anche la cura per il jsbh lgwj (14 115 [18A)). Inoltre questa formula differisce da quelle corrispondenti pro· prio perché si tien conto di 'ni u/bjum. 105 '{J in 6,20 (8,17) .non può essere riferito ai membri della comunità, dr. 6,21 (8,18). 106 Si tratta qui della più antica redazione parallela (B) al discorso giudiziatio nella prima parte; essa dimostra che, prima che venissero in uso termini speciali per indicare la comunità e la corrispondente documentazione biblica, una corrente sboccata nella comunità di Da· mnsco ha interpretato se stessa alla luce di Zach. u ,u ('ni invece di 'bjwn è condizionato dalla citazione).
tale equivalenza. 103 Resta incerto a che cosa si riferisca 6,25, se a falsi dati sui beni patrimoniali forniti in qualità di testimone (P. WERNBERG-MOELLER, The Ma11ual of Discipline, Studies on the texts of the Desert .of Judah I [ 1957] III) o in causa propria (S. E. JoHNSON, The Dead Sea Ma-
11ual o/ Discipline and the Jerusalem Church of Acts: ZAW 66 [ 1954] I08 s.).
109 Questo aspetto decisivo è disconosciuto da H . BRAUN', Spiitiiid.-hiiretischer tl. friihchristlicher Radikalim1Us'(1957) I 36. 110 CH. RABIN, QU1nra11 Studies, Scripta Judaica u, ed. A. A. ALTMANN (1957) 22.-36 amibuisce ai Qumraniti la proprietà privata. Con errore di metodo egli parte dalla situazione presentata dal Doclimento di Damasco, costruisce la sua tesi su una congettura relativa a I QS 7,6, eppure può presentare il suo pun· to di vista solamente come possibile. 111 Non è chiaro se si tratti del patrimonio della comunità o dei beni privati degli 'eletti'; è più probabile la prima ipotesi. 112 W. R. FARMHR, The Eco11omic Basis of the
7t'tWXò<; l , Hl 2 - lV l \.C .
vero, perché vuol riprodurre la forma di vita che Dio farà sorgere nel secolo futuro 113 • Nel Documento di Damasco invece, accanto a una cassa della comunità (I 4,14 [I 8,3] }, sono presupposti senza dubbio beni privati m (cfr. 13,15 [ r6, 8]; 16,r6 [20,12]), il cui libero uso è tuttavia limitato da regolamenti di vita comune {14,r7ss. [18,6ss.)} e dall'insediamento in distinti quartieri (ml;nwt, r4,3 [17,1 s.)}. Gruppi aventi legami meno stretti con la comunità 115 potevano persino possedere schiavi e avere rapporti d'affari coi pagani (12,9s. [r4,10 s.) ). Cattivi appaiono soltanto i beni dei sacerdoti di Gerusalemme, acquistati in maniera disonesta (8,5 [9,15J)ll6 ; un'aspirazione moderata alla proprietà è permessa (8,7 [9,17]). La situazione esposta nel Documento di Damasco corrisponde molto da vicino alle notizie cbe abbiamo circa gli Esseni; si potrebbe trattare dello stesso movimento o di un gruppo organizzato in modo simile. Filone e Flavio Giuseppe ne mettono entrambi in rilievo la comunione dei beni (Philo, omn. prob. lib. Qumran-Co1111111111ity: ThZ II (1955) 295-308. Cosl a ragione F. M. CROSS, The Ancic11t Library o/ Qumran and modern Biblica{ Studies (1958) 62. ST. SEGERT, Die giitergemeinscha/t der Essiier, in Stttdia Antiqua A. Salac oblata (1955) 73, ammette invece che la comunione dei beni è richiesta dallo stato di purità lll
a cui si tende. Una situazione analoga pare presupporre in 4 QpPs 37 (~ n. 97) dove è detto che i membri della comunità versano nella cassa comune nhlt kwl (col. 2,10); cfr. l'i~ tegrazione del t'esto in TH. H. GASTER, Thc Scriptures of the Dead Sea Sect (I 957) 244. L'esser salvi nella r'b (col. 2,10) e la fine dci malvagi sono intesi in senso escatologico, ma sembra pres"1pposta la concretezza della fame.
Cfr. BRAUN, op. cit. e~ n. 109) I2l s. RAop. cii. (~ n. IIO) 23. 115 12,9-12 (14,9 ss.) potrebbe essere un regolamento per coloro che hanno con la comunità ll4
BIN,
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84 s.; Flav. Ios., Ap. 4; W(l'i:<. f.v ffaacnv µTj't'E 1tEVla.c; 't<X.'ltEWO'tl)'tOC cpalve:
IV. La posizione dei poveri nel giudaismo palestinese I. A cominciare dal tempo dei Maccabei il giudaismo fu profondamente permeato da acute tensioni sodali. Durante il governatorato di Gabinio l'agitazione giunse al colmo; poi, al tempo di Erode, sopravvenne una cel'ta calma. Allora
un rapporto meno stretto; diversamente intende K. G. Kmrn, Z11r Bedeutung der ne11en pa-
liistinischen Handschrifte11f1mde /iir die 111.-licbe \Visse11schafl: ThLZ 75 (r950) 85 . 116 Diversamente L. RosT, Qumra1lprobleme. Bine Obersicht: EvTheol 18 (1958) 107. 11 7 Cfr. Plin., 11at. hist. 5,17 4: sine pecf111ia; Philnstrius, de haeresib11s 9 (CSEL 38,5). Altre indicazioni in B:RAuN, op. cii. (~ n. 109) 7780.
m Philo onm. prob. lib. 85 s. (cfr. \Y/. BAUER, art. 'Essener', in PAULY-W., Suppi. 4 [1924) 423); Flav. Ios., bell. 2,124.127 (più grossolanamente Hipp., re/. 9,20). 134 (vedi BAUER 403). Qui bisogna considerare che Filone in vista del suo ideale filosofico tende a calcare le tinte, mentre Giuseppe riferisce per sommi capi. 119 H. LEWY, Sobria Ebrietas, Beih. ZNW 9 (1929) 31 n. 4; I. HEINEMANN, 'Therapeutai', in PAULY-W . 5 A (1934) 2340-2345.
'lt't"W;.(6c;
e IV I-2 (E. Damtnel)
l'interesse dei Farisei per le masse e i occupare la proprietà altrui (Sukka b. 44 loro legami con queste diminuirono 120, b). Tali tensioni si prolungarono nel mentre correnti estremiste sorte di re- tempo ed ebbero una parte importante cente trovarono i loro adepti negli stra- nel sorgere di alcune sette giudaiche, in ti bassi del popolo. La miseria causata particolare del movimento dei Caraiti 125 • dalle due guerre aveva sviluppato inol- In questo ambiente si trova anche l'antre una specie di ethos della povertà. tica glorificazione dei poveri coi quali d Aqiba dichiarava: «Bella è la povertà si identificava, alla quale dava luogo la delle figlie di Giacobbe, come un collare spiegazione di alcuni passi scritturali rosso sul collo di un bianco cavallo» 121 • quali Soph. 3,12; ls. 29,19; 32,7; Zach. Egli ne traeva pure questa conseguenza l I , l l 126. giuridica: anche i più poveri in Israele si considerino come liberi che hanno 2. La posizione giuridica del povero è perduto i loro averi (B. Q. 8,6). A quel- caratterizzata dal fatto che anche da lui l'epoca doveva circolare 1n parola d'or- si esigono certe offerte prescritte dalla dine: Dio ama i poveri 'lwhjm 'hb 'njjm legge religiosa - anche lo 'nw è tenuto (cfr. B. B. b. roa). E povere furnno con- a pagare il tributo del tempio (Sheq. 1,7; siderate anche le condizioni dei rabbini 2,5) e lo stesso 1tÉ\IT)ç deve fare l'offerta dopo la catastrofe 122• D'altra parte ri- per la nascita dcl primogenito (Philo, comparvero presto dei rabbini benestan- de praemiis sacerdotum 127 ); ma sono ti 123 e di nuovo s'approfondirono i con- previste per lui, ancor più, agevolazioni trasti sociali. Caratteristica a questo e aiuti. La decima dei poveri, questo triproposito è la situazione esistente in buto che ha la sua origine in Deut. 14, Sefforis, dove gli scribi guardavano gli 29; 26,12 128, vige per il 7tpocrlJÀ.v't'oc;, 'am-hii'iire~ con un palese disprezzo, non l'6pcpcw6c;, la XTJPCI. (Deut. 14,29; 26,12; soccorrevano i poveri né abitualmente Tob. 1,8 cod. $).Flavio Giuseppe nominé in tempo di carestia (Sanh. b. 92a; B. na soltanto vedove e orfani (ant. 4,240 ). B. b. Sa) ed evitavano qualsiasi rapporto La 'decima del povero' (ma'asèr 'iinl) con loro. E anche 'i poveri della terra' o- comincia a figurare al tempo della Mishdiavano gli scribi più dei non giudei 124 • na (Pea 8,2; Demmai 3.4 cfr. Sota j. 3,4 Le tensioni furono in certi periodi cosl [ 19 a 40]: m'Jr mskjnjn). Si tratta però acute, che i poveri giunsero talvolta ad di un'imposta che per lo più non ebbe 120 Significativa a questo proposito è l'introduzione del 'prosbol' ad opera di Hillel (Sheb. 10,3 s.; S. Deut. n3 a x5,3).
Cfr. le formule parallele B. M. 2,n; Sanh. b. non; Sola 9,15; Git. b. 62a; Sukka b. 38b; Qid. b. 32b. 122 Pea ;. 8,8 (2x b 2 ss.); B. B. b. 75a, cfr. Shabb. b. 151b. Per il loro genere di vita, ricca documentazione in A. BiiCHLRR, The Eco110111ic Condilions o/ Judaea after the Destmction of Jhe Sccond Temple: Jew's College Publications 4 (1912) 48-50; cfr. anche ~ 121
}EREMIAS 3x.
123 Tadon: Hor. b. 33; Nehunjah: Meg. b. 28a; Gamaliele II: B.M. 5,8. Su Jehuda vedi S. KLEIN, The estates of R. ]t1dah ha-Nasi: JQR
2 (19u/12) 545-556; ID., b'qbwt h'riswt hgdwlh bsbjbwt lwd. spr hiwbl ls" qrwjs (x936) 69-79. 124 Pes. b. 49b. Cfr. A. BticHLl!R, The Politica/ and Social Leaders o/ the Jewish Commtl· nity o/ Sepphoris i11 the Seco11d and Third Cemury: Jew's College Publications I (1909) 61. 125 Cfr. R. MAHLER> q'r'jm'r (1947) 294 ss. 126 Cfr. N. WrnDER, The Qumra11 Sectaries a11d the Karaites : JQR 47 (1956/ 57) 283-289. 127 Ed. K. E. RICHTER IV (1828) 315. 123 Per la questione cfr. O . EISSFRLDT, Erstli11ge 11. Zehnten im A.T., BWANT 22 (x917) 162; ScHiiRBR u 307; STRACK-BILLl!RllECK 1v 680-682; G.L1sowsKY, ]adajim (1956) 5.
1t't'WX6ç CIV 2-3 (E. Bammel)
(vr,900) 750
corso 129, benché i gruppi farisaici si sia- go tempo ancora, a ciò che asseriva il no fatti un dovere di ottemperarvi fedd- povero si prestò scarsa fede (B. B. 43a). mente (M.S.j. 5 ,9 [ 56d 26 ss.]). Tra i Quindi le disposizioni della giustizia, inrabbini si può individuare una tenden- tesa come difesa del povero (B.Q. 36b), za a restringere la prima decima 130; di restarono pura teoria. conseguenza la decima dei poveri fìnl a 3. Maggiore importanza ebbe la benepoco a poco per diventare più importante di quanto non fosse stata prima del ficenza volontaria 135, che si ricollega, co70 d.C. m e, d'altra parte, anche sacer- me la decima dei poveri 136, ad usi radidoti e leviti - «sacerdote povero» s'in- cati nell'antico Israele: le elargizioni agli 'bjwnjm nella festa di Purim (Esth. 9, contra ora come termine tecnico fisso traevano sostentamento dalla decima dei 22; Meg. I,4) e le elemosine della notte poveri (Pea 8,5 ). Forse il nome nuovo e di Pasqua (Pes. 9,n; ro,r). Era inoltre specifico con cui la si designa è in rela- assai praticato l'uso di devolvere in zione con un certo prevalere delle idee beneficenza una parte della seconda defarisaiche dopo il 70 d.C. C'erano inol- cima destinata a Gerusalemme, il che tre per il povero la parte di raccolto che spingeva nella città santa schiere di mensi lascia per lui nel campo (pè'a), i co- dicanti. Fare elemosina ai poveri (T. voni dimenticati, la spigolatura 132, ciò Pea 4,19 [ 24,26 s.]) divenne, in maggioche spontaneamente ricresceva nell'anno re o minor misura, un costume largamensabbatico (Sheb. 5,3; Taan. b. x9b bar.) te diffuso. In Pea r,r la carità (g•mttut ed anche il diritto di prelevare qualcosa hasiidtm 137) è lodata come una delle virda mangiare nei campi, negli oliveti e tù che producono frutti in questo mondo nei vigneti. Il diritto mishnico non ha e il cui capitale è messo in serbo per il sollevato di molto la posizione giuridica mondo futuro 138 • Flavio Giuseppe si dfedel povero. Benché la quantità minima risce a un diverso schema, greco-giudaidi raccolto da lasciare a disposizione de- co, per il quale è dovere l'«offrire a tutgli indigenti fosse fissata da Pea r,2 e ti i bisognosi fuoco, acqua, cibo» ( 7t&
uowp
129
Eccltis 7,32; Abac. 5,9. Un quadro del tut· to inesatto in A. GEIGER, Urschrift 11. Obers. der Bibel (1857) 179. 130 Ne è prova la motivazione offerta da Sota b. 4811 (per il carattere addizionale della stessa vedi R. MEYER, Dar angebliche Demai-Gesetz Hyrkans I: ZNW 38 [1939] u.5 s.): diminuisce la cerchia di coloro che ne beneficiano; la decima dei sacerdoti è intesa, in un secondo tempo, come decima a profitto dei poveri o dei sacerdoti poveri (Jeb. b. 86b). IJI Jub. 3:z non ne parla. 132 Era concessa anche ai pagani poveri: Git. 5,8 {aggiunta posteriore?); dr. invece una restrizione in T. Pca 3,1 (:zo,30 s.). 133 Per l'aumento del minimo cfr. Pea j . 1,2 (16 b 61-68); per l'obbligo della pé'a esteso
oltre i confini della Palestina cfr. Hul. b. 137b. 134 In realtà la sospensione della seconda decima nel III e VI anno comportò un aumento insignificante della terza decima; contra ~ KATZ 80. JJS Vedi STRACK-BILLERBECK IV 536-610. 136 Vedi EISSFELDT, op. cit. (~ n. 128) 157. 137 Neologismo rabbinico per distinguere la
beneficenza volontaria da ciò che è dovere. L'Ecclesiastico e Daniele usano hsd ancora in altro senso. In greco si usano pr~miscuamente EÀ.EO<;, ÉÀET)µOuVVTJ e lltlC~LOO'U\l'l'] .
Vecchia massima, ripetuta da Shabb. b. 127a e Qid. b. 4oa. 139 In Eus., praep. ev. 8,7,6 (GCS 43,1 p . 430, 21 ). I due passi si corrispondono. Già J. BER· NAYS, Gesammeltc Abh. I (r885) 277-:z82 ha. 138
751 (VI,900)
1t-rwxoç e IV
3-4 (E. Bammel)
alle quali fu attribuito un valore maggiore che al fare elemosina, si è sviluppato in questo ambiente. Ne sono oggetto di solito i poveri in un senso più largo, ma in modo particolare, anche se non in primo luogo, si raccomanda di dar da mangiare ai bisognosi 142 e vestire gli ignudi.
tendenza a raccomandare la beneficenza. Essa.costituisce un tema obbligato della predicazione missionaria: come il sacrificio espiatorio opera la remissione dei peccati per Israele, cosl fa la beneficenza per i pagani (B. B. mb bar.}. L'esortazione alla liberalità ha quindi un posto di gran rilievo nei documenti del proselitismo 140• Per gli Israeliti la beneficenza fu in un primo tempo piuttosto un opus superadditum. Era raccomandata, non però come un'assoluta ·necessità, ma come un'azione sicuramente atta ad esercitare un effetto su Dio (B. B. b. ma). Le cose cominciarono a cambiare dopo la distruzione del tempio: «Finché c'era il tempio, si portava il proprio seqel e 5j otteneva il perdono; ma adesso che il tempio non c'è più, se si fa la carità va egualmente bene» (B. B. b. 9a; cfr. Ab. R. Nat. 4 [ Johanan ben Zakkaj] ). Prima del 70, la beneficenza, al di là di ciò che prescrivevano la legge e gli usi, si limitò per lo più a uomini singoli w o a ceti particolari; comunità farisaiche (M. S. ;. 5.9 [56d 26 ss.]), Esseni e anche associazioni di giudei ellenisti in Gerusalemme e altri gruppi se ne fecero un dovere. Il concetto di opere di carità,
4. Dopo la guerra giudaica, sorse un'assistenza sociale comunitaria di carattere ufficiale, quale prima s'era avuta, a quanto pare, soltanto nella diaspora m. Nella forma più evoluta la sinagoga conta parecchi incaricati responsabili di questa assistenza. Il denaro era in parte ricavato da una tassa, in parte offerto spontaneamente. Le entrate erano suddivise in due fondi distinti: la qwph per la cura settimanale dei poveri residenti in luogo e la tmpw; 144 per l'assistenza a quelli che erano quotidianamente di passaggio. Rientra nello stesso quadro la fondazione di ospizi nell'ambito delle sinagoghe 145 • La cura dei poveri, almeno in certi periodi, deve aver sollevato la stupita ammirazione negli ambienti extragiudaici (cfr. Iul., ep. 30.49). Non si avverte però mai alcuna tendenza a livellare le differenze sociali.
dimostrato che la formulazione dell'ultimo richiama le maledizioni buzigiche del culto attico, D. DAUBE, The New Testament and Rabbinic Judaism (1956) 138-140 ha ravvisato nel primo una lieve variante dello schema del ca· techismo ad uso dei proseliti. 140 Ad esempio Monobaso, il prototipo del proselito, si vanta dei benefici fatti agli '11;;m (T. Pea 4,18 [24,15)). Secondo Jeb. b. 47a bar. il proselito fa offerte per i poveri, e in A. Z. b. 64a si dice: «Andate, vendete ciò che avete e fatevi proseliti». Ai proseliti si richiedeva in modo particolare che osservassero i doveri prescritti dalla legge riguardo ai poveri (vedi Gerim r,3); cfr. G. POLSTER, Der kleine T almudtraktat iiber die Proselyten: Angdos 2 (1926) 2-38. Quanto al tempo stabilito per il rito, si veda D. CHWOLSON in una comunicazione epistolare riportata da A. SEEBl!.RG, Das Ev. Christi (1905) 99 s.
141 Il ricordo di Nicodemo ad es. si impresse nella sinagoga (Ket. b. 66b). 142 Pea ;. l (15 d 8 s.); Shimon b. Johaj; Qid. j. 1,7 (61b47) Pes. r. 23/24 (122b); dr. STRACK-BILLERBECK I 707 s.; Hen. slav. 51,1. Sono indicati in prevalenza col nome di 'affa. mati' (1tavwv/r'b; cfr. l'alternanza dei vocaboli in B.B.b. xoa), oppure si parla di ospitalità (hknsl 'wr[Jjm) o si usano altre perifrasi (ad es. Ab. R. N. 7 [3c]). Invece «Vestire gli igtmdi» è formula tecnica ormai fissa. 143 L'esortazione o4 obbligazione di Lidda, di accogliere un orfano, accentua il suo influsso (Esth. r. 6,1 a 2,5); cfr. BACHER, Tan11aiten 1 188 n. 4. 144 Altri dati in STRACK-BILLERBECK 11 643647. 145 Pes. b. 1ora. In Sota b. loa e Ge11. r . .54 a 21,33 si allude all'interpretazione rabbinica di Gen. 21,33 come ospizio.
1t'tWXO<;
e V - D (E. Bammel)
V. Il giudizio dei rabbini Nel periodo postesilico ebbe corso nei circoli autorevoli una valutazione della povertà prevalentemente negativa. Si mette sulle labbra di Giobbe la preghiera che Dio gli mandi piuttosto dolori che povertà (Ex. r . 31,12 a 22,24). L'offerta modesta di un povero è raccolta dal sacerdote con disprezzo 146• Anche dopo il 70 poteva valere come normativo questo concetto: la discolpa del povero di non aver studiato la legge a causa della sua povertà, non è valida davanti al tribunale celeste (]oma b. 35b bar). Il povero, in un detto che si farisalire a Jehoshua ben Levi, è considerato per la comunità come inesistente, e viene equiparato al morto, accanto e anche prima del lebbroso, del cieco e del1'uomo senza prole (Ned. b. 64b; Ned. j. 9,2 [ 41 c 8 ss.] e passim). Il giudaismo sa perfettamente che i beni terreni sono transitori 147 e che la povertà dipende dal destino (M. Q. b. 28a; Ber. b. 5b); ma, benché fra i Tannaiti palestinesi molti fossero poveri, essi bollano la povertà come povertà relativa alla torà 148, vedono in essa una maledizione, citano Prov. 15,15 (Ket. b. nob; Sanh. b. 100 b) e quindi danno un giudizio più duro che non i babilonesi 149 • Un'apertura del rabbinismo all'ideologia del povero si ebbe. solo fugacemente, e, anche quando 146 Lev. r. 3.5 a ;i.,r; dr. °" }EREMIAS 24, che si dichiara scettico circa il problema dell'autenticità. 147 Shabb. b. r51b. Altri dati in KtTTEL, Probleme 142-149. 148 Ab. 4,9; Ab. R. N. 30; cfr. Ned. b. 4ra: 'di bd'h. Cfr. anche Lev. r. 34 a 25 ,39. 149 4 MARMORSTEIN 370 s. ISO Vedi STRACK·BILLERBECK r 819-822. 151 A. Bi.icHLER, Der galiloische 'Am-hn 'Are! des 2 . ]hdt. (1906) 4 s. m Mediante la limitazione dell'elemosina al w% degli uitapxov-.a. Cfr. Ber. b. 61 b bar. 153 Ad es. test. Gad 7 ,6: &.cpMvwc; sembra es·
(v1,902) 754
avvenne, essa riguardò soltanto Israele nel suo complesso (Gen. r. 71,1 a 29, 31). In realtà anche per Aqiba (~col. 747) la povertà costituiva un enigma. Il tentativo di spiegare la povertà come mezzo di correzione 150 toglie ad essa, come alla teologia del martirio, ogni valore teologico proprio. Nello stesso II secolo, in cui ebbe compimento il rifiuto degli •am-hii'iire~ 151 , fu arginata l'escatologia pauperistica, estesa anche al campo dell'assistenza ai poveri la tendenza antiascetica in sé sempre presente 152, e alcuni passi anteriori sui poveri vennero reinterpretati in senso moralistico 153 • Forse anche la valutazione della 'nwh isi si riallaccia a questa nuova interpretazione di un teologumeno ormai caduto in disuso. Solo nella tradizione popolare e in affermazioni attenuate si conservò ancora una certa consapevolezza che i poveri ('njjm) saranno i primi oggetti della divina misericordia (Ex. r . 31,13 a 22,24).
D. NUOVO
TESTAMENTO
Nel N.T. il termine corrente per indicare il povew non è 1tÉV1'}<; 153 (~ 1x, col. 1462) ma 1t't'wx6ç 156• Il vocabolo ricorre 31-35 volte, e la maggior parte di esse appartiene ai vangeli, in particolare ai sinottici (Mc. 4-5 volte, Mt. 4-5 volte, Le. 10 volte) 157, come richiede il losere ancora interpretazione giudaica. JSI Soprattutto A. Z. b. 2ob (Jehoshua b. Levi); anche Ar. b. 16b. 155 7tlYrJc; in 2 Cor. 9 19 è richiesto dalla citazione, alla quale Paolo si attiene strettamente, dr. H. VoLLMER, Die nt.liche11 Zitate bei Paulus (1895) 59 n. 3. La differenza tra 'lti:wx6~ e 7tÉV1)ç non si avvei:te più nel N.T. Soprattutto non è più presente in 1t'twx6ç la condizione di supplice (dr. R. KABISCH, Die erste Seligpreisung : ThStKr 69 [1896] 203). l56 In Aci. 4,34 leggiamo ~v8Ei)ç; in Le. 21 1 2, forse per variare l'espressione, il rafforzativo 1tEV~Xp6ç. 157
Per Le. I,j3
~
n. ;i.15.
755 (VI,902)
m:wx6c, D
I 1
ro stesso contenuto. Negli altri testi la #partizione è uniforme. Strana è soltanto la sua completa assenza negli Atti 158, soprattutto se si considera che Luca ne fa un uso abbastanza largo (sei volte in passi che gli sono propri).
I. I vangeli 1. Nei
tre contesti di Marco 1t-twx6c; è usato sempre.in senso proprio. Mc. 12, 4 r ss., riallacciandosi a una polemica contro i ypocµµoc-tEi:c; che divorano le case delle vedove, descrive una XTJPOC 'it'tWX'I) (vv.42 s.), che quindi avrebbe diritto d'essere a sua volta aiutata, la cui modesta offerta nel tesoro del tempio deve essere valutata superiore ai ricchi 158 L'assenza del vocabolo in Hebr., r e 2 Petr., Iudae e nelle epistole giovannee può es-
sere casuale. 159 Come mostra la reazione dcl ricco riferita in modo univoco l'espressione lScrcx. gxw; 'ltttlÀ:l)CTOV non ha qui un senso lato e non vincolante, ~ LEIPOLDT, Jesus und die Armen 199; ~ LEIPOLDT, Geda11ken 95 s.; dr. anche
}EREMIAS 42. 160 Dal v. I 3 il contesto tratta di quelli che sono alle soglie del regno (cfr. v. 23). Manca un'affermazione esplicita sui poveri, a meno che non si applichi anche a Mc. ro,14 la tesi di J. A. MONTGOMERY (Notes /rom the Samarita11: JBL 25 [1906) 53). In questo caso però dovremmo considerare secondaria, rispetto al v. 23, tutta la cornice scenica, che qui è delineata con cura particolare (dr. v. 14", 16"; cfr. v. 22•.b). Comunque il complesso è diret· to a coloro che posseggono qualche bene, la cui rinuncia li predisporrebbe alla ~M~À.Ela. È ben vero che nella prima parte del contesto si polemizza contro i ricchi, ma il tema 'povero' non è poi ulteriormente sviluppato. Il contesto fino al v. 22 potrebbe già essere stato configurato cosl nelJa tradizione utilizzata da Marco (BuLTMANN, Trad. 20); ~ PERCY 91-93 si preclude l'interpretazione esatta in quanto considera i vv. 17-27 come sostanziai-
(E. Bammel)
doni dei 'ltÀ.oucno~. In Mc. 10,r7 ss. si raccomanda Ja vita del povero a chi possiede, nel senso che questi è tenuto a condividere ogni suo avere 159 con i 7C1:W· xol (v. 2I ). Non pare tuttavia che il narratore intenda qui porre per principio in rilievo il povero in quanto tale 160~ Il passo più importante è quello di Mc. r4,5. 7: 7Ciiv-.o.-E y&.p -coùc; 7C'twxoùc; EXE'tE 1-~dreau-cwv ... ÈµÈ oÈ ntiv"to'tE E'.xE· 'tE. La risposta sottovaluta il dovere dell'elemosina; ma essa è integrata da un'altra motivazione 161 che le toglie un po' della sua crudezza. Quelli che nel testo preesistente erano discepoli indignati vengono da Marco presentati co-
ou
mente unitari; lo stesso fa W. GRUNDMANN, Geschichte ]em (1956) 173. Il v. 23 fu inserito già in periodo prcmarciano? I versetti introdotti dall'evangelista ampliano (vv. 23.29) e insieme relativizzano (vv. 24.27) il tema della proprietà; sembra quindi che nella sua cerchia il problema non fosse più cosl importante. Il materiale mutuato da Marco tradisce due diversi ambienti di origine: la polemica contro i ricchi (vv. 2 3 .2 5) e 1'interpret82ione del racconto nel senso della dottrina giudaica del me· rito ad opera del primo rielaboratore. Il v. 21• non si armonizza col contesto (vedi E. HIRSCJ.J, Friihgeschichte des Evangeliums I 2 [1951) rn s.) e manca anche nel Vangelo
degli Ebrei.
In Mc. 14 c'è una interpretazione giudaizzante (cfr. DAUBE, op. cit. [-)o n. r39] 312-
161
324; ID., Evangeliste/I u. Rabbinen: ZNW 48 [1957] 122) e teologica, che non è certamente
originaria (cosi anche LoHMEYER, Mk., ad I.; diversamente H1RSCH, op. cit. [ ~ n. 160] 151). Forse a provocarla fu il xa;).òv ~pyov del v. 6 inteso come comandamento dell'amore, esegesi che, se il v. 7 deve avere un valore specifico, non può essere consona alla situazione (diversamente J. ]EREMIAS, Die Salbrmgsgeschichte Mk. I4,J-9: ZNW 35 [ 1936) 75-82). Il v. 8 risale dunque alla comunità, mentre il v. 9 è dowto all'evangelista.
757 (VI,903)
1t'tWXO<;
DI
me un gruppo indistinto 162 ; in tal modo viene eluso il problema posto a Gesù dai Dodici e dalla comunità cristiana. Anche questo particolare dimostra che Marco ha relegato nell'ombra il problema della povertà; egli elabora le pericopi che contengono il termine 1t'tWXOC, per trasporne il senso. 2. Matteo riprende da Marco due passi con 'lt'tùJX6ç e ne aggiunge due altri. In 19,21 dà all'ammonimento rivolto al giovane ricco un senso del tutto diverso, in quanto presenta l'alienazione della proprietà - e si tratta invero soltanto degli Ù7tapxov"Ta 16.J - come dovere di chi vuol essere 'tÉÀEtoç 164, attribuendo cosl a tale esigenza una portata che va al di là del caso individuale, ma che è
m Nel testo occidentale è introdotto µ.afui;;a.l in base a Mt. (cfr. A. lvlERX, Die vier ka11011ische11 Ev., II 2: Die Ev. des Mk. u. Lk. [1905] .148). D'altra parte, un inserimento di µ.alhj-ra.l ad opera di Mt. non è comprensibile; si dovrà piuttosto pensare che sia stato Matteo stesso a mutuate questa precisa2ione a causa dell'importanza che essa aveva anche nella tradizione testimoniata da Giovanni. 16.J Per l'interpretazione vedi K. BORNHAUSER, Der Christ ti. sei11e Habe 11ach dem N.T.
(1936) 30-43. 164 Cfr. Mt. 10,9; Le. 9,3; 10,4, dove il testo di Mc. 6,8 appare più incisivo. 165 Cfr. HIRSCH, op. cit. e~ n. 160) II 3n. Per il seguito cfr. act. Io., fr. 5 (ed. TH. v.ZAHN [1880] 235 s.). l
1·2
(E. Bamrnel)
tuttavia circoscritta a un grado superiore di perfezione morale. Probabilmente si riflettono qui situazioni della comunità 165 • In 26,11 la formulazione marciana diventa più stringata, ma resta immutata riguardo al senso. In Mt. n,5 l'ultimo membro della risposta di Gesù al Battista suona cosi: 'lt'TWXOt i:ùayyi:}.Ll'.;o\l"Ta.t 156 • Stando alla fine 167 la frase assume un rilievo particolare (~III, coll. 105oss.). Tutto l'enunciato di Gesù è in relazione con ciò che fanno i discepoli inviati in missione (Mt. 10): ogni membro trova qui la sua corrispondenza 168 • La risposta di Gesù accenna cosl a un complesso di fatti già noti al Battista J(f). I singoli segni di salvezza sono subordinati alla proclamazione dell'Eùa.yyÉÀ.1ov ( 9 ,3 5) o trovano il loro culmine nel suo logus de ree/a in Deum fide (GCS 4 P• 5:z,7). Così i miracoli sono disposti in ordine di grandezza con un rimaneggiamento di seconda mano. 168 Nell'intenzione di Matteo, che qui riunisce passi provenienti da diversi strati della tradizione, EÒGtyyEÀ.(~ov-rGt~ corrisponde all'annuncio 1}yytxEv Ti Pa.
1t'tWXOç D r 2-3 (E. Bammel)
annunzio ( r r ,5) 170• All'inizio del discorso della montagna (5,3) Matteo pone la beatitudine dei 7t'twxot 't
aspettazioni della religione degli 'aniiw'ìm, dalle speranze pienamente terrene174 ai beni escatologici veri e propri 175• Il tono comunque è trasferito dalla sfera materiale 176 al piano spirituale e di conseguenza religioso (-+ x, coll. 959 s.) 177• Il macarismo è la prima e programmatica affermazione dell'evangelista sui 'lt'tWxol; essa mostra che egli non si è interessato molto ai problemi di una effettiva indigenza.
110 Non si deve tuttavia concepire questo annunzio come puramente teorico. Già il fatto che nella risposta di Gesù esso faccia corpo con gli altri membri, induce ad ammettere una promozione anche materiale dei poveri; cfr. ScHLATTER, Komm. Mt., ad I. 111 Se si parafrasa l'espressione greca, intendendo 'povero di conoscenza' (cosl H.HUBER, Die Bergpredigt ( 1932] 22.27 ), cioè quanto alla conoscenza della torà ('nif bd't), questo rnacarismo, ed anche il secondo, non esprimerebbe come gli altri una condizione per poter partecipare alla salvezza (dr. H. H. WENDT, Die Lehre ]es11 1 [1886] 55) e quindi denuncerebbe una struttura non completamente riuscita. Poiché d'altra parte è impossibile forzare lo schema già qui al principio della serie, -.ijl 1t\IEVµct't'L - almeno nelle intenzioni di chi ha strutturato il brano in otto membri, che è forse lo stesso evangelista - indicherà una qualità, la consapevolezza personale (un aspetto che ~ PERCY 42 vuol escludere, ma che è postulato necessariamente dal contesto) della povertà dello spirito e forse già l'anelito verso il 7tVEuµa. &y1ov. Certo, dietro tutto ciò traluce il significato più semplice: essete poveri di buon grado, che è il significato sostenuto da K. SCHUBERT, Bergpredigt 11. Texte von E11 Fel[Ja: TheolQuart 135 (1955) 327; ID., Die Gemeinde vom Toten Meer (1958) n9 s., senza peraltro distinguere i vari strati della tradizione. m L'uso di 'mv;m in luogo di 'nii hrw[J (v. 3) - cosl ad es. F. DELITZSCH, sprj bbrjt h[Jdlh
(1880) - è determinato dalla necessità pratica di differenziare le due formule. ZAHN, Mt. ' 180 s. ricorre alla medesima retroversione, perché considera i macarismi, fin dall'inizio, come un tutto omogeneo. Non se ne può comunque arguire un rapporto originario con Luca (cosl J. REZEVSKIS, Die Makarismen bei Mt. ti. Lk., ihr Verhiilt11is zueinander ti. ihr historischer Himergrnnd, Studia Theologica 1 [1935] 164). Cfr. WELLHAUSEN, Mt., ad l. 173 Sui frequenti macatismi in un solo membro (senza consolatoria o simili) cfr. ~ V, coli. 980 ss. 114 Comra HEINRICI, Beitriige z. Geschichte u. Erkliimng d. N.T. m (1905) 25 s. 175 È quindi fuor di strada chi vede in -.0 nveuµCt.'t~ un"aggiunta', come si fa comunemente da quando è apparso lo studio di K. A. CREDNER, Beitriige wr Ei11l. in die bibl. Schri/ten 1 (1832) 307. Matteo infatti ha semplicemente espresso in greco un concetto contenuto in 'nijm e forse già prima di lui chiarito mediante rwp. D'altra parte si va egualmente troppo lontano se si considera la puntualizza· zione di Matteo come 'ovvia' (cosl KITTEL, Probleme 54; anche P. GXcHTER, recensione di J. DuPONT, Les Béatitudes: Zeitschr. fi.ir katholische Theol. 77 [1955) 343). 176 L'interpretazione di F. NXGELSDACH, Der Schliissel zum Verstiindnis der Bergpredigt (1916) 16 e LoHMEYBR, Mt., ad l. (poveri volontl\ti) appare inverosimile alla luce dei paralleli di Qumram ("' col. 740).
3. Dei 9 contesti del Vangelo di Luca in cui figura 7t'tW)C6ç, non meno di 5
177
Cfr. ZAHN, Mt.• 183.
1t'tWX6<; LJ I 3 \t . .oamme11
sono propri di lui solo 178• Il fatto è tanto più degno di nota in quanto anche un testo contenente 7t't'wx6ç, comune a Marco e a Matteo, in Luca è venuto meno. Le. 21,3 179 procede parallelo a Mc. 12,43, mentre negli altri passi si avvertono spostamenti di accento.
In Le. 18,22 l'esigenza di vendere e dare ai poveri i propri beni (da intendere come un precetto generale, se l'E't'L, che riassetta Mt. 19,20, va preso in senso stretto 180) è sottolineata con r.6.v"C"a. {cfr. 't'à ~&La. del v. 28) 181 e il mancato adempimento è imputato a una determinata condizione sociale (v. 18: &pxwv; -7 x, coll. 757 s.). Le parole -.ucpÀ.oL. 1t'tWXOL EÙocyyEÀ.lsoV't'OCL (7,22) Che Le. 2r,r-4 sia un'aggiunta tratta da ma. tedale proprio e che la sua presenza in Marco sia dovuta a inserimento di seconda mano (cosi ScHMIDT, op. cit. ( ~ n. 168] 277, al seguito di J. WEISS, Das iilteste Ev. [1 903] 273), è un'ipotesi seducente, ma indimostrabile. lì9 La sostituzione di 1t'tWX1i con 1tEVLXP6. nel v. 2 è un semplice miglioramento stilistico (a meno che Luca non sia partito da una reda· zione dell'episodio affine a D). 180 Cosl giustamente W. M. L. DE WETTE, Erkliirung der Ev. des Lk. ti. Mk. 2 (1839) III. 181 Praticamente nessuna differenza rispetto a Mc./Mt. (~ n. l.59), ma il tenore dell'episodio ha avuto un profilo nuovo già nella tradizione a cui attinge Luca. In confronto a Mc.fMt. l'esigenza è tuttavia accentuata, d'accordo col tono generale del vangelo lucano (dr. XI,41; 12,33). La polemica giudaica che, sulla base di Mt. 19,21, sottolinea che la legge cristiana è più difficile da osservare che quella giudaica, che esige soltanto l'offeria di una decima (J. TnoKr, l;izwq 'mwnh, ed. D. DEUTSCH [1873] I 19.49 s.; II 19), trova cosl, sul piano storico, ma~iorc appiglio nel testo lucano. 182 Il passaggio da 6,19 a 6,20 corrisponde a quello da 7,21 a 7,22: Gesù parla solo quando contemporaneamente agisce. Nell'ultimo passo li&
non si ancorano nel contesto e non trovano perciò fondamento nella narrazione {v. 2 r ). Al contrario, l'esaltazione dei poveri (6,20), con la quale vengono introdotti il discorso della pianura e il sermone della montagna, si inquadra benissimo 182, unico fra i quattro macarismi lucani 183, nella situazione dipinta con vivo rilievo.
Il detto a 8 membri non è unitario, e la formulazione del primo macarismo non risale originariamente a Luca; quindi solo con certi limiti ci si può appellare ad esso per conoscere l'atteggiamento sociale di Luca. Anche il problema della priorità della formulazione matteana su quella lucana 184, o viceversa 135, resta ancora aperto. L'ipotesi, ale due notizie non collimano perfettamente. 183 I macarismi 2-4 hanno un orientamento escatologico e perciò forzano il contesto che parla delle prove dcl suo potere, che Gesù ha dato precedentemente. 184 Cosi affermò forse per primo C. G. WILK.E, Der Urevangelisl (1838) 685; vennero poi ad es.: D. F. STRAUSS, Das Leben Jem I 4 (r840) 603; A. HILGENFELD, Die Ev. nach ihrer Entwicklung u. geschichtlichm Bedcutung (1854) 173; B. Wmss, Das Mt.-Ev. u. seine Lk.-Parallelen (r876) 134 s.; C. WEIZSAcKER, U11tersuchrmgen iiber die euangelische Gesch. l (r901) 218; P. FEINE, Ober das gegenseitige Verbiiltnis der Tcxte der Bergpredigt bei Mt. u. bei Lk., ]beh pr Th I I (1885) 14; H. LEI. SEGANG, Pneuma Ragion (1922) 134-139; H. HuBER, op. cit. (~ n. 171) 16 s. 18; TH. SorRON, Die Bergpredigt Jesu (r94r) 142 s. 135 Cosl, ·ad es., A. RITSCHL, Das Ev. Marciom (1846) 237-241.; H. J. HoLTZMANN, Die sy11p1. Ev. (1863) 76 s.; WEND"f, op. cii. (-:> n. l7r) I ,54-56; H. v. SooEN, Die wichtigste11 Fragen fiir cin Lebe11 Jern' (1907); 46; A. v. HARNACK, Spriiche u. Reden Jest1 (1907) 38; J. WEISS, Die drei iiltere11 Ev., Schr. N.T. 2 I 259; WELLHAUSEN, Mt., ad l .; K. KoHLER, Die 11rsprii11gliche Form dcr Setigpreisrmgen:
it'twx6c; D
I
vanzata da taluni, che si debba risalire a due fonti tra loro indipendenti, vale anche nel caso che si tratti della stessa comunità primitiva, dato che anche la formula 'nii rwf.; = rc-.wxot 't0 TC\IEVµoc-.L, la cui assenza fu spesso considerata argomento decisivo per sostenere come più attendibile il tenore della formula lucana 186, oggi risulta testimoniata (~ col. 740) 187• Bisogna quindi ritenere che sui poveri circolassero diversi macarismi - a noi ne sono giunti quattro (Mt. 5,3 .5; Le. 6,20; Polyc. 2,3)- e non è certo che tutti avessero all'origine un 'nj e non un 'bjwn 188 ; comunque solo tre di essi furono resi in greco con rc-.wxol. Resta pure dubbio se a tutti sia stata fatta qualche aggiunta. La diffusione di vari macarismi con 1t't"wxol in epoca anteriore rende comunque difficile far risalire a una parola di Gesù l'origine di tali formule 189 • La molteplicità delle sentenze e parimenti la loro insufficiente giustificazione - di cui è prova il bisogno di opporvi delle aggiunte diventano invece comprensibili se si fanno derivare i macarismi stessi della ThStKr 91 (1918) 170; W. BusSMANN, Synopt. Studien II (1929) 43; BuLTMANN, Trad. n4; F. HAucK - v1, coll. 993 s.; Hrnscu, op. cit. n. 160) 83; M. DIBELIUS, Die Bergpredigt, in Botschaft u. Geschichte I (1953) I2o; G. D. KILPATRICK, The Origins of the Gospel according to St. Matthew (1946) 15; - J>ERcy 4145; BRAUN, op. cit. n. 109) 11 73. 186 HEINRICI, op. cii. n. 174) II 28 s. e specialmente KITTEL, Probleme 53 s. CH. RABIN', The Dead Sea Scrolls and the History of tbe O.T. Text: JThSt 6 (1955) 178 studia a fondo se Is. 66,2 ('nj umkh-rw!J>, che starebbe dietro a Mt. 5,3, non sia la contaminazione di due varianti.
e-
e-
e-
187 Sicuramente la formula non fu coniata da Matteo in riferimento a <mna ricca comunità cittadina» (KILPATRICK, op. cit. [~ n . 185] 125).
188 La retroversione di Mt. 5,3 è abbastnnza col. 740), mentre garantita da I QM 14,7
e-
3 (E. Bammel)
ricca messe di enunciati del tardo giudaismo sui poveri 190• Luca, che già nella storia dell'infanzia e della vita nascosta aveva anticipato il tema di ricco e povero, presenta Gesù che incomincia la sua predicazione se non proprio con l'elogio dei poveri, certo con la citazione, tematicamente affine, di Is. 61,r, dove l'EÙayyEÀ.lO"a.O"~a~ 'lt't"WXO~c; è descritto come il compito a lui assegnato (4,r8a) e dove i singoli adempimenti (4,r8b) di questo compito sono sinteticamente anticipati. Nel discorso del banchetto c'è una frase che comanda al padrone di casa di invitare 'lt"tWXOl, ÙVaTCELpOL, XWÀ.ol, 't"UC{>À.OL (r4, r 3 ), e nella parabola del grande banchetto, che segue subito dopo, è descritto quasi 191 con le stesse parole ( r4,2r) il gruppo degli invitati di ripiego. La dietro Le. 6,20 sta probabilmente 'bjwn. Anche il modo di coordinare la fkt.O'LÀElet a una determinata cerchia di persone, che si avverte in 5,3b, non è consono al messaggio di Gesù. Per l'autenticità cfr. E. KAsl!MANN, Das Problem des historischen Jesus: ZThK 51 (1954) l44i BRAUN, op. cii. n. 109) II 55; E. Fuctts, Jesu Selbstzeugnis 11ach Mt 5: ZThK 5r (1954) 28; anche BuLTMANN, Trad. II4. 190 Cade allora anche una primitiva armoniz.. 2azionc delle varianti, quale è prospettata ad es. da Wmss, op. cii. (-7 n. 184) r34. Anche BuLTMANN, Trad. 133 esamina la possibilità di un'origine giudaica. 191 In r4,21 i vari membri sono legati da un xal. H1RSCH, op. cit. <~ n . 160) n 137 vede in ciò un dato originario, e quindi nell'enumerazione senza xa.i sarebbe all'opera la mano integratrice dell'evangelista. Le versioni syPbo hanno in 14,21 solo poveri, indigenti e ciechi, mentre al v. 13 seguono la versione greca. 189
e-
_.;._
'1\'tWXO<; LJ I
3
l.C• .Dammet)
\ V .1!~VU/ / V V
compilazione differisce nella forma da i ricchi dalla sfera di Dio. La speranza 7,22 e, quanto al contenuto, anche da del povero - non si accenna ad alcuna 4,18, in quanto non vi si avverte nes- interpretazione metaforica - riguarda sun colorito politico-sociale 192• Luca ha l'altro mondo, senza tuttavia esaurirsi inteso ambedue i passi in ordine al completamente in esso. In Le. r9,1 ss. banchetto escatologico (v. 15); per col- un nÀ.oucnoc; e àµctp't'wÀ.oç dona la mepa degli uomini e per disegno di Dio tà della sua ricchezza ai poveri (v. 8). avviene che vi prendano parte solo gli È questo il voto di Zaccheo, che va emarginati dell'umana società (1t't'wxol è molto al di là di ciò che si usa in simiil concetto-guida quando si parla di loro li 196 casi <;d è perciò, nelle intenzioni di e indica già in prevalenza il mondo pa- Luca, un modo d'agire ideale, che fa gano, nel senso di 4 ,24.27). L'idea è apparire il ricco in una luce favoreradicalizzata in 16,19-31, dove al ricco vole 197• proprio in quanto ricco tocca il tormenSe qui viene espresso un riconoscito, e a Lazzaro in quanto 7t't'wx6c; (vv. mento, sia pure condizionato, della ric20 .22) la felicità. Non si fa cenno né a chezza, gli altri passi sono invece peruna particolare colpa del primo né a un meati di una riprovazione palese del ricmerito del secondo 193 • Nella narrazione co, alla quale corrisponde il fatto che la buona novella è rivolta esclusivamenche in sé è di tipo pre-neotestamentario te ai poveri. Aspramente polemici risulil 1t't'WX6c; in quanto tale è l'erede di tano i testi di Lc. 6,24s.; 8,14; 12,15 . un'attestazione di benevolenza da parte 2I.3J S.j I4.33i 16,ro-12; 18,25; più misurati 16,9; 18,24. L'autore - forse di Dio che gli compete al di fuori delle con intenzione - non ha livellato del tutvie normali. Il punto saliente della pa- to le due tendenze 198• Dove parla in rabola non consiste nel diniego mate· proprio, propende per la seconda, amriale del ricco di fronte al povero 194, ma mettendo per il ricco la possibilità di salvarsi qualora sappia rinunziare ai suoi nell'abisso assolutamente incolmabile 195 beni (14,33) 199 e piega a questo conteche separa la sua vita e quella di tutti sto la parabola dell'amministratore inLa sy' inserisce la parola «disprezzati». Un tale aspetto manca pure nell'inquadratura (vv. 15 ss.}, a differenza della redazione matteana. 193 A meno che, con 1-IIRSCH, op. cit. (~ n. 160) II 145, nei vv. :14 s. non si voglia vedere l'introduzione originaria della parabola. Insostenibile la tesi di K. BoRNHAUSER, Studien :wm So11dergut des Lk. {1934) 138-160. !!» Cosl WELLHAUSEN, Lk. 91; ScttLATTER, Lk., adl. 195 Perciò non è neppure il caso di dedurre dal v. 31, di colorito 'non cristiano' (WELLHAUSEN, Lk. 91; HIRSCH, op. cit. [ ~ n. 160] II 192
226), un'esigenza di penitenza. Diversamente
Lk., 11d l. WELLHAUSEN, loc. cit. : «Forse senso assoluto». Mosè e i profeti sono messi in relazione col ricco, senza che Possano tuttavia produrre in lui alcun mutamento. Quanto ai povero, non è detto che egli abbia seguito i loro ammaestramenti. HAUCK,
196
Vedi STRACK-BILLER.llECK II
197
I vv. 8·9'.ro sono un'interpolazione. Acritico --) KocH lJl-169.
198
250.
199 Passo redazionale; dr. J. ] EREMIAS, Die Gleichnisse /eStl 4 ( r956) 94.
1t'tWX,clc;
D
I
3·
fedele ( 16,9) 200 . Configura la parabola della cena in modo da farne anche un racconto esemplare per ogni padrone di casa 201 e in 16,19 ss. si barcamena in· troducendo la parabola di Lazzaro e del ricco epulone dopo 16,17 m. Quanto all'episodio dell'unzione, che gli appare sospetto, lo omette. Benché si debba al n-rwx6c; ogni possibile assistenza, egli non è l'unico erede della Prx
201 202
Vedi ]EREMIAS, op. cit. (-4 n. 199) 34.82. Per l'esegesi vedi E. BAMMEL, Is Luke r6,
r6-r8 o/ BaptiJJ's Provenience?: HThR 57 (r958) lOI-106. WJ Di conseguenza i seguaci di Gesù si dividono in gruppi. Il discepolo rinuncia a tutto (5,n.28). Chi non si comporta cosl (19, 8) non è annoverato nel gruppo degli intimi.
2IM Cfr. la concentrata ripresa di Mc. 4,r9 in
II
(E, Bammel)
duce il gruppo dei discepoli che mormorano per lo spreco al solo Giuda Iscariota, non senza attribuire il suo interesse per i n't'wxol (12,5) a un motivo tutt'altro che schietto (v. 6). La risposta di Gesù (v. 8) tanto nella sostanza quanto nelle forme più attendibili della tradizione testuale :zns contiene la frase sui poveri nella forma di Matteo. Tuttavia il fatto di riferirsi soltanto a un'obbiezione del traditore, le toglie parte del suo valore in assoluto. In 13,29 2ll6 si afferma che Giuda teneva la cassa, e quando Gesù lo invita a uscire ne viene per i discepoli un equivoco, provocato dall'uso di fare elemosine ai poveri nella notte di Pasqua 207 , quasi che egli avesse avuto appunto l'incarico "toi:c; n-rwxoi:<;, rvcx 't'~ o@, «di dare qualcosa ai poveri» .
II. Teologia comunitaria, Gesù, Giovanni Battista
Le prese di posizione di fronte al tema 'povero e ricco' si accumulano in Le. 14-18 (o r9) formando un complesso che anche sotto altri aspetti rivela nel modo più marcato l'impronta di una tradizione particolare 200 • In questo vanLe. 8,r4. 205 Omessa da D br sy'. P66 - che è abbastan· za vicino a D - Ja registra. BuLTMANN, Joh., ad I. la ritiene una glossa marginale, incorporata più tardi nel testo. 206 Per le ipotesi, scarsamente convincenti, di una interpolazione vedi BAUER, ]oh., ad l. 1111 Vedi J. ]EREMIAs, Die Abendmahlsworte Jesu 1 (1949) 29. Non se ne può tuttavia dedurre che i discepoli praticassero una regolare assistenza ai poveri. 200 «Fonte-guida» (HAUCK, Lk. 6 s.); cfr. BuLTMANN, Trad. 387.
TI't'W)(Oc;
LJ 11
\.C. Dan1111t1/
gelo il problema deve aver avuto un posto dominante 209 • Poiché sul ricco, che appare come il rappresentante del giudaismo (~ X, col. 757), viene pronunciato un grido di minaccia, il gruppo che sta dietro lo scritto e che identifica se stesso con i poveri, i derelitti, i piccoli, le vedove, i peccatori ecc. 210, può distanziarsi da questo terreno nativo. È significativo che là dove le narrazioni tendono a significati fondamentali, compare il 1t-rwx;6c; ( r6,20) e 'lt"t'W)Coc; è comunque sempre posto in testa alle altre categorie affini (14,21). In questo documento si deve vedere il primo, il più conseguente e in senso stretto l'unico vangelo che si possa chiamare ebionitico . Non è certo che Le. 4,18 appartenga a questo corpus, poiché l'autore sottolinea più marcatamente di quanto di solito non avvenga nel vangelo la portata politico-sociale della buona novella an· nunziata ai poveri. Mt. 11,5 /Le. 7,22 ha senza dubbio un modello in numerose formule giudaiche, ma la menzione 211 e il rilievo in cui sono posti i poveri quali detentori veri e propri della buona novella sono una novità e rappresentano
sotto questo aspetto una consapevole conezione della normale tradizione giudaica. In questa forma essa dovrebbe derivare da circoli del Battista passati al cris tiancsimo 212 •
200 14,21 (n7W)(ol); 14,33 (rinuncia); 15,7 (contrario: olxcuoç); 16,10 (1tW"'tÒç EV ÈÀo:xlu-rl{l); 16,13 (contrario: _oouÀtUOV'tE<; µa.µwV~); 16,15 (oLxmo\iv·n:ç Èau'\ol'.iç); 16,19 s. (7tÀOVO'LOç/7t'tW)(Oc;); 17,z (µLxpol); 17,u (Àtnpol); 18,3 (x1Jpo:); r8,n (-tEÀwvT)ç/olxa.Loç).
7tprt.Ei:ç e 't<XTI:Ewol. Mt. II,29b potrebbe non essere autentico.
210 MEYER, Ursprung l 223 s. e HIRSCH, op. cii. (-7 n. 160) II 143 s. hanno fatto notare
con argomenti diversi il carattere popolare dei passi peculiari di Le. o di Le. II. 211 Paralleli non databili con sicurezza si trovano in 5 Esdr. 2,18-20 (ed. FRITZSCHE, op. cit. [-7 n. 87 ]) e in Flav. Ios., bel!. 1,364 ss. slavo (trad. A. BERENDTS e K. GRASS in Acta et Commentationes Universitatis Tattuensis [Dorpatensis] [1924 ss.] 24-42). 212 La domanda del Battista a Gesù è storica; il nucleo genuino della risposta di Gesù è Le. 7,23/Mt. n,6. 213 Cosl egli si rivolge ad essi chiamandoli
Gesù usa qualche volta 1t'twx;6c; (Le. Mc. I2,43; Mc. ro,u). L'unica asserzione sui poveri che si delinei come sua è il rifiuto di vincolarsi a un principio sociale (Mc. r4,7 ). Tuttavia egli si sente solidale con gli emarginati e gli umiliati (Mt. II,28). Però la parola tipica che designa la loro situazione e le loro speranze, non l'usa m, evidentemente perché era troppo marcata e carica di aspirazioni appassionate 214 • Nella predicazione del Battista, ricca di accenti sociali, come lascia ancora intravvedere la tradizione rudimentale, il vocabolo 1t-rwx6c; non è rimasto 215, ma c'è tuttavia una terminologia che gli è strettamente imparentata. La supposizione che l'indirizzarsi ai 1t-twxol fosse abituale nel linguaggio del Precursore è ben fondata e l'interesse che in certi circoli del Battista si avverte per .una teologia pauperistica può esser fatto ri14,13;
m II tentativo di W. SATTLER, Die Anawim
im Zeitalter Jest1 Christi, in Festgabe fiir A. Jillicher (19z7) l-15, e di W. GRUNDMANN, Jesus der Galiliier (1940) passim, di spiegare l'autocoscienza di Gesù in base alla religiosità degli anawim appare quindi ben poco fondato. 21s Le. 1,53 nella redazione di sy"' suona cosl: «egli ha colmato dei suoi beni i poveri e disprezzato i ricchi perché. sono vuoti»: traduzione conforme a A. MERX, Die vier kananischen Ev: I (1897) 106. BURKlTT, op. cit. (-7 n. 166) ad l. ritiene corrotta la seconda parte della frase. Anche l'Opus imperjectt1m che proviene dall'Italia legge: pauperes implevit bonis (MPG 56 [1859] 809). La variante spi. ritualizzante è certamente secondaria, ma in sé è probabilmente una versione parallela, risalente ad un'epoca molto antica (cfr. Apoc. 3,17), fors'anche precristiana.
771 (vr,908)
'1t'tl.ù)C6<; D n-m (E. Bammel)
salire ad un impulso dato dal maestro.
dei poveri (-rwv n-.wxwv t'Va µvljµovruwµe:v: Gal. 2,10 ~ VII, col. 320).
III. Paolo I testi offerti da Paolo sono stranamente discordi. Da un lato egli adopera n-rwx6c; di rado. Quando parla dei contrasti sociali nelle sue comunità, usa delle circonlocuzioni (Rom. 12,7 s.; 2 Cor. 8,14; Gal. 6,10) e quando esalta (Gal. 3, 27 s.) o esige (Col. 3,II) l'abolizione delle differenze in Cristo, la contrapposizione ricco-povero non è menzionata 216• D'altro canto ci sono quattro o cinque passi centrali in cui il vocabolo compare e che esigono una trattazione particolare.
Gal. 2,10 e Rom. 15,16 devono esser considerati perché i n-rwxol o i "Jt'(wxot -.wv àylwv -.wv ÉV 'IEpoucraÀ:i)µ vi sono nominati quali beneficiari delle collette promosse con grande zelo da Paolo e ricordate da lui anche altrove 217 • Nel contesto degli accordi intervenuti nel concilio apostolico 218, si parla dell'im· pegno, assunto da Paolo :m, di ricordarsi 216
Diversamente fa, ad esempio, R. Elcasar
(270 d.C.): davanti a Dio sono tutti uguali, donne e schiavi, poveri ('11jjm) e ricchi (Ex. r. 2IA a 14,15); cfr. Apoc. 13,16 e S. Deut.
48,84b. 211 I Cor. 16,1; 2 Cor. 8,4; 9,r s. 12; Rom. 12, 13 (cfr. MICHEL, Rom., ad l.); forse anche .2 Cor. 12,16-18 (vedi LIETZMANN, Kor., ad l.) e 1 Cor. 16,15. 21s Cfr. H . MosBECH, Apostolos in the N.T., Studia Theologica 2 (1948) 193. 219 Marcione legge: ut meminissent ege11orum. Ciò «è comprensibile solo nel senso che Barnaba mancasse e quindi la cura di provvedere ai poveri dovesse toccare ai primi apostoli come a Paolo. Cosl Marcione toglieva di mezzo completamente ogni apparenza che a Paolo fosse stato dato un incarico esclusivo» (A. V. l-IARNACK, Marcion' [1924] 71). 220 Cosl K. Hou,, Der Kirchenbegrifl des Pat1-
Tale impegno non deve essere inteso come un sostitutivo cristiano del tributo del tempio (~ x, col!. 996 ss.), ma piuttosto come qualcosa di analogo alle libere offerte che confluivano a Gerusalemme anche da parte dei non proseliti. Ci dovette essere una ragione specifica perché Paolo lo imponesse d'ufficio, e possiamo ravvisarla in Act. 24,16 s.: la colletta nelle mani dei capi giudaici poteva risultare .in certo senso e sia pure solo apparentemente come una specie di prestazione che procurasse alla comunità-madre una maggiore tolleranza. In Rom. 15,26 s. la diversa terminologia, l'assenza sottolineata di ogni intervento personale di Paolo nell'iniziativa (I 5 ,2 7 ), la circonlocuzione cosl precisa per fissarne i destinatari, fanno ritener probabile che Paolo si serva qui di una «espressione allusiva» :zai. E la cosa gli è agevolata perché ay101 aveva un senso generico 221 , che non escludeva senz'altro la Gerusalemme non cristiana, come del resto il mòtivo espresso in Rom. l5,27b Iris i11 seinem Verhaltnis zu dem der Urgcmeiride, in Gesammelte Aufsiitze zur Kirc!Je11geschichte n, Der Osten (1928) 59, in un'interpretazione però contraria alla nostra. 221 Oltre al vero Israele, il termine qualifica il luogo puro in senso cultuale (Mt. 4s; 27, 53; I Mach. 2,7; 2 Mach. 1,12; 9,14; J Mach. 6,5; Tob. i3,10) e gli uomini cultualmente pu· ri (Flav. Ios., bell. 6,425; A. Z. b. 5oa: Menahem in quanto bnn Jl qdwJjm), e quindi in particolare gli abitanti di Gerusalemme (Ber. b. 9b: Jose ben Eljaqim [eretico?] sui qhl' qdji' dbirwiljm ). Per la speranza che Paolo connetteva al luogo vedi F. KATTENBUSCH, Die Vorwgsstellrmg des Petrus u . der Charakter der Urgemeinde zu Jerusalem, in Festgabe fiir K. Miiller (1922) 345 . Una tesi non certa e comunque non valida per l'età paolina in S. SAPRAI, The holy assembly of Jerusalem: !iwn 22 ( 1957) 183-193.
n'twx6c; D m (E. Bammel)
comprendeva insieme la Gerusalemme dell'A.T. 222 • Mentre &ytot (Rom. 15,26) non deve essere considerato come il nome con cui la comunità-madre designa se stessa 223 , non si può dire lo stesso per 1t•wxol; non basta infatti intendere n•wxol nel solo senso di «poveri di Gerusalemme», perché allora non si capirebbe la continuazione della colletta una volta diminuito il bisogno. In Gal. 2,10 potrebbe quindi essere citata una formula dell'accordo gerosolimitano 224 • Ma in Rom. 15, 26 la designazione è diversa da quella usata altrove da Paolo. E dato che 'lt"t'Wxol può essere inteso come un'abbreviazione del solenne 1t•wxot 'tW\I à:ylwv 't'WV Èv 'IEpovO"a.À:ljµ w'njjm bjrwsljm, è tanto più lecito supporre che l'espressione non sia paolina e che ci troviamo davanti ad una formula con cui la comunità-madre designava se stessa, o meglio, a un suo titolo d'onore 225 • In Gal. 4,9 Paolo parla degli àu~i::vl\ xat 1t'tWXà
=
Bisogna notare che non sono gli ii.ytot, ma gli 1nuÀot che incaricano Paolo della colletta. m Cfr. R. AsTING, Heiligkeit im Urchr. (r930) r54.r57. 224 Gal. z,7-9b sono una i11terpretatio Pauli11a dell'accordo riferito in 2,9c.d_10•. 225 Anche se questo titolo potrebbe non essere stato l'unico, come presso i Qumraniti. 226 Vedi WrNDISCH, 2 Cor., ad l.; non però in senso escatologico. 227 In 2 Cor. 6,3-ro Paolo adotta quasi alla lettera uno sèhema stoico (vedi WINDISCH, ad l.; JoH. Wmss, I Kor. a 3,21), che tuttavia, per quanto risulta, non conosce il 1\'0À.).oùc; 1\'ÀOU'tl~EW come possibilità del 1\''tWX6c;. Qui dunque Paolo, valendosi di noti concetti222
(vr,909) 774
li i Galati rischiano di ricadere. --+ cr-i;oLXELo\I è certamente un vocabolo della polemica giudaica contro il paganesimo. Lo stesso si può dire di &,cr-i)i::vij xcd 1t'tW)(a, una formula che, se non nega direttamente l'esistenza delle divinità pagane, ne sottolinea la debolezza e la miseria delle opere. Alla fine di un'apologia che Paolo fa di stesso (2 Cor. 6,3 ss.) ci sono sette espressioni paradossali che descrivono l'essenza della vita e del servizio apostolico. La penultima antitesi suona così: wc, 1t•wxol 1toÀ.À.ovç oÈ nÀ.ou•l~ov -.Ec, (v. rn; --+ x, coll. 7 58 s.). Mentre la seconda parte ha un senso traslato 226 , non si può dire altrettanto della prima. L'affermazione già in questo differisce dalle altre antitesi, ma ancor più perché è l'unica che vada oltre l'ambito personale 227 •
Secondo la variante, I Cor. 15,10 afferma che la grazia di Dio nell'Apostolo non sarebbe stata 'lt'tWX1i. La storia del testo raccomanda decisamente questa «assai singolare» m lezione 229• Essa si adatta bene, come un elemento omo-guida (particolarmente Philo, omn. prob. lib. 77 [axrrlJµa-.ot ... 1\'Àoucrtw'ta'\'ot]; che 'lt'tW·
xoç non
sia testimoniato in formule parallele può essere un semplice caso), sembra aver introdotto un cambiamento che forza il principio della perfezione individuale caro all'etica stoica e i:appresenta cosl una cristianizzazione della formula antitetica. Lo schema è ripreso in Diog11. 5,r5. 2lS JoH. WE1ss, I Kor., ad l. 229 Leggono 1\''tWX1i i codd. D*FG deg Ambst, che devono essere considerati come una famiglia (dr. E. DIEHL, Zur Textgeschichte des lat. Pa11lus: ZNW 20 [r92I] ro6.r22) e parimenti Ambr., Orosius, Hier., Pelag., got. 1\''tWX1i deve essere caduto per influsso dei paralleli
r.-.wx6ç D m-Iv (E. Bammel)
geneo, anche al contesto che è tutto disseminato di espressioni mutuate 2JO in forma ora positiva ora negativa. Paolo ha poi controbattuto l'accusa che la sua opera fosse 7t't'WX1J, affermando di aver «ottenuto 231 più di tutti loro», affermazione che altrove appare molto diffusa e non più necessaria come antitesi di XE\ITJ.
L'uso di 7t't'WXcç fu ora offerto dalla tradizione scritta, ora suggerito dalla stessa situazione. L'Apostolo non lo usa quando formula spontaneamente una frase ed esprime un pensiero tutto suo 212 • Il termine non appartiene dunque al vocabolario prettamente paolino. Non per questo si può dire che Paolo abbia trascurato il problema concreto dei poveri nella sua comunità. Il gruppo dei cristiani di Corinto era costituito essenziahnente da emarginati, da poveri, da gente di bassa condizione (I Cor. r , 27), e altrove 1a situazione non dev'essere stata molto diversa (cfr. 2 Cor. 8, 2 ). C'era un'assistenza ai poveri sotto varie forme 233 , ma una comunità di beni non fu mai tentata. Paolo personalmente non presta particolare attenzione a problemi di questo genere (cfr. r Cor. rr,21 s.). La prospettiva escatologica è troppo sentita perché egli voglia migliorare le condizioni terrene, pur che siano appena appena sopportabili 234 • Manca quindi ogni trasfigurazione Phil. 2,16;
I Thess. 3,5 e Is. 49,4. La prefe(enza spetta a 7t-.wx1J, in quanto lectio diffecilior. 230 Vedi E. BAMMEL, Herkunft u. Futtktion der Traditiomelemente in I Kor. IJ,I-II : ThZ I I (1955) 401-419. Cfr. G. BJORCK, Nochmals Paulus abortivus: ConNeot 3 (1938) 7 s. 231 JoH. WEiss, z Kor., ad I. interpreta cosl
ho1tla
Si osservi che anche 'ltévric; figura una sola volta (2 Cor. 9,9; citazione da Ps. n2,9), e t'J8Ei)ç mai. 233 Rom. l2,7 s.; I Thess. 1,3; anche le agapi possono essere considerate sotto questo aspetto. Ci sarà pure stato chi offriva le sue sostan-
teologica della povertà. Né 7t't'wx6ç appare come titolo d'onore delle comunità paoline, né 7t't'WXEla è usato metaforicamente per indicare la vita cristiana. In 2 Cor. 8,9 (~IV, col. 1025), dove si potrebbe scorgere qualcosa di simile, in realtà l'uso dcl vocabolo da un canto è condizionato da 2 Cor. 8,2 - le comunità della Macedonia hanno saputo largheggiare, nonostante la loro estrema 'it't'Wxc.la - dall'altro costituisce semplicemente un'antitesi con 7tÀ.OV(rtoc; o 7tÀ.ou't"ÉW (~X, col.758) senza alcun contenuto speciale 235 • Un'evoluzione teologica della «povertà di Cristo», che riprende, a dir vero, un uso pre-paolino del vocabolo 236, appare piuttosto collegata a ~ 't'<X7tE~\JOq>pOO'U\11) 237 •
IV. La Lettera di Giacomo La Lettera di Giacomo è tutta pervasa da un'accesa polemica contro i ricchi dentro e fuori della comunità 233 ( ~ x, col. 762). Come contropersonaggio rispetto al ricco compare, accanto al ~ 'tlX1tEW6ç 239, il 7t'twx6ç (2,2), che tuttaze (z Cor. 13,3). m Perciò la direttiva da lui data non raggiunge nemmeno il livello delle provvidenze giudaiche per gli schiavi; vedi I Cor. 7,21. 235 Vedi LIETZMANN, Kor., ad I. 236 Vedi E. LoHMEYl!R, Kyrios Jesus: SAHeid. (1927/28) 32 s. 237 Non occorre qui esaminare fino a che punto ambedue si possano far risalire ad una stessa radice ebraica e al relativo concetto. In seguito si parla più spesso cli povertà; ad esempio Caverna del tesoro 46,12. 2.33 Cfr. DIBELIUS, Jk., ad l. 239 l,9; 4,6.(10); dr. 7tpttV't'l}ç in l,2r; 3,r3.
777 l Vl,9IOJ
via in quanto tale non caratterizza diret· tamente l'ambiente dell'autore e di coloro a cui questi si rivolge 240• La ripulsa dei ricchi è introdotta sul motivo che Dio ha preferito coloro che sono poveri davanti al mondo 241 (2 ,5: TC'"CW)(,OÌ. 't'<{) x6o-µ~ ). Dato che la frase è completata da 'TtÀ.oucno~ Év 7tlO"'t'E~, anche a tt'twxoç risulta attribuito un valore religioso. L'atteggiamento della comunità è molto lontano da una identificazione coi poveri e l'autore si limita a sperare di poterla convincere ad essere solidale con gli oppressi. Personalmente, egli è benevolo verso i poveri, tuttavia da ciò non deriva una caratterizzazione del suo pensiero. Non si può quindi considerare questa pericope come un documento dell'ebionismo cristiano 242 • È pure difficile che si possa giudicare di ispirazione giudaica 243 ; fa piuttosto l'impressione d'un prodotto d'epoca tarda, quando si potevano riprendere temi caratteristici del-
la religiosità dei poveri anche senza un diretto rapporto genealogico con esso 244 • Quanto alla situazione in cui si muoveva Giacomo, possiamo unicamente dedurne che i ricchi già incominciavano a far breccia nella comunità e il povero era ormai caduto in dispregio (2,6: i}'t'tµaO"et't'E 't'Ò\I 7t't'WXOV 245 ) (-7 V, coll. rn93 s.) 246.
V. U Apocalisse
In Apoc. 13,16, dove è descritta l'umanità nelle sue varie condizioni, 'lt'tW· x6c; è usato in senso proprio, al pari di 1tÀ.OUO"toç. Invece in 2 ,9 alla povertà materiale (1t't'W)(,det) e allo stato di persecuzione in cui versa la comunità di Smirne, è contrapposta la sua ricchezza spirituale. In 3,17 ambedue le compo.nenti dell'antitesi hanno senso traslato: la presunta ricchezza di Laodicea 247 è, di fatto, povertà m.
2M1 Per lo stile retorico e stereotipo cli 2,x ss.
241 ~ PERCY 70-73.
dr. DIBELIUS, ]k., ad l. Molto audace è il
Perciò solo limitatamente si è potuto parlare di un «rifiorire della spiritualità del povero» (DlllELIUS, Jk. 43); altri argomenti in ScHOEPS, op. cit. <~ n. 24I) 347. 245 Usato in senso collettivo; è significativo che manchi qui tanto la presentazione· teologica (v. 5) quanto l'esemp!Uicazione retorica. 246 In 2,I6 il dovere· della beneficenza è ribadito con più forza . 247 7tÀ.Oucn6c; etµL xa.t 7tE7tÀ.OV'tTJXCL xa.t ouStv xpElav i'xw = non ho bisogno cli penitenza; cosi BoRNHAUSER, op. cit. (~ n. 163) :2.8. Il cod. 2329 ha 7tÉ7t'tlù)Ctl al posto di 7tE7tÀ.oU'tTJxa per non aver capito il tempo del verbo. 248 Il parallelo 'essere yuµv6c;' significa vergogna (3,18); cosl anche la condizione di 7t'tWx6c; non è affatto un ideale.
tentativo di ~ REICKE 338.342-344 cli riferire il passo ad W1 episodio di ambìtus riuscito davanti alla comunità liturgica. Si dovette pensare che come controfigura sarebbe stato più idoneo il Slxmoc; (cfr. 5,6). 241 Per questa traduzione vedi HAucK, Jk., ad I.; DIBELIUS, Jk., ad l .; ScHLATTER, Jk., ad/.; diversamente H.]. SCHOEPs, Theol. ti. Gesch. des Jude11christentums (x949) 350 n. I. In 2,5 sembrano fuse insieme due note formule; 7t'tW)Coc; 7t).ou<noc; Èv 7tltne~ e 7t'tW)CÒc; 't
Cosl WINDISCH, Jakbr. 134; 236 (in forma attenuata).
242
244
-;;•wx~
D v-v1 (E. Bammel)
La formula 'tt'kÀ.al1twpoc; xat ÈÀ.Em1òc; xal 1t'tWXÒ<; xa;t 't"Uq>À.Òc; xa..t yuµv6c; non è testimoniata tale e quale 249 • Pare che i due primi aggettivi costituiscano un'antitesi al v. r7• e che ad essi siano aggiunti gli ultimi tre per pura associazione, allo scopo di dedurne l'ammonimento del v. r8. In realtà i vv. 17b.1 8 costituiscono uno sviluppo che non riguarda più la sola comunità, ma è diretto alla città intera con tutte le attività che la caratterizzano (organizzazione bancaria, arte medica, manifatture) z;o.
VI. La comunità primitiva I termini di fondo con cui gli Atti dànno notizia della comunione di beni praticata nella comunità primitiva sono Y.oLvÒc;, Y.OL\IW\lla, UìLW't'l'}<;, ( = 'm h'r~?) e f:v?ìd1c;, ma non '1t'twx6c;. Dato che queste peticopi non appartengono agli strati più antichi 251 della tradizione, è necessario prendere le mosse non da essi, ma da Rom. 15,26. Se 1t'tWX6c; fu il termine con cui la prima comunità designò se stessa (~ col. 773) e se questo appellativo non va interpretato in modo puramente prammatico quasi derivasse da una effettiva mancanza di disponibilità economiche, il vocabolo dovrà esprimere un'autocoscienza che comprendesse tutti i membri della comunità proprio sotto questo termine. A ciò corri249 Cfr. tuttavia Tob. 7,6 cod. S: 'tUÀ.a.l'ltwpoc;, TUq>À.6W, H.E'lJIJ.OoU\IT). 250 Così giustamente R. H. CRARLES, The Revelation of St. fohn, ICC (1920) I 93. 251 Vedi J. }EREMfAS, Untersuchungen zum Quelle11problem der Ag.: ZNW 36 (r937) 'J.07 e cfr. WENDT, Ag., ad l. L'autore degli Atti ha svolto i particolari che la tradizione gli offriva nella cornice di una concezione di un giusto ordinamento comunitario (vedi F. HAucK, Die Stcllung des Urchr. z. Arbeit ti. Geld [x92x] 99 e ~ v, col. 690) e in particolare dell'idea di una restaurazione dell'eguaglianza primitiva (la formula '1t6.v-.a. xow6. è estranea all'A.T., mentre in greco è un proverbio e nei circoli
sponde il fatto che fin dai primi anni la comunità di Gerusalemme organizzò una struttura livellatrice delle diseguaglianze sociali. Le agapi comuni, la re. sponsabilità dei OWOEX.IX nel Ot!l.XO\IEL\I (~ II, coli. 959 ss.) 252 , il beneficio che i membri traevano da questo servizio, il particolare dei fratelli che vendono i propri beni 251, indicano una comunione che va molto al di là dell'assistenza sociale praticata dalla sinagoga. In quale misura poi comportamenti particolari del gruppo dei discepoli siano stati trasferiti alla più larga cerchia della comunità e quale influsso abbiano esercitato in ciò certi ambienti battisti, non si può dire con sicurezza. Pare comunque che i sette incaricati, d'impronta qumranitica 254, abbiano avuto una parte notevole nello sviluppo dell'ordinamento sociale e che forse per loro influsso abbia avuto luogo una notevole modificazione della struttura della comunità e dell'assistenza ai poveri (esercitata anche al di fuori della comunità?). La persecuzione ben presto sopraggiunta pregiudicò l'efficacia di tutti questi provvedimenti. Nonostante il carattere enigmatico delle fonti, appare chiaro che l'entusiasmo pauperistico del tardo giudaismo, orientato a certi spunti dell'A.T., che operò non in continuità ma a sussulti, si introdusse anche nella chiesa delle filosofici una parola d'ordine; vedi
HAUCK,
loc. cit.); in questo modo egli innalza delle situaziorù concrete a principi normativi. Vedi E. LoHMEYER, Das Abendmahl i11 der Urgemeinde: JBL 56 (1937) 232 s. ~ R.E1cKI! 2 5-28 riconosce un nesso fra liturgia e assistenza ai poveri. m Diversamente da quelle riferite sommariamente, queste sono attendibili; }EREMIAS, op. cit. e~ n.251) 206s. :rn Vedi O. CULLMANN, The Significance o/ 252
the Qumran Texts /or Research into the Beginnùigs o/ Cbristianity: JBL 74 (r955) 220224 .
'it'twxoç
D
VI •
origini e qui esercitò da principio un'azione a largo raggio e poi un influsso più costante in cerchie particolari. Questo fenomeno è quasi completamente ignorato dalla letteratura epistolare non palestinese, ma anche nelle fonti palestinesi si è espresso in forme già in parte inadeguate agli eventi storici.
E. L'ETÀ
SUBAPOSTOLICA
I. Il tardo giudeo-cristianesimo Nei circoli giudeo-cristiani 'bjwn ebbe un uso altrettanto centrale quanta fu la cura di evitare 'lti:wxoc;. Il nome 'ebjonim è attestato nella letteratura ebraica solo in modo incerto 255 • La forma grecizzata 'E~LW\la.i:ot, 'E~LW\l~i:cu o Ebionaei s'incontra per la prima volta in Iren., haer. 1,26,2; 3,II,r7; 2r,r; 4, 3 3 A; 5, I i3. Dell'accezione caricaturale non si hanno testimonianze prima di Origene: oi. 7ti:wxoL 'EPtww1.fot 't'i)c; 7t't'wxe:la.c; ota.\lolq. È7twwµoL, «gli Ebioniti, poveri d'intelligenza, che da questa povertà hanno preso nome» (Orig., princ. 4,3,8 [GCS 22,334]; comm. in 255 M. N., Ober zwei im Talmud vorkomme11de chr. Sekten: Der Orient, Lit.-Blatt 6 (1845) 15, in Shabb. b. u6a congettura, forse a torto, un 'b;w11j in luogo di 'bjd11. Si può invece am-
mettere che con bj 'bjw11j (B. Q. b. u7a), localizzato però in Babìlonia, s'intende una chiesa degli Ebioniti (dr. S. KRAuss, Synagogale Altertiimer [1922] 32). Cfr. anche SCHOBPS, op. cit. (4 n. 241) 21 s. 256 Epiph., haer. 30,17,1 s. (GCS 25,J55); Hier., in Is. r,3 (MPL 24 [1845] 27); 66,20 (ibid. 672 B); Pscud.-Ign., Phld. 6 (ed. W. CuRETON [1849] 95); cfr. Eus., hfrt. eccl. ro,27 6, dove, fo aggiunta, il nome è messo in rapporto con la cristologia del gruppo. 257 Cosl giustamente W. BRANDT, Elchasai (r9l2) 56: la mancanza di 'biw11 in aramaico escluderebbe l'insorgere d'una sua significazione canzonatoria; cfr. E. ScHWARTZ, U11zeitge-
1niisse Beobachtu11gen zu de11 Clemetttinen: ZNW 3r (1932) 190. Anche HARNACK, Miss. 412 s. considera più verosimile che esso sia
E
I
(E. Bammel)
Mt. 16,12 [GCS 4os12]; comm. in Gen. 3,5 [GCS 29,44]), e da allora si è diffuso largamente 256 • Poiché Origene registra anche il senso puramente etimologico (Cels. 2,r [GCS 2,126)), si potrà supporre che l'interpretazione canzonatoria miri a soppiantare un significato più antico e nobile. Si trattò allora di un titolo di onore usato dalla stessa comunità m, e, a quanto pare, soltanto nell'area linguistica greca si cominciò ad alterarne il senso, provocando di conseguenza che venisse evitata la traduzione 7ti:wxol presso gli stessi giudeo-cristiani (~ coll. 782 s.). Se dunque 'bjwnjm rimanda a una tappa iniziale del giudeocristianesimo, è ovvio il collegamento con la comunità primitiva chiamata 1t-i:wxol 253. Sicuramente non va escluso il confluire di elementi essenici, avvenuto nei primi decenni del II secolo 259 • Può darsi che essi abbiano portato a preferire questa designazione ad altre 200 e a farne la caratteristica d'una comunione più intima.
In Simmaco 261 'lt"tWX6c; è la tr~duziosorto in ambiente cristiano. Diversamente op. cit. ( 4 n. 241) 402 s. 258 Cfr. Epiph., haer. 30,17,2 (GCS 25,356): a;1J-.ot Ò~ oijlkv O'Eµ'VV'VOV"'t'm Éa.U"'t'OÙç qi&.O'XO\l"'t'E<; 'lt'tWXOÙ<; OLà "'t'Ò.. . ÈV XP6'VO!.<; "'t'W\I a'ltOO'"'t'6Ì..!.ù'V 1tWÀE~\I "'t'à. CJ;U"tW\I U'ltapXOV'tct. La grande chiesa li identificò con gli eretici contro cui combatté Paolo; cosl già Tertull., praescr. haer. 4,3 (CSEL 70,5). 259 Il primo a supporlo fu CREDNER, op. cit. (4 n. 175) 366. La tesi fu adottata da A. R.ITSCHL, iJber die Erse11er: Theol]bch 14 (1855) 315-356; Io., Die E11tsteh1111g der altkatholischen Kirche (1857) 210 e rinnovata da ScHOEPS,
O. CuLLMANN, Die t1eue11tdeckten Q11mrat1,Texte 11. das Judenchriste11tt1m der Pseudoklementinen, Bultmann-Festschr. Beih. ZNW (1954) 50 S. Cosl CREDNER, op. cit. ( 4 n. 175) 366. 261 Sulla sua appartcnenzxa al giudeocristianesimo vedi E. SCHWARTZ, op. cit. (n. 257) 193; Sc110l!PS, op. cit. (-+ n. 241) 33-37; Io., Aus 2I
1ilJ
mwx6i; E
ne quasi esclusiva di 'iint (fanno eccezione Is. 4r,r7; Ier. 22,r6), mentre coerentemente 1tÉVl]c; rende 'eb;tm 262 • In Eccl. I2,5 Simmaco usa È'ltl1tovoc; per rendere 'ebi~na ™. In ciò egli segue di proposito il metodo (a differenza dei LXX) di non usare l'equivalenza 'eb;on/ 7t't'wxoc; o 'iin1/rr.é.VT1c;. Poiché non si nota alcun interesse per questi ultimi termini 264 e d'altra parte È7tl1tovoc; è da lui inteso come nome onorifico, bisognerà cercare nei primi il motivo dell'accurata distinzione 265 • Poiché 'ebjonlm era il nome con cui il gruppo designava se stesso, Simmaco ha voluto che il termine rr.'t'wx6c; non avesse niente a che fare con la sua comunità. Pare che egli non si limiti ad applicare radicalmente una traduzione già in uso, ma introduca una innovazione: il titolo di rr.'t'wx6c; caduto in discredito viene addossato ai giudei che si identificavano con gli 'njim. fruhchristl. Zeit ( I9JO) 82-88. Scettico R. BuLT· MANN nella recensione di H .J.ScHOEPS, Theol. u. Gesch. des Judenchristentums: Gnomon 26 (19J4) 180. 26Z SCHOEPS, op. cii. (~ n. 241) 352 S. 1.63 Probabilmente è questo il nome usato da una comunità di giudeo-cristiani per designare se stessa; cfr. ScHOBPS, op. cit. ("' n. 241) 355360. In altro modo va interpretato Prov. 15,15 (7téiUitL ul 1)µlpitL "tOU 'l'C"tWXOV [ ='ni=·n7>v
xuxwv o'] 7tovl)pitl [ = 7tpo
o']) dove si parla cli una caratteristica negativa del 7t"tWX6c;. 264 'n; non è mai stato usato come autodesigna.zione di una comunità; nel giudaismo contemporaneo è un titolo onorifico. us ScHOEPS, op. cit. ("' n . 241) 250-260 argomenta a rovescio, ritenendo però illogicamente che l:tcl'ltovoc; sia l'appellativo onorifico della comunità che si trovava in rapporto con Simmaco. 266 Cfr. G. STIIBCKER, Das Judenchristentum der Pseudoklementinen, TU 70 (19J8) 41; H . ] . ScHOEPS, Die Pseudokle111entinen 11. das Urch.: Zschr. filr Religions- u. Geistesgeschichte IO (I9J8) 4-7. u 7 'lt"twx6i; è presumibilm~nte la lezione ori-
I
(E. Baromel)
Del tutto analoga è la situazione ne]
corpus pseudo-clementino. Mentre nella
patte più antica 266, che l'autore dello scritto di fondo aveva mutuato da fonte precedente u 7 , è ancora menzionato e difeso~ il macarismo dei 1t't'WXOt (Pseud.Clem., recogn. I,61,2), nella compilazione di recogn. 2,28'3 Gesù è già indicato come "Tovc; r.ÉVTJTO:<; µo:xa.plçwv e in Pseud.-Clem., hom. 15,ro,4 si spiega addirittura che la beatitudine non si riferisce né ai 7t-rwxol né ai 1tÉVTJ't'Ec; 2HJ in quanto tali, ma ai mcr-roL 1tÉ\11')1."l':c; 270 • Altri passi con 7t't'wx6ç non si hanno in questa raccolta. Così non solo il vocabolo è abbandonato, ma si compie anche un distacco da un ideale di povertà esteriore 271 • Negli scarsi frammenti dei vangeli giudeo-cristiani stupisce che, nella scena del giovane ricco invitato ad alienare i propri beni, si accenni esplicitamente ai ginaria, ma nÉ\IT)c; non si può escludere in modo assoluto. Peraltro non senza rimaneggiare la testimonianza profetica alla quale nello stesso tempo si rimanda.
268
Ciò non esclude che il vivere da 1tÉVT1c; fosse per i ctistiani acconcio ed ideale (Pseud.Clem., hom. 2,20,12; 12,6,7).
W
Occorre notare che in ambedue i passi il pensiero è chiarito mediante il concetto di l1tLDvµla.: scopo del macarismo è liberare dall't:n:Lllvµlr.t (Pseud.-Clem., recogn. :z,28,3); ma esso non riguarda i n"twxol, perché in loro NmllvµE~v non ha bisogno di essere spento (Pseud.-Clem., hom. 15,I0,4). Viene cosl messo in luce un movente della limitazione. Questi passi appartengono n strati che non si possono considerare con sicurezza come giudeo-cristiani; dr. STRECKER, op. cit. ("' n . 266) :z:r5. Giudeo-cristiani li considera SCHOEPS, op. cii. ("' n. 241) 5:z. ZIO
271 Ciò non esclude però l'esigenza di dare i propri beni ai bisognosi fino ad arrivare a uoa vera mvlu (fseud.-Clem., hom. :r2,32,3), anzi all'orrore della proprietà ("t~ x-rii~"ta. àµup.-1]~"tit : hom. 15,9,3).
n-.wxoc; E
II
figli di Abramo che muoiono di fame m, mentre d'altra parte l'uomo dalla mano secca chiede di essere guarito ne turpiter mendicem cibos (Hier., in Mt. I2,I3 [MPL 26 (1884) 8oD]). II primo macarismo era riportato in una forma vicina a quella di Luca v 3, e Pseud.-Clem., recogn. 2,29,2 cita un «guaì!» particolare contro i ricchi che non pensano agli ÈVOEEiç.
II. I Padri apostolici La parenesi della chiesa primitiva riprende in primo luogo la raccomandazione della beneficenza nella forma delle due vie, che essa mutua dalle raccolte di sentenze della diaspora giudaica. Come controparte figurano gli oùx EÀ.EOU\l"t"E<; 7t't'WX6'V, ... à7tOCT't'pEcpO~'VOt 't'Ò\I ÉVOEOµE\10\1, ... 7tE.V1)'tW\I &voµot xpt-rrtl, <<non
(E. Bammel)
ca del sentimento (cfr. Barn. 14,9: foo:yyEÀlo-cx<1i}cxt 'tanm1oi:i;) e che concepiva perciò i n-rwxol - intesi assolutamente come poveri in senso sociale - quali oggetti dell'aiuto che si deve essere dispo· sti a dare. A questi poveri è attribuita una situazione particolare solo nel senso che la loro preghiera gode di una speciale efficacia (Herm., sim. 2 ,5-8; I Clem. 15,6=~ rr,6 274 ). Soltanto Madone, che vede nei macarismi la proprietas della predicazione di Gesù, ha insistito nel dire che la buona novella è in funzione dei poveri 275• Una diretta identificazione di cristiani e pauperes fìgura unicamente in Minucius Felix, Octavius 36 'Zl6 , ma potrebbe essere dovuta alla polemica con tra i pagani 277 •
chesi suppone cosl delle differenze socia7tpae.i:i;, nella raccomandazione di frequentare i 't<.t'ltEtvot xat olxatot (='nwjm w~djqjm: Did. 3,9; cfr. Barn. I9,6), è ravvisabile un persistente influsso di quel pauperismo entusiastico che era stato ridotto ad eti-
La beneficenza viene praticata da un lato con le elemosine (2 Clem. t6,4; Polyc. 10,2; Did. 15,4), dall'altro con il ministerium pauperum m, che ha il suo posto nelle istruzioni circa l'ordinamento della comunità (const. Ap. 7,29,2; Herm., sim. 5,3,7) come pure nelle pagine apologetiche che descrivono. la vita delle comunità stesse m. È chiaro che qui ci si ispira alla tradizione delle opere di carità giudaiche (cfr. Aristid .. apol. 14,3 con I5,7 s.) collegandola nel-
m Orig., comt11. in Mt. 15,14 (testo in E.
Zl6
hanno pietà del mendico, ... respingono
il bisognoso, ... giudici ingiusti dei poveri» (Did. 5,2=Barn. 20,2) . Se la cate-
li, nella figura ideale dei
KLosTERMANN - E. B1rnz, Zur Oberliefertmg der Ma11hiiuserklaru11g des Orig., TU 47,2 [193x] 91,33 ss.; cfr. A. SCHMIDTKE, Neue Untersuchrmgen :tr1 den judenchrisllichen Ev., TU 37,1 (19u) 290. m µaxapl!;wv -.oùç ·wcwxovç: Pseud ..Clem., recogn. 1,61,2; per 1a soggiacente tradizione particolare, dr. H. WAITZ, Bine Parallele zu den SeligpreisrmgetZ aus einem a11sserkanonischen Ev.: ZNW 4 (1903) 335-340; -.oùc; 1tÉVT)'t~ µcixetpl~wv: Pseud.-Clem., recogn. 2, 28,3. Z74 È questa la premessa per una teoria del livellamento sociale sviluppata da Erma in questo passo; ma il suo punto di partenza passa tosto in secondo piano {cfr. già :i Clem. 16,4). 275 HARNACK, Marcion e~ n, 219) 127.
Ed. J.MARTIN (1930).
Per i Giudei quali mendicanti dr. Iuv., sai. 3,16; 6,543; sebo/. a Iuv. 4,u6 (ed. P. WESSNER [1931) 64). Poiché nella contro-po· lemica non c'è nulla di giudaico, pare che si tratti di una trasposizione di questa ingiuria ai cristiani, piuttosto che del semplice ricalco di una fonte giudaica. 277
278 ne/; Ptr. 17, dove si ha un concetto superio· re del servizio n viduae, orfani, pauperi (cfr.
Polyc. 6,r ).
m Aristid., apot. 15,8 s.: dar sepoltura al 1tÉ'111)c; (la traduzione greca non è sicura; cfr. J. GEPFCKEN, Zwei griech. Apologeteu [ 1907] 82 n . 1), aiutare (anche con l'astensione dal
cibo) il lfovM>c; e il 1t~vric;, liberare i prigionieri. Cfr. Iust., apol. 1,67; Tertull., apol. 39,6.
7t-rwx.6c; E n (E. Bammcl)
l'ambiente giudeo-cristiano, se pure in modo non esplicito, ad una interpretazione particolare delle norme veterotestamentarie riguardanti le decime (const. Ap. 7,29,2; Did. 13,4). La tendenza ascetica 280 nella chiesa primitiva condusse ad un atteggiamento di rifiuto della proprietà senza che peraltro ne nascesse un maggior interessamento e impegno a favore dei poveri 281 • È vero che i continenti sono chiamati di per sé m:vll)v 1toi}fov·rn; (Sib. 8,281) e 'nj nel siriaco cristiano diventa il nome specifico degli asceti, ma in genere il vocabolo manca quando si descrive il loro ideale di vita m. Nei macarismi ascetici degli Atti di Paolo e di Tecla quello dei poveri non figura. Soprattutto si opera una trasposizione del problema sociale: dò che costituisce la vera ricchezza è la mancanza di desideri m e la vera povertà consiste nel non conoscere se stessi 284 • Per coerenza si viene a dire che il dare per i martiri vale di più che il dare pel' i poveri (const. Ap. 5,1,4, aggiunta).
La situazione è analoga nell'ambiente gnostico. Per l'avversione alla ricchezza nel Vangelo copto di Tommaso cfr. J. LEtPOLDT, Ein
2Ml
11et1es Ev.? Das kopt. Thomasevangelittm iibers. u. erklart: ThLZ 83 (1958) 496. 281 Ciò vale anche per le sentenze di Sesto, considerate a torto favorevoli ai poveri, sulle quali influisce piuttosto l'ideale stoico delnyxpa·ma. (ed. A. ELTER [1892] 18.49.82b. 137.267.294). Ad eccezione di test. D. 5,13 (interpolazio· ne cristiana).
2B2
'lt).oihoç lipLCT'tOt; ii "tW\I l7tL1Nµ!.Wv 'ltE\lla.: Clem. Al. (K. HoLL, Fragmente vorniciinischer Kirchenvater, TU 20,2 [1899] 86 nr. 189).
283
284
H. G. E.
WHITE,
Tbe Sayings o/ ]eStts
Nella teologia ordinaria della grande chiesa il male non consiste nella ricchezza in sé, ma solo nell'attaccamento ad essa (cfr . .Mc. 10,29 var., e anche lren. haer. 4,30); e tanto meno la povertà è glorificata in sé; anch'essa può costituire un ostacolo alla conoscenza di Dio (Clem. Al., paed. 3,35,1; strom. 4,21,1). Tanto più vivamente continua ad essere raccomandata l'elemosina, meno però in considerazione dei poveri 285 che della salvezza di chi dà 286 • Questo punto di vista si è sempre più imposto e ha trovato la sua espressione pregnante nei tardi Padri della chiesa 287 , i quali a proposito di disposizioni testamentarie esigevano che si pensasse alla propria anima, cioè ai poveri, prima che al corpo o ai discendenti, o almeno ad entrambi in patti uguali 288• Per quanto questo principio costituisse uno stimolo efficace, l'accetta· zione di schemi greci che vi era congiunta fìnl per oscurare quasi completamente la concezione del povero ricevuta in ere· dità dell'A.T. e dal tardo giudaismo. E.BAMMEL
(1920) 31 (tentativo di integrare il testo). Soltanto una visione rimasta isolatamente ottimistica poté sperare che su questa strada si arrivasse alla scomparsa della povertà (Doctri11a Petri, HoLL, op. cit. [ ~ n. 283] 234 nr. J03: xcxi oò1ìd<; fo-raL 'ltÉ\l'Tl<;). 286 In confronto a ciò è già un segno di straordinaria superficialità il fatto che in acf. Ptr. 30 anche la dignit~ morale della donna che fa l'offerta appaia irrilevante. m Qui, a quanto pare, 7tÉ\ll'}c;, llE6µ.ivoç ecc. sono preferiti all'uso di 'lt'tWX.6<;. Nel l i sec. si può accertare ancora una leggera prevalenza di 1t'tWX6<;. 288 Testi in E. F. BRUCK, Kirchenvater und soziales Erbrecht (1956) 30-41.72-75; ID., Totentcil tmd Seelgeriit (1926) 315 s. 285
1tuyµi}
t
1tUyµ1J,
i"
I
(K. L. Schmidt)
7tUX't'EUW
1. 1tUyµl] deriva, come l'avverbio 1tVl; ( = col pugno, a pugni) e il sostantivo 1tUX"t'fl<; = pugilatore, dalla radice peug-, presente anche nelle parole latine pugneus, pugna, pugnare, pungere ecc. 1, ed è attestato sin da Omero. Nei LXX rende 'egro/ (Ex. 21,18 2 ; Is. 58,4). Fin dall'antichità 1tuyµl] signifìca pugilato. Cosl nelle locuzioni 1tuyµi} VLxav (ad es., Hom., Il. 23,669) e 7tuyµ1)v à
In Mc. 7,3 (Èàv µ1J TCuyµlj vl4iwv'tet.L -ràç xdpcx.ç) 7tuyµlj risulta per la critica
testuale 5 malsicuro e per l'esegesi problematico 6 anche se è di per sé certo che qui TIUyµl) significa pugno 7 . Se si accetta per buona la lezione nuyµl} si spiega il testo supponendo che ci si lavasse le mani in uno dei seguenti modi: sfregando una mano chiusa a pugno (1tuyµl]) nel cavo dell'altra mano, o ci si lavasse fino al gomito, o si lavassero le nocche della mano 8 , o anche che ci si lavasse «con un pugno (=manciata)» d'acqua 9 , a meno che non si tratti addirittura della licenza di uno sfregamento fatto semplicemente con le mani asciutte m. La frase aramaica originale doveva comunque aver suonato più o meno cosl: 'n l' nfljn jdjhwn lfp{J. Ora !PP
introducendo il valore avverbiale di frequente· mente, molto (cfr. Le. 5,33: VlJ!T"tEÙOVOW 7tUX· AVVERTENZA. Questo articolo è stato rielabovii e sulla questione F. ScHULTIIEss, Ztlr Sprarato per la stampa da S. ScHULZ. che der Ev.: ZNW 21 [r9:zz] 232; riserve I Vedi WALDE - PoKORNY 11 828 (peug-); avanza STRACK-BILLERBECK n 13 s.). Sono staScHWYZER 1 620. te proposte varie congetture, sulle quali espri2 Parallelo a 'pietra', altrimenti 'zappa', 'marme un giudizio critico LoHMEYER, Mk., ad l. i-a', secondo KoEHilE.R-BAuMGARTNER, s.v. 6 WELU!AUSEN, Mk., ad l.: «Non sappiamo 3 Vedi PAssow; PAPE; LIDDELL·ScoTT; PREI· che cosa significhi miyµi\ ». smKE, Wort. 7 Gli antichi lessicografi dànno la seguente definizione: M.v ouyxÀ.El
mJyµi)
1-2
(K. L. Schmidt)
signìfìca tanto palmo della mano quanto brocca (cfr. ]oma b. 3oa). Il significato primitivo aramaico del breve inciso sarebbe dunque stato: «i Farisei. .. non mangiano se prima non si lavano le mani in una (particolare) brocca= !PilJ» 11 • Negli apologisti il termine è usato soltanto da Taziano (or. Graec. 4,r e 26, 3 : wcr7tEP Ewç J F.v 7tuyµfi O'VyxpovEw e da Giustino (dial. r 5 ,3: citazione di Is. 58,4).
»
2 . Dei
molti termini derivati da 7tUY-
µ1} nell'ambito dell'antico sport del pu-
gilato, nel N.T. troviamo soltanto il verbo 7tlJX'tEVW = praticare l'arte del 7tVx't'l']ç, fare il pugilato, combattere come pugile 12 ; dr. 'tt<; èç cròv xpéi:i-' ènux·nucre:v (Eur., cyc. 229); 7tUX'tEVEW xoct nocyxpoc'ttoc~rn1 (Plat., Gorg. 456d). Esso è usato solo a partire da Senofonte e Platone. Dato il favore che godeva questo sport, questo Et8oç yvµvacrlov xat 1taÀalC1'tpct.<; 13 , non è affatto strano che 7tUX'tEUELV possa essere usato anche figu11 Cfr. P. R. Wmss, A Note 011 ITYI'MHI: NTSt 3 (1957) 233-236. I! Vedi PAssow, s.v.; PAPE, s.v. U Cosl Suidas, s.v. e ancor prima Phot., !ex., s.v. li Cosl traduce LIETZMANN, r Kor., ad l. Sinùlmente anche altri traduttori. Lutero: «Combatto dunque non come chi colpisce l'aria»; O. HoLTZMANN, N.T.: «Meno il pugno come chi non colpisce l'aria»; H. D. WENDLAND, Die Brie/e an die Korinther (N.T. Deutsch 7 [1954]): «Pratico il pugilato, ma non come uno che mena colpi a vuoto»; J. MoFFAT, The First Epislle of Paul to tbe Corinthians (MNTC [1954]) ad l.: «Non piazzo, no, i miei colpi a vuoto». 15 Però il testo dice ben due volte non oùx bensl où... e il significato esatto va ricercato partendo dall'espressione parallela
wr; ...,
wr;
ratamente, come avviene in I Cor. 9,26: oihw<; 'ltUX'tEUW Wç OÙX &tpcx. of.pwv, «pratico il pugilato, ma non come uno che mena colpi all'aria» H. Gli esegeti sono da sempre discordi nel decidere se questo 1tUX'tEUEt'V, che è un El.ç òlpct. OÉpi::w, vada inteso in riferimento ad un avversario presente o assente 15• In real· tà l'immagine può essere intesa in due modi: a) questo pugile, dal quale Paolo vuole distinguersi, non colpisce l'avversario che gli sta davanti perché è poco abile e cosl manca l'avversario e colpisce l'aria 16; b) questo pugile, dal quale Paolo vuole distinguersi, colpisce l'aria perché, non volendo affrontare un avversario, non ha nessuno davanti a sé: non combatte sul serio, ma ama la crx~cx. µaxla., che consiste nel far esercizi di pugilato all'ombra, a casa o in palestra, e non dove si svolgono i veri incontri; op· pure: combatte con le ombre, davanti allo specchio 17• Il pugile può del resto oùx ào'l)À.wç. Il passo va dunque tradotto «io corro come colui al quale non manca una meta fissa (cioè come chi ha una meta precisa), lot· to come uno che non colpisce l'atia a caso (ma mi alleno sistematicamente)». [lliBRUN· NER] . Per la storia di questa esegesi si veda FIEINRICI, I Kor., ad I. 16 Cfr. JoH. WEiss, r Kor., ad/.: «Un pugile che invece di colpire con precisione l'avversa· rio batta (o~pE~) l'aria non è abile né concentrato né disciplinato. Ciò corrisponde all'àoiiM..ir; "tPéXEL'V». 11 Cfr. BACHMANN, I Kor., ad l.: «...un pugile ... che colpisce l'aria senza un chiaro riferimento ad un avversario (dunque non uno che manta l'avversario). E questo è il significato linguistico della parola stessa. Cfr. Eustath. Thessal., comm. in Il. 7,39 (u 139,36 s.): Ò
µ6voc; ÙJç
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O'Xtctµa.xlq. µa.x6µE'Jor;
X<Xt
O
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./) .J
,.
793 (v1,916)
'ituyµfi
2
(K. L. Schmidt)
comportarsi in questa maniera anche e chiaro, tuttavia non è possibile interquando c'è un vero avversario: prima pretare con sicurezza l'immagine, perché d'iniziare l'incontro i due atleti si scal- a sostegno di entrambe le possibilità esidano colpendo l'aria con i pugni, ovve- stono esempi di scrittori antichi 19• ro dando dei colpi a vuoto 18 • Per contro Due begli esempi, paralleli al testo l'Apostolo non vuole comportarsi come paolino per forma e contenuto, ci sono un simile pugile che si perde in questi forniti da Fazio. Nell'ep. 2,roo (MPG colpi vani, che prima mena colpi a van- ro2 [r86o] 9r6B) egli dice: oihE xa:tèL. vera, che dunque non fa subito sul se- qilÀ.w\I, ri)..Xovoè xa-.' Èxi}pw\I w7tÀ.tcrocµEi>oc ~ÉÀ.1) xoct -.6!:,a xa.t 7tt:t.pa•ri!;w;· rio. Non è possibile decidere con cer- xai 7tOÀ.Eµlovc, xa.t àcr1tlo~ òvEtpw.-tezza se Paolo voglia mettere in risalto -rov>Ec;, wcrm:p oi 7tpÒc; à.Époc 'ltVX'tEV0\1il successo nello scontro o il mettersi a 'i:EC, (qui cttm aere depugnant )• fi).).' Ù7tÈp lottare sul serio. Forse si può supporre
<paOW aÉpa oalpWV>}. Dunque come un assalto dimostrativo in un
18
duello. Cfr.
BENG!lL, ad l.: Pt1gilat11m curmi prae ceteris certimdi generibus adiicit Pa11l11s wi;; oòx &Jpa. 8tpwv, 11on quasi aifrem verberans. In sciamachia, q11ae certa111i11i serio praemitteretur, solebant aiirem verberare. 19 Ciò vale per i paralleli raccolté da WETT-
STEIN, ad l. In questa· documentazione troviamo, oltre al passo di Eustazio citato dal BACHMANN, r Kor., ad l. (~ n. 17), altre due cita· zioni dell'antico commentatore d'Omero e ul· teriori paralleli. 20 Thes. Steph., s.v. menziona i due primi passi con l'annotazione figurate, ma non la citazione paolina.
'ltubw'll rn-b (W. Foerster)
t
'1tvì}w..,,
l. Due sono i significati di TIMwv attestati in greco. a) Anzitutto è il nome del serpente che protegge l'oracolo di Delfi e che sarebbe stato ucciso da Apollo(~ rx, col. 33 n. 47). Pare che in origine Delfì fosse un oracolo ctonio 1• Ma solo Igino afferma che lo stesso serpente Tivi)wv dava responsi: Python Terrae fi.lius draco ingens,- hic ante Apollinem ex oraculo in monte Parnasso responsa dare solitus erat 2 • La stessa cosa è probabilmente presupposta anche da schol. ad Pind. 3 • Ma anche questi due passi concordano con la tradizione comune nell'affermare che fin da tempi remoti il pitone è morto e l'oracolo viene comunicato da Apollo 4 • Questo sigrùficato quindi non consente di spiegare Act. 16,16.
b) In secondo luogo dall'inizio dell'impero romano 'ltui>wv sta a indicare un ventriloquo. Il testo più antico è Eroziano grammatico (del tempo di Nerone) che nello spiegare Hippocr., epid. 5 ,63,7 dice: tyymr-cpiµui)oL' o\}ç Tili}wvaç 'tL\IE<; xaÀ.oucnv· Eu't'L 8È 't'W\I i'fo(l.ç
Elpl)µÉvwv, «ventriloqui, che certi chiamano pitoni; è un hapax legomenon» 5 ; inoltre Plut., de/. ol'ac. 9 (n 414e): EU'r]i)Eç yap ÉCT'tL xat 'ItctLOtXÒ\I xoµLOfj 't'O OLEO'il'O'.L 't'Ò\I 1}EÒ\I av-còv Wo"1tEP (dç) 't'oùç Èyycr.cr.. pLµu1}ouç, EvpuxÀ.Éaç n6.À.aL wvt oÈ IIMwvo:ç -;tpocrayopwoµÉvouç, ÈVOuoµEVOV Elç 't'èt. crwµa:ra 't'WV 7tpO(jl1)'t'W\I Ù7toq>1}ÉyyEcri>m, 't'OLç bcEl\1!.ùV cr•6µacn xat cpwvo:i:ç XPWµEvov òpyavoLç, «è quanto mai puerile e sciocco ritenere che lo stesso dio, come avviene nei ventriloqui detti un tempo Euriclei e ora Pitoni, entri nel corpo dei vaticinatori e parli servendosi della loro bocca e della loro voce come di strumenti». In questi due passi Éyyrur't'plµutl'oç è sinonimo di 'ltuì}wv e significa il ventriloquo per bocca del quale, però, secondo molti parla un dio, come risulta dall'oppugnazione di Plutarco. La stessa diretta identificazione di ventriloquo e 7tMwv si trova in Agostino, secondo il quale i pythones stanno sullo stesso piano dei sortilegi e mathematici 6 . Simile è l'interpretazione fornita da uno scolio a Plat., soph. 1, Esichio 8 e Suida 9 ; presso gli ul-
7tMW'll
J
J.
De antiqflorum daemonismo, RVV vn 3 (r909) 59 s.; A. WIKENHAUSER, Die Aposlelgeschichte und ihr Geschichtswert, NT Abh 8,3/5 (r921) 4or-407; H. LEISE'GANG, Pneuma hagion (r922) 36 s.; Tn. HoPFNER, Griech.-
Jes françaises d'Athènes et de Rome 170 (1950) 64 s. Si vedano inoltre i commentari ad Act. 16,16. 1
H. W. PARKE and D. E. W. WoRMELL, The Delphic Oracle I (1956) 3-16. 2 HYGINUS, fabulae 140 (ree. H. J. Rosn [1933]).
Schol. a Pind., Pyth. (ree. A. B. DRACHMANN
II [ 1910] 2): tha. gPXE"ta.~ (scil. Apollo) l7tt '\'Ò µaV"tEto'll, l'll iI> 'ltphl"t'l') Nù~ ÈXflTl~lìEV
797 (VI,918)
7tUUWV IO l w. rot:r~ccr1
\ \ 1.";)J.UJ /";)V
timi due testi citati affiora inoltre l'idea, parlasse un altro e che le sue parole fosdi cui tratteremo più avanti, che 'ltvl>wv sero profezie: esattamente ciò che Plusia uno spirito vaticinatore. Tuttavia nei tarco presuppone nel passo citato alla~ primi secoli dell'impero romano 'ltut>wv col. 796. Quanto alto fosse il prestinon indica uno spirito che parla median- gio di Euricle risulta dal fatto che gli te il ventriloquo, ma la persona stessa Ateniesi gli hanno innalzato un monudel parlante. L'arte del ventriloquio in mento 12• D'altronde i ventriloqui erano linea di principio è accessibile a tutti, molto stimati come indovini, secondo anche se in effetti è posseduta solo da quanto attesta anche Clemente Alessanpoche persone e può essere usata a pia- drino, che accanto agli oracoli di varie cimento 10• Il primo ventriloquo di cui località menziona gli àÀ.wpoµci.v-.rn;, si parli nell'antichità greca è un certo xptt>oµavnLc; xcx.L 'toùc; Ei.crÉ'tt 7tapà ..-oi:c; Euricle dei tempi di Platone e Aristo- noÀ.Ào~c; ..-E..-tµ'l}µÉvouc; tyya.
Ilv-
·rnc6v, s.v. éyya.ui:plµu&oç: i:ovi:ov i'nu~c; ilwva. vuv xa.À.ou~v. 9 Suid., s.v. IIU!twvoç: èìa.~µovlou µa.vi:~xou, s.v. lyya.cri:plµul}oç: è.yya.o-i:plµa.vi:~ç· èìv vvv i:wEç Ilvfrwva., dr. Cyrill. Alexandrinus, commentarius in Isaiam prophetam 4,2 (MPG 70 [1864) 944 Cl: lyya.
ouc; µa.v"tda.v xa.t lìLa\loLa.v Et<; <Ì.À.À.oi:plac; ')'a.O"i:Éptt.ç Évèìvc; xwµcvl>Lxà. 7to).M XÉrx.
799 (vr,918)
1tV&wv ib - 3 (W. Foerstcr)
detto 'pizio' e benché si narrasse che già da molto tempo il serpente pitone era stato da lui ucciso, il serpente come tale era ancora considerato l'animale mantico per eccellenza (~ IX, col. 32). C'è poi da aggiungere l'idea desunta dall'etimologia che la Pizia traesse ispirazione dalle esalazioni che venivano dalla carogna in putrefazione del serpente pitone 15 • L'idea che 1tUDwv sia stato uno spirito divinatorio che animava gli indovini non è attestata in ambienti pagani dei primi secoli dell'impero romano. 2. I LXX con Èyya.O"'tplµuì}oç hanno tradotto l'ebraico 'ob solo o in vati nessi 16• Il significato del termine ebraico è incerto 17, mentre è evidente che la traduzione greca si riferisce a un ventriloquo; solo in un passo (1 Bcx.
Pizia. 16 'oh = lyya.
(Vl,919}~00
dalla connessione col testo ebraico. 3. In questo episodio l'indovina di Endor fa ricorso alle arti della necromanzia; perciò Flavio Giuseppe presenta nella sua parafrasi tutti gli Èyya
=
distinti dagli éyya.a-rplµvftoL (iidd"on1m); in De11t. 18,u la necromanzia è distinta dallo IO'él 'oh = ~yya.
19 Sanh. 7,2: b'l 'wb zh pitwm hmdbr mifiiw; Sanh. b. 65b (hmdbr bin prqjm); T. Sanh. ro,6; S. Delll. § 172 a 18,u; S. Lev. a 20,27; STRACK-
BILLERBECK II 743·
W Lev. 19,:p; 20,6;
1
Sam. 28,3.9;
.2
Chron.
33,6. 21 De11t. 18,n; I Sam. 28,7 s.; 1 Cbron. 10,13 (pytho11issa); Is. 8,19; 19,3; 294; .2 Reg. 21,6; 23,24. pytho11ic11s spiritt1s: Lev. 20,27. 22 STRACK-BnJLERBECK u 743.
esatti!.!. In un primo tempo il rapporto diretto tra ventriloquio e necromanzia fu supposto soltanto in base ai LXX e solo in seguito fu generalizzato 24 • In Sib. 3,226 gli &yya
µoviJ).. tjivx'l)v xì..'r}ftiivctt intò 'tijç iyycw-tpLµvfrov. La concezione opposta si trova in act. Pio11ii 1 ,2 ss. (R. KNoPF - G. KRUGER, Ausgewiihlte Miirtyrerakten 1 [ 1929]). 24 Suid., s. v. ÈyyctO''t'plftuµoç : etihat (scil. yv· vaixEç tyya1nplµvf}ot) -tàç -.wv -tE!h>11x6"tWV IJiuxàc; ÈSEXCtÀ.OUV'tO. µi.il, 8È CtV"tWV txff/iO'et"tO i:aov)... 25 26
P" E e i codici della recensione ~ . 'ltufrwva. nel senso di apposizione:
PREU-
spirito che parla dal ventriloquo 27 • Questa equiparazione di demone e demoniaco si trova anche nei vangeli (Mc. 5,7 ss. e brano parallelo di Luca) e può avere indotto l'autore degli Atti, e in seguito i Padri della chiesa, a trasporre il termine 1tuDwv dal ventriloquo allo spi· rito che parla per mezzo suo. In ogni caso Act. 16,16 signifìca che la giovinetta era una indovina ventriloqua e pertanto aveva rapporti col mondo demoniaco. Act. 16,17 indica il modo di esprimersi della giovinetta col verbo xptl.sEw, ma ciò mal s'adatta al tipo di suoni emessi dal ventriloquo. Abbiamo però anche esempi di ventriloqui che parlano ad alta voce 23• Più seria è l'altra considerazione che nel ventriloquo scorge un modo di parlare che può essere prodotto a piacimento, per cui tutti i ventriloqui che .si fanno passare per indovini non sarebbero che mistificatori e quindi per Act. 16, r6 non si dovrebbe parlare di esorcismo. Dobbiamo però ammettere che per la giovinetta, come probabilmente per gli individui menzionati da Origene {~ coll. 803 s.), l'arte del ventriloquio e il dono (vero o presunto) della profezia costituiscono una unità indissolubile. 5 . Presso i Padri della chiesa 1t1'iDwv Apostg., ad l.; F. F. BRUCE, The Acts o/ the Apostles (1952) ad l.; HAENCHEN, Ag., ad l. «Spirito di nome pitone»: ZAHN, Ag., ad l.; PREUSCHEN-BAUER5, s.v. rimanda ad livl}pw7tOç ~aO't°Muç dei vangeli. BL.-DEBR.' § 242: spirito pitonico, come &vopEç 'Ath]vaiot=Ateniesi: aggettivazione di nomi personali. SCHEN,
n act. Pìonii r4,7: 7tWç 'l'Jouvc.t'tO 'li ao~xoç Éyyet
mJÀ:I'} A (Joach. Jeremias)
indica non il ventriloquo, ma lo spirito che per mezzo suo parla. Pseud.-Clem., hom. 9,16,3: où yà.p Et ·n µct\l"t'EUE"t'ctt i>E6c; écr-rw· o"t't xaL 7tvi>wvEc; µavnvov·m~. à.À.À.'vcp'1)µW\I wc; Òa.lµovEç ÒpXLSOµeVOL cpuyaOEVO'\l"t'CI.L, «infatti se predice qualcosa non è dio; poiché anche i pitoni profetizzano, ma sono da noi scacciati come dèmoni mediante esorcismi»; Orig., princ. 3 ,3 ,5: alii a prima aetate daemonem, quem Pythonem nomi-
nant, id est ventriloquum, parsi sunt; identica è probabilmente l'idea che sta alla base di Hier., in Is. 8,20 (MPL 24 [I 845] 12 3 A): quaerite ventriloquos, quos pythonas intellegimus ... et qui de terra loquuntur, quod in evocatione animarum magi se facere pollicentur; infatti la prima parte della frase significa che 'noi' abbiamo riconosciuto i ventriloqui quali demoni pitoni (altre indicazioni -7 nn. 8 e 9). W . FOERSTER
7tUX"t'EUW ~
t
nvÀT},
t
~ lhJpa 1v,
coll. 791 ss.
7tUÀ.W\I
coll. 605 ss.; xÀ.dc; v, coll.
A . 'ltUÀ:f)
E 'ltUÀ.WV IN SENSO PROPRIO
547 ss.
A. 'ltVÀ.'CJ e 7tU'ì.Wv in senso proprio. B. La porta stretta (Mt. 7,IJ s.). C. Le porte dell'Ade (Mt. 16,18)
In senso proprio nel N .T. 1 1) wÀ:ri indica a) la porta della città: Hebr. 13, 12 (Gerusalemme); Le. 7,12 (Nain); Act. 9,24 (Damasco); 16,13 (Filippi); in questi casi la porta sta a indicare
1tUÀ.TJ, wÀ.wv
3I6-320.424.436-445; BULTMANN, Trad. 148 s.;
SOMMARIO:
PREUSCHEN-BAUER1, s.v.
Per C:
W. KOHLER, Die Schliissel des Petms : ARW 8 (r905) 214-243, spedalm. 222-224; A. DELL, Matthiius r6,17-19: ZNW 15 (1914) 1-49, specialm. 27-33; O. lMMISCH, Matthiius 16,18: ZNW 17 (1916) 18-26; A. v. HARNACK, Der Spruch iiber Petrus als den Felse11 der Kirche: SAB ,32 (1918) 637-654; S. EURINGBR, Der loctH classicus des Primates (Mt. r61 18) und der Diatessarontext des hl. Epbriim, Beitrage zur Geschichte des christlichen Altertums und der by:zantinischen Literatur, Festgabe A. Ehrhard, ed. A. M. KoENIGBR (l922) J41-r79; STRACKB1LLERilECK I 736, IV rn87 .rn89; JoAcH. ] EREMIAS, Golgotha (l926) 34-88, specialm. 68-77; O . W EINREICH, G ebet tmd \f/rmder, Tubinger Beitrage zur Altertumswissenschaft 5 (1929)
J. KROLL, Gott und Halle. Der Mythos vom Descensuskampfe, Studien der Bibliothek Warburg :zo (l932); A. 0EPKE, Der H ermspmcb iiber die Kirche Mt. z6,z7-r9 in der neuesten Forscbung: Studia Theologica 2 (i948) no· 165; J. Lunwm, Die Primatworte Mt. z6,18.19 in der altkirchlichen Exegese, NTAbh 194 (l952) 44.66.70; O. BnTZ, Felse11111a11n 1111d Felsengemeinde: ZNW 48 (1957) 49-77; dr. inoltre i commentari 3 Mt. 16,18. Circa mJÀ.'!] quale designazione di Cristo nella letteratura cristiana primitiva -i> IV, coli. 621 s., n. 80. 1 Circa l'uso linguistico anteriore al N.T .: 7tVÀ.'!J, d'uso generico, è d'etimologia incerta (Bo1sACQ 826); il plurale è esclusivo in Omero, prevalente in seguito (in luogo del duale i due battenti della porta, S cHWYZER II 44; cfr. anche - IV, col. 607 n. 8) [A. D EBRUNNER tl.
m)À.fl A (Joach. Jeremias)
che la città o la località - quindi anche la piccola Nain 2 - era circondata da mura; b) la porta del tempio; Act. 3,10: 1J wpa.la. 1tVÀ1J, «la porta bella» (probabilmente la porta di Nicanore posta tra l'atrio degli Israeliti e l'atrio delle donne 3); c) la porta della prigione; Act. 12, rn: ii 1tuÀ:111J
(Vl,921) 806
proposito di Gesù, dice: i:va. ciytttOìJ
OL<Ì. 'tOV
e!;w •fiç ;;UÀT)ç ETCCJ.llEv, «per santificare il lolou a.Ì:µa.'toç -rÒ\/ Àaov,
popolo col proprio sangue, patì fuori della porta» . Il fatto che la crocifissione di Gesù, in rispondenza alla costumanza tomana 4 e orientale 5 , avvenne, come attestano anche i vangeli, fuori delle mura di Gerusalemme 6 , viene utilizzato da Hebr. per illustrare la completa separazione del cristianesimo dal giudaismo. Il v. IO aveva messo in rilievo questa separazione, comunque s'interpreti il vocabolo V'ucna.O"•TJPLOV (~ IV, coll. 639 ss.): i sacerdoti che rappresentano il popolo giudaico non hanno alcuna comunione con l'altare della comunità cristiana. I vv. 1r s. offrono la motivazione scritturistica della separazione della comurùtà cristiana dal giudaismo: Lev. 16, 27 prescriveva che nel giorno dell'espiazione i corpi del giovenco e del capro ra mondiale fuori della porta di Giaffa e di Damasco. 6
lo. 19,20, cfr. Mc. 15,20; Mt. 27,32; Io. 19, 17 ~ ] EREMIAS l-33. La conferma viene inoltre da Mt. 21,39 par. Le. 20,15 dove l'interpretazione cristologica ha provocato una inversione della più antica sequenza (prima viene ucciso poi gettato fuori della vigna: Mc. n ,8). Infatti mentre in Mc. 12,8 il figlio del proprietario della vigna è ucciso nel podere e poi lo si oltraggia ulteriormente gettandone il cadavere fuori del muro di recinzione, Mt. e Le. hanno cambiato la successione degli avvenimenti: prima il figlio è cacciato fuori della vigna e poi ucciso. L'applicazione della figura del figlio a Gesù ha dato origine alla modificazione del racconto alla luce degli avvenimenti della passione (cfr. J . ]EREMIAS, Die Gleich11issc Jesu' [1958] 6r s.).
807 (VJ,921)
7tVÀ.1J A-B (Joach. Jeremias)
(vr,922) 808
immolati in espiazione, il cui sangue era del suo obbrobrio. Egli è equiparato al servito ad aspergere il santo dei santi, blasfemo (Lev. 24,14) e al trasgressore fossero bruciati «fuori dell'accampamen- del sabato (Num. IJ,35) che devono esto»; fu per adempiere questa prescrizio- sere lapidati «fuori dell'accampamento». ne, continua Hebr. 13,2, che Gesù, vit- La sua morte fu particolarmente amara tima di espiazione della nuova alleanza, per il fatto che egli dovette morite come morl ~~w -.l}ç 1tUÀ.7)<;, ossia separato dal- un bandito dalla comunità di Dio. La la città santa e dal territorio sacro. Per- libera partecipazione a questo obbrobrio ciò si invita la comunità a prendere su rientra neUa sequela di Gesù. di sé l'obbrobrio di Gesù (v. 13) mediante l'esodo dall'accampamento (cioè B. LA PORTA STRETTA {Aft. 7,13 s.) dal giudaismo). L'esecuzione capitale di Quanto al testo di Mt. 7,13 s. va noGesù fuori delle porte di Gerusalemme tato quanto segue: è abbastanza consueviene interpretata in due modi. Anzitut- to cassare 7) 1tUÀ:ri in Mt. 7, l 3 b, come fanno i codd. S*abchkm Cl. Al. Orig. to fu un elemento della sua opera di Eus. Cyprian. 8 e considerarla un'intersalvezza. Poiché allo spazio «fuori del- polazione suggerita dal v. 14. Ma poiché l'accampamento» al tempo della migra- i codd. 544 p'ahkm Cl. Al. Orig. Eus. zione nel deserto (vv. u.13) corrispon- Cyprian. omettono 1J m)À:r1 anche al v. 14, o si cancella Ti 1tUÀ.'l'J in ambedue i deva in Palestina, secondo la halaka, lo versetti 9 (ma non è raccomandabile, daspazio fuoti delle mura di Gerusalem- ta la debolezza della testimonianza) opme 7, e poiché di conseguenza in Pale- pure 101J 7tUÀ.'l'J si legge in entrambi i versetti , come suggerisce non solo il vastina le due vittime espiatorie del giorno lore dei codici ma anche l'antitetico padell'espiazione venivano bruciate davan- rallelismus membrorum tra il v. 13 be ti alle porte di Gerusalen:ime (Joma b. e il v. I4· 68ab ), l'esecuzione capitale di Gesù daPer quanto riguarda l'immagine che vanti alle porte di Gerusalemme dimo- soggiace a Mt. 7 ,13 s., la duplice sequenstra che egli è la vera vittima espiato- za 1tUÀ.71-òo6ç (nÀ.a-.efo. 'ÌJ 'ltUÀ.7J xaL eòria. In secondo luogo, l'uccisione di Ge- puxwpo<; 1) òo6<; ... O'""tE\11} 1} 'ltUÀ.'I) xaL 't'Esù fuori della porta fu una componente i>À.tµ(.1E\l'l'J TJ òo6<;, «larga la porta e spaS. Num. l a 5,3; T. Kelim Baba Qamma 1, 12; Zeb. b. rx6b; Num. r. 7 a .5,3. Secondo la tradizione I'«accampamentm> dell'epoca del deserto era disposto su tre cerchi concentrici: attorno alla tenda del convegno (accampamento di Dio) erano attendate le famiglie dei Leviti e attorno a queste il resto del popolo. A questi tre accampamenti corrispondevano tre gradi di santità entro le mura di Gerusalemme; cfr. G. DAI.MAN, Der zweite Tempel zu Jemsalem: 7
PJB 5 (1909) 33; In., op. cit. (~ n. 2) 305 s. WELLHAUSl!N, Mt., ·ad l.; KLOSTERMANN, Mt., ad l.; P. JotioN, L'Évangile de Notre-Seig11e11r Jéms-Christ, Verbum Salutis V (1930) 42; A. HucK - H. LIETZMANN, Synopse der drei erste11 Evangelien 9 (1936) ad l.; NESTLB 21 mette Ti 1tUÀ.TJ tra parentesi quadre. 9 Cosl BuLTMANN, Trad. 81. 10 Cosl per es. ScHLATTER, Komm. Mt., ad l.; ~ vur, coli. 201 ss. e n . loo. 8
'~"'"""l
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ziosa la via ... stretta la porta e angusta la via») non deve indurre 11 a cercare le porte all'inizio della via 12 o intendere TIVÀ:TJ ( = tara') nel senso di una strettoia della strada 13, poiché il parallelo Le. 13,2 3 s. conferma il carattere escatologico dell'immagine della porta. Quindi porta larga e stretta sono le porte che introducono alla vita eterna e all'eterna dannazione, e la successione 7tvÀ.11-oò6c; va considerata un hysteron-proteron popolare 14 • In effetti l'immagine della porta della città, della porta della Gerusalemme fìnale, per indicare l'ingresso nel regno di Dio è molto frequente nel linguaggio metaforico escatologico 15 ; vi corrisponde l'idea che anche l'inferno ha
un ingresso 16 • L'angustia della via e della porta che conducono alla vita in antitesi all'ampiezza di quelle che pmtano alla dannazione esprime l'idea che è difficile conseguire la vita eterna, perché la strada che vi conduce richiede sacrificio e rinuncia 17; perciò è sparuta la schiera di coloro che giungono alla vita (cfr. il par. L e. 13,23s.) 18 • Quindi con l'immagine delle due porte Gesù spiega ai discepoli che devono avere il coraggio di separarsi dalla grande massa e dalla collettività nazionale che rifiuta Gesù e imboccare il cammino di passione della piccola schiera, se vogliono giungere alle porte della futura città di Dio 19 •
11 L'immagine della porta trova questa applicazione in r Clem. 48,2-4 (senz.a alcun rapporto con Mt. 7,13 s.): entrano per la «porta della giustizia» (Ps. u8,19) coloro che intendono comportarsi secondo santità e giustizia. 12 K. BoRNHAUSER, Die Bergpredigt, BFTh II
r3•bc•.15 .21'"; Herm., sim. 9,12,5: El oi'.iv Elç -ri)v 1toÀ.w où Mv11 d
7 (1923) 177.180; KI.osTERMANN, Mt. e ScHLATTER, Komm. Mt., ad/. 13 JotioN, op. cit. (~ n. 8) 42 s.; vi si oppone il duplice ttcrÉpXt
L'accesso ad essa è angusto e posto sopra un abisso; a destra fuoco, a sinistra acqua profonda. Un solo sentiero passa in mezzo tra il fuo. co e l'acqua, e il sentiero è così stretto da permettere il passaggio di una sola persona». L'hysteron-proteron di Mt. 7,13 s. si potrebbe spiegare supponendo che due immagini sin~ nimiche (porta, via) siano state combinate secondariamente (--7 col. 8n) in una doppia immagine (--7 vnc, coll. 203 s.). 15 4 Esdr. 7,6-8 ~ n. 14; Pesikt. 179b (STRACKBILLERBl!CK I 463): «Attraverso quale porta pllotJ (nvÀ.wv) vi è un'apertura alla vita del mondo futuro?». Apoc. 22,14: tva ... -to~c; 1tUÀ.W
'ltUÀ.'rJ B-C (Joach. Jeremias)
(VI,923) 812
Nel par. Le. 13,23 s. l'immagine è di- C. LE PORTE DELL'ADE (Mt. 16,18) versa: non si ha più, come in Mt., la 1tUMolti popoli antichi raffigurano gli inÀ.1J, la porta della futura città di Dio, ma la i}upcx., la porta che immette nella feri come regione, città, fortezza o prigrande sala in cui si tiene il banchetto gione munite di solide porte che impedidell'èra della salvezza (-7 IV, col. 618); scono la fuga di chi vi21 è rinchiuso e l'eninoltre in Luca non abbiamo più due trata di chi sta fuori • I Babilonesi per porte alle quali conducono due vie, ma es. narrano che !Star ha forzato le porte una sola porta che è ancora aperta, ma del «paese senza ritotn0>> n. Anche gli degli Egiziani sono chiusi da porpresto (v. 25) verrà chiusa. Alla diversi- inferi 23 24 te • Da Omero in poi troviamo nella tà dell'immagine corrisponde una diver1tvÀ.m (j.oou e le loro letteratura greca le sa accentuazione in Luca. Mentre Mt. 7, r 3 s. richiede il coraggio di scegliere là chiavi(~ V, coli. 552 ss.); queste porte via della piccola schiera che è in cammi- sono di ferro durissimo (Preisendanz, no verso la città di Dio, Le. 13,23 s. in- Zaub. 4,2720) e si aprono davanti a divita a impegnare tutte le forze per en- vinità o ad eroi che vogliono entrare nel trare nella sala del banchetto finché c'è mondo sotterraneo, ma25 solo per forza o tempo. In Le. col minaccioso «troppo dietro offerta di doni • Esse hanno un tardi» il logion rispecchia più efficace- ruolo importante soprattutto nei testi mente la situazione critica dell'imminen- magici; cosl Menippo (presso Luc., nec. te inizio del regno di Dio. Al confronto 6) afferma che i magi persiani con le lola redazione matteana, che attenua il to- ro arti sono in grado di &:volyEW 'tE 'tOU no escatologico, dovrebbe rappresentare "ALoov -.à.c; 1tVÀ.ac;, «aprire persino le uno sviluppo del logion, determinato da porte dell'Ade» u._ esigenze dell'istruzione comunitaria e otPer intendere Mt. 16,18, dato il catenuto con l'ausilio dello schema delle 27 due vie (-7 VIII, coll. l 22 ss. 150 ss. 161 rattere semitico del tristico 16,17-19, rivestono notevole importanza i paralss. 172 ss. 20). leli veterotestamentari e tardogiudaici. Nell'A.T. l'espressione sa'are s•'ol, «le porte degli inferi», s'incontra una sola 20 W. GRUNDMANN, Die Frage dcr iiltesten
Gestalt und des t1rsprii11gliche11 Sinnes der Bergrede ]esu (1939) 5 n. 2; T.W.MANSON, The Sayings of ]es11s (r950) 17.5. Sotto il profilo linguistico, depone a favore anche il fatto che è incerto se il semplice E~ 'tlJ\I l;wTiv (Mt. 7, 14) fosse espressione di Gesù (DALMAN, Worte ] . I 131 ). Il processo di eliminazione dell'aspetto escatologico è continuato in ambiente ellenistico: in Sib. 2,150 ('tou-co 7tUÀ.1J l;w'ijc; xixt E~uoBoc; til>ixvixulric;) il termine l;W'IJ (Mt. 7,14) ha perduto il suo valore escatologico ed è diventato sinonimo dì àfro;vixcrlix. Bibliografia in ~ K~l-lLER 222 n. 1; ~ WEINREICH 437 n. 64. Cfr. inoltre ~ DELL 27-33; STRACK-BILLERBECK IV ro87.1089 s.; ricca documentazione in ~ KROLL. 2i A. ]EREMJAS, Ho/le tmd Paradles bei den
21
Babylo11ier111 : AO 1,3 (1903) 18-20; E. LEHMANN - H. HAAS, Textbuch zur Religionsgeschichte' (1922) 297; A.0.T. I 207; -> KRoLL 206-214. -> KROLL 194-197. 24 Il. 5,646; 9,312; Od. q,156: 7tUÀ.at 'AUìao. Per il plurale nel greco classico v. BL.·DEBR. S l41A e~ n. I. 25 ~ WEINREICH 437; dr. -> KROLL 363-.p2. 26 Altro materiale in ~ KOHLER 223 s.; ~ KROLL 466-5u. I testi inandei descrivono il redentore in atto dì aprire la porta del carcere delle anime e~ KROLL 292-296), ma in genere pongono questo carcere nelle sfere planetarie (-> KRoLJ. 297). Nella terminologia astrologica con lj.oou 'ltUÀ.TJ si indica la regione sotto l'oroscopo (LlDDELL-ScoTT, s.v. "A~OT)c;). 27 -> ]EREMIAS 69; ->coli. 816 ss. 819 ss. 23
7tUÀ'l'J C (Joach. Jerem1asJ
volta nel canto di lode di Ezechia (Is. Émq>cx.vElexc; aù-roùc; fio11 1tpÒç 1tuÀ.a.~c; 38,ro) 28 ; ma il suo significato equivale ~oou xai>Eu-.w-.a.c;, «gridarono a gran di fatto a quello di espressioni come voce supplicando ardentemente il signosa'aré mawet, «le porte della morte» re di ogni potenza di avere compassione, (Ps. 9,14; ro7,x8; Iob 38,17") 29 ; Ja'aré mediante un'apparizione, di loro che or~almàwet, «le porte delle tenebre» (lob mai erano prossimi alle porte dell'Ade»; 38,17b) 30 e baddé se'ol, «catenaccio degli Hen. slav. 42,r A: «E io (Henoc} vidi i inferi» (Iob 17,16) 31 ; tutte queste e- portinai e i guardiani delle porte dell'Aspressioni probabilmente derivano dal de in piedi come grandi serpenti e i lomito della lotta nella creazione 32• In età ro volti come lampade spente e i loro ocsuccessiva l'espressione porte degli in- chi di fuoco e i loro denti scoperti fino feri ricorre più spesso: al loro petto» 35 • Con accenti vigorosi Ecclus 51,9 {ebr.): «levai dalla terra la viene descritta la solidità delle bronzee mia voce / e dalle porte degli inferi porte dell'Ade 36 • (mS'rj S'wl) il mio grido di aiuto». Sap. I 6 ,x 3; O'ÌJ yà.p swi)c; xcd i}a.v&:tou La letteratura rabbinica accoglie questa credenza, ma, a quanto pare, usa Éçouo-la.v ì!xnc; I xcx.t xa."t'ayw; Elc; À.a.c; fi.Sou xcx.t &.vciyEtc;, «tu infatti sul- tar'e se'ol una sola volta (Tg. Is. 38,10). la vita e sulla morte hai potere / e con- La spiegazione è che dalla metà del sec. duci giù alle porte dell'Ade e su ne ri- r d.C. la parola J•'ol scompare quasi completamente come termine tecnico dal conduci» 33 • Ps. Sal. 16,2: mxp'ò)..lyov t~Exulh1 Ti 4'u- linguaggio erudito dei dotti ed è sostix+i µou EL<; Mvrt.'t'O\I I Ci'V\IE'Y'YUC, 'JtVÀW\I tuito da Gehinnom 37. Cosl avviene che lJ,oou µE't'à. b.µap't'wÀ.ov, «per poco non la letteratura rabbinica parla solo del!'entrata (anche al plurale) e delle porte fu precipitata la mia anima nella morte / in prossimità delle porte dell'Ade insie- del Gehinnom, e solo dal contesto è possibile determinare se s'intende il Gehinme coi peccatori» ~. 3 Mach. 5,51: à.vEW>'l'}rlrt.V cpwv'[j µEyci- nom intermedio ( = fi,o'l'}c;-H, coll. 393 ss.) 38 o il Gehinnom escatologico ( = yÉÀil O'q>ÒOpa. 't'ÒV 't'ijc; a1taO''l'}c; OUVciµEwc; OU\lcXC/'t''l'}\I Ì.XE't'EU0\11:E<; OÌ.X't'tpa.t µE't'à. EVVa.-HI, coli. 375 ss.) 39• Alle nuÀm lj.-
7tv-
2& puqqadtl (LXX: lv m'.J).a.~ç lt13ou) b'la'ar! S''ol jeter s'11otiij, «alle porte del mondo dei defunti fui convocato per il resto dei miei anni», dr. J. BEGRICH, Der Psalm des Hiskia, FRL, N.F. 25 (•926) 23. 29 LXX: o:t 'ltVÀa~ i:oii i>a.v1hov (in Iob 38,17• senza articolo: 7tuÀa.t i}a.va"tou). 3:J LXX: nvÀwpot ij.6ou ~ n. 36. 31 LXX: Elc; (Hì'l')v. Cfr. ancora~ KROLL 3•6362, specialm. 322-348 circa il motivo della discesa nell'A.T . 32 Cfr. lob 38,8.IO [BERTRAM] . 33 Il contesto (Sap. J6,14) mostra inequivocabilmente che &.v&.yw; significa: «tu liberi dal mondo dei defunti» (e non: «tu preservi dal mondo dei defunti»). 34 In questo caso éf.13rtc; - come in Ps. Sal. 14, 9; 15,10 - è l'oltretomba degli empi(~ I, col. 394), come si deduce dalle ultime parole µt:-i:èk
à~p't'WÀou.
Cfr. anche Hen. aeth. 56,8: «In quei giorni (dell'ultimo assalto dci pagani contro Gerusalemme) la sheol spalancherà Je sue fauci ...; Ja sheol ingoierà i peccatori al cospetto degli eletti», e 4 Esdr. 4,7, dove, fra gli interrogativi senza risposta dell'uomo, si pone questo: «Quali sono le uscite della sheol?» (syr., aeth., arab., arm.; manca in latino). Js La solidità delle porte: apoc. anonima 6,1820 (cd. G. STEINDORFF, ap. Eliae [1899) 45); Sib. 2,228. I portinai in LXX Iob 38,17b: TCUÀwpoi lj.13ov (s'ri è stato letto sò'are dai LXX e forse giustamente); Hen. slav. 42,1 A ~ qui soprn; Hag. b. 15b ~ n . 42. 37 STRACK-BILLERBECK IV rn22.103:z S. 3S Ingresso al Gehinnom intermedio D.B.b. 84a (situato all'estremo occidente); Shab. b. 39a (le fonti di Tìberiade gli scorrono accanto); Ge11. 3_;
1tVÀ.tJ
e (Joach. Jeremias)
&ov corrispondono le porte W'ar1m) o portali (p•tablm) del Gehinnom, che per quello intermedio sono a volte una (Hag. j. 77 d 50; Rag. b. 15b-+ n. 42), a volte due 40, a volte sette 41 ; e sono sorve· gliate da un portinaio 42 • Per l'uso linguistico del tardo giudaismo anteriore a Cristo la caratteristica è che l'espressione rtuÀ.a.t Q.&ov - fatta eccezione per Hen. slav. 42,1 A (~ col. 814) - è usata sempre in senso traslato. L'espressione serve a descrivere l'esser preda della morte (Is. 38,ro; Sap. 16, 13), un gravissimo pericolo di morte (Ecclus 51,9; Ps. Sal. 16,2; 3 Mach. 5, 51, cfr. Ps. 9,14; 107,18; lob 17,16) e il penetrare nei più profondi misteri 43 • r.ur. 48 a x8,1 (Abramo siede all'ingresso del Gehinnom e non permette ad alcun israelita circonciso di scendervi); Cont. r. a 8,10 (Isacco «si è messo all'ingresso del Gehinnom per sai· vare i figli suoi dal giudizio del Gehinnom»). Apertura del Gehinnom intermedio: Num. r. 10 a 6,2; Men. b. 99b (è stretta). Porte del Gehinnom intermedio ~ nn. 39-42. 39 Ingresso al Gehinnom escatologico~ n . 16. 40 Pesikt. r. (ed. M. FRIEDMANN [1880] 124b): una porta esterna e una interna. Nella zona attigua alla porta esterna completano i loro anni coloro che sono defunti prematuramente (STRACK-BILLERIJECK IV 1089). 41 P. R. El. 53 alla fine (Praga (1784] 31d): «Sette porte ha il Gehinnom». Assalonne ne aveva già attraversate cinque quando fu richiamato dai cinque lamenti di David. 42 Hog. b. 15b: «Lo stesso portinaio non ha resistito a te, nostro maestro» si canta a proposito di R. Johanan che in morte aveva salvato l'apostata Achet ( == Elisha b. Abuja) dal Gehinnom intermedio; -) n. 36. 43 Cfr. lob 38,17": «Ti sono state aperte le porte del mondo dei trapassati(-) col. 8x3)?». 44 Già nell'A.T. Ja'or talvolta ha Wl significato più vasto di 'porta'; per es. Ja'ìiré !iii6n (Ps. 87,2); Ja'ar-'ammi (Abd. 13; Mich. l,9); dolt6t hliammim (fa:. 26,2) Gerusalemme. In questo e in altri casi, nello stile elevato per es. Gen. 22,17; 24,60; Is. 14,31; Ier. 14,2; 15,7 - Jo'or indica il luogo /orli/icato o la città
=
(VI,925) 816
À.a.t /toov in questi casi può anche essere sineddoche (la parte per il tutto) di Q.-
oric; 44 • Nel N.T. l'espressione si trova solo in Mt. l6,18c: xa.t 'ltuÀ.a.t ~oou où xa.·n<1XU<1ouow a.ù·d'jc; 45 • La singolare omissione dell'articolo davanti a 1tUÀ.a.i. éj.oov ricorre in tutti i testi giudeo-greci (~col!. 813 s.) e si spiega col soggiacente stato costrutto ebraico sa'ìiré J"'ol; pertanto è un semitismo. Le interpretazioni di Mt. 16,18° divergono straordina· riamente secondo che per ~01]<; s'intende il mondo dei defunti o gli inferi 46, se 'itU· (JouoN, op. cit. [ ~ n. 8] 106). Per quanto riguarda l'uso linguistico di 7tVÀ.a.t r;.oov per indicare l'Ade, si confronti Sop. r6,13 : xa.'t'&.· yEi.ç EÌ<; 1tVÀa.c; /J,oov xa.t à.v6::yetc; con il passo fondamentale 1 Ba.o-. 2,6: XCX.'t6:yet dc, if.!iou xa.t à.v&.yet (Tob. 13,2, codd. BA: xa.'t'&.yet
Elç
~61)v
xa.L &.vO:yEt): 7tVÀa.t /toov e /i611c;
possono dunque alternarsi senza determinare un cambiamento di senso. Inoltre si confronti
LXX Is. j8,rn: lv 7tVÀcw; ltSov XMa.°Mlljlw 't"à hri 't'à l7tlÀoLnct.; anche in questo caso itVÌ..«L ltSov sta per ~S71c;. Lo stesso dicasi per Ps. Sol. 16,2 (-'» col. 813). 45 Il testo è sicuro; la tesi di ~ v. HARNACK 647·649, secondo rui il Dfatessaron non avreb· be contenuto la frase riguardante l'edificazione della chiesa (Mt. 16,18b) e l'ultima parola del v. 18• sarebbe stat11 crou (non aò-.ijc,), è stata ribattuta con validi motivi da ~ EuRINGER 141-156, il quale ha provato che nel Diatessaron a disposizione di Efrem e Afraate Mt. 16, 18 - a prescindere dal fatto che forse vi si leggeva 'catenaccio' in luogo di 'porte' - ave· va lo stesso tenore del testo canonico. Cfr. i· noltre le citazioni dà Efrem riportate da C. A. KNeù.eR, Ober die «urspriingliche» Form von Motth. r6,r8 s.: Zeitschr. fiir katholische Theol. 44 (1920) 147-169; cfr. anche~ LUDWIG 22 s. "'~ Da escludere completamente l'idea di infer· no (come faceva l'esegesi corrente fino al 1918 ~ V. HARNACK 639), poiché il N .T. distingue sempre chiaramente tra ~ (iS'T}c, e ~ yfrvva..
, .. .., ...... -
\J '-'- - ·· · J
À
Fra tutte le questioni, fondamentale ai fini dell'interpretazione è la prima, cioè quella riguardante il significato di t'to11c;. Pertanto facciamo a questo proposito una premessa negativa: le spiegazioni di Mt. 16,18c che restringono rigidamente il concetto fl.011ç al mondo dei defunti incontrano gravissime difficoltà. Tra le tante proposte menzioniamo le più importanti: r. 7tuÀa.L if.oou indica propriamente le porte del mondo dei defunti. In questo caso la frase significa che le porte dell'Ade non possono resistere «all'impeto della comunità che esige la restituzione dei suoi membri» 47 (ma si può obiettare: dove si tro-
J. GRILL, Der Primat des Petrus (1904) 13; analoga è la posizione di L. E. SULLIVAN, The Gates o/ Hell (Mt. 16,18 s.): Theological Studies 10 (1949) 62 ss.; ~ x, col. 145· 43 ~ DELL 31-33; W. BoussET, Kyrios Christos1 (1921) 30. 43 ScHLATTER, Komm. Mt., ad l.; O.J. F.SEITZ, Upon this Rock: JBL 69 (1950) 337 (l'autore fa un confronto con Act. 2,24); O. CULLMANN, Petr11s (1952) 226-228. 5? Cfr. BulÌI'MANN, Trad. J48 n. 2 . Contro queste due interpretazioni sta anche il fatto che esse vedono la comunità in atteggiamento di attacco (contro ~ col. 820). st ~ v. HARNACK 638-647; WrnmscH, op. cit. e~ n. 1_:;) 187. s2 Il pagano (probabilmente Porfirio, morto verso il 304) di Macarius Magnes (intorno ru 400) 3,22 (A. v. HARNACK, Porphyrius «Gegen die Christen» [1916] nr. 26 p. 56) intende Mt. 16,18' còme promessa d'immortalità a Pietro: tcri:opE~i:m ... o IIÉi:po<; €cr-cocup(;icrfrat, eLP7JXoi:oc; (benché ... ) -coli 'Iricroii -càc; /tlìou 'ltÙÀac; µ1J xoci:LO'XÙcmv airtoii. Se questo passo è di dubbio valore per la sua natura polemica 47
- ~------,
va l'idea di un siffatto descensus ad in/eros della comunità?). Oppure: le porte dell'Ade non possono fermare la comunità che si affretta verso la libertà al momento della discesa di Gesù all'Ade 45 o al momento della risurrezione 49 (obiezione: la comunità non è prigioniera del1'Ade 5()). 2. miÀa~ ~oou indica in senso traslato il mondo dei defunti. In questo caso l'interpretazione varia secondo che où xa.-çwxucroucw atrrfjc; vien riferito a 7tÉ't'pa o ad ÈXXÀT}crla. a) Se aù'tfiç è riferito a 7tÉ'tpa., Mt. r6,r8c esprime la promessa che Pietro non morirà prima della parusia 51 • Questa interpretazione si può appellare all'uso di 7tUÀa~ if.oov (o -.ou 1}a.va:tov) in Is. 38,ro; Ps. 9,14; ro7,18; Ecclus 51,9; Ps. Sai. 16,2; 3 Mach. 5,51, poiché il contesto di tutti questi passi parla della preservazione dalla morte (--l> col. 813). Essa è inoltre sostenuta dalla più antica esegesi di Mt. r6,r 8cS2. b) Se invece
26).
7tVÀTJ C (Joach. Jeremias)
non ha più potere sui membri della comunità, oppure, dato che {i.Ùl]ç in età neotestamentaria spesso indica l'oltretomba degli empi (~ I, col. 3 95), s'intende che i membri defunti della comunità non dovranno condividere il destino degli empi 53 (obiezione a 2 a.b: comunque s'intenda ctl'.rcijç, il carattere escatologico del fu turo oò xoc'tLo-xuo-ouaw [ ~ coli. 820 s.] risulta troppo ridotto). Pertanto nessuna interpretazione che limita il senso di {i.Ùl]ç al mondo dei defunti è soddisfacente. L'interpretazione deve prendere le mosse dalla struttura del testo di Mt. 16,17-19; ciascuno dei tre versetti (vv. 17.18.19) consta di tre stichi (quattro arsi) 54 : ciascun primo stico enuncia il tema, il secondo e il terzo lo spiegano con un parallelismus membrorum antitetico. Tema del v. 18 è le denominazione di Pietro. Il v. 18bc spiega che cosa intenda Gesù con questo suo atto. Su questa roccia Gesù edificherà la sua ÉxxÀ:ncrloc (~IV, coll. 1537 ss.) e le porte dell'Ade non la ( = roccia o chiesa) sopraffaranno. L'enunciato usa il simbolo della roccia cosmica(~ x, col. 112), che costitui53
Testimonianze letterarie presso W . BrnDER,
Die Vorstelltmg von der Holle11fahrt Jesu Christi, AbhThANT 19 (1949) 46 n. 97. 54 C. F. BURNBY, The Poetry o/ 011r Lord (1925) u7. Nell'istruzione ai discepoli Gesù ha usato di preferenza il ritmo tetrarsico (ibid. 124). ss ~ ]EREMIAS 66-68. Cfr. E. LOHMEYER, K11ltt1s und Eva11geli11111 (1942) 76. 56 ~ ]EREMIAS 51-58. 57 ~ }I!RI!MIAS 58-65. 58 Jalq11t Shimoni I § 766 a Num . 23,9 (ed. Wilna [ 1898] p . 530); tradotto da STRACK-
sce la sommità del cavo monte cosmico e ha la duplice funzione di sostegno del santuario e chiave di volta degli inferi (che si trovano all'interno del monte cosmico e comprendono sia il mondo dei trapassati sia la prigione degli spiriti) da cui scaturiscono le acque primordiali 55 • Il tardo giudaismo applica questo linguaggio simbolico non solo alla roccia su cui sono edificati il santo dei santi 56 e l'altare degli olocausti 57, ma anche a persone. Per es. Abramo è definito la roccia (pifrii'; x, coli. 120 s., cfr. ls. 51,1) che da un lato sorregge l'intero creato e dall'altro è in grado di resistere alle acque primordiali 58 • Lo stesso dicasi per i patriarchi 59 • Alla luce di queste concezioni l'espressione 7tVÀ.oct. if.oov è una sineddoche (la patte per il tutto) (~ col. 8 l 6) indicante le forze ostili del mondo degli inferi che si scagliano contro la roccia 00 • A favore di questa interpretazione sta il fatto che nel mondo greco-giudaico il verbo XOC'tLCTXUEW col genitivo ha sempre significato attivo (riportare la vittoria contro qualcosa) 61 ; le 7tVÀ.a~ Q.&ou sono dunque le forze attaccanti. Poiché inoltre i due futuri di Mt. 16,18 (oi.xo00µ1)0-w, oò x~·twxuo-ov1w) sono intesi BILLER.BECK 1
733
e~ ]EREMlAS
73 s.
s-7 Ex. r. 15,8 a 12,2 ~ ]I!REMIAS 74. 6iJ C. WEIZSACKBR, Unters11chungen iiber die evangclische Geschichte (1864) 494; ~]ERE MIAS 73; H. ScHMIÌ>T, Der heilige Fels in Jerusalem (1933) 100; ~ BETZ 70 s. («potenza del caos»). Cosi sempre nella traduzione greca dell'A. T.: LXX Ier. 15,8; Theod. Dan. n,21; Symm. 1J190 (91),10. Inoltre Sap. 7,30 (variante incerta); test. R. 4,n; test. D. 5,2; test. Ios. 6,7. Cfr. HI!LDING, Kasussyntax n9.
6\
r.vp tr . .LangJ
in senso escatologico 62 , si parla dell'assalto escatologico delle potenze sotterranee da figurarsi secondo le descrizioni di Apoc. (6,8; 9,1 ss.; 20,3.7 s.; [~I, coll. 13 ss. 28; v, col. 553]) e di I QH 5,20 ss. 63 • Anche l'ultimo e più terrificante assalto delle potenze degli inferi non riuscirà ad avere ragione deU'h;xÀ.1]0'la. M che vi è sopra edificata 65•
In epoca successiva le 1tuÀ.a~ éi,oou hanno importanza soprattutto negli e· nunciati riguardanti la discesa nell'Ade 66 • Che Cristo abbia potere sulle porte dell'Ade è sottolineato già da Apoc. 1,18, dove a proposito del Cristo glorificato si dice: EXW 't"Ò.<; xÀdç 't"OV i}ava't"OU xa.t 't"Oli éi,oou, «tengo le chiavi della morte e dell'Ade»{~ v, col. 554). }OACH. }EREMIAS
-
I
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7tUp, nupow, 7tupwcnc;, 7tUPL\/oc;, 7tUppoc; I
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Ttvp
SOMMARIO:
A. li fuoco nel mondo greco-ellenistico: I. l'uso linguistico generale: 1. uso proprio; 2. uso traslato. Il. Il fuoco nella filosofia . III. Il fuoco nella religione. Per obco8oµ1Jcrw ciò risulta dal confronto con Mc. 14,58 e vale quindi anche per il parallelo antitetico ou xa:tLO'XUO'oucnv. Tuttavia c'è da tener presente che i due futuri otxolioµTjcrw e xo.:·naxucrovcrw, pur essendo entrambi escatologici, non sono contemporanei: J'edifica:done del nuovo tempio precede l'assalto delle potestà infere. 6?
Nell'infuriare dei flutti dell'abisso (6,23 s.) e in vista delle porte della morte (6 124: J'ri mwt) l'orante viene posto in salvo in una c.ittà fortificata e solida, circondata da alte mura (6,25), le cui fondamenta sono poste sopra una roccia (6,26). Cfr. ~ BETZ 55 s, 63
M
Au'tiic; (où xo·...ncrxucroucrLv rx.u-c:-ijc;) di Mt.
l6,r8< si riferisce formalmente a 'l':É-c:po.:, ma di
fatto intende l'ÈxXÀT)O'(o.: eretta sulla roccia (cfr. il passaggio dal plurale al singolare nel
B. Il culto del fuoco nella religione persiana. C. Ii fuoco 11ell'AT., nel tardo giudaismo e nella gnosi: I. Antico Testamento: 1. statisticn delle traduzioni ; 2. forme di uso tecnico; 3. uso traslato; 4. il fuoco in relazione a Dio: a) il fuoco nella teofania, parallelo sostanziale di Le. 22,31 s.). È questo il senso che Efrem ha dato al nostro passo (Diatessaro11-Komm. 14,3 arm.): Tt1 65
es, ait, petra, il/a petra quam erexit ttt offenderet per eam Satanas (L. Lm.orn, Saint Éphrem. Commentaire de l'évangile concordant. Version 11rménie1111e, Corp. Script. Christ. Or. 145 [ 1954) 134,24 s.); ~ EURINGER 146.151. 177; --+ ]EREMIAS 75-77. Fra gli autori che seguono questa interpretazione dr., ad es., ZAHN,
Mt., ad l.; J. WEiss - W. BoussET, Die drei iilteren Eva11gelie11) Schr. N.T.' I, ad l.; C. A. BERNOULLI, ]oha1111es dcr Tiiufer 1111d die Urgemeinde (1918) 280; TH. }!ERMANN, Zu Mth. I6,I8 1111d 19: TheolBI 5 (1926) 203-207; BULTMANN, Trad. 148; STAUFFER, Theol.' 16 s. e n. 482; R. BoHREN, Das Problem der Kirchenwcht im N.T. (1952) 63 s .; ~ BETZ 72 s. 00 ~ KROLL 46 s. 48.57.68.81 e passim.
-;tup (F. Lang) b) il fuoco come strumento del giudizio
divino, c) il fuoco come segno dell'intervento di grazia, d) il fuoco come designazione di Dio. II. Sviluppi nel tardo giudaismo: x. apocalittica; 2.rabbini; 3. Qumran; 4. il giudaismo ellenistico. III. L'uso linguistico gnostico: l . la letteratura ermetica; 2 . gli scritti gnostici copti; 3. gli scritti mandei. 7tvp In generale: Thes. Stcph. VI, s.v.; S. MiiHSAM, Das Feuer in Bibel tmd Talmud (1869); A. KUHN, Die Herabkrm/t des Fe11ers tmd des GotterJra11ks (1886); E. GoBLET D 'ALVIELLA, HisJoire religieuse du fe11 (1887); O. HOFER, art. 'Pyr', in RoscHER rn 3332-3334; J. PATRicK, art. 'Fire', in HASTINGS, D.B. 11; E. G. H1RSCH, art. 'Fire', in JewEnc v 391-393; A. E. CRAWLEY, art. 'Fire', in ERE VI 26-30; P . SAINTYVES, Essais de Folklore Biblique. 1. Le feu qui descend d11 ciel et le reno11velleme11t d11 Jeu sacré ( 1922) l-58; H. FucHs, art. 'Feuer', in Jiid. Lex. II; o. RiiHLE, art. 'Feuer', in RGG' li 569 s.; J. G. FRAZER, Myths o/ the Origi11 o/ Fire (1930); H. FREUDENTHAL, Das Fe11er im deutscben Gla11ben tmd Brauch (1931); O. C. DE C. ELLIS, A History o/ Pire and Flame (1932); Thes. Ling. Lat. vn, s.v. 'ignis'; C. M. EosMAN, Le bapteme de feu, Acta Scminarii Neotestrunentici Upsaliensis 9 (1940); Io., Ignis divinus. Le Jeu comme moyen dc rajeunissement et d'immortaliJé: con/es, légendes, mythes et rites, Skriftcr utgivna av Vetenskaps-Sozieteten i Lund 34 (1949); TH. BLAsms, 'Das himmlirche Feuer', Diss. Bonn (1949); F. LANG, Das Fet1er im Sprachgebrauch der Bibel, dargestellt 011/ de111 Hì11tergrund der Fe11crvorstellungen itJ der Umwelt, Diss. Tiibingen (1950); E. PAX, EIII~ANEIA, Miinchener Theol. Studien r 10 (19.55) indice, s.v. 'Feucrepiphanien'; C. M. EnsMAN, art. 'Feuer', in RGG3 II 927 s. Per A: M. P. NrtssoN, Der Flammentod des Herakles au/ dem Oite: ARW 21 {1922) 310-316; Io., Fire Festivals in Ancie11t Greece: JHS 43 {1923) .144-148; S. EITREM, Die vier Elemente
D. Il fuoco nel Nuovo Testamento: I. le forme fenomeniche terrene; II. l'uso metaforico e traslato; III. il fuoco nell'uso teologico: L il fuoco nella teofania, 2. il fuoco come strumento del giudizio divino: a) segni premonitori, b) castigo escatologico del fuoco, e) fuoco dell'inferno; 3. il fuoco come segno della gloria celeste. E. Il /11oco presso i Padri apostolici: I. tradizione biblica; II. influssi esterni.
in der Mysterienweihe: SymbOsl 4 (1926) 3959; J (1927) 39-59; A. D. NocK, Crcmation and Burial in the Ramon Empire: HThR 25 (1932) 321-359; O. HuTH, Der Feuerkult der Germanen: ARW 36 (1939) 108-134; K. REINHARDT, Heraklits Lehre vom Fe11er; Hermes 77 (1942) l-27; O. HuTH, Vesta. Untersuchungen 7.lltfl indogermanischen Feucrkult, Beih. z.
ARW
2 (1943);
F.
CuMONT,
Lux perpetua
(1949).
Per B:
J. HERTEL, Dìe arische Feuerlebre
I e II, In
1tUP A
I
l
(F. Lang)
A. IL
Phil. 728); 7. splendore del sole: EM-
FUOCO NEL MONDO GRECO-ELLENISTICO
ÀLOV 1tVp (Eur., Iph. Taur. n39) e delle stelle: 1tVp 1t\IEOV't'WV ... aO''t'pWv (Soph., Ant. n46 s.); 8. splendore degli occhi: 1tUpt o'<Xnn: OEOTIELV (Hom., Il. 12,466); 9. canicola estiva: 1tupòc; il XELµwvoc; 1tpocrf3oÀij, «con l'esposizione alla cani-
I. L'uso linguistico generale r. Uso proprio 1;vp 1 da Omero in poi si trova per indicare il fuoco nelle sue molteplici forme fenomeniche sia naturali e spontanee, sia prodotte dall'uomo. Le tre funzioni proprie del fuoco (bruciare, illuminare e scaldare) hanno influito sull'uso linguistico e ne fanno comprendere il significato peculiare: 1. fuoco del rogo, onoranza funebre: oq>pcx. 1tUp6c; µE ... ÀE· Àaxw
cola o al freddo» (Plat., leg. 9,865b); 10. febbre ( = 1tUPE't'oc;): Aristph., fr. 690 (C.A.F. 1 561). Inoltre 't'à 'ltup&. ('t'oi:c; 1tUpo~c;): i fuochi di bivacco (Hom., Il. 8,509; Thuc. 7,80,1), e 1i nup&: il posto dove s'accende il fuoco, soprattutto per i roghi (Horn., Il. r,52) 2 • Per gli uomini il fuoco ha il duplice carattere di forza benefica, apportatrice di progresso 3, e potenza terrificante, distruttrice. Accanto agli usi sopra citati serve in guerra soprattutto come arma per distruggere città, navi ecc. 4 ; è usato anche per segnalazioni (Aesch., Ag. 9. 282; Thuc. 4,rrr,2) ed anche per purificare i metalli nobili: f3acrcx.vl~EW ... xpucròv Èv Jtupl, «saggiare ... l'oro nel fuoco» (Plat., resp. 3,4r3e, dr. polit. 303e), per mondare: ttup xcx.i)apO"Lov, «fuoco purificatore» (Eur., Iph. Aul. nr2) e per provare l'innocenza delle persone con una specie di giudizio di Dio (Soph., Ant. 265). Talvolta, ma raramente, si parla anche di un fuoco dt gioia: 'ltUp xa.t cpwç È1t,ÈÀEU1)Eplq:. ooclwv, «accendendo fuoco e luce per la libertà» (Aesch., Choeph. 863 s.).
Osl 4 (1926) 36-38; ID., ]ohannes vattendop och det messianska elddopet, Uppsala Universitets Arsskrift 73 (194x) 1-14; H. BIETENHARD,
so con la radice pcu che significa nettare, purificare, vagliare; cfr. il latino prims. WALDE· PoK . II r4 s.; PoKORNY 828; BoISACQ 828 s.;
Ke11nt das N.T. die Vorstellrmg von Fegefeuer?: ThZ 3 (x947) 101-n2; J. GtULKA, Ist 1. Kor. 3,10-15 ein Schriftzeugnis fiir das Fegfe11er? E ine exegetisch-historische U11ters11· chung (1955); G. DELLING, f3&:rmoµ1t. ~ctTC'fL
HoFMANN 29x.
(x957) 9i-x15. affine al tedesco Feuer, all'armeno lmr ecc. Esiste probabilmente un nesa"Mi\lctL: NovTest 2 1 Etimologicnmente
2
I
Per il cambio di declinazione dr. ScHWYZER 582e.
Cfr. la saga di Prometeo in Aesch., Prom. e \VI. KRAUS, art. 'Prometheus', in PAULY-W1ssowA 23 (1957) 653-702. 4 Lanciafiamme (Xenoph., a11. 5,2,x4). 3
mip A 1 2.
:i. - II
Uso traslato
Metaforicamente il fuoco raffigura l'impeto inarrestabile e irresistibile : 'lt'tOÀEµoc; ... lt:yptoc; 1]u..-E 1tvp, «battaglia ... furiosa come fuoco» (Horn., Il. 17,736 S.); µap\la\l't'O Oɵocc; 'ltUpÒ<; a,i;!}oµ.ivotO, «combattevano come fuoco che avvampi» (Horn., Il. I I ,596), anarchia (Eur., Hec. 607 s.), malvagità (Aristoph., Lys. 1015). Lo stesso vale per l'uso traslato: ardore della battaglia (Horn., Il. 17, 5 65}, coraggio altero: nup 1tVEtv, «spirare fuoco» (Xenoph., hist. Graec. 7 ,5, 12); anche in senso personale: 7tUp uù xa.t miv OEi:µa, «O tu fuoco e tutto terrore» (Soph., Phil. 927). Varie passioni, ad es. struggente speranza (Soph., El. 888) o brama d'amore (Ca1lim., epigr. 27,5; cfr. 45,2) sono indicate con 7tvp. L'aspetto distruttore e pericoloso del fuoco si coglie anche in espressioni proverbiali, per es. f.v 1tupt yevfo'i)m = perire (Horn., Il. 2a40), cpeuywv xoc1tvòv ( oouÀElocc;) elc; 7tUp ( OE
w
II. Il fuoco nella filosofia Presso i filosofi 5 7tup indica prevalentemente il fuoco nel senso di uno de-
(F. Lnng)
gli elementi primordiali, che possono essere due (1tup e yfj: Parmen. A 7 [Diels' I 219,36 J), tre (yfj, 11:up, \Jowp: Orfici A l [Diels' I l A 10] ), quattro (7tiip, ~owp, yai:'a., 1}1}p: Emped., jr. 17, 18 [D1els r 316,12]; Plato, Tim. 32b e passim) o cinque (a.t1'}1)p, 7tup, à.1)p, uowp, yi'j: Al'istot., cael. 3,r [p. 298b]) 6• Lo stimolo determinante a questa evoluzione è stato dato da Eraclito di Efeso (verso il 500 a.C.) che considera il fuoco la materia primordiale. Gioco del fuoco visto in un processo di continua trasformazione (7tup6ç -.e OC\l't'a.µoL~TJ -rà ml.v't'oc xa.t 7tiip &.miv..-wv, «mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose» : Heracl., Jr. 90 [Diels' I 171,6 s.]) è il mondo: <~Q~est'or~ne cosmico, identico per tutti gh esseri, non fu creato da alcuno degli dèi o degli uomini, ma sempre fu, è e sarà fuoco perennemente vivo (7tup 1hl· ~wov ), che secondo misura s'accende e secondo misura si spegne» (jr. 30 [Diels1 I 157,11 ss.]). Nel suo mutamento que· sto essere primordiale, identificato con la divinità o col logos, assume tre forme fon?amentali (1tupòç ..-pomxl: fr. 31 [D1els' I 158,6]): da fuoco diviene ac· qua, da acqua terra (via verso il basso: Jr. 60 [Diels' I 164,5]); nel movimento opposto da terra diviene acqua, da acqua fuoco (via verso l'alto). Dopo un lungo periodo cosmico tutto ritorna al fuoco primordiale attraverso una conflagrazione cosmica, da cui poi si ricompone il mondo. Egli definisce la formazione del cosmo indigenza (XptJ
Per i presocratici cfr. l'indice dei termini s.v. Tl:Vp in Dmts' III 380-384.
a.C.) dobbiamo una trattazione specifica sul fuoco conforme alla dottrìna degli elementi del suo maestro, cfr. Theophr., 11EpL 71:up6c; (ed. A.
6
GERCKE, Universitat Greifswald [ 1896] ).
5
Al discepolo di Aristotele Teofrasto (c.
300
j·'
TIUP A II-III
dell'uomo è di fuoco. Perciò quanto piì:1 è secca tanto più è saggia e migliore: Jr. rx8 (Diels1 I 177 A s.). Questo panteistico insieme di Dio e universo igneo, di razionalità cosmica e spirito umano ricompare più tardi soprattutto nella Stoa.
1
(F. Lang)
identico al precedente: un ciclo di periodi cosmici senza fine. L'anima umana è una parte della divinità igneo-pneumatica: Zeno, fr. 135 (ibid. I 38,3 s.); Cbrysipp., /r. 885 (ibid. II 238,32) e può essere chiamata semplicemente fuoco: Zeno, Jr. 134 (ibid. I 38,2); Cbrysipp., fr. 775 (ibid. n 217,19). Dopo la morte l'anima sopravvive, ma solo fino alla conflagrazione cosmica, quando anch'essa ritorna fuoco primordiale: Chrysipp., fr. 809 (ibid. II 22 3,17 ss.). Cleante sosteneva che tutte le anime sopravvivono, Crisippo invece ammetteva solo la sopravvivenza delle anime dci saggi: Cleanthes, fr. 522 (ibid. I n8,3 ss.).
Gli Stoici ritengono che tutto ciò che /r. 363 (v. Arnim II 123,31 s.). Essi ammettono due principi, -.ò 1t
è reale sia corporeo: Chrysipp.,
7
P. STENGEL, art. 'Amphidromia', in
W. I 8
(1894) 1901
PAULY-
s.
K. HANELL, art. 'Peristiarchos', in PAULY-W.
19 (1937) 859.
9 BERTHOLET-LEH.
lO 11
II 425.
Ed. G. NÉMETHY (1903) 88. W. KROLL, art. 'Laphria', in
(1924) 766-768.
PAULY-W. I2
Jtiip A m :r-2 (F. Lang)
7,18 ,1 l ss.). Spesso questi fuochi venivano accesi sulla cima di un monte. Durante le grandi feste Dedale 12 i Beoti e i Plateesi erigevano un altare sulla cima del monte Citerone e lo facevano bruciare insieme con le effigi di legno portate solennemente in processione dalle vallate (Paus. 9,3,1 ss.). Nel culto dei morti l'usanza di cremare 13 i cadaveri, importata probabilmente dai Greci immigrati, non eliminò completamente l'antica concezione della sopravvivenza dei defunti. Comunque era opinione comune che il fuoco non possa distruggere l'anima (Aesch., Choeph. 323-325). 2. Nella fede teistica sono collegati al fuoco soprattutto le figure di Efesto (Vulcano) ed Estia (Vesta). La divinità pregreca di Efesto 14 è in origine il dio del fuoco della terra, dei vulcani. A ciò rimanda il mito della sua caduta dal cielo (Horn., Il. 1,590 ss., alquanto diverso in 18,395 ss.). Gli epiteti del dio sono ccWaME~c;, arnwv, 1tVpl1tvooc;, 'ltVpl'tl}c;, nvpoe~c;. nvpcrocp6poc;, creÀ.acrcp6poc; 15• Il rapporto col fuoco naturale spiega anche perché fosse venerato quale fabbro degli dèi (Horn., Il. x8,J69 ss.). Efesto è poi diventato una designazione del tutto generica del fuoco (Diod. S. 1,I2,3; «fiamma di Efesto»: Horn., Il. 9,468; 17,88; 23,33; Od. 24,71); il crepitio del fuoco è detto «riso di Efesto» (Aristot., meteor. 2,9 [p. 369a 32]. Nella loro interpretazione allegorica dei miti, gli Stoici vedono in Efesto il fuoco (Zeno, fr. 169 [ v. Arnim I 43,Jo]; Chrysipp., fr. 1076 [v. Arnimrr 315,14s.]).
12 V. voN ScHOEFFER, art. 'Daidala' LY-W. 4 (1901) :r99I-Y993. 13 BERTHOLET-Llm. II 296;
dr.
6, in
PAu-
L. MALTEN,
art.
NILSSON 11
'Hephaistos', in
PAULY-W.
8 (1912) 3n-366 soprattutto 327-342. 1s
C. F. H.
(:r893) 155 s.
BRUCHMANN,
16
W. Suss, art. 'Bestia', in PAULY-W. 8 (1912)
1257-1304.
:r74-178.374-378. H
L'antica dea greca Estia 16 è protettrice del focolare domestico ed incarna il centro della comunità domestica, dello Stato (Thuc., 2,5), di una contrada (Paus. B,53,9) e di un'alleanza (l'altare di Estia a Egio, il centro della lega achea). I Pitagorici ritenevano che il fuoco centrale fosse il focolare dell'universo: 7tUp é.v µÉ
Epiteta Deorum ...
11 Cfr. il fuoco sacro e inestinguibile (ignis aeternus: Cic., pro M. Fonteio oratio 47) affidato alle cure delle Vestali a Roma (BERTHOLE1'-
LEH, Il 449). 18 19 W
Secondo un'indicazione di H. KLllINKNBCHT. Ovid., fast. 3,503: ortus ili igne Bacchus. W. F. OTTO, Dionysos (:r933) 136.
,, -~;
·_ ;
833 l VI,931)
a Pind., Nem . 3,60) 21 si trasformano in fuoco 21 • Nelle epifanie delle divinità 23 spesso si rammentano fenomeni ignei che ne esprimono il fulgore. Quando apparve ad Anchlse, Afrodite indossava una veste cpc:tL\IO"t'EpO\I 1'UpÒc; auyr}ç, «più splendente d'un bagliore di fuoco» (Horn., hymn. Ven. 86 ). Nell'epifania di Dioniso alla morte di Penteo 'ltpòc; oupavòv xaL yafav fo-.i]ptsE cpwc; 1n:µvtou itUpoc;, «verso il cielo e la terra si levò il fulgore del sacro fuoco» (Eur., Ba. xo83 s.). Nella pia leggenda circa il passaggio del culto del dio Serapide da Sinope ad Alessandria la figura divina apparsa in sogno si innalza al cielo igne plurimo (Tac., hist. 4,83). I fènomeni ignei rientrano anche nel novero dei numerosi segni premonitori 24 ; per es. fuoco sanguigno che cade sulla terra è un presagio infausto (Plin., nat. hist. 2,27 ). Nel descrivere il mondo degli inferi 25 si parla di «molto fuoco e grandi fiumi di fuoco» (Plat., Phaed. r 1 rd). Il terzo dei quattro grandi fiumi sotterranei, che dapprima si versa in un'ampia pianura dove arde un enorme fuoco per poi gettarsi nel Tartaro, si chiama Piriflegetonte. Esso è la fonte dei monti che emettono fuoco, non un luogo di tormenti (Phaed. n3a.b). Troviamo però anche l'idea della purificazione delle anime per mezzo del fuoco 26 oltre che con l'acqua 2! Ed. A. B. DRACHMANN III (1927) 51 s. 2? La mitologia conosce anche animali che spirano fuoco: Diomedis equi spirantes naribus ignem: Lucretius, de rerum natura 5,29 (ed. ]. MARTIN [ 1953] 176); tauri: Ve.rgil., georgico11 2,140. 23 E. PFIS'J'ER, art. 'Epiphanie', in PAULY-W. Suppl. 4 (1924) 315; ~PAX 26.30. 2~ Abbondante document82ione nel prodigiomm liber di Iulius Obsequens (ed. O. RossDACH [1910] 153-181). 25 Cfr. L. RADERMACHER, Das ]enseits im Mythos der Hellenen (1903) 96. 26 E. NoRDEN, P. Vergilius Maro, Aeneis Buch 2 VI (1916) 28.
e il vento: aliae panduntur inanes suspensae ad ventos, aliis sub gurgite vasto infectum eluitur scelus, aut exuritur igni (Vergil., Aen. 6,740 ss.). 3. Nei culti misterici il fuoco ha una notevole importanza nei riti di purificazione che precedono la 'epoptia' (cfr. Suid., s.v. Mlì}pou) e soprattutto quale fonte di luce a simbolo della celeste natura luminosa della divinità e del nuovo essere del miste 27 (.fiaccola~ VI, coli. 60 ss .). Secondo Hipp., 1·ef. 5,8,40 i misteri eleusini venivano celebrati unò 'ltoÀÀ{i) 'ltUpl. Con l'alternarsi di buio e chiarore il miste deve sperimentare l'orrore delle tenebre e la felicità dell'aldilà 28 • Nelle pratiche selvagge dei Baccanali in Roma donne invasate immergono nel Tevere .fiaccole accese (Liv. 39, r3). Nei misteri ellenistico-orientali, durante l'epoptia spesso col fuoco si ottengono effetti luminosi 29 • Nel culto di Mitra l'iniziato viene rigenerato dallo spirito perché ammiri il sacro fuoco (tva ~a.vµci.c;w -.ò Ì.EpÒv 'ltUp: Mithr. Liturg. 4,15). Egli deve contemplare «con spirito immortale l'immortale eone e signore delle corone di fuoco» (4,21 s.). Questo eone, dio del fuoco 30, viene invocato nella preghiera con questi titoli: «Esaudiscimi ... signore, che con il soffio dello spirito hai chiuso gli infuocati chiavistel21 Secondo~
ElTREM 4,52 ss.; 5,39.54 ss. nella consacrazione misterica avviene una rinascita elementare, una riedificazione dell'uomo attraverso i puri elementi primordiali dopo che è stato purificato dagli elémenti hylici ed è cosl stato reso idoneo alla visione della divinità. Pare che a questo riguardo il modello sia stato offerto dalla dottrina persiana degli elementi (cfr. Hdt. l,131). 28 O. KERN, art. 'Mysterien', in PAULY-W. 16 (1935) 1243. 29 TH. HoPFNER, art. 'Die orientalisch-hellenistische Mysterien', in PAULY-W. (1935) 1334. 3'J Cfr. A. Drn'l'ERICH, Abraxas (1891) 48-62.
1tvp A 3 - B (F. Lang)
li del cielo, che governi il fuoco (nupl7tOÀ.E ), spiri fuoco (7tupbtvoE), sei coraggioso come il fuoco (7tupil)uµe), hai la gioia del fuoco ('ltVPLX
B. IL
CULTO DE L FUOCO NELLA RELIGIO-
NE PERSIANA
Il culto del fuoco è diffuso presso tutso tutti i popoli, ma è sviluppato soprattutto presso gli indoeuropei. A questo riguardo nell'ambiente biblico riveste particolare importanza la religione persiana 31 • Già gli antichi Greci sapevano che presso i Persiani il fuoco era adorato come un dio: Hdt. 1,131, cfr. 3,16: IIÉpcra1 ycìp ikòv voµlsoucn E°LvaL -tò 7tvp, «i Persiani ritengono che il fuoco sia un dio»; dr. Diog. L., prooimion 6; Luc., !up. /rag. 42; Strabo 15,3.13 s. 16; Did. S. I7,u4+ Nel dualismo cosmologico ed etico del mazdaismo di Zaratustra il fuoco e il serpente personificano l'antitesi tra verità (A.fo) e menzogna (Drug) . In essa si 11
Circa l'idea di fuoco presso gli Egizi dr. C.
CLEMEN,
Fontes religionis aegyptiacae (r925)
rispecchia l'antico mito fondamentale iranico della lotta fra Atar (fuoco) e Azi Dahaka (drago). Gli uomini partecipano ineluttabilmente a questa lotta col loro comportamento. Essi combattono per j buoni sentimenti, la verità e la vita curando gli esseri buoni (per es. il bue, il fuoco e la terra); oppure consolidano il campo delle forze avverse. In questa prospettiva il fuoco appartiene inequivocabilmente alla parte buona, al regno di Ahura Mazda che l'ortodossia persiana ritenne sempre fornito di un corpo di fuoco, una .fiamma che splende di luce increata. Molto spesso nelle invocazioni il fuoco è chiamato «figlio del saggio signore» (Yama l,38; 2,18.48; 3, 26.52 e passim) 32 • Il fuoco è personificazione terrena di Asa vahista, il genio della verità o della migliore giustizia, che viene computato fra gli Ame5a Spenta, i «santi immortali». In essi si estrinseca e produce i suoi effetti la natura e il governo cosmico di Ahura Mazda. Essi sono in una certa misura ipostasi delle sue proprietà e hanno valore fisico e morale insieme. La loro funzione è custodire la vita e far progredire il mondo. Pertanto il fuoco è l'elemento più importante della purità, la più efficace energia vitale del regno divino della verità (Yasna 46,7). Questo elemento puro è adorato perché incarna questa energia divino-spirituale, come conferma il fatto che non si giunse ad una personificazione del dio del fuoco. Tutto ciò che riguarda morte, cattiva crescita o minorazione della vita rende impuro e non deve venire in alcun modo in contatto col fuoco. Di qui il particolare genere di onoranze funebri. Per quanto possibile i cadaveri non devono contaminare il fuoco, l'acqua e la terra; perciò vengono abbandonati, indice analitico, s.v. ignis; -+ LANG 23-26. 32
Ed. F. SPIEGEL (1859).
7tUp .O \ l'.
privi di vesti, sulle «torri del silenzio» (dakhmas) alle belve, che sono in ogni caso incarnazioni dello spirito malvagio. La cremazione del cadavere è ritenuta la colpa più riprovevole (Vendidad 8,229 ss.)33.
Lang}
mente nel metallo fuso» (30,r8-20) 35. Alla fine Ahura Mazda sconfigge gli ultimi due avversari Ahriman e Az (il demone della cupidigia in figura di serpente) e purifica definitivamente l'inferno con la potenza dcl fuoco. La terra rinnovata 36 sarà una superficie piana senza ghiacci (Bundahish 30,30-33). Il fuoco quindi è la difesa dell'ordinamento vitale buono, divino, l'opposto delle po· testà ostili a Dio, demoniache, che dimorano nelle tenebre e nel freddo deserto. In questa concezione diavolo e inferno non hanno fondamentalmente alcuna partecipazione al fuoco.
Nell'escatologia il fuoco è presentato come il mezzo dell'ultima prova nel giudizio finale 34 • Nelle Gatha si dice: «Perciò, saggio signore, nel giudizio dovrai distribuire per mezzo dello spirito santo (e) del fuoco (la ricompensa e il castigo) secondo la colpa e il merito con l'aiuto di Armaiti e Asa» (Yasna 47,6). Sempre nelle Gatha troviamo anche la tipiMentre nell'antico periodo degli Aca immagine del fiume di metallo fuso e ardente per distinguere i cattivi dai chemenidi Ahura Mazda veniva adorabuoni, quando si descrive più dettaglia- to all'aperto davanti all'altare fiammegtamente lo scopo di questa prova me- giante (Hdt. l,131 s.), in seguito vendiante il rosso fuoco di Ahura Mazda, nero in uso appositi templi dcl fuoco 37 «per imprimere col metallo fuso un se- simili agli attuali edifici di culto persiagno sulle coscienze a detrimento degli ni. Nella cella più interna, chiusa da oeretici e a vantaggio dei veri credenti» gni lato e completamente buia, arde il (Yasna 51,9). Il Bundahish, più recente fuoco sacro in un recipiente di metallo (sec. IX d.C.), illustra ulteriormente que- posto sopra una pietra quadrata. Nessusto atto di purificazione: «Quando Go- na mano d'uomo o respiro umano lo può cihar in cielo scenderà sulla terra sopra contaminare; perciò i sacerdoti addetti un raggio di luna, la terra sarà presa da al fuoco 38 devono indossare guantoni e una grande angoscia, come una pecora portare una benda davanti alla bocca e assalita da un lupo. Quindi fonderanno attizzare il fuoco, alimentato continuail fuoco e ... il metallo di Shatvair (ar- mente da legno ritualmente puro, mecangelo dei metalli) nei massicci e nei diante pinze e palette 39• Da questo samonti e sulla terra sta come una cor- cro focolare viene prelevato ogni fuoco rente. Allora tutti gli uomini saliranno nuovo che dovrà ardere nelle case 40 • nel metallo fuso e saranno purificati. Se uno è giusto sarà come se si trovasse nel latte tiepido, se invece è empio sarà come se nel mondo egli giungesse perenneEd. F. SPIEGEL (x852) x53. 1-79 studia lo sviluppo dall'ordalia escatologica del fuoco nelle Gatha di Zaratustra fino alla conflagrazione cosmica degli scritti medio-persiani. 35 Ed. K. F. GELDNBR (x9:z6). 36 Circa il fuoco quale strumento di perfezionamento del mondo cfr. ~ MAYER 55 s. 37 Alla luce dei reperti archeologici --+ ERD33 3f
--+ MAYER
tenta una ricostruzione dell'evoluzione architettonica del tempio del fuoco. 38 Circa il rapporto tra culto persiano del fuoco e culto della dea Anahita cfr. ---> WIKANDER, soprattutto 52-Iox. 39 BERTHOLET-LEH. Il 236 s.
MANN
839 (VI,933)
11\ip
el
C. IL
FUOCO NELL'A.1'., NEL TARDO GIUDAISMO E NELLA GNOSI
I. Antico T es/amento r. Statistica delle traduzioni Nella stragrande maggioranza dei casi niip traduce l'ebraico 'és (c. 350 volte) e in Daniele l'aramaico nfJr (LXX 12 volte; Theod. 16 volte). Nei LXX nvp si trova circa 490 volte di cui c. 100 nei libri col solo testo greco. 1) nvpa è usato esclusivamente negli apocrifi (8 volte). Altri equivalenti ebraici di niip sono rari, per es. 'ur (Is. 44,16; 47,I4; fa. 5,2 ); s•réfa (Gen. l I ,3; Am. 4,u ); 'iHeh (I Sam. 2,28); b•'éra (Ex. 22,5); lehàba (Is. 10,17; cfr. Ex. 3,2); rdef (Ps. 78,48). 'es viene raramente tradotto con altd termini greci (Lev. 2,14; qàliìi bà'es = nE
Forme di uso tecnico
Non è necessario analizzare nei particolari le svariate forme di fuoco spontane~ o prodotto dall'uomo. A questo riguardo l'A.T. non presenta alcuna peculiarità degna di nota, perciò sarà sufficiente un rapido accenno ai principali settori d'impiego : nell'uso domestico per preparare i cibi (Ex. 12,8; 2 Chron. 35,13; Ier. 7,18 e passim) e per riscaldamento d'inverno (ls. 44,15 s.; Ier. 36, 22); nell'attività artigianale (per es. Gen. u,3); soprattutto nella fusione dei metalli (Ier. 6,29; Ecclus 38,28 e pasSecondo un racconto apocrifo, quando il popolo fu deportato in esilio il fuoco sacro fu celato dai sacerdoti in una cisterna. Venne poi riscoperto sotto Neemia e, dopo che per un prodigio prese fuoco l'acqua del pozzo, fu riportato sul nuovo altare dei rimpatriati. Di qui l'usanza di celebrare un'apposita festa del fuo41
I-2 (F. Lang)
sim); in guerra come mezzo di distruzione (per es . Deut. 13,17; !ud. 20,48; Am. r,4; Ier. 21,10; Ps. 46,10). Di sabato era proibito accendere il fuoco (Ex. 35,3). Come fonte di illuminazione il fuoco è menzionato in Iudith 13,13.
Nel culto, il fuoco è usato soprattutto nel sacrificio (Lev. 1,7 ss.). il fuoco
dell'altare va tenuto costantemente acceso con l'olocausto quotidiano e non deve mai spegnersi (Lev. 6,2.6). Perciò nella terminologia recente è chiamato «fuoco perenne» (niip évoEÀEXÉ~: 1 Ecrop. 6 ,2 3) 41 • Era severamente proibito offrire un sacrificio con fuoco che non fosse dell'altare. Tale sacrificio contro le norme del culto si chiama 'es zàra = nvp &.).).6-rptov (Lev. 10,1; Num. 3A). La legge condanna in quanto mostruosità pagana i sacrifici di bambini in ono· re di Moloc (Lev. 20,2; Deut. 12,31; 18, 10 ). Ciò nonostante sotto Acaz (2 Reg. 16,3), e soprattutto sotto Manasse (2 Reg. 21,6) nella valle di Hinnom furono offerti sacrifici di bambini (cfr. Ier. 7 ,3 r ), e l'espressione tecnica per designare questa azione è: «far passate i propri figli, o le proprie :figlie, attraverso il fuoco» : he'ebir bà'es=StayEw Èv 'lt\Jpl (2Reg. q,17; 21,6) 42 • Nel culto il fuoco ha anche la funzione di mezzo rituale di purificazione(~ 1v, col. 1264) (Lev. 13,52; Num. 31,23; Is. 6,6 ~col. 843) e di distruzione degli oggetti consacrati per sottrarli alla profanazione (Ex. 12,ro; 29,;4; Lev. 4,12 e passim, forse anche Num. 6,18). La cremazione del cadavere è prevista solo per i malfattori (Gen. 38,24; Lev. 20,14; 21,9; Ios. 7,.15) 43 • Forse s'avverte qui l'idea di salco (2 Mach. 1,r8 ss.). 42 In Deut. i8,10 i LXX traducono ma'abir... bii'eJ con 7CEp~xa.Da.lpW'll ... tv mipl. 43 Nel caso di Saul e dei suoi figli (.i: Sam. 3x, 12) non abbiamo una regolare cremazione del cadavere, ma un particolare modo di sepoltura (Bibl. Reali. 239).
'ltVp
e I 2-4a (F. Lang)
vaguardare la purezza del popolo, come quando si distruggono col fuoco altari e idoli pagani (Deut. 7,5.25; 2 Reg. 23, n; I Chron. 14,12 e passim) o quando i nemici e i loro beni vengono radicalmente annientati col ferro e col fuoco nell'anatema (Deut. 13,17; Ios. 6,24; r Sam. 15).
Quale fenomeno naturale il fuoco s'incontra soprattutto nel1a folgore. Come il tuono è la «voce di Dio», così la folgore è il «fuoco di Dio» (lob l,r6; 2 Reg. l, 12); cfr. il «fuoco di Jahvé» (Num. II, l; I Reg. 18,38). Questo significato è particolarmente chiaro quando il fuoco appare accanto ad altri fenomeni naturali, per es. tuoni (Ex. 9,28; Ps. 29,7), grandine (Ex. 9,24; Ps. 78,48; IOJ,32), tempesta e bufera (Is. 29,6), vento (Ps. 104,4), neve e ghiaccio (Ps. 148,8). In qualche caso, dato il contesto, 'es significa canicola, grande siccità (Am. 7,4; Ioel 1,19). In lob 28.J (k•mo-'es; Theod.: wcreì. 7tUp) il lavoro di miniera è paragonato all'attività di un vulcano; ma nel testo originario si deve forse leggere «con fuoco», con probabile riferimento a un'antichissima procedimento col quale nel pozzo si ammolliva il minerale mediante il fuoco di legna 44 •
per indicare il giudizio dell'ira divina (Ier. 4.4; 5,14; 21,12; 21,36; 22,2x.31; 38,19; Soph. 1,18; 3,8; Nah. 1,6; Ps. 79,J; 89,47). Nei particolari l'uso linguistico si rifà a varie immagini: incendio nel bosco (Ier. 21,14); fornace (Ps. 21,10); rogo {Is. 30,33); fuoco del fonditore (Mal. 3,2); folgore (Lam. 1,13) . Di solito s'intende illustrare l'irresistibile forza distruttrice, talvolta invece la tendenza ad allargarsi (per es. nel caso dell'incendio nel bosco), l'insaziabilità (Prov. 30,16), l'azione purificatrice del fuoco del fonditore e, raramente, l'instabilità dei persecutori (un fuoco di pruni: Ps. n8,12). Vi sono poi espressioni proverbiali, per es. «come un ciocco strappato al fuoco» (Am. 4,n ; Zach. 3, 2) per indicare qualcuno che è riuscito a sfuggire a un pericolo gravissimo, e «come la cera fonde al fuoco» (Mich. 1,4; Ps. 68,3; 97,J) per indicare un processo di dissoluzione inarrestabile e radicale. È molto diffuso inoltre il paragone del fuoco del fonditore di metalli per indicare la purificazione ne~ dolore o nel castigo (ls. l,22.25; ler. 6,27 s.; Ez. 22,17-22; Mal. 3,2; Prov. 17,3; Ecclus 2,5; Zach. 13,9). Per contro recede notevolmente nell'uso linguistico metaforico e traslato la funzione illuminante del fuoco (Nah. 2, 4; r Mach. 6a9).
3. Uso traslato In questo uso acquista valore prevalente la forza distruttrice del fuoco. Nel- 4 . Il fuoco in relazione a Dio la letteratura sapienziale passioni uma- a) Il fuoco nella teofania ne d'ogni sorta sono paragonate al fuoco: calunnia e litigiosità (Prov. 26,20 In quasi tutte le scene di teofania dels.), ira (Ecclus 28,10 s.), spargimento di 1'A.T. il fuoco compàte come forma rapsangue (Ecclus n,32; 22,24), passione presentativa dell'inaccessibile santità e amorosa e voluttà (Ecclus 9,8; 23,17), della sovrana maestà di Jahvé. Fondaadulterio (lob 31,12; Prov. 6,27 s.: e- mentale per le successive rafligutazioni quiparato al camminare su carboni ar- fu la teofania al Sinai (Ex. 19) nella quale denti), peccati (Ecclus 3,30; 8,10). Ma certi tratti fanno pensare a una bufera il fuoco è soprattutto immagine abituale con tuoni e fulmini e a un'eruzione vul44
Cfr. G. H6LSCHER, Das Bucb Hiob, Hand-
buch A.T. (z937) ad I.; 98.
GALUNG,
Bibl. Reali.
'ltUp e
I
4a-b (F. Lang)
canica accompagnata da terremoto. Non sempre però la teofania è inserita nel quadro di fenomeni naturali di questo genere. Nella scena della vocazione di Mosè Jahvé appare nel roveto ardente (Ex. 3,2) e a Gedeone si mostra in una fiamma che arde dalla pietra (Iud. 6,21 ). Il fuoco è il medium della presenza rivelativa di Dio e rappresenta il mistero della gloria di Jahvé, il k"bOd jhwh (Ex. 24,17, ~ u, col. 1365). La colonna di nube e di fuoco che precedeva Israele nel deserto (Ex. 13 ,21 s.; 14,24; Num. 14,14; cfr. Neem. 9,12.19) indica che il Dio «disceso nel fuoco sul Sinai» non è legato a una località, ma continua a guidare e a difendere il suo popolo. Nelle scene teofaniche più recenti diventa sempre più evidente il progressivo allontanamento teologico dall'elemento materiale. Nell'apparizione di Dio ad Elia sull'Horeb si dice esplicitamente: «Il Signore non era nel fuoco» (I Reg. 19, 12). L'essere di Dio non si esaurisce negli elementi, egli è Signore e sovrano delle forze della natura (dr. Ps. 104,4). La vera e propria rivelazione avviene attraverso la parola (r Reg. 19,13; dr. Ex. 3,4 ss. e 19,21 ss.). Nella visione evocazione di Isaia, descritta in termini cultuali, il fuoco serve a purificare le labbra impure per il servizio divino di annunciatore (Is. 6,6). La visione di Dio del profeta Ezechiele (cap. l), che presenta aspetti affini a Is. 6, è dominata dalla scena del trono celeste sorretto da quattro esseri che attestano l'onnipotenza di Dio operante in ogni parte anche durante l'esilio d'Israele 45 • In questo caso il fuoco serve ad esprimere lo splendore raggiante e la luminosa gloria divina del k"bOd jhwh (Ez. 1,28). In Dan. 7 il fuoco è ormai l'immagine usuale per 45 Circa il nucleo originario e l'ampliamento del racconto con l'immagine del trono mobile sopra il carro, propria della 'scuola' di Ezcchie-
descrivere lo splendore luminoso che è proprio non solo di Dio, ma anche degli angeli (cfr. Dan. ro,6). b) Il fuoco come strumento del giudizio
divino Nell'A.T. si tratta in primo luogo di un intervento punitivo di Jahvé nel corso della storia. Come nella rappresentazione della teofania ha influito decisamente la rivelazione sul Sinai, cosl qui - per quanto riguarda il giudizio di condanna - un influsso determinante sulle successive rappresentazioni è stato esercitato dalla distruzione di Sodoma e Gomorra mediante zolfo e fuoco (Gen. 19, 24). Parimenti il motivo delle dieci pia· ghe d'Egitto (la settima era «fuoco fìam· meggiante in mezzo alla grandine»: Ex. 9 ,24) ha influito fìn sulle raffigurazioni escatologiche (cfr. Apoc. 8,7). Per indicare l'intervento punitivo di Jahvé si crearono alcune formule fisse: «Fuoco usd da Jahvé» (Lev. 10,2), «cadde fuo· co dal cielo» (2 Reg. 1,10), «il fuoco di Jahvé divampò su di essi» (Num. u,1). Presso i profeti il fuoco è uno dei più consueti strumenti del giudizio divino che colpisce sia gli arroganti nemici d'Israele (Am. 1'4-7 ·10.12.14; 2,2 ; Ier. 43, 12; Nah. 3,13 e passim) sia l'indocile popolo di Dio (Am. 2,5; Os. 8,14; Ier. u, 16; 17.'27; 21,14; 22,7; Ez. 15,7; 16, 41; 24,9 e passim). Lo stretto legame le, dr. W. Z IMMERLI, Ezechiel, Bibl. Komm. A.T. x3 (1956) 46-70.
11iip
e I 4b-c (F. Lang)
tra immagini di condanna e teofania esprime l'idea che il fuoco non è una cieca forza della natura, ma uno strumento di punizione in mano al giudice divino. Altrettanto si può dire per il fuoco del giudizio escatologico che troviamo presso i profeti. Il pensiero biblico a questo riguardo ruota in ptimo luogo attorno alla figura di Jahvé che si manifesta per giudicare; non è invece interessato a definire in che modo si attuerà In fine del mondo o la trasformazione degli elementi, come avviene per es. nella dottrina stoica della conflagrazione cosmica. Tre sono principalmente le funzioni attribuite al fuoco nel dramma escatologico: 1. il fuoco è uno dei segni premonitori del giorno di Jahvé (Ioel 3, 3). 2. Jahvé attraverso il fuoco attuerà il suo giudizio di distruzione su tutti i suoi nemici (Mal. 3,19; ls. 66,15 s.; fa. 38,22; 39,6) 46 • 3. I dannati subiscono la pena eterna del fuoco. Quest'ultima idea si trova solo in epoca postesilica e non senza l'influsso di concezioni non israelitiche. In questo contesto il passo veterotestamentario più influente fu Is. 66,24 in cui il verme e il fuoco indicano 46 In età preesilica di solito si tratta di giudizi limitati a un certo territorio; solo Soph. r,18; 3 ,8 parlano metaforicamente di un castigo di fuoco esteso a tutta la terra. Dopo l'esilio 1a scena su cui si compie il giudizio del fuoco si allarga notevolmente, per es. Is. 33,n s.; Ioel 2,3; Zach. u,6; Non troviamo nell'A.T. un testo esplicito sulla conflagrazione universale. A differenza del parsismo il fuoco del giudizio non è collegato all'idea dell'ordalia (--7 MAYER
132). 47
Già nel caso del primo sacrificio della Bib-
un perenne processo di dissoluzione e di castigo (cfr. Is. 34,10; Iudith 16,17; Ecclus 2r,9 s.). L'A.T. non usa ancora l'espressione tecnica «fuoco eterno» per indicare la pena dell'inferno. c) Il fuoco come segno dell'intervento di
grazia Anche se molto più raramente, talvolta il fuoco è anche segno della grazia divina. Tale uso di solito serve a indicare l'accettazione di sacrifici: con una epifania per mezzo del fuoco Jahvé manifesta la sua accettazione del sacrificio e la sua presenza salvifica (Gen. 15,17; Lev. 9, 23 s.; !ud. 6,21; I Reg. r8,38; I Chron . 21,26; 2 Chron. 7,1) 47 • Inoltre il fuoco ha una funzione intermediaria nel caso di uomini straordinari che vengono accolti in cielo (per Elia [2 Reg. 2,II] abbiamo un carro di fuoco con cavalli anch'essi di fuoco). Spesso fenomeni ignei indicano la presenza della guida (la colonna di nubi e di fuoco nel deserto ~ col. 843) e della protezione divina (2 Reg. 6,17). In Zach. 2,9 (LXX) troviamo che Jahvé è un muro di fuoco che protegge all'esterno 48 e uno splendore di luce all'interno. Nell'èra escatologica di salvezza la presenza di grazia di Dio viene descritta prevalentemente in termini di luce (cfr. Is. 58,10; 60,r s. 19 s.); solo in qualche caso l'inabitazione del Signore nella città perfetta di Dio è bia Teodozione interpret;i lo sguardo benigno di Jahvé su Abele e il suo dono come una consumazione dell'offerta per mezzo del fuoco (Gen. 4,4: ~VE'ltvp~crnv; ebr.: wa;;isa'; LXX: È'ltE~OEV) .
48 · In connessione con Gen. 3,24 e Zach. 2,9 si
sviluppa evidentemente l'idea attestata da Lact., inst. 2,x2,19 (CSEL 19,158): ipsumque Paradisum igni circumvallavit (Deus). Cfr. F. J . DOLGER, Sol Salutis (x925) 227 n. 3; A. JEREMIAs, Das A.T. im Lichte des alten Orients' (19x6) IOo.358
[G. BERTRAM].
'llUP
eI
4c - II I (F. Lang)
II. Sviluppi nel lardo giudaismo
desçr:itta anche con l'immagine di una manifestazione di fuoco (ls. 4,5).
l -
d) Il fuoco come designazione di Dio
Quando nell'A.T. Dio è definito fuoco divoratore ('es 'okla : Deut. 4,24; 9, 3; Is. 33,14) non è inteso come elemento personificato (cfr. Agni, il dio indiano del fuoco) o sostanza primordiale di ogni essere e divenire (Eraclito e la Stoa ~ coli. 828 ss.). Nell'A.T. questa designazione indica invece la natura maiestatica che racchiude in sé castigo e grazia e il comportamento di Jahvé come giudice: egli vigila sull'osservanza dei suoi comandamenti con ardore di fuoco! È quanto illustra con sufficiente chiarezza l'aggiunta esplicativa «un Dio geloso» (Deut. 4,24) ed emerge incontrovertibilmente da tutta la concezione veterotestamentaria di Dio. In questo senso luce e fuoco possono addirittura indicare il Dio che interviene con la sua grazia e il suo giudizio: «La luce d'Israele diventa fuoco e il suo Santo diviene .fiamma» (Is. 10,17). Se nelle civiltà limitrofe l'idea di fuoco orientata in senso cosmologico-ideologico prende le mosse prevalentemente dall'elemento naturale, nell'A.T. il fuoco è visto in modo del tutto teocentrico quale forma descrittiva della misteriosa, inavvicinabile, terribile e beatificante gloria di Jahvé nel processo rivelativo e quale strumento e immagine costante del suo atteggiamento di giudice.
4g
Nell'atto dell'ispirazione lo spirito viene descritto con l'immagine di un calice pieno d'acqua, «il cui colore era simile a fuoco» (4 Esdr. 14,39). so Cfr. però anche He11. acth. 1,6 ss.; vii. Ad.
Apocalittica
Mentre nell'A.T. gli astri hanno solo la funzione di scandire il tempo dividendolo in giorno e notte, nell'apocalittica sono spesso descritti come corpi ignei: il sole (Hen. aeth. 72,4 s.; Bar. gr. 6 e 8 ); le Stelle «Come grandi monti fiammeggianti» (Hen. aeth. x8,13). L'idea delle stelle disobbedienti (Hen. aeth. 18, 15) è collegata spesso con quella degli angeli peccatori (19,1-3). Talvolta in 4 Esdr. abbiamo accenni alla dottrina dei quattro elementi, per cui anche l'uomo, in quanto microcosmo, è fatto di terra, acqua, aria e fuoco (4 Esdr. 4,rn s.; 8, 8) 49 • Molta importanza ha acquistato il fuoco nell'escatologia: giudizio finale con fuoco (Hen.aeth. 102,1; Bar. syr. 37, r; 48a9.43; 4Esdr. l3,10s.; Ps. Sai. 15,4 s .; Iub. 9,15; 36,10; Sib. 3,53 s. 71s. 542.618.673 s. 761; 4,159 s.; apoc. El. 40,17 ss.). L'idea della conflagrazione cosmica è sviluppata esplicitamente soprattutto nei Libri Sibillini 50 (Sib. 2, 186 ss. 238 ss. 315 ss.; 3,83 ss.; 4,172 ss.; 5,158 ss. 2n ss. 512-531), nei quali i motivi del fiume di metallo incandescente e delle stelle che precipitano ricordano influssi iranici. Nel dualismo sempre più netto dell'apocalittica il fuoco compare soprattutto in duplice forma: a) come strumento di tormento eterno nell'inferno (Hen. aeth. 9 1,9; 100, 9; 103,8; 4 Esdr. 7,38; Bar. syr. 44,15; 59,2); fuoco eterno (Bar. gr. 4,16; test. Zab. 10,3; cfr. test. Iud. 25,3; 4 Mach. 12,12); abisso di fuoco (Hen. aeth. 90, 24; Hen. gr. 10,13 : xaoç''t'OU 1tUp6c;); palude di fuoco (Hen. aeth. 90,25 51 ; 49 s.; apoc. Eliae 43,5 s.; Pseud.-Sophodes 2,r-
6 51
(RIESSLER xo46). Cfr. A. DIETBRICH,
Nekyia' (1913) 2I8·22I. In Hen. aeth. 90,25 come testo greco va probabilmente presupposto Àlµ\ITj [P. KATZ] .
m)p
849 (vr,937)
e II 1-2 (F. Lang)
Hen . gr. 10,6: ɵ'Ttuptcrµ6ç); colonne di fuoco (Hen. aeth. 18,II; 21,7; 90,26); mare di fuoco (apoc. Soph. 7,2.3); fornaci di fuoco (Hen. aeth. 54,6; 98,3; 4Esdr. 7,36; cfr. vis. Esdr. 48); incandescenti strumenti di tortura (apoc. Esdr. 4,9 ss. 16 ss.; vis. Esdr. 13 ss. 19 . 45 s.; apoc. Soph. 5,1; 15,6; Sib. 2,286 ss. 295). b) Come caratteristica del celeste mondo della luce (Hen. aeth. 14,925; 71,1-12; apoc. Abr. 18; vit. Ad. 25); gli angeli visti come esseri di fuoco (Hen. slav. 1,5; 29,3; 4Esdr. 8,21; Bar. syr. 21,6; apoc. Soph. 9,4; apoc. Abr. 19,5-9; angelo dello spirito di fuoco (Iub . 2,2). 2. Rabbini
fuoco) (Joma b. 21h bar.). Il rabbinismo condanna il culto del fuoco : gli adoratori del fuoco (pabbartm) sono paragonati agli «angeli della perdizione» ( Qid. b. 72a). Nel racconto del Sinai spesso si paragona la torà al fuoco. La legge era di fuoco, la pergamena su cui ern scritta era di fuoco bianco, i caratteri della scrittura erano di fuoco nero (Sota j. 8, 4 [22d,32 ss.]). In Deut. 33,2 (Midr.: «alla sua destra stava il fuoco della legge») la torà è detta fuoco 52 • «I due fuochi» della torà sono la legge seri tta e la legge orale (Cant. r. 2,J). Da questa prospettiva si comprendono anche i fenomeni ignei che accompagnano lo studio e la lettura della torà 53 , e infine l'idea che i rabbini, in quanto studiosi dediti completamente alia torà, sono essi stessi di fuoco: il fuoco dell'inferno non può nulla contro gli studiosi della Scrittura, «dei quali tutto il corpo è fuoco» (Hag. b. 27a).
Circa l'origine temporale del fuoco esistevano diverse opinioni. Il midrash annovera il fuoco tra i tre elementi preesistenti al mondo (Ex. r. 15 a 12,12). Secondo una dottrina comune esso fu fatto il secondo giorno della creazione, secondo un'altra, invece, alla vigilia o sul fìnire del sabato (Pes. b. 54a). I rabbini Nell'escatologia iJ rabbinismo, come distinguevano sei comportamenti del l'apocalittica, ha sviluppato ulteriormenfuoco: il primo «consuma e non beve»: è te soprattutto le idee circa il cielo e l'inil normale fuoco spento dall'acqua; il se- ferno, probabilmente non senza risenticondo «beve e non consuma»: è la feb- re di influssi babilonesi e iranici~. Dal bre (Shab. b. 67a); ]eb. b. 71b); il terzo sec. II a.C. la Sheol, che in origine era «consuma e beve»: è il fuoco di Elia il luogo tenebroso in cui soggiornavano (I Reg. 18,38); H quarto «consuma ciò tutti i morti, diventa sempre più espliche è umido e ciò che è secco»: è il fuo- citamente il luogo infuocato in cui venco dell'altare; il quinto «allontana il gono puniti gli empi 55 (~ r, coli. 393 ss.; fuoco normale»: è il fuoco dell'angelo II, 375 ss.) e che di solito dai rabbini è Gabriele che raffreddò la fornace arden- chiamato Gehinnom. Pare che ai tempi te (Dan. 3,25); il sesto «consuma l'al- di Gesù la Sheol fosse ancora considerata tro»: è il fuoco della divinità; infatti il la sede·intermedia di punizione accanto maestro disse che col suo dito aveva al Gehinnom escatologico 56• Ma dopo la bruciato gli angeli ribelli ( = esseri di famosa sentenza di R. Johanan ben Zac52 STRACK-BILLERBECK IV Sl STRACK-BILLl!RBECK II
xo68.
6o3 S.
L'idea di conflagrazione universale non ha trovato seguito presso i rabbini; solo sporadi-
S4
camente si trova l'equivalenza diluvio·conffa. grazione (M. Ex. r8,r (64b]); STRACK-BILLER· BECK III 773· 55 STRACK-BILLERBECK IV 1075 s. 56 STRACK·BILLERBECK IV 1023.
7'VP
e II 2-3 (F. Lang)
cai (verso il 20 d.C.) circa le due vie che conducono al Gan Eden e al Gehinnom (Ber. b. 28b [-?VIII, col. I68]),presso i rabbini un po' alla volta il Gehinnom sostituisce la Sheol anche quale intermedio luogo di punizione. Già nel Gehinnom intermedio gli uomini subiscono pene col fuoco (Hag. b. 15h). A partire dal sec. II d.C. al Gehinnom intermedio viene attribuito anche forza espiatoria e purificatrice; corrisponde quindi al purgatorio della dottrina cattolica. I viventi lo possono mitigare o abbreviare mediante preghiere ed elemosìne (Qid. b. 31b; Pesikt. r. 20,95b) 57 • A prescindere da coloro che sono coin· presi in una particolare lista di persone dannate per l'eternità (Sanh. rn,I-3) tutti i peccatori israeliti, attraverso questa fase di purificazione, pervengono alla salvezza del mondo futuro. La Mishna contiene una sentenza di R . Akiba secondo cui il purgatorio di fuoco durerà dodici mesi (Ed. 2,IO). Alcuni rabbini del sec. m d.C. ripartiscono nel tempo le pene del caldo e del freddo: gli empi patiscono 6 mesi nel fuoco e 6 mesi nella neve (Sanh. ;. 10,3 [29b 71 ss.]) 58 • Circa la pena del fuoco nel Gehinnom eterno e in quello intermedio i rabbini potevano affermare le cose più strane grazie al loro modo combinatorio di interpretare la Scrittura 59 • Il fuoco non si estingue mai (Per. b. 54a) e scotta 60 5, 5S 59 6-J
STRACK-BILLERBECK STRACK-BILLERBECK STRACK· BILLERBECK STRACK-BILLllRBECK
IV IV IV IV
zo43-1059. io58-106r. 1075-rn83. zo33.rn50.
volte più di un fuoco normale (Ber. b. 57b). Il calore aumenta con la profondità (Midr. Ps. 84 § 3). Il fuoco è alimentato da carboni di ginestra perché durano a lungo (Midr. Ps. 120 § 4 e passim). I mediocri, cioè quelli per i quali sulla bilancia del giudizio finale meriti e demeriti si equivalgono, secondo la scuola di Shammai devono prima espiare i loro peccati nel fuoco dell'inferno, mentre secondo gli Hilleliti possono entrare immediatamente nel mondo futuro per la grazia di Dio (R.H.b. l6h bar.}1"'0 • Poiché il fuoco esprime la gloria di Dio e della sua sfera, per i rabbini esso costituisce anche la materia di cui è fatto il mondo celeste. Il dito di Dio (Sanh. b. 38b) e gli angeli (Pesikt. 57a) sono di fuoco fiammeggiante 61 • Secondo una opinione molto diffusa gli angeli so· no creati dalla corrente di fuoco (nchar di-nt:Jr: Dan. 7,rn) che proviene dal sudore dei quattro esseri che stanno davanti al trono di Dio (per es. Gen. r. 78 a 32,26) 62 • Anche i modelli che Dio mostrò a Mosè per costruire l'arca, il tavolo e il candelabro (Ex. 25,40) erano di fuoco, che è il materiale delle costruzioni celesti (Men. b. 29a) 63 • 3. Qumran
I testi di Qumran 64 condividono l'attesa che nel giudizio fìnale Dio condanni i suoi nemici al fuoco. x QpHab w,5: Dio giudicherà la casa del giudizio «con fuoco e zolfo» (b's gwprit: motivo del castigo di Sodoma); lO,IJ: gli avversari degli eletti di Dio giungeranno «alla pena del fuoco» (lmsp!i '.f}; I QS 2,15: l'ira di Dio e lo zelo dei suoi castighi lo «brucino per la pena eterna» (ib'rw bw 61 STRACK-BILLl!RBECK III
678.
62 STRACK-BILLl!RBECK I 977. 63 STRACK-BILLl!RBECK III 702
64
Cfr.
~ DELLING
ro6.
s.
'ltUP
e Il 3 - III (F. Lang)
lklt 'wlmjm); cfr. r QH 6,18 s. A Qumran troviamo pure la concezione del fuoco eterno dell 'infemo. I QS 2 ,8 : Sii maledetto «nelle tenebre del fuoco eterno» (b'plt '.f 'wlmjm); I QS 4,13: vergogna della distruzione nel fuoco dei luoghi oscuri (klmt klh b's mf;Jkim); r QH 17, 13: fuoco nelle profondità della Sheol. In ciò non sì oltrepassano i termini dell'uso linguistico dell'apocalittica. Anche nelle espressioni metaforiche il fuoco indica giudizio e tribolazione ( r Q H 4,} 3 ; 6,25; 8,20.30). Nella descrizione dell'èra finale nelle Hodajot troviamo aspetti che ricordano l'idea della conflagrazione cosmica (r QH 3,29-33) analogamente a Sib. (~ col. 848 ). Nonostante il forte dualismo, nei testi di Qumran non troviamo ancora la valutazione gnostica della materia come fuoco . 4. Il giudaismo ellenistico
a) In Filone si coglie chiaramente il contrasto tra l'idea greco-cosmologica di fuoco e la matrice giudaico-escatologica. Egli accetta la teoria dei quattro elementi (det. pot. i11s. 8) e descrive la natura e le proprietà del fuoco in piena sintonia con lo stile della filosofia greca. Il fuoco è ciò che per natura è caldo (i>Epµév: rer. div. ber. 135), leggero (xoi.icpo\I: aet. mund. u5), fine (ÀE'lt't'OµEpÉc; : rer. div. her. r 34) e rarefatto (µavov: aet. mund. 105). Ha il triplice aspetto di carbone, fiamma e splendore (aet. mund. 86) e tre funzioni fondamentali: illuminare (cpw't'lsnv: decal. 48), bruciare (xa.lEw: leg. all. 1,5) e riscaldare (à.À.Ealvm1: spec. leg. 4,56). Inoltre la sensibilità greca si manifesta anche nella forte accentuazione dell'importanza del fuoco come strumento di progresso (vit. Mos. 2,219 s.; spec. leg. 2,65).
In antropologia Filone si distanzia 65
Cfr. LXX Deut. 28,22 (cbr. : qadda[Jat).
(VI,939) 854
dall'equiparazione, tipica dello stoicismo antico, di spirito e fuoco coll'affermare l'inconoscibilità dello spirito umano (mut. nom. 10) e dell'anima del mondo o divinità (leg. alt. 1,91 ), ma nelle sue espressioni dimostra di dipendere da essa: Ò 'VOUt;, E'VJ}EpµOV XltL 'ltETCUpWµÉ\IOV 1t\1Euµa., «l'intelletto, spirito fervido e infuocato» (fug. I I 3); €vilEpµov xa.t 'ltU· pwO'fl À.6yo\I, «ragione fervida e ardente» (cher_ 30). Lo stesso vale per la sua critica alla dottrina greca della conflagrazione cosmica (aet. mund. 79-103). Caratteristico di Filone è che egli interpreta il castigo del fuoco di Nadab e Abihu (Lev. 10,2) come un passaggio alla comunione con Dio (leg. ali. 2,57; fug. 59; rer. div. ber. 309). Inoltre egli collega la contemplazione di Dio col fuoco (praem. poen. 37-39), mentre presso di lui il fuoco dell'inferno passa del tutto in seconda linea. Infine, con un'inter· pretazione allegorica, pone il fuoco cultuale dell'altare a servizio dell'etica filo· so.fica (spec. leg. r ,28 5-288 ). Tuttavia nel dare rilievo all'insondabilità e alla trascendenza della divinità infrange il monismo razionalistico incentrato sul fuoco che caratterizzava lo stoicismo antico. b) Flavio Giuseppe usa 'ltUp in senso proprio (ant. 10,95); 'ltoÀÀÙ. 'ltup
III. L'uso linguistico gnostico . Il dualismo anticosmico della gnosi trova espressione nell'antitesi luce-tenebre. In questo orizzonte il fuoco può essere sinonimo di tenebre e quindi con65 I passi di Flavio Giuseppe sono stati indicati da K. H. RENGSTORF.
'ltUP e
III 1-3
trapporsi nettamente al Dio supremo, che è luce. l.
La letteratura ermetica
Nel Corpus Hermeticum il fuoco serve a indicare il cosmo materiale (Corp. Herm. 1,4), la sfera planetaria, demonica (10,16) e le passioni sensibili dell'uo· mo (10,20). Il demiurgo è 6 Èmxdµevoç È7tL "t'OV 7tup6c;, «colui che domina su] fuoco» (1,13). Nell'ascesa dell'anima verso il superiore mondo di luce i vizi vengono restituiti alle singole sfere ( l, 25). 2. Gli
scritti gnostici copti
Nella cosmologia della Pistis Sophia il mondo sublunare è chiuso entro tre sfere (Pist . Soph. 12-14) dominate dall'ar· conte di fuoco (cap. 27). Gli arconti rappresentano anche l'«Egitto» o la materia (cap. 18). Nel salire verso il regno della luce del tredicesimo eone l'anima deve attraversare la zona di fuoco degli arconti. Grazie ai misteri della luce essa è custodita al sicuro (cap. 143), altrimenti sottostà al potere giudicante del fuoco. Le pene del fuoco dei singoli peccatori variano per genere e durata secondo i peccati commessi (capp . 144-147). Il libro non fa che combinare le più diverse concezioni dell'inferno di fuoco con la regione ignea degli arconti nell'aria. Il battesimo gnostico di fuoco, accanto al battesimo d'acqua e di spirito, è descritto nel cosiddetto secondo libro di Jeu (cap. 46). 3. Gli scritti mandei
Nel Ginza ricorre spesso la contrapposizione tra fuoco vivente e fuoco divoratore (Lidzbarski, Ginza 76,10 s.; 91,37 s.; 264,39; 267,11 ss.; 294,3) per indicare l'antitesi tra luce e tenebre, ve67
Cfr.
LmZBARSKr,
Ginza 606, indice s.v.
(F. Lang)
rità e menzogna, vita e morte. Può bastare un esempio a chiarire il significato: «essi abbandonarono il fuoco vivente e andarono ed amarono il fuoco divoratore» (69,22 s.). Talvolta a questa contrapposizione corrisponde quella tra acqua = «fuoco vivente» e fuoco= «fuoco consumatore» (Lidzbarski, Liturg. 24, 3-8 ). Il fuoco vivente, valutato positivamente, sta dalla parte dell'eterno e vittorioso re della luce e della gloria (Lidzbarski, Ginza 73,xo ss.). Gli inviati della luce indossano un «abito di fuoco vivente» {91,17 e passim) oppure una «corona di fuoco vivente» (79,II), «alla cui vista i demoni sono atterriti» (83,6). Anche l'anima dell'uomo è fuoco vivente (246,6). Circa l'aspetto negativo in· contriamo due enunciati che spesso sono usati parallelamente 67 • Tuttavia il «fuoco divoratore» si riferisce prevalentemente alla vita del cosmo materiale e il «fuoco ardente» al giudizio dopo la mor· te. Il fuoco divoratore determina il regno dei pianeti (Lidzbarski, Ginw 53, 27 s.; 248,6) e tutto il mondo terreno materiale. Questo mondo delle tenebre, della menzogna e della morte (14,30· 37), della malvagità e della caducità (78, 9 s.) è «pieno di fuoco divoratore» (33, 4 s.) che caratterizza anche i falsi profeti (29,7.17; 47,9 .17-22; Lidzbarski, Liturg. 154) e i demoni (Lidzbarski, Ginza 67,29 s.). Nell'antropologia il fuoco divoratore designa il corpo materiale (91, 35 ss.), il «corpo sudicio, maleodorante, divoratore e corruttore» (430,17 s.) e le passioni umane (94,4 s.; 132,20 s.; 278, 7 s.). Il fuoco ardente rappresenta, ma non sempre, il fuoco del giudizio escatologico (Lidzbarski, Ginza 19,5 s.; 54 ,5; 225,22; 299,3; Lidzbarski, Johannes 63, 1r.19 ss.); qui l'inferno è messo in rap· porto con la regione del fuoco nell'aria e vengono accolte diverse pene comuni dell'inferno. Con una certa schematizza-
•
.,
;i
nup e rn 3 -V
zione si può dite: chi in vita ama il fuoco divoratore ( = materia), nell'ascesa dell'anima diventa preda del fuoco ardente ( = giudizio). Nella 'A7técpa.cnc; µzyaÀ:l'] attribuita a Simon Mago {Hipp., ref. 6,9,4SS.) il fuoco è un elemento fondamentale di tutta l'evoluzione del mondo, «radice dell'universo», tuttavia il dualismo si esprime nella doppia natura del fuoco {xpu7t-.:6v/ cpavEpév 1tVP) 68 • Il fuoco visibile è derivato da quello invisibile; nella conflagrazione cosmica tutto ciò che è corporeo torna a dissolversi. Pertanto nella gnosi il fuoco o ha un duplice valore, in rispondenza all'idea che ciascun elemento può essere puro ed impuro 69, oppure - a differenza del parsismo - esso è un principio cattivo spesso contrapposto all'acqua intesa come elemento buono 70 • D.Il fuoco nel N.T.
II 1
(r. LangJ
\ YSt!/'t.l.J
U,]V
tale quando per un attacco del male cadeva nel fuoco o nell'acqua. Secondo Le. 22,55 per scaldarsi i servitori hanno acceso una specie di fuoco di bivacco nel cortile. Che poi lo stesso fuoco sia indicato dal vocabolo q>wc; (v. 56) si spiega facilmente col fatto che era notte. Act. 28,5 si riferisce al fuoco di legna e sar·· menti prima menzionato (cfr. 'ÌJ 7tupti: vv. 2 s.), in cui Paolo scaglia la vipera. Hebr. l 1 ,34 presenta il fuoco come strumento, in definitiva impotente, di tortura e di morte contro i credenti, e Apoc. 17,r6; 18,8 lo descrive come strumento di guerra e di distruzione. La completa scomparsa del fuoco dell'altate e del sacrificio è collegata alla nuova concezione del sacerdozio e del sacrificio. Si fa menzione soltanto del fuoco dell'altare celeste (Apoc. 8,5). A differenza di quanto avviene nel mondo greco, nel N.T. il fuoco non ha alcuna importanza come elemento primordiale e fattore di progresso civile.
I. Le forme fenomeniche terrene L'impiego di nvp per indicare il fuoco nel senso di fenomeno terreno resta nel quadro dell'uso linguistico consueto. Anzitutto c'è da osservare che si trova raramente nel senso di fenomeno naturale. Nella citazione di Ps. ro4,4 in Hebr. 1,7 nupòc; q>À.oya. accanto a nvEuµa.-i:a. si riferisce probabilmente alla folgore. Per Apoc. 16,8 il contesto (cfr. v . :9) suggerisce il senso di vampa solare. Vari passi presentano l'uomo che fo uso del fuoco . Mc. 9,22 (par. Mt. q,r5) fa riferimento al fuoco nell'uso domestico o nella vita quotidiana del villaggio. Il ragazzo epilettico correva pericolo mar68 ~
BousSET i30-232. Cfr. i cinque elementi luminosi e tenebrosi del manicheismo. 7J L'antitesi fuoco-acqua è molto importante soprattutto nelle cerchie battiste gnostiche (Epiph., haer. 19,3,7; Pseud.-Clem., hom. 11,26, 4; :io,9,4. Cfr. ~ BoussET 156 s.; H. ScHLIER, 69
II. L'uso metaforico e traslato 1. In conformità con tutto l'A.T. il fuoco è comunemente usato soprattutto come immagine del giudizio divino (~ coll. 841 s.). Di solito le immagini sono prese dalla vita agl'icola: si bruciano le piante improduttive (Mt. 3,10 par. Le. 3,9; Mt. 7,19), la pula (Mt. 3,12 71 ; Le. 3,17), l'erba cattiva (Mt. r3,40), i tralci sterili della vigna (Io. 15,6). Il contenuto della metafora presso i sinottici è sempre il giudizio escatologico72 • In Iac. Religio11sgeschichtliche U11tersuchu11ge11 zu den Ig11atiusbriefe11 (1929) 146 s. In questo passo l'aggiunta di d:crflÉcr-;~ a m>pl trascende l'immagine: colui che vcrrlì consegnerà gli impenitenti al fuoco della dannazione eterna. n In Giovanni si deve probabilmente pensare
11
1tUp D n
1
·III 2
5 ,3 il paragone col fuoco, in una strettissima compenetrazione di immagine e oggetto, descrive l'asprezza divoratrice del giudizio contro i ricchi che con la tesaurizzazione di beni perituri nell'età escatologica ormai iniziata si rendono colpevoli verso il prossimo (~IV, coll. 1046 ss.). L'espressione proverbiale secondo cui l'oro è purificato dal fuoco (cfr. Prov. 17,3; 27,21; Ecclus 2,5; Sap. 3,6) è applicata da I Petr. 1,7 alla prova della fede fiduciosa nei dolori di questo mondo(~ u, col. 1412) e in Apoc. 3,18 è un invito a penitenza rivolto contro la tiepidezza e la presunzione della comunità di Laodicea.
Nel senso traslato prevale l'uso in malam pa1'tem come nell'A.T. (~ col. 841) e nella grecità(~ col. 827 ). In Iac. 3,5 s. la forza malefica della lingua è detta fuoco (dr. Ecclus 28,22) ed è illustrata con l'immagine dell'incendio del bosco 73 comune nella diatriba e in Filone. II contesto in cui Luca ha collocato il logion di Gesù 12,49 suggerisce il signicato traslato di fuoco della discordia (cfr. otcxµepwp.6v: V. 51 e Mt. 10,34). 2.
III. Il fuoco nell'uso teologico In genere a questo riguardo è deteral giudizio che già si compie nella presente scelta di fede (BULTMANN, ]oh., a 15,6). Circa l'uso del motivo dell'incendio del bosco dr. DrnEuus, Jk., ad l. Nell'A .T. esso ricorre nel contesto delle minacce di giudizio:
(vr,942) 860
minante la tradizione veterotestamentaria e giudeo-apocalittica. l.
Il f uoeo nella teofania
Talvolta si fa riferimento alle note teofanie veterotestamentarie nel fuoco. Nel discorso di Stefano (Act. 7 ,30) si narra l'epifania di Dio a Mosè nel roveto (Ex. 3,2 74 ) con poche divergenze dal testo dei LXX. Hebr. 12,18 ss. accenna alla rivelazione di Dio sul Sinai. Non troviamo invece nel N.T. altri racconti dettagliati di teofanie. Nel caso dell'apparizione di Cristo sulla via di Damasco si menziona solo una luce dal cielo (Act. 9,3). 2.
Il fuoco strumento del giudizio divino
In riguardo a pene temporali il fuoco ricorre solo in allusioni ad episodi del1'A.T. Le. 9,54 fa riferimento a .2 Reg. l,10.r2, come sottolinea anche l'aggiunta wc; xcxt 'H).lm.; E1tOl1')CTE'V. Comunque il fuoco che scende dal cielo indica un prodigioso intervento punitivo di Dio ed è secondario a questo punto chiedersi quale sia stato il fenomeno naturale che sta alla base del riferimento 75• In Le. 17,26-30 l'inatteso castigo abbattutosi sugli uomini ai giorni di Noè e di Lot è paragonato al giorno del Figlio Is. 9,17; 10,17 ss.; Ier. 21,14; Ez. 21,3; Ps. 83, 15 [FOHRER],
Col cod. B si deve leggere: Èv 1tupt cp)..6yoc;. Per un giudizio sulle lezioni cfr. P. KATZ, 'Ev 1tupt
73
(F. Lang)
'ltup D III 2a-ba (!'. Lang)
dell'uomo. Il v. 29 cita Gen. I9,24 (gofrlt wii'ef), perciò va inteso in senso transitivo: «egli (Dio) fece piovere dal cielo (cfr. him#r) fuoco e zolfo (7tiip xaL ?}EfoV)».
Nella maggior parte dei casi il fuoco si trova in contesti escatologici.
la potenza del tribunale di Dio: chi li attacca deve affrontare Dio, come fecero gli avversari di Mosè ed Elia. Nella tradizione la scena di 2 Reg. 1,10 rimase collegata ad Elia, come provano la caratterizzazione di Elia quale 'ltpocp-ft'tTJ<; w<; 7tUp (Ecclus 48,1) e il passo di Le. 9,54. Tra le seduzioni sataniche del tempo finale troviamo che lo pseudoprofeta «davanti agli uomini fa cadere fuoco dal cielo sulla tena» (Apoc. l 3,13) pet farsi apparire legittimato da Dio (cfr. 4 Esdr. 5'4 ss.; Mc. 13,22; 2 Thess. 2,9). In Apoc. I4,r8 un particolare angelo del fuoco (Ex;wv È~ouo"lciv btt 'tOU 'ltup6ç) porta dal tempio celeste l'ordine di mandare ad effetto il castigo descritto con l'immagine della vendemmia. Nell'apocalittica giudaica gli angeli sono preposti al mondo umano (angeli delle nazioni) e a tutte le leggi naturali (Hen. aeth. 60,12-22; angelo dell'acqua : Apoc. 16, 5; del vento: Apoc. 7,I; del fuoco: Iub. 2,2) 73 • Nel discorso tenuto da Pietro nel giorno di Pentecoste (Act. 2,19) si ritiene che l'effusione dello Spirito adempia la parola del profeta Gioele (3,3).
a) Il fuoco compare tra i segni premonitori e i castighi che precedono l'atto finale, soprattutto nell'Apocalisse, che usa numerose immagini dell'apocalittica giudaica. Le pene che si abbattono sull'uomo al suono della settima tromba sono in parte ricalcate sulle dieci piaghe d'Egitto. Il binomio «grandine e fuoco» del castigo sulla terra (Apoc. 8 ,7) ricorda la settima piaga d'Egitto (Ex. 9,24). Non si può invece determinare con precisione se la frase «qualcosa simile a un grande monte ardente di fuoco» (8,8) si riferisca n un'eruzione vulcanica 76 o a una stella 77• I destrieri del castigo della sesta tromba, descritti a colori mitologici, sputano «fuoco, fumo e zolfo» (9, 17 s.) e sono cosi presentati come mostri infernali portatori di distruzione. I due testimoni (n,3) sono intesi come preb) Nel N .T . il fuoco svolge un ruolo cursori escatologici del Messia e, stando essenziale in quanto pena escatologica. al v. 6, alludono a Mosè ed Elia(-+ IV, coli. 9I s.; VII, 805 s.). Con una formu~) Già nella predkazione messianica lazione tradizionale (2 BCW'. 22,9) si dice di Giovanni Battista il giudizio escatoche «dalla loro bocca esce fuoco che di- logico appare sotto l'immagine del batvora i loro nemici» (v. 5) . In questo mo- tesimo di fuoco. Qui la fonte Q (Mt. 3, do si assicura che essi sono protetti dal- n; Le. 3,16) offre probabilmente il teApk., ad l.; ZAHN, Apk., ad l.: eruiione del Vesuvio. 77 LOHMEYER, Apk., ad l.
76 HADORN,
Per i rabbini cfr. STRACK-BILLERBECK III 820. Nel midrash Gabriele è l'angelo del fuoco (Num. r. x2 a 7,r; cfr. Pes. b. rr8a). 78
863 (v1,943)
1tup D m
2ba-~
sto originario 79 • Il logion descrive come la comunità escatologica venga radunata per ricevere grazia o condanna (cfr. la purificazione dell'aia in Mt. 3,12). Il Messia venturo donerà ai penitenti lo Spirito promesso per il tempo finale (cfr. I QS 4,20-22) e giudicherà gli impenitenti col fuoco. ~)Nelle parole di Gesù il fuoco del giudizio finale cede il passo al fuoco eterno dell'inferno. Tuttavia si deve presupporre che gli fosse noto il fuoco del giudizio escatologico che ricorre nell'A.T. e nell'apocalittica. Di qui è opportuno prendere le mosse per interpretare i due difficili passi di Mc. 9.49 e Le. I2, 49. L'oscuro logion di Mc. 9'49 'Jtéi<; yàp nupt èlÀMri>1)
Trad. 263; H. J. FLOWERS, lv &.rl
(F. Lang)
d.izio nei propri confronti rinnegando se stesso, è preda dell'ira futura . Il logion costituisce cosl un parallelo all'enunciato di Mt. 10,39 e all'analogo enigma di Mc. 10,25 ss. La doppia sentenza di Le. I2,49 s., che probabilmente non proviene da Q perché manca in Matteo, descrive in forma riepilogativa la missione di Gesù presentandola come compimento della promessa del Battista, ma in modo tale che anche colui che battezzerà in Spirito e fuoco deve prima passare attraverso il dolore. L'immagine del battesimo(-+ II, coli. 66ss.) per descrivere gravi tribolazioni (cfr. Mc. Io,38 e Ps. II, 6) 83 nel v. 50 si riferisce alla passione e morte di Gesù sulla croce con cui egli fonda la comunità escatologica. La forma parallela dei vv. 49 e 50 fa pensare anche ad una corrispondenza di contenuto. Il v. 4 9 afferma dunque che Gesù farà scendere sulla terra un fuoco di giudizio in cui egli stesso sarà coinvolto. Il significato di nup qui rimane ancora determinato dal senso principale di «fuoco del giudizio escatologico», ma con Gesù il giudizio si attua già nel presente. Dal!'atteggiamento assunto verso Gesù si decide se si è vicini o lontani da Dio. Con l'avvento di Gesù le due possibilità escatologiche di giudizio ('ltVp) e sal-
J. ScHNJEWIND,
7~ BuLTMANN,
81
miEvµa't~ 155 s.
kus, N.T. Deutsch
so La proposta del Lohmeyer di seguire il testo
africano 1tUoO'a oè ovula civaÀW~TJO'E't'm (LOH· Mk., ad l.) spezza l'aggancio dei termini à'ì..io-D-fir;E't'm (v. 49) - 't'h &'ì..m; (v. 50).
MEYER,
Das Evange/ium nacb Mari:'
(1958) ad l.
Cfr. il medesimo concetto in una formula· zione teologica diversa in Paolo 2 Cor. 5,17 e Io. 3,3.4.7. 82
83 ~ DELLING I02-II2.
\ I
·'
7tvp D m
2b~--y
vezza (~mnÀ.Ela) incalzano dappresso gli abitanti di questa terra 84 • y) In Paolo 1'VP si trova solo in tre passi (ICor. 3,I3.I5 [3 volte); 2Thess. 1,8; Rom. 12,20), dove si riferisce sempre al fuoco del giudizio escatologico. In I Cor. 3 ,13 Paolo ricorre a categorie tradizionali per affermare che il Signore compie il giudizio finale per mezzo del fuoco. Il giorno in arrivo deciderà del lavoro dei predicatori, «perché si svela col fuoco». Il fuoco del giudizio escatologico proverà la natura di ciascuna opera. Il buon architetto, la cui opera resiste al fuoco, riceverà la ricompensa; quello cattivo, la cui opera brucia, ne riceverà danno, ma non andrà alla dannazione eterna: «sarà salvato, ma come attraverso il fuoco» (v. 15b). La difficile frase conclusiva non descrive il castigo nel senso di un purgatorio di fuoco 85 , ma con l'aiuto di una espressione proverbiale afferma che l'individuo in questione otterrà la salvezza eterna solo a stento, non senza correre un grave pericolo. Paolo accosta qui, in un nesso poco stretto, quattro idee correnti, senza 84 Identico è il senso del logion apocrifo presso Orig., in Ier. hom. lat. 3,3 (ed. A. BAEHlUlNS [ 1925] 312): qui iuxta me est, iuxta ig-
11em est; qui /011ge est a me, longe est a reg110.
Cfr.
J. }EREMIAS, U11beka11nle Jes11sworte
(1951) 53-55. 8~ L'idea è stata introdotta nell'esegesi da Origene in connessione col concetto della conflagrazione cosmica,~ GNILKA 126; dr. G. ANRICH, Cleme11s imd Origenes als Begrii11der der Lebre vom Fegfeuer, Holtzmann-Festschrift
(F. Lang)
(v1,944) 866
tuttavia svilupparle rigorosamente: I. il motivo della casa che brucia, dedotto dall'immagine dell'edificio indicante la predicazione dei missionari; 2. l'attesa che il Signore futuro verrà col fuoco (2 Thess. r,8); 3. l'idea della prova escatologica per mezzo del fuoco (Mal. 3 ,2) e 4. l'espressione proverbiale dello scampare attraverso il fuoco nel senso di uscire illeso (~ col. 842). L'accento cade sull'incorruttibilità e definitività dell'ultimo giudizio. In 2 Thess. 1, 7 s. la parusia di Gesù è descritta in tetrnini veterotestamentari quale giudizio e redenzione insieme. La manifestazione del Signore avviene «in fuoco ardente» (Ex. 3,2 B ~ n. 74). Ciò che nell'A.T . . era predicato di Jahvé (Is. 66,15) è ora applicato a Gesù. Non si accenna all'idea di una conflagrazione universale. Il fuoco è essenzialmente strumento di castigo nelle mani del Signore che si manifesta per il giudizio universale. In Rom. 12,20 Paolo utilizza la citazione di Prov. 25,21 s. per esortare alla completa dnuncia alla vendetta. Il proverbio veterotestamentario 86 invita al perdono in termini paradossali:
'ltUp D III 2by-cci (F. Lang)
care di uno, fallo aiutando(lo )» 87 ; in tal modo avrai ragione del tuo nemico con il bene. Questa metafora è collocata da Paolo nel contesto del giudizio finale (v. 19). I carboni ardenti acquistano cosl anche un significato secondario di riferimento al fuoco del giudizio escatologico: se al bene che tu compi il nemico non reagisce convertendosi, cioè se ora scansa i «carboni ardenti sul suo capo», rton potrà tuttavia sfuggire al fuoco del futuro giudizio d'ira 83 ,
di Dio per il fuoco ("tEì)1J
o) Quanto al resto del N .T., ?tlip si riferisce chiaramente al fuoco del giudizio escatologico in Hebr. rn,27: Éxoox1J xpLO'EWC, X('l.L 7tlJ pòc, e;fj À.oc, Éo-ì)lEW µÉÀ.À.O\l"tOç "tOÙC, Ù1i:E\ICt.\l'tLOVc;, «l'attesa di un giudizio e l'ardore di un fuoco pronto a divorare gli avversari}>, In Hebr. 12,29 la designazione veterotestamentaria di Dio quale fuoco divoratore (?ti:ip xet.'ta.a) Nelle parole e nelle parabole di \let.À.lo-xov: Deut. 4,24; 9,3) viene parimente trasposta in un contesto escatolo- Gesù 1tup si presenta spesso quale congico (v. 27). Apoc. 20,9 descrive con for- trapposto di {3et.aLÀ.Elet. o ~wl) (Mt. 13, mulazioni tradizionali (.2 Reg. l,10) il 42; 18,8 s.; 25,41; Mc. 9,43.45.47). {3agiudizio annientatore del fuoco di Dio
87
88 SCHLATTER, 89
Rom., ad l.
La combinazione di 'ltUp e.
care il luogo di dannazione rispecchia il fatto che l'oscura Sheol e il Gehlnnom di fuoco so· no diventati un unico concetto. 90 Nei codici più recenti la citazione è entrata anche nei vv. 44 e 46, probabilmente dal v. 48.
1ti.ip D III 2ca-y (F. Lang)
ve il loro verme non muore e il fuoco anche nell'espressione cr~!;En Èx 'ltVpòc; non si estingue». Qui è comprensibi- &.pmx.!;ov..Ec;, «salvate strappando dal le anche l'espressione "ò 'ltUp -cò &crSe- fuoco» (Iudae 23). Qui echeggia l'espresu't'O\I, «il fuoco inestinguibile», per indi- sione proverbiale di salvezza da un gracare la pena eterna del fuoco nell'infer- ve pericolo (Am. 4,rr) --7 col. 842, ma, no (Mc. 9,43 91 ; cfr. Mt. 3,12; Le. 3,17), stando al v. 7, anche in questo caso 'itUp che prevale in Marco. Matteo la sosti- è riferito al fuoco del giudizio 95 • tuisce con l'espressione -.ò 'ltup 't'Ò a.1.wy) Nell'Apocalisse di solito il binomio \l~o\I, «il fuoco eterno» (Mt. 18,8; 25, fuoco e zolfo indica la dannazione eterna 41) e per indicare l'inferno di fuoco dinell'inferno. Chi adora la bestia e la sua ce: Ti yÉEWU 't'OU 'ltup6c;, «la geenna del effigie cade nel tormento eterno in fuofuoco» 92 (5,22; 18,9 93 ), oppure: Ti x
I fenomeni ignei sono attestnti anche da Philo, Abr. 140 s.; vit. Mos. 2,56. In modo a-
94
nnlogo 3 Mach. 2,5 sottolinea il carattere paradigmatico del castigo di Sodoma. 95 KNOPF, Petr., a Iudne 23. % Perciò, secondo questo passo, dal cielo è possibile vedere l'inferno e viceversa (cfr. Le. 16,19 ss.). 97 LOHMEYER, Apok., ad l.
nup D III 2Cj - 3 (F. Lang)
da quella che s'incontra nei culti pagani, dove spesso i laghi sono considerati sacri 98 • o) La quasi completa assenza del fuoco nei vangeli e nelle lettere di Giovanni dipende dalla forte sottolineatura della scelta di fede in Gesù Cristo nel presente e dal recedere delle concezioni apocalittiche, senza che per questo si rinunci all'attesa del ritorno di Cristo. La valutazione gnostica della materia come fuoco (~ col. 8 55) è in antitesi con la concezione giovannea e biblica della creazione. 3. Il fuoco come segno della gloria celeste
Questo significato del fuoco, già sviluppato nell'apocalittica giudaica, è presente anche nel N.T. anche se molto più debolmente del momento giudiziale. Come è logico attendersi, ricorre soprattutto nell'Apocalisse di Giovanni. Nella scena di vocazione di Apoc. r,9 ss. l'apparizione del Figlio dell'uomo è descritta con termini presi da Dan. 7 e 10 e gli attributi di Dio sono riferiti a Gesù. Nel v. 13 Cristo è presentato come sommo sacerdote regale, e le immagini dei versetti successivi (vv. 14 s.) illustrano «la o6~cx. celeste in cui Gesù si rivela» 99 • «Occhi simili a una fiamma di fuoco» {v. 14; cfr. Dan. 10,6; 7,9; Hen. slav. 1, 5) e «piedi simili a rame incandescente, quasi fosse arroventato in una fornace» 100 (v. 15; cfr. Dan. ro,6; Ez. 1,27) Dioniso è detto Atµvai:oç in Aristoph., ra. s.; Thuc. 2,15 ,4; Paus. 2,37,5. 99 HADORN, Apk., ad I. 100 nE7tVpwµÉvl)c; è un errore grammaticale per
9'I
210
sono epiteti frequenti nell'apocalittica e servono a indicare la gloria celeste. La maggior parte degli attributi di questa visione di Cristo ritorna nelle singole lettere, in una certa corrispondenza con il contenuto, per sottolineare che l'autorità di chi parla è quella del Signore glorioso. Gli occhi fiammanti e i piedi simili a rame incandescente ritornano in 2,I8, dove si deve riprendere aspramente la comunità di. Tiatira. Qui abbiamo inoltre il motivo del giudizio 101 che troveremo in 1 9,12 nel Cristo che appare per il giudizio finale. I simboli del fuoco e della luce non sono esclusivi di Dio o di Cristo, ma possono essere attribuiti anche agli angeli quali abitatori della sfera celeste. L'angelo che scende dal cielo (Apoc. ro,r) ha «gambe simili a colonne di fuoco». L'attributo non serve a individuare una determinata figura di angelo, per es. Gabriele, ma costituisce un contrassegno generico degli angeli quali esseri che partecipano della gloria celeste. Agli angeli nella loro realtà di ignee figure di luce accenna probabilmente anche l'equiparazione delle sette fiaccole accese davanti al trono con i sette spiriti di Dio (Apoc. 4,5; cfr. Bar. syr. 21,6). In questo contesto il fuoco significa lo splend<:>re della gloria celeste: quanto più vicino al trono, tanto maggiore è la 86~a {cfr. Hen. aeth. I4, 1iEr:upwµlv~
(LOHMEYER, Apok., ad l.). Forse in Apoc. 2,23 riecheggia l'idea dello sguardo cli fiamma che tutto penetra e nel v. 27 quella del passo che infrange ogni ostacolo. JOI
nup Dm 3 - E
22). Non solo delle persone, ma anche degli oggetti si può predicare l'appartenenza al mondo della luce ricorrendo agli attributi propri del fuoco. II mare di cristallo davanti al ttono di Dio (Apoc. 4,6) è probabilmente da considerare l'equivalente celeste del «mate di metallo fuso» collocato nel cortile dei sacerdoti (I Reg. 7,23; 2 Chron. 4,2). L'aggiunta µEµ.~yµÉ'llTJ\I 7tUpi (Apoc. IJ,2) indica che esso appartiene alla sfera della gloria celeste, in parallelo con l'espressione oµolcx xpucr-tciÀ.À.cy (4,6). Questo uso linguistico apocalittico e non la dottrina dell'identificazione di spirito e fuoco tipica della filosofia stoica - soggiace alla scena delle lingue di fuoco nell'episodio di Pentecoste (Act. 2,3) urz. Il paragone col fuoco (r À.wcro-cx~ wcrEt r.up6ç, «lingue come di fuoco») indica l'origine celeste dello Spirito, cioè il tipo di avvenimento spiegabile solo per un prodigioso intervento di Dio e non causato da forze naturali. In complesso nel N.T. il fuoco ha conservato prevalentemente il carattere di immagine dell'ira divina e di strumento dell'azione giudiziaria di Dio nel giudizio finale e nel fuoco eterno dell'inferno. Accanto a questi significati, e in conformità con la tradizione apocalittica, il fuoco indica anche la gloria luminosa . Esso estende cosl il suo significato ai due possibili esiti della realtà escatologica: l'inferno e il cielo.
w-
102 Come prova l'aggiunta dell'apocalittico crd; ed è tanto più probabile in quanto Luca
I
(F. Lang)
E.IL FUOCO PRESSO I PADRI APOSTOLICI
I. Tradizione biblica L'uso del termine presso i Padri apostolici è determinato, nella stragrande maggioranza dei casi, dalla tradizione biblica. Anzitutto a questo proposito sono da ricordare le citazioni dirette di passi biblici. 2 Clem. 7,6; 17,5 cita Is. 66,24, diversamente da Mc. 9,48, in corrispondenza letterale coi LXX; 2 Clem. 5'4 è più vicino a Le. I2,4 s. che a Mt. ro,28; Ps. 104,4 in I Clem. 36,3 è citato non secondo i LXX ma in rispondenza verbale a Hebr. I,7. Di solito prevale il fuoco escatologico di giudizio e dannazione: -tò 'ltup -.ò furSEcr-.ov, «il fuoco inestinguibile» (Ign., Eph. I6,2, cfr. Mc. 9,43); 1i x&.µwoc; -tou 'ltUp6ç, «la fornace del fuoco» (2 Clem. 8,2, cfr. Mt. I3,JO); wç xÀr'.Scxvoç xm6µEvoc;, «come forno ardente» (2 Clem. 16,3, dr. Mal. 3;19); i giusti vedono i tormenti dei dannati oE~ vcxiç SrxcrG.voL<; 7tupi ò:.crSÉcr-t4), «con terribili tormenti di fuoco inestinguibile» (2 Clem. 17,7, dr. Le. 16,28); il fuoco eterno in contrasto col fuoco temporaneo 'TO 'lti:ip 't'O al<.:.ivtov - -.o 'ltUp -.ò 'ltpocr~ xatpov (Diogn. ro,7 s., cfr. Mt. 18,8; 2 5 ,41); 'tÒ -tij<; µEÀ.À.ouO"T)c; xpr'.
nup E
I .
n:up6w A
smica si trova solo in 2 Clem. e in Erma. A questo riguardo il tardo giudaismo ha assimilato concezioni iraniche, babilonesi e greche, che dall'inizio del sec. u d.C. si possono notare talvolta anche nella chiesa, finché Clemente Alessandrino e Origene hanno dato alla dottrina una sistemazione dogmatica. Presso i Padri apostolici si avverte l'influsso di passi biblici in 2 Clem. r6,J, cfr. 2 Petr. 3,ro; Is. 34A cod. B; Herm., vis. 4,3,3, cfr. Ioel 3,3; ls. 66,r6. Anche l'uso del fuoco quale strumento di castigo e di tormento terreno risale alla tmdizione veterotestamentaria. Come esempi si citano il castigo di Sodoma (I Clem. r l,l, cfr. Gen. 19,24 s.) e i tre giovani nella fornace ardente (I Clem. 45,7, cfr. Dan. 3,19 ss.). Nella persecuzione dello stato contro i cristiani spesso fu inflitta la pena di morte per fuoco (cfr. Ign., Rom. 5'3i Sm. 4,2). Il Martirio di Policarpo descrive uno di questi casi con tratti biblici molto noti (r5-r6,r), che mostrano come in definitiva il fuoco nulla possa contro il fedele (Dan. 3,19 ss.; r Mach. 2,59 ; Hebr. II, 34). Per il martire il fuoco degli aguzzini era senza calore (mart. Polyc. 2, 3, cfr. 4 Mach. II,26). Ricorre anche la consueta immagine della prova del fuoco: nella vita di fede (Herm., vis. 4,3,4, cfr. r Petr. 1,7; Apoc. 3,18); prova del fuoco nell'era escatologica (Did. r6,4 s., dr. r Petr. 4,12; Mt. 24,10.24).
II. Influssi esterni Nonostante questo forte aggancio alla tradizione biblica non mancano talvolta idee d'altra provenienza. Presso Ignazio di Antiochia si coglie
I
(F. Lang)
1'uso linguistico dualistico-gnostico. In lgn., Rom. 7,2: oùx fo-.Lv ÉV ɵot 1tUp
In complesso nei Padri apostolici le concezioni del fuoco si muovono prevalentemente sul terreno della tradizione biblica.
t
1tUpow 1
A. NEL MONDO
GRECO
Il termine s'incontra da Pindaro in poi, anche in iscrizioni. r. In senso proprio: a) bruciare, distruggere col fuoco, dggetti combustibili d'ogni genere (Ò... XPUO'Òc; µovoç OV 1tUpoihrx.L, «solo l'oro non brucia», Aristot., meteor. 3,6 [p. 378 b 4]), in guerra (1tUpwi}év-cwv Tpww'V: Pind., Pyth. 11,33) e nelJa vita quotidiana (va.oùç 1tupwcrwv lj)..i}e, «giunse per incendiare i templi»: Soph., Ant. 286). Vi si aggiungono anche i significati specifici di 7tVp: nel fuoco del sacrificio bruciano òcrcpuv (Aesch., Prom. 497); crwµa.-.a (Eur., Herc. fur. 244), cadaveri bruciano sul rogo fiv 1tE1tupwxrx.v (sic) Éyw, «che ho
nup6w I
E.
FRAENKEL,
Griechische Denominativa
(19o6) 97.153 [A. D1mRUNNER].
';;'Jp6w A
I -
acceso io» (iscr. da Teli el Yehudieh 20, 4) 2 ; b) trattare con fuoco nell'uso domestico e nell'artigianato, per es. cuocere 'tÒ cr'to:.tc;, «la pasta» {Aristot., probl. 21,ro [p. 927b 39]), arrostire (Hippocr., de victu 2,56 [Littré VI 566 J), rendere incandescente (Aristot., de coloribus 2 [p. 792a l2]), affumicare Ja casa: owµo:. itEd4) (Theocr., idyll. 24, 96), fondere metalli (IG VII 303,15); e) raramente in senso assoluto: far fuoco: c~Myo:. 7tO~Et\I xo:.L 7tUpouv (Aristot., part. an. 2,2 [p. 649b 5]), passivo: trasformarsi in fuoco (Aristot., cael. 3,8 [p. 307a 24] ); d) in medicina: 'JtUfiOV\I rc·(iv yEuow, scottare al gusto (Diosc., mal. med. l,16,2; 4,170,2; 'ltupoucri>m, soffrire bruciore di stomaco, pirosi (Herodotus Medicus in Aet. 9,2) 3• 2. In senso traslato, di solito al passivo: infiammarsi, ardere: mt.pa:yyé)..µo:.cr~ ... 1tupwi>dc; xa.polav (Aesch., Ag. 480 s.); 't"L\lt, essere preso da ardente amore per qualcuno (Anth . Gr. 12,87).
B. NEL GIUDAISMO l . Nei LXX il termine nel senso proprio predominante in greco si trova solo tardi, soprattutto nei Maccabei; 2 Mach. 10,3: trarre il fuoco da pietre; 4 Mach. 9,17: bruciare la carne nel martirio; 4 Mach. u,19: arroventare gli schidioni per la tortura 4 . Altrettanto vale per il senso traslato al passivo: essere preso da affetti, soprattutto dall'ira: 7tupwitEì.c; .-oic; buµoi:c; (2 Mach. 4 ,3 8; cfr. lO,J5; 14.45); dalle preoccupazioni: O""CE\layµoi:c; 1tE7tupwµÉ\11]ç... 't'ijç xa.pola.c; (3 Mach. 4,2). L'uso più comune del verbo nel senso di purificare, provare (in ebr. di solito fiiraf) è collegato con l'immagine del fonditore di metalli consueta dall'epoca dei profeti in poi. Il verbo indiEd. H. LmTZMANN, ]iidisch-griechische Ittschri/tett aus T ell el Yeht1dieb : ZNW 22 (1923) 282.
2
B
2
(F. Lang)
ca anzitutto la purificazione dei metalli nobili al fuoco (lob 22,25; Zach. 13,9-; Ps. l2,7; 66,ro; Prov. ro,20) e di qui è applicato in senso traslato alla prova che l'uomo subisce per disposizione di Dio (Is. 1,25; Iudith 8,27; Ps. 105,19; Dan. 12,ro), talvolta come sinonimo di ooxLµci.sEW (Ps; 17,3; 26,2; 66,ro; Ier. 9,6) o di 1tEtprH~ELv (Ps. 26,2). Ciò che ha superato la prova del fuoco è confe1"mato; così specialmente la parola di Dio (2 Sam. 22,31; Ps. 18,31; n9,140; Prov. 30,5) . Solo in qualche caso il senso del verbo è determinato dalla funzione illuminatrice del fuoco (Esth. 5,rd; Lam. 4, 7 [cod. B] ). 2. Filone usa il verbo solo al passivo. In senso proprio, col significato di essere bruciato (o x6o-µoç o 1tupw1Mc;: aet. mmtd. ro2;il vitello d'oro = il corpo : poster. C. 158), ed anche essere incandescente (som. l,31 ; ebr. 147). Di solito però usa il verbo in senso traslato per indicare l'infiammarsi degli affetti in senso positivo e negativo: l'uomo virtuoso, infiammato (1tupwitElc;) alla raggiante apparizione del bello, brucia (xa'taq>ÀÉyEL) i piaceri del corpo (poster. C. l 59 ), che in un altro passo sono descritti come desideri ardenti {mmupwµÉ\laç ÈmlJuµlac; : rer. div. ber. 65). Il credente arde di riconoscenza verso Dio (1tE1tupwµévoc; É\I Eùxo:.pt
Ed .. S. ZBRBOS : 'A&r]vii 23 (19n) 278,14.
Nei" Maccabei abbiamo anche i composti ÈxMach. 7,3 .4); lì~oc- (4Mach. 3,r5) e -rrpoam>p6w (2 Mach. 14,n).
4
(2
1tUpow B 2 - C 3 (F. Lang)
pura, purificata dal fuoco, provata e preziosa» (leg. ali. l 177 ). La mentalità ( yvwµl)) tutta pura è da lui detta 't'Ì}V a:tpE1t'tOV xa;t 1tE1tUpWµÉ.\ll)V xat 06XtµO\I cpvCTW , «la natura immutabile, purificata dal fuoco e provata» (leg. all. 2 167). In questo senso stoico egli parla anche di 1tt1tupwµÉ.voc; xa.t &:vlxrrcoc; À.6yoc;, «ragione pura e invitta» (sacr. A. C. 87) e definisce il vouc; come ~vi>Epµov xat 1trnupwµÉ.vov 1tVEuµa., «spirito fervido e infuocata>> (fug. 134). Flavio Giuseppe usa il verbo solo nel senso proprio di bruciare (ant. 5,65, attivo; beli. 7,316, passivo); così anche 1tUp1toÀ.Ei:°v, incendiare (ani. 7,191; 9, 159; 20,123; Ap. 2,212). 3. Nella comunità di Qumran l'idea veterotestamentaria della purificazione col fuoco fu applicata nel contrapporre i figli della luce ai nemici della setta: «In modo prodigioso hai agito verso il povero e lo hai indotto nelle tribo[lazioni del nemi]co, nell'opera del fuoco, e (lo hai trattato) come argento, affinato nella fornace degli incendiari per purificarlo sette volte» (I QH 5,15 s.)5. C. NEL NUOVO TESTAMENTO
I sei passi in cui ricorre 1tup6oµa.i. nel N .T. si inseriscono nell'uso linguistico finora illustrato. l. Paolo usa il verbo esclusivamente in senso traslato, e solo al passivo, per indicare l'ardore dei sentimenti. In I Cor. 7,9 l'Apostolo consiglia i celibi e le vedove a sposarsi piuttosto che bruciare di desiderio. Dal contesto risulta chiaro s H. BARDTKE, Die Handschrifte11fu11de am Toten Meer (1958) 240. 6 Anacreontea 10,15 (ed. TH. BERGK, Poetae Lyrici Graeci m [ 1882] 303).
(VI,950) 88o
il significato di bruciare per il fuoco del desiderio sessuale, attestato anche nel mondo greco 6 • In .2 Cor. 11,29 1tup60µa.~
si riferisce alla solidarietà dell'Apostolo nel dolore per lo scandalo dato a un fratello. Ogni mancanza contro la comunità colpisce anche Paolo, egli brucia «per solidarietà e per il desiderio di soccorrere» 7 . 2. In Eph. 6,16, nel contesto della illustrazione dell'armatura del cristiano, troviamo «lo scudo della fede con cui potete spegnere tutti i dardi infuocati del Maligno» (~ VIII, col. 842).
L'uso di dardi infuocati in guerra~ era noto ai Greci e ai Giudei. Tuttavia la frase di cui trattiamo non è presa direttamente dall'ambito militare (cfr. anche .2 Mach. lo,30). L'A.T. ha diverse e· spressioni per indicare i «dardi infuo. cati» (Is. 50,u: ziqot; Prov. 26,18: ziqqim), che però i LXX non traducono col nostro verbo. Ps. 7 ,14 usa l'immagine del dardo infuocato per indicare il male che ricade sul falso accusatore. Ma in Eph . 6,16 l'aggiunta «del Maligno» (~ x, col. 1390) indica che l'espressione proviene da una concezione dualistica in cui i figli della luce stanno in lotta contro le schiere di Belial. Perciò il parallelo più prossimo è un passo del rotolo degli Inni di Qumran: «Essi mi hanno circondato con tutte le loro armi di guerra, e dardi distruggono, senza che uno guarisca, e il taglio della lancia è in un fuoco che divora alberi» (r QH 2, 25 s.) 9• 3. Nel senso proprio di «essere di1 WINDISCH, 2
Kor., ad l.
Per quanto riguarda la tecnica cfr. Amm. Mare. 23A· 9 BARDTKE, op. cii. (-7 n. 5) 236. 8
mip6w C 3 - nupwcnç 4 (F. Lang)
strutto dal fuoco» il verbo ricorre in 2 Petr. 3,12: «I cieli si dissolveranno nel fuoco e gli elementi si struggeranno nel calore ardente», cioè nella finale conflagrazione cosmica. 4. L'Apocalisse di Giovanni riprende l'immagine veterotestamentaria ( ~ coll. 877 s.) del saggiare i metalli preziosi. In Apoc. 3,18 «l'oro che è raffinato nel fuoco» è una parafrasi per indicare lo sperimentato dono della salvezza di Cristo e la fede autentica rispetto a qualsiasi entità fittizia 10 • Questa immagine chiaramente sviluppata serve ad intendere Apoc. I , I 5 : «l suoi piedi erano simili a rame incandescente, quasi fosse arroventato nella fornace». 7tE7tUpwµÉv11c; è certo originario, perché in tal modo si spiegano meglio tutte le varianti, ma è grammaticalmente sbagliato perché dovremmo avere 7trnupwµÉV4> da riferire a xa.À.xoÀ.i~&.vcp. Contro il riferimento a xaµwoc; vi è anche il fatto che nei LXX è attestato solo xaµwoc; xa;~oµÉVT) (fob 4r ,12 ), e non 1tE7tupwµÉv'I').
D. NEI
PADRI APOSTOLICI
re i credenti a rendersi utili per l'edificazione della torre.
r. Nomen actionis da nupécJJ; specialm. in Aristotele e nei suoi discepoli, anche nei papiri. Senso proprio: il bruciare, bruciatura (Theophr., hist. plant. 5,9,1; Archelaus A 4 [Diels1 II 46,11]), il trattare col fuoco, per es. il cuocere (Aristot., probl. 21,12 [p. 928 a 24]), bollitura (Aristot., meteor. 4.3 [p. 38ob 28] ), la fiamma (Aristot., meteor. 2,9 [p. 369b 6]); senso traslato: desiderio ardente (schol. Aristoph., Pl. 974) ;; termine medico: la febbre (Sext. Emp., Pyrrh. hyp. 2,240)1 l'infiammazione, cr•oµocxou (Diosc., mat. med. 2,124).
2. Nei LXX il vocabolo è raro (2 volte). In Prov. 27,21, in conformità con il significato predominante di 7tUp6w nell'A.T ., significa la saggiatura dell'oro al fuoco ( ooxiµ~ov à.pyup{{) xa.t XfMT<'ì) mipwcnc; [kur] ). In Am. 4,9 è usato in senso speciale per Iiddiif6n = carbonchio, malattia del grano, ritenuta effetto dello scirocco. 3. Flavio Giuseppe usa il termine per indicare il castigo divino contro Sodoma: ant. 1,203: yfiv ••. 7tupwcrE~ &.cpa.vl~wv, «distruggendo la terra con la fiamma»; in Filone il vocabolo non compare.
Anche in mart. Polyc. 15,2 7tUpouµE-
voc; è riferito a metalli e non alla fornace: wc; xpvcròc; xat &pyupoc; EV xa.µlv{{) 7tUpouµEvoc;, «come oro e argento ardente nella fornace» 11 • Herm., vis. 4>3A ricorre alla tradizionale immagine della saggiatura dell'oro nel fuoco per invitaCirca l'immagine cfr. IJI r7131; Ps. Sai. 17, I Petr. l,7; invece 'ltE'!!Upwµivoc; O'llh1poç in apoc. Petr. 28 quale strumento di castigo. 11 Cfr. Dan. LXX 3,46: -/i xciµwoç -1jv otcX'ltU· 10
43;
4. I tre passi del N.T. in cui compare questo vocabolo seguono l'uso linguistico dei LXX e di Flavio Giuseppe. In Apoc. 18,9.18 indica la distruzione della grande città di Babilonia col fuoco; in poç, e J Mach. 6,6
I G . BERTRAM].
'ltVPWO'tc; I Ed.
J. F. DiiBNER
(1855).
'ltvpw1nç 4 • 'ltupwoç 3 (F. Lang)
questo caso m'.lpwcnç ha senso passivo: il fumo che s'alza dall'incendio sublto ( 'tÒV XfX.7tVÒV 'tijç 7tVPWCTEu.lc; rx.u'tijç) . I Petr. 4,12 si rifà chiaramente all'immagine veterotestamentaria della purificazione dei metalli, e la applk~ alla purificazione dei credenti mediante le saffo. renze inviate da Dio. Soffrire è parte essenziale della natura cristiana in quanto partecipazione ai 7tcdh)µrx.'trx. 'tOV XpLO''tOV (v. 13). Pertanto «non vi sembri strana la prova del fuoco ora presente tra voi (in forma di sofferenza) e che vi è stata inviata (da Dio) come prova della fede)» . È evidente che il concetto è collegato all'inizio dell'èra finale (4,7. 17). 5. La stessa idea continua presso i Padri apostolici nei quali però l'ardore del fuoco della prova (Did. 16,5 : 1i 7tU· pwcnc; -r'ijc; SoxLµaO'lac;) è trasposto dal presente nel futuro ed è attribuito all'ira dell'Anticristo nell'ultimo tempo che precede la venuta del Signore.
t
7tvpwoc;
1. Con i:i breve a differenza di 7tDpL· voç, derivato da ò 7tvp6c;, il frumento, significa di fuoco, igneo e si trova nella letteratura greca a partite dai. presocratici in senso proprio predicato di tutti i corpi e tutte le materie che secondo gli antichi sono di fuoco: ò oòpav6c; (He'ltupwoç
1 In senso pos1t1vo 1tvpwov &.crmxcr"t~X6v: PREISENDANZ, Zaub. 4,639. 2 Inoltre 3 volte in Simmaco, Deut. 33,2: 1tV·
pwoc; v6µoc;, cfr. "1 1034; Cant. 8,6. 3 Forse meglio b'né 'eJ = angeli, A. Bi!RTHOLl!T, Hesekiel, Handbuch A.T. l3 (I936) ad l.
rad. A 10 [Diels1 I x46,2 3] ); 6 f)À.Loç (Anaxim. A r5 [Diels' I 93,40]); -rà &o-'Cpr:t., Id., A 7 [Diels' I 92,12]; Ari· stot., cael. 2,7 [p. 289a 16]) o caldi per fuoco: 7tVp~Vrt.L VVµcpaL, sorgenti bollenti (Anth. Pal. J4,52); in senso traslato, come nvp, per descrivere il furore irrefrenabile: 'ltVflLVO<; 'TtOÀ.Eµoc;, «guerra furiosa» (Polyb. 35,1,6) 1 • 2. I LXX usano l'aggettivo raramente (3 volte) 2 , in riferimento allo splendore luminoso dei fenomeni paradisiaci o celesti (Ez. 28,14.16: )...ti)oL 7tUflLVOL 3; Ecclus 48 ,9: Elia fu assunto in cielo ~\I é:tpµa:n i1t1tW\I 7tUpl'llwV, «sopra un carro trainato da cavalli di fuoco» 4». Flavio Giuseppe ha 1tVflW01]ç, simile a fuoco, in bell. 5 ,222, riferito allo splendore del tempio. 3. Nel N .T. abbiamo 7tupwoc; solo in
Apoc. 9,17: dopo che sono stati sciolti i quattro angeli, mitiche schiere di cavalieri scalpitano sul mondo (~xov'taç i}wpaxr:1.ç 'ltuplvovc; xa.t ùaxLvi)lvouç xat 1Ìf:LWOELi;, «con corazze color di fuoco, giacinto e zolfo»). Non è chiaro se i diversi colori delle corazze corrispondano ai cavalli e questi si debbano suddividere in tre squadroni5, oppure se si tratti di un'anticipazione del fuoco, fumo e zolfo 6 che fuoriesce dalle bocche dei cavalli (v. 18). Comunque l'equipaggiamento dei cavalieri fa pensare a esseri demoniaci apportatori di distruzione. Anche le cavallette di fuoco (Herm., vis. 4 Cfr. invece le spade di fuoco dal cielo in Sib. 3,673, quali strumenti escatologici di punizione.
s
LoHMlWER, Apok., ad l. HoLTZMANN, Evangelium,
J. Brie/e tmd Offe11baru11g des Joha1111es, Hand·Commentar zum N.T.J (1908) ad l. 6 H.
1tVpwoç 3 - 1tVppoç 4 (F. Lang)
4,1,6) sono fenomeni demoniaci dell'èra escatologica (cfr. Apoc. 9,3).
t 7CUpp6c;
I
1. Più anticamente e in poesia TCUpcroc:;, attestato a partire da Eschilo, anche nelle iscrizioni e nei papiri: color del fuoco, rosso-fuoco, fulvo, presso Platone è considerato una mescolanza di giallo e grigio: -;i;uppòv ... l;avfiou n xrx.t q>atou xpa
2. I LXX usano sempre 1tUpp6c; per
(vr,952) 886
tradurre 'adom, rosso; Gen. 25,30 : E\)JEµa 7tVpp6v, un piatto di lenticchie; Num. r9,2: vacca rossa senza difetti; 2 Reg. 3,22: acqua rossa come sangue; Cant. 5,ro : l'amato bianco e rosso, cioè perfettamente sano, come 'latte e miele'. Tra i cavalli di quattro colori della visione notturna di Zaccaria abbiamo i'.1t7tOL 7tUppol accanto a cavalli neri, bianchi e pezzati (Zach. r,8; 6,2 ss.). Come i cavalli in precedenza erano stati collegati ai quattro venti, cosl ora i colori sono connessi ai punti cardinali : rosso= est; nero=nord; bianco= ovest; pezzato=sud (cfr. Zach. 6,6) 3 • Questi cavalieri celesti devono percorrere la terra per apprendete i fatti e riportarli; talvolta hanno da assolvere incarichi particolari. 3 . Filone non usa questo aggettivo, che troviamo invece in Flav. Ios., ant. r,34. 4. Nel N.T. i colori dei destrieri dei quattro cavalieri dell'Apocalisse (Apoc. 6,1-8) sono in rapporto coi cavalli della visione notturna di Zaccaria (cfr. ~ 2 ). Mentre però in Zach. 6,2 s. la successione è: rosso, nero, bianco, pezzato, in Apoc. 6 l'ordine è diverso: bianco, rosso, nero, scialbo. Il cavaliere sul cavallo rosso citato al secondo posto (v. 4: èi.}.,Àoc; t7t1tO<; 1tUpp6c;) porta guerre e spargimento di sangue. L'originaria relazione del colore col punto cardinale è stata sostituita dall'allusione alla spada e alla strage 'rossa'. Corrispondentemente, anche il colore del grande drago color rosEd. H. L. AHRENS
nvpp6c;
2
E. WUNDERLICH, Die Bede11tung der roten Farbe im K11lt11s der Griechcn rmd Ro111er, RVV 20,1 ( 1 925 ) [H. KLEINKNECHT].
3 TH. H. RoBINSON - F. HoRST,
1
(1909) 105 .
Dic zwiilf klei11en Propheten, H andbuch A.T. r41 (1954) 219 s. 237.
nupyoc;
I
(W. Michaclis)
so-fuoco (Apoc. r2,3) serve ad illustrarne il carattere bellicoso e omicida. Inoltre è probabile che alla base vi sia un'antichissima tradizione 4 • 5. Presso i Padri apostolici l'espressione di I Clem. 8,3: &.µap·tlcn 7tUpp6-
(v1,953) 88&
"t'Epa.t... x6xxov, «peccati... più rossi del carminio», si riferisce all'immagine di Is. r,r8, dove però i LXX non usano l'aggettivo 'ltvppo<; (cfr. I Clem. 8,4) . Peraltro l'espressione è proverbiale anche nel mondo greco (Épuitp6·n:pov xoxxou: Athen. 6,240D). Non si sa donde provenga tutta la citazione.
F. LANG
rcupyo~
li precedette 4, e poi ha seguito nella lin-
r. È difficile ammettere che 7tupyoç sia un vocabolo mutuato dal germanico (cfr. il tedesco Burg) 1 e passato nella lingua greca già in epoca preistorica attraverso un popolo dei Balcani settentrionali (illirico o macedone); esso potrebbe piuttosto essere un vocabolo pelasgico 2, e originariamente dovrebbe aver signifìcato la fortezza civica circondata da un vallo, comune nell'ambito indo-germanico, il castello-rifugio 3• Però presso i Greci 7tupyoc; ha assunto il significato di rocca, ripreso dal popolo che
gua greca il suo proprio sviluppo . Esso significa la torre fortificata, il muro munito di torri, la fortezza, una 1nacchina d'assedio mobile, la colonna (di soldati), ed anche la torre, il castello, la rocca, oltre che, in generale, l'edificio (privato) che sovrasta gli altri in altezza, cfr. nupyoc; l&w"ttx6c; (Hdt. 4,164) (numerosi derivati sono termini tecnici in parte militari e in parte architettonici) 5 • In vari papiri sembra sia da preferire la traduzione jabbricato rurale, nel senso di
4 Cfr. il colore rosso del Musrus5u babilonese e del Tifone egiziano (LoHMEYER, Apok., ad l.).
mrmen und Griechcn: NJbchKlAit u (1908) 305-321 ; ID., Ursprung und Wanderung des Wohnturms: SAB (1929) 437-469.
mipyoç I Cosl sostiene con dettagliata motivazione P, KRETSCHMER, Nordische Lehmoiirter im A/lgriechische11: Glotta 22 {1934) 1 00-122. Però nella derivazione dal germanico ci si attenderebbe ~upy- o 1tUpX- [DEBRUNNER] . 2 Secondo V . GEORGIEV, Vorgriechische Sprachwissenscha/t l (1941) 97 indoeuropeo *hhrgh> *brgh-> 'pelasgico' 1tUpy-; dalla stessa radice indoeuropea anche TIÉpya.µoc; < *bhergh-, tedesco Burg, bergen. Cfr. anche A. J. VAN WINDEKENS, Le pélagique (1952) 131 s. [lùSCH]. 3 K RETSCHMER, op. cii. (~ n. 1) 107-uo; G. ScHuCHHARDT, Hof, Burg tmd Stadi bei Ger-
4 KRETSCHMER, op. cit. (~ n. l) II2 s. 5 Cfr. PAssow e LIDDELL-ScoTT, s.v. Più
volte in iscrizioni, in parte collegato a i:t~xo~ e mJÀ'l}; cfr. DrTT., Syll.', indice s.v. Anche la torre di guardia sul colle Astiage presso Efeso, più tardi chiamata. cpvf.a.x'l'} Ila.v>..ov (cfr. MrCHA.llLis, Das 'Gefiingnis des Paulus' in Ephesus: Byzantinisch-Neugreichische Jahrbiicher 6 [!928] 1-18), nel contratto d'affitto riportato in un'iscrizione (III sec. a.C.) viene chiamata 1tVpyoc; (cfr. M1cHA.llLIS, op. cit., 7; D1TT., Syll.' 111 936 nota). H esych.: ~pyoç· 1tpoµ«XEWV, 't'E~xo.;... xat -tét.!;Lç l\I -cti:paywv
itupyoç i -2 (W. Michaelis)
un edificio rurale, indipendente e attiguo ad una abitazione 6 • 2. Nei LXX 7tupyoc; ricorre in circa 80 passi. Nel T.M. gli couisoonde quasi esclusivamente migdal, che a sua volta è reso quasi sempre con 'ltupyoc; (in 1 Eo-op. 9,42 e 2 Tuop. 18,4 [Neem. 8.4] troviamo f3fiµa 7); in Prov. 18,10 è usato µE-
yaÀ.wuvv'l'}, però Aquila e Teodozione hanno 1tupyoç anche qui; ~ n. 7). Per lo più significa torre fortificata oppure castello, cittadella, spesso senza vani interni, come parte di una più grande fortificazione o delle mura della città 8, ma anche torre di guardia isolata (cfr. 4 Bo:u. r7,9; r8,8; I Chron. 27,25)9, in particolar modo torre per la sorveglian-
6 F. PREISIGKE, Die Begri/fe itupyoc; rmd
in Is. 33,18 (la congettura in Bibl. Hebr., KiTT. 3 potrebbe essere superflua; cfr. ljJ 47,13) e.lai LXX è tradotto: 1tOV ÈO""tW 6 apL~V i:oùç i:pEq>oµÉvouç ( var. O'\J
1tÒpyoç 2-3 (W. Michaelis)
za e la protezione del gregge: migdill'éder, torre del gregge (Gen. 35,21 [LXX: m'.lpyoc; rci.oEp]; Mich. 4,8 [LXX: 1tupyoc; -rcoLµ'Jlou]; 2 Chron . 26, rn). In Is. 5,2 la torre di guardia nella vigna si chiama migdiil e rispettivamente -rcupyoc;; si tratta evidentemente di una piccola cotruzione senza vano interno e con scala esterna, dall'alto della quale il guardiano poteva vedere tutto intorno; da alloggio del guardiano serviva la sukka bekerem menzionata in Is. r,8 (LXX: ~
luna b"miqsa (ibid.) 10. .In senso traslato -rcupyoc; è usato in \jJ 60 ( 6r ),4 ( = difesa; cfr. già Hom., Od., u,556); Is. 30,25 (immagine delle potenze del mondo); Ecclus 26,22. 3. Filone usa 1tupyoc; nell'interpretare Gen. l 1,4 s., brevemente in poster. C. 53 e molto estesamente in con/. ling. (in 128-130 egli tratta anche di Iud. 8,8 s. r 7 ). La torre di Babele è spiegata come simbolo della <J.voLa degli uomini (con/. ling. 5), della loro µEya.Àavxla (5.113) e xaxla (83.u3.115), in breve della lo. ro à.ìlE6-tTJc; (196), in 133 abbinata alle per indicare il ricorso a Dio (fortezza, roccia) (cfr. Ps. 27,r; 28,8; 31,3 e passim; Prov. 10, 29; Is. 17,ro; 254; Ier. 16,r9 e passim)_ I LXX hanno tradotto in vario modo. In Prov. 10,29 della parola di grazia del testo ebraico ( «] ahvé è una protezione per colui che cammina nell'innocenza») i LXX fanno un'espressione farisaica di autogiustificazione: «Garantisce sicurezza all'uomo pio la sua pratica religiosa» (bxupwµa òu(ou qi6~oc; xupfou). Gli ambiti les· sicali dci vocaboli bxvpwµa (~ rx, coll. 91 ss.) e 'ltÒpyoç e quelli dei rispettivi archetipi ebraici si intrecciano. Cosl in Prov. 10,15; 18, II.19; 2r,22 si parla della 1tOÀ~ bxup&. nello stesso senso in cui ad es. in IJl 60,4 si parla del m>pyoc; taxvoc; (dr. m>pyoç bxup6c; in lud. 9,51 cod. A). Cfr. G. BERTRAM, Der
Sprachschat:t. der LXX tmd des hebr. A .T.: ZAW 57 (1939) specialmente 93-98 [BERTRAM].
alCT1}ljcrEtc; (~IX, coli. 92 s. con nota 3). Anche Giuseppe usa 1tVpyoc; in corrispondenza con passi veterotestamentari, ad es. in ant. 1,114s. n8 (cfr. Gen. n,4 s.); 7,142 (dr. Iud. 9,51 s:); n,45 (dr. 1 Eo-op. 4,4). Abbastanza spesso, nella descrizione di fortificazioni, egli menziona (discostandosi dal testo veterotestamentario) anche i nupyot, ad es . in· ant. 9,122 (cfr. 4 Bav. 9,30 ss.); 10,134 (cfr. 4 Ba
periodo rabbinico le torri dei guardiani della campagna erano chiamate mgdl; invece la casupola del guardiano veniva chiamata Jmrh (dr. S. KRAuss, Talm11dische Archiiologie I [r910] 8.280 n . lm; II [19II] 185.203; STRACK-BILLERBECK I 868 s .). Qualche torre di campagna si trova ancora in Palestina; cfr. anche L . BAUl!R, Volkslebe11 im !Ande der Bibe/2 (1903) 132 (riproduzione). m'.ipyoc; inoltre è passato tra i rabbini come imprestito (prgws) nel significato cli torre; cfr. S. KRAuss,
Griechische 1111d lateinische Lehnworter in Talm11d, Midr. tmd Targ. II (1898) 477; il vocabolo bwrgjn, torre, fortezza; posto di guardia, trattato ibid. 143 s., non sembra, come propone Krauss, da collegare con cppoup~ov, ma neppure con 1tÒpyoç (vi può soggiacere «Ull vocabolo soldatesco cli origine germanica», ibid. 144).
7tupyoi; 3-4 ( W. Michaelts)
alla torre per sembrare una reggia»). La (l'ingiustizia si costruisce mura, e E'itL torre, che piì1 tardi fu inserita nella for- 1tVpyouc; i] &.voµlcx. xa~TJ"t<XL, «l'iniquità tezza Antonia e nella quale erano con- sta assisa su torri»); test. I ud. 5 ,5. La coservati i paramenti del sommo sacerdo- munità di Qumran disponeva, oltre che te, in ant. 18,91 s. non è chiamata m'.ip- di un muro di cinta, anche di una torre; yoc; ma f3iipLc;. Anche le colombaie tur- per questo motivo muro e torre sono riformi ('m)pyot 1teÀ.rnHiwv) nel parco immagini che ricorrono spesso nella letreale sono chiamate torri da Giuseppe teratura dì Qumran 12 • (bell.5,181) 11 • In ant. 13,309; 15,293: 4. Nel N.T. 1tVpyoc; s'incontra in Mc. 19,343; bell. 1,77.156.408 è menzionata ~.-pa'twvoc; 1tvpyoc;, che nel N .T. 12,1 par. Mt. 21,33 alprindpio della paappare soltanto sotto il nome di Kcx.Laii- rabola dei cattivi vignaioli: ~xoo6µTJ pEtcx., ricevuto sotto Erode il Grande. La Lettera ad Aristea nella sua descrizione vEV 1tVpyov, «costruì una torre». Dato di Gerusalemme si occupa anche dei che l'introduzione alla parabola, e cosl 7tupyoL della rocca (axpcx.) (ep. Ar. 101 anche questa espressione, costituiscono s.) e di quelli delle mura delJa città (ep. chiaramente una ripresa di Is. 5,2 13, Ar. 105). Anche negli pseudepigrafi si fa men- qui come là (~ col. 891) si deve penzione di torri: Iub. ro,18 ss. (cfr. Gen. sare ad una torre di guardia nella campa11'4 s.), discostandosi dal testo veterogna 14 • In Le. r 3>4 si parla di 6 'ltÙpyoc; testamentario in l 1 ,2, e per caratterizzare la pericolosa dimora dei patriarchi Év •0 I:tÀwci:µ . Poiché la torre, di cui in mezzo ai pagani in 29,16.19 (latino non si ha conoscenza da fonti contempobaris); 31,6; 37,16 s.; or. Sib. 3,98 ss. ranee, sprofondando ha seppellito 18 uo(cfr. Gen. IIA s.); 4,69.105 s.; 5,424; 11,ro; Hen. aeth. 87,3 ed anche 89,50. mini, dev'essersi trattato di una costru54.56.66 s. 73; Bar. gr. 2 s.; test. L. 2,3 zione piuttosto grande 15 • In Le. 14,28 11 Cfr. KRAUSs , Archiiologie (~ n. 10) II 138 (525 n. 975 documentazioni di mgdl con que-
sto significato). 12 Numerose attestazioni in O. NETZ, Felre11ma1111 tmd Fe/rengemeinde : ZNW 48 (1957) 52; 65 e n. 47; 66 e n. 49.69. Cfr. H. BARDTKE, Die Kriegsrolle von QumratJ iibcrs.: ThLZ 80 (r955) 410 n. 100. STRACK-BILLERBECK, indìce s.v. 'Tutm' rimanda soltanto a III 325: interpretazioni di Jr. 33,r8 (~ n. 7) in Hag. b. 15b e passim. 13 Luca, che in 20,9 ha ridotto la citazione ad espressione generica, tralascia anche questa frase. La redazione lucana, però, anche se la menzione del rcvpyoc; non è necessaria per la spiegazione della parabola, non è originaria, perché lo soopo della citazione condiziona la sua identificazione e questa a sua volta richiede l'ampia citazione; cfr. W. MrCHAELIS, Die Gleiclmisse Jesu) (1956) n6.
H Dato che già in Is. 5,2 migdiil è stato tradot-
to con 7tvpyoc;, non si vede perché LoHMEYER, Mk., ad l. annoveri anche il vocabolo nupyoc; fra i tratti della parabola che sarebbero «strani e forse artificiosi». · La sua motivazione («7tUpyoi; e migdiil si corrispondono soltanto nel significato di 'torre', che qui non è pertinente») è in contrasto con l'uso linguistico dei LXX. In ogni caso qui non s'intende parlare di un fabbricato rurale, anche se si tratta di un vigneto piuttosto grande, dato che viene preso in 8.flìtto da vati piccoli contadini; cfr. ALT, op. cit. (~ n. 6)· 335. 15 Si può supporre che la torre (non risulta che essa stessa abbia avuto il nome di Siloe [«torre Siloc»], come sembra a E. STAUFFER, ]esus: Gestalt tmd Gescrichte ( 1957] 48) abbia fatto parte degli impianti della conduttura dell'acqua e che l'infortunio sia avvenuto durante lavori di miglioramento;
895 (vr,955)
7'upyoc; 4-5 (W. Michaelis)
Gesù domanda: "tl<; yàp È~ ùµwv 1JH.wv mipyov olxoòoµ'ijcra.t ovxt 1tpW"tOV xa.i>lt:ra.ç "'TJq>lsEt "tTJV Òa.7tcivnv. El ~XEt El<; &.7ta.p-.Lcrµ6v ... ;, «chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa, se ha tanto da condurla a compimento?». Come risulta da È~ ùµwv, non si pensa ad un edificio pubblico (torre di una fortezza, torre delle mura). Ma forse non s'intende nemmeno una semplice torre di guardia di campagna, perché nel v. 29 si parla del getto delle fondamenta come momento particolare dei lavori di edificazione, ed una torre di guardia non comportava affatto
costi tanto considerevoli. Perciò deve essersi trattato di una casa privata a più piani a forma di torre, a meno che qui non vada preso in considerazione il significato di fabbricato rurale (~ coli. 888 s.) 16• 5. Padri apostolici. In Barn. 16,5 si parla di un m'.ipyoç in una citazione 'scritturistica', tratta probabilmente da Ben. aeth. 89,56 ss. (~col. 893); stando al contesto, si tratta di una torre per la sorveglianza del gregge (~ coll. 890 s.). Nell'allegoria della torre di Herm., vis. 3,2,4 ss.; 3,1-7,6, e sim. 8,2,r ss.; 9, 3,r-9,31 sotto l'immagine di un 7tupyoc; (complessivamente 149 volte) si parla della EXXÀ'l]crlcx 17 • W.MICHAELIS
cfr. HAucK, Lk. e KLOSTERMANN, Lk., ad l.; G. BoRNKAMM, ]esus vo11 Nazareth (1956) 79; STRACK-BILLERBECK n 197. In beli. 5, ;z92 Giuseppe racconta che una delle torri, che Tito aveva fatto innalzare sui valli d'assedio davanti a Gerusalemme, sarebbe caduta in piena notte (nECTEL\I GtÒ"toµ«'twc;; anche Le. 13, 4 ha ~7'EC1Ev [ ~ x, col. 304]). E. HIRSCH, Friihgeschichtc des Evangeliums II (1941) ;z17 anche in Le. 134 pensa alla «caduta di una torre delle mura». 16 Cfr. HAUCK, Lk., ad l.; ALT., op. cit. e~ n. 6) 335; BORNKAMM, op. cit. (~ n. 15) 135.191 n. 5; A. S1zoo, Die antike W elt und das N.T. (1955) 48 s. 17 Cfr. DIBELIUS, Herm. 459 s . (excursus: «Die Turm-Allegorie»). 587 ss. (excursus: «Die Allegorie vom Weidenbau.m», specialmente 589). 604 ss. (excurs11s: «Der Fels und die Berge», specialmente 605 s.); R. KNoPF, Die Himmelsstadt, in Neutcstamentliche Studien
G.Heinrici dargebracht, UNT 6(1914):u3-:z19, specialmente 2r6.;z18. Cfr. STAUFFER, Theologie, figure 93 s. In Apoc. 21,10 ss. non si parla di torri della Gerusalemme celeste, e nel N . T. non ha lasciato traccia l'idea di una torre del cielo; anche l'erezione della torre di Gen. I I negli Atti degli Apostoli ha avuto un contrappeso teologico, al massimo indiretto, in Aci. 2. W. ScHMITHALS, Die Gnosis in Korinth, FRL, N.F. 48 (1956) 133 s. cerca di dimostrare che in Herm., vis. 3; sim. 9 alla base v'è l'idea del redentore redento, dell'uomo primordiale cosmico. Sull'idea, sviluppata dagli Gnostici (specialmente dai Simoniani), della dea Elena, che ha mostrato agli arconti inferiori del caos la luce primordiale (Epiph., haer. 21,3,2) (idea suggerita da Verg., Aen. 6,:;xr Elena dalla cima del 7'\Jpyoc; di Troia con una fiaccola in mano chiama i Greci nella città), dr. G. QmsP.EL, Gnosis ols Weltreligion {1951) 64.66-69.
mipÉC'C'W
l
(K. Wciss)
t 7tUpÉcrcrw, t 7tUpé'.'t"Oc; r. Come tutte le definizioni popolari di malattie hanno per oggetto un sintomo (che per lo più non comprende affatto la natura della malattia) 1, cosl anche JtVPE't'6c; per prima cosa non signllìca altro che l'aumento della temperatura del corpo 2 , mentre i vocaboli pi:yoc; e q>pl!; pongono in evidenza altri sintomi, che possono celare varie e disparate malattie. Ma da Ippocrate in poi la natura dei 7tUpE'tOl è stata studiata a fondo presso i Greci, e ne sono stati descritti in molti modi i tipi, le cause e la terapia. Qui si trova già la distinzione, valida ancor oggi, in &.µcpiJµEp~\loc; 1tUpE"t6c; (febbre quotidiana), 't'pt't'a~oc; 1tUPE't'6c; (terzana), 't'E't'ap-.afoc; 1tEPE't'6c; (quartana) e iJµt't'pt't'atoc; 1tUpE'to<; (una duplicazione della terzana e della quartana) 3 • In questo stadio della ricerca medica sulla febbre, la causa ovviamente è vista in circostanze naturali, nell'aria che ci circonda, in esalazioni dell'acqua o della
terra, in secrezioni degli organi interni. Contemporaneamente continua a vivere la 'medicina mitica'. Essa sa a quali divinità di volta in volta ci si deve rivolgere per la guarigione di una determinata malattia; sa che demoni ed eroi possono guarire o provocare malattie e conosce la liberazione magica dagli spiriti apportatori di malanni 4 • Nel periodo ellenistico si ritrovano le distinzioni già citate ed altre simili 5 • Ad esse si aggiunge la distinzione tra il m>pt-còc; (dyac; e il 1tUpe:•Òc; µixp6c;, che va considerata in 1·apporto a Le. 4,38 s., anche se le testimonianze sono d'età postneotestamentaria 6 • La critica di Galeno 7 a queste distinzioni lascia supporre che si tratti di una rozza semplificazione della distinzione classica, alla quale egli stesso contrappone quella tra ..vpe:~ot 7tEptxa.ÉEc; (ardenti), oe:wol, ~À.TJxpoC (deboli) e 1tp1J• ÉE<; (medie) 8• Per la conoscenza della reale natura delle singole malattie feb-
'ltUpÉcrC'W X't).,
Cfr. N1mDURGER, op. cit. (~ n. 3) 167 s. con tutte le indicazioni. Sulla medicina scientifica e mitica nella storia dei popoli antichi e sul loro rapporto reciproco~ rv, coll. 67r ss. s P. Oxy. vm 924,2 ss.; rx5r,34 ss.; BGU III 956,3 s.; AuooLLENT, De/. Tab. 74,6; Cels., med. 3,3. In Flav. Ios., ani. r3,398; beli. l,I06 si racconta che Alessandro Ianneo morl di quartana. 6 Gal., de di!ferenliis febrium l (KiiHN 7,2734
PREUSCHEN-BAUER5, PASSOW, LlDDELL-ScoTr, MouL.-MILL.,s.v.; A.DBBRUNNER,Zu den kon-
sommtischen io-Priisentie11 im Griechischen: Indogermanisclie Forschungen
21
(1907)
.228.
2j4S.
1 Per il N.T. cfr. H. SENG, Die Heilungen Jesu ili medi:dnischer Beleucht1111g! (1926) xo. 2 Cfr. Aristot., probl. r,20 (p. 861 b 38 s.). 3 Documentazione in M. NEUllURGBR, Ha11db11ch der Geschichte der Medi:d11 I (1902)
s. Altre distinzioni non specifiche si riferiscono alla durata (cnivoxoL, m1xvol e ,;MVTJ'tEç m!PE'fOl) e ai sintomi della febbre (Ti11(a).oç 1tUPE'f6ç = PL')'07tUPE't6ç, brivido febbrile; xaucroç, febbre ardente; ì..1)lhx.pyoç 1tUpE-i:6ç, febbre con so1111olenza; À-E~7tupla=ci116>8ric; 7rupe:'t6ç, febbre con nausea; XVT}µW6T]ç 'ltUpe:'toç, febbre con prurito; ).uyyw6ric; -p;upe:,-6ç, /ebbre con singhiozzo), oppure all'intensità (XÌ..Lapòç 1WPE't6ç, febbre leggera; -p;EpLxu.:ijç 7tUpe:,-6ç, febbre ardente). In NEUBURGER, op. cit. ricca bibliografia specializzata. 251
277); Gal., de curandi ratione per venaesectionem 6 (Ki.iHN u,269 s.); Aret., de curatione acutorttm morborum r ,1o;r.I9 (CMG u II3, 27 s.; n8,r3); Alex. Aphr., de febribus libelllls 18.31 (ed. J . L . JnELER, Physici et medici Graeci minores I [ r84x] ); Cels, med. 4,14,1. Cfr. J. SCHUSTER, Zwei neue medizit1-geschichtlicbe Q11el/en :mm «Grosse11 Fieber» Lk 4,38:
BZ 13 (1915) 338-343. 7 --+ n. 6, specialmente Gal., de differentiis febri11m I (KiiHN 7,:z74 s.). 8 Cfr. ScHUSTER, op. cit. e~ n . 6). L'elenco in P. Oxy. VI 924,6 conclude con ).e:n'fÒS 'ltU·
7tUpÉaaw l-3 (K. Wciss)
brili naturalmente con queste suddivisioni non si fanno molti passi avanti, perché queste «febbri malariche endemiche non sono tipiche del nostro clima temperato, ma sono proprie del clima subtropicale» 9 • È ovvio che anche la spiegazione demonica della febbre continui a dominare 10• Può darsi anzi che essa si sia ancor più diffusa per l'influenza di religioni orientali 11 , e, com'è noto, continua ininterrotta nella letteratura cristiana 12.
me premonizioni della sua venuta per il giudizio. In tal modo esse rientrano in quel rapporto di malattia e peccato, del quale l'A.T. offre testimonianze caratteristiche(-? IV, coll. 686 ss.). I LXX hanno tradotto con 'ltVPE'Toç soltanto qaddaf?at di Deut. 28,22 16• Tranne pi:yoç (brivido di febbre) nello stesso versetto, non compare nessun'altra designazione di febbre; TIUpÉ
3. La letteratura rabbinica per indicare la febbre usa gli stessi termini dcl 2. Le denominazioni della febbre usaT.M. o i loro equivalenti neoebraid e te nell'A.T. sono, come il termine greco, aramaici. Gli altri vocaboli che si trovaderivate da radici che significato brucia- no in essa sono anch'essi tutti derivati re, accendere; cosl qaddaf?at (Lev. 26, da radici che indicano bruciare, fuoco, 16; Deut. 28,22) e dalleqet (Deut. 28, ecc.: f?amme t!t, f?arf?i2rii', 'dsiitii', .ftm13 14 2 2) • Ibn Esra intende i due vocaboli tii', simsa' 17 • Dalla medicina greca (-? nel senso di quotidiana e, rispettivamen- coll. 897 s.) i rabbini hanno appreso te, terzana o quartana; Sa'adja 1s nel sen- la distinzione delle febbri, come puso di malaria tropicale e quartana: chi re le cause naturali e i metodi naturali di dei due colga nel segno, è difficile dire. guarigione 18 • Prevale però la concezioNon è possibile distinguere questi tipi di ne della febbre come demonica 19, oltre febbre. È importante notare che nei pas- che come punfaione di Dio 2<1. Anzi, prosi citati le febbri sono minacciate come prio nel giudaismo quest'idea ha trovato punizioni di Dio e, rispettivamente, co- la sua elaborazione virtuosistica (~ IV,
ro7 s. e 129-132. Vedi P. DIEPGEN, Geschicbte der Medi:dn 12 (1923) 50. 12 Cfr. dell'Apocalisse di Gregorio Taumaturgo del cod. Paris. 2316, fol. 433 r. (a cui si richiama RErTZENSTEIN, Poim. 18 n. 8) le frasi: xvpLE, l.iEL~6v µoL -.òv fJ.yyEÌ.,OV 't"OV ~Lyolt\JpE· -i:ov· xcd El7tlv µoL -.6 gvoµa aò-rov. kVX<X.TJ).
Cfr. J. PREuss, Dibl.-Talmudische Medi:t.in (19n) 182-187. 14 PREuss, op. cit. (~ n. 13) da Ter. i. 8,5 (45 c 17). 1s Cfr. DALMAN, Arbeit I 107. 16 In Lev. 26,16 invece con tx-i:epoc; (itterizia). 17 Una lista completa in STRACK-BlLLERBECK r 479. Ber. b. 32a spiega la febbre come un fuoco delle ossa. 18 STRACK-BILLERBECK r 479 da Git. b. 67b e Sbabb. ;. (4b,28). PKEuss, op. cit. (-? n. 13) 184-187. 19 op. cit. (-? n. 17) da Ned. b. 4ra; Git. b. 7oa: dormire al chlai-o di luna da Tammuz a Elul provoca 'a[71/t1 (brividi di febbre). Cfr. F. FENNER, Die Krankheit im N.T. (1930) 22. 20 Cfr. in Philo, execr. 143 l'elenco delle malattie da considerare punizioni dell'ira di Dio.• nel quale 7tVPE-t6i; e ~~yoc; stanno al primo posto. Sull'armonizzazione o la compresenza disarmonica delle due concezioni dr. STRACK-BII.-
xa).Ei:-ta~
LERDECK IV 522.
pe-t6c;.
13
9 NEUllURGBR,
op. cii. (-? n. 3) 251. Filone (sobr. 45) diagnostica la febbre dal suo ardore e spiega (leg. Gai. 125) il suo insorgere con l'inspirazione cli aria calda e inquinata: -rò ).ey6µevov xa-i:à Tijv rcapo~µlav mip È1t~
x-r)..
nupEcraw 3-4 (K. Weiss)
4. Il N.T. menziona tre volte il 7CUpEtra le malattie curate da Gesù o dagli apostoli. Di esso soffre la suocera di Pietro (Mc. rao s.; Mt. 8,14 s. 24 ; Le. 4, 38 s.), il figlio dell'ufficiale regio (Io . 4, 52) e il padre di Publio, uomo eminentissimo di Malta (Act. 28,8).
simativa (~ col. 898) perché si possa trarne indicazioni mediche sicure. Ma soprattutto l'indicazione ha un valore puramente letterario, come mostrano Mc. 1,30 s. (e Mt. 8,14 s.), che parlano soltanto di 1tupÉO'O'ELV e 1tUpE-c6c;. Dunque Luca ha voluto con gusto letterario concretizzare la rappresentazione del caso, oppure (ciò che è più verosimile) accentuare il carattere edificante della storia con la gravità della febbre poi guarita 27 • Oscura è anche la febbre del figlio dell'ufficiale regio in Io. 4,52. Se egli è lo stesso malato che in Q (Mt. 8, 5 ss.; Le. 7 ,1 ss.) è servo di un centurione di Cafarnao, si tratta di un 'lta.pa.}.u·nx6c;. Ma nulla indica che anche il quarto evangelista consideri il suo malato un paralitico ed abbia voluto descrivere una febbre che si accompagna alla paralisi.
In ognuno di questi tre casi viene spontaneo chiedersi di qual genere di febbre si parli: una risposta si potrebbe trovare soltanto nel terzo caso 25 • Luca dice che il padre di Publio era a letto malato 7CUpE-roi:ç :x;a.l OUO'E\l't'EPL4J O'VVExoµEvoç (Act. 28,8). Dagli scritti medici da Ippocrate a Galeno 26 si ricava che qui si ha la designazione - ineccepibile sotto il profilo medico - di una dissenteria f ebbrile. Quando invece lo stesso Luca nel Vangelo (4,38) a proposito della febbre della suocera di Pietro vuol precisare che si tratta di 7tUpE-còç µÉya.ç, si serve di una designazione troppo appros-
Chiaro è invece che in tutti e tre i passi si pensa a cause che risiedono nella sfera d'influenza di forze soprannaturali, o meglio religiose, vale a dire che le febbri sono di origine demonica o divina (punizione dei peccati). Che l'idea dell'origine e dell'essenza demonica della malattia sia del tutto corrente nel N. T. non ha bisogno di essere dimostrato (~I, coll. 13u; IV, 693 ss.). Cosl pure in esso è ovvia la comprensione della malattia come punizione dei peccati, in-
coli. 685 s.; vn, 1426 ss.). Contro l'effetto demonico si ricorre a scongiuri e pratiche magiche 21 . Ciò che vale delle febbri vale naturalmente delle malattie in generale 22• Osservazioni tra i beduini e i fellahin, che vivono oggi nella Terra Santa, mostrano che simili idee sopravvivono intatte, anzi costituiscono un patrimonio stabile delle religioni di tutti i popoli 23 •
-r6ç
21 STRACK-BILLERBECK I 479 da Git. b. 67b e Shabb. b. 66b; Flav. Ios., ant. 8,45-49; PRtmss, op. cit. <~ n. x3).
22 STRACK-BILLERBECK IV 524 {e).
T. CANAAN, Damonenglaube im Lande der Bibel: Morgenland 21 (1929) 45 e i lavori ci-
23
tati in ~ I, col. 13rx n. 20). Mc. r,30 s. e Mt. 8,14 s. sono gli unici passi della letteratura protocristiana in cui appare anche il verbo (nella forma mJpÉo'crovcra.[v]).
24
25
Cfr. DALMAN, Arbeit
1 107:
la febbre della
suocera di Pietro e quella del .figlio dell'ufficiale regio non si possono precisare. 26 Cfr. W. K. HoBART, The Medicai Language o/ St. L11ke (1892) 52 s. 27 ·r tentativi di \Yl. EBsTmN, Die Medizin i111 N.T. u11d im Talmud (1903) 103 s. e di FENNER, op. CÌt. (~ n. 19) 52, di spiegare le febbri in questi due passi e in Act. 28,8 come fenomeni isterici o nervosi non hanno alcun fondamento nel testo e sono condizionati da una preconcetta interpretazione delle guarigioni di Gesù.
'ltuptinrw 4 (K. Weiss)
fl.itta da Dio (~I, coli. I 3 I I; IV' 694 ss.; colui che ha preso su di sé le punizioni vn, 1428 ss. 28). Nei malati di febbre dei dei peccati e che scaccia i demoni con il nostri racconti il carattere demonico for- dito di Dio (Le. 11,20; cfr. 13,16}. Dunse si può già dedurre dall'à.q>ijxE\I CLÙ'ttJ'll que dove nel N.T. si parla di febbre, ciò (cx.ù'tòv) ò r.:upE'toc; (Mc. 1,31; Mt. 8,15; avviene in primo luogo per dimostrare il Io. 4,52): il demone della febbre si riti- dominio di Gesù sul peccato e sul diara. In Luca è indiscutibile che egli ha volo, come è detto in Io. 9,3 a proposito inteso la guarigione della suocera di Pie- della guarigione del cieco nato: ~\lcx. cpcx.tro come un esorcismo; non si può ca- 'llEpw~Ti 't<Ì. epya 't"OV iJEOU, «affinché siapire diversamente la frase :x:cx.L ÈmO-'tÒ:<; no manifestate le opere di Dio» . La btcX.vw CX.Ù'tijc; È7tE'ttµ1)CTEV 't@ 1tUpE't4) scomparsa della febbre è un
ov
7tUpLvoc; ~ coll. 883 ss. 1tup6w -+coli. 876 ss.
2&
Cfr. FENNl!R, op. cit.
(~
n. 19) 21-26.
1tUpp6c; ~ coli. 885 ss. 'ltUpW
';JU) \ Yl1':J)';JJ
t
~-.._
........, ... - ' - . -------,,
7tG'>À.oç
I. ò 7tWÀ.oc; (affine al tedesco Fohlen, una moneta corinzia si trova l'immagine puledro) è il puledro, il cavallo o l'asino di Pegaso; perciò essa è detta senz'altro giovane. È attestato già nelle tavole di 1tWÀoc; in Eur., Jr. 675 (T.G.F. 572 s.); Cnosso, per indicare il puledro sia del Poli., onom. 9,75. tEpòc; ?tWÀoc; "Icnooç cavallo sia dell'asino 1 • Detto di puledri è titolo di un sacerdote egiziano (Ditt., di cavalli o di cavalli giovani: Hom., Or. II 739,8 7 ; similmente anche IG 5, Il. I I ,68I s.; Aristot., hist. nat. 6,18 (p. r, nr. 1444). Talvolta si trova IlwÀ.oc; 572 a 28); 6,23 (p. 577 a 9); 8,24 (p. come nome proprio maschile, ad es. in 605 a 37); part. an. 4,ro (p. 686 b 15); Plat., Gorg. 448s.; Xenoph., an. 7,2,5, del puledro dell'asino in Aristot., mira· IIwÀ.ov 1tEOlov come nome geografico in bilia ro (p. 831 a 23.25); geoponica 16, Paus. 8,J5,Io. n,6 2; P.Lille I 8,9; P.Osl. Il 134,rr; BGU II 373,7. Poi il vocabolo è stato 2. Nell'A.T. in un elenco di Gen. 32, applicato anche a giovani di altri anima- r 6 troviamo 15vouc; Etxo
Cfr. PAssow,
LmDBLL-ScoTT, MouLT.·MILL., PREuscHEN·BAUER5, PREISIGKE, Wort.; LEVY, Chald. Wort. e M. JASTROW, A Dictionary o/
the Targumim, the Talmud Babli and Y erushalmi and the Midrashic Literature (1950) s.v. Inoltre W . BAUER, The «Colf» o/ Palm Stm· day (L'asino della domenica delle palme): JBL 72 (1953 ) 220-229; H. W. KuHN, Das Reittier Jesu in der Einzugsgeschichte des Mk: ZNW 50 (1959) 82-92. I M. VENTRIS. ]. CHADWICK, Documents ili Myce11ea11 Greek (1956) nr. 52 (c. 895)
[RJSCH) . 2 Ed. H . BECKH (1895). 3
Su quanto segue dr. BAUER, op. cit.
1) 221
s.
4 Ed. TH. PuscHMANN
(~
n.
n (1879) 215 .
Ed. U. C. BussEMAKER (1849) 363. 6 Ed. C. WENDEL (1914) 165. 7 Cfr. anche TH. REINACH, Papyms grecs et démotiq11er (1905) pap. 10,5; B. P. GRENFELL-A. S. HUNT, New Classica[ Fragments and other Greek and Latin Papyri (r897) pap. 20,5. 5
r.wì-.oç, 2-4 (0. Michel)
nonimi ('n:wÀoc; e 7.:wÀoc; .,;ijç ovou a.ù- sajjap in B.B.b. 78b: puledro, giumento 'tov) 8 • La diversicà delle denominazioni d'asino, che etimologicamente viene colsi deve al parallelismo poetico delle par- legato al sostantivo sz{ia, discorso, conti della frase e non può quindi ingenera- siglio. Sulla base del greco ycx.voapov o re equivoci. 1tWÀ.oc; ( = 'ajir) anche qui ya~MpLov si ha l'imprestito gajtdor qiidunque nell'uso linguistico orientale è !iin, l'asino piccolo, il puledro d'asino senz'altro il puledro d'asino. Lo stesso (B.M .j. 6,3 [II a 24]) 13 • Indubbiamenvale per Zach. 9,9, un'eco di Gen. 49, te già nell'epoca veterotestamentaria è r r: 1tpa.ùc; xa;l btL~E~TJxwc; È'ltl u'lto!'.;u- presente la trasposizione di 'ajir nell'arayLov xcd 7tWÀ.ov vfov. Il vocabolo Òlto- maico 'Zlii' = 1tWÀ.oc;. Secondo un'antica tmdizione rabbinica (c. 150 d.C.) toro ~uytov, propriamente animale da giogo, che in Thuc. 2,3,2 e Xenoph., oec. 18,4 è ed asino sono figure messianiche (Gen. ancora esteso a bue ed asino, a partire I'. 75 [48c] a 32,6). da Aristot., hist. an. 9,24 (p. 604 b 28) e Theophr., char. I4>4 è limitato all'a4. Mc. n,2+5 .7 sottolinea che Gesù sino 9 • Il testo greco è inequivocabile: 10 è entrato in Gerusalemme cavalcando un «egli cavalca un asino e precisamente un puledro che non era mai stato caval- puledro d'asino (1twÀoc; = aramaico cato prima». Caratteristico è l'uso lin'llà'). Cosl Marco segue l'uso linguistico guistico in Prov. 5,19, dove della moglie è detto: €À.a;cpoc; cpLÀ.la.c; xc:d 'ltw),,oc; O'WV dei LXX, per i quali 1twÀ.oc; e 'ajir si eXfJ.PL'l:WV oµL),,EL'tW O'OL, «Cerva carissima quivalgono. 'ltw),,oc; OEOEµÉvoc; corrispone puledra delle tue grazie t'accompa- de, conforme a Gen. 49,rr, al carattere gni». Il paragone con l'uso linguistico greco 1twÀoc;=fanciulla (~col. 905) in messianico del racconto. Le. 19,30.33.35 questo caso non gioverebbe molto. L'e- continua sulla linea di Marco, in quanto braico ;a'alti, che qui è reso con 'l'tW- usa anch'egli "TtwÀoc;, pur impiegando alÀoc;, accenna però probabilmente all'imtrove anche ovoc; e xpi'j1:'oc;. Mt. 21,2.5.7 magine del camoscio 11 • parla di un'asina e di un puledro d'asino 3. La tradizione rabbinica posteriore (utilizzando Zach. 9,9 LXX), e in questo ha varie parole per indicare il puledro d'asino. Dall'ebraico ' ul è derivato l'ara- caso l'evangelista evidentemente pensa maico 'ila', piccolo (pullus) ( = 'ltW- ad un seggio regale di tipo orientale, pogÀ.oc;) 12 ; i Targumin usano sempre 'ila' giante su due animali. Anche Io. 12,15 per il veterotestamentario 'ajir, cfr. i Targumin a lob 11,12; Iud. 12,14; cita Zach. 9,9 LXX secondo una tradizioGen. 32,16. Nel tardo ebraico si trova ne indipendente tratta da un florilegio 14 • Risale a Gen. 49,n il gioco tardivo di pa· role tra 'ajir e 'ir (=la città di Gerusalemme): Dio si lega a Israele ed a Gerusalemme (Gen. r. 98 [62a] a 49,n; cfr. STRACK-BILLERI!ECK 1
8
842). 9 MAYSER Il I 10 BL.-D EBR.
§ 31,I.
§ 442,9.
op. cii. (-'l> n. 1) 227 avanza l'ipate· si che 7tWÀ.oç in Prov. 5,19 sia una traduzione
li BAUER,
azzardata dai LXX e che già allora il nome ebraico dell'animale presentasse delle difficoltà. 12 LEVY, Chald. Wi:irt., s.v. presenta come documentazione Ge11. 32,16; Iud. 12,l4; I.r. 30,6 e lob n,12; Shabb. b. i55a: 'ili zwfri, piccoli
puledri. JJ JASTROW,
op. cit. (-'l> n. i)
B1LLERBECK I 8.12. 14 Cfr. C. K. BARRETT,
I
237; STRACK-
The Gospel according to St. fohn (1956) 348 s.
m.7.>Àoc; 4 (0. Michel)
xu.i}1]µn1oç È1tt 1tWÀ.o\I ovou qui vuol dire essere assiso regalmente su un puledro (-7 vm, coll. 801 ss.). Il climi· nutivo òvapiov in Io. 12,q corrisponde quindi anche all'aramaico ''ìlii'. L'uso
nwp6w, 'ltwpwcnc; ~IX, coll. 1336 ss.
linguistico neotestamentario di 1twÀ.o<; rientra perciò nell'ambito della traduzio· ne dei LXX e dell'evoluzione aramaica e neoebraica. 0.MICHEL
p
'Paa~ ~
rv, coli. 142 ss.
1. rab, grande, è chiamato colui che occupa una posizione elevata e stimata 1• Cosl ad esempio rab-{abbiif:i2m (2 Reg. 25,8; Ier. 39,13), il capo della guardia del corpo; rab-miig (Ier. 39,3.13), il capo dei maghi; rab-beto (Esth. 1,8), il suo maggiordomo; rab-siir'im (2 Reg. 18, 17; Ier. 39,3.13) o rab-siiristm (Dan. l, 3), il gran ciambellano. Con rabbt2 o rabbenu, mio/nostro grande; mio/nostro signore, si rivolgono rispettosamente gli inferiori al loro superiore (~ n, col. n39 n. 36). Chi è chiamato rabbi viene in tal modo «riconosciuto di rango superiore a colui che parla 3: il principe dal popolo 4, il padrone dallo schiavo
(Pes. 8,2), il maestro artigiano dai suoi garzoni (A.Z.b. qb), il capo dei banditi dai suoi complici (B.M.b. 84a). rabbt è attestato talvolta anche come allocutivo del profeta Elia (Ber.b. 3a), del Messia 5 e di Dio 6 • Ma soprattutto era consuetudine che il discepolo chiamasse rabbt il suo maestro 7 • L'elativo rabbiin, signore, padrone, derivato da rab, veniva attribuito come titolo a scribi particolarmente eminenti 8 • Inoltre, evidentemente rahbiin è servito come «denominazione veterogiudaica del capo dei Giudei riconosciuto dall'autorità romana» 9 • Dato che l'aramaico palestinese preferisce la terminazione nominale in -on a quella in -an 10, oltre a rabban veniva usata la forma rabbon, che più tardi in molti casi
pcx.~~l
3 ~ DALMAN 275.
A. rabb'ì, rabbun2 NEL GIUDAISMO
ScHilRER II 365 s. (ibid. 376 n. 9 bibliografia meno recente); J. BRAYDÉ ed altri, art. 'Rabbi' in JewEnc x 294-297; DALMAN, Worte J. 272280; STRACK-BILLERllECK 1 916 s.; MooRE III l5-x7; A. J. FELDMANN, The Rabbi und bis early Ministry (1941); E. LoHsE, Die Ordinatio11 im Spa1;ude11tum rmd im N.T. (1951) 52; M. KADUSHIN, The Rabbinic Mind (1952); G. ScHRENK, Rabb. Charakterkiipfe im neutesta111entlichen Zeitalter, in Studie11 z.u Paulus, AbhThANT 26 (1954) 9-45; PREUSCHEN-BAUERs, s.v. 1 Cfr. LEvY, Wort. 1v 409. 2 rabb1 più tardi fu pronunciato anche 'ribbi' o 'rebbi'. Cfr. le iscrizioni in Cl] 1 568.6II; II 893.951.1052. Vedi anche sotto 4- nn. 27.30. 3r.
T. Sanh. 4A; cfr. ~ DALMAN 274. s Sanh. b. 98a; cfr. 4- DALMAN 268. 6 I Samaritani hanno detto rabbi a Dio; testimonianze in 4- DALMAN 275. Nell'Islam talvolta viene usato rabbi come allocutivo di Dio. Cfr. W. W. BAUDISSIN, Kyrios II (1929) 35-37; m 590.688. rb, rb', come pure il femminile rbt, compaiono come epiteto di divinità siriache, arabe, fenicie, puniche, palmirene e nabatee. Cfr. BAUDISSIN, op. cii. m 60-65 [BER4
TRAM]. 7
s
Documentazione in nn. 16-30. LEVY, Wort. iv 416.
9 4-DALMAN 273; STRACK-BILLERBECK I 917; LEVY, Wort. 416. A questo titolo più tardi su-
bentrò niifi'. IO 4- DALMr\N
275.
f#VVP'P'"
.&.&
.&
si mutò in ribbon 11 • Nei targumin ribbon è usato come allocutivo di uomini 12, ma altrove viene applicato quasi esclusivamente a Dio, soprattutto nell'espressione Signore del mondo (ribbOno sel 'olam oppure ribbOnéh d"' alma') 13 • Col suffisso della prima persona rabbuni 14 è attestato nel Targum palestinese del Pentateuco 15 •
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2. Nel significato di maestro, rab si trova già nel detto tramandato da Jehoshua b. Perahja (intorno al uo a.C.): «Procurati un maestro (rab) e procacciati un condiscepolo» 16 • Come dimostra questo detto, lo scolaro doveva cercare di essere accolto nella cerchia dei discepoli di uno stimato studioso e procedere in questa comunità nello studio della Scrittura e della tradizione. Se il maestro accoglieva questa richiesta, il talmid poteva entrare nella scuola e, in comunione quotidiana col maestro, studiare, sulla base delle sue decisioni e del suo insegnamento, la torà e la tradizione che
doveva essere verificata sulla torà 17 • Il discepolo seguiva il maestro in spirito d'obbedienza e di rispetto, che esprimeva con l'appellativo rabbl, che non significava soltanto mio signore, ma anche mio maestro 18• Poiché il rapporto dello scolaro verso il maestro è di timore re· verenziale, e questo, secondo le parole di R. El'azar b. Shammua', dev'essere grande quanto il timore reverenziale verso il cielo(= Dio) (Ab. 4,r2), il discepolo restava legato al suo maestro per tutta la vita 19 • Quando il discepolo nella pluriennale convivenza col maestro aveva assimilato il deposito di tradizione comunicatogli oralmente, veniva nominato talmld-bakam e acquisiva il diritto di insegnare indipendentemente e di farsi chiamare rabbt (-): vr, coll. rr65 ss.) 20• Ma questo appellativo d'onore non era attribuito allo scriba soltanto dai suoi discepoli; infatti i teologi godevano di tanta stima presso il popolo, che da tutti si usava l'appellativo rabbt nei loro confronti. Cosl nella tradizione
Gr. § 35,2. Documentazione in STRACK-BILI.ERBECK u 25. u Documentazione in STRACK-BILLERBECK Il 25 .176; III 67r S. 14 Su rabblìni cf.r. E. KAUTSCH, Grammatìk des Bibl. Aram. (1884) ro; ScHi.iRER II 377; DALMAN 267.279; G. DALMAN, Jesus JeschÙa (1922) r7; STRACK-BILLERBECK II 25; PREUSCHEN-BAUER', s.v. 15 Mentre questo allocutivo, che si trova in Mc. 10,51 e Io. 20,16, non è attestato in nes· sun testo rabbinico aramaico, rabbfJ11I s'incontra spesso nel Targum palestinese del Penta· tcuco. Cosl nei frammenti, pubblicati da P. Kahle, del Targum palestinese a Gen. 32,19. Cfr. P. KAHLE, Masoreten des Westens n (1930) 10; In., The Cairo Geniza (r947) r29. Dopo la scoperta a Roma di un nuovo manoscritto completo, il Targum palestinese del Pentateuco acquista una notevole importanza per le ricerche sulla lingua parlata da Gesù. Cfr. M. BLACK, The Recovery o/ the Language of Jesus: New Testament Studies 3 (1956-57)
305-314; Io., Die Er/orschtmg der Muttersprache Jestt: ThLZ 82 (1957) 661; P. KAHLE, Zehn Jahre E11tdecktmgen ìn der Wiiste ]tt· da: ThLZ 82 (1957) 648; In., Das paliistinische Pen/ateuchtarg111n und das wr Zeit Jesu gesprochene Aram.: ZNW 49 (1958) nx.115. 16 Ab. x,6. Cfr. STRACK-BILLERBECK 1 9r6. Cfr. anche il detto cli R. Gamliel: «Prenditi un maestro (rab), cosl ti elevi al cli sopra del club· bio» (Ab. r,16). 17 Sull'istituto giudaico del talm1d esaurienti indicazioni si trovano nell'art. ~ µcdh}i:i}~, al quale rimandiamo (specialmente ~ vr, coll. n64 ss.). . 18 rabbi come allocutivo del maestro nella Mishna; ad es. R.H. 2,9; Ned. 9,5; B.Q. 8,6 e passim; rabbé11i1 usato da vari discepoli per rivolgersi al loro maestro (Ber. 2,5-7). 19 Cosl ad es. R. El'azar b. 'Azaria si rivolge al suo maestro R. Johanan b . Zakkai (t c. Bo d.C.) con rabb1, 'mio maestro', quando gli fa visita per fa morte di un figlio di Johanan. Ab. R. Nat. x4, dr. STRACK-BILLERBECK I 97r. 20 ~ LoHSE 4r s.
li DALMAN,
n
pa~~l
A 2 (E. Lohse)
talmudica è detto; «Quando il re Giosafat vedeva un talmtd-pakiim, si alzava dal trono, l'abbracciava e lo baciava c:lo chiamava 'padre mio, padre mio' ('ab1, 'abt), 'maestro mio, maestro mio' (rabbi, rabbt), 'mio signore, mio signore' (miirl, mari)» 21 • Dato che universalmente si chiamavano rabb'ì gli scribi, ed anche di fronte ad altri si parlava di un maestro come di un rabb1 22, questo termine 2l diventò a poco a poco la denominazione esclusiva di coloro i quali avevano terminato regolarmente gli studi
ed avevano ricevuto l'ordinazione a maestro della legge 24 • Alla metà del r sec. d.C. il suffisso perde sempre più il suo significato pronominale 25 , per cui allora cominciano le attestazioni dell'uso di rabbl come titolo 26 • Dalla fine del r sec. d.C. il titolo di rabbt si trova in numerose iscrizioni giudaiche (soprattutto sepolcrali) in Palestina 27 , Siria 23, Cipro 29 , Italia 3(). Esse attestano, oltre l'uso generale che la designazione di rabbi ha nella letteratura rabbinica, 1a diffusione ed il riconoscimento generale del titolo col
21
11
Makk. b. 24 a par. Ket. b. 103b; dr. STRACKBILLERBECK I 919. :zi R. Johanan (c. 250 d.C.) diceva che Giezi era stato punito perché in presenza del re aveva chiamato il suo maestro Eliseo solo per nome (2 Reg. 8,5) (Sa11h. b. 100 a, cfr. 4 DALMAN 274 n. 1). Questo esempio dimostra che era uso comune che il discepolo davanti a terzi parlasse del suo maestro come del rabbi. 23 In Palestina i dotti furono chiamati rabbl, mentre a Babilonia ci si rivolgeva a loro chiamandoli rab. Cfr. S TRACK-BILLERBECK I 917; documentazione in LEVY, Wort. IV 409. Talvolta anche in Palestina è attest.ato rab. Cfr. le iscrizioni a Joppe (CI] II 900) 4 n. 27; N . AvrGAD, Excavatiom at Beth She'arim I9JJ: I srael Exploration Journal 4 (1954) 104 s. 24 Con l'ordinazione veniva concesso il diritto di farsi chiamare rabbt. Cfr. B.M.b. 85a; ]. ]ERI!MIAS, Jert1salem Ztlr Zeit Jes111 n B (1958) 104; J. BoNSJRVEN, Le Juda'isme Palestinien au temps de ]ésus-Christ 1 (1954) 272-275; -) LoHSE 52.
i ; STRACK-BILLERJlECK I
26
916 s.
La testimonianza più antica, databile con
sicurezza, si trova su un ossario a Gerusalemme, d'età anteriore al 70 d.C., che riporta il titolo oto&.uxa:À.o<; ed il nome del morto. Cfr. E. L. SUKENJK, Jìid. Graber ]erusalems 11m Christi Geburt (1931) 17 s .; K. H. RENGSTORF ~ 11, col. n35; 4 LoHsE 52; CIJ II 1266; W. F . A LBRIGHT, Recent Discoveries in Palesti11e and the Gospel of St. John, in Tbe Background of the New Testament a11d its Escha· tology (Studies in Honour of C. H. Dodd [1956] 158). Cft. nnche CIJ l i 1218.1268 e 1269, che riportano iscrizioni di ossari di Gcrnsalemme.
CIJ II 892 Joppe: rbj; II 893 Joppe: b;r;b; contrazione da h;r r;h; (sic! cfr. n. 2) = figlio del rabbi; II 900 Joppe: bilingue PAB/ rb; n 951 Joppe: f3TJpcf3i (cfr. a nr. 893); n 979 Er-Rama: rbj; li 989 Sefforis: rbf; u 994 Bcth-Shearim: rbi; II 1042 Beth-Shearitn: brrjbi; l i 1052 Bcth-Shearim: bilingue [brb ]j/ PIBBI; II 1055 Bcth-Shearim: rbi; II u65 sinagoga di Bcth-Alpha: rbi; per Gerusalemme clr. -) n. 26 e II 1410: rbi; II 1414: 'Pa:f3fK Negli scavi effettuati dal 1953 a Beth-Shearim, che ai tempi del patria.tea Jehuda I era sede del sinedrio, sono state rinvenute altre tombe di rabbini e iscrizioni sepolcrali (II-IV sec. d .C.), in cui si trova il titolo di rabbi. Cfr. le comunicazioni di N. AVIGAD, Excavations al Beth She'arim I9JJ: Israel Exploration Journal 4 (1954) 88-107; ID., Excavatiom at Beth She'arim I954= ibid. 5 (1955) 205-239; ID., Excavations at Beth She'arim I9J5= ibid. 7 (1957) 73-92; ID., Excavations al Beth She'arim I955 ll: ibid. 7 (1957) 239-255 ; ID., The Necropolis of Beth She'arim: Archaeology 8 (1955) 236-244. 28 CIJ 11 857: El-Hammch: rb. 2 ~ CIJ n 736 Lapethos/Cipro: una colonna porta il nome di chi l'ha eretta: EÒXYJ pa~~(t) 'A't'·mcou. Cfr. al riguardo TH. R.EINACH, Une lnscription Juive de Chypre: RE] 48 (1904) 191-196; S. KRA.uss, Synagogale A/.tertumer (1922) 238 s. 31 CIJ 1 n 3 Roma: voµoµa:~ç ; I 193 Roma: voµoµa~<;; I 201 Roma: \loµoo~oocuxix Ào<;; I 333 Roma: 8iliacrxaloc;; I 594 Venosa: lìiMo-xalo<;. Oltre a
quale dappertutto nel giudaismo allo scriba era mosttata riverenza.
B. paf3f3l, po:.f3f3ouvl NEL N.T. r. Nel N.T.
paf3(3l 31 si trova soltanto
nei vangeli. In Mt. 23,7, con richiamo al fatto che agli scribi 32 ci si rivolge con l'allocutivo rabbi, essi vengono biasimati di voler essere riveriti e chiamati in tal modo. Secondo lo. 3,26 i discepoli di Giovanni il Battista lo chiamavano {m.f3~l, e cosl si dichiara che in quanto suoi scolari essi prestavano al maestro rispetto ed obbedienza. In tutti gli altri passi dei vangeli in cui s'incontra il vocabolo pa.f3f3l, questo allocutivo onorifico è riservato a Gesù 33 • In Mc. 9,5 e II,21 è detto che Pietro chiama Gesù pa.f3f3l, ed anche Giuda lo 2.
31 Scritto anche pa.f3f3El, ma certamente sempre pronunciato 'rabbi'. Nella scrittura si scambiano spesso L e EL, Cfr. BL.-DEBR. § 38 e E. NESTLE, Rabbi: ZN\V 7 (r906) 184. Se in iscrizioni palestinesi si trova anche 'ribbi', ciò dipende dal fatto che il titolo in Palestina non è stato pronunciato in modo uniforme. Cfr. N. AvIGAD, Exc11vatio11s at Deth Shc'arim I9JJ: Israel Exploration Journal 4 (1954) 104 s.; B. 2 MAZAR, Beth She'arim 1 (1958) 136 [RENGS·roRF]. 32 II v. 7 vale solo per essi e non anche per i Farisei, nominati al v. 2. Cfr. }EREMIAS ~ TI, coll. 602 s.
Il nome di Barabba in Mc. 15.7 pnr., che è una forma grecizzata di bar 'abbii', figlio del padre, stando a Gerolamo (in Mt. 27,16), nel vangelo degli Ebrei era spiegnto come bar rabbiin: Barrabas... in eva11gelio, quod scribitur iuxta Hebraeos, filit1s magistri eorum interpretatur, qui propter seditionem et bo111icidi11m fuerit condemnatus. Cfr. E. KLOsTERMANN, 33
saluta col nome di pa.Bf3l nel momento del tradimento e della cattura (Mc. x4, 45) 34 • Quando gli evangelisti usano OL06.crxa),oç come allocutivo di Gesù, dietro ad esso si deve sempre presupporre un originario rabbt, ad es. in Mc. 4,38; 9,x7.38; ro,x7.20.35; 12,14.19. Seguendo la tradizione palestinese, nel Vangelo di Giovanni l'allocutivo prx(3~l è usato più frequentemente: in Io. l,38 Gesù è chiamato {.iaB(3l da due discepoli del Battista, e l'evangelista ai suoi lettori spiega esattamente il vocabolo ebraico con OLO<Ì.uxrxÀ.oç. Così pure Gesù è salutato come pa(3(3l da Natanaele (Io. l, 49) 35, ed è chiamato prxf3f3l da Nicodemo (Io. 3,2), dalla folla (lo. 6,25) e dai discepoli (lo. 4,31; 9,2; 11,8). Due volte s'incontra anche l'allocutivo pa.(3(3ouvl 36, che non mostra un significato diApocr)•pha 11, KIT 81 (l929) ro; LoHMEYER, Mk. a 15,7. 3-I La recensione Sì> raddoppia l'allocutivo, cfr. (~col. 915) l'esempio di Makk. b. 24 a par. Ket. b. ro3 a (~ n. 21). JS A questo passo si riallaccia il frammento apocrifo del Papiro di Berlino n710, dove la testimonianza di Natanaele è mutata come se· gue: WµoÀ.)6y'I)UE\I xa.l EfoE. ~a.µ(3LOÙ XUpLE, tJÙ El ò utòc; 'tOU itEOU. (à.m:xplihi a1hi!J) ò pcxµplç xcxt E!1tE' Ncd}a\la.TJÀ., [a.]7topEuou È•J -t Na.itavaii>.. xa.t ei?te.v· paµPLoÙ xvpLE, uù EL ò àµvbc; 'tOU i)eo\i,
ò at'pwv -tàc, aµ(a)p(-tl}a.(c;) -.ov x6uµou. &.rce.xpllhj «ò-ti!J ò ~aµptc; Mt Efoe.\I. La forma ò paµf3lc,, vocativo pa.µf3tov, sta per pa.PPl (µp per {3f3). Cfr. H. LIETZMANN, Notize11:
ZNW
22 (1923) 153
s.
36 Cfr. ~ n. 14. Scritto anche pa.{3{3ouvEC, pa.f3· {3ovl, pa.(3(3ovd, ma certamente pronunciato sempre 'rabbuni' e~ n. 31). Cfr. KAUTZSCH, op. cii. (~ n. 14) IO e PREUSCHEN·BAUER5, S.V.
pczfj ~t B 2 (.C. Lohse)
verso da paf3j3l 37 : in Mc. 10,51 38 in bocca al cieco di Gerico e in Io. 20,16 rivolto da Maria al Risorto. Poiché Gesù veniva chiamato paf3f3l dai suoi discepoli e dagli estranei, risulta chiaro che il suo comportamento corrispondeva a quello degli scribi giudei (~II, coll. uo1 ss. u39 ss.) 39 . Nelle sinagoghe egli presentava alla cerchia dei suoi discepoli, e agli altri che lo ascoltavano, la sua dottrina traendo lo spunto da passi della Scrittura. I suoi discepoli vedevano in lui il loro maestro e gli testimoniavano il timore reverenziale a lui dovuto chiamandolo paf3f3l. Cosi pure Gesù era considerato maestro dal popolo, e perciò veniva salutato rispettosamente e chiamato paf3!K D'altra parte fìn da principio il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli si distinse da quello fra il dotto ed i suoi alunni, perché non furono i discepoli a chiedere di essere accolti come tali, ma fu Gesù a chiamarli alla sua sequela, ponendosi cosl di fronte a loro come il signore. La sua dottrina non consisteva nell'esposizione, spiegazione e trasmissione del deposito di tradizione ricevuto, da legittimare per mezzo dell'esegesi scritturale; Gesù predicava in t~ovO'la e contrapponeva alla legge e alla tradizione il suo sovrano tyw ot Myw vµi:v (Mt. 5,21-48 par.). Perciò i vangeli rilevano più volte lo stupore del-
i ypaµµa-rEi:c; bensl in t~oucrla (Mc. 1, 22par.; Mt. 7,29 e passim). Poiché Gesù predica con potestà profetica(~ 599 ss.), i suoi discepoli non seguono un corso cli studi, che a suo tempo li metta in grado di concludere con successo il loro tirocinio e diventare paaf3l essi stessi (~ v1, coli. 1194 ss.): i discepoli restano µr.dhrmi e Gesù rimane il loro otoauxaÀ.oc;. Anzi viene loro proibito di farsi chiamate paj3j3(. dc; yap ÈCT'ttv uµwv ò OLOCwXaÀ.oc;, 'lta\l'tE<; OÈ uµEi:<;
37 ~ DALMAN
ThLZ 79 (x9,54) 325-342.
275.279.
Il cod. D ha qui xupu: pct.~~l. Cfr. Mt. 20, 33; Le. 18,,p: xup!.€. 39 Cfr. anche E. FASCllER, ]esus der Lehrer: 33
la folla perché Gesù non insegnava come
40 Cfr. inoltre Mc. 4,38 l>LMO'xtt'M = Le. 8, 24 lmcnc*.·m; e cosl Mc. 9,38=Lc. 949; inoltre Le. 5,5; 8A5i 17,13. Cfr. O . GLOMBITZA,
patJ8oc, A r cutivo di Gesù soltanto in bocca a Giuda il traditore (Mt. 26,2549) 41 • Dai discepoli Gesù non è chiamato pa.f3f31 ma xuptE (Mt. I7 ,4, in luogo del pa.f3~l di Mc. 9,5) 42 • In Mt. 20,33 appare l'allocutivo xupt.E in luogo del pa.f3f301Nl di Mc. 10,51 43, e in Mt. 8,25 il Òtoaaxa.Àoc; di Mc. 4,38 è parimenti sostituito da xupte 44 • Se Matteo evita di far usare ai discepoli pa.f3f3l e otòrurxa.À.oc; 45 e costantemente li sostituisce con XVptE, evidentemente vuol mettere in rilievo che Ge-
1
(C. Schneider)
sù non è un OLOO.crxa.À.oç nel senso giudaico della parola, ma il signore dei suoi. Nell'ambito della sequela di Gesù il titolo adeguato non è quello di maestro, bensì soltanto quello di xupLoç 46 , 3. Nel resto della letteratura protocristiana non s'incontra mai il termine pa.PBl (segno del venir meno della tradizione palestinese) e la designazione di Gesù come maestro ha un ruolo minimo accanto agli altri titoli cristologici (-:)o u, coli. n49 s.). E .LOHSE
t pcX.f3ooc;
A. papòoç FUORI
Significato fondamentale etimologico di Ti paf3Soc; è ramo flessibile, verga, bacchetta. Il vocabolo è afline a pci:µvoc;, al lat. verbera (solo plurale), al lituano virbas, al lettone virbs.
I. Il significato in greco
Die Tilel lìtMaxa).oc, und ~mcr-.chl')c, fiir Jesus bei Lukas: ZNW 49 (1958) 275-278: «Gesù Cristo soltanto agli occhi degli estranei e per gli estranei è maestro, rabbi, per i suoi non lo è» (276). 41 Dunque qui Mt. rimane legato alla precedente tradizione. Cfr. LoHMEYER, Mt., ad l. 42 Mt. 21,2o===Mc. u,21 (paB!Jl): l'allocutivo è stato completamente omesso da Mt. 43 Cfr. Le. 1841: xuptE. 44 Mentre Giuda secondo Mt. 26,25 si rivolge a Gesù con pa~!Jl, gli altri discepoli dicono xupLE (Aft. 26,22). 41 Invece gli estranei dicono ai discepoli ~ 6LMaxa).oc, ùµWv (Ml. 9,u; 17,24), ed anche i discepoli presentano Gesù agli altri come l'ìtM.axa.).oç (Mt. 26,18). Cfr. G. BoRNKAMM,
Enderwarttmg tmd Kirche im Mt, in The Backgrotmd of the New Testame11t and its Eschatology, in Honour of C. H. Dodd (1956) 250 s. 4/; Cfr. BORNKAMM, op. cit. e~ n . 45) 250 s.
DEL N.T.
I. Bastone, bacchetta, verga. In origine soltanto il bastone flessibile in contrapposizione a crxfj'lt't'pov, ma ben pre-
p!X~lìoc,
xù.
LIDDELL-SCOTT, s.v.; WAWE-PoK. I 275; PREI· SIGKE, ìVorl. III 153; MAYSER I 3 p. 167,34 S.j \VILKE-GR.I MM, s.v.; PREUSCHEN-BAUER5, s .v.; F. DE WAELE, art. 'Stab', in PAULY-W. 3a (1929) 1894-1923; E. THALHEIM, art. pa.~8ocp6poL, in PAULY-W. ra ( 1920) 18 s.; E. KALT, art.
'Stab', in Bibl. Reallexiko11 n (1937-39) 745 s.; F. J. DoEIXiER, Dìe Auspeitschtmg einer Frau citi/ einer Relie/platte der Priitextal-Katakombe in Rom: Ant. Christ. III (1932) 214 s.; S. KRAuss, Talmudische Archaeologie Iì (1911) 312-314; Io., Die Imtmktio11 Jem a11 die A-
pa~lìoç
A
(C. Schneider)
1 1-15
sto i due vocaboli si confondono (Pind., Olymp. 9,33; P. Tebt. r 44,20 ecc.). Al contrario di ~CT-X't"JJpla, che non appare nel N.T., pa~ooc; è un bastone più leggero e flessibile (Xenoph., eq. II,4). 2. Bastone, verga per percuotere, al plurale battiture, vergate, in particolare per gli schiavi e gli scolari (Plat., leg. 3, 7ooc; Xenoph., eq. 8,4 [insieme con µa
13 ss.]). 7. Bastoni come attributi di dèi, come le pci~ooL di Asclepio di Coo, la cui &.vaÀ.1JIJiLç veniva celebrata ogni anno a Coo con una festa ed una processione4 (Pseud.-Hippocr., epist. ad Abderitas [Kuhn III 778] ), il bastone della Dike sull'arca di Kypselos 5 , in origine il bastone del giudice per punire (Paus. 5,18,2), il Kerykeion di Ermes (Horn., Il. 24,343 ecc.). 8. Scettro (Horn., Od. 16,172; Plut., Olymp. 9,33; Pseud.Plat., Ax. 367a). 9. Bastone del giudice, dell'arbitro, del poliziotto; in particolare ci.i pcX.~ooL serve a tradurre i fasces romani (Polyb. II,29,6; Dion. Hai., ant. Rom. 4,u,6; 5,2,1; Strabo, 5,2,2; Epict., diss. 4,1,57; 10,21; Plut., quaest. Rom. 82 [II 283e]; Herodian. 7,6,2). 10. Bastone del rapsodo (Callim., fr. 138; Paus. 9,30,3). II . Canna da pesca (Horn., Od. 12,251); pania, fraschetta, per la cattura degli uccelli (Aristoph., av. 527) . In latino l'espressione corrispondente è viscata virga (Ovid., metamorph. 15,474). 12. Filone, vena di minerale (Diod. S. 5,37; Theophr., de causis plantarum 4,12,7). 13. Borchia, fascetta metallica, forse scambiato per pet.
posteln: Angelos 1 (19:z5) 96-rn:z; T. W. MANThe Sayings of Jesus (1949) 181-r83; TH. MoMMSEN, Die Rechtsverhiiltflisse des Ap. Pa11lus: ZNW i (1901) 81-96; NILSSoN 12 509 s.; P. SAINTYVES, Essai de folklore bibliqt11i (1923) 59-137; F. SCHULTHESS, Zur Sprache der Evangelien: ZNW 2r (1922) 234; P. STnNGEJ. , Die griech. Kulwsallertiimer (19:zo) 194; F. DE WAELE, The Magie Staff or Rad in Graeco-Italian Antiquity (r9i7); inoltre i commentari ai passi citati. 1 TH. MoMMSilN, Rom. Stra/rechi (1899) 928; E. BRASSTOFF, Die Rechtsstellung der Vesta/in: Zeitschrift fur vergleìchcnde Rechtswis·
senschaft i i (r908) r40 s. Ed. F. DiIBNER, Anthologia Palatina n (r887) 568. 3 M . GUNDEL, art. pet~lìoµcxvnla, in PAULY\Y/. 1a (19w) 13-18; N1LSSON 12 167-171. 4 M. GUNDEL, art. p6;~8ov 6.vaÀ.T]lj/tç, in PAULY-W. ia (19w) 18; nel calendario delle feste edito da R. HERZOG (DITT., Syfl.l Ili 10251027) però In festa non è compresa. s R. H1RZF.L, Themis, Dike und Verwandtes (r907) ioo-102. Però nei reperti archeologici Dike di solito porta la spada e più raramente la bilancia.
SON,
2
pc1.~8oc;
A
I 15 ·
Xenoph., cyn. 10,3.I6). 16. Germoglio
di un albero (Ion, fr. 40 [T.G.F. 740];
Theophr., hist. plant. 2,1,2). 17- Raggio di luce {Aristot., meteor. 3,6 [p. 377 A 30]). 18. Riga, verso (schol. a Pind., Isthm. 4,63a) 0 •
IL Il vocabolo nei LXX
B
I
(C. Schneider)
x7,5.9; Num. 20,8 s.); di Balaam, per maqqet (Num. 22,27).
Senza differenza di significato i LXX usano, oltre a pocf3ooc;, anche (più di rado) f3ax-.11pla. Fa caso a sé soltanto 2 Reg. 4,29 ss., dove !3aX'tTJpla è usato come attributo del profeta 1•
B. pocf3ooc; NEL N.T. l . Bastone, bacchetta in generale, per maqqel (Gen. 30,37 ss.; Ier. 48,17); per x. Bastone come strumento di misura poter (Is. u,1); per 'e! (Ez. 37 116 s.); per mis'enet, specialmente come canna di una lunghezza determinata ma non (2 Reg. 18,21; Is. 36,6; Ez. 29,6); per definita con maggiore precisione, di canmaffeh (Ez. 7,10; I9,II ss.). 2. Bastone na o di legno (Apoc. n,x). Collegandoper percuotere, per sebep (Ex. 21 1 20; 2 si a Ez. 40,3 ss. e forse anche a 2 Sam. 8, Sam. 7,14; I Chron. n,23; 4' 88,33; Prov. 10,13; 22,15; 23,13 s.; 26,3; lob 2, il Veggente apprende che gli verrà 9,34; Is. 10,5 [figuratamente -tov i}u- dato un tale bastone, col quale dovrà µou]; Is. 10,15.24; Lam. 3,r; Ez. 20, misurate una parte dell'area del tem37; Mich. 4,14); per mayeh (Is. 93; 28 127). 3. Bastone del pastore, per sébef pio (-7 VII, coll. I89 s.), nella quale non (Lev. 27,32; Ps. 2,9; 4' 22,4; Mich. 7, entreranno i nemici di Dio 8 • 14); per maqqel (rSam . l7>43i Zach. Analoghe sono le frequenti descrizioII,7 ss.). 4. Bastone come appoggio, soprattutto di viandanti, vecchi e infermi, ni di misurazione di superfici nella fonper maqqél (Gen. 32,II); per 1nat1eh dazione di colonie o delimitazioni di (Gen. 38,18.25); per mis'enet (Ex. 21, spazi di asilo dentro il recinto di teml9i Zach. 8,4). 5. Bacchetta magica, per pli. Bastoni come strumenti di misura matfeh (Ex. 7,9-12). 6. Bastoncini per compaiono spesso in tutta l'antichità acoracoli, per maf!eh (Num. 17,17); per canto a cordicelle e strisce di pelle di maqqel (Os. 4,I2). 7. Bastoni come at- animali 9 • tributi degli angeli, per mis'enet (Iud. 6, Se si considera, con buoni motivi, il 21). 8. Scettro, anche figuratamente in luogo di dominio, per maf!eh (o/ I09 1 passo come originario, allora esso signi2); per sebet (lj.i 44,7; o/ 124,Ji fod. 5, fica la promessa ricorrente in forma ste14 cod. B); per maqqel (Ez. 39,9); per reotipa nell'Apocalisse, che la comunità sarblf (Esth. 4,n; 5,2; 8,4). 9. Bastoni di Mosè ed Aronne, per ma!feh (Ex. 4,2. .autentica di Dio supererà senza pericolo 4.17.20; 7,9 ss.; 8,13; 10,13; 14,16; tutti gli orrori del tempo finale. Se lo si 6
Ed. A. B. DRACHMANN III (1927) 232. L . KoHLER, Kleinc Lichter (1945) 25-27. 8 L'unità di misura in Ez. 40,5; 43,13 è il braccio reale di cm. 52s; dunque questa è probabilmente anche la lunghezza dello strumento di misura. 9 Sul modo di misurare nell'antichità dr. so1
prattutto Vitruvius, de architectura (ed. F. KROHN [r9r2]); F. HuLTSCH, Metrologici (1864); H. NISSEN, Griech. tmd rom. Metrologù? (1892); In., Das Templum (1869) 22-53 (sulla misurazione di aree di templi). Per la situazione in Palestina J. BENZ!NGER, Hcbriìische Archacologic' (1927) x90-204.
p&.~ooç
B l-3 (C. Schneider)
considera come un'aggiunta da una fonte estranea, allora l'ipotesi più ovvia è che si tratti di un volantino zelota del tempo in cui le truppe romane erano già a Gerusalemme, ma restava ancora la speranza che la parte interna del tempio sarebbe stata salvata 10 • 2. Bastone per percuotere. In r Cor. 4,21 Paolo, traendo occasione dal v. 15, si presenta come un maestro o pedagogo greco che può venire o Év &:ycbtn o col bastone 11 •
Poiché il maestro di scuola giudeo (swfr) non castiga col bastone ma con la cinghia (r!w'h) 12, Paolo pensa chiaramente alla scuola ellenistica, nella quale si usavano spesso punizioni corporali, secondo il principio ò µiJ oa.pdc; &vil'pw1tOt; où 1tlX.~OEVE't
Apok., ad l.; ]. BEHM, Die Offenbamng des Johannes, N.T. Deutsch n 1 (1956) ad l.; HADORN, Apk., ad l.; contro invece R. H. CHARLES, The Revelation of St. John, ICC (1950) ad l.; BoussET, Apok., ad I. 11
Sull'tv strumentale, indotto dal v. 15, cfr.
SCHWYZER lI 435; BL.-DEBR. § 219. 12 A. KLOSTERMANN, Das Sch11lwesen im alte11 Israel, in Theologische St11dien. Zahn-Festschrift (1908) 193-232. Il Ed. A. MEINECKB, Fragmenta Comicorum Graecorum IV (1841) 3.P· Sul pedagogo dr. inoltre Herond., mim. 3; Mart. 10,62; 14,80; W. HELBIG, 'Vandgemiilde der vom Ve.ruv ver,chUtteten Stiidte Campaniens (1868) nr. 1492; M. P. N1LSSON, Die hellenistische Schule (19.u ); J. KEIL, Das Unterrichtswese11 im antiken Ephesos: Anzciger der i:isterrcichischen
le percosse, ha un grande ruolo nella letteratura pedagogica ellenistica e tardoantica 14•
3. Bastone da pastore. Il passo di Ps. 2,9, inteso messianicamente, in Apoc. 2, 27; 12,5; 19,15 è riferito a Cristo che con una verga di ferro pascerà le genti 15•
In sé l'immagine non contiene nulla di inverosimile. Sono frequenti bastoni da pastore con la punta di ferro, con cui si tengono riunite le pecore e che possono anche far male agli animali (xÉv>tpov-4 v, coll. 333 ss.); un tono di minaccia che echeggia nel bastone da pastore già in Horn., Il. 23,845ss. La lettetura rabbinica conosce bastoni che sono interamente di ferro o hanno una guarnizione di ferro 16 • Ma resta possibile anche la vecchia ipotesi che i LXX abbiano scambiato tir'èm, 'pascerai', con t"ro'èm, 'fracasserai', poi ripreso dall'Apocalisse. Ma contro questa ipotesi sono state avanzate serie obiezioni: r" è un aramaismo e la consegna di sudditi solo perché siano distrutti non ha senso. 'Pascere' andrebbe inteso nel senso frequente di 'governare' (la Vulgata traduAkademie, philophisch-historische Klasse 88 (1952); H. I . MARI!OU, Geschichte der Erzie-
h1111g im klassischen Altertt1111 (1957). La più ampia trattazione in Plut., lib. educ. (u l ss.). Nell'A.T.: Prov. 13,24; 23,14; 29,17; Ecc/tls 30,12. 1s Su Ps. 2,9 R. KI'l'TEL, Die Psalmen, Komm. z. A.T. 13 ' ·' (1929); H. GuNKEL, Psalmen, Handkommentar A.T. 144 (1926); W. E. BnNES, The Psalms (1931); W. O.E. 0ESTERLY, The Psalms (1939) ad l.; sull'influenza della figura messianica fin nella chiesa antica M. A. VEYRll!S, Les fig11res chriophores, Bihlic:r 14
thèque des écoles françaises d'Athènes et de Rome 39 (1884); L. CLAUSNITZER, Die Hirtenbilder in der altchristliche11 Kunst, Diss. Halle (r904). 16
Num. r. 12,3; Lom. r. 1,3; Kelim u,6; Sanh.
b. ro2a.
pa~Soc;
B 3-.5 (C. Schneider)
ce con regere) 17 • Una difficoltà particolare di Apoc. 2,27 è che solo in questo passo viene aggiunto il secondo emistichio di Ps. 2,9, ma in una forma che si discosta stranamente dai LXX 18, e che solo qui il vocabolo non è usato in senso strettamente messianico, ma è applicato al seguace di Cristo ~fino alla fine». Egli riceve gli stessi poteri di Cristo. In Apoc. 19,15 fin da Ugo Grozio pa~ooc; è inteso talvolta come 'spada', in conformità all'uso giudaico del vocabolo del salmo. Ma qui ciò è escluso, poiché l'Apocalisse chiaramente e volutamente coilega due immagini agricole, quella del pastore e quella del pigiatore dell'uva. Nei Padri apostolici pcl.Booç si trova come bastone del pastore in Herm., vis. 5,1 ; sim. 6,2,5.
4. Bastone del viandante. In Mc. 6,8 Gesù consente ai suoi discepoli di portare con sé in viaggio una pa~ooc;, in Mt. 10,10 e Le. 9,3 glielo proibisce. Le. 22, 35 non parla di bastone(~ x, 181ss.) 19• Verosimilmente Marco, appoggiato da Le. 22,35, presenta il testo originario . Sulle antiche strade dell'Oriente non e-
rano possibili lunghi viaggi senza bastone. Il rigorismo giudeo-cristiano ha poi adeguato la frase alla proibizione di salire al monte del tempio con bastone, sandali e cintura 20• Generalmente il bastone fa parte dell'attrezzatura dei viaggiatori greci e giudei. Per i missionari itineranti cinici bastone, sacca ed il pratico mantello cinico sono addirittura caratteristici del loro stato : per il bastone di Peregrino Proteo un amatore giunse a pagare dopo la sua morte un talento 21 • Per indicare la sequela di Eracle spesso questi bastoni avevano forma di dava ((jXU'tciÀ.t)). Anche tra i rabbini itineranti sono attestati bastoni da viaggio: il rabbino itinerante Jeremia dispone che alla sua morte gli sia messo in mano il suo bastone e gli siano calzati i suoi sandali 22 • È usanza egiziana dare al morto un bastone per il viaggio 23 • 5. Bastone per il sostegno dei vecchi. Hebr. II,21 riprende lo scambio avvenuto in Gen. 47,31 (LXX) tra mifJàh, 'letto', e mafteh, 'bastone'. Nel fatto che Giacobbe dopo la sua ultima preghiera
Cfr. H. ScHMmT, Die Psalmen, Handbuch
Évangile selon Saint Mare' (1929) .IJI e LOH· Mk. a 6,8. lB Le esegesi delle Catene considerano wc; u20 Ber. 9,5, dr. ~ MANSON I81-183. guale a ~'llt.t [BERTRAM]. Tuttavia l'equivalenza 21 Luc., indoct. I4; Epict., diss. 3,22,50; Dio è esclusa dal parallelismo ed è troppo evidenChrys., or. 34,2. · te che si tratta di un ripiego dettato dalla ne- . 22 Gen. r. xoo,2 a 49,33; ScHLATTBR, Komm. cessità. Ma neppure per la via traversa del 'reggere' si possono far concordare il 'pascere' e il Mt. a xo,rn. Cfr. B.B.b. r33b; Jeb. 16,7; Kelim r7,16; Th. 8,9; T . Meg. 4,30; Lev. r. 25,1 a 19, 'fracassare'. 25. Al contrario il bastone non necessaria19 W E LLHAUSEN, Mc. a 6,8 cerca di far conmente è attributo del profeta (Zach. 13,4; 2 cordare i due testi supponendo che in Mc. 6,8 il semplice l' sia stato letto erroneamente '/'. Reg. 1,8). Ma ciò è inverosimile. L'ipotesi che nel testo 21 R. R.ErTZENSTEIN, Hell. Wunderen:iihlungen 17
A.T. (r934) ad l.
MEYRR,
si sia avuta una mutazione dell'espressione molto forte in greco El µ,; ... µ6'110'11 non serve a nulla. Cfr. ancora al riguardo J. LAGRAN'GE,
(r906) n2; viceversa i soliti lunghi bastoni nelle figurazioni sepolcrali cli dignitari egiziani sono soltanto distintivi del foro rango.
93I (VI,970)
~6.~6oç
B 5-7 (C. Schneider)
si è chinato sul suo bastone l'autore della Lettera agli Ebrei ha visto un segno di particolare umiltà davanti a Dio 24 •
Il bastone è attributo immancabile del vecchio in tutte le immagini greche che raffigurano persone anziane, inoltre nell'enigma della sfinge ecc. 25 • Anche la letteratura rabbinica (Shabb. b. 66a bar.) parla di maqqél sel rqéntm. 6. Il baJtone di Aronne che germoglia (Num. 17,16-26) secondo Hebr. 9,4 è riposto nell'arca. Ma l'autore non si chiede quale funzione abbia l'immagine tipica del bastone nel tempio celeste, per cui alla successiva speculazione cristiana restano aperte tutte le possibilità. Anche Philo, vit. Mos. 2,178-180; Flav. los., ant. 4,63-66 parlano del bastone verdeggiante di Aronne. Per quanto ne sappiamo, in nessun altro testo è tramandato che esso sia riposto nell'arca; secondo midrashim giudaici, che si riallacciano a Num. q,25 ed Ex. 16,33, esso si trova nel santo dei santi (]oma 3,7), davanti all'arca (Tg. O. Num. 17, 25), oppure viene soltanto nominato insieme con l'arca 26• È stato formato alla Sul gesto F. HEILER, Die I(orperhaltrmg beim Gebet: Orientalische Studien n (I918)
2.1
168. Esempi in E. BuscHoR, Griech. Vasen (1940) figg. 179 (Duris). 180 (Brygos). 187 (Kleophrades pittore). 228 (Kleophon pittore). 26 Sota ;. 8,3 (22 e 7 ss.); Ab.R.Nat. 41. Manca però in B.B.b. 14 a b. 21 M. Ex. I6,32 s. (59b); STRACK-BILLERDECK !II 739 s. 25
28 A. }EREMIAS, Das A.T. im Lichte des alten Orients (1930) 444; W. HENRY, nrt. 'Baton', in DAC 2,1 (1925) 62i. 2~ J. LEIPOLDT, Dionysos, Angelos-Beiheft III (1937) 7; cfr. Horn., hymn. Baccb. 38·40; Phi·
vigilia del primo sabato, serviva da scettro ai re, ritornel'à nel regno messianico 27 • Il motivo del bastone che germoglia è molto diffuso 28 • Viene usato in senso religioso a proposito di Dioniso: l'albero germogliante di cui si parla nell'inno omerico a Dioniso, raffigurato nella coppa di Exekias a Monaco 29 ; analogamente a proposito di Attis: il pino che germoglia come simbolo della risurrezione 30. Nella letteratura cristiana post-neotestamentaria I Clem. 43,2-5 utilizza una ulteriore rielaborazione haggadica. Herm., sim. 8 fonde una serie di motivi 31 • Il bastone diventa il legno verdeggiante della croce (l;,uÀ.ov) in Ign., Tr. n,2; Sib. 5,257. A continuazione di acta Pilati 19 1 nel Medioevo vengono identificati allegoricamente l'albero del paradiso, il bastone verdeggiante di Aronne e la croce 32• Infine, nella saga di Tannhauser, in connessione con queste tarde raffigurazioni cristiane, il bastone verdeggiante diventa segno della grazia divina che estingue i peccati, il bastone fiorito l'attributo di Giuseppe, quello verde l'attributo di Cristoforo 33 • 7. Scettro. Secondo Hebr. 1,8 (che utilizza ~ 44,7) Cristo come Signore del mondo impugna lo scettro di Dio quale lostr., imagines x, 19,3 (ed. O. BENNDORF e C. SCHl!NKL [ 1893] .39). 30 H. HEPDING, Attis (1903) 149-151; F. Cu-
Die orie11t11lischen Religionen im romischen Heidentum1 (I931) 44.52 s.; In., L11x perpetua (I949) 261.
MONT,
Erma ha una grande simpatia per bastoni di ogni genere: vis. 3,2,4; 5,1; sim. 6,2,5; 9, 6,3.
31
F. KAMPERS, Mittelalterliche Sagen von dem Paradiesbaum u11d dem Holz deJ Kreuzes Christi (1897). 33 J, BRAUN, Tracht tmd Attribttte der Heili· gen (1943) 171 s. 185 s.
32
933 (v1,970)
pa~lìoc;
B7-
pa~~m;w
espressione del suo legittimo dominio divino 31•
Lo scettro come espressione di una legittima sovranità da venerare è comune in tutta l'antichità (cfr. Paus. 2,8,7; 9,40,II s.). 8. Bacchette magiche e bastoncini per oracoli non compaiono nel N.T., ma già si trovano in Herm., vis. 3,2,4; sim. 9, 6,3 e nell'arte catacombale che raffigura Gesù con la bacchetta magica nella moltiplicazione dei pani e nella risurrezione dei morti, come pure Mosè che fa sgorgare acgua dalla roccia 35 •
l. In greco il verbo s'incontra con i seguenti significati: a) colpire con tm bastone (Aristoph., Lys. 587; Pherekrates, fr. 50 [C.A.F. r 159]). b) fiagellare, come traduzione di virgis caedere per In flagellazione secondo il diritto penale romano (verberatio e fustuarium) (Diod. S. 19,101) 1• c) battere, trebbiare (P. Ryl. II 148,20). Di qui derivano i sostantivi paf3oLcrµ6ç (P. Tebt. r II9,46) e paf3oLO'"t'TJç (BGU I II5,r,15). d) far cadere dagli alberi con lunghe pertiche olive o frutta (Theophr., de causis plantarum l,r9,4; 5,4,2).
2. Nei LX,""{ soltanto per pabaf, battere, trebbiare (Iud. 6,II; Rutb 2,17; in Aquila, Simmaco, Teodozione anche nell'immagine del raccolto nel giudizio fi-
3 (C. Schncider)
(vi,97r) 934
nale in Is. 27,12 (dr. anche 28,27); i LXX hanno mutato l'idea per influsso del secondo emistichio. 3. Nel N.T. il verbo viene usato soltanto per parlare della pena romana della flagellazione. Paolo racconta in 2 Cor. II,25 di averla subita tre volte quale apostolo. Act. 6,22 descrive solo uno di questi casi. A Filippi, dietro denuncia dei Giudei, gli uomini della polizia locale strappano le vesti a Paolo e lo sottopongono alla flagellazione. Questa va intesa non come tortura ma come mezzo poliziesco di coercizione (~ VI, colL
1399 ss.) . In una colonia militare la polizia locale (v"t'pa.•'l'JYOl) aveva ampi poteri. Secondo la lex Porcia de tergo civium Paolo, in quanto cittadino romano, non poteva essere flagellato; ma egli vantò questo privilegio solo dopò che la flagellazione aveva avuto luogo, per non dare l'impressione di volersi sottrarre per un privilegio alle sofferenze di Cristo. Naturalmente allora si deve supporre che la flagellazione avvenisse in pubblico, probabilmente sulla piazza principale davanti al tribunale 2 •
t i)a.Poouxoc; (la.Soovxoc;,
da
pa{3ooc; e
EXW, in gre-
STRACK-BILLERBl!CK lii 679 S. 35 WILPERT, Die Malcreic11 der Katakomben Roms (1903) 292-314; O. WuLFF, Die alt-
prc usato per indicare In flagellazione romana, mentte per la punizione sinagogale ricorrono soltanto µCX
chrislliche Krmst vo11 ihre11 An/ii11ge11 bis zur Mitte des ers/e11 Jahrtausends (1914) 75-n9
2
34
Sull'applicazione messianica del salmo vedi
J.
(plastico) 123 s. 185 (avorio). {>a(il>lt;w t ..__,. DtiLGER 214 s.; nel N.T.
/>a~W;w
è scm-
Singolare ma improbabile per la sua insufficiente documentazione è l'ipotesi di JACKSDNLAKE I 5,272 s. che gli strateghi si siRno strappate le vesti in segno cli condanna.
pq:oLouprnµa (0. Baucrnfeind)
7,8,10; Plut., quaest. Rom. 67 [n 28oa]). Il relativo verbo poc~SouxÉw, il sostantivo poc~oouxloc e il sinonimo pa.~oo cp6poç non compaiono nel N.T. Tutti questi vocaboli non ricorrono nei LXX.
co viene usato nel modo seguente: a proposito di poliziotti muniti di basto· ne, che avevano il diritto o il compito di infliggere, in caso di necessità, puni· zioni corporali (Aristoph., pax. 734 ; Thuc. 5,50,3I; P . Oxy. XIV I626,9. 21; 1750,12); di giudici (Plat., Prot. 338a); di agenti di custodia in templi e durante celebrazioni religiose (Ditt., Syll.' n 736,147 ss.): in Andania fra gli tEpol vengono destinati a tale ufficio 20 poc~oocp6po~; IG rx 2 nr. 1109,23 s.: a Magnesia essi non devono avere un'età inferiore ai 30 anni, cfr. CIG n 3599); di accompagnatrici di una principessa (Polyb. 15,29,13; ma forse sono anche destinate al ministero del culto nel thesmophoreion). Nel linguaggio ufficia· le delle cancellerie è la traduzione del littore romano (Polyb. 5,26,10; Polyb., fr. 74; Diod. S. 5'40i 17,77; Herodian.
In Act. 16,35.38 Paolo viene accompagnato dalla polizia amministrativa fino al confine della città, dopo che davanti agli cr-rpct:tl)yol si era dichiarato cittadino romano. Di regola agli 1npoc•t"l')yol della città erano assegnati due littori 1• L'accompagnamento doveva valere non tanto a protezione di Paolo quanto come un onore resogli per riparare alla con· dotta illegale degli strateghi. C. ScHNEIDER
Il composto p~o~ovpy6c;, attestato già in Senofonte, ed i suoi derivati proven-
gono da f>rl.o~oc; nel significato di leggero (Eur., Hipp. 1116), troppo facile 1 • Un
pa~oouxoc;
I
Nella ·discussione sulla giusta misura della
1 ]. MARQUARDT, Rom. Staatsverwaltung 1 1 (1881) 175; E. SAMTER, art. 'Fasces'; in PAU· LY·W. 6 (1909) 2002-2004; E. KiiBLER, art. 'Lictor', in PAULY-W. 13 (1927) 507-518; sull'ufficio, già preromano, dello stratega a Filippi dr. H. BllNGSTON, Die Strategie in der beli. Zeit II (1944) 400 s.
l).tuDtpr.6'tT)c; (generosità) Aristot., eth. Nic. 4, r ,9 (p. u20 a 17) afferma che è più facile ri· nunciare passivamente all'accettazione di un bene altrui che privarsi attivamente di un bene proprio (xai ~q.ov 'tÒ µiJ À.a~t~v 'tov Bov· vo.t). Alla àpE'tTJ (-+I, roll. 1221 s.) corrisponde
~q:BLovpyT)µ<X, iiq:BLOUpyla
Y~P 6.pt"ti}c; µ(i).).ov 'tÒ tiS 1COl.E~'V ~ 'tÒ Ei'.Ì 1tàa';(EW [ibid. p. n20 a n s.]). Queste frasi
MoULT.-M1LL. 562; PRl!ISIGKE, Wort. n 439; W. ]. GoODRICH, A passage of Pindar reconsi· dered: Classica! Quarterly 2 (1908) 31·33; H. RlcHARDS,
ClassRev
Tbe minor works o/ Xenopbon:
11
(1897) x34b s. 334a.
tuttavia meno l'ntteggiamento passivo più facile che l'atteggiamento attivo più difficile ('tfjc; illustrano in modo particolarmente chiaro per• ché il concetto di ~~ÒLoc;, di per sé neutrale (Aristot., rhet. r,6,27 [p. 1363 a 23] : f*oi.a. 8~ licrct i\ &vtv Mmic; ~ tv ò).ly1i>, «facile è tut-
937 (v1,972)
flq.6Loùpy'r)µa lU. tlauemtelnd}
significato neutrale, non valutativo (agire con poca fatica) potrebbe trovarsi soltanto in Luc., Hermot. 7I, dove una potenza presentata come soprannaturale, la Eòx'l), è soggeto dell'operare: .. . 'ii ilEòc; ... pl'.t.OtovpyEi:2. Ma quello eh!! la dea produce non sono altro che castelli in aria; dunque anche qui è innegabile un senso svalutativo. Secondo il grado di svalutazione che ci si prefigge, la componente pq.oto- può perdere sempre più il suo senso pregnante. L'aggettivo pq.Ùtovpy6c; significa in Xenoph., sym. 8,9 sacrifici nei quali non si guarda troppo per il sottile (suo opposto i}ucrll'.t.t... ayv6'tEpl'.t.t). Un uomo che sia chiamato pqJhovpy6c; manca di autodisciplina (Aristot., de virtutibus et vitiis 6 [p. 125I a 20] ). Tuttavia molte volte diminuisce quell'aspetto alternativo 3 che propri~mente è contenuto in pq.otoc;; in Phifo, det. pot. ins. 165 (~ IX, col. 465); poster. C. 43; som. 2, I48 non è dato vedere alcuna differenza tra pq.owvpy6c; e ?tavoupyoc; 4 ( ~ 1x, coli. 455 ss.). 'Pq.otoupyÉw è usato in Xenoph., Cyrop. 1,6,8 come sinonimo di &.1tovw"t'Epov otayEW (il suo opposto è 1tpovoEL\I xat .
3
l v1,973J 9311
sfrenata trascuratezza di norme etiche, ad es. della veridicità (Philostr., imagines x,12 ), e anche di falsificazione del tutto intenzionale di documenti (Flav. Ios., vit. 356 [var. pq.8toupy6v] ). 'Pq.otoupy'l')µa è il risultato del pq.otoupyEi:v, ad es. la falsificazione (Plut., Pyrrhus 6,7 [1 46oa]) o altro inganno, anche colpa sessuale (Dio Hal., ani. Rom. 1,77,3); il vocabolo diventa nome collettivo per indicare falli di ogni genere (Pseud.-Luc., de calumniis 20: ... xl'.t.L &A.A.a. µuplcx. pq.8toupyfiµl'.t..-l'.t.). L'astratto pq.&oupyll'.t. descrive, conforme al verbo, l'atteggiamento interiore dell'uomo che prende la vita troppo alla leggera (Suidas, s.v.), per il quale il serio 1tO\IEL\I è una faccenda fastidiosa (Xenoph., Cyrop. 7 ,5 ,74 5 ). I pericoli derivanti dalle é:mwµll'.t.t già per se stesse forti, secondo Xenoph., Cyrop. r,6,34 diventano enormi se vi si aggiunge pq.oLoupylcx.. Inoltre pq.8Loupyla è usato anche per trascuratezza nell'esercizio di una funzione (Plut., Cat. Min. 16,3 [1914c]) ~in generale per mancanza di coscienza, che può manifestarsi in falsificazioni da parte di uno storico senza carattere (Polyb. I2,25e 6 ) o in reati contro la proprietà (P. Magd. 35 7 ). Il termine riceve un accento ancor più negativo quando indica A.C. 32, - xx, col. 466). f>q.8Lovpy6ç indica probabilmente l'atteggiamento interiore tra ~vE6pEV-rLx6ç e a6L6p!}w'tot;; nel senso di asttlto o malizioso [BERTRAM]. s 'Pq.6L:>vpyla. viene qui usato accanto a 1)1>vit6:i>ELGt -rwv xa.xwv à,v!}(Jhlrcwv, la bella vita dell'uomo corrotto, analogamente Xenoph., mem. 2;2,20; cfr. E. C. MARcHANT, recensione di W. MiiLLER, Xenoph. Cyrop. (.r914): Class Rev 30 (1 916) 165 s. 6 Cfr. il verbo in senso analogo in Strabo II, 6,4. 7 Cfr. Ttt. RmNACH, Les juifs d'Alexa11dronèse, in Mélanges Nicole (1905) 451·459; O. GuÉRAUD, 'Ev'l'EU!;ELt;; = Publications de la société royale égyptienne de Papyrologie, Textcs et Documents I (1931) 83-85.
939 (v1,973)
{xxx.ti
l
(Joach. Jeremias)
cattiveria (Philo, cher. 80). In P. Oxy. 237, col. VIII 12.I.5 Pr/-OLOVpylu. e 1w.vovpyla: (-7 IX, coli. 457 ss.) sono sinonimi. II
Negli Atti degli Apostoli, unico scritto del N.T. che usi questo gruppo divocaboli, la componente Pr/-O~o- conserva il suo significato pregnante, anche se in modo diverso nei due passi in cui si incontra. In Act. 18,14 abbiamo una graduazione giuridica: non ogni malscalzo-
<
(VI,973) 940
nata, ma solo un espresso reato (pa:otoupy11µrx. 1tOV''t}pov) è di competenza del proconsole. Viceversa in Act. 13,ro la scelta 8 del vocabolo pr/-Òtovpylcx è suggerita da motivi teologici, anche se non nel senso di un'attenuazione: la malvagità di Elima va intesa nel senso che dal legame con il diavolo, dalla magia e dalla pseudoprofezia deriva necessariamente il crollo di tutte 9 le remore etiche. 0, BAUERNFEIND
I
i. pcx.xcx. -7
XEv6ç
v, coli. 325 ss.;
-7 µwp6ç
vu,
coll. 7 44 ss. SoMMARCo: I.
Derivazione del vocabolo;
8 Si tratta dell'unica parola di questo versetto che non si trova anche nei LXX; cfr. IfABN.
CHEN, Ag. 349·
9 IlaO'r]c; davanti a pq.lìLovpylru; è probabilmente originario; qui non si tratta (come in 18,14) di una graduazione di gravità, ma del fatto che la pq.oLOVpyla penetra in tutti gli ambiti della vita.
pa.xa F. BLASS, Textkritische Bemerkungen Zt1 Mt: BFI'h 4 (1900) 13 s.; DALMAN, Gr. 173 s.; K. KOHLER, Zu Mt J,22: ZNW 19 (1919-1920) 91-95; G. DALMAN, ]esus-Jescbua (1922) 13. 71; F. ScHULTHESS, Z11r Sprache der Evangelie11: ZNW 21 (1922) 241-243; P. FIEBIG, Jes11 Bergpredigt (1924) 34-38; P. JouoN, L'E.vangile de Notre Seigneur Jésus-Christ (1930) 25; C. C. EDGAR, A New Group o/ Ze11011 Papyri: BJRL 18 (1934) 111-130; E . C. CoLWELL, Has
2. réqà';
3.Mt. 5,22. l.
Derivazione del vocabolo
p(t.xt!J. (var. pa:x6. 1) è la trascrizione Raka a Parallel in the Papyri?: JBL 53 (1934) 351-354; A. FRIDRICHSEN, Exegetisches zum N.T.: SymbOsl 13 (1934) 38-40; C. C. ToRREY, The Four Gospelr' (1947) 290 s.; PREuSCHEN-BAUER', s.v. I La variante poco documentata pa.xli (S*DW lat. Tert. Cypr.) presenta una grafia che si trova già nel papiro di Zenone (--+ n. 3). Che si tratti della stessa parola è fuori dubbio (--+ n. 5). Questa grafia non contraddice alla derivazione della parola da réqa'. Anche se di regola q è reso con x, i codici neotestamentari nel rendere q più d'una volta oscillano tra x e x, e proprio il cod. S presenta anche altrove casi di trascrizione del q con x: Num. 13,22. 28: 'Ev&:x invece di 'Ev&:x, Atv&x (cod. A); Mt. r,r4: Ia.8wx invece di :Eao
94l (vr,973)
prJ.Y.a
I
(Joacb. Jeremias)
dell'ingiuria aramaica rcqii' 2• Il vocabolo è un hapax legomenon nel N.T. (solo in Mt. 5,22); nell'ambito linguistico greco del periodo neotestamentario è attestato soltanto in un papiro di Zenone del 257 a.C.: 'Av•loxov -tÒ'Y pa.xiiv 3• Alla derivazione di pa.xcY. dall'aramaico réqii' fa difficoltà la vocalizzazione con due a (in luogo di pi)x6:, come ci si attenderebbe). Perciò il primo, inatteso a ha dato occasione a dubbi sulla derivazione da reqii' 4 e ad altre proposte di derivazione 5• Però la difficoltà è risolta se si tien conto dell'influsso del siriaco raqa (piccolo, spregevole), come allocutivo di inservienti: ehi, scimunito! 6 • Questa ipotesi di un influsso siriaco sulla vocalizzazione è più verosimile dell'altra che vuol ricondurre il primo a. all'influsso del greco "t'Ò paxoc; (la pezza [Mc. 2,21 pendice); Act. I,19: 'AxE)..lìcxµrix invece di 'AxE)..lìuµax. Percìò pcxxli. rispetto a pa.xti va giudicato come una insignificante vatiazione dialettale od ortografica. 2 Cosl pensavano già gli antichi, ad es. Pseud.Chrys., opus imperfect11m in Mt., hom. n (MPG 56 [x859] 690): racha quidem dicitttr hebraice vacuus; altra documentazione in ZAHN, Mt. a 5,22; cosl ~nche la maggior parte dei moderni. J ~ EDGAR 112 s., nr. 2; anche PREISIGKE, Sammelbuch 5, nr. 7638,7; P. Ryl. IV, nr. 555. Sul papiro cfr. soprattutto --,) COLWELL 351354. 4 BLAss 13 s.; WELUJAUSEN, Mt. a 5,22;
ZAHN, Mt. a 5,22; S. KRAuss, Drei paliisti11ische Stadtnamen: OLZ 22 (1919) 63; ~ ScHULTHESS 241-243; LoHMEYER, Mt., ad I. 5 ~ SCHULTHESS 242
s. (partendo da pa.xti) vorrebbe derivare pcxxti dall'ebraico rak (fine, delicato) nel senso di 'codardo'; ma questo significato non è documentabile. ~ ToRREY 291 pensa (partendo da pa.xti) al participio ebraico *rìiq, del quale però mancano attestazioni. --'> EDGAR 113 propose di vedere nel 't'Ò\I prJ.Xii\I del pap. di Zenone (--'> n. 3) un'abbreviazione di />ax~u-riic; (smargiasso) e~ CoLWELL 351-354, LottMEYER, Mt., ad l. e P. BENOIT, Papyrologie: RB, N.S. 61 (1954) 478 («peut-etre») e-
(vr,974) 94 2
par.], lo straccio, talvolta applicato a persone 7 ), perché una considerazione, che va subito fatta, conduce anch'essa in Siria. ·
Il fatto che prJ.xa in Mt. 5,22 non è seguito da una traduzione in greco del termine è importante ai fini della localizzazione del Vangelo di Matteo: Matteo scrive per dei lettori che, quantunque parlino in greco, capiscono senz'altro un'ingiuria orientale. Questa osservazione porta alla Siria; infatti dopo il 70 d.C. solo nelle città siriache devono esservi stati dei cristiani che usavano il greco come lingua corrente. stesero questa derivazione anche al pa.xa neo' testamentario; mn la scarsità di attestazioni greche (solo due) depone a sfavore di questa derivazione dal greco, tanto più che, stando a Mt. 5,22, dev'essersi trattato di un'ingiur.ia comune. 6 Chtys,, hom. 16,7 in Mt. (MPG 57 (1862] 248): -rò 'Pa.xà. 'tOV-co, ov µEyaÀ:ric; fo-i:Lv uapEWç pljµa. («non un'ingiuria grave»), &;)..)..à µaÀÀov xa:ra.
ot
au·
943 (VI,974)
~a.x6.
2-3 (Joach. Jeremias)
(v1,975) 944
2. réqii'
3.Mt. 5,22
L'aramaico reqa' è connesso all'aggettivo ebraico req (in aramaico reqiin ), vuoto (di cervello) 8, a cui è stato aggiunto il suffisso vocativo a 9 •
Soltanto su questo sfondo storico Mt. 5,22 acquista tutta la sua rigorosità.
L'elevato numero di testimonianze di 1·eqii' offerto dalla letteratura rabbinica 10 permette di determinare esattamente il tono che aveva il termine. È un'espressione di irritato disprezzo, che può andare unito a indignazione, collera, disistima, ed è applicato regolarmente ad una persona stolta, scimunita, presuntuosa. Si intendeva il termine come un'ingiuria inoffensiva: scemo, asino. Accanto a réqa' l'ebraico so/eh (aramaico Sii!ia') è l'ingiuria più comune. Da una definizione di questo vocabolo 11 si ricava che esso corrisponde esattamente al nostro idiota. Quantunque sia discussa la spiegazione di µwpÉ di Mt. 5 ,22° (-7 VII, coli. 744 ss.), è molto probabile che alla base di esso vi sia Sil!ià' 12 e che perciò in Mt. 5,22 sotto forma di p(l..xa e µwpÉ siano riunite le due ingiurie più comuni nell'ambiente in cui viveva Gesù. s DALMAN, Gr. 1.73 n. 2 in un primo tempo (come già prima di lui E . KAUTZSCH, Gram· matik des Bibl.-Aram. [1884] IO) vide in reqii' una forma abbreviata di reqiit1, ma in ~ DALMAN, Jesus TI si decise per l'accostamento all'ebraico 9 Per Ja fine in -a del vocativo cfr. C. BROCKEL· MANN, Grundriss der vergleichenden Gramma· lik der semitischen Sprachen II (1913) § 19. 10 ]. LIGHTFOOT, Horae Hebraicae et Talmudicae in Ev. Mt. a 5,22, Opera Omnia II (I686) 286; A. Wi.iNSCHE, Neue Beitrage zur Erlauterung der Ev. aus Talm11d und Midrasch (1878) 47 s.; ~ DALMAN, Jes11s 71; ~ FIEBIG 34-38; soprattutto STRACK-BILLERBECK I 278 s. 286. 385.900; li 586.7I4; lU 27I.851, 11 T er. ;. 1,1 (40 b 24): «Caratteristica del IO-
req.
Sul piano linguistico a proposito di
Mt. 5,21 s. va notato che l'aramaico 'it(Ja;;ab (come l'ebraico bajjàb) che è alla base del quadruplice Evoxoc; (-7 III, col. 1354) non comporta mai l'indicazione dell'istanza giudiziaria 13, ma sempre quella della pena in cui si è incorsi (o dell'obbligo o del debito a cui si è sottoposti). Questo dato di fatto viene confermato da un secondo rilievo linguistico: né 1) xpi:cnc; né l'aramaico dina' che ne è alla base significano «tribunale» o «tribunale locale» 14; piuttosto dlnii' ha il significato di processo, sentenza, pena. E\loxoç fo'ta.t "t'TI xpl
/eh: egli corre qua e là come un nottambulo, passa le notti nei cimiteri, straccia le sue vesti, distrugge quanto gli si dà». 12 A. MERX, Das Ev. Mt. (1902) 89; W!!LLHAU· SEN, Mt. 20; -+DAI.MAN, ]esus 71 s.; SCHLATTER, Komm. Mt. 169. Il ~ DALMAN, ]esus 67. 14 ~ Joi.ioN 24 s. Anche in Dan. 7,10.26 dina' non designa astrattamente l'istanza giudiziru:ia, ma è abbreviazione per i membri del Mt dtn. IS In modo del tutto analogo in Tg. J. I O . Num. 3,,21 va sottinteso «Il morte»: kad 'itf?ai jab /éh, appena venne condannato (a morie). Cosl pure Flav. Ios., ant. 1,102: (Dio dice: )
1tt.t:paww... xa:~a:pEUEW q>6vov 'tOV~ op6.11a.v"'t'dç "tL "tO~ov-rov xoMl';ov"Ca~ (cioè, con la morie).
945 (v1,975)
~CJ.xll.
3 (Joach. Jeremias)
ferno». Dunque Mt. 5,21h è il seguito della citazione scritturale di 21•, e le tre proposizioni di 5 ,22 abc non elencano tre istanze di giudizio (tribunale locale, sinedrio, inferno [vale a dire Dio]), ma parafrasano con tre locuzioni in crescendo 16 la pena di morte. Se, come è probabile, già in òprts6µEvoç è implicito il prorompere dell'ira nella parola (vrr, coli. 749 ss.) 17, tutte e tre le frasi parallele di Mt. 5,22 trattano nella prima parte del peccato di parola contro i fratelli e nella seconda della pena di morte. Perciò proponiamo la seguente traduzione: 2r. «Avete udito (nella lettura della Scrittura) che Dio ha detto agli uomini: 'Non uccidere; l'assassino dev'essere condannato (a morte)'. 22. Ma io vi dico: Chi è in collera con il suo fratello merita di essere punito (con la morte). Chi dice al suo fratello 'scemo' merita cli essere condannato (a morte) dal Chi gli dice 'idiota' [sinedrio. merita di subire (la morte) nell'inferno».
Gesù instaura il nuovo giudizio di Dio contrapponendo il suo ~rw ÒE ÀÉyw ùµi:v alla parola della Scrittura e proclama per tre volte che già l'ingiuria, sentita da ognuno come innocente ma detta con malumore, è un delitto meritevole 16 Non si può negare che almeno nelle tre frasi di Mt. 5,22 c'è un crescendo (altra interpretazione-> VII, col. 750). 17 Cosl già-> KOHLER 95. 18 -> DALMAN, Jesus 74. 19 Il carattere paradossale di Mt. 5,22 appare chiaro specialmente dal confronto con contemporanee disposizioni penali contro ingiurie, come ad es. Qid. b. 28 a bar. (STRACK-BILLERllECK I 280); I QS74s.
20 ~ FRIDRICHSEN 38 S.
di morte. Sta sullo stesso piano dell'assassinio e merita la stessa punizione, anzi una punizione maggiore, cioè la pena di morte da parte del tribunale supremo (il che evidentemente comportava anche il bando dalla comunità 18 ), più ancora, la condanna alla morte eterna. Il paradosso d'un rigore inaudito 19 vuole che gli ascoltatori comprendano quanto gra- . ve sia agli occhi di Dio, in una misura tremendamente pesante, il peccato di parola e richiama alla loro coscienza la necessità di evitare le sgarberie quotidiane contro i fratelli, che, apparentemente innocue, in realtà avvelenano la comunità. In questa severa presa di coscienza del peccato va comprovata l'appartenenza all'imminente regno di Dio e al suo ordine giuridico. Per quanto riguarda la questione dell'autenticità, è stato dichiarato secondario ora 5 ,22c (come ampliamento di 22h) 20, o 5 ,22b[3.ccx. (come prolungamento di 22bcx..c[3) 21 , e più spesso 5,22bc (come spiegazione di 22 8 ) 22• All'obiezione decisiva che dall'ira all'ingiuria non v'è alcun crescendo e che il sinedrio non sarebbe stato un'istanza superiore al giudice locale 23, bisogna contrapporre ciò -> KOHLER 94 ; G. D. KrLPATRICK, The Origim of the Gospel accordi11g to St. Matthew
21
(1946) 18:25. 22 KwsTERMANN,
Mt., ad l.;
BULTMANN,
Trad.
142; -> FRIDRICHSEN 39 s.; T. W. MANSON, The Sayings o/ Jesm (1950) 155. Silnilmente
M. WEISE, Mt 5,2I f - ein Ze11gnis sakraler Rechtsprech11ng i11 der Urgemeinde: ZNW 49 (1958) n6-r 23, che tuttavia vorrebbe vedere in Mt. 5,22bc un logion originariamente indipendente. 2.1 BuLTMANN, Trad. 142.
947 (VI,976)
pa.v-.lt,w A I-2 (C.-H. Hunzinger)
che abbiamo detto su Òpyt'(,6µEvoc; (~ col. 945 ), su xpla-tc; ( ~ col. 944) e su O'U\IÉOpto\I (~ col. 946 ). Per il resto, a ciò che fu a suo tempo rilevato (~ VII, coll. 749 ss .) si aggiunga che, in ogni caso, terminologia (pa:xét., cru\IÉOptov, yÉEVWJ.., yÉEW(( 't'OU 'ltUpÒc; [genitivo per aggettivo]), stile (parallelismus mem-
A. SIGNIFICATO DEL VOCABOLO IN GRECO l. pav-tl'(,w è forma secondaria di palvw, e fuori della Bibbia è attestata molto tardi e di rado. Anche nei LXX p'1.\l't'l'(,w è molto più raro di p<1.l\IW, mentre nel N.T. si trova soltanto p'1.vi:l'(,w. Non si può stabilire una diversità di significato tra i due verbi; perciò per chiarire l'uso linguistico occorre esaminare i documenti in cui viene usato pa.lvw. przLvw/pr1.:vi:l'(,w è usato in due modi: a) -rl
spr11zzare, aspergere qualcosa con qualcosa (Aristot., hist. an. 6,13 [p. 567b 4s.]); b)i:l È1tl 'tL (ad es. Atistot., hist. an. 6,13 [p. 567 b 5 s.] ), o anche dc; (ad es. Aristoph., ran. 1440 s. ecc.), spruzzare, spargere qualcosa su qualcosa. -rL'VL,
Come materiale che viene spruzzato
(VI,977) 948
hrornm) e idee (-7 col. 943; ~ uuvÉopLov) di Mt. 5 122 be sono espressamente palestinesi e che Gesù anche altrove giudica altrettanto gravemente il peccato di parola (ad es. Mt. 12,36 s.), e addirittura in Mc. 7,15b lo addita come la sostanza dell'impurità. }OACH. }EREMIAS
indicano i liquidi più diversi, ad es . acqua (Horn., Od. 20,150; Theocr., idyll. 24,98 ecc.), olio ((Hippocr., de fracturis 2 I [ n.rziov]; Polyb. 3 0,2 5 ,I 7 [ µupov] ), aceto (Aristoph., ran. 1440 s.), sangue (Hom., Od. 20,354; Pind., lsthm. 8, 50); inoltre talvolta anche solidi granulosi, come polvere (Horn., Il. u,282 1), sale (Aristot., hist. an. 8,10 [p. 596 a 27] ), grani di frumento 2 ; in senso traslato anche, ad es., sonno (Pind., Pyth. 8,57). 2. prz\li:tcrµ6c;, aspersione, non è finora attestato nell'uso linguistico extrabiblico.
5Ì
pa.vi:(l;w, i1a:moµ6ç CREMRR-KOGEL, LIDDELL-SCOTT, PR.EUSCHENBAUEJ>.s, s.v.; O. ScHMITZ, Die Op/eranschau-
ung des spateren ]udet11111ns und die Opferaussagen des N .T . (19ro) specialmente r96318; H. WENSCHKEWITZ, Die Spirilllalisierung der K11/tusbegriffe Tempel, Priester tmd Opfer im N.T., Angelos Beiheft 4 (1932); TH. C. VRIEZEN, The Term Rizza: Lustration and Comecration: Oudtestamentische Studien 7 (1950) 201-235; L. KoEP, art. 'Besprengung', in RAC Il 185-194; E. LousE, Miirtyrer und
Gottesknecht, Untersuchungen wr ttrchr. Verkiindigung vom Siihntod ]es11 Christi, FRL, N.F. 46 (r955) specialmente 162-r87; W. NAUCK, Die Tradition tmd der Charakter des I. ]. Zugleich ein Beitrag zur Tau/e im Urchri· tent11m und in der alten Kirche (1957) 56-59. · I Philostr., de gymnastica 56 (ed. J. }UTHNBR [r909) I82,2). 2 Oppianus Anazarbensis, halieutica 2,roo (ed. F. S. LEHRS, Poetae Bucolici et Didacticr [1862] 58).
9.+9 \ Vl,977 i
B. IL GRUPPO DI
VOCABOLI NELL'A.T.
I. Aspetti linguistici l. Nei LXX il verbo pet.V'tLSW si trova solo 3 volte (Lev. 6,20; 4 Bau. 9,33; ljJ 50,9); si aggiungono i composti Èr.Lppa.v-i:lsw (Lev. 6,20) e 1tEpLppet.V'tLSW (Num. 19,13.20; Ez. 43,20 var.). Molto più spesso, invece, viene usato il verbo pa.lvw ( l 3 volte); inoltre l volta OLet.ppa.lvw (Prov. 7,17), l voltaÉmppa.lvw(2Mach. 1,21 ), 6volte1tEpLppa.lvw e 2volte1tpoc;pa.lvw. Non si può stabilire una diversità di significato; tutti i verbi citati vengono usati promiscuamente 3• Come vocabolo preferito, precisamente nell'ambito cultuale, va però considerato pa.lvw (e composti); pa.v-r:l'(,w (e composti) viene usato soltanto in casi eccezionali 4 • Sintatticamente è usato prevalentemente con l'accusativo della materia spruzzata e con Èrtl e l'accusativo dell'oggetto su cui si spruzza (Lev. 16,15 ecc.) o con rtp6c; e l'accusativo (4 Ba.O'. 9,33 ecc.), dunque spruzzare, spargere qualcosa su qualcosa (~ col. 947); i LXX quindi seguono la costruzione del verbo ebraico tradotto (col. 950 ). Solo in 5 casi, invece, va tradotto con spruzzare, aspergere qualcosa con qualcosa {~ col. 947), e precisamente nei passi in cui il gruppo di verbi greco serve eccezionalmente a rendere l'ebraico ~!' pi'el (ljJ 50,9; Ez. 43,20 var.) e n!f (Prov. 7,17, ~ n. 12); in 2 Mach. l,21 (quindi in uno scritto composto in greco); in Num. 8,7, dove il doppio accusativo del tutto
Cfr. l'uso assolutamente sinonimo di ~mp in Lev. 6,20 ba./P, di 7tpo<rpr1.lvw e ~r1.lvw in L ev. 4,6/4,17 e di 7tEpLppo:lvw e mp~ppo:v-rl!;w in Num. 19, 13.18.19.20.21 (qur indotto dallo scambio dei verbi nth e zrq nel testo ebraico). 4 Per tradurre nth qal (~col. 950), !i!' pi'el (-)o coli. 951 s.), zrq pu'al (~ col. 951). 5 Oltre a 'al usato prevalentemente (13 volte) 3
pa.v-rl~w e del semplice pa.v·tl~w
inusitato fa pensare ad un errore neUa traduzione greca. Come materiale spruzzato vengono indicati i liquidi più disparati: sangue (per lo più cultuale~ coll. 95 5 s.; talvolta non cultuale ~ col. 953), olio (sempre cultuale ~ col. 955), acqua (per lo più acqua d'espiazione dei peccati~ coll. 954 s.; inoltre in Ez. 36, 25 ~ col. 957; 2 Mach. l,21 ~ col. 953); una volta una materia non liquida e~ col. 948): zafferano e cannella (Prov. 7,r7); una volta in senso traslato e~ col. 948) la giustizia (Is. 45,8 ~ col. 958). 2. L'equivalente ebraico del gruppo di verbi greco è usualmente nzh hif'il, con l'accusativo, ed anche 'al o li/né e simili 5 : spruzzare, spargere qualcosa su (o contro) qualcosa. Ma la situazione non è del tutto omogenea: una volta (Is. 52,15) nzh è reso·con un altro verbo greco, e d'altra parte oltre a nzh anche altri verbi ebraici corrispondono al gruppo di pa.v-r:l'(,w. a) In tutti i 19 passi in cui s'incontra nzh hif'il per indicare un'aspersione cultuale, esso è reso con pa.lvw e i suoi composti, e non con pa.v-r:l~w. 4 volte si incontra nzh qal, essere spruzzato, sprizzare {intransitivo), e sempre in un significato non cultuale (~ coll. 953 s.); 3 volte è tradotto col passivo di pa.v-r:l'(,w o di Èmppa.\1-r:lsw (non pa.l'VW) (Lev. 6,20 [bis]; 4Ba.c;.9,33); 1 volta i LXX presentano un testo (Is. 63,J) che si discosta notevolmente dall'ebraico 6 • ed all'equiv'alente 'el (ad es. Lev. 14,51) troviamo occasionalmente li/né (Lev. 14,16), 'alp'11é (Lev. 16,14), 'et-p'né (Lev. 4,6), 'et-nokap p'né (N11m. l9A). Soltanto in testimonianze più tarde i LXX si adeguano al T M. con un'aggiunta piuttosto lunga; 11'1.h è allora rettamente tradotto con pa.v'l'.lsw al passivo, cfr. J. ZIEGLER, Isaias, Septuaginta 14 (1939) ad l. Il passo è tcaman6
951 (VI,977)
~o:v-tlt;w
B I 2a-3 (C.-H. Hunzinger)
Un posto a parte spetta a Is. 52,15: ken jau.éh gojim rabbim. Rinunciando ad una correzione del testo 7, la cosa migliore 8 è di concepire questo hif'il come un puro causativo del qal di nzh e tradurre far sprizzare: il servo di Dio fa sì che molti popoli (si) spruzzino (a vicenda) 9• Nei LXX (l}ctuµWro\l't
pa\l'tlsw sono: zrq pu'al =
7tEp~ppct\l'tlsw
(al passivo) in Num. 19,13.20. Nello stesso contesto 3 volte viene usato come sinonimo nzh hif'il, e qui i LXX, tenendo conto dell'alternanza·dei due vocaboli ebraici, traducono con 7tEptppalvw (Num. l9,18.19.21)w. zrq qal = palvw in Ez. 36,25: versare (acqua pura per dato in modo incerto anche nel testo ebraico; in I Qls" manca l'intero passo, mentre r Qis• legge come il T .M. 7
Il T.M. è confermato da r QSis" (dove erroneamente si legge solo WqP!W invece cli iqNw [il w qui è chiaramente distinto da iJ e in tal modo 'liw è riferito come nei LXX a quan· to precçde) e da 1 Qls".
s Con-+ VRIBZEN 203-205. Il passo è cosl inteso già dal Targum (J. F. STENNING [1949)); jbdr, egli disperde. La Peshitta invece intende jaueh nel senso cli egli asperge, che tuttavia contraddice all'uso consueto di nzh hif'il (-4 col. 950), e per mdk' ha 'egli purifica', pensando quindi ad un'aspersione cultuale, purificatrice dei popoli ad opera del Servo cli Dio. Tale interpretazione potrebbe soggiacere anche ad Aquila ({>av-tl· UE~), a meno che Aquila qui non segua semplicemente il suo principio cli traduttore: an· che altrove egli usa sempre po:vTl!;w per nzh hif'il. In ogni caso il N.T. non fa uso cli questa possibile interpretazione del passo. Cfr. H. HBGERMANN, ]s JJ in Hexapla, Targum tmd Peschitta (1954) 33.69.96 s. 10 Il significato di zrq qal coincide in certa mi9
l'espiazione dei peccati) come promessa
di Dio. /;f' pi'el=po:v'tll';w (\jl 50 [51], 9} o 7tEptppO:V'tLSW (Ez. 43,20 var.}: aspergere (per la purificazione dai peccati). nzl qal 11=po:ivw (Is. 45,8): versare, far fluire, detto in senso traslato delle nubi che devono far scendere la giustizia. ntf qal 12 =oLo:ppctlvw (Prov. 7,17), cospargere (il letto di zafferano [o di mirra: T .M.] ). Senza equivalente ebraico 2 Mach. r ,2 r; tmppo:lvw, bagnare (legna con acqua). 3. pct\l'tt0'µ6ç compare nei LXX esclusivamente nell'espressione VOWp pctV'tt· o-µou = acqua della aspersione, come traduzione di me nidda o me hannidda, acqua contro l'impurità, acqua di purificazione (Num. 19,9.13.20.21 [bis]); è un termine tecnico per designare l'acqua della purificazione dai peccati, acqua alla quale erano mescolate le sura con quello cli nzh hif'il. Anche zrq nella massima parte dei casi è riferito a materie fluide, e precisamente 25 volte al sangue, sempre in un contesto cultuale. Però nei LXX non viene reso mai col gruppo cli verbi po:lvw/Po:'l't(,. l;w, ma sempre con 1tpoCT){Éw (soltanto in 2 Chron. 29,22• con 1tEP~XÉW, in Ex. 24,8 con xa;-ro:
953 (vr,978)
~cxv-.ll;<.ù
B r 3 - II 2a (C.-H. Hunzinger)
(vr,979) 954
ceneri di una vacca rossa e che era usa- dell'acqua, che subito si infiamma mirata per l'aspersione quando si verificava colosamente; anche qui non si parla di un'impurità per contatto di un cadavere. un'aspersione cultuale nel senso vero e L'espressione ebraica si riferisce alla de- proprio del termine. stinazione dell'acqua (contro l'impurità), 2. In primo piano nell'A.T. sta l'uso quella greca al modo in cui viene usata (aspersione). I concetti cli nidda e pr1.v- cultuale del nostro gruppo di vocaboli. ·nuµ6ç per sé non hanno nulla in comune; perciò altrove nidda è sempre tra- Le aspersioni cultuali sono effettuate in dotto con altri vocaboli greci 13 • L'e- molti modi: con materie diverse, e prespressione me nidda, oltre che in Num. cisamente acqua qualificata cultualmen- . 19, si trova solo un'altra volta in Num. te, olio e sangue; in direzioni diverse, 3 r ,2 3 in un passo letterariamente forse cioè verso il santuario o su uomini ed secondario; qui i LXX traducono uowp à:yvtcrµov (che a sua volta in Num. 8,7 oggetti; per fìni diversi, cioè per la consta per me l_;a!fii't). sacrazione dei liquidi aspersi e per la purificazione o la consacrazione degli ogII. Aspetti concreti getti su cui i liquidi sono aspersi; in ocl. L'uso profano del gruppo di vocacasioni diverse, come impurità dei ca· boli nell'A.T. ha solo un ruolo subordidaveri, lebbra, consacrazione sacerdotanato. 4 Baa-. 9,33 (nzh qaljpav.-lsoµr1.1): il sangue di Jezabel precipitata dalla fi- le, sacrifici di espiazione, giorno di rinestra schizza su muri e cavalli. Is. 63,3 conciliazione, conclusione del patto. (nzh qal, ~ n. 6): gli abiti di Jahvé, che a) Se viene usata l'acqua per aspergeha schiacciato Edom come sotto un torchio, sono spruzzati di sangue. In Lev. re, questa per lo più viene qualificata 6,20 (bis) (nzh qal [http]pav-.lsoµat) cultualmente con l'aggiunta di qualche si parla di sangue dei sacrifici, ma non sostanza. Cosl secondo Num. 19,2-10 del suo uso per l'aspersione cultuale, l'acqua di purificazione (me nidda = bensl di abiti spruzzati di sangue per i.iowp prL'll'tta"µov --> col. 95 2) si ottiedistrazione. Is. 52,15 (nzh hif'il/l)auµcX.- ne mischiandovi le ceneri di una vacsoµat): il Servo di Dio fa sl che i po- ca rossa ed altre materie (legno di cepoli si spruzzino l'un l'altro (~ col. dro, issopo e carminio); viene usata 95r). Prov. 7,17 (n!f, ~ n. I2/'61ap- quando una persona (Num. r9,r3.18.19. pr1.lvw): l'adultera ha cosparso il suo 20) o una stanza o utensile (Num. 19, letto di mirra, aloe e cannella (i LXX: 18) hanno contratto impurità per condi zafferano). 2 Mach. 1,21 (è.mppa.lvw): tatto con una salma; raspersione con taNeemia, come Elia in 3 Ba.o-. 18,34, fa le acqua .purifica (IJ!' pi'el: Num. r9,19) versare su una vittima, a ciò preparata, l'impuro 14 • In un altro tipo di impurità, Il Nella più lunga appendice secondaria, che in Zach. x3,x LXX viene aggiunta alla fine per uniformarsi al testo masoretico, l'niddiih è reso da vari codd. con dç -cbv ~cxv-.~uµ6v (i codd. B S* hanno invece xwpiuµ6v), dr. J. ZrnGLER, Duodecim prophetae, Septuaginta 13 (1943) ad I.; questa lezione potrebbe risalire
ad Aquila. 14 In I QS 3'4·9 (cfr. 4,21 -+ n. 3x) evidentemente mi ndh non ha il significato tecnico di N11m. x9, ma è invece riferito ai quotidiani bagni d'immersione cultuali. Di diversa opinione ]. BowMAN, Did the Qumran Sect B11rn the Red Heifer?: Revue de Qu~ran r (1958/59)
955 (v1,979)
pa.v-tl~w
Il n :2.a-c (C.-H. Hunzinger)
una parte (la parte per il tutto) viene sparsa. Ma oltre a ciò, e soprattutto, il sangue serve all'aspersione di oggetti che debbono essere purificati. Al riguardo va citato in prima linea il rituale del grande giorno della riconciliazione (Lev. 16; -7 IV, coli. 972 ss.): del sangue dell'animale sacrificato (v. 14) e del capro espiatorio ( v. l 5) una piccola parte viene spruzzata sette volte con un dito sul coperchio (kapporet) dell'arca dell'alleanza nel santo dei santi, e successivamente anche l'altare davanti al santuario è asperso col sangue dei due animali (v. 19). Anche se attraverso un'analisi letteb) Un'aspersione con olio mischiato raria del testo appare probabile che in di sangue sacrificale è compiuta su Aron- origine il rito dell'aspersione con sangue ne ed i suoi figli e sui loro paramenti du- nel giorno della riconciliazione avesse il rante la loro consacrazione sacerdotale significato di una consacrazione del san(Ex. 29,21; Lev. 8,30); nella stessa occa- gue sacrificale (come -7 col. 95 5 e qui sosione anche l'altare viene asperso d'olio pra) 16, nel presente contesto di Lev. x6 (Lev. 8,n); l'aspersione opera la santi- il rito è inequivocabilmente interpretaficazione di colui che è asperso (qdJ to come una purificazione del santuario: pi'el: Lev. 8,n.30). Invece ha un altro vv. 16.18.19.20 (kpr pi'el; thr pi'el; qds significato quando (Lev. 14,16.27), pri- pi'el). L'aspersione col sangue sacrificale ma dell'unzione di un lebbroso guarito, rende operante la forza espiatoria del saun po' dell'olio da usare a tal fine viene crificio sull'oggetto asperso. Rientrano asperso sette volte dal sacerdote con un in questo contesto anche i riti già citati, dito li/ne jhwh: questa aspersione «da- nei quali acqua (Lev. 14,7.51) od olio vanti a Jahvé» (vale a dire concretamen- (Ex. 29,2I; Lev. 8,30) misti a sangue sate in direzione del santo dei santi) è una crificale sono usati per aspersioni di uoconsacrazione dell'olio, al quale con que- mini ed oggetti. sto atto è attribuita la sua virtù cultuale. È chiaro (e viene rafforzato dai verbi c) Un'aspersione del santo dei santi citati [~ coll. 954s.], che sono pa(perciò «davanti a Jahvé» 15) si compie ralleli a nzh hif'il e lo interpretano) che anche con sangue di sacrifici (-7 IV, coll. 969 ss.): nella presentazione della vitti- all'aspersione cultuale si collega prevama espiatoria (Lev. 4,6.17; 5,9) e nel- lentemente l'idea .della purificazione e l'abbattimento della vacca rossa (Num . della cancellazione dei peccati; ciò vale 19,4); l'effetto di essa non va a vantag- soprattutto per i capitoli Lev. 16 eNum. gio dell'oggetto asperso (dunque non v'è un'aspersione vera e propria) ma del i9, che stanno in primo piano. Cosl sangue o dell'animale sacrificato, di cui si spiega petché il verbo pa.v"t'lsw sia la lebbra, viene aspersa acqua di sorgente, mescolata col sangue di un uccello macellato, sul guarito dal1a lebbra e sulla sua casa, e in questo modo viene restituita la purità cultuale (Lev. I4.7 ··51 [!hr pi'el: I4,7; ht' pi'el: 14,49. 52]). Soltanto in Num. 8,7 viene usata acqua non mescolata come acqua di purificazione (mé hattii't), con la quale si aspergono e lavano i leviti consacrandi (ph1· pi'el: 8,6 s.) (forse per abbreviare i tempi della lavanda nella consacrazione sacerdotale: Lev. 8,6). In tutti i casi l'aspersione purifica e cancella i peccati.
73-84. Certo questa formula non s'incontra piì1 nel
15
contesto, ma offre la migliore interpretazione. 16 ~ VRIEZBN 2r9-233.
PCJ.\l'tlr,w B
957 (vr,980)
2C.
eI
tanto unito all'idea della cancellazione dei peccati, che talvolta può essere usato per rendere /;!' pi'el ( 1Ji 50 [ 5 r], 9 [ ~ sotto]; dr. anche Ez. 43 120 vat.). 3. In
tJi
50[5r],9
(/;t' pi'el/pa:nl-
~w): purificami (con l1aspersione) con (un rametto di) 17 issopo, ed io divente· rò puro, v'è evidentemente sullo sfondo un detel'minato rito cultuale di tipo «giudizio di Dio», al quale forse si fa allusione anche in Is. r,r8 18 • Però è molto dubbio che il Salmista pensi ancora al compimento concreto di tale rito, e non piuttosto intenda parlare dell'aspersione purificatrice in un modo figurato 19 : staccato dal contesto cultuale il concetto esprime l'opera clemente di Dio. In senso chiaramente figurato in Ez. 36,25 (zrq qal/palvw) dell'azione escatologica di Dio si dice: «Verserò su di voi acqua pura 20, affinché diventiate puri». Accanto al ritorno dall'esilio (v. 24 ), al dono di un nuovo cuore di carne 17 Cosl evidentemente viene inteso b"e:r.6b in analogia con Num. 19,x8. Al contrario H. SCHMIDT, Die Psalmen, Handbuch A.T. r 15 (1934) ad 1. pensa ad acqua mescolata con issopo bruciato, dr. Nttm. 19,6; ma ìvi l'issopo è soltanto un elemento accanto ad altri (-+ col. 954).
18
R. PRESS, Das Orda! im alten Israel: ZAW
5x (x933) 243 s.; ScHMIDT, op. cit. (-+ n. x7) ·ad l.; G. MoWINCKEL, Of!ersang og sangof}er (1951) 271 s. 19 O. ErnsFELDT, Einleitttng in das Alten Testame1/t1 (1956) 140 s.; A. WmSER, Die Psalmen 14, A.T. Deutsch 14 (1955) ad l.; R. PRESS, Die eschatologische Ausrichttmg des 51. Psalms: ThZ I I (1955) 241-249 (specialmente 246); H. J. KRAus, Psalmen, Biblischer Kommentar zum A.T. 15 (1958 ss.) 388, ad l.
(C.-H. Hunzinger)
(v. 26) e al dono dello spirito (v. 27), l'aspersione purificatrice compiuta da Dio stesso è un atto della nuova creazione escatologica del popolo di Dio 21 • Ancora in una promessa di salvezza escatologica, dalla quale però è assente qualsiasi riferimento all'aspersione cultuale, troviamo l'uso traslato di p(f.tVW (per l'ebraico nzl) in Is. 45,8 (--7 n. u): le nubi piovano giustizia. 4. Anche se non vi compaiono né nzh hif'il né il nostro gruppo di verbi, va tuttavia ricordato l'atto dell'aspersione di sangue in Ex. 24,8 (zrq qal/:X:C(.'ta:ax:;o
C. IL I. 20
GRUPPO DI VOCABOLI NEL N.T.
Oltre a due varianti verosimilmen-
majim t'horim non è attestato cosl nell'uso linguistic~ cultuale vero e proprio; al massimo si può confrontare con mé nìddàb (col. 952). 21 Cfr. G. FoHRER, Bzechiel, Handbuch A.T. I 13 (1955) ad l. Ricorda fa:. 36,25 anche la descdzione dell'azione escatologica salvifica di Dio in I QS 4,:u: wiz 'l;w rwb 'mt kmj ndh, «e Dio verserà su di lui spirito di verità come acque di purificazione». 22 Che qui non venga usata la terminologia tecnica può dipendere dal fatto che Ex. 24,3-8 è da attribuire alla fonte elohista, mentre tutti i' passi indicati in -+ coll. 954 s. appartengono alla fonte P (sacerdotale). In testi rabbinici zrq di Ex. 24,8 più volte è equiparato a 11:r.h hif'il, ad es. in Ker. b. 9a; dr. anche Hebr. 9,18-21 (....,)> col. 961). In Tg. O. e Tg. ]. I , invece, for. se a causa del verbo :r.rq, l'aspersione del po.
959 (VI,981)
/lavi:l~w C 1-2 (C.-H. Huozlnget)
pa."'wµov.
te secondarie in Mc. 7,4 23 e Apoc. I9, 24 1 3 , la presenza dei nostri vocaboli nel N.T. si riduce a Hebr. (5 volte) e I Petr. ( l volta). Dei verbi s'incontra soltanto pctv•lsw (Hebr. 9,13.19.21; rn,22) con l'accusativo dell'oggetto asperso e il dativo della materia con cui si asperge, quindi: aspergere qualcosa con qualcosa (-7 col. 947, nei LXX invece per lo più diversamente: -7 col. 949). Il sostantivo pctV'tL0'µ6c;, aspersione (Hebr. 12,14; I Petr. 1,2) non è più, come nell'A.T. (-7 coll. 952 s.), limitato al nesso VOWp pctV'tWµo\i; ma probabilmente l'espressione alµct pcx.v~CTµou (Hebr. 12,24, cfr. anche Barn. 5,1) va intesa come una forma analoga a
vowp
L'uso del nostro gruppo di vocaboli nel N.T. è condizionato dall'uso cultuale che ne fa l'A.T. (-7 coll. 954 ss.): ai riti veterotestamentari di aspersione viene contrapposta l'aspersione col sangue di Cristo. Il sangue di Cristo 25 in Hebr. 12,24 è addirittura chiamato a.lµcx. pctv't~
polo è fraintesa come versamento del sangue sull'altare. Cfr. STRACK-BlLLERBECK III 742. ll In Mc. 7>4 ~a.vi:lcrwvi:a.L è presente in codd. molto antichi, ma esclusivamente egiziani (B S sa), e in cònfi:onto a !3«1t'flCTWV"t«L (codd. AD W 9). cp ~ Iatt. sy • P bo) andrà considerato come una speciale lezione egiziana. Depongono a favore di questa ipotesi anche mC>tivi oggettivi. In Mc. 7,3 s. una parentesi redazionale dà una spiegazione delle prescrizioni rituali giudaiche di purificazione. Tanto nel v. 3 quanto nel v. 4 • si patia della purificazione delle mani; nel v. 4• il significato (per sé possibile, dr. PREUSCHEN-BAUER5, s.v. tiyop&:) da merci di mercato, commestibili, per d:.1t'd:.yopfu; da intendere come oggetto, è escluso per ragi.C>ni linguistiche (verbo medio) e oggettive (non si conosce una purificazione rituale del cibo) (diversamente si è espresso di recente V. TAYLOR, The Gospel according to St. Mark [J952] ad I.). Piuttosto è appropriata l'aggiunta !ha.v 0..Dwow (codd. D it) (PRBuscHEN-BAUER.5, s.v. àyopa; KLOSTERMANN, Mk., ad l.; LoHMEYER, Mk., ad I.). L'accostamento di v'lj!Wv"l'ru.
identificare con esattezza in un rito giudaico conosciuto, perché al verbo non si può dare, con LoHMEYER, Mk., ad l., il semplice significato di bagnarsi; perciò la forma potrebbe giudicarsi come una correzione, volta a sostituire il verbo P«1t'fl~oµ.«L qualificato nel frattempo dal battesimo cristiano. 24 In Apoc. 19,13 (Cristo appare mpi.PE!3).1)µlvoç 4.t.6;'fLOv /JEPaµµlvov cxtµtt.'fL) non è ancora possibile una decisione nell'intricata situazione testuale. Una accanto all'altra abbia· mo le lezioni PE!3«µµÉvov (codd. A 9 I pl), pEpaµµlvov (cod. 16u), Éppcxµµlvov (Or.), f>epaV"twµlvov (P 2329), 1tEP\PEpaµµÉvov (S* Ir.); nei codd. lat. sy" è comunque sottinteso un verbo del gruppo f>a.v-tlt;w. Dato che evi· dentemente abbiamo un'allusione all'abito di Jahvé spruzzato di sangue (Is. 63,3, -+ cot 953), una delle forme del gruppo f>av-tl~w potrebbe essere originaria e ~tPtt.J.4,dvov potrebbe essere derivato da un errore di scrittura. Tuttavia è più probabile il contrario, cioè che un originario !31bt"tW (come in Mc. 7A _. n. 23) sia stato sostituito da diversi verbi del gruppo ~cr.v-rl~w, la cui compresenza si può spiegare solo cosl. 25 Sul significato del sangue di Cristo dr. I, 468 ss.; -+ LoHSE 138-141; W. NAUCK, art. 'Blut Christi im N.T.', in RGGJ 1 1329 s. · z~ xpr~ucrov: cioè non per vendetta ma per perdono; dr. i commentari, ad I.; -+ NAUCK 59· 27 Va letto sicuramente 1ttt.poc -rb "APE). (con
2.
· ·~
~a.v-.lsw
C
2
(C.-H. Hunzinger)
versato senza sua colpa si può ben paragonare al sangue di Cristo, ma il motivo dell'aspersione non trova alcuna rispondenza in Abele. Perciò l'espressione alµa ~CX.'ll•~uµou mostra di non essere stata formata ad hoc ma di essere una formula fissa. Formalmente essa accoglie la veterotestamentaria espressione tecnica vowp ~CX.\l'n
La prova che già la TCpW't'T) 8ta.ih1x11 non è stata fondata xwpì.c; cx.rµa.'t'oç serve alla Lettera agli Ebrei per accennare alla fondamentale importanza che la morte di Gesù Cristo ha per la xai.vil 1ha.~1JxTJ (~II, col!. 1086 ss.), di cui egli è ilµ.€· crl't'T}c:; (9,15, dr. 12,24 ~II, col. 1084). La designazione del sangue asperso da Mosè sul popolo come -;ò cx.!µa; -tfjc; otafi"1)xT)c; (Ex. 24,8) viene citata esplicitamente (Hebr. 9,20 33 ); di fronte ad esso sta il sangue di Cristo come 't'Ò cx.!µa. 01cx.~1)xT}c:; alwvlou (13,20, dr. 10, 29). Come l'aspersione col sangue sacrificale dava la partecipazione alla prima alleanza, così l'aspersione col sangue di Cristo rende partecipi della nuova: Hebr. 9,13 s. (~ IV, coli. 1288 s.) tiene presente anzitutto (cfr. 9,7) il grande giorno della riconciliazione di Lev. :Ì6 (~ col. 956): al sangue dei capri e dei tori ed alla sua limitata efficacia (esso compie solo la purificazione della uap~ 34 ) viene contrapposto il san-
P'6 L al); la lezione 'lta.pà. i:òv "A~EÀ. nella Lettera agli Ebrei, dove davanti a nomi di persona viene posto l'articolo soltanto se lo esige la chlarezza del testo, è del tutto improbabile (dr. ad es. Hebr. lI,4). 211 Cfr. Hebr. II,4 e Mt. 23,35-+ I, coll. 19 ss. 'J9 µ6<1)COL corrisponde all'ebraico par1m, torelli (Ex. .:z4,5), che nei LXX è reso con µoO')C~ pLa.. La menzione aggiuntiva dei -tp{tyo~, di cui in Ex. 24 non si fa parola, è un'assimilazione a Hebr. 9,12.13; l0,4 e probabilmente è scivolata nel testo soltanto secondariamente; la lezione meglio documentata ha soltanto -r:wv µ6crxwv (P" KL 1739 pm sy), la collocazione diversa dell'aggiunta negli altri mss. fo sospettare che essa sia secondaria. 30 Questi tre elementi non sono menzionati in
Ex. 24, ma provengono da Lev. 14>4·7 (~ col. 955) e da Num. 19,6 (-+ col. 954). 31 L'aspersione del libro dell'alleanza non ha alcun punto d'appoggio in Ex. 24. JZ Neppure di ciò Ex. 24 dice nulla; si tratta probabilmente d'influenza di Num. I9,4 (~ col. 955) e di Lev. 16,14-19 (-+ col. 956). l l :B degna di nota la redazione nu-r:o -rò at.. µa x-.À.., che si stacca dal T.M. (hinnéh) e dai LXX (llìou), evidentemente per influenza della formula della cena eucaristica; cfr. C. SPICQ, L'Epltre aux Hébreux 111 (1953) 264, ad l.; ]. HilRING, Épltre aux Hébreux, Commentaire du N.T. 12 (1954) ad l.; ~ LoHSE 177 n :5; M1cHEL, Hebr., ad l. M !!. sottinteso il giudizio, inammissibile per il pensiero veterotestamcntario-giùdaico, di
pa.v'tll;,w C 2 (C.-H. Hunzinger)
gue di Cristo, che ha la forza di purificare la nostra coscienza (e precisamente mediante aspersione: 10,22 ~ coli. 964 ss.). Tuttavia si può parlare di un'aspersione nel giorno della riconciliazione solo in quanto i vasi del culto sono purificati dall'aspersione; un'aspersione del popolo, alla quale è soprattutto interessata la Lettera agli Ebrei, non ha luogo. Perciò, per introdurre il momento dell'aspersione, viene fatto ricorso ancora ad un altro rito veterotestamentario, nel quale ha luogo un'aspersione di uomini, anche se non con sangue: l'aspersionecon acqua di purificazione - di coloro che sono stati resi impuri (qui: xsxo~ vwµivo~) dal contatto di un cadavere (Num. 19, ~ col. 954). Cosl, accanto al sangue espiatorio degli animali immolati nel giorno della riconciliazione, compaiono le ceneri purificatrici deUa vacca rossa lS come tipi del sangue di Cristo. A tutti questi enunciati soggiace lo stesso schema tipologico. Come nella comunità veterotestamentaria, anche in quella neotestamentaria v'è un'aspersione; là questa avviene con il sangue degli animali immolati e le ceneri della vacca rossa, qui invece col sangue di Hebr. IDA: alìVva."to\I a.!µa. 'tC1.Up<.ù\I xa.t -rp&ywv
Cristo; là l'aspersione rende partectpt dell'antica alleanza, qui di quella nuova, senz'altro superiore all'antica; là è purificata solo la carne, qui la coscienza. In questo confronto la Lettera agli Ebrei riprende in pa:nl'(,w/ pocv·w1µ6c; un concetto cultuale, ma applicandolo al sangue di Cristo lo sottrae alla sfera propriamente cultuale e se ne serve in modo figurato 36 • Un uso figurato del concetto l'abbiamo potuto già constatare in fa. 36,25 e I QS 4,21 (~ coli. 957 s. e n. 21), dove l'aspersione diventa immagine dell'escatologica azione salvifica di Dio, che donerà la purità totale. Ma nella Lettera agli Ebrei questa aspersione avviene già ora nella comunità del sommo sacerdote celeste, che con il suo stesso sangue purifica i suoi dai peccati e li rende partecipi della nuova alleanza. Secondo Hebr. lo,22b l'aspersione col sangue di Cristo avviene nel battesimo; pEpocv·rnrµÉvot ~
O. Kuss, Zur paulinirchen und 11achpa11li11ischcn Tauflehre im N.T.: Theologie und Glaube 42 (1952) 401-4.:z5 (spec. 4.:zo); H. STRATH·
pavi:l~w
C 2-3 (C.-H. Hunzinger)
da Hebr. I2,24 (e I Petr. I,2; Barn. 5,1) e indirettamente da Hebr. 9,18-21 (cfr. Io,29; 13,20), ma soprattutto anche da · 9,13 s.: anzitutto perché anche là il sangue di Cristo vale da antitipo delle ceneri della vacca rossa e dell'acqua di purificazione che se ne ottiene, e poi anche perché la formulazione di 9,14 (xa.1}a.PLEL 'tTJ'Y crvvElon1nv 7JµWv &.7tò vExpwv ic:pywv, «monderà la nostra coscienza dalle opere morte») è strettamente affine a 10,22btt. Che d'altra parte in 22b~ si parli del battesimo, non necessita di alcuna motivazione (--> VI, coli. 821 s.) 38 • Ora, i due enunciati paralleli in 22b non possono essere separati tra di loro, come se 22b~ parlasse del battesimo e 22btt invece di un altro avvenimento 39 ; lo esclude già di per sé la considerazione che difficilmente il battesimo potrebbe essere definito soltanto una lavanda del corpo 22btt e 22b~, piuttosto, descrivono due aspetti dello stesso avvenimento: mentre il corpo è lavato con acqua, contemporaneamente il cuore viene purificato e liberato dalla cattiva coscienza 40 • L'idea dell'aspersione col sangue di Cristo appartiene dunque alla teologia battesimale; è interpretazione dell'evento del battesimo. Nel battesimo il battezzando riceve la partecipazione alla Der Brief an die Hebriier, N.T. Dcutsch 9' (1953) ad l.; _,,. LoHSE 176 n. l; MrcHEL, Hebr., ad 1.; cli diverso avviso PrumscllEN-
MANN,
BAUER5,
s.v.
~avi:l~w 2b.
Ciò viene negato soltanto in M. BARTH, Die Tau/e - ein SakramentJ (1951) 478. 19 Cosl in RJGGENBACH, Komm. Hbr., ad I.; STRATHMANN (-'Jo n. 37) ad l.; HÉRING (n. 33) ad l. Anche WrNDISCH, Hbr., ad l. propende per questa idea.
3.1
40 Kuss (-'Jo n. 37) 420; SPICQ (-'Jo n. 33) 1I 317, ad l.; Lottsn 175 s.; MICHEL, Hehr., ad l. 41 Anche il prescritto di I Petr. è dunque ri-
forza del sangue di Cristo, che è forza espiatoria, purificatrice e istitutrice dell'alleanza. 3. Conseguentemente anche in I Petr. è presumibile un riferimento al battesimo (--> VI, col. 818) 41 • Probabilmente le due locuzioni parallele f.v à.r~cwµé;> we:uµa:w;, e:k;, V'ltct.XOi}'Y e (e:lç) pav'ticrµòv a~µct.'toç 'Incrov Xptcr'tov descrivono differenti atti della celebrazione del battesimo: la comunicazione dello Spirito (che in un ramo della tradizione antica della chiesa precede il battesimo con l'acqua 42 ), l'impegno all'obbedienza (cfr. I Petr. l,22; Did. 7,1) e l'azione battesimale vera e propria; la precedenza data a Ù1tct.xo1} rispetto a prt.\l'ttcrµ6ç 41 , che a tutta prima stupisce, potrebbe spiegarsi con l'ordine liturgico. Comunque I Petr. l ,2 prova che l'idea di aspersione col sangue di Cristo non è una particolarità della Lettera agli Ebrei ma è parte costitutiva di una diffusa tradizione battesimale della chiesa delle origini 44 • l,2
volto già all'omelia battesimale che segue, dr. -'Jo NAUCK 57 n. I. 42 In Act. 10,44-48 e nel rito siriaco antico, cfr. T. W. MANsoN, Entry into Memhership of the Early Church: JThSt 48 (1947) 25-32; ~ N.WCK 155-159. 43 WrNDISCH, Kath. Br., ad l. e~ Lousn 183 rimandano a Ex. 24,3-8, dove la lettura del libro dell'alleanza precede l'aspersione col sangue dell'alleanza. H Anche altri testi, nei quali è citato il sangue di Cristo senza il tema dell'aspersione, potrebbero essere in rapporto con tradizioni battesi·
{;ri.v1'lsw D (C.-I-1. Hunzinger) - ~l~a
D.I
PADRI APOSTOLICI
Nei Padri apostolici l'espressione sangue dell'aspersione ricorre in Barn. 5 ,1: ~'Ja
'tTI aq>Éo"EL 'tW'J &.µap·nwv &,yvLo-~W
o ÉO-'tLV ÉV 't{i> a.Lµa'tL "tOV pU.V'tLcrµ_a.-coc; a.Ù'tov 45, «affinché fossimo purificati con la remissione dei peccati, nel sangue della sua aspersione». Se il concetto di pav'ttO"µcx. non è spiegato con maggior precisione, ciò indica che si tratta di un termine formulare; non viene espressa una relazione col battesimo, che tuttavia potrebbe essere implicita in &
1
(Ch. Maurer)
babilmente altri testi veterotestamentari o addirittura l'esegesi. Mentre la vacca viene intesa come simbolo di Gesù ( 8,2: µ6axoc; 'l1Jo-ovc; Éo--cw ), i 7t«X.LÒla. che compiono l'aspersione sono riferiti agli apostoli oi EÙixyyùi.uaµE\IOL 'J̵L\I 'ti)V &q>EO"W '>WV &.µap·nwv XIX.~ "òv &.yvio-µòv 'tfjc; xixpòl«X.c;, «che ci recarono la lieta novella della remissione dei peccati e della purificazione del cuore» (8,3). L'aspersione dunque opera H perdono dei peccati e la purificazione del cuore (cfr. Hebr. 9;14; ro,22, --> coli. 964 ss.); però l'avvenimento dell'aspersione sembra venga spostato dal battesimo alla predicazione. Infine in I Clem. 18,7 ricorre po.V'tlt;w in un'ampia citazione di ~ 50[5x],3-19 (--> col. 950) e in Herm., sim. 9,1oa pixlvw con significato profano (~pp«X.\llX\/ vòwp, cioè versarono acqua per far pulizia).
o
o
C.-H. HUNZINGER
'Pax&.B ~iv, coll. 141 ss. p'ijµ«X. ~ vr, coli. 199 ss.
òja), accompagnata da altra vocale fp«X.§· l.
Nella grecità profana
plt;«X., radice fpo 1 {in filsa da *fp;r mali; dr. in particolare Eph. 1,7; 2,13; I Petr. l,18s.; I Io. 1,7; Apoc. 1,5; 7,14, ~ NAucK 5052. Pertanto anche per r Io. 5,8 (non per 5,6) c'è da chiedersi se tutti e tre i concetti (1tVEU· 1.1.(J., !ll>wp, alµa) non alludano al battesimo; cfr. l'ampia trattazione in ~ NAUCK 147-182 1 il quale tuttavia, seguendo MANSON, op. cit. e~ n. 42) 28, preferisce riferire ttlµa alla celebrazione dell'eucarestia nell'ambito della liturgia battesimale. In ogni caso il motivo dello a:'l:µa ha stretti rapporti non soltanto con l'eu-
(nel raro ~aò-cx.µvoc;), antico alto tedesè6 wurz, latino radix (da vrad-), la radice. a) Nel senso proprio, di piante (Hom., Od. ro,304); b) applicato a cose non ve-
carestia ma anche col battesimo. 4s Cosi va letto col cod. S; il cod. C (XI sec.) e le traduzioni latine leggono invece (forse adeguarsi alla precedente espressione -tjj Wi>t· <m x;i;).,): t'il 'ti;> pa.v-t(aµtt'tT. ttV'tOV -.ou a.tµa.'toç.
w
plr,a PAssow, LmnELL-ScoTT,
PREISIGKE, Worl., MouLT.·MILL., PREUSCHEN·BAUER5, s.v.
I Sull'etimologia: BorsACQ 83r. 1121; HoFMANN 293; SCHWYZER I 3.59·
pll;a l-2h (Ch. Maurcr)
getali: punta della cannetta della penna rami (come nell'espressione «testa eco(Plat., Phaedr. 251b); piede del monte da») vuol dire la totalità dell'uomo o (Aesch., Prom. 365 ); pC(,a:v &.7tElpou 'tpl- dcl popolo di cui si parla (lob 18,16; 't'ct\I della Libia, come della terza radice Am. 2,9 ecc.) 3 • del continente (Pind., Pyth. 9,8); c) in b) La flora della Palestina, minacciata senso storico e genealogico: Cirene come M''t€wv pll;a., il centro di irradiazio· dal caldo e dalla siccità, dipende in mine della fondazione delle città circostan- sura del tutto particolare dalle radici, inti (Pind., Pyth. 4,15); origine o ceppo di tese come quella parte della pianta che una famiglia &.7t'EuyEvovc; pisTJc; (Eur., assicura l'esistenza del tutto. Ciò è mesIph. Tour. 610); anche di un membro so in evidenza dalle applicazioni moltesuccessivo della famiglia, che dia 1a pos- plici che trova il vocabolo. La radice gasibilità di una discendenza (Soph., Ant. rantisce il sostegno e la stabilità. Perciò 600); d) traslato in senso spirituale: {>l- importa al tutto che non vengano estir<;a. xa.xwv (Eur., fr. 912,11 [T. G. F. pate le radici del giusto (Prov. 12,3 ), 655 J); àpxiJ xa.t {>ll;a. 'ltav-ròc; àyaì>ou che non muoia la radice dei buoni sen(Epic., Jr. 409); e) in un contesto co- timenti (Sap. 3,15) o, viceversa, il fatto smologico e teologico: pll;a. 1tocv-rwv xa.t che la radice del giudice ingiusto è come P&.cnc; ~ yii, la terra come origine e polvere (Is. 5,24). La stessa cosa vale fondamento di tutte le cose (Tim. Locr. per pl'(,,a.v S&À.Àtw, 8186va.1, «gettare, 97e 2 ); l'anima che discende dall'alto e mettere radice» (Os. 14,6; Sap. 4,3 ss.). fa dell'uomo una creatura celeste è XE· Risponde al pensiero veterotestamentacpa.À.'Ì) xa.t pl'L,a 'Ì)µwv, nostro capo e rio l'ampliamento suggerito dall'immagine: la vita trasmessa dalle radici dipennostra origine (Plat., Tim. 9oa). de dalla base che le sostiene, sia essa ;l solido fondamento (Prov. 12,12), l'ac2.Nei LXX qua attingibile nel terreno (lob 29,19; a) Nell'A.T. WreJ e pl<;a. si corrispon- Ier. 17,8; Ez. 3 r ,7), sia anche il magro dono, tranne poche eccezioni. Soltanto terriccio sulle rocce (Ecclus 40,15) e il in 4 dei 57 passi dei LXX si tratta di terreno arido (Is. 53,2). Nei passi posteconcrete radici di piante (lob 8,12; 14, silici, che conispondono a circa i quat8; 30,4; Sap. 7,20). Il vocabolo si tro- tro quinti del totale, l'immagine per lo va di rado in senso traslato per 'radici' più è applicata in senso individualistico non vegetali: pll;a. i:wv 'ltoowv, l'orma agli empi o ai giusti. Ma questa è già del piede (lob 13,27); il piede del mon- una variante dell'idea più antica che Ite (Iudith 6,13; 7,12); pt<;wµa.'t'a. (!) sraele come popolo è piantato in buon 'tijc; ì}aÀ.M'CT'J')t;, il fondo del mare (lob terreno. Il canto della vigna (Is. 5,1-7) 36,30). Va ricordato inoltre l'espressio- come pure l'affermazione che Dio ha ne corrente tx p1~wv, dalle radici, radi- piantato gli Israeliti sul monte della sua calmente (lob 28,9; 31,12). Nella massa eredità (Ex. 15,17; 2 Sam. 7,10) costidegli altri passi troviamo soltanto appli- tuiscono le attestazioni più antiche di cazioni :6gurate, sia in semplici metafore questa idea. In particolare va ricordata sia in rappresentazioni colorite, fino ad qui l'immagine d'Israele quale vite che ampie allegorie. Non cli rado l'abbina- Dio ha piantato nella buona terra di mento polare di radici e frutti/fiori o Canaan (ljl 79,9-12 e passim [--'> r, col. 2 Ed. F. l!RRMANN IV (1856} 412. 3 A. E. RiiTHY, Die Pflmzze u11d ihre Teile im
bibl.-hebr. Sprachgebrauch, Diss. Basel (1942) 44s.
w;,a
2b-e (Ch. Maurer)
927] ). Un'altra variante è l'applicazione alla casa reale giudaica (Ez. 17 ). Ma poi-
ché gli enunciati più recenti dell'A.T. sono alimentati da quelli più antichi, ci si può attendere che le intenzionali ripercussioni dell'immagine d'Israele come entità in sé conchiusa si facciano sentire fìn negli enunciati singoli apparentemente casuali. Questo può essere il caso di Mal. 3,19, dove echeggia il ricordo vivo d'Israele come pianta: «Non sarà lasciato loro nulla, né radici né rami». e) Dalla radice intesa come origine germoglia la patte scoperta della pianta. Dell'origine in senso genealogico parlano Tob. 5,14; Aocv. u,7.20. Ez. 16,23 chiama l'origine storica di Israele 1) plsa 4 aov xat 1) yÉvEalç aou Èx yijç Xocva.av. pff,a. aocplaç in Ecclus l,6 è intesa nel senso di primo prodotto: la sapienza è stata creata da Dio prima di ogni altra cosa {vv. 6.9). Quando l'immagine è trasferita nel campo spirituale, origine e intima essenza sono tutt'uno: plsa
d) Grazie alle radici l'albero abbattuto può rinnovarsi e gettare freschi germogli (lob 14,7-9). Cosl la radice è l:i speranza in un nuovo principio dopo una catastrofe. Due volte si affaccia l'idea del resto santo nell'immagine della radice che rimane, e qui echeggia il ricordo del ceppo santo (Is. 6,13 T.M.). L'unica radice dell'albero della vita di Nabucodonosor, rimasta sulla terra, annuncia la nuova ascesa del sovrano (Aav. 4,
15.26 ss.). Nella preghiera di Esdra (Esdr. 9,6 ss.), invece, viene lodata la fedeltà di Dio che nel meritato giudizio annientatore lascia sopravvivere un resto e consente di sperare nel futuro d'Israele. Stranamente qui solo la traduzione di r E
Qui pa;,a. è significativamente la· traduzione di m•kura, discendenza.
6
s R.
1
4
SMI!ND,
(1906) ad l.
Die \Veisheit des Jesus Sirach
Cfr. i prospetti in ]. ZIEGLnR, Untersuchungen zur Septuaginta des Buches Isaias (1934)
r4os. Sembra che qui i LXX presuppongano jifrap invece di ji/reh.
W;a.
2e (Ch. Maurer)
passata quanto il punto di partenza che fa sperare in un futuro migliore. La stesMl duplicità di significato è contenuta in pl'C,a. Ma la tarda aggiunta redazionale nel v. 10 mostra un'altra comprensione di pl'C,oc wehiija bajjom hahU' lord jisa; 'aJer 'omed lenes 'ammlm 'elàjw gojim jidrosu = xcd it1nat È'V 'tfj TjµÉp~ hElvn ii pl'(,a -cou forcrat xocL o àwr-c&µgvoç &pxm1 Èwwv, E.7t'ocù't'ii) itlhi11 ÉÀ.moucrw ... Nel v. r pl'C,a IE
mula ed è divenuta un titolo messianico autonomo. Sulla base di queste considerazioni ci si può domandare se anche Ecclus 47,22 abbia un sottotono messianico: ltowxEv ... -tG Lia.u~o E.ç aù't'oi:i pl'C,av, «concesse a David una radice di lui (scii. Salomone)». I paralleli xcx..-aÀ.Etµ.µcx. (v. 22c) e ltxyova. (v. 22h) mostrano anch'essi il doppio significato di pl'C,a.: resto e possibilità di un nuovo inizio.
Il cambiamento di significato di pl(,oc dal senso attivo (radice che produce) al passivo (germoglio prodotto) si può rilevare anche altrove nell'A.T., senza che vi si debba collegare la linea messianica. In Deut. 29,17 i LXX parlano di un germoglio che spunta dalla radice ( &vw q>uovc;oc, intransitivo!) nella collera e nell'amarezza, mentre il T.M. intendeva parlare di una radice come origine, che produce veleno e amarezza (poreh, transitivo)8. In I Mach. 1,ro l'Epifane è pl~a &.µcx.p't'wÀ.Oc;, un germoglio (discendente) peccatore. Viceversa i LXX in Is. 14,29. 30 non osano tradurre due volte soreS con pl~a, ma scelgono tr7tÉpµcx., perché nel secondo passo si intende chiaramente parlare della discendenza. Ciò prova che l'uso di pl'C,a. in senso passivo ha i suoi limiti. In Is. 53,2 forse riecheggia il signifìcato messianico di Is. 11,10 (~ IX, col. 334). Secondo il testo tràdito dei LXX ( àVTJYYElÀ.cx.µEv) sembra che il paragone del germoglio e della radice non si riferisca alla figura del Servo di Dio, ma al compimento dell'annuncio che lo riguarda: «Noi annunciamo alla sua presenza, come (annuncia) un bambino, come una radice langue in una terra asseta· ta» 9• Ma forse il testo greco è corrotto ed è lecito proporre come congettura K. F. EuLER, Die Verkiindigung vom leidenden Gotlesknecbt aus ]s .53 in der griecbischen Bibel (1934) 14.22 s. _53-56.
9
~lt;ix. 2e-3b (Ch. Maurer)
ocvhE~À.Ev 1° e analogamente al T .M. interpretare: «Egli (cioè il Servo di Dio) crebbe davanti a lui (scil. Jahvé) come un bambino, come un germoglio di radice in terra assetata».
3. Il tardo giudaismo Possiamo limitarci a indicare le linee che hanno maggiore importanza per il
N.T. a) L'idea d'Israele come pianta di Dio sembra sia presente in molti modi 11 • Dio trasformerà il popolo decaduto in una pianta di giustizia (fob. r,16); Israele è la pianta della giustizia e della verità (Hen. aeth. 10,16; 93,ro); la piantagione dei pii, che rappresentano gli alberi della vita, è saldamente radicata in eterno (Ps. Sal. 14,3 s_). Questa piantagione d'Israele risale ad Abramo, che perciò ne è la radice: Abramo sapeva che da lui sarebbe uscita la pianta della giustizia (Iub. 16,26); la stessa cosa dice Abramo di Isacco (Iub. 21,24); Abramo è anche la pianta del giusto giudizio, dopo di lui viene la pianta eterna della giustizia (Hen. aeth. 93,2.5); Israele è la stirpe della radice eletta (Hen. aeth. 93,8). Queste immagini del giudaismo ellenistico e apocalittico nei pochi passi rabbinici subiscono un cambiamento notevole. I due bei polloni che Dio innesterà in Abramo sono Rute Noemi, che si trapiantano in Israele come proseliti <Jeb. b. 63a) 12• Quando si dice che Aher (cioè Elisa b. Auja} «recide le piantagioni», forse si pensa all'effetto prodotto da questo apostata, per colpa del quale cerJO J. ZIEGLER, Isaias, Septuaginta 14 (1939) ad l. e 99. li STRACK-BILLERBECK I 720 s.; Ili 290-292. 12 STRACK-BILLERBECK I 26. l3 STRACK-BILLER1lECK I 21. . 14 Se exsecr. 152 è collegato a
Iub. 1,16 (~ sopra} dal rinvio comune a Deut. 28,13.44,
ti israeliti vengono recisi dalla loro comunità (Hag. b. r5a). Chiaramente parla il passo (peraltro tardo) Midr. Cani. 6,2: Dio pianterà in Israele i gentili giusti (similmente Ber. j. 5 c 2-10) 13 • Secondo Filone, nell'èra messianica Dio onorerà altamente gli stranieri convertiti al giudaismo, mentre. respinge i giudei apostati. Ciò dimostrerà che a Dio è bene accetta la virtù anche se di origine modesta, perché egli non si cura delle sue radici, ma accoglie il germoglio che, vigorosamente cresciuto, si è fatto nobile ( execr. 1 J2 14). Cosl vive nel tardo giudaismo, espres-
sa in molti modi, l'idea di Israele come pianta di Dio che discende da Abramo, nella quale possono essere innestati anche i pagani. b) Nella sinagoga è corrente l'immagine del Messia come radice di Jesse. Ivi sòrd nel senso di rampollo viene sempre riferito al discendente di Jesse (Tg. prof. Is. a n,1 15 ) (coli. 972 ss.) . Ciò è parimenti confermato dall'abbandono generale di sòrd a vantaggio del chiaro ~emal; = il germoglio, il rampollo (Tg. prof. Ier. a :z3,5; 33,15; Zach. 3,8; 6, 16 12 ). Dal fatto che per Is. n,10 sono i pagani a domandate del Messia, piò tardi viene tratta la singolare deduzione che Israele, poiché possiede la torà, non abbisogna dell'insegnamento del Messia (Gen. r. 98 a 49,u; Midr. 21 §I a Ps. 21,2 17). L'assenza dell'attesa messianica in Filone è indicata dal fatto che egli non cita mai Is. n,r.ro. La descrizione l'idea, ricorrente in entrambi i passi, d'Israele quale pianta di Dio può derivare da una tra· dizione più antica. 15 STRACK-BILLERBECK I 16 STRACK·BILLERBECK I
28. 93 S.j altri testi in Il
n3. 17 STRACK-BILLERBECK II
438.
977 (v1,988)
~(!;oc 3l>4b (Ch. Maurer)
dello stato di pace secondo Is. u,6ss. in praem. poen. 89 s. non menziona il rampollo di David. Filone usa spesso l'immagine della radice, ma per lui essa è diventata un puro mezzo stilistico come altre immagini. Ciò appare nell'uso della formula xo:M7tEp Éx (&.7tò) pl~1)ç (sacr. A.C. 40; poster. C. 129; rer. div. ber. 279 ecc.) e nelle molteplici applicazioni del paragone: i dieci comandamenti sono pl'(,a. xai &.pxaL ( xat} 1t1JY1i, «radice, principi e fonte» dei singoli ordini (congr. 120); la cpvcnç è radice e fondamento delle arti e delle scienze (rer. div. ber. u6 ecc.). Giuseppe usa il vocabolo soltanto in senso proprio (ad es. ant. 8, 47; 18,9 ss.; bell. 7,180).
4.NelN.T. I l 7 passi, dai quali se ne devono detrarre 4 in quanto paralleli sinottici, si ripartiscono fra i sinottici ( 8 o rispettivamente 4), Paolo, comprese le Pastorali (6 volte), Hebr. (1 volta) e Apoc. (2 volte). L'uso del vocabolo si mantiene totalmente entro i limiti segnati dal1'A.T. Ad eccezione dell'albero di fico seccato fino alla radice (Mc. n,20), si tratta dappertutto di un uso figurato o parabolico.
dicato nel terreno che sta fuori della persona 18• Mt. 3,rn /Le. 3,9 vanno posti sullo sfondo di Mal. 3. Non soltanto MaV3,23 determina tutta la persona e la i predicazione del Battista come il redivivo Elia; anche il fuoco del giudizio, che non risparmia né radici né rami, risale a Mal. 3,19. Quando si dice che l'ascia 19 è posta alle radici perché l'albero intero sia abbattuto e gettato nel fuoco, probabilmente non si deve pensare solo ad un paragone generico. Come in Mal. 3,19, anche questo detto va visto alla luce de1la concezione totale d'Israele come pianta di Dio. Si tratta d'Israele nel suo insieme, al quale viene minacciato il giudizio della totale rovina se non fa penitenza. b) Rom. u,16 ss. (~ v, coli. 487 s.) è un ammonimento ai cristiani venuti dal paganesimo a non abbandonare gli smarriti Giudei. La dimostrazione, che
a) Nella parabola del seminatore (Mc. 4,6/Mt. 13,6) la radice, nata dai semi caduti nella buona terra, è sorgente di linfa per la pianta. La spiegazione della parabola (Mc. 4,17/Mt. 13,21/Lc. 8,13) applica agli uomini l'avere radici. Qui sembra che Luca, tralasciando È\I lo:u'tO~<;, sottolinei più di Marco e Matteo che non importa tanto l'autosufficienza dell'uomo quanto il fatto che egli è ra-
comincia col v. 16, scopre un presupposto per la conclusione a minore ad maitls (v. 15). Il presupposto del fatto che l'accettazione d'Israele alla fine dei tempi porterà con sé la generale risurrezione e l'avvento del regno di Dio, è che Israele in tutti i casi conserva la sua speciale santità. Ciò viene espresso nel v. 16: come il prelievo della pasta in Num. 15,17-21 mostra che appartengono a Dio tutta la pasta e l'intero raccolto e~ 1, co1l. 1290 s.), cosl anche la santità
ia Già Le. 8,6 aveva sostituito pll;ct con lxµUc;. 19 Questo particolare potrebbe risalire a Is.
'fTI µocxixlp~).
10,34 T.M. (i LXX traducono babbarzel con
pf.t;cx. 4b (Ch. Maurer)
della radice rende santi i rami. Qui va supposto che il nuovo ragionamento cominci col v. r6a e non soltanto col v. 16b, o addirittura col v. 17. Dai Giudei non viene più dedotta, come nel v. r5, la posizione futura delle genti; si tratta piuttosto della santità dei Giudei in generale e, in particolare, nel presente. Per pl~a si è pensato all'offerta delle primizie dei giudeo-cristiani, con la quale verrebbero santificati i Giudei non credenti 20 • Ma cosl si avrebbe una frattura troppo brusca nell'argomentazione tra il v. 16b e il v. 17, poiché nel v. 17 i giudeo-cristiani chiaramente fanno parte dei rami che non sono stati toccati. È meglio intendere (d'accordo con la maggior parte degli esegeti) che già nel v. 16 si faccia riferimento all'origine d'Israele nella storia, ai patriarchi. Ciò concorda con l'immagine giudaica di Abramo visto come la radice santa d'Israele (~ col. 975; vedi in particolare Hen. aeth. 93,5.8) 21 • Rom. 11,28 dimostra che Paolo ha in mente i padri. La santità dei patriarchi, la quale è il fondamento della santità d'Israele, consiste fin da principio nel fatto che essi sono stati scelti e creati da Dio per l'opera salvifìca
che si compie in Cristo 22 • Questa santità, la quale è fondata nell'azione di Dio che abbraccia tutta l'esistenza e la storia d'Israele, non può essere cancellata neppure dal più radicale colpevole pervertimento. Il v. I7 si occupa della miserevole situazione nel presente. In luogo dei rami giudaici strappati per loro colpa, sono stati innestati, come ramoscelli selvatici, cristiani un tempo pagani. Il 'controsenso' dal punto di vista agricolo di quest'avvenimento si spiega proprio con l'idea giudaica dell'innesto dei gentili selvatici nell'albero nobile d'Israele(~ V, coli. 487 s., n. 5; vedi in particolare ]eb. b. 63a; Philo, exsecr. 152 ~ coli. 975. 976). Teologicamen· te, il paragone volutamente innaturale corrisponde esattamente alle cose, in quanto il pagano è trapiantato 'lta.pà
~ E. GAUGLER, Der Romerbrief n (1952) 191. LrnTZMANN, Rom., ad l. riferisce il v. 16• (sen·
ficare la santa radice con Cristo stesso, come fa K. BARTH, Kirchliche Dogmotik JI 2 (1942) 314 riprendendo l'esegesi della chiesa antica. Va fatta distinzione tra la radice e il 'sottofondo' che la detennina.
za escludere il riferimento ai padri) ai giudeocristiani, il v. rfl' inequivocabilmente ai patriarchi. 21 MzcHEL, Rom. 243: «I due paragoni sono tradiziorù preesistenti, che Paolo nel v. 16 cita e invece nei vv. 17 ss. presuppone. Essi sono trattati come citazioni scritturistiche». 22 L'immagine non va forzata fino ad identi-
2J Sia l'inserimento cli un xa.t dopo ~lt;71c; (codd. A Sf pl vg sy Or) sia anche l'omissione di '°"Tjç pf.t;1)ç (P'6 D G it Jr) sono tardi tentativi cli appianare il testo.
~ll;,CJ;
4b - f>l.s6w
natura è determinata dall'azione di Dio anche rispetto ai rami temporaneamente tagliati, ogni atto di disprezzo dei Giudei, da parte dei cristiani ex-pagani, e perciò il disprezzo della propria radice, comporta un distacco definitivo e senza speranza (v. 22).
1
(Ch. Maurcr)
598 e col. 6oI n. 17),_;. Hebr. 12,r5 è una citazione di Deut. 29,17 LXX 26 • Come là, anche qui non si deve pensare alla radice come origine, ma ad una gemma che si schiude 27 • L'amara radice trae origine dall'allontanamento dalla grazia di Dio e porta in sé i dissidi che macchiano la comunità con la distruzione della pace. È molto incerto se s'intenda parlare di una controfigura anticristiana dell'attesa messianica della radice di Jesse 28•
c) In Rom. 15,12 compare la designazione del Messia di Is. n,10 (--+ col. 973 ): Ti PtSC1. 'tOV IEcrO"oct. 24 • La citazione dei LXX sottolinea che il «servo della circoncisione» (v. 8) è colui nel quale sperano i pagani, e che perciò i Giu5. I Padri apostolici dei e i pagani dovrebbero intonare inEssi conoscono il vocabolo nell'amsieme l'inno della lode. Sottolineato sopiezza dei suoi significati: oct pli;at. "t'OV lennemente è il titolo messianico modiopouc;, i piedi del monte (--+ col. 969) :ficato in Ti ptr,oc .6.aulO in Apoc. 5,5; 22, (Herm., sim. 9,30,1 s.); le piante, la cui 16. Il parallelo con yÉvoc;, discendente, radice è già secca, mentre la parte supe· di 22,16 mostra chiaramente che si ri- riore è ancora verde, sono immagine dei dubbiosi e di quanti professano la fede prende da Is. 11,10 e non da Is. 11,1. soltanto con le labbra (sim. 9,1,6; 21,1 Si deve tradurre: germoglio della radice s. ). L'espressione 1) ~E~rxloc TI')c; 1tWrEWç di David. I diversi titoli del Messia s'in- uµwv pl<;rx, «la salda radice della vostra fede» (Polyc. 1,2) rappresenta l'antitesi trecciano vicendevolmente. positiva a r Tim. 6,rn (~ col!. 981 s.) (cfr. al riguardo Ecclus 1,6.20 [ ~ col. d) La prima Lettera a Timoteo e quel971]). r Clem. e Barn. usano pli;a. solla agli Ebrei presentano ciascuna un e- tanto in citazioni veterotestamentarie. sempio di ~etafora che conduce alla sfera spirituale. r Tim. 6,rn: plsoc yù.p t pi.<;ow 7taV'tW\I 'tW\I xaxwv fo··n \I i) cpt.À.a.pyur. p~~6w, far mettere radici: attivo, pla.. Che l'avarizia sia l'origine di ogni metaforico: Posidone radica nel fondo male è una sentenza diffusa (--+ x, col. del mare la nave tramutata in uno sco24 Come in Is. n,10, abbiamo qui un genitivo di provenienza, non un genitivo esplicativo (cosl ScHLATTER, Rom., ad l.). z; Documentazione in Drnsuus, Past. 3, ad I. e C. SP1cQ, Les ÉpUrcs Pastorales (1947) ad l. 2~ Sul rapporto storiro-tcstuale·tra il passo della Lettera agli Ebrei e il Deuteronomio cfr. P.
KATZ, recensione a B. RoBERTS, The O/d Teslametlt Text and Versions: ThLZ 76 (1951) 537; ID., Où µ1) ue àvw, oòlì'où µ:fi
~tl;6w I - Èxpt~6w
glio (Horn., Od. 13,163); -t'Ì)\I -cupawl(Hdt. l,64); passivo, di piante: gettare, mettere radici (Xenoph., oec. 19, 9 ); di un giardino con piante: à.À.w-YJ Éppl~w-w.t (Horn., Od. 7,122); medio: al 1tLWtXt (conchiglie) Èppl~W\l't'OCt (Aristot., hist. an. 5 ,17 [p. 548 a 5]: è!; ... à.µcdHaç. .,.&,v-ca xaxà E.pplsww.t, «dall'ignoranza trae radice ogni male» (Plat., ep. 7,336b); viene anche applicato a costruzioni edilizie: ò8òç. xaÀ.xo~ç Scii)poL
oa
2. Nei LXX: gettare, mettere radici, attivo: detto della pianta dell'ingiustizia (Ecclus 3,28); della sapienza radicata in Israele (Ecclus 24,12); passivo: detto della radice dei prlncipi (Is. 40,24); degli empi (ler. 12,2).
3. Filone parla di virtù radicata (leg.
ali. I,45.89); del cosmo piantato e radicato (plani. 1l
).
4. Nel N.T. il vocabolo si trova soltanto in due passi corrispondenti, entrambe le volte a proposito del radicamento personale dei cristiani. Col. 2 17:
(Ch. Maurer)
E.pptswµÉvot xat È1totxo8oµouµEvot E.v
aù'té;> (scii. Xpt.O''t4}); Eph. 3,17: ~'V
ycl.'ltiJ 1 ÈpptswµÉvot
')
Èxpt~6w, strappare con le radici, sradicare, in Le. 17,6 è usato in senso proprio, in Mt. 13,29 nella parabola della zizzania. In Mt. 15,13 e Iudae 12 (irt analogia a Sap. 4,4 e Au.v. 4,14.26) vie. ne applicato al giudizio sui Farisei e, rispettivamente, sugli eretici.
Per indicare la distruzione di grandi popoli provocata da rivalità e liti: :r Clem. 6,4; il dubbio sradica i credenti dalla loro fede (Herm., mand. 9,9 ). CH.MAURER
~t~6w 1
II contesto fa pensare soltanto all'amore di
Dio.
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pl7r.-tw xù. A-B .3 (W. Bieder)
pl7t1:W, Èmpl'lt't'W,
t a:1t0pt1t't'W
A. L'uso LINGUISTICO PRESSO I GRECI pl'lt°tW significa: a) il buttare o gettare (cose): pietre vengono gettate contro Penteo (Eur., Ba. 1097), una tavoletta da scrivere è gettata a terra (Eur., Iph. Aul. 39), uno scudo è gettato nella battaglia (Aristoph., nub. 353). b) Il gettare contro, gettare a terra (detto di persone): Eracle getta contro le rocce il portatore della camicia di Nesso (Soph., T r~ch. 780 ). ÈpptµµÉvovc; xat µ€i>Uov°tac; 'lttx\lw.c; (Polyb. 5,48,2) indica gli uomini sopraffatti dall'ubriachezza e pertanto «stramazzati a terra». Eracle nel suo dolore si butta a terra ( xilovl pl'lt°tW\I È<XU· ">6v Soph., Trach. 790). c) Il buttare via per disfarsi di una cosa: Giasone butt~ via il mantello prima di passare all'atto eroico (Pind., Pyth. 4,232). L'atto di gettare via gli abiti in Platone (resp. 474a) esprime la decisione degli avversari nel porsi sulla difensiva contro la dottrina platonica dello Stato. d} Il disfarsi (respingere) di persone: Zeus può gettare i temerari nel Tartaro (Horn., Il. 14,257; 8,13), Edipo (Soph., Oed. Tyr. 719) e Filottete (Soph., Phil. 265) vengono esposti, Mirtilo è gettato in mare (Soph., El. 512); &:m:pptµÉvot sono i reietti (Demosth., or. 18,48); la dea Afrodite può essere respinta dagli uomini (Aesch., Eum. 215): «anche se i tuoi genitori avessero avuto idea che tu (più tardi) avres~i sostenuto tali malvagità, pure non t1 avrebbero respinto»: oùx li\I O"E Mppt\jlrx.v (Epict., diss. :i:,23,10). e) Levare verso: in atto supplichevole di preghiera pl'lt·mv opt>àc; wMvru; 7tpòc; oùpocvbv, «levare dritte le braccia al cielo» (Eur., Hel. 1095 s.).
B. L'USO LINGUISTICO NELL'A .T. r. La traduzione dei vocab_qli ebraici Troviamo 61 volte plrc-cw per Slk, n
volte per altri equivalenti ebraici (jrt rmh, slb, npl hi'fil, jrh) . slk è reso 2·~ volte con &7topl'lt't'W, che inoltre è usato altre 19 volte ( 12 volte per slk e 2 volte per npl). Inoltre I J volte txpl1''"CW 2 volte Otcxppl'lt't'W, 2 volte xcx-capp(:rt't'w' 3 'lttxpappl1t-cw e una Ù'ltoppt'lt't'W. '
L'atto di gettare da parte di Dio a) Dio getta pietre contro i nemici d'Israele (Ios. rn,u ); i capelli tagliati della donna I sraele sono gettati via (Ier. 7,29); Jojakim dev'essere buttato fuori d;lla ci.t~à (Ier. 22,19). h) Dio rigetta, croè esilia a Babilonia (Ier. 22,26; Is. 22,18). Il re di Babilonia (ls. 14 19) e il re di Tiro (Ez. 28,17) vengon~ l'uno gettato lontano dal sepolcro l'altro but. D a questo significato ' tato vta. si sviluppa quello c) di ripudiare (Ier. 7,15, 4Bmr. 17,20; 24,20). Il salmista fa l'esperienza del Dio che ripudia: &:1tÉppLµµat apa. à1tÒ 7tpocrw1tou 't'W\I oq>ilaÀµWv crou, «sono stato rigettato dal cospetto dei tuoi occhi}> (\); 30,2 3); &.rcÉppLljJiic; µE. dc; ~aih] xrx.polac; 1>a.ÀMO"l]c;, «mi ha1 rigettato negli abissi del cuore ·del mare}> (lon. 2,4); &.rcÉppt\jltlc; µ€ &7tò crw-c'l]plac;, «mi hai rigettato dalla salvezza» (lob 30,22 LXX); egli spera di non essere ripudiato (\ji 50,13; 70,9). d) Dio getta i peccati dietro di sé; à.1tÉppL\jlcx 01tlO'W µou mi
7,19). 3. L'~t~o di gettare da parte degli uommz
a) In senro proprio; i fratelli gettarono Giuseppe nella cisterna (Gen. 37, 20; cfr. Ios. 8,29; 10,27; 2 BM. 18,1 7 ; 4 Barf. 9,25; 10,25 ). Spesso s'intende parlare di un atto disperato (Gen. 21,15;
plmw x-.À.. B 3 -D (W. Bieder)
Ez. 7,19) oppure di un atto deciso (4 BaO'. 7,I 5 ), ma anche di un atto com-
piuto per uno scopo umanitario (4 BM. 2 ,21 ). Se la polvere di altari distrutti viene buttata nell'acqua, questo atto simbolico significa il risoluto rifiuto dell'idolatria (Deut. 9,21; 4Brur. 23,6.12). b) In senso improprio: Dio rimprovera Geroboamo per averlo ripudiato xaL ÈµÈ EpptljJac; lmlaw O'wµa-ç6c; O'ou (3 Brx.o-. 1419 ). I padri d'Israele si gettarono la legge di Jahvé dietro le spalle: EPPLtV<X'V 't'Ò'V v6µov O'OV Ò1tlO'w crwµa't'oc; CX.Ù't'W\I (2 Eaop. 19,26; Ez. 23,35). Èpplq>T) xaµcx.t 1i OLXctLOcrU\/1J (Dan. 8,12). L'uomo pio getta come un peso sul Signore le sue preoccupazioni ("154,23), il suo stato miserevole (Dan. 9,18).
µÉvoL va riferito a wcrEL 7tp6~a.-a: la casa d'Israele è paragonata alle pecore stese a terra, che non hanno pastore. 2.
Emplrc-rw
In I Petr. 5,7 echeggia tV 54,23 (~ col. 987). Ma è superato l'ambito individuale del salmo: l'esortazione vale per tutta 1a comunità. Il 7tocO'a.\I accenna ad una radicalizzazione. La sottomissione alla sovranità di Dio appare nel fatto che la comunità affida tutti i suoi affanni al Signore liberandosi cosi del peso che la opprime.
c. L'uso LINGUISTICO NEL N.T. pL7t't'W Matteo usa 2 volte l'attivo di pl7t't'E.tV. In 15,30 gli uomini gettano gli ammalati ai piedi di Gesù (--7 coll. 22 ss.). Qui non va tanto pensato ad un atto di disperazione quanto piuttosto all'offerta di vittime 1, che vengono poste sul1'altare. Quando Giuda gettò il danaro nel tempio, prima di andare ad impiccarsi, si dovrà invece pensare ad un uomo disperato (Mt. 27,5 ~ col. 985). Le. 4.35 usa il vocabolo per descrivere un esorcismo. In Le. 17,2 a chi fa del male ad un piccolo si minaccia l'annientamento: lippL7t't'at dc; -c;rrv M:À.cx.crcrav. In Act. 22,23 l'atto di buttar via gli abiti esprime la decisione degli avversari di porre in opera con tutti i mezzi la loro opposizione. In Mt. 9 ,36 ÈppiµI.
pl1t'tW X'tÀ.. I LoHMEYER,
3. CÌ7topl7t't'W
Il verbo in Act. 27>43 è usato in senso intransitivo: buttarsi giù, senza un particolare significato teologico.
D. L'uso
LINGUISTICO NEI PADRI APOSTOLICI
EpL!JiEv 'tàc; Mo ,.),,&.xac; Èx 'tW\I XE~~ pW\I aù'toti, «gettò via le due tavole dal-
le sue mani» (Barn. 4,8) segue Ex. 32,19, che è citato in Bam. 14,3. Nell'immai gine tratta dall'edilizia in Erma si parla anche di buttar via delle pietre (ad es. vis. 3,2,7; sim. 9 17,2); il vocabolo è dunque usato per esprimere il rigetto. In Herm., sim. 2,3 pl7t't'W viene usato nell'immagine della vite e dell'olmo per dire che la vite senza il sostegno dell'olmo giace sul terreno (~pp~µµÉv'l} XtXµal 2). Diogn. 5,6 usa /ll7t't'W nel senso di esporre i neonati. W.BIEDER 2 DIBELIUS,
Mt., ad I.
Herm., ad l.: «perché allora stri-
scia per terra».
.-I, ·.'
poµqia.(a. A 1-2 (W. Michaelis)
A. L'uso
LINGUISTICO FUORI DEL N.T.
r. Secondo Esichio {s. v.) poµcpa.la. 1 è un'arma tracia, per il significato della quale egli suggerisce a scelta i vocaboli µtixa.Lpcc, çlcpoç e lix6v't'Lov µaxp6v (giavellotto grande) (cfr. anche Suid., s.v .: poµcpala. •Ò µccxpòv àx6\l·nov, iì µ6.xa.tpa). La designazione di arma tracia risale probabilmente a Plut., Aem., 18a (I 316), che, descrivendo le armi dei Traci, dice fra l'altro: òpM<; poµcpa.lccç ~ccpucno1}pouç à7tò 't"W\/ oEçtwv wµwv émo-elov·m; 2 • Benché dal modo in cui queste poµcpa.L'a.t tracie erano portate sembri che si trattasse di lance, giavellotti più che di spade 3, quest'ultimo significato finl per dominare, tanto più che il vocabolo passò molto presto nel latino appunto con tale significato 4, e d'altra parte la notizia contenuta in Suic., Thes. II 908 (poµ.cpa.L'a.t etiam vocantur hastae quas tenebant principes honoratissimi ad latus Imperatoris stantes... et poµcpa.toxpa't"opE<; dicebantur) poµqicda t L'etimologia
è controversa; dr. A. J. R.E1-
NACH, art. 'Rornphaea', in DAREMBERG-SAGLIO IV 2 (.19.12) 865 n. x; BoISACQ e WALDE-PoK. non hanno nulla sul vocabolo. Supposto che sia un vocabolo proveniente dalla parlata dci Traci, potrebbe darsi che ~µqiala, per tramite di Macedoni, sia pervenuto in Egitto e sia entrato nel locale lessico greco, che fu determinante anche per i LXX. Cfr. O. FrnnIGER, art. poµipala., in PAULY-W. I a (1914) 1072 s. 2 Rinvia alla Tracia anche la citazione da Arriano, Jr. 103 (F.H.G. II 871). La più ant ica testimonianza del vocabolo è dello storico FiJarco (m sec. 11.C.), fr. 57 (F.H.G. n 181): 1i ~oµq>c.tla. ~a.p~a.ptx6v foi:w 111tÀov, wc; !o"topE~ q>u>.apxoc;. Cfr. anche Plut., Cleome-
yò.p
11es 16 (1 817c): x61t'tW\I t;vlotc; µsy&.Àotc; Elc; oxijµa ~01.1.q)(X(Ct.c; à:rmpyu.CTµÉ\IOtc; (0.1.!BRUNNER].
sembra indicare un uso linguistico tardo e raro. Per spade e lance c'è in greco un gdn numero di termini 5 • Il vocabolo poµcpccla. non si è inserito fra di essi a pieno titolo, anzi nel greco extrabiblico è sempre stato usato molto raramente 6 • 2. Tanto più sorprendente è la sua frequenza nei LXX, dove poµcpa.la. si trova più di 230 volte. In circa 200 passi corrisponde all'ebraico pereb che, presente nel T .M. circa 410 volte, è reso un po' meno frequentemente con µ6.xa.ipa (-7 VI, col. 1420 ), notevolmente più di rado (soltanto otto volte) con l;lcpo~ inoltre quattro volte con ÈYXELploiov e in Iob41,18 con Mrx'lJ (~ n. 24). D'altra parte poµcpa.la corrisponde quasi esclusivamente a pereb. Soltanto in un passo (Iud.19,29 cod.B) rende ma'okelet, coltello da macellazione (secondario rispetto a µrixmpa del cod. A) cd in 3 passi (I Chron. 11,u.20 e lfJ 34, 3) pantt. Tuttavia dal fatto che poµcpala può corrispondere anche a l;anit e
3 òpMç in questo passo non significa dirette, ma verticali (in altezza) [Kl.EINKNECHT]. ~ n.30. 4 P<Jµ<pa.la. come irnprestito appartiene al lessico latino a partire da Liv. 3r,39,II. Cfr. i testi in FIBBI'GER, op. cii. (4 n . l) e REINACH, op. cii. (~ n. r). Esempi tratti dalla letteratura Iatinn cristiana anche in H. RoNscH, Itala und Vulgata (1875) 245. Oltre 11 rho111phaea e romphaea, si trovano nnche forme secondarie come rt1mpia, che forse dovrebbe rinviate a
rumpere. 5 Cfr. E. BREULIER, art. 'Gladius (~(qioç)', in DAREMBERG-SAGLIO n 2 (.1896) 1600 s.; ID., art. 'Hasta (Mpv)', ibid. m 1 (1900) 33 ed anche o. FIEBIGBR, art. 'Gladius', in PAULY-W. 7 (r 912) 1372-1376; ID., art, 'Hnsta 1', ibid. 25oy2507. 6 Cfr. PAssow e LIDDELL.ScoTT, s.v. N eppure in iscrizioni e papiri si incontra poµq>ala..
POMJCi.l« A 2-3 (W. Michaelis)
l;ereb anche a ÀOYX'l'J 7, considerato lo scarso numero di casi non si dovrebbe concludere che poµcpa.la., quando corrisponde a pereb, indichi anche la lancia o il giavellotto. Piuttosto la statistica depone inequivocabilmente per l'equivalenza poµcpa.lc.t = l;ereb = spada, e anche nei passi senza rispondenza nel T .M. poµcpa.la significherà la spada 8 • Poiché dunque poµcpalc.t e µaxmpa. come traduzione di l;ereb non si distinguono per significato (per cui i codd. talvolta scambiano un vocabolo con l'altro, ad es. Iud. l,8; 19,29; Ios. 8,24), vien fatto di chiedersi per qual motivo si sia scelto l'uno o l'altro vocabolo greco. Evidentemente con poµcpa.la si è inteso indicare piuttosto una spada grande, ad es. la spada dei cherubini davanti al paradiso (Gen. 3,24), la spada di Golia (rSam. 17,45.47.51; 21,10; 22,10). Inoltre ogni singolo traduttore ha chiaramente preferito l'uno o l'altro vocabolo 9 • Cfr. ~ nn. l8.2r.24.26. 3. È per influenza dell'uso linguistico dei LXX che Philo, cher. ('ltept "t'W\I Xepov~1µ xa.t -rl}c; cpÀoylv'l")c; poµq:ialac; X'tÀ.) nell'esegesi di Gen. 3,24 (~ col. !Janlt viene reso nei LXX per lo più con 86pv, romap speciahncnte con 86pv e À.6YX'rl· Anche da ciò si ricava che la traduzione di banit con poµq>ala. e di !Jereb con Myxri co~ti tuisce un'eccezione. Cfr. ~ n. 18 alla fine. B Sulla lancia nell'ambito culturale israeliticogiudaico dr. P . THOMSEN, art. 'Lanze C. Paliistina-Syrien', in RLV 7 (1926) 231-233; K. GALLJNG, art. 'Lame', in B.R. 353-355; sulla spada cfr. la bibliografia citata ~ VI, coli. l419s., n . 2 . 9 Aquila, Simmaco e Teodozione usano ~oµ. cpala. e µ&.xa.tpa nel rapporto di l: 3. Nel quadro della prevalenza di PoMJCX.la, merita di essere considerato quanto spesso questo vocabolo prevalga in singoli scritti: l Ba.a-. (23 volte; 1 volta µét.xa.tp«); 4 Ba.cr. (8 volte; r volta µét.xmpa.); Sahni (19 volte; 2 volte µ&.xa.tpa); dodici Profeti (31 volte; x volta µ&.xatpa); 7
991) usa in vari modi poµq>c.tlrx. (cfr. r. rr.20 s. 25 e passim}. Quando in cher. 31 è detto che Abramo per il sacrificio
di Isacco aveva portato con sé 1tVP xa.i µaxa.~pa.\I (Gen. 22,6) come µlµ'I}µa. 't'ijc;
10
993 (\'I,995)
poµtpala A 3 • B 1 (W. Michaelis)
neppure di una µ&.xcx.tpa, per non parlare di una poµq:icx.lcx.. Nella descrizione dell'armamento dell'esercito romano (bell. 3,94 ss.) Giuseppe chiama la spada della fanteria ~lcpoç e quella della cavalleria µ
14
ar. s. KRAUSS, Talt1111dische Archiiologie II
(1911) 311.313 s. t~ ~lq>oç (~~qimo\I)
e u?tlifu) non si trovano
(v1,995) 994
reb e ~an1t, LXX: poµcpa.la. e o6pu]); II,u [cfr. Is. 31,8; LXX: µaxcx.tpt:t]; 12,u; 15,3; 16,1; 19,4; I QH 5,10.13. 5; 6,28s.; zQ38 [DJD I 142); Dam. 1,4 [:tj j].17[1,12].20[1,16]; 3,n[4, 9);. i'.9,7(9,3]; 7,13(94); I9,13(9,II l >v: I 4,1 S. 12 [PS. 37,14 S:,_,ll '4 Qpp S 37, CO. tXX: poµcpcx.la.J; 4 QpNah 9 13 [ Nah. :i-,14; LXX: poµcp
s.:
Nella letteratura rabbinica poµq>alcx. (diversamente da µaxa.tpix, !;lcpo~ e crmHh1 14 ) non è passata come imprestito. B. L'uso
LINGUISTICO NEL N.T.
Se accanto a µ&.xa.tptX, che si tra-. va 27 volte (~ vr, coli. 1421 ss.), anche poµcpa.la. con 7 presenze è entrato a far parte del vocabolario del N.T. 15, ciò è dovuto (come per Filone [ ~ coli. 991 s.] e Giuseppe [ ~ coll. 992 s.]) certamente all'inBuenza della frequente presenza di questo vocabolo nei LXX, altrove assai raro (~coli. 990 s.) 16• Nelle parole rivolte dal vecchio Simeone alla madre di Gesù (Le. .2,34 s.) c'è al v. 35a la frase parentetica 17 xat CTOV a.ùl.
oè
nel N.T. Su °MYX'l'J ~ n. 18. Su 'ltEM:xlt;w di
Apoc. 20>4 cfr. ÙJHMEYER, Apok. 1591 ad l. 16 Anche la lezione del codice D a Le. 21,24, che sostituisce CT'f6µa""~ ~oµ<pa.laç (come anche il minuscolo n4r) a O't6µa""L µaxalP1)ç si dovrebbe spiegare a questo modo, tanto più che lv 1n6µam poµtptXCa<; nei LXX compare più frequentemente che lv a""6µa""L µaxalPTJ<;.
J. M. CREED, The Go:spel according to St. Lt1ke (1930) 42 considera (seguendo Loisy) la possibilità che la frase possa essere come un in· serto parentetico di Le. in un testo preesistente, e che quindi con questo inserto (e con l'in· traduzione 2,34) il detto 2,34 s., in un primo tempo generico, solo da Luca sia stato riferito 17
f;oµqia.la. B
995 (VI,995)
l
(\VI. Michaelis)
Il detto (trasmesso in modo metricamente errato) di Sib. 3,316 sul destino dell'Egitto nell'invasione di Antioco Epifane (poµcpa.loc yàp 81EÀEUCTE'tOCL 81à µfoov CTE~O) mostra una notevole affinità con Le. 2,35", che peraltro è solo formale. In particolare la presenza strana di poµcpa.la e ÒLEÀEUCTE-.cu in entrambi i passi non deve far dimenticare che in Sib. si tratta della divisione politico-geografica di un paese nel corso di azioni belliche, mentre in Le. abbiamo un'im-
magine di dolore spirituale (dr. µ&.xcx.1pcx. in Sib. 5,260). Questa differenza appare ancora più evidente se si osserva che in Sib. 3,316 si ha un chiaro influsso • ' 1.' ' , d1. Et. 14,I 7: ~'I Xf1.L. poµ
a Maria. Tuttavia la frase 2,25• nella sua coloritura veterotestamentaria e~ sopra) si adatta benissimo al testo o alla tradizione quali si potrebbero supporre per questa parte della storia lucana della fanciullezza di Gesù. Inoltre lo stesso Luca più avanti usa sempre µ&.xcnpa., anche nelle parti sue proprie (2r, 24; 22,36.38.49; dr. Act. 12,2; 16,27). 18 Quantunque Le. non abbia alcuna rispondenza in Io. 19,25 ss., il resto del detto di Simeone in 2,35• fa pensare anche e s0prattutto alla morte di Gesù. Naturalmente è da escludere del tutto un riferimento a Io. 19,34 (MyXT}) : Del resto non lo prende in considerazione neppure ZAHN, Lk. 158 n. 85 quantunque ritenga che in 2,35• sia «più appropriato» tradurre pÒµ<pa.la: con lancia. Il suo accenno ai passi dci LXX in cui />oµqJa.la: corrisponde a banlt costituisce un errore di valutazione deli•uso linguistico dei LXX coli. 990 s.). Non può essere decisivo nemmeno il fatto che ad es. 1)134,3 (~col. 990) sia stato tradotto da Aquila, Simmaco, Teodozione, Quinta con Myxri e il cod. e in Le. 2,35• presenti famea = framea (invece di gladius); e in quest'uhi-
mo caso ancora meno, perché anche nel vocabolo framea nel latino cristiano prevale il significato cli spada: dr. O. FIEBIGER, art. 'Framea' in PAULY-W. 7 (1910) 81 s.; RBINACH, op. cit. n . l) n. 15; RèiNSCH, op. cit. (n. 4) 313 (--+ n. 30). 19 Cfr. K. H. R.ENGSTORF, Das Evangelium nach L11kas, N.T. Deutsch 3' (r958) 47, ad l. Quando H.AucK, Lk. 44, ad l. scrive: «El.ç &.v&CT'tccow, che non si inserisce del tutto nell'im. magine, potrebbe essere stato aggiunto successivamente», occorre rilevare che gin EÒÀOYTJCTEV in 2,34 ha un senso analogo e accenna al significato profondo del detto di Simeone. Giustamente i commentari recenti sono per lo più contrari all'idea che si debba pensare ad un futuro dubbio dii Maria sulla missione di Gesù. 23 Cfr. HAuCK, Lk. 41; Cu~MEN 21r. A G. ERDMANN, Die Vorgeschichtc des Lk- tmd MtEv und Vergi/s 4. Ekloge, FRLANT N.F. 30 (1932) 13, che fa dipendere Le. da Sib., si oppone H . SAHLIN, Der Messias und das Gottesvolk: Acta Scminarii Ncotestamentid Upsaliensis 12 (1945) 273. Però non soddisfa nean-
-.fjc, -nìv lj/uxiiv 01EÀEVCTE'tOCL poµqiocloc, «e tu stessa avrai l'anima trafitta da una poµq)(x.la>>. L'annuncio, orientato ad una dizione veterotestamentaria(~ col. 996), prefigura il futuro destino di Gesù 18 e il dolore materno dal quale non sarà risparmiata Maria, ma che ella saprà infallibilmente attribuire alla grazia di Dio 19•
e-
<-
poµcpala. -B
i-z
be essere ipotizzabile un rapporto diretto tra Le. 2a5" e Ez. 14,21 ; per conseguenza viene in primo piano la possibilità che \[.i 36,15: 7i poµcpaloc a.U-cwv dcrH.1'ot dc; 'tl}V xci.polav ( var.: lf.ivxnv, cod. S) a.ò-.wv, «la loro spada trapassi il loro cuore (var.: anima)», abbia influito sulla formulazione lucana 21 • 2. Oltre che in Le. 2,35• poµrpa.la. si trova in 6 passi dell'Apocalisse, dove del resto non manca neppure µ6:.xcx,tpoc (6,4; 13,10.14). In senso proprio poµcpu.fo. è usato solo in 6,8, dove del quarto cavaliere apocalittico è detto che a lui è dato il potere di far morire la quarta parte dell'umanità con la spada e la fame, le epidemie e gli animali selvaggi. L'uso di poµcpa.la, dovuto all'influsso di Ez. 14,21 su questa serie di 4 membri (~ col. 998), distingue chiaramente -6, 8 da 6,4, dove si parla della µo:xatpa µEyaÀ:l} del secondo cavaliere apocalittico 22. Perciò, a differenza di 6,4 dove µri.xmpoc è contrapposta a ElP'liV'll e perciò indica la guerra 23 , è probabile che in
che l'interpretazione di Sahlin (279) che intende poµipa.l11. come «spada della parola». Cfr. ancora T. GALLUS, De sensu verbomm Lk 2, 35 eort1mque momento mariologico: Bibl 29 (1948) 220-239.
Già Suic., Thes. Il 908 aveva accennato a questo parallelo, a torto trascurato dai moderni; WETTSTEIN, ad l. rimanda a \ji 104,18: rJlBnpo\I 8LijMe:v Ti \jiux'ÌJ a.ò-rov. Cfr. anche j paralleli rabbinici in STRACK-BlLLERBECK H 21
140.
Anche per altri motivi nella serie di 4 membri che conclude 6,8 non è possibile vedere un riassunto delle piaghe di tutti i quat· tro cavalieri e riferire l'll />oµqiu.lq. a 6,4. Quanto ad u.u-roi:ç non si deve pensare ai quattro cavalieri, ma soltanto al quarto ed ai suoi ac21
(W. Michaelis)
6,8 si sia piuttosto pensato allo sterminio 24 • Evidentemente 6,8 è determinato dal-
la serie di 4 termini À.tµ6c;, l>nplù'..
7CO-
V1')pci, M:VO'..'toc;, alµO'.. di Ez. 5, 17 e soprattutto da poµq>l'lla, À.tµ6c;, l>npla 'ltoV'l')pa, l>ava-.oc; di Ez. J4,21; cfr. anche Lev. 26,22 ss. (1'1')ploc, µaxatpa, fame, morte violenta). Però, oltre alla serie trimembre À.tµ6c;, poµq>oclO'.., M:\la"t'oç di Ps. Sai. r5,7, vanno ricordate anche le frequenti espressioni trimembri di Geremia, nelle quali sono uniti µax
~O(..Ul'cxlcx
B
2
da acuta a due tagli», ma l'espressione Év ~ poµcpalq, -.ov o"•6µa-t6c; µov, «con la spada della mia bocca>>, di 2,16 prova che in 2,12 non s'intende dire che chi p~rla tiene questa spada in mano, ma che anche qui come negli altri passi la spada esce dalla sua bocca. Come si può spiegare l'espressione tanto strana xa.t Éx. "'t'OU cn6µa"to<; au•ov poµqnxla Oto"t'oµoc; ò!;Ei:a ÉX7'opwoµlvri, «e dalla sua bocca usciva una spada acuta a due tagli» (1,16)? Poiché la descrizione in 1,1y15 è intessuta di re.tn.iniscenze veterotestamentarie.ed anche in 1,r6b è mantenuto lo stesso stile, è ovvio supporre che ciò avvenga anche in l,16n. E in misura limitata ciò è vero. Cosl la qualificazione di poµ
(W. Michaelis)
(vr,998) looo
ta µcixmpa, Is. 49,2: tih}XE\I -.ò CT"'t'6µa µov Wo-El µ6.xoc~pocv 6~Etav, «pose la mia bocca quale spada acuta». Inoltre va ricordato che .in ljJ 56,5 e Prov. 24, 22c la lingua è chiamata µ6.xatpa e .in ljJ 63>4 poµ<prx.lrx., e che .in ljJ 58,8 è detto: poµ.q>ala È.\J -coi:c; XElÀ.EO'W ct.Ò't'WV, «spada sulle loro labbra». Però anche con questi ultimi passi si è ancora ben lontani dal dire che da una bocca esce una spada. L'idea presente in Apoc. 1,16• andrà dunque considerata come peculiarità mentale dell'autore o come una particolarità della visione concessagli n. II fatto che questa iden sia ancora operante non solo in 2,12.16 ma anche in 19, 15.21, mostra come essa debba essere stata considerata essenzial.e. Perciò l'aspetto sorprendente, anzi forzato, di questo tratto non dovrebbe essere sfuggito all'autore, ma è stato probabilmente da lui voluto 28• 2,16 mostra di che cosa si tratta già in l,6: Cristo, diversamente da quanto si legge in Hehr. 4,12 a proposito della µ6.xa.tpoc (~ VI, coll. 1425 s.), è il giudice che ora veglia sulle sue comunità e, quando sia necessario, con la sua parola tiene giudizio e punisce. Cosl in 2,16 viene annunciato ai seguaci dei Nkolaiti: 'ltoÀ.eµ1]crw ca una spada» (come pensa CLEMEN 373) è una spiegazione che non può soddisfare. 2~ Il giudizio di BousSET, Apok., ad I. («qui una espressione del tutto figurata viene inserita in un fenomeno reale») non contribuisce molto alla comprensione. C. ScHNEIDER, Die
Erlebnisechtheit der Apk des Johannes (1930) 46 sottolinea con ragione che l'autore eviden· temente ha visto tutto ciò in immagine. :B un fatto contemplato, non pensato.
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IOOI
(VI,998)
~oµq>a.l« B 2 -
e (w. Mlcnae.tJSJ
\
"'"'J;l;/·~1
.... - ~ -
µE't 'aÙ'tWV Év -tli poµ<poclq. 'tOU cn6µoc- serirsi in tutta la concezione della poµ't6<; µov, «combatterò contro costoro <pa.la uscita dalla bocca di Cristo; il che con la spada della mia bocca». L'espres- significa che in 19,15.21, come anche in sione di 19,15: xoct h. -cou u-c6µa-coc; 2,16, non solo viene sottolineata la gra· C'lÙ'tOU b;'Tt'opEVE'ta~ poµq>ocloc Ò~E~OC, «dal- vità del giudizio, ma è anche detto ela sua bocca esce una spada aguzza>~, fa splicitamente che l'unica arma portata parte di una descrizione d'ampiezza si- da Cristo è la parola 31 • Nel quadro di mile a quella di 1,13 ss. Questa s'addice 2,16 e 19,21 emerge per la comunità lo a Cristo quale giudice escatologico delle stesso ammonimento di I Petr. 4,17: nazioni (19,II ss.) e lo descrive come comincia il giudizio nella casa di Dio. È il cavaliere sul cavallo bianco che avan- significativo che il grande numero di za alla testa delle sue schiere quale re passi dell'A.T. con poµ<poclo: (intesi in e kyrios celeste 29 • In 19,21 30 è ripresa senso non figurato e che variamente parnuovamente quest'idea: xocl ot À.0~7toL lano di violenza e di vendetta), nel N.T. a'Tt'EX'tU\li}T)O'OCV ~ 't1i poµq>ociq. 'tOU xoc~ abbiano trovato un'eco soitanto nell'Ai}i)µÉvov hct -rou tmtov 'tTI È~EMovcrn Èx pocalisse, ed anche qui un'eco che è in'tOU O'"t6µa.-coc; a.ù-.ou, «gli altri furono tegra solo in 6,8. uccisi dalla spada che usciva dalla bocca di colui che sedeva sul cavallo». Questa C. I PADRI APOSTOLICI frase può fare l'effetto della descrizione Nei Padri apostolici poµ<pa.loc si trova di un avvenimento reale, analogamente solo in Barn. 5,13 (citazione di q, 21,21). alla grande morte di 6,8 (~ col. 999), Degli apologisti solo Giustino usa il vocabolo 6 volte, sempre in citazioni vetee tale senza dubbio potrebbe anche esrotestamentarie. Ciò conferma quanto sere, riel quadro del realismo delle vi- raramente ~oµ<pala. compaia anche in sioni apocalittiche. Tuttavia anche que- periodo post-neotestamentario. sta frase insieme con 19,15 dovrebbe inW. MICHAELIS 29 Al confronto, l'immagine dd pastore, presentata in 19,15 con l'ausilio della locuzione tratta da ljl 2,9 ('ltO!.IJ.aVE~ o:.ò-roùç Èv ~&.po~
30
Non è molto illuminante l'idea di KLEIN-
KNECHT che proprio 19,IJ possa offrire lo sptmto per considerare se ~oµq>a.'4 sia da tradurre
con lancia, dato che· la lancia regale come antico simbolo del potere del re sarebbe confacente a Cristo quale re vincitore.
Cfr. J. BEHM, Die Offe11baru11g des Jobannes: N.T. Deutsch II 1 (r916) a x9,15 . .B il motivo conduttore di Sap. 18,22: lvlx'l)O'EV oÈ 'tbv XOÀ.OV oòx. CO'xùL 'tOV O'
Ù1tÉ'tct~EV- Invece ha un altro significato l'assenza della spada in 4 Esdr. 13,ro: il torrente di fuoco e il soffio ardente con cui il Messia annienta i nemici nella battaglia finale ha (non ostante "I.3'4) ben poco da fare col potere della parola giudicante, ma vuol significare qualcosa di più terribile della spada realisticamente intesa.
puoµm A
1003 (v1,999)
'PoM--'>
IV,
1
(W. Kasch)
coli. 141 ss.
t puoµm. SOMMARIO:
A. Il significato fondamentale del verbo greco e i suoi equivale111i ebraici. B. Contenuto del verbo: I. nel mondo greco; II. nell'A.T.: I. somiglianza con gli enunciati grcco-profant; 2. la peculiarità degli enunciati veterotestamentari; III. nel N.T.
A. IL
SIGNIFICATO FONDAMENTALE DEL VERBO GRECO E I suor EQUIVALENTI EBRAICI
respingere (Horn., Il. 5,538; Od. 24, 524), proteggere (Horn., Il. 15,257. 290), salvare (Horn., Il. 17,645 ecc.), fare schermo (Horn., Il. 9,396), custodire (Horn., Il. 23,819); inoltre nei derivati iipuµcc, difesa, protezione, baluardo (Horn., Il. 4,137; Hes., op. 536; Xenoph., Cyrop. 4,3.9), Èpuµvo't1}c;, forza di difesa, robustezza, vigore (Xenoph., Cyrop. 6,1.23; Aristot., pol. 7,xr. [p. 1330 b 18]), pU'tlJP (Horn., Od. 17, r87.223) o p1hwp, protettore, custode
(Aesch., Sept. c. Theb. 3I8), pucnoc;, liberatore, salvatore (Aesch., Suppi. 150),
pucnc;, salvataggio (Ecclus 51,9) e puµa., Il verbo rientra in un gruppo di vo- protezione (Aesch., Suppi. 85; Soph., caboli indoeuropei che hanno il signifi- Ai. 159; Eur.,Heracl. 260). Conforme al cato originario di difendere, proteggere. suo fondamentale significato greco, il voIl suo significato originario appare par- cabolo significa mantenere integra la ticolarmente chiaro nel nordico primi- condizione di uomini e beni con l'impietivo waru, «il cerchio di pietre che re- go di una forza divina, umana, tecnicinge tutt'attorno una tomba»; inoltre ca o magica. In confronto a o-~~w l'uanche nell'avestico var, fortezza, nell'an- so del vocabolo è relativamente scarso. tico alto tedesco weren, di/ endere. In Lo si trova in Horn., ad es. in Il. 15, greco, formato dalla radice fpU, fE- 141; Od. 12,107 ecc.; Hes., theog. 662; pu 1, compare (a partire da Horn., Il. nelHdt. r,86,2; 4,187a ecc.; non molto la poesia epica ionica) nella forma ìtpu- frequente nei tragici e in Aristofane, nelµa.t, pvoµat, i::ipuµm con i significati di la prosa attica presente soltanto in Thuc. l.
puoµa.L Avvertenza. Dopo la morte di A. Oepke, W. Kasch ha rielaborato l'articolo, utilizzando un manoscritto incompiuto di Oepkc. Per A: Bo1sAcQ, FRISK, s.v. Épuw 568 s.; M. LrmMANN, u&:oc; e crwc;, in MNHMH:E XAPIN, Gedenkschrift P. Kretschmar II (1957) 8 s.; LrnDELL-ScoTT, s.v. ~uoµlu; P,i,ssow, s.v.; P!IB[SIGKE, Wiirt.; PRELLWITZ, Etym. Wort., .1.v.; PoKoRNY 1080; WALDE-PoK. r 282; BL.DEBR. § 101; 3II,2. Per B m: ii. H. CHASE, The Lord's Prayer. Texts and
Studies in the Early Church I 3 (189x) 7x-73;
A. KIRCHGASSNER, Erliisung rmd Siinde im N.T. (1950) 66-69.170 s.; K. G. KU11N, 'ltET.pacrµ6c; - àµa.p'tla. - cr6.pl;: ZThK 49 (1952) 200-222; E . LoHMEYER, Das Vater tmser (1946) 147-162; T. W. MANsoJll, The Lard's Prayer (1955) 99-II3; C. G. SHERWOOD, The Lord's Prayer, A St11dy in Sources (r940/41) u9 s. :B difficile che puoµaL, come pensano Boisacq e Passow, si sra formato da tpuw, tirar via, trarre a sé (tirar fuori dal pericolo = salvare). In tal caso i derivati sarebbero di diflicile comprensione. 1
puoµa.L A I - n .1 I (W. Kasch)
1005 (VI,999)
(v1,1000) 1006
5,63 nella formulazione pucrE~O:L EPY
2
3
Cfr.
~ LEUMANN 8
-7 WALDE-POK. I
706.
s.;
~ PoKORNY 1080;
4 11ii~al
qal corrisponde all'indrca a tpuw. I LXX potrebbero dunque aver inteso puoµm come una formazione da ~puw. 5 Citato secondo la traduzione di H. BECKBY in Anth. Gr. (x957).
1007 (VI,1000)
~uoµaL
B
1 1 - II
cpovw\I; in Soph., Oed. Tyr. 1352 ~'lt~ cpo\lou; in Eur., Or. 598 ~x i}a\la'Tou (cfr. Eur., Alc. n; Hdt. 7,n); in Eur., Aie. 770 xaxwv µuplw\I. Pind., Pyth. 12,18 s. dice che una dea Ex 'TOV"t"W\I cplÀ.oY U\lopa: 1t0\IW\I ~ppUCT<X:'tO, «sottrasse un amico a queste pene». Oltre agli uomini, la custodia e la salvezza da parte degli dèi si estendono anche alle cose di cui l'uomo ha bisogno per la sua vita o la sua protezione. Le mura di una città (Hdt. 6,7), la regione (Hdt. 7,217) sono oggetto della loro salvezza e protezione. 2. Ciò che vale degli dèi, vale anche degli uomini. Sono i principi che proteggono città e paesi (Horn., Il. 9a96). I guerrieri di Ilio proteggono le donne troiane e i fanciulli dai popoli bellicosi di Argo (Horn., Il. 17,224). Con preghiere e sacrifici il sacerdote può recare salvezza (Soph., Oed. Tyr. 312). Un popolo accoglie i perseguitati sotto la sua protezione (Soph., Oed. Col. 285). Un amico protegge e custodisce l'amico (Theogn. 103 [Diehl' II 8] ). Viene ricordato che Ulisse non potè salvare i suoi compagni di viaggio, che si erano resi colpevoli (Hom., Od. 1,6). Nella vita quotidiana sono le guardie che difendono l'esercito dall'attacco di sorpresa del nemico (Horn., Il. 10,417 ). Infine, vi sono anche cose che, tutelando e proteggendo l'uomo; mantengono la sua incolumità. Le mura proteggono (Horn., Il. 18,515). L'elmo ripara il capo dei giovani fiorenti (Horn., Il. l0,259). La corazza protegge dalle ferite (Horn., Il. 23,819). In Od. 6,129 è un ramo che protegge le vergogne di Ulisse davanti a Nausicaa e alle sue compagne di giochi. Proprio in quest'ultimo esempio appare particolarmente chiaro il significato essenziale di ~voµa.t. Con questo verbo si tratta sempre di mantenere intatto il potere dell'uomo su di sé e sul stio mondo. Ma c'è anche un limite alla salvezza
xa (W. Kasch)
(V11 IOOI) Ioo8
e alla difesa, a cui sono legati tanto gli uomini quanto gli dèi. Come Ulisse non può salvare i suoi compagni, perché essi stessi si sono procacciati la rovina col misfatto (Od. 1,6 s.), cosl anche gli dèi possono salvare l'uomo solo nell'ambito del suo destino personale: «È impossibile salvare dalla morte la progenie cli tutti gli uomini mortali», fa dire l'Iliade ad Atena nel consiglio degli Olimpi (Il. I 5 ,141 ). Anche gli dèi hanno dei limiti insuperabili: «Giacché neppure Posidone ti ha salvato dalla disgrazia (cioè da Cariddi-)» (Od. I2,rn7). Ne segue che l'uomo con dubbio ansioso supplica la divinità: «Chi, dio o dea, ci salverà?» (Aesch., Sept. c. Theb. 91). Infatti la salvezza, la protezione e la difesa da parte degli dèi, come degli uomini e delle cose, sono condizionate dall'uomo, cioè determinate antropocentricamente. Perciò anche nel valutare le possibilità degli dèi misura delle cose è l'esperienza dell'uomo, la possibilità insita in lui di conoscere se stesso.
.
.~
II. Nell'Antico Testamento
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1.
Somiglianza con · gli enunciati grecoprofani
a) Se si guarda ai particolari, a prima vista l'uso veterotestamentado di puoµa.t si distingue appena da quello grecoprofano. Solo che in luogo degli dèi del1'0limpo (~ coli. 1006 s.) appare Jahvé, che salva non solo il suo popolo (cfr. ad es. Ex. 6,6; 14,30; Iud. 6,9 cod. B; 8,34; 4Bacr. 18,32; 2 Ea-op. 8,31; Mich. 4,10; 5,5; ls. 36,15; 44,6; 48,17; 49, 7.26; 54,5.8; Ez. 13,21,23; I Mach. I6, 2 ecc.), ma anche le singole persone (dr. 2Bacr. 12,7; 22,18.44.49; lob 5,20; 22, 30; 33,q; ~- 6,5; 24,20; 7,2; 16,13 ecc.; Aa.\I. 3,88 ecc.). Salva il suo popolo dalle mani degij Egiziani (Ex. 14, )o; Iud. 6,9 cod. B), dalla servitù (Ex.
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1009 (VI,lOOI)
~voµa~
B n xa-2b (W. Kasch)
6,6), dalle mani di tutti i suoi nemici (!ud. 8,34), dalle mani di Assur (4 :Scur. r8,32; Mich. 5,5; 36,15), dalla cattività (Mich. 4,ro), da tutti questi mali (Esth. 10,3 s.; 3 Mach. 2,12), dai falsi profeti (Ez. r3,2r.23). Quanto· a singole perso· ne, egli salva (David) dalle mani di Saul (2 Bacr. r2,7), dal forte nemico (22,r8; cfr. J Mach. 6,ro), dai persecutori (ljJ 7, 2), dal vicino malvagio (\jl 33,5), dagli uomini falsi e cattivi (\(J 42,1; Is. 25,4), da coloro che odiano (tV 68,35), dal tentato omicidio (\jl r7,30), dal sangue (tV 50,16), dalla spada (!Ji 21,2I), dal fuoco ardente (Dan. LXX J,88), dalla rovina (lob 33,17), dalla trappola del cacciato· re {\jl 90,3 ), dalla morte e dalla carestia (\jJ 32,18 s.; cfr. lob 5,20), dal regno dei morti (\jl 85,13; cfr. "' 55,14; Os. XJ, 14), dagli empi (tjl 16,13; cfr. 58,J; 70, 4; 96,10), dalle tribolazioni (ljJ 3J,r8. 20), dai peccati (l)J 38,9; 39,14; 78,9).
b) Come la grecità profana (~ coli. 1007 s.) anche l'A.T. conosce salvatori utnani. In Ex. 2,r7.19 Mosè salva
le figlie del sacerdote dei Madianiti. In
fod. 9,17 (cod. B) Gedeone e in 2 BaO'. 19,ro il re sono chiamati salvatori d'Israele. In 2 Brxcr. 14,r6 è il re che salva una donna. In \jJ 81,4 si ordina ai giudici di salvare i poveri e i bisognosi dalle mani dell'empio. In-Ecclus 40,24 si ricorda che il fratello e compagno può es" sere uri salvatore. Il ladro si può salvare se restituisce con la refurtiva anche i suoi averi (Prov. 6,31 ). Infine un uomo si può salvare sborsando danaro (J
Mach . .2,_32). 2.
La pecutiarietà degli enunciati veterotestamentari
a) Si ha invece un'altra impressione se si considera nel suo insieme l'uso veterotestamentario di pvoµat. Allora si vede che, alla fondamentaie comprensio-
(VI,1002) IOXO
ne antropocentrica, nella quale si dispiegano tutti i possibili significati della parola nel mondo greco, ne subentra una teocentrica. Non certe leggi dell'essere, scoperte dall'uomo attraverso esperienze del destino e valide per gli dèi e per gli uomini, determinano l'essenza e la possibilità della salvezza, ma la volontà di Jahvé, creatrice ed intesa alla conservazione, per cui la salvezza del popolo e del singolo è conseguenza dell'azione creatrice di Jahvé nella storia della salvezza da lui iniziata. Poiché egli è il Signore sovrano di questa storia, l'essenza, l'ampiezza e la possibilità della salvezza dipendono esclusivamente da lui e dalla sua volontà. Perciò v'è salvezza «soltanto secondo la sua grande misericordia» (Neem. 9,28), «secondo la sua pietà» (lfJ _32,18 s.; 33,8; 85,r3), «per il suo nome» (\jl 78,9). Jahvé salva «per· ché mi volle» (l)J 17,20). Infatti, secondo la concezione veterotestamentaria, ogni salvezza, anche quella che avviene per mezzo degli uomini, risale soltanto a lui, ma ad un tempo è la sua gloria e il suo onore. «Non v'è nessun dio, che possa salvare come lui», confessa Nabucodonosor (Actv. Theod. J,96). «Gli dèi delle nazioni non hanno salvato la loro terra», è detto in 4 BaCT. l8,J3 (dr. Is. 36,19) in contrasto con ciò che può fare Jahvé. Infatti per lui e per la sua volontà di salvezza, «che degli abissi del mare ha fatto una via per la quale i salvati potessero passare» (ls. 5I,10), non c'è potenza o legge che ponga dei limiti. Perciò il nome di salvatore è proprio il nome che fa per lui (pvCTa.t -i}µfu;,
ron (v1,roo2)
puoµm
B 11 2b-d (W. Kasch)
(v1,1002) ro12
subentrare una comprensione personali- Ez. 14,20), chi si prende cura dei debostica. Perciò nell'A.T. salvezza significa li (~ 40,2; cfr. Eccltts 40,24 ). E vicevertutela contro l'essere strappato dalla sfe- sa, quando il popolo gli è disobbediente, ra salvifica istituita da Jahvé. Ma, poi- egli lo abbandona al suo destino (!ttd. ché questa sfera salvifica non è magica 8,34). Infine, quando l'uomo riconosce di ma storica, può darsi salvezza soltanto per esseri storici, cioè per persone. Lo restare sempre debitore di Jahvé, il momostrano anche gli esempi citati, che tivo proprio della salvezza diventa la sua parlano sempre della salvezza di perso- misericordia (lj/ 30,2; 70,2; cfr. 32,18 ne sociali o individuali ed inoltre si ri- s.; 33,8; 85,13), e la ricostituzione del feriscono quasi sempre alla salvezza da rapporto con Dio turbato colpevolmente situazioni provocate dalla volontà ostile dall'uomo diventa il fatto proprio della di persone. Quanto sia ovvia questa con- salvezza: perciò l'uomo pio prega: «Salcezione personalistica della salvezza si vami da tutti i miei peccati!» (ljJ 38,9; vede dal fatto che Mosè osa rivolgere a dr. 39,13 s.; 78,9). Dio il rimprovero di una mancata salvezza: «Da quando sono andato dal Faraod) Sotto l'aspetto linguistico, da quanne a parlare in tuo nome egli ha trattato to abbiamo detto consegue che i molti male questo popolo. Ma tu non hai sal- significati della parola nel mondo greco vato il tuo popolo» (Ex. 5,23; cfr. 3 si riducono nei LXX quasi esclusivamenJ\facb. 6,II ). te al concetto di 'salvare'. Infatti, per la concezione volontaristica e personalic) Se la salvezza significa il manteni- stica della salvezza, per la quale la salmento dell'uomo nella sfera della pre- vezza si riferisce sempre all'intenzione senza salvifica di Jahvé, l'uomo deve di colui che opera, necessariamente vencorrispondere alla salvezza con la fede gono del tutto meno le differenze tra in Jahvé. Perciò è detto: «I padri spe- proteggere, aver cura, difendere e conrarono e tu li salvasti» (ljJ 21,5.9); «egli servare, da un lato, e dall'altro salvare, salva coloro che lo temono e sperano liberare, redimere, perché esse esprimonella sua misericordia» (ljl 32 118 s.; 33, no in modo puramente esteriore la situa8 ). Perciò anche la mancanza di fede si zione concreta dell'uomo da salvare, ma manifesta come negazione della possibi- non l'intenzione del salvatore, partendo lità salvifica di Jahvé: «Se il giusto è fi- dalla quale l'A.T. considera l'evento eglio di Dio, Dio lo assisterà e lo libererà spresso con puoµa.i. Inoltre si deduce dalle mani dei suoi avversari. Mettiamo- che (con l'unica eccezione di 3 Mach. 2, lo alla prova con oltraggi e maltratta- 32) mai nell'A.T. si trovano enunciamenti... Condanniamolo ad una morte ti relativi ad una salvezza compiuta con infame, perché, a sentire lui, egli lo pro- mezzi tecnici (rocca, mura, armi, danateggerà» (Sap. 2,18.19a.20; cfr. Is. 36, ro), che pure per i guerrieri d'Israele e14-20). Ma la concezione etico-religiosa rano altrettanto naturali che per quelli della salvezza va ancora più in profon- greci. Giacché, a differenza del pensiero dità. La fiducia che J ahvé salva deve a- magico-cosmologico greco, nel quale an· vere conseguenze etiche, non si può ac- che le cose possono avere una funzione compagnare alla disobbedienza alla sua autonoma, per il pensiero volontaristico volontà. Donde le affermazioni che Jah- e personalistico derivante dalla fede vevé salva solo l'innocente (lob 22,30; dr. terotestamentaria in Dio le cose sono talmente strumenti di colui che opera, I Mach. 2,60), il giusto (tV 33,20; cfr.
1013 (vr,1002)
~uoµa~
B n 2d - III 3 (W. Kasch)
che non spetta più loro alcuna funzione, e pertanto neppure una qualificazione salvifica 6 •
III. Nel Nuovo Testamento I. Se si considera l'uso del vocabolo nel N.T., innanzi tutto stupisce la scarsa sua presenza. Nei vangeli compare solo in Mt. 6,13 (nella preghiera del Pater), in Mt. 27,43 come parola di scherno dei capi giudei e in Le. l,74 nel cantico di Zaccaria. È usato tre volte nella Lettera ai Romani (7,24; rr,26, 15,31), tre volte in 2 Cor. l,10, una volta ciascuno in Col. l,13; I Thess. 1,10; 2 Thess. 3,2; 2 Tim. 3,xr; 4,17.18; 2 Petr. 2,7 .9. In confronto a
Soltanto nella poesia sapienziale si trovano passi in cui la salvezza non viene ricondotta, né direttamente né indirettamente, a Dio, ma è trattata come frutto dell'opera umana: Prov. 6,31; 13,17; 32,23; 23,14; 24,n; Ecclus 40,24. Ripetutamente al posto di Jahvé troviamo la sapienza (Prov. 2,12; Sap. 10,6.9.13.15) o la giustizia (Prov. 10,2; n,6; 12,-6), che salvano gli uomini. Infine qui appare una comprensio6
(vr,1003) roq
zione di \jJ 21,9 e Sap. 2,13.18.20, che qui come nell'A.T. deve rendere chiaro il comportamento blasfemo degli oppositori attraverso un insulto posto sulle loro labbra. Le. I ,73 s.: opxo\I Sv wµol7E\I •.• 'tOU Souva.L 1Jµi:v ... h. XELpÒc; ÉX~PW\I pwitÉv-ra.c; À.a'tpEUEW a.ù-.<;i, «il giuramento che giurò ... di concedere a noi che ..., liberati dalla mano dei nemici, lo serviamo», si riallaccia, per l'affermazione circa la salvezza, a Il; 17,1 (cfr. 3 Mach. 6,10; 2 Ba.
spetto il significato di puoµaL nel N.T. viene allargato, nel senso che si ricorre a questo vocabolo per definire dati di fatto escatologici. Cosl è detto in Mt. 6, l 3 : &.À.À.à pu17a.L iJµ~ ànò 'tOU 1t0\11]pou, in Rom. 11,26: -qt;EL Èx :Etwv ò pu6µevoc,, àTCOO''tpÉ\jJEL IÌO"EPElac; IÌ1tÒ 'Iaxw~. in Col. I ,I 3: Se; ÈppVO"O.'tO 1}µéic; ÉX 'tljc; E:!;ouo-lac; 'tOU O"XO"t'OVc; xa.t µEi:icr-.riO"E\I dc; i:1]v Pao'LÀ.Elav 'tOV utoO -tfjc; ne spiritualizzante e individualistica della salvezza, che altrove è sempre estranea all'A.T.: ({Non fare violenza al misero, perché egli è povero, e non rendere ingiustizie al debole in giudizio. Giacché il Signore terrà il suo giudizio e tu salverai la tua anima (soltanto) se è immacolata» (Prov. 22,22 s. LXX; dr. Prov. 14, 25; 23,r4).
pvoµa.~
1015 (VI,l oo3)
B 111 3 (W. Kasch)
Thess. I,Io: 'll]crouv 't'Òv pu6µEvov 1}µ1ic; tx -rijc; òpyijc; 't'i'jc; ~pxoµivric;, in 2 Tim. 4,I8: pvoncx.l µE oxvptoc; à.nò 7tcx.v-çòc; ~pyou 1COVl]pou xcx.L
7
Cfr.
I
~ KUIIN .218-2:ir. I QpHab 8,1-3 dice che Dio sal-
s·eos1 ad es.
va dalla casa del giudizio, il commento a Michea 1,5-7 in I QpMi [DJD I 78,8-10] parla degli «eletti (di Dio, che adempiono la legge) nella comunità dell'unione, che saranno sal·
{v1,roo4) 1016
prensione della salvezza si rifanno ai passi teologicamente più centrali dd1'A .T. nei quali s'implora la salvezza dai peccati("' 38,9; 39,I3 s.; 78,9). Ma vanno oltre ad essi in quanto attribuiscono l'inclinazione umana a peccare non all'uomo stesso, bensl a quella potenza del male che regna in questo eone, la quale in vista dell'imminente definitivo conflitto vuole trascinare l'uomo alla rovina eterna e alla quale l'uomo non ha possibilità di resistere. È proprio questo il signifìcato dell'interrogativo di Rom. 7,
µE puG'E't'
24: ..le;
questo corpo di morte?», interrogativo al quale risponde Col. I ,I 3 : Dio, oc; Èp-
pvcra't'O 1Jµ(ic; b 'ti'jc; tçoualac; 't'ou o-x6't'ouc; xcxL µE't'Écr't'l]
Die Ha11dschrifte11ftmde am Toten Meer. Die Sekte von Qumran [19J8] .293).
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puoµo:t B III J (W. Kasch)
1017 (VI,1004)
maschile o come neutro 9 ) la richiesta a Dio della salvezza definitiva dalla potenza del male, la quale nel conflitto escatologico vuole precipitare l'uomo nel!'eterna rovina, da cui l'uomo non può difendersi. Ma con questa preghiera (e qui si conclude l'evoluzione del significato di puoµa;t) Dio non è riconosciuto soltanto come creatore, conservatore
9
Cfr. specialmente
~ LoHMEYER
q9-153.
(VI,1004) 1018
e salvatore dell'esistenza naturale e storica del suo popolo e di tutti gli uomini, bensl come l'eterno signore, che piega al suo servizio anche il male. Ma ciò significa che con questa preghiera di salvezza si compie la vittoria sul male nel riconoscimento della sua maestà e nel dono dell'accettazione della sua volontà. W.KASCH
crci~~cx:tov, crcx.~~cx:t'tcrµoc;,
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t
cra~Prt:tov, 1tapaCTXEUlJ
daismo : a) l'uso linguistico nel giudaismo palestinese ed ellenistico;
b) il sabato dall'epoca maccabaica fino alla redazione della Misbna; 2. il divieto di lavorare di sabato: a) le prescrizioni dei Giubilei e del Domento di Damasco; b) le prescrizioni degli scritti rabbinici; e) Ja sospensione del sabato in casi speciali; 3. la celebrazione del sabato: a) Ja celebrazione in casa; b) il culto sabbatico; e) il giudizio dei non giudei sulla celebrazione del sabato giudaico; 4 . l'anno sabbatico: a) l'usanza del maggese e il condono dei debiti ogni sette anni;
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SOMMARIO:
A. Il sabato nell'A.T.: r. origine del sabato israelitico; il sabato prima dell'esilio; 3. il sabato dopo l'esilio; 4. l'anno sabbatico. 2.
B. Il sabato nel giudaismo: r. l'evoluzione del precetto sabbatico nel giu-
rr6:~~ci.,.ov
1021 (vn,z) b) settimana e sabato cosmici.
C. Il sabato nel N.T. : r. il sabato giudaico nel N .T.; polemiche di Gesù sul sabato: a) i racconti sabbatici in Mc. e i paralleli di Mt. e Le.; b) le narrazioni sabbatiche nel materiale proprio di Le.; c) i racconti sabbatici in Io.; 3. il sabato in alcune comunità cristiane. D . Il sabato nella chiesa antica: r. sabato e domenica;
A I
l.I;!;. Lohse}
~
vu. 1.LJ ..1..u""
2. la settimana giudaica nella chiesa cristiana; 3. il sabato nel giudeo-cristianesimo.
2. le
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A. IL
SABATO NELL'A.T.
r . Origine d~l.iuabato israelitico ,.
·s
Il contenqto del precetto sabbatico si è venuto modificando nel corso dei secoli; ma il precetto si trova in tutte le fon-
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E. ScHiiRnR, Die siebentiigige Woche im Gebrauch der christl. Kirche der ersten Jahrhun-
xo23 (VII,2)
O'u~~CX't'OV
ti scritte della legge attribuita a Mosè: Ex. 34,21 (J); Ex. 23,12 (E); Ex. 20,8u e Deut. 5,12-15 (Decalogo); Lev. 23, 1-3; 19,3; 26,2 (Legge di santità); Ex. 31,12-17; 35,1-3 (P) 1• Nessun altro precetto dell'A.T. ritorna con altrettanta frequenza, e già da questo fatto si può dedurre l'alta antichità del precetto sabbatico. Ma dove ne cercheremo l'origine?
A
I
(E. Lohse)
(vu,3) 1024
nilunio, con la sospensione del lavoro, perché quel giorno era considerato infausto e perciò si trascorreva in penitenza e in preghiera come t2m nufJ libbi, «giorno di riposo del cuore» (degli dèi)3. Il plenilunio si chiamava shapattu, termine la cui etimologia e il cui significato non sono ancora stati chiariti 4 • Ci si chiede, dunque, se tra lo shapattu babilonese e il sabato israelitico vi sia qualche rapporto.
Nonostante le molte discussioni, il In Babilonia lo shapattu non si celeproblema nel quadro della storia delle religioni rimane tuttora insoluto. Paral- bra ogni settimana, come il sabato israeleli del precetto sabbatico si trovano litico; la sua ricorrenza è legata al cinell'antica Babilonia. Da un canto i gior- clo lunare e, come i settimi giorni, si ni 7.14.(19.)21 e 28 dei mesi di Elul e presenta quale giorno di penitenza per di Marcheshwan risultano infausti, e in via di una serie di tabù e di proibizioni. essi vanno osservate le seguenti prescri- Invece il sabato israelitico torna regolarzioni: «Il pastore dei grandi popoli non mente ogni sette giorni, indipendentemangerà carne cotta sulle braci né pane mente dal ciclo lunare 5 e il suo signifìabbrustolito. Non indosserà (abiti) pu- ficato non si riduce affatto a quello di un liti. Non offrirà un sacrificio. Il re non dies nefastus carico di tabù. Perciò tra viaggerà su un cocchio. Non parlerà in sabato israelitico e shapattu babilonese veste di sovrano. Nel luogo dell'arcano non si può dire che esistano dei rapporti l'aruspice non farà parola. Il medico non diretti. Tuttavia è possibile che - per porrà la mano su alcun malato. (Il gior- tramiti che noi non conosciamo - il suo no) non si presta all'esecuzione di un nome sia derivato dal babilonese shaprogetto. Di notte il re porterà il suo pattu, anche se neÙ'A.T. il termine sabdono ai grandi dèi, offrirà un sacrificio: bàt è stato inteso regolarmente come allora l'elevazione della sua mano sarà giorno di riposo e non come giorno negradita a Dio» 2 • D'altro canto, in Babi- fasto 6. Le tribù israelitiche devono aver lonia il 15 del mese si celebrava il ple- adottato il nome in un tempo assai rederte; ZNW 6 (r905) 1-66; C. W. DuGMOll.B, The Influence o/ the Synagogue 11po11 the Diville Office (1944) 26-37. 1 Cfr. --.+ BuooE, Sabbath 203. i A.O.T. 329. l Si tratt~ probabilmente di placare il cuore degli dèi con sacrifici e preghiere. Cfr. --.+ HEHN, Sabbat/rage 201. 4 Cfr. T . G. PINCHES, Sapallt1, the Babylonia11 Sabbath: Proceedings of the Society of Biblica! Archcology 26 (1904) JI-56; -+ Z1MMERN 199-202.458-460; recentemente ~ ]ENNI
n. 19.
II
5 I ripetuti tent11tivi fatti dal Meinhold per mostrare come il sabato sia la festa del plenilunio, sono stati confutati dalla risposta di ~ BunnE e vanno considerati come falliti: «Non vi è alcun passo dell'A.T. in cui il sabato appaia come plenilunio~ (~ BUDDE, Antwort 145). I passi di Ex. 34,21 (J) e Ex. 23,12 (E) attestano sicuramente che già negli antichi tempi il sabato ricorreva ogni sette giorni; in entrambi infatti il verbo 1bt è usato ool valore denomin11tivo di osservare il sabato; cfr. BUDDE, Antwort x43. 6 Cfr. B. STADE, Bibl. Theol. des A.T. 2 (x905) x78. Originariamente il verbo 1bt significa so-
1025 (vn,3)
ua~~a·w.i
A
moto, probabilmente già prima dell'epoca mosaica 7 • Che gli Israeliti abbiano mutuato il sabato dai Cananei 8 è da escludere, se non altro perché presso questi ultimi non v'è traccia di un sabato 9 • Del tutto problemati~o è pure supporre che il sabato sia giunto in Israele passando· attraverso i Keniti 10• Iri ogni caso è certo che il significato e la portata del sabato nell'A.T. non si possono spiegare partendo da modelli babilonesi o di altra matrice extra-israelitica, ma solo e unicamente sulla base della fede d'Israele in Jahvé 11 •
I-2
(E. Lohse)
\ VllAJ
lU:.<.O
potesse essere osservata già da nomadi. Perciò l'osservanza del sabato sembra risalire ai primi inizi della religione jahvistica 13•
Il precetto sabbatico prescrive il riposo assoluto. Questa norma non presuppone necessariamente un'economia rurale 12, quale in Israele si ebbe dopo l'insediamento nella terra; è invece del tutto possibile che una tale disposizfone
Il precetto sabbatico è ben radicato nelle due redaziçni del Decalogo conservate dalla tradizì,çne. Perciò si deve ammettere che essd~'iii origine, nella serie delle proibizioni categoriche, 'ricevesse una formulazione parimenti. negativa con la proibizione di eseguire qualsiasi lavoro in giorno di sabato 14• Secondariamente il divieto di lavorare sembra essere stato trasformato nel comandamento positivo di santificare il sabato 15, comandamento più tardi arricchito di abbondanti giustificazioni. Queste sono variamente formulate in Ex. 2o e Deut. 5. In Ex. 20,8-à la motivazione echeggia il racconto sacerdotale di Gen: 2,2 s. e ricorda come Jahvé in sei giorni abbia creato il cielo e la terra, il mare e tutto
spendere il lavoro. Cfr. KoHLER-BAUMGARTNl!R, s.v. sbt; ~ }ENNI 28. 7 Cfr. ~ PROCKSCH .544; a Cosi F. DELITZSCH, Babel u. Bibel' (1905) 65; ID., Die grosse Tiiuschung r (1920) 99 s.; -7 EISSFELDT 553. ~ Cfr. ~ BunuE, Sabbath 205. I()~ EERDMANS 79-83; ~ BUDDE, Sabbath 268-270; L. KoHLER, Der Dekalog: ThR N.F. r (1929) i8o s. Recentemente si sono occupati del problema ~ RowLEY I05)-II4; --> NoRTH 198 s. Il passo di Am. 5,26 (dove· potrebbe forse trattarsì del giorno o dell'adorazione di Saturno) non si può prendere come prova, attesa l'incertezza testuale. Ex. 35,3 poi (dr. anche Nmn. 15,32), dove si proibisce di accendere il fuoco di sabato, è di origine sacerdotale, cosl che non se ne possono trarre conclusioni per l'epoca più remota. Richiamandosi a H. WEBSTER, Rest Days (r911), ~ JENNI i2 s. cerca di mostrare che il sabato deriva dai giorni di mercato regolarmente ricorrenti; ma egli stesso ·deve ammettere èhe tra le· popolazioni intorno ad Israele di tali mercati settimanali non si ha l'attestazione (13). Inoltre Am. 8,4 s.
fascia intendere che commercio e scambi erano proibiti già nell'antico Israele, per modo che era impossibile che di sabato si tenesse il mercato. 11 ~ TuR-SINAI 14-16 amtesta che vi sia una qualsiasi connessione tra sabato e shapallu ba· bilonese e ritiene «che il sostantivo Japattu, in quanto nome di un determinato giorno, venne probabilmente assunto da un dialetto prossimo all'ebraico e immesso nel calendario assiro-babilonese» (I j). 12 Cosi ~ WELLHAUSEN n5; B. STADE, op. cit. (--> n. 6) 176 s. e alui. 13 Anche ~ RowLEY n7 ritiene probabile che il precetto sabbatico risalga ad epoca anteriore a Mosè. 14 Cfr. A. ALT, Die Urspriinge des israel. Rechts, in Kleine Schri/ten zur Geschichte· des Volkes Israel I (1953) 317-321. Anche le proibizioni assolute del diritto apodittico - a differenza di quello ~asuistico - lasciano capire che il precetto sabbatico non può esser stato mutuato dai Cananei. Cfr. A. ALT, . op: cii., 323.330. l5 Cfr. ALT, o.e.(~ n. 14) 321 n. i; 331 n. x.
2.
Il sabato prima dell'esilio
o-6.~~a.i:ov
A
ciò che vi si trova, e come nel settimo giorno si sia riposato e abbia cosl benedetto e santificato il sabato (v. n) 16• Nel testo parallelo in Deut. 5,I2-r5 11 I. ancor più che in Ex. 20, ro si sottolinea che del riposo sabbatico devono fruire non solo l'israelita e la sua famiglia, ma allo stesso modo anche gli schiavi e gli animali domestici: «Il tuo schiavo e la tua fantesca riposino come te» (v. 14; cfr. Ex. 23,12). In questa frase si esprime il momento sociale, che prende spicco anche in altri passi del Deuteronomio 18• 2. In Deut. 5,I5 il precetto del sabato non viene fatto risalire all'opera creatrice di Jahvé e al riposo da lui tenuto nel settimo giorno, ma si rammenta che Israele è stato schiavo in Egitto e che di là Jahvé lo ha tratto con mano forte e braccio disteso 19 : «per questo Jahvé ha comandato di osservare il sabato» (v. l 5 ). Il fondamento del sabato, dunque, si trova nella storia d'Israele, che ha fatto l'esperienza del riscatto operato dalla mano di Dio. Come Jahvé ha liberato il popolo dalla schiavitù d'Egitto, cosl anche lo schiavo deve, di sabato, esser libero dal suo lavoro 2fJ. In tal modo i doveri verso Dio e verso il prossimo vengono saldati in una unità indissolubile 21 • 16
Qui però invece di Jiibat, come in Gen. 2,
2 s., si usa il verbo 11uaf;. Le opere della creazione sono il cielo, la terra e il mare; quest'ul· timo non è invece menzionato in Gen. 2,I. l7 La motivazione in Deut. 5,15 è fatta in chfa. to stile deuteronomistko; perciò non vi è ragione di togliete dal Deuteronomio il precetto sabbatico e tutto il decalogo, per assegnarlo all'epoca post-esilica, come fa ~ MEINHOLD, Sabbat u. Wocbe 38; cfr. anche ~ BUDDJ~, Antwort 128 e passim. Si confronti: «ricorda· ti» (7,18; 8,2.18; 9,7; 16,3; 24,9; 25,17); «Che sei stato schiavo in Egitto» (15,15; 16,12; 24, 18.22); «con mano forte e braccio disteso» (4, 34; 6,21; 7,8.19; 9,26.29; u,2; 26,8); «Jahvé, tuo Dio, ha comandato» (r,r9 2,37; 4,5.23; 5, 3:i (29]; 6,1 .20; 13,6; 20,17). Cfr. ~ RowwY
2
(E. Lohse)
Secondo il decalogo cultuale jahvistico il precetto del riposo sabbatico si estende espressamente anche al tempo dell'aratura e del raccolto, nel quale l'interruzione del lavoro risulta particolarmente pesante (Ex. 34,21 ). Il Codice dell'alleanza prescrive che ogni sette giorni l'israelita riposi e prenda fiato, e insieme con lui anche il suo bue, il suo asino, il figlio della sua schiava e anche il forestiero (Ex. 23,I2). Nelle antichissime notizie riportate nell'A.T. al di fuori del corpus legislativo, sabato e novilunio vengono spesso nominati insieme, essendo gli unici giorni festivi che tornano regolarmente durante tutto l'anno (Am. 8,5; Os. 2,r3; Js. 1,13; 2Reg.4,23) 22 • Di sabato (come anche nel novilunio) non si potevano concludere affari (Am. 8,5), nel tempio venivano offerti doni e sacrifici (1s. I ,I 3) e si celebrava una festa di gioia (Os. 2, 13). Il giorno di riposo offre la possibilità di percorrere un lungo cammino per raggiungere Un uomo di Dio (2 Reg. 4, 2 3 ). È in giorno di sabato che il sommo sacerdote Jojada pone fine alla tirannide di Atalia con una sommossa nel tempio di Gerusalemme e mette sul trono Joas (2Reg. n,5.7.9). Il narratore non sem· 85 n. 2 . 1s ar. Deut. r2,12.r8; r6,11s.14 ecc.: anche gli schiavi devono prendere parte alle feste in onore di Jahvé. · 19 Questo accenno è frequente nel Deuteronomio;~ n. 17. 20 ~ }ENNI 15-19. 21 EICHRODT, Theol. A.T. I 5 38. 22 Anche in seguito novilunio e sabato sono spesso accostati: Is. 66,23; Ez. 45,17; 46,r; Neem. 10,34; I Par. 23,31; :1. Par. 2,3. Questo accostamento non autorizza a trarre illazioni di sorta per il problema dell'origine del sabato, poiché il sabato nominato accanto al novilunio non può indicare il plenilunio. Cfr. 4
n.5.
1029 (VIIA)
cra~~CX.'tOV
A 2-3 (E. Lobse)
bra per nulla scandalizzato dal fatto che questa sollevazione violenta costitul una profanazione del sabato ( 2 Reg. II) 23 . Ciò mostra che nell'antichità il comandamento dell'astensione dal lavoro non era ancora inteso con quel rigore che gli avrebbe attribuito l'interpretazione successiva. Tuttavia è certo che già prima dell'esilio il sabato, al termine della settimana, era osservato come giorno di riposo stabilito da Jahvé e a lui consacrato 24• 3. Il sabato dopo l'esilio
La comunità di Jahvé deportata in esilio si trovò nella necessità di distinguersi da quelli che professavano altre fedi, e per farlo pose un accento particolare sui due tratti distintivi che le erano rimasti per assicurare l'appartenenza al suo Dio. Da allora insieme con la circoncisione il sabato assunse una grande importanza; ma solo Israele, a differenza dei gentili, ogni sette giorni "Considerò il sabato come giorno consacrato al suo Dio. Perciò Ezechiele dice che il sabato è un segno tra Jahvé ed Israele, «affinché si riconosca che sono io, Jahvé, quello che li santifica» (Bz. 20,!2, cfr. v. 20). Il profeta giunge anzi ad affermare che proprio la profanazione del sabato è la causa della sciagura occorsa al popolo (Ez. 20,13.16.20.24; 22,8.26; 23,38; cfr. 2 Par. 36,21). Perciò alla comunità si raccomanda con particolare insistenza il dovere di osservare le feste e di santificare i giorni di sabato (Ez. 44,24). In 21
Cfr. ~ MEINHOLD, Entstehtmg 84; ~ Io., Sabbathfrage II r23. 2~ Una rassegna dei testi in ~ CANNON 325327· 25 In Gc11. 2,2 il testo ebraico dice che Jahvé nel settimo giorno terminò le sue opere e si riposò da esse; ìnvece secondo i LXX Dio compie la creazione già nel sesto giorno, e cosl si
attesa del tempo nel quale si potranno di nuovo offrire sacrifici nel tempio, si prescrivono accuratamente il numero e le modalità dei sacrifici da offrire in sabato (fa. 45,q; 46>4 s.). La legislazione sacerdotale ribadisce l'importanza del precetto sabbatico, proclamando anch'essa che il sabato è un segno tra Jahvé ed Israele (Ex. 31,14 s.; 35,2). Il sabato dev'essere santificato da Israele come un'istituzione salvifica valida per l'eternità (berlt 'olam: Ex. 31, 16). «In sei giorni, infatti, Dio ha creato il cielo e la terra, ma nel settimo si è riposato e ha preso fiato» (Ex. 31,17). Egli ha benedetto e santificato il settimo giorno (Gen. 2,1-3) 25 • Il sabato, quindi, non viene dedotto dall'esperienza della manna, di cui Israele si cibò nel deserto (Ex. 16,22-30, P), ma risponde al volere divino fin dalla creazione. È questo volere che viene manifestato ad Israele sul Sinai, quando il sabato gli è dato come segno che è stato Jahvé a santificare il suo popolo (Ex. 31,13). Il sabato significa quindi un beneficio divino, che rammenta assiduamente come Jahvé abbia scelto e santificato il popolo 26 • Dopo l'esilio il severo precetto di tralasciare di sabato qualsiasi lavoro viene precisato meglio nei particolari. In giorno di sabato è probito accendere il fuoco (Ex. 35,3), portare pesi (Ier. 17, 21 s. 24.27), commerciare (Neem. ro, 32), pigiare, caricare bestie da soma o tener mercato (Neem. 13,15-22),percorrere lunghe distanze e concludere affari evita anche il più piccolo sospetto che il giorno di riposo sìa stato pregiudicato da qualsivoglia lavoro. Cosl anche in Iub . .2,16. 26 Il precetto assoluto di salv.aguardare la santità del giorno tralasciando qualsiasi lavoro vale per il sabato di ogni settimana e anche per il giorno dell'espiazione, che in Lev. 23,32 è detto labbat labbiiton.
1031
(vn,5)
cra~~ct'tOV
A 3-4 (E. Lohse)
(Is. 58,13) o profanare in qualsiasi modo il giorno sacro (Is. 561 2). Il richiamo ad un esempio che viene variamente proposto serve a inculcare la serietà del precetto: un uomo che di sabato aveva raccolto legna nel deserto venne punito con la morte decretata da Jahvé (Num. l5,J2-36, P). Vuol dire che, se si ha bisogno di qualcosa per il sabato, lo si deve raccogliere e allestire il giorno innanzi (Ex. 16,22-26.29), giacché il sabato è il santissimo giorno di riposo di Jahvé (Ex: 35,2), che viene solennemente celebrato nel ·santuario (Lev. 23a2; cfr. Ez. 46,r). Ogni sabatò si rinnovano i pani ·della· proposizione (Lev. 24,8; I Par. 9,32) e vengono offerti due agnelli senza macchia, d'un anno, unitamente ai relativi sacrifici di oblazione e libagione (Num. 28,9 s.). I cantotì intonano il Ps. 92 partendo dal v. r n. Nella comunità postesilica il precetto sabbatico diviene la prescrizione più importante della legge divina. Dire che Dio ha dato ad Israele la legge o che gli ha ingiunto di santificare il sabato è quasi la stessa cosa. Chi santifica il sababato e lo proclama sua gioia si procura la benevolenza di Jahvé (Is. 58,13 s.). Chi aderisce al patto e fa la volontà di Dio si guarda bene dal profanare il sabato (Is. 56,1-7), poiché l'amore del nome di Jahvé e la fedeltà al suo patto si dimostrano col rispetto zelante e puntuale della legge, il cui precetto supremo è la sacra osservanza del sabato. 4. L'anno sabbatico Come, dopo sei giorni, la settimana si chiudeva col sabato, cosl nell'A.T. vi 27 Per i sacrifici sabbatici cfr. inoltre I Par. 23, 31; 2 Par. 2,3; 8,13; 31,3. 28 ·Per l'onno sébbatico cfr. ora -> CoRRENs, con ampia bibliografia; H. WILDllERGRR, Israel 11. sein Land: EvTheol 16 (1956) 404-422; E. KuTSCH, art. 'Erlassjahr', in RGG3 II 568 s.;
(vn,6) 1032
è un altro sabato, che viene osservato al termine di ogni ciclo di sei anni 28 • Ogni settimo anno il 'suolo ·d'Israele doveva rimanere a riposo: non vi si lavorava né vi si raccoglieva. Questa istituzione sembra aver avuto origine al tempo dell'occupazione della Palestina e, a quanto pare, inizialmente significò che, ogni settimo anno, avveniva l'annullamento completo degli impegni giuridici e dei debiti esistenti, e che ·per sorteggio ·i fondi e il terreno venivano ridistribuiti ai singoli gruppi familiari 29• La più antica redazione del precetto del maggese sacrale si twva nel Codice dell'alleanza (Ex. 23,rns.): in ogni settimo anno si rinuncerà ai prodotti del suolo, affinché - dice la motivazione i poveri del popolo abbiano di che mangiare. Nel Deuteronomio una disposizione dell'antico diritto divino 30 stabilisce: «Al termine di sette anni farai atto di remissione» (Deut. 15,1). E il precetto viene poi illustrato con spiegazioni in forma predicatoria, le quali specificano che nel settimo anno ai poveri vanno rimessi i prestiti ( vv. 2-u ). Più tardi i brevi ammonimenti del Codice dell'alleanza riguardo all'anno di maggese vengono specificati meglio nella Legge di santità, dove sono collegati con disposizioni prese dal precetto sabbatico (Lev. 25,1-7): nel settimo anno tutta la terra celebrerà un sabato in onore di Jahvé (Lev. 25,4) e si sospenderà ogni semina e ogni raccolto. Quel che il suolo produrrà spont:meamente nel tempo di riposo servirà da nutrimento agli Israeliti, ai loro schiavi e schiave, ai salariati e ai residenti (Lev. 25,6) 31• Nella Legge di santità alle precisazioIn., Erwiigunge11 zur Geschichte der Passafcier u. des Massot/estes: ZThK 55 (1958) 25-28. 29 Cfr. ALT, o.e. (-> n. 14) 327 s. 30 Cfr. G. v. R.An, De11teronomiumstudien1 FRL 58 (1947) IO. Nell'A.T. l'anno sabbatico è ricordato on-
31
1033 (vn,6)
c;6:~~a-.ov A 4 - B
rn (E. Lohse)
(VII,7) 1034
ni sull'anno sabbatico se ne aggiungono sione, che Dio ha stretto un patto con altre riguardanti l'anno giubilare (Lev. la sua comunità. Dappertutto, per indi25,8-55) 32, che doveva tenersi ogni cin- care il settimo giorno, si conserva i! noquantesimo anno, al termine di sette me 'Sabbiit trasmesso dalla legge 33, anche settimane di anni. In questa ciicostanza se esso non indica solo il. giorno di satutti gli Israeliti finiti in schiavitù dove- bato, ma anche il periodo che intercori-e vano ricuperare la libertà e tornare cia- tra un sabato e l'altro, quindi tutta la scuno al suo fondo e alla sua terra. Que- settimana 34 • Anche la forma aramaica ste disposizioni, che riprendono, in par- · 5abbctà' designa tanto il giorno quanto te, brani di tradizione inizialmente rela- la settimana 35 • Il giorno precedente vien tivi all'anno sabbatico, offrono un qua- detto 'ereb 5abbiit, 'vigilia del sabato' 36 • dro artificioso e hanno un significato pu- La notte dal sabato al primo giorno delramente teorico, poiché in effetti un Ja settimana e questo stesso primo gioranno giubilare non venne mai celebrato. no son detti mo~ii'é Jabbiit, 'uscita dal sabato' 37, mentre gli altri. giorni sono indicati col numero progressivo 38• B. IL SABATO NEL GIUDAISMO r. L'evoluzione del precetto sabbatico nel giudaismo
a)L'uso linguistico nel giudaismo palestinese ed ellenistico Nella diaspora non meno che in Palestina H giudaismo si mostra convinto che nella diligente osservanza del precetto divino del sabato Israele si pone in .sintonia con la sua elezione tra tutti i popoli e che tale osservanza gli rammenta assiduamente, anche nella dispercora in Neem. 10,32 e 2 Par. 36121. 32 Per l'anno giubilare cfr. A. JIR1m, Das isr. Jobeljahr, in R. Seeberg-Festschr. u (1929) 169179; N. M. N1cOLSKIJ, Die Entstehung des ]obe/jahres: ZAW 50 (.1932) 216; ALT, o.e. (-4 n. 14) 328 n. r; C. H. GoRDON, Sabbatical Cycle or Seasonal Pattem?: Orientalia 22 (1953) 79-81; R. NORTH, Sociology of the Biblica[ Jub;/ee, Analecta Biblica 4 (1954). 33 3~
Cfr.
STRACK-BILLERBECK I 610 s.
Cfr. i testi in STRACK-BILLERBECK r 1052 s.: kl jmwt hibt, «tutti i giorni della settimana» (Gen. r. n[8b] a 2 13); bkl bibt, «durante tutta la settimana» (Ned. 8,r). Cfr. anche S. KRAuss, Talm11dische Archiiologie II (19II) 422 s. 3S Testi in DAI.MAN, Gramm. 247 s. 36 Per es-. Shab. 2,7; 19,1 ecc.; in aramaico 'rwbt swb', oppure 'rwbt'; cfr. i testi in
Nella diaspora i Giudei di lingua greca conservano il termine ebraico, grecizzato in o-&f3f3a.'tOV. Quando si vuole spiegare ai Greci il significato dell'.epraico, al posto di o-&f3[3oc'toV si dice .:&:vcf· 7taucnc;, 'riposo', poiché «quello çhe ·in ebraico si chiama O'ocf3[3a-.ov signific~ il riposo da ogni tipo di lavoro» ('tÒ µà'.1 YtXP rTocf3f3a'tOV Xct't'à. 't''Ì}V 't'WV 'Iouolilwv oLaÀ.e:x't'ov àv&:mx.vo-lc; È
in
STRACK-BIL-
della settimana in Shab. b. 156a: bpd _bJb' {nel 1° giorno della settimana); btrj bsb' (nel 2° giorno... ); .bilt' bSb' (nel 3° giorno ... ); b'rb" bib' (nel 4° giorno ... ); bl;m1' b1b' (nel 5° giorno ... ); bm'li 1bt' (nella vigilia del sabato); bJbt' (nel sabato). Altri testi in DALMAN, Gramm. 247 s.; STRACKBILLERBECK J 1052; ~ ScHiiRER, Die siebentiigige Woche 3-8. 39 «Dapprincipio alt~~a'ta non er(l un plurale; non è altro che l'ebraico sabbiit; la terminazione -a per sé non è che un'aggiunta fonetica, determinata dalla necessità di far sentire il -t ebraico nella finale del greco» (E. SCHWYZER, Altes u. Neues ZII [ heb1'.-] griech. a&.~~u-.a., [ griech.·] lai. sabbata, usw: Zschr
ro35 (vn,7)
cr
B ra (E. Lohsc)
si significati: I. spesso designa vari sabati; ad es. Èv 'toi:ç cra.f3f3a:cot<; xa.1. iv -.a.i:<; vouµ11vla.tç, «nei sabati e nei noviluni» (Ez. 46,3 LXX); dr. pure Is. r, 13 LXX; 2 Par. 31,3; Flav. Ios., ant. 3, 294; x2,276 s.; 13,252. 2. Spesso, nonostante la forma plurale, -tà. crà.{3f3a.-ta. indica anche un solo sabato; ad es. Ex. 20,IO LXX: 'tTI OÈ 'ÌJ!LÉP't 't'TI èf3o6µn cr~f3f3a'ta. xupl({.l 'téi) i>e<';> crou, «nel settimo giorno, sabato, in onore del Signore tuo Dio»; Flav. Ios., ant. 3,143: 'tlJV
yà.p Èf3o6µ'l'}v 1)µipa.v cr
(vn,8) ro36
µ1) (1]µÉpa.) viene ad essere l'equivalente di crci.(3(3a.'tov (cfr. Gen. 2,2 s. LXX; Ex. 16,26 s. ecc.); Flav. Ios., ant. 3,237: xoc'tOC oÈ ~(3S6µ'r)v 1JµÉpa.v, i)'tt<; utX.(3{3ct..'toc xa..Àei:-ra.~ (cfr. ant. 3,143}; Philo, Abr. .2.8: 'tlJV é(3o6µ'T)v, iJv 'E(3pai:oi crtX.(3f3oc'ta xaÀouaw (cfr. anche Philo, mut.
nom. 260; spec. leg. 2,41.86 e vit. Mos. 2,209.215.263). Il termine -li ~f3ooµ
Il giudaismo, dunque, per designare il giorno di riposo stabilito da Dio si
ua.f3f3&...wv) 41 • La vigilia è detta 'ltpocrci.f3{3a.-.ov (Iudith 8,6), Ti 7CpÒ -.oO CT('l.f3f3!i"t'OU (Flav. los., ant. 3,255 s.) oppure 'lt('l.pa.
serve di un uso linguistico coerente, nel quale il termine sabbiit, preso dalla legge, si conserva stabilmente sia in Palestina sia nella diaspora; con ciò esso mostra che le comunità giudaiche disperse per il mondo hanno coscienza di essere tra loro unite e fuse grazie al precetto divino del sabato +i.
fiit vergleichende Sprachforschung 62 [1935] ro). Nella pratica, poi, "tà cr&.~~IX"l'tt è sentito come plurale dei nomi greci di feste, che designano le feste «con tutti gli annessi e con· nessi:. (SCWHYZER, Griech. Grammatik II 43 con n. 5). Al dativo si usano indifferentemente le forme "tori; ua~~acrw (I Mach. 2,38; Flav. Ios., tml. 13,337; 16,153; vii. 279) e "l'Oiç O'CL~ ~&."toi.ç (Num. 28,10, LXX; 2 Par. 2,J; usuale nei LXX; inoltre F1av. Ios., ant. 3,294; rr,346; 12,.p76 s.; 13,252; beli. 1,146); dr. STRACKBILLEKBECK I 610 s.; PREUSCHEN·BAUER~, s.v. 40 Nei LXX per indicare la settimana si dice anche Ti É~lioµ&.ç; ad es. Lev. 23,r5 s.; 25,8 ecc. 41 \.fr. anche Lev. 23,32 LXX: aa~~a:tCL O"CL~-
Pa"l'w'V = giorno dell'espiazione; anche Philo, spec. /eg. 2,194. 42 Inoltre si usano pure le formule "l'Ò cr6;f3~ct· "O'V "1'1JPE~'V (lo. 9,16) e 1telPr1."1'1JpEW -rT)'V "l'W\I cra~f3&."t'w\I 'l'}µlpct\I (Flav. Ios., ani. 14,264). Cfr. SCHLATTER, ]oh. a 9,16. 43 Inoltre in Giuseppe si hanno le formazioni cra.~~CL"t'Efov (allt. 16,r64 = uno spazio desti· nato alla celebrazione del sabato; cfr. S. KRAuss, Synagogale Altertumer [1922) 25 s.; P. KATZ, Das Prob/em des Urtextes der Septuaginta: ThZ 5 (1949] 5 s. n. 6) e
'Tpao~
io37 (vn,8)
craf3f3a:t"O\I H Ib
b)ll sabato dall'epoca maccabaica fino alla redazione della Mishna
(.!'...
Lonse)
elezione; nessun altro popolo, infatti, è stato benedetto da Dio per osservare il sabato, tranne il solo Israele (Iub. 2,r9. 31; 50,9 s.). Il giorno di riposo, celebrato già dai padri 45 , consente di pregustare fin da ora quella gloria eterna che sarà un sabato senza fìne 46 • D'altra parte, gli effetti meravigliosi del sabato
sono tanto vasti, che nel settimo giorno persino gli empi nella geenna possono aver riposo dal loro tormento 47 • Perciò il peso del precetto sabbatico eguaglia quello di tutti gli altri precetti della legge messi insieme (Ber. ;. 1 [3c 14 s.J) e il premio assicurato da Dio per la sua fedele osservanza è particolarmente alto 48 • Qualora Israele osservasse anche due soli -sabati nella maniera prescritta, si sarebbe all'aurora della redenzione 49• Il precetto sabbatico, dunque, è il
ch'essi la circoncisione e il sabato quali segni del patto. Inoltre certi gruppuscoli giudaici, che nella diaspora si aprivano ad influssi sincretistici e perciò erano ben lontani dal giudaismo ortodosso, vollero nondimeno tener vivo il loro legame con Israele mediante l'osservanza del sabato. Ad es., in un'iscrizione della regione di Elaiussa in Cilicia (DITTENBERGER, Or. lI 573) il nome :ta.f3f3a.·ncr-cal designa un gruppo compatto, nn'associazione che ha per Dio ò i}Eòc; ò :ta.f3f3a-c~cr·d1c; (dr. KRAUSS, o.e. [---? n. 43] 27). Quest'associazione di 'cultori elci sabato' (1) ~-ra.~pda. -rwv :ta.(3(3a.·ncr-rwv) probabilmente era un gruppo ereticale giudaico, che adorava pure il dio Sabazio (dr. H. LmTZMANN, Geschichle der alten Kirche I '[ 1953) r66) e perciò si trovava ai margini del giudaismo, se non già al di fuori (cfr. J. LruPOLD, Das Ev. der Wahrheit: ThLZ 82 [1957] 829). Dal giudaismo sincretistico della diaspora viene anche la piccola setta degli !psistari, di cui si ha notizia in Asia Minore nel IV sec. d.C. Costoro mischiavano tradizioni giudaiche con concezioni dcl parsismo, adoravano il 'dio altissimo', osservavano il sabato e le prescrizioni relative ai cibi, ma respingevano la circoncisione. Cfr. Greg. Naz., or. 18,5 (MPG 35 [1857] 991 s.); G. BoRNKAMM, Die Hiiresie dcs Kol. , in Das Ende des Gese/1.es 2 (1958) 153-155. Infine, certe particolari idee circa il sabato si trovano tra i Falasha dell'Abissinia (cfr. J. HALÉVY, T~'hJ1.a Sanbat, lexte éthiopien publié et traduit [ 1902]), che ogni sette sabati ne celebrano uno con riti speciali. Per i Falasha, Sanbat, che è la personificazione del
sabato, è un'entità divina, il figlio di Dio vero e proprio che ha sede nel cielo, è imperituro cd eterno e ogni settimana discende a svolgere il suo ufficio tra gli uomini. Il venerdl sera si leva dal suo trono, preceduto da schiere d'angeli scende sulla terra e vi si trattiene fino al sabato mattina per 1a gioia dei pii. Indubbiamente qui ha esercitato il suo in.flusso il mito gnostico della discesa del redentore, che offre pure il modulo alle concezioni mandaichc su Habsabba, il primo della settimana, ed nlla sua discesa quale messaggero del mondo della luce. Cfr. L. TROJE, Sanbat, Beigabe III, in R. RErTZENSTEIN, Die Vorgeschichle der christ/icbe11 Tau/e (r929) 328-377; A. ADAM, Die Ps. des Thomas "· das Perlenlied als Ze11gnisse vorschristl. Gnosis, Beih. z. ZNW 24 (1959) 79· 41 Cfr. lub. 2,r9·24; Gen. r. u(8c); STR.ACKBrLLERBECK 1 200. 46 Cfr. i testi in STR.ACK-BILLl!RBECK IV 839 s. e VoLZ 384 s. In Ber. b. 57b si dice con più precisione che il sabato è un sessantesimo del mondo avvenire. 47 Sa11h. b. 65b; Gen. r. u(8b); altri passi in STRACK-BILLERBECK IV 1082 s, 43 Secondo R. Eliezct (c. 90) l'osservanza del sabato preserva da tre castighi: dai dolori del Messia, dal giorno di Gog e dal giorno del grande giudizio (Mek. Ex. 16,29 [59a)). Altri detti rabbinici sul premio riservato all'esatta osservanza dcl sabato in STRACK-BILLERBECK I 614 s.; IV 497.950.1067. 49 Cosi R. Shimon b . Johai (c. r50) in Shab. b. 118b bar.
Il sabato settimanalmente ricorrente
è per il giudaismo un segno della divina
a6.(3(3a-.ov B rb (E. Lohse)
1039 (vn,8)
cuore di tutta la legge 50 • Contro di esso sto terribile evento si decise che per mosse i suoi attacchi il re sito Antioco l'avvenire sarebbe stato consentito di Epifane, quando vietò non soltanto i sa- prender le armi anche di sabato, qualocrifici a Gerusalemme, ma anche l'osser- ra ci si dovesse difendere (I Mach. 2,39vanza del sabato e con essa la professio- 41) 52 • Ma continuò a considerarsi proine pubblica della fede giudaica (I Mach. bito l'attaccare di sabato 53 • Certi giudei, 1,39.44 s.). Ciò comportava che d'allora che prestavano servizio in corpi straniein poi «non era permesso né celebrare ri, si rifiutarono di attaccare in giorno il sabato, né osservare le festività pa- di sabato (2 Mach. 15,1-5). Per questo i trie, né, in breve, professare di essere Romani rinunciarono ad arruolare i Giugiudeo» ( 2 Mach. 6,6: flv o'OU'tE 11aB- dei 54• Ma più tardi talvolta si ritenne ~a"tlsE~V, ou"tt: 'lta"t~ovç Éop"tàç otache fosse permesso di attaccare anche di cpvla"t't'EW, ou"tE &:itÀ.wç 'Iouoat'ov òµo- sabato i pagani incalzanti 55 • In generale À.oyE~v Elvai). In effetti si ottenne che anche i rabbini riconobbero il principio molti giudei apostatarono, «sacrificaro- che nel caso di pericolo di vita si poteva no agli idoli e violarono il sabato» (I trasgredire il precetto sabbatico, come Mach. 1,43). Ma d'altra parte a questo pure quando si trattava di difendersi 55 comando del re si· accese l'appassionata o di darsi alla fuga 51 • · opposizione dei pii, i quali difesero la In altri casi l'eyoluzione delle prescriprofessione della legge fino all'estremo, tutelarono la santità del sabato e lotta- zioni sabbatiche non appare cosl chiara rono tenacemente per i giorni di festa .e come negli esempi addotti, dal momento di riposo, fino ad ottenere che i re della che non possediamo testimonianze lette· Siria li riconoscessero ufficialmente (I rarie altrettanto copiose. Tuttavia si può dire che in genere la halaka antica è Mach. rn,34). più rigida di quella recente, quando la Nella halaka pm antica tra i lavori Mishri.a si applica a interpretare il pre· proibiti rientrava anche il combattere in cetto del sabato; infatti il giudaismo reguerra (Iub. 50,I2). Ossequenti a questa ligioso interpretava più rigorosamente disposizione, all'inizio della sollevazione la legge e il precetto del riposo per dimaccabaica alcuni pii giudei in giorno fendersi dell'ellenismo che incalzava.daldi sabato si lasciarono trucidare dai ne- l'esterno. Cosl, per es., in Iub. 2,29 s. e mici senza opporre resistenza (I Mach. 2, Dam. II,4 s. (13,13 s.) si proibisce di 32-38) 51 • Ma sotto l'impressione di que- portar qualunque peso, senza eccezione, sa Quale importanza abbia il sab.ato per il giudaismo, si può vedere, tra l'altro, nel fatto che ben tre trattati della Mishna si occupano esclusivamente di questioni riguardanti il sabato: Shabbat, Erubin e Beza, ai quali bisogna aggiungere il trattato Shebiit, che si occupa dell'anno sabbatico. 51 Cfr. anche 2 Mach. 6,11; Flav. Ios., ant. 13,
377. . si Cfr. inoltre
I
. Mach. 9,34.43 s.; FJav. Ios.,
ant. 13,12 s.; 18,318·324; bell. l,146. Giuda Maccabeo, dopo aver riportato una vittoria in venerdl, il sabato sospende l'inseguimento dei nemici (2 Mach. 8,26 s.); cfr. an· 53
che Flav. Ios., ani. 14,63 e SCHLATTER, Theologie. des Judentttms ri7. .st Cfr. le esenzioni di cui si parla in Flav. Ios., ant. 14,223-240. 55 Flav. Ios., beli. 2,517 s.: i Giudei non si fanno scrupoli, in giorno di sabato, di attaccare e respingere i Romani che si avvicinano a Gerusalemme. M In T. Er. 4,5-8( 142) si ritiene che in determinati casi sia permesso ariche di sabato marciare contro i nemici che avanzano; dr. STRACK-BILLERllECK I 626.s. 57 Testi in STRACK-BILLERlll!CK 1 952 s.
ot::·.
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B 1b (.E. Lohse)
come pure di apprestare qualsivoglia me- l'antica halaka senza apportarvi sensibili scolanza. A chi di sabato attinge acqua variazioni;. ma nei passi appena citati (2,29; cfr. 50,8), naviga (50,12), va a -tengono di norma una posizione più mocaccia (50 ,12) e persino a chi intrattiene derata 00 • Invece i gruppi più compatti rapporti coniugali (50,8), il Libro dei degli osservanti che, come i fedeli delGiubilei commina la pena di morte 58 • In l'epoca maccabaica, volevano difendere Dam. ro,21 (13,7) il cammino del saba- la santità del precetto divino e offrire to viene misurato in soli mille cubiti 59 • l'immagine della vera comunità d'IsraeGli animali recalcitranti non si possono le, continuano a sostenere e a promuoné battere né trar fuori a forza, di sa- vere l'interpretazione rigida dell~ torà bato (Jub. 50,12-; Dam. u,6 s. (13,15 sabbatica e ad esigere che la si osservi s.] ), né è perm~sso esigere da uno schia- integralmente 61 • Gli Esseni osservavano vo lavoro .di sorta (Dam. I I ,12 [ 13, il sabato più scrupolosamente degli altri Giudei, evitando di fare qualsiasi lavo2 r] ), e ·se. una bestia è caduta in una fossa non la si può tirar fuori (Dam. n, ro, di accendere il fuoco, di rimuovere 13 s. [ 13,22-24] ). Anche il culto dev'es- un-oggetto dal suo posto e c~rcando persere limitato al minimo indispensabile, sino di non fare i propri bisogni -p er tutche in Dam, II,17 s. .(r3,27) e in lub. ta la durata del giorno 62 • Anche i Saddu50,10 s. consiste nell'offerta dell'olocau- cei erano per l'interpretazione rigida del sto prescritto per il sabato. I rabbini ac- precetto 63 , mentre invece i Farisei e gli cettano numerose altre prescrizioni del- scribi si studiavano di evitare il rigoriPiù avanti le prescrizioni della Mishna si fanno alquanto più miti. Secondo Er. xo,7 di sabato è permesso, a determinate condizioni, f!ttingere acqua_; in Shab. 16,8 il viaggiare in nave non appare proibito, come pure la caccia, per la quale in Sbab. 1,6; 13,5 s.; 14,1 si ammettono alcune eccexioni permissive. La Mishna poi non contiene alcuna proibizione riguardante l'uso del matrimonio in -gi9mo di sabato. 59 Tuttavia in Dam. u,5 s. (13,14 s.) non si può condurre il bestiame a pascolare a più di duemila cubiti dalla città. Perciò c'è da diiedersi se anche in Dam. ro,21 (13,7) non sia da leggere 'lpim in luogo di 'lp. Cfr. ~ BRAUN 58
I II7 n. I. 60 Cfr. ~ n. 58
e le tavole comparative in
~
BRAUN I n7-r20.
Cfr. Dam. 3,14 s. (5,2 s.); 6,18 s. (8,15). Il Libro dei Giubilei e il Documento di Damasco furono sicuramente letti e tenuti in considerazione n Quin1an, come dimostrano i fram· menti dei due scritti rìtrovati nelle grotte. Cfr. O. EissFELDT, Einleitung in das A.T. ' (1956) 751.804.807 e la bibliografia ivi citata. In r QS il sabato non è ricordato. In I QpHab u,8 si ricorda «il sabato del loro» (scil. dei pii) riposo (Jbt ·mnwptm ). In I QM 24 si nominano insieme il novilunio e i sabati. Nelle 'Parole di Mosè' -si dice che gli Israeliti trasgredireb61
bero «ogni sacr~ adunanza, il sabato del patto e le feste» (r Q 22 I 8 [Discoveries in the Judaean Desert I 92]). Infine il vocabolo Jbt si trova in r Q 27, fr. 4 (Discov. in the ]ud. Desert I 106). Nel contesto della rigorosa prassi sabbatica fra Ie cerchie dei devoti va ricordata anche l'indicazione di Nidda b. 38a bar., secondo cui gli antichi osservanti (!Jasidtm ri'Iontm) persino nella procreazione di figli avevano cura di non scegliere quel momento che rendesse probabile una nascita in giorno di sabato. Cfr. K. SCHUBERT, Did Gemei"de vom Toten Meer (1958) 36. 62 Flav. Ios., bell. 2,147. Secondo Philo, omn. proh. lih. 81, gli Esseni caratterizzavano il sa· bato dedicandosi all'istruzione, astenendosi da qualsiasi lavoro e radunandosi,nelle sinagoghe. Cfr. ~ BRAUN 1 74 n. 2. In vit. cont. 30 s., parlando dei Terapeuti che erano vicini ogli Esseni ma conducevano vita eremitica, dice che anch'essi si riunivano di sabato per ascoltare la parola di un anziano (v.it. cont. 30 s.). Uno speciale onore era da essi riservato ad ogni settimo sabato, alla- vigilia del quale si riunivano in bianche vesti per celebrare il culto e prendete il pasto in comune (vit. cont. 6582 ), a cui seguiva la sacra festività notturna della na.wuxl<; (vit. co"t. 83). , 63 Il permesso di fare una mescolanza ('erub)
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smo nel tentativo di armonizzare, per quanto possibile, le prescrizioni con le circostanze e le esigenze concrete e di non turbare la gioia del sabato. Perciò le indicazioni raccolte nel trattato Shabbat della Mishna rappresentano la conclusione provvisoria di un'evoluzione abbastanza lunga 64, proseguita poi nelle discussioni dei maestri amorei 65 • I Giudei ellenisti avevano coscienza di essere tenuti a prestar obbedienza alla legge ·e ad osservare il sabato non meno dei loro fratelli di Palestina. Essi però non si accontentavano di fondare il precetto sabbatico richiamandosi al comando divino, ma si appoggiavano anche a certe speculazioni orfico-pitagoriche riguardanti il numero sette, allo scopo di attribuire al sabato un significato filosofico e di mostrarne e giustificarne il valore agli occhi degli ellenisti. Nel sec. II a.C. Aristobulo dice che il sabato è per natura diverso dagli altri giorni, «in quanto - riferisce Eus., praep. ev. 13,12,9 s. - esso segnerebbe in senso proprio la prima origine della luce, nella quale si scorgono connesse tutte le cose; lo stesso si potrebbe poi applicare alla sapienza, in quanto da essa proviene tutta la luce» (lì ~1) xai 1tPW'tTI q>U