Kittel, G. & Friendrich, G. Grande Lessico Del Nuovo Testamento. Vol 11. (pous-sebomai).pdf

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GRANDE LESSICO DEL

NUOVO TESTAMENTO Fondato da Continuato da

Gr.RHARD KITTEL GERHARD FRIEDRICH

Edizion e italiana a cura di F . MONTAGNINI - G. SCARPAT - O. SOFFRITTI

VOL. XI

PAIDEIA

Titolo originale dell'opera

T heologisches

worterbuch Ztlln Neuen T estament

in Verbindung mit zahlreichen Fachgcnossen bcgrundet von GERHARD KITTEL herausgegebcn von GP.RHARD FRIEDRICll

All'edizione itaUana di questo undicesimo volume ha11110 collaborato come trad111tori ll:O:-.EDETTl:-iE DEI. MONASTERO DI S. SCOJ.ASTICA GINO CRCCHI GIANFRANCO FORZA FRANCO RONCHI

Tutti i diritti so110 riservati. È rigorosamente vielata, a term:m di legge, In riprod11;;.io11c anche parziale delle voci o U riass1111to

delle stesse.

© W.

KOHLHAMMRR VERLAG, STU'.l'TG;\l\T 1959

©

l'AIDEIA, BRESCill 1977

e

1964

PREMESSA AL SETTIMO VOLUME TEDESCO

Dopo un intervallo di cinque anni vede la luce un altro volume del T heologisches W orterbuch zum N. T ., a servizio della ricerca scientifica e del ministero pastorale. In questi ultimi tempi in comunicazioni epistolari e in pubblicazioni sono stati espressi desideri, proposte e critiche di vario genere, che vanno dalla valutazione dei singoli articoli alla discussione di problemi di metodo e di esattezza scientifica. Tuttavia sul medesimo problema le varie voci non sono affatto concordi, anzi talvolta sono diametralmente opposte. Secondo alcuni gli articoli sono troppo ampi; secondo altri, per la preparazione alla predicazione forse non sono sempre abbastanza estesi. Taluni trovano eccessivo il ricorso al giudaismo, perché il Nuovo Testamento è un libro greco per lettori greci e il rapporto tra cristianesimo e giudaismo reca più netti i segni della discontinuità che della continuità. Altri ritengono di poter constarare nel .Yheologisches Worterbuch tendenze antisemitiche, perché la posizione riformatoria assunta da Paolo nei riguardi della Legge offre un'immagine deformata del giudaismo d'allora. Si è ritenuto che il Theologisches W orterbuch manchi d'esattezza critico-storica, perché si preoccuperebbe di mettere in evidenza l'immutato spirito che pervade !>Antico e il Nuovo Testamento. Viceversa, c'è chi ha sconsigliato di assegnare l'elaborazione di un articolo a due distinti autori - l'uno specialista dell'Antico, l'altro del Nuovo Testamento-, perché nelle due trattazioni andrebbe perduta la prospettiva unitaria della Bibbia. Alcuni raccomandano di attenersi a una rigorosa esposizione lessicografica del significato dei singoli vocaboli, altri richiedono estese trattazioni dei concetti in tutta la loro ampiezza, sì da illustrare non soltanto il relativo lemma, ma la sostanza stessa dei contenuti. C'è chi è tutto preso dall'etimologia, altri pretende che il significato di un vocabolo sia ricavato non dalla sua storia, bensì dalla singola frase. La pubblicazione del Theologisches W orterbuch procura al Direttore non pochi affanni, ma anche qualche opportunità di buon umore quando articoli, da teologi giudicati completamente sbagliati, riscuotono la massima lode da parte di filologi, e, viceversa, articoli aspramente criticati da filologi vengono celebrati da teologi come sommamente importanti. I contrastanti giudizi e desideri mostrano che il T heologisches W or-

VIII

PREMESSA AL SETTIMO VOLUME TEDESCO

terbuch è sulla strada giusta. Il Direttore si sforza di dare soddisfazione ad ogni critica fondata e di eliminare ogni errore reale. Gli articoli degli ultimi volumi evitano di trarre conclusioni teologiche importanti dall'etimologia di un vocabolo ed insistono quasi troppo diffusamente sul signifìcato dei singoli passi, sicché si è dovuto procedere a drastiche abbreviazioni. Alla storia del vocabolo non si può rinunciare per la natura stessa delle cose. Le parole non sono pietre inanimate, immutabili, tessere destinate a comporre un mosaico; esse sono entità viventi, che si sviluppano e che possono anche atrofizzarsi. Come in un albero certi rami muoiono ed altri ne spuntano, così le parole perdono certi significati e ne acquistano di nuovi. Sicuramente si erra quando dall'assenza o presenza di una parola in una lingua si traggono precipitose conclusioni nei riguardi del relativo popolo; ma non si potrà negare che il modo di pensare varia col variar dei popoli e che questo pensiero acquista forma nella lingua. Non è qui il luogo per discutere se questa diversità abbia i suoi presupposti nell'etnologia o nel processo evolutivo o nella storia della cultura: essa comunque esiste. Da questa diversità sorgono certi problemi allorché vengono a contatto due popoli di lingua diversa. Già l'autore del proemio dell'Ecclesiastico dice che è difficile tradurre espressioni d'una in altra lingua mantenendo inalterato il senso. Per la maggior parte gli autori degli scritti neotestamentari sono giudei che riportano in greco ciò che in parte hanno ricevuto in aramaico. Per comprenderli è importante considerare che cosa significhi il rispettivo vocabolo nel mondo greco, nell'Antico Testamento, nei LXX, negli scritti rabbinici, nel Nuovo Testamento, nella Chiesa antica. La traduzione in altre lingue renderà accessibile il Theologisches Worterbuch anche a studiosi che non conoscono il tedesco. Dal x949 presso Black di Londra singoli articoli del Theologisches Worterbuch compaiono in forma di piccole monografie. Sono previsti in tutto 14 volumetti. In simil guisa saranno tradotti in giapponese 36 articoli. ·L'intera opera viene edita. in inglese da Eerdmans di Grand Rapids, Michigan. È da poco uscito il primo volume di questa edizione. L'Editrice Paideia di Brescia prepara l'edizione italiana di tutta l'opera; sono usciti i primi due fascicoli del primo volume. Sono in corso trattative per una edizione, in Israele, in ebraico moderno. Anche in questi ultimi cinque anni la morte ci ha privati di alcuni collaboratori. Ricordo con riconoscenza J. Herrmann, H. Kleinknecht, P. Katz e J. Fichtner. Meritano un particolare ringraziamento i molti che hanno prestato il loro aiuto con la lettura critica dei manoscritti e deJle bozze; senza la

loro collaborazione gli articoli del Theologisches W orterbuch non avrebbero il valore che hanno. Con riconoscenza per una collaborazione di vario genere ricordo H. Balz, G. Bertram, A. Bohlig, P. Boendermaker, E. Dammann, A. Dihle, G. Egg, G . Fohrer, E. P. D. Gooding, A. Hiller, W. Kasch, P. Katz, H. Kleinknecht, H. Kramer, W. Lohse, C.F.D.Moule, E. Nestle, C. H. Peisker, K. Reinhard, K. H. Rengstorf, E. Risch, K. H. Schelkle, G. Schlichting, W. Schneemelcher, S. Schulz, K. Staab, H . Traub e K. Zimmermann. H. Riesenfeld ha messo a disposizione del Theologisches Worterbuch il suo ampio catalogo di schede bibliografìche e K. H. Rengstorf le concordanze di Flavio Giuseppe, per la parte già approntata. Anche in questa sede vada ad entrambi il mio cordiale ringraziamento.

G. Buckenhof presso Erlagen, 16 giugno 1964

FRIEDRICH

AVVERTENZA ALL'UNDICESIMO VOLUME ITALIANO

L'undicesimo volume italiano comprende l'ultima parte del sesto volume tedesco (pp. 624-1004) e le prime voci del settimo volume tedesco (pp. 1-195).

AUTORI DELLE VOCI CONTENUTE NELL'UNDICESIMO VOLUME

Direttore GERHARD fRIEDIUCH, professore ordinario di N.T., Erlangen.

Collaboratori ERNST B.\...'-l:MEL, libero docente di· N .T., Erlangcn. OTTO BAUE.RNFEIND, professore ordin:1rio di N.T., emel'ito, Tiibingen. fnIEDRICH BAUMGARTEL, professore ordinario di A.T., emerito, Erlangen. GEor.G BERTRAM, già professore ordinario di N.T., Giessen. WERNER BIEDER, professore straordinario di scienza delle missioni e libero docente di N.T., Basel. GiiNWER BoRN'KAMM, professore ordinario di N.T., Hcidelberg. WERNER Fo1rnsTER, professore ordinario di N.T., Miinster. HmNRICH GREEVEN, professore ordinario di N.T., Kicl. t FRIEDRICH HAUCK, professore straordinario di N.T., Erlangcn. CLAUS-HUN~O HUNZINGER, libero docente di N .T., GOttingen. ]OACHIM }EREMIAS, professore ordinario di N .T., Gottingen. \VII.HELM KAscH, assistente, Kiel. HELMUT KR.AMER, professore di filologia classica, Bethel. KARL GEORG KuHN, professore ordinario di N.T., Heidelberg. FnIEDRICH LANG, professore ordinario di N .T., Tiibingen. EouARD LoHSE, professore ordinario di N.T., Gottingen. CHRISTIAN MAURER, professore di N.T., Bethel. RuDOLF MEYER, professore con cattedra di A.T., Jena. \VILHELM M1CHAELis, professore ordinario di N.T., Bcrn. Orro M.ICHEL, professore ordinario di N.T., Tiibingen. t HERBERT P.REISKER, professore con cattedra di N.T., Jena. Bo RacKE, professore ordinario di N .T., Base!. RoLF RENDTORFF, professore dì A .T ., BerJin.Zehlendorf. K.'l.RL HEINRICH RENGSTORF, professore ordinario di N .T., Miinstcr. t KARL LunwIG ScHMIDT, professore ordinario di N.T., Base!. CARL ScHNEIDER, professore ordinario, Speyer. SIEGFRIED ScHULZ, Jibeto docente di N .T., Erlangcn. EouARD ScHWEIZER, professore ordinario di N.T., Zi.irich. GusTAV SriiHLIN, prof~_~sorc ordinario di N.T., Mainz. KONRAD WEiss, professore con cattedra di N.T., Rostock.

INDICE DELLE VOCI

1tovc:; (Weiss) ... . .... . ..... . .. .. ..... . ......... . .. . ..... . .... . 1tpacrcrw, 1tpiiyµa, r;payµanla., 1tpa:yµa-cEuoµcu, 0La1tpa.yµa.-w.Joµa.L, r.pax-cwp, 1tpii~Lc:; (Maurer) ... . ..... . ... . ..... . . . .... .. . . .. ... . npaum~llELct -+

5 2

'7 I

1x, coli. l090 5s.

-;.:pa.uc:;, 7tpa.i}tl)ç (Hauck-Schulz) . .. .. .. . ............ . . . .... . ..... . 1tpfo(3uc:;, 1tpECT~U-CEpoc:;, 7tpEcr(3u"tl}ç, vuµr;:pEo-(3v.-Epoc;, 1tpwf3u-cÉpLOV, 1tpEo-(3EVW (Bornkamm) . . ... . ............... . .... . . . .. . .. . ..... . . 7tp6 ( Reicke) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7tpoayw -+

1,

coli. 349 ss.

1tp6Pa.'tOV, 7tpoPci't'LoV (Preisker-Schulz) ... . .... . .. . .. . . . ..... . .... . 7tpoyLVW
7tpoÉxoµa.L (Maurer) ....... . ..... .. .. . .. . . . .. ... .. . .... . ... . .. .

199

1tPOY)yÉoµaL -+ IV ' coli. 14 s.

7tp61}qcnc; -+ 'tlllT]µL

7tp6Duµoc;, r;:poi}uµla. (Rengstorf) .......... .. .... .. .... ... .. . ... . . . 1tpotcr-cl}~~L (Reicke) ..... .... . . .. . .. . . . . . ... . .... . .... . ..... .. . .

203

22!

JCpoxaÀÉoµ«L ~IV, col. 1479 7tpOXCI"CayyÉÀÀ.W -+ I, coli. 192 55. 7tp6XELµCIL-+ v, col. 318 7tp0Xl)p{ICTO"W -+ v, coli. 479 ss. 1tpOX01t1i, 1tPOXO'lt'tW

(StaWin) .... . ........ . ....... . ... . ......... .

229

1tp6xpiµa-+ v, coli. uo6 s. 1tpoxup6w -> v, coli. 1503 s. npoÀaµ~&.vw -+VI, coll. 47 s. 11;poµcxpi:upoµaL -+ v1, coll. 1386 s. npoµEpLµv6.w -+ VII, coli. 65 ss. r.povoÉw -+ vu, coll. n97 5s, 7tp6voLct -+ vn, coli. 1:201 ss. npoopaw -+ VIII, coli. 1071 ss. npoopll;w -+ vm, coli. 1:278 ss. 7tpo7tacrxw -+ rx, coli. 1045 5.

1tpbç (Reicke) ..... . ..... . .... .. ... . .............. . ...... .. . . . npoo-&:yw -+ 1, coli. 351 ss. 7tpoo-aywyq -+ I, coli. 358 ss. npocrcx.va'tllll)µL .-+ 1, coli. 951 ss. 1tpocroÉoµaL -+ u, coll. 845 ss. npoo-IÌÉxoµaL -+ n, coli. 885 s5.

277

XIV

!!'DICE DELJ,E VOCI

1.pomSoxciw, npouocxla (Maurer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

293

npocrtpxoµaL -'> m, coli. 959 ss. r.pornvxoµat, 7tporrEuxfi -.,, nr, col!. 1294 ss.

npocr'l)ÀvToç (Kuhn) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

297

-'> 1v, coli. l 385 ss. 7tpocrxcc.ÀÉW -'> IV, coll. 1488 ss. 7tpocrxa:p't'EPÉW -'> v, coll. 22 5 ss. 7tpocrxcc.p-.Éfl11CT1.ç -'> v, coll. 229 s.

7tp6crxat9oç

>tPOO'XÀT]p6w -'> V' coli. 604 ss. npoc;xoÀÀaw -.,, v, coli. 759 s.

rtpocrx61t'1:w, npoO"xoµµa, 7tpouxo..-:1}, ci.o.p6crxo1toç (Stiihlin) . . . . . . . . . . . . . 'itpocrxuvÉw, 7tpocrxU\li)T1)ç (Greevcn) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

34 3 379

7tpocrÀaµ{3c:i;voµa~ -'> VI, coli. 48 s. 7tpocrÀ:riµ\jiLç ~ v1, coll. 48 s. ;:pocrµÉvw -'>- VII, coli. 39 s. npo -> 't'UCT
7tp6crcpa.Toç, 7tpocrcpa:•wc, (Maurer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

40 r

npqcrcpÉpw ~ q>Épw 7tpcxnpopc:i; -'>- q>Épw ' • ' !.' '\ ' 7tpOO'W7tO\I, EV7tpOO'W7tEW, 7tpocrw;;o) •i)µtyta, 7tpOO'WitOA.1]µ7t't'1}t;, 7tp0<1W7t0· À.i)µ7t-cÉw,
->

40 5

'tlih]µL

;i;pocpTj'tTJ<;, 7tpocpij'tic;, 1.pocprrm'.iw, 1.poqnrn:la, 7tpccp11-.ix6c;, \}JEuoonpocpl}·t"l)C, (Kriimer, Rendtorff, Meyer, Friedrich) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7tPOXELplsw (Michaelis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7tpG'l.-oç, 7tpW't'O\I, 7tpw-.oxa:i}Eopla, '-PW"t'OXÀ.LO'La, 7tPW'tO't0XO<;, itpW'tO'tOxda, npw'tEuw (Michaelis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . n'talw (K. L. Schmidt) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

439

6 51 659 705

7.'tEPV'YLOV ~ IV, coll. 779 s. 7t'tWl..ta: -'> x, coli. 315 ss. ?t'tW x, coli. 317 ss.

7t'twx6c;, 7t'tli.lXELCX:, 7t-cwxe:uw (Hauck, Bammel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7tu·yµ1J, nuxnuw (K. L . Schmidt) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . itui}wv (Foerster) .. . .. ... ...... . . .. ... . .. . ... .... . ........ . .. - . 1tUX'tEVW ~

709 789 795

coli. 791 SS.

7tUÀ.lJ, '1tVÀW\I (Joach. Jeremias) . _. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . nup, 7tVp6w, 'ltupwcnc;, 'ltupwoc,, 7tUpp6c; (Lang) ..... . . . . _. . . . . . . . . . . . nupyoc; (Michaelis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . r.vpÉcrcrw, nupe:-r6c; (Weiss) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . .

803 821 887 897

7twÀ.oc; (Michel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

905

1tvpwoç ~ coll. 883 ss. nup6w-> coll. 876 ss. 1tupp6ç ~ coli. 885 ss. 7tVPW coli. 882. ss.

nwp6w, 1tWPW- IV, coli. I46 s.

pa;(3(3l, pa;f3(3ouvl (Lohse) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pa.(3W;,w, pa:~lìouxoc; (C. Schneider) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pq.01ovpy11µa., pq.&oupy!'.cx (Bauernfeind) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pcxxci (Joach. Jeremias) .......... . ... . - ................ · .. . .. · . pci~lìoc,,

9n 921 935 939

lNDICE DELf.E VOCI

pav'tl~w,

prl.\l'rnrµ6ç (Hunzinger) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

'PaxaP - > Iv,

{riiµa --+

VJ ,

XV

947

coli. 141 ss. coll. 199 ss.

pi.sa., pL1;,6w, f.xpLs6w (Maurer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 967 pl7t'tW, ÉmpL1t't"W, a7topl7t-rw (Bieder) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . poµ<prJ..LrJ.. (Michaelis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 'PoM --+

IV,

98 5 989

coli. 1 4 1 ss.

puoµrli (Kasch) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1003 1019

n o7 l l 55 l 161

n8 l XI 97 123 9

11avoci.À.Lov --+ vm , coli. 871 ss.

cra.1tp6ç, 0"1Ji.w (Bauernfeind) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l 2 5 5
LESSICO

II (continllazione)

I

7touc; SOMMARIO:

A. Uso del termine nella greci/() profano. B. La storia delle religioni. C. L'A.T. e il giudaismo: r. l'uso nei LXX; 2. l'uso traslato; 3. l'uso simbolico; 4. denudazione del piede; 5. il piede della divinità.

D.Il N.T.: designazione di tutta la persona; uso traslato; 3. simbolo del potere; 4. espressione cli subordinazione; 5. espressione cli venerazione per Gesù; 6. la lavanda dei piedi; 7. la denudazione cultuale del piede. I. come

2.

A.

USO DEL TERMINE NELLA GRECITÀ PROFANA

'ltoui; (antico vocabolo europeo; latir.ouc;

PAssow,

LmDELL-ScoTT, MouLTON-MrLLlGAN, PRBUSCHBN-BAUER •, PREISIGKE, Wort., s.v.; C. SUICERUS, Thesaurus ecclesìaslicus e pa-

J.

tribus Graecis' (I746) Il 8I4·8I6; G. BOCHNBR, Biblische Real. tmd V erbai -Hand -Co11cordam. n, ed. H. L. HnuBNER (1877) s.v. 'Bein', 'Fuss'. I WALDE-POK. II 23 s. 2 I fenomeni per cui i nomi delle parti del corpo vengono usati per oggetti sono molto diffusi; dr., ed es., H. PAuL, Prim.ipien der Sprachgeschichle' (1937) 95 s. J Horn ., Il. 2,824; 20,59; piede dd monte Ida. Come termine tecnico nautico 1tOÙç indi-

no: pes, ped-is; antico indiano: pad-; germanico: fot 1) è usato sin da Omero sia nel significato proprio di piede (di uomo e animale, anche zampa, zoccolo, artiglio) sia, in senso lato, per indicare tutta l'estremità inferiore. Anche i 'piedi' di artefatti di ogni genere si chiamano 'lt60E<; 2• 'ltovç ha però anche il significato più generale di estremità inferiore e viene usato in tale accezione anche per indicare oggetti o parti che non hanno la sia pur minima rassomiglianza con un piede 3• La lingua greca ha in comune con molte altre 1'uso del termine e del1'oggetto 'ltouç come misura di lunghezza 4 • Il significato di 'piede' come unità ritmica della metrica classica 5 non deriva dal piede come arto, bensl dalla sua attività, dal procedere, dall'andatura. Lo stesso vale per la metafora xpovou 'ltovç 6• Più significativo è un altro amplia-

=

ca la parte più bassa della vela { scotta) (Horn., Od. 5,260) o anche delfa nave (Pind., Nem. 6,55: -rò 8È itàp 1toot va.òc; H..~crcr6µsvov

a.tEl xvµai:wv ). 4 Cfr. W. BECHER, art. Pes, in

PAULY-W. 19

(1938) I085 S. 5 Aristoph., ron. 1323. itovç può anche signifi· care verso, stico; Luc., pro imaginibus 18: i:cx.iha CTO~ ~XµE1:plt ~~ìo~e XIX.L un:Èp 'l'ÒV it68ci.. itm;c; = frase detto d'un fiato; Luc., Demon. 65: rl7twv 7tpbc; ""toùc; 'ltrxp6v·rnc; 'l'Ò\I Éva.yti>\1~0'11 'tW\I X1)pVXW\I 1t61ìrx.

~

Eur., Alexandros, fr. 42 (T.G.F. 374): xa.L xp6\IO\I 7tpovfkt.WE. itouc;, e Ba. 889: lìapÒ\I

xp6vou it61ìa..

r-ouç A-B (K. Weiss)

mento dell'uso, in virtù del quale 7touc; viene a indicare l'intera persona.

(vr,625) 8

lenza comune tra ~ xdp e ouva.µtc; (-7 II, coli. r49r s. e n. 34) ha il suo riscontro perfetto in 1touc; e ouva.:µ~c; 13 • In espl'essioni di riverenza e sottomissione l'umile e l'inferiore si rivolgono ai piedi del potente e del superiore 14 • Virtù e vizi personificati vengono caratterizzati col temperamento del loro 'piede' e col suo uso simbolico 15•

Questa accezione si riferisce alla persona in azione, in primo luogo naturalmente a quella che cammina 7, ed è presente anche nel modo di dire 7t6&a. EX~W E\/ "tL'VL, che equivale al nostro 'metterci lo zampino' oppure 'averci mano', doè aver parte in qualcosa 8 • Lo stesso vale per 1a maggior parte delle locu7.ioni avverbiali composte con 7tOuç: il rap- B. LA STORIA DELLE RELIGIONI porto spaziale che esse esprimono (viciAlla simbologia generale del piede= nanza o lontananza, altezza o profondità, ecc.) si riferisce naturalmente all'in- _potenza si associa l'idea che il piede (o tera persona e non soltanto al piede 9 • l'orma del piede) della divinità, di seTali locuzioni possono anche esprimere midei e anche di altre determinate peruna valutazione della cosa che esse met- sone compia guarigioni miracolose. Plutono in rapporto con la persona 10, op- tarco 16 racconta che ciò avvenne con pure anche della persona stessa, come Pirro, Tacito (hist. 4,81) e Svetonio nel caso di àq>'11cruxou 'ltoo6c; (Eur., (Caes. 7,2) con Vespasiano e SerapiMed. 217) 11 • Un semplice cenno ai pie- de 17• La venerazione dei piede di Seradi può bastare a indicare il potere di cui pide è attestata da un busto di Serapipuò disporre una persona 12 • L'equivn- de eretto su un piede colossale 18 e quelEur., Or. 1217: 1tapllÉvov !itxov -:t6!ia, «aspetta l'arrivo della fanciulla»; Eur., Hipp. 661: uùv 7tlt'tpbç µoÀ.wv 7tOOl. 8 Pind., Olymp. 6,8: Év i;ou-tip 7tElìlÀ.ip oa1r 1

stro perché glielo bad (Sen., ben. 2,12). Sul fregio di Pergamo Afrodite pone il piede sul volto dell'avversario sconfitto: per il significato (in origine magico) del gesto cfr. A.

µòv~ov 1t6li'~xwv.

GoTSMICH, Die 'grausnme' Aphrodiie am Giga11ten/ries des Pergame11er Altars: Archaolo.

àwì. 1tÒlìa (similmente É1tt 7t61ìa) = a ritroso, all'indietro; lx 7to86ç (similmente xa'ttt 7tÒlìaç) = alle calcagna (però: h7tolìwv = lontano, fuori mano); ÉV 1tOO'l, ɵm>lìc!iv (similmente 7trtpà 7tolì6ç, 1tpÒ 1to86ç) vicino. 10 7tapà 1to86ç = a porla/a di mano; 1tEpL 1t61ìa = adatto; imò 1t61ìa = piccolo, sempre in riferimento all'intera persona, non al piede. Il Cfr. anche Pind., Nem. 3AI ss.: ljieq>Evvòç avi}p if.)..ì,.01:' IJ.ì,.ì,.a TCVÉWV OU 1tO't a'fpEXEL XUi;É~a 'ltolìl. 12 Arisoph., av. 35: &.µq>oi:v -coi:\I 'ltolìo~v, <~con tutta Ja forza»; Aeschin., fals. leg. 115: i;~µwP'l)crew xaL xnpl. xa.L 'ltolìL xal cpwvjj xaL mXCTTJ Svvaµu. Il WErNREICH, Antike Heìltmgswunder 71 n. 9

=

0

74. 14

In segno della grazia concessagli, Caligola

porge a un condannato a morte il piede sini-

gischer Anzeiger 56 (1941) 844-879 [KLEIN· KNECHT]. P. Oxy. I 128,9 ss. (a un alto funzionario): xo.i;o.t;u.:iCT"n li ùµei;~pa. l\llìol;6"tTJ<;

... Émi;pÉljim al'.mji &.vEÀ.i>ELV dç -coùc; lvlì6l;ovç a1hfjc; TI61ìaç, cfr. 128,8; PREISIGKE, Sa111melbt1ch 4323,5 (un figlio al padre): xa-cacp~)..ijom i;oùç 'ttµlovç a1hov 7t6!iaç; inoltre i testi indicati in PREISIGKE, Wort., s.v. 1tOUç: espressioni bizantine di sottomissione.

ov

1s Soph., Oed. Tyr. 878 s.: vPptç,.. 1toot XP'llolµip xpiji;ai. Eur., fr. 979 (T.G.F. 676):

.ilx1J ... (Jpaoer 7toot cri;Elxovuo.. 16 vita Pyrrhi 3 (r 384); v . WEINREICH, Ant. Heil. 67. 11 Cfr. S. MoRENZ, Vespasia11, Heilrmd der Kranken: Wiirzburger Jahrbuch 4 (1949/50)

373 s. 18 Cfr. HAAs, fascicolo 9/rr LEIPOLDT (1926) v e fig. r5.

9 (v1,625)

7tOV<; tl (K. \VCISSJ

la della sua orma è documentata da un monumento siriaco che mostra un'aquila sopra il piede di Serapide con la soprascritta (x\loç E:xwv, 1t68'
In tutti i culti e in tutte le usanze superstiziose è importante il dovere, per chi si avvicina alla divinità, di denudare il piede. Questo dovere riguarda naturalmente in prima linea i sacerdoti 19 Vedi O. WEINREICH, Ei11 Spzm:auber: ARW 28 (1930) 184. 20 Vedi G . WlLKE, Weitere Beitriige zur Hcilk1mde in der indoeuropiiischen Vorzeit: Man-

nus 7 ( 1915) r-9; E. STEMPLINGER, art. 'Fussspur', in Handworterbuch des de11tsche11 Abcrglaubens III (1930-31) 240-243; O. EissFELDT, Der Goti Karmel, SAB 1953, I (1953) tavole 1v-vr; K. GALLING, Der Goti Karmel und die Ji.chtung der fremde11 Gotter in: Geschichte tmd A.T., Festschrift A. Alt (1953) IIO·I2X. 21 Rappresentazioni preistoriche di piante di piedi su dolmen, in disegni sulle rocce e su pietre tombali, vengono interpretate, probabilmente con ragione, come simboli di teofania; cfr:. F. A. v. ScHl!LTll.MA, art. 'Fussohlendarstellung', in RVL 4,1 (1926) 162 s. Per: il cristianesimo cfr. H. L ECLERCQ, art. 'Pied', in Dic-

tio1111aire d'Archéologie chrétienne et de Liturgie 14,r (1939) 8r8 s. Ad es., la tavola raffigurante l'ascensione nella 'Piccola Passione' di Di.iter. Cfr. l'elenco scelto di tali raffigurazioni in S. H. GuTBl!RLET, Die l:Iim111cl/ahrt Christi ili der bilde11de11 K1111st (1934) 247-250 e tavole xxix e 22

xxx. Vedi C. WEINHOLD, Z11r veJ,·tJicbte des heidniscbe11 Ritt1s, AAB (1896) 4 s.; J. HEK· 2J

\VJ.,U~V)

J.U

nell'esercizio delle loro funzioni, ma anche tutti coloro che partecipano all'azione cultuale o entrano nel luogo sacro 21. In questo ambito rientra anche l'usanza, diffusa, che chi è in lutto o fa penitenza si denudi i piedi 24 • Anche pellegrinaggi e processioni di ogni tipo e di tutte le religioni vengono compiuti a piedi scalzi 25 • In queste usanze il piede sta ancora una volta per tutta la persona (~ coll. 6 s.), giacché la nudità del piede non è che il tardo surrogato delJa nudità totale richiesta in origine 26 • I motivi dellA denudazione possono essere costituiti da esigenze di purezza cultuale (allontanamento di indumenti profanati 27 , soprattutto quelli di pelle o pelliccia animale 28 ), il convincimento magico che la divinità possa agire direttamente sul corpo nudo 29 o De 1111dilate sacra, RVV 9,3 (19II) WXCHTEK, Reinheilsvorschriftc11 im griech. Kult, RVV 9,1 (19rn) 23 s. 57. 2~ Vedi H ECKENBACH, op. cit. (~ n. 23) 31; E. SAMTER, Zu rom. Bestalttmgsbrii11chen, KENBACH,

23-29;

TH.

Festschr. fUr O. Hirschfeld (1903) 253 s. E. MARBACH, art . 'Nudipedalia', in PAULYW. 17 (1936) 1240 s.; WEINHOLD, op. cit. (~ n. 23) 18-26; HECKENBACH, op. cit. (~ n. 23) 29s.67s. 26 Cfr. W. A. MiiLLER, Nackthcit und E11t-

25

bl0smng in der altorie11talische11 1111d iilteren griech. Kmzst, Diss. Leipzig (1906) 42; HEK· KllN.BACH, op. cit. (~ n. 23) 14-21.34; F. DiiMMLER, Der Ursprung der Elegie: Philol 53 (1894) 212. Per gli Arabi: J. WELLHAUSEN, Skiu.en und Vorarbeite11III(1887)106 s. 27 WmNHOLD, op. cit. (~ n. 23) 5. Gli Arabi si cambiano gli abiti e le scarpe; vedi WftLL· HAUSl!N, op. cit. (~ n. 26) rn6. 28 WXcHTER, op. cit. (~ n . 23) 57.61; HEKKENBACH, op. cii. (~ n. 23) 24 s. 29 WmNHOLD, op. cit. (~ n. 23) 5. Forse abbiamo questo motivo anche nel comportamento del 11abì, che nell'estasi si spoglia (vedi, ad es., I Sam. 19,24). Cfr. anche F. DOMMLER, Sittengeschichiliche Parallelcn: Philol 56 (1897) 6 s. a Is. 20, 2 ; WEINHOLD, op. cit. <~ n. 23) 6; HllCKENBACH, op. cit. (~n. 23) 21-23.

u

(v1,626)

1tovc:; B-C 3 (K. Wdss)

anche il desiderio di allontanare ostacoli magici costituiti o emanati da nodi e legamenti degli abiti 30•

C.

1

L A.T. E IL GIUDAISMO

l. Nei LXX 1touc; traduce tutta una serie di parole ebraiche: oltre ai termini propri per piede (regel) e pianta del piede (kaf-regel), rende anche 'iiqéb = calcagno o zoccolo (Gen. 49,19) e parsa nell'accezione di zoccolo (Is. 5,28), ed anche k"rii'aiim = gamba (dal piede al ginocchio: Ex. 12,9; 29,17; Lev. 1,9. 13; 8,21; 9,14). È inoltre l'equivalente di pa' am = passo, al plurale piedi di arte/atti (Iud. 5,28; 4 Brur. 19,24; ~1iJ6,7; Prov. 29,5) e traduce infine il concetto molto ampio di marg•lot=ciò che giace ai piedi e i piedi stessi (Ruth 3,4.7.8. I4l· I LXX usano cosl il termine, prescindendo dai suoi significati tecnici, in tutta l'ampiezza semantica che 7tOuc; ha nella tradizione linguistica greca.

2. Lo stesso vale per l'uso traslato del termine. 7touc; ricorre frequentemente 31 nell'immagine del cammino, del sentiero della vita, della via in senso Là dove si attribuiscono alla terra poteri magici, si stendono i neonati o i morti nudi sul suolo e lo stregone opera a piedi scalzi: HEK· KENBACH, op. cit. (--> n. 23) 46-49. Cfr. anche HAAs, fascicolo 9/n LEIPOLDT, fig. 190; fascicolo 13/14 RuMPF, fig. 148. 30 \Xf.i\CHTER, op. cit. (--> n. 23) 24; HECKEN· BACH, op. cit. (--> n. 23) 23, che cita uno scholion a Vcrgil., Aen. 4,518: i11 sacris 11ibil solet esse religa/11111. Per tutta la questione dr. F. EcKSTEIN, art. 'barfuss', in Ha11dwi:irterb11cb des deutschen Aberglaubens I (1928) 9u-922. 31 Ad es., Gen. 30,30; I Sam. 2,9; lob 23,n; lji n8,105; Deut. 32,35: O't'(ZV aqicxÀ.ij 6 nove; CXÙ't'WV.

-

Ma Ier. 38,22, di Sedecia che con la sua politica si è messo sulla strada sbagliata, dice: «i tuoi piedi affondano nella melma». 33 Si spiega forse cosl anche l'uso di scalzarsi per indicare la rinuncia a un'eredità (Ri1tb. 4, 7; Deut. 25,9), se si suppone che la scarpa 32

metaforico (-7 VII1, coll. 139ss.). In realtà, qui 'ltovi; indica la persona che percorre la via, giacché ciò che, ad es., Sap. r 4,1 l dice dei n6oEc; àcpp6vwv ed Ecclus 21,22 del 1touc; µwpov, è diretto propriamente agli stolti e ai folli. Nel parallelismo di 1tOOEc; e ~ux.ii (~ 56,7 e 6 5 ,9) 1tovc; non indica, naturalmente, il camminare fisico, il moto dei piedi, bensì il cammino o il percorso della vita dell'uomo 32 •

3. L'A.T. offre esempi eccezionali dell'uso simbolico del piede per esprimere il potere(~ n. 12) di una persona. Gli ufficiali di Giosuè pongono il piede sul collo dei cinque re amorrei sconfitti (los. 10,24). Mosè giura: «La terra dove si satà posato il tuo piede sarà per te e per i tuoi figli un'eredità che vi apparterrà in eterno» ( Ios. 14,9; cfr. Deut. u,24; Ios. l,3; 2 Reg. 21, 8) 33 , David loda Dio che gli ha posto i nemici sotto i piedi (2 Sam. 22a9=Ps. 18,39; cfr. I Reg. 5,17; Ps. 47,4). Secondo l'immagine di Ps. 58,II, il giusto nel suo cammino (p"'iimiiw) si laverà i piedi nel sangue degli empi 34 (cfr. Mal. 3,21 ). rappresenti il piede. Cfr. G. }UNGBAUER, art. 'Schuh' ia; 18 a.b, in Ha11dwiirterbt1cb des de11tsche11 Abergla11be1JS VII ( 1935) n92.1346 s.; P. SARTORI, Der Schuh im Volksglaube11: Zeitschrift des Vercins fiir Volkskunde 4 (1894) 179 s.; L. L EvY, Die Scbuhsymbolik im jiid. Rit11s: MGWJ, N.F. 26 (1918) 179 s. R. FoRRER, att. 'Fussanhiinger', in Reallexiko11 der praehistoriscbe11, klassiscbe11 tmd friih· christliche11 Altertiimer (1907) 257 s. con De11t. I I ,24 spiega come norma giuridica anche l'uso di un sigillo forse romano a forma di piede (riprodotto ibid.) per indicare il diritto di proprietà su una data cosa. 34 I LXX traducono qui (l)i ,57,n) e altrove XE~pEc; invece cbe 7tOl.iEç; da ciò risulta particolarmente chiaro che in questi casi non si tratta del piede fisico in sé, bensl del piede come simbolo della potenza della persona (--> nn. 19 e u), la quale può essere appunto simboleggiata anche dalla mnno.

r3 (vr,626)

nou~

C 3-5 (K. Weiss)

In netto contrasto con quest'uso simbolico sta la scarsa considerazione del piede che si esprime nell'uso eufemistico di regel/1tovr:, per indicare gli organi sessuali 35 •

\ Vl,b27J 14

vrebbe essere il timore reverenziale, anzi l'umiliazione davanti alla divinità 39 • Il giudeo che nei giorni del digiuno e del perdono cammina scalzo compare davanti a Dio come uno schiavo davanti al suo padrone. Lo stesso fanno il sacerdote e l'uomo pio quando si tolgono i calzari prima di metter piede sul suolo sacro 40 •

4. L'A.T. e il giudaismo conoscono come altre religioni (~ coll. 9 s.) l'uso di denudare i piedi per motivi religiosi. In primo piano stanno gli episodi narrati in Ex. 3,5 e Ios. 5,13-15, quando Mosè e Giosuè ricevono l'ordine di togliersi i calzari a motivo della santita del luogo in cui appaiono Dio o il suo inviato. Tutto l'A .T. presuppone poi che i sacerdoti svolgano il loro servizio scalzi 36 • Nel Talmud le norme dell'A.T. vengono specificate ed estese a chiunque ponga piede sul monte del tempio e nei luoghi santi 37 • Resta da vedere fino a che punto i motivi addotti sopra (--'> coli. 10 s.) per la nudità cultuale valgano anche per l 'A.T. 38• Nella religione dell'A.T. e del giudaismo il vero motivo della denudazione dei piedi do-

5 . Nell'A.T. il piede della divinità ha una sua parte nelle descrizioni di teofanie. Certamente l'A.T. conosce diverse forme di teofania: da quella nei fenomeni naturali all'epifania in forme umane, fino alle manifestazioni spiritualizzate 41 • Dove però vigono concezioni come quella espressa in Ex. 33,20-23, con il principio «la mia faccia non si può vedere» ( v. 2 3) e «nessuno può vede1·mi e restar vivo» (v. 20), è quasi naturale che si descriva l'apparizione divina non solo di spalle ('àbor, v. 23), ma anche dai piedi o anche solo da ciò che sta sotto i piedi oppure dalle orme. Co-

2 Reg. 18,27 (cocl. Q): me ragléhem urina, e I ud. 3,24: cbtOXEVOVV -.oòt; n6lìa.t;. È dubbio se anche l'espressione ebrairn hesck raglaifm (lud. 3,24 e I Sam. 24A) sia un eufemismo; cfr. GESENIUS·BUHL e KOHLERBAUMGARTNER, s.v. skk hlf'il e --'> SUlCERUS, s.v. I 3. Anche in Is. 6,2 regel può essere inteso sia in senso proprio sia in senso eufemistico. L'esortazione di David a Uria di andare a casa a lavarsi i piedi (2 Sam. n,8) implica forse già la vera intenzione di David (vv. u ss.), cioè che Uria abbia rapporti con la moglie. Cfr. la locuzione che troviamo in Cic., Alt. 2,1,5 e in Mart. l0,81,4; u,71,8: tollere pedem (pedes) (scii. ad conwbitum). 36 Non si menzionano mai le scarpe dei sacerdoti: né nella regola che impone loro di lavarsi mani e piedi prima di iniziare il loro servizio (Ex. 30,19) né nel rituale che prevede l'aspersione con sangue dell'alluce destro (Ex. 29,20; Lcv. 8,23 s.) né nella meticolosa descrizione dei paramenti sacerdotali (Lev. 8). 37 Vedi S. KRAUSS, Taltìludische Archiiologie 1 (1910) 183 s. Il piede nudo deve essere la-

vato anche nei giorni festivi (Joma j. 8,1 [44 d 29 s.]). 8 In Is. 32,n e Micb. 1,8 la nudità sembra essere espressione di lutto. Cfr. F. SCHWALI.Y, Das Lcben nach de111 Tode (1892) 13. 39 Cfr. JuNGBAUER, op. cit. (~ n. 33) 1349 s.; MOLLBR, op. cii. (~ n 26) 5. Con l'andare a piedi scalzi è legato il portare il !4q, segno inconfondibile di umiliazione: dr. MOLLBR, ibid. 41; I Reg. 20,31; 21,27. Se il !4q era indossato senza tunica, le donne avevano anche il petto scoperto: Is. 3,24; 32,u; d r. I. B ENZIGER, Hebr. Archiio/ogie 3 (1927) 75. t:> Rabbah ben R. Hona esigeva che coloro che gli si presentavano per il giudizio si levassero i calzari (Shebu. b. 31 a), evidentemente perché Dio è presente nel diritto. Secondo Ios., allt. 14,172 l'imputato doveva presen· tarsi nl giudice in abito da penitente. Penitenza e lutto, che avviliscono l'uomo, sono anch'essi accompagnati dalla denudazione del piede. Cfr. LEVY, op. cit. (--'> n . 33) 181 s. 41 Cfr. EICHRODT, TheoJ A.T. n r-18 (§ 12); ~ µopqi1J vn, coll. 499 ss.

Js Cosl

=

1touç C ,5-D r (K. Weiss)

sl abbiamo Ex. 24,ro, con la descrizione del prezioso poggiapiedi, ma non della persona di Dio. Ps. r8,ro ( = 2 Sam. 22,ro) descrive cosl la teofania: «Aveva sotto i piedi una nube oscura». David chiama l'arca «sgabello dei piedi del nostro Dio» (I Par. 28,2; cfr. Ez. 43,7; Ps. 99,5; 132,7; Lam. 2,1) 42• Ps. 77,20 parla della via, del sentiero, delle orme di Dio invece che di Dio stesso; Nah. 1,3 solo della polvere alzata dai suoi piedi, Abac. 3,5 dei suoi passi. La venuta di Jahvé nel giorno del giudizio è descritta da Zach. I4,4 in questi termini: «I suoi piedi poseranno quel giorno sul Monte degli Ulivi».

D. IL NUOVO TESTAMENTO Il N.T. fa un uso molto limitato dei vocaboli che possono indicare le estremità inferiori. Oltre a 'ltouç e yow, abbiamo 1t'tÉpva., calcagno, solo in Io. 13, 18 (citazioni di ~ 40,ro, ove i LXX leggono 1t-rEpVt
(v1,628) 16

1touc; (il co 44 • Ci limiteremo invece a trattare quei testi in cui la menzione di 1touc; ha più ampie associazioni. l . Anche nel N.T. r.ovc; (o il plurale 1tOOEc;) può indicare tutta quanta la persona (in moto o ferma, -7 coli. 6 s.). In Act. 5,9 si legge: tooù oi 1tooEc; -rwv ìJmji&.v-rwv -ròv a:vopa. crou btt -rn Mp~ :>w.i Èl;oicrou; grazie all'omissione del v. II b nella citazione di o/ 90, cade l'immagine di un cammiI

"\I

nei paesi di lingua tedesca si usa 'gamba' per 'piede' (Triibners deutsches Worterbuch, ed. A. GoTzE I [ x939] 269) e 'piede' per 'gamba' (P. KRE'l'SCHMllR, Wortgeographie der bochdeutscbe11 Umgangssprache [ 1918) no s.). [DEBRUNNER]. 4-1

Anche Herm., vis. 4,1,6 e 4,2,r.

17 (VI,628)

1touç D 1-3 (K. Weiss)

no arduo per un sentiero sassoso dove il piede può inciampare, e il testo viene adattato alla situazione del momento, nella quale non corre pericolo solo il piede, bensl tutta la persona.

mo che agisce scandalosamente, mentre il piede può essere al massimo il mezzo che permette all'uomo l'attuazione della sua malvagia volontà. 3·. Il N.T. conosce anche l'uso di

TIOuc; quale simbolo del potere. In que2. Per assunzione diretta della fraseologia dell'A.T. (-7 coll. I I s.), asso- st'uso particolare si manifesta però ]a ciata con le metafore della via = con- differenza costituita dal messaggio cridotta ecc. (oooc;, ~ vrn, col!. 239 ss.), stiano rispetto all'A.T. per quanto ridell'armatura, del cingersi (-7 VIII, coll. guarda il rapporto della comunità di 862 ss.), la parola 7touc; acquista il signi- Dio col mondo e i suoi abitanti. Questo ficato traslato di persona pronta all'a- rapporto ha subito infatti un notevole zione o già in azione. Cosl Le. l ,79 (ri- mutamento. Mentre spesso nella reliprendendo Is. 59,8 ): -rou xa-revi)uw.lL gione dell'A.T. il piede viene usato sim~oùç 7toocxc; i]µwv Elç ooòv dpTjv'J'}ç, «per bolicamente in contesti che descrivono guidare i nostri piedi ( = noi) sulla via l'oppressione, la sottomissione, l'asserdella pace», e Hebr. r2,r3 (riprendendo vimento di un uomo da parte di un alProv. 4,26): 'tPOXLà.c; òpMc; TCOLEL't'E -roi:c; tro, di popoli stranieri da parte del por.:ocrìv vµwv, «fate dei sentieri dritti per polo eletto, del paese da parte dei i vostri piedi ( = per voi)». Le parole suoi potenti conquistatori (--7 col. 12 ), di Rom. 10,15 (che riprendono Is. 52, nel N.T. ritroviamo quest'ordine d'idee 7); wc; wpatoL ol 7COOE<; -cwv EÙr.t:yyEÀL- unicamente nell'Apocalisse, ed anche soµÉVWV ayai>a, «quanto sono belli i qui esplicitamente soltanto in Apoc. 3, pied~ di coloro che portano buone noti- 9, che è una citazione di Is. 49,23. Nel zie», non lodano i piedi, bensì i predi- resto del N.T. il piede non è mai simcatori della salvezza e la loro opera, an- bolo della potenza umana e la promessa che se l'immagine mette in risalto so- di Dio alla sua comunità in Rom. 16,20 prattutto il loro corso per il mondo. annuncia che Dio stesso «triterà preL'oggetto e l'immagine sono dunque sto Satana sotto i vostri piedi». L'eserancora molto vicini. Lo stesso vale per cizio del potere è rimandato dunque alEph. 6,15 e~ VIII, coll. 875 s.). Anche la fonte del potere, a Dio stesso. La il detto di Gesù sullo crx
1touc; D .3-4 (K. Weiss)

ora all'uno ora all'altro attore, bensì della storia che giunge alla sua conclusione nell'ultimo scontro di Dio con il principe di questo mondo e coi suoi accoliti. Perciò si attuano ora nella figura di Gesù, potente principe escatologico, le promesse di ~ 8,7: 1tpovc;
de o cade ai piedi di una persona in segno di inferiorità soltanto quando tale persona goda di un particolare rapporto con la potenza e la sublimità di Dio 45 • Act. 22,3 dice che Paolo era stato «allevato ai piedi di Gamaliele» ( &:va"t'E· ìlpa.µµivoc;... 1tCl.pa -roùc; n6om; ra.µa.À.t1}À. ). Questa frase non vuole soltanto descrivere la posizione esteriore dello studente che siede letteralmente ai pie- · di del maestro, bensì anche esprimere la riverenza per la torà, che spinge lo studente a tale atteggiamento 46 ( ~ n. 40; -+ vr, col. 1171). Gli apostoli, ai cui piedi si depone in offerta il ricavato dalla vendita dei beni (Act. 4,35.37; 5, 2), rappresentano il Signore e Dio : in· fotti quando Saffira vuole imbrogliare, Pietro accusa lei e il marito di «tentare lo Spirito del Signore» (Act. 5 ,9 ). Quando la donna cade morta ai piedi dell'apostolo (v. 10), è segno che la potenza punitrice e giudicatrice di Dio opera mediante Pietro. In questo contesto si colloca anche l'immagine di scuotere la polvere dai piedi (Mc. 6,r1 par. e Act. 13,51) 47 • Si tratta evidentemente di un gesto che esprime giudizio e condanna. Come mo· strano le parole dç m7..p-.uptov a.Ù'to~c; (Mc. 6,n) ovvero bt' a.ui:ouç (Le. 9,

4. Nel N.T. si dice che qualcuno sie-

5) (-+ vr, coll. 1356 s.), lo scuotere la polvere è una prova a carico dell'im-

Cfr. J. HoRsT, Prosky11ei11 (1932) 51-67.115 s. ~ 'ltPQCTXV\IEL\I; ~ y6vv Il, coli. 593 ss. % Cfr. STRACK-BILLERBECK II 764 (e). 41 Il · testo di Mc. 6,n e Le. 9,5 sta contro

l'interpretazione di ScHLATTER, Kom111. Ml. 334, secondo cui si tratterebbe della polvere sollevata dai piedi camminando, che viene poi scossa via dalla veste.

45

1tovc; D 4-5 (K. Weiss)

n (v1,630)

putato 48 • Si tratta quindi di una azione potente degli apostoli, compiuta per l'autorità di Dio e di Cristo. Questi poteri degli apostoli sono però limitati: quando Cornelio (Act. 10,25) si getta ai piedi di Pietro in atto di venerazione, l'apostolo lo rialza dicendogli d'essere soltanto un uomo. Persino l'angelo apocalittico (Apoc. 19,10; 22,8 s.) impedisce al veggente di gettarsi ai suoi piedi in gesto di adorazione: opa. µ1) ... i:@ i1E0 'itpoO"xuvricrov, «guardati dal farlo! ... adora Dio». 5. Illimitate e incontestate sono invece le espressioni di subordinazione, sottomissione e adorazione ai piedi di Gesù. Il Battista dichiara (Mc. r,7; cfr. Act. l 3 ,2 5) di non esser degno di chinarsi davanti a lui neanche per sciogliergli i legacci dei calzari (~ IV, coll. 935 s.). Il veggente (Apoc. 1,r7) cade come corpo morto ai piedi di Gesù, soggiogato dalla divinità della sua apparizione. A dire il vero, resta da chiedersi se anche negli altri passi in cui il il N.T. descrive persone che siedono, cadono o vengono deposte ai piedi di Gesù si voglia esprimere questo effetto della divinità del Cristo, come avviene palesemente nei casi menzionati. Questo problema rientra però tra quelli 43 Come risulta chiaramente soprattutto da un confronto di Mc. 6,n con Mt. ro,14 s. e Le. IO,II s., ma anche dal gesto di Paolo in Act. 18,6 (conformemente a Ez. 3,18 s.; 33,1-9). 49

E. v. D<.lBscHiiTz,

Kvp~oç

'Irwoui;;: ZNW

(v1,630) 22

connessi col titolo di xvpto<; ( ~ v, coll. 1481 ss.) 49 • Nella maggior parte dei ca· si, l'atto di sedere o cadere ai piedi di Gesù è del tutto naturale, o per la situazione oggettiva o perché esprime l'onore reso comunemente anche ad un rabbino (segno di rispetto), o la venerazione dovuta al Messia ritenuto presente in Gesù. S'interpreterà però correttamente l'opinione degli agiografi, anche dove non è assolutamente esplicita, vedendo generalmente nel gesto un segno di adorazione divina. Ciò vale per l'episodio di Giairo (Mc. 5,22 = Le. 8, 41), della donna sito-fenicia (Mc. 7,25), dei malati deposti ai piedi di Gesù (Mt. 15,30), di Maria a Betania (Io. u,32), per tutti i casi nei quali la venerazione divina è accompagnata dalla richiesta di aiuto, come in Le. 17,16 (il lebbroso samaritano; cfr. anche Pietro, Le. 5 ,8 ), e dove l'adorazione si accompagna al ringraziamento per Gesù e alla lode di Dio. Il gesto del samaritano che si getta ai piedi di Gesù con la faccia a terra 50 mostra che a Gesù viene riconosciuta una dignità regale e gli viene quindi reso l'onore appropriato (così Dio, assiso sul suo trono, viene onorato dagli angeli, dagli anziani e dai quattro animali in Apoc. 7,11 e n,r6; cfr. Mt. 17,6; I Cor. 14,25). Nel caso dell'inde30 (1931) 97-123.

Per il gesto di gettarsi con la faccia a terra cfr. HoRST, op. cit. (~ n. 45) 53-55; STRACKBILLERIJECK u 260 s.; S. KRAUSS, Sy11agogalc Aitertiimer (1922) 348 s. SO

'ltovç D 5-6 CK. Wciss)

(v1,631) 24

moniato geraseno guarito (Le. B,35) e con quello della donna, allora si coglie di Maria (Le. 10,39) che siedono ai pie- tutto il significato delle azioni di quedi di Gesù, non è invece possibile dire st'ultima. Gesù, che per la sua natura se la posizione sia più di un semplice divina è visto come colui che rimette i segno di attaccamento riconoscente o di peccati, è fuori della portata dell'uomo ardente desiderio cl' apprendere 51 • In peccatore. Come nelle teofanie (~ coll. Mt. 28,9 l'abbracciare i piedi e il 1tpocr- 14 s.) 53 , il mondo peccatore può giunxuvEi:v sono invece ovvio segno di o- gere a toccare soltanto l'estremità inferiore del corpo divino, i piedi, ed è maggio divino 51 • Tutto ciò trova la sua espressione quindi ai piedi che esso deve rivolgere massima nell'episodio della grande pec- l'onore, l'adorazione, tutta Ja sua dedicatrice (Le. 7,36-50). In questo episo- zione. Questa interpretazione dell'epidio non solo ricorrono tutti insieme i sodio lucano è suffragata efficacemente gesti di devozione che potevano venir dal confronto del racconto di Matteo compiuti ai piedi della persona da ono- (26,6-13) e Marco (14,J-9) con quello rare (lavare, asciugare, profumare, ba- giovanneo (lo. 12,1-8) dell'unzione di ciare i piedi), non solo tutti questi gesti Betania 54 • Marco e Matteo dicono che avvengono in modo particolare (i piedi la donna unse il capo di Gesù, Giovanvengono lavati con le lacrime invece ni i piedi (Io. n,2; 12,3). Ancora una che con l'acqua, asciugati coi capelli in- volta il motivo di questa modifica del vece che con un panno, unti con profu- quarto evangelista è trasparente: ci si mo prezioso invece che con olio), ma può avvicinare con un simile atto di viene fatto ai piedi ciò che spetterebbe devozione soltanto ai piedi del Cristo al capo (vv. 45 s.). Se inoltre si con- della gloria, oggetto della rappresentafronta il comportamento dell'ospite ver- zione di questo evangelista. so Gesù (il padrone di casa è un fariseo 6. Così, finalmente, siamo in grado che ospita un rabbino: si rivolge infatti a Gesù chiamandolo oto
mentaria che fa terra sia lo sgabello dei piedi di Dio. Per il nostro scopo non qui è necessario decidere, in un senso o nell'altro, l'annosa questione se si tratti dello stesso episodio di cui ci parla Luca. Cfr. K. Wmss, Der wesl51

liche Test. Lk. 7,46 und sein Werl: ZNW 46 (1955) 241-245: in questo saggio ho cercato di mostrare che l'unzione dei piedi ecc. in Le. 7 rappresenta un'inserzione posteriore ripresa da Io. 12.

25 (v1,631 l

rcovç D 6-7 (K. Weiss)

di (-7 IV, coH. 1289 s.; -7 vn, coll. 1025 s.). A tutta prima ciò che Gesù fa ai discepoli (Io. 13,1-20) appare certamente incomprensibile dopo quanto abbiamo detto, giacché in questo episodio ci troviamo davanti al paradosso del Signore glorioso che si china ai piedi degli uomini. Ma è proprio questo patadosso il cuore del racconto. La pericope non intende fissare un particolare rito battesimale per fornirgli un fondamento eziologico, né respingere falsi riti 55 , bensl illustrare l'opera salvifica di Gesù, che si abbassa, si umilia fino a lavare i piedi in un servizio riservato agli schiavi; si spoglia della sua gloria divina e procura così la salvezza all'uomo oggetto di questo servizio. Questo episodio poteva effettivamente essere interpretato dai presenti in tale senso, perché gli antichi consideravano il lavare i piedi come un servizio riservato esclusivamente agli schiavi, come espressione della massima dedizione. Quando David chiede Abigail in sposa, la donna risponde gettandosi con la faccia a terra e dicendo: «Ecco, la tua serva sarà come una schiava per lavare i piedi dei servi del mio signore» (rBcm.25,41). Raccontando il medesimo episodio, Flavio Giuseppe rafforza ancor più l'espressione della prontezza di Abigail al servizio: «Ma ella disse a quelli ch'erano stati mandati di non essere degna neanche di toccare i piedi di lui ( = di David)» (ant. 6,308: 'Ì"i oÈ aval;la 1.dv etvw xat 7tOOWV &tj;aoi>a~ ss Vedi Bultmann, ]oh. 357 n. 5 a Io. 13,lO. Per gli scritti rabbinici vedi STRACK-BIL. LJ!RBECK J[ 557; I 428.

56

'tWV btElvov ... EÀ.EyEv). Erodoto ci ha conservato un oracolo delfico sulla ca· duta di Mileto, nel quale tra l'altro si legge: crn.t o'o).oxot 7tOÀ.À.ofot 1tOO<X<; vltjJovcn xoµ1}'taL<;, «e le tue spose laveranno i piedi a molti lungochiomati»; l'adempimento di questa profezia è descritto, poco dopo, cosl: yuvai:xE<; xat 'tÉxva Èv à.vopa.1toowv À.oy4J Èylvov-.o, «le donne e i figli furono tenuti in conto di schiavi» (Hdt. 6,19). Plut., Pomp. 73 (r 658 d): ~Ep<.t.7tEuwv oa-a oE
solo in Act. 7,33 come reminiscenza storica (Stefano cita Ex. 3,5).

K. Wmss s1 ~ SurcERus, s.v. 1 2 documenta la prassi e l'interpretazione della lavanda dei piedi presso i Padri greci.

r.:pa
I

I

re. Mnurer)

npa<Jcrw, npéiyµet.., npayµa:n:la., 7tpayµa:t"EUO(J.CU., ota.7tpayµet..'l"Euoµm., 7tpax-rwp, 7tpu~tç

t 1tpci
tra sponda), compiere un cammino, transitare, andare avanti (Horn., Od. 9, 491; Il. 14,282; 24,264 e passim). Si

SOMMARIO:

A. Fuori del N.T.: I. La grecità profana: I. il significato di r.p&.ucrw; 2. 1tpa
A.

arriva cosl al significato successivo. b) Compiere un cammino per procurarsi qualcom: xÀéoç E7tp (Pind., Isthm. 5,8). c) Se l'immagine della strada viene applicata a quella dell'azione intesa in termini astratti e globali, non si guarda tanto all'esito raggiunto 2 , quanto all'occupazione, più o meno intensa, con la cosa che si sta facendo. Il verbo significa dunque essere

affaccendato, occupato con qualcosa, occuparsi di qualcosa, praticare, esercitare, fare. Plat., Charm. 162 a e passim:

7tpcX
I. La grecità profana 1. Il vocabolo deriva dalla radice indoeuropea per ed ha assunto la forma ionica 7tpljvcrw, attica 'ltpch'tw, passando per 7tÉp&(v), *7tpi'i-xo, *7tpiix-jw 1• Il verbo significa giungere oltre, attraversare, compiere, fare. a) Bisogna partire dall'espressione, che ricorre nell'epica, npljcrcre:L'V aÀ
'ltp&.
Worl.,

PREUSCHEN-BAU.ER ',

s.v.; Syno-

molto utile è sempre J. H. H. SCHMIDT, nymik der griech. Sprache I (:r876) 397-423. Per l'antica poesia greca dr. O. BECKER, Das Dild des \Veges u11d verwa11dte Vorstellungen im friihgriech . Denke11 in: Hermes, Einzelschriftcn zur klass. Philologie 4 (:r937) s.v. 1 Per l'etùnologia vedi Bo1sACQ 8rn; HoFMANN 282; POKORNY 81I .

2 Nel greco più antico 7tpa.-·n:w indica in maniera più forte che in epoca più recente un'azione tesa ad un fine. B. SNELL, Aìschylos u11d

TCpa't'tl!L'V "\Ù. [ "\Ò] fou'tov, «occuparsi delle cose proprie»; Plat., ap. 31 d: 7tp6-.'t'tEt\I 'tÙ. 7tOÀ~'t~Xà ( 'ltpayµCX.'tll.], «occuparsi di politica}>; Demosth., or. I 9,77; 26 ,2: 1tp6-.'t'tEt\I 'tl 'tL"\I~ [ ur.Ép 'tt\loç], «occuparsi di qualcosa nell'interesse di qualcuno»; Suidas, s.v.: op&.µa'ta TCpWrCTEL"V, «studiare drammi». d) Quando si tratta di danaro, soprattutto delle entrate ed uscite dello stato: esigere, riscuotere (quest'accezione è assodata anche all'idea di irregolarità, das Ha11deln im Drama: Philol Supplementband 20 (1928) u esagera però quando afferma che la differenza tra 7tp&.-t.-m1 e no~e~v consiste nel fatto che 7tp&.-r-tELV indude l'idea del compimento. Ha invece ragione J. H. H. SCHMIDT, Handbuch der lat. twd griech. Syno11y111ìk {:r889) 297: in attico 7tp&.-r-tew indica «l'attività o l'occupazione diretta a un fine preciso, nella quale il soggetto dell'azione sembra essere più o meno impegnato». Per la comprensione globale è importante distinguere l'uso linguistico più antico dall'uso attico. (H.

SCHRECKENBERG].

'l':pticnrw A r r-:a (C. Maurer)

di abuso): Hom., batrachomyomachia

{VI,633) 30

guistico di Platone, che condizionerà i 18 5: 1tpcl.crcrc:r, µe "tOXOV, «riscuote da secoli successivi. Tra le centinaia di eme un balzello». Generalmente al me- sempi, soltanto tre si riferiscono - ma dio: Plat., Hi. I 282C: T.pri.."t'tEcrl>o:t XPTi- in modo sorprendente - all'operare dip,a-.a, µtcri}òv x-cÀ.., «pretendere, pat- vino. Secondo Plat., resp. 3,391 e, non tuire un salario ecc.»; al passivo in bisogna dire nulla che getti discredito Thuc. 8 ,5 ,5 : Ù1tÒ f3runHwc; 1tE7tpct:yµÉ- sugli dèi, «perché allora ognuno sarà invoc; cp6pouc;, «costretto dal re a pagare dulgente con la propria cattiveria, se è il tributo». e) Se passa totalmente in convinto che i consanguinei degli dèi secondo piano l'intensità dell'occupa- (scii. gli dèi stessi) commettono e comzione con l'oggetto, si arriva al signifi- mettevano simili colpe ("TOL«.U"t«. 'ltpcl't'cato astratto di fare, agire; spesso ab- 't'OVcrl -rE xo:t ~'ltpct.'t''t'OV)». L'azione debiamo l'uso assoluto nella locuzione gli dèi non si distingue qui fondamen1tpcl."t"tELV xo:i Myc:w, «fare e dire». Un talmente da quelJa degli uomini, ma è oggetto in accusativo precisa poi addi- sottopostA come questa (sia pure con orittura la qualità dell'azione: 1tpci.-c-rELV gni cautela) al giudizio morale. Simile òlxo:to: fi &otxa, «fare cose giuste o in- è il caso di leg. ro,901 b, dove si-congiuste» (Plat. , ap. 28 b). f) L'uso del- danna il comportamento di chi, «sia dio l'avverbio caratterizza l'azione sotto l'a- sia uomo» (EL't'E ~eòc; eh'&vi)pw'ltoc;), si spetto del suo valore morale: 1tpét:t"TEtV occupa solo delle cose grandi e trascura [ 'tt J òpl>wc;, c;wcpp6vwc;, otxalwc;, ev, «a- le piccole. Ancor più scialbo è l'uso del gire giustamente, saggiamente, ccc.; fa- verbo in Phaedr. 247 a: ogni divinità re [qualcosa] bene» (Plat., Gorg. 488 «fa la sua parte» (1tpa"T"tWV 't'Ò ~o:u't'ou) a; 507 c; Alc. I n6 be). Nella maggior per contribuire alle felici evoluzioni del parte dei casi l'avverbio esprime però coro divino. Il racconto della nascita del una situazione esteriore o interiore; cosmo nel Timeo indica l'azione creatriPlat., Phaed. 58 e: Ev, xaÀwc;, xaxwc; ce degli dèi coi verbi 7tOtei:v (~ x, coll. 1n9 s.), Èpya~ecri}aL (~ m, col. 831), 'ltpci."C't'W, «sto bene, sto male, ecc.» ( cfr. il nostro modo di dire 'passarsela bene, 'ltÀci.'t''t'Etv (-4 x, col. 555), O'l'}µtoupmale'); Hdt. 3 ,26: ò cn6Àoc; oihwc; E- yei:v, yc.vvfi.v, ylyvc.c;l>m, ecc., ma non 'ltp'l'}çe, «la spedizione terminò cosi». con 7tpcX"t't'Et\I (dr. soprattutto Tim. 27 g) 'ltpci.o-uetv è anche termine tecnico nei d-42 e). Anche in Senofonte, nell'unico testi magici: compiere incantesimi, atti passo in cui npci."t"tELV indica l'operare magici (Preisendanz, Zaub. 14,951.1396 divino (mem. 4,3,13), ritroviamo la mes.; sostituito da 'ltOtEi:v: ibidem 5,338). desima situazione: .qui si dice che il dio h) Va notato particolarmente che ben supremo ordina e mantiene tutto il presto il verbo è già usato sensu malo, mondo, e «si vede che fa le cose più particolarmente nella storiografia, per grandi, ma proprio come ordinatore di indicare tradimenti: 'ltpci.'t''tEW 't'1]V 1t6- queste cose è per noi invisibile» {oihoç À.w, «tradire la città» (Polyb. 4,17,12); 't'& µÉytcna µÈv 7tpa"t't'WV òpa"ta~, "tauso assoluto: oi 7tpci.crc;ov"tec;, «i tradi- oe OÈ olxovoµWv a6p~'t"Oc; 'i)µi:v fo't't\I ). In questo passo np&.-.-.w.i riassume in sé, tori» (Thuc.4,89,2; 113,1). piattamente, il governo di colui che, in 2. Uno sguardo generale ci permette quanto bene assoluto, concede a ciascuuna prima constatazione di notevole no ogni cosa al momento giusto. Il verportata: solo in rari casi 'ltpcl't''t'ELV è bo indica quindi soltanto lontanamente usato per indicare l'agire degli dèi. È l'azione divina creatrice e ordinatrice particolarmente sintomatico l'uso lin- del cosmo. Riepilogando: soltanto in

r.pauc;w A

1 2-3 (C.

casi eccezionali 'ltpa"t'"t'ELV indica un'azione divina, ma anche allora non mette in risalto l'aspetto creatore, come fa, ad es., TCOLELV (~ x, coll. I l 18 ss. ). Il verbo 1tpcX:t'"t'EL\I è piuttosto usato dove l'attività divina è considerata analoga a quella umana, ma allo stesso tempo, astratta com'è, si sottrae al giudizio umano. Risultati simili emergono da un esame della poesia più antica 3 • Anche qui abbiamo testi in cui si parla, in maniera irriflessa, dell'agire divino negli stessi termini dell'operare umano: 1tpfj~a.t ò' i:'µ'Jt11ç ou "t't ovvi)crEat, «eppure nulla potrai fate» (Horn., Il. 1,562); un uso simile del verbo anche in Aesch ., Prom. 75; Soph., El. 200. Oppure si preferisce volutamente 1tpa-ç"t'EL\I al verbo Sp
I passi seguenti mi sono stati gentilmente

Maurer)

zione. si coglie cosl più facilmente la differenza tra EÙ, xaÀ.wc; 'ltOLEL\I "t'L = fare bene (a fare qualcosa) ed EÙ, xa.À.wç 7tpa"t'"t'EW = stare bene. Istruttivo al proposito è un passo platonico (Plat., Phaid. 60 e-61 a) nel quale si racconta come Socrate venisse visitato spesso da un sogno che gli diceva «componi e fa' musica» (µoucrtxTiv 1tOlEt xai €py&..t,ou) e lui, alla fine, obbedisse componendo poesie. Prima, però, Socrate aveva pensato che il sogno chiamasse musica ln filosofia e lo incitasse, pertanto, «a fare quello che già facevo)> (o7tEP i:'npa"t'"t'OV ). Con ciò non è stato detto niente circa l'intensità di tale occupazione; ma d'altra parte si dice altrettanto poco del suo risultato. In un altro testo platonico (Charm. 163 a-c). Crizia distingue tra "t'a Èa.u'tou npch-cEw nel senso di fare il proprio dovere, cioè fare: ciò che è giusto, buono, e "t'a Èau'tov 1tOLEL\I =

prodm·re le proprie cose (e non quelle degli altri). Socrate respinge, è vero, questa distinzione sofista, ma usa anch'egli il verbo 1tpch"t'EW quando si tratta di indicare con avverbi il carattere di questo agire (Charm. 163 d-164 c). Da questi esempi risulta che il termine 7tpa"t'"t'ELV si presta bene all'analisi teoretico-filosofica intesa a valutare l'operare umano astraendo al massimo dal contenuto e dagli oggetti dell'azione. Per questa ragione 7tpa't''tELV compare con tanta frequenza non solo nel linguaggio quotidiano, bensl anche nella letteratura filosofica. In questo secondo caso si tratta della maniera in cui si agisce (xaÀ.wc;, òpìJwc;: Plat., symp. 180 e-181 a; Pro!. 332 a ss.) o dello scopo e intento dell'azione (Gorg. 467 c ss.). L'azione deve avere per fine il bene (Gorg. 499 e). La filosofia greca si pone soprattutto il problema della conoscenza dalla quale nasce l'azione che porta alla beatitudine (Plat., Charm. 173 cd; Prot. indicati per lettera da H .

Sc HRECKENBERG.

r.p&.crcrw A

Hl

(C. Maurer)

lVI,6J)) .34

3 5 2 c ss.) e meno il problema cli un pos- 1tpciu11wJ traduce i verbi ebraici 'afii, sibile contrasto tra conoscenza e azione fare (5 volte), pa'al, operare (4 volte), halak, camminare (2 volte). Lo scarso (~ 7tOLÉW x, coll. u37 s.). A base dell'azione scorretta non c'è una mancanza uso di 7r:pacnrwJ dipende certamente di capacità o di volontà, bensl la à.µa- dal fatto che il significato astratto di iHa.., la mancanza di Émcr-r1Jµ11 (Pbt., questo verbo è troppo debole per deProt. 357e; Gorg. 488a). Questa conce- scrivere l'azione dinamica e creatrice di zione è presente in molte variazioni, che Dio, oppure l'azione dell'uomo dettata non possiamo esporre qui particolareg- dall'obbedienza personale. Forse nel giatamente, in tutta la filosofia postpla- verbo si sente troppo anche un certo tonica, fìno alla Stoa. Secondo Epittcto tono commerciale. Si capisce così anche l'uomo buono non fa niente per amore perché quasi sempre 'ItpacrO"ELV compordell'apparenza, bensì agisce per l'agir be- ti una nota etica negativa. Il fenomeno ne {-rou 7trnpiixl)aL xaÀ.wç Evexa.). Infa t- è particolarmente sensibile ne11a letterati l'azione buona e giusta (-rà xa..Àà xa.t tura sapienziale: µE't'à ci.BouÀlac; (Prov. OLX(l.LOC 7tpa:t"'tEL\I) è già premio a se 14;17; cfr. 25,28); 'Jt(>MO't:LV 't't É'll Epstessa (diss. 3,24,50 s.), proprio come la yotç vBpi;wç, «agire con arroganza» legge di vita dell'uomo che è per natu- (Ecclus 10,6; cfr. 3 Mach. 2,3); 'ltp&.crra capace del bene consiste «nell'agire ITéLV a'to1ta (lob 27,6; 36,21; 2 Mach. secondo natura» ('t'Ò &x6Àou~ov -rn cpu- 14,23); èHÌtxoc (Iob 36,23); xocxci (Prov. cn:i 1tp6:'t''tEW, diss. l,26,1 ). D'altro can- I0,23; 13,IO); cfr. 'ltpaO"p6vwç to il peccato che è nell'uomo, la con- (Gen. 31,28); uso assoluto: Sap. 14,10. traddizione tra volere e fare ('JtOLEt'll ), è Sorprendente è Sap. 12>4 con la sua acriconosciuto e superato con la conoscen- cusa («facevano le cose più detestabiza, che l'uomo può acquisire (diss. 2,26, li») di atti magici e di riti empi, durany5). In questo modo, però, benché si te i quali, in eccessi di furore mistico, usino quasi le stesse parole di Paolo si uccidevano dei bambini. Il linguaggio sulla contraddizione tra azione e cono- figurato con cui Prov. 30,20 descrive scenza, si giunge a una visione tadical- l'opera della donna adultera {essa «manmente diversa dell'operare umano (~ gia», dice l'ebraico) è sostituito nei IV, coll. 280 ss.). LXX da un eufemistico o't'ocv 'ltp6:~u. espressione simile a quella che troviamo II. I LXX già in Theocr., idyll. 2,143. Il nostro Rispetto a 'ItOLEi:v ( ~ x, coli. r 142 ss. ), verbo ha un significato chiaramente po4 7tpa1TCTELV ha nei LXX un ruolo del tutsitivo solo nei libri storici: xa..Àwç 'Itp
La fonna

1tPc.t't''t'-

è usata soltanto in

2

e 4

Mach.; THACKERAY 122 s.; HELDJNG 19 s. s La singolare posizione dei due libri (per quanto attiene all'uso di 7tp&.cr
Book o/ Job, Lunds Universitets Arsskrift N.F. Avd. I Bd. 43,2 (1946) 17, secondo il quale essi sarebbero stati tradotti dalla stessa mano. Ma anche negli esempi da lui addotti compaiono spesso :i-4Mach. [KATZ]. 6 Cfr. come fonte di questo passo 2 Par. 35, i.

35 (v1,635)

1tp&.a-o-w A

Il - B

greci di 1tpa-.'t€LV i LXX usano soltanto ow.'ltpcia'"créw e 1tpOCT1tp6.crcri::w, confermando il loro distacco nei confronti del nostro verbo. La traduzione di Simmaco (II sec. d.C.) si allontana sensibilmente dai LXX, in quanto usa 'ltpacrcrw.1 persino per indicare l'operare di Dio (tjJ 17,26; u8,1:26; anche tjJ 45,9: & ÒLE'ltpa~o:'t'o XUpLO<;).

III. Filone e Giuseppe 1 . Solo una volta Filone usa 1tpacrcréw in riferimento a Dio, distinguendo nettamente l'attività teologica del demiurgo al momento della creazione (1tOL€LV~ X, coli. 1125 ss.) dalla sua occupazione nel presente, quando la sua attività non segue un disegno preciso (7tp6.crcre:w ): lo spirito umano indaga chi sia il demiurgo, «che cosa abbia fatto con un disegno ben preciso e che cosa faccia ora e quale sia la sua occupazione e vita» ( xo:i i:l OtO:VO'r)tMc; È1tolEt xat •l vuv 7tpa-i:-ret xo:ì. •le; a.1h4) oto:ywy'ÌJ xa1 0loc;: Abr. 163). L'agire umano costituisce l'arte pratica della virtù, che si affianca aJl'arte teoretica (leg. alt. I ,57 s.). Si tratta quindi, in conformità con l'ideale stoico dell'uomo saggio, di giungere a una sintesi armoniosa di pensiero, volontà e azione (poster. C. 85-88; vit. Mos. 1,29 ecc.). Perciò incontriamo spesso in Filone la frase eterogenea 7tpa-r'tELV xat À.Éyi::tv (op. mund. q4; Abr. 6; decal. 101 ecc.). Certamente l'Alessandrino sottolinea di continuo i1 motivo veterotestamentario dell'amore di Dio come esigenza assoluta: la vera pietà consiste nel fare tutto soltanto per amore di Dio (leg. all. 3,209; cfr. 126). Ma anche con questa esigenza l'uomo non è messo veramente a confronto con un altro soggetto, perché Dio viene, in

27, dove W. RunOLPH, Die Chronikbiicher, Handbuch A.T. I 21 (1955) ad I., vorrebbe leggere d'riikiiiw invece di d'biiriijw.

(C. Maurer)

fondo, equiparato alla
=

B.

2.

IL NUOVO TESTAMENTO

Nel N.T. si rafforza ed appare ancor più netta quella linea che abbiamo rilevato nella grecità profana (~ coli. 2 7 ss.) e soprattutto nei LXX (~ coll. 33 ss.). Mentre i verbi 7tOtEL'v (Mc. 5,19; }lf.t. 19'4 e passim, ~ coli. n33 ss.), Èpy&..t;,Ecri)m (lo. 5,17 ~ III, coll. 842 s.) e XO:'tépycit;,ecri>o:t (Rom. 15,18; 2 Cor. 12,12) vengono usati come predicati di Dio o di Cristo, Dio non è mai soggetto di 1tp&..crcr&w 7• Questo termine scialbo è usato unicamente per indicare l'attività umana, e anche qui con un 7

La forma attica r;pctT't'- compare .5 volte in varianti testuali: Le. 3,13; Act. 5,35; 17,7; 19,36; I Tbesr. 4,1r.

37 {Vl,635)

7tpàaaw B 1-2 (C. Maurer)

giudizio prevalentemente negativo.

l'alternativa &:ya1'0v 1] q>ct.vÀ.o\I e simili (Act. 5,35; Rom. 9,n; 2 Cor. 5,10). Una considerazione analoga possiamo fare pet Act. 26,26 e I Cor. 9,17, dove si

I. I 39 passi del N.T. nei quali ricorre il nostro verbo cadono tutti, con sole due eccezioni (in Giovanni), negli scritti di Luca (Le. 6 volte, Act. l 3 vol- vuol mettere in risalto più il modo in te) e di Paolo ( l 8 volte), e solo rara- cui avviene l'azione che l'azione stessa. mente mostrano una nota etica positi- Il verbo ha valore neutro anche in I va. Act. 26,20 rende in modo scialbo Thess. 4,n: 'itpM
Il II costrutto

'ltpét't'tE~v

8 BBNGEL; ZAHN, Ag.; WENDT, Ag.; BAUERNJ.'EIND, Ag. 9 Cfr. i paralleli indicati da HAENCHEN, Ag.,

'ltO~E~V

ad/. : lgn., Eph. 4,2; Sm. IX,J Iust., apol. 28,3. to Variante a Le. 19,23: &.vfopal;a, richiedere (codd. A®).

12 Cosi WENDT, HAENCHEN, Ag.

-.wl

't~

è unico nel

N.T. Il senso richiederebbe in questo caso (cosi il cod. E); dr. r57,1 appendice. Ag.;

BLASS·DEBRUNNER

BAUERNFETND,

Ag.;

39 (v1,636)

-n;pacrcrw B z (C. Maurer)

ta una colpevolezza, ma nella nuova età della rivelazione viene inserito nella sconfinata misericordia di Dio. La linea negativa risalta ancor più quando confrontiamo npcicrcrEw con gli altri verbi di fare. Invero abbiamo anche nel N.T. un'area di coincidenza entro la quale i diversi vetbi possono essere usati come sinonim'i; cosl Rom. 2,25 (~ coli. 37 s.); Rom. l3,4: xaxòv 11:pacr(n:w = xaxòv 'ltOLEi:v; oppure I Cor. 5,2 s.: ò r.pcX.~ac; 13 = ò xa't'e:pyacrG.µe:voc;. Non esiste invece alcun parallelismo tra 'ltPtXaL in z Thess. 4,u 14 • Già i due passi giovannei con 7tp
Invece i codd. P 46 BDG pm leggono

7tOL1)-

craç.

La Vulgata distingue quasi costantemente tra il più generico e astratto 1tp&.crcreiv = agere ( occuparsi di qualcosa, fare qualcosa), il produttivo -n;o~Ei:v = facere ( = produrre, creare) e il concreto tpyal;ecri>m = opcrari ( :== affaticar#, realiztare q11alcosa co!l fatica). 15 Ln varianti testuali potrebbero essere do14

=

2,3 l'Apostolo sceglie con cura le parole: ot 1tpacr
massa di coloro che vegetano nella morta gora della viziosità pagana; al contrario l'operare di coloro che conoscono la volontà di Dio si pone più decisamente come trasgressione consapevole e viene descritto con 'ltOLELV 16• L'Apostolo non pensa qui soltanto ai filosofi e alle autorità pagane che dànno l'esempio dei vizi maggiori, ma ha già presente il giudaismo edotto dalla legge, del quale parla subito dopo ( 2,r ss.). Anche esaminando il caso dei Giudei Paolo distingue il note:i:v di coloro che, pur conoscendo Dio, si ergono a giudici degli altri (v. 3), dal 1tpao-oav ìmpreci~ato di;:i vv. 1-3 ab, ottenendo un'efficace gradazione. Per quanto riguarda il nostro verbo possiamo dunque affermare che, anche quando sì tratta di descrivere il peccato, 'ltpacrcre:L\I ha un senso_ più indefinito e generale rispetto a quello più preciso di 1tOLE~\I, come l'incontro con la legge espone l'uomo peccatore al giudizio di Dio in _un senso molto più preciso. Probabilmente dobbiamo intendere in modo analogo la differenza tra ?tpclO'.O'ELV vute al fraintendimento dcl participio dativo 1tpaCTcrovow, va però accettiita la lezione del Nestle. 16 Bisogna cosl concordare col BRNGEL (a Rom. r ,32) per la spiegazione di 1tO~E~v ( etiar11 a/feclu et ratione), mentre quella di 1tp&.cr11Ew non è pertinente (hoc verbum... accurate exprimit pet11lantiam flagitiosorum divi11ae iustiliae prorsus contrariam ).

.p (v1,637)

e 'ltoLEtV in Rom. 7,15.19(~x,coll. 1180 s.; ~ rv, coll. 276ss.) 17 • Con riguardo al v. 16, già nel v.15 b l'attenzione si appunta sul volere e non già sul fore: perciò, in un primo momento, l'Apostolo usa 'ltpa/.TCTEW ( = essere occupato in qualcosa, venir facendo) per indicare un fare che non mira all'adempimento della volontà 18 • Invece pel caso contrario, quando l'uomo fa ciò che odia, Paolo usa il ben più definito r.otELV, giacché in questo caso l'azione si attua completamente, si compie. La pericope di Rom. 7,18-20 esamina invece l'operare (xa'tt:pyrisEcrila.L) dominato dal peccato. Se per quanto riguarda il volere si può avere ancora l 'impressione che l'uomo resti in qualche misura autonomo, quando si passa all'operare si vede che il peccato, che porta a fare il male, è signore incontrastato (v. 18). Davanti al peccato 1a volontà di fare il bene sparisce dalla scena ( v. 20). Di qui si capisce il cambio dei verbi nel v. 19: il verbo 'ltOtEtv, più forte e implicante l'idea di azione portata a termine, sottolinea appunto la tragedia di non riuscire a fare 17

Per la bibliografia su Rom. 7 cfr. W. G.

KiiMMEL,

Rom. 7 u11d die Bekebru11g des Pau-

/11s (1929) vn-xv; P. ALTHAUS, Paulu:r tmd L11ther iiber de11 Me11:rche11 2 (1951) 12; inoltre K. DARl'H, Kirchliche Dogmatik 1v 1 ( 1953) 648-659; Mrc HEL, Rom., ad i. 1s Oggetto di i}f>,ew, 'ltpa
il bene, che pure si vorrebbe. Non resta che una vita spenta, in cui l'uomo è occupato a fare il male che non vuole ( 1tprX
3. ·Particolare attenzione meritano le parole degli Atti che stabiliscono l'innocenza di Paolo nel processo di Gerusalemme e che culminano nelle parole di Pesto ad Agrippa n: i:ht o-ÒoÈv ilcivci't"OV 1) OEO"µWV èt~t.OV 'ltpaO'CTEL Ò livi)pw'ltO<;, oih·oc;, «quest'uomo non fa nulla che vada punito con la morte o con il carcere» (Act. 26,31; cfr. 25,n.25; paralleli di fatto sono, anche se non vi compare il verbo 1tpamn:w, Act. 23,9. 29; 25,18; 28,18). Anche qui sussiste, come trala morte di Stefano e quella di Gesù, un parallelismo intenzionale tra l'innocenza di Paolo e la triplice constatazione dell'innocenza di Gesù da parte di Pilato (Le. 23,4.14 s. 22) 19. Il significato di questo particolare schema espositivo di Luca non si esaurisce nella supposta tendenza a incolpare i Giudei e a discolpare le autorità romane per difendere cosl la giovane cristianità davanti allo stato romano 21l. Indie A11thropologie des Paulus, in Imago Dei, Festschrift fi.ir G. Kriiger ( 1932) 60 s. ha voluto vedere come oggetto la 'morte' e la 'vita' anche nel v. 15. 19 Cfr. R. MoRGENTHALER, Die /11ka11i:rche Ge:rchicht:rchreib1111g als Zeugnis I (1948) :182 s. 20 BAUERNFEIND, Ag. 266; M. Drneuus, Pa11lus in der Apostelge:rchichte, in Auf:riitie zur Ag., cd. H. GREEVEN 2 (1953) 179 s. (secondo il Dibelius Luca vorrebbe anche mostrare ai

cristiani come comportarsi davanti ai giudid);

H.

CoNZELMANN, Vie HAENCHEN,

u7-u4;

Mitte der Zeit (1954) a Act. 26,J2;

Ag. 621

43 (vr,638)

T>pcicruw B 3 - T>pi'iyµa.

l

(C. Maurer)

fatti, in primo luogo queste solenni il nome di Gesù Nazareno» (Act. 26 ,9 ), dichiarazioni d'innocenza sono fatte fa notare con le sue stesse parole fa difinsieme e concordemente dal procu- ferenza tra lui e Gesi1, nel quale soltanratore romano e dal re giudeo (Le. to si fonda l'innocenza dell'Apostolo. 23,14 s.; Act. 26,31); in secondo luogo, Ja decisione definitiva e ufficiale di Pi- C. I PADRI APOSTOLICI lato, indicata inequivocabilmente meNei Padri apostolici 1tpacrcrEw è usadiante il verbo Èmxplvmi (Le. 23,24) 21 , mette in evidente risalto l'abuso, la vio- to come nel N.T. a livelli diversi, con lazione della legge da parte di quell'au- una netta prevalenza anche qui dell'uso torità romana che era stata insediata negativo: 1tpacrcrELV indica generalmenproprio per proteggere e garantire la te l'agire riprovevole (cfr. r Clem. 35,6; giustizia. Dobbiamo inoltre presumere 2 Clem. 4,5; 10,5; Herm., mand. 3,3 e che il frequente riferimento al tribuna- passim). le imperiale (Act. 25,n s. 21.25; 26a2, ecc.) non sminuisca ma renda ancor t1tp&yµa maggiore la responsabilita di Roma per 1. r.ptiyµa è propriamente il concreto la morte dell'Apostolo, presupposta e sottintesa in tutto il racconto (dr. Act. di 1tpli~Lr.;, ma talvolta ne diviene quasi 20,25). In terzo !uogo, l'innocenza di sinonimo. Possiamo fissare il significato Gesù non è riconosciuta solo da Pilato, di 1tpliyµa lungo le seguenti linee. a) ma anche dal centurione ai piedi della L'attività a cui qualcuno attende perché croce (Le. 2 3.47) e, soprattutto, dal la- costituisce il suo compito: impresa, mansione, affare, compito, dovere, incomdrone alla destra di Gesù (Le. 23,41 ). Nel terzo Vangelo al centro degli av- benza : Plat., ap. 31 d: ..-à. 1tOÀ.L'tLXÒ'. venimenti sta Gesù, la cui innocenza 1tpctyµa-.u., «gli affari dello stato»; Phi(ÒLa 'tE xa.t xowà. viene proclamata da testimoni cosl dub- lo, plant. 146: bi come l'autorità romana e giudaica e 1tpayµa:ra, «gli affari privati e pubbliil malfattore in croce. In questo modo ci» . Anche in senso negativo: 1tpécyp,ail problema giuridico della colpa della -.a. EXELV, avere faccende antipatiche, afmorte di Gesù viene sottratto alla veri- fanni, noie: Epic., sententiae selectae 1: a.1hò - flca umana e Luca indica piuttosto la ..-ò µa.xapLov xa.i èiap•ov strana giustizia del OEL divino e~ II, 1tpctyµa..-et EXEL OV"tE lf).,), 'ltGtPÉXEL, coll. 796 ss.) per la quale l'innocente «l'essere beato e incorruttibile non ha redime i colpevoli 22 • In maniera del tut- lui né reca ad altri affanni». b) Indica to simile ora, secondo gli Atti, Paolo, l'oggetto dell'attività umana espresso in strumento del Cristo glorificato, dichia- termini generici e impersonali: cosa, afrato innocente da tutti e pure trattato fare, questione, ecc.; -.à µ€..-ÉWpet 1tpa:yda colpevole, porta l'evangelo a Roma. µet"ttx, «i fenomeni celesti» (Aristoph., Quando però l'Apostolo confessa aper- nub. 228 ); -.à. •i)r.; q>Va-Ewç 1tpci.yµa..-oc, tamente di essere stato in passato con- «i fenomeni naturali» dell'universo (Phivinto «di dover fare molte cose contro lo, som. 1,5 3 ); 1tp&:yµa'ta. àcrwµu.i:cx,

-.«

ov-.E

664 s. Che Luca voglia discolpare Pilato è negato, ad es., da M. J. LAGRllNGE, Evangile se· 1 lo11 Saint Luc (1948) 575· 21 Èn~xpl\IEW indica la decisione ufficiale del procuratore (contro CONZE.LMANN, op. cit. [ ~ n. 20] 7r s.): cfr. 2 Mach. 4,47; J Mach. 4 12;

Ios., beli. 6,416; a11t. 14,192; D1TT., Or. II 483,1 ss.; Act. 25,25. 22 Contro CoNZELMANN, op. cit. (~ n. 20) 71 s. rzo. Questo aspetto fondamentale esclude anche ogni analogia coi martiri giudei che soffrono innocenti.

;;piiyµo.

1-2

(C. Maurer}

2. I LXX usano 1tpiiyp.a in questo significato generale. Dei 125 esempi di 1tpiiyµoc, pii1 della metà compaiono nei libri scritti in greco nell'età ellenistica. Negli altri casi 7tpiiyµa. traduce quasi ovunque diibiir nel senso di cosa, affare 1• Due volte (lfJ 63,4; Prov. I3,I3) diibiir è tradotto con 'ltp cioè, in base al contesto (cfr. 2 Par. 8,9), in ischiavitt't. Altrove (Ecc!. 3,r.I7; 5,7; 8,6) rcpéiyµa.

traduce /:Jefef = cosa, oggetto 2 • Altri equivalenti ricorrono in tutto l'A.T . solo isolatamente. Potrebbe sorprendere che alcune volte i LXX usino 7tpéiy1ux. per indicare le opere di Dio, ma un esame più attento dei passi mostra quanto quest'uso sia casuale. Is. 25,1: É'ltol'l")auµaa.uµaO'LOC, che altrove rende pele' (tjl 76,12.I5; 77, 12; 87,n.13; 88,6). Un costrutto analogo si trova in Is. 28,22: cruv't'E'tEÀECTµÉ.\/a xa.t (1\)\/'tE'tµ'l")µÉva. 7tp6:yµa.-.a., «cose portate a termine e compiutel> ( = kiila wene/:Jeriifa, «distruzione e giudizio»). Cfr. al proposito Is. 10,23, dove la medesima locuzione ebraica è resa con À.6yoc; <1\JV't'E'tµ"l}µÉvoç . Inoltre ... 7tp-.OLTJO'EL µE"Cà crou ò i}E6c;, «Dio compirà un'impresa con te» (Iudith n,6). In Am. 3,7 ( oò µ1} 1tOL1)cr11 x.vpwç ò ~Eòç 1tpiiyµa, «il Signore Dio non farà cosa alcuna») 7tpéiyµa. è determinato da una negazione; cfr. oùSÈv 7tp
7tptiyµa l Per il rapporto tra {njµ~ e 7tpiiyµo. nella traduzione di diibiir cfr. E . REPO, Der Begrifl 'Rhèma' im Bibliscb-Griechischen 1: 'Rhema'

2 Come nell'ebraico BUHL, s.v.

i>Ei:a, vo'J')"C6:, «le realtà incorporee, divine, intelligibili» (rer. div. ber. 63.66); "Cà "Cou f3lou 'ltpayµ(x:m, «le attività della vita» (decal. i50) ecc. Viene sottolineata l'importanza, la portata di qualcosa: où 1tpiiyµ6: ÉEtV, «scrivere la storia di questi fatti» (Ios., vit. 40 ecc.) d) Il termine indica anche le cose nel loro effetto sugli uomini: le circostanze, le condizioni, la situazione; ..a. xowa 1tp6:yµa-.a, «gli affari comunil> (Eur., Iph. &.vi'tpw'lt1}ta 7tp1ryµa:ta:, Taur. 1062 ); «le vicende umane» (Hdt. l ,207; Philo, som. l,153 ss.); in senso cattivo: Év 'tOLov'totç 1tp6:yµaow, «in una situazione cosl critica» (Xenoph., an. 2,1,16). e) Significato particolare: azione giudiziaria, causa, processo: 'ltpéi:yµa EXEW 1tp6ç 't'Lvoc, «essere in causa con qualcuno» (P. Oxy. 1v743,19 [r sec. a.C.]; Ios., Ap.

-.a.

2,177).

iJJ der Septuaginta (1951) 160 s. 190 s. moderno; cfr. GnSENIUS-

TCpfi:yµa 2-3 (C. Maurer)

47 (v1,639)

dei Maccabei 'tà. 7tpa:yµa-w. significa ge contiene solo un'ombra, non l'essenza spesso gli affari di stato (2 Mach. 9,24 e delle cose, cioè il compimento stesso passim; cfr. Dan. 2,48-49), anzi persino della salvezza ( ro,1 [ ~ III, coli. 177 gli affari di governo (2 Mach. 3,38; 1r, r9 e passim); ot 'tE'tet:yµÈvo~ È'Itt 7tpay- s.] ). La fede (~ x, coli. 42 7 ss.) è ?tprxyµa:twv, «i funzionari statali» (3 Mach. 7, µ6:twv ~ÀEyxoc:; où (3À.E:7toµÉvwv, «dir ); ò È7tt "tWV 'ltpayµa'twv, «l'ammini- mostrazione di cose che non si vedono» stratore imperiale» (2 Mach. 3,7; rr,r 4 ecc.). Inoltre: imprese eroiche (Iudith (Hebr. II,1) . Il genitivo non è sogget8,32; rr,16), processi, cause (I Mach. tivo 5, quasi che le cose invisibili addurn,35.63). cessero esse stesse una prova della propria realtà. Per quanto nella Lettera agli 3. Nel N.T. TipiX:yµu è usato II volte. Ebrei la fede si fondi tutta su Dio, pure 6 volte il termine presenta un'accezione il soggetto qui sottinteso è la fede stesdel tutto neutra: Gestt promette che la sa e non già Dio 6 , Le 'cose invisibili', preghiera verrà ascoltata, qualunque coa differenza della filosofia di Filone e di sa sia richiesta ('ltEpt rcuv•òc; ?tpayµaqualsiasi altra filosofia, sono i beni pro'toç: Mt. r8, r 9) e Paolo si raccomanda messi della salvezza 1 • Qui è impossibile che Febe venga assistita in qualunque intendere 7tpayµa't"a. nel senso di fatto, richiesta (Rom. 16,2). Le. r,r menziona avvenimento, azione, quasi che il termigli eventi che si sono compiuti tra di noi ne indicasse l 'esercizio del ministero sa(.-&. 1tE1tÀ1)pocpopl)µÈva Év Tjµi:\I 7tp&.ycerdotale di Cristo nei cieli 8 • µu•a ): sono gli eventi salvifici narrati In tono di condanna Pietro chiede ad nel Vangelo di Luca fino all'ascensione Anania (Act. 5,4): «Perché ti sei prefisdi Gesù 3 . Nella Lettera agli Ebrei si coso questa cosa (cattiva)?». 2 Cor. 7,u: glie quasi il ricordo dei 7tpayµa.'ta. 1Ma., È\J 'lt(X.V'tt CTUVECT'tl}ei<J.'tE Èa.V'tOÙ<; a:yvoÙc; VOl)'t"é.<. di Filone (~ coll. 44 s.). La ferEt\la.~ 't@ 7tp<X.yµ.a.'tt, «in ogni modo ama fiducia di ricevere il bene sperato, vete dimostrato d'essere innocenti in già pronto per i credenti, si fonda su q~ella (triste) faccenda»; Iac, 3,16: miv due cose, precisamente su due eventi,
'ltOµl'llW'\I. 5

Così

S c H LATTER,

6

7

MICHEL,

H ebr., ad l., contro F. BiicH-

art. EÀEYXO<;: ~

111,

coll. 397 s.

Secondo ]. H ÉRING, L'Epitre a11x Hébreux

(1954), ad l., proprio il riferimento al mondo futuro segn:i la differenza decisiva dl!lla filo-

sofia contemporanea. Contro C. S PICQ, L'épilre aux Héhreux II (1953 ) 339.

8

Glaube 524 s.

Con

SEL,

49 (v1,640)

r.péiyµa 3 IC. Maurer)

terpretazioni: a) il danneggiamento del frate1lo va messo in relazione con gli affari, il commercio 9 • Ma questa interpretazione, dovuta alle traduzioni latine, è insostenibile: r.pri:yµa. coincide sl in larga misura con negotium, ma del termine latino non condivide l'accezione specifica di affare, occupazione, impresa commerciale 10• Anche se in luogo di Èv -ri{) 1tpa:yµa·n si legge EV ~~ 7tpayµa-.~ (con -.41 enclitico) 11 , 1tpiiyµa va preso necessariamente nell'accezione più generica di «in qualsiasi faccenda», senza limitare dunque il termine alla vita commerciale. b) 7tpocyµa potrebbe significare lite, causa,. processo 12• Questa accezione è certamente ben documentata (~ col. 45) negli stessi scritti paolini (I Cor. 6,r) 13 • Ma questo significato particolare risulta generalmente dal contesto, mentre nel passo in esame non c'è nulla che lo richieda necessariamente. È pensabile che Paolo esortasse i Tessalonicesi a moderarsi nel ricorrere all'azione giudiziaria, senza spendere una parola per invitare (come in I Cor. 6,7 s.) i membri della comunità alla pace e alla concordia? c) La soluzione più naturale sembra dunque quella di prendere 7tpiiyµa nel 9

Cosl già Hier. a Epb. 4,17 ss. (MPL :i6,622); WOHLENBERG, Thess.; Bibbia di Lutero; JoH. ScmmIDER, - 1x, coll.

DonscHiirz, Tbess.; )I7 S.

L'unico esempio a sostegno di questo significato registrato in MouLTON-MrLLIGAN (un testo di Teadelfia) è dovuto in realtà a un fraintendimento di una nota al testo in Mrn·msWILCKE.N r 2,99 n. 1. li Armeno (~v 'tLVL, congettura di GROZIO). 12 CREMER-KOGEL; DnrnLius, TheJS.; DELtING, - x, coli. 599 s. 13 Cfr. sulla questione L. VISCHER, Die Auslegrmgsgeschicbte vo11 1 Kor. 6,1-n. {1955) 7-9. 14 BF.NGEL, ad l. 1s Contro E. KLAAR, 7tÀ.EOVE~la, -Éx-r'l}<;, 'ltÀ.EoVEX'tE~v : ThZ 10 (1954) 395-397. io

(VI,<>40)

50

senso più generico di «la faccenda in parola» e di precisare in base al conte.sto la natura di questa faccenda. La cosa piì:1 semplice è allora di considerare gli infiniti dei vv. 3 s. 6 come proposizioni finali implicite dipendenti da -.ò i}ÉÀ.T)µa. {v. 3): in questo costrutto la mancanza di congiunzione davanti al v. 6 dimostrn appunto che il v. 6 tratta lo stesso argomento dei versetti precedenti 1 ~. V1tép~a.lvEtv e 1t).EO\IEX'tE~v n9n contengono di per sé alcun riferimento alla sfera sessuale 15, ma indicano soltanto il superamento, da parte de1l'uomo, della misura assegnatagli, oppure la trasgressione delle norme che si devono osservare per poter vivel'e in società 16• In questo contesto l'inganno ha luogo quando uno esce dalla sua legittima sfera d'azione e sconfina nella vita coniugale del fratello 17•

In I Thess. 4,6 7tplly1.1.a è dunque un sostituto eufemistico della sfera sessua-

le, parallelo a quello attestato per 7tpauO'Etv (~

coJ. 34) e 7tpéi~~<; (~col. 57). Possiamo così tradurre il passo, liberamente: «e nessuno si permetta di violare arrogantemente i diritti del frate!l6 DELLING ( - x, col!. 587 s. 590 ss. 597) ha dimostrato irrefutabilmente che 1tÀ.EOVEX-tEi:\I ha questa e~tensione nel greco extrabiblico e in Filone. Cfr. particolarmente l'equiparazione di 1tÀ.EOVEl;(oc con Ù'ltop~'fi\IOCL 't'Ò olxoctoV in Dio Chrys., or. 67,12 x, col.591). Questa ampiezza semantica rimane anche nel N.T. "• coli. 598 ss.); dr. soprattutto 2 Cor. 2,u.

<-

<-

17 In diversi passi dcl N.T., soprattutto negli elenchi di vizi, l'avidità e l'impudicizia vengono menzionate insieme (r Cor. J,Io; 6,9 s.; Eph. 4,19; J,3.5; Col. 3,5; 2 Petr. 2,14); nrn questa non è una ragione sufficiente per limitare unilaterahnentc in r Tbess. 4,6 il significato di 1tÀ.EOVEX't'ELV, preferendo l'accezione di 'avidità'.

7tpiiyµet 3 - 7tptt.yµa:tda.

2

(C. Maurer)

lo nella questione in parola (scii. l'im- cui o con cui ci si occupa: il lavoro, l'atpudicizia)» 18• Con questa interpretazio- tività: Ti -rou otaÀ.Éye.critai. 'ltpayµa.-rElcc, «la pratica del disputare» (Plat., Theaet. ne la pericope di I Thess. 4,3-8 appare 161 e); a.t 'tOU ~lou 'ltpa.yµa.-rEtaL, «le come un tutto omogeneo. Pattendo dal faccende della vita quotidiana» (Philo, principio della santificazione in senso la- spec. leg. 2,65); anche gli affari di stato: a.t 7tpa.yµtX'tEtett, «i doveri ufficiali» to, si pone sotto il giudizio della volon(P. Tebt. 15,143 ecc.). e) Affari comtà divina uno dei problemi decisivi della merciali: Ti -rwv ùnosuylwv swwv 'Ì)µw'll comunità etnico-cristiana. Riferendo ~ npayµa•Ela., «il nostro affare con anicrxEuoc; (v. 4) alla donna, in primo luo- mali da tiro» (P. Oxy. IV 806 [1 sec. a.C.]). d) Indica anche il risultato di un go si rilìu ta il libero amore ( v. 3 ); in se- lavoro, specialmente intellettuale: la condo luogo si inculca la santità del pro- trattazione, lo scritto, specialmente l'oprio matrimonio (v. 4); in terzo luogo si pera storica (Polyb. l,I,4; 3 1 1; Ios., ant. 1,5; 14,218). vuol proteggere il matrimonio del fra2. Gli 8 esempi dei LXX non ci fortello (v. 6). Infine viene ·ribadito (v. 8) niscono alcuna nuova indicazione. L'acche non si tratta di semplici rapporti ucezione impegno, attività intensa può esmani, bens1 dell'ubbidienza dovuta a ser presente in 3 Bacr. 9,1, particolarDio, il quale ha reso il corpo strumento mente se si pensa al corrispondente e· braico peJeq, desiderio profondo, cosa del suo Spirito. desiderata. Un confronto con 3 Ba.cr. 10, 8 4. Tra i Padri apostolici, 1tpo.yµa è 22 ( = 1 Reg. 9,19) ci fa però preferire il significato di attività esercitata, opera usato più di tutti nel Pastore di Erma svolta, perché anche se troviamo qui i1 ( 19 volte), principalmente nell'accezione medesimo termine ebraico, non si tratta sbiadita di cosa, faccenda, questione; ad es., -roc ~tW't'txà 'ltpa:yµa:rn., «le faccen- più di progetti e desideri, bensl dei lade della vita quotidiana» (vis. 3,n,3; vori compiuti da Salomone a Gerusalemme. 1tpayµa-çflet in 3 Bcx.pW'ltWV 'ltpa.yµcx:rEla., «le \j/70,15 (cod. B). Abbiamo l'accezione occupazioni (o anche le faccende) degli di opera storica in 2 Mach. 2,3 r; cfr. 'ltouomini» (Plat., resp. 6,500 c); TCpa.yµa.- À.u'ltpa.yµove.L'v investigare a fondo 't'Ela. 'ltEpl 'tLVoc; o 1tEpl 't'L (Epict., diss. (2,30). 1,7,1.12). b) Può indicare anche ciò di

=

=

=

18 Crisostomo; BENGEL; Sct1LATTER, NEIL, The Epistle o/ Patii to the

Erl.; W. Thessalo-

11ia11s, MNTC (1950); MouLTON-MILLIGAN, s.v.; Bibbia cli Zurigo.

53 (vr,641)

7tpa.yµet"tE~IJ.

} •

v•.v."I'~ 1 1~-

3. Nella letteratura rabbinica trovinmo oltre a pragma/ewtés = npocyµa1 •EU'tlJç = uomo d'affari, anche l'imprestito pragmafiii' (var.: praqma{ja' ) col significato di commercio, ti/fare (R. H. 3r b Bar.; B.M. 42 a) i.

4. Nel N.T. 1tpocyµa."tdoc è usato solo una volta (2 Tim. 2,4). Il contesto non richiede affatto la traduzione speciale «Ì commerci che gli permettono di vivete» 3 ( ~ il significato commerciale indicato sopra, r e 3 ). Bisogna invece preferire il significato generale (--? 1b): il soldato non si occupa delle molteplici faccende della vita civile che potrebbe1·0 impedirgli di intervenire e agire con la necessaria prontezza 4• 2 Tim. 2,4 differisce da I Cor. 9,7 in quanto nel nostro passo non sta in primo piano la questione del soldo, bensl quella dell'abbandono di tutti gli impegni lieti e tristi della vita e della completa dedizione al servizio di Cristo 5 • 5. Erma è l'unico dei Padri apostolici che usi il nostro termine ( ro volte): le molteplici faccende di questo eone (mand. IO,I>4bi sim. 9,20,1 s.); affari commerciali (vis. 3,6,5; mand. ro,1,4"). 'itpayµct.'t'Ela 1 7tpa.yµa.'tEV"ti)<; = actor = age!Jte di commercio, da Plutarco in poi. z STRACK-BlLLl'.RDECK III 657 a 2 Tim. 2,4; I 592; M. JASTROW, A Dictionary o/ the Targumim, the Talmud Bah/i and Yerushalmi and the Midrasbic Literalt1re II (1950) 1214 s. l ScHLATTER, Past.; DmELIUS, Past.; Jo.a.cH. ]EREMIAS, Die Briefe aiz Ti1t1othe11s 111111 Titus, N.T. Deutsch' (1954); BENGEL, ad l. ~ Epict., diss. 3,24,34-36: l'immagine del soldato pronto all'azione e attento ad ogni mini·

t

... ·.-· -· , _

1tpayµa. ..m'.ioµa.L, t ÒLa.npa.yµa.·m'.ioµa.L

1. npayµa't'EuoµaL, medio 1 : esercitare attivamente, occuparsi di, adoperarsi per, m:pl ·nvo<;, bel 'tLVL e altri costrutti: Hdt. 2,87; Xenoph., mem. r,3 , I 5; Philo, som. I ,5 3 e passim; Ios., beli. 2,594; ant. r6,180; 3 Bav. 10,22". Il significato del verbo si sviluppa soprattutto lungo tre direttrici: a) attendere agli affari di stato (Dan . 8,27); ot rcpayµa't'Eu6µEVOL, «gli incaricati degli affari di stato» (P. Petr. n136 verso 14); b) impegnarsi in attività intellettuali: elaborare, trattare, scrivere, comporre, detto specialmente degli storici: 7Cpcqµa.'t'EVECT1lat -rài; 1tpa.yµWt'Ela<;, «esporre gli avvenimenti storici» (Polyb. r ,4,3) ecc.; c) svolgere un'attività commerciale: 1tpayµtJ.'t'EUEcrl>o:t &.nò èµnoplaç xaL òctvwrµNv, «concludere affari col commercio di prodotti e di capitali» (Plut., Cato minor 59 [1788c]); ot 7tpayµoc't'Eu6µEVOL, negotiatores, mercanti (Ditt., Or. n 532,6); cruµ1tpayµa't'EU6µEvoi., compagni di commercio (3 Mach. 3,ro). L'unico esempio nel N.T. è Le. r9,13, ove npayµa."n:uoµa.L significa commer·

ciare, trafficare, far fruttare il capitale (~

c).

2.

ou:rnpa.yµa't'EUoµat, medio: tratta-

mo cenno del generale trapassa in quella del consigliere della città, che poco può occuparsi delle cose di casa sua -(l>Alya; µÈ\/ SEL otxovoµELV). 5 PREUSCHEN - BAUERs, s.v.; WoHr,ENBE RG, . Past., ad l. (gli affari, le brighe della vita).

r.pa;yµa.'tEUoµa.t I Formato direttamente dal tema 'ltpa:yµa:-;-; non esiste la forma 1tpa.yµa."tEV<;: cfr. BLAssDEBRUNNER

§ rnB,5; DEBRUNNER, Gricch_

Wortb. §§ 213-215.

OLr1.7tpa:yµa.-.
re a fondo, investigare accuratamente (-7 b). Plat., Phaed. 77d: «Mi sembra

6). In Flavio Giuseppe il termine non compare.

che a te e a Simmia piacerebbe investigare un poco più a fondo anche questo punto (-roti"t'ov -.òv À.oyov)»; ibid. 95e: «ricercare accuratamente la causa (-.1}v al't"lav) della generazione e della corruzione delle cose».

2. Nei LXX 1tptix'twp rende noges, autorità tirannica (Is. 3,12) 5 • Per parte sua il verbo ebraico è usato per indicare la riscossione di tributi (2 Reg. 23,35) e per la costrizione dei creditori (Deut.

Nel N.T. OLa.'ltpayµa:tEvoµaL si trova solo in Le. I9,15, nel senso di guadagnare commerciando, far fruttare il capitale iniziale(--'> 'ltpayµa"t'EVoµaL c).

3.Nel N.T. il termine è usato una sola volta, in una parabola (Le. 12,58). Rispetto a Mt. 5 ,25 s. (o Ù1tr}PÉTTJc;) il vocabolo è dovuto, dal punto di vista linguistico, a un adattamento alla prassi giudiziaria romana e, dal punto di vista del contenuto, a una prospettiva escatologica. Mentre in Matteo si tratta di un caso concreto, di trovare cioè un accordo con la controparte prima di arrivare davanti a un giudice terreno, Luca ci offre invece una vera parabola 6 • Il 1tpcix>Wp è qui l'ufficiale giudiziario, il carceriere che funge da guardiano della prigione per debitori morosi 7 • La parabola invita a ravvedersi prima che venga presa l'imminente decisione divina e prima che l'esecuzione della condanna inizi il suo corso inarrestabile.

I . L'antica desinenza del nomen agentis in -'t"Wp si è conservata in attico (e ionico) quasi esclusivamente nella sfera sacrale e del diritto pubblico 1• a) Da Tipao-uEL\I = riscuotere; in senso sacrale vendicatore, retributore; Aesch., Eum. 319: 'ltpaX"t'Wp atµa't"oc;, «vendicatore del sangue»; nel diritto pubblico indica un funzionario minore che svolge varie mansioni 2 : ufficiale giudiziario, esattore delle multe o delle ammende decise dal tribunale 3 (Antiphon, or. 6,49; Demosth., or. 25,28; Ditt., Or. u483, 7 ); in età tolemaica e soprattutto roma· na: esattore delle imposte sui capitali, sul grano, ecc. 4 : 7tp
1.p1h-.wp 1 DEBRUNNER, Griech. \\7ortb. § 346 sulle orme di E. FRAENKEL, Gesch. dcr griech. Nomi-

na agentis 1 (1910) 220; Il (1912) 8 s. 49 s.

z PREISIGKE, \'(lori.

III

x44a-147a;

BAUER\ S.V. 3

Cfr.

MrTTEIS-WILCKEN II 1,19 s.

4 M1TTEIS-WILCKF.N I

'I.

PREUSCHEN-

1,185.212 s.

15,2s.).

x. Nell'uso del termine nel greco pros Aquila rende noges con Elt"t'1)<; I d0"1tpacrcrt:w: cfr. anche Ex. 5,13; lob 3,18; 39, 7; Zach. 10A· 6 ]OACH. JnREMTAS, Die Gleichnisse ]es11' (1956) 32 s.; M. J. LAGRANGE, Evangile selon Saint L11c' (1948) ad I. 7 Il testo greco ha qiu'ì..aidi; in D1TT., Or. II 669,15.17 si trova 7tpax-t6po~O\I.

57 (VI,643)

11péi.~Lc;

l-3 (C. Maurer)

fano vanno messi in particolare rilievo i seguenti significati, in parte specifici. a) Rispetto a ciò che viene o dovrebbe venir fatto: azione, atto, faccenda, impresa, affare, occupazione; 7tpijçLç 8'f)8' l8l1'), où 81]µLoc;, «e questa è una faccenda privata, non pubblica» (Horn., Od. 3,82 ); può includere anche il risultato, soprattutto nel senso positivo di successo, esito favorevole : oòc; -:t6po'V xd 1tpii-rQ -romp -rou.-cp (Preisend:mz, Zaub. I 4,2366). b) Come nome astratto: l'agire, il fare: 1) 'CWV àyr.d)wv TCpéi.!;,Lç, «il fare il bene» (Plat., Cbarm. 163e); 1) 7tpéi!;L<'., i) 1tOÀ.EµLX1), 1tOÀ.L't'LXTJ, 1tOVT)'tLx1), «l'arte bellica, politica, poetica» (Plat., resp. 3,399a e passim). c) La singola azione compiuta (Soph., Oed. Tyr. 895; Isoc. 12,127); al plurale nel senso di reS gestae I: 7tpaçrn; 'CE XaL OWpEat LE~acr-.oi:i 1'Eoi:i, «le imprese e i doni del dio Augusto» 2 . Ios., ant. !4,68: ot

sw

't'àç xa't'à Iloµ1tiJLov 'ltpaçw; àva.ypa\jlcx.v-.E~,,

«coloro che scrissero le imprese di Pompeo». d) In parallelo a EV 1tpaO'CTEW X't'À..: lo stato, la condizione, disposizione: EV'tVX'lÌ<; 7tpéi.!;,tc; (Soph., Trach. 294 e passim); xcx.xat npciçE~ç (Soph., Ant. 1305); vicenda, esperienza, condizione, destino, sorte (Aesch., Prom. 695; Hdt. 3,65). e) Gesto magico, incantesimo, formula magica: Preisendanz, Zat1b. I r,275 s.; 4,1227; insieme con 7tol11cnç: Preis., Zaub. I r ,14i. f) Nella storiografia 7tpéi!;tc; è usato anche nel senso deteriore di inganno, tradimento, astuzia: Ènl 't'Wa (Polyb. 2,9, 2; 5,96,4), xa-.6: •twoç (Polyb. 4,71,6 ). g) In alcune formulazioni indica, in base al contesto, i rapporti sessuali (Pind., fr. 127; Aeschin., Tim. 158; Aristot., hist.an.5,2 [p.539b20]). 2. I LXX, contrari al pensiero astra t-

\ \ '•V""t.)/ ,J'_.

to, usano 7tpéi.ç~c; di rndo e, ancor più che nel caso del verbo, prevalentemente negli scritti influenzati dall'ellenismo. Il termine è usato 23 volte: 3 per rendere l'ebraico derek = via, 3 per po'al = opera umana, in senso neutro, e 2 (Ecclus 11,ro; 38,24) per il termine tar
7tpéil;,Lç 1 A. WIKENHAUSER, Die Apostelgeschichte tmd ibr Geschicbtswert (1921) 94-104.

2 Inscripliones Graecae ad res Romanas perli11entes, ed. R. CAGNAT m (1906) nr. 159·

59 (vr,643)

7tpéil;Lç 3-4 (C. Maurer)

una 1tpa'.!;L<; di Dio. Di un agire umano in astratto si parh raramente, ad es. nella spiegazione allegorica della mano che rappresenta simbolicamente l'azione (leg. alt_ 2,89; spec. leg. 4,1 38; cfr. vit. Mos. 2,130). Prescindendo
La correzione nei codd. S* F

i.22.28

ecc.

('Tà itpyoc) non è dovuta tanto alla sensibilità linguistica, quanto al testo di lji 61,13; Prov. 24,12. 4

I codd. DEFG latt Ir'" ecc. leggono "t'ijç

ne in l\Jt. I6,27 fa da riscontro a Ecclus 35,22, dove ttpéi!;tç nel significato di itpyov = opera, azione, è associato al giudizio divino 3 • In Le. 23,51 riecheggia l'unità stoica di pensiero, volontà e azione, quando Giuseppe d' Arimatea non è d'accordo con la decisione del sinedrio e con la sua esecuzione. Valore chiaramente astratto ha 7tpéi!;~ç in Rom. 8,13 e Col. 3,9. Per la comprensione dci due passi è importante ricordare due punti: innanzi tutto che 'itpii!;Lç ha il significato astratto (~ col. 57) di modo d'agire, metodo dell'azione, procedura, prassi; in secondo luogo che il termine presenta una fotte nota etica negativa (-> col. 57 ). Cosl Rom. 8,13 non si riferisce agli 'atti del corpo', bensl al cattivo modo di agire che è insito nel corpo che vive xa.'tà crocpxcc. L'Apostolo afferma che non si deve vivere secondo la carne nell'esistenza dominata dal peccato, la quale sfocia nella morte, bensl si devono «uccidere nello spirito i cattivi modi d'agire del corpo» e cosl vivere. Il corpo in sé non va ucciso, ma sottomesso al nuovoSignore 4. Col. 3,9 presenta un caso simile : qui i credenti si sono svestiti «dell'uomo vecchio e delle sue pratiche, del suo modo malvagio d'agire» e rivestiti dell'uomo nuovo già nel passato 5 • In pacrapx6ç perché confondono la persona, di cui si parla nel testo, con l'orientamento dell'esistenza al peccato, indicato col termine aapl;. s I participi aoristi non hnnno valore imperativo (DrBELIUS, Kol.), ma esprimono ciò che è

1tpiit;~ç

4-5 (C. Maurer)

rallelo con questa affermazione la nuova era della salvezza inaugurata da Cristo compare in tutto il capitolo come motivazione deU 'esigenza etica presente (cfr. oùv: vv.5 e 12; vvvl: v. 8; inoltre vv. r3 e r5). Act. r9,r8: le 1tpal;w; confessate dagli Efesini potrebbero essere semplicemente le 'azioni malvagie' in senso generale, giacché solo nel v. 19 si parla di arti magiche; ma tutto il contesto (v. 12: spiriti maligni, vv. 13 ss.: esorcismi) fa propendere per il senso tecnico di incantesimi, pratiche magiche, ecc. Si ha cosl la descrizione impressionante di una grande vittoria del nome di Gesù sull'ampia sfera della magia e dell'esorcistica antica. Il titolo degli Atti, Ttpal;e:tc; ànocr't6À.wv 6, non è dovuto a Luca stesso 7, ma è stato dato all'opera probabilmente nel II secolo. Nessuna delle due parole del titolo coincide con l'uso linguistico e con l'intenzione di Luca 8, il quale non usa mai

1tpa~Et<; nell'accezione di res gestae d'ispirazione veterotestamentaria o ellenistica (-7 coll. 57. 58); e Cl1tOO''\"OÀOL sono per lui {fatta eccezione per Act. 14, 4.14) soltanto i testimoni di tutta la passione e della risurrezione di Gesù (Act. ·I,21 s.), una definizione nella quale non rientra Paolo, il protagonista di Atti. Soprattutto, però, per Luca soggetto dei fatti non sono gli apostoli, bensl il Signore glorificato che agisce mediante la sua parola, con la quale egli si muove da Gerusalemme a Roma, centro del mondo. L'insistenza di Luca sull'opera di Cristo pone d'altra parte in dubbio se meglio risponda alla materia la proposta traduzione del titolo con fatti ed esperienze 9 ( ~ col. 57) anziché quella tradizionale che pone in rilievo le res gestae.

5. Come 1tpB.yµa: e 1tpa.yµa;'tEla., cosl anche 7tpd.l;tc; è usato nei Padri apostolici soprattutto da Erma (47 volte), dove il termine indica prevalentemente l'operare umano e significa agire, azione, opera (mand. 7,r; 10,2,3), specialmente nella accezione negativa dal punto di vista etico-religioso (mand. 4,2,r; sim. 4, 4). L'uso linguistico popolare non presenta particolarità degne di nota.

c. MAURER

'ltpa.uit<'ti)e:ta. ~ ix, coll. 1090 ss.

Eri.; H. Rendtorff, Der Brief an die Kolosser, N.T. Deutsch 8' (1955), adl.; C.MAssoN, L'épitre de Saint Pat1l a11x Colossie11s (1950) 143 n. 6. 6 Il testo esatto del titolo è incerto (la forma meglio attestata è ri;pat;E~ç [ '\W\I) &.7toO"t6Àwv; al tre forme: 1tpcH;e~ç, actt1s, acta apostolomm); per la questìone dr., oltre alle edizioni critiche del testo, anche ZAHN, Einl. II 337. già avvenuto. ScHLATTER,

395; ZAHN, Ag. 8 e BAUERNFEIND, Ag. 16. Cosl ZAHN, Ag. 7 s.; A. W1KENHAUSER, op.

7

cii. (~

n. 1) 105 s.

Cfr.

BAUERNFEIND, 91; W. MICHAELIS,

8

Ag. 16; llAENCHEN, Ag. Einleitung in das N .T.'

(1954) 129.

Neue Forscbungen wr Areopagrede Ag. z7 : ZNW 46 (1955) 146.

9 H. HOMMEL,

r.pa.uc;,

t

~pa.u't"Y)ç

A

1

(F. Hauck-S. Schtll:r.)

n:pa.uc;, 1tpa.i'.i-t1)c;

SOMMARIO:

A. Il greco profano: TCpcxuc;; TCPCl.U't'l'}c;. B. I LXX e il giudaismo ellenistica: 1. l'A.T.; 2. Filone; 3. Flavio Giuseppe; 4. i testi di Qumran. 1.

2.

C.II N.T.: i.Matteo; Paolo; 3. le lettere pastorali; 2.

4.Gfacomo.

D. Padri apostolici.

A. IL

GRECO PROFANO

I. 1tp<X.U<;

1tpctuc; 1, etimologicamente connesso con friion, 'amare', e frionds, 'amico' 2 , indica ciò che al nostro tatto risulta leggero, delicato, tenero, ciò il cui tocco è grato e piacevole. Può essere usato per cose, animali, persone, azioni e sentimenti. a) Detto di cose significa dolce, blando, mite: cp\mc;; (Plat., resp. 2,375 npa.Oc;, rcpaihTJc; Avvertenza: l'articolo, assegnato ortgmariamente a F. HAUCK, è stato portato a termine da S. SCHULZ. Questi non si è limitato a completare il manoscritto, ma lo ha in parte criticamente rielaborato e in parte completamente rifatto. Bibliografia: CREMER-KOGEL 962-966; H. BIRKELAND, 'Ani 1111d 'anaw in de11 Psalmen, Skriften utgitt av det Norske Videnskaps-Akademi (1932); A. HARNACK, San/1111111, Huld und Dem111 i11 der alte11 Kirche, in Festgabe fiir J. Kaftan (1920) II3-129; E. HATCH, Essays i11 Biblica{ Greek (1889) 73-77; A. RAHLFS, 'ii111 u11d 'ii11iiw in den Psal111en {1892); \Y/. SATTLER, Die A11awim illl Zeitalter Jesu, in Festgabe filr A. Jii-

c), cpwvi] (Xenoph., sym. r,ro), f.v 'ltpa.Écn )..6yoLc; ... \lovìtE-i-E~\J, «ammonire con parole miti» (Plat., leg . ro,888a); anche lenitivo: cp6:p~tctxov (Pind., Olymp. 13, 8 5 ); calmante, mitigante (Xenoph., eq. 9,3). b) Detto di animali significa mite, mansueto: ~1t7tOL (Xenoph., Cyrop. 2,1, 29); lxMwv µEya)..w\I xa.t 7tpc<Éwv ouc; oi. :LvpoL ikoùc; èv6µL~ov, «dei pesci grandi e quasi domestici che i Siri consideravano dèi» (Xenoph., an. r ,4,9 ); ijµEpouv significa domare animali selvatici ( aypta.), 'ltpO:U\IELV invece calmai·e animali eccitati o innervositi (Xenoph., mem. 2,3,9; eq. 9,ro). c) Detto di persone significa mite, soave, gentile, dolce, benevolo; è il contrario di tude, duro, irascibile (Xa.À.rnoc;: Plat., resp. 2,375c.; Isoc., or. 3,55; Plat., resp. I,354a [contrario di xa)..rna.l\IEL\J]; 6,493b [contrario di xaÀ.rnoc;, 6py{j] ) oppure di adirato (Epict., diss. 3,20,9 insieme con aOpYJl'°'Oc;, a\IEX·nxoc;, paziente) e di violento (~lmoc; ~ col. 65 ). È usato come sinonimo di 0..EW<;, benigno (Plat., resp. 8,566e), ÒT}µo-i-tx6c;, affabile, alla mano (Plat., Euthyd. 303d); indica una delle qualità che si richiedono in un

licher (1927) 1-15; K. THIEME, Die christliche Demut 1 ( 1906); In., Die -.a;rcm1ocppouVV'r) Phil. 2 1md Rolll. n: ZNW 8 (1907) spec. 2941; TRENCH 84-93 .239; A. V6GTLE, Die T11gend- u11d Lasterkataloge im N.T ., Nt.liche. Abh. 16 4/5 (1936) indice s.v.; K. WINKLER, art, 'Clementia', in RAG III (1955) 206·.231. 1 Per le forme -itp<'ioc; e rcpauc; (cosl sempre nel N.T.) dr. KiiHNER-BLAss-GERTH 1 .532 s.; BLASS-DEDRUNNER § 26, appendice; THACKl!llAY 180 s. In questo articolo scriviamo sempre -itpavc;, setl2a iota sottoscrittò, benché questa grafia si trovi in codici. Cfr. LIDDELLScoTT, s.v. TCpaéc; e BLAss-DEBRUNNER § 26 appendice. 2 W°ALDE-PQKORNY II

87;

HOFMANN

282 S.

7tpauc;, npo.u·n1c; A

1 -2

(F. Hauck-::>. ::>chulZJ

amico, insieme con i')µEpoc; e cruyyvwµo- Dio Cass. 43,3,6: insieme con tÀ.cb1i)pw1to<; xa.1. alla divinità, e sopporta senza adirarsi la 7tpm:fo. "ÉXV'l']: Xenoph., oec. 19,17); un stoltezza di tanti uomini» (Dio Chrys., genere di danza ha «piaceri meno inten- or. 32,50). si» (Tioovcr.t 7tpa.6upm) di un altro (Plat., leg. 7,815e). Platone parla di un 2. 'ltpoci'.i't'I']<; «ragionamento mite» (À.oytCTµÒç 7tpéioc;: 'ltpo:u'tTJ<; indica la gentilezza dolce, leg. l,645a; l'opposto è f3lcmc;); egli si attende l'approvazione di chi è di mite, pacata, l'opposto di una natura carattere nobile e mite (yEwédiac; e rozza e rnde ( cl:ypLo-.T}<;: Plat., symp. np!ioc; 'tÒ Tji)oc;: (Phaedr. 243c); per i l97d), della irritabilità (Aristot., rhet. reati commessi senza premeditazione e 2,3 [p.138oa6]), dell'irascibilità (òpall'improvviso vanno comminate pene ')''LÀO't'TJ<;: Aristot., cth. Nic. 4,u [p. più blande (leg. 9,867b; l'opposto è xa- n25b 26]) e dell'asprezza (émo,..oµla.: À.E7toc;). e) L'avverbio rcpawc; è un ter- PJut., lib. educ. 187 [II l3d]); si accommine favorito per indicare la calma, il pagna invece alla ÉmelxEirx. (~ III, col. modo di fare gentile e pacato di chi non 704), cioè alla clemenza che mitiga una si irrita o adira contro ciò che è spiace- norma rigorosa (Luc., Alex. 61; somvole, sia che si tratti di uomini (Epict., nium lO; Dio Cass. 53,6,1), alla cpLÀocvench. 42) o di destino avverso. Il termi- i}pw'ltlo: (Luc., Phalaris 1,3), alla &vd;Lne indica anche in questo caso un atteg- Y.axla, cioè alla sopportazione che tollegiamento attivo, un'accettazione volon- ra pnzientemente l'avversità (Plut., de taria e non solo una pazienza passiva; capienda ex inimicis utilitate 9 [u p. dr. Epict., diss. 3,10,6: llv E'tL Éyw rca- 9oe] ). La 'ltpo:ui:T}c; consiste «nel non pmrxwacrwµat 1Cpòc; 'tÒ 7tpawc; cpÉpEw essere né pronto a punire né vendicati'tà O"uµ(1o:lvov't'o:, 8 i>fÀEt ywfol}w, «ma vo, bensì conciliante, ben disposto e inse io continuerò a prepararmi a soppor- dulgente», µi}"E xoÀct.CT't'txòv Elva.i, µ1}tare pacamente i casi della sorte, avven- 'tE 'tLµWP1J't'Lx6v, Ò.À.À.à. LÀEWV xat EÒµega ciò che vuole»; 4,7,12; Xenoph., an. v~xòv xat cruyyvwµov~x6v (Aristot., de 1,5,14. La grandezza dell'animo si mo- virtutibus et vitiis 8 [p. 1251b 31]). stra proprio in questa calma superiore: La mite gentilezza ha presso i Greci µEyrù,6i}uµoL 7tp6.wc; dcrl -.wec; 1)cruxu un posto d'onore quale virtù sociale che xat ofov cìopyi),..wc; 'ltpch,..ovi:ec;, «ci so- si esplica nei rapporti umani; d'altra no persone di nobile sentire che agisco- parte, ha bisogno di venire. compensata no garbatamente, con calma e quasi sen- in qualche modo per non degenerare in za collera» (Epict., fr. 12 ); µEya.ÀolJiv- debolezza e difetto. La sentenza delfica Xt'll 't'Ò
7tpa0i;, 1'tpaihrii; A 2 - B l
sogna essere miti con i familiari ( otxdoc; vru, col. 378), duri con i nemici 3 • Le leggi devono essere severe, ma il giudice deve punire con minor rigore di quanto esse prevedono (Isaeus, fr. 33). Isocrate loda gli Ateniesi perché sono i più pietosi e clementi (ÉÀE11JJ·ovfo-ra:roL xat 7tpa6-ra"tot) dei Greci ed anche i più miti e socievoli (r-pao't'a"toL xat xoLvwv6-.cx.-ot: Isocr. 15,20.300). A sua volta Demostene (8,33) dice che anche nell'assemblea popolare essi sono 7tpiiot xat cpLÀ6.vì>plù7tOL. Questa mitezza, che spesso è messa in risalto insieme con l'affabile cpLÀ.avì>pw'ltla. (Dio Cass. 43,3, 6), non deve d'altra patte portare all'autodegradazione, all'umiliazione (7tpi1e<; El;w 't'OU 't'a'ltELvou: Dio Cass. 74,5,7). Essa distingue proprio chi ha l'animo grande (~ya)..OihJµ~c;: Epict., fr. 12) e nobile (Plat., Phaedr. 243 c; leg. 5, 731d), la persona colta (7tat.òw·nxoc; &vi7pw7toc; 1MÀ.wv EÌ:vat èi
3 Plat., resp. 2,375c; Tim. 17d-18a; Polyb. r8,

37,7: ?toÀEµ.ouv-ca.ç yàp 8E~ 't'oùc; à:ya.i>oùi; li.v8pa.c; f3apEtç Er\lat Xa.t fulµt?COV<;, 'lÌ"C't'WµÉ· voui; SÈ ytvva.lovc; xal µtyaMcppovac;, vtxwv-rac; yt µfiv µt-cplouc; xal TqiaE'Lç xat
Pythagoreerpriiche, ed. SCHENKL: Wiener Studien 8 (1886) 84. 5 Theon, progymnasmata 8 (Rbet. Graec. II rn,27 s.).

(vr,647) 68

()O'VV1J, EÙO'É~ELa, ÈmEii<:ELa, ecc. (somnittm r o ). La tenera dolcezza è una delie principali virtù femminili (Plut., praec. coniug. 45 [II 144e); consolatio ad uxorem 2 [n 6o8d] ). Cosl viene attribuita anche alle divinità femminili 8. Platone, a lode degli abitanti di Atlantide imparentati con gli dèi, dice che «essi usavano moderazione e saviezza in tutti i casi occorrenti e nei loro rapporti reciproci» ('ltpaO't't)'t'L µE't'à. cppOVlJCTEW<; 1tp6c; 'tE -ràc; àd auµ~m'Jofoac; 't'ux;ac; xat ;.pòc; àÀÀl]À.ovc; XPW~VoL: Critias 120 e). Qui confluiscono i punti di vista dell'etica sociale e dell'etica individuale. Il sistematico Aristotele colloca la 1tp(J.6'tt)c; tra le virtù etiche (1}~t.xai Ò'..pE't'al: eth. Nic. 1,13 [p. 1103a 4 ss.]), che sono distinte da quelle intellettive ( SLa.VOl}"tLxrx.t), e la considera media tra la Òpyt.M't'1')c; (ira, collera) e la scialba inettitudine della à.opy11ala. (eth . m. r,23 [p. rr9rb 24] ). Poiché valuta positivamente l'ira giusta e moderata (eth. Nic. 2,7 (p. no8a 6]), la mitezza è per Aristotele, insieme con la pacatezza (Eù6py11-;ov ), l'aureo mezzo tra gli estremi dell'ira e dell'insensibilità 9 •

B. I

LXX E IL GIUDAISMO ELLENISTI CO

I. Nell'A.T. 'ltpa.vc; ha 12 volte un corrispondente ebraico nel testo mas.; inoltre è usa to in Ecclus 3 1 19; 10,14; lob 36,15; JoeJ, 4,II e A.a:v. 4,19. Nel Salterio (ove ricorre 7 volte: l); 24,9 (bis]; 33,3; 36,II; 75,10; 146,6; 149,

Xenoph., Ag. u,2.6.20; Isocr., or. 2,23; ~ V6GTLE 73-77; F. WrumLM, Der Regentenspiegel des Sopatros (Stob. IV 215,20 ss.; 217, 9): Rhein Mus 72 (1917/18) 374-402, spec. 39z-39il. 1 Aristot., rhet. 1,9 (p. 1366b r ss.). 8 Artemide: Anth. Pal. 6,271 (cfr. anche 9,525, 17); Lcto; Plat., Crat. 406a. 9 Aristot., eth. m. 1,7 (p. n86a 23); cfr. 1,25 (p. II91b 36). 6

1tpa.i'.lç, 1tpC1:u-c11ç I3 x (F. Hauck-S. Schulz)

4), e Num. 12,3 r.pauc, rende 'iiniiw; altrimenti traduce 5 volte 'iint (lob 24,4; Is. 26,6; Zach. 9,9; Ecclus ro,14; Soph. 3,12; solo il codice A legge 1tOÀUv). -..pau't'1JC, ricorre 4 volte nell'Ecclesia-

stico (3,17; 4,8; 10,28; 45'4) ove rende 'anàwiì; in Ecclus 36,23 manca il corrispondente ebraico. 7tpet.U't'1]<; è usato anche in~ 44,5; 89,10; 131,r e Esth. 5, r• (senza equivalente ebraico). Infine abbiamo 7tpa.O't'1JC, in Ecclus r,27 (insieme con 1tpath1]ç) e in Esth. 3,13b 10 • Anche se la traduzione dei sinonimi ebraici 'ebjon, dal, riis, 'ànt e 'iiniiw con 1\ÉVT}ç ( ~ IX, coll. I4 5 8 ss. ), ~ 1t't'Wx6ç, ~ 't'a.1tELv6ç e 7tpocuç è assolutamente arbitraria, pure è chiaro che 7tpa.uç è il termine preferito per tradurre 'iiniiw 11 • 'iinz e 'iiniiw sono connessi con il verbo 'nh, che significa trovarsi in uno stato di depressione, di umiltà, di pochezza 12. Basta questo a spiegare come mai, a differenza dell'uso greco profano, nell'A.T. 1tpavç non sia mai riferito a Dio 13• 'iint è in prima linea un concetto economico - sociologico, come 'ebjon, dal, riis indica colui che si trova nella condizione servile. 'iinl è chi non possiede un fondo rustico e quindi deve guadagnarsi il pane lavorando al servizio di altri (~ 11:svnc;, IX, col. 1459); poi passa a significare umile, sotlJ Il testo non è del tutto sicuro e presenta qualche variante. li 'ii11iiw ricorre 21 volte nell'A.T.: è tradotto 8 volte con 7tpa.Oç, 4 con 1t-cwx6ç, 5 con "t!l.1tEW6ç (x volta come variante) e 4 con ni!.v11ç. 'iini è tradotto 6 volte con vari vocaboli (Ex. 22,24; Deut. 24,12; Ez. 18,17; lob 24,9; 36,x5; Prov. 22,22). 5 volte i LXX han. no un testo diverso o una diversa interpretazione. (I.r. xo,30; Zach. xr,7.rr; Prov. 15,x5; lob 24,14). 12 Per questo punto dr. --+ BIRKELAND 7-xo. 13 L'unica eccezione è P.r. x8,36, il cui testo base è però incerto: Aquila e In Quinta leggono 1tpa6't'T)t;, i LXX e Teodozionc 1t«Lòda. I LXX e Teodozione hanno collegato diretta-

tomesso. Anche 'iiniiw indica dapprima colui che si trova in condizione bassa, subordinata, ma poi viene a significare prevalentemente colui che si sente servo rispetto a Dio e gli si sottomette senza proteste o riserve 14 • Per tutto il problema cfr. tuttavia ~ 'lt-i:wx6c;. In questo significato è contenuta la ragione della scelta di 7tpauç quale traduzione favorita di 'iiniiw: i LXX scelsero 7tpcx.i'.i<; perché questo termine indica già in greco l'accettazione tranquilla e volontaria di un particolare destino e dell'ingiustizia umana(~ col. 65). Nel Pentateuco 7tpoci'.iç (per 'iinaw) si trova solo in Num. 12,3, come attributo di Mosè. Le parole sono probabilmente un'aggiunta posteriore 15, e riflettono forse l'ideale religioso dell'età successiva o anche l'ideale ellenistico del principe. Lo stesso vale per Ecclus 45.4· La profezia preesilica non conosce ancora la figura di un uomo che sopporta ogni cosa con fede e mansuetudine. Al massimo si potrebbe citare a questo proposito Ioel 4,n; ma nel testo ebraico manca l'equivalente di 7tp<x.i'i<;. Si è cercato di emendare il testo masoretico di questo passo in conformità coi LXX; ma la correzione rimane dubbia, perché altrove la radice m20h non è mai tradotta con 1tpocvc; ecc., né 'iinl né 'iiniiw sono mente la 7tpa6-cnc; (divina) e il nmoEuEcri>m dell'uomo in tV 89,xo. I LXX banno 2 volte 'ltpa.uvEw (1)1 93,13; Prov. 18,14), ma non nel significato greco di placare gli dèi; cfr. G. Bl!RTRAM, Der Begri/J der Erziehrmg in der griecb. Bibel, in Imago Dei, Festschrift fiir G . K1iiger (1932) 45 s. 14 È incerto se si debba leggere 'iint oppure 'iiniiw. li Cfr. H. HoLZINGER, Num., Kurzer Rand. Commentar zum A.T. 4 (1903) e B. BAE."ITSCH, Num., Handkommentar zum A.T. II 2 (1903) od l.; inoltre KAUTZSCH, ad l.; ~ RAHLFS 95100. Questa aifermazione non si adatta all'immagine di Mosè tramandataci dall'A.T. (Ex. 2,12; 32,19 ecc.).

'ltpa:Oç, itpaihf)ç B 1 (F. Hauck-S. Schulz)

usati in Gioele, che tra l'altro sembra postesilico 16• Nel passo in questione il profeta invita alla guerra santa: gli strumenti pacifici devono essere mutati in armi e anche chi è mite deve diventare un guerriero 17• Dopo l'esilio Zach. 9,9 s. descrive il re escatologico come re di pace: sia formalmente (per la metrica) sia contenutisticamente (per il messaggio dell'araldo cfr. Is. 40,9ss.) 18 i due versetti si staccano dal contesto. Il motivo del re messianico che cavalca un asino appartiene in origine a un'antichissima tradizione messianica 19 cli provenienza accadica, ma qui è stato reinterpretato ln maniera caratteristica. Questa nuova intetpretazio· ne dell'antico motivo è particolarmente evidente nel v. lO: il re messianico abolisce le armi e 1 carri da guerra e proclama ai popoli la pace. In ~ 44,5 la 7tpcx.v"t'T)ç è, insieme con la verità e la giustizia, una delle qualità distintive del prode re guerriero (v. 4), che poco dopo (vv. 7-8) è descritto come principe di pace 211 • Nelle sezioni più antiche dei Proverbi manca 7tpix:uç; più precisamente, qui i LXX hanno tradotto 'iint e 'iiniiw in modo diverso. In Prov. 15,33 Simmaco e Teodozione rendono come una sentenza di sapienza pratica la frase ebraica wlpnj kbwd 'nwh, «l'umiltà viene prima della gloria», che i LXX hanno frainteso. La massima ebraica ha un indubbio carattere intramondano, come si vede chiaramente dal suo uso antitetico in Prov. l8,l2, e certamente anche Simmaco e Teodozione intendono la sentenza in primo luogo nel senso 16 Cfr. O. EissFELDT, Eiflleilung in das A .T.' (1956) 481 s. 17 Il testo base sembra trascritto male; la frase è forse un'aggiunta posteriore: dr. TH. H. Ro· BINSON, Die Zwiiif Kleinen Prophelen, Rand· buch A.T. 14 (1954); A. WmsER, Das Buch der Zwii/f Klei11e11 Prophe/en, A.T. Deutsch 24 (1949) e KAUTZSCH, ad l.

della educazione profana; essi lasciano aperta la possibilità di una interpretàzione escatologica, traducendo entrambi i passi (Prov. 15,33 e r8,r2) con Eµ1tpocri>Ev o6!;TJc; 7tpocihric; (i LXX traducono Prov. 18,12 con 1tpÒ 06!;1}1; -çoc1tELVOU"t'
18

19 RomNSON, op. cii. (~ n. 17) ad l.; cfr. anche la locuzione «dal fiume (Eufrate)».

op. cit. (~ n. 18) ad l.; H. ScHMrnT, Die Psalmen, Handbuch A.T. 15 ( 1934) ad l. e KAUTZSCH, ad l.

20 WEISER,

7tpet.O:;, 7tpr.tu\TJ<; B 1-2 (F. ttauck-:>. ;:,cnu1zJ

dell'esilio, accettato senza mormorazione o ribellione o scoppi d'ira, diventa ora il segno della pietà, un segno assolutamente sconosciuto alla mentalità largamente predominante nel passato, nei tempi felici della nazione. Ma altrettanto netta è la distinzione dall'uso linguistico greco profano. La pacatezza e la mansuetudine dell'A.T. sono radicate in Dio. Alla mite, umile serenità corrisponde la vittoriosa speranza in Dio (Is. 26,6) e non il superiore distacco del saggio. La 1tpa..U't'l')<; dell 'A.T. è radicata nella speranza escatologica (Ps. 76,ro) che Dio giudicherà il mondo ( l 4 7 ,6; l 49.4) e darà il paese agli umili, ai sottomessi, cioè a coloro che «conoscono l'attesa della speranza» (Ps. 37,9). Ps. 3 7 ,9-n si allaccia cosl a promesse del paese che in origine riguardavano Abramo e la sua discendenza ed ora vengono interpretate dal salmista in riferimento al suo tempo. 2. Filone, che non conosceva l'ebraico e ignorava quindi anche la connessione tra 'iiniiw e 7tpa..u<;, dipende dal linguaggio dei LXX e dell'etica filosofica greca. Egli parla della clemenza di Dio giudice 21 e descrive Mosè adolescente che placava (È7tpauvEv: vit. Mos. 1,26) ogni giorno di più i 7td:l>1) con uno sforzo di carattere particolarmente notevole (conf. ling. 165), poiché solo l'età avanzata, quando le passioni sono per lo più doma te ("twv 'lto:i}wv É7tt 1tÀ.Éov 1Jrupwi>Év'twv ), dà la ÈmELXE~a.. e la 'ltpa..o"t1'J<; (op. mrmd. rn3). Come guida del popo-

21

Philo, det. poi. ins. 146: xo:>.
Y.W<;

"tE

xaì. 'ltpawç U\E XP'llO''\'Ò<; ifiv.

ÈttLEL·

lo egli rimase fedele all'ideale del principe, mostrandosi 'ltpa.é't'a:toç e 1)µEpw't<X.'t'O<; pur essendo turbato profondamente dalla ribellione del popolo ( vit. Mos. 2,279). Come legislatore diede buone leggi: ai servi perché servissero con amore i padroni ( Elc; U1tEpTJ
4. Nei testi di Qumran 1a mansuetudine ('aniiwa) è menzionata spesso (ad es., I QS 2,24; 3,8; 4,3 e passim). I QS 10,26 si rifà chiaramente a forme dell'A.T. (--7 coli. 72 s.) quando parla di umiliati e scoraggiati. Ai membri della setta è richiesta la 'anawa, che in I Qs 4,1 ss. viene menzionata in una specie di elenco sommario di virtù e vizi, conforme alla concezione dualistica delle potenze, secondo la quale l'umiltà mansueta è una qualità essenziale dei figli della luce. '12 Cfr. 485 .

KAUTZSCH,

Apkr. u. Pseudepigr.

II

?tpai'.ic;, 'ltpaU'tT)<;

C. IL

e

NUOVO TESTAMENTO

Nell'uso linguistico del N.T. la distribuzione ineguale dei nostri termini nei vari gruppi di scritti è degna di nota. Sia l'aggettivo che il sostantivo mancano del tutto in Marco, Luca (vangelo e Atti), nella Lettera agli Ebrei e negli scritti giovannei; in Paolo troviamo unicamente il sostantivo. L'assenza dei nostri vocaboli da questi scritti è connessa con le loro particolari cristologie. Marco e Luca hanno una cristologia incentrata sull'idea dcl Figlio di Dio(-> ui.òc; l>EOV) O del XUptoc;; la cristologia giovannea è imperniata sulla figura del potente ~ ul6c; o ~ ui.òc; "t'OV &:v1'pw1tou, mentre quella paolina ha al centro il XVpLoc; (-7 v, coli. 1468 ss. ); infine la cristologia della Lettera agli Ebrei descrive in categorie sacerdotali la figura centrale dell'&:pxtEpEuc; ( ~ 1v, coli. 883 ss.). r. Tra i sinottici, dunque, solo Matteo ha uno dei nostri termini, precisamente 1tpauc; (3 volte: 5 ,5; rr,29 e 21, 5 ). Una particolare importanza assume, anche per quel che ci riguarda, il predicato che Gesù stesso si attribuisce nella 23

Per la questione cfr., ad es., W. GRUNDJes11s der Galiliier (1940) 209-223; J.

MANN,

Sohn Gottes als Christ11sbe:t.eichmmg der Synopt. (1951) 75-87; W. MANSON, Bist Du, der da kommen soll? (1952) 89-95, spec. 92; E. PERCY, Die Botschaft Jcsu (1953) 108rro; W. D. DAvms, Knowledge itt the Dead Sca Scrolls aml Alatthew II,25-30 : HThR 46

B1ENECK,

(1953) II3-139. Inoltre --) Émywwcrxw u, coll. 526 ss.; ~ ~uy6c; m, coll. 1549 ss.; ~ µavM.vw v1, coli. IIOJ s.; ~ vipt~oc; vn, coli.

I

(F. Hauck-S. Schulz)

pericope di Mt. n,25-30 (~ IX, coll. 1244 ss.), una tradizione non ancora del tutto chiarita sotto l'aspetto storico-religioso 23. Verosimilmente i vv. 28-30 si articolano secondo lo schema del discorso rivelatorio di P1·ov. 8,4 ss.; Ecclus 24, 3-22 e 51,23-30 24 • La missione di Gesù si compie su questa terra in umiltà e debolezza ( = 1tpai'ic;); la sua vita non si svolge nell'alterigia, ma è la vita di uno che è umile di cuore, che cioè dipende in tutto e per tutto da Dio ( = 't'a.7tEt· v6c,) 25• Ma proprio per questo egli può pronunciare il suo invito autorevole (si notino bene i due imperativi 8Ev't"~ e &pa."t'E) e assicurare il compimento della promessa contenuta nell'invito. Servendosi della citazione profetica di Zach . 9, 9 (-7 col. 71) di cui afferma il compimento, Mt. 21,5 descrive l'ingresso di Gesù in Gerusalemme come la venuta del mansueto e pacifico re salvatore e principe di pace. In questo modo Gesù assume una posizione fondamentalmente antitetica a quella degli Zeloti (-7 m, coli. 1506 ss.) e di tutti i sostenitori di un messianismo politico. Nelle beatitudini (Mt. 5 ,5) ~ appaiono i 1tpa.E~<;, cioè 956s.

H. BECKER, Die Rede11 des Joh.-Ev. 11nd der Stil der g11ostiscben Offenbartmgsrede, FRL N.F. 50 (1956) 41-53; BuLTMANN, Trad. 172. 25 J. SCHNIEWIND, Das Evangeli111t1 nach lo;[f., N.T. D eutsch 2 3 (1950) ad I. 26 A differenza delle altre beatitudini, la terza è una citazione (Ps. 37,u). Ln sua posizione 24

nella pericope è incerta sotto l'aspetto della critica testuale: WELUiAUSEN, Mt. e KLOSTERMANN,

M.t., ad I.

coloro che, stando sottomessi e umili, non seguono la propria volontà, ma quella grande e benigna di Dio. A costoro Gesù promette l'eredità (~ v, col. 654) dell'eone futuro, la quale include però (cfr. Mt. 19,29) «la dimora sicura nel proprio paese» Z7. Al contrario della prima beatitudine (Mt. 5 ,3 ), dove sono nominati i 'poveri' (~ 'lt"t'Wxol, sinonimo di 7CpUE~ç), nella terza l'accento è posto sulla promessa futura: coloro che adesso son oppressi e umilinti nell'eschaton governeranno il mondo.

sto ha dato l'esempio ai suoi durante la vita terrena. Questa 7tpa.u-c11c; non è per. tanto neanche una virtù in senso grecoeUenistico (~ coll. 66 ss.), ma è un dono dello Spirito, come mostrano chiaramente Gal. 5,23 e 6,1. La 'ltpaihT)c; si colloca tra la nl
Il termine 7Cpa.u-.T)ç 28 è usato da Paolo z volte, significativamente entrambe nella polemica con i pneumatici di Corinto. Paolo aveva mille ragioni per prendersela con i Corinzi a motivo della loro presunzione e della loro arroganza; tuttavia essi non devono impe-. dirgli di usare con loro la mansuetudine di Cristo (2 Cor. 10,r ) 29• Questa mansuetudine scaturisce dall'agape; perciò l'Apostolo desidera astenersi dal punire severamente anche i disubbidienti (r Cor. 4,21). È fuori questione che il suo comportamento non va confuso con la mollezza o con la debolezza e che non passa per tale, giacché esso è ispirato alla mansuetudine e all'amore di cui Cri-

3. Nell'uso linguistico delle lettere pastorali non mancano alcuni tratti moralistici. Il servitore di Cristo dev'essere mite con tutti, ma particolarmente dolce quando ammonisce gli oppositori, perché comportandosi cosl riesce forse a strapparli a Satana (2 Tim. 2,25 ) 31• Secondo Tit. 3,2 tale atteggiamento di soave comprensione va tenuto verso tutti gli uomini. r Petr. 3,16 esorta i cristiani a rispondere sempre, anche quando potrebbero essere irritati e indisposti per l'ingiustizia subita, con mansuetudine e gentilezza alle autorità o a chiunque chieda conto della loro vita di fede.

2.

27 LOHMEYER, Mt. , nd l. 13 Nel N.T. ln forma prevalente

4. Iac. 1,21 contrappone la 'ltpetu-cl}c; questa ipotesi è molto dubbia; cfr.

è 1tpo:U'tTJ<;

(1tpa.6'tTJc; è attestato solo come variante), mentre Ignazio ed Erma hanno sempre 1tpa:6't'f)ç. 29 ---) TmEME 24 s .; ~ liA«NACH r13 e ~ V&TLE 152 pensano che si tratti di una esplicita reminiscenza della parola di Gesi:1, ma

2

30

WINDISCH,

Kor., ad l. Cfr.

ScHLIER,

Gal. a

5,23.

Cfr. al proposito Ign., Tr. 4,2: XPTI~W oùv 1tpa.6't'f)-toç, Èv xa:'taME'tct.~ ò lipxwv -.oli O'.twvo<; 'tOV'tOV.

31

n

79 (vr,650)

7tpeti'Jç, 7tp1Xui:ric; C 4 - D (F. Hauck-S. Schulz)

alla òpy-fi (v. 20): mentre questa è contraria alla giustizia di Dio, quella rende docili e pronti a lasciarsi ammaestrare dalla parola di Dio senza adirarsi contro chi la insegna. La mansuetudine è il segno distintivo della vera pietà, del vero credente che è animato dalla sapienza divina {3, 13: E\i 1tpocu·t"'fJ'tL
D.

PADRI APOSTOLICI 32

Nei Padri apostolici incontriamo un uso di 1tpauc; e 1tpocu'tT)c; (7tpaé-.T)c; in Ignazio ed Erma) simile a quello esaminato sopra. In Did. 3,7 'ltpavc; è da solo; ma questo passo è influenzato dall'uso linguistico di Mt. 5,5 o forse di~ 36,n, poiché la seconda parte della proposizione è chiaramente una citazione. Al.trave l'aggettivo compare in elenchi o comunque insieme con altre virtù. In r Clem . 13>4 (insieme con 1]
32

In questa sezione sono state inserite osser-

(v1,651) 80

Più frequente è invece l'uso di 1tpa.i'.ic; in Erma: mand. 5,2,3 e 6,2,3 presentano 1'associazione di 7tpa.uc; e 1}uux1oc; (che fa pensare a un'in.ffuenza indiretta di Is. 66,2) entrata già come locuzione fissa nel linguaggio di edificazione. In mand. 5,2,6 1tpaé'tT)c; compare accanto a ljuvxla. e in mand. 12,3,1 accanto a 1ttCT'tLc; e ad altre virtù. Il sostantivo ricorre inoltre in combinazione con altre virtù; ad es. in I Clem. 30,8 (con È'TmlxeLa., come in 2 Cor. lo,1), in Did. 5,2 (con Ù1toµo\ii}) e in rClem . 61,2 (con Elpi}vn). Invece Diogn. 7>4 sembra riprendere 2 Cor. 10,i. Per Ignazio la 1tpa.é"1Jc; è una virtù essenziale dei cristiani (cfr. Tr. 4,2) e ci si aspetta che il vescovo ne sia dotato (Tr. 3,2; Pol. 2,1; 6,2). Anche Did. 15,1 prescrive che solo èlvopec; 1tpaei:c; debbano essere eletti vescovi e diaconi (i quali inoltre devono risultare anche Ò'.q>LÀ.apyvpovc;, Ò'.À.T)~ELC,, OEOoxip,cccrµÉvovç) . Tutto sommato possiamo dire che nei Padri apostolici appare ancor più chiaro quello che si è notato già per il N.T. (--? col. 78): la 1tpCX.U't"1JC, è diventata una virtù cristiana essenziale. A questo proposito si nota con sorpresa che nell'esortazione alla 7tpa.un1c, l'esempio di Gesù non ha alcuna parte.

F. HAUCK-S. ScttuLz

vazioni di

SCHNEBMELCHER.

1tpÉcrpvç x-rÀ.. (G. Bornkamm)

81 (vr,65J)

lVI,ù5lJ ts2

7tpÉcr~uc;,

7tPECTBV't'Epoc;, 7tpEcrBv't''f)c;, cruµ7tpEO"~V't'Epoc;, npECTBu't'Éptov, 7tpECT~EUW

t

TC{)ÉO'~uc;,

t

t

rcpw~l'.m:poc;,

cruµ;cpEuBu-.Epoc; (~ rn, col. 756 ss. btiO'XO'Jtoc;), t 'ltpEO'Bu'tÉp~o\I

sinagogali del giudaismo ellenistico. C. La mxptioocrtç -.wv 1tfmrPu-.Épwv 11ella predicazione di GestÌ.

israelitico-giudaico: x. la storiografia jahvista ed clohista; 2. l'età dei giudici e dei re; 3. il Deuteronomio; 4. l'età csilica e postesilica; 5. gli 'anziani' nel sinedrio gerosolimitano; 6. zaqen come epiteto degli scribi; 7. 1tPEO'~u-rEpot negli ordinamenti lm:ali e

D. I presbiteri nelle comunitcì protocristiane: x. !a protocomunità gerosolimitana; 2. fa mancanza di presbiteri nelle comunità paoline; 3. lo sviluppo dell'ordinamento presbiterale per l'influenza della sinagoga della dia. spora: a) la Lettera di Giacomo; b) gli Atti degli Apostoli; e) la prima Lettera di Pietro; d) le Pastorali; 4. i 24 1tPECT{3V1'€pot dell'Apocalisse giovannea;

7tpfo~vç X"t"À.. Per A: LrnDELL-ScoT'1', s.v.; PaEISIGKE, Wort. n 357; III .r47 s. 383.405 s.; E . ZIEBAR'l'H, Das griech. Vereinswesen (1896) indice s.v.; E. PoLANI>, Geschichte des griech. Vereinswesens (1909) indice s.v.; M. SAN NrcoLò, Jlgyptisches Vereillswesen wr Zeit der Ptolemiier und Riimer I (1913) 169-173; Il (1915) 53-96. Per Il: O. SEESEMANN, Die ii.ltesten i111 A.T. (1895); I. BENZINGER, art. 'Alteste in Israel': REJ x, 224-227; E. Mmrnn, Die Israeliten rmd ihre Nachbarstiimme (1906) 96 s.; W. CASPARI, Arl/kommen rmd Krise des israelitischen Kot1igtrims (1906) 5-:z6.67-75; A. BERTHOLET, Kt1lt11rgeschichte Israels (1919) passim; M. \Y/EBER, Gesammelte A11fsiitze 1.11r Religionssoziologie 3 (1921) 16-25; A. ALT, art. '.Alteste': RLV l (1924) u7 s:; P. VoLz, Bibl. Altertiimer' (1925) vedi indice; J.PEDERSEN, Israel lts Life and Culture I-II (1926); III-Iv (1940) indice s.v.; A. CAUSSE, Du groupe ethnique à la communauté religie11se (1937) passim; L. RosT, Die Vorstujc11 vo11 Kirche rmd Synagoge im A.T., BWANT IV :z4 (1938) 60-76, spec. 61-64; \Y/. H. BENNET, art. 'Elder (Semiticl': ERE v (1912) :z53-256; A. MENES, art. '.ii.1teste': EJ Il 505-507; M. WmNBERG, Die Or-

.11.a11isatio11 der jiid. Ortsge111einde11 ÙI talmud. Zeit: MGWJ N.F. 5 (1897) 588-604.639-660. 673-691; ScHURER n 237-258.497-516; In., Die Entstehrmg des Judt. (1896) 132-135; G. HoLSCHER, SanhedrÌll tmd Makkol ( 1910) 15-24; J . JusTER, Les J ui/s da11s l'empirc Rotnain (1914) 440-447; G. LA PIANA, The Roma11 Church al the End o/ the Second Century: HThR 18 (19:z5) 201-227; ID., Foreign Groups in Rome during the First Century of the Empire: HThR 20 (1927) 183-403; J. B. FREY, Les commrmautés juives à Rame aux premiers temps de l'église: Recherches de Science Religieuse 21 (1931) 129-168; _In., Corpus Inscriptionum Judaicarum I (r936) II (1952); H. ZucKER, Studien wr jiid. Selbstverwaltrmg iflJ Altertmn (1936) 173-190; J. }EREMIAS, Jerusalem wr Zeit Jest1 II Il ( 1937) 88-100; E. LousE, Die Ordi11atìo11 im Spiitjude1Jltml und im N.T. (1951) spec. 21-27.50-60. Per C-E: H. J. HoLTZMANN, Die Pastoralbriefe (1880) 207-221; E. BATCH-A. HARNACK, Die Gesellscha/Jsverfassu11g der chrisl. Kirchm im Altertum (1883) 51-78.229-253; E. KiiHL, Die Ge111ei11deordmmg in d. Past. ( 1885) 7-28:85-134; R. SoHM, Kircheflrecht I (1892) 92-121.137151; E. v. DoBsCHUTZ, Die mchr. Gemeinde11 ( 1902) cfr. indice; R. l
SOMMARIO:

A. Sig11ificato .e uso. B. Gli 'anziani' 11ella storia dell'ordi11ame11to

83 (VI,651)

'ltpfopvç xù. A 1 (G. Bornkamm)

5. il 7tpE
chiesa antica: r. la prima Lettera di Clemente; 2.Erma; 3. Ignazio; 4. Policarpo di Smirne;

5. i 'presbiteri' di Papia, Ireneo, Clemente Alessandrino, Origene; 6. la Didascalia siriaca e la Tradizione apostolica d'Ippolito.

A.

SIGNIFICATO E USO DEI TERMINI

1. 1tpEO'~U'tEpoç è propriamente il comparativo di 1tpfoBuç ed è usato nei modi seguenti. a) Per indicare l'età avanzata, soprattutto delle persone (usato cosl da Omern, nelle iscrizioni, nei papiri, nei LXX, in Filone, in Flavio Giuseppe, nella letteratura cristiana). Comune è il signifìcato più vecchio, maggiore (d'età, fra

lische Zeitalter (1905) 147-222; A. HARNACK, E111s1ehung rmd EntwicklU11g der Kirche11verfass1mg und des Kirchc11rccbts in den ersten :avei Jahrhr111derte11 (1910) spec. 40-;6; H. LrnTzMANN, Zur altchr. V crfassr111gsgeschichle: ZwTh 55 (1913) 97-153; K.MiiLLER, Beilriige wr Gescbichte der Ver/assu11g ili der alte11 Kirche, AAB r9u, 3 (1922) 3-5; ID., K/eille Beitriìge :wr a!ten Kirchengeschichte 16: Die ii/teste Dischofswahl 1111d -weihe in Rom 11nd Alexandrien: ZNW 28 (1929) 274-296; B. H. STREETI!R, The Primitive Church (1929) 6797; O. LtNTON, Das Problem der Urkirche in der 11eueren Forsclmng (r932) 110-u3; A. C. HEAm.AM-F. GERKE, The Origin o/ the Chris· tian Ministry, in A. HEADLAM - R. DoNKERLY, The Ministry and the Sacraments (1937) 326-367; E. J. PALMER, A IJCtv Approach lo a11 old Problem: Tbc Developmcnt o/ the Christian Mi11istry: ibid. 768 ss.; J. M1CHL, Die 24 .ii.ltesten in der Apokalypse des Hl. ]ohannes (1938); K. L. ScHMIDT, Le ministère et les mi11istères da11s /'Église d11 N .T.: RHPhR 17 (.r937) 3r4-336; In., Amt 1111d .ii.mter im N.T.: ThZ l (1945) 309-311; K. E. KIRK, The Apostofic Ministry (1946) dr. indice; E. SCHWElZER, Das Leben des Herm in der Gemeinde tmd ihre11 Die11ste11 (1946)

o

o

due persone): utòç 1tpEcr~\rn:poç, «il figlio maggiore» (cfr. Aelian., var. hist. 9.42): Le. 15,25; Bam. 13,5; può indicare coloro che appartengono alla generazione precedente in contrapposizione a coloro che sono di una generazione più giovane ( vw.vlcrxoL, vÉo~, w:wTEpo~ ecc.). Il senso comparativo può però passare in secondo piano 1 e r.pEcr~u-.rpoç signifìca allora semplicamente vecchio, anziano, gli anziani: Ios., ant. 13,226. 292; Herm., vis. 3,1 r,3; 12,2. Conformemente a quest'accezione la chiesa appare in Herm., vis. 3,ro,3 Àlu..v TIPEO-~u­ 'tÉpa., «molto anziana>> ( cfr. vis. 3,II,2 e 2,1,3; 3,1,2 ecc.). Diversamente da altri termini indicanti l'età (ad es. yÉpwv, 1ta.Àa.L6ç), il gruppo -rtpEO-~- è privo di qualsiasi connotazione negativa (debolezza ecc.), mentre ha insita la nota positiva del rispetto, dell'onore, della considerazione 2 • Si capisce cos} il valore delindice s.1".; P. C. SPICQ, Les Epitres pastora/es, Etudcs Bibliques (1947) XLIII-LI; R. LOEWE, Die Ordmmg in der Kirche im Lichte des Ti-

tusbriefes (1947) 26-37; T. \Y/. MANSON, The Churcb's Ministry (1948) 53-77; PH. MENOUD, L''Eglise et !es mi11istères sclon le N.T. (1949) 35-55 spec. 50-55; J. BROSCH, Charismen rmd ii.mter in dcr Urkirche (1951) lJ7-r41; H. Sc11LIER, Die Zeit der Kirche (r956) n9-147; H. W. Bi::YER-H. KARPP, art. 'Bischof': RAC

II

( r9,54) 394-407; W. M1CHAELIS, Das Altestenamt (1953); H. v. CAMPENHAUSEN, Kirchli-

chcs Amt 1111d geistlicbe Vollmacht i11 de11 ersten drei Jahrhu11derlen (r953) spec. 82-134; A. EHRHARDT, Tbc Apostolic Successio11 (r953) cfr. indice s.v. 'Elder', 'Presbyter'; DrnELIUS, Past.l spec. 44-47.60 s. Cfr. anche la bibliografia a btlcrxo7toç "'4 III, coli. 756 ss. I Cfr. BLASS-DEBRUNNER § 244,2; SCHWYZER II 184 s.; ST. C. CARATZAS, Sur l'histoire du suffixe de comparati/ -'t'Epoç (7tpE!TP{m:poç, t!;w-rEpoç, vEW"l'Epoç): Glotta 32 (1953) 248· 261; K. }AB ERG, Elatiot1 tmd Komparation, in 'Festschrift Ed. Tièche (1947) 56 s. Per l'etimologia cfr. HoFMANN, s.v. 7tpÉ11Bvc;. Per la sinonimica cfr. J. H. H. SCHMIDT, Synonymik der griech. Sprache n (1878) 87 s.;

2

IV

(r886) 3II.

'itpfo{3uç

X'tÀ..

A

I

(G. Bornkamm)

(v1,653) 86

la distinzione fatta da Sofocle quando Plat., apol. 3rb; Iarnbl., vit. Pyth. 8,40 3 Nicia lo invitò a prendere per primo la e anche il glossolano, divertente apoftegparola perché era il più vecchio dei pre- ma in Plut., apophth. Lac. 12 (u 232 senti: «Io sono il più vecchio, ma tu s. ): l8w\I axÉo\l't'ac; (scil. Nicia) sei il più anziano (scil. il più bd OLltrat, 8i)'E\I oùx ii>, 'tÒ. 20,29; Sap. 2,rn; cfr. Lev. r9,32). Per nu ìtEou 7tpE<1{3UTEpa È7toLoiiv'to i] 'tà 1a lode alla sapienza, all'esperienza vis'tW\I ri.vìtpw7tw\I (Hdt. 5,63; cfr. Eur., suta, alla capacità di giudizio e al timor fr. 959; Thuc. 4,6r). Istruttivo è anche
  • at, «infatti per me nulla è più importante che divenire quanto è ticolarmente importante notare che possibile migliore». Un rilievo partico- 1iPÉa'~vc; compare nella costituzione di lare è dato al consiglio ed alla sapienza Sparta anche come titolo politico e indideg1i anziani: ot o-oq>oL xat 7tpEo«i saggi e anziani» (Aristot., eth. Eud. 1, pwv (IG 5,r,51,27; 6,552,n), \loµoq>u4 [p. 12r5a23]); {3ouÀaL 7tpEcr{3u't'Epat, À.axwv (6,555b 19), f3t&Éwv = efebi (6, «i piani degli anziani» in antitesi alla te- 556,6), uuvapxlaç = assemblea di mamerarietà dei giovani (Pind., Pyth. 2, gistrati (6,504,16). Indipendenti da que65). L'onore che va reso agli anziani ov- st'uso sono gli esempi di 7tpEo-(3u't'Epoi vero all'età è un motivo costante della come titolo in iscrizioni e papiri egiziadeontologia popolare: [ci.El 7t]O'tE µi\I ni (dell'epoca tolemaica e imperiale) 4• 1tpEcr{3u-.É(pouc; 'ttµW\I ')'O\IEqç, 't'OÙç In questi documenti vengono indicati OÈ xa1>1}ÀLxac; wc; rÌ.OEÀ.q>ouç, "t"OÙç OÈ con '1tPEEp6/µ:::voç à.OEÀ.q>oç, 'tOLç OÈ -p;pE- 7 ); anche i consigli direttivi delle corcrBu't'ÉpoLç wc; ut6c;,_,f-.oic; &è itcrnrL\I wç porazioni: r.pEcr{3u"tEpoL "tW\I ÒÀ.upox6?i:a't'-i]p (IPE I 22,28 ss.); cfr. anche r.wv (corporazione dei mugnai di Ales-

    wc;

    wc;

    3

    a

    Cfr. Dll!SSMANN, L.O. :i63; r Tim. 5,r.

    DIBl!LIUS,

    ' Cfr. Mn'TEIS·\Xl'ILCKEN r l,:i75;

    B. 153-155;

    DEisSMANN,

    Post!

    DEISSMANN,

    N.B. 6o-6:i; DEiss-

    MANN, L.0., indice s.v. 7tPEO'~V-çEpoç; __,, LrnTZMANN n7; _,, Dnmuus, excursus a r Tim. 5,17; soprattutto - > SAN NrcoLÒ I l69r73; II 90-96 (documentazione spcc. 94 s.).

    -;:pÉ1J~u<;

    x.-rÀ. A 1 (G. llomkamm)

    (vr,654) 88

    sandria, capeggiata da s~i 1tpEcr(3u"tEpot presieduti da un tEpEuc;; III sec. a.C.) 5• Similmente appaiono 1tpEcrf3u•Epot come organi dell'amministrazione autonoma dei villaggi: 1tpECT(3U1:EpOt ·djc; XWµTjç 6 • Essi hanno funzioni amministrative ed anche giudiziarie, variano di numero ( 2 o 4, ma anche più di ro) e durano in carica un anno. È importante notare che anche per il clero «del grande dio Soknopaios» abbiamo un testo (BGU r 16, 5 s.) in cui 1tpEcr(3u1:Epoi ha valore di titolo: si tratta di una giunta composta di 5 o 6 membri che viene rinnovata ogni anno ed i cui compiti sono il disbrigo degli affari correnti, l'amministrazione dei beni ed i contatti con le autorità; i membri della segreteria non sono affatto anziani (il testo parla di presbiteri di 45, 35 e 30 anni) 7 . Di ungenere diverso sono i 1tpEcrBu-.epot delle associazioni greche, per i quali esiste un'abbondante documentazione 8 . Qui non si può dire che il nostro termine sia usato come titolo, poiché 1tPE
    sociazioni di persone d'età più matura (in contrapposizione alle associazioni giovanili): tali sono certamente gli ùf.L\l~oot npEcr0u1:Epot di un'iscrizione trovata a Raclanovo 9 e i frequentissimi clubs di notabili formati da coloro che appartenevano alla gerusia 10• Altrove npEcr0u-.Epot indica l'età, l'antichità di un'associazione professionale rispetto ad un'altra più recente li: cruvoooc; 't'WV ÉV 'A)..E~avopEl~ 1tpwSv1:Épwv èyooxÉwv, «antica associazione degli spedizionieri di Alessandria» (Ditt., Or. r I40,7 ss.); 1tpea(3u-.Epot yÉpotot (tessitori) 12 o "tÉX1:0VEç 1tpecr0u-.Ep0t 13 • L'uso linguistico egiziano potrebbe spiegare la preferenza dei LXX per npEuSu"tEpot (invece di yÉpoV1:Ec;) come traduzione di zeqènlm. Viceversa dobbiamo tener conto dell'influenza giudaica presso le comunità del i)~òc; uifit0"1:0c; 14, sulla cui organizzazione siamo perfettamente informati grazie alle iscrizioni riuovate in Crimea e risalenti ai primi tre secoli dell'era volgare 15• Qui all'interno delle comunità troviamo delle cerchie pitt ri-

    M. L. STRACK, Inscbr. aus ptolemiììscher 'l.eit: APF 2 (1903) 544; inoltre In., Die Miillerinmmg in Alexa11drie11: ZN\'Q' 4 (1903)

    9

    3

    213-234, con un elenco della documentazione più antica 230 s. 0 BGU I 195,30; P. Oxy. XVII 2121,4; P. Zenon III 520,4 (cd. C. C. EDGAR, in Catalogue Générnl des Antiquités égyptlennes du Musée
    H. HAUSCHILDT, IlPE:EBYTEPOI i11 Agypten im !.-III. ]abrh.: ZNW 4 (1903) 235-.z42; L. WENGER, Die Stellvcrtretrmg im Rechte der Papyri (1906) n3-II5; R. TAUDENSCHLAG, The

    Law o/ Greco-Roman Egypt in the Ligbt of the Papyri1 (1955) 580 s.; -7 LIETZMANN JI7 s. 7 \Y/. Orro, Priester :md Tcmpel I ( 1905) 47·

    52. s Documentazione in - > ZrnBARTll e soprnttutto -7 PflLAND. passim.

    =

    ZrnBARTH 90; -7 PoLAND 556 (sotto 13 84). io Costoro si chiamano di solito anche (e più spesso) yqia:tol, ')'Epouo-taa-ral; --> PoLAND 98102; --Y LrnTZMANN n6 s. li --> Z1EBARTH 213; --> POLAND 171 s.; --Y Lrn·rzMANN u6 s.; contro STRACK, MiHlerin11ung (-7 n. 5) 23.z, per il quale 1tpEu(lunpoL è il titolo dei membri più anziani della relativa professione. 12 Egypt. Exploratio11 Ftmd III, Faylim Towus mzd their Papyri (1900) 53, iscrizione 6. 13 I nscriptiom:s Graecae ad n:s Romanas perti11e11tcs, ed. R. CAGNAT I (19n) nr. n55. 14 Per queste comunità vedi E. ScHiiRER, Die ]11de11 im bospora11ische11 Reiche und die Gcmeimcbaften der UE~6~\lot f>EÒ\I ilij.itO""t"O\I ebendaselbst: SAB (1897) 200-225; G. BoRNKAMM, Das Endc des Gesetzcs (1952) 153-

    156.

    Le iscrizioni sono raccolte in IPE II 437467; per l'organizzazione di queste comunità ~ LrnrzMANN n8-123. 15

    »PÉ
    strette {di misti) formate da membri di provata fedeltà i quali sono chiamati, in contrapposizione alla comunità più ampia dei tiasoti, Elcr7tot11•ot ~oe:À.cpol, «fratelli adottivi» {vale a dire «figli di Dio»). A capo di essi stanno dei 7tpe:cr~v­ 'tEpot 16 , né si fa cenno di altre cariche. Evidentemente questo titolo è ripreso dalla costituzione sinagogale giudaica (~ cruva:ywy1)) e non indica uno dei numerosi uffici della comunità generale, ma è riservato alla conventicola 17• c) Il problema particolare dell'uso di 7tpe:cr~u-re:poç nel giudaismo e nel cristianesimo sorge dal duplice significato della parola che può indicare sia l'età di una persona sia il titolo di chi copre una data carica. Spesso non è possibile distinguere nettamente i due significati; in molti passi, come ad es. in Gen. 18, II s.; l9,4.3r.34; 24,1; 35,29, il termine indica chiaramente l'età avanzata o molto avanzata. Quest'accezione si conserva anche nella letteratura cristiana: Io. 8,9; Act. 2,17 (loel 3,1: opposto di \IE<X.\llcrxot); I Tim. 5,r.2; I Petr. 5 15 (opposto di \IEW'tEpoç) e altrove; dr. anche Hebr. II ,2: 7tpECT~U'tEPOL = «g1i avi», «i maggiori». Però già alcuni passi, come Mt. 15,2; Mc. 7,35 (7tap6.oocnç 'tW\I 7tpEa~u't€pwv ), mostrano che i 7tpEO"~V'tEpot sono considerati i depositari della tradizione dottrinale normativa, mentre altri passi (I Petr. 5 ,5; I 16

    IPE

    II nrr. 450.4_52.456. Come sostiene, con prove convincenti, -'» LIETZMANN 120-123. Anche se le iscrizioni apvartenessero al Ili sec. d.C,r pure è degno di nota il parallelismo con la conventicola guida•1

    Clem. l,3) rivelano che il termine designa allo stesso tempo una posizione di riguardo in seno alla comunità. 'ltpEcr~v­ -rEpoc; indica chiaramente un titolo anche quando denota i membri di un'autorità locale (yepou
    All'infuori di questo esempio il termine ricorre soltanto nella letteratura cristiana, ove significa il collegio degli anziani. Questo collegio può essere: a) ]a somma autorità giudaica di Gerusalemme {generalmente chiamata. cruvÉoptov ): Le. 22,66; Act. 22,5 (si tratta certamente di una denominazione corrente nel giudaismo ellenistico, non di ta da un »PEcravnpoç che si può individuare in :1 lo. e 3 Io. (-'»coli. 135 ss.). 18 Cfr. J. ]EREMIAS, IlPEl:BYTEPION ausserchristlich bezeugt: ZNW 48 (1957) 127 s., ove si dìscutono anche i problemi del testo.

    npfo(3vç

    X'tÀ.

    A2 -B

    una iMovazione apportata dall'uso linguistico cristiano); h) il consiglio degli anziani delle comunità cristiane: I Tim. 4,14 (--+ colJ. 123 ss.).

    Il termine ricorre con sorprendente frequenza in Ignazio (ben x3 volte, contro l'assoluta assenia in tutti gli altri Padri apostolici), associato con vescovo e diaconi: Eph. 2,2; 4,1; 20,2; Mg. 2; Tr. 2,2; 13,2; Sm. 8,r. Poiché, secondo Ignazio, la posizione gerarchica dei presbiteri corrisponde agli apostoli, in Phld. 5, r gli ù.:1t60"'toÀoL possono essere dii amati 1tpECT~\)"'tÉpLO\I ÈXXÀ:l')O"lac;. Il presbiterio è il consiglio (cruviopLO\I) del vescovo (Phld. 8,r) e, poiché questi «è tipo del Padre», il presbiterio è il cruvf.OpLOV di Dio (Tr. 3,1).

    o

    3. cruµ1tpEO"~U"t'Epoc;, che si riscontra unicamente nella letteratura cristiana, indica il co-anziano, cioè uno che è inziano insieme con altri o al pari di altri: I Petr. 5,1; Iren., ep. ad Victorem (in Eus., hist. eccl. 5,24,14), e l'antimontanista (Eus., hìst. ecci. 5,16,5). Più tardi diventa, come cruÀ.À.EL'tOupy6c;, cruµµuO"'t'l")c; (e i loro equivalenti latini), una forma comune di appellazione collegiale con la quale i vescovi si rivolgono ai loro presbiteri 19•

    Cfr. H. Ac1mL1s, Das Chrislenlrun in de11 erste11 drei Jahrhunder/en II (1912) 16; E. G. SELWYN, The first Epistle of St. Peter

    1~

    (1955) 228; ~ n, 158. 20 ziiqen indica in origine chi ha la barba, cioè l'uomo che ha ormai il diritto di partecipare all'assemblea papolare; pai il termine è venuto a significare particolarmente la persona in età avanzarn, il vecchio. Cfr. KoHLER-BAuMGARTNER, s.v. ziiqe11. Con gli anziani vengono poi formati, in senso più stretto, i collegi dei scniori, i 'senati', che rappresentano responsabilmente il parentado, la città, Ja regione, il

    I

    (G. Dornkamm)

    B. GLI 'ANZIANI' NELLA

    STORIA DELL'ORDINAMENTO ISRAELITICO-GIUDAICO

    r. Per l'A.T., in tutti i suoi strati tradizionali, gli anziani (hazt'qe11'im)2il costituiscono un dato di fatto acquisito. Non c'è alcun passo che c'informi sull'insediamento e la composizione dei 101·0 collegi. È opinione generale che la loro origine vada ricercata nell'antichissimo ordinamento patriarcale d'Israele fondato sui parentadi, in vigore molto prima che Israele divenisse sedentario e le sue tribù si unissero in popolo. Quali capi e rappresentanti delle grandi famiglie e dei parentadi, gli anziani esercitavano il potere direttivo sui gruppi sempre più grandi che si andavano formando. Già nelle più antiche fonti della storia delle origini d'Israele quale popolo, vale a dire nell'opera storica jahvista ed elohista, non c'è quasi più traccia del nesso degli anziani con l'ordinamento gentilizio 21 • In queste tradizioni sto· riche gli anziani appaiono ormai costantemente quali rappresentanti di tutto il popolo, più precisamente come puri rappresentanti, senza alcuna potestà di governo, privi di qualsiasi iniziativa autonoma e sempre associati e subordinati ai personaggi preminenti (Mosè, Giosuè)12. In questioni importanti che riguardano tutto il popolo essi vengono riuniti per accettare la volontà di Jahvé. Per incarico di Jahvé, Mosè deve conpopolo. Cfr. M. NoTH, Geschichte Israels 3 (1956) 104. 11

    Traspare ancora, ad es., in Ex.

    12,21.

    22 M. NoTH, Oberliefer1111gsgeschichte des Pe11tate11chs (1948) 172-191 mostra che nelle narra:doni premosaiche dell'esodo dall'Egitto e della rivelazione al Sinai gli anziani erano in origine i capi del popolo; solo in un secondo momento, quando prevalse la tendenza a mettere in risalto il ruolo preminente di Mosè quale condottiero, essi furono degradati a mute comparse e a personaggi secondari.

    r.pfo~v<; X"t"À.

    B l (G. Bornkmnm)

    Cn,656) 94

    vocate gli anziani d'Israele per annunciare loro, e quindi al popolo in Egitto, l'imminente liberazione (Ex. 3,16; 4, 29) e per presentarsi insieme con loro davanti al faraone (Ex. 3,18). Essi devono provvedere alla macellazione delle vittime pasquali nelle famiglie (Ex. 12, 21), partecipano con Ietro al banchetto sacrificale (Ex. l 8,12) ed al Sinai ricevono dalla bocca di Mosè la rivelazione di Jahvé (Ex. 19,7). «Alcuni degli anziani d'Israele» assistono, quali testimoni, al miracolo della sorgente in Hoteb (Ex. 17,5 s.); «settanta degli anziani d'Israele» mirano la gloria di Jahvé nel racconto della conclusione dell'alleanza con Mosè ed i suoi tre accompagnatori sul Sinai (Ex. 24,1.9 ). Nella loro qualità di rappresentanti di tutto il popolo «gli anziani d'Israele» accompagnano Mosè nella spedizione punitiva contro Datan e Abiram (Nmn. 16,25) e insieme con Giosuè fanno espiaziC'ne per il furto commesso da Acan (Io~·. 7,6) 23 • Al seguito di Giosuè marciano alla testa del popolo contro Ai (los. 8,rn). Ancora Giosuè li convoca in occasione dell'assemblea di tutte le tribù d'Israele per la dieta di Sichem (Ios. 24,r; cfr. 23,2). Istruttiva è la locuzione «gli anziani d'Israele» (Ex. 3,16.18; 12,21; 18,12; 24, 1.9 ecc.) 24 , cosl cara all'Elohista eppure certamente non storica perché presuppone l'unità del popolo d'Israele ancor prima della conquista di Canaan, e istruttiva è la palese tendenza a porre al servizio del governo di tutto il popolo l'autorità degli anziani, autorità che ca-

    stituisce un dato di fatto e non ha bisogno né di una legittimazione particolare né di essere stabilita con legge. In verità non tutti gli anziani partecipano al governo d'Israele, bensì soltanto coloro che sono stati scelti da Mosè. È questo il senso della narrazione elohista (?) 25 dell'insediamento dei 70 anziani 26 ordinato da Jahvé (Num. II,16 s. 24 s.), anziani che Mosè nomina a suo sgravio e Jahvé dota di una parte dello spirito che era su Mosè. Si tratta evidentemente di una saga eziologica che si è formata per influsso del movimento profetico estatico n e che si riallaccia sl all'antico ordinamento presbiterale, ma al tempo stesso lo altera in maniera essenziale in quanto ora è Mosè che opera una selezione e si subordina i settanta quali detentori dello spirito da lui ricevuto; con ciò essi vengono del pari legittimati quali titolari di una pubblica mansione. Questo racconto è chiaramente collegato con il resoconto jahvista della condusione del patto al Sinai (Ex. 24,1 .9: manifestazione della gloria di Jahvé davanti a Mosè e a settanta «degli anziani d'Israele») e costituisce, altrettanto chiaramente, una variante di Ex. 18,13 ss., dove, per consiglio di Ietro, Mosè scelse, fra tutto Israele, uomini capaci 28 e li costituì capi (Sar2m) di migliaia, di centinaia, di cinquantine e capi di decine, affidando loro anche il giudizio di cause minori. Infine lo stesso processo è descritto anche in Deut. 1,9-18, ad un punto molto rappresentativo de] discorso di Mosè 29• Già il fatto che le diverse tradi-

    '.J Il contesto di Ios. 7,16-18 fa scorgere nnco· ra chiaramente l'articolazione delle tribt1 in parentadi. 24 Cfr. anche Ex. 4,29: ziq11é b'né iiiro'el; Ex. 19,7 : ziqné hifom; cosl anche in Num. rr,16. 24. t5 Norn, op. cii. (~ n. 22) 34 nttribuisce questa narrazione 11 J. "16 Sembra che il numero di 70 sia di origine

    cananea (~ n. 37) e rimandi alla cifra tonda di una grande famiglia aristocratica particolarmente eminente: cfr. fod. 8,30; 9,2.5; 124. 21 Per la concezione dello spirito ed il significato dell'episodio degli anziani di Num. l 1 dr. Nora, op. cii. (~ n. 2 2) 141-143. 18 Certamente Ex. r8 non parla né di anziani né dell'elezione di 70 persone. 19 Anche qui non si fa parola di anziani, ma si

    'itpÉo-(3vi;

    X't:X..

    B 1-~ (G. Bornkamm\

    zioni diano un tale peso a questa scelta e investitura degli anziani ci rivela che la pericope di Num. u,r.6 s. 24 s. non vuole narrare semplicemente un miracolo eccezionale, come fa la pericope successiva con la storia delle quaglie (Num. II ,3 l ss. ), ma vuole presentare la costituzione di incaricati 30 e ricondurne l'istituzione a Mosè, anche se il consesso cosl formato non ha ancora carattere di 'autorità' 31 • I due racconti dì Ex. 24 e Num. II hanno una lunga storia sia nella stessa Bibbia sia nell'esegesi giudaica. Con chiaro riferimento a Ex. 24,9 s. l'Apocalisse di Isaia, un'opera molto tarda, fa terminare la descrizione del giudizio universale e della manifestazione del veniente regno di Jahvé sul monte Sian e in Gerusalemme con le parole di Is. 24, 2 3: «E davanti ai suoi anziani è gloria». Questo passo è una prima prova che dimostra come l'apocalittica sviluppi di preferenza le sue immagini escatologiche riallacciandosi a testi sacri e sia quindi essa stessa, in larga mìsura, esegesi 32• Ritroviamo più tardi lo stesso fenomeno (e si tratta ancora di Is. 24, 23) neila visione dei 24 anziani davanti usano termini correntemente sinonimi di anziani: «Uomini saggi, intelligenti e prudenti scelti tra i capi delle vostre tribù)> (Deut. 1,13. 15). Anche altrove il Deuteronomio evita, in modo caratteristico, di usare l'espressione 'anziani d'Israele'; esso conosce solo anziani locali con limitate funzioni giudiziarie (~ coll. 98 ss.). Ja In N11111. 11 lo 'spirito' è divenuto dunque 'spirito d'autorità', cioè spirito che conferisce un ufficio, o che ad esso compete: cfr. ErèH2 RODT, Theol. A.T. n 23 n. 7. 31 Ancora "in Et. 8,n si menzionano i 70 an· ziani come rappresentanza di tutto il popolo. 3Z Indicazione di G. v. RAD. 33 Cfr. anche Lev. r. xr (u3b) in STRACK·BILLERBECK lll 653 S, 34 S'incontrano anche altrove, frequentemente,

    (vr,656) 96

    al trono di Dio jn Apoc. 4 (~ coll. I 29 ss.). Anche nell'esegesi rabbinica Ex. 24, associato a Is. 24, ha una parte importante, con la differenza che qui si vuole sottolineare l'onore particolare di cui hanno goduto una volta e godranno ancora nel mondo futuro gli anziani. Cfr. S.Num.92 a 11,16: «Non soltanto in un passo e non soltanto in due passi Dio conferisce onore agli anziani, ma dovunque tu trovi la parola 'anziani' Dio dà onore agli anziani» 33 •

    Num. n,16s. 24s. offre il modello per il sinedrio e per il numero dei suoi componenti (~ coll. r.o4 s.) 34 ed è la principale prova scritturistica per l'ordinazione dei rabbini 35• Anche la chiesa antica si è talvolta servita di questo passo per l'ordinazione dei presbiteri 36• 2. Mentre nelle tradizioni storiche relative all'epoca precedente la conquista di Canaan ci muoviamo, per quanto riguarda la questione degli anziani, sul terreno quanto mai incerto di finzioni retrospettive e di tendenze manifeste, troviamo un quadro totalmente diverso

    collegi di 70 membri: Giuseppe nomina 70 anziani col compito di amministr11re la Galilea (beli. 2,570 s.); gli Zeloti insediano a Gerusalemme un tribunale di 70 giudici (bell. 4,336. 341); 70 giudei eminenti stanno a capo della colonia di giudei babilonesi in Batanea (beli. 2A82; vit. 56) e della comunità giudaica di Alessandria (Sukka j. 5,r [55a, 70 s.]). Anche gli Ebioniti avevano un collegio di 70 anziani con funzioni dottrinali (ep. Petri ad Iacobum 1,26 [GCS 42,r p. x s.)). Cfr. H.J.ScHOEPS,

    Theol rmd Geschichte des Judenchristenlt1m:r (1949) 290.

    Cfr. K. G. KuttN, Sifre Numeri (1934) 247251; ~ LoHSE 21 S. 25-27. 36 Hipp., Traditio apostolica 32,2 (ed. F. X. FUNK, Didascalia et Comi. Ap. li [ 1905) I03). Cfr. anche Orig., hom. in Num. 22,4 (GCS 30, 208). JS

    r.pfo~vc:;

    x-r:>... B 2-3 (G. Bomkamm)

    non appena passiamo all'epoca successi- chiede di venire riabilitato davanti agli va alla conquista. Qui, per la prima vol- anziani del popolo (I Sam. 15,30). David ottiene il trono grazie ad un accordo ta, gli anziani appaiono quali uomini raggiunto con gli anziani d'Israele (2 preminenti della nobiltà cittadina di sin- Sam. 5 ,3 ), dopo che Abner li aveva congole località, anzi di città non solo israe- vinti ad appoggiarlo (2Sam. 3,17). In litiche ma anche non israelitiche 37 • A occasione della rivolta di Assalonne gli anziani d'Israele abbandonano David (2 questi anziani competono le decisioni in Sam. 17,4.15) e questi può tornare a requestioni politiche e militari e l'ammini- gnare soltanto dopo essersene riguada. strazione della giustizia 38• Fuori dell'am- gnato il favore (2 Sam. 19,12). Alla dedicazione del tempio salomonico inconbito più strettamente locale, gli anziani triamo per l'ultima volta gli 'anziani d'Iappaiono però come gli uomini più in sraele' quali rappresentanti di tutto il vista di regioni e di molte o di tutte le popolo (I Reg. 8,I.3); dopo lo scisma politico essi compaiono come rappresensingole tribù (!ud. u,5; I Sam. 30,26; tanti di singole parti del popolo, della 2 Sam. 19,12): essi esercitano un'autopopolazione del paese (I Reg. 20,7 s.) o rità collegiale e non di rado, in tale fun- di singole città (I Reg. 21,8.u; 2 Reg. zione, sono detti 'gli anziani d'Israele' 10,I.5). L'età in cui si forma una burocrazia reale limita notevolmente l'influ(2 Sam. 3,17; 5,3 e passim). La storia enza degli anziani, eppure costoro ridell'età dei giudici e dei re mostra quan- mangono una forza il cui appoggio la dito grande fosse il loro potere, massima- nastia reale deve assicurarsi in situazioni critiche (I Reg. 20,7 s.) o quando si mente in tempo di guerra, e quanto fos- tratti di eseguire decisioni importanti se utile per il monarca regnante, ma an- (I Reg. 21,8.II). 2 Reg. 6,32 e 10,I.5 che per i suoi rivali, conquistare il loro mostrano che l'opposizione profetica e politica contro il sovrano regnante cer· favore. cava e trovava appoggio presso gli anziani. Gli anziani d'Israele decidono di far venire nell'accampamento l'arca durante chiedono a Samuele l'istituzione della monarchia (r Sam. BA). Dopo essere caduto in disgrazia agli occhi di Dio, Saul

    3. II Deuteronomio dà ovvero lascia agli anziani determinate e ben delimitate competenze giudiziarie, collegandosi chiaramente ad antichi usi giudiziari an-

    37 Incontriamo anziani moabiti e rriadianiti già in Num. 22A·7 (glosse), mentre ai funerali di Giuseppe sono già menzionati gli anziani d'Egitto (nel senso cli dignitari egiziani: Ge11. 50, 7). Troviamo anziani in città non israelitiche (Gabaon: Ios. 9,u; Succot: Iud. 8,14.r6; Si. chem: Iud. 9,2) come in città e regioni israelitiche (Galaad: !ud. II,3-n; Jabes: ; Sam. n,5-10; Betlemme: .r Sam. 16,4; gli anziani delle città di Giuda: 1 Sa;11. 30,26-31; cfr. anche Ruth 4).

    È difficile decidere in che misura gl'Israeliti nbbiano ripreso l'ordinamento degli anziani nelle città dai Cananei e in che misura essi abbiano conservato il loro antico ordinamento in parentadi, più o meno mutato e adattato, dopo l'insediamento in Canaan. Sicuramente bisogna tener conto di entrambi. Il governo aristocratico delle città è documentato già per l'età di Amarna: dr.]. A. KNunTZON, Die El· Amama-Tafeln, Vorderasiatische Bibliothek 2 (1907) nr. 59; 89,48 s.

    la guerra contro i Filistei (I Sam. 4,3) e

    38

    1tpfo~uç x-r),,

    B .N (G. Bornkamm)

    cora vigenti (cfr. Ruth 4,2.9.u); allo stesso tempo limita però tali competenze a casi locali ed affianca ai loro collegi giudici e funzionari subalterni . Una casistica regola i casi che gli anziani sono competenti a giudicare. Essi devono consegnare 'al vendicatore del sangue' un omicida che abbia cercato rifugio nella loro città (Deut. r9,u-r3); se nella circoscrizione della loro città si è avuto un caso insoluto di omicidio, tocca a loro compiere l'espiazione (Deut. 2r,1-9); devono giudicare secondo norme precise il caso di un figlio ribelle che i genitori non riescano pili a tenere sotto controllo (Deut. 21,r8-2I} o di un marito che accusi la moglie d'immoralità (Deut. 22,13-21); devono curare l'applicazione della legge àel levirato (Deut. 25 ,5-10). Essi amministrano fo giustizia alla porta della città (Deut. 22,15; 25,7; dr. Prov. 31,23). Oltre agli anziani e accanto ad essi i testi menzionano in particolare giudici (Sof'!fm: Deut. 1,r6; 25, 2) e capidistretto (Sotrim: Deut. 20,5. 8; entrambi sono nominati in 16,18; giudici e anziani: 21,2). Si può spiegare cosl il rapporto dei tre gruppi tra loro: i giudici, in quanto singoli funzionari pubblici nella circoscrizione urbana (in Det1t. 2 5 ,2 sofé! è al singolare), ed i capidistretto, in quanto funzionari subalterni, dovettero essere nominati ex novo (Deut. r6,r8), mentre gli anziani, dove conservarono funzioni giudiziarie in quanto consigli locali, divennero sl una magistratura, ma appunto con competenze limitate. La legittimazione che secondo Ntm1. I I era stata conferita agli anziani è ora trasferita ai funzionari pubblici (Deut. 1,15 s.). Mentre nella legislazione deuteronomica gli 'anziani d'Israele' passano in secondo piano, nella storiografia deuteronomistica essi continuano ad avere una loro importanza: talora proclama-

    no la legge insieme con Mosè (Deut. 27, l) talora la ricevono responsabilmente (Deut. 5,23; 3r,9), e compaiono di solito anche negli altri casi in cui tutto il popolo, in solenne adunanza, è chiamato a impegnarsi (Deut. 29,9; 31,28; Ios. 8,33; 23,2; 24,r). Qui g1i anziani non sono però mai presentati come un corpo di magistrati e nella maggior parte dei casi al loro fianco compaiono detenninati funzionati. 4. Già verso la fine dell'età pl"eesilica

    l'ordinamento dei parentadi è in piena fissoluzione e rovina completamente dopo la deportazione. Nonostante ciò, gli anziani continuano ad avere una funzione rappresentativa sia tra coloro che sono rimasti nel paese sia tra gli esuli. )er quanto riguarda 1n madrepatria bisogna però distinguere tra paese e capitale. Anziani del paese ( 'aniis2m mizzi· qne hii'iire~) si oppongono alle decisioni del trib.unale gerosolimitano e prendono le parti del profeta Geremia (Ier. 26, 17). Gli anziani di Gerusalemme vengono menzionati anche in una visione di Ezechiele (8,u s.): il profeta vede da Babilonia, in ispirito, i 70 anziani di Gerusalemme (che qui evidentemente significano tutto il popolo rimasto in patria) che compiono atti di culto in onore degl'idoli. Ma anche a capo della comunità degli esuli in Babilonia troviamo degli anziani (Ier. 29,1; Ez. 8,1; 14,1; 20,1 .3 ). Anzi, proprio in terra d'esilio, quando tutte le altre forme politiche si sono dissolte, gli anziani svolgono ancora una volta un ruolo di primo piano come sttuttura portante di una li-

    1tpfo~v.:;

    x..-)... B 4 (G. Bornkamm)

    mitata autonomia amministrativa, anche se l'esilio segna una profonda trasformazione di questa antica istituzione. Con il dissolvimento dei parentadi cresce l'importanza delle singole famiglie (le cosiddette 'case del padre') 39 , che dopo l'esilio costituiscono il fondamento della nuova comunità nazionale, e cresce anche l'importanza di alcune famiglie eminenti i cui capi si troveranno poi a governare il popolo dopo il ritmno in patria. Soltanto ora è appropriato dire che gli anziani e le famiglie da cui sono tratti formano l'aristocrazia giudaica. Il diploma di nobiltà di queste famiglie che permette l'ereditarietà deJla carica è costituito dall'appartenenza, uflìcialmentc e debitamente documentata, alla gol1ì (Esdr. 8,1-14; Neem. 7,6-65, dove tuttavia non compare il termine z0qénim). Se in passato gli anziani dovevano la loro autorità alla posizione che occupavano entro le grandi famiglie e i parentadi, ora essa dipende unicamente dalla posizione delle loro famiglie nel popolo stesso.

    (vr,658) ro2

    Questo mutamento di struttura si riflette già nella terminologia della letteratura postesilica: il termine z."qenim, nato nell'antico e ormai tramontato ordinamento dei parentadi, scompare rapidamente 40 ed al suo posto compaiono altri nomi (capifamiglia, capi, rettori).

    Questi nuovi dirigenti sono detti anche 'anziani', ma con la parola aramaica sab, che i LXX traducono fedelmente con 7tp€G'~V't'Epoi; (Esdr. 5,9; 6,7.8.14). Essi stanno a capo del popolo e il governatore persiano tratta con loro; insieme con il 'governatore dei Giudei' dirigono la ricostruzione del tempio e la riorganizzazione dcl popolo. La loro autorità su tutto il popolo deve essere imposta con molta fatica, come prova la lotta di Ncemia contro i 'notabili e magistrati' (hapiMm w"hass"giinT.m) che avevano an· cora un notevole potere nel paese (Neem. 2,16; 4,8.13; 5,7; 7,5). Anche Esd1'. 10,7-17 mostra che l'istituto degli 'anziani della città' ( ro,14) non è dcl tutto scomparso nel paese. Quando la comunità degli esuli riunita in assemblea a Gerusalemme decide il divorzio di coloro che hanno contratto un matrimonio misto, sentiamo parlare ancora, conformemente all'antico ordinamento, di 'giudici e anziani delle singole città' (ziqne 'lr wii'tr), che devono comparire a Gerusalemme insieme con coloro di cui tratta la legge. Tuttavia questi anziani non sono gli stessi di 10,8 (hassiir2m wchazt'qenim) che hanno convocato l'assemblea degli esuli 41 • Va anche osservato che Esdra nomina la commissione giudicante a cui è affidata l'applicazione della legge scegliendone i membri tra i capifamiglia (ro,16). C'è la chiara tendenza a porre il popolo sotto il governo di un organo centralizzato composto di rappresentanti delle famiglie aristocratiche di Getusalemme. Incontriamo questi 'senatori' (hass"giin2m ), 150 di numero, quotidianamente invitati a pranzo dal governatore (Neem.

    Per il concetto e la sua ricorrenza ~ RosT 56-59. «i Questo vocabolo ricorre in z-2 Par. solo nella rielaborazione di antichi testi di I-2 Sam. e z-2 Reg.; nella tradizione sacerdotale (P) è ormai molto raro; in Neem. è del tutto as-

    sente ed in Esdra compare soltanto in 10,8.14 (in 3,12 si tratta di anziani d'età). Cfr. ~ RosT 61-64. 41 Soltanto in questo passo riemerge ancora il titolo arcaico

  • 39

    TCpÉ
    5,17). Sia l'abbondanza dei sinonimi usati per indicarli sia ìl loro alto numero mostra che il loro collegio non è una magistratura, ma un'assemblea di notabili.

    5. L'esistenza di un 'consiglio degli anziani' nel senso di somma autorità governativa giudaica dai profili ben definiti è documentata soltanto a partire dall'età dei Seleucidi (Antioco m, 223-187 a.C.), ma gl'inizi di questa yEpovula aristocratica (il futuro ~ cruvÉoptov) risalgono probabilmente all'epoca persiana 42 •

    dote a cui spettava 1a presidenza del !iÌnedrio, dall'altra dal gruppo formato dai teologi, detti ypcx.1..1.µa't'Ei:c;. Evidentemente il governo del sinedrio non fu mai nelle mani di questi 7tpe:crBu't'Epot. Comunque è lecito supporre che gli anziani, in quanto rappresentanti del privilegiato patriziato gerosolimitano, di regola fossero seguaci del partito sacerdotale-sadduceo 44. In ogni caso i numerosi sinonimi usati in Giuseppe, nel N. T. e nel Talmud per indicare gli anziani rivelano concordemente che gli anziani sedevano e votavano nel sinedrio quali rappresentanti della nobiltà laica 45• La loro debolezza rispetto alle altre due componenti nel sinedrio è rispecchiata anche dalle formule del N.T. che nominano i sinedriti generalmente in quest'ordine: <Ì.PXLEPEL<;, ypcx.µµa.'t'EL<;, 7tpErJ'~V'tépo~ NeJla maggior parte dci testi gli àpXtEpEi:c; stanno al primo posto (formalmente erano ancora il gruppo dominante, mentre in realtà il potere era passato da molto tempo ai ypcx.µµa't'Etc;), i 1tpEcrPu't'Epo~ aIl 'ultimo 46 •

    Nel corso della storia, alterna e tutta piena di rivalità partitiche, di questo organo di governo, il concetto di 1tpEO'~u ­ 't'Epot subisce una notevole trasformazione. All'inizio 1tpEO'~U't'Epot sono tutti i membri della yEpouula 43 e solo col passare del tempo e gradualmente vengono a chiamarsi cosl soltanto i membri Dopo la distruzione di Gerusalemme, laici, per distinguerli da un lato dai rappresentanti delle famiglie sacerdotali, continuazione ed erede del grande sidalle quali veniva eletto il sommo sacer- nedrio gerosolimitano diventa il sinedrio 12 Ios., ant. 12,138-144. Cfr. ScHiiRBR n 239. Yi yEpouula; ot TepEu'3uTEpoL; dr. 2 Mach. r,10; 4,44; u;q con I Mach. 7,33 e soprnttutto I Mach. 12,6 con 1 Mach. 14,20 ecc. 44 los., atlt. 18,17 dice espressamente che i notabili appartenevano al partito dei Sadducei. Con il tracollo dello stato giudaico (70 d.C.) spariscono il partito sadduceo e la nobiltà laica ad esso connessa. Si spiega cosl, presumibilmente, l'eliminazione rabbinica di una particolare beraka sugli anziani nelle Diciotto Beneclliioni, beraka che, secondo T. Ber. 4,25, deve essere esistita in determinate versioni. Cfr. K .G. Ku.i-1N, Acht1.ehngebet und Vaterrmser und der Reitn (1950) 18 s. ;zi s. 45 Istruttivo per 1a determinazione degli anziani come nobiltà laica è un esame della sinonimica: i primi del popolo (Le. 19,47, insieme

    o

    =

    con àpxu:pE4°t;, ypttµµa:tEi:c;); i primi della città (Ios., vii. 9); i capi del popolo (Ios., vit. 194); i notabili (Ios., beli. 2,410); i maggiorenti (beli. 2,316), ecc. In Ios., beli. 2AII i tre gruppi che si riuniscono per discutere fa grave situazione politica sono i maggiorenti (8uva."tol), i sommi sacerdoti e i notabili dei Farisei. Nel Talmud la parte laica della classe dirigente è chiamata ripetutamente «i grandi della generazione», «Ì grandi di Gerusalemme», «i notabili di Gerusalemme». Ulteriori indicazioni in -+ JEREMIAS 88-100. 46 È però possibile trovate anche un ordine diverso (ad es., Mc. 8,31 par.: TepEU~U't'Epo~. &.pxu:pEi:.;, ypa.µµttTEtc;). Nei primi tre evangelisti la denominazione dei sinedriti non è costante e varia anche sensibilmente. Mentre Marco spesso nomina nell'ordine à.px~epEt't;, ypaµµtt"tEtt;, 1tpECT~V't'EPO~ (Mc. II,27; I4.43·

    IOJ (vr,659)

    di Jabne (Jamnia), che fa risalire anch'esso i suoì 72 'anziani' al consiglio degli anziani istituito da Mosè. Certamente, rispetto al sommo consiglio di Gerusalemme, il sinedrio di Jamnia ha cambiato volto poiché gli sono state sottratte tutte le competenze politiche e gli è rimasto un potere giudiziario molto limitato. Esso è composto esclusivamente di rabbini aderenti al fariseismo, mentre sono scomparse l'aristocrazia sacerdotale e la nobiltà laica. In questa nuova forma, quale suprema autorità per l'interpretazione e applicazione della legge e quale accademia dell'erudizione rabbinica, questo sinedrio divenne ben presto la massima autorità di tutto il giudaismo. 6. In base a questo sviluppo la tradizione giudaica assoda al titolo onorifico di ziiqèn, che essa attribuisce ai sommi maestri antichi 47, l'idea della loro appartenenza al sinedrio 48 • Eppure anche i membri di gerusie locali si chiamano zcqénim 49• In ogni caso un tale zàqèn deve essere riconosciuto come maestro: «Solo chi ha sapienza è uno :diqén» (Qidd. 32b). Si comprende così perché nella Mishna i sapienti ordinati vengano spesso chiamati z"qénim 50 • Quest'uso mishnaico non significa tuttavia che chiunque possa essere chiamato a buon 53; 15,1; così anche Mt. 16,21; 27>41), Matteo preferisce la formula bipartita 0:.pXtEpEi:ç xa.t ol rcpEU~V'tEpot ('t'OV À.a.ov) (Mt. 21 ,23 ; 26,3; 27,I.3.12.20; 28,u s.). In Matteo colpisce In frequente omissione dei ypet.µµa:tELç. Indubbiamente il primato dell'imprecisione nella denominazione delle autorità spetta al Vangelo di Luca (cfr. 7,3; 9,22; 20,1; 22,52); negli Atti troviam:) llpxov"m;, 'ltpEa!i1hEpoL, ypet.µµ«'t'E~ç ( 4,5 ); &pxov-cEç 't'OU ÀCt.OU XCt.t 1tpEU~V't'EpOL (4,8); ripXtEpELç, TCpEU~U't'Epot (4,23 ; 23,14; 25,

    diritto ~iikàm, «sapiente», sia eo ipso uno :riiqèn: ~iikiim rimane il termine più ampio e ziiqén un particolare titolo d'onore, più o meno equivalente a senatore. Questo avvicinamento dei concetti hakàmlm e z"qénim che si compie nélla Mishna deve essere però cominciato molto prima e traspare già nella leggenda dei LXX (prima metà del r secolo a.C.) narrata nell'Epistola di Aristea (32.39 .46). Secondo questa leggenda Tolomeo chiede al sommo sacerdote Eleazaro di nominare 72 anziani di provata fiducia e di sicura conoscenza della legge a cui affidare la traduzione del1'A. T. Certamente 'ltpEO'~U't'Epo~ non è usato qui come titolo, giacché essi vengono scelti in base al loro sapere e non già nominati 'anziani'. In questa selezione dei 72 ( 6 per ciascuna delle 12 tribù) si rispecchia certamente l'antica rappresentanza dell'intero popolo d'Israele. 1tpEO'B1hEpot. nell'accezione di 'scribi', 'legisti', 'scritturisti', si incontra anche in Mc. 7 ,3 (m~paOoO't~ -.wv 1tpE
    Sbeb. l0,3 (Hillel); i loro discepoli si dùamano b'11e haz1."qe11im (Sukka 2,7). Cfr. ~ LoHS E 50-52. 18 Cfr. A. SAMMTER,

    Dic sechs Ordmmgen der Mischna 12 (1927) 181 n. 8a. 49 Cfr. S. KRAUSS, Synagogale Altcrtiitm:r (1922) 143 s. 50 Er. 3,4; 8,7; Sanh. n,1-4; A .Z. 4.7.

    107 (VI,660)

    11:pÉa'~vc; xù.

    B 6-7 (G. Bomkamm)

    semblea generale della setta: agli anziani viene assegnato il secondo posto, dopo i sacerdoti e prima c.lel popolo, con la disposizione che quest'ordine deve essere seguito anche per quanto riguarda le «domande sulla legge e su ogni sentenza o cosa che sia proposta all'assemblea», ma non è chiaro quale sia la loro funzione precisa. È possibile che essi vadano identificati con i 12 uomini che devono decidere insieme con 3 sacerdoti circa le violazioni della legge (I QS 8,1 ). In ogni caso essi sono rappresentanti laici associati e subordinati ai sacerdoti, come risulta sia dai passi succitati sia da I QM 13,I. Anche il Documento di Damasco conosce un concistoro di 'giudici' che devono essere tutti esperti nelle scritture e di età compresa tra i 25 e i 60 anni (CD 10,5 s. [II ,2]: «4 dalla tribì1 di Levi e di Aronne e 6 da Israele»). Questo gruppo è sottoposto al mebaqqer (-7 III, coll. 783 ss.) e collabora con lui anche nell'assistenza ai poveri (CD 12,n-18 [q,12-16]) 51 . 7. Il significato politico degli anziani nell'uso linguistico del giudaismo di lingua greca risulta chiaro dal fatto che i LXX tendono il termine ebraico z"qenzm ora con 1tpEo-Bu-rEpo~ ora con yEpovo-la. 52 • Il libro di Giuditta ed i libri dei Maccabei sono le nostre fonti primarie per l'età maccabaica: in questo periodo l'espressione patriarcale 1tpE0"[3V'tEpo~ indica un ufficio pubblico, sia che si riferisca ai membri della massima autorità Cfr. B. REICKn, Die Ver/ammg der Urgemeinde im Lichte jiid. Dokumente; ThZ 10

    51

    (1954) 95-u2. 52 yEpovula.: Ex. 3,16.18; 4,29; 12,21; Lev. 9,

    l.3; Num. 22,4.7; Deut. 5,23 ecc. Ex. 24,9 (cod. B): Èf3Bo1.1.1JxovTa. -cfiç yepovula.<; 'Icrpa.i}À.; cod. A: ~~6oµ1)xov-.a. -cGiv 7tpEO"f3V<Épwv 'JO"pa.'l))... 53 I Mach. 1,26; 7,33; n,23; 12,35; 13,36; 14, 20; 2 Mach. 13,13; 14,37. 5~ Gli anziani di Betulia (Iudith 6,16.21; 7,

    (v1,661) 108

    del popolo, il senato di Gerusalemme :u, sia alle autorità locali del paese 5~. Pe;:ò 1tpEO"~U't"Epot può indicare anche i nota· rili in senso lato e questi 'anziani' pos· sono essere distinti dai me:nbri della gerusia (J Mach. l,8.23) e dagli apxcv-rEç (r Mach. l,26). Alcuni passi (I Mach. q,9; 2 Mach. 5,r3; 8,30) mostrano inoltre che era corrente anche il significato comune di 'vecchi', 'anziani' (in opposizione a 'giovani'). In questo periodo 7tpEO"~U-i-Epot rimane pertanto un termine molto lato. La storia di Susanna, che riflette l'ambiente della diaspora babilonese, parla espressamente di anziani che «in quell'anno erano stati nominati giudici» (Sus. 5 [Theod.] e 29,34 [LXX]). Il più antico ordinamento municipale della comunità giudaica locale si conserva nella costituzione della sinagoga (-7 o-uva.ywy1)). Al consiglio municipale, che di regola è formato di 7 membri, corrisponde, nelle località con una comunità religiosa giudaica distinta, il consiglio sinagogale. Si conserva anche il titolo di 7tpE0"[3V't"Epot per i responsabili del governo della comunità e dell'applicazione della disciplina sinagogale (cfr. Le. 7,3) 55• Tuttavia è singolare che l'uso di 7tpEO"~i'.lupot come titolo vada svanendo nelle sinagoghe della diaspora nei primi secoli dell'era cristiana. Troviamo invece un corrispondente incremento dell'uso di titoli politico-amministrativi che erano più comuni neila 23; 8,10; 10,6), distinti dalla yepovula. di Gerusalemme (4,8; n,14; 15,8). 7tpEuç3ù-.EpoL -cfiç xwpa.c; (I Mach. 14,28). ~ LrnTZMANN u4-126. 55 Molto importante è l'uso di 1tPEO"~V<E(JOL come titolo ufficiale dei capi della sinagoga in una iscrizione gerosolimitana anteriore al 70 d .C.: Suppi. Epigr. Graec. vm 170,9; testo e spiegazione in DEISSMANN, L.O. 378-380 e ~ FREY, Corpus 11 nr. 1404 (con abbondanti indicazioni bibliografiche).

    7tpfo-{3vc; X'\À. B 7 - e (G. Bornkamm)

    terminologia costituzionale greca ( yEpourrla, yEpOUO'LapX'l'J<;, èlpXO\l't'E<;, rppOV'W7T{]<;, ypcq.L(J.C-<.'t'EUc;, 7tp0CT't'a"'O'}<;) 55. Nelle numerosissime iscrizioni tombali delle comunità giudaiche di Roma risalenti ai primi secoli della nostra era troviamo forse un solo esempio di 1tpErr{3u•Epo<; si. Un po' più numerosi, ma tardi, sono gli esempi che troviamo in Asia Minore, in Siria e in Palestina 58. 7tpErr{3u't'Epoc; non indica qui un funzionario né semplicemente una persona anziana, ma è un titolo onorifico per i capi di famiglie eminenti (come il titolo romano di senator) 59• Anche le famiglie avevano parte al grado di questi 'senatori', come dimostra l'aggiunta del titolo al nome dei padri e degli avi dei defunti sulle iscl'izioni tombali 60 e soprattutto l'uso di npw~u•Épa per le donne bi, quando si trattava della moglie di un 'anziano' 62• Rimane strano che nei primi secoli l'uso di 7tpEcr(3u't'Epoi come tiCfr.-+ ScHliRER m 91 s. Vanno anche notati tutti gli altri termini del linguaggio politico greco: ~ovk~, f3ovÀEv-.-lic;, "(pctµµa.'t"EV<; '\'ijç f3ovÀijç, O"vvÉOpLov, oLXctO"'t"TJ<;, xpL't"i)ç, lìExaitpw-.oc;, NlvapxTJc;. L'uso di questi termini del buon greco rivelano che anche nella diaspora le comWJ.ità giudaiche si consideravano un popolo e non un i>la
    o

    ytpwv.

    ·

    (VI,661)

    IIO

    tolo non sia più frequente. Ciò avviene non tanto perché npEcr~u•Epo<; era un titolo onorifico che non indicava una precisa carica pubblica 63 (ciò poteva anzi renderlo particolarmente adatto all'uso epigrafico), quanto perché esso non era molto usato in gteco per indicare una dignità o una carica 61 . Le testimonianze in nostro possesso mostrano che il titolo non scompare del tutto nelle sinagoghe della diaspora, massimamente di quella orientale. Ciò è confermato dai codici di Teodosio e di Giustiniano (secoli IV e V), molte disposizioni dei quali c'informano che i presbiteri erano membri del consiglio della sinagoga 65 ,

    c. I.A 7t
    Nella disputa sul puro e l'impuro (Mc. 7,1 -23; Mt. 15,1-20) 66 Gesù contrappone il comandamento di Dio alla oo Cfr. Tu. REINACH, ll1scription j11ive dcs environs de Co11sla11tinople: RE] 26 (1893) 167171; ~ FREY, Corpus n nr. 792. 61 ~ FREY, Corpus I nrr. 581.590.597 (tre esempi da Venosa). 692 (Tracia). 62 È possibile che il titolo venisse conferito, come apXLCNVc:i:y<..l"yoç e patcressa ( = mater sy11agogae), anche a donne meritevoli, per analogia con l'usanza greco-romana. Cfr. ~ ScHURER n 512; ru 17.95 s .; ~ FREY, Corpus I nr. 606; E. DmHL, foscriptio11es Latiflae chrislianae veteres II ( 1927) nr. 4900. 6J Cosl E , SCHÙRER, Die Gemci11devcrfass1111g der ]11dc11 i11 Rom (1879) 19; - > PR1w, Corpus I pp. LXXXVI s. 6-1 Per l'uso di 1tpEcr~u-.Epoç come titolo di dignitario in Egitto e come termine (non politico) dell'associazionismo greco (soprattutto nell'arca microasiatica) ~ coli. 86 ss. 65 Documentazione in ScHiiRER m 89 s.; ~ LIETZMANN 130 s. 66 KLOSTERMANN, Mk. 67: «Si tratta di un dibattito polemico e didattico che elabora antichi detti di Gesù. Esso doveva essere evidentemente molto importante per i lettori di Marco per venire tirato cosl per le lunghe». Per

    1J I

    7tpfo~uç X'tÀ..

    (YI,661)

    7tap6:oocnc; -.wv 'ltpEcr(3u't'Épwv e chiama quest'ultima una 7ta.paoocrLc; "tW\I à.v~pwrtwv (Mc. 7,8; cfr. vv. 9 e 13 ~ n, coli. u87 s. ). L'uso linguistico di 7tpEcr{3u-tEpoL in questo passo è già quello che più tardi sarà l'uso corrente nel giuscribi, scrittudaismo ( 7tpEcr(3u·n:po~ risti, ~ coll. 105 s.}.

    =

    Farisei e rabbini pongono la «tradizione degli scribi» sullo stesso piano della torà 67 , mentre i Sadducci rifiutano qualsiasi integrazione della torà~- Con la sua critica Gesù si contrappone ad entrambi i gruppi poiché egli non discute affatto la torà e la tradizione come autorità formali, ma giudica entrambe con criteri contenutistici. Perciò egli può ora contrapporre la legge e i profeti alla 'lta.paoocnc; (Mc. 7,6-13 ecc.) ora criticare le norme della stessa torà mosaica in base al vero comandamento di Dio. L'esempio più lampante di questa critica alla torà ci è offerto da Mc. 10,112, ma anche dal logion di Mc. 7,15, dove Gesù contesta in linea di principio che i cibi possano rendere impuri, opponendosi di fatto non soltanto alla 7tapaoo1nc;, ma alla stessa legge cultuale mosaica ffi . D'altra parte il pcrfeziol'analisi della pericope dr. M. DrnELIUS, Die Formgeschichte des Evangelit1ms 1 (1933) 222 s.; B. H. BRANSCOMD, ]esus and the Law o/ Moses (1930) 156-182; W. G. KtiMMl?.L, Jest1s rmd der iiid. Traditiomgedanke: ZNW 33 (1934} I05·l 30, spec. 122-125; BULTMANN,

    Trod. 15 s. 67 Shobb. 3ra; Ab. 1,1; 3,r4; Sanh. u,3; MooRE I 251-262. Ios., ani. 13,297 s.; KwsTERMANN, Mk., exc11rst1s a 2,16. (I} Per la portata teologica di questo aspetto 6'l

    cfr. E. KASEMANN, Das Problem des historische11 Jem: ZThK 51 (1954) spec. 144-148; G. BoRNKAMM, ]esus von Nazareth 1 (1957) 88-92.

    e

    (G. Bornkamro)

    (VI,662) I 12

    namento della torà non viene per se stesso criticato, ma presupposto come ovvio 70, e nella sua polemica Gesù può persino fare uso positivo d'istruzioni della halaka 11 che altrove (ad es. in Mc. 7) invece critica severamente. Che in questi casi si riveli la posizione di Gesù stesso verso la legge e la tradizione e non solo la teologia della comunità cristiana risulta chiaramente dal fatto che Marco sottolinea intenzionalmente (Mc. 7,9.13) che l'opposizione tra la E.vnÀ'i} di Dio e la 1tct.pa001nc; dell'uomo è un'opposizione di principio ed interpreta il logion di Gesù ( 7, 15) con un elenco di vizi ellenistico per meglio concretizzarlo (vv. 20-23) 72, mentre al contrario Matteo, certamente senza potersi staccare dal testo primario di Marco, contesta sl la contaminazione causata dalle mani sporche (Mc. 15,20), ma cancella l'affermazione generale della purità di tutti i cibi (Mc. 7 ,I 9) e appunta la sua critica non sulla 7ta.paoocr~c; "tW\I 1tpEO'~\J't'~pwv e sul magistero esercitato dagli scribi in sé (Mt. 23,2) 73, bensl soltanto sulla loro interpretazione ipocrita e parziale che trascura le cose principali della legge. Per Matteo la legge cerimoniale non è dunque affatto abolita 74, ma è subordinata al comandamento dell'amore 75. 70

    Per es., Mt. 5,43. Mt. 12, n; ulteriori indicazioni in KiiMMll.L, op. cìt. e~ n . 66) Il9 s. 72 Mt. 15,19 riduce l'elenco di vizi a quelli condannati nel decalogo. 73 Mt. 5,23 s.; 17,24-27; 23,16-22; 24,20. Cfr. G. BARTH, UnJersuch1111gen zum Gesetzesverstiindnis des Evangelisten Mt., Diss. Heidelberg (1955), dattiloscritto, 48·5:3· 74 Cfr. G. D. KILPATRICK, The Origins o/ the Gospel according lo St. Matthew (1946) 108; E. HAENCHEN, Mot1hii11s 23: ZThK 48 (1951) 38-63; BARTH, op. cit. (~ n. 73) 44-48. In Mt. 23,23 vengono espressamente riconosciute norme della tradizione. 75 Il comandamento dell'amore come essenza 71

    113 (vr,662)

    7'pfopvç

    x~),.

    D

    D. I

    PRESBITERI NELLE COMUNITÀ PROTOCRISTIANE

    r. Stando alle indicazioni degli At76 ti , nella protocomunità di Gerusalemme c'erano degli anziani. Li incontriamo per la prima volta quando Paolo e Barnaba portano la colletta, raccolta ad Antiochia, ai 7tpeo-Bu-i-Epot di Gerusalemme (Act. II ,JO ); li ritroviamo poì nel racconto del concilio apostolico e della stesura del decreto apostolico (Act. 15 ,2.4.6. 22 s.; 16,4); infine quando Paolo giunge a Gerusalemme e s'incontra con Giacomo (Act. 21 ,18). Un confronto di questi passi mostra che soltanto in rr,30 e 21,18 i 7tpeu~u-repot vengono menzionati da soli, senza gli &.7toO'-.oÀ.ct, con i quali formano un collegio chiuso in tutti i passi di Act. 15 e in 16,4; inoltre che in 11,30 e 21,18 essi sono semplicemente rappresentanti della comunità locale gerosolimitana, presumibilmente dunque secondo il modello di un consiglio sinagogale giudaico. Secondo 2 l ,I 8 essi si raccolgono attorno a Giacomo che sta evidentemente e contenuto delln legge e dei profeti (7,12; 9, r 3; 12,7; 22,40) si profila già in Mt. 5,17-19, dove si nfferma, con locuzioni giudeo-cristiane, l'illimitata validità della legge: dr. E. S CHWEI-

    Matth. 5,17-:10 - An111erku11ge11 Zt//lt Gesetzesverstii11d11is des Mt.: ThLZ 77 ( 1952)

    ZER,

    479-484.

    Va da sé che si può contestare, dal punto di vista storico, la trattazione della materia prima secondo gli scritti canonici del N.T. e poi secondo gli scritti extracanonici. Noi scguinmo quest'ordine solo per nmor di chiarezza. 76

    ;7

    Se e in che misura questo passo stilizzi già

    1

    (G. Bornkamm)

    \ v1,oo jJ

    "

    ·•

    a capo del loro collegio 11 •

    Nel racconto degli Atti questi presbiteri compaiono relativamente tardi. Fino ad Act. IIJ30 non se ne fa parola, benché già prima e non poche volte la comunità si sia trovata in condizione di dover essere rappresentata o prendere decisioni. Poco dopo la notizia di II, 30 incontriamo per la prima volta Giacomo come capo della comunità ( 12, I 7 ). La notizia della consegna della colletta ai presbiteri di Gerusalemme è stata certamente inserita dall'autore degli Atti al posto sbagliato, cioè troppo presto 78 • Act. 21 ,17-26 elabora senza dubbio una tradizione precedente. Proprio il contesto di questi passi fornisce l'argomento principale per criticare l'esposìzione che Act. 15 ci offre del concilio apostolico e del relativo decreto e per confermare invece quella di Gal. 2 che non fa parola di tale decreto. Il racconto di Paolo contraddice anche l'immagine dell'ordinamento della comunità offerta da Act. 15: i ooxo\.hJ-i-Ec;, coi quali Paolo tratta a quattr'occhi (Gal. 2,2), sono in Gal. esclusivamente i tre apostoli chiamati cr-.uÀ.o~ (Gal. 2,2 .6 .9), mentre Act. 15 parla costantemente di cbto0'-i-oÀ.ot xcxL 'ltpEcr~u-.EpoL e precisamente in un senso che non differisce solo da Gal. 2, bensl anche da Act. rr,30; 2 r, 18. il rapporto di Giacomo coi presbiteri ncl senso di un presbiterato 'monarchico', è un problema che possiamo qui esimerci dal trattare. Per la questione del 'califfato' o anche dell"cpiscopato' di Giacomo cfr. E. S TAUFFER, Zt1111 Ka/ifat des Jakobt1s : Zeitschrift fi.ir Religionsund Geistesgeschichte 4 (1952) l 9J-214; H .

    v. CAMPENHAUSEN, Die Nachfolge des Jakobus: ZKG 63 (1950/51) 133-144; In., Lebrerreihe11 11nd Bischofsreiben i111 2 . Jahrbtmderl: In Memoriam E. Lohmeyer (1951) 240-249; v. CAMPENHAUSEN 21 s. Per Act. II,30 e 21,18 cfr. HAENCHEN, Ag. 325.544. 78 Il racconto è inconciliabile con Gal. l e 2.

    ~

    TipÉo'~uc; ~'t'À.

    D

    1-2

    (G. Bornkomm)

    (VI,663) II6

    Secondo Act. 15 e 16,4 gli a1tOO'">OÀ.OL raggiungere le proporzioni di una speed i 7tpEcrBu-rEpoL costituiscono la mas- cie di sinedrio con potere di giudizio e di magistero su tutta la chiesa. sima autorità giudicante e docente con Dal punto di vista storico il risultato giurisdizione sull'intera chiesa. Nel caso concreto quest'organo prende con il de- di questa analisi è che la formazione di creto apostolico una decisione vincolan- un ordinamento presbiteriale, dapprima te circa l'osservanza minima della legge secondo il modello della sinagoga e poi da imporre ai pagani. à:it6o--.oÀ.ot e 1tpE- (probabilmente in connessione con il decreto apostolico) con pretese sinedriali , crBu'tEPOL vanno considerati dunque qui totalmente secondo l'analogia del sine- è avvenuta soltanto dopo l'allontanadrio giudaico (~ col. 103) e quindi né mento di Pietro e dopo la crescente giupiù né meno che una sorta di consiglìo daizzazione della comunità madre - di sinagogale (~ col. 108). A tale loro cui Act. 21,17-26 offre una chiara immamutata posizione fa riscontro preciso il gine - sotto la guida di Giacomo. Quefatto che b:1t6CT'toÀ.ot e 7tpecrf31'.nepoL ven- sta ipotesi è confermata anche da tutti i gono nominati da soli (sen~a E.xxÀ:ricrla.) dati interni: scomparsa dei Dodici; evoin 15,2.6.23; 16,4, cioè in quei passi voluzionc degli &.1t6CT-.oÀ.oL a gruppo 'idove essi vengono presentati come au- deale'; crescita della comunità 79 ; pretorità per l'intera chiesa (le cose stanno senza nella chiesa di membri di età avanzata e di provata fedeltà idonei a diversamente in 15,4.22). un presbiterato. È questa un'ulteriore prova della scarsa attendibilità storica di Act. 15 2. In confronto a questo ordinamento non solo per quel che riguarda il risul- della chiesa madre modellato sull'esemtato principale del concilio (il famoso pio giudaico, le comunità ellenistiche decreto), ma anche per quanto riguarda della missione paolina mostrano a tutta l'autorità che emana il decreto. Per prima un quadro tutto diverso ro. Nelle quanto possa essere notevole l'interven- lettere incontestatamente paoline non si to letterario e teologico dell'autore in parla mai di presbiteri, benché nelle coquesto episodio di Act. 15 (raggruppa- munità paoline non manchino certamenmento degli oratori, tendenza ad armo- te né un'organizzazione né determinati nizzare i loro discorsi), pure per la nar- organi dirigenti. Coloro che nelle corazione egli dipende certamente da una munità locali esercitavano questi uffici tradizione giudeocristiana, di cui Luca sono però solo raramente nominati da si serve anche altrove abbondantemente Paolo con un titolo ufficiale (Staxo\loç per la propria opera storica. Già in que- ~ II, coll. 972 ss.; È1tlO'X01tO<; ~ III, sta tradizione prelucana dovrebbe essere coll. 775 ss.). Nella massima parte dei avvenuta la dilatazione dell'autorità del casi egli li chiama secondo la funzione presbiterio locale gerosolimitano fìno a che svolgono in seno alln comunità 19 Cfr. la notizia esagerata di 21,20. si Cfr. H. GREEVEN, Propheten, Lehrer, Vor-

    steher bei Paulus: ZNW 44 (1952/53) 1-43; ~ V. CAMPENHAUSEN 59-81.

    rr7 (vr,663)

    r.pfo(3vç x-çì,. D :z-3a (G. Bcrnkamm)

    (Rom. u,7 s.; I Cor. 12,28; r Thess. 5, u): essi sono i :.po~cr't
    3. I primi documenti che mostrano con sicurezza il sorgere e il formarsi di un ordinamento ecclesiastico presbiterale alla maniera e secondo il modello della sinagoga sono gli scritti dell'età subapostolica, i quali, anche per altri aspetti, soggiacciono alla forte influenza del giudaismo ellenistico 81 • Nel N .T. questo tipo di ordinamento è attestato dalla Lettera di Giacomo, dagli Atti, dalla prima Lettera di Pietro e, soprattutto, dalle Pastorali. a) La Lettera di Giacomo è il più chiaro testimone dell'esistenza di questo

    l Vl,004}

    IIO

    ordinamento nel giudeo -cristianesimo (ellenistico). Quale unico ministero Iac. 5,14 menziona .i presbiteri 82 : se un membro della comunità si ammala, bisogna chiamare «gli anziani della comunità» (oL 1tpEcrBl'.rrnpoL ·tfj~ Èx1')1:l')crlaç) sicché con la preghiera e l'unzione «nel nome del Signore» essi guariscano il ma. lato(~ I, coll. 619ss.; III, col. 388) 83 • Evidentemente il testo intende riferirsi a ministri della comunità (si noti l'articolo) e non semplicemente a persone anziane dotate di un particolare carisma; altrettanto chiaro è che costoro sono considerati muniti del dono della preghiera efficace in virtù del loro ufficio 84 • Per quanto questi presbiteri possano essere simili a quelli del govemo sinagogale, la naturalezza con cui si presume che essi siano abilitati, per la loro posizione e collegialmente, alla preghiera terapeutica non trova riscontro nel giudaismo, ma presuppone l'esperienza protocristiana dei carismi, che nel nostro caso è, in verità, ormai legata ad un ufficio. Nonostante questa indubbia differenza, la reputazione di saggi che godevano gli anziani nel tardo giudaismo è quanto mai prossima all'immagine degli anziani che ci è offerta da Iac. 5,14. Cfr. B.B. n6a: «Chi ha in casa un malato vada da un sapiente, sicché questi implori misericordia per lui» 85 • Tuttavia il giudaismo non attri-

    nel giudaismo della diaspora e sfugge a qualCfr. BuLTMANN, Theol. 448. Purtroppo non siamo più in grndo d'iden- . siasi tentativo di localizzazione geografica. Cfr. tificare con sicurezza a quale area ecclesiasti- DrnELIUS, ]ak. 29-33. ca appartenga la Lettera di Giacomo. Spesso 81 L'azione degli anziani ha valore di esorcismo e mira alla guarigione dcl malato. Non si è stata sottolineata la vicinanza di Iac. a I Petr., a r Clem. e a Erma; ma non si tratta tratta della 'estrema unzione' di moribondi. di una dipendenza letteraria, bensl dell'uso di S1 DIBELIUS, Jak., ad l. una medesima tradizione che ha le sue radici 35 Per l'intercessione miracolosa e il dono di

    81

    82

    itpÉ
    x-rÀ.. D 3a-c (G. Bornk:tmm)

    (v1,665) 120

    buisce mai ai suoi anziani in genere una tale dote. Poiché in Iac. 51 16 non si parla affatto di una confessione dei peccati ai presbiteri, bensl della confessione dei peccati e dell'intercessione reciproca dei credenti tra loro e dell'efficacia della preghiera del giusto in generale, l'istruzione data in 5,14 non permette di concludere che i presbiteri esercitassero nella comunità la funzione di confessori 86 o in genere di ministri del culto della comunità 87•

    ministrare l'eredità lasciata loro dall'Apostolo, seguire il suo esempio e vegliare sulla comunità per difenderla dal pericolo dell'eresia (~ VI, col. 836, Mxoç) che la minaccia dall'esterno (v. 29) e dall'interno (v. 3 o). I presbiteri compaiono dunque qui per la prima volta, in corpore, come custodi della tradizione degli apostoli, insediati da costoro e incaricati del governo della comunità.

    b) I passi più antichi che presentano

    Per quanto riguarda la storia deU'ordinamento ecclesiastico è di particolare interesse che i 7tpEcrBu'ti;;poL vengano qui (Act. 20,28) chiamati È'ltl
    i presbiteri come capi delle comunità et-

    nico-cristiane sono contenuti nel libro degli Atti (14,23; 20,17-38). Per quanto questi passi non siano indicativi per l'epoca paolina stessa, tuttavia sono quanto mai ricchi d'informazioni (soprattutto Act. 20,17-3 8) circa l'importanza e i compiti dei presbiteri nelle comunità subapostoliche. Al momento di lasciare le comunità da loro fondate, Paolo e Barnaba eleggono «dappertutto nelle comunità» degli anziani e li raccomandano, «pregando e digiunando», al Signore (Act. 14,23). Soprattutto il lungo discorso deil'apostolo Paolo ai presbiteri di Efeso (Act. 20,18-35, specialmente vv. 28 ss.) mostra quale grande importanza fosse loro attribuita: lo Spirito santo li ha costituiti sorveglianti (episcopi) e pastori della comunità e l'Apostolo ha fatto loro conoscere a fondo «tutta la volontà di Dio»; devono am-

    c) La prima Lettera di Pietro non presenta un quadro essenzialmente diverso. Anche se il luogo di composizione di questo scritto dovesse essere veramente Roma, l'intestazione della lettera rimanda al territorio della missione paolina in Asia Minore. Nell'epistola in-

    guarigione di singoli rabbini cfr. Ab. R. Nat. 41; Hag. 3a; Ber.;. 5,6 [9d,21); Ber. 34b (STRACK-BILLl!RBl!CK I 526; II 10441 ecc.; IV 534 s.). Cfr. A. MEYBR, Das Riitsel des Jak.

    (193 0) 164 S. 86 Cosl B. PoscHMANN, Paenitentia secunda (1940) 54-62. 87 Cosl--+ KNOPF 176 s. 88 Cfr. ~ V. CAMPENHAUSEN 88; HABNCHEN,

    r21 (vr,665)

    1tpÉ
    D 3c (G. Bornkamm)

    {vr,666) 122

    contriamo i npea{3v-tepot nel quadro di una esortazione rivolta prima agli anziani (5,I-4), poi ai giovani (v. 5a) e infine a tutti i membri della comunità (vv. 5b-9 ). La contrapposizione 7tpeu(3u"t'Epot /vE
    posto dell'istruzione a esercitare questo ufficio «non per forza, ma spontaneamente»; dall'accenno al pericolo di appropriazione indebita si capisce che i presbiteri potevano disporre dei fondi della comunità; infine l'esortazione a guardarsi dalla smania di dominio (v. 3) allude probabilmente anche alla loro autorità disciplinare 89 . Di fronte ad ogni possibile abuso del loro ufficio si esortano gli anziani ad essere d'esempio al gregge e si ricorda loro la venuta di Cristo, 'il grande pastore' e~ x, coll. r2r4 s., àpxv1i:olµriv ), che darà ai degni «la corona radiosa che non appassisce» (v. 4). Con ogni parola si rifiuta cosl di concepire la loro autorità come autonoma e fondata sui fattori naturali e storici connessi all'ufficio stesso di presbitero. L'ufficio di pastore rimane chiaramente subordinato all'autorità di Cristo, 'il grande pastore', al quale soltanto è riservato ( 2 ,25) 90 anche il titolo di t7tlO'x'onoc; (~ III, coli. 774 s.). L'energia con cui qui s'insiste suHe tentazioni

    Ag. 530 s. 5.35· 89 xÀ:i'jpoL è termine parallelo a 1tolµVLOV ( vv. 2 s.) e non va dunque riferito a contributi od offerte materiali (come intende Wor·JLF..'IBERG, Pt., ad/.). Esso indica le singole comunità che sono state affidate alla guida degli anziani (WINDISCH, Pt., ad l. e --+ v, coli. 600 s.). Na· turalmcnte l'espressione non significa che un territorio sia suddiviso in comunità locali oppure una comunità in 'settori pastorali', assegnati ciascuno o ciascuna ad un presbitero. Il plurale xÀ:TjpoL si spiega piuttosto col carattere circolare, di 'enciclica', della lettera (come concetto ecclesiologico 7tolµvtov non può avere il plurale), cfr. --+ KNoPF 175 n. I .

    Nel fatto stesso che il termine indica la 'parte' assegnata da Dio è chiaramente insito il pericolo di una degenerazione autoritaria che trasformi l'ufficio in vn diritto di proprietà e di dominio. Difficilmente accettabile è l'opinione di SELWYN, op. cii. (--+ n. 19) a I Pctr. 5,3, secondo cui Y.Àijpo~ indica «the severa! parts of the spiritual XÀ'l')povoµlet.» (r,4), cioè «le diverse parti della XÀ'l')povoµla. spirituale». 90 É1tl
    123 (v1 ,666)

    Ttpl:<1(3uc, x-i;ì•. D 3c-d (G. Bornkamm)

    (vt,666) r:q

    che potrebbero insidiare coloro che esercitano l'ufficio di presbitero mostra, rispetto al passo di Act. 20 che per altri versi è cosl simile al nostro, un più alto grado di delineazione e di consolidamento di questo ufficio. La sua dignità risulta anche da come 'Pietro' chiama se stesso: ò cruµ'ltpEcr~u~Epoç {5,r). Certamente l'apostolo si pone così, con ac· centuata modestia, sullo stesso piano dei presbiteri, ma allo stesso tempo pone anche loro al proprio fianco. Ancora un punto è degno di nota: I Petr. 5 non presenta l'ufficio di presbitero quale custode della tradizione apostolica a baluardo contro l'eresia. d) Nella storia della costituzione ecclesiastica dcl primo cristianesimo tradizioni, in origine diverse, riguardanti gli uffici della comunità si sono effettivamente fuse insieme in vari modi, come mostrano particolarmente le lettere Pastorali 91 (già negli Atti, ricordiamo, tale

    fusione non rappresenta semplicemente il prodotto del lavoro teologico e letterario dell'autore). L'uso linguistico dei quattro passi delle Pastorali in cui com· pare il termine 7tpEcrf3u~Epo<; non è affatto omogeneo. In I Tim. 5,1 'ltpEcrf3u~E· po<; (cfr. anche il v. 2) indica senz'altro l'età avanzata (opposto: VEW'\"Epoç,). Quest'unico passo non deve però indurci ad assumere la medesima accezione anche per gli altri tte; infatti altrove nelle Pastorali 7tpE
    Cfr. -> SPICQ, excursus XLIV-XLVII; DIBEuus, excursus a I Tim. 3,7 e 5,r7. 92 Secondo l'interpretazione piì1 comune, infatti, le parole di I Tim. 4,r4 µe-tà. f.miléo'Ewç 't"WY XELpwv 't"OV 'ltpEo-(3v't"Eplov significano che il collegio dei presbiteri è l'organo preposto genitivo all'ordinazione (-co\i 1tPEU(3V'tEplov soggettivo). Tale lettura è stata però contestata da D. DAUllE, Evangclisten und Rabbinen: ZNW 48 (1957) n9-u6, spec. 125, e]. ]ERE· MIAS, op. cit. (~ n. r8), che vedono riflessn in quella frase la formula giudaica s'mtkat -i:qén1m della nomina ad anziano (quindi -.oi'.i 1tpw~1nEplov = genitivo finale). Verrebbe cosl a cadere la contraddizione esistente tra I Tim. 4,14 e 2 Tim. l,6. Eppure proprio 2 Tim. l,6 (otÒ; 'tijç lmi>ÉuEWC, 'tWV XEtpWV l.lOU) mostra che si tratta di un genitivo soggettivo e

    che quindi qui il gesto è stato compiuto da una sola persona, là da molte (analogo è Act. 8,18: 8tà -cijc, Énd)forwc; -.wv XELPWV 'tWV CÌ.7tOCT't6Àwv). Inoltre nelle Pastorali non si accenna mai alla dignità presbìteriale di Timoteo (o di Tito) e nella nostra letteratura 1tpto-· ~IJ't"ÉpLo\I indica sempre e solo un organo collettivo (~ coli. 90 s.). Cosl neanche .Sus. 50 (Theod.), l'unico esempio cioè di 1tPE
    91

    =

    · ~ ,,

    ' . -·- -

    ché non ordini nessuno con eccessiva facilità e con precipitazione 93 • Secondo I Tim. 5,r9 i presbiteri godono di una particolare protezione giuridica e quelli di loro che si distinguono nelln conduzione della presidenza vanno onorati due volte ( 1 Tim. 5 ,r 7 ). È discusso se omÀ;ijc; ·nµ'ijc; 0:l;toucri}wcra.\I, «Siano reputati degni di doppio onore», vada inteso nel senso di un compenso materiale, cioè di un 'onorario', oppure di onore in senso morale; I Tùn. 5,18 favorisce indubbiamente la prima interpret~zione 9~.

    1Tim. 5,17 ci fa intravedere in una certa misura quali fossero le funzioni degli anzinni. Non si può però dire con assoluta sicurezza che cosa significhino precisamente le due proposizioni relative oi. xrù.wc; 'ltposcr-.w.-Ec; (~ col. 145 n. 140) e µaÀtcr.-a oi. xomwV'tEc; EV M'Y4> xcd Ùtoa<Jxa.À.lq.. La prima proposizione significa forse che in seno al collegio dei presbiteri un gruppo (o in ciascuno collegio un singolo?) sia investito dell'ufficio di presidente e di questo gruppo solo i xa.Àwc; 'ltpOECT'\'W't"E<; vadano ricompensati con una particolare retribuzione? E la seconda distingue ulte9J Così intendono numerosi commentatori, ad es. J. ]EREMrAs, Die Briefe a11 Timothe11s tmd Titus, N.T. Dcutsch 91 (1954) ad l.; ~ LOHSE 88; -> MICHAELIS 77 s.; ~ ScHLIEll 143. Però bisogna porre la cesura già tra il v. 19 e il v. 20 (si noti il plurale nel v. 20) e quindi riferire più esattamente il v. 22 nlla l'iammissione di peccatori pentiti. Cfr. P. GALTIER, La réconciliation des pécheurs dans la première ép1tre à Thimotée: Recherches de Science Religieuse 39 (1951/52) 317-320; W. LocK, A Critica{ and Exegetical Comme11tary 011 the Pastora/ Epistles, ICC (1924) 63 s.; B. S. EASTON, The Pastoral Epiitles (1948) 160; ~

    rimmente rra costoro quelli che operano «con la parola e l'insegnamento»? Avremmo cosl quattro gruppi ottenuti distinguendo le persone ora in base agli uffici ora in base alla qualità delle loro prestazioni. Questa suddivisione è però impossibile perché già l'attribuzione di colmo che curano la parola e l'insegna· mento al gruppo dei xa)..wc; 'ltpoEcr-.w.-r:c; mostra che s'intende parlare di anziani che svolgono determinati ministeri nel]u comunità. La frase ot 'X(x.À.W<; rcpo· EIY't"W't"E<; serve quindi a l'icordate l'opera di coloro che I Clem. 44,3 chiama xa.-;a.C1.-ai}év'tE<; e Herm., vis. 2,4,3 'ltpofo'tciµEVOL itpE III, coli. v.

    CAMPENHAUSEN

    62

    s.

    r6o s.; ~

    DIBELIOS,

    Past.l

    9-1 ~ M1cuA.ELIS u2-n9, che sostiene la seconda interpretazione, è però costretto a eliminare il v. r8 ritenuto, senza validi motivi', una glossa. Il fatto che, com'egli fa notare, i funzionari della comunità conservassero la loro professione civile (3,4.12), non è un argomento a sfavore della nostra interpretazione, poiché l'espressione om).:Tj ·nµ1J può senz'altro non riferirsi ad uno 'stipendio' per un incarico normale bensl appunto soltanto ad un 'onorario'.

    127 (v1,667)

    ;:pfo~vç

    X'\ À..

    D 3
    (VI,668)

    128

    780 ss.) ha in esse una parte importante vengono mai menzionati insieme, non li lo e le sue funzioni coincidono con quelle si può disporre senz'altro secondo schema di una gerarchia tripartita 96 • Il dei presbiteri (cfr. con 1 Tim. 5,17 1tpo- primo punto da fissare è piuttosto que
    quis episcopatmn desiderai, bonum opus desiderai' (I Tim. J,I) : Biblica 12 (x931) 41-69. Contro una comprensione generica di ~'l':Laxo­ 'ltOç dovrebbe valere il fatto che quest'uso linguistico non si trova quando si parla delle altre cariche. 96 Per SPICQ 91-96 I't1tluxoltoç è sl un pri11111s inter pares, per dignità sacerdotale niente nf-

    fatto diverso dai r.pEU~U'tEPOL, ma è pur sempre un 'ltpEcr~u-rEpoç xa-r' lt;ox-fi"11 che si distingue dagli altri per il xa.Mv ltpyov (x Tim. 3,1) della otxoooµ-fi della comunità, ltpyov per il quale egli divi'ene collaboratore e successore degli apostoli. 97 Non c'è alcuna ragione cogente per considerare interpolazioni posteriori i passi in cui si parla dell'episcopo. 98 ~ DIBELIUS, Pasl.l 46.

    I29 (Vt,668)

    4. Particolari problemi sono connessi con le visioni dell'Apocalisse in cui il veggente vede 24 anziani che stanno con le quattro creature viventi attorno al trono di Dio in cielo (Apoc. 4,4.10; 5,6.8.1r.r4; 7,n; lr,r6; 14,3; 19,4)9'J. I troni sui quali siedono (4,4; r1,6), le

    vesti bianche che indossano e le corone d'oro che ornano il loro capo (4,4) li fanno apparire :figure celesti, mentre il titolo di TCpE4 ecc.). «Con una cetra e coppe d'o· ro per i profumi» gli anziani prestano servizio sacerdotale per la comunità terrena (5,8) ed il culto ch'essi celebrano in cielo accompagna gli eventi della redenzione e del giudizio sulla terra, eventi che gli anziani aprono e chiudono col gesto e il canto. w Cfr.

    ~ MICHL, che offre anche un'accurata panoramica della storia delle interpretazioni. 100 ~ Mrcnt 91-u4 ritiene che gli anziani siano qui i giusti dell'antico patto, visti' come presbiteri celesti del popolo cristiano. La sua tesi mi sembra però insostenibile.



    ~ · ...A., 1 ....... t'I 'l!1

    Nulla indica che questi anziani siano degli esseri umani redenti e trasfigurnti 100; anzi essi vengono chiaramente di· stinti tanto dalle masse dei glorificati (Apoc. 7 e 14) quanto dalle miriadi angeliche (5,n; 7,n) che si affollano attorno al trono, ai 24 anziani ed alle creature viventi. Rispetto a queste miriadi gli anziani sembrano costituire un ordine angelico superiore, più vicino de. gli altri al trono divino e particolarmente addentro nei misteri divini. «Uno degli anziani» funge da angelus interpres (5,5; 7,13) e il veggente gli si rivolge col titolo onorifico di xuptoc; ( 7, !4).

    L'immagine di questi anziani deriva dalla diffusa concezione veterotestamentaria e apocalittica del celeste consiglio di Dio (cfr. I Reg. 22,r9; Ps. 89,8; lob r,6; 2,r; Dan. 7,9 s.; Hen. I,4.9; 47,3 ss.; 6 o, 2 ecc.) 101 • Il parallelo più antico e anche più vicino è offerto da Is. 24, 2

    3 : ~CW-~À.EUCTEt XUp~oç È.V kLW'V XctL Èv

    lEpoucraÀ:T)µ xat ÈVWTCLOV 't'W\I TCpECT~U­ 't'Épwv ooçaCTl}1}o-E'tctL, «il Signore regnerà in Sion e in Gerusalemme e sarà glorificato davanti agli anziani» (~ col. 95). Singolare è comunque il numero degli anziani, che non trova riscontro fuori dell'Apocalisse. È possibile che questo numero risalga a speculazioni astrali: secondo l'astrologia babilonese d sono 24 stelle, chiamate oixwr'ta.t 't'WV oÀ.wv, «giudici di tutte le cose» 100, che stanno metà a nord e metà a sud dello 101 Tuttavia i·n questi passi non s'incontra mai la parola 'anziani'. Per l'immagine delle schiere celesti intorno al trono di Dio cfr. VoLz, Esch. 276 s. 102 Diod. S. 2,31 14; cfr. H . GuNKEL, Zmn religìonsgeschichtlichen Verstiindnis des N.T. 3

    npfof3uc;

    X't'À.

    D 4 (G. Bornkamm)

    zodiaco; secondo test. Ad. 4,19 potenze 24,5 ss.; 25 ,1ss.) 1 ~, tanto più che i capi angeliche rendono omaggio e sacrificano delle classi sacerdotali sono chiamati alle ( 24) ore del dl e della notte 103 • Van- 'principi' (I Par. 24,5) 107 e nel giudaino inoltre ricordati i 24 Yazata, le divi- smo più tardo anche 'anziani' 108 e che il nità subordinate che nella d'ottrina per- compito dei cantori del tempio, consisiana formano il pantheon di Ahura stente nel «profetizzare al suono di ceMazda 11». Questi paralleli tratti dalla tre, arpe e cembali» (r Par. 25,1), constoria delle religioni assumono un no- corda benissimo con le funzioni degli tevole valore probante per quanto ri- anziani in Apoc. 5 ,8 . guarda l'origine della concezione degli anziani nell'Apocalisse, qualora si conDal coro dei 24 presbiteri celesti non sideri che nel giudaismo il confronto è possibile dedurre informazioni atte a con le religioni dell'Antico Oriente è av- chiarire l'ordinamento né di una comuvenuto proprio sul terreno dell'angelo- nità giudaica né delle comunità cristiane logia, che anche altrove cifre e simboli nelle quali l'Apocalisse è nata e per le dell'Apocalisse accennano nella medesi- quali è stata scritta 100• Al contrario l'Ama direzione e fanno supporre il mede- pocalisse mostra costantemente l'immasimo sfondo 105 e che infine gli anziani gine, o almeno la finzione, di una comusono descritti come esseri celesti. Però nità con una struttura pneumatico.profe·nell'Apocalisse il significato astrale pri- tica e non già ordinata secondo ministemitivo delJe figure riprese da una più ri precisi e stabili. Nell'Apocalisse non si antica tradizione è del tutto svanito. fa mai parola né di vescovi né di diacoQuindi, per quanto riguarda le funzioni ni né di dottori né di pastori né di ancultuali degli anziani si dovrà pensare ziani delJa comunità. L'unica autorità, principalmente alla suddivisione dei sa- accanto agli apostoli 110, è costituita dai cerdoti e dei leviti in 24 classi (I Par. ptofcti 111 (rappresentati dal veggente 43; F. BOLL, Aus der Ofjenbnrung Joh. (1914) 35 s.

    (1930) IOJ

    J. WELLHAUSEN,

    Joh. (1907) 9;

    ID., Sphaira

    Analyse der Offenbarung cit. (~ n. 102) 36;

    BoLL, op. (1903) 317.

    te» BoussET, Apk. 247; LOHMEYER, Apk., ad l. rimanda alle speculazioni numeriche dei Pitagorici per i quali il 24 è il numero del CO· smo (24 lettere, 24 toni). Questi pensieri astratti dovrebbero però essere molto remoti dall'Apocalisse. 105 BoLL, op. cit. (-7 n. xo2) spec. 16-29. 106 Cfr. ~ ScniiRER u 286-290. 101 I Par. 24,5 : fiiré qodeI w'Hire hii'eloh1m; cfr. fiiré hakkohìi11/m: Esdr. 8,24.29; 10,5; 2 Par. 36,14. ICI
    dei troni su cur siedono i 24 anziani non è lecito vedere un riferimento alle protocattedre occupate dai presbiteri terreni durante il culto, perché i i>p6voL dei 24 anziani sono seggi regali (-)- iv, coll. 587 .590), come regale è il segno della loro dignità (~ U't{q>a.voc;) che depongono davanti al trono di Dio. 110 Il concetto di apostolo nell'Apocalisse non è univoco. In Apoc. 2,2 si tratta evidentemente di predicatori itineranti che pretendono per sé questo titolo, ma che la comunità ha sma· scherato come bugiardi· e impostori. Si presuppone quindi un concetto ampio di apostolo nel senso di missionario autorizzato, incaricato. Invece secondo Apoc. 21,14 i 12 nomi
    1'pÉ
    hù. D 4 (G. Bornkamm)

    (v1,670) l34

    stesso ) e da «tutti i suoi fratelli che hanno la testimonianza di Gesù», cioè «lo spirito della profezia» ( 19,10; 22,6 ). Questa profezia dell'Apocalisse si rivolge direttamente alle singole comunità ed alla loro totalità, senza il tramite di ministri o incaricati 112 • Se queste osservazioni sono esatte, si pone allora il non facile problema di individuare la posizione del tipo di comunità riflesso dall'Apocalisse nella storia dell'ordinamento ecclesiastico. È assolutamente escluso che le comunità di Efeso e delle altre città microasiatiche nominate nell'Apocalisse, cioè le comunità dell'antico territorio missionario di Paolo, avessero ancora, verso la fìne del 1 secolo, una direzione pneumatico-profetica senza uffici ben definiti. L'esistenza di un simile tipo di comunità è inoltre affatto inconciliabile con il quadro della medesima regione ecclesiastica che ci viene offerto, contemporaneamente o pochi decenni più tardi, da tutta una serie di altri scritti (Atti degli Apostoli, Pastorali, I Petr., Ignazio e Policarpo). Altrettanto certo è che la struttura delle

    comunità nell'Apocalisse non ha che fare con Paolo stesso 113• L'idea di comunità rappresentata nell'Apocalisse sembra invece essersi conservata in particolari conventicole giudeo-cristiane 114 nelle quali si è evidentemente perpetuata un'antica tradizione apocalittica d'origine palestinese 115 che nel frattempo ha continuato a svilupparsi ed ha trovato espressione letteraria. L'origine di questa tradizione dovrebbe risalire ad un tempo, abbastanza remoto, in cui l'elemento pneumatico-profetico era ancora predominante sia nella teologia sia nell'organizzazione della comunità. L'Apocalisse e la sua ecclesiologia non hanno nulla in comune con il tipo deUa comunità gerosolimitana al tempo di Giacomo né, anzi ancor meno, con il giudeocristianesin10 legalistico e settario dell'età successiva, nel quale la profezia fu radicalmente soppressa 116• La conservazione e la continuazione della tradizione apocalittica arcaica, due momenti facilmente rilevabili nell'Apocalisse, costituiscono l'immediata premessa del sorgere del montanismo nella seconda me-

    affatto dei profeti dell'A.T. come figure indi· pendenti. Tutt'al più sono figure dei profeci cristiani (Apoc. 1.1,10.18). L'uso abbondante e libero dì detti di profeti cristiani è un tratto caratteristico dello stile dcl discorso profetico dell'Apocalisse (che però non presenta mai simili oracoli come citazione scritturistica). Anche Apoc. i ,3;· 10,7; i6,6; 19,10; 22,6 s. 9.18 s. attestano In presenza di profeti' nella comunità cristiana e il valore della profezia in essa. 112 Come non si può stabilire un rapporto tra gli anziani celesti ed i presbiteri terreni, cosl non si può stabi1ire un riscontro tra gli ayysÀO~ delle lettere e gli episcopi (-+ I, coll. 229 s.). 1l3 Non c'è nulla che ricordi l'attività dell'Apostolo nell'Asia Minore e la fondazione della comunità di Efeso da parte di Paolo. Cfr. W. IlAUllR, Recbtgliiubigkeit tmd Keti:erei (1934) 87 s. 114 Ci- si deve dunque liberare dell'idea che l'a-

    pccalittico Giovanni cd il suo libro siano rappresentativi della chiesa del loro tempo e del· la loro regione. Cfr. BAUER, op. cit. e~ n. u3) 81 s. 115 Per gli stretti rapporti tra l'Asia Minore e la Palestina dr. K. HOLL, Der KirchenbegriU

    dcs Paulus in seinem Verhiiltnis w dem dcr Urgemeùrdc, in Gesammelte Anfsiitze II (r928) 66 s.; E. SCHWARTZ, Uni:eitgcmiisse Betracht1111ge11 zu den Clemcntinm: ZNW 31 (1932) 191; H. LrnTZMANN, Geschichte der Alten Kirchc 1' (1953) 198 s.; E. HIRSCH, Studien :mm vierten Eva11geli11m (1936) 149·152 e soprattutto BAUER, op. cit. (-+ n. u3) 89-92 (qui la tesi di Holl riceve la dovuta correzione). Anche i quarto
    rçpÉ
    tà del

    II

    D 4-5 (G. Bornkamm)

    secolo 117•

    5 . La terza Lettera di Giovanni riflette l'aperto conflitto tra il titolare di un ufficio ecclesiastico, che va senz'altro avvicinato all'episcopato monarchico, e il rappresentante di un'autorità libera, non esclusivamente locale. Nell'intestazione di 2 Io. e 3 Io. l'autore si presenta semplicemente, senza ulteriore indicazione né di nome né d'altro, come ò 7tpEcr~u­ 'tEpo<; e si richiama cosl ad un'autorità che fmora gli è stata riconosciuta da altri oitre che dalla comunità destinataria, autorità che ora gli viene invece contestata in seno a tale comunità dal suo avversario Diotrefe. L'espressione
    plinari esclude che si tratti di un contrasto meramente personale, bisognerà concludere che le differenze riguardino, per cosl dire, il diritto canonico: diffamando il presbitero e i suoi messi l'incaricato di un ufficio della comunità locale impedisce (a quanto sembra, con successo) che qualcuno s'immischi dall'esterno nel governo della sua comunità 12(). È lecito supporre che costui, esercitando l'autorità conferitagli dal suo ufficio, abbia cacciato gl'inviati del presbitero (che questi raccomanda personalmente in 3 I o. 5-8 quali servitori della verità, dopo averli nettamente distinti in 2 Io. ro s. dagli eretici itineranti} considerandoli apostoli itineranti illegittimi. Che significa qui 7tpEo-Su'tiopoç? Non è possibile che voglia semplicemente indicare l'età fisica dell'autore; anzi è evidente che esso deve esprimere autorità e dignità particolari. È altrettanto improbabile che l'autore abbia scelto questo termine per indicare con modestia la sua dignità apostolica, giacché il comportamento dell'avversario sarebbe incomprensibile se si fosse trattato di un apostolo; inoltre l'autore non avrebbe certamente esitato, in un simile conflitto, a richiamarsi al suo rango di apostolo. Infine la parola 7tpt'.O"Su'tiopo<; non può neanche indicare il membro del

    o

    comportamento (disprezzo e inosservanza del diritto d'ospitalità). L'autore non difende dun· que una forma di governo, diciamo, presbite· gura ed all'ufficio del vescovo nell'epistolario riale della chiesa contro certe :ispirazioni 111l'eignazi'ano con l'opposizione alle comunità pro- . piscopato monarchico. fetiche dell'Apocalisse. 119 BAUER, op. cit. (--> n. u3) 97 chiama a tor118 Benché l'espressione qit>..orcpw'tEUWV conto Diotrefe «Capo eretico». tenga un'indubbia nota di disapprovazione, l'autore di 3 Io. non critica in realtà la posi- 12ll M . GOGUEL, L'église primitive (1947) 136 zione di Diotrefe in sé, bensl soltanto il suo s.; ~ v. CAMPENHAUSEN x32.

    137 {vr,671)

    'ltpÉcr~uç x.-tÀ.

    D 5 (G. Bornkamm)

    presbiterio di una comunità locale 121 . Il senso del titolo 'ltpEcr~unpoç, in 2 Io. 1

    e 3 Io. I non può quindi essere ricondotto né ad un ordinamento episcopale

    121 E. KiisEMANN, Ketzer 1111d Zeuge: ZThK. 48 (1951) 292-3n (con ampia bibliografia delle opere meno recenti·, tra cui va ricordato particolarmente A. HARNACK, V ber den 3. Job.Brief, TU r5,3b [1897]) ripropone la tesi che l'autore di 2 lo. e 3 Io. si chiami 'presbitero' in senso tecnico-ecclesiastico, quale dignitario di una comunità locale. In questo saggio, gravido di conseguenze importanti"ssime per la posizione storica e teologica del vangelo e delle lettere di Giovanni, il Kasemann cerca di provare che l'autore degli scritti giovannei (Apocali-sse esclusa) era un presbitero scomunicato dal rappresentante dell'episcopato monarchico. Questo presbitero «avrebbe conservato il titolo e continuato il suo lavoro nonostante il verdetto dell'ortodossia, avrebbe inoltre organizzato una propria associazione ecclesiale con una sua missione 11r pagani accanto alla comunità ortodossa, senza per questo abbandonare né la volontà né la speranza di giungere ad un accomodamento con la controparte» (p. 301 ). Questa tesi è però contraddetta già da ciò che le lettere ci dicono circa la posizione e l'opera del 'presbitero'. Possiamo notare, intanto, che manca il nome del presbitero. A questo riguardo E. ScHWARTZ, Ober den Tod der Sohne Zebedai, AGG 7.5 (1904) 47 s. e MEYER, Ursprrmg m 638 con poca chiarezza hanno sostenuto che questo nome sarebbe stato e11ncellato in un secondo tempo; esso infatti non sarebbe stato 'Giovanni' ed andava quindi eliminato per permettere alle due lettere di essere accolte tra gli seri tti gi'Ovannei. Ancora prima va però detto, contro Kasemann, che sarebbe piuttosto strano che un individuo investito di un11 dignità ecclesiastica locale venisse chiamato 'il presbitero', dato che la carica di presbitero esiste sempre e solo nell'ambito di un collegio e non si dà mai il caso di un presbitero isolato. L'obiezione che H nostro presbitero sarebbe stato isolato appunto perché scomunicato non convince, perché l'autore si presenta con questo titolo già nell'intestazione di 2 Io. dove non c'è traccia né del conflitto con Di'Otrefc né di una contestazione delfo sua autorità. In terzo luogo il 'presbitero' esercita, 11ttraverso lettere e inviati, la sua influenza oltre i limiti di una comunità locale, arrogandosi cosl competenze che, a
    poco, mal si conciliano col titolo di presbitero di una comunità locale. Ancora una volta notiamo che anche questo fatto, stando almeno a quanto ci dicono le lettere, non è dovuto a cause di forza maggiore (la presunta scomunica). Infatti la precedente lettera alla comunità (2 Io.?) menzi'Onata in 3 Io. 9 deve essere stata scritta nella presunzione, se non altro, che la comunità fosse disposta a ricevere sia la lettera sia i fratelli inviati. Per la cura pastorale delle comunità il 'presbitero' si serve di' messi che non vengono affatto inviati ad hoc alla comunità con la quale egli si troverebbe in pieno conflitto. Questi messi sono piuttosto missionari che vanno di comunità in comunità, rendendo in ciascuna la propria testimonianza (J Io. 7); accolti già in precedenza da Gaio come persone di provata fiducia (3 Io. 5 s.), anche questa volta erano certamente autorizzati n ricevere ospitalità e ad essere forniti• del necessario per continuare il loro servizio missionario (per '1tP0'1tEµq>i}flva:~, dr. Rom. 15,24), cosa che Diotrefe e compagni si sono, a dire il vero, vergognosamente rifiutati di fare. Il loro ritorno in quella comunità ha provocato, o almeno acuito al massimo, il conflitto trii Diotrefe e ]"anziano'. Non c'è comunque il minimo accenno ad una 'scomunica' del presbitero. Secondo Kasemann tale scomunica avrebbe provocato l'uscita del presbitero dalla comunità tiranneggiata da Diotrefc e spiegherebbe l'insistenza dell'autore sulla sua dignità discussa. Se le cose stessero cosl, l'autore non avrebbe certo avuto bisogno di dare rHievo a] suo titolo già nella 2 Io., dove non c'è ombra di conflitto. O forse la 'scomunica' è stata comminata all'anziano in absentia? Ma come dovrebbe 'scomunicare' un assente un vescovo locale, che non può assolutamente venire trasformato in un vescovo di una chiesa 'cattolica' 'ortodossa' che si sovrappone e impone ad una comuni1à locale? (lx~6:).).Ew significa «espellere dalla comunità locnle>>). In effetti non si può parlare fondatamente di scomunica neanche nei riguardi dei forestieri che portavano i messaggi dell'anzi-ano; anzi, secondo 3 Io. 10, ne sono colpiti soltanto quei membri della comunità che vogliono ospitarli.

    7tpfo~vc; i<'t"À..

    D 5 - E r (G. Ilornkamm)

    né ad un ordinamento presbiteriale. Bisogna piuttosto convenire che l'anziano si trova «con In sua volontà e azione, al di qua di ogni ordinamento ecclesinstÌCQ}> 122• In questo 'anziano' si dovrà quindi vedere non una persona investita d'una carica, bensl un maestro (~ col. 15 2) di particolare prestigio o un profeta della generazione precedente: ò npEcr0u-rEpoç indicherebbe quindi un anziano nel senso in cui Papia e alcuni dei Padri della chiesa seriori (--Holl. 15 2 ss.) sono chiamati anziani o padri antichi, cioè discepoli degli apostoli e garanti della tradizione che ad essi risale 123•

    E. GLI

    Va riconosciuto che l'attendibilità di questa 'tradizione' degli 'anziani' è piuttosto relativa e che proprio questa cerchia di persone ha accolto, conservato e trasmesso una tradizione incontrollata e spontanea 124 : anch~ fo gnosi si è spesso e volentieri richiamata a tradizioni apostoliche per sostenere le proprie posizioni. Tutto ciò spiega più che sufficientemente la volontà di screditare la dignità di questo 'anziano' e la rigorosa

    1. La prima Lettera di Clemente, il documento più importante per 1a storia del ptesbiterato nell'età subapostolica, dovrebbe collocarsi vicino alla prima Lettera di Pietro sia geograficamente sia cronologicamente. Con un' argomentazione quanto mai ampia questo scritto difende i diritti e la posizione dei presbiteri contro una comunità che si era lasciata indurre da certi agitatori a d~-

    In -+V. CAMPENHAUSEN 132. 12.l

    Cfr. C. H. Dooo, The ]oba1111ine Epistles

    ( 1947) 155 s. m Cosl KAsnMANN, op. cii. (-+ n. 121) 3 00. 11.S Con ciò non si è risolto ancora il problema se il 'presbitero' di 2 Io. e 3 Io. vada identificato con !"anziano' Giovnnni dell'Asin Minore di cui siamo informati con sicurezza da Papia (in Eus., hist. eccl. 3,39,4). Qu~ possiamo fissare questi punti fermi: r. esisteva, in· dipendentemente dalle cariche comunitarie, una categoria onorifica di 'anziani', doè di dottori, che furono considerati mediatori e ga· ranti di una tradizione autentica; 2. tali 'anziani~ appaiono particolarmente, anche se non esclusivamente, come garanti autorevoli della tradizione giovannea. A questo proposito bi-

    riaffermazione di un'autorità locale, di cui abbiamo un chiaro esempio nel comportamento di Diotrefe. Anche l'autore delle tre lettere di Giovanni ritiene di essere depositario e tramite di tradizione, in particolare di tradizioni giovannee 125, come risulta soprattutto dal confronto di I Io. con il quarto Vangelo 126, invero senza per questo dare alcun peso, anzi senza lasciare alcuno spazio al ministero istituzionale. Alla fine quest'ultimo è risultato però vincitore e il 'cristìanesimo giovanneo', che rappresentava e difendeva un tipo più antico dicomunità, nel frattempo completamente screditato, fu spinto e confinato nello spazio ristretto della conventicola 127• ANZIANI NEI PADRI APOSTOLICI E NELLA CHIESA ANTICA

    sogna comunque osservare che gli scritti giovannei non si presentano mai come tradizione di un 'apostolo', un concetto che non ha parte alcuna né nel vangelo né nelle lettere di Giovanni. 126 Sulla questione vedi H . CoNZE.LMANN, 'Was von An/ang war', in: Neutestamentliche St11dien fiir R. B11ltmam1 (1954) 194-2or. In questo saggio è mostrato chiaramente {p. 201 n. 22) che l'antitesi tra tradizione e spirito (KA.SE.MANN, op. cit. [ ~ n. 121) 309) non corrisponde ai fatti. m Qui coglie nel giusto Ki\SEMANN, op. cit. (-+ n. 12r) 303. Snlvc restando tutte le differenze di sostanza, dn questo fatto risulta una relazÌ'one sociologica tra l'Apocalisse e gli altri scritti giovannei (~ coli. 133 ss.).

    1tpfo~uç ;{'tÀ.

    El (G. Bornkamm)

    stituire alcuni dei suoi presbiteri. Purtroppo ignoriamo completamente i motivi della sollevazione 128 e lo scritto non dice nulla sulla natura di questi avversari né sulle presunte colpe dei presbiteri. Già la rimozione di alcuni singoli presbiteri equivale per x Clem. ad una ribellione contro i presbiteti in genere (44,5; 47,6; dr. anche 54,2; 57,1).

    {vr,673) 142

    (3,]). Va da sé che l'autore può argomentare in questa maniera soltanto perché i presbiteri costituiscono effettivamente un collegio patriarcale e hanno dfritto all'onore che i membri della comunità sono tenuti a rendere agli anziani/vecchi 129 in generale (cfr. ---7 coli. 120 ss.).

    ài I Clem. contro la ribellione della comunità corinzia è che tale gesto costituisce una trasgressione del comandamento di onorare gli 'anziani': 1tpEcrPuupoL è usato in questa accezione generica all'inizio della lettera ( l ,3; 3 ,3; 2 l, 6), mentre più avanti, quando si entra nel vivo del caso in discussione, 'ltpEcrPu•EpoL assume il significato tecnico di persone rivestite dell'ufficio di presbitero (44,5; 47,6; 54,2; 57,1). I due signicati tendono comunque a confondersi quando la sottomissione ai capi (fi· youµavoL) e l'onore dovuto agli anziani vengono avvicinati ( 1,3 e 21,6) e, viceversa, quando gli eventi di Corinto vengono energicamente e aspramente censurati dal punto di vista morale come ribellione dei «giovani contro i vecchi»

    Dal collegio dei presbiteri si distinguono chiaramente gl'incaricati ai quali è affidato il culto sacrificale ( È1tLCTX01tTJ: 44,r.4). Costoro sono chiamati 'capi' (1}yovµ.é\IOL: 1,3; 1tp01))'0UµE\IOL: 21, 6) 130 e ricevono anche - cosa di particolare importanza - il titolo di gnlcrxo1tOL (cfr. 42,4 s:; 44,1 e 44,6) 131 • Questo ufficio contestato nella comunità di Corinto è per Clemente, come viene diffusamente spiegato, rappresentazione e veicolo di un ordine voluto e istituito da Dio m. Pe1· la prima volta nella storia del cristianesimo è questa la prospettiva dominante in cui vengono visti l'uffido di presbitero e la comunità: anzi vengono considerati così con una coerente e costante accentuazione dell'idea di gerarchia che sa già di principio dogmatico 133• Il fatto centrale e nuovo è che qui non è più soltanto il presbite-

    m Sono state avanzate le ipotesi pit'1 diverse: rivolta di gnostici entusiasti e di pneumatici {BAUER, op. cit. [-+ n. 113] 99-109; P. MEINHOLD, Geschehen imd De11t1111g in .1 Cl. : ZKG 58 [r939] 82-r29); smania di predominio e abuso di potere dei presbited (M. GoGUEI., La 11aissance dt1 Christianisme [1946] 4l8, nota; però dr. 1 Clem. 44,3); generico conflitto di generazioni• (LmTzMANN, op. cii. [ ~ n. n5] 2ol ); brighe personali tra fazioni {A. v . HARNACK, Ein/iilmmg in die Alte Kirchengescbichte (1929) 91). 129 In 3>3 sono detti anche E\l>~µo~, gvoo~oi, cpp6vLµoL. La stima di cui godono non è dovuta soltanto alla loro età, bcnsl anche alla loro lunga e fedele vita in seno alla comunità (1,3; 63,3). no -+ K NOPI' 168 s. novera anche i profeti e

    i dottori tra gli 1)youµtvoL; però costoro non vengono mai menzionati in r Clem. 131 «Gli btlO"xonaL sono presbiteri {44,4.5 ), ma non tutti i presbiteri sono ~nlcrxonoL»: -+ MiiLLER, Dischofswahl 275. Cfr. già-+ SoHM 95-103. ~ v. CAMPENHAUSEN 91 : Ja fusione dei titoli mostra che «l'ordinamento presbiteriale si è impregnato degli elementi di un ordinamento episcopale, che a Roma era probabilmente più antico». Entrambi i titoli vengono usati soltanto al plurale. 1 Ctem. non conosce un episcopato monarchico. Insieme con i vescovi vengono nominati anche i diaconi (42.4 s.) . m L'idea dell'ordine che troviamo in r Clem. proviene dalla dottrina stoica del cosmo e dello stato. 133 A ragione ~ v . CAMPENHAUSEN 102 s. so-

    Il primo e spesso ripetuto argomento

    143 (v1,673)

    npfof3uç

    X't),.

    E

    rato ad avere il compito di conservare e difendere la tradizione apostolica, ma l'istituzione in sé è dichiarata elemento portante della tradizione apostolica, giustificando così il principio dell'intangibilità dell'ufficio. Infatti il ministero di presbitero deriva immediatamente dagli apostoli e attraverso di essi da Cristo e da Dio (42 e 44). Conformemente all'idea dell'ordine cosmico e della disposizione divina che conferisce alla comunità la sua natura di organismo e ponç sotto una intangibile e sacra legge il tempo, il luogo e le persone del suo culto, anche i presbiteri hanno il loro 'posto stabilito' 134• I Clem. 44,3 dice come avvenne la trasmissione dell'ufficio: quando non fu più effettuata dagli apostoli stessi o da coloro che erano stati stabiliti direttamente dagli apostoli, essa avvenne per mezzo «di altri esimi uomini con l'approvazione di tutta la chiesa» 135• Il servizio (À.n"t'oupyla.: 40,2; 44,2 s. 6) 136 dei presbiteri ovvero degli episcopi è un servizio cultuale. Essi devono offrire le oblazioni della comunità (44, 4), sono dunque i celebranti dell'eucaristiene con energra che questo aspetto costituisce il vero contributo originale di I Clem. lM Si noti l'espressione µi} 'tl.ç a.inoùç µE'tacr-t1}01J -tou tlipuµlvov aù-to~ç -t61tov ( 44,5 ). 135 -toùç ouv xa-tao--tal>tv-taç ù1t'ÉxElvwv i'} µE"tcd;ò ùcp'h~pwv ÈÀ.À.oylµwv &.vlip<7lv ovvEulloxT)u&.crnr; -tfiç ÉxXÀT)crlar; 7t6:. v. CAMPENHAUSEN 97 n. 2 si oppone a ragione all'interpretazk:me di G. Dix, Thc Ministry in the early Church c. A.D. 90-4ro, in -+ KIRK 257-266, secondo il quale z C/em. 44,3 non uatterebbe del mantenimento dell'ufficio locale, bensl della particolare potestà apostolica di istituzione. La partecipazione della comunità ( ovvElloxE~v) all'insediamento dei presbi~eri si limita alla

    1-2

    (G. Bornkamm)

    stia comunitaria. r Clem. 40-43 li pone espressamente nella successione dei sacerdoti dell'A.T. e li rende cosi, per 1n prima volta nella storia della chiesa, un clero che viene distinto, in seno alla comunità, dai 'laici' 137 per i propri particolari diritti e doveri. L'orientamento esclusivamente cultuale dell'ufficio di presbitero - non si parla mai del magistero dottrinale dei presbiteri - e la sua palese clericalizzazione offrono a r Clem. la possibilità di proclamare l'inamovibilità dei ministri e la dul'ata a vita del loro ufficio (44,5 ), a meno che non si siano resi colpevoli d'indegnità o d'inosservanza dei loro doveri. Cosl il componimento del conflitto a Corinto può avvenire soltanto con la riabilitazione dei presbiteri rimossi, la sottomissione dei ribelli ai presbiteri (57, r) 138 e 1a partenza volontaria per un esilio fissato dalla comunità (54) 139, cosl che «il gregge di Cristo viva in pace con i presbiteri costituiti» (54,2 ). 2. Il Pastore di Erma, un'opera composta alcuni decenni dopo r Clem., riflette, più o meno, il medesimo tipo di ordinamento ecclesiastico della lette-

    sola approvazione (acclamazione) . 136 Per il concetto di À.n-coupyla cfr. F . GER-

    Die Stellrmg des I Cl. innerhalb der Entwicklung der altkirchlicbe11 Gemeindeverfassrmg t11Jd im Kircbemecht, TU 47,1 (1931) n6-122 e ~ v1, coll. 624 ss. 137 Il termine À.ai:xoç è usato nell'accezione, KE,

    ora corrente, di 'laico' per la prima volta in I Clem. 40,5, con riferimento immediato e an· titctico ai sacerdoti dell'A.T., ma anche con riguardo alla situazione esistente nella comunità cristiana. Cfr. PREUSCHEN-BAuER', s.v. 138 È

    impossibile che si tratti soltanto di quel-

    li che sono rimasti in carica (contro v. NACK, op. cit. [~ n. 128] 95).

    HAR-

    139 Considerando i due passi insieme si dedu· cc che i presbiteri amministravano la disciplina, alla presenza però dell'intera comunitìi. Cfr. anche 63,1 .

    145 (v1,673)

    itpfo~uc;

    X't'À.. E 2-3 (G. Bornkamm)

    ra clementina. C'è però una differenza: in Erma la gerarchia non è più problematica né ha bisogno di una motivazione e il profetismo libero, rappresentato dallo stesso Erma, parJa ancora direttamente ai 'santi' (vis.3,8,n) ed è indipendente dalla gerarchia, anche se non ad essa contrapposto. Il governo della comunità è retto però anche qui da un collegio di presbiteri (viS.2,4,2S.; 3,r. 8) del quale fanno parte episcopi e diaconi (vis. 3,5,r; sim. 9,26,2; 27,2), responsabili entrambi dell'assistenza ai poveri e dell'amministrazione delle finanze della comunità. In quanto guide della comunità i presbiteri vengono chiamati 'pastori', un titolo che indica qui, come altrove, l'ufficio 'pastorale', cioè della cura d'anime (sim. 9,31,5 s.), e hanno nelle assemblee comunitarie il posto d'onore (vis. 3,9,7) 140• Il loro accostamento agli apostoli (vis. 3,5,r) 141 mostra in quanta considerazione fossero tenuti i presbiteri, la cui posizione nella comunità non viene minimamente contestata, anche se non si risparmia un severo rimprovero per le loro meschine gelosie (sim. 8,7,4; vis. 3,9,7 ecc.), richiamando a loro vergogna la concordia che regna-

    va tra gli apostoli e i dottori di un tempo 142• Nel Pastore non c'è la minima allusione ad un conflitto tra profeti e ministri della comunità 143 • C'è ancora profezia nella comunità, ma è prevalentemente falsa e bisogna guardarsene attentamente (mand. I 1 ). Nonostante sia uno scrittore di tipo apocalittico, Erma stesso non si chiama mai 'profeta' e gli viene detto di consegnare il libro «ai presbiteri» e di leggerlo alla comunità in loro presenza (vis. 2,4,2 s.). Anche l'invio dello scritto ad altre comunità fuori Roma deve avvenire tramite un membro del presbiterio appositamente incaricato (vis. 2,4,3) 1-». La concorrenza tra ministeri istituzionali e libera profezia è dunque finita. Pretendere il primo posto è eo ipso segno di una profezia vana e presuntuosa (mand. 1 r ,12 ), mentre il vero profeta si distingue per l'umiltà e la mansuetudine (mand. II, 8) 145 • Erma ci presenta dunque il quadro di un ordinamento presbiteriale consolidato, non più contestato dal pneumatismo libero, ma altrettanto lontano dall'episcopato monarchico.

    Le parole (vis. 2 >'h3) µt 't'Ù 't'WV npEaf3v-tÉpwv 't'WV npoi:u-raµivwv 't'TJc; btxÀ:11ulo.c; (per tale espressione cfr. I Tim. 5,17 e I Clem. 54, 2) mostrano che si fa distinzione tra i presbiteri, che svolgono le funzioni del loro ufficio, ed una cerchia più ampia composta di persone ragguardevol i. Ml Tra le «pietre bianche squadrate» stanno, qui acrnnto agli apostoli, anche i dottori. Per Erma (sim. 9,16,5; 25,:z) costoro sono figure ideali del passato, «che predicarono in tutto il mondo», dunque non sono persone investite d'una qualche funzione nella comunità. Coloro che ricoprono una carica ecclesiastica, epii:scopi e diaconi, vengono comunque associati a loro senza esitazione. 142 Cfr. -7 V. CAMPENHAUSEN 104 s. 143 Dumuus, Herm. 454.457.635. Hl Clemente non vien detto espressamente

    presbitero, ma solo corrispondente della comunità. Il contesto (vis. 2,4,2) non lascia però dubbi circa la sua appartenenza al presbiterio. 145 ln vis. 3,1,8 s. Erma è invitato a sedersi prima dei presbiteri, ai quali egli voleva lasciare la precedenza: è questo l'unico passo da cui sembra possibile dedurre che il pneumatico abbi>a un diritto alla 'ltPW't'Oxal>dìpla ( il primo seggio). Cosl suggerisce ~ KNOPI' 185, che senza giustificazione novera anche i profeti tra coloro che stanno a capo (1tpoT)yovlkEVOq della chiesa e che occupano i primi seggi (1tpW't'OxaJklìp(~m), di cui si parla in vis. 3,9,7 ss., e li include tra i vescovi, dottori e diaconi nominati in vis. 3,5,I. Però il posto d'onore a siriistra (quello di destra è riservato ai martiri) è assegnato a Erma non in quanto profeta, bensl in quanto cristiano disposto al pentimento. Cfr. DIBELIUS, Herm., ad l.; ~ V . CAMPENHAUSEN 103 s.

    140

    3. Completamente diversa è la posi-

    =

    147 (v1,674)

    'ltpÉa~uç

    x-.À. E 3 (G. Bornkamm)

    zione dei presbiteri nell'epistolario ignaziano. Qui i presbiteri hanno un posto fisso in una gerarchia completamente articolata secondo una scala gerarchica al cui vertice si trova il vescovo. I membri del presbiterio 146 (Phld. 8,1) circondano il vescovo come suo 'consiglio' (auvÉOptO'J), uniti con lui in un'armonica unità «come le corde alla cetra» (Eph. 4,1). Non si fa parola di una qualsivoglia autonomia di competenze e attività goduta dai presbiteri, e la loro funzione si limita ad essere «preziosa corona spirituale» del vescovo (Mg. 13, l), al quale sono sottomessi (Mg. 3 ,1; Tr. 12,2) ma anche associati quali rappresentanti della gerarchia che in lui culmina 141, cosi che anche ad essi spetta, per il loro stato spirituale e santo 143, l'ubbidienza della comunità (Eph. 2,2; Mg. 7,1; Tr. 2,2; Pol. 6,r) 149• L'aspetto essenziale e caratteristico della concezione ignaziana della chiesa e dei ministeri è costituito dalla motivazione dell'obbligo di obbedienza della comunità. Questo dovere non si basa né sul 146 È sintomatica la preferenza d'Ignazio per la parola 7tPE
    in.rcriplio ). m Cfr. Mg. 3,1: -.oùç àylouç 'ltpEO'~u-çÉpouç. 149 La comunità deve rispetto e ubbidienza anche ai diiaconi; eppure costoro appaiono sem-

    comandamento della riverenza dovuta agli anziani (come in I Pett'. e I Clem.) né sull'argomento canonico della loro costituzione da parte degli apostoli e della loro autorità di depositari della tradizione, bensl unicamente sul mistero dell'unità della chiesa nella quale si riflette il mistero dei rapporti che legano Dio, Cristo e gli apostoli e si presenta come realtà cultuale-eonica 150• La gerarchia celeste e quella terrena si corrispondono perfettamente 151 e perciò Ignazio può dire: «Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre, e il collegio degli episcopi come gli apostoli; quanto ai diaconi, venerateli come il comandamento di Dio» (Sm. 8, r). Questo ripetuto 'come' (w<;) significa qualcosa di più di un semplice paragone e include l'idea di una reale rappresentanza, come mostra soprattutto Mg. 6,r: « ... procurate di fare ogni cosa ... sotto la guida dcl vescovo, che tiene il luogo di Dio (Et<; -tÒ1tOV DEoO), e dei presbiteri, che tengono il posto del senato degli apostoli (El<; -rÒ1tov CTU\IEOplov pre al terzo posto nella sequenza degli uffici, non hanno un rango propriamente spirituale e sono sottoposti al presbiterio; non compaiono mai per sé congiunti in unità col vescovo, come invece avviene dei•presbiteri (cfr. BAUER, lg11. 202). 150 Per questo modo ignaziano di dare fondnmen to n tale ministero e per la mancanza della motivazione giuridica e dell'argomento della tradizione cfr. - v. CAMPENHAUSEN 106-II2. 151 Funzione principale del 'ltpEeov xat oU\IOE<TIJ.O<; cl'ltOO''t"6Xwv (Tr. 3,1), come gli apostoli" vengono viceversa chiamati r.pEuBu'tlpiov txx.À7)!'1lac; (Phld. 5,1). Il diacono Zotione «è sottomesso al vescovo come alla grazia di Dio ( 'té;> lmux.67tC(J wç x6:.pt't"t i>eov) cd al collegio dei presbiteri come alla legge di Gesù Cristo ('t"ti) 'ltEO'~U'tEpltp wc; v611tii 'I71
    149 (v1,675J

    -.wv &.1tocr-.6À.uw) 152 ••• ». In Ignazio troviamo spesso questa coordinazione di presbiterio e apostoli 153• Le lettere d'Ignazio testimoniano cosi un ordinamento ecclesiastico fondamentalmente diverso da quello che la comunità di Roma ha in quel medesimo tempo e avrà ancora nei decenni successivi 154 • 4. L'energia con cui Ignazio si batte per il riconoscimento della gerarchia e per la posizione del vescovo fa capire che l'ordinamento la lui considerato vincolante non si era affatto affermato in tutte le comunità dell'Asia Minore, come conferma puntualmente la lettera di Policarpo di Smirne, il quale per altri aspetti è invece quanto mai vicino a Ignazio. Se si osserva come Ignazio sottolinea la posizione unica del vescovo proprio nella sua lettera a PoHcarpo ( 1, 2; 4,1; 5,2; 6,r), appare ancora più sorprendente che nella lettera di Policarpo ai Filippesi non ci sia il minimo cenno di una particolare posizione dcl vescovo, anzi che non si parli affatto né di episcopi né tanto meno dell'episcopo 155, m Per la congettura t:lç 'tV7tOV in entrambi i passi cfr. BAUER, lgn., ad l. m Cfr. ancora Tr. 2,2; 3,1; Phld. 5,1 (è qui ::he gli apostoli' vengono chiamati viceversa 7tpE
    Cfr. H. v.

    Smyma

    CAMPENHAUSEN,

    die Past., SAH

    Polykarp von

    1951 Abh. 2 (1951) 3n6. 156 Cosl BAUER, op. cit. ( ~ n. 113) 77 s. 1s1 L'ordinamento presbiteriale ha quindi as· sorbito qui quello più antico dell'età paolina. Cfr. ~ V. CAMPENHAUSEN lJO n. l , 158 Come si deduce dalle parole con cui si apre la lettera ai Filippesi: IIoMxap7toç xo.t 1111d

    ma unicamente di diaconi (5 ,2) e presbiteri ( 6, r ). Certamente anche in questo scritto si sottolinea la sottomissione a questi due uffici, ma manca del tutto l'estremismo ignaziano. Questa situazione non può essere certamente spiegata con l'ipotesi che proprio a Filippi, dove sappiamo esserci stati episcopi e diaconi già ai tempi di Paolo (Phil. r,1; -> III, coll. 778 s.) 1 non ci fossero 'vescovi'. Non abbiamo neanche prove per affetmare che nella lettera di Policarpo non si padi del 'vescovo' di Filippi perché eretico 156• La spiegazione giusta dovrebbe piuttosto essere un'altra: gli episcopi di Filippi, investiti di un ufficio che ern ancora esercitato collettivamente, sono stati assorbiti da lungo tempo nell'ordine piì1 ampio dei presbiteri 157 e non vengono chiamati episcopi perché per Policarpo questo titolo indica già il vescovo monarchico. Invero egli stesso non considera questo ufficio episcopale in maniera gerarchica, ma lo pone decisamente sullo stesso piano dei presbiteri 158• C'è un altro passo, oltre a quello già ol

    O'Ùv au't'Q 7>pEu(3v't'Epot, che dobbil3mo tradurre: «Policarpo ed i presbiteri che lo sono con lui»; l'espressione ha quindi lo stesso valore di ò cruµ7tpE xat -toi:'ç crùv au-r4i TI(JE0'(3U't'Épotç xat OLax6voi.c;.. In Ignazio i presbiteri e i diaconi formano il clero associato e sottoposto al vescovo; i•n Policarpo i presbi· teri rappresentano i colleghi ai quali egli, quale prim11s inter pares, modestamente si equipara. Anche in seguito si continttel'à dapprim:1

    (VJ,676)

    citato ( 6,1), che ci dice quali fossero le funzioni dei presbiteri: dal caso di Valente (u,r s.), il presbitero rimosso dal suo 'ufficio' 159 per appropriazione indebita (complice la moglie: rr,I.4) dei fondi della comunità, apprendiamo che i presbiteri avevano compiti di carattere economico e caritativo, ai quali si aggiungevano funzioni disciplinari e, soprattutto, la cura d'anime e la predicazione 160• I1 quadro dipinto cosl da Polical'po è più che simile a quello che abbiamo ricavato dagli Atti, da I Petr. e specialmente dalle Pastorali che sono chiaramente vicinissime, sia cronologicamente che geografìcamente, alla lettera di Policarpo 161 • Le Pastorali mostrano come Policarpo che l'ufficio di episcopo, che nella prassi si andava gradualmente evolvendo verso l'episcopato monarchico, poteva unirsi - senza tendere affatto ad una superiorità gerarchica - con l'ordinamento presbiteriale, senza soluzione di continuità. A differenza delle Pastorali, la lettera di Policarpo implica tuttavia soltanto de facto l'esistenza di questo ufficio episcopale, ma non lo indica mai con il titolo appropriato. a ritenere necessario, per la sua pos1~10ne e dignità, che il vescovo appartenga al presbiterio. Ancora Ireneo, ep. nd V ictorem (Eus., hist. ecci. 5,24,14-16) chiama costantemente il vescovo di Roma e i suoi predecessori 7tpE n. n7) 267 s. confronta con ciò la deci<Sa esaltazione della dignità episcopale nella lettera, pitt o meno contemporanea di quella a Vittore, di Policrate d'Efeso {Eur., hist. eccl. 6,24,2-7) e sospetta che Ireneo, vescovo originario dell'Asia Minore e favorevole al montanismo, mascheri con la sua terminologia, che al Kraft appare «per lo meno antiquata», una precisa tendenza riguardo al governo della chiesa. Eppure la terminologia d'Ireneo riflette fedelmente il rapporto dci presbiteri rispetto al vescovo, cosl come esso sussisteva ancora intorno al 200 a Roma e ad Alessandria. Per la questione -l> Mi.il.LER, Bei-

    152

    5. Dall'uso linguistico di 'itpEo-~{m:­ poc; trattato finora e connesso con la sto-

    ria dell'ordinamento ecclesiastico protocristiano va distinto un uso totalmente diverso del nostro termine, uso che è riccamente attestato soprattutto in Papia ed Ireneo, ma anche in Clemente Alessandrino, Origene e Ippolito. In quest'accezione 7tpEO'~U't'Epoc; {al singolare o al plurale) non è più un titolo, non indica più una persona investita di un ufficio della comunità locale, bens1 coloro che, appartenendo alla generazione cristiana più antica, erano considerati trasmettitori di una tradizione genuina e maestri attendibili. La traduzione migliore del titolo onorifico di 1tpEcr~u"t'E­ poç conferito loro è padre, secondo un'accezione di questa parola assai comune anche nel giudaismo (~ IX, coli. r199s . )162.

    a) Per quanto riguarda Papia il passo più importante è Ja famosa citazione dalla prefazione della sua Interpretazione dei detti del Signore che troviamo in Eus., hist. eccl. 3,39,3 s. Qui Papia dichiara di volere combinare con le sue 'interpretazioni' tutto ciò che aveva imtriige 29 s. e -l> ID., Bischofswahl 274-296. /oc11s = 't61toç, come in lgn., Pol. 1,2. 160 Diversamente da Ignazio, qui non è mai detto che il vescovo debba presiedere alla celebrazione eucaristica. 161 Come ha dimostrato v. CAMPENHAUSEN, op. cit. (-l> n. 155). La validità di tale dimostrazione è indipendente dall'accettazione o dal rifiuto della tesi particolare che le Pastorali siano state scritte da Policarpo stesso o da una persona a Jui vicina. 1 ~2 Cosl a ragione secondo ZAHN, Forsch. VI 83, V. CAMPENHAUSEN 177 s. Pure l'espressione usata da questi di «guide della chiesa)> (Fiibrer der Kirche) è equivoca perché non tiene affatto conto dell'importanza esclusiva di questi presbiteri nella trasmissione della dottrina di cui erano garanti. 159

    'ltpfcrpuç X"tÀ.. E 5a (G. tlornkammJ

    parato bene «dagli anziani» (ovvero «dai Padri»: mxpà, .-Gl'V 7tpEO·Bv1:Épwv) e che ricordava con precisione, per poterne così garantire la verità 163• Papia chiama questi 7tpEo-Bv>Epot i suoi garanti, benché egli non si richiami ad una conoscenza diretta di essi, ma soltanto a quella dei loro discepoli 164 : «Ma se veniva qualcuno che avesse seguito i Padri ( 7tpE
    \ \' 1,0/lJ , )'t

    scepoli degli apostoli». Richiamandosi a questi 'anziani/Padri' Papia si distanzia sl espressamente dalla tradizione e dalla dottrina eretica (Eus., hist. ecci. 3,39, 3), tuttavia il metodo ch'egli professa di seguire per giungere all'incorrotta dottrina è affatto uguale alle abitudini dei concorrenti gnostici. Proprio presso gli Gnostici è di moda richiamarsi a singoli apostoli ed alla tradizione da loro trasmessa, come è corrente l'immagine degli apostoli quali maestri che raccolgono intorno a sé una 'cerchia di discepoli', la quale ne trasmette l'insegnamento ed elabora per iscritto quanto ha ricevuto oralmente 166• Gli ampi stralci, che Eusebio riporta, delle notizie che Papia fa risalire ai 'presbiteri' ci offrono una chiara idea di questa tradizione per vari aspetti fantastica, presentata appunto come autentica, la quale contiene anche informazioni dotte su singoli scritti, come quella riguardante l'origine dei vangeli di Marco e Matteo 167• Dai verbi usati da Papia per descrivere la maniera in cui i suoi garanti furono discepoli dei 7tpE
    l55 (VI,677)

    7tptu0uç

    :>t\À..

    E 5a-b (G. Bornkamm)

    la' qui esercitata presuppone un inse- xa.t a:1tOO"'tCÀLxÒc; JtpECT~U1:Epoc;, «il beagnamento itinerante. Nulla ci fa pensare to presbitero discepolo degli apostoli»: ad un nesso degli 'anziani' e dei loro di- ep. ad Florimnn in Eus., hist. ecci. 5,20, scepoli con gli uffici di una comunità 7) avrebbe fatto parte della loro cerchia. perfettamente ordinata. Il quadro che Ireneo giovane aveva sentito Policarpo si ricava da Papia coincide quindi con parlare della sua consuetudine con Gioquello fornitoci da 2 Io. e 3 Io. (-7 coli. vanni e con gli altri che avevano visto il 135 ss.), con la differenza che in Papia si Signore e delle loro memorie dei mirasottolinea per la prima volta la partico- coli e dell'insegnamento del Signore lare autorità dei 7tpEcr~ui:EpOL nella loro (Eus., hist. ecci. 5,20'4 ss.) 171 • Ireneo asqualità di discepoli degli apostoli e quin- segna a questa cerchia anche Papia (che di la legittimità dei loro discepoli, men- egli conosce solo dagli scritti) considetre il 'presbitero' delle lettere giovannee randolo «uditore di Giovanni e companon aveva bisogno di addurre alcuna gno di Policarpo» ( 'Iwcivvou µÈv chovprova del genere per sé e per i suoi cr·t"TJ<;, IloÀ.uxcip1tov oÈ. ha~poc; yEyovwc;) inviati 168• e chiamandolo ò:pxa.Loc; &v1]p, cioè «Uomo del tempo antico» (haer. 5.33,4). b) Mentre Papia c'informa sugl'inizi Nonostante la parte di mediatore letdi questa scuola dei presbiteri, Ireneo terario che Papia ha chiaramente avuta ce la presenta in una forma molto più per Ireneo in, questi nelle sue opere inavanzata 169• Ireneo, che si servl abbon- troduce i presbiteri direttamente, cioè dantemente dei 5 libri delle È~TJyiJcrw; non soltanto come garanti delle notidi Papia, riporta nelle sue opere un nu- zie riguardanti la persona e le parole del mero considerevole di insegnamenti at- Gesù terreno (cosl haer. 2,22,5; 5,33,3 tribuiti espressamente ai presbiteri, che s.), ma anche, e per lo più, come autoegli chiama &7too-i:6À.wv µai>n'to:l (haer. rità nella retta interpretazione della 5,5,1; 36,2; epid . .3) e ai quali attribui- scrittura e nelle dottrine, soprattutto di sce una grande familiarità con Giovan- contenuto escatologico, dibattute e conni, il discepolo del Signore 110, che essi testate proprio nella lotta contro l'ereavrebbero conosciuto personalmente in sia (baer. 5,_30,1; 33.3 s.; 36,r s.; epid. Asia (haer. 2,22,5; 5,_30,r; 33,J). Secon- 61 ). Una tale trattazione dci presbiteri, do Ireneo anche Policarpo (o µo:xcipLoc; che difendeva contro Marciane l'unità 16:1 Il fatto che Giovanni, ancora in vita, venga distinto da altri ':mziani' mediante l'epiteto di ò 7tpEa'3D-tEpoç, non rende affatto sicura la sua identità con l'autore di 2 Io. e J Io. Papia stesso conosceva certamente r lo. e anche Apoc., tuttavia non c'è traccia di menzione alcuna delle altre lettere e del Vangelo di Giovanni, il che significa che Papia non conosceva il quatto vangelo o ne ha volutamente taciuto (BAmm, op. cit. [-7 n. u3] I89). Secondo le citazioni di Eusebio, che in realtà non apprezza molto Papia ma nota scrupolosamente gli scritti da lui citati (hist. eccl. 3, 39,14-17), l'anziano Giovanni appare unicamente quale autorità decisiva per i due primi vangeli. Cfr. -7 n . 167.

    Non mi sembra fondato sostenere che tutta la tradizione degli anziani di Ireneo provenisse da Pnpia, come vuole invece la tesi di A. HARNACK, Die Chro11ologic der altkirchlicben Literalur bis Eusebiur I (1897) 334-340 e di F. LooFs, Theophilur von Antiachien adversus Marcioncm, TU 46,2 (1930) 310-338. 17G Per Ireneo si tratta del figlio di Zebedeo. 171 Eus., hist. eccl. 5,20,6 s. parla di 'lezioni' (6~aÀ.Él;E~<;) di Policarpo, che Ireneo non avrebbe scritte, ma conservate in cuore. 172 Cfr. HARNACK, op. cit. (-7 n. 169) 333-340; P. CoRSSl!N, Wlarum ist das 4. Ev. fiir ein \Y/erk des Ap. Job. erk/iirt worden?: ZNW 2 (1901) 202-227; BoussET, Apk. 40 s. 169

    157 (vr,677)

    itpfo-Bvç x-rÀ. E 5b (G. Dornkamm)

    del Dio padre di Gesù Cristo e del Dio vincola all'obbedienza, assegnando loro creatore del mondo e l'unità dei due te- non solo Ja successione apostolica della stamenti con una diffusa argomentazio- dottrina, ma anche dell'episcopato 176• ne, è stata evidentemente inserita da I- Invero Ireneo è ben lungi dal distinreneo nella sua opera contro le eresie guere un particolare carisma di governo (4,27-32) 11J. L'abbondanza delle citazio- dal charisma veritatis, cioè dalla dottrini dall'A.T. e dal N.T. intessute in que- na ttàdita m; tuttavia identifica espressta sezione omogenea ci permette di ve- samente, almeno in alcuni passi 178, predere quanto sia stato grande il contri- sbiteri e vescovi, apportando cosl un'inbuto di questi 'presbiteri' proprio allo novazione indubbiamente importante risviluppo del canone del N.T. nel perio- spetto alla situazione descritta da Papia. do tra Papia e Ireneo. Solo nella loro Tale identificazione, compiuta con un scuola 174 si può apprendere la retta let- chiaro intento apologetico-polemico per tura e interpretazione della Scrittura, assicurare Ja dottrina ecclesiastica rispetdalla quale proviene poi la fissazione to all'eresia ed alle sue tradizioni partidell'intera dottrina 175 • Nell'introduzione colari 179, è stata senz'altro resa possibile alla suddetta sezione che risale ai presbi-· dal doppio senso di 7tpEc;f3vi;Epoç ( dotteri (haer. 4,26,2) Ireneo contrappone tore della generazione antica e incarinettamente costoro a falsi presbiteri e cato dell'ufficio di governo della comusottolinea l'autorità di quelli veri, che nità), ma principalmente dalla clericaCom'è stato provato da BoussET, op. cit. n. 166) 272-282 che ha ripreso, modificandola, la tesi di HARNACK, Der Prcshyter-Prediger dcs Jrcnaeus, in: Philothcsia Paul Kleinert {1907) 1-38. Secondo Harnack il p~sso di Iren., baer. 4,27-32 sarebbe basato sull'omelia di un presbitero. Cfr. M. WIDMANN, lremeus tmd seine thcologischen Vi!ter: ZThK 54 (1957) r56-173. 174 Si può considerare questa scuola, c11111 grano salis e nella forma che bisogna presupporre per i tempi d'Ireneo, una delle prime fa. coltà teologiche? Nella scuola per presbiteri d'Ireneo torna rn auge l'autorità di Paolo e il Vangelo di Giovanni viene parificato agli altri. L'interpretazione dell'A.T si allaccia a quella del N.T. La teologia acquista la sua fisionomia in questa scuola proprio nella lotta conuo Marci'one. Per aspetti particolati delln dottrina circa ìl canone, Dio, Cristo e lo Spirito insegnata in questa scuola, cfr. W. Bous2 SET, Kyrios Christos (1926) 27.192 n. 2.255. 11s haer. 4,32,1: post deinde cl om11is scr1110 ci 173

    (~

    comtabit, si et script11ras diligenter legerit apud eos, qui i11 ecclesia stmt presbyleri, apud q11os est apostolica doctri11a ... 176 haer. 4,26,2: qttapropter eis qr1i in ecclesia rnnt, presbyteris obaudire oportet, his qui s11ccessio11cm habent ab apostolis, sicut osten-

    dimus; qui cum cpiscopat11s successione charisma veritatis... acceperunl. 117 Per l'interpretazione della locuzione charisma veritatis (~ n. 176) dr. K. MiiLLER, Kleine Beitriige wr alten Kirchengeschichte 3: Das cbarisma vcritatis rm dcr Episkopat 'tles Irc11iius: ZNW 23 (1924) 216-222 e ~ v. CAMPENHAUSEN 188. Cfr. ancora, in partico· lare, la descrizione del vero presbitero in haer. 4,26,4: qui et apostolorum, sicut praediximus,

    doctri11af1J rnstodizmt et cu111 prcsbyterii ordine ser111011e111 sanum cl conversationem sine o/lensa praesfant ad con/irmatiouem et correptionem reliqrwmm. Nella pericope successiva i presbiteri vengono chiamati «episcopi in giustizia», utilizzando la parola profetica (Is. 6o,I7) già citata in I C!em. 42,5, e si• attribuisce la vera dottrina soltanto a coloro apud

    qt1os est l'fl q11ae est ab apostolis ecclesiae successio. Segue quindi il riepilogo molto caratteristico della loro dottrina: hi enim et eam quae est in 1mm11 deum, qui omnia /ecit, /idem 11ostram custodi:mt: et eam quae est in filium dei dilectio11cm ndaugelll... et scripturas sine periculo 11obis expo111111t 11eq11e deum blasphemantes neque patri11rcbas exhonorantes neque prophetas contem11entes (26,5). m Oltre che in haer. 4,26,2.4 ancora in hner. 5,20,1.2.

    m

    ~ V.

    CAMPENHAUSEN 188.

    'ltpÉ
    x-rÀ.. E 5b·c (G. Bornkamm)

    lizzazione (avvenuta sicuramente nel frattempo) dello stato, una volta libero, di dottore. Nondimeno non bisogna disconoscere che lo stato di dottore e l'ufficio di vescovo furono accoppiati da Ireneo in un secondo tempo al fine di assicurare cosl per due vie la continuità della dottrina apostolica. Infatti le citazioni stesse dei presbiteri non si appellano mai all'ufficio episcopale di questi 'discepoli degli apostoli'. c) Mentre in Ireneo si afferma, come abbiamo appena visto, la tendenza a identificare la successione della dottrina e dell'ufficio, in Clemente Alessandrino l'ufficio di dottore è conservato ancora in tutta la sua forma libera. Anche l'A· lessandrino si richiama agli anziani nella loro qualità di dottori antichi 180 : «Co. storo conservano la vera tradizione della beata dottrina che avevano ricevuta, CO· me figli dal padre, dai santi apostoli Pie. tro e Giacomo, Giovanni e Paolo... e con l'aiuto di Dio giunsero cosl fino a noi per deporre (in noi) quel seme avito e apostolico» 181 • Anche per questo Egli riferisce come tradizione dei presbiteri più antichi che i vangeli scritti' per primi sarebbero quelli contenenti la genealogia di Gesì1; poi, leggermente diversa, la notizia (nota da Papia) circa l'origine del Vangelo di Marco; infine la famosa definizione del Vangelo di Giovanni quale ultimo, «spirituale evangelo.». Cfr. Clem. AI., fr. 8 (bypalyposeis). 181 strom. 1,n,3: sintomaticamente la vera dottrina viene ricondotta, come nella gnosi, ad una cerchia più ristretta degli apostoli 180

    (HENNECKE 138). 1s2 In Clemente Alessandrino troviamo per la prima volta l'espressione 'Nuovo Testamento' come denominazione del canone cristiano. 183 La posizione particolare dei 1tpta~v-rEpoL nel processo della tradizione è sottolineata da attributi come ol 6.vlxalkv 1tpEO'~V't'EPOL (Clem. Al., fr. 8 [hypotypo.reis]); ol àpxa~oL 'ltpEO'~V't'EPOL (fr. 25 [de pascha]). Per la questione vedi BAUER, op. cit. (-4 n. u3) 123 n.

    (v1,679) 160

    autore i 1tpEO'~V'tEflOL costituiscono le autorità per la raccolta e la trasmissione di notizie sugli apostoli e per la retta interpretazione degli scritti dell'A.T. e del N.T. 182• I 1tflEO'~V'tEpoL non sono però unicamente i 'discepoli degli apostoli', giacché Clemente Alessandrino chiama così anche altri dottori della generazione precedente 183, nella misura in cui hanno trasmesso la tradizione apo· stolica e la vera conoscenza, in primo luogo il suo maestro Panteno, il µcx.xapto<; 1tpE
    L'espressione 'discepoli degli apostoli' non compare in Clemente Alessandrino, benché questi pretenda e insista cli giungere vicinissimo alla tradizione apostolica: 'ltEpt fo:u-roii OT)· 2.

    )...oi: wc; ~yytO'"t'ct. -rijc; 'tW\I cbtocn6À.WV )'EVO· µivou ota.lìoxiic; (Eus., hist. ecci. 6,13,8).

    Clem. Al., /r. n (hypolyposeis); anche dove si nomina semplicemente 'il presbitero' do· vrebbe trattarsi di Panteno. Clemente Alessandrino chiama Panteno «ape sicula» perché «suggeva miele dai fiori del prato dei profeti e degli apostoli e produceva negli animi dei suoi ascoltatori un puro liquore di conoscenza» (strom. I,II,2). 184

    185 Anche Giustino rappresenta questo tipo: in dia/. 3 egli fa risalire la sua dottrina ad un 1ta.">..ct.L6c; "tLc; "it()EO'~V'tT)c;; dal suo Martirio (cap. 3) sappiamo che Giustino svolse la sua attività didattica in una particolare scuola a Roma. Cfr. BousSET, op. cit. e~ n. 166) 282·

    308.

    r.pÉcr~vç x-tÀ. E

    coincidenza della successione dottrinale dci presbiteri con la successione dell'ufficio episcopale 186 • Al contrario l'ufficio di dottore è libero rispetto ai ministeri della comunità, dei quali in realtà Clemente Alessandrino parla sorprendentemente poco. Anzi questi uffici sono in realtà per il nostro Clemente soltanto riproduzioni del mondo celeste; il vero presbitero e diacono è per lui lo gnostico, ed anche senza ufficio questi viene annoverato nella schiera dei 24 anziani dell'Apocalisse(~ coli. 129ss.) 187• Per il contenuto e il genere del loro insegnamento i maestri di Clemente Alessandrino sono, sotto molti aspetti, vicini a quelli della gnosi; eppure l'aderenza all'A.T. ed al canone del N.T. permette a Clemente Alessandrino di partecipare intensamente alla battaglia antignostica della chiesa 188• Per la posizione e funzione degli 'anziani' presso Clemente Alessandrino ed ISS ~ V. 1s1

    cit.

    c...MPENHAUSEN 22I.

    strom. 6,103 ss., spec. zo6,2; BoussET, op. (~

    n. 166) 242 s. Ulteriori rimandi in

    V. CAMPENHAUSEN 220 n. 7· 1~8 ~ V. CAMPENHAUSEN 221-224. 189 I-IENNECKE 130; STAUFFER, op.

    cit.

    ~

    (~

    n. 77) 207-214. L'ordinamento ecclesiastico delle Pseudo-Clementine mostra un manifesto accoglimento della categoria giudaica dei dottori nell'organizzazione della comunità. Cfr. C.

    S111dien w den Pse11do-Cle111cntine11, TU 46,1 (r929) 314-334; H. J. SCHOEPS, T heol. und Gesch. dcs ]11denchriste11t11ms

    SCHMIDT,

    (1949) 289-296. Qui i 70 presbiteri-dottori sono presentati come il collegio degli anziani insediato da Mosè, quindi, del tutto secondo il modello dell'accademia giudaica dei dotti, competente per le questioni dottrinali. La vera dotttina veniva trasmessn soltanto a questi presbiteri 11! termine di sei anni di studio e tirocinio, dopo una solenne ordinazione e obbligazione (diamartyria 1.2.5 [GCS 42,r p. 2 s. 4]; ep. Petr. 1-3 [ibid. p. 1 s.]). La loro ordinazione compete al vescovo, a cui è sottoposto la categoria dei dottori. La dottrina è

    5c-d (G. Bornkamm)

    (VI,680) 162

    i suoi predecessori si è spesso indicata come analogia, e a ragione, la formazione contemporanea della successione del magistero nel rabbinato e si sono intese le sentenze dei presbiteri al modo dei 'detti dei padri' rabbinici 189• Anche per gli Alessanddni cristiani è caratteristico, come per Filone 190, l'abbinamento di una diretta lettura scritturistica al richiamo alla tradizione orale dci Padri. d) Già in Origene non si parla più di un libero magistero 191 indipendente dal ministero clericale, anche se non contrapposto ad esso, cosl come invece se ne padava in Clemente Alessandrino. Certamente troviamo anche in Origene, come in Clemente, il richiamo alle spiegazioni di esegeti più antichi che vengono chiamati TCpEo-Bu,,-spoi 192 ; tuttavia per lui è un punto acquisito e importante che il dottore sia membro del clero e quindi che non esista più uno iato detta espressamente dottrina segreta (diamartyria 2,5 [ibid. p. 3 s.]) per assicurare la continuità e proteggerla da adulterazione. J9J vita Mos. 1,4: ù.)..)..' ~ywyE... -rà 'ltEpt -.ò\I a\lopa. µT)VUO'W, µa~wv IXU'tà xà.x ~l~Àwv -tW\I LEpwv... xal 7ta.p6. -.wwv à.nò "t'oii itDvouc; npEu~u-.tpwv.

    "t'à yàp À.EyoµEva. -ro~c; &.va.yLvwo-xoµÉvoLc; 6.Et
    le con cui Filone introduce tali tradizioni c&.

    E. BRÉHIER, Les idées philosophiq11es et religieuses de Philon (1908) 55 s.; BoUSSET, op. cit. (~ n. 166) 44 s. Anche la conduzione delle scuole filosofiche offre però un'nnalogia n questo tipo di tradizione: dr. Iambl., vii. Pyth. 105 ss. e, in proposito, BoussET, op. cit. (--> n. r66) 4 s. 191 Ancora Metodio di Olimpo appartiene a questo tipo, come dimostra K. QUENSELL, Die wabre kirchlicbe Stellu11g und Tatigkeit des

    fiilscblicb sog, Biscbofs Methodius von Olymp11s, Diss. Heidelberg (1953). 192 Rimandi in A. HARNACK, Der kirchengeschicbtliche Ertrag der exegetiscbe11 Arbeite11 dcs Origenes 1, TU 42,3 (1918) 28; n, TU 42, 4 (r919) 14; ZAHN, Forsch. VI 60.

    163 (VI,680)

    1tpÉ
    E 5d ·

    r.pEO'~Evw 1

    tra lo stato di maestro e lo stato clericale. Origene stesso non si accontentò infatti della professione di teologo laico, che egli aveva ed esercitava in Alessandria, ma cercò sempre di ottenere quell'ordinazione a presbitero che finalmente ricevette a Cesarea, divenendo cosl chierico 193 • La situazione in Alessandria e Cesarea è cosi divenuta affine a quella dell'Asia Minore 194 • 6. La Didascalia siriaca e la Tradizione apostolica d'Ippolito presentano una certa conclusione dello sviluppo suesposto. La Didascalia sottolinea con solenne energia la preminenza dell'ufficio di vescovo su tutto quanto, come avviene in Ignazio. Tale superiorità non è però dedotta, come in Ignazio, dal mistero della chiesa, ma è affermata richiamando i fondamenti canonici della sua posizione e le funzioni sacramentali, amministrative e disciplinari concentrate nel vescovo 195 • Anche i presbiteri associati o sottoposti al vescovo conservano però il rango di successori degli apostoli, ma questo riconoscimento non implica più una loro diretta e propria dignità, giacché essi appaiono piuttosto come 'apostoli del vescovo' 196 • La Tradizione apostolica (nota anche come Ordinamento ecclesiastico o Costituzione apostolica, soprattutto nell'arca v. CAMPENllAUSEN 274 s.; Io., Griechische Kirchenvater (19.n) 56 s. Per la concezione origeniana dell'episcopato e del sacerdozio dr. --,> MiiLLER, Bischofswahl 285-293. 194 Istruttivi sono i richiami d'Ippolito agli 'anziani' (dr. A. HAMEL, Die Kircbe bei Hipp. vo11 Rom [1951) 106 s.) visti come coloro che hanno ancora avuto contatti con gli apostoli o con i loro discepoli (la stessa situnzione, quindi, che abbiamo rilevata in Papia, Ireneo e Clemente Alessandrino); però, secondo lui, essendo custodi della vera dottrina i presbiteri di Smirne hanno anche il potere disciplinare in quanto hanno scomunicato Nocto, a meno che la parola 'TtPE

    (G. Bornkamm)

    (v1,680) 164

    linguistica tedesca) d'Ippolito 197, composta a Roma ma ben ptesto accolta nei codici di diritto canonico delle chiese orientali, ci presenta il quadro, ormai definitivo, di un clero articolato in vari gradi di ordinazioni sacramentali nel quale i vescovi, quali 'sommi sacerdoti', sono sl i soli a possedere la potestà di trasmettere l'ufficio ministeriale 19d ma anche i presbiteri a loro sottoposti hanno dignità sacerdotale ( 32 e 3 3) in quanto 'consiglieri' e partecipi dello 'spirito della grandezza' (con richiamo esplicito a Num. II,16 s. 24 s.); tale dignità li rende idonei ad amministrate il battesimo e ad assistete il vescovo nella celebrazione eucaristica, tenendo il calice e offrendo il pane (46).

    t

    7tpEO'~EUW

    l . Conformemente al significato fondamentale di 7tpÉu~uc; (~ coll. 83 ss.) 7tpEO'~EVW può significare essere più vecchio (anziano) o essere il più vecchio (anziano) (generalmente con il genitivo comparntivo): Soph., Oed. Col. 1422; Plat., leg. 12,951e, ecc.); anche occupare il primo posto (Soph., Ant. 720) op· pure (uso transitivo) tenere in gran conto, onorare, venerare qualcuno o qualcosa: Aesch., Eum. 1; Choeph. 488; Plat., symp. 186b ecc. In base al signi-

    (ed. P. DE LAGARDE [1858)) non rifletta l'antica sinonimia tra È'ltlaxonoi e 1tpEcr~v-cEpOL e indichi cosl un collegio giudicante composto di vescovi, come sostiene HAMEL, op. cit. 172 s. 11>5 Cfr. H. AcHELIS e J. FLEMMING, Dìe syr. Didaskalìa, TU 25,2 (1904) 270; --,> V. CAMl'ilNHAUSEN 264-272. 196 dìdasc. 2,28,4: nam

    et ipsi tamquam apostoli et conciliarii ho11oret1tur et corona ecclesiae; su11t enim co11silium et curia ecclesiae. 197 Ed. F. X. FuNK, Didasc. el Const. Ap. II (1905).

    m Per la cons11crai:ionc del vescovo è detto: et presbylerium adstet q11iesce11s (68).

    165 (v1,680)

    otpE
    ficato particolare di 1tpfo[3vc; = ambasciatore, inviato (~ col. r 72 ), il nostro verbo viene a significare essere ambasciatore, inviato, ovvero svolgere l'attività di inviato, /ungere da ambasciatore, portare un messaggio, trattare, ecc. In tale aècezione politico-giuridica è frequentissima la forma media di 'itpExE-.' dc; Bu~ci.v'tLov nÀ.Éwv, 1rvlx' ÈXEi:vo1 "ttX 7tÀ.oi:a 'ltpEO·BEvw l

    Cfr. A. HEUSS, Abschluss rmd Be11rk1mdung

    des griech. rmd rom. Sta(ltsvertrages: Clio 27 ( r9_34) 14-53 . 2

    Circa le mansioni, l'inviolabilità, l'onore e

    i diritti dei legati dr. A. v. PREMERSTEIN, att. legatus in: PAULY-W1ssowA 12 (1925) 1138. 3 Documentazione in D. MAGIE, De Roma·

    (v1,681) 166

    't"à. "t"01hou X~"t"Écrxov ... , «e, incaricato di trattare per costui (sci!. FOl'mione), se n'è andato per nave a Bisanzio, mentre coloro trattenevano le navi di costui». Per il costrutto 1tPE0'(3Euw l'.m:Ép 't"Lvoc; cfr. ancora Ditt., Q,., I 339,6; Syll.' II 656,19; 805,6; P. Lond. III IX78,14; P. Lips. 35,12. In senso traslato, con l'accusativo della cosa, 7tpEcrPEvw può essere usato anche nel significato di sostenere una causa, un'opinione: Epict., diss. 4,8,IO; Luc., piscatol' 23; Gal., de bonis et malis sucis r,ro (CMG 5,4,2 p. 391,18) ecc. 2.

    Per l'uso linguistico protocristiano

    è importante notare che l'idea d'inviato passò anche nella sfera religiosa. In Filone r.pEi}ap-çov, 1tpE
    Beih. z. ZNW 8 (1929) 34-39; G. BORNKAMM,

    11orum iuris publici sacrique vocabulis solemnibus in Graecmn sermo11em co11versis (1905)

    Mythos rmd Legende i11 den apokryphe11 Tho111asakte11 (1933) 9 s.; G. WmENGREN, Mesopotamian E/emen/s in Manischeism, Uppsala

    86-90.

    Universitets Ai:sskiiEt 1946, 3 (1946) 168-174;

    167 (VI,681)

    1tpEcr(3Evw 2-3 {G. Bornkamm)

    •Tic; e rcpEcrf3Euw. Cfr. comunque i predicati del redentore: o npEcrBw-.i)ç ò a7tÒ \OU \.hjJouc; &.nocr't'aÀElc;, «l'ambasciatore inviato dall'alto» (act. Thom. IO); ÉÀl>È o7CpEcrBEu\iic; \W\I 7tÉ\l't'E µE-

    Àwv 5, «vieni, inviato delle cinque membra» (ibid. 27; cfr. 85). Nei testi manichei 6 gl'inviati celesti sono costantemente chiamati 7CpECT~EU>1}c;, così pure Mani e i predicatori della dottrina manichea 7 , Anche i filosofi stoico-cinici itineranti dell'età ellenistica (~ I, coli. 1093 ss.; V, coll. 4r4 ss.) si circondano dell'alone di messi ed araldi degli dèi 8 • Anche nel cristianesimo antico 7CpEcr(3Eu>l)c; è usato per indicare i messi di Dio: Ignazio esorta i cristiani di Filadelfia a scegliere un otcixovoc; da mandare ad Antiochia Elc; 't"Ò rcpEcrf3Eucrat bce~ 1}Eou -.-cpEcrBElav (Phld. ro,r); cfr. anche Sm. II ,2: XELPO't'O\lfjcrat ..• 1}eo7tpE
    Manichiiiscbes in den Thomas-Akten: ZNW 18 (1917/18) 2; BORNKAMM, op. cii. (~ n. 4) IOO·I03.

    BoussET,

    6 Cfr. l'indice dei manoscritti manichei della collezione A. Chester Beatty I (Ma11ichiiischc Homilien, ed. H.J.PoLOTSKY (1934]); n (A Manichiian Psalm-Book, ed. C. R. C. ALLBERY (1938]); anche Kepbalaia I (ed. C. ScHMIDT [1940]) 4,34; 43,15; 45,1; 52,20.32; 56,15. r9.27; 57,16 s. e passim. 1 Cfr. Manicbiiische Homilien (~ n. 6) 12,18 ss.: «Essa (la nÀ.«VTJ) uccideva i messi che

    (vr,682) 168

    da Dio. In quest'uso linguistico si nota ad ogni modo con assoluta chiarezza che il termine 7tpEEov 7ttlpaxaÀoU\l"t"Oç ot'1)µWv· OEOf.1Eila V7CÈp

    wc;

    correvano qui con gli scritti del re». Già cln W.ENDLANo, Hc//. Kult. 88-96 costo· ro vengono giustamente paragonati ai predi· catori itineranti cristiani. Ulteriori indicazioni in HEINRICI, Se11dschr. II a 2 Cor. 5,20 e Wrno1scH, 2 Kor. a 2 Cor. ),20; inoltre H. WINDlSCH, Pa11/us tmd Cbristt1s (1934) 49-52 e passim; K. H. Rt::NGSTORF 4 I, coli. 10938

    XIOJ. 9 Poll.,

    0110111. 8,137 mostra quanto sia prevalente nel termine 1tPEO"aeu-n'Jç l'idea del servizio di ambasciatore e araldo: ò lìÈ npi;:crf3EU· -ri)c;, El'J) 8.v iJ:yyi;:À.o<; xat lìi.6.xovoç· hÉpa.ç oÈ xpdac;, xrjpu~ xa.L CT'ltovlìoq:i6poc;. Anche nei papiri 1tpEiraEvEW è attestato nell'accezione generica di essere messaggero, portare una notizia; cfr. P. Oxy. xn 1477,16; PREISIGKE, 'Y/ort., s.v. 10 T utto sommato è abbastanza significativo che Paolo non si veda alla maniera degl'inviati divini dell'ellenismo ed eviti (anche in 2 Cor. 5) lo stile del discorso rivelatorio apodittico.

    1 r;~

    (v1,682)

    1CpE<1(3EùW 3 (G. Hornkamm)

    Xptu'tou, xa'ta.ÀÀ.a:yt}u 'ti{) i}e4), <<noi dunque siamo ambasciatori cli Cristo, come se Dio stesso vi esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo da parte di Cristo: riconciliatevi con Dio». L'uso della solenne e ufficiale espressione 1tpEcrBEl'iw viene motivato (oùv) dall'Apostolo con l'argomento che l'opera di riconciliazione col mondo compiuta da Dio in Cristo comporta allo stesso tempo l'inizio del messaggio della riconciliazione (5 ,r 8: OW,.Y.OVta 't'Q<; XCl.'tl'l.À.Àa.yf}ç, «il ministero della riconciliazione»; v. r 9: Àoyoc; 'ti)ç xa'ta.ÀÀ.a:yfjç, «la parola della riconciliazione»). L'opera e il messaggio della riconciliazione sono uniti indissolubilmente e vengono associati e legati l'uno all'altra nelle locuzioni parallele "ou xa.'taÀ.À.a~av'toç 1}µ&.ç ÈCt.U't'ci> OtCÌ. Xpt
    vezza Paolo può indicare la propria attività col verbo O"VVEpydv (6,x) e proclamare l'inizio del giorno della salvezza finale (nello spirito di ls. 49,8) con l'annuncio del messaggio della riconciliazfone ( 6,2 ). La locuzione Ù7tÈp XpLO''tOU 7tpecr(3EVELV (5,20) esprime proprio, nella maniera più incisiva e pregnante, questo carattere autorevole, ufficiale della predicazione 11 • Ciò significa che l'autorità del messaggio è data dal fatto che Cristo stesso parla per bocca del suo inviato, ovvero (il che per l'Apostolo è la stessa cosa) che Dio esorta direttamente gli uomini usando l'Apostolo come sua bocca. Nel ministero e nell'annuncio della riconciliazione l'opera della riconciliazione già compiuta in Cristo diventa realtà presente, si attua come proposta e invito alla fede che accetta questo evento. A tal proposito è importante notare che la nostra affermazione intende mettere in risalto l'autorevolezza del (contenuto del) messaggio e non l'autorità (formale) di una persona investita di un dato ufficio. Anche quando si tratta di difendere il proprio apostolato Paolo non insiste sull'autorità formale del suo ufficio apostolico (Gal. 1,8; IThess. 2,7).

    11 Il v. 20• vuole stabilite un
    12 Cosl K. H. RENGSTORF, ApostoJat und Predigtamt' (1955) 19 n. 52:

    Il doppio v1tÈp XptO"°'ou (5 ,20• e 20.,) non può quindi essere assolutamente inteso in due modi diversi 12• Piuttosto 5,

    171 (v1,682)

    2oa spiega perché l'Apostolo possa dire che la sua supplica è una supplica «per Cristo»: perché è Cristo stesso che parla nelle parole del suo ambasciatore. In questo senso Paolo 'rappresenta' Cristo. Non è quindi sufficiente tradurre imèp XpL
    =

    Cosl, ad es., LrnTZMANN, Kor., ad l. Cfr. BULTMANN, Theol. 299 s. 15 Cosl inerpreta malamente G. SASs, Apostelarnt und Kirche (1939) 81: «L'Apostolo sta cosl per Dio al posto dove prima (sic!) stava Cristo, quale continuatore (sic!) dell'opera di Cristo». itpEcr~v·t"Jl<; · I Cosl trad, 1tpEo-{3v't'l'}ç LoHMEYER, Philm.,

    so di un complemento di vantaggio). 1tpEcr(3u't1JC:.

    Paolo si dice 1tpE
    G.

    Il

    ad l., e altrì.

    14

    2 itpEcrf3v-cT]<;

    BoRNKAMM

    = ambasciatore, inviato, messaggero: 2 Mach. 11,34; 2 Par. 32,31 (cod. B); I Mach. r4,22; 15,I? (cod. N).

    3 Cfr. F. BoLL, Die Lebensalter, N. J:ilubuch KI. Alt. 31 (1913) 89·145, spec. 114-u8; Dr.

    BELIUS,

    Gejbr., ad l.; PREUSCHEN·BAUER., s.v.

    1tpE0"(3U'"CT}<;.

    173 (v1,683)

    7tp6 A I (B. Reicke)

    (VI,683) 174

    7tp6 SOMMARIO:

    A. Uso di 'ltp6 nel N.T. (dati li11gr1istici): di luogo; cli tempo; 3. uso metaforico. 1.

    2.

    B. Uso biblico·teologico di 7i:p6 nel contesto della storia della salvezza: 1.A.T.; 2.N.T.; 3. Padri apostolici.

    'ltpo col genitivo significa davanti a; è affine a mx.pcX. (-+ Ix, coll. 467 ss.), a -+ 1tp6<; ecc., come anche alle preposircp6 Per A: ]. F. A. PROCKSCH, Z11r Bedeutu11g vo11 'ltpé: Zeitschrift fiir das Gymnasial-Wescn 32 (1878) 321-326; J, GouscH, Z11r Bedeulrmg der Priiposition rcp6: Jahrbuch fi.ir Phil. n9 (1879) 806 s.; P. VIERECK, Sermo graecus (1888) 81; W. Sct-IMID, Der Atti:dsmus III (1893) 287 s.; IV (1896) 464.614.629; W. Sc11MIDT, De Flavii Josephi elocutione observatio11es criticae, Jahrbuch fiir classische Philologie Supplementband 20 (1894) 395.513 s.; A. N. ]ANNARIS, A11 Histarical Greek Grommar (1897) §§ 16441653; Ki.iHNBR-BLASS-GERTH Il l , 454-456; W. ScHULZE, Graeca latina, Programm zut akademischen Preisverteilung G<:ittingen (1901) 14-18; E. A. AnBOTT, Johannine Grommar (1906) 227; J. H. MouLTON, A Grammar of N.T. Greek 1 (1906) mo s.; J. RouFFJAc,

    Recherches sur les caractères d11 grec dans le N.T. d'après les inscriptions de Priène, Bibliothèque de l'École dcs hautes étudcs, Sciences religieuses, 24,2 (19u) 29; P. REGARD, Conlributio11s à l'étude des prépasitio11s d1111s la langue du N.T. (19x8) 544-549; A. T. RoBERTSON, A Grammar of the Greek N.T. 1 (1919) 620·622; BAUER, ]oh. a Io. 12,1; Jo· HANNESSOHN 184-198; F. M. ABEL, Grammaire du grec bibliq11e, Études bibliques (1927) § 46 i; J. WACKERNAGEL, Varlesu11ge11 i.iber Syntax' n (1928) 194-196.2n s. 231-233.237-240. 320 s . ; MAYSER II x,19 e passim; 2,390-392 e passim; 3,60; SCHWYZER II 505-508; C. F.

    zioni latine prae, pro e simili. Molto usato fìn da Omero, 11:p6 è presente anche nei LXX, circa 260 volte; nel N.T. è usato solo 48-49 volte e nei Padri apostolici 21 volte. Inoltre è usato in molti composti, come 1tpo&.yrn1 (~ I, coll. 349 ss.) ecc.

    A . uso

    DI STICI)

    1tPO

    NEL N.T. (DATI LINGUI-

    I. Di luogo. 7tpÒ 'tfi<; Mpa.<;, «davanti alla porta» (Act. 12,6); similmente 'ltpÒ MOULE, An Idiom-Book of N.T. Greek (1953) 74; PRIWSCHEN-BAUERs, s.v.; BLASS-DEBRUNNl!R9 §§ 213.:u7,1 .395.403.406,3; anche la bibliografia generale sulle preposizioni in PREUSCHl!l-f-BAUER', s.v. 1h1&. e ~ II, coli. 907 s. bibl. per 8~&.; ~ ix, coli. 469 s. bibl. per

    'lta.pck. Per B:

    P. LonSTEIN, La 110tion de la préexistence du Fils de Die11. Fragment de christologie expéri111e1JJale (1883) 11-124; H. SCHUMACHER, Christus in seiner Priiexistenz 11. Kenose nach Phil. 2.J·8, 1(x914)131-232; u (1921) 95-266. 307- 327 . 388 - 397; E . BARNIKOL, Me11sch tmd Messias. Der flichtpaulinische Ursprtmg der Priiexisten:1.-Christologie, Forschungen zur

    Entstehung des Urchristentums 6 (1932); J. GRoss, Le mystère de l'Homme-Dieu danr la théologie récellte: Revue des Sciences Religieuses 20 (1940) 379-397; J.BARBEL, Christos A11gelos. Vie Anschauung von Christus als Bote u11d Engel in der gelebrten und volkstiimliche11 Literatur des Altert11ms (1941) 37311; O. CuLLMANN, Christus und die Zeit. Die urchristliche Zeit- tifi Gescbichtsail"lfasstmg (1946) 13-189; H. VOGEL, Christologie I (1949) 79-218; G. LINDBSKOG, St11die11 wm nt.lichefJ Schop/11ngsgedanken, Uppsala Universitets Arsskrift 1952, I I (1952) IJ-83.163-272; E . ]ENNI, Das Wort 'oliim im A.T.: ZAW 64 (1952) 197-248; 65 (1953) l-35; O. CuLLMANN, Die Christologie des N.T. (1957) 2533:z3.

    175 (VI,683)

    'ltp6 A r (B. Reickc)

    -rou 1tUÀ.wvoc;, «davanti al portone»

    Almeno il testo del codice D ha probabilmente questo significato: oi. 8È i.Epc.i:c; 't"OU ov-.oc; ALÒ<; 1t()Ò -r.6À.Ewc;, «ma i simile, ma in senso figurato: looù ò :x:p~­ sacerdoti dello Zeus locale (ov'toc; qui è 't..i}c:; 1tpÒ •WV i}upwv fo'tTJXEV, «ecco, il preposto al nome del dio), protettore giudice (escatologico) sta alle parte». della città». Infatti, non solo abbiamo il costrutto npò 1t6À.Ewc; senza articolo, Calco dell'A.T. (ebraico: li/ne) è la loma il significato locale «prima (oppure : cuzione 1tpÒ 1CpOO"W7tOU i;w6c;, avanti all'entrata) della città» non si adatta a qualcuno, innanzi a qualcuno (preceden- O'JToç = «locale (del luogo)». In numedolo), prima di qualcuno: Mt. II,10; rose iscrizioni greche compare la formula analoga "Ap'tEl.LLç npò 1tOÀ.Ewc:; Mc. 1,2; Le. 7,27 (tre citazioni di Mal. ccc. 5 e l'editore del Corpus lnscriptio3,1; cfr. Ex. 23,20); inoltre Le. 9,52; num Graecartttn ha finito per tradurre 1tpo 1t6Àt::wc; con ante ttrbem, mentre in 10,1 (Act. 13,24 ~col. 179) 1• un primo tempo aveva optato per la traAct. 14,13 : ò lEpeùc; 't"OV Atòc:; i;ou duzione tutor ùrbis 6 • Gli studiosi sucov-roc; 1tpÒ 't"fjc; 7tOÀ.Ewc; è solitamente cessivi lo hanno poi seguito nel suo tradotto «il sacerdote del tempio di ripensamento. Rimane però da consideGiove posto all'entrata della città (di rare il fatto che le summenzionate iscrizioni non sono state trovate fuori dcl Listra)». Analogamente a casi in cui perimetro urbano e non è affatto pro1tp6 indica l'idea di una divinità protet- vato che i templi in origine fossero sitrice 2, il testo potrebbe però riferirsi a tuati, come si suppone, fuori città. Tuttavia il fatto che nelle iscrizioni suddetZeus quale patrono della città, cosl che te l'attributo 1tpÒ 1toÀEwc; sia ripetutala frase 7tpÒ i;fjc; noÀ.Ewc; potrebbe essere mente associato con epiteti e nomi eloconsiderata sinonima di 1tOÀLEuc:;, «pro- giativi corrobora la convinzione che si tratti di divinità tutelari della città. Per tettore della città» 3, un epiteto carattequanto riguarda Act. 14,13 bisogna iristico di Zeus, benché anche altri dèi noltre notare che si tratta proprio del appaiano quali protettori e patroni di dio Zeus che nell'Asia Minore appare talvolta come patrono della città 7• È città 4 • cosl lecito chiedere se non si debba pos(Act . 12,14). Iac. 5,9 ha una locuzione

    1 Presso i Padri apostolici troviamo le locuzioni 1tpÒ 6q>ita.À.µWv EXEW o À.a.µ{3éc.vm1 e rcpò 6q>i>aÀ.µwv 'twoç Etvat: mart. Pol. 2,3; I Clem. 5,3; I Clem. 2,1; 39 13. L'ultimo modo di dire viene dai LXX (Deut. n,18; lob 4,16). 1 ~ JANNARIS § 1648. l G. KRUSE, art. 'Polieus' in PAULY-WISSOWA :lI (1952) 1376-1378. 4 Cfr. l'elenco dei patroni della città di Nicea in Bitinia ripottato in Dio Chrys., or. 39,8: «Invoco Dioniso, patrono cli qucstn città; Eracle, fondatore di questa città; Zens, protettore della città (lloÀ.~eu<;); Atena, Afrodite, Filia...

    e le altre divinità». 5

    Cfr. CIG II 1462. 2963 c. 2796. 3194. 32n . 3493; G. RADET, Inscriptions de Lydie: BCH I I (1887) 29,5 (p.469); TH. WIEGAND, Mi/et, Ergchnisse dcr Ausgrabunge11 und Untersuchungen seit dem Jahre 1899, I 7 (1924) 299 nr. 204 a 6. 6

    A. BoECKH, CIG u (1843) 605a 2963c.

    Esempi: protettore di Sardi: CÌPXLEpÉa 'tij<; 'Acrla<; vawv 'tW\I t-.1 Av&lcy. .tap&Lo;vwv, xo;ì lEpÉa JJ.Eylcr'tOV IloÀ.~Éwç Atòç ≤ (CIG JI 3461,3); di Ilio: 1tpolhleubat -r~ Atl 't0 Ilo. À.LEt -rà 1ttµµa'ta; (CIG II 3599,24). 7

    ;;i;6 A l-2 (.B. Reicke)

    sibilmente riferire anche il testo usuale squa}> (lo. l l ,5 5 ); «avanti la festa deldi Act. 14,13 a Zeus tutore di Listra, la pasqua» (Io. 13,1); «quattordici anni benché qui la frase npò 'ttl<; 7t6À.Ew<;, sia fa» (2 Cor. r2,2); «prima dell'inverno» per la posizione di èhrroç sia per la pre(2 Tim. 4,ZI). 1tp6 ha una notevole imsenza dell'articolo, non costituisca certamente un epiteto. Le circostanze og- portanza in riferimento a Cristo e algettive possono confortare tale interpre- l'elezione:
    W. M.

    RAMSAY,

    St. Paul the Tmveller "

    ( 1908) II 8 S. 9 MAYSF.R n 2,539; JoHANNESSOHN 189 -198.

    10

    BLAss-DEBRUNNER9 § 214.

    Il MAYSER II 1,1 5 2. 12

    Buss-DEBRUNNER' § 403.

    1tp6 A 2 (B. Reicke)

    zione dell'azione: 1tpÒ 't"OV 't"ÒV xéaµo'\I dvm, «prima che il mondo cominciasse ad esistere» (Io. 17,5).

    (vr,685) i8o

    Casi analoghi con un µE."ta che regge l'accusativo mostrano che nel nostro passo 7tp6 è legato solo al primo genitivo, mentre il secondo genitivo va inteso come ablativo: µE"tà òf.xa. hn -.ou obcfjcrm 'A~pൠÈv 'YTI Xavciav, «dopo dieci anni che Abramo dimorava nel paese di Canaan» (Gen. 16,3 [LXX]);

    µE"ttX 1)µÉpw; EfaOO"L 'tlJc; 'ltpO"tÉpC1.<) Òp6:.0"EW<), «venti giorni dopo che era avvenuta la prima visione» (Herm., vis. 4, 13 l,I) • Questo modo di dire è attestato anche nel greco seriore 14 e può in origigine non essere un latinismo. Per analoghe locuzioni con 'ltpo ci sono anche esempi preromani: 'ltpÒ 'tpLW\I "ÌJµEpwv 'tljc; 't'EÀ.EUTl'jc;, «tre giorni prima della fine» (Hippocr., epid. 7,5r) 15 ; npò hwv 'tou <1wrµou, «due anni prima del terremoto» (Am. r,r (LXX]; cfr. 4,7); 1tpò µtéic; 1JµÉpac; 'tfjc; Mapooxai:xijç 1}µEpaç, «un giorno prima (cioè la vigilia del giorno) di Mardocheo» ( 2 Mach. I5,36); 1tpÒ ét.µEpéiv oÉxa 'tW\I µuO"'tT)plwv, «dieci giorni prima della celebrazione dei misteri» (iscrizione dorica di Andania in Messenia, del 91 a. C.) 16. Questo modo di dire popolare divenne però veramente comune soltanto in epoca romana 17, ma non si tratta affatto - come si pensava una volta - di un vero latinismo. Neanche date indicate in base al calenda.rio romano, come ad es. 1tpb ÈWÉa. KaÀavow\I kE1t"tEµ~plwv, «nove giorni prima delle calende di settembre» { = il 24 agosto: lgn., Rom. 10,3; dr. mart. Pol. 2 r ), sono latinismi perfetti, anzitutto perché si usa un numerale cardinale e non ordinale, come richiederebbe il latino (ante diem nonum) 18, e poi perché il giorno che serve da riferimento fisso per il computo sta al genitivo e non all'accusativo, come in latino (Kalendas) 19 • In tutti que-

    13 In Act. 1 ,5 abbiamo una forma ibrida di di questo costrutto dovuta ad una assimilazione del caso: µE't"CÌ 1tOÀ.À.CÌç 't"CXU'tcxç )̵Épcxç (invece 'di 'tOU'tWV i)µEpwv; dr. la Vulgata: non post multos hos dies); BLASS-DEBRUNNER9 § 226. Non si può dire con certezza se anche nell'uso di 1tp6 si tratti talvolta, in questi testi, di assimilAzione del caso (-+ ScHMID ur 287; iv 614 parla a questo propo· sito di attrazione del caso), perché 1tp6 regge già di per sé il genitivo. 14 -> ScHMrn 1v 458; -+ ScHuLZE 15.17.

    is Ed. LITTRÉ 5,420. Generalmente questa parte delle epidemiae è considerata spuria, ma può ugunlrnente essere addotta come documento dell'età preromana; cft. PREUSCHEN-BAUER.', s.v. 'f̵Ép!X. 2; BLASS-D.EBRUNNER? § 213, appendice. 16 Cu. MICHEL, Recucil d'inscriptions grccques (1901) nr. 694,70; DITT., Syll.l Il 736,70. 11 -+ ScHULZE 15. 18 -:) AilEL § 46 i. 9 19 Ulteriori indicazioni in BLAss-DEBRUNNER §§ 213.226, appendice; SCHWYZER II 98 c.

    In un caso (Act. 13,24) il semitismo I 74 s.) sta al limite tra il significato locale e quello temporale: 7tpOXT)put;a'll"toc; 'Iwti:wou -n:pò -n:po
    La locuzione peculiare 'ltpÒ 2t; 1}µEpw'll -:ou 'ltacrxa (Is. 12,1) significa letteralmente «sei giorni prima contando dalla pasqua», cioè «sei giorni prima della pasqua».

    ov

    ouo

    IISI lVI,M5J

    1tp0 I\ 2 - il I (il. KCICkCJ

    (VJ,M6) 11!2

    trovano un significativo impiego teologico. A questo proposito bisogna ricordare in primo luogo tutte le affermazio6,5,3)2(), ni che sottolineano la premondanità o 3. Uso metaforico. In quest'uso par- addirittura l'eternità di Dio, ad es. Ps. ticolare 7tp6 indica preferenza: 7tpÒ miv- 90,2: «Prima che i monti fossero nati 'tWV «soprattutto», «prima di ogni coe la terra e l'universo fossero creati, sl sa», ecc. (Iac. 5,12; I Petr. 4,8; Did. IO, da eternità in eternità tu sei, o Dio». 4); cfr. rtpò 7CctV't'6c;, «prima di tutto» Queste locuzioni, talvolta formulate in (Polyc., ep. 5,3); oppure anche prote- maniera liturgica, hanno lo scopo di far zione: probabilmente va inteso cosl il risaltare l'eccellenza e la grandezza di 7tp6 di Act. 14,r3 (~ coll. 175 ss.). Dio e in tale orizzonte non si pone affatto il problema logico di come Dio po. B. USO BIBLICO-TEOLOGICO DI 7Cp0 NEL tesse esistere già prima del mondo e del CONTESTO DELLA STORIA DELLA SALtempo. Questo fatto non dipende solVEZZA tanto dal carattere dossologico dell'affermazione teologica, bensl anche dalla r. Antico Testamento mancanza in essa, per l'A.T., di qualPoiché l'A.T. ha un senso tutto par- sivoglia antinomia. Da un lato, infatti, ticolare del tempo e delle situazioni ]"eternità' non è concepita alla manietemporali (storia delle origini, storia del ra filosofica come una entità astratta, popolo di Dio, escatologia), i concetti senza contenuto e senza tempo, ma in di tempo primordiale (~ r, coli. 535- modo irriflesso come un tempo il più 545, al.wv), di priorità e di anzianità vi lontano immaginabile, ma pur sempre hanno una parte importante. Ciò che con un preciso contenuto 21 ; dall'altro esisteva già ai primordi o almeno nel- Dio, il signore della storia; è considerato !'antichità ha una dignità tutta partico- anche il signore del tempo (ad es., Is. 40, 22 lare, come ad es. i patriarchi. In tale 28) , cosl che la sua 'eternità' coincide contesto le espressioni che indicano la con la sua onnipotenza 23 • Alle affermapriorità, che significano prima, avanti zioni sulla premondanità di Dio fanno (ebraico: b"!erem, li/ne; LXX: 7tp6), inoltre riscontro quelle sulla preesistensti casi 7Cpo ha propriamente valore d'avverbio: prima. Cfr. 7CpÒ µLiic;, «un giorno prima» (Did. 7,4; Herm., sim.

    7tp6 può avere questo valore avverbiale anche nell'accezione spaziale: 'ltpb 'lto)..)..o\i 't'ijç 'ltOÀEWt; (ablativo; SCHWYZER II 96): «molto prima, calcolando dalla città = molto prima della città» (Dion. Hal., ani. Rom. 9,95,5). Cfr. il costruto con èm6: oò yà.p 'l'io-cxv µcxxpà.v ct1tÒ 'tljç yfjç, aÀ.Àà wç
    xoulwv, «non erano infatti molto lontani dalla riva, ma ne distavano circa 200 braccia» (Io. 2r,8). 21 ~ ] ENNI

    25,50.55 S,

    22 ~ ]ENNI

    67-70.

    23 ~ ]ENNI

    55 S,

    I

    83 (VI,686)

    o.p6 Il 1 -2 (Il. Rcicke)

    za della sapienza che sarebbe stata crea- sottolinea che Dio ha preordinato il Fita prima del mondo e dell'universo e glio e la salvezza da lui portata «prima perciò avrebbe partecipato alla crea- di tutti i secoli», «prima della fondazione. Queste affermazioni sono concen- zione del mondo», ecc. (-> col. 178). trate soprattutto in Prov. 8,22-31 ed Tuttavia 1tp6 è usato in questo modo Ecclus 24,9 (r4), dove la sapienza, in specifico soltanto in Giovanni, in Paoconnessione con la scuola di maestri di lo e nelle lettere più tarde. Conformesapienza, parla di se stessa in simili mente alla persuasione che a Dio spettermini. Queste idee precorrono in pat- tano «gloria, maestà, potenza e domite le affermazioni del N.T. sulla pree- nio da ogni e tcrnità » (I udae 2 5), Gesistenza di Cristo(~ qui sotto, 2). Per sù è consapevole di aver avuto gloria il resto il concetto di prima si trova nei divina <{prima della fondazione del moncontesti pit1 diversi, quando si pada di do» 25 · (Io . 17,5.24). Nel prologo giomomenti nello sviluppo del mondo, del vanneo sul Logos (Io. l,1-18) vengono popolo di Dio e del singolo uomo: an- esposti in termini teologici la preesiche in questi casi l'accento cade spesso stenza

  • Il Gesù sinottico ern nlttettanto consapevole della propria preesistenza? La risposta a tale interrogativo dipende da come si giudico il titolo di 'Figlio dell'uomo'. Cfr. nnche la questione riguardane il 'Figlio di David'; G. 25

    H. IlOODYl!R, Mark xii. 35-37 a11d tbe PreExistence of Jesus i11 Mark: ExptT 5r (r939/ 40) 393 s.

    r;p6 B 2 (B. Reicke)

    (VI,688) 186

    ste (vv. l6.17b). La preesistenza di Cristo non è qui un teologumeno specufotivo, bensl un'espressione dinamica dell'illimitata e universale signoria di colui al qmtle è sottoposta la chiesa con la sua missione universale. In altra prospettiva I Cor. 2,7 (7tpÒ -.w'Y a.lwvwv, <
    quell'opera di Dio che consiste nell'evento di Cristo e nel kerygma di Cristo e che, per l'inestimabile grazia di Dio, è concesso proprio all'umanità presente di conoscere, di vedere, di provare. In coincidenza con questa particolare e privilegiata posizione dei credenti quali destinatari della grazia eterna, in Eph. r, 4 ('1tpÒ xa.-.a~oÀ:ijc; x6crµou) si parla dell'elezione precosmica (~ vr, coJI. 400 ss., ÉxÀ.ÉyoµaL) dei credenti alla comunione con Cristo, così che in questo passo si accenna all'idea (cfr. 7tpoopLcrl rel="nofollow">év-n:c; al V. I I; ~VIII, coll. 1278 ss., 1tpoopl~w) della preesistenza della chiesa (-? IV, coli. r513 ss., ÈxxÀ:r1crla.). Anche in rapporti meno specifici Tt:p6 è spesso usato per esprimere che Dio predetermina o prevede le cose. Dio decide in anticipo il nome del figlio di Maria (Le. 2,21); sa già anticipatamente di che gli uomini hanno bisogno (Mt. 6,8). Secondo Io. 1,48 e l3,r9 anche Gesù è dotato di prescienza 26 • Gli eventi della storia della salvezza si compiono secondo un piano divino, sicché l'uno deve precedere l'altro (Le. 2r,12; 22, 27 l 5) • Secondo il piano salvifico di Dio, prima che apparisse la fede l'uomo era un prigioniero sotto la legge (Gal. 3,

    26 Sulla questione delle facoltà conoscitive di Gesù cfr., ad es., E. GuTWENGER, Das menschliche Wissen des irdischen Jesus: Zeitschrift fiir katholische Thcologie 76 ( 1954)

    di Luca, mentre sarebbe stata meno sviluppata nella tradizione evangelica più antica. È anche sintomatico che il '1tp6 dci succitati passi lucani non abbia riscontro negli altri sinottici. Tuttavia il concetto di piano salvifico è presente anche nei due primi vangeli, ad es. Mt. 8,29 (discusso nel corpo dell'articolo) e

    170-186.

    H. CONZELMANN, Die Mille der Zeit (1954) Br s. n2 s, n6 .128-133 ccc., sostiene che l'ide11 di un piano di salve-.lza è una caratteristica 27

    Mc. 14,41.

    187 (v1,688)

    'ltpb B 2-3 (B. Reickc)

    2 3 ). Persino gli spiriti malvagi hanno un'idea dello svolgimento predeterminato della storia della salvezza, benché ne valutino male i movimenti, così da credere che il Figlio di Dio sia venuto «innanzi tempo», «in anticipo», «prima del previsto» (Mt. 8,29: 1tpÒ xatpou). Troviamo la medesima espressione in I Cor. 4,5: i credenti non dovrebbero giudicare «prematuramente», prima che sia venuto il Signore. Per Paolo anche Ja priorità nella fede in Cristo o nella chiamata alJ'apostolato ha una grande importanza (Rom. 16,7; Gal. 1,17; cfr. le sue considerazioni sulla priorità dei Giudei in Rom. 3,1 s. ecc.). Anche ogni volta che si parla di precursori c'è un riferimento implicito ad un piano della

    salvezza che si svolge secondo un determinato ordine cronologico. Come pre·· cursori compaiono i profeti (Mt. 5,u), il Battista (Mt. n,ro; Mc. l,2; Le. l,76 [variante]; Act. 13,24), in parte anche 7tpoayw ~ r, coll. 349 ss.

    (vr,688) 188

    i discepoli rispetto al Signore della chiesa (Le. 9,52; 10,1); al contrario i seduttori del popolo, che Io. l0,8 chiama ladri e banditi, sono comparsi prima della venuta di Gesù, senza alcuna coincidenza col piano salvifico di Dio. In diversi di questi casi abbiamo l'espressione rafforzata 7tpÒ 1tpOO'W7tOU (~ col. 175) che conferisce al concetto di precursore una sfumatura di significato spaziale(-? col. 179). 3. Padri apostolici

    La preesistenza di Cristo è menzionata in Ign., Mg. 6,1: <<. .. Gesù Cristo, il quale prima dei secoli (7tpÒ et.lwvwv) era presso il Padre» (cfr. Io. l,18). 2 Clem. 14,1 parla della preesistenza della chiesa: « ... apparterremo alla prima chiesa, quella spirituale, creata prima del sole e della luna». Nel saluto che apre 1a sua lettera agli Efesini, Ignazio afferma che la loro chiesa è «predestinata prima dei secoli ( 7tpÒ a..lwvwv) ad una gloria eterna».

    B. REJCKE

    189 (VI,688)

    t

    7tp6~cx:tov,

    A.

    'ltp6{3a:tov A 1-3 (H. Preisker/S. Schulz)

    t rtpo~ci-ri:.ov

    IL TERMINE FUORI DEL N.T.

    r. La pecora domestica va distinta dalle pecore selvatiche che vivono a branchi sulle montagne e nelle steppe di tutti i continenti. Il valore principale della pecora domestica è dato dalla produzione della lana 1• Il clima e le caratteristiche del territorio condizionano le variazioni delle razze ovine 2• In Palestina l'allevamento delle pecore è l'attività più diffusa insieme con l'agricoltura. La carne di pecora è considerata deliziosa e oltremondo ricercata 3 • Inoltre la pecora è frequentemente usata per i sacrifici. Le pelli di pecora conciate forniscono ai pastori mantelli e giubbe, mentre la lana serve per confezionare i principali capi d'abbigliamento 4• 2. Il tctmine Tip6Ba:rov è poco usato nel greco arcaico e manca del tutto presso i tragici. Anche il diminutivo TipoB
    presto 7tp6f3a-i-o\I indica il bestiame minuto: Hom., Il. 23,550 (opposto: LTITIOL); in Hdt. l,133; 8,137 -i-à. Àrn-i-à "'tW\I rcpof3ci't't•W, «i capi di bestiame minuto», sono pecore e capre. In attico 7tp6BC1.."'tO\I indica prevalentemente le pecore (Aristoph., av. 714), cosl anche nei papiri (P. Tebt. I 53.7; 64b 16). b) 7tp6f3et."'tO\I è chiamato poi· figuratamente l'uomo semplice: Aristoph., nub. 1203. c) Anche un pesce di mare è così denominato in Oppianus, de piscatione 1, 146; 3,139 5 ; Ael., nat. an. 9.38. Gli Stoici usano spesso Tip6f3et.'t'OV come termine di paragone per esprimere inferiorità o stupidità: Epict., diss. 1,23,7 s.; 28,15. Epict., ench. 46,2 si serve dell'esempio delle pecore che producono lana e latte per illustrare il comportamento concreto dell'uomo. Per Epict., diss. 3, 22,35 è affatto naturale che i pastori siano affezionati alle pecore; in questo passo le pecore sono anche immagine degli uomini che il cinico deve guidare. 3. I LXX si servono di 1tp6f3rx.-i-ov prevalente men te per tradurre l'ebraico ~o'n, talvolta per feh, raramente invece per kebef, kabSd, keieb, soneh e riihel. Generalmente rcp6f3a.'t'ov· indica il° bestiame minuto: Gen. 30,38.4os.; Lev. l,2; Deut. 7,13; Is. 7,21; Am. 7,15 6 ; Neem. 5,18 ecc.; può però anche assumere il core nere di grande mole e di robusta ossatura che produco110 una lana molto più morbida delle pecore e delle capre allevate nella parte meridionnle del paese; cfr. E. KLIPPEL, \Vandemngen im Heilige11 Lande (r927) 253; DALMAN, Arbeit VI 180, 3 DALMAN, Àrbeit VI 194 S. 4 DALMAN, Arbeit VI 195 s. s Ed. F. S. LEHRS in Poetae Bucolici et Didactici (1862). 6 Secqndo Am. 7,15 il profeta è chiamato. da Dio ÉX -.wv 1l'po~c1.-twv (cod. B.: tx -twv 1\'PO·

    19r (VI,689)

    7:f.oBa""tov A 3 (H. Preisker/S. Schulz)

    significato più specifico di animale da sacrificio (Gen. 22,7; Lev. 22,2I; Num. 15,3; Deut. 12,6; 16,2), capi di bottino (Nmn. 3 l ,28 ss.) e del dono che si fa allo schiavo quando lo si affranca (Deut.

    come gregge sperduto (IEp. 23,r.2; 27, 17) e pastori infedeli causano alle pecore grandi sofferenze (Ez. 34,23 ss.). Anche il salmista grida a Dio come 15,14). una pecora che vaga perduta (ljJ n8, 176). In Is. 53,6 i «noi», i «molti»(-> In senso traslato 7tp6f3a:to'll è usato x, coll. 1333 s.), sono i peccatori che per indicare il popolo (2 Sam. 24,17; camminano uno accanto all'altro, sbadaljJ 76,21; 77,52; Is. 63,II; lEp. 13,20; tamente, come pecore. A queste pecore 27,6; Ez. 34,2 ss.). In Num. 27,17 Mo- sbandate e sviate viene contrapposto, sè prega Jahvé di dargli un successore in netto contrasto, il comportamento adatto affinché il popolo di Jahvé non del Servo di Jalwé (Is. 53,7): il Servo sia come 1tp6f3a-ra, o~ oùx fo·tw 7tot- viene condotto wi; np6~a-.ov É1tt crqiaµ1Jv. Nella profezia consolatoria dell'e- y+,v, «come pecora al macello». Quesilio Israele è detto 1tp6f3a:ta 'lloµfji; st'uso linguistico affonda probabilmente (ler. 23,1 s.; anche ljJ 73,1; dr. Zach. le sue rndici nella tradizione profetica 9,16; n,5 ss.), il cui pastore (~ x, di Ier. u,19. Mentre in Geremia l'accoll. n97 ss.) è Dio stesso (Ps. lOo,3), cento è però posto sull'inconsapevolezza che li ha miracolosamente tratti dalle della vittima, in Is. 53 si vuole invece situazioni più cririche alla salvezza (ljJ mettere in evidenza il paziente silenzio 76,21; 77,52; Is. 63,u; Ez. 34,10 ss.; del Servo (dr. anche Ps. 39,10) 7 . Ai Zach. 9,16 ecc.). II re (Ier. 13,20 -> 11, deportati Ezechiele promette che alla coll. 140 ss.) o Mosè (ljJ 76,21) possono nuova creazione d'Israele (36,24.36) gli sottentrare a Dio nella funzione di le- abitanti si moltiplicheranno come 1tp6gittimi pastori delle pecore. Ad Israele ~a't'a. (36,J7), anzi i 7tp6~a'ta ~'lltl'pwviene concessa questa particolare con- 1tW'll saranno grandi e numerosi come le solazione, perché il popolo va vagando greggi di pecore che «si era soliti vedere

    .(jlTJ'"tCiv). Il T.M. in 7,15 ha !0'11, ma in 7, 14 bOqér, che viene ricondotto a biiqiir = bovino e ttadotto con 111a11driano. btJqér deriva però da bqr, che va inteso come termine tecnico cultuale e indica una funzione sacerdotale: cfr. Lev. 13,36; 19,20; .:i7,33; .2 Reg. 16,15; Ps. 27,4; Prov. 20,25. Secondo Ez. 34, 1i.12 Dio è sacerdote e insieme pastore per· ché 'esamina' e 'visita' le sue pecore. Soltanto in Ecclus H,7 abbia.mo un uso puramente profano. Anche la parola 11oqéd (Am. 1,1), generalmente intesa nel senso di pastore o

    allevatore di pecore, può valere come termine tecnico cultuale: dr. M. Brc, Der Prophet Amos - eÌll Haepatoskopos: VT 1 (1951) 293-:1.96. L11 chiamata di Amos Èx 'ltpo~&.-.wv vorrebbe allora signific:ire che egli fu riçhiamato dall'ufficio cultuale di esaminatore delle vittime e di aruspice ( epntoscopo) e poté cosl opporsi, nella sua qualità - potremmo dire - di esperto, nl sommo sacerdote dì Bctel. (BER'fRAM]. 7 P. VoLz, ]esaia II, Komm. zum A.T. 9 (1932) ad I.

    -.wv

    1tp6f311.•ov A 3-B 2 (H.

    a Gerusalemme durante le feste, dove vengono raccolte per i sacrifici» 8 • 4. Anche nella teologia rabbinica si parla di greggi di pecore (Ex.r. 2 [ 68b]; M. Ex. 21,37 [95a]); in senso traslato questa .figura significa il popolo d'Israele (Pesikt. r. 26; Num. r. 23 [193c]). Nella grande visione onirica di Hen. aeth. 89 e 90 (la cosiddetta 'apocalisse delle pecore') l'apocalittico, che presenta gli uomini come mandrie 9 , vede nella figura del 7tp6Pcx:to\I i grandi uomini, profeti e re come Mosè (89,16), Aronne (89,18), Samuele (89,41-50), Saul (89, 42), David (89,45), Noè (89,1 s.), Abramo {89,ro) ecc., oppure tutto quanto il popolo d'Israele o i giudei fedeli alla legge (90,6). Egli distingue tra pecore sorde (90,7), cieche (89,74) e accecate (90,26 s.) da una parte, e pecore bianche (i giudei rimasti fedeli) dall'altra. La santa, nuova comunità, che è passata per mille sofferenze, è rappresentata dalle pecore bianche (90,32) a cui alla fine rendono omaggio tutti i pagani (90,30 ). Di conseguenza Dio è chiamato il «signore delle pecore» (89,16. 30 e passim). Filone usa la parola sia in senso proprio (op. mmzd. 85; agr. 42; spec. leg. l,163 [animali per il sacrificio]; 4,rr) sia, ripetutamente, in senso allegorico. Nell'interpretazione allegorica di Ex. 13,13 (sacr. A. C. rr2) l'asino equivale a ò mSvoç e la pecora alla 7tpoxom1: in tale maniera il comandamento viene a significare che il 7t6voç deve essere sostituito con la rtpoxo1t1]. Secondo sacr. A .C. 45 il Nove; è il pastore delle pecore, cioè «delle potenze irrazionali dell'anima», 'tWV xa:rà. lj;uX'Ì'J'J àMyw\I owaµewv (cfr. mut. nom. no; som. r,199).

    s G. FoHRER, Ezechiel, Handbuch zum A.T. I

    r3 (1955) ad l.

    Prciskcr/~. ::ichulz)

    13. rtp6Ba:rov

    NEL N .'l'.

    r. Nel N.T. 7tp6~cx:rov è usato più volte in senso proprio; ad es. quando Gesù spiega ai suoi avversari i motivi per cui guarisce anche in giorno di sabato con l'esempio pratico della pecora che proprio in questo giorno cade in un pozzo e naturalmente ne viene tratta fuori (Mt. 12,II ). Similmente l'amore premuroso e la grande gioia riguardano proprio la pecora che si è sl smarrita, ma è stata ritrovata (Mt. 18,12 par.). Tra i più importanti beni d'importazione di Roma sono ricordate proprio le pecore (Apoc. 18,13). Le pecore come animali per il sacrificio sono nominate in Io. 2,14 s. (cfr. 1 Clem. 4,1-6, citazione di Gen. 4,3-8).

    2. In senso traslato (si noti l'wc; che introduce l'immagine) -,i;p6Ba.'tov è usato nella tradizione ritmica di r Petr. 2,2125 («eravate come pecore erranti») e riferita allo stato di errore e di perdizione dei lettori prima della conversione a Cristo ( 2 ,2 5 ), con una trasformazione a cui ha contribuito Ez. 34,5. Anche in altri casi l'uso del N.T. si rifà a quello dell'A.T. dove, come abbiamo visto(~ coll. 191 ss.), le pecore significano il popolo di Dio. Queste pecore costituiscono il fine specifico dell'azione escatologica di Gesù, Figlio dell'uomo e re, che allora separerà, come (6'.lcntEp) fo il pastore, i montoni dalle pecore, per9 Cfr. He11. aeth. 89,2 ss. e G. BEER KAUTZSCH, Apkr. tmd Pseudepigr., ad l.

    in

    7tp6{3r!:to'1 B 2 (H. Preisker/S. Schulz)

    ché i ;;p6(3a-ra hanno fatto, consapevol· mente o inconsapevolmente, la volontà di Dio (Mt. 25,32 ss.). Il popolo giudai· co dei tempi di Gesi1 ha bisogno di es· sere ammaestrato e nutrito dal pastore (Mc. 6,35-44) perché è simile ad un gregge senza pastore e perciò maltrattato (Mc. 6,34 = Mt. 9,36). In Mt. io,16 i 'ltpo~a:ta sono la nuova schiera di discepoli di Gesù nelle mille tribolazioni e difficoltà del secolo presente: il loro pa· store Gesù li manda come pecore indifese nel mondo brulicante di lupi voraci. Dietro la terribile dispersione delle pecore c'è, secondo la parola di Gesù (Mc. 14,27=Mt. 26,31; cfr. Zach. 13,7 e Barn. 5,I2}, la mano di Dio che con la motte sulla croce colpisce il proprio pastore a morte e disperde cosl il suo gregge. La similitudine del gregge di Mt. 7,15 contiene però anche un severo avvertimento alla comunità di Gesù perché si guardi da quei nemici che mantengono un aspetto esteriore innocuo, ma sono per questo tanto più pericolosi e perniciosi. Ma Gesù è vicino proprio ai figli di Dio che soffrono ogni tipo di tribolazione (Rom. 8,36, citazione di Ps. 44,2 3) e perciò egli viene chiamato «il gran pastore delle pecore», "tÒ\I 'ltOL!J.ÉWJ.. 'tWV 7tpoB1hwv i;Òv µÉya.v (Hebr. 13, 10 20) • Dopo la morte di Gesù l'ufficio di pastore delle sue pecore (7tpof3&:·na. ),

    della sua comunità, passa agli apostoli quali depositari della sua parola e della sua É~ouO'(a (lo. 21,16s.). Nel discorso figurato del buon pastore (Io. 10,1 ss. -7 x, coll. 1216 ss.) il rapporto tra pastore e gregge è visto in maniera diversa. Il pastore non raduna il popolo di Dio 11 , bensì i suoi, pecore sperdute nel mondo, sulle quali però il pastore ha un diritto di proprietà per la loro pretemporale destinazione, nonostante la loro più diversa provenienza (rn,3 ss. 14.16). Questa reciproca appartenza che lega pastore e gregge trova la sua espressione nel grido del pastore e nell'ascolto del gregge (10,3), nella mutua conoscenza, nella vicendevole familiarità ( 10,14), nel precedere e nel seguire (10,4), nella prontezza del pasto· re, che porta «vita e pienezza», a mettere la propria vita a repentaglio per le pecore e nella prontezza dei suoi ad accogliere colui che li salva dal pericolo in cui si trovano. In questo discorso del Gesù giovanneo il pastore non è il re e il gregge non è il popolo di Dio, bensì quegli è il Figlio al quale fa riscontro la comunità, il gregge. Anche se alcuni tratti del buon pastore sono conformi alla tradizione veterotestamentaria, pure le analogie. concettuali e i paralleli oggettivi si trovano per la maggior parte nell'ambito della letteratura

    10 E. SCHWEIZER, Das Leben des HerrJJ in der Gemeinde u11d ihren Die11ste11, AThANT

    11 Abbiamo un pensiero in certa misura analogo in Dam. x3,9 s. (16,2 s.) (~ x, coll. 120.i

    8 ( 1946)

    22

    s.

    s. r226).

    1tp6Bu.-tov B z - C (H. Prcisker/S. Schulz)

    extragiudaica, gnostico-ellenistica 12 • Cosl, quando non è usato in senso proprio, ma fìgmato, esemplare e parabolico, il termine 1tp6f3a-tov è nel N .T. figura, da un lato, dell'antico popolo di Dio nella sua lontananza da Dio e, dall'altro, del nuovo popolo di Dio nella sua situazione escatologica di l}:X.i:1jl~ç e
    c.

    IL TERMINE PRESSO I PADar APOSTOLICI

    Nei Padri apostolici non si nota alcuno sviluppo pat·ticolare e caratteristico deH'uso figurato (in singole immag.i.ni o in discorsi) della pecora. Come secondo Dettt. 18,4 i primi nati delle pecore appartenevano al sacerdote, così ora essi dovrebbero essere riservati ai profeti, sacetdoti della comunità cristiana (Did. 13 ,3 ). In Ignazio, il paladino

    dell'ufficio episcopale nella comunità, il gregge segue il vescovo quale suo pastore (Phld. 2,r ), perché il vescovo può tenere lont::ini i lupi soltanto se nella chiesa regna l'unità (Phld. 2,2). Nelle similitudini di Erma (sim. 6,1,5 s.; 6,2,3 s.; 6,2,6; 6,3,2 s.) le pecore che saltano allegramente tutt'attorno sono figura degli «uomini che si dànno ai piaceri del mondo» e che poi si troveranno esposti ai tormenti dei rnvi, cioè al bisogno, alle malattie ecc. Il gregge disperso, sfinito, privo di pastore, smarrito tra i cespugli di rovi, si è trasformato per Erma, con la saa decisa fede nella retribuzione, in pecore disubbidienti che vengono punite con le spine. In un'altra similitudine (9,r,9; 9,27, 1 ) le pecore che si riposano placidamente all'ombrn degli alberi raffigurano i poveri che vengono protetti dai vescovi e dai membri ospitali della comunità. Inoltre 13 il termine tcp6~anv ricorre piì1 volte in citazioni: r Clem. r6,7 (Is. 53); 59>4 (~ 99,3) in una preghiera che è probabilmente d'origine giudaica;. Barn. 5,2 (Is. 53); 16,5 (Hen. aeth. 89). Quest'uso ha un'importanza particolare perché in queste citazioni l'origine dell'uso di np6~a'toV si trova effettivamente nella metafora.

    H. PREISKER/S . SCHULZ 'ltpoEÀ.7tlsw ~ III, coll. 551 s. npornayyÉÀ.ÀO(..lat ~III, coli. 696 ss.

    1i:pO')'L\/WO'XW ~ II' coll. 5 3 2 ss. 1tp6yvwcnc; ~ II, coli. 534 s. 1tpoypci.cpw ~ n, coli. 679 ss. 'ltpoopoµoc; ~ •PÉxw

    7tpOE'tO~µaC:w ~III, coll. 1015 ss. 1tpOEUO:yyEÀ.lsoµm ~ III, col. II06

    12 Cfr. BuL'l'MANN, ]oh. 479 s . ; BAUER, ]oh., ad l.; B. NoACK, Zur joh. Trnditio11 (I954) 55 s.

    JJ Queste MELCIIER.

    ultime righe sono dovute a

    ScHNEE-

    r.poÉpxoµo:L I-2 (C. Maurer) I

    I

    "f 1't(JOEXOµCX.L 1.

    7tpoÉxoµm fuori del N.T.

    Transitivo: a) tenere davanti a sé, tenere avanti, tenere davanti. Attivo: 'tW XELPE 7tpOÉXEW, «tenere le mani avanti per proteggersi» (Xenoph., Cyrop. 2 , 3,10). Anche il medio: 7Cpò oÈ oovpcx.'t' EXOV'tO, «tenevano le lance avanti» (Horn., Il. 17,355). In senso traslato: addurre come scusa, come pretesto, presentare, avanzare un pretesto: uù µ€v 'tao' iiv 7tpouxoi', «quello che dici è tutto un pretesto» (Soph., Ant. 80); µ&.À.tO''t'CX. 7CpOUXOV't<XL ... µ:1ì llv ylyvEcrl)ai 'tÒ\I 7tOÀ.Eµov, «soprattutto vanno cianciando che ... non ci sarebbe la guerra» (Thuc. 1,140,4); 7CpOÉXECTl)E 'tàç ÉV'tEUl;nc; uµwv dç µ.vl]µ601Jvov, «presentate le vostre preghiere come testimonianza» (Hen. 99,3). b) Avere prima, avere ricevuto precedentemente, sapere in anticipo: 7tpoéxwv µÈv 'tW\I 'Al>l]valwv ou cptÀ.lCM; yvwµcx.ç, «pur sapendo in anticipo che gli Ateniesi non erano di parere favorevole» (Hdt. 9,4,2); U7toÀ.6yl]CTO\I o 'ltpoéxovcrw, «metti in conto ciò che hanno già ricevuto in anticipo» (P. Petr. II 12 fr. 4 [p. 32]).

    clerio della moglie o del marito altrui ...» (Herm., mand. 12,2,1). b) Col genitivo della persona e il dativo della cosa: superare, eccellere, distinguersi, essere avvantaggiato: b 7tpoéxwv, «colui che si trova in vantaggio rispetto agli altri» (Thuc. l,39,1 ); 'tÉxvcx. yàp 'tÉxvac; É'tÉpa.ç 7tpoUXEL, «arte che supera l'arte altrui» (Soph., Phil. 138 s.); 'ltpOÉ· xw yàp aÙ'tÉWv 't'OO'OU'tO\I ocrov ò ZEÙ<; 't'WV aÀ.À.wv ìkwv, «poiché sono loro superiore tanto quanto Zeus è superiore agli altri dèi» (Hdt. 2,136,4); pwµ11 'ltpOÉXEtV, «essere superiore di forza» (Ios., ant. 7,237). Raramente abbiamo l'accusativo della persona: lvt µ6v~ 7tpoÉxouow oi. L7t7tE~ç [ iJµéiç], «i cavalieri (ci] sono superiori per una sola cosa» (Xenoph., an. 3,2,19); inoltre un caso singolare di passivo: iCet.'t'' ouì)È\I 1tpoExoµEvoL \mò 'tou Atoç, «i quali non sono superati da Zeus in nulla» (Plut., Stoic. rep. 13 [n rn38d] ). Nei LXX il verbo 7tpOÉXELV è attestato soltanto in una variante del codice A a lob. 27,6 (con valore intransitivo): OLxa.LOG'UV'fl OÈ 7tpoÉxwv, «segnalandosi per giustizia». Il T.M. parla del diritto, le altre lezioni dei LXX della giustizia a cui Giobbe vuole attenersi: 1tpocrÉxwv = f;zq. Similmente Eccl. 10 110 (Sym.): 7tpoÉXEt oÈ ò yopyEucr&.µi;voc; Elç crocpla.v.

    Intransitivo attivo: a) sporgere in fuori, superare, sorpassare, sovrastare ccc. In senso locale: detto di colline, città, montagne (Horn., Il. 22,97; Hdt. 4,177). In senso temporale: 'J̵Épt)ç ... 2 . 1tpoéxoµa.t nel N.T. ò&qi 7CpoÉxov·tw; 'tW\I IlEpcrÉwv, «precedendo di un giorno di cammino i Rom. 3,9 va letto sicuramente seconPersiani» (Hdt. 4,120,3 ); con riferi- do il testo egiziano 1: -.l ouv; 1tpoEx6µEmento al rango: oi 7tpOÉXOV'tEç, «i cit- i)a.; où 1tanwç. A "favore di tale prefetadini eminenti» (Thuc. 5 ,17,I); miv- renza sta non soltanto la testimonianza esterna, ma anche il fatto che le varianti, 't'lù\I 7tpoÉxoucra. ~mi)uµla ..., «di tutti i desideri malvagi il primo è il desi- in particolare quella del testo occidenta7tpo~xoµai PAssow; LIDDELL-SCOTT; MOULTON-MILLIGAN; 5 PRmstGKE, \Vort.; PREUSCHEN-BAUER , s.v.

    I

    Con quasi tuttt

    BLASS-DEDRUNNER

    1 commentntoti, contro § 433,2.

    r.poEi;xoµm 2 t l-. niaurer 1

    le 2, vogliono ovviare alla difficoltà costituita dalla forma ?tpoExoµd}cx. e pertanto la presuppongono . Ci sono tre possibilità d'interpretare 1tpOEX6µt:i)cx.. a) Come nell'uso linguistico profano -..poExoµdkt. può essere una forma media con valore transitivo attivo (~ col. I 99 ). Due sono allora i casi: o i Giudei chiedono all'Apostolo se possano proteggersi con qualcosa dal giudizio di Dio e Paolo nega decisamente che ciò sia possibile 3, oppute Paolo è il soggetto che risponde ironicamente alle accuse giudaiche di libertinismo ( v. 8): «Cerco forse delle scappatoie? Niente affatto» 4• A parte il fatto che i Giudei non chiederebbero mai una cosa simile e che Paolo non sta sulla difensiva, bensl all'attacco, la forma media transitiva di 1tpOÉXE
    gio (per quanto riguarda l'imputazione dei peccati)?» 5 • Questa soluzione è però troppo goffa e laboriosa, sia dal punto di vista linguistico sia da quello sostanziale. c) Per questi motivi oggi si preferisce generalmente 6 interpretate 7tpOEX6µE~cx. come forma media di valore intransitivo attivo (~ coll. 199 s.) e tradurre: «Che dunque? Abbiamo una qualche superiorità? Niente affatto». La scarsità di testi d'appoggio non significa molto se si considera che non è questo l'unico esempio di un simile cambio di diatesi nel N.T. 7• Dopo aver discusso nei vv. 5-8 tutta una serie di obiezioni e di equivoci, Paolo riprende l'argomento della superiorità dei Giudei sui pagani (3,r) per negarla recisamente 8 • Le promesse di Dio non attenuano minimamente la colpa dei Giudei, che è appunto la questione discussa in Rom. 2: infatti il possesso dei À.oyLcx. non è assolutamente un argomento a discarico, ma piuttosto a carico d'Israele (3,2-4.r9). Il problema particolare dell'intreccio

    z 'tl 00\1 [ 1tpO]XU.'tÉXOµEV 7tEpt
    MANN, Rom., ad l.; M . ]. LAGRANGE, Sailll Paul. Epitre a11x Romaills' (1950) ad l.; C. H. Doon, The Epistlc o/ Pa11l lo the Roma11s, MNTC (1932) ad l.; M1c1mL, Rom., ad l.

    Rom., ad l. l R. A. L1Psrns, Der Brie/ an die Romer, Band-Commentar zum N.T.1 (x892) ad l.; A. Ji.iucHER, Der Drie/ an die Romer, Schriften des N.T.' (1917) ad l.

    7 BLAss-Dr.BRUNNER

    LrnTzMANN,

    4 PREUSCHEN-BAUER" s.v. con avere un vantaggio).

    2

    (in alternntiva

    \Y/. SANDAY-A. C. HEADLAM, A Criticai a11d Exegetical Commentary on the Epistle lo lhe Roma11s', ICC (x925) adl.

    5

    6

    Ampia esposizione specialmente in LIETZ-

    § 3x6. Perciò, contrariamente a quanto sostengono ZAHN, Rom. e SCHLATTER, Rom., il medio non implica il signilkato particolare «pretendiamo di essere qualcosa d~ speciale» (in antitesi a «siamo qualcosa di speciale»). ! oò 1tclV"tW<; non ha qui valore limitativo (<mon per ogni aspcttm>): cfr. BLASS-DEBRUNNER § 433,2; ScHLAl'TER, Rom. contro LmTZM/\NN, Rom.; M1cttr.L, Rom.; LAGRANGE, op. cit. (-4 n. 6) ad l.; E . GAUGLllR, Der Brief a11 dic Romer (1945) ad l.

    r.p60uµoç 1\

    l -2

    della promessa salvifica di Dio e della colpa d'Israele sarà sollevato e risolto

    {K. H. l\eagstort)

    ~VI ,094}

    :1.04

    soltanto nei capp. 9-1r. C. MAURER

    7tporiyfoµ.et.L ~IV, coll. 14 s. -;;;p6Ù'lOCTL<; ~ 'tli>'l']µ.L

    ~p6auµoç, npo~uµla

    A. L'uso

    LINGUISTICO FUORI DEL N.T.

    l. Usato frequentemente a partire dal v secolo a.C. 1, 1tp6wµoc; significa pronto, disposto, solerte e persino attivo, veemente, ardente. Nell'uso l'aggettivo abbastanza spesso non si distingue dal participio del verbo 7tpowµ.foµat (non usato nel N.T.). II neutro sostantivato si avvicina per significato a 1tpowµla (--;> col. 213) e talvolta coincide perfettamente con questo termine.

    2.Nei LXX sussiste(~ coll.214s.) un chiaro rapporto con la radice ndb, precisamente con nad1b nel significato di volenteroso, generoso, bendisposto ( 1 Par. 28,21; 2 Par. 29,>1); soprattutto 2 2 Par. 29a1 fa vedere l'attività e l'iniziativa che si manifestano in tale comportamento. 2 Mach. 4,14 lamenta apnp6lhJµoç 1 Indicazioni nei lessici. Per la derivazione dr. SCHWYZER I 435; Il 505: colt1i il Clii lhJµ6ç sta avanti. 2 kol-n'dib leb = na.; 1tpoi)vµo~ tj) xcr.p8~ (-7 coli. 214 s. a proposito di Ecc/11s 45,23 e cfr. I Par. 29,9 [lv xa.pSley. 1tÀ.TJPEt 1tpodhiµ'l'}lh]cra.v]; 29,17 ). ndjb-lb in questo significato

    punto la mancanza d'iniziativa intesa come senso del dovere nei sacerdoti che attendono svogliatamente alle loro mansioni senza il dovuto zelo (µrixÉ'tL 7tEpt -.à.c; À.Eti;oupyla<; r.p6i}uµo~). Un atteggiamento di questa natura, come si conviene al pio in una situazione difficile, gli viene dall'attendere assiduamente alla legge e ai profeti e dal ricordo dei passati &.ywvE<; felicemente superati (2 Mach. 15,9) 3• Anche l'esempio può rendere 7tpoi}uµouµEvo<; (r Par. 29,1 ss.). Anche qui si può notare, come in altri passi già citati e altrove (-7 coli. 216 s.), il momento della spontaneità. Per il resto altri passi (ad es. 2 Mach. u,7; 15, 9; 4 Mach. 16,16) mostrano che, parallelamente a quanto avviene per "ltpoi}u. µla. (-Holl. 214 s.), 7tp61}up,oc; può avere anche il significato di deciso, corag· gioso, valoroso, sia in battaglia sia di fronte alla morte. In tutto ciò si riflette la connessione esistente nei LXX tra il anche in 1QM10,5 : kwl 'twdi h111l&111b ndibi lb lh&t.iq bgbwrt 'l, «tutti coloro che sono preparati alla battaglia, di cuore generoso, affinché stiano saldi nella potenza di Dio». Cfr. ancora I Q 25 r,7 (11djbjm); 1 Q 28' ( = 1 QS') 3,i7 (incerto).

    sr

    3 1tp6Dv1wç insieme con à:ywv anche in Mach. 6,z8; 4 Mach. 16,16.

    2

    contenuto dcl termine greco e il contenuto dell'ebtaico ndb (htndb). La concordanza è particolarmente degna di nota perché il termine è usato per rendere questa radice ebraica soltanto in I Par. e 2 Par. 3. Questo parallelismo tra 1tpo-itu1.1.oç e r.poàuµ,ouiu:voç nei LXX corrisponde a quello tra nwdbjm e mt11dbjm nei testi di Qumran 4 , e ciò prova che nei LXX i nostri due termini sono semanticamente influenzati dall'ebraico anche dove nel testo di partenza manca il vocabolo corrispondente 5 • Nell'ebraico rabbinico htndb ha poi perso del tutto questo significato specifico ed è diventato un terl Cfr. ad es. I QS 1,7 s.: kwl lmdbjm l'swl !Jwqj 'l bbrjt !ml, «tutti coloro che sono pron-

    ti ad attuare fa legge di Dio nel patto di grazia»; 1,u: ku.-l b11dbj111 l'mtw, «tutti coloro che si dedicano alla verità»; e poi 5,1: wzb bsrk l'nsj bj!Jd hmtndbim liwb mkrvl r', «questa è la regola per i membri della comunità disposti a distogliersi da ogni male» (dr. 6.8.rn.:n.22; I Q i4 ro,7; I Q JI l,l [incerto]). Nel primo caso ( I QS 1,7 s.) si tratta degli aspiranti alla comunità d~ Dio (i!1d 'l) che devono essere ancora ammessi o devono perfezionare la loro ammissione; nel secondo (I QS 5,1) di coloro che in base alla loro decisione sono stati già accolti nello j};d 'l. Y . YADIN,

    The Scroti of the War of the Sons of Light ogainst the Sons of Dark11ess, (ebraico) (1955) 301b rimanda con ragione a 2 Par. 17,16, dove i LXX traducono hmtndb con 1tpowµovµe.vo.;. J. L1cm, mwig b11dbh bktwbih Il kt mdbr jhrvdh ( = The Conccpt o/ Nednbah in tbe Dead Sea Scrolls), in J. LIVER, 'i11mj111 bmgilwt mdbr jhwdh ( = SJ11dics in the Dead Sea Scrolls) (1957) 77-84 vorrebbe vocalizzare la forma ndb non in nOdeb, ma in niddiib e vedere nell'accostamento di 11iddiib e 111it11addeb un argomento per sostenere che al tempo delI QS la forma grammaticale del concetto non era ancorn fissata (ibid. 80). Tuttavia né l'ebraico biblico né l'ebraico rabbinico conoscono un nif'al di ndb con valore

  • la composizione di

    mine tecnico per indicare un ex voto (-+ ..:poituµla col. 2 r 5) 6, cosl che possiamo esimerci dall'analizzare quest'uso.

    4 . In Filone 7tp6t)uµoc; è associato ( vit. Mos. r ,260) 7 all'idea di à..ywv (-+ col!. 204 s. e-+ r, coll. 364 s.) e signifìca, in questo caso, coraggioso 3• Non mancano però le accezioni di pronto (Abr. 109: 'R!)OUUµO't'et:tOL 1tpÒc; -ç&ç 't'W\I ~éVL­ ~oµÉ\IWV VT.TJpErrla.c;, «prontissimi a se1'vire i forestieri»), volentieri, volenteroso (spec. leg. I,49; virt. 83), zelantemente ( vit. Mos. I ,5 2 ), talvolta anche al superlativo nel senso di con la migliore volontà (spec. leg. 4,170). È però chiaro che 7Cp6Duµoç non indica per Filone una 10 e passim), mentre nell'ebraico rabbinico persino l'attivo ndb ricorre anche nel significato di giurare, promettere sole1111emente, ad es. in Net!. b. rna Bar.: nodeb timqajjem, «prometta e lo mantenga». Quest'uso di ndb sembra r appresentare uno sviluppo ulteriore della locuzione biblica 11db lbw. Cfr. anche la nota seguente sullo sviluppo linguistico di

    btndb. s In base all'uso di htndb nei passi succitati i mt11dbj111 sembrano una sorta di co11Jederati. Quest'uso dovrebbe dipendere da un consapevole richiamo a Iud. 5,2.9; Nce1n. u,2; 2 Par. 17,16. Tale collegamento è tanto più verosimile in quanto nnche ;iltri aspetti dell'organizzazione della comunità di Qumran rivelano, a quanto risulta dai testi, un voluto nesso con i grandi esempi della storia d'Israele. Si sente qui l'influen:r.a dell'eredità profetica (dr. sulla questione anche O. PLèiGER, Prophetirches Erbe in dc11 Sekten tles /riibe11 Jude11/111ns: ThLZ 79 [1954] 291-296); purtroppo a questo aspetto non è stata prestata anco,ra la dovuta attenzione. 6 Si tratta di uno sviluppo caratteristico per i r apporti linguistici tra l'ebraico rabbinico ed i testi di Qumran. 1 Gli Israeliti sono
    7tp6l>vµoi; A 4 - B l (K. H. Rengstorf)

    virtù (come conferma puntualmente e senza alcun dubbio virt. 205 ), ma unicamente un comportamento, soprattutto quando si tratta dell'avverbio.

    la contrapposizione ad àrri)Ev1)c; 12 con la forza richiesta dalle particelle µlv ... ÙÉ. In base alla storia del termine possiamo tradurre il nostro testo così: «Lo spirito preme sì con fervore, ma la carne è impotenteJ>, oppure «lo spirito è sì sollecito, ma la carne è impotente».

    Oltre che come avverbio, col significato di volenterosamente (ant. 6a26; bell. 2 ,624 e passim), volentieri, gioiosamente (ant. 20,50; vit. 152) e zelantemente (ant. 7 ,91: npoi)uµo-.Epov = «con uno zelo ancora maggiore»), GiuL'autenticità del logion è molto diseppe usa 7tp6i)uµoc; soprattutto (come 3 Mach. 5,26) al neutro, con valore di scussa. Effettivamente, dal punto di visostantivo equivalente a 1tpoi)vµla (~ sta stilistico, la frase non si adatta tropcol. 215) e significa premura, prontezza po bene al contesto e dà l'impressione (ant. 4>42; 6,326) 9 , zelo (ant. 4,178) e che si sia passati dall'esortazione all'aro· 13 talora persino cura (ant. 4,213: 't'Ò 1tEpt maestramento • Di regola il dubbio non ct.Ù"t"oùç np6t7up.ov 't'oli i)Eou, «la cura riguarda però soltanto la seconda metà, ma tutto il versetto: si afferma cosl, ad di Dio per loro»). es., che qui l'evangelista offre «la morale di questo racconto, scritto per riB. 7tpMuµoc; NEL N.T. svegliare ed edificare senza posa la coI. Nel giardino del Getsemani, volmunità di tutti i tempi» 14, oppure che il gendosi a Pietro, Gesù esorta i suoi di- logion è «certamente... un aforisma della formazione cristiana trasferito nel scepoli sfiniti e assonnati a vegliate e a testo evangelico» 15• Non mancano però pregare per non cadere in tentazione, critici, anche severi 16, i quali, pur riteperché, aggiunge quasi a motivazione 10, nendo secondaria l'attuale collocazione del versetto (compresa la seconda par•Ò µÈv 'ltVEuµa 7tp6t7uµov, Ti oÈ o-àpl; te), non sono tuttavia alieni dall'attriàcr1h:v1Jc; (Mt. 26,41b = Mc. 14a8b; ---? buire a Gesù questo detto. x, coll. 947 s.) 11 • Comunemente si traLe obiezioni più serie all'autenticità duce 1tp6i)uµoc; con pronto («lo spirito è sl pronto, ma la carne è debole»), per- del detto traggono però motivo dalla presenza nel nostro testo dell'antitesi dendo cosl gran parte della pregnanza nvi::uµa./rr&p!;. In tale antitesi si pensa del termine e soprattutto senza rendere di riconoscere 17 un tratto tipico del !in9

    Cfr. anche bell. :ZA66:

    'tÒ

    ).la.v 7tp6lhJµov,

    <1zelo eccessivo» 10 Tuttavfa manca il yttp esplicativo che ci si aspetterebbe. 11 Luca non ha accolto il logion, ma non è la prima volta che abbrevia o altera la sua fonte. 12 Di solito il contrario di 6:ultw(]i; è tuxup6i; (cfr. 2 Cor. 10,10 e ~ I, col. 1306). B E. HrnscH, Fruhgeschichte des Ev. 1 (1941) 158. Hirsch attribuisce l'emistichio al suo ipo-

    tetico redattore (R). La seconda metà del versetto è considerata un'.aggiuntn redazionale anche da A. PALUS, Notes on St. Mark and St. Motthew' ( 1932) 101 s. 14 J. Wmss, Das ii/teste Ev. (1903) 300. Cfr. anche HAUCK, Mk. l73· 1s BuLTMANN, Trad. 288 15 Cosl WELLHAUSEN, Mk., ad l. 17 Cfr. già H . v. SoDEN, Das Interesse des apostolische11 Ze,italters an der evangelischen

    r.p6ftu1toc; B z (K. H. Reng;,wrf1

    guaggio paolino 18, quale si desume ad es. da Gal. 5,16 ss., e di là da esso una concezione tipicamente dualistica dell'uomo, le cui radici sembrano ora essere venute finalmente alla luce grazie ai reperti del Mar Morto che hanno rivelato il deciso dualismo a cui s'ispira la dottrina della setta di Qumran 19• Tuttavia s'impongono alcune considerazioni. In primo luogo Paolo concepisce l'antitesi tra spirito e carne in modo diverso dal logion evangelico 20 • In secondo luogo l'antitesi paolina non ha a che vedere 21 con Ja dottrina rabbinica della coesistenza dell'istinto buono con quello cattivo 22• In realtà nei due casi 'ltVf:vµa significa due cose molto diverse. 7tpowµ- va collegato con la radice ebraica ndb. Ora, non solo in Ecclus 45,23 (~ col. 2r4) ma anche in Ex. 25,2 e 35 ,29 soggetto dell'azione indicata per mezzo di tale radice è il 'cuore' (leb ), mentre in Ex. 35,21 è menzionato sl lo 'spirito' (rua{1 ), ma immediatamente accanto a leb, cosl che anche qui il vero soggetto agente è il 'cuore'. Il termine ebraico leb è tradotto in Ex. 25,2 e 35, 2r con xapolct 23, in Ex. 35,29 con OLcivoLcr. 24, in Ecclus 45,23 con ~u;çfi. In Ex. 35,21 rua{J è reso con ~uxiJ. Già

    tale fatto mostra che i confini dei termini non sono netti. Sappiamo inoltre che nei LXX i vocaboli ebraici leb e riiafl possono essere resi anche con cpp6Vl]viç e vouç. Ora è vero che nei LXX r.w:uµct non rende mai leb, benché assai presto leb e ruafl appaiano talvolta interscambiabili (~ col. 209) ed almeno una volta (Ez. 13,3) i LXX traducano riiah con xao5lct 25 • Può naturalmente tràttarsi di ~n caso fortuito. ma intanto va notato 26 • Ci sono però ~em­ pre due osservazioni da fare. Da un lato lo sviluppo dell'uso di 'Xa..pòla nel greco giudaico mostra la crescente influenza del razionalismo greco: %ctpòla.. viene usato sempre più esclusivamente per designare il cuore come organo fisico che. in quanto tale, non esercita alcuna influenza sui processi psichici n _D'altro lato ruab/J..'J<-Uµ'Y.. e biisar/rr&..p'F,, sono termini cl'uso comune e conente quando si tratti dei limiti imposti all'uomo dalla sua corporeità e quindi dalla sua caducità (cfr. ad es. Ecclus 48,12); ruaPfr.v<-uµct è inoltre il termine che meglio si presta a sottolineare la necessità di agire secondo criteri oggettivi e non solo secondo l'aspirazione del momento o le conoscenze personali ( 1 QS 9,15: 'jJ krw{uv

    Geschichte, in Tbeol. Abha11dlu11ge11 Jiir C.11. Weizsiicker (1892) 144: «... ricorda Paolo». is E. WENDLING, Die E11tstcb1111g des Mc.-Ev.

    25 Cfr. però ancora la traduzione che di T1if.h in ls. 66,2 offrono Teodozione (xo;p/)la.) e Aquila (ffilEU~\GC). 26 In l:Lp. 9,9 stanno in parallelis11111s 111<:111· bromm 1i lfivxTi o-ou (leb) e -.ò TWEuµo; crov. Il testo base è rc~ò cosl incerto d~ non permetterci alcuna conclusione. M. Z. SEGAL 1 spr b11 sjr' hS/111 ( 1953) 48 pensa a un errore di scrittura: invece di bdmk (oXµa.'t~) il copista avrebbe scritto bnv!1k (TCvEvµa.'tt) . Cfr. quanto aveva già osservato V. RYSSEI, in KAUTZSCH,

    ( 1908) 171. K. G. KuHN, 7tE~pao-µ6ç - à.µa.p'tla. - crii.p~

    19

    im N.T. rmd die damit zusamme11hiingende11 \Iorstell1111ge11; ZThK 49 ( 1952) 200-222. 20 WELLHAUSl!N, Mk., ad/. e dr. soprattutto F. NoTSCHER, Zur theologìscben Terminologie der Qtm1ra11-Te>:lc (r956) 85 s. 21 Come ritiene probabilmente anche STR.\CKBILLERBJ:::CK I.

    996 a Mt. 26,41.

    22 STRACK-BILLERDECK IV 466-483,

    excursus

    'Der gute und der bose Trieb'. Cfr. ancora Iud. 5,9; Ex. 35,5; r Par. 29,9.

    23

    I7; :i Par. 29,3 I 24 Cfr ancora Ex. JJ,22.

    Apkr. rmd Pseudepigr., ad l. 27 Questo sviluppo è marcatissimo in Havio Giuseppe, che perciò ricorre a 6t&.vota. anche per rendere il significato di leb (dr. SCHLATTER, Theol. des ]udt. 2I). In Deut. 6,J il cod. Il' legge 6ta.vola.ç invece di xa.polo:ç (dr. anche Mc. 12,30 = Le. rn,27).

    ~pòl)vµor., Il

    I -

    e (K. H. Rengstorf)

    kn l'swt mspfw, «per giudicare ciascuno lo afferma la propria volontà di predisecondo il suo spirito»). In simili discor- care l'evangelo anche a Roma: xa..t ùµiv si rua[J / nvevµa è cosl vicino a léb / xa..pòlo. (basti ricordare .r Reg. 3,9) da far -roi:ç Èv 'Pw~tn Eua:yy~).lcra..a-am (Rom. pensare ad una sinonimicità più ampia. l ,15 ). Nell'espressione 'tÒ xa't' EµE 1tp6Tuttavia in ruah/1tw.\Jµa c'è una mag- ì>uµov il neutro 'tÒ TIPO~uµc:i'J, che equigior misura di obiettività, senza che si vale al. sostantivo +i "Jtpol)uµla. (~ col. possa arrivare a parlare di una «dote del28 lo spirito» in senso cristiano. Ad ogni 203), è unito a xa't6: con l'accusatimodo, decisivo è ciò che avviene. Si vo: una perifrasi del genitivo abbastanza ttatta d'imboccare la 'via' giusta e su comune nell'ellenismo 29 che nel nostro questa ci pone lo spirito (1tVEVp,a) in caso sostituisce il genitivo µ.ou o l'aggetquanto è 11;p6l}uµov. tivo possessivo èµ6v 30 , Paolo esprim:: Nel Getsemani il problema che i di- con queste parole la propria decisione di scepoli devono affrontare è proprio il rivolgere il suo ministero apostolico anproblema della 'via' giusta. Nella sua che ai Romani, tuttora sconosciuti 31 • attuale collocazione il logion vuol dire Tuttavia egli non ha preso tale decisio· che non si può perconere questa 'via' ne per aver visto qui un compito alletspinti soltanto da un moto interiore, ma tante, ma perché è consapevole, proprio unicamente con l'ubbidienza e l'impenell'ambito della sua qualifica d'apostogno. Se si agisce soltanto in base ad lo, di avere un obbligo particolare anche un sentimento, Ja limitatezza dell'uomo e proprio verso Roma (Rom. 1,r.5 s.) n. porta inevitabilmente all'insuccesso. In questa maniera il logion collega la soC. L'uso LINGUISTICO DEI PADRI APOlenne dichiarnzione con cui i discepoli STOLICI promettono di essere fedeli a Gesù fino L'uso linguistico dei Padri apostolici alla morte (lvit. 26,35 par.) con il loro è in tutto e per tutto conforme a quello venir meno per 'strada', quando avreb- del N.T, Anche in questi scritti 1tp61}ubero dovuto effettivamente camminare µoç significa pronto, volenteroso, decicon lui, facendo capire l'inevit.lbilità del so, risoluto, e precisamente al bene ( .r Clem. 34,2: elç &:ya1)o1toLtav, «a fare loro fallimento. il bene»; Herm., mand. 12,5,1: "tèc<; Èv'tOÀ.àç -cov iteov cpuÀacraEw, «a osserva2. Con un giro di frase che, ineccepire i comandamenti di Dio»; sim. 9,2,4: bile in greco, a noi moderni sembra un accanto a O"ap6ç come virtù cristiana). po' pesante ( 'tÒ xa't' ÈµÈ 11;p61)uµov) Pao- L'avverbio 7tpoìJUµwç è usato anch'esso Questa è l'infelice traduzione (ted . Gcistbegabtmg) che G. MouN, Die Siihne des Licbtcs (1954) dà di riWIJ in I QS 2,20 e 9,15. 29 Esempi in PREUSCHllN-BAUER ', s.v. xa'ta n 7b/c. 30 BLAss-DEBRUNNER § 224,r; M1cHBL, Rom. 28

    4:a n. 3, ad l. 31 32

    Cfr. ZAHN, Rom., ad l. I testimoni cl Or Ambst leggono invece
    1tp6ilvµov il nominntivo maschile 1tp6l>vµoc; (scii. Elµ~). Si tratta forse di un'antica congettura.

    1.poil•J1.1ù1. A 1-3 1K. H. RengstorfJ

    più volte, tra l'altro (mart . Pol_ 8,3 e 13,1 insieme con fJ.fià
    t 1tpoìl'uµla A.

    L'uso LINGUISTICO FUORI DEL N.'1'.

    1. Il sostantivo 1tpoìl'vµla., derivato da r.p6i}uµoc; (~ col. 203) e d'uso molto frequente 1, ptesenta nel greco extrabiblico ed extracristiano una vasta gamma di significati che vanno da inclinazione,

    tendenza, propensione, prontezza, premura (ad es., Horn., Il. 2,588), a desiderio e aspirazione (ad es., Lys. 12,99), fino a tenacia, determinazione (ad es., Plut., leg. 3,697d) e zelo (ad es., Hdt. 4,98 ), senza che al vocabolo venga associata una valutazione etica, mentre il nesso con ìl'uµoc; (~ 1v, coli. 589 ss.), termine che richiama la natura intima e il comportamento di una persona, fa sentire sl la sua influenza, ma generalmente a livello inconscio. 1tpoìl'vµla. è usato spesso e volentieri nelle iscdzioni onorifiche. 2. Anche Filone si allinea a quest'uso del nostro vocabolo 2• In una serie di passi la parola sembra però assumere in lui un po' la nota dell'autoconsapevolezza e dell'autodetel'minazione 3 , ad es. in alcuni casi in mi la 1tpoìl'vµla viene

    'ltpoltuµl« 1 Numeros~

    esempi tratti dalla letteratura (da Omero in poi), dalle iscrizioni e dai papiri in PASSOW, MOULTON-MILLIGAN, LIDDELL-SCOTT e PIUluSCHl!N-BAUER :r.v. 2 'itpoDuµla è usato, ad es., insieme con c:rr.ov-

    5.

    81) (sacr. A . C. 59; :rpec. leg. 1,144; vit. col!t. 71; migr. Abr. 218), con 't6˵TJ (spec. leg. 4, ux; cfr. vit. Mos. 1,260), con 'taxoc; (:rpec. {eg. 2,83).

    meglio definita come a.ù-.:oiç{À.EUO'-to<; (vit. Mos. 2,137; spec. leg. 1,144) o ÈVEÀ.ovpyòc; xa.t au'toXÉÀ.wcr'toc; ( vit. Mos. 1,63; mut. nom. 270). Varie volte Filone associa la 1tpoìl'u1..r.la all'idea di (ad es., decal. 146; vit. Mos. l, 315; spec. leg. 4,1u) 4 • Ci si muove ancora nell'area di questa associazione (cfr. ad es. agric. 165 dove rispunta à.ywv) quando si afferma che è pericoloso fare affidamento sulla l8la ri;poì}v~Lla invece che sulla È-rttcppoo-vvl] ih:ov, cercando in questo modo di ottenere per forza ciò che può essere ricevuto soltanto da Dio (agric. 169). Filone conosce cosl un uso della Ti:poi}vµfo. che i'uomo deve rifiutare in quanto non avviene in armonia con la volontà di Dio.

    aywv

    3. Nei LXX rcpoi>v1..r.la., dove compare una sola volta (Ecc!us 45 ,2 3: iv b..ya1}6-.·f}'t~ 1tpoì}uµla.c; tVuxfic; a.ù'toiJ ), sembra, a prima vista, conformarsi al comune uso linguistico greco e quindi discostarsi dalla psicologia biblica, per la quale il 'cuore'(~ v, coli. 195 ss., xap8la..) è sede e origine di tutti i processi interioti deila vita umana. Di fatto però le cose non stanno così, ovvero non dovrebbero stare cosl. Ciò risulta anzitutto dal testo ebraico che legge 'Jr ndbw lbw 5, nel quale il soggetto attivo, movente, è il cuore; in secondo luogo dal contesto nella traduzione dei LXX, dove non si toglie niente all'iniziativa di Finehes, il nipote di Aronne (cfr. Num. 2 5, 7 ss.), iniziati va che il passo pone in 3 In :rpec. leg. 4,rn 71poiJu~iiC1.L xet~ --:éÀ.µ:J.1. appaiono esplicitamente espressione di xetp·n:pla. xai Éyxp&.:tE~et. L'immagine e la scelta dei termini situano qui Filone in piena tradizone grc:ca; cfr. I. HEINEMANN, Pbilo11s griccb.

    1111d j;id. Bild1111g (1932) 162. 4

    Cfr. anche vit. Mos. l ,260: Ù.yWVL
    1)uµo~. 5

    Ebraico antico: Ex. 25,2; 35,29; cfr. 35,21.

    itpoDuµla. A 3-6 (K. H. Rengstorf)

    pieno risalto. Per il traduttore 1tpol>uµla. indica l'iniziativa di Finehes, che qui si afferma e attua e nella quale si esprimono insieme coraggio, decisione e ubbidienza verso l'ordinamento divino. Appunto questo passo mostra tuttavia che 7tpowµ- non è propriamente atto a rendere con precisione ciò che ndb significa. La conferma viene dai passi dei LXX dove sono usate altre parole della medesima radice (-7 coli. 203 ss. ). 4. In Giuseppe, che usa 7tpol>uµla alcune volte, il vocabolo significa dispo-

    sizione, inclinazione, propensione (ani .

    to di sacrificio volontario, cioè di offerta fatta in seguito a un voto e pertanto distinta dalle offerte obbligatorie (Men. 1,r; Qinnim 1,r ss. e passim). Anche una pioggia leggera, gradita, oppure abbondante può essere detta gJm ndbh (Taan. 3,8). Sia nel primo {offerte volontarie: Ex. 35,29 e passim) sia nel secondo caso (Ps. 68,ro: gJm ndbwt 1,
    15,193: "t'Ì')v ȵl}-v 7tpoi)uµlav, «la mia 6. Considerato il rapporto stabilito in propensione [per Antonio]»), impeto, foga, slancio nella battaglia (ant. 15, Ecclus 45 ,2 3 tra 1tpoi>uµlcx. e 11dbh, asr. 24: 1.1.e-rii ?tao-71ç 7tpol}uµla<;, «con tut- sume particolare importanza la presento lo slancio»; dr. ani. 7,236: mx.cr-o za di ndbh anche nei testi di Qumran. 1tpol}uµlq. XPW~vwv), oppure (al plura- Nel cosiddetto Rotolo della guerra (I le) segni di {decisa) prontezza. Anche in QM) i .figli della luce vengono chiamati Giuseppe sembra che a 7tpo1Juµla. sia as - 'nJj ndbt ml/;Jmh, che possiamo tradurre sodata l'idea di una iniziativa presa, ma con «combattenti volontari» (I QM 7, ancora una volta il nostro vocabolo non 5 ): infatti essi combattono per libera è adatto a esprimere chiaramente que- scelta e non già perché costretti 9• Importante è anche I QH r 5,ro : il salmista idea 6 • sta esprime il voto di adempiere il co5. Il vocabolo JJediibil, derivato dalla mandamento di De11t. 6,5 amando Dio radice 11db che nella redazione ebraica bndbh, un'espressione che evidentemendel Siracide costituisce il corrispondente te vuole interpretare sinteticamente il di rtpoi)uµla (-7 col. 214), ricorre nel testo biblico (bkl tb ecc.) nel senso di tardo giudaismo rabbinico col significa- dedizione spontanea. Al contrario I QS Senza nlludcre alla storia del concetto di r.polhiµla. A. ScHALIT, qdmwniwt hjhwdim' n (1955) 2.i9 (traduzione in ebraico moderno di 1111!.) hn scelto l'espressione molto moderna bkl htlhbwtm per rendere 'ltlla"(J 1tpolhiµlq. di a11t. 7,236. 7 I LXX traducono con ~pox7} lxo6cnoç. (lii 67,ro). s Perciò bindiiba significa in pratica spo11ta11eame11Je (Num. 15,3; Ps. 54,8; I QS 9,:z4; I QH 15,10). Secondo Taan. 6,5 nel tempio c'c· rano due tipi dr cassette per la raccolta di offerte: oltre a quelle per le offerte vincolate, con indicata la destinazione, altre sei li11diibr1, «per l'uso liberm>. 6

    9 Y. YADIN, The Scro/l of the War of the Sons of Light agai11st the Sons o/ Darkness (in ebraico) (1955) 301b, ad l. interpreta il nostro testo cosi: hjjmo hmqrjbim 't ·~mm lmll;mt bmr~wnm ( = di spontanea volontà). Cfr. anche J. L1cm, m.wsg h11dbh bktwbih Ii kt mdbr ;hwdh ( = The Concept o/ Nedabah i11 the Dead Sea Scrolls) in J. LIVER, 'iw11i111 bmgjlwt mdbr jhwdh ( Studies in the Dead Sea Scrolls) (1957) 80, secondo il quale dietro a nbdh c'è sempre il concetto di libero arbitrio. In questi casi non va dimenticato che già nei più antichi testi dell'A.T . hwdb indica porprio la prontezza al servizio militare (Iud. 5,:z e passim).

    =

    ~polhJµla

    A 6 - B 2 (K. 11. RcngstorfJ

    9,24 è un passo ancora troppo oscuro

    per poterci essere in qualche misura utile 10• Soprattutto ci si dovrebbe guardare dal leggervi un parallelo a certe idee professate dagli Stoici e tendenti ad afl:ermare l'estrema nullità della volontà umana l'ispetto a quella divina. Tentativi di questo genere 11 rimangono insoddisfacenti e dubbi. Complessivamente l'uso di ndbh nei testi del Mar Morto dà l'impressione che la parola si riferisca ad un particolare atteggiamento dettato dalla conversione e caratterizzato dal cammino volenteroso e lieto sulla via di Dio imboccata con la conversione. Potremmo quindi definire ndbh così: l'atteggiamento di chi, convertendosi, ha accolto nella sua volontà la volontà di Dio, ovvero ha gioiosamente subordinato la propria volontà a quella di Dio. Se nei testi di Qumran pubblicati finora questo aspetto non è espresso in maniera più chiara, ciò è dovuto al fatto che essi non hanno interessi teoretici, bensl pratici 12 •

    IO H. BARDTKE, Dù: Handschrif tenfunde vom Tote11 Meer (x952) xo3 ha certamente torto a intendere qui 11dbh nell'accezione rabbinica (-> coll. 2r5 s.) di «offerta spontanea». A. Du-

    PONT-SOMMBR: Évidences No ,58 (Ju.in/]uillet r956) 29 traduce la frase kwl hn'sh bw irFh b11dbh cosl: «En tout ce qui a été fait par Lui il se complaira de bon coeur». Anche questa traduzione non è felice. 11 LICHT, op. cit. (~ n . 9) 82-84. 12 Ps. ,51,14 presenta con la locuzione rlììi~ 11'dlbii un problema di esegesi e di storia dell'interpretazione che nel nostro caso non è lecito passare sotto silenzio. I LXX traducono rtiìih 11'dib/J con 7tVEiiµa 1\yEµovLx6v, la Vulgatà con spir.ilus principalis: entrambe queste antiche versioni rimangono cosl entro la tr:idizione esegetica giudaica (dr. Rashi, ad/.). Probabibnente la traduzione esatta è «spi.rito della prontezza (al bene)» (cfr. i commenti, ad l.). La traduzione dei LXX è dovuta, secondo ]. SCHNEIDER, IlvEiiµa 1)yEµO\ILX6V :

    B. 7tpoDuµla

    NEL N.T.

    L'uso di 1tpo1'uµla. nel N.T. non è uniforme. r. Act. 17,n: sotto l'impressione suscitata dalla predicazione di Paolo e Sila, i Giudei di Berea Éoi~a.v-to -ròv Myov 1.1.e-.à i.&:o-l]ç 7tpo1'vµla.ç, «ricevettero l'cvangelo con grande entusiasmo». La formulazione riprende una locuzione corrente 13 e intende indicare, per quanto ne sappiamo (~ anche n. 2), la premura, l'entusiasmo, l'interesse, la sollecitudine che gli ascoltatori, per propria libera decisione, hanno per l'evangelo e per i suoi predicatori.

    Raccomandando ai Corinzi la colletta da lui organizzata per la comunità di Gerusalemme, Paolo usa ben quattro volte la parola itpoihJµlcx.. Tre volte ( 2 2.

    ZNW 34 (r935) 62-69, al fatto che il traduttore prese la locuzione da lui usata dalla tradizione ellenistica, la quale vede nel 7t\1Evµo:. la forza che «in virtù della ragione in esso insita governa tutta la mia vita psichica e m'indica costantemente la giusta via da seguire» (69). Però 1)yEµovLx6v potrebbe piuttosto rimandare a ò'ò6ç/derek (~ col. 211). Contro l'ipotesi di un'influenza stoirn su Ps. ,5I,r4 si pronuncia P. KATz nella sua recensione di I. SoISALON-SOININEN, Die Text/orm

    der Sept11agi11ta-Oberset:r.1mg des Richterbuches ( r 951): ThL~ 77 (1952) 157. u Ios., ant. 15,124: µe-rà 1ta
    r.:poi)vp.la. B 2-3 (K. H. Rengstorf}

    Cor. 8, 1 r. r 2; 9 ,2) J'Apostolo indica con questo termine l'atteggiamento che egli si aspetta e spera che i Corinzi assumano in questa occasione; la quarta (8,19) 7.poitup.lcx. si riferisce alla sua personale partecipazione alla raccolta. Paolo insiste perché la comunità vada oltre la pronta accettazione della sua proposta, assuma un atteggiamento di attiva partecipazione e di spontaneità dettato da un'obbligazione liberamente e consapevolmente presa e non già da un ordine o da una legge. Il periodate di Paolo è pesante e difficile forse perché, da un foto, l'Apostolo non vuole insistere eccessivamente e, dall'altro, non può permettere, proprio per il bt:ne dei Corinzi, che non si dia ora corso ad una decisione presa in passato (8,II s.). L'uso di 1tpoituµlu è dettato dalla necessità di dire ciò chiaramente, pur con tutta 1a dovuta cautela e diplomazfa. Perciò Paolo usa r.poi)uµlct anche in riferimento a sé (8,19), per sottolineare cosl la propria solidarietà con i Corinzi in questa

    Cfr. ScHLATTER, Kor. 596-599. Il termine greco qui è condizionato semanticamente da ndb (htmlb) (~col. 203). Per 1a discrepanza tra forma (greca) e contenuto (se· mitico) in Paolo in 2 Cor. cfr. (riguardo ad un'altra pericope) W. C. VAN UNNIK, Reisepliine und Ame11-Sage11, Zusam111enhang rmd Gedankenfolge ili 2 Kor. I,54-24, in St11dia Pa11li11a in honorem ]oh. de Zwaa11 (1953) 215-

    faccenda: Ja loro partecipazione alla colletta per Gerusalemme non ridonda solo a maggior gloria di Dio, ma consente all'Apostolo di non perdere la propria 7tpo~uµla che a sua volta influisce su quella (8,r9). L'intera sezione dedicata all'argomento della colletta è in istretta relazione con la testimonianza di libertà di Paolo u e questo aspetto avvicina lu posizione dell'Apostolo al modo in cui

    la comunità di Qumran intende se stessa per quanto riguarda il suo compito, la sua missione di comunità di Dio (-l> ccl. 217). Considerando tale rapporto possiamo fissare 15 il significato di 7tpo~uµla in 2 Cor. 8-9 all'incirca nei seguenti termini: lieta risoluzione, gioiosa fermezza o decisione 16, caratteristica inseparabile dalla condizione di cristiano 17 • 3. Per l'uso linguistico dei Padri apostolici -7 n. 13; dr. inoltre I Clem. 2,3; Herm., sim. 5,3,4; Diogn. 1,1 (usato sempre in bonam partem ).

    K . H. RENGSTORF

    14

    234.

    lS

    16

    Wrno1sc1-1, 2 Kor. 264 ha giustamente colto tale si>gnificato trnducendo 'ltpÒc; ... 1tpobvµ(a.v l)µwv (2 Cor. 8,19) con «per accrescere la nostra letizia>.>. l7 F. DELITZSCtl ha giustamente messo in evidenza la corrispondenza sostanziale tra 'ltpo~v­ µfo. in 2 Cor. 8-9 e ndb nella sua traduzione del N .T . in ebraico (bpdsb spri hbrjt [1883]).

    221 (Vr,700)

    11potcr·o1µ~

    r (B. Reickc)

    b) È anche naturale pensare che qualI . Il verbo 7tpofo"t1]µL è attestato abbondantemente nella letteratura greca. cuno stia davanti o si ponga davanti ad In Omero ricorre una sola volta (Il. 4, una persona a sua protezione: ot ÒoplJ156), mai in Esiodo; quanto mai fre- cpopoL oi. Macrlcr-i:Ew 11:p0Écr-c11cra.v (Hdt. quente è invece negli scritti posteriori. 9,107 ). Da questo significato deriva quelNell'uso transitivo il verbo significa met- lo di stare o farsi vicino, assistere e poi, tere davantì, presentare (ad es., Horn., più precisamente, proteggere, rappresenIl. 4,r56; Polyb. 1,33,7), ma nel N.T. tare, sostenere, prendersi pensiero, optale accezione non compare. La forma pure aiutare a progredire, promuovere: media intransitiva 7tpotcr-caµaL (aoristo -roL01hwv çlvwv 7tpo\Jcr-c11n (Eur., He1tpOÉO''t"1JV, perfetto 1.p0Éei't"1]Xe<) significa racl. ro36 s., dr. 306); 1tpotcr-cacriìaL mettersi a capo, farsi avanti, al perfetto 't'WV 'EÀ.À.1)vwv xcd.... .-oi:c; ò:òixouµÉvoLc; presiedere. In un caso (ammesso che il Po'T]iìEi:v (Demosth., or. I0,46); -cljc; Ei.testo giuntoci sia corretto) abbiamo un PYJV'T]ç (Aesch., fals. leg. r61); -i:fjc; Èva..vsignificato strettamente spaziale: crÈ... .-lo:ç yvwp.'T]c;, «sostenere l'opinione con7tpoì.icr-c11v, «sono venuto davanti a te» traria» (Polyb. 5 ,5 ,8 ); Év -i:ai:c; &.µap(Soph., El. 1377 s.), altrimenti il verbo -i:lmc; crou ... 7tpoÉCT"t'T]V crou, «nonostante è usato in senso traslato. Un primo si- i tuoi peccati. .. ti niutai» (Is. 43,24); gnificato traslato è superare (ad es., 1tpOéO"'t'W'CE<;, rappresentanti, curatori 1tcXV'tWV 1tpocr•iio-a: Plat., Tim. 25b) 1; (ep. Ar. 182: maestri di cerimonie della altri significati metaforici sono tuttavia corte egiziana che avevano il compito di più importanti. a) Il più importante si- ricevere le legazioni straniere); 1'Elou v6gnificato traslato di rcpotcr.-1]µL è essere µou 'ltpOECi'flJXCXCiLV 'ÌjµG}V OL OOpUcpopoL, a capo, presiedere nel senso di guidare, «i lanceri (in realtà) ci assistono quali reggere, governare, dirigere, amministra- rappresentanti di una legge divina» (4 re: 1tpOEO"'\"OCWn '\"ijc; 'EÀ.À.aooc; (Hdt. l, Mach. n,27; così come secondo 11,12 69; 5 ,49 ); 'ltpoì.icr-c1] '\"fjc; 'ltOÀ.EW<; (Thuc. il tiranno senza volerlo aiuta i fratelli straziati a morte a manifestare con la 2 ,6 5 ,5 ); 'ltpow1.-1)xEcrav -cijc; µE'\"CX~oÀ.fjç (Thuc. 8,75,2); o1tpOECT't1JXW<; 'tOU otxou sofferenza la loro fedeltà alla legge); ot (2 Sam. 13,17; dr. Prov. 23,5; A111. 6, aµd..wc; 7tpOO"'taV't'E<; 'COU XOL\ITI cruµcpÉ10; Dan. [LXX] Bel 8 ); 7tp6cr-c1)'te 'toi:i pOV'\"O<; (Ios., ant. 5,90); 01tW<;... b &.pXLEÀ.aoù, «prendete la guida del popolo» pEÙç... 7tpoi:O"-clj-rcn .-wv à.oLxovµÉvwv (I Mach. 5 ,19 ); OLXe µE-cà µEvov, «colui che ci_ assiste», cioè Dio 't<XU'tct 1tpOLO'°'>CXµÉVfV (Ios., vit. 93 ); ot (Epict., diss. 3 ,24,3 ); onwc; Éyòwv-.al µ.E 't'OU 11:À:1]i}ouç 1t!JOEO'°'"CW'tEç (ibid. 168) 2• mh@ 'ltpoi:cr-raµÉv~, «sicché essi (scil. 7tpot
    Thes. Steph.; PAssow; MouLTON-MrLLIGAN; PREISIGKE, Wort.; LIDDELL - ScoTT; PR1wscHEN-BAuER 5, s.v.; b.. b.'l'J!lTJ'tpchoç, MÉya. MsLxov Tilç ÈÀ.À.TJVLxfiç y À.wcr
    s.v.; A. BAILLY, Diction1111ire grec-fra11çais i; (r950) s.v.; SCH\"1YZUR II 505 s.; MAYSER I 3,230; 11 1,98,193 s. 215; u 2,2n s. 236; Don-

    SCHUTZ, Tb. a I Thess. 5,12; H. GREEVEN, Propheten, Lehrer, Vorsteher bei Pa11lt1s. Zt1r Fr11ge der 'A.111/er' im Urcbriste11111m: ZNW

    44 (r952f53) 1-43. 1

    Cfr. inoltre

    KiiHNER-BLASS-GERTll

    n

    1

    §

    420,2b. 2 Frequente anche nei papiri: ..-.+ MouLTONMILLIGAN;

    ---+

    PREISIGKE; MAYSER II 2,336.

    ,;potcr-tl)J.l~

    i genitori) mi facciano sposare lui che si prenda cura di me ( = mi mantenga quale moglie)» (BGU IV 1105,5 s.; I sec. d.C.); xa.Àwc; 1toL1)cra.-.e 1tpoi:cnav'n:<; IlE't'1)crtoç, «per favore, prendetevi buona cura di Petesi» (P. Fay. 13,5: II sec. d.C.) 3 • c) Il verbo può indicare anche semplicemente l'occupazione del soggetto con l'oggetto in questione, senza che si senta più il valore della preposizione 1tp6 né esista più il rapporto da essa stabilito fra soggetto e oggetto. In tale maniera il verbo assume i significati di curare, assistere, provvedere, ordinare, trattare, gestire, esercitare, ecc. (talvolta può trattarsi di un'attività del tutto casuale): ovx òpl>wc; crEwi.i·nu 1tpoÉpoLc;... 1tPOÒovou, «entrambi compirono un omicidio a danno dei nemici» (Soph., El. 979 s.}; Et µovov "tou Èau't'Ou ~lou xaÀwc; 1tOEcr-.1)xot, «se provvede bene soltanto all'amministrazione dei propri beni» (Xenoph., mem. 3,2,2); ò 1tpoeoct Èpy®la.ç, 'l'ÉXVTJc;, «esercitare un'attività, un'arte» (Plut., Pericl. 24,5 [1 165c]; Athen. 13,94); c:ptÀocrocplaç, «dedicarsi alla filosofia» (Philostr., ep. Apollonii 53 [I 358,8]).

    1-3 (B. Rcicke)

    (Vl,701) 224

    verbo negli scritti pseudoepigrafìci basti ricordare test. Ios. 2,6, dove è detto che Dio 1tpot
    5 2. Per quanto riguarda i LXX , da cui abbiamo già citato alcuni esempi nella sezione precedente, dobbiamo aggiungere che 7Cpot
    3. Nel N.T. 'ltpotO''t'l')µt è usato otto volte, sempre in forma intransitiva. Il verbo compare nelle lettere di Paolo e nelle Pastorali, usato nelle accezioni a), b) e c) esaminate sopra(~ coli. 221 ss.). Nella maggior parte dei casi 7Cpok'tTJµt sembra avere dapprima il significato di guidare, ma il contesto mostra che bisogna associargli anche quello di prendersi pensiero (~ col. 222 ). Questo fatto si spiega tenendo presente che l'assistenza competeva a coloro che stavano a capo della giovane comunità. Abbiamo così Rom. 12;8, dove Paolo dice: ò µE't(J.OLOoÙç ÈV 1i.1tÀ6-.'l')-.L, b 1tpOi:O''taµevoç è:v 0'7COUOij, b ÈÀEWV ÈV tÀa.pO'tT]'tL. La seconda espressione fo evidentemente riscontro alle altre due che indicano un'opera caritativa; dobbiamo pertanto tradurre all'incirca: «chi distribuisce i doni lo faccia con onestà, chi è addetto aU'assistenza operi con zelo, chi cura la beneficenza faccia il suo lavoro con letizia». Tutto il contesto di Rom. 12,8 tratta però dei carismi; ot npota"•aµEvot. sono dunque un gruppo di uomini fidati 1 scelti dallo Spirito, dediti soprattutto all'assistenza 6 (cfr. 1 Cor. 12,28; civ'ttÀ1)µljJEtc;, xuBE;pv1J-

    l Per i papiri dr. -4 MouLTON-MILLIGAN; -4 PREJSIGKE; MAYSER u 2,21r s. con ulteriori

    5 HELJ.llNG, Kasussylllax 187. 6 M. LAGRANGll, Saint Paul,

    esempi per il significato df proteggere ecc.

    T.M.: mit'abber 'al == tmo che si accalora per.

    ~

    J. Epìtre aux Romaills ( 1922) ad I.: «Costoro che centralizzano i doni, sono come gli intermediari tcu i ricchi e i poveri o i malati...».

    225 (v1,7or)

    'ltpotui;nµ~

    O"E~<;).

    Abbiamo 1a medesima situazione in r Thess. 5,r2: dÒÉVClt -roùc; XO"lttwv-ra.c; Èv ùµ~v xat npoi:11-ro:µ€vouc; ùµwv f:v xupl~ xal. vouih:-rouv·rnc; ùµac;, «vi preghiamo di riconoscere coloro che faticano tra voi, che vi guidano nel Signore e vi ammoniscono». Secondo il contesto, il compito dei 1tpoi:O""t"aµEvot consiste in gran parte nella cura pastorale e l'accento non è posto sulla loro preminenza o sulla loro autorità, bensl sulle loro fatiche per la salvezza eterna dei credenti 7 . Si discute ancora vivacemente se e in che misura i due passi succitati (Rom. 12,8 e I Thess. 5,12) si riferiscano a due particolari uffici ecclesiastici: il carisma presupposto in Rom. r2,8 non è comunque un argomento contro la possibilità che si tratti di un ufficio, perché nel N.T. non esiste la contrapposizione tra Spirito e ufficio (ad es. Mt. 7,29; Act. 6,3) 8 . Anche in I Tim., ove il verbo appare più volte, particolarmente al participio 9 , il discorso sottolinea sia l'idea della guida sia l'idea dell'assistenza. In questa lettera si tratta comunque chiaramente di ministri dirigenti della comunità. Dapprima r Tim. 3,4 descrive un candidato 'vescovo' coDoBSCHUTZ, Th. a 1 Thess. 5,12; cfr. F. J. A. HORT, Tbe Christian Ecclesia (1897) u6

    7

    s. (non si tratta di un titolo specifico, ma di persone investite ufficialmente d'un ministero ecclesiastico); ~ GREBVEN 32 n. 74 (a Rom. 12,8 e I Thess. 5,12: assistenza dn parte dio superiori).

    O . LINTON, Das Problem der Urkirche i11 der 11eueren Forsch11ng, Uppsala Universitets

    8

    3 (B . Reicke)

    mc un uomo «che governi bene (-n;poi:O''taµEvov) la propria famiglia» e sappia tenere sottomessi i figli. E subito dopo (v. 5) aggiunge: «Se uno non sa governare (-n;poaTTjvo:t) la propria famiglia, come potrà aver cura ( ÈmµEÀ.1)aE'tClL) della chiesa di Dio?». Di fatto qui governare e curare indicano la stessa cosa. Cfr. anche 5 ,8 : «Se uno non provvede ( ttpovoEi:) ai su~i parenti e in particolare alla sua famiglia ... ». Poco dopo (r Tim. 3,12) leggiamo che i diaconi devono pl'Ovvedere ( 'l'Cpoi:o..taµEvot) ai loro figli e alle loro case (cioè alle famiglie e alla servitù). Certamente l'autore della lettera presuppone l'autorità del capofamiglia, la patria potestas (-+ rx, coli. III9 ss. rx54 ss. r275 ss.), ma non pone l'accento sull'aspetto dell'autorità e dell'esercizio di essa, bensl sull'avvedutezza e sulla cura di cui deve dar prova chi goda di tale autorità. Abbiamo infine I Tim. 5,x7: ot xa.Àwc; 1tpoE
    Arsskrift 1932 Teol. 2 (1932) 127.195-211; G. FRIEDRICH, Geist 1111d Amt, in: Wort und Dienst. Jahrbuch der Theol. Schule Bethd, N.F. 3 (1952) 80 n. 65.81-85 ; ~ GREEVEN 32· 39.42; H. v. CAMPENHAUSEN, Kirchliches Ami

    11t1d geistliche Vol/macht i11 den erste11 drei Jahrht111derte11 (.1953) 323-332. 9 C. SPICQ, Saint Paul, Les épitres pastora/es (r947) 87 s.

    rcpotcr"tnµ~ 3-4 (B. Rcicke)

    «anziani che esercitano bene la presidenza», ma particolarmente degli anziani che esercitano l'assistenza in maniera onesta: la seconda metà del versetto

    precisa infatti che il criterio per giudicare il loro lavoro è la cura d'anime. Ciò non significa tuttavia che secondo questo passo i 1tpotO"'t'aµEvot non abbiano una particolare dignità e in quanto 'anziani' non abbiano una posizione direttiva nella comunità 10• Da tutti questi passi risulta dunque che nella maggior parte dei casi il nostro verbo ha nel N.T. il significato di guidare e assistere 11 . Tale significato è del tutto conforme alla natura particolare che il N.T. attribuisce all'ufficio ecclesiastico, secondo il principio evangelico (Le. 22,26) che «chi governa ( ò i)youµEvoc;) sia come colui che serve» 12• 10 DIDELIUS, Past.', ad l. Nell'ordinamento delle associazioni greche anche b 1tpOEO'"tWc; era un particolnre dignitario: F. PoLAND, Geschichtc des griechischc11 Vereinswesens, Preisschriften der Fiirstlichen Jablonowskischen Gesellschaft 38 (r909), indice s.v. 7'poE
    L'importanza dell'idea di assistenza nell'uso di 7tpotcr't'aµm nel N.T. risulta anche dal fotto che 1tpocnchtc; significa protettrice o patrona (Rom . 16,2) 13 • Similmente 7tpO), 774 ss.; ~ xv(3Épvt]OO''t'a'\'1lc;, con bibl. s.v. 1tporr-r&.'t'tc;. Inoltre PoLANO, op. cii. (~ Il, IO) 363-368 e indice S.V. 'lt{lOfl't'
    The Disobedient Spirits a11d Christian Baptism (1946) l77.2n-213.223; SPICQ, op. cit. (-7 n. 9) a TU. 3,8 con excurms. 17 G. D. KYPKE, Observationes sacrae in Noui Foederis libros 11 (1755) 380 s.; \V/. LocK, Tbe Pastoral Epistles, ICC (1952) a Tit. 3,B. REICKE,

    'ltpoxo1d1 (G. Stiihlin)

    coll. I 45 s.). b) Il secondo significato è

    presente in Diogn. 5 ,3: i cristiani non si separano dalla società ouo~ o6yµanc; &.vt1pw7tlvou 7tpOEO"-céicrtv, «né sostengono una dottrina umana». B. REICKE

    7tpoxctÀ.Éoµat ~ IV, col. 1479 7tpoxa-.a;yyÉÀ.À.w ~ r, coll. 192 ss.

    7tpOXEtµat ~V, col. 318 7tpOX'Y}pUCTCTW ~ v, col!. 479 ss.

    T 1tp0X01ti), J.I 7tp0%0'it't'W I

    I

    I

    (~ m'>~
    'tEÀ.EtOW) SOMMARIO:

    1.

    triarchi, Lettera di Aristea, Giuseppe;

    'ltpoxo7tTJ come concetto etico in Filone. D. Il gruppo di termini nel N.T.: r. collocazione linguistica; 2. la 'ltpoxom'J individuale; 3. la 1tpoxon1) della comunità e dell'evan2.

    A. Il gruppo di termini in greco: r. storia e signilìcato dei termini;

    2.1tpoxom1 come termine tecnico nella Stoa e nelle sue propaggini. B. L'idea di progresso 11ell'A.T. C. Il gr11ppo di termini nella letteratura del giudaismo elle11istico:

    npoxom'J, 7tPOX67t'tW Per A: PAPE, PASSOW, LIDDELL-SCOTT, 1-IERWERDEN, MouLTON-MlLLIGAN, PREISIGKB, ìVort., s.v.; A. BONHOFFBR, Epiktet tmd das N.T. (19n) 128; G. H. PuTZNER, Die ethische11 Systeme Platos und der Stoa, Diss. Leipzig (1913) 9498; M. PoHLENZ, Die Stoa I (1948) 154 (anche n' [1955] 83) e passim; In., Stoa rmd Stoiker (1950) 164-170; K ZmGLEll, art. 'Plutarchos': PAULY-W1ssowA 21 (1952) 771 s.; P . BARTHA. GoEDECKl!MEYER, Die Stoa • (1946) 34 s. xr4 s. 202 s. e passim. Per C: E. TuROWSKI, Die 1Viderspiegeltmg des stoische11 Systems bei Philo11 vo11 Alexa11dreia, Diss. Konigsberg (1927) 42; W. V5LKER ( =

    LXX, Simmaco, Testamenti dei xn Pa-

    gelo;

    4. la 'ltpaxom'J dell'eresia; 5. la 7tpoxom'J degli eoni. E. Il gruppo di termini nella prima letteratura cristiana dopo il N .T. : r. i Padri apostolici e gli apologisti; 2.

    Clemente Alessandrino.

    V6LKER r), Fortschritt tmd Vollendtmg bei Philo von Alexandrien (1938) 154-262, spec. 229-238; J. S. BouGHTON, The Ide,1 o/ Progress in Philo ludaeus (per il significato di 'progresso' dr. p. vm), Diss. New York (1932); E. BRÉHIER, Les idées philosopbiqt1es et religieuses de Philo11 d'Alexa11drie 3 (1950) 250·3xo, spec. 302 s. Per D: G. STii.HLIN, Fortschritt u11d Wnchstt1m. Z11r Herktm/t tmd \Va11dlung 111.licher A11sdrucks/orme11, in Fcstg;ibc fiir J. Lortz II (1957) 13-25. Per E: W. V6LKER ( = VoLKllR n), Der wahre Gnostiker nach Clem. Alex. (1952).

    7tpoxo7ti) A rn-c (G. Stiihlin)

    A. IL

    GRUPPO DI TERMINI IN GRECO

    r. Storia e significato dei termini

    a) Probabilmente 1tpox61t't'W è in origine un termine nautico che significa far avanzare con colpi un'imbarcazione 1; è cioè una delle numerose metafore nautiche di cui è pieno il linguaggio popolare greco. Meno verosimile è invece che il verbo derivi dall'attività del fabbro che allunga il ferro a colpi di maglio 2•

    classica e significa avanzare, fare progressi, progredire, crescere bene; cfr. Aristot., de plantis 3 (p. 824 b 38 s.); probabilmente anche Thuc. 7 ,56,3; Sext. Emp., math. 5,7I ecc. Il sostantivo 1tpoxon1) = progresso, avanzamento, non compare affatto prima del periodo ellenistico 5 ove è frequente anche al plurale, specialmente in Filone, spesso anche in locuzioni verbali fisse, ad es. À.aµBavw 1tpoxmt1}v (Polyb. 8,15,6; I0,47,12; Philo, leg. ali. 3,165 ecc.), inoltre nella figura etimologica 1tpOX01ti)V 1tPOX01t"CW (Plut., de profectibus in virtute 7 [II 79b); dr. la figura sinonima av;11ow av!;w in Col. 2,19).

    b) 1tpox61t't'W è usato in origine transitivamente: spingere avanti, far progredire, promuovere, favorire: ad es. Eur., Alc. 1079; Ree. 961; Xenoph., eq. mag. 6,5. Analogamente il medio significa avanzare, progredire: ad es. Hdt. l, 190; 3,56. Già in attico 3 compare però l'uso intransitivo della forma attiva 4 , uso che prevale poi nella lingua post-

    progredire sia nel male che nel bene 6• Nel male: 1J È'ltL -çÒ XELpov '7tpoxon1] (Ios., ant. 4,59; 2 Tim. 3,13 [--7 col!.

    1 Cfr. PAssow, s.11.; H . BLUMNER, Die Melapher bei Herodotos : Jahrbuch. fi.ir Phil. 143 (1891) 45. 2 PAPE, s.11. e altri. Una terza teoria, sostenuta per primo da A. CoRAY, Am11erkungen z. Iwc. II (1807) 121 s. ed accettata evidentemente anche da LIDDELL-SCOTT e da altri, fa derivare il significato del verbo dall'azione di un esercito che in un bosco procede abbattendo gli alberi per farsi strada. Si tratta però di una specie di etimologia popolare, benché talvolta 7tpox611'tw significhi procedere, avanzare su una strada, ad es. Chion, ep. 4,2 (ed R. HERCHllR, Epistolographi Graeci [ 1873] 196); Ios., ant. 2,133.340; Suidas, s.v.; cfr. anche Babrius, fabulae l IIA (ed. O. CRUSIUS [ 1897]) e benché in tale uso "ltpox61':'tW vengn derivato, quale specie di opposto di tyx67t'!W (~ V, col. 845), dal medesimo ambito semantico di quest'ultimo verbo. Tale deriva· zione è però fuori strada già per il fatto di riallacciarsi al tardo uso intransitivo del verbo. 3 Ancora Platone evita 'l':polt&rt>tw ed usa invece tml'ìll'ìwµ~. come nota giustamente Luc., soloec. 6. Nel periodo postclassico i due verbi, ovvero i sostantivi connessi npoxor.i) ed htl/'ìocnc;, possono essere usati come sinonimi (cfr.

    Plut., de profectibus in vìrtule 3 [n 76d] con 10 [Il 81d]) oppure anche insieme (lust., dia/. 2,6 ~ col. 269; Ios., vìt. 8, ~ col. 235). Lo stesso non si fa scrupolo di usare 7tPOxo7t'!W conformemente all'uso corrente del suo tempo (Hermot. 63; cfr. ancora amores 2r); egli si serve allo stesso modo anche di npoxom') (Alex. 22), anche se, dd resto, pur essendo un atticista, non è mai pedante; cfr. R. ] . DEFERRARI, Luciano's Atticism, Diss. Princeton (1916). 4 Talvolta si può dubitare di quale uso si tratti, ad es. nella locuzione npox6'1l"t"w oòOÉv (Alcaeus, Jr. 91 [DIEHL 11 4,135]; Xenoph., bis/. Graec. 7,1,6; Polyb. 27,8,14). Probabilmente si tratta ancora dell'uso transitivo; il verbo è dunque costruito, come del resto assai spesso, con un oggetto neutro (dr. LmDELL-SCoTT, s.v.). 5 Cfr. C. A. LOBECK, Phrynichi Ecloga (1820) 85: rcpox67t'!EW )..lyovtL mxp' a.ò-ro"ic;. Sulla questione dr. anche W. G. RuTHHRFORD, Tbe New Phrynìchus (1881) 158. 6 Cfr. il doppio uso del sinonimo nopEvoµa.L in LXX 2 Ba.u. 3,1.

    c) In sé 7tpox6n't'w e 1tpoxon1) sono voces mediae, possono cioè indicare il

    1tpoxomi A xc-d (G. Stahlin)

    264 s.]; dr. Polyb, 5,16,9; test. Iudae 2I,8: É1tÌ. 'tÒ xaxov [variante: ÉTCÌ. xo.-

    xi{'>], spiegato con la successiva locuzione participiale É'Y 7tÀ.EO'YEf;l~ ùljiovµE'YoL). Nel bene: 1) btì. 'tÒ f3ÉÀ:nov 1tpoxoID}: Polyb. I,I2,7. Comunque, come avviene anche per la nostra parola 'progresso', sia il verbo che il sostantivo vengono quasi costantemente intesi a parte potiore (cfr. Plut., de profectibus in virtute 7 [II 79b]: ètÀ.'J)ihìc; 7tpoxorcl}), vale a dire che r.pox07tlJ si avvicina a f3e:À.•lwcnç (Philo, sacr. A .C. H3; mut. nom. I9; agric. I66; aet. mund. 43), ad civaM.À.À.WO"Lç (P. Masp. 1 2,3,21), ad e:Ò1)µe:pla (P. Ryl. n 233,I6; 2 Mach. 8, 8; ~ col. 2 4 6), anzi a O'U\l't'ÉÀ.e:Lc.t (Polyb. 2,37,10), e 7tpox67t"!W è usato insieme con f3e:),;nouµm (Philo, post. C. 78; mut. nom. 23 s.), Eppwµcu, ùytalvw ecc. (-7 qui sotto d) e anche, ad es., con e:i.ç Ù.W1tÉpf3À'l'J'tO\I 'tUXTJV xwpÉw (Vett. Val. 9,1 [p. 332,7]). d) In questo significato positivo rcpoe rcpoxortn divengono oggetto (spesso con significato prossimo a benedizione, successo, fortuna, felicità) di auguri e preghiere ( e:uxoµal cn ùytalve:w xa.ì. 1tpoxo1t't'EW, «ti auguro buona salute e felicità»: P . Gen. I 74,J; 7tpox67t"t'EW e:uxoµat, «ti auguro buona fortuna»: P. Oxy. 1 122,15; cfr. P. Ryl. u X07t'tW

    7 Certi pianeti in una determinata congiunzione a7tÒ VE6TIJTOC, 'tètC, 1tflOX01tècC, tt'l'CO'tE)..o(icrw; P. Tebt. II 276,39; spesso in Vett. Val., ad es. r,22 (p. 45,36); insieme con xTi)cnç r,22 (p. 47,26); con Ùp)(al, ·nµa.l, -e&. àyaM 2,4 (p. 60,3 s.); con EÙi:ux!a~ 2,37 (p. n6,r9 s.); con 1tlq>H.ELa, µa.xapL6T'IJC,, EÙEpyEcrla 6,1 (p. 247,19 s.); dr. ancora 2,6 (p. 62,27); 4,16

    233,16; ZEu :I:apaì}l]vé, 1tpoxo1t1}v 'Apxe:l6:~ 'louÀlou, «O Zeus Sarateno, concedi buona fortuna ad Archelao .figlio di Giulio»: Ditt., Or. II 627,2) e di predizioni astrologiche 7• Affine è l'uso che troviamo in un epitafio della metà dell'epoca tolemaica 8 : È.'Y 7tpoxorta.i'<;, «in buone condizioni di vita»; altrettanto ampio è il significato di 1tpoxort1} swi]ç, «felicità di vita», in test. Iudae 15,5. Come al benessere economico (cfr. Diod. S. 11,87, 5: -ça.i:c; ov<7la.tç; anche test. Gad 4,5 [-'>- n. 44], dove la 7tpoxomi è oggetto di odio e d'invidia; Epict., diss. 1,10,9: TCpoxoTCal=proprietà ecc.) in queste locuzioni stereotipe ci si riferisce alla crescita dei figli (P. Masp. I 2,3,n; Vett. Val. 4,12 [p. q9,25] ), al successo nella professione (P. Oxy. XIV r631,20; Diod. S. r,33,9), alla promozione (BGU II 423,17; Flav. Ios., bell. 2,27; 6,142), alla superiorità di rango, dignità, distinzione, onore e prestigio 9 ( o6ça xa.i 7tpoxotj, «gloria e onore»: ep. Ar. 242; µdso-Yoç 7tpoxo7tijç ahtoç, «causa di maggior prestigio»: Flav. Ios., beli. r, l 9 5; 7tp0X07t"'CW É\I af;l~, «Cresco di prestigio»: Vett. Val. 2,4 [p. 60,19] 10; cfr. anche FJav. Ios., ani. 20,205) e a cose simili. Accezioni particolari sono la fortuna bellica (ad es., i::òayyEÀ.l~o\l"t'L "!à 't'ijç ve:lxl]ç a.ù-rou xai 7tpoxo1ti'jç : P. Giess. 27,7; 2 Mach. 8,8; ~ 44,5 BCH 20 (.r896) 191, iscriz. da Fayum (?) r 12: l'editore traduce da11s lettT f/eur (nel loro Iìorc). 9 In questa accezione il termine è passato anche nel linguaggio dei rabbini (p'roq'té o p'roqofé, ad es. Ber. r. 12,16 a ZA ~); cfr.

    STRACK-BILLERBECK III 619 a Phil. :r,12; S. KRAUSS, Griech. tmd lat. Lehmoorter im Tal-

    (p. 185,18 s.}; 5,9 (p. 225,28 s.); 7,5 (p. 292, 16); 9,1 (p. 331,25 s.). Nel medesimo signi.li-

    mud, Midrasch rmd Targttm u (i899) 487 a.

    cato è usato anche il verbo: É1tt "ti)ç 1tpWT'IJ<; 1tpox6lJ!avTEC, xu.L ·nµ1]l>Évnç Ù1tÒ

    10 In Vett. Val. troviamo anche il derivato r.:poxo1tT~x6ç, avanzato, avva11taggiato (4,II

    1tOÀÀwv (2,25 (p. 92,16 s.)); cfr. ancora 4,7 (p. :r67,r); 4,u (p. 178,3). ..

    [p. 178,2]; 2,21 [p. 84,17]) e come opposto 0;1tp6xo1toç, sfortunato, senza fortt1na e sue· cesso (2,25 [p. 92,30)).

    TJÀ~xlaç

    8

    P. JoUGUl!T, lnscriptio11s grecques d'F.gypte:

    7tpoxo1<1] A l
    [Sym.]; dr. Vett. Val. 2,4 [p. 60,15]: Èv À.u.(J:itpet.i:ç
    guarigione

    11



    e) Accanto a questo uso di 7tpoxo"Tt1) per progresso e benessere 12 in senso fisico, economico e sociale, uso che si situa soprattutto nel linguaggio popolare non letterario, si riscontra un uso di gran lunga più importante nella lingua letteraria dell'ellenismo, precisamente nella filosofia stoica e nelJe sue emanazioni, dove npoxo'ltTj indica il progresso, lo sviluppo, il divenire etico e spirituale dell'uomo 13 • Questo divenire può essere ulteriormente precisato come progresso, avanzamento nell'educazione ( [ 1tEpt -rnv 7W.L]OELC1.V 1tp0X07t't'EL 14 ; [Pitagora] 1tpOXEXO
    µÉxp~

    -réiç 't"WV :EEe specialmente nella virtù 16. Ma in questo ambito, anche quando è usato assolutamente, il terrnine 7tpOXO'ltlJ significa univocamente progresso 11ella formazione intellettuale e morale (quale unità inscindibile), come nel gioco di parole di Bione (riportato in Diog. L. 4,50) -r:Tiv o~TJ
    ~Cl
    15

    )

    ot'

    10,189: U1tEp~oÀ1}v EÙqJuta.ç xat 0'1tOUofiç -djc, 7'Ept 'tlJV 'lt<1.:t0EVO-LV xat uocpla;ç Èv 7tpoxo1tii ylvoµc:x.t, «fare gran-

    di progressi per la straordinaria buona indole, per l'eccezionale zelo nello studio e per la non comune sapienza». Infine rcpoxo1t1j può anche significare culmine, acme, punto massimo dell'ascesa 18 •

    (... 1tpOVX01t'tOV Èv 't'OL<; µo;ihiµet.
    f) In tutte queste forme di 1tpoxotj si tratta del progresso individuale. L'uso di 7tpoxo1tlJ nel senso di un progresyw
    Luc., Hmnot. 63 ; ÈTIÌ 7tÀÉov ... 7tpox6\jJet.L Èv P'rJ't'Optxfi: M. Ant. 1,17), nella filosofia (Diod. S. 16,6,3; vÉ({> ... &.vopt

    Il

    Ad es. Asclepiade Prusense in Gal., de cot11positio11e medica111e11tomm sec11nd11111 locos x,

    l4

    2 (KiiHN 12,413); Erodoto medico in Oribasius, collectionmn medicarum reliquiae rn,8,17 (CMG VI l,2 p. 54). 12 È singolare come -r-po:v.o1tl], un concetto intrinsecamente dinamico, venga usato variamente con un significato statico: benessere, possesso, posizione 011ori/ica, dignità, anche stadio preparatorio (~ col. 273) e culmine (~ coli.

    15

    236.271). Il Qui si congiungono le immagini della crescita e del progresso; meglio ancora: i concetti che provengono dalle due sfere d'immagini vengono completamente assimilati tra loro. Cfr. Philo, fug. 176: ... al 1tflOX01tal xo:t

    a.ù~1)0"E~ç

    xat xi:qmwv

    18, -> n. 77.

    y~'VfoEt<;, ~ STiiHLIN

    P. Jandanae 3,5 (ed. K. KALBFLEISCH (1912) IO S.).

    IPE I 47,6. Chrysipp., /r. 217 (v. ARNIM m 51,37); dr. Cic., fin. 3,14,18 e soprattutto l'opera di Plu· tarco de profectib11s in virttlte (II 75a-86a). 17 Ed. HERCHER, op. cit. e~ n. 2) 627; abbiamo un analogo uso assoluto del verbo in Iust.; dial. 2,6: ... xa.t r.poÉX01t't"OV xa.t 1tÀELO"'t"OV 0:10V ÈXaO"'t"1')ç 'ÌJ!!fpll.<; É1tE8l801>V. 18 Così, ad es., nella rapida sintesi del corso della vita: yÉwa., à.va.-tpoq>l], npoxo1tl], à7to~lt..1crL<; (in L . STE:tNBJ\CH, Fabularum Aesopia1"11111 Sy/loge [1894] 65) npoX07tTJ si avvicina ~cnza dubbio al significato di àxµ1J, fiore (degli anni); cfr. anche i passi di Clem. Al. citati alla ~ col. 27z. 16

    rçpoxoTC1) A 1f-2 (G. Stahlin)

    me tutta l'idea moderna di progresso. Ciò è dovuto a diverse ragioni, tra cui la dottrina dell'eterno divenire e trapassare delle cose {Eraclito, Aristotele) e la tesi della perfezione del mondo sostenuta dalla Stoa.

    verità dottrinaria della prima Stoa che, a differenza dei Peripatetici, non riconosce valori mcdi tra la virtù e il vizio (Chrysipp., Jr. 536 [v. Arnim III 143, r 5 s.] ), classifica anche i 1tpox61t-cov"E<; tra gli àvol}'t'Ot x<Xt µoxi>TJpol, tra i summe miseri et improbissimi (fr. 539 [ibid. III 144,r]; Jr. 530 [ibid. III 142, 34 s.]) 20• Persino chi, sulla via del progresso, è avanzato al massimo ( ò f.'lt' 2. 1tpoxon1} come termine tecnico nella èf.xpov 1tpox67t'tW\I = ad summa proceStoa e nelle sue propaggini dens: Sen., ep. 71,28 = qui non longe L'idea della 7tpOX07ti) ha un posto di a sapientia abest: Chrysipp., fr. 425 [v. primo piano nel sistema etico della Stoa. Arnim 111 ro4,18] ), osserva già perfetLa 1tpoxomi indica la via dalla àcppocn'.i- tamente -r(Ì xa:ihixov..a (~ IV, colt. V'ft alla O'ow\lwc; -rft q>Uat sidonio classifica anche Socrate tra i 1tpo(Epict., ench. 5 ), si colloca quindi tra x67t't'OV't'Eç 22, dopo che Zenone aveva l'à1talow..oc:; e il TIEm:dirnµÉvoc:; (Chry- fatto lo stesso anche con Platone 23 , e sipp., fr. 543 [v. Arnim III 145,5 ss.]), Seneca confessa (vita beata r 7): non tra l'lotw'tnc:; (-> 1v, col. 726) e il cpt- sum sapiens ... nec ero. Infine, dato che M
    =

    19 Cfr. Plat., symp . .io4b, dove il q>~Ma-ocpoç sta tra il uoq>6ç e 1'àµafh1ç, quindi al posto che la Stoa assegna al TCpox67t'tW\I. 20 In entrambi i passi abbiamo il doppio paragone dei 11pox6TC'tO\l'tE<; con coloro che in mare annegano comunque, sia in nn metro che in 250 metri d'acqua, e con i cagnolini che nel loro sviluppo stanno per ricevere la luce

    degli occhi eppure sono ancora ciechi come quelli nppena neti (-7 PmtLENZ, Stoa imd Stoikcr 165). 21 -7 PuTZNER 95; cfr. -7 Pol!LllNZ, Stoa und Stoiker 170. 22 Cfr. -7 PUTZNER 97. 23

    Cfr.

    -7 BARTI!-GOEDECKEMEYER

    34·

    TCpoxomi A 2 (G. St1ihlin)


    inter ipsos quoque proficientes sunt magna discrimina e seguendo Crisippo distingue tre gradi di proficienti ( ep. 7 5, 9.r3.14), conformemente alla divisione dei 7tpo1)yµÉw1.. (-7 col. 23 7) in tre gruppi (ep. 66).

    Secondo la Stoa il presupposto decisivo per una &.!;.~6À.oyoc; 1tpoxo7t'Ì) ... rtpòc; "t'à.<; à.pE"t'6:c; è insito nell'indole naturale dell'uomo (Chrysipp., fr. 217 [v. Arnim III 51,37 s.] ). Un contributo essenziale allo sviluppo della disposizione naturale è dato, oltre che dalla natura, dall'ammaestramento (fr. 532 [ibid. III 142,32 s.]) dei filosofi, dall'incitamento degli amici e soprattutto dalla volontà del soggetto stesso (1i 'ltpo<XlpE PoHLENZ, Stoa I 318 s. ( = cedimento) non si adatta al contesto: a motivo della contrapposizione àTC6À.À.v-c<:u-cri;i1;E't'et.t si dovrebbe avere un'antitesi positiva a Yj't'-ta.; forse bisogna leggere btlOocrw. (DEBRUNNER]. 26 Zenone traeva le sue deduzioni dal genere dei sogni; dr. /r. 234 (v. ARNIM I 56): 1-#ou cXTCÒ 't'W\I 6velpw\I ~XCt.CT't'OV Ct.U't'OV auvet.tcrlM.\IEcrl}tti 1tpox61t-covi:oç, cfr. -> PoHLENZ, Stoa und Stoiker 164. Qualcosa di simile troviamo in Plat., resp. 9.57IC e Aristot., eth. Nic. 9,6 24

    2.'i ~vtiocn.ç

    ricadute fatali (Epict., ench. 5 I ,2: 'ltt'.Xpà: µlav 1'j"t'-.av x<Xt ~voocnv 25 x<Xt &.1t6À.À.u-rat 7tpox07t'Ìl xat O'~JL,E.-aL, <{con una sola sconfitta e con un solo cedimento il progresso è perduto o salvato»). La conoscenza di sé porta il 7tpoxlm"t'WV all'autoaccusa a motivo dei suoi errori, mentre lo stolto getta la colpa su altri ed il saggio non commette errori (Chrysipp., fr. 543 [v. Arnim III 145,6-9]; Epict., ench. 5 ). Abbiamo cosl menzionato uno dei segni della 1tpoxo'lt'/), dei quali si era già occupato Zenone 26 • A questi segni Plutarco dedica la parte principale (capp. 4-17) del suo scritto sulla conoscibilità dei progressi nella virtù 21 (de profectibus in virtute [II 76 f-86 a]). Anche Epitteto (ench. 48) elenca i O'"f}µE~t'.X 1tpox61t'tOV'to<;; offre inoltre una descrizione del 7tpox67t"t'WV (diss. l,4,I8-2I) e istruzioni per la 1tpo· X01tYJ (ench. 12 s.): entrambi i capitoli cominciano con le parole Ei. 1tpox64im ~ÉÀ.E~c;. <{Se vuoi raggiungere la meta del progredire» 28 • La meta o il fine della 1tpo:x:o'lt1} sono crocpla e &.pe-.i) insieme e per ciò EÒfotµovla e Ei.lpott'.X (Epict., diss. r,4,3), cioè la personalità perfetta ibid. I,4,24; Sen., ben. 7,r,7 ecc.). (cfr. _ Il passaggio dalla 7tpoxoit1) alla 'tEÀ.Et6't1)<; si compie, benché in un'improvvisa µE•a~oÀ.1} (Plut., de profectibus in virtute l [11 75c]), senza che il saggio stesso se ne accorga ( OtaÀ.EÀ.T)ilw<; O'O· c:p6c;) 29.

    (p. n67b 4 ss.). 27 È la risposta di Plutarco a Crisippo, per il quale neanche colui che è diventato saggio sa di essere giunto alla fine della 1tPOX07tTJ: Plut., de pro/ectibus in virtute 1 (n 75e). 23 Per quest'uso dell'aoristo cfr. -> col. 267 con n. 85. 29 Chrysipp., f r. 539-541 (v. ARNIM III 143 s.); Sen., ep. 71,4; 75,9; Philo, agr. 16i.165 ccc.; cfr. I. HEINEMANN, in L. COHN-}.HEJNEMANN, Die \Verke Philos vo11 Alexa11dreia in Deutscher Obersetzung IV {1923) 143 n. r .

    7tpox.o7ti} B l-2 (G. Stiihlin)

    B.

    L'IDEA DI PROGRESSO NELL'A.T.

    r. Ad un pensiero eminentemente storico com'è quello dell'A.T., con la sua «assoluta precedenza dell'evento sul 'logos'» 30, l'idea di una Tipoxo-r::i} non poteva assolutamente essere estranea. Effettivamente le visuali storiche delle singole fonti che confluiscono nei libri storici dell'A.T. tengono tutte conto di un progresso della storia della salvezza. Tuttavia questo avanzamento non è mai chiamato 7tpoxon1) e le singole concezioni di questa progrediente storia della salvezza divergono notevolmente tra di loro, nei particolari, a partire dall'individuazione dell'evento centrale della storia della salvezza, cioè della meta a cui tende quel progredire: per l'Esateuco è la conquista di Canaan, per la storiografia deuteronomistica è il regno di David. Comune a tutte le concezioni e a tutte le fonti è però la convinzione che la storia di Dio si svolge secondo un piano divino. La ·visione di questo svolgimento ordinato della storia deila salvezza secondo il piano divino implica naturalmente l'idea «della tensione finalistica di una storia che si muove irresistibilmente dalla promessa all'adempimento» 31 • Perciò la storia di Dio non sta ferma. Nel suo procedere essa somiglia ad una sorgente che riceve l'acqua, la raccoglie e la lascia zampillare con flusso costante, mentre la vena stes3ll G. v. RAD, Theol. dcs A.T. I (1957)

    121.

    Questa felice definizione della 7tpoxo7ti} storico·salvifica dell'A.T. si trova in W . ZIMMERLI, Dos Memchenbild des A.T.: Theol. Ex. N.F. x4 (1949) 8. li

    sa fluisce da una estrema profondità 32 • Fuori figura ciò significa che tutti gli stimoli decisivi di questa progressione vengono da Dio: atti di elezione e di missione e, risposte alla ribellione e all'apostasia del popolo, punizione e rigetto; ma anche rinnovellati atti di grazia e rinnovamenti del patto. Le conclusioni dell'alleanza sono - e ciò vale in misura particolare per la storiografia dell'Esateuco - le pietre miliari del progredire storico-salvifico 33• Il contributo umano al progresso della storia è proprio di natura opposta. L'uomo viene certamente confrontato con l'esigenza divina che dovrebbe stimolarlo ad un avanzamento positivo, ad essere come Dio (ad es. Lev. 19,2). Ma proprio questo fìne, certamente nella subdola suggestione del tentatore (Gen. 3,5 ), offre all'uomo uno spunto per progredire verso il male, per un avanzamento negativo di cui lo jahvista registra efficacemente le tappe dalla caduta del primo uomo (Gen. 3) fino alla caduta dei figli di Dio e dell'intera umanità (Gen. 6 e n). Anche la tradizione sacerdotale (P: Gen. 6,u s.) ed il deuteronomista (cfr. la tipica narrazione in Iud. 2,11-23) non vedono le cose diversamente 34 • 2. La visuale che guida la narrazione dei libri storici scorge, nelle sue diverse forme, il progresso della storia diretto per la maggior parte verso le grandi mete del passato. Anche qui fa però talvolta capolino una meta futura (cfr., ad es., Ex. 32,J4 [E!ohista]); in particolare la storiografia sacerdotale vede un tale fine nella ricostruzione della comunità israelitica dopo l'esilio, ricostruzione già cominciata ai tempi di P. Uni-

    3l Cfr. TH. C. VRIEZEN, Theol. des A.T. im Gru11dzuge11 (1956) 30 s. 33 Cfr. v. RAD, op. cit. (-> n. 30) 135-140. 34 Cfr. EicHRODT, Theol. A .T. m' 99 s.; ZIMMERLI, op. cit. <~ n. 31) Il .

    7-po;i;on-/1 B 2-3 (G. Stahlin)

    formandosi al programma contenuto nella legge mosaica la comunità postesilica si muave verso la meta proclamata nel passato. Ma è soprattutto nella visuale storica dei profeti che tutto è rivolto verso un traguardo futuro 35 • Anche per i profeti tutto quanto tende ad un fine ultimo con ogni singolo evento ordinato secondo un grande piano (cfr., ad es., Is. IO,I2; 45,21). Questo fine ultimo spiegherà tutta la storia trascorsa e le darà il suo senso, ma non sarà raggiunto con un progresso ininterrotto, bensl soltanto attrnverso una nuova creazione 3.~. 3. In questa prospettiva l'A.T. non vede però soltanto la storia del popolo, bensì anche la storia individuale procedere da un punto di partenza ad un punto d'arrivo 37• Cosl già le storie dei patriarchi mostrano esempi di purificazione e di cambiamento dell'uomo al cospetto di Dio e sotto la sua guida: primi fra tutti Abramo e Giacobbe 33, ai quali si aggiungono altri che si sono conformati in alto grado alla volontà divina, ad es. Enoc e Noè (~ n. 63 ). Anche l'epoca successiva mostra esempi simili: David e il salmista di Ps. 32. Ma nella maggior parte di questi casi si passa, come avviene per la storia del popolo, attraverso un fallimento che viene neutralizzato e superato soltanto grazie ad un intervento salvifico di Dio ed al suo perdono.

    35

    Cfr. O. EISSFELDT, Einleit1111g i11 das A.T. 2

    (1956) 240 s. 245 s.; ErC!lRODT, Theol. A.T. 1' 257; anche le indicazioni in v. RAD, op. cit. (4 n. 30) x33 s. .10 Cfr. EicHRODT, Theol. A.T. 1' 230-263, spec. 256-260. 37 Cfr. ZrMMERLI, op. cii. (-l> n. 31) 10 s.

    Filone offre un'interpretazione totalmente alterata della storia dei patriarchi presentandola come un esempio della 1tpoxi:mi] umanistica, sebbene in un variazione fìloniana (- > 38

    Ma è soprattutto la 'sapienza' dei Pro·

    ve1·bi quella che delinea l'immagine dell'uomo attivo che tende al guadagno ed al progresso e vede in questa attivitìi il compito affidatogli dal Creatore 39• Spesso la sapienza parla della sua &.px'~ {cfr. Prov. 1,7; 9,10; 15,33; Ps. III , IO) e proprio questa parola implica già anche l'idea di una meta da raggiungere e di una via che vi conduce e quindi anche l'idea di un avanzamento verso un traguardo. Anche per la sapienza (~ col. 240) il fine ultimo è una formazione completa della personalità, il cui ideale è rappresentato, ad es., da Giuseppe 40 • Nonostante questa visione teologica, in parte fondamentale, di un progresso storico sia della collettività sia dell'individuo, l'A.T. in complesso non formula mai esplicitamente la sua certezza di una 1tpoxonl) guidata da Dio. Questa concezione globale fu certamente compromessa dal fatto che ogni singolo evento venne sempre interpretato ad hoc 41 e da ciò dipende anche l'assenza di un termine ebraico che corrisponda al greco 1tpoxomi. Soltanto una volta e tardi, nell'Ecclesiastico {..5 1 , r 7), e per di più verosimilmente per un errore di traduzione ~2 , il vocabolo 1tpoxo1t1) è ucol. 252 con n. 63). 39

    Cfr.

    ZIMMERLI,

    op. cit. (4

    n. 31) 20.

    "'' Cfr. v. RAo, op. cit. (-'> n. 30) 4i9-432; Io.. Josephsgescbichrc 1111d iìlrcre Chochma, VT Supplemcnt I (1953) 120-127. 41 Cfr. v. RAD, op. cii. (-'> n . 30) 123; anche ErcHRODT, Theot. A.1'. 1' 256. 42 Cfr. R . SMEND, Die Weisheif des ]esus Siracb (1906) 505 ad l.; STR,\CK-BILLERBECK m 652 (a r Tim. 4,15).

    npoxo11d1 B 3 - C 2 (G. Stnhlin)

    sato come termine tecnico per indicare la via della sapienza: 7t'poxorci} ÉyÉvi::-t6 µoi Év mhfi (scil_ -tii crocplq..). Anche in questo caso è incerto e discusso se si debba tradurre «riuscii a progredire nella sapienza» oppure, secondo l'accezione corrente di 7tpoxomi, «Ottenni benedizione (~ coll. 2 3 3 s.) mediante la sapienza». Il contesto rende però probabile che almeno il traduttore e i lettori del testo greco pensassero ad un avanzamento nella 7tmoElcx. (v. r6) e nella O'o
    X01t'tW nell'ambito dell'A.T.: Simmaco usa questo verbo in \j; 44,5 (LXX: xa-

    ilwooou}. Anche la restante letteratura giudaica in greco usa i vocaboli non diversamente dal mondo circostante, e precisamente 1tpox67t-tw per significare progredire nel male (test. Iudae 21,8 [ ~ coll. 232 s. ]; Ios., bell. 6,r; 6,Il; ant. 4,59 [~col. 232]; 20,214) o nel bene (Ios., ant. 18,340;

    20,205 [~col.

    254]; vit. 8);

    avanzare (Ios., ant. 2,340}; giungere alla meta (Ios., ant. 2,133}; e 1tpoxo1tlj nelle accezioni di progresso, sviluppo (Ios., ant. ro,r89 [~col. 236]: ylvoµaL F..v TipoxoTiij, «fare grandi progres-

    C. IL

    si», «svilupparsi magnificamente»}, promozione (Ios., bell. 2,27; 6,142), prestigio (ep. Ar. 242; Ios., bell. r,195), benessere (test. Gad 4,5 44 ), forttma (test. Iudae r5,5 l'ec. A).

    r. I LXX e Simmaco; i Testamenti dei xn Patriarchi, la Lettera di Aristea

    2.

    GRUPPO DI TERMINI NELLA LETTERATURA DEL GIUDAISMO ELLENISTICO

    1tpoxo'J'A} come concetto etico in Fi-

    lone In questo quadro Filone assume una

    e Flavio Giuseppe Oltre che in Ecclus 51,17 il vocabolo 43 compare nei LXX soltanto in 2 Mach., vale a dire in un altro scritto fortemente influenzato dal pensiero ellenistico. In 2 Mach. 8,8 la locuzione i!pxoµai Eiç 1tpoxon1)v è usata più o meno nello stesso senso della frase successiva ('1tuxv6-tEpov èv 't"CX.L<; EÒ'()µEplmç 7tpo~cx.lvw} e indica pertanto i successi in guerra(~ colI. 234 s.). Lo stesso vale per l'unico esempio documentato di 7tpo-

    posizione patticolare perché impiega le espressioni 6 7tpox.6Jt-.wv e 1i 7tpoxo-:t1) in un significato tecnico che risale indubbiamente alla Stoa. 1tpoxorni e 1tpox61t-twv (oppure la lfiuxTi 45 1tpox611:"t'oucrcx.: fug. 202.213) sono concetti centrali anche dell'etica filosofica di Filone 46 • L'idea di progresso è intesa da Filone anzitutto in senso totalmente ellenistico, cioè completamente individualistico 47 e perciò anche completamente non

    43 Il verbo mancn nei LXX (mentre è presente in Sym. [lj/44,5], test. ludae:u,S~coll.232 s., Giuseppe); tuttavia a 3 Mach. 5,18 nei LXX cod. A bisogna probabilmente leggere npoxo7t'tOVOTJc; ( = var. 7tpO~U.WOVO''TJt.;) 'l'i)c; oµù.lu.c; invece di 1tpOO'X07t'tOV0'1')c;; cfr. Iust., dial. n , 5: 7tpoxon'tonwv !)µi:'.I 'tWV Myw'.I. 44 (A proposito dell'invidia e dell'odio) lv 7tpoxonii G.xouwv xa.t òpwv mino'"l'E clul}EvE~, «si ammala sempre quando vede o sente che uno è fortunato».

    45 La npoxon:Ti ljiuxfiç però presuppone e include fa 1tpOX07t'Ì] o-wµ(noc;. 45 Per questa sezione cfr. principalmente ~

    r.poxomi

    VoLKEa 1 47-350. 47

    Cfr., ad es., V6LKER

    l

    passim; VoLZ, Escb.

    59 s. Una certa eccezione è costituita dalla par-

    te finale dell'opera exsecr. (164-r72), ma anche qui persiste sullo sfondo l'allcgoresi non escatologica e individualistica; cfr. 172 e già 159-161, Similmente Filone intende "~ 7tpÒç ~E).'tlwow ÈmooO'ELc; nelle generazioni da Set

    1tpOKOlti)

    e2

    escatologico 43 • L'idea ftloniana di progresso si muove in ambiti che sono, nonostante sfumature e prospettive diverse, sostanzialmente quelli della Stoa (~ coll. 237 ss.), eppure Filone la trasforma includendola nella visione teocentrica globale del pensiero biblico, ad es. già per il fatto di contrapporre a Dio, colui «che è assolutamente immutabile» (ì'.a'oç a.ihòç èo:u-r@ xat op.oLoç), le 1tpOxo7ta.l (insieme con aùç,l]crE1.c; e ~EÀ:nw­ O'ELc;, ~ coll.232 ss.) come realtà conformi alla natura umana (aet. mund. 43). Come la Stoa fa procedere la 1tpoxo-

    7tlJ dalla cpucr1.c;, cosl anche per Filone la &.px.'ÌJ 1tpoxo7ti}c; è -rò Evcpuéc; (sacr. A.C. 49 120) o la Evqiuto: . Questa è cosl il pri-

    mo elemento della triade etica fondamentale: Evcputcr. 50, 7tpoxon1), à.pE-r'ÌJ -rE'X.Ela (leg. all. 3,249). In Filone la cpvcnc; non è però soltanto il punto di partenza della 7tpoxoit1i, ma ne è anche l'agente, in quanto egli identifica 1J àpl
    A.e.

    10).

    Cfr. in pcopasito Chrysipp., fr. 366 (v. ARNIM m 89,15 ss.); Jr. 136 (ibid. 33,14 ss.); /r. 716 (ibid. 180,14 ss.). Secondo Filone essa è costituita da tre elementi: Eùlh.!;la (pronta i11tellige11za), lmµovi} e µviJµ'fJ (leg. ali. 1,55; 49

    cfr. cher. 10:z; som. :z,37). 5D

    In Filone c'è però anche una ei.icputa che

    (G. Stiihlin)

    ma e ultima di ogni 1tpoxo1t1) è Dio stesso 51 • Leggiamo cosl (leg. alt. 2,93) che l'anima deve ammettere che tutti i suoi progressi vengono da Dio e non può pertanto attribuirli a sé. Altrove (agric. 168) Filone pone le 7tpoxo1tcr.l insieme con le EÙµà.i}wxL e le "EÀ.ELO"TJ'tE<; tra i doni della C{JU(TLc;, anzi tra i doni della grazia divina (X.cZPL"Ec;, cfr. 2 Cor. 9,8), oppure dice (mut. 11om. 24) che il proficiente raggiunge la perfezione (solo) per il favore di Dio (cfr. anche post. C. 154). D'altra parte, però, anche il maestro umano del 1tpox6n'°'w" (fug. 172 52 ) e soprattutto il proficiente stesso hanno una grande importanza per In 7tpoxon1). In ultima analisi, anche per quanto riguarda la 7tpoxom1, Filone è indubbiamente su posizioni sinergistiche 53 • A queste tre cause prime che favoriscono la 1tpoxon1) fanno riscontro le sue tre principali forze motrici: a Dio la EÙqiuta, al maestro la µ~i>TJ
    Filone dice che le 11poxo'!tal possono essere inculcate anche da un maestro, la Elt' ilxpov -re">..n6-n1c; solo da Dio. 53 Cfr. ~ V6LKl!R I IOJ-II6. 5~ Cfr. ~ V6LKER I 158-198.

    249 (v1,710)

    1tpoxomi C 2 (G. Stahlin)

    oa.crxalla. (sacr. A.C. 7), al proficiente stesso la èi.CTXT]CTL<;, 55 • Alla a~lCT]CTL<; appartiene la lotta senza quartiere al peccato, ai 1tcii)T] e al mondo 56 e l'incessante 1tovoc; e xaµa.nc; che può essere sopportato soltanto 1tpOX01tfj<; xapL'\I (sacr. A.C. u3). Vale però la pena di permutare il 'ltoVoc; in 1tpoxomi (sacr. A.C. u2.r14) e infine le 1tpoxomzl in "tEÀ.EL6·n1c; (ebr. 82); infatti l'impulso predominante nel 1tpox61t't'WV è di tendere sempre alle cose somme (pov1}crEwc; (agric. r58), non è mai disgiunto dal progresso etico, giacché l'àpET!i si adatta continuamente allo stato della µ6:i}T]cnc; in ogni singolo momento 58. A motivo di tutti questi sforzi e di tutte queste prestazioni Filone riconosce al 7tpox61t't'WV un valore notevole, specialmente quando lo paragona a colui che muove appena i primi passi sulla via della µ6:i}T]tnc;. A differenza della Stoa (ad es., Chrysipp., fr. 510 [v. Arnim III l 3 7 s.]) Filone può quindi parlare della costanza, della fermezza, della permanente e immutabile perseveranza 55

    Cfr. -+ VOLKER I 198-239.

    Cfr. -+ VOLKER I 105-154. 57 Caratterizza tale ampiezza l'abbondanza dei genitivi che Filone può associare a ò aCTXT}'t'i]<; (= ò 1tpox61t-twv, cfr. leg. all. 3,144.169; poster. C. 78; som. J,152 ecc.): da un Iato cro(jll~ (cbr. 48; viri. 4), cppov-/icrtw<; (leg. all. l , So; som. 2,65.134), E7tLCT't'DµTJ<; (det. poi. ins. 3), (jlLÀouocpla<; (011111. prob. lib. 43; vit. coni. 69), ·djç a)..'l'}fttl~ (leg. ali. 3,36), dall'altro -tfji; à.pe'tfj<; (som. 2,133), 't'WV xa)..wv (migr. Abr. 153), xa)..wv Mpywv xat Mywv (Abr. 37; dr. dct. poi. ins. 35), eùuef3ela<; (sobr. 40), ÒCTLO't' l'J"O<; (spcc. leg. 1,z71), xap't'eplo:ç (det. pot. ins. q; leg. alt. 3,u). Il genitivo indica 56

    (v1,7n) 250

    del 1tpox6'lt'tWV, che l'Alessandrino classifica immediatamente dopo il crocp6c; (som. 2,237). Egli loda le ferme convinzioni dei 7tpoxExoqioTE<; che si distinguono anche per questo dai principianti (ot ap'tL µavMVEW àpx6µ1::VOL: det. pof. ins. 12 ). Cosl, differenziandosi ancora una volta dalla Stoa, Filone può noverare la 7tpoxomi da un lato accanto alla o~oaCTxa.À.la. e alle 1tpocpl}'t'Eta.L e dall'altro, con la 0'1touo1) e l'itpwc; 'toG xaiTopiTovv 59, persino tra gli àya.?>6: (congr. 112) oppure, insieme con le EÙµ6:l}ELG.L e le -.EÀ.ELO't'l}'t'E<;, tra le xapL"tE:ç, i doni della grazia divina (agric. x68, ~col. 248). Se per questo rispetto il 1tpox61t't'WV è talvolta avvicinato al TÉÀELO<;, pure nella maggior parte dei casi si sottolinea il loro distacco, l'ampio intervallo che li separa (cfr. particolarmente leg. a/l. 3,140-144), come avviene esemplarmente nella definizione della 7tpoxomi in leg. ali. 3,249: à"EÀÈc; è.qnɵEVO\I 't'OG -.ÉÀ.ouc;, «imperfezione che aspira alla perfezione}>, oppure quando Filone chiama à't'EÀ.i)c; il 1tpox67t"tW'\I (agric. 160) o quando parla del1'&.'t'EÀ.ÉCT't'Epoc; xa.t Ém7t6V(fl 1tpOXO'ltTI xpwµevoc;, «colui che non ha ancora conseguito la perfezione ed ancora s'affatica per conseguirla» (det. pot. ins. 46) 60• A tale 'mediocrità' della natura del rcpoxo1t't'WV corrisponde la posiziotutto ciò in cui l'acrxTJ't'fi<;, cioè il 1tpoxo7t"t'wv si sforza di progredire. 58 Cfr. ~ VOLKER 1 l97 con n. 6. 59 Come nel caso di xal)6pl}wµa (leg. all. 1, 93) cosl qui abbiamo una terminologia tecnica che Filone ha ripreso dalla Stoa. Da un Iato il 1tPOX61t"t'W\I è imperfetto nella sua conoscenza (fug. 202: o07tw yttp fo't'tv lxav1) ljiuxi) npox61'-toUO'U. 'tcj) tTOqJW<; axpa· "'~ 7tO'tclJ x()iicrl)m, cfr. I Cor. 3,r s.). Certamente egli riceve già la visione dell'incorporeus intelligibilirque m11nd11r (quaest. in Gen.



    3,42; cfr. ~ VOLKER I 191-196; -+ BRÉHmR 152-157), ma non quella di Dio stesso (-+ n. 63; cfr. del. pot. ins. 31). Dall'altro egli è

    TI!'OX07tlJ

    e;! . D Hl

    (G. StiihJin)

    ne mediana di questi 61 , posizione che Filone definisce variamente in termini non molto dissimili da quelli stoici: !\' < I fl f.ll' µEuopioc; ... a:y~wv XCX.LI pEj..1U/\.WV ... CX.1t0&op6:o-xwv µÈV -r;à, cpa.iJÀ.a, µ1)TCW o'txo..VÒ<; wv -r:EÀ.EloLc;
    voç (µavM.vew) e il 'tE"tEÀELwµÉvoc;: agric. r59; cfr. l60.r65 (analogamente le 7tpo:xorcal stanno a metà strada tra le b.pxal e le '1.""E).. ELo-.T)-.eç: agric. 157) ~2•

    ancora imperfetto nel suo ethos, è solo oeu~Epo<; rispetto al ikocp~ì,,1Jc; (leg. alt. 2,8r ), al ·dÀ.:;:Lo<;: questi possiede già la à:m'ti>m1., men· tre il 1tPOY.61t'tWV è giunto semplicemente alla µe-.pLonafim1. (leg. alt. 3,r31 s.; cfr. ~ Vi:>LKlllt I 134). Egli corre ancora il pericolo cli regredire invece che progredire (som, l,152), anzi addirittura il pericolo che la èH..oyoc; òpµ1) (~ vm, col. r312, diversamente col. 13rr) torni a 'bruciare' dcl tutto la 7tpoxomi (leg.

    zione nella quale si trova il 7tpoxon't'wv (rispetto al <pauÀ.oc; e al -çÉÀ.Etoc;) serve a Filone per una peculiare clnssificazione del nome di Dio ncll'A.T.: al 7tpox6rc'TWV corrisponde i>E6<;, al
    t

    all. 249).

    Cfr. ~ VOLKER 1 233 e passim. Dalla varietà dci momenti iniziali (ÉÀELOL, uno definitivo ed uno provvisorio. In quest'ultimo stadio si trovano gli appena perfetti (agric. 165), che sono ancora inconsapevoli della loro perfezione (agric. 161; dr. il uocpòc; oict.ÀE)..11Dwc; nella Stoa, ~ col. 240) e non sono ancora ben saldi ncll'à:pnlj (agric. 160.158 alla fine; dr. Chrysipp., Jr. 510 [v. ARNIM III x37 s.]). La doppia contrapposi61

    62

    Filone trova nell'A.T. molti esempi

    di questi diversi gradi 63, esempi di cui si serve non solo per illustrare la via, ma anche la meta della 1tpoxom1. A proposito di questa meta Filone può dire una volta (congr. I06) che, raggiuntala, la ~vx-ii npoxo'lt•ov
    Abr. 58). D. IL GRUPPO I.

    DI TERMINI NEL N.T.

    Collocazione linguistica a) 'Jl;poxon1) e 7tpox6'1t-.w non sono

    19).

    I principali esempi veterotestamentari della 7t{)OX01tYJ sono Abramo, Giacobbe e Aronne (dr. poster. C. 78), quelli della nÀEt6't11<; Noè (Abr. 47 ), Isacco (ad es. det. pot. ù1s. 46) e Mosè (ad es. leg. alt. 2,8i.91), Nel caso di Giacobbe si ha però una trasformazione di un o\iµ~oÀ.ov 7t6vou xat 7tpoxo7tijc; (sacr. A .C. 120) nel paradigma di un "t'ÉÀ.Etoc;, simboleggiata nel cambiamento del suo nome in 'Israele' (dr. ebr. 82; co11f. li11g. 7:i.; su questo punto dr. E. STnIN in CoHN-HI!INEMANN, op. cit. [ ~ n. :i.9] V 121 n. x; M. Anurn, ibid. 34 n. 4). Infatti per Filone questo nome deriva da r'h e significa colui che vede Dio (~ IV, col. n44; vm, coli. 948 ss. n. 113); e la i>Ewp(a ilEov è il segno distintivo del 't'tÀ.E~oc;, proprio come È~ axofjc; Y.CXL ùcpnyljutwc; I.Lct.VMVEW lo è dcl 7tpox67t't'WV (sacr. A.C. 7). 63

    npoxomi D xa-c (G. Stiihlin)

    voces biblicae in senso proptio, ma appartengono piuttosto agli elementi decisamente ellenistici del greco del N.T. A questo proposito è sintomatico che da un lato i nostri termini vengano usati ben poco (in tutto solo 9 volte) e, dall'altro, che ricorrano unicamente presso quegli scrittoti del N.T. che anche per altri aspetti si avvicinano più nettamente alla koinè della classe colta o perfino si servono più ampiamente della lingua e delle espressioni della diatriba cinico-stoica: ci riferiamo a Paolo (Gal. r,r4; Rom. 13,I2; Phil. r ,12.25) ed ai suoi discepoli, cioè Luca (Le. 2,52) e l'autore (o gli autori?) delle Lettere pastorali (I Tim. 4,15; 2 Tim . 2,16; 3 ,9 . r3) M. Nella tradizione dei detti di Gesù, anche negli strati più tardi, i due vocaboli sono totalmente assenti, come assenti sono in Giovanni, il quale anche per questo rispetto dimostra che le proprie radici non affondano nell'ellenismo di stampo occidentale.

    b) In parte gli autori del N.T. non fanno altro che prendere le locuzioni con 7tpoxo7t"t'tù e il loro uso direttamente dal linguaggio quotidiano. Cfr. cosl Ti vù!; 7tpoÉxoljJE\I, «la notte è già avanzata» (Rom. 13,I2) con... 'tfjc; WX1:Ò<; npoxo7t-.ovu1)ç, «quando la notte si avanza» (Ios., bell. 4,298) e con 1i !JµÉpa 7tpox6n'ttt, «H giorno si avanza» (lust., dia!. 56,16). Con où npox61jiouutv È7ti 7tÀ.Ei:ov, «(gli eretici) non faranno ulteriori progressi» (2 Tim. 3,9) cfr. où ~ouÀ6µEvoç... "t'ÒV Eùay6pav Ènt 1tÀ.Et:ov 7tpox6n-tELV, «(Artaserse) non volendo 6-1

    Un po' diversamente intende~ B oNHOFFER

    che Evagora divenisse troppo potente» (Diod. S. r4,98,3: 7tpox61t'tEL'\I = avere successo, acquistare potere, divenire potente, -7 233 s.); inoltre ÈTIL 7tÀ.Éov ... 1tpox6\jia.L Év PtJ't'OptxT\, «aver fatto maggiori progressi nella retorica» (M. Ant. l, l 7) e anche (&.À.a.sovEla)... -.Tiv Ént 1tÀ.fov mxpau!;T)utv où À.aµ~avEL, «(la boria) non può svilupparsi ulteriormente» (Philo, virt. r62) e ~wpwv &.BÀ.a~EL<; É1tÌ. 'tÒ 7COÀ.ÌJ 1tpOXEXOCj>O't'a.ç (Ios., ant. 2,340; inoltre r 8,r8r: npouXO'lt'tEV Ént µÉya.). Con É1tt nÀ.EL'ov ... 1tpox6\jiouuw &.11EBElaç, «avanzeranno sempre più nell'empietà» (2 Tim. 2,16; -7 n. 79) dr. xa.i>' Éxauu1v Tjµépa.v Ént µÉya 7tpovxon1:E 06!;11c;, «ogni giorno avanzava grandemente in reputazione» (Ios., ant. 20,205 ). Con 1tO\lt]pot &vi>pw7toi xrd y61)"t'Eç npox6ljJouow É7tt i;Ò XEL°pov, «gli uomini malvagi ed impostori progrediranno sempre in peggio» (2 Tim. 3,13) cfr. 't'à... mii>11 'ltpouxo1t'tEV xai>' 'iJµÉpav É7tÌ. i;ò xtL'pov, «le sofferenze diventavano ogni giorno maggiori e peggiori» (los., beli. 6,r); G'UVÉB1J 't'Ì)'V n6À.iv 'Ì)µwv \IOUEL'V 7tp0X01t't6'V't<.ù\I 'lta\l't'W\I ÉTIL 1:Ò xdpov, «avvenne che la nostra città soffrisse perché ogni cosa precipitava verso il peggio» (Ios., ant. 20,2r4); X/J.À.rnw't'Épav ÈÀ.aµBavE -rfjc; É7tÌ. -cò xt'Lpov npoxoni'jc; al'tlav, «(la sedizione dei partigiani di Core) prese occasione di progredire verso il peggio» (Ios., ant. 4,59); vedi anche (Tj q>uutc;) 7tpòc; 'tÒ XE'Lpov o(XE't'at cpEpoµÉv1), «(la natura) viene trascinata al peggio» (Plut., de profectibus in virtute 3 [n 76e]). c) In tre locuzioni si coglie invece l'eco della filosofia popolare ellenistica, senza che l'accostamento sia univoco: con 'l11crouç 7tpoÉxo1t't'EV Év Tfi crocplf!. xaì. 'iJÀ.txlf!, X'tÀ.. (Le. 2,52 -7 col. 257) e 7tpoÉxon'tov Év "~ 'Iouoaì:O"~, «progredivo nel giudaismo» (Gal. l,14), 128.

    TIPOXOitTJ

    D rc-:ib (G. Stahlin)

    cfr. Plut., de pro/ectibus in virtute IO (II 81d) -? col. 2 35; &.viJp È.v qnÀo· (Diod. S. 16,6,3); Luc., Hermot. 63-? col. 235; -? n. 3; M. Ant. I,IJ (-? col. 254); particolarmente con Le. 2,52 cfr. 7tpox6'lt-.WV i:ft 1]Àtxlq. (Apollonius, vita Aeschinis 4 65 ); ['tij] -.e i)À.Lxlq, 7tpox6r.-cwv xa.t 7tpoay6µEvoç Eiç -rò l}Eo<J"EBEtV, «avanzando in età e portato alla pietà religiosa» (Ditt., Syll. ' II 708,18 [-? IV, col. 104]; xr.d)' 7}Àtxla.ç 'ltpoxomi (Clem. Al., ecl. proph. 18,1) «>. Con "t'o.iha. µEÀÉ-ra, Èv .-ou-cotç foìh, i:va crou 7} 'ltpoxoID) cpavEpà Ti 'ltC~:crtv, «occupati di queste cose, dedicati totalmente ad esse, affinché il tuo progresso sia evidente a tutti» (I Tim. 4,15) cfr. il carattere personale di 1tpoxorc1), ad es. in Epict., diss. ., EV'tauva , -!lo, µoi. oet<,OV :-t:' 1,4,12: cru• ouv crou "t'l')v 'ltpoxomiv, «tu dunque mostrnmi qui il tuo progresso» (dr. Iac. 2,18). ~

    d) Carattere originale, o almeno sen-

    za evidente nesso con il linguaggio comune del tempo, hanno due frasi paoline nella Lettera ai Filippesi: -.à M:t' ÈµÈ µ
    65

    Ed. F. Buss, Aeschinis Orationes 1 (1908)

    6,II.

    2. La 7tpoxo7t1j individuale

    a) Come nell'uso linguistico della cultura ellenistica cosl anche nel N.T. soggetto della 1tpoxorcl} è, nella maggior parte dei casi, una persona (Le. 2,52; Gal. 1,14; 2 Tim. 3,9.13; probabilmente anche 2,16 ~ col. 265 e n. 79; I Tim. 4,15) e soltanto in pochi casi (limitati a Paolo) una cosa (Rom. 13,12: 1i vu~; Phil. l,12: "'CÒ EÙayyÉÀtov; probabilmente anche l ,25: Ti 7tlO''ttç, -? coll. 262 s.).

    b) I 'progressi' personali di cui parla

    il N.T. sono in parte individuali lcome nell'ellenismo: -7 coli. 235 . 236 s. e in parte collettivi (2 Tim. 3,9.13 ; 2, 16; dr. Phil. 1,25). Il N .T . si avvicina di più al diffusissimo uso linguistico de11a filosofia popolare ellenistica quando parla del progredire personale di singoli individui (Le. 2,52; I Tim. 4,15, ed anche Gal. r,14). Parlando della fanciullezza di Gesù l'ellenista Luca ci dice che il bambino 7tpoÉX01t"'CEV Èv 'tTI <J"ocplq., «progrediva nella sapienza» (Le. 2,52). Questa notizia sembra a tutta prima contenere un elemento caratteristico della formazione culturale ellenistica, ma non è così.

    I biografi e i romanzieri antichi erano soliti sottolineare come i loro personaggi si sviluppassero eccezionalmente di pari passo nel corpo e nello spirito, rilevando in particolare anche l'ammirazione generale di cui erano oggetto. Nei tre sommari paralleli (1 ,80; 2,40.52) con cui Luca segna la fine di una sezione del suo racconto, sembra u Cfr. anche la locuzione sinonima npo~a:lvw 't"ij 1))..txf.ct. in Vett. Val.

    :i ,10

    (p. 65,21).

    257 (v1,712)

    11poxon·~ D

    2b (G. Stahlin)

    anch'egli servirsi di questo diffuso sche- tutto dal chiaro parallelo - non ellenima convenzionale 67 . Sembrerebbe quin- stico - che si legge in 2,40 (e in r,80): di logico pensare che la locuzione 7tpo- hpoc't'a.toG•o ( 'ltVEuµoc·n) 7CÀ.1Jpovµevo\I crocplfl.. Usando la frase in questione Lu%07t'tW Èv LÀocrocpla, gion ( 1 r ,31, da Q) nel quale lo stesso µa?Hn..w:rn., 1tat8Ela. (~ col. 2 3 5 ) e si- Gesù parla della propria O'ocploc supemili(~ coll. 237 ss.). È però anche pos- riore a quella di Salomone, una crocpla. sibile che Le. 2,52 si colleghi a Eeclus che assieme al suo x-fipuyµa. ( := appello 51,17 (-7 coll. 244 s.): in questo caso alla penitenza: v. 32) avrebbe dovuto l'evangelista avrebbe interpretato la fra- suscitato la fede. Il nesso, spesso atse 7tpoxo7t'Ì) ylvE-ra.l µot Èv
    Cfr. i passi indicati sopra in r c), inclusa

    la n, 66, e in WETTSTEIN a Le. 2,52; A. FRID· RICHSEN, Ra11dbe111erk1111gen :mr Kindeitsgeschichte des Lukas in: SyrnbOsl 6 (r928) 3638 e il materiale ivi offerto. Cfr. però Ios., a11t. 10,x89 (~ col. 236) e anche Ael. Arist., or. 46 (DINDORF II 405): 'ltpOXO'ltT} 't''ij<; O'O
    69 Tuttavia di rado le citazioni di Luca coin· cidono letteralmente col testo dei LXX a noi pervenuto: anche in 2,40 e x,80 abbiamo 'l)U~CX.\IE\I invece di 'l)U~i}lh}.

    Qunndo le sue fonti (dr. Mc. 6,2) gli offrono di nuovo lo spunto per accennare alla sapienza di Gesù, Luca (4,22) parla di Myo~ 'tij<; xapL'tO<; (~ IV' col. 244). Del resto anche Luca, come gli altri sinottici, sottolinea che faceva una fortissima impressione la t!;oucna. di Gesù (Le. 4,32) e non già la sua aoqila.. 71 Tuttavia anche qui il testo base non è quello dei LXX a noi noto (I Sam. 2,26: à.yaM\I; Prov. 3,4: xa.À.&.). Da Prov. 3,4 (T.M.) potrebbe venire anche l'associazione di x«p~<; e o-o
    259 (v1,713)

    7tpOX07t'~

    D

    crescita fisica, mentre Le. 2,52 mette esclusivamente in evidenza il momento della maturazione spirituale, che pure era già presente nel passo precedente. In entrambi i passi la xcX.pii; divina prende il posto del favore generale (~ n. 67 ), giacché anche la xapt<; 7tap' à:.vl>pw7tot<; non è che il riflesso terreno del favore che Gesù gode presso Dio (cfr. 9,35). Luca non sviluppa minimamente questi accenni ad una 7tpoxo'lt1} di Gesù e non si distingue cosi affatto, per questo rispetto, dagli altri evangelisti. È anche discutibile se le.fonti permettano di pa.rlare, in qualche modo, di progressi di Gesù per ciò che riguarda, ad es., la conoscenza del suo destino e della sua persona, o addirittura del suo sviluppo etico (dr. al massimo Hebr. 5,8 s.), per quanto i moderni biografi di Gesù si sbizzarriscano a manovrare variamente con tali concetti 72 • La massima (relativa) prossimità al concetto ellenistico di 7tpoxomi è raggiunta nel N.T. da I Tim. 4,15. La 1tpoxo'lt1) di Timoteo è lo sviluppo del x&.ptaµcx. che egli ha ricevuto con l'ordinazione da parte del 7tpEcrBu't'Éptov (v. x4). n Per due esempi diversi dr. A.

    ScHWBIT·

    ZER, Gesch. der Lehen-Jesu-Forscbu11g • (1926) 392-443; M. GoGuEL, Das Lebe11 Jesu (1934)

    252-256. Per la questione di uno sviluppo mo-

    rale di Gesù dr. H. STRATHMANN, Der Brie/ an die Hebr., N.T. Deutsch 91 (1954) a 4,14· 5,10. Cfr. ~ STAHLIN 22 s. con n. 24. H. v. CAM·

    7.1

    PENHAUSEN. Polykarp vo11 Smyma rmd die Past. (1951) 27 constata la grande affinità di questo passo con Polyc. 12,3: ut fructus vester ma11i/estus sit in omnibus, ul sitis in ilio perf ecti (retroversione di v. CAMPENHAUSE.N: tw.t

    2b

    (G. Stiihlin)

    La sua npoxon1} deve manifestarsi nella fede e nell'opera (v. 12), soprattutto nell'esercizio della 7tapéL.xÀ.l}trt<; e della otocxGxa)d.a:: (v. 13), e precisamente in maniera concreta e visibile perché Timoteo, in quanto otcixovoç XptcT'tOU 'll}crou (V. 6), U\lìJpW1tO<; i7EOU ( 6,II) ed eua::yyEÀtcT't'lJ<; ( 2 T im. 4,5 ), proprio in ciò deve essere un -i-tmo<; per i credenti (v. 12). In questo passo ci sono due importanti osservazioni da fare. In primo luogo il vero progresso spirituale del cristiano può essere riconosciuto anche da altri e non soltanto dall'interessato (~ col. 240 e n. 27). In secondo luogo, benché nella parenesi pratico-pastorale della nostra pericope la 7tpoxo7tTJ sia oggetto di uno sforzo umano (-.cx.u-.a:; µEÀÉ't'a, È\I -.ou't'ot<; (cri}~), in ultima analisi anch'essa è un dono di Dio, come ogni genuina 7tpoxo7t1} nel N.T. (cfr. ~ coll. 247 s. 250), perché è frutto e sviluppo di un xaptcrµa. 73 • 11 testo più antico del N.T. in cui compare 1Cpox67t't'W è probabilmente Gal. 1,14. Qui, riguardando al suo passato precristiano 74, Paolo ricorda come XaPltÒ<; vµwv éi.aw ). Peraltro proprio il concetto caratteristico di progresso viene qui sostituito con quello di frutto. Come tutta la sua lettera, cosl anche questa frase di Policarpo è composta di varie reminiscenze del N.T. Per il parallelismo delle immagini di progresso e crescita e di fnitto, cfr. - STii.HLJN 14 s. 18 s. 20 s. 74 Cfr. E. BARNIKOL, Die vorchr. 1111d frìihcbr. Zeit des Paulr1s (1929) 13 n. 2; anche 31-46 (la traduzione di 7tpox67>-cW con- distinguersi, superare, segnalarsi e simili è peraltro inesatta).

    ò

    7tpoxon1) D 2b-3 (G. Stiihlin)

    progredisse «nella perfetta osservanza 3 . La 7tpoxo1t1} della comunità e dell'edel giudaismo ( -.4'.> 'Iouocwrµ~, -7 iv, vangelo col. 1176) più di tutti i coetanei». La Il carattere peculiare dell'uso neote'ltpoxomi si manifesta qui in uno è'.;ijÀ.oç stamentario di Ttpox61t'tW / 1tpoxomi è teorico e pratico nell'ambito della relimesso in evidenza, ancor più che dall'ugione avita (-p;cx-.pLxcxt 7ta.pcx86
    sv

    Guardando indietro al suo passato il Pa?· Io cristiano lo vede proprio come una spe31e di immagine invertita deJia figura del llEtoc; 73

    &.vi]p che n quei tempi era in auge coll. 471 s.).

    (~ IV,

    1tpoxom'J D 3-4 (G. Stiihlin)

    Cor. 13,2.7; anche r Thess. 3,rn) e di conseguenza anche un progresso ed una crescita nella fede (cfr. Le. 17,5; 2 Cor. rn,15; 2 Thess. l,J; anche Eph. 4,29 [variante]). Causa motrice di tale 1tpoX07ttJ è per Paolo il fotto che egli resta in vita e può quindi continuare ad oc~ cuparsi della comunità (v. 26; cfr. Rom. 1,II s.; 15,29), cioè, in una parola, ad esercitare il ministero apostolico. Per Paolo la vera forza motrice di ogni genuina 1tpoxon1} è però, in ultima analisi, sempre il 'ltVt:tiµa. 76.

    di penetrazione nei cuori (v. r 4), divenendo nuovamente, anche nella presente circostanza, una forza motrice missio:natia e servendo cosl alla diffusione della parola(~ v, col. 849)n. 4. La 7tpoxo'lt1) dell'eresia

    Le Pastorali, in particolar modo la seconda Lettera a Timoteo, parlano di un riscontro negativo, di un fenomeno opA Phil. 1,25 corrisponde Phil. l,12 posto alla '1tpoxo1t1j dell'evangelo e della (-7 col. 255): come l'opera di Paolo gio- comunità, cioè di una 1tpoxomi dell'ereva alla 7tpoxon;1) della vita cristiana del- sia e degli eretici. Anche qui si trova la comunità, cosl la sua sofferenza giova (dapprima) una 'ltpoxo'lt1] nutrita da foralla n;poxo'lt1] dell'evangelo. Noi non sia- ze ultraterrene, che può essere paragomo in grado di ricostruire la particolare nata ad una crescita : non però alla cresituazione che Paolo ha in mente e a scita organica del frutto donato da Dio, cui si riferisce. Evidentemente il sem- bensl alla crescita maligna di un cancro plice fatto della carcerazione che Paolo (2 Tim. 2,17); la forza che la provoca soffre in quanto cristiano ha avuto un non è poi la potenza della parola di Dio, effetto missionario presso pagani e cri- bensl la forza della n;À.a\IT) che viene stiani. Il «progresso dell'evangelo» non prodotta dal 1tÀ.avoc; xa't'È~oxliv (cfr. significa soltanto che, benché l'Apostolo v. 26; 2 Io. 7) e a sua volta provoca consia stato messo fuori causa, l'evangelo tinuamente nuova 1tÀ.6..vT) (2 Tim. 3,13): continua la sua avanzata vittoriosa nel gli eretici sono 'ltÀ.avwv-.Ec; xa.I. 1tÀ.a.vwmondo, ma anche che in tale situazione µEvoi, «ingannatori e ingannati» 78 . La esso dispiega ancor più la propria forza loro 7tpoxomi è perciò anche «un pro76 Cfr. JoH. WEiss, 1 Kor. 72. L'interpretazione della 1tpox<mlJ proposta da LoHMEYER, Phil., ad l. («progredire significa... non lasciarsi allontanare dalla via del martirio, bensl percorrerla fino in fondo con ferm=a interiore ed esteriore») enuncia certamente una verità da lui stesso comprovata, ma per quel che riguarda Phil. 1,25 non è sufficientemente ampia. n Per l'applicazione parallela delle immagini del progresso e delJa crescita alla 'parola', all'evangelo (Aci. 6,7; 12,24; 19,20; Col. 1,6)

    cfr. --+ STii.HLIN 21; per l'idea affine delln crescita in genere ibid. 13-16; --+ x , coll. 628 ss.; O. BAUERNFEIND, 'Wacbsen ÌtJ al/en SUJcken': ZSTh 14 (1937) 465-494. Forse anche ìl Vangelo di Giovanni parla una volta (8,37) dell'ava11zamet110 della parola; cfr. PREUSCHEN· BAUER5, s.v. xwplw 2. La correlazione di missione e sofferenza, accennata in Phil. r,12, è chiara a tutto il primo cristianesimo; cfr., tra gli altri, G. STAHLIN, art. 'Urchr. Mission' in Evangelisches Kircbenlexikon II (1958) 1340. 7B L'espressione inga11natori ingannati è un

    r.poxoTii) D 4-5 (G. Stiihlin)

    gressivo allontanamento da Dio» (2, 79 l 6) con una conseguente «sempre più profonda perdizione» ( 3 ,13: È7tt 't'Ò XE~­ pov) 80 • Il triplice uso di 1tpox6rc"w a parte peiore (~ coli. 2 32 s.) in uno spazio relativamente breve (2 Tim. 2,16-3,13) costituisce forse la risposta dell'autore di 2 Tim. al fatto che gli eretici si consideravano e chiamavano «teologi progrediti» (cfr. il sinonimo rcpoa:ywv in 81 2 Io. 9, ~ I, col. 351) : i progressi degli eretici appartengono al rcÀ.T}fi'uviìi)w1.L della &:voµla. (Mt. 24,12 ), cioè alle tribolazioni premessianiche sa. Ma come tutte queste tribolazioni (cfr. Mt. 24,22. i 3) anche quei progressi hanno un limite (2 Tim. 3,9): où npoxoijJouow f.;:t TIÀELoV.

    gioco di parole, ma non è solo convenzionale (contro DIBELIUS, Past. 3 , ad l.; H.B.RAUN ~ ~ x, coli. 493 s. 542 s.), bensl è usata dnndo ad entrambi i suoi elementi il loro pieno peso, come nel caso di l>lxa.Loc; xa.t l>Lxa.t.Wv (Rom. 3,26) o anche di 'salvatore salvato' (dr., ad es., W/. SCHMITHALS, Die Gnosis in Karinth [ r 956] 82-134). 79 Il genitivo ciO'E'3Etac; potrebbe dipendere direttamente da 1tpox6~ouaw (come in Thuc. 4,60,2); in questo caso il soggetto sarebbe XEvoipw•1la.L: <
    5 . La 1tpoxomi degli eoni

    Già le osservazioni fatte fin qui ci hanno insegnato che, prescindendo dall'uso individuale (specialmente Le. 2,52 e Gal. 1,14), l'uso dei vocaboli 1tpoxomi e 7tpoxo7t't'W nel N .T. presenta una costante nota escatologica. Tale nota ha però la massima evidenza in Rom. 13, 12, dove Paolo esprime la propria concezione del trapasso degli eoni e la consapevolezza escatologica del tempo che volge rapidamente alla fine (cfr. v. II) con la .figura della notte che sta per finire (~ vn, col. 15 II) e del giorno imminente(~ IV, col. 134), che proviene dall'interpretazione rabbinica di Is. 21, II s, 83 : 'ÌJ VÙ~ r.pOÉXO~E\I, TJ OÈ 1)µÉpct iiYY~XEV, «la notte è avanzata, il giorno

    ~ col. 233) bisogna supporre che 'ltpox61t-tw ~nt 't"Ò XEi:pov rappresenti un'espressione lissa.

    tm -rò xei:pov sia costruito liberamente, come suppone WoHLENBBRG, Past., ad l.: «Essi avranno un seguito sempre maggiore, ma per una perdizione sempre peggiore». a1 In 2 Io. 9 ritroviamo la stessa contrappo;iiione di 2 Tim. 3,13 s. tra andare avanti e restare fermi. Cfr., ad es., W. UiTGERT, Die Irrlehrer der Past. (1909) 66. sz L'apocalitùca giudaica parla più volte di una progressione delle affiizioni escatologiche: cfr. Bar. syr. 27 (x:z periodi); Sa11h. b. 97a 5 Bar., citato in STRACK-BILLERIIECK IV 981 s. (À.) (7 periodi). Anche altrove si descrive spesso l'aumento escatologico del male; cfr. Iub. 23,n s.; 4 Esdr. 5,2.10 e altri passi indicati in STRACK-BILLERBECK IV 982 e passim. 83 Cfr. STRACK-BILLERBECK IV 853 s. 855; III 749· I rabbini hanno però inteso il passo anche diversamente: mentre per Israele è giorno, per le nazioni è notte; dr., ad es., STRACK· BILLEIIBECK I 164.599 S.j IV 248. 1028 a 3· È pertanto improbabile che

    z67 (vr 17l6)

    ;tpOXO'itlJ

    D 5 -E

    è vicino». 7tpox67t't"W indica qui, come

    Eyyli;w, l'incerto stadio intermedio 84 tra gli eoni che si toccano nel punto in cui il precedente continua e il successivo non comincia ancora. Questi due aspetti sono indicati dal doppio valore dell'aoristo 7tpoÉxo\jJEv. Da un lato questa forma significa che «la notte è già molto avanzata»: è ormai quell'ora della notte che precede l'inizio del crepuscolo, quando regna l'oscurità più profonda, simbolo della grande crisi che precede la fine. Allo stesso tempo - e questo aspetto sta qui in primo piano questo aoristo 8.5 ha in sé il momento dell'imminente conclusione: «la notte è quasi finita», è già ora di alzarsi ( v. II). L'identificazione dell'ora presente serve qui a Paolo da motivo determinante della sua parenesi (vv. r2b-q). In questa consapevolezza dell'avanzata dei tempi prestabiliti da Dio non c'è posto per una qualche idea di progressi dell'umanità nella storia di que84 È lo stesso momento che caratterizza il 7tpox67t't'EW dei filosofi come stadio intermedio (o npox67t-rwv = ò µfooc;); dr.~ coll. z37 s.

    251. ss Si può osservare il medesimo aspetto nell'uso linguistico di Epitteto (~col. 240); cfr. diss. 2,17,40: Èyyùc; fo6µd)a: -i-ou 7tpox6-lim. Inoltre diss. 3,19,3; 4,2,4; ench. 51,1 [DEllRUNNER]. Anche il perfetto si avvicina a questo significato, ad es. Ios., ant. 2,133: 't'TJ\I Olìòv 11:poxExo1plvaL, «esser giunti alla meta del viaggio»; cosl anche Philo, det. pot. itJs. 12 (~ col. 250) e similmente anche Rom. 13,12, dove 1\yyL:XE\I corrisponde a npoho-liEv (cfr. Mc. l,15 par.). 86

    Cfr. K. BARTH, Kirchliche Dogmatik iv

    1

    (1953) '67: «La storia del mondo è adami-

    I

    (G. Stiihlin)

    sto mondo. Anche se per ragion.i completamente diverse (---'> cfr. coll. 236 s.; anche coli. 244 s.), il N.T. ignora totalmente, come la filosofia popolare contemporanea, una cosa simile. Nella concezione biblica la storia, nella misura in cui è storia del 'mondo', è priva di teologia e perciò non conosce neanche un progresso 86• Soltanto partendo dalla premessa dell'evangelo diviene visibile nella 'storia' - ad un livello totalmente diverso - una 7tpoxo1t1} fissata da Dio.

    E.

    IL GRUPPO DI TERMINI NEI.LA PRIMA LETTERATURA CRISTIANA

    1.

    I Padri apostolici e gli apologisti

    Nella più antica letteratura cristiana postcanonica si cerca dapprima invano un qualche uso specifico e teologico dcl nostro gruppo di termini. Come avviene per molti altri aspetti, anche nel nostro caso si sente nettamente la mancanza di una valida e sensibile influenza del pensiero del N.T. Nei Padri apostolici 1tpox61t't"W è usato un'unica volta, in 2 Clem. 17,3; ... 1tEtpwµdet 7CPOX01t'tEW tica, è la storia di Adamo, giacché incominciò con fa sua storia per p:>i conformarsi sempre di nuovo - e questa è appunto la parola, il giudizio di Dio su di essa, questa è la ragione della sua impressionante monotonia, perciò in essa non vi può essere alcun 'progresso' - alla sua storia». E ancora (565): «Si deve riconoscere il fatto tremendo che non si può certo negare la presenza di ogni sorta cli progressi particolari, ma che si è dimostrato molto più impossibile individuare una teleologia, una progressione globale della storia dcl mondo, nonostante i ripetuti tentativi fatti in questa direzione... È l'uomo in sé che, prescindendo da tutti i mutamenti delle sue forme e attività storiche, 11011 è proprio 'progressivo'».

    1tpoxomi E x-2 (G. Stiihlin)

    Èv 'tai:c; Èv'toÀ.ai:c; 't'~ù xuplou, «cerchiamo di progredire nei comandamenti del Signore». Sia per la forma (parenesi in forma esortativa) sia per il contenuto il passo in cui si riscontra 7tpox61t'tW è tipico della concezione legalistica della vita cristiana che domina questa letteratura. II mezzo che consente un tale progresso consiste nell'ascoltare l'ammonizione dei presbiteri ( voul>e't'Ei:cri>rxt Ù7tÒ "tW\I 1tpEcr~u-rÉpwv) frequentando assiduamente le riunioni di culto, nel ricordare i precetti del Signore (µvriµovevEt\I 'tWV "tOV xuplou Èv•rx)..µ.chwv) anche dopo essere tornati a casa, nel resistere ai desideri mondani (6.v-rmapÉÀ.xEcri>at ci7tÒ "tWV :x:ocrµtxwv É:r.d)uµtwv ); sua caratteristica è la concordia (7taV't'Ec; "tÒ aÙ"tÒ q>povou'J't'E<;), suo fine l'unione per la vita (l:va. .. O"VVT)yµÉvot 87 wµi::v !-id 't''Ì]V SWTJV ). A giudicare dagli scritti che ci sono pervenuti, i primi apologisti cristiani usano 7tpOX01t't'W secondo la lingua popolare corrente (Iust., dial. rr,5 -7 n. 43; 56,I6 -7 col. 253 ). Soltanto Iust., dial. 2,6 riflette l'uso linguistico della filosofia popolare del tempo: Giustino dice che, accostatosi al platonismo, vi faceva grandi e quotidiani progressi: 7tpofaoTI"tOV Y..aÌ. 1tÀ.ELcr't'O\I 00"0'11 ÉxM-.1)c; 'ÌJµÉpac; E1tEOtoouv (-7 n . 3 ). La spinta per tale avanzamento quotidiano viene dal maestro (-7 coll. 239 s. 248 s.) con il suo insegnamento e la sua frequentazione, dall'acquisita conoscenza delle realtà incorporee ('t'WV à.crwµ6:'t'wv voriCTLc;) e dalla contemplazione delle idee (xaì. Ti 1'Ewpla -twv lòEwv); la meta del progredire è il line stesso della filosofia

    Un uso ben più ampio e importante del verbo n;poxon:"tw e ancora di più del sostantivo 7tpoxon:Ji fa invece Clemente Alessandrino. Le sue opere si affiancano a quelle degli Stoici e di Filone come terzo gruppo di scritti in cui npoxonli e 1tpox61t"tW costituiscono termini tecnici dell'intero sistema. Come Filone dipende dalla Stoa, cosl Clemente dipende in larga misura da entrambi per il suo uso linguistico, però con due significative differenze. In primo luogo l'idea di progresso ha in lui un'importanza, un'ampiezza ed una varietà d'uso assolutamente senza precedenti; in secondo luogo, e questa è la sua caratteristica principale, essa ha in Clemente un contenuto ·biblico che è completamente sconosciuto a Filone. Conformemente a tutto il pensiero clementina, anche per questo rispetto i concetti stoici e platonici vengono subordinati al N .T. 89 • Un particolare sviluppo semantico del sostantivo 7tpoxomi sta al servizio del ricco sistema teologico-filosofico di Clemente d'Alessandria, per il quale npoxomi non significa soltanto progresso, avanzamento, a-

    Il senso escatologico di auv&:yw è assicurato da quanto segue (cfr. Mt. 3,12; I3,JO; Did. 9.4; 111art. Pol. 22,3 ecc.). Nello stesso spirito di .2 CJem. si muove anche l'uso di 1tpoX07t't'W e 7tpoxo7tTj in Serapione di Tmuis, sacramentarium (in Didascalia et Constitutiones Apostolorum, e
    Cfr. W. BousSET, Kyrios Christos' (1921) 352-355. 89 Cfr., ad es., O. STXllLIN, Die alte/Jr. gr. Literatt1r (1924) r3x6; ~ VoLKBR II 49 n . 2; 50 n. 2; 332-354; H. CHADWICK, art. 'Clemens, Titus Flavius, von Alexandria': RGG3 I 1836.

    87

    platonica (...D..oc; -.Tjc; IlÀ.ci'twvoc; cptÀ.ocrorpiac;): l'immediata visione di Dio ( CXÙ't'LXa XCX"t'Oi)IEcrfr~L "tÒV 1iE6v, -7 col. 275; n. 63). Per contro Ireneo parla spesso di un 'ltpoxon:'t'EL'V verso Dio (ad es. haer. 4,n, 2; - 38,J), ma d'altra parte combatte l'idea di sviluppo degli Gnostici che si dànno il nome di proficienti (~ col. 265)88. 2.

    Clemente Alessandrino

    II,4.6; I3 1 I5.16.19; 15,2, 88

    7tpoxoITT) E

    2

    (G. Stahlin)

    scesa gradt1ale (ad es. exc. Theod. 90 91 l 5 1 1: i<:CX."t'à 7tpOX07tTJV "t'EÀ.ELOVµEVOL, «divenendo perfetti con uno sviluppo graduale»), bensl anche grado dell'ascesa, in particolare il sommo grado, l'ultimo grado (exc. Theod. 12,2; strom. 2, 75 ,2: 7J µeylcr"t''ll 7tCX.CTWV 7tpOX07tTJ, «il massimo grado»; fr. 24 a I Pett·. 1,12: profectus perfectionis). In quest'ultima accezione 7tpoxom1 assume quasi il significato di ascesa completa, grado della perfezione (vedi anche strom. 6,ro2,5; cfr. 103,1; inoltre exc. Theod. n,1; 17, 3; 19,3; strom. 7,68,4). Il nostro sostantivo viene poi a significare addirittura dignità, rango, condizione onorifica, posizione elevata sia in terra (~ col!. 234 s. 275; strom. 6,ro7,2: cx.l Èv"t'cx.ui>cx. xa.-.à "t'lJV ÈXXÀ.'r'JO"la.v 7tpOX01tU.t È7tta'Xo7twv, 7tpeu~v"t'Épwv, Sta.xovwv, «le dignità esistenti qui nella chiesa di episcopi, presbiteri, diaconi») sia in cielo (strom. 7>4717: Xct."t'OC 't'àç ocpetÀ.oµÉva.ç ÈvÌtÉovç 7tpoX07trl<; "t'E xu.t OLOLXTJ11rn;, «secondo i debiti gradi di onore e di governo voluti da Dio», exc. Theod. II,r ~ col. .274), o persino lo status

    exaltationis di Cristo (4 1: i.'.va. µcl.1'"n 't'1)v 7tpOX01tlJV .:X.Ù"t'OU µE't'à 'tlJV Èx -.tjç tTu.pxòc; E~oòov, «affinché [la chiesa] impari quale sia il suo [ di Cristo] stato glorioso dopo l'uscita dalla carne»). Concretizzazione di queste dignità celesti sono le 1tpoxom:xl (profectus) degli angeli, cioè le loro gerarchie (/r. 24 a I Petr. 3,22 e Iudae 6). Per Clemente Alessandtino l'infinito 92 progresso è uno dei principi fondamentali che Dio ha fissato per l'intera creazione. Basti ricordare strom. 6,152, 3: «Ogni creatura si è sviluppata e si sviluppa ancora, avanzando cosl continuamente verso un essere migliore di quanto essa non fosse in precedenza» (1tpox67t-.ov elç "t'Ò mhou &µewov 93 ; cfr. anche 6,154,1 alla fìne)9'1. Clemente at· ttibuisce alla 1tpoxo7tfi un valore così grande 95 da credere che essa continui anche nell'altro mondo: «La vita eterna deve significare un progresso eterno» !>6 (~ n . 103). Per Clemente il progresso è innanzi tutto una funzione della storia della salvezza e pertanto un concetto che caratterizza la natura del suo pen-

    Negli excerpta ex Theodoto è difficile dire con sicurezza se l'uso linguistico e il pensiero sia di Clemente stesso o del valentiniano Teodoto: dr. R. P. CASEY (ed.), The Excerpta ex Theodoto o/ Clement of Alexandria (1934) ~pec. 98 s.; F. SAGN'ARD (ed.), Clément d'Ale· xandrie, Extraits de Théodote (1948) l0.59 n. 4 (7tPOX01tTJ «termine caratteristico di Clemente», utile quindi per distinguere le glosse di Clemente dagli enunciati di Teodoto: vedi p. 59 n. 2). 91 Questo costrutto con preposizioni è molto frequen•c in Clemente Alessandrino, e presenta del pari diverse sfumature semantiche. 92 O per lo meno in Clemente il 'tÉÀELOV appare assai lontano. 93 Un po' diversamente intende O. STii.HLIN nella sua traduzione: Clemens IV in Bibliothek der Kirchenviiter (1937). 94 Cfr. ~ VOLKER II 89. In particolare Cle-

    mente Alessandrino abbraccia «in una imponente concezione la totalità dell'esistenza umana come uno sviluppo in costante progres· so, come una crescita organica che, salendo lentamente, porta a somme alte-.lze» e~ VòLJC.BR

    '1.1

    =

    1

    =

    I(

    388).

    Per questa sua valutazione della npoxomi Clemente Alessandrino si distingue chiaramente dalla Stoa, per la quale la -rtpoxo-ITT} è un valore soltanto provvisorio(~ coli. 237 s.), ed anche da Filone (~ col. 251). Perciò è anche solo relativamente esatto che per Clemente Alessandrino il 1tpox61t-twv occupi una posizione intermedia simile a quella che gli assegnano Filone e la Stoa (dr. ~ BARTH-GOEDECl<EMEYER 269), giacché per Io scrittore cristiano proprio il vero gnostico è il 'l\pox61t-rwv. Questo termine indica quindi il grado massimo dell'esistenza umana. 96 J. PATRICI<, Clcment o/ Alexandria (1914) 95

    167.

    'ltpoxowft E

    siero operante con categorie storico-salvifiche. «Il governo divino del mondo» (1) i)Ei:ct 0LOLX1}CTL<;: strom. 6,r54,1) inserisce l'intera umanità, greci e barbari, filosofi e È't'Ep65o~oL ( = gli uomini della Bibbia) in questo progresso verso la meta fissata da Dio, la salvezza (strom. 7,n ,2: dalla 1tpoxomi [ = primo grado, stadio preparatorio] sia greca sia giudaica Dio porta alla 'tEÀ.EiwcrLc; mediante la fede cristiana; cfr. anche 6,153,1; 154,1). Gtazie al suo obiettivo finale già la stessa 1tpoxo1t1}, anche quella di coloro che erano prima pagani, può essere chiamata swil (strom. 2,47,2 con riferimento a Lev. 18 ,5 97 ). Cosl si susseguono, similmente ordinati secondo il piano divino della salvezza ( oixovoµixwç OEOoµÉvat), la legge e l'evangelo «conformemente al grado di sviluppo taggiunto ad una data età» (xa.i)'i}À.txlcx.v xat 1t'poxo1t1]v: strom. 2,29,2; dr. 4,130,4) 98 • Punto d'inizio dell'ascesa umana è, a quanto ci dice una volta Clemente, «l'ardente desiderio di cambiare»: è allora che «si fa il primo passo verso il divenire» (strom. 6,50,6). Ai primi gradi dell'ascesa appartiene persino il qi6Boc; (ad es., ecl. proph. 19,1) e quindi, come prima conseguenza di questo, la
    'tW\I xaxwv ( = ÈmBcX-i)pa. 1tpoxo1tljç µe:ylo..t'I]<;: strom. 4,135,1; dr. 7,49,1) 99 • Ogni genuina 7tpoxo7ttJ ha però, quale fondamento e forza motrice decisiva, la fede (dr. 'strom. 7,55,5) e anche in seguito si muove innanzitutto Èx 7tlCT'tEW<; Elc; 7ttCT'ttV (strom. 2,126,J), ma poi, superato questo stadio, porta alla yvw01.c; (cfr. strom. 4,136,5; ecl. proph. 19,1). Per il 7tt
    2

    (G. Stii.hlio)

    (VI,7l9) 274

    l'avvio dall'osservazione del cosmo e del suo divenire ( = xocrµoyovlcx.: strom. 4,3,1 s.). Questo doppio binario su cui scorre la 7tpoxon1} riappare anche quando Clemente indica i mezzi che la promuovono e favoriscono. Da un lato si tratta, come per Filone (~ coll. 248 s.), di li.ax11
    n Cfr. su questo punto~ VoLKER n 99

    100

    Cfr. Cfr.

    ~ VOLKER

    II 299 s.

    ~ VOLKER II

    514 con n. 2 .

    262-270.

    Jtpoxon1] E

    Anche la meta a cui tende la 1tpoxoni) yvwo-'t't.x1J (strom. 4,I70,4) ovvero tendono le npoxo'ltcct µucr't'txcx.l, alle quali la yvw:nc; «guida (l'uomo) con una luce tutta sua» (strom. 7,57,1), può essere indicata e descritta nelle maniere più diverse: in forma semplice eppure completa come «il bene stesso» (cx.1hò 't'Ò &:yccMv: strom. 7,45,3); con la Stoa come EùSet.tµovltx (strom . 2,I26,3) e àncifrwx. (strom. 7,10,1); con Platone (e i misteri) come «la visione di Dio» (strom. 7,68,4; cfr. 57,I); con il lineuaggio dei culti misterici come ti.mx.1'ava:•l~EW (strom. 4,160,3: «mediante la catena delle nascite [che comincia col battesimo] in graduale ascesa verso l'immortalità»), come i>Et.O't''l')c; 101 (strom. .J,ro2,2) e 't'EÀ.Elwcrt.c; (c&. strom. 6,IJ3, r; 7 ,II ,2 ); con il linguaggio della gnosi come yvwcrt.c; (~ col. 274), crlivecrt.c; (strom. 6,I54,1) e &.À:{jì}mi (strom. 6, r 5 3,r ), o anche come àvi)p 't'ÉÀ.Et.oc; (strom. 6,107,2: &xptc; llv Elc; -.ÉÀ.Etov ii..vopa ccuç1}crwcrw, e passim). Le ultime cinque espressioni (e anche la «visione di Dio») appartengono però anche al linguaggio del N.T. (specialmente l'espressione OCVlJp 't'ÉÀ.Etoc; viene generalmente usata con riferimento a Eph. 4, 13, ad es. in strom. 7,ro,r). Cosl Clemente può indicare quale meta del «progresso mistico» dello gnostico anche la Èvon1c; 't'i)c; ?tlcr't'Ewc; (similmente con ri101

    cfr. ~ VotKER 11 597-609 .

    Cfr. ~ VoLKl!R u 524 con un. 2 e 3. IOJ Le affermazioni su questo punto mostrano, come del resto molti altti aspetti del pensiero clementina, di verse incongruenze e contrn
    2

    {G. Stiihlinl

    chiamo a Eph. 4,13; strom. 6,87,2), la O'W't'T)pla (strom. 2,I26,3), la uto1}E~la; (ecl. proph. I9,I; in strom. 2,75,2 lautoile:rJ'la. è chiamata «il sommo grado di avanzamento», Ti µe:yl
    277 (VI,720)

    T
    np6xpiµa ~ v, coll. II06 s. 7tpoxup6w ~ v, coll. lJ03 s. npoÀaµBa\lw ~ VI, coll. 47 s. r-poµap-.vpoµcu ~ vr, coll. 1386 s. 7tpoµi:ptµ\llXW ~ vn, coll. 65 ss.

    7tp6c;, una prepos1z1one usata con il genitivo, il dativo o l'accusativo, è molto frequente fin da Omero e anche nei LXX. Nel N.T. è costruita r volta col genitivo, 6 volte col dativo, 679 volte con l'accusativo. Come conferma la forma epica (propriamente preconsonantica) secondaria 7tpo-.l, 'ltpoc; deriva da una forma (prevocalica) *'ltpo-.j ed è affine al sanscrito prati = di fronte e al latino pretium (cfr. anche per, ecc.). Il significato generale di 7tp6c; è (po-

    co) davanti: col genitivo la preposizione indica conseguentemente la provenienza da qualcosa, col dativo il trovarsi daso hanno continuato, cristianizzate, ad esercitare la loro influenza, sia pure parzialmente e con minore profondità che in Oriente; cfr., ad es., Ambr., de olficiis 2,2; ep. 167,12 s.; Iloethius, de consolatione philo:rophiae 4,7,15 (CSEL 67,105). Attraverso la scolastica tali idee hanno raggiunto anche M. Lutero che le ba sostenute almeno nei suoi primi scritti. Come la Stoa e Filone anche Lutero ora distingue tre gradi (conoscibili) del profectt1s nella vita cristiana, ora parla invece, come Gregorio di Nissa, di infiniti grad11s de claritate in claritatem, de virttlle in virtutem, cx fide in fidem (WA 3,512,:z6). I passi biblici addotti n sostegno della sua dottrina del progresso nella santificazione sono 2 Cor. 3,18; ljJ 83,8; Rom. 1,17, inoltre Io. l,16; 2 Cor. 4,16; Phil. 3,13. Negli scritti più tardi Lutero ha però riferito i medesimi passi al progresso nella fede e al progresso nella storia della salvezza dall'Antico al Nuovo Patto. Su tale questione cfr. L. PINOMAA, Die pro/ectio bei Lt1ther, in

    (VI,720} 2/ll

    7.pOVOÉW ~

    VII, coli. II97 ss. 1tp6vo~a. ~ VII, coli. l 201 ss. 1tpoopaw ~ vm, coll. 1071 ss. 1tpooplsw ~ vnI, coll. 1278 ss.

    1tpo1t6:crxw ~ rx, col!. ro45 s.

    vanti o presso qualcosa, con l'accusativo un moto verso qualcosa 1• Come avverbio col significato di inoltre non ricorre nel N.T., mentre s'incontra nei Padri apostolici (~ col. 280 ).

    A. 7tp6c; COL GENITIVO Nel N.T. 1tp6c; è costruito col genititivo una sola volta, in un caso particolare nel quale è congiunto a un nome in posizione predicativa ed ha il significato traslato di (essere) essenziale per qualcuno o qualcosa. Il caso in qucstioGedc11k:rchri/t fiir W. Elert (1955) n9-127. 7
    (1873); KiiHNER-BLASS-GERTH u

    1,515-521; W. A. LAMBERTON, 1tp6ç. with the Accusative, Publications of the University of Pennsylvania, Series in Philology I 3 (1891) 1-47; H. }AconsoHN, Die Prop. 1tp6ç: Zeitschrift fiir vergleichende Sprachforschung 4:z (1909) 277-286; RADERMACHER l l37-r46; JoHANNESSOHN, Priipos. :z59 s.; MouLTON-MIL·

    s.v.; A. T. RoaenTSON, A Grammar of the N.T. 5 (r931) 622.626; cfr. indice 1281 s.

    LIGAN,

    q41; MAYSER n 2 § ri7 (con bibl.); SCHWYZER I 400 s.; II 508 s.; LIDDELL-SCOTT, s.v.; PREUSCHEN-BAUER" s.v.; BLASS-DEDRUNNER.

    §§ 239 s. 1 ScHWYZER r 815 s.

    400 s.; n 508-517; PoKORNY

    itpòç A-C (B. RekkcJ

    ne è Act. 27,34 1 : -roiho yàp 7tpÒc; -.l)c; uµE'tÉpm; O"W'tT]plac; U7t 3 . Troviamo un'analoga costruzione in r Clem. 20,10: "ltapÉXOV't(i.t .-oùc; 7tpòc:; swijc; ùvl>p<.:motç µasouc;, «(le sorgenti perenni) porgono le mammelle essenziali per la vita degli uomini». La frase che c'interessa non è però in posizione predicativa, ma attributiva; se però si sottintende un ov""C"ac; prima di p.asouç, si ottiene persino un'affinità con Act. 27,34 4 •

    B. 7tpoc; COL DATIVO

    l Vl,721 J 200

    "t"OLç µan.-oi:c;, «attorno al petto» (Apoc. 5 I' I 3 ) ; E\10.. 'ltpòc; -rn XEcpaÀ:ij xa.i eva 7tpÒç -roi:ç 7tOCTlv, «(gli angeli seduti) uno dalla parte del capo e uno dalla parte dei piedi» (Io. 20,12 ). b) Per indicare la direzione, e precisamente come pleonasmo con un verbo che richiede il dativo: È.yylsov'to<; oÈ. mhou t]o'r] 1tpÒ<; -c'fj x.a'ta~acrs:~ nu opovc;, «e come si avvicinava ormai alla china del monte» (Le. 19,37). Al contrario con passaggio all'accusativo: "ltpocrxoÀ:À:riiH1
    r. 7tp6c; spaziale. a) Per indicare il luogo: davanti, presso, a. Riferito a località: 7tpòc; -.Q ~pEt, «presso il monte» (Mc. 5 ,II); 7tpòc:; 'tll Mpq., «
    Costrutto molto frequente per indicare un moto a luogo: verso, a, in. In quest'uso, che anche dal punto di vista teologico è il più importante, 1tpoc; co-

    2 B. REICKE, Die Mahlzeit mit Paul11s auf de11 W elien des Mitielmeeres Act. 27,33-38: ThZ 4

    l'uso traslato si ottiene logicamente il significato di per, in co11siderazione di, guardando a,

    (1948) 401-410.

    ecc.

    3

    La frase non va intesa in senso finale, quasi significasse «serve per la vostra salvezza». Ios., ant. 16,313 ('1tpÒc; -.i)ç -.ov ~run).Euov-.oç 0"(>.)"t1Jplw;, «per il bene del re») ha si un senso finale, ma dal punto di vista della forma linguistica non ha niente a che fare con Act. 27,34, anche se vi compare il sostantivo uw"t"f)pla.. In Giuseppe il costrutto è infatti avverbiale, in Act. 27,34 predicativo. Certamente i due costrutti possono in un secondo momento coincidere, ma in principio sono diversi, checché ne dica MouL'l'ON-MILLIGAN 544. Il significato finale di 'ltp6ç nel passo di Giuseppe si spiega col fatto che i Greci, 111utatis mutandis, dicevano spesso ab oriente versus invece che ad orietltem versus (KiiHNER-BLAssGERTH n 1,515), ad es. Hdt. 3,101: 'ltpÒç v6· 't"OI) aVɵov, letteralmente «Calcolando dal vento del sud in qua», cioè «verso sud)>. Nel-

    C. 1tp6c:;

    CON L'ACCUSATIVO

    4 Un tale 7tp6c; ricorre particolarmente nel greco letterario, ad es.: où 7tpÒç ·dic; Ù~"tÉpaç 061;T)ç -.0:1fa, «ciò non si concilia con la vostra gloria» (Thuc. 3,59,r); où yàp fjv 7tpÒc; "tOU Kupou -.p6rcou ~xovi:oc µTj a1to&o6va.t, «non era nel carattere di Ciro avere e non pagare» (Xen., a11. 1,2,u ). Questo 'ltp6ç completa semplicemente il genitivo partitivo in casi come 5oxEi: -.alii:a xa.L oa'lt0:VTJc; µEya).T)ç xat 7t6vwv 7to).Àwv xaL 7tpa.yµai:ela.c; Eiva.L, «ciò sembra congiunto sia con una grave spesa sia con molti sforzi e molto lavoro» (Demosth., or. 8,48). Cfr. il latino alic11ius esse = essere essenziale per qualcuno o qualcosa. KtiHNER-BLASs-GERTH II r 374 n . 2; SCHWYZER II 515 s.; BLASS-DEBRUNNER' § 240,r. 5 In tali casi c'è altrove spesso un dativo di relazione: BLASs-DEDRUNNER 9 § 197.

    stituisce praticamente un parallelo di Ei.c; (~III, coli. 243 ss.). Tra le due preposizioni corre però una differenza fondamentale che non viene sempre notata: mentre il movimento indicato con 7tp6c; si ferma al limite della meta del moto stesso, quello indicato con Elc; continua fin dei:itro l'oggetto del movimento.

    r. 1tp6c; spaziale: a qualcuno o qualcosa, verso. È usato in prima linea con verbi intransitivi o transitivi che indicano un moto del corpo.

    «andrò a casa sua e cenerò con lui». 7tp6c; può anche seguire 7tpoO'a.ywy1} (-7 I, coll. 358 ss.; 1x, coll. 1298.1300 ss.): 7tpocra.ywyi) 7tpÒc; -i:òv 7ta.-.tpa., «accesso al Padre» (Epb. 2,r8; ~col. 283). In questo caso 1tp6c; indica l'avvicinamento all'oggetto, non la penetrazione in esso, mentre e:lc; avrebbe conferito all'espressione un senso più 'mistico'. Si confronti come in Io. 7,33; 16,5 (ù·miyw 7tpÒç 't'Òv 1tɵ\jJo:.v't&. µe:, «vado a colui che mi ha inviato») 7tp6ç salvaguardi perfettamente la personalità di Dio. Talvolta 7tp6c; indica la venuta di qualcuno che si presenta per essere accolto in una comunione religiosa (cfr. il termine proselito [->col. 297] ).

    a) Con verbi intransitivi, come andare, ecc. Meta del moto è di regola una persona. Esempi: à:11a.~alvm1... 7tpòc; ..oùc; à.?toc;-.oÀouc;, «salire dagli apostoli» (Act. x5,2); epxoµm 1tpòc; ùµ~. Esempi: Él;rnopEue:-i:o 7tpòç aù-còv 'Ie:«vengo da voi» (2 Cor. 13,1). Talvolta poc;oÀuµa ovvero 7tficra. 1) 'Iovfola xwsi pensa all'abitazione della persona ver- pa., <msciva per andare da lui tutta Gerusalemme / tutta la Giudea» (Mt. 3,5; so cui si va: CÌ.7tfjÀi}ov ovv mH.w 'ltpòc; Mc. l ,5 ); crù EPXTI 1tpÒc; µÉ, «tu vieni da a.ù-.ouc;, «se ne tornarono dunque a ca- me» (Mt. 3,I4); ~À.E-1m -i:òv 'IT]O"OU\I Épsa» (Io. 20,IO ). Coi verbi composti con x6µe:vov 7tpòc; o.\nov, «vede Gesù venire dc; che indicano l'entrata in una casa e da lui» (lo. l,29); e:Uìi::v 'Iwrouc; -i:òv Na.i>a.vo:.1)À Épx6µe:11ov 1tpòc; aù ..6v (Io. simili, 7tp6c; indica il momento conclu- I .47 ); OUOEL<; OÙVO:.'tO:.~ ÉÀ1'Et\I 'ltp6c; µE sivo dell'avvicinamento della persona f.à.v µ1J ò 'ltct-ri]p ... H.xuc;n a.ù-t6v, «nesnella casa: Elov 1tpòc; a.ù-.òv EÌ.ç 't'Ì]V !;e:vla.v, «andah) Con verbi transitivi, come mandarono da lui nel suo alloggio» (Act. 28, re, portare, condurre, ecc. Esempi: i]ya23); similmente Act. lr,3; 16,40; I yov CC.U't'Òv 'ltpòç -i:òv 'ITJ..rnov ..òv 7t65cc. O'ou (Mt. 4,6 par. i>e:ou e:i.o'EÀ.Mv't'a. 7tpòc; aìn:6v, «un an- Le. 4,n). Un enunciato di valore teologico in questo campo è Io. 12,32: 'ltavgelo di Dio che andava a visitarlo ( Cornelio)»; Apoc. 3,20: EÌ...xucrw 7tpòc; ɵa.u't6v, «trarrò tut7tpÒc; a.ù-.òv xat &mtv1}0'w µe:-r' a.Ù'tou, ti a me». Gesù afferma qui che dopo la

    =

    ;:p6~

    C 1b-c (B. Reicke)

    sua glorificazione strapperà tutti gli uomini al diavolo e li attrarrà a sé, cioè nella sua comunione (cfr. lo,I6) 6, il che indica contemporaneamente la chiesa e la gloria celeste. Alla venuta dell'uomo nella comunione religiosa (~ sopra, col. 282) corrisponde così un'attrazione a entrare nella comunione esercitata su di lui o da Gesù stesso (come nel nostro passo) o dal Padre (come in Io. 6,44; ~ col. 382). La stessa idea è possibile ricavare anche dalla frase npocrcx:ywyl) -rtpòc; Tòv 'ltct.'t'Épa (Eph. 2,18; ~ col. 282), dove npocra.ywy'l) può essere inteso contemporaneamente in senso intransitivo e transitivo. La preposizione può però indicare anche l'attaccamento agl'idoli: npòc; TèL EÌ:OwÀ.a... fiye<117E à:mi:yo~vot, «venivate attirati agli idoli» (I Cor. I2,2). Del resto l'idea dell'adesione al Signore è prossima al motivo della conversione a Dio o a Cristo: Tivlxa ... ÈTCWtpÉ\jro 1tpÒc; XVpLOV, «quando si convertirà al Signore» (2 Cor. 3,I6); È7tEO"'tpÉlpa't'S 7tpÒc; 'tÒ\I 17EÒV à:1tÒ 't'W'IJ d.owÀ.wv, «vi convertiste dagli .idoli a Dio» (IThess. I,9). A tale movimento verso Dio fa riscontro quello verso il fratello: M.v ... ~'lt't'axtc; Èmcr't'pÉ\jro 7tpòc; cre, «se sette volte ritorna a te» (Le. I7,4).

    ca a, presso, davanti a qualcuno o a qualcosa e indica lo stato in luogo nonostante l'accusativo, perché il perfetto esprime oltre al movimento anche lo stato che segue al moto, cioè la permanenza, e questo momento, essendo quello psicologicamente più importante, diviene predominante. Esempi: 1jv oÀ-T} Ti rcoÀ.iç È7ttO"UVTJYµÉVTJ 7tpÒc; T1]v Mpcx\I, «tutta la città stava radunata davanti alla porta» (Mc. ra3); oEoEµÉvov npòc; i}upcx.v, «legato davanti a una porta» (Mc. I r ,4); È~É­ ~À'T)'t'O rcpòç 't'"Ò\I nvÀ.wva, «giaceva davanti al portone» (Le. 16,20); (D"uy)xai}1Jµe\loc; ... 'ltpÒc; 't'Ò cpwc;, «seduto... accanto al fuoco» (Mc. J4,54 p ar. Le. 22, 56); TJ àçl\11) TCpÒc; 't'1)\/ plSCk\I ... XEi:'tCX.L, «l'accetta è stata già posta alla radice» (Mt. 3,10 par. Le. 3,9). Questo costrutto è usato impropriamente anche in casi in cui non c'è alcun riferimento a verbi di moto. Esempi con e!vcxL: 1tpÒc; 1}µii.c; etD"w, «sono tra noi» (Mt. 13,56); Ewc; 1tO'tE 7tpÒc; ùµii.c; ltcroµcx.t;, «fino a quando starò tra voi?» (Mc. 9,I9; Mt. 17,I7: ~i}'v­ µwv); 11\1 npòc; 't'Ò\I 17e6v, «era presso Dio» (Io. l,l s.). Costrutti simili: ~vcx. 1) àÀ.'l)i}ELCX.... OtCX~L\ITI npòc; vµéiç, «affinché la verità... rimanesse tra voi» (Gal. 2 ,5 ); "Kpoc; è costruito cosl anche con il semplice µÉVELV e in diversi altri nessi7.

    c) Con forme passive (di significato perfettivo) dei verbi di moto che vanno tradotte intransitivamente, npéc; signifi-

    In alcuni dci casi succitati sussiste comunque implicitamente l'idea di moto a luogo, benché a prima vista rcp6c; sembri indicare unicamente la permanenza

    B. \Vmss, Das Ev. dcs Jobannes, Kritischexegetischer Komm. iiber das N.T . 6 (1880) a

    1

    6

    Io. 12,32. Indicati in

    PRF.USCHEN-BAUE.R ',

    s.v. m 7.

    O:.V,) \

    '&J/'-'-J

    presso qualcuno. Cfr., ad es.: 1tpÒc, u€. « [verrò e] celebrerò a casa tua la pasqua» (Mt. 26,18); EVE?W. -;ou q>CX.VEpwi}-ijWJ.L... 7tpÒC, Òµaç, «perché fosse manifesta tra voi» (2 Cor. 7,12); µ'Ì") 7taÀLV faMv•oc, µou •a:1mvwu11 µE ... 1t;iòc, uµéic;, «e che, venendo di nuovo, (Dio) non mi umilii davanti a voi» (2 Cor. l 2,2 I); 7tpÒç o ovva.cri}E à.vcx.yLVW:iX0Vi:'EC, vof}o-a.L, «dove potere (rivolgervi), leggere e capire», Eph. 3,4); '~ ɵl} r.apoU
    Locuzioni stereotipe: Tà 7tp6c, 'tL, ad es. 'tà 7tpÒc; 't'IÌV ihipav, «ciò che è verso la porta», cioè «il posto davanti alla porta» (Mc. 2,2); -rà. 7tpÒç 't"Òv lJEov, «ciò che riguarda Dio» (Rom . 15,17; Hebr. 2,17; 5,1); •l itpòc; 7)µaç;, «che c'importa?» (Mt. 27,4); 'tL 7tpòc; crÉ;, «che t'importa?» (lo. 21,22 s.). d) Associato a à1toCT'tÉÀ.Àw e 7tɵtcw e con un verbo di dire nel significato di

    mandare un messaggio per comunicare, cioè mandare a dire, 1Cp6c, indica il destinata1·io del messaggio (Mt. 27,19; Mc. 3,31; Le. 7,19; Io. 1,19; Act. 19,31). In Secondo l'esempio dcll'A.T. la parola divina è presentata anche come una forza attiva: J. PEDERSEN, Isroel 1/n (1920) 127 s.; L. DURR, Die W erl1mg des golllichen Wortes im A.T. 8

    quest'uso i] verbo di dire può talvolta essere sottinteso (Act. 10,33 ). Quest'uso è conforme alla funzione di 1tpoc, coi semplici verbi di dire (-7 sotto, 2 a). 1tpoç psicologico: a, verso, con verbi e sostantivi che descrivono o indicano il movimento di un contenuto mentale verso un dato oggetto. 2.

    a) Coi verbi di dire; dire, comunica-

    re qualcosa a qualcuno. Peraltro in quest'uso 1tp6ç ricorre, in senso profano, al posto del semplice dativo solo presso quegli scrittori che presentano certi punti di contatto con la forma dialogica della biografia greca, cioè presso Luca e Giovanni (Le. r,13.18 s. e passim; Act. r,7; 2,37 e passim; Io. 2,3; 3,4 e passim). Tale uso s'incontra un'unica volta in Matteo (3,15, variante), mai in Marco e una sola volta nel resto del N.T. (Phil. 4,6), se si prescinde da alcune poche forme reciproche e riflessive che richiedono una spiegazione a parte (ad es. Mc. 9'33 s.). Altrimenti il costrutto 1tp6c, 't"LVct. À.!yEL\I e simili è riservato esclusivamente al discorso di Dio e in questo caso non significa semplicemente dire a qualcuno, ma allo stesso tempo anche rivolgere una parola a qualcuno, far toccare qualcuno da una parola 8, cioè dire qualcosa che riguarda qualcuno. Esempi: 1tpòç 'tÒv 'Icrpa'Ì")À und im AUen Oricnt (1938) 123; H. RINGGREN, Word ond Wisdom (1947) r57-164; ~ VI, coll. 261 s. 330 ss. ÀÉyw.

    otp6c; C :2a-b (B. KeickeJ

    À.Éyi::t, «(riguardo) a Israele dice» (Rom . 10,21); (À.ÉyEL) 7tpÒç 'tÒV"uì6v, «(riguardo) al Figlio (dice)» (Hebr. 1,8; cfr. r, 7.13; 5,5; 7,21; u,rS). In questi esempi Dio rivolge la parola direttamente a Israele e a Cristo, ma non nel senso di dare loro una semplice comunicazione, bensi nel senso di assegnare loro una determinata posizione e un preciso compito nell'ambito della storia della salvezza: la parola di Dio che viene riportata riguarda loro e ha effetto su di loro.

    ne di qualcosa: EÀ.EyEv 7tapa.(3oÀi]v aù•otç 'ltpòc; 'tò 8Et'J nav'to'te 1tpocrEvXEu1}m, «diceva loro questa parabola in considerazione della necessità di pregare in ogni tempo» (Le. 18,1 ). Come in Luca leggiamo in un dialogo à.1toxplvoµat 7tp6c; 'ttva (invece che 'ttvl) = rispondere a qualcuno (Le. 4,4; 6,3; Act. 3,12; 2 5, r 6 ), cosi leggiamo anche à.v·rn.7toxptMjvat 7tpÒç -tau'ta = replicare a queste cose (Le. 14,6); cfr. oùx IÌ.1tExpW11 aù'tfi> 7tpòc; oùof. E\I pfjµa, «non gli rispose neanche una parola» (Mt. 2 7,14 ). b) Con verbi e sostantivi indicanti Ja disposizione o l'atteggiamento, sia amichevole che ostile, verso una persona o una cosa. Spesso si tratta in particolare dello stato d'animo che si ha o si assume nei riguardi di Dio, del prossimo o della potenza del male.

    Casi simili nei quali si tratta di parole di Dio riprese dall'A.T. o di parabole di Gesù: 1tpÒç a.v-roùç 'T1)V 7tapa~oÀ-i}v Et'JtE, «disse la parabola per loro» (Mc. 12,12); wµoO"EV 1tpÒç 'Af3pa.aµ, «giurò (riguardo} ad Abramo» (Le. 1 , 73); 1tpòc; 1Jµac; 'ti}v 'Ttapaaol-Tiv ... ÀÉyEtc; iì xat 7tpòc; 'ltaV'taç;, «dici questa Esempi di rapporto amichevole: 7tE· parabola per noi o anche per tutti?» 1tolih]uw, 7tappT)41 ); -ijpt;a-ço 'ltpòc; -ròv Àaòv À.É· Cor. 3'4i I Io. 3,21); 1tlcr·nç 7tpòc; 'tÒV ì>Eov (I T hess. r ,8 ); µaxpoltuµEi:v 1tp6c; J'ELV 'tTJV napaaok/jv, «cominciò a raccontare la parabola (con riguardo) al po- (I Thess. 5,14); 1}mov Eì:vat 7tp6ç (2 popolo» (Le. 20,9); ÉXElvouc;... 1tpÒç ouç Tim. 2,24); ÈVOELXWO'ltct..L 7tpetV't1}'tCX. ò Àbyoç 'toiJ 1'i::ov È:yÉVE't'O, «coloro ... 1tp6c; (Tit. 3,2). Cade qui anche il caso che la parola di Dio riguardava» (Io. ro, di un'azione favorevole o benevola: Èp35 ); 't"Ì)v 1tpÒç -.oùç 'lta-rÉpaç hayyE- ya.~wµi;:t>'a. 'tò &.yaDòv 7tp6c; (Gal. 6,10) Àla.v yEvoµÉvt)v, «la promessa fatta ri- o di un rapporto pacifico e positivo: guardo ai padri» (Act. 13,32; dr. 26,6 otaì>1}xT)v Oto:'TlttEµat npéç (Act. 3 ,2 5; variante). Coi verbi 'pregare', 'implora- Hebr. 10,16); dpljv11v ìtxoµEv npòc; 'tÒV re', 'bestemmiare' abbiamo però spesso ì>EOV (Rom. 5 ,1 ); XOL\/WVL<X, cruµcpWVT]Dio o Gesù come destinatari indicati da CTL<; 1tp6c; (2 Cor. 6,14 s.). 7tp6ç; ad es. OETJlt1}'TE... 7tpòc; 'tÒV xùptov, Esempi di rapporto ostile: yoyyùsw, «chiedete al Signore» (Act. 8,24; ~III, yoyyuO"µòç 7tp6c; (Le. 5,Jo; Act. 6,r); È:v coli. 1294-1300 [ 1tpocr]Eùxoµat); (3la- ~xi}pq. ov'tE<; 1tpòc; au-roùç (Le. 23,12); O"q>1)µla (~ 11, coll. 284-290) 1tpÒç -tòv Otaxplvoµat np6c; (Act. u,2); EL 'tt EXOL· ltE6v, «bestemmia contro Dio» (Apoc. EV 'ltpòç ȵÉ, «se avessero un'accusa con13,6)9. tro di me» (Act. 24,19); ào"vµq>wvot Possiamo avere anche ÀÉYELV 1tp6c; 'tL 1tpòc; &.À.À1}À.ouc; (Act. 28,25 ); 1tpéiyµa = dire con riguardo a, in considerazio- EXEW 7tpÒc; (I Cor. 6,r ); mx.À.11 1tp6c; 9 Per contro, npòc; fo:v'tÒV npocrriuXETO (Le.

    18,n) è modellato su 7tpòç fo.v·rov

    À.ÉyE~v.

    (Eph. 6,12); µoµcpi)v (variante: Òpyi)v) fine di, talvolta per desiderio di: 1J &C1'Ì)ÉEXEW 7tp6c; (Col. 3,13 ); mxpalvoµat VELa oòx Ecr't'LV 1tpòc; M.va't'ov &_).).'ù1tÈp 1tp6c; (Col. 3,19); 7tpòc; -r-f)v à.µ.ap-rlav ... 1'.va, ~E('{) 1tpòc; o6~av (2 Cor. (Hebr. 12,10); 7tpòc; ÒÀ.lyov, «per un 1,20) 12• Nell'uso finale 'ltpoc; è costruito attimo» (Iac. 4,14); 7tpÒc; -tò 7tap6v, «pe1· spesso con l'infinito: rcpòc; -tÒ i>Eai)ijvo.t, «per essere visti» (Mt. 6,1; 23,J) esimiil presente» (Hebr. 12,rr). Questo 'ltpoc; li 13 ; abbiamo anche esempi di accusativo temporale si riferisce generalmente al con l'infinito: 1tpÒç -rÒ µ'Ìj a'tEVLCTtXL 'tOÙc; futuro ed è pertanto molto vicino al utoùc; 'IcrpaTjÀ., «cosi che i figli d'Israele non potessero vedere» (2 Cor. 3,13). 7tpoc; finale (--,> sotto). 7tp6c; retto da un aggettivo: à.ycd)òv rcp6c; (Eph. 4,29 ); &.obxiµoc; 1tp6c; (Tit. 4. 7tp6ç finale. a) Per indicare il fine l , l 6) e simili 14 • Espressioni ellittiche: -.à 1tpÒc; Elp-fia cui tende l'azione in parola: per, al IO Paolo espone sempre la verità per portare l'uomo ad accettare la fede. Per uvvElo1111~c; nell'accezione di comenso, approvazione e simili (accezione che dovrenuno avere anche in 2 Cor. 5,u) cfr. B. REICKE, The Disobedie11/ Spirits and Christian Baplism (1946) 180; fo., Syneidesis itr Rom. 2,r5: ThZ 12 (1956) 157161.

    Diversamente intende PREUSCHl!N-BAUER ', 6. 12 Cfr. inoltre PREUSCHEN·BAUER 5, s.v. m 3 a.e. Il Altri esempi in PREUSCHEN-BAUER 1 , s.v. m 3 a. ·~ Altri esempi in PREUSCHBN-BAUJ!.R" s.v. III 3 C, 11

    S.V , III

    1tp6ç C 4a-5 (B. Rcicke)

    Vl)'ll, «ciò che riguarda la pace» (Le. 14, 31; 19,42); 7tpÒc; 'tl;, «a che scopo?» (Io. 13,28); Ttt 7tpÒc; 'tàc; XPElac;, «il necessario per i nostri bisogni» (Act. 28, IO); 'tcX 7tpÒc; swi)v xat EVO"Éf3EtfX.'ll, «ciò che serve alla vita e alla devozione» (2

    Petr. 1,3). b) 7tp6c; modale. In questa accezione particolare 1tp6c; significa fino a nel senso (come l'inglese up to) di per raggitmgere, adempiere, corrispondere, e ha il valore di conformemente, secondo 15 •

    Esempi: 'ltOtEi:'ll 'ltpÒç 'tÒ ~ÉÀ:l'jµtt av'tOU, «agire secondo la sua volontà» (Le. 12,47 ); 7tpÒ<; 'tlJ'll CTXÀ.'CJPOXapola'll vµGlv, «secondo il grado / la misura del vostro indurimento» (Mt. 19,8 par. Mc. ro,5 ); 7tpoc; 8. E7tpa~E'll, «conformemente a ciò che ha fatto» ( 2 Cor. 5 ,ro ); oÌJx

    Òp~o7tooouaw 16

    7tpÒç 'tlJV

    <Ì.À:fj~ELr):'\I,

    «non camminavano diritto conformemente alla verità» (Gal. 2,14). 7tp6ç ret-

    7tpOO"a')'W ~I , coJl. 351 ss. 7tporra:ywy1} ~ 1, coll. 358 ss. 7tporra\loc
    15 MAYSER ][ 16 ~

    2 § 127,5.

    vm, col. 1266 òp0o1tolìéw. C. H . RoBl!RTS, A Note on Gal. 2,14: JThSt 40 (1939) 55 s.; J. C. WINTER, Another Insta11ce o/ òpi}o'lt05Ei:v: HThR 34 (1941) r6r s.; G. D. K1LPATRICK, Gal. 2,14 òp0o1tolìouow, in N.T.liche St11dìe11 /iir R. Bultmann, Beih. z. ZNW 21

    tO da un aggettivo: OÙX a~La 'tà. 1tai>1jµoc'ta ... 7tpÒç 't'Ì]'ll µÉÀ.À.OUO'fX.'11 ooça'll, «le sofferenze non sono paragonabili alla gloria futural> (Rom. 8,18). 5. 1tp6c; consecutivo: fino a un dato risultato; così che (in parte ebraicizzante) : À.wxal Ei.crw 1tpÒç ~Epwµ6v, «sono abbastanza bianchi per la mietitura» (Io. 4,35 ); &:rwa Èrr'tL\I.. . 1tpòc; 1tÀ.'l')crµovi)v -.ijç o-apx6c;, «il che porta al riempimento della carne» (Col. 2,23) 17 ; 1tpòc; cpM\IO\I, «fino alla gelosia / persino con gelosia» (Iac. 4 ,5) 18 ; tkµap'tla. 1tpoç Mva'tO\I, «peccato cosl grave da portare alla morte» (I Io. 5,16 s.). Con l'infinito: ò ~À.ÉTCW'll

    ywai:xo: npòç -.ò E1tLth>µijcraL ocu-r+tv, «chi guarda una donna cosl da desiderarlal> (Mt. 5 ,28 ). B . REICKE

    1tpouoÉoµaL ~ II, coll. 845 ss. npoCTOÉXOµat --? II, coll. 885 SS.

    (1954) 269-274.

    11 B. R.E1cKE, Zum sprachlichen Verstondnis von Kol. 2,23: Studia theologica 6 (1953) 39· 53; diversamente interpreta R . LEANEY, Colossians II 21-33. The Use o/ 'ltp6ç: ExpT 64 (1952) 92 . Analogie in

    18

    MAYSl!R II 2

    § 127,8.

    7tpoulìox
    t

    1-2

    (C. Maurer)

    TCpocroox
    2. Nei LXX, dove r.:pocrooxéiv compare soprattutto nei libri più recenti, l'attesa 1. 'lt'po403); a riguardo di Nero- frequenza ancora superiore a quella dei ne: Ò of. ·6jc:; olxovµÉvr}I; xa.t 'lt'pocroox'l')- LXX essi traducono con 7tpocr8ox&.w il ì}dc:; xa.t D..mcri)Elc:; a.u"t"oxp1hwp, «l'at- vocabolo ebraico qwh al pi'el3: ~ 24 3 teso e sperato imperatore del mondol> Aq. (sive Ù1toµÉvov·m;); 4' 68,7 (Sym.'); (P. Oxy. VII 1021,6). Attesa piena di ti- Is. 49,23 (Sym.); 59,9.rr (Sym.); Ier. more: 1tpocr&oxw\l't"E<; oÀ.ÉEO"ilcn (Hdt. 7, 14,22 (Sym.); t!J uB,95 (Sym., Theod.). 156); qicx\iÀa. (Ios., beli. 5,528). In sen- Fatta eccezione per l'ultimo passo citato, so neutro: Lys. r9,47; Epict., ench . 48,1 oggetto diretto o indiretto dell'attesa è sempre Dio. (bis). A. IL GRUPPO DI VOCALI FUORI DEL N.T.

    1tpocrooxla, aspettativa, attesa: 't"W\I élyai>wv (Xenoph., Cyrop. 1,6 119); ~À.7tLc:;... 't"wv àya.itwv olicret. 1tpocrooxla (Philo, poster. C. 26). II vocabolo è comunque usato abbastanza di frequente quando ci si aspetta il peggio: xaxwv ecc. (Plat., La. 198b; Philo, det. pot. ins. 140; Ios., ant. 3 ,2 I 9 ); nel senso della fede nella provvidenza: Ios., ant. 5,358. 7tpou8ox&.w, 7tpocrooxla.

    PAssow,

    LmnELL-ScoTT, MouLTON·MILLIGAN, 5

    PREUSCHEN-BAUER ,

    s.v.;

    CREMER-KOOEL 286.

    PoKORNY 189 s.; per le forme ~oEX"to, SéyµEvoç, oEl>Eyµlvoç in Omero cfr. A. DEBRUNNER, 1

    ~Éyµtvo<;,

    fo7t6µEvoç, àpx6µEvoç, in: MNH-

    MHl: XAPIN, P. Kretschmer-Gedenkschrift

    Nel caso di 7tpOO'Ooxlri tale concentrazione è avvenuta invece in misura minore: solo 2 dei 9 passi dei LXX riferiscono il sostantivo a Dio (Gen. 49,10: il Messia; ljJ u8,r16); in 4 passi si tratta di un'aspettativa angosciosa (Ecclus 40, 2; 2 Mach. 3,21; 3 Mach. 5,41.49).

    (1956) 77-81. Per i rapporti tra 1tpocroox&.w ed n..mt;w inteso in senso psicologico negli scritti di F ilone ~ m, col. 538. 3 I LXX preferiscono l'.moµlvw (-4 vn, col. 50) e traducono qwh al pi'el con 1tpo111lox&.w soltanto in Lam. 2,16.

    2

    295 (vr,726)

    B. IL

    1tpocr8ox&.w l3 rn-b (C. Maurer)

    b) Al ritorno di Cristo si riferisce, oltre che Mt. 24,50 ==Le. 12,46, soprattutto la pericope di 2 Petr. 3,12-14. Questo passo affronta il problema della condotta cristiana davanti all'evidente

    ritardo della parusia. Le idee apocalittiche della futura deflagrazione mondiale accolte dall'autore costituiscono solo lo sfondo sul quale si annuncia che la comunità va incontro al giorno del Signore, ormai prossimo (vv. n-13), e a questo evento rimangono totalmente subordinati tutti gli altri (oL' i)v: v. 12h). I participi del v. r2a non hanno valore imperativo, ma indicativo e causale 5• Poiché la comunità possiede il dono della speranza, ad essa si può chiedere al contrario degli schernitori (vv. 3 s.) il massimo davanti alla prospettiva della futura catastrofe universale: «Se tutte queste cose si dissolveranno così, quali devono ora essere, quanto a condotta santa, coloro 6 che hanno la speranza loro data e la conseguente aspirazione 7 all'arrivo del giorno di Dio!» . Come nei vv. 12 e r3, anche nel v. I4 il participio non ha senso imperativo, ma indicativo e causale 8 : «Perciò, miei cari, poiché aspettate queste grandi cose ... ». Cosl in 2 Petr. 1tpoaùoxtiv è perfettamente preservato da una sfilacciatura psicologizzante e diretto decisamente alla speranza come speranza della salvezza.

    Non è necessario considerare 1tpocr8oxwµev un indicativo, come sostiene SCHLATTER, Kamm. Mt., ad l. s BENGEL, ScHLATTER, Eri., ad l. L'accento non è affatto posto sulle affermazioni apocalittiche, come se fossero uno dei tanti articoli della dottrina cristiana. La venuta del giorno del Signore non è solo il centro degli asserti escatologici in senso stretto, ma anche il fondamento dell'etica del presente. Ciò va precisato contro E. Kii.SBMANN, Ei11e Apologie der tirchr. Eschatologie: ZThK 49 (1952) 286 s.

    6 Con ogni probabilità bisogna seguire la lezione del cod. Vaticano, che omette òµaç (letto invece dai codd, ACS1' ecc., mentre i codd. S1' al leggono -l)µ(iç). 7 Qui CT1tEUOW può e deve significare aspirare, ambire, tendere a qualcosa: PREUSCHENBAUER5, s.v. CT1tEvow; ScHLATTER, Erl., ad I. Non c'è traccia alcuna dell'idea che le buone opere possano accelerare Ja parusia, come interpretano invece WINDISCH, Ptbr., ad l.; KXSEMANN, op. cii. (~ n. 5) 283. 8 BENGEL, Sc HLATTBR, Eri., ad/_

    GRUPPO DI VOCABOLI NEL N.T.

    r. Come 'ltpocrùÉxoµ~t (~ n, coll. 887 s.), anche 'ltpocrùoxciw rientra tra quei vocaboli che il N.T. usa per esprimere l'attesa della salvezza. Ciò è palese sia nel caso di Q (5 volte) sia nella seconda Lettera di Pietro {3 volte). Gli altri 8 esempi sono tutti in Luca. In alcuni dei passi lucani si sente ancora l'eco della speranza escatologica (Le. 3,r5; 8,40), mentre in Le. r,2r; Aet. 3,5; 10, 24; 27,33; 28,6(bis) non se ne ha traccia. a) In Mt. u,3 == Le. 7,r9 .20 si parla della speranza dei contemporanei nel Messia venturo(~ III, coll. 923 ss.). Di fronte alle opere di Gesù, che fanno pensare al Messia ma sono ambigue, a Giovanni Battista si affaccia il dubbio se Gesù sia realmente il compimento della speranza messianica 4 •

    4

    7tpocrooxla compare solo in due passi e mostra nuovamente quel significato ellenistico popolare che il verbo ha spesso in Luca. Le. 2 I ,26: a1tÒ <po~ov xat 7tpocroo;;c;lw; 'tW\I É1tEpxo1..tlvwv, «dall'attesa paurosa delle cose che verranno». Act. 12,11: il Signore ha liberato Pietro dall'attesa dei Giudei i quali si aspettavano che Erode mettesse a morte l'apostolo. 2.

    C. I

    PADRI APOSTOLICI

    Negli scritti dei Padri apostolici 1tpocr7tpocrlpxoµa~ ~

    m, col!. 959 ss.

    ooxd:.w s'incontra 9 volte. Fatta eccezione per Herm., vis. 3,n,3 e Diogn. 9,2, il verbo riflette la speranza o l'aspettazione di beni cristiani: l'attesa profetica del o~SW:rxaÀ.oç (Ign., Mg. 9, 2 ); l'attesa del Cristo venturo (I Clem. 23,5; Ign., Pol. 3,2: l'attesa va riferita qui a Cristo piuttosto che a Dio). Il sostantivo 7tpocrooxla non è invece attestato in questa letteratura. Tra gli apologisti Giustino è l'unico che usi con una certa frequenza sia 1tpocrooxaw (una trentina di volte) sia 7tpocrooxla ( ro volte), prevalentemente in connessione con Je promesse dell'A.T. o del N.T. (ad es., dial. 52,r.2; 120,3). C.MAURER

    1tpOCTEVXOµaL, 1tpOCTEVX1i ~ III,

    coll.

    1294 ss.

    SOMMARIO:

    A. Origine del termine. B. Il ger 11ell'A.T. C. 1tpo
    LXX;

    Filone; 3. Flavio Giuseppe; 4. epigrafia giudaica; II. itpoO'i)À.v-roç/ ger nel tardo giudaismo pa2.

    r.pOO"TJÀV'\O<;

    In generale:

    A. BERTHOLET, Die Stell1mg der Israelitc11 tmd dcr Jude11 w de11 Fremde11 (1896); ScHURER lll 150-188 (con bibl. completa delle opere più antiche); G . F. MooRE, ]udaism I (1927) 323-353; A. GEIGER, Urscbri/t tmd fiberset·

    lestinese (esclusi gli scritti rabbinici): le testimonianze più antiche; 2 . apocrifi, pseudepigrafi e Qunuan; III. il giudaismo rabbinico; I . il concetto; 2 . l'atteggiamento verso i proseliti; 3. l'ammissione dei proseliti; 4. la posizione giuridica dei proseliti; 5. gr-twlb e ir' lmim. I.

    D. Il N.T.: I. 1tpo0'1)À.v-roç; II. uE~6~vo~ o

    cpo~ouµEvo~

    -rbv ftE6v.

    z1mg der Bibel' (1928) 349-354; F. M . DER· Preparìng the Way for Paul. The Proselyte Movemenl i11 later J11daism (1930); K. G. KuHN, Urspru11g tmd W esen der talm11dischet1 Einstellu11g wm Nicbti11de11: FJFr 3 (1939) 199-234; In., Das Problem der Mission in der Urchrislenheìt: Evangelische MissionsWACTER,

    zeitschrift

    II

    (1954) 161-168.

    rcpoa1j)..v-roç A-B (K. G. Kuhn)

    A. ORIGINE

    Apul., met. u,26: eram cultor denique

    DEL TERMINE

    7tpoCT1}À.u-.oc; è un sostantivo formato dal tema -EÀ.U- (allungato in -'l')À.u-), che a sua volta è un'astrazione erronea da -'l')À.ucrlci o sim. 1; esso s'incontra unicamente negli scritti giudaici e cristiani; non è attestato fuori di tale ambito letterario 2 • In greco profano sono invece correnti, in senso simile, i termini ~7t'l')À.uc; (da Eschilo, Sofocle, Erodoto), ÉTI'l')ÀV-.'l')c; (da Thuc. 1,9,2 e Xenoph., oec. rr,4) e È7tTJÀ.U't'oc; (Philo, som. 1,160). Analogamente al latino advena, gli ultimi termini furono forse usati anche nel culto di Iside. Cfr. PcrB: E. v. DoescHurz, art. 'Proselyten 2: Die Gcrim im A.T.': RE3 l6,n2-u5; G. RoSEN, Juden rmd Phoni:z.ier, nuova ed. rielaborata da F. RosEN e G. BERTRAM (1929); K. L. ScHMIDT, lsraels Stellung :w den Fremden 1md Beisassen und lsraels \l"issen um seinc Fremdlings- tmd Beisassemchafl: Judaica I (1945/46) 269-296. Per C: W. C. ALLEN, On the Meaning o/ TCpoa1j)..v-toç i11 the Septuagint: Exp rv 10 (1894) 264-275; K. .AxENFELD, Die jiid. Propaganda als Vorliiu· fcritJ der urchr. Mission: Missionswissenschaftliche Studien fiir G. Warneck (1904) l80; I . LÉVI, Le prosélytisme iui/ (1905-1907); In., The Attit11de o/ Talmud and Midrasb toward Proselytism: REJ 57 (1906) 1-29; ]. JusTER, Les ]ui/s dans l'Empire Romain I (1914) 253-290; F. KAHN, Die Juden als Rosse und K11/t11rvolk (1922); G. PoLSTER, Der kleine Talmudtraktat iiber die Proselyten: Angelos n (1926) 1-38; F. GAVIN, The ]ewish A11tecede11ts o/ the Christian Sacraments (r928); STRACK-BILI.ERBECK I 924-931; II 715-721; cfr. anche I 102-n2; A. CAUSSE, Les dispersés d'Israel (1929); F. GOLDMANN, art. 'Proselyt': Jiid. Lex. IV (1930) 1146-n51; S. B1ALODLOCKI, Die Be:t.iehungen des ]udelllmns :m Proselyten u11d Proselytismus (1930); }ACKSONLAKE 1 5,74.96; J. JEREMIAS, Jerusalem :t.ur Zeit ]esu nB (1937) 191-207; B.J.BAMBERGER, Proselytism in the Talmudic Period (1939); W. G. BRAUDE, ]ewish Proselyting in the firsl five Centuries of the common Era,

    \VI 172!S} 300

    adsiduus, /ani quidem advena, religionis autem indigena 3 • B. IL ger

    NELL'A.T.

    L'A.T. distingue due categorie di stranieri all'interno del paese d'Israele (--+ vur, coll. 25 s. e IX, coli. 801 ss.) e questa distinzione è rigidamente mantenuta anche nella terminologia: alla prima categoria appartiene il forestiero che si trova solo temporaneamente nel paese, ad es. perché lo sta attraversando per the Age o/ the Tam1aim and Amoraim (1940);

    M. SJMON, Verus lsrael. Et11de sur /es relfltiom e11tre Chrétie11s et ]11i/s dans /'Empire romain, Bibliothèque des écoles françaises d'Athènes et de Rome (1948); B. J. BAMBERGER, art. 'Prosclyte', in The Universal Jewish Encyclopedia rx (1948) r -3; F. M. ABEL, Histoire de la Palestine II (1952) 107-109; J. Jeremias, Jem Verheissung /iic die Volker (1956) 9-16. Per D: M. MEINEllTZ, ]esus u11d die Heidemnission (1925). L'Autore ringrazia lo studente in teologia \VI. Eiss per la sua collaborazione alla stesura del presente articolo, particolarmente per la raccolta e il controllo del materiale, soprattutto per quel che riguarda Filone, Flavio Giuseppe e le iscrizioni giudaiche. Indicazione di DlillRUNNER. ar. J. WACKERStudien wm griech. Per/., in Kleine Schriften (1953) 1015; E. FRAENKF.L, Gescb. der griech. Nomina age11tis II ( 1912) 74. l

    NAGEL,

    2 li rinvio ad Apoll. Rhod. l,834 in P.awSCHEN-BAUER', s.v. è un errore (è stato infatti eliminato nell'ed. successiva). Cade cosl l'unica testimonianza anteriore all'uso giudaico e cristiano. ~ molto probabile che il termine rcpo..v-toc; sia stato coniato nella sinagoga della diaspora come traduzione dell'ebraico ger (indicazione di DEBRUNNER).

    Cfr. REtTZENSTJUN, Hell. Myst. 193. Ilvo· cabolo advena in Apuleio corrisponde probabilmente a lm'J>..u-toc; e non a rcpo
    3

    DEBRUNNER).

    ....,.. ... v

    . , ... _

    ·~~

    recarsi altrove, dunque lo straniero in senso proprio: nokrt (ad es., Deut. 14, 21; 15,3; 23,21; 29,21), come nome gentilizio ben-(han)nekiir (ad es., Ex. !2,43; 2 Sam. 22,45 s.; Ez. 44,9 ecc.,~ I, coli. 7 r 3 ss. ); alla seconda il forestiero che risiede più a lungo o stabilmente nel paese: il gèr (ad es., Ex. 12,49; Deut. 23,8;

    ·2

    Par. 2,16: gerlm) 4.

    Il nokr1 stava fuori della comunità nazionale e religiosa d'Israele ed era assolutamente privo di protezione e di diritti 5• Questa posizione del nokr1 nell'Israele più antico è analoga a quella che ha lo straniero anche presso altri popoli al medesimo livello di civiltà 6• Tuttavia già nell'antico Israele si colgono segni di un atteggiamento verso gli stranieri senz'altro più benevolo di quello solito nei popoli contemporanei 7• Al contrario, il ger corrisponde al µÉ8 'rOLXoç nello stato attico • Egli è soggetto a un patrono o alla tribù nella quale vive. La protezione del patrono gli garantisce la sicurezza giuridica necessaria nel paese, lo obbliga anche a prestare certi servizi al protettore e a dipendere da lui. A differenza dello schiavo, il gèr gode però della libertà personale 9 e può elevarsi socialmente ed economicamentew. Tuttavia non può possedere terreni in proprio né venirne in possesso col

    =

    4 Cfr. al proposito la forma verbale g1lr stabilirsi in qualche posto come straniero, come meteco. Per il termine twJb (gr) -+ coli. 305.333 ss. 5 Cfr. l'assoluta mancanza di pietà e lo scherno verso lo straniero nel canto di Debora (!ud. 5) e in Geti. 4,14. Sulla questione ~ BERnIOLET 9 . Si veda anche :l Sam. 8,2 e 4 B 1mTHoLBT 8-II. 6 4 BERTIIOLET 9. Il diritto d'asilo dello straniero era tenuto in gran conto. Cfr. Ge11. 18; 19; 24; !ud. 19; 1 Reg. 17,7-13. 7

    Si vedano qui appresso passi come Ex. 22,20

    -

    ,--·

    -

    - - - - -- ,,

    tempo 11 • Inoltre è facilmente esposto alarbitrio del patrono 12• Le più antiche leggi in favore del gèr si trovano nel Libro dell'Alleanza; e&. Ex. 22,20 ss.: « ... Se in qualche modo tu lo ( = il ger) opprimi ed egli grida a me, io udrò il suo grido»; Ex. 23,9: «Voi sapete bene come si senta un gér, giacché voi siete stati gèr'im in Egitto». Particolarmente importante è la norma che prescrive anche al ger l'osservanza del sabato (Ex. 20,ro; 23,12). Qui si vede chiaramente che già nel Libro dell'Alleanza il ger si trova in un particolare rapporto religioso con Jahvé quale Dio del popolo e della tribù in cui egli vive. Ma non è questo rapporto religioso che lo rende quello che è, cioè un gér. Tale rapporto è, piuttosto, la semplice espressione del fatto sociologico che il gér vive in un paese straniero e si trova pertanto nella sfera di dominio del Dio a cui il paese appartiene 13 • Con l'ulteriore evoluzione della religione d'Israele cambia anche la posizione religiosa del gèr. La tradizione dell'elezione, che ha conosciuto un risveglio proprio in virtù ss. e 23 ,9 . 8 Vedi ScHiiRiill III 175; ~ KilliN, Urspru11g 201 s.; -+ BERTHOLET 43-50. 9 A differenza dello schiavo, egli riceve un suo salario. Cfr. Deut. 24,14: il gér può lavorare come bracciante. IO ~ BllRTHOLF.T 39· Il Proprio perché non appartiene per nascita alla tribù. 12 Cfr., ad es., Ge11. 31, spedahncnte i vv. 7. 39 e 40. Il 4 BERTHOLl!T 67-78.

    7tpou1))...v-roc; B (K. G. Kuhn)

    della predicazione profetica, fonda la coscienza della posizione eccezionale d'Israele rispetto agli altri popoli. L'opposizione agli altri popoli non è più di carattere nazionale, bensl religioso 14 • Questo atteggiamento religioso ha avuto una portata determinante per la legislazione deuteronomica sugli stranieri, che esige la separazione più netta da ogni non giudeo, dal nokr2. Al contrario il ger, che ha già determinati obblighi religiosi, viene inserito sempre più neUa comunità religiosa israelitica. Tale inserimento del ger nell'intera sfera dei doveri religiosi appare con particolare chiarezza nelle norme che regolano la celebrazione delle grandi festività religiose (Deut. 5,14; 16,ro s.} e anche da Deut. 29,9-14: «Oggi state tutti alla presenza di Jahvé, vostro Dio, i vostri capitribù, i vostri anziani. .. e il tuo ger che è nel tuo accampamento... ». Nel codice sacerdotale continua la tendenza inaugurata dal Deuteronomio e il ger è praticamente inserito nella comunità religiosa giudaica: egli ha fondamentalmente gli stessi diritti e doveri religiosi dell'israelita 15• L'eccezione riguardante la Pasqua, alla quale il ger 14 La parola g6im, che in origine significava genericamente 'i popoli' ovvero 'gli altri popoli', viene ora ad assumere il significato di 'pagani'. Nell'ebraico talmudico dru nome in questa accezione si forma il singolare gwj= 'il pagano'.~ KUID1, Urspru11g :io3 n . :z. 15 Cfr. N11m. 15,15 s.: «Nella comunità wia soln legge vale sia per voi sia per il gér che abita presso di voi. È una disposizione eterna per tutte le vostre generazioni...». Vedi anche In raccolta delle relative leggi in ~ BERTHO·

    (VI,730) 304

    può partecipare soltanto se circonciso 16, mostra che la circoncisione, quale segno esteriore dell'appartenenza alla comunità israelitica, non era obbligatoria per il ger, ma certo gli veniva raccomandata. Solo con la circoncisione l'inserimento del ger nella comunità religiosa giudaica è perfetto. Cosl il termine ger indica il non israelita che è inserito quasi perfettamente o anche del tutto (dopo la circoncisione) nell'ordinamento religioso del popolo giudaico 17 • In senso religioso il ger è quindi già prossimo al 'proselito' . tardo-giudaico 18• Va tuttavia osservato che ger non indica ancora semplicemente qualsiasi straniero che abbracci la religione giudaica, bensl sempre e solo quello straniero che vive come meteco nel paese. Dal punto di vista sociale il ger conserva dunque la sua vecchia posizione e sotto questo aspetto non ha raggiunto 1a parità con l'israelita 19• Per spiegare questo fatto occorre notare che la struttura sodale presupposta dal codice sacerdotale è ancora quella di prima, cioè di un corpo nazionale chiuso in Palestina attorno a Gerusalemme e composto prevalentemente di agricoltori i.o. L'inseLl!T 168-171.

    16 Vedi

    Ex.

    12,48. Su,ll'argomento

    LET 172 s.; ~ KUHN,

    Urspru11g

    ·-7 BERTHO·

    205 .

    11 ~ BERTHOLET 174; ~ KUHN, 205.

    Ursprtmg

    Vedi anche 4 ALLEN 264-275. In P questo fatto si manifesta nell'incapacità del ger di possedere proprietà terriere ereditarie. 20 ~ KuJJN, Ursprrmg :206. 18

    H

    rimento dcl ger nella comunità religiosa, operato dal codice sacerdotale, è determinato dalJ'idea della santità e purezza del popolo eletto di Dio. Quest'idea richiede la netta separazione da ogni elemento straniero. Lo straniero residente nel paese, dal quale non era possibile segregarsi, viene quindi assorbito nella comunità religiosa 21 • Al posto del termine ger nel significato primitivo, P usa ora il nuovo vocabolo tosiib. Questa parola indica solo la struttura sociale del meteco, prescindendo dall'annessione religiosa, che è divenuta ormai la nota dominante nel termine ger (si veda~ coll. 333 ss.). Alla conclusione dcl processo legislativo giudaico il termine ger è bensì totalmente determinato dall'aspetto religioso, ma continua ad essere conforme alla struttura politico-sociale del giudaismo palestinese 22 •

    c. 7tpo111))..u-r:oc,/ger NEL GIUDAISMO EX· TRABIBLICO

    I. 7tpocr1}À.v-r:oc; nel giudaismo ellenistico Il conio definitivo del termine prose-+ BERTHOLET 168. Is. 56,1-8 non contraddice questa conclusione: la promessa dell'accoglimento nella comunità religiosa israelitica riguarda il be11ha1mekiir, cioè 'lo straniero' in generale (quindi anche lo straniero che non viveva nel paese). Questo passo esprime l'universalismo escatologico della salve-Lza professato dal Deutero-Isaia, ma non d dice quale fosse l'effettiva e concreta situazione dello straniero in quel momento. Non è poi affntto certo, come ritiene -+ BERTIIOLET 176-178, che nell'opera dcl Cronista il termine abbia ormai perso la sua concreta caratterizzazione sociologica. 21

    22

    lito come espressione tecnica per indicare ogni pagano passato in pieno, con la circoncisione, al giudaismo, senza riguardo alla sua posizione nazionale e sociale, non avvenne nel giudaismo palestinese, bensì nel giudaismo della diaspora greco-romana 23 •

    In questo ambiente esistevano i presupposti di una diversa struttura sociale necessari perché questo fatto potesse avvenire. La dispersione del giudaismo ebbe per conseguenza che il giudeo non viveva più in una propria regione, insieme con ì suoi correligionari, bensì in altre parti del mondo in mezzo a popolazioni allogene, là dove lo portava la sua professione 24 • Questo giudeo fa conoscenza con la cultura non giudaica, in primo luogo con l'ellenismo 25 , e comincia a propagandare tra i non giudei ciò che egli sente come sua caratteristica proptietà. Nasce così in seno al giudaismo della diaspora una vivace missione giudaica u,. Questa s'inquadra certamente nell'avanzata di tutte le religioni orientali verso la fine dell'era antica; ma la predicazione dell'unico vero Dio, invisibile e non adorato in immagini, creatore del cielo e della terra, e il finalismo pratico della religione giudaica mirante a un'esistenza felice e morale 17, sono elementi che distinguono nettamente la -+ Km-IN, Ursprung 207. -+ Krn·IN, Ursprtmg 207 . 25 Per tale aspetto si veda particolarmente J. WELLHAUSEN, Isr. u11d iiid. Geschichte• (1921) zr9-2
    24

    37-45; ScHURER III 27-89; ~ BERTHOLET 196207. 26

    Sulla questione si veda anche Boussu-

    GRESSMANN 77-79; ~ AXENFELD; -+ JEREMIAS, Verheissu11g 9-16. 21 Questi motivi risaltano con particolare chia-

    re7.za nel quarto libro degli Oracoli sibilli11i. Sull'argomento si veda ScHURER III 173; -+ BERTHOT.ET 2 57-302; P. DAI.BERT, Dic Tbeo/.

    rcpocriJÀvnc;

    e I I (K. G. Kuhn)

    propaganda giudaica da quella di altre religioni e deve aver conseguito successi particolari 28 • Ciò nonostante i casi di piena conversione, con l'indispensabile circoncisione, devono essere stati relativamente rari 29 •

    to la loro conversione. Per distinguerli dai prosditi, costoro vengono chiamati cultori o timorati di Dio ( ctE~Oµé\IOL "t'Ò\I ite:b'V, <po~ovµEvoL -còv ile:6v, ~ coll. 3 r 1 s. 315 s. 334 ss. 339 ss.) 31•

    Coloro che hanno abbracciato pienamente il giudaismo e accettato la circoncisione son detti, con termine tecnico greco-giudaico, 7tpo0'1}Àv-.ot.. Questo nome prende il posto dell'ebraico ger, corrispondendogli però per quanto riguarda solo la posizione religiosa, non già quelia sociale del ger dell'A.T. Infatti questi convertiti al giudaismo sono tutt'altro che meteci nell'antico significato; anzi, per posizione sociale essi sono spesso di gran lunga superiori ai giudei veri e propri 30• Numerosi pagani erano assidui al culto della sinagoga, professavano il monoteismo giudaico e si sottomettevano anche a una parte della legge cerimoniale, ma non compivano il passo decisivo dd]a circoncisione, che avrebbe perfeziona-

    La posizione del giudaismo della diaspora verso questi timorati di Dio è efficacemente rappresentata dalle parole del missionario giudeo Anania al re Izate di Adiabene, conquistato alla fede giudaica e intenzionato a passare al giudaismo: il re potrebbe adorare Dio anche senza farsi circoncidere, se decidesse di seguire gli usi cultuali dei Giudei, che sono molto più importanti della circoncisione (los., ant. 20,4! s.) e~ coli. 318 s.).

    der jiid.-hell. Mirsionsliteratur, Theol. Forschungen 4 (1954) 106-123. 28 Sì veda ScHiiRER III 155-162. Ios., Ap. 2, 123; 2,284 testimonia il grande successo della mis:;ionc giudaica. 2~ Questa supposizione si basa partìcolannentc sul fatto che l'antisemitismo è frequentemente attestato. Cfr. anche il racconto (fos., ani. 20,34-48) di Izatc, re di Adiabene, che, pur avendo abbracciato il giudaismo, non vuole dapprima farsi circoncidere per tema di perdere il trono, poiché i suoi sudditi non avrebbero mai tollerato di essere governati da un vero giudeo. 30 Cfr. parimenti il re lzate di Adiabene (-7 n . 29) .

    31 Spesso i


    -ròv l!E6v vengono dcfi-

    Quindi per il giudaismo ellenistico nell'attività missionaria l'importante non era tanto che i pagani accettassero la circoncisione e osservassero le norme cultuali, quanto che accettassero il monoteismo e seguissero le norme etiche fondamentali deJl'A.T. 32• r. Nei LXX33 'ltpocniÀ.u-.oc; traduce 77 volte l'ebraico gér e almeno una volta niti erroneamente 'una particolare classe di proseliti' o 'mezzo proseliti'. Contro questa diffusa, ma errata concezione, si vedano le precisazioni di MooRE I 326 s, e 339. Secondo D.U.11ERT, op. cii. (-7 n. 27) 22 n. 5 le qualifi· cazioni cna6µ.tVOL 'tÒV lle6V, q>oaovj.1.fVOL "tÒV lle6v e nporrlj>..v,.ov sarebbero state usate promiscuamente. Per contro l'uso attestato dalle iscrizioni giudaiche e~ coli. 312 s.) prova la netta separazione esistente tra i CTEaoJ.1.fVOL o q>oaovµtvoL -.òv lle6v da una parte e i rcpoa1)).v,.oL dall'altra; si tratta di due categorie totalmente diverse. 32 Si veda ScHfiRER m 173 e anche~ KuHN, Problem der Mission 162. 33 Sull'argomento -7 GEIGER 353 s.; -7 ALLEN 264-275; BRRTHOLl!T 259-261 ; ScHiiRER

    (2 Par. 15,9) il verbo gur. In 14 casi i

    LXX traducono ger con altri termini:

    II

    volte con 1tapoLxoc; (Gen. 15,13; 23,4; Ex. 2,22; 18,3; Deut. 14,21; 23,8; 2 Ba.
    Vedi

    36

    nota.

    Si veda anche -7 DERTHOLET 288. Frammenti riguardanti Ex. 22,I9 in Bibliotheca Sacra Patrum Ecclesiae Graecorttm 11 (1828) 241; -7 BmlTHOLET 288. Cfr. Rom.

    37

    -7 BERTHOLET 285-290; ScHURER m

    x76 s. JS LIDDELL-ScoTT,

    sce quindi termini noti ai suoi lettori pagani invece della parola TCpcxri}À.u"t'oc;, che probabilmente era per essi oscura e andava quindi spiegata: -.01hovc; oÈ xaÀ.EL 7tpOC11JÀ.1hovc;, &.nò 'TOU rtpOO"EÀ.ljÀ.Ui)Éva.t xa.wjj xa:i qnÀ.oi>É~ TtoÀ.~'t'El~, «a costoro dà il nome di proseliti perché sono venuti ad una cittadinanza nuova e devota» (spec. leg. 1,51). Persino citando Deut. 10,17 s. Filone una volta (spec. leg. 4,176 s.) usa È7tljÀ.u-toc;, benché altrove citi sempre il testo con TCpoa-ljÀ.u't'oc; (spec. leg. 1,308; cfr. l'allusione a Deut. 26,13 in som. 2,273). MTCtJÀUc; (cher. r 21; Piace. 54 e passim) e f.1t'lJÀ.u-coc; (eber. l 20. r 2 l) sono poi usati anche nell'accezione più ampia di meteco, nota anche al greco profano 35 , quindi come sinonimi di ~Évoc; 36• Filone definisce (spec. leg. l,52.309) 1tpoo"i]Àv't'oc; chi ha lasciato patria, amici, parenti e costumi aviti e si è sottoposto all'ordinamento giudaico. Tale definizione si adattta soltanto al proselito in senso pieno. Chi ha abbracciato il giudaismo ed è chiamato proselito è stato cer.t amente circonciso; tuttavia, e questo aspetto è caratteristico in linea di massima di tutto il giudaismo ellenistico, non è un (vero) proselito colui «che è circonciso (soltanto) al prepuzio, ai piaceri e ai desideri e alle altre passioni dell'anima» 37 • Questa comprensione del termine 7tpocr1}À.u't'oç viene trasferita da Filone anche ai passi dell'A.T. che originariamente parlavano dello straniero che abitava da meteco nel paese. Cosl, ad es., i gertm, che nella legislazione riguardante i poveri sono menzionati insieme con le vedove e gli orfani (ad es., Deut. ro,18; 26,r 3 ), diventano nell'interpretazione fìloniana coloro «che si sono sinceramente innamorati della verità e si son

    s.v.; testi

    -7 col. 229.

    2,28 s.

    1tpocri)ÀV'lOC,

    e I 2-4 (K. G. Kuhn)

    dati alla pietà» 38• Il concetto di 7tpocrTiÀu'toc:; non definisce una condizione sociale, bensl è un titolo religioso d'onore 39.

    3. Flavio Giuseppe 40 ha evitato 1tpocrT)Àu"toc:; probabilmente per le medesime ragioni di Filone: scrivendo per lettori pagani non ha usato un termine che era loro estraneo. Per contro, una volta si può notare (C111t. l 8 ,82) una chiara allusione al concetto di 1tpocr1]Àu'toc:; nell'uso del verbo npocrÉPXEcri)a.L: Giuseppe dice che Fulvia, una romana convertitasi al giudaismo, era 1tpocrEÀ1)ÀUwfo.v 'tOL<; 'Iouoa.i:xoi:ç 41 • In un passo (ant. 14,110) usa anche crE~éµEvoç "tÒV l>Eév in senso tecnico ("t'WV xa.'tà 'tlJV otxouµÉVTJ\I 'Iouoa.lwv xa.t crEPoµÉvwv 'tÒV i)Eév) e forse, una volta, anche l>EocrE~TJc; (ant. 20,195): NÉpwv ... 'tTI yuva.txt Il07t7t(1.l~, l)EOO"E~1Ì<; yb_p -i'jv, V'ltÈp .-wv 'Iouoix.lwv OE'Y}frElcru xixpt1;6µEvoc;, «Nerone ... concesse questo favore alla moglie Poppea, la quale, essendo una simpatizzante (del giudaismo), era intervenuta a favore dei Giudei». Anche se non i termini, la realtà indicata da 1tpocr1)lu'tOc:; e
    r;pòc;

    EUO"~~ELav.

    Cfr. anche spec. leg. 4,177 s.

    e viri. 102-104.

    39 Cfr. spec. leg. r ,52 : Luo-.:~µla.v you\I li1tet.aw htTJÌ..V'tCXLC, l>Ll>oùc; xat xo:pLaaµt\loc; lScru. xat -.o~c; o:u-r6xì}ouL. ~ BER'fHOLET 289. 4il Per questa parte si veda anche SCHLATTER, Komm. Mt. 675 s.; -)o BERTHOLET 291-294; ~ DERWACT.ER 26. •• Altrove Giuseppe usn 'ltpoO'ÉPXEcrl}ctL costantemente nel senso letterale di 'avvicinarsi': cfr. be/I. 5,326.328; 6,188 e passim. 42 Si veda anche -)o DERWACTBR 26. ~J La prima riportata in J. EurING, Nabatiii-

    (vr,733) 312

    ÀaPEtV, «assumere i costumi dei Giudei» (ant. 20,139); µE'tÉXEW i:wv i}µt:'tÉ· pwv, «partecipare alle nostre cose» (Ap. 2 ,209) e intÒ "t"OÙç cx.1'.l"t°oÙç i}µtV VOµouç sflv Ù7tEÀ.i>EL\I, «Venire a vivere sotto le nostre stesse leggi» (Ap. 2,210); Ei.ç "toÙç l]µE'tÉpouc:; v6µouç Elo-g)..i}Ei:v, «aderite alle nostre leggi» (Ap. 2,123). Talvolta il proselito è detto genericamente 'Iouòet.i:oc:; (ant. 20,39), PÉ~cx.toç 'Iouocx.i:oc; (ant. 20,38). L'adesione al giudaismo è indicata altrettanto genericamente con i:òv l)Eòv crÉ{kw (ant. 20,34); "t"oi:ç 'fouoalwv ei>Em "'tai:'ç l>pl)crxElatç, «lasciarsi attrarre ai riti religiosi» (beli. 7.4 5 ). 4 . La struttura del concetto di 'ltpoo-1}Àu"'toç riscontrata in Filone è confermata dalle epigrafi giudaiche nelle quali appare il nostro termine. Si tratta, per la precisione, di 2 iscrizioni trovate a Gerusalemme 43 e di 8 (9) 44 trovate in Italia 45 • Di esse 7 ( 8) provengono dalla sola Roma. Di fronte alle .554 epigrafi giudaiche trova te in Italia, il numero di 8 ( 9) è sorprendentemente basso 46• Tra le 533 iscrizioni giudaiche rinvenute in Palestina solo una aveva la parola "JçpocriJlu'tOc:; 47 • Quasi tutte quelle col nostro sche Inschr. aus Arabien, SAB (1885) 683, iscr. 64; la seconda in ]. B. FREY, Corpus Inscriptio11u111 ludaicamm II (1952) 318, iscr. 1385. È dubbio se si debba colmare la lacuna dell'iscrizione 37 della catacomba giudaica della vin Nomentana a ·Roma come propone J. B. FREY, Corpus Inscriptionum Iudaicarum I (1936) 28: 1tp001')M ]-tov TC«-t-fip. 45 FRE.Y, op. cit. (~ n. 44) iscr. 21.68.202.222. 256.462.523. L'iscr. 576 proviene dalla catacomba giudaica di Venosa in Puglia. 46 Cfr. FRRY, op. cit. (-)o n. 44) p. LXIII. 47 Precisamente nell'iscr. 1385 (su un ossll· rio); si veda FREY, op. cit. (-)o n. 43) 318. #

    termine trovate a Roma provengono da catacombe giudaiche 48 • Lì i proseliti venivano sepolti tra gli altri giudei, a differenza dci timorati di Dio, cioè di coloro che non avevano abbracciato pienamente il giudaismo, i quali trovavano sepoltura nei cimiteri pagani 49• Ciò significa che i proseliti si separavano scrupolosamente, come i giudei di nascita, da tutto ciò ch'era pagano (e proprio in tale rigida separazione va visto il significato delle catacombe cristiane 50 ) e che i proseliti, a loro volta, venivano dai giudei annoverati tra i loro, mentre i timorati di Dio erano praticamente considerati pagani 51 • Questo totale e perfetto inserimento dei proseliti nella comunità giudaica risulta anche dagli attributi usati nei singoli epitaffi. dei proseliti. Epitaffio di una bambina di tre anni e mezzo (iscrizione 21): Etpl}vri 1'pE1t"'CTJ 7tpocrT)À.u-coç mx-cpò.; xa.t µ'fJ"'Cpòc; ElovoÉa. 'Icròpal)À.l'tl}c;, «Irene, figlia adottiva, proselita per parte di padre e di madre, giudea, israelita»; essendo 7l;pocrT)À.u"t"oç, la bambina è allo stesso tempo giudea e quindi israe2(3) dalla catacomba della via Nomentana (FREY, op. cit. E- n. 44] iscr. 21.[37 ] .68), 3 dalla catacomba della via Appia (ibid., iscr. 202.222.256) e una da quella di Venosa (ibid., iscr. 576). Di un'altra iscrizione (ibid., iscr. 5 23) si ignora In provenienza precisa. Si veda 4-'I

    ibid. 384. 49

    Si veda

    J. n. FREY, InscripJio11s inédites des

    cnlacombes juives de Rome: Rivista di Archeologia Cristiana 7 (1930) 253 s.; In., op. cit. (-+ n. 44) p. cxxx. Cfr. anche -+ JusTER J 480; Tu. MoMMSEN, Die Katakomben Roms in Reden und A11fsiitze (1905) 299. so Si veda FREY, op. cit. (-+ n. 44) p. LVI.CXXX. 51 Cfr. FREY, op. cit. n. 44) p. cxxx. 52 IV, col. IIIZ 'I11pa:/)À. FREY, op. cii. (- > n. 49) 254; Io., op. cit. (-+ n. 44) 19 s. 53 Si veda FREY, op. cii. (-+ n. 44) 41. 54 Si veda ScHiiRER m 185. 55 FREY, op. cit. (-+ n. 44) 384.

    <-

    56 Questa donna che si è convertitn in età avanzata al giudaismo è chiamata anche ma-

    lita, cioè membro del popolo eletto di Dio 52 • Cfr. anche l'iscrizione 68: Cresce(n):r Sinicerius Iud( a)eus prosel(y)tus ;3. Talvolta i proseliti presentano al posto del loro vecchio nome pagano, o accanto ad esso, anche un nome giudaico. Così in documenti aramaici di Assuan (416 a.C.) un proselito egiziano prima della conversione si chiama AsHor, dopo Natan 54 • Nell'iscrizione 523 55 la proselita Veturia appare col nome giudaico di Sara 56 • Uno di questi nomi giudaici, che s'incontra più volte, è anche 0Eocn:P1Jç 57 • L'iscrizione di un ossario di Gerusalemme(iscrizione 1385) 58 riguarda un proselito di nome Giuda, figlio di Laganione: 'Iouòa.-toc; Aa.yu,vlwvoc; 'l':povl)Àu'tcu. A differenza del padre, egli ha un nome ebraico. In un'altra iscrizione di Gerusalemme appare una proselita di nome Maria 59 ; ciò significa che come giudea ha il nome ebraico di Miriam ro. Delle iscrizioni trovate in Italia che nominano proseliti, 6 riguardano donne ~1 e solo 2 o 3 uomini 62 • È inoltre interessante notare come tra i proseliti · ter synagognrum Campi. Si vedano le testimonianze in FREY, op. cit. (-+ n. 49) 256; cfr. anche FREY, op. cit. (n. 44) iscr. 20 2. 5 ~ In FREY, op. cit. (~ n . 43) 3r8. Cfr. E. L.

    51

    SuKENIK, Jiid. Griiber ]erusnlems Geburt (193 r) 18 e tav. 3. 5

    ~ Vedi sopra -+

    11m

    Christi

    n. 43 e anche S. KLEIN, ]iid.-

    paliistiniscbes Corpus i11scriptiom1111 ( r9to) 2426. Nel caso dell'iscr._ 462 (in FREY, op. cii. [ ~ n. 44} 340 s.) non si sa se il frammento di parola NVENN contenga il secondo nome, quello giudaico (Nucmi, Noemi), oppure se Felicitfls sia il nome giudaico. Cfr. FREY, op. cit. (~ n. 44) 341; per la discussione si veda anche TH. REINACH, Le cimetièrc juif de MollleW

    vcrdc, à propos d'1111 livre réce11t: RE] 71 (1920) 124. 61 FREY, op. cit. (-+ n. 44) iscr. 21: Irene; iscr. 202: Tbcoscbes; iscr. 222: Crysis; iscr. 462: Fe/icitas; iscr. 523: Vet11ria Poula. Inol-

    -;tpocni>..u-co.; C 1 .p1 (K. G. Kuhni

    menzionati in queste iscrizioni si trovi- Aemilius Valens 15 (Roma). no uno schiavo, una schiava ~J e una figlia adottiva (f)prn-.1) =alumna) <>t. Ciò II. rcpocr1)À.u't'oc; / ger nel tardo giudaisi spiega con la considerazione che per smo palestinese (esclusi gli scritti le donne era più facile abbracciare il giurabbinici) daismo che non per gli uomini: alle donne infatti non si richiedeva né cirNell'uso linguistico dcl tardo giudaiconcisione né sacrificio. Per gli schiavi smo palestinese 7tpocr1)À.unc; trova un la conversione comportava senz'altro notevoli vantaggi 65 e i bambini erano corrispondente esatto in gèr, che ora comunque sottoposti alla potestà dei ge- ha perso del tutto la sua antica deternitori adottivi 66 • Non è possibile dire minazione sociale ed è ormai un puro con certezza se, e fino a che punto, si termine tecnico religioso. La cosa signidebba alle leggi sui Giudei emanate da Adriano e da Antonino Pio 67 il fatto che ficata dal termine npocri)Àv-toç/ger, vail proselitismo si limitava essenzialmente le a dire la piena accettazione del giua tali gruppi i;ociali 68 • daismo, circoncisione inclusa, ebbe anzi I timorati di Dio vengono nominati in un totale di 8 iscrizioni m, a) col nome per il giudaismo palestinese un'impordi 1)EocrEf31)c;: cosl nell'iscrizione 500 70 tanza essenzialmente maggiore che per il un 'Aypl1t1mc; ov11xou c:I>a.w1)crtoc; (Ro- giudaismo ellenistico. Nella maggior ma); nell'iscrizione 7 54 71 un Eò1na1}toc; parte dei casi quest'ultimo si acconten(Delilo presso Filadelfia); nell'iscrizione 748 72 è detto in generale: -.61toc; (E }l- tava di guadagnare quei pagani che con ouo( al )wv "f:W\/ xcd 1}EoCTEf3( W)v (Mile- un certo devoto zelo frequentavano 1a to) 73; b) con la designazione latina me- sinagoga giudaica, ma non completavatuens (Deum), corrispondente a cpof3ouµEvoc; (-.6v i>Eo\/): cosl nell'iscrizione no la loro conversione con la circonci5 74 un quindicenne cavaliere romano sione. La coscienza vivissima del valore tre anche l'iscr. 72: Iu/ia Irene Arista. FlIBY, op. cii. n. 44) iscr. 68: Crescem Sinicerius; iscr. 2;;6: Nicelas; dubbia l'iscr. 576: 'Avucr-.aO'(L)ç ( =Anastasios). 6J Nicelas (FREY, op. cii. [-..+ n. 44] iscr. 2;;6) e Felicitas (ibid., iscr. 462). 61 Irene (FRBY, op. cit. [ ~ n. 44] iscr. 21). Cfr. anche l'epigrafe di Rufina, una giudea di Smirne, per i suoi figli adottivi (Dptµ[ µ)a.ow): FREY, op. cit. (~ n.49) 255 n. 2. 62

    M -

    <-

    BERTHOLET 254.

    Vedi FREY, op. cii. (~ n. 44) p. LXIV e ID., op. cii. (~ n. 49) 2;;5. 67 Cfr. ScHURER m u8. 6., Per la questione vecli FREY, op. cit. (~ n. 49) 2;;;; e fo., op. cii. (-') n. 44) p. LXIII. Cfr. anche -+ SIMON 330. 1H Cfr. anche M. L EVY, Epigraphische Beilriige :wr Gesch. des J11de11tmns, in Jahrbuch fiir
    II (186:r:) 2;;9·324.

    w FREY, op. dt. <~ n. 44) 36;;. 11 FREY, op. cit. <~ n. 43) r8 s. 72 F1mY, op. cii. (~ n. 43) 14 s. 73 Si veda anche DmssMANN, L.0 . 391 s.;

    SCHORBll m 174· op. cit. (-') n. 44) 9. 75 Vecli FREY, op. cii. (~ n. 49) 2 _p . Cfr. inoltre FREY, op. cii. (-+ n. 44) iscr. 285: una romana l.Arcia Quadrati/la (Roma); ibid., iscr. ;;24: Maionia Ho111eriI (Roma); ibid., iscr. 529: una donna, il ·cui nome non è conservato, ... De)um metuens hic sita e(st): cfr. J. BERNAYS, Die Gottes/iirchtigen bei Juvenal in Commentatio11es philologae in honorem Th. Mommseni (1877) 563-569; FREY, op. cit. <~ n. 49) 251-255; infine ID., op. cii. (-') n. 44) iscr. 642: Aurelia Soter, con l'aggiunta matri pienlissimae religio11is iud(a)eicae metuenti f(ilii) p(osuerunt) (Pola). 74 FREY,

    assoluto di tutte le leggi del!' A.T. e la volontà di applicarle rigidamente e perfettamente, che caratterizzano il giudaismo palestinese, faceva si che chi passava al giudaismo si dovesse sottomettere, senza mezzi termini, alla circoncisione prevista dalla legge e a tutta la torà. Altrimenti questo simpatizzante sarebbe rimasto un pagano che agli occhi dei Giudei appariva poco o niente diverso dagli altri non giudei (~ coH. 335 s.). l. Le più antiche attestazioni sia del termine stesso sia della posizione dei proseliti nel giudaismo palestinese risalgono al periodo compreso tra il II sec. a.C. e il 1 sec. d.C.

    a) Tra i proseliti rientrava la dinastia reale degli Erodi. Infatti gli Erodi erano di origine idumea (los., ant. r4,8) e gli Idumei erano stati costretti ad abbracciare il giudaismo da Giovanni Ircano (los., ani. 13,257): erano dunque pro· seliti. Poiché secondo il costume giudaico non poteva salire al trono chi non fosse giudeo di nascita (los., ant. 14, 403) 76, agli occhi del popolo gli Erodi dovettero apparire usurpatori. Erode il Grande era sprezzantemente considerato un 'semigiudeo' (1}µLLOUO<Xto~) e pertanto indegno di sedere sul trono (Ios., ant. 14,403 ). Dove Nicola Damasceno, lo storico di corte .di Erode, affenna che 76 Secondo il Talmud (B.B.b. 3b) per quest'uso l'esegesi rabbinica si richiama a Deut. 17, 15: «Di mezzo ai tuoi fratelli scegliti un re come capo». 71 Cfr. Jos., ani. 14,9: ·to.ih°et. O~ ÀlyE~ X!t.P~·

    t;6µ.Evoc; 'Hp6Jli11. Jerusalem 205 . 79 ~ JEREMIAS, ]emsalem 207. 80 Cosl anche secondo Tac., 01111. 12,13.14 ecc.; 78 ~ JEREMIAS,

    il re discende dai primi Giudei tornati in patria dall'esilio babilonese (los., ant. 14,9), non abbiamo che lo scoperto tentativo di occultare, per motivi apologetici, la reale origine di Erode n. Shimon, uno scriba fariseo, aizzò il popolo contro Agrippa I, nipote d'Erode il Grande, incitandolo ad impedire al re, <<non giudeo», di mettere piede nel tempio, cioè di entrare nel cortile delle donne e degli Israeliti 78 (Ios., ant. 19,332). Tipico è, d'altra parte, il comportamento di Agrippa (r o II) riferito dall'antico racconto79 di Sola 7,8: piangendo e confessando la propria indegnità di esser re (in quanto 'jS nkr;, secondo Deut. r7,r5) egli cerca di muovere il popolo a compassione, non senza riuscirci. b) La più grande vittoria della missione giudaica fu la conversione del re Izate di Adiabene, di sua madre Elena e del fratello Monobazo, che divennero proseliti (los., ant. 20,34-48) durante l'impero di Claudio 80 • Il racconto della conversione del re lzate è l'esempio tipico della diversità di atteggiamento che fu tenuto dal giudaismo palestinese e da quello della diaspora rispetto alla missione tra i pagani (los., ani. 20,38-48). Dopo il già menzionato (~ col. 308) commerciante Anania, che era un giudeo della diaspora, viene al re un giudeo pa· lestinese, un certo Elazar 81 , che esorta Izate non solo a leggere ma ad osservare la legge (mettendo in pratica le norme cultuali e cerimoniali): di conseguenza il re si sarebbe dovuto fare circoncidevedi SCf:IURER Ili 170 n. 59. 81 Quando Ios., arlt. 2043 dice che E lazar

    7tavu nEpl. -t& 7to:tpLa. ooxwv àxpt(31}c; Eivo:~ 1tpot-.ptljia.-.o, è chiaro che Io designa come un fariseo. Cfr. frasi simili per d esignare dei farisei in ani. 17,41; bell. 2,T62; ani. 19,332. Sulla questione vedi M. FRIEDLiiNDER, Die reJigiOsen Beweg1111gen innerhalb des Judmt11111s im Zeitalter Jest1 (1905) 33; ~ D e.RWACTER 47S·

    3.l9 (vr,7 J,5)

    TI{)OO"'TJÀ.U't'Oç C 1T Ib-2

    re 82• Questo invito di Elazar spinse poi Izate a passare pienamente al giudaismo accettando la circoncisione. c) Nella ptima insurrezione giudaica ebbe un ruolo importante come guerririgliero e poi, durante l'assedio, come comnndante di una parte di Gerusalemme e avversario di Giovanni di Giscala, Ò ('toti) r~wpa l:{µwv (Ios., bell. 2,521; 2,652, 5,n; 7,154) ovvero uloç r~wpa (beli. 4,503), spesso chiamato anche semplicemente Zl~twv (ad es., bell. 4, 353 .5 14.516.524 e passim). Diane Cassio (66,7,1) chiama questo personaggio Bcxpytopa<; e Tacito (hist. 5,12} Bargiora 83 : il corrispondente aramaico originale e sm'wn br-giwr'. Il padre di Simone era dunque un proselito. d) Per il materiale epigrafico palestinese riguardante i proseliti~ col. 314. 2. Negli apocrifi, pseudepigrafi e testi di Qumran il concetto di 7tpoo-1}À.v-roç/ger s'incontra una sola volta nel Libro di Tobia (1,8) e 3 volte nel Documento di Damasco (Dam. 6,21 [8,17]; 14'4 (17,3] e 14,6 [17,4]). Una parte dei codici in T ob. 1 ,8 84 elenca cosl i destina tari dell'elemosina di Tobia: gli orfani, le vedove e i proseliti che si sono uniti ai figli d'Israele. La menzione dei tre gruppi risale a Deut. 14,29 ovvero 27,19 ecc.; ger non indica però più, come in questi passi; il gruppo sociale dei meteci, bensl i proseliti in senso religioso, come è confermato dalla precisazione «che si sono uniti (:=ebraico hnlwim) ai figli d'Israele»: questa espressione è usata per indicare proprio la conversione al giudaismo (cfr. Esth. 9,27). Ciò si-

    Ios., ant. 20A4= ).avM.VELç... w ~w:nÀEV, "tà. µlytcr-.a -.oùc; v6p.ouc; xat lìt' aÌJ't'WV -.òv DEòv àStxwv· oò yàp &vaywwo-xEw O'E SE~ µ6\IO\I aò-touc;, àU.ò: xat 1tp6't'Epov -rà. -itpoo-'t'«
    &2

    \1\.. 1..7.

    l\.UDDJ

    gnifìca che Je elargizioni in parola vanno soltanto a giudei e non anche agli allogeni residenti nel paese, come invece presuppone ancora l'A.T. Ciò corrisponde alla successiva esegesi rabbinica di questi passi del Pentateuco 85 • Nel Documento di Damasco il termine ger ricorre due volte (14,4 [17,J]; r4,6 [17, 4]) nella parte che ricorda la «regola per l'insediamento di tutti gli accampamenti» (srk mwsb kl hm~nwt) e prevede quest'ordine: « ...prima i sacerdoti, poi i leviti, terzi i figli d'Israele e quarti i proseliti» (bkhnjm lr'swnh whlwjm Jnjm wbnj jfr'l S!Stm whgr rb;': 14, 4 [17,J], e letteralmente uguale x4, 6 [17,4]). Con quest'ordine va confrontato quello (rQS 2,19 s. e 6,8) della comunità essena di Qunu·an, dove compaiono solo i primi tre gruppi. Ciò significa che il quarto, quello dei ger1m, non esisteva a Qumran, ma soltanto nelle filiali dell'ordine esseno ( = mpnwt). La suddivisione religiosa della comunità nei quattro gruppi di sacerdoti, leviti, israeliti e ger2m corrisponde alla classificazione rabbinica del popolo giudaico (cfr. particolarmente Qid. 4,1 ). Le testimonianze più antiche che ci vengono dal giudaismo rabbinico sono contenute nel trattato Sheqalitn (1,3 e 1,6), le cui tradizioni risalgono certamente a prima del 70 d.C. Anche qui gèrtm è il termine tecnico che corrisponde al greco 7tpOO"'/jÀ.vnt corrente nel giudaismo ellenistico. Ciò risulta in particolare dal fatto che anche i ger1m, in quanto giudei, sono obbligati a pagare la tassa per il tempio, ciò che invece secondo Sheq. 1 ,5, non è richiesto ai non giudei (nkrim) e ai Samaritani. prannome a Gìovanni di Giscala; vedi SCHuRER I 621 n. 73· 84 Vedi il testo in R. H. CHARLES, Apocrypht1 a11d Pseudepigrapha o/ the O.T. I (1913) 203. as Cfr. particolarmente S. Dcut. no a 14,29, inoltre STRACK-BILLERBECK IV 678-681 e Git. 5,8 ~ coli. 332 s.

    :i~

    ... \ ... ,, ..J .... ,

    Parallelo a Tob. 1,8 è Dam. 6,21 [8, 17], dove coloro che entrano nell'alleanza vengono obbligati «a sostenere i miseri e i poveri (dr. Ez. 16,49) e il ger». Qui ger è una reminiscenza dell'A.T. dovuta al precedente 'nj (cfr. l'ni wlgr: Lev. 19,10; 23,22). Anche qui ger non significa sicuramente il meteco nel senso dell'A.T., cioè l'abitante allogeno del paese 86, bensl un giudeo e precisamente il proselito che è passato, in tutto e per tutto, dal paganesimo al giudaismo. La realtà indicata dal termine 1tpoa1]).,u-.oç appare in Bar. syr. 41.4 e 42,5.

    Il

    primo passo parla di coloro «che hanno abbandonato la loro vana natura e hanno cercato rifugio sotto Je ali» di Dio. La seconda metà di questa frase è un'espressione tecnica per indicare il passaggio al giudaismo come proselito (cfr. Ruth 2,12 ~col. 326). Simile è il secondo passo: «Coloro che dapprima non conobbero la vita, ma la vennero a conoscere solo in seguito e si mescolarono col seme del popolo che si è separato, il cui 'tempo successivo' 87 è considerato come qualcosa di buono».

    III. Il giudaismo rabbinico 1.

    Il concetto

    Nella letteratura rabbinica ger signi86

    Secondo Dam. 12,10 (14,n) è addirittura vietato dare i prodotti del suolo a un non giudeo. 87 Questa espressione indica il tempo successivo alla Joro conversione al giudaismo. Si veda CHARLES, op. CÌI. (~ n. 84} 501. sa Cfr. particolarmente, nella Mishna, Sheq. 1, 3 e 1,6: i leviti, gli Israeliti e i proseliti ven· gono contrapposti alle donne, agli schiavi e ai minorenni. S9 Questa forma è già attestata nei LXX (y[E]Lwpw;: Ex. 12,19; Is. 14,1) - col. 309 e anche in Filone (conf. ling. 82). Per 1a questione si

    Il iJT;>nde h n lco

    ~•

    fica costantemente il pagano diventato giudeo. È un concetto religioso 83, privo ormai di qualsiasi connotazione sodale. Accanto alla forma maschile ger troviamo il femminile giijoret (Men. b . 44a) e l'aramaico gijjorà' 89 e gérà' (Qid. ;. 4,1 [65b,69]; quest'ultimo termine è usato anche nell'accezione di straniero). Nell'ebraico della Mishna dal vocabolo ger nell'accezione religiosa si formò il nuovo verbo hitgajiér = convertirsi o passare. al giudaismo, farsi proselito, con la comspondente forma attiva gaijér, far proseliti, far diventare giudeo, giudaizzare 90• Medesimo significato ha la parola hitjahad (da (hUdi) = diventare giudeo (Esth. 8,17).

    I pagarti che abbracciavano il giudaismo per motivi mondani o disonesti erano chiamati grj (h)Sqr = falsi proseliti 91• Nel numero di costoro rientrano, ad es., anche quei proseliti che sono divenuti tali 92 per poter sposare un giudeo o una giudea oppure per godere dell'assistenza ai poveri 93, inoltre i cosiddetti proseliti del leone (grj 'rjwt, cioè coloro che hanno abbracciato il giudaismo per paura dei leoni: cfr. 2 Reg. 17,25 s.), come sono chiamati i Samaritani convertiti ed i proseliti del tempo di Mardocheo ed Ester (divenuti giudei per paura), e i proseliti del sogno (grj h~lwveda E . NESTLE, Z11r nram. Bezeichnung der Proselyten: ZNW 5 (1904) 263 s.; Iust., dia/. 122 (yri6paç.); Iulius Africanus, ep. ad Aristidem 5 (MPG lo,61A): Euseb., hist. ecci. 1,7, 13; Ios.! beli. 4,503 (-7 col. 319): v1òç nwpa. 90 Vedi MooRE 1 329 s. 91 B. M . ;. 5,7 (1oc,30); STRACK·BILLER1ll!CK 11 717; MooRE I 338. Cfr. anche M. GU'.ITMANN, Das ]udenlum rmd seine Umwelt 1 (1927} 7678. 91 }eb. b. 24b: STRACK-BILLERBBCK II 717. 93

    Jalqut Shim'oni 1,64:; a Lev. 23,22. Vedi II 718.

    STRACK-BILLERBECK

    7tpocrlJÀu"to<; Cm 1-2 (K. G. Kuhn) mwt, che cioè si sono convertiti m seguito a un sogno) 94 • Oltre a questi tipi di proseliti troviamo anche i grjm grwrjm 95, i proseliti importuni (o non richiesti; lett. che impongono la loro presenza), dei quali sono esempio tipico i Gabaoniti di Ios. 9.

    Di contro ai grj (h)Iqr stanno i grj !dq, i veri proseliti 96 • Rientrano tra costoro quei non giudei che son passati al giudaismo per pura convinzione religiosa, dunque «per amore di Dio» (lswm smjm)n, non per un qualsiasi vantaggio esteriore 98, e che quindi vivono secondo la volontà di Dio contenuta nella torà. gr !dq è dunque il nome più preciso di ciò che i rabbini intendono con gr in senso proprio 99• Il termine compare già nella 13a delle 18 Benedizioni, nella recensione palestinese e babilonese 110, e di lì penetra poi negli scritti rabbinici, ove è usato frequentemente 101 • Esso può anche indica9l 9

    Jeb. b. 24b: STRACK-BII,/..llRllllCK II 717.

    s Vedi Qid. j. 4,1 (65c,53) in STRACK-BILLER-

    BECK u 718; anche A.Z.b. 3b e 24a. 96 Vedi anche Mooim I 338 e K. G. KUHN, Achtzeh11gebet und Vaterunser tmd der Reim (1950) 2I. 97 Vedi STRACK-BILLERBllCK u 718; Gerim 1,7. 98 Vedi MOORE I 338. 99 Cosl anche ScHtiRllR III 177; STRACK-Bn.LERBECK II 715 e -> BAMDERGER, Proselyte J. S. DEYLING, De O'E~6µEvo<; -ròv ilE6v, in Observationes Sacrae II (1737) 462-469 e ancora ScHtiRER1 sostenevano l'antica opinione che la designazione gri !dq fosse sorta come antitesi di gri h'f'r, «proseliti della porta}> ( = ue~O­ µEvot "tÒV ~e6v), per indicare i veri proseliti ( = 7tpoul)).u-rot). Ma gr hI'r è un concetto che compare solo del Medioevo, per la prima volta in R. Behai (xm sec.). Vedi MooRE r 341; STRACK-BlLLERBECK II 723; ScHtiRER u 178 n. 7.5100 I grj h!dq stanno, insieme con gli Israeliti nominati nella 13" benedizione, volutamente in rnntrapposizione agli apostati . dal giu· daismo maledetti nella precedente birkat-hii-

    re l'opposto di gr twsb (M. Ex. 23,12; ]eb. b. 48b bar.; Sanh. b. 96b) 102 e di jr' Jmim (M. Ex. 22,20; Meg. j. 3,2 [ 74 a,J4)) 103, significando cosi il vero proselito che ha accettato tutta quanta la torà, in contrapposizione ai pagani che si limitano ad abbandonare l'idolatria e osservano la legge noachica 161 • Sostanzialmente lo stesso significato ha l'espressione grj 'mt = proseliti autentici 105, cioè coloro che si sono convertiti per motivi religiosi autentici, diversamente dai grj Jqr 106• 2.

    L'atteggiamento verso i proseliti

    L'atteggiamento verso il proselitismo varia da rabbino a rabbino 107 • Già Hillel sosteneva il principio: «Appartieni ai discepoli di Aronne ... amando gli UO· mini e avvicinandoli alla torà (cioè al giudaismo)» 108• Shab. b. 3 ra bar. loda come prova di bontà il fatto che Hillel, al contrario di Shammai, accolse come mintm. Si vedano i testi in S-rRACK-BILLERllECK 11 717, spec. Jeb. b. 48b; Sanh. b. 96b; B. Q. b. II3b. 102 STRACK-BILLERBECK Il 717. 103 STR.ACK-BILLERBECK Il 719. 104 Vedi anche LEVY, Wiirt., s.v. ger; in M. Ex. a 23,12 l'opposto di gr twib è gr !diq. 105 Cosl anche STRACK-BILLERlll!CK II 716. Sanh. b. 85b; gjri 'mt; Nidda b. 56b: gri 'mt. Altri esempi in STRACK-BILLl!RBECK Il 719 e MooRE 1 338. 106 L'espressione giri 'mt è usata per indicare i veri proseliti, in opposizione ai grj 'rjwt, «i proseliti del leone» (~ col. 322), anche in Sanh. b. 85b; Nidda b. 56b: secondo R. Meir (c. 150 d.C.) i Samaritani non sono grj 'riwt (come pensano gli altri rabbini), bensl grj 'ml: STRACK-BILLERlll!CK II 719. 1rn Sull'argomento si veda anche STRACK-BIL· LERllllCK I 924-931; ~ MOORE 341-348; ~ LÉVI 1·29; J. KLAUSNER, The Messianic Idea in I srael (I 9.55) 4 75-484. 108 Ab. 1,12; vedi MooRE r 342; H. L. STRACK, Abot• (1915) 5. 101

    325 tv1,737J

    proselito un pagano benché costui non terra e viene agli Israeliti. Si inquadra fosse totalmente disposto ad apprendere in questo contesto anche il detto di la torà orale ul'J. Per contro troviamo già R. Shimon b. Gamliel: «Quando uno in R. Eliezer b. Hyrcanos (c. 90 d.C.) l'e· straniero viene per farsi proselito, gli si spressione di una forte diffidenza verso deve porgere la mano per portarlo sotto i proseliti: i proseliti sarebbero cattivi le ali della shekinà» (Lev. r. 2). Più tar· per natura e la loro mente sarebbe tut- di spuntano nuovamente opinioni scettora rivolta all'idolatria 110 ; possono per- tiche nei riguardi dei proseliti; dr. tanto ricadere facilmente nel paganesi- Men. b. 44a; Sanh. ;. rn,2 (29b,40). Camo 111 • Apertamente favorevoli ai pro- ratteristica è la baraita di Jeb. b. 24b: seliti sono invece alcune affermazioni nei giorni del Messia non si accogliecontenute in tradizioni formatesi duran- ranno più proseliti, perché essi non sete le persecuzioni del tempo di Adriano guono la legge giudaica per intima con(inizio del II sec.) 112• Il divieto de1la vinzione e trovandosi in pericolo, quancirconcisione per i Giudei sotto Adria- do ci sarà la guerra contro Gog e Mano e per i non giudei sotto Antonino gog, ricadranno nel paganesimo (A.Z.b. Pio 113 rese impossibile ai pagani il pas- 3b bar.) 116• Va ricordata qui anche l'afsaggio al giudaismo in qualità di prose- fermazione che i proseliti ritardano la liti e significò per i già convertiti una venuta del Messia (perché diminuiscodura prova, che poté esser superata so- no coi loro peccati i meriti d'Israele, lo da chi aveva profonde convinzioni. necessari per tale evento: Nidda b. 13b A quest'epoca risale particolarmente il bar.). Tuttavia il detto di R. Helbos (m midrash di Ex. 22,20 114 : Abramo e Da- sec.), secondo il quale i proseliti sono vid, che si attribuirono il predicato re- per Israele fastidiosi come la lebbra 111 , ligioso di ger, vengono presentati come non è che l'espressione isolata di una i grandi esempi dei proseliti 115• Questo forte antipatia, e non rappresenta affatatteggiamento positivo verso i proseliti to l'atteggiamento generale del giudaiè motivato con Deut. Io,18, dove è det· smo talmudico verso i proseliti 118• to che Dio ama il ger. Cft. al proposito la pericope (verosimilmente molto an- 3. L'ammissione dei pmseliti tica) di Num. r. 8 (a Num. 5,6) con la Negli scritti rabbinici l'ammissione parabola del cervo che non dorme con 119 gli altri cervi nel deserto, ma entra nei dei proseliti viene indicata con qbl , 120 chiusi insieme col bestiame del re, che 'accogliere', qrb tf;t knp; hSkinh , 'vepertanto gli si affeziona in maniera par- nire sotto le ali della shekinà', e nkns ticolare. Cosl anche Dio ama il proselito perché rinuncia alla famiglia, al pa- lbrit, 'entrare nel patto'. Il rito di amrentado, al suo popolo e ai popoli della missione è articolato in tre momenti: cir10'.I STRACK-BILT.BRilECK I 930 s. 110 Cosl concordemente B. M. b. 59b; Git. b. 45b; cfr. B. B. b. mb. 111 Cfr. anche A. Z. b. 24n; inoltre BACHER, Tannaite11 I 106 s. 112 Vedi MooRB I .345· 113 ~ Jusnm 1 266-268 e nnchc MooRB 1 351 n. 5· 114 Geriln 4,2 ss.

    115 Secondo Gen. r. 39 a 12,5 lo stesso Abramo fece molti proseliti. Vedi MooRE I 344 n . i . 116 STRACK-BILLERBECK I 929. .117 ]eh. b. 47b; cfr. xo9b; Qid. b. 7ob; Nidda

    b. r3b. 118 Cosl anche MooRE I 346 s. e ~ BAMBER· GER, Proselyte, come anche ~ SIMON 319. 119 Per es., Ger. r,r; 1,2. 1111 Secondo R11th 2,12; cfr. Lev. r. 2 (134b); STRACK-BILLERBECK I 927.

    1tpOO"lJÀ-V'"Coc;

    e lil 3a-b (K_ G. Kuhn)

    concisione, bagno di immetsione e offerta di un sacrificio nel tempio 121 _ ~~~W.@~~"l."''l\l.,,..,.:~·

    a) La circoncisione, milh (~ x, coll. 5 r ss.), la componente più antica e importante del rito di ammissione, è già presupposta nell'A.T. (~ coll. 303 s.); veniva praticata soltanto sui maschi. b) Negli scritti rabbinici non c'è alcun passo che c'illumini circa l'età, il significato primitivo e la forma più an· tica del bagno di immersione dei proseliti (!bjlh) (~ II, coll. 5 8 ss.) 122• Oggi si è in genere 123 d'accordo nel ritenere che la testimonianza storica più antica di tale pratica sia la controversia tra shammaiti e hilleliti sulla liceità di ammettere alla celebrazione della Pasqua un proselito di fresca data (Pes. 8,8; dr. Ed. 5,2). Secondo gli shammaiti un non giudeo che sia diventato proselito alla vigilia della festa di Pasqua può subito immergersi (!bl) e poi partecipare alla Pasqua. Secondo gli hilleliti, invece, un tale proselito non può ancora partecipare alla Pasqua, poiché il grado della sua impurità (in quanto ex-pagano) corrisponde al grado di impurità di chi abbia toccato una tomba; egli può quindi purificarsi (secondo Num. 19,16) soltanto dopo 7 giorni (dalla sua ammissione). In questa discussione il battesimo del proselito è considerato una lustrazione che elimina l'impurità cultuale che lo contamina quale ex-pagano. Attorno al 90 d.C. l'opinione predominante tra i dottori rabbinici considerava conditio 121 I tre momenti sono menzionati nell'ordine in S. Num. 108 (a Num. 15,14); vedi MooRE I 331 n.5. 122 Vedi MooRB 1 332. 123 Per es., ScHiiRER m 183; BrLLERll!!CK in

    JeruF. ToRRANCE, Prorelyte Baptism: NTSt 1 (1954/:;5) 154; G. BBER, Pesachim (1912) 176. Per la questione vedi anche T. M. TAYLOR, The Begim1ings of Jewirh ProseSTRACK-BILLERBECK I I02; -7 ]EREMIAS,

    salem 196;

    T.

    (v1,739) p.8

    sine qua non, per l'ammissione di un proselito, sia la circoncisione sia il battesimo. A dire il vero c'è chi, come R. Jehoshua b. Hananja, contesta tale opinione, ma essa viene motivata in maniera definitiva da R. Eliezer b. Hyrcanos col richiamo a Ex. 19,10 (dove il popolo riceve l'ordine di lavare le vesti) 124 _ Nell'età adrianea l'immersione è parte integrante del rito di ammissione, come si può vedere nel rituale di ]eb. b. 46b bar. (par. Gerim l) che risale a quest'epoca 125 • In questo tituale non si accenna minimamente che il battesimo abbia valore di lustrazione cultuale 126 ; esso è piuttosto un atto giuridico, richiesto per essere ammessi nell'associazione religiosa giudaica, che si compie alla presenza di tre testimoni 127 dopo un periodo d'istruzione nella torà. Cfr. anche ]eb. b. 46b, secondo cui il battesimo dei proseliti deve avvenire di giorno ed ha quindi carattere pubblico 128• Anche in testi recenti il rito di ammissione comprende i due momenti della circoncisione e dell'immersione. Così in Jeb. b. 46b (fine del III sec_): «Si diventa proseliti soltanto dopo essere stati circoncisi ed aver compiuto l'immersione» 129• Presso Rabbi {fine II sec. d.C.) e poi comunemente nel Talmud si trova la seguente motivazione dell'immersione dei proseliti (come terzo elemento accanto a circoncisione e sacrificio): come nel deserto gli Israeliti dovettero adempiere tre condizioni prima della conclusione dell'alleanza, cioè la circoncisione {dr. Ex. 12,48), lyte Baptism: NTSt 2 (1955/:;6) 193-198. m Jeb. b. 46b; vedi STRACK-BlLLERBECK I 107. La datazione risulta dalla menzione delle persecuzioni a motivo della circoncisione. 126 Cosl anche MooRE I 334. m I «padri dell'immersione»: vedi, ad es., Jeb. b. 47a. 128 Cfr. ToRRANCE, op. cit. (-7 n . 123) 15x. 129 Cfr_ anche A. Z. b. 59a. 125

    l'aspersione con acqua (cfr. Ex. 19,10) è tenuto ad osservare tutta quanta la e l'offerta di un sacrificio (cfr. Ex. 24, legge». 5 ), cosl anche i proseliti devono adempiere le medesime tre condizioni quan- 4. La posizione giuridica dei proseliti do entrano nell'alleanza 130 • Con ciò si Secondo l'opinione predominante dei vuol dire che il proselito è, sotto ogni rispetto, un israelita: «Come il cittadi- dottori, la posizione giuridica del proseno (israelita) è un membro dell'alleanza lito discende dal principio che «il prose(bn brjt), cosl anche il proselito è un lito è come un bambino appena nato» 132• membro dell'alleanza» 131 • Questa sentenza significa che, da un c) Chiunque abbracciava il giudaismo punto di vista giuridico, la sua precedoveva offrire un sacrificio (hr~iih) nel dente vita pagana non esiste e quindi tempio. Con la fine del tempio finl quenon può venir punito per aver allora st'obbligo. trasgredito la torà. Conformemente a tale principio il diritto giudaico non ha Il non giudeo che veniva ammesso in valore retroattivo, ma entra in vigore tale maniera nel giudaismo era considesoltanto dal momento in cui l'ex-pagano rato, dopo il rito di ammissione, «un è diventato giudeo m. giudeo sotto ogni rispetto» (Jeb. b. 47 b ). Ciò significa anzitutto che è tenuto, Per quanto attiene al diritto eredicome ogni giudeo, all'osservanza di tut- tario, il principio suddetto comporta che i figli avuti dal proselito prima delta la legge. Questo fatto è conforme al- la conversione non sono suoi consanle parole di Paolo (Gal. 5 ,3): f..Locp.-vpo- guinei. Pertanto non possono· essere µa.L OÈ. miÀ.W '1tOC\l'tÌ. àvl)prJl'lt({) '1tEpL'tE· suoi eredi naturali, neanche se sono divenuti anch'essi proseliti 134 • Per il diµvoµiv~ O"tL 6cpELÀ.É"t1'}<; Ècr-.ì.v oÀ.ov 't'ÒV ritto giudaico sono suoi discendenti ed v6µov '1tOLfjcraL, «e di nuovo attesto a eredi soltanto i figli avuti dopo la conchiunque si faccia circoncidere che egli versione 135• Se muore senza eredi, la

    130

    Keretot b. 8rn; vedi STRACK-BILLERBECK

    I 107. 131 S. Lev. I 334· 132 Cfr.

    17,15 (perek

    I2,

    inizio) in MooRE

    particolarmente la discussione tra R . Johanan (t 279 d.C.) e Resh Laqish in Jeb. b. 62a. Vedi S·mACK-BILLERBECK 11 423 e anche Jeb. b. 22a; 97b; Bek. b. 47a. 133 La frase «il proselito è come un neonato» ha quindi wi significato esclusivamente giuridico, non religioso, sicché questo genere

  • passaggio al giudaismo: Bik. ;. 3,3 (65d,x-4]). Comunque quest'affermazione riguarda il passaggio al giudaismo in generale e non già particolarmente l'immersione. Di opinione diversa è J. ]ERBMIAS, Hat die Urkircbe die Kindertcm/e gekannt?' (i:949) 21 s. 134 Ger. 3,8; ~ }EREMIAS, Jerusalem 200. An· che per il diritto romano un peregrint1s non poteva ereditare da un cittadino romano; perciò uno straniero che avesse ricevuto la cittadinanza r omana non poteva nominare erede il figlio che non l'avesse ricevuta. ~ BERTHO· LBT 166. m Jeb. b. 62a in riferimento alla (doppia) parte d'eredità del primogenito.

    7tPO
    e Hl 4 (K. G. Kuhn)

    sua proprietà è res nullius e può esser fatta propria da chiunque 136 • I suoi schiavi adulti divengono liberi 137 • Il proselito stesso era però autorizzato ad ereditare dal padre pagano, ma con l'obbligo di prendere soltanto quegli oggetti dell'eredità che non avessero alcun rapporto con il culto idolatrico 138• La rigida attuazione del principio che il proselito va considerato, al momento in cui entra nel giudaismo, un neonato avrebbe richiesto che il matrimonio del proselito non fosse in contrasto con gl'impedimenti previsti in Lev. 18, cioè che il proselito non fosse unito con un coniuge il cui grado di parentela urtas· se contro il divieto d'incesto dell'A.T. Tuttavia nella prassi questa conseguenza non fu applicata u 9 ; al proselito si vietava piuttosto soltanto di avere una moglie proibita anche dal diritto pagano, cioè una consanguinea per parte di madre, mentre non c'erano impedimenti se 1a donna gli era parente per parte di padre 140• Ciò significa che per il proselito non vigeva il divieto d'incesto del1'A.T. Questa norma veniva motivata col principio che il non giudeo non ha padre 141 , con la conseguenza che tutte le parentele (pagane) per parte di padre vengono negate. Pedi resto il proselito, nell'ambito del giudaismo, poteva sposarsi con un membro di qualsiasi condi136

    Ger. 3,8; Git. b. 39a. Secondo Ger. 3,9 ss.

    zione sociale 142, fatta eccezione per lo stato sacerdotale. La norma che vietava alle proselite di sposare un sacerdote risale a Lev. 21, 13 s. Qui si legge che il sacerdote non può sposare «una vedova o una ripudiata o una deflorata o una prostituta, perché egli deve sposare soltanto una vergine della sua stirpe» 143• Poiché secondo tale legge un sacerdote poteva sposare soltanto un'israelita di nascita, era escluso che potesse sposare una convertita. Nella letteratura rabbinica l'esclusione è motivata in altro modo: la proselita è considerata una prostituta (rinvio a Lev. 21,14a), essendo sospetta d'immoralità a motivo del suo passato pagano 144 (cosi Jeb. 6,5 ecc.) 145 • Tuttavia secondo altri testi (Jeb. b. 6ob; Qid. b. 78a ecc.) quelle donne che sono passate al giudaismo prima di aver compiuto tre anni, sono atte a sposare un sacerdote (in questo caso il sospetto d'immoralità non sussiste); ma si tratta già di un'attenuazione della vecchia usanza 146• Le norme assistenziali previste dal1'A.T. per lo straniero residente ne] paese - ammissione a) alla parte destinata ai poveri ndla mietitura [spigolatura, frutti tralasciati, bordi del campo], b) alla decima per i poveri, c) alle provvidenze per i poveri - nella letteratura 353 s. Vedi Jeb. b. 98a; Sanh. b. _57b bar., inoltre

    ciò vale per tutti i beni, fatta eccezione per

    140

    quella parte che doveva servire per pagare la moglie o un eventuale creditore: Ger. 3,n12; -:> ] .ERBMIAS, Jerusalem 200.

    Rashi.

    137

    Ger. 3,8.

    Jemsalem 199 s. Per la motivazione di questa prassi vedi Jeb. b. 22a: «Affinché essi non potessero dire di esser passati da una maggiore a una minore santitàl> (nel senso che ora nel giudaismo fossero permesse Joro quelle nozze che prima erano vietate); vedi STRACK·BILLERBECK III 138 -:> }EREMIAS,

    139

    353· Jerusalem 198. 143 Cfr. anche test. L. 9,rn; 14,6 e los., Ap. 1,3I. 1+1 Diversamente pensa ~ BhMBERGER, Prolyte 2. 145 ~ ]ERBMJAS, Jemsalem r98. 146 Cfr. anche Qid. b. 78b: R. Jose b . Halafta (c. 150 d.C.) permette che la figlia di un proselito sposi un sacerdote. 141 STRACK·BILl.ERBECK III

    HZ -:> ]EREMTAS,

    333 \ VI,740}

    rabbinica vengono applicate ai proseliti 147 • Cosl alla .6.ne della spiegazione di Lev. r9,ro, in S. Lev. r9,ro (348a) 148 si legge: «La Scrittura dice: 'al povero' (Lev. 19,10). Come il povero è bisognoso ed è un figlio del patto ( = un giudeo), cosl tutti (coloro che fruiscono della pea) devono essere bisognosi e figli del patto ( = giudei in senso pieno)». È solo «per amor di pace» (Git. 5 ,8) che non si negano ai non giudei la spigolatura, i frutti tralasciati e la pea.

    5. Jl gr twsb e lo jr' smjm (--? IX, coli. 818 ss.) Nell'A.T. (--? col. 305) il termine tosab indica un non giudeo che risiede in Israele e si trova nella condizione sociale di meteco, senza che il vocabolo implichi (a differenza di ger) una connotazione religiosa. Per la comprensione rabbinica del twsb nell'A.T. va da sé che costui, in quanto allogeno, deve comunque osservare quei comandamenti che vengono imposti anche ai non giudei, cioè i sette comandamenti della legge noachitica. Partendo da tale premessa, nella letteratura rabbinica il termine ( gr- ) twsb 149 indica semplicemente un giudeo che osserva la legge noachica, a differenza del goj, il pagano che non osserva nemmeno questi sette comandamenti. Cfr. la classica definizione rabbinica (A.Z.b. 64b): «Chi è un gr twsb? ... I dottori [rabbinici] dicono: Chiun147 ~

    col. 319 a Tob. 1,8. Vedi S1'RACK·BILLERBECK IV 690. 149 La denominazione corrente negli scritti rabbinici, è gr-tw1b (secondo Lev. 25,47): a differenza del proselito (gr bn brjt, il ger circonciso) egli è il gr 'rl (il ger incirconciso). Tg. O. e Tg. ]. I a Lev. 25,4: 'rl twtb. ISO Altre spiegazioni in STRACK-BILLERBECK u 7n s. Le differenze nella definizione mostrano che nell'epoca talmudica questo gruppo di non giudei praticamente non esisteva più e pertan148

    que abbia preso su di sé i sette comandamenti che hanno preso su di sé i figli di Noè» 150 • Davanti a questa definizione religiosa l'antica determinazione sociologica del termine twsb è venuta a cadere, prnprio come era successo già prima per ger. Per il diritto talmudico il gr twsb rientra nella categoria dei non giudei. Egli può, ad es., mangiare nbjlwt (cioè animali non macellati ritualmente) 151 ; per i Giudei vige il divieto di contratte matrimonio con lui 152 e secondo la Mishna 153 è permesso esigere da lui gli interessi. Certamente il gr twsb ha per alcuni aspetti una posizione particolare rispetto agli altri non giudei, perché osserva i sette comandamenti noachitici. Cosl, in particolare, la proibizione di aver contatti con un goj non riguarda il gr twsb: quello infatti è idolatra, mentre questi osserva il divieto noachitico dell'idolatria 154• Nella categoria di quei non giudei che seguono in una certa misura i comandamenti giudaici, più precisamente la legge noachica, ma non si fanno circoncidere, e dunque in pratica non passano al giudaismo e sono perciò grj twsb, rientrano per i rabbini anche i <1EBOJ..l.E\IOL 't'ÒV ih:6v. Nella letteratura rabbinica costoro sono chiamati jir'e siimajim, «timorati di Dio». <po~ovµEvoi 't'Ò\I i>Eov è la traduzione letterale e seto non se ne avevano notizie più precise. -,)o KuHN, Ursprung 218 n. 6. 151 A . Z . b. 64b; vedi STRACK-BILI.ERBECK II 722. 152 Vedi Ger. 3,3. 153 B. M . 5,6. Divctsamente in Ger. 3,3. Sulla questione~ PoLSTER 9; anche MooRB 1 339. 154 ii: per questa ragione, ad es., che i prodotti agricoli dcl gr twsb sono considerati pu· ri: Ger. 3,2.

    33.5 (v1,741)

    itpoa'fJÀ.u-to<;

    e UJ .5 - DI 1

    (K. G . Kuhn)

    mitizzante di tale denominazione, men- torà, se non si è fatto (prima) circontre cn:B6µevoL 'tÒ\I l>Eov è la traduzione cidere» 1S6. Con questa severa richiesta greca più libeta e migliore dal punto di del pieno passaggio del cnB6µEvoç 'tÒ'.I vista linguistico. A questi jr'i smjm si 1'E6v concorda ora l'aut-aut davanti al riferiscono alcune affermazioni del Tal- quale veniva messo senza mezzi termimud, secondo le quali anche tra i non ni anche il twsb: se dopo aver osservagiudei ci sono persone pie. Cosl, ad e- to per dodici mesi, in quanto twsb, i sempio, la sentenza di R. Jehoshua (c. sette comandamenti noachitici non fa. 90 d.C.): «Anche tra le nazioni ci sono ceva l'altro passo della piena conversiogiusti che hanno parte nel mondo futu- ne e non diventava proselito, veniva ro» (T. Sanh. 13,2; Sanh. b. 105a), op- considerato nuovamente, sotto ogni ripure il famoso detto di R. Meir (c. 150 spetto, un g6j 157• Ciò dimostra che gli d.C.): «Un g6i che osserva la legge va- jr'i fmjm erano classificati nel gruppo le per Dio come lo stesso sommo sacer- dcl twsb. Più tardi non ci furono più Eov e già verso la metà del III sec. ne negativa verso questi jr'j Jmjm. Il i rabbini in parte non sanno più chi siagiudaismo talmudico di tradizione pale- no di preciso gli jr'j fmjm 158, che da alstinese non si accontentava, come face- lora sono erroneamente identificati coi va invece il giudaismo ellenistico della proseliti 159• diaspora (~ coli. 307 s.) che era la vera patria degli jr'i smjm, di un'appartenen- D. IL NUOVO TESTAMENTO za elastica di pagani incirconcisi, ma riI. 1tpocniÀ.u•oç conosceva soltanto coloro che passavaIl termine 1tpocrlJÀ.unç compare 4 no pienamente al giudaismo accettando la circoncisione. Espressione tipica di volte nel N .T . r. Nel severo monito di Gesù ai Faquesto atteggiamento dei rabbini è la risposta data da Aquila, che era un pro- risei (Mt. 23,15). L'immane sforzo dei selito, a chi gli rimproverava il passo Farisei per conquistare anche un solo fatto: «Avresti potuto imparare la torà proselito diviene comprensibile qualora senza farti circoncidere», gli dicevano; si pensi alla profonda differenza esistened egli: «Uno non può mai imparare la te tra l'attività missionaria del giudai-

    m

    Altri esempi in STRACK-BILLERllECK 11 719-

    721; ~ KuHN, Ursprung 219 s.

    157 Jeb. ;. 8,1 (Bd,27 s.); dr. A. Z. b. 65a; ~ KuHN, Ursprung .l20.

    156

    15s

    BECK Il 719 S.

    159 Cfr. II 721.

    Tanh. 92a in STRACK-BILLERBECK III 489 s.; dr. anche gli altri esempi in STRACK-BILLER·

    Vedi

    STRACK-BILLERBECK II 720 s.

    Ge11. r. 28 (17d);

    STRACK-BILLERBBCK

    337 (VI ,742)

    smo ellenistico da una parte (che si ac- daismo (=proseliti)» ed esprime «la cacontentava di un'adesione più elastica ratteristica religiosa comune» 162 dei dei pagani come CTE~OµE\IOL 'tÒV ~EOV, ~ gruppi nazionali menzionati prima 163 • col. 308) e quella del giudaismo pale- Poiché una tale indicazione può stare stinese, in particolare del fariseismo, soltanto alla fine dell'elenco, lo stico dall'altra (che considerava necessario pe1· successivo Kpfl-m; xai "Apa.{3Ec; va conla salvezza il passaggio pieno al giudai- siderato un'aggiunta posteriore (~ IX, smo, con la circoncisione e l'obbligo di col!. 1490 s. n. 44) 164 • osservare tutta la legge secondo lo spi3 . Nell'enumerazione dei cosiddetti rito farisaico,~ coll. 316s.). Se il consette diaconi (Act. 6,5 ). L'ultimo dei setvertito è spinto ad osservare la legge cote, Ntx6À.a.oc;, è distinto dagli altri con me i Farisei, succede che anche il prol'apposizione 1tpoa1}À.u-.oç 'AV'\"LOXEU<;. selito diventa un Ù1tOXpL··d1c; proprio coPoiché il termine 'EU..l)vtcr-.al (Act. 6, me loro e quindi, appunto, un utòc; r) designa dei giudei di ol"igine elleniYEÉVVT)<; ((:(). stica viventi a Gerusalemme ( ~ III, 2. Nell'elenco dei gruppi nazionali co!I. 489 ss.; IV, coll. u93 s.) 16s, e poidella diaspora giudaica presenti a Geru- ché inoltre, a giudicare dalla narrazione salemme per la festa di Pentecoste (Act. successiva, Stefano deve essere stato in2,II ). Qui 7tpocr1)À.u"toc; compare accandubbiamente un giudeo, la precisazione to a 'Iouoa:i:oL (~IV, coll. u65 ss.). En- nel caso di Nicola può solo significare trambi questi termini non esprimono che gli altri sei erano giudei di nascita, però, come gli altri nomi dell'elenco, la mentre egli proveniva dal paganesimo, provenienza geografica, bensl il rapporto era passato al giudaismo accettando la con la religione giudaica 161 • La frase circoncisione ed era venuto a Gerusa'Iou&ai:ol 'tE xa:ì. 7tpocri)À.u.-oL significa lemme da Antiochia (perciò è un el«giudei di nascita e convertiti al giu- lenista). 160 Gesù non esprime né condanna (come pensa LoHMEYER, Mt. 343) né approvazione per l'attività missionaria giudaica, ma si limita a constatare come dati di fatto sia il proselitismo sia l'orgoglio del giudaismo palestinese per il successo missionario. Il logion dice però che cosa succede quando i Farisei lo praticano da quegli V'ltOXf>L'tttl che sono. 161 Vedi WENDT, Ag. 8I. 162 HAENCHEN, Ag. 137. 163 Alcuni dei commentari più antichi (citati in WENDT, Ag. 81) considerano la frase 'Ioul>cxi:ol 'tE xcxt 1tpoa1))..v't"OL diversamente, cioè come apposizione di 'Pwµcxi:oL. Se si accetta

    tale interpretazione, non si capisce perché vengRno nominati proprio i proseliti romani presenti e non gli altri. Vedi WENDT, Ag. 81 . 164 Cosl anche A. v. !-IARNACK, BeUr. :1.11r Ei11lcitu11g in das N.T. m: Die Apostelgescbich· te (1908) 65-67; . PREUSCHEN, Ag. r:z; WENDT, Ag. 82; A. Lo1sY, Lcs Actes des Ap6tres (1920) 190 s.; HAENCHEN, Ag. 137. 165 Cosl giustamente anche HAENCHEN, Ag. 218 n. r, contro H . J. CADBURY, in }ACKSONLAKE 1 4,64; 5,59-74 e contro E_ LOHMEYER, Das Abendmahl in dcr Urgemei11de: JBL 56 (1937) 236 s.

    ;tpOTTJÀ.V'toc; DI 4

    339 (vr,743)

    4. In Act. l 3 '43: 1toÀ.À.oL 't"W\I 'Iouoalwv xat 't"W\I cri::Soµivwv 1tPOCTTJÀ.V-rwv. Non abbiamo altro esempio di pro-

    seliti con tale attributo 166• Poiché altrove negli Atti vengono sempre associati 'foUOCX.LoL O 'fop<X.T}À.i:'t"CXt. e cn::f1oµEVOL (cpof1ouµ.Evoi.) -.òv 1'E6v nel senso tecnico della parola, vengono cioè accostati i Giudei e i pagani simpatizzanti che frequentano il culto sinagogale, l'espressione sembra avere anche qui il medesimo senso. Ciò significa che cn:f36µ.EVOL è termine tecnico e l'aggiunta di 7tpocri]À.u-.oi è oggettivamente errata. Resta aperto il problema se quest'aggiunta sia un'imprecisione di Luca o un'antica glossa 167•

    Queste espressioni sono usate unicamente negli Atti: precisamente, cpo~ou­ J.l.E\IOL -.òv i)gov nella prima parte dell'opera e C"E~oµ.EVOL 't"Ò\I 1'E6v nella seconda. L'atteggiamento della primitiva comunità cristiana palestinese verso i Cl'E~OµE\IOL -i-òv i>E6v deriva da quello di tutto il giudaismo palestinese: tra i non giudei può aver parte alla salvezza offerta in Gesù soltanto colui che prima diventa membro del popolo giudaico accettando la circoncisione e l'obbligo di i.

    166

    Vedi

    Ag. 245. Ag. 361 n. 6 ritiene che si trat-

    WENDT,

    167 HAENGHBN,

    ti d'una glossa. Negli scritti subapostolici 7tpoa'fi)..v,.oc; è usato unicamente in Iust., dial. 13,3. 168 Come Cornelio, cosl anche il centurione di Cafarnao nel racconto lucano (Le. 7,1-10) è un

    - Il I (K. v. Kuhn)

    l Vt,744} 340

    osservare tutta quanta la torà giudaica. Altrimenti egli rimane un pagano, e nel giudizio finale sarà colpito dall'ira di Dio. Non basta quindi al raggiungimento della salvezza essere O"E$6µ.Evoç 't"ÒV t>E6v e, restando tale, credere in Gesù. Caratteristico di tale atteggiamento è il rimprovero che i giudeo-cristiani palestinesi rivolgono a Pietro (Act. l l ,3) per non aver egli osservato la distanza d'obbligo dai non giudei (cfr. anche Act. 10,28.45) nel caso del centurione romano Cornelio, che era (Act. l0,2.22) un cpof3ouµEvo<; 't"ÒV i)E6v e seguiva la religione giudaica con particolare zelo e pietà (v. 2) 168 • D'altra parte, l'atteggiamento diverso di Pietro è dovuto, stando al racconto degli Atti, alla certezza, comunicatagli in una visione, che Dio salva anche il pagano che è cpo~ouµgvoç (senza che abbracci prima il giudaismo) e lo fa ·per la fede di questi in Gesù (Act. u,17 s.; cfr. ro,35). Conformemente a questo atteggiamento del giudeo-cristianesimo palestinese, i missionari menzionati in Act. II,19 predicano soltanto ai Giudei di nascita ('Iouoaro~), mentre gli uomini nominati in l r ,20 predicano ad Antiochia la salvezza in Gesù anche ai (pii) Greci ("EÀ.À.'l}VE<;= 1nB61J.EVOL

    't"Ò\I

    i>e6v) l(f}.

    non giudeo che con grande zelo aderisce alla religione giudaica come ue~oµtvo.; -rbv lteov (senza che questa qualificazione compaia però nel racconto evangelico). Ha persino finanziato la costruzione della sinagoga locale. 169 Vedi il paragrafo seguente. Di diversa opinione è W. MtcHAll.LIS, ]udai.rtische Heidenchristen: ZNW 30 (1931) 93-99.

    34i \ vi,;441

    Secondo la narrazione degli Atti, Paolo svolge la sua attività missionaria predicando ogni volta anzitutto nelle sinagoghe giudaiche (cfr. Act. 13,14; 14, l; 17,ro; l,17; 18,4 ecc.). I suoi ascoltatori sono di conseguenza (né del resto ci si poteva aspettare altro nelle sinagoghe giudeo-ellenistiche) tanto gli 'Iouoa:fot, cioè coloro che appartengono pienamente, per nascita o per conversione 110 ( =: proseliti), al giudaismo , quanto i Greci ( "EÀ.À:r)'m;), cioè coloro che frequentano il culto della sinagoga senza però compiere il passo decisivo di divenire proseliti e quindi 'Iovoocfot.. In luogo del termine "EÀÀ.1]\IE<; (14,1; 18,4; 19,10), per indicare quest'ultimo gruppo, appare anche l'espressione più esatta <poPouµE\IOt 't'ÒV i)EO\I (13,16; 13,26) o cn:f56µi::\lot. 't'Òv l}E6v (16,14; I?,17; 18,7) e una volta anche la coppia O'EP6µi::vot. "EÀ.À.1JVE<; ( 17 ,4). Secondo il racconto degli Atti la predicazione di Paolo ebbe un'eco positiva proprio presso questi O'EpoµE.vot 'tÒ\I i)Eo\I, come mostra Ja menzione del grande successo della predicazione paolina presso i O'E(56µEvot 'tÒv i}E6v ad Antiochia di Pisidia ( l 3, 48), a Tessalonica (17,4: 'tW'\I -.e: O'ESoµÉVW\I 'E).)..1}vwv 'ltÀ:iji)oc; TioÀ.U ), a Berea (17,12), a lconio (14,1) e a Corinto (18,4). Tale successo riportato proprio presso i O'Ef56µEvot 't'Ò\I i}E6v si spiega col fatto che Paolo non pretendeva da

    costoro, come facevano i giudeo-cristiani palestinesi, la conversione piena al giudaismo (circoncisione inclusa) come presupposto per la salvezza. L'Apostolo non si accontenta però neanche dell'accettazione del monoteismo, bensì predica come unica condizione indispensabile alla salvezza Ja fede fo Gesù ( cfr. 1 3, 39). È qui che sorge l'opposizione dei Giudei, che secondo 18,13 denunciano Paolo a Gallione perché «persuade gli uomini ad adorare Dio contro la legge» (7tapà. -.òv v6µov O"É(3Ecri}cx.i 't'ÒV l}E6v ). Il rifiuto da parte dei Giudei di nascita offre a Paolo l'occasione per predicare anche ai pii pagani, dunque agli "EÀÀ.l]VEc;, che fino allora sono stati crE(36µE\IOL 'tÒV i)Eov aggregati alla sinagoga giudaica : Èyw à.7tò 'tOV vuv Elc; -.à EWTl 'ltopeucroµa:t, «io d'ora in poi me ne andrò ai pagani» (r8,6). Gli EWrj sono appunto questi pii pagani, come mostra il versetto seguente: Paolo va a casa di Tizio Giusto, un crEf56µi::voc; 't'ÒV iìE6v. Poiché, secondo quanto abbiamo esposto sopra (~ coli. 307 s. 312 ss.), l'uso linguistico giudaico d'allora distingue nettamente i 7tpocri]À.u-to~, divenuti giudei mediante la circoncisione, dai O'E(36µEvot -.òv ll'Eov, che nell'estimazione giudaica, senza riguardo per la pietà personale, rimangono pagani, questa costante descrizione dell'attività missionaria di Paolo negli Atti riflette perfetta-

    110 Oltre n 'Ioul:icxi:ot (13,50; 14,1 s.; 17,5; 17, 17; 18,4 ccc.) troviamo le espressioni sinoni-

    me ll:vl:ipEc;

    2.

    'I<rp<1.lJÀ~"tm

    'A{ipaO:µ (13,26) .

    (I 3,16 ); vloL yÉvouc;

    343 (v1,745)

    1tpou1}À.v't'oç DII 2 (K. G. Kuhn), 1tpoux67t'TW X'TÀ.. A (li. ~tnhtm)

    mente la situazione dell'epoca. La narrazione degli Atti è pertanto conforme

    lVI,745J 344

    ai fatti e non c'è motivo di dubitare della sua esattezza storica 171• K.G.KuHN

    1tp6crx
    1t{)OO'Xa.p-rÉpl}CiLt; ~ v, coli. 229 s.

    1tpocrxaÀ.Éw ~IV, coll. 1488 ss.

    1tpocrxÀ.'l')p6w ~ v, coll. 604 ss.

    1tpocrxap-rEpÉw ~

    npocrxoÀ.À.ciw ~ v, coll. 759 s.

    v, coli.

    225

    ss.

    t 1tPOCJ'X07t't'W, t 7tp6oxoµµa., t 1tpocrxo1t1), t cbtp60"x.orcoç ~ À.l1'oc; VI, coll. 733 ss.; ~ 7thpa x, coll. n6 ss.; ~ nln-rw x, col!. 299 ss.; ~ CiXtt\IOUÀ.O\I X'rÀ.. So.MMARlO:

    A. L'uso linguistico : I. 7tp00'X67t'TW: I. 2.

    uso letterale; uso traslato.

    II. 7tp6axo1~µa.: 1. come nomen acti; 2. come nomen actionis; 3. come nomen causae. III. 1tPOO'xomi; IV. a7tp6uxo1toc;. n. Il gruppo di termini nell'A.T. e negli scritti giudaici: I. equivalenti ebraici; II. raffigurazioni; 171 Contro M. Drneuus, Die Reden der Ag. tmd die antike Gescbichtsschreibtmg, in Aufsatze wr Apostelgeschichte1 (1953 ) 129; dr. HAENCHEN, Ag. 482.

    7tpOO'X6TC"t'W, 7tp6uxoµµa. CREMER-KOGEL 617-619; A. BoNHOPFER, Epiktet tmd das N.T. (19n) 128 s.; J. LINDllLOM, Zum Begriff 'Amtoss' im N.T. in Strena Phi/o/ogica Upsaliensis, Festschrift fiir Per Persson (1922) l-6; G. STAHLIN, Skandalon (1930) 95-

    III. uso teologico.

    C. Il gruppo di termini nel N.T.: I. rapporto con l'A.T .; II. variazioni e usi dell'idea di caduta nel N.T.: r. la caduta di Gesù; 2. lii caduta nella fede: a) l'uomo causa della caduta; b) Cristo causa della caduta; e) Ò.7tp6crxonov ELVa~ come meta esca· tologica; 3. la coscienza scandalizzata. D. Il gruppo di termini nella chiesa antica.

    A.

    L'uso LINGUISTICO

    Fatta eccezione per i1 verbo, che compare già in Aristofane, Senofonte e Aristotele (~ col. 345; ~ n. 69), il grup97.J30 s. 261-265; K. FULLERTON, Tbe Sto11e Fom1datio11: Amcrican Journal of Semitic Lnnguages und Literatures 37 (1920/21) 1-50; V. TAYLOR, The NameJ o/ Jesus (1953) 93-97.

    o/

    Per 1tpoux01t1}: A. BoNHOFPER, Epiktet unti die Stoa (1890) 276; BACHMANN, Kommentar, 2 Kor. 277. Per Ù1tp6crx01toç: NXGELI 43; ~ LINDDLOM, op. cit., 3 s.; LoHMEYER, Pbil. 33 n . 6.

    345 (VI,745)

    ltpOO'XÒT.:'tW X1'À. A I 1·2 IG. MahJJn)

    po lessicale che fa capo a 1tpoO"X01t't'W è attestato solo a partire dall'età ellenistica 1; tutti i termini hanno però ricevuto una connotazione specificamente biblica già nei LXX e poi particolarmente nel N.T. (~ coll. 362 ss.).

    I. 1tPOO"X01t'tW r. Uso letterale. 1tpo11x61t'tW significa propriamente battere, urtare. Transitivo: "tÒV Oov 'tÒ\I 7t6&a uov, «affinché tu non batta il piede contro qualche pietra» (LXX 4i 90,2; Mt. 4,6 par.). Intransitivo: a) urtare contro qualcosa ('t'wl): Xenoph., eq. 7,6; Aristot., mot. an. 6 (p. 7oob r3); Rom. 9,32 (uso figurato, ~ coll. 369 ss.); cozzare: 1tpo11faolJ!av -rfi otxlq. ÈxElvn, «cozzarono contro quella casa» (Mt. 7,27); (1tp6c; i:wa) dare una spinta a qualcuno, urtare qualcuno violentemente: rcpocrx6t)JEL 't'Ò 'ltatolov ?tpòc; -ròv 1tPE0"(3U't'1}V, «il giovane spingerà con violenza l'anziano» (ls. 3,5 [LXX]). b) Uso assoluto: a) urtarsi, sbattere, inciampare, incespicare: «Anche [il cieco] Tobia si alzò per andare alla porta e incespicò (xa.t 7tpo
    ca

    intoppare, cadere a terra, cadere: o of. 1tovc; uou où µ'Ì] 7tpo11x6\)111, «il tuo piede non incespichi» (Prov. 3,23.6, var. [LXX]); prima che tutt'intorno divenga scuro xat 'ltpÒ 't'OV 7tpo4 (Sym.); Is. 8,15 (Sym .); 1tpOwoEow, «non camminare per una strada accidentata, affinché tu non abbia a cadere in luoghi sassosi» 3 (Ecclus 32[ 35] ,20 [LXX]); Io. rr,9 s. (~col.365). O) In senso lato: cadere, soccombere: Iud. 20,32 [LXX cod. A]; forse Deut. 28,25 (Sym.) 4 ~ coli. 356 ss.); farsi male, cadere nella sventura: xat 7tpocrx61)JH xa.t 1tE
    Uso traslato. a) Partendo dail'acce-

    Diversa l'opinione di PREUSCHEN·BAUER 5, s.v. 2a, alla fine; npoux67t1'W ~\I -cw~ è attestato con sicurezza soltanto in Eccltls 30,r3 e Rom. 14,2r (~ fine di questo punto 1). 4 ----). STAHLJN 130 n. 4. s Cod. B: npoO'x61jin, «perché egli... non susciti scandalo». 3

    7tpoax67t-tw x-tÀ.. A 1 2 - u

    zione figurata · di urtare, indisporre, of-

    fendere, provocare il risentimento o la disapprovazione di qualcuno, a) -.wl: Polyb. 5>49,5 (insieme con À.U1tÉw); 7 15, 6 (insieme con ouacx;pEO..t'ÉW = suscitare sdegno); r Clem. 21,5: µocÀ.À.ov avi)pw1toi.<; aippoai. ... 7tpocrx6l)iwµe:v ~ -.4) i>e:~, «affrontiamo serenamente la disapprovazione di uomini stolti ... piuttosto che quella di Dio»~; cfr. r Thess. 2,4; 7tpocrx6tl;at 't(i'l 7ta.'tpt (Clero. Al., strom. 2,53, 4); npocrxe:xoipòç -.4} i}Et;> (Synesios, catastasis [MPG 66,1569 C], ~ col. 376). (3) Uso assoluto: Epict., diss. 4,II, 3 3: xa.À.À.w1tlse:cri>at ... ""CÒ crwµa ... µéxpt -.ou µ1} 7tpoaxo7t""CEW, «adornare il corpo, nei limiti del rispetto per gli altri»; cfr. Rom. 13,14; µ'Ì) CÌ7tÀ.TJCT""CEUOU µ1J1tO'tE 1tpoax6l)inc;, «(quando sei invitato) non essere ingordo, per non provocare disapprovazione» (Ecclus 31,17; cfr. 30, r 3 cod. B [ ~ n. 5 ]). b) Partendo dall'accezione figurata di essere urtato, disapprovare, of/endersi 1 , a) -.i.vl: où 7tpocrx6\)Jei. où8Evl, «non offenderà nessuno» (Epict., diss. 1,28,10); 7tpOO'X61t'tWV 't'Oi:c; 7tept 't'ÒV AE6v·nov, «era irritato per il comportamento di Leonzim> (Polyb. 5 ,7,5 ); idem col perfetto in Diod. S. 13,80,4; cfr. 7tpocrx6\)JaV't'E<; "TI ~apUTl)'t'L, «indignati per la durezza» (Polyb. 1,31,7: insieme con oucrapecr-.tw =essere scontento); t'ltt 1tÀ.fov 'ltpocrx6\jlcx;L -.oi:ç À.6yotc;, «indignarsi ancor più per le parole» (Diod. S. 17,30,4); alla vista delle vele nere Egeo sall sulla rocca xat oLà. "t'lJV Ù'ltEp~oÀ.'Ì)v 't'ijç Mm1c; 'ltpocrx6\jlcx.v"t'a ..~ siiv fou"t'Ò'V xa-.aXpTjµ\ltcrCX.L, «e disperando della sua vita per l'eccessivo dolore si gettò a capofìtPer quest'uso di µ4À.À.O\I fi dr., ad es., Act. 4,19; 5,29; 20,35 (per il quale vedi J. }BREMIAS, Unbekannte ]esusworte' [r95x] 74 s.); I Tim. 1,4 (per il quale vedi BLASS-DEBRUNNER § 185,2 appendice); PREUSCHEN-BAUI!R 5 , s.v. µfiU.ov 3c. 7 Probabilmente quest'accezione è dovuta all'influenza dell'uso di 1tpocrxpouw (ad es., De6

    1

    (G. Stiihlin)

    to» (Diod. S. 4,61,7). Nello stesso significato è usato anche il medio in M. Ant. u,3,6; Appian., beli. civ. 2,27. B) È1tl ""CWt: èhav '1tpOCTX01t"t'Tiç btl 't'tVO<; aµap-clq., «quando ti senti contrariato dall'errore di qualcuno» (M. Ant. 10,30,1).y) Uso assoluto: insieme con oucra.pErnÉw/ SucrapEcr"t'Éoµat = provare dispiacere, essere indignato (Polyb. 6 ,6 ,3 .6; 'ltctV'TEç npoax6TI-.oucrtv, «tutti sono urtati (dal mendicante cinico)» (Epict., diss. 3,22, 89 ); insieme con ÈmcrT]µo:lvoµ.ai. ::: manifestare la propria riprovazione (M. Ant. 6,20,1 ); insieme con &.yavax"t'tw (Diod. $. I ,7 I ,2 ).

    Il. 7tpocrxoµµcx. In quanto sostantivo verbale in -µa 8 np6crxoµµa è propriamente un nomen

    acti (conseguenza della caduta, rovina), ma viene usato anche come nomen actionis 9 (l'urtarsi, il cadere,~ col. 376) come altre forme del genere (ad es., ahtlwµa: Act. 25,7; [3&7t'tLcrµa ~ II, coli. 84 s.; i>ÉÀ.1]µoc ~IV, coll. 283 ss.; xplµa ~ v, coL 1078) e anche nel significato di mezzo (cfr. &v-cÀ."l]µCX.: lo. 4,n), oggetto, causa dell'urto (nomen causae; cfr. µÉwoµa: Herm., mand. 8,J). 1. 1tp6crxoµµa come nomen acti. a) La ferita (causata dall'urto): Athen. 3,52 (97 s.) insieme con Ù7twmov = l' ammaccatura causata da un colpo (cfr. Ù1twmci1;w: r Cor. 9,27). b) Damzo 10, rovina, fine: 1tOÀ.À.oùç tt'ltWÀ.EO'EV 'Ì) 1tOpVEL<.t.,


    349 (vr,747)

    1t(JOCTX0Tt'tW X't/... 11. II I . Hl

    l\.:J. ;:>tanlln}

    vie: Ti O"'t'PE~À.'ÌJ òoòc;... EXEL... ùvoolac; xat 1tpoux6µµa-ra 7toÀ.À.6., «la via storta presenta luoghi impraticabili e molti ostacoli» (Herm., mand. 6,1,3). b) Uso traslato: a.) causa di danno, sventura, rovina (Ex. 23,33; 34,12); dr. dc; 7tpocr2. 7tp60"xoµµoc come nomen actionis: xoµµa, «a rovina» (ler. 3,3; ~ col. Hl>oc; 1tpocrx6µµa:toç,, «la pietra che pro- 356); anche Ecclus31,30 14• fj)Ostacolo voca la caduta»: Is. 8,14 (Aq., Sym., alla fede, occasione di perdizione, rovina Theod. [LXX]); Rom. 9,32 s.; I Petr. 2, spirituale (Rom. 14,13; I Cor. 8,9; ~ 8, dunque nel senso di genitivo di qua- coll. 366 s.). y) Tentazione, seduzione, ilità 11 , come, ad es., T}µSpa. È1tLO'X07tljc; stigazione alla caduta morale, al peccato (r Petr. 2,12); àxpoa."nc; É.m)..rioµovljc; (ls. 29,21; Ecclus 17,25 [? ~ coll. 359 (Iac. r,25), o anche di gcn. epesegetico: ss.]; probabilmente anche Herm., mand. «una pietra che è causa di caduta» (~ 2,4). qui sotto, 3 ), come ad es. &.ppa.~wv "oli '!tvc.uµoc"oc; (2 Cor. 5 ,5) 12 ; cosl anche ~u­ III. 7tpocrxom) Àov 7tpocrx6µµa."oc; 13 (Ecclus 31,7); Dio è cpu)..ocx'Ì) a1tÒ 7tpocrx6µµa. ..oc; xat ~on­ Il sostantivo verbale 7tpOO'X01tlJ, l'uri}ELOC Ù1tÒ 1t"Wcrc.wç,, «difesa dall'inciam- tare, è attestato solo raramente e solpo e aiuto contro la caduta»: Ecclus 34, tanto in senso traslato. I. Generalmente significa l'essere urtato da qualcosa, in16; forse anche 31,30 (~col. 360). dignazione, sdegno: xa't'à. 1tpocrxomiv, 3. 7tp6crxoµµoc come nomen causae. «per avversione, repulsione» (Stob., ecl. a) In senso proprio {specialmente nel- 2 ,9 3 ,IO); insieme con cpi}6voc; (Polyb. l'immagine della via,~ coll. 354 s.): oc- 6,7 ,8 ); accanto a àÀÀ.o-.ptO'T."TJ<; = avcasione, causa di caduta, ostacolo (fata- versione (Polyb. 3 I ,I0,4 ); oto6vaL·7tpocrle): at òoot aù..ou ._ore; òO"loic; Eùi}e:i:aL, xom]c; xat ovcrapecr-r1}crEwç (~ coll. o\hwc; -.oi:c; &.v6µotc; 7tpoux6µµoc'T."a, «le 347 s.) &.cpopµa~, «dare pretesti a dissue ( = di Dio) vie per i pii sono dritte, sapori e ostilità» (Polyb. 2 7 ,7,10 ). S'ininvece per gli empi sono inciampo» (cioè serisce qui anche l'evidente uso tecnico le stesse vie di Dio divengono per gli di 7tpOCTX07tlJ nelJa Stoa 15 : c'è un'incliempi ostacoli fatali: Ecclus 39,24); «to- nazione morbosa (v6crT)µa.= aegrotatio), gliete via i 1tpoux6µµa't'a (LXX: O'XW- che tende a ciò che è indesiderabile coÀa.) dal cammino del mio popolo» (ls. me se fosse desiderabile; ma c'è anche 57,14 [Sym.]); nell'immagine delle due una avversione morbosa, che nasce da

    1tp6axoµµoc "Q BE)..Locp, «e rovina mediante(?) Beliat» (t. Rub. 4,7; però~ n. 33). c) La caduta (morale), il peccato: Èv 1tpoO"x6µµa"L v1tapxw, «vivo in peccato» (const. Ap. 2,17,r).

    Cfr. BLASS-DEBRUNNER § 165. L'inversione del rapporto di dipendenza in Is. 8 114 (LXX): oùx ).ll}ov 7tpocrx6µµa'tL ... oòlì~ 7tl'tpa.; 7t'tWµa'tL, ha qualche rispondenza anche nel N.T.; cfr., ad es., brl. 7tÀ.ou-.ou &:llriM'tTJ'tL (r Tim. 6,17); lìLck «vaxaLVWO"Ew<; miEuµa.-.oç à:ylou (Tit. 3,5); anche Rom. 6,4; 7,6; vedi WINl!.R 34,2. Il Nello stico parallelo (v. 7•) si legge ckÀW.. CTE'\'llL lv tt(m{> (scil. l'oro); abbiamo quindi la consueta coppia d'immagini (~ crxa'\lllct.Àov) : il bastone sulla strada, nel quale s'inIl

    12

    w.;

    w.;

    ciampa e si cade, e la trappola in cui si viene presi (4 col. 358).

    Lo stico parallelo rende probabile questo significato (spec. 1tp00"1tOLWV -.pau1..ta'tet); il significato di agire scandaloso (come intende V. RYSSEL in .KAuTzscn, Apokr. u. Pseudepigr., ad l.) non si trova nel linguaggio dei LXX; cfr. ~ STXm.IN 96, e ~ col. 349, fine del punto 2. 14

    15

    Cfr.

    276.

    ~ BoNHOFFER,

    Epiktct tmd die Stoa

    itpocrx67t-.w

    X't'À-.

    repulsione provocata da un'offesa (xa-.à 1tpoo-xo1t1J'.> =ex offensione) ed è diretta contro cose che non meritano di essere oggetto di orrore, quasi fossero detestabili (Cic., Tusc. 4 1 26; cfr. 4,10, 25); Elvat fÌÉ. -.wa xat Èvav'tl<J. < 'tov'totc; > -tote; votr1}µa.ut xa-.à 1tpouxo-ITT}v ywéµEwx. olov µtuoyvvlav, µwoivlav, µttravbpw1tla.v (Stob., ecl. 2,93,9 ss.) 16• 2. 7tpOO"X01t1}=itpétrxoµµa (nomen causae, -+ sopra II 3): occasione di caduta, motivo di scandalo e anche motivo di avversione, di ripugnanza: µtJ&Eµlav Èv WflOEvt &toév-.Ec; '1tpouxo"Jt1)v (2 Cor. 6a); cfr. Ò.1tp60"xo7toc; ylvoµai (r Cor. 10,32;-+ coll. 367 ss .).

    IV. 1btp6uxo1toc; L'aggettivo verbale à7tp6C'xo'Jtoc; =

    non urtante, è attestato solo poco e tardi nella letteratura pagana(-+ coli. 351 s.); si collega a diversi significati del verbo 17• l. In rispondenza a 1tpoux61t"t'W nell'uso assoluto (-+ sopra, 1 r y, coli. 345 s.): a) ciò che non provoca una caduta, che non fa cadere: µ'Ìj mtr"tEv &.1tpocrx67t)c;, «compiono un cammino piano e senza inciampi» (Herm., mand. 6,r,4);

    A rn-rv (G. Stiihlin)

    «siano ringraziati tutti gli dèi che ti custodiscono sano e salvo, al riparo dalla sventura», o'tt UE 01.acpvÀ.a
    non urta, non offende, non provoca riprovazione: a) innocuo, innocente, detto di un uso linguistico errato (Sext. Emp., math. r,195); i'.va µE-ca cpiÀlac; xat &.7tpocrx67twc; É~ÉMw1.1.Ev àn' a.ù-.wv Èv àyab@, «cosl che possiamo congedarci da loro in buoni rapporti, amichevolmente e senza irritarli» (P. Giess. I 79 col. IV 8 ). ~) Irreprensibile, ineccepibile: E~'YJ
    Questi esempi si trovano anche in Crysipp.,

    senso cli facile a cadere), scalognato (Vett.

    Jr. 427 {v. A.RNIM m 104,31-35); fr. 424 (ibid. 103,21-28); fr. 421 (ibid. 102,37·103,2). Eviden-

    Val. 2,10 [p. 65,24 s.]. IO [p. 68,22]; 5,3 [p.

    16

    temente Ocerone e Stobeo citano lo stesso passo. 11 Una specie di opposto di &.1tp6uxo7toi; è 7tpocrxo7t-.tx6i; I . scandaloso, offensivo, urtante, ripugnante (Epict., diss. 1 ,18,9); 2 . come termine tecnico negli oroscopi: malfermo {nel

    =

    .212,2!]; anche 2,16 [p. 77,7 ], dove il conte·

    sto richiede la correzione cli 'ltpoX07t'tLXOl in 1tpocrxo7t'nxol). 1s L'iscrizione presenta la forma à.1tp6crxcr 'lt't'O~, non attestata altrove. Cfr. Ni\GBLI 43. 19 Ed. F. X. FuNK, Didasc. et Const. Ap. II (r 905) 160.

    b, col. 347 ): che non ha motivo di (Deut. 28,25,~ coli. 356 s.); e una volta scandalo; cosl probabilmente in Act. 24, 16 (&:npOCfX01tO<; (fU\IEtO'l']CfL<;, ~ col. 378); del tutto simile è const. Ap. 2,9,1: &.7tpOO"X07t0\I d'.ICXL XPTJ -.òv É'ltlO"X01tO\I, nel senso di «una coscienza che non trae scandalo dalla sua condotta, che non ha niente da rimproverarle, cioè una coscienza pura»; infatti l'opposto nella proposizione seguente suona: oux EVCfV\1ElO"t)"tOc; Ù7tapxwv.

    B. IL

    GRUPPO DI TERMINI NELL'A.T. E NEGLI SCRITTI GIUDAICI

    I. Gli equivalenti ebraici L'equivalente ebraico del tema 'ltpocrxo7t- è anzitutto kSl (gal e nif'al: cadere; hif'il: far cadere), poi la radice tql ripresa dall'aramaico. Ma i LXX traducono solo poche volte (Prov. 4,19; Dan. II,14.19.33) kSl con 7tpoO"x61t-.w, mentre Simmaco sembra averlo fatto un po' più spesso (è attestato in Is. 5,27; 8,15; 59,10; Os. 14,10; Ps. 9,4). Come si vede, in entrambe le traduzioni 7tpocr:x;6'lt't'W è usato soltanto negli scritti profetici e negli agiografi. Aquila rende kSl con 7tpocrxo7t"tW soltanto in Ps. 9 ,4 (come Simmaco), altrove preferisce termini con radice CfXCX'\IOCXÀ.- (~ O"XCX'\IOCXÀ.lsw). La medesima preferenza della radice uxcxvocxÀ.- si ha nei LXX e in Simmaco quando si tratta di tradurre il sostantivo mikStJ(11J (cfr. IQS 2,12.17). Oltre che kil, 7tpocrx67t't'W talvolta nei LXX rende ngp {generalmente nel senso di colpire, ma anche in quello di spingere, urtare) 21 : Iud.20 ,32; tjl90,12; Prov. 3, 23; Ier. 13,16; idem una volta in Aquila (tJi 90,12) e una volta in Simmaco(?): Cfr. -+ STii.HLIN 86 s. r30. 21 I LXX rendono ngp, più spesso che con 7tpocrxo'lt-cw, con il sinonimo 1t'CO:lw. 2l Cfr.-..,) STAHLIN 53.27 s. 23 Cfr. -..,) STAHLIN 23-47.53 s. 20

    12 i r,.udt len:ico Xl

    anche np60"xoµµcx. per negef (Is. 8,14). Ma l'equivalente principale di 'ltpéa-xoµµcx. nei LXX è mtJqès (Ex. 23,33; 34,12; probabilmente anche Ier. 3,3 22 ; cfr. ancora Is. 29,21: 7tp6uxoµµcx. -.l~1]µi per qws = jqs) con la conseguenza di un singolate scambio di immagini tra moqès (trappola, laccio crx6:.voa.Àov) e mikSol (urto=1tpoc;xoµµcx.) 23• Nel Siracide, infine, 7tpoa-x6m:w rende generalmente tql al nif'al (13,23; 30,13; 32,20) e 1tpécrxo~~µcx t•qala ( 3 1,7).

    =

    II. Le raffigurazioni Le immagini che vengono evocate nell'uso del nostro gruppo terminologico rientrano in due ambiti 24 • I . L'immagine della via(~ òo6c; vm, coll. 139 ss.; cfr. Is. 8,14 [LXX]; Is. 57,14 [Sym.]; Ecclus 31,7; 34,16; 39,24; anche Herm., mand. 6,1,3). 2. L'immagine della pietra (~ ì..li>oc; VI, coll. 733 ss.; ~ 1tÉ"t"pcx x, coli. 116 ss.) che già di per sé è decisamente ambivalente(~ coll. 369 ss.), ma che qui viene usata soltanto in senso negativo (Is. 8,14=Rom. 9.33 e I Petr. 2,8,~coJI. 369 ss.; cfr. Le. 20,18; Barn. 6,2). Le immagini della via e della pietra, che già per la loro origine sono strettamente affini, vengono spesso collegate (ad es., Prov. 4,12; Lam. 3,9; Mt. 16,23; I Io. 2,10), massimamente nello schema delle due vie (cfr. ~ vm, colJ. 152 ss. 162 ss. 200 ss.), come in Ecclus 39 ,24: le vie di Dio (cioè i destini assegnati da Dio) sono piane per i pii, senza inciampi (cfr. Is. 57,14), ma per gli empi non sono che TCpocrx6µµcx't"cx., cioè osta~oli fatali 25 ; similmente una via può diventare uno O"XcivocxÀ.ov (\)I 48,14; il 2• Con l'uso paolino (Rom. 9,32) di Is. 8,14 alle due immagini se ne aggiunge una terza, quella della corsa: dr. -..,) STiiHLIN 197, ~

    n . 57·

    Cfr. V. RvssEL in Pseudepigr., ad l.; ~

    25

    KAUTZSCH, STAHLIN 95

    Apokr. u. s.

    testo ebr. legge diversamente) e quindi una òoòç àv-rL7t-rwµa:t"oç (Ecclus 32, 20) 26 • Cfr. anche Herm., mand. 6,1,3 (-7 VIII, coll.272ss.) 27 . Per contro, in una prospettiva diversa, dominata dalla legge neotestamentaria della sofferenza, i 7tpocrx6µµoci:oc possono essere addirittura i segni distintivi della retta via; ad es., Chrys., hom. Matth. 59 (MPG 58, 574C: xwÀUµoc't'a.); dr. Mt. 7,13 s.; ma già anche Xenoph., mem. 2,1,23: la via deJJa xocxla è 1)o€G''t''TJ xat ~4a-·t"lJ.

    III. L'uso teologico r. Nelle traduzioni greche dell'A.T. 7tpoa-xém'tW e le altre parole del suo gruppo servono spesso, insieme con i termini affini (-7 n. 28 ), ad esprimere l'idea della retribuzione punitiva: l'urto, la caduta, la rovina sono punizioni per il peccato commesso, e spesso sopravvengono in maniera tale, che il peccato stesso diventa la punizione fatale commina· ta da Dio.

    pure Ex. 34,12: «Non stringere alleanza con gli abitanti del paese nel quale entrerai (v. II), affinché essi non divengano per te un laccio (moqéf)», che nella traduzione dei LXX suona: « ...aflìn. ché non sorga in mezzo a voi un 7tp6axoµµa.», cioè un'occasione di caduta e una fonte di perdizione in forma di qualche culto idolatrico (dr. vv. 15 s.); cfr. anche I er. 3 ,3 : Mo-xEc; 1totµÉvaç '!i:OÀ.Àoùc; Elç 1tp60"xoµµoc O"Er.w-tl), «hai avuto molti pastori a tua rovina»: i 1totµÉVE<; sono gli 'amanti' del popolo infedele, cioè gl'idoli 29 • Data tale concezione, si capisce facilmente perché tanto 1tp6<1xoµµa. quanto ~ O"xavoa.À.ov (Os. 4,17 [LX.X]; Soph. I ,3 [ Sym.]) possano significare la rovina personificata e indicare direttamente l'idolo o la sua immagine (Ez. 20,7 [Theod.] 30 ), in maniera simile ai nomi propri Abaddon e Apollyon in Apoc. 9, l l, dove entrambi significano rovina, sterminatore, distruttore (~ I, coli. l 3 ss. 1061 ss.). Va ricordato anche l'uso parallelo di gilltJI = idolo e mikJol 'awo=occasione di peccato per lui (con chiara allusione a Ez. 14,3 s. 7) in rQS 2,n.17, anche se qui entrambi i termini sono usati figuratamente per indicare

    a) Secondo la teologia deuteronomistica deJJa storia, causa principale della rovina d'Israele è l'adorazione di divinità pagane. Cosl, ad es., Ex. 23,33, dove il T.M. riferisce il pericolo al culto idolatrico, mentre i LXX lo attribuiscono agli stessi dèi: oihoL Ma-ov'tal O"OL 7tp6a-xoµµoc 28, «questi saranno per te occasione di caduta», causa di rovina; op-

    b) Anche prescindendo dal rapporto idolatria-rovina, la caduta è considerata

    26 Una corrispondenza si ha, ad es., in ls. 49,u. 27 Cfr. inoltre Ex. r. 30 (9ob) e S. Deut. n,26 § 53 (86a) in STRACK-BILLERBECK 1 462. 28 La stessa idea è espressa nei LXX anche con ux&.vlìaÀ.ov (Ios. 23,r3; !ud. 2,3; 8,27; ljJ 105, 36; Sap. 14,II) e uxwÀ.ov (Dem. 7,16). 29 Diversa interpretazione in --+ STXllLIN 96

    n. I (però è difficile ·che con 'ltotµivEc; s'intendano qui i falsi profeti e sacerdoti del proprio popolo). 30 Secondo J. B. PITRA, &alecta sacra spicilegio Solestnemi parata III (1883) 571; --+ STAHLIN 96. 31 Cfr., ad es., P. WERNBERG-MOELLER, Tbe Ma1111al o/ Discipline (1957) 54 s. (nn. 29 e 46).

    no

    pensieri idolatrici, peccaminosi 31 •

    una pu1uz1one per la disobbedienza e l'empietà del popolo: 0~1] O"E XUp~oc;

    uomini (la salvezza o la perdizione)(-> qui sotto c ).

    7tpoax67t't'o\l-ra Évavi:lov "t'WV ÉXì}pwv crov, «il Signore ti faccia cadete davanti ai tuoi nemici»: Deut. 28,25, Sym. (?). Anche in Is. 59,10 (Sym.) l'inciampare o il cadere è figura dei molti mali che Dio commina al popolo per punirlo (dr. vv. 2-8); lo stesso in Is. 8,15 (Sym.): «Molti inciamperanno (7tpocrx6\jioucn), cadranno ... si invilupperanno e impiglieranno»: sono le medesime immagini(~ n. 13) del v. 14 (~ col. 349), solo che qui Dio stesso è la rovina nascosta, inrlicata mediante quelle immagini - particolarmente mediante Àll>oc; 7tpoux6µµai:oc; -, rovina che colpirà Israele e Giuda perché nella politica e nella vita non tengono conto di Dio, bensl percorrono vie umane arbitrarie e perverse. Lo stesso vale, in età postesilica, per i peccati dei singoli empi che sono, allo stesso tempo, anche i nemici dei pii. Abbiamo cosl Prov. 4,19 [LXX]: gli empi «cadono senza rendersene conto», perché nella notte empia che avvolge le loro vie, vale a dire nella loro ignoranza colpevole e fatale (dr. Mt. 24,39.50; Io. 1,10; .2 Petr. 2,12 ecc.), non sono in grado di riconoscere gli ostacoli.

    c) Nella maggior parte dei passi citati è Dio stesso che provoca la rovina del popolo o dell'empio. Anzi egli può esser designato (come avviene per gl'idoli: ~ col. 356) come la vera causa della perdizione. Ciò avviene in maniera efficace in Is. 8,r 4 con la coppia di immagini (~ n. 13) della pietra fatale (~ col. 354) e della trappola 32 (una pfosticità simile caratterizza Os. 13,7: Dio è come un leone e una pantera). L'im· magine di Is. 8,14 è tanto più significativa in quanto nell'A.T. Dio non solo è di solito colui che preserva dall'inciampo e dalla caduta (dr. Ps. 91,r1 s.; ---7 col. 363; Ecclus 34,16, ~ col. 349), bensì è chiamato persino roccia di rifugio e di salvezza per il suo popolo (ad es., Is. 17, ro; 26,4; Deut. 32,4.15 .18; spesso nei salmi). L'immagine della pietra può pertanto esser considerata espressione particolarmente tipica dell'annuncio veterotestamentario del Dio dell'ira santa e della fedeltà graziosa. Tale espressione trova nel N.T. rispondenza nell'appli· cazione a Cristo delle immagini della pietra dal duplice effetto (~ coll. 369 ss. ). Entrambi gli usi non sono però che variazi.oni della stessa idea biblica fondamentale, cioè che Dio e i suoi doni possono provocare la salvezza e la rovina (dr., ad es., Ps. 18,26-28; Rom. 7,rn; I Cor. 1,23 s.; n,27.29).

    A questo punto vanno ricordati anche i passi di \jJ 9,4 (Sym); Os. 14,ro (Sym.), nei quali 7tpocrx67t't'W indica, come 7tp6crxoµµ.a in Ecclus 39,24 (~col. 354), una delle due possibilità che vie di Dio possono significare per glt

    I:

    J!

    Cfr. ~

    STAHUN 82 s.

    359 (VI,750)

    7tpocrx67t,..W x ...À.. B III rd-i (G. Stahlin)

    d) Solo al di fuori del canone veterotestamentario (cosl almeno sembra in test. Rub. 4,7 33 ) il diavolo è chiamato espressamente causa della perdizione. Tuttavia già quando i traduttori greci dell'A.T. chiamano le divinità pagane TipoO"x6µµa't'a. e o-x&.voaÀ.cx. (~col. 35 8) fa capolino l'idea della presenza demoniaca nel culto idolatrico 34 • e) Solo raramente, e solo nella letteratura sapienziale, la perdizione non viene in alcun modo connessa con una forza soprannaturale, ad es. quando l'Ecclesiastico ( 3 r ,7 35 e 30 [~ col. 349]) parla del pericolo fatale costituito dall'oro e dal vino. 2.

    È incerto (~ col. 350) se i LXX

    usino mai 1t(JOO'X01t't'W X'tÀ.. per indicare la seduzione, l'istigazione al peccato e la caduta nel peccato. Son pochi i passi in cui si potrebbe ipotizzare per 1tp60"xoµµa tale passaggio

    (v1,75r J 360

    semantico. Uno è Is. 29,21: TCpoc;xoµµa "tli)l]µl "tL\10'.. (par. TCOtÉw IXµap'té'.L\I ·nvcx. ), essi seducono i giudici alle porte a compiere l'ingiustizia 36; Ecclus I7, 25: (OElJl)1J't'L xa't'à 1tp60'w1to\I xaì) uµlxpuvov 1tp6uxoµµa., «(prega davanti al volto [del Signore] e) diminuisci le cadute nel peccato» 37, par.: à1toÀEmé'. ocµap-.lac;, «abbandona i peccati» (v. 25 a); Ecclus 31,30: 1tÀ.1]ìMVEL µÉl)'l') wµòv liqipovoç Etç rcp6uxoµµa., «l'ebbrezza accresce il furore dello stolto fino alla caduta {morale), cosl da farlo peccare» (-') col. 350 con n. 14). Probabilmente c'è un testo in cui anche 1tpoux6TI't'W significa sedurre al peccato, ed è Hen. gr. 15, r 1: in un elenco delle qualità dei 1t\IEU· µa:ra "tWV yvyàv"tw\I (cfr. Gen. 6,4) questi vengono chiamati 1t(JOO'X6TI-cov't'a. 38. Per contro, nella letteratura rabbinica gli equivalenti ebraici k'fl e teqala (~ coll. 353 s.) hanno spesso questo significato, particolarmente nella forma hikSil e nell'espressione hébt' t•qald lapabero, «far venire la seduzione sul proprio amico». Lo stesso vale per mikJ6l nei testi di Qumran (~ col. 356). II pas-

    Nel caso che la forma del testo (secondo

    vina soltanto se si accettasse la lezione èvllv-

    il Cm\RLES) già presupposta (~ col. 348 ss.) sia quella originaria: (i) rtopvEla) 6veL8Laµòv ... cpfpEL 7tapi1 -roòc, vtoòc; ,.e;;.,, àvJ}pw'Jtwv xat 1tp6crxoi.qia 'T@ BEÀ.Lap. Ma forse bisogna leggere 1tp6crxwµµa, che significa scherno, ridicolo ( = variante yÉÀ.w't'a); allora entram-

    O'lh~ovcrw dei codd. BS1A invece di tvllovCTLO;~ovatv (cod. S* e altri). 36 Questa interpretazione presuppone una dif-

    31

    be le lezioni potrebbero essere traduzioni dello stesso equivalente ebraico (cfr. CttARLBS, ad l.). Lo stesso scambio tra o e w è avvenuto probabilmente nnche in Iudith 8,22, dove abbiamo similmente l'accostamento di oveL8oc; e 1tp6crxoµµa: se questa fosse ln le-~ione originaria, quest'ultimo termine andrebbe necessariamente tradotto con motivo di avversione, di disprezzo, di rifiuto, ecc. (~ LINDDLOM 3); cfr. ~ STAHLIN 97 n. 3. 34 Sulla successiva evoluzione delle idee circa il rapporto diavolo-scandalo cfr. ~ crx&.v8a· À.ov e ~ STAHLIN 301-303. 35 L'idolatria sarebbe anche qui fonte di ro-

    ficile costruzione transitiva di 'T(ih]µL 1tp6crxoµµa, analoga a quella del sinonimo ~ ITXa.voaÀ.l~w. Dato anche l'uso consueto di rçp6crxoµµa nei LXX, è però più probabile che la frase significhi: «(gli empi) rendono (corrompendoli) tutti i giudici una rovina (per i poveri)»; dr. Ecclur 7,6 (~ 11x6.v!la:À.ov); ~ STAHLIN 97· 37 È certamente meglio tradurre «riduci (con la preghiera o volgendo le spalle al peccato) ciò che torna n tua rovina» (oppure: «ciò che urta Dio»);~ col. 352; ~ STAHLIN 97. 38 Cosl il codice greco e l'estratto in Georgius Syncellus, chronographia 26B, ed. W. DINDORF, in Corpus ScripJorum Hirtoriae Byza11tinae I (1829) 46,17; la traduzione etiopica presuppone la lezione &.1tp60'o'Jt-.a.

    saggio semantico avvenuto qui è cer- però abbiamo .. wa., -7 col. 3 60 ); 7tp60'· to molto vicino alla concezione biblica xoµµrx ylvoµw in I Cor. 8,9, come in della stretta connessione causale tra Ex. 23,33 (--) col. 355). Nuove sono le peccato e sventura. Ciò si vede, ad es., locuzioni Wìwµt npoO'X07tYJ\I (2 Cor. 6, quando i rabbini spiegano perché la se- 3; ma cfr. Polyb. 27,7,10: olowµt 1tPOO'duzione vada considerata un peccato xo1.ijc; à<,t>opµcic;) e particolarmente mortale: persino il bestiame (Sanh. 7,4) ( È<1nlw) &à 7tpocrx6µµcx."oc; (Rom. 14, e gli alberi (Sanh. b. 55a) dovrebbero es- 20, -7 col. 376; ma cfr. Stob., ecl. 2, sere distrutti per una simile colpa, 93,10: xa•à 7tpocrxon1}v,-7col. 350). «quanto più, dunque, colui che seduce un altro dalla via della vita alla via della Tuttavia entro l'identico uso linguimorte» (ibid.). Perciò i rabbini non si stico, anzi entro frasi letteralmente ustancano di mettere in guardia (citando spesso Lev. l9,I4 --) crxavoaì.ov) dal guali, il termine ha subito in parte un sedurre qualcuno al peccato 39, ché tale mutamento semantico sostanziale. Siamo seduzione è grave quanto il peccato della comunque nell'ambito della differenza persona sedotta e viene punita in egual misura (S. Num. 15 a 5,2I 40). I pii pre- che sempre corre tra l'A.T. e il Nuovo, gano Dio perché nessuno cada per colpa quando nel primo disubbidienza, apoloro 41 ; ma allo stesso tempo viene e- stasia ed empietà sono cause della rospressa la certezza che Dio non pervina in questo mondo, mentre nel semetterà che i giusti siano occasione di 42 condo l'incredulità è causa di danno spiscandalo • rituale e di perdizione nel mondo di là. C. IL GRUPPO DI TERMINI NEL N.1'. Nel N .T. l'idea di un danno esteriore è presente solo nella citazione di Ps. 91, I. Il rapporto con l'A.T . r:c s. in Mt. 4,6 par. (-7 col. I6); ma in Nell'uso di 7tpocrx67t"W x..">.. il N .T. bocca al tentatore r.poO'x67t"W ha anche si riallaccia all'A.T. in due maniere. in questo passo un significato ambiguo (-4 coli. 3_63 s. ). Una considerazione anaI. Con le citazioni: 1Ji 90,12 è citato in Mt. 4,6 (Le. 4,n) secondo i LXX, e loga va fatta per l'uso figurato di npocrIs. 8,14 è citato in Rom. 9,32 s. e in r Petr. 2,8 secondo un altro testo (vicino x67t"W in Io. u,9s. (-)col.365). Non alle traduzioni greche recenti dell'A.T., dissimile è la situazione del significa--) col. 349). to di dare / ricevere scandalo : abbiamo tale accezione in Act. 24,16 (--'> 2. Con l'uso linguistico, particolarmente con l'impiego dei medesimi co- col. 378) quando si parla di una costrutti: 7tpocrx61t,.W EV -rwt. in Rom. 14, scienza che trova occasione di scandalo 21, come in Ecclus 30,I3 (-4 col. 346; nel proprio agire (e allo stesso tempo cfr. -4 n. 3); .. lih1µi. 7tp6crxoµµa. (-.wO in Rom. 14,13, come in Is. 29,21 (qui · patisce danno), e forse anche in Rom. 39

    Cft. B. M. 5,II e altri testi indialti ln

    STRACK-BILLERBBCK lii 3II s. 40

    Cfr. K. G. KUHN, S. Num. (1954) 56.

    41 Cfr. Sota b. u (STRACK-BILLERDECK m 376); Ber. 4,2 (STRACK-BrLLERBECK r 799). 42 Cfr. Hul. b. 5b=7a (STRACK-Bu.r.ERDECK m

    225).

    7tpOC1X07t-.w

    x-. "'·

    L. I 2 • Il

    r4,20 (-7 coll. 376 ss.); né è del tutto assente in Rom. r4,13 (7tp60'xoµµcx.) e 21 (7tpoa'x61t't'W, -7 col. 366); 2 Cor. 6,J (7tpOO'X07tlJ, -7 coli. 368 s.); r Cor. 10,32 (&.7tpOO'XOTCOç, ~ coll. 367 s.). In tutti questi passi si pensa però allo stesso tempo, e in prima linea, a un danno dell'anima, alla caduta nell'incredulità (e quindi nel peccato) o alla perdizione eterna.

    ra \\.;r. ;){afUJD J

    I Vl,/):'J/ :'JV't

    Nella Bibbia è comune la convinzione che Dio preserva i suoi dal cadere in perdizione; ma la promessa di una tale protezione mediante l'impiego di angeli, che troviamo in Ps. 9 1 ,12, diventa ambigua e ingannevole in bocca al tentatore (Mt. 4,6; Le. 4,11; dr. ~ IX, coli. 1446 ss.), giacché anche la promessa di un µl} 7tpocrx61t't'ELV vale, come tutte le altre del Salmo, per colui «che dice al Signore: - Mio rifugio e mia fortezza è il mio Dio» (Ps. 91,2.9), cioè per chi percorre le pericolose vie indicate nel Salmo ( vv. I I ss.) con inalterata fiducia in Dio. Tacendo tale presupposto che condiziona la promessa e trasformandolo anzi segretamente nel suo contrario, in quanto vuole rendere Gesù

    simile a sé, cioè tentatore di Dio (Ml. 4,7 par.), il diavolo vuole trasformare anche la promessa nel suo opposto, per raggiungere 1o scopo primo di ogni tentazione, la caduta della persona tentata. 11 tentatore vuole, per cosl dire, mettere Dio stesso al servizio di questo suo diabolico intento, cercando di costringerlo a punire l'abuso della sua divina promessa: invece della protezione dalla caduta si sarebbe avuta proprio la caduta; in realtà, forse, la caduta nella rovina mortale in senso letterale, fisico, nel caso che la seconda tentazione (~cH..E O"Ecx.U't'ÒV xa•w: Mt. 4,6) significhi che il tentatore volesse eliminare fisicamente Gesù prima che cominciasse la sua missione; ma cettamente e in primo luogo la caduta si intende in senso traslato: la caduta di Gesù sarebbe stata ancora più profonda e, nella visuale del N.T., più gravida di terribili conseguenze di quella di Adamo. Cosl, col suo illegittimo ricorso alla promessa biblica ptesentata mediante l'immagine quotidfana dell'inciampare in un sasso, il tentatore tradisce il significato fondamentale della tentazione di Gesù: essa è la spinta che mira a far cadere Gesù nei riguardi di Dio. Capiamo cosl perché Luca abbia visto qui il momento culminante della tentazione diabolica e abbia quindi posto questa scena a conclusione del racconto della tentazione 43 •

    43 Naturalmente ci potrebbero essere state an· che altre ragioni concomitanti; ad es., il dia· volo che usa la Scrittura come l'arma più mi-

    cidiale oppure lo scenario del tempio di Dio sembravano indicare efficacemente il massimo grado o il culmine della tentazione. Cfr. i com-

    II. Variazioni e usi dell'idea di caduta nel N.T. 1.

    La caduta di Gesù

    a) Lo scopo del tentatore (Mt. 4,6 par.)

    b) La caduta di notte (Io. I r,9 s.)

    2.

    La caduta nella fede

    Anche nell'unico passo giovanneo in cui ricorre 1tpocrx61t'tW l'immagine di fondo è quella della via (-Hol. 354) 44 • In lo. n,9 s. Gesù sembra dire una verità lapalissiana: alJa luce del sole non si corre il pericolo d'inciampare e cadere, ma di notte è diverso 45• In questo testo Giovanni si richiama a quella coti-elazione cli tenebre e caduta di cui parla più volte l'A.T. (cfr. Ier. 13,16; Is. 59,10; Prov. 4,19, ---:> col. 346), ampliandola tuttavia, in rispondenza al dualismo giovanneo 46, con l'affermazione positiva sul giorno, la luce e il non cadere. In virtù del riferimento alla vita di Gesi1, il verbo 1tpOO'X01t'tW riceve però un significato tutto particolare: l'immagine significa che Gesù è consapevole delfo brevità del tempo rimastogli e della 'caduta' che lo attende, cioè della sua morte. Nella sua attuale collocazione il detto rientra dunque tra le profezie giovannee della passione.

    a) Il pericolo che minaccia i deboli delle comunità di Corinto e Roma (r Cor. 8,9; Rom. i4,r3 .21) 47 • Di per sé la è~ovo'lcx. (~ III, co11. 6 .5 3 ss.) dei forti è legittima; lo stesso Paolo la possiede in sommo grado. Ma essa diventa un 1tp6uxoµµa. per i deboli che non si sono liberati ancora delle antiche pastoie (r Cor. 8,9; Rom. 14,21). Perciò in entrambi i casi, di Corinto e~ III, coll. 987 ss.) e di Roma(~ VI, coll. 192 ss.), Paolo rivolge alle comunità, in particolare ai forti, ammonizioni simili. r Cor. 8 ,9: BÀ.É1tE'te OÈ µT) ltWç 1) Èçov
    mentari a Le. 4,9 ss. 44 Per la questione cfr., ad es., BULTMANN, ]oh. 271. 45 Il tacito presupposto è questo: se uno ci vede, evita la caduta; se non ci vede, non la può evitare; infatti «non sa dove mette i piedi» (Io. 12,35; I Io. 2,II) e perciò neanche «che cosa lo fa cadere» (cfr. Prov. 4,19). Tutte le altre possibilità di cadere di giorno nonostante la luce del sole non vengono prese in considerazione. 46 Cfr. BuLTMANN, Tbeol. J61-379, spec. 364367. 47 Cfr. i commentari a Rom. 14 e 1 Cor. 8 e 10; per i numerosi punti di contatto e comuni alle due pericopi cfr. anche -+ STiiHLIN 260. 48 Per il significato di xplvw in Rom. 14 113

    dr. ~ coli. 377 s. 49 Il cod. B e un testo siriaco di almeno pari antichità leggono soltanto -tLltÉva.L uxciv5a.Àov. Similmente nel v . 2r la lezione con iì uxa.v5a.Mse-ta.L fi àcrltEvE~ è attestatn tanto bene quanto quella che non reca l'aggiunta. Probabilmente in queste differenze si riflette semplicemente la diversa sensibilità linguistica dei re.d attori (o dei copisti). Evidentemente il rapporto semantico 7tpouxoµµa./a-xciv5aÀov e 1tpouxo1t-tw/a-xa.v5o.ÀlsoµaL era già allora giudicato variamente ed è anche oggi controverso. In Rom. 9.33 e I Petr. 2,8 tale rapporto è accoppiato con l'altro discusso rapporto )...f.fJoç/ 7tÉ't"p~. Probabilmente anche quelle coppie di termini sono state sentite, al pari di quest'ultima, come sinonime da Pnolo e prima di lui

    a) L'uomo causa della caduta

    1t()OO'X01t'tW x-i:À.

    e Il 2aa.-~

    (G. Stiihlin)

    inciampo al fratello». L'apparente compromesso dei forti col paganesimo a Corinto e la condotta simile di un gruppo di Roma 51l sono però un 1tp6crxop.µrt. soltanto perché sono causa di un reale dolore per il fratello (Rom. 14,15.21 [ var. )), di una autentica crisi 51 • Il problema del 1tp6
    xa.L "TI €xxÀ.T)o-lq. -.ou 1>eou, «non offrite motivo di scandalo né ai Giudei né ai Greci né alla chiesa di Dio». I credenti dunque devono evitare ad ogni costo il 'ltpowc;) potrebbe suggerire per tbtp6c;xo'ltoç ylvoµrt.t il signilicato di comportarsi irreprensibilmente verso tutti, cioè in guisa da incontrare l'approvazione generale. Effettivamente a7tpfoxo7toc; ylvoµoct è sinonimo di àpfoxw (cfr. I Cor. 10,32 con Rom. 15,2), ma àpfo-xw non ha in Paolo soltanto il significato comune di comportarsi in modo da piacere, cortesemente, o di piacere a qualcuno (-> 1, coll. 1213 ss .). Piuttosto, nel caso di àpÉO'XW in Rom. 15,2 e in quello di Ù1tp6a-xo7to<; ylvoµa.t in I Cor. 10,32 si tratta di evitare tutto ciò che potrebbe scuotere ]a fede di altri(~ col. 367) o tratt enerli dal credere, ostacolando cosl H loro opov, cioè 1a loro salvezza (v. 33). Pao]o applica questo motivo anche a sé, in quanto apostolo, ma pr~babil­ mente in un senso un po' diverso: µnoe:µlcx.v Èv µ1)0E\lt 8to6vTEc; 1tpO
    già dai LXX; cfr. Orig., in epist11lai11 ad Romanos commenlarius 7,19 (MPG l4,n56B) e anche PRE.USCHEN-B/\UER 5, s. v. 7tÉ-i:pa. 2; B ERTRAM ~ x, col. 121 ecc. A favore di tale ipotesi sta anzitutto il parallelismus membrorum in Is. 8,14; Rom. 9 ,33; I Petr. 2,8 e il rapporto corrispondente tra ~p60-xo1.tµrx. e uxa.v-

    lìa.À.(l;w in I Cor. 8 ,9.13. Cfr. ancora WETT· a Rom. 14,13.21; BENGEL a Rom. 14,21; ZAHN, Rom. a 14,13.21 ; ---+ STAHLIN 171s.261-

    I

    STEIN

    265. Cfr. ~ STAHLIN 255 s. SI In Rom. 14,21 ~porrx6~'fW è quasi sinoni-

    50

    mo dell'à.~6)..),uµm di r Cor. 8,rr.

    oto6-

    3 ). Stando al contesto, 1tfJOuX01tlJV vat deve indicare un'azione che offre il fianco a rimproveri. Per amore del vangelo Paolo vuol evitare proprio che ciò avvenga, prescindendo dalla giustezza o meno della reazione negativa suscitata (dr. un ragionamento simile in 2 Cor. rr,12, ~VIII, coli. r324 s.). Egli è convinto che in tutto ciò che ha fatto nella sua esistenza di apostolo, descritta esaurientemente nei vv. 4-ro, non c'è nulla che possa provocare un tale scandalo. Perciò 1tpOO'X01t1)V ol&wµt ha qui un significato un po' diverso 52 da 1tp6uxoµµa •l1ìTJt.~t di Rom. r4,r3. Ma anche in 2 Cor. 6,3 si tratta in ultima analisi della salvezza della comunità. Cfr. il motivo conduttore della pericope nel v. l: µTj dc; XE'JOV ... (~V, coll. 328 s.). b) Cristo causa della caduta (Rom. 9,32 s. I Petr. 2,8) 53 Paolo (Rom. 9,32 s.) e l'autore della prima Lettera di Pietro (r Petr. 2,6-8), che per tanti versi gli è vicino, collegano, in due pericopi molto simili, due passi d'Isaia e li riferiscono in maniera analoga a Cristo: Cristo è sia il A.li>oc; ttpoO"x6µµ<%-roc; (e la TIÉ't'pa O"xavo&À.ou) Il medesimo significato si potrebbe supporre soltanto se oggetto di µw1.uUrDa.t ( biasimare) fosse Dio, come peraltro avviene nel caso di à.1iwµ.7]'t'Oc;, derivato da µwµlioµoct (2 Petr. 3,14; Phil. 2,15 [ var.] -+ vn, coll. 723 s.), e del sinonimo llµwµ.oç che nel N.T. «presenta una tensione in senso religioso ed escatologico» ed è usato con implicito riferimento al giudizio di Dio (-+ vn, roll. 722 s., spec. col. 722). 52

    di Is. 8,14 sia il Àliìoç ixÀ.Ex-.òc; &.xpo· ywvta.~oç di Is. 28,16. Certamente le premesse e il metodo delle due citazioni composite sono affatto diversi. Paolo prende le mosse dal destino d'Israele, che ha urtato fatalmente contro Cristo; l'autore di r Petr. per contro patte dall'edificio spirituale, del quale Cristo è la pietrn fondamentale. Altrettanto diversi sono i modi in cui i due passi di Isaia sono stati congiunti 54 • Paolo inserisce la decisiva duplice espressione di Is. 8,14 nella cornice di Is. 28,r6, con la conseguenza che la preziosa pietra scelta di quest'ultimo passo è sostituita proprio dal suo opposto. r Petr., invece, inserisce tra Is. 28, r6 e 8,14 un altro passo (ljl rr7,22), e collega questo con la duplice espressione di Is. 8,r4 in una connessione stretta quasi come quella che in Rom. 9,33 uni. sce Is. 8,r4 a Is. 28,I6: ou-roc; ÉyEv1ii>TJ Elc; xeqiaÀ1)v ywvlac; xcd Àl1ìoç TIPOO"x6µµa-roc; xa.t ?tÉ-rpa. crna.vòa.À.ov. Ptobabilmente xat ha valore epesegetico ( = cioè, vale a dire). Insomma la locuzione XEq>aÀ.Ti ywvla.c; di ljJ rr 7 ,22 è spiegata mediante l'altra (À.li>oç 'ltpOO'· x6µµa-.o<; X't'À.), in un costrutto peraltro allentato e condizionato dalle citazioni. Conformemente all'interpreta:done di Ps. n8,22 in Le. 20,17 s., la I Petr. trova dunque prefigurato anche nella pietta di Ps. rr8,22, oltre che nella pietra di Is. 8,r4 (e in quella di Dan. 2,34 s . 44 s.: Le. 20,18), l'effetto letale 53

    Cfr.

    col. 745; x, coJI. u6 ss. H . J. The Titles o/ Jesus in Acts, in JACK·

    ~ VI,

    CADBURY,

    soN-LAKE 1 LOR.

    5.373·s .; ~ FuLJ,ERTON; ~ TAY·

    Perciò è poco probabile che i due auto· ri citino un inno prepaolino che, prenden· do le mosse dai summenzionati passi del1'A .T., cantasse Cristo quale 'Pietra'; dr. E . G. SELWYN, The First Epistle of Peter 2 (1947) 54

    n 2,8.

    npocrxom;w

    X'tÀ.

    di Cristo sugli increduli, mentre altrove in Ps. u8,22 si scopre il valore salvifico di Cristo (Mt. 2I,42; Act. 4,n) 55 . In rispondenza al contesto, in Rom. 9 prevale il momento negativo (perdizione), in r Petr. 2 quello positivo (salvezza), mentre l'enunciato che corrisponde alla citazione (Rom. 9,33b=Js. 28,r6b; I Petr. 2,7 s.="' II7,22+Is. 8, 35 A tale interpretazione, che diverge da quella comune, corrisponde in 1 Petr. (e probabilmente anche in Le. io,17 s., ~ col. 354) anche un particolare senso concreto che si dà alla xe
    e Il 2b

    (G. Stahlin)

    (v1,756) 3ì2

    r4) in entrambi i casi è solo un'aggiunta secondaria 56 • In Rom. 9 l'occasione

    per il 1tpOO"X07t"t"Et\I dei Giudei è costituita per un verso dalla loro errata concezione della via della salvezza, per l'altro dalla negazione del Messia crocifisso (1 Cor. r,23). Cosl proprio la pietra di salvezza diventa per essi pietra di caduta 57 • Certamente in Rom. 9 1tpoO'x6cd è decisamente unica nella letteratura rabhinìca. Stando cosl le cose, sembra piuttosto dubbio che i due passi d'Isaia (e anche Ps. n8,n) siano presi da 1111 florilegio precristiano, almeno nel senso di una raccolta dì passi messianici, anche se in linea di principio non sarebbe impossibile che la teologia giudaica avesse parlato di una duplice azione del Messia verso i Giudei (salvc-aa) e verso i pagani (dannazione). Si potrebbe quindi avanzare al massimo l'ipotesi di un florilegio cristiano prepaolino ( ?). Cfr. ~ STAHLlN 193 e le opere ivi indicate, particolarmente J. R. HARRIS, Testimonies I (1916) i6-32; O. MrcHEL, P1111l11s tmd seine Bibel (1929) _37-42.53 s. 89 s.; inoltre ---? TAYLOR 96; anche~ VI, col. 759 n. IL 57 Paolo espone in Rom. 9, con l'immagine che gli è evidentemente familiare della corsa (cfr. 1 Cor. 9,24 ss.; Phil. 3,12 ss.; anche 2 Tùn. 4, 7), in quale maniera Cristo diventa il destino dei Giudei. Più precisamente, si serve delle espressioni tecniche che vengono dall'ambito sportivo, senza però sviluppare dùaramente l'immagine fino in fondo. Per tale caratteristica del linguaggio figurato paolino dr. W. STRAUB, Die Dilderspracbe dcs Apostels Pa11ltts (1935). I Giudei rincorrono (lìLwxw, cfr. Phil. 3,12) la giustizia (Rom. 9,30) cd erroneamente pensano che il traguardo sia l'adempimento della legge. Ma essi no11 arrivano (
    373

    l Vl , 7jOJ

    J\o(JVVll..,.J'\. \.\.U

    r., .. , ...

    7t't'lù non include, a differenza forse di r Petr. 2,8, la perdizione eterna. Ciò risulta, oltre che dalla continuazione del discorso di Paolo in Rom. 10 s., particolarmente dall'aggiunta della iscrizione incisa sulla pietra angolare ( ~ x, coli. I 12 s.): o '!ttrl't'EUWV i.r.' etù-i-0 où xa-i-atrrxuvi)l)rrE't'm, «chi crede in lui non sarà svergognato». La prima Lettera di Pietro ripete il concetto di Rom. 9,32 s., ma usando l'immagine in maniera diversa (~ n. 55): la pietra è la pietra angolare, che fissa la struttura dell'edHìcio e lo sostiene, ma allo stesso tempo rappresenta un peticolo se qualcuno v'inciampa. Esistono solo due possibilità: o lasciarsi inserire (v. 5) nell'edificio di Dio che poggia su Cristo, oppure urtare contro di esso e cadere. E queste due possibilità valgono per tutti gli uomini a cui viene rivolto l'appello del vangelo. In r Petr. 2,6-8 è espressa con particolare efficacia l'inseparabile confluenza dei tre momenti dello scandalizzarsi di Cristo(~ rrxavoaÀ.ov), dell'incredulità e della caduta rovinosa: perché inciampano in Cristo, gli uomini non credono in lui e non credendo in lui cadono per causa sua. Entrambi i passi sottolineano però che questa pietra dal duplice effetto è posta da Dio stesso 58 , e ciò significa che sono conformi alla volontà di Dio sfo ss Anche in Is. 50,7, citato in B4m. 6,3 (~ x, col. 121), è Dio che posa la pietra; dr. anche XE~'t"cx.t in Le. :i,34; I Cor. 3,n; ~ V, col. 313 n. I.

    '-'

    J.I

    ~'-' ~

    ,..._,.,

    ..,._,•tt• ••• J

    la natura di Cristo nella sua velata rivelazione sia la natura del vangelo con la sua giustificazione del peccatore. Questo annuncio chiama l'uomo alla fede per condurlo così alla salvezza e proprio in questo modo induce molti all'incredulità, divenendo la loro rovina. La posa della pietra e.la parte di Dio è sottolineata sia dalla variante -i-W·riµt (Rom. 9, 33; r Petr. 2,6), che altera il testo di Is. 28,16 nei LXX, sia dalle parole finali di r Petr. 2,8 (dc; xcd. É-tÉihirrav) 59•

    o

    c) étr.p6crxo1to\I dvat come meta escatologica (Phil. r ,10) Tutte le linee degli enunciati paolini circa l'incespicamento e la caduta dell'uomo convergono nel voto di Phil. r, 10: i:va -~-.E ElÀ.txpwEi:ç xa.t &.1tp6:rxo-

    dc; 1')µÉpav Xptrrnu. Il termine &.1tp6rrxo11:oc; può essere inteso in vario modo. I . &.1tp6rrxo1toc; può già avere il significato di irreprensibile, immacolato, 1tOL

    che sarà più tardi quello convenzionale

    e che forse era già corrente ai tempi di Paolo (--+ coll. 368. 379s.) 60 • 2. &.TI?O:JX07toç può significare senza provocare il biasimo di Dio, come in ep. Ar. 210 (-:> col. 352) e const. Ap. 2,25,3 (
    coli. 747 s. n. 71; interpretazione alquanto diversa in ~ STii.HLIN 197 s. 60 Così LoHMEYlìR, Phil.• 4d I. e altd ancora. 61 à7tp60'X07tO\I Elv~~ corrisponderebbe allora

    375

    (vr,757)

    3. È possibile, e forse più conforme al

    consueto uso paolino, che &.1tp6crxo7toc; esprima il desiderio che la comunità possa raggiungere il .-fÀoc; senza decadere dalla fede e quindi dalla grazia (cfr. Gal. 5,4): in questo caso &.7tp6crxo1toc; sarebbe molto vicino ad &7t't<X.tE4i, che è assai importante per Paolo (--+ col. 368; cfr. Rom. 8,8; I Cor. 7,32; 1 Thess. 2,4.15; 4, 1), ovvero a tù&.pecr-cov Eivcx.~ i>e<{> (cfr. Rom. l2,I s.; 14,18; :z Cor. 5,9; Eph. 5,10; Phil. 4, 18; Col. 3,20). «(Dio può) conservarvi (fino all'ultimo) tali che non cadiate».

    62

    \V l,/ )O) j/U

    deriva possono essere soltanto un frutto dell'azione di Cristo stesso, ovvero del suo Spirito) e dall'altro alla conclusione della pericope: Elc; o6çow X<X.L E'lt<X.t\IOV itEov, «a gloria e lode di Dio». Chi arriva alla meta <Ì.7tp6crxo1toç, deve ringraziarne soltanto Dio. 3 . La coscienza scandalizzata (Rom. I4, 20; Act. 24,r6) a) La frase xa.xòv "t"~ &vDpwm~> 't~ OtÒ. 7tpo
    non si allinea facilmente all'uso di np6axoµµci. (e 7tpocrx67t-tW) solito in Paolo. Intanto qui otci indica in ogni caso la circostanza concomi tante 65 ( cfr. 2 Cor. 2,4 e Gal. 4,13); poi tutta la pericope tratta della fede e della coscienza (--7 coll. 366 s.). Pertanto le interpretazioni possibili sono due: r. si tratta di ena caduta nella fede, che avviene quando si agisce contro la propria intima persuasione tradendo cosi ciò che si crede; in questo caso potremmo tradurre: «è male per uno mangiare, se dentro di sé incespica»; 2 . si tratta della riprovazione della coscienza scandalizzata: «è male se uno mangia e la sua coscienza è scandalizzata da quello che fa», cioè è male se uno mangia con cattiva coscien20)

    63 dç 'i}µ~pcx.v XpLO-"l'OU può significare: «fino al giorno di Cl'isto» (nel senso d'una attesa della parusia imminente), ma anche più in generale; «in vista del giorno di Cristo», o «per il giorno di Cristo». 64 Cfr. ÙJHMEYER, Phil., ad l. 65 Cfr. BLAss-DEnRUNNER § 223,3 con appendice.

    za, con una coscienz:i inquieta, che si ribelJa. Nella prima interpretazione 1tpocrxoµµa corrisponde quasi perfettamente ul significato di 1tpocrxon't"W nel verso successivo (v. 2r); ma 1a seconda è certamente preferibile. Nel contesto Paolo pensa a questo iato tra azione e coscienza, forse anche nell'uso di 01.cb~p1.a1.c; (v. I) e ow;xplvoµa.t (v. 23, ~ V, col. r 09 3 ). L'espressione òi.à 1tpo11xéµµa.-toc; ( v. 20) è allora molto vicina al significato di ota.xpw6µEvoc; (V. 2 3 ). Entrambe le volte s'intende la stessa frattura di Rom. 2,r5, dove si tratta similmente della testimonianza della coscienza. In I Cor. 8 e ro, due capitoli in cui l'argomentazione paolina scorre parallela a quella di Rom. r4 talvolta fin nei particolari, Paolo torna spesso a insistere sulla crisi in cui vien messa la coscienza dei deboli (I Cor. 8,7.ro.r2; ro,27 ss.). Ciò che vuol dire in Rom. 14,20 con 01.à 1tpo11x6µµa.,;oc; corrisponde un po' al -ru1t-re11-0a.1. o al µoÀ.vvEcri>at della crwEloricrtc; in x Cor. 8,12.7. Se quindi il significato di 7tp6crxoµµa. nel v. 20 è diverso da quello del v. r 3 o da quello di 1tflOO"X01t'tW del V. 2 I' ciò è perfettamente conforme alle abitudini linguistiche dell'Apostolo, che usa volentieri) nella stessa pericope e talvolta persino nello sttsso versetto, una parola in due diverse accezioni 66 (basti l'esempio di 66 Cfr. W. STAHLJN, Zum Verstiindnis von r K 2,6-8, in Verbum Dei 11u111et in aeternum, Fcstschrift filr O. Scbmitz (1953) 94-102. 67

    Invece dello svìluppo semantico non urtato

    xplvw proprio in Rom. 14,r3). b) La medesima idea che, come abbiamo visto, è probabilmente espressa in Rom. r4,20, è palesemente presente in Act. 24,16: Èv 't"OV"t"~ xat mhòc; àO'?lw &.r.:p6crxo1tov O'uvElo11aw EXEW npòc; -tòv i>eòv xo:i -.oùc; cìvi)pw1touc; OLà 1tav-.6c;. Una cruvElo·11crLc; à.1tpocrxo-n:oc; è o una coscienza 11011 scandalizzata da ciò che fa, cioè una coscienza tranquilla, pulita davanti a Dio e agli uomini, oppure una coscienza che non è offesa, ferita dalla propria azione, che è illesa, intatta 67 • Siamo in ogni caso nelle vicinanze della <1UVEL01]CTLc; àya.ihi (Act. 23,1) e della xa.i)apà O'tNEL01JO"L<; (2 Tim. 1,3). È dubbio che si possa vedere qui una «teologia della buona coscienza» 68 come contrassegno di un'età più tarda, giacché abbiamo visto (~ coli. 376 s. e ~ col. 367) che lo stesso Paolo si pone con tutta serietà il problema della coscienza (I Cor. 8 e Rom. r4).

    D. IL

    GRUPPO DI TERMINI NE LLA CHIESA ANTICA

    Nella letteratura cristiana dell'età successiva recede quel centrale uso teologico ed etico dci nostri termini che abbiamo riscontrato nel N.T., p~r dar luogo ad un impiego limitato ad alcuni ambiti-caratteristici. Anzitutto troviamo ancora l'uso letterale, precisamente nell'immagine favorita delle due vie (ad es. - illeso - irrepre11sibilc, indicato da PREUSCHEN-BAUER', s.v., è certamente più giusto ipotizzare quello di senta cadere - senza riportare dmmo - illeso. 08 Cfr. HAENCHEN, Ag. 570 .

    379 {\'1,758)

    1tpOUX\JVÉW (H.

    Herm., 111and. 6,1,3 s.) e in echi dell'A.T., come in lust., apol. 1,52,10: Èv-i-EÀ.ouµa;L -i-0 ~oppi[. cpÉpEw xrxt -r{il vb"~ µ-() 1tpoO'x6n-.Ew w, «comanderò alla Bora di portarlo e al Noto di non farlo cadere», cioè di non fermarlo (cfr. Is. 43,6: xat -.<;> À.L~l· µ'Ì] xwÀ.ue, «e al Libeccio: non impedire»). Ma è prevalente l'uso traslato (~ coll. 346 ss.) nel senso di scandalizzare. Cosi in I Clem. 21, 5; Herm., mand. 2,4 (1tp6a'xoµµa.1tov11p6v); Clem. Al., strom. 2,53,4. In tale accezione a1tp6 coll. 351 SS.) diventa anzi espressione fissa per indicare il servizio irreprensibile (ad es., I

    ~ à
    Grccven)

    Clem. 20,10, detto dei venti) e l'esercizio ineccepibile di un ufficio (ad es., I Clem. 6r,1, in una preghiera per le autorità), ma soprattutto il comportamento irreprensibile dei ministri della chiesa (frequentemente nelle disposizioni di const. Ap.: 2,9,1; 25,3; sacramentarium Serapio11is 28,2, ~ n. 19) 70 • Ma per tale uso di un'etn più tarda è appunto sintomatico che il pensiero non vada più tanto, come nel N.T., al pericolo a cui viene esposta la fede dei credenti, ma piuttosto alla perdita di prestìgio che minaccia i ministri della chiesa. G. STAHLIN

    2. Flavio Giuseppe; 3. Filone; 4. il giudaismo rabbinico.

    C.Il N.T. D. La chiesa antica.

    SoMMAtuo:

    A. Il significato dcl termine presso i Greci. B. Il significato del ten1Jine nel giudaismo: I.i LXX;

    t 1tp011XU\IÉW

    69 Per 1tpoux67t'tEW detto dci venti dr. Mt. 7,27; imche Pseud.-Aristot., de audibilih11s p. 801 a 14 s. e anche p. 802 a 26 s.; Aristot., probi. 5,17 (p. 882 b :r8 s.); .1.145 (p. 904 a 33 s.) parla viceversa di un 7tpoux67t'tEW 't~ àipt, 10 Il corrispondente latino è sine scandalo guhernare (ad es., Aug., Cresc. 2,n[13]=CSEL 52,371); cfr. ancora ~ STXHLIN 295.314.329. 353·

    vicw :r7 (1919) 241-3II; H. BoLKESTEIN, Theo·

    'ltpoaxuvlw A. ALFOLDI, Die Ausgestallung des monarchi-

    schen Zercmoniells am romischen Kaiserho/e: RomMitt 49 (1934) r·u8; O. T. ALus, 1'he Comment 011 ]olm IX 38 ili lhe America11 Revised \! rrsio11: Princcton Theological Re·

    La prima storia del significato del no-

    phrastos' Charakter dc:r Deisìdaimonia ols religionsgeschichlliche Urk1111de,RVV 21,2 (1929); L. CERPAux-J. ToNDRIAU, Le c11J1e des sot1veraìns (1957) s.v. proskynèse; CREMl!R-K6GEL, s.v.; A. DELATTE, Le haiser, l'agenouilleme11t et le proslernement de l'adoratio11 (7tpo01t6V'l}a~ç) chez les Grecs, Académie royale de Belgique, Bulletin de la Classe des Lettres et des Sciences morales et politiques, ''37 (19,p ) 423-4,0; J. HoRST, Proskynein (-i932) con bibl. delle opere più antiche (pp. 4-8) e storia del termine (pp. 10-14); LIDDBLL-ScoTT, s.v.; B. M. MARTI, Proskynesis a11d adorare: Languagc 12 (1936) 272·282; MouLTON·MILLIGAN, s.v.; PREUSCHEN-BAUER5,

    s.v.;

    PRmSIGKE,

    \Vort.,

    stro termine è oscura e controversa. GJi etimologi 1 sono quasi 2 tutti d'accordo nell'associare il verbo semplice xuvÉw all'antico alto tedesco kus, bacio; discordano invece quando si tratta di precisare gli elementi intermedi 3• Anche la più antica testimonianza del termine in Omero (ad es. lt. 6,474; Od. 23,208) indica la medesima sfera semantica.

    A. IL

    SIGNIFICATO DEL TERMINE PRESSO I GRECI

    È stato ipotizzato che il verbo composto 1tpocrxuvÉw 4 «non sia, in origine, che l'espressione greca di una manifestazione di vita orientale» 5 • Poiché il verbo compare per la prima volta nei tragici, si argomenta, esso presuppone contatti coi Persiani. Ad infirmare la fondatezza di una tale conclusione, vale non tanto una singola attestazione del termine in epoca anteriore 6 , quanto piuttosto una serie di altri motivi. Sarebbe veramente singolare che i Greci aves-

    s.v.; P. SCHNABEL, Die Begrii11d11ng des hell. Konigskultes dflrch Alexander: Klio 19 (1925) n3-127, spec. n 8-uo; L. R. TAYLOR, The 'Proskynesis' ami the Hellenistic R11ler Cult: JHS 47 (1927 ) 53-62; ID., The Divi11ìty of the Roman Emperor (1931), con la recensione di A. D. NocK : Gnomon 8 (1932) 513-518. 1 PRELLWITZ, Et3•m. 1Vort. 251; Bo1sACQ 535; WA!.DE-POKORNV I 465, S.V. qt1; HOPMANN 165; PoKORNY 626; - DELATTE 426. 2 Cfr. HoRsT x2 s. ScHWYZER 1 692 considera XINÉW denominativo di "xvvo- e lo confrontn con l'antico indiano ç1111am::::salvezza. 3 Il fatino adorare non ha niente che fare con OS (WALDE-POKORNY I 182; \XTALDH·HOFMANN 224; PoKORNV 781; - MARTI 279 s.) e pertanto non può essere confrontato con npoO'xu'VE~'V, contrarinmente a quanto sostiene F. HmLER, Das Gebet 5 (1923) 104. 4 Evidentemente 7tpO
    sera preso da una «manifestazione di vita orientale», che essi stessi rigettavano come indegna 7 , proprio il termine indicante l'adorazione 8 delle loro proprie divinità 9• Inoltre, anche se non si è ancora finito di discutere se il bacio che la persona che salutava mandava con la mano al superiore appartenesse o meno all'azione della proskynesis 10, è tuttavia inoppugnabile e sicuro che l'elemento significativo della prosternazione assume un tale risalto da non poter essere spiegato in alcun modo con l'unione dei due componenti di 7tpocrxuvÉw. Se 1tpocrxuvEi:v (che jn origine significa soltanto baciare con calore 11 ) non fosse stato usato già prima in un'accezione che includeva la prosternazione, allol'a i Greci, per descrivere il cerimoniale a cui ripugnavano, si sarebbero valsi di un mezzo che nasconde proprio l'aspetto ripugnante. Ora occorre considerare 12 che l'adorazione di divinità ctonie offre una spiesono rare e tarde [DEBRUNNER] . 643. 6 HoRST rimanda a un colinmbo di Ipponatte, fr. 37: '!tap' Wi C1Ù ÀEVX6'TtE'ltÀO\I 'l')µl-

    s CJIBMER-KOGEL

    PTJV µelv~ I 1tpÒç µÈ\I xvvi)cmv 't'Ò\I
    'Hipponax': PAULY-WISSOWA 8 [1913) 1891), non esclude una conoscenza delle usanze persiane; similmente pensa ~ HoRST 14 n. 3; 15. 7 Isoc., pa11egyric11s 151 (ed. R. RAUOIENSTEIN6 {1908)); Artian., anabasis 4,r2 (ed. A. G . Roos [ 1907 ]). B Ad es., Aesch., Pers. ·4 99; Soph., Oed. Col. 1654. Cfr. --7 DELAT1'E 436-44L 9 Cosi anche~ ALLIS 245, ~ HoRST 21. 10 Status q11aestionis e bibl. in ~ HoRST 4-6; F. ALTHEIM, recensione di The Cambridge Ancient History, vol. xn: Gnomon .z3 (1951) 93; cfr., ad es., passi come Xenoph., 011. 3,2,13 (con bacio?) e Isoc,. panegyricus 151 (~ n. 7) (senza bacio?). ll --7 DELATTE 426: baciare con fervore. 11 ~ HoRsT 18,24.

    '"JIVVhVvi.:.w ...... , ....... - - - - · - ··,

    gazione quanto mai semplice del sorgere del significato comune del termine. Chi vuol onorare con baci una divinità ctonia deve prostrarsi 13• Sbarcando sul suolo patrio alla fine del viaggio, sia Odissea sia Agamennone si prostrano e baciano la terra 14 • È qui che dobbiamo cercare «l'origine storico-religiosa» 15 del termine. Allo stesso tempo si vede come 1tpocrxu'\IEL\I abbia, come termine tecnico dell'adorazione divina, un'età veneranda, giacché l'adorazione delle divinità ctonie è verosimilmente più antica del culto degli dèi olimpici 16 • L'apparente mancanza del termine prima dell'età persiana (se ci si limita naturalmente al verbo composto) dovrebbe essere puramente fortuita 17• Si spiega inoltre così senza forzature come il termine sia spesso usato per indicare l'adorazione delle divinità greche. .Ben presto ] 'uso del termine si ttasferisce dal gesto esteriore all'atteggiamento interiore. Gl'inizi di questo trasferimento risalgono ai tragici. Cosl Neottolemo esprime il suo timore reverenziale davanti alle frecce di Eracle dicendo (Soph., Phil. 656 s.): ap' Eo"tw 13 Una variante di questa prassi è il bacio dell'altare. F. ]. DOLGBR, Zu den Zeremonien der

    Messlit11Tgie: u. Der AJtarkuss= Antike und Christentum II (I930) 217-2n ha fatto appa· rire probabile che l'uso liturgico cristiano di baciare l'altare abbia un precedente pagano. 14 Hom., Od. 4,_ 5 22; 5,463; 13,354; cfr. anche la congettura di PEARSON a Soph., Phil. 533 s. indicata nella ~ n . 18. 1s ~ HoRsT 18. 16

    Cfr. O. KERN, Die ReUgion der Grieche11

    1

    (1926) 27-48. 17

    Cfr.

    ~ ALLIS 245 n. 10:
    wcrn :x:&:yyuÌÌE'\I ìJfov À.a{3Etv, xal

    Ba·

    cr"t'acrat µE 7tpocrxvcrat 1)'wcntEp ì1E6v;,

    «potrei ammirarle da vicino e toccarle e baciarle come sacre?». Poco prima Filottete esorta Neottolemo a lasciare solennemente la grotta in cui è vissuto: twµev, mxi:, 7tpocrxucraV"t'E "t'D\I fow 11.ot:x:ov EicrotY.'!}O"tV 18, «andiamo, :figlio, dopo aver baciato questa casa non casa» (ibid. 533 s.). Con l'andar del tempo il termine assume un significato sempre più lato e vago, benché l'uso originario continui a sussistere collateralmente. In questo sviluppo ha certamente avuto un'influenza decisiva per la storia del significato di 7tpocr:x:uvEtv la divinizzazione dei sovrani, che ebbe inizio al tempo di Alessandro Magno e culminò nel culto romano dell'imperatore 19• Per la sua stessa natura il materiale epigrafico testimonia ptevalentemente la proskynesis cultuale. Cosl un'aretalogia di Asclepio (i>) del II(?) sec. d.C. comincia un'esatta descrizione della guarigione con le parole: a(rraic; "t'aic; 1)µlpatc; rat~ "t'L\lt "t'ucpì..~ &xp11µa:now ÈMEtv È7t[ì "t'Ò J lEpÒ\I 0fiµa xa.t 7tpocrxuvfjcra.t d['t' ]a à7tÒ -co\.i oE!;toii ÈMEtv È7tt -cò àptO"'tEpòv X"tÀ.., «in quei giorni a un certo Gaio, cieco, (il dio) ordinò di salire sulla piattaforma sacra e adorare (dunque si tratta di una proskynesis ufficiale), poi di girare da destra verso sinistra ... » (Ditt., Syll.' III II73 20 ). Per contro i papiri dei primi secoli cristiani usano il termine

    w

    sono usati in Omero una sola volta, in Pindaro solo 4 volte, in Esiodo mai. 18 Cosl con CH. CAVALLIN (1875), H. M. BLAY· nns (1908), R. C. }EBB (I908). Simihnente W. DINDORF° (x885): E.lç otx'l)01.V. A. C. PEARSON (1924) congettura:· npoaxvua.v-te yijv fow I

    Ek

    if.o~xov otx'l)OW. 19 Per tutta la questione

    cfr. ~ HoRST 39-42. Cfr. inoltre DITT., Or., indice VIII, s.v. 1tpooxuvlw e npocrxv\l'l)µo:; PREISIGKB, Sammelbucb II 44x, s.v. Ricco materiale sulla proskynesis cultuale nell'antichità cristiana e non cristiana in F . J. DOLGER, Sol Salutis 20

    in un senso del tutto sbiadito. Una schiava (? ), all'inizio del II sec. d.C., cosl scrive al suo padrone che si è ammalato in viaggio: wqiEÀ.ov E.l Èouvci.µ.Ei)a 'itÉ"racn')m xcx1 ÈÀ.itEi:\I xa.L 1tpocrxu\ll}cra.l O"E, «magari avessimo potuto volare e venire a servirti» (P. Giess. I 17110 ss.). Un figlio prega il padre di scrivergli per poter ancora mirare con amore e riverenza la sua ben nota scrittura: ... t\11z O"OU 'r.pOO"XIJ\ll}O"W "r'Ì)V XÉpa\I ( =XEi:pa) (BGU II 423,15 s. [II sec. d.C.]) 2t. A partire dall'inizio dell'età imperiale nella formula iniziale della lettera viene inclusa l'assicurazione della preghiera pe1· il destinatal'io: npò µÈµ (sic) nei.[ v hwv E\Jxoµal O"E uyLalVE:LV, XO:L ( "rÒ] 7tpOCTXUVl)µ<X_ a'OU 1WLW 7tapò:. ['rii)] xupl~ J.:ocprhtOL (BGU III 843 [I-II secolo d. C.])22.

    (1925), indice s.v. 7tpocriw\IÉW, Prosky11esis. in PREISIG-

    21 Ulteriori numerose indicazioni KE, Wort., s.v. 1tpocrxu\IÉW.

    Cfr. anche WRNDJ,AND, Hell. K11lt. 414; D1l!EL1us, Tbess., a r Thess. 1,2; DEISSMANN, L.O. 141 n . 12; W. SPlllGELDERG, Papyrus Erbach: Zeitschrift fiir agyptische Sprache und

    22

    Altertmnskuode 42 (1905) 54. Per le formule con npocrxu\IT)µcx. cfr. F. X. J. EXLER, A Study in Greek Epistolography, Diss. Washington (1923) xo8-II2 (DEDRUNNER). 13 Dei 171 esempi di biJtaljìiwa 164 vengono tradotti nei LXX con npoaXU\IEL\I, uno con xa:'t'WP~Àei:v (r Reg. 2,19), uno con 'ltOtEi:\I (sic; I Reg. n,33) e 5 vengono tralasciati completamente; in 4 di questi ultimi 5 casi Aquila, Simmaco e Tcodozione hanno però ugualmente >-poaxuve~v: Ios. 5,14; Is. 36,7; 60,14; Ier. 7, 2. Per r Sam. 1,28 manca il testo di Aquila, Simmaco e Teodozione. Per l'etimologia e la derivazione di biSta!Jtiwa dr. GESENIUS-BUHL, s.v.; di parere diverso è R. MEYl!R, recensione cli Ko1mrn·BAUMGARTNER: ThLZ 82 (1957) 425. 24 In 4 passi: in Is. 44,15(?).17 biJta{Jawa e siigad vengono tradotti insieme con 7tpoaxu·

    B. IL

    SIGNIFICATO DEL TERMINE NEI. GIUDAISMO

    I. Nei LXX 1tpocrxuvEtv è quasi l'unico termine usato per tradurre da un lato histaplnoa 13 e dall'altro sagad 24 ovvero s"gid (aramaico) 25 , due verbi che significano fondamentalmente prostrarsi, inchinarsi. Inoltte traduce una volta ciascuno i verbi niifaq 26 = baciare' eiibad = servire, adorare (Ps. 97,7) e zull (aramaico 27 =tremare; 3 volte assomma poi in sé kàra' =piegarsi, e histapawa (Esth.3,2 [bis].5). I traduttori furono praticamente costretti a usare 7Cpo
    'ltpov-

    25 r2 passi in Daniele (2,46; 3,5-7.1ò-12.r4 s. 18.28): i LXX traducono costantemente con r.poaxvvEi:v; Teodozione non traduce il verbo in 3,10. 2JJ I Reg. 19,18; cosl anche Simmaco in lob 31,27 (LXX: tq>l)..T)acx.); Ps. 2,12 (i LXX si cliscostano dal T.M.: 'lttx.i!Ma. ~IX, coll. 146 s.); Aquila: :x:rt:tcx.q>ik{Jo-a-;E; per il bacio cultuale cfr. anche Os. 13,2. 27 Dan. 6,27 (LXX); Teodozione: -rpɵo\l·rn; . u 'arfll e simili: Gen. 18,2; 24,52 ; 33,3 ecc. 'appa;im 'arfa e simili: Gen. 19,1; 42,6; 48, 12 (43,26: aggiunto dai LXX) ecc. 2 ~ qiidad = gettarsi in git1occhio ricorre l 5 volte, sempre in associazione con bista!Jawa o nelle sue immediate vicinanze. Meno rnra è l'associazione con mlfal=proslrarsi. Inoltre si hanno kiira' = inchinarsi (Ps. 22,30; 95,6; 2 Par. 7,3; 29,29; cfr. anche i verbi indicati ~ qui sopra e siigad inchinarsi (~ n . 24). Fatta eccezione per quest'ultimo verbo, tutti gli altri sono usati anche con le determina:r.ioni indicate soprn e~ n . 28). 30 La traduzione errata di Ge11. 47,31 con

    =

    7CPO
    fa alcuna differenza, a questo proposito, che la proskynesis sia diretta a Dio, agli dèi o ad uomini. Il fatto che 1tpOO'XUVEL\I possa essere usato per tradurre nii'faq (~ n. 26) o in parallelismo con esso (Ex. 18,7) mostra che quando venne eseguita la traduzione dei LXX nella parola greca si sentiva ancora il momento del bacio 31 , anche del bado cultualc 32 • Quasi tre quarti degli esempi di 'ltpoO"Y.U\IEi:v nei LXX riguardano l'adorazione e il culto dcl vero Dio e Signore 33 oppure quello di idoli 34 • Anche qui angeli, messaggeri di Dio, vengono salutati dagli uomini pii nella stessa maniera 35• Qmmdo 7tpOUXUVEL\I non indica un atto singolo, bensì la regolare pratica dell'adorazione divina, sta spesso in parallelo con À.tt:tpEUEt\I ( = 'iibad, ~ VI, coll. 173 s.) 36 • Ciò che spetta a Dio spetta per riilesso anche ai suoi eletti: non solo gli Egiziani dovranno gettarsi ai piedi di Mosè pregando di esser risparmiati, ma anche i popoli e i re della terra si prostreranno nella polvere davanti a Gerusalemme redenta 37 • Inoltre sia il verbo sia l'azione significata hanno una notel'ltt -.ò /l.xpov Ti}c; pu{31ìou aù-.ou ( = Hebr. 11,21) sembra, no-

    npovEXU'JT)IJEV 'I<rpa1J)..

    nostante la sua oscurità, indicare un gesto di rispetto e riverenza; ~ n. 40. 31 Per la traduzione del gesto di mandare un bacio con 1CpOO"lGUVftV dr. ~ HORST 60 s. 31 L'ultimo periodo è dovuto a BllRTRAM. 33

    Ge11. 22,5; 24,26. 48. 52; Ex. 4,31; 24,1; Dcut. 26,10; Pr. 5,8; 29,2 ccc, 34 Ex. 20,5; 23,24; 34,14; Deut. 4,19; r Reg. 22,54; 2 Reg. 5,18; Is. 2,8; 44,17 ecc. 31 N11111. 22,31 ; per Gen. 18,2; 19,1 coli. 388 s. 36

    Ex. 20,5; 23,24; Delll. 4,19; 5,9; 8,19 ecc.

    37

    Ex. n,8; l.r. 45,14; 49,23.

    vole importanza nei rapporti interperso. nali, nel qual caso non mancano probabilmente presupposti numinosi riguardanti, ad es., la potenza. La proskynesis va soprattutto al re o in generale a chi ha un potere superiore 38 • David si prosterna davanti allo spirito del profeta Samuele, i discepoli del profeta e la donna di Sunam compiono lo stesso gesto davanti ad Eliseo 39 • Ma anche dove 1tpooxvvEi:\I sembra esser diventato un semplice gesto di ringraziamento o cli amorevole venerazione, l'azione dovrebbe esprimere sempre in qualche modo la convinzione che la persona che si ono. ra in tale maniera è strumento di Dio 40 • Perciò anche nell'episodio di Abrnmo e Lot che ricevono i messi divini ( Gen. 18,2; 19,1) non bisogna intendere il ge· sto come una manifestazione di pura cortesia verso ospiti illustri, ma ricordare che nell'antichità il forestiero gode della particolare protezione divina o sta addirittura in un misterioso rapporto con la divinità (dr. Hebr. 13,2). Inoltre Abramo e Lot col loro gesto, che Ad es., David davanti a Saul (r Sam. 24,9); Betsabea e Natan davanti a David (r Reg. I, l6.23.31); Giacobbe davanti ad Esaù (Gen. 33, 3-7); i figli di Giacobbe davanti a Giuseppe (Gen. 37,9.10; 42,6; 43,26.28); Rut davanti a Booz (R11th 2,10). 33

    31 r Sam. 28,14; 2 Reg. 2,15; 4,37; Ex. 18,7 va piuttosto classificato con r Reg. 2 ,19, ~ n. 40.

    40

    Così tre volte David davanti a Gionata (1

    Sam. 20A1); David davanti ai ministri di Salomone (r Reg. 1A7; in maniera simile va ptobilmente inteso Ge11. 47,31, - n. 30); Salo· mone davanti a Betsabea (r Reg. 2,19); Mosè dav:mti a Jetro (Ex. 18,7 ).

    non è certamente insolito ma pure è espressamente menzionato, senza saperlo rivelano ai lettori o agli ascoltatori chi è il visitatore. La proskynesis di Abramo davanti agli Hittiti sembrerebbe un puro gesto di formale cortesia (Gen. 23,7.12); ma il rispetto completo della forma sta a sottolineare la piena legalità dell'acquisto del terreno in questione da parte di Abramo. La protesta contro tale 'forma' si avverte per la prima volta nel libro di Ester 41 , dove il rifiuto di Mardocheo di prostrarsi davanti ad AmG.:1 (li\ l'avvio all'intreccio vero e proprio dell'azione drammatica. Non c'è passo in cui si possa pensare che il nostro verbo non indichi la proskynesis in senso pieno, cioè la profonda genuflessione. L'unica eccezione si ha in 4 Mach. 5,12, dove si può notare l'indebolimento semantico del verbo nell'area della cultura etnico-greca: Antioco consiglia al vecchio Eleazaro di salvare la propria vita mangiando un pezzetto di carne di maiale ... xat ':tpoO'xuv·l)crctc, µou 'ti}v cpLÀ.avi}pwnov 1w.priyoplu:v otx'tLpYjcrEic, •Ò uw.v-rou yf)po.c,, «e rispettando il mio benevolo consiglio avrai compassione della tua canizie». Mentre la grecità profana usa il verbo quasi esclusivamente come transitivo, i LXX non costruiscono quasi mni, 41

    Estb. 3,2.5. Cfr. --+ HmtsT r21-125.

    42 Cfr. HELBING, Karussyntax 296-298; BLASSDr:.BRUNNER § 15r,2 (con ulteriore bibl.).

    Ios., tmt. 3,91; 8,248; 9,133; ~ HoRsl' Il3 s. 4-1 David
    43

    tranne poche eccezioni, 7tpocr.x:uv;oi:v con l'accusativo, bensì sempre con il dativo o con locuzioni pteposizionali 42 • Questa particolarità dei LXX è certamente dovuta anzitutto alla costruzione ebraica con t• e li/né; ma non mancano nemmeno ragioni interne. La costruzione transitiva aveva come punto di partenza il significato di 'baciare con fervore'; ma questa idea non è possibile in un culto senza immagini. 2. In linea di massima Flavio Giuseppe segue l'uso linguistico dei LXX. -r.po:rxuvEi:v indica anche per lui tanto la venerazione di Dio o degl'idoli quanto la riverenza per gli uomini. Tuttavia ci sono delle differenze non trascurabili. Nella contrapposizione tra l'adorazione giudaica e quella pagana della divinità, 7tpoEòv 7tpOO'JCUVOVCTL, -.ou'tcp -còv A.o.vlriÀov TJ'11tasE-co,

    Betsabea r, coli. 1319 s. n. 4) cfr. anche ~ lioRST 63 s. 46 bell. 2,336.350, dr. 360; -> HoRST r27. 45

    'l':poaxvvÉw B 2-4 (H. Greeven)

    «gettatosi con la faccia a tena, al modo in cui adorano Dio, cosl rese onore a Daniele» 47 • Nuovo, rispetto ai LXX, appare l'uso di 1tpoo-xuvE~V riferito al tempio 48 o alla torà 49• Però quando nel suo discorso ai difensori di Gerusalemme assediata egli fa notare che «il luogo santo è profanato da mani di co!lllazionali, mentre anche i Romani lo venerano ( 'ltpocrxuvEi:V) da lontano» ( bell. 5, 402), Giuseppe non pensa tanto ad una prorkynesis in direzione del tempio quanto ad un atteggiamento di ammirazione riverenziale 50 • 3. In Filone accanto all'uso religioso puro si fa già più netto ed evidente l'uso profano. Quando egli condanna !"adorazione' della ricchezza, il contesto mostra che gli ripugna proprio il fervore addirittura religioso di tale venerazione (spec. leg. 1,24). In un altro passo, trattando della triste sorte di chi è venduto in schiavitù, dice: µ'l)o'ova.p •Ò •fli:; 7tt:x:tplooi:; itoa<poi:; E't~ 7tpoo-xuv1)uov-cai:; (spec. leg. 4,17), dove è incerto se intenda indicare una proskynesis religiosa o una manifestazione spontanea di amor patrio. Benché nella polemica contro il po1iteismo pagano esorti a non adorare chi è della nostra stessa natura ('tOÙ<; aOEÀ.q>oÙ<;
    48 Ad es., aut. 13,54; 20,49; beli. 2,341; 5, 38r. 49 ani. 12,114; parimenti già ep. Ar. 177.179 narra che quando gl'inviati cli Elcazaro gli portarono i rotoli della legge, Tolomeo Filadelfo rese omaggio ai libri sacri compiendo sette volte l'atto della proskynesis prima di salutare gli ambasciatori con una stretta di mano (179 dr. 173}, ~ col. 390. 5-0 Giuseppe costruisce generalmente 7tpocrxv\1Et\I con l'ace., più raramente col dat. Cfr.

    te1li s'inchinano davanti a Giuseppe; op. mund. 83: gli animali si prosternano davanti ad Adamo). Per contro, quando dice che la proskynesis all'imperatore è un' <msanza barbara» (~ct.pBap~xòv !Hb;) che contrasta con l'antica libertà romana, tenta semplicemente di far apparir<> ai Romani in una luce più favorevole il rifiuto della proskynesis da parte delfo legazione giudaica (leg. Gai. rr6). Fil0 ne usa 1tpocrxvvE~V in senso ttaslato prima di tutto con riferimento a cose sacre, come il tempio, la festa del perdono o la Scrittura (leg. Gai. 310; vit. Mos. 2,23.40); ma anche qui al culto del vero Dio corrisponde il culto degl'idoli, e Filone biasima coloro che sono idolatricamente attaccati allo sfarzo e alla superbia della vita urbana (decal. 4) 51 • 4. Per i rabbini la proskynesis è uno dei tanti atteggiamenti che si possono assumere per pregare. Di regola si pregava stanto in piedi 52 ; ma si narra che già R. Akiba (t c. I35) avrebbe usato spesso prostrarsi quando pregava da solo (quando cioè non guidava altri nella preghiera) 53. Più tardi si distinsero vari tipi di prosternazione, uno dei quali, la cosiddetta qtda, sarebbe stata già praticata da R. Shimon b. Gam1iel ( t 70) 5~. La letteratura rabbinica parla inoltre della proskynesis rivolta ad uomini, discutendo e definendo quella che nell'A. T. era riservata ai re e agli altri grandi d'lsraele 55 , ma ricordando anche quella ScHLATTER, Komm. Mt. 31. grafo cfr. anche SCHLATTER,

    Per tutto il para-

    Jos. 74.

    Qui si trova anche l'associazione con 'tElh}che in Filone è usata abbastanza frequentemente quando non si tratta dell'adorazione di Dio in senso stretto. 52 Cfr. STRACK-BILLERllECIC II 259 a Le. 22,41 e le indicazioni ivi fornite. 53 T. Ber. 3,5(6) (STRACK-BILLERDECK n 260). S.J Sukka b. .53a bar. (STRACK-BILLERBECK II 51

    7tfva~,

    261). 55

    Sheb11ot b. l6b

    b~r. (STRACK-BILLERBECK l

    r. Quando il N.T. usa npocrxvvEi:v, l'atto è rivolto sempre a qualcosa di divino o di presunto tale. Mt. r8,26: m:GW\I ... 'ltpOCTEXV\IE~ CX.Ù't (V. 2 9: 'ltECTWV ... ltO:pExaÀn o:ù-.6v ), «gettatosi ai piedi gli rendeva omaggio». Questo passo è solo apparentemente un'eccezione a quanto abbiam detto, giacché è improbabile che scegliendo questo verbo Matteo voglia descrivere semplicemente la dovuta proskynesis de1lo schiavo al padrone ovvero al re (~ x, col. 307 ). Contro tale interpretazione restrittiva non sta soltanto l'uso solito di ltpocrxvvEi:\I nel N.T., ma ben più il fatto che Matteo altera o amplia il testo di Marco non meno di cinque volte per presentare espressamente come proskynesis l'atto di colui che si avvicinava a Gesù: il lebbroso (Mt. 8,2, cfr. Mc. IAo), Giairo (Mt. 9,18, cfr. Mc. 5,22), i compagni di barca (Mt. r4,33, cfr. Mc. 6,51), la cananea (Mt. 15,25, dr. Mc. 7,25), la madre dei fìgli di Zebedeo (Mt. 20,20, cfr. Mc. ro,35). Anche l'unico caso di

    procedimento contrario sembra collocarsi nella medesima prospettiva: molto probabilmente Mt. 27,29 non conserva fa proskynesis dei soldati ricordata da Mc. x5,19 perché per lui il verbo indica sempre una manifestazione di autentica adorazione. Se ne può dedurre che in Mt. 18,26 la parabola non corrisponde rigorosamente ai canoni di Jiilichet, ma dietro 1'&.vltpw'ltoc; (3C1.oÙeuç fa intravvedere Dio stesso. La minor frequenza riscontrata in Marco rispetto a Matteo 57 non consente nemmeno di parlare - nei casi in cui persone che cercano semplicemente aiuto si prostrano davanti al rabbi galileo - di una «proskynesis profana» davanti a Gesù quale «forma consueta di saluto rivolto a persone considerate degne di rispetto» 58 (ad ogni modo, non nel caso di Matteo). Questa forma · di saluto può essere esistita (~ colI. 392 s.), ma l'uso del termine in Matteo dovrebbe piuttosto significare che coloro che si prosternano rivelano già col loro gesto, senza saperlo né volerlo, con chi hanno che fare. Anche la proskynesis dei Magi (Mt. 2,2.n, ripreso in 2,8) è diretta in realtà al Signore dell'universo. L'empia pretesa assoluta del tentatore si manifesta anche nel!~ richiesta della proskf neSis, che invece compete solo a Dio

    r8 a Mt. 2,2).

    DECK I

    Ket. b. 63a: davanti a R. Akiba; STRACKI 5r9 a Mt. 9,18); Pett j. i,x (r5 d,28 s.) e Sa11h. b. 27b (davanti a R. Jonatan e

    1325 s. 57

    R. Papi, con bacio del piede;

    58 ~ HORST 186.

    fatta davanti a rabbini come segno di venerazione 55 . In tale prassi si riflette palesemente l'idea che questi uomini sono con Dio in un rapporto particolarmente stretto in virtù del loro intenso studio della torà. C. IL

    N.T.

    55

    B1LLERDECK

    STRACK·BILJ.J.lR-

    2

    996 a Mt. 26,49);

    ~ HoRST

    64; 1, coli.

    npouxuvEi:v appare in Mt. i3 volte, in Mc. (5,6 e r5,r9), in Le. (+Act.) 7.

    1tpooxuvfo.1 e

    I-2

    (H. Greeven)

    (Mt. 4,9 s.; Le. 4,7 s.) 59• In confronto al- ... É'ltÌ. 7CpOO"W1tO\I (-7 X, coll. 306 s.). la prosternazione di coloro che vengono 2. A tutta prima potrebbe sembrare a Gesù per essere aiutati, la proskynesis dei discepoli è menzionata raramen- che nell'episodio della samaritana (Io. 4.20-24) 61 'ltpoo-xu'llEL\I sia usato in sente, e sempre per un motivo particolare: l'improvvisa illuminazione che Gesù è sc totalmente traslato, giacché Gesù paril Figlio di Dio (Mt. 14,33 [ -7 IV, col. la di un npoO-XV\IEL\I «in spirito e veri243], dr. Io.9,38) o l'apparizione del tà» (v. 2 3 ). Prima di trarre questa conSignore risorto (Mt. 28,9.17; Le. 24, clusione bisogna però fare alcune considerazioni. Intanto, anche se l'atto della 52 00). non sta più in primo piaprosternazione L'usura del verbo 1tpoo-xuvEi:v riscontrato ad es. nei papiri (-'> coll. 3 84 s. ), no né ha alcuna rilevanza, la discussionel N.T. e più in generale in tutta la ne verte tuttavia sul luogo dell'adorasfera della fede israelitico-giudaica 61 e- zione. Inoltre sullo sfondo si scorge l'urn ostacolata dalla concezione che pone- so tecnico del verbo pe1· indicare il pelva in evidenza la distanza di Dio. Pietro legrinaggio dci Giudei a Gerusalemme respinge la proskynesis di Cornelio di- (vedi anche Io. 12,20; Act. 8,27; 24, cendogli: «Sono un uomo anch'io» (Act . 11 ). Quando Gesù, dunque, invece di 10,25 s.). Persino l'angelo rivelatore indicare come meta del pellegrinaggio deìi'Apocalisse richiama il veggente che uno dei due luoghi menzionati dalla si era gettato ai suoi piedi e lo indirizza donna 63, parla di adorazione tuVE~V è usato per indicate l'adorazione di forze demoniache ancora in Aci. 7>43; Apoc. 9,20; :i:3,4.8.12.1:;; 14,9.u; 16,2; 19,20; 20A. «> Supposto che le parole 1tpoo-xuv-ficro.v·m; a.in:6v appartengano al testo odsinale. 61 L'unica reale ecçezione è costituita JJ6'1w; Év'turxavouow à.)..)..o-.pll(l -.&.8t)..cpi{j



    xa.t 'tTJ\f TCEpt a.ÌJ'tÒ\I 6.!;lwow xrt.:ra.n)..a.yÉV'tE<; EDE~ mi;)..a~i{) 1tpo~xU\louow .. . Anche qui fl)E~

    mi}.crn'.ì) suona quasi come una scusa. Cfr. ~ HoRS'l' 293-307; ScHLATTER, Joh.

    62

    126; BAUER,

    ]oh., ud l.; BULTMANN, Job., ad I.

    Per il Garizim e Gerusalemme come punti verso cui ci si volgeva nella preghlera cfr. D6LGER, op. cit. (~ n. 20) 186-189. ~ Cfr. anche Bm.TMANN, Joh. :i:40 n . .3· fl

    ferma invece che l'adorazione e la preghiera devono essere conformi alla nuova realtà nella quale solo il Figlio può farci entrare (cfr. ~ 1, col. 663). Non c'è quindi più alcun luogo che possa pretendere di essere l'unico legittimo luogo di adorazione; ma ciò non significa che l'adorazione stessa possa o debba prescindere da un luogo concreto o, ancor meno, che il gesto stesso dell'adorazione sia stato abolito. 3. Il quarto evangelista non sta cosl su posizioni diverse da quelle dcl veggente dell'Apocalisse, davanti ai cui occhi il culto celebrato in cielo si svolge come una ripetuta e continuata proskynesis (Apoc . .po; 5,I4; 7,u; u,16; I9,4) con la quale si indica la prostrazione ogni volta esplicitamente menzionata. Anche coloro che in terra adorano Dio (Apoc. II ,I 65 ; r 4,7) o il drago e la bestia (Apoc. r 3,4.8.r2.15; 14,9. II; 16,2; I9,20; 20,4) vengono designati come 1tpocrxuvo\.l\l>tEç. Alla fine dei giorni non solo tutti i popoli appariranno davanti a Dio e l'adoreranno (Apoc. 15,4), ma anche i servi di Satana, a Filadelfia, faranno Ja medesima cosr, nei riguardi dell'angelo della comunità del luogo (Apoc. 3,9). Il ripetuto rit\.;

    Cosl con LoHMEYER , Apk., ad l.

    6ti

    La contraddizione formale tra 3,9 e 19,10;

    22,8 s. s i risolve se si nota che l'angelo della comunità è un messo e uno strumento di Dio (Apoc. r ,16.20; 2,1; 3,1), ma che la comunità i·apprescntata in lui starà in futuro presso il trono dell'agnello (14,x.3). Con la predizione della proskynesir si afferma semplicemente che

    fiuto del gesto da pane dell'angelo intetprete mostra che l'autore intende sempre la prosky11esis in senso proprio

    (Apoc. 19,rn; 22,8 s. 66). 4. Basta uno sguardo alla statistica dell'uso di 7t()OO'XU\IEL\I nel N.T. per notare un fatto curioso: il verbo è abbastanza frequente nei vangeli, negli Atti e poi nell'Apocalisse, mentre manca del tutto nelle lettere, fottn eccezione per due citazioni dell'A.T. in Hebr. r ,6 ; II, 2r e I Cor. 14,25. Se si prescinde da Act. 24,Ir (dove 7tpoo-xuvdv è termine tecnico indicante il culto nel tempio, -7 col!. 396. 400 ss. ), il passo paolino (r Cor. 14,25) è l'unica testimonianza di proskynesis neHa comunità protocristia· na. Anche qui però Paolo non intende evidentemente descrivere una prassì comune, bensì esprimere efficacemente (e per questo scopo si rifà volutamente all'uso linguistico dell'A.T.) l'incondizionata sottomissione dell'li.mcr"o.:; a Dio, di cui riconosce la presenza nella comu· nità. Prescindendo dunque da 1 Cor. 14, 2 5, vien detto che si prega in ginocchio (Act. 9,40; 20,36) o a mani alzate (I Tim. 2,8) 67, senza però che il verbo r.:pocrxuvEi:v venga usato. Anche questo dimostra quanto fosse sentito il valore la comunità partec.ipcrà al trionfo dell'agnello sui suoi nemici. 67 La frase xaµ'lt..W -tà y6va-çQ: µou 1tpliç -tliv 7ta.-rÉpa...., tva. ... (Eph. 3,14 ss.; --'> v, col. x67) corrisponde sostnnzialmente a r.poO'XVVELV, ma è usnta figuratamente per rendere l'idea della preghiera, mentre nel resto dcl N.T. 7tpocrxuVEL\I non subisce un tale affievolimento di significato.

    399 (VI,766)

    7tPO'.T>:U\lfoJ

    e 3 - ';iflOCT;(UVTJ'tlJç (H. Greeven)

    plastico del verbo: la proskynesis ha bisogno di una maestà che sta davnnti all'adoratore e al cui cospetto questi si prostra 63 • Il Figlio di Dio in terra era visibile a tutti (vangeli) e il Signore glorificato si mostrerà di nuovo ai suoi quando alla fede subentrerà la visione (Apocalisse).

    D. LA

    CHIESA ANTICA

    Per i Padri apostolici valgono le stesse osservazioni fatte per il N.T.: 1tpocrxvvdv è usato quasi unicamente nella descrizione del culto pagano w. Soltanto in mart. Polyc. 17,3 leggiamo: 'toih·ov

    µÈv yàp vLòv ov-ca 'tOU 'Ì)Eou npocr:x.uvou-

    -cLxÌ]

    'ltpocrxuv1]ut<; (honoraria adoratio ),

    che compete alle sacre immagini, e una aÀ:l)i}LV-l) Àa.'\'pe:la. (vera [a tria), che spetta soltanto alla natura divina (iì 1CpÉ'ltEL

    µ6vn 'tTI i}El~


    72



    Sintassi: rispetto all'uso dei LXX, il verbo è costruito più frequentemente con l'accusativo, secondo il migliore e più antico uso greco 73 • Tuttavia il costrutto di gran lunga più diffuso è quello col dativo_ Locuzioni preposizionali come Èvwm6v -.woç hanno il loro modello nei LXX. Non è possibile provare una costante differenza di significato tra i costrutti con l'accusativo e quelli col dativo 74 •

    ·t 1tpOuXU\l'l)'t1]<;

    µev, «noi, infatti, adoriamo lui (=Cristo) che è Figlio di Dio». Tuttavia anche in questo caso in cui npocrxvvE~V riguarda la fede cristiana il verbo è usato con un'accentuazione polemica per distinguere nettamente l'adorazione di Cristo dalla venerazione dei martiri 70• Per contro act. Phil. 42 narra che una ragazza, a cui l'apostolo aveva promesso la guarigione, «gli si prostrò davanti in adorazione dicendo: 'Mi prosterno al medico che è in te'» (1tPOCTEXU\l'ijCTE\I 't@ À.Éyouo-a: 1tpouxvvw -.òv Èv croL la-.pbv) 71 • Più tardi l'uso della parola subisce una notevole limitazione: il vn Concilio Ecumenico (Nicea 787) stabilisce la netta distinzione tra una 'ttµ'l')·

    Nel N.T. 1tpocrxuvn-.l]ç compare solo in Io. 4,2 3: ot &.À:r11>1voL 7tpoo-xuvri.-al. Nel contesto del dialogo di Ge-

    M Cfr. anche~ HoRsT 193 spcc. n. 4. :l Cle"'· l,6; 3,1; rnart. Polyc. 12,2; Diogn.

    7l [Osservazione di DEBRUNNER]; cfr. BLASSDEBRUNNER § 151,2 (con ulteriore bibl.).

    2AS. 70 H.

    74

    a.u-

    {fJ

    v. CAMPENHAUSEN, Bearbeitunge11 und I11terpolatio11cm des Polykarpmartyriums, SAH 1957, 3 (1957) 26-28 ha inoltre dimostrato che la frase fa parte di un'interpolazione del :wo ca. 11

    [Aggiunta cli NocK].

    72

    J. D. Mt.NSI, Sacrorum conciliorum ... collcc-

    tio vm (1767) 377 D s.; dr. H. v. CAMPENHAU· S1'N, Die Bilder/rage als theol. Problem der altcn Kirche: ZThK 49 (1952) 56.

    1. Fuori del N.T. il termine è attestato per la prima volta in una iscrizione del III sec. d.C., trovata in Siria (Ditt., Or. I 262,2r), in cui è riportata una deliberazione assunta nell'interesse dei pellegrini che si recavano a una festa ( 'tO~<; &.v1ouun 7tpocrxvv1)'tatç) e inviata a suo tempo all'imperatore Augusto. Si tratta quindi di un documento immune da ogni influenza cristiana. Tutte le altre testimonianze a noi note dipendono invece da Io. 4,23.

    2.

    Come sostengono invece E.A.A1moTT, Joban11i11c Vocabt1lary (-r905) 133-142; ID., Johannine Grommar (1906) 78 s.; LoHMEYER, Apk. a 14,7; cfr. ~ HoRST 33·39.

    7tpOO"KUVT]'ti}ç CREMER- KéiGEL,

    PREUSCIIEN. IlAUER s'

    s.

    li.;

    BuLTMANN, ]oh. 140 n. 7; DmssMANN, L.O. 79 s.; J. HonsT, Proskynein (193:l) 306 n. 2; PRBISIGKE, 1Y/or/. lI 406.

    "l\.f'V~'{/V.."V',

    sù con la samaritana l'espressione significa veri, genuini, sinceri adoratori, che sono (come precisa il seguito, -7 coll. 'ltpocr À.a.p.f3avop.at ~ vr, coll. 48 s. 7t!)OCTÀ.'fJµ~nç ->VI, coll. 48 s.

    l.

    L'etimologia del vocabolo è incer-

    ta 1, ma il significato è sicuramente fresco, nuovo. a) Con riferimento a cose che sono soggette alla decomposizione e

    all'avvizzimento: fresco, non guastato, incorrotto: insieme con Épo"fiEt<; ( = rugiadoso), detto del cadavere di Ettore (Horn., Il. 24,757; cfr. 419), di pesci (Menand., fr. 397'4 [Korte]), di frutti e olio (Aristot., probi. 20,30 [p. 926 a 30; 927 a 29]), di sangue (Hippocr., epid. 7,ro [Littré v 318]). b) Con riferimento ad eventi recenti oppure a persone appena comparse: ultimo, re-

    .t. ~ )

    \'-• • l.1'.111u1"'iJ

    \ . - 11 ........ , . - -

    396 s.) coloro che «adorano in ispirito e

    verità».

    H.

    GREEVEN

    1tpocrp.ÉVU) -7 VII, coll. 39 s. Tipocr-.a
    «uva fresca e secca» (ebraico laf?: Num 6 ,3); «un nuovo amico» ( = \IÉoc;, opposto di à.pxa.i:oç, 7tO..À.!Xto-): Ecclus 9, ro. b) Nuovo nel senso di illecito, rispetto al tradizionale: ~i::òc; 7tp6crqiix't'oc; (accanto ad à.À.Ào'tptoç) = 'el ziir (ljJ 80,10); per tradurre fladriWm miqqiirob = xmvot npoo-q>ct"tot [ ilwl], «nuove divinità straniere» (Deut. 32,17). c) Per indicare avvenimenti recenti: ou:x. fo't't\I rcfi.v 7tp6c1
    cente, nuovo, che non c'è stato prima: &lxa.t (Aesch., Choeph. 804), Òpy1} (Lys. 18,19; Ios., ant. 1,264), E.Òepyecrlai (Polyb. 2,46,1), µap't'upeç ... ot µÈv 'ltaÀ.a.tol. ol SÈ 'ltpocrq>a."toL, «testimoni antichi e recenti» (Aristot., rhet. 1,15 [p. 1375b 27]).

    L'avverbio 'ltpOO'cpa:twç significa da poco, recentemente, ultimamente: Ditt., Or. I 315,23; Ios., bell. l,127; ant. ro, 264. 2. Nei LXX: a) fresco, recente, nuovo. a"te>:a"toc; xixt o--ca.qilç,

    L'avverbio significa poco prima, poco fa: Deut. 24,5; Iudith 4,3.5; 2 Mach. 14,36; Ez. u,3 (per b0 qifri3b).

    3. Nel N.T. l'aggettivo è usato soltanto in Hebr. 10,20: fiv €vi::xalvto-ev i)~ti:v ò&òv 1tp6crcpa't'OV xat 't,wO"a\I &tà 'tOU %C>:'t<X.1tE't'aO"µa't'O<;, 't'OU't Ecr't't\I 't'Tl<;
    1tp6crCjlrk'toç, 1tflOO'cpa'tw<; PAssow, LmnBL1.-ScoT'r, MouLTON-MILLIGAN, PREUSCHBN-BAUER5, s.v.

    1tp6c;-<pr1:toc; (ilElvw, cpovÉw) = mr1cellato di fresco [per l'occasione)? Oppure viene da m1

    1

    r-;p6crqia. {dr. µÉO'Cjl~ = µÉXPL: SCHWYZER I 503 , aggiunta 2)? Meno probabili le derivazioni da 1tp6cr-
    l.1 cortina, cioè la sua carne» (--7 VIII, c.:oll. 214 ss. ). Il passaggio alla parte parenetica di 1-1ebr. (vv. 19 ss.) riassume ancora una volta il risultato dell'opera di Cristo. In virtù del sacrificio perfettamente valido di Gesù, sommo sacerdote, la nuova comunità possiede ora il diritto 2, finora non manifestato (9,8 ), di accedere al santuario (cioè a Dio stesso : dr. 9,24) (v. 19). Il risultato dell'opera di Gesù è la creazione della ooòc:; ?tpéxrqa-.oc:; XC1.t l'.;wO'a che ora è stata aperta 3• Tn questa frase -:;;p6:rq>a.-.oc:; riunisce due

    idee. Da un punto di vista cronologico

    la rivelazione in Cristo è il nuovo evento, la nuova realtà 4, rispetto alla quale l'n'1tica via che conduceva al luogo santissimo scade a mera ombra della realtà futura (cfr. 8,13; 10,1). A tale novità si :iggiunge poi la nota della qualità 5 • Come la vitalità della via si manifesta nel fotto che da essa emana una viva cd efficace virtù (cfr. 4,12; 7,25), così 1tpOO'qJa.-roc:; esprime ]'imperitura freschezza della nuova rivelazione, davanti alla quale le cerimonie e 1 riti stantii appaiono come «opere morte» che impallidiscono di fronte al culto reso al

    "JtapfJTlc:rl(I. (--'> ix. coli. 923 s.) è più c:hc semplice franchezza soggettiva; è il diritto oggettivo di nvcre una tale franchezzn. 3 -+ iyxawl!;w rv, coli. 1362 ss.; MtcHEr., I-lebr. , ad t. ; C. SPICQ, L'épitrc aux Hébreux 2

    (1953) 4

    ad t.

    Anche se più sbiarfon. la stessa accezione appare in Herm., sim. 9,2,2, dove -r.p6:Tq>Gt"t'oç è l'opposto di r.t:t.À.ri~6ç (rupe nntica con portn scavata di recente). Cfr. DIDBLIUS,

    Dio vivente (cfr. 9,14). Il conciso pensiero del v . 20 (che vuol essere una spiegazione del v. 19) contiene un parallelo un po' oscuro . Mediante [8tù] -tfic; 0'(1.pxòc:; w'.rtou l'autore riprende il pensiero di Èv 't'éi) a.l:µa.-.t 'I11c;oi) e
    Herm., ad l.: «Solo negli ultimi tempi è diventato possibile accedere ·all'antica città di Dio».

    > SPICQ, op. cit. (4 n. 3) 315: «È una qualità che la nuova via conserverà sempre, perché nella nuova alleanza niente invecchierà più».

    Hebr.; JoH. SCHNl!lDER (-+ v. coli. 255 s.); E. KXsm.tANN, Das wandernde Gottesvo{k 1 (1957) 145-147 e altri. 6 RIGGENBACll,

    1 ].

    HÉRING,

    L'épitre a11x Hébrcux (1954) ad I.

    "f\.fJUlit.'J"tt.V"/

    Ll.

    \ .L •

    .Ll'J l '>\:" I

    1 l I

    1JU';JJ

    .:.t VV

    Ti:pocrcpopa ~ cpÉpw

    7tpOCJW1tOV, EÙ7tpOCJW1tÉW, 1tpOO'W1tOÀ:Y'}

    µIJ; la.,

    1J µ'1:1)<;,

    TCpOO"W1tO À.

    7tpOO'W1tO À T) µ:rt'l:ÉW,

    &.7tpOO'W1tO À1) µ 7t'tWc;

    t 1tpOO'W1tO\I

    C. L'uso li11g11irtico del N.T.: r. il volto; 2. il lato esposto; 3. il volto di Dio; 4. la persona.

    SOMMARIO:

    A. L'uso linguistico presso i Greci: I. il

    2.

    volto;

    D. L'uso li11g11istico della chiesa antica:

    la maschera;

    3. la persona.

    B. L'uso ling1dstico tld LXX e del tardo giudllismo: l. i LXX: I. il

    2.

    volto;

    il lato esposto;

    ~.il

    I.

    A. L'uso

    LINGUISTICO GRECO PROFANO

    Il significato fondamentale di 'ltpé
    volto di DJo;

    n:il tardo giudaismo: 2.

    r. 7tpocrwttov nei Padri apostolici; 2. r.p60-w1wv nella cristologia e nella dottrina trinitaria ddln chiesa antica.

    Filone e Giuseppe; scritti pseudcpigrnfìci e rabbinici .

    7t(J6
    Per B:

    Per A:

    Gottes A11gesicht: BFTh 12 (1908) 321-347; W. \Y/. GnAF BAUDISSJN, 'Gott scha11e11' i1I der alt.licben Religio11: ARW r8 (z915) 173-239; E. G. GuuN, Das Amlitz Jahwes im A.T., Annales Acadcmiac Scientiarum Fcnnkae 17,3 (19i3); F. NoTSCHER, 'Das A11]. BoEHMER,

    PREISIGKE, 1Vort. II 421 s.; LIDDBLL-ScoT'r, s.v.; PREuscHEN-BAUER5, s.v.; K. PRAECHTER,

    IIp6uw7tov:

    Philol 63 (z904)

    r5~ s.;

    S.

    Persona und IlPO~flilON i111 Recht twd im chr. Dogma (r906); A. TRENDELI!NBURG, Zur Geschichte des lVortes Person, Kantstudien 13 (1908); R. HrnzEL, Die Person, Begri/] tmd Name derselhen im Altert11m, SCHLOSSMANN,

    SAMiinch 1914,

    10

    (1914); H. RHEINFELDER,

    Das Wort 'Persona', Geschichtc sci11er Bedcutang mit besondercr Deriiksichtig1111g des franzosischen rmd italienischen Mittelalters, Bcih. zur Zeitschrift flir Romanische Philologie 77 (1928); F. AL'l'HEIM, Persona: AR\V/ 27 {r929) 35-52; M. NÉDONCilLLil, Prosopo11 et persona ,fllr.s l'r.11tiq11ité clllssique: Rcvuc dcs Sciences Rcligienscs n (l9.18) 277-299 ; L . MALTEN, Dic Sprache des 111e11schliche11 Antlitzes in der A11tike: Forschungen uncl Pott-

    schrittc 27 ( 1953) 24-28.

    gesicht Gottes schauen' nach bibl. rmd baby. Jo;1iscber A11/frmrmg (1924); J. MoRGENSTERN, Moses with the sbi11i11g Face: HUCA 2 (1925) l-28; ]OBA~!NtSSOHN, Priipos.; H. MmnENDORF, Gott sieht, eilJe terminologischc Studie iibcr das Schauen Goltcs im A.T., Diss. Frciburg (1935); A. Il. JoHNSON, Tbe Vitality of tbe Individuai in tbc Thought of Ancient Isrrrel (t949) 42-46. Per C: S. ANTONIADIS , Neotesta111e11ticll 1 : Neophilo· logus r4 ( r929) 129-132. Per D: ScHLOSSMANN (-> p e r A); A. GRILLMEIER, Dlls Konzil vo11 Cb(//kcdo11 r (1951) 49-52.

    1tp6!1wrcov A

    'hpocrc..mov ... npocrwTtou oÈ -.ò µi:v ùnò -cò BpE-yµo:. µE•o:!;v -cwv 6µµci-cwv µÉ-.w11:ov, «la parte sotto la calotta cranica si chiama 7tp60"wTtov (faccia) ... la parte della faccia che occupa la zona inferiore della regione frontale, tra gli occhi, si chiama µÉ'tW'JtOV (fronte)» 1• Anche per comprendere gli altri usi del termine bisogna partire da questo significato fondamentale. r. Il volto

    Il vocabolo 1tp6crw1tov è attestata per la prima volta in Omero, dove è usato quasi esclusivamente al plurale col significato di faccia, volto dell'uomo; Horn., Od. 19,361: yp11ùç oÈ Xtl.-cÉcrxe"tO XEpcrt 7Cp6irwr:a., «e la vecchia nascose la faccia tra le mani»; Il. l 8A14: 0"1t0'Y'Y{{) o' à.µ
    Non coglie nel giusto l'antica spiegazione di

    Tbes. Stepb. vr 2048: «rtp61Jwrcov=quod est circa oculos; Pars, quae est cfrca oculos; -çÒ 1tpÒç "t'O~ç wi!iL 1.dpoç». Infatti la 'ipostasizznzione' da 'ltpolJ (antico *1tpo-ç j) -<ù1t è certa, ma non si capisce bene quale fosse l'idea soggiacente. Certamente non è circa oculos, giac· ché 11p6ç non significa attomo, ma fondamentalmente verso, di /ro11te. Suggestivi tentativi più recenti: ScHWYZER II 517 n. 1: «Ciò che è rivolto verso gli cechi (di un altro)» o, an-

    (E. Lohse)

    1

    ( VI,770) 4011

    dominante di tutto l'ovale della parte anteriore del capo 2 • Accanto al plurale c'è però già nell'età antica l'uso del singolare, che successivamente sarà l'unica forma cortente: Hes., op. 594; Aesch., Ag. 639; Soph., Oed. Tyr. 448; Eur., Hipp. 280.720; Aristoph., av. 13:2.I; Simonides 3 37,12; Plato, Euthyd. 275e; leg. 9,854d; Xenoph., Cyrop. 2,2,29; Demosth., or. r8,283; per l'età ellenistica cfr. Wilcken, Ptol. 70,5; BGU III 909,12; xo:I. TioÀ.À~ Ò:O"EÀyl)µa:rn À.Éywv Ei.c; 7tp6crw1t6v µou (P. Oxy. v1 903, 21 ). Di regola il termine è usato in greco solo per la faccia dell'uomo, talvolta anche per il volto degli dèi (Eur., 10111550), ma non per il muso degli animali 4: -CÒ o'ù1tÒ -.Ò XprJ..VlOV OVOµcXSE'tO:t 1tpocrw1tOV btì. µ6vov -cwv iJX>...wv s~wv ò:vDpw7tou· lxWoç yà.p xo:ì. Boòç où ÀÉye-.at itp6crw1tov, «la parte sotto la calotta cranica si chiama -r.p6crw1toV soltanto, tra tutti gli animali, nel caso dell'uomo; nel caso del pesce e del bue non si dice 11:p6crw7tOV» (Aristot., hist. an. 1,8 [p. 491b 9]). Non mancano però eccezioni: Hdt. 2,74 (dell'ibis); Aristot., hist. an. 6,29 (p. 579a 2): itp6crw1tlX (ÈÀO:cpwv); 9.47 (p. 63ra 5): TCp6crw1tOV -cfjc; rtmou. Poiché il volto determina la figura di tutto l'uomo, 7tp6crwrcov può talvolta si· gnificare l'aspetto, la figura dell'uomo: (Eur., Med. I 198) eÙcpvÈç 1tpOO"W1tOV. La locuzione fissa xrx:tèt. 1tp6crw7tov serve a indicare la presenza personale: Plut., cora meglio, F. SoMMER, Zur Geschichte der griech. Nominalkomposita: AAMiinch N.F. 27 (1948) n5 n. 1: 1tp6crwm.t. è «la parte della testa che si trova verso gli occhi, sul lato degli occhi» (questa definizione si adatta solo agli uomini, non agli animali) [DEBRUNNER]. 2 ~ MALTJ!N 3

    Ed. T.

    24s.

    BERGK,

    (1882). 4 ~ HIRZEL

    47.

    Poetae Lyrici G1aeci

    III

    ••f"'-- - ··-· - · - - -.····----- --

    Caesar 17 [1 716a]: Cesare scriveva agli amici quando gli era impossibile il colloquio diretto ('tlJV xa.i;à 7tp6o-wrcov EV'tEu!;v11); lnscr. Magn. 93b II: xa.-rà. 7tp6crw'ltoV Myouc; É'ltoL-ljcrav'to; Preisigke, Sammelbuch I 517 4,15: xo:.t É'itE{)W't'l)i>dc; 1tap'O:.V'tOV XO:.'tà 7tp6crwrcov CXV"tOV wµo À.6y1)0"EV' ((e interrogato da lui, confermò in sua presenza». Cfr. inoltre Iscr. Priene 41,6; Ditt., Or. II 441,66; P. Oxy. VII 1071,r. In senso traslato 7tp6crw'ltov ha spesso

    il significato di fronte ed è frequente nel linguaggio militare; Xenoph., Cyrop. 6, 3 ,3 5: 't'Ì]V xa:tò. rcpfowrcov 'l'i')c;
    La maschera

    La maschera che l'attore si mette imita un volto umano e perciò è chiamata anch'essa 'ltp6crwrcov 5; Al'istot., probi. 31,7 (p. 958a 17): i;à. --cpix:ytxà rcp6crw7tet; Demosth., or. 19,287: èivEu 'ltpocrw'ltou xwµa~Et; Luc., !up. trag. 41: 'tà 7tp6crw'lta. 'tWV 1}Ewv, «le maschere degli 2 dèi (che entrano in scena)»; IG 1 276 6: 7tp6awrcov ùrc6:pyupov xo:-taxpucrov, «una maschera d'argento placcata d'oro». In epoca più recente apparve accanto a rcpoO'W'itOV anche la forma 7tpOCiW1tE~ov (ad es., Ios., bell. 4,156), ma unicamente per indicare la maschera teatrale; an-

    che np6vwt.ov continuò però ad essere usato comunemente in tale accezione: W0'1tEP OÈ oL ÉV '\'OLç 1'}ErJ.'tpOtc; opetµt:X... wv -.wwv trn:oxpt'\'CX.L oùx 01i:Ep ÀÉyouo·lv ElO'LV, oùO' 01tEp {3ÀÉ1t0\IW.t xcdf 7tEpi.XEtv'tCX.L v:p6o-wnov "t'ou'to -i:uyxavoucrw, «come nei teatri gli attori di alcuni drammi non sono ciò che dicono né ciò che appaiono secondo la maschera che assumono» (Orig., orat. 20,2). In senso ttaslato 1tp6crwnov può quindi significare il personaggio, la parte che l'attore interpreta; Luc., calumniae 6: 'tpLWV o'oV"tWV 'ltpOO'W1tWV xcx.i}arcEp È.V 'tcx.i:c; xwµ~ola.tc; 'tou otcx.f3&ÀÀ.ov'toc; xcx.t 'tOi'i oLcx.{3a.ÀÀoµÉvou xa.t -tou 7tpòc; ov 1) ota.{3oÀ.'D YLVE'\'Ctt, «essendo dunque tre i personaggi, come nelle commedie quello del calunniatore, quello del calunniato e quello davanti al quale avviene la calunnia»; Epict., diss. 1,29,45: 'ltp6o-EÀ~E È\/ 1tpOO'W1t~ 'tO~OU"t'~, l,29,57: -.ou•6 µoL -r:ò 7tp6crw1tov &.vciÀcx.f3g 7 • Secondo Epitteto ogni uomo deve cercar d'interpretare bene, nella vita, la parte che è stata destinata proprio a Jui: i;o OoÌ}Èv \moxpi.VEO'~at 7tpOO'W1tOV XetÀwç (ench. 17). Nei dialoghi della diatriba l'autore presentava volentieri l'opinione di un innominato avversario, chiamato tecnicamente xwcpòv 'ltpouwnov, di cui discuteva il punto di vista per poter cosl sviluppare più chiaramente il proprio pa· rete. Philo, Flacc. 20: xwcpòv wc; È1tt O'Xl)Vfjç 'ltpocrwm:i:ov; cfr. anche Plut., an seni sit gerenda res publica 15 (u 791e) 8 •

    o

    tata un termine del vocabolario giuridico solo · più tardi. Cfr. ~ HrnZEL 47 s. È ancora controverso se il latino persona= maschera, perGEN (1924) . sona, sia o non sia un imprestito dal greco 7tp6o-wn:ov (tale imprestito si sarebbe potuto 7 Il greco 1tp6a-w1to\I è affine al latino perso11a che può significare maschera, parte drammati- avere solo per vie traverse): W ALDE-HOFMANN tica, persona, personalità, mentre in greco (co- 291 s. [D1mRUNNER] , me mostreremo tra poco) 7tp60'WTIO\I è divcn- 8 Cfr. Drneuus, Jak a 2,18.

    5 ScttLOSSMANN

    6

    37;

    ~

    Hrnzm,

    Editio minor, ed. F. HlLLER

    40

    s.

    voN GXRTRIN-

    r.pòo-wr.ov

    L~

    3. La persona Nell'età ellenistica 1tpOG"W1toV viene anche ad assumere il significato di persona, per indicare l'uomo ne~la ,posizione occupata in seno alla soc1eta che lo circonda 9 • Il volto, «l'occhio è cosl sionificativo per gli dèi e per gli uomini, 0 che da esso si• conosce ] a persona» IO. np6crw7tov viene così a prendere il posto di altri termini (ad es., -> crwµa), che ptima erano usati nel significato di persona u. È questione dibattuta e di incerta dimostrazione se già Polibio abbia usato 7tp6crw7tov nell'accezione di persona. Infatti H',rrrow 'lÌ'YEµ6va xa.t 1tp6crwitov significa «cercavano un comandante e persona ragguardevole;» {Polyb. 5 ,I 07, 3); •Ò -.ijç 'E)..)..O:ooç òvoµ;-t xat 7tp6crw1toV significa «il nome e il volto della Grecia» (Polyb. 8, 13 ,5 ). L'uso di 7tp6crwitov in Polyb. x2,27,10: -.ò -rov '0ouc;crÉwc; 'ltpOCTW'ltOV si riallaccia all'accezione già vista (-+ col. 410) di personaggio drammatico, parte 12 • Per contro abbiamo sicuramente np6!Jwitov nel senso di persona nei seguenti testi: P. Oxy. XIV 1672,4 (37-41 d.C.): ;Evotç 7tpocrw7totc;, «a persone estranee»; Pseud.-Phokylides xo (Diehl' II 92): µ'Ì) xpi:VE 7tp6!Jw7tov; Plut., de invidia et odio 6 (n 537f): ò cpì}6voç &7t'tE'tat µ6;À.tcr-.a 'tWV XPYJcnGh1 xat auç,oµÉvwv 7tpòc; ci.pE't'Ì)v xat M;ocv xat 1)ì}wv xat -r.pocrwnwv «l'invidia colpisce soprattutto colorn ~he sono buoni e crescono in 9 Per~ R1-1EINFELDER

    6·17 il significato 1tp6cr-

    = persona deriva dal linguaggio teatrale, perché nell'attore che interpr~ta il perso~ag­

    W7tOV

    gio di Edipo noi vediamo Edipo, di mamera che «persona non indica più la scorza, ma la sostanza della cosal> (p. 8). Tale derivazione del concetto è però troppo angusta. IO 4 MALTEN 25. Il 4 HlRZEL 5 -19. Anticamente awµ« pote~a essere usato ancora senza alcuna nota spregia· tiva; solo più tardi il suo significato si svili

    3 l t.:.. Lonst: J

    \":l..>// ... ,~,. ..:..

    virtù e nella fama dei costumi e delle persone»; P. Oxy. II 237 col. VII ~4= tç, Alyu7t-.iaxwv 7tpocrw7twv. Cfr. moltre Dion. Hal., de Thucydide 34; Epict., diss. 1,2,7; Plut., de garrulitate ~3 (1~ 509b); P. Ryl. 28,8. Nel linguaggio dei grammatici ?tpocrw1toV significa poi la persona grammaticale: Dian. Thr., art. gramm. 638b 4; Apollon. Dyscol., de pronominis appellationibus ~ ~ 13 • Nei primi due secoli d.C. non s1 incontra ancora l'uso tecnico di 7tp6vw1toV nel senso di persona f!.ÌtJridica 14 • È vero ch.:: Frinico 15 (u sec.) lamenta che gli oratori in tribunale parlino spesso di ?tpbcrwna · ma Ja critica è diretta all'uso scorret~o che fanno della lingua greca. Solo più tardi, e probabilmente per i~fluenza del latino pel'Sona (-+ n. 7), npocrwnov assume un significato tecnico e ricorre spesso nei documenti legali: oi -.ò ITÒ'J 1tpoO'tù7tOV 1t)..r)pouv·n:c;, «i rappresentanti della tua persona» (Preisigke, Sammelbuch I 6000 Il r. I 3 [VI sec.]); •'Ì)V WVÌ)'ll 'tÌJV "(E\/OµÉVT}V d.c; 'ltpélTW'ltOV -.ou crov EÌ.p'r)µÉvou à.oùrpov, «l'acquisto intestato alla persona del tuo suddetto fratello» (ibid., riga 25); civa7t)..r)pouv-.Ec; -.ò 7tOOO'W1tO\I -.o\i ylo [ U µova
    a

    tanto che crwµa. venne :t significare semplicemente lo schiavo. Cn
    persona. Per l'interpretazione
    12

    JJ Ed. R. ScHNEIDER-G. UHLJG, in Gra111111alici Graeci n 1 (1878) 3 riga 1 2. 14 Per la questione dell'uso giuridico di r.p6o-wr.ov dr. ~ SCHLOSSMANN.

    IS

    Ed.

    c. A. LODECK

    (1820)

    .379·

    B. L' uso

    LINGUISTICO DEI LXX E DEL TARDO GIUDAISMO

    I.ILXX Nei LXX 7tpoa-w7tov è usato più di 8 50 volte e nella stragrande maggioranza dei casi traduce l'ebraico piinzm. Rende inoltre anche 'a/ (Gen. 2,7); mar'eh (I Bmr. x6,7 [cod. A]); 'ena;im (1 Baa-. 16,7; Am.9,4 [cod.A]); peh(lji54,22) e 'anaf (Dan. 3,I9 [LXX, Theod.J) 16• L'ebraico piin2m è connesso al verbo pii11ii = volgere, e indica la parte volta verso chi guarda, quindi sia la faccia, il viso, il volto di una persona, sia la parte anteriore di un oggetto inanimato 17 • Il significato di 7tpoo-w1tov nei LXX corrisponde all'ampiezza semantica dell'equivalente ebraico.

    r. Il volto Anche nei LXX 7tpoo-wr-ov significa frequentemente viso, volto: €Ì:OEV fo:xwf3 -.ò r.p6crwri:ov "t'OU AaBav, «Giacobbe vide il volto di Laban» (Gen. 31, 2 ); 'tÒ 7tp6o-wri:ov i:ou -r.:ai:p6c;, «il volto del padre» (Gen. 50,1 ); 7tp6crw7tO\I 'tOU nmoaplou (4 Ba.et. 4,29.31); ErtEO"E\I Af3paµ É1tL 7tpOO"W7tO\I airt"ou, cioè si gettò con la faccia a terra, secondo la comunissima espressione usata per indicare un saluto riverente o l'adorazione ( Ge11. x7 ,3 ); &.7tÉcr'tpEljJEv 6 BaO"LÀEÙc; i:ò np6crw7tov aùi:ou (3 BM". 8,14). Vedere la faccia dcl re significa ottenere udienza, essere ammesso alla sua presenza' così che OL opwvnc; 'tÒ 7tpOO"W1tO\I 'tOV f3aa-tÀÉwc;, ((coloro che vedono la 16 Senza conrnrc le locuzioni preposizionali CO· me &:n:b 'ltpouC:.rrrnv e i loro equivalenti ebraici. 11 Cfr. KoEHLER-BAUMGARTNER, s.v. e~ JmmsoN 42-46, ove abbiamo ricco materiale che illustra l'uso linguistico dell'A.T. Johnson a proposito della forma plurale panim osserva felicemente: «ln verit.ì il fotto che in ebraico l'uso di questo sostnntivo semitico sia limitato

    foccia del re», diventa acldirittur;\ un titolo dei funzionari di corte (4 Ba
    Talvolta la faccia significa in realtà tutto l'uomo. Così in 2 Ba
    Il lalo esposto

    Come l'ebraico piinlm significa il lato esposto, la parte volta verso chi guarda, cioè la faccia anche di oggetti inanimati, cosl i LXX usano spesso 7tp6a-w1to\I in una accezione simile: -.ò 7tpo
    -)o

    BAUDISSlN

    191;

    ~ VIII,

    mli. 913 S.

    Cfr. b1pi>a.À1lot 1tpbç bcpi)a.).µou.; (Ts. 52,8); u-;ofla r.pbç u-.61.1a ('IE~. 39A [32,4]l. 19

    415 (VI,772)

    la terra» (Gen . 2,6); crxonEuwv -r.pé<Jw7tO\I .6.aµauxoù, «in direzione di Damasco» (Cant. 7.5 ); 7tp6crw1to\I (scil. 't'OV uLOl)plou ), «il taglio del ferro» (Ecc!. l0,10).

    Nel significato di faccia, parte anteriore, in senso lato, 'itp6crw1tov è usato spessissimo con preposizioni per indicare la direzione che tende ad un obiettivo o da esso si diparte. «Le lingue semitiche amano usare, invece della semplice preposizione, una locuzione più piena, espressiva e vivace, composta con l'aiuto di un sostantivo che generalmente indica una parte del corpo» w. Conforme al suo equivalente ebraico piintm, anche 7Cp6crw1to\I, quando è retto da una preposizione, spesso non fa che rafforzarne la funzione 21 • a) &.rcò ('t'ov) 22 npouwnou (mipp'né e simili) = da, via da, lontano da: &.1tò 1tpoo-wnou xuplou "t"OU i}Eov, «Adamo ed Eva si nascosero lontano dal Signore Dio» (Gen . 3,8); cpuywµEv ~'ltò 7tpocrw7COU Icrpal)À, «fuggiamo via da Israele» (Ex. 14,25); Ècpo~1]l>'l)'t'E fl1tÒ 1tpOCTW1tOU i:oi:i 1tup6ç, «stavate lontani per paura del fuoco» (Deut. 5,5); inoltre Deut. 9, 5; 4Bacr. 13,23; I Par. 16,30; ljJ 37,4; Iuclith 5,8 ecc. Che nella locuzione preposizionale con ÙTi:Ò il termine 1tp6crw'ltO\I sia solo un riempitivo-rafforzativo è confermato puntualmente dalla tradizione manoscritta di lob l,12 (LXX) dove i codd. S B leggono: È!:;ijMev ò Su:i.~o­ Àoç 1tctpèt. -.ov xuplou, il cod. A: Èçijì..l)Ev ... &.nò 1tpocrw1tou xuplou.

    b) dc; ('tÒ) 'itpOCTW1tOV (bi/né' 'al-p'tzé' ecc.): in faccia, davanti la faccia. In questa locuzione 1tp6crw1to\I mantiene il

    valore di faccia (di persona o di cosa); OÙXÉ't'L ocpih1)CTOµal CTOL Elç 7tpOCTW1tO\I, <<non comparirò più aila tua presenza», (Ex.ro,29); Elc; 1CpOCTW1tOV CTE EÙÀ.oy1}(m, «ti loderà apertamente» (lob 2,5); cfr. inoltre 3 Bcx.cr. 8,8; 2 Par. 5,9; Os. 5,5 23 • e) Éx (-rov) 7tpocrwrcou (mipp•ne, ecc.),

    via da, via da davanti: Èèt.v oùv Àci,h)-.E xcd. 'tOV"t"OV ÈX 1tpOCTW1tOU µou, «Se prendete via da me anche questo (figlio)» (Gen . 44,29); ~cpuyov ÈX TCpOCTW'JtOU ocùnG, «fuggirono dal suo cospetto» ( l Bau. 19,8); Èx 1tpOCTW1tOU crou i:Ò xplµa. µ.ou ÈçÉÀl>oL, «dal1a tua presenza proceda il mio giudizio» (\jJ 16,2); cfr. inoltre l Beta'. 19,10; 21,11; 25,10; 31,r; 2 Bacr. 23,II ecc. d) Èv 7tpocrw1t

    t:wç É7CL 1tp6crw1t6v µou (Dan. 10,9 [LXX]).

    f) X«'t'à. 1tPOCTW'ltOV (li/ne, ecc.): davanti, di fronte a 24 ; xa't'à 'ltp6irwrcov

    1ta\l'tW\I 't'WV aoEÀ
    20 ~ ]OHANNESSOHN 348.

    DEBRUNNER

    In quest'uso di 7Cp6crwJtov abbiamo palesi semitismi; altrimenti in greco si usa soltanto la locuzione Xet:ccì. 1tp6crwJtov (~ coli. 408 s.). 22 L'articolo può mancare perché si tratta di traduzione di espressioni semitiche. Cfr. BtASS-

    23

    21

    § 259,I.

    Rendendo letteralmente l'ebraico li/né (Gen. x7,1), Aquila traduce 7tEPL7ta:tEL tZ<; 7Cp6crw7C6'11 µou . Cfr. P. KATz, Notes on the Sept1111gint: JThSt 47 (1946) 31 s. 24 La locuzione xa:i:cì. 1tp6crw1to'll che s 'i neon-

    te!li» (Gen. 16,12); Y.a:tà np6rrw7to\I TIOÀ.Ewc;, «di fronte alla città» (Gen. 33,18); Y..a.-;à 7tp6a-0mov 'tOU O,acr-n1plou, «davanti al propiziatorio» (Lev. 16, r,p5); dr. inoltre Num. 3,38; Deut. 9, 2; rr,25; 'IEp. 18,q; 41,18 (34,18). Frequentemente xa-.ù.. 7tp6o-w'ltov è usato per indicare la posizione geografica; ad es., o~ Èo"'tL\I XU'tà itpOuW'l':OV Ma.µ(3pT), «che sta di fronte a Mamre» (Gen. 23,17); il fo·nv xa.'tà. np6crwr.ov Atyu1nou, «che è di fronte all'Egitto» (Gen. 2 5, l 8); xa:t à 7tp6rrw1to\I 't"?jc; 'ApaPlac,, «di fronte all'Arabia» (Iudith 2 ,2 5 ). 'tfjc;

    g) µE'tà. 'tou 7tpocn.d7tou ('et-panim): ;.;ÀTJPW
    't"OU

    ~poo-w7tou

    o-ou, «mi riempirai di gioia presso di te»(~ 15,n).

    h) 1tpò 7tpOO"W1tOU (lifné, millifne, ecc.): innanzi, avanti a 25 ; à7tOO"'tÉÀ.),w 't"Ò\I a:yyE).6\1 p.ou 7tpÒ 1tpO
    La parola 7tp6crw7tOV è usata nei LXX per indicare, in rispondenza all'ebraico piinzm, il volto di Dio, cioè la faccia, la parte di Dio rivolta verso l'uomo. a) L'A.T. parla antropomorficamente del 1tp6
    l.f rund!" 1:1.... H.u .-. 1

    S'invoc~ Dio che faccia risplendere

    il

    suo volto sugli Israeliti: €1.Louva.v .-ò a.!µa. xa.ì &.r.:)Àw a.uTi'Jv fa "oli Àaou u.ù ....f\c;, «fisserò il mio volto su chi si ciba di sangue e lo eliminerò dal suo popolo» (Lev. l/, xo; cfr. Lev. 20,3.6; 26,Iì; Ez. J4,8; 15,7). Più volte leggiamo che qualcuno ha visto· il volto di Dio: doov yàp ìkòv 7ì:p6crvmov 7tpòC; 1tp6
    n. 2.

    25 In Gen. m:mca la locuzione ?tpò 1tpocrC.:l1tou; al .suo posto abbiamo ÈVGtV'tLoV, Eµ7tpovl>E\I e ~\IW1tLO\I.--') JoHl\NNESSOHN x90.

    7tp00"W1t0V

    D l 31t-O \-"- !AJU>C/

    Dio a faccìa n faccia» (Gen. 32,:u; dr. !ud. 6,22). Avendo visto Dio a faccia a faccia, Giacobbe chiamò il luogo in cui aveva incontrario Dio p•nt'el (Gen. 32,31; LXX: dooç 1}Eov 26 ). Vedere Dio è estremamente pericoloso, perché l'uomo deve venir meno al cospetto della santità di Dio. L' A.T. non nega che in determinate circostanze si possa vedere il volto di Dio; ma ciò non si deve fare, perché la struggente santità di Dio è fatale all'uomo 27 • Cos) Mosè viene avvertito che non potrà vedere il volto di Dio, «perché l'uomo che veda il mio volto non potrà restar vivo» (Ex. 33,20: où owr'Jcrn UM"' µov -rò 1tp6crw1tO\I' où yap 1-1:li i'.ou 0..\117pw1toç -.ò 7tpo
    b) Accanto alla gamma di significati dell'espressione volto di Dio appena de· scritti troviamo nell' A.T. un uso cultuale dell'espressione rtp6crw7tov (l}i;ou): vedere il volto di Dio significa andare al tempio, recarsi al suo santuario. Probabilmente questa espressione è ripresa da culti non israelitici, nei quali il simulacro del Dio si trovava nel tempio e là veniva adorato dai fedeli. In senso traslato questa frase è entrata anche nel linguaggio dell'A.T. 28 • L'orante, pieno di nostalgia, chiede: 7tO't'E i)l;w xat 6qiM1croµaL .-Q 'ltpo<1W1t!{.> 't'OV i)i;o\i;, «quando potrò venire e comparire al cospetto di Dio?» (lj/41,J; 94,2). I credenti cercano il volto di Dio e lo trovano frequentando il tempio: Èx~t)'t'fj
    26 Come nome geografico &Eov 7tp6crw1tov ( = p'né 'el?) è attestato per il promontorio di Ras Sha.J.c~a in Libano: Strabo 16,754; Pseudo-Skylax, periplus 104 (ed . C. Mi.iLLER, Geographi

    Graeci MinoreSI [1855] 78). Cfr. K. GALLING, Die syrìsch-pa/iistiniscbe Kiiste nacb Pse11do· Skylax: ZDPV 61 (1938) 74 s.

    Cfr. ~ BAumss1N 184 s.; E. FASCHER, Dem invisibilis: Marburger Theol. Studien I (1931) 41-77; R. BULTMANN, Untermcb1mge11 wm Joh. -Ev., B. i>EÒV oòlMc; ewpctY.E\I 1tWrc0· 21

    ..

    .

    i

    ·"tE: ZNW 29 (1930) 169-192 e quanto W. MxcHAELIS dice a proposito della visione di Dio nell'art. 6pd:w --+ vm, coli. 912 ss. 929 ss. 28 ~ BAUDISSIN :i:89-197; __., GULIN 5-7; ~

    88-95; G. KITTRL, Religionsge· schichte und Urcbristent11111 (1932) 100.

    NoTscHER

    Più tardi si cercò di evitare la frase cultuale «mirare il volto di Dio~. Cosl il testo ebraico di Is. 1,12 (lir'ot piiniii) è stato letto Jera'ot pìi11a; e tradotto poi nei LXX con 6q>lnjwxl µo~ [J. FrcHTNER J. 29

    µuxrçf)pcriv, ÈBooµ~ cr-.6µ0'.·n, da parte principale dell'essere vivente, il volto, presenta sette fori: due occhi e due orecchi, un numero uguale di narici, infine, settima, la bocca» (leg. all. 1,12). Negli scritti filoniani si parla ripetu· tamente del volto di Dio: Caino deve ritirarsi Èx 7tpocrw7tou -roi:i i>Eov (poster. C. 12.22 e passim); la parola di Dio procede Éx 7tpocrw7tou l}E.ov (deus imm. 109; plant. 63; conf. ling. 168; mut. nom. 39 e passim). Filone parla anche di un oracolo profetico che procede dal sovrano dell'universo: ÀoyLOV ÉX 1tpOCTW1tOU l}E0'1tLO'Ì)~v 'tOU 't'WV oÀ.wv 1)yE~lovoç (mut. nom. r3). In accordo con l'A.T., anche Ricordiamo infine che i pani della Filone afferma che il volto di Dio riproposizione vengono chiamati nei LXX mane nascosto all'uomo. Perciò inter(r Ba.cr. 2r,7) &p-ro1 -rov 'ltpocrw'lt'ou, per- preta l'episodio di Ex. 33,12-23 nel senché vengono conservati nel luogo sacro, so che sono conoscibiii le sue opere, non la sua natura (poster. C. r69) 31 • Cfr. annel luogo della presenza di Dio. che /ug. r65: a\hapxEç y -.à ocx6Àou1'a xat É'ltoµE.va xat ocra µE.Il. Il tardo giudaismo -.à 't'ÒV 1'EÒV "(VWVC.Ct, 't'1jv o'Ì)yEµO\ltX'Ì)\I oùrrlav o PoÀ.ouµEvoc; xa.:'t'a1'E6.ciacri}m r. Filone e Giuseppe -rQ 'ltE.ptauyEi: -rwv étx't'lvwv 'ltptv tSE.i:v a) In Filone -rò ttpocrw'ltov è definito 7t1JpÒç E1]0'Etç È01)µtoupyEt, «creava nel volto le sensazioni» (leg. ché Dio non esaudl la richiesta a motivo all. 1,39). Cfr. op. mund. r39: -i-ò 7tp6- dell'inadeguatezza dell'intelligenza umaou 1Cp6crW1tOV É'!t't'aX'fi XCX.'t'«.'t'Ép't'l)'t'IXt, sono essere percepite soltanto da Dio, oui)aÀ.µoi'ç XIXL w'.Ti Su
    senza del Signore. Perciò, considerando b vita quotidiana del credente, \)J 104.4 esorta a cercare sempre il volto di Dio: slJ'tTJCTCX.-rE 'tÒ 'ltp6crw'itoV mhov 01!X ttav-i-6ç. Qui la frase è ormai libera da qualsiasi riferimento cultuale e sottolinea la necessità di conservare ogni giorno il giusto rapporto con Dio. Quando l'orante promette di cercare il volto del Signore ( ljJ 26,8: 'tÒ 1tpOC1W'itOV
    30 Per t)I 26,8 --+ N5TSCHRR r36 . Indicazione di G. BERTRAM.

    31

    Cfr. per questo passo M. PoHLENZ, Paultts mzd die Stoa: ZNW 42 (r949) 7r s.

    32

    7tpéO"W7tOV

    B

    II rn-2

    In alcuni passi, infine, '7tp6crw1to'\I significa probabilmente persona: -rl OE~ -rèt.c; 'tW'\I 'itpOCTW1tWV àµul}1)i:ouc; lofo~c; xa-ro:.ÀÉyEcrDa.t;, «quale bisogno c'è di elencare gli innumerevoli generi di persone?» (poster. C. no); -rà. 1tpayµo:.-ra. xcd. -rà. 7tp6crw'lto:., «le materie e le persone» (poster. C. I I l ); È'ltÌ. ·nµn 1tpocrC:l· 'ltW'\I (spec. leg. l ,245).

    {E. Lohse)

    l VI,77,5) -12-f

    ~toÀ.EµlvlV,

    «battendo costoro ( = gli uomini di Pacoro) sul tempo, Erode partì una notte con i più intimi per l'Idumea, all'insaputa dei nemici». 2.

    Scritti pseudepigrafici e 1·abbinici

    b) Flavio Giuseppe usa np60'W1tOV nell'accezione di volto: 'ltEO'WV ÈnÌ. 'ltp6o-WitOV -ròv l}Eòv txÉ'tEUO'E, «(gettatosi) con la faccia a terra (Ezechia) implorò _Dio» (ant. ro,rr ). Per la locuzione dr. inoltre ant. 6,285; 7,95.114; 9,1r. 269; ro,211. Se il fratello di un morto rifiuta di sposarne la vedova (legge del levirato), la donna respinta deve «sputargli in faccia», 'lt'tVEW dc; 'ltpOO'W1tOV (ant. 4,256; 5,335; cfr. Deut. 25,8 s.). 7tp6uw1tov può anche significare i lineamenti di una persona: È'lttO'X'l)µa-rl~wv -rò 7tpOO'W1tOV Elc; À.U'Jt"Y}V, «atteggiando il volto a dolore» (bell. 2,29). La faccia esterna del tempio è detta -rò t'.çwlkv m'J-rou np6crw7tov (beli. 5,222). Abbiamo anche 1tPOO'W'ltOV nel senso di parte (bell. l ,517 ). La locuzione preposizionale, frequente nei LXX, xa:rò. 1tp6o-W'ltoV, reggente un caso, è anche d'uso corrente in Giuseppe: xa.-rà. 7tpOO'W1tO'\I 'ti)c; -rpa.nÉS'l)c; (ant . 3,144); xa.'tÒ. 'ltpOO'W'ltOV -rou vo:.ou (ant. 9,8 ); xa-rà. 1tp6o-w'ltov a.ircou ( scil. del re)( ant. xr ,2 3 5 ). Giuseppe parla una sola volta (ani. l,334) del volto di Dio, quando deve spiegare la parola ebraica p"nt'el: i)criMç oÈ -rov-roLç 'Ia~w~oc; o:.'\IOVTJÀ.O\I 6voµasEL -ròv -r6'ltOV o v'l')µa.lVEL 1'EOV 'itpOO'W'ltO\I, «rallegrato da queste cose Giacobbe chiamò il luogo FanueI, che significa 'volto di Dio'» (ant. l,J34). In bell. l,263 1tp6rrw7to\I significa pel'sona: 'ltpoÀ.a~wv 'Hpworiç µE-rà 'tW\I olxEto'ta"t'W\I npoO'W'ltW\I \IVX-rwp È1ti 'IOovµa.laç ÉXWPEL À.al}pa. 'tWV

    Esula dal nostro compito un'esposizione dei numerosissimi passi della letteratura giudaica in cui è usata la parola piinlm. Anche in tali scritti ricorrono tutte le accezioni già trovate nell'A.T. (-7 coll. 413 ss.): parte rivolta verso chi guarda, volto, faccia, facciata, superficie, parte anteriol'e, ed anche tutti i costrutti con le diverse preposizioni (-7 coll. 415 ss.). Oltre i dati dell'A.T. va l'affermazione degli pseudepigrafi che il volto dei giusti perfetti brillerà nel mondo futuro come il sole, perché Dio fa splendere la sua luce sul volto dei santi e dei giusti eletti (Hen. aeth. 38,4; cfr. Dan. 12,J; Hen. aeth. 39,7; 104,2). Questo significa però che «essi saranno mutati... dalla bellezza fino allo splendore e dalla luce fìno al folgore de1la gloria» (Bar. syr. 51, ro). I pii godranno cosl dell'immediata vicinanza di Dio (Bar. syr. 51,3). La sesta gioia riservata a coloro che hanno fedelmente custodito le vie dell'Altissimo è «che a loro viene mostrato come il loro volto splenderà un giorno al pari del sole» (4 Esdr. 7 ,97 ). La settima gioia consiste nel loro lieto correre a «vedere il volto di colui che essi hanno servito in vita e dal quale dovranno ricevere lode e ricompensa» (ibid. 7,98) 33• Nell'ora della morte, dicono i rabbini, tutti gli uomini devono mirare il volto di Dio. Perciò R. Johanan b. Zakkai muore pieno di trepidazione (-7 III, col. 532) (Ab. R. Nat. 25; cfr. Ber. b. 28b). Gli empi vedranno il volto di Dio per ricevere la loro punizione (Midr. Ps. 22 § 3 2 [ 99a]) 34 • Invece, quale ricompensa

    Per In visione di Dio nella letteratura pseudepigrafica e rabbinica cfr. STJtACK-BILLER-

    BECK I 206-214; ~ VIII, coli. 952 ss. 31 Cfr. STRACK-BILLERDECK I 209.

    33

    per le loro azioni, i giusti nel mondo mantica che ,;p~<1WT-0'J ha nell'A.T. (-> futuro potranno vedere il volto della coli. 413 ss.). Shekinà (Men. b. 4 3b; Sofa b. 42:1) Js. Chi fa l'elemosina o opere mel'itorie a· vrà l'onore di salutare il volto della r. Il volto Shekinà (B. B. b. lOa). Frequente è l'uso di 7tpOuW7tO\I nel La frase vedere il volto di Dio, che senso di volto (-? coll. 407 ss. 413 s.): nell'A.T. aveva un valore cultuale, è trasformata dai rabbini nella formula Mt. 6,16 s.; Act. 6,15; Apoc. 4,7; 9,7; vedere o salutare il volto della Shekinà, Mc. I4,65; Mt. 26,67. In 2 Cor. u,20 e non solo è riferita alla visita del tempio, ma più tardi è usata anche per in- leggiamo: Elç n96owitov ÒÉpEtv, «percuodicare la partecipazione al culto sinago- tere in viso»?). Abbassare il volto (Le. gale (Deut. r. 7 [204a]) 36, perché la si- 24,5) o gettHrsi con la faccia 41 a terra nagoga è il luogo della vicinanza di Dio. (Mt. 17,6; 26,39; Apoc. 7,II; xr,x6; Inoltre anche coloro che pregano o stusenza cx;v'toG; Le. 5,12; 17,x6; I Cor. 14, diano salutano il volto di Dio, giacché Dio è vicino a coloro che pregano e si 25) sono atti che esprimono riverenza dedicano allo studio della torà (Sanh. b. e venerazione; cfr. la locuzione incon42a) 37. trata neH'A.T. (-? col. 4x3) "ltL7t't'E~'J "ltfJOO'(J}'JtO\I è penetrato nel vocabolaht ('t'Ò) r.p6vw~~'.)\I cx;u.-ou. La radiosità rio rabbinico anche come imprestito ed
    35

    Altre indicazioni in

    STRACK-BILLERBECK

    210·2!2.

    36

    STRACK-BTLLERBECK I 207. Cfr. STRACJC-BIU.ERBECK I 206 s. 38 Cfr. S. KRAuss, Griech. tmd lat. Lehnworler im Talmud, Midrasch tind Targum II (1899) 495· 39 1t?6crwrcov nell'accezione di persona si trova come imprcstito anche in siriaco: O. Sat. 31, 5 (ed. W. BAUER, KIT 64 [1933)): pr~wph == ~
    40 Qui il termine è usato in senso figurato, forse .in un'espressione corrente che significa 'trattar male'; dr. LrnTzMANN, Kor., ad l. 41 Nella locuzione hct rcp6o-w1tov "Jtl-n:·mv l'nrticolo può mancare; cfr. BLAss-DEBRUNNllR § 25JA· ~2

    Cfr. WINDISCH, 2 Kor. 112; LrnTZMANN, Kor., ad l. Per l'interpretazione delln pericope ~ 1, coll. un s.; II, coli. 1392 ss.; vu, coli. 819 s.; S. Sc1·1ULZ, Die Decke des Moses: ZN\Y/ 49 (1958) 1-30.

    1tp617W1t0\I

    e

    I

    (E. Lohse)

    \VI ,777 J 420

    coprirsi il viso con un velo perché i figli d'Israele non vedessero la fine della radiosità tmnseunte (v. l 3 ). A questo punto Paolo inserisce bruscamente un nuovo pensiero: non parla più del velo sulla faccia di Mosè, ma del velo che copre il cuore dei Giudei e nasconde loro l'A.T. impedendone Ja piena e reale comprensione (vv. 14ss.)~3 • I cristiani possono invece contemplare a viso scoperto la o6çoc xuplou e sperimentare la trasformazione ocnò &6çric; Elc; &6çocv che procede dal Signore dello Spirito (v. 44 I 8) • Questa argomentazione vien ripresa in 2 Cor. 4,6, dove è detto che la o6ça di Dio risplende per noi sul volto di Cristo. In una serie di passi np6uwnov significa poi la presenza fisica di una persona, l'essere presenti di persona e~ coll. 408 S. 41 3 S. ): Òpfiv 't'Ò 7tp60'W1t6V 't'L· voc;, rivedere qualcuno (Act. 20,25.38; Col. 2,1; xThess. 2,17b; 3,18: ebraismo, cfr. Ge11. 32,21; 43,J .5); &7topcpocvtai}Év't'Ec; àcp' vµWv ... 7tpOO'W1tl() ov xap&lq., «privati di voi... per quel che riguarda In presenza fisica, non i1 cuore»

    W7tcp, «sconosdu to di persona» (Gal. r,22). Le. 9,51: aùTòc; TÒ 7tp6crwrcov ÈcrTi)pL
    Per l'argomentazione paolina ~ V, coll. 73 ss.; 1x, roll. 919 s. 44 Per l'interpretazione del versetto cfr. J. DuPON't, Le Chrétien t11iroir de la gioire divine d'après II Cor. III I8: RevBibl 56 (1949) 39241x. 45 'Iep. 3,12; :21,10; [24,6); Ez. 6,2; 13,17; 14,8. Va confrontato anche 4 Bcxu. 12,18: ~'t'CX.­ ~Ev A~a1)À. 't'Ò 1tp60"w7tov a.1hou 6.va.f3TjvcxL É1tt 'IEpou11aÀ.TJµ. Cfr. A. W1FSTRAND, Lukas och Septuagintr;: Svensk Tcologisk Kvartal· skrift 16 (1940) 247-249. Altri paralleli nel· I'A.T.: Dan. n,17 (Theod.): 't'a;eL 't'Ò 1tp6o--

    W7tOV cxv.-ov ELO't:Àl>t:LV, 'Jt:p, 51(44),n s.: ÉcplO"'t'T)µL -rÒ 1tp6CTW1t6V µou 't'OU a1tOÀÉO"ct.L, 2 Par. 20,3: ~6wxE'J Iwcrcx.cpa.'t' -tò 1tp6crw7tov ct.V't'OV Èx~1)'tfil7et.L 'tÒV xuptov [ p. KATZ]. 46 Cfr. ScmA'tTER, Lk., ad/.; inoltre STRACK· BILLERBECK II 165, ad/.; DALMAN, Worte J. I 24. 47 DALMAN, Worte]. I 25 : questa espressione lucana è un «ebraismo usato scorrettamente, che non potrebbe essere ritradotto in ebraico. Le. 9,53 si richiama nl v. 51 e avrebbe dovuto in realtà ripetere tutta la frase ivi usata: 'tÒ 1tp617W1tOV O:V'tOU ~O''t'i}pLO"E'J 't'OU 1tOpEVEO"l>m

    43

    (1 Thess. 2,17"); &:yvoouµEvoc; 'ti;> r.:pocr-

    Talvolta 1tp6crw7to\I non indica il volto, bensì l'aspetto, le fattezze del vollo di una persona, e anche l'aspetto di una cosa. In Iac. 1,23 troviamo "t"Ò 7tp6crw· 'ltO\I •flc; yevÉO'"ewc; WJ't"Oli (cioè dell'uo· mo) invece di 'tÒ 7tpOCTW7tO\I ctÙ't"OU, come ci aspetteremmo. La frase si riferisce evidentemente all' «aspetto della sua esistenza» 48 • Iac. 1,11 parla dell'aspetto del fiore: ti eÙ7tpÉ7tHct ..-ou 7tpOCTW'ltOU CX.Ù"t"OU, «lo bellezza del suo aspetto», mentre Mt. 16,3 (par. Le. 12,56) parla dell'aspetto del cielo. 2.

    Il lato esposto

    Come nei LXX (-7 coll. 414 s.), cosl anche nel N.T. 7tp6CTwnov significa per estensione faccia, parte rivolta verso chi guarda, rnperficie: Èrc1. 11:p6vwito\I 'ita· O"l]<; 'tijc; yijç, «SU tutta la faccia della terra» (Le. 21,35 ); È1ti 'ltct\l't'Òç 7tpo45; 2 Thess. I, 9; Apoc. 6,16 (cfr. Is. 2,ro.19.21); 12, 14 (per indicare la distanza lontano

    =

    da);

    20,II.

    E~c; '!Epov
    b) dc; 7tp6o-w7tov. 2 Cor. 8,24: dc; 7tpOO'W7tO\I 't"W\I ÈXXÀ.TJO'tWV, «agli occhi delle (altre} comunità». c) Èv 1tpoo-wm~. Con la frase Èv 1tPO· 2 1 IO) Paolo invoca Cristo quale testimone della sincerità del proprio perdono. 2 Cor. 5 1 12: npòc; -roùç Év 1tP0<1W1t4J xauxwµÉvouç, «contro coloro che si vantano di cose esteriori».

    o-c.:mcp Xpt
    d} Xct't"à. 7tp6uw7tO\I. Senza caso dipendente nel senso di presente di persona, a faccia a faccia (-7 coll. 408 s.): Act. 25, 16; 2 Cor. ro,r; Gal. 2,rr.'t"à.Xa't"à itp6· crumov, «ciò che sta davanti agli occhi» (2 Cor. 10,7). xa..-à itp6aw7tov seguito dal genitivo (come nei LXX) è usato solo negli scritti lucani 50; Le. 2 ,3 l : xa-rà. 1tp60"W7t0\I 51 7t6'.V't"WV 'tW\I À.ctwv, «davanti a tutti i popoli»; Act. 3,13: Xa't'Ò:. 7tp6vw1to\I Il~À.ci-rou, «davanti a Pilato». e) (J.E't'à. 1tPOO"W7tOU. Si trova solo nella citazione di 1)115,II in Act. 2,28. f) 7tpÒ 7tpOO'W7tOU. Mal. 3,1 = Mc. 1, 2; Mt. n,ro; Le. 7,27: Ò'..7tOCT't"ÉÀ.À.w 'tÒV yyeÀ.O\I µou 7tpÒ 7tpOO'W1tOU CTOU, «man. do il mio messaggero innanzi a te»; Le. 9,52: &.1tÉ
    a

    3. Il volto di Dio Riprendendo l'uso linguistico dell'A. T., anche il Nuovo parla più volte del volto di Dio (-7 coll. 417 ss.). Ciò avvieIl frequente uso di rcp6
    50

    51 rcp6
    7tp6cr1;mov

    431 (VI,7ì8)

    e3 -D

    ne in citazioni dell'A.T.: 7tpévW7tOV òf. xuplou È7tt no~ouv·tet.<; xa.xa, «il volto del Signore è rivolto verso coloro che fanno il male» (o/ 33,17 = I Petr. 3, 12; dr. inoltre Act. 2,28 = ili 15,II). Solo nel mondo celeste si può mirare il volto dì Dio: Cristo è entrato nel santuario, cioè nel cielo, vvv ȵCjla.v~crl}fjva~ -tQ npocrwmi-> -.oG l}EOG Ù7tÈp 'Ì)p.wv, «per presentàrsi ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Hebr. 9,24). Qui è trasferito al santuario celeste il linguaggio · u sato nell'A.T. per indicare l'andata al tempio. Gli angeli custodi dei µ~xpol vedono continuamente «il volto del Padre mio che è nei cieli» (-r:ò 1tp6crw7tov -cou 1ta.-rp6<; µou nu Év oùpa.voi:<;, Mt. 18,10), al quale sta particolarmente a cuore il bene dei minimi. Essi si trovano dunque nelle immediate vicinanze di Dio. Ai servi di Dio sarà concesso alla fine di vedere il volto di Dio, che è nascosto agli sguardi - degli uomini (Apoc. 22,4). Al presente noi possiamo però vedere soltanto per riflesso, in modo oscuro (----7 I, coll. 477 ss.), «ma allora vedremo a faccia a faccia» (.-6-cE ÙÈ 7tp6crw7tov 1tpÒ<; 7tpocrw1tov, I Cor. 13,12). Ciò significa che ora il nostro vedere e parlare non può essere che imperfetto, e soltanto nel compimento futuro ci saranno visione perfetta e conoscenza reale.

    sz Cfr. WmorscH,

    .i

    Kor.;

    LIETZMANN,

    Kor.,

    (E. Lohsc)

    I

    4. La persona

    Nel N.T. TI(JOO"W1tO\I significa persona soltanto in 2 Cor. l ,II: i credenti di Corinto devono unirsi in preghiera con Paolo, affinché «da molte persone (ÈY. 'itoÀÀwv itpoO"wnwv) risuoni il grnzie per noi» 52 •

    D.

    L'uso LINGUISTICO DELLA CHIESA ANTICA

    r. 7tpo
    L'uso linguistico dei Padri apostolici non presenta particolarità di rilievo rispetto al N.T. Il termine ricorre molto spesso in citazioni dell'A.T.

    =

    a) np6crw7tov volto: I Clem. 4,3 s. (Gen. 4,5 s.); 16,3 (ls. 53,3); Barn. 5,14 (ls.50,6); mal't.Polyc.9,2; 12,1; Herm., vis. 3,10,r. 7tpOO"W'ltov = presenza personale: Barn. 19,IO: È1'S'll'tE!v 'tà. 1tp611w7t'<X. -cwv à.ylwv, «cercare la presenza dei santi»; Did. 4,2; inoltre Ign., Rom. 1,1; Pol. 1,1; Barn. lJ'4 (Gen. 48,u). b) 7tp6irw7tov =faccia, superficie, ecc. : citazione di ijJ 1,4 in Barn. II ,T ... ov Èxpln-i'E~ ò &veµo<; OC7tÒ r.:poirw7tOU 'tf]c:; yfj<;, «(polvere) che il vento disperde dalla faccia della terra}>. Frequentemente np6irw7tOV è retto da una preposizione: OC7tÒ 'Jt(JOO"W'ltOV (I Clem. 4,8.rn; 18, II [tjJ 50,13]; 28,3 [tjJ 138,7]; Barn. 6,9); Etc:; 7tp6irw1toV (Ign., Pol. 2,2; Herm., vis. 3,6,3 ); X<X.'tèt 7tp6crwTto\I ( r Clem. 35,rn [!Ji49,21]). Per X<X.-tèt 7tp6CTW1tov, presente personalmente, dr. Barn. 15,1; Polyé:3,2. In Barn. 19,7 e Did. 4,10 r.oc-cèt 7tp6irw7tov, usato assolutamente, significa facendo preferenze, parzialità. -rCpò 7tfJOl1W7tOU: r Clem. 34,3 (Is. 62,rr); Ign., Eph. 15,3. c) Il volto di Dio è nominato solo in ad I.

    4Jj I

    I

    Vl,f /)!!

    Clem. in citazioni dell'A.T. : I Clem. (4' 33 117; 60,3

    18,9 (lJJ 50,11); 22,6 (Num. 6,25; ljJ 66,2).

    d) Talvolta r.poO"WitO\I significa anche persona: ò).,ly(J. 7tpé<JW7tCJ., «poche persone» (I Clem. I , r ); g\I il 7tp6crwm:t., «una o due P,ersone>~ (I Clem. 47 16); -.à. npoyqpa.µi.~E\l(J. npocn,Jrm, «le persone sunnominate» (Ign., Magn. 6,r ).

    ouo

    2. 7tpéO"vmo'.I nella cristologia e nella dottrina trinitaria della chiesa antica

    Nelle dispute per la definizione della dottrina cristologica e trinitaria nella chiesa antica il termine 7tpOO"WrtO\I ha avuto una parte di primo piano. Poiché nei primi due secoli dell'era cristiana Tip6
    ss Cfr. K. B .\RTH, Kirchliche Dogmatik (r932) 375 s.

    1 1

    potuto esprimere in maniera piena e soddisfacente il mistero delle tre persone divine nella loro unità e distinzione 55. Cfr. Aug., de trinitate 8,6,rr: quamquam et illi (scil. Graeci) si vellent, sicut dicunt tres substantias, tres hypostases, possunt dicere tres personas, tria prosopa. Theodoret., dialogus r (MPG 83,36A): TfJ\I yà.p ùr.6ct.µÉv 'tO~ç 'tWV à.-

    ylwv

    1tt"Z.'t'ÉpW\I opoiç CÌ.XOÀ.ouìloi:i\l't'E';,

    ,
    t

    EÙ7tpO
    Dall'aggettivo EU'ltp6crw'ltoç L, un dedvato di 1tp6cn,mov che non si trova nel N.T., viene formato più tardi un verbo EÒTCpo
    Nel N.T. EV7tpOC1W7tÉW è usato solo in Gal. 6,12: ocroL lJÉÀouaw EÙ'ltpo
    EÙ'ltpocrwnÉw 1 EÙ1tp60'1,moç= bello di faccia, attestato abbastanza frequentemente fin dal v scc. a.C. Cfr., ad es., Ge11. 12,rr (LXX): Abramo dice a Sarn che fa riconosce come una donna dal bel viso: chL ')'V\llJ EÙ7tp6
    2 Cfr. anche DEISSMANN, L.0. 76 s.

    43.5 (v1,780)

    t

    .i:po
    npocrwnoÀ:qµ~la.,

    "f 1tPOO'W7tOÀ:IUL7t"t"l}ç,

    t 7tpOCTW7tOÀ:!)µ7t't'ÉW, °!" Ò:.7tpOCTW7tOÀ:r)µ1t't'Wç r. Nell' A.T. ricorrono più volte i costrutti niifii' piin'im = À.a.µ~&.vm1 7tp6crwnov I l>rx.u1.1.asEw np6o'wrcov e hikkir piinim = y~yvwcrxEw np6crw7tov. Per capire queste espressioni bisogna ricordare l'uso orientale di salutare piegando umilmente il volto a terra oppure prosternandosi a terra per esprimere rispetto e riverenza. Se la persona importante che viene salutata in questa maniera solleva il volto dell'altra che saluta, le dà un segno di riconoscimento e di stima. La traduzione di niifii' piinzm con À.rx.p.BocvEw 7tp6crwnov è un puro e semplice calco dell'ebraico 1• Certamente nel greco profano À.aµPri:vEtv non significa mai sollevare, ma solo prendere, afferrare, assumere. Dato però che in ebraico niifii' non significa solo sollevare, ma anche prendere, esso è stato reso in greco con À.a.µB&.vrn1. Certamente questa traduzione doveva essere quasi incomprensibile ai lettori greci 2• Nel costrutto 1>a.uµasEw 7tp6crw7tov il verbo 1'a.uµasEw significa stimare (~ IV, coli. 2t9 ss.). Dio non ha riguardo alla persona: oò i)auµ&.sE~ 1tp6crwnov (Deut. ro,q; dr. 2 Par. 19,7). Invece gli uomini si dimostrano mutuo onore salutando u-

    l Vl,70UJ ' i jU

    milmente e alzando il volto. Cosi Giacobbe spera che Esaù lo accolga benevolmente: l'.crwc; yà.p 7tpocr&É~E.'ttx.L 't'Ò 7tp6crwn6v µou (Gen. 32,2t). Il À.a.µBcivELV 7tp6crw'lto\I può però avvenire anche per scarso senso di equità e per riguardi personali, quando si è parziali verso una persona favorendola ingiustamente. Così. è diretta particolarmente ai giudici l'ammonizione: oòx É'JnyVWCTTI 7tp6crw7tOV Èv xplc;EL, «nel giudicare non aver riguardo alla persona» (Deut. I ,17; dr. anche Lev. 19,15; Deut. 16,19). Come Dio non ha riguardo alla persona, cosi anche il giudice terreno deve pronunciare un giudizio giusto e imparziale. Riallacciandosi all'A.T., anche il Nuovo parla di riguardo alla persona. 2.

    BM7tEL\I Elç np6crw1to\I (Mc. 12,14 par. Mt. 22,16); Le. 20,2 t rende invece l'idea con À.o..µBavEw 7tp6crw7tov. Iudae 16 ha i>o..uµEÒ~ &.vi>pW7tOU OÙ À.a.µ~ciVEL (Gal. 2,6;

    cfr. Deut. ro,17; Ecclus

    35,13): Dio è un giudice incorruttibile, che non ha riguardo alla persona.

    Dall'ebraismo À.
    7tpOO'W'ltOÀ.7]µ1Jila X'tÌ-.. I

    II periodo seguente è dovuto ad una osser·

    vaz!one di D EBRUNNER.

    2

    Cfr. ]. LEIPOLDT-S. MoRENZ, Heilige Schri/-

    ten (1953) 80.

    l•)"VVUJr .. V•WIJt"''r"-

    3,25; Iac. 2,1), che compare per la prima volta nel N.T., ma probabilmente era

    già in uso nel giudaismo ellenistico 3 • La parola 'ltpoa-w1toÀ:r1µ\)Jla è usata più volte a proposito del giudizio di Dio, nel quale non c'è posto per riguardi personali. Perciò Giudei e Greci vengono giudicati con lo stesso metro (Rom. 2,u). Ai xupLOL che hanno schiavi ai loro ordini si ricorda che in cielo c'è un xupLoc; che ha potere sugli schiavi e sui padroni e non ha riguardo alle persone (1tpOtrW7tOÀ.TJµ\jlla : Eph. 6,9 ). I ooliÀ.oL devono però ubbidire ai loro padroni, nella consapevolezza di essere servi del xuptoc; Xpta--.6c;. «Chi agisce ingiustamente sarà ripagato di ciò che ingiustamente fece, e non c'è riguardo per nessuno» (xoct oùx

    e

    EO'•W 7t(l00'W7i:OÀT)µljiloc: ol. 3 '2 5 ). Dio non è uno che faccia parzialità o abbia riguardi personali ( 7tpotrw1toÀ.•ljµ-ç11c;) e perciò non favorisce i Giudei, ma fa venire a sé anche i pagani perché ricevano la salvezza (Act. 10,34). Dio giudica «seru:a riguardo per nessuno», &.7tPOO'W7toÀ:ljµTC.-wc;. Da questa consape-

    Eph. 6,9 e Col. 3,25 hanno il termine nel testo di un codice domestico che conserva un 'antica trnclizio.ne parenetica. Perciò è vero-

    3

    , ..

    ··~·

    -

    J

    \ '-"• ._..., .......... ,

    \ " -1F - - I (..I -

    \·olezza la parenesi cristiana riceve la sua serietà e la sua importanza ( r Petr. 1, IJ). Come Dio non ha riguardo alla persona, così anche nella comunità cristiana non devono esistere «riguardi personali» ( 7.poo-tv1tOÀl)µtjllcx.i). È pertanto escluso che si possa credere in Cristo e allo stesso tempo indulgere a parzialità (lac. 2,r). Di che parzialità si tratti, è evidente dall'esempio del disprezzo del povero e delle preferenze accordate al ricco (Iac. 2 ,2-4). I cristiani sono severamente richiamati a non trascurare questa ammonizione: c.l Ok Tif>OO"W7tC· >..11µ7t•Et'tE, aµap·tla.v ÉpyasE~E, ÈÀ.Eyxoµc.voi v1to •oli v6µou w:; rcapa.Bti:ta~, «se invece avete riguardo alle persone, commettete peccato, convinti dalla legge quali trasgtessori» (Iac. 2 19). 3. Negli scritti dei Padri apostolici si parla di riguardo di persona nei seguenti passi: À.ocµ~OCVELV 7tp6trwrcov (Barn. 19, 4; Did. 4,3); 7tpOO'W7tOÀ.TJµljila (Polyc. 6,r ); Ù.'1tpo
    Barn. 4,12 ). E.LOHSE

    simile che In formazione del tel'mine sia di origine giudaica. Cfr. anche DIDELIUS, Jak. a 2 1 !; ScHLATTER,

    Rom.

    a 2,n.

    439 (v1,781)

    7tpOc,?TJ"t"IJ<; X"tÀ.. (H. Kriimer, R . Rcndtodt, R. Mcyer, G. Fricdrich)

    -j- Tipocp-r]TT}c;,

    t t

    t

    (v1,782) +10

    7tpocpf)'t'Lc;,

    npo'r)'tELa., 7tpO
    t ljlrnoorcpocp1)TT}c;

    A. Il gruppo di termini 11elt11 grecità profana: I. i termini; II. !a realtà significata: 1. profeti oracolari; 2. il poeta quale itporp1J·n1.;; 3. altri usi; 4. riepilogo.

    Il. nabi' nell'A.T.: I. origine del termine; II. il verbo: r. i testi più antichi; 2. i libri profetici; III. il sostantivo: l. congregazioni profetiche;

    2 . figure isolate; 3. profeta come epiteto di personaggi più antichi; 4. niibi' nei libri profetici; 5. vero e falso profeta nel Deuteronomio; 6. niib1' negli altri libri; IV. altre denominazioni dei profeti:

    l .

    'ii 'eloh/111;

    2. ro'eh; 3. f;ozch; V. forme e contenuto del messr.ggio profetico; VI. l'uso linguistico dci LXX.

    C. Profetismo e profeti nel giudaismo dell'età

    T.poqrfrtTJ<; X"tÀ. ln generale:

    (1947); H. KRAFF, Die altkircbliche Prophelie

    J. ALIZON, Et11de sur le Prophétisme Chrétien

    II (1955) 249-.:q 1; R. MEYER, Der Prophet aus Galilaa (1940); R. ScHNACKENDURG, Die

    depuis /es Origi11es jusqu'à l'an r50 (r9n); H . BACHT, ìVahres 11nd fa/sches Prophetenlt1f11: Biblica 32 (1951) 237-262; BAUER, ]oh. a 1,21; J. BliNAZECH, Le Prophétisme chrétien dep11is {es origines jusq'au Pasteur d'Herm11s (r901); A. IlROEK-UTNn, Bine schwierige Stelle in ei11er nlten Gemei11deord111mg (Did. rr,rr): ZKG 54 (1935) 576-581; N. BaNWETSCH, Die Prophetie im ap. u11d 11achapostolischen Zeita/ter: Zeitschrift fiir kirchliche Wissenschaft und kirchliches Leben 5 (1884) 408-424.460477; H. BRUDl!.RS, Die Ver/11ssu11g der Kirche von den erste11 Jahrzelmten tler ap. W irksamluil a11 bis zum Jahre I7J 11. Chr. (1904) 387397; H. v . CAMPENllAUSEN, Kirchliches Ami 1111d geistliche Vollmacht in den crsten drei ]ahrhmulerten, Beitrage zur historischen Thcol. 14 (1953) 198-210; O. CuLLMANN, Die Christologie des N.T. (1957) n-49; G. DELLING, Der Gotlesdienst im N.T. (1952) 34-39; E. FASCllEK, TIPO:I>HTfft (1927); A. FROVIG, Das Sclbstbew11sstsei11 Jem als Lebrer und

    \Y/zmdertiiter nach ll·l k. umi der sog. Redeq11ellc tmtemu:ht (1918) 99-114; H. A. GuY, N. T. Propbccy, ils Origin a11d Sig11ifica11ce

    u11d die Entstehung des Mo11ta11ismus: ThZ Erwarlting des Pmpbete11 11ach dem N.T. 11nd den Qwnra11-Texte11, in K. ALAND-F. L. CRoss, Studia evangelica; H. J. SCHOEPS, Theol. m1d Gesch. des ]11de11christefllums (1949) 87-II6; \Y/. STAERK, Soter, die bibl. ErlOsererwartung als religionsgeschicht/iches Problem 1, BFI'h II 31 (1933) 61-?2; Tll..ENCH 10-14; G. P. WHTnm, Der Sohn Gottes (19r6) 21-26. Per A: P. AMANDRY, La ma11tique Apol/foie1111e à Delphes (1950) indice III, s.v.; E. R. Doons, The Greeks and the Irratio11al (1951) indice, s.v.; E. FRAENKEL, Aeschyl11s Agamem11on III (1950) 497 s.; H . FouRNlER, Les verbes 'dire' e11 grec ancien (1946) 8-13; O. KERN, Die Religio11 dcr Griechen I (1926); II (1935); 111 (1938) indice, s.v.; M. C . VAN DER KoLF, art. 'Prophetes und Prophetis', in PAULY-WissowA 23,1 (1957) 797-816; K. LATTE, art. 'Orakel', in PAULY-WISSOWA 18,1 (1939) 829-854; J. \Y/ACKERNAGEL,

    Vorlewnge11 uber Symax

    11'

    (r928) 237-240. Per B:

    G. FaHRC?., Ncuere Lit. zur at.lichen Prophe-

    441 (v1,782)

    7tporpiy-:i1~

    z-:i.. 11-1. K.:·a!Tlcr, I<.. Kendtortt, K !\leyc•·, u. rneam:n1

    elle11istico-roma11a: I. il problema del profetismo contempornnco: I. le fonti extra-rnbbin:Che; 2. la tradizione rabbinica; II. manifestazioni storiche del profetismo: 1. l'espcrienza profetica secondo le fonti palestinesi; 2 . il profetismo nel giudizio dells teologia alessandrina; 3. veggenti e profeti:

    tie: ThR, N.F. 19 (1951) 2/ì-346; 20 (1952) 193-27r. 295-361; A. GUJLLAUME, Prophecy nml Divillati011 (1938); A. HALDAR, Arsociatiom ·of Culi Prophets among the Ancien Semi/es (1945); F. HiiussER:'v!ANN, Worlempfa11g tmd Symbol in der at.lichen Prophetie, Beih. ZA\VI 58 (1932); F. HcssE, \Vtm:elt die prophetische Gerichts;·ede im israelitische;; K11lt?: ZAW 65 (r953) 45-53; A. ]EPSEN, Nebi (1934); A. R. ]OHNSON, The cultic Propbet in A!!cie11t Israel (1944); H. JUNKER, Prophet tmd Seher i11 lsreel (1927); S. Mow1:-1cKEL, Ps,1!.'11e11studie11 m: Kultpropbetie rmd prophetis:-be Psalmen, Skdftcr utgit av Videnskapsselskapct i Kristiania II. Historisk-Filosofisk Klasse 1922, 1 (1923); Io., Die Erken11tnis Gol/es bei dc11 r.t.liche11 Propheten (194t) ; In., Prophecy a11d Tradition, Avhandlinger utgitt av dct Norskc Vidcnskaps-Ak:tdemi i Oslo, IL Historisk-Fi· losofìsk Klassc 1946,3 (1946); O. PLl:>GER, Priester rmd Prophct: ZAW 63 (1951) 157192; G. QuELii, \Vahre r111d falsche Prophetc11, BFTh 46,r (1952) ; G. v. RAD, Die falschc11 Prophete11: ZAW 51 (1933) 109-120; H.H. RoWLEY, Was Amos a nnbi?, in Festschrift O. Eissfcldt (1947) 191-198; In., Studies in O.T. Prophecy, prescnted to Th. H. Robinson (1950); Io., Ritual t11ul the Hebrew l'rophets: Journal of Scmitiè Studies 1 (1956) 338-360;

    H. W. WOLFF, Hauptprob!eme at.licber Propbetie: EvTh 15 (1955) 446-468; E. WtiRTJI· WEIN, Amosst11dicn: ZAW 62 (1949/Jo) 1052; Io., Der Ursprrmg der prophetische11 Gericbtsrede: ZThK 49 (1952) I-I6 . Per C: L. FINKELSTEIN, The Pharisees (1938) indice, s.v. 'Prophets'; H. A. FrsCHEL, ]ewisb Gnosticism in tbe Fourth Gospel: JBL 65 (r946) 157-174; J. GrntET, Prophétisma et attente d'ttfl Messie-Prophètc da11s le ]11da'is111e, in L'11t1c11tc du Messie (1954) 85-130; MooRE,

    \ 1•1,70314.µ

    4. il principe con il 111111111s triplex; 5. i profeti messianici;

    III. la letìeratur:i apocalittica; IV. il tr:imonto del profetismo. D. Profeti e profezie nel N.T. : I. uso e significato dei termini; II. i profeti dell'A.T.; III. profeti precristiani; IV. Giovanni Ilattistn; V. Gesù; \'I. profeti della comunità cristiana: indice s.c. 'Prophets'; O. MICHEL, Spiitjiid. Propbelenll:m, in Nt.licbe St11die11 ftir R.. Bultr;;,1;111 (195-}) 60-66; O. PLèiGER, Prophctisches Erbe in den Sel~teu dcs friihe11 ]11dent11111s: ThLZ /9 (1954) 291-296; K . SCHUDEP.T, Dit· Rcligio11 des 11acbbiblischen ]t1de11t11ms (1955) ind~ce. s.;;·.: Io., Die Messiaslehrc i1l den Texten i.:011 Chirbet Qumran: BZ, N.F. 1 (1957) r77-197; H. i\·1. TF.llPLE, Tbe Mosaic Eschatological Propbet, JBL Monography IO (1957); Votz, Escb. 193-195; S. VAN DER Wouor:., Die messi1111ischen Vorstelltmgen der Gemei11dc 11011 Qumran, Studia semitica Necrlandica 3 (1957}; F. W. YOUNG, Jcsus the Propbet, 11 Reexamin11tio11: JBL 68 (1949) 285-299.

    PerD: C. K. BARRETT, The Holy Spirit lfl/(l tbe Go· sp:?l Tradition (1954) 94-99; K. BoRNHAUSER, · Das W irken des Christ11s durch T aten tmd Worte, BFTh n 2 (1921); J.BRoscu, ChariS1.•1e11 un
    P. E. DAVIES, Jcstts 111uJ the Rote o/ thc Prophet: JBL 64 (1945) 241-254; C. H. Dono, Jesus als Lehrer t111d Prophet, in G. K. A. BaL-A. DmssMANN, Mysterìttm Christi (1931} 69-86; H. DullSBERG, Jest1s prophète et docteur dc la Lai: Bible et vie chréticnnc (1955) ; J. Duroi'iT, G11osis. La Con1111issnnce Religie11Se dans les Ep1tres de St. Paul, Universitas Cntholica Lov:miensis, Disscrtntiones II 40 (1949} 201-212; F. GILS, Jésus Prophète d'après les Eva11giles sy11optiq11es, Orientalia et Biblica Lovanicnsia Il (1957); L. GoPPllLT, Typos.

    Dic typologische De11tu11g des A.T. im N.T., Il 43 (1939) 70-97; H. GREEVEN, Prophete11, Lehrer, Vorsteher bei Pt111lus: ZNW 44 (1952/ 53} I-15; A. I. B. H1GGTNS, Jesus ns

    BFTh

    7tp0q>T]""ç1Jç X."tA. Il. 1 1

    natura della profezia protocristiana; profeti cristiani e profeti dell'A.T.; 3. il massimo carisma; 4. estasi e profezia; 5. glossolalia e profezia; 6. preghiera e profezia; 7. rivelazione e profezia; 8. gnosi e profezia; 9. dogma e profezia; 10. evangelo e profezia; VII. falsi profeti. E. I profeti nella chiesa antica: I. i profeti dcll'A.T.; II. Gesù profeta; III. profeti della comunità cristiana; IV. falsi profeti. 1.

    Theol.

    10

    (1934) 182-185; N.BoNWETSCH,Die

    Geschichte des Montanismus (1881); DrnEuus, Herm. 538-540; A. HARNACK, Die Lehre der .12 Ap., TU 2,1 (1884) 98-no.u9-x3r; R. KNOPF, Das 11achnpostolische Zeitaller (1905) 250-252.404 s.; E. MoLLAND, La thèse 'La pro-

    ' ... , , .... ...J ,

    ""f~"T

    A. IL

    GRUPPO DI TERMINI NEI.LA GRECITÀ PROFANA

    .2.

    Prophet: ExpT 57 (1945/46) 292-294; O. M1CHEL, Prophet und Miirtyrer, BFfh 37,2 (1932); S. Mcmoz IGLESIAS, Los profelas del N.T. comparados con los del Antiquo: Estudios B.lblicos 6 (1947) 307-337; I. M. NIELEN, Gehet 11nd Gottesdienst im N.T. (1937) 191201; R. OTTO, Reich Gol/es und Menrchensohn' (1940) 289-299; H. RmSENFELD, ]esus als Prophet, in Spiritus et Veritas, Mélanges K. Kundzins (1953) 135-148; H. SASSE, Apostel, Propheten, Lehrer: Luthertum (1942) 316; H. SEVENTER, De Christologie van het N.T.' (1948) 38-47.2n-223; SCHù.TTER, Gesch. d. erst. Chr. 24-27; V. TAYLOR, The Names o/ ]esus (1954) 15-17; C. WEIZSACKER, Das ap. Zeitalter u (1902) indice, s.v. Per E: H. BACHT, Die prophetfrche Inspiration fo tler kirchlichen Refiexio11 der vormo11tanistischen Zeit: Scholastik 19 (1944) 1-18; W. IlAU.ER, Rechtgliiubigkeit und Ket:i:erei im iilteren Christenlum, Beitriige zur historischen

    \.1.1.. n.1u1111.:1 J

    I. I termini I. 1tpocp1rn1<;: 11ome11 agentis 1, attestato fino dal v sec. a.C., formato dal tema verbale (j)T}· = dire, parlare, col preverbio 1tpo-. Proprio da tale prefisso verbale discende la difficoltà di determinare il significato preciso del sostantivo. Dato che il verbo presupposto (7tp6q>"l')µL} è attestato occasionaLnente soltanto nell'era cristiana 2 e non può quindi essere utilizzato per determinare il significato primitivo di 'ltpocp1rn1ç, bisogna prendere le mosse da altri verbi di dire col preverbio 1tpo- di antica attestazione 3. Verso questo procedimento c'indirizza anche un testo come Plat., resp. 10,619c: 'tOt<; "JtPOPP"lliki:aw Ù7tÒ 'tOU 7tpoq:i-ri-.ou. Questi verbi ('ltpoa:yopEvw,

    pbétie 11'est ;amais vetme de la volonté de l'homme' (2 PJ. I,2.1) et les Pseudoclémentines: Studia Theoiogica 9 (1955) 67-85; G. STJIBCKBR, Das ]udenchristentum in den Pse11· doklementinen, TU 70 (1958) 145-153; TH. ZAHN, Der Hirt des Hermas (1868) 102-117; Io., Zur Gesch. des 111.lichen Ka11ons und der altkirch/ichen LJteratur lii, Supplementum Oementinum (1884) 298-302; L. ZscHARNACK, Der Dienrl der Fra11 in den ersten ]ahrhunderte11 der chr. Kirche (1902) 58-72.156-187. t E. FRARNKEIJ, Gesch. der gr. Nomina agentis I (1910) 34; SCHWYZl!.R 1 499 s.; per l'accento DEBRUNNER, Griech. \Ylortb. § 349. 2 Vedi i lessici, s.v. 3 ~ WACKERNAGEL 238-240;

    505

    SCHWYZJ!R II

    s. Le difficoltà connesse con tale procedi-

    mento sono però già evidenti nell'unico esem· pio omerico (Od. 1,37 ss.): -rçp6 ot Et-rçoµEv ... µ1rtt: ... xi:El\IEW µ1]'tE µv&cxcri>cxL, che~ W AKKERNAGEL 239 traduce: «noi l'avevamo avvertilo», intendendo un ordine o messaggio divino (cosl intendono anche~ FASCHER 5; ~ KoLP 798); invece ScHWYZER Il 505; LrnDELLScoTT, s.v. npoE~nov III dànno al verbo un senso temporale: «l'avevamo am111011ito, avvisato in anticipo».

    -Epw, -E~1tO\I ecc., npoÀ.Éyw, il poetico ;i;poa't"ocv; Eur., Ba. 2n: Èyw npoq>1}'t'J)c; crot À.6ywv yEviJcroµat) e in questo composto è possibile avvertire nella radice q>i')- il primitivo riferimento religioso e il tono enfatico che esso comporta 7 •

    Certamente accanto al significato di proclamare ecc. si afferma ben presto per 7tpoayopEvw x-.À. l'accezione temporale di proclamare prima, in anticipo 8 • Caso lampante di tale uso è Xenoph., sym. 4, 5: npoa.yopEUEL\I, predire (parallelo a 'ltpoopéiv, prevedere) 9 ; similmente Hippocr., progn. 15 (ed. Kiihlewein I 94): 'l'tpopp11crtç, predizione. In tutti i casi in cui forme future (ad es. Hdt. r,74, 10 2 ) oppure, ad es., i;à, 1.1.fÀ.À.o\l'ta. (ad es. Plat., Euthyphr. 3c 11 ) costituiscono l'oggetto di questi verbi, bisogna considerare che il preverbio 7tpo- poteva essere inteso non solo nel significato primario di fuori, ma anche (o addirittura unicamente) nell'accezione temporale di prima. Dal punto di vista metodico si

    7tpoctyoptuw, a1111tmciare p11bblica111e11te: nell'assemblea popolare (Hdt. 3,142,3; Thuc. 2, 13,1), mediante un araldo (Hdt. 3,61,3; 62), a proposito di comandanti militari (Hdt. 8,83; Thuc. 7,50,3), di dichiarazione cli guerra (Hdt. 7,9~; Thuc. l,131,1; Xenoph., Ag. 1,17; Demosth., or. rr,20; dr. Polyb. 3,20,8: 'ltporx.yyfì..ì..w) o del contenuto della legge (Plat., Crito .Pd; Xenoph., resp. 1..Ac. 12,5). 7tpoì..lyw, dire, dichiarare con tutta chiarezza (Thuc. 1,139,1: ÈVOTJÀ.6-.u.-rct; Demosth., or. 9,13); proclamare 1111 oracolo (Hdt. 8,136,3), chiaramente senza alcun riferimento al futuro anche Luc:., Alex. 22 (prescrivere cure, farmaci). 7tpocpwvru: proclamare ad alta voce; ordinare, i11giutJgere (p11bblicame11te) (Soph., Oed. Tyr. 223 [par. !~Epw: 219]; Eur., Hipp. 956). A quest'uso di 7tpo- in greco corrisponde il prefisso latino pro- nei verbi pro11u11Jiare, pro/iteri, ecc., mentre prodigit1m è «ciò che dall'occulto esce pubblicamente come manifestazione e azione» (H. KLmNKNECHT, Laokoo11: Herme:s 79 [1944] no). s Cfr. nnche 7tpocplpw proferire, comunicare un oracolo (Aesch., Ag. 964; Hdt. 4,151,1; 5,63,1). 6 TRENCH II; WACKERNAGEL 239 s.; ~ FASCHER 6; - KERN U 112; ~ KOLF 798. 7 Per - FouRNJER 8 q>l)µl significava in origine «proferire parole magiche o sacre», come comproverebbero, oltre che 7tpo<Jl'li"ti]ç, nnche

    forme come EUCL"toç (omerico, poetico) = deciso da Dio (pp. 8·12) e inoltre (ibid. pp. 18.38 s.) il tono enfatico che FouRNIER r2 s.) quindi un primitivo significato di presentare, far comparire, chiarire, m1111111ciare, si avrebbe un'ulteriore indicazione della portata della ra· dice q>'l'J- in TtpoqniTI)c;. 8 WACKERNAGEL 238 s.; ScHWYZER II 506; cfr. anche-')> v, coli. 479 ss. Qui possiamo tra· lasciare di considerare il significato frequente della precedenza temporale: prima, precede11teme11Je (vedi anche ~ n. 3). 9 m (i&.V"tEl.ç (.rie!) À.fyOV"tGtL. &À.À.OL<; µÈ'J 11poa.yopEUEL\t (codd. BD: 71poo--) -.ò µi),,),cv , ~ctU't'OL<; O~ µTj 7tpoopiiv 't'Ò l7tL6\I. 10 TY)v µE't'IXÀ.À.ct)'YJV "tct.U't'lJV -.ijç iJµépTJ:; 0 .'.tÀ.ijç ... 7tpo1rr6ptUCTE fotcrl}ctL. 11 'Eµov .. ., ow.v 't'L ì..éyw tv -.fi exxÀ.iJ-:rli

    4

    =

    7tEpt -.ci.iv lMwv, 1tpoÀ.éywv mho'i:c; 't'à. µÉÀ.ÀOV't'Gt, XIX"tct)'EÀWCW W<; µmvoµÉvou· XctkoL ouoèv l:hL oòx UÀ.'l}llèç dp'l}Xct W\t 'it(.IOEi:r.ov.

    Gr. Plnt., Phaedr. 244b.

    r.poqn'J-.rii; X•)•. A 1 1-6 (I-I. Kriimer)

    deve a11orn ammettere che, in base alla composizione della parola, esisteva anche per 7tpocp1J-c7J<; xi; À.. la possibilità di subire uno sviluppo semantico analogo. Solo l'interpretazione di ogni singolo passo può però stabilire se ed eventualmente in quale misura ciò sia effettivamente accaduto.

    2.1;;pocpfj·nc;, attestato fin dalla fine del v sec. a.C., è il femminile regolare di r.pO(j)lJ't'7):; 12 : annunciatrice, proclamatrice (Eur., Ion 42: 'ltpocpfj·nç foBa.lvoucru µa.v't'tfov l>i::ou, «venendo la profetessa verso l'oracolo del dio»; cfr. 92 s.: ài::loouo-' "EÀ.À.7)0"~ Bo6.c;, tic; a:v 'A;tOÀ.Àwv x€À.ao·fi011, la donna di DeHì « .. . la profetessa che canta ai Greci gli oracoli che Apollo fa risuonate»).

    3. 1tPOCfl'rJ't'EUW, attestato già nel v sec. a.C., è il verbo deuominale di 7Cpocp1J--criç 13 : a) essere proclamatore, annunciatore; annunciare (Pind., fr. r 50, detto del poeta: µav";"EUEO, Mofoa, npocpa·m'.ia-w ò'€yw; Pseud.-Aristot., mund. r [p. 39rn 15 s.], detto dell'anima: -cà. iM:a xcx..-a.À.cx.~oµÉv7J [ var.] 'tote; -i-E ù.vi>pw'lto~ç 1tpocp-rrmiouo-o:} b) Esse1'e profeta

    oracolare, coprfre la carica di prof eta presso u11 oracolo (IG VII 4155: ®Ehlowpw 'ltpocpa..i:EUO\l't'Oç; CIG II 285428 5 9: 7tpOCP7)"t'é'.UO\l'tO<;... ).

    4. 'ltpOCfl'l')"t'Ela, astratto di 7tpoq>'r}-i-euw 14, si riscontra nella letteratura greca non giudnica so1o a partire dal II sec. d .C. a) Luc., Alex. 40: ii oÈ 1tPO(j>l)"t'El1) 12 DHllRUNNJ::R, ZER I

    Griech. \Vortb. § 382; ScHWY-

    464.

    J3 SCHWYZER r 730.732: -Evw = «essere ciò che la parola base dice;>. Per l'aumento vedi SCli WYZER I 655 S.j HEl.J3ING 79; BLASS-DE2 nRUNNER § 69,4; RADERMACHER 86.

    u DEllRUNNER, Griech. \Vortb. § 287.

    FASCHER 53 s. i.-; Scnwvzr.n 1 497; \'(liirlb. § 396.

    i:; -7

    DEDRUNNER,

    Griech.

    òl11:; cppEv6ç È<J-cw f47toppw!;, il dono della proclamazione (della volontà divina), cioè la capacità di pronunciare un oracolo, è una parte dello spirito divino. b) Heliodol'., Aeth. 2,27,r: annuncio (della volontà divina), responso dell'oracolo. e) Luc., Alex. 60: ufficio di profeta 15 ; cosl anche Hcliodor., Aeth. 1,22, 7; 33,2 e l'iscrizìone microasiatica in Ditt., Or. n494,8 s.; CIG 11 2869.2880 ecc. 5. npocp-rrnx6c;, aggettivo indicante appartenenza o rapporto 16, significa pro-

    fetico, appartenente o relativo al 1tPOcp1)-i-ric;. Come npocpt}i:Ela, anche 7tpoqn1·nx6c; è testimoniato, fuori del giudaismo, solo a partire da Luc., Alex. 60: ~POCfl7)'t'tleòv cr-cɵµa., «l'infula da profeta», del profeta di un oracolo; Preisendanz, Zattb. I r,278 s.; I 4,933 (IV sec. d.C.): 1tpOCfl'fJ1:~Y.Òv crxfiµa;, «abito da profeta» o «manto da profeta», parte dell'equipaggiamento richiesto per l'invocazione magica di Apollo, dio della luce, ovvero della luce stessa (ibid. 1 4, 957: scongiuro della luce). 6. Nel nome composto \j;EvooTipocpi)17 (non attestato nella grecità profana, fuori dell'ambito giudaico, prima dell'era volgare 18 ) la prima parte può essere intesa o come oggetto della seconda 19 ( = profeta menzognero, di menzogna; cfr. Ier. 14,14: \jlsuo-ij oi.1tpocpi)-.aL npo
    =

    =

    =

    II. La realtà significata 1. Profeti

    oracolari a) Anche se il gruppo di termini non è attestato prima del v sec. a.C., la realtà che essi indicano è molto più antica ed è espressa, oltre che con 7tpocp1yt1'}c; X't" À.., anche dai composti Ù1tocp1)"t1']c; x-rÀ.. 21 . L'esempio più antico, l'unico anteriore al v scc., si riferisce al più antico oracolo dei Greci, quello di Zeus a Dodona, in una regione barbarica dell'Epiro 22. 21

    Qui il prefisso Ù1to- non contiene il momento della dipendenza o della insubordinazione (come dice~ FAscHE.R 17.28.32), ma significa da sotto: rispetto a 1tpo-, che indica la direzione, il moto a luogo ( = /11ori davanti a tutti), Ù1to- sottolinea la provenienza, l'origine (risponde alla domanda: donde? fuori dall'occr1ltat11ento). Cfr. ÌJ?toxplvo1.la~, in origine = esprimere la propria opinione traendola dal segreto, dal profondo del cuore (SCHWyzER II 524 s.; Horn., Il. 12,228: interpretare un segno miracoloso, cioè trarne fuori il significato occulto; Od. 19,535.555: interpretare un sogno; Plat., Tim. 72b cosl parafrasa il termine 'ltpoq>fj-ca~: ""tijc; 8~' atV~yµ(;}v cp1)µ1)<; xo:t <j)IJ.V· 'tcXO-Ewç Ù7toxp~""tttl [interpreti),~ coli. 456 s.; cfr. anche A. LESKY, Hypokrites, in St11di in onore di U. E. Paoli [1955] 472 s. [indicazio· ne di H. KLEINKNECHT]). Quando il demone marino Glauco è chiamato N1)pÉW<; 7tpoqrli-c11ç (Eur., Or. 364 [v sec. a.C.)) o N11pfjoi; ..• Ù1toqrli't1]<; (Apoll. Rhod. 1,13II [m sec. a.C.)), non è possibile cogliere alcuna differenza .di contenuto tra 7tpoq>1)TI}ç e Ù7tO<jJTJ't1]<;, come è impossibile coglierla in Luc., Alex. (n sec. d.C.), dove sono usati promiscuamente 7tpoq>o/i't1)<; (Alex. I I .22.24.43.55) e Ù7toqrii-c11ç (ibid. 24.26). Il gruppo di vocaboli costituito da Ùltoq>-/j'tTJ<; x-.À.. ( = colui che trae fuori dal segreto ed esprime) ha dunque praticamente Io stesso significato cli 7tpoqrli-c11i; x-cÀ..: an111111ciatore, proclamatore (~ WACKERNAGEL 239; dr. anche Strnbo 7,7,12; Ù1toqrli-.a.ç..., Èv oti; 'ta-c-cow-co xliv ot 1tpoq>iha.~) e viene

    In Hom., Il. 16,234 s. Achille invoca Zeus Dodoneo: «e intorno ti stanno i Selli, proclamatori, che mai lavano i piedi e dormono in terra» ( &.µcpL OÈ I:EÀ.Àot crot valova.. Ù1tocpfl'ta.L &.vmi:o'ltoOEc; xa.µa.LEV\10.L). Mentre la parola V1tocpfj't(x;L rimanda sicuramente all'oracolo, i due attributi non ci indirnno affatto come esso funzionasse 23 , ma definiscono una maniera di vita conservativo-primitiva 24, di tipo ascetico 25 o semplicemente barbaro 26 • Dal punto di vista del contenuto, questa antichissima notizia costituisce in greco un caso unico TT e dà l'impressione di qualcosa di non ellenico. Gli Ù1tocpij'tO.L proclamano la voloninfatti usato parnllelamente ad esso. Soltanto la ricercatezza di un'età successiva ha artificiosamente stabilito una differenza tra i due gruppi, ad es. Eustath. Thessal., comm. in Il. p. 1057,63 s.: v1tocpi]i:a.~ wç unoipl)-revov-cei; r.poq>1)-cEvov-ct -.~ bte'i:a-e .6.il; Zonaras, Lexicon (ed. J. A. H. TtTTMANN [1808] u 1773): 1i µtv 1tPOQlT}-CEla. 7tpÒ -.ou yEvfol)m À.ÉYEL -.à. i.iu-cepov YEVYJ
    implicasse necessariamente la pratica dell'incubazione (come riteneva, ad es., Eustath. Thessal., comm. ili Il. p. 1057,64 s.). 2.1 W. KROLL, Unum ex11ta pedm1; Glotta 25 (1936) 153. P. I\RETSCHMER, Efo/. in die Gesch. der gr. Sprache (1896) 87 s.; KERN, op. cii. (~ n. 22)

    25

    1260.

    Cosl N1LssoN 12 427. 27 Il termine ò.vm-c67toOEç compare ancora in un'iscrizione tralliana (ed. W. M. RAMSEY, Unedited Inscriptio11s o/ Asia Minor: BCH 7 [1883] 276 nr. 19), riferito ad un uso !idio, cioè non ellenico. KERN, op. cit. (n. 22)

    21

    1260; ~ LATTE 840.

    1tpOqrfJ't'r]ç X'tÀ. A n 1a (H. Krìimer)

    tà del dio che si manifesta nello stormire delle fronde della quercia sacra (Spvc;: Hom., Od. 14,328 19,297; Aesch., Prom. 832; Soph., Trach. n68; Plat., Phaedr. 275b; q>r}'y6c;: Hes., Jr. 134; Soph., Trach. 171) e più tardi (le prime testimonianze risalgono al rv sec.: F.G.H. m B nr. 327 [Demone], Jr. 20; Callim., hymn. 4,286) forse anche nel suono di bacinelle metalliche (XctÀ.xlov, À.É{31)c;) 28 • La volontà divina è cosl annunciata OLÙ'.. ·w.1wv cruµ{36À.wv (Strabo 7, fr. 1 29 ): compito e opera del profeta oracolare è di interpretare la volontà divina da questi segnali, traducendola in linguaggio umano comprensibile, e di proclamarla a chi si è rivolto all'oracolo 311. Lo U7toq>'I]'t1)c; di Dodona è pertanto interprete 31 dei segni rivelatori e insieme proclamatore della rivelazione divina. Le notizie in nostro possesso

    =

    2s

    In realtà nessun testo collega esplicitamente il suono delle bacinelle al responso dell'oracolo, cosl che le riserve avanzate da N1LSSON 1' non sono prive di fondamento. L'area dell'oracolo era, per cosl dire, recinta da una fila di -tp{.1to8tc; collegati tra loro che, opportunamente sollecitati, risuonavano. Per l'ipotesi che da questa 1ttplo8oc; -rijc; 1Jxfic; si traesse l'oracolo cfr. F. }ACOBY, in F.G.H. mb, Supplement I 218 s. Secondo 1a versione più probabile, una sferza metallica mossa dal vento (Ò1tÒ 'tOU 'lt\IEUµ(noç) percoteva un bacino di bronzo (F.G.H. mll nr. 327 [Demone] fr. 2oa, 1933; cfr. Strabo 7, fr. 3) fornendo cosl una manifestazione più chiara - rispetto allo stormire delle fronde - de!Ia rivelazione avvenuta tramite lo spirare del vento e~ LATTE 830). Dubbie rimangono le antiche notizie (ad es., Hdt. 2,55; Soph., Trach. 171 s.; Strabo 7, fr. l) circa l'uso di ottenere oracoli dal movimen· to o dal tubare delle colombe sacre del san· tuario di Dodona: NILSSON 12 424 s.; ~ LATTE 830. 29

    Stando a ciò che segue nel testo, Strnbone si riferisce tuttavia al principio della rivelazione, non alla forma del responso dato dallo Ù1tOqrfJ't'l}ç. 3-J

    sebo/. Hom., Il. 16,235 (ed. W. DINDORF Il

    non permettono di stabilire con precisione quale parte avessero nella proclamazione dell'otacolo le sacerdotesse (introdotte a Dodona evidentemente dietro l'esempio di DeHì e nominate per la prima volta in Hdt. 2,55), chiamate (ad es. in Strabo 7,7,x2; 9,2,4) 1tpocprrn8ec;, né quale rapporto corresse tra Ù7tocpfj-.a.L e 7tpoq>1),..LOE~ 32 • A quanto ci rivelano le tavolette plumbee (m vÙ'..XLct) 33 trovate a Dodona con incise le richieste di coloro che interpellavano l'oracolo, le domande vengono sempre rivolte a uomini (ol Awoww.ii:oi); cfr. anche la formula introduttiva della risposta profetica in Demosth., or. 21 ,53: 'tOV ALÒ<; ariµctlvet, Le domande, rivolte per iscritto 34, si riferiscono sempre ad un singolo caso: alcune presentano un'alternativa espressa con À.@OV xa.t aµELVOV o simili 35 , e allora basta che lo U7tO·

    o

    [1875] ): 1tpOqrlj'tat; yàp Myoutpov'taç. 31 M. LEUMANN, Homeriscbe Worter: Schweizerische Beitriige zur Altertumswissenschaft 3 (1950) 39 s. 32 Iij-.~ Mirtila gettata in una caldaia bollente è collegata da Zenobio 2,84 (CPG I .53) con Dodona, dallo PseudoPlutarco, proverbia Alexandrinort1111 9 (n 12.53 b) con Del.6. La confusione è palese in Suidas, s.v. 1tpoq>T)'tEla:: xat Ti BW. Bpvòc; xcx1 Ti .6.w-

    =

    8VT)~

    33

    ttpna.

    Le pubblicazioni delle iscrizioni sono indica-

    te in ~

    AMANDRY i71 n , 1; Ili nr. n6o-n66.

    Dl'I'T., Sy!I.'

    una scelta in

    I TCWOCXta. mo-

    strano che, l'oracolo fu frequentato ininterrottamente fino al 1 sec. a.C., ~ KERN 111 179. 34 Per quanto segue dr. ~ AMANDRY 171 s.; ~ LATTE 84i.848 s.; ~ KERN II n8. 35 DrrT., Syll.' m n65: lpou'tiiL KÀ.Eo1ha:(c;) -ròv .O.la:•. ., at fo'tt mhoi 1tpo~a-ctuov'tL (allevare pecore) 8vatO\I xcxt Wq>tÀ.LµO\I,

    -}53 ( VI.7~(>J

    ;:r;:içnr:-ri; X'tÀ.. A

    cp-fi,ric; risponda sì o no; altre vogliono sapere a quale dio il postulante debba rivolgersi per il problema che lo assilln 36; alcune riguardano questioni affatto private 37 , altre invece istituzioni pubbliche, particolarmente cultuali (--7 sotto). Le epigrafi conservano pochissime risposte dei profeti; ma quelle tramandateci per via letteraria 38 dovrebbero rispecchiare sostanzialmente la forma ufficiale dei responsi. Si veda, ad es., Demosth., or. 21,53: ò -tou lubç Oì)µaiNEL f.v .6.wowvn, .6.Lovvrr({.l &-qµc•EÀ:ij i.Ep&. •EÀ.s~v

    xaì. xpa-.fjpa xEp
    -hµÉpav· 6.d K-trirrl~ ~ovv ),E•Jxov, «il profeta di Zeus a Dodona avverte di immolare vittime a Dioniso a spese dello stato, di compiere libagioni e organizzare pubbliche danze in onore di Dioniso; di immolare un bue, inghirlandare tutti, liberi e schiavi, e osservare un giorno di riposo in onore di Apollo Apotropeo; di immolare poi un bue candido a Zeus Ctesio». I responsi degli interpreti dell'oracolo di Dodona sono Syll.3 m 1161: (u-rcpE~ N~xoxp&.­ -r( n]a., 'tt\IL i>EW\I ihJovcra À.WLo\I :r.a.t èi.µEWO\I r.prXO"O"OL XG.l 't~ V60"0V 7CaV
    37 DITT ., Syll.' III n63: Èpwtjj Aucravla.ç Ala. ... , ~ oux Eu'tL È!;, mhou -rò 7CaLMpLO\I 'Av-

    o

    vuÀct XÙEL. 3~ Indirectamente: Hdt. 2,_ 52; Paus. 8,28,6; direttamente: Demosth., or. :u,53. 39 La notizia di Paus. 7,25,1; 10,12,10 e Macrob., sai. 1,7,28, secondo CLJi i responsi di Dodona erano dati in esametri, è dovuta alla suddetta (~ n. 32) confusione con Delfi. 1 .lJ Per tutta la sezione cfr. NILSSON 1 625653; ~ AMANDRY, con la recensione di H. BERVE: Gnomon 24 (19;2) 5-12; G. KLAFFUNllACH, Das delphische Orakel: Wissenscbaftlichc Annalen 3 (1954) 513-5:i6; H . W. PARKED. E. WoRMEL1., The Delphic Oracle (1956) spec. I 17-45. 41 Nu.ssoN 11 l70·173.546.625-6:i8. La formu-

    H

    rn-ba (H. Kriimer)

    ( VI,786) 454

    in prosa 39 e si presentano come decisioni e istruzioni divine per la situazione attuale di colui che si è rivolto in quella circostanza all'oracolo. b) L'oracolo di Delfì 40 divenne il prindpale oracolo ellenico in virtù della mantica ispirntoria apollinea che, venuta in Grecia dall'Asia Minore all'inizio dell'età arcaica (--7 x, coll. 805 ss.), prese possesso di Delfi e sostituì quasi del tutto ln sentenza oracolare all'antica prassi di gettare le sorti 41 • Qui, dove i responsi oracolari avvengono otà )..6yw'V (Strabo I7 ,1A3 ), il gruppo di termini 7tPOC{JlJ1:T)<; x-. À.. trova il suo specifico impiego. a.) La Pizia, che nell'oracolo (µav-rEto'V), presa da una commozione 'entu-

    siastica' (--7xr, coll. 805 s.), opera 'manticamente', viene indicata col nome ufficiale di r.péµa.v·nc; (Hdt, 6,66,2; ·7,141, 2; Thuc. 5,16,2; Luc., Hermot. 60) 42, ma in tutta l'antichità 43 è chiamata anI.i civE~),$'1 ò ilE6c;, conservatasi nel linguaggio sacrale di Delfi, conferma ]'a11tica pratica di ricavare il responso dalle sorti. Essa continuò contemporaneamente alle sentenze oracolari, com'è testimoniato nel caso di una domanda alternativa conservataci in una iscrizione della metà dcl IV scc. a.C. (P. AMANDRY, Co11ve11tio11 religie:m: concl11e e11tre Delphes et Skiathos: ncH 63 [1939] 184 = ~ AMANDRY 245 nr. 16; cfr. Nu.ssoN II 99 ·n. l) e nel caso del nome da dare a una persona (Plut., de fraterno amore :i.i [II 492a/b]). Entrambe le volte come 5orti si usano fagioli. Altri testi in -> AMANDRY :i5-36; BERVB, op. cii. (~ n. 40) 6 . 42 G. R.AoKE, art. 'Promantis :i', in PAULY·WissowA 23,1 (1957) 647 con altri passi. 43 Si vedano i testi indicati in ~ Kou: 815, ad es. Plar., Pbaedr. :i44a; IG xu 3 nr. 863; Strabo 9,3,5; Diod. S. 14,13,3; 16,26A; Plut., P)•th. or. / (n 397b); Iambl., myst. 3,n (p. 17.6,4).

    itpoQJi)'tTJC, ·w tÀ. A u lba.-~ (H. Kramer)

    che 7tpocpij·nç, per la prima volta in il profeta oracolare è menzionato talEur., !on. 42: 7tpocpi}"t'L<; Ècr~ct.l\louo-a. volta per nome (Acerato: Hdt . 8,37; Niµa.vTi;fo\I ih:ou; ibid. 321 e 1322: ol~ou candro: Plut., def. orac. 51 [n 438b]), 1tporpi'}"t'L<;. Entrambi i termini indicano ma per il resto ciò accade piuttosto di la stessa persona, ma il loro contenuto passaggio, comunque senza un espresso non è identico(~ coll. 463 ss.) 44 • Mentre riferimento al fatto che egli addiviene in 7tp6µix.v·nc; sta in primo piano lo sve- all'oracolo e lo comunica. Senza dubbio lamento, in particolare del futuro 45 il 1tpocp1J•1]c; è connesso all'annuncio (PJat., Charm. 173c-174a; Phaedr. 244 dell'oracolo (sebo/. Hom., Il. 16,235: b-c; Plut., E ap. Delpb. 6 [II 387b] ), 7tpocp1J•w; yàp À.Éyovfj"t't<; esprime piuttosto l'idea del- µa.v'tdctc; ... ÉxqiÉpovw.c;, --+ n. 30); ma la Pizia che diventa voce (~ x, coll. quale fosse Ja sua funzione specifica, in 807 ss.), portavoce del dio che l'ispira particolare dove cominciassero le sue (dr. Eur., Ion 92 s.). Scelta, per il ser- competenze e dove finissero quelle delvizio, tra la popolazione locale (ibid. la Pizia, può essere solo ipotizzato, sia 1323; 7t(J.O"WV ÀEÀ.q>lOW\I È~a.lpE't'O<;), la pure con alto grado di verosimiglianPizia è l'unica donna presente all'ora- za 49 • Le considerazioni platoniche (Tim. colo, giacché il resto del personale è ma- 71e-72) sulla divinazione greca riguardaschile e soltanto agli uomini è concesso no implicitamente anche la prassi seguidi accostarsi all'oracolo per interrogarlo ta a Delfì (~ x, coll. 813 ss.): la divi(Plut., E ap. Delph. 2 [II 385c] ). Se- nazione ispirata (µct\mx1} Evikoc;) che condo Plut., de/. orac. 8 (II 414b) nel il dio dona soltanto alla aq>pocru\11] umaperiodo di massima fioritura dell'oracolo na, viene sottoposta alla 'critica' di un due sono le profetesse in servizio che uomo assennato (Eµq>pw'il), incaricato di si alternano con una terza di riserva, vagliare le cose dette ('tOC q>WV'l]i>Év-ta mentre nel II sec. d.C. ne basta una so- xpl\leL\I O O'UWOj)Cfat. 'tèt. pl)~É\1-.Gt): la. La denominazione di 7tpocpij"t't<; sem- «perciò esiste l'uso di preporre gl'interbra implicare che talvolta la Pizia pro- preti a giudici delle divinazioni ispirate» clamasse direttamente all'interrogante la (-.ò 't'W\I 7tpOcp1)-.w\I yÉvoc; É7tt -tai:c; Év· risposta del dio (Hdt. 1,47,2; 65,2; 5, iMotc; µocv-.elatc; xpt-çàç Émxa~1.a-.a­ \lat ). Per Platone, dunque, la funzione 92~) 46• specifica dei profeti dell'oracolo delfico ~) Del personale dell'oracolo faceva consiste nella riflessione razionale che parte, tra gli altri, anche il 1tpoq>1}-.1]<; 47 'intende' e giudica le parole pronunciate (Hdt. 8,36 s.; Plut., de/. orac. 51 [II dalla Pizia invasata (dr. Plat., Charm. 438b]; Berliner Pap. u517,50 [fine del 173c, ~ coli. 463s.). I profeti dell'oraII sec. d.C.J 48• Plut., quaest. Graec. 9 colo sono poi definiti «interpreti del[n 292d]; quaest. conv. 8,2 [n 717d]; le oscure parole ispirate e delle visioni Ael., nat. an. 10,26 parlano invece di enigmatiche» (Tim . 72b: "t'ij<; OL' a.lvty· 7tpocpi'j"t'at., al plurale). In queste notizie µWv q>1)µ11c; xa.t . cpocv-.®Ewç ùn:oxp~Lo stesso vale per la profetessa dell'oracolo di Apollo ad Argo: DrrT., Syll.' n 735 (I sec.

    44

    a.C.): '1tp6µa.V'tLt;; Paus. 2,24,1: itpO
    cm..

    45 Cfr. T. HoPFNER, art. Mtx.'ll'tLXTJ, WISSOWA 14,1 (1928) 1258 s.

    ~ ~ AMANDRY 121.

    in

    PAULY·

    47 ~ AMANDRY II8-123.

    168. 223;

    ~ KOLF

    808 s. ~

    W. ScmJBART (ed.), Aur einer Apo/1011·Aretalogie: Hermes 55 (1920) 188·195 (il passo

    in questione si trova a p. 191); ~ FASCHER 41 s. 49 KLAFFENBACH, op. cit. (~ n. 40) 525 S.: cfr. ~ AMANDRY II9 s. 122.

    "t'at) 50 e infine chiamati Tipocpii•aL µav-.woµÉvwv, «interpreti dei vaticini (o dei vaticinatori)», in contrapposizione ai µtivn:tc; 'entusiastici'. Il motivo interiore di questa descrizione e valutazione del «profeta assennato» (o-wcppwv 'ltpo
    µo<; xa.t cpo~Ep&. emessa durante la successiva esagitata fuga, e che anche la Pizia è chiamata 7tpocp'ij-cLç. Tutto ciò induce a credere çhe la Pizia si esprimesse in uno stato di invasamento, ma sempre otèc. Mywv. Compito ptincipale del 7tpOq>lJ"t'1)<;; sarebbe stato allora quello di dare la prescritta forma ufficiale aUa sentenza della Pizia. Egli dunque interveniva sulla forma, non sulla sostanza dell'oracolo 51 , e proclamava il responso all'interrogante (Èxq>ÉpEtV, -+ col. 456). Le domande poste all'oracolo per iscritto 52 o a voce trattano gli stessi temi di quelle di Dodona (~col. 452 s .), ma vanno anche molto più in là: si chiede quale sarà l'esito di una guerra (Hdt. 1,53; 7 1 220) o, nel caso di una calamità pubblica, quale sia il motivo dell'ira divina (Hdt. 1,n4; 5 1 82); s'interroga l'oraco. lo prima di fondare una colonia (Hdt. 4 1 150-159; Thuc. 3,92,J) o per cancellare una colpa di sangue (Thuc. 1,134, 4; Ael., var. hist. 3,43), ecc. I respoo.si 53 sono formulati in esametri o in prosa (è:µµe:"tp&. "t'E xd liµe'tpoc: Strabo 9,3, 5 ), ai tempi di Plutarco soltanto 'in prosa (Plut., Pyth. or. 7 [u 397c-d]; cfr. Cic., divin. 2 1 56,116). L'uso dell'esametro epico rivela l'intenzione di affidare il responso a memoria perenne e di dettare agli uomini una norma di vita e di pensiero che andasse ben oltre il limitato orizzonte del caso concreto 54 • L'esem-

    L'intero passo include i fenomeni rivelatori ottici (<JJa.vlv'fa.), che, naturalmente, necessitano (come i sogni) di una particolare interpretazione per poter essere trasformati in una. sentenza oracolare; cfr. ~ n. 21 e Luc., verae historiae 2,33: 't'Ò µ11\l>tEi:'ov, ov 7tpoe~cr..1)xE~ npOq>TJ'fEUWV 'A\l't'tqJwv ò 't'W\I Ò\IElpwv vnoxpt-r1}ç. 51 ~ AMANDRY n9 s.; BERVE, op. cit. (~ n. 40) IO s.; KLAFFENBACH, op. cit. (~ n. 40) 525 s.; PARKE-WoRMELL, op. cit. (~ n . 40) I 33 s. s2 Per Delfì non ci sono reperti paragonabili a quelli di Dodona (~ coll. 452 s.), ma ciò potrebbe essere dovuto al materiale scrittorio usato per le domande: tavolette di cera invece

    delle laminette di piombo. L'uso cli porre domande per iscritto è attestato, ad es., da sebo!. Aristoph., Pl. 39 (ed. F. DiinNER [ r877 ]): ol µav-rEv6µ.Evo~ lyypaq>l(J &.va:xoww<m 'ltpòc; 'tÒ\I i>EÒ\I 't'Ò:c; 'l>EUO'E~ l7totOV\l'fO) ed è proba· bile che venisse seguito quando s'inviava all'o· rncolo un corriere. ~ A.MANDRY 149 s. 53 Raccolti ora PARKE-WORMELL, op. cit. · (~ n. 40) II: The Oracular Responses. All'oracolo delfico si rivolse anche l'imperatore Giuliano, e la sua è l'ultima consultazione di cui si abbia notizia.~ KERN III 181; NILSSON II 449 n. IL 51 --') LATTE 841 s. Anche il filosofo Senofane tenta, verso la fine del VI sec. a.C., di conqui-

    s:J

    in

    pio più noto è il responso dato allo spartano Glauco (Hdt. 6,86y ), che aveva chiesto all'oracolo se con uno spergiuro potesse appropriarsi del denaro che uno stranìcro gli aveva lasciato in deposito: «Gh::uco, figlio di Epicide, certo per il momento è più vantaggioso guadagnare c~m uno spergiuro il denaro e cosi rubarlo. Spergiura pure, perché la morte attende anche chi si attiene ai giuramenti. Ma il giuramento ha un figlio ... che t'insegue senza sosta finché non abbia raggiunto e distrutto tutta la stirpe e tutta la casata. Quindi la stirpe dell'uomo che si attiene al giul'amento ha nel futuro una sorte migliore» . L'oracolo delfico formula cosl quella che è la norma etica generalmente accettata 55 , custodendo la tradizione e adattandola accortamente ai tempi 56 • Il linguaggio 57 dei profeti delfici è spesso oscuro per le ligure impiegate, che vanno dalla metafora allusiva 58 fino alla parabola completa 59, seguendo i canoni della poesia enigmistica (ad es. Hdt. 1,67; 3,57). Reso ancora più arduo dall'uso del paradosso 00 , il linguaggio oracolare sfida l'intelligenza dell'ascoltatore, pretendendo ch'egli non prenda il responso nel suo aspetto più ovvio e superficiale, ma cerchi il significato profondo nascosto sotto le parole: ..a.o.. wv Eù q>p&.sE~e. «riflettete dunque bene su queste parole», dice

    a:

    quistare come rnpsodo l'opinione pubblica usando l'esametro epico. ss K. LATTE, Heiliges Rechi (r920) r. Per il culto cfr. Xenoph., mcm. 1,3,1: Ti IIuDlct vbµ~ 1tbÀewç O:vatpE'i: 7tOto\iv,.ac; EUCTE~wç liv 1t0tEt\/. 56 Più profonda è l'influenza che l 'oracolo eser· citò sulla riforma del calendario rispondendo alle domande riguardanti l'ordinamento del culto e della vita religiosa: cfr. Nms SON 11 644-647. S7 Cfr. U. H5LscHER, Der Logos bei Heraklit, in Varia Variomm, Festgabe flir K. Reinhardt (1952) 72 s.; ~ LATTE 845 s. Heracl., fr. 93 (DIELS1 I l 72 ,6 s'): b ~va!;, oi'.i -.ò µct\/1'E~6v

    l'oracolo ai Corinzi (Hdt. 5,92B). La comprensione piena (yvwva.t: Hdt. 3, 58) del responso viene affidata all'uomo, ma allo stesso tempo questi viene collocato entro i suoi limiti naturali nello spirito dell'iscrizione posta sul tempio di Del6: rvwi)t CTEIX.\J't'6v (scil. ocvfrpWltO\I OV't'a.), «conosci te stesso (cioè, riconosci che sei uomo)» 61 ; cosl una sentenza come, ad es., Kpoi:croç "A)..uv ota.Bàç µEy1}'t'TJ<; (Aesch., Eum. 19). Egli è il vero µti.v't'tç dell'oracolo (ad es., Aesch., Choeph. 559: µcX.v·nç &.IJ;eu81Jç), allo stesso tempo il portavoce di Zeus, che a sua volta è detto il più verace divinatore di tutti gli dèi (Archiloch., fr. 84 [Diehl 3 III 37]: µ!iV't'tç !i\jJEUOÉo"tan<;).

    ma

    c) L'uso del gruppo di termini nell'ambito degli altri oracoli greci 62 non ÉCT'tt

    '\'Ò

    È.v

    AEÀ<po~c,,

    o;J..E À.ÉyEL ou't'E xpu1t't'Et o DEÒC,... at-

    ?J..).),,à 0'1')µalvEt. Plat., ap. nb: vl1'1'E't'Clt.

    >3 Ad es. Plut., Pyth. or. 24 (II 406e): 6pEµ1t6'tctt, «che bevono l'acqua dai monti», cioè i fiumi. 5~ Ad es. I-Idt . .5.92~: «Un'aquila sulle montagne è incinta e partorirà un leone». 60 Ad es. Hdt. 5,92!3-) n. 59; 7,141,3 : «Muro di legno»; F.G.H. m Il nr. 404 (Anassandrida di Delfi), Jr. I: «Prendi il vertice e hai il centro». 61 Per questa sentenza famosa cfr. K. KERÉNYI, Niobe (1949) 248 s. 62 Elenco degli oracoli con testi in -) Kou 803-806.809.815 s.

    si discosta da quanto abbiamo detto per Dodona e Delfì. Si tratta soprattutto di oracoli di Apollo: a Ptoo 63 , a Corope ~, ad Argo (1tpocpi}-.tç, ~ n . 44), a Claro 65 , a Di1'J"EUOV'tE<; accanto alla rtpoµa.v•t<;, come a Delfì: Hdt. 7,111,2) ecc. Forse è per una interpretatio Graeca che anche il sacerdote dell'oracolo di Zeus Ammone in Libia viene chiamato 7tpoq>'l)•t"'l]<; (la testimonianza più antica è Pseud.-Plat., Alc. II 149b.15oa) : similmente a quanto accade a Dodona, anche costui interpreta la volontà del dio (vEuµa.cn xaì. uuµ~oÀ.otç ... i;ou 7tpocpl]'tov -.òv ll.la uT.oxptva.µÉvou: Strabo I7 ,1, 43) Oia 'ttvWV
    no é8 su Alessandro di Abonotico (una località sulle coste della Paflagonia) che colà nel II sec. d.C., sfruttando la passione per gli oracoli, fonda un oracolo di un dio che egli stesso proclama Glicone, nuorn Asclepio e nipote di Apollo (Alex. 43). Certamente rimane nell'alveo dell'uso greco l'espressione livEV V1tO<J>lJ•OV, «senza un particolare interprete dell'oracolo (o proclamatore dell'oracolo)» (Alex. 26), né da tale uso Luciano si discosta allorché, in occasione della sua visita, si rifiuta di chiamare Alessandro 7'pocp1rn1c; (Alex. 5 5 ); questo rifiuto probabilmente non solo è inteso a colpire il ciarlatano, ma rivela una sensibilità per i! peculiare contenuto greco del termine. Dove però Alessandro si attribuisce boriosamente i nomi di npoqi1J•nc; e u-:tocp'l)n1c; (Alex. 11.22.24) si scorge nei termini la presenza di elementi estranei alla profezia oracolare greca. Luciano chiama il suo avversario y6nc;, cioè incantatore (Alex. r.25; discepolo di un yo'l')c;: ibid. 5 ), includendolo così nella categoria non greca del iM:oc; èivllpw'ltoç 69 che pretende llOil solo di avere predetto (1tpOE~­ TCE~V) il futuro e chiadto eventi oscuri, ma anche di aver operato guarigioni e richiamato in vita dei morti (Alex. 24). 66 Presso Mileto; il '!tpocp-IJ-rriç proviene da famiglie sacerdotali di alto rango; più tardi vi opera anche una rcpoq>fj-r~ç (Iambl., myst. 3,II [p. 127,12]). Le iscrizioni che riguardano i profeti sono raccolte ora in T. WmGAND, Didy11/(I n: .Die Inschri/te11, ed. A. REHM e R. HARDER (1958) 155-203 (nr. 202-306).

    . 67

    Ed. A. B. DRACHMANN I (1903). 63 Bibl. in N11ssoN II 452 n. 3; da notare particolarmente O. \VmNREICH, Alcxandros der Liigc11propbct 1111d seine Stellrmg in der Religiosi/iii des II. ]ahrhtmderts 11. Chr.: NJbch KlAlt 47 (1 921) l29-r5r. 69 Cfr. RE1TZENSTEIN, Hell. Myst. 26.

    7tpoqn)TI)c;

    X"t'A.

    A II rd-e ll-1. l'..ramer1

    Invasato dal suo dio, in istato estatico, con la schiuma alla bocca (Alex. 12 ), vestito in maniera stravagante (Alex. r r ), nei misteri connessi con l'oracolo egli si vanta di essere figlio di un dio (Alex. 38 s.) e afferma di avere avuto una figlia dalla dea Luna (Alex. 35) . Benché ministro del dio (itEp&.TtW'J Ù7tocp1}'t'1]c;), 1tpOq>lJ't1]ç xat µaitl}'ti)ç 't'OU itEOU (Alex. 24), egli ha però una posizione di gran lunga superiore a quella del comune profeta oracolare, se il dio élà alla sua intercessione un valore decisivo: fo't'at TI&.\l"tct, ò1t6Ta\l ÈoE).1)crw Èyw xat 'A).é~avopoç ò 1tpoq>1)'t'nc; µov OElJitii xat EV~1)-rct.t u7t~p ùµwv, <(tutto avverrà se io vorrò e se Alessandro, mio profeta, chiederà e intercederà per voi» (Alex. 22). In particolare la diversa natura del profetismo rappresentato da Alessandro si manifesta nel fatto di pronunciare responsi, sia ad individui (Alex_ 50) sia alle città d'Italia (ibid. 36), senza essere interrogato, mentre il profeta oracolare greco comunica la risposta del dio sempre e solo dietro specifica interrogazione. e) 1tpoq>iJ'tlJ<; e µci.n1ç non sono sinonimi 70 • Mentre le funzioni connesse con questi due nomi sono talvolta affidate a due diversi individui (ad es., Pind., fr. r50, ~ coli. 47r s.), spesso vengono attribuite alla stessa persona e indicano due aspetti distinti: al µ&.v-r1ç è data l'illuminazione, la chiaroveggenza, in particolar modo del futuro; al 7tpo
    cft. -:>

    FRAENKEI: 498;

    done guida, stabilisca quali veri indovini i profeti del futuro» ('t''/i'J µav-.tx'Ì)v €tWJ.t ... Émo--.1)µ-qv -tou µ€).À.ov-.oç EO"Ecritat, xat -.l}v crwcppocruv1w ocù-.fjç ÉmO"'t'<X.'toucra'll ... 't'OÙç Wç b.À'l)i}wç µa\1't'Et<; xcdhcr-.-i]"t'l)<; (Eum. r9) in quanto comunica alla Pizia il volere di Zeus; la Pizia è la µ6.v-r1ç ispirata da Apollo (Eum. 29.33), ma è anche sua 7tpOcpfj't'tç quando ne diviene portavoce (~ col. 455); il 1tpocp1)'t1Jt;, infine, è colui che proclama l'oracolo nella forma definitiva(~ col. 458).

    Il medesimo doppio aspetto dell'uso linguistico è attestato per l'oracolo di Apollo 11. Ptoo (1tp6µoc'V't'tt; e 7tpO FASCHER IJ s, 19.42.52-54; -:> col. 455.

    Atòc; u\j!CO""t'OU 1tpocpchav .. ., opMp.av"t'tv), An6arao (Aesch., Sept. c. Theb. 609 ss.) e Cassandra (Aesch., Ag. ro98 s.), ed anche quale attributo del demone marino Glauco (Eur., Or. 363 s.: µri.v"t'tc;... NTJpÉwc; 1tpOq>lJ"t'TJ<;). Questa distinzione dev'essere stata sentita a lungo in Occidente, certo fino al II sec. d. C., come dimostra Iren., fr. 23 71 : ov-.oc; OÙXÉ'tL wc; 1tpO1} X<.X.t 'ltOÀÀcl:, i'.crrun oÈ oÙOÈv wv ÀÉyouo-tv. Cfr. ap. 22c). In queste descrizioni il significato del dono divino (Plat., Phaedr. 244a: «i più grandi doni ci vengono 71

    Ed.

    w.HARVEY

    II

    (I857) 49I.

    n HARNACK, Miss. I 362 n. 2. Solo una volta (Phaedr. 244a) menziona, usando un'espressione ormai fissata dall'uso, ii

    73

    largiti per mezzo d'una follia che è un dono divino», µ.ocvlrL t>zl~ òélj-rctt, bensl di XP'l']CTµcvool e di (i)i;o )µa\l't'EL<; 73 : secondo Platone per il 'profeta' il momento razionale è integrante (cfr. Tim. 7re-72b, ~ col. 456) . Ciò che Platone in Ion 534c dice, ancora molto genericamente, dell'l'.nt'l'}pÉ"t'l'}c; del dio, è precisato da Plutarco ( ~ x, col. 813), per il quale l'anima di colui che diviene trami te della rivelazione è un opyct\10\1 t>EoU (Pyth. or. 2 I [u 404b ] ), una cetra del dio (de/. orac. 50 [II 437 d]). Anche Plutarco, poi, non esclude affatto la ragione (de/. orac. 48 [II 436e]), cfr. ~ x, coll. 822 s. Pres5o il neoplatonico Giamblico il concetto di 1tPO<J>lJ'tTJc; sembra però, con una certa deviazione dalla linea greca 74, identificarsi pienamente con quello del µlivnc; estatico, che è ($X'l)µCL f) opyOC\IOV 't'Ot<; È1tL7t\IÉoucrt i>Eotc:;, «veicolo o strumento per gli dèi ispiratori» (Iamblicus, myst. 3A [p. ro9,r2]): il dio si serve del profeta come di uno strumento e quegli non ha più né coscienza né cognizione alcuna: non sa chi è, che dice, dove SÌ trova (xpi\'tctL wc; opya\I~ -r@ 7tpOq>lJ'tTJ oV"t'E É<W'tOU O\l't'L o(hE 'lt<.X.paxoÀ.outlouv-.t oùOèv olc; ÀÉye.t ii o?tou lv L'1EÀcpo~ç 'ltpocplj·nç accanto alle lÉpEL!XL di Dodona. 71 Cfr. N1LssoN 11 431-435 ed anche quanto abbiamo detto(~ coli. 462 s.) circa Alessandro di Abonotico.

    , .-,, / -,.--

    Le informazioni che abbiamo non ci permettono di chiarire l'esatto procedimeng) Riepilogando, possiamo fissare al- to della comunicazione del responso ocuni punti fermi circa l'uso dei nostri racolare. f3) Il profeta oracolare annuntermini nel sistema oracolare greco. a) cia all'interrogante, nella sua presente e Essi indicano le persone oracolari, ma- concreta situazione (--+ coll. 453 s.) in schili o femminili, e la loro attività, rispondenza alle domande poste, la voche consiste nell'enunciare sentenze il lontà e il consiglio del dio. Quanto al cui contenuto non è dovuto ad esse, contenuto, l'oracolo riguarda tutta la ma al dio che rivela la propria volontà sfera della vita privata, pubblica e culin quella sede oracolare. Tale rivelazio- tuale (--+ col. 458). y) I profeti e le ne avviene per ispirazione diretta o per profetesse degli oracoli greci non vensegni (11uµ~0Àa) che necessitano ancora gono scelti dal dio, ma dagli uomini per dell'interpretazione umana (--+ coli. il loro servizio (--+ col. 455), tenendo 450 ss.; 461). La differenza tra le due conto delle loro predisposizioni umane : forme di rivelazione non ha alcun peso mentre nella mantica ispiratoria (-7 per l'impiego del gruppo di termini 75 : coli. 454 s. 465 ss.) potrebbe essere il gruppo stesso è indifferente nei con- stata presa in considerazione una certa fronti dell'ispirazione che può, ma non predisposizione psichica, in genere i prodeve necessariamente, essere inclusa. Il feti provengono dalle classi altolocate 76, gruppo terminologico 7tpOCJ>D't'f}ç x-.).., ad es. a Didima dall'antica stirpe dei conformemente al significato letterale Branchidi. L'iniziativa è però totalmen· dei vocaboli, indica essenzialmente l'e- te umana, non solo per quanto riguarda nunciazione pubblica della volontà divi- la scelta del personale oracolare, ma anna (precedentemente celata), in partico- che per quanto attiene a tutto il proceslare la manifestazione verbale di tale so divinatorio, che si mette in moto, per volontà all'interrogante che ha solleci- così dire, solo su ordinazione 77 : il protato il responso, e include naturalmente feta parla soltanto quando una singola una previa interpretazione di segni ( Ù7tO- persona pone un dato quesito all'oracoxplvE11Dm) ovvero la consapevole for- lo 78 • Anche l'ispirazione è provocata dalmulazione dell'oracolo (-7 col. 458). l'iniziativa umana (cf r. -7 x, coli. 808 y 'i'j<; Év't'W: ibid.

    13

    I I ( p. I 2 5 ,I O SS.) ).

    La distinzione tra mantìca 'intuitiva' e 'induttiva' (gem1s divi11andi 11a11Jrale e gcnus divinandi artificiosum: Cic., divì11. I ,49,ro9 s.; 2, n,26) nd caso di 'ltpoq>i)"t'l')c; X't'À., è dunque recessiva. 76 Al tempo di Plutarco fa Pizia el'a una semplice contadinella (Pyth. or. 22 [II 405c]), ma si tratta, come sembra, di una eccezione: ~

    op. cit. <~ 40) IO n. 2. Prophetc11tum 250. 78 ~ FASCHBR 58 s.; ~ KoLF 799. Il profeta dell'oracolo di Ammone saluta Alessandro Ma· gno chiamandolo figlio di Arnmone (Plut., Alex. 27 (1 680]); ma non si tratta di un oracolo, bensl del saluto con cui viene ricevuto ufficialmente e solennemente il nuovo signore AMANDRY n6; BBRVE,

    71 ~ BACHT,

    s.). In un solo caso si parla di ribellione contro questo servizio: a proposito di una Pizia che, ai tempi di Plutarco, si rifiuta di divenire portavoce del dio (Plut., def. orac. 51 [n 438a-c], cfr. -7 x, col.822). o) Il profeta oracolare gode di un tale prestigio sociale, da poter essere chiamato a particolari compiti di rappresentanza, ad esempio come capo ~ quindi portavoce di una delegazione 79; fa sua posizione è quella di un magistrato, come si può dedurre dall'uso d'indicare l'anno col nome del profeta in carica; cfr. in particolare le iscrizioni di Didima con la formula h;t -.ou 7tpocp1)'tOV ... ovvero 7tpOcpTJ'tEUo\l-to~ ... 80

    (qui r;;poq>lJ'tEVW significa evidentemente

    coprire la carica, l'ufficio di profeta otacolare ). E) Eur., lon 369: oùx Ecr't'L\I «non c'è chi ti profetizzerà queste cose»: qui il verbo 1tpocplJ'tEVW include l'enunciazione e la presentazione del quesito al dio dell'oracolo 81 (cfr. -7 coll.472 s.). o<J'tL<; <JOL 1tpocpt)'tEVCTEL 't
    2.

    Il poeta quale npocpl)'t''l'}<; a) Nella più antica poesia greca incon-

    dcl paese; cfr. NILSSON II 138 s. Cfr. M. HoLLRAUX, Fot1illes att Tempie d'Apollo11 Ptoos: BCH r4 (1890) 53 s. 61) Vedi REl-IM, op. cit. e~ n. 66) indici IV e V, s.v. 81 Quest'uso linguistico, conformemente al già discusso rapporto tra µaV't'LC:, e 1tpOqni't''l'lC:. (~ coli. 463 ss.), potrebbe essere stato influenzato dal doppio significato di µav·m~oµa1: predire (ad es., Pfat., Ti111. 72b) e ottenere t1n oracolo (ad es., Plat., ap. 2rn); cfr. ~ FASCHER 15 n. 2. s2 Per quanto segue dr. ~ Donns 80 s.; W. F. OTTo, Die M11sen und der gottliche Urspm11g des Singens tmd Sagens (1954) 31-34; 7~

    trinmo, quale elemento già chiaramente trndizionale che trova la sua espressione più semplice nell'invocazione alla Musa (Hom., Il. 1,1; specialmente 2,484-492 e passim), la credenza in una connessione tra la Musa divina e quell'essere umano che è il poeta 82 • L'aedo omerico sente di dipendere da un essere divino proprio nell'esercizio della sua atte (Hom., Od. 8,44: itEoç... OWXE\I ào~oT)\I) e per questo contatto è 1M:oç &otooç, «divino cantore» (Od. 1,336; 8,43 e passim). Certo, il dono delle Muse tiguarda anche l'effetto del canto (Od. 8,45: 'tÉpTIEW, dilettare), ma soprattutto il suo contenuto, il passato che il cantore vuol richiamate e descrivere: le Muse hanno visto tutto, cioè sanno tutto (Il. 2,48 5: fon 7t6:V't'ct), e lo 'rammentano' (µYrJ · crrurl>ctL: Il. 2,492) al cantore il quale, pertanto, è in un primo momento egli stesso ascoltatore e solo in seguito, in virtù della forza di ricordarsi che ha avuto in dono, poeta e narratore 83 • Svolgendo tale concezione, ma aIIo stesso tempo prendendo le distanze daU'epica cavalleresca, Esiodo presenta un· nuovo e secondo lui più veritiero (theog. 28: à_'X.111)fo. YTJPUO"(f.cri)cu) rapporto del poeta con la Musa nell'espetienza personale della vocazione poetica rivoltagli dalle Muse, che gli inspirano una voce divina (theog. 22-34, ~ x, col. 803). Basandosi su questa tradizione, Pindaro84 per primo tra i poeti greci si serve \Y/. ScHADEWALDT, V 011 Homers \Veli 111/ll 1flerk2 (1951) 76-83; K. LATTE, Hesiods Dich· terweihe: Antikc und Abcndland 2 (1946} 152-163.

    Orto, op. cit. (~ n. 82) 34, dr. 85; LATTE, (~ n. 82) 159· 84 Cfr. ~ FASCHER 12; ~ Donns 82, con la · recensione di G. LucK: Gnomon 25 (1953) 364; H. GuNDERT, Pind. und sein Dichterbemf: Frankfurter Studien zur Religion und Kultur der Antike rn (1935) 62 s.; A. SPERDUTI, The Divine Nature o/ Poetry ù1 A11tiq11ity. Trnnsactionr. and Proceedings of the American Philological Association 81 (1950) 233&J

    op. cit.

    471 (vr,792)

    r.poqri}'t'l')<; X'tÌ... A Il 2a-b lH.11..tamcr J

    l V1,7'))14/-'

    del termine npoqrii-c11ç e del suo gruppo per designare il suo rapporto con le

    il poeta non proclama niente di suo,

    237; W. KRAus, Die A11ffam111g des Dichterbemfs im fruhet1 Griechen/11111: Wiener Studien 68 (1955) 85 s.; J. DUCHEMIN, Pindare poète et prophète (1955) spec. 22-34.337. a> Cfr. P. FRIEDLANDBR, Platon 111 (19.n) 297

    Flavii Philostrati Opera II [1871] 422,26 s.; ~ x, coll. 817 s.): le mani dell'artista µ.E't!Ì µa.vlttc; 'ltpOq>tj'tEVOU
    bensl trasmette un compito e un sapere Muse: egli è portavoce delle Muse divino; dall'altro è espressione della (paean. 6,6: Il~Eplowv 7Cpocpa:raç; ana- profonda autocoscienza del poeta, che logamente Bacchilide si considera [9,3] può proporsi quale 7tpocp1)-.11ç perché Moucrav... iki:oc; npocpcha.ç). Con chiara grazie al favore degli dèi ha una crocpla: reminiscenza di Horn., Il. 2,484-492 {~ innata (Pyh. l,4I s.; Olymp. 2,86, cfr. sopra), Pindaro invoca le Muse (paean. 9,roo) e può cosl disporre di una durevole e continua potenza creativa: quan6,50-58) perché esse sanno tutto (54 s.: Urc.t't'E •.. mX.vw.) ciò che ai mortali sareb- do il poeta parla come 1tpocp1)-c'l]ç delle be altrimenti impossibile escogitare: do- Muse, il suo genio partecipa in maniera nano infatti l'inventiva (t::vµa.xavla.) e la essenziale a questo evento. È sintomaticrocpla, la sapienza (paean. 7b,n-15). co che mentre in quello stesso periodo 85 Quasi sinonimo di npocprrri}c; è in dithy- si forma l'idea (non documentata però rambus 2 [ = fr. 7ob],23 ss. x1)pu~: la prima di Democr., fr. I7 s. [Dicls 1 n Musa ha dato all'Ellade il poeta quale 146,5-r5] e Plat., Ion 534a-e; Phaedr. eletto e prediletto araldo di sagge paro- 245a.265b) di una µet.\lla. del poeta che le: È!;a.lpE't'O\/ xapUXrt. O'Oq>WV È1tÉW\/ nulla sa di ciò che dice (Plat., ap. 22c; Moi:cr'ocvÉcr't'a:TJ't'TJ<; 86• La annuncio è fa lode delle nobili apE't'CX.L formulazione coniata da Pindaro divene l'educazione ad esse. Pindaro chiama terà poi nell'ellenismo (che userà il teril poeta npoq>TJ't''l'l<; con chiaro riferimen- mine epico U1tocp1)'t'i}<; [Horn., Il. 16, to all'oracolo delfico, e precisa a questo 235, ~ n. 21]) denominazione stereomodo (fr. 150) il proprio rapporto con tipa del poeta: Moucrtiwv vitocp1)'t'i}<; 1a Musa: «Vaticina, o Musa, e io sarò (Theocr., idyll. 16,29; 17,II5) 81, e sarà il tuo portavoce» (µa.'\/'t'EVEO, Moi:cra., usata ançhe in età cristiana (Dio Chrys., 1tpoq>a.'t'EUO'W o'Èyw). Qui la Musa ha or. 36,42: itpocp1j't'a:t 't'W'\/ Moucrwv). Inpreso il posto della 7tp6µa.v·nc;, il poe- fine Ael.Arist., or. 45,12 (ed. Dindorf) ta quello del profeta oracolare. Mentre usa criticamente l'analogia pindarica: le Omero (~ col. 470) attribuiva alle Muse sono le µ&.vntc; élÀ.i}i>Ei:ç, i poeti Muse l'ufficio di rammentare (µvr1cra.- i loro 7tpoq>'ij't'at. oi>a1.) ed Esiodo (~ col. 470) quello di b) Mentre l'attributo di npoqni"tnç cantare il vero (oc'ì..11iMa. y'l]pucra.oi>a.1.), Pindaro riconosce loro una funzio- indica in genere il poeta come colui che ne mantica (µa\l-tEuEoi>a:1.). L'analogia annuncia agli uomini quanto ha ricevucon l'oracolo delfico ha un doppio si- to dalle Muse, l'uso linguistico talvolta gnificato: da un lato tiene formo che si allarga alla concezione del poeta qua-

    n. 7. ao L'uso documentato del nostro gruppo di termini per indicare l'opera 'ispirata' degli artisti, dal poeta allo scultore, comincia solo col m sec. d.C. (Callistratus, descriptio11es, in C. L.

    KAYSBR,

    mero ed anche di Pindaro: Theocr., idyll. 22, u6: El7tè. f>eO:, crù yàp otcrf>a: trw 8'hépwv ùnoqii)-.'11<; q>béyt;oµat, «dimmi, o diva, giacché tu sai: ed io, annunciatore ad altri, leverò la voce». Cfr. Callim., hym11. 3,186: ElnÈ lkq ... lyw 8'~>tlpotaw 1hlcrw.

    473 \ v1,793J

    le portavoce anche degli uomini. Ma anche in questo caso è presente l'analogia col profeta oracolare (~ col. 469); infatti secondo Ael. Arist., or. 8,48 (ed. Dindorf) i poeti esprimono nei loro inni il ringraziamento degli uomini e nel 1tpO
    Fin dalle testimonianze più antiche si profila un uso del nostro gruppo di termini che non rientra in quanto abbiamo detto finora. a) I nostri termini sono variamente usati nella sfera religiosa generale. a.) In Aesch., Ag. 409, i S6µwv 1tpocplj'taL, «i portavoce della reggia» 89 , deplorano l'adulterio e la fuga di Elena. In Aristoph., av. 972 viene ricordato un 7tpoq>TJ't'l)~ che enuncia delle massime ( XP'YJ· crµol) e le interpreta con una felice ap· plicazione alla situazione. In Eur., Ba. 551 le baccanti si definiscono 1tpocpij'tCX.L di Dioniso perché proclamano a mezzo della danza e del canto estatico la natura del loro nuovo dio che le rende beate (ibid. 64-169.416-433). Nel mito escatologico di Plat., resp. ro,617 d-e un 1tpO KoLF 813 sarebbero invece servitori che annunciano alle persone che stanno all'esterno quanto è avvenuto nella casa (in questo caso il passo andrebbe classificato sotto il punBS

    eia alle anime - che sulla terra iniziano una nuova vita di cui esse stesse debbono scegliere il contenuto - il verdetto della dea, che comincia con le parole: 'Av6.yx11ç ~uya"t"pÒç xopl)~ Aa.XÉ1}'tl)c; da parte dell'astrologo Vettio Valente (u sec.): colui che è nato sotto una data costellazione Ecr'taL µa.x&.ptoc; i::ùrn:· ~,;~, 7tpocp1j't'l)<; µEy6.À.ou 1}i::ou xat È'lta.xoucrihiO"E'tat W<; ~EO<; (2,7 [p. 63,18 s.] ), ovvero: Ecr'ta.L 1tpocp-lj't'l)ç d.1'tux.1}c; r;À.ovcnoç evSoçoç, 1toÀ.À.wv ciya.1}wv xupLEUO"EL (2,13 [p. 67,22 s.]). Stando al racconto di Luc., peregr. mori. II, in · una comunità cristiana Pellegrino assomma nella sua persona le mansioni di 7tpOq>lJ'tl)<; xat ~trx.o-cipx;T)c; xat !;uwx.ywyi::uc;, «profeta, tias.arca ( = capo della comunità cultuale) e archisinagogm> 90 • A quanto pare, Luciano lo classifica sotto il tipo del yo'l)ç (~ col. 462) che impone facilmente il proprio prestigio sui cristiani sfruttando la loro speranza d'immortalità (ibid. 13) 91 • to ~ e, col. 477). ~ ~ FASCHl'.R 205:

    Luciano «mescola insieme cdstiani, giudei e pagani». 91 7tPO!jlTJ'tTJc; potrebbe essere inteso anche alla luce del titolo egiziano di sacerdote(~ b, col. 457). Se la continuazione del testo (xa.t 'tW\I ~l~ÀWV -tàc; µèv ~!;TJ')'E~'tO xa.t 8tEU6.q>EL) va riferita a TCpoqni'tT]c;, allora nel momento dell'interpretazione avremmo un elemento greco tradizionale.

    475 (vi,793)

    'itpocp'i]-r'T}t; x-rA.. A

    11

    3b-cl ttt.

    1.<.rnmcr J

    l

    V<,/~'fl

    4/U

    b) Fin dal UI sec. a.C. è documentato casione di manifestazioni ateniesi a Delun uso particolare di 7tpoq>'l)·n1c; quale fi, ad es. per le pitee 99 . traduzione dcl titolo egizio di servo di Dio (~m-nfr), che serviva a distingued) Nel campo della filosofia e della re i sacerdoti egiziani della classe più al- scienza il nostro gruppo è usato a parta 'll. Come tutti i sacerdoti egiziani, tire da Platone, talvolta con una nota questi 'profeti' vengono nominati dal religiosa o con l'accenno al momento re, al pari di tutti i funzionari 93 • lgno- dell'interpretazione. Plat., Phileb. 28b-c: damo quale fosse la loro funzione speci- 1tpo;'>TJ'tl}ç= portavoce, colui che deve fica nel servizio del tempio, mentre sap- far uscire In disamina da una aporia, e piamo che occupavano una posizione di al tempo stesso annunciatore dcl vouç riguardo nella scala gerarchica~ e che (divino). Pseud.-Aristot., mund. r (p. il loro ufficio poteva essere ereditato dal 391 a 15 s.): guidata dal vouc;, l'anima figlio 95 • Si sono fatte varie ipotesi per è -&Elctl ... !$µµa.'tt 'tà iMC1.. XC1..'tr.tÀaBoµÉspiegare l'origine di quest'uso linguisti- 'VlJ ( var.) 'tOLç 't"E avfipwrcoic; 7tpoq>rrm'.Jco: trasposizione dall'oracolo di Ammo- oucra, «capace, per divina visione, di ne (__,. col. 46 r) % oppure traduzione di- apprendere le cose divine e di rivelarle retta dettata dal prestigio di cui gode- ngli uomini». Gli Epicurei sono portavano i funzionari degli oracoli greci, voce del loro maestro (Plut., Pyth. or. cioè appunto i TCpoq>l)'taL, considerando 7 [ 11 397c]: 'Emxoupou 7tpocpfj'tm) e particolarmente che anche nell'area gre- proclamatori della sua dottrina (Athen. ca 7'poq>-fi'tTJ<; venne usato a poco a poco 5 ,187b: TCpoq>Tj'trJ.L à't6µwv ); similmencome un purn titolo 97 • te lo scettico Timone è 7tpocpl)-.nc; 'tWV Iluppwvoc; Àbywv (Sext. Emp., math. l, c) Quest'uso del gruppo di termm1 53). Dio Chrys., or. 12,47 chiama il fiper indicare un ufficiale o un funziona- losofo À.oy~ Èç1'JY1J't'Ì]c; xa.t 7tpool~ou TCPO<J>TJ'tTj<; tà e la franchezza come valori etici quale titolo di un capo attico degli efe- (Luc., vit. auct. 8). Secondo Diod. S. 1, bi (xoc;µrrn.ùp, ibid. ), dovuto forse al 2,2 la ricerca storica è, come la storiofotto che questi guida gli efebi in oc- grafia, 1tpocp'ij-tL<; 'tllc; &:À.T]lYetac; ed edu92 \V/. OTTO, Prieste;- und Tcmpel im helt. Agypten I (1905); II (1908) passim; ~ FAscHim 76-98; H. BoNNET, Reallexiko11 der iigyptischen Religiomgeschichte (1952), s.v. 'Priester', spec. 604 s.; -> KoLF 801 s. 809-Sxr (ivi la documentazione). La prima testimonianza epigrafica di quest'uso è il Decreto di Canopo (239-238 a.C.: D1TT., Or. I 56,3 s.), quella let-

    teraria un passo di Manetone citato in Ios., Ap. 1,249; dr. W. G. WADDELL, Mane/ho with 2 a11 English Tra11slatio11 (1948) fr. 54· 91 BoNNET, op. cit. (~ n. 92) 601 s.; H. KRES, Agypte11, Handbuch AW III l,3,1 (1933) 242. 252.259.

    Il termine cipxtnpoq>1)-rl]t; testimonia un'ulteriore differenziazione della classe profetica; ~ FAsCHBR 81; - KoLP 810 s. 9S Cfr. FASCHBR 8I. 96 Cosl 4 FASCHBR· 96-98. Altri oracoli egiziani sono menzionati solt:mto nel n sec. d.C.: Luc., deor11111 concilillm rn (Api XP~ xat 1tPO· q>1)'t<Xt; ~Xtt); Pseucl.-Luc., Syr. dea 36.
    "ti I \ "'"J/ 7 "tl

    ca alla xo:À.oxO:yo:i}lo: (le azioni degli uo- esso si limita ad esprimere la funzione mini virtuosi sono ÒLo:PowµE\IO:L 'tc'il formale dell'enunciazione, dell'informai}ELo'ta,'ttil 'tijç tcT'toplo:c; a-c6µa:n, ibid. zione, dell'annuncio. Quando compare 2,3); in Sext. Emp., math. l,279 la grammatica è detta esegesi (1tpocpi)·nc;) nella letteratura del v sec. a.C., è già laL·dei poeti. Infine ;;pocp1rn1<; può indicare gamente usato per indicare il profeta oral'esperto in botanica (Diosc., mat. med. colare(-> coll. 4.54 ss.), il poeta(~ coll. l,10) e, ironicamente, il medicastro, il ciarlatano (Gal., in Hippocratis prorrhe- 470 ss.) e, in più ampio settore di vita, ticum 3,23 [CMG V 9,2, pp. 134,1 s.]); non solo delle persone, ma anche, metala stessa accezione ironica ha anche, foricamente, delle cose (-7 3e). Eppure, sempre in contesto medico, il verbo 1tpOCj)1J'tEUW (Gal., in Hippocratis de natura anche considerando la formazione della parola(~ coll. 444ss.) e il termine omehominis 2,22 [CMG v 9,1, p . 88,2]). rico Ù7toq>1)'t1)<:; (-7 coll. 449 ss.), è indube) Nel linguaggio poetico il nostro gruppo di termini è usato con grande li- bio che 1tpocp1)"T1)c; si colloca in origine bertà per qualsiasi situazione, con effet- nella sfera religiosa, ove indica colui che ti ora solenni ed ora comici. Gli araldi parla in nome di un dio, che proclama che proclamano i vincitori delle gare in fa volontà e il consiglio divino espresso Bacchyl. ro,28 sono detti 1tpocpéi'tm; similmente in Anth. Pal. 6,46,1 la tromba in un oracolo (-7 col. 467). Il veggenè detta Ò'ltocpa'tt<;, annunciatrice di guer- te e il vaticinatore che non sono connesra e pace; il cratere nel quale si mesce si con un oracolo non sono mai chiamati il vino durante il simposio è chiamato da Pindaro (Nem. 9,50) yÀ.vxùv xwµou 7tpoq>1}-.o:i, ma XP1JO"µoÀ.6yoL o sim. D'alr.poq>cX'TO:V, «dolce annunciatore del co- tta parte non solo esseri umani, ma anmos ( = allegrezza sfrenata)» 100; Anti- che dèmoni e dèi vaticinatori possono fone (fr. 217,23 [C.A.F. II 106]) chiavenir detti "ltpocpfj-.m di una divinità suma la fame oi::l1tvou 1tpocp1)'t1)V, in quanto fa sapere di voler essere placata con periore (-7 col. 464), mentre è signifiun pasto; un uomo magro è qii}61]<; 7tpo- cativo che il dio sommo, Zeus, non sia cp1)'t'I}<;, «araldo della tubercolosi» (Pla- mai chiamato 'ltpocplJ'T'rJ<;. Infatti ogni to Comkus, fr. 184,4 [C.A.F. r 652]). Eur., Ba. 21 r: hw 7tpocplJ't1Jç aoi À.6- 7tpOq>lJ't'l'}c; pronuncia e proclama parole ywv yEvT]croµo:L, «t'informerò di ciò che non vengono da lui; perciò il sinoche accade». nimo più prossimo di 'ltpOq>lJ'T'!J<; è xli· pv~ 102• Anche il x1]pu~ non proclama un 4. Riepilogo proprio annuncio (--7 v, col. 402). Tale a) 7tpoq>i}"T1)ç X'\")... è un gruppo di ter- parallelismo è corroborato dalla funziomini caratterizzato tanto da solennità ne di portavoce e interprete della coquanto da insignificanza di contenuto 101 ; munità umana presso gli dèi, che è svol100

    Diversamente intendono sia

    lX s. sia ~ KoLF 813. 101 ~ FASGHER 51: «Una

    ~ FASCHER

    senza contenuto concreto». coll.471 .473 .477; A11th. Pal. 7,6,1: 1)pwwv x&:pvx' &pE't"éi.ç, µocx&:pwv E r.poqnymv. 102 ~

    'parola recipiente'

    o

    7tpoqrl)'t7]c; K•A. /\. 11

    4 \1"1 . .l:\.Hlmt:r}

    \ .,.&>f';)VJ

    'f'VV

    ta tanto dal x{jpvl; (~ v, coli. 410 s.) di chiamarsi 'ltpOq>lJ't1)c; (~ coli. 4 70 quanto dal 1tpoq>l}'t1)c; (~ coll. 463. s.) e alla filosofia e alla scienza di u469. 472 s.) e per la quale quest'ul- sare il nostro gruppo (--)- coll. 476 s.). timo viene ad assumere un ruolo di In questo ambito 1tpoq>1}-t'Y)c; si avvicina mediatore, giacché è portavoce del dio da un lato a Èl;1)y'Y)-tTJc; e a €pµ1)VEuc; (~ e anche degli uomini presso il dio . La coli. 476.477) ii», dall'altro a ÒLSci'l'}"t"EUW) ha potuci fanno vedere che il prefisso npo- non to diventare designazione formale di una indica mai il futuro. Solo in un secondo dignità o di un ufficio (~ coll. 475 s.): momento, molto tardi e probabilmente anche l'uso del termine come traduzioper influenza cristiana, 7tpoq>lJ't'l}c; assu- ne di un grado sacerdotale egiziano (-)me l'accezione moderna di preannuncia- col. 4 75) si colloca in questa linea. tore del futuro, ad es., schol. Theocr. 22, d) Il carattere formale fa di 7tpOq>TJ't'l}c; n6: '7tpocp1)'t'l}c; Ècr-.tv ò 7tpoÀ.Éywv X'tÀ. una parola adatta ad essere impiefooµEvov, fiyovv b -coc µÉÀÀov-.a. 1tpoÀÉ- gata felicemente ed efficacemente come ywv, «profeta è colui che dice in anti- traduzione di termini stranieri e quindi cipo qualcosa che sarà, cioè colui che ad assumere i più diversi contenuti. Col predice il futuro» 103• b) Il carattere for- sincretismo dell'età imperiale penetrano male del gruppo spiega come già in epo- nel termine, anche nell'ambito della greca antica esso sia trasferito ed impiegato cità profana, contenuti niente affatto elin un ambito molto vasto. Anche questo lenici, come risulta nel modo più chiaro impiego nella più ampia sfera religiosa dal tipo di profeta rappresentato da Anon riesce però ad oscurare il netto mo- lessandro di Abonotico (--)- coli. 462 s.) mento della dipendenza, che nell'ambito che è chiamato con disprezzo y6Tjc; (-)della profezia oracolare trova la sua e- n. 69). H. KRAMER spressione più chiara nella mantice ispiratoria (Ù1t1)pÉ-c1)c;, opyavov del dio, B .niibt' NELL'A.T. Il quadro del profetismo israelitico ~ col. 466); ma nello stesso tempo compare anche il momento dell'autono- nell'A.T. non è affatto unitario. Esso abmia, proprio anche del profeta oraco- braccia fenomeni cosl diversi che semlare che interpreta i segni e formula il bra impossibile ridurli a un denominaresponso (~ coli. 450 s . .546 s. 458. tore comune. Anche il tentativo di scri46r); tale momento permette al poeta vere una storia del profetismo in base ai

    •t

    103 Ed. F. DiiBNER (1849) 103; per altri testi n. 21 alla fine.

    ~

    104 PJat., fon 534e: il poeta quale ipµ'l}VEùc;

    "w" ih:wv.

    dati forniti dall'A.T. sarebbe incomple- I. L'origine del termine to e lascerebbe aperte proprio le queL'equivalente ebraico del termine grestioni decisive. Le difficoltà cominciano co 1tpOq>TJ't1']ç è quasi sempre niibt'. L'ogià con la terminologia. Il concetto


  • SERMANN 8-12; ~ HALDAR 109; ~ QUELL 23

    n. 2; H. J. KRAus, Gottesdienst in Israel (1954) 63 n. xn. JOO H. ToRCZYNER, Das lìterarische Problem der Bibel : ZDMG 85 (1931) 322; ~ JEPSEN 5 n. l; W. F. ALBRIGHT, Van der Steinzeit zum

    ChristeJJtum (1949) 301; ~ GUILLAUME n2 s.; ~ JoHNSON 24 n. i.l. 1()7 A. ALT, Die Staatenbildung der Israeliten in Paliistina, in Klei11e Schriften zur Geschicbte des Volkes Israel Il (1953) 23 n. 2 . 100 M. NoTH, Das System der zwolf Stamme Israels, BWANT IV r (1930) r62. 100 Cfr. W. v. SooEN, Grumlriss der akkadi· schen Grammatik (1952) § 16 l; J. J. STAMM, Die akkadische Namengebtmg: Mitteilungen der vorderasìatisch-agyptischen Gesellschaft 44 (1939) 258 sotto 2b.

    4"'t""'t"'I • •J"> •• ..... -

    nif'al e hitpa'cl, derivate entrambe dal sostantivo, l 'elohim) che porta anche lui a hitnabbe'. In 10,5 sono menzionati degli strumenti musicali che servono evidentemente a provocare l'estasi. L'effetto è descritto in 19,24: Saul si spoglia completamente e giace nudo per terra un giorno e una notte 111 • In ciascuno di questi due testi è usata una forma nif'al (10,u; 19,20): si tratta di due participi 112 che indicano lo stato raggiunto mediante lo hitnabbe'. Che anche queste due forme verbali si riferiscano all'estasi risulta dal fatto che questo stato può essere 'visto'. Anche l'improvviso attentato di Saul alla vita di David (I Sam. 18,rns.) è fatto risalire a uno hitnabbe' di Saul, causato da uno «spirito malvagio di Dio» (r/Jap 'eloh2m ra'4): il raptus in questo caso è dunque reso autonomo. In I Reg. 18,29 110 Queste differenze sono completamente tra· scurate sia in GESENIUS-BUHL sia in KoEHLER· BAUMGARTNER, s.v.; dr. però---+ }EPSEN ,S·IX. 111 Anche 10,13 conferma che lo hitnabbe' è limitato nel tempo: quando questo momento è passato, Saul torna a casa e nessuno si accorge di niente. 112 Contro MANDELKllRN, nibbii' in 10,11 va considerato un participio, come dimostra il confronto con 19,20. m Secondo M. NoTH, Oberlfe/erungsgeschichte

    --

    -

    , --· ------·· -- ·



    si tratta dell'estremo tentativo compiuto dai profeti di Baal per ottenere che le loro preghiere siano esaudite: l'azione è associata a una danza cultuale (v. 26) e ad automutilazioni (v. 28). In Num. u, 25-27 lo hitnabbe', quale effetto della rua~ intesa in senso del tutto concreto, è una manifestazione puramente estatica 113 •

    Il profetismo estatico, quale appare da questi testi, non è un fenomeno specificamente israelitico, ma è documenta· to anche nelle religioni contemporanee del mondo circostante. Verso il 1100 a.C. l'egiziano Wen-Amon di Biblos dà notizia di un tal modo profetico di parlare in estasi 114 • In I Reg. 18,22 ss. si parla di 450 profeti di Baal (nebl'e habba'al; cfr. anche 2Reg. 10,19) 115 il cui comportamento è presentato come estatico nei vv. 28 s.; tuttavia qui nulla è detto d'un parlare in estasi. Inoltre si potrebbe ricordare Balaam (~ II, coli. 27 ss.). Anche se nel suo caso manca la parola nab1', la sua comparsa è descritta proprio come quella di un profeta estatico: la ruah 'elohtm scende su di lui (Num. 24,2). e i due oracoli più antichi (Num . 24,J-9 e 15-19) cominciano con una descrizione del dono della rivelazione nell'estasi 116 • Va notato che l'estatico di Biblos e Balaam sono figure profetiche individuali, non membri di un gruppo. Non è quindi affatto pacifico che l'estasi collettiva abbia costituito il momento storico-religioso originario dal des Pent. (1948) 141-143, l'episodio degli anziani di Nt1m. 11 ha lo scopo di legittimare il nabismo estatico. 114 Cfr. A.O.T. 72. JIS Secondo A. ALT, Das Gottesurteil 1111/ dem Karmel, in'K/eine Schriftet1 ~ur Geschichte des Volkes Israel II (1953) :r37 n . 1, la loro menzione nei vv. 19 s. non è originaria; ciò vale anche per i 400 n'bt'é hii'aierJ del v. 19. 116 Cfr. R. R ENDTORFF, art. 'Bileam umi Bileamspriìche', in RGG' I 1290 s.

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    quale sarebbero poi emerse a poco a poco singole figure profetiche. A ogni modo, di una evoluzione di questo genere non si ha notizia 117 • In I Reg. 22 si può osservare uno spostamento e una differenziazione semantica dei due temi verbali. Nel v. ro si legge: mitnabbe'lm lifnehem, «(mentre i profeti) profetavano davanti a loro». Qui la forma hitpa'el serve quindi ad esprimere l'aspetto visibile del profetare, sottolineato da un'azione simbolica (v. ll)i ne! v. r2, per contro, dei ncbt'tm si dice: 11ibbe'tm kèn le'mor, «profetavano così dicendm>; In forma nif'al indica dunque il parlare, l'enunciazione di un oracolo che evidentemente è diventata possibile grazie allo hitnabbe' menzionato prima. D'altra parte, così Acab parla di Michea figlio di Imla: lo'-jitnabbe 'alai tob, <mon mi annuncia mai il bene» (vv. 8.18). II re usa quindi la fotma hitpa'el per indicare la comunicazione verbale ('al), ma in senso chiaramente spregiativo 118• 2. Nei libri profetici la distribuzione del verbo è molto irregolare; forme verbali si trovano solo in Amos, Geremia, Ezechiele, Gioele e Zaccaria. Ciò significa che prima della fine del vrr sec. a.C. il verbo compare solo in Amos, vale a dire nel regno settentrionale. Qui è usato al nif'al e indica l'attività del profeta legittimo inviato da Jahvé (Am. 3,8; 7, 15s.) 119, più precisamente il parlare pratico: secondo 3 ,8 lo hinnabe' è una conseguenza del dabber (parlare) di Jahvé; in 7 ,16 la frase lo' tinniibe' 'al·iifrii'el, ~

    PLOGl!R, Priester 165 s. Similmente 4> J!!PSBN 7. 119 Anche in bocca ad Amasia (vv. 12 s.) la parola non ha alcun tono spregiativo; cfr. 4> WtiRTHWEIN, Amos-Studien 20 s. Senza dubbio secondario è 2,u s.

    ll7

    118

    V. MAAG, Text, W ortschatz und Begriffsivelt des Buches Am. (1951) rn4. 121 ~ WiiRTHWEJN, A111os-St11dien 22, che pe·

    120

    .a. - -'\.&.\,. , .1.'\.\..JlULVlJ.1-j

    «non profetare contro Israele», può indicare soltanto il discorso profetico contro Israele. Più ambiguo è invece il v. 15: tek hinniibe' 'el-'ammi jifrii'él. La preposizione 'el permette l'interpreta· zione: «va' e parla da profeta al mio popolo» 120, ma non esclude l'altra: <~pre­ sentati al mio popolo Israele come un profeta» m. Cosl anche nei vv. 12 s. non è affatto sicuro che si tratti della parola profetica, anche se tutto il contesto ( 7, ro-17) sembta favorire questo significato. Non vengono menzionati aspetti estatici. L'uso del vet·bo nei profeti seriori corrisponde essenzialmente a quanto abbiamo notato in Amos. La forma di gran lunga prevalente è il nif'al. Una gran parte dei passi di Geremia con questa forma mostra senz'altro che il verbo significa il discorso profetico: in questa accezione il nif'al è usato indifferentemente, sia quando parla Geremia sia quando parlano i suoi oppositori. A proposito di Geremia, ad es., in ler. 20,1 si dice: wajjisma' ... 'et-jirme;ahU .nibba' 'et-hadd•barlm hii'elleh, «(Pasur) udl Geremia che profetava queste cose» 122 ; Geremia cosl dice ad Anania (28,6): jiiqem jhwh 'et·d"barékii 'afor nibbe'tii, <(Jahvé compia la parola che hai profetato»; in· sieme con diibar ancora in 23,16 mi 26, 12; 27,16; con lé'mòr in 23,25; 26,9; 32,3; 37,19; con wajio'mer in 26,18. Anche quando il verbo è costruito con le preposizioni 'al (25,13 124 ; 26,20; 28, 8), 'el (26,n .12; 28,8) e ze (14,16; 20, 6; 23,16; 27,10 .14.15.16 [bis]; 29,9 . 2r.31; 37,19) il momento allocutivo è rò scrive «come 11iib1'» e perciò c:onferiscc alla frnse una nota particolare. 122 Cfr. anche 25,30. Secondo W. RunoLPH, Jeremia, Hanbuch A.T. I 12 (1947) l'espressione non è dello stile di Geremia. m Nella recensione lucianea dei LXX in 23,16 manca il verbo. m 25,13bp è un titolo secondario della peri· cope 25,15 ss.; dr. i LXX.

    'ltpoqrfi'tTJc; ·wt À.. B u

    evidente, come è chiaro che si tratta di parole e discorsi quando è indicato esplicitamente il contenuto dello hinniibè': la menzogna (Seqer: q,14; 23,25. 26; 27,10.14.16; 29,21 125 ), sogni menzogneri (/;iilomot Jeqer: 23,32), oppure quando si dice che i nebt'im operano profeticamente per la pace WsiilOm: 28, 9), per la menzogna (lasseqer: 27,15, o basseqer : 5,31; 20,6). Degli altri passi dove si ba il nif'al 11,21e14,15 parlano di «profetare nel nome di Jahvé» (hinnàbe' b"Jèm ihwh ), un'espressione che alla luce di 14,14; 23,25; 26,9.20; 27, l5i 29,9 indica anch'essa il parlare profetico. Lo stesso vale forse per la frase hinniibe' babba'al (2,8). Infine in 19,14 lo hinniibe' rimanda all'azione simbolica associata ad un oracolo (vv. rn.11 °). Non si parla di aspetti estatici, come non si parla di rtìaf;. In Geremia la forma hitpa'el è usata spesso con una nota spregiativa per indicare le profezie degli oppositori del profeta. Ciò avviene tanto nei discorsi di Jahvé a Geremia (14, 14; 23,13) quanto nella lettera di Semaia che si riferisce all'attività di Geremia (29,26 s.). In 29,26 il participio mitnabbe' sta in parallelo con meluggii' ('esaltato'); ma neanche questa espressione offensiva permette di concludere che l'attività profetica di Geremia fosse accompagnata da manifestazioni estatiche. Sorprendente è l'uso deli'hitpa'el in 26,20: Uria figlio di Semaia è descritto come «un uomo che profetizzava nel nome di Jahvé» ('IS mitnabbe' b8 Sèm jhwh), un giudizio che per l'agiografo è senz'altro positivo; subito dopo è usato di nuovo il nif'al (wajjinnabe' 'al-hii'1r) col significato di «parlare da profeta». In questo caso, dunque, l'hitpa'el sem125 29,9 legge b'Jeqer, ma forse b' va espunto; dr. Bibl. Hebr.' 126 In KonHLER-BAUMGARTNER, s.v. si osserva che «la frase hi1111abe' w"iimarta mostra che nibbi'l non indica necessariamente il parlare».

    Tale osservazione è priva ·di qualsiasi foi-.ta

    2 ( R.

    Rendtorff)

    bra esprimere l'idea più ampia e generale di «agire come profeta», «svolgere attività profetica». In Ezechiele l'uso del nif' al si è ormai fissato, e questa forma verbale ricorre prevalentemente nelle introduzioni dei singoli discorsi: szm paneka elI 'al) ... w"hinnabe' 'al ('el) (6,2; 13,r7; 21,2 .7; 25,2; 28,21; 29,2; 35,2; 38,2);

    e'

    (w"attii) ben-'iidiim hinniibe' ... w"iimartii 121i (13,2 127; 21,r4.33; 30,2; 34,2; 36, l; 39,1; similmente n,4; 36,3.6; 37A· 9.12; 38,14). Anche in 11,13 e 12,27 il nif'al indica il discorso profetico di Eze. chiele, in r3,16 quello del suo oppositore mi_ Soltanto in 21,r9 la formula w"'atta ben-'iidiim hinniibe' non introduce parole, ma un gesto di carattere quasi magico. Forse la forma va vocalizzata come hitpa'el (hinnabbe'), giacché in 37,10 è usato l'hitpa'el per indicare una parola profetica, che è sl presentata come parola di Jahvé, ma non annuncia, come ad es. i vv. 5 s., un'opera di Jahvé, bensl contiene un'immediata e decisa preghiera alla rtlèi~ perché venga e richiami in vita i morti: un uso quasi magico e del tutto singolare della parola profetica. Per il resto la forma hitpa'el è usata in Ezechiele solo un'altra volta (13, 17) per indiçare con una nota spregiativa l'attività delle profetesse; un uso analogo, dunque, a quello che abbiamo incontrato in Ier. 14,14; 23,13. In testi profetici tardivi troviamo ancora due passi che documentano due concezioni del tutto opposte. Ioel 3,1 prevede per il tempo della salvezza un'effusione della rt1af; che provocherà uno hinniibe' generale. Al contrario Zach. 13,2 ss. (~ col. 526) parla di un probante davanti a locuzioni come dabbèr... w"amartil (Lev. x,2 e passim). 127 In 13,2 bisogna forse leggere, coi LXX, un secondo hi1111àbe' al posto di hannibbii'ìm. 128 Nella glossa cli 4,7 con tiik111 pii11ékii w•nibbe'lil s'indica invece un gesto muto.

    tempo in cui Jahvé farà scomparire i profeti insieme con lo «spirito impuro» (ruli~ !um't1), così che lo hinniibe' sarà considerato una vergogna e un delitto degno di morte. 3. Nell'opera del Cronista il verbo ri-

    corre in 2 Par. I8,7.9.II.I7 come ripresa di I Reg. 22,8.rn.r2.I8, con variazioni minime. Sorprendente è l'uso della forma hitpa'el in 2 Par. 20,37, dove si dice che un certo Eliezer «intervenne come profeta contro Giosafat dicendo ... » (wajjitnabbe' ... 'al-(hOiafiif le'mor). Qui il Cronista ha rielaborato una fonte più antica 129 • In Esdr. 5,I l'hitpa'el aramaico indica l'attività di Aggeo e Zaccaria che si svolge «nel nome del Dio d'Israele» (b"Jum 'eliif? jifrii'el): l'uso della preposizione 'al mostra chiaramente che si tratta della predicazione dei due profeti. In I Par. 25,1-3 si ha invece un uso totalmente mutato del verbo: hinniibe' indica l'attività dei musici del tempio. I documenti a nostra disposizione non rivelano alcuna linea diretta che colleghi l'uso e la comprensione del verbo nei testi preesilici con questa concezione del Cronista. Possiamo cosl dire che nel complesso l'uso linguistico del verbo si presenta abbastanza chiaro: nei testi più antichi la forma hitpa'el indica una condizione estatica; in un secondo momento compare la forma nif' al come indicazione del parlare profetico, mentre l'hitpa'el è usato in senso spregiativo. Tale distinzione si riscontra anche nei profeti del VII e VI secolo, presso i quali predomina però di gran lunga il nif'al. Il verbo non viene ormai più usato per indicare fenomeni estatici.

    129 Cfr. M. Norn, Obcrlieferungsgeschichtliche Stt1diet1 I ( 1943) x6x n. 4; W. RuooLPH, Chronikbiicher, Handbuch A.T. I 21 (1955) ad l.

    III. Il sostantivo L'uso del sostantivo niibl' coincide solo in parte con quello del vetbo. I.

    Congregazioni profetiche

    Nei libri storìci troviamo spesso menzionati gruppi di n
    491 (Vl,799)

    rcpoqn'J't'1)<; X't'I... n m r-i

    lari tradizioni. Si accenna anche a pasti presi in comune (4a8 ss. 42 ss.). D'altra parte, un membro di questo gruppo è sposato ed ha una propria casa (4,1 ss.). Le loro condizioni di vita sono quanto mai modeste (4,1 ss. 38 ss. 42 ss.; cfr. anche 6,1: l'ascia viene presa in prestito). Da r Reg. 20,38.41 si può forse dedurre che i membri di questa confraternita portassero sulla fronte un particolare segno distintivo.

    \l\. l\enmoru1

    \ Vl,OOOJ

    492

    da Jahvé (r Reg. 20,42); usando la medesima formula un altro di questo gruppo per ordine di Eliseo unge re Jehu ( 2 Reg. 9,3.6.12). Qui, dunque, a differenza dei nebt'lm di I Reg. 22 i b•ne hannebi'im sono presentati come profeti indipendenti dalla corte, che per incarico di Jahvé si oppongono al re o ne provocano addirittura la caduta indicando e ungendo il suo successore. Dietro questi interventi politici stanno evidentemente tradizioni anfizioniche: l'interdetta è un elemento costitutivo della guerra santa e l'unzione di .Jehu contrappone al tentativo di stabilire nel regno settentrionale una monarchia ereditaria l'idea di una monarchia carismatica 1l2.

    Non c'è traccia qui di manifestazioni estatiche, ma in compenso la tradizione ha variamente tramandato sentenze derivanti da queste cerchie. Da un lato è possibile riconoscere un gruppo di brevi sentenze di tipo oracolare che esprimono una limitata e materiale speranza nel Per il resto dell'età monarchica le fonfuturo (r Reg. 17,14; 2 Reg. 2,21; 3,16. ti mantengono il più assoluto silenzio 17; 4,43; 7,1) 131 • Sembra che in seno a sui nebt'zm come gruppo 133 • I dati in noquesti bene hannebi'tm siano state tra- stro possesso non permettono minimasmesse tali aspettative escatologiche di mente di ricostruire una storia del 'nahiportata molto modesta, le quali promet- smo', e soprattutto non c'è prova evitevano che in futuro i bisogni elemen- dente e sicura di quella stretta connestari delle classi inferiori sarebbero stati sione di questi gruppi col culto, che soddisfatti. Nel contesto attuale tutti molti hanno creduto di scorgere nei tequesti oracoli sono introdotti dalla for- sti 134• mula koh 'amar ihwh; si propongono dunque come parole di Jahvé trasmesse 2. Figure isolate ad altre persone da uno che parlava a Molto complessa ed eterogenea è la nome e per incarico di Jahvé. Accanto a queste troviamo altre sentenze che ri- tradizione riguardante quei personaggi guardano più direttamente la vita poli- che vengono indicati col nome di nabt'. tica: uno dei b•ne hann•bi'im annuncia Soltanto pochi vengono messi in relaal «re d'Israele», esordendo con le pa- zione coi gruppi di profeti menzionati role koh-'ilmar jhwh, la punizione per sopra. Secondo r Sam. 19,18-24 Samuele aver egli violato l'interdetta decretato a Rama sta tra i neb2'1m, anche se è IJ1 Cfr. W. REISER, Eschatologische Gottesspriiche in den Elisa-Legenden: ThZ 9 (1953)

    321-338. 132 Cfr. G. v. RAD, Der Heilige Krieg im alten lsrael, Abh. ThANT 20 (1951) 13; A. ALT, Das Konigtum in den Reichen lsrael u11d ]uda, in Kleine Schri/ten :t.11r Geschichte des Volkes lsrael II (1953) 116-134.

    m La menzione separata dei sacerdoti e dei 11'b2'1m in 2 Reg. 23,2 non sembra originaria

    (cfr. Bibl. Hebr. 1 ) e inoltre non ci dà alcuna utile informazione circa il ruolo dei tfbl'lm qui presupposto, m Il fatto che i profeti scendono dnlln boma (I Sam. 10,5) e che le località di Rama (I Sam. 19,19). Gilgal (2 Reg. 2,1), Bete! (v. 3) e Gerico (v. 5) sono anche noti luoghi di culto non basta a provare di là d'ogni dubbio il rapporto ipotizzato, come sostengono invece MoWINC· KEL, Psalmemtudien l7i ~ WiiRTHWEIN, Amos-St11die11 11; ~ PLOGl!R, Priester 176.

    493 I Vl,OUU)

    chiaramente distinto da loro. Elia è considerato l'unico sopravvissuto dei n"b1'é ihwh fatti eliminare da Gezabele (I Reg. 18,22; 19,10.14). In 2 Reg. 2 egli è associato, insieme con Eliseo, ai b"ne hann"bt'lm. Infine Eliseo è presentato come capo e guida dei gruppi dei b"né hanncbi'im, come colui che aiuta soprattutto coi suoi miracoli us. Ma si vede subito che questi aspetti non costituiscono che un particolare del quadro complessivo di questi personaggi offerto dalla tradizione, anche se nel caso di Eliseo il particolare è molto più rilevante che nel caso di Elia e Samuele. Considerando però proprio i testi che riguardano Eliseo si vede in quale misura e con quale forza egli sia presentato in altri strati della tradizione come individualità, perfino come un fenomeno del tutto unico nel suo ambito: egli è il niibl' in Samaria ( 2 Reg. 5 .3 ), o addirittura il nabt' in Israele (5,8; 6,12).

    strada in misura sempre maggiore una sola caratteristica comune: il fatto di parlare per incarico di Jahvé. Che Samuele sia stabilito niibi' ljhwh, si riconosce dal fatto che Jahvé non faceva 'cadere' nessuna delle sue parole (I Sam. 3,19 s.), e tutti i profeti successivi si presentano con affermazioni come koh 'limar jhwh, «cosi dice Jahvé», o scma' d"bar jhwh, «ascolta la parola di J ahvé», oppure i testi dicono che Jahvé ha fatto giungere la sua parola per loro mezzo (I Reg. 16, 7.12; 2Reg.14,25). Nel caso di alcuni di tali profeti la tradizione riferisce unicamente che essi si presentarono con una parola di Jahvé. Questo è quanto si dice di Gad (I Sam. 22,5 136; 2 Sam. 24,11-13) , di Jehu (I Reg. 16,1-4.7.12), di Giona (2 Reg. 14,25), della n"bi'a Hulda (2 Reg. 22,14-20) e del nabt' anonimo di I Reg. 20 (vv. 13 s. 22.28 137).

    Per il resto il 11iibt' nella tradizione compare sempre come individuo singolo. Se si getta un rapido sguardo sul gruppo di coloro che vengono designati con questo titolo, si vede subito che non è possibile parlare in alcun modo di un tipo omogeneo, dai contorni ben definiti. Soprattutto nei casi in cui il titolo viene attribuito a personaggi dell'età premonarchica, tale attribuzione è dovuta alle più diverse caratteristiche (4 coll. 500 ss.). Tuttavia in seguito si fa

    Un nesso istituzionale fisso è evidente solo nel caso di Gad e di Natan. Certo in I Sam. 22,J Gad è detto semplicemente hanniib2', ma in 2 Sam. 24,u egli è chiamato anche flozeh diiwid, «veggente di David», per indicare la sua appartenenza al seguito del re. Di Natan i testi presuppongono la costante presenza a corte; egli infatti interviene anche in questioni politiche e partecipa anche agli intrighi di corte'(dr. 2 Sam. 7,1 ss. e specialmente I Reg. r) 138 • Nonostante

    il> I detti escatologici ricordati sopra come patrimonio di que3ta cerchia profetica ricevono una nota particolare dal fatto che le speranze e le aspettative ivi espresse sembrano essersi compiute nella persona di Eliseo. Cfr. RmSER, op. cit. (--'> n. 13r) 337. 136 In r Sam. 22,5 non è detto che Gad parli da parte di Jahvé.

    ll7 In r Reg. :20,28 abbiamo 'H 'hiz''éloblm invece che niibt', benché si tratti evidentemente del medesimo profeta. Il~ r Rcg. I,34-4.5 fa pensare che anche Natan abbia avuto parte attiva nella cerimonia dell'unzione di Salomone a re, mentre secondo il racconto della cerimonia stessa (v. 39) l'unico celebrante sembra essere stato il sacerdote

    495 (v1,801)

    1tpoqrfi-.ric; X't'Ì.. B

    ciò, egli affronta David accusandolo senza mezzi termini (2 Sam. r2). Anche Gad gli annunzia il giudizio di Jahvé ( 2 Sam. 24,1 I ss.). Il legame con la corte non porta dunque alla dipendenza servile e alla limitazione della libertà della parola di Jahvé. Gli altri personaggi che vengono chiamati col nome di nàbt' sembrano del tutto indipendenti, anche se talvolta hanno, come ad es. Eliseo e Isaia, un rapporto piuttosto intenso con la casa regnante, alla quale è destinato in primo luogo il loro messaggio.

    Ili 2

    (R. Rcndt9rtt}

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    egizi, che non presentano alcuna figura profetica ma contengono tuttavia dei paralleli formali e materiali di parole profetiche dell'A.T. 141 • Nella maggior parte dei casi è il niibl' a prendere l'iniziativa di comunicare ad altri una parola di Jahvé (d"bar ihwh) che gli è giunta. Ma non è raro neanche che s'interroghi Jahvé attraverso il niibt' (I Sam. 28,6; I Reg. 14,2; 22,5 .7; 2 Reg. 3,u; 22,r3), e in 2 Reg. r9,1 ss. la parola di Jahvé che Isaia comunica è la risposta divina alla richiesta di intercessione. Tuttavia predomina sempre l'intervento non sollecitato, cosl che il niib2' non può esser considerato in primo luogo come un succedaneo di altre possibilità di ricevere l'oracolo 142• Bisogna piuttosto dire che la libertà e l'indipenza della loro opera rappresentano un'assoluta novità. Nelle sentenze di questi profeti autonomi predominano gli oracoli annuncianti il giudizio.

    Particolare importanza hanno i paralleli di Mari 139• I vi in parecchi testi si parla di persone che, senza essere richieste, si presentano al re con una parola del dio Dagan, che contiene precisi ordini e talvolta un'aspra critica del comportamento del re. Questi messaggeri del dio sono chiamati mub/Jtlm, designazione strettamente connessa al titolo di mabbum che designa un gruppo di sacerdoti estatici. Tuttavia i nostri testi non padano di manifestazioni estatiche collegate con la ricezione di rivelazioni, e soltanto in un caso si accenna u un sogno. II parallelismo tra il comportamento di questi profeti a Mari e quello di Gad e Natan è palese. A queII fatto che questi oracoli siano diretsto proposito bisogna ricordare anche l'iscrizione del re Zakir di Jjamath 140, ti prevalentemente alla casa regnante (2 dove si legge (righe I I s.) che il dio Be- Sam. 12,r-r5a 143 ; 24,r2 s.; 2 Reg. I I , 'elsmain ha fatto pervenire al re un ora- 29-39 144 ; 14,7-r6; r6,1-4; 20,38-42; colo di salvezza «mediante veggenti 22,17-23; 2 Reg. 20,r.r6-18) è dovuto alla natura stessa delle fonti; ma spesso ( ~zjn) e indovini (? )». È incerto fino a qual punto si possano richiamare i testi il giudizio annunciato dal profeta riguarSadoq.

    (1958) 31-38.

    n9 Cfr. M. NoTH, Gesch. tmd Gotteswort im

    142

    A.T., in Gesammelte Studien zum A.T. (r957) 230-247; W. v. SoDEN, Verkiindtmg des Gotteswillens durch prophetisches Wort in den altbabylonischen Briefe11 at1s Mari, in Die \'(le/t des Orie11ts I 5 (1950) 397-403. 140 Cfr. A .O.T . 443 s. 141 Cfr. G. LANCZKOWSKI, Àgyptischer Prophetismus im Lichte des alt.liche11: ZAW 70

    143

    Cosl ~ JEPSEN 149. Secondo l'analisi di L. RosT, Die Oberliefe-

    rtmg vo11 der Thro1111achfolge Davids, BWANT m 6 (1926) 93-99 soltanto i vv. r-7•.1 3-15• appartengono al testo primitivo di questa pericope, ampliata più tardi con l'aggiunta di due oracoli di minaccia. 144 Questa patte ha subito un ampliamento deuteronomistico di notevoli proporzioni.

    &J// \ ...., ..rV #o/

    da tutto il popolo d'Israele. Il giudizio che colpirà Gerusalemme (2 Reg. 22,16 s.) risparmierà invece il re Giosia (vv. 18-20). Il racconto relativamente recente (--) n. 192) di I Reg. 13 contiene un giudizio contro l'altare di Betel (vv. 2 s.), il cui avveramento è narrato in 2 Reg. 23,(15)16-18. Accanto agli oracoli di giudizio troviamo poi altri oracoli annuncianti un positivo intervento storico di Jahvé: Dio garantisce la continuità della dinastia davidica (2 Sam. 7 m) e promette in diverse occasioni un esito vittorioso della guerra (r Reg. 20,13.28; 2 Reg. 19,6 s. 20-34). Isaia pronuncia un oracolo di salvezza quale risposta alla preghiera di Ezechia (2 Reg. 20,5 s.). In !ud. 6,7-rn il Deuteronomista attribuisce allo 'li niibt' la funzione specifica di rimproverare agli Israeliti la loro infedeltà a Jahvé. Secondo 2 Reg. 17,13.23 Jahvé ammonl continuamente Israele per mezzo dei suoi n•bf.'tm 146 e per bocca loro annunciò al popolo il suo giudizio (cfr. 21,rn-15; 24,2). In questi rapidi sommari storici i singoli ncbt'lm sono considerati come anelli di una catena ininterrotta e vengono chiamati 'abtidtm (servi) di Jahvé (17,23; 21, io; 24,2). Ci si chiede se tutti i personaggi indicati col nome di niib1' siano collegati tra foro, cioè se sia possibile identificare un ufficio di niibi' dai ben definiti contorni istituzionali. Il fattore istituzionale era senz'altro chiaro nel caso delle congrega14S Cfr. RosT, op. cit. (-+ n. r43) 47-74; M. NoTH, David tmd Israel in II Sam11el 7, in Mélanges Bibliqt1es. Scritti in memoria di An-

    dré Robert (r955)

    II2-130.

    Al v. 13 si legga n'bl'iiw, espungendo koll;ozeh; dr. Bibl. Hebr. 3• 146

    147 Il problema del rapporto tra gruppi e singoli non è stato visto da-+ }EPSEN con la do-

    zioni profetiche e lo stesso può dirsi per i n•bi'1m di corte di David. Ma se si cerca di associare questi due fenomeni, s'incontrano gravi difficoltà 147 • Nelle differenze che corrono tra gli uni e gli altri si potrebbero vedere riflesse situazioni che variano tra il regno del nord e quello del sud 148 ; ma anche con tale ipotesi non si risponde all'interrogativo se si tratti veramente di due diverse conformazioni dello stesso ufficio, oppure no. La risposta potrebbe comunque essere negativa. Molti dei profeti individuali che compaiono più tardi non possono essere inquadrati entro un ufficio ben definito; al massimo vi possono essere inseriti solo con grande difficoltà. La risposta a questo quesito è tanto più ardua in quanto le fonti non ci offrono quasi alcun appiglio per un'interpretazione istituzionale dell'ufficio delle singole figure di profeti. Si dovrà pertanto essere molto cauti nell'avanzare ipo· tesi 149• I testi ci offrono pochi spunti anche per risolvere il problema, di recente tanto dibattuto, del rapporto di un tale ufficio profetico col culto. Samuele è educato nel santuario di Silo e Il riceve la sua prima parola da vuta chiarezza, cosl che molti interrogativi rimangono per questo rispetto senza risposta. La questione è stata invece posta, ad es., da -+ PLOOER, Priester 166. 148 Così -+ JePSEN, passim. 149 Nonostante l'accuratissima analisi, il libro di --+ }EPSEN è inficiato da troppe costruzioni in parte dovute a una concezione precostituita dcl 'nabismo'.

    499 ( VI,802)

    r.pOCfllj't"T)c; X'!:/,. 1' I II 2 -3 I!\. 1\.t:nu turu J

    Jahvé (r Sam. 3,1 ss.). Alla fine dell'antico racconto di I Sam. 1-3 150 egli viene designato quale niibi' ljhwh (3,20). Tuttavia le circostanze in cui Samuele giunge al santuario e soprattutto il risalto dato al carattere eccezionale di questa rivelazione (3,i.21) rendono improbabile che si tratti di un ufficio fisso e ben preciso. Anche quando in 1 Sam. 9, 13 leggiamo che «il popolo non mangerà prima ch'egli ( = Samuele) sia giunto, perché è lui che deve benedire (berak) il sacrificio», abbiamo l'impressione che con questa notizia si voglia sottolineare la posizione particolare di Samuele. David parla con Natan del progetto di costruire il tempio, e il profeta gli trasmette una parola di Jahvé a questo proposito (2 Sam. 7,1 ss.); ma in questo caso non è possibile vedere alcun rapporto costante e continuo col culto. Lo scontro tra Elia e i profeti di Baal avviene nell'ambito cultuale; ma nell'antichità l'offerta del sacrificio non era affatto un privilegio riservato a un particolare funzionario del culto 151 , e questo scontro è paragonabile a quello narrato in !ud. 6,25 ss., che ha per protagonista Gedeone. In I Reg. 19,10.14 si nominano, quali segni dell'apostasia da Jahvé, la distruzione degli altari e l'uccisione dei profeti; ma neanche da tale accostamento si possono trarre troppe conclusioni. Anche per Eliseo si può al massimo addurre l'argomento che la gente si recava da lui solitamente alla luna nuova e di sabato (2 Reg. 4,23); ma per il resto egli non appare mai nelle vesti di 'profeta cultuale'. Da questo rapido esame risulta chiaramente che tra i profeti antichi e il culto si sono avuti dei punti di contatto, ISO Cfr. NoTH, op. cii.

    (~

    n. 129) 60 s.

    1;1 Cfr. A. WENDEL, Das Opfer in der allisrae-

    \ vl,UVJ

    r JVV

    ma che la tradizione non ha mai considerato come caratteristica di queste fì. gure profetiche il loro rapporto col culto. Pertanto tutto ciò che si può dire è che, stando all'immagine offerta dalla tradizione, i profeti dei secoli x e IX si trovavano in un rapporto positivo, più o meno stretto, col culto del loro tempo 1s2. 3. Profeta come epiteto di personaggi antichi

    L'epiteto di niib'i' è .stato attribuito nella tradizione anche a personaggi antichi. In Gen. 20,7 (E) Abramo è detto appunto profeta, e ciò in grazia della sua opera di intercessione. Probabilmente risalgono a questa concezione della redazione elohista, che tuttavia non è sviluppata ulteriormente, anche due frasi insolite per le storie dei patriarchi: haja debar jhwh 'el-'abriùn bamma~azeh, «la parola di Jahvé fu rivolta ad Abramo in visione», e wchinneh d•bar-ihwh 'eliiw, «ed ecco, la parola di Jahvé gli fu rivolta» (Gen. 15,i.4). Ad Aronne il nome di niibl' è dato nella redazione sacerdotale (Ex. 7 ,1 ), che modifica l'immagine di Ex. 4 116 - secondo la quale Aronne dovrebbe essere «la bocca» di Mosè e Mosè «il .dio» ( 'elohtm) di Al'onne - dicendo che Mosè sarà 'eloh1m per il faraone e Aronne il niibt' di Mosè. Per la redazione sacerdotale niibl' è lilischen Religio11 (1927) 10 s. 1s2 Per tutta la questione dr.~ RowLEY, Ri-

    lual, passim.

    dunque colui che parla per incarico superiore. La notizia (Ex. 15,20) che Miriam sarebbe stata una nebt'a è probabilmente più antica ed è collegata con l'antico inno del Mat delle Canne (v. 21 ). In questo caso l'uso del nostro termine sarebbe stato suggerito dalla danza e dal canto cultuali. Il termine niibt' è usato spesso nei testi che riguardano Mosè. Quanto è detto in Num. 12 1 6-8 a proposito della sua posizione lo eleva nettamente sul niib'i': a quest'ultimo J ahvé parla in visioni e sogni, a lui invece «a faccia a faccia» (peh 'el-peh, cfr. Ex. 33,u: piin1m 'el-piintm ). L'eccezionalità della posizione di Mosè è sottolineata ancora con l'esptessione 'abdz, «servo mio»(--+ IX, coll. 299 s.). Nel nostro discorso rientra anche il rncconto di Num. 11,16 s. 24-26: il carisma di Mosè è così incomparabile, che una semplice parte della ruap «Che era SU di Jui» basta per far profetare (hitnabbe') 70 uomini (vv. 25 s.). Una diversa concezione vede in Mosè il 11iibi' per eccellenza, col quale Jahvé comunica piinzm 'el-piinim (Deut. 34, ro 153). Giosuè aveva ricevuto da Mosè la ruap mediante l'imposizione delle mani, eppure il testo afferma che un niibi' come Mosè non c'è più stato. Questo testo sottolinea dunque la singolarità

    di Mosè pur usando l'espressione 11iibl'. Deut. 18,15-1 9 vede Mosè come il primo di una serie di n°b2'lm: Jahvé manderà continuamente un niibl' come Mosè 154 che annunci al popolo la volontà divina 155 • Qui sì pensa probabilmente ad un istituto, ad un ufficio non occasionale che proprio per la sua continuirà sembra essere in qualche modo legato ad una istituzione. La comparsa di un nàbi' non è considerata un evento fortuito, imprevedibile, bensì un fatto sul quale si può contare. Il compito di questo niib'i' non va quindi confuso con quello di quei profeti che scuotono il popolo; egli ha piuttosto una funzione preventiva: deve tenere il popolo in costante contatto con la volontà di Jahvé, così da sottrarlo all'influenza della mantica pagana (vv. 9-14) e impedire che si trovi direttamente esposto alla insostenibile vicinanza di Jahvé, che Io può distruggere. A questo proposito si ricorda quanto avvenne all'Horeb, quando Mosè fu stabilito. quale mediatore proptio per questo scopo. Nella prospettiva del Deuteronomio l'ufficio profetico va visto alla Juce deJla legge, di cui questo 11iibt' dovrebbe essere custode, mediatore e legittimo interprete 156•

    153 Non si può dire a quale fonte appartenga questo versetto. I~ iiiqlm (Deut. 18,15) e 'iiq1m (v. 18) vanno probabilmente intesi in senso distributivo, conformemente all'opinione comune: Jahvé susciterà ogni volta un niibl'.

    155

    Infine il titolo di n°bt'a (profetessa) è attributo anche a Debora (lud. 4>4) Cfr.-+ v. RAD

    II2

    s.

    156 KRAUS, op. cit. (-+ n. rn;) _59-66 vede in De11t. 18 115 ss. una prova a favore dell'ufficio

    di 'mediatore dcl patto'. L'idea di una serie continua di n'b1'im si trova per la prima volta in Osea (6,5; r2,n),-+ coll. ,504 s.

    che è detta anche sof
    (1952) 62.

    Diversamente intende, ad es., E. SELLIN, Das Zwol/prophetenbuch, Komm. z. A.T. 12 u (1929) ad l. loo O. PROCKSCH, Jesaia I, Komm. z. A.T. 9 (1930) ad I.: «Cos} che egli stesso si dà a conoscere, in questo modo, quale tJiih1'». 161 Tuttavia questo appellativo manca quasi regolarmente nei LXX. 159

    cazione Ezechiele è chiamato enfaticamente nàht' ( 2 ,5) e tale è detto, indirettamente, anche in 14,4. Nei libri di Abacuc, Aggeo e Zaccaria la designazione di niibl' compare già nel titolo e poi nel corpo del libro (Abac. I,1; 3,r; Ag. 1,1.3.I2; 2,I.Io; Zach. 1,z.7; cfr. anche 8,9). È dunque chiaro che a partire da Geremia niibl' fu usato liberamente per i profeti scrittori 162• Ma anche i testi di Isaia e Osea mostrano di usare il termine senza esitazione. Anche Amos, se rifiuta di farsi chiamare niibi', non lo fa per principio, come mostra l'uso del verbo in 7,15 163• b) Il termine niibi' è riferito, generalmente al plurale, anche ad altre persone del passato. Troviamo la prima testimonianza di quest'uso in Osea 161 : Jahvé 'taglia' mediante i nebt'zm (Os. 6,5) 165, ha parlato 162 }EI'SEN 141: «Qui incontriamo per la prima volta 'nabi' non nel significato di appartenente a una determinata categoria professionale, bensl nell'accezione più generale di 'portavoce di Dio'». Tale osservazione si basa sulla petitio principii che nel suo uso normale niibi' fosse il titolo riservato ad un ufficio preciso e che i profeti scrittori non appartenesse· ro alle persone investite di tale ufficio. 163 La netta separazione tra uso del verbo e 'nabismo' sostenuta da - }EPSEN 6 è meto· dologicamente ingiu_stificata. 161 Am. 2,n s. e 3,7 sono certamente secondari. 165 L'interpretazione del versetto è discussa. Molti esegeti cambiano il testo, mentre SBLLIN, op. cii. n. r59) ad I., traduce: «Perciò ho tagliato con la scure tra ì profeti». Cfr. però H. W. WoLFF, Dodekapropheton, Bibl. Komm. A.T. 14 (1957) ad l. e ID., Hoseas geistige Heimal: ThLZ 81 (r956) 83-94.

    <-

    loro ( 12,n ), ha tratto Israele dall'Egitto e lo ha custodito mediante un niibt' (12,14). Ier. 5,I3 s. contiene una valutazione positiva dei n"bl'im: poiché il popolo li disprezza, Jahvé renderà le sue parole un fuoco in bocca a Geremia 166 • In 28,8 Geremia è posto nel novero dei n"bi'im apparsi prima di lui fin dai tempi remoti (min-hii'oliim). Nelle sezioni del libro di Geremia redatte in stile deuteronomistico è detto più volte, con formulazione ricorrente, che Jahvé ha mandato i propri servi, i n"bftm, per ammonire Israele {7,25; 25,{; 26,5; 29,I9; 35,15; 44,4). Secondo Ez. 38,17 i servi di Jahvé, i n"b'ì'e jifrii'el, hanno preannunciato la venuta di Gog da Magog. Nei passi non originali del Libro di Amos si dice che il sorgere di n"bi'tm e n"zir'ìm è un dono di J ahvé e si condanna chi impedisce loro di compiere la propria missione (Am. 2,II s.); secondo Am. 3,7 Jahvé non fa nulla senza dirlo ai suoi servitori, i n"bi'im. Zaccaria parla dei profeti primitivi (n"bt'2m ri'Sonim) che invitarono i padri al ravvedimento e li chiama setvitori di Jahvé (Zach. 1,4-6; 7,7.12). Mal. 3,23 si aspetta il ritorno del niibi' Elia. Nei tempi più antichi il richiamo positivo ad altri n"bi'zm si trova solo in Osea 167, mentre solo dopo Geremia esso diventa più frequente . c) La maggior parte delle affermazioni sui n•bt'zm che trnviamo nei libri profetici hanno carattere polemico (~ v, coll.112 ss.). 166

    Cfr. l'accusa di avere ucciso i 11'b1'im (i,

    30).

    Cfr. WoLFF, Hoseas geistige Heimat n. 165) passiu1.

    167

    (~

    168 Amos rifiuta il titolo di 11iib1', ma ciò non implica alcuna polemica; cfr. ~ WiiRTH\'QEIN, Ar11os-Studien 22 s. 169 Secondo SELLIN, op. cit. (~ n. r59) ad l.,

    Tuttavia anche quest'uso è accertabile soltanto in una parte dei libri profetici. Abbiamo un primo accenno 168 in Or. 4, 5, dove l'oracolo di giudizio 'contro il sacerdote' abbraccia anche il niibi' 169 • In Isaia parecchi oracoli di giudizio riguardano, tra altri, anche il niibl' (lr. 3,1-3; 9,13 s.; 28,7 ss.; 29,rn). Nel Libro d'Isaia troviamo anche alcune accuse concrete: il niibt' è maestro di menzogna (moreh-Jeqer: 9,14) e nella sua ebbrezza si fa beffe delle parole del messo di Jahvé motteggiandone l'incomprensibilità (28,7 ss.). Michea polemizza coi n•bi'2m che fuorviano il popolo facendo dipendere il loro responso dal compenso che ricevono (Mich. 3,5-7). Il Libro di Geremia ci offre un quadro particolareggiato della controversia. L'accusa più frequente che il profeta rivolge ai n"bl'im è quella di predire 'Seqer, cioè menzogna (Ier. 5,31; 6,13; 8,10; l4,I3 S.; 23,14.25 S. 32; 27,9 S. l4·I6; 29,8 s.). Costoro parlano nel nome di Jahvé, benché egli non li abbia mandati ( 14,14 s.; 23,21.32; 27,15; 28,15; 29,9.31) 170, e i loro oracoli provengono dal loro stesso cuore (14,14; 23,16.26), sono sogni (23,25 .27.32; 29,8). Più concretamente Geremia li accusa di annunciare JiilOm senza l'autorizzazione di Jahvé (6,13 s. ; 8,IO s.; 14,I3; 28,9), predicen· do l'esito fortunato della guerra o l'imminente fine dell'esilio (14,13; 27,9.14. 16; 29,8-10), mentre egli annuncia proprio il contrario. Accanto a questo capo d'accusa primario, ai ncbi'lm vengono contestati anche l'adulterio e altri misfatti (23,14; 29.,23) per i quali il giuil sacerdote indiC1l Aronne, il niibi' Mosè (dr. Ex. 32); WoLFF, Dodekapropheton e~ n. 165) ad l. ritiene che il v. 5a{3 sia una glossa giudaica. 170 Soltanto quando si guarda retrospettiva· mente al passato si dice c:he essi avevano va· tidnato babba'al (2,8), accusa che altrimenti viene rivolta soltanto ai 11'bt'im di Samaria (2p3).

    507 (VI,805)

    TCPO<Jll)'tl)<; Y.'tA.. O

    dizio di Jahvé Ji colpirà (14,15; 23,15. 30-32; 28,16; 29,21 s.). Ma più spesso i n"bi'tm sono menzionati negli oracoli di giudizio insieme con altri: con i sacerdoti (6,13; 8,10; 14,18; 23,n), con i sacerdoti e il popolo (23,33 s.; 26,7 s.} oppure con i re e i sacerdoti nella sequenza: re (principi), sacerdoti e n•bt'lm (2,26; 4,9; 8,1; 13,13). Nel Libro di Sofonia l'unico esempio di tale uso associa i n"bi'tm ad altri capi del popolo (neJl'ordine: principi, giudici, n•b1'1m, sacerdoti) nell'accusa di stravolgere il loro compito (Soph. 3,3 s.). Infine anche Ezechiele polemizza contro i n'bi'tm con accuse simili a quelle di Geremia: profetizzano secondo il loro cuore e la loro rtlah (Ez. 13,2 s.; cfr. v. 17), proferiscono vanità (.faw') e menzogna ( l 3,6-9 ), dicono «oracolo di Jahvé» (n"'um-jhwh) benché Jahvé non Ii abbia mandati (13,6s.), annunciano falsamente salom (13,10.16) 'intonacando' cosl la situazione reale del popolo (13,ro171 1 5; 2 2 ,2 8 ). Perciò il profeta annuncia il giudizio contro di essi (13,8 s. 11-16) e anche contro il niibi' che dà llll dobiir a un idolatra ( 14,9 s.). Il rifiuto radicale di Zaccaria (13,2-6, ~ coll. 488 s.) è l'ultimo giudizio contrario ai n•bt'tm nel profetismo postesilico. d) Dall'esposizione precedente risulta chiaramente come i profeti scrittori, da Isaia n Ezechiele, si sono messi in contrapposizione netta con una maggioranza di n"bi'im, contro l'attività dei quali polemizzano. Per sapere se i tanto cri· ticati n'bt'im fossero titolari di un ben preciso ufficio profetico, si potrebbe par171

    In

    22,25

    dobbiamo Jeggcre, coi LXX, 'aier

    n'Ji'eha. 172 Cfr. ~ MoWJNCKEL, Psalmemt11dien 17. m Cfr. Bibl. Hebr.' m Il testo di 29, 10 è inceno.

    JJJ

    4l:-ll \1\. n c uu•v•u1

    \.

    -,..,..,-, _,,- ...

    tire, come molti umano fare 172, dalla frequente associazione di profeti e sacerdoti. Tuttavia la maggiot parte dei passi solitamente addotti a sostegno della tesi affermativa è del tutto insufficiente a provare l'ipotizzata connessione dei n•bl'im con il culto. È abbastanza naturale vedere acco· rnllllati il profeta, proclamatore della volontà di Jnhvé, e iJ sacerdote, servitore del santuario. Privi di qualsiasi valore probante sono particolarmente quei passi che menzionano profeta e sacerdote insieme con altri capi del popolo, ad es. nella sequenza melek, far, kohen, niibz' (ler. 2,26; 4,9; 8,1; 13,13 [senza far]; dr. anche 18,18: kohen, l;akam, nabl'; Ez. 22,25-28: niifi' 113, kohen, far, niibi'): questi passi dimostrano unicamente che il nabl' era uno dei capi riconosciuti del popolo. Inoltre non bisogna dimenticare gli altri passi in cui il niib'ì' è menzionato insieme con altri funzionari, senza che tra questi appaia il sacerdote (ad es., Is. 3 1 2; 9,14; 29,ro 114 ; Ier. 27,9}. Questa associazione col sacerdote non costituisce dunque una caratteristica preminente del niibi'. Più distinto è invece il nesso del niibt' con il sacerdote e il tempio in Ier. 26, e lo stesso può dirsi, più o meno, per 23,u . In ogni caso, la semplice uguaglianza tra niibi' e profeta cultuale non è pertinente, perché soprattutto rimane affatto indecisa la misura di tale legame del profeta col culto. Certamente gli ultimi passi ricordati ed anche, ad es., Ier. 29, 26 s. (dove un sacerdote è chiamato «sovrintendente nena· casa di J ahvé su ogni mitnabbe'» 175 ), indicano che i 11"bt'im 11s Per il tcs10 dr. Dibl. Hebr.1 Non è affatto vero che qui sia «detto esplicitamente che Geremia faceva parte della corporazione orga· ruzzata dei profeti del tempio» (~ Wi.IRTH·

    WBIN, Amos.S111dien r5).

    esercitavano certe funzioni nell'11mbito del culto, ma non è affatto chiaro di che genere fossero queste funzioni cultuali 176 e quanto fosse stretto il legame col tempio. In questa materia è quanto mai difficile giungere a conclusioni chiare; comunque conviene essere molto più prudenti di quanto spesso non avvenga. Anche il problema di una collocazione istituzionale dei n'b/'1111 non può aver risposte certe e nulla ci costringe a credere che i n"bt'1m abbiano costituito in senso proprio ed esclusivo una categoria professionale. Che sia esistito, anche prescindendo dai 'profeti scrittori', un profetismo libero, carismatico, è del tutto possibile. Cosl, ad es., proprio nel caso dell'oppositore più noto di Geremia, Anania di Gabaon (Ier. 28), non c'è la pur minima traccia della sua appartenenza ad una precisa categoria professionale. e) Abbiamo cosl già toccato un altro problema: quale sia il rapporto che corre tra i profeti scrittori e i n•b1'1m (-4 m, coll. 338 s.). Sfo l'uso del termine niibt' (~ coll. 503 ss.) sia quello della forma nif'al del verbo (~ coli. 486 ss.) ci hanno già fatto capire che non è possibile stabilire una netta separazione tra i due gruppi 177• Questo fatto risalta in maniera ancor più evidente quando si considera la natura della polemica, particolarmente in Geremia. I suoi oppositori parlano, come lui, nel nome di Jahvé (besem jhwh) e si servono della formula koh 'amar jhwh, ecc. Evidentemente 176 Qui forse si può pensare, tra l'altro, all'ufficio profetico dell'intercessione; dr. -'> v. RAD n4s. 177

    Cosl _,,.

    JEPSEN

    passim.

    178 Cosi particolarmente--+ QuELL 43-67.

    non c'è alcuna differenza nel modo di presentarsi; la polemica riguarda unicamente il contenuto del messaggio dell'uno o degli altri. Un passo come Ier. q, I 3 s. ci mostra come la questione della giusta e verace predicazione costituisse un problema anche per Geremia. Nello scontro con Anania, dove due parole di Jahvé si contrappongono, dapprima Geremia ha la peggio e deve cedere alla forza della coscienza che Anania ha di essere stato mandato da Dio, ma poi egli stesso riceve una nuova parola di Jahvé (ler. 28 178). Ciò che distingue Geremia dal suo avversario è in ultima analisi una diversa comprensione dell'opera storica di Jahvé. Nella catastrofe incombente Geremia vede la volontà di Jahvé, mentre Anania insiste nell'annunciare la salvezza, come aveva fatto piì1 di un secolo prima, ad es., Isaia 179 • Qui si vede l'elemento patticolare, imponderabile dei 'profeti scrittori': essi si fanno avanti con un messaggio per- il quale reclamano l'autorità di Jahvé e che in certi casi contrasta con tutta la tradizione teologica d'Israele 180• Geremia deve portare il suo messaggio senza avere le spalle coperte, mentre il suo avversario può richiamarsi alla tradizione. Questo fatto può benissimo dipendere anche da un più forte nesso istituzionale _di Anania, ma certo non è né possibile 179

    Cfr.

    ~V. RAD II9

    s.

    Secondo 4 WiiRTHWEIN, Urspnmg la pre· dicazione del giudi:do è una funzione del profeta cultuale: cfr. però --+ n. 200.

    180

    5!1 \ Vl,OU/ J

    né legittimo dedurne lo schema niibt' Deut. 13,2-6 tratta il caso di un niibt' di professione = profeta di salvezza, e che inviti il popolo ad adorare altri dèi: libero profeta di J ahvé = profeta di costui è da considerare un nemico di sventura. Ciò è dimostrato, ad es., dal Jahvé e va messo immediatamente a messaggio di Isaia durante la guerra si- morte. Deut. 18,20 prevede la sentenza ro-efraimitica (Is. 7,r-r6), quando del capitale anche per quel nabl' che parli resto egli si rifà proprio alla tradizio- in nome di Jahvé senza che Dio gli abne 181, e anche da altri oracoli di salvezza bia ordinato di farlo. Il criterio stabilito che troviamo presso i 'profeti scrittori' per decidere se il profeta abbia avuto o e la cui autenticità non può essere conte- no da Jahvé un ordine in tal senso è stata a limine 182• Viceversa Mich. 3,5 molto semplice: «Quello che il nabi' presuppone che anche i nebt'lm possano dirà in nome di Jahvé e che non succepronunciare oracoli di sventura. derà o non si avvererà, quella è la cosa li problema del rapporto dei 'profeti che Jahvé non ha detto» (v. 22). Questa scrittori' con i nebt'tm che essi combat- regola vale qui per ogni nabt'' ma in partono non può dunque esser risolto né ticolare per quello che col suo messaggio con una netta separazione, né con una potrebbe agitare il popolo. La differenza piena equiparazione. I 'profeti scrittori' tra questa posizione e quella espressa in sembrano essere meno legati ad una i- Ier. 28,8 s. è palmare: per Geremia solo stituzione, senza che d'altra parte sia il profeta che annunci un oracolo di salpossibile considerarli del tutto isolati e vezza è tenuto a provare a posteriori indipendenti. Il loro messaggio ha no- la legittimità del suo mandato dimotevoli affinità di forma e contenuto con strando che il suo annuncio si è avveraquello dei nebt'tm, ma in punti decisivi to; per contro il profeta di sventura non se ne separa. In ultima analisi la loro ha bisogno di dimostrare la veridicità particolarità consiste nell'ambito del tut- del proprio messaggio. to irrazionale della parola di Jahvé, che li oppone all'opinione dominante e co- 6. nabi' negli altri scritti stituisce così la loro posizione speciale. Nel Salterio Ps. 51,2 e ro5,15 indicano col nome di nàbi' personaggi antichi 5. Veri e falsi profeti nel Deuteronomio (Natan, Abramo). Ps. 74,9 lamenta che non ci sia più alcun niibi', non ci sia Anche il Deuteronomio affronta il cioè più nessuno (come chiarisce l'emiproblema del 'vero' e del 'falso' profeta. stichio parallelo) che sappia quanto du131

    Cfr. v. RAD, op. cit.

    (~

    n. 132) 56-58.

    IB2 Perciò partono da un errato presupposto metodico i tentativi di H. BARDTKE, Jer. der FremdvOlkerprophet: ZAW 53 (1935) 209-

    239; .54 (1936) 240-282, e di~ Wi.iRTHWEIN, Amos-Studien 35-40, di scomporre l'attività di Geremia e di Amos in due periodi, in base al criterio dell'annuncio della salvezza o della sventura.

    )13 l Vl 1000J

    ti ancora la tribolazione (-7 C i

    I b). Nella situazione descritta in Lam. 2 i n•bt'zm appaiono con il re e i principi: essi non ricevono più visioni (/;ii:t.611: 2,9); nella scena della distruzione\ si dà particolare risalto al fatto che sa-· cerdote e niibt' vengono uccisi nel tem-· pio di Jahvé (2 1 20). Nell'apostrofe alla città abbiamo però (2,14) una violenta requisitoria contro i n•bt'im: «I tuoi profeti ebbero per te visioni di menzogna e di vanità (faw'); essi non svelarono le tue iniquità per allontanare la tua sorte, ma ebbero per te visioni d'inganno, di menzogna e di seduzione» (dr. anche 4,13). Dan. 9 parla dei n•bt'im del passato: essi erano i servi di Jahvé, coloro che esortavano a seguire la legge di Dio (vv. 6 e ro); Geremia è il nribl' attraverso il quale Jahvé ha rivelato il numero dei 70 anni (v. 2) che ora viene 'sigillato' (v. 24), cioè scade col compimento. Per il Cronista niiM' è un termine favorito. Oltre ai casi in cui riprende la parola dalle sue fonti (r Par. 16,22; 17,1 183 ; 2 Par. 18; 32,20; 34,22) il Cronista accenna spesso ai n•bf1m: frequentemente parla in maniera generica dei profeti come di uomini inviati da Jahvé per ammonire il popolo (2 Par. 20,20; 36,16; Esdr. 9,u; Neem. 9 1 26. 30) oppure presenta alcune figure di niibl' per fare proclamare loro, in determinate situazioni, la volontà di Jahvé (2 Par. 12,5; 15,1-7, dr. 8; 21,12; 24,20; 25,15 s.; 28,9; cfr. 36,12). Inoltre aggiunge altre citazioni a quelle delle fon-

    17,1 = 2 Sam. 7,2. Testo secondo R. SMEND, Die \\'!eisheil des ]esus Siracb (1906). 1ss In 48 113 invece di nbr' bisogna forse legge· re coi LXX nb'. Soggetto del verbo è Eliseo e l'episodio a cui ci si riferisce è narrato in 2 Reg. 13,20 s.: un morto torna in vita al semplice contntto con la salma del profeta. Il verbo significherebbe allora 'operate miracoli'. 186 Ed. dn H. ToRczyNBR e altri, Lachish I

    ti preesistenti, facendo riferimento a scritti di diversi nebnm (I Par. 29,29; 2 Par. 91 29; 12,15; 13,22; 26,22; 32, 32). Secondo 2 Par. 29,25 la musica del tempio è stata ordinata da Jahvé attraverso i suoi neb2'2m. Nella preghiera di Neem. 9 i n•bnm vengono menzionati insieme con i re, i principi, i sacerdoti, i padri e tutto il popolo (v. 32). Esdr. 5,1 s.; 6,14 chiama n•bt'im Aggeo e Zac· caria. Secondo Neem. 6,7.14 ci sono n•bt"ìm che si lasciano corrompere per sostenere un determinato partito politico. Nel testo ebraico del Siracide 184 il termine 11bj' compare alcune volte. In Ecclus 361 20 s. si prega Jahvé dicendo:

    whqm (Jzwn dbr bimk... wnbi'jk j'mjnw, «adempi le profezie che furono dette nel tuo nome ... cosl che i tuoi profeti si dimostrino veraci». Elia è definito nb;' k's, «un profeta come il fuoco» (Ecclus 48,1) e di Geremia si legge che «era stato reso profeta fin dal seno ma· terno», whw' mr{Jm 11Wfr ·nbj' (49,6 s.) 185• In Ecclus 44,3 tra i pregi che l'inno vuol celebrare è menzionata anche la

    nbw'h. Nell'ebraico extrabiblico il termine niibi' è attestato negli ostrnka di Lakish del 588 a .C. 186• L'unica attestazione certa è però III 20 187 dove si parla di una lettera che è giunta m't hnb'. In base al contesto il profeta non può però essere l'autore dello scritto, ma solo il suo latore giacché (riga 19) spr fbjhw indica un altro quale autore della lettera. L'affermazione di VI 6 s. 188 che c'è gente

    1113

    (lell ed-dmoeir), T he Lnchish Lellers (1938);

    184

    dr. J. HEMPEL, Die Oslraka vo11 l.AkiJ: ZAW 56 (1938) 126-139;· K. GALLING, Textbuch wr Geschichte Israels (1950) 63-65. 1a1 In GALLING, op. cii. ( n. 186) nr. 36; cfr. D. W. THOMAS, 'The Prophet' in the Lachish Ostraca (1945); Io., Again 'The Prophet' in the Lachisb Ostraca, ìn Von UgariJ nach Q11mran, Festschr. O. ErsSFELDT, Beih. ZAW 77 (1958) 244-249. la& GALLING, op. cii. <~ n. 186) nr. 39·

    =

    1tpOq>TJ'tTJc; X'\À.

    B

    III

    6.

    IV 2 (K.

    l{endtorH)

    che «fiacca le mani della campagna e della città» ricorda le accuse rivolte a Geremia (ler. 38,4), ma in questa occasione non si parla di profeta 189•

    lativo onorifico. Nella stessa direzione sembra andare anche l'uso di questa espressione per il mal'iik (prima che lo si riconoscesse come tale) di Iud. 13,6.8 e per Mosè (Deut. 33,1; los. 14,6; Ps. 90, Tutto sommato si ha la chiara im- r). Soltanto in I Reg. 13 (cfr. 2 Reg. 23, pressione che nei secoli successivi all 'e- 16-18) si può notare una voluta differensilio il profetismo non abbia più svolto ziazione tra le due espressioni: un 'H 'el0h1m di Giuda che pronuncia una miparla naccia contro l'altare di Betel (vv. 1 ss.) una parte di rilievo, poiché se quasi esclusivamente come di un feno- viene contrapposto al niibi' di Betel. Comeno del passato 190• Col termine n8 bt'1m stui dice: gam-'ani niibl' kiimokii, «anche io sono un niibi' come te}> ( v. 18) ci si riferisce ora, in prima linea, ai 'prorendendo cosi i due termini equivalenti. feti scrittori'. Si potrebbe pertanto essere tentati di considerare 'fJ ,eloh1m come designazione giudaica, e niib1' come titolo nordIV. Altre denominazioni del profeti israelitico. Va però tenuto presente che I. L'espressione 'H (hii) 'eloh1m, «uoI Reg. 13 e 2 Reg. 23,16-18 sono certa· 192 mo di Dio», ricorre spesso in contesti mente sezioni recenti e che gli altri testi non confortano minimamente tale nei quali ha in sostanza lo stesso valore distinzione. Oscuro è il significato deldi nab2'. Ciò è vero particolarmente l'ìJ 'elohZm di Ier. 35 141 i cui figli hanno quando un 'H 1e/Ohtm si presenta con U· una stanza particolare nel tempio. Oltre na determinata parola di Jahvé (I Sam. un caso in cui riprende I Reg.·12 1 22 (2 Par. u,2) il Cronista usa il titolo per 2,27 ss.; I Reg. 12,22; 13,1 ss.; 20,28; Mosè (I Par. 23,14; Esdr. 3 2) e Davi
    ne

    189 Alla riga ;i non si può integrare il testo con h(nb'); dr. THOMAS, op. cii. (~ n, 187) 7 s. 190 Tuttavia Zach. 13,2-6 sembra t radire una certa conoscenza del profetismo estatico (~ CI Ia).

    191 Cfr. ~ }l!PSBN 72-83. 192 Secondo NoTH, op. cit. (~ n. 129) 8r si tratta di una tradizione locale del tempo di Giosia, secondo A. ]EPSRN, Die Q11elfen des Konigsbuches (19,5 3) 102 di sezioni pr~venien­ ti dalla «redazione levitica:.> che è della- fine

    del

    VI

    secolo.

    'itpoqnr,11ç

    X"t"JI. , D

    sta designazione per Samuele (r Par. 9, 22; 26,28; 29,29) usandola inoltre una volta autonomamente (2 Par. 16,7.ro). In Is. 30,ro si può discutere se il participio abbia valore sostantivale (sia cioè un titolo) o verbale.

    JV L - \' \!'\., J'l.CllUlUl"H/

    no accanto a nabl' i termini ro'eh e [;ozeh rivela che in Israele il profetismo fu assunto, dal punto di vista esteriore, in forme e modalità diverse.

    V. Forme e contenuto del messaggio profetico

    Caratteristica essenziale del profeta 3 . Anche il termine l;Jozeh (~ vm, coll. 924 s.) è usato più volte come tito- dell'A.T. è il dabar, la parola (~ v1, lo, a cominciare da 2 Sam. 24,II dove coll. 266 ss.). Il profeta ha il compito di Gad è chiamato f.;ozeh dàwid oltre che comunicare il d"bar jhwh a lui rivela. col suo titolo di hanniibt', evidentemen- to. All'atto della vocazione profetica te per chiarire quale fosse la sua funzio- Geremia diviene certo che J ahvé pone ne a corte 193 • Lo ritroviamo poi in boc- la propria parola nella sua bocca (Jer. 1, ca ad Amasia quando costui si rivolge 9; cfr. Et.. 3,r ss.); ma neanche così il ad Amos (Am. 7,12), ed Amos stesso lo profeta può disporre in qualsiasi momenintende come sinonimo di nàbi' (v. 14). to della parola di Jahvé, ma deve aspet· tare che gli venga data (cfr. ler. 2.8,n . Gli altri esempi non d aiutano molto, tanto più che ci dobbiamo sempre l 2 !) e quando ciò avviene egli non può chiedere se il participio qal vada o no non pronunciarla (Jer. r,17; cfr, Am. 3, inteso come un titolo (ls. 29,ro; 30,10; 8). Anzi chi cerca d'impedirglielo viene Mich. 3,7; inoltre Is. 47,13: gli astrologi di Babilonia 1w). In r Par. 21,9 il colpito dal giudizio di Jahvé (ler. 5,13 Cronista ha ripreso il titolo di Gad da s.; cfr_ Am. 7,16 s.). Il momento in cui 2 Sam. 24,11 (e per questo ha tralasciato il profeta riceve 1a parola di Jahvé è 11abi') e lo ha usato più volte per Gad spesso indicato con la formula waj'hi stesso (r Par. 29,29; 2 Par. 29,25) e poi debar jhwh 'eJ (ad es. 2 Sam. 7,4; cfr. anche per altri (r Par. 25,5; 2 Par. 9,29; 12,15; 19,2; 29,30; 33,18.19; 35,15), 24,1 l ), ma la locuzione più frequentenssociando spesso in quest'uso il tito· mente usata per introdurre gli oracoli lo alla musica del tempio (r Par. 25,5; profetici è kòh 'amar jhwh. Nella tradi2 Par. 29,:3 5.30; 35 ,15). I dati a nostra disposizione non ci permettono di defini- zione tale formula è già usata con rifere nei particolari un eventuale ufficio rimento a Mosè (Ex. 4,22 e passim) e specifico di f.;ozeh . con riferimento a Samuele in sezioni di Il fatto che nella tradizione compaia- probabile matrice deuteronomistica ( r 193 -> } EPSEN 43 e 95 suppone che tale titolo sia dovuto all'influenza del Cronista e rappre· senti quindi un'aggiunta posteriore. Tale ipotesi è però poco verosimile e sembra piuttosto che imche a questo proposito il Cronista abbia

    ripreso e ampliato l'uso linguistico preesi· sten te. l l)4 In 2 Reg. 1 7 ,1 3 kol-l;ozeh è probabilmente un'aggiunta(~ n. x46); Is. 28,r5 è incompren· sibile.

    519 (v1,810)

    7tpoCJYiJ-cTJ<; )(-;}.., B v (R. Rendtorff)

    Sam. 10,18; 15,2); da Natan (2 Sam. 7 ,5. 8; 12,7 .n) e Gad (2 Sam. 24,12) in poi è invece usata costantemente. Tuttavia la diffusione di questa formula introduttiva non è uguale in tutti i libri profetici: abbiamo le punte di maggiore frequenza nei libri di Geremia e di Ezechiele, mentre poi manca del tutto nei libri di Osea, Gioele, Giona, Abacuc e Sofonia. In origine la formula serve ad indicare la delegazione di un messo, l'affidamento di un incarico ad un messaggero (Gen . 32,5), cosl che può esser detta 'formula d'ambasciata' (Botenspruchformel). Lo stesso profeta si considera dunque un messo di Jahvé, di cui ha il compito di trasmettere ad altri la parola. Come per l'ambasciata (Gen. 32,5 s.; 45,9 ss.; I Reg. ;20,3.5 e passim), cosl anche per la parola che il profeta deve trasmettere il discorso è in prima persona, come se parlasse direttamente il mandante, il delegante: ciò significa che l'oracolo profetico è formulato come discorso, sentenza di Jahvé. Frequentemente l'oracolo profetico comincia con hinnen'i, «eccomi», seguito dal participio (2 Sam . 12,II; r Reg. n,31; Am. 6,14 e JJassim ). Già questo costrutto particolare rivela che la parola di Jahvé annuncia generalmente un atto imminente di Jahvé. Questo atto può comportare salvezza o sventura, cosi che la parola di J ahvé è parola di promessa o di minaccia. La parola di promessa può riferirsi ad eventi dell'immediato futuro storico

    (VI,8II) p o

    (ad es. I Reg. II.Jr ; 20,13.28; 2 Reg. 20,5 s.) o ad eventi più recenti (ad es. 2 Sam. 7,8 ss.). Nei 'profeti scrit toti' le promesse sono soprattutto espressione di speranze e attese 'escatologiche' nel senso più lato. Qui troviamo frequentemente formule introduttive come wehii-

    ia bajiom hahU', hinnéh ;amim ba'ìm, baiiamim hiihemma, bii'ét hahi,

    ecc.(~

    coll. 105 ss.). Vanno classificate qui anche le predizioni 'messianiche' (Is. II, r ss.; Mich. 5,1 ss. e passim,~ XPt
    cazione del loro messaggio. Essi sono fiducia nella illusoria sicurezza riposta stabiliti quali 'saggiatori' (Ier. 6,27) e nel culto 193• La funzione responsabile dei profeti questo aspetto si riflette nel fatto che i profeti offrono spesso una motivazione 'si esprime anche nel fatto che essi non della parola di Jahvé 195• Soprattutto la si limitano ad annunciare il giudizio ineminaccia è accompagnata quasi sempre vitabile, bensl anche esortano ed ammoda una motivazione che rinfaccia agli in- niscono per scongiurare ancora il giuditerpellati i loro peccati. Tale motivazio- zio. Tra le altre forme del discorso prone è detta rimprovero. Tra la motivazio- fetico troviamo cosl l'ammonimento (ad ne e la sventura preannunciata sussiste es. Os. 14,2; Am. 5,4 ss.). In Ezechiele in genere una connessione molto stretta, (3,17 e passim) il profeta è visto come più precisamente il nesso tra azione e una 'sentinella' che deve avvertire in conseguenza, senza che però sia lecito tempo utile gli uomini che gli sono stati parlare di 'retribuzione' o di 'contrac- affidati. In tale contesto sì colloca anche cambio' 196. Il punto da cui muove il l'intercessione profetica (I s. 3 7 ,1 ss.; I er. rimprovero è molto vario e fortemente 7,16 e passim; Am. 7,2.5; cfr. anche condizionato dalla situazione del mo- Gen. 20,7; Ex. 32,31 s. e passim) nella mento. In Amos e Michea esso prende quale va forse vista una funzione cultuale mosse dall'accusa di non osservare il le del niibt' (cfr. Ier. 27,18) 1w. diritto di Dio 197 ; in Osea, Geremia ed I generi del discorso profetico. speciEzechiele domina l'accusa di onorare al- fico nominati fin qui mostrano una notri dèi; in Isaia è rinfacciato l'errore di tevole variabilità di forma e possono esriporre la fiducia in altre potenze. Nella re derivati senza difficoltà da un Sitz im maggior parte dei profeti ricorre inoltre Leben profano oppure spiegati sempliun'aspra polemica contro il culto, nella cemente con la necessità di una comuniquale non si può però vedere un rifiutò cazione appropriata della parola di J ahfondamentale del culto. Tuttavia in O- vé. Non sarà quindi il caso di supporre sca risuona con più forza l'accusa che il che essi abbiano la loro prima matrice culto non è diretto in realtà a Jahvé, in un ufficio profetico solidamente istitubensl ai Baal. Per il resto, ciò che i pro- zionalizzato. Ciò risulta ancor più chiafeti attaccano è in primo luogo la falsa ro dal fatto che i profeti hanno ripreso m Cfr. H. W. WoLFF, Die Begriindungen der prophetischen Heils- 1111d Unheilspriicbe: ZAW

    .52 (1934)

    .I-22,

    ma

    Cfr. K. KoCH, Gibt es ei11 Vergell1111gsdogim A .T.?: ZThK 52 (1955) 1-42.

    197

    Cfr.

    196

    ~ WiiRTHWEIN,

    Amos-St11die11 40-52;

    R. BACH, Gottesrecht tmd weltliches Recht i11 der Verkt111digung des Prophete11 Amos, Festschrift fiir Giinther Dehn (1957) 23-34. 19Z Cfr. R. RENDTORFF, Priesterlicbe K11l1theologic und prophetische K11ltpolemik: ThLZ 81 (1956) 339-342. 199 ~

    v.

    RAD II4

    s.

    523 (VI,1:!1 2 /

    1tpO!pl]'HJç X>.11..

    D

    generi di varia natura da altre sfere di vita: la disputa (ad es., Am. 3,3-6.8; frequente nel Deutero-Isaia) e le forme connesse del discorso giudiziario (Is. 3,r 3 s.; Os. 4,1 ss. 200), delle sentenze legali e di altre formulazioni del diritto sacrale (Ez. 14,x ss.; ~. 5,2 r ss.). Nel Deutero-Isaia sono usati diffusamente gli oracoli cultuali della salvezza e gli elementi costitutivi dell'inno 201 • Non mancano poi neanche canti di varia natura (Is. 5,1 ss.; Am. 5,r ss.). Secondo i testi i profeti non ricevono soltanto la parola, ma spesso anche visioni (-7 vm, coll. 925 ss.) (I Reg. 22, 17 ss.; Ier. l,Il ss. e passim; Ez., passim; Am. 7,1 ss.; Zach. 1,6; dr. le visioni connesse con la vocazione dei profeti: Is. 6,1 ss.; Ier. l,4 ss.; Ez. r -3). Dato che nella maggior parte dei casi queste visioni mirano ad una parola di Jahvé, si può pensare che spesso i profeti abbiano ricevuto la parola di Jahvé in una visione. Un aspetto particolare dell'attività profetica è dato dalle azioni simboliche 202 (I Reg. II ,29 ss.; 22,n; Is. 20,1 ss. e passim). In esse il profeta è come assorbito egli stesso nel suo messaggio. Spesso tali azioni simboliche sono profondamente connesse con la vita perso200 Il tentativo di ~ WtiRTHWBIN, Ursprung di far derivare j) discorso giudiziario dal culto non è convincente ed è molto più naturale vedere l'origine di questa forma di discorso profetico nella prassi giudiziaria profana. 201 H. E. v. WALDOW, Anlass und Hifllergrund der V erkiindigung des Deutero;esa;a, Diss.

    Y • YJ

    \1'. l\<::11u1uu11

    nale del profeta (ler. r6,1 ss.; Ez. 24, l 5 ss.; Os. r e 3 ), cosl che il profeta stesso diventa un 'segno' (Is. 8,r8; 2oa) . Tale identificazione del profeta col proprio messaggio può assumere persino la forma del martirio (ler. 37 s.). Cosl il Deuteronomio vede nel 'profeta' Mosè (cfr. Deut. 18,15.18) colui che soffre vicariamente (9,18 ss.; cfr. 1,37; 4,21 s.) 201 • Anche l'immagine del Servo sofferente di Dio che troviamo nel Deutero-lsaia si collega a questa tradizione (-7 IX, coli. 306 ss.).

    VI. L'uso linguistico dei LXX Wl 1. Nei LXX nàbt' è tradotto costantemente con 1tpoq>TJ't"11ç,; in nessun caso si può dimostrare che in sua vece sia stato usato un altro termine. La tradizione presenta solo due tipi di incertezze: o i LXX non traducono il termine nab2' contenuto nel testo ebraico, oppure aggiungono un 1tPOcpTJ'M')ç, dove l'ebraico non offre un termine corrispon· dente. Nei libri delle Cronache i termini ebraici ro'eh e f;ozeh, che solitamente vengono resi con i participi ò {3À.É7tWV (cosl anche in I Par. 9,22; 29,29) e o opw\I (cosl anche in I Par. 21,9; 2 Par. 9,29; 12,15; 29,25; 33,18.r9; inoltre ò &:11axpov6µEvoç, in I Par. 25,5; ò (3M7tW\I in 29,29), sono tradotti più volte con '1tpocp1)-.'1}ç, (ro'eh : I Par. 26,28; 2 Par. 16,7.rn; cfr. anche Is. 30,10; l;ozeh: 2 Par. 19,2; 29,30; 35,15). In 2 Par. 36,r5 1tpoqy{)·t"l'}ç, traduce mal'ak.

    Bonn (19,3). 202 Cfr. G. FoHRER, Die symbolischen Hand· ltmgen der Propheten, Abh ThANT 25 (1953). 20l Cfr. G. v. RAD, Tbeol. des A.T. I (19_17) 292 s. 201 Per tutta questa sezione d r. ~ F AS CHER 102·108,

    2. Il femminile n"bt'a è tradotto costantemente con 1tpocplj·rn;. 3. Per il sostantivo piuttosto tardo n•bfJ'a (Neem. 6,12; Esdr. 6,14; 2 Par. 9,29; r5,8) abbiamo generalmente 'ltpo-


    4. Le forme verbali al nif'al ed all'hitpa'el vengono rese senza distinzione con 'ltpocpryn:ve.w. L'unica eccezione è data da I Pm·. 25,1-3, dove la forma nif'al indica l'attività dei musici del tempio: qui i LXX hanno à.1toq>tl'ÉyyE<Ti>ct.t (v. l) e &.va.xpouEiri>cx.t (v. 3)m. In linea di massima la traduzione dei LXX segue pertanto meccanicamente il testo ebraico senza tentare di distinguere tra loro fenomeni che sono in realtà molto diversi. 5. Solo in un caso abbiamo un accenno a tale differenziazione. Nel libro di Geremia, soprattutto nei capp. 26-29 (nei LXX capp. 3y36), per designare gli altri profeti ai quali Geremia si contrappone (~ col. 506) viene più volte usato il termine lj/e.v8o'ltpo
    E PROFETI NEL GIUDAISMO DELL'ETÀ ELLENISTICO-ROMANA

    I. Il problema del profetismo contemporaneo r. Le fonti extrarabbiniche a) La più completa affermazione del Al v. 2 l'ebraico han11ibbii' del testo ebr. è tradotto con 6 npoq>TJ't'!J<;.

    205

    ~

    Cfr. TH. H. RODINSON-F. HoRST, Die zwolf kleinen Propheten, Handbuch A.T. 14 (1938) ad l.; K. ELLIGER, Das Bucb der zwiilf kleinen Propheten II, A.T. Deutsch (x950) ad l. N1 S'mot hii'afabbtm, con allusione, peraltro molto vaga, a Os. 2,19: I'mot babb"iilim.

    208

    rl2a!J hafft1m'd;

    dr. a questo proposito -+

    giudaismo postesilico sul profetismo contemporaneo è contenuta nella coppia di oracoli che leggiamo in Zach. 13, 2 s. 4 ss. e vanno datati tra il 400 e il 200 a.C. ~.Il primo oracolo (Zach. 13,2 s.) pone sullo stesso piano idoli 2ll1, profeti e «lo spirito dell'impurità}>~ e ne preannuncia la distruzione. L'oracolo si rivolge evidentemente contro qualsiasi forma di profetismo nell'Israele del tempo 20'.I; ma il fatto che l'oracolo sia presentato come «oracolo di Jahvé Sabaot» mostra che Zach. 13,2 s. vuole essere a sua volta una parola profetica. Coerentemente dunque anche i LXX parlano qui di «falsi profeti» 210 che saranno colpiti dalla sventura. Il secondo oracolo ( Zach. I 3 '4 ss.) non si presenta espressamente come sentenza di Jahvé, ma la sua formulazione rivela che anch'esso vuole essere inteso come tale. Dal punto di vista sia della forma sia del contenuto i due oracoli sono strettamente connessi: non si riferiscono all'immediato futuro, bensl a «quel giorno» (~ IV, coll. u2 s.) in cui spunterà per Gerusalemme il tempo della salvezza. Soltanto allora quanti si presenteranno e agiranno come profeti saranno n . 266.

    Quindi BoussET·GRnssMANN 394: «L'autore è cosl convinto che in Israele non sorga più alcun profeta, che ordina di trattare da impostore chiunque si presenti come profeta». Tuttavia tale affermazione non tiene affatto conto dell'orientamento escatologico di Zach.

    20'J

    13,2-6. 210 LXX: xcr.i "COÙ<; \j1Evlìo1tpoq>i)i:cr.<; ... e~cr.pw : una evidente interpretazione del testo ebraico.

    527 l VI,ISI3.l

    Tuttavia la pericope di Zach. 13,2-6 non ci rivela soltanto l'aspetto più vio-

    lento e primitivo del profetismo postesilico, bensl ci mostra anche quello opposto. Il riferimento a Deut. I3,5 s.; 18, 20 (~ n. 2u) e l'uso peculiare di Am. 7,14 (~ n. 212) suggeriscono la presenza di un clero che pronunciava oracoli, oppure di profeti cultuali ben addentro nelle tradizioni del tempio e nel)'interpretazione della legge tipica dell'età postesilica. Anche questi gruppi, che nel profetismo libero ed estatico dovevano vedere - potremmo dire per intrinseca necessità - lo spirito stesso del disordine e della ribellione 21 3, avevano dei precursori nell'età preesilica. Prescindendo dagli autori (per noi anonimi) di oracoli che sono poi fìniti nei libri dei profeti scrittori canonici 214, i massimi rappresentanti del profetismo non estatico dell'età persiana sono Aggeo, Zaccaria e l'anonimo profeta del libro di Malachia. Anche l'epoca successiva mostra però sacerdoti che profetizzano e profeti legati al culto, al tempio o alle scritture sacre. Detto questo, dobbiamo concludere che in Zach. 13,2-6 si confrontano due tipi di profetismo, con caratteristiche proprie ben distinte. Questi due tipi riflettono quell'opposizione altamente pro-

    211

    stesso tempo una reinterpretazione.

    trafitti dai loro stessi genitori per aver proclamato menzogne nel nome di Jahvé 211 • D'altra parte, leggiamo nel secondo oracolo, i profeti stessi si vergogne~ tanno delle loro visioni e profe zie e si toglieranno il mantello di pelo; anzi, se qualcuno incontrandoli li riconoscerà, essi negheranno di essere mai stati profeti, dicendo di aver lavorato nei campi fin da ragazzi 212 • La pericope di Zach. 13,2 s. 4 ss. attacca un profetismo jahvista contemporaneo di tendenza estatica, i cui rappresentanti indossano, quale simbolo della loro confraternita, il mantello da profeta. Costoro non rappresentano certo un fenomeno illegittimo in Israele, giacché, con il loro carattere primitivo e derviscico, hanno illustri precedenti in Elia e prima ancora nei profeti dell'epoca di Saul (~ B II r). Nei tempi del N.T. incontriamo un personaggio che è palesemente un epigono del profetismo estatico così accanitamente combattuto da Zaccaria: si tratta di quel Gesù ben Anania che comparve come profeta di sventura pochi anni prima della distruzione del tempio (~ coli. 557s.).

    Zach. 13,3, peraltro con un riferimento molto libero a Deut. x3,5 s.; x8,20. Un po' diversamente intendono ELLIGER, op. cit. (~

    n. 206) ad l. e HORST, op. dt. 211

    (~

    Cosl secondo la congettura di

    n. 206) ad 1.

    J. WELLHAU-

    snN, Skiu.en tmd Vorarheiten v (1892) 192 ad l.: 'adiimd qiniiin1 invece del masoretico 'iidàm hiqnant (cfr. Bibl. Hebr.1 a Zach. 13,5) con un'allusione ad Am. 7,14, che ne è allo

    Cfr. già Am. 7,10-17 e viceversa la polemi· ca di Michea contro i profeti del tempio di Gerusalemme (Mich. 3,5-8). 213

    214 È

    degno di particolare nota il fatto che tra

    i reperti di Qumran si trovino anche frarnmen· ti di opere profetiche non canoniche: DJD 100 s .

    l

    blematica di 'veri' e 'falsi' profeti che ha sempre accompagnato e agitato il profetismo ebraico (~ B III 4c). Tuttavia la pericope di Zach. 13,2-6 non può essere usata come prova della mancanza di spirito profetico o dell'illegittimità di qualsiasi profetismo che si fosse manifestato nell'età postesilica. b) Un altro testo che viene sempre chiamato in causa per dimostrare la supposta mancanza di profeti in questo periodo è Ps. 74,9: «Non abbiamo visto segni per noi; non c'era più profeta, non c'era più nessuno tra noi che sapesse 'fino a quando?'» 215 • La descrizione della distruzione del tempio contenuta nella sezione precedente (vv. 3-8) viene riferita, da coloro che sostengono il suddetto punto di vista, a I Mach. 4,38 216 e il motivo della mancanza di un profeta è connesso a I Mach. 4,46; 9,27; I4,4I 217 • Per contro è stato fatto nota1·e, e a ragione, che Ps. 74,J-8 non coincide affatto con 1 Mach. 4,38 proprio in punti essenziali. ' m Secondo la traduzione di H. ScHMlDT, Die Psalmen, Handbuch A.T. (1934) ad l. 5 216 Cfr. R. KlTTEL, Psalmen, Komm. A.T. 13 ·• (i929) ad l. Cosl, ad es., A. BERTHOLET in

    217

    KAUTZSCH,

    ad l. ancora più precisa è fa traduzione «rovine totali» nel senso cli una clistruzione definitiva, dove 11e!a~ ha valore elativo. Cfr. D. w. THOMAS, The Use o/ ne~al~ as a Superlative in Hebrew: Journal of Scmitic Studies l (1956) 107. 219 E. BrcKERMANN, Der Gott der Makkabiier (i937) 80-84. 220 Inoltre .1 Mach. 4,38 dice che <mei cortili 218 maJJu'6t 11e!afJ;

    Ps. 74,3 parla di «rovine eterne» m, mentre secondo I Mach. 4,38 la distruzione e profanazione del tempio è durata soltanto tre anni (167-164 a.C.) 219 • Anche se si può dire che Ps. 74.J è un'iperbole, pure la differenza rispetto a 1 Mach. 4,J8 è invalicabile quando si consideri che pe1· Ps. 74,7 il tempio è sta· to divorato dalle fiamme (cfr. 2 Reg. 25. 9), mentre I Mach. 4,38 dice che i nemici hanno devastato il tempio, profanato l'altare, bruciato le porte e distrutte le celJe 220• In base a tali considerazioni è pili che giustificato supporre che il Ps. 74 non rifletta l'età maccabaica, bensì Ja rovina del tempio salomonico nel 587 a.C. 221 • È in questo quadro che il v. 9 acquista il suo vero significato: nel momento della distruzione non ammutolirono soltanto, com'era da attendersi, i profeti di fortuna; anche un profeta di sventura come Geremia, cui pure il cotso degli eventi aveva dato ragione e che i Neobabilonesi avevano riabilitato, era condannato al silenzio davanti a tale immane tragedia 222• Anzi, come prova Ier. 44,15 ss., egli . poteva persino apparire colpevole era cl'esciuta la vegetazione come in un bosco o sopra una montagna». Bisogna conveaire con BrCKIIRMANN, op. cit. (~ n. 219) 110 s. che sicuramente .1 Mach. 4,38 non intende affatto parlare di una distruzione del tempio per mano dei Siri, bensì della metamorfosi di Sion «nell'antico tipo di santuario semitico, che era un'area sacra per i sacrifici, scoperta, con alberi e piante e circondata da un muro». In ·questa prospettiva si spiegano anche le 'distruzioni', o meglio le modifiche alla struttura del tempio. Cfr. anche M. NOTH, Gescb. lsraels 2 (1954) 332 s. 221 Cosl a ragione ScHMlDT, op. cit. (~ n. 215) ad I., con ulteriori indicazioni bibliografiche. m Cfr. ScHMIDT, op. cit. (~ n. 215) ad l.

    .5 _31 [v1,815J

    r.pocpirn1c; x-rÀ.

    della sventura del popolo. In altre parole, era certamente possibile considerare il periodo successivo al crollo della monarchia davidica come un tempo senza segni e senza profezia e quindi di sgomento e disorientamento interiori. Corrispondentemente, l'ipotesi esegetica di gran lunga più verosimile è quella che vede nel Ps. 74 un lamento popolare dell'esilio, che prende le mosse dalla scomparsa del tempio salomonico e dalla conseguente situazione tragica. Per il problema del profetismo nell'età postesilica Ps. 74,9 non può essere invece utilizzato.

    eI

    rb-c (R_ Meycr)

    (V1,llI6J

    )32

    syr. 85,3) la presenza di 'giusti' e 'profeti' è limitata alla precedente età ideale: «Ora invece i giusti si sono riuniti [ai lorn antenati] e i profeti si sono addormentati» 224 • In questa apocalisse, che si colloca sullo sfondo storico della distruzione del secondo tempio, incontriamo cosl il dogma del periodo canonico della salvezza, quale è sostenuto in Ios., Ap. I.41 e dai rabbini. Però anche se secondo il v . 1 i 'giusti' e i 'santi profeti' appaiono soltanto come 'soccorritori' dei tempi passati e delle generazioni di una volta, tuttavia Baruch siriaco non esclude affatto la presenza di oracoli, e quindi di profeti, nell'età di Vespasiano 225 • e) Particolare attenzione meritano

    I

    Mach. 4,46; 9,27 e 14,41. c) Molto vicina a Ps. 74,9 sembra essere la preghiera di Azaria (-6.a.v. 3,38): «Non abbiamo più in questo momento né re né profeta né condottiero, né olocausto né sacrificio né offerta né incenso né un luogo per offrire le primizie a te e ottenere misericordia» 223 • Il motivo di questo lamento non ha, nel suo insieme, alcun appiglio storico nell'età postesilica fino alla distruzione del secondo tempio. Evidentemente tale motivo intende descrivere la condizione durante l'esilio. -6.a.v. 3,38 non contribuisce invece in alcun modo a chiarire la questione del profetismo nell'età ellenistico-romana. d} Nella «lettera di Baruch, figlio di Neria, alle nove tribù e mezzo» (Bar. 22J Secondo 1a traduzione di W. RoTHSTEIN in KAuTzscH, Apkr. 11. Pseudepigr. 1 180; per il carattere letterario dell'aggiunta a Dan. 3,264 .5 (lamento popolare) cfr. O. EissFELDT, Bini. 1 (1956) 730.

    m Secondo Ja traduzione di H. GUNKBL in Apkr. ti. Pseudepigr. II 445 s.

    KAUTZSCH,

    Cosl Bar. syr. 48,34-37 si riferisce chiaramente elle manifestazioni carismatiche al tem-

    225

    Secondo I Mach. 4'43 ss., quando Giuda consacrò il tempio nel 164 a.C., l'altare profanato dai Siri fu sostituito con uno nuovo. Le pietre del vecchio altare vennero poste «sul monte del tempio in luogo conveniente, fino a quando comparisse un profeta che dicesse loro che cosa farne» 226 • Anche se a tutta prima questo testo dice semplicemente che la decisione ultima circa la destinazione di un oggetto di culto inservibile viene lasciata a un profeta che prima o poi sarebbe apparso, pure I Mach. 4,46 assume un significato ben più pregnante quando lo si colleghi con gli altri due passi. Mentre I Mach. 4,46 sta al culmine di tutta la narrazione, I Mach. 9,27 ci po della distruzione del tempio. Le promesse menzionate qui, delle quali alcune si avverano e altre no, riflettono i due aspetti del profetismo dell'epoca: chi annuncia salvezza e chi annuncia sventura. In· BoussET·GRRSSMANN 394 abbiamo un'interpretazione fondamentalmente errata di Bar. syr. 85,I.3 . m I Mach. 4A6: xat &:rcl&EV'to -toòc; ).!Dove; ... (l.ÉXPt 'tOV 1tttpa')'E'111}Di}'llcu 1tpOqrlj't1}V 'tOV &.noxpLDi}'llttt 1tEpt au-rw'll.

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    porta all'interno della storia maccabai- postazione e tendenza sembrano contrapca: nel 160 a.e . Giuda cade in battaglia porsi alla tesi di un fine lontano. Il libro e i suoi seguaci vengono consegnati a è costruito attorno all'alterna ascesa deBacchide: «Allora d fu in Israele una gli Asmonei fìno a Simone 2.12, alla quatribolazione così grande, quale mai si le segue il pericolo corso dalla dinastia era avuta dai giorni in cui non era più quando il principe-sacerdote e due suoi apparso un profeta» 227 • Resta incerto chi figli furono assassinati da un parente; vada considerato l'ultimo profeta nd tale pericolo venne scongiurato perché senso della storiografia asmonea; ma si Giovanni Ircano riusd a sfuggire e «diha l'impressione che I Mach. 9,27 non venne sommo sacerdote, dopo suo paabbia solo lo scopo di constatare dogma- dre» (I Mach. 16,11-22). Questi, che ticamente l'assenza di profeti in quell'e- rappresenta in fondo la meta verso cui tà. Secondo I Mach. q,41, nel 141 a.e. tende e si muove tutta la narrazione delSimone viene nominato generale in capo l'alterna lotta dei Maccabei in difesa e sommo sacerdote: «I Giudei e i sacer- della fede e della loro ascesa 233, è pasdoti decisero cosl che Simone fosse loro sato alla storia come colui che era dotacapo e sommo sacerdote per sempre, fi- to del munus triplex (~ coll. 559 ss.). no al sorgere di un profeta degno di fe- Nella prospettiva e alla luce del munus de» 228 • Ciò che colpisce in questa formu- profetico di questo principe e sommo la è che alla frase conclusiva Eù06x110'a.v sacerdote ricevono una spiegazione ade-rou Eiva.1 ocù-.wv l:tµwva. 1)youµevo\I guata i passi di I Mach. 9,27; 14,41 e, xcx.t &.px.1epfo. Etc; -r;òv cx.lwvoc viene appic- a quanto sembra, anche 4,46. Se secondo cicata la precisazione EWc; 'tOU &.va.a•t"ij· I Mach. 9,27 si ricorda il tempo «nel va.t 'ltPO<J>TJ'tTj'll 'lttO''tO'll. Pertanto alcuni quale era apparso loro per l'ultima volsostengono che la deliberazione popolare ta un profeta», ora finalmente, dopo tanvalesse soltanto finché il dono profetico te tribolazioni e tante lotte, con questo ora spento non si ravvivasse in un uomo principe sacerdote è apparso nuovamenispirato degno di fede e richiedesse una te un profeta, e quindi è presente l"età modifica costituzionale 229, mentre altri della salvezza' 234 • Inoltre se in I Mach. ritengono che I Mach. 14,41 rifletta l'at- 14,41 la deliberazione popolare circa il tesa di un profeta escatologico 230 che si principato e sacerdozio ereditario viene fatta dipendere dalla ratifica di un propresentasse come 'ltpoqrlj'tl)c; 'ltl.tT)c; aù't'o~c;. Conformemente alla tendenza di I Mtich. 'Israele' va

    121 I

    ÈV

    inteso in senso peculiare, partiticc:>-politico. Secondo la traduzione e la congettura di E. KAUTZSCH in KAUTZSCH, Apkr. 11. Pse11depigr. I 76. 229 Cosl, ad es., KAUTZSCH, op. cii. (-+ n. 228); contr11tia a questa interpretazione è però la formula precedente t!.t, >tÒv a!.Wva.

    228

    230 VOLZ,

    Escb.

    193; -+ SCHUBERT,

    Religio11

    66. 2.ll

    Cfr. K. D. ScHUNK, Die Quelle11 des I tmd

    II Makkabaerb11chcs (1954) 7-x5, con bibJio. grafia. 232 Cfr. pi\rticolarmcnte l'elogio poetico di Simone in I Mach. r4,6-l5. m In questo I Mach. si avvicina senza dubbio all'antica storiografia israelitica; cfr. anche Nom, op. cit. (~ n. 220) 343 s. .™ Per la presenza della 'salvezza' nella figura di un principe segnato dalla grazia divina cfr. G. WrnENGREN, Sakrnles Konigtum im A .T. und im Jude11t11m (1955) 17. Questo autore sottolinea il carattere sacrale della monarchia asmonea, ma a mio avviso esagera quando vi scorge una restaurazione della situazione prccsìlica.

    5.35 (v1,8171

    7tp0q>Tt'tl)ç

    x;).. CI

    ic-2

    (R. Meyer)

    1v1,11171 530

    dpe e sacerdote, poiché egli in quanto La tradizione rabbinica è concorde nel tale è dotato del carisma profetico che riconoscere quale età classica dell'attivineanche i rabbini gli hanno contestato. tà dello spirito santo (-)o x, coll. 909 ss. Se infine secondo I Mach. 4,46 tocca ad 9r3 ss.) - sinonimo di spirito di proun pwfeta futuro decidere che cosa fa- fezia 236 - quel periodo della storia e. re con Je pietre del vecchio altare pro- braica che si chiude con la distruzione fanato, ecco che per i partigiani degli del tempio salomonico nel 587 a.C. QueAsmonei (~ .taooouxai:oç) con Giovan- sto periodo può essere detto l'età 'dei ni Ircano è sorto effettivamente un som- profeti anteriori'm_ Sota 9,l2: «Una mo sacerdote che ha l'autorità carisma- volta morti i profeti anteriori, cessarono tica di prendere decisioni legittime e va- gli utim e tummim)> 238 • Nel novero di lide in questioni riguardanti il tempio :w. tali primi profeti sono tutti i profeti, «e· sclusi Aggeo, Zaccaria, Malachia e i Jo. ro compagni» 239 • Secondo l' amoreo Jeho2. La tradizione rabbinica shua b. Levi (c. 250 d.C.) il profeta GeNell'ambito della tradizione rabbinica remia fu spinto a intonare le Lamentale cose stanno diversamente. Qui incon- zioni dalla distruzione di Gerusalemme, triamo una raffinata tiflessione teologica dall'incendio del tempio, dall'esilio e dal fatto che lo spirito santo si era alfontache mira a racchiudere il fenomeno pro- nato w_ Secondo alcuni rabbini lo spifetico legittimo nei limiti di un passato rito santo, ovvero lo spirito della profeideale, di un'età classica. A questo pro- zia, è anche una delle cinque cose che il secondo tempio ha in meno rispetto al posito va ricordato che la riflessione sul- tempio salomonico 2~1 • Tuttavia comunel'età classica del profetismo è stretta- mente si fa rientrare nell'età profetica mente connessa con l'elaborazione del anche l'epoca dei primi profeti postesilici, anche se non si esclude del tutto la concetto sinagogale di canone (~ v, coll. possibilità che pure in seguito venisse 1175 ss .), il quale trova la sua formula- concesso a qualcuno il dono della prozione definitiva nella prima metà del II fezia. Si parla allora di 'profeti posteriosec. d.C., quando si afferma la classifi- ri' e di un'età che non ha lo spirito profetico in misura piena, ma nella quale la cazione degli scritti sacri in Legge, Pro- volontà divina si fa comunque conoscefeti e Scritti. re con la 'figlia della voce' (bat qol} m. 2l5 Il personaggio antitetico è Alcimo, che ordina di abbattere il muro del cortile interno del tempio per distruggere «le opere dei profeti» h~ t'.pya. -r:wv 'ltpoqrn'\WV) e che viene quindi colpito dal giudizio divino: r Mach. 9, .54 s.; dr. sulla questione SCHURER I 225 s. 236 Per l'identìficazione dci concetti veterote· stamentari di 'spirito di Dio', 'spirito santo' con rt1ì1h haml'blì'a cfr. STRACK·BILLERBECK m :q ss. c.~ x, coll. 907 ss. 237 Questi profeti anteriori o antichi non vanno confusi con i 'profeti anteriori' e 'profeti posteriori' del canone. ™ STRACK-Bll.LERBECK 111 r3.

    2.39 BARTENORA,

    Mischnajjot, Seder Naschim

    {1863) x24 a SoJa 9,12. 2o!O STRACK-BILLERBl!CK II l.33·

    Taan. j. 2,1 (65a,6oss.) par.: «L'ultimo tempio ha avuto cinque cose meno del primo: ·il fuoco (celeste dell'altare), l'arca del patto, gli urim e turomim, l'olio dell'unzione e lo spirito santo». Autore di questa sentenza è R. Aha, vissuto intorno al po d.C.; dr. STRACK· BILLERBECK II 133. 242 bat qdl significa, nell'uso comune, eco; cfr. LEVY, Wort., s.11. Inoltre significa la parola (cfr. Dan. 9,23: «All'inizio della tua supplica usd una parola») o anche Ja voce (dr. Bar. syr. 241

    .537 (VI,8J7)

    'itpocp·i}'tT]<;

    X'tk.

    C

    I 2

    (ll. Mcycrl

    (Vl,1:!11:!) 53li

    T. Sota 13,2: «Dopo la morte dei profeti 1321 ss.); infatti la legge ha carattere posteriori(~ n. 237) Aggeo, Zaccaria e tipico, nel senso di una filosofia della Malachia, lo spirito santo si allontanò da religione di tipo popolare-platonizzante. Israele (~x, colt 918 s.); tuttavia si fece In tale visione la legge contiene in sé giungere loro (scil. agli Israeliti) l'an- già tutta la storia della salvezza, i cui nuncio celeste mediante la bat qol» 243 • singoli stadi si attuano in questo monRitroviamo una concezion~ dogmatica do secondo il momento fissato da Dio 245 • Conformemente a tale concezione leg· simile in Ios., Ap. l,38 ss. (~ v, coll. I I 84 s. ): lo spirito profetico si è manifegiamo in Meg. b. qa bar. che «quaranstato ininterrottamente dai giorni di Mo- totto profeti e sette pl'ofetesse hanno sè fino ad Artaserse r (464-424 a.C.); profetato agli Israeliti senza togliere né ma, pur non negando da un punto di vi- aggiungere nulla a ciò che sta scritto sta dogmatico o in linea di principio che nella torà, con l'eccezione della lettura lo spirito profetico abbia operato anche del libro di Ester» 246• Secondo Mar Shedopo quell'epoca, Giuseppe nega che nel muel Ct 254 d.C.) nessun profeta è autoperiodo successivo si abbia «l'esatta suc- rizzato a dire qualcosa che non sia già cessione dei profeti». Inseriti nello sche- contenuto nella torà 247 e secondo R. Jema storico-salvifico risultante da tale hoshua b. Levi (c. 250 d.C.) Mosè ha concezione (che abbraccia un'epoca clas- già detto tutte le sentenze dei profeti e sica della profezia, il presente e il futu- «tutto ciò che è stato profetizzato in sero salvifico, caratterizzato dall'effusione guito proviene dalla profezia di Mogenerale dello spirito 244 ) i profeti non sè» 248 • Fino a quale punto la speculaziosembrano più le grandi personalità che ne prendesse la mano ai rabbini, è morappresentano lo spirito che opera e gui- strato da una lunga discussione di R. da liberamente, ma per il rabbinismo fa- Jishaq (c. 300 d .C.), che tra l'altro fa dirisaico la loro azione è comprensibile re al profeta Isnia queste parole: «Dal soltanto in connessione con la legge e in giorno in cui la torà è stata data sul Siintima dipendenza da essa (~ vn, coli. nai io sono presente e ho ricevuto que8,1: «Una voce dall'interno del tempio») che di regola 'esce' dal tempio celeste per ispirare gli uomini in una ben determinata situazione. In questo significato specifico è meglio non tradurre l'espressione bat qol. Si tratht infatti di una teologumeno molto diffuso, come mostra Philo, rer. div. her. 258: durante l'estasi nell'intimo del profeta «risuona un altro» (ùmixouv-toç htpou) (--+ col. 550). Per la documentazione cfr. STKACK-BILLERBECK, indice s.v. 'Himmelstimme' e --+ SCHUBERT, Re/igio11 21.1 n. 10, che rimanda a 'it1!iqlwpdih llmwdjt V (1953) 1-4. 24.3

    Cfr. STRACK-BILLERBECK I

    127 :

    il plurale

    mJmlin lh11 bbt qwl, che troviamo qui, rappresenta certamente un'allusione agli angeli che trasmettono agli uomini, attraverso la bat qol, la parola divina diretta a una precisa situazione o a una particolare persona. Si discosta un po' eia tale conce-.lione Sota b. 48b bar. (~ v, col. 1154) par.; STRACK-BILLERBECK I 133 e --+

    SCHUBERT, Religion 6. 244 Cfr. N1m1. r. 15,25 a u,17: «Dio disse: 'In questo mondo solo alcuni hanno divinato, ma nel mondo futuro tutti gl 'Israeliti saranno profeti'» . Cfr. STRACK-BILLERDECK n 134 e - x, col. 917. HS Quanto tali concezioni potessero essere popolari è mostrnto, ad es., dall'esposizione di Ge11. 22,13 negli affreschi di Dura-Europos e nel pavimento a mos~ico di Ilct-Alfo; dr. R.

    Betrach11mgen zu drei Freske11 der Sy11agoge vo11 D11r11-E11ropos: ThLZ 74 (1949)

    MEYI!R,

    30-34. Nella torà non si trovava alcun testo che giustificasse la lettura del libro di Ester nella festa di Purim; cfr. STRACK-IlILLRRBECK I 601 s. 2"6

    247 Con riferimento a Lev. :z7,34 secondo Tem.

    b. 16a.

    m Ex. r. 42,8 a

    32,7.

    539 (v1,818)

    7tp0(jl'~'\'Tlt; X'\'"À..

    eI 2

    (R. Meyer}

    sta profezia; soltanto adesso Dio h,~ tanto per grado, non giR per natura. Di mandato me e il suo spirito 249• Fino ad conseguenza i profeti e i sapienti ven· ora non mi è stata data l'autorità di profetare» 250 • Cosi i profeti divengono i più gono a trovarsi sullo stesso piano e forantichi interpreti ddla legge autorizzati mano gli anelli di quella catena di pordallo spirito; essi hanno la loro ben pre- ra tori della 'legge orale' 253 che in Seder cisa e limitata collocazione nel quadro Olam rabba 30 (~ v, col. u85 n. 80) è del piano salvifico di Dio m. In questa concezione rientra l'insistenza con cui la sinteticamente descritta con questa bretradizione non si stanca di ripetere che ve sentenza: «fin qua (scii. fino all'epoca in realtà IsrAele ha avuto un grande nu- di Alessandro Magno) i profeti hanno mero di profeti: tutti i progenitori e tut· te le progenitrici furono profeti; ci fu. profetato nello spirito santo. Da o.ta in rono tanti profeti quanti furono coloro poi porgi il tuo orecchio e ascolta le pache uscirono d'Egitto; non ci fu in Israe- role dei sapienti». Quanto stretta potesle una sola città che non avesse profeti. Ma soltanto quella profezia di cui la se apparire l'associazione tra profeti e salegge ebbe bisogno per esplicarsi appie- pienti risulta anche dalle già citate (~ no venne scritta e inclusa nella storia coll. 538 s.) parole dell'amoreo Jishaq {c. della salvezza come momento indispen300 d.C.) che finiscono cosl: «Però non sabile 252 • soltanto tutti i profeti hanno ricevuto Affermazioni come queste, ispirate aldal Sinai la loro profezia, ma anche i sal'idea che nei profeti, per cosl dire, la pienti che sorgono di generazione in gelegge interpreta se stessa, ci spiegano nerazione: ciascuno di loro ha ricevuto senza difficoltà perché, nel modo rabbidal Sinai il suo». nico di intendere la Scrittura, i Profeti, In questo contesto anche la bat qol considerati come scritti sacri, non abbiaappare in una luce particolare: essa non no nemmeno lontanamente lo stesso rappresenta semplicemente il surrogato valore canonico della torà e~ v, col. dello spirito profetico attualmente per1196). Inoltre da questa visione deriva duto, ma piuttosto ne è la legittima conun'altra importante considerazione: se i tinuazione, nella stessa maniera in cui i sapienti sono gli epigoni dei profeti. profeti dell'età classica non sono, in fon- Corrispondentemente a questa visione, do, che interpreti della 'legge' i quali per es., la vittoria della linea di Hillel su parlano con l'autorità dello spirito e de- quella di Shammai nell'accademia diJamnia verso la fine del I secolo d.C. vono soltanto sviluppare ciò che essa già non è motivata con argomenti storico-racontiene, si distinguono dai 'saggi' sol- zionali, ma è ricondotta alla bat qt1! 254 e 249 Secondo ls. 48,16. 2.'iO Ex. r. 28,6 a 19,3 par.

    Lev. r. 15 12 a 13,2: secondo R. Aha lo spirito santo si posa sul profeta solo 'a misura' (bmiq/) del compito a lui affidato. m Seder Olam rabba 21; altri documenti in STRACK·Bll.LERBECK II 130 s. 251

    03 Nel trattato Abot abbiamo il tentativo dogmatico di dimostrare l'esistenza di una tale trnsmissione deUa tradizione; dr. ~ ScHU-

    DRRT,

    Religion

    6 .2n

    n. 11.

    254 Cfr. Ber. ;. 1,7 (3b,73 ss.) bar.: le decisioni delle scuole di Hìllel e Shrunmai riguardanti la legge si equivalevano, ma una bat qol decise

    54r (v1,819)

    itpocpirr:·riç

    X't̕. CI 2

    quindi a divinazione. Una tale teoria, in virtù della quale i rabbini derivano la propria legittimità dal profetismo, è particolarmente interessante dal punto di vista della storia delle religioni, perché in questo modo in Israele vengono unificati due orientamenti, che di per sé non hanno nulla che fare tra loro e che anzi in linea di principio sono contrapposti 255 : il profeta è infatti sottomesso in primo luogo all'azione irrazionale e pertanto imprevedibile e spesso violenta dello spirito, mentre nel sapiente s'incarna lo spirito dell'ordine, della ragione, della saggezza e della prudenza. Tale peculiare associazione fu resa possibile perché nell'età postesilica i sapienti - e non solo quelli di tendenza farisaica 256 - divennero interpreti della legge e assunsero quindi la funzione che spettava al sacerdote o al profeta cultuale. Allo stesso tempo, come del resto già intravede l'autore di Zach. 13,2-6 (~coli. 527ss.), lo spirito profetico viene privato della sua violenza inquietante e imprevedibile e viene addomesticato: diventa un elemento divinatorio inserito nell'istituto sinagogale e al servizio di questo m. Certamente anche in questo caso la storia fu più forte del dogma. Da una parte c'era l'antico razionalismo del sapiente, fondamentalmente ostile alla natura profetica. Cosl si racconta come R. (e questo termine va certamente inteso nel senso di una ispirazione di gruppo) a favore dei seguaci di Hillel. Secondo R. Johanan (t 279 d.C.) l'accademia di Jamnia era il luogo dove 'usciva' la bai qol (bibnh i!'t bt qw/). m Tale opposizione di principio va sottolineata tanto per il primo giudaismo quanto per l'età preesilica. Di parere un po' diverso è J. F1cHTNl!R, ]esaja unler den Weise>1: ThLZ 74 (r949) 75-80. 2.56 Su questo punto cfr. R. MEYER, Die Bede11· trmg des Pharisiiismus fiir Geschicbte rmd Theologie des ]ride11trm1s: ThLZ 77 (1952) 677-684, spec. 68r s. m Questo aspetto si manifesta nel rito dell'or-

    (R. Meyer)

    (vr,820) 541

    Hanina b . Dosa (c. 70 d.C.) abbia rifiutato di essere considerato un veggente per aver salvato qualcuno con la preghiera e la previsione 258 e come similmente R. Eliezer b. Ircano (c. 90 d .C.) non abbia voluto esser ritenuto un profeta, nonostante una sua predizione m . Quando agl'inizi della seconda rivolta giudaica, al tempo di Adriano, Akiba si presenta come profeta a Simone b. Koseba (~ coll. 555 ss .), urta immediatamente contro il razionalismo pessimista di Simone b. Torta. Ed è certamente nel ricordo delle amare vicende dell'ultimo tragico periodo della storia del suo popolo che l'amoreo Johanan b. Nappaha (t 279 d.C.) formula la massima sarcastica che dice: «Dai giorni in cui fu distrutto il tempio la profezia è stata tolta ai profeti e data ai pazzi e ai bambini» 2flJ. D'altra parte lo spirito, con la sua imprevedibilità, non si lasciava imprigionare in uno schema dogmatico e di tipo scribale: le grandi rivolte sotto Vespa· siano e Adriano non possono essere capite se si esclude la potente componente carismatica. Il primo fariseismo non solo fu intimamente impotente di fronte a questo fenomeno carismatico violento di tendenza escatologica 261 , ma talvolta gli dinazione mediante l'imposizione delle mani (smjkh ), che simboleggia la trasmissione dello spirito dal maestro al _discepolo. Cfr. BousSE.T-GR.ESSMANN 169; E. LoHSE, Die Ordi11atfon im -Spiiljudenlmn tmd im N.T. (1951) 54-56. 258 l59

    ]eb. b. 12rb;

    STRACK-IlILr.ERDECK rr 627 .

    Emb. b. 63a; STRACK-BII. Ll!Rlll!CK II 627. 2"0 B.B.b. 12b. D'altra parte questa tradizione viene ulteriormente elaborata con esempi di «profezia dnlla bocca dei bambini»; cfr.

    STRACK-BILI.ERBECK I 607 . 261

    A questo proposito Act. 5,34 ss. ci offre un esempio non solo particolarmente vivido, ma anche storicamente autentico: Gamaliele non

    543 (VI,820)

    ttpO
    eI

    2 - ![ I

    (R. Meyer)

    [VJ,IS20)

    544

    diede persino un contributo decisivo 262 • Tale constatazione impedisce però alla moderna analisi storico-religiosa di tro· vare senz'altro nella tradizione rabbinica la prova che il giudaismo dei tempi di Gesù e degli apostoli ignorasse del tutto o conoscesse solo marginalmente la manifestazione concreta del carisma profetico nelle sue diverse forme m.

    che: digiuna 200, prega e si affligge con cenere e sacco. Al culmine degli esercizi ascetici gli appare 'l'uomo Gabriele', che già conosceva da precedenti esperienze estatiche, e questi gli partecipa una rivelazione (vv. 22b.23). In maniera simile a quanto avviene nelle visioni notturne di Zaccaria, un angelo fa da mediatore tra la reggia celeste e il veggente. Con una terminologia che mostra come la concezione rabbinica dell'uscita della bat qol dalla reggia o dal tempio celeste(~ n. 242) risalga a ben precise tradizioni, II. Le manifestazioni storiche del pro- si consente a Daniele di gettare uno sguardo nel fu turo: i 70 anni corrisponfetismo dono ad altrettanti settenni, di cui l'ultimo culmina nella malvagità di Antioco l . L'esperienza profetica secondo le fonrv Epifane e nella installazione della 'ati palestinesi bominazione della desolazione' tra il 167 In Dan. 9,r .2 s. 20-27 abbiamo la de- e il 164 a.C. Cosl il significato di un'anscrizione particolareggiata di una espe- tica parola profetica viene 'conosciuto' rienza pneumatica conseguente a una Jet· quando essa assume il suo senso pecutura contemplativa™ della Scrittura 265 • liare anche per il presente, che è ogni 'Daniele' si immerge nella lettura di Ier. volta anche momento escatologico, 'fi. 25,u s. e 29,10, dove si parla dei 70 ne': ciò che lo stesso Geremia non po:umi che devono trascorrere sulle rovine teva ancora sapere, Dio lo ha 'ora' rivedi Gerusalemme. Per raggiungere una lato a 'Daniele' mediante il proprio anconoscenza corretta, cioè non razionale gelo. Pertanto non solo 'Daniele' si troma pneumatica, del senso delle antiche va nella scia del profeta classico, ma gli parole del profeta, 'Daniele' si sottopo- è persino superiore, perché la concessione a tutta una serie di pratiche asceti- ne della 'piena comprensione' significa osa condannare in modo netto e assoluto il comportamento carismatico degli apostoli. Sulla questione v. HAENCHEN, Ag., ad I. 262 In genere si ritiene che il movimento degli Zeloti, contrassegnato da una forte componente carismatica, provenga dal fariseismo, che invece è più moderato (~ III, coli. 15o6 ss.). 263 Cosl, ad es., W. FORSTER, Nt.liche Zeilgeschichte 12 (1955) 16 s. Bo. 2b1 Nel concetto rabbinico di mdrJ è ancora presente, senza dubbio, un ricordo della meditazione contemplativa della Scrittura, nella misura in cui ìl termine si riferisce al processo ermeneutico. mdrJ risale ad una radice drl, che nell'ambito sacro indica l'interrogazione della divinità o la richiesta di un oracolo; cfr. GESE· Nms-BUHL e KoEHLER· BAUMGARTNER, s.v. 265 Per quanto segue ~ MEYER 43 s.

    Anche i rabbini conoscono la mortificazione del corpo come premessa all'estasi; tuttavia già nella tradizione sono presenti momenti polemici. Sanh. b. 65b: quando R. Akiba arriva· va all'interpretazione di Dcut. r8,IO s. era so· lito piangere [e dire]: «Se lo spirito dell'impurità si posa su rolui che si priva del cibo perché lo spirito dell'impurità (rw~ h!m'b: cfr. Zach. 13,2) si posi su di lui, quanto più ciò dovrebbe essere vero per colui che soffre la fame perché lo spirito della purità si posi su di lui! Eppure che posso fare~ Infatti i nostri peccati sono la causa [che impedisce che ciò avvenga]!». Secondo il testo parallelo di S. Deut. § 173 a 18,12, autore di questa sentenza sarebbe invece Eleazar b. Asarja, un contemporaneo di Akiba, ma più vecchio di lui; dr. STRACK-BILLE RBECK Il 133.

    266

    allo stesso tempo l'adempimento dell'antica profezia. In I Qp Hab 7,1-5 si ha un'esegesi di Abac. 2,2 . Il profeta compare qui come cieco strumento di Dio, che ignora il fi. ne della sua profezia, il quale è invece ben noto al commentatore qumranita: il posso di Abac. 2,2 «Si riferisce al Maestro di giustizia, al quale Dio ha comu1~ic.ato t~tti i s.egr~ti delle parole dei profeti, suoi serv1torI» 267 • Avendo Dio svelato i 'segreti', vale a dire il significato escatologico degli oracoli profetici, al Maestro di giustizia, questi, quale interprete carismatico ovvero pneumatico è del pari il legittimo successore degli ~n­ tichi prnfeti, anzi è perfino superiore a loro,, gi~c~hé soltanto 'adesso', per mezzo d1 lu1, e venuto alla luce il significato recondito delle parole profetiche 268 • Allo stesso tempo questo testo mostra che non si deve dare un peso eccessivo alla tesi, spes~o ripetuta, che nell'età successiva all'esilio, dato il fondamentale e diffuso sentimento di essere puri epigoni, eventuali personaggi pneumatici dovessero necessariamente restare anonimi: infatti questo 'Maestro di giustizia', forse un oppositore di Alessnndro Ianneo (103-76 a.C.), nella sua comunità era senza dubbio un personaggio a tutti noto e da tutti venerato, nel quale «si era compiuto il tempo» anche se la sua apparizione non aveva segnato l'inizio della «fine estrema» (~ -rO.oc:;). Tale considerazione getta nuova luce 21>1 Per la figura del 'Maestro di giustizia' dr. F. NoTSCHER, Zur theal. Terminologie der Q11mran-Texte (1956) indice, s.v. ; -7 VAN DER WouDB, passim ; H. H. RowLEY, The Teacber a/ Righteausness and the Dead Sea Scrolls:

    BJRL 40 (1957) n4-146. ;/:68 Per un giudizio psicologico-religioso su una tale figura di veggente, che è probabilmente di origine sncerdotale (1 Qp flab 94-7), è dcl tutto indifferente che la persona in questione ab· bia, da un punto .di vista storico, avuto 'ragione' o meno.

    su Ios., beli. 2,159. Secondo lo storico giu?eo, le capacità divinatorie degli Essem erano dovute al fotto che sin dalla giovinezza essi si dedicavano alle sacre Scritture, a diversi riti di purificazione ed agli oracoli profetici. Gli Esseni giungevano dunque ad uno stato di conoscenza pneumatica grazie ad esercizi ascetici e allo studio contemplativo delle Scritture 269 • Il passo di rQpHab 7,r-5 permette dunque di comprendere più a fondo il modo in cui tali figure di veggenti intendevano se stessi, ovvero l'idea che ne avevano i loro contemporanei. Ma nello stesso tempo il materiale non rabbinico esistente mostra chinmmente che la teoria rabbinica secondo cui i sapienti sono i legittimi successori dei profeti ha i suoi presupposti storici in concezioni eh~ superano di molto i confini del fariseismo. Un altro genere di esperienza pneumatica si ha nell'interpretazione onirica 210 • In Ios., ant. 17,345 ss. (~ col. 553) si racconta ad es. che la caDacità didnatoria degli Esseni poteva m~nifestar­ si nell'interpretazione dei sogni. Ancora una volta è l'apocalisse di Daniele che ~semplifica il fenomeno descrivendo l'intt:rpretazionc estatica di un sogno. Nel racconto del delirio di Nabucodonosor (Don. 3,31-4,}4) 'Daniele' ascolta dap· prima la visione notturna del re e poi cade in estasi: restn muto per un po' e i suoi pensieri lo spaventano. Preso dalla forza dello spirito 271 , deve dire cose che us

    -7

    MEYER 43; ~ SqmBERT,

    Religio11 77 s.

    (qui anche i riferimenti ai testi di Qumran). 270

    Per ii sogno come 'copia' (letteralmente 'a· vanzo', 'residuo': 1J6be/et) della profezia dr. Gen. r. 17,5 a 2,2 1 par., attribuito a R. Hnnina b. Jishaq (inizio del 1v sec.). Nello stesso contesto Rab (t 247 cl.C.) ritiene che il sonno profondo (trdmh) possa port:irc all:i profezia. 211 In Da11. 4,5 s. 15 si dice tre volte che «lo spirito di dèi santi» (rtiap 'e/iihin qaddiJin) è «ill» lui.

    .,J'"'fl

    \ . -,- - -,

    Filone non si è limitato a riflettere sulla natura del fenomeno profetico. I suoi scritti, infatti, ci permettono di gettare uno sguardo sul contenuto dell 'esperienza profetica. Anche per Filone la torà è prototipo e punto di partenza di tutto l'evento salvifico 274 • In perfetta aderenza a tale concezione, i personaggi delInfine los., bell. 6,300 ss. ci presenta l'età patriarcale e .mosaica e poi anche un personaggio primitivo e violento, Ge- quelli della successiva storia d'Israele sù b. Anania, che si comporta in un mo- appaiono in misura notevole figure prodo che ricorda in tutto e per tutto il ti- fetiche 275 • Inoltre molte delle numerose po di profeta contro cui polemizza il osservazioni riguardanti le figure profedoppio oracolo di Zach. 13,2-6 (-7 coll. tiche antiche presentano una singolare 557 s.). attualità, cosl che l'esperienza profetica dello stesso Filone risulta tanto da tali 2. Il profetismo alla luce della teologia affermazioni quanto dalle discussioni di alessandrina carattere generale circa la natura della che spesso si rialMentre secondo la dottrina del rabbi- profezia e dell'estasi, 276 nismo farisaico la legge si dispiega, per lacciano ad esse • Mosè appare quale cosl dire, spontaneamente nei profeti e veicolo di rivelazione nel senso pieno nei loro legittimi successori, che sono i della parola: è re e legislatore, sacerdot(' saggi, nella teologia alessandrina che in- e profeta (ad es. vit. Mos. 2,292). Quan· forma il libro della Sapienza di Salomone do diede i comandamenti, Dio si limitò è invece la sapienza (-7
    Cfr. le indicazioni in LEISEGANG, s.v. 7tpo·

    m -+ MEYER

    275

    27l


    144 n. 24. Secondo la traduzione di J. F1CHTNER, Die YVeisheit Salomos, Handbuch A.T. u 6 ( 1938) 30. 274 Per la coincidenza di 'legge' e ordine cosmico divino ~ vn, coli. 1317 ss.

    216 DoussET·GRESSMANN

    in

    449-454.

    Cfr. BousSl!T-GRl!SSMANN, indice s.v. 'A·

    brah11m'.

    nio dal quale «doveva uscire un intero popolo, anzi il popolo prediletto di Dio, al quale vennero assegnati, come mi sembra, per la salvezza di tutto il genere umano, i ministeri sacerdotale e profetico» 278 • Filone parla con eccezionale frequenza della natura del ministero profetico, mostrando la propria intima partecipa;done all'esperienza pneumatica. In rer. div. ber. 259 Filone afferma che la sacra Scrittura testimonia ad ogni saggio il dono profetico 279 ; questo rammenta Sap. 7,27 cd anche la concezione rabbinica del sapiente epigono ed erede dei profeti classici(~ coli. 540 ss.). Poiché per Filone, come del resto è sempre stato nel giudaismo, la sapienza include anche un predicato etico (~ crocpla.), ecco che i giusti sono forniti di spirito profetico 2 0 ; in proposito va forse ricordato che i rabbini fanno affermazioni simili per i giusti ed i timorati di Dio (~ x, coli. 9n ss.). Tra i giusti, che secondo la Scrittura sono anche profeti, Filone novera Noè, Isacco, Giacobbe e ovviamente Mosè ed Abramo (rer. div. ber. 260266). Tutti questi personaggi rappresentano però in fondo soltanto l'ideale per ogni vero pio, giacché, non appena que218

    Cfr. la sentenza dì Hillel riportata in Shab. Jn quale gli I-

    j. r 9,1 (17a4 ss.) par., secondo

    sraeliti non sono più profeti, ma pur sempre «figli di profeti» (bn; 11b)'im); STRACK-BILLERBECK II 627. m 'lt(l.V"tL 81: "(Oç

    du-.El
    ?tPO(jl'l)"tEl!r.V

    o lEpbc; ÀÒ-

    µap-.upEL.

    Phllo, rer. div. her. 259 insiste csprcssamcn· te sul fatto che solo il sapiente (uoqi6ç), e non già il malvagio (q>a.vÀ.oç), partecipa dell'lv~ou­

    280

    o-i.auµ6c;.

    J. CoHN, Der Erbe des J. HEINEMANN, Die

    2s1

    Cfr.

    L.

    CoHN •

    Golllicben, in Werke Pbilos von Alexandrien v (r929) 280 n. 2 con le ope·

    re ivi indicate, particolarmente H. LmsllGANG, Der beilige Geist (1919) 209-212. 282 rer. div. ber. 249: Àvna. µav~w811c; mi;paVO~C1.'\I lµ?totoii
    sti abbia raggiunto il sommo grado, diventa profeta 281 • Anche per Filone la strada che porta all'esperienza profetica passa per l'estasi. Secondo rer. div. ber. 249 ci sono, per la precisione, quattro gradi estatici: r. il furore folle che causa la pazzia 282 ; 2 . il profondo sgomento che si verifica al cospetto di eventi improvvisi 283 ; 3. la quiete dello spirito che si è placato 284 ; 4. la vera e propria esperienza pneumatica del possesso ed entusiasmo divino che è la caratteristica dei profeti: ~vì}Eoc; xo:.•oxwx'li -.E xo:.t µa.vla, 1i -.ò npocp'l)'t"txòv yÉvoc; Xpij't"OCt. Quando si trova all'ultimo stadio dell'estasi il profeta non dice nulla di proprio, bensl solo l'alieno, poiché in lui parla un altro: 1tpocp1J·rqc; yà.p rotov 1.~Èv oùoÈv &:ttocptMyyE-rrn, ocÀ.À.é't"pto:. oÈ 7t6:v·m Ù1tl}XOU\l'toc; E't°Épou (rer. div. ber. 259) 285 • Cosl il profeta è un semplice strumento di Dio per rivelare la sua volontà senza che l'uomo stesso sia consapevole di ciò che proclama (rer. dfo. ber. 266); figuriamoci poi se po~reb­ be capire ciò che dice mentre è invasato da Dio: oÙOÈ -yap, El À.É-yEt, OU\lrt.'tO:.t xa•rx.À.a..{3E~\I o yE xocux6µEvoc; ov"t"wc; xa.t Évi)ournwv (spec. leg. 1,65). D'altra pare niente rimane celato al profeta, perché parla Zacb. 13,2-6 e per quella di un Gesù b. Anania (-7 coll. 557 s.). UJ rer. div. her. 249: Ti l>è cr<pol>pà xai:a?tÀ."!)~~ç

    fatl

    "tO~ç È~<X.'ltWaiWt;

    xcd a'ltpoCTl>OXTJ"t
    che nella letteratura rabbinica abbiamo trovato una concezione simile (-7 n . 270): quella del sonno profondo, che secondo R11b (t 247 d.C.) porta alla profezia (trdmt nbw'b). 285 .Cfr. inoltre praem. poetJ. 55. Si osservi l'uso di VltT)XE~v, 'riecheggiare', che chiaramente si avvicina al significato originario di bat qol (-7 n. 242). Tuttavia Filone colloca l'esperienz:1 pneumatica nell'intimo dell'uomo, mentre l'uso linguistico rabbinico si riferisce piuttosto alla voce che giunge al destinatario dalle rcgion i celesti.

    5 51 (vr,823)

    r.poq>iJTIJ.; x-rì... C

    egli ha in sé un sole percepibile soltanto mentalmente e raggi senz'ombra: 'ltpo(j>lJ'tll &'ouOÈV &y\IWG''tO\I, EXOV'tL \IOl}'tÒV 'Ì'}À.Lov Èv a.ù'tQ xe.d &nxlovc; aùyaç (spec. leg. 4,192) . Filone descrive l'invasamento divino

    (E.vi>oucna.G'µoc;) e l'esaltazione divina (1lElet. µocvloc) con In lingua di Platone,

    il quale aveva sublimato nella propria filosofia la religiosità estatica dell'orfismo 286 • In pari tempo però nelle parole dell'Alessandrino traspaiono il mondo concettu aie e l'esperienza delle religioni misteriche del tempo m . Filone è perfettamente in linea col filosofo greco quando si. oppone categoricamente ad ogni tipo di sfrenata rozza estasi e sostiene invece una raffinata religiosità estatica. Tuttavia non sarebbe affatto giusto interpretare la concezione filoniana della natura profetica unicamente alla luce della sua formazione ellenistica, ignorando totalmente l'idea che della profezia e delle sue manifestazioni aveva il resto del giudaismo contemporaneo. Per quanto le affermazioni di Filone possano suonare platoniche o misteriche o essere influenzate da Platone o dai misteri, iri ultima analisi esse rimangono vincolate alla Scrittura, che rappresenta evidentemente per lui, da un punto di vista psicologico-religioso, la base dell'esperienza profetica. Pertanto egli attacca violentemente coloro che vogliono intendere la Scrittura letteralmente 1.88. Una tale polemica non·è dovuta soltanto al fatto che Filone è un fautore dell'interpretazione allegorica della Scrittura, bensl anche '.al fatto che egli è fautore della sua lettura 286 L'elementò nuovo per cui Filone si distingue da Platone è l'esclusione del voui;; BousSET-GRESSMANN 449· 2s1 BoussET-GRESSMANN 451 s.

    288 Cfr.' cher. 42; BoussET-GREsSMANN 451 n. 2 . 289 Sulla questione dr. M. ADLER, V ber· die

    II

    2·Ja (K . Meyct)

    \ Vl , O-"jJ ) )-"

    contemplativa. Cfr., ad es., som. 2,252: «Tuttavia lo spirito invisibile (•Ò 7t\IEÙ· µoc ci6pcx."toV), che è solito muoversi in me senza che me ne accorga, mi sussurra nuovamente all'orecchio: - Ehi tu, mi sembri affatto ignaro di una cosa grande e importante; ora voglio generosamente rendertene edotto, giacché ti ho già fotto conoscere a suo· tempo molte altre cose» . Segue poi un'esegesi pneumatica sul tema della «Città di Dio» (Ps. 46 ,5), che si basa su di una i.spirazione superiore 2w. Certamente anche qui Filone usa il linguaggio del sapiente greco, ma per la sostanza non si distingue molto da posizioni si.mili che sono correnti in seno al giudaismo palestinese, anche se il mondo concettuale è in buona parte diverso. 3. Veggenti e profeti

    Pur nella scarsità delle fonti, vi è una serie di personaggi storici che hanno avuto coscienza di essere profeti in uno dei tanti generi di manifestazioni provocate dallo spirito, o ai quali è stato attribuito un comportamento profetico. a) Come già si è accenn::\tO, ·specialmente gli Esseni godevano fama di possedere tra le loro file veggenti e profeti (~ coli. 545 s.). Cosl Flavio Giuseppe (ant. I 3,3 I I ss.) riferisce di un celebre veggente di nome Simone, che era evidentemente il capo di un 'intera scuola di pwfeti ~ e ave,va profetizzato la roTriiume· n , in J. HmNEMANN - M. ADLER, Die Werke Philos von Alexandrìell VI (1938) 269 nn. 1 s . Giuda .era scortato «dai suoi compagni e runici intimi, che si trattenevano presso di lui per imparate le predizioni dcl futuro»,·-+ MEYER 42 s. 143 ·n. 6; -+ ScHUDl!RT, Religìon 78.

    .290

    , ••,........ ...,, .,,,,,..""t

    vina all'asmonco Antigono, figlio di agli avversari del sovrano 29~. Profeti faGiovanni Ircano 1. Ancma secondo ani. risaici o rabbinico-farisaici compaiono, 15,373 ss. iJ veggente esseno Menahem, secondo le nostre fonti, in special modo un contemporaneo di Hillel, possedeva nei tempi inquieti che vanno da Vespail dono della predizione. Egli avrebbe siano ad Adriano. Negli anni precedenti predetto al giovane Erode una brillante lo scoppio della guerra contro Roma ebascesa, ma anche la sua empietà, e da be gran risonanza fra il popolo, secondo vero profeta, mentre camminava con lui, Flavio Giuseppe, un oracolo riguardangli avrebbe anche dato un segno 291 • te l'avvento di un signore del mondo. Giunto al vertice della sua potenza, Ero- · Poiché si diceva che quest'oracolo si trode si sarebbe poi ricordato del veggente, vava nella sacra Scrittura, sembra si poslo avrebbe fatto chiamare e poi riman- sa pensare a Dan. 7,13 s. 295 • Restava pedato onorevolmente dopo avergli posto rò dubbio se l'oracolo significasse salvezaltre domande. Flavio Giuseppe fa os- za o sdagllra per Israele. E anche la riservare in questo passo che Menahem e- sposta a tale problema la si ricercò non ra solo uno dei tanti Esseni che grazie già per via razionale, ma· pneumatica. alfa loro 'eccellenza' 292 avevano cono- Non sorprende, dunque, che anche per scenza di cose divine 293 • Infine in ant. l'interpretazione dell'oracolo vi fosse fie17,345 ss. (-7 n. 291) Flavio Giuseppe ra opposizione di profeti di salvezza e riferisce di un veggente, Simone, che a- profeti di sciagura. Fra gli ultimi, che in vrebbe predetto al figlio di Erode, Ar- tal modo varcavano al tempo stesso i chelao, interpretandone un sogno; la ro- confini del profetismo nazionale, Flavio vina imminente. Inoltre, nell'ambito di Giuseppe in bell. 3,351 ss_ annovera se questi veggenti esseni, anzi come figura stesso. Egli descrive il s_uo stato come dominante, si può annoverare il già ri- segue. Dapprima egli aveva sognato la cordato 'Ma.estro di Giustizia' (-7 col. sventura imminente dei Giudei e grazie 545), che possedette, insieme con i alla sua conoscenza delle. Scritture era suoi adepti, una coscienza escatolog~ca riuscito a precisarne il significato. Nel momento poi d~l supremo pericolo, domolto spiccata. b) Anche i Farisei annoverano profeti po che la città da lui governata, Jotapata nelle \oro fìlc. Flavio Giuseppe (ant. 17, in Galilea, era stata occupata dai Roma43 ·ss.) parla di un gruppo profetico di ni, egli si sarebbe rammentato dei suoi Farisei alla co1·te di Erode, appartenente sogni. In quello stesso istante sarebbe 291 ~MEYER 44292 A questo proposito

    Giuseppe parla, alla greca, della xaÀ.oxa:yo.Dla del veggente: ant. 15, .379· ,. 291 Cfr. 1 QS rr,5-9, dove è detto che. si ere-

    deva che i membri della comunità di Qurnran possedessero una chiaroveggenza divina che li accomunava agli angeli (b11i 1mim). 2:1-1 -7 MEYER 57 s . 2-13 -7 MEYER 52-54.

    caduto in estasi e in quello stato di ra- ta adrianea 3Gl. In un tempo di grande pimento avrebbe compreso che doveva fermento politico Akiba, a quanto rifeannunziare a Vespasiano il dominio del risce il suo discepolo Simone ben Johai, mondo 296 • La narrazione di Flavio Giu- interpretava il passo di Num. 24,17 veseppe ha un parallelo significativo in dendo adempiuta la parola profetica «U· Gittin b. 56a.b: qui è Johanan ben Zak- na stella sorge da Giacobbe» nella figura kaj che, d'accordo con suo nipote, il ca- di Ben Koseba 305• In base a tutto ciò che po degli Zeloti, lascia in una bara Ge- sappiamo sulle esperienze estatiche di rusalemme assediata. Giunto nel campo Akiba, possiamo supporre che la sua coromano, saluta Vespasiano come impe- noscenza del 'vero' senso di Num. 24, ratore; di Il a breve tempo il suo saluto q, riferito alla situazione contingente, profetico è confermato da un annuncio si fondasse su ispirazioni pneumatiche. proveniente da Roma m. Solo cosl è possibile intendere l'efficacia I più diversi tipi di preveggenza 298 elettrizzante della sua designazione: vengono attribuiti dalla tradizione al pa- «Ecco il re, il Messia!» 306 e tutto il fatriarca Gamaliele II (T. Pes. 1 ,27 [c. 90 natismo destinato a portare a rovina si· d.C.] ), a Samuele 299, che allo stesso mo- cura. Ogni profeta è efficace solo se trodo per es. di Johanan ben Zakkaj 300 nel- va nel suo ambiente adeguata risonanza; l'ora della morte poté vedere il futuro, là ove regna la fredda ragione, i suoi ara R. Akiba 301 , a R. Meir 302 e, nell'età gomenti vengono meno. Anche Akiba successiva alla repressione della rivolta dovette farne l'esperienza. Il suo conadrianea, a R. Simone ben Johai 303 • Di temporaneo Johanan ben Torta non sub} particolare peso politico fu l'attività il suo fascino profetico e gli rispose: profetica di Akiba all'inizio della rivol- «Akiba, crescerà erba dalle tue mascelle, 296 ~

    MEYER 55 s. m ~ MEYER 56s. 298 Per quanto segue ~ MEYER 58 s. m T . Sota 13, 4 par. Benché qui si narri una genuina esperienza profetica, pure si premette (evidentemente per una correzione dogmatica) che a Jamnia si era sentita una bat qol che aveva dichiarato Samuele il Piccolo degno dello spirito santo (r'wj lrwp hqwdJ). Lo stesso motivo è riferito poco prima (r3,3) a Hillel. 300 Sota j. 9,17 (24c,29 ss.) par.; Johanan non è considerato soltanto un profeta, ma anche un maestro della contemplazione scritturistirn che porta all'estasi: Hag. j. 2,1 (77a,49 ss.) par. JOl Lev. r. 21 18 a 16,3. 302 Sola j. I,4 (16d,<15 ss.) (c. 150 d.C.), con un carattere fortemente popolare e burlesco.

    303

    Sheb. j. 9,1 (38d,37 ss.) par. Per lo rivolta al tempo di Adriano cfr. H. BIETENHARDT, Die Freiheitskriege der ]uden unter den Kaiserfl Traja11 und Hadrian und der messia11ische T empelba11: Judaica 4 (1948) 57· 77.81-108.161-185; inoltre No11-1, op. cit. (30t

    n. 220) 4or-406 e le opere ivi indicate. questa la grafia storicamente esatta del nome, che risulta dalle due lettere trovate nel wadi Murabba'àt. Ln.firma di uno dei due documenti è Jm'wn b[11] kwsbh nsi' jJr'/. Per una bibliografia aggiornata sull'argomento dr. H. BARDTKR, Be111erkrmge11 :w dcn beide11 Texte11 a11s dem Bar Kochba-Ari/slfmd ; ThLZ 79 (1954) 295-304; Noru, op. cit. (~ n. 220) 403 n. 2 . 306 Taa11. j. 4,8 (6Bd,50): din ht1/ mlk' mJi~'; dr. -> MEYI!.R 79 s. 305 È

    .,I/I \ • .&>'-1-.;11

    ma il figlio di David non sarà ancora ve- colare menzione un contadino incolto di nuto!» 307. Certo la voce della ragione nome Gesù ben Anania. Per la festa dei che parlava per bocca di Johanan ben tabernacoli del 62 d.C. egli andava per Torta non controbilanciò la parola en- Gerusalemme, che a quel tempo era in tusiastica di quell'uomo singolare e po- pace e nella prosperità, gridando incestente, che nella sua persona - un con- santemente e senza motivo apparente vinto 'am haare~ 3IJ8 d'un tempo - univa questa profezia di sciagura: «Una voce razionalismo nomistico, misticismo e dall'oriente, una voce dall'occidente, uprofezia, e che, secondo la leggenda, an- na voce dai quattro punti cardinali: dò alla morte per la sua fede professan- - Guai a Gerusalemme e al tempio! Guai allo sposo e alla sposa! Guai a tutdo l'unico Dio. e) Le manifestazioni profetiche non si to il popolo!» 312 • Arrestato dai capi giulimitano affatto ai gruppi degli Esseni e daici e consegnato come sobillatore al dei Farisei. Anche in altri campi profeti procuratore Albino, fu da questi riladi salvezza si affiancano a profeti di scia- sciato come demente, dopo una grave, gura :ioo. Flavio Giuseppe parla ad esem- ma vana, flagellazione. Per sette anni e pio di profeti di salvezza zeloti (beli. 6, cinque mesi il profeta di sventura portò 286), uno dei quali, quando ormai il turbamento in Gerusalemme. Durante tempio era alle sue ultime ore, spinse l'assedio di Gerusalemme rimase colpito alla morte 6000 uomini che si erano e ucciso dopo che alle sue solite parole raccolti in uno degli atri esterni per di minaccia aveva aggiunto ancora il griattendervi 'i segni della salvezza' 310• Nel do: «E guai anche a mc!». È questo genere della profezia di sciagura rientra senza dubbio un caso di quella esperienun'estasi collettiva che, a quanto riferi- za estatica genuina e spontanea che è sce Flavio Giuseppe, ebbero alcuni sa- sempre esistica in Israele e sempre è stacerdoti in una festa di Pentecoste negli ta considerata strana là ove i sacri testi ultimi anni di esistenza del tempio, du- costituiscono il presupposto di un'estasi rante la quale essi avevano sentito la sublime connessa con l'indagine contemcorte celeste abbandonare il tempio al plativa della Scrittura. grido: «Noi ce ne andiamo di qui» m. Tra i profeti di sciagura merita parti307 Taan. ;. 4,8 (68d,51): 'qjbh j'tw 'sbjm bll;iik uldjjn bn dwd l' jb'. 308 Pes. b. 49b: «Quando ero ancora un 'am biiiire! pensavo: 'Se avessi in mio potere uno scriba (tlmjd pkm), lo vorrei mordere come un asino». Cfr. R. MEYER, Der 'Am ba-Ares: Judaka 3 (1947) 179.

    Bar. syr. 48,34-37 (~ n . 225) allude indubbiamente a questa tensione.

    309

    310

    beli. 6,283 ss.;

    ~

    MEYER .54 s.

    bell. 6,299; ~ MEYER 50 s. 31Z Per la traduzione e per quanto segue cfr. ~M&YER.46 s.

    31!

    7tPOcini"l'TJ<; xù.

    4. Il principe col munus triplex Accanto a veggenti e profeti in età ellenistico-romana troviamo il principe che ha doni profetici ed è presentato come sommo sacerdote col carisma della profezia. Nel quadro dello schema della corrispondenza tra tempo primordiale e tempo finale, nella sua persona si realizzano varie tipologie: da un lato Mosè, nella cui persona sono idealmente riunite qualità di governo, sacerdozio e ministero profetico 313 , dall'altro la figura prettamente mitica, primordiale-escatologica del re paradisiaco 314 • Sotto questa luce di principe spiccatamente carismatico è passato alla storia Giovanni lrcano I (135-rn4 a .C.) 315; cosl secondo Flav. Ios., ant. 13,299 Ircano morl «da Dio reputato degno dei tre supremi uffici: sovranità sul popolo, dignità di sommo sacerdote e carisma profetico» (cfr. bell. x,68). Secondo ani. 13,300 egli possedeva il dono profetico della preveggenza, e in ant. 13,282 s. lo troviamo dotato di doni carismatici in atto di svolgere nel tempio il suo ministero cultuale di sommo sacerdote quando improvvisamente intende qualcosa da comunicare tosto a tutto il popolo 316 • Con ogni probabilità ~ la stessa figura Cfr. Vou, Esch. 192 e~ col. .548. m Per la documentazione cfr. DoussET-GRnssMANN .260 s.; VoLZ, Esch. 191 s. 315 Per quanto segue ~ MEYER 60-70. 316 cpaO"tv i'cXP, lhL... cx.Ù"l'Òc, Év -rii> va4"> f}J. µtwv µovoc; 6'N tÌPXLEptùc; 1ixoùcrete cpwvljc;... xcx.t "\'OU"\'0 1t(lOEÀ.l>wv É~ "\'OU va.ou 1t0:V"l'L ..-0 nÀ:i}DeL q>cx.vepòv E'ltOlTJO"ev. Cfr. Le. 1 ,8 ss. 313

    Cosl, seguendo W. BoussET,Die Tesi. XII, I. Die Ausscheidtmg der christliche11 Interpolationen: ZNW l (1900) 166; R. H. CHARLES, Thc Grcck Version of the Testaments of the Twelve Patriarchs (1908) 62-64; -> MEYER 64. Anche se in base ai reperti di Qumran è ab· bastanza certo che le parti più antiche dei Te-

    317

    e II 4 (R. Meyer)

    {Vl,lSZC>J J bO

    che ha fornito l'ispirazione alla versione greca di test. L. 8,n-17; 17,II-18,14 317, con la differenza che è ormai idealizzata e descritta secondo i canoni della divinazione del futuro dell'uomo, cioè secondo uno schema che conosciamo sia dalla letteratura sibillina diffusa in tutti i paesi del Mediterraneo orientale, sia dalle visioni storiche dell'apocalittica giudaica. Quale depositario del triplex m11m1s, Giovanni Ircano r appare così anzitutto antitipo escatologico di Mosè, e poi re paradisiaco che ridà all'umanità la condizione ideale degli inizi (test. L. 18,9 ss.) . L'opposto della riunificazione dei tre ministeri nell'unica persona cli un principe sacerdote dotato del carisma profetico può essere individuato nell'ideale escatologico della comunità cli Qumran cli ispirazione antiasmonea, secondo cui i tre ministeri sono clistribuiti su tre persone poste sullo stesso piano. Per I QS 9,7-II solo agli Aronniti - in senso più stretto ai Sadochiti cacciati da Gerusalemme(~ 1:aooouxai:oc;) - compete di esercitare il potere di giudicare la comunità e di amministrare il patrimonio comune «fino alla venuta di un profeta e degli unti da Aronne e Israele» 318• Il modello a cui si rifà questa att6sa ·escatologica dovrebbe essere ìl priin quale misura questi testi, ad es. test. L., siano stati utilizzati, mediante un'interpretazione secondaria, per legittimare l'ideologia monarchlca asmonea. A mio avviso i motivi pa-

    ralleli tramandati da Flavio Giuseppe e· dai rabbini rendono probabile l'ipotesi di, una tale interpreta/io Hasmonaica . Di parere diverso sono invece, ad es., K. G. KUHN, Die beiden Messias Aarons und lsraels: NTSt 1 (1954/ 55) 168-179; ~ VAN DER WoUDE 210-216. Per 1 Q Levi cfr. J. T.MILIK, Le Testament de U vi en araméen: RB 62 (19.:i.:i) 398-4o6; DJD I 87·91 e le opere ivi indicate. Inoltre ~ l:aB· 8ovxa.i:o;.

    stamenti dei xu Patriarchi sono di origine

    QS.9,u : 'd bw' nbi' w1111il?i 'hrwn wjJr'J. A questo riguardo dr. DJD I 121 s.; KuHN, op. cit. (~ n. 317) 171; Né>TSCHER, op. cii.

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    n. 267)

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    mo periodo postcsilico così come si riflette in Zach. 4,14, in cui il profeta è il terzo consacrato di Jahvé accanto al sommo sacerdote Giosué e al davidico sovrano designato, Zorobabcle. A prescindere dal problema finora insoluto circa il ruolo attdbuito da r QS 9,n al profeta nell'attesa escatologica della comunità di Qumrnn di ispirnzione sadochita, in cui il sommo sacerdote viene gerarchicamente prima dell'autorità politica, si può comunque dire che il profeta a cui, secondo 4 Q Testimonia 5 ss., si è riferito il passo di Deut. r 8, I 5 ss. 319 (~ B III 3) va distinto dalle altre due figure messianiche 320 •

    5. I profeti messianici Mentre il principe-sacerdote carismatico incarna nella sua persona la salvezza presente, il profeta messianico è proiettato nel futuro imminente. Costui e i suoi discepoli attendono la conferma di un miracolo che provi la legittimità del profeta e dia l'avvio all'èra della salvezza. Anche questi individui e i loro circoli sono convinti che gli eventi già prefigurati nella storia della salvezza d'Israele debbono realizzarsi nuovamente alla fine del presente eone. Pertanto i modelli del principe ideale sono Mosè ed anche Giosué, che secondo la tradizione ha condotto Israele dal deserto nella terra promessa.

    J. M. ALLEGRO, Further Messianic Re/ere/I· ces in Q11mra11 Literature: JBL 75 (1956) 182-

    319

    187. Cfr. -> VAN DER WounE 186-189. Va ossetv11to che anche Simone b. Koseba (-> coli. 555 ss.) nvcva a fìanco un sommo sacerdote di nome Eleazaro, mentre Rabbi Akiba fungeva evidentemente 'da profeta: anche qui siamo quin· JZO

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    Secondo Fhtv .- Ios., ani. r8,8 5 ss. nell'anno 35 d.C. sotto Ponzio Pilato comparve un sarnadtano che intendeva mo· strare ai suoi seguaci gli oggetti di culto del tempio che, secondo Ja leggenda, Mosè aveva nascosto sul monte Garizim. A quanto pare questo miracolo doveva provare che egli era colui che iniziava l'epoca ideale di Mosè contrassegnata dalla «tenda dell'alleanza». Comunque, questo fu il senso che il procuratore romano diede al movimento, e lo soffocò sul nascere 321 . Secondo ant. 20,. 97 s. sotto Fado incontriamo quel Teuda (~ vn, coll Boo s.), che ci è noto da Act. 5,36: «Egli si spacciava per profeta .e prometteva di dividere il :fiume e di permettere loro un facile passaggio». La prova miracolosa che Teuda promette alla grande folla, che lo ha seguito con tutti i suoi averi al fiume Giordano, rap· presenta l'attuazione escatologica del passaggio del Giordano avvenuto sotto Giosué (los. 3,15 ss.). Inoltre il prodigio è la premessa perché ora Teuda - quale Giosué redivivo - strappi il paese e la capitale ai Romani per riconsegnarle a Dio e al suo popolo. Cuspio Fado prese molto sul serio l'impresa utopica e sterminò Teuda e tutti i suoi seguaci 322• Un altro dei tanti esempi (ant. 20, i67 s.-; bell. 2,258 ss .) è quello menzio· nato in ant. 20,169 ss. Un profeta egiziano si offrl di ripetere su Gerusalemme la miracolosa conquista di Gerico da parte di Giosué (los. 6,16); dal Monte degli Ulivi voleva mostrare ai suoi adepti «come al suo ordine le mura di Gerusalemme sarebbero crollate. Attraverso di di in presenza di una divisione delle funzioni simile a quella che troviamo in Zach. 4,x4 e I QS 9,u. L'unica differenza è data dal fatto che, in rispondenza alla situazione storica, in primo piano abbiamo Simone, il principe se· colare. Cfr. anche ->VAN DER WoUDE n6. lll -> MEYER 82; STRACK-BILLERBl!CKU 479 s. ln

    -> MEYER 83·85.

    1tpOqn')'tTJ<; X't J... C Il

    esse - così egli prometteva - li avrebbe fatti entrare nella città». Pare che tale profeta, apparso sotto il procuratore Felice (52-60 d.C.) e da lui sconfitto, disponesse di un largo seguito. Egli riusd a scampare aHa morte e stando ad Act. 2r,38 sembra che il popolo ne attendesse il ritorno 323 • Poco dopo che l'insurrezione sotto Vespasiano era stata schiacciata, secondo beli. 7>437 ss. a Cirene comparve un sicario di nome Gionata, il quale mostrò chi era inducendo i diseredati dcllà Pentapoli libica a seguirlo nel deserto, affinché davanti a loro potesse compiere «miracoli e mostrare visionh>. I giudei più ricchi, preoccupati per la loro vita e i loro averi, denunciarono il fanatico esaltato al competente procuratore Catullo, che ebbe facilmente ragione della schiera disarmata. Proprio il caso di Gionata illustra con chiarezza che il profeta escatologico non fa ricorso alle armi, ma ai miracoli; perciò anche il suo seguito è completamente disarmato 324• Dei tempi di Adriano non conosciamo alcun profeta; evidentemente Ben Koseba (-+coll. 555s.)aveva attirato al suo seguito tutti i nostalgici della libertà. Nell'età successiva, decisamente ostile ad ogni genere di carisma, era ufficiai· mente impensabile una qualsiasi figura di profeta messianico. Ma sotto la cenere il fuoco continuava a covare. Lo storico bizantino della chiesa Socrate narra che si ebbe un movimento di messianismo giudaico a Creta nel sec. v d.C. 325 • Qui comparve un individuo che si spacciava per Mosè redivivo sceso dal cielo per 32.l lii

    -+ MEYER 85 s. -+ MEYER 86 s.

    historia ecclesiastica 7.38 (ed. R. HussEY [1853] 822 ss.); -+ MEYER 87 s. 320 Cfr. ScHURER III 2,8-370; VoLZ, Esch. 162; BoussET-GRESSMANN, indice s.v. 'Apoka· lyptik'; H . RINGGREN, art. 'Apokalyptik r.n', 323

    5 • lII ( !{. Meyer)

    l Vl,1!21!) 504

    ripetere il passaggio attraverso il mare verso la terra santa (cfr. Ex. 14,15-3r). Egli trovò numerosi seguaci e nel giorno stabilito si misero in cammino per attraversare il mare. Molti Giudei si gettarono in mare dalle alte coste cretesi e perirono miseramente. Quando poi si cercò il falso Mosè, questi era scomparso.

    III. Gli scritti apocalittici Gli scritti 'apocalittici' (--+ v, coli. ss.), che si sono conservati contro la volontà e fuori della sfera d'influsso della sinagoga di tendenza farisaico-rabbinica, rientrano nella letteratura del periodo ellenistico-romano e possono, come tali, esser messi in rapporto coi movimenti in cui s'inquadrano profeti e veggenti della stessa età. Questi scritti costituiscono un fenomeno tipico del tardo giudaismo postesilico, che si chiarisce soltanto se si tien conto della si· tuazione spirituale e religiosa del giu· daismo stesso 326 • Le sue radici vanno ricercate in gran parte fuori d'Israele, precisamente nell'Iran e nei paesi del Me· diterraneo orientale. L'autentica apoca· littica di matrice iranico-indiana offre 'rivelazioni' sul sorgere, tramontare e succedersi delle età del mondo m. Assimilata in età persiano-eUenistica dal giudaismo che l'inserl nella propria concezione storica, la dottrina dei periodi storici diede infine origine a quello schema dei due eoni (-+ I, coll. 545 ss.) che doveva poi sopravvivere alla letteratura apocalittica e diventare patrimonio perenne della fede 3211 • 121

    in RGG3 I 463-466 e la bibliografia ivi indicata. 327 G. WIDENGREN, Stand und Atlfgaben der iranischen Religionsgeschichte 1: Numen 1 (1954) 39·45; n: ibid. 2 (1955) 107-uo, con ulteriore bibliografia. 328 Cfr. R. MEYER, art. 'Eschatologie dentum', in RGG JH 662-66,.

    111.

    Ju-

    Una seconda peculiarità essenziale IV. Il tramonto del profetismo dell'apocalittica giudaica è la consideraIn Israele non è mai esistita un"etìì. zione della storia quale vaticinium ex eventu. Questa 'storia in forma di fu- pr~fetica' come entità storica. Ogni proturo', che come 'predizione' narra j fetismo ha sempre dovuto subire il confatti anteriori al momento della sua trasto di correnti razionalistiche vive e composizione, probabilmente ha il suo feconde, cioè anticarismatiche, ma anmodello nel principio apocalittico pre- che da se stesso si è visto sempre riposupposto dalla oracolistica sibillina di sto in discussione dal problema della leorigine greco-orientale, che risale, com'è g.ittimità. Ma ciò che caratterizza pardimostrabile, al scc. vn1 a.C. e che eser- ticolarmente questo fenomeno in Israecita uno straordinario influsso sulle età le è la sua prodigiosa capacità di assumesuccessive 329• È probabile che !"antichis- re sempre forme nuove. Se infine le svasima veggente', che continuava ad atti- riate manifestazioni profetiche dell'età rare l'attenzione lungo i secoli, in epoca postesilica dovettero cedere a un razioellenistico-romana abbia spinto il giu- nalismo nomistico, ciò dipende da motidaismo a dare alle figure principali della vi storici facilmente individuabili. Mai storia della salvezza l'aspetto di procla- nella storia d'Israele come dono la mormatori di siffatte 'profezie'. Anzi tale as- te di Erode il profetismo era rimasto irsimilazione di vaticini da inserire nelle retito nelle vicende politiche. Dopo il proprie categorie era facilitata in quanto tramonto della ierocrazia di Gerusalemfin dall'inizio i tradizionali 'profeti scrit- me, che segnò una dura sconfitta per otori' offrivano spunti di riflessione sulla gni forma di carismatismo, il rabbinismo storia, benché in origine da presupposti farisaico poté dare origine a un patriardiversi. Oltre a questi aspetti teologici cato palestinese su basi nomistico-raziofondamentalmente rilevanti sotto il pro- nali. Si giunse cosl a stabilire un canone filo storico, l'apocalittica giudaica pre- fisso dei libri sacri(-? v, coll. u84 ss.) e senta speculazioni di vario genere. Tal- a respingere tutte le tendenze non corrivolta è espressione di veggenti che ci spondenti e inconciliabili con la norma comunicano le loro contemplazioni e le farisaico-rabbinica. Contemporaneamenloro esperienze(~ coli. 543 s.). In com- te fu eliminata tutta la letteratura che plesso ovviamente questa letteratura,.col usciva dai nuovi binari dogmatici e fasuo carattere spesso dotto e speculativo, vorito il trionfo del principio che i 'sagcoincide col profetismo contemporaneo gi' sono i legittimi continuatori dei prosolo in quanto le sue opere ci fanno co- feti(~ coll. 539 s.). Ciò nonostante l'innoscere qualche aspetto dei presupposti dirizzo nomistico, pur in tutta la sua coecosmologici soprattutto degli uomini renza, non fu abbastanza forte da soppriche, secondo lo schema di fede dell'ana- n:iere di colpo l'elemento carismatico, pelogia tra il tempo iniziale e il tempo fi- ricoloso particolarmente nell'ambito delnale, ritenevano di essere profeti mes- lo zelotismo. Divampò cosl la seconda insianici inviati per dare inizio al nuovo surrezione, a quanto pare sotto la guida spirituale di Akiba, che si presentò co. eone. me profeta(-? coll. 555 ss.). La radicale catastrofe e la politica romana di stermiInoltre questa letteratura ha influenzato anche dal punto di vista formale il giudaismo e il cristianesimo. Cfr. J. GEFFKEN, in HENNECKE 399-422; VoLz, Esch. 53-58; BouSSET-GRESS329

    MANN 18

    s.; EISSFELDT, op. cit. (-7 n. 223) 761

    s. Qui c'interessa però in prima linea l'influen-

    za sostanziale.

    1tpOq>l]'t'flt; X't"A. LJ

    r

    I·J \"-'· rncuu<.111

    nio durata fino all'editto di tolleranza scrutare l'animo delle persone che inemanato nel 138 sotto Antonino Pio de- contra (Le. 7,39). Nonostante questo titerminarono 1a fine di tutti i fenomeni di po di conoscenza non è un mago o un matrice pneumatièa: Con fatica poté es- indovino, ma per sua natura .il proda· sere riedificata 1a sinagoga, ma d'ora· in matore della parola di Dio. Tale. aspetto poi in essa il razionalismo nomistito pre- vale soprattutto per. i profeti delle covarrà al punto, che dietro a questa fac- munità paoline(~ coll. 569 s.). Poiché il ciata scomparve .il mondo policromo e messaggio dei profeti veterotestamentari ricco di tensioni che àveva costituito·Ia è fissato in libri, con 7tpOq>lJ'tTJ<; si può matrice della predicazione di Gesù·e dei indicare anche il libro del profeta (~ suoi apostoli. · col. 577).

    R. D. PROFETI

    MEYER

    E PROFEZIE NEL N.T.

    I. Uso e significato dei termini

    2. 7Cpocpf]-ctc;, pro/e~essa, ric~rre solo due volte nel N.T. Benché neUe. t?rimitive comunità cdstianc vi fossero donne che avevano lo spirito della profezia (Act. 2,r7 s.; 21,9; I Cor. 11,5); esse non ricevono questo titolo (~ coll. 569 s.), che in Le. 2,36 viene invece attribuito alla giudea Annna (~ D III 4) e Apoc. 2,20 assunto arbitrariamente dalla seduttrice Jezabel (~ IV, coll .. 73r s.).

    1. Di tutta la fo~iglia di vocah'l')'tEUW. Dei 28 passi in cui esso rirato. Prescindendo dalla menzione di Ba- corre, 11 sono dell'epistolario paolino. laam (~ II, col. 3·1) che troviàmo in 2 Come 7tpOq>TJ"tTJ<;, anche 7tpocp1J·n:ow ha Petr. 2,16 (cfr. Num . 22,18 con Num . 2.4, 1), vi è un solo passo del N.'f. in cui un vari significati. a) In senso ampio il verpagano riceve il titolo di pi:ofeta: Tit. 1, bo' si può parafrasare in questi tétmini: 12 1 dove viene cosl designato il poeta annunciare ·ra rivelazione comunicata al cretese (~ A n rn) Epimenide che aveva fama di possedere conoscenza di cose profeta, il messaggio di Dio (1 Cor. 11, divine e di poter predire avvenimenti fu- 4 s .; 13,9; J4,1.4 s. 39). Questo annunturi 330 • Per la rivelazi~ne conces~agli dal- cio può avere diversi contenuti, per cui lo Spirito il profeta biblico ha upa parassume vari significati ~peci6ci. b) Poiticolare conoscenza del futuro. Ciò vale il profeta conosce il futuro, 7tpoqn1ché per i profeti neotestamentari (Act; II, 28), ma soprattutto per quelli dell'A.T. -CEUW significa in particolare predire. Ad (~ çol. J78). Il profeta però conosce es., secondo l'immagine offerta dal N.T. anche il passato di uomo senza che nessuno gliene abbia in precedenza fat- i profeti veterotestamentari.(~ col. 578) to parola (Io. 4,19), ed è in grado di hanno predetto avvenimenti futuri (Ml.

    in

    un

    3)(} PJat., leg. 1,642d.e ; Cic., divi11.

    1 ,18,34;

    Plut., Solo11

    12

    (1 84d).

    '"t"'" ... T • 1 • • t"> ·- • • •• - -



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    ì,6 par. Aft. r5,7; Mt. rr,13; r Pett. r, alle donne e si preferiva scegliere il ver10; Iudae 14); ma cosl hanno fatto anbo 7tPOq>TJ'tEUW che ne·indicava la funzioche Znccaria (Le. r,67), il sommo sacer- ne. g) In Mt. 7 ,22 7tpO'T)'tEVEW ha ·ca- nelle lettere pastorali) e 7 nell'Apocalisrnttcre prevalentemente etico-pareneti- se; nei vangeli uno solo. Anche per 7tpo-

    co; è un- insegnare, esortare, consolare (j)T)'tEla si . possono individuare diverse (r Cor. 14,3.31). Chi profetizza fa risuo- sfumature di significato: a) 7tpOq>'T)'tda. è nare l'appello divino a giudizio e a con- il carisma dell'annuncio profetico donaversione, che ad alcuni risulta molesto e to da Dio nlla primitiva ·comunità crifastidioso (Apoc. r r ,3 .ro) mentre con- stiana mediante lo Spirito. Di questo dovince altri dei loro peccati e-li induce ad no della profezia parla soltanto Pa~lo (r adorare Dio (1Cor.14,24 s.). e).In' Act. Cor. 12,ro; x3,2). In alcuni pas.si non è r9,6 il 1tpoc:prym)w, come indica la con- possibile distinguere con chiarezzi;t se nessione con À.a.À.Et\I y ÀwTJ'tEla viene 10,46). f) Quando le quattro figlie di definita direttamente un carisma, ma Filippo sono chiamate m~p!Uvot 7tpoc:pn- l'aggiunta xa.'tà 'ttJ'>I &:vrxJ1.oyla.v -t-l)c; ·m'.loucrat (Act. 2r ,9), ciò non significa 7tln-tda. può ansi fa parola d'un loro oracolo profetico. che indicare l'oracolo del ptofeta, la paIn questo passo 7tpOq>'T)'tEUw· ha piutto- l'Dla profetica (r Cor. 14,6.22} e spesso sto. il significato di avere il do1to della si trova nel significatb particolare di preprofezia, essere profeta·. A quanto pare dizione (Mt. r3 ;14; 2Pett". 1,2os.; Apoc. si evitava d{ dare Ù titolo di profetessa 19,ro; 22,7.ro.r8 s.). Quèsta accezione 311

    E.

    BAMMEL,

    'APXIEPEYl: IIPOHTEY-

    nN: ThLZ 79 (x954) 355. • ·332 G. FRtF.DRICH, Beobachttmgen zur 111essia11ische11 Hohepriestererwarttmg ili de11 Synopt.: ZThK 53 (1956) 291 s.; di parere di-

    verso è W. C. VAN UNNIK, Jest1 V erhohmmr,

    vor dem Synedrium: ZNW 29 (1930) 310. 333 -7 FASCHRR

    196.

    334 PR1Zt1S CHEN-BAUER5 1

    s.v.

    1tpo1prrn1~

    x-.À. D 1 4 - u 1 (G. Fricdrich)

    di 7tpoq>l)'tEW. s'incontra prevalentemente nell'Apocalisse di Giovanni. In Apoc. 1 >3

    7tpoq:n1-.Ela può essere tradotto diret-

    tamente con libro delle predizioni, perché si parJa di OC\layLVWO"XEL\I -.oùc; À.6yovc; •ile; 1tpOq>1)'tElac; e -C'l'JpEt°v 'tà. tv mnfi "(EypaµµÉva. c) Jn quanto parofo del profeta, 7tpoq>11•da non si riferisce necessariamente solo al futuro, ma può anche contenere una istruzione autorita-

    tiva del profeta, il comando trasmesso daJ profeta (I Tim. r,r8; 4,14). d) Dal]'accostamento di 7tPOq>1J'tElac; a -cà.c; 1}µÉpac; in Apoc. r r ,6 risulta che in questo passo con 7tpocp11nla s'intende l'attività dei profeti. Anche in 1 Cor. 13,8 ci si riferisce all'attività profetica. 5. L'aggettivo 7tpOQ>'ll'ttx6ç compare solo 2 volte nel N.T.: in Rom. 16,26 come attributo di ypacpal, in 2 Petr. 1,19 come attributo di À.Oyoc;. Con ò 7tpocp'l'}'ttxòc; À.6yoc; e ypa<pat npOCj>T)'tLxal si intendono gli oracoÌi dei profeti dell'A.T.

    6. Il vocabolo lj/eu8o1tpocpl]'t1)c; (~ D vn) non è usato da Paolo. Nel N.T. si

    feti senza che ciò risponda a verità. Secondo Mt. 7,15 si dànno contegno di profeti, ma sono in realtà dei mentitori. In Mc. 13,22; Mt. 24,24; I Io. 4,r, dr. 2,18 sono menzionati insieme con gli tVEU06XPLO"'tOL. Come lo IJJEuo6xpt(1'toc; non è un Cristo che diffonde falsità, ma un individuo che rivendica falsamente questo titolo 335, cosl lo pseudoprofeta è anzitutto un uomo che si arroga il titolo di profeta senza esserlo. Tuttavia proprio 1 Io. 4,1·3 mostra che lo pseudoprofeta è anche una persona che annuncia men?.Ogne; infatti egli viene ricono· sciuto come falso profeto perché sostiene una falsa dottrina. In 2 Petr. 2,r gli pseudoprofeti dell'A.T. sono paragonati ai falsi maestri del tempo presente, che introducono eresie funeste. Sono quindi uomini che annunciano lj/Euoij. In complesso però lo pseudoprofeta non si chiama così perché la sua dottrina e le sue predizioni sono menzogne, bensì perché rivendica ingiustamente di essere profeta. Comunque dal fatto che è un falso profeta il più delle volte deriva che dice anche cose false, ossia diffonde menzogne.

    trova complessivamente l l volte, di cui 3 in Matteo e 3 nell'Apocalisse. L'interrogativo se lo pseudoprofeta sia un individuo che si spaccia falsamente per profeta di Dio oppure se sia cosl chiamato perché annuncia false dottrine (~ A 1 6) trova nel N.T. risposte diverse secondo il contesto. Nella maggior parte dei casi gli pseudoprofeti sono persone che rivendicano il diritto di essere pro·

    1. Nel N.T. vengono citati per nome numerosi profeti veterotestamentari. Colui che è menzionato più spesso è Isaia: Mt. 3,3; 4,14; 8,17; 12,17; 13,14; 15, 7; Mc. 1,2; 7,6; Le. 3,4; 4,17; lo. 1,23; 12,38; Aci. 8,28.30; 28,25. Vanno poi aggiunti i passi in cui abbiamo il nome

    m K. HoLL, Der 11rsprii11gliche Sin11 des Na·

    me11s

    Il. I profeti dell'A.T.

    Miirtyrer: N]bchKIAlt 37 (.r9r6) 254.

    di Isaia senza un termine del gruppo 7tpocp1)·n1c;: Io. l2.J9-4I; Rom. 9,27.29; 10,16,20; 15,12; oppure quelli in cui I-

    saia è citato non col suo nome ma con l'appellativo di profeta: Mt. l,22; Io. 6, 45; Act. 7148 336 • Oltre ad Isaia vengono menzionati anche altri pwfeti: Samuele, l'ultimo dei giudici (Act. 13,20), secondo Act. 3,24 è il primo dei profeti in senso proprio, sicché con lui ha inizio la serie dei profeti. In Hebr. I 1,32 la successione storica è mutata e Samuele è collocato dopo David. Il cambiamento serve a sottolineare che Samuele va computato tra i profeti, tanto più che egli è collegato ad essi mediante xa.l, mentre David col "t'E viene computato tra gli eroi guerrieri della storia veterotestamentaria prima elencati. Peraltro in Act. 2, 30 anche David è considerato profeta (cfr. l,16; 2,25; Mc. 12,36; par. Mt. 22, 43). In 2 Petr. 2,16 è detto profeta Balaam (-?col. 567) e in Iudae 14s. ad Enoc (-? III, coll. 622 ss.; v, coll. 1201 Prescindendo dai casi indicati, nel N.T. abbiamo molte citazioni sia di Isaia sia del Deu· tero-Isaia introdotte semplicemente con yÉ· ypcx.7ti:CX.L o con espressioni sinùli: ad es., Mc. n,17 par.; Le. 22,37; Rom. 2,24; 3,15; 10,15; 11,26; 14,n; 15,21; 1 Cor. 1,19; Gal. 4,27; À.ÉYEL ·l) ypa:qrlj: Rom. 10,n, cfr. 2 Cor. 6,2; oppure À.ÉYEL xvptoc;: 2 Cor. 6,17, cfr. Aci. 13,34; Hebr. 2,12 s. Restano da ricordare le molte allusioni a testi di Isaia che troviamo nel N .T. 336

    337 Elia compare molto spesso nel N .T. In ordine di frequew.a è al quarto posto dopo Mosè, Abramo e David (~ IV, coll. 83 ss.). È strano però che non venga mai chiamato profeta. Probabilmente allora non era affatto visto come un tipico rappresentante del profetismo, ma più come precursore (~ IV, col. 75 Ss,) O rappresentante del sommo sacerdote (~ IV, coll. 78 ss.). Se si prescinde da Act. 3,22 e 7 1 37, due passi che ricordano il profeta come Mosè di Deut. 18,15, neanche Mosè (~ col. 501; vn, coli. 808 s.) nel N.T. è mai chiamato esplicitamente profeta, benché abbia scritto di Cristo (Le. 24,44; Io. l,45; 546; Act. 3,22; 7, 37; 26,22 s.; 28,23) e sia l'archetipo del pro·

    ss.), settimo patriarca dopo Adamo, si attribuisce un 7tpOq>TJ"t'EUEtv. Tra gli al-

    tri profeti antichi solo Eliseo riceve questo titolo nel N.T. e precisamente in Le. 4,27 337• Geremia compnre per nome solo in Mt. e quale profeta propriamente solo nella citazione di Mt. 2,17, poiché la menzione in 2 7 ,9 è dovuta a uri erro· re di memoria(-? IV, coll. 734.738) 338 • Degli altri profcti·scrittori sono menzionati per nome e coll'attributo di profeti, una volta ciascuno, Daniele (Mt. 24,15), Gioele (Act. 2,16, cfr. Rom. 10,13) e Giona (Mt. 12,39} 33'1. Sono inoltre ci· tati come profeti senza che ne venga fatto il nome: Osea (Mt. 2,15) Wl, Amos (Act. 7,42; 15,15), Michea (Mt. 2,5, cfr. Io. 7,42), Abacuc (Act. 13,40, cfr. Rom. 1,17) e Zaccaria (Mt. 21,4, cfr. Io. 12, 15) J.U.

    I profeti dell'A.T. sono la bocca per mezzo della quale Dio parla agli uomini: H.tiÀTJCTE\I ò ~Eòc; OLà. cr-r6µa.1:oc; 2.

    feta messianico (- col. 562). Forse neanche in Le. 24,:q Mosè è posto nel novcco -dci profeti. quasi che bisognasse intendere il passo in que· sto modo: cominciando da Mosè, spiegò tutto ciò che i profeti avevano detto (cfr. KLOSTER· MANN, Lk., a
    <-

    )/5 \VI,05L/

    '"t""'Y"I•••~

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    'TWV a.yLwv c1:1t'a.lwvoç a.\rrov npocp'f)· 'TWV, «Dio parlò per bocca dei san-

    ti c. antichi suoi profeti» (Act. 3,21, cfr. Le. x,70 e Act. 3,18). Matteo dice la stessa cosa con la formula: 'TÒ P'r!ftf.v

    urcò xuplou Otà 'TOU 1tpOcplJ't'O\J À.Éyov-.oç, «quanto è stato detto dal Signore per mezzo del profeta con le parole ... » (Mt. l,22; 2,15), che equivale all'espressione veterotestamentaria: «Cosl dice J.ahvé» (~ B v). Colui che parla veramente non è il profeta, bensl Dio, che si serve dei profeti quando si rivolge al popolo. Dall'omissione delle parole Ù1tÒ xuplou in Mt. 2,17 si è dedotto 342 che Matteo non intendesse presentare la strage degli innocenti di Betlemme come un evento predetto e voluto da Dio. Però la formula abbreviata 'tÒ pT)i>Èv OL!Ì. 'TOU 1tPOÈv espdme l'idea che chi parla è Dio e la locuzione od~ 'TOU 1tpocp1}'Tou indica che il profeta è il portavoce di Dio 343 • Lo stesso si può dire delle parole dell'apostolo Paolo: EÒu.yyÉ.À.Lov l>Eou, o 1tpOE1t'fJYYElÀ.oc-ro Suì 'TWV 7tpoqrri-rwv a.Ò't'ou, «evangelo di Dio, da _lui promesso per mezzo dei suoi profeti» (Rom. 1,1 s.). Quanto dicono i profeti è 342 ZAHN,

    Mt.;

    KwsTERMANN,

    Mt.

    e

    W. Mr-

    c11AEus, Das Ev. 11ach Mt., Prophezei (1948)

    ad/. 343 Tuttavia colpisce il fotto che in Mt. 2,17 (fa strage degJi innocenti) é Mt. 27,9 (acquisto del'campo del vasaio coi 30 denari di Giuda) non si trovi né l'espressione lva. 'ltÀ:r)pwDjj (come in Ml. 1,22; 2,15; 4,14; 12,17; -zz,4) né

    -- -

    , - - - -- -

    parola propria di Dio. Mentre nei sinottici il parlare di Dio mediante i profeti viene inteso interamente nel senso dell'A.T., nella Lettera agli Ebrei e nelle due di Pietro le cose stanno diversamente. Secondo Hebr. 1 ,1 Dio non ha parlato ai padri otà. 'tW\I 7tpoq>T}'t'WV, bensì Èv 'Toi:c; 7tPOl}'t'W\I (Zach. 7,7; lEp 26,13; 44,2), mentre À.a.À.Ei:v È-v di solito significa 'parlare con qualcuno' (Zach. l,9.13 s. 17; 2,2 .7; 4,1 e passim). Probabilmente in Hebr. 1,1 Év va inteso piuttosto in senso locale: Dio inabita nei profeti e parla dal loro interno, di modo che l'enunciato richiama I.a dottrina ellenistica dell'ispirazione, quale traspare da 2 Petr. 1,21. L'origine della profezia sta non nell'uomo ma presso Dio, e gli uomini non sono che strumenti passivi mossi dallo Spirito santo che pone suJla loro bocca le parole pronunciate senza che essi comprendano la profondità dei loro discorsi (~ col. .uo}. Perciò ogni profezia abbisogna di interpretazione (~ col. 638). In r Petr. 1,ros. i profeti fonno delle loro stesse IS1twç 'lt"Ì.T}pw&ii (come in.'Mt. 2,23; g·,r7; 13, "C'lrtE fo).T}pWlh). Il passaggio dalla proposizione finale a quella temporale, che si limita a constatare l'avvenimento, permette di non presentare l'accaduto come un effetto im· mediato del ·volere divino.

    35), bensl

    344 Cfr. bjd in Dam. 3,21 (5,6); 4,13 (6,9) .

    parole oggetto di ricerca e di studio. Nelle loro profezie non solo essi parlano del Cristo (~ col. 578) bensì, secondo I Petr. l,II, lo stesso Cristo preesistente parla per bocca loro, poiché in essi inabitò lo Spirito di Cristo (-> col. 639) che li ispirò e fece loro pronunciare le parole. Forse Mt. 13,35 va inteso in senso analogo, di modo che secondo l'evangelista in ljJ 77,2 già pada Cristo. Secondo Io. 12,38 in Is. 53,1 Gesì1 si lamenta dell'incredulità dei Giudei. Questo modo di vedere corrisponde al logion apocrifo secondo cui Gesù nel vangelo ha detto: ÀaÀwv Év 'tote; 1tpo
    o

    3. I profeti non si sono limitati apredicare, ma hanno scritto o fotto scrivere le loro parole. yÉypa1t't'GtL OLÒ. 't'OV 7tp0qni't'OU, «è stato scritto per mezzo del profeta» (Mt. 2,5, cfr. Le. 18,31; Io. l, 4 5); al ypctq>a.Ì 't'WV 7tpO
    «per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture» (Rom. l ,2); yÉypa;-1t'ta1 Èv -.0 'Hcra.t~ 't'@ 7tpocp1)'tn, «sta scritto nel profeta Isaia» (Mc. 1,2) oppure Èv Plf3).~ À6ywv 'Hcratou 't'OU 1tPO<J>lJ't'Ou, «nel libro delle parole del profeta Isaia» (Le. 3,4, cfr. 4,17; Act. 7,42); É1tpOT)'t'WV 'tÒ:ç ... ava.yL\IWO'XOµÉva.ç, «le voci dei profeti ... che vengono lette» (Act. 13, 27) . Pertanto non solo le persone, ma anche i loro scritti sono chiamati profeti (Mc. 1,2). L'eunuco etiope legge il profeta Isaia (Act. 8,28 .30.34). Ì::O''t'W YE-

    ypap.µÉvov Èv -toi:c; 7tpoq>1j't'a.LC,, «sta

    scritto nei profeti» (Io. 6,45, dr. Act. 24,14). Ai libri profetici ci si riferisce con la formula «legge e profeti» (Mt. 5, lJ; 7,12; 22,40; Le. 16,16; Act. 13,15; 24,14; Io. 1,45; Rom. 3,21) o quando si menzionano i profeti e la legge (Mt. n, 13), Mosè e i profeti (Le. 16,29.31; 24, 27, cfr. Act. 28,23) o i profeti e Mosè (Act. 26,22) o la legge di Mosè, i profeti e salmi (Le. 24,44). Secondo Paolo i profeti dell'A.T. sono Scrittura; egli quindi ne introduce le citazioni per lo più con le parole xcd)wc; yÉypa'lt't<XL . 4 . Per il N.T. i profeti veterotestamentari sono uomini che hanno preannunziato ciò che in seguito s'è realizzato in Gesù e~ col!. 666 ss.; II, 646 ss.). I verbi usati a loro riguardo sono: 7tpOE1tayyÉÀÀE<1l>a~ (Rom. 1,2), 'ltpoopiiv (Act. 2, 31), 1tPOEL1tELV (Rom. 9,29;

    2

    Peti'. 3,2,

    cfr. Aet. 1,16), 7tpoxcnayyÉÀÀEL\I (Act. 3,18; 7,52), 7tpoµap't'upEcri}aL (1Petr. 1, II) . Il prefisso 7tpo- in tutti que~ti casi non significa proclamare apertamente qualcosa (~ A I l), ma ha un univo· co senso temporale: preannunziare, predire(~ A I l). Secondo il Nuovo Testamento le predizioni dei profeti riguardano Gesù (Io. 1,45; Act. 28,23). L'annuncio di tutti i profeti, a cominciare da Samuele, mira al tempo di Cristo (Act. 3,24, cfr. 8,34). Egli è il compimento di tutte le promesse di Dio (2 Cor. l,20 [ ~ n, col. 690]). Secondo Le. 4,17 ss. Gesù applica a se stesso le parole di Is. 61,r s.: nella sua persona e nella sua opern giunge a compimento la parola profetica. Soprattutto Matteo mostta che i profeti hanno predetto

    .,11;1 \ ..... , ......rt1

    molti particolari della vita di Gesù 345 • La nascita verginale di Gesù e gli avvenimenti concomitanti (Mt. l,23), la nascita a Betlemme (Mt. 2,5 s.), il ritor· no dall'Egitto (Mt. 2,15), la strage degli innocenti in Betlemme (Mt. 2,17 s.), la scelta di Nazaret come luogo di dimora (Mt. 2,23), l'attività del Battista (Mc. l, 2,par. Mt. 3.J), la scelta di Cafarnao come luogo di residenza (Mt. 4,14 ss.), le guarigioni di Gesù (Mt. 8,17), l'opera soccorritrice prestata da Gesù di nascosto (Mt. 12,17 ss.), il discorrere in parabole (Mt. 13.J5), l'ingresso in Gerusalemme (Mt. 21,4 s.), la passione e morte di Gesù (Mt. 26,56, cfr. Le. 18,31 ss.; 24,25.44 ss.; Act. 3,18; ·13,27; 26,22 s.; I Petr. l,II). In altri passi del N.T.: la risurrezione (Le. 18,31 ss.; 24.44 ss.; Act. 2,30 s. ; 26,22 s. 27), la gloria di Gesù (Le. 24,25 s .; I Petr. l,I 1), la Pentecoste (Act. 2,16), ]'accoglienza dei pagani (Act. i5,15 ss.), la parusia (2 Petr. 3,2), il giudizio sugli empi (ludae 14 s.), l'à.1toxa.-cacr't'acr~<; escatologica (Act. 3, 21 ).

    Ma non solo si realizza la salvezza annunciata dai profeti: si compie anche la riprovazione del popolo cli cui si parla nei profeti. Isaia ha già parlato dell'ipocrisia d'Israele (Mc. 7,6; Mt. 15,7) e della sua incredulità (Io. 12,38). Quando Gesù parla in parabole e non viene compreso, si compie la profezia di Isaia riguardante l'ostinazione d'Israele (Mt. 13,14, cfr. Act. 28,25). Anche l'acquisto del campo del sangue con le trenta monete d'argento di Giuda è già stato predetto (Mt. 27,9 [ ~ n. 343]). Come dimostrano i passi citati, al centro della prova scritturistica e in genere K. Wr::mm., Studien iiber den Einfluss dcs WIeissag1mgsbeweises au/ die eva11gelischc Geschicbte: ThStKr 83 (1910) 83-109.163-195. 3~5

    346

    Essi sono morti proprio come Abramo (Io.

    dell'annuncio del primo cristianesimo stava la passione e la risurrezione di Gesù. Tuttavia la comunità cristiana vede già preconizzati nell'A.T. anche gli altri fatti della sua vita, le sue parole e le sue opere. Peraltro i profeti vanno letti rettamente e non interpretati a proprio arbitrio, come fanno gli eretici. 'ltacra. 'ltoprpE't'Ela. ypa.rpfjc; Uìla.c; ÈmÀ.UcrEwc:, où ylve:-ca.t, <
    do se non ciò che i profeti e Mosè affermarono che sarebbe accaduto, cioè che Cristo soffrirebbe, e risuscitato per primo dai morti annunzierebbe la luce al popolo e ai gentili». Le parole dei profeti di solito non sono enunciate in forma di dichiarata profezia(~ coli. 640 s.), ma spesso contengono descrizioni di circostanze o addirittura trattano di eventi del passato che nel Nuovo Testamento vengono riferiti al presente, sicché si tratta più di prefigurazioni che di autentiche profezie. Per es. si considerano profezie l'enunciato storico È!; Alyu'lt'tOIJ ÈxciÀ.EO"« -.òv uì.6v µou, «dall'Egitto chiamai il fìglio mio» (Os. l1,1=Mt. 2,15), il pianto di Rachele per i Giudei fatti prigionieri (Ier. 31,15=Mt. 2,17 s.), l'annuncio dei benefici di Dio nella storia del popolo d'Israele (Ps. 78,2 = Mt. 13,35), il lamento del profeta per il culto formale del suo popolo (Is. 29,13 = Mc. 7,6 par. Mt. 15, 7 s.) e per l'incredulità dei suoi contemporanei (Is. 53,1=1o. 12,38). Gli autori neotestamentari non distinguono tra descrizione dei fatti e profezia. Essi non partono dal senso originario del passo, ma dal fatto concreto della 1'ealizzazione e poi cercano nell'A.T. ciò che serve al loro scopo. Non l'A.T . offre loro nuove conoscenze, bensl essi, partendo dal compimento, intendono gli enunciati veterotestamentari nel senso di profezie 347• J47

    R. BuLTMANN, W cissagung und Erfiilltmg,

    in Gla11be11 tmd Verstehe11 u (1952) 163-167; F. BAUMGARTEL, Verheiwmg (1952) 73-77.

    5. I profeti veterotestamentari non sono per gli uomini del N .T. esclusivamente preannunziatori di fatti futuri. Essi sono citati dagli scrittori neotestamentari quali autorità che confermano la verità delle loro affermazioni. Nell'intervenire contro i cambiavalute e i commercianti nel tempio, Gesù si appella a parole dei profeti (Mc. n,17 par.). Is. 54,13 serve a Gesù per spiegare e confermare la sua affermazione che tutti saranno ammaestrati da Dio (Io. 6,45). Con le parole dei profeti si prova che Israele ha praticato l'idolatria (Act. 7 ,42) e che Dio non dimora nel tempio (Act. /,48). Tutti i profeti annunciano con decisione la remissione dei peccati nel nome di Cristo per ogni credente, dice Pietro nella casa di Cornelio (Act. ro, 43), e Giacomo giustifica l'ammissione dei gentili nella comunità con l'autorità dei profeti (Act. 15,15). Ad Antiochia Paolo ammonisce i Giudei che la parola profetica si compie (Act. 13,40). Si riportano dunque passi profetici per confermare importanti idee della predicazione e dar peso all'annuncio.

    6. Con straordinaria frequenza nelle diverse parti del N.T. si narra che i profeti sono stati perseguitati e martirizzati dai Giudei(~ IX, coll. 430 s_). Nell'A.T. si accenna talvolta che i re, o anche il popolo, perseguitarono i profeti 348 • A quanUria, figlio di Semaia, fu ucciso da Joiachim (ler. 26,20-23). Zaccaria, figlio di Joiada, fu

    343

    lapidato nell'atrio del tempio per ordine del

    to pare, negli scritti apocrifi era diffusa l'idea del profeta martire 349• Il cristianesimo primitivo e forse lo stesso Gesù hanno assunto questi concetti per illustrare le colpe dei Giudei contro Gesù e i cristiani (rThess. 2,15). Il destino del profeta è di morire a Gerusalemme: cosl pare si andasse allora ripetendo 350 (Le. 13,33 s.; Mt. 23,37). I Giudei sono non solo figli dei profeti e dell'alleanza (Act. 3,25), ma anche figli di coloro che hanno ucciso i profeti (Mt. 23, 31 ; Le. 6,23; n,47 s., cfr. Mt. 21,35; 22,6; Hebr. 11,36s.). In ciò i discepoli che sono perseguitati dai Giudei sono seguaci dei profeti (Mt . 5 ,I2). Perciò i profeti, che non temettero i dolori ma li sopportarono con pazienza, poterono essere presentati quali modelli alla comunità (Jac. 5,ro, cft. Hebr. 11,32-38). In Mt. 23,34 par. Le. IIA9 si cita una frase da uno scritto sapienziale apocrifo circa il martirio del profeta, frase che i due evangelisti cristianizzano in diverso modo e applicano alla loro situazione. In

    Luca il titolo dello scritto giudaico è meglio conservato; infatti in Matteo le parole sono attribuite a Gesù . Viceversa in Matteo è più prossimo alla fonte il tenore delle parole, perché al modo giudaico vi si parla di profeti, sapienti e scribi, che Luca cristianizza in profeti e apostoli. Ma anche Matteo cristianizza la citazione aggiungendo la crocifissione in considerazione della morte di Gesù 351 • Mt. 23 ,29-35 par. Le. IIA7-51 è un tipico esempio di come il cristianesimo si appropria enunciati giudaici significativi per la propria epoca di persecuzione. Anche in Act. 7 ,52 si delinea il nesso tra uccisione dei profeti e crocifissione di Gesù: «Quale dei profeti non hanno perseguitato i padri vostri? Ed essi hanno ucciso coloro che preannunziarono la venuta del Giusto, di cui ora voi siete diventati traditori ed assassini».

    re Joas (2 Par. 24,2r). Jezabel sterminò i pro· feti (1 Reg. I9A·13). Elia si lamenta con Dio perché «hanno ucciso di spada tutti i tuoi pro· feti: sono rimasto l'unico superstite e tramano per togliermi la vita» (I R eg. 19,10.14; Rom. u,3). Michea, figlio di Jemla, viene gettato in prigione da Acab (1 Reg. 22,27) e Banani subisce la stessa sorte per ordine di Asa (2 Par. 16,rn). La vita di Geremia è insidiata dagli uo· mini di Anatot (Ier. n,18·21). Il sacerdote Pashur, capo della polizia del tempio, fa bat· tere e mettere in ceppi Geremia (ler. :w,2). Dopo i discorsi nel tempio sacerdoti, profeti e tutto il popolo aggrediscono Geremia e lo dichiarano degno di morte (Ier. 26,8-II): «l superiori si adirarono contro Geremia, lo batti!-

    rono e lo gettarono in prigione... Così Geremia fìnl n ella cisterna a volta e stette rinchiuso Il per lungo tempo» (ler. 37,15 s.; dr. 38, 4-6). A queste notizie si aggiungono poi le affermazioni più generiche: «La vostra spada ha divorato i vostri profeti» (ler. 2,30) e «ncd· sero i tuoi profeti» (Neem. 9,26).

    III. Profeti precristiani Nel N.T . troviamo non solo profeti veterotestamentari e protocristiani, ma

    l49 H. J. ScHOEPS, Die jiid. Prophetenmorde, in At1s friihchristlicher Zeit (1950) 126-143; H. A. F1SCHEL, Martyr and Prophet: JQR 37 (1946) 265-280.363-386; ~ 1x, coli. 430 s., nn.

    470 e 471, 350 ~ BARRETT

    351

    97.

    E. HAllNCHllN, Mt. 23: ZThK 48 (1951)

    53 s.

    nell'antefatto del vangelo di Luca uomini e donne giudei che vengono espressamente designati come profeti o caratterizzati come tali per il loro modo di comportarsi e di parlare. r. Za:xrx.pla<;... È1tÀ:11itTl nvEuµa't'oc;

    à:ylov xat È:1tpoq>lJ't'EVtrEV, «Zaccaria ... fu ricolmo di Spirito santo e profetizzò» (Le. l,67). Dopo queste parole introduttive il Benedictus è per Luca non la lode personale di un cuore traboccante di gioia né un prodotto letterario desunto dalla tradizione, bensì una profezia ispirata dallo Spirito santo. Per la conoscenza che gli è stata concessa dei misteri del disegno divino di salvezza Zaccaria annuncia la volontà salvifica di Dio, che fra poco si sarebbe attuata. Che si tratti di predizione di eventi futuri è indicato dai futuri XÀ.1}tH1011. '!tpO'!tOpEVOlJ (v. 76), ÈmoxtlJiE'tat (v. 78). 2. Nella descrizione dell'incontro di Elisabetta con Maria non si fa uso del gruppo di vocaboli che fa capo a '!tpOq>l]'tEVW. Ma quando di Elisabetta si dice esattamente come di Zaccaria (~ sopra): È1tl1}11i}11 '!tVEuµa:toç &:ylou e si continuo con le parole avEq>W\IT}trE\I xprx.uyfi µEy
    3. Anche per Simeone non si fa uso del gruppo lessicale di rcpocpl)'t'Euw, ma nemmeno nel suo caso v'è dubbio che egli sia da considerare profeta: 'lt\IEuµa. liv éiyiov bt'av'to\I (Le. 2,25), cioè su di lui posava lo spirito profetico (SttackBillerbeck n I47). Di lui inoltre si natta che gli era stato predetto dallo spirito che non avrebbe visto la motte finché non avesse contemplato l'unto del Signore (2,26). Infine egli si reca Èv 'ti;> 'lt\IEU· p.a.'t'i al tempio, in Gesù riconosce il Messia e su di lui pronuncia parole profetiche. Tutto ciò indica inequivocabilmente che Luca vuol descrivere Simeone come un profeta. 4. Al contrario di quanto avviene per Zaccaria, Elisabetta e Simeone, AMa viene definita esplicitamente profetessa (Le. 2,36). A parte ciò, si dice poco della sua attività profeticà. Il fatto che sia chiamata profetessa non significa che si sia presentata al popolo con aMunci di condanna o di grazia, come gli antichi profeti, ma probabilmente è stata considerata come tale perché possedeva il dono di prevedere e preaMunciare cose future. In quanto profetessa nel bambino Gesù presentato al tempio riconosce il Messia. Con la sua confessione di lode conferma le parole di Simeone. Il fatto che ella parli di Gesù a tutti coloro che attendono la liberazione di Getusalemme (Le. 2,38) significa che annuncia Gesù come Salvatore escatologico. Questi uomini e queste donne non sono ancora cristiani, sono semplicemente pii ebrei, ed è singolare che siano tutti in un certo rapporto col tempio. Zaccaria è sacerdote, svolge funzioni cultuali e secondo il contesto profetizza al mo-

    mento della circoncisione del figlio. Elii:.abetta è moglie di un sacerdote. Simeone parla quando Gesù è presentato al tempio. Di Anna si dice esplicitamente che «non si allontanava dal tempio e serviva Dio con digiuni e preghiere giorno e notte» (Le. 2,37). In queste figure di profeti ai confini tra giudaismo e cristianesimo, profetismo e tempio non si contrappongono ma si accordano 352 • IV. Giovanni Battista r. In tutti gli strati della tradizione

    dei vangeli Giovanni Battista è definito profeta, sia nella fonte dei racconti (Mc. II,32 par. Mt. 2r,26 e Le. 20,6) sia in quella dei logia (Mt. u,9 par. Le. 7,26), in Matteo (r4,5), come in Luca (r,76) e Giovanni ( r ,2r.25). Secondo i racconti dei vangeli, persone molto diverse intravedono in Giovanni un profeta. Secondo Mc. 11,32 par. e Mt. r4,5 è questa l'opinione comune del popolo. In Io. l ,2I .2 5 persino la commissione d'inchiesta del sinedl'io lo interroga a questo riguardo. In Le. r ,76 viene chiamato 7tpo
    Guy 29.

    353 ~ BARRETT

    31; G . W. LAMPE, The Seal o/ thc Spirit. A Study i11 the Doclri11e o/ Bap-

    La vocazione di Geremia è introdotta dalla formu1a "t'Ò pfjµrx -çoi) 1'Eov o ÉyÉVE"t'O É'ltt lEpEµta.V •ÒV 't'OV XE).xtou e da una precisa determinazione cronologica ottenut~ mediante l'indicazione dei regnanti (ler. 1,1 s., cfr. Os. r,1; Ioel r,r; Mich. 1,1; Zach. 1,1; 2 Sam. 7,4; r Reg. 17 ,2 .8). Allo stesso modo in Le. 3,1 s. la descrizione dell'attività del Battista viene inquadrata cronologicamente mediante l'indicazione delle autorità politiche e religiose e con la formulazione di stampo veterotestamentario: ÈyÉ'VE't'O pljµa. ~Eou Éni 'Iw&.vv11v "t'Ò\I Za.xa.plou ut6v, «1a parola di Dio fu rivolta a Giovanni figlio di Zaccaria». Anche la predicazione del Battista corrisponde a quella dei pro· feti, perché annuncia il giudizio dell'ira di Dio e proclama l'esigenza di una conversione radicale(~ VII, col. II73). Secondo Mc. 1,2 par. è l'ultimo dei profeti prima della venuta del Messia e al tempo stesso è compimento della parola profetica annunciata. Secondo la descrizione di Mc. 6,17 ss. Giovanni ha affrontato il suo sovrano quale autentico profeta israe1ita. Come Samuele parlò a Saul (r Sam. 15,ro ss.), Natan (2 Sam . 12,1 ss.) e Gad (2 Sam. 24,u) a David, Ahia alla moglie di Geroboamo (r Reg. 14,7 ss.), Jeu a Baasa (r Reg. 16,r ss.) ed Elia ad Acab (r Reg. 21,17 ss.), quando costoro commisero ingiustizie, cosi Giovanni Battista alza la sua voce quando il suo re contravviene ai comandamenti di Dio. Secondo i vangeli, Giovanni dà prova di essere profeta anche predicendo il futuro. Non solo annuncia l'imminente giudizio dell'ira (Mt. 3,7 ss.) ma, secondo Mc. r,7 s., preannuncia il Forte che verrà dopo di lui. Infine c'è da chiedersi se il battesimo di Giovanni non sia da considerare un'azione profetica (~ col. 591)3s3. tism a11d Con/irmatiot1 i11 the N. T. a11d thc Fathers (1951) 22 ; Io., The Holy Spiri/ in the Writi11gs of St. Luke, in D. E. N1NEHAM, Studies in the Gospels (1955) 168; W. F. FLE-

    3. Pare èhe in origine Giovanni Battista non fosse considerato solo come precursore del Messia. Dalle fonti si ha l'impressione che fosse più di un comune profeta (Mt. u,9), una figura messianica. Almeno i suoi discepoli, e forse anche una parte dei Giudei, l'ha considerato l'atteso profeta escatologico (~ col. 560).

    a) La peculiarità del Battista emerge chiaramente nell'antefatto del Vangelo di Luca. Ciò che di lui si dice in Le. 1,14 ss . ha carattere messianico-escatologico. L'annuncio della sua nascita è un evangelo (1,19): ~ III, col. 1054. Essa non solo causa la gioia dei suoi genitori (xapà xaì ò:yaÀ.À.la
    s. 354 H. J. lfoLTZMANN, Die Sy11opt., Handcommentar ZL1m N .T.1 (1892) ad l. con rimando a Gen. 10,9. 355 K. H. R.ENGSTORF, Das Ev. nach Lk., N.T. Deutsch 3• (1958) ad l. Ios., a11t. 20,97 a proposito di Tcuda dice: 7tpoc:pirn1ç yàp E)..EyEv Elvat. A tale notizia rorrisponde Act. 5,36 (cod. D): ).lywv E!val 't'Wcx. µÉyav fo.v't'6v. Cfr. Aci. 8,9, ove a proposito di Sìmon Mago si legge: Mywv Elval -twrx. tav't"Òv µÉyav. 22

    P. VrnLHAUER, Das Be1il!4ict11s des Zacharias: ZThK ·49 (1952) 266. 3S7 ~ Cuu..'MANN 20; cfr. test. B. 9,2: ~wc; ou 356

    sta. µÉyaç non descrive il carattere del1'uomo 354, ma è una perifrasi di profeta 355 , Che Giovanni non sia chiamato solo µÉyac;, bensì µÉyac; Évwmov xuplou, intende significare che egli è profeta di Jahvé. La formulazione equivale a 1tpoq>1)·-n1c; ùtfilcr-tou (Le. x,76) 356 e secondo test. L. 8,15 'profeta dell'Altissimo' è una designazione del salvatore escatologico 357 • In Le. l,78 Giovanni è detto OCVC't"tOÀ."Ì"} È~ vljlouc; l53. Al popolo della salvezza egli dona la redenzione col perdono dei peccati e porta luce e pace nel mondo delle tenebre e della discordia. Nell'antefatto del Vangelo di Luca, Giovanni è descritto inequivocabilmente come colui che con la sua nascita, le sue parole e il suo operato porta al popolo d'Israele l'èra della salvezza escatologica (Le. 1,16 s.) (---? m, col. 1054). b) Forse anche il suo battesimo nel Giordano va visto alla luce della sua attività di profeta escatologico. Il suo non era un battesimo di proseliti, perché il battesimo giudaico non era per nulla escatologico, ma serviva ad accogliere i gentili nella comunità cultuale giudaica, non richiedeva battezzatori e di solito avveniva in un locale per bagni 359 (---? x, coli. 1504 s.). Né può essersi trattato di un rito esseno di purificazione, perché l'acqua fluviale non era particolarmente adatta a puriOu\jJLO"'t"Oç à.?tcO"'tElÀ.1) 't"Ò O"W'tTJPLOV aihoii E1tLO"X07tU µovoyEvoiiç 7tpoq>1)'t'ov. 358 VIELHAUER, 3511

    op. cit.

    (~

    ÉV

    n. 356) 266.

    T. M. TAYLOR, The Begimiings o/ ]ewish

    Proselyte Baptism: NTSt 2 (1955/ 56) 193-r98 suppone che il battesimo dei prosclitì abbia avuto origine soltanto alla fine ciel I sec. o all'inizio del n. Per tutta la questione nei suoi diversi aspetti dr. H. SAHLIN, Swdie11 Ztl/JJ 3. Kap. des Lk., Uppsala Univcrsìtets Arsskrift (1949) rr2 s.; ]. ]EREMIAS, Proselyte11ta11/e tmd N.T.: ThZ 5 (r949} 418-428; W . MICHAEus, Ztm1 jiidiscben Hintergrrmd der ]ohamu:s· tat1/e: Judaica 7 (19;;1) 81-.r20.

    591 (v1,839)

    1tpoqn'l-cTJ<; x.TÀ.. D 1v 3b-c (G. Fricdrich)

    ficazioni rituali (~ x, coll. 1502 s. 1535 ss.) e Giovanni non poneva esclusioni come gli uomini della setta si rivolgeva a tutti e a tutti dava il battesimo senza lunga preparazione, col solo presupposto che confessassero a lui i loro peccati 300 • Infine non era una abluzione da rinnovate spesso per ottenere e conservare 1a purità, ma costituiva un atto unico che il Battista compiva su coloro che in atteggiamento di penitenza accettavano l'annuncio escatologico di salvezza. Tenuti presenti questi aspetti, è logico considerare il battesimo di Giovanni un atto simbolico del profeta escatologico. Come i profeti messianici conducevano il popolo al Giordano per mostrare colà i segni che avrebbero confermato la loro messianità (~ col. 562; III, col. 895; vu, coll. 800 s.). cosl Giovanni si presenta col suo annuncio presso il Giordano ed ivi battezza. Forse da questi presupposti si deve intendere l'accenno alla veste e al cibo del profeta. Marco, che descrive in modo molto conciso e sommario l'attività di Giovanni, ricorda esplicitamente che il Battista indossava una veste di crine di cammello, portava una cintura di pelle e si cibava di quanto offriva il deserto (Mc. l ,6). Se egli menziona in particolare questi aspetti a tutta prima molto secondari, si deve dedurre che per lui sono importanti per comprendere e giudicare quest'uomo. Dal vestito e dal cibo Giovanni fa comprendere di essere un uomo del deserto, e dal deserto viene Mosè, il redentore escatologico (cfr. Tg. ad Ex. 12,42 [Neofiti I] : Mosè sale dal deserto). Il battesimo di Giovanni è un segno profetico-escatologico di tipo particolare. Va notato che anche Paolo collega il battesimo col periodo di permanenza d'Israele nel deserto (1 Cor. 10,x ss.) e ciò è 360 I

    QS 3.4 s.: «Non può santificarsi in mari o fiumi». Cfr. K. SCHUBERT, Die Gemeinde vom Toten Meer (1958) 51 s. u2; M. BURROWS, Mehr Klarheit uber die Schriftrollen (1958)

    ancor più sorprendente perché, a motivo della correlazione Mosè-legge, Paolo evita di mettere in rapporto Mosè e Messia, e di Mosè parla più in chiave polemica che tipologica (~ VII, coll. 820 s.) 361 • Se, ciò nonostante, vede il battesimo dei primi cristiani in collegamento con Mosè, significa che questa tematica risale ad un'antica tradizione che considerava il battesimo un atto profetico-escatologico.

    In Io. 1,25 il battezzare di Giov~nni appare come prova della sua attività messianica. Infatti la delegazione ufficiale dei Giudei gli chiede perché battezzi, se non è l'Unto né Elia (~ IV, col. 87) né il Profeta. Evidentemente non lo si considera un qualsiasi profeta; la domanda: «Sei tu il profeta?» (Io. l,21) intende molto esattamente: - Sei tu il profeta come Mosè, promesso da Deut. 18,15, che verrà alla fine dei tempi a portare la salvezza (cfr. Orig., comm. in Io. 4,7 e lJ)? c) Anche Erode ha considerato il Battista un pericoloso profeta escatologico. Secondo Flav. Ios., ani. 18,1 I7 ss. Erode non l'ha messo a morte perché Giovanni l'aveva rimproverato del suo matrimonio irregolare, ma perché temeva che potesse provocare una insurrezione. Poiché l'invito a penitenza del Battista trasmesso dal vangelo non offre alcuno spunto a mutamenti dinastici e a rivolgimenti politici, si deve ritenere che per Erode Giovanni non fu soltanto un rigoroso moralista, ma anzitutto un profeta messianico che col suo messag~io spingeva a radicali mutamenti politici 62 • 49·

    Die Decke des Moses: ZNW 49 (x95s) 21 s. 2.ps.

    361 S. ScHULZ,

    362 ~ MEYER 90 ~-

    Forse un indizio di questo modo di vedere è rimasto in Mc . 6 1 14 (par. Mt . I4,2 e Le. 9,7), dove si narra che la folla in Gesù vede Giovanni redivivo. Se immediatamente dopo la morte _del Battista s'è diffusa la voce che egli è risorto dai morti, non è probabilmente a motivo della credenza popolare che l'innocente assassinato torna sulla terra 36.ì, ma perché si era convinti che Giovanni era stato un personaggio del tutto singolare. Se si parla degli efficaci poteri taumatutgki del risorto e se Giovanni col suo ritorno dai morti viene collocato sul piano dell'Elia redivivo, ciò significa che in lui si è vista la figura del salvatore escatologico 364 • d) Importanti per comprendere il Battista quale profeta escatologico sono gli enunciati di Mt. II,9.IIa.13 che con-

    tengono dati d'antica tradizione. Secondo il v. 9 Giovanni è pitt di un normale profeta. Il senso originario di questo detto di Gesù, sicuramente autentico, dev'essere che Giovanni è il portatore escatologico di salvezza 365 • L 'intel'pretazione è confermata dal v. rra (par. Le. 7 ,28), in cui Giovanni, in un logion che suona scandaloso alla sensibilità del cristiano, è definito il più grande di tutti gli uomini che mai siano nati da donna. Controverso è il senso del v. 13. Poiché in Le. 16,16 si trova in un contesto completamente diverso, la frase va considerata un logion disperso della fonte dei logia, che - probabilmente meglio conservato nel suo tenore letterale da Matteo è stato da questi inserito nella testimo· nianza su Giovanni 366 • Luca ha semplificato e cristianizzato il logion 367 • In Mat-

    363 HAUCK, Mk., ad l. 364 O . CULLMANN, Le

    masco avesse veramente atteso il ritorno del Maestro di giustizia, dovremmo trovare nel Documento tracce ben più consistenti di tale speranza. Cfr. ~VAN DER WouoE 71 s. 365 ~ CuLLMANN 23; CuLLM/\NN, Le prob/è. 111e <~ n. 364) 237. Quando in LIDZBARSKI, ]oh. 7!l 12 s.; 80,11 s. 25 s. leggiamo che Gio· vanni deve ricevere il Giordano ed essere chiamato profeta in Gerusalemme, queste espressioni richiamano alla mente l'attesa giudaica del profeta escatologico. 366 A. HARNACK, Zwci \'(/orte Jes11: SAB

    problème Jittéraire et hìstoriqt1e dt1 ronUl/1 pse11docléme11ti11, Études d'Histoire et de Philosophie religieuses 23 (1930) 238; ~ CULLMANN 33 s.; ~ RrnsENFELD 142. Tuttavia non si può associare il ritorno del Battista alla tesi che nella setta di Qumran si contasse «sul ritorno escatologico del defunto Maestro di giustizia», come sostiene ~ RIESENFELD 142. È assai dubbio che il passo di Dam. 6,10 s. (8,10) parli della risurrezione del Maestro di giustizia, come pen· sano, ad es., G. MoLIN, Die Rollcn von E11 Fesha und ihre Stel/1mg in der jiid. Religio11sgcschichte: Judnic:a 7 (1951) 20.is .; CH.RA· DIN, The Zadokite Doc111ne11ts (1954) :z3,n n . :z; J. M. A L LEGRO, Die Botschaft vom Toten Meer (1957) n9.14r; ~ SCHUBERT, Messiaslehrc 180 s. e altri ancora. Contro una tale in· terpretazione si possono far valere obiezioni sia linguistiche sia storiche. Il verbo 'md nel Do· curnento di Damasco no~- significa in nessun altro luogo 'risorgere', ma è sinonimo di bw' e significa 'apparire'. Se la comunità di Da·

    (1907) 956. 367

    Di parere diverso sono M. GOGUEL, Jea11 Baptiste (19:z8) 66; E . LoHMEYER, Das Urchr. (1932) 20 n.1 ; W.G. KiiMMEL, Verheissung tmd Er/11/lu11g, AbhThANT 63 (1956) II5; J. ScHMID, Das Ev. 11ach Mt. 2 (r95:z) ad l. L'espressione insolita 'it!iV't"Eç ol 'ltpoqifi't"IX~ xo.t b v6µoc; di Matteo diventa in Luca la formula corrente 6 vbp.oc; xixl ol 1tPOq>Tj'tlX~ (-+ col. 578). Luca fa sparire la difficile espressione È· 1tpoqriinuuav, dando cosl alla prima parte d-::1 detto un chiaro senso temporale: l'età della

    595 (VI,!S4J)

    7tpDq>TJ't"TJ<; X't'/..,

    u rv

    30 \ u.

    1'r1ecmcn}

    teo si trova l'csptessione ewç 'Iwci:vvov É7tpocp1yn:uuav, che è difficile da inter-

    ni». Poiché la traduzione letterale di 7tpol)'t'EVEL\I hanno profetizzato. Infatti si sarebbe do- dc;: in vista di, in riferimento a m . vuto piuttosto dire che legge e profeti t'.wç 'Iwavvou È7tpocp1rtEucrctv non ha hanno profetizzato fino a Giovanni. Ma al v. 13 si capovolge, contro ogni con- dunque il senso di una determinaziosuetudine, la serie cronologica per sotto- ne temporale, che debba esser seguita lineare l'importanza profetica della leg- da <Ì.'ltÒ 't'O't'E come in Le. 16,16, ma è ge: anche e proprio la legge ha profetizzato. Con questa affermazione non s'ac- un'affermazione di contenuto: tutti i corda l'annotazione «incluso Giovan- profeti e la legge hanno profetizzato in legge e dei profeti arriva fino a Giovanni. Questi segna la svolta delle epoche, ma appar. tiene ancora alla vecchia età di cui è fa chiave di volta (~ n, coll. 255.258 ss.; m, col. 1054). A tale affermazione Luca aggiunge poi una seconda parte nella quale usa il suo termine favorito EÒrt.yyt:Mçoµrt.t; dr. HARNACK, op. cii. (~ n. 366) 947 s.; DALMAN, Worte ]. u6. ÙTtÒ 'tO't'E significa: dopo i giorni di Gio· vanni viene proclamato l'evangelo. La predicazione della legge, dei profeti e di Giovanni

    non era ancorn

    eù~yyé)..iov.

    368 A. MERX, Das Ev. Mt. (1902) ad l .; SCHLc\1'TllR, Erl. ad l.; LoHMEYER, op. cit. (~ n. 367)

    20; ~ OTTO 79. 369 KLOSTERMANN, Mt., ad l.; ~OTTO 79. 310 ScHLATT!lR, Erl. e ScHLATTER, Komm. Mt.,

    adl. 371 PASSOW, 372 ].

    s.v.; MAYSER II 2,522 .525.

    WEiss, Die Predigt Jesu vom Reiche

    Gottes1 (1900) 195; A. FRIDRICHSEN, Zt1 Mt. II, II-IJ: ThZ 2 (1946) 470.

    l'iferimento a Giovanni. Con le loro affermazioni essi si riferiscono a lui, di modo che egli è il compimento di tutte le voci profetiche. Come in Le. la legge e i profeti profetizzano Gesù (Le. 24,27; Act. 26,22; 28,23, cfr. 3,24 e Io. 1,45), cosl in questo antico logion evangelico essi hanno profetizzato Giovanni. Luca dovette omettere 1tpocpri-te:ue:w, perché era in contrasto con i suoi principi teologici. Quindi Giovanni non è un profeta di realtà future che rinvia a ciò che verrà dopo, ma è lui stesso il portatore di salvezza, che dà inizio all'era nuova 373. e) Contro la valutazione del Battista rimasta viva presso i suoi discepoli anche dopo la morte di Giovanni prende posizione varie volte il N.T. Attraverso la disposizione della materia nel suo vangelo dell'infanzia Luca esprime una superiorità di Gesù rispetto a Giovanni, che in origine non era contenuta nei testi 374• Verso la fine dell'età protocristiana si perde di vista che il Battista possedeva lo Spirito (-7 col. 589) (Mc. 1,8; Act. 1,5; 19,2) 375• Quindi la vocazione di Giovanni dovette esser ridotta a quelE. KAsEMANN, Das Problem des historischen Jesus: ZThK 51 (1954) 149; G. BORN· KAMM, Jesus von Nazareth (1956) 46. m VIELHAUER, op. cit. (-+ n. 356) 264 s. 375 M . DIDELIUS, Jungfrauensohn tmd Krippenkind, in Botschaft und Geschichte I (1953) m

    4· -+ CULLMANN 24. M. DIBELIUS, Die t1rchr. Oberlieferung 0011 Johannes dem Taufer (1911) u; cfr. Pseud.Clem., recogn. 1,60: Et ecce tmus ex dircipulir Joba1111is adfirmabat, Christt1111 Johan11em fuisse, et 11011 Jesum; in ta11t11m, inq11it, ut et ipse Jesus omnibus hominibus et prophetis maiorem esse prommtiaverit Joham1em. Si ergo, 376

    377

    la di profeta, in analogia ad altri profeti dell'A.T. (-7 col. 588). Il titolo di Kyrios ora non va più attribuito a Dio, ma a Cristo (Le. r ,76) 375 e cosl il battistrada di Dio diventa il precursore di Cristo. Secondo Io. r,2r.23 (cfr. Act. r3,25) Giovanni stesso rifiuta con decisione la pretesa di essere il profeta. Egli è semplicemente la voce di uno che grida. Anche nella redazione di Mt. II ,10 ss. si rifiutano pretese profetico-messianiche e Giovanni è dichiarato Elia redivivo. L'affermazione che Giovanni è più che un profeta (Mt. u,9) è spiegata con una citazione da Mal. 3, 1 . Poiché il v. r 1 si collega meglio direttamente al v. 9 e anche Le. 7 ,2 6 cod. D ha questa sequenza e solo dopo colloca la citazione, si potrà supporre che Mal. 3,1 sia stato aggiunto in seguito per limitare le pretese messianiche dei discepoli di Giovanni 3n. Anche il detto che elevava Giovanni al di sopra di tutti gli uomini ( v. II") doveva essere ridimensionato. Dato che il versetto r 1b si trovava già in Q, la polemica contro Giovanni è antica. Se sulla terra egli può essere chiamato il più grande di tutti gli uomini, nel regno dei cieli il più piccolo sarà a lui superiore. Con ciò si dice che Giovanni è ancora fuori del compimento escatologico, e non è affatto pensabile che egli sia il profeta escatologico (-7 III, col. 1054) 378• Infine inqt1it, maior est 011111ib11s, sille dubio et Moyse et ipso Jesu maior habendus est. Q11od si omnium maior est, ipse est Christus. E ancora (1,54) : Ex discipulis Joha1mis, qui videbant11r esse magni, segregartmt se a populo, et 111agistr11m mum veluti Christum praedicartml. 378 D1Bl!LIUS, op. cit. (-+ n. 377) 13; LoHMEYER, op. cii. (~ n . 367) 19 n . I . MtCH!ll. (-+ VII, coll. 238 s.) e-+ CuLI.MANN 23 nn. ;.i. 31 cercano in ogni modo di rendere plausibile la tesi proposta da F. DrnnLIUS, Zwei Worte Jes11: ZNW II (19ro) 190 secondo cui il det· to dovrebbe significare che Gesù, il quale ora è ancora il minore perché discepolo del Battista, diventerà più grande di Giovanni alla venuta del regno di Dio.

    599 (vr,842)

    T.poqin·n1ç r.-r>..

    u

    I\'

    l'ardita affermazione. che tutta la Scrittura con le profezie parla di Giovanni ( v. l 3) viene ridotta al senso che le profezie riguardano Giovanni quale Elia redivivo (v. q). Come indicano le parole d ilÉÀ.E'tE OÉça IV, col. 9 r ). Allusioni al fatto che Giovanni era l'Elia promesso da Malachia si trovano sia nella fonte dei racconti (Mc. 9,13 par. Mt. 17,12) sia in quella dei logia (Mt. II,IO par. Le. 7,27). Tuttavia l'affermazione esplicita l'abbiamo solo in Mt. II ,q. La chiesa primitiva non rifiuta Giovanni Battista, ma non lo considera il profeta escatologico, l'apportatore dell'età messianica, bensì il precursore, l'ultimo profeta prima del Messia.

    V.Gesù I. Ad un controllo statistico la designazione di Gesù come profeta non risulta particolarmente frequente nel N.T. Nella fonte dei racconti si trova solo due volte : Mc. 6,15 (par. Le. 9,8) e Mc. 8,28 (par. Mt. 16,14 e Le. 9,19). Mc. 6, 4 (par. Mt. 13,57; Le. 4,24; Io. 4>44) non rientra in questo contesto, perché Gesù in questo passo non si definisce profeta 379 ma per mezzo di una frase proverbiale paragona la sua sorte a quella di un profeta. In Q Gesù non è mai presentato come profeta; come tale invece compare due volte nel materiale proprio di Matteo (21,11.46) e relativamente spesso in Luca (7,16.39; 24,19 ; Act. 3,22 s.; 7,37) e in Giovanni (4,r9; 6,14; 7,40; 9,17). In Luca va inoltre preso in considerazione 13,33, dove Ge379 Il .

    Diversamente intendono WEtss, op. cit.

    <~

    372) 159 e MICHAELIS, op. cit. <~ n . 342)

    3c - v

    1

    11..1. rneoricni

    sù dice: «È impossibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme». Anche in questo caso, come in Mc. 6,4, non si tratta di un titolo che Gesù si attribuisce, bensi della citazione di un'opinione comune. Ma poiché Gesù non solo accetta quest'idea ma si accinge a realizzarla, si inserisce nella schiera dei profeti. Nella maggior parte dei casi il popolo vede in Gesù un profeta (Mc. 6,15 par.; 8,27 s. par.; Mt. 21,1i.46; Le. 7,16; Io. 6,14; 7AO). Talvolta sono singole persone a designarlo in questo modo: la samaritana (lo. 4,19) e il cieco nato (Io. 9,17). Il fariseo Simone vaglia criticamente la verità della voce secondo cui Gesù sarebbe un profeta e giunge a un risultato negativo (Le. 7 ,39). Anche in Io. 7 ,5 2 i Farisei rifiutano con la massima decisione Gesù come profeta per motivi teologici (-7 col. 6n )_Viceversa in Le. 24,19 si narra che alcuni discepoli l'hanno considerato un profeta e in Act. 3,22 Pietro vede in Gesù il profeta promesso da Deut. 18,15; cosl fa anche Stefano in Act. 7 ,37. Nessuno dei quattro evangelisti usa il titolo quando parla di Gesù con parole proprie e, a prescindere da Le. 13,33 e~ V. sopra), nemmeno Gesù si definisce mai esplicitamente profeta. Con ciò non si vuol negare che il titolo di profeta attribuito a Gesù in origine fosse più frequente di quanto appaia dalle testimonianze degli evangelisti 38.'J. ad l. 3so ~

    GuY 62 .

    UVl \

    2.

    v.i.,v~;,1

    ··("'-y ••• "J'";ll - - - - •• -

    Le concezioni riguardanti Gesù co-

    me profeta sono quanto mai disparate. In Mc. 6,15 Gesù è probabilmente desi-

    gnato come uno dei comuni profeti d'allora (-?>col!. 552 ss.), non un profeta veterotestamentario381 e ancor meno il profeta escatologico 382, se di lui il popolo dice: O'tL 7tpocp1yt1]c; wç EL<; -cwv 1tpocp11-rwv. EL<; non è qui il numero cardinale, ma ha il senso del pronome indeterminato 't'Lç 383 • Si considera Gesù come un profeta alla stregua di uno qualsiasi dei profeti che comparivano qua e là. Così pure in Mc. 8,28 (par. Mt. 16,14) non s'intende il ritorno di uno dei profeti della Scrittura, se in forma abbreviata di lui si dice: Elç -cwv 1Cpocp11-rwv. Anche in questo caso dç non ha valore numerale e non significa l'unico dei profeti, ossia quello preannunciato da Mosè 384 , ma, come in Mc. 6,15, è sinonimo di 'tL<;, di modo che Gesù viene considerato un profeta comune 385 . Un profeta ha il dono soprannaturale di conoscere i fatti nascosti(~ n. 400). Qiiando Gesù svela alla samaritana alcuni particolari del passato di lei, agli occhi della dorina egli è Eri.; ] . Wmss, Schr. N. J. ScHMm, Dar Ev. 11acb Mk.' (1954) ad l. ; ~ CuLLMANN 33 s. 31U Cosl ~ CuLLMANN 33 s. Egli appoggia la lezione occidentale (cod. D e altri) che trnlasda wc; e ha solamente le parole Elc; 'tW\I 'F.PO<JlT)'tCJV. In questo modo Gesù non viene paragonato ad uno dci profeti, bensl identificato con lui, cioè con uno dei profeti dell'A.T., senza precisare se si tratti cli Mosè, Ei10c, Geremia o qualche altro. Gesù sarebbe cosl uno dci grandi profeti che alla fine dei tempi viene in terra nelle vesti di salvatore messianico. 381

    Cosl

    T.;

    LoHMRYER,

    ScHLATTER,

    Mk.

    e



    -

    _,

    ... -

    • -

    ---

    ------1

    un profeta (Io. 4,19). Più diffidente è Simone il fariseo: «Se costui fosse un profeta, dovrebbe sapere chi e qual donna sia» (Le. 7 ,3 9). È vero che si rivolge a Gesù con il titolo di &t&actxaÀE, sorprendente in bocca a un fariseo, ma difficilmente ha visto in Gesù il profeta escatologico che adduce In promessa èra della salvezza JU. Egli dubita che Gesù sia un profeta. Nel corso del colloquio poi Gest1 gli mostta di conoscere molto bene il passato della donna e di poter scrutare il cuote di lei e dell'interlocutore.

    3. In alcuni passi Gesù è paragonato a profeti veterotestamentari o addirittu· ra identificato con uno di loro. Le. 9,8 muta l'espressione wc; EL<; .. wv 'Itpoqn1'tW\I di Mc. 6,15 in TIPO<J>TJ't"ll<; -etc; 't'WV àpxalwv, di modo che Gesù non rientra più nella schiera dei profeti del suo tempo, ma è equiparato ai profeti dell'epoca classica. Lo stesso passaggio avviene per Mc. 8,28 nei paralleli Mt. 16,14 e Le. 9, r 9. Anche in questo caso Luca ha 'Itpo· <J>TJ'ti'J<; ne; 't'WV àpxalwv, mentre seconMa probabilmente il testo occidc:1tale non va preferito quale lectio dilficilior. 383 ~

    384

    vn, col. 791 n. n9; -+ Gu.s Cosl -+ BORNHAUSER 129.

    2 r.

    385 ~ MEYER I I.

    Cosl ScHLATTER, Komm. Lk., ad I. L:i lezione 'ltporpTJ'tTJ<; del cod. B esprimerebbe proprio questa idea. Tale lezione va però considerata secondaria, perché gli altri codd. non avrebbero certo diminuito il \•:ilore e il significato di Gesù. 386

    o

    1tpoqrirrTJ<;

    X'tÀ.

    U V 3 (G. rrJedrtCh)

    do Mt. 16,14 il popolo prende Gesù per Geremia (-> 1v, coli. 738 ss.) o per EVCI. -.wv 'ltpoq:nrrwv.

    a quella implicita nella formulazione veterotestamentaria: «Così parla Jahvé» 389 • Con essa nell'A.T. i profeti iniziano i loro discorsi; nel N .T. con l'osservazione Èl;ova-lav lxwv il popolo esprime l'impressione che riceve dai discorsi di Gesù. In ambedue i casi si enuncia un'autorizzazione che viene da Dio, per cui anche il termine Èl;ovula indica che le parole di Gesù sono profetiche m. Nella rappresentazione degli evangelisti la maledizione dell'albero di fico (Mc. rr,13 s. 20 s. par. Mt. 21,19s.) è un'azione profetico-simbolica di Gesù 391 , che in forma di segno esprime realmente il ripudio d'Israele 392• Probabilmente in origine si trattava di un racconto parabolico, ma poi la tradizione lo modificò in parabola in atto, sicché ora corrisoondc alle azioni simboliche dei profeti·veterotestamentari 393 •

    Come risulta dai passi, il raffronto tra Gesù e i profeti dell'A.T. è secondario, benché ovvio, in quanto Gesù, come prima di lui il Battista (~ col. 588), aveva ripreso l'appello dei profeti alla conversione (~ vn, coll. 1175 ss.; Mc. 1,15; Mt. 4,17; 11,20; Le. 5,32; 13,3.5) e nel combattere il formalismo cultuale giudaico si appellava a profeti quali Isaia (Mc. 7,6 par. Mt. 15, 7, cfr. Mc. 12,l par.), Osea (Mt. 9,13; 12,7), Geremia e Deutero-Isaia (Mc. 11, 17 par. Mt. 21,13 e Le. 19,46), come pure Giona (Mt. 12,41 par. Le. n,32) 387 • Gesù non spiegava la Scrittura didatticamente e pedantemente come i rabbini, ma si rivolgeva al popolo con un'immediatezza e un vigore che erano dono di Se la passione e la morte di Gesù soDio, esattamente come avevano fatto i profeti dell'A.T. (-7 III, col. 651). Perciò no viste come martirio del profeta (Le. il popolo si rendeva conto che: «Egli in- 13,33), Gesù è posto sullo stesso piano segnava loro come uno che aveva auto- del profeta perseguitato dell'A.T. (~ rità e non come i loro scribi» (Mt. 7,29; Mc. 1,22; cfr. r,27; Le. 4,32.36). Dai coli. 582 ss.). Contro questa tendenza si rabbini non lo distingueva un diverso sottolinea spesso che egli è superiore ai grado di conoscenza, ma un principio profeti veterotestamentari: «Vi è qui completamente diverso. Egli insegnava ben più di Giona» (Mt. 12,41). Gesù come uno che era stato autorizzato in non può essere agguagliato ai profeti delmodo particolare da Dio, per cui la sua era parola di Dio alla quale gli uomini 1'A.T., perché egli dà inizio alla nuova non potevano sottrarsi. Benché il ter- epoca che i profeti veterotestamentari mine H;ovula non sia applicato all'agire dei profeti veterotestamentari 388, tutta- si sono limitati a preannunziare(~ col. via nei vangeli dà corpo a un'idea affine 578). <{Molti profeti e re vollero vedere 387

    H.

    J.

    CADBURY,

    Jesus a11d the Prophets:

    The Journal of Religion 5 (1925) 607-622. 38S ~ BARRETT 96; LOHMEYER, Mk. a I,22. 389 ~ DODD 74. .RErTZENSTl!IN,

    390

    4.JZ;

    Poim. 48 n. 3;

    ZAHN,

    Lk. a

    J. Wmss, Schr. N.T. a Mc. 1,22; STRACK-

    Mt. 7,29; H. HuBER, Die Bergpredigl (1932) 164 s. m Cfr. le azioni paraboliche di Gesù,~ DoDD 77; FLEMINGTON, op. cit. (~ Il. 353) u8 s.; G .

    BrLLERDllCK a

    STAHUN, Die Gleichnisha11dlt1ngen ]esu, in Kosmos tmd Ecclesia, Festschr. fiir W. Stnhlin (1953) 9-22; J. }EREMIAS, Die Gleichnisse Jem' (1956) 192 s. 392 R. ScHNACKENBURG, Die sittliche DotschafI des N.T., Handbuch der Moraltheologie VI (19.H) 14 s.; cfr. ScHMID, op. cit. (- n. 381)

    adl. 3~3 KLOSTERMANN,

    Jrlk. , ad/.; }. SCHNIEWIND,

    Das Ev. nnch Mt., N.T. Deutsch :z• (1956) ad l.

    ciò che voi vedete e non l'hanno veduto, e udire ciò che voi udite e non l'han-

    no udito» (Le. 10,24, cfr. Mt. 13,17). Essi sperarono soltanto, non vissero il compimento (I Petr. l,IO s.). Gesù non è solo profeta, è colui che realizza la profezia. 4. Numerosi episodi e discorsi di Gesù, pur non contenendo vocaboli della famiglia di 'ltpOcp'l')'tEVE~\I, presentano aspetti specifici dell'azione di un profeta.

    a) Come i profeti dell'A.T. (~ col. B v; cfr. più tardi anche Gesù ben Anania ~ coli. 557 s.), anche Gesù ha pronunciato oracoli di salvezza e parole di minaccia 394. I vangeli presentano numerosi richiami di salvezza (per es. Le. 6,20 ss. par. Mt. 5.3 ss.; Le. ro,23 par. Mt. 13,16 s.; Mc. ro,29 s.) e minacce di Gesù (per es. Le. 6,24 s.; Mt. n,21 ss. par. Le. l0,13 ss.; Mt. 23,13-29 par. Le. n, 42-52).

    b) In alcuni passi i vangeli accennano a visioni, audizioni ed esperienze estati.rn BULTMANN, Trad. n3-r24; H. WEINEL, Biblische Theol. des N.T.' (1928) 107; ~ MEYER IJ-I6.

    Secondo HAUCK, Lk., ad l.; KtiMMEL, op. cit. <~ n. 367) 106 s.; ~ GILS 86 il passo indicherebbe un'esperienza visionaria. Altri invece intendono l'affermi12ione in senso figurato oppure come una visione spirituale, ciò che è del tutto possibile: WELLHAUSllN, Lk.; Rl!NGSTORF, op. cit. (-7 n. 355); J. ScHMrn, Das Ev. nach Lk.1 (x951) ad l.; M. GoGUEL, Pne11matis111e et eschatologie dans le chrìstia11isme primiti/: Revue dc l'Histoire des Religions r32 (1947) IH· 396 BAUER, ]oh., ad l. '391 ScHLATTER, Erl.; KLOSTBRMANN, Lk.; HAUCK, Lk., ad l .; - BARRETT 101 s.; - TAYLOR r 5; - RmsENFllLD r45; di parere diverso è invece H. v. BAER, Der bei/. ·Geist in den Lk.-Scbri/te11 (1926) 73 s. 395

    che di Gesù(~ III, coH. 342 ss.). Al suo battesimo egli vede il cielo aperto e da esso scendere lo Spirito in guisa di colomba, e ode una voce parlare dal cielo (Mc. r,ro s.). Secondo Le. ro,I8 egli vede Satana cadere dal cielo come una folgore 395 e secondo Io. 12,28 risuona una q>wvi} éx 'tOU oùpcx.vou, come nelle apocalissi giudaiche 396• In Le. 10,21 si dice che Gesù i}ycx.À.À~Ma'to 't~ 1t\IEVµ<x.'tL 'tQ à.yl
    Trad. u3; H. WINDISCH, Jetmd der Geist nacb sy11opl. Oberlie/er11ng, in S. ]. CAsn, Studies i11 early Christia11ity 399 BULTMANN, sttS

    (1928)

    :i35.

    '400 ~

    MEYER 12.104; ~ GuY 57 s.; ~ GrLS 87 s. I seguenti esempi mostrano che fa conoscenza soprannaturale è una caratteristica del

    profeta: «Come giunse da casa a uno dei discepoli dì R. Akiba la notizia 'tua figlia è giuntà in età da marito, vieni e dàlla in sposa', subito R. Akiba guardò nello spirito santo (cioè in virtù del suo dono profetico) e disse ai suoi discepoli: 'Chi ha una figlia in età da marito vada e ln dia in sposa'»: Lev. r. u (120 e) in S'I'RACK-BILLERBECK II I33 · Pseud.-Clem.,

    607 (Vl,ll-J.5J

    l'episodio della guarigione del paralitico calato attraverso il tetto Gesù vede (lòwv) Ja fede dei barellieri (Mc. 2,5; Mt. 9,2; Le. 5,20), così come conosce anche i pensieri degli scribi (Èmyvovc;: Mc. 2,8 e Le. 5,22; Elowc;: Mt. 914). È a conoscenza (ilòe~) dei disegni degli scribi e dei Farisei (Le. 6,8; Mt. 12,25 par. Le. 11,17), come pure dell'ipocrisia dei Farisei e degli Etodiani (dowi;: Mc. 12, 15; yvovc;: Mt. 22,18; xci-ca..vo{ia-a.c;: Le. 20,23). Inoltre ·sa (elowc;) che cosa pensano i suoi discepoli (Le. 9,47). Egli scruta il giovane ricco (Mc. 10,21) e Zaccheo (Le. 19,5) e conosce la situazione della vedova povera (Mc. 12,43). EgLi ha la capacità di penetrare nei più reconditi meandri dcl cuore umano (I o. 2,24 s.). cl) Gesù non solo scruta l'animo degli uomini che incontra, ma conosce anche il futuro. Soprattutto la storia della passione descrive in forma leggendaria come Gesù abbia previsto molte cose nei particolari. Per la sua superiore conoscenza predice ogni dettaglio ai discepoli: l'animale è un puledro che nessun uomo ha mai cavalcato, ed è legato (Mc. 11,2 par. Mt. 21,2 e Le. 19,30). In prehom. 2,6,1: TCpocpni:ric; of; 0:)..'I)ftdO'.c; Eu'tb ? TC6:.v-coTE n6:.vTa. El&wc;, "Tà. µtv yryov6i:a. wç lyÉVE'to, -r:ò. &È ytv6~va. Wc; ylvETo.t, -cU. Sf; ~CT6~va. wç fo"tat. hom. 3,u,2: itpcqn'J1"1')c; &I: Ò.À.T)~ç fo'TL'll O "Jtà'V'l"a 1ta'\l't01"E El&wc;, ~n 01: xat -.àc; 1t&.'111"wv lvvola.c,. hom. 3,13,r s.: otò ·ul}appT)x6-r:wç H;ETlilETO 1ttpt '\"W\I µEÀ.M'V'tW'll foi:.o-&at... "Jtpoqn'JTT)ç yàp C:.'V a'TC'tcttO''t"Ot;, à."JtElP

    &.vwv. Theo1JO't'll ELvat "TTJ'' -cwv µEÀ.À.6'\l"tW\I TCpoa.y6pt:vow, H'YEO'fta.t oÈ xat TÒ -.à. Èv TCp&.l;Et fi
    parazione alla cena pasquale sa che i discepoli incontreranno un portatore d'acqua il cui padrone possiede una sala che metterà a disposizione di Gesù (Mc. 14, 13 ss. par. Le. 22,10 ss.). Anche che uno dei suoi discepoli lo tradirà, gli è noto in anticipo (Mc. 14,18; Mt. 26,21; Le. 22,21; Io. 6,64_7os. e lJ,II.18s.), e eh~ tutti gli altri patiranno scandalo (Mc. J4,27 par. Mt. 26,31) e Pietro lo rinnegherà (Mc. 14,30 par. Mt. 26,34 e Le. 22a4). Secondo Mc. 8,31 par.; 9,31 par.; lO,J2 ss. par.; 14,27 s. par. Gesù ha parlato della sua passione, morte e risurrezione prima che tutto ciò avvenisse. Per le allusioni del tutto concrete a particolari della storia della passione le formulazioni sono certamente posteriori alla risurrezione di Gesù; tuttavia, come indica Le. 13,33, durante la sua vita Gesù deve aver previsto di morire di morte violenta a Gerusalemme (~ IX, col. 430) 491 • In Io. 14,29 egli preannuncia il suo ritorno al Padre, in Io. 16,4 le petsecuzioni. Secondo Mt. ro,23 Gesù promise che il Figlio dell'uomo sarebbe venuto prima della fine della missione a Israele 402 , secondo Mc. 9,1 par. Mt. r6,28 e Le. 9,27 che alcuni contemporanei di Gesù avrebbero visto venire 401 ~ DODD

    73;

    ~

    GtLS

    28.

    402 Il detto annuncia l'imminenza del regno di Dio e contiene quindi una previsione che non si era ancora avverata quando il vangelo fu redatto. Per questi motivi si può ritenere che fa parola sia stata pronunciata proprio da Gesù. Di questo parere sono J. WElss, Schr. N.T. e SCHNIEWIND, op. cii. (~ n. 393) ad l.; Ki.iMMllL, op. cit. (~Il. 367) 56 s.; J. }llRI!MlAS, }eSII Vcrheimmg fiir die Volker (r956) 17 s.; di opinione diversa sono invece W. BoussET, Kyrios Christos2 (19:zi) ro n. 3; BuLTMANN, Trad. r29; E. GRXsSI!R, Das Problem der Parusicverzogerung in den synopt. Ev. und in der Apostelgeschichle, Beih.ZNW 22 (1957) I38; PH. VIELHAUER, Gottesreich u11d Mcnschensohn in der V crkiindigung ]es11, in Festschrift fiir G. Dehn (r957) 58-6r.

    con potenza il regno di Dio 4i13 _ Anche se molti logia apocalittici non risalgono a Gesù, egli ha sicuramente parlato del futuro regno di Dio. Non è lecito rifiutare quali vaticinio ex eventu tutte le parole di Gesù riguardanti avvenimenti futuri, soprattutto se gli avvenimenti si sono svolti in modo diverso da quello predetto. Mc. I3 contiene elementi di tradizione desunti dall'apocalittica tardo-giudaica, parole di Gesù ed interpolazioni della comunità che rispecchiano esperienze d'un'età seriore. Tuttavia la predizione della distruzione del tempio (Mc. I3,2), che ricalca lo stile della veterotestamentaria profezia di sventura, è certamente anteriore ai fatti (~ IV, coll. 804 s.) <11». Anche la frase di Gesù sulla sorte dei figli di Zebedeo (Mc. I0,39) è un'antica profezia. Poiché probabilmente Giovanni non ha subìto il martirio, in Mt. 20, 22 la profezia di Gesù è corretta dall'omissione della frase riguardante il battesimo di sangue 405 . Questi esempi indicaSi tratta probabilmente di un orncolo di consolazione e di esortazione alla vigilanza della prima profezia cristiana al tempo in cui l'attesa escatologica perdeva d'intensità; tale O· racolo fu poi inserito nel discorso di Gesù. Per questo passo che tanto ha impegnato la critica dr., oltre ai commentari ad l., BULTMANN, Trad. 128;-+ Ono ux; W. MrcHAl!US, Der 40.l

    Hcrr vertieht nicht die Verheissung der Parusie, in In Tllemoriam E. Lohmeyer (1951) n8; R. MoRGENTHALER, Kommendes Reich (1952) 52 s.; KiiMMEL, op. cit. (~ n. 367) 19-22; W. MtCHAELIS, Kennen die Synopt. ei11e Verzogerung der Pamsie?, in SynopJ. St11dien, Wikenhauser-Festschr. (1953) n6; E. PERCY, Die Botschaft Jesu, Lunds Universitets Arsskrift, N.F. 49,5 (1953) l77i H. CoNZELMANN, Die Mille der Zcit, Beitriige zur hlstorischen Theol. 1?2 (1957) 88 s.; W. MARXSEN, Der Evangelist Mk., FRL 67 (1956) 140 n. l; GRXsSl!R, op. cii. (-+ n, 402) 133 s. Prescindendo dai commentari ad l., dr. la discussione del passo in MEYER, Urspr. I 125 n. 1; ~ Dono 76; ]. ]EREMIAS, Jesus als Weltvol/e11der, BFTh 33,4 (1930) 39 s.; M. GoGUEL, Dfls Leben ]est1 (1932) 263 s.; G. H6L404

    ~

    1ra1:1Je Jirul.:o :1.i

    no che gli evangelisti erano fermamente convinti della prescienza di Gesù, il quale in effetti deve aver preannunciato alcuni fatti con chiaroveggenza profetica. 5. In alcuni passi del N.T. Gesù viene chiaramente considerato il promesso profeta del tempo finale(~ coli. 56I SS.).

    a) Nei loro discorsi Pietw (Act. 3,22) e Stefano (Act. 7,37) applicano a Gesù Deut. I8,r5 (~ vn, coll. 817 ss.) 406 • Anche Io. 7AO e Io. 6,14 presuppongono l'attesa del profeta simile a Mosè. Dopo la moltiplicazione dei pani la gente dice: où'toç É
    1tpocp'l)'t1Jç o ÈpxoµEvoç E.lç -tòv xéxrµov, «questi è veramente il profeta che deve venire nel mondo» (Io. 6,r4), perché ciò che ha1lllo vissuto ricorda loro il miracolo della manna {~ VII, col. 80 2) 407 . In SCHER, Der Urspr1111g der Apokfllypse Mk. IJ : ThBl 12 (1933) 192 s.; ""' OTTO 290; F. Busc11, Zt1111 Versta11d11is der synopt. Eschatologie; Mk. IJ 11eu 1111tersucht, NT.liche Forsch:rngen rv i (1938) 69; M. MEINERTZ, Theol. des N.T. I (1950) 58 s.; O . CULLMANN, Petms (1952) 222 s.; G. HARDl!R, Das eschfltologische Geschichtsbild der sog. kleine11 Apk. Mk. I3: Theologia viatorurn 4 (1952) 72; KUMMEL, op. cit. (-7 n. 367) 92-97; G. R. BEASLEY-MURRAY, Jesus and the Ft1tt1re (1954) 40; MARXSEN, op.

    CÌJ. ( - n . 403) II5 . 405 ~Dovo 77; ~OTTO 291;

    J. ScHNIEWINu,

    Dfls Ev. nach Mk., N.T. Deutsch 1' (1958) ad I. STAERK 63 s.; ~ MEYER ScHOEPS 89; C. Ct·IAVASSE, Jesus

    406 -

    24 s.; ~

    Cbrist fltld

    Moses: Theology 54 (1951) 289; E. L. ALLEN, ]es11s and l\foscs in the N.T.: ExpT 67 (1955/ 56) 104; HAENCHF.N, Ag., (/d l. -401 JoH. ]EREMIAS, Das Ev. nach Job . (1931) ad l.; -+ MEYER 26; ~ DAVIES 244; ~ RIE· SENFELD 143; ~ TAYLOR 16; ~ CULLMANN 35; H. STRATHMANN, Dav Ev. nach Joh., N.T.

    Deutsch 4' (1955) a
    1tpoqJ'i)'t'lJ<; x-rA.. 1J

    Io. 7.40 il popolo dice : oì.i't'6ç EO"'tW &.o1tpocp1)'t'r)c;, perché si attendeva che il profeta simile a Mosè ripetesse il miracolo dell'acqua della roccia in Horeb. In lo. 7,52 probabilmente si deve leggere ò 1tpocp1rn1c;, per cui risulta che s'è contestata l'origine galilaica del profeta escatologico 408 • Pare che anche i sinottici vedano in Gesù il profeta escatologico; in questo senso va probabilmente intesa l'osservazione di Mc. 6,14, secondo cui Gesù è il Battista risorto (~ col. 593). All'ingresso di Gesù in Gerusalemme il popolo proclama: oì.i-.6ç È· Cf'tLV ò 1tpocp1)'t1]ç 'l1J (Mt. 21,u) non nel senso che loritenga il noto profeta di Nazaret, ma, dato il carattere messianico dell'intero episodio - il popolo lo acclama Figlio di David e colui che viene nel nome del Signore (v. 9) -, perché pensa al profeta escatologico: «Questi è il profeta, Gesù di Nazaret» 409 • Luca non usa l'espressione ò 1tpocp1)'t1]c;, perché essa non direbbe nulla ai suoi lettori. I discepoli di Emmaus definiscono Gesù &.vi}p 1tpoqi1J't'r)c; (Le. 24,19). Anche dopo che la morte ha rapito Gesù, egli rimane per loro una grande personalità profetica. Essi À T)i>wc;

    408 Per Io. 740 cfr. ~ STAERK 66; SCHLATTER, Eri., ad I. e ScttLATTJ!R, Job. a 7,38; J. }l!REMIAS, Golgotha (1926) 83; BuLTMANN, ]oh., ad J. Per Io. 7,52 dr. E. R. SMOTHBRS, Two Readiflgs in Papyrus Bodmer II: HThR 51 (1958) 109-111. Non essendo vero che in Ga1ilea non sorga alcun profeta (il profeta Giona di 2 Reg. 14,25 è infatti galileo e secondo la tradizione rabbinica [dr. STRACK-BILLERBECK ad l.] da ogni tribù d'Israele deve essere uscito un profeta), è stato proposto di emendare il

    v 5a-b ( ~. 1•nearicn1

    tuttavia avevano sperato che egli sarebbe stato ben di più: infatti come Mosè (Aet. 7,22 ~ II, col. 1513) anch'egli si era mostrato potente in parole e opere. Perciò essi avevano sperato che egli avrebbe liberato Israele (Le. 24,2r) come Mosè era stato inviato per liberare il suo popolo (Act. 7,35) 410 • Anche Le. 7,r6 tratta probabilmente del profeta messianico. Ancora una volta Gesù non è detto ò '1tpoq>1)'t"f]c; ma è elevato al di sopra della schiera degli altri profeti, come dimostra l'aggettivo µÉyac;. Nella risurrezione del figlio della vedova di Nain l'impressione della folla è che si abbia un evento escatologico, come prova l'ossel'vazione riguardante la visita divina (~ n. 357) che avviene alla fine dei tempi (Le. 1,68.78) 411 • Le due frasi lhi 1tpoqi1Ji:"fJc; µÉyac; 1}yÉpi>T) Èv i}µ~v, «un grande profeta è sorto in mezzo a noi», e Eòc; 'tÒV À.aòv CX.U't'OU, «Dio ha visitato il suo popolo» (Le. 7, 16) si integrano vicendevolmente. b) Molti episodi rispecchiano la convinzione che Gesù è il profeta promesso in Deut. 18,15, anche senza che si usi il vocabolo ò 1tpoq>1Jn1c;. testo e leggere ò 1tPO
    ]oh. e

    op. cit. (~ n . 355) a Le. 7,16; diversamente interpreta~ CuLLMANN 29.

    411 RENGSTORF,

    613

    (VI,H41SJ

    \ .... JV'fV/ V A"f

    In modo particolare in Mt. la storia di Gesù è chiaramente in parallelo coi racconti riguardanti Mosè 412 • L'annuncio della nascita da parte di astrologi, la strage degli innocenti e il salvataggio del bambino grazie all'avvertimento dato in sogno al padre (Mt. 2,2-16) ricalcano la leggenda giudaica sull'infanzia di Mosè (~VII, coli. 822ss.). Il ritorno in Egitto di Mosè fuggiasco (Ex. 4,19) e il ritorno di Gesù in Palestina (Mt. 2,20) sono descritti con le stesse parole. Come Mosè in Ex. 34,28 e Deut. 9,9.18 si trattenne 40 giorni e 40 notti sul monte di Dio senza prendere cibo, anche Gesù digiuna per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto (Mt. 4,2) 413 • Mosè ricevette i comandamenti di Dio sul monte Sinai, Gesù dal monte annuncia la volontà di Dio (Mt. 5,1 ss.). Quando i Farisei chiedono a Gesù un segno, vogliono avere il mil'acolo messianico di autenticazione (~ col. 562), che comprovi che egli è il profeta escatologico (Mc. 8,u par. Mt. 12,38 e Le. u,16) 414 • E questi miracoli avvengono realmente, ma in modo diverso da come i Giudei s'attendevano. Quando, alla domanda del Battista, Gesù risponde che i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono e i morti risorgono (Mt.

    11 ,5), con ciò fa comprendere di essere il profeta messianico che porta la condizione paradisiaca dell'epoca del deserto. Infatti, secondo i rabbini, fino all'adorazione del vitello d'oro nel deserto nessuno soffriva di flusso, non c'erano lebbrosi, storpi, muti, ciechi, sordi, ottusi; persino la morte era sconfitta 415 • Forse anche la citazione di Deut. 18,15 nell'episodio della trasfigurazione (Mc. 9,7 par. Mt. 17,5 e Le. 9,35) allude al promesso profeta identico a Mosè 416 • Quando il N.T. descrive Gesù quale secondo Mosè, di solito lo fa in una certa forma tipologica antitetica; ad es. nel discorso dei pani di Io. 6,32 ss. ed anche in Mt. 5. I vi Gesù non è il legislatore che inculca agli uomini il 'dovere', ma il profeta messianico che porta la legge al compimento escatologico, di modo che l'uomo la può osservare (Mt. 5,17). La potestà e l'autorità del profeta escatologico si manifestano nella frase «ma io dico a voi», che si contrappone al «tu devi» di Mosè (Mt. 5,22.28.32.34.39. 44). In quanto profeta, Gesù non è so· lo un portavoce di Dio che deve introdurre il suo annuncio con le parole «oracolo di Jahvé», ma col suo ~yw oè Myw ùµ~v si colloca direttamente accanto a Dio(~ II, col. u47; III, coli. 55 s.) 417 •

    P. DABl!CK, Siehe, es erschienen Moses und Elios: Biblica 23 (1942) I76.

    417 Non si tratta qui cli una formula rabbinica corrente, come suggeriscono J. AnRAHAMS, Studies in Pharisaism and the Gospels I (1917) 16 s.; M. SMITH, 1'a1111aitic Parallels to the Gospels (1951) 27-30, bensl di qualcosa ùi più: dr. W. G. KOMMEL, Jesus tmd der jiidische Traditionsgedanke: ZNW 33 (1934) I26 n. 77; PERCY, op. cit. (-7 n. 403) x24 n. 3; R . SCHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des N.T. (1954) 37. Cfr. inoltre~ Guy 53 e l(A. SEMANN, op. cit. (-+ n. 373) 144 s., che interpreta queste parole alla luce della messianità di Gesù, mentre H. BRAUN, Spiitjiidisch·hiiretischer tmd f riihchr. Radikalismus 11. Die Sy. noptiker, Beitrage zur historischen Theol. 24 (1957) 5 e 9 ritiene le parole Éyw oè Hyw ùµ~v opera secondaria di Matteo e non trova nell'inasprimento del comandamento nessuna

    412

    413 Cfr. ScHLATTER, Komm. Mt., ad/.; ~ BORNHAUSER 30. 414 ~ MEYER 121 s. e SCHLATTl!R, Komm. Mt.,

    (I(//. 415 Lev. r . 18 {n8a), cfr. STRACK·BJLLERilECK r 595 s.; -7 MEYER :i7 s.; FRll!DRICH, op. cit. (-7 n. 332) 278; dr. Pseud.-Clem., recogn. 5,10: Rie ergo est vertts propheta ... q11i stans publice sola i11ssio11e faciebat coecos videre, mrdos a11dire, fugabat daemo11es, aegris sanitatem redde· bat et mortuis vitam. 4 16 KLOSTERMANN, Mk.; LoHMEYBR, Mk., ad /.; ScHNIEWIND, Mk., op. cit. (--) n. 405) ad I.; RENGSTORF, Lk., op. cit. (-7 n. 355) ad l.; ~ GOPPELT 73; H. RrnsBNFELD;Jésus transfiguré ( 1947) 270; FRIEDRICH, op. cit. (-+ n . 332) 309.

    'itpoqn')'n]I; Y.'TÀ. D v 5b·d (G. l'riedrich)

    Al discorso del monte seguono in Mt. B9 dieci miracoli di Gesù, come Mosè in Egitto (~ E II) ha compiuto ro miracoli (Ab. 5,4), ma anche in questo caso si sottolinea la differenza fra Mosè e Gesù. Mentre i prodigi di Mosè erano castighi che causavano malattie e morte per gli uomini, le opere del profeta escatologico sono miracoli di salvezza che instaurano quella condizione escatologica in cui non vi sono più né malattie né afflizioni . c) Nel giudaismo i singoli titoli e le singole funzioni messianiche non si possono distinguere nettamente gli uni dagli altri e non è possibile tratteggiare con esattezza l'immagine del profeta escatologico(~ col. 559) 418 , perché nell'attesa escatologica vengono a confluire vari tipi di speranza. Altrettanto accade nel N.T., in cui i diversi modi di considerare Gesù si sovrappongono 419 • Per Io. 6,14 s. e Mt. 21,9-II (~col. 6n) Gesì1 è Messia regale e profetico insieme. Anche i discepoli di Emmaus attendono nel profeta il liberatore politico (Le. 24,19 [ ~ col. 612]). Pietro nel tempio parla sia del Cristo sia del profeta (Act. 3,1822) 420 , e in Mt. 24,24 ljlw06xpLCT'tOL e 4'euoo7tpoq>fj't'IJ.L sono menzionati insieme. Nel N.T. il motivo del profeta è intimamente unito ad altre attese messianiche. d) Che Gesù non sia mai designato esplicitamente come profeta escatologico non dimostra che egli non si sia considerato il profeta 421 , ma è tipico del suo traccia, neanche latente, di una qualsivoglia pretesa messianica di colui che pronuncia quella sentenza. Tuttavia bisogna osservare che in Mt. 5 abbiamo qualcosa di più del semplice inasprimento della legge che troviamo presso i teologi di Qumran. Il rifiuto del giuramento (Ml. 5>33 ss.) e della legge del taglione (Ml. 5,38 ss.), l'amore per il nemico (Ml. 5A3 ss.), stanno in diretto contrasto con la torà; dr. PERCY,

    op. cit.

    (ry n .

    403) 163 s .

    l Vl,ll49J blb

    modo normale di predicare senza svelare il mistero messianico . Egli non si è mai definito direttamente l'apocalittico Figlio dell'uomo né ha mai rivendicato per sé alcun altro titolo messianico. Ma ha parlato e agito da profeta. Vari sono stati i motivi che hanno poi indotto la comunità primitiva a non dare alla figura di Gesù un aspetto più tipicamente profetico. In Paolo Gesù non è mai presentato come un profeta per motivi polemici, perché si trattava di un titolo usato dai giudeocristiani (~ E u), che erano legati alla legge e vedevano in Gesù il secondo Mosè m. Inoltre per i primi cristiani il titolo di profeta era inadeguato alla singolarità e diversità di Gesù, poiché esistevano anche profeti pagani, giudei e protocristiani 423 • La grandezza e la dignità di Gesù erano meglio espresse da titoli quali Figlio dell'uomo, Kyrios, Cristo e Figlio di Dio, e l'evento della croce era illustrato dalla figura del Servo di Dio meglio che dal rinvio al profeta perseguitato (~ col. 5 8 3 ). Può essere che in origine la tradizione circa Gesù quale profeta fosse senz'altro più ricca, poiché è più probabile che le espressioni che lo presentavano come profeta si siano poi tramandate nei titoli di Figlio di Dio, Figlio dell'uomo e Messia, che non che il titolo di profeta gli sia stato attribuito in un secondo momento 424 • E come i titoli di rabbie maestro sono stati abbandonati dall'uso, cosl può essere che ben presto la concezione di Gesù come profeta sia divenuta secondaria. 418

    -1>

    VAN DER WOUDE

    419 FRrnDRICH,

    83.248 S.

    op. cii. (-1> n . 332) 305-311.

    420 -I> MEYER 109.

    421 -I> CULLMANN 35. 422 CHAVASSE,

    op. cii. (-!> n. 406)

    m --> DAvIEs 254;--> TAYLOR 4?4 -I> FASCHER

    178.

    17.

    290.

    VI . Profeti della comunità l.

    Natura del profetismo protocristiano

    La profezia protocristiana è il discorso ispirato del predicatore carismatico, mediante cui si rende noto il piano salvifico di Dio nei confronti del mondo e della comunità, oltre che la volontà di Dio per la vita del singolo cristiano. Il profeta ha qualche conoscenza dei misteri di Dio (I Cor. x3,2 ( ~ IV, col. 829] ), a lui è nota la volontà salvifica di Dio verso i pagani (Eph. 3,5 s.). Secondo Apoc. 22,6 s. uno dei suoi compiti precipui è di annunciare gli imminenti avvenimenti escatologici. Ma egli conosce anche altre cose del futuro. Per es. Agabo preannuncia la grande carestia che sta per abbattersi sul mondo (Act. u ,28) 425 e a Paolo predice la sorte che Io attende a Gerusalemme (Act. 21,10 s.). Ma il profetismo protocristiano non consiste solo nel rivelare avvenimenti imminenti, né si esaurisce nel tener desta l'attesa della parusia nella comunità: il profeta prende posizione anche a proposito di problemi molto concreti del presente (~ col. 634). Non solo dice ciò che Dio si propone di fare, ma annuncia anche ciò che Dio vuole che l'uomo faccia. È una parnla profetica quella che destina Barnaba e Paolo alla missione (Act. 13,1 ss.) e affida a Timoteo il ministero (r Tim. l,18; 4,14) . Il profeta Probabilmente con :>.tµ6., originariamente non s'intende una carestia comune, bensl uno dei terrori escatologici che colpiscono la terra (Mc. 13,8 par. Mt. 24,7 e""Lc. 21,u; Apoc. 6,

    425

    esorta gli indolenti e gli stanchi, consola e incoraggia (I Cor. 14,3; Act. l;>,32) i provati (--? rx, coli. 740 ss.). La sua predicazione d.iscopre la malvagità nascosta degli uomini (I Cor. 14,25). Poiché parla nella certezza di possedere un'autorità concessagli direttamente da Dio, pur essendo esposto alla critica(~ col. 636) dà norme autoritative. 2 .

    Confronto con i profeti dell'A.T.

    I profeti cristiani hanno molti aspetti in comune con quelli dell'A.T., per cui giustamente portano lo stesso nome. In Act. 2,17 si dice che nel parlare degli apostoli il giorno di Pentecoste si realizza la promessa dell'A.T. che nel tempo finale gli uomini avrebbero profetizzato. Per preannunciare la cattura di Paolo, Agabo ricorre a un'azione simbolica alla stregua dei profeti veterotestamentari (~ col. 524). Egli introduce il suo oracolo secondo lo stile dei profeti dell'A.T. (--+col. B 5 ), solo che in luogo di Jahvé è subentrato lo Spirito santo: 't'&.Oe 'MYEL 't'Ò mevµa -çÒ &yto\l (Aci. 21,10 s.). A prescindere da Act., è soprattutto l'Apocalisse("' coli. 620 s.) a mostrar la somiglianza dei profeti cristiani con quelli dell'A.T. La visione della chiamata profetica di Apoc. r,9 ss. ricorda le visioni vocazionali dei profeti veterotestamentari: Is. 6,r ss.; Ez. l,l ss. Il veggente deve mangiare il libro (Apoc. lo,8-n) come inEz. (2,8-3,3), e con un'azione simbolica deve misurare il tempio di Dio con una canna (Apoc. n,1) . Ma la profezia cristiana ha anche trat-

    ti peculiari che la distinguono da quella 6). Luca ha privato la profezia escatologica di Agabo di tale sua dimensione e l'ha storicizzata.

    \Yl.)UJJ./ V..C..V

    veterotestamentaria e giudaica. A pre- T. il profetismo cristiano per certi versi scindere da alcuni gruppi di profeti men- ha avuto un ampliamento, mentre per zionati dai libri storici veterotestamen- altri risulta più ristretto. L'allargamento tari (--? B III l), nell'A.T. e nel giu- della base delle forze profetiche non daismo solo alcuni individui sono chia- comporta un affievolimento della conomati ad essere profeti. È vero che anche scenza profetica; i profeti neotestamennel N .T. si mettono in particolare evi- tari rivelano alla comunità cose celate a denza alcune figure di profeti, per es. tutte le generazioni precedenti (Eph. 3, Agabo (Act. 11,27 e 21,ros.), Barnaba 5). D'altro canto il profeta cristiano non e Sila (Act. 15,32),le quattrofigliediFi- possiede un'autorità illimitata come il lippo (Act. 21,9). Anche nella comunità profeta giudaico. Poiché, a differenza di di Antiochia si menzionano per nome quanto avviene nella comunità cristiana, diversi profeti (Act. 13,1) 4.1.6. Secondo nel giudaismo solo il ptofeta possiede lo Rom. 12,6; r Cor. 12,ro.28 s.; Eph. 2, Spirito, egli ha un'autorità maggiore su20; 3,5; 4,11; Apoc. 10,7; n,18; 16,6; gli uomini, che in parte lo seguono cie18,20.24; 22,9, i profeti sono uomini camente (-4 col. 562). Anche il profeta particolarmente dotati che hanno la cristiano annuncia con autorità la volonmansione di dirigenti nella comunità(~ tà di Dio(~ col. 617), ma non è signore col. 62 r ). Fondamentalmente però nel assoluto sugli altri, bensl è a sua volta protocristianesimo la profezia non è sta- soggetto al giudizio (~ col. 636). Egli ta limitata a pochi individui, uomini e non è al di sopra della comunità, ma, edonne. Secondo Act. 2,4 e 4,31 tutti so- sattamente come gli altri, è un membro no ricolmi di spirito profetico, e secon- della comunità 428 • Sotto questo profilo la figura che più do Act. 2,16 ss. il segno dell'età del compimento è che lo Spirito non afferra que- è vicina al profetismo giudaico è il prosto o quell'individuo, ma che tutti i com- feta dell'Apocalisse di Giovanni(~ col. ponenti della comunità escatologica, sen- 630). Non si prende nemmeno in consiza alcuna distinzione, sono chiamati alla derazione la possibilità di sottoporre a profezia. A Corinto evidentemente vi e- prova la veridicità delle sue affermazioni rano moltissimi profeti, giacché il nume- (-4 col. 636), perché sono state legittiro di coloro che prendono la parola nel- mate come degne di fiducia e veraci dalla !'assemblea cultuale deve essere limitato suprema istanza, da Dio stesso (Apoc. a due o tre individui (r Cor. 14,29). Ciò 21,5; 22,6). Il veggente si attribuisce nonostante Paolo invita i Corinzi ad am- un'autorità (~col. 622) che può essere bire il carisma della profezia (r Cor. 14, paragonata solo a quella degli apostoli. r.5.12.39). Essa non è un dono tiserva- Il suo annuncio è parola di Dio e testito a pochi detti, ma può essere comu- monianza di Gesù Cristo (Apoc. 1,2; r9, nicata a chiunque, anche se in pratica ri- 9). Perciò ha un ruolo determinante: mase naturalmente limitata a un gruppo µ~xap~oc; ò ocv~ywwcrxwv x~t o/. ocxovabbastanza fisso 427 • OV'té:c; -.oùc; À6youc; 'tfjc; 7tpoqrrrrEl~ X('X.L 'tlJPOU\J'tEç 'tà

    tv ('LÙ'tij yEyp('LµµÉwi,

    Rispetto all'attività profetica dell'A.

    «beato chi legge e coloro che ascoltano

    Secondo H. J. HoLTZMANN, Die Ag., Handcommcntar :rum N.T. 11 (1892) ad l. e HARNACK, Miss. 349 n. 2 l'uso delle particelle indicherebbe Barnaba, Simone e Lucio quali profeti, Manahen e Saulo quali dottori. 427 ...+ GREEVEN" 4-8; dr. Num. r. 15 (r8oc):

    «In questo mondo solo alcuni individui hanno divinato, ma nel mondo futuro tutti gl'Israeliti saranno profeth> (STRACK-BILLERBECK II 134). 428 Scm,ATTER, Gescb. erst. Chr. 25 e ScHLATTllR, Komm. Ml. a 7,16.

    426

    le parole della profezia e osservano ciò che in essa sta scritto» (Apoc. 1,3, dr. 22,7). Non è lecito criticarne la parola. Accettazione, falsificazione o rifiuto determinano il destino ultimo dell'uomo. Il libro si conclude con queste parole: Map't'upw Éyw 7tav·d ... <;> ocxouov-.t -coùc; Myovc; 't'fjç npoq>l]'t'Elac; -rov (3t(3'X.lou -.ou-.ou· M.v ·ne; ~milii È7t'ocù-.oc, €.mihicri::i b ikòc; €.7t' ocu-.bv -.&.e; 1tÀ.'rryàc; -.&.ç yi::ypa.µµÉvcxc; Èv -tci'.J {3i{3'X.lctl 't'OU"t'C(l' xoct Mv "t'L<; aq>ÉÀ.l) li1tò -.wv À.6ywv 'TOU B•(3À.lou Tijc; 1tpO<j>'l')"t'Elocc; -.a.un1c;, ciq>EÀ.Et ò ~Eòc:; -tò µépoc; a.1J-.ou <Ì1tò -rov l;uÀ.ou -.fjc:; swiic; xcxt tx -.fjç. 1t6À.ewc; -.i]c; aylac,, -cwv yEypa.µµÉvwv iv -.~ {3iBÀ.l~ -cou-cl{J, «attesto a chiunque ascolt?- le parole della profezia di questo libro: se qualcuno dovesse aggiungervi qualcosa, Dio gli infliggerà le piaghe scritte in questo libro; e se qualcuno toglierà qualcosa alle parole del libro di questa profezia, Dio toglierà la sua parte dall'albero della vita e dalla città santa descritti in questo libro» (Apoc. 22,18 s.). 3. Il massimo carisma

    Paolo dà alla profezia la precedenza su tutti gli altri carismi (r Cor. 14,1). I profeti vengono ripetutamente menzionati subito dopo gli apostoli (r Cor. 12, 28s.; Eph. 2,20; 3,5; 4,11 e Apoc.18, 20), mentre evangelisti, pastori e dottori vengono dopo i profeti (Eph. 4,n; Act. 13,1; Rom. 12.6 ss.; r Cor. 12,28 s.). Dei profeti Barnaba e Sila si dice esplicitamente che avevano un ruolo di guida nella comunità di Gerusalemme (Act. i5,22.32). Secondo Eph. 2,20 i profeti insieme con gli apostoli costituiscono il fondamento della chiesa (-Hr,col.737). 429

    BoussET, Apok. 138.

    Un ruolo primario hanno i profeti nel['Apocalisse (~ coll. 620 s. 132 s.) 429 • In Apoc. 11,18; I6,6 e 18,24 (~ I, col. 296) sono distinti dai comuni componenti della comunità e costituiscono un gruppo particolare nella moltitudine dei 'santi'. Il profeta ha un rapporto molto più diretto con Dio, con Cristo e con gli angeli di quanto non abbiano gli altri. Verso Dio si trova quasi sullo stesso piano dell'angelo, che è conservo col profeta, per cui il veggente non si deve inchinare all'angelo (Apoc. 22,9). Profezia è rivelazione e testimonianza di Gesìt Cristo, è parola di Dio (Apoc. 1,1 s. ~ n, coli. 811 s.; VI, coll. 1349 ss.). Gli Atti potrebbero lasciare l'impressione (cfr. anche Mt. I0,41) che i profeti fossero predicatori itineranti. Barnaba e Sile operano a Gerusalemme (Act. 15,22) e ad Antiochia (Act. 15, 32). Agabo si trova in un primo momento a Gerusalemme, poi ad Antiochia (Act. 11,27 s.) e fofine a Cesarea (Act. 21,rn). Tuttavia queste osservazioni non si possono generalizzare. Da Rom. 12,6; r Cor. 12,10.28; 14,1 ss.; Eph. 4,11 si può dedurre che originariamente in ogni comunità vi fossero fratelli dotati di carisma profetico. Benché nelle comunità protocristiane la profezia godesse tanto prestigio e lo stesso Paolo la stimasse molto, essa rimane qualcosa di inadeguato e provvisorio (rCor. 13,8 s . 12). Nella condizione finale la comunità può fare a meno della profezia, perché non ha più bisogno della rivelazione parziale, della con-

    623 ln .85r ·

    7tpoq>1}"t"T)ç x'TÀ.

    DVI 3-,~

    solazione e dell'esortazione.

    (G. Fricdrichl

    dell'io umano con quello divino e d~ insania profetica. Termini come µav·nc; (~ A n re), XPT)O"µoMyoc;, µa.lvoµcx.L (~ v1, col. 973), Èvi}ovcrLrurµoc; non sono mai usati a proposito dei profeti protocristiani 430 • Ciò non esclude che anche presso i profeti neotestamentari si siano avuti fenomeni di eccitazione estatica, come si può dedurre dai racconti degli Atti, quando vi si narra che i credenti furono ripieni dello Spirito (Act. 2>4.I7; 4,31; ro,44 ss.; u,15; 19,6). Ivi la profezia presenta fenomeni affini, come la glossolalia (~ coli. 626 ss.). Anche la profezia dell'apocalittico Giovanni presenta tratti estatici. In Apoc. r,ro e 4,2 il suo rapimento estatico, durante il quale ode e vede realtà sovrasensibili, è annunciato con le parole: ÈyEvoµl]V Èv 1tV~uµa'tLeinApoc. I7,3 e21,10: &.mivqxÉv µE Èv 1tVEvµcx:n. Le sue numerose visioni e audizioni fanno di lui più un veggente apocalittico che un profeta protocristiano(~ coli. 630 s.).

    Paolo non si definisce mai profeta, ma sempre apostolo; tuttavia sostiene di parlare alla comunità profeticamente (I Cor. 14,6). Ciò avviene quando le comunica i misteri di Dio, la esorta e la consola . In Rom. 11,25 ss. rivela alla comunità che dopo la conversione dei pagani anche i Giudei, per il momento ancora impenitenti, giungeranno alla salvezza; in I Cor. r5,51 ss. annuncia la trasformazione dei cristiani nel momento della parusia e nei vv. 2 3 ss. rende noti gli e\'enti della risurrezione e del compimento (cfr. I Thess. 4,13 ss .). Secondo gli Atti egli predice avvenimenti ben concreti e precisi del futuro. Agli anziani di Efeso comunica che su di lui incombono sofferenze (Act. 20,22 s.) e che maestri d'errore de\·asteranno la comunità (Act. 20,29 s.). Nella tempesta scoppiata durante la na\·igazione verso Roma, Paolo predice che nessuno dell'equipaggio sarebbe perito (Act. 27,22 ss.). Le sue letDiversa è la descrizione del profeta tere sono paradesi (Rom. 12,1 ss.; I Cor. i,10 ss.; 2 Cor. 10,1 ss .; r Thess. 4, fatta da Paolo. Anch'egli riceve rivela1 ss.), contengono esortazioni e conforzioni (~col!. 629s.); ma le sue caratterito, sono annuncio profetico per l'edificastiche non sono visioni e audizioni che zione della comunità. lo estraniano dal mondo, bensl la parola di Dio a lui comunicata per l'annuncio. 4. Estasi e profezia Non sempre è possibile tracciare una Il profeta delle comunità paoline non è netta distinzione tra estasi, ispirazione un veggente, ma un individuo che riceve derivante dal possesso deUo Spirito e ri- e annuncia la parola. Non è una perso· velazione profetica(~ nr, coll. 326 ss.). Nel N.T. non compaiono i fenomeni di na posseduta dalla divinità, non più paperdita della coscienza, di identificazione drona dei suoi sensi, che deve fare ciò 430 TRENCH 10s. ; ~FASCHER r66s. ;~ BAcHT:

    Scholastik 8 s.; ~ BACHT: Biblica :z53 s . Nei LXX il gruppo terminologico µa\l"t"EVOJ.J.GU è riservato quasi esclusivamente agl'indovini pagani ed ai falsi profeti (con l'eccezione di Prov. r6,xo: µa\1-tEto\I È7tl XElÀ.E
    61 [ r862) 241): -toiho yà,p µ!i\l"tEWc; rnLo\I, "t"Ò t~ECf"tT)XÉ\ltl.L, "tÒ &.wi.yx'J}V tinoµ~'JEL\I, "tÒ wi>Ei'.crfraL, "t"Ò ~À.XECTDm, "tÒ uUpEai>tl.L 1 ill..À.à µe:-tà lÌLa.\lolac; V1JrpovE\I Y\IWPLsE "t"Ò\I µ&.\l"t"LV xa.t "tÒ\I 1tPO!pTJ'tT]\I.

    \. A,- _,_,, -- -

    che comanda la potenza che in lei inabita. Perdita di coscienza o delirio gli sono estranei. Il profeta protocristiano è un uomo perfettamente cosciente. Quando parla può interrompersi non appena viene comunicata una rivelazione a un altro, e se nell'assemblea hanno parlato due o tre profeti, gli altri possono tacere, anche se hanno ricevuto qualche rivelazione (I Cor. 14,29 ss.). Essi non possono influire sulla rivelazione, la quale viene da Dio senza il loro concorso. L'annuncio di quanto è stato loro rivelato dipende invece dalla loro volontà, per cui non occorre che avvenga immediatamente. La rivelazione non causa una frattura della personalità che faccia dell'uomo uno strumento privo cli volontà (---? col. 550); la persona del profeta rimane intatta benché tutto l'uomo con la sua ragione e la sua volontà stia sotto l'azione dello Spirito 431 • Forse è questo che si vuol dire quando, con una formulazione oscura, si prescrive che la profezia avvenga xcx'ttX. 't'Ì)\/ /lvcxÀoylcxv 't'i}ç 7tLCT'tEWc; (Rom. 12,6) (-H,col. 938). Con ciò si indica il limite e l'ampiezza della responsabilità personale del profeta. Paolo prende posizione contro pneumatici entusiastici, che abbandonano lo spassionato terreno della fede. Dio compartisce la misura della fede (v. 3), egli concede il carisma (v. 6). Quando Paolo parla dell'analogia della fede, per 7tlu·nc; intende la xaptc; vissuta. Dio elargisce

    431 ScHLATTBR,

    Gesch. crst. Cbr. 25 s.

    il dono e l'uomo deve usare in modo responsabile il carisma ricevuto.

    5. Glossolalia e profezia Profezia e glossolalia hanno molti elementi in comune, poiché entrambi sono in modo particolare effetti dello Spirito. Negli Atti lo stretto rapporto è evidente: È7tÀ.lJCT1ÌT]CTCX\/ 1ta\l'tEc; 'lt\IEVµct'tOc; &.ylou, xcxt 'ijp~CXV't'O À.a.À.t:i:v È't'Épa.tc; y Àwcrcrmc; xcxlJwc; 'tò 'ltvt:uµa. éolòou àTiocplJÉyyt:ui>cxt CXÙ'toi:c;, «furono tutti ripieni di Spirito santo, e cominciarono a parlare in altre lingue secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi» (Act. 2, 4). In Act. 2,17 questo modo di parlare è detto 'Tt(JOq>'l'J'tEUEW. Evidentissima è la sinonimia in Act. i9,6: dopo che Paolo ha imposto le mani ai discepoli di Giovanni già battezzati, -ijÀ.i>E 't'Ò 7.VEuµa. 'tÒ a:yto\/ É'1toc1houi;, aÀ.ouv ·n:. yÀ.wcrCTC<~ç xcx.t É1tpoq>1)'tEuov, «scese sopra di essi lo Spirito santo e parlavano in lingue e profetizzavano» . A differenza di Act., Paolo rivela maggiormente la differenza fra profezia e glossolalia. A lui preme molto additare ai Corinzi l'importanza e la preminenza della prima sull'altra (I Cor. !4,I. 5.39 [---? x, col. 816]). Entrambe riguardano i µuu't1}ptcx ; mentre però al profeta vengono rivelati i reconditi disegni di Dio (I Cor. i 3,2; Eph. 3,5) che egli poi con il suo annuncio manifesta alla comunità, ciò che il glossolalo dice

    n.

    itpocpi).-l')ç x.-).... D VJ 5-6 (G. Fricdrichl

    rimane incomprensibile agli uditori (~

    cui è possibile determinare il numero dei glossolali nell'assemblea liturgica (r Cor. mette sono simili a una lingua scono- 14,27). Tuttavia resta esclusa la partecisciuta (rCor. 14,11.16) 432 • Inoltre, se· pazione dell'intelletto (r Cor. 14,q), e condo Paolo, glossolalo e profeta hanno all'estraneo il glossolalo sembra un pazaspetti comuni e dissimili, perché en- zo (r Cor. 14,23 ~ vn, coli. 1058 s.). La trambi non sono isolati nella comuni- profezia invece è un discorso intelligibità, ma devono avere accanto a sé altri le. L'esperienza pneumatica viene dal fratelli: il glossolalo deve avere vicino a profeta appresa ed esposta in modo acsé l'interprete(~ II, col. 551) che espri· cessibile alla ragione, le sue parole sono ma in termini comprensibili ciò che egli comprensibili a chiunque, non solo ai dice (r Cor. 14,27), e il profeta deve a- fratelli, ma anche agli estranei (r Cor. vere vicino a sé l'esaminatore che giudi- r4,24 s. ~ VIII, coll. 398 ss.). chi ciò che il profeta dice (~col. 636). Tuttavia il glossolalo può anche essere 6. Preghiera e profezia interprete delle proprie parole e~ Ili, Già nell'A.T. i profeti sono i grandi col. 9 l r), men tre il profeta non può esa- oranti (~ B III 3). Analogamente nella minare se stesso. Inoltre profetismo e figura della profetessa Anna si dà rilieglossolalia sono affini nel loro effetto di vo alla preghiera(~ col. 587). Ma anedificare gli uomini (r Cor. 1413 .4). Ma che nel protocristianesimo vi sono rapproprio l'olxoooµti mette in evidenza la porti diretti tra preghiera e profezia: endifferenza tra i due carismi. Mentre la trambe sono in modo particolare effetti glossolalia è di profitto solo per il glos- dello Spirito. Ad Antiochia profeti e dotsolalo (~II, col. 550), il profeta edifica tori celebrano una liturgia di preghiera tutta la comunità: ad essa infatti egli si (~VI, col. 619). In I Cor. n,4 si parrivolge col suo annuncio; il glossolalo la deUa preghiera - s'intende ovviameninvece parla con Dio, e ciò non giova di- te la preghiera pubblica nell'assemblea rettamente alla comunità intera (r Cor. e della profezia dell'uomo; in l 1,5 del14,2 s.). È vero che anche nel caso del la preghiera e della profezia della donglossolalo non è esclusa la sua volontà na. Non è certo casuale che in I Thess. di uomo; infatti in quanto glossolalo 5,17-20 gli enunciati circa la preghiera Paolo è sempre padrone del suo agire (r stiano accanto a quelli riguardanti la Cor. l4,r9), e il glossolalo non è costret· profezia. Se si analizzano gli elenchi di to a parlare contro la sua volontà, per carismi (Rom. 12,6 ss.; I Cor. 12,8 ss. 28

    vn, col. 701) perché i suoni che egli e-

    m ~ BONW.ETSCH, Prophetie 4r4; H. L.EISE· GANG, Pnet1111a hagìon. Der Ursprtmg des Geistesbegriffes der synopt. Ev. aus der griech.

    Mystik, Veroffcntlichungen der Forschungsin· stituts fiir vergleichende Rcligionsgcschichte an der Universitat Leipzig 4 (1922) n4-n 9.

    <>29 \ \'1,11541

    ss.), si nota con sorpresa che la preghiera non vi è mai menzionata. Probabilmente la preghiera che la comunità conclude col suo amen rientra nei compiti del profeta 411 • Che la preghiera rientri nella profezia può essere dedotto anche da I Cor. 14 434 che riguarda per intero il confronto tra glossolalia e profezia (cfr. v. 1ev. 39). I vv. 13-19 sulla preghiera non costituiscono un excursus all'interno di questo brano, ma fanno parte di questo confronto tra profezia e glossolalia. Il 7tpOO'EVX.EO'itru yÀWO'O'lJ (v. 14) e il 1tpOO'EUX.EO'~«XL 'tQ 7t\IEVµct:tt (v. 15) corrispondono al À.a.ÀEi:v yÀ.wa-O'ì} (v. 13). È ovvio quindi attribuire il 7tPOO'EVX.E· cr~aL 't@ vot (v. 15) al profeta, tanto più che questa preghiera mira evidentemente all'edificazione (v. 17), che proprio in questo capitolo è designata come effetto della profezia (vv. 3 s. 12). Profezia e preghiera non sono identiche, ma sono strettissimamente collegate . 7. Rivelazione e profezia

    Ogni profezia poggia su rivelazioni (z Cor. 14,30). Il profeta non dice ciò che ha imparato dalla tradizione o che ha approfondito personalmente, ma ciò che gli è rivelato. I Cor. 14,26 parla di à:n:oCirca l'intercessione dei profeti nel giudaismo cfr. J. ]llREMIAS, Heiligengriiber ili Jern Umwelt (r958) r36 s. Secondo Did. 10,7 ai profeti della comunità è concesso rendere grazie liberamente (EVXaf)L
    xocÀ.U1jnc; e si riferisce alla rivelazione comunicata al profeta, che deve diventare annuncio profetico nell'assemblea deHa comunità (z Cor. 14,26-30). Pertanto profezia e rivelazione sono strettissimamente congiunte (z Cor. 14,6.30: Eph. 3,5; I Petr. 1,10-12). La rivelazione ha per soggetto Dio, mentre nella profezia Dio non è che il soggetto indiretto.

    L'Apocalisse di Giovanni costituisce il trapasso dal profetismo all'apocalittic.i (~ col. 624). Anche altrove è difficile tracciare una chiara linea di demarcazione tra le due 435, ma nel caso di Apoc. la difficoltà è particolarmente notevole. Il libro si definisce Ò'..'ltoxaÀ.u1!nc; l'l'JO'Oti Xpt
    KNOPF,

    Did. a

    IJ,I.

    Diversamente interpreta ---+ GREE.VEN ro. H. RINGGREN, art. 'Jiid. Apokalyptik', in RGG1 I 464. 436 G. GLOEGE, Mithologie und Lt1thertum : Luthertum 5 (1952) llO·II9. 434

    435

    o:i;oqiiJ•'TJ<; x-.)., DVI 7-9 (G. Fric
    calisse di Giovanni, a suo stesso dire, vuol essere vera e autentica proi"ezia (I, 3; lo,rr; 22,7 .19 [~ v, coli. r5os.]). Che per Giovanni profezia non significhi solo rivelazione del futuro, risulta dalla descrizione dei due testimoni. Il loro annuncio profetico è un invito alla conversione (Apoc. I I a). Anche le lettere alle comunità di Apoc. 2.3 vanno considerate ammonizione e consolazione profetica. Ciò nonostante la differenza dalla profezia paolina è evidente. Mentre nei profeti dell'epistolario paolino il centro dell'annuncio poggia sulla paraclesi, e soltanto saltuariamente si fa menzione di predizioni, nell'Apocalisse le predizioni del futuro costituiscono la parte preponderante e le esortazioni sono più o meno marginali. 8. Gnosi e profezia

    rivelazione, in quanto l'idea o l'immagine profetica viene al profeta dall'esterno (~coli. 629 s.). Anche la gnosi in quanto carisma serve a rendere nota all'assemblea della comunità la verità appresa. Perciò si parla esplicitamente del À.6yoç; y\lwcrewç; (1 Cor. 12,8) e del À.aÀ.Et'\/ Èv j'\IWCTEL (I Cor. r4,6). Tuttavia rispetto alla profezia la gnosi ha qualcosa cli individualistico, mentre la profezia, in rispondenza al pieno significato del termine e alla sua natura, è volta all'annuncio agli altri, vuol comunicare alla comunità. Perciò deila gnosi si può dire che gonfia (1 Cor. 8,r ), della profezia, invece, che edifica (r Cor. 14,3 s.).

    9. Insegnamento e profezia

    Come I Cor. 14 parla di profezia e glossolalia, così 1 Cor. r3,8-12 tratta di profezia e gnosi. Entrambe sono carismi ed in entrambe è in gioco la conoscenza di misteri. Entrambe rappresentano non qualcosa di definitivo e perfetto ma qualcosa di imperfetto. In I Cor. r3,2 lagnosi non è anteposta alla profezia; questa infatti è per Paolo il carisma sommo(~ col. 62 r ), non la gnosi. Esse si distinguono per il modo in cui si giunge alla conoscenza dei misteri e per l'uso che si fa della verità appresa. La gnosi fa parte dei «carismi razionali» 417 • Ad essi si perviene per via speculativa, immergendosi nella riflessione sui misteri della fede(~ n, col!. 5n s.). La profezia invece poggia sull'ispirazione. Ad essa la conoscenza viene comunicata da improvvisa

    Profeti e dottori(~ n, coll. r151 s.) sono più volte definiti i principali proclamatori della parola nella comunità (Act. 13,r; I Cor. u,28 s.; Eph. 4,rr; Rom. r2,6 s.). Anche i profeti comunicano una conoscenza, per cui è possibile apprendere da loro qualcosa (I Cor. 14,31; Apoc. 2,20; dr. Did. r1,10 s.). Tuttavia la profezia non va equiparata all'insegnamento. Mentre i dottori interpretano la Scrittura, curano la tradizione di Gesù e spiegano i principi di fede del catechismo 438 , i profeti, senza esser legati alla Scrittura e alla tradizione, parlano alla comunità solo in base a rivelazioni (~ coli. 629 ss.). La otoauxaÀ.la è insegnamento, la rtpoq>n-.Ela è appello all'impegno nella situazione concreta (~ coll .

    437 ---+ DELUNG

    4l8

    35.

    --+

    GREEVEN 22

    s.

    633 (vr,856)

    617 s. 634). Il dottore indaga sul passato e, in base a quanto è accaduto o è stato detto, enuncia la direttiva per il presente Lo sguardo del profeta invece è rivolto al futuro e dispone il comportamento della comunità in rispondenza alla visione concessagli. Mentre l'autenticità dell'insegnamento è provata dalla conformità alla Scrittura e alla tradizione, per· la veridicità della profezia non esistono: criteri oggettivi di valutazione, perché la norma di giudizio è inclusa nello stesso annuncio profetico operato da Dio (~ col. 636). 10. Evangelo e profezia

    '~· 1- /fl

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    missionario. Il npoqnrm'.mv del giorno di Pentecoste (Act. 2,17 s.) è un OLct.µct.p..-vpEO'~ct.L e 7to:paxa.ÀEi:v: «Salvatevi da questa generazione perversai> (Act. 2, 40). Le parole dei profeti portano i non cristiani a riconoscere la loro colpa e ad adorare Dio (I Cor. 14,24 s.). Normalmente però profezia è predicazione alla :omunità ed evangelo è annuncio missionario. Di conseguen2:a anche il loro contenuto è diverso. Mentre l'evangelo proclama la regalità di Dio annunciando i prodigi di Dio in Gesù Cristo (~ III, coll. rn57 s. 1084 ss .), la profezia fa conoscere la volontà di Dio in ordine al mondo e al singolo credente (~ coll. 617s.). Il profeta è il pastore carismatico che dice concretamente alla comunità che cosa essa deve fare nella situazione concreta, che rimprovera e loda, che reca un messaggio di esortazione e conforto, di penitenza e promessa (I Cor. 14,_; ).

    La profezia è annuncio, come l'evangelo, ma da questo si distingue sia per i destinatari, sia per il contenuto del messaggio. L'evangelo si rivolge principalmente a non cristiani che non hanno ancora udito e accolto l'annuncio di Gesù Cristo (~ III, col. 1055 ss.), la proCome indicano gli esempi della Didafezia invece è in primo luogo mes· ché, le istruzioni dei profeti si occupasaggio di Dio per coloro che già credovano molto concretamente dei problemi no e sono radunati nell'assemblea della quotidiani. Per es. esse prescrivono l'ofcomunità (I Cor. 14,3 s. 29 ss.). Essa ser- ferta di denaro (Did. 11, 1 2) o di viveri ve alla olxoooµ1) dei cristiani (I Cor. 14, (Did. II,9) per scopi particolari. Non è possibile invece stabilire con sicurezza se 3 s. 12 [ ~ VII, col. 398] ). Peraltro i due i cristiani rivolgessero ai profeti domantipi di annuncio non si possono distin- de ben precise per avere notizie o istrugue nettamente per quanto riguarda i zioni quando non sapevano quale fosse la volontà di Dio, come avveniva per e.~. destinatari; infatti, come l'evangelo non in Grecia (~ A II rn) o anche in Israesolo crea ma anche mantiene 1a comu- le (~ B III 2) allorché si prendeva connità, in quanto continua sempre a pro- siglio dai profeti. Comunque il profeta clamare Cristo (~ ur, coll. 1056 s. 1097 cristiano non ha subito una risposta pronta ad ogni domanda, perché può ins.), cosl la profezia non s_i rivolge esclusi- segnare solo se lo Spirito gli concede vamente a cristiani, ma ha anche valore una rivelazione(~ coll. 629 ss.). Secon-

    7tpocprrn1c; x't')... D vi

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    (G. Frieclrich)

    r. Nel concetto di l)Jwoonpoq>1)'t'l)<; il N .T. comprende vari tipi di falsi profeti.

    da pio (~ Iv, col. 506) e cerca di compiere ciò che ha fatto Elia, il precursore del Messia. Tuttavia non è un profeta cristiano che falsifica il vangelo, bensl un falso profeta, perché per mezzo di prodigi e con la forza bruta, seduce gli uomini alla pseudoreligione del culto dello Stato.

    In Le. 6,26 e 2 Petr. 2,1 si tratta di profeti giudaici dcl passato; in Act. r3,6 questa qualifica è attribuita a un contemporaneo dell'apostolo Paolo, il mago giudeo Barjesu, che si era accodato al proconsole Sergio Paolo. Probabilmente era da molti considerato profeta perché faceva credere di conoscere il fu turo e misteri reconditi. In realtà è un falso profeta perché non agisce per mandato di Dio, ma è figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, pieno di ogni inganno e di ogni malvagità (Act. r3,ro). Balaam è detto profeta, e non falso profeta, in 2 Petr. 2,16, benché nella stessa lettera, in rispondenza alla tradizione giudaica, sia presentato quale rappresentante dei falsi profeti(~ II, coli. 29 s.). Soprattutto vi sono pseudoprofeti cristiani, maestri d'errore, appartenenti alla comunità o da essa provenienti, che la distruggono predicando ogni sorta di perniciose eresie. In 2 Petr. 2,1 questi discepoli dei falsi profeti veterotestamentari sono chiamati ~wlìolìLMcnuxÀ.ot, in 2 Io. 7 nÀ.6.voL, in I Io. 2,r8 &.v't'lXPLO"'t'OL (cfr. I I o. 4,1 ss.). Jezabel si definisce profetessa, mentre in realtà è una falsa profetessa (Apoc. 2,20 [ ~IV,col. 731]). Ci si attende la comparsa degli pseudoprofeti soprattutto nel tempo finale (Mt. 24,rr). Alla loro testa sta il grande aiutante dell'Anticristo (Apoc. 16,13; 19,20; 20, 10), la seconda bestia (Apoc. 13,11 ss.), che ha due corna come un agnello, ma parla come un dragone. Egli si maschera

    Come nell'Antico Testamento (-> v, coli. 113 ss.), cosl nel Nuovo si dànno indicazioni per distinguere i falsi profeti(~ v, coll.153 ss.). Non si deve se· guire indiscriminatamente qualsiasi profeta; la profezia va di volta in volta esaminata (I Io. 4,1; I Thess. 5,21) . L'esa· me però non può essere di tipo razionale, ma deve essere cal"ismatico-pneumatico. Tutti i tentativi razionali di smascherare lo pseudoprofeta sono destinati a fallire perché non esistono criteri universalmente validi dai quali dedurre se un individuo è un falso profeta oppure no. Soltanto chi possiede lo Spirito, il dono del discernimento degli spiriti (I Cor. 12,ro), può giudicare se ciò che è detto dal profeta viene da Dio o se vi è frammisto altro. Secondo I Cor. 14,29 il giudizio sul discorso profetico spetta ad altri profeti 439 • In I Cor. 14,37 Paolo si attende che i profeti di Corinto ade· riscano alle sue argomentazioni. Solo i profeti possono vigilare affinché discorsi umani non vengano pronunciati nella comunità quasi fossero oracoli divini. Quando però lo Spirito abbandonò la comunità e scomparve il carisma del di-

    do Herm., mand. rr,5 s. una caratteristica del falso p1·ofeta è che si fa consultare (~ E IV).

    VII. Falsi profeti

    H9 ·Di op io ione diversa è L. LERLE, Diakrisis Pne11maton bei Pa11/us, Diss. Heidclbcrg (r947)

    2.

    scernimento degli spiriti, mentre d'altro re una vita immorale e a mangiare la carcanto si faceva più intensa l'attività de- ne sacrificata (Apoc. 2,20) 441 . La comugli eretici, si cercarono criteri universal- nità protocristiana è fermamente convinmente validi dai quali poter riconoscere ta che alla fine, nonostante il travestii falsi profeti. Il miracolo non fu più ri- mento da persone pie, la vera natura detenuto segno di conferma 440 , perché pro- gli pseudoprofeti risulterà chiara. La loprio i falsi profeti del tempo finale usa- ro sorte però è ormai fissata: «Ogni alno i miracoli per sedurre gli uomini (Mc. bero che non porta buon frutto è abbat13,22 par. Mt. 24,24; Apoc. 13,13; 16, tuto e gettato nel fuoco» (Mt. 7,19). Se 13 s.; 19,20). Si prestò attenzione allora è difficile smascherare ogni singolo falso alla dottrina e alla condotta dei profeti. profeta in quanto tale, è facile invece inIl presupposto di un'autentica profezia è dividuare l'attività del vero profeta: le la retta professione di fede in Cristo: sue parole provocano olxoSoµl), 1Cctp6.«Da ciò riconoscerete lo spirito di Dio: XÀl]O"t<;, 'lt<.tpaµv~la (r Cor. 14,J). Per ogni spirito che confessa Gesù Cristo in effetto della sua predicazione si giunge quanto venuto nella carne è da Dio, e a riconoscere il peccato e ad assoggettarogni spirito che non confessa Gesù non si a Dio (r Cor. 14,25). è da Dio» (r Io. 4,2 s., cfr. I Cor. 12,3). Ma la conformità alla formula di pro- E. PROFETI NELLA CHIESA ANTICA fessione di fede cristologica della chiesa I.I profeti veterotestatnentari (--->VIII, col. 589 n. 34) non è sufficiente I . La Lettera di Barnaba chi.ama spesa provare l'autenticità della profezia. Anso in causa i profeti veterotestamentari che i falsi profeti possono senz'altro pro- per provare l'adempimento delle profefessar fede in Cristo, profetizzare nel zie (~ coll. 578 ss.). Essi rivestono una suo nome (Mt. 7,22) e in tal modo mi- grandissima importanza, poiché aiutano a comprendere rettamente il passato metizzarsi da autentici annunciatori con per passato Barn. intende probabilmentanta perfezione da rendete molto diffi- te l'incarnazioe di Gesù e la sua passiocile riconoscerli come mentitori. Perciò ne - e il presente in cui è sorta la comunità cristiana che è perseguitata. Ma è necessario esaminarne tutta la condotessi dimostrano anche di aver pregustato ta. È difficile dire che cosa significhi in il futuro che ora ha iniziato a realizzarsi particolare il xap7téç di Mt. 7,16. Nel (1,7). Peraltro, non tutti possono comcaso di Jezabel (---> x, col. 544; IV, coli. prendere immediatamente i profeti veterotestamentari(~ col. 640), che spes731 s.) i 'frutti' sono gli effetti della sua so presentano frasi enigmatiche il cui attività: ella seduce i cristiani a condur- senso può essere rettamente interpretato 4-IO

    Cfr. S. Deut. i8,19 § 177 (ro8a), cfr.

    STRACK-BJLLERDECK I 727 :

    «Se.J.lD profeta che

    comincia a profetizzare dii un segno e miraco-

    lo, lo si deve ascoltare; ma se non lo lo si deve ascoltare». 441 ~ Guv II4.

    d~,

    non

    1tpocpi')-tl}c; x-rA. . .t.

    solo da chi è saggio, istruito ed nma il suo Signore (6,rn). Per gli avveduti, l'A. T. è una profezia del Cristo (5,6; 6,2.4; cfr. Ign., Phld. 5,2; 9,2; Mg. 9,2). In qualità di profeta Mosè ha preannunziato la venuta di Gesù nella carne {6,8 s.), David ha preconizzato che Gesù non è figlio di un uomo, ma Figlio di Dio (12, Io). Soprattutto però è stato predetto che Cristo avrebbe patito (5,5 ss.; 6,6 s.), gli avrebbero dato da bere aceto (7, 4) e sarebbe morto in croce (5,I3 s.; I2, 1-4). Ma i profeti non parlano solo di Cristo, bens~ anche dei cristiani, e precisamente del battesimo (ll,I-8) e della rinascita che avviene nell'età escatologica (6,13 s.). Israele non era degno di ricevere l'alleanza ( x4,x ss.). Nel caso dei cristiani invece s'è attuato ciò che i profeti hanno detto circa la circoncisione degli orecchi e l'ascolto della parola (9,1-3). Ora l'eredità passa ai cristiani (r3,1 ss.),poiché essi sono il popolo santo dell'alleanza (14,6 ss.). Tutto ciò è profetizzato negli scritti dell'A.T. e si realizza ora. I profeti possedevano la grazia di Cristo(~ col. 577): 5,6 (Ign., Mg. 8,2: ot yàp ih:t6'tct'tOL 1tpocpfj'tctL xa'tà. Xpto-'tòv 'I1111ovv tsTJcrav ... Év7tve6µEvot U1tÒ 'tijc; xapL'tOc; mho\i' «i profeti divini vissero secondo Cristo Gesù ... ispirati dalla sua grazia»; 9,2: ol 1tpoTJ'tctL OV'tEc; t\1 'ti;> 'TNEUµa't't, «i profeti che erano discepoli nello spirito»; dr. inoltre l'apocrifo 3 Cor. 3,IO). 2. Ancor più dettagliata che nella Lettera di Barnaba è la prova profetica in Giustino. I profeti veterotestamentari sono più antichi di tutti i cosiddetti filosofi. Le loro affermazioni sono assolutamente attendibili, perché essi dicono solo ciò che hanno udito e visto ripieni dello Spirito santo e perché annunciano la verità ricevuta senza rispetto umano e senza cercare il proprio vanto (dial. 7). Per bocca di questi profeti parla Dio (apol. 37) o Cristo (apol. 38). Il più an-

    I 1-2

    ll..J. l'necmcni

    \ VJ.1UJ V /

    VJ.to.J

    tico profeta è Mosè, su cui poggia tutta la filosofia greca: «Tutto ciò che filosofi e poeti hanno affermato riguardo all'immortalità dell'anima, alle pene dopo la morte, alla contemplazione delle realtà celesti o ad analoghe dottrine, l'hanno appreso e sviluppato solo grazie ai suggerimenti avuti dai profeti» (apol. 44,8 ss.). Il principio di Platone, secondo cui Dio ha creato il mondo trasformando la materia informe, proviene da Mosè (apol. 59,1) . I miti e le saghe inventate dai poeti sono imitazioni delle profezie della storia di Cristo, composte per suggerimento degli spiriti malvagi al fine di far passare per favole e rendere incredibili i racconti su Cristo (apol. 54; dial. 69 s.). I profeti ha11no preannunziato gli eventi futuri prima che accadessero (apol. 31 ,r). Perciò per provare la figliolanza divina di Cristo essi sono più importanti degli apostoli e dei dottori, i guali possono solo sostenere le loro idee, mentre i profeti sono stati comprovati dal corso della storia. Si può constatare coi propri occhi l'adempimento della promessa (apol. 30). Poiché sono così numerose le profezie già attuate, anche quelle non ancora adempiute si avvereranno (apo!. 52). Quando Giustino parla delle 7tpOq>Y)'t'LXat ypa.cpa.l non intende solo i veri e propri libri profetici, ma tutto l'A .T., che, secondo lui, tratta tutto di Cristo (dial. 32). Non tutte le profezie si possono dil'ettamente riconoscere in quanto tali e~ coli. 639 s.); alcune sono volutamente tenute oscure perché i Giudei non le comprendano immediatamente (dial. 52). I profeti dànno ai loro pensieri una veste enigmatica, li formulano in parabole e azioni simboliche, affinché chi li vuole trovare e conoscere sia costretto a impegnarsi (dial. 68.90). Spesso certe azioni sono modelli di atti futuri. Molte volte i profeti non usano il futuro, ma parlano di cose che dovranno avvenire quasi che si compissero in loro

    presenza o fossero già accadute (di~l. r 14). In realtà però parlano di Cristo. I~ L~gos ,divin~ per pronunciare profezie s1 puo servire anche della bocca di popoli che rispondono al Signore e al Padre suo (apol. 36,2). Chi legge l'A.T. de~e conoscere questi metodi della profezia veterotestamentaria (dial. 114). Inoltre c'è da notare che vi sono diversi gradi di profezia. Spesso profeti successivi precisano e spiegano le profezie pro· nunciate in precedenza (dial. 68). Molte promesse misteriose si comprendono esatta?1~nte solo quand~ Cristo apre gli occhi di una persona (dtal. 76): è lui l'e.>egeta delle profezie non comprese (a-

    pol. 32,2). La maggior parte delle profezie tratta di Cris~o, di cui lo Spirito santo ha preannunziato tutto tramite i profeti (apol. 6.1,13). Lo schema profezia-compimento diventa per Giustino il motivo di tutto il suo resoconto evangelico. Egli presenta brevi biografie di Gesù, stese col criterio delle profezie compiute (apol. 31,7 s.). I profeti hanno previsto in tutti i particolari la storia di Gesù. Perciò essi parlano del luogo della sua nascita (apol. 34,1), della sua nascita verginale (apol. 31,7; 32,9 ss.; 33,1; dia!. 54.63.76.84), dei suoi . miracoli (apol. 31,r, 48 ' I) del suo mgresso in Gerusalemme (apol. 32,5 s.; 35,10 s.), dell'istituzione dell'eucarestia (dial. 70), della sua passione (apol. 32,7; dial. 76.106), del sudore di sangue )

    al Getsemani, della sua cattura e del suo abbandono (dial. 103), del suo silenzio davanti a Pilato (dia!. 102 s.), dell'accordo fra Erode, Pilato e i Giudei (apol. 40, 5 s.), del suo rinvio da· Erode a Pilato (dial. 103), delle beffe da lui subite (apol. 35,6; dia!. 101), della sua crocifìs· sione (apol. 31,7; 32,6; 35; dial. 73 .97), della sorte gettata sulle sue vesti (dial. ~04), d~lla sua morte (apol. 31,7; 48,4), nsurrez10ne (apol. 3I,7; diaZ..73.97.100. u8), ascensione (apol. 31::",7; 45; 51,6),

    della sua regale sovranità (apol. 41; dial. 76), del suo ritorno nella gloria con la risurrezione dei morti e il giudizio finale (apol. 50,1 s.; 51,8; 52,3 s.; dial. 52). II.(;esù profeta

    Nella chiesa antica Gesù continuò a vivere n~l giudeocristianesimo come profeta. Nei Kerygmata di Pietro è svilup· pata una specifica dottrina sul profeta. È vero che le Pseudo-Clementine parlano anche di Gesù quale maestro (hom. 2,51,1; 3,12,3; recogn. 2,28; 6,5), qu::i.le Kyrio~ (hom. 11,35,3; recogn. 3,5,3), quale Cristo (recogn. 1,59 s.). Ma il vero titolo caratteristico di Gesù è quello di profeta. Si tratta di un predicato cosl specificamente cristologico, che Pietro lo rifiuta per la propria persona: 7tpoqi1}'tOIJ ù.À.11l}ouc; µ.a.l}1yd1c; wv, ou npoqiiJn1c;, «essendo discepolo del vero profeta, e non profeta» {hom. 18,7,6; cfr. recogn. 3,45 e hom. 7,u,3). Gesù è detto ò npoq>lJ'tlJc; {hom. 3,13,1; 10,4,3; u,26,2; n,35,3; 13,14,3; recogn. l,37,2 s.) o più esattamente Ò &.À:riiH1c; 1tpOCfllJ'tl)c; (hom. 3,13,2; 10,3,3; recogn. 3>41'4i 5, 2.5.9.10; 6,14), ò "Tijc; àÀ.11i>Elt'X4 npocp1}•11c; (hom. 7,6,2; Ir,19,1; 12,29,1; recogn. 1,44,5 s.; cfr. hom. 8,22,4); ancor più precisamente o'tf\c; ù.À.11iklt'X4 µ6voc; 7tpoqrf1't'l'Jc; (hom. 7,8,1) oppure ò oE;~òc; a.ù.-ov {ikou) npoqrfi'tTJc; (hom. 7,n,3), ò &.ljJevoTic; 7tpop1J.-11c; (hom. n,33,1; cfr. 3,30,2), ò a.yo:i>òc; 1tpOq>TJ't'l'J<; (recogn. l ,40,1), ò E!c; npocp1}'t'T1c; (recogn. 1,50,7; 54,5), unus verus prophet4 .(recogn. 1,54; 4,35), solus fidelis ac verils propheta (recogn. 4,36), iustus et verus propheta (recogn. 9,29) . . L'impronta giudaica del concetto risulta dal fatto che non ci si stanca di porre in rilievo che Gesù è il profeta promesso in Deut. 18,15 (recogn. l,36, 2 ; 39,1; 40,4; 49,1; 54,5; 56,2; 57; 2, 48). «Spesso essi (i Giudei) mandavano a noi {discepoli) qualcuno a chiederci di

    643 (v1,860)

    1tpoq>"i}'tl'Jc; Y.'t A.

    discutere con loro se egli è il profeta che Mosè ha predetto e che è il Christus aeternus» (recogn. l,43). Secondo hom. 3,53a Gesù stesso ha detto: iyw Elµt m:pt ov MwuTJ't'T}V ÈyEpE.i: Ùµi:V XUptoç Otkoc; .. ., «io sono colui del quale Mosè profetizzò dicendo: 'Il Signore Iddio susciterà a voi un profeta'». Poiché Gesù come Mosè ha compiuto segni e miracoli, non c'è alcun dubbio che egli sia il profeta da lui promesso. Lo prova l'identità dei segni (recogn. 1,57). Mentre gli empi hanno deriso e crocifisso Gesù, nonostante le sue guarigioni miracolose (recogn. I,40 s.), la fede dei discepoli è confermata, e non solo dalle opere di Gesù, ma anche perché in lui si adempiono le profezie dell'A.T. oltre che le azioni simboliche di Mosè e del patriarca Giacobbe (recogn. 5,10). Ma, nonostante queste coincidenze, fra Mosè e Cristo esistono anche differenze. Gesù non è uguale a Mosè, ma è più che Mosè. Mosè fu profeta, e tale è anche Gesù; ma Gesù è anche Cristo, ciò che Mosè non fu (1,52,2 s.). Che Gesù è il profeta cristiano è chiaramente espresso nelle Pseudo-Clementine con continue allusioni a parole o racconti dei vangeli, per es. al racconto della tentazione (hom. n,35,3) o alla parabola delle nozze regali (hom. 8,22, 4) . Il profeta ha scelto prima dodici apostoli e poi settantadue discepoli (recogn. 1,40,4) che ha mandato ad annunciare la parola (recogn. 4,36). Una serie di passi dei vangeli è citata come parola del profeta. Il vero profeta ha detto: «Io sono la porta della vita; venite a me voi tutti che siete affaticati; le mie pecore ascoltano la mia voce; cercate e troverete» (hom. 3,52,2 s.); «in verità vi dico: se non rinascete in acqua viva nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, non potrete entrare nel regno dei cieli» (hom . u,26,2; cfr. recogn. 6,

    c.

    II \ u • .t' nconcn J

    9); «non sono venuto a portare Ja pace sulla terra, ma la spada» (recogn. 2,28); «cercate prima la sua giustizia e tutto ciò vi sarà dato in sovrappiù» (recogn. 3, 4r,4); «in verità vi dico: se aveste fede come un granello di senape... » (recogn. 5,2); «nessuno può servire due padroni...» (recogn. 5,9); «siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste» (recogn. 5,r3); «la regina del Sud sorgerà con questa generazione... » (recogn. 6,14; hom. II,33,1). Gesù, vero profeta, condanna il sacrificio e il tempio e istituisce il battesimo per la remissione dei peccati (recogn. l,36 s. 39. 54). A questi aspetti veterotestamentari e cristiani si aggiungono altri elementi che provengono dalla gnosi o sono in contatto con idee gnostiche: i:i]c; 8€ yvW


    645 l VI,!!bOJ

    cogn. 1 ,52; 2,22). Il vero profeta ha

    il

    compito di portare la verità agli uomini; senza lui non è possibile ottenere la verità che salva (hom. 2,4,J; 3,54). È necessario cercare questo vero profeta, poiché egli è l'unico che conosce tutto e sa che cosa e come ciascun individuo cerca (recogn. 8,59). Il mondo con i suoi peccati e i suoi errori è come una casa piena di fumo. Persino gli amici della verità devono gridare aiuto, affinché venga qualcuno dall'esterno e apra la porta per far entrare la luce del sole. Questo uomo che può portare aiuto -è il vero profeta, l'unico che può illuminare l'anima umana (hom. 1,18 s.).

    III. Profeti della comunità cristiana

    lo invita direttamente ad esaminare gli col. 636), secondo la Didachè, nonostante i falsi profeti che minacciano la comunità(~ col. 649), criticare i profeti quando parlano neUo spirito è un peccato irremissibile (n,7). Dagli enunciati della Didachè si può dedurre che il numero dei profeti va già scemando. Si considera l'eventualità che non o· gni comunità abbia i suoi profeti (13,4). Se in una comunità non vi sono a sufficienza uomini dotati di spirito profetico, spetta ai vescovi e ai diaconi assumere il ministero dei profeti e dei dottori t! presiedere le assemblee liturgiche. Che in questa età di passaggio dal servizio pneumatico a quello istituzionale i profeti fossero altamente stimati dalla comunità risulta dal fatto che questa non è disposta ad affidare senz'altro ai ministri i compiti dei pneumatici. Perciò si ricorda ai cristiani che anche i vescovi e i diaconi sono degni della loro stima spiriti(~

    All'inizio dell'età subapostolica i profeti nella comunità cristiana godono ancora un notevole prestigio. Lo provano gli enunciati della Didaché, nella quale i profeti godono un'alta stima. Essi e- (15,1-2). mergono fra le altre guide della comunità e occupano una posizione particolare. Erma, che ha probabilmente ricevuto In Did. 13,1-7 sono detti sommi sacer- rivelazioni, non si definisce profeta. Egli doti ai quali spettano, a loro piacimen- non computa i profeti fra i dignitari delto, le primizie del torchio e dell'aia, dei la chiesa, come gli apostoli, i vescovi, i buoi e delle pecore, di ogni cosa cotta, dottori e i diaconi (vis. 3,5,1); però codel vino e dell'olio, di tutto il denaro nosce ancora profeti che hanno 1:Ò m1ei.1ricevuto, del vestiario, insomma di ogni µa 1:Ò i}Ei:ov e parlano ripieni dell'angelo proprietà, di modo che siano sollevati da dello spirito profetico (mand. n,9). I qualsiasi preoccupazione materiale. Il so- veri profeti non tengono sedute segrete stentamento dei profeti è più importan- per dare informazioni, non si fanno conte del soccorso ai poveri; infatti le pri- sultare come indovini e dispensatori di mizie vanno donate a questi ultimi solo oracoli (mand. n,5.8), ma devono attenquando nella comunità non vi siano pro- dere le rivelazioni dallo spirito allorché feti. Mentre gli altri cristiani si devono 1a comunità prega (mand. u,9). Lo spiattenere alla liturgia prescritta, il pro- rito santo parla non quando vuole l'uofeta è libero di pronunciare una sua pre- mo, ma quando vuole Dio (mand. 11 ,8 ghiera di ringraziamento poiché in qua- s.). Esso ha la òvvaµ~i; 'tiji; i>e6-r'Y].-oc;, lità di pneumatico non è vincolato alla «la potenza della divinità», perché viene lettera né alla durata delle preghiere co- dalla potenza dello Spirito divino (mand. muni (10,7 ). Quanto fosse alto il suo pre- II,5). stigio risulta anche dal fatto che egli non La stima di cui godevano i profeti in può essere messo alla prova e giudicato vari ambienti fin verso il 300 risulta dalquando parla nello spirito. Mentre Pao· la frase seguente: 1:Ò yb.p 'ltpocp'Y]"t'~xòv

    647 (v1,861)

    -;:~qii)"tT)ç x'tÀ..

    E

    III

    (G. Friedrich)

    1'\/EUµa 't'Ò O'Wµa-rE~O\I ÈO'•W •fic; 1tpoqn1- feti eminenti non dovevano essere mol't'LXfjç 't'OCçEW<;, O ECJ-;;W 'tÒ CTWµet. 't7}<; to numerose nella chiesa, poiché nella O'et.pxòc; 'I11crou XpW>OV -::b µtyÈ.\I -.ft polemica contro i Montanisti si menziocb.it1pw'lto'tl)'t't otà. Maplaç (P. Ox:y. I 5, nano come profeti cristiani solo Quadra9 ss.). Vi è quindi ancora un collegio di to e Ammia, a prescindere da quelli ciprofeti, che è il corpo della carne di Ge- tati nel N.T. (Eus., hist. eccl. 5,17,2.4; sù Cristo 442• In complesso, in età sub- cfr. 3,37,1) . apostolica i profeti della comunità vanno sempre più diminuendo, e ciò per un Già nella 2 Petr. non vi sono più produplice motivo. Anzitutto nella comu- feti protocristiani, perciò l'autore a difenità si estinguono le forze pneumatiche, sa della sua escatologia non adduce didi modo che ai profeti subentrano i chiarazioni di profeti della comunità, ma ministri e la Scrittura (~ coli. 646. ricorre ai profeti della Scrittura 443 • Ana648). In secondo luogo influisce negati- logamente, più tardi, nella polemita convamente la presenza di pseudoprofeti, tro la profezia pagana Origene non si apche fanno perdere prestigio e autorità pella a profeti cristiani ma a quelli delanche ai veri profeti; da essi la comuni- 1'A .T. (Cels. 7,3 s.; 8,45 s.). Non è certo tà non è in grado di difendersi perché le che Ireneo al;ibia personalmente visto omanca il carisma del discernimento de- pernre profeti ( haer. 5 ,6,1 ). Tertulliano, gli spiriti (->coli. 636 s.). Sarà accaduto che pure stima i profeti montanisti (de a più di un profeta di essere respinto co- anima 9 [CSEL 20,310]), nel suo elenme falso profeta, perché ormai si guar- co di persone eminenti nella comunità dava con sospetto ogrù forma di profe- non menziona i profeti (praescr. haer. 3 zia (4- col. 650). Ireneo ammonisce di [CSEL 70,4]). Origene sostiene che badare che la lotta contro i falsi profeti talvolta vi sono profezie (Cels. 1,46), ma non estingua nella chiesa la vera profe- nega che i profeti abbiano un ruolo di zia (haer. 3,u,9). I profeti non scompa- rilievo nelle comunità. Ai tempi di Celso iono all'improvviso. Probabilmente I- non vi erano più profeti che potessero gnazio si attribuisce doni profetici quan- essere paragonati agli antichi, poiché gli do parla della rivelazione concessagli uditori ne avrebbero tramandato per i(Eph. 20,2); ma secondo lui le _p ersone scritto le profezie, come è avvenuto per responsabili sono i vescovi, i presbiteri quelli antichi (Cels. 7,II). Le parole di e i diaconi (lgn., Phld. 7 ,r ). Anche Poli- Milziade: OEÌ:\I yàp E{W.tt 'tÒ 'ltpoc:p'l'}-.tXÒ\I carpo aveva il carisma della profezia xciptoµa. Èv 1toccrn "TI hxÀ.ncrlq. µéxpt (mart. Polyc. 16,2, dr. 5,2; 12,3) ed an- i:fjç -.EÀElac; 1tapovcrlac; o ém6cr-toÀoç, che Melitone di Sardi: Hier., de viris cH;to!, « ... l'apostolo ritiene che il caill. 24 (MPL 23 [ 1883] 677 A); Eus., risma profetico rimarrà in tutta la chiesa hist. eccl. 5,24,5; cfr. 2 . Giustino ri- fino alla venuta finale» (Eus., hist. eccl. 5, corda che nella chiesa cristiana, diver- 17,4) sono un principio desunto dalla trasamente dal giudaismo, vi sono uomini dizione teologica ma senza riferimento che hanno il dono della profezia (dial. alla effettiva presenza di profeti nella co39,2; 82,r; dr. 88,r). Pare tuttavia che munità. Il dogma secondo cui una conella comunità i profeti non abbiano più munità cristiana comprende profeti è a un .ruolo determinante. Le figure di pro- lungo sopravvissuto alla profezia stessa. A. HARNACK, Ober 2 von Grenfell und Hunt entdeckte-und publicierte altchristliche Fragmente: SAB 1898 (1898) 516-520.

    442

    E. KXSEMANN, Bine Apologie der tirchr. Eschalologie: ZThK 49 (r952) 289.

    443

    Con il rifiuto del montanismo nella chiesa è venuta meno la profezia.

    IV. Falsi profeti I falsi profeti dànno molto da fare alla chiesa antica. Per smascherarli la Di-

    ov

    daché stabilisce la regola: 'ltac; oÈ ò Àa.À.wv f.v 'ltVEvµa.·n 'ltpoqrl)-cTJc; Ècr-tlv, éJ.).,).,'f.à.v ii:x;n -roùc; -tpé'ltouc; xuplou· &:itò ouv 'tWV 'tpO'ltWV yvwcrth10'E't(X.~ o \)JEV001tpocp1rtTJc; xctt ò 'ltpocp1J-cTJc;, <<non chiunque parla nello spirito è profeta ma chi pratica i costumi del Signore; dai costumi quindi si conosceranno lo pseudoprofeta e il profeta» (II,8). Nel vero profeta la dottrina corrisponde alla vita; chi non fa ciò che insegna è un falso profeta (11,ro). Soprattutto al profeta si richiede disinteresse assoluto. Se qualcuno ordina di imbandire una mensa per fini egoistici (n,9) oppure chie, de denaro o cose simili per motivi per~ sonali (u,12) è un falso profeta. Il numero aumenterà negli ultimi giorni ( 16,3). '

    attendere la rivelazione, ma agisce come se sapesse sempre tutto; evita le assemblee liturgiche perché viene smascherato dalla preghiera dei cristiani; fornisce informazioni in segreto (mand. rr,r3 s.) e si fa consultare come un indovino (mand. II,2+6) . A lui interessa principalmente il denaro (mand. II,12). Perciò a quelli che lo consultano dice ciò che fa loro piacere (mand. n,2.6.13). Senza compenso non profetizza (mand. 11,12). Le opere e la vita sono i criteri decisivi per distinguere i veri dai falsi profeti (mand. II,r6). à'ltÒ -tf}c; swi'Jc; 00xlµa.sE 't'ÒV av~pW'ltO\I 'tÒV EXOV"m 'tÒ nVEVµct -rò iM:ov, «dalla vita riconosci l'uomo che ha lo spirito divino)) (mand. rr,7).

    Secondo la grande chiesa sono pseudoprofeti anche i profeti montanisti, che si definivano v~ct 'ltpoq>"f]'t'El~, <muova profezia» (Eus., hist. eccl. 5,16,4; r9,2; Tertull., de ieiunio adversus psychicos r [CSEL 20,274)) 444 • Montano si ptesenta sostenendo di essere profeta. Con lui stanno le profetesse Prisca, Massimilla Ancor più concreta è la descrizione ed altre (Epiph., haer. 48,1,3; 49,2,3; del falso profeta in Erma: µ1]0Eµ.la.v Tertull., de anima 9 [CSEL 20,310]). EXWV ÈV fo.u-cifl ouva.µw 'ltVEuµa:toc; iM- Essi vivono nell'ardente attesa della :fine ou, «che non ha in sé potenza di spiri- (Epiph., haer. 48,2,4) e ritengono che la to divino» (mand. n,2); il suo 'lt\lsuµa. Gerusalemme celeste scenderà nelle lo••• Èmyst6v ÈO''t'W X<X.L ÈÀ.ct 'ltVEU- tanisti si sottolinea che Gesù stesso ha µa:n, «il diavolo infatti lo riempie del detto che dopo Giovanni non vi sarebbe(proprio) spirito» (mand. n,3, cfr. 17). rq più stati profeti (Filastrius, de haereI criteri per distinguere la vera dalla fal- sibus 78 [CSEL 38,40]), benché in lisa profezia sono puramente morali.Men- nea di principio si accet_ti la profezia neltre il vero profeta è mite, tranquillo e u- la chiesa (~ col. 648 ). Si torna al critemile e si tien lontano da-ogni malvagità rio, già menzionato nell'A.T., secondo e desiderio vano, lo pseudoprofeta è pre- cui un profeta deve dimostrare con sesuntuoso, ambizioso, insolente, sfaccia- gni d'essere tale e ciò che è stato profeto, ciarliero, dissoluto e fraudolento tizzato deve adempiersi (Epiph., haer. (mand. n,12). Egli non ha bisogno di 48,2,5 ss.; Eus., hist. eccl. 5,r8,ro). Poi444 Altri testi in W. ScH!li>nLERN, Der Monta-

    11ism11s und die phrygiscbe11 K11lte (r929) ro.

    ché le guerre preannunziate non sono scoppiate, la profezia montanista è falsa (Eus., hist. eccl. 5,16,18). Viene inoltre avversata l'estasi. L'anonimo di Eus., hist. eccl. 5,16,7 descrive il primo rapimento estatico di Montano: come egli, preso dallo spirito, cominciò a smaniare e ad emettere strani suoni (dr. 5,16,9). Lo stesso Montano si definisce strumento passivo dello Spirito santo che fa parlare il profeta come il plettro fa suonare la lira. L'uomo, per cosl dire, si addormenta, perde coscienza, e una forza estranea si impossessa di lui (Epiph., haer. 48,4,I; cfr. Eus.,hist. eccl. 5,17,2). Montano affermava che in lui il Padre scendeva tra gli uomini (Epiph., haer. 48,11,r.6.9). Contro i profeti montanisti Milziade stabilisce il principio µ1) OE~v 1tpocp1j"t'J]V Èv ÈX
    t

    tingono i capelli, si adornano e si fanno belli; amano giocare con tavolette e dadi e praticano l'usura (Eus., hist. eccl. 5,18, II). Perciò si dice: oe:i: yàp "toùc; xap1tOÙc; ooxLµasEcril'aL .-ov 1tpocp1J't'ov, «è necessario valutare i frutti del profeta» (5,18,8, cfr. II) . Estasi e condotta non conforme alle norme morali tradiscono la falsa profezia. Riguardo ai Montanisti è difficile dire che cosa fosse autentica profezia e che cosa eresia, distinguere fra calunnia e aberrazione. È necessario tener presente che Tertulliano ha sempre parlato con senso di alta stima dei profeti montanisti. Moltissimi non si aggregano a questo movimento perché lo trovano t roppo ascetico e rigorista (de ieiunio adversus psychicos l [ CSEL 20, 274]). Anche Epiph., haer. 48,1,4 scrive che sotto il profilo dogmatico nulla si può rimproverare ai Montanisti: 'lte:pt OÈ 1ta't'pÒç xat vtov xu.t aylov 'JtVEUµa"tOc;, op.olwç qJpOVOUCTL tjj tiyl~ xcd}oÀ.txjj ÈxxÀ.'J]O'l~, «quanto al Padre, al Figlio e allo Spirito santo concordano con la santa chiesa cattolica» . Il montanismo fu l'ultimo grande bagliore del profetismo nella chiesa. Combattendolo ed eliminandolo, il ministero istituzionale consegul una vittoria definitiva sul carisma.

    G. FRIEDRICH

    7tpoxe:~plsw

    1. '1tPOXEtplsw non è un composto del verbo semplice XEtpll;w 1, ma è derivato direttamente dall'aggettivo 1tPOXEtpoç= a portata di mano, facile da avere, trovare ecc., che è usato sia per le cose

    (nell'accezione di pronto, sempre disponibile: ad es ., Aesch., Prom. 54; Soph., El. nr6) sia per le persone (nel significato di pronto, deciso, ardito; ad es., Eur., Herc. fur. 161: "tfi cpvyfi; Polyb.

    I XE~pl~w, avere in mano, nelle mani, fra le mani, maneggiare, tra/fare (detto, ad es., di un medico), è usato anche in senso traslato, specialmente nel significato di govemare, artr-

    minirtrare (cosl spesso in Polibio, ad es. r,2.0, 4; 2,36,1). Anche nei LXX troviamo quest'u· so: -tà. itp&:yµa'ta. XELpt~e.w, «curare gli affari di stato» (Esth. 8,u•). XELpl~w manca invece nel N.T., nella prima letteratura cristiana e negli apologisti.

    - -" .J \ -

    - 11 -

    -

    .,,,,,

    23,5,7: Èv -roc~c; òµtÀ.latc;) 2 • 7tpoxEtplsw, mano = palese, già iniziata, oppure imnella forma attiva ( consegnare, dare mùtente, incombente, prossima: «prosin mano, anche tenere pronto, ad es., sima e motivo di gioia è la rovina degli Polyb. 3,107,10), è frequente come de- empi». Per contro il verbo 7tpoxe:i.plsw ponente medio: prendere in mano, ma· è usato più volte. Al medio, col signifi11eggiare, preparare, ad es. navi o simili: cato di eleggere, nominare: Ex. 4,r3 allestire (Polyb. 3,97,2; l,16,2); riferito (Slf.J}; los. 3,12 (lqf.J>; 2 Mach. 3,7: 7tpoa persone: scegliere, nominare: 011µa- XEtpi.aiXµe:voc; (cod. A: 1tpOXELpTJCT&µeywyovc; (lsocr. 8,122), &pxov-roc (Ditt., '\/Oc;, errore grafico dovuto a itacismo); Syll.' Il 873,14 s. [II sec. a.C.]); -roùc; 2 Mach. 8,9 (nel parallelo I Mach. 3,38 -div 1tlcn:w EÙO'EBwc; -re xaL oLxalwc; abbiamo ÉitÉÀ.d;ev, come in Ios., ant. 't'l')pi}crocv-rac; (Ditt., Or. I 339,46 s. [n 12,298); 2 Mach. r4,12 (il cod. A legge sec. a.C.]); col doppio accusativo del. di nuovo 7tpoxe:tpncr<Xµe:voç , variante l'oggetto e del predicato (Diod. S. 12, 7tpocrx(X.À.Ea-aµEvoc;); al participio aoristo passivo; Dan. 3,22 (LXX), senza corri2 7 ,r ). In questa accezione il verbo è usato spesso anche al passivo, precisa- spondente nel T.M. 4 • mente al participo aoristo o perfetto: 3. Filone usa l 7 volte laggettivo 7tp67tpoxnpi.CTi>dc; ... &.-ywvoi>hnc; (Ditt., Or. XEtpoç (anche al comparativo e superlaI 268,4 [193 sec. a.C.J); 1tPOXEtpw·itdc; xaì. ùcp' ùµwv 7tpEO'BEucroci. (Ditt., Syll. 1 tivo), specialmente col significato di ovvio, evidente, superficiale, riferito a idee II 6or ,5 [ r93 a.e.]); tEpÉwc; 7tpOXEXET.· o concezioni; ad es., det. pot. ins. 155; pi.uµivou (BGU IV rr98,2 s. [I sec. a. C.]); 1tPOXELpln~ÉV't"E<; CÌ\l'rLO''t"plt't'l'))"Ol som. r,127; post. C. r; ebr. 65; dee. 69; (Polyb. 3,106,2); cfr. ò 1tpOXEXET.ptC1µi- conf. ling. r90; Deus imm. r33; al pl"imo voc; Èv -r4> vuv Myoc;, «il discorso previ- sguardo: sacr. A. C. 35; det. pot. ins. 47; 33. sto e appena iniziato» (Plat., leg. r ,64 3 ovvio: agric. 3; immediato: sobr. 5 a) . Nei papiri compare il medio, ma pre- Filone non usa invece il verbo , che è vale di gran lunga il participio passivo assente anche dal vocabolario di Flavio Giuseppe (~ sopra), il quale usa invece nell'accezione di disposto, intrapreso 3• l'aggettivo 7tp6xEi.poc; (ant. 8,214; Ap. 1, 2 . Nei LXX troviamo una volta l'ag24; beli. 4,85) e l'avverbio 7tPOXElpwc; gettivo 1tPOXET.poc;: 1tPOXEtpoc; OÈ ylvE· = deciso su due piedi (beli. 2,463). Il -roci. xaì È7tlxocp-roc; wn:Bwv &:7tWÀ.Eta. verbo 1tPOXELp6oµa.t === essere sottomes· (Prov. u,3). Il resto dello stico ripro- so già in precedenza (bell. 4.444) non duce il testo ebraico di u,10\ ma pro- deriva da 1tP6XEtpoc;, ma è un composto prio 7tp6xEtpoi; non ha un corrisponden· di XEtp6w. te nel T.M. né in rr,rob né in u,3. 4. Nel N.T . abbiamo soltanto il verbo L'aggettivo significa qui o a portata di

    =

    2 Anche nei papiri (II·III sec. d.C.). Cfr. PREI· SIGKE, Wort. II 428 (ibid. la documentazione per 1tp6XE~pov, borsa, cassetta).

    Numerosi esempi (a partire dal II sec. a.C.) in PREISIGKE, Wort. II 420; III 151; Mom...

    3

    TO!ll-MILLIGAN 556; MAYSBR I 3,144; II x,93;

    u 2,486. Il sostantivo 1CPOXEtpL0"µ6c;, equjpaggiamento, addestramento: o ÒE~vcx. 1)yeµWv 'tW\I tv 1Cpoxe1pLuµiì"l, «qt1esto istmttore delle reclute», ufficiale istruttore (P. Amh. 39,1 [II

    sec. a.C.}). Teodozione e probabilmente anche Simma· co hanno tradotto 11sk al nif'al in Prov. 8,23 con 7tpoXEXElptuµa.i. (LXX: tDeµt).lwcrÉv fM:); 4

    cfr.

    FIELD II 326.

    s Almeno LEISEGANG non registra 'ltPOXEtpll;t». Abbiamo comunque la stessa situazione in Clemente Alessandrino, che usa l'aggettivo (e l'11v· verbio), ma non il verbo (dr. l'indice, s.v. in

    GCS

    39.690).

    b55 lVl,1Sò4)

    '1tPOX.Etplsw (al medio e passivo), precisamente tre volte, tutte nel libro degli Atti. Nel secondo e nel terzo racconto 6 della conversione di Paolo (Act. 22,14 e 26,I6) 7 significa destinare, stabilire, eleggere 8 • Come abbiamo visto nei testi di

    2

    Mach . ricordati sopra (--+ col. 654) e

    sione presa abbia un aspetto coattivo è forse particolarmente evidente quando si affidano incarichi e funzioni militari, ma non è del tutto assente neanche dall'uso più comune .e generale del vocabolo. Perciò potrebbe darsi che l'autore abbia volutamente scelto 1tPOXEtpl· SE
    come si riscontra frequentemente nei papiri (-+ n . 3) 'ltPOXEtplsEoik1..t è certamente usato per indicare la nomina a incarichi militari. ·T ale uso tuttavia non è tanto prevalente rispetto a quello comune del verbo, da far pensare necessariamente a una sua influenza determinante in Act. 22,14 e 26,16. Inoltre negli Atti i concetti di µtip"tuc; (--+ vr, coli. I325 ss.) e di --+ Ù7tT)pÉ'tT)c; hanno un profilo sufficientemente netto e mostrano in quale direzione vada nel nostro caso la destinazione, pur non presentando da parte loro alcuna prossimità all'idea della militia Christi.- L'idea che una deci-

    Corrispondentemente alla sua etimologia, il vocabolo non contiene l'idea di una predestinazione di Paolo da parte di Dio o di Cristo. Si tratta piuttosto della funzione alla quale l'Apostolo è 'destinato': in Act. 22,I4 tale destina· zione è comunicata da Anania come già avvenuta (questo è il valore dell'aoristo), mentre in Act. 26 1 16 avviene nel momento in cui la parola è rivolta all'Apostolo. Anche in Act. 3,20 non si tratta di predestinazione 9 , ma di destinazio-

    6 Nel primo racconto della conversione (Act. 9) manca un'espressione parallela perché Je istruzioni date a Paolo nell'apparizione (9,6) sono, a confronto di 26,r6-:c8, molto succinte; lo stesso vale per la comunicazione di Anania a Paolo in 9,17 rispetto a 22,14-16. Comunque l'idea espressa in Act. 22,r4 e 26,16 mediante 1tPOXEtpl~Eirltti~ trova un parallelo sostanziale nell'espressione crxEuoc; tx).oyljc; e~ vr, col. 495) di 9,r5. 7 Per il costrutto col doppio accusativo in 26, 16 si ricordi il già citato (~ col. 653) esempio di Diod. S. 12,27,1. In Act. 22,14 abbiamo l'accusativo dell'oggetto seguito dall'infinito, una costruzione che non sembra attestata altrove e che in ogni caso è sconosciuta ai LXX. Tuttavia 1tPOXE~pl~oµa~ è costruito con l'infinito quando significa decidere, proporsi (ad es., Polyb. 3,40,2: 1tɵ7tE~\I Il61tÀ~ov), e per· sino con l'accusativo e l'infinito: DITT., Syll. 1 I 457,14 ss. (111 sec. a.C.; cfr. LIDDELL-ScoTT, s.v., 11 4). In Act. 22,14 non si può però tradurre «ha deciso che tu debba conoscere» (traduzione che presupporrebbe un ace. con

    l'infinito), ma «ti ha destinato a ...» (
    ...... ) , \ • ... , ......... ,.,11

    ne 10• Rivolgendosi al popolo dopo la guarigione dello storpio, Pietro dice che i Giudei devono tavvedersi e cercare il perdono dei peccati 01tWc; /lv ... a1tOO'"t'ELÀn -còv 7tpOXEXEtptuµÉvov ùµi:v XPtO'"t'ÒV 'I'l)a-ouv,
    to della sua risurrezione (Act. 3,13.15) o fin dal principio. Se in Aci. 3,20 Luca dovesse veramente aver ripreso e rielaborato un testo più antico 12, allora da Act. 22,r4 e 26,r6 risulterebbe come usando 7tpoxnplsEO'i)ttt egli abbia voluto far valere un vocabolo che per lui ha anche altrove un valore particolare.

    3,18 (~ I, coli. r92 s.). WETTSTEIN II 474 s.,

    tro mostrerebbe ai Giudei «come questo Gesù sia destinato proprio quale 'Cristo per voi'». Tale interpretazione separa a torto ùµ~v dal verbo, ovvero comporta una formulazione af. fatto assente dal concreto testo greco. Per vµ~v WENDT, Ag. 106, od I., rimanda a Aci. 2,39. 12 Cfr. l'ipotesi di BAUERNFEIND, Ag. 66-68, secondo la quale in Act. 3,20 s. Luca avrebbe utilizzato uno scritto giudaico che originariamente trattava cli Elia redivivo. Per npoXEXELp~oµÉvoç egli rimanda a nkwn in Ecc/us 48,10, che secondo la congettura cli Smend (R. SMEND, Die Weisheit des ]es11s Sirach [1906] 460) nei LXX sarebbe stato dapprima reso con h-o~µoç (invece dell'attuale Èv éÀEyµo'&;): «Forse nel testo di cui si è servito Luca ha trovato una parola simile e l'ha sostituita con il più solenne 7tpOXEXELpwµlvoç» (p. 66; cfr. p. 68: «Probabihnente ha usato la forma npoxtXEt· ~L
    il quale adduce numerosi testi extrabiblici a favore di 7tPOXEtpl!;oµ«t in Act. 3,20, ricorda anche che -il cod. minuscolo 46 legge 7CpOXE· XPLUJ.LÉvov. Tale variante è probabihnente un semplice errore di scrittura, non un voluto gioco di parole col xpicr-r6v successivo. Questa variante deve però essete stata particolarmente diffusa giacché il T1scHENDORF, N.T. II :i.7, ad l. nota che essa appare nella versione etiopica. È difficile pensate che ciò sia dovuto unicamente all'influenza del cod. minuscolo 46. IO Tra i composti con Ttpo- ai quali ci -si può richiamare per la concezione lucana del piano divino (cfr. H. CoNZELMANN, Die Mille der Zeit 2 [ 1957] 130) 7tPOXEtpll;oµ«L non si trova pertanto sullo stesso piano di 'ltpoopaw, r.poopl!;w ecc., a meno che non si voglia sup porre - come fa HAENCHEN, Ag. 172 n. 5 che Luca abbia «inteso il verbo, contro l'eti· mo, in senso temporale» (ma è il caso di attribuire proprio a Luca questa violenza linguistica?). Cfr. nnche ZAHN, Ag. 155 s. n. 65. 11 ùµ~v è un dativo di comodo, come in Ios. 3, 12, solo che là il dativo si riferisce al soggetto di 11'pOXEtpll;Ecrlhu. Secondo H . W. BEYER, Die Ag. (N.T. Deutsch .5 1 (19.57]) od l., Pie-

    5 . Nella letteratura protocristiana fuori del N.T. il verbo 1tpoxnpll';w non è usato.

    w.MICHAELIS

    1tpG)-coç 1-3 (W. Michaclis)

    6.J9 (vr,866)

    (VJ,866) 660

    7tpW'toc;, 7tpw"to\I, 7tPW't"oxcdh:oplcx., 1tpW't'OXÀ.t
    1t()W'tEVW 'ltpW't'oc; 1. npGl"toc;, a partite da Omero, ha sviluppato il suo significato di primo in tre direzioni: a) il primo rispetto allo spazio, cioè l'anteriore, che sta davanti (ad es. Rom., Il. 15 ,340 ); più tardi questa accezione è passata notevolmente in seconda linea; b) il primo rispetto al tempo e al numero (ad es. Hdt. 7,168; Horn. Od. 9>449); c) il primo relativamente al rango e al valore: il più nobile, il più importante ecc. (ad es. Horn., Od. 6,60; Thuc. 6,28 1).

    domanda a Giobbe: µl} npw't'oc; à.vt>pwnwv ÈyEv1)i}'l']c;; , «fosti forse tu il primo uomo?» (Iob 15,7a) si tratterà non dell'uomo primordiale che fu nel consiglio di Dio (cfr. 15,8), ma di Adamo (dr. l'accenno alla creazione in 15,7b). Dio è designato come npGhoc; in Is. 41,4; 44,6; 48,12 (~I, coli. 7 s.; per l'influs• so sul N.T. ~col. 664 n. 9). In Is. 41, 27 rì'son, quale pregnante designazione del profeta, è reso nei LXX solo in modo sbiadito (con à.px1))2 (come pure m•basser, ibid.). Cfr. anche ~ col. 661 e ~col. 665 n. II.

    2. Nei LXX rcp6hoc; figuta, salvo errore, 240 volte, di cui più della metà in Gen.-Neem. e 25 in Mach.; dove c'è il testo masoretico, vi corrisponde per lo più ri'son, ri'son. Nella maggior parte dei casi ha valore di aggettivo numerale, e in più di un terzo dei testi offre un dato cronologico; né manca il significato di primo quanto al grado; ad es. Esth. 1,14; a proposito della gerarchia angelica Dan. (LXX, Theod.) 10,14; come titolo d'onore (rcpw"toc; cpl).oc; e simili): · I Chron. 27,33; I Mach'. 10,65; 11,27; 2 Mach. 8,9; LEpEÙc; 1tpw-toc; e sim., somcol. 862): 3 Brur. mo sacerdotale(~ 2,J5; 4 Bwr. 25,18 'fap. 52,24; 2 Chron. 26,20; cfr. 22,46. Nella ironica

    3. In Filone, che usa 1tpw-coc; in vari contesti 3 , per connotare Dio si trova più volte rcpw"toc; 1h:6c;: poster. C. 183 (7tpw"toc; xal µ6voc;); migr. Abr. 181; Abr. n5; vit. Mos. 2{3),205. Secondo decal. 59 solo un demente può attribuire questo titolo ad altri. In Abr. 7 5 .88 Filone si leva contro l'idea che il x6oµoc; visibile (~ v, col!. 901 ss.) possa essere considerato 7tPW"toc; t>i::6c;; esso sarebbe piuttosto Epyov -.ov 7tpw-tov t>Eov xat -.ou cruµrc&v-.wv 1t<X"tp6c; (75; cfr. migr. Abr. 194). Niente di strano che nel contesto di una designazione del Logos quale OEU'tEpoc; ilE6ç (~VI, col. 254) la formula npw-toc; i)E6c; non compaia; alla

    l Cfr. PAssow e LIDDELL-ScoTT, s.v. Nelle iscrizioni 1tpW'toç si riferisce particolarmente al rango, anche come titolo onorifico (cfr. gli indici in DITI'., Sy/l.' e DITT., Or.); anche nei papiri 1tpw-coç figura, sebbene solo di rado, come indicazione di wia funzione o di un grado militare (cfr. PREISIGKR, Wort. m 153,215; MoULT.-MILL., s.v.).

    2 Cfr. J. ScHNIEWIND, Euangelion I (1927) 35 s. 67 s. I rabbini hanno spiegato il passo rife· rendolo al Messia (ad es. Ex. r. 15,2) e hanno innalzato ri'JOn a titolo messianico (STRAcKBILLERBECK I 65). 3 Cfr. la selezione in LEISEGANG, s.v., per 1tpi:>'toç iivDpw1toç anche alla voce li.vllpw1toc;, ibid. paragrafo 8.

    rv, =

    (101 \ Vl,OOO)

    base di questo titolo non c'è infatti una enumerazione, ma con esso si esprime piuttosto la esclusività e unicità di Dio. Perciò in leg. ali. 3,207 Filone può dire che per gli a't'EÀ.EL<; il Logos (come €pµnve:vc, di Dio) può essere 1'e:6c;, ma per i rToqiol e 't'ÉÀ.e:~oL soltanto ò 'ltpW'tOC, (Dio stesso) è veramente Dio. Là dove Filone chiama Dio 1tPW'toc; xa.t µÉya.c; ~<WLÀ.e:vc; (op. mund. 88 e passim; dr. anche 7tpW'toç 't'W'\I oÀ.wv xa.t µOvoc; Sa;oùe:uç: poster. C. 101), si tratterà probabilmente di una formula di origine stoica 4• In Flavio Giuseppe, a quanto pare, non si ha un uso linguistico corrispondente 5. In lui è molto frequente la formula oi. 'ltpW'tOL ( <X.v&pe:c;) per designare gli uomini più in vista di una tribù, del popolo, della classe sacerdotale e simili (ant. 4,140.174; lo,71.213; rr,141; 13, 146; 18,7.64; 20,125.132.135; vii. 185, 381 e passim; al singolare: ani. 13,85; 20,130). Quando in ant. 11,121 Esdra è detto 'ltpw-i:oç i.e:pe:ùc, 't'OV 1'e:ov, per sottolineare la superiorità sul precedente apxLe:pe:vç, è difficile che si tratti di un influsso cli r Eo-op. 8,2; 2 Eo-op. 7,5, poiché qui 7tpw-.oc;, riferito ad Aronne, significa evidentemente il primo in ordine di tempo. Anche l'accezione di il precedente, l'antecedente figura in ani. l,81; 2,86; 16,1.68.258; 19,323; perciò in 7,85 è dubbio se 'ltpw't'oc; Pa.rTLÀ.tvc; voglia indicare Saul come primo re o come predecessore di David. Per Adamo in ant. l ,67 designato quale -n:pw'toc; be yijc; 4 Cfr. il titolo di 7tp(;j-coç xo:t idrta'toç

    ~o;­

    atÀEuç e designazioni simili date al supremo

    dio del mondo, ad es. in Dio Chrys., or. 2,72 ss. 19,35 ss.; 36,n; 64,21 [segnalazione di H. KLEINKNECHTJ. Ricordiamo che 7tpW't'O<; come predicato divino ha avuto nella grecità una lunga e significativa storia (ad es. Ztùc; 'ltpG). "toç "(l'YE't'O nell'inno orfico a Zeus in Pesud.· Aristot., mund. 7 [p. 401 a 28]; il re terreno come ~«Àw-còç 'tW 'Jt'p&:tw i}Ew in Stob., ecl.

    yi::v6µEvoc; dr. anche 82; 20,259.

    4. Nel Nuovo Testamento npwnc; s'incontra in più di 90 passi, distribuiti in modo assai ineguale nelle singole accezioni. a) Il significato spaziale già raro di per sé (~ col. 659) compare soltanto nella descrizione del tabernacolo in Hebr. 9,2.6.8: 7tpW'tl) ~ o-xnvfi. b) Senza confronto più numerosi sono i testi con l'accezione di primo nel tempo, nel numero ed eventualmente nella serie 6 • Nella storia della passione ha un suo posto il primo giorno della festa di Pasqua (Mc. 14,12 par. Mt. 26,17; --> III, coll. 1557 ss.; --> n. 7). Il giorno della resurrezione è indicato come 7tpw'tl) rTa.~~
    s Anche

    ScHLATTER, Theol. d. Judt. non registra niente. 6 Cfr. il prospetto in PREUSCHEN·BAUER 5, s.v. Su 1tp&hoç o 1tpW'tO\I per 7tp6-ci;poç o 7tp6'ttpo'Y cfr. anche BL.-llillR. § 62. 7 È erroneo il tentativo di CHR. N. GmAoulWFF, Le jo11r de la Sainle-Cène, in Annuaire de l'Académie de Théologie «St. Clement d'Ochridm>, Sofia, tome II (XXVIII) (I951-1952) 145-

    1tpw-roç 4b (W. Michaelis)

    (vr,868) 664

    i!pycx. 'ltOLTJCTO\I (Apoc. 2 ,5) significa: sii antiquata, vetusta (cfr. 8,13; --) II, di nuovo come fosti prima; 'tTJ\I &.ycbt't)V coll. ro83 ss.). Lo stesso uso linguicrou 'tTJ\I npw'tt}\I àcpijxac; (Apoc. 2,4) stico applicato a un co.nfronto tra il vuol dire: l'amore che hai avuto e dimo- passato (o il presente) e il futur~ si ·trostrato in passato, adesso non l'hai e non va in Apoc. 2 r ,r, dove 7tpGhoç oùpa.v6ç lo dimostri più. In ITim.5,12 a i:i)v e 'ltpW't''fl yfj fanno da controparte a oòT.PW't1)\I 'ltLCT'tW -i)M't'r)CJW..I fa contrasto pC/,\IÒç xaw6ç e y-ij xawlj (11, coll. 43 l non una seconda fede, diversa, ma l'àm- s.; vm, coli. 1440 s.); anche a -.à. 'ltpwcr"lcx. (cfr. 5,8). Altrettanto può dirsi 'ta Ò.1t-t}À.1>a.v di Apoc. 2 l '4 segue in 2 r, della contrapposizione che nella Lettera 5 looù XCXLVèt. 1t0LW 7ta\IW. (--) IV' coli. agli Ebrei ricorre tra r.pW't1) OLa.it1Jx.TJ 1348 s.) 8 • (8,7.13; 9,r.15.18) e xcxwi) 0Lcxit1)x'l") (8, Nel N.T. si trova di frequente anche 8.13; 9,15) o vÉcx Ota.l>ljx'l") (12,24). Soltanto in 8,7 la nuova OLa.~1}x1) è detta l'antitesi npw-.oc;/foxa.i:oc;. La definizioow.-Épa. (cfr. 10,9). D'altra parte la ne che il Cristo glorificato dà di se stes7tpw•n Otal>1}x1J nella Lettera agli Ebrei so come ò 'ltpw•oc; xa.l. ò t'.crx.a.-.oc; in non è detta 7ta.À.a.tà. otcx.l>rp<.'TJ, perché Apoc. l,17; 2,8; 22,13 si riferisce al 'ltpwni già per sé equivale a vecchia, tempo primordiale e al tempo ultimo 9 • r86, che vorrebbe sanare le divergenze tra la cronologia della. passione nei sinottici e in Giovanni avanzando la tesi che 'tTI 1tpW"tTI 1)µip~ 'tWV a!;uµti>V di Mc. I4,l2 par. si debba tradurre: «il giorno che precede la festa degli azzimi». Manca infatti qualsiasi testimonianza nel greco biblico (ed extrabiblico) per poter sostenere che npw-roç (o 1tp6-rEpoç) uni· to a un sostantivo di tempo in genitivo indichi che l'entità designata come 1tpW'toç non appartiene dn parte sua all'unità di tempo che segue in genitivo, ma cronologicamente la precede. Anche il testo di Iud. :zo,22, al quale l'autore si appella espressamente (op. cit. I63), non serve: è vero che qui si intende il giorno precedente, e i LXX hanno tradotto ÈV 'tTI i)µlpq, -rii 7tPW'tTI, ma non segue nessun genitivo. Cfr. la critica dell'articolo fatta da W. MrcH.AEus in Kirchenblatt fiir die reformierte Schweiz IIO

    (1954)

    Il.

    Con un uso un po' diverso, cioè chiaramente riferito a un parallelo fra tempo primordiale e tempo ultimo (in Apoc. 2I,I.4 dev'essere compreso anche il presente e 7tpW'tOç quindi implica anche il significato di presente) il termine figura pure in Bam. 6,13: U.ioù 7tO~w 8

    -.à. t'.crxa-.a i.:.iç -rà 7tpw-ra..

    È per(l incerto se qui si tratti proprio di un «ritorno della stessa cosa» (così il BuLTMANN, Ursprrmg tmd

    Sinn der Typologie als herr11e11et1tiscbe Metbode: ThLZ 75 [1950] 205). Si può anche intendere: Dio crea sia -rei. np{;',-ra. sia -.à. ~crxa· -ra. Anche ]. HEMPEL, Memch und Gott im A.T., BWANT I1I 2 (1926) 52, riferendosi a Is. 43,18 s. sostiene che in Bam. 6,13 si sottolinea l' «Identità della persona del creatore». Cfr. WINDISCH, Barn., ad I. 9 E evidente l'influsso dell'analogo predicato di Dio nel Deuteroisaia, soprattutto in 44,6, ma anche in 4r,4; 48,u. Con l'uso di ~O')C<J.· -roç che i LXX hanno intenzionalmente evitato (._... 1, col!. .5 ss.) l'Apocalisse mostra di aderire più strettamente al testo ebraico. Non avrà quindi importanza (né può esser colUlesso col suaccennato ritegno dei LXX ad usare ~crxa.-.oç a proposito di Dio) il fatto che nell'Apocalisse 1tpw-.oç/~crxa:to~ venga usato solo per Cristo e mai per Dio, tanto più che le formule di analogo significato -rò if);qia xett Tb e 1) apxT} xat 'tÒ 'tÉÀ.oç nell'Apocalisse SO· no dette sia dell'uno che dell'altro (..... I, col. 5 ). Quanto alla possibilità di connettere «A

    w

    665 (VI,868)

    1tpw-roc; 4b-c (W. Michaelis)

    l

    VJ.,OUOJ uuv

    ò 7tpG'li:oç allude alla preesistenza, cioè alla parusia allude l'É~ oùpavou di 15, al suo esistere nell'eternità prima di ogni 47 e perciò anche l'enunciato di 15,45b. L'antitesi 1'pw-roi;/foxa't'oç 'AMµ si ritempo 10, ò Ea"xai:oç al suo esistere nell'e- collegherà quindi al significato di anteternità dopo ogni tempo. Diverso è l'im- cedente, attuale, notato sopra. Cristo copiego di TCpW'toç/EO"XCX'tOç in Mt. I2A5 me capostipite di una umanità nuova par. Le. n,26; Mt. 27,64; 2 Petr. 2,20; viene contrapposto ad Adamo capostiApoc. 2,19 . Qui 'Jtpw-çoç significa quello di prima, l'antecedente ed foxa-.oi; quello di dopo, l'ultimo nel tempo e perciò anche l'attuale, il presente 11 • Rientrano in questo ambito anche le formule 7tpw-roç ed foxcx.-roç 'AMµ di r Cor. I5A5 (~I, col. 381). La designazione di 1tPW'toç 'AMµ non risale comunque alla preesistenza, ma si riferisce alla creazione di Adamo (~ III, col. )72); d'altra parte anche l'foxa-toç 'AMµ non è atteso dal futuro, ma è più probabile che Paolo volga uno sguardo retrospettivo alla risurrezione di Cristo; ad essa infatti e non e 0» egualmente a Is. 44,5 s., dr. W. MrCHAE-

    us, Zeìchen, Siegel, Kreuz: ThZ 12 (1956) 516 n. 31. L'espressione che si legge in Io. x,15, grazie al 7tpG'noc; ( =7tpb-repoc;) costruito col genitivo, accenna alla preesistenza. 10

    11 Cfr. il corrispondente uso di 7tpCn:oc;/foxa.-coc; nei LXX: Ruth 3,xo; 2 Boor. 13,16; Ag.

    2,9. anche O. CuLLMANN, Die Christologie des N .T. 1 (1958) 171: Paolo avrebbe creato l'espressione Mcrxa."t'oç 'ASaµ «semplicemente per analogia con 7tpW't'oç 'Aliaµ. In tale antitesi essa significa né più né meno che 'secon· do uomo'». La pensano altrimenti ad es. J. Jeremias (~I, col. 384), secondo il quale fu «la funzione escatologica» del Cristo che «diede luogo alla denominazione di i:lcrxa.-roc; 'A!ìaµ»; e, in modo ancor più drastico, K. H. Rl!NGS· TORF, Die Au/erstehung ]es11 3 (1955) 65, che traduce ~uxa.-roç 'Aoaµ con «Adamo del tem· po ultimo» (formulazione di E. HIRSCH, Zur paul. Chrfrtologie: ZsystTh 7 [1929] 618 n. ll Cfr.

    pite dell'umanità antica; ad ambedue è dato perciò il nome di 'AMµ o &wpw?toc;. Adamo, il 7tpw-.oc; 'AMµ. di I Cor. I 5 ,4 5, equivale al 1tpw'toç li'lli>pw'ltoç in I 5 .4 7, Cristo invece è bensl chiamato Òi;:u-.epoç èivilpw"Jtoç in 15 ,47, ma non oi::u·upoç 'AMµ in I 5 A 5: Paolo preferisce dire E
    c) 1tpw-roc;/Ea-xcx."toç s'incontra inoltre nel senso dell'ordine gerarchico. È sicumente questo il caso del logion di Mc. 10,31 par. Mt. 19,30: 'JtOÀ.À.ot oÈ E
    667 (VI ,868)

    7tpW't'Oç.

    4c ·

    7tPW't'OV 1

    •aL 7tpG'rc·oL ~axa-roL xal oì. EoXa•o~ npw't'ot, che, lievemente mutato nei termini, figura pure in Mt. 20,I6 e in Le. 13,30. È vero che 'ltpW't'O<; in Mt. 20,8.ro ed iiaxa•oc; in 20,8.r2. I4 è usato con valore temporale, ma in 20,16 questo significato è evidentemente scomparso per far posto a quello di

    un ordine gerarchico, come in r9, 30 13 • Si tratta solo di un capovolgimento della sequenza iniziale o comunque attesa, ma il senso è questo: coloro che si considerano dei diseredati e non osano sperare di aver adito alcuno al regno di Dio, vi saranno ammessi; coloro invece che si reputano gli unici giusti, ne saranno tenuti lontani (cfr. Le. 13,28 s. par. Mt. 8,rr s.) 14 • 7Cpwnc; nel senso di primo quanto al rango (sinonimo di µéyac; in Mc. I0,43 par. Mt. 20,26 o di µEl~wv in Le. 22,26) è la parola chiave nella disputa tra i discepoli per il posto d'onore e nel severo ammonimento rivolto loro da Gesù (Mc. 10>44 par. Mt. 20,27; Mc. 9,35). TI suo contrario è oovÀ.oc; o otcixovoc; (Mc. rn,43 s. par. Mt. 20,26 s.) ed foxa-

    13

    Nonostante l'opinione espressa da J. JERl!Die Gleichnisse Jesu 4 (1956) 25, c'è da çhiedersi se questa differenza di significato obblighi davvero a mettere in dubbio l'appartenenza originaria di Mt. 20,16 alla parabola di Mt. 20,1 ss. Cfr. W. MtCHAELis, Die Gleichnisse Jesu J ( 1956) 180 s. (per 260 n. l2o dr. anche 257 n. 85). MIAS,

    14

    Si potrebbe tutt'al più vedere se, allorché

    il logion è applicato ad Ebrei e pagani (ciò che peraltro avviene solo in Le. 13,30), non trapeli più marcatamente il significato tempo-

    (W. Michaclis)

    (vr,869) 668

    'to<; (Mc. 9'35 -? n, coli. 958.962.1459 s. n. rq; III, col. 999). Per la domanda quale sia la Èv't'oÀ.i] 7tpW't'l'J 'ltcivi:wv (Mc. 12,28 par. Èv'toÀ.1} µEyaÀ:n Mt. 22, 3 6) e per la designazione di 1tpW't'l'J o OEU't'Épct. È'Y't'OÀ.TJ nella risposta di Gesù (Mc. 12,29 s. par. Mt. 22,38 s.) -? III, coli. 593 s.; vr, coll. 1450 ss.; per l'espressione 7tpW't''l'J Èv'toÀ.l] di Eph. 6,2 ~ III, coll. 603 s. ol 7tPW't'OL come indica-

    zione del rango, in quanto sono gli uomini più ragguardevoli (~ col. 66r ), si trova in Mc. 6,21; Le. r9,47; Aet. 13, 50; 25,2; 28,7 (al singolare). I7 15 • 5. Per i Padri apostolici basterà ricordare: 7i ÈxxÀ.'l'}ula 7J 7tpW't"IJ di 2 Clem. 14,r (~IV, col. 1575; cfr. Herm., vis. 2,4,1), cosl chiamata nel senso di chiesa preesistente; oL èt.yyEÀ.Ot ol 'lt'pW· -roL X'ttal)Év'tE<; (creati prima degli altri) per indicare gli arcangeli, in Herm. vis. 3,4,I, cfr. sim. 5,5,3. Per Barn.

    6,13-? n. 8. 'ltpw-.ov l . Il neutro 7tpw-.ov come avverbio significa: in primo luogo, dapprima, in un primo momento, antecedentemente; ad es. Hes., theog. 34 (questa accezione è di gran lunga la prevalente nel N.T.);

    raie (~ coli. 669 s.). Nel caso che si tratti: di un logion in origine indipendente o appartenente a un altro contesto, occorre vedere se l'accento non debba essere posto sulla completa equiparazione dei due gruppi. Cfr. 4 Esdr. 5.42 (vis. n 4,2 V10LET): «come per gli ultimi nessun ritardo, cosl per i primi nessun anticipo» (trad. VtoLET). 15 Che 'lt'pw'toç in I Tim. 1,15 vada inteso in senso temporale (cosl A. K1RCHGASSNER, Erlii· sung u. Siinde im N.T. (1950] 169) non è ammissibile, nonostante il valore temporale di 7tp&l'toc; in l,16.

    7tPW"l'O\I r-2b ( w. Mlcnae11s1

    prima (:::: np6'tepov ); ad es. Xenoph. hist. Graec. 5,4,r. Lo stesso significa il plurale 7t{JW'tCX. (ad es. Horn., Od. 14, 158), che nei LXX e nel N.T. come avverbio non compare. Si usa anche la forma con l'articolo -rò 'lt{JW'tO\I, -.&. 7tpw-.a, dapprima, la prima volta (ad esempio in Horn., Il. 4,267), nel N.T. solo in Io. I0,40; 19,39, e col significato di per il momento, in un primo momento in 12,16 1• Nei LXX l'avverbio 'ltpGhov ricorre solo in 8 passi concordemente attestati e in altri 6 passi di singoli manoscritti; questi 14 testi sono distribuiti cosl: Isaia e Maccabei 4 per ciascuno; l Ba
    a) Il significato è dapprima in Paolo, Rom. l,16, dove a 7taV'tL 'tfi> mO''tEUO\l'tt. è aggiunto 'Iovoetl
    rilievo che il vangelo portatore di salvezza fu offerto in primo luogo ai Giudei (~ III, coli. 496 ss.; cfr. 1tpw-cov Act. 3,26; 13,46). Anche in Rom. 2,9 s. npw-cov avrà il compito di rafforzare la precedenza data per due volte al giudeo sul greco, nel nominarli 3• Di particolare rilievo è il npw-cov ocqi' 7]µwv nell'annuncio del giudizio di r Petr. 4,17; esso riprende il precedente &pçacrl)a~ ~rcò -.ov otxov 'tOU i>Eou; risulta cosl assicurato il suo valore temporale (-? v, col. 1070; VIII, coll. 359 ss.). b)Nel significato di prima, in primo lt1ogo, antecedentemente 1tpw-cov connota l'urgenza di certi particolari doveri posti da Gesù: riconciliarsi prima col fratello (Mt. 5,24); togliere in primo luogo la trave dal proprio occhio (Mt. 7,5 par. Le. 6,42) 4; calcolare in antecedenza le spese (Le. q,28.31). Al contrario, ciò che i discepoli non devono avere alcuna premura di fare viene indicato nella persona di quegli uomini che vogliono prima seppellire il padre, prendere prima congedo e poi venire alla sequela di Gesù (Mt. 8,21 par. Le. 9,59;

    itpw-rov

    a un testo corrotto; cfr. J. FuasT, Glossari11111

    PAssow e LIDDELL-ScoTT, s.v. Dai papw PREISIGKE, W ori. II 4;1.2 s. per 'tÒ 7tPW't0\I

    Graeco-Hebraeum (I 891) 71a.

    1

    registra anche il significato di sopra ogni altra cosa (a cominciare dal 1 sec. d.C.); dr. inoltre

    s.v. prwti come barbarismo di uso raro negli

    MAYSER Il ;i.,327 e MoULT.-MlLL., 2

    scritti rabbinici sembra avere valore avverbiale; dr. S. KRAuss, Gr. ti. lat. Leh11worter in Talmud, Midrasch 11. Targum n (1899) 485. Tuttavia non è affatto sicuro.che sia connesso con itpW"l'OV, perché forse ci troviamo davanti

    3

    Quest'ordine di successione potrebbe nascere dalla preminenza attribuita fino a quel momento ai Giudei (dr. ScHLATTER, Rom. ad l.). Tuttavia 7tpW'l'O\I non ha certo il significato di sopra tutto, in particolare, ma chiarisce semplicemente un ordine di successione. Contra, PRBUSCHEN-BAUER ). s.v.;-+ IV, col. rr71. 4 Nei casi citati sin qui al itpw-rov corrisponde nella frase seguente xat 'tO'l'E. Cfr. anche Mc. 3,27 par. Mt. 12,29.

    'ltpwnv 2b-c (W. Michaelis)

    Le. 9,61). Con lo stesso significato ?tpG;l'tO\I serve più volte a inculcare che si badi alla successione degli avvenimenti escatologici, quale Dio l'ha disposta: prima· deve venire Elia (Mc. 9,II s. par. Mt. 17,10 [~IV, coll.87s.]); prima dev'essere ripudiato il Figlio dell'uomo (Le. 17,25); prima deve avvenire l'apostasia e comparite l'Anticristo (2 Thess. 2,3; cfr. Le. 21,9) 5.

    7tpGnov, nel significato di soprattutto, a e:lç -miv-.ix -.à ewri e si considerasse il logion come inteso a sottolineare il dovere di una evangelizzazione completa di tutte le genti. Del resto 1tpw-rov col valore di soprattutto può essere unito anche a :x:ripu:x,itfjva.~ i:ò e:ùa.yyÉÀ.LO\I e e il logion messo in rapporto con la _situazione espressa in 13,9.u: la testimonianza dell'evangelo dev'essere portata anche davanti ai tribunali pagani; in vista di essi e non della risposta da dare alle domande poste negli interrogatori verrebbe fattç> sperare in 13,;u l'aiuto dello Spirito santo 7• Né può costituire una difficoltà contro questa interpretazione la relativa rarità del significato di soprattutto anche in altri testi (cfr.---:). col. 669 e n. l).

    Tutto questo suffraga la tesi che anche nella frase di Mc. 13,10: elç ?tav"t'a 't<Ì. E~VYJ 7tpGhov OE~ X'l')pv:x,17ijvat 'tÒ EÙayyÉÀ.iov si debba prendere 7tpGli:ov nel senso di prima, antecedentemente, tanto più che nel parallelo di Mt. 24,14, dove manca 1tpw-.ov, ma segue xaì. i:6't"E {---:). n . 4), il concetto è certamente questo. A sostenere per Mc. 13,10 il significato di prima, potrebbe contribuire inoltre l'importanza del prindpio missionario che ne risulterebbe, non solo soppianta~do la regola vigente nel giudaismo: «prima Israele e poi le genti», ma potenziando ancor più quell'equiparazione di Israele e mondo pagano quali destinatari del messaggio 6 , che si può trarre dall'A.T. È vero che con questa interpretazione la frase di Mc. 13 ,IO deve essere tolta dal contesto in cui si trova {13,u si collega a x3,9) e considerata a sé, ma la stessa riserva varrebbe certamente anche se si volesse riferire

    c) Nel N.T. l'accezione soprattutto, se si esclude Rom. 2,9 s. {~ n. 3), compare soltanto in Mt. 6,33. Questo logion non deve essere inteso nel senso che si debba aspirare prima al regno di Dio {---:).II, coll. 182.198) e dopo sia concesso rivolgersi anche ad altro. Alla posizione centrale che ha nella predicazione di Gesù il raggiungimento del regno di Dio corrisponde piuttosto solo il senso di soprattutto; anzi 'ltpw-.ov implica-qui una tale esclusività da assumere il valore di soltanto 8 •

    Questo 7tPW"t'OV sarebbe «Un nesso tipicamente lucano, p-articolarmertte in contesto escatologico», «una parola tipica già pre-lucana per marcare gli albori del tempo escatologico», e Luca ne avrebbe esteso l'uso (cosl H. CoNZELMANN, Die Mitte der Zeit 1 [1957] 106 n. 1 ). Dato il numero relativamente esiguo di passi, l'ipotesi lascia adito a dubbi. Per 'ltp&°r "t'OV in Act. 15,14 cfr. HAENCHEN, Ag. 393.

    In questo caso Mc. lJ,IO non ha comunque a che fare col problema del ritardo della parusia. Del resto anche se 'TtpW"t'O\I dovesse significare prima, non sarebbe necessario considerare la frase come esponente del suddetto problema, neppure nella redazione di Mt. 24, 14. Diversamente E. GR.Assl!R, Das Problem der Parusieverzogerung in den synpt. Ev. u. in der Ag, Beih._ ;lNW 22 (1957) 158 s. 169.

    5

    7

    202. 6

    Cfr. F. Busc~, Zum Verstiindnir der synpt.

    Escbatologie; Mk IJ neu untersucht (1938) 89.

    8 Cfr. 'Tt)...1)\1 nel passo parallelo cli (r.À.-.)\1 ~'fJ"t'E~"t'E in contrapposizione

    Le..12131 a µ1) t;'X}-

    1tptù't'.oxcd>diplct. (W. Michaelis)

    t

    rcpw-.oxcdMipla,

    t 'ltPW't'oXÀ.tcrla

    1tPW>OXailEoplu e 7tpW't'OXÀtcrla: figurano accoppiate nel logion di Mc. 12,39 par. Mt. 23,6; Le. 20,46 (sempre al plurale, ad eccezione di 1tPW•oxÀtcrlu in Mt. 23,6); npw't'oxa.i)E:opla: si trova inoltre nell'abbinamento di Le. u,43 (al singolare); 'ltpW't'oxÀ.Lcrla ancora in Le. 14, 7 s. (al plurale e al singolare). Ambedue i vocaboli, benché la loro formazione '\"E~'t'.E

    di u,29). Anche al 1tpGli:ov di Mt. 23, 26 corrisponde in Le. IIAr 1tÀ:1iv.

    '-PW"tOY.Cl.Ì>d)plct., 7tPW't'.OXÀLO'lct. 1tpw-roxa.bd)plC1. dovrebbe supporre un 7CPW't'.ox6:&1ipoc; non attestato, 1tptù'\"OXÀio'la. un 7tpwi:oxÀl't'.T)<; parimenti non attestato, come <.pwi:oÀoylct. (presente anche nei LXX) si riconnette a 7tpw-eol6yoc; e 7tpwi:ocr-et:t
    sia perfettamente normale 1, sono molto rari anche al di fuori del N.T. 2 • Il significato, nell'ambito dei passi neotesta· mentari, è comunque convalidato dal contesto. 7tpw-coxalkopla. è il primo posto, il posto d'onore e precisamente Év 'tate; O'VVaywya.tc;, dove, come indica il plurale, di questi posti d'onore ce n'era più d'uno 3• 'ltpw't'oxÀ~crlu è il primo posto, il posto d'onore EV 'tote; oalno. Cfr. Clcm. Al, s/rom. 7,98,2. Suidas, s.v.: 1tfltù't'.OXÌ..Lula: 1i itpw·n1 xt:tbélipa;, In 2 Mach. 4,21 figura un 't'.à 1tpw-roxÀlmct. testimoniato soltanto qui, che significa evidentemente as-

    stm:tione del potere (festa dell'ifltro11iuazio11e). PAssow, s.v. preferisce leggere col Cod. A 'ltpwi:oxì..Tima, nel senso di la prima chiamata; 1tPW'toXÌ..TJO'Lct. del resto potrebbe essere inteso anche come nome della festa (cfr. Polyb. 18,55,3; 28,n,8 e LIDDELtrScoTT, s.v.). 1tPl.ù't'.ox)..lvcxpxo.:; in un papiro del sec. v d.C. (U. WILCKEN, Heid11isches 11. Christliches aus Agypte11, APF 1 [r901] 413) è un titolo; cfr. PREISIGKE, Wort. JII 152; MoULT.-MlLL. 557. xabéopa, usato in Mc. 11,r5 par. Mt. 2r,12 per i banchi dei venditori di colombe nel tempio, è entrato come barbarismo negli scritti rabbinici (cfr. S. KRAuss, Gr. "· /al. Lehnwéirter in Talmud, Midrasch u. Targum n (r899) 572 a qtdr'. Serviva a connotare le poltrone a braccioli e spalliera che erano usate nelle case signorili e «sulle quali venivano fatti se· dere, durante i pasti, gli ospiti gradi th>; ma le usavano anche le donne (cfr. S. KRAuss, Talmudische Arcbiiologie I [r910) 62, 384 n. 62. 385 n. 67 s. È noto anche l'uso della qtdr' nelle sinagoghe. Cfr. STRACK-BILLERllECK I 909 a Mt. 23,2: lnL 'tljc; Mwucréwc; xaDflip1tc;; E. L. SuKENIK, Ancie11t Synagogues ìn Palesti11e and Greece (1934) 57-61; STAUFFER, Theol. fìg. 99. Mt. 23,2 ci fa pensare che da queste poltrone (una sola in ogni sinagoga) si impartisse l'insegnamento (a questo proposito un ottimo parallelo è D1Tr., Syll. J II 845,2 s.: 6... lm -riji; xcc.6é8pac; croqM'tTJt; [ sec. m d. C.]). Invece per Ml. 23,6 si dovrà pensare a J

    1tpw.-6.-oxoc; Al (W. Mic:haclis)

    t

    7t\IOt<; 4;

    anche di questi posti, specialmente nei grandi conviti, ce n'era evidenmente più d'uno 5• Gesù nel logion di Mc. I2,J9 par. rimprovera la boria e la presunzione dei Farisei che dappertutto, nelle sinagoghe e quando sono invitati in case private, vorrebbero avere i primi posti 6 ; servendosi degli esempi narrati in Le. 14,8 ss., che in realtà sono delle parabole, egli mette in guardia i discepoli dall'innalzare se stessi.

    posti d'onore in genere, poiché il plurale evidentemente non vuol soltanto dire che i Farisei in tutte le sinagoghe hanno sempre bramato quel posto d 'onore, unico disponibile in ognuna di esse, e quindi hanno aspirato proprio alla cathedra Moysis. Cfr. anche STRACKBILLERBECK I 915 S., ad l. 4 A tavola si stava coricati; ~ v, col. 314. Cfr. xMvri, diva110 da mensa (Mc. 7,4 var.); x).tala., gruppo di persone adagiate per mangiare (Le. 9,14); xa.-a.xÀl\lw, dr. PREUSCHEN-BAUER" s.v. 5 Cfr. STRACK-BILLERBECK 1v 618: in ogni gruppo di convitati il posto d'onore è quello al centro del divano. In Le. 14,8 si parla al singolare dell'unica TCPW'tOXMalr.t in un banchetto di nozze, forse per far risaltare la contrapposizione con l'EO"X
    lrJw11h ). 6 In Herm., vis. 3,9,7 figura 1tpc.>'toxa&ESp~'tCX.~ (dopo TCPOTJYOVJ.U:\IO~), ma è difficile che si tratti di una critica nel senso di Mt. 23,6 par.

    1tpW't"O'tOXO<;,

    t

    A. IL GRUPPO DI

    1tpW'tO'tOXELO.

    VOCABOLI AL DI FUORI

    DEL N.T. 1. rtpw.,,-6-coxoç, primogenito, è un vocabolo che figura raramente nell'ambito extrabiblico e prima dei LXX in genere non si trova. Più comune e testimoniata in epoca più antica (già in Omero) è la forma attiva 1tPW'to't6xoc;, che partorisce per la prima volta, primipara, detto di animali e di persone. Egualmente a partire da Omero, è frequente invece, nel senso di primogenito, 1tPW't6yovoc;, che può significare anche primo per grado; anche qui si ha la forma attiva, però tardi e raramente testimoniata (in Polibio) 1• Il testo più antico

    Cfr. DIBELIUS, Herm. 476, ad I.; H. v . CAMPENHAUSEN, Kirchliches Amt ti. geistliche Vollmocht in de11 erste11 3 Jbdt. (1953) 9x. A quanto pare, questa designazione non ha trovato però larga diffusione, probabilmente per influsso del giudizio negativo di Mt. 23,6; tra i numerosi titoli ecclesiastici composti con 1tPW't"O-, registrati ad esempio da Suic., Thes. s.v., esso non figura. In Herm. mand. II,I2, quale tratto caratteristico dello pseudoprofeta si nota: l)f)..t~ 1tPW't"OlW.lh:8pla.-.i ~XEW e ciò potrebbe far pensare (l'osservazione è dello Schneemekher) che il vocabolo sia stato più corrente di quanto il materiale di cui disponiamo lascia vedere. Probabilmente però anche qui c'è un influsso diretto di Mt. 23,6.

    TCPW't"61."oxoc;, 1tPW1."oi:oxeia CREMER-KOGEL, s.v.; A. DuRAND, Le Christ «premier-né»: Recherches dc science religieuse l (1910) 56-66; J. GEWIESS, Chris111s 11. das Heil nach dem Kol, Katholisch-theol. Diss. Breslau (1932) 31-48 (qui si tien conto anche dell'esegesi patristica); E. KXSEMANN, Das wa11demde Gollesvolk 2, FRL N.F. 37 ( 1957) = KAsEMANN I; ID., Bine urchr. Taufl.it11rgie, in Festschr. R. Bultmann (1949) 133-148 =

    M1cHEL, Hebr. a l,6; W. Ml· Die bibl. Vorstellu11g von Christ11s als dem Erstgeborenen: ZsystTh 23 (1954)

    KAsEMANN n; CHAELis,

    137-157. I due significati non devono essersi svilup·

    1

    7tpW-rb-.oY.oç A

    che finora conosciamo per ?tPW'tO'toxoc:; 2 è un'iscrizione sepolcrale giudaica dell'anno 5 a.C., proveniente da Teli el Jehudeijeh (Leontopoli), nella quale alla riga 5 s. si legge: WOEi:Vt ÒÈ Moi:pa 7tpw-ro-r6xov µE 'tÉxvou 7tpòc; 'tÉÀ.oc:; 'ilYE ~lov, «nelle doglie per la nascita del mio primo figlio il destino mi portò al termine della vita» 3 • Sebbene l'iscrizione, come parecchie altre trovate nello stesso luogo, sia composta in distici e riveli in questa e in altre frasi un'impronta chiaramente extrabiblica, proprio l'uso di 'TCpW'tO-roxoc:; in luogo del più comune 7tpw-.6yovoc:; 4 potrebbe risalire a un'influsso della lingua dei LXX. Un rapporto di tal genere è invece da escludere per l'epigrafe tombale di un gran sacerdote pagano, trovata nella Traconitide: lpEÙc:; yap Elµt ?tpW'tO'tOXW\I Èx 't"EÀ.EÌ}[ WV? ] ( ="rEÀE'tWv?) Epigramm. Graeca 460,4. Purtroppo essa non è databile con precisione; comunque è difficile che sia più antica della precedente o dei LXX. Il senso stesso non è chiaro 5 • La maggior parte degli altri testi riguarda animali; ad es. P. Osl. I r,3r2 (sec. IV d.C.), Preisendanz, Zaub. 14, ro92s. rror s. 3149 (sec. IV d.C.); Anth. Pal. vm,34 (cenni all'uso linguistico dell'A.T.). Merita particolare attenzione l'atto di adozione di P. Lips. 28,15 (38r d.C.): ?tpòc:; -.ò ELVa.l O"OV ulÒV "'(VTJr:TtO\I xai 1tpW't6-.oxo'J ti>c:; pati indipendentemente. Poiché per il senso passivo fin dai lontani tempi c'era a disposizione 1tpw"t"byovoç, non dovette sembrare necessario ricorrere maggiormente a 1tpw't'6-roxoç, e d'altra parte da "t"Ex~bxoç dovette sembrare più facile arrivare a una fonna e a un significato attivo, da yEv-ybvoç a uno passivo. 2

    Nella iscrizione citata da

    (DITI'., Syll. 3

    III

    MoULT.-MILL. 557 1024,17, c . .2.00 a.C.) si de-

    ve leggere sicuramente: i'.iv É\IXuµov~ 1tpw-ro-r6xov, «una scrofa che è gravida e deve figliare per la prima volta». J Cfr. C. C. EDGAR, More tomb-stones /rom Tell el Yahoudieh: Annales du service des antiquités de l'Égypte :22 (1922) 9 s. ( = PRm-

    I-2a

    (W. Michaelis)

    Èt;, iolov atµai;oc:; y E'J'l)i>ÉV'ta crot (cfr. la formula parallela alle righe 18 s.). Ne risulta che 7tpw•6i:oxoc:; in campo extrabiblico fu usato anche con significato più generico, nel quale il vocabolo, per l'affievolirsi dell'idea di nascita contenuta in --.oxoc;, finisce con l'indicare una posizione primaria in genere, come fu senz'altro il caso di 7tpW't6yovoc; (~ col. 676) 6 • Cfr. anche schol. a Eur., Or. 7 12 : Tieste come 7tpw't6'toxoc:; e Atreo come OEU'tEpoc:;. 2. Nei LXX, i cui testi anche più tardi sono sempre più antichi delle prime testimonianze di 7tpW't6-.oxoç extrabiblico, il vocabolo :figura in circa r30 passi. Di questi, 7 4 rientrano nel Pentateuco e 29 nel primo libro delle Cronache, dove si tratta soprattutto di prescrizioni legali e di dati genealogici. a) Nel testo ebraico per 1r1 passi vi corrisponde b"kor o bekor. In altri 6 passi figurano vocaboli ebraici degli stessi gruppi, in 5 casi manca il corrispondente nella Bibbia ebraica, 3 casi appartengono a scritti senza testo masoretico. D'altra parte b'kor è di regola tradotto con 'ltpw'to'toxoc:;, salvo pochissime eccezioni (7tatolov: Deut. 25,6; 'TCpEr:r~ui:t:· poc:;: lob r,I3.I8); c'è dunque una equivalenza molto evidente. 7tpW't6-eoxoç è SIGKE, Sammelbuch 6647). ~ n. 36. Nei LXX soltanto Mich. 7,1; :l:~p. 36,n (~ col. 68:z), nel N.T. manca completamente. s Cfr. DEISSMANN, L.O. 71. L'epigrafe tombale metrica per un bambino di due anni (Epigr. Graec. 730,3 == CIG IV 9727,3) è di provenienza cristìana (II/III sec. d.C.). 6 Qualora in simili testi appaia una «certa preferenza del primogenito» (MITTEIS-WILKKBN n l,234), questi è volentieri designato come 1tpEcr~unpoç o '](pE
    '!tpw-cò-coxoc; A :2a-b (W. Michaelis)

    riferito ad animali in Gen. 4>4; Ex. 34, I9 s. ecc., ad animali e uomini insieme in Ex. II,5; I2,I2; Num. 18,15 ecc.; in questo caso è usato spesso il neutro sostantiva to singolare ( rcéiv rcpw'té-i-oxov: Ex. I2,29 ecc., parecchie volte con l'aggiunta OLavo'tyov -i-'Ì}v µ1r•pcx.v o qualcosa di simile, ad es. Ex. 13,2 8 ; cfr. anche Le. 2,23) o plurale (cosl anche .in Iob II,28, in riferimento ad Ex. I2,r2 s.). Detto di uomini soltanto, rcpw't6"t'oxoc; figura come aggettivo con uloç (Gen. 25,25; 27,32 ecc.) o come sostantivo, senza utéç, ma unito a nomi propri (Gen. 10,15; 22,2I; 25,13 ecc.). b) Nei testi in cui s'incontrano bekor o, rispettivamente, 1tpw-i-6"t'oxoc; e le forme lessicali ad essi connesse (-:> coli. 684s.) trova espressione l'importanza straordinaria e concretamente sperimentata che ebbero le 'primizie' tanto per l'uomo antico di ogni civiltà, anzi per l 'uomo in genere, quanto per l'uomo veterotestamentario. Poiché la terra appartiene alla divinità ed è lei che dona la fecondità che si palesa nelle priData l'esistenza della poligamia, ci sarebbe da vedere se questa precisazione non supponga una distinzione tra il primo figlio del padre e il primo della madre (H. HAAG, art. 'Erstgeburt', in Bibel-Lexikon [1956) 4:2:2), Le formule relative suonano tuttavia generiche e non fasciano scorgere direttamente tale differenza; né appare qui più uno sfondo matriarcale; dr. J. liEMPEL, Das E1hos des A.T., Beih. ZAW 67 (r928) 68. D'altra parte è chiaro che nella poligamia il primo figlio (il primo generato) del padre dovette avere in pratica una posizione speciale, come «ré'Jit della sua virilità» (Geti. 49,3; Deut. :21,17). 9 Cfr. V. RYSSEL, art. 'Erstlinge u. Erstlingsopfer', in RE3 5,482-484; O. ErsSFELDT, Erstli11ge 11. Zehnten im A.T. (1917); ID., art. 'Erstlinge', in RGG 2 II 293 s.; A. WENDEL, art. 'Erstlinge', in RGG 3 Il 609 s, Per la possìbilità di un significato tipologico o rappresen· tativo delle prescrizioni sul sacrificio del primogenito, dr. M. BARnI, Die Taufe cin Sakrament? (1951 ) :291; W . MICHABLIS, VcrsohB

    mizie, la divinità ha un diritto sui primi frutti della vegetazione e sui primogeniti di animali e uomini 9 • L'offerta dei primi nati in sacrificio, più tardi in tributo ai sacerdoti, ebbe un posto importantissimo nella religione israelitico-giudaica e parimenti l'offerta delle primizie dei raccolti. Per queste i LXX usano il termine 7tpW'tOyÉvv'l'}µa. o più esattamente rtpw-royÉ\l'l'}µa, quasi sempre al plurale, per lo più in corrispondenza di biktlrim. Ogni primogenito maschio di uomo o di animale era sacro al Signore (Ex. 22,28 s.; 34,19 s.; Num. 18,I.5 ss. [cfr. Le. 2,23s.]; Deut. r5,19ss.) 1G. Nella famiglia spettava al primogenito la preminenza sui fratelli (cfr. Gen. 2 .5. 29 ss.; 49,3; 2 Cron. 21,3), e dò si è ripercosso anche nel diritto ereditario. Questa posizione di preminenza del primogenito costituisce poi la premessa per un uso traslato prima di b'kor e quindi di 'ltpW't'o'Toxoç nei LXX. E qui che s'impone maggiormente il problema se e in qual senso l'equivalenza con bekor abbia potuto influire sulla storia del significato di 1tPW't'O't'OXOç u. nu11g des Alls (r950) 34 s. to La forma femminile b'kira si trova soltan· to in Gen. r9,31.33 s. 37; 29,26; I Sam. 1449· Il suo contrario è in I Sam. 14>49 q'fanna, altrove s"ira. I LXX hanno tradotto in I Sam. 14.49 ~pw-c6-coxoc; e ow-.Épa, altrove 7tpEa~v­ -cépa e VEW't'Épa. Noi traduciamo di solito h'kicon 'Ja maggiore' e cosl teniamo conto della circostanza che il gruppo di vocaboli ebraico non ha un rapporto etimologico né con un termine indicante generare, partorire, né con numerali indicanti uno, primo ( cfr. riga 21 ss.). Ciò nonostante, è chiaro che la traduzione prùnogenito (influenzata forse dal 7tpw't6'toxoç dei LXX e dal latino primogenìtus) per il maschile b'kOr cosl prevalente in confronto di b'klra non può possare per inadeguata o erronea .

    ra

    11 Cfr. W. MICHAELIS, Der Bei/rag der LXX :wr Bedeutungsgeschichte von npw't6'toxoc;, in Sprachgeschìchte 11. Wortbedeutrmg, Festschr. A. Debrunner ( 1954) 313-320.

    c) Se si considera 7tPW't'O't'OXoc;, il senso traslato, dato l'affermante -'t'oxoç, sembra limitarsi ai casi in cui è conservata, sia pure solo in senso fìgurato, l'idea di nascita, o appoggiarsi esclusivamente sul npw't'o- con recessione completa dell'idea di nascita. Partendo invece da b•kor non esiste pregiudiziale alcuna, in quanto questa radice, come è dimostrabile, non solo può esprimere l'idea di giovane e piccolo, ma può anche significare primogenito, lasciando ancora indeciso quale di queste due accezioni, che non coincidono affatto, sia la più antica 12, e senza appurare fino a che punto i LXX nel tradurre abbiano potuto aver ancora presente l'una o l'altra sfumatura del vocabolo. Per contro un sicuro punto di partenza è costituito dal fatto che b•kor ecc. non è connesso etimologicamente né ad uno dei termini ebraici indicanti generare, far nascere, produrre, per il quale il gruppo possa essere riferito anche ai frutti ecc., né ai numerali uno, primo o al sostantivo testa, capo, che può avere lo stesso valore ( ~ n . 10 ). Poiché dunque b•kor per l'etimologia è completamente estraneo alle due componenti di cui è costituito itpW't'o't'oxoc;, sorgeva la possibilità che in 7tpW't'o't'oxoc; come equivalente di b"kOr l'idea di nascita, e quindi anche la questione dell'origine, venisse a ridursi sempre più o addirittura scomparisse. Il Per la storia del significato di b'k8r e dei verbi e sostantivi affini per radice in ebraico e nelle lingue semitiche, cfr. J. J. STRAMM in MICHAELIS, op. cit. <~ n. II) 317 s. 13 Cfr. il corrispondente sviluppo extrabiblico e~ coli. 677 s.) e l'affermarsi del significato di primo per grado per 1tpc.>"t"6yovoç ~ col. 676. 12

    L4 Cosl E. W E CHSSLER, Hellas im Ev. (1936) 318: «tutti i popoli derivano da questo catxr stipite, ma Israele può vantarsi del nome di primogenito» (con rinvio a J. KLAUSNER, Jesus von Nazareth [ 1930] 524 a Ex. 4,22). 1s L'affermazione è vera anche sotto l'aspetto

    concetto che il vocabolo intendeva d'ora innanzi esprimere non implicava necessariamente il confronto con altre entità dello stesso genere, poiché il primo poteva essere l'unico 13• Il materiale presentato dai LXX conferma questa supposizione?

    d) Se in Ex. 4,22 si dice: vtòc; 'ltPW't'6-.ox6c; µov 'l
    68.3 (v1,8/5)

    'ltf:W'tO'tOY.oç A 2d-e (W. Michaelis)

    figlio diletto e la sua educazione sarà come quella del pl'imogenito»; 18,4: li mx.~oc.la o-ou Ècp'1}µfu; wc; utòv 1tpw-c6nxov µovoyc.vfj, «la tua educazione su di noi, come figlio primogenito e unico». È vero che 7tpW't6't'oxoc; e µovoyEVlJ<; non sono completamente sinonimi (~ col. 690), ma se, come qui, sono usati in parallelo, è soltanto perché si presuppone che la posizione del ?tpw-c6't'oxoc; sia unica 17• Si deve intendere in questo senso anche l'uso di 7tpw't'6'toxoc; per il re in \); 88,28: x&:yw 1tpW'to-roxov ih)croµcu a.ù-ròv v\jni À.Òv 'ltocpà 'tOLç Poc
    xoc; non implica più l'idea di una nascita o di una generazione 18, sia pure metaforicamente intesa; questa idea infatti non è esposta in nessun testo, e in ljJ 88,28 è addirittura esclusa a causa di -l)l]O"oµet~, che fa piuttosto pensare a una adozione (cfr. anche Ps. 2,7). Anche il concetto di una priorità temporale sugli altri figli resta del tutto estraneo. Il vocabolo non è più ordinato all'esistenza di altri figli; esso designa il popolo, l'individuo, il re in quanto particolarmente amati da Dio 19 . Questo valore di 7CPW't'O"toxoc;, che già si può notare nel1'A.T., è validamente comprovato dalla sinonimia coi titoli di Israele tratti dai libri dell'A.T.: «il (mio) primogenito, l'unico, l'eletto e l'amato» (4 Esdr. 6, 58)~.

    In questi casi è chiaro che 1tpw.-6't'o-

    e) Accanto a 'ltpw-.6...-oxoc; (7tpW't'O't'O· xoç non compare mai) si trovano nei LXX altre forme non testimoniate prima: 'ltpW'rO'tOXÉw, partorire per la prima volta, detto di animali (1Barl.6,7. 10); di una donna (Ier. 4,3I) 21 ; 7tpW't'o· 't'OXEUW col dativo, concedere i diritti di

    11 Cfr. ~ DuRAND 60 s. Anche in Zach. r2,10 iii{Jld e b•kor si corrispondono. I LXX hanno tradotto &.ya.1tl)-t6<; e 'ltPl.ù't6"t'oxoç, senza trascurare l'idea di unicità presente in ;apid, in quanto con àya.'ltl)'t6ç (cfr. vlò<; &:yci-ITTJaewç in Ps. Sal. 13,9 -+ coli. 682 s.) si intende proprio l'untco-Oilctto.-+ col. 697; ~VII, coll. 469 ss.; ZAHN, Mt. a 3,17 n. 68. Il filius meus primogeniltls (in luogo di &.ya.'ltl)'t6ç) nella traduzione di Mt. 3,1
    19 Nell'interpretazione messianica di 1j188,28, fìn dallo stesso v. 28 risulta la designazione del Messia come primogenito (-7 col. 687 ). lJl In ebraico, secondo B. V10LET (GCS 32, 64 s.) si dovrebbe supporre b'kori l/;1d1 b'{Jiri fdldi = 'ltp!.ù't6'tOXOV µovoyEvij lx>...Ex-.òv aya.1tl)'t'6V CTOV (µov). Un po' diverso ~ VII, col. 471. Cfr. anche W. H. TURNER, O YIOl: MOY O ArAIIHTO:E: JThSt 27 (1926) n2129; P . WINTER, MONOI'ENH:E rrAPA IlATPO:E: Zeitschr. fiir Religions- u. Geistesgeschichte 5 (1953) 347, cfr. anche 340. 21 Citato in I QH 3,8. Cfr. H. BARDTKE, Die Loblieder von Qumran II: ThLZ 8r (19,6) 592 e n . 66 s.; ibid. Bo (1955) 692; M. BuRRows, Mchr Klarheit uber die Schriftrol/en

    7tpW'tO'tOXOt:;

    rt

    2t:·4 l

    W. Jvu<;11>1cu~1

    suo proprio nome. In questo contesto, al capitolo seguente, Filone presenta Caino come il 1tPW"t"O'tOXoç, oç tjv à.p:x:n i:fjç Èç àU,1}>.wv yEvfotwc; àvi}pw1totç, «colui che fu, per gli uomini, l'inizio della nascita per generazione dell'uno dall'altro»: Caino è cioè il primo uomo che oç OCV"t"t ~pWèv .,i;pGhov (4,70). Ri· proposito di uomini e di animali e qua- prendendo Ios. 6,26, egli sostituisce si esclusivamente collegandosi a passi 1tPW'tO'tOXOç e É).a:xL
    (1958) 276. 22

    La lezione migliore è 7tpW-rO'tOXEi:a e non

    7tpW"CO't6XLa, come ha la maggior parte dei co-

    dici per i passi dei LXX ed Hebr. 12,16. Nel significato di distinzione è d'uso corrente -Ei:a in parallelo a -Etiw; cfr. -rà- 7tpE
    -La.

    NER] ~ n.25.

    Aquila con questo vocabolo avrà probabilmente cercato di rendere con maggior preci-

    23

    sione il singolare ebraico b'MrJ. [P. KATZ]. Senza corrispondente nel Testo Masoretiço, ma in base ai LXX potrebbe essere aggiunto anche H; cfr. Bibl. Hebr., Krrr. 1• 25 Cfr. LEISEGANG, s.v. Anche -.à. 7tpw-ço't6x~ct ricorre alcune volte (scritto çosl; ~ n. 22). 26 In questo senso va corretta la valutazione di cher. 54 in MrcHAELIS, op. cii. e~ n . II) 320. Cfr. ~ MrcHAELIS 155. ~ n. 30. 21 Contro W. STAERK, Die Erlosererwartung in dC11 ostlichen Religionen (1938} 72 s. 24

    7tpw-c6"toxoç A 4 - B 1 (W. Michaelis)

    con riferimento a Iub. 18,2 (Gen. 22,2). Questa accentuazione della posizione particolare che ha il primogenito compare anche in Iub. 19,28: Dio è padre di Giacobbe e Giacobbe figlio primogenito di Dio. È chiaro che si tratta di un riferimento a Ex. 4,22; anche Iub. 2,20 poggia sull'idea di una scelta di Israele riservata a lui solo: <{Ho scelto decisamente il seme di Giacobbe tra ciò che ho visto e me lo sono ascritto come figlio primogenito» ecc. (cfr. Hen. hebr. 44,ro). Per 4 Esdr. 6,58 ~ col. 684. Anche in 4 Esdr. 6,55, se dal latino primogenitum si deve arguire bekOr, biso· gnerà pensare che il primogenito sia Israele e non il mondo 28 • 5. Il giudaismo rabbinico ha designato come 'primogenito' (soprattutto in base a Ex. 4,22) Israele o Giacobbe; in seguito la torà e talvolta anche Adamo; inoltre Ex. r. 19 (81a) e Pes. r. 34 (159b) chiamano cosl il Messia-Re, rifacendosi a Ps. 89,28 e pure a Ier. 31,9 (Efraim come vezzeggiativo del Messia) 29 • L'appellativo è espressione dell'amore e della stima che Dio ha per un uomo 30 e può anche riferirsi alle particolari doti di una persona 31 • 28 Bar. syr. 44,1: «il mio (cioè di Baruch) figlio primogenito» risale forse a b•nt haggiidol (ad es. Gen. 27,1), come suppone B. VIOLET ad l. [GCS 32,261]). 29 Cfr. STRACK-BILLERBECK III 256-258 (a Rom. 8,29), 626 (a Col. 1,15), 677' (a Hebr. 1,6); M1cHeL, Hebr. a l,6 (52 e n. 2). 30 STRACK-BILLERBECK III 626. Anche Adamo, benché non 'nato', ma 'creato', in Num. r. 4 (141c) è detto «primogenito del mondo» e ciò dimostra quanto sia lontana dal termine l'idea di una nascita. Anche la priorità temporale non è mai considerata, ad eccezione di quei passi che si riferiscono alla torà e si ricollegano a Gen. 1,1; STRACK-BILLERBECK III 257. Cfr. S'.i'AERK, op. cit. (--') n. 27) 14; --') nn. 46.53. 31 STRACK-BilLERBECK III 258. 'Primogenito' può anche essere usato in malam partem: il

    B. IL

    (v1,877) 688

    GRUPPO DI VOCABOLI NEL N .T.

    Nel N.T. 'ltpW'tO't'O'XO<;, che compare al plurale solo in Hebr. n,28 (.-,. col. 679); 12,23 (.-,. co11. 701 s.), al singolare è sempre riferito a Gesù Cristo. r. In Le. 2,7 di Maria, madre di Gesù, si dice: xa.1. É'tEXE'V -.òv ULÒV a.ù-.1'}c; 'tÒ'V TCPW'tO'toxov. È questo l'unico passo del N.T. in cui TCPW'to'toxoc;, grazie all'uso paronomastico di 'tLX'tEW, è legato inequivocabilmente al fatto di una nascita e proprio nel senso naturale. È difficile stabilire quale peso abbia dato lo scrittore alla designazione del neonato come 7CPW'tO'tOxoc;. È improbabile che voglia semplicemente preparare Le. 2,22 ss.; anche nell'episodio di Gesù portato al tempio è fatto esplicito riferimento a Ex. 13, ma non mediante il termine I.PW'to'toxoc; che pur sarebbe suggerito da Ex. 13,2 (diversamente 13,12) 32 • Si più pericoloso e il più temuto del suo genere 258 s.); cfr. già in Iob 18,13 (T.M.) «il primogenito della morte», per indicare una malattia particolarmente grave. Cfr. anche 7tpw-c6-.oxoç "tOV rm.-.a.vfi per indicare un eretico (Polyc. 7,1; cfr. mart. Polyc. epil. 3, ed anche Iren., haer. 3,3,4). Cfr. W. BAUER, Rechl-

    (ibid.

    gliitJbigkeit

    11.

    Ketzerei im altesten Christen-

    (1939) 74.237. Il nome proprio aramaico pe/rom (per le diverse grafie cfr. STRACK-BILLERBECK I 530 a Mt. xo,2) può connettersi a pfr e in questo caso significare il s~a.volywv "TÌJV µ111:pa.v ~ col. 679, il primogenito. Cfr. ~ x, col. 126 n. 8; O. CULLMANN, Petms (1952) 13 e n. n; 14 n. 13; O. BETZ, Felsenma11n ti. Felse11gemei11de: ZNW 48 (1957) 65 n.48. 32 Cfr. ZAHN, Lk., ad l. Il -itpw-.6"toxo~ di Le. 2,7, dato che qui è aggettivo (--') MrcHAELIS 137 s.), non può essere «predicato di Cristo» 111111

    689 (vr,877)

    7tpW't'O't'OXoç

    D 1-2 \

    w . lVJ.n.:m1cJI~J

    può supporre che, mettendo in rilievo Gesù quale figlio primogenito di sua madre, l'autore voglia richiamare il tema della verginità di Maria, abbastanza chiaramente affermata in Le. r,27.34 33• Nell'usare npwi:o-coxoc;, l'intenzione non era tanto quella di «differenziare Gesù bambino da successivi figli di Maria>>, quanto di «escludere figli nati prima» 34 • Se non avessimo altre notizie che Gesù ha avuto dei fratelli (~ 1, coll. 386 s.), il tenore di Le. 2,7 da solo difficilmente permetterebbe di arrivare con sicurezza a una affermazione di tal genere; infatti il figlio primogenito è detto 1tpwi:6i:oxoc; perché è il primo a nascere, indipendentemente dal fatto che realmente lo seguano altri figli. D'altra parte npwi:6i:o-

    xoç implica la possibilità e persino l'attesa che ne seguano altri (-'> Ix, coll. 773 s.) 35• npW"ro'toxoc; quindi in Le. 2,7 non ha assolutamente il significato di µovoyEvi)c; (~ vn, coll. 465 ss.) e non può ad esempio escludere che Maria abbia avuto altri figli~. 2. La metafora del primogenito nella cerchia dei fratelli è usata da Paolo in Rom. 8,29: ouç 1CpoÉyvw, xa.t 7tpowpL<1E\I uuµµopcpouc; -cijc; Elx6voc; -cov utov a.ù-cou, dc; 't"Ò dva.L a.ui:òv 7tpW'tO"COXOV Èv rcoÀ.À.oi:c; àoeÀ.q>oi:c;, «coloro che ha conosciuto da principio, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, per modo che egli fosse il primogenito tra molti fratelli». Si tratta qui della trasfigurazione escatologica 37 •

    nel senso, ad esempio, di Col. 1,15, come sup· pone G. ERDMANN, Die Vorgeschicbte des Lk.11. Mt.-Ev. 11. Vergils 4. Ekloge, FRL N.F. 30 (r932) 41 s. 3J Una connessione di tal genere sarebbe certamente esclusa se Le. 2,1 ss. non fosse stato composto sin dall'inizio come continuazione di 1,26 ss., ma ricalcasse un racconto indipenden· te, nel quale Maria e Giuseppe comparissero come ·sposati e Gesù fosse presentato come figlio di questo matrimonio. Cfr. M. DrnELius, J11ngfraue11sohn 11. Krippe11ki11d: SAHeid 1931 /1932, 4 (1932) spec. 55-57. 34 KLOSTERMANN, Lk., ad l., ma con un'accentuazione precisamente contrarin. Cfr. ZAHN, Lk., ad I. 35 Se Gesù non avesse avuto fratelli, il 1tpcù't6't'oxoç di Le. 2,7 non si sarebbe forse conservato cosl intatto, e più tardi non sarebbe stato nemmeno accolto, come Mt. I,25 (var.). Il figlio unico è indicato con µovoyevfic;; cfr. Le. 7,12; 8,42; 9,38; Hebr. u,17. Giovanni Battista non è chiamato '1tPW't'6"Toxoc;, per quanto possa essere significativo che egli fu del pari il primo figlio dei suoi genitori. Anche per Sansone, richiamato come parallelo

    da P. WINTER, The Proto-Source o/ Lk. I: NovTest 2 (1956) 190 s., manca in Iud. 13,24 una designazione del genere. 36 A torto J. B. FREY, La significatfon d11 terme 7tPW-t6't'oxoç d'après une inscription juive: Biblica 11 (1930) 373-390 (cfr. anche 1-IAAG, o c. [ ~ n. 8) 422) sostiene la perfetta sinonimia di 7tPW't'6't'oxoç e µovoyEvi}ç, appellandosi specialmente all'iscrizione tombale di Tell e1 Jehudijeh, ricordata sopra(~ coll. 676 s.). Tuttavia è vero che il bambino di quell'Arsinoe di cui parla l'epigrafe, morta al suo primo parto, rimase l'unico figlio di sua madre; ma non per questo è indicato come 1tpu>'t'6't'oxov i:Éxvov, ma perché fu il suo primo figlio. Cfr. anche H.KocH, Virga Eva - Virgo Maria (1937) rn:z-rn6 (appendice 5); ibid. 46-60 più dettagliatamente su Le. 2,7 nei Padri, particolarmente in Ireneo e Tertulliano. 37 «Con Elxwv s'intende il corpo trasfigurato dopo la resurrezione» (LIETZMANN, Rom., ad /.); ~ rn, col. 183. Cfr. anche 1 Cor. I5A9; Pbil. 3,21. Non si allude al Gesù storico, come se GUµµ6pqiovc; 't-ijc; Etx6voç si riferisse alla sequela di lui (cosi vorrebbe Zahn, Rom., ad I.). Avvalersi di Elxwv a questo scopo comporta

    7tpW't6'toxoç B 2-3 {W. Michaelis)

    Ciò che s'intende descrivere non è la resurrezione .in sé, e il 1tpw't'6'1'oxoc; non va interpretato nel senso del 1tpW't'6'1'oxoc; éx 'l'WV vExpwv di Col. 18 33; piuttosto si allude alla piena comunione con Cristo che inizia colla resurrezione dell'ultimo giorno e la cui premessa è lo stato di conformazione a lui (cfr. oµo~ot a.im~ fo·6µEi}a: I lo. 3,2). In questa piena comunione con Cristo, i credenti glorificati, quando entreranno nell'eredità come ovyxÀ'l')povbµot Xp~cnov (Rom. 8, I 7) e .raggiungeranno la loro escatologica vloitEafo.. (Rom. 8,23), saranno considerati fratelli di lui; egli sarà il 1tpW"t6't'oxoc;, simile ad essi e tuttavia superiore e preminente in rango e dignità,

    perché resta sempre il loro Signore 39 • 3. Come nel 7tPW"t6-roxoc; di Rom. 8, 29 l'accento non batte particolarmente su -"toxoc;, cosl avviene in Col. r,18, dove Cristo è detto 1tpwi:6i:oxoc; Èx 'l'W\I Vexpwv 4ll. Con queste parole egli è designato quale primo risorto fra i morti: parlano in favore di questa interpretazione anche le formule àmx.px1J i:wv xExoLµ'l']µÉvwv di I Cor. 15,20 e 7tpGhoc; H; a\lr.t.0'1:6..0'EWç \/Expwv di Act. 26,23, per non citare che i paralleli più diretti. Tuttavia la priorità nel tempo non sta da sola in primo piano, ma vi è inclusa anche l'importanza che la sua resurrezione assume .in quanto avvio alla resurrezione generale nell'ultimo gior-

    una formulazione moderna, ma per niente con· forme al N.T. Anche in 2 Cor. 3,18 si parla della vita presente, ma la Etxwv si riferisce del pari alla forma di esistenza del Risorto (cfr.-> KAsEMANN n 138). Ciò vale senza pregiudizio del fotto che [T. W.MANsoN], secondo Rom. 8,r4 ss.; I Io. 3,2, la filiazione divina è già possesso dei credenté; nemmeno il III, coll. r84; II, col. 1392), almeno per la frase introdotta da dc;, ma anche per O'Vµµ6pcpovç ecc.

    genito di molti fratelli. Ma poiché questi fratelli risorgeranno nell'ultimo giorno, egli potrebbe essere chiamato oosl solo in senso pro· lettico.

    33 ~ IV,

    col. 189. Similmente E. BRUNNER, Das Ewige als Zuk1111/t u. Gegenwart (1953)

    184: mediante la sua resurrezione al terzo giorno, Gesù Cristo sarebbe divenuto il primo-

    39 Cfr. MICHAELIS, Phil. a 3,21. Non è verosimile che Paolo in Rom. 8,29 riprenda con ?tpw-c6-coxoç il titolo messianico in uso nel giudaismo (cfr. ScHLATIER, Rom., ad l.), perché ivi manca la relazione con i fratelli e si ha di mira soltanto il rapporto con Dio (-> col. 687). 40 Nel N.T. la resurrezione non è mai presentata sotto la forma metaforica di un parto. ZAHN, Ag. a 2,24 ravvisa qui l'idea che il fl'Q.va;-coç o, secondo una variante, l'/t.1ìTJc; abbia lasciato nuovamente libero il morto Gesù fra le doglie dcl parro e inqundra in questa interpretazione anche la frase 'ltpw'té'toxoc; Èx -cwv VEXpWV. Tuttavia fl'~V(l'\OC, e /j.1ìT}ç sono entità maschili e Mcra;ç 't~ w1ì~ \ltXç, nonostante WO~VCXC, 1ìt a;Ù-cWV g},,vcrac; di lob 39,2 e la singolare esegesi rabbinica di Ps. 18,5 (in STRACK-BILLERBECK II 617 s. a Act. 2,24), non significherà doglie del parlo, ma genericamente dolori (cosl anche in ljl 114,3). Cfr. inoltre HAENCHl!N, Ag. 148 n. 5.


    no 41 . Si tratta insomma di una proclamazione del rango e della dignità di Cristo, tanto più che anche la proposizione seguente introdotta da ~\la (-+ col. 704) ha questo senso, il precedente apxfi è sulla stessa linea 42 e il parallelo costituito dall'altra frase con 7tpw't6-coxoc; in I, r5 (-+coli. 694 ss.) fa anch'esso pensare ad una graduatoria. Poiché Cristo fin dalla creazione ha di fronte a tutte le creature il posto di un npw't6'toxoc;, tale egli è anche e ben a ragione come risorto 43 (-+coli. 695.696 ss.).

    + In Apoc. r ,5 1tPW'tO'toxoc; 'tW\I

    VE-

    xpwv non è detto solo in ordine al tempo. Poiché la frase seguente ò &pxwv 'tW\I ~cx.cnÀ.Éwv -tijc; yijc; ricorda ~ 88, 28b, come del resto già ò µ6.p'tvc; b 1tLO-'t6c; richiama ò µap'tuc; Èv oùpcx.vQ mcn6c; di ~ 88,38 (vr, col. 1333), anche 1tPW'tO'tOXoc; si ricollegherà a xayw 1tflW't6•0XO\I i>l)o-oµo:~ CX.Ù'tO\I di o/ 88, 28a (-+ col. 683) e quindi intenderà 41 ~ 1, col!. 996 ss.; O. CuLLMANN, Unster· blichkeit der Sede u. Auferstehrmg der Toten: ThZ u (1956) specialm. 144-148. Anche nella formulazione cosl sobria di Act. 26,23 il concetto viene inteso allo stesso modo; cfr. H. CoNZ~LMANN, Die Mitte der Zeif (x957) 179. 202. Per una interpretazione ispirata al pensiero gnostico cfr. ~ Kii.SEMANN 1 66 n. 2.72 s.; II 139; con qualche riserva MICHEL, Hebr., excursus a 1,6 e 2,10. 42 Quindi àPX'fi sta in parallelo con gli enun· ciati di Col. 1,15 (~ I, coll. 1286 s .). Per &:pxfi riferito invece alla resurrezione ~ I, coll. 996 ss.; DrnELIUs, Gefbr. 3, ad l.; ~ DuRANn 64. 43 ~ MICHAELIS 144-146. 44

    DrnELIOS, Gefbr. ', ad l. (traduzione: «pri-

    connotare non solo la priorità temporale, ma anche e prima di tutto il rango che compete a Gesù quale primogenito dei risorti. La stretta connessione con ~ 88 convalida la tesi che non si tratta di una semplice ripresa da Col. I,18, dove un tale richiamo invece manca, ma o di un'affermazione che ha dietro di sé dei precedenti propri o addirittura di una formula indipendente dello scrittore apocalittico. 5. In Col. I,I5 la designazione di Cristo quale 7tpW'tO'tOXoc; mia"r)c; X'tLO'EWc; ha nella frase con o'tt che segue (1,16) una sua esplicita e precisa giustificazione e spiegazione: Cristo è il mediatore della creazione, al quale tutte le cose create senza eccezione sono debitrici del loro essere (-+ IX, coll. 956 s.). Di conseguenza in npw-c6'toxoc; 1t&:a'1)c; X't lo-Ewc; non è espressa la semplice priorità temporale di colui che a tutto preesiste 44• Se la formula ha infatti per ogmogenito avanti ogni creatura»). Anche l'espressione in uso per Dio qadmono lei 'oJam, «colui che è prima del mondo», che secondo STRACK·BILLERBECK Ili 67.6, ad I. si avvicina «moltissimo» alla frase paolina, non può va· 1ere come parallelo, dato che in quest'ultima non si tratta affatto esclusivamente della precedenza temporale. Per la designazione di Dio stesso quale primogenito nella tarda tradizione giudaica dr. la riserva avanzata in ~ DU· RAND 60 e n. 2. Del resto in DrnELIUS, /oc. cit. l'uso comparativo di 'ltpW'toc; o 'ltpw-.ov in Io. 1,15.30; 15,18 è chiamato in causa anche per 1tpw-.b-.oxoc;, ma stando a RADERMACHER 1 68.70 e BL.-DEBR, § 62 (cfr. § 185,1) l'illazione non è giustificata. 'ltpw-.b-.oxoc; significa il primo nato, ma non necessariamente quello nato prima (di un altro).

    7tpw't'6-roxot; B 5 (W. Michaelis)

    (vr,880) 696

    getto la mediazione creatrice di Cristo, essa non può nello stesso tempo 45 affermare che egli sarebbe stato creato quale prima creatura 46• Contro tale ipotesi, secondo la quale 1ttl.
    come sinonimo di ?tptù'tOX'tLO''toc; 47• Cosl l'unica possibilità che resta 48 è di intendere 1tpw-c6't'oxoc; nel senso del rango(~ qui sotto): si allude alla superiorità particolarissima e irrepetibile che Cristo possiede rispetto a tutte le creature, quale mediatore della loro stessa creazione. Anche la frase che segue in r,17• (m'.rtéc; È
    45 In Io. 1,x.3 precedenza nel tempo e mediazione creatrice sono nominate l'una dopo l'altra. Ma non è come se i due enunciati fossero compresenti in 1tpW-r6-roxoç.

    sere considerate non come generate, ma come 'create', dal momento che sono indicate con x-rl'11.<;. Il concetto presente in I Io. 5,18, ma non in Io. 1,13 (~ II, col. 414), secondo il quale Cristo dovrebbe essere considerato come generato da Dio, non si presta all'interpretazione di 7tpW't'6-roxoç; e neppure l'uso che il N.T. fa di Ps. -i.,7 (~ MrCHAELIS r45.147-149). Nella Bibbia, quando si parla dell'agire di Dio, la differenza fra yEwiiv e -.lx-reLV è sempre mantenuta. 48 Devono essere rifiutati tutti i tentativi di riferire il passo alla xa.w1} x'ticnç o di leggere 1tpw-ro-r6xoç. Cfr. ~ GEWIEss 3-i.; W. STAERK,

    46 Il titolo di «primogenito del mondo» dato ad Adamo(~ n. 30; ~ KAsE.MANN 1128) non può in questo caso rappresentare un parallelo stretto. 47 Cfr. ~ DURAND 62. La contraddizione tra 1tpw-r6't'oxoç e x-rloi.ç non si eliminerebbe nemmeno se l'interpretazione venisse modificata in questo senso: «Cristo è il 1tpw-r6't'oxoç di tutta la creazione in quanto egli ed egli solo è stato generato dal Padre, mentre rutto il resto fu da lui creato - mediante il Figlio» (KocH, op. cit. [n. 36] 56 nota). Non è lecito, accentuando il -'t'OXO<;, prendere 7tpw-t6't'oXoç nel senso di colui che /u generato come unico; d'altra parte appena s'intende 1tpw-r6-roxoç come generato per primo, appellandosi al fatto che i significati di -rlx't'ELV e yEwiiv effettivamente si scambiano, la contradfuione emerge di nuovo, perché le creature devono es-

    l,16.

    In Col. r,r5 e poi anche l,18, per esprimere questa superiorità di genere assolutamente unico, la scelta di 1tpw-t6-i:oxoc; potrebbe essere stata determinata dalla grande importanza che il concetto di 'primogenito', come designazione di un primato di dignità, aveva acquistato nell'A.T. e conservato poi nel tardo giudaismo (~ coll. 682 ss. 687 ). Peraltro, in questo ambito il titolo è usa-

    Soter I (1933) 155; ]. HÉRING, Die bibl. Grundlage11 des chr. Hu111a11ismus, Abh. Th. ANT (1946) 7 n. 4; E. FASCHER, Textgeschichte als hermene11tisches Problem (1953) xo3 n. 1. Lo stesso DIBELIUS, Gejbr. ', ad l. trova qui il rango «almeno implicito»; al contrario ~ GEWIESS 36 vede, e più a ragione, !'«elemento temporale» solo «brevemente sfiorato». Cfr. anche~ v, roll. 386.388.

    49

    'ltPW"t'O-roxoç B 5 (W. Michaelis)

    697 (v1,880)

    to per descrivere la posizione di fronte ro 51 • Non è tuttavia necessario pensare a Dio, mentre in Col. 1,15 non si pen- che tale uso particolare del vocabolo sia sa a ciò, e questa differenza permane stato preformato in una tradizione più anche di fronte all'osservazione, per sé antica; può benissimo risalire a Paolo rispettabile, che il rapporto di Cristo stesso. L'ipotesi che sia stato l'enunciacon Dio è espresso immediatamente pri- to di l,18 il punto di partenza che ha ma di l,15 e precisamente in 1,13 con ispirato a sua volta quello di 1, x5, in il titolo di ulòc; -ri)c; à.ycbtTJc; a.Ù'tov, quanto il riferimento di npw't6'toxo.; e che inoltre in Ps. Sal. 13,9 (~ col. alla resurrezione sarebbe stato più cor682) compaiono proprio appaiati utoc; rente e più facilmente comprensibile, &.ya.'ltlJO"EWc; e 'ltpW't6'toxoç 50 • D'altra non regge, perché l ,18 viene dopo x, patte, se in Col. l ,15 si tratta della po- 1 5 e perché non risulta che il vocabolo sizione di Cristo di fronte alle creature, fosse più diffuso in rapporto alla resurcome mediatore della loro creazione, nel- rezione (per Apoc. r,5-?coll. 693s., per le formule veterotestamentario-giudai- Hebr. 1,6 -7 coli. 699 s.). Sarà piuttosto che che abbiamo preso in considerazio- da ritenere il contrario, cioè che si sia ne qualsiasi premessa per tale concetto formato prima l'enunciato con 'ltPW>Omanca completamente. Anche Prov. 8, -roxoc; di 1,15 e che questo abbia poi 22: xupLoc; EX"tLO'É\/ µE (cioè la O'Ocpla.) tratto seco l'enunciato con npw-r6't'oxoc; à.px1Jv oSwv cdrcov, nonostante tutta del v. 18, salvo che le due frasi non sial'importanza che la speculazione giu- no tra loro più indipendenti, anche se daica sulla
    ~

    .KAsEMANN II :r40. s1 Cfr. ~ KAsnMANN n I 34. 52 Cfr. ~ KXSEMANN l 58·61.66 n. 2.72 s. 98rn5 .128.136 s. 139. 53 Per Adamo come primogenito (4 .KAseMANN l 128; l i 137) 4 n. 30; per 1tpw't6yovoç in Filone ~ Ki\SEMANN rr 137.147 n. 29. Angeli e arcangeli quali 1tpw't'OX,.L!T't'OL ( ~ Kii.sEMANN 1 28.u6; Clem. Al., exc. Theod. 27,3 ss.; ]. BARBEL, Christos A11gelos, Theophaneia 3 [1941] spec. 199-201; W. LuEKEN, Michael [ 1898] n1-117, cfr. 38: paralleli rab-

    binici) non possono costituire un parallelo a Col. r,15, perché qui si presuppone che Cristo sia non creato, ma preesistente e~ coll. 694 ss.). ~

    MtcHEL, Hebr. a r,6. Questa cautela rispetto a una derivazione gnostica è indipendente dall'accettazione della proposta fatta da~ Kii.SEMANN II, che in Col. :r,15-20 vede un'elaborazione di una liturgia battesimale protocristiana che a sua volta poggerebbe su un inno precristiano (cfr. a questo proposito W.MICHAELIS, Einleint11ng in das N.T. 2 (1954]

    7tpw-c6-coxoç B 5-6 (W. Michaelis)

    siamo obbligati a supporre una stessa origine per tutti gli elementi che racchiude in sé l'espressione 1tp<.ù'to't'o:>eoc; 7taeoc; e, per questo concetto stesso, l'aggancio ad un uso più antico nel quale esso fosse sufficientemente disponibile ad una successiva utilizzazione cristologica; ciò che appWlto si verifica nell'uso veterotestamentario e tardogiudaico (-7 coll. 696 s.) 55•

    6. Nella frase o·mv OÈ 'JtUÀ,tv Ei.
    215. Il mandeismo conosce 'primogenito' (co-

    me anche 'primo' -,> 1, col. 8 n . 6) quale concetto mitologico, ad es. LrnzBARSKX, Gim.t1 R 5,1; LrnzBARSKI, Liturg. 28,n; 123,8 s. (Caino come «primo primogenito» -,> coli. 685 s.). 55 ~ MICHAELIS 146-152.

    56

    Cfr.

    KASEMANN I 58-61. 131 n . 2. 136 s.; MICHllL, Hebr. a 1,6; F.]. ScHIERSE, Verheis-

    sung u. Heilsvollendung. Zur theologischen Grundfrage des Hb (1955) 96; G. ScmLLE,

    (vr,88r) 700

    1} olxouµÉvl) senza la speficazione 1i µÉÀ,À,ouo-a (cfr. 2 ,5) non è certo che significhi il mondo celeste, e infine dcO:yw va bene anche per l'incarnazione e 7tciÀ.Lv potrebbe equivalere al m:l)..w di 1,5, sarà forse preferibile riferire la frase al Cristo preesistente. In tal caso npw.-6· 't'oxoc; corrisponde all'vt6c; usato prima in 1,2 e nelle citazioni di r,5 ab (cfr. anche r ,8) e connota come questo il rapporto filiale tutto particolare che il Cristo ha con Dio - prima di tutto, se non in modo esclusivo - quale preesistente.

    Resta escluso(~ n. 47) che il termine rtpw.-6'toxoc; possa essere occasionato dal yEyÉWl)Xa
    Die Btl5is des Hb: ZNW 48 (1957) 275. Invece G . WrnENGREN, Mesopotamian Eleme11ts in Ma11icheism, Uppsala Universitets Arsskrift 1946, 3 (1946) 24 n . 1, insiste molto sul rapporto che lega gli enunciati di H ebr. al pensiero veterotestamentario-giudaico. 57 CREMl!R-KOGEL, s,v.; MrcHEL, Hebr. a 1,6 (n. 2). Non è nemmeno il caso di confrontare 1,6 con gli vlol di 2,10, sebbene in sé anche Hebr. ammetta un rapporto tra la filiazione di Gesù e quella dei credenti.

    701 (vr,88r)

    l VI)S!S2J 702

    '1tpw-r6-roxoç B 6-7 (W. Michaelis)

    do di individuare da quale tradizione anteriore l'autore l'abbia preso, se da quella che soggiace anche a Col. 1 15 o da un'altra 58 . In 12,23 npw.-6-toxoc; è usato in un'accezione che non ha parallelo in altri passi del N.T. 7. In Hebr. 12,23 si parla di una ÉxxÀ:r111la. 'ltPW'tO'tOXtù\I Ò:.\la.yEypcx.µµÉVW\I Év oùpa.voic;. I 'ltpw-t6-toxoi, che fanno parte di questa festosa adunanza celeste (IV, col. 1524) ma evidentemente non si trovano ancora essi stessi nel cielo, e i cui nomi soltanto stanno segnati nel celeste libro della vita (n, coli. 276 ss.), non sono certamente angeli, tanto più che di essi si è già trattato in 12,22 59 . È difficile pure che si intenda con questo termine la comunità veterotestamentaria o i testimoni della fede di cui si parla nel cap. l l; si tratta piuttosto del58 Anche ammesso che sia esatto osservare che Ps. 2,7; 2 Sam. 7,14 e il concetto cli 'ltplù· -r6-roxoç del Ps. 89,28 stanno fra loro «in nesso esegetico diretto» (MICHEL, Hebr. a x,6; cfr. anche ~ DUllAND 60), resta da vedere se questo basti a spiegare la provenienza cli ?rpw-.6-roxoç in Hebr. x,6. Dopo tutto, è importante che in questo contesto, dove pure l'autore infila citazioni su citazioni adducendo in 1,5•·• 1Ji 2,7 e 2 Sam. 7,14, non sia affatto citato 1Ji 88,28. Può davvero questa lacuna essere colmata con l'osservazione sopracitata? Sarà pure giusto osservare che 7tplù't'O'toxoç in Hebr. l,6, dato che qui è usato «senza ag· giunte e interpretazioni» (diversamente da Rom. 8,29; Col. 1,15.18; Apoc. 1,5), costituisce una designazione di carattere più generale. Resta tuttavia da chiedersi se con ciò le aggiunte in Rom. 8,29 ecc. siano da intendere come «limitazioni intenzionali di una formula riguardante il Messia e avente in origine un signifi. cato più ampio», formula presente in lji 88,28 e riflessa in Hebr. 1,6 (MICHEL, Hebr. a r,6). Si tratta piuttosto di applicazioni del concetto a determinate realtà cristologiche, secondo le ri-

    la neotestamentaria comunità di salvezza 60 • Ed è egualmente difficile dire co· me quest'accezione di 7tpw-.6-.oxo<;, unica anche nell'ambito del N.T., si sia inserita nell'uso linguistico precedente. Che la spinta sia venuta dall'apparte. nenza dei credenti a Cristo quale '1tpw-t6•oxoç 6 t, è un'ipotesi contraddetta da Rom. 8,29 (~ col. 690), dove la designazione di 'ltj)W'tO't'oxoc; esclude propriamente un'applicazione agli àoeÀ.cpol 62. Né d'altra parte è verosimile che il termine possa riferirsi al rapporto della comunità col resto della creazione (cfr. Iac. 1,18: eL<; -tò dwii 1)µ
    ~

    spettive esigenze dcl contesto. 59

    Contra 4 KXsEMANN I 28.126. Non è affatto il caso di pensare neanche al 1tpw't6x·ttcr'toç quale attributo degli angeli (4 n . 53; cosl MlcHEL, Hebr. a 1 16). 60 ]. ScHNEIDER,

    Hebr. (1954)

    122.

    Cfr.

    ~

    n , col. 277. Non è il caso di pensare soltanto ai cristiani già morti, dal momento che coloro di cui si parla qui sono presentati come non ancora «in cielo»(~ col. 701). MICHEL, Hebr. a 12,23: «Il 'primogenito' e i 'primogeniti' sono strettamente connessi tra di loro, come 'il Figlio' e 'i figli' (Rom. 8,29)».

    61

    Non si può trattare senz'altro di un «titolo d 'onore apocalittico della comunità)> (MICHEL, Hebr. a 12,23), perché, come mostra il plurale, non alla comunità come tale va l'at· tributo di «primogeniti» (cfr. Ex. 4,22 e i suoi riflessi storici ~ coli. 682 ss. 686.68ì ), bensl ai singoli credenti. 6!

    63

    CREMER-KOGEL 1076.

    703 (v1,882)

    'ltj)W"tEUW I·3

    col. 679, per 'ltpw-.o-roxEi:a di r2,r6 col. 685 64•

    ~

    T1tpW't'EVW I. 'ltPW•EUW, attestato a partire da Isocrate, Senofonte, Platone, significa essere il primo (per rango); la persona che viene superata viene indicata col genitivo (ad es. Xenoph., Ag. 1,3) o con preposizione (ad es. Xenoph., Cyrop. 8, 2,28); il campo in cui uno è il primo, col dativo (ad es. Xenoph., Ag. ro,r) o con Év: ad esempio 7tpw-re:ve:w Év EOpq.,, «essere il primo di seggio» (Xenoph., Cyrop. 8,4,5); Cl'1tEUOOV-re:c; -roùc; 'ltcti:oa<; f.v 'ltiicn 't'OCXLOV 1tpW'tEUCTIXL, «Studiandosi che i figli tosto primeggino in tutto» (Plut., lib. educ. 13 (II 9b) 1• Anche nelle iscrizioni, ad es. Ditt., Or. II 529,24 (sec. I d.C.); II 563,6 (sec. Il d.C.) e nei papiri, ad es. Preisendanz, Zaub. I 4,244: 't'OU't6 Ècr-rtv -rò 'ltPW'tEUo\I ovoµa; 't'OU Tvcpwvoc;, «questo è il nome di Tifone, che viene primo» (sec. IV d.C.)2.

    2. Nei LXX 1tPW'tEuw ricorre in Esth. 5 ,II ( 'ltPW'tEUEL\I xa;L 1)ye:i:a1>at -rijc; ~a;­ CTLÀ.Ela<;, dr. 4,8: Aµav ò OEU't'EpEuwv -r~ Ba\I) e l 3 ,15 (-rÒ\I 'ltPW'tEUO\l'tlX 't'W\I ÉÀe:cp&.v-.wv). Inoltre 'et-hii'eben hiiro'sa di Zach. 4,7 è tradotto da Aquila con "t'Ò\I }.,lltov "t'Ò\I TC()W"t'EUO\l't'IX (LXX: 't'Ò\I À.lt>ov •ile; XÀ.'r)povoµlac;, Simmaco: "CÒ\I À.li>o\I -ròv &xpov, Teodozione: 'tÒ\I }.,li)ov -ròv 'ltPW't'O\I).

    Padri apostolici: Per Polyc. 7,1 ~ n. 31; inoltre Barn. 13,5 ( = Gen. 48,18); I Clem. 4,1 ( == Gen. 4A) . M

    'ltpcù'tEVW

    1 Cfr. PAssow e LIDDELL-ScoTT s.v. Nei papiri anche come indicazione di carica e di titolo militare, ma solo in testi tardivi. Cfr. P.REISIGKE, Wort. II 431; m l52.2I8;

    2

    (W. Michaelis)

    (v1,883) 704

    Flavio Giuseppe usa correntemente ol Ttpwnvov-.e:c;, i maggiorenti, i capi (= ot 7tpW'tot ~ col. 661), per lo più col genitivo: 'tOV 1tÀ:i)i)ou<; (ant. 9, r 6 7); 'tfjç ye:povcrlocc; (beli. 7>412); -rwv I'ocÀ.tÀoclwv (vit. 305); inoltre ant. 12, 18r; 20,182; vit. 313. Di rado al participio singolare: 1t()W'tEVW\I -.ijc; 1t6ÀEW<; (vit. 124); cfr. anche la designazione di Efeso quale 1t6ÀLc; 1tPW'tEVoucra 't-ijc; 'Aulac; (ant. 14,224). Cfr. ancora ant. 19,209; 20,100.147.173; bell. 1,123. La Lettera di Aristea usa 1tPW't'EUW ( 2 7.5) per indicare la serie dei commensali che secondo l 87 hanno preso posto per anzianità. In 229 l'EucrÉ~ELIX è definita xa.À.Àovlj TCpw-.e:uoucra., «bellezza sovrana». 3. In Col. 1,18 la formula oc:; lcr'tw &.pxl), 7Cptù'tO'tOXO<; ÉX 'tW\I \IEXpw\I è

    congiunta alla frase finale che dichiara lo scopo che Dio si è prefisso: l'.voc yÉV'f}'tctt Èv 7téi.
    W.

    MrcHAELIS

    MouLT.-MlLL. 556 s. Per ylvEO"&aL col participio cfr. BL.-DBBR. § 354 (la frase introdotta da Cva non direi che sia un accenno escatologico). Viene messo in rilievo non solo iv ?trun\I, ma anche a.v-r6~ (cfr. BL.-D1rn1t. § 277,3) e con questi due rilievi la frase è diretta nello stesso tempo contro le tesi degli eretici di Colossi. Qui 'lt{Xl>-tEVWV non può essere un titolo, perché è 3

    .

    ,

    T Jt"ta.tw 1. L'etimologia di questo v9cabolo, che figura a partire da Pindaro e anche in iscrizioni, papiri e nei LXX, non è sicura; un rapporto 1 con la radice 7tE't-, l.'t'Jl, 'cadere', sembra possibile 2 (~ x, coll. 299 ss.). Comunque il senso fondamentale non è molto diverso, solo che in 1t'ta.lw il cadere ha la sfumatura di urtare contro, cozzare. Mentre è raro l'uso transitivo (dare una spinta, far cadere, far scivolare), quello intransitivo è corrente, come risulta dalle seguenti frasi 3 : r.i:alt'.w 7tpÒç -.àç 'itÉ'tpa.c;, «cadere sulle rocce» (Xenoph., an. 4,2,J); µ:{} olc; 7tpòc; i:òv aù-ròv À.litov 7.'\ctLEtv, «non inciampare due volte nella stessa pietra» (proverbio) (Polyb. 31,n,5; 12,1); connesso a questo è il senso più traslato di incor-

    2. Nei LXX 1t•alw ricorre una sola volta (Ecclus 37,12) col senso traslato di inciampare, sbagliare, peccare." Analogamente in Dettt. 7,25, dove 1t'tcx.lw corrisponde al nif'al di jqs, significa essere preso in trappola, essere sviato. Negli altri casi 7t"tCl.LW significa (di un esercito in guerra) aver la peggio, esser sconfitto e corrisponde all'ebraico ngp al nif' al in 1Bcx
    rere, incappare, incespicare, cadere in ... , ad es. 'l't'tctt
    un infortunio, incorrere in una sventura, ad es. µ1} 7tEpt Mapoovl~ 1t't'alpwnou qnÀELV xal -toùc; 7ti:c:tlovi:ac;, «è proprio dell'uomo amare anche gli erranth> (M. Ant. 7,22); similmente P. Oxy. VIII II65,n; ep. Ar. 230.

    -.u

    molto chiara la funzione verbale dell'espressione (contro E. KiisEMANN, Das wandemde Gottesvolk 1 : FRL N.F. [1957] 72); non può quindi esserci neppure un influsso di 'primo' quale attributo messianico giudaìco (~ col. 660 n. 2). Per q>~ÀonpW'l"EVW in J Io. 9 dr. PREUSCHEN-BAUER ', s.11.

    r.·rcx.lw Questo articolo, con alcune aggjunte e muta-

    3. Filone presenta in generale Io stesso uso linguistico del N.T. In alcuni passi come spec. leg. 4,70; leg. all. 3,16; 3 ,66 (1i oÉ YE òµoÀ.oyE~ ni:et.L
    1 Forse con HoFMANN :i87 bisogna supporre una forma radicale r."Ti~-, 'lt't!r; WALnE-POK. II u ha invece dei dubbi. 2

    Cfr.

    ScHWYZER I 325

    e 676; PRELLWITZ,

    Etym. Wiirt. trova che 1'-tO'.lw sta a 'l"~ 1'-tWµa (la caduta) come ljlcclw a ljiwµ6c; (il boccone). 5 J Vedi PAPE e PREUSCHEN-BAUER ,_ s.v.

    -rc-i:cxlw 3-4 (K. L. Schmidt)

    cadere nella sventura.

    4. Nel N .T. il vocabolo compare 5 volte, soprattutto nel senso traslato di sbagliare, errare, peccare: Ocr"ttc;... oÀo\I "tÒ\I véµov (~ vn, coli. 1391 ss.) "t1')pTJCT1J, ?t"tctlcrn oÈ É\I Èvl, yÉyo\IEV ?tOC\l"tWV Evoxoc;, «Se uno osserva tutta la legge, ma poi viene meno in un punto solo, è colpevole in tutto» (Iac. 2,10) 4; e anche (usato assolutamente) 1tOÀÀ~·-· 7t"taloµEv {j,'ltct.\l"tEç' Et 'ne; É\I À6y't} OU 'lt"tU.lEt, «in molte cose sbagliamo tutti; se uno non cade nella parola... » (Iac. 3,2). Inoltre -rav't'a ... 'ltOLOU\l't'Eç (cioè se vi studiate di rendere sicura la vostra vocazione ed elezione)ov µ'Ì) 1t.-alcr1')'t'E(Vg.: peccabitis): 2 Petr. l,IO. Forse questo passo sta in una posizione particolare perché qui entra in gioco anche il senso, testimoniato nella letteratura greca, di avere una disgrazia, cadere nella sventura 5. Il valore fondamentale del vocabolo è ancora ravvisabile in Rom. II,II: µÌ] E?t't'atcra\I (cioè i Giudei induriti) 4 Secondo DIBELIUs, ]k., ad l. si può dimo-

    strare che il contenuto di questa frase è di derivazione ebraica; dr. anche WINDISCH, ]akbr., ad I. e soprattutto STRACK-BILLERBECK III 7_55; IV x.22. Anche gli Stoici, pattendo dall'interdipendenza delle virtù (e dei vizi) insegnavano che, se uno pecca contro una virtù, manca in tutte le altre; dr. DIBELIUS, Jk., ad l. s WINDISCH, Kath. Br. ', ad l. addita fra l'altro come passo di contenuto parallelo test. R. 4,5: qivì..
    ov

    tva '1tÉcrwow;, Vg.: numquid sic offenderunt ut caderent?, Lutero: «Hanno inciampato, sì da cadere in fallo?». Parimenti tutti i traduttori ed esegeti tedeschi intendono urtare, incorrere, inciampare, cozzare, senso che corrisponde all'inglese to stumble 6 . Ne risulta che in Rom. II,II 'Jt"t ).li)~ 't'OV 1tpocrx6µµa"tcc;, «hanno cozzato contro la pietra d'inciampo». Con tutto ciò, per capire rettamente Rom. II,11 non è forse cosl essenziale stabilire una particolare difierenza fra 1t"tctlw e 'ltbt-.w (~ x, coli. 309 s.): può darsi che si voglia dire proprio e soltanto che l'inciampare o cadere non deve essere considerato fine a se stesso 7 . È più probabile che inciampare e cadere costituiscano una gradazione; infatti chi inciampa può risollevarsi, riprendersi, rimettersi in piedi, oppure cader..:: e restare a terra. La seconda situazione pensata come conseguenza della prima dovrebbe essere figura della rovina eterna nella quale i Giudei minacciano 8 di cas.v. La più completa ed esauriente esegesi di questo passo si trova in B. WEiss, Der Brief an die Romcr, Kritisch-exegetischer Komm. iiber das N.T. 6 (1881) 527 s. Altre interpretazioni sono giustamente rifiutate; per il problema filologico cfr. W . SANDAY-A. C. HEADLAM, The Epistle to the Romans: ICC' (1902) ad l. 8 I traduttori ed esegeti più recenti tengono conto di questa interpretazione, sottintenden· do nella frase con tva. un «per sempre» o «definitivamente»; cfr. C. H. DonD, The Epistle o/ Paul to the Roma11s, MNTC (r932) 176, il quale spiega: «lsrael has indeed stumbled, 7

    n-cwxoc; (F. Hauck - E. Bammel)

    709 (VI,885)

    dere a causa del loro continuo incespicare e far passi falsi. 5. Nei Padri apostolici il vocabolo compare solo in I Clem. JI,I 9 : ocra. ... È7t'tCX.tO'O'.~V

    OL&

    'tLVa.ç 7CCX.pEµ7C-tWO'ELç

    7t'tEPUYLOV ~ IV, coll. 779 7t'twµa ~ x, coli. 315 ss.

    t

    ss.

    (vr,886) 710

    a.v·mmµÉvov, IÌ.~LWCTWµEV àcpc.i}ijvcu l}µ~v, «per tutto ciò in cui abbiamo peccato a causa delle subdole insidie del1'avversario, imploreremo che ci sia perdonato». K. L. ScHMIDT

    'tOU

    7t"C'WCTLç -:>

    x, coJl. 3 I 7 s.

    t

    '1t't'WXO<;, 'Jt'tWXElet., '1t"t'WXEUW

    t

    SOMMARIO:

    I. i

    poveri nei singoli suitti; l'atteggiamento di fronte alla proprietà. IV. La posizione dei poveri nel giudaismo palestinese: I. la compagine sociale; 2. l'interpretazione delle leggi sui poveri; 3. la beneficenza volontaria; 4. l'assistenza ai poveri da parte della co· munirà. V. II giudizio dei rabbini. D. Il Nuovo Testamento: I. I vangeli: I. Marco; 2. Matteo; 3. Luca; 4.Giovanni. II. Teologia comunitaria, Gesù, Giovanni Battista. III. Paolo. IV. La Lettera di Giacomo. V. L'Apocalisse. 2.

    A. it-cwxéc; nel mondo greco: I. significato dcl vocabolo; II. valutazione della povertà. B. Il povero nell'A.T.: I. gli equivalenti ebraici. II. L'atteggiamento di fronte al povero: r. l'epoca primitiva; 2. il profetismo antico; 3. il Deuteronomio; 4. i salmi; 5. la profezia durante l'esilio; 6. la letteratura sapienziale. C. Il lardo giudaismo: I. l'uso linguistico nei rabbini, in Flavio Giuseppe e in Filone. II. La valutazione dcl povero negli apocrifi e negli pscudepigtafi. III. Qumran: but not to their (final) ruin» (Israele è veramente caduto, ma non per la sua rovina [finale]); secondo MrcHEL, Rom, ad l. ambedue le interpretazioni (finale e consecutiva) «possono rivendicare un certo diritto». Peraltro si tratta probabilmente di una con· gettura, dr. o. V. GEBHARDT-A. v. HARNACK. TH. ZAHN, Patrum Apostolicor11m Opera 6 (1920) 28.

    9

    7t-rwx6c; xù. Cfr. la bibliografia cli ~ 1tÉVl1t; e 7tÀ.ov-coc;. Opere di carattere generale: J. LEIPOLDT, Der soziale Gedanke in der t1rchr. Kirche (1952); E. PERCY, Die Botschaft ]esu : Lunds Universìtets Arsskrift 49,5 (1953) 40-108; A. GELIN, Les Pauvres de Yahvé ( 1953). Per A: J. HERMELRIJK, IIEvla en Ilì..oihoc;, Dìss.

    7II (VI,886)

    · VI. La comunità primitiva. E. L'età subapostolica: I. Il tardo giudeo-cristianesimo. II. I Padri apostolici.

    '1t-tWX6ç A I r (F. Hauck)

    A.1t'twx6ç

    (VI,886) 712 NEL MONDO GRECO

    I. Significato del vocabolo r. 't1-rwx6ç etimologicamente connesso

    Utrecht (1925); J. ]. VAN MANEN, IlEvla. e11 tel der iiid. Wohltiitigkeitspflegc, in Festrn..o\hoç in de periodc 11a Alexander, Diss. scht. A. Bcrlincr (1903) 195-203; M. WEINUtrecht (1931); H .BOLKESTHIN, De armen in dc BERG, Die Orga11isatio11 der jiid. Ortsgemeinden. E 3: Die Almose11pflege: MGWJ 41 moraal, dc politiek cn de religio van de voor-cbristeliike oudheid, Verhandelingen der ko- (1896/97) 678-681; S. KRAUss, Talmttdische ninklijke Akademie van Wetenschappen te Archiiologic III (1912) 63-74; ]. ABRAHAMS, Amsterdam, Afdceling Letterkunde N.R. 12,2 S111dies in Pharisaùm a11d tbe Gospels I (1917) (1939); In., 1Vobltiiligkeit 11. Arme11pflege in n3-u7; ]. ]EREMIAS, ]crusalem zur Zeit ]evorchr. Altertum (1939) (cfr. la recensione di su 2 (1958) II A: Reicb u. Arm; M. KATZ, W. BAUER: GGA 202 (1940] 358-368). Protection o/ the 1Veak in the Talmud, CoPer B: lumbia University Orienta! Studies 24 (1925) H. GRAETZ, Krit. Komm. z. den Ps. (1882) 78-82; A. MARMORSTEIN, art. 'Armut iro Tal· 20-37; A. RAHLFS, 'Ani 11. 'if11iiw in den Ps. mud', in EJ m (1929) 370-374; CH. TcHER(1892); I. LoEB, La Lillérature des Pauvres NOWil'Z, dm'j, in Jewish Studies in Memory dans la Bible (1892); W. W. GRAF BAUDISSIN, of G. A. Kohut (1935) 46-58; A. CRONBACH, Die at.liche Religion u. die Armen: Pr. Jahrb. The Socia/ Ideas o/ tbc Apacrypha and thc 149 (1912) 193-231; A. BERTHOLEl', Kul/l/r- Pset1dcpigrapha: Hbr. Un. Coli. 18 (1944) n9geschichte Israels (1919) 170-174; F. WILKE, 156; S. W. BARON, A Social and Religiot1s Der Sozialismus ùJJ hbr. Altertmn, in Religion History of tbc Jews u (1952) 69-74; E. E. UR· BACH, mgmwt dtiwt wpbrtjwt btwrt h!dqh f[ u. Sozialismus, Pestschr. dcr ev.-theol. Fakultat in Wien (1921) 9-40; H. ScHMOKEL, Das pz"l !iWll 16 (1951) M7 . angewandte Rechi im A.T., Diss. Brcslau Per D: (1930}; H. BXRKELAND, 'Ant u. 'Aniiw in de11 ] . WEiss, Die Predigt]esu vom Reiche Gottes1 Ps. ( 1933) ( = BmKELAND 1}; In., Die Feinde (1900) 128-132.179-r87; 1D., Das Urchr. (1917) des lndividuums in der isr. Psa/menliteratur 47-56.269-272; ]. LEIPOLDT, Jesus u. die Ar(1933) 317-320 ( = BIRKELAND li); N. PETERS, mcn: NkZ 28 (1917) 784-810; R. A. HoFF· Die saziale Fiirsarge im A.T. (1936); P. A. MANN, Besitz u. Recht in der Gedankenwelt MUNCH, Eiltige Bemerkungen zu 'anliiim ti. des Urchr., in Religio11 11. Sozialismus, Festschr. de11 re!à'im in dc11 Ps.: Le monde orienta! 30 der ev.-theol. Fakultiit in Wien (1921) 41.63; A. STEINMANN, Jems ti. die saziale Frage ( 1936) 13-26; A. CAussE, Dt1 grortpe eth11iqrtc à la communauté religieuse (1937) 243-258; ]. (1925); H. v . CAMPENHAUSEN, Die Askese im HEMPEL, Das Ethos d. A.T., Beih. z. ZAW Urchr. (1949) 5-20; H . PREISKER, Das Ethos des Urchr. 2 (1949) 102-xo5; B. REICKE, Diako67 (1938), indice s.v.; A. KuscHKE, Arm u. 11ie, Festfreude u. Zelos: Uppsala Universitets reich im A.T. mit bes. Deriicksichtigtmg der 11achexilische11 Zeit: ZAW, N.F. 16 (:r939) 31- Jirsskrift 1951 1 5 (1951) 21-50.167-185; M. 57; ]. v. D. PLOEG, Les Pauvres d'Israiil et leur Drnlluus, Das saziale Motìv im N.T., in Piété, Oudtestamentische Studien 7 (1950) Botscha/t tl. Gesch. I (1953) 178-203; A. GEOR236-270; P.HUMBERl', Le 11101 biblique «è- GE, Le Dicu des Pauvres, Évangile 9 (1953); byo11»: Rev. H. Philos. Rel. 32 (1952} l-6; C. R. SCHNACKENBURG, Die sittliche Botschaft des VAN LEEUWEN, Le développement du sens so- N.T. (1954) 79-86; J. DuPONl', Les Béatitudes cial e11 I srael avant l'ère chr.étienne, Studia (1954) 184-244; DIBELIUS, Jk. I 37-44; R. Semitica Neerlandica l (1955); H. J. KRAus, Koctt, Die 1\7ertung des Reichtmns im Lk.: Psa/men, Bibl. Komm. A.T. 15,2 (1958) 82 s. Biblica 38 (1957) 15I-I69. Per C: Per E : J. HAMBURGER, Real-E11cyclopiidie des Judt. A. BIGELMAIR, Zur Froge des Sozialism11s u. Kommunis11111s im Christet1111111 der ersten drei 1 (1874) s.v. 'Almosen'; 'Arme' ccc.; 'Wohltatigkeit'; 'Zehent'; M. LAZARUS, Die Ethik Jbdt., in Beitriige, z. Gesch. des chr. Altertums des ]udt. (1898); K. KonLER, Z11m Kapi- 11. der byzantinische11 Lit. (1922} 73-93.

    7r3 (vr,886)

    n-cwxb.; A r r -3 (F. Hauck)

    \ \'1,0071 7 ' 'I

    a 1t'tWO"O"EW (Horn., Od. 18,363; Hes., op. 395) 1 = rannicchiarsi per la paura, come aggettivo significa povero, mendico; 'Jt'tWXÒ<; avi)p aÀcx.À:f)µ.evoc; ÈÀ~wv, «qui giunto un uomo mendico .vagabondo» (Horn., Od. 2 I ,3 2 7; 'Jt"t'WXOÙ<; aÀiicrJ)ai 1taioac;, «che i figli errino mendichi» (Eur., Med. 515); 1t-rwxòc; olavta, «un pane accattato» (Soph., Oed. Col. 75 1; P . Petr.nr36a,17 [sec.ma.C.]; composto in Timocles, Jr. 6,10 [ C.A.F. II 453]; in proverbio: '1t"tWXO"t'Epo<; xlyxÀ.ov, «più poveto di una cutrettola» (si credeva che non si facesse un proprio nido), Menand., Jr. 190 [Ké:irte] ; Plut., apophth. Aristides 4 [II 186b]; Epict., diss. 3,9,16); la forma 'lt'tWXl
    (3vn, «vivere ramingo e povero in Libia» (Plut., Titus 21,12 [I 381d]); in senso traslato Polyb. 7,7,6 ('ltpa:yµ1hwv). Transitivo: mendicare, oat"ta (Horn., Od. 17,11.19); con l'accusativo di persona chiedere l'elemosina a qualcuno (Theogn. 1,922 [Diehl l II 56]).

    I 'lt't'll· in Omero esprime l'idea cli rannicchiato, pauroso, 7t-cfi<J<JeL\I aver paura, 'lt-cwl; paura, 'lt't"OE~'V impaurire, WALDE-POK. u 19; Bor-

    das, s.v.: 7t'tWX6ç· ò b'ltE'lt-CWxwç 't"OV EXl'W, Èmr.l-cnç. D 'altra parte Poli., onom. 3,109 s.: n)..ovcn.oc;... -cà lnva.v-cla. 7tÉV1Jc;... 1t'twx6c;, 6,197: g\l~O~ o~ 'ltlVT)'fct. "tÒ\l 1t'tWXÒV xal 'lt-CWXEltt\I -cliv 'ltEvlav (òvoµ&t;ovow) . Cfr, anche G . M EYE R, Laudes inopiae, Diss. GOttingen

    3 . 7t"t'WXElcx: l'attività di mendico, il mendicare; €.e; 'Jt'tWXlJLl)V à:itt'x-.at, «si è ridotto a mendicare» (Hdt. 3,14,10); la condizione di mendico, la vita di un mendico; dc; 1t-cwxEla\I "ttJ\I Ècrx
    S ACQ

    8u s,

    2 D IEHL J I II.

    3 Fr. adespota 284,2 (T.G .F. 893): il nlvnc; può mantenersi da sé, il 1t'tWX6c;, un 'lt)..a.vfi-cnc;, no. Pscud.-Ammon., adfin. vocab. dif/., s.v. 1tÉVT)c; (p. 108): 7tÉVT)c; xat n-rwxòc; o~a.­ q>ÉpE~' 'ltÉVT)c; ~" yttp, ò G.nò -coii lpyat;E
    (1915) I I S.

    4 Aristoph., Pl. u2 ss.: 1t'twxou ~\I yàp ~(oç, 0\1 rro ÀtyELç, t;'i)v È<J'tW µT)litv EXO\l'tct., 'tOV Ot 1tl VT)'tO<; s'i)v BOLICESTEIN, Wohltiitigkeit 184.

    7>'\WXO<; A

    l

    la ma le resta inferiore per la misura dell'indigenza 5 • I nÉvrrn:c; come classe sociale e categoria politica erano il contrario dei 7tÀ.oucnoL o Eunopo~; i 1t-cwxol rappresentavano l'estremo opposto di questi; cfr. la contrapposizione di uso corrente 'ltÀOUCTLoc; ÈX 1t1:"WXOU YEYOVWc;, «divenuto da povero ricco» (Demosth., or. 18,131; 3,29; 8,66; 10,68) e viceversa. Luc., nec. 17 chiama massima mutazione di destino che re e satrapi divengano, nel mondo di là, dei mendicanti.

    II. Valutazione della povertà Sullo sfondo della società nobiliare Omero descdve il tipo del mendicante locale (Od. 18,1 ss.), scansafatiche (14, 226 s.; 18,363; cfr. Hes., op. 381 s. 496), che vive da parassita sfruttando le case dei signori e non lasciando entrare nessun altro nell'ambito da lui occupato (Od. 18,49). Accanto a questo c'è il tipo di mendicante straniero che ha perduto per qualche motivo ogni diritto nella sua patria e se ne va ramingo elemosinando, colpito da grave infelicità (Od. 21,327; r7,10.18 s.; 19,74; Eut'., Med. jr5); anch'egli un giorno era un oÀ.~Loc; in una casa confortevole (Od. 19,76). Dei due tipi è dato un giudizio diverso, secondo che la povertà dipenda dalla colpa o dal destino (Theogn. 1,155 [DiehlJ II 12]), e in quest'ultimo caso per il povero si può provare anche simpatia (Od. 6,208); ma in generale il mendicante è disprezzato (Od. q,18) ; à·wl')p6c; (Od. 17,377). s -) BOLKl!STEIN, W ohltiitigkeit 549; bisogna però tener conto che questa differenza non si è conservata sempre. ~ HEMELRIJK 34 s. cita parecchi passi dei comici in cui 1t'\WX6c; e 1tÉVl'JC: hanno lo stesso significato e ~ VAN MANEN 19

    è d'accordo.

    6 H.El]µOcrUVlJ è forma tarda dell'Oriente ellenistico;~ III, coli. 420 s. e n. 4. col. 401 n, 8; ~ BoLKESTEIN, Wohltiitigkeit r46. 1 ~

    BoLKESTEIN,

    Wohltiitigkeit 177.179 a

    3 - II (F. Hauck)

    (VI,887) 7r6

    È ovvio che al mendicante viene elar-

    gito qualche piccolo dono (Od. 17,420), ma tale elemosina 6 non è mai considerata una virtù, e men che meno una virtù religiosa. È vero che talvolta Omero dice che stranieri e mendichi sono inviati da Dio (Od. 6,207 s.; 14,57 s.; cfr. 17'475) e che gli dèi stessi talora si mostrano in aspetto di miseri; ma l'idea che i più poveri siano sotto la protezione particolare degli dèi è estranea al mondo greco. Zeus è chiamato ~tvioc;, anche ixE"t'lJCTtoç, mai però 7t"tWXtOç 7. Anche l'assistenza ai poveri a cura dello stato restò ignota alla grecità 8• EUEP')'E"tEi:v, EÙ 7tOtEi:v non è fare l'elemosina, ma rendere quei servizi che riescono di vantaggio alla comunità (-7 III, coli. 881 ss.) 9 • Quando si parla di assistenza agli orfani, non s'intende un aiuto per quelli rimasti senza risorse, ma la tutela dei beni spettanti per eredità. Distribuzioni di viveri e simili provvedimenti sono destinati a tutti i cittadini e non in modo preferenziale ai bisognosi 10• ÈÀEuilEp16n1c;, cp1À1X.vilpwnl1X. valgono come virtù sociali, ma non hanno come oggetto le classi povere. Ci si attende però che il cittadino faccia perveHorn., Od. 6,207. Un'assiste112a 'organizzata' esisteva solo nell'ambito delle relative associazioni; cfr. B. LAUM, Stiftungen in der griech. ti. rom. Antike I (1914) 96 ss.; ~ BoLKESTEIN, Wohltiitigkeit 235-24r. 9 ~ BoLKESTEIN, \Y/ohltiitigkeit 213; il greco classico non ,ha un vocabolo per ' elemosina'. tu Testi in~ BoLKESTEIN, Wohltiitigkeit 164. 312-320. 8

    717 (VI,888)

    7C-twx6c; A 1l - B r

    I

    nire qualcosa a chi è caduto in miseria per disgrazia (Stob. 4,152,9 ss.). Un'interpretazione morale o addirittura religiosa della povertà è completamente assente dal mondo greco, e a loro volta nelle lotte sodali nemmeno i poveri si sono mai appellati all'aiuto degli dèi u. Sull'atteggiamento di Platone, di Aristotele, dei Cinici e della Stoa dr. ~ 1tÉ\IT}c; IX, coll. 1457 s. e~ 7tÀ.oucnoc; x, coll. 736 ss. F.HAUCKt B. IL

    POVERO NELL'A.T.

    I. Gli equivalenti ebraici l. 7t\wx6c;, presente un centinaio di volte nei LXX, ha per lo più come equivalente ebraico 12 'iin1; Jt-.wxEla. ricorre ro volte per il sostantivo 'on2 13 • 'iint, dalla radice 'nh, indica l'atteggiamento del rispondere e la buona volontà di farlo e, in uno stadio successivo di sviluppo, la posizione d'inferiorità di fronte a uno che esige una risposta. 'iin1 è quindi praticamente il servo della gleba e il dipendente 14; il vocabolo esprime cioè primariamente un rapporto e non una condizione di bisogno. Dove con 'iinz si voglia indicare una situazione economica; si usano concetti supplementari come dal (Ps. 82,3) e 'ebion

    11 ~ 12 37

    BoLKESTEIN, lVohltiitigkeit 181. volte, di cui 20 nei salmi, 12 nel nesso

    'iini w"ebjon. 13 Per 'ani è d 'uso più corrente -.a.7CElvwo-tc; ( 19 volte).

    Almeno la 1 e la u accC2ione di 'nh rientrano perciò nello stesso ambito. 15 ~ BIRKELAND r 6.8 comincia con questo significato. 16 Cfr. GESENIUS-BUHL, s.v. 11 Vedi ~ BIRKELAND 1 16. L'origine tardiva 14

    (F. Hauck - E . Bammel)

    (vr,888) 718

    (Deut. 24,14; Ez. 16,49; 18,12; 22,29). Solo secondariamente 'iin1 indica un aspetto caratteristico della condizione di inferiorità e umiliazione, quindi un uomo di forze ridotte e di scarsissimo conto 15 • E qui si inserisce prima di ogni altra l'idea di povertà. Relativamente vicino al significato fondamentale è quello, frequente nel Pentateuco, di senza proprietà personale, nullatenente (Ex. 22,24; Lev. 19,10; 23,22; Deut. 15,11; 24,12.14.15 16) . Anche il fatto che il contrario di 'iinz non sia 'ii.Sir - che è piuttosto l'opposto di riis (e di 'ebjon: Ps. 49,3) -, ma prepotente, dispotico (rii.Sa'' piirz~, e6Jeq ), richiama il significato originario. Questa concezione di 'ani come di uno che è ingiustamente menomato, diseredato - 'iln'ì non si usa mai per la povertà dovuta a colpa - spiega perché Jahvé figuri come il difensore di questi 'anij;tm. L'uomo, che è davvero un 'iint di Jahvé, si presenta al suo cospetto pieno di fiducia, ed è proprio in quanto tale che finisce per assumere un valore religioso: umile e addirittura pio (Ps. 18,28: 't"OC1tEW6<;). La forma secondaria 'iiniiw dell'aramaico e del neoebraico, che in origine ebbe probabilmente lo stesso significato di 'iini 11 , assume, particolarmente nell'uso biblico - dove figura sempre al plurale 18 - , un colore decisamente religioso, e in senso religioso è intesa senza alcun dubbio dai Masoreti 19• I LXX traducono per lo più 'iiniiw con 7tpa\.ic; (~ coli. 68 ss.), mettendone è confermata dal fatto che I Qis" 61,1 legge 'mvjm, invece u,.g 14,32; 29,19 'njjm (trascrizione errata in BURROWS, ad l.). La ripartizione delle forme quadra bene con la tesi di P. KAHLE, Die hbr. Handschriften a11s der Hohle ( 1951) 72 s. circa i due testi-base di I QJs•. L'Isaia dei LXX sembra risalire allo stesso archetipo. IB Num. n,3 è un errore di grafia; dr. ~ BIRKELAND I 19 S. 19 ~ R.AHLFS 54 S.

    'lt'tWXoc; B I 1-5 (E. Bammel)

    così in rilievo l'aspetto morale 20 • Si trova tuttavia anche 'tct'Tt'EWoç, 1tÉ\l'fl<; e 1t't'WXO<;. 2.1t'twx6ç figura come corrispondente di dal 22 volte: 7 nei Proverbi, 8 in Amos, Isaia e Geremia; 1t't'WXEUEW si incontra 3 volte per dll: lud. 6,6; Ps. 79,8; Prov. 23,2r. dal è usato per indicare: a) la debolezza fisica: Gen. 4I,I9; :i Sam. I3,4 (àcri)evni;), b) la conclizione sociale (basso, povero, miserabile, meschino): Lev. I9,15; r Sam. 2,8 ecc.

    dallat 'am-hà'iire1 (2 Reg. 24,14; 25,12; dr. Ier. 40,7; 52,15 s.; 39,rn) indica lo strato inferiore della popolazione. I LXX vi fanno corrispondere a volte -.am::woç (umile), ad es. Is. 25,4 ; 26,6 (II,4) e specialmente Soph. 3,12.

    3. II volte n-rwx6ç traduce 'eb;on 21 • Dalla radice 'bh = volere, essere volenteroso (in arabo bramare), 'eb;on indica in origine colui che cerca di ottenere un'elemosina, il mendicante. Il vocabolo ha poi assunto il senso generico di povero 21 e perciò 21 non viene mai unito a ras. Dove non c'è il senso figurato, 'ebjon è usato largamente per caratterizzare il poverissimo, il senza tetto ecc. (r Sam. 2,8 e passim). Come 'ani, perché 'ebjon ha spesso un'accentuazione religiosa; ciò vale specialmente per il singolare abbinamento 'ani w"ebjon, che è, come pare, preistaelitko e diventa nei 1ll TH. HA.RING, Dic 'ani;iim u. 'anàwlm im A. T., Theol. Studien aus Wiirttemberg 5 (1884) 157-16r; ~ RAHLFS 57 .

    li I LXX nella maggioranza dei passi traducono con 7tlVT)c; (sempre in Amos e Geremia) (~Ix, coll. 1458 ss.). 22 Cosl anche ~ BIRKELAND II 317 s. Per il modo di intendere dei Masoreti ~ RAHLFS 54. 23

    Diversamente

    ~

    HuMBERT

    2.

    Significato originario: il mendico è servo di Dio ('iini) e quindi si presenta a lui come un supplice ('cbjon). Come dimostra Ps. ro7,4r, questo significato finl per non essere più av· 24

    Salmi una formula fissa per esprimete l'atteggiamento dell'orante di fronte a Dio 24 (Ps. 35,10; 37,14; 40,r8; 70,6; 74,21; 86,1; 109,16.22). I LXX traducono - tranne 109,16 - con 1t'tWXÒt; xat nÉvrJ<;. Talvolta i due termini compaio· no nel parallelismo (Am. 8,4 e passim).

    rws, essere povero, essere bisognoso, mancare del necessario, esclusivamente in senso sociale ed economico, è una parola cara alla letteratura sapienziale, a cui appartiene anche la favola di :i Sam. 12,3. Nei Provetbi essa è tradotta l 1 volte con 'lt't'WXO<; (di solito in esplicita antitesi a «ricco»); 7 volte con ~ 1tÉV'fl<;, una volta con ~ -.am:w6ç (r Sam. 18,23); in Ps. 34, Il in corrispondenza di ras Sta 7:'tWXEUEW; per il patticipio hif'il in r Sam. 2,7 compare -:t-rwxlsw. 4· riis, participio di

    5. misken 25 indica il dipendente 26 e in seguito chi è di una classe sociale inferiore. Il termine serve ancor oggi in Oriente al mendicante per designare se stesso. È entrato nell'A.T. solo attraverso gli scritti tardivi, quando 'ani aveva da un pezzo perduto il suo antico significato. I LXX lo traducono con~ 7tÉVT)<; in Ecci. 4,13; 9,15 s., con 'lt-rwx6ç in Ecclus 30,14 (in Ecclus 4,3 viene parafrasato con 7tPOO"ÒEoµEvoç). In Deut. 8,9 (materiale redazionale) miskenut è reso con TI't'WXEloc. vertito e i due termini sono usati in parallelo (cfr. anche 86,1 s.). ~ BIRKELAND II 319 vuol vedervi soprattutto il bisogno, e 'ànl richiamarebbe soprattutto il bisogno, e 'ebi6n l'es· sere senza aiuto di fronte a Dio. 2S Cfr. anche l'accadico muJkén11, che in
    26

    7C'CW:X6ç

    nl

    6 - II

    6. In tiJ 9,35 n-cwx6c; sta per f;elkfi, che però non è lezione sicura (in ljJ 9,29 è tradotto con r-Évric;). I vocaboli ebraici fondamentali sono dunque 'ant, dal, e 'ebion. A volte sono usati come sinonimi, alla pari dei corrispondenti greci ~ nÉvl}c; e n"wxoc; 27• In parecchi passi tuttavia, dove figurano due di questi termini in parallelo op· pure congiunti con un w, nella traduzione si hanno dissimilazioni (Am. 8,6; Is. 26,6; 41,17 e passim) o anche assimilazioni (ls. IIA [?]; 14,30; 32,7 e passim). Costrutti col genitivo u o forme duplicate sono da ascriversi a tendenze particolari dei traduttori.

    II. L'atteggiamento di fronte al povero r. La vita nomade o seminomade delle tribù israelitiche prima del loro insediamento nella terra di Canaan non conosceva una differenza netta e stabilizzata fra ricco e povero 29 • Coloro che appartenevano al clan avevano gli stessi diritti e partecipavano, a livello perfettamente equiparato, alla difesa della comunità. La vita sedentaria, che comincia con la presa di possesso del paese, da una parte procura in sorte ad ogni israelita una porzione della terra donata da Dio (~ v, coli. 619 ss.), dall'altra lo mette in contatto coi Cananei che vivevano già in parte in città e presentavano notevoli differenze sociali. La presenza dei vinti, che ben presto solo in parte potranno ancora essere considerati come Ad es. Prov. 22,22. Per l'uso indifferenziato di 1tt'llTJ<;, 1t-rwx6c; e -crJ.:1mv6ç nei salmi cfr. E . BATCH, Essays in Biblica/ Greek (1889) 73-79. Anche E. SnLLIN, Beitriige z. isr. u. iiid. Religionsgeschichte n ( 1897) 284-29r.294-299. 28 In Is. 10,2; 29,19 abbiamo una traduzione che si scosta dall'abituale impiego del vocabolo. 27

    29 ~ BERTHOLET 170. 30 ~ HUMBERT 3 s. avanza l'ipotesi che

    'ebion

    sia entrato nella lingua ebraica proprio in que-

    2

    (E. Bammel)

    ger'ìm e che in parte confluiscono in uno strato declinante dei conquistatori, fa sorgere il problema del povero anche fra gli Israeliti 30. Cercando di arginare l'evoluzione che si annuncia, il Libro dell'alleanza 31 dichiara volontà di Jahvé che nel suo popolo_non si produca nessun impoverimento definitivo e senza speranza. Chi, spinto dal bisogno, ha dovuto vendersi come schiavo, dopo 6 anni potrà ricuperare la libertà (Ex. 2r,2 ). Nell'anno sabbatico ciò che cresce spontaneamente apparterrà ai poveri (Ex. 23, ro s.: 'eb;on/n,.wx6c;). È vietato prestare a interesse a un connazionale povero (Ex. 22,24: 'iin1/1mnxp6c,). Jahvé proibisce ogni sopraffazione del povero nei processi (Ex. 23,6: 'ebion/'1tév11c;). Già in questi precetti fondamentali, che da un lato - almeno per il settimo anno - intendono ripristinare la situazione normale, cioè l'assoluto diritto di Jahvé al possesso del paese 32 e garantiscono dall'altro una permanente tutela dell'indigente, Jahvé, a differenza degli dèi greci e~ col. 716), figura quale difensore dei poveri 33, ed è questo un concetto che permane immutato in tutta quanta la storia di Israele. 2 . Il progresso economico dell'età dei re, che crea ceti nuovi e quindi dà luogo a una maggiore differenziazione sociale, e insieme il fatto che i possidenti - i soli che godono dei diritti civili - esercitano nello stesso tempo l'ufficio di giu-

    sto periodo. 31 Per la cronologia del Libro dell'alleanza cfr. O. EISSFELDT, Bini. in das A.T.' (1957) 260 s. 32 A. ALT, Die Urspriinge des isr. Rechts, in

    Kleine Schriften

    z. Gesch. des Volkes Israel

    I

    (19:n) 327 s. 33 Presto vi si aggiunge l'idea che nel caso di violenza il povero mediante la preghiera e la maledizione può appellarsi alla particolare protezione di Jahvé (Ex. 22,26); ~ HEMPEL 129. 144.

    1t't"wx6i; B u

    dici, aggravarono la situazione dei poveri. Vivevano allora i profeti antichi (-7 IX, coli. 1459 ss.; x, coll. 745 s.) che nel nome di Jahvé entrarono in campo a favore dei poveri e li protessero quali ~add1qtm 34• Essi lamentano che gli uomini socialmente potenti siano degli oppressori (Am. 2,7; 4,1; 5,u: da//rr.-r:wx6ç) e sferzano la loro spietata brama di lucro (Am. 8,4; I s. 3, r 5 ). Per avidità di possesso essi cacciano i poveri - ]"eredità' di Ps. 94, 5 - dalla porzione toccata loro in sorte e trasmessa dai padri nella terra di Jahvé (Is. 5,8 s.; Mich. 2,2). L'ingiustizia dei ricchi attirerà inevitabilmente il castigo di Dio su tutto il popolo (Am. 2, 6 ss.), quel popolo che Dio stesso un tempo ha salvato facendolo uscire dal]'Egitto, quando anch'esso era come un povero (Am. 2,10; cfr. Ex. 22,20; 23,9 [ ger] ). La degenerazione è cosi grave che, in un singolare contrappunto ad Am. 2,6, si arriva a formulazioni che rasentano l'identificazione dei poveri col J4 Cfr. -7 V. D. PLOEG 244 s. 35 Giustamente -7 v. D. PLOEG 269.

    36 E. TROLTSCH, Das Ethos der hbr. Propheten: Logos 6 (1916/17) 18. 37 Cfr. --+ KuscHKil 40. Diversamente -7 WrLKE 22. Non si tratta quindi di una vera e propria equiparazione fra !addlq e 'ebj8n (cosl U. Ti.iRCH, Die sittlichen Forderungen der isr. Propheten im 8. ]bdt., Diss. Gottingen (1935) 24 n. 19. Se è giusto non pretendere che i profeti siano dei riformatori sociali (cfr. M. LURJE, Studien zur Gesch. der wirlschaftlichen 11. so:dalen Verhiiltnirse im isr.-jiid. Reich, Beit. z. ZAW 45 [1927] 60), è d'altra parte esagerato considerare l'atteggiamento profetico come r!duzione del problema sociale ad eti-

    2-3

    (E. Bammel)

    popolo di Dio (Is. 10,2: 'anijje 'amm'ì.; cfr. Is. 3 115; r4,32; Dam. 6,r6 (8,13]). Alla base di tutto questo non c'è tuttavia l'idea di una particolare elezione dei poveri - nessun profeta si identifica mai del tutto con essi 35 - , ma un principio giuridico, il legame col diritto antico 36 (cfr. ancora Is. 22,15 ss.), che si considera leso dalle vessazioni 37 • Un apprezzamento veramente religioso dei poveri compare in questo periodo solo in Soph. 3,12: Dio lascerà sussistere solo un 'am 'iint wadiil (À.a.òc; 'Ttpa.ùç xa.L 't'll1tELvéc;) che avrà fiducia in lui 38• 3. Un parallelo alla critica dei profeti 39 e insieme un coerente rifarsi all'ordine sociale dell'età del deserto 40 è rappresentato dalla legislazione del Deuteronomio (benché in questo libro manchi il termine 1t't"WX6c;) 41 • Il paese che Jahvé ha dato in eredità (na/JaliJ) al suo popolo è una terra di abbondanza e di ricchezza in cui non ci sarà nessun bisognoso ( l 5 A: È.voEiJc;) e quindi non si imporrà 'Tt't'WXElcx. di sorta (Deut. 8, 9). Questa promessa è fatta ad Israele nella sua totalità; tutti perciò hanno ca sociale (cosl ~ BERTI!OLET 172). 3~ Posto che il passo sia preesilico; contra L. P . SMITH e E. R. LACHEMAN, Tbe A11thorship o/ tbe Book of Zephaniab: Journal of Near Eastern Studies 9 (1950) 141 . 39 Vedi A. ALT, Die Heimat des Dt., in Kleille Schriften z. Gesch. des Volkes Israel n (19,n) 268 s. 40 Il movimento dei Rekabiti (Iud. 13,7.14)

    dev'essere considerato come una radicale protesta contro la nuova struttura economica (dr. -7 Wmrn 13-15). 41 Il Deuteronomio ha potuto perciò essere definito un «sistema di garanzia per difendere i deboli a spese dei ricchi e dei forti» (E. RENAN, Gescb. des Volkes Israel III [1894] 226).

    parte alla terra. Su ciò si basa il diritto del povero e ttova la sua giustificazione l'aiuto che deve esser dato alle vittime dell'ingiustizia umana (I 5 ,7-II ). Le leggi protettive stabiliscono però agevolazioni e misure di assistenza soprattutto per i connazionali caduti in povertà ('a{J, termine tecnico: 15,r ss. r2 ss.; 23,20. 25 s.; 24,6.14ss.; cfr. il Codice di santità42: Lev. 19,9s.; 23,22; 25,25; Ex. 22,24c; 23, II 43). A prescindere dalle prescrizioni di Lev. 25,8 ss. per l'anno sabbatico 44, esse vanno molto al di là di ciò che stabiliva la legislazione antica 45 . I risultati pratici tuttavia furono molto scarsi 46 . La tensione fra la 'legislazione' deuternnomistica e la realtà, il crescente inserimento dei gérlm ecc., che superò le previsioni degli stessi profeti Come termine tecnico è usato solo 'iinl. 'eb;on manca pure in tutta la legislazione sacerdotale; in passi aggiunti si trova tuttavia dal. Quest'ultimo termine è assente anche nel Deut. e probabilmente nel Codice dell'allean42

    za; ~ v. BAUDISSIN 204 n. I. 41 In parte reinterpretazione di norme dettate in origine da altri motivi; vedi H. SCHMIDT,

    Das Bode11recht im 1Ter/nmmgse11twurf des fai'., Hallische Universitiitsreden 56 (193.i) 26. 44 «Si tratta forse di un residuo dell'economia comunitaria» (J. WELLHAUSEN, Prolegome11a zur Gesch. Israels' [1899] 115). Per il problema storico cfr. AL·r, op. cit. (~ n. 32) 328 n. I . 45 Cfr. H. BRUPPACHER, Die Beurteiltmg der Arm11t im A .T. (19.i4) 4x s.; si capisce in questo contesto come il furto, «tipico reato del povero», in questa parte della tradizione israelitica sia punito in modo relativamente lieve (-> HEMPEL n8). Altri dati in proposito in F. HoRST, Der Diebstabl im A.T., in Stt1dien z. Gesch. des Nabe11 11. Femen Ostens, Festschr. P.Kahle (1935) 19-28. 46 ~ KuscnKE 44; M. WEBER, Das amike ]udt., Gesammelte Aufsatze zur Religionssoziologie m (1921) 73: derivata dalla parenesi, non dal diritto vigente. Un giudizio più positivo in v . BAUDISSJN zo3. Le agevolazioni per i poveri della legge sacerdotale (Lev. 5,7. u; 12,8; 14,21; 27,8) furono naturalmente applicate. L'abbozzo di costituzione presente in

    antichi, l'inasprimento delia situazione sociale 47 e infine il crollo dello stato giudaico, che apparve come un castigo per l'oppressione del 'anz we'eb;on (Ez. 22,29: 'lt-çwxòc; xcd 7tÉVTJ<;), fecero sl che il problema della povertà rimanesse aperto. 4. Il topos del povero ha la sua sede fissa nell'inno cultuale dell'antico Oriente, dove non solo la povertà appare come un castigo divino 48 , ma Dio stesso è esaltato come colui che in modo tutto particolare fa sperimentare ai poveri la sua protezione 49 • Perfettamente nel senso di questi discorsi oggettivi 50 vengono usati dal, 'iint e 'cbjon nei canti regali del periodo preesilico (Ps. 72,2-4.12.13; r32,r5 51 ; tarda ripresa del genere letEzechiele (distribuzione uguale della proprietà, considerata come inalienabile) è invece una vera utopia. Anche la nuova distribuzione della proprietà prevista da Esdra per ogni anno giubilare non divenne mai una realtà. 47 Ne è un segno, fra l'altro, l'inasprirsi della condanna del furto; vedi ~ HEMPEL 244 n. 183. 48 A. FALKENSTEIN-\'Q'. v. SODEN, Sumerische ti. akkadiscbe Hym11e11 u. Gebete (1953) 263.270. 4? E. EnELING, Keilscbri/ttexte nt1s Asrnr religiose11 Inbalts (1919) 355,u; J. PINCKERT, Hynmen ti. Gebete a11 Nebo (1920) rn.55; A. ScHOLLMEYER, Sumerisch-bab. Hym11en (1917) 84,20 s.; J. HEHN, Hym11en u. Gebete a11 Mard11k (1903) 357.4i cfr. G. WIDENGREN, The

    Akkadian a11d Hebrew Psalms o/ Lame11tation as Religior1s Documents, Diss. Uppsala (1936) 45 s. .54· 50 Un altro senso presenterebbe I Sam. 2,8, qualora (cosl afferma ~ BlRKELAND II 43) in questo salmo fosse il re a parlare di se stesso come 'ebjon e dal. Cfr. a questo proposito la iscrizione ZKR, dove secondo E. SACHSSE, 'Ani

    als Ehre11bezeich111111g in inschriftlicber Beleucbttmg, in Festschr. E. Sellin (1927) rn8, il re chiama se stesso 's '11b '11h = 'H 'iin1 'an1. 51 Anche l'introduzione di 'ii11i in Ps. 68,11 (dr. vv. 6 s.) rientra stilisticamente nella linea dei salmi regali. Per l'antichità del salmo

    cfr. S. Mow1NCKEL, Psa11!1e11studie11 r, Awii11

    n-.wxoc; B u

    4 (E. Banunel)

    terario in r 8,28 ['am 'ont]) . Una prova dell'apporto dato dal patrimonio ideologico orientale si può scorgere nel Ps. 82, nel quale al mondo degli dèi è rivolto l'aspro rimprovero di non occuparsi del povero (dal, riis) 52,

    dove la situazione di miseria finisce a sua volta per assumere lineamenti più generali. Tuttavia l'uso di 'anl quasi esclusivamente al singolare mostra ancora quale fosse la situazione originaria delle esperienze. Come nemici dei poveri figurano priLa situazione è diversa là dove il po· ma di tutto i rsiflm che soltanto in parvero si trova di fronte ad avversati (Ps. te vanno considerati come avversari po9,13.r 9; 10,2.9.17 ecc.). Egli, in una litici 55 • In molti casi, ·ad es. in Ps. 69, lotta umanamente senza speranza, si ri- 30; 86,1; 88,16, sembra trattarsi di volge a Dio: sa che Dio ha prnmesso estreme condizioni di bisogno 56 a cui i aiuto al povero, e questi ora lo reclama . poveri sono abbandonati ad opera dei loproprio come chi fa valere un suo dirit- ro avversari, e qui bisogna pensare a mato 53. Nel canto di invocazione e di rin- lattie, magie, ostilità esterne; la povertà gl'aziamento del singolo si arriva a una materiale ne è spesso la causa o la conidentificazione di orante e povero ('anz seguenza !il. In altri passi si tratta senza 'iinl w e'ebjon: Ps. 40,18; 86,1; 109,22; dubbio della povertà in senso sociale, cfr. 69ao e 25,16), quale non si era a- cioè dell'appartenenza ad una classe opvuta nei salmi reali 54 • Nei salmi 9.34 e pressa (Ps. 35,10; 37,14 [cfr. v. 16]; 140 si va anche più in là, nel senso che 22,27 [?] ). Il fatto che dei poveri, anciò che accade al singolo è visto come che in senso improprio, cerchino di enindicativo di un gruppo. In tal modo trare nella sfera di questa protezione questi salmi trapassano ad un uso collet- fa sì che il significato del vocabolo si tivo del termine 'ani (Ps. 74,19.21; 140, estenda e aumentino le forme di salvezza a cui si anela. Fin dall'origine il vol3j 37,14; 9,19; I0,2.9; cfr. 68,II), u. die individricllen Klagepsalmen. Skrifter utgit nv videnskapsselskapet i Kristiania, histo· risk-filosofisk klasse (1921) 144; ID., Der 68. Ps, Avhandlinger utgitt av det Norske Videnskaps-Akademi i Oslo (19.53) 72 s. (cfr. 29 s.). 52

    Per la datazione del salmo clr. O . ExssEl and Y ahweh: Journal of Semi tic Studies l (1956) 29 s. 53 Questo diritto però, tranne forse nel tardo Ps. 109,16, non è avanzato rispetto ai r'si11m (cosl MOWINKEL, op. cit. [-+ n. 51) :n6, seguito dR -+ KuscHKE 49 n. 2). Cfr. i paralleli egiziani: «Amon, volgi il tuo orecchio a uno che si trova solo in giudizio, che è povero, mentre il suo (avversario) è ricco» (A. ERMAN, Lit. der Agypter [ 1923] Bo) e i testi orientali di implorazione, ad esempio in E.E BELING, Die · akkadische G ebetsserie 'Handerhebung' (1953) 17: «io... sono ... un miserabile ... prostrato davanti a te ..., possa io grazie nlla tua bocca uscire sano», e anche i testi citati da FELDT,

    BIRKELAND I

    103 s.

    54 Cfr. tuttavia la ~ n. 50. Per la discussione su ricchi e poveri nei salmi cfr. ]. J. STAMM, Ein Vierteljahrhundert Psalme11/orsch1mg: ThR 23 (1955) 55-6o e la bibliografia ivi discussa. ss Cfr. -+ BIRKELAND I passim e -+ BuurnLAND n passim.

    «Necessità attuale» (-+ PERCY 63; S. MoPsalmenstudien vi. Die Psalmendichter, op. cit. [-+ n. 51] [ 1924] 61 ); cfr. anche -+ Ruu.Fs 76 s. Bisogna qui considerare che il bisogno stringente è messo in particolare risalto perché proprio questo induce a pregare. 56

    WINCK.EL,

    Ambedue i punti di vista limitano la tesi di Mowinkcl, Birkeland e Percy (si veda -+ PBRCY 49.63). Da Ps. 22,7 s. non si può trarre motivo per negare uno sfondo sociale, poiché è soprattutto l'inasprimento della miseria morale .e materiale a spingere l'orante a isolarsi, mentre egli divide talvolta con altri (cfr. v. 27) quella stessa miseria (co11/ra-+ BIRKELANJ>

    51

    I

    42}.

    cabolo implica però un'istanza complementare etico-religiosa, in quanto il povero è menomato nella sua pienezza di vita voluta da Dio; questo tema è sviluppato nei salmi di lamentazione individuale. Il legarne col significato materiale è mantenuto mediante la prospettiva di un compenso tangibile. Viceversa, in 'iint viene inoltre sottolineato l'aspetto sociale, poiché l'avversario è bensl detto malvagio (riisii'), ma in genere per indicarne la posizione sociale privilegiata.

    fisso tratto dalla vita, tanto più che non risulta in origine diverso da 'iint. La designazione di un aspetto di 'aniiftm nel senso di pii-umili, chiamati in aramaico 'aniiwìm, è entrata cosl nei saLni di prima o anche di seconda mano 61 . Il singolare 'iint in senso collettivo sembra non bastasse più. Accanto a forme integrative come 'am-'ànt (Ps. 18,28 62 ) e al comparire di 'ebi6n .subentra al suo posto 'iiniiw (cfr. la forma plurale in I QJsa 26,6; 32,7).

    La forma secondatia 'anaw (~ col. 718) compare solo negli strati meno antichi del sàlterio (Ps. 9,19; ro,17; 22, 27; 34,3; 37,rr; 69,33; 76,10: 'anwe58 'ere~; 147,6; 149'4 ); e forse non in tutti i passi è originaria: in 22 ,2 7; 2 5, 9 59 ; 69,33 00 potrebbe essere un'aggiunta. Al di fuori dei salmi (76).147.149 si trova sempre in contesti in cui figura anche 'iint e talvolta 'ebjon; tuttavia 'iiniiw costituisce il termine di fondo. Formalmente 'iiniiw si distingue dai concetti affini perché si usa di regola al plurale, mentre per il contenuto non è avvertibile alcuna sicura differenza. Nell'inno o canto di ringraziamento si esalta un intervento di salvezza a favore degli 'aniiw2m, la cui portata è talvolta messa in evidenza dal confronto col destino che tocca ai nemici di Dio. Nella preghiera e nel ringraziamento del singolo, questi non è mai chiamato 'àniiw. L'uso del vocabolo è così singolare, che può trattarsi solo di un termine tecnico

    5. La sventura dell'esilio ha portato, anche al di fuori dei salmi, ad un uso collettivo di 'iint e consimili. È significativo che anzitutto d si rivolga a Gerusalemme chiamandola 'aniijd (Is. 54,rr; dr. 51,21) e che 'aniijiiw compaia come parallelo di 'amm6, «popolo suo» (Is. 49,13). L'equivalenza è nata interamente dalle condizioni concrete, e perciò l'elemento religioso in queste designazioni di povertà è meno spiccato che nei salmi. Un'altra ragione può essere che il passo non esprime preghiere umane, ma proIDGsse divine. Diò salverà l'anima del 'ebjon (Ier. 20,13). In Is. 29,19; 61,1 è usato in questo senso 'aniiwlm 63 , e il contesto suggerisce un'accentuazione religiosa di 'iiniiw. In nessun testo tuttavia si arriva a presentare la salvezza come imminente, perché il popolo si trova nel1a condizione (ideale) della povertà M. Corrispondentemente, il senso che la maggior parte dei testi offre è quello realistico 65 : continua l'antica polemica contro la vessazione dei poveri da parte

    Ps. 149 maccabaico; Ps. 69.147 rielaborati al tempo dei Maccabei.

    61 ~ BrRKELAND I

    58

    59 ~ GRATZ

    ad I.; H. GuNKBL, Die Ps., Handkomm. A.T. n 2 (1926) ad l. leggono 'ebjonim. 60 Diversamente dal Ps. 22,23 s. (inizio del canto di ringraziamento) e dal Ps. 31,24 s. (fine

    di un ugual canto), si tratta di un'aggiunta. Diversamente ~ BIRKBLAND I 94; ~ PER-

    61

    CY 55-62. 62

    Per la datazione tardiva dr.

    GuNKEL,

    op.

    cit.

    (~

    n. 59) 67.

    r5 s. A questo concetto si giunge solo con la traduzione di Isaia· nei LXX, in quanto qui, e proprio in contesti escatologici (29,19; 41, 17; 61,1; forse anche 14,30), per 'iiniiw e 'iinl non si usa 't
    731 (v1,893)

    1t'>WX6ç B

    II

    di Israele e in I er. 5,4 dal ha un valore del tutto negativo. 'iin1 come parola con cui il popolo designa se stesso - per quanto importante essa sia diventata più tardi - esprime uno stato d'animo passeggero orientato ai salmi, che in un primo tempo non lasciò un'impronta decisiva. Anche la soluzione che fu data al problema della povertà si accorda con alcuni dei salmi: il livellamento finale, che però in Is. rr,4 s. e altrove è già inteso in modo semi-escatologico. 6. Il maggior numero di enunciati sui poveri si trova, dopo i salmi, negli scritti sapienziali (~Ix, coli. r460 s.; x, coll. 746 ss.). Le linee generali possono essere fissate cos}: la saggezza biblica nelle sue sentenze collega le considerazioni sulla povertà col pensiero di Dio più di quanto già non faccia il circostante ambiente orientale 66, e si accetta fondamentalmente un ordine sociale differenziato 67, scostandosi cosl dalla critica stoica della società. Si trovano frasi che esprimono una stima del tutto ovvia della ricchezza (Ecclus 40,18; 47,18); corrispdhdentemente, la povertà appare in luce sfavorevole. Essa è considerata come conseguenza dell'agire umano, pensiero questo che è estraneo sia ai salmi sia ai profeti. Infingardaggine (Prov. 6,6-II e passim), brama di piaceri (Prov. 21,r7; Ecclus 18,32 s.), vita frivola (Prov. 23, 2 l ), ma anche invidia, si trascinano dietro la povertà (Pseud.-Menand. 85) 63 • Per questo il saggio giunge a disprezzare il mendicante (Ecclus 25,2; cfr. 40,30; Pseud.-Menand. 64). La vita dell'indiCfr. per es. Ame11emope 6: è meglio la povertà nella mano di Dio che la ricchezza nel magazzino (A.O.T. 2 40). Di solito l'interesse per i poveri nella sapienza orientale passa decisamente in second[\ linea. 66

    11.

    Su ciò insiste G. WOHLENBERG, Jesus Sirach die saziale Frage: NkZ 8 (1897) 332.

    68

    ED. J. LAND, Anecdota Syriaca I (1852).

    67

    5-6 (E. Bammel)

    (v1,893) 732

    gente non merita di essere vissuta (Ecclus 41,r-4; cfr. 38,19 [var.]; Pseud.Menand. 94) 69 • È quindi meglio morire che andar mendichi (Ecclus 40,28; Pseud.-Menand. 19). C'è però anche una critica del ricco (Ecclus r3,24a; 26,29) e comprensione per i poveri; è meglio essere povero e giusto che ricco e bugiardo (Prov. 19,22; 28,6; cfr. Ecclus 30,14). Si conoscono i pesi che il ricco addossa al povero (Ecclus 13,3 ss.) e ciò provoca un senso di comprensione per la vita del povero. L'isolamento che lo colpisce (Prov. 14,20; 19,4.7), il suo faticare senza pace (Ecclus 31,4; ma cfr. 29,22), l'umiliazione in cui si sente immerso (Prov. 18,23), i suoi meriti non riconosciuti (Ecci. 9,16) sono tutte realtà considerate e deplorate. Cosl ci si leva contro il disprezzo del povero (Pseud.-Menand. 16) e diventa possibile onorare il povero per la sua assennatezza (Ecclus 10,30) 70 • Ma sopra tutto se ne trae la conclusione che bisogna rendere al povero la sua condizione più sopportabile col fargli del bene (ep. Ar. 290) o almeno trattandolo amichevolmente (Ecclus 4,8). Per vero, non ad ogni povero si deve giustizia (tdiiqa), ma solo all'israelita o a chi se la merita (Ecclus I2,4; 29,20; 41,21; Tob. 4,6 s.). Dei 42 passi in cui si parla di poveri nei Proverbi, 3 3 sono nelle raccolte seconda e quinta 71 , probabilmente preesiliche, le cui tendenze emergono ancora in versetti postesilici come 30, 14; 31,9. La differenza di lessico e di concetto rispetto ai salmi è quindi determinata non dal tempo, ma dal genere Lo si dice con riferimento all'età. Cfr. Ahi· kar IO) (ed. A. COWLEY [1923] 216): non c'è nulla di più amaro della povertà ('11wh ). 7D Cfr. R. SMEND, Die W eisheit des Jesus Sirach (1906) roI.

    UJ

    Tutti i passi con riiJ provengono da questo complesso (solo un passo con 'ehjon è d'altra derivazione); qui naufraga la tesi di-+ KuscHKll 45 S. 53·

    11

    'lt'TWXOc; D Il t> - \... l .l \.C. na111111c11

    letterario. Poiché gli insegnamenti sono ss.). Il Siracide ha, sotto un certo aspettratti dalla vita, la condizione del pove- to eticizzato il problema: µ1) opwrc~ xet-çetpri.cra.cri>al CfE ... -tfiç dere posizione (specialmente mediante òc.1JcrEwç whov Éna.xouo-E-.at ò "Jtot1)cra.c; l'uso di ràs=1t-.wx6c;), ma anche senza a.ù"t'6V, «non dargli motivo di maledirti tralasciar di ricordare i doveri verso di ... il suo Creatore ne udirà la voce» (Eclui; anzi il povero è concepito più di- clus 4,5 s.; cfr. 21,5), ma non l'ha afrettamente: TIÀou1:noc; xa.i 7t-.wx6c;... &.µ- frontato nella sua totalità. cpo-.Epouc; ÒÈ xvptoc; É1tol11cr~v, «ricco e povero ... entrambi li ha fatti il Signore» C. IL TARDO GIUDAISMO (Prov. 22,2; dr. 14,31; 17,5; 29,13). La sapienza recente segna una svolta, nel I. L'uso del vocabolo nei rabbini, in Flasenso che essa relativizza: 1t-.wxda. xcd vio Giuseppe e in Filone 'ltÀov-.oc; 7tet.pò: xuplou fo·-.lv, «poverl. Gli scritti rabbinici conoscono antà e ricchezza provengono dal Signocora tutta la serie dei termini indicanti re» (Ecclus u,14; cfr. v. 21; Eccl. 4,13; 74 il povero , ma in pratica ne usano solEcclus 13,3.24); i destini capitano a caso tanto una piccola parte. 'ebjon scompae quindi le due condizioni non sono eter75 ne (Pseud.-Menand. 16). Altre categorie re del tutto ; in contesti16liturgici stedi giudizio vengono inoltre introdotte reotipi s'incontra 'ebjonot • Anche dal circa il valore dell'uomo (Ecclus 10,22. diventa raro; l'uso mostra una tendenza all'astrazione (prevale perciò nei para2 3) . Nei vari strati dei Proverbi è possigoni), senza che vi si insinui alcuna ibile cogliere una crescente intersezione col diritto del povero contenuto nel stanza religiosa. riis è testimoniato poDeuteronomio e perciò il ricco viene am- chissimo. miskén e misk•nut invece sono monito direttamente (la parola non è usati un po' di più, specialmente in conmai rivolta al povero). Nell'Ecclesiastico testi aramaici; nei targumim più spesso prevale la riflessione e un conforto qua- stanno in luogo di 'ebjon, 'iint, riiJ, e anche di l}elka. Quando si cerca un nome si affettivo. il più possibile adeguato per designare L'indirizzo pratico dei Proverbi aveva il mendicante, che in ebraico non ha fatto astrazione da un compenso riser- alcun vocabolo specifico, si usa misken: vato ai poveri. In Giobbe la mancanza B. M.;. 4,2 (9d,3 [Rab]); cfr. Peaj. 8, di un premio per la buona condotta ver- 9 (21b,13); Lev. r. 34,ro a 25.39· Il terso i poveri (29,12 .16; 30,25; 31,16.19) mine di uso normale è 'iint, in aramaico e - il pio Giobbe non è più il punto di 'anja'. II suo ambito semantico però si riferimento 72 - l'abbandono dei poveri restringe: 'iinl indica esclusivamente nelle mani dei prepotenti (24,4.9.14) di- l'uomo miserabile (Sheb. 9,7; Ter. 9,2; ventano un enigma 1a cui soluzione è an- Shabb. 1,1; Ab. 1,5 e passim), il povero cora cercata alla maniera del Salmista socialmente inteso n. Come 'ànt cosl (5,15; 34,19.28; 36,6.15 73 ), anche se 'iinàw negli scritti rabbinici ha perduto con toni in parte più smorzati (21,10.19 il valore religioso collaterale e viene

    o

    Povero e pio non si identificano; dr.~ v. 253. 73 Cfr. G. HoLSCHER, Das Buch Hi., Handbuch A.T. I 17 (1937) adl. 74 Lev. r. 34,6 a 25,39; STRACK-BILLERBECK I 825 s. 7l

    D. PLOEG

    In B. M. b. IIIb è usato perché viene ripreso un versetto scritturale.

    75

    76

    Teh. Ps. 70 (ed. S. BunER

    [r891) 322 riga

    12).

    n Con senso semitraslato in B. B. b. 43a.

    1t'tWX:6c;

    eI

    I - II 2 (E. Bammel)

    usato quasi soltanto nel senso di dimesso, umile 18• 2. Nelle traduzioni 7t't'WX6c; e 7tÉVr)ç sono per lo più adoperati promiscua· mente 79 • Solo dove si scrive in buon greco viene avvertita la sfumatura 80 e talora 7t't'WX6<; è anche evitato, come ad esempio nella Lettera di Aristea. In latino 7t'twx6ç è spesso tradotto in modo pregnante con mendicus, ma anche con pauper ed egens. Flavio Giuseppe usa it't"WXO<; solo in bell. 5,570, 7t'tWXEla in ant. 11,8; 12,224. Egli adopera più spesso 7tÉV"!)c; per indicare una data condizione sodale 81 (ant. 4,269, dove figura anche 7tÉvoµat; 10,155; beli. 2,585; 7t't"wx6c; sembra escluso da questo significato), e 7tEVla per indicare una situazione economica (ant. 17,307, a proposito di Erode). In Filone, dato il suo linguaggio astratto e incurante delle forme fenomeniche della povertà, 1t'tWx6c; manca quasi del tutto. Il vocabolo compare solo in una citazione di Eusebio (-? n. 139).

    Il. La valutazione del povero negli apocrifi e negli pseudepigrafi l. La situazione si presenta diversa negli apocrifi e negli pseudepigrafì. Una parte degli scritti apocalittici evita non solo 1t't'WX6c;, ma anche ogni accenno alla condizione sodale nell'era presente e in quella futura (mart. Is., Bar. gr., 78 Spiegazione del termine in S. Num. § 10r (27a) a l2,J, cfr. K. G. KmIN, Tan11aitische Midraschim Il S. Num. (1933) 264.135. Più frequente 'nwh; come virtù in Hen. hebr. 41,3, come potenza angelica in Hen. hebr. 8,1 s. Documenti rabbinici sull'umiltà in P. FlruJIG, ]es11 Bergpredigt, FRL 37 (r924) 2 s. 79 Scambio del _termine ad es. in test. lob rn, 6 s.; n; i2,1 (ed. J. A. ROBINSON, TSt v l [1899]). 80 Ioseph et Asenath 10,n-13 (ed. P. BATIFFOL, Studia patristica [1889 s.J): legge della gradazione.

    vit. Ad., parti dei test. Xli Patr. ecc.) o la prospetta solo marginalmente (ad es. Pseud.-Philo). Altri testi invece sono pieni di accuse, ma non usano il termine 7C't'wx6c; né mettono in luce in qualche altro modo l'antitesi col ricco. 2. Un altro gruppo continua la linea della letteratura sapienziale (--+ coli. 73r ss.), accennando alla vita del povero (test. Iud. r 5 ,5: 7C'twxda; test. R. 4,7: 7tÉV"!)ç) ed esortando ad aver pietà di lui (test. Iss. 5 ,2: 7tÉVr)<; xcx.t àcri)Ev1]ç) e a fare elemosine (Tob4,7.16: n-.wxoç /7tEWWv); anzi, cosa strana, ci si rivolge persino al povero direttamente 82 • All'inizio di un elenco di prestazioni di servizio, nello Pseudo-Focilidc, è registrato 'R'tWX6c; 113 • Compaiono talvolta esempi di liberalità: Isacco (testamentum Isaac 10,8 [-? n. 82 ]), Issachar (test. Iss. 7, 5: 7t•wx6c;; dr. ep. Ar. 290), Giuseppe (test. Ios. 3,5) e Asenath (Ioseph et Asenath 10,12: it-.wx6c; [-? n. 80] ). Un posto particolare ha qui il Testamento di Giobbe 84 ; di questi si esalta meno la ricchezza che l'utilizzazione fattane in ordine alla Otcx.xovla 85 • Nella figura di Giobbe sono messi in luce i principi-base, e quasi tutta la descrizione si concentra sulla condotta che egli tiene verso i poveri. In test. Isaac 8,9 (-+n. 82) è promossa una giornata commemorativa con pranzo per i poveri. Si fanno riflessioni sul valore della liberalità in confronto ad altre virtù e vizi (test. A. 2,5: 7t-tW81

    Non cosl in ani. I,314; 14,31, dove la condizione sociale è chiarita da altri aggettivi. 81 test. Isaac 8,12 (trad. W. A. BAI!NES, TSt n 2 (1892]). 8 3 vv. 22 ss. (DIEHL i u 93). I due primi membri provengono da Is. 58,7; qui però Tt"t'WJC6<; è autonomo e accentuato dal contesto. 84 13-14 volte è usato 1t-cwx;6c; (50,1, var.; ro, 7, aggiunta?), 8·10 volte 1tÉVTJ<; (9,7; 50,1, var.), 5 volte aovva-coc;. 85 Più spesso e diversamente da quanto avviene nei riferimenti rabbinici.

    737 (v1,895)

    'itTWXòt; L. II :i.-5

    x.6c;) e sulla mercede che le spetta 86 • Questa corrente va a sboccare quasi immutata negli scritti tabbinid. 3. Altri scritti fanno menzione dei poveri solo in contesti escatologici. Nel nuovo eone la 1tEvloc scompare (Sib. 3, 378' dr. 8 ,208); ot 1t"t'WX.OL 1'CÀ.OV"t'tcrl}1)crov"t'(1.t, «i poveri diventeranno ricchi» (test. Iud. 25,4; cfr. test. Sal. ro,12). D 'altra parte il popolo che segue la meretrice Babilonia viene stigmatizzato fìn d'ora con il titolo di misero e gli è minacciata miseria e paupertas rn. Quando la fine sarà vicina, l'uomo di Dio consolerà i poveri (4Esdr. r4,r3). Questo futuro favorevole ai poveri è preceduto da uno stadio escatologico, la cui descrizione si mantiene entro linee neutrali, nel quale i poveri sono in lotta coi ricchi, i mendicanti coi principi (Iub. 23,19); concezione riscattata poi dal quadro di una fase .finale, durante la quale i poveri hanno la prevalenza sui ricchi. Questa fase tuttavia è intesa come un tempo di disordine (Bar. syr. 70,4). In tal modo Bar. syr. già si avvicina al rabbinismo. Esso per vero afferma che nell'altro eone non ci saranno più poveri&\ ma già al tempo degli Amerei tale tesi viene espre~samente respinta (Shabb. b. 15rb bar.). L'esegesi rabbinica di Deut. 15,4.II è orientata esclusivamente a un concetto etico (S. Deut. a 15,n; Tg. f. I a Deut. 15,4; Ber. b. 34b (Shemuel b. Nahaman), e in Ps. 18,28 'am-'ant è interpretato soltanto nel senso di un compenso individuale 89 •

    ll:.. tlammeIJ

    \V t,O~UJ-/ )V

    rono introdotte in un secondo tempo. in altri scritti - parlano gli stessi poveri. Si tratta di appassionati lamenti contro i ricchi (Hen. aeth. 94,7; 96,4ss.; 97,8 s.; cfr. 63,10), di invettive in cui quegli stessi che si lamentano figurano in controluce come vittime di vessazione da parte dei pauperum bonornm comestores 9-0, come eanawlm e faddiqtm' che vengono oppressi (Hen. aeth. 96,5.8). L'affermazione indiretta di Ecclus 13,1519 (20) va ancora più in là. La contrapposizione rc-rwx.6c;-rcÀ.ovcrtoc;, costitutiva per l'insieme del passo, viene portata a un grado di vera inconciliabilità mediante precisazioni supplementari, nelle quali i termini rc't'wx6c; ed eùcref31)c; finiscono per coincidere e sono sfruttati ai fini di un'interpretazione aggressiva del passato e del presente.

    5. Un posto a parte hanno Ps. Sal. 5, 2.n; lo,6; 15,1; 18,2, in quanto l'attributo 'povero' è qui usato esclusivamente quando l'uomo è oggetto di un intervento divino (dr. in particolare ro, 6a e 6b). Questa accezione corrisponde a quella di 'iiniìw nei salmi tardivi (-7 coli. 729 s.), anche se le espressioni sono meno stereotipe. Qui rc"t'wx6c; di fatto si identifica con &lxoctoc; e ocrtoc; e indica piuttosto una qualità interiore, tanto più che non è usato in confronto ad avversari. Per altro 1t't'WX6c;, dove è usato, è concetto fondamentale e deve perciò indicare un lato esseniiale della coscienza che ha di sé la comunità che si esprime in quei componimenti. Poiché essa soggiace a varie sventure, 1t"t'WX6c; 4. In un quarto gruppo di testi - si implicherà anche la povertà materiale 91 , tratta sempre di brevi sentenze che fu- · senza che tale povertà sia tuttavia il di-

    Documentazione in ~ CRONBACH 139-143. 6Esdr.r,47-5r (ed O . F.FRITZSCHI!, Libri apocryphi Veteris Testamenti [ r87r ]). 88 Shabb. b. x51b bar. e in modo ancor più preciso Jirmja .a spiegazione di Zach. 14,2r: k'n '11j in luogo dì kn'nj (Pes. b. ;;oa). 59 Cfr. S'!'RACK-BILLERBECK I 136. Testi del

    86 87

    Targt1m in

    ~ RAHLFS

    93.

    ass. Mos. 7,8. A. HILGENFl!LD, Messias · Judaeorum (1869) 449 traduce 'lt"tW)tWV à:yai>wv

    90

    Xa.Taq>a.y&.8Eç,

    Che poi in 4,6; 16,i3 s. TCF.v(u. abbia un senso negativo, dice poco; perché il corpus non è di provenienza unitaria.

    91

    'lt'tWX6c; e II 5 -

    III I

    (E. Bammel)

    stintivo comunitario fondamentale o si debba trovare in essa il punto saliente del discorso. 'lt'twx6c; costituisce così il documento principale per far luce su una pietà religiosa che si emancipa da una greve concezione ideologica del povero 92. In alcuni passi il concetto di povero si arricchisce di elementi forniti dall'interpretazione teologica del martirio, Ja quale aggancia la povertà - a giudizio dei rabbini più dura di ogni sofferenza fisica (-7C v) - alle vie segnate da Dio nella storia. Con ciò il medesimo atteggiamento passivo (Ps. Sal. 15; ass. Mos. 9), che determinava quella concezione, si impossessò anche della teologia pauperistica, ostacolando il fot marsi di un attivo movimento di poveri. L'appendice dell'Henoch etiopico esalta i 'nwi-rwfl (ro8, 7), che nella tradizione siriaca di 4 Esdr. 14,13 sono stati resi con pios. Cosl ambedue questi testi si allontanano da un significato concreto di 'lt't'WX6c; ancot più di quanto non abbiano fatto i Salmi di Salomone. L'arco semantico del termine, da un potenziamento del significato contenuto in 'ni fino al suo volatilizzarsi, deve essersi prodotto di fatto attraverso varie generazioni, sicché sul piano storico bisogna parlare non di un partito dei poveri operante in modo conti-

    Negli inni di ringraziamento individuali, l'autore - probabilmente il Maestro di giustizia 91 - parla di se stesso come di un 'nj, di un nps 'ni wrJ (I QH 5,1), di un 'bjwn (I QH 5,13 s. 16.18). Dio ha soccorso la nps 'biwn (I QH 2,32; cfr. Ier. 20,13 e Ps. 82,3). Non è possibile cogliere una distinzione più chiara tra i vari termini. In altri canti di lode si parla di un certo raggruppamento di uomini come di 'nw;m (I QH 5,21; 18,q) o di 'biwnjm (I QH 18,22), dove questi vocaboli sono dapprima semplicemente delle metafore (cfr. I QH 1,36), ma poi vengono usati con un particolare rilievo e costituiscono una specie di denominazione di gruppo 94 • La stessa accezione si incontt:a più volte nel Rotolo della Guerra: i 'figli della luce' sono 'poveri di spirito' (I QM 14,7) e questa caratterizzazione figura accanto ad altre come nk'i rw/;J (11,10) 95 e tmimj 96• Soprattut-

    Questa pietà astrae pure dall'interpretazione rabbinica della '11wh come virtù. Alla tesi che i Salmi cli Salomone siano sorti in ambiente farisaico sembra perciò da preferire una loro proveniem:a da qualche comunità di orientamento qumranico. 93 Cfr. ad es. H. BARDTKB, Die H a11dschriftenfunde am Totm Meer (1953) 159; S. GLANZMAN, Sectarian Psalms /rom the Dead Sea : Theological Studies 13 (1952) 490; SUKENIK 34; J. P. HYATT, The view of man in the Qumran 'Hodayot': NTSt 2 (r955/J6) 277. Cfr. tuttavia H. BARDTKE, Das Ich des Meistcrs in den Hodajot Qumriin, Wissenschaftliche Ztschr. dee Karl-Marx-Universitiit Leipzig 6 (1956/57) 93-104. 9t Quest'uso linguistico non è semplicemente

    mutuato dall'A.T. e lo dimostra il fatto che l)lk'jm in Ps. 10,ro indica l'uomo senza aiuto e come tale degno di una valutazione positiva, mentre qui caratterizza l'avversario del np1 'bjw11 (r QH p5; cfr. 38,25.35). Il significato del vocabolo fu già avvertito da E. L. SuKEN1K, gnwzwt mgjlwt II (r950) 39.47. 95 Cfr. r QH 18,15. Y. YADIN, ml{Jmt b11i 'wr bb11i {Jwlk (1955) 341 s. vede in quest'uso linguistico un colore veterotestamentario; «è perciò difficile basarvisi per sostenere la tesi che (la comunità di Qumrnn) è la setta degli Ebioniti»; cfr. H. J. ScHOBPS, Urgemeinde, ]11· denchriste11tt1m, Gnosis (1956) 71. 116 Altre espressioni caratterizzanti: nmwgi bzkjm (14,6), kw1lim (14,5), mkim (r4,7), tmi111; drk (14,7). L'uso del vocabolo è lo stesso

    92

    nuativo, ma di un movimento ondeg· giante di tensioni sociali nel cui svolgersi trova poi di volta in volta spazio una ripresa di termini pauperistici già presenti nell'A.T.

    III. Qumran 1. È innegabile che in una parte delle

    h6diii6t si ritrova la mentalità dei salmi.

    r.:-i:wxòç CIII

    I (.!:'.• .tlammeJ}

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    I /'t ~

    to però in passi di decisiva importanza sono detti 'poveri' in quanto oggetto dell'azione divina. Dio agisce 'm 'bjwnjm (13,13 s.); «mediante la mano dei poveri della sua liberazione» (bjd 'bjwnj pdw[ka]) le schiere di Belial sono sconfitte (rr,9); i nemici di tutti i paesi saranno consegnati «Ìn mano ai poveri» (bjd 'bjwnjm, u,13). In quest'ultimo passo la designazione di 'bjwnjm è parallela a kwr'j 'pr, «i curvi nella polve· re», come in 14,5 ss., i figli della luce sono chiamati kwfljm, «i vacillanti». Sulla stessa linea si muove il Comm. ad Abacuc: il sacerdote empio ha messo le mani sui poveri: gml 'l 'bjwnjm (r Qp Hab 12,3); ha cercato di annientarli: zmm lklwt 'bjwnjm (12,6); ne ha rubato i beni: gzl hwn 'bjwnjm ( 12,ro). In tutti e tre gli scritti 'povero' è appellativo di dignità, accanto ad altri. Bisogna inoltre osservare che, nelle formule che caratterizzano un gruppo, a tutti gli altri termini che designano il 'povero' è preferito 'bjwn - ci sono razzie contro gli 'mjm (r QpHab 8,12; 9,5 s.) e contro gli

    'bjwnjm - e 'bjwn ricorre più spesso di altri nomi onorifici, sicché sembra che questo titolo abbia avuto un posto di preferenza su ogni altro. Ciò vale sicuramente per il Commento al Salmo 37'11. Nel testo si dice infatti che i qw'j jhwh o 'nwjm (Ps. 37,9.n) possederanno la terra e nel commento la frase è riferita prima alla 'dt bf;jrw e poi alla 'dt 'bjwnjm 98 (col. 1,5.9) 99 • Dato che non si tratta semplicemente di una continuazione della terminologia biblica tradizionale 100, «comunità dei poveri» potrebbe essere stata, a un certo momento 101 , la formula preferita con cui la comunità di Qumran designava se stessa o una parte di sé o almeno un'organizzazione che le era affine 102• Finora tuttavia il materiale che abbiamo a disposizione non ci permette di trarre, da un uso in realtà incerto della terminologia pauperistica, conclusioni veramente sicure su raggruppamenti diversi costituenti il movimento qumranico. II Documento di Damasco sferza aspramente la spoliazione degli 'njj 'mw compiuta dagli

    nel secondo dei salmi apocrifi conservati in siriaco e appartenenti probabilmente all'ambiente degli scritti di Qumran, dove il qhl hrbjm si designa come 'bjwnjm (cosl traduce M. Norn, Die fiinf syr. iiberlie/erten apokryphe11 Ps.: ZAW 48 [1930] x8); dr. M.DELCOR, Cinq nouveaux Psalmes esséniens?: Revue de Qumran x (1958) 89.

    sesso della terra; cfr. però col. 2,10. 100 Naturalmente, un certo rapporto con essa è innegabile; C1·J. RAnIN, The Zadokitc Doc11111e11ts 1 (r958) 40 n. 15, vede il modello in Prov. r9,22, senza che peraltro figuri qui la precisa formula contrappositiva 'is hkzb. 101 Se la stessa datazione generale dei documenti trovati a Qumran non è affatto fissata con certezza, tanto più il rapporto dei vari scritti fra di loro, cioè la cronologia interna e anche la stessa individuazione degli apporti esterni, sono questioni appena avviate; se ne potranno perciò trarre illazioni solo con grande prudenza. 102 Bisognerebbe qui mettere in rilievo I QSb 5,21 s., dove al nsj' h'dh è attribuito il compito il reggere 'nwj 'rf. La frase, sia per la sua provenienza (cfr. Is. n,4) sia per il contesto (dr. DJD I n8 s.), deve essere intesa in senso escatologico; non è tuttavia escluso che quanto è riconosciuto valido per il tempo di salvezza possa essere già realizzato nl presente, nell'ambito della comunità.

    97

    I frammenti sono stati pubblicati da

    J. Air

    A newly discovered fragment o/ a commentary 011 Psalm 37 /rom Qumra11 (4 Qp LEGRo,

    Ps 37,8-rr.I9 b-26): Palestine Exploration Quarterly 86 (1954) 71; ID., Further light 011 the hislory o/ tbe Qumran sect: JBL 75 (1956) 94; le espressioni importanti per la nostra questione appartengono ai passi nominati per primi. 98 'dt è integ~azione, però sicura, come dimostra 4 Qp Ps 37 col. l,IO. 9'J Il povero è messo alla prova e liberato. Qui finisce il frammento e non si può quindi dire se seguisse anche la formula della presa di pos-

    NJ (v1,897)

    'lt't'WXOt;

    e lil

    I-2 (E. Bammel)

    oppositori della comunità appartenenti alla casta sacerdotale (6,16 [8,13]). Essi vengono richiamati al dovere di soccottere 'nj w'bjwn wgr (6,21 [8,17]) 103 • In una istruzione della seconda parte (14,14 [18,3]) viene ordinato di consegnare il guadagno di almeno due giornate al mese a beneficio, tra l'altro, di 'nj w'biwn (si tratta evidentemente di un'endiadi). In questo passo l'istruzione riguarda di preferenza gli appartenenti alla comunità 104, mentre in 6,21 (8,17) il pensiero è rivolto a quelli di fuori 105• Invece in 19,9 (9,10) la comunità si identifica con i 'poveri del gregge' che sono salvati in mezzo alla persecuzione 1116 • 2. La vita della comwiità di Qumran, come è stabilita dalla Regola, è caratterizzata dalla proibizione di ogni proprietà personale; si è un jpd... bhwn (I QS 5,2). Nel primo anno il novizio resta, quanto al diritto patrimoniale, estraneo

    alla comunità ( 6,17 ), nel secondo deve mettere hwn wml'kh 1117 a disposizione della comunità, senza però che nessuna di queste cose sia incorporata nel patrimonio comune (6,19). Ciò avviene soltanto quando, dopo due anni, egli è ricevuto definitivamente nella comunità (6,22). L'amministrazione dei beni è affidata ai figli di Aronne (9,7 ). Falsi dati sulla proprietà privata ( 6,25) 103 e appropriazione indebita del bene comune (7,6) vengono severamente puniti. Per gli appartenenti alla comunità 109 ogni proprietà è propriamente hwn pms (ro,r9)H0 • Ma non la proprietà in quanto tale è cattiva. Soltanto quando comincia il tempo del cammino nel deserto, essa viene abbandonata (9, 22) m. Prima la comunità stessa sviluppa una vasta organizzazione economica 112 ; ed è un'economia comunitaria che abolisce ogni distinzione fra ricco e po-

    Hrl II testo di 6,14b (8,12) indica le premesse necessarie per ristabilire la comunione con i sacerdoti di Gerusalemme e lo fa in una forma che è nello stesso tempo un catechismo per gli estranei alla comunità; P. KAHLE, Die Gc-

    101 = U1tapxov-.a. xai lliia? La sostituzione di /Jttm con mmwn in I QS 6,2 comprova una

    meinde des Ne11e11 Brmdes ti. die hbr. Handschrifle11 aus dcr Hohle: ThLZ 77 (1952) 405 s., dà un'altra interpretazione. Nel frammento di 6 Q (ed. M. BAILLET, Fragments du Document de Damas Qumran Grotte 6: Rev Bibl 63 [1956] 520) le parole citate non figurano. te» Può essere stata richiesta anche la cura per il jsbh lgwj (14 115 [18A)). Inoltre questa formula differisce da quelle corrispondenti pro· prio perché si tien conto di 'ni u/bjum. 105 '{J in 6,20 (8,17) .non può essere riferito ai membri della comunità, dr. 6,21 (8,18). 106 Si tratta qui della più antica redazione parallela (B) al discorso giudiziatio nella prima parte; essa dimostra che, prima che venissero in uso termini speciali per indicare la comunità e la corrispondente documentazione biblica, una corrente sboccata nella comunità di Da· mnsco ha interpretato se stessa alla luce di Zach. u ,u ('ni invece di 'bjwn è condizionato dalla citazione).

    tale equivalenza. 103 Resta incerto a che cosa si riferisca 6,25, se a falsi dati sui beni patrimoniali forniti in qualità di testimone (P. WERNBERG-MOELLER, The Ma11ual of Discipline, Studies on the texts of the Desert .of Judah I [ 1957] III) o in causa propria (S. E. JoHNSON, The Dead Sea Ma-

    11ual o/ Discipline and the Jerusalem Church of Acts: ZAW 66 [ 1954] I08 s.).

    109 Questo aspetto decisivo è disconosciuto da H . BRAUN', Spiitiiid.-hiiretischer tl. friihchristlicher Radikalim1Us'(1957) I 36. 110 CH. RABIN, QU1nra11 Studies, Scripta Judaica u, ed. A. A. ALTMANN (1957) 22.-36 amibuisce ai Qumraniti la proprietà privata. Con errore di metodo egli parte dalla situazione presentata dal Doclimento di Damasco, costruisce la sua tesi su una congettura relativa a I QS 7,6, eppure può presentare il suo pun· to di vista solamente come possibile. 111 Non è chiaro se si tratti del patrimonio della comunità o dei beni privati degli 'eletti'; è più probabile la prima ipotesi. 112 W. R. FARMHR, The Eco11omic Basis of the

    7t'tWXò<; l , Hl 2 - lV l \.C .

    vero, perché vuol riprodurre la forma di vita che Dio farà sorgere nel secolo futuro 113 • Nel Documento di Damasco invece, accanto a una cassa della comunità (I 4,14 [I 8,3] }, sono presupposti senza dubbio beni privati m (cfr. 13,15 [ r6, 8]; 16,r6 [20,12]), il cui libero uso è tuttavia limitato da regolamenti di vita comune {14,r7ss. [18,6ss.)} e dall'insediamento in distinti quartieri (ml;nwt, r4,3 [17,1 s.)}. Gruppi aventi legami meno stretti con la comunità 115 potevano persino possedere schiavi e avere rapporti d'affari coi pagani (12,9s. [r4,10 s.) ). Cattivi appaiono soltanto i beni dei sacerdoti di Gerusalemme, acquistati in maniera disonesta (8,5 [9,15J)ll6 ; un'aspirazione moderata alla proprietà è permessa (8,7 [9,17]). La situazione esposta nel Documento di Damasco corrisponde molto da vicino alle notizie cbe abbiamo circa gli Esseni; si potrebbe trattare dello stesso movimento o di un gruppo organizzato in modo simile. Filone e Flavio Giuseppe ne mettono entrambi in rilievo la comunione dei beni (Philo, omn. prob. lib. Qumran-Co1111111111ity: ThZ II (1955) 295-308. Cosl a ragione F. M. CROSS, The Ancic11t Library o/ Qumran and modern Biblica{ Studies (1958) 62. ST. SEGERT, Die giitergemeinscha/t der Essiier, in Stttdia Antiqua A. Salac oblata (1955) 73, ammette invece che la comunione dei beni è richiesta dallo stato di purità lll

    a cui si tende. Una situazione analoga pare presupporre in 4 QpPs 37 (~ n. 97) dove è detto che i membri della comunità versano nella cassa comune nhlt kwl (col. 2,10); cfr. l'i~­ tegrazione del t'esto in TH. H. GASTER, Thc Scriptures of the Dead Sea Sect (I 957) 244. L'esser salvi nella r'b (col. 2,10) e la fine dci malvagi sono intesi in senso escatologico, ma sembra pres"1pposta la concretezza della fame.

    Cfr. BRAUN, op. cit. e~ n. 109) I2l s. RAop. cii. (~ n. IIO) 23. 115 12,9-12 (14,9 ss.) potrebbe essere un regolamento per coloro che hanno con la comunità ll4

    BIN,

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    84 s.; Flav. Ios., Ap. 4; W(l'i:<. f.v ffaacnv µTj't'E 1tEVla.c; 't<X.'ltEWO'tl)'tOC cpalve:
    IV. La posizione dei poveri nel giudaismo palestinese I. A cominciare dal tempo dei Maccabei il giudaismo fu profondamente permeato da acute tensioni sodali. Durante il governatorato di Gabinio l'agitazione giunse al colmo; poi, al tempo di Erode, sopravvenne una cel'ta calma. Allora

    un rapporto meno stretto; diversamente intende K. G. Kmrn, Z11r Bedeutung der ne11en pa-

    liistinischen Handschrifte11f1mde /iir die 111.-licbe \Visse11schafl: ThLZ 75 (r950) 85 . 116 Diversamente L. RosT, Qumra1lprobleme. Bine Obersicht: EvTheol 18 (1958) 107. 11 7 Cfr. Plin., 11at. hist. 5,17 4: sine pecf111ia; Philnstrius, de haeresib11s 9 (CSEL 38,5). Altre indicazioni in B:RAuN, op. cii. (~ n. 109) 7780.

    m Philo onm. prob. lib. 85 s. (cfr. \Y/. BAUER, art. 'Essener', in PAULY-W., Suppi. 4 [1924) 423); Flav. Ios., bell. 2,124.127 (più grossolanamente Hipp., re/. 9,20). 134 (vedi BAUER 403). Qui bisogna considerare che Filone in vista del suo ideale filosofico tende a calcare le tinte, mentre Giuseppe riferisce per sommi capi. 119 H. LEWY, Sobria Ebrietas, Beih. ZNW 9 (1929) 31 n. 4; I. HEINEMANN, 'Therapeutai', in PAULY-W . 5 A (1934) 2340-2345.

    'lt't"W;.(6c;

    e IV I-2 (E. Damtnel)

    l'interesse dei Farisei per le masse e i occupare la proprietà altrui (Sukka b. 44 loro legami con queste diminuirono 120, b). Tali tensioni si prolungarono nel mentre correnti estremiste sorte di re- tempo ed ebbero una parte importante cente trovarono i loro adepti negli stra- nel sorgere di alcune sette giudaiche, in ti bassi del popolo. La miseria causata particolare del movimento dei Caraiti 125 • dalle due guerre aveva sviluppato inol- In questo ambiente si trova anche l'antre una specie di ethos della povertà. tica glorificazione dei poveri coi quali d Aqiba dichiarava: «Bella è la povertà si identificava, alla quale dava luogo la delle figlie di Giacobbe, come un collare spiegazione di alcuni passi scritturali rosso sul collo di un bianco cavallo» 121 • quali Soph. 3,12; ls. 29,19; 32,7; Zach. Egli ne traeva pure questa conseguenza l I , l l 126. giuridica: anche i più poveri in Israele si considerino come liberi che hanno 2. La posizione giuridica del povero è perduto i loro averi (B. Q. 8,6). A quel- caratterizzata dal fatto che anche da lui l'epoca doveva circolare 1n parola d'or- si esigono certe offerte prescritte dalla dine: Dio ama i poveri 'lwhjm 'hb 'njjm legge religiosa - anche lo 'nw è tenuto (cfr. B. B. b. roa). E povere furnno con- a pagare il tributo del tempio (Sheq. 1,7; siderate anche le condizioni dei rabbini 2,5) e lo stesso 1tÉ\IT)ç deve fare l'offerta dopo la catastrofe 122• D'altra parte ri- per la nascita dcl primogenito (Philo, comparvero presto dei rabbini benestan- de praemiis sacerdotum 127 ); ma sono ti 123 e di nuovo s'approfondirono i con- previste per lui, ancor più, agevolazioni trasti sociali. Caratteristica a questo e aiuti. La decima dei poveri, questo triproposito è la situazione esistente in buto che ha la sua origine in Deut. 14, Sefforis, dove gli scribi guardavano gli 29; 26,12 128, vige per il 7tpocrlJÀ.v't'oc;, 'am-hii'iire~ con un palese disprezzo, non l'6pcpcw6c;, la XTJPCI. (Deut. 14,29; 26,12; soccorrevano i poveri né abitualmente Tob. 1,8 cod. $).Flavio Giuseppe nominé in tempo di carestia (Sanh. b. 92a; B. na soltanto vedove e orfani (ant. 4,240 ). B. b. Sa) ed evitavano qualsiasi rapporto La 'decima del povero' (ma'asèr 'iinl) con loro. E anche 'i poveri della terra' o- comincia a figurare al tempo della Mishdiavano gli scribi più dei non giudei 124 • na (Pea 8,2; Demmai 3.4 cfr. Sota j. 3,4 Le tensioni furono in certi periodi cosl [ 19 a 40]: m'Jr mskjnjn). Si tratta però acute, che i poveri giunsero talvolta ad di un'imposta che per lo più non ebbe 120 Significativa a questo proposito è l'introduzione del 'prosbol' ad opera di Hillel (Sheb. 10,3 s.; S. Deut. n3 a x5,3).

    Cfr. le formule parallele B. M. 2,n; Sanh. b. non; Sola 9,15; Git. b. 62a; Sukka b. 38b; Qid. b. 32b. 122 Pea ;. 8,8 (2x b 2 ss.); B. B. b. 75a, cfr. Shabb. b. 151b. Per il loro genere di vita, ricca documentazione in A. BiiCHLRR, The Eco110111ic Condilions o/ Judaea after the Destmction of Jhe Sccond Temple: Jew's College Publications 4 (1912) 48-50; cfr. anche ~ 121

    }EREMIAS 3x.

    123 Tadon: Hor. b. 33; Nehunjah: Meg. b. 28a; Gamaliele II: B.M. 5,8. Su Jehuda vedi S. KLEIN, The estates of R. ]t1dah ha-Nasi: JQR

    2 (19u/12) 545-556; ID., b'qbwt h'riswt hgdwlh bsbjbwt lwd. spr hiwbl ls" qrwjs (x936) 69-79. 124 Pes. b. 49b. Cfr. A. BticHLl!R, The Politica/ and Social Leaders o/ the Jewish Commtl· nity o/ Sepphoris i11 the Seco11d and Third Cemury: Jew's College Publications I (1909) 61. 125 Cfr. R. MAHLER> q'r'jm'r (1947) 294 ss. 126 Cfr. N. WrnDER, The Qumra11 Sectaries a11d the Karaites : JQR 47 (1956/ 57) 283-289. 127 Ed. K. E. RICHTER IV (1828) 315. 123 Per la questione cfr. O . EISSFRLDT, Erstli11ge 11. Zehnten im A.T., BWANT 22 (x917) 162; ScHiiRBR u 307; STRACK-BILLl!RllECK 1v 680-682; G.L1sowsKY, ]adajim (1956) 5.

    1t't'WX6ç CIV 2-3 (E. Bammel)

    (vr,900) 750

    corso 129, benché i gruppi farisaici si sia- go tempo ancora, a ciò che asseriva il no fatti un dovere di ottemperarvi fedd- povero si prestò scarsa fede (B. B. 43a). mente (M.S.j. 5 ,9 [ 56d 26 ss.]). Tra i Quindi le disposizioni della giustizia, inrabbini si può individuare una tenden- tesa come difesa del povero (B.Q. 36b), za a restringere la prima decima 130; di restarono pura teoria. conseguenza la decima dei poveri fìnl a 3. Maggiore importanza ebbe la benepoco a poco per diventare più importante di quanto non fosse stata prima del ficenza volontaria 135, che si ricollega, co70 d.C. m e, d'altra parte, anche sacer- me la decima dei poveri 136, ad usi radidoti e leviti - «sacerdote povero» s'in- cati nell'antico Israele: le elargizioni agli 'bjwnjm nella festa di Purim (Esth. 9, contra ora come termine tecnico fisso traevano sostentamento dalla decima dei 22; Meg. I,4) e le elemosine della notte poveri (Pea 8,5 ). Forse il nome nuovo e di Pasqua (Pes. 9,n; ro,r). Era inoltre specifico con cui la si designa è in rela- assai praticato l'uso di devolvere in zione con un certo prevalere delle idee beneficenza una parte della seconda defarisaiche dopo il 70 d.C. C'erano inol- cima destinata a Gerusalemme, il che tre per il povero la parte di raccolto che spingeva nella città santa schiere di mensi lascia per lui nel campo (pè'a), i co- dicanti. Fare elemosina ai poveri (T. voni dimenticati, la spigolatura 132, ciò Pea 4,19 [ 24,26 s.]) divenne, in maggioche spontaneamente ricresceva nell'anno re o minor misura, un costume largamensabbatico (Sheb. 5,3; Taan. b. x9b bar.) te diffuso. In Pea r,r la carità (g•mttut ed anche il diritto di prelevare qualcosa hasiidtm 137) è lodata come una delle virda mangiare nei campi, negli oliveti e tù che producono frutti in questo mondo nei vigneti. Il diritto mishnico non ha e il cui capitale è messo in serbo per il sollevato di molto la posizione giuridica mondo futuro 138 • Flavio Giuseppe si dfedel povero. Benché la quantità minima risce a un diverso schema, greco-giudaidi raccolto da lasciare a disposizione de- co, per il quale è dovere l'«offrire a tutgli indigenti fosse fissata da Pea r,2 e ti i bisognosi fuoco, acqua, cibo» ( 7t&
    uowp

    129

    Eccltis 7,32; Abac. 5,9. Un quadro del tut· to inesatto in A. GEIGER, Urschrift 11. Obers. der Bibel (1857) 179. 130 Ne è prova la motivazione offerta da Sota b. 4811 (per il carattere addizionale della stessa vedi R. MEYER, Dar angebliche Demai-Gesetz Hyrkans I: ZNW 38 [1939] u.5 s.): diminuisce la cerchia di coloro che ne beneficiano; la decima dei sacerdoti è intesa, in un secondo tempo, come decima a profitto dei poveri o dei sacerdoti poveri (Jeb. b. 86b). IJI Jub. 3:z non ne parla. 132 Era concessa anche ai pagani poveri: Git. 5,8 {aggiunta posteriore?); dr. invece una restrizione in T. Pca 3,1 (:zo,30 s.). 133 Per l'aumento del minimo cfr. Pea j . 1,2 (16 b 61-68); per l'obbligo della pé'a esteso

    oltre i confini della Palestina cfr. Hul. b. 137b. 134 In realtà la sospensione della seconda decima nel III e VI anno comportò un aumento insignificante della terza decima; contra ~ KATZ 80. JJS Vedi STRACK-BILLERBECK IV 536-610. 136 Vedi EISSFELDT, op. cit. (~ n. 128) 157. 137 Neologismo rabbinico per distinguere la

    beneficenza volontaria da ciò che è dovere. L'Ecclesiastico e Daniele usano hsd ancora in altro senso. In greco si usano pr~miscuamente EÀ.EO<;, ÉÀET)µOuVVTJ e lltlC~LOO'U\l'l'] .

    Vecchia massima, ripetuta da Shabb. b. 127a e Qid. b. 4oa. 139 In Eus., praep. ev. 8,7,6 (GCS 43,1 p . 430, 21 ). I due passi si corrispondono. Già J. BER· NAYS, Gesammeltc Abh. I (r885) 277-:z82 ha. 138

    751 (VI,900)

    1t-rwxoç e IV

    3-4 (E. Bammel)

    alle quali fu attribuito un valore maggiore che al fare elemosina, si è sviluppato in questo ambiente. Ne sono oggetto di solito i poveri in un senso più largo, ma in modo particolare, anche se non in primo luogo, si raccomanda di dar da mangiare ai bisognosi 142 e vestire gli ignudi.

    tendenza a raccomandare la beneficenza. Essa.costituisce un tema obbligato della predicazione missionaria: come il sacrificio espiatorio opera la remissione dei peccati per Israele, cosl fa la beneficenza per i pagani (B. B. mb bar.}. L'esortazione alla liberalità ha quindi un posto di gran rilievo nei documenti del proselitismo 140• Per gli Israeliti la beneficenza fu in un primo tempo piuttosto un opus superadditum. Era raccomandata, non però come un'assoluta ·necessità, ma come un'azione sicuramente atta ad esercitare un effetto su Dio (B. B. b. ma). Le cose cominciarono a cambiare dopo la distruzione del tempio: «Finché c'era il tempio, si portava il proprio seqel e 5j otteneva il perdono; ma adesso che il tempio non c'è più, se si fa la carità va egualmente bene» (B. B. b. 9a; cfr. Ab. R. Nat. 4 [ Johanan ben Zakkaj] ). Prima del 70, la beneficenza, al di là di ciò che prescrivevano la legge e gli usi, si limitò per lo più a uomini singoli w o a ceti particolari; comunità farisaiche (M. S. ;. 5.9 [56d 26 ss.]), Esseni e anche associazioni di giudei ellenisti in Gerusalemme e altri gruppi se ne fecero un dovere. Il concetto di opere di carità,

    4. Dopo la guerra giudaica, sorse un'assistenza sociale comunitaria di carattere ufficiale, quale prima s'era avuta, a quanto pare, soltanto nella diaspora m. Nella forma più evoluta la sinagoga conta parecchi incaricati responsabili di questa assistenza. Il denaro era in parte ricavato da una tassa, in parte offerto spontaneamente. Le entrate erano suddivise in due fondi distinti: la qwph per la cura settimanale dei poveri residenti in luogo e la tmpw; 144 per l'assistenza a quelli che erano quotidianamente di passaggio. Rientra nello stesso quadro la fondazione di ospizi nell'ambito delle sinagoghe 145 • La cura dei poveri, almeno in certi periodi, deve aver sollevato la stupita ammirazione negli ambienti extragiudaici (cfr. Iul., ep. 30.49). Non si avverte però mai alcuna tendenza a livellare le differenze sociali.

    dimostrato che la formulazione dell'ultimo richiama le maledizioni buzigiche del culto attico, D. DAUBE, The New Testament and Rabbinic Judaism (1956) 138-140 ha ravvisato nel primo una lieve variante dello schema del ca· techismo ad uso dei proseliti. 140 Ad esempio Monobaso, il prototipo del proselito, si vanta dei benefici fatti agli '11;;m (T. Pea 4,18 [24,15)). Secondo Jeb. b. 47a bar. il proselito fa offerte per i poveri, e in A. Z. b. 64a si dice: «Andate, vendete ciò che avete e fatevi proseliti». Ai proseliti si richiedeva in modo particolare che osservassero i doveri prescritti dalla legge riguardo ai poveri (vedi Gerim r,3); cfr. G. POLSTER, Der kleine T almudtraktat iiber die Proselyten: Angdos 2 (1926) 2-38. Quanto al tempo stabilito per il rito, si veda D. CHWOLSON in una comunicazione epistolare riportata da A. SEEBl!.RG, Das Ev. Christi (1905) 99 s.

    141 Il ricordo di Nicodemo ad es. si impresse nella sinagoga (Ket. b. 66b). 142 Pea ;. l (15 d 8 s.); Shimon b. Johaj; Qid. j. 1,7 (61b47) Pes. r. 23/24 (122b); dr. STRACK-BILLERBECK I 707 s.; Hen. slav. 51,1. Sono indicati in prevalenza col nome di 'affa. mati' (1tavwv/r'b; cfr. l'alternanza dei vocaboli in B.B.b. xoa), oppure si parla di ospitalità (hknsl 'wr[Jjm) o si usano altre perifrasi (ad es. Ab. R. N. 7 [3c]). Invece «Vestire gli igtmdi» è formula tecnica ormai fissa. 143 L'esortazione o4 obbligazione di Lidda, di accogliere un orfano, accentua il suo influsso (Esth. r. 6,1 a 2,5); cfr. BACHER, Tan11aiten 1 188 n. 4. 144 Altri dati in STRACK-BILLERBECK 11 643647. 145 Pes. b. 1ora. In Sota b. loa e Ge11. r . .54 a 21,33 si allude all'interpretazione rabbinica di Gen. 21,33 come ospizio.

    1t'tWXO<;

    e V - D (E. Bammel)

    V. Il giudizio dei rabbini Nel periodo postesilico ebbe corso nei circoli autorevoli una valutazione della povertà prevalentemente negativa. Si mette sulle labbra di Giobbe la preghiera che Dio gli mandi piuttosto dolori che povertà (Ex. r . 31,12 a 22,24). L'offerta modesta di un povero è raccolta dal sacerdote con disprezzo 146• Anche dopo il 70 poteva valere come normativo questo concetto: la discolpa del povero di non aver studiato la legge a causa della sua povertà, non è valida davanti al tribunale celeste (]oma b. 35b bar). Il povero, in un detto che si farisalire a Jehoshua ben Levi, è considerato per la comunità come inesistente, e viene equiparato al morto, accanto e anche prima del lebbroso, del cieco e del1'uomo senza prole (Ned. b. 64b; Ned. j. 9,2 [ 41 c 8 ss.] e passim). Il giudaismo sa perfettamente che i beni terreni sono transitori 147 e che la povertà dipende dal destino (M. Q. b. 28a; Ber. b. 5b); ma, benché fra i Tannaiti palestinesi molti fossero poveri, essi bollano la povertà come povertà relativa alla torà 148, vedono in essa una maledizione, citano Prov. 15,15 (Ket. b. nob; Sanh. b. 100 b) e quindi danno un giudizio più duro che non i babilonesi 149 • Un'apertura del rabbinismo all'ideologia del povero si ebbe. solo fugacemente, e, anche quando 146 Lev. r. 3.5 a ;i.,r; dr. °" }EREMIAS 24, che si dichiara scettico circa il problema dell'autenticità. 147 Shabb. b. r51b. Altri dati in KtTTEL, Probleme 142-149. 148 Ab. 4,9; Ab. R. N. 30; cfr. Ned. b. 4ra: 'di bd'h. Cfr. anche Lev. r. 34 a 25 ,39. 149 4 MARMORSTEIN 370 s. ISO Vedi STRACK·BILLERBECK r 819-822. 151 A. Bi.icHLER, Der galiloische 'Am-hn 'Are! des 2 . ]hdt. (1906) 4 s. m Mediante la limitazione dell'elemosina al w% degli uitapxov-.a. Cfr. Ber. b. 61 b bar. 153 Ad es. test. Gad 7 ,6: &.cpMvwc; sembra es·

    (v1,902) 754

    avvenne, essa riguardò soltanto Israele nel suo complesso (Gen. r. 71,1 a 29, 31). In realtà anche per Aqiba (~col. 747) la povertà costituiva un enigma. Il tentativo di spiegare la povertà come mezzo di correzione 150 toglie ad essa, come alla teologia del martirio, ogni valore teologico proprio. Nello stesso II secolo, in cui ebbe compimento il rifiuto degli •am-hii'iire~ 151 , fu arginata l'escatologia pauperistica, estesa anche al campo dell'assistenza ai poveri la tendenza antiascetica in sé sempre presente 152, e alcuni passi anteriori sui poveri vennero reinterpretati in senso moralistico 153 • Forse anche la valutazione della 'nwh isi si riallaccia a questa nuova interpretazione di un teologumeno ormai caduto in disuso. Solo nella tradizione popolare e in affermazioni attenuate si conservò ancora una certa consapevolezza che i poveri ('njjm) saranno i primi oggetti della divina misericordia (Ex. r . 31,13 a 22,24).

    D. NUOVO

    TESTAMENTO

    Nel N.T. il termine corrente per indicare il povew non è 1tÉV1'}<; 153 (~ 1x, col. 1462) ma 1t't'wx6ç 156• Il vocabolo ricorre 31-35 volte, e la maggior parte di esse appartiene ai vangeli, in particolare ai sinottici (Mc. 4-5 volte, Mt. 4-5 volte, Le. 10 volte) 157, come richiede il losere ancora interpretazione giudaica. JSI Soprattutto A. Z. b. 2ob (Jehoshua b. Levi); anche Ar. b. 16b. 155 7tlYrJc; in 2 Cor. 9 19 è richiesto dalla citazione, alla quale Paolo si attiene strettamente, dr. H. VoLLMER, Die nt.liche11 Zitate bei Paulus (1895) 59 n. 3. La differenza tra 'lti:wx6~ e 7tÉV1)ç non si avvei:te più nel N.T. Soprattutto non è più presente in 1t'twx6ç la condizione di supplice (dr. R. KABISCH, Die erste Seligpreisung : ThStKr 69 [1896] 203). l56 In Aci. 4,34 leggiamo ~v8Ei)ç; in Le. 21 1 2, forse per variare l'espressione, il rafforzativo 1tEV~Xp6ç. 157

    Per Le. I,j3

    ~

    n. ;i.15.

    755 (VI,902)

    m:wx6c, D

    I 1

    ro stesso contenuto. Negli altri testi la #partizione è uniforme. Strana è soltanto la sua completa assenza negli Atti 158, soprattutto se si considera che Luca ne fa un uso abbastanza largo (sei volte in passi che gli sono propri).

    I. I vangeli 1. Nei

    tre contesti di Marco 1t-twx6c; è usato sempre.in senso proprio. Mc. 12, 4 r ss., riallacciandosi a una polemica contro i ypocµµoc-tEi:c; che divorano le case delle vedove, descrive una XTJPOC 'it'tWX'I) (vv.42 s.), che quindi avrebbe diritto d'essere a sua volta aiutata, la cui modesta offerta nel tesoro del tempio deve essere valutata superiore ai ricchi 158 L'assenza del vocabolo in Hebr., r e 2 Petr., Iudae e nelle epistole giovannee può es-

    sere casuale. 159 Come mostra la reazione dcl ricco riferita in modo univoco l'espressione lScrcx. gxw; 'ltttlÀ:l)CTOV non ha qui un senso lato e non vincolante, ~ LEIPOLDT, Jesus und die Armen 199; ~ LEIPOLDT, Geda11ken 95 s.; dr. anche

    }EREMIAS 42. 160 Dal v. I 3 il contesto tratta di quelli che sono alle soglie del regno (cfr. v. 23). Manca un'affermazione esplicita sui poveri, a meno che non si applichi anche a Mc. ro,14 la tesi di J. A. MONTGOMERY (Notes /rom the Samarita11: JBL 25 [1906) 53). In questo caso però dovremmo considerare secondaria, rispetto al v. 23, tutta la cornice scenica, che qui è delineata con cura particolare (dr. v. 14", 16"; cfr. v. 22•.b). Comunque il complesso è diret· to a coloro che posseggono qualche bene, la cui rinuncia li predisporrebbe alla ~M~À.Ela. È ben vero che nella prima parte del contesto si polemizza contro i ricchi, ma il tema 'povero' non è poi ulteriormente sviluppato. Il contesto fino al v. 22 potrebbe già essere stato configurato cosl nelJa tradizione utilizzata da Marco (BuLTMANN, Trad. 20); ~ PERCY 91-93 si preclude l'interpretazione esatta in quanto considera i vv. 17-27 come sostanziai-

    (E. Bammel)

    doni dei 'ltÀ.oucno~. In Mc. 10,r7 ss. si raccomanda Ja vita del povero a chi possiede, nel senso che questi è tenuto a condividere ogni suo avere 159 con i 7C1:W· xol (v. 2I ). Non pare tuttavia che il narratore intenda qui porre per principio in rilievo il povero in quanto tale 160~ Il passo più importante è quello di Mc. r4,5. 7: 7Ciiv-.o.-E y&.p -coùc; 7C'twxoùc; EXE'tE 1-~dreau-cwv ... ÈµÈ oÈ ntiv"to'tE E'.xE· 'tE. La risposta sottovaluta il dovere dell'elemosina; ma essa è integrata da un'altra motivazione 161 che le toglie un po' della sua crudezza. Quelli che nel testo preesistente erano discepoli indignati vengono da Marco presentati co-

    ou

    mente unitari; lo stesso fa W. GRUNDMANN, Geschichte ]em (1956) 173. Il v. 23 fu inserito già in periodo prcmarciano? I versetti introdotti dall'evangelista ampliano (vv. 23.29) e insieme relativizzano (vv. 24.27) il tema della proprietà; sembra quindi che nella sua cerchia il problema non fosse più cosl importante. Il materiale mutuato da Marco tradisce due diversi ambienti di origine: la polemica contro i ricchi (vv. 2 3 .2 5) e 1'interpret82ione del racconto nel senso della dottrina giudaica del me· rito ad opera del primo rielaboratore. Il v. 21• non si armonizza col contesto (vedi E. HIRSCJ.J, Friihgeschichte des Evangeliums I 2 [1951) rn s.) e manca anche nel Vangelo

    degli Ebrei.

    In Mc. 14 c'è una interpretazione giudaizzante (cfr. DAUBE, op. cit. [-)o n. r39] 312-

    161

    324; ID., Evangeliste/I u. Rabbinen: ZNW 48 [1957] 122) e teologica, che non è certamente

    originaria (cosi anche LoHMEYER, Mk., ad I.; diversamente H1RSCH, op. cit. [ ~ n. 160] 151). Forse a provocarla fu il xa;).òv ~pyov del v. 6 inteso come comandamento dell'amore, esegesi che, se il v. 7 deve avere un valore specifico, non può essere consona alla situazione (diversamente J. ]EREMIAS, Die Salbrmgsgeschichte Mk. I4,J-9: ZNW 35 [ 1936) 75-82). Il v. 8 risale dunque alla comunità, mentre il v. 9 è dowto all'evangelista.

    757 (VI,903)

    1t'tWXO<;

    DI

    me un gruppo indistinto 162 ; in tal modo viene eluso il problema posto a Gesù dai Dodici e dalla comunità cristiana. Anche questo particolare dimostra che Marco ha relegato nell'ombra il problema della povertà; egli elabora le pericopi che contengono il termine 1t'tWXOC, per trasporne il senso. 2. Matteo riprende da Marco due passi con 'lt'tùJX6ç e ne aggiunge due altri. In 19,21 dà all'ammonimento rivolto al giovane ricco un senso del tutto diverso, in quanto presenta l'alienazione della proprietà - e si tratta invero soltanto degli Ù7tapxov"Ta 16.J - come dovere di chi vuol essere 'tÉÀEtoç 164, attribuendo cosl a tale esigenza una portata che va al di là del caso individuale, ma che è

    m Nel testo occidentale è introdotto µ.afui;;a.l in base a Mt. (cfr. A. lvlERX, Die vier ka11011ische11 Ev., II 2: Die Ev. des Mk. u. Lk. [1905] .148). D'altra parte, un inserimento di µ.alhj-ra.l ad opera di Mt. non è comprensibile; si dovrà piuttosto pensare che sia stato Matteo stesso a mutuate questa precisa2ione a causa dell'importanza che essa aveva anche nella tradizione testimoniata da Giovanni. 16.J Per l'interpretazione vedi K. BORNHAUSER, Der Christ ti. sei11e Habe 11ach dem N.T.

    (1936) 30-43. 164 Cfr. Mt. 10,9; Le. 9,3; 10,4, dove il testo di Mc. 6,8 appare più incisivo. 165 Cfr. HIRSCH, op. cit. e~ n. 160) II 3n. Per il seguito cfr. act. Io., fr. 5 (ed. TH. v.ZAHN [1880] 235 s.). l
    1·2

    (E. Bamrnel)

    tuttavia circoscritta a un grado superiore di perfezione morale. Probabilmente si riflettono qui situazioni della comunità 165 • In 26,11 la formulazione marciana diventa più stringata, ma resta immutata riguardo al senso. In Mt. n,5 l'ultimo membro della risposta di Gesù al Battista suona cosi: 'lt'TWXOt i:ùayyi:}.Ll'.;o\l"Ta.t 156 • Stando alla fine 167 la frase assume un rilievo particolare (~III, coll. 105oss.). Tutto l'enunciato di Gesù è in relazione con ciò che fanno i discepoli inviati in missione (Mt. 10): ogni membro trova qui la sua corrispondenza 168 • La risposta di Gesù accenna cosl a un complesso di fatti già noti al Battista J(f). I singoli segni di salvezza sono subordinati alla proclamazione dell'Eùa.yyÉÀ.1ov ( 9 ,3 5) o trovano il loro culmine nel suo logus de ree/a in Deum fide (GCS 4 P• 5:z,7). Così i miracoli sono disposti in ordine di grandezza con un rimaneggiamento di seconda mano. 168 Nell'intenzione di Matteo, che qui riunisce passi provenienti da diversi strati della tradizione, EÒGtyyEÀ.(~ov-rGt~ corrisponde all'annuncio 1}yytxEv Ti Pa.
    1t'tWXOç D r 2-3 (E. Bammel)

    annunzio ( r r ,5) 170• All'inizio del discorso della montagna (5,3) Matteo pone la beatitudine dei 7t'twxot 't
    aspettazioni della religione degli 'aniiw'ìm, dalle speranze pienamente terrene174 ai beni escatologici veri e propri 175• Il tono comunque è trasferito dalla sfera materiale 176 al piano spirituale e di conseguenza religioso (-+ x, coll. 959 s.) 177• Il macarismo è la prima e programmatica affermazione dell'evangelista sui 'lt'tWxol; essa mostra che egli non si è interessato molto ai problemi di una effettiva indigenza.

    110 Non si deve tuttavia concepire questo annunzio come puramente teorico. Già il fatto che nella risposta di Gesù esso faccia corpo con gli altri membri, induce ad ammettere una promozione anche materiale dei poveri; cfr. ScHLATTER, Komm. Mt., ad I. 111 Se si parafrasa l'espressione greca, intendendo 'povero di conoscenza' (cosl H.HUBER, Die Bergpredigt ( 1932] 22.27 ), cioè quanto alla conoscenza della torà ('nif bd't), questo rnacarismo, ed anche il secondo, non esprimerebbe come gli altri una condizione per poter partecipare alla salvezza (dr. H. H. WENDT, Die Lehre ]es11 1 [1886] 55) e quindi denuncerebbe una struttura non completamente riuscita. Poiché d'altra parte è impossibile forzare lo schema già qui al principio della serie, -.ijl 1t\IEVµct't'L - almeno nelle intenzioni di chi ha strutturato il brano in otto membri, che è forse lo stesso evangelista - indicherà una qualità, la consapevolezza personale (un aspetto che ~ PERCY 42 vuol escludere, ma che è postulato necessariamente dal contesto) della povertà dello spirito e forse già l'anelito verso il 7tVEuµa. &y1ov. Certo, dietro tutto ciò traluce il significato più semplice: essete poveri di buon grado, che è il significato sostenuto da K. SCHUBERT, Bergpredigt 11. Texte von E11 Fel[Ja: TheolQuart 135 (1955) 327; ID., Die Gemeinde vom Toten Meer (1958) n9 s., senza peraltro distinguere i vari strati della tradizione. m L'uso di 'mv;m in luogo di 'nii hrw[J (v. 3) - cosl ad es. F. DELITZSCH, sprj bbrjt h[Jdlh

    (1880) - è determinato dalla necessità pratica di differenziare le due formule. ZAHN, Mt. ' 180 s. ricorre alla medesima retroversione, perché considera i macarismi, fin dall'inizio, come un tutto omogeneo. Non se ne può comunque arguire un rapporto originario con Luca (cosl J. REZEVSKIS, Die Makarismen bei Mt. ti. Lk., ihr Verhiilt11is zueinander ti. ihr historischer Himergrnnd, Studia Theologica 1 [1935] 164). Cfr. WELLHAUSEN, Mt., ad l. 173 Sui frequenti macatismi in un solo membro (senza consolatoria o simili) cfr. ~ V, coli. 980 ss. 114 Comra HEINRICI, Beitriige z. Geschichte u. Erkliimng d. N.T. m (1905) 25 s. 175 È quindi fuor di strada chi vede in -.0 nveuµCt.'t~ un"aggiunta', come si fa comunemente da quando è apparso lo studio di K. A. CREDNER, Beitriige wr Ei11l. in die bibl. Schri/ten 1 (1832) 307. Matteo infatti ha semplicemente espresso in greco un concetto contenuto in 'nijm e forse già prima di lui chiarito mediante rwp. D'altra parte si va egualmente troppo lontano se si considera la puntualizza· zione di Matteo come 'ovvia' (cosl KITTEL, Probleme 54; anche P. GXcHTER, recensione di J. DuPONT, Les Béatitudes: Zeitschr. fi.ir katholische Theol. 77 [1955) 343). 176 L'interpretazione di F. NXGELSDACH, Der Schliissel zum Verstiindnis der Bergpredigt (1916) 16 e LoHMEYBR, Mt., ad l. (poveri volontl\ti) appare inverosimile alla luce dei paralleli di Qumram ("' col. 740).

    3. Dei 9 contesti del Vangelo di Luca in cui figura 7t'tW)C6ç, non meno di 5

    177

    Cfr. ZAHN, Mt.• 183.

    1t'tWX6<; LJ I 3 \t . .oamme11

    sono propri di lui solo 178• Il fatto è tanto più degno di nota in quanto anche un testo contenente 7t't'wx6ç, comune a Marco e a Matteo, in Luca è venuto meno. Le. 21,3 179 procede parallelo a Mc. 12,43, mentre negli altri passi si avvertono spostamenti di accento.

    In Le. 18,22 l'esigenza di vendere e dare ai poveri i propri beni (da intendere come un precetto generale, se l'E't'L, che riassetta Mt. 19,20, va preso in senso stretto 180) è sottolineata con r.6.v"C"a. {cfr. 't'à ~&La. del v. 28) 181 e il mancato adempimento è imputato a una determinata condizione sociale (v. 18: &pxwv; -7 x, coll. 757 s.). Le parole -.ucpÀ.oL. 1t'tWXOL EÙocyyEÀ.lsoV't'OCL (7,22) Che Le. 2r,r-4 sia un'aggiunta tratta da ma. tedale proprio e che la sua presenza in Marco sia dovuta a inserimento di seconda mano (cosi ScHMIDT, op. cit. ( ~ n. 168] 277, al seguito di J. WEISS, Das iilteste Ev. [1 903] 273), è un'ipotesi seducente, ma indimostrabile. lì9 La sostituzione di 1t'tWX1i con 1tEVLXP6. nel v. 2 è un semplice miglioramento stilistico (a meno che Luca non sia partito da una reda· zione dell'episodio affine a D). 180 Cosl giustamente W. M. L. DE WETTE, Erkliirung der Ev. des Lk. ti. Mk. 2 (1839) III. 181 Praticamente nessuna differenza rispetto a Mc./Mt. (~ n. l.59), ma il tenore dell'episodio ha avuto un profilo nuovo già nella tradizione a cui attinge Luca. In confronto a Mc.fMt. l'esigenza è tuttavia accentuata, d'accordo col tono generale del vangelo lucano (dr. XI,41; 12,33). La polemica giudaica che, sulla base di Mt. 19,21, sottolinea che la legge cristiana è più difficile da osservare che quella giudaica, che esige soltanto l'offeria di una decima (J. TnoKr, l;izwq 'mwnh, ed. D. DEUTSCH [1873] I 19.49 s.; II 19), trova cosl, sul piano storico, ma~iorc appiglio nel testo lucano. 182 Il passaggio da 6,19 a 6,20 corrisponde a quello da 7,21 a 7,22: Gesù parla solo quando contemporaneamente agisce. Nell'ultimo passo li&

    non si ancorano nel contesto e non trovano perciò fondamento nella narrazione {v. 2 r ). Al contrario, l'esaltazione dei poveri (6,20), con la quale vengono introdotti il discorso della pianura e il sermone della montagna, si inquadra benissimo 182, unico fra i quattro macarismi lucani 183, nella situazione dipinta con vivo rilievo.

    Il detto a 8 membri non è unitario, e la formulazione del primo macarismo non risale originariamente a Luca; quindi solo con certi limiti ci si può appellare ad esso per conoscere l'atteggiamento sociale di Luca. Anche il problema della priorità della formulazione matteana su quella lucana 184, o viceversa 135, resta ancora aperto. L'ipotesi, ale due notizie non collimano perfettamente. 183 I macarismi 2-4 hanno un orientamento escatologico e perciò forzano il contesto che parla delle prove dcl suo potere, che Gesù ha dato precedentemente. 184 Cosi affermò forse per primo C. G. WILK.E, Der Urevangelisl (1838) 685; vennero poi ad es.: D. F. STRAUSS, Das Leben Jem I 4 (r840) 603; A. HILGENFELD, Die Ev. nach ihrer Entwicklung u. geschichtlichm Bedcutung (1854) 173; B. Wmss, Das Mt.-Ev. u. seine Lk.-Parallelen (r876) 134 s.; C. WEIZSAcKER, U11tersuchrmgen iiber die euangelische Gesch. l (r901) 218; P. FEINE, Ober das gegenseitige Verbiiltnis der Tcxte der Bergpredigt bei Mt. u. bei Lk., ]beh pr Th I I (1885) 14; H. LEI. SEGANG, Pneuma Ragion (1922) 134-139; H. HuBER, op. cit. (~ n. 171) 16 s. 18; TH. SorRON, Die Bergpredigt Jesu (r94r) 142 s. 135 Cosl, ·ad es., A. RITSCHL, Das Ev. Marciom (1846) 237-241.; H. J. HoLTZMANN, Die sy11p1. Ev. (1863) 76 s.; WEND"f, op. cii. (-:> n. l7r) I ,54-56; H. v. SooEN, Die wichtigste11 Fragen fiir cin Lebe11 Jern' (1907); 46; A. v. HARNACK, Spriiche u. Reden Jest1 (1907) 38; J. WEISS, Die drei iiltere11 Ev., Schr. N.T. 2 I 259; WELLHAUSEN, Mt., ad l .; K. KoHLER, Die 11rsprii11gliche Form dcr Setigpreisrmgen:

    it'twx6c; D

    I

    vanzata da taluni, che si debba risalire a due fonti tra loro indipendenti, vale anche nel caso che si tratti della stessa comunità primitiva, dato che anche la formula 'nii rwf.; = rc-.wxot 't0 TC\IEVµoc-.L, la cui assenza fu spesso considerata argomento decisivo per sostenere come più attendibile il tenore della formula lucana 186, oggi risulta testimoniata (~ col. 740) 187• Bisogna quindi ritenere che sui poveri circolassero diversi macarismi - a noi ne sono giunti quattro (Mt. 5,3 .5; Le. 6,20; Polyc. 2,3)- e non è certo che tutti avessero all'origine un 'nj e non un 'bjwn 188 ; comunque solo tre di essi furono resi in greco con rc-.wxol. Resta pure dubbio se a tutti sia stata fatta qualche aggiunta. La diffusione di vari macarismi con 1t't"wxol in epoca anteriore rende comunque difficile far risalire a una parola di Gesù l'origine di tali formule 189 • La molteplicità delle sentenze e parimenti la loro insufficiente giustificazione - di cui è prova il bisogno di opporvi delle aggiunte diventano invece comprensibili se si fanno derivare i macarismi stessi della ThStKr 91 (1918) 170; W. BusSMANN, Synopt. Studien II (1929) 43; BuLTMANN, Trad. n4; F. HAucK - v1, coll. 993 s.; Hrnscu, op. cit. n. 160) 83; M. DIBELIUS, Die Bergpredigt, in Botschaft u. Geschichte I (1953) I2o; G. D. KILPATRICK, The Origins of the Gospel according to St. Matthew (1946) 15; - J>ERcy 4145; BRAUN, op. cit. n. 109) 11 73. 186 HEINRICI, op. cii. n. 174) II 28 s. e specialmente KITTEL, Probleme 53 s. CH. RABIN', The Dead Sea Scrolls and the History of tbe O.T. Text: JThSt 6 (1955) 178 studia a fondo se Is. 66,2 ('nj umkh-rw!J>, che starebbe dietro a Mt. 5,3, non sia la contaminazione di due varianti.

    e-

    e-

    e-

    187 Sicuramente la formula non fu coniata da Matteo in riferimento a <mna ricca comunità cittadina» (KILPATRICK, op. cit. [~ n . 185] 125).

    188 La retroversione di Mt. 5,3 è abbastnnza col. 740), mentre garantita da I QM 14,7

    e-

    3 (E. Bammel)

    ricca messe di enunciati del tardo giudaismo sui poveri 190• Luca, che già nella storia dell'infanzia e della vita nascosta aveva anticipato il tema di ricco e povero, presenta Gesù che incomincia la sua predicazione se non proprio con l'elogio dei poveri, certo con la citazione, tematicamente affine, di Is. 61,r, dove l'EÙayyEÀ.lO"a.O"~a~ 'lt't"WXO~c; è descritto come il compito a lui assegnato (4,r8a) e dove i singoli adempimenti (4,r8b) di questo compito sono sinteticamente anticipati. Nel discorso del banchetto c'è una frase che comanda al padrone di casa di invitare 'lt"tWXOl, ÙVaTCELpOL, XWÀ.ol, 't"UC{>À.OL (r4, r 3 ), e nella parabola del grande banchetto, che segue subito dopo, è descritto quasi 191 con le stesse parole ( r4,2r) il gruppo degli invitati di ripiego. La dietro Le. 6,20 sta probabilmente 'bjwn. Anche il modo di coordinare la fkt.O'LÀElet a una determinata cerchia di persone, che si avverte in 5,3b, non è consono al messaggio di Gesù. Per l'autenticità cfr. E. KAsl!MANN, Das Problem des historischen Jesus: ZThK 51 (1954) l44i BRAUN, op. cii. n. 109) II 55; E. Fuctts, Jesu Selbstzeugnis 11ach Mt 5: ZThK 5r (1954) 28; anche BuLTMANN, Trad. II4. 190 Cade allora anche una primitiva armoniz.. 2azionc delle varianti, quale è prospettata ad es. da Wmss, op. cii. (-7 n. 184) r34. Anche BuLTMANN, Trad. 133 esamina la possibilità di un'origine giudaica. 191 In r4,21 i vari membri sono legati da un xal. H1RSCH, op. cit. <~ n . 160) n 137 vede in ciò un dato originario, e quindi nell'enumerazione senza xa.i sarebbe all'opera la mano integratrice dell'evangelista. Le versioni syPbo hanno in 14,21 solo poveri, indigenti e ciechi, mentre al v. 13 seguono la versione greca. 189

    e-

    _.;._

    '1\'tWXO<; LJ I

    3

    l.C• .Dammet)

    \ V .1!~VU/ / V V

    compilazione differisce nella forma da i ricchi dalla sfera di Dio. La speranza 7,22 e, quanto al contenuto, anche da del povero - non si accenna ad alcuna 4,18, in quanto non vi si avverte nes- interpretazione metaforica - riguarda sun colorito politico-sociale 192• Luca ha l'altro mondo, senza tuttavia esaurirsi inteso ambedue i passi in ordine al completamente in esso. In Le. r9,1 ss. banchetto escatologico (v. 15); per col- un nÀ.oucnoc; e àµctp't'wÀ.oç dona la mepa degli uomini e per disegno di Dio tà della sua ricchezza ai poveri (v. 8). avviene che vi prendano parte solo gli È questo il voto di Zaccheo, che va emarginati dell'umana società (1t't'wxol è molto al di là di ciò che si usa in simiil concetto-guida quando si parla di loro li 196 casi <;d è perciò, nelle intenzioni di e indica già in prevalenza il mondo pa- Luca, un modo d'agire ideale, che fa gano, nel senso di 4 ,24.27). L'idea è apparire il ricco in una luce favoreradicalizzata in 16,19-31, dove al ricco vole 197• proprio in quanto ricco tocca il tormenSe qui viene espresso un riconoscito, e a Lazzaro in quanto 7t't'wx6c; (vv. mento, sia pure condizionato, della ric20 .22) la felicità. Non si fa cenno né a chezza, gli altri passi sono invece peruna particolare colpa del primo né a un meati di una riprovazione palese del ricmerito del secondo 193 • Nella narrazione co, alla quale corrisponde il fatto che la buona novella è rivolta esclusivamenche in sé è di tipo pre-neotestamentario te ai poveri. Aspramente polemici risulil 1t't'WX6c; in quanto tale è l'erede di tano i testi di Lc. 6,24s.; 8,14; 12,15 . un'attestazione di benevolenza da parte 2I.3J S.j I4.33i 16,ro-12; 18,25; più misurati 16,9; 18,24. L'autore - forse di Dio che gli compete al di fuori delle con intenzione - non ha livellato del tutvie normali. Il punto saliente della pa- to le due tendenze 198• Dove parla in rabola non consiste nel diniego mate· proprio, propende per la seconda, amriale del ricco di fronte al povero 194, ma mettendo per il ricco la possibilità di salvarsi qualora sappia rinunziare ai suoi nell'abisso assolutamente incolmabile 195 beni (14,33) 199 e piega a questo conteche separa la sua vita e quella di tutti sto la parabola dell'amministratore inLa sy' inserisce la parola «disprezzati». Un tale aspetto manca pure nell'inquadratura (vv. 15 ss.}, a differenza della redazione matteana. 193 A meno che, con 1-IIRSCH, op. cit. (~ n. 160) II 145, nei vv. :14 s. non si voglia vedere l'introduzione originaria della parabola. Insostenibile la tesi di K. BoRNHAUSER, Studien :wm So11dergut des Lk. {1934) 138-160. !!» Cosl WELLHAUSEN, Lk. 91; ScttLATTER, Lk., adl. 195 Perciò non è neppure il caso di dedurre dal v. 31, di colorito 'non cristiano' (WELLHAUSEN, Lk. 91; HIRSCH, op. cit. [ ~ n. 160] II 192

    226), un'esigenza di penitenza. Diversamente

    Lk., 11d l. WELLHAUSEN, loc. cit. : «Forse senso assoluto». Mosè e i profeti sono messi in relazione col ricco, senza che Possano tuttavia produrre in lui alcun mutamento. Quanto ai povero, non è detto che egli abbia seguito i loro ammaestramenti. HAUCK,

    196

    Vedi STRACK-BILLER.llECK II

    197

    I vv. 8·9'.ro sono un'interpolazione. Acritico --) KocH lJl-169.

    198

    250.

    199 Passo redazionale; dr. J. ] EREMIAS, Die Gleichnisse /eStl 4 ( r956) 94.

    1t'tWX,clc;

    D

    I



    fedele ( 16,9) 200 . Configura la parabola della cena in modo da farne anche un racconto esemplare per ogni padrone di casa 201 e in 16,19 ss. si barcamena in· troducendo la parabola di Lazzaro e del ricco epulone dopo 16,17 m. Quanto all'episodio dell'unzione, che gli appare sospetto, lo omette. Benché si debba al n-rwx6c; ogni possibile assistenza, egli non è l'unico erede della Prx
    201 202

    Vedi ]EREMIAS, op. cit. (-4 n. 199) 34.82. Per l'esegesi vedi E. BAMMEL, Is Luke r6,

    r6-r8 o/ BaptiJJ's Provenience?: HThR 57 (r958) lOI-106. WJ Di conseguenza i seguaci di Gesù si dividono in gruppi. Il discepolo rinuncia a tutto (5,n.28). Chi non si comporta cosl (19, 8) non è annoverato nel gruppo degli intimi.

    2IM Cfr. la concentrata ripresa di Mc. 4,r9 in

    II

    (E, Bammel)

    duce il gruppo dei discepoli che mormorano per lo spreco al solo Giuda Iscariota, non senza attribuire il suo interesse per i n't'wxol (12,5) a un motivo tutt'altro che schietto (v. 6). La risposta di Gesù (v. 8) tanto nella sostanza quanto nelle forme più attendibili della tradizione testuale :zns contiene la frase sui poveri nella forma di Matteo. Tuttavia il fatto di riferirsi soltanto a un'obbiezione del traditore, le toglie parte del suo valore in assoluto. In 13,29 2ll6 si afferma che Giuda teneva la cassa, e quando Gesù lo invita a uscire ne viene per i discepoli un equivoco, provocato dall'uso di fare elemosine ai poveri nella notte di Pasqua 207 , quasi che egli avesse avuto appunto l'incarico "toi:c; n-rwxoi:<;, rvcx 't'~ o@, «di dare qualcosa ai poveri» .

    II. Teologia comunitaria, Gesù, Giovanni Battista

    Le prese di posizione di fronte al tema 'povero e ricco' si accumulano in Le. 14-18 (o r9) formando un complesso che anche sotto altri aspetti rivela nel modo più marcato l'impronta di una tradizione particolare 200 • In questo vanLe. 8,r4. 205 Omessa da D br sy'. P66 - che è abbastan· za vicino a D - Ja registra. BuLTMANN, Joh., ad I. la ritiene una glossa marginale, incorporata più tardi nel testo. 206 Per le ipotesi, scarsamente convincenti, di una interpolazione vedi BAUER, ]oh., ad l. 1111 Vedi J. ]EREMIAs, Die Abendmahlsworte Jesu 1 (1949) 29. Non se ne può tuttavia dedurre che i discepoli praticassero una regolare assistenza ai poveri. 200 «Fonte-guida» (HAUCK, Lk. 6 s.); cfr. BuLTMANN, Trad. 387.

    TI't'W)(Oc;

    LJ 11

    \.C. Dan1111t1/

    gelo il problema deve aver avuto un posto dominante 209 • Poiché sul ricco, che appare come il rappresentante del giudaismo (~ X, col. 757), viene pronunciato un grido di minaccia, il gruppo che sta dietro lo scritto e che identifica se stesso con i poveri, i derelitti, i piccoli, le vedove, i peccatori ecc. 210, può distanziarsi da questo terreno nativo. È significativo che là dove le narrazioni tendono a significati fondamentali, compare il 1t-rwx;6c; ( r6,20) e 'lt"t'W)Coc; è comunque sempre posto in testa alle altre categorie affini (14,21). In questo documento si deve vedere il primo, il più conseguente e in senso stretto l'unico vangelo che si possa chiamare ebionitico . Non è certo che Le. 4,18 appartenga a questo corpus, poiché l'autore sottolinea più marcatamente di quanto di solito non avvenga nel vangelo la portata politico-sociale della buona novella an· nunziata ai poveri. Mt. 11,5 /Le. 7,22 ha senza dubbio un modello in numerose formule giudaiche, ma la menzione 211 e il rilievo in cui sono posti i poveri quali detentori veri e propri della buona novella sono una novità e rappresentano

    sotto questo aspetto una consapevole conezione della normale tradizione giudaica. In questa forma essa dovrebbe derivare da circoli del Battista passati al cris tiancsimo 212 •

    200 14,21 (n7W)(ol); 14,33 (rinuncia); 15,7 (contrario: olxcuoç); 16,10 (1tW"'tÒç EV ÈÀo:xlu-rl{l); 16,13 (contrario: _oouÀtUOV'tE<; µa.µwV~); 16,15 (oLxmo\iv·n:ç Èau'\ol'.iç); 16,19 s. (7tÀOVO'LOç/7t'tW)(Oc;); 17,z (µLxpol); 17,u (Àtnpol); 18,3 (x1Jpo:); r8,n (-tEÀwvT)ç/olxa.Loç).

    7tprt.Ei:ç e 't<XTI:Ewol. Mt. II,29b potrebbe non essere autentico.

    210 MEYER, Ursprung l 223 s. e HIRSCH, op. cii. (-7 n. 160) II 143 s. hanno fatto notare

    con argomenti diversi il carattere popolare dei passi peculiari di Le. o di Le. II. 211 Paralleli non databili con sicurezza si trovano in 5 Esdr. 2,18-20 (ed. FRITZSCHE, op. cit. [-7 n. 87 ]) e in Flav. Ios., bel!. 1,364 ss. slavo (trad. A. BERENDTS e K. GRASS in Acta et Commentationes Universitatis Tattuensis [Dorpatensis] [1924 ss.] 24-42). 212 La domanda del Battista a Gesù è storica; il nucleo genuino della risposta di Gesù è Le. 7,23/Mt. n,6. 213 Cosl egli si rivolge ad essi chiamandoli

    Gesù usa qualche volta 1t'twx;6c; (Le. Mc. I2,43; Mc. ro,u). L'unica asserzione sui poveri che si delinei come sua è il rifiuto di vincolarsi a un principio sociale (Mc. r4,7 ). Tuttavia egli si sente solidale con gli emarginati e gli umiliati (Mt. II,28). Però la parola tipica che designa la loro situazione e le loro speranze, non l'usa m, evidentemente perché era troppo marcata e carica di aspirazioni appassionate 214 • Nella predicazione del Battista, ricca di accenti sociali, come lascia ancora intravvedere la tradizione rudimentale, il vocabolo 1t-rwx6c; non è rimasto 215, ma c'è tuttavia una terminologia che gli è strettamente imparentata. La supposizione che l'indirizzarsi ai 1t-twxol fosse abituale nel linguaggio del Precursore è ben fondata e l'interesse che in certi circoli del Battista si avverte per .una teologia pauperistica può esser fatto ri14,13;

    m II tentativo di W. SATTLER, Die Anawim

    im Zeitalter Jest1 Christi, in Festgabe fiir A. Jillicher (19z7) l-15, e di W. GRUNDMANN, Jesus der Galiliier (1940) passim, di spiegare l'autocoscienza di Gesù in base alla religiosità degli anawim appare quindi ben poco fondato. 21s Le. 1,53 nella redazione di sy"' suona cosl: «egli ha colmato dei suoi beni i poveri e disprezzato i ricchi perché. sono vuoti»: traduzione conforme a A. MERX, Die vier kananischen Ev: I (1897) 106. BURKlTT, op. cit. (-7 n. 166) ad l. ritiene corrotta la seconda parte della frase. Anche l'Opus imperjectt1m che proviene dall'Italia legge: pauperes implevit bonis (MPG 56 [1859] 809). La variante spi. ritualizzante è certamente secondaria, ma in sé è probabilmente una versione parallela, risalente ad un'epoca molto antica (cfr. Apoc. 3,17), fors'anche precristiana.

    771 (vr,908)

    '1t'tl.ù)C6<; D n-m (E. Bammel)

    salire ad un impulso dato dal maestro.

    dei poveri (-rwv n-.wxwv t'Va µvljµovruwµe:v: Gal. 2,10 ~ VII, col. 320).

    III. Paolo I testi offerti da Paolo sono stranamente discordi. Da un lato egli adopera n-rwx6c; di rado. Quando parla dei contrasti sociali nelle sue comunità, usa delle circonlocuzioni (Rom. 12,7 s.; 2 Cor. 8,14; Gal. 6,10) e quando esalta (Gal. 3, 27 s.) o esige (Col. 3,II) l'abolizione delle differenze in Cristo, la contrapposizione ricco-povero non è menzionata 216• D'altro canto ci sono quattro o cinque passi centrali in cui il vocabolo compare e che esigono una trattazione particolare.

    Gal. 2,10 e Rom. 15,16 devono esser considerati perché i n-rwxol o i "Jt'(wxot -.wv àylwv -.wv ÉV 'IEpoucraÀ:i)µ vi sono nominati quali beneficiari delle collette promosse con grande zelo da Paolo e ricordate da lui anche altrove 217 • Nel contesto degli accordi intervenuti nel concilio apostolico 218, si parla dell'im· pegno, assunto da Paolo :m, di ricordarsi 216

    Diversamente fa, ad esempio, R. Elcasar

    (270 d.C.): davanti a Dio sono tutti uguali, donne e schiavi, poveri ('11jjm) e ricchi (Ex. r. 2IA a 14,15); cfr. Apoc. 13,16 e S. Deut.

    48,84b. 211 I Cor. 16,1; 2 Cor. 8,4; 9,r s. 12; Rom. 12, 13 (cfr. MICHEL, Rom., ad l.); forse anche .2 Cor. 12,16-18 (vedi LIETZMANN, Kor., ad l.) e 1 Cor. 16,15. 21s Cfr. H . MosBECH, Apostolos in the N.T., Studia Theologica 2 (1948) 193. 219 Marcione legge: ut meminissent ege11orum. Ciò «è comprensibile solo nel senso che Barnaba mancasse e quindi la cura di provvedere ai poveri dovesse toccare ai primi apostoli come a Paolo. Cosl Marcione toglieva di mezzo completamente ogni apparenza che a Paolo fosse stato dato un incarico esclusivo» (A. V. l-IARNACK, Marcion' [1924] 71). 220 Cosl K. Hou,, Der Kirchenbegrifl des Pat1-

    Tale impegno non deve essere inteso come un sostitutivo cristiano del tributo del tempio (~ x, col!. 996 ss.), ma piuttosto come qualcosa di analogo alle libere offerte che confluivano a Gerusalemme anche da parte dei non proseliti. Ci dovette essere una ragione specifica perché Paolo lo imponesse d'ufficio, e possiamo ravvisarla in Act. 24,16 s.: la colletta nelle mani dei capi giudaici poteva risultare .in certo senso e sia pure solo apparentemente come una specie di prestazione che procurasse alla comunità-madre una maggiore tolleranza. In Rom. 15,26 s. la diversa terminologia, l'assenza sottolineata di ogni intervento personale di Paolo nell'iniziativa (I 5 ,2 7 ), la circonlocuzione cosl precisa per fissarne i destinatari, fanno ritener probabile che Paolo si serva qui di una «espressione allusiva» :zai. E la cosa gli è agevolata perché ay101 aveva un senso generico 221 , che non escludeva senz'altro la Gerusalemme non cristiana, come del resto il mòtivo espresso in Rom. l5,27b Iris i11 seinem Verhaltnis zu dem der Urgcmeiride, in Gesammelte Aufsiitze zur Kirc!Je11geschichte n, Der Osten (1928) 59, in un'interpretazione però contraria alla nostra. 221 Oltre al vero Israele, il termine qualifica il luogo puro in senso cultuale (Mt. 4s; 27, 53; I Mach. 2,7; 2 Mach. 1,12; 9,14; J Mach. 6,5; Tob. i3,10) e gli uomini cultualmente pu· ri (Flav. Ios., bell. 6,425; A. Z. b. 5oa: Menahem in quanto bnn Jl qdwJjm), e quindi in particolare gli abitanti di Gerusalemme (Ber. b. 9b: Jose ben Eljaqim [eretico?] sui qhl' qdji' dbirwiljm ). Per la speranza che Paolo connetteva al luogo vedi F. KATTENBUSCH, Die Vorwgsstellrmg des Petrus u . der Charakter der Urgemeinde zu Jerusalem, in Festgabe fiir K. Miiller (1922) 345 . Una tesi non certa e comunque non valida per l'età paolina in S. SAPRAI, The holy assembly of Jerusalem: !iwn 22 ( 1957) 183-193.

    n'twx6c; D m (E. Bammel)

    comprendeva insieme la Gerusalemme dell'A.T. 222 • Mentre &ytot (Rom. 15,26) non deve essere considerato come il nome con cui la comunità-madre designa se stessa 223 , non si può dire lo stesso per 1t•wxol; non basta infatti intendere n•wxol nel solo senso di «poveri di Gerusalemme», perché allora non si capirebbe la continuazione della colletta una volta diminuito il bisogno. In Gal. 2,10 potrebbe quindi essere citata una formula dell'accordo gerosolimitano 224 • Ma in Rom. 15, 26 la designazione è diversa da quella usata altrove da Paolo. E dato che 'lt"t'Wxol può essere inteso come un'abbreviazione del solenne 1t•wxot 'tW\I à:ylwv 't'WV Èv 'IEpovO"a.À:ljµ w'njjm bjrwsljm, è tanto più lecito supporre che l'espressione non sia paolina e che ci troviamo davanti ad una formula con cui la comunità-madre designava se stessa, o meglio, a un suo titolo d'onore 225 • In Gal. 4,9 Paolo parla degli àu~i::vl\ xat 1t'tWXà
    =

    Bisogna notare che non sono gli ii.ytot, ma gli 1nuÀot che incaricano Paolo della colletta. m Cfr. R. AsTING, Heiligkeit im Urchr. (r930) r54.r57. 224 Gal. z,7-9b sono una i11terpretatio Pauli11a dell'accordo riferito in 2,9c.d_10•. 225 Anche se questo titolo potrebbe non essere stato l'unico, come presso i Qumraniti. 226 Vedi WrNDISCH, 2 Cor., ad l.; non però in senso escatologico. 227 In 2 Cor. 6,3-ro Paolo adotta quasi alla lettera uno sèhema stoico (vedi WINDISCH, ad l.; JoH. Wmss, I Kor. a 3,21), che tuttavia, per quanto risulta, non conosce il 1\'0À.).oùc; 1\'ÀOU'tl~EW come possibilità del 1\''tWX6c;. Qui dunque Paolo, valendosi di noti concetti222

    (vr,909) 774

    li i Galati rischiano di ricadere. --+ cr-i;oLXELo\I è certamente un vocabolo della polemica giudaica contro il paganesimo. Lo stesso si può dire di &,cr-i)i::vij xcd 1t'tW)(a, una formula che, se non nega direttamente l'esistenza delle divinità pagane, ne sottolinea la debolezza e la miseria delle opere. Alla fine di un'apologia che Paolo fa di stesso (2 Cor. 6,3 ss.) ci sono sette espressioni paradossali che descrivono l'essenza della vita e del servizio apostolico. La penultima antitesi suona così: wc, 1t•wxol 1toÀ.À.ovç oÈ nÀ.ou•l~ov­ -.Ec, (v. rn; --+ x, coll. 7 58 s.). Mentre la seconda parte ha un senso traslato 226 , non si può dire altrettanto della prima. L'affermazione già in questo differisce dalle altre antitesi, ma ancor più perché è l'unica che vada oltre l'ambito personale 227 •

    Secondo la variante, I Cor. 15,10 afferma che la grazia di Dio nell'Apostolo non sarebbe stata 'lt'tWX1i. La storia del testo raccomanda decisamente questa «assai singolare» m lezione 229• Essa si adatta bene, come un elemento omo-guida (particolarmente Philo, omn. prob. lib. 77 [axrrlJµa-.ot ... 1\'Àoucrtw'ta'\'ot]; che 'lt'tW·

    xoç non

    sia testimoniato in formule parallele può essere un semplice caso), sembra aver introdotto un cambiamento che forza il principio della perfezione individuale caro all'etica stoica e i:appresenta cosl una cristianizzazione della formula antitetica. Lo schema è ripreso in Diog11. 5,r5. 2lS JoH. WE1ss, I Kor., ad l. 229 Leggono 1\''tWX1i i codd. D*FG deg Ambst, che devono essere considerati come una famiglia (dr. E. DIEHL, Zur Textgeschichte des lat. Pa11lus: ZNW 20 [r92I] ro6.r22) e parimenti Ambr., Orosius, Hier., Pelag., got. 1\''tWX1i deve essere caduto per influsso dei paralleli

    r.-.wx6ç D m-Iv (E. Bammel)

    geneo, anche al contesto che è tutto disseminato di espressioni mutuate 2JO in forma ora positiva ora negativa. Paolo ha poi controbattuto l'accusa che la sua opera fosse 7t't'WX1J, affermando di aver «ottenuto 231 più di tutti loro», affermazione che altrove appare molto diffusa e non più necessaria come antitesi di XE\ITJ.

    L'uso di 7t't'WXcç fu ora offerto dalla tradizione scritta, ora suggerito dalla stessa situazione. L'Apostolo non lo usa quando formula spontaneamente una frase ed esprime un pensiero tutto suo 212 • Il termine non appartiene dunque al vocabolario prettamente paolino. Non per questo si può dire che Paolo abbia trascurato il problema concreto dei poveri nella sua comunità. Il gruppo dei cristiani di Corinto era costituito essenziahnente da emarginati, da poveri, da gente di bassa condizione (I Cor. r , 27), e altrove 1a situazione non dev'essere stata molto diversa (cfr. 2 Cor. 8, 2 ). C'era un'assistenza ai poveri sotto varie forme 233 , ma una comunità di beni non fu mai tentata. Paolo personalmente non presta particolare attenzione a problemi di questo genere (cfr. r Cor. rr,21 s.). La prospettiva escatologica è troppo sentita perché egli voglia migliorare le condizioni terrene, pur che siano appena appena sopportabili 234 • Manca quindi ogni trasfigurazione Phil. 2,16;

    I Thess. 3,5 e Is. 49,4. La prefe(enza spetta a 7t-.wx1J, in quanto lectio diffecilior. 230 Vedi E. BAMMEL, Herkunft u. Futtktion der Traditiomelemente in I Kor. IJ,I-II : ThZ I I (1955) 401-419. Cfr. G. BJORCK, Nochmals Paulus abortivus: ConNeot 3 (1938) 7 s. 231 JoH. WEiss, z Kor., ad I. interpreta cosl

    ho1tla
    Si osservi che anche 'ltévric; figura una sola volta (2 Cor. 9,9; citazione da Ps. n2,9), e t'J8Ei)ç mai. 233 Rom. l2,7 s.; I Thess. 1,3; anche le agapi possono essere considerate sotto questo aspetto. Ci sarà pure stato chi offriva le sue sostan-

    teologica della povertà. Né 7t't'wx6ç appare come titolo d'onore delle comunità paoline, né 7t't'WXEla è usato metaforicamente per indicare la vita cristiana. In 2 Cor. 8,9 (~IV, col. 1025), dove si potrebbe scorgere qualcosa di simile, in realtà l'uso dcl vocabolo da un canto è condizionato da 2 Cor. 8,2 - le comunità della Macedonia hanno saputo largheggiare, nonostante la loro estrema 'it't'Wxc.la - dall'altro costituisce semplicemente un'antitesi con 7tÀ.OV(rtoc; o 7tÀ.ou't"ÉW (~X, col.758) senza alcun contenuto speciale 235 • Un'evoluzione teologica della «povertà di Cristo», che riprende, a dir vero, un uso pre-paolino del vocabolo 236, appare piuttosto collegata a ~ 't'<X7tE~\JOq>pOO'U\11) 237 •

    IV. La Lettera di Giacomo La Lettera di Giacomo è tutta pervasa da un'accesa polemica contro i ricchi dentro e fuori della comunità 233 ( ~ x, col. 762). Come contropersonaggio rispetto al ricco compare, accanto al ~ 'tlX1tEW6ç 239, il 7t'twx6ç (2,2), che tuttaze (z Cor. 13,3). m Perciò la direttiva da lui data non raggiunge nemmeno il livello delle provvidenze giudaiche per gli schiavi; vedi I Cor. 7,21. 235 Vedi LIETZMANN, Kor., ad I. 236 Vedi E. LoHMEYl!R, Kyrios Jesus: SAHeid. (1927/28) 32 s. 237 Non occorre qui esaminare fino a che punto ambedue si possano far risalire ad una stessa radice ebraica e al relativo concetto. In seguito si parla più spesso cli povertà; ad esempio Caverna del tesoro 46,12. 2.33 Cfr. DIBELIUS, Jk., ad l. 239 l,9; 4,6.(10); dr. 7tpttV't'l}ç in l,2r; 3,r3.

    777 l Vl,9IOJ

    via in quanto tale non caratterizza diret· tamente l'ambiente dell'autore e di coloro a cui questi si rivolge 240• La ripulsa dei ricchi è introdotta sul motivo che Dio ha preferito coloro che sono poveri davanti al mondo 241 (2 ,5: TC'"CW)(,OÌ. 't'<{) x6o-µ~ ). Dato che la frase è completata da 'TtÀ.oucno~ Év 7tlO"'t'E~, anche a tt'twxoç risulta attribuito un valore religioso. L'atteggiamento della comunità è molto lontano da una identificazione coi poveri e l'autore si limita a sperare di poterla convincere ad essere solidale con gli oppressi. Personalmente, egli è benevolo verso i poveri, tuttavia da ciò non deriva una caratterizzazione del suo pensiero. Non si può quindi considerare questa pericope come un documento dell'ebionismo cristiano 242 • È pure difficile che si possa giudicare di ispirazione giudaica 243 ; fa piuttosto l'impressione d'un prodotto d'epoca tarda, quando si potevano riprendere temi caratteristici del-

    la religiosità dei poveri anche senza un diretto rapporto genealogico con esso 244 • Quanto alla situazione in cui si muoveva Giacomo, possiamo unicamente dedurne che i ricchi già incominciavano a far breccia nella comunità e il povero era ormai caduto in dispregio (2,6: i}'t'tµaO"et't'E 't'Ò\I 7t't'WXOV 245 ) (-7 V, coll. rn93 s.) 246.

    V. U Apocalisse

    In Apoc. 13,16, dove è descritta l'umanità nelle sue varie condizioni, 'lt'tW· x6c; è usato in senso proprio, al pari di 1tÀ.OUO"toç. Invece in 2 ,9 alla povertà materiale (1t't'W)(,det) e allo stato di persecuzione in cui versa la comunità di Smirne, è contrapposta la sua ricchezza spirituale. In 3,17 ambedue le compo.nenti dell'antitesi hanno senso traslato: la presunta ricchezza di Laodicea 247 è, di fatto, povertà m.

    2M1 Per lo stile retorico e stereotipo cli 2,x ss.

    241 ~ PERCY 70-73.

    dr. DIBELIUS, ]k., ad l. Molto audace è il

    Perciò solo limitatamente si è potuto parlare di un «rifiorire della spiritualità del povero» (DlllELIUS, Jk. 43); altri argomenti in ScHOEPS, op. cit. <~ n. 24I) 347. 245 Usato in senso collettivo; è significativo che manchi qui tanto la presentazione· teologica (v. 5) quanto l'esemp!Uicazione retorica. 246 In 2,I6 il dovere· della beneficenza è ribadito con più forza . 247 7tÀ.Oucn6c; etµL xa.t 7tE7tÀ.OV'tTJXCL xa.t ouStv xpElav i'xw = non ho bisogno cli penitenza; cosi BoRNHAUSER, op. cit. (~ n. 163) :2.8. Il cod. 2329 ha 7tÉ7t'tlù)Ctl al posto di 7tE7tÀ.oU'tTJxa per non aver capito il tempo del verbo. 248 Il parallelo 'essere yuµv6c;' significa vergogna (3,18); cosl anche la condizione di 7t'tWx6c; non è affatto un ideale.

    tentativo di ~ REICKE 338.342-344 cli riferire il passo ad W1 episodio di ambìtus riuscito davanti alla comunità liturgica. Si dovette pensare che come controfigura sarebbe stato più idoneo il Slxmoc; (cfr. 5,6). 241 Per questa traduzione vedi HAucK, Jk., ad I.; DIBELIUS, Jk., ad l .; ScHLATTER, Jk., ad/.; diversamente H.]. SCHOEPs, Theol. ti. Gesch. des Jude11christentums (x949) 350 n. I. In 2,5 sembrano fuse insieme due note formule; 7t'tW)Coc; 7t).ou<noc; Èv 7tltne~ e 7t'tW)CÒc; 't
    Cosl WINDISCH, Jakbr. 134; 236 (in forma attenuata).

    242

    244

    -;;•wx~

    D v-v1 (E. Bammel)

    La formula 'tt'kÀ.al1twpoc; xat ÈÀ.Em1òc; xal 1t'tWXÒ<; xa;t 't"Uq>À.Òc; xa..t yuµv6c; non è testimoniata tale e quale 249 • Pare che i due primi aggettivi costituiscano un'antitesi al v. r7• e che ad essi siano aggiunti gli ultimi tre per pura associazione, allo scopo di dedurne l'ammonimento del v. r8. In realtà i vv. 17b.1 8 costituiscono uno sviluppo che non riguarda più la sola comunità, ma è diretto alla città intera con tutte le attività che la caratterizzano (organizzazione bancaria, arte medica, manifatture) z;o.

    VI. La comunità primitiva I termini di fondo con cui gli Atti dànno notizia della comunione di beni praticata nella comunità primitiva sono Y.oLvÒc;, Y.OL\IW\lla, UìLW't'l'}<;, ( = 'm h'r~?) e f:v?ìd1c;, ma non '1t'twx6c;. Dato che queste peticopi non appartengono agli strati più antichi 251 della tradizione, è necessario prendere le mosse non da essi, ma da Rom. 15,26. Se 1t'tWX6c; fu il termine con cui la prima comunità designò se stessa (~ col. 773) e se questo appellativo non va interpretato in modo puramente prammatico quasi derivasse da una effettiva mancanza di disponibilità economiche, il vocabolo dovrà esprimere un'autocoscienza che comprendesse tutti i membri della comunità proprio sotto questo termine. A ciò corri249 Cfr. tuttavia Tob. 7,6 cod. S: 'tUÀ.a.l'ltwpoc;, TUq>À.6W, H.E'lJIJ.OoU\IT). 250 Così giustamente R. H. CRARLES, The Revelation of St. fohn, ICC (1920) I 93. 251 Vedi J. }EREMfAS, Untersuchungen zum Quelle11problem der Ag.: ZNW 36 (r937) 'J.07 e cfr. WENDT, Ag., ad l. L'autore degli Atti ha svolto i particolari che la tradizione gli offriva nella cornice di una concezione di un giusto ordinamento comunitario (vedi F. HAucK, Die Stcllung des Urchr. z. Arbeit ti. Geld [x92x] 99 e ~ v, col. 690) e in particolare dell'idea di una restaurazione dell'eguaglianza primitiva (la formula '1t6.v-.a. xow6. è estranea all'A.T., mentre in greco è un proverbio e nei circoli

    sponde il fatto che fin dai primi anni la comunità di Gerusalemme organizzò una struttura livellatrice delle diseguaglianze sociali. Le agapi comuni, la re. sponsabilità dei OWOEX.IX nel Ot!l.XO\IEL\I (~ II, coli. 959 ss.) 252 , il beneficio che i membri traevano da questo servizio, il particolare dei fratelli che vendono i propri beni 251, indicano una comunione che va molto al di là dell'assistenza sociale praticata dalla sinagoga. In quale misura poi comportamenti particolari del gruppo dei discepoli siano stati trasferiti alla più larga cerchia della comunità e quale influsso abbiano esercitato in ciò certi ambienti battisti, non si può dire con sicurezza. Pare comunque che i sette incaricati, d'impronta qumranitica 254, abbiano avuto una parte notevole nello sviluppo dell'ordinamento sociale e che forse per loro influsso abbia avuto luogo una notevole modificazione della struttura della comunità e dell'assistenza ai poveri (esercitata anche al di fuori della comunità?). La persecuzione ben presto sopraggiunta pregiudicò l'efficacia di tutti questi provvedimenti. Nonostante il carattere enigmatico delle fonti, appare chiaro che l'entusiasmo pauperistico del tardo giudaismo, orientato a certi spunti dell'A.T., che operò non in continuità ma a sussulti, si introdusse anche nella chiesa delle filosofici una parola d'ordine; vedi

    HAUCK,

    loc. cit.); in questo modo egli innalza delle situaziorù concrete a principi normativi. Vedi E. LoHMEYER, Das Abendmahl i11 der Urgemeinde: JBL 56 (1937) 232 s. ~ R.E1cKI! 2 5-28 riconosce un nesso fra liturgia e assistenza ai poveri. m Diversamente da quelle riferite sommariamente, queste sono attendibili; }EREMIAS, op. cit. e~ n.251) 206s. :rn Vedi O. CULLMANN, The Significance o/ 252

    the Qumran Texts /or Research into the Beginnùigs o/ Cbristianity: JBL 74 (r955) 220224 .

    'it'twxoç

    D

    VI •

    origini e qui esercitò da principio un'azione a largo raggio e poi un influsso più costante in cerchie particolari. Questo fenomeno è quasi completamente ignorato dalla letteratura epistolare non palestinese, ma anche nelle fonti palestinesi si è espresso in forme già in parte inadeguate agli eventi storici.

    E. L'ETÀ

    SUBAPOSTOLICA

    I. Il tardo giudeo-cristianesimo Nei circoli giudeo-cristiani 'bjwn ebbe un uso altrettanto centrale quanta fu la cura di evitare 'lti:wxoc;. Il nome 'ebjonim è attestato nella letteratura ebraica solo in modo incerto 255 • La forma grecizzata 'E~LW\la.i:ot, 'E~LW\l~i:cu o Ebionaei s'incontra per la prima volta in Iren., haer. 1,26,2; 3,II,r7; 2r,r; 4, 3 3 A; 5, I i3. Dell'accezione caricaturale non si hanno testimonianze prima di Origene: oi. 7ti:wxoL 'EPtww1.fot 't'i)c; 7t't'wxe:la.c; ota.\lolq. È7twwµoL, «gli Ebioniti, poveri d'intelligenza, che da questa povertà hanno preso nome» (Orig., princ. 4,3,8 [GCS 22,334]; comm. in 255 M. N., Ober zwei im Talmud vorkomme11de chr. Sekten: Der Orient, Lit.-Blatt 6 (1845) 15, in Shabb. b. u6a congettura, forse a torto, un 'b;w11j in luogo di 'bjd11. Si può invece am-

    mettere che con bj 'bjw11j (B. Q. b. u7a), localizzato però in Babìlonia, s'intende una chiesa degli Ebioniti (dr. S. KRAuss, Synagogale Altertiimer [1922] 32). Cfr. anche SCHOBPS, op. cit. (4 n. 241) 21 s. 256 Epiph., haer. 30,17,1 s. (GCS 25,J55); Hier., in Is. r,3 (MPL 24 [1845] 27); 66,20 (ibid. 672 B); Pscud.-Ign., Phld. 6 (ed. W. CuRETON [1849] 95); cfr. Eus., hfrt. eccl. ro,27 6, dove, fo aggiunta, il nome è messo in rapporto con la cristologia del gruppo. 257 Cosl giustamente W. BRANDT, Elchasai (r9l2) 56: la mancanza di 'biw11 in aramaico escluderebbe l'insorgere d'una sua significazione canzonatoria; cfr. E. ScHWARTZ, U11zeitge-

    1niisse Beobachtu11gen zu de11 Clemetttinen: ZNW 3r (1932) 190. Anche HARNACK, Miss. 412 s. considera più verosimile che esso sia

    E

    I

    (E. Bammel)

    Mt. 16,12 [GCS 4os12]; comm. in Gen. 3,5 [GCS 29,44]), e da allora si è diffuso largamente 256 • Poiché Origene registra anche il senso puramente etimologico (Cels. 2,r [GCS 2,126)), si potrà supporre che l'interpretazione canzonatoria miri a soppiantare un significato più antico e nobile. Si trattò allora di un titolo di onore usato dalla stessa comunità m, e, a quanto pare, soltanto nell'area linguistica greca si cominciò ad alterarne il senso, provocando di conseguenza che venisse evitata la traduzione 7ti:wxol presso gli stessi giudeo-cristiani (~ coll. 782 s.). Se dunque 'bjwnjm rimanda a una tappa iniziale del giudeocristianesimo, è ovvio il collegamento con la comunità primitiva chiamata 1t-i:wxol 253. Sicuramente non va escluso il confluire di elementi essenici, avvenuto nei primi decenni del II secolo 259 • Può darsi che essi abbiano portato a preferire questa designazione ad altre 200 e a farne la caratteristica d'una comunione più intima.

    In Simmaco 261 'lt"tWX6c; è la tr~duziosorto in ambiente cristiano. Diversamente op. cit. ( 4 n. 241) 402 s. 258 Cfr. Epiph., haer. 30,17,2 (GCS 25,356): a;1J-.ot Ò~ oijlkv O'Eµ'VV'VOV"'t'm Éa.U"'t'OÙç qi&.O'XO\l"'t'E<; 'lt'tWXOÙ<; OLà "'t'Ò.. . ÈV XP6'VO!.<; "'t'W\I a'ltOO'"'t'6Ì..!.ù'V 1tWÀE~\I "'t'à. CJ;U"tW\I U'ltapXOV'tct. La grande chiesa li identificò con gli eretici contro cui combatté Paolo; cosl già Tertull., praescr. haer. 4,3 (CSEL 70,5). 259 Il primo a supporlo fu CREDNER, op. cit. (4 n. 175) 366. La tesi fu adottata da A. R.ITSCHL, iJber die Erse11er: Theol]bch 14 (1855) 315-356; Io., Die E11tsteh1111g der altkatholischen Kirche (1857) 210 e rinnovata da ScHOEPS,

    O. CuLLMANN, Die t1eue11tdeckten Q11mrat1,Texte 11. das Judenchriste11tt1m der Pseudoklementinen, Bultmann-Festschr. Beih. ZNW (1954) 50 S. Cosl CREDNER, op. cit. ( 4 n. 175) 366. 261 Sulla sua appartcnenzxa al giudeocristianesimo vedi E. SCHWARTZ, op. cit. (n. 257) 193; Sc110l!PS, op. cit. (-+ n. 241) 33-37; Io., Aus 2I

    1ilJ

    mwx6i; E

    ne quasi esclusiva di 'iint (fanno eccezione Is. 4r,r7; Ier. 22,r6), mentre coerentemente 1tÉVl]c; rende 'eb;tm 262 • In Eccl. I2,5 Simmaco usa È'ltl1tovoc; per rendere 'ebi~na ™. In ciò egli segue di proposito il metodo (a differenza dei LXX) di non usare l'equivalenza 'eb;on/ 7t't'wxoc; o 'iin1/rr.é.VT1c;. Poiché non si nota alcun interesse per questi ultimi termini 264 e d'altra parte È7tl1tovoc; è da lui inteso come nome onorifico, bisognerà cercare nei primi il motivo dell'accurata distinzione 265 • Poiché 'ebjonlm era il nome con cui il gruppo designava se stesso, Simmaco ha voluto che il termine rr.'t'wx6c; non avesse niente a che fare con la sua comunità. Pare che egli non si limiti ad applicare radicalmente una traduzione già in uso, ma introduca una innovazione: il titolo di rr.'t'wx6c; caduto in discredito viene addossato ai giudei che si identificavano con gli 'njim. fruhchristl. Zeit ( I9JO) 82-88. Scettico R. BuLT· MANN nella recensione di H .J.ScHOEPS, Theol. u. Gesch. des Judenchristentums: Gnomon 26 (19J4) 180. 26Z SCHOEPS, op. cii. (~ n. 241) 352 S. 1.63 Probabilmente è questo il nome usato da una comunità di giudeo-cristiani per designare se stessa; cfr. ScHOBPS, op. cit. ("' n. 241) 355360. In altro modo va interpretato Prov. 15,15 (7téiUitL ul 1)µlpitL "tOU 'l'C"tWXOV [ ='ni=·n7>v

    xuxwv o'] 7tovl)pitl [ = 7tpo
    o']) dove si parla cli una caratteristica negativa del 7t"tWX6c;. 264 'n; non è mai stato usato come autodesigna.zione di una comunità; nel giudaismo contemporaneo è un titolo onorifico. us ScHOEPS, op. cit. ("' n . 241) 250-260 argomenta a rovescio, ritenendo però illogicamente che l:tcl'ltovoc; sia l'appellativo onorifico della comunità che si trovava in rapporto con Simmaco. 266 Cfr. G. STIIBCKER, Das Judenchristentum der Pseudoklementinen, TU 70 (19J8) 41; H . ] . ScHOEPS, Die Pseudokle111entinen 11. das Urch.: Zschr. filr Religions- u. Geistesgeschichte IO (I9J8) 4-7. u 7 'lt"twx6i; è presumibilm~nte la lezione ori-

    I

    (E. Baromel)

    Del tutto analoga è la situazione ne]

    corpus pseudo-clementino. Mentre nella

    patte più antica 266, che l'autore dello scritto di fondo aveva mutuato da fonte precedente u 7 , è ancora menzionato e difeso~ il macarismo dei 1t't'WXOt (Pseud.Clem., recogn. I,61,2), nella compilazione di recogn. 2,28'3 Gesù è già indicato come "Tovc; r.ÉVTJTO:<; µo:xa.plçwv e in Pseud.-Clem., hom. 15,ro,4 si spiega addirittura che la beatitudine non si riferisce né ai 7t-rwxol né ai 1tÉVTJ't'Ec; 2HJ in quanto tali, ma ai mcr-roL 1tÉ\11')1."l':c; 270 • Altri passi con 7t't'wx6ç non si hanno in questa raccolta. Così non solo il vocabolo è abbandonato, ma si compie anche un distacco da un ideale di povertà esteriore 271 • Negli scarsi frammenti dei vangeli giudeo-cristiani stupisce che, nella scena del giovane ricco invitato ad alienare i propri beni, si accenni esplicitamente ai ginaria, ma nÉ\IT)c; non si può escludere in modo assoluto. Peraltro non senza rimaneggiare la testimonianza profetica alla quale nello stesso tempo si rimanda.

    268

    Ciò non esclude che il vivere da 1tÉVT1c; fosse per i ctistiani acconcio ed ideale (Pseud.Clem., hom. 2,20,12; 12,6,7).

    W

    Occorre notare che in ambedue i passi il pensiero è chiarito mediante il concetto di l1tLDvµla.: scopo del macarismo è liberare dall't:n:Lllvµlr.t (Pseud.-Clem., recogn. :z,28,3); ma esso non riguarda i n"twxol, perché in loro NmllvµE~v non ha bisogno di essere spento (Pseud.-Clem., hom. 15,I0,4). Viene cosl messo in luce un movente della limitazione. Questi passi appartengono n strati che non si possono considerare con sicurezza come giudeo-cristiani; dr. STRECKER, op. cit. ("' n . 266) :z:r5. Giudeo-cristiani li considera SCHOEPS, op. cii. ("' n. 241) 5:z. ZIO

    271 Ciò non esclude però l'esigenza di dare i propri beni ai bisognosi fino ad arrivare a uoa vera mvlu (fseud.-Clem., hom. :r2,32,3), anzi all'orrore della proprietà ("t~ x-rii~"ta. àµup.-1]~"tit : hom. 15,9,3).

    n-.wxoc; E

    II

    figli di Abramo che muoiono di fame m, mentre d'altra parte l'uomo dalla mano secca chiede di essere guarito ne turpiter mendicem cibos (Hier., in Mt. I2,I3 [MPL 26 (1884) 8oD]). II primo macarismo era riportato in una forma vicina a quella di Luca v 3, e Pseud.-Clem., recogn. 2,29,2 cita un «guaì!» particolare contro i ricchi che non pensano agli ÈVOEEiç.

    II. I Padri apostolici La parenesi della chiesa primitiva riprende in primo luogo la raccomandazione della beneficenza nella forma delle due vie, che essa mutua dalle raccolte di sentenze della diaspora giudaica. Come controparte figurano gli oùx EÀ.EOU\l"t"E<; 7t't'WX6'V, ... à7tOCT't'pEcpO~'VOt 't'Ò\I ÉVOEOµE\10\1, ... 7tE.V1)'tW\I &voµot xpt-rrtl, <<non

    (E. Bammel)

    ca del sentimento (cfr. Barn. 14,9: foo:yyEÀlo-cx<1i}cxt 'tanm1oi:i;) e che concepiva perciò i n-rwxol - intesi assolutamente come poveri in senso sociale - quali oggetti dell'aiuto che si deve essere dispo· sti a dare. A questi poveri è attribuita una situazione particolare solo nel senso che la loro preghiera gode di una speciale efficacia (Herm., sim. 2 ,5-8; I Clem. 15,6=~ rr,6 274 ). Soltanto Madone, che vede nei macarismi la proprietas della predicazione di Gesù, ha insistito nel dire che la buona novella è in funzione dei poveri 275• Una diretta identificazione di cristiani e pauperes fìgura unicamente in Minucius Felix, Octavius 36 'Zl6 , ma potrebbe essere dovuta alla polemica con tra i pagani 277 •

    chesi suppone cosl delle differenze socia7tpae.i:i;, nella raccomandazione di frequentare i 't<.t'ltEtvot xat olxatot (='nwjm w~djqjm: Did. 3,9; cfr. Barn. I9,6), è ravvisabile un persistente influsso di quel pauperismo entusiastico che era stato ridotto ad eti-

    La beneficenza viene praticata da un lato con le elemosine (2 Clem. t6,4; Polyc. 10,2; Did. 15,4), dall'altro con il ministerium pauperum m, che ha il suo posto nelle istruzioni circa l'ordinamento della comunità (const. Ap. 7,29,2; Herm., sim. 5,3,7) come pure nelle pagine apologetiche che descrivono. la vita delle comunità stesse m. È chiaro che qui ci si ispira alla tradizione delle opere di carità giudaiche (cfr. Aristid .. apol. 14,3 con I5,7 s.) collegandola nel-

    m Orig., comt11. in Mt. 15,14 (testo in E.

    Zl6

    hanno pietà del mendico, ... respingono

    il bisognoso, ... giudici ingiusti dei poveri» (Did. 5,2=Barn. 20,2) . Se la cate-

    li, nella figura ideale dei

    KLosTERMANN - E. B1rnz, Zur Oberliefertmg der Ma11hiiuserklaru11g des Orig., TU 47,2 [193x] 91,33 ss.; cfr. A. SCHMIDTKE, Neue Untersuchrmgen :tr1 den judenchrisllichen Ev., TU 37,1 (19u) 290. m µaxapl!;wv -.oùç ·wcwxovç: Pseud ..Clem., recogn. 1,61,2; per 1a soggiacente tradizione particolare, dr. H. WAITZ, Bine Parallele zu den SeligpreisrmgetZ aus einem a11sserkanonischen Ev.: ZNW 4 (1903) 335-340; -.oùc; 1tÉVT)'t~ µcixetpl~wv: Pseud.-Clem., recogn. 2, 28,3. Z74 È questa la premessa per una teoria del livellamento sociale sviluppata da Erma in questo passo; ma il suo punto di partenza passa tosto in secondo piano {cfr. già :i Clem. 16,4). 275 HARNACK, Marcion e~ n, 219) 127.

    Ed. J.MARTIN (1930).

    Per i Giudei quali mendicanti dr. Iuv., sai. 3,16; 6,543; sebo/. a Iuv. 4,u6 (ed. P. WESSNER [1931) 64). Poiché nella contro-po· lemica non c'è nulla di giudaico, pare che si tratti di una trasposizione di questa ingiuria ai cristiani, piuttosto che del semplice ricalco di una fonte giudaica. 277

    278 ne/; Ptr. 17, dove si ha un concetto superio· re del servizio n viduae, orfani, pauperi (cfr.

    Polyc. 6,r ).

    m Aristid., apot. 15,8 s.: dar sepoltura al 1tÉ'111)c; (la traduzione greca non è sicura; cfr. J. GEPFCKEN, Zwei griech. Apologeteu [ 1907] 82 n . 1), aiutare (anche con l'astensione dal

    cibo) il lfovM>c; e il 1t~vric;, liberare i prigionieri. Cfr. Iust., apol. 1,67; Tertull., apol. 39,6.

    7t-rwx.6c; E n (E. Bammcl)

    l'ambiente giudeo-cristiano, se pure in modo non esplicito, ad una interpretazione particolare delle norme veterotestamentarie riguardanti le decime (const. Ap. 7,29,2; Did. 13,4). La tendenza ascetica 280 nella chiesa primitiva condusse ad un atteggiamento di rifiuto della proprietà senza che peraltro ne nascesse un maggior interessamento e impegno a favore dei poveri 281 • È vero che i continenti sono chiamati di per sé m:vll)v 1toi}fov·rn; (Sib. 8,281) e 'nj nel siriaco cristiano diventa il nome specifico degli asceti, ma in genere il vocabolo manca quando si descrive il loro ideale di vita m. Nei macarismi ascetici degli Atti di Paolo e di Tecla quello dei poveri non figura. Soprattutto si opera una trasposizione del problema sociale: dò che costituisce la vera ricchezza è la mancanza di desideri m e la vera povertà consiste nel non conoscere se stessi 284 • Per coerenza si viene a dire che il dare per i martiri vale di più che il dare pel' i poveri (const. Ap. 5,1,4, aggiunta).

    La situazione è analoga nell'ambiente gnostico. Per l'avversione alla ricchezza nel Vangelo copto di Tommaso cfr. J. LEtPOLDT, Ein

    2Ml

    11et1es Ev.? Das kopt. Thomasevangelittm iibers. u. erklart: ThLZ 83 (1958) 496. 281 Ciò vale anche per le sentenze di Sesto, considerate a torto favorevoli ai poveri, sulle quali influisce piuttosto l'ideale stoico delnyxpa·ma. (ed. A. ELTER [1892] 18.49.82b. 137.267.294). Ad eccezione di test. D. 5,13 (interpolazio· ne cristiana).

    2B2

    'lt).oihoç lipLCT'tOt; ii "tW\I l7tL1Nµ!.Wv 'ltE\lla.: Clem. Al. (K. HoLL, Fragmente vorniciinischer Kirchenvater, TU 20,2 [1899] 86 nr. 189).

    283

    284

    H. G. E.

    WHITE,

    Tbe Sayings o/ ]eStts

    Nella teologia ordinaria della grande chiesa il male non consiste nella ricchezza in sé, ma solo nell'attaccamento ad essa (cfr . .Mc. 10,29 var., e anche lren. haer. 4,30); e tanto meno la povertà è glorificata in sé; anch'essa può costituire un ostacolo alla conoscenza di Dio (Clem. Al., paed. 3,35,1; strom. 4,21,1). Tanto più vivamente continua ad essere raccomandata l'elemosina, meno però in considerazione dei poveri 285 che della salvezza di chi dà 286 • Questo punto di vista si è sempre più imposto e ha trovato la sua espressione pregnante nei tardi Padri della chiesa 287 , i quali a proposito di disposizioni testamentarie esigevano che si pensasse alla propria anima, cioè ai poveri, prima che al corpo o ai discendenti, o almeno ad entrambi in patti uguali 288• Per quanto questo principio costituisse uno stimolo efficace, l'accetta· zione di schemi greci che vi era congiunta fìnl per oscurare quasi completamente la concezione del povero ricevuta in ere· dità dell'A.T. e dal tardo giudaismo. E.BAMMEL

    (1920) 31 (tentativo di integrare il testo). Soltanto una visione rimasta isolatamente ottimistica poté sperare che su questa strada si arrivasse alla scomparsa della povertà (Doctri11a Petri, HoLL, op. cit. [ ~ n. 283] 234 nr. J03: xcxi oò1ìd<; fo-raL 'ltÉ\l'Tl<;). 286 In confronto a ciò è già un segno di straordinaria superficialità il fatto che in acf. Ptr. 30 anche la dignit~ morale della donna che fa l'offerta appaia irrilevante. m Qui, a quanto pare, 7tÉ\ll'}c;, llE6µ.ivoç ecc. sono preferiti all'uso di 'lt'tWX.6<;. Nel l i sec. si può accertare ancora una leggera prevalenza di 1t'tWX6<;. 288 Testi in E. F. BRUCK, Kirchenvater und soziales Erbrecht (1956) 30-41.72-75; ID., Totentcil tmd Seelgeriit (1926) 315 s. 285

    1tuyµi}

    t

    1tUyµ1J,

    i"

    I

    (K. L. Schmidt)

    7tUX't'EUW

    1. 1tUyµl] deriva, come l'avverbio 1tVl; ( = col pugno, a pugni) e il sostantivo 1tUX"t'fl<; = pugilatore, dalla radice peug-, presente anche nelle parole latine pugneus, pugna, pugnare, pungere ecc. 1, ed è attestato sin da Omero. Nei LXX rende 'egro/ (Ex. 21,18 2 ; Is. 58,4). Fin dall'antichità 1tuyµl] signifìca pugilato. Cosl nelle locuzioni 1tuyµi} VLxav (ad es., Hom., Il. 23,669) e 7tuyµ1)v à
    In Mc. 7,3 (Èàv µ1J TCuyµlj vl4iwv'tet.L -ràç xdpcx.ç) 7tuyµlj risulta per la critica

    testuale 5 malsicuro e per l'esegesi problematico 6 anche se è di per sé certo che qui TIUyµl) significa pugno 7 . Se si accetta per buona la lezione nuyµl} si spiega il testo supponendo che ci si lavasse le mani in uno dei seguenti modi: sfregando una mano chiusa a pugno (1tuyµl]) nel cavo dell'altra mano, o ci si lavasse fino al gomito, o si lavassero le nocche della mano 8 , o anche che ci si lavasse «con un pugno (=manciata)» d'acqua 9 , a meno che non si tratti addirittura della licenza di uno sfregamento fatto semplicemente con le mani asciutte m. La frase aramaica originale doveva comunque aver suonato più o meno cosl: 'n l' nfljn jdjhwn lfp{J. Ora !PP

    introducendo il valore avverbiale di frequente· mente, molto (cfr. Le. 5,33: VlJ!T"tEÙOVOW 7tUX· AVVERTENZA. Questo articolo è stato rielabovii e sulla questione F. ScHULTIIEss, Ztlr Sprarato per la stampa da S. ScHULZ. che der Ev.: ZNW 21 [r9:zz] 232; riserve I Vedi WALDE - PoKORNY 11 828 (peug-); avanza STRACK-BILLERBECK n 13 s.). Sono staScHWYZER 1 620. te proposte varie congetture, sulle quali espri2 Parallelo a 'pietra', altrimenti 'zappa', 'marme un giudizio critico LoHMEYER, Mk., ad l. i-a', secondo KoEHilE.R-BAuMGARTNER, s.v. 6 WELU!AUSEN, Mk., ad l.: «Non sappiamo 3 Vedi PAssow; PAPE; LIDDELL·ScoTT; PREI· che cosa significhi miyµi\ ». smKE, Wort. 7 Gli antichi lessicografi dànno la seguente definizione: M.v ouyxÀ.ElEV XltÀ.Et"tat 'ltUyµiJ (Poll., 01/0fll. 2,147); biamo ÉrcoÀ.ɵE~ e non una forma di 1tUX"tEUW, miÀ.'l'j, cruyXÀ.ELO'Lç Baxi:uÀ.wv, ypbvl)oç (Phot., che nei LXX manca del tutto. ; A. E. J. RAWLINSON, St. Mark (1925) a Mc. lex., s.v.). 7,3: « ... è probabile che il testo sia corrotto». - 8 Cosl J._LIGHTFOOT, Horae hebraicae et tal· La variante nuxvà del cod. S, presupposto dal· mudicae I (1675) 618. 9 Cosl KLOSTERMANN,Mk. ; HAUCK, Mk. («l'ela Vulgata (crebro) e da altre versioni antiche, mentre invece altre ancora omettono la parola spressione 1tUyµij usata da Marco, la quale non controversa (cfr. PREUSCHEN·BAUER ' , s.v. e il trova rispondenza nella letteratura rabbinica, non significa 'con ìl pugno' - ciò era proibito: preciso apparato critico in C. TrscHENDORF, N.T. Graece, editio octava critica maior r STRACK-BILLERBECK I 698 s. - bensl 'con una [1869] ad l.), non è di alcun aiuto per l'inmanciata'); J. SCHNlEWIND, Das Ev. 11ach Mk. (N.T. Deutsch r' [1956]) ad l. terpretazione, perché è evidentemente una le10 Così ScHULTHESS, op. cit. (~ n. _5) 233. zione che tenta di rendere il testo più facile 7CUyµi) X"tÀ..

    mJyµi)

    1-2

    (K. L. Schmidt)

    signìfìca tanto palmo della mano quanto brocca (cfr. ]oma b. 3oa). Il significato primitivo aramaico del breve inciso sarebbe dunque stato: «i Farisei. .. non mangiano se prima non si lavano le mani in una (particolare) brocca= !PilJ» 11 • Negli apologisti il termine è usato soltanto da Taziano (or. Graec. 4,r e 26, 3 : wcr7tEP Ewç J F.v 7tuyµfi O'VyxpovEw e da Giustino (dial. r 5 ,3: citazione di Is. 58,4).

    »

    2 . Dei

    molti termini derivati da 7tUY-

    µ1} nell'ambito dell'antico sport del pu-

    gilato, nel N.T. troviamo soltanto il verbo 7tlJX'tEVW = praticare l'arte del 7tVx't'l']ç, fare il pugilato, combattere come pugile 12 ; dr. 'tt<; èç cròv xpéi:i-' ènux·nucre:v (Eur., cyc. 229); 7tUX'tEVEW xoct nocyxpoc'ttoc~rn1 (Plat., Gorg. 456d). Esso è usato solo a partire da Senofonte e Platone. Dato il favore che godeva questo sport, questo Et8oç yvµvacrlov xat 1taÀalC1'tpct.<; 13 , non è affatto strano che 7tUX'tEUELV possa essere usato anche figu11 Cfr. P. R. Wmss, A Note 011 ITYI'MHI: NTSt 3 (1957) 233-236. I! Vedi PAssow, s.v.; PAPE, s.v. U Cosl Suidas, s.v. e ancor prima Phot., !ex., s.v. li Cosl traduce LIETZMANN, r Kor., ad l. Sinùlmente anche altri traduttori. Lutero: «Combatto dunque non come chi colpisce l'aria»; O. HoLTZMANN, N.T.: «Meno il pugno come chi non colpisce l'aria»; H. D. WENDLAND, Die Brie/e an die Korinther (N.T. Deutsch 7 [1954]): «Pratico il pugilato, ma non come uno che mena colpi a vuoto»; J. MoFFAT, The First Epislle of Paul to tbe Corinthians (MNTC [1954]) ad l.: «Non piazzo, no, i miei colpi a vuoto». 15 Però il testo dice ben due volte non oùx bensl où... e il significato esatto va ricercato partendo dall'espressione parallela

    wr; ...,

    wr;

    ratamente, come avviene in I Cor. 9,26: oihw<; 'ltUX'tEUW Wç OÙX &tpcx. of.pwv, «pratico il pugilato, ma non come uno che mena colpi all'aria» H. Gli esegeti sono da sempre discordi nel decidere se questo 1tUX'tEUEt'V, che è un El.ç òlpct. OÉpi::w, vada inteso in riferimento ad un avversario presente o assente 15• In real· tà l'immagine può essere intesa in due modi: a) questo pugile, dal quale Paolo vuole distinguersi, non colpisce l'avversario che gli sta davanti perché è poco abile e cosl manca l'avversario e colpisce l'aria 16; b) questo pugile, dal quale Paolo vuole distinguersi, colpisce l'aria perché, non volendo affrontare un avversario, non ha nessuno davanti a sé: non combatte sul serio, ma ama la crx~cx.­ µaxla., che consiste nel far esercizi di pugilato all'ombra, a casa o in palestra, e non dove si svolgono i veri incontri; op· pure: combatte con le ombre, davanti allo specchio 17• Il pugile può del resto oùx ào'l)À.wç. Il passo va dunque tradotto «io corro come colui al quale non manca una meta fissa (cioè come chi ha una meta precisa), lot· to come uno che non colpisce l'atia a caso (ma mi alleno sistematicamente)». [lliBRUN· NER] . Per la storia di questa esegesi si veda FIEINRICI, I Kor., ad I. 16 Cfr. JoH. WEiss, r Kor., ad/.: «Un pugile che invece di colpire con precisione l'avversa· rio batta (o~pE~) l'aria non è abile né concentrato né disciplinato. Ciò corrisponde all'àoiiM..ir; "tPéXEL'V». 11 Cfr. BACHMANN, I Kor., ad l.: «...un pugile ... che colpisce l'aria senza un chiaro riferimento ad un avversario (dunque non uno che manta l'avversario). E questo è il significato linguistico della parola stessa. Cfr. Eustath. Thessal., comm. in Il. 7,39 (u 139,36 s.): Ò

    µ6voc; ÙJç

    ~y

    O'Xtctµa.xlq. µa.x6µE'Jor;

    X<Xt

    O

    •r

    ./) .J

    ,.

    793 (v1,916)

    'ituyµfi

    2

    (K. L. Schmidt)

    comportarsi in questa maniera anche e chiaro, tuttavia non è possibile interquando c'è un vero avversario: prima pretare con sicurezza l'immagine, perché d'iniziare l'incontro i due atleti si scal- a sostegno di entrambe le possibilità esidano colpendo l'aria con i pugni, ovve- stono esempi di scrittori antichi 19• ro dando dei colpi a vuoto 18 • Per contro Due begli esempi, paralleli al testo l'Apostolo non vuole comportarsi come paolino per forma e contenuto, ci sono un simile pugile che si perde in questi forniti da Fazio. Nell'ep. 2,roo (MPG colpi vani, che prima mena colpi a van- ro2 [r86o] 9r6B) egli dice: oihE xa:tèL. vera, che dunque non fa subito sul se- qilÀ.w\I, ri)..Xovoè xa-.' Èxi}pw\I w7tÀ.tcrocµEi>oc ~ÉÀ.1) xoct -.6!:,a xa.t 7tt:t.pa•ri!;w;· rio. Non è possibile decidere con cer- xai 7tOÀ.Eµlovc, xa.t àcr1tlo~ òvEtpw.-tezza se Paolo voglia mettere in risalto -rov>Ec;, wcrm:p oi 7tpÒc; à.Époc 'ltVX'tEV0\1il successo nello scontro o il mettersi a 'i:EC, (qui cttm aere depugnant )• fi).).' Ù7tÈp lottare sul serio. Forse si può supporre ' ijµw\I oÈ delle due possibili interpretazioni), per- o;ùv µÈv xa.t crqioopòv 'i:Ò\I op6µov, &,).)..,' ÈmcrcpaÀ:ij xa.t à.va.l"ttov ot'l)ywvicra.t. ché nel v. 27 si menziona, con una svol- Probabilmente Fazio dipende direttata peculiare dell'immagine, il bersaglio mente dall'uso linguistico paolino, poiche i colpi dell'Apostolo non devono ché in epist. 2,9 (MPG ro2,9r2A) cita letteralmente I Cor. 9,26 s. 20 • fallire, cioè il suo stesso corpo. Per quanto l'uso figurato paolino sia efficace K. L. ScHMIDT

    <paOW aÉpa oalpWV>}. Dunque come un assalto dimostrativo in un

    18

    duello. Cfr.

    BENG!lL, ad l.: Pt1gilat11m curmi prae ceteris certimdi generibus adiicit Pa11l11s wi;; oòx &Jpa. 8tpwv, 11on quasi aifrem verberans. In sciamachia, q11ae certa111i11i serio praemitteretur, solebant aiirem verberare. 19 Ciò vale per i paralleli raccolté da WETT-

    STEIN, ad l. In questa· documentazione troviamo, oltre al passo di Eustazio citato dal BACHMANN, r Kor., ad l. (~ n. 17), altre due cita· zioni dell'antico commentatore d'Omero e ul· teriori paralleli. 20 Thes. Steph., s.v. menziona i due primi passi con l'annotazione figurate, ma non la citazione paolina.

    'ltubw'll rn-b (W. Foerster)

    t

    '1tvì}w..,,

    l. Due sono i significati di TIMwv attestati in greco. a) Anzitutto è il nome del serpente che protegge l'oracolo di Delfi e che sarebbe stato ucciso da Apollo(~ rx, col. 33 n. 47). Pare che in origine Delfì fosse un oracolo ctonio 1• Ma solo Igino afferma che lo stesso serpente Tivi)wv dava responsi: Python Terrae fi.lius draco ingens,- hic ante Apollinem ex oraculo in monte Parnasso responsa dare solitus erat 2 • La stessa cosa è probabilmente presupposta anche da schol. ad Pind. 3 • Ma anche questi due passi concordano con la tradizione comune nell'affermare che fin da tempi remoti il pitone è morto e l'oracolo viene comunicato da Apollo 4 • Questo sigrùficato quindi non consente di spiegare Act. 16,16.

    b) In secondo luogo dall'inizio dell'impero romano 'ltui>wv sta a indicare un ventriloquo. Il testo più antico è Eroziano grammatico (del tempo di Nerone) che nello spiegare Hippocr., epid. 5 ,63,7 dice: tyymr-cpiµui)oL' o\}ç Tili}wvaç 'tL\IE<; xaÀ.oucnv· Eu't'L 8È 't'W\I i'fo(l.ç

    Elpl)µÉvwv, «ventriloqui, che certi chiamano pitoni; è un hapax legomenon» 5 ; inoltre Plut., de/. ol'ac. 9 (n 414e): EU'r]i)Eç yap ÉCT'tL xat 'ItctLOtXÒ\I xoµLOfj 't'O OLEO'il'O'.L 't'Ò\I 1}EÒ\I av-còv Wo"1tEP (dç) 't'oùç Èyycr.cr.. pLµu1}ouç, EvpuxÀ.Éaç n6.À.aL wvt oÈ IIMwvo:ç -;tpocrayopwoµÉvouç, ÈVOuoµEVOV Elç 't'èt. crwµa:ra 't'WV 7tpO(jl1)'t'W\I Ù7toq>1}ÉyyEcri>m, 't'OLç bcEl\1!.ùV cr•6µacn xat cpwvo:i:ç XPWµEvov òpyavoLç, «è quanto mai puerile e sciocco ritenere che lo stesso dio, come avviene nei ventriloqui detti un tempo Euriclei e ora Pitoni, entri nel corpo dei vaticinatori e parli servendosi della loro bocca e della loro voce come di strumenti». In questi due passi Éyyrur't'plµutl'oç è sinonimo di 'ltuì}wv e significa il ventriloquo per bocca del quale, però, secondo molti parla un dio, come risulta dall'oppugnazione di Plutarco. La stessa diretta identificazione di ventriloquo e 7tMwv si trova in Agostino, secondo il quale i pythones stanno sullo stesso piano dei sortilegi e mathematici 6 . Simile è l'interpretazione fornita da uno scolio a Plat., soph. 1, Esichio 8 e Suida 9 ; presso gli ul-

    7tMW'll

    J

    J.

    De antiqflorum daemonismo, RVV vn 3 (r909) 59 s.; A. WIKENHAUSER, Die Aposlelgeschichte und ihr Geschichtswert, NT Abh 8,3/5 (r921) 4or-407; H. LEISE'GANG, Pneuma hagion (r922) 36 s.; Tn. HoPFNER, Griech.-
    Jes françaises d'Athènes et de Rome 170 (1950) 64 s. Si vedano inoltre i commentari ad Act. 16,16. 1

    H. W. PARKE and D. E. W. WoRMELL, The Delphic Oracle I (1956) 3-16. 2 HYGINUS, fabulae 140 (ree. H. J. Rosn [1933]).

    Schol. a Pind., Pyth. (ree. A. B. DRACHMANN

    II [ 1910] 2): tha. gPXE"ta.~ (scil. Apollo) l7tt '\'Ò µaV"tEto'll, l'll iI> 'ltphl"t'l') Nù~ ÈXflTl~lìEV­

    oç, Èv i[> 7tpc'.;hoç ALovuucç ÉDeµlCT"tEVp&.xw'll Ù'!tÒ -rii> 'tpl7toO~ cp-O~fYE"ttt~. s Erotianus grammaticus, fr. 21 (ed. E. NAcHMANN [19r8] 105,19 s.). 6 enarratio in Ps. 91,xo (MPL 37 [184r] n78); similmente Eus., praep. ev. 5,2;;A. 7 Schol. a PJat., soph. 252c (ed. G. C. GREENE [1938] 44): 'tOU't'OV xat Èyyttox)..:i'jc; 8È
    797 (VI,918)

    7tUUWV IO l w. rot:r~ccr1

    \ \ 1.";)J.UJ /";)V

    timi due testi citati affiora inoltre l'idea, parlasse un altro e che le sue parole fosdi cui tratteremo più avanti, che 'ltvl>wv sero profezie: esattamente ciò che Plusia uno spirito vaticinatore. Tuttavia nei tarco presuppone nel passo citato alla~ primi secoli dell'impero romano 'ltut>wv col. 796. Quanto alto fosse il prestinon indica uno spirito che parla median- gio di Euricle risulta dal fatto che gli te il ventriloquo, ma la persona stessa Ateniesi gli hanno innalzato un monudel parlante. L'arte del ventriloquio in mento 12• D'altronde i ventriloqui erano linea di principio è accessibile a tutti, molto stimati come indovini, secondo anche se in effetti è posseduta solo da quanto attesta anche Clemente Alessanpoche persone e può essere usata a pia- drino, che accanto agli oracoli di varie cimento 10• Il primo ventriloquo di cui località menziona gli àÀ.wpoµci.v-.rn;, si parli nell'antichità greca è un certo xptt>oµavnLc; xcx.L 'toùc; Ei.crÉ'tt 7tapà ..-oi:c; Euricle dei tempi di Platone e Aristo- noÀ.Ào~c; ..-E..-tµ'l}µÉvouc; tyya.oc; nel senso di Platone e i suoi lettori Euricle non pro- 'ltMwv non indica l'indovino in geneducesse a suo piacimento lo strano lin- rale, ma una particolare categoria di coguaggio. In riguardo a ciò Aristofane di· storo, ossia i ventriloqui. Come si sia chiara di avere pubblicato all'inizio le giunti all'equivalenza Èyywr-.plµut>oc;= sue opere sotto falsi nomi e, «avendo 7tvt>wv è possibile solo congetturare. imitato il modo di vaticinate e di pen- Probabilmente vi hanno concorso diver. sare di Euricle, di essere entrato nel ven- si motivi: la Pizia di Delfì, come i ventri. tre di altre persone riversandovi molta loqui, si esprimeva in suoni strani che comicità» 11 • Si presuppone pertanto l'o- era necessario interpretare. Quale divipinione che in Euricle fosse entrato e nità dispensatrice di oracoli Apollo è

    Ilv-

    ·rnc6v, s.v. éyya.ui:plµu&oç: i:ovi:ov i'nu~c; ilwva. vuv xa.À.ou~v. 9 Suid., s.v. IIU!twvoç: èìa.~µovlou µa.vi:~xou, s.v. lyya.cri:plµul}oç: è.yya.o-i:plµa.vi:~ç· èìv vvv i:wEç Ilvfrwva., dr. Cyrill. Alexandrinus, commentarius in Isaiam prophetam 4,2 (MPG 70 [1864) 944 Cl: lyya.. 11 vesp. rn19 s.: µtµrio-a~\loc; -rTiv EvpuxÀ.É·

    ouc; µa.v"tda.v xa.t lìLa\loLa.v Et<; <Ì.À.À.oi:plac; ')'a.O"i:Éptt.ç Évèìvc; xwµcvl>Lxà. 7to).M XÉrx.
    799 (vr,918)

    1tV&wv ib - 3 (W. Foerstcr)

    detto 'pizio' e benché si narrasse che già da molto tempo il serpente pitone era stato da lui ucciso, il serpente come tale era ancora considerato l'animale mantico per eccellenza (~ IX, col. 32). C'è poi da aggiungere l'idea desunta dall'etimologia che la Pizia traesse ispirazione dalle esalazioni che venivano dalla carogna in putrefazione del serpente pitone 15 • L'idea che 1tUDwv sia stato uno spirito divinatorio che animava gli indovini non è attestata in ambienti pagani dei primi secoli dell'impero romano. 2. I LXX con Èyya.O"'tplµuì}oç hanno tradotto l'ebraico 'ob solo o in vati nessi 16• Il significato del termine ebraico è incerto 17, mentre è evidente che la traduzione greca si riferisce a un ventriloquo; solo in un passo (1 Bcx.
    Pizia. 16 'oh = lyya. (lx) -riic; yi'jc; cpwvouv-.Eç = 'obot in Is. 8,19 e 19,3 vengono

    (Vl,919}~00

    dalla connessione col testo ebraico. 3. In questo episodio l'indovina di Endor fa ricorso alle arti della necromanzia; perciò Flavio Giuseppe presenta nella sua parafrasi tutti gli Èyya
    =

    distinti dagli éyya.a-rplµvftoL (iidd"on1m); in De11t. 18,u la necromanzia è distinta dallo IO'él 'oh = ~yya.
    19 Sanh. 7,2: b'l 'wb zh pitwm hmdbr mifiiw; Sanh. b. 65b (hmdbr bin prqjm); T. Sanh. ro,6; S. Delll. § 172 a 18,u; S. Lev. a 20,27; STRACK-

    BILLERBECK II 743·

    W Lev. 19,:p; 20,6;

    1

    Sam. 28,3.9;

    .2

    Chron.

    33,6. 21 De11t. 18,n; I Sam. 28,7 s.; 1 Cbron. 10,13 (pytho11issa); Is. 8,19; 19,3; 294; .2 Reg. 21,6; 23,24. pytho11ic11s spiritt1s: Lev. 20,27. 22 STRACK-BnJLERBECK u 743.

    esatti!.!. In un primo tempo il rapporto diretto tra ventriloquio e necromanzia fu supposto soltanto in base ai LXX e solo in seguito fu generalizzato 24 • In Sib. 3,226 gli &yya
    µoviJ).. tjivx'l)v xì..'r}ftiivctt intò 'tijç iyycw-tpLµvfrov. La concezione opposta si trova in act. Pio11ii 1 ,2 ss. (R. KNoPF - G. KRUGER, Ausgewiihlte Miirtyrerakten 1 [ 1929]). 24 Suid., s. v. ÈyyctO''t'plftuµoç : etihat (scil. yv· vaixEç tyya1nplµvf}ot) -tàç -.wv -tE!h>11x6"tWV IJiuxàc; ÈSEXCtÀ.OUV'tO. µi.il, 8È CtV"tWV txff/iO'et"tO i:aov)... 25 26

    P" E e i codici della recensione ~ . 'ltufrwva. nel senso di apposizione:

    PREU-

    spirito che parla dal ventriloquo 27 • Questa equiparazione di demone e demoniaco si trova anche nei vangeli (Mc. 5,7 ss. e brano parallelo di Luca) e può avere indotto l'autore degli Atti, e in seguito i Padri della chiesa, a trasporre il termine 1tuDwv dal ventriloquo allo spi· rito che parla per mezzo suo. In ogni caso Act. 16,16 signifìca che la giovinetta era una indovina ventriloqua e pertanto aveva rapporti col mondo demoniaco. Act. 16,17 indica il modo di esprimersi della giovinetta col verbo xptl.sEw, ma ciò mal s'adatta al tipo di suoni emessi dal ventriloquo. Abbiamo però anche esempi di ventriloqui che parlano ad alta voce 23• Più seria è l'altra considerazione che nel ventriloquo scorge un modo di parlare che può essere prodotto a piacimento, per cui tutti i ventriloqui che .si fanno passare per indovini non sarebbero che mistificatori e quindi per Act. 16, r6 non si dovrebbe parlare di esorcismo. Dobbiamo però ammettere che per la giovinetta, come probabilmente per gli individui menzionati da Origene {~ coll. 803 s.), l'arte del ventriloquio e il dono (vero o presunto) della profezia costituiscono una unità indissolubile. 5 . Presso i Padri della chiesa 1t1'iDwv Apostg., ad l.; F. F. BRUCE, The Acts o/ the Apostles (1952) ad l.; HAENCHEN, Ag., ad l. «Spirito di nome pitone»: ZAHN, Ag., ad l.; PREUSCHEN-BAUER5, s.v. rimanda ad livl}pw7tOç ~aO't°Muç dei vangeli. BL.-DEBR.' § 242: spirito pitonico, come &vopEç 'Ath]vaiot=Ateniesi: aggettivazione di nomi personali. SCHEN,

    n act. Pìonii r4,7: 7tWç 'l'Jouvc.t'tO 'li ao~xoç Éyyet
    mJÀ:I'} A (Joach. Jeremias)

    indica non il ventriloquo, ma lo spirito che per mezzo suo parla. Pseud.-Clem., hom. 9,16,3: où yà.p Et ·n µct\l"t'EUE"t'ctt i>E6c; écr-rw· o"t't xaL 7tvi>wvEc; µavnvov·m~. à.À.À.'vcp'1)µW\I wc; Òa.lµovEç ÒpXLSOµeVOL cpuyaOEVO'\l"t'CI.L, «infatti se predice qualcosa non è dio; poiché anche i pitoni profetizzano, ma sono da noi scacciati come dèmoni mediante esorcismi»; Orig., princ. 3 ,3 ,5: alii a prima aetate daemonem, quem Pythonem nomi-

    nant, id est ventriloquum, parsi sunt; identica è probabilmente l'idea che sta alla base di Hier., in Is. 8,20 (MPL 24 [I 845] 12 3 A): quaerite ventriloquos, quos pythonas intellegimus ... et qui de terra loquuntur, quod in evocatione animarum magi se facere pollicentur; infatti la prima parte della frase significa che 'noi' abbiamo riconosciuto i ventriloqui quali demoni pitoni (altre indicazioni -7 nn. 8 e 9). W . FOERSTER

    7tUX"t'EUW ~

    t

    nvÀT},

    t

    ~ lhJpa 1v,

    coll. 791 ss.

    7tUÀ.W\I

    coll. 605 ss.; xÀ.dc; v, coll.

    A . 'ltUÀ:f)

    E 'ltUÀ.WV IN SENSO PROPRIO

    547 ss.

    A. 'ltVÀ.'CJ e 7tU'ì.Wv in senso proprio. B. La porta stretta (Mt. 7,IJ s.). C. Le porte dell'Ade (Mt. 16,18)

    In senso proprio nel N .T. 1 1) wÀ:ri indica a) la porta della città: Hebr. 13, 12 (Gerusalemme); Le. 7,12 (Nain); Act. 9,24 (Damasco); 16,13 (Filippi); in questi casi la porta sta a indicare

    1tUÀ.TJ, wÀ.wv

    3I6-320.424.436-445; BULTMANN, Trad. 148 s.;

    SOMMARIO:

    PREUSCHEN-BAUER1, s.v.

    Per C:

    W. KOHLER, Die Schliissel des Petms : ARW 8 (r905) 214-243, spedalm. 222-224; A. DELL, Matthiius r6,17-19: ZNW 15 (1914) 1-49, specialm. 27-33; O. lMMISCH, Matthiius 16,18: ZNW 17 (1916) 18-26; A. v. HARNACK, Der Spruch iiber Petrus als den Felse11 der Kirche: SAB ,32 (1918) 637-654; S. EURINGBR, Der loctH classicus des Primates (Mt. r61 18) und der Diatessarontext des hl. Epbriim, Beitrage zur Geschichte des christlichen Altertums und der by:zantinischen Literatur, Festgabe A. Ehrhard, ed. A. M. KoENIGBR (l922) J41-r79; STRACKB1LLERilECK I 736, IV rn87 .rn89; JoAcH. ] EREMIAS, Golgotha (l926) 34-88, specialm. 68-77; O . W EINREICH, G ebet tmd \f/rmder, Tubinger Beitrage zur Altertumswissenschaft 5 (1929)

    J. KROLL, Gott und Halle. Der Mythos vom Descensuskampfe, Studien der Bibliothek Warburg :zo (l932); A. 0EPKE, Der H ermspmcb iiber die Kirche Mt. z6,z7-r9 in der neuesten Forscbung: Studia Theologica 2 (i948) no· 165; J. Lunwm, Die Primatworte Mt. z6,18.19 in der altkirchlichen Exegese, NTAbh 194 (l952) 44.66.70; O. BnTZ, Felse11111a11n 1111d Felsengemeinde: ZNW 48 (1957) 49-77; dr. inoltre i commentari 3 Mt. 16,18. Circa mJÀ.'!] quale designazione di Cristo nella letteratura cristiana primitiva -i> IV, coli. 621 s., n. 80. 1 Circa l'uso linguistico anteriore al N.T .: 7tVÀ.'!J, d'uso generico, è d'etimologia incerta (Bo1sACQ 826); il plurale è esclusivo in Omero, prevalente in seguito (in luogo del duale i due battenti della porta, S cHWYZER II 44; cfr. anche - IV, col. 607 n. 8) [A. D EBRUNNER tl.

    m)À.fl A (Joach. Jeremias)

    che la città o la località - quindi anche la piccola Nain 2 - era circondata da mura; b) la porta del tempio; Act. 3,10: 1J wpa.la. 1tVÀ1J, «la porta bella» (probabilmente la porta di Nicanore posta tra l'atrio degli Israeliti e l'atrio delle donne 3); c) la porta della prigione; Act. 12, rn: ii 1tuÀ:111J
    (Vl,921) 806

    proposito di Gesù, dice: i:va. ciytttOìJ

    OL<Ì. 'tOV

    e!;w •fiç ;;UÀT)ç ETCCJ.llEv, «per santificare il lolou a.Ì:µa.'toç -rÒ\/ Àaov,

    popolo col proprio sangue, patì fuori della porta» . Il fatto che la crocifissione di Gesù, in rispondenza alla costumanza tomana 4 e orientale 5 , avvenne, come attestano anche i vangeli, fuori delle mura di Gerusalemme 6 , viene utilizzato da Hebr. per illustrare la completa separazione del cristianesimo dal giudaismo. Il v. IO aveva messo in rilievo questa separazione, comunque s'interpreti il vocabolo V'ucna.O"•TJPLOV (~ IV, coll. 639 ss.): i sacerdoti che rappresentano il popolo giudaico non hanno alcuna comunione con l'altare della comunità cristiana. I vv. 1r s. offrono la motivazione scritturistica della separazione della comurùtà cristiana dal giudaismo: Lev. 16, 27 prescriveva che nel giorno dell'espiazione i corpi del giovenco e del capro ra mondiale fuori della porta di Giaffa e di Damasco. 6

    lo. 19,20, cfr. Mc. 15,20; Mt. 27,32; Io. 19, 17 ~ ] EREMIAS l-33. La conferma viene inoltre da Mt. 21,39 par. Le. 20,15 dove l'interpretazione cristologica ha provocato una inversione della più antica sequenza (prima viene ucciso poi gettato fuori della vigna: Mc. n ,8). Infatti mentre in Mc. 12,8 il figlio del proprietario della vigna è ucciso nel podere e poi lo si oltraggia ulteriormente gettandone il cadavere fuori del muro di recinzione, Mt. e Le. hanno cambiato la successione degli avvenimenti: prima il figlio è cacciato fuori della vigna e poi ucciso. L'applicazione della figura del figlio a Gesù ha dato origine alla modificazione del racconto alla luce degli avvenimenti della passione (cfr. J . ]EREMIAS, Die Gleich11issc Jesu' [1958] 6r s.).

    807 (VJ,921)

    7tVÀ.1J A-B (Joach. Jeremias)

    (vr,922) 808

    immolati in espiazione, il cui sangue era del suo obbrobrio. Egli è equiparato al servito ad aspergere il santo dei santi, blasfemo (Lev. 24,14) e al trasgressore fossero bruciati «fuori dell'accampamen- del sabato (Num. IJ,35) che devono esto»; fu per adempiere questa prescrizio- sere lapidati «fuori dell'accampamento». ne, continua Hebr. 13,2, che Gesù, vit- La sua morte fu particolarmente amara tima di espiazione della nuova alleanza, per il fatto che egli dovette morite come morl ~~w -.l}ç 1tUÀ.7)<;, ossia separato dal- un bandito dalla comunità di Dio. La la città santa e dal territorio sacro. Per- libera partecipazione a questo obbrobrio ciò si invita la comunità a prendere su rientra neUa sequela di Gesù. di sé l'obbrobrio di Gesù (v. 13) mediante l'esodo dall'accampamento (cioè B. LA PORTA STRETTA {Aft. 7,13 s.) dal giudaismo). L'esecuzione capitale di Quanto al testo di Mt. 7,13 s. va noGesù fuori delle porte di Gerusalemme tato quanto segue: è abbastanza consueviene interpretata in due modi. Anzitut- to cassare 7) 1tUÀ:ri in Mt. 7, l 3 b, come fanno i codd. S*abchkm Cl. Al. Orig. to fu un elemento della sua opera di Eus. Cyprian. 8 e considerarla un'intersalvezza. Poiché allo spazio «fuori del- polazione suggerita dal v. 14. Ma poiché l'accampamento» al tempo della migra- i codd. 544 p'ahkm Cl. Al. Orig. Eus. zione nel deserto (vv. u.13) corrispon- Cyprian. omettono 1J m)À:r1 anche al v. 14, o si cancella Ti 1tUÀ.'l'J in ambedue i deva in Palestina, secondo la halaka, lo versetti 9 (ma non è raccomandabile, daspazio fuoti delle mura di Gerusalem- ta la debolezza della testimonianza) opme 7, e poiché di conseguenza in Pale- pure 101J 7tUÀ.'l'J si legge in entrambi i versetti , come suggerisce non solo il vastina le due vittime espiatorie del giorno lore dei codici ma anche l'antitetico padell'espiazione venivano bruciate davan- rallelismus membrorum tra il v. 13 be ti alle porte di Gerusalen:ime (Joma b. e il v. I4· 68ab ), l'esecuzione capitale di Gesù daPer quanto riguarda l'immagine che vanti alle porte di Gerusalemme dimo- soggiace a Mt. 7 ,13 s., la duplice sequenstra che egli è la vera vittima espiato- za 1tUÀ.71-òo6ç (nÀ.a-.efo. 'ÌJ 'ltUÀ.7J xaL eòria. In secondo luogo, l'uccisione di Ge- puxwpo<; 1) òo6<; ... O'""tE\11} 1} 'ltUÀ.'I) xaL 't'Esù fuori della porta fu una componente i>À.tµ(.1E\l'l'J TJ òo6<;, «larga la porta e spaS. Num. l a 5,3; T. Kelim Baba Qamma 1, 12; Zeb. b. rx6b; Num. r. 7 a .5,3. Secondo la tradizione I'«accampamentm> dell'epoca del deserto era disposto su tre cerchi concentrici: attorno alla tenda del convegno (accampamento di Dio) erano attendate le famiglie dei Leviti e attorno a queste il resto del popolo. A questi tre accampamenti corrispondevano tre gradi di santità entro le mura di Gerusalemme; cfr. G. DAI.MAN, Der zweite Tempel zu Jemsalem: 7

    PJB 5 (1909) 33; In., op. cit. (~ n. 2) 305 s. WELLHAUSl!N, Mt., ·ad l.; KLOSTERMANN, Mt., ad l.; P. JotioN, L'Évangile de Notre-Seig11e11r Jéms-Christ, Verbum Salutis V (1930) 42; A. HucK - H. LIETZMANN, Synopse der drei erste11 Evangelien 9 (1936) ad l.; NESTLB 21 mette Ti 1tUÀ.TJ tra parentesi quadre. 9 Cosl BuLTMANN, Trad. 81. 10 Cosl per es. ScHLATTER, Komm. Mt., ad l.; ~ vur, coli. 201 ss. e n . loo. 8

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    ziosa la via ... stretta la porta e angusta la via») non deve indurre 11 a cercare le porte all'inizio della via 12 o intendere TIVÀ:TJ ( = tara') nel senso di una strettoia della strada 13, poiché il parallelo Le. 13,2 3 s. conferma il carattere escatologico dell'immagine della porta. Quindi porta larga e stretta sono le porte che introducono alla vita eterna e all'eterna dannazione, e la successione 7tvÀ.11-oò6c; va considerata un hysteron-proteron popolare 14 • In effetti l'immagine della porta della città, della porta della Gerusalemme fìnale, per indicare l'ingresso nel regno di Dio è molto frequente nel linguaggio metaforico escatologico 15 ; vi corrisponde l'idea che anche l'inferno ha

    un ingresso 16 • L'angustia della via e della porta che conducono alla vita in antitesi all'ampiezza di quelle che pmtano alla dannazione esprime l'idea che è difficile conseguire la vita eterna, perché la strada che vi conduce richiede sacrificio e rinuncia 17; perciò è sparuta la schiera di coloro che giungono alla vita (cfr. il par. L e. 13,23s.) 18 • Quindi con l'immagine delle due porte Gesù spiega ai discepoli che devono avere il coraggio di separarsi dalla grande massa e dalla collettività nazionale che rifiuta Gesù e imboccare il cammino di passione della piccola schiera, se vogliono giungere alle porte della futura città di Dio 19 •

    11 L'immagine della porta trova questa applicazione in r Clem. 48,2-4 (senz.a alcun rapporto con Mt. 7,13 s.): entrano per la «porta della giustizia» (Ps. u8,19) coloro che intendono comportarsi secondo santità e giustizia. 12 K. BoRNHAUSER, Die Bergpredigt, BFTh II

    r3•bc•.15 .21'"; Herm., sim. 9,12,5: El oi'.iv Elç -ri)v 1toÀ.w où Mv11 dEOU i}..).).wç tluva";ct~ lfvì}pwnoc; d µi) oL
    7 (1923) 177.180; KI.osTERMANN, Mt. e ScHLATTER, Komm. Mt., ad/. 13 JotioN, op. cit. (~ n. 8) 42 s.; vi si oppone il duplice ttcrÉpXt
    L'accesso ad essa è angusto e posto sopra un abisso; a destra fuoco, a sinistra acqua profonda. Un solo sentiero passa in mezzo tra il fuo. co e l'acqua, e il sentiero è così stretto da permettere il passaggio di una sola persona». L'hysteron-proteron di Mt. 7,13 s. si potrebbe spiegare supponendo che due immagini sin~ nimiche (porta, via) siano state combinate secondariamente (--7 col. 8n) in una doppia immagine (--7 vnc, coll. 203 s.). 15 4 Esdr. 7,6-8 ~ n. 14; Pesikt. 179b (STRACKBILLERBl!CK I 463): «Attraverso quale porta pllotJ (nvÀ.wv) vi è un'apertura alla vita del mondo futuro?». Apoc. 22,14: tva ... -to~c; 1tUÀ.W
    'ltUÀ.'rJ B-C (Joach. Jeremias)

    (VI,923) 812

    Nel par. Le. 13,23 s. l'immagine è di- C. LE PORTE DELL'ADE (Mt. 16,18) versa: non si ha più, come in Mt., la 1tUMolti popoli antichi raffigurano gli inÀ.1J, la porta della futura città di Dio, ma la i}upcx., la porta che immette nella feri come regione, città, fortezza o prigrande sala in cui si tiene il banchetto gione munite di solide porte che impedidell'èra della salvezza (-7 IV, col. 618); scono la fuga di chi vi21 è rinchiuso e l'eninoltre in Luca non abbiamo più due trata di chi sta fuori • I Babilonesi per porte alle quali conducono due vie, ma es. narrano che !Star ha forzato le porte una sola porta che è ancora aperta, ma del «paese senza ritotn0>> n. Anche gli degli Egiziani sono chiusi da porpresto (v. 25) verrà chiusa. Alla diversi- inferi 23 24 te • Da Omero in poi troviamo nella tà dell'immagine corrisponde una diver1tvÀ.m (j.oou e le loro letteratura greca le sa accentuazione in Luca. Mentre Mt. 7, r 3 s. richiede il coraggio di scegliere là chiavi(~ V, coli. 552 ss.); queste porte via della piccola schiera che è in cammi- sono di ferro durissimo (Preisendanz, no verso la città di Dio, Le. 13,23 s. in- Zaub. 4,2720) e si aprono davanti a divita a impegnare tutte le forze per en- vinità o ad eroi che vogliono entrare nel trare nella sala del banchetto finché c'è mondo sotterraneo, ma25 solo per forza o tempo. In Le. col minaccioso «troppo dietro offerta di doni • Esse hanno un tardi» il logion rispecchia più efficace- ruolo importante soprattutto nei testi mente la situazione critica dell'imminen- magici; cosl Menippo (presso Luc., nec. te inizio del regno di Dio. Al confronto 6) afferma che i magi persiani con le lola redazione matteana, che attenua il to- ro arti sono in grado di &:volyEW 'tE 'tOU no escatologico, dovrebbe rappresentare "ALoov -.à.c; 1tVÀ.ac;, «aprire persino le uno sviluppo del logion, determinato da porte dell'Ade» u._ esigenze dell'istruzione comunitaria e otPer intendere Mt. 16,18, dato il catenuto con l'ausilio dello schema delle 27 due vie (-7 VIII, coll. l 22 ss. 150 ss. 161 rattere semitico del tristico 16,17-19, rivestono notevole importanza i paralss. 172 ss. 20). leli veterotestamentari e tardogiudaici. Nell'A.T. l'espressione sa'are s•'ol, «le porte degli inferi», s'incontra una sola 20 W. GRUNDMANN, Die Frage dcr iiltesten

    Gestalt und des t1rsprii11gliche11 Sinnes der Bergrede ]esu (1939) 5 n. 2; T.W.MANSON, The Sayings of ]es11s (r950) 17.5. Sotto il profilo linguistico, depone a favore anche il fatto che è incerto se il semplice E~ 'tlJ\I l;wTiv (Mt. 7, 14) fosse espressione di Gesù (DALMAN, Worte ] . I 131 ). Il processo di eliminazione dell'aspetto escatologico è continuato in ambiente ellenistico: in Sib. 2,150 ('tou-co 7tUÀ.1J l;w'ijc; xixt E~uoBoc; til>ixvixulric;) il termine l;W'IJ (Mt. 7,14) ha perduto il suo valore escatologico ed è diventato sinonimo dì àfro;vixcrlix. Bibliografia in ~ K~l-lLER 222 n. 1; ~ WEINREICH 437 n. 64. Cfr. inoltre ~ DELL 27-33; STRACK-BILLERBECK IV ro87.1089 s.; ricca documentazione in ~ KROLL. 2i A. ]EREMJAS, Ho/le tmd Paradles bei den

    21

    Babylo11ier111 : AO 1,3 (1903) 18-20; E. LEHMANN - H. HAAS, Textbuch zur Religionsgeschichte' (1922) 297; A.0.T. I 207; -> KRoLL 206-214. -> KROLL 194-197. 24 Il. 5,646; 9,312; Od. q,156: 7tUÀ.at 'AUìao. Per il plurale nel greco classico v. BL.·DEBR. S l41A e~ n. I. 25 ~ WEINREICH 437; dr. -> KROLL 363-.p2. 26 Altro materiale in ~ KOHLER 223 s.; ~ KROLL 466-5u. I testi inandei descrivono il redentore in atto dì aprire la porta del carcere delle anime e~ KROLL 292-296), ma in genere pongono questo carcere nelle sfere planetarie (-> KRoLJ. 297). Nella terminologia astrologica con lj.oou 'ltUÀ.TJ si indica la regione sotto l'oroscopo (LlDDELL-ScoTT, s.v. "A~OT)c;). 27 -> ]EREMIAS 69; ->coli. 816 ss. 819 ss. 23

    7tUÀ'l'J C (Joach. Jerem1asJ

    volta nel canto di lode di Ezechia (Is. Émq>cx.vElexc; aù-roùc; fio11 1tpÒç 1tuÀ.a.~c; 38,ro) 28 ; ma il suo significato equivale ~oou xai>Eu-.w-.a.c;, «gridarono a gran di fatto a quello di espressioni come voce supplicando ardentemente il signosa'aré mawet, «le porte della morte» re di ogni potenza di avere compassione, (Ps. 9,14; ro7,x8; Iob 38,17") 29 ; Ja'aré mediante un'apparizione, di loro che or~almàwet, «le porte delle tenebre» (lob mai erano prossimi alle porte dell'Ade»; 38,17b) 30 e baddé se'ol, «catenaccio degli Hen. slav. 42,r A: «E io (Henoc} vidi i inferi» (Iob 17,16) 31 ; tutte queste e- portinai e i guardiani delle porte dell'Aspressioni probabilmente derivano dal de in piedi come grandi serpenti e i lomito della lotta nella creazione 32• In età ro volti come lampade spente e i loro ocsuccessiva l'espressione porte degli in- chi di fuoco e i loro denti scoperti fino feri ricorre più spesso: al loro petto» 35 • Con accenti vigorosi Ecclus 51,9 {ebr.): «levai dalla terra la viene descritta la solidità delle bronzee mia voce / e dalle porte degli inferi porte dell'Ade 36 • (mS'rj S'wl) il mio grido di aiuto». Sap. I 6 ,x 3; O'ÌJ yà.p swi)c; xcd i}a.v&:tou La letteratura rabbinica accoglie questa credenza, ma, a quanto pare, usa Éçouo-la.v ì!xnc; I xcx.t xa."t'ayw; Elc; À.a.c; fi.Sou xcx.t &.vciyEtc;, «tu infatti sul- tar'e se'ol una sola volta (Tg. Is. 38,10). la vita e sulla morte hai potere / e con- La spiegazione è che dalla metà del sec. duci giù alle porte dell'Ade e su ne ri- r d.C. la parola J•'ol scompare quasi completamente come termine tecnico dal conduci» 33 • Ps. Sal. 16,2: mxp'ò)..lyov t~Exulh1 Ti 4'u- linguaggio erudito dei dotti ed è sostix+i µou EL<; Mvrt.'t'O\I I Ci'V\IE'Y'YUC, 'JtVÀW\I tuito da Gehinnom 37. Cosl avviene che lJ,oou µE't'à. b.µap't'wÀ.ov, «per poco non la letteratura rabbinica parla solo del!'entrata (anche al plurale) e delle porte fu precipitata la mia anima nella morte / in prossimità delle porte dell'Ade insie- del Gehinnom, e solo dal contesto è possibile determinare se s'intende il Gehinme coi peccatori» ~. 3 Mach. 5,51: à.vEW>'l'}rlrt.V cpwv'[j µEyci- nom intermedio ( = fi,o'l'}c;-H, coll. 393 ss.) 38 o il Gehinnom escatologico ( = yÉÀil O'q>ÒOpa. 't'ÒV 't'ijc; a1taO''l'}c; OUVciµEwc; OU\lcXC/'t''l'}\I Ì.XE't'EU0\11:E<; OÌ.X't'tpa.t µE't'à. EVVa.-HI, coli. 375 ss.) 39• Alle nuÀm lj.-

    7tv-

    2& puqqadtl (LXX: lv m'.J).a.~ç lt13ou) b'la'ar! S''ol jeter s'11otiij, «alle porte del mondo dei defunti fui convocato per il resto dei miei anni», dr. J. BEGRICH, Der Psalm des Hiskia, FRL, N.F. 25 (•926) 23. 29 LXX: o:t 'ltVÀa~ i:oii i>a.v1hov (in Iob 38,17• senza articolo: 7tuÀa.t i}a.va"tou). 3:J LXX: nvÀwpot ij.6ou ~ n. 36. 31 LXX: Elc; (Hì'l')v. Cfr. ancora~ KROLL 3•6362, specialm. 322-348 circa il motivo della discesa nell'A.T . 32 Cfr. lob 38,8.IO [BERTRAM] . 33 Il contesto (Sap. J6,14) mostra inequivocabilmente che &.v&.yw; significa: «tu liberi dal mondo dei defunti» (e non: «tu preservi dal mondo dei defunti»). 34 In questo caso éf.13rtc; - come in Ps. Sal. 14, 9; 15,10 - è l'oltretomba degli empi(~ I, col. 394), come si deduce dalle ultime parole µt:-i:èk

    à~p't'WÀou.

    Cfr. anche Hen. aeth. 56,8: «In quei giorni (dell'ultimo assalto dci pagani contro Gerusalemme) la sheol spalancherà Je sue fauci ...; Ja sheol ingoierà i peccatori al cospetto degli eletti», e 4 Esdr. 4,7, dove, fra gli interrogativi senza risposta dell'uomo, si pone questo: «Quali sono le uscite della sheol?» (syr., aeth., arab., arm.; manca in latino). Js La solidità delle porte: apoc. anonima 6,1820 (cd. G. STEINDORFF, ap. Eliae [1899) 45); Sib. 2,228. I portinai in LXX Iob 38,17b: TCUÀwpoi lj.13ov (s'ri è stato letto sò'are dai LXX e forse giustamente); Hen. slav. 42,1 A ~ qui soprn; Hag. b. 15b ~ n . 42. 37 STRACK-BILLERBECK IV rn22.103:z S. 3S Ingresso al Gehinnom intermedio D.B.b. 84a (situato all'estremo occidente); Shab. b. 39a (le fonti di Tìberiade gli scorrono accanto); Ge11. 3_;

    1tVÀ.tJ

    e (Joach. Jeremias)

    &ov corrispondono le porte W'ar1m) o portali (p•tablm) del Gehinnom, che per quello intermedio sono a volte una (Hag. j. 77 d 50; Rag. b. 15b-+ n. 42), a volte due 40, a volte sette 41 ; e sono sorve· gliate da un portinaio 42 • Per l'uso linguistico del tardo giudaismo anteriore a Cristo la caratteristica è che l'espressione rtuÀ.a.t Q.&ov - fatta eccezione per Hen. slav. 42,1 A (~ col. 814) - è usata sempre in senso traslato. L'espressione serve a descrivere l'esser preda della morte (Is. 38,ro; Sap. 16, 13), un gravissimo pericolo di morte (Ecclus 51,9; Ps. Sal. 16,2; 3 Mach. 5, 51, cfr. Ps. 9,14; 107,18; lob 17,16) e il penetrare nei più profondi misteri 43 • r.ur. 48 a x8,1 (Abramo siede all'ingresso del Gehinnom e non permette ad alcun israelita circonciso di scendervi); Cont. r. a 8,10 (Isacco «si è messo all'ingresso del Gehinnom per sai· vare i figli suoi dal giudizio del Gehinnom»). Apertura del Gehinnom intermedio: Num. r. 10 a 6,2; Men. b. 99b (è stretta). Porte del Gehinnom intermedio ~ nn. 39-42. 39 Ingresso al Gehinnom escatologico~ n . 16. 40 Pesikt. r. (ed. M. FRIEDMANN [1880] 124b): una porta esterna e una interna. Nella zona attigua alla porta esterna completano i loro anni coloro che sono defunti prematuramente (STRACK-BILLERIJECK IV 1089). 41 P. R. El. 53 alla fine (Praga (1784] 31d): «Sette porte ha il Gehinnom». Assalonne ne aveva già attraversate cinque quando fu richiamato dai cinque lamenti di David. 42 Hog. b. 15b: «Lo stesso portinaio non ha resistito a te, nostro maestro» si canta a proposito di R. Johanan che in morte aveva salvato l'apostata Achet ( == Elisha b. Abuja) dal Gehinnom intermedio; -) n. 36. 43 Cfr. lob 38,17": «Ti sono state aperte le porte del mondo dei trapassati(-) col. 8x3)?». 44 Già nell'A.T. Ja'or talvolta ha Wl significato più vasto di 'porta'; per es. Ja'ìiré !iii6n (Ps. 87,2); Ja'ar-'ammi (Abd. 13; Mich. l,9); dolt6t hliammim (fa:. 26,2) Gerusalemme. In questo e in altri casi, nello stile elevato per es. Gen. 22,17; 24,60; Is. 14,31; Ier. 14,2; 15,7 - Jo'or indica il luogo /orli/icato o la città

    =

    (VI,925) 816

    À.a.t /toov in questi casi può anche essere sineddoche (la parte per il tutto) di Q.-

    oric; 44 • Nel N.T. l'espressione si trova solo in Mt. l6,18c: xa.t 'ltuÀ.a.t ~oou où xa.·n<1XU<1ouow a.ù·d'jc; 45 • La singolare omissione dell'articolo davanti a 1tUÀ.a.i. éj.oov ricorre in tutti i testi giudeo-greci (~col!. 813 s.) e si spiega col soggiacente stato costrutto ebraico sa'ìiré J"'ol; pertanto è un semitismo. Le interpretazioni di Mt. 16,18° divergono straordina· riamente secondo che per ~01]<; s'intende il mondo dei defunti o gli inferi 46, se 'itU· (JouoN, op. cit. [ ~ n. 8] 106). Per quanto riguarda l'uso linguistico di 7tVÀ.a.t r;.oov per indicare l'Ade, si confronti Sop. r6,13 : xa.'t'&.· yEi.ç EÌ<; 1tVÀa.c; /J,oov xa.t à.v6::yetc; con il passo fondamentale 1 Ba.o-. 2,6: XCX.'t6:yet dc, if.!iou xa.t à.v&.yet (Tob. 13,2, codd. BA: xa.'t'&.yet

    Elç

    ~61)v

    xa.L &.vO:yEt): 7tVÀa.t /toov e /i611c;

    possono dunque alternarsi senza determinare un cambiamento di senso. Inoltre si confronti

    LXX Is. j8,rn: lv 7tVÀcw; ltSov XMa.°Mlljlw 't"à hri 't'à l7tlÀoLnct.; anche in questo caso itVÌ..«L ltSov sta per ~S71c;. Lo stesso dicasi per Ps. Sol. 16,2 (-'» col. 813). 45 Il testo è sicuro; la tesi di ~ v. HARNACK 647·649, secondo rui il Dfatessaron non avreb· be contenuto la frase riguardante l'edificazione della chiesa (Mt. 16,18b) e l'ultima parola del v. 18• sarebbe stat11 crou (non aò-.ijc,), è stata ribattuta con validi motivi da ~ EuRINGER 141-156, il quale ha provato che nel Diatessaron a disposizione di Efrem e Afraate Mt. 16, 18 - a prescindere dal fatto che forse vi si leggeva 'catenaccio' in luogo di 'porte' - ave· va lo stesso tenore del testo canonico. Cfr. i· noltre le citazioni dà Efrem riportate da C. A. KNeù.eR, Ober die «urspriingliche» Form von Motth. r6,r8 s.: Zeitschr. fiir katholische Theol. 44 (1920) 147-169; cfr. anche~ LUDWIG 22 s. "'~ Da escludere completamente l'idea di infer· no (come faceva l'esegesi corrente fino al 1918 ~ V. HARNACK 639), poiché il N .T. distingue sempre chiaramente tra ~ (iS'T}c, e ~ yfrvva..

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    Fra tutte le questioni, fondamentale ai fini dell'interpretazione è la prima, cioè quella riguardante il significato di t'to11c;. Pertanto facciamo a questo proposito una premessa negativa: le spiegazioni di Mt. 16,18c che restringono rigidamente il concetto fl.011ç al mondo dei defunti incontrano gravissime difficoltà. Tra le tante proposte menzioniamo le più importanti: r. 7tuÀa.L if.oou indica propriamente le porte del mondo dei defunti. In questo caso la frase significa che le porte dell'Ade non possono resistere «all'impeto della comunità che esige la restituzione dei suoi membri» 47 (ma si può obiettare: dove si tro-

    J. GRILL, Der Primat des Petrus (1904) 13; analoga è la posizione di L. E. SULLIVAN, The Gates o/ Hell (Mt. 16,18 s.): Theological Studies 10 (1949) 62 ss.; ~ x, col. 145· 43 ~ DELL 31-33; W. BoussET, Kyrios Christos1 (1921) 30. 43 ScHLATTER, Komm. Mt., ad l.; O.J. F.SEITZ, Upon this Rock: JBL 69 (1950) 337 (l'autore fa un confronto con Act. 2,24); O. CULLMANN, Petr11s (1952) 226-228. 5? Cfr. BulÌI'MANN, Trad. J48 n. 2 . Contro queste due interpretazioni sta anche il fatto che esse vedono la comunità in atteggiamento di attacco (contro ~ col. 820). st ~ v. HARNACK 638-647; WrnmscH, op. cit. e~ n. 1_:;) 187. s2 Il pagano (probabilmente Porfirio, morto verso il 304) di Macarius Magnes (intorno ru 400) 3,22 (A. v. HARNACK, Porphyrius «Gegen die Christen» [1916] nr. 26 p. 56) intende Mt. 16,18' còme promessa d'immortalità a Pietro: tcri:opE~i:m ... o IIÉi:po<; €cr-cocup(;icrfrat, eLP7JXoi:oc; (benché ... ) -coli 'Iricroii -càc; /tlìou 'ltÙÀac; µ1J xoci:LO'XÙcmv airtoii. Se questo passo è di dubbio valore per la sua natura polemica 47

    - ~------,

    va l'idea di un siffatto descensus ad in/eros della comunità?). Oppure: le porte dell'Ade non possono fermare la comunità che si affretta verso la libertà al momento della discesa di Gesù all'Ade 45 o al momento della risurrezione 49 (obiezione: la comunità non è prigioniera del1'Ade 5()). 2. miÀa~ ~oou indica in senso traslato il mondo dei defunti. In questo caso l'interpretazione varia secondo che où xa.-çwxucroucw atrrfjc; vien riferito a 7tÉ't'pa o ad ÈXXÀT}crla. a) Se aù'tfiç è riferito a 7tÉ'tpa., Mt. r6,r8c esprime la promessa che Pietro non morirà prima della parusia 51 • Questa interpretazione si può appellare all'uso di 7tUÀa~ if.oov (o -.ou 1}a.va:tov) in Is. 38,ro; Ps. 9,14; ro7,18; Ecclus 51,9; Ps. Sai. 16,2; 3 Mach. 5,51, poiché il contesto di tutti questi passi parla della preservazione dalla morte (--l> col. 813). Essa è inoltre sostenuta dalla più antica esegesi di Mt. r6,r 8cS2. b) Se invece ov (adeguato) ouv -\'iv '\Q Ilt-cp~, oiJ «1tUÀClL /tfiou oÌJ xai:La:L »o:va-cou, fad 't'6-rE -yEÙEi:al -etc; -1>awhov xcit fol>lEt Dawhov, O'tE «1tuÀ.at /tfiou» xci·ncrxuovow a;v-.ov, e queHa di Ambr., expositio ev. Le. 7,5 a 9,27 (CSEL 3zA,284,1-3): neque enim Petrus 111orlfl11s est, cui iuxta dominicam sententiam inferi porta prae11alere non potuit. Che sia Origene (cfr. ]. SrCKENBERGEn, Eh1e nette Deutung der Primatstelle Mt. I 6,18: Theol. Revue 19 (1920] 17; ~ LUDWIG 44) sia Ambrogio si riferissero alla salvezza di Pietro dalla morte spirituale, potrebbe essere una . forzatura interpretativa per non far apparire Mt. 16,18' una profezia non realizzata. Si noti inoltre che nella tradizione araba della vita di Shenute di Atripe si trova il seguente agraphon di origine ignota: «Perché il Signore Cristo ha detto (a Pietro): 'In verità il tuo occhio non sarà mai chiuso in eternità alla luce di questo mondo'» (L. E. Isi:LIN, Eine bisher 1111beka1mte Version des erste11 Teil der 'Apostellebre', TU r3,1b [1895]

    26).

    7tVÀTJ C (Joach. Jeremias)

    non ha più potere sui membri della comunità, oppure, dato che {i.Ùl]ç in età neotestamentaria spesso indica l'oltretomba degli empi (~ I, col. 3 95), s'intende che i membri defunti della comunità non dovranno condividere il destino degli empi 53 (obiezione a 2 a.b: comunque s'intenda ctl'.rcijç, il carattere escatologico del fu turo oò xoc'tLo-xuo-ouaw [ ~ coli. 820 s.] risulta troppo ridotto). Pertanto nessuna interpretazione che limita il senso di {i.Ùl]ç al mondo dei defunti è soddisfacente. L'interpretazione deve prendere le mosse dalla struttura del testo di Mt. 16,17-19; ciascuno dei tre versetti (vv. 17.18.19) consta di tre stichi (quattro arsi) 54 : ciascun primo stico enuncia il tema, il secondo e il terzo lo spiegano con un parallelismus membrorum antitetico. Tema del v. 18 è le denominazione di Pietro. Il v. 18bc spiega che cosa intenda Gesù con questo suo atto. Su questa roccia Gesù edificherà la sua ÉxxÀ:ncrloc (~IV, coll. 1537 ss.) e le porte dell'Ade non la ( = roccia o chiesa) sopraffaranno. L'enunciato usa il simbolo della roccia cosmica(~ x, col. 112), che costitui53

    Testimonianze letterarie presso W . BrnDER,

    Die Vorstelltmg von der Holle11fahrt Jesu Christi, AbhThANT 19 (1949) 46 n. 97. 54 C. F. BURNBY, The Poetry o/ 011r Lord (1925) u7. Nell'istruzione ai discepoli Gesù ha usato di preferenza il ritmo tetrarsico (ibid. 124). ss ~ ]EREMIAS 66-68. Cfr. E. LOHMEYER, K11ltt1s und Eva11geli11111 (1942) 76. 56 ~ ]EREMIAS 51-58. 57 ~ }I!RI!MIAS 58-65. 58 Jalq11t Shimoni I § 766 a Num . 23,9 (ed. Wilna [ 1898] p . 530); tradotto da STRACK-

    sce la sommità del cavo monte cosmico e ha la duplice funzione di sostegno del santuario e chiave di volta degli inferi (che si trovano all'interno del monte cosmico e comprendono sia il mondo dei trapassati sia la prigione degli spiriti) da cui scaturiscono le acque primordiali 55 • Il tardo giudaismo applica questo linguaggio simbolico non solo alla roccia su cui sono edificati il santo dei santi 56 e l'altare degli olocausti 57, ma anche a persone. Per es. Abramo è definito la roccia (pifrii'; x, coli. 120 s., cfr. ls. 51,1) che da un lato sorregge l'intero creato e dall'altro è in grado di resistere alle acque primordiali 58 • Lo stesso dicasi per i patriarchi 59 • Alla luce di queste concezioni l'espressione 7tVÀ.oct. if.oov è una sineddoche (la patte per il tutto) (~ col. 8 l 6) indicante le forze ostili del mondo degli inferi che si scagliano contro la roccia 00 • A favore di questa interpretazione sta il fatto che nel mondo greco-giudaico il verbo XOC'tLCTXUEW col genitivo ha sempre significato attivo (riportare la vittoria contro qualcosa) 61 ; le 7tVÀ.a~ Q.&ou sono dunque le forze attaccanti. Poiché inoltre i due futuri di Mt. 16,18 (oi.xo00µ1)0-w, oò x~·twxuo-ov1w) sono intesi BILLER.BECK 1

    733

    e~ ]EREMlAS

    73 s.

    s-7 Ex. r. 15,8 a 12,2 ~ ]I!REMIAS 74. 6iJ C. WEIZSACKBR, Unters11chungen iiber die evangclische Geschichte (1864) 494; ~]ERE­ MIAS 73; H. ScHMIÌ>T, Der heilige Fels in Jerusalem (1933) 100; ~ BETZ 70 s. («potenza del caos»). Cosi sempre nella traduzione greca dell'A. T.: LXX Ier. 15,8; Theod. Dan. n,21; Symm. 1J190 (91),10. Inoltre Sap. 7,30 (variante incerta); test. R. 4,n; test. D. 5,2; test. Ios. 6,7. Cfr. HI!LDING, Kasussyntax n9.

    6\

    r.vp tr . .LangJ

    in senso escatologico 62 , si parla dell'assalto escatologico delle potenze sotterranee da figurarsi secondo le descrizioni di Apoc. (6,8; 9,1 ss.; 20,3.7 s.; [~I, coll. 13 ss. 28; v, col. 553]) e di I QH 5,20 ss. 63 • Anche l'ultimo e più terrificante assalto delle potenze degli inferi non riuscirà ad avere ragione deU'h;xÀ.1]0'la. M che vi è sopra edificata 65•

    In epoca successiva le 1tuÀ.a~ éi,oou hanno importanza soprattutto negli e· nunciati riguardanti la discesa nell'Ade 66 • Che Cristo abbia potere sulle porte dell'Ade è sottolineato già da Apoc. 1,18, dove a proposito del Cristo glorificato si dice: EXW 't"Ò.<; xÀdç 't"OV i}ava't"OU xa.t 't"Oli éi,oou, «tengo le chiavi della morte e dell'Ade»{~ v, col. 554). }OACH. }EREMIAS

    -

    I

    I

    I

    7tUp, nupow, 7tupwcnc;, 7tUPL\/oc;, 7tUppoc; I

    t

    Ttvp

    SOMMARIO:

    A. li fuoco nel mondo greco-ellenistico: I. l'uso linguistico generale: 1. uso proprio; 2. uso traslato. Il. Il fuoco nella filosofia . III. Il fuoco nella religione. Per obco8oµ1Jcrw ciò risulta dal confronto con Mc. 14,58 e vale quindi anche per il parallelo antitetico ou xa:tLO'XUO'oucnv. Tuttavia c'è da tener presente che i due futuri otxolioµTjcrw e xo.:·naxucrovcrw, pur essendo entrambi escatologici, non sono contemporanei: J'edifica:done del nuovo tempio precede l'assalto delle potestà infere. 6?

    Nell'infuriare dei flutti dell'abisso (6,23 s.) e in vista delle porte della morte (6 124: J'ri mwt) l'orante viene posto in salvo in una c.ittà fortificata e solida, circondata da alte mura (6,25), le cui fondamenta sono poste sopra una roccia (6,26). Cfr. ~ BETZ 55 s, 63

    M

    Au'tiic; (où xo·...ncrxucroucrLv rx.u-c:-ijc;) di Mt.

    l6,r8< si riferisce formalmente a 'l':É-c:po.:, ma di

    fatto intende l'ÈxXÀT)O'(o.: eretta sulla roccia (cfr. il passaggio dal plurale al singolare nel

    B. Il culto del fuoco nella religione persiana. C. Ii fuoco 11ell'AT., nel tardo giudaismo e nella gnosi: I. Antico Testamento: 1. statisticn delle traduzioni ; 2. forme di uso tecnico; 3. uso traslato; 4. il fuoco in relazione a Dio: a) il fuoco nella teofania, parallelo sostanziale di Le. 22,31 s.). È questo il senso che Efrem ha dato al nostro passo (Diatessaro11-Komm. 14,3 arm.): Tt1 65

    es, ait, petra, il/a petra quam erexit ttt offenderet per eam Satanas (L. Lm.orn, Saint Éphrem. Commentaire de l'évangile concordant. Version 11rménie1111e, Corp. Script. Christ. Or. 145 [ 1954) 134,24 s.); ~ EURINGER 146.151. 177; --+ ]EREMIAS 75-77. Fra gli autori che seguono questa interpretazione dr., ad es., ZAHN,

    Mt., ad l.; J. WEiss - W. BoussET, Die drei iilteren Eva11gelie11) Schr. N.T.' I, ad l.; C. A. BERNOULLI, ]oha1111es dcr Tiiufer 1111d die Urgemeinde (1918) 280; TH. }!ERMANN, Zu Mth. I6,I8 1111d 19: TheolBI 5 (1926) 203-207; BULTMANN, Trad. 148; STAUFFER, Theol.' 16 s. e n. 482; R. BoHREN, Das Problem der Kirchenwcht im N.T. (1952) 63 s .; ~ BETZ 72 s. 00 ~ KROLL 46 s. 48.57.68.81 e passim.

    -;tup (F. Lang) b) il fuoco come strumento del giudizio

    divino, c) il fuoco come segno dell'intervento di grazia, d) il fuoco come designazione di Dio. II. Sviluppi nel tardo giudaismo: x. apocalittica; 2.rabbini; 3. Qumran; 4. il giudaismo ellenistico. III. L'uso linguistico gnostico: l . la letteratura ermetica; 2 . gli scritti gnostici copti; 3. gli scritti mandei. 7tvp In generale: Thes. Stcph. VI, s.v.; S. MiiHSAM, Das Feuer in Bibel tmd Talmud (1869); A. KUHN, Die Herabkrm/t des Fe11ers tmd des GotterJra11ks (1886); E. GoBLET D 'ALVIELLA, HisJoire religieuse du fe11 (1887); O. HOFER, art. 'Pyr', in RoscHER rn 3332-3334; J. PATRicK, art. 'Fire', in HASTINGS, D.B. 11; E. G. H1RSCH, art. 'Fire', in JewEnc v 391-393; A. E. CRAWLEY, art. 'Fire', in ERE VI 26-30; P . SAINTYVES, Essais de Folklore Biblique. 1. Le feu qui descend d11 ciel et le reno11velleme11t d11 Jeu sacré ( 1922) l-58; H. FucHs, art. 'Feuer', in Jiid. Lex. II; o. RiiHLE, art. 'Feuer', in RGG' li 569 s.; J. G. FRAZER, Myths o/ the Origi11 o/ Fire (1930); H. FREUDENTHAL, Das Fe11er im deutscben Gla11ben tmd Brauch (1931); O. C. DE C. ELLIS, A History o/ Pire and Flame (1932); Thes. Ling. Lat. vn, s.v. 'ignis'; C. M. EosMAN, Le bapteme de feu, Acta Scminarii Neotestrunentici Upsaliensis 9 (1940); Io., Ignis divinus. Le Jeu comme moyen dc rajeunissement et d'immortaliJé: con/es, légendes, mythes et rites, Skriftcr utgivna av Vetenskaps-Sozieteten i Lund 34 (1949); TH. BLAsms, 'Das himmlirche Feuer', Diss. Bonn (1949); F. LANG, Das Fet1er im Sprachgebrauch der Bibel, dargestellt 011/ de111 Hì11tergrund der Fe11crvorstellungen itJ der Umwelt, Diss. Tiibingen (1950); E. PAX, EIII~ANEIA, Miinchener Theol. Studien r 10 (19.55) indice, s.v. 'Feucrepiphanien'; C. M. EnsMAN, art. 'Feuer', in RGG3 II 927 s. Per A: M. P. NrtssoN, Der Flammentod des Herakles au/ dem Oite: ARW 21 {1922) 310-316; Io., Fire Festivals in Ancie11t Greece: JHS 43 {1923) .144-148; S. EITREM, Die vier Elemente

    D. Il fuoco nel Nuovo Testamento: I. le forme fenomeniche terrene; II. l'uso metaforico e traslato; III. il fuoco nell'uso teologico: L il fuoco nella teofania, 2. il fuoco come strumento del giudizio divino: a) segni premonitori, b) castigo escatologico del fuoco, e) fuoco dell'inferno; 3. il fuoco come segno della gloria celeste. E. Il /11oco presso i Padri apostolici: I. tradizione biblica; II. influssi esterni.

    in der Mysterienweihe: SymbOsl 4 (1926) 3959; J (1927) 39-59; A. D. NocK, Crcmation and Burial in the Ramon Empire: HThR 25 (1932) 321-359; O. HuTH, Der Feuerkult der Germanen: ARW 36 (1939) 108-134; K. REINHARDT, Heraklits Lehre vom Fe11er; Hermes 77 (1942) l-27; O. HuTH, Vesta. Untersuchungen 7.lltfl indogermanischen Feucrkult, Beih. z.

    ARW

    2 (1943);

    F.

    CuMONT,

    Lux perpetua

    (1949).

    Per B:

    J. HERTEL, Dìe arische Feuerlebre

    I e II, In
    1tUP A

    I

    l

    (F. Lang)

    A. IL

    Phil. 728); 7. splendore del sole: EM-

    FUOCO NEL MONDO GRECO-ELLENISTICO

    ÀLOV 1tVp (Eur., Iph. Taur. n39) e delle stelle: 1tVp 1t\IEOV't'WV ... aO''t'pWv (Soph., Ant. n46 s.); 8. splendore degli occhi: 1tUpt o'<Xnn: OEOTIELV (Hom., Il. 12,466); 9. canicola estiva: 1tupòc; il XELµwvoc; 1tpocrf3oÀij, «con l'esposizione alla cani-

    I. L'uso linguistico generale r. Uso proprio 1;vp 1 da Omero in poi si trova per indicare il fuoco nelle sue molteplici forme fenomeniche sia naturali e spontanee, sia prodotte dall'uomo. Le tre funzioni proprie del fuoco (bruciare, illuminare e scaldare) hanno influito sull'uso linguistico e ne fanno comprendere il significato peculiare: 1. fuoco del rogo, onoranza funebre: oq>pcx. 1tUp6c; µE ... ÀE· Àaxw
    cola o al freddo» (Plat., leg. 9,865b); 10. febbre ( = 1tUPE't'oc;): Aristph., fr. 690 (C.A.F. 1 561). Inoltre 't'à 'ltup&. ('t'oi:c; 1tUpo~c;): i fuochi di bivacco (Hom., Il. 8,509; Thuc. 7,80,1), e 1i nup&: il posto dove s'accende il fuoco, soprattutto per i roghi (Horn., Il. r,52) 2 • Per gli uomini il fuoco ha il duplice carattere di forza benefica, apportatrice di progresso 3, e potenza terrificante, distruttrice. Accanto agli usi sopra citati serve in guerra soprattutto come arma per distruggere città, navi ecc. 4 ; è usato anche per segnalazioni (Aesch., Ag. 9. 282; Thuc. 4,rrr,2) ed anche per purificare i metalli nobili: f3acrcx.vl~EW ... xpucròv Èv Jtupl, «saggiare ... l'oro nel fuoco» (Plat., resp. 3,4r3e, dr. polit. 303e), per mondare: ttup xcx.i)apO"Lov, «fuoco purificatore» (Eur., Iph. Aul. nr2) e per provare l'innocenza delle persone con una specie di giudizio di Dio (Soph., Ant. 265). Talvolta, ma raramente, si parla anche di un fuoco dt gioia: 'ltUp xa.t cpwç È1t,ÈÀEU1)Eplq:. ooclwv, «accendendo fuoco e luce per la libertà» (Aesch., Choeph. 863 s.).

    Osl 4 (1926) 36-38; ID., ]ohannes vattendop och det messianska elddopet, Uppsala Universitets Arsskrift 73 (194x) 1-14; H. BIETENHARD,

    so con la radice pcu che significa nettare, purificare, vagliare; cfr. il latino prims. WALDE· PoK . II r4 s.; PoKORNY 828; BoISACQ 828 s.;

    Ke11nt das N.T. die Vorstellrmg von Fegefeuer?: ThZ 3 (x947) 101-n2; J. GtULKA, Ist 1. Kor. 3,10-15 ein Schriftzeugnis fiir das Fegfe11er? E ine exegetisch-historische U11ters11· chung (1955); G. DELLING, f3&:rmoµ1t. ~ctTC'fL­

    HoFMANN 29x.

    (x957) 9i-x15. affine al tedesco Feuer, all'armeno lmr ecc. Esiste probabilmente un nesa"Mi\lctL: NovTest 2 1 Etimologicnmente

    2

    I

    Per il cambio di declinazione dr. ScHWYZER 582e.

    Cfr. la saga di Prometeo in Aesch., Prom. e \VI. KRAUS, art. 'Prometheus', in PAULY-W1ssowA 23 (1957) 653-702. 4 Lanciafiamme (Xenoph., a11. 5,2,x4). 3

    mip A 1 2.

    :i. - II

    Uso traslato

    Metaforicamente il fuoco raffigura l'impeto inarrestabile e irresistibile : 'lt'tOÀEµoc; ... lt:yptoc; 1]u..-E 1tvp, «battaglia ... furiosa come fuoco» (Horn., Il. 17,736 S.); µap\la\l't'O Oɵocc; 'ltUpÒ<; a,i;!}oµ.ivotO, «combattevano come fuoco che avvampi» (Horn., Il. I I ,596), anarchia (Eur., Hec. 607 s.), malvagità (Aristoph., Lys. 1015). Lo stesso vale per l'uso traslato: ardore della battaglia (Horn., Il. 17, 5 65}, coraggio altero: nup 1tVEtv, «spirare fuoco» (Xenoph., hist. Graec. 7 ,5, 12); anche in senso personale: 7tUp uù xa.t miv OEi:µa, «O tu fuoco e tutto terrore» (Soph., Phil. 927). Varie passioni, ad es. struggente speranza (Soph., El. 888) o brama d'amore (Ca1lim., epigr. 27,5; cfr. 45,2) sono indicate con 7tvp. L'aspetto distruttore e pericoloso del fuoco si coglie anche in espressioni proverbiali, per es. f.v 1tupt yevfo'i)m = perire (Horn., Il. 2a40), cpeuywv xoc1tvòv ( oouÀElocc;) elc; 7tUp ( OE
    w

    II. Il fuoco nella filosofia Presso i filosofi 5 7tup indica prevalentemente il fuoco nel senso di uno de-

    (F. Lnng)

    gli elementi primordiali, che possono essere due (1tup e yfj: Parmen. A 7 [Diels' I 219,36 J), tre (yfj, 11:up, \Jowp: Orfici A l [Diels' I l A 10] ), quattro (7tiip, ~owp, yai:'a., 1}1}p: Emped., jr. 17, 18 [D1els r 316,12]; Plato, Tim. 32b e passim) o cinque (a.t1'}1)p, 7tup, à.1)p, uowp, yi'j: Al'istot., cael. 3,r [p. 298b]) 6• Lo stimolo determinante a questa evoluzione è stato dato da Eraclito di Efeso (verso il 500 a.C.) che considera il fuoco la materia primordiale. Gioco del fuoco visto in un processo di continua trasformazione (7tup6ç -.e OC\l't'a.µoL~TJ -rà ml.v't'oc xa.t 7tiip &.miv..-wv, «mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose» : Heracl., Jr. 90 [Diels' I 171,6 s.]) è il mondo: <~Q~est'or~ne cosmico, identico per tutti gh esseri, non fu creato da alcuno degli dèi o degli uomini, ma sempre fu, è e sarà fuoco perennemente vivo (7tup 1hl· ~wov ), che secondo misura s'accende e secondo misura si spegne» (jr. 30 [Diels1 I 157,11 ss.]). Nel suo mutamento que· sto essere primordiale, identificato con la divinità o col logos, assume tre forme fon?amentali (1tupòç ..-pomxl: fr. 31 [D1els' I 158,6]): da fuoco diviene ac· qua, da acqua terra (via verso il basso: Jr. 60 [Diels' I 164,5]); nel movimento opposto da terra diviene acqua, da acqua fuoco (via verso l'alto). Dopo un lungo periodo cosmico tutto ritorna al fuoco primordiale attraverso una conflagrazione cosmica, da cui poi si ricompone il mondo. Egli definisce la formazione del cosmo indigenza (XptJ
    Per i presocratici cfr. l'indice dei termini s.v. Tl:Vp in Dmts' III 380-384.

    a.C.) dobbiamo una trattazione specifica sul fuoco conforme alla dottrìna degli elementi del suo maestro, cfr. Theophr., 11EpL 71:up6c; (ed. A.

    6

    GERCKE, Universitat Greifswald [ 1896] ).

    5

    Al discepolo di Aristotele Teofrasto (c.

    300

    j·'

    TIUP A II-III

    dell'uomo è di fuoco. Perciò quanto piì:1 è secca tanto più è saggia e migliore: Jr. rx8 (Diels1 I 177 A s.). Questo panteistico insieme di Dio e universo igneo, di razionalità cosmica e spirito umano ricompare più tardi soprattutto nella Stoa.

    1

    (F. Lang)

    identico al precedente: un ciclo di periodi cosmici senza fine. L'anima umana è una parte della divinità igneo-pneumatica: Zeno, fr. 135 (ibid. I 38,3 s.); Cbrysipp., /r. 885 (ibid. II 238,32) e può essere chiamata semplicemente fuoco: Zeno, Jr. 134 (ibid. I 38,2); Cbrysipp., fr. 775 (ibid. n 217,19). Dopo la morte l'anima sopravvive, ma solo fino alla conflagrazione cosmica, quando anch'essa ritorna fuoco primordiale: Chrysipp., fr. 809 (ibid. II 22 3,17 ss.). Cleante sosteneva che tutte le anime sopravvivono, Crisippo invece ammetteva solo la sopravvivenza delle anime dci saggi: Cleanthes, fr. 522 (ibid. I n8,3 ss.).

    Gli Stoici ritengono che tutto ciò che /r. 363 (v. Arnim II 123,31 s.). Essi ammettono due principi, -.ò 1t
    è reale sia corporeo: Chrysipp.,

    7

    P. STENGEL, art. 'Amphidromia', in

    W. I 8

    (1894) 1901

    PAULY-

    s.

    K. HANELL, art. 'Peristiarchos', in PAULY-W.

    19 (1937) 859.

    9 BERTHOLET-LEH.

    lO 11

    II 425.

    Ed. G. NÉMETHY (1903) 88. W. KROLL, art. 'Laphria', in

    (1924) 766-768.

    PAULY-W. I2

    Jtiip A m :r-2 (F. Lang)

    7,18 ,1 l ss.). Spesso questi fuochi venivano accesi sulla cima di un monte. Durante le grandi feste Dedale 12 i Beoti e i Plateesi erigevano un altare sulla cima del monte Citerone e lo facevano bruciare insieme con le effigi di legno portate solennemente in processione dalle vallate (Paus. 9,3,1 ss.). Nel culto dei morti l'usanza di cremare 13 i cadaveri, importata probabilmente dai Greci immigrati, non eliminò completamente l'antica concezione della sopravvivenza dei defunti. Comunque era opinione comune che il fuoco non possa distruggere l'anima (Aesch., Choeph. 323-325). 2. Nella fede teistica sono collegati al fuoco soprattutto le figure di Efesto (Vulcano) ed Estia (Vesta). La divinità pregreca di Efesto 14 è in origine il dio del fuoco della terra, dei vulcani. A ciò rimanda il mito della sua caduta dal cielo (Horn., Il. 1,590 ss., alquanto diverso in 18,395 ss.). Gli epiteti del dio sono ccWaME~c;, arnwv, 1tVpl1tvooc;, 'ltVpl'tl}c;, nvpoe~c;. nvpcrocp6poc;, creÀ.acrcp6poc; 15• Il rapporto col fuoco naturale spiega anche perché fosse venerato quale fabbro degli dèi (Horn., Il. x8,J69 ss.). Efesto è poi diventato una designazione del tutto generica del fuoco (Diod. S. 1,I2,3; «fiamma di Efesto»: Horn., Il. 9,468; 17,88; 23,33; Od. 24,71); il crepitio del fuoco è detto «riso di Efesto» (Aristot., meteor. 2,9 [p. 369a 32]. Nella loro interpretazione allegorica dei miti, gli Stoici vedono in Efesto il fuoco (Zeno, fr. 169 [ v. Arnim I 43,Jo]; Chrysipp., fr. 1076 [v. Arnimrr 315,14s.]).

    12 V. voN ScHOEFFER, art. 'Daidala' LY-W. 4 (1901) :r99I-Y993. 13 BERTHOLET-Llm. II 296;

    dr.

    6, in

    PAu-

    L. MALTEN,

    art.

    NILSSON 11

    'Hephaistos', in

    PAULY-W.

    8 (1912) 3n-366 soprattutto 327-342. 1s

    C. F. H.

    (:r893) 155 s.

    BRUCHMANN,

    16

    W. Suss, art. 'Bestia', in PAULY-W. 8 (1912)

    1257-1304.

    :r74-178.374-378. H

    L'antica dea greca Estia 16 è protettrice del focolare domestico ed incarna il centro della comunità domestica, dello Stato (Thuc., 2,5), di una contrada (Paus. B,53,9) e di un'alleanza (l'altare di Estia a Egio, il centro della lega achea). I Pitagorici ritenevano che il fuoco centrale fosse il focolare dell'universo: 7tUp é.v µÉ m:pt -tò xÉ\l'tpov O'ltEP ècr-tlav -.ou 1 'lta.V't"Òc; xa.À.E~ (Philolaos A 16 [Diels r 403,14]). Sul sacro focolare dello Stato nel pritaneo ardeva il fuoco perenne 17 (Paus., 5,15,5; Aesch., Choeph. 103n 'tÒ nvp 'tÒ rx
    Epiteta Deorum ...

    11 Cfr. il fuoco sacro e inestinguibile (ignis aeternus: Cic., pro M. Fonteio oratio 47) affidato alle cure delle Vestali a Roma (BERTHOLE1'-

    LEH, Il 449). 18 19 W

    Secondo un'indicazione di H. KLllINKNBCHT. Ovid., fast. 3,503: ortus ili igne Bacchus. W. F. OTTO, Dionysos (:r933) 136.

    ,, -~;

    ·_ ;

    833 l VI,931)

    a Pind., Nem . 3,60) 21 si trasformano in fuoco 21 • Nelle epifanie delle divinità 23 spesso si rammentano fenomeni ignei che ne esprimono il fulgore. Quando apparve ad Anchlse, Afrodite indossava una veste cpc:tL\IO"t'EpO\I 1'UpÒc; auyr}ç, «più splendente d'un bagliore di fuoco» (Horn., hymn. Ven. 86 ). Nell'epifania di Dioniso alla morte di Penteo 'ltpòc; oupavòv xaL yafav fo-.i]ptsE cpwc; 1n:µvtou itUpoc;, «verso il cielo e la terra si levò il fulgore del sacro fuoco» (Eur., Ba. xo83 s.). Nella pia leggenda circa il passaggio del culto del dio Serapide da Sinope ad Alessandria la figura divina apparsa in sogno si innalza al cielo igne plurimo (Tac., hist. 4,83). I fènomeni ignei rientrano anche nel novero dei numerosi segni premonitori 24 ; per es. fuoco sanguigno che cade sulla terra è un presagio infausto (Plin., nat. hist. 2,27 ). Nel descrivere il mondo degli inferi 25 si parla di «molto fuoco e grandi fiumi di fuoco» (Plat., Phaed. r 1 rd). Il terzo dei quattro grandi fiumi sotterranei, che dapprima si versa in un'ampia pianura dove arde un enorme fuoco per poi gettarsi nel Tartaro, si chiama Piriflegetonte. Esso è la fonte dei monti che emettono fuoco, non un luogo di tormenti (Phaed. n3a.b). Troviamo però anche l'idea della purificazione delle anime per mezzo del fuoco 26 oltre che con l'acqua 2! Ed. A. B. DRACHMANN III (1927) 51 s. 2? La mitologia conosce anche animali che spirano fuoco: Diomedis equi spirantes naribus ignem: Lucretius, de rerum natura 5,29 (ed. ]. MARTIN [ 1953] 176); tauri: Ve.rgil., georgico11 2,140. 23 E. PFIS'J'ER, art. 'Epiphanie', in PAULY-W. Suppl. 4 (1924) 315; ~PAX 26.30. 2~ Abbondante document82ione nel prodigiomm liber di Iulius Obsequens (ed. O. RossDACH [1910] 153-181). 25 Cfr. L. RADERMACHER, Das ]enseits im Mythos der Hellenen (1903) 96. 26 E. NoRDEN, P. Vergilius Maro, Aeneis Buch 2 VI (1916) 28.

    e il vento: aliae panduntur inanes suspensae ad ventos, aliis sub gurgite vasto infectum eluitur scelus, aut exuritur igni (Vergil., Aen. 6,740 ss.). 3. Nei culti misterici il fuoco ha una notevole importanza nei riti di purificazione che precedono la 'epoptia' (cfr. Suid., s.v. Mlì}pou) e soprattutto quale fonte di luce a simbolo della celeste natura luminosa della divinità e del nuovo essere del miste 27 (.fiaccola~ VI, coli. 60 ss .). Secondo Hipp., 1·ef. 5,8,40 i misteri eleusini venivano celebrati unò 'ltoÀÀ{i) 'ltUpl. Con l'alternarsi di buio e chiarore il miste deve sperimentare l'orrore delle tenebre e la felicità dell'aldilà 28 • Nelle pratiche selvagge dei Baccanali in Roma donne invasate immergono nel Tevere .fiaccole accese (Liv. 39, r3). Nei misteri ellenistico-orientali, durante l'epoptia spesso col fuoco si ottengono effetti luminosi 29 • Nel culto di Mitra l'iniziato viene rigenerato dallo spirito perché ammiri il sacro fuoco (tva ~a.vµci.c;w -.ò Ì.EpÒv 'ltUp: Mithr. Liturg. 4,15). Egli deve contemplare «con spirito immortale l'immortale eone e signore delle corone di fuoco» (4,21 s.). Questo eone, dio del fuoco 30, viene invocato nella preghiera con questi titoli: «Esaudiscimi ... signore, che con il soffio dello spirito hai chiuso gli infuocati chiavistel21 Secondo~

    ElTREM 4,52 ss.; 5,39.54 ss. nella consacrazione misterica avviene una rinascita elementare, una riedificazione dell'uomo attraverso i puri elementi primordiali dopo che è stato purificato dagli elémenti hylici ed è cosl stato reso idoneo alla visione della divinità. Pare che a questo riguardo il modello sia stato offerto dalla dottrina persiana degli elementi (cfr. Hdt. l,131). 28 O. KERN, art. 'Mysterien', in PAULY-W. 16 (1935) 1243. 29 TH. HoPFNER, art. 'Die orientalisch-hellenistische Mysterien', in PAULY-W. (1935) 1334. 3'J Cfr. A. Drn'l'ERICH, Abraxas (1891) 48-62.

    1tvp A 3 - B (F. Lang)

    li del cielo, che governi il fuoco (nupl7tOÀ.E ), spiri fuoco (7tupbtvoE), sei coraggioso come il fuoco (7tupil)uµe), hai la gioia del fuoco ('ltVPLX
    B. IL

    CULTO DE L FUOCO NELLA RELIGIO-

    NE PERSIANA

    Il culto del fuoco è diffuso presso tutso tutti i popoli, ma è sviluppato soprattutto presso gli indoeuropei. A questo riguardo nell'ambiente biblico riveste particolare importanza la religione persiana 31 • Già gli antichi Greci sapevano che presso i Persiani il fuoco era adorato come un dio: Hdt. 1,131, cfr. 3,16: IIÉpcra1 ycìp ikòv voµlsoucn E°LvaL -tò 7tvp, «i Persiani ritengono che il fuoco sia un dio»; dr. Diog. L., prooimion 6; Luc., !up. /rag. 42; Strabo 15,3.13 s. 16; Did. S. I7,u4+ Nel dualismo cosmologico ed etico del mazdaismo di Zaratustra il fuoco e il serpente personificano l'antitesi tra verità (A.fo) e menzogna (Drug) . In essa si 11

    Circa l'idea di fuoco presso gli Egizi dr. C.

    CLEMEN,

    Fontes religionis aegyptiacae (r925)

    rispecchia l'antico mito fondamentale iranico della lotta fra Atar (fuoco) e Azi Dahaka (drago). Gli uomini partecipano ineluttabilmente a questa lotta col loro comportamento. Essi combattono per j buoni sentimenti, la verità e la vita curando gli esseri buoni (per es. il bue, il fuoco e la terra); oppure consolidano il campo delle forze avverse. In questa prospettiva il fuoco appartiene inequivocabilmente alla parte buona, al regno di Ahura Mazda che l'ortodossia persiana ritenne sempre fornito di un corpo di fuoco, una .fiamma che splende di luce increata. Molto spesso nelle invocazioni il fuoco è chiamato «figlio del saggio signore» (Yama l,38; 2,18.48; 3, 26.52 e passim) 32 • Il fuoco è personificazione terrena di Asa vahista, il genio della verità o della migliore giustizia, che viene computato fra gli Ame5a Spenta, i «santi immortali». In essi si estrinseca e produce i suoi effetti la natura e il governo cosmico di Ahura Mazda. Essi sono in una certa misura ipostasi delle sue proprietà e hanno valore fisico e morale insieme. La loro funzione è custodire la vita e far progredire il mondo. Pertanto il fuoco è l'elemento più importante della purità, la più efficace energia vitale del regno divino della verità (Yasna 46,7). Questo elemento puro è adorato perché incarna questa energia divino-spirituale, come conferma il fatto che non si giunse ad una personificazione del dio del fuoco. Tutto ciò che riguarda morte, cattiva crescita o minorazione della vita rende impuro e non deve venire in alcun modo in contatto col fuoco. Di qui il particolare genere di onoranze funebri. Per quanto possibile i cadaveri non devono contaminare il fuoco, l'acqua e la terra; perciò vengono abbandonati, indice analitico, s.v. ignis; -+ LANG 23-26. 32

    Ed. F. SPIEGEL (1859).

    7tUp .O \ l'.

    privi di vesti, sulle «torri del silenzio» (dakhmas) alle belve, che sono in ogni caso incarnazioni dello spirito malvagio. La cremazione del cadavere è ritenuta la colpa più riprovevole (Vendidad 8,229 ss.)33.

    Lang}

    mente nel metallo fuso» (30,r8-20) 35. Alla fine Ahura Mazda sconfigge gli ultimi due avversari Ahriman e Az (il demone della cupidigia in figura di serpente) e purifica definitivamente l'inferno con la potenza dcl fuoco. La terra rinnovata 36 sarà una superficie piana senza ghiacci (Bundahish 30,30-33). Il fuoco quindi è la difesa dell'ordinamento vitale buono, divino, l'opposto delle po· testà ostili a Dio, demoniache, che dimorano nelle tenebre e nel freddo deserto. In questa concezione diavolo e inferno non hanno fondamentalmente alcuna partecipazione al fuoco.

    Nell'escatologia il fuoco è presentato come il mezzo dell'ultima prova nel giudizio finale 34 • Nelle Gatha si dice: «Perciò, saggio signore, nel giudizio dovrai distribuire per mezzo dello spirito santo (e) del fuoco (la ricompensa e il castigo) secondo la colpa e il merito con l'aiuto di Armaiti e Asa» (Yasna 47,6). Sempre nelle Gatha troviamo anche la tipiMentre nell'antico periodo degli Aca immagine del fiume di metallo fuso e ardente per distinguere i cattivi dai chemenidi Ahura Mazda veniva adorabuoni, quando si descrive più dettaglia- to all'aperto davanti all'altare fiammegtamente lo scopo di questa prova me- giante (Hdt. l,131 s.), in seguito vendiante il rosso fuoco di Ahura Mazda, nero in uso appositi templi dcl fuoco 37 «per imprimere col metallo fuso un se- simili agli attuali edifici di culto persiagno sulle coscienze a detrimento degli ni. Nella cella più interna, chiusa da oeretici e a vantaggio dei veri credenti» gni lato e completamente buia, arde il (Yasna 51,9). Il Bundahish, più recente fuoco sacro in un recipiente di metallo (sec. IX d.C.), illustra ulteriormente que- posto sopra una pietra quadrata. Nessusto atto di purificazione: «Quando Go- na mano d'uomo o respiro umano lo può cihar in cielo scenderà sulla terra sopra contaminare; perciò i sacerdoti addetti un raggio di luna, la terra sarà presa da al fuoco 38 devono indossare guantoni e una grande angoscia, come una pecora portare una benda davanti alla bocca e assalita da un lupo. Quindi fonderanno attizzare il fuoco, alimentato continuail fuoco e ... il metallo di Shatvair (ar- mente da legno ritualmente puro, mecangelo dei metalli) nei massicci e nei diante pinze e palette 39• Da questo samonti e sulla terra sta come una cor- cro focolare viene prelevato ogni fuoco rente. Allora tutti gli uomini saliranno nuovo che dovrà ardere nelle case 40 • nel metallo fuso e saranno purificati. Se uno è giusto sarà come se si trovasse nel latte tiepido, se invece è empio sarà come se nel mondo egli giungesse perenneEd. F. SPIEGEL (x852) x53. 1-79 studia lo sviluppo dall'ordalia escatologica del fuoco nelle Gatha di Zaratustra fino alla conflagrazione cosmica degli scritti medio-persiani. 35 Ed. K. F. GELDNBR (x9:z6). 36 Circa il fuoco quale strumento di perfezionamento del mondo cfr. ~ MAYER 55 s. 37 Alla luce dei reperti archeologici --+ ERD33 3f

    --+ MAYER

    tenta una ricostruzione dell'evoluzione architettonica del tempio del fuoco. 38 Circa il rapporto tra culto persiano del fuoco e culto della dea Anahita cfr. ---> WIKANDER, soprattutto 52-Iox. 39 BERTHOLET-LEH. Il 236 s.
    MANN

    839 (VI,933)

    11\ip

    el

    C. IL

    FUOCO NELL'A.1'., NEL TARDO GIUDAISMO E NELLA GNOSI

    I. Antico T es/amento r. Statistica delle traduzioni Nella stragrande maggioranza dei casi niip traduce l'ebraico 'és (c. 350 volte) e in Daniele l'aramaico nfJr (LXX 12 volte; Theod. 16 volte). Nei LXX nvp si trova circa 490 volte di cui c. 100 nei libri col solo testo greco. 1) nvpa è usato esclusivamente negli apocrifi (8 volte). Altri equivalenti ebraici di niip sono rari, per es. 'ur (Is. 44,16; 47,I4; fa. 5,2 ); s•réfa (Gen. l I ,3; Am. 4,u ); 'iHeh (I Sam. 2,28); b•'éra (Ex. 22,5); lehàba (Is. 10,17; cfr. Ex. 3,2); rdef (Ps. 78,48). 'es viene raramente tradotto con altd termini greci (Lev. 2,14; qàliìi bà'es = nE
    Forme di uso tecnico

    Non è necessario analizzare nei particolari le svariate forme di fuoco spontane~ o prodotto dall'uomo. A questo riguardo l'A.T. non presenta alcuna peculiarità degna di nota, perciò sarà sufficiente un rapido accenno ai principali settori d'impiego : nell'uso domestico per preparare i cibi (Ex. 12,8; 2 Chron. 35,13; Ier. 7,18 e passim) e per riscaldamento d'inverno (ls. 44,15 s.; Ier. 36, 22); nell'attività artigianale (per es. Gen. u,3); soprattutto nella fusione dei metalli (Ier. 6,29; Ecclus 38,28 e pasSecondo un racconto apocrifo, quando il popolo fu deportato in esilio il fuoco sacro fu celato dai sacerdoti in una cisterna. Venne poi riscoperto sotto Neemia e, dopo che per un prodigio prese fuoco l'acqua del pozzo, fu riportato sul nuovo altare dei rimpatriati. Di qui l'usanza di celebrare un'apposita festa del fuo41

    I-2 (F. Lang)

    sim); in guerra come mezzo di distruzione (per es . Deut. 13,17; !ud. 20,48; Am. r,4; Ier. 21,10; Ps. 46,10). Di sabato era proibito accendere il fuoco (Ex. 35,3). Come fonte di illuminazione il fuoco è menzionato in Iudith 13,13.

    Nel culto, il fuoco è usato soprattutto nel sacrificio (Lev. 1,7 ss.). il fuoco

    dell'altare va tenuto costantemente acceso con l'olocausto quotidiano e non deve mai spegnersi (Lev. 6,2.6). Perciò nella terminologia recente è chiamato «fuoco perenne» (niip évoEÀEXÉ~: 1 Ecrop. 6 ,2 3) 41 • Era severamente proibito offrire un sacrificio con fuoco che non fosse dell'altare. Tale sacrificio contro le norme del culto si chiama 'es zàra = nvp &.).).6-rptov (Lev. 10,1; Num. 3A). La legge condanna in quanto mostruosità pagana i sacrifici di bambini in ono· re di Moloc (Lev. 20,2; Deut. 12,31; 18, 10 ). Ciò nonostante sotto Acaz (2 Reg. 16,3), e soprattutto sotto Manasse (2 Reg. 21,6) nella valle di Hinnom furono offerti sacrifici di bambini (cfr. Ier. 7 ,3 r ), e l'espressione tecnica per designare questa azione è: «far passate i propri figli, o le proprie :figlie, attraverso il fuoco» : he'ebir bà'es=StayEw Èv 'lt\Jpl (2Reg. q,17; 21,6) 42 • Nel culto il fuoco ha anche la funzione di mezzo rituale di purificazione(~ 1v, col. 1264) (Lev. 13,52; Num. 31,23; Is. 6,6 ~col. 843) e di distruzione degli oggetti consacrati per sottrarli alla profanazione (Ex. 12,ro; 29,;4; Lev. 4,12 e passim, forse anche Num. 6,18). La cremazione del cadavere è prevista solo per i malfattori (Gen. 38,24; Lev. 20,14; 21,9; Ios. 7,.15) 43 • Forse s'avverte qui l'idea di salco (2 Mach. 1,r8 ss.). 42 In Deut. i8,10 i LXX traducono ma'abir... bii'eJ con 7CEp~xa.Da.lpW'll ... tv mipl. 43 Nel caso di Saul e dei suoi figli (.i: Sam. 3x, 12) non abbiamo una regolare cremazione del cadavere, ma un particolare modo di sepoltura (Bibl. Reali. 239).

    'ltVp

    e I 2-4a (F. Lang)

    vaguardare la purezza del popolo, come quando si distruggono col fuoco altari e idoli pagani (Deut. 7,5.25; 2 Reg. 23, n; I Chron. 14,12 e passim) o quando i nemici e i loro beni vengono radicalmente annientati col ferro e col fuoco nell'anatema (Deut. 13,17; Ios. 6,24; r Sam. 15).

    Quale fenomeno naturale il fuoco s'incontra soprattutto nel1a folgore. Come il tuono è la «voce di Dio», così la folgore è il «fuoco di Dio» (lob l,r6; 2 Reg. l, 12); cfr. il «fuoco di Jahvé» (Num. II, l; I Reg. 18,38). Questo significato è particolarmente chiaro quando il fuoco appare accanto ad altri fenomeni naturali, per es. tuoni (Ex. 9,28; Ps. 29,7), grandine (Ex. 9,24; Ps. 78,48; IOJ,32), tempesta e bufera (Is. 29,6), vento (Ps. 104,4), neve e ghiaccio (Ps. 148,8). In qualche caso, dato il contesto, 'es significa canicola, grande siccità (Am. 7,4; Ioel 1,19). In lob 28.J (k•mo-'es; Theod.: wcreì. 7tUp) il lavoro di miniera è paragonato all'attività di un vulcano; ma nel testo originario si deve forse leggere «con fuoco», con probabile riferimento a un'antichissima procedimento col quale nel pozzo si ammolliva il minerale mediante il fuoco di legna 44 •

    per indicare il giudizio dell'ira divina (Ier. 4.4; 5,14; 21,12; 21,36; 22,2x.31; 38,19; Soph. 1,18; 3,8; Nah. 1,6; Ps. 79,J; 89,47). Nei particolari l'uso linguistico si rifà a varie immagini: incendio nel bosco (Ier. 21,14); fornace (Ps. 21,10); rogo {Is. 30,33); fuoco del fonditore (Mal. 3,2); folgore (Lam. 1,13) . Di solito s'intende illustrare l'irresistibile forza distruttrice, talvolta invece la tendenza ad allargarsi (per es. nel caso dell'incendio nel bosco), l'insaziabilità (Prov. 30,16), l'azione purificatrice del fuoco del fonditore e, raramente, l'instabilità dei persecutori (un fuoco di pruni: Ps. n8,12). Vi sono poi espressioni proverbiali, per es. «come un ciocco strappato al fuoco» (Am. 4,n ; Zach. 3, 2) per indicare qualcuno che è riuscito a sfuggire a un pericolo gravissimo, e «come la cera fonde al fuoco» (Mich. 1,4; Ps. 68,3; 97,J) per indicare un processo di dissoluzione inarrestabile e radicale. È molto diffuso inoltre il paragone del fuoco del fonditore di metalli per indicare la purificazione ne~ dolore o nel castigo (ls. l,22.25; ler. 6,27 s.; Ez. 22,17-22; Mal. 3,2; Prov. 17,3; Ecclus 2,5; Zach. 13,9). Per contro recede notevolmente nell'uso linguistico metaforico e traslato la funzione illuminante del fuoco (Nah. 2, 4; r Mach. 6a9).

    3. Uso traslato In questo uso acquista valore prevalente la forza distruttrice del fuoco. Nel- 4 . Il fuoco in relazione a Dio la letteratura sapienziale passioni uma- a) Il fuoco nella teofania ne d'ogni sorta sono paragonate al fuoco: calunnia e litigiosità (Prov. 26,20 In quasi tutte le scene di teofania dels.), ira (Ecclus 28,10 s.), spargimento di 1'A.T. il fuoco compàte come forma rapsangue (Ecclus n,32; 22,24), passione presentativa dell'inaccessibile santità e amorosa e voluttà (Ecclus 9,8; 23,17), della sovrana maestà di Jahvé. Fondaadulterio (lob 31,12; Prov. 6,27 s.: e- mentale per le successive rafligutazioni quiparato al camminare su carboni ar- fu la teofania al Sinai (Ex. 19) nella quale denti), peccati (Ecclus 3,30; 8,10). Ma certi tratti fanno pensare a una bufera il fuoco è soprattutto immagine abituale con tuoni e fulmini e a un'eruzione vul44

    Cfr. G. H6LSCHER, Das Bucb Hiob, Hand-

    buch A.T. (z937) ad I.; 98.

    GALUNG,

    Bibl. Reali.

    'ltUp e

    I

    4a-b (F. Lang)

    canica accompagnata da terremoto. Non sempre però la teofania è inserita nel quadro di fenomeni naturali di questo genere. Nella scena della vocazione di Mosè Jahvé appare nel roveto ardente (Ex. 3,2) e a Gedeone si mostra in una fiamma che arde dalla pietra (Iud. 6,21 ). Il fuoco è il medium della presenza rivelativa di Dio e rappresenta il mistero della gloria di Jahvé, il k"bOd jhwh (Ex. 24,17, ~ u, col. 1365). La colonna di nube e di fuoco che precedeva Israele nel deserto (Ex. 13 ,21 s.; 14,24; Num. 14,14; cfr. Neem. 9,12.19) indica che il Dio «disceso nel fuoco sul Sinai» non è legato a una località, ma continua a guidare e a difendere il suo popolo. Nelle scene teofaniche più recenti diventa sempre più evidente il progressivo allontanamento teologico dall'elemento materiale. Nell'apparizione di Dio ad Elia sull'Horeb si dice esplicitamente: «Il Signore non era nel fuoco» (I Reg. 19, 12). L'essere di Dio non si esaurisce negli elementi, egli è Signore e sovrano delle forze della natura (dr. Ps. 104,4). La vera e propria rivelazione avviene attraverso la parola (r Reg. 19,13; dr. Ex. 3,4 ss. e 19,21 ss.). Nella visione evocazione di Isaia, descritta in termini cultuali, il fuoco serve a purificare le labbra impure per il servizio divino di annunciatore (Is. 6,6). La visione di Dio del profeta Ezechiele (cap. l), che presenta aspetti affini a Is. 6, è dominata dalla scena del trono celeste sorretto da quattro esseri che attestano l'onnipotenza di Dio operante in ogni parte anche durante l'esilio d'Israele 45 • In questo caso il fuoco serve ad esprimere lo splendore raggiante e la luminosa gloria divina del k"bOd jhwh (Ez. 1,28). In Dan. 7 il fuoco è ormai l'immagine usuale per 45 Circa il nucleo originario e l'ampliamento del racconto con l'immagine del trono mobile sopra il carro, propria della 'scuola' di Ezcchie-

    descrivere lo splendore luminoso che è proprio non solo di Dio, ma anche degli angeli (cfr. Dan. ro,6). b) Il fuoco come strumento del giudizio

    divino Nell'A.T. si tratta in primo luogo di un intervento punitivo di Jahvé nel corso della storia. Come nella rappresentazione della teofania ha influito decisamente la rivelazione sul Sinai, cosl qui - per quanto riguarda il giudizio di condanna - un influsso determinante sulle successive rappresentazioni è stato esercitato dalla distruzione di Sodoma e Gomorra mediante zolfo e fuoco (Gen. 19, 24). Parimenti il motivo delle dieci pia· ghe d'Egitto (la settima era «fuoco fìam· meggiante in mezzo alla grandine»: Ex. 9 ,24) ha influito fìn sulle raffigurazioni escatologiche (cfr. Apoc. 8,7). Per indicare l'intervento punitivo di Jahvé si crearono alcune formule fisse: «Fuoco usd da Jahvé» (Lev. 10,2), «cadde fuo· co dal cielo» (2 Reg. 1,10), «il fuoco di Jahvé divampò su di essi» (Num. u,1). Presso i profeti il fuoco è uno dei più consueti strumenti del giudizio divino che colpisce sia gli arroganti nemici d'Israele (Am. 1'4-7 ·10.12.14; 2,2 ; Ier. 43, 12; Nah. 3,13 e passim) sia l'indocile popolo di Dio (Am. 2,5; Os. 8,14; Ier. u, 16; 17.'27; 21,14; 22,7; Ez. 15,7; 16, 41; 24,9 e passim). Lo stretto legame le, dr. W. Z IMMERLI, Ezechiel, Bibl. Komm. A.T. x3 (1956) 46-70.

    11iip

    e I 4b-c (F. Lang)

    tra immagini di condanna e teofania esprime l'idea che il fuoco non è una cieca forza della natura, ma uno strumento di punizione in mano al giudice divino. Altrettanto si può dire per il fuoco del giudizio escatologico che troviamo presso i profeti. Il pensiero biblico a questo riguardo ruota in ptimo luogo attorno alla figura di Jahvé che si manifesta per giudicare; non è invece interessato a definire in che modo si attuerà In fine del mondo o la trasformazione degli elementi, come avviene per es. nella dottrina stoica della conflagrazione cosmica. Tre sono principalmente le funzioni attribuite al fuoco nel dramma escatologico: 1. il fuoco è uno dei segni premonitori del giorno di Jahvé (Ioel 3, 3). 2. Jahvé attraverso il fuoco attuerà il suo giudizio di distruzione su tutti i suoi nemici (Mal. 3,19; ls. 66,15 s.; fa. 38,22; 39,6) 46 • 3. I dannati subiscono la pena eterna del fuoco. Quest'ultima idea si trova solo in epoca postesilica e non senza l'influsso di concezioni non israelitiche. In questo contesto il passo veterotestamentario più influente fu Is. 66,24 in cui il verme e il fuoco indicano 46 In età preesilica di solito si tratta di giudizi limitati a un certo territorio; solo Soph. r,18; 3 ,8 parlano metaforicamente di un castigo di fuoco esteso a tutta la terra. Dopo l'esilio 1a scena su cui si compie il giudizio del fuoco si allarga notevolmente, per es. Is. 33,n s.; Ioel 2,3; Zach. u,6; Non troviamo nell'A.T. un testo esplicito sulla conflagrazione universale. A differenza del parsismo il fuoco del giudizio non è collegato all'idea dell'ordalia (--7 MAYER

    132). 47

    Già nel caso del primo sacrificio della Bib-

    un perenne processo di dissoluzione e di castigo (cfr. Is. 34,10; Iudith 16,17; Ecclus 2r,9 s.). L'A.T. non usa ancora l'espressione tecnica «fuoco eterno» per indicare la pena dell'inferno. c) Il fuoco come segno dell'intervento di

    grazia Anche se molto più raramente, talvolta il fuoco è anche segno della grazia divina. Tale uso di solito serve a indicare l'accettazione di sacrifici: con una epifania per mezzo del fuoco Jahvé manifesta la sua accettazione del sacrificio e la sua presenza salvifica (Gen. 15,17; Lev. 9, 23 s.; !ud. 6,21; I Reg. r8,38; I Chron . 21,26; 2 Chron. 7,1) 47 • Inoltre il fuoco ha una funzione intermediaria nel caso di uomini straordinari che vengono accolti in cielo (per Elia [2 Reg. 2,II] abbiamo un carro di fuoco con cavalli anch'essi di fuoco). Spesso fenomeni ignei indicano la presenza della guida (la colonna di nubi e di fuoco nel deserto ~ col. 843) e della protezione divina (2 Reg. 6,17). In Zach. 2,9 (LXX) troviamo che Jahvé è un muro di fuoco che protegge all'esterno 48 e uno splendore di luce all'interno. Nell'èra escatologica di salvezza la presenza di grazia di Dio viene descritta prevalentemente in termini di luce (cfr. Is. 58,10; 60,r s. 19 s.); solo in qualche caso l'inabitazione del Signore nella città perfetta di Dio è bia Teodozione interpret;i lo sguardo benigno di Jahvé su Abele e il suo dono come una consumazione dell'offerta per mezzo del fuoco (Gen. 4,4: ~VE'ltvp~crnv; ebr.: wa;;isa'; LXX: È'ltE~OEV) .

    48 · In connessione con Gen. 3,24 e Zach. 2,9 si

    sviluppa evidentemente l'idea attestata da Lact., inst. 2,x2,19 (CSEL 19,158): ipsumque Paradisum igni circumvallavit (Deus). Cfr. F. J . DOLGER, Sol Salutis (x925) 227 n. 3; A. JEREMIAs, Das A.T. im Lichte des alten Orients' (19x6) IOo.358

    [G. BERTRAM].

    'llUP

    eI

    4c - II I (F. Lang)

    II. Sviluppi nel lardo giudaismo

    desçr:itta anche con l'immagine di una manifestazione di fuoco (ls. 4,5).

    l -

    d) Il fuoco come designazione di Dio

    Quando nell'A.T. Dio è definito fuoco divoratore ('es 'okla : Deut. 4,24; 9, 3; Is. 33,14) non è inteso come elemento personificato (cfr. Agni, il dio indiano del fuoco) o sostanza primordiale di ogni essere e divenire (Eraclito e la Stoa ~ coli. 828 ss.). Nell'A.T. questa designazione indica invece la natura maiestatica che racchiude in sé castigo e grazia e il comportamento di Jahvé come giudice: egli vigila sull'osservanza dei suoi comandamenti con ardore di fuoco! È quanto illustra con sufficiente chiarezza l'aggiunta esplicativa «un Dio geloso» (Deut. 4,24) ed emerge incontrovertibilmente da tutta la concezione veterotestamentaria di Dio. In questo senso luce e fuoco possono addirittura indicare il Dio che interviene con la sua grazia e il suo giudizio: «La luce d'Israele diventa fuoco e il suo Santo diviene .fiamma» (Is. 10,17). Se nelle civiltà limitrofe l'idea di fuoco orientata in senso cosmologico-ideologico prende le mosse prevalentemente dall'elemento naturale, nell'A.T. il fuoco è visto in modo del tutto teocentrico quale forma descrittiva della misteriosa, inavvicinabile, terribile e beatificante gloria di Jahvé nel processo rivelativo e quale strumento e immagine costante del suo atteggiamento di giudice.

    4g

    Nell'atto dell'ispirazione lo spirito viene descritto con l'immagine di un calice pieno d'acqua, «il cui colore era simile a fuoco» (4 Esdr. 14,39). so Cfr. però anche He11. acth. 1,6 ss.; vii. Ad.

    Apocalittica

    Mentre nell'A.T. gli astri hanno solo la funzione di scandire il tempo dividendolo in giorno e notte, nell'apocalittica sono spesso descritti come corpi ignei: il sole (Hen. aeth. 72,4 s.; Bar. gr. 6 e 8 ); le Stelle «Come grandi monti fiammeggianti» (Hen. aeth. x8,13). L'idea delle stelle disobbedienti (Hen. aeth. 18, 15) è collegata spesso con quella degli angeli peccatori (19,1-3). Talvolta in 4 Esdr. abbiamo accenni alla dottrina dei quattro elementi, per cui anche l'uomo, in quanto microcosmo, è fatto di terra, acqua, aria e fuoco (4 Esdr. 4,rn s.; 8, 8) 49 • Molta importanza ha acquistato il fuoco nell'escatologia: giudizio finale con fuoco (Hen.aeth. 102,1; Bar. syr. 37, r; 48a9.43; 4Esdr. l3,10s.; Ps. Sai. 15,4 s .; Iub. 9,15; 36,10; Sib. 3,53 s. 71s. 542.618.673 s. 761; 4,159 s.; apoc. El. 40,17 ss.). L'idea della conflagrazione cosmica è sviluppata esplicitamente soprattutto nei Libri Sibillini 50 (Sib. 2, 186 ss. 238 ss. 315 ss.; 3,83 ss.; 4,172 ss.; 5,158 ss. 2n ss. 512-531), nei quali i motivi del fiume di metallo incandescente e delle stelle che precipitano ricordano influssi iranici. Nel dualismo sempre più netto dell'apocalittica il fuoco compare soprattutto in duplice forma: a) come strumento di tormento eterno nell'inferno (Hen. aeth. 9 1,9; 100, 9; 103,8; 4 Esdr. 7,38; Bar. syr. 44,15; 59,2); fuoco eterno (Bar. gr. 4,16; test. Zab. 10,3; cfr. test. Iud. 25,3; 4 Mach. 12,12); abisso di fuoco (Hen. aeth. 90, 24; Hen. gr. 10,13 : xaoç''t'OU 1tUp6c;); palude di fuoco (Hen. aeth. 90,25 51 ; 49 s.; apoc. Eliae 43,5 s.; Pseud.-Sophodes 2,r-

    6 51

    (RIESSLER xo46). Cfr. A. DIETBRICH,

    Nekyia' (1913) 2I8·22I. In Hen. aeth. 90,25 come testo greco va probabilmente presupposto Àlµ\ITj [P. KATZ] .

    m)p

    849 (vr,937)

    e II 1-2 (F. Lang)

    Hen . gr. 10,6: ɵ'Ttuptcrµ6ç); colonne di fuoco (Hen. aeth. 18,II; 21,7; 90,26); mare di fuoco (apoc. Soph. 7,2.3); fornaci di fuoco (Hen. aeth. 54,6; 98,3; 4Esdr. 7,36; cfr. vis. Esdr. 48); incandescenti strumenti di tortura (apoc. Esdr. 4,9 ss. 16 ss.; vis. Esdr. 13 ss. 19 . 45 s.; apoc. Soph. 5,1; 15,6; Sib. 2,286 ss. 295). b) Come caratteristica del celeste mondo della luce (Hen. aeth. 14,925; 71,1-12; apoc. Abr. 18; vit. Ad. 25); gli angeli visti come esseri di fuoco (Hen. slav. 1,5; 29,3; 4Esdr. 8,21; Bar. syr. 21,6; apoc. Soph. 9,4; apoc. Abr. 19,5-9; angelo dello spirito di fuoco (Iub . 2,2). 2. Rabbini

    fuoco) (Joma b. 21h bar.). Il rabbinismo condanna il culto del fuoco : gli adoratori del fuoco (pabbartm) sono paragonati agli «angeli della perdizione» ( Qid. b. 72a). Nel racconto del Sinai spesso si paragona la torà al fuoco. La legge era di fuoco, la pergamena su cui ern scritta era di fuoco bianco, i caratteri della scrittura erano di fuoco nero (Sota j. 8, 4 [22d,32 ss.]). In Deut. 33,2 (Midr.: «alla sua destra stava il fuoco della legge») la torà è detta fuoco 52 • «I due fuochi» della torà sono la legge seri tta e la legge orale (Cant. r. 2,J). Da questa prospettiva si comprendono anche i fenomeni ignei che accompagnano lo studio e la lettura della torà 53 , e infine l'idea che i rabbini, in quanto studiosi dediti completamente alia torà, sono essi stessi di fuoco: il fuoco dell'inferno non può nulla contro gli studiosi della Scrittura, «dei quali tutto il corpo è fuoco» (Hag. b. 27a).

    Circa l'origine temporale del fuoco esistevano diverse opinioni. Il midrash annovera il fuoco tra i tre elementi preesistenti al mondo (Ex. r. 15 a 12,12). Secondo una dottrina comune esso fu fatto il secondo giorno della creazione, secondo un'altra, invece, alla vigilia o sul fìnire del sabato (Pes. b. 54a). I rabbini Nell'escatologia iJ rabbinismo, come distinguevano sei comportamenti del l'apocalittica, ha sviluppato ulteriormenfuoco: il primo «consuma e non beve»: è te soprattutto le idee circa il cielo e l'inil normale fuoco spento dall'acqua; il se- ferno, probabilmente non senza risenticondo «beve e non consuma»: è la feb- re di influssi babilonesi e iranici~. Dal bre (Shab. b. 67a); ]eb. b. 71b); il terzo sec. II a.C. la Sheol, che in origine era «consuma e beve»: è il fuoco di Elia il luogo tenebroso in cui soggiornavano (I Reg. 18,38); H quarto «consuma ciò tutti i morti, diventa sempre più espliche è umido e ciò che è secco»: è il fuo- citamente il luogo infuocato in cui venco dell'altare; il quinto «allontana il gono puniti gli empi 55 (~ r, coli. 393 ss.; fuoco normale»: è il fuoco dell'angelo II, 375 ss.) e che di solito dai rabbini è Gabriele che raffreddò la fornace arden- chiamato Gehinnom. Pare che ai tempi te (Dan. 3,25); il sesto «consuma l'al- di Gesù la Sheol fosse ancora considerata tro»: è il fuoco della divinità; infatti il la sede·intermedia di punizione accanto maestro disse che col suo dito aveva al Gehinnom escatologico 56• Ma dopo la bruciato gli angeli ribelli ( = esseri di famosa sentenza di R. Johanan ben Zac52 STRACK-BILLERBECK IV Sl STRACK-BILLl!RBECK II

    xo68.

    6o3 S.

    L'idea di conflagrazione universale non ha trovato seguito presso i rabbini; solo sporadi-

    S4

    camente si trova l'equivalenza diluvio·conffa. grazione (M. Ex. r8,r (64b]); STRACK-BILLER· BECK III 773· 55 STRACK-BILLERBECK IV 1075 s. 56 STRACK·BILLERBECK IV 1023.

    7'VP

    e II 2-3 (F. Lang)

    cai (verso il 20 d.C.) circa le due vie che conducono al Gan Eden e al Gehinnom (Ber. b. 28b [-?VIII, col. I68]),presso i rabbini un po' alla volta il Gehinnom sostituisce la Sheol anche quale intermedio luogo di punizione. Già nel Gehinnom intermedio gli uomini subiscono pene col fuoco (Hag. b. 15h). A partire dal sec. II d.C. al Gehinnom intermedio viene attribuito anche forza espiatoria e purificatrice; corrisponde quindi al purgatorio della dottrina cattolica. I viventi lo possono mitigare o abbreviare mediante preghiere ed elemosìne (Qid. b. 31b; Pesikt. r. 20,95b) 57 • A prescindere da coloro che sono coin· presi in una particolare lista di persone dannate per l'eternità (Sanh. rn,I-3) tutti i peccatori israeliti, attraverso questa fase di purificazione, pervengono alla salvezza del mondo futuro. La Mishna contiene una sentenza di R . Akiba secondo cui il purgatorio di fuoco durerà dodici mesi (Ed. 2,IO). Alcuni rabbini del sec. m d.C. ripartiscono nel tempo le pene del caldo e del freddo: gli empi patiscono 6 mesi nel fuoco e 6 mesi nella neve (Sanh. ;. 10,3 [29b 71 ss.]) 58 • Circa la pena del fuoco nel Gehinnom eterno e in quello intermedio i rabbini potevano affermare le cose più strane grazie al loro modo combinatorio di interpretare la Scrittura 59 • Il fuoco non si estingue mai (Per. b. 54a) e scotta 60 5, 5S 59 6-J

    STRACK-BILLERBECK STRACK-BILLERBECK STRACK· BILLERBECK STRACK-BILLllRBECK

    IV IV IV IV

    zo43-1059. io58-106r. 1075-rn83. zo33.rn50.

    volte più di un fuoco normale (Ber. b. 57b). Il calore aumenta con la profondità (Midr. Ps. 84 § 3). Il fuoco è alimentato da carboni di ginestra perché durano a lungo (Midr. Ps. 120 § 4 e passim). I mediocri, cioè quelli per i quali sulla bilancia del giudizio finale meriti e demeriti si equivalgono, secondo la scuola di Shammai devono prima espiare i loro peccati nel fuoco dell'inferno, mentre secondo gli Hilleliti possono entrare immediatamente nel mondo futuro per la grazia di Dio (R.H.b. l6h bar.}1"'0 • Poiché il fuoco esprime la gloria di Dio e della sua sfera, per i rabbini esso costituisce anche la materia di cui è fatto il mondo celeste. Il dito di Dio (Sanh. b. 38b) e gli angeli (Pesikt. 57a) sono di fuoco fiammeggiante 61 • Secondo una opinione molto diffusa gli angeli so· no creati dalla corrente di fuoco (nchar di-nt:Jr: Dan. 7,rn) che proviene dal sudore dei quattro esseri che stanno davanti al trono di Dio (per es. Gen. r. 78 a 32,26) 62 • Anche i modelli che Dio mostrò a Mosè per costruire l'arca, il tavolo e il candelabro (Ex. 25,40) erano di fuoco, che è il materiale delle costruzioni celesti (Men. b. 29a) 63 • 3. Qumran

    I testi di Qumran 64 condividono l'attesa che nel giudizio fìnale Dio condanni i suoi nemici al fuoco. x QpHab w,5: Dio giudicherà la casa del giudizio «con fuoco e zolfo» (b's gwprit: motivo del castigo di Sodoma); lO,IJ: gli avversari degli eletti di Dio giungeranno «alla pena del fuoco» (lmsp!i '.f}; I QS 2,15: l'ira di Dio e lo zelo dei suoi castighi lo «brucino per la pena eterna» (ib'rw bw 61 STRACK-BILLl!RBECK III

    678.

    62 STRACK-BILLl!RBECK I 977. 63 STRACK-BILLl!RBECK III 702

    64

    Cfr.

    ~ DELLING

    ro6.

    s.

    'ltUP

    e Il 3 - III (F. Lang)

    lklt 'wlmjm); cfr. r QH 6,18 s. A Qumran troviamo pure la concezione del fuoco eterno dell 'infemo. I QS 2 ,8 : Sii maledetto «nelle tenebre del fuoco eterno» (b'plt '.f 'wlmjm); I QS 4,13: vergogna della distruzione nel fuoco dei luoghi oscuri (klmt klh b's mf;Jkim); r QH 17, 13: fuoco nelle profondità della Sheol. In ciò non sì oltrepassano i termini dell'uso linguistico dell'apocalittica. Anche nelle espressioni metaforiche il fuoco indica giudizio e tribolazione ( r Q H 4,} 3 ; 6,25; 8,20.30). Nella descrizione dell'èra finale nelle Hodajot troviamo aspetti che ricordano l'idea della conflagrazione cosmica (r QH 3,29-33) analogamente a Sib. (~ col. 848 ). Nonostante il forte dualismo, nei testi di Qumran non troviamo ancora la valutazione gnostica della materia come fuoco . 4. Il giudaismo ellenistico

    a) In Filone si coglie chiaramente il contrasto tra l'idea greco-cosmologica di fuoco e la matrice giudaico-escatologica. Egli accetta la teoria dei quattro elementi (det. pot. i11s. 8) e descrive la natura e le proprietà del fuoco in piena sintonia con lo stile della filosofia greca. Il fuoco è ciò che per natura è caldo (i>Epµév: rer. div. ber. 135), leggero (xoi.icpo\I: aet. mund. u5), fine (ÀE'lt't'OµEpÉc; : rer. div. her. r 34) e rarefatto (µavov: aet. mund. 105). Ha il triplice aspetto di carbone, fiamma e splendore (aet. mund. 86) e tre funzioni fondamentali: illuminare (cpw't'lsnv: decal. 48), bruciare (xa.lEw: leg. all. 1,5) e riscaldare (à.À.Ealvm1: spec. leg. 4,56). Inoltre la sensibilità greca si manifesta anche nella forte accentuazione dell'importanza del fuoco come strumento di progresso (vit. Mos. 2,219 s.; spec. leg. 2,65).

    In antropologia Filone si distanzia 65

    Cfr. LXX Deut. 28,22 (cbr. : qadda[Jat).

    (VI,939) 854

    dall'equiparazione, tipica dello stoicismo antico, di spirito e fuoco coll'affermare l'inconoscibilità dello spirito umano (mut. nom. 10) e dell'anima del mondo o divinità (leg. alt. 1,91 ), ma nelle sue espressioni dimostra di dipendere da essa: Ò 'VOUt;, E'VJ}EpµOV XltL 'ltETCUpWµÉ\IOV 1t\1Euµa., «l'intelletto, spirito fervido e infuocato» (fug. I I 3); €vilEpµov xa.t 'ltU· pwO'fl À.6yo\I, «ragione fervida e ardente» (cher_ 30). Lo stesso vale per la sua critica alla dottrina greca della conflagrazione cosmica (aet. mund. 79-103). Caratteristico di Filone è che egli interpreta il castigo del fuoco di Nadab e Abihu (Lev. 10,2) come un passaggio alla comunione con Dio (leg. ali. 2,57; fug. 59; rer. div. ber. 309). Inoltre egli collega la contemplazione di Dio col fuoco (praem. poen. 37-39), mentre presso di lui il fuoco dell'inferno passa del tutto in seconda linea. Infine, con un'inter· pretazione allegorica, pone il fuoco cultuale dell'altare a servizio dell'etica filo· so.fica (spec. leg. r ,28 5-288 ). Tuttavia nel dare rilievo all'insondabilità e alla trascendenza della divinità infrange il monismo razionalistico incentrato sul fuoco che caratterizzava lo stoicismo antico. b) Flavio Giuseppe usa 'ltUp in senso proprio (ant. 10,95); 'ltoÀÀÙ. 'ltup
    III. L'uso linguistico gnostico . Il dualismo anticosmico della gnosi trova espressione nell'antitesi luce-tenebre. In questo orizzonte il fuoco può essere sinonimo di tenebre e quindi con65 I passi di Flavio Giuseppe sono stati indicati da K. H. RENGSTORF.

    'ltUP e

    III 1-3

    trapporsi nettamente al Dio supremo, che è luce. l.

    La letteratura ermetica

    Nel Corpus Hermeticum il fuoco serve a indicare il cosmo materiale (Corp. Herm. 1,4), la sfera planetaria, demonica (10,16) e le passioni sensibili dell'uo· mo (10,20). Il demiurgo è 6 Èmxdµevoç È7tL "t'OV 7tup6c;, «colui che domina su] fuoco» (1,13). Nell'ascesa dell'anima verso il superiore mondo di luce i vizi vengono restituiti alle singole sfere ( l, 25). 2. Gli

    scritti gnostici copti

    Nella cosmologia della Pistis Sophia il mondo sublunare è chiuso entro tre sfere (Pist . Soph. 12-14) dominate dall'ar· conte di fuoco (cap. 27). Gli arconti rappresentano anche l'«Egitto» o la materia (cap. 18). Nel salire verso il regno della luce del tredicesimo eone l'anima deve attraversare la zona di fuoco degli arconti. Grazie ai misteri della luce essa è custodita al sicuro (cap. 143), altrimenti sottostà al potere giudicante del fuoco. Le pene del fuoco dei singoli peccatori variano per genere e durata secondo i peccati commessi (capp . 144-147). Il libro non fa che combinare le più diverse concezioni dell'inferno di fuoco con la regione ignea degli arconti nell'aria. Il battesimo gnostico di fuoco, accanto al battesimo d'acqua e di spirito, è descritto nel cosiddetto secondo libro di Jeu (cap. 46). 3. Gli scritti mandei

    Nel Ginza ricorre spesso la contrapposizione tra fuoco vivente e fuoco divoratore (Lidzbarski, Ginza 76,10 s.; 91,37 s.; 264,39; 267,11 ss.; 294,3) per indicare l'antitesi tra luce e tenebre, ve67

    Cfr.

    LmZBARSKr,

    Ginza 606, indice s.v.

    (F. Lang)

    rità e menzogna, vita e morte. Può bastare un esempio a chiarire il significato: «essi abbandonarono il fuoco vivente e andarono ed amarono il fuoco divoratore» (69,22 s.). Talvolta a questa contrapposizione corrisponde quella tra acqua = «fuoco vivente» e fuoco= «fuoco consumatore» (Lidzbarski, Liturg. 24, 3-8 ). Il fuoco vivente, valutato positivamente, sta dalla parte dell'eterno e vittorioso re della luce e della gloria (Lidzbarski, Ginza 73,xo ss.). Gli inviati della luce indossano un «abito di fuoco vivente» {91,17 e passim) oppure una «corona di fuoco vivente» (79,II), «alla cui vista i demoni sono atterriti» (83,6). Anche l'anima dell'uomo è fuoco vivente (246,6). Circa l'aspetto negativo in· contriamo due enunciati che spesso sono usati parallelamente 67 • Tuttavia il «fuoco divoratore» si riferisce prevalentemente alla vita del cosmo materiale e il «fuoco ardente» al giudizio dopo la mor· te. Il fuoco divoratore determina il regno dei pianeti (Lidzbarski, Ginw 53, 27 s.; 248,6) e tutto il mondo terreno materiale. Questo mondo delle tenebre, della menzogna e della morte (14,30· 37), della malvagità e della caducità (78, 9 s.) è «pieno di fuoco divoratore» (33, 4 s.) che caratterizza anche i falsi profeti (29,7.17; 47,9 .17-22; Lidzbarski, Liturg. 154) e i demoni (Lidzbarski, Ginza 67,29 s.). Nell'antropologia il fuoco divoratore designa il corpo materiale (91, 35 ss.), il «corpo sudicio, maleodorante, divoratore e corruttore» (430,17 s.) e le passioni umane (94,4 s.; 132,20 s.; 278, 7 s.). Il fuoco ardente rappresenta, ma non sempre, il fuoco del giudizio escatologico (Lidzbarski, Ginza 19,5 s.; 54 ,5; 225,22; 299,3; Lidzbarski, Johannes 63, 1r.19 ss.); qui l'inferno è messo in rap· porto con la regione del fuoco nell'aria e vengono accolte diverse pene comuni dell'inferno. Con una certa schematizza-



    .,

    ;i

    nup e rn 3 -V

    zione si può dite: chi in vita ama il fuoco divoratore ( = materia), nell'ascesa dell'anima diventa preda del fuoco ardente ( = giudizio). Nella 'A7técpa.cnc; µzyaÀ:l'] attribuita a Simon Mago {Hipp., ref. 6,9,4SS.) il fuoco è un elemento fondamentale di tutta l'evoluzione del mondo, «radice dell'universo», tuttavia il dualismo si esprime nella doppia natura del fuoco {xpu7t-.:6v/ cpavEpév 1tVP) 68 • Il fuoco visibile è derivato da quello invisibile; nella conflagrazione cosmica tutto ciò che è corporeo torna a dissolversi. Pertanto nella gnosi il fuoco o ha un duplice valore, in rispondenza all'idea che ciascun elemento può essere puro ed impuro 69, oppure - a differenza del parsismo - esso è un principio cattivo spesso contrapposto all'acqua intesa come elemento buono 70 • D.Il fuoco nel N.T.

    II 1

    (r. LangJ

    \ YSt!/'t.l.J

    U,]V

    tale quando per un attacco del male cadeva nel fuoco o nell'acqua. Secondo Le. 22,55 per scaldarsi i servitori hanno acceso una specie di fuoco di bivacco nel cortile. Che poi lo stesso fuoco sia indicato dal vocabolo q>wc; (v. 56) si spiega facilmente col fatto che era notte. Act. 28,5 si riferisce al fuoco di legna e sar·· menti prima menzionato (cfr. 'ÌJ 7tupti: vv. 2 s.), in cui Paolo scaglia la vipera. Hebr. l 1 ,34 presenta il fuoco come strumento, in definitiva impotente, di tortura e di morte contro i credenti, e Apoc. 17,r6; 18,8 lo descrive come strumento di guerra e di distruzione. La completa scomparsa del fuoco dell'altate e del sacrificio è collegata alla nuova concezione del sacerdozio e del sacrificio. Si fa menzione soltanto del fuoco dell'altare celeste (Apoc. 8,5). A differenza di quanto avviene nel mondo greco, nel N.T. il fuoco non ha alcuna importanza come elemento primordiale e fattore di progresso civile.

    I. Le forme fenomeniche terrene L'impiego di nvp per indicare il fuoco nel senso di fenomeno terreno resta nel quadro dell'uso linguistico consueto. Anzitutto c'è da osservare che si trova raramente nel senso di fenomeno naturale. Nella citazione di Ps. ro4,4 in Hebr. 1,7 nupòc; q>À.oya. accanto a nvEuµa.-i:a. si riferisce probabilmente alla folgore. Per Apoc. 16,8 il contesto (cfr. v . :9) suggerisce il senso di vampa solare. Vari passi presentano l'uomo che fo uso del fuoco . Mc. 9,22 (par. Mt. q,r5) fa riferimento al fuoco nell'uso domestico o nella vita quotidiana del villaggio. Il ragazzo epilettico correva pericolo mar68 ~

    BousSET i30-232. Cfr. i cinque elementi luminosi e tenebrosi del manicheismo. 7J L'antitesi fuoco-acqua è molto importante soprattutto nelle cerchie battiste gnostiche (Epiph., haer. 19,3,7; Pseud.-Clem., hom. 11,26, 4; :io,9,4. Cfr. ~ BoussET 156 s.; H. ScHLIER, 69

    II. L'uso metaforico e traslato 1. In conformità con tutto l'A.T. il fuoco è comunemente usato soprattutto come immagine del giudizio divino (~ coll. 841 s.). Di solito le immagini sono prese dalla vita agl'icola: si bruciano le piante improduttive (Mt. 3,10 par. Le. 3,9; Mt. 7,19), la pula (Mt. 3,12 71 ; Le. 3,17), l'erba cattiva (Mt. r3,40), i tralci sterili della vigna (Io. 15,6). Il contenuto della metafora presso i sinottici è sempre il giudizio escatologico72 • In Iac. Religio11sgeschichtliche U11tersuchu11ge11 zu den Ig11atiusbriefe11 (1929) 146 s. In questo passo l'aggiunta di d:crflÉcr-;~ a m>pl trascende l'immagine: colui che vcrrlì consegnerà gli impenitenti al fuoco della dannazione eterna. n In Giovanni si deve probabilmente pensare

    11

    1tUp D n

    1

    ·III 2

    5 ,3 il paragone col fuoco, in una strettissima compenetrazione di immagine e oggetto, descrive l'asprezza divoratrice del giudizio contro i ricchi che con la tesaurizzazione di beni perituri nell'età escatologica ormai iniziata si rendono colpevoli verso il prossimo (~IV, coll. 1046 ss.). L'espressione proverbiale secondo cui l'oro è purificato dal fuoco (cfr. Prov. 17,3; 27,21; Ecclus 2,5; Sap. 3,6) è applicata da I Petr. 1,7 alla prova della fede fiduciosa nei dolori di questo mondo(~ u, col. 1412) e in Apoc. 3,18 è un invito a penitenza rivolto contro la tiepidezza e la presunzione della comunità di Laodicea.

    Nel senso traslato prevale l'uso in malam pa1'tem come nell'A.T. (~ col. 841) e nella grecità(~ col. 827 ). In Iac. 3,5 s. la forza malefica della lingua è detta fuoco (dr. Ecclus 28,22) ed è illustrata con l'immagine dell'incendio del bosco 73 comune nella diatriba e in Filone. II contesto in cui Luca ha collocato il logion di Gesù 12,49 suggerisce il signicato traslato di fuoco della discordia (cfr. otcxµepwp.6v: V. 51 e Mt. 10,34). 2.

    III. Il fuoco nell'uso teologico In genere a questo riguardo è deteral giudizio che già si compie nella presente scelta di fede (BULTMANN, ]oh., a 15,6). Circa l'uso del motivo dell'incendio del bosco dr. DrnEuus, Jk., ad l. Nell'A .T. esso ricorre nel contesto delle minacce di giudizio:

    (vr,942) 860

    minante la tradizione veterotestamentaria e giudeo-apocalittica. l.

    Il f uoeo nella teofania

    Talvolta si fa riferimento alle note teofanie veterotestamentarie nel fuoco. Nel discorso di Stefano (Act. 7 ,30) si narra l'epifania di Dio a Mosè nel roveto (Ex. 3,2 74 ) con poche divergenze dal testo dei LXX. Hebr. 12,18 ss. accenna alla rivelazione di Dio sul Sinai. Non troviamo invece nel N.T. altri racconti dettagliati di teofanie. Nel caso dell'apparizione di Cristo sulla via di Damasco si menziona solo una luce dal cielo (Act. 9,3). 2.

    Il fuoco strumento del giudizio divino

    In riguardo a pene temporali il fuoco ricorre solo in allusioni ad episodi del1'A.T. Le. 9,54 fa riferimento a .2 Reg. l,10.r2, come sottolinea anche l'aggiunta wc; xcxt 'H).lm.; E1tOl1')CTE'V. Comunque il fuoco che scende dal cielo indica un prodigioso intervento punitivo di Dio ed è secondario a questo punto chiedersi quale sia stato il fenomeno naturale che sta alla base del riferimento 75• In Le. 17,26-30 l'inatteso castigo abbattutosi sugli uomini ai giorni di Noè e di Lot è paragonato al giorno del Figlio Is. 9,17; 10,17 ss.; Ier. 21,14; Ez. 21,3; Ps. 83, 15 [FOHRER],

    Col cod. B si deve leggere: Èv 1tupt cp)..6yoc;. Per un giudizio sulle lezioni cfr. P. KATZ, 'Ev 1tupt
    73

    (F. Lang)

    'ltup D III 2a-ba (!'. Lang)

    dell'uomo. Il v. 29 cita Gen. I9,24 (gofrlt wii'ef), perciò va inteso in senso transitivo: «egli (Dio) fece piovere dal cielo (cfr. him#r) fuoco e zolfo (7tiip xaL ?}EfoV)».

    Nella maggior parte dei casi il fuoco si trova in contesti escatologici.

    la potenza del tribunale di Dio: chi li attacca deve affrontare Dio, come fecero gli avversari di Mosè ed Elia. Nella tradizione la scena di 2 Reg. 1,10 rimase collegata ad Elia, come provano la caratterizzazione di Elia quale 'ltpocp-ft'tTJ<; w<; 7tUp (Ecclus 48,1) e il passo di Le. 9,54. Tra le seduzioni sataniche del tempo finale troviamo che lo pseudoprofeta «davanti agli uomini fa cadere fuoco dal cielo sulla tena» (Apoc. l 3,13) pet farsi apparire legittimato da Dio (cfr. 4 Esdr. 5'4 ss.; Mc. 13,22; 2 Thess. 2,9). In Apoc. I4,r8 un particolare angelo del fuoco (Ex;wv È~ouo"lciv btt 'tOU 'ltup6ç) porta dal tempio celeste l'ordine di mandare ad effetto il castigo descritto con l'immagine della vendemmia. Nell'apocalittica giudaica gli angeli sono preposti al mondo umano (angeli delle nazioni) e a tutte le leggi naturali (Hen. aeth. 60,12-22; angelo dell'acqua : Apoc. 16, 5; del vento: Apoc. 7,I; del fuoco: Iub. 2,2) 73 • Nel discorso tenuto da Pietro nel giorno di Pentecoste (Act. 2,19) si ritiene che l'effusione dello Spirito adempia la parola del profeta Gioele (3,3).

    a) Il fuoco compare tra i segni premonitori e i castighi che precedono l'atto finale, soprattutto nell'Apocalisse, che usa numerose immagini dell'apocalittica giudaica. Le pene che si abbattono sull'uomo al suono della settima tromba sono in parte ricalcate sulle dieci piaghe d'Egitto. Il binomio «grandine e fuoco» del castigo sulla terra (Apoc. 8 ,7) ricorda la settima piaga d'Egitto (Ex. 9,24). Non si può invece determinare con precisione se la frase «qualcosa simile a un grande monte ardente di fuoco» (8,8) si riferisca n un'eruzione vulcanica 76 o a una stella 77• I destrieri del castigo della sesta tromba, descritti a colori mitologici, sputano «fuoco, fumo e zolfo» (9, 17 s.) e sono cosi presentati come mostri infernali portatori di distruzione. I due testimoni (n,3) sono intesi come preb) Nel N .T . il fuoco svolge un ruolo cursori escatologici del Messia e, stando essenziale in quanto pena escatologica. al v. 6, alludono a Mosè ed Elia(-+ IV, coli. 9I s.; VII, 805 s.). Con una formu~) Già nella predkazione messianica lazione tradizionale (2 BCW'. 22,9) si dice di Giovanni Battista il giudizio escatoche «dalla loro bocca esce fuoco che di- logico appare sotto l'immagine del batvora i loro nemici» (v. 5) . In questo mo- tesimo di fuoco. Qui la fonte Q (Mt. 3, do si assicura che essi sono protetti dal- n; Le. 3,16) offre probabilmente il teApk., ad l.; ZAHN, Apk., ad l.: eruiione del Vesuvio. 77 LOHMEYER, Apk., ad l.

    76 HADORN,

    Per i rabbini cfr. STRACK-BILLERBECK III 820. Nel midrash Gabriele è l'angelo del fuoco (Num. r. x2 a 7,r; cfr. Pes. b. rr8a). 78

    863 (v1,943)

    1tup D m

    2ba-~

    sto originario 79 • Il logion descrive come la comunità escatologica venga radunata per ricevere grazia o condanna (cfr. la purificazione dell'aia in Mt. 3,12). Il Messia venturo donerà ai penitenti lo Spirito promesso per il tempo finale (cfr. I QS 4,20-22) e giudicherà gli impenitenti col fuoco. ~)Nelle parole di Gesù il fuoco del giudizio finale cede il passo al fuoco eterno dell'inferno. Tuttavia si deve presupporre che gli fosse noto il fuoco del giudizio escatologico che ricorre nell'A.T. e nell'apocalittica. Di qui è opportuno prendere le mosse per interpretare i due difficili passi di Mc. 9.49 e Le. I2, 49. L'oscuro logion di Mc. 9'49 'Jtéi<; yàp nupt èlÀMri>1)
    Trad. 263; H. J. FLOWERS, lv &.rl xat m1pt: ExpT 64 ( 1952-.53)

    (F. Lang)

    d.izio nei propri confronti rinnegando se stesso, è preda dell'ira futura . Il logion costituisce cosl un parallelo all'enunciato di Mt. 10,39 e all'analogo enigma di Mc. 10,25 ss. La doppia sentenza di Le. I2,49 s., che probabilmente non proviene da Q perché manca in Matteo, descrive in forma riepilogativa la missione di Gesù presentandola come compimento della promessa del Battista, ma in modo tale che anche colui che battezzerà in Spirito e fuoco deve prima passare attraverso il dolore. L'immagine del battesimo(-+ II, coli. 66ss.) per descrivere gravi tribolazioni (cfr. Mc. Io,38 e Ps. II, 6) 83 nel v. 50 si riferisce alla passione e morte di Gesù sulla croce con cui egli fonda la comunità escatologica. La forma parallela dei vv. 49 e 50 fa pensare anche ad una corrispondenza di contenuto. Il v. 4 9 afferma dunque che Gesù farà scendere sulla terra un fuoco di giudizio in cui egli stesso sarà coinvolto. Il significato di nup qui rimane ancora determinato dal senso principale di «fuoco del giudizio escatologico», ma con Gesù il giudizio si attua già nel presente. Dal!'atteggiamento assunto verso Gesù si decide se si è vicini o lontani da Dio. Con l'avvento di Gesù le due possibilità escatologiche di giudizio ('ltVp) e sal-

    J. ScHNJEWIND,

    7~ BuLTMANN,

    81

    miEvµa't~ 155 s.

    kus, N.T. Deutsch

    so La proposta del Lohmeyer di seguire il testo

    africano 1tUoO'a oè ovula civaÀW~TJO'E't'm (LOH· Mk., ad l.) spezza l'aggancio dei termini à'ì..io-D-fir;E't'm (v. 49) - 't'h &'ì..m; (v. 50).

    MEYER,

    Das Evange/ium nacb Mari:'

    (1958) ad l.

    Cfr. il medesimo concetto in una formula· zione teologica diversa in Paolo 2 Cor. 5,17 e Io. 3,3.4.7. 82

    83 ~ DELLING I02-II2.

    \ I

    ·'

    7tvp D m

    2b~--y

    vezza (~mnÀ.Ela) incalzano dappresso gli abitanti di questa terra 84 • y) In Paolo 1'VP si trova solo in tre passi (ICor. 3,I3.I5 [3 volte); 2Thess. 1,8; Rom. 12,20), dove si riferisce sempre al fuoco del giudizio escatologico. In I Cor. 3 ,13 Paolo ricorre a categorie tradizionali per affermare che il Signore compie il giudizio finale per mezzo del fuoco. Il giorno in arrivo deciderà del lavoro dei predicatori, «perché si svela col fuoco». Il fuoco del giudizio escatologico proverà la natura di ciascuna opera. Il buon architetto, la cui opera resiste al fuoco, riceverà la ricompensa; quello cattivo, la cui opera brucia, ne riceverà danno, ma non andrà alla dannazione eterna: «sarà salvato, ma come attraverso il fuoco» (v. 15b). La difficile frase conclusiva non descrive il castigo nel senso di un purgatorio di fuoco 85 , ma con l'aiuto di una espressione proverbiale afferma che l'individuo in questione otterrà la salvezza eterna solo a stento, non senza correre un grave pericolo. Paolo accosta qui, in un nesso poco stretto, quattro idee correnti, senza 84 Identico è il senso del logion apocrifo presso Orig., in Ier. hom. lat. 3,3 (ed. A. BAEHlUlNS [ 1925] 312): qui iuxta me est, iuxta ig-

    11em est; qui /011ge est a me, longe est a reg110.

    Cfr.

    J. }EREMIAS, U11beka11nle Jes11sworte

    (1951) 53-55. 8~ L'idea è stata introdotta nell'esegesi da Origene in connessione col concetto della conflagrazione cosmica,~ GNILKA 126; dr. G. ANRICH, Cleme11s imd Origenes als Begrii11der der Lebre vom Fegfeuer, Holtzmann-Festschrift

    (F. Lang)

    (v1,944) 866

    tuttavia svilupparle rigorosamente: I. il motivo della casa che brucia, dedotto dall'immagine dell'edificio indicante la predicazione dei missionari; 2. l'attesa che il Signore futuro verrà col fuoco (2 Thess. r,8); 3. l'idea della prova escatologica per mezzo del fuoco (Mal. 3 ,2) e 4. l'espressione proverbiale dello scampare attraverso il fuoco nel senso di uscire illeso (~ col. 842). L'accento cade sull'incorruttibilità e definitività dell'ultimo giudizio. In 2 Thess. 1, 7 s. la parusia di Gesù è descritta in tetrnini veterotestamentari quale giudizio e redenzione insieme. La manifestazione del Signore avviene «in fuoco ardente» (Ex. 3,2 B ~ n. 74). Ciò che nell'A.T . . era predicato di Jahvé (Is. 66,15) è ora applicato a Gesù. Non si accenna all'idea di una conflagrazione universale. Il fuoco è essenzialmente strumento di castigo nelle mani del Signore che si manifesta per il giudizio universale. In Rom. 12,20 Paolo utilizza la citazione di Prov. 25,21 s. per esortare alla completa dnuncia alla vendetta. Il proverbio veterotestamentario 86 invita al perdono in termini paradossali:
    'ltUp D III 2by-cci (F. Lang)

    care di uno, fallo aiutando(lo )» 87 ; in tal modo avrai ragione del tuo nemico con il bene. Questa metafora è collocata da Paolo nel contesto del giudizio finale (v. 19). I carboni ardenti acquistano cosl anche un significato secondario di riferimento al fuoco del giudizio escatologico: se al bene che tu compi il nemico non reagisce convertendosi, cioè se ora scansa i «carboni ardenti sul suo capo», rton potrà tuttavia sfuggire al fuoco del futuro giudizio d'ira 83 ,

    di Dio per il fuoco ("tEì)1J
    o) Quanto al resto del N .T., ?tlip si riferisce chiaramente al fuoco del giudizio escatologico in Hebr. rn,27: Éxoox1J xpLO'EWC, X('l.L 7tlJ pòc, e;fj À.oc, Éo-ì)lEW µÉÀ.À.O\l"tOç "tOÙC, Ù1i:E\ICt.\l'tLOVc;, «l'attesa di un giudizio e l'ardore di un fuoco pronto a divorare gli avversari}>, In Hebr. 12,29 la designazione veterotestamentaria di Dio quale fuoco divoratore (?ti:ip xet.'ta.a) Nelle parole e nelle parabole di \let.À.lo-xov: Deut. 4,24; 9,3) viene parimente trasposta in un contesto escatolo- Gesù 1tup si presenta spesso quale congico (v. 27). Apoc. 20,9 descrive con for- trapposto di {3et.aLÀ.Elet. o ~wl) (Mt. 13, mulazioni tradizionali (.2 Reg. l,10) il 42; 18,8 s.; 25,41; Mc. 9,43.45.47). {3agiudizio annientatore del fuoco di Dio
    87

    88 SCHLATTER, 89

    Rom., ad l.

    La combinazione di 'ltUp e.
    care il luogo di dannazione rispecchia il fatto che l'oscura Sheol e il Gehlnnom di fuoco so· no diventati un unico concetto. 90 Nei codici più recenti la citazione è entrata anche nei vv. 44 e 46, probabilmente dal v. 48.

    1ti.ip D III 2ca-y (F. Lang)

    ve il loro verme non muore e il fuoco anche nell'espressione cr~!;En Èx 'ltVpòc; non si estingue». Qui è comprensibi- &.pmx.!;ov..Ec;, «salvate strappando dal le anche l'espressione "ò 'ltUp -cò &crSe- fuoco» (Iudae 23). Qui echeggia l'espresu't'O\I, «il fuoco inestinguibile», per indi- sione proverbiale di salvezza da un gracare la pena eterna del fuoco nell'infer- ve pericolo (Am. 4,rr) --7 col. 842, ma, no (Mc. 9,43 91 ; cfr. Mt. 3,12; Le. 3,17), stando al v. 7, anche in questo caso 'itUp che prevale in Marco. Matteo la sosti- è riferito al fuoco del giudizio 95 • tuisce con l'espressione -.ò 'ltup 't'Ò a.1.wy) Nell'Apocalisse di solito il binomio \l~o\I, «il fuoco eterno» (Mt. 18,8; 25, fuoco e zolfo indica la dannazione eterna 41) e per indicare l'inferno di fuoco dinell'inferno. Chi adora la bestia e la sua ce: Ti yÉEWU 't'OU 'ltup6c;, «la geenna del effigie cade nel tormento eterno in fuofuoco» 92 (5,22; 18,9 93 ), oppure: Ti x di Sodoma e Gomona patiscono già ora (21 ,8); TJ À.iµ'YT] 't'OU 1tup6c; (20,1,j. s. [ 3 la pena del fuoco eterno. Il fuoco del volte)). Il concetto di «lago di fuoco» castigo descritto in Gen. 19,24 s. secon- (cfr. Hen. aeth. 90,25), che ha lo stesso do la cosmologia del tardo giudaismo significato dell'espressione sinottica 'Ìj continua ad ardere nell'inferno sotterra- yÉEWU "t'OU 'itVp6c;, è evidentemente sugneo. Il Mar Morto con i suoi straordi- gerito dal ricordo del castigo dei Sodonari fenomeni ignei è davanti agli occhi miti e dalla concezione del Mar Morto di tutti quale spaventoso esempio della quale luogo di punizione degli spiriti pena dell'inferno inflitta agli abitanti di cattivi e dei Sodomiti. Ciò risulta dalquesta regione 94 • L'idea del fuoco eterno l'abbinamento di fuoco e zolfo e dalla dell'inferno è probabilmente sottintesa · particol_are concezione del lago, diversa 91 Nel v. 45 tLç -rò 1ti.ip -rò lto-f3E:r-rov è un'aggiunta tardiva. 92 Questa designazione di Mc. 9,47 solo nei codici più recenti compare con l'aggiunta di -roi.i 1tVp6ç. 93 Il cod. D omette 'toi.i 1tVp6ç.

    I fenomeni ignei sono attestnti anche da Philo, Abr. 140 s.; vit. Mos. 2,56. In modo a-

    94

    nnlogo 3 Mach. 2,5 sottolinea il carattere paradigmatico del castigo di Sodoma. 95 KNOPF, Petr., a Iudne 23. % Perciò, secondo questo passo, dal cielo è possibile vedere l'inferno e viceversa (cfr. Le. 16,19 ss.). 97 LOHMEYER, Apok., ad l.

    nup D III 2Cj - 3 (F. Lang)

    da quella che s'incontra nei culti pagani, dove spesso i laghi sono considerati sacri 98 • o) La quasi completa assenza del fuoco nei vangeli e nelle lettere di Giovanni dipende dalla forte sottolineatura della scelta di fede in Gesù Cristo nel presente e dal recedere delle concezioni apocalittiche, senza che per questo si rinunci all'attesa del ritorno di Cristo. La valutazione gnostica della materia come fuoco (~ col. 8 55) è in antitesi con la concezione giovannea e biblica della creazione. 3. Il fuoco come segno della gloria celeste

    Questo significato del fuoco, già sviluppato nell'apocalittica giudaica, è presente anche nel N.T. anche se molto più debolmente del momento giudiziale. Come è logico attendersi, ricorre soprattutto nell'Apocalisse di Giovanni. Nella scena di vocazione di Apoc. r,9 ss. l'apparizione del Figlio dell'uomo è descritta con termini presi da Dan. 7 e 10 e gli attributi di Dio sono riferiti a Gesù. Nel v. 13 Cristo è presentato come sommo sacerdote regale, e le immagini dei versetti successivi (vv. 14 s.) illustrano «la o6~cx. celeste in cui Gesù si rivela» 99 • «Occhi simili a una fiamma di fuoco» {v. 14; cfr. Dan. 10,6; 7,9; Hen. slav. 1, 5) e «piedi simili a rame incandescente, quasi fosse arroventato in una fornace» 100 (v. 15; cfr. Dan. ro,6; Ez. 1,27) Dioniso è detto Atµvai:oç in Aristoph., ra. s.; Thuc. 2,15 ,4; Paus. 2,37,5. 99 HADORN, Apk., ad I. 100 nE7tVpwµÉvl)c; è un errore grammaticale per

    9'I

    210

    sono epiteti frequenti nell'apocalittica e servono a indicare la gloria celeste. La maggior parte degli attributi di questa visione di Cristo ritorna nelle singole lettere, in una certa corrispondenza con il contenuto, per sottolineare che l'autorità di chi parla è quella del Signore glorioso. Gli occhi fiammanti e i piedi simili a rame incandescente ritornano in 2,I8, dove si deve riprendere aspramente la comunità di. Tiatira. Qui abbiamo inoltre il motivo del giudizio 101 che troveremo in 1 9,12 nel Cristo che appare per il giudizio finale. I simboli del fuoco e della luce non sono esclusivi di Dio o di Cristo, ma possono essere attribuiti anche agli angeli quali abitatori della sfera celeste. L'angelo che scende dal cielo (Apoc. ro,r) ha «gambe simili a colonne di fuoco». L'attributo non serve a individuare una determinata figura di angelo, per es. Gabriele, ma costituisce un contrassegno generico degli angeli quali esseri che partecipano della gloria celeste. Agli angeli nella loro realtà di ignee figure di luce accenna probabilmente anche l'equiparazione delle sette fiaccole accese davanti al trono con i sette spiriti di Dio (Apoc. 4,5; cfr. Bar. syr. 21,6). In questo contesto il fuoco significa lo splend<:>re della gloria celeste: quanto più vicino al trono, tanto maggiore è la 86~a {cfr. Hen. aeth. I4, 1iEr:upwµlv~

    (LOHMEYER, Apok., ad l.). Forse in Apoc. 2,23 riecheggia l'idea dello sguardo cli fiamma che tutto penetra e nel v. 27 quella del passo che infrange ogni ostacolo. JOI

    nup Dm 3 - E

    22). Non solo delle persone, ma anche degli oggetti si può predicare l'appartenenza al mondo della luce ricorrendo agli attributi propri del fuoco. II mare di cristallo davanti al ttono di Dio (Apoc. 4,6) è probabilmente da considerare l'equivalente celeste del «mate di metallo fuso» collocato nel cortile dei sacerdoti (I Reg. 7,23; 2 Chron. 4,2). L'aggiunta µEµ.~yµÉ'llTJ\I 7tUpi (Apoc. IJ,2) indica che esso appartiene alla sfera della gloria celeste, in parallelo con l'espressione oµolcx xpucr-tciÀ.À.cy (4,6). Questo uso linguistico apocalittico e non la dottrina dell'identificazione di spirito e fuoco tipica della filosofia stoica - soggiace alla scena delle lingue di fuoco nell'episodio di Pentecoste (Act. 2,3) urz. Il paragone col fuoco (r À.wcro-cx~ wcrEt r.up6ç, «lingue come di fuoco») indica l'origine celeste dello Spirito, cioè il tipo di avvenimento spiegabile solo per un prodigioso intervento di Dio e non causato da forze naturali. In complesso nel N.T. il fuoco ha conservato prevalentemente il carattere di immagine dell'ira divina e di strumento dell'azione giudiziaria di Dio nel giudizio finale e nel fuoco eterno dell'inferno. Accanto a questi significati, e in conformità con la tradizione apocalittica, il fuoco indica anche la gloria luminosa . Esso estende cosl il suo significato ai due possibili esiti della realtà escatologica: l'inferno e il cielo.

    w-

    102 Come prova l'aggiunta dell'apocalittico crd; ed è tanto più probabile in quanto Luca

    I

    (F. Lang)

    E.IL FUOCO PRESSO I PADRI APOSTOLICI

    I. Tradizione biblica L'uso del termine presso i Padri apostolici è determinato, nella stragrande maggioranza dei casi, dalla tradizione biblica. Anzitutto a questo proposito sono da ricordare le citazioni dirette di passi biblici. 2 Clem. 7,6; 17,5 cita Is. 66,24, diversamente da Mc. 9,48, in corrispondenza letterale coi LXX; 2 Clem. 5'4 è più vicino a Le. I2,4 s. che a Mt. ro,28; Ps. 104,4 in I Clem. 36,3 è citato non secondo i LXX ma in rispondenza verbale a Hebr. I,7. Di solito prevale il fuoco escatologico di giudizio e dannazione: -tò 'ltup -.ò furSEcr-.ov, «il fuoco inestinguibile» (Ign., Eph. I6,2, cfr. Mc. 9,43); 1i x&.µwoc; -tou 'ltUp6ç, «la fornace del fuoco» (2 Clem. 8,2, cfr. Mt. I3,JO); wç xÀr'.Scxvoç xm6µEvoc;, «come forno ardente» (2 Clem. 16,3, dr. Mal. 3;19); i giusti vedono i tormenti dei dannati oE~­ vcxiç SrxcrG.voL<; 7tupi ò:.crSÉcr-t4), «con terribili tormenti di fuoco inestinguibile» (2 Clem. 17,7, dr. Le. 16,28); il fuoco eterno in contrasto col fuoco temporaneo 'TO 'lti:ip 't'O al<.:.ivtov - -.o 'ltUp -.ò 'ltpocr~ xatpov (Diogn. ro,7 s., cfr. Mt. 18,8; 2 5 ,41); 'tÒ -tij<; µEÀ.À.ouO"T)c; xpr'.
    nup E

    I .

    n:up6w A

    smica si trova solo in 2 Clem. e in Erma. A questo riguardo il tardo giudaismo ha assimilato concezioni iraniche, babilonesi e greche, che dall'inizio del sec. u d.C. si possono notare talvolta anche nella chiesa, finché Clemente Alessandrino e Origene hanno dato alla dottrina una sistemazione dogmatica. Presso i Padri apostolici si avverte l'influsso di passi biblici in 2 Clem. r6,J, cfr. 2 Petr. 3,ro; Is. 34A cod. B; Herm., vis. 4,3,3, cfr. Ioel 3,3; ls. 66,r6. Anche l'uso del fuoco quale strumento di castigo e di tormento terreno risale alla tmdizione veterotestamentaria. Come esempi si citano il castigo di Sodoma (I Clem. r l,l, cfr. Gen. 19,24 s.) e i tre giovani nella fornace ardente (I Clem. 45,7, cfr. Dan. 3,19 ss.). Nella persecuzione dello stato contro i cristiani spesso fu inflitta la pena di morte per fuoco (cfr. Ign., Rom. 5'3i Sm. 4,2). Il Martirio di Policarpo descrive uno di questi casi con tratti biblici molto noti (r5-r6,r), che mostrano come in definitiva il fuoco nulla possa contro il fedele (Dan. 3,19 ss.; r Mach. 2,59 ; Hebr. II, 34). Per il martire il fuoco degli aguzzini era senza calore (mart. Polyc. 2, 3, cfr. 4 Mach. II,26). Ricorre anche la consueta immagine della prova del fuoco: nella vita di fede (Herm., vis. 4,3,4, cfr. r Petr. 1,7; Apoc. 3,18); prova del fuoco nell'era escatologica (Did. r6,4 s., dr. r Petr. 4,12; Mt. 24,10.24).

    II. Influssi esterni Nonostante questo forte aggancio alla tradizione biblica non mancano talvolta idee d'altra provenienza. Presso Ignazio di Antiochia si coglie

    I

    (F. Lang)

    1'uso linguistico dualistico-gnostico. In lgn., Rom. 7,2: oùx fo-.Lv ÉV ɵot 1tUp
    In complesso nei Padri apostolici le concezioni del fuoco si muovono prevalentemente sul terreno della tradizione biblica.

    t

    1tUpow 1

    A. NEL MONDO

    GRECO

    Il termine s'incontra da Pindaro in poi, anche in iscrizioni. r. In senso proprio: a) bruciare, distruggere col fuoco, dggetti combustibili d'ogni genere (Ò... XPUO'Òc; µovoç OV 1tUpoihrx.L, «solo l'oro non brucia», Aristot., meteor. 3,6 [p. 378 b 4]), in guerra (1tUpwi}év-cwv Tpww'V: Pind., Pyth. 11,33) e nelJa vita quotidiana (va.oùç 1tupwcrwv lj)..i}e, «giunse per incendiare i templi»: Soph., Ant. 286). Vi si aggiungono anche i significati specifici di 7tVp: nel fuoco del sacrificio bruciano òcrcpuv (Aesch., Prom. 497); crwµa.-.a (Eur., Herc. fur. 244), cadaveri bruciano sul rogo fiv 1tE1tupwxrx.v (sic) Éyw, «che ho

    nup6w I

    E.

    FRAENKEL,

    Griechische Denominativa

    (19o6) 97.153 [A. D1mRUNNER].

    ';;'Jp6w A

    I -

    acceso io» (iscr. da Teli el Yehudieh 20, 4) 2 ; b) trattare con fuoco nell'uso domestico e nell'artigianato, per es. cuocere 'tÒ cr'to:.tc;, «la pasta» {Aristot., probl. 21,ro [p. 927b 39]), arrostire (Hippocr., de victu 2,56 [Littré VI 566 J), rendere incandescente (Aristot., de coloribus 2 [p. 792a l2]), affumicare Ja casa: owµo:. itEd4) (Theocr., idyll. 24, 96), fondere metalli (IG VII 303,15); e) raramente in senso assoluto: far fuoco: c~Myo:. 7tO~Et\I xo:.L 7tUpouv (Aristot., part. an. 2,2 [p. 649b 5]), passivo: trasformarsi in fuoco (Aristot., cael. 3,8 [p. 307a 24] ); d) in medicina: 'JtUfiOV\I rc·(iv yEuow, scottare al gusto (Diosc., mal. med. l,16,2; 4,170,2; 'ltupoucri>m, soffrire bruciore di stomaco, pirosi (Herodotus Medicus in Aet. 9,2) 3• 2. In senso traslato, di solito al passivo: infiammarsi, ardere: mt.pa:yyé)..µo:.cr~ ... 1tupwi>dc; xa.polav (Aesch., Ag. 480 s.); 't"L\lt, essere preso da ardente amore per qualcuno (Anth . Gr. 12,87).

    B. NEL GIUDAISMO l . Nei LXX il termine nel senso proprio predominante in greco si trova solo tardi, soprattutto nei Maccabei; 2 Mach. 10,3: trarre il fuoco da pietre; 4 Mach. 9,17: bruciare la carne nel martirio; 4 Mach. u,19: arroventare gli schidioni per la tortura 4 . Altrettanto vale per il senso traslato al passivo: essere preso da affetti, soprattutto dall'ira: 7tupwitEì.c; .-oic; buµoi:c; (2 Mach. 4 ,3 8; cfr. lO,J5; 14.45); dalle preoccupazioni: O""CE\layµoi:c; 1tE7tupwµÉ\11]ç... 't'ijç xa.pola.c; (3 Mach. 4,2). L'uso più comune del verbo nel senso di purificare, provare (in ebr. di solito fiiraf) è collegato con l'immagine del fonditore di metalli consueta dall'epoca dei profeti in poi. Il verbo indiEd. H. LmTZMANN, ]iidisch-griechische Ittschri/tett aus T ell el Yeht1dieb : ZNW 22 (1923) 282.

    2

    B

    2

    (F. Lang)

    ca anzitutto la purificazione dei metalli nobili al fuoco (lob 22,25; Zach. 13,9-; Ps. l2,7; 66,ro; Prov. ro,20) e di qui è applicato in senso traslato alla prova che l'uomo subisce per disposizione di Dio (Is. 1,25; Iudith 8,27; Ps. 105,19; Dan. 12,ro), talvolta come sinonimo di ooxLµci.sEW (Ps; 17,3; 26,2; 66,ro; Ier. 9,6) o di 1tEtprH~ELv (Ps. 26,2). Ciò che ha superato la prova del fuoco è confe1"mato; così specialmente la parola di Dio (2 Sam. 22,31; Ps. 18,31; n9,140; Prov. 30,5) . Solo in qualche caso il senso del verbo è determinato dalla funzione illuminatrice del fuoco (Esth. 5,rd; Lam. 4, 7 [cod. B] ). 2. Filone usa il verbo solo al passivo. In senso proprio, col significato di essere bruciato (o x6o-µoç o 1tupw1Mc;: aet. mmtd. ro2;il vitello d'oro = il corpo : poster. C. 158), ed anche essere incandescente (som. l,31 ; ebr. 147). Di solito però usa il verbo in senso traslato per indicare l'infiammarsi degli affetti in senso positivo e negativo: l'uomo virtuoso, infiammato (1tupwitElc;) alla raggiante apparizione del bello, brucia (xa'taq>ÀÉyEL) i piaceri del corpo (poster. C. l 59 ), che in un altro passo sono descritti come desideri ardenti {mmupwµÉ\laç ÈmlJuµlac; : rer. div. ber. 65). Il credente arde di riconoscenza verso Dio (1tE1tupwµévoc; É\I Eùxo:.ptucrEt, «la prudenza, che egli ha paragonato all'oro, sostanza schietta, 3

    Ed .. S. ZBRBOS : 'A&r]vii 23 (19n) 278,14.

    Nei" Maccabei abbiamo anche i composti ÈxMach. 7,3 .4); lì~oc- (4Mach. 3,r5) e -rrpoam>p6w (2 Mach. 14,n).

    4

    (2

    1tUpow B 2 - C 3 (F. Lang)

    pura, purificata dal fuoco, provata e preziosa» (leg. ali. l 177 ). La mentalità ( yvwµl)) tutta pura è da lui detta 't'Ì}V a:tpE1t'tOV xa;t 1tE1tUpWµÉ.\ll)V xat 06XtµO\I cpvCTW , «la natura immutabile, purificata dal fuoco e provata» (leg. all. 2 167). In questo senso stoico egli parla anche di 1tt1tupwµÉ.voc; xa.t &:vlxrrcoc; À.6yoc;, «ragione pura e invitta» (sacr. A. C. 87) e definisce il vouc; come ~vi>Epµov xat 1trnupwµÉ.vov 1tVEuµa., «spirito fervido e infuocata>> (fug. 134). Flavio Giuseppe usa il verbo solo nel senso proprio di bruciare (ant. 5,65, attivo; beli. 7,316, passivo); così anche 1tUp1toÀ.Ei:°v, incendiare (ani. 7,191; 9, 159; 20,123; Ap. 2,212). 3. Nella comunità di Qumran l'idea veterotestamentaria della purificazione col fuoco fu applicata nel contrapporre i figli della luce ai nemici della setta: «In modo prodigioso hai agito verso il povero e lo hai indotto nelle tribo[lazioni del nemi]co, nell'opera del fuoco, e (lo hai trattato) come argento, affinato nella fornace degli incendiari per purificarlo sette volte» (I QH 5,15 s.)5. C. NEL NUOVO TESTAMENTO

    I sei passi in cui ricorre 1tup6oµa.i. nel N .T. si inseriscono nell'uso linguistico finora illustrato. l. Paolo usa il verbo esclusivamente in senso traslato, e solo al passivo, per indicare l'ardore dei sentimenti. In I Cor. 7,9 l'Apostolo consiglia i celibi e le vedove a sposarsi piuttosto che bruciare di desiderio. Dal contesto risulta chiaro s H. BARDTKE, Die Handschrifte11fu11de am Toten Meer (1958) 240. 6 Anacreontea 10,15 (ed. TH. BERGK, Poetae Lyrici Graeci m [ 1882] 303).

    (VI,950) 88o

    il significato di bruciare per il fuoco del desiderio sessuale, attestato anche nel mondo greco 6 • In .2 Cor. 11,29 1tup60µa.~

    si riferisce alla solidarietà dell'Apostolo nel dolore per lo scandalo dato a un fratello. Ogni mancanza contro la comunità colpisce anche Paolo, egli brucia «per solidarietà e per il desiderio di soccorrere» 7 . 2. In Eph. 6,16, nel contesto della illustrazione dell'armatura del cristiano, troviamo «lo scudo della fede con cui potete spegnere tutti i dardi infuocati del Maligno» (~ VIII, col. 842).

    L'uso di dardi infuocati in guerra~ era noto ai Greci e ai Giudei. Tuttavia la frase di cui trattiamo non è presa direttamente dall'ambito militare (cfr. anche .2 Mach. lo,30). L'A.T. ha diverse e· spressioni per indicare i «dardi infuo. cati» (Is. 50,u: ziqot; Prov. 26,18: ziqqim), che però i LXX non traducono col nostro verbo. Ps. 7 ,14 usa l'immagine del dardo infuocato per indicare il male che ricade sul falso accusatore. Ma in Eph . 6,16 l'aggiunta «del Maligno» (~ x, col. 1390) indica che l'espressione proviene da una concezione dualistica in cui i figli della luce stanno in lotta contro le schiere di Belial. Perciò il parallelo più prossimo è un passo del rotolo degli Inni di Qumran: «Essi mi hanno circondato con tutte le loro armi di guerra, e dardi distruggono, senza che uno guarisca, e il taglio della lancia è in un fuoco che divora alberi» (r QH 2, 25 s.) 9• 3. Nel senso proprio di «essere di1 WINDISCH, 2

    Kor., ad l.

    Per quanto riguarda la tecnica cfr. Amm. Mare. 23A· 9 BARDTKE, op. cii. (-7 n. 5) 236. 8

    mip6w C 3 - nupwcnç 4 (F. Lang)

    strutto dal fuoco» il verbo ricorre in 2 Petr. 3,12: «I cieli si dissolveranno nel fuoco e gli elementi si struggeranno nel calore ardente», cioè nella finale conflagrazione cosmica. 4. L'Apocalisse di Giovanni riprende l'immagine veterotestamentaria ( ~ coll. 877 s.) del saggiare i metalli preziosi. In Apoc. 3,18 «l'oro che è raffinato nel fuoco» è una parafrasi per indicare lo sperimentato dono della salvezza di Cristo e la fede autentica rispetto a qualsiasi entità fittizia 10 • Questa immagine chiaramente sviluppata serve ad intendere Apoc. I , I 5 : «l suoi piedi erano simili a rame incandescente, quasi fosse arroventato nella fornace». 7tE7tUpwµÉv11c; è certo originario, perché in tal modo si spiegano meglio tutte le varianti, ma è grammaticalmente sbagliato perché dovremmo avere 7trnupwµÉV4> da riferire a xa.À.xoÀ.i~&.vcp. Contro il riferimento a xaµwoc; vi è anche il fatto che nei LXX è attestato solo xaµwoc; xa;~oµÉVT) (fob 4r ,12 ), e non 1tE7tupwµÉv'I').

    D. NEI

    PADRI APOSTOLICI

    re i credenti a rendersi utili per l'edificazione della torre.

    r. Nomen actionis da nupécJJ; specialm. in Aristotele e nei suoi discepoli, anche nei papiri. Senso proprio: il bruciare, bruciatura (Theophr., hist. plant. 5,9,1; Archelaus A 4 [Diels1 II 46,11]), il trattare col fuoco, per es. il cuocere (Aristot., probl. 21,12 [p. 928 a 24]), bollitura (Aristot., meteor. 4.3 [p. 38ob 28] ), la fiamma (Aristot., meteor. 2,9 [p. 369b 6]); senso traslato: desiderio ardente (schol. Aristoph., Pl. 974) ;; termine medico: la febbre (Sext. Emp., Pyrrh. hyp. 2,240)1 l'infiammazione, cr•oµocxou (Diosc., mat. med. 2,124).

    2. Nei LXX il vocabolo è raro (2 volte). In Prov. 27,21, in conformità con il significato predominante di 7tUp6w nell'A.T ., significa la saggiatura dell'oro al fuoco ( ooxiµ~ov à.pyup{{) xa.t XfMT<'ì) mipwcnc; [kur] ). In Am. 4,9 è usato in senso speciale per Iiddiif6n = carbonchio, malattia del grano, ritenuta effetto dello scirocco. 3. Flavio Giuseppe usa il termine per indicare il castigo divino contro Sodoma: ant. 1,203: yfiv ••. 7tupwcrE~ &.cpa.vl~wv, «distruggendo la terra con la fiamma»; in Filone il vocabolo non compare.

    Anche in mart. Polyc. 15,2 7tUpouµE-

    voc; è riferito a metalli e non alla fornace: wc; xpvcròc; xat &pyupoc; EV xa.µlv{{) 7tUpouµEvoc;, «come oro e argento ardente nella fornace» 11 • Herm., vis. 4>3A ricorre alla tradizionale immagine della saggiatura dell'oro nel fuoco per invitaCirca l'immagine cfr. IJI r7131; Ps. Sai. 17, I Petr. l,7; invece 'ltE'!!Upwµivoc; O'llh1poç in apoc. Petr. 28 quale strumento di castigo. 11 Cfr. Dan. LXX 3,46: -/i xciµwoç -1jv otcX'ltU· 10

    43;

    4. I tre passi del N.T. in cui compare questo vocabolo seguono l'uso linguistico dei LXX e di Flavio Giuseppe. In Apoc. 18,9.18 indica la distruzione della grande città di Babilonia col fuoco; in poç, e J Mach. 6,6

    I G . BERTRAM].

    'ltVPWO'tc; I Ed.

    J. F. DiiBNER

    (1855).

    'ltvpw1nç 4 • 'ltupwoç 3 (F. Lang)

    questo caso m'.lpwcnç ha senso passivo: il fumo che s'alza dall'incendio sublto ( 'tÒV XfX.7tVÒV 'tijç 7tVPWCTEu.lc; rx.u'tijç) . I Petr. 4,12 si rifà chiaramente all'immagine veterotestamentaria della purificazione dei metalli, e la applk~ alla purificazione dei credenti mediante le saffo. renze inviate da Dio. Soffrire è parte essenziale della natura cristiana in quanto partecipazione ai 7tcdh)µrx.'trx. 'tOV XpLO''tOV (v. 13). Pertanto «non vi sembri strana la prova del fuoco ora presente tra voi (in forma di sofferenza) e che vi è stata inviata (da Dio) come prova della fede)» . È evidente che il concetto è collegato all'inizio dell'èra finale (4,7. 17). 5. La stessa idea continua presso i Padri apostolici nei quali però l'ardore del fuoco della prova (Did. 16,5 : 1i 7tU· pwcnc; -r'ijc; SoxLµaO'lac;) è trasposto dal presente nel futuro ed è attribuito all'ira dell'Anticristo nell'ultimo tempo che precede la venuta del Signore.

    t

    7tvpwoc;

    1. Con i:i breve a differenza di 7tDpL· voç, derivato da ò 7tvp6c;, il frumento, significa di fuoco, igneo e si trova nella letteratura greca a partite dai. presocratici in senso proprio predicato di tutti i corpi e tutte le materie che secondo gli antichi sono di fuoco: ò oòpav6c; (He'ltupwoç

    1 In senso pos1t1vo 1tvpwov &.crmxcr"t~X6v: PREISENDANZ, Zaub. 4,639. 2 Inoltre 3 volte in Simmaco, Deut. 33,2: 1tV·

    pwoc; v6µoc;, cfr. "1 1034; Cant. 8,6. 3 Forse meglio b'né 'eJ = angeli, A. Bi!RTHOLl!T, Hesekiel, Handbuch A.T. l3 (I936) ad l.

    rad. A 10 [Diels1 I x46,2 3] ); 6 f)À.Loç (Anaxim. A r5 [Diels' I 93,40]); -rà &o-'Cpr:t., Id., A 7 [Diels' I 92,12]; Ari· stot., cael. 2,7 [p. 289a 16]) o caldi per fuoco: 7tVp~Vrt.L VVµcpaL, sorgenti bollenti (Anth. Pal. J4,52); in senso traslato, come nvp, per descrivere il furore irrefrenabile: 'ltVflLVO<; 'TtOÀ.Eµoc;, «guerra furiosa» (Polyb. 35,1,6) 1 • 2. I LXX usano l'aggettivo raramente (3 volte) 2 , in riferimento allo splendore luminoso dei fenomeni paradisiaci o celesti (Ez. 28,14.16: )...ti)oL 7tUflLVOL 3; Ecclus 48 ,9: Elia fu assunto in cielo ~\I é:tpµa:n i1t1tW\I 7tUpl'llwV, «sopra un carro trainato da cavalli di fuoco» 4». Flavio Giuseppe ha 1tVflW01]ç, simile a fuoco, in bell. 5 ,222, riferito allo splendore del tempio. 3. Nel N .T. abbiamo 7tupwoc; solo in

    Apoc. 9,17: dopo che sono stati sciolti i quattro angeli, mitiche schiere di cavalieri scalpitano sul mondo (~xov'taç i}wpaxr:1.ç 'ltuplvovc; xa.t ùaxLvi)lvouç xat 1Ìf:LWOELi;, «con corazze color di fuoco, giacinto e zolfo»). Non è chiaro se i diversi colori delle corazze corrispondano ai cavalli e questi si debbano suddividere in tre squadroni5, oppure se si tratti di un'anticipazione del fuoco, fumo e zolfo 6 che fuoriesce dalle bocche dei cavalli (v. 18). Comunque l'equipaggiamento dei cavalieri fa pensare a esseri demoniaci apportatori di distruzione. Anche le cavallette di fuoco (Herm., vis. 4 Cfr. invece le spade di fuoco dal cielo in Sib. 3,673, quali strumenti escatologici di punizione.

    s

    LoHMlWER, Apok., ad l. HoLTZMANN, Evangelium,

    J. Brie/e tmd Offe11baru11g des Joha1111es, Hand·Commentar zum N.T.J (1908) ad l. 6 H.

    1tVpwoç 3 - 1tVppoç 4 (F. Lang)

    4,1,6) sono fenomeni demoniaci dell'èra escatologica (cfr. Apoc. 9,3).

    t 7CUpp6c;

    I

    1. Più anticamente e in poesia TCUpcroc:;, attestato a partire da Eschilo, anche nelle iscrizioni e nei papiri: color del fuoco, rosso-fuoco, fulvo, presso Platone è considerato una mescolanza di giallo e grigio: -;i;uppòv ... l;avfiou n xrx.t q>atou xpa
    2. I LXX usano sempre 1tUpp6c; per

    (vr,952) 886

    tradurre 'adom, rosso; Gen. 25,30 : E\)JEµa 7tVpp6v, un piatto di lenticchie; Num. r9,2: vacca rossa senza difetti; 2 Reg. 3,22: acqua rossa come sangue; Cant. 5,ro : l'amato bianco e rosso, cioè perfettamente sano, come 'latte e miele'. Tra i cavalli di quattro colori della visione notturna di Zaccaria abbiamo i'.1t7tOL 7tUppol accanto a cavalli neri, bianchi e pezzati (Zach. r,8; 6,2 ss.). Come i cavalli in precedenza erano stati collegati ai quattro venti, cosl ora i colori sono connessi ai punti cardinali : rosso= est; nero=nord; bianco= ovest; pezzato=sud (cfr. Zach. 6,6) 3 • Questi cavalieri celesti devono percorrere la terra per apprendete i fatti e riportarli; talvolta hanno da assolvere incarichi particolari. 3 . Filone non usa questo aggettivo, che troviamo invece in Flav. Ios., ant. r,34. 4. Nel N.T. i colori dei destrieri dei quattro cavalieri dell'Apocalisse (Apoc. 6,1-8) sono in rapporto coi cavalli della visione notturna di Zaccaria (cfr. ~ 2 ). Mentre però in Zach. 6,2 s. la successione è: rosso, nero, bianco, pezzato, in Apoc. 6 l'ordine è diverso: bianco, rosso, nero, scialbo. Il cavaliere sul cavallo rosso citato al secondo posto (v. 4: èi.}.,Àoc; t7t1tO<; 1tUpp6c;) porta guerre e spargimento di sangue. L'originaria relazione del colore col punto cardinale è stata sostituita dall'allusione alla spada e alla strage 'rossa'. Corrispondentemente, anche il colore del grande drago color rosEd. H. L. AHRENS

    nvpp6c;

    2

    E. WUNDERLICH, Die Bede11tung der roten Farbe im K11lt11s der Griechcn rmd Ro111er, RVV 20,1 ( 1 925 ) [H. KLEINKNECHT].

    3 TH. H. RoBINSON - F. HoRST,

    1

    (1909) 105 .

    Dic zwiilf klei11en Propheten, H andbuch A.T. r41 (1954) 219 s. 237.

    nupyoc;

    I

    (W. Michaclis)

    so-fuoco (Apoc. r2,3) serve ad illustrarne il carattere bellicoso e omicida. Inoltre è probabile che alla base vi sia un'antichissima tradizione 4 • 5. Presso i Padri apostolici l'espressione di I Clem. 8,3: &.µap·tlcn 7tUpp6-

    (v1,953) 88&

    "t'Epa.t... x6xxov, «peccati... più rossi del carminio», si riferisce all'immagine di Is. r,r8, dove però i LXX non usano l'aggettivo 'ltvppo<; (cfr. I Clem. 8,4) . Peraltro l'espressione è proverbiale anche nel mondo greco (Épuitp6·n:pov xoxxou: Athen. 6,240D). Non si sa donde provenga tutta la citazione.

    F. LANG

    rcupyo~

    li precedette 4, e poi ha seguito nella lin-

    r. È difficile ammettere che 7tupyoç sia un vocabolo mutuato dal germanico (cfr. il tedesco Burg) 1 e passato nella lingua greca già in epoca preistorica attraverso un popolo dei Balcani settentrionali (illirico o macedone); esso potrebbe piuttosto essere un vocabolo pelasgico 2, e originariamente dovrebbe aver signifìcato la fortezza civica circondata da un vallo, comune nell'ambito indo-germanico, il castello-rifugio 3• Però presso i Greci 7tupyoc; ha assunto il significato di rocca, ripreso dal popolo che

    gua greca il suo proprio sviluppo . Esso significa la torre fortificata, il muro munito di torri, la fortezza, una 1nacchina d'assedio mobile, la colonna (di soldati), ed anche la torre, il castello, la rocca, oltre che, in generale, l'edificio (privato) che sovrasta gli altri in altezza, cfr. nupyoc; l&w"ttx6c; (Hdt. 4,164) (numerosi derivati sono termini tecnici in parte militari e in parte architettonici) 5 • In vari papiri sembra sia da preferire la traduzione jabbricato rurale, nel senso di

    4 Cfr. il colore rosso del Musrus5u babilonese e del Tifone egiziano (LoHMEYER, Apok., ad l.).

    mrmen und Griechcn: NJbchKlAit u (1908) 305-321 ; ID., Ursprung und Wanderung des Wohnturms: SAB (1929) 437-469.

    mipyoç I Cosl sostiene con dettagliata motivazione P, KRETSCHMER, Nordische Lehmoiirter im A/lgriechische11: Glotta 22 {1934) 1 00-122. Però nella derivazione dal germanico ci si attenderebbe ~upy- o 1tUpX- [DEBRUNNER] . 2 Secondo V . GEORGIEV, Vorgriechische Sprachwissenscha/t l (1941) 97 indoeuropeo *hhrgh> *brgh-> 'pelasgico' 1tUpy-; dalla stessa radice indoeuropea anche TIÉpya.µoc; < *bhergh-, tedesco Burg, bergen. Cfr. anche A. J. VAN WINDEKENS, Le pélagique (1952) 131 s. [lùSCH]. 3 K RETSCHMER, op. cii. (~ n. 1) 107-uo; G. ScHuCHHARDT, Hof, Burg tmd Stadi bei Ger-

    4 KRETSCHMER, op. cit. (~ n. l) II2 s. 5 Cfr. PAssow e LIDDELL-ScoTT, s.v. Più

    volte in iscrizioni, in parte collegato a i:t~xo~ e mJÀ'l}; cfr. DrTT., Syll.', indice s.v. Anche la torre di guardia sul colle Astiage presso Efeso, più tardi chiamata. cpvf.a.x'l'} Ila.v>..ov (cfr. MrCHA.llLis, Das 'Gefiingnis des Paulus' in Ephesus: Byzantinisch-Neugreichische Jahrbiicher 6 [!928] 1-18), nel contratto d'affitto riportato in un'iscrizione (III sec. a.C.) viene chiamata 1tVpyoc; (cfr. M1cHA.llLIS, op. cit., 7; D1TT., Syll.' 111 936 nota). H esych.: ~pyoç· 1tpoµ«XEWV, 't'E~xo.;... xat -tét.!;Lç l\I -cti:paywv Ò1tf.L't'W\I... xa.L 1tOÀ.Eµ t
    itupyoç i -2 (W. Michaelis)

    un edificio rurale, indipendente e attiguo ad una abitazione 6 • 2. Nei LXX 7tupyoc; ricorre in circa 80 passi. Nel T.M. gli couisoonde quasi esclusivamente migdal, che a sua volta è reso quasi sempre con 'ltupyoc; (in 1 Eo-op. 9,42 e 2 Tuop. 18,4 [Neem. 8.4] troviamo f3fiµa 7); in Prov. 18,10 è usato µE-

    yaÀ.wuvv'l'}, però Aquila e Teodozione hanno 1tupyoç anche qui; ~ n. 7). Per lo più significa torre fortificata oppure castello, cittadella, spesso senza vani interni, come parte di una più grande fortificazione o delle mura della città 8, ma anche torre di guardia isolata (cfr. 4 Bo:u. r7,9; r8,8; I Chron. 27,25)9, in particolar modo torre per la sorveglian-

    6 F. PREISIGKE, Die Begri/fe itupyoc; rmd
    in Is. 33,18 (la congettura in Bibl. Hebr., KiTT. 3 potrebbe essere superflua; cfr. ljJ 47,13) e.lai LXX è tradotto: 1tOV ÈO""tW 6 apL~V i:oùç i:pEq>oµÉvouç ( var. O'\JoµÉvovc; oppure 6.vcx:ai:pEq>oµlvouç). 111igdiilim qui è inte· so come participio di gdl piel (dr. Num. 6,J LXX; Dan. I.J Theod.). 8 J. BENZINGER, art. 'Kriegswesen bei den Hebriiern' in RE1 rr,n7; K. GALLING, art. 'Migdal' in BR 381 s. Nonostante il consenso di E. SELLJN nella sua appendice, ibid. 370-372, è assai improbabile che nel nupyoç di Gen. II,4 s. (senza T.M. anche u,8) si sia pensato alla torre di una fortificazione, come ha proposto O. RAVN, Der Turm w Babel: ZDMG 91 (1937) 353-370, spec. 359 s. 368 s. Piuttosto nel migdiil di Gen. II,4 s. si dovrà pensare ad una torre d'un tempio o ad una torre a gradini del tipo della piramide babilonese a gradini. Cfr. anche K. GALLING, art. 'Babylon' 2 in BR 72-75 . 9 In ebraico è rintracciabile la stessa evoluzione concettuale, avvenuta in greco, dalla for. tezza-rifugio fino all'edificio solido cd alto, soprattutto in ma'6z. Questo vocabolo signilìca rifttgio, protezione e concretamente fortezza di 111011/agna o cima di monte. Qui dapprima non si tratta della fortezza artificiale ma dell'inac· cessibilità del luogo. Reperti hanno provato l'esistenza di fortezze-rifugio, in Palestina, ad es. sul kurun /.Jaffin nei pressi delle località in cui il Saladino nel n87 batté definitivamente i crociati, nella Galilea del periodo neolitico, e a Mashkena tra Tiberiade e Se!Ioris; dr. G. WATZINGER, De11k111aler Paliisti11as 1 (1933) 25; G. DALMAN, Orte 121; Io., Die Zeltreise: PJbch IO (1916) 41. Necessità di fuggire sulle montagne se ne sono sempre presentate nella storia israelitica; cfr. fod. 6,i. Ivi ed altrove ricorrono diversi vocaboli. Anche in greco l'ambito del vocabolo è molto esteso, tanto più che mti'6z è variamente usato in senso traslato

    1tÒpyoç 2-3 (W. Michaelis)

    za e la protezione del gregge: migdill'éder, torre del gregge (Gen. 35,21 [LXX: m'.lpyoc; rci.oEp]; Mich. 4,8 [LXX: 1tupyoc; -rcoLµ'Jlou]; 2 Chron . 26, rn). In Is. 5,2 la torre di guardia nella vigna si chiama migdiil e rispettivamente -rcupyoc;; si tratta evidentemente di una piccola cotruzione senza vano interno e con scala esterna, dall'alto della quale il guardiano poteva vedere tutto intorno; da alloggio del guardiano serviva la sukka bekerem menzionata in Is. r,8 (LXX: ~
    luna b"miqsa (ibid.) 10. .In senso traslato -rcupyoc; è usato in \jJ 60 ( 6r ),4 ( = difesa; cfr. già Hom., Od., u,556); Is. 30,25 (immagine delle potenze del mondo); Ecclus 26,22. 3. Filone usa 1tupyoc; nell'interpretare Gen. l 1,4 s., brevemente in poster. C. 53 e molto estesamente in con/. ling. (in 128-130 egli tratta anche di Iud. 8,8 s. r 7 ). La torre di Babele è spiegata come simbolo della <J.voLa degli uomini (con/. ling. 5), della loro µEya.Àavxla (5.113) e xaxla (83.u3.115), in breve della lo. ro à.ìlE6-tTJc; (196), in 133 abbinata alle per indicare il ricorso a Dio (fortezza, roccia) (cfr. Ps. 27,r; 28,8; 31,3 e passim; Prov. 10, 29; Is. 17,ro; 254; Ier. 16,r9 e passim)_ I LXX hanno tradotto in vario modo. In Prov. 10,29 della parola di grazia del testo ebraico ( «] ahvé è una protezione per colui che cammina nell'innocenza») i LXX fanno un'espressione farisaica di autogiustificazione: «Garantisce sicurezza all'uomo pio la sua pratica religiosa» (bxupwµa òu(ou qi6~oc; xupfou). Gli ambiti les· sicali dci vocaboli bxvpwµa (~ rx, coll. 91 ss.) e 'ltÒpyoç e quelli dei rispettivi archetipi ebraici si intrecciano. Cosl in Prov. 10,15; 18, II.19; 2r,22 si parla della 1tOÀ~ bxup&. nello stesso senso in cui ad es. in IJl 60,4 si parla del m>pyoc; taxvoc; (dr. m>pyoç bxup6c; in lud. 9,51 cod. A). Cfr. G. BERTRAM, Der

    Sprachschat:t. der LXX tmd des hebr. A .T.: ZAW 57 (1939) specialmente 93-98 [BERTRAM].

    alCT1}ljcrEtc; (~IX, coli. 92 s. con nota 3). Anche Giuseppe usa 1tVpyoc; in corrispondenza con passi veterotestamentari, ad es. in ant. 1,114s. n8 (cfr. Gen. n,4 s.); 7,142 (dr. Iud. 9,51 s:); n,45 (dr. 1 Eo-op. 4,4). Abbastanza spesso, nella descrizione di fortificazioni, egli menziona (discostandosi dal testo veterotestamentario) anche i nupyot, ad es . in· ant. 9,122 (cfr. 4 Bav. 9,30 ss.); 10,134 (cfr. 4 Ba 'ltUp· ì'4> B~o-lÀEtOV OoxE~v, «nulla mancava 10 Cfr. H. ScmcK, Ba1111.eschichte der Stadt Jemsa/em: ZDPV 16 (1893) 236 s. Anche nel

    periodo rabbinico le torri dei guardiani della campagna erano chiamate mgdl; invece la casupola del guardiano veniva chiamata Jmrh (dr. S. KRAuss, Talm11dische Archiiologie I [r910] 8.280 n . lm; II [19II] 185.203; STRACK-BILLERBECK I 868 s .). Qualche torre di campagna si trova ancora in Palestina; cfr. anche L . BAUl!R, Volkslebe11 im !Ande der Bibe/2 (1903) 132 (riproduzione). m'.ipyoc; inoltre è passato tra i rabbini come imprestito (prgws) nel significato cli torre; cfr. S. KRAuss,

    Griechische 1111d lateinische Lehnworter in Talm11d, Midr. tmd Targ. II (1898) 477; il vocabolo bwrgjn, torre, fortezza; posto di guardia, trattato ibid. 143 s., non sembra, come propone Krauss, da collegare con cppoup~ov, ma neppure con 1tÒpyoç (vi può soggiacere «Ull vocabolo soldatesco cli origine germanica», ibid. 144).

    7tupyoi; 3-4 ( W. Michaelts)

    alla torre per sembrare una reggia»). La (l'ingiustizia si costruisce mura, e E'itL torre, che piì1 tardi fu inserita nella for- 1tVpyouc; i] &.voµlcx. xa~TJ"t<XL, «l'iniquità tezza Antonia e nella quale erano con- sta assisa su torri»); test. I ud. 5 ,5. La coservati i paramenti del sommo sacerdo- munità di Qumran disponeva, oltre che te, in ant. 18,91 s. non è chiamata m'.ip- di un muro di cinta, anche di una torre; yoc; ma f3iipLc;. Anche le colombaie tur- per questo motivo muro e torre sono riformi ('m)pyot 1teÀ.rnHiwv) nel parco immagini che ricorrono spesso nella letreale sono chiamate torri da Giuseppe teratura dì Qumran 12 • (bell.5,181) 11 • In ant. 13,309; 15,293: 4. Nel N.T. 1tVpyoc; s'incontra in Mc. 19,343; bell. 1,77.156.408 è menzionata ~.-pa'twvoc; 1tvpyoc;, che nel N .T. 12,1 par. Mt. 21,33 alprindpio della paappare soltanto sotto il nome di Kcx.Laii- rabola dei cattivi vignaioli: ~xoo6µTJ­ pEtcx., ricevuto sotto Erode il Grande. La Lettera ad Aristea nella sua descrizione vEV 1tVpyov, «costruì una torre». Dato di Gerusalemme si occupa anche dei che l'introduzione alla parabola, e cosl 7tupyoL della rocca (axpcx.) (ep. Ar. 101 anche questa espressione, costituiscono s.) e di quelli delle mura delJa città (ep. chiaramente una ripresa di Is. 5,2 13, Ar. 105). Anche negli pseudepigrafi si fa men- qui come là (~ col. 891) si deve penzione di torri: Iub. ro,18 ss. (cfr. Gen. sare ad una torre di guardia nella campa11'4 s.), discostandosi dal testo veterogna 14 • In Le. r 3>4 si parla di 6 'ltÙpyoc; testamentario in l 1 ,2, e per caratterizzare la pericolosa dimora dei patriarchi Év •0 I:tÀwci:µ . Poiché la torre, di cui in mezzo ai pagani in 29,16.19 (latino non si ha conoscenza da fonti contempobaris); 31,6; 37,16 s.; or. Sib. 3,98 ss. ranee, sprofondando ha seppellito 18 uo(cfr. Gen. IIA s.); 4,69.105 s.; 5,424; 11,ro; Hen. aeth. 87,3 ed anche 89,50. mini, dev'essersi trattato di una costru54.56.66 s. 73; Bar. gr. 2 s.; test. L. 2,3 zione piuttosto grande 15 • In Le. 14,28 11 Cfr. KRAUSs , Archiiologie (~ n. 10) II 138 (525 n. 975 documentazioni di mgdl con que-

    sto significato). 12 Numerose attestazioni in O. NETZ, Felre11ma1111 tmd Fe/rengemeinde : ZNW 48 (1957) 52; 65 e n. 47; 66 e n. 49.69. Cfr. H. BARDTKE, Die Kriegsrolle von QumratJ iibcrs.: ThLZ 80 (r955) 410 n. 100. STRACK-BILLERBECK, indìce s.v. 'Tutm' rimanda soltanto a III 325: interpretazioni di Jr. 33,r8 (~ n. 7) in Hag. b. 15b e passim. 13 Luca, che in 20,9 ha ridotto la citazione ad espressione generica, tralascia anche questa frase. La redazione lucana, però, anche se la menzione del rcvpyoc; non è necessaria per la spiegazione della parabola, non è originaria, perché lo soopo della citazione condiziona la sua identificazione e questa a sua volta richiede l'ampia citazione; cfr. W. MrCHAELIS, Die Gleiclmisse Jesu) (1956) n6.

    H Dato che già in Is. 5,2 migdiil è stato tradot-

    to con 7tvpyoc;, non si vede perché LoHMEYER, Mk., ad l. annoveri anche il vocabolo nupyoc; fra i tratti della parabola che sarebbero «strani e forse artificiosi». · La sua motivazione («7tUpyoi; e migdiil si corrispondono soltanto nel significato di 'torre', che qui non è pertinente») è in contrasto con l'uso linguistico dei LXX. In ogni caso qui non s'intende parlare di un fabbricato rurale, anche se si tratta di un vigneto piuttosto grande, dato che viene preso in 8.flìtto da vati piccoli contadini; cfr. ALT, op. cit. (~ n. 6)· 335. 15 Si può supporre che la torre (non risulta che essa stessa abbia avuto il nome di Siloe [«torre Siloc»], come sembra a E. STAUFFER, ]esus: Gestalt tmd Gescrichte ( 1957] 48) abbia fatto parte degli impianti della conduttura dell'acqua e che l'infortunio sia avvenuto durante lavori di miglioramento;

    895 (vr,955)

    7'upyoc; 4-5 (W. Michaelis)

    Gesù domanda: "tl<; yàp È~ ùµwv 1JH.wv mipyov olxoòoµ'ijcra.t ovxt 1tpW"tOV xa.i>lt:ra.ç "'TJq>lsEt "tTJV Òa.7tcivnv. El ~XEt El<; &.7ta.p-.Lcrµ6v ... ;, «chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa, se ha tanto da condurla a compimento?». Come risulta da È~ ùµwv, non si pensa ad un edificio pubblico (torre di una fortezza, torre delle mura). Ma forse non s'intende nemmeno una semplice torre di guardia di campagna, perché nel v. 29 si parla del getto delle fondamenta come momento particolare dei lavori di edificazione, ed una torre di guardia non comportava affatto

    costi tanto considerevoli. Perciò deve essersi trattato di una casa privata a più piani a forma di torre, a meno che qui non vada preso in considerazione il significato di fabbricato rurale (~ coli. 888 s.) 16• 5. Padri apostolici. In Barn. 16,5 si parla di un m'.ipyoç in una citazione 'scritturistica', tratta probabilmente da Ben. aeth. 89,56 ss. (~col. 893); stando al contesto, si tratta di una torre per la sorveglianza del gregge (~ coll. 890 s.). Nell'allegoria della torre di Herm., vis. 3,2,4 ss.; 3,1-7,6, e sim. 8,2,r ss.; 9, 3,r-9,31 sotto l'immagine di un 7tupyoc; (complessivamente 149 volte) si parla della EXXÀ'l]crlcx 17 • W.MICHAELIS

    cfr. HAucK, Lk. e KLOSTERMANN, Lk., ad l.; G. BoRNKAMM, ]esus vo11 Nazareth (1956) 79; STRACK-BILLERBECK n 197. In beli. 5, ;z92 Giuseppe racconta che una delle torri, che Tito aveva fatto innalzare sui valli d'assedio davanti a Gerusalemme, sarebbe caduta in piena notte (nECTEL\I GtÒ"toµ«'twc;; anche Le. 13, 4 ha ~7'EC1Ev [ ~ x, col. 304]). E. HIRSCH, Friihgeschichtc des Evangeliums II (1941) ;z17 anche in Le. 134 pensa alla «caduta di una torre delle mura». 16 Cfr. HAUCK, Lk., ad l.; ALT., op. cit. e~ n. 6) 335; BORNKAMM, op. cit. (~ n. 15) 135.191 n. 5; A. S1zoo, Die antike W elt und das N.T. (1955) 48 s. 17 Cfr. DIBELIUS, Herm. 459 s . (excursus: «Die Turm-Allegorie»). 587 ss. (excursus: «Die Allegorie vom Weidenbau.m», specialmente 589). 604 ss. (excurs11s: «Der Fels und die Berge», specialmente 605 s.); R. KNoPF, Die Himmelsstadt, in Neutcstamentliche Studien

    G.Heinrici dargebracht, UNT 6(1914):u3-:z19, specialmente 2r6.;z18. Cfr. STAUFFER, Theologie, figure 93 s. In Apoc. 21,10 ss. non si parla di torri della Gerusalemme celeste, e nel N . T. non ha lasciato traccia l'idea di una torre del cielo; anche l'erezione della torre di Gen. I I negli Atti degli Apostoli ha avuto un contrappeso teologico, al massimo indiretto, in Aci. 2. W. ScHMITHALS, Die Gnosis in Korinth, FRL, N.F. 48 (1956) 133 s. cerca di dimostrare che in Herm., vis. 3; sim. 9 alla base v'è l'idea del redentore redento, dell'uomo primordiale cosmico. Sull'idea, sviluppata dagli Gnostici (specialmente dai Simoniani), della dea Elena, che ha mostrato agli arconti inferiori del caos la luce primordiale (Epiph., haer. 21,3,2) (idea suggerita da Verg., Aen. 6,:;xr Elena dalla cima del 7'\Jpyoc; di Troia con una fiaccola in mano chiama i Greci nella città), dr. G. QmsP.EL, Gnosis ols Weltreligion {1951) 64.66-69.

    mipÉC'C'W

    l

    (K. Wciss)

    t 7tUpÉcrcrw, t 7tUpé'.'t"Oc; r. Come tutte le definizioni popolari di malattie hanno per oggetto un sintomo (che per lo più non comprende affatto la natura della malattia) 1, cosl anche JtVPE't'6c; per prima cosa non signllìca altro che l'aumento della temperatura del corpo 2 , mentre i vocaboli pi:yoc; e q>pl!; pongono in evidenza altri sintomi, che possono celare varie e disparate malattie. Ma da Ippocrate in poi la natura dei 7tUpE'tOl è stata studiata a fondo presso i Greci, e ne sono stati descritti in molti modi i tipi, le cause e la terapia. Qui si trova già la distinzione, valida ancor oggi, in &.µcpiJµEp~\loc; 1tUpE"t6c; (febbre quotidiana), 't'pt't'a~oc; 1tUPE't'6c; (terzana), 't'E't'ap-.afoc; 1tEPE't'6c; (quartana) e iJµt't'pt't'atoc; 1tUpE'to<; (una duplicazione della terzana e della quartana) 3 • In questo stadio della ricerca medica sulla febbre, la causa ovviamente è vista in circostanze naturali, nell'aria che ci circonda, in esalazioni dell'acqua o della

    terra, in secrezioni degli organi interni. Contemporaneamente continua a vivere la 'medicina mitica'. Essa sa a quali divinità di volta in volta ci si deve rivolgere per la guarigione di una determinata malattia; sa che demoni ed eroi possono guarire o provocare malattie e conosce la liberazione magica dagli spiriti apportatori di malanni 4 • Nel periodo ellenistico si ritrovano le distinzioni già citate ed altre simili 5 • Ad esse si aggiunge la distinzione tra il m>pt-còc; (dyac; e il 1tUpe:•Òc; µixp6c;, che va considerata in 1·apporto a Le. 4,38 s., anche se le testimonianze sono d'età postneotestamentaria 6 • La critica di Galeno 7 a queste distinzioni lascia supporre che si tratti di una rozza semplificazione della distinzione classica, alla quale egli stesso contrappone quella tra ..vpe:~ot 7tEptxa.ÉEc; (ardenti), oe:wol, ~À.TJxpoC (deboli) e 1tp1J• ÉE<; (medie) 8• Per la conoscenza della reale natura delle singole malattie feb-

    'ltUpÉcrC'W X't).,

    Cfr. N1mDURGER, op. cit. (~ n. 3) 167 s. con tutte le indicazioni. Sulla medicina scientifica e mitica nella storia dei popoli antichi e sul loro rapporto reciproco~ rv, coll. 67r ss. s P. Oxy. vm 924,2 ss.; rx5r,34 ss.; BGU III 956,3 s.; AuooLLENT, De/. Tab. 74,6; Cels., med. 3,3. In Flav. Ios., ani. r3,398; beli. l,I06 si racconta che Alessandro Ianneo morl di quartana. 6 Gal., de di!ferenliis febrium l (KiiHN 7,2734

    PREUSCHEN-BAUER5, PASSOW, LlDDELL-ScoTr, MouL.-MILL.,s.v.; A.DBBRUNNER,Zu den kon-

    sommtischen io-Priisentie11 im Griechischen: Indogermanisclie Forschungen

    21

    (1907)

    .228.

    2j4S.

    1 Per il N.T. cfr. H. SENG, Die Heilungen Jesu ili medi:dnischer Beleucht1111g! (1926) xo. 2 Cfr. Aristot., probl. r,20 (p. 861 b 38 s.). 3 Documentazione in M. NEUllURGBR, Ha11db11ch der Geschichte der Medi:d11 I (1902)

    s. Altre distinzioni non specifiche si riferiscono alla durata (cnivoxoL, m1xvol e ,;MVTJ'tEç m!PE'fOl) e ai sintomi della febbre (Ti11(a).oç 1tUPE'f6ç = PL')'07tUPE't6ç, brivido febbrile; xaucroç, febbre ardente; ì..1)lhx.pyoç 1tUpE-i:6ç, febbre con so1111olenza; À-E~7tupla=ci116>8ric; 7rupe:'t6ç, febbre con nausea; XVT}µW6T]ç 'ltUpe:'toç, febbre con prurito; ).uyyw6ric; -p;upe:,-6ç, /ebbre con singhiozzo), oppure all'intensità (XÌ..Lapòç 1WPE't6ç, febbre leggera; -p;EpLxu.:ijç 7tUpe:,-6ç, febbre ardente). In NEUBURGER, op. cit. ricca bibliografia specializzata. 251

    277); Gal., de curandi ratione per venaesectionem 6 (Ki.iHN u,269 s.); Aret., de curatione acutorttm morborum r ,1o;r.I9 (CMG u II3, 27 s.; n8,r3); Alex. Aphr., de febribus libelllls 18.31 (ed. J . L . JnELER, Physici et medici Graeci minores I [ r84x] ); Cels, med. 4,14,1. Cfr. J. SCHUSTER, Zwei neue medizit1-geschichtlicbe Q11el/en :mm «Grosse11 Fieber» Lk 4,38:

    BZ 13 (1915) 338-343. 7 --+ n. 6, specialmente Gal., de differentiis febri11m I (KiiHN 7,:z74 s.). 8 Cfr. ScHUSTER, op. cit. e~ n . 6). L'elenco in P. Oxy. VI 924,6 conclude con ).e:n'fÒS 'ltU·

    7tUpÉaaw l-3 (K. Wciss)

    brili naturalmente con queste suddivisioni non si fanno molti passi avanti, perché queste «febbri malariche endemiche non sono tipiche del nostro clima temperato, ma sono proprie del clima subtropicale» 9 • È ovvio che anche la spiegazione demonica della febbre continui a dominare 10• Può darsi anzi che essa si sia ancor più diffusa per l'influenza di religioni orientali 11 , e, com'è noto, continua ininterrotta nella letteratura cristiana 12.

    me premonizioni della sua venuta per il giudizio. In tal modo esse rientrano in quel rapporto di malattia e peccato, del quale l'A.T. offre testimonianze caratteristiche(-? IV, coll. 686 ss.). I LXX hanno tradotto con 'ltVPE'Toç soltanto qaddaf?at di Deut. 28,22 16• Tranne pi:yoç (brivido di febbre) nello stesso versetto, non compare nessun'altra designazione di febbre; TIUpÉ
    3. La letteratura rabbinica per indicare la febbre usa gli stessi termini dcl 2. Le denominazioni della febbre usaT.M. o i loro equivalenti neoebraid e te nell'A.T. sono, come il termine greco, aramaici. Gli altri vocaboli che si trovaderivate da radici che significato brucia- no in essa sono anch'essi tutti derivati re, accendere; cosl qaddaf?at (Lev. 26, da radici che indicano bruciare, fuoco, 16; Deut. 28,22) e dalleqet (Deut. 28, ecc.: f?amme t!t, f?arf?i2rii', 'dsiitii', .ftm13 14 2 2) • Ibn Esra intende i due vocaboli tii', simsa' 17 • Dalla medicina greca (-? nel senso di quotidiana e, rispettivamen- coll. 897 s.) i rabbini hanno appreso te, terzana o quartana; Sa'adja 1s nel sen- la distinzione delle febbri, come puso di malaria tropicale e quartana: chi re le cause naturali e i metodi naturali di dei due colga nel segno, è difficile dire. guarigione 18 • Prevale però la concezioNon è possibile distinguere questi tipi di ne della febbre come demonica 19, oltre febbre. È importante notare che nei pas- che come punfaione di Dio 2<1. Anzi, prosi citati le febbri sono minacciate come prio nel giudaismo quest'idea ha trovato punizioni di Dio e, rispettivamente, co- la sua elaborazione virtuosistica (~ IV,

    ro7 s. e 129-132. Vedi P. DIEPGEN, Geschicbte der Medi:dn 12 (1923) 50. 12 Cfr. dell'Apocalisse di Gregorio Taumaturgo del cod. Paris. 2316, fol. 433 r. (a cui si richiama RErTZENSTEIN, Poim. 18 n. 8) le frasi: xvpLE, l.iEL~6v µoL -.òv fJ.yyEÌ.,OV 't"OV ~Lyolt\JpE· -i:ov· xcd El7tlv µoL -.6 gvoµa aò-rov. kVX<X.TJ).

    Cfr. J. PREuss, Dibl.-Talmudische Medi:t.in (19n) 182-187. 14 PREuss, op. cit. (~ n. 13) da Ter. i. 8,5 (45 c 17). 1s Cfr. DALMAN, Arbeit I 107. 16 In Lev. 26,16 invece con tx-i:epoc; (itterizia). 17 Una lista completa in STRACK-BlLLERBECK r 479. Ber. b. 32a spiega la febbre come un fuoco delle ossa. 18 STRACK-BILLERBECK r 479 da Git. b. 67b e Sbabb. ;. (4b,28). PKEuss, op. cit. (-? n. 13) 184-187. 19 op. cit. (-? n. 17) da Ned. b. 4ra; Git. b. 7oa: dormire al chlai-o di luna da Tammuz a Elul provoca 'a[71/t1 (brividi di febbre). Cfr. F. FENNER, Die Krankheit im N.T. (1930) 22. 20 Cfr. in Philo, execr. 143 l'elenco delle malattie da considerare punizioni dell'ira di Dio.• nel quale 7tVPE-t6i; e ~~yoc; stanno al primo posto. Sull'armonizzazione o la compresenza disarmonica delle due concezioni dr. STRACK-BII.-

    xa).Ei:-ta~

    LERDECK IV 522.

    pe-t6c;.

    13

    9 NEUllURGBR,

    op. cii. (-? n. 3) 251. Filone (sobr. 45) diagnostica la febbre dal suo ardore e spiega (leg. Gai. 125) il suo insorgere con l'inspirazione cli aria calda e inquinata: -rò ).ey6µevov xa-i:à Tijv rcapo~µlav mip È1t~
    x-r)..

    nupEcraw 3-4 (K. Weiss)

    4. Il N.T. menziona tre volte il 7CUpEtra le malattie curate da Gesù o dagli apostoli. Di esso soffre la suocera di Pietro (Mc. rao s.; Mt. 8,14 s. 24 ; Le. 4, 38 s.), il figlio dell'ufficiale regio (Io . 4, 52) e il padre di Publio, uomo eminentissimo di Malta (Act. 28,8).

    simativa (~ col. 898) perché si possa trarne indicazioni mediche sicure. Ma soprattutto l'indicazione ha un valore puramente letterario, come mostrano Mc. 1,30 s. (e Mt. 8,14 s.), che parlano soltanto di 1tupÉO'O'ELV e 1tUpE-c6c;. Dunque Luca ha voluto con gusto letterario concretizzare la rappresentazione del caso, oppure (ciò che è più verosimile) accentuare il carattere edificante della storia con la gravità della febbre poi guarita 27 • Oscura è anche la febbre del figlio dell'ufficiale regio in Io. 4,52. Se egli è lo stesso malato che in Q (Mt. 8, 5 ss.; Le. 7 ,1 ss.) è servo di un centurione di Cafarnao, si tratta di un 'lta.pa.}.u·nx6c;. Ma nulla indica che anche il quarto evangelista consideri il suo malato un paralitico ed abbia voluto descrivere una febbre che si accompagna alla paralisi.

    In ognuno di questi tre casi viene spontaneo chiedersi di qual genere di febbre si parli: una risposta si potrebbe trovare soltanto nel terzo caso 25 • Luca dice che il padre di Publio era a letto malato 7CUpE-roi:ç :x;a.l OUO'E\l't'EPL4J O'VVExoµEvoç (Act. 28,8). Dagli scritti medici da Ippocrate a Galeno 26 si ricava che qui si ha la designazione - ineccepibile sotto il profilo medico - di una dissenteria f ebbrile. Quando invece lo stesso Luca nel Vangelo (4,38) a proposito della febbre della suocera di Pietro vuol precisare che si tratta di 7tUpE-còç µÉya.ç, si serve di una designazione troppo appros-

    Chiaro è invece che in tutti e tre i passi si pensa a cause che risiedono nella sfera d'influenza di forze soprannaturali, o meglio religiose, vale a dire che le febbri sono di origine demonica o divina (punizione dei peccati). Che l'idea dell'origine e dell'essenza demonica della malattia sia del tutto corrente nel N. T. non ha bisogno di essere dimostrato (~I, coll. 13u; IV, 693 ss.). Cosl pure in esso è ovvia la comprensione della malattia come punizione dei peccati, in-

    coli. 685 s.; vn, 1426 ss.). Contro l'effetto demonico si ricorre a scongiuri e pratiche magiche 21 . Ciò che vale delle febbri vale naturalmente delle malattie in generale 22• Osservazioni tra i beduini e i fellahin, che vivono oggi nella Terra Santa, mostrano che simili idee sopravvivono intatte, anzi costituiscono un patrimonio stabile delle religioni di tutti i popoli 23 •

    -r6ç

    21 STRACK-BILLERBECK I 479 da Git. b. 67b e Shabb. b. 66b; Flav. Ios., ant. 8,45-49; PRtmss, op. cit. <~ n. x3).

    22 STRACK-BILLERBECK IV 524 {e).

    T. CANAAN, Damonenglaube im Lande der Bibel: Morgenland 21 (1929) 45 e i lavori ci-

    23

    tati in ~ I, col. 13rx n. 20). Mc. r,30 s. e Mt. 8,14 s. sono gli unici passi della letteratura protocristiana in cui appare anche il verbo (nella forma mJpÉo'crovcra.[v]).

    24

    25

    Cfr. DALMAN, Arbeit

    1 107:

    la febbre della

    suocera di Pietro e quella del .figlio dell'ufficiale regio non si possono precisare. 26 Cfr. W. K. HoBART, The Medicai Language o/ St. L11ke (1892) 52 s. 27 ·r tentativi di \Yl. EBsTmN, Die Medizin i111 N.T. u11d im Talmud (1903) 103 s. e di FENNER, op. CÌt. (~ n. 19) 52, di spiegare le febbri in questi due passi e in Act. 28,8 come fenomeni isterici o nervosi non hanno alcun fondamento nel testo e sono condizionati da una preconcetta interpretazione delle guarigioni di Gesù.

    'ltuptinrw 4 (K. Weiss)

    fl.itta da Dio (~I, coli. I 3 I I; IV' 694 ss.; colui che ha preso su di sé le punizioni vn, 1428 ss. 28). Nei malati di febbre dei dei peccati e che scaccia i demoni con il nostri racconti il carattere demonico for- dito di Dio (Le. 11,20; cfr. 13,16}. Dunse si può già dedurre dall'à.q>ijxE\I CLÙ'ttJ'll que dove nel N.T. si parla di febbre, ciò (cx.ù'tòv) ò r.:upE'toc; (Mc. 1,31; Mt. 8,15; avviene in primo luogo per dimostrare il Io. 4,52): il demone della febbre si riti- dominio di Gesù sul peccato e sul diara. In Luca è indiscutibile che egli ha volo, come è detto in Io. 9,3 a proposito inteso la guarigione della suocera di Pie- della guarigione del cieco nato: ~\lcx. cpcx.tro come un esorcismo; non si può ca- 'llEpw~Ti 't<Ì. epya 't"OV iJEOU, «affinché siapire diversamente la frase :x:cx.L ÈmO-'tÒ:<; no manifestate le opere di Dio» . La btcX.vw CX.Ù'tijc; È7tE'ttµ1)CTEV 't@ 1tUpE't4) scomparsa della febbre è un Etc; 'tàc; XEi:pw; cx.ùca per il risanato o per la totalità del co't@ iWrct'tO cx.Ù'tO'll, «Paolo, dopo essere smo demonizzato, cioè ad es. la liberaentrato e aver pregato, pose le mani su zione dalle catene del peccato e la ricodi lui e lo risanò». Il racconto è più so- stituzione dello stato in cui si trovavano brio, ma il giudizio sulla febbre non è per effetto della creazione (-+ IV, col. meno chiaro che nell'altro racconto: la 717; VI, coll. I428), potrebbe essere febbre è vinta facendo appello al Padre suggerita da Mc. 1,31 par.: la suocera di di Gesù Cristo o al Signore. Dunque Pietro guarita dalla febbre riprende su· può anche aver avuto soltanto una cau- bito il suo normale lavoro. Nel resto pesa soprannaturale, sia essa il Dio che rò i nostri testi non offrono alcun motipunisce o i demoni che nuocciono. Eli- vo per riflessioni del genere. minare entrambe le cause è nel potere di K. Wmss

    ov

    7tUpLvoc; ~ coll. 883 ss. 1tup6w -+coli. 876 ss.

    2&

    Cfr. FENNl!R, op. cit.

    (~

    n. 19) 21-26.

    1tUpp6c; ~ coli. 885 ss. 'ltUpW
    ';JU) \ Yl1':J)';JJ

    t

    ~-.._

    ........, ... - ' - . -------,,

    7tG'>À.oç

    I. ò 7tWÀ.oc; (affine al tedesco Fohlen, una moneta corinzia si trova l'immagine puledro) è il puledro, il cavallo o l'asino di Pegaso; perciò essa è detta senz'altro giovane. È attestato già nelle tavole di 1tWÀoc; in Eur., Jr. 675 (T.G.F. 572 s.); Cnosso, per indicare il puledro sia del Poli., onom. 9,75. tEpòc; ?tWÀoc; "Icnooç cavallo sia dell'asino 1 • Detto di puledri è titolo di un sacerdote egiziano (Ditt., di cavalli o di cavalli giovani: Hom., Or. II 739,8 7 ; similmente anche IG 5, Il. I I ,68I s.; Aristot., hist. nat. 6,18 (p. r, nr. 1444). Talvolta si trova IlwÀ.oc; 572 a 28); 6,23 (p. 577 a 9); 8,24 (p. come nome proprio maschile, ad es. in 605 a 37); part. an. 4,ro (p. 686 b 15); Plat., Gorg. 448s.; Xenoph., an. 7,2,5, del puledro dell'asino in Aristot., mira· IIwÀ.ov 1tEOlov come nome geografico in bilia ro (p. 831 a 23.25); geoponica 16, Paus. 8,J5,Io. n,6 2; P.Lille I 8,9; P.Osl. Il 134,rr; BGU II 373,7. Poi il vocabolo è stato 2. Nell'A.T. in un elenco di Gen. 32, applicato anche a giovani di altri anima- r 6 troviamo 15vouc; Etxo
    Cfr. PAssow,

    LmDBLL-ScoTT, MouLT.·MILL., PREuscHEN·BAUER5, PREISIGKE, Wort.; LEVY, Chald. Wort. e M. JASTROW, A Dictionary o/

    the Targumim, the Talmud Babli and Y erushalmi and the Midrashic Literature (1950) s.v. Inoltre W . BAUER, The «Colf» o/ Palm Stm· day (L'asino della domenica delle palme): JBL 72 (1953 ) 220-229; H. W. KuHN, Das Reittier Jesu in der Einzugsgeschichte des Mk: ZNW 50 (1959) 82-92. I M. VENTRIS. ]. CHADWICK, Documents ili Myce11ea11 Greek (1956) nr. 52 (c. 895)

    [RJSCH) . 2 Ed. H . BECKH (1895). 3

    Su quanto segue dr. BAUER, op. cit.

    1) 221

    s.

    4 Ed. TH. PuscHMANN

    (~

    n.

    n (1879) 215 .

    Ed. U. C. BussEMAKER (1849) 363. 6 Ed. C. WENDEL (1914) 165. 7 Cfr. anche TH. REINACH, Papyms grecs et démotiq11er (1905) pap. 10,5; B. P. GRENFELL-A. S. HUNT, New Classica[ Fragments and other Greek and Latin Papyri (r897) pap. 20,5. 5

    r.wì-.oç, 2-4 (0. Michel)

    nonimi ('n:wÀoc; e 7.:wÀoc; .,;ijç ovou a.ù- sajjap in B.B.b. 78b: puledro, giumento 'tov) 8 • La diversicà delle denominazioni d'asino, che etimologicamente viene colsi deve al parallelismo poetico delle par- legato al sostantivo sz{ia, discorso, conti della frase e non può quindi ingenera- siglio. Sulla base del greco ycx.voapov o re equivoci. 1tWÀ.oc; ( = 'ajir) anche qui ya~MpLov si ha l'imprestito gajtdor qiidunque nell'uso linguistico orientale è !iin, l'asino piccolo, il puledro d'asino senz'altro il puledro d'asino. Lo stesso (B.M .j. 6,3 [II a 24]) 13 • Indubbiamenvale per Zach. 9,9, un'eco di Gen. 49, te già nell'epoca veterotestamentaria è r r: 1tpa.ùc; xa;l btL~E~TJxwc; È'ltl u'lto!'.;u- presente la trasposizione di 'ajir nell'arayLov xcd 7tWÀ.ov vfov. Il vocabolo Òlto- maico 'Zlii' = 1tWÀ.oc;. Secondo un'antica tmdizione rabbinica (c. 150 d.C.) toro ~uytov, propriamente animale da giogo, che in Thuc. 2,3,2 e Xenoph., oec. 18,4 è ed asino sono figure messianiche (Gen. ancora esteso a bue ed asino, a partire I'. 75 [48c] a 32,6). da Aristot., hist. an. 9,24 (p. 604 b 28) e Theophr., char. I4>4 è limitato all'a4. Mc. n,2+5 .7 sottolinea che Gesù sino 9 • Il testo greco è inequivocabile: 10 è entrato in Gerusalemme cavalcando un «egli cavalca un asino e precisamente un puledro che non era mai stato caval- puledro d'asino (1twÀoc; = aramaico cato prima». Caratteristico è l'uso lin'llà'). Cosl Marco segue l'uso linguistico guistico in Prov. 5,19, dove della moglie è detto: €À.a;cpoc; cpLÀ.la.c; xc:d 'ltw),,oc; O'WV dei LXX, per i quali 1twÀ.oc; e 'ajir si eXfJ.PL'l:WV oµL),,EL'tW O'OL, «Cerva carissima quivalgono. 'ltw),,oc; OEOEµÉvoc; corrispone puledra delle tue grazie t'accompa- de, conforme a Gen. 49,rr, al carattere gni». Il paragone con l'uso linguistico greco 1twÀoc;=fanciulla (~col. 905) in messianico del racconto. Le. 19,30.33.35 questo caso non gioverebbe molto. L'e- continua sulla linea di Marco, in quanto braico ;a'alti, che qui è reso con 'l'tW- usa anch'egli "TtwÀoc;, pur impiegando alÀoc;, accenna però probabilmente all'imtrove anche ovoc; e xpi'j1:'oc;. Mt. 21,2.5.7 magine del camoscio 11 • parla di un'asina e di un puledro d'asino 3. La tradizione rabbinica posteriore (utilizzando Zach. 9,9 LXX), e in questo ha varie parole per indicare il puledro d'asino. Dall'ebraico ' ul è derivato l'ara- caso l'evangelista evidentemente pensa maico 'ila', piccolo (pullus) ( = 'ltW- ad un seggio regale di tipo orientale, pogÀ.oc;) 12 ; i Targumin usano sempre 'ila' giante su due animali. Anche Io. 12,15 per il veterotestamentario 'ajir, cfr. i Targumin a lob 11,12; Iud. 12,14; cita Zach. 9,9 LXX secondo una tradizioGen. 32,16. Nel tardo ebraico si trova ne indipendente tratta da un florilegio 14 • Risale a Gen. 49,n il gioco tardivo di pa· role tra 'ajir e 'ir (=la città di Gerusalemme): Dio si lega a Israele ed a Gerusalemme (Gen. r. 98 [62a] a 49,n; cfr. STRACK-BILLERI!ECK 1

    8

    842). 9 MAYSER Il I 10 BL.-D EBR.

    § 31,I.

    § 442,9.

    op. cii. (-'l> n. 1) 227 avanza l'ipate· si che 7tWÀ.oç in Prov. 5,19 sia una traduzione

    li BAUER,

    azzardata dai LXX e che già allora il nome ebraico dell'animale presentasse delle difficoltà. 12 LEVY, Chald. Wi:irt., s.v. presenta come documentazione Ge11. 32,16; Iud. 12,l4; I.r. 30,6 e lob n,12; Shabb. b. i55a: 'ili zwfri, piccoli

    puledri. JJ JASTROW,

    op. cit. (-'l> n. i)

    B1LLERBECK I 8.12. 14 Cfr. C. K. BARRETT,

    I

    237; STRACK-

    The Gospel according to St. fohn (1956) 348 s.

    m.7.>Àoc; 4 (0. Michel)

    xu.i}1]µn1oç È1tt 1tWÀ.o\I ovou qui vuol dire essere assiso regalmente su un puledro (-7 vm, coll. 801 ss.). Il climi· nutivo òvapiov in Io. 12,q corrisponde quindi anche all'aramaico ''ìlii'. L'uso

    nwp6w, 'ltwpwcnc; ~IX, coll. 1336 ss.

    linguistico neotestamentario di 1twÀ.o<; rientra perciò nell'ambito della traduzio· ne dei LXX e dell'evoluzione aramaica e neoebraica. 0.MICHEL

    p

    'Paa~ ~

    rv, coli. 142 ss.

    1. rab, grande, è chiamato colui che occupa una posizione elevata e stimata 1• Cosl ad esempio rab-{abbiif:i2m (2 Reg. 25,8; Ier. 39,13), il capo della guardia del corpo; rab-miig (Ier. 39,3.13), il capo dei maghi; rab-beto (Esth. 1,8), il suo maggiordomo; rab-siir'im (2 Reg. 18, 17; Ier. 39,3.13) o rab-siiristm (Dan. l, 3), il gran ciambellano. Con rabbt2 o rabbenu, mio/nostro grande; mio/nostro signore, si rivolgono rispettosamente gli inferiori al loro superiore (~ n, col. n39 n. 36). Chi è chiamato rabbi viene in tal modo «riconosciuto di rango superiore a colui che parla 3: il principe dal popolo 4, il padrone dallo schiavo

    (Pes. 8,2), il maestro artigiano dai suoi garzoni (A.Z.b. qb), il capo dei banditi dai suoi complici (B.M.b. 84a). rabbt è attestato talvolta anche come allocutivo del profeta Elia (Ber.b. 3a), del Messia 5 e di Dio 6 • Ma soprattutto era consuetudine che il discepolo chiamasse rabbt il suo maestro 7 • L'elativo rabbiin, signore, padrone, derivato da rab, veniva attribuito come titolo a scribi particolarmente eminenti 8 • Inoltre, evidentemente rahbiin è servito come «denominazione veterogiudaica del capo dei Giudei riconosciuto dall'autorità romana» 9 • Dato che l'aramaico palestinese preferisce la terminazione nominale in -on a quella in -an 10, oltre a rabban veniva usata la forma rabbon, che più tardi in molti casi

    pcx.~~l

    3 ~ DALMAN 275.

    A. rabb'ì, rabbun2 NEL GIUDAISMO

    ScHilRER II 365 s. (ibid. 376 n. 9 bibliografia meno recente); J. BRAYDÉ ed altri, art. 'Rabbi' in JewEnc x 294-297; DALMAN, Worte J. 272280; STRACK-BILLERllECK 1 916 s.; MooRE III l5-x7; A. J. FELDMANN, The Rabbi und bis early Ministry (1941); E. LoHsE, Die Ordinatio11 im Spa1;ude11tum rmd im N.T. (1951) 52; M. KADUSHIN, The Rabbinic Mind (1952); G. ScHRENK, Rabb. Charakterkiipfe im neutesta111entlichen Zeitalter, in Studie11 z.u Paulus, AbhThANT 26 (1954) 9-45; PREUSCHEN-BAUERs, s.v. 1 Cfr. LEvY, Wort. 1v 409. 2 rabb1 più tardi fu pronunciato anche 'ribbi' o 'rebbi'. Cfr. le iscrizioni in Cl] 1 568.6II; II 893.951.1052. Vedi anche sotto 4- nn. 27.30. 3r.

    T. Sanh. 4A; cfr. ~ DALMAN 274. s Sanh. b. 98a; cfr. 4- DALMAN 268. 6 I Samaritani hanno detto rabbi a Dio; testimonianze in 4- DALMAN 275. Nell'Islam talvolta viene usato rabbi come allocutivo di Dio. Cfr. W. W. BAUDISSIN, Kyrios II (1929) 35-37; m 590.688. rb, rb', come pure il femminile rbt, compaiono come epiteto di divinità siriache, arabe, fenicie, puniche, palmirene e nabatee. Cfr. BAUDISSIN, op. cii. m 60-65 [BER4

    TRAM]. 7

    s

    Documentazione in nn. 16-30. LEVY, Wort. iv 416.

    9 4-DALMAN 273; STRACK-BILLERBECK I 917; LEVY, Wort. 416. A questo titolo più tardi su-

    bentrò niifi'. IO 4- DALMr\N

    275.

    f#VVP'P'"

    .&.&

    .&

    si mutò in ribbon 11 • Nei targumin ribbon è usato come allocutivo di uomini 12, ma altrove viene applicato quasi esclusivamente a Dio, soprattutto nell'espressione Signore del mondo (ribbOno sel 'olam oppure ribbOnéh d"' alma') 13 • Col suffisso della prima persona rabbuni 14 è attestato nel Targum palestinese del Pentateuco 15 •

    -

    ,_.

    -- ~· --~

    2. Nel significato di maestro, rab si trova già nel detto tramandato da Jehoshua b. Perahja (intorno al uo a.C.): «Procurati un maestro (rab) e procacciati un condiscepolo» 16 • Come dimostra questo detto, lo scolaro doveva cercare di essere accolto nella cerchia dei discepoli di uno stimato studioso e procedere in questa comunità nello studio della Scrittura e della tradizione. Se il maestro accoglieva questa richiesta, il talmid poteva entrare nella scuola e, in comunione quotidiana col maestro, studiare, sulla base delle sue decisioni e del suo insegnamento, la torà e la tradizione che

    doveva essere verificata sulla torà 17 • Il discepolo seguiva il maestro in spirito d'obbedienza e di rispetto, che esprimeva con l'appellativo rabbl, che non significava soltanto mio signore, ma anche mio maestro 18• Poiché il rapporto dello scolaro verso il maestro è di timore re· verenziale, e questo, secondo le parole di R. El'azar b. Shammua', dev'essere grande quanto il timore reverenziale verso il cielo(= Dio) (Ab. 4,r2), il discepolo restava legato al suo maestro per tutta la vita 19 • Quando il discepolo nella pluriennale convivenza col maestro aveva assimilato il deposito di tradizione comunicatogli oralmente, veniva nominato talmld-bakam e acquisiva il diritto di insegnare indipendentemente e di farsi chiamare rabbt (-): vr, coll. rr65 ss.) 20• Ma questo appellativo d'onore non era attribuito allo scriba soltanto dai suoi discepoli; infatti i teologi godevano di tanta stima presso il popolo, che da tutti si usava l'appellativo rabbt nei loro confronti. Cosl nella tradizione

    Gr. § 35,2. Documentazione in STRACK-BILI.ERBECK u 25. u Documentazione in STRACK-BILLERBECK Il 25 .176; III 67r S. 14 Su rabblìni cf.r. E. KAUTSCH, Grammatìk des Bibl. Aram. (1884) ro; ScHi.iRER II 377; DALMAN 267.279; G. DALMAN, Jesus JeschÙa (1922) r7; STRACK-BILLERBECK II 25; PREUSCHEN-BAUER', s.v. 15 Mentre questo allocutivo, che si trova in Mc. 10,51 e Io. 20,16, non è attestato in nes· sun testo rabbinico aramaico, rabbfJ11I s'incontra spesso nel Targum palestinese del Penta· tcuco. Cosl nei frammenti, pubblicati da P. Kahle, del Targum palestinese a Gen. 32,19. Cfr. P. KAHLE, Masoreten des Westens n (1930) 10; In., The Cairo Geniza (r947) r29. Dopo la scoperta a Roma di un nuovo manoscritto completo, il Targum palestinese del Pentateuco acquista una notevole importanza per le ricerche sulla lingua parlata da Gesù. Cfr. M. BLACK, The Recovery o/ the Language of Jesus: New Testament Studies 3 (1956-57)

    305-314; Io., Die Er/orschtmg der Muttersprache Jestt: ThLZ 82 (1957) 661; P. KAHLE, Zehn Jahre E11tdecktmgen ìn der Wiiste ]tt· da: ThLZ 82 (1957) 648; In., Das paliistinische Pen/ateuchtarg111n und das wr Zeit Jesu gesprochene Aram.: ZNW 49 (1958) nx.115. 16 Ab. x,6. Cfr. STRACK-BILLERBECK 1 9r6. Cfr. anche il detto cli R. Gamliel: «Prenditi un maestro (rab), cosl ti elevi al cli sopra del club· bio» (Ab. r,16). 17 Sull'istituto giudaico del talm1d esaurienti indicazioni si trovano nell'art. ~ µcdh}i:i}~, al quale rimandiamo (specialmente ~ vr, coll. n64 ss.). . 18 rabbi come allocutivo del maestro nella Mishna; ad es. R.H. 2,9; Ned. 9,5; B.Q. 8,6 e passim; rabbé11i1 usato da vari discepoli per rivolgersi al loro maestro (Ber. 2,5-7). 19 Cosl ad es. R. El'azar b. 'Azaria si rivolge al suo maestro R. Johanan b . Zakkai (t c. Bo d.C.) con rabb1, 'mio maestro', quando gli fa visita per fa morte di un figlio di Johanan. Ab. R. Nat. x4, dr. STRACK-BILLERBECK I 97r. 20 ~ LoHSE 4r s.

    li DALMAN,

    n

    pa~~l

    A 2 (E. Lohse)

    talmudica è detto; «Quando il re Giosafat vedeva un talmtd-pakiim, si alzava dal trono, l'abbracciava e lo baciava c:lo chiamava 'padre mio, padre mio' ('ab1, 'abt), 'maestro mio, maestro mio' (rabbi, rabbt), 'mio signore, mio signore' (miirl, mari)» 21 • Dato che universalmente si chiamavano rabb'ì gli scribi, ed anche di fronte ad altri si parlava di un maestro come di un rabb1 22, questo termine 2l diventò a poco a poco la denominazione esclusiva di coloro i quali avevano terminato regolarmente gli studi

    ed avevano ricevuto l'ordinazione a maestro della legge 24 • Alla metà del r sec. d.C. il suffisso perde sempre più il suo significato pronominale 25 , per cui allora cominciano le attestazioni dell'uso di rabbl come titolo 26 • Dalla fine del r sec. d.C. il titolo di rabbt si trova in numerose iscrizioni giudaiche (soprattutto sepolcrali) in Palestina 27 , Siria 23, Cipro 29 , Italia 3(). Esse attestano, oltre l'uso generale che la designazione di rabbi ha nella letteratura rabbinica, 1a diffusione ed il riconoscimento generale del titolo col

    21

    11

    Makk. b. 24 a par. Ket. b. 103b; dr. STRACKBILLERBECK I 919. :zi R. Johanan (c. 250 d.C.) diceva che Giezi era stato punito perché in presenza del re aveva chiamato il suo maestro Eliseo solo per nome (2 Reg. 8,5) (Sa11h. b. 100 a, cfr. 4 DALMAN 274 n. 1). Questo esempio dimostra che era uso comune che il discepolo davanti a terzi parlasse del suo maestro come del rabbi. 23 In Palestina i dotti furono chiamati rabbl, mentre a Babilonia ci si rivolgeva a loro chiamandoli rab. Cfr. S TRACK-BILLERBECK I 917; documentazione in LEVY, Wort. IV 409. Talvolta anche in Palestina è attest.ato rab. Cfr. le iscrizioni a Joppe (CI] II 900) 4 n. 27; N . AvrGAD, Excavatiom at Beth She'arim I9JJ: I srael Exploration Journal 4 (1954) 104 s. 24 Con l'ordinazione veniva concesso il diritto di farsi chiamare rabbt. Cfr. B.M.b. 85a; ]. ]ERI!MIAS, Jert1salem Ztlr Zeit Jes111 n B (1958) 104; J. BoNSJRVEN, Le Juda'isme Palestinien au temps de ]ésus-Christ 1 (1954) 272-275; -) LoHSE 52.

    i ; STRACK-BILLERJlECK I

    26

    916 s.

    La testimonianza più antica, databile con

    sicurezza, si trova su un ossario a Gerusalemme, d'età anteriore al 70 d.C., che riporta il titolo oto&.uxa:À.o<; ed il nome del morto. Cfr. E. L. SUKENJK, Jìid. Graber ]erusalems 11m Christi Geburt (1931) 17 s .; K. H. RENGSTORF ~ 11, col. n35; 4 LoHsE 52; CIJ II 1266; W. F . A LBRIGHT, Recent Discoveries in Palesti11e and the Gospel of St. John, in Tbe Background of the New Testament a11d its Escha· tology (Studies in Honour of C. H. Dodd [1956] 158). Cft. nnche CIJ l i 1218.1268 e 1269, che riportano iscrizioni di ossari di Gcrnsalemme.

    CIJ II 892 Joppe: rbj; II 893 Joppe: b;r;b; contrazione da h;r r;h; (sic! cfr. n. 2) = figlio del rabbi; II 900 Joppe: bilingue PAB/ rb; n 951 Joppe: f3TJpcf3i (cfr. a nr. 893); n 979 Er-Rama: rbj; li 989 Sefforis: rbf; u 994 Bcth-Shearim: rbi; II 1042 Beth-Shearitn: brrjbi; l i 1052 Bcth-Shearim: bilingue [brb ]j/ PIBBI; II 1055 Bcth-Shearim: rbi; II u65 sinagoga di Bcth-Alpha: rbi; per Gerusalemme clr. -) n. 26 e II 1410: rbi; II 1414: 'Pa:f3fK Negli scavi effettuati dal 1953 a Beth-Shearim, che ai tempi del patria.tea Jehuda I era sede del sinedrio, sono state rinvenute altre tombe di rabbini e iscrizioni sepolcrali (II-IV sec. d .C.), in cui si trova il titolo di rabbi. Cfr. le comunicazioni di N. AVIGAD, Excavations al Beth She'arim I9JJ: Israel Exploration Journal 4 (1954) 88-107; ID., Excavatiom at Beth She'arim I954= ibid. 5 (1955) 205-239; ID., Excavations at Beth She'arim I9J5= ibid. 7 (1957) 73-92; ID., Excavations al Beth She'arim I955 ll: ibid. 7 (1957) 239-255 ; ID., The Necropolis of Beth She'arim: Archaeology 8 (1955) 236-244. 28 CIJ 11 857: El-Hammch: rb. 2 ~ CIJ n 736 Lapethos/Cipro: una colonna porta il nome di chi l'ha eretta: EÒXYJ pa~~(t) 'A't'·mcou. Cfr. al riguardo TH. R.EINACH, Une lnscription Juive de Chypre: RE] 48 (1904) 191-196; S. KRA.uss, Synagogale A/.tertumer (1922) 238 s. 31 CIJ 1 n 3 Roma: voµoµa:~ç ; I 193 Roma: voµoµa~<;; I 201 Roma: \loµoo~oocuxix­ Ào<;; I 333 Roma: 8iliacrxaloc;; I 594 Venosa: lìiMo-xalo<;. Oltre a
    quale dappertutto nel giudaismo allo scriba era mosttata riverenza.

    B. paf3f3l, po:.f3f3ouvl NEL N.T. r. Nel N.T.

    paf3(3l 31 si trova soltanto

    nei vangeli. In Mt. 23,7, con richiamo al fatto che agli scribi 32 ci si rivolge con l'allocutivo rabbi, essi vengono biasimati di voler essere riveriti e chiamati in tal modo. Secondo lo. 3,26 i discepoli di Giovanni il Battista lo chiamavano {m.f3~l, e cosl si dichiara che in quanto suoi scolari essi prestavano al maestro rispetto ed obbedienza. In tutti gli altri passi dei vangeli in cui s'incontra il vocabolo pa.f3f3l, questo allocutivo onorifico è riservato a Gesù 33 • In Mc. 9,5 e II,21 è detto che Pietro chiama Gesù pa.f3f3l, ed anche Giuda lo 2.

    31 Scritto anche pa.f3f3El, ma certamente sempre pronunciato 'rabbi'. Nella scrittura si scambiano spesso L e EL, Cfr. BL.-DEBR. § 38 e E. NESTLE, Rabbi: ZN\V 7 (r906) 184. Se in iscrizioni palestinesi si trova anche 'ribbi', ciò dipende dal fatto che il titolo in Palestina non è stato pronunciato in modo uniforme. Cfr. N. AvIGAD, Exc11vatio11s at Deth Shc'arim I9JJ: Israel Exploration Journal 4 (1954) 104 s.; B. 2 MAZAR, Beth She'arim 1 (1958) 136 [RENGS·roRF]. 32 II v. 7 vale solo per essi e non anche per i Farisei, nominati al v. 2. Cfr. }EREMIAS ~ TI, coll. 602 s.

    Il nome di Barabba in Mc. 15.7 pnr., che è una forma grecizzata di bar 'abbii', figlio del padre, stando a Gerolamo (in Mt. 27,16), nel vangelo degli Ebrei era spiegnto come bar rabbiin: Barrabas... in eva11gelio, quod scribitur iuxta Hebraeos, filit1s magistri eorum interpretatur, qui propter seditionem et bo111icidi11m fuerit condemnatus. Cfr. E. KLOsTERMANN, 33

    saluta col nome di pa.Bf3l nel momento del tradimento e della cattura (Mc. x4, 45) 34 • Quando gli evangelisti usano OL06.crxa),oç come allocutivo di Gesù, dietro ad esso si deve sempre presupporre un originario rabbt, ad es. in Mc. 4,38; 9,x7.38; ro,x7.20.35; 12,14.19. Seguendo la tradizione palestinese, nel Vangelo di Giovanni l'allocutivo prx(3~l è usato più frequentemente: in Io. l,38 Gesù è chiamato {.iaB(3l da due discepoli del Battista, e l'evangelista ai suoi lettori spiega esattamente il vocabolo ebraico con OLO<Ì.uxrxÀ.oç. Così pure Gesù è salutato come pa(3(3l da Natanaele (Io. l, 49) 35, ed è chiamato prxf3f3l da Nicodemo (Io. 3,2), dalla folla (lo. 6,25) e dai discepoli (lo. 4,31; 9,2; 11,8). Due volte s'incontra anche l'allocutivo pa.(3(3ouvl 36, che non mostra un significato diApocr)•pha 11, KIT 81 (l929) ro; LoHMEYER, Mk. a 15,7. 3-I La recensione Sì> raddoppia l'allocutivo, cfr. (~col. 915) l'esempio di Makk. b. 24 a par. Ket. b. ro3 a (~ n. 21). JS A questo passo si riallaccia il frammento apocrifo del Papiro di Berlino n710, dove la testimonianza di Natanaele è mutata come se· gue: WµoÀ.)6y'I)UE\I xa.l EfoE. ~a.µ(3LOÙ XUpLE, tJÙ El ò utòc; 'tOU itEOU. (à.m:xplihi a1hi!J) ò pcxµplç xcxt E!1tE' Ncd}a\la.TJÀ., [a.]7topEuou È•J -t Na.itavaii>.. xa.t ei?te.v· paµPLoÙ xvpLE, uù EL ò àµvbc; 'tOU i)eo\i,

    ò at'pwv -tàc, aµ(a)p(-tl}a.(c;) -.ov x6uµou. &.rce.xpllhj «ò-ti!J ò ~aµptc; Mt Efoe.\I. La forma ò paµf3lc,, vocativo pa.µf3tov, sta per pa.PPl (µp per {3f3). Cfr. H. LIETZMANN, Notize11:

    ZNW

    22 (1923) 153

    s.

    36 Cfr. ~ n. 14. Scritto anche pa.{3{3ouvEC, pa.f3· {3ovl, pa.(3(3ovd, ma certamente pronunciato sempre 'rabbuni' e~ n. 31). Cfr. KAUTZSCH, op. cii. (~ n. 14) IO e PREUSCHEN·BAUER5, S.V.

    pczfj ~t B 2 (.C. Lohse)

    verso da paf3j3l 37 : in Mc. 10,51 38 in bocca al cieco di Gerico e in Io. 20,16 rivolto da Maria al Risorto. Poiché Gesù veniva chiamato paf3f3l dai suoi discepoli e dagli estranei, risulta chiaro che il suo comportamento corrispondeva a quello degli scribi giudei (~II, coll. uo1 ss. u39 ss.) 39 . Nelle sinagoghe egli presentava alla cerchia dei suoi discepoli, e agli altri che lo ascoltavano, la sua dottrina traendo lo spunto da passi della Scrittura. I suoi discepoli vedevano in lui il loro maestro e gli testimoniavano il timore reverenziale a lui dovuto chiamandolo paf3f3l. Cosi pure Gesù era considerato maestro dal popolo, e perciò veniva salutato rispettosamente e chiamato paf3!K D'altra parte fìn da principio il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli si distinse da quello fra il dotto ed i suoi alunni, perché non furono i discepoli a chiedere di essere accolti come tali, ma fu Gesù a chiamarli alla sua sequela, ponendosi cosl di fronte a loro come il signore. La sua dottrina non consisteva nell'esposizione, spiegazione e trasmissione del deposito di tradizione ricevuto, da legittimare per mezzo dell'esegesi scritturale; Gesù predicava in t~ovO'la e contrapponeva alla legge e alla tradizione il suo sovrano tyw ot Myw vµi:v (Mt. 5,21-48 par.). Perciò i vangeli rilevano più volte lo stupore del-

    i ypaµµa-rEi:c; bensl in t~oucrla (Mc. 1, 22par.; Mt. 7,29 e passim). Poiché Gesù predica con potestà profetica(~ 599 ss.), i suoi discepoli non seguono un corso cli studi, che a suo tempo li metta in grado di concludere con successo il loro tirocinio e diventare paaf3l essi stessi (~ v1, coli. 1194 ss.): i discepoli restano µr.dhrmi e Gesù rimane il loro otoauxaÀ.oc;. Anzi viene loro proibito di farsi chiamate paj3j3(. dc; yap ÈCT'ttv uµwv ò OLOCwXaÀ.oc;, 'lta\l'tE<; OÈ uµEi:<;
    37 ~ DALMAN

    ThLZ 79 (x9,54) 325-342.

    275.279.

    Il cod. D ha qui xupu: pct.~~l. Cfr. Mt. 20, 33; Le. 18,,p: xup!.€. 39 Cfr. anche E. FASCllER, ]esus der Lehrer: 33

    la folla perché Gesù non insegnava come

    40 Cfr. inoltre Mc. 4,38 l>LMO'xtt'M = Le. 8, 24 lmcnc*.·m; e cosl Mc. 9,38=Lc. 949; inoltre Le. 5,5; 8A5i 17,13. Cfr. O . GLOMBITZA,

    patJ8oc, A r cutivo di Gesù soltanto in bocca a Giuda il traditore (Mt. 26,2549) 41 • Dai discepoli Gesù non è chiamato pa.f3f31 ma xuptE (Mt. I7 ,4, in luogo del pa.f3~l di Mc. 9,5) 42 • In Mt. 20,33 appare l'allocutivo xupt.E in luogo del pa.f3f301Nl di Mc. 10,51 43, e in Mt. 8,25 il Òtoaaxa.Àoc; di Mc. 4,38 è parimenti sostituito da xupte 44 • Se Matteo evita di far usare ai discepoli pa.f3f3l e otòrurxa.À.oc; 45 e costantemente li sostituisce con XVptE, evidentemente vuol mettere in rilievo che Ge-

    1

    (C. Schneider)

    sù non è un OLOO.crxa.À.oç nel senso giudaico della parola, ma il signore dei suoi. Nell'ambito della sequela di Gesù il titolo adeguato non è quello di maestro, bensì soltanto quello di xupLoç 46 , 3. Nel resto della letteratura protocristiana non s'incontra mai il termine pa.PBl (segno del venir meno della tradizione palestinese) e la designazione di Gesù come maestro ha un ruolo minimo accanto agli altri titoli cristologici (-:)o u, coli. n49 s.). E .LOHSE

    t pcX.f3ooc;

    A. papòoç FUORI

    Significato fondamentale etimologico di Ti paf3Soc; è ramo flessibile, verga, bacchetta. Il vocabolo è afline a pci:µvoc;, al lat. verbera (solo plurale), al lituano virbas, al lettone virbs.

    I. Il significato in greco

    Die Tilel lìtMaxa).oc, und ~mcr-.chl')c, fiir Jesus bei Lukas: ZNW 49 (1958) 275-278: «Gesù Cristo soltanto agli occhi degli estranei e per gli estranei è maestro, rabbi, per i suoi non lo è» (276). 41 Dunque qui Mt. rimane legato alla precedente tradizione. Cfr. LoHMEYER, Mt., ad l. 42 Mt. 21,2o===Mc. u,21 (paB!Jl): l'allocutivo è stato completamente omesso da Mt. 43 Cfr. Le. 1841: xuptE. 44 Mentre Giuda secondo Mt. 26,25 si rivolge a Gesù con pa~!Jl, gli altri discepoli dicono xupLE (Aft. 26,22). 41 Invece gli estranei dicono ai discepoli ~ 6LMaxa).oc, ùµWv (Ml. 9,u; 17,24), ed anche i discepoli presentano Gesù agli altri come l'ìtM.axa.).oç (Mt. 26,18). Cfr. G. BoRNKAMM,

    Enderwarttmg tmd Kirche im Mt, in The Backgrotmd of the New Testame11t and its Eschatology, in Honour of C. H. Dodd (1956) 250 s. 4/; Cfr. BORNKAMM, op. cit. e~ n . 45) 250 s.

    DEL N.T.

    I. Bastone, bacchetta, verga. In origine soltanto il bastone flessibile in contrapposizione a crxfj'lt't'pov, ma ben pre-

    p!X~lìoc,

    xù.

    LIDDELL-SCOTT, s.v.; WAWE-PoK. I 275; PREI· SIGKE, ìVorl. III 153; MAYSER I 3 p. 167,34 S.j \VILKE-GR.I MM, s.v.; PREUSCHEN-BAUER5, s .v.; F. DE WAELE, art. 'Stab', in PAULY-W. 3a (1929) 1894-1923; E. THALHEIM, art. pa.~8ocp6poL, in PAULY-W. ra ( 1920) 18 s.; E. KALT, art.

    'Stab', in Bibl. Reallexiko11 n (1937-39) 745 s.; F. J. DoEIXiER, Dìe Auspeitschtmg einer Frau citi/ einer Relie/platte der Priitextal-Katakombe in Rom: Ant. Christ. III (1932) 214 s.; S. KRAuss, Talmudische Archaeologie Iì (1911) 312-314; Io., Die Imtmktio11 Jem a11 die A-

    pa~lìoç

    A

    (C. Schneider)

    1 1-15

    sto i due vocaboli si confondono (Pind., Olymp. 9,33; P. Tebt. r 44,20 ecc.). Al contrario di ~CT-X't"JJpla, che non appare nel N.T., pa~ooc; è un bastone più leggero e flessibile (Xenoph., eq. II,4). 2. Bastone, verga per percuotere, al plurale battiture, vergate, in particolare per gli schiavi e gli scolari (Plat., leg. 3, 7ooc; Xenoph., eq. 8,4 [insieme con µa
    13 ss.]). 7. Bastoni come attributi di dèi, come le pci~ooL di Asclepio di Coo, la cui &.vaÀ.1JIJiLç veniva celebrata ogni anno a Coo con una festa ed una processione4 (Pseud.-Hippocr., epist. ad Abderitas [Kuhn III 778] ), il bastone della Dike sull'arca di Kypselos 5 , in origine il bastone del giudice per punire (Paus. 5,18,2), il Kerykeion di Ermes (Horn., Il. 24,343 ecc.). 8. Scettro (Horn., Od. 16,172; Plut., Olymp. 9,33; Pseud.Plat., Ax. 367a). 9. Bastone del giudice, dell'arbitro, del poliziotto; in particolare ci.i pcX.~ooL serve a tradurre i fasces romani (Polyb. II,29,6; Dion. Hai., ant. Rom. 4,u,6; 5,2,1; Strabo, 5,2,2; Epict., diss. 4,1,57; 10,21; Plut., quaest. Rom. 82 [II 283e]; Herodian. 7,6,2). 10. Bastone del rapsodo (Callim., fr. 138; Paus. 9,30,3). II . Canna da pesca (Horn., Od. 12,251); pania, fraschetta, per la cattura degli uccelli (Aristoph., av. 527) . In latino l'espressione corrispondente è viscata virga (Ovid., metamorph. 15,474). 12. Filone, vena di minerale (Diod. S. 5,37; Theophr., de causis plantarum 4,12,7). 13. Borchia, fascetta metallica, forse scambiato per pet.
    posteln: Angelos 1 (19:z5) 96-rn:z; T. W. MANThe Sayings of Jesus (1949) 181-r83; TH. MoMMSEN, Die Rechtsverhiiltflisse des Ap. Pa11lus: ZNW i (1901) 81-96; NILSSoN 12 509 s.; P. SAINTYVES, Essai de folklore bibliqt11i (1923) 59-137; F. SCHULTHESS, Zur Sprache der Evangelien: ZNW 2r (1922) 234; P. STnNGEJ. , Die griech. Kulwsallertiimer (19:zo) 194; F. DE WAELE, The Magie Staff or Rad in Graeco-Italian Antiquity (r9i7); inoltre i commentari ai passi citati. 1 TH. MoMMSilN, Rom. Stra/rechi (1899) 928; E. BRASSTOFF, Die Rechtsstellung der Vesta/in: Zeitschrift fur vergleìchcnde Rechtswis·

    senschaft i i (r908) r40 s. Ed. F. DiIBNER, Anthologia Palatina n (r887) 568. 3 M . GUNDEL, art. pet~lìoµcxvnla, in PAULY\Y/. 1a (19w) 13-18; N1LSSON 12 167-171. 4 M. GUNDEL, art. p6;~8ov 6.vaÀ.T]lj/tç, in PAULY-W. ia (19w) 18; nel calendario delle feste edito da R. HERZOG (DITT., Syfl.l Ili 10251027) però In festa non è compresa. s R. H1RZF.L, Themis, Dike und Verwandtes (r907) ioo-102. Però nei reperti archeologici Dike di solito porta la spada e più raramente la bilancia.

    SON,

    2

    pc1.~8oc;

    A

    I 15 ·

    Xenoph., cyn. 10,3.I6). 16. Germoglio

    di un albero (Ion, fr. 40 [T.G.F. 740];

    Theophr., hist. plant. 2,1,2). 17- Raggio di luce {Aristot., meteor. 3,6 [p. 377 A 30]). 18. Riga, verso (schol. a Pind., Isthm. 4,63a) 0 •

    IL Il vocabolo nei LXX

    B

    I

    (C. Schneider)

    x7,5.9; Num. 20,8 s.); di Balaam, per maqqet (Num. 22,27).

    Senza differenza di significato i LXX usano, oltre a pocf3ooc;, anche (più di rado) f3ax-.11pla. Fa caso a sé soltanto 2 Reg. 4,29 ss., dove !3aX'tTJpla è usato come attributo del profeta 1•

    B. pocf3ooc; NEL N.T. l . Bastone, bacchetta in generale, per maqqel (Gen. 30,37 ss.; Ier. 48,17); per x. Bastone come strumento di misura poter (Is. u,1); per 'e! (Ez. 37 116 s.); per mis'enet, specialmente come canna di una lunghezza determinata ma non (2 Reg. 18,21; Is. 36,6; Ez. 29,6); per definita con maggiore precisione, di canmaffeh (Ez. 7,10; I9,II ss.). 2. Bastone na o di legno (Apoc. n,x). Collegandoper percuotere, per sebep (Ex. 21 1 20; 2 si a Ez. 40,3 ss. e forse anche a 2 Sam. 8, Sam. 7,14; I Chron. n,23; 4' 88,33; Prov. 10,13; 22,15; 23,13 s.; 26,3; lob 2, il Veggente apprende che gli verrà 9,34; Is. 10,5 [figuratamente -tov i}u- dato un tale bastone, col quale dovrà µou]; Is. 10,15.24; Lam. 3,r; Ez. 20, misurate una parte dell'area del tem37; Mich. 4,14); per mayeh (Is. 93; 28 127). 3. Bastone del pastore, per sébef pio (-7 VII, coll. I89 s.), nella quale non (Lev. 27,32; Ps. 2,9; 4' 22,4; Mich. 7, entreranno i nemici di Dio 8 • 14); per maqqel (rSam . l7>43i Zach. Analoghe sono le frequenti descrizioII,7 ss.). 4. Bastone come appoggio, soprattutto di viandanti, vecchi e infermi, ni di misurazione di superfici nella fonper maqqél (Gen. 32,II); per 1nat1eh dazione di colonie o delimitazioni di (Gen. 38,18.25); per mis'enet (Ex. 21, spazi di asilo dentro il recinto di teml9i Zach. 8,4). 5. Bacchetta magica, per pli. Bastoni come strumenti di misura matfeh (Ex. 7,9-12). 6. Bastoncini per compaiono spesso in tutta l'antichità acoracoli, per maf!eh (Num. 17,17); per canto a cordicelle e strisce di pelle di maqqel (Os. 4,I2). 7. Bastoni come at- animali 9 • tributi degli angeli, per mis'enet (Iud. 6, Se si considera, con buoni motivi, il 21). 8. Scettro, anche figuratamente in luogo di dominio, per maf!eh (o/ I09 1 passo come originario, allora esso signi2); per sebet (lj.i 44,7; o/ 124,Ji fod. 5, fica la promessa ricorrente in forma ste14 cod. B); per maqqel (Ez. 39,9); per reotipa nell'Apocalisse, che la comunità sarblf (Esth. 4,n; 5,2; 8,4). 9. Bastoni di Mosè ed Aronne, per ma!feh (Ex. 4,2. .autentica di Dio supererà senza pericolo 4.17.20; 7,9 ss.; 8,13; 10,13; 14,16; tutti gli orrori del tempo finale. Se lo si 6

    Ed. A. B. DRACHMANN III (1927) 232. L . KoHLER, Kleinc Lichter (1945) 25-27. 8 L'unità di misura in Ez. 40,5; 43,13 è il braccio reale di cm. 52s; dunque questa è probabilmente anche la lunghezza dello strumento di misura. 9 Sul modo di misurare nell'antichità dr. so1

    prattutto Vitruvius, de architectura (ed. F. KROHN [r9r2]); F. HuLTSCH, Metrologici (1864); H. NISSEN, Griech. tmd rom. Metrologù? (1892); In., Das Templum (1869) 22-53 (sulla misurazione di aree di templi). Per la situazione in Palestina J. BENZ!NGER, Hcbriìische Archacologic' (1927) x90-204.

    p&.~ooç

    B l-3 (C. Schneider)

    considera come un'aggiunta da una fonte estranea, allora l'ipotesi più ovvia è che si tratti di un volantino zelota del tempo in cui le truppe romane erano già a Gerusalemme, ma restava ancora la speranza che la parte interna del tempio sarebbe stata salvata 10 • 2. Bastone per percuotere. In r Cor. 4,21 Paolo, traendo occasione dal v. 15, si presenta come un maestro o pedagogo greco che può venire o Év &:ycbtn o col bastone 11 •

    Poiché il maestro di scuola giudeo (swfr) non castiga col bastone ma con la cinghia (r!w'h) 12, Paolo pensa chiaramente alla scuola ellenistica, nella quale si usavano spesso punizioni corporali, secondo il principio ò µiJ oa.pdc; &vil'pw1tOt; où 1tlX.~OEVE't
    Apok., ad l.; ]. BEHM, Die Offenbamng des Johannes, N.T. Deutsch n 1 (1956) ad l.; HADORN, Apk., ad l.; contro invece R. H. CHARLES, The Revelation of St. John, ICC (1950) ad l.; BoussET, Apok., ad I. 11

    Sull'tv strumentale, indotto dal v. 15, cfr.

    SCHWYZER lI 435; BL.-DEBR. § 219. 12 A. KLOSTERMANN, Das Sch11lwesen im alte11 Israel, in Theologische St11dien. Zahn-Festschrift (1908) 193-232. Il Ed. A. MEINECKB, Fragmenta Comicorum Graecorum IV (1841) 3.P· Sul pedagogo dr. inoltre Herond., mim. 3; Mart. 10,62; 14,80; W. HELBIG, 'Vandgemiilde der vom Ve.ruv ver,chUtteten Stiidte Campaniens (1868) nr. 1492; M. P. N1LSSON, Die hellenistische Schule (19.u ); J. KEIL, Das Unterrichtswese11 im antiken Ephesos: Anzciger der i:isterrcichischen

    le percosse, ha un grande ruolo nella letteratura pedagogica ellenistica e tardoantica 14•

    3. Bastone da pastore. Il passo di Ps. 2,9, inteso messianicamente, in Apoc. 2, 27; 12,5; 19,15 è riferito a Cristo che con una verga di ferro pascerà le genti 15•

    In sé l'immagine non contiene nulla di inverosimile. Sono frequenti bastoni da pastore con la punta di ferro, con cui si tengono riunite le pecore e che possono anche far male agli animali (xÉv>tpov-4 v, coll. 333 ss.); un tono di minaccia che echeggia nel bastone da pastore già in Horn., Il. 23,845ss. La lettetura rabbinica conosce bastoni che sono interamente di ferro o hanno una guarnizione di ferro 16 • Ma resta possibile anche la vecchia ipotesi che i LXX abbiano scambiato tir'èm, 'pascerai', con t"ro'èm, 'fracasserai', poi ripreso dall'Apocalisse. Ma contro questa ipotesi sono state avanzate serie obiezioni: r" è un aramaismo e la consegna di sudditi solo perché siano distrutti non ha senso. 'Pascere' andrebbe inteso nel senso frequente di 'governare' (la Vulgata traduAkademie, philophisch-historische Klasse 88 (1952); H. I . MARI!OU, Geschichte der Erzie-

    h1111g im klassischen Altertt1111 (1957). La più ampia trattazione in Plut., lib. educ. (u l ss.). Nell'A.T.: Prov. 13,24; 23,14; 29,17; Ecc/tls 30,12. 1s Su Ps. 2,9 R. KI'l'TEL, Die Psalmen, Komm. z. A.T. 13 ' ·' (1929); H. GuNKEL, Psalmen, Handkommentar A.T. 144 (1926); W. E. BnNES, The Psalms (1931); W. O.E. 0ESTERLY, The Psalms (1939) ad l.; sull'influenza della figura messianica fin nella chiesa antica M. A. VEYRll!S, Les fig11res chriophores, Bihlic:r 14

    thèque des écoles françaises d'Athènes et de Rome 39 (1884); L. CLAUSNITZER, Die Hirtenbilder in der altchristliche11 Kunst, Diss. Halle (r904). 16

    Num. r. 12,3; Lom. r. 1,3; Kelim u,6; Sanh.

    b. ro2a.

    pa~Soc;

    B 3-.5 (C. Schneider)

    ce con regere) 17 • Una difficoltà particolare di Apoc. 2,27 è che solo in questo passo viene aggiunto il secondo emistichio di Ps. 2,9, ma in una forma che si discosta stranamente dai LXX 18, e che solo qui il vocabolo non è usato in senso strettamente messianico, ma è applicato al seguace di Cristo ~fino alla fine». Egli riceve gli stessi poteri di Cristo. In Apoc. 19,15 fin da Ugo Grozio pa~ooc; è inteso talvolta come 'spada', in conformità all'uso giudaico del vocabolo del salmo. Ma qui ciò è escluso, poiché l'Apocalisse chiaramente e volutamente coilega due immagini agricole, quella del pastore e quella del pigiatore dell'uva. Nei Padri apostolici pcl.Booç si trova come bastone del pastore in Herm., vis. 5,1 ; sim. 6,2,5.

    4. Bastone del viandante. In Mc. 6,8 Gesù consente ai suoi discepoli di portare con sé in viaggio una pa~ooc;, in Mt. 10,10 e Le. 9,3 glielo proibisce. Le. 22, 35 non parla di bastone(~ x, 181ss.) 19• Verosimilmente Marco, appoggiato da Le. 22,35, presenta il testo originario . Sulle antiche strade dell'Oriente non e-

    rano possibili lunghi viaggi senza bastone. Il rigorismo giudeo-cristiano ha poi adeguato la frase alla proibizione di salire al monte del tempio con bastone, sandali e cintura 20• Generalmente il bastone fa parte dell'attrezzatura dei viaggiatori greci e giudei. Per i missionari itineranti cinici bastone, sacca ed il pratico mantello cinico sono addirittura caratteristici del loro stato : per il bastone di Peregrino Proteo un amatore giunse a pagare dopo la sua morte un talento 21 • Per indicare la sequela di Eracle spesso questi bastoni avevano forma di dava ((jXU'tciÀ.t)). Anche tra i rabbini itineranti sono attestati bastoni da viaggio: il rabbino itinerante Jeremia dispone che alla sua morte gli sia messo in mano il suo bastone e gli siano calzati i suoi sandali 22 • È usanza egiziana dare al morto un bastone per il viaggio 23 • 5. Bastone per il sostegno dei vecchi. Hebr. II,21 riprende lo scambio avvenuto in Gen. 47,31 (LXX) tra mifJàh, 'letto', e mafteh, 'bastone'. Nel fatto che Giacobbe dopo la sua ultima preghiera

    Cfr. H. ScHMmT, Die Psalmen, Handbuch

    Évangile selon Saint Mare' (1929) .IJI e LOH· Mk. a 6,8. lB Le esegesi delle Catene considerano wc; u20 Ber. 9,5, dr. ~ MANSON I81-183. guale a ~'llt.t [BERTRAM]. Tuttavia l'equivalenza 21 Luc., indoct. I4; Epict., diss. 3,22,50; Dio è esclusa dal parallelismo ed è troppo evidenChrys., or. 34,2. · te che si tratta di un ripiego dettato dalla ne- . 22 Gen. r. xoo,2 a 49,33; ScHLATTBR, Komm. cessità. Ma neppure per la via traversa del 'reggere' si possono far concordare il 'pascere' e il Mt. a xo,rn. Cfr. B.B.b. r33b; Jeb. 16,7; Kelim r7,16; Th. 8,9; T . Meg. 4,30; Lev. r. 25,1 a 19, 'fracassare'. 25. Al contrario il bastone non necessaria19 W E LLHAUSEN, Mc. a 6,8 cerca di far conmente è attributo del profeta (Zach. 13,4; 2 cordare i due testi supponendo che in Mc. 6,8 il semplice l' sia stato letto erroneamente '/'. Reg. 1,8). Ma ciò è inverosimile. L'ipotesi che nel testo 21 R. R.ErTZENSTEIN, Hell. Wunderen:iihlungen 17

    A.T. (r934) ad l.

    MEYRR,

    si sia avuta una mutazione dell'espressione molto forte in greco El µ,; ... µ6'110'11 non serve a nulla. Cfr. ancora al riguardo J. LAGRAN'GE,

    (r906) n2; viceversa i soliti lunghi bastoni nelle figurazioni sepolcrali cli dignitari egiziani sono soltanto distintivi del foro rango.

    93I (VI,970)

    ~6.~6oç

    B 5-7 (C. Schneider)

    si è chinato sul suo bastone l'autore della Lettera agli Ebrei ha visto un segno di particolare umiltà davanti a Dio 24 •

    Il bastone è attributo immancabile del vecchio in tutte le immagini greche che raffigurano persone anziane, inoltre nell'enigma della sfinge ecc. 25 • Anche la letteratura rabbinica (Shabb. b. 66a bar.) parla di maqqél sel rqéntm. 6. Il baJtone di Aronne che germoglia (Num. 17,16-26) secondo Hebr. 9,4 è riposto nell'arca. Ma l'autore non si chiede quale funzione abbia l'immagine tipica del bastone nel tempio celeste, per cui alla successiva speculazione cristiana restano aperte tutte le possibilità. Anche Philo, vit. Mos. 2,178-180; Flav. los., ant. 4,63-66 parlano del bastone verdeggiante di Aronne. Per quanto ne sappiamo, in nessun altro testo è tramandato che esso sia riposto nell'arca; secondo midrashim giudaici, che si riallacciano a Num. q,25 ed Ex. 16,33, esso si trova nel santo dei santi (]oma 3,7), davanti all'arca (Tg. O. Num. 17, 25), oppure viene soltanto nominato insieme con l'arca 26• È stato formato alla Sul gesto F. HEILER, Die I(orperhaltrmg beim Gebet: Orientalische Studien n (I918)

    2.1

    168. Esempi in E. BuscHoR, Griech. Vasen (1940) figg. 179 (Duris). 180 (Brygos). 187 (Kleophrades pittore). 228 (Kleophon pittore). 26 Sota ;. 8,3 (22 e 7 ss.); Ab.R.Nat. 41. Manca però in B.B.b. 14 a b. 21 M. Ex. I6,32 s. (59b); STRACK-BILLERDECK !II 739 s. 25

    28 A. }EREMIAS, Das A.T. im Lichte des alten Orients (1930) 444; W. HENRY, nrt. 'Baton', in DAC 2,1 (1925) 62i. 2~ J. LEIPOLDT, Dionysos, Angelos-Beiheft III (1937) 7; cfr. Horn., hymn. Baccb. 38·40; Phi·

    vigilia del primo sabato, serviva da scettro ai re, ritornel'à nel regno messianico 27 • Il motivo del bastone che germoglia è molto diffuso 28 • Viene usato in senso religioso a proposito di Dioniso: l'albero germogliante di cui si parla nell'inno omerico a Dioniso, raffigurato nella coppa di Exekias a Monaco 29 ; analogamente a proposito di Attis: il pino che germoglia come simbolo della risurrezione 30. Nella letteratura cristiana post-neotestamentaria I Clem. 43,2-5 utilizza una ulteriore rielaborazione haggadica. Herm., sim. 8 fonde una serie di motivi 31 • Il bastone diventa il legno verdeggiante della croce (l;,uÀ.ov) in Ign., Tr. n,2; Sib. 5,257. A continuazione di acta Pilati 19 1 nel Medioevo vengono identificati allegoricamente l'albero del paradiso, il bastone verdeggiante di Aronne e la croce 32• Infine, nella saga di Tannhauser, in connessione con queste tarde raffigurazioni cristiane, il bastone verdeggiante diventa segno della grazia divina che estingue i peccati, il bastone fiorito l'attributo di Giuseppe, quello verde l'attributo di Cristoforo 33 • 7. Scettro. Secondo Hebr. 1,8 (che utilizza ~ 44,7) Cristo come Signore del mondo impugna lo scettro di Dio quale lostr., imagines x, 19,3 (ed. O. BENNDORF e C. SCHl!NKL [ 1893] .39). 30 H. HEPDING, Attis (1903) 149-151; F. Cu-

    Die orie11t11lischen Religionen im romischen Heidentum1 (I931) 44.52 s.; In., L11x perpetua (I949) 261.

    MONT,

    Erma ha una grande simpatia per bastoni di ogni genere: vis. 3,2,4; 5,1; sim. 6,2,5; 9, 6,3.

    31

    F. KAMPERS, Mittelalterliche Sagen von dem Paradiesbaum u11d dem Holz deJ Kreuzes Christi (1897). 33 J, BRAUN, Tracht tmd Attribttte der Heili· gen (1943) 171 s. 185 s.

    32

    933 (v1,970)

    pa~lìoc;

    B7-

    pa~~m;w

    espressione del suo legittimo dominio divino 31•

    Lo scettro come espressione di una legittima sovranità da venerare è comune in tutta l'antichità (cfr. Paus. 2,8,7; 9,40,II s.). 8. Bacchette magiche e bastoncini per oracoli non compaiono nel N.T., ma già si trovano in Herm., vis. 3,2,4; sim. 9, 6,3 e nell'arte catacombale che raffigura Gesù con la bacchetta magica nella moltiplicazione dei pani e nella risurrezione dei morti, come pure Mosè che fa sgorgare acgua dalla roccia 35 •

    l. In greco il verbo s'incontra con i seguenti significati: a) colpire con tm bastone (Aristoph., Lys. 587; Pherekrates, fr. 50 [C.A.F. r 159]). b) fiagellare, come traduzione di virgis caedere per In flagellazione secondo il diritto penale romano (verberatio e fustuarium) (Diod. S. 19,101) 1• c) battere, trebbiare (P. Ryl. II 148,20). Di qui derivano i sostantivi paf3oLcrµ6ç (P. Tebt. r II9,46) e paf3oLO'"t'TJç (BGU I II5,r,15). d) far cadere dagli alberi con lunghe pertiche olive o frutta (Theophr., de causis plantarum l,r9,4; 5,4,2).

    2. Nei LX,""{ soltanto per pabaf, battere, trebbiare (Iud. 6,II; Rutb 2,17; in Aquila, Simmaco, Teodozione anche nell'immagine del raccolto nel giudizio fi-

    3 (C. Schncider)

    (vi,97r) 934

    nale in Is. 27,12 (dr. anche 28,27); i LXX hanno mutato l'idea per influsso del secondo emistichio. 3. Nel N.T. il verbo viene usato soltanto per parlare della pena romana della flagellazione. Paolo racconta in 2 Cor. II,25 di averla subita tre volte quale apostolo. Act. 6,22 descrive solo uno di questi casi. A Filippi, dietro denuncia dei Giudei, gli uomini della polizia locale strappano le vesti a Paolo e lo sottopongono alla flagellazione. Questa va intesa non come tortura ma come mezzo poliziesco di coercizione (~ VI, colL

    1399 ss.) . In una colonia militare la polizia locale (v"t'pa.•'l'JYOl) aveva ampi poteri. Secondo la lex Porcia de tergo civium Paolo, in quanto cittadino romano, non poteva essere flagellato; ma egli vantò questo privilegio solo dopò che la flagellazione aveva avuto luogo, per non dare l'impressione di volersi sottrarre per un privilegio alle sofferenze di Cristo. Naturalmente allora si deve supporre che la flagellazione avvenisse in pubblico, probabilmente sulla piazza principale davanti al tribunale 2 •

    t i)a.Poouxoc; (la.Soovxoc;,

    da

    pa{3ooc; e

    EXW, in gre-

    STRACK-BILLERBl!CK lii 679 S. 35 WILPERT, Die Malcreic11 der Katakomben Roms (1903) 292-314; O. WuLFF, Die alt-

    prc usato per indicare In flagellazione romana, mentte per la punizione sinagogale ricorrono soltanto µCX
    chrislliche Krmst vo11 ihre11 An/ii11ge11 bis zur Mitte des ers/e11 Jahrtausends (1914) 75-n9

    2

    34

    Sull'applicazione messianica del salmo vedi

    J.

    (plastico) 123 s. 185 (avorio). {>a(il>lt;w t ..__,. DtiLGER 214 s.; nel N.T.

    />a~W;w

    è scm-

    Singolare ma improbabile per la sua insufficiente documentazione è l'ipotesi di JACKSDNLAKE I 5,272 s. che gli strateghi si siRno strappate le vesti in segno cli condanna.

    pq:oLouprnµa (0. Baucrnfeind)

    7,8,10; Plut., quaest. Rom. 67 [n 28oa]). Il relativo verbo poc~SouxÉw, il sostantivo poc~oouxloc e il sinonimo pa.~oo­ cp6poç non compaiono nel N.T. Tutti questi vocaboli non ricorrono nei LXX.

    co viene usato nel modo seguente: a proposito di poliziotti muniti di basto· ne, che avevano il diritto o il compito di infliggere, in caso di necessità, puni· zioni corporali (Aristoph., pax. 734 ; Thuc. 5,50,3I; P . Oxy. XIV I626,9. 21; 1750,12); di giudici (Plat., Prot. 338a); di agenti di custodia in templi e durante celebrazioni religiose (Ditt., Syll.' n 736,147 ss.): in Andania fra gli tEpol vengono destinati a tale ufficio 20 poc~oocp6po~; IG rx 2 nr. 1109,23 s.: a Magnesia essi non devono avere un'età inferiore ai 30 anni, cfr. CIG n 3599); di accompagnatrici di una principessa (Polyb. 15,29,13; ma forse sono anche destinate al ministero del culto nel thesmophoreion). Nel linguaggio ufficia· le delle cancellerie è la traduzione del littore romano (Polyb. 5,26,10; Polyb., fr. 74; Diod. S. 5'40i 17,77; Herodian.

    In Act. 16,35.38 Paolo viene accompagnato dalla polizia amministrativa fino al confine della città, dopo che davanti agli cr-rpct:tl)yol si era dichiarato cittadino romano. Di regola agli 1npoc•t"l')yol della città erano assegnati due littori 1• L'accompagnamento doveva valere non tanto a protezione di Paolo quanto come un onore resogli per riparare alla con· dotta illegale degli strateghi. C. ScHNEIDER

    Il composto p~o~ovpy6c;, attestato già in Senofonte, ed i suoi derivati proven-

    gono da f>rl.o~oc; nel significato di leggero (Eur., Hipp. 1116), troppo facile 1 • Un

    pa~oouxoc;

    I

    Nella ·discussione sulla giusta misura della

    1 ]. MARQUARDT, Rom. Staatsverwaltung 1 1 (1881) 175; E. SAMTER, art. 'Fasces'; in PAU· LY·W. 6 (1909) 2002-2004; E. KiiBLER, art. 'Lictor', in PAULY-W. 13 (1927) 507-518; sull'ufficio, già preromano, dello stratega a Filippi dr. H. BllNGSTON, Die Strategie in der beli. Zeit II (1944) 400 s.

    l).tuDtpr.6'tT)c; (generosità) Aristot., eth. Nic. 4, r ,9 (p. u20 a 17) afferma che è più facile ri· nunciare passivamente all'accettazione di un bene altrui che privarsi attivamente di un bene proprio (xai ~q.ov 'tÒ µiJ À.a~t~v 'tov Bov· vo.t). Alla àpE'tTJ (-+I, roll. 1221 s.) corrisponde

    ~q:BLovpyT)µ<X, iiq:BLOUpyla

    Y~P 6.pt"ti}c; µ(i).).ov 'tÒ tiS 1COl.E~'V ~ 'tÒ Ei'.Ì 1tàa';(EW [ibid. p. n20 a n s.]). Queste frasi

    MoULT.-M1LL. 562; PRl!ISIGKE, Wort. n 439; W. ]. GoODRICH, A passage of Pindar reconsi· dered: Classica! Quarterly 2 (1908) 31·33; H. RlcHARDS,

    ClassRev

    Tbe minor works o/ Xenopbon:

    11

    (1897) x34b s. 334a.

    tuttavia meno l'ntteggiamento passivo più facile che l'atteggiamento attivo più difficile ('tfjc; illustrano in modo particolarmente chiaro per• ché il concetto di ~~ÒLoc;, di per sé neutrale (Aristot., rhet. r,6,27 [p. 1363 a 23] : f*oi.a. 8~ licrct i\ &vtv Mmic; ~ tv ò).ly1i>, «facile è tut-

    937 (v1,972)

    flq.6Loùpy'r)µa lU. tlauemtelnd}

    significato neutrale, non valutativo (agire con poca fatica) potrebbe trovarsi soltanto in Luc., Hermot. 7I, dove una potenza presentata come soprannaturale, la Eòx'l), è soggeto dell'operare: .. . 'ii ilEòc; ... pl'.t.OtovpyEi:2. Ma quello eh!! la dea produce non sono altro che castelli in aria; dunque anche qui è innegabile un senso svalutativo. Secondo il grado di svalutazione che ci si prefigge, la componente pq.oto- può perdere sempre più il suo senso pregnante. L'aggettivo pq.Ùtovpy6c; significa in Xenoph., sym. 8,9 sacrifici nei quali non si guarda troppo per il sottile (suo opposto i}ucrll'.t.t... ayv6'tEpl'.t.t). Un uomo che sia chiamato pqJhovpy6c; manca di autodisciplina (Aristot., de virtutibus et vitiis 6 [p. 125I a 20] ). Tuttavia molte volte diminuisce quell'aspetto alternativo 3 che propri~mente è contenuto in pq.otoc;; in Phifo, det. pot. ins. 165 (~ IX, col. 465); poster. C. 43; som. 2, I48 non è dato vedere alcuna differenza tra pq.owvpy6c; e ?tavoupyoc; 4 ( ~ 1x, coli. 455 ss.). 'Pq.otoupyÉw è usato in Xenoph., Cyrop. 1,6,8 come sinonimo di &.1tovw"t'Epov otayEW (il suo opposto è 1tpovoEL\I xat .lwç ~ovÀEuCT'r]crl}& contiene un ammonimento più grave che nel brano precedente (1,72,1: -taxéwç ~ovÀEv-rfov). 2 Cfr. L1DDELL-SCOTT, s.v. Nei vocaboli leggero, frivolo il senso attenuativo è relativamente più accentuato. 4 Nel minuzioso catalogo di vizi del cp~).:fi6o­ voç, che comincia con 7tavovpyoç e fra gli altri contiene anche alcrxpovpy6ç (Philo, sacr.

    3

    l v1,973J 9311

    sfrenata trascuratezza di norme etiche, ad es. della veridicità (Philostr., imagines x,12 ), e anche di falsificazione del tutto intenzionale di documenti (Flav. Ios., vit. 356 [var. pq.8toupy6v] ). 'Pq.otoupy'l')µa è il risultato del pq.otoupyEi:v, ad es. la falsificazione (Plut., Pyrrhus 6,7 [1 46oa]) o altro inganno, anche colpa sessuale (Dio Hal., ani. Rom. 1,77,3); il vocabolo diventa nome collettivo per indicare falli di ogni genere (Pseud.-Luc., de calumniis 20: ... xl'.t.L &A.A.a. µuplcx. pq.8toupyfiµl'.t..-l'.t.). L'astratto pq.&oupyll'.t. descrive, conforme al verbo, l'atteggiamento interiore dell'uomo che prende la vita troppo alla leggera (Suidas, s.v.), per il quale il serio 1tO\IEL\I è una faccenda fastidiosa (Xenoph., Cyrop. 7 ,5 ,74 5 ). I pericoli derivanti dalle é:mwµll'.t.t già per se stesse forti, secondo Xenoph., Cyrop. r,6,34 diventano enormi se vi si aggiunge pq.oLoupylcx.. Inoltre pq.8Loupyla è usato anche per trascuratezza nell'esercizio di una funzione (Plut., Cat. Min. 16,3 [1914c]) ~in generale per mancanza di coscienza, che può manifestarsi in falsificazioni da parte di uno storico senza carattere (Polyb. I2,25e 6 ) o in reati contro la proprietà (P. Magd. 35 7 ). Il termine riceve un accento ancor più negativo quando indica A.C. 32, - xx, col. 466). f>q.8Lovpy6ç indica probabilmente l'atteggiamento interiore tra ~vE6pEV-rLx6ç e a6L6p!}w'tot;; nel senso di asttlto o malizioso [BERTRAM]. s 'Pq.6L:>vpyla. viene qui usato accanto a 1)1>vit6:i>ELGt -rwv xa.xwv à,v!}(Jhlrcwv, la bella vita dell'uomo corrotto, analogamente Xenoph., mem. 2;2,20; cfr. E. C. MARcHANT, recensione di W. MiiLLER, Xenoph. Cyrop. (.r914): Class Rev 30 (1 916) 165 s. 6 Cfr. il verbo in senso analogo in Strabo II, 6,4. 7 Cfr. Ttt. RmNACH, Les juifs d'Alexa11dronèse, in Mélanges Nicole (1905) 451·459; O. GuÉRAUD, 'Ev'l'EU!;ELt;; = Publications de la société royale égyptienne de Papyrologie, Textcs et Documents I (1931) 83-85.

    939 (v1,973)

    {xxx.ti

    l

    (Joach. Jeremias)

    cattiveria (Philo, cher. 80). In P. Oxy. 237, col. VIII 12.I.5 Pr/-OLOVpylu. e 1w.vovpyla: (-7 IX, coli. 457 ss.) sono sinonimi. II

    Negli Atti degli Apostoli, unico scritto del N.T. che usi questo gruppo divocaboli, la componente Pr/-O~o- conserva il suo significato pregnante, anche se in modo diverso nei due passi in cui si incontra. In Act. 18,14 abbiamo una graduazione giuridica: non ogni malscalzo-

    <

    (VI,973) 940

    nata, ma solo un espresso reato (pa:otoupy11µrx. 1tOV''t}pov) è di competenza del proconsole. Viceversa in Act. 13,ro la scelta 8 del vocabolo pr/-Òtovpylcx è suggerita da motivi teologici, anche se non nel senso di un'attenuazione: la malvagità di Elima va intesa nel senso che dal legame con il diavolo, dalla magia e dalla pseudoprofezia deriva necessariamente il crollo di tutte 9 le remore etiche. 0, BAUERNFEIND

    I

    i. pcx.xcx. -7

    XEv6ç

    v, coli. 325 ss.;

    -7 µwp6ç

    vu,

    coll. 7 44 ss. SoMMARCo: I.

    Derivazione del vocabolo;

    8 Si tratta dell'unica parola di questo versetto che non si trova anche nei LXX; cfr. IfABN.

    CHEN, Ag. 349·

    9 IlaO'r]c; davanti a pq.lìLovpylru; è probabilmente originario; qui non si tratta (come in 18,14) di una graduazione di gravità, ma del fatto che la pq.oLOVpyla penetra in tutti gli ambiti della vita.

    pa.xa F. BLASS, Textkritische Bemerkungen Zt1 Mt: BFI'h 4 (1900) 13 s.; DALMAN, Gr. 173 s.; K. KOHLER, Zu Mt J,22: ZNW 19 (1919-1920) 91-95; G. DALMAN, ]esus-Jescbua (1922) 13. 71; F. ScHULTHESS, Z11r Sprache der Evangelie11: ZNW 21 (1922) 241-243; P. FIEBIG, Jes11 Bergpredigt (1924) 34-38; P. JouoN, L'E.vangile de Notre Seigneur Jésus-Christ (1930) 25; C. C. EDGAR, A New Group o/ Ze11011 Papyri: BJRL 18 (1934) 111-130; E . C. CoLWELL, Has

    2. réqà';

    3.Mt. 5,22. l.

    Derivazione del vocabolo

    p(t.xt!J. (var. pa:x6. 1) è la trascrizione Raka a Parallel in the Papyri?: JBL 53 (1934) 351-354; A. FRIDRICHSEN, Exegetisches zum N.T.: SymbOsl 13 (1934) 38-40; C. C. ToRREY, The Four Gospelr' (1947) 290 s.; PREuSCHEN-BAUER', s.v. I La variante poco documentata pa.xli (S*DW lat. Tert. Cypr.) presenta una grafia che si trova già nel papiro di Zenone (--+ n. 3). Che si tratti della stessa parola è fuori dubbio (--+ n. 5). Questa grafia non contraddice alla derivazione della parola da réqa'. Anche se di regola q è reso con x, i codici neotestamentari nel rendere q più d'una volta oscillano tra x e x, e proprio il cod. S presenta anche altrove casi di trascrizione del q con x: Num. 13,22. 28: 'Ev&:x invece di 'Ev&:x, Atv&x (cod. A); Mt. r,r4: Ia.8wx invece di :Eaox; 27,46:
    94l (vr,973)

    prJ.Y.a

    I

    (Joacb. Jeremias)

    dell'ingiuria aramaica rcqii' 2• Il vocabolo è un hapax legomenon nel N.T. (solo in Mt. 5,22); nell'ambito linguistico greco del periodo neotestamentario è attestato soltanto in un papiro di Zenone del 257 a.C.: 'Av•loxov -tÒ'Y pa.xiiv 3• Alla derivazione di pa.xcY. dall'aramaico réqii' fa difficoltà la vocalizzazione con due a (in luogo di pi)x6:, come ci si attenderebbe). Perciò il primo, inatteso a ha dato occasione a dubbi sulla derivazione da reqii' 4 e ad altre proposte di derivazione 5• Però la difficoltà è risolta se si tien conto dell'influsso del siriaco raqa (piccolo, spregevole), come allocutivo di inservienti: ehi, scimunito! 6 • Questa ipotesi di un influsso siriaco sulla vocalizzazione è più verosimile dell'altra che vuol ricondurre il primo a. all'influsso del greco "t'Ò paxoc; (la pezza [Mc. 2,21 pendice); Act. I,19: 'AxE)..lìcxµrix invece di 'AxE)..lìuµax. Percìò pcxxli. rispetto a pa.xti va giudicato come una insignificante vatiazione dialettale od ortografica. 2 Cosl pensavano già gli antichi, ad es. Pseud.Chrys., opus imperfect11m in Mt., hom. n (MPG 56 [x859] 690): racha quidem dicitttr hebraice vacuus; altra documentazione in ZAHN, Mt. a 5,22; cosl ~nche la maggior parte dei moderni. J ~ EDGAR 112 s., nr. 2; anche PREISIGKE, Sammelbuch 5, nr. 7638,7; P. Ryl. IV, nr. 555. Sul papiro cfr. soprattutto --,) COLWELL 351354. 4 BLAss 13 s.; WELUJAUSEN, Mt. a 5,22;

    ZAHN, Mt. a 5,22; S. KRAuss, Drei paliisti11ische Stadtnamen: OLZ 22 (1919) 63; ~ ScHULTHESS 241-243; LoHMEYER, Mt., ad I. 5 ~ SCHULTHESS 242

    s. (partendo da pa.xti) vorrebbe derivare pcxxti dall'ebraico rak (fine, delicato) nel senso di 'codardo'; ma questo significato non è documentabile. ~ ToRREY 291 pensa (partendo da pa.xti) al participio ebraico *rìiq, del quale però mancano attestazioni. --'> EDGAR 113 propose di vedere nel 't'Ò\I prJ.Xii\I del pap. di Zenone (--'> n. 3) un'abbreviazione di />ax~u-riic; (smargiasso) e~ CoLWELL 351-354, LottMEYER, Mt., ad l. e P. BENOIT, Papyrologie: RB, N.S. 61 (1954) 478 («peut-etre») e-

    (vr,974) 94 2

    par.], lo straccio, talvolta applicato a persone 7 ), perché una considerazione, che va subito fatta, conduce anch'essa in Siria. ·

    Il fatto che prJ.xa in Mt. 5,22 non è seguito da una traduzione in greco del termine è importante ai fini della localizzazione del Vangelo di Matteo: Matteo scrive per dei lettori che, quantunque parlino in greco, capiscono senz'altro un'ingiuria orientale. Questa osservazione porta alla Siria; infatti dopo il 70 d.C. solo nelle città siriache devono esservi stati dei cristiani che usavano il greco come lingua corrente. stesero questa derivazione anche al pa.xa neo' testamentario; mn la scarsità di attestazioni greche (solo due) depone a sfavore di questa derivazione dal greco, tanto più che, stando a Mt. 5,22, dev'essersi trattato di un'ingiur.ia comune. 6 Chtys,, hom. 16,7 in Mt. (MPG 57 (1862] 248): -rò 'Pa.xà. 'tOV-co, ov µEyaÀ:ric; fo-i:Lv uapEWç pljµa. («non un'ingiuria grave»), &;)..)..à µaÀÀov xa:ra.
    ot

    au·

    943 (VI,974)

    ~a.x6.

    2-3 (Joach. Jeremias)

    (v1,975) 944

    2. réqii'

    3.Mt. 5,22

    L'aramaico reqa' è connesso all'aggettivo ebraico req (in aramaico reqiin ), vuoto (di cervello) 8, a cui è stato aggiunto il suffisso vocativo a 9 •

    Soltanto su questo sfondo storico Mt. 5,22 acquista tutta la sua rigorosità.

    L'elevato numero di testimonianze di 1·eqii' offerto dalla letteratura rabbinica 10 permette di determinare esattamente il tono che aveva il termine. È un'espressione di irritato disprezzo, che può andare unito a indignazione, collera, disistima, ed è applicato regolarmente ad una persona stolta, scimunita, presuntuosa. Si intendeva il termine come un'ingiuria inoffensiva: scemo, asino. Accanto a réqa' l'ebraico so/eh (aramaico Sii!ia') è l'ingiuria più comune. Da una definizione di questo vocabolo 11 si ricava che esso corrisponde esattamente al nostro idiota. Quantunque sia discussa la spiegazione di µwpÉ di Mt. 5 ,22° (-7 VII, coli. 744 ss.), è molto probabile che alla base di esso vi sia Sil!ià' 12 e che perciò in Mt. 5,22 sotto forma di p(l..xa e µwpÉ siano riunite le due ingiurie più comuni nell'ambiente in cui viveva Gesù. s DALMAN, Gr. 1.73 n. 2 in un primo tempo (come già prima di lui E . KAUTZSCH, Gram· matik des Bibl.-Aram. [1884] IO) vide in reqii' una forma abbreviata di reqiit1, ma in ~ DALMAN, Jesus TI si decise per l'accostamento all'ebraico 9 Per Ja fine in -a del vocativo cfr. C. BROCKEL· MANN, Grundriss der vergleichenden Gramma· lik der semitischen Sprachen II (1913) § 19. 10 ]. LIGHTFOOT, Horae Hebraicae et Talmudicae in Ev. Mt. a 5,22, Opera Omnia II (I686) 286; A. Wi.iNSCHE, Neue Beitrage zur Erlauterung der Ev. aus Talm11d und Midrasch (1878) 47 s.; ~ DALMAN, Jes11s 71; ~ FIEBIG 34-38; soprattutto STRACK-BILLERBECK I 278 s. 286. 385.900; li 586.7I4; lU 27I.851, 11 T er. ;. 1,1 (40 b 24): «Caratteristica del IO-

    req.

    Sul piano linguistico a proposito di

    Mt. 5,21 s. va notato che l'aramaico 'it(Ja;;ab (come l'ebraico bajjàb) che è alla base del quadruplice Evoxoc; (-7 III, col. 1354) non comporta mai l'indicazione dell'istanza giudiziaria 13, ma sempre quella della pena in cui si è incorsi (o dell'obbligo o del debito a cui si è sottoposti). Questo dato di fatto viene confermato da un secondo rilievo linguistico: né 1) xpi:cnc; né l'aramaico dina' che ne è alla base significano «tribunale» o «tribunale locale» 14; piuttosto dlnii' ha il significato di processo, sentenza, pena. E\loxoç fo'ta.t "t'TI xpl>, e Evoxoç E
    /eh: egli corre qua e là come un nottambulo, passa le notti nei cimiteri, straccia le sue vesti, distrugge quanto gli si dà». 12 A. MERX, Das Ev. Mt. (1902) 89; W!!LLHAU· SEN, Mt. 20; -+DAI.MAN, ]esus 71 s.; SCHLATTER, Komm. Mt. 169. Il ~ DALMAN, ]esus 67. 14 ~ Joi.ioN 24 s. Anche in Dan. 7,10.26 dina' non designa astrattamente l'istanza giudiziru:ia, ma è abbreviazione per i membri del Mt dtn. IS In modo del tutto analogo in Tg. J. I O . Num. 3,,21 va sottinteso «Il morte»: kad 'itf?ai jab /éh, appena venne condannato (a morie). Cosl pure Flav. Ios., ant. 1,102: (Dio dice: )

    1tt.t:paww... xa:~a:pEUEW q>6vov 'tOV~ op6.11a.v"'t'dç "tL "tO~ov-rov xoMl';ov"Ca~ (cioè, con la morie).

    945 (v1,975)

    ~CJ.xll.

    3 (Joach. Jeremias)

    ferno». Dunque Mt. 5,21h è il seguito della citazione scritturale di 21•, e le tre proposizioni di 5 ,22 abc non elencano tre istanze di giudizio (tribunale locale, sinedrio, inferno [vale a dire Dio]), ma parafrasano con tre locuzioni in crescendo 16 la pena di morte. Se, come è probabile, già in òprts6µEvoç è implicito il prorompere dell'ira nella parola (vrr, coli. 749 ss.) 17, tutte e tre le frasi parallele di Mt. 5,22 trattano nella prima parte del peccato di parola contro i fratelli e nella seconda della pena di morte. Perciò proponiamo la seguente traduzione: 2r. «Avete udito (nella lettura della Scrittura) che Dio ha detto agli uomini: 'Non uccidere; l'assassino dev'essere condannato (a morte)'. 22. Ma io vi dico: Chi è in collera con il suo fratello merita di essere punito (con la morte). Chi dice al suo fratello 'scemo' merita cli essere condannato (a morte) dal Chi gli dice 'idiota' [sinedrio. merita di subire (la morte) nell'inferno».

    Gesù instaura il nuovo giudizio di Dio contrapponendo il suo ~rw ÒE ÀÉyw ùµi:v alla parola della Scrittura e proclama per tre volte che già l'ingiuria, sentita da ognuno come innocente ma detta con malumore, è un delitto meritevole 16 Non si può negare che almeno nelle tre frasi di Mt. 5,22 c'è un crescendo (altra interpretazione-> VII, col. 750). 17 Cosl già-> KOHLER 95. 18 -> DALMAN, Jesus 74. 19 Il carattere paradossale di Mt. 5,22 appare chiaro specialmente dal confronto con contemporanee disposizioni penali contro ingiurie, come ad es. Qid. b. 28 a bar. (STRACK-BILLERllECK I 280); I QS74s.

    20 ~ FRIDRICHSEN 38 S.

    di morte. Sta sullo stesso piano dell'assassinio e merita la stessa punizione, anzi una punizione maggiore, cioè la pena di morte da parte del tribunale supremo (il che evidentemente comportava anche il bando dalla comunità 18 ), più ancora, la condanna alla morte eterna. Il paradosso d'un rigore inaudito 19 vuole che gli ascoltatori comprendano quanto gra- . ve sia agli occhi di Dio, in una misura tremendamente pesante, il peccato di parola e richiama alla loro coscienza la necessità di evitare le sgarberie quotidiane contro i fratelli, che, apparentemente innocue, in realtà avvelenano la comunità. In questa severa presa di coscienza del peccato va comprovata l'appartenenza all'imminente regno di Dio e al suo ordine giuridico. Per quanto riguarda la questione dell'autenticità, è stato dichiarato secondario ora 5 ,22c (come ampliamento di 22h) 20, o 5 ,22b[3.ccx. (come prolungamento di 22bcx..c[3) 21 , e più spesso 5,22bc (come spiegazione di 22 8 ) 22• All'obiezione decisiva che dall'ira all'ingiuria non v'è alcun crescendo e che il sinedrio non sarebbe stato un'istanza superiore al giudice locale 23, bisogna contrapporre ciò -> KOHLER 94 ; G. D. KrLPATRICK, The Origim of the Gospel accordi11g to St. Matthew

    21

    (1946) 18:25. 22 KwsTERMANN,

    Mt., ad l.;

    BULTMANN,

    Trad.

    142; -> FRIDRICHSEN 39 s.; T. W. MANSON, The Sayings o/ Jesm (1950) 155. Silnilmente

    M. WEISE, Mt 5,2I f - ein Ze11gnis sakraler Rechtsprech11ng i11 der Urgemeinde: ZNW 49 (1958) n6-r 23, che tuttavia vorrebbe vedere in Mt. 5,22bc un logion originariamente indipendente. 2.1 BuLTMANN, Trad. 142.

    947 (VI,976)

    pa.v-.lt,w A I-2 (C.-H. Hunzinger)

    che abbiamo detto su Òpyt'(,6µEvoc; (~ col. 945 ), su xpla-tc; ( ~ col. 944) e su O'U\IÉOpto\I (~ col. 946 ). Per il resto, a ciò che fu a suo tempo rilevato (~ VII, coll. 749 ss .) si aggiunga che, in ogni caso, terminologia (pa:xét., cru\IÉOptov, yÉEVWJ.., yÉEW(( 't'OU 'ltUpÒc; [genitivo per aggettivo]), stile (parallelismus mem-

    A. SIGNIFICATO DEL VOCABOLO IN GRECO l. pav-tl'(,w è forma secondaria di palvw, e fuori della Bibbia è attestata molto tardi e di rado. Anche nei LXX p'1.\l't'l'(,w è molto più raro di p<1.l\IW, mentre nel N.T. si trova soltanto p'1.vi:l'(,w. Non si può stabilire una diversità di significato tra i due verbi; perciò per chiarire l'uso linguistico occorre esaminare i documenti in cui viene usato pa.lvw. przLvw/pr1.:vi:l'(,w è usato in due modi: a) -rl

    spr11zzare, aspergere qualcosa con qualcosa (Aristot., hist. an. 6,13 [p. 567b 4s.]); b)i:l È1tl 'tL (ad es. Atistot., hist. an. 6,13 [p. 567 b 5 s.] ), o anche dc; (ad es. Aristoph., ran. 1440 s. ecc.), spruzzare, spargere qualcosa su qualcosa. -rL'VL,

    Come materiale che viene spruzzato

    (VI,977) 948

    hrornm) e idee (-7 col. 943; ~ uuvÉopLov) di Mt. 5 122 be sono espressamente palestinesi e che Gesù anche altrove giudica altrettanto gravemente il peccato di parola (ad es. Mt. 12,36 s.), e addirittura in Mc. 7,15b lo addita come la sostanza dell'impurità. }OACH. }EREMIAS

    indicano i liquidi più diversi, ad es . acqua (Horn., Od. 20,150; Theocr., idyll. 24,98 ecc.), olio ((Hippocr., de fracturis 2 I [ n.rziov]; Polyb. 3 0,2 5 ,I 7 [ µupov] ), aceto (Aristoph., ran. 1440 s.), sangue (Hom., Od. 20,354; Pind., lsthm. 8, 50); inoltre talvolta anche solidi granulosi, come polvere (Horn., Il. u,282 1), sale (Aristot., hist. an. 8,10 [p. 596 a 27] ), grani di frumento 2 ; in senso traslato anche, ad es., sonno (Pind., Pyth. 8,57). 2. prz\li:tcrµ6c;, aspersione, non è finora attestato nell'uso linguistico extrabiblico.



    pa.vi:(l;w, i1a:moµ6ç CREMRR-KOGEL, LIDDELL-SCOTT, PR.EUSCHENBAUEJ>.s, s.v.; O. ScHMITZ, Die Op/eranschau-

    ung des spateren ]udet11111ns und die Opferaussagen des N .T . (19ro) specialmente r96318; H. WENSCHKEWITZ, Die Spirilllalisierung der K11/tusbegriffe Tempel, Priester tmd Opfer im N.T., Angelos Beiheft 4 (1932); TH. C. VRIEZEN, The Term Rizza: Lustration and Comecration: Oudtestamentische Studien 7 (1950) 201-235; L. KoEP, art. 'Besprengung', in RAC Il 185-194; E. LousE, Miirtyrer und

    Gottesknecht, Untersuchungen wr ttrchr. Verkiindigung vom Siihntod ]es11 Christi, FRL, N.F. 46 (r955) specialmente 162-r87; W. NAUCK, Die Tradition tmd der Charakter des I. ]. Zugleich ein Beitrag zur Tau/e im Urchri· tent11m und in der alten Kirche (1957) 56-59. · I Philostr., de gymnastica 56 (ed. J. }UTHNBR [r909) I82,2). 2 Oppianus Anazarbensis, halieutica 2,roo (ed. F. S. LEHRS, Poetae Bucolici et Didacticr [1862] 58).

    9.+9 \ Vl,977 i

    B. IL GRUPPO DI

    VOCABOLI NELL'A.T.

    I. Aspetti linguistici l. Nei LXX il verbo pet.V'tLSW si trova solo 3 volte (Lev. 6,20; 4 Bau. 9,33; ljJ 50,9); si aggiungono i composti Èr.Lppa.v-i:lsw (Lev. 6,20) e 1tEpLppet.V'tLSW (Num. 19,13.20; Ez. 43,20 var.). Molto più spesso, invece, viene usato il verbo pa.lvw ( l 3 volte); inoltre l volta OLet.ppa.lvw (Prov. 7,17), l voltaÉmppa.lvw(2Mach. 1,21 ), 6volte1tEpLppa.lvw e 2volte1tpoc;pa.lvw. Non si può stabilire una diversità di significato; tutti i verbi citati vengono usati promiscuamente 3• Come vocabolo preferito, precisamente nell'ambito cultuale, va però considerato pa.lvw (e composti); pa.v-r:l'(,w (e composti) viene usato soltanto in casi eccezionali 4 • Sintatticamente è usato prevalentemente con l'accusativo della materia spruzzata e con Èrtl e l'accusativo dell'oggetto su cui si spruzza (Lev. 16,15 ecc.) o con rtp6c; e l'accusativo (4 Ba.O'. 9,33 ecc.), dunque spruzzare, spargere qualcosa su qualcosa (~ col. 947); i LXX quindi seguono la costruzione del verbo ebraico tradotto (col. 950 ). Solo in 5 casi, invece, va tradotto con spruzzare, aspergere qualcosa con qualcosa {~ col. 947), e precisamente nei passi in cui il gruppo di verbi greco serve eccezionalmente a rendere l'ebraico ~!' pi'el (ljJ 50,9; Ez. 43,20 var.) e n!f (Prov. 7,17, ~ n. 12); in 2 Mach. l,21 (quindi in uno scritto composto in greco); in Num. 8,7, dove il doppio accusativo del tutto

    Cfr. l'uso assolutamente sinonimo di ~mp­ in Lev. 6,20 ba./P, di 7tpo<rpr1.lvw e ~r1.lvw in L ev. 4,6/4,17 e di 7tEpLppo:lvw e mp~ppo:v-rl!;w in Num. 19, 13.18.19.20.21 (qur indotto dallo scambio dei verbi nth e zrq nel testo ebraico). 4 Per tradurre nth qal (~col. 950), !i!' pi'el (-)o coli. 951 s.), zrq pu'al (~ col. 951). 5 Oltre a 'al usato prevalentemente (13 volte) 3

    pa.v-rl~w e del semplice pa.v·tl~w

    inusitato fa pensare ad un errore neUa traduzione greca. Come materiale spruzzato vengono indicati i liquidi più disparati: sangue (per lo più cultuale~ coll. 95 5 s.; talvolta non cultuale ~ col. 953), olio (sempre cultuale ~ col. 955), acqua (per lo più acqua d'espiazione dei peccati~ coll. 954 s.; inoltre in Ez. 36, 25 ~ col. 957; 2 Mach. l,21 ~ col. 953); una volta una materia non liquida e~ col. 948): zafferano e cannella (Prov. 7,r7); una volta in senso traslato e~ col. 948) la giustizia (Is. 45,8 ~ col. 958). 2. L'equivalente ebraico del gruppo di verbi greco è usualmente nzh hif'il, con l'accusativo, ed anche 'al o li/né e simili 5 : spruzzare, spargere qualcosa su (o contro) qualcosa. Ma la situazione non è del tutto omogenea: una volta (Is. 52,15) nzh è reso·con un altro verbo greco, e d'altra parte oltre a nzh anche altri verbi ebraici corrispondono al gruppo di pa.v-r:l'(,w. a) In tutti i 19 passi in cui s'incontra nzh hif'il per indicare un'aspersione cultuale, esso è reso con pa.lvw e i suoi composti, e non con pa.v-r:l~w. 4 volte si incontra nzh qal, essere spruzzato, sprizzare {intransitivo), e sempre in un significato non cultuale (~ coll. 953 s.); 3 volte è tradotto col passivo di pa.v-r:l'(,w o di Èmppa.\1-r:lsw (non pa.l'VW) (Lev. 6,20 [bis]; 4Ba.c;.9,33); 1 volta i LXX presentano un testo (Is. 63,J) che si discosta notevolmente dall'ebraico 6 • ed all'equiv'alente 'el (ad es. Lev. 14,51) troviamo occasionalmente li/né (Lev. 14,16), 'alp'11é (Lev. 16,14), 'et-p'né (Lev. 4,6), 'et-nokap p'né (N11m. l9A). Soltanto in testimonianze più tarde i LXX si adeguano al T M. con un'aggiunta piuttosto lunga; 11'1.h è allora rettamente tradotto con pa.v'l'.lsw al passivo, cfr. J. ZIEGLER, Isaias, Septuaginta 14 (1939) ad l. Il passo è tcaman6

    951 (VI,977)

    ~o:v-tlt;w

    B I 2a-3 (C.-H. Hunzinger)

    Un posto a parte spetta a Is. 52,15: ken jau.éh gojim rabbim. Rinunciando ad una correzione del testo 7, la cosa migliore 8 è di concepire questo hif'il come un puro causativo del qal di nzh e tradurre far sprizzare: il servo di Dio fa sì che molti popoli (si) spruzzino (a vicenda) 9• Nei LXX (l}ctuµWro\l't
    pa\l'tlsw sono: zrq pu'al =

    7tEp~ppct\l'tlsw

    (al passivo) in Num. 19,13.20. Nello stesso contesto 3 volte viene usato come sinonimo nzh hif'il, e qui i LXX, tenendo conto dell'alternanza·dei due vocaboli ebraici, traducono con 7tEptppalvw (Num. l9,18.19.21)w. zrq qal = palvw in Ez. 36,25: versare (acqua pura per dato in modo incerto anche nel testo ebraico; in I Qls" manca l'intero passo, mentre r Qis• legge come il T .M. 7

    Il T.M. è confermato da r QSis" (dove erroneamente si legge solo WqP!W invece cli iqNw [il w qui è chiaramente distinto da iJ e in tal modo 'liw è riferito come nei LXX a quan· to precçde) e da 1 Qls".

    s Con-+ VRIBZEN 203-205. Il passo è cosl inteso già dal Targum (J. F. STENNING [1949)); jbdr, egli disperde. La Peshitta invece intende jaueh nel senso cli egli asperge, che tuttavia contraddice all'uso consueto di nzh hif'il (-4 col. 950), e per mdk' ha 'egli purifica', pensando quindi ad un'aspersione cultuale, purificatrice dei popoli ad opera del Servo cli Dio. Tale interpretazione potrebbe soggiacere anche ad Aquila ({>av-tl· UE~), a meno che Aquila qui non segua semplicemente il suo principio cli traduttore: an· che altrove egli usa sempre po:vTl!;w per nzh hif'il. In ogni caso il N.T. non fa uso cli questa possibile interpretazione del passo. Cfr. H. HBGERMANN, ]s JJ in Hexapla, Targum tmd Peschitta (1954) 33.69.96 s. 10 Il significato di zrq qal coincide in certa mi9

    l'espiazione dei peccati) come promessa

    di Dio. /;f' pi'el=po:v'tll';w (\jl 50 [51], 9} o 7tEptppO:V'tLSW (Ez. 43,20 var.}: aspergere (per la purificazione dai peccati). nzl qal 11=po:ivw (Is. 45,8): versare, far fluire, detto in senso traslato delle nubi che devono far scendere la giustizia. ntf qal 12 =oLo:ppctlvw (Prov. 7,17), cospargere (il letto di zafferano [o di mirra: T .M.] ). Senza equivalente ebraico 2 Mach. r ,2 r; tmppo:lvw, bagnare (legna con acqua). 3. pct\l'tt0'µ6ç compare nei LXX esclusivamente nell'espressione VOWp pctV'tt· o-µou = acqua della aspersione, come traduzione di me nidda o me hannidda, acqua contro l'impurità, acqua di purificazione (Num. 19,9.13.20.21 [bis]); è un termine tecnico per designare l'acqua della purificazione dai peccati, acqua alla quale erano mescolate le sura con quello cli nzh hif'il. Anche zrq nella massima parte dei casi è riferito a materie fluide, e precisamente 25 volte al sangue, sempre in un contesto cultuale. Però nei LXX non viene reso mai col gruppo cli verbi po:lvw/Po:'l't(,. l;w, ma sempre con 1tpoCT){Éw (soltanto in 2 Chron. 29,22• con 1tEP~XÉW, in Ex. 24,8 con xa;-ro:
    953 (vr,978)

    ~cxv-.ll;<.ù

    B r 3 - II 2a (C.-H. Hunzinger)

    (vr,979) 954

    ceneri di una vacca rossa e che era usa- dell'acqua, che subito si infiamma mirata per l'aspersione quando si verificava colosamente; anche qui non si parla di un'impurità per contatto di un cadavere. un'aspersione cultuale nel senso vero e L'espressione ebraica si riferisce alla de- proprio del termine. stinazione dell'acqua (contro l'impurità), 2. In primo piano nell'A.T. sta l'uso quella greca al modo in cui viene usata (aspersione). I concetti cli nidda e pr1.v- cultuale del nostro gruppo di vocaboli. ·nuµ6ç per sé non hanno nulla in comune; perciò altrove nidda è sempre tra- Le aspersioni cultuali sono effettuate in dotto con altri vocaboli greci 13 • L'e- molti modi: con materie diverse, e prespressione me nidda, oltre che in Num. cisamente acqua qualificata cultualmen- . 19, si trova solo un'altra volta in Num. te, olio e sangue; in direzioni diverse, 3 r ,2 3 in un passo letterariamente forse cioè verso il santuario o su uomini ed secondario; qui i LXX traducono uowp à:yvtcrµov (che a sua volta in Num. 8,7 oggetti; per fìni diversi, cioè per la consta per me l_;a!fii't). sacrazione dei liquidi aspersi e per la purificazione o la consacrazione degli ogII. Aspetti concreti getti su cui i liquidi sono aspersi; in ocl. L'uso profano del gruppo di vocacasioni diverse, come impurità dei ca· boli nell'A.T. ha solo un ruolo subordidaveri, lebbra, consacrazione sacerdotanato. 4 Baa-. 9,33 (nzh qaljpav.-lsoµr1.1): il sangue di Jezabel precipitata dalla fi- le, sacrifici di espiazione, giorno di rinestra schizza su muri e cavalli. Is. 63,3 conciliazione, conclusione del patto. (nzh qal, ~ n. 6): gli abiti di Jahvé, che a) Se viene usata l'acqua per aspergeha schiacciato Edom come sotto un torchio, sono spruzzati di sangue. In Lev. re, questa per lo più viene qualificata 6,20 (bis) (nzh qal [http]pav-.lsoµat) cultualmente con l'aggiunta di qualche si parla di sangue dei sacrifici, ma non sostanza. Cosl secondo Num. 19,2-10 del suo uso per l'aspersione cultuale, l'acqua di purificazione (me nidda = bensl di abiti spruzzati di sangue per i.iowp prL'll'tta"µov --> col. 95 2) si ottiedistrazione. Is. 52,15 (nzh hif'il/l)auµcX.- ne mischiandovi le ceneri di una vacsoµat): il Servo di Dio fa sl che i po- ca rossa ed altre materie (legno di cepoli si spruzzino l'un l'altro (~ col. dro, issopo e carminio); viene usata 95r). Prov. 7,17 (n!f, ~ n. I2/'61ap- quando una persona (Num. r9,r3.18.19. pr1.lvw): l'adultera ha cosparso il suo 20) o una stanza o utensile (Num. 19, letto di mirra, aloe e cannella (i LXX: 18) hanno contratto impurità per condi zafferano). 2 Mach. 1,21 (è.mppa.lvw): tatto con una salma; raspersione con taNeemia, come Elia in 3 Ba.o-. 18,34, fa le acqua .purifica (IJ!' pi'el: Num. r9,19) versare su una vittima, a ciò preparata, l'impuro 14 • In un altro tipo di impurità, Il Nella più lunga appendice secondaria, che in Zach. x3,x LXX viene aggiunta alla fine per uniformarsi al testo masoretico, l'niddiih è reso da vari codd. con dç -cbv ~cxv-.~uµ6v (i codd. B S* hanno invece xwpiuµ6v), dr. J. ZrnGLER, Duodecim prophetae, Septuaginta 13 (1943) ad I.; questa lezione potrebbe risalire

    ad Aquila. 14 In I QS 3'4·9 (cfr. 4,21 -+ n. 3x) evidentemente mi ndh non ha il significato tecnico di N11m. x9, ma è invece riferito ai quotidiani bagni d'immersione cultuali. Di diversa opinione ]. BowMAN, Did the Qumran Sect B11rn the Red Heifer?: Revue de Qu~ran r (1958/59)

    955 (v1,979)

    pa.v-tl~w

    Il n :2.a-c (C.-H. Hunzinger)

    una parte (la parte per il tutto) viene sparsa. Ma oltre a ciò, e soprattutto, il sangue serve all'aspersione di oggetti che debbono essere purificati. Al riguardo va citato in prima linea il rituale del grande giorno della riconciliazione (Lev. 16; -7 IV, coli. 972 ss.): del sangue dell'animale sacrificato (v. 14) e del capro espiatorio ( v. l 5) una piccola parte viene spruzzata sette volte con un dito sul coperchio (kapporet) dell'arca dell'alleanza nel santo dei santi, e successivamente anche l'altare davanti al santuario è asperso col sangue dei due animali (v. 19). Anche se attraverso un'analisi letteb) Un'aspersione con olio mischiato raria del testo appare probabile che in di sangue sacrificale è compiuta su Aron- origine il rito dell'aspersione con sangue ne ed i suoi figli e sui loro paramenti du- nel giorno della riconciliazione avesse il rante la loro consacrazione sacerdotale significato di una consacrazione del san(Ex. 29,21; Lev. 8,30); nella stessa occa- gue sacrificale (come -7 col. 95 5 e qui sosione anche l'altare viene asperso d'olio pra) 16, nel presente contesto di Lev. x6 (Lev. 8,n); l'aspersione opera la santi- il rito è inequivocabilmente interpretaficazione di colui che è asperso (qdJ to come una purificazione del santuario: pi'el: Lev. 8,n.30). Invece ha un altro vv. 16.18.19.20 (kpr pi'el; thr pi'el; qds significato quando (Lev. 14,16.27), pri- pi'el). L'aspersione col sangue sacrificale ma dell'unzione di un lebbroso guarito, rende operante la forza espiatoria del saun po' dell'olio da usare a tal fine viene crificio sull'oggetto asperso. Rientrano asperso sette volte dal sacerdote con un in questo contesto anche i riti già citati, dito li/ne jhwh: questa aspersione «da- nei quali acqua (Lev. 14,7.51) od olio vanti a Jahvé» (vale a dire concretamen- (Ex. 29,2I; Lev. 8,30) misti a sangue sate in direzione del santo dei santi) è una crificale sono usati per aspersioni di uoconsacrazione dell'olio, al quale con que- mini ed oggetti. sto atto è attribuita la sua virtù cultuale. È chiaro (e viene rafforzato dai verbi c) Un'aspersione del santo dei santi citati [~ coll. 954s.], che sono pa(perciò «davanti a Jahvé» 15) si compie ralleli a nzh hif'il e lo interpretano) che anche con sangue di sacrifici (-7 IV, coll. 969 ss.): nella presentazione della vitti- all'aspersione cultuale si collega prevama espiatoria (Lev. 4,6.17; 5,9) e nel- lentemente l'idea .della purificazione e l'abbattimento della vacca rossa (Num . della cancellazione dei peccati; ciò vale 19,4); l'effetto di essa non va a vantag- soprattutto per i capitoli Lev. 16 eNum. gio dell'oggetto asperso (dunque non v'è un'aspersione vera e propria) ma del i9, che stanno in primo piano. Cosl sangue o dell'animale sacrificato, di cui si spiega petché il verbo pa.v"t'lsw sia la lebbra, viene aspersa acqua di sorgente, mescolata col sangue di un uccello macellato, sul guarito dal1a lebbra e sulla sua casa, e in questo modo viene restituita la purità cultuale (Lev. I4.7 ··51 [!hr pi'el: I4,7; ht' pi'el: 14,49. 52]). Soltanto in Num. 8,7 viene usata acqua non mescolata come acqua di purificazione (mé hattii't), con la quale si aspergono e lavano i leviti consacrandi (ph1· pi'el: 8,6 s.) (forse per abbreviare i tempi della lavanda nella consacrazione sacerdotale: Lev. 8,6). In tutti i casi l'aspersione purifica e cancella i peccati.

    73-84. Certo questa formula non s'incontra piì1 nel

    15

    contesto, ma offre la migliore interpretazione. 16 ~ VRIEZBN 2r9-233.

    PCJ.\l'tlr,w B

    957 (vr,980)

    2C.

    eI

    tanto unito all'idea della cancellazione dei peccati, che talvolta può essere usato per rendere /;!' pi'el ( 1Ji 50 [ 5 r], 9 [ ~ sotto]; dr. anche Ez. 43 120 vat.). 3. In

    tJi

    50[5r],9

    (/;t' pi'el/pa:nl-

    ~w): purificami (con l1aspersione) con (un rametto di) 17 issopo, ed io divente· rò puro, v'è evidentemente sullo sfondo un detel'minato rito cultuale di tipo «giudizio di Dio», al quale forse si fa allusione anche in Is. r,r8 18 • Però è molto dubbio che il Salmista pensi ancora al compimento concreto di tale rito, e non piuttosto intenda parlare dell'aspersione purificatrice in un modo figurato 19 : staccato dal contesto cultuale il concetto esprime l'opera clemente di Dio. In senso chiaramente figurato in Ez. 36,25 (zrq qal/palvw) dell'azione escatologica di Dio si dice: «Verserò su di voi acqua pura 20, affinché diventiate puri». Accanto al ritorno dall'esilio (v. 24 ), al dono di un nuovo cuore di carne 17 Cosl evidentemente viene inteso b"e:r.6b in analogia con Num. 19,x8. Al contrario H. SCHMIDT, Die Psalmen, Handbuch A.T. r 15 (1934) ad 1. pensa ad acqua mescolata con issopo bruciato, dr. Nttm. 19,6; ma ìvi l'issopo è soltanto un elemento accanto ad altri (-+ col. 954).

    18

    R. PRESS, Das Orda! im alten Israel: ZAW

    5x (x933) 243 s.; ScHMIDT, op. cit. (-+ n. x7) ·ad l.; G. MoWINCKEL, Of!ersang og sangof}er (1951) 271 s. 19 O. ErnsFELDT, Einleitttng in das Alten Testame1/t1 (1956) 140 s.; A. WmSER, Die Psalmen 14, A.T. Deutsch 14 (1955) ad l.; R. PRESS, Die eschatologische Ausrichttmg des 51. Psalms: ThZ I I (1955) 241-249 (specialmente 246); H. J. KRAus, Psalmen, Biblischer Kommentar zum A.T. 15 (1958 ss.) 388, ad l.

    (C.-H. Hunzinger)

    (v. 26) e al dono dello spirito (v. 27), l'aspersione purificatrice compiuta da Dio stesso è un atto della nuova creazione escatologica del popolo di Dio 21 • Ancora in una promessa di salvezza escatologica, dalla quale però è assente qualsiasi riferimento all'aspersione cultuale, troviamo l'uso traslato di p(f.tVW (per l'ebraico nzl) in Is. 45,8 (--7 n. u): le nubi piovano giustizia. 4. Anche se non vi compaiono né nzh hif'il né il nostro gruppo di verbi, va tuttavia ricordato l'atto dell'aspersione di sangue in Ex. 24,8 (zrq qal/:X:C(.'ta:ax:;o
    C. IL I. 20

    GRUPPO DI VOCABOLI NEL N.T.

    Oltre a due varianti verosimilmen-

    majim t'horim non è attestato cosl nell'uso linguistic~ cultuale vero e proprio; al massimo si può confrontare con mé nìddàb (col. 952). 21 Cfr. G. FoHRER, Bzechiel, Handbuch A.T. I 13 (1955) ad l. Ricorda fa:. 36,25 anche la descdzione dell'azione escatologica salvifica di Dio in I QS 4,:u: wiz 'l;w rwb 'mt kmj ndh, «e Dio verserà su di lui spirito di verità come acque di purificazione». 22 Che qui non venga usata la terminologia tecnica può dipendere dal fatto che Ex. 24,3-8 è da attribuire alla fonte elohista, mentre tutti i' passi indicati in -+ coll. 954 s. appartengono alla fonte P (sacerdotale). In testi rabbinici zrq di Ex. 24,8 più volte è equiparato a 11:r.h hif'il, ad es. in Ker. b. 9a; dr. anche Hebr. 9,18-21 (....,)> col. 961). In Tg. O. e Tg. ]. I , invece, for. se a causa del verbo :r.rq, l'aspersione del po.

    959 (VI,981)

    /lavi:l~w C 1-2 (C.-H. Huozlnget)

    pa."'wµov.

    te secondarie in Mc. 7,4 23 e Apoc. I9, 24 1 3 , la presenza dei nostri vocaboli nel N.T. si riduce a Hebr. (5 volte) e I Petr. ( l volta). Dei verbi s'incontra soltanto pctv•lsw (Hebr. 9,13.19.21; rn,22) con l'accusativo dell'oggetto asperso e il dativo della materia con cui si asperge, quindi: aspergere qualcosa con qualcosa (-7 col. 947, nei LXX invece per lo più diversamente: -7 col. 949). Il sostantivo pctV'tL0'µ6c;, aspersione (Hebr. 12,14; I Petr. 1,2) non è più, come nell'A.T. (-7 coll. 952 s.), limitato al nesso VOWp pctV'tWµo\i; ma probabilmente l'espressione alµct pcx.v~CTµou (Hebr. 12,24, cfr. anche Barn. 5,1) va intesa come una forma analoga a

    vowp

    L'uso del nostro gruppo di vocaboli nel N.T. è condizionato dall'uso cultuale che ne fa l'A.T. (-7 coll. 954 ss.): ai riti veterotestamentari di aspersione viene contrapposta l'aspersione col sangue di Cristo. Il sangue di Cristo 25 in Hebr. 12,24 è addirittura chiamato a.lµcx. pctv't~
    polo è fraintesa come versamento del sangue sull'altare. Cfr. STRACK-BlLLERBECK III 742. ll In Mc. 7>4 ~a.vi:lcrwvi:a.L è presente in codd. molto antichi, ma esclusivamente egiziani (B S sa), e in cònfi:onto a !3«1t'flCTWV"t«L (codd. AD W 9). cp ~ Iatt. sy • P bo) andrà considerato come una speciale lezione egiziana. Depongono a favore di questa ipotesi anche mC>tivi oggettivi. In Mc. 7,3 s. una parentesi redazionale dà una spiegazione delle prescrizioni rituali giudaiche di purificazione. Tanto nel v. 3 quanto nel v. 4 • si patia della purificazione delle mani; nel v. 4• il significato (per sé possibile, dr. PREUSCHEN-BAUER5, s.v. tiyop&:) da merci di mercato, commestibili, per d:.1t'd:.yopfu; da intendere come oggetto, è escluso per ragi.C>ni linguistiche (verbo medio) e oggettive (non si conosce una purificazione rituale del cibo) (diversamente si è espresso di recente V. TAYLOR, The Gospel according to St. Mark [J952] ad I.). Piuttosto è appropriata l'aggiunta !ha.v 0..Dwow (codd. D it) (PRBuscHEN-BAUER.5, s.v. àyopa; KLOSTERMANN, Mk., ad l.; LoHMEYER, Mk., ad I.). L'accostamento di v'lj!Wv"l'ru. V'ftt.~ (v. 4') corrisponde esattamente alla distinzione giudaica tra t1tl (l'acqua è versata sulle mani alzate) e /bi (le mani ·vengono immerse in una certa quantità d'acqua). Anche nei LXX tbl viene reso quasi sempre con ~d:.1t'fW o ~cn~'~w. Cfr. al riguardo STRACK·BILLERllECK I 695-704; u, coll. 41 ss.; - IV, coll. 1275 ss.; -+ VII, roll. 1021 ss. Viceversa ~11.v-tlCTWVT«L non si può

    identificare con esattezza in un rito giudaico conosciuto, perché al verbo non si può dare, con LoHMEYER, Mk., ad l., il semplice significato di bagnarsi; perciò la forma potrebbe giudicarsi come una correzione, volta a sostituire il verbo P«1t'fl~oµ.«L qualificato nel frattempo dal battesimo cristiano. 24 In Apoc. 19,13 (Cristo appare mpi.PE!3).1)µlvoç 4.t.6;'fLOv /JEPaµµlvov cxtµtt.'fL) non è ancora possibile una decisione nell'intricata situazione testuale. Una accanto all'altra abbia· mo le lezioni PE!3«µµÉvov (codd. A 9 I pl), pEpaµµlvov (cod. 16u), Éppcxµµlvov (Or.), f>epaV"twµlvov (P 2329), 1tEP\PEpaµµÉvov (S* Ir.); nei codd. lat. sy" è comunque sottinteso un verbo del gruppo f>a.v-tlt;w. Dato che evi· dentemente abbiamo un'allusione all'abito di Jahvé spruzzato di sangue (Is. 63,3, -+ cot 953), una delle forme del gruppo f>av-tl~w potrebbe essere originaria e ~tPtt.J.4,dvov potrebbe essere derivato da un errore di scrittura. Tuttavia è più probabile il contrario, cioè che un originario !31bt"tW (come in Mc. 7A _. n. 23) sia stato sostituito da diversi verbi del gruppo ~cr.v-rl~w, la cui compresenza si può spiegare solo cosl. 25 Sul significato del sangue di Cristo dr. I, 468 ss.; -+ LoHSE 138-141; W. NAUCK, art. 'Blut Christi im N.T.', in RGGJ 1 1329 s. · z~ xpr~ucrov: cioè non per vendetta ma per perdono; dr. i commentari, ad I.; -+ NAUCK 59· 27 Va letto sicuramente 1ttt.poc -rb "APE). (con

    2.

    · ·~

    ~a.v-.lsw

    C

    2

    (C.-H. Hunzinger)

    versato senza sua colpa si può ben paragonare al sangue di Cristo, ma il motivo dell'aspersione non trova alcuna rispondenza in Abele. Perciò l'espressione alµa ~CX.'ll•~uµou mostra di non essere stata formata ad hoc ma di essere una formula fissa. Formalmente essa accoglie la veterotestamentaria espressione tecnica vowp ~CX.\l'n
    La prova che già la TCpW't'T) 8ta.ih1x11 non è stata fondata xwpì.c; cx.rµa.'t'oç serve alla Lettera agli Ebrei per accennare alla fondamentale importanza che la morte di Gesù Cristo ha per la xai.vil 1ha.~1JxTJ (~II, col!. 1086 ss.), di cui egli è ilµ.€· crl't'T}c:; (9,15, dr. 12,24 ~II, col. 1084). La designazione del sangue asperso da Mosè sul popolo come -;ò cx.!µa; -tfjc; otafi"1)xT)c; (Ex. 24,8) viene citata esplicitamente (Hebr. 9,20 33 ); di fronte ad esso sta il sangue di Cristo come 't'Ò cx.!µa. 01cx.~1)xT}c:; alwvlou (13,20, dr. 10, 29). Come l'aspersione col sangue sacrificale dava la partecipazione alla prima alleanza, così l'aspersione col sangue di Cristo rende partecipi della nuova: Hebr. 9,13 s. (~ IV, coli. 1288 s.) tiene presente anzitutto (cfr. 9,7) il grande giorno della riconciliazione di Lev. :Ì6 (~ col. 956): al sangue dei capri e dei tori ed alla sua limitata efficacia (esso compie solo la purificazione della uap~ 34 ) viene contrapposto il san-

    P'6 L al); la lezione 'lta.pà. i:òv "A~EÀ. nella Lettera agli Ebrei, dove davanti a nomi di persona viene posto l'articolo soltanto se lo esige la chlarezza del testo, è del tutto improbabile (dr. ad es. Hebr. lI,4). 211 Cfr. Hebr. II,4 e Mt. 23,35-+ I, coll. 19 ss. 'J9 µ6<1)COL corrisponde all'ebraico par1m, torelli (Ex. .:z4,5), che nei LXX è reso con µoO')C~­ pLa.. La menzione aggiuntiva dei -tp{tyo~, di cui in Ex. 24 non si fa parola, è un'assimilazione a Hebr. 9,12.13; l0,4 e probabilmente è scivolata nel testo soltanto secondariamente; la lezione meglio documentata ha soltanto -r:wv µ6crxwv (P" KL 1739 pm sy), la collocazione diversa dell'aggiunta negli altri mss. fo sospettare che essa sia secondaria. 30 Questi tre elementi non sono menzionati in

    Ex. 24, ma provengono da Lev. 14>4·7 (~ col. 955) e da Num. 19,6 (-+ col. 954). 31 L'aspersione del libro dell'alleanza non ha alcun punto d'appoggio in Ex. 24. JZ Neppure di ciò Ex. 24 dice nulla; si tratta probabilmente d'influenza di Num. I9,4 (~ col. 955) e di Lev. 16,14-19 (-+ col. 956). l l :B degna di nota la redazione nu-r:o -rò at.. µa x-.À.., che si stacca dal T.M. (hinnéh) e dai LXX (llìou), evidentemente per influenza della formula della cena eucaristica; cfr. C. SPICQ, L'Epltre aux Hébreux 111 (1953) 264, ad l.; ]. HilRING, Épltre aux Hébreux, Commentaire du N.T. 12 (1954) ad l.; ~ LoHSE 177 n :5; M1cHEL, Hebr., ad l. M !!. sottinteso il giudizio, inammissibile per il pensiero veterotestamcntario-giùdaico, di

    pa.v'tll;,w C 2 (C.-H. Hunzinger)

    gue di Cristo, che ha la forza di purificare la nostra coscienza (e precisamente mediante aspersione: 10,22 ~ coli. 964 ss.). Tuttavia si può parlare di un'aspersione nel giorno della riconciliazione solo in quanto i vasi del culto sono purificati dall'aspersione; un'aspersione del popolo, alla quale è soprattutto interessata la Lettera agli Ebrei, non ha luogo. Perciò, per introdurre il momento dell'aspersione, viene fatto ricorso ancora ad un altro rito veterotestamentario, nel quale ha luogo un'aspersione di uomini, anche se non con sangue: l'aspersionecon acqua di purificazione - di coloro che sono stati resi impuri (qui: xsxo~­ vwµivo~) dal contatto di un cadavere (Num. 19, ~ col. 954). Cosl, accanto al sangue espiatorio degli animali immolati nel giorno della riconciliazione, compaiono le ceneri purificatrici deUa vacca rossa lS come tipi del sangue di Cristo. A tutti questi enunciati soggiace lo stesso schema tipologico. Come nella comunità veterotestamentaria, anche in quella neotestamentaria v'è un'aspersione; là questa avviene con il sangue degli animali immolati e le ceneri della vacca rossa, qui invece col sangue di Hebr. IDA: alìVva."to\I a.!µa. 'tC1.Up<.ù\I xa.t -rp&ywv
    Cristo; là l'aspersione rende partectpt dell'antica alleanza, qui di quella nuova, senz'altro superiore all'antica; là è purificata solo la carne, qui la coscienza. In questo confronto la Lettera agli Ebrei riprende in pa:nl'(,w/ pocv·w1µ6c; un concetto cultuale, ma applicandolo al sangue di Cristo lo sottrae alla sfera propriamente cultuale e se ne serve in modo figurato 36 • Un uso figurato del concetto l'abbiamo potuto già constatare in fa. 36,25 e I QS 4,21 (~ coli. 957 s. e n. 21), dove l'aspersione diventa immagine dell'escatologica azione salvifica di Dio, che donerà la purità totale. Ma nella Lettera agli Ebrei questa aspersione avviene già ora nella comunità del sommo sacerdote celeste, che con il suo stesso sangue purifica i suoi dai peccati e li rende partecipi della nuova alleanza. Secondo Hebr. lo,22b l'aspersione col sangue di Cristo avviene nel battesimo; pEpocv·rnrµÉvot ~
    O. Kuss, Zur paulinirchen und 11achpa11li11ischcn Tauflehre im N.T.: Theologie und Glaube 42 (1952) 401-4.:z5 (spec. 4.:zo); H. STRATH·

    pavi:l~w

    C 2-3 (C.-H. Hunzinger)

    da Hebr. I2,24 (e I Petr. I,2; Barn. 5,1) e indirettamente da Hebr. 9,18-21 (cfr. Io,29; 13,20), ma soprattutto anche da · 9,13 s.: anzitutto perché anche là il sangue di Cristo vale da antitipo delle ceneri della vacca rossa e dell'acqua di purificazione che se ne ottiene, e poi anche perché la formulazione di 9,14 (xa.1}a.PLEL 'tTJ'Y crvvElon1nv 7JµWv &.7tò vExpwv ic:pywv, «monderà la nostra coscienza dalle opere morte») è strettamente affine a 10,22btt. Che d'altra parte in 22b~ si parli del battesimo, non necessita di alcuna motivazione (--> VI, coli. 821 s.) 38 • Ora, i due enunciati paralleli in 22b non possono essere separati tra di loro, come se 22b~ parlasse del battesimo e 22btt invece di un altro avvenimento 39 ; lo esclude già di per sé la considerazione che difficilmente il battesimo potrebbe essere definito soltanto una lavanda del corpo 22btt e 22b~, piuttosto, descrivono due aspetti dello stesso avvenimento: mentre il corpo è lavato con acqua, contemporaneamente il cuore viene purificato e liberato dalla cattiva coscienza 40 • L'idea dell'aspersione col sangue di Cristo appartiene dunque alla teologia battesimale; è interpretazione dell'evento del battesimo. Nel battesimo il battezzando riceve la partecipazione alla Der Brief an die Hebriier, N.T. Dcutsch 9' (1953) ad l.; _,,. LoHSE 176 n. l; MrcHEL, Hebr., ad 1.; cli diverso avviso PrumscllEN-

    MANN,

    BAUER5,

    s.v.

    ~avi:l~w 2b.

    Ciò viene negato soltanto in M. BARTH, Die Tau/e - ein SakramentJ (1951) 478. 19 Cosl in RJGGENBACH, Komm. Hbr., ad I.; STRATHMANN (-'Jo n. 37) ad l.; HÉRING (n. 33) ad l. Anche WrNDISCH, Hbr., ad l. propende per questa idea.

    3.1

    40 Kuss (-'Jo n. 37) 420; SPICQ (-'Jo n. 33) 1I 317, ad l.; Lottsn 175 s.; MICHEL, Hehr., ad l. 41 Anche il prescritto di I Petr. è dunque ri-

    forza del sangue di Cristo, che è forza espiatoria, purificatrice e istitutrice dell'alleanza. 3. Conseguentemente anche in I Petr. è presumibile un riferimento al battesimo (--> VI, col. 818) 41 • Probabilmente le due locuzioni parallele f.v à.r~cwµé;> we:uµa:w;, e:k;, V'ltct.XOi}'Y e (e:lç) pav'ticrµòv a~µct.'toç 'Incrov Xptcr'tov descrivono differenti atti della celebrazione del battesimo: la comunicazione dello Spirito (che in un ramo della tradizione antica della chiesa precede il battesimo con l'acqua 42 ), l'impegno all'obbedienza (cfr. I Petr. l,22; Did. 7,1) e l'azione battesimale vera e propria; la precedenza data a Ù1tct.xo1} rispetto a prt.\l'ttcrµ6ç 41 , che a tutta prima stupisce, potrebbe spiegarsi con l'ordine liturgico. Comunque I Petr. l ,2 prova che l'idea di aspersione col sangue di Cristo non è una particolarità della Lettera agli Ebrei ma è parte costitutiva di una diffusa tradizione battesimale della chiesa delle origini 44 • l,2

    volto già all'omelia battesimale che segue, dr. -'Jo NAUCK 57 n. I. 42 In Act. 10,44-48 e nel rito siriaco antico, cfr. T. W. MANsoN, Entry into Memhership of the Early Church: JThSt 48 (1947) 25-32; ~ N.WCK 155-159. 43 WrNDISCH, Kath. Br., ad l. e~ Lousn 183 rimandano a Ex. 24,3-8, dove la lettura del libro dell'alleanza precede l'aspersione col sangue dell'alleanza. H Anche altri testi, nei quali è citato il sangue di Cristo senza il tema dell'aspersione, potrebbero essere in rapporto con tradizioni battesi·

    {;ri.v1'lsw D (C.-I-1. Hunzinger) - ~l~a

    D.I

    PADRI APOSTOLICI

    Nei Padri apostolici l'espressione sangue dell'aspersione ricorre in Barn. 5 ,1: ~'Ja

    'tTI aq>Éo"EL 'tW'J &.µap·nwv &,yvLo-~W­

    o ÉO-'tLV ÉV 't{i> a.Lµa'tL "tOV pU.V'tLcrµ_a.-coc; a.Ù'tov 45, «affinché fossimo purificati con la remissione dei peccati, nel sangue della sua aspersione». Se il concetto di pav'ttO"µcx. non è spiegato con maggior precisione, ciò indica che si tratta di un termine formulare; non viene espressa una relazione col battesimo, che tuttavia potrebbe essere implicita in &
    1

    (Ch. Maurer)

    babilmente altri testi veterotestamentari o addirittura l'esegesi. Mentre la vacca viene intesa come simbolo di Gesù ( 8,2: µ6axoc; 'l1Jo-ovc; Éo--cw ), i 7t«X.LÒla. che compiono l'aspersione sono riferiti agli apostoli oi EÙixyyùi.uaµE\IOL 'J̵L\I 'ti)V &q>EO"W '>WV &.µap·nwv XIX.~ "òv &.yvio-µòv 'tfjc; xixpòl«X.c;, «che ci recarono la lieta novella della remissione dei peccati e della purificazione del cuore» (8,3). L'aspersione dunque opera H perdono dei peccati e la purificazione del cuore (cfr. Hebr. 9;14; ro,22, --> coli. 964 ss.); però l'avvenimento dell'aspersione sembra venga spostato dal battesimo alla predicazione. Infine in I Clem. 18,7 ricorre po.V'tlt;w in un'ampia citazione di ~ 50[5x],3-19 (--> col. 950) e in Herm., sim. 9,1oa pixlvw con significato profano (~pp«X.\llX\/ vòwp, cioè versarono acqua per far pulizia).

    o

    o

    C.-H. HUNZINGER

    'Pax&.B ~iv, coll. 141 ss. p'ijµ«X. ~ vr, coli. 199 ss.

    òja), accompagnata da altra vocale fp«X.§· l.

    Nella grecità profana

    plt;«X., radice fpo 1 {in filsa da *fp;r mali; dr. in particolare Eph. 1,7; 2,13; I Petr. l,18s.; I Io. 1,7; Apoc. 1,5; 7,14, ~ NAucK 5052. Pertanto anche per r Io. 5,8 (non per 5,6) c'è da chiedersi se tutti e tre i concetti (1tVEU· 1.1.(J., !ll>wp, alµa) non alludano al battesimo; cfr. l'ampia trattazione in ~ NAUCK 147-182 1 il quale tuttavia, seguendo MANSON, op. cit. e~ n. 42) 28, preferisce riferire ttlµa alla celebrazione dell'eucarestia nell'ambito della liturgia battesimale. In ogni caso il motivo dello a:'l:µa ha stretti rapporti non soltanto con l'eu-

    (nel raro ~aò-cx.µvoc;), antico alto tedesè6 wurz, latino radix (da vrad-), la radice. a) Nel senso proprio, di piante (Hom., Od. ro,304); b) applicato a cose non ve-

    carestia ma anche col battesimo. 4s Cosi va letto col cod. S; il cod. C (XI sec.) e le traduzioni latine leggono invece (forse adeguarsi alla precedente espressione -tjj Wi>t· <m x;i;).,): t'il 'ti;> pa.v-t(aµtt'tT. ttV'tOV -.ou a.tµa.'toç.

    w

    plr,a PAssow, LmnELL-ScoTT,

    PREISIGKE, Worl., MouLT.·MILL., PREUSCHEN·BAUER5, s.v.

    I Sull'etimologia: BorsACQ 83r. 1121; HoFMANN 293; SCHWYZER I 3.59·

    pll;a l-2h (Ch. Maurcr)

    getali: punta della cannetta della penna rami (come nell'espressione «testa eco(Plat., Phaedr. 251b); piede del monte da») vuol dire la totalità dell'uomo o (Aesch., Prom. 365 ); pC(,a:v &.7tElpou 'tpl- dcl popolo di cui si parla (lob 18,16; 't'ct\I della Libia, come della terza radice Am. 2,9 ecc.) 3 • del continente (Pind., Pyth. 9,8); c) in b) La flora della Palestina, minacciata senso storico e genealogico: Cirene come M''t€wv pll;a., il centro di irradiazio· dal caldo e dalla siccità, dipende in mine della fondazione delle città circostan- sura del tutto particolare dalle radici, inti (Pind., Pyth. 4,15); origine o ceppo di tese come quella parte della pianta che una famiglia &.7t'EuyEvovc; pisTJc; (Eur., assicura l'esistenza del tutto. Ciò è mesIph. Tour. 610); anche di un membro so in evidenza dalle applicazioni moltesuccessivo della famiglia, che dia 1a pos- plici che trova il vocabolo. La radice gasibilità di una discendenza (Soph., Ant. rantisce il sostegno e la stabilità. Perciò 600); d) traslato in senso spirituale: {>l- importa al tutto che non vengano estir<;a. xa.xwv (Eur., fr. 912,11 [T. G. F. pate le radici del giusto (Prov. 12,3 ), 655 J); àpxiJ xa.t {>ll;a. 'ltav-ròc; àyaì>ou che non muoia la radice dei buoni sen(Epic., Jr. 409); e) in un contesto co- timenti (Sap. 3,15) o, viceversa, il fatto smologico e teologico: pll;a. 1tocv-rwv xa.t che la radice del giudice ingiusto è come P&.cnc; ~ yii, la terra come origine e polvere (Is. 5,24). La stessa cosa vale fondamento di tutte le cose (Tim. Locr. per pl'(,,a.v S&À.Àtw, 8186va.1, «gettare, 97e 2 ); l'anima che discende dall'alto e mettere radice» (Os. 14,6; Sap. 4,3 ss.). fa dell'uomo una creatura celeste è XE· Risponde al pensiero veterotestamentacpa.À.'Ì) xa.t pl'L,a 'Ì)µwv, nostro capo e rio l'ampliamento suggerito dall'immagine: la vita trasmessa dalle radici dipennostra origine (Plat., Tim. 9oa). de dalla base che le sostiene, sia essa ;l solido fondamento (Prov. 12,12), l'ac2.Nei LXX qua attingibile nel terreno (lob 29,19; a) Nell'A.T. WreJ e pl<;a. si corrispon- Ier. 17,8; Ez. 3 r ,7), sia anche il magro dono, tranne poche eccezioni. Soltanto terriccio sulle rocce (Ecclus 40,15) e il in 4 dei 57 passi dei LXX si tratta di terreno arido (Is. 53,2). Nei passi posteconcrete radici di piante (lob 8,12; 14, silici, che conispondono a circa i quat8; 30,4; Sap. 7,20). Il vocabolo si tro- tro quinti del totale, l'immagine per lo va di rado in senso traslato per 'radici' più è applicata in senso individualistico non vegetali: pll;a. i:wv 'ltoowv, l'orma agli empi o ai giusti. Ma questa è già del piede (lob 13,27); il piede del mon- una variante dell'idea più antica che Ite (Iudith 6,13; 7,12); pt<;wµa.'t'a. (!) sraele come popolo è piantato in buon 'tijc; ì}aÀ.M'CT'J')t;, il fondo del mare (lob terreno. Il canto della vigna (Is. 5,1-7) 36,30). Va ricordato inoltre l'espressio- come pure l'affermazione che Dio ha ne corrente tx p1~wv, dalle radici, radi- piantato gli Israeliti sul monte della sua calmente (lob 28,9; 31,12). Nella massa eredità (Ex. 15,17; 2 Sam. 7,10) costidegli altri passi troviamo soltanto appli- tuiscono le attestazioni più antiche di cazioni :6gurate, sia in semplici metafore questa idea. In particolare va ricordata sia in rappresentazioni colorite, fino ad qui l'immagine d'Israele quale vite che ampie allegorie. Non cli rado l'abbina- Dio ha piantato nella buona terra di mento polare di radici e frutti/fiori o Canaan (ljl 79,9-12 e passim [--'> r, col. 2 Ed. F. l!RRMANN IV (1856} 412. 3 A. E. RiiTHY, Die Pflmzze u11d ihre Teile im

    bibl.-hebr. Sprachgebrauch, Diss. Basel (1942) 44s.

    w;,a

    2b-e (Ch. Maurer)

    927] ). Un'altra variante è l'applicazione alla casa reale giudaica (Ez. 17 ). Ma poi-

    ché gli enunciati più recenti dell'A.T. sono alimentati da quelli più antichi, ci si può attendere che le intenzionali ripercussioni dell'immagine d'Israele come entità in sé conchiusa si facciano sentire fìn negli enunciati singoli apparentemente casuali. Questo può essere il caso di Mal. 3,19, dove echeggia il ricordo vivo d'Israele come pianta: «Non sarà lasciato loro nulla, né radici né rami». e) Dalla radice intesa come origine germoglia la patte scoperta della pianta. Dell'origine in senso genealogico parlano Tob. 5,14; Aocv. u,7.20. Ez. 16,23 chiama l'origine storica di Israele 1) plsa 4 aov xat 1) yÉvEalç aou Èx yijç Xocva.av. pff,a. aocplaç in Ecclus l,6 è intesa nel senso di primo prodotto: la sapienza è stata creata da Dio prima di ogni altra cosa {vv. 6.9). Quando l'immagine è trasferita nel campo spirituale, origine e intima essenza sono tutt'uno: plsa 6~oç xuplov, initium sapientiae timor Domini (ljJ uo, rn; Prov. l,7; 9,10).

    d) Grazie alle radici l'albero abbattuto può rinnovarsi e gettare freschi germogli (lob 14,7-9). Cosl la radice è l:i speranza in un nuovo principio dopo una catastrofe. Due volte si affaccia l'idea del resto santo nell'immagine della radice che rimane, e qui echeggia il ricordo del ceppo santo (Is. 6,13 T.M.). L'unica radice dell'albero della vita di Nabucodonosor, rimasta sulla terra, annuncia la nuova ascesa del sovrano (Aav. 4,

    15.26 ss.). Nella preghiera di Esdra (Esdr. 9,6 ss.), invece, viene lodata la fedeltà di Dio che nel meritato giudizio annientatore lascia sopravvivere un resto e consente di sperare nel futuro d'Israele. Stranamente qui solo la traduzione di r E
    Qui pa;,a. è significativamente la· traduzione di m•kura, discendenza.

    6

    s R.

    1

    4

    SMI!ND,

    (1906) ad l.

    Die \Veisheit des Jesus Sirach

    Cfr. i prospetti in ]. ZIEGLnR, Untersuchungen zur Septuaginta des Buches Isaias (1934)

    r4os. Sembra che qui i LXX presuppongano jifrap invece di ji/reh.

    W;a.

    2e (Ch. Maurer)

    passata quanto il punto di partenza che fa sperare in un futuro migliore. La stesMl duplicità di significato è contenuta in pl'C,a. Ma la tarda aggiunta redazionale nel v. 10 mostra un'altra comprensione di pl'C,oc wehiija bajjom hahU' lord jisa; 'aJer 'omed lenes 'ammlm 'elàjw gojim jidrosu = xcd it1nat È'V 'tfj TjµÉp~ hElvn ii pl'(,a -cou forcrat xocL o àwr-c&µgvoç &pxm1 Èwwv, E.7t'ocù't'ii) itlhi11 ÉÀ.moucrw ... Nel v. r pl'C,a IE
    mula ed è divenuta un titolo messianico autonomo. Sulla base di queste considerazioni ci si può domandare se anche Ecclus 47,22 abbia un sottotono messianico: ltowxEv ... -tG Lia.u~o E.ç aù't'oi:i pl'C,av, «concesse a David una radice di lui (scii. Salomone)». I paralleli xcx..-aÀ.Etµ.µcx. (v. 22c) e ltxyova. (v. 22h) mostrano anch'essi il doppio significato di pl'C,a.: resto e possibilità di un nuovo inizio.

    Il cambiamento di significato di pl(,oc dal senso attivo (radice che produce) al passivo (germoglio prodotto) si può rilevare anche altrove nell'A.T., senza che vi si debba collegare la linea messianica. In Deut. 29,17 i LXX parlano di un germoglio che spunta dalla radice ( &vw q>uovc;oc, intransitivo!) nella collera e nell'amarezza, mentre il T.M. intendeva parlare di una radice come origine, che produce veleno e amarezza (poreh, transitivo)8. In I Mach. 1,ro l'Epifane è pl~a &.µcx.p't'wÀ.Oc;, un germoglio (discendente) peccatore. Viceversa i LXX in Is. 14,29. 30 non osano tradurre due volte soreS con pl~a, ma scelgono tr7tÉpµcx., perché nel secondo passo si intende chiaramente parlare della discendenza. Ciò prova che l'uso di pl'C,a. in senso passivo ha i suoi limiti. In Is. 53,2 forse riecheggia il signifìcato messianico di Is. 11,10 (~ IX, col. 334). Secondo il testo tràdito dei LXX ( àVTJYYElÀ.cx.µEv) sembra che il paragone del germoglio e della radice non si riferisca alla figura del Servo di Dio, ma al compimento dell'annuncio che lo riguarda: «Noi annunciamo alla sua presenza, come (annuncia) un bambino, come una radice langue in una terra asseta· ta» 9• Ma forse il testo greco è corrotto ed è lecito proporre come congettura K. F. EuLER, Die Verkiindigung vom leidenden Gotlesknecbt aus ]s .53 in der griecbischen Bibel (1934) 14.22 s. _53-56.

    9

    ~lt;ix. 2e-3b (Ch. Maurer)

    ocvhE~À.Ev 1° e analogamente al T .M. interpretare: «Egli (cioè il Servo di Dio) crebbe davanti a lui (scil. Jahvé) come un bambino, come un germoglio di radice in terra assetata».

    3. Il tardo giudaismo Possiamo limitarci a indicare le linee che hanno maggiore importanza per il

    N.T. a) L'idea d'Israele come pianta di Dio sembra sia presente in molti modi 11 • Dio trasformerà il popolo decaduto in una pianta di giustizia (fob. r,16); Israele è la pianta della giustizia e della verità (Hen. aeth. 10,16; 93,ro); la piantagione dei pii, che rappresentano gli alberi della vita, è saldamente radicata in eterno (Ps. Sal. 14,3 s_). Questa piantagione d'Israele risale ad Abramo, che perciò ne è la radice: Abramo sapeva che da lui sarebbe uscita la pianta della giustizia (Iub. 16,26); la stessa cosa dice Abramo di Isacco (Iub. 21,24); Abramo è anche la pianta del giusto giudizio, dopo di lui viene la pianta eterna della giustizia (Hen. aeth. 93,2.5); Israele è la stirpe della radice eletta (Hen. aeth. 93,8). Queste immagini del giudaismo ellenistico e apocalittico nei pochi passi rabbinici subiscono un cambiamento notevole. I due bei polloni che Dio innesterà in Abramo sono Rute Noemi, che si trapiantano in Israele come proseliti <Jeb. b. 63a) 12• Quando si dice che Aher (cioè Elisa b. Auja} «recide le piantagioni», forse si pensa all'effetto prodotto da questo apostata, per colpa del quale cerJO J. ZIEGLER, Isaias, Septuaginta 14 (1939) ad l. e 99. li STRACK-BILLERBECK I 720 s.; Ili 290-292. 12 STRACK-BILLERBECK I 26. l3 STRACK-BILLER1lECK I 21. . 14 Se exsecr. 152 è collegato a

    Iub. 1,16 (~ sopra} dal rinvio comune a Deut. 28,13.44,

    ti israeliti vengono recisi dalla loro comunità (Hag. b. r5a). Chiaramente parla il passo (peraltro tardo) Midr. Cani. 6,2: Dio pianterà in Israele i gentili giusti (similmente Ber. j. 5 c 2-10) 13 • Secondo Filone, nell'èra messianica Dio onorerà altamente gli stranieri convertiti al giudaismo, mentre. respinge i giudei apostati. Ciò dimostrerà che a Dio è bene accetta la virtù anche se di origine modesta, perché egli non si cura delle sue radici, ma accoglie il germoglio che, vigorosamente cresciuto, si è fatto nobile ( execr. 1 J2 14). Cosl vive nel tardo giudaismo, espres-

    sa in molti modi, l'idea di Israele come pianta di Dio che discende da Abramo, nella quale possono essere innestati anche i pagani. b) Nella sinagoga è corrente l'immagine del Messia come radice di Jesse. Ivi sòrd nel senso di rampollo viene sempre riferito al discendente di Jesse (Tg. prof. Is. a n,1 15 ) (coli. 972 ss.) . Ciò è parimenti confermato dall'abbandono generale di sòrd a vantaggio del chiaro ~emal; = il germoglio, il rampollo (Tg. prof. Ier. a :z3,5; 33,15; Zach. 3,8; 6, 16 12 ). Dal fatto che per Is. n,10 sono i pagani a domandate del Messia, piò tardi viene tratta la singolare deduzione che Israele, poiché possiede la torà, non abbisogna dell'insegnamento del Messia (Gen. r. 98 a 49,u; Midr. 21 §I a Ps. 21,2 17). L'assenza dell'attesa messianica in Filone è indicata dal fatto che egli non cita mai Is. n,r.ro. La descrizione l'idea, ricorrente in entrambi i passi, d'Israele quale pianta di Dio può derivare da una tra· dizione più antica. 15 STRACK-BILLERBECK I 16 STRACK·BILLERBECK I

    28. 93 S.j altri testi in Il

    n3. 17 STRACK-BILLERBECK II

    438.

    977 (v1,988)

    ~(!;oc 3l>4b (Ch. Maurer)

    dello stato di pace secondo Is. u,6ss. in praem. poen. 89 s. non menziona il rampollo di David. Filone usa spesso l'immagine della radice, ma per lui essa è diventata un puro mezzo stilistico come altre immagini. Ciò appare nell'uso della formula xo:M7tEp Éx (&.7tò) pl~1)ç (sacr. A.C. 40; poster. C. 129; rer. div. ber. 279 ecc.) e nelle molteplici applicazioni del paragone: i dieci comandamenti sono pl'(,a. xai &.pxaL ( xat} 1t1JY1i, «radice, principi e fonte» dei singoli ordini (congr. 120); la cpvcnç è radice e fondamento delle arti e delle scienze (rer. div. ber. u6 ecc.). Giuseppe usa il vocabolo soltanto in senso proprio (ad es. ant. 8, 47; 18,9 ss.; bell. 7,180).

    4.NelN.T. I l 7 passi, dai quali se ne devono detrarre 4 in quanto paralleli sinottici, si ripartiscono fra i sinottici ( 8 o rispettivamente 4), Paolo, comprese le Pastorali (6 volte), Hebr. (1 volta) e Apoc. (2 volte). L'uso del vocabolo si mantiene totalmente entro i limiti segnati dal1'A.T. Ad eccezione dell'albero di fico seccato fino alla radice (Mc. n,20), si tratta dappertutto di un uso figurato o parabolico.

    dicato nel terreno che sta fuori della persona 18• Mt. 3,rn /Le. 3,9 vanno posti sullo sfondo di Mal. 3. Non soltanto MaV3,23 determina tutta la persona e la i predicazione del Battista come il redivivo Elia; anche il fuoco del giudizio, che non risparmia né radici né rami, risale a Mal. 3,19. Quando si dice che l'ascia 19 è posta alle radici perché l'albero intero sia abbattuto e gettato nel fuoco, probabilmente non si deve pensare solo ad un paragone generico. Come in Mal. 3,19, anche questo detto va visto alla luce de1la concezione totale d'Israele come pianta di Dio. Si tratta d'Israele nel suo insieme, al quale viene minacciato il giudizio della totale rovina se non fa penitenza. b) Rom. u,16 ss. (~ v, coli. 487 s.) è un ammonimento ai cristiani venuti dal paganesimo a non abbandonare gli smarriti Giudei. La dimostrazione, che

    a) Nella parabola del seminatore (Mc. 4,6/Mt. 13,6) la radice, nata dai semi caduti nella buona terra, è sorgente di linfa per la pianta. La spiegazione della parabola (Mc. 4,17/Mt. 13,21/Lc. 8,13) applica agli uomini l'avere radici. Qui sembra che Luca, tralasciando È\I lo:u'tO~<;, sottolinei più di Marco e Matteo che non importa tanto l'autosufficienza dell'uomo quanto il fatto che egli è ra-

    comincia col v. 16, scopre un presupposto per la conclusione a minore ad maitls (v. 15). Il presupposto del fatto che l'accettazione d'Israele alla fine dei tempi porterà con sé la generale risurrezione e l'avvento del regno di Dio, è che Israele in tutti i casi conserva la sua speciale santità. Ciò viene espresso nel v. 16: come il prelievo della pasta in Num. 15,17-21 mostra che appartengono a Dio tutta la pasta e l'intero raccolto e~ 1, co1l. 1290 s.), cosl anche la santità

    ia Già Le. 8,6 aveva sostituito pll;ct con lxµUc;. 19 Questo particolare potrebbe risalire a Is.

    'fTI µocxixlp~).

    10,34 T.M. (i LXX traducono babbarzel con

    pf.t;cx. 4b (Ch. Maurer)

    della radice rende santi i rami. Qui va supposto che il nuovo ragionamento cominci col v. r6a e non soltanto col v. 16b, o addirittura col v. 17. Dai Giudei non viene più dedotta, come nel v. r5, la posizione futura delle genti; si tratta piuttosto della santità dei Giudei in generale e, in particolare, nel presente. Per pl~a si è pensato all'offerta delle primizie dei giudeo-cristiani, con la quale verrebbero santificati i Giudei non credenti 20 • Ma cosl si avrebbe una frattura troppo brusca nell'argomentazione tra il v. 16b e il v. 17, poiché nel v. 17 i giudeo-cristiani chiaramente fanno parte dei rami che non sono stati toccati. È meglio intendere (d'accordo con la maggior parte degli esegeti) che già nel v. 16 si faccia riferimento all'origine d'Israele nella storia, ai patriarchi. Ciò concorda con l'immagine giudaica di Abramo visto come la radice santa d'Israele (~ col. 975; vedi in particolare Hen. aeth. 93,5.8) 21 • Rom. 11,28 dimostra che Paolo ha in mente i padri. La santità dei patriarchi, la quale è il fondamento della santità d'Israele, consiste fin da principio nel fatto che essi sono stati scelti e creati da Dio per l'opera salvifìca

    che si compie in Cristo 22 • Questa santità, la quale è fondata nell'azione di Dio che abbraccia tutta l'esistenza e la storia d'Israele, non può essere cancellata neppure dal più radicale colpevole pervertimento. Il v. I7 si occupa della miserevole situazione nel presente. In luogo dei rami giudaici strappati per loro colpa, sono stati innestati, come ramoscelli selvatici, cristiani un tempo pagani. Il 'controsenso' dal punto di vista agricolo di quest'avvenimento si spiega proprio con l'idea giudaica dell'innesto dei gentili selvatici nell'albero nobile d'Israele(~ V, coli. 487 s., n. 5; vedi in particolare ]eb. b. 63a; Philo, exsecr. 152 ~ coli. 975. 976). Teologicamen· te, il paragone volutamente innaturale corrisponde esattamente alle cose, in quanto il pagano è trapiantato 'lta.pà
    ~ E. GAUGLER, Der Romerbrief n (1952) 191. LrnTZMANN, Rom., ad l. riferisce il v. 16• (sen·

    ficare la santa radice con Cristo stesso, come fa K. BARTH, Kirchliche Dogmotik JI 2 (1942) 314 riprendendo l'esegesi della chiesa antica. Va fatta distinzione tra la radice e il 'sottofondo' che la detennina.

    za escludere il riferimento ai padri) ai giudeocristiani, il v. rfl' inequivocabilmente ai patriarchi. 21 MzcHEL, Rom. 243: «I due paragoni sono tradiziorù preesistenti, che Paolo nel v. 16 cita e invece nei vv. 17 ss. presuppone. Essi sono trattati come citazioni scritturistiche». 22 L'immagine non va forzata fino ad identi-

    2J Sia l'inserimento cli un xa.t dopo ~lt;71c; (codd. A Sf pl vg sy Or) sia anche l'omissione di '°"Tjç pf.t;1)ç (P'6 D G it Jr) sono tardi tentativi cli appianare il testo.

    ~ll;,CJ;

    4b - f>l.s6w

    natura è determinata dall'azione di Dio anche rispetto ai rami temporaneamente tagliati, ogni atto di disprezzo dei Giudei, da parte dei cristiani ex-pagani, e perciò il disprezzo della propria radice, comporta un distacco definitivo e senza speranza (v. 22).

    1

    (Ch. Maurcr)

    598 e col. 6oI n. 17),_;. Hebr. 12,r5 è una citazione di Deut. 29,17 LXX 26 • Come là, anche qui non si deve pensare alla radice come origine, ma ad una gemma che si schiude 27 • L'amara radice trae origine dall'allontanamento dalla grazia di Dio e porta in sé i dissidi che macchiano la comunità con la distruzione della pace. È molto incerto se s'intenda parlare di una controfigura anticristiana dell'attesa messianica della radice di Jesse 28•

    c) In Rom. 15,12 compare la designazione del Messia di Is. n,10 (--+ col. 973 ): Ti PtSC1. 'tOV IEcrO"oct. 24 • La citazione dei LXX sottolinea che il «servo della circoncisione» (v. 8) è colui nel quale sperano i pagani, e che perciò i Giu5. I Padri apostolici dei e i pagani dovrebbero intonare inEssi conoscono il vocabolo nell'amsieme l'inno della lode. Sottolineato sopiezza dei suoi significati: oct pli;at. "t'OV lennemente è il titolo messianico modiopouc;, i piedi del monte (--+ col. 969) :ficato in Ti ptr,oc .6.aulO in Apoc. 5,5; 22, (Herm., sim. 9,30,1 s.); le piante, la cui 16. Il parallelo con yÉvoc;, discendente, radice è già secca, mentre la parte supe· di 22,16 mostra chiaramente che si ri- riore è ancora verde, sono immagine dei dubbiosi e di quanti professano la fede prende da Is. 11,10 e non da Is. 11,1. soltanto con le labbra (sim. 9,1,6; 21,1 Si deve tradurre: germoglio della radice s. ). L'espressione 1) ~E~rxloc TI')c; 1tWrEWç di David. I diversi titoli del Messia s'in- uµwv pl<;rx, «la salda radice della vostra fede» (Polyc. 1,2) rappresenta l'antitesi trecciano vicendevolmente. positiva a r Tim. 6,rn (~ col!. 981 s.) (cfr. al riguardo Ecclus 1,6.20 [ ~ col. d) La prima Lettera a Timoteo e quel971]). r Clem. e Barn. usano pli;a. solla agli Ebrei presentano ciascuna un e- tanto in citazioni veterotestamentarie. sempio di ~etafora che conduce alla sfera spirituale. r Tim. 6,rn: plsoc yù.p t pi.<;ow 7taV'tW\I 'tW\I xaxwv fo··n \I i) cpt.À.a.pyur. p~~6w, far mettere radici: attivo, pla.. Che l'avarizia sia l'origine di ogni metaforico: Posidone radica nel fondo male è una sentenza diffusa (--+ x, col. del mare la nave tramutata in uno sco24 Come in Is. n,10, abbiamo qui un genitivo di provenienza, non un genitivo esplicativo (cosl ScHLATTER, Rom., ad l.). z; Documentazione in Drnsuus, Past. 3, ad I. e C. SP1cQ, Les ÉpUrcs Pastorales (1947) ad l. 2~ Sul rapporto storiro-tcstuale·tra il passo della Lettera agli Ebrei e il Deuteronomio cfr. P.

    KATZ, recensione a B. RoBERTS, The O/d Teslametlt Text and Versions: ThLZ 76 (1951) 537; ID., Où µ1) ue àvw, oòlì'où µ:fi (Hebr. I3,5), The Biblical Source of the Quotation: Biblica 33 (1952) 525, n. l. 21 WrnmscH, Hebr.; MICHEL, Hebr., ad l. 2s MrcHEL, Hebr., ad t.

    ~tl;6w I - Èxpt~6w

    glio (Horn., Od. 13,163); -t'Ì)\I -cupawl(Hdt. l,64); passivo, di piante: gettare, mettere radici (Xenoph., oec. 19, 9 ); di un giardino con piante: à.À.w-YJ Éppl~w-w.t (Horn., Od. 7,122); medio: al 1tLWtXt (conchiglie) Èppl~W\l't'OCt (Aristot., hist. an. 5 ,17 [p. 548 a 5]: è!; ... à.µcdHaç. .,.&,v-ca xaxà E.pplsww.t, «dall'ignoranza trae radice ogni male» (Plat., ep. 7,336b); viene anche applicato a costruzioni edilizie: ò8òç. xaÀ.xo~ç Scii)poL
    oa

    2. Nei LXX: gettare, mettere radici, attivo: detto della pianta dell'ingiustizia (Ecclus 3,28); della sapienza radicata in Israele (Ecclus 24,12); passivo: detto della radice dei prlncipi (Is. 40,24); degli empi (ler. 12,2).

    3. Filone parla di virtù radicata (leg.

    ali. I,45.89); del cosmo piantato e radicato (plani. 1l

    ).

    4. Nel N.T. il vocabolo si trova soltanto in due passi corrispondenti, entrambe le volte a proposito del radicamento personale dei cristiani. Col. 2 17:

    (Ch. Maurer)

    E.pptswµÉvot xat È1totxo8oµouµEvot E.v

    aù'té;> (scii. Xpt.O''t4}); Eph. 3,17: ~'V
    ycl.'ltiJ 1 ÈpptswµÉvot

    ')

    Èxpt~6w, strappare con le radici, sradicare, in Le. 17,6 è usato in senso proprio, in Mt. 13,29 nella parabola della zizzania. In Mt. 15,13 e Iudae 12 (irt analogia a Sap. 4,4 e Au.v. 4,14.26) vie. ne applicato al giudizio sui Farisei e, rispettivamente, sugli eretici.

    Per indicare la distruzione di grandi popoli provocata da rivalità e liti: :r Clem. 6,4; il dubbio sradica i credenti dalla loro fede (Herm., mand. 9,9 ). CH.MAURER

    ~t~6w 1

    II contesto fa pensare soltanto all'amore di

    Dio.

    '" ,j

    pl7r.-tw xù. A-B .3 (W. Bieder)

    pl7t1:W, Èmpl'lt't'W,

    t a:1t0pt1t't'W

    A. L'uso LINGUISTICO PRESSO I GRECI pl'lt°tW significa: a) il buttare o gettare (cose): pietre vengono gettate contro Penteo (Eur., Ba. 1097), una tavoletta da scrivere è gettata a terra (Eur., Iph. Aul. 39), uno scudo è gettato nella battaglia (Aristoph., nub. 353). b) Il gettare contro, gettare a terra (detto di persone): Eracle getta contro le rocce il portatore della camicia di Nesso (Soph., T r~ch. 780 ). ÈpptµµÉvovc; xat µ€i>Uov°tac; 'lttx\lw.c; (Polyb. 5,48,2) indica gli uomini sopraffatti dall'ubriachezza e pertanto «stramazzati a terra». Eracle nel suo dolore si butta a terra ( xilovl pl'lt°tW\I È<XU· ">6v Soph., Trach. 790). c) Il buttare via per disfarsi di una cosa: Giasone butt~ via il mantello prima di passare all'atto eroico (Pind., Pyth. 4,232). L'atto di gettare via gli abiti in Platone (resp. 474a) esprime la decisione degli avversari nel porsi sulla difensiva contro la dottrina platonica dello Stato. d} Il disfarsi (respingere) di persone: Zeus può gettare i temerari nel Tartaro (Horn., Il. 14,257; 8,13), Edipo (Soph., Oed. Tyr. 719) e Filottete (Soph., Phil. 265) vengono esposti, Mirtilo è gettato in mare (Soph., El. 512); &:m:pptµÉvot sono i reietti (Demosth., or. 18,48); la dea Afrodite può essere respinta dagli uomini (Aesch., Eum. 215): «anche se i tuoi genitori avessero avuto idea che tu (più tardi) avres~i sostenuto tali malvagità, pure non t1 avrebbero respinto»: oùx li\I O"E Mppt\jlrx.v (Epict., diss. :i:,23,10). e) Levare verso: in atto supplichevole di preghiera pl'lt·mv opt>àc; wMvru; 7tpòc; oùpocvbv, «levare dritte le braccia al cielo» (Eur., Hel. 1095 s.).

    B. L'USO LINGUISTICO NELL'A .T. r. La traduzione dei vocab_qli ebraici Troviamo 61 volte plrc-cw per Slk, n

    volte per altri equivalenti ebraici (jrt rmh, slb, npl hi'fil, jrh) . slk è reso 2·~ volte con &7topl'lt't'W, che inoltre è usato altre 19 volte ( 12 volte per slk e 2 volte per npl). Inoltre I J volte txpl1''"CW 2 volte Otcxppl'lt't'W, 2 volte xcx-capp(:rt't'w' 3 'lttxpappl1t-cw e una Ù'ltoppt'lt't'W. '

    L'atto di gettare da parte di Dio a) Dio getta pietre contro i nemici d'Israele (Ios. rn,u ); i capelli tagliati della donna I sraele sono gettati via (Ier. 7,29); Jojakim dev'essere buttato fuori d;lla ci.t~à (Ier. 22,19). h) Dio rigetta, croè esilia a Babilonia (Ier. 22,26; Is. 22,18). Il re di Babilonia (ls. 14 19) e il re di Tiro (Ez. 28,17) vengon~ l'uno gettato lontano dal sepolcro l'altro but. D a questo significato ' tato vta. si sviluppa quello c) di ripudiare (Ier. 7,15, 4Bmr. 17,20; 24,20). Il salmista fa l'esperienza del Dio che ripudia: &:1tÉppLµµat apa. à1tÒ 7tpocrw1tou 't'W\I oq>ilaÀµWv crou, «sono stato rigettato dal cospetto dei tuoi occhi}> (\); 30,2 3); &.rcÉppLljJiic; µE. dc; ~aih] xrx.polac; 1>a.ÀMO"l]c;, «mi ha1 rigettato negli abissi del cuore ·del mare}> (lon. 2,4); &.rcÉppt\jltlc; µ€ &7tò crw-c'l]plac;, «mi hai rigettato dalla salvezza» (lob 30,22 LXX); egli spera di non essere ripudiato (\ji 50,13; 70,9). d) Dio getta i peccati dietro di sé; à.1tÉppL\jlcx 01tlO'W µou miaÀa
    7,19). 3. L'~t~o di gettare da parte degli uommz

    a) In senro proprio; i fratelli gettarono Giuseppe nella cisterna (Gen. 37, 20; cfr. Ios. 8,29; 10,27; 2 BM. 18,1 7 ; 4 Barf. 9,25; 10,25 ). Spesso s'intende parlare di un atto disperato (Gen. 21,15;

    plmw x-.À.. B 3 -D (W. Bieder)

    Ez. 7,19) oppure di un atto deciso (4 BaO'. 7,I 5 ), ma anche di un atto com-

    piuto per uno scopo umanitario (4 BM. 2 ,21 ). Se la polvere di altari distrutti viene buttata nell'acqua, questo atto simbolico significa il risoluto rifiuto dell'idolatria (Deut. 9,21; 4Brur. 23,6.12). b) In senso improprio: Dio rimprovera Geroboamo per averlo ripudiato xaL ÈµÈ EpptljJac; lmlaw O'wµa-ç6c; O'ou (3 Brx.o-. 1419 ). I padri d'Israele si gettarono la legge di Jahvé dietro le spalle: EPPLtV<X'V 't'Ò'V v6µov O'OV Ò1tlO'w crwµa't'oc; CX.Ù't'W\I (2 Eaop. 19,26; Ez. 23,35). Èpplq>T) xaµcx.t 1i OLXctLOcrU\/1J (Dan. 8,12). L'uomo pio getta come un peso sul Signore le sue preoccupazioni ("154,23), il suo stato miserevole (Dan. 9,18).

    µÉvoL va riferito a wcrEL 7tp6~a.-a: la casa d'Israele è paragonata alle pecore stese a terra, che non hanno pastore. 2.

    Emplrc-rw

    In I Petr. 5,7 echeggia tV 54,23 (~ col. 987). Ma è superato l'ambito individuale del salmo: l'esortazione vale per tutta 1a comunità. Il 7tocO'a.\I accenna ad una radicalizzazione. La sottomissione alla sovranità di Dio appare nel fatto che la comunità affida tutti i suoi affanni al Signore liberandosi cosi del peso che la opprime.

    c. L'uso LINGUISTICO NEL N.T. pL7t't'W Matteo usa 2 volte l'attivo di pl7t't'E.tV. In 15,30 gli uomini gettano gli ammalati ai piedi di Gesù (--7 coll. 22 ss.). Qui non va tanto pensato ad un atto di disperazione quanto piuttosto all'offerta di vittime 1, che vengono poste sul1'altare. Quando Giuda gettò il danaro nel tempio, prima di andare ad impiccarsi, si dovrà invece pensare ad un uomo disperato (Mt. 27,5 ~ col. 985). Le. 4.35 usa il vocabolo per descrivere un esorcismo. In Le. 17,2 a chi fa del male ad un piccolo si minaccia l'annientamento: lippL7t't'at dc; -c;rrv M:À.cx.crcrav. In Act. 22,23 l'atto di buttar via gli abiti esprime la decisione degli avversari di porre in opera con tutti i mezzi la loro opposizione. In Mt. 9 ,36 ÈppiµI.

    pl1t'tW X'tÀ.. I LoHMEYER,

    3. CÌ7topl7t't'W

    Il verbo in Act. 27>43 è usato in senso intransitivo: buttarsi giù, senza un particolare significato teologico.

    D. L'uso

    LINGUISTICO NEI PADRI APOSTOLICI

    EpL!JiEv 'tàc; Mo ,.),,&.xac; Èx 'tW\I XE~~ pW\I aù'toti, «gettò via le due tavole dal-

    le sue mani» (Barn. 4,8) segue Ex. 32,19, che è citato in Bam. 14,3. Nell'immai gine tratta dall'edilizia in Erma si parla anche di buttar via delle pietre (ad es. vis. 3,2,7; sim. 9 17,2); il vocabolo è dunque usato per esprimere il rigetto. In Herm., sim. 2,3 pl7t't'W viene usato nell'immagine della vite e dell'olmo per dire che la vite senza il sostegno dell'olmo giace sul terreno (~pp~µµÉv'l} XtXµal 2). Diogn. 5,6 usa /ll7t't'W nel senso di esporre i neonati. W.BIEDER 2 DIBELIUS,

    Mt., ad I.

    Herm., ad l.: «perché allora stri-

    scia per terra».

    .-I, ·.'

    poµqia.(a. A 1-2 (W. Michaelis)

    A. L'uso

    LINGUISTICO FUORI DEL N.T.

    r. Secondo Esichio {s. v.) poµcpa.la. 1 è un'arma tracia, per il significato della quale egli suggerisce a scelta i vocaboli µtixa.Lpcc, çlcpoç e lix6v't'Lov µaxp6v (giavellotto grande) (cfr. anche Suid., s.v .: poµcpala. •Ò µccxpòv àx6\l·nov, iì µ6.xa.tpa). La designazione di arma tracia risale probabilmente a Plut., Aem., 18a (I 316), che, descrivendo le armi dei Traci, dice fra l'altro: òpM<; poµcpa.lccç ~ccpucno1}pouç à7tò 't"W\/ oEçtwv wµwv émo-elov·m; 2 • Benché dal modo in cui queste poµcpa.L'a.t tracie erano portate sembri che si trattasse di lance, giavellotti più che di spade 3, quest'ultimo significato finl per dominare, tanto più che il vocabolo passò molto presto nel latino appunto con tale significato 4, e d'altra parte la notizia contenuta in Suic., Thes. II 908 (poµ.cpa.L'a.t etiam vocantur hastae quas tenebant principes honoratissimi ad latus Imperatoris stantes... et poµcpa.toxpa't"opE<; dicebantur) poµqicda t L'etimologia

    è controversa; dr. A. J. R.E1-

    NACH, art. 'Rornphaea', in DAREMBERG-SAGLIO IV 2 (.19.12) 865 n. x; BoISACQ e WALDE-PoK. non hanno nulla sul vocabolo. Supposto che sia un vocabolo proveniente dalla parlata dci Traci, potrebbe darsi che ~µqiala, per tramite di Macedoni, sia pervenuto in Egitto e sia entrato nel locale lessico greco, che fu determinante anche per i LXX. Cfr. O. FrnnIGER, art. poµipala., in PAULY-W. I a (1914) 1072 s. 2 Rinvia alla Tracia anche la citazione da Arriano, Jr. 103 (F.H.G. II 871). La più ant ica testimonianza del vocabolo è dello storico FiJarco (m sec. 11.C.), fr. 57 (F.H.G. n 181): 1i ~oµq>c.tla. ~a.p~a.ptx6v foi:w 111tÀov, wc; !o"topE~ q>u>.apxoc;. Cfr. anche Plut., Cleome-

    yò.p

    11es 16 (1 817c): x61t'tW\I t;vlotc; µsy&.Àotc; Elc; oxijµa ~01.1.q)(X(Ct.c; à:rmpyu.CTµÉ\IOtc; (0.1.!BRUNNER].

    sembra indicare un uso linguistico tardo e raro. Per spade e lance c'è in greco un gdn numero di termini 5 • Il vocabolo poµcpccla. non si è inserito fra di essi a pieno titolo, anzi nel greco extrabiblico è sempre stato usato molto raramente 6 • 2. Tanto più sorprendente è la sua frequenza nei LXX, dove poµcpa.la. si trova più di 230 volte. In circa 200 passi corrisponde all'ebraico pereb che, presente nel T .M. circa 410 volte, è reso un po' meno frequentemente con µ6.xa.ipa (-7 VI, col. 1420 ), notevolmente più di rado (soltanto otto volte) con l;lcpo~ inoltre quattro volte con ÈYXELploiov e in Iob41,18 con Mrx'lJ (~ n. 24). D'altra parte poµcpa.la corrisponde quasi esclusivamente a pereb. Soltanto in un passo (Iud.19,29 cod.B) rende ma'okelet, coltello da macellazione (secondario rispetto a µrixmpa del cod. A) cd in 3 passi (I Chron. 11,u.20 e lfJ 34, 3) pantt. Tuttavia dal fatto che poµcpala può corrispondere anche a l;anit e

    3 òpMç in questo passo non significa dirette, ma verticali (in altezza) [Kl.EINKNECHT]. ~ n.30. 4 P<Jµ<pa.la. come irnprestito appartiene al lessico latino a partire da Liv. 3r,39,II. Cfr. i testi in FIBBI'GER, op. cii. (4 n . l) e REINACH, op. cii. (~ n. r). Esempi tratti dalla letteratura Iatinn cristiana anche in H. RoNscH, Itala und Vulgata (1875) 245. Oltre 11 rho111phaea e romphaea, si trovano nnche forme secondarie come rt1mpia, che forse dovrebbe rinviate a

    rumpere. 5 Cfr. E. BREULIER, art. 'Gladius (~(qioç)', in DAREMBERG-SAGLIO n 2 (.1896) 1600 s.; ID., art. 'Hasta (Mpv)', ibid. m 1 (1900) 33 ed anche o. FIEBIGBR, art. 'Gladius', in PAULY-W. 7 (r 912) 1372-1376; ID., art, 'Hnsta 1', ibid. 25oy2507. 6 Cfr. PAssow e LIDDELL.ScoTT, s.v. N eppure in iscrizioni e papiri si incontra poµq>ala..

    POMJCi.l« A 2-3 (W. Michaelis)

    l;ereb anche a ÀOYX'l'J 7, considerato lo scarso numero di casi non si dovrebbe concludere che poµcpa.la., quando corrisponde a pereb, indichi anche la lancia o il giavellotto. Piuttosto la statistica depone inequivocabilmente per l'equivalenza poµcpa.lc.t = l;ereb = spada, e anche nei passi senza rispondenza nel T .M. poµcpa.la significherà la spada 8 • Poiché dunque poµcpalc.t e µaxmpa. come traduzione di l;ereb non si distinguono per significato (per cui i codd. talvolta scambiano un vocabolo con l'altro, ad es. Iud. l,8; 19,29; Ios. 8,24), vien fatto di chiedersi per qual motivo si sia scelto l'uno o l'altro vocabolo greco. Evidentemente con poµcpa.la si è inteso indicare piuttosto una spada grande, ad es. la spada dei cherubini davanti al paradiso (Gen. 3,24), la spada di Golia (rSam. 17,45.47.51; 21,10; 22,10). Inoltre ogni singolo traduttore ha chiaramente preferito l'uno o l'altro vocabolo 9 • Cfr. ~ nn. l8.2r.24.26. 3. È per influenza dell'uso linguistico dei LXX che Philo, cher. ('ltept "t'W\I Xepov~1µ xa.t -rl}c; cpÀoylv'l")c; poµq:ialac; X'tÀ.) nell'esegesi di Gen. 3,24 (~ col. !Janlt viene reso nei LXX per lo più con 86pv, romap speciahncnte con 86pv e À.6YX'rl· Anche da ciò si ricava che la traduzione di banit con poµq>ala. e di !Jereb con Myxri co~ti­ tuisce un'eccezione. Cfr. ~ n. 18 alla fine. B Sulla lancia nell'ambito culturale israeliticogiudaico dr. P . THOMSEN, art. 'Lanze C. Paliistina-Syrien', in RLV 7 (1926) 231-233; K. GALLJNG, art. 'Lame', in B.R. 353-355; sulla spada cfr. la bibliografia citata ~ VI, coli. l419s., n . 2 . 9 Aquila, Simmaco e Teodozione usano ~oµ. cpala. e µ&.xa.tpa nel rapporto di l: 3. Nel quadro della prevalenza di PoMJCX.la, merita di essere considerato quanto spesso questo vocabolo prevalga in singoli scritti: l Ba.a-. (23 volte; 1 volta µét.xa.tp«); 4 Ba.cr. (8 volte; r volta µét.xmpa.); Sahni (19 volte; 2 volte µ&.xa.tpa); dodici Profeti (31 volte; x volta µ&.xatpa); 7

    991) usa in vari modi poµq>c.tlrx. (cfr. r. rr.20 s. 25 e passim}. Quando in cher. 31 è detto che Abramo per il sacrificio

    di Isacco aveva portato con sé 1tVP xa.i µaxa.~pa.\I (Gen. 22,6) come µlµ'I}µa. 't'ijc; oMJa.la - in lob (3 volte) e Prov. (4 volte). 11 Leisegang registra per poµ.<pala. solo passi di cher. (il vocabolo µ&.xa.tprL non è elencato; per !;lq>oc; sono indicati 7 passi).

    10

    993 (\'I,995)

    poµtpala A 3 • B 1 (W. Michaelis)

    neppure di una µ&.xcx.tpa, per non parlare di una poµq:icx.lcx.. Nella descrizione dell'armamento dell'esercito romano (bell. 3,94 ss.) Giuseppe chiama la spada della fanteria ~lcpoç e quella della cavalleria µ
    14

    ar. s. KRAUSS, Talt1111dische Archiiologie II

    (1911) 311.313 s. t~ ~lq>oç (~~qimo\I)

    e u?tlifu) non si trovano

    (v1,995) 994

    reb e ~an1t, LXX: poµcpa.la. e o6pu]); II,u [cfr. Is. 31,8; LXX: µaxcx.tpt:t]; 12,u; 15,3; 16,1; 19,4; I QH 5,10.13. 5; 6,28s.; zQ38 [DJD I 142); Dam. 1,4 [:tj j].17[1,12].20[1,16]; 3,n[4, 9);. i'.9,7(9,3]; 7,13(94); I9,13(9,II l >v: I 4,1 S. 12 [PS. 37,14 S:,_,ll '4 Qpp S 37, CO. tXX: poµcpcx.la.J; 4 QpNah 9 13 [ Nah. :i-,14; LXX: poµcp
    s.:

    Nella letteratura rabbinica poµq>alcx. (diversamente da µaxa.tpix, !;lcpo~ e crmHh1 14 ) non è passata come imprestito. B. L'uso

    LINGUISTICO NEL N.T.

    Se accanto a µ&.xa.tptX, che si tra-. va 27 volte (~ vr, coli. 1421 ss.), anche poµcpa.la. con 7 presenze è entrato a far parte del vocabolario del N.T. 15, ciò è dovuto (come per Filone [ ~ coli. 991 s.] e Giuseppe [ ~ coll. 992 s.]) certamente all'inBuenza della frequente presenza di questo vocabolo nei LXX, altrove assai raro (~coli. 990 s.) 16• Nelle parole rivolte dal vecchio Simeone alla madre di Gesù (Le. .2,34 s.) c'è al v. 35a la frase parentetica 17 xat CTOV a.ùl.



    nel N.T. Su °MYX'l'J ~ n. 18. Su 'ltEM:xlt;w di

    Apoc. 20>4 cfr. ÙJHMEYER, Apok. 1591 ad l. 16 Anche la lezione del codice D a Le. 21,24, che sostituisce CT'f6µa""~ ~oµ<pa.laç (come anche il minuscolo n4r) a O't6µa""L µaxalP1)ç si dovrebbe spiegare a questo modo, tanto più che lv 1n6µam poµtptXCa<; nei LXX compare più frequentemente che lv a""6µa""L µaxalPTJ<;.

    J. M. CREED, The Go:spel according to St. Lt1ke (1930) 42 considera (seguendo Loisy) la possibilità che la frase possa essere come un in· serto parentetico di Le. in un testo preesistente, e che quindi con questo inserto (e con l'in· traduzione 2,34) il detto 2,34 s., in un primo tempo generico, solo da Luca sia stato riferito 17

    f;oµqia.la. B

    995 (VI,995)

    l

    (\VI. Michaelis)

    Il detto (trasmesso in modo metricamente errato) di Sib. 3,316 sul destino dell'Egitto nell'invasione di Antioco Epifane (poµcpa.loc yàp 81EÀEUCTE'tOCL 81à µfoov CTE~O) mostra una notevole affinità con Le. 2,35", che peraltro è solo formale. In particolare la presenza strana di poµcpa.la e ÒLEÀEUCTE-.cu in entrambi i passi non deve far dimenticare che in Sib. si tratta della divisione politico-geografica di un paese nel corso di azioni belliche, mentre in Le. abbiamo un'im-

    magine di dolore spirituale (dr. µ&.xcx.1pcx. in Sib. 5,260). Questa differenza appare ancora più evidente se si osserva che in Sib. 3,316 si ha un chiaro influsso • ' 1.' ' , d1. Et. 14,I 7: ~'I Xf1.L. poµ
    a Maria. Tuttavia la frase 2,25• nella sua coloritura veterotestamentaria e~ sopra) si adatta benissimo al testo o alla tradizione quali si potrebbero supporre per questa parte della storia lucana della fanciullezza di Gesù. Inoltre lo stesso Luca più avanti usa sempre µ&.xcnpa., anche nelle parti sue proprie (2r, 24; 22,36.38.49; dr. Act. 12,2; 16,27). 18 Quantunque Le. non abbia alcuna rispondenza in Io. 19,25 ss., il resto del detto di Simeone in 2,35• fa pensare anche e s0prattutto alla morte di Gesù. Naturalmente è da escludere del tutto un riferimento a Io. 19,34 (MyXT}) : Del resto non lo prende in considerazione neppure ZAHN, Lk. 158 n. 85 quantunque ritenga che in 2,35• sia «più appropriato» tradurre pÒµ<pa.la: con lancia. Il suo accenno ai passi dci LXX in cui />oµqJa.la: corrisponde a banlt costituisce un errore di valutazione deli•uso linguistico dei LXX coli. 990 s.). Non può essere decisivo nemmeno il fatto che ad es. 1)134,3 (~col. 990) sia stato tradotto da Aquila, Simmaco, Teodozione, Quinta con Myxri e il cod. e in Le. 2,35• presenti famea = framea (invece di gladius); e in quest'uhi-

    mo caso ancora meno, perché anche nel vocabolo framea nel latino cristiano prevale il significato cli spada: dr. O. FIEBIGER, art. 'Framea' in PAULY-W. 7 (1910) 81 s.; RBINACH, op. cit. n . l) n. 15; RèiNSCH, op. cit. (n. 4) 313 (--+ n. 30). 19 Cfr. K. H. R.ENGSTORF, Das Evangelium nach L11kas, N.T. Deutsch 3' (r958) 47, ad l. Quando H.AucK, Lk. 44, ad l. scrive: «El.ç &.v&CT'tccow, che non si inserisce del tutto nell'im. magine, potrebbe essere stato aggiunto successivamente», occorre rilevare che gin EÒÀOYTJCTEV in 2,34 ha un senso analogo e accenna al significato profondo del detto di Simeone. Giustamente i commentari recenti sono per lo più contrari all'idea che si debba pensare ad un futuro dubbio dii Maria sulla missione di Gesù. 23 Cfr. HAuCK, Lk. 41; Cu~MEN 21r. A G. ERDMANN, Die Vorgeschichtc des Lk- tmd MtEv und Vergi/s 4. Ekloge, FRLANT N.F. 30 (1932) 13, che fa dipendere Le. da Sib., si oppone H . SAHLIN, Der Messias und das Gottesvolk: Acta Scminarii Ncotestamentid Upsaliensis 12 (1945) 273. Però non soddisfa nean-

    -.fjc, -nìv lj/uxiiv 01EÀEVCTE'tOCL poµqiocloc, «e tu stessa avrai l'anima trafitta da una poµq)(x.la>>. L'annuncio, orientato ad una dizione veterotestamentaria(~ col. 996), prefigura il futuro destino di Gesù 18 e il dolore materno dal quale non sarà risparmiata Maria, ma che ella saprà infallibilmente attribuire alla grazia di Dio 19•

    e-

    <-

    poµcpala. -B

    i-z

    be essere ipotizzabile un rapporto diretto tra Le. 2a5" e Ez. 14,21 ; per conseguenza viene in primo piano la possibilità che \[.i 36,15: 7i poµcpaloc a.U-cwv dcrH.1'ot dc; 'tl}V xci.polav ( var.: lf.ivxnv, cod. S) a.ò-.wv, «la loro spada trapassi il loro cuore (var.: anima)», abbia influito sulla formulazione lucana 21 • 2. Oltre che in Le. 2,35• poµrpa.la. si trova in 6 passi dell'Apocalisse, dove del resto non manca neppure µ6:.xcx,tpoc (6,4; 13,10.14). In senso proprio poµcpu.fo. è usato solo in 6,8, dove del quarto cavaliere apocalittico è detto che a lui è dato il potere di far morire la quarta parte dell'umanità con la spada e la fame, le epidemie e gli animali selvaggi. L'uso di poµcpa.la, dovuto all'influsso di Ez. 14,21 su questa serie di 4 membri (~ col. 998), distingue chiaramente -6, 8 da 6,4, dove si parla della µo:xatpa µEyaÀ:l} del secondo cavaliere apocalittico 22. Perciò, a differenza di 6,4 dove µri.xmpoc è contrapposta a ElP'liV'll e perciò indica la guerra 23 , è probabile che in

    che l'interpretazione di Sahlin (279) che intende poµipa.l11. come «spada della parola». Cfr. ancora T. GALLUS, De sensu verbomm Lk 2, 35 eort1mque momento mariologico: Bibl 29 (1948) 220-239.

    Già Suic., Thes. Il 908 aveva accennato a questo parallelo, a torto trascurato dai moderni; WETTSTEIN, ad l. rimanda a \ji 104,18: rJlBnpo\I 8LijMe:v Ti \jiux'ÌJ a.ò-rov. Cfr. anche j paralleli rabbinici in STRACK-BlLLERBECK H 21

    140.

    Anche per altri motivi nella serie di 4 membri che conclude 6,8 non è possibile vedere un riassunto delle piaghe di tutti i quat· tro cavalieri e riferire l'll />oµqiu.lq. a 6,4. Quanto ad u.u-roi:ç non si deve pensare ai quattro cavalieri, ma soltanto al quarto ed ai suoi ac21

    (W. Michaelis)

    6,8 si sia piuttosto pensato allo sterminio 24 • Evidentemente 6,8 è determinato dal-

    la serie di 4 termini À.tµ6c;, l>nplù'..

    7CO-

    V1')pci, M:VO'..'toc;, alµO'.. di Ez. 5, 17 e soprattutto da poµq>l'lla, À.tµ6c;, l>npla 'ltoV'l')pa, l>ava-.oc; di Ez. J4,21; cfr. anche Lev. 26,22 ss. (1'1')ploc, µaxatpa, fame, morte violenta). Però, oltre alla serie trimembre À.tµ6c;, poµq>oclO'.., M:\la"t'oç di Ps. Sai. r5,7, vanno ricordate anche le frequenti espressioni trimembri di Geremia, nelle quali sono uniti µaxa.la.v "t''Ì}V olrr-roµov "t''Ì}V Ò~Etav, «cosl dice colui che tiene la spacompagnatori. Cfr. CLEMEN 386. col. 221 (riferimento ad Apoc. 6A); VI, col. r423. 24 Del resto i LXX hanno più d'una volta tradotto l;ereb con cp6voç, ad es. in Ex. 5,3 (Aquila: µ6.xaLpa.; Teodozione: />oµcpala.); Lev. 26,7 (A).À.: poµcpo.lCY.); De11t. 28,22. Anche in Ier. 14,15 i LXX hanno inteso diversamente il concetto di spada: È'll ~11.v1h~ 'llOrJEpi{l (Aquila e Teodozione hanno poµcpa.I.«) [BERTRAM). 2s Quantunque il quarto cavaliere di Apoc. 6, 8 sia la morte, i numerosi passi veterotestamentari citati non consentono, per la presenza di poµipa.la., di farne il tipo dcl cavaliere delln morte che porta una spada. Contro A. DrnTERICH, Abraxns (1891) 95. 23 ~ III,

    ~O(..Ul'cxlcx

    B

    2

    da acuta a due tagli», ma l'espressione Év ~ poµcpalq, -.ov o"•6µa-t6c; µov, «con la spada della mia bocca>>, di 2,16 prova che in 2,12 non s'intende dire che chi p~rla tiene questa spada in mano, ma che anche qui come negli altri passi la spada esce dalla sua bocca. Come si può spiegare l'espressione tanto strana xa.t Éx. "'t'OU cn6µa"to<; au•ov poµqnxla Oto"t'oµoc; ò!;Ei:a ÉX7'opwoµlvri, «e dalla sua bocca usciva una spada acuta a due tagli» (1,16)? Poiché la descrizione in 1,1y15 è intessuta di re.tn.iniscenze veterotestamentarie.ed anche in 1,r6b è mantenuto lo stesso stile, è ovvio supporre che ciò avvenga anche in l,16n. E in misura limitata ciò è vero. Cosl la qualificazione di poµalct. suggerite dalla comune esperienza. Passi come Is. II,4; Ps. Sa!. 17,24.35; Os. 6,5, nei quali la parola (À.6yoc; o p1jµoc) è indicata sl come strumento di punizione o di annientamento, ma non chiaramente come arma, e men che meno come spada, possono avere offerto scarso spunto. Più importante appare, quantunque venga ·usa26 ol
    (W. Michaelis)

    (vr,998) looo

    ta µcixmpa, Is. 49,2: tih}XE\I -.ò CT"'t'6µa µov Wo-El µ6.xoc~pocv 6~Etav, «pose la mia bocca quale spada acuta». Inoltre va ricordato che .in ljJ 56,5 e Prov. 24, 22c la lingua è chiamata µ6.xatpa e .in ljJ 63>4 poµ<prx.lrx., e che .in ljJ 58,8 è detto: poµ.q>ala È.\J -coi:c; XElÀ.EO'W ct.Ò't'WV, «spada sulle loro labbra». Però anche con questi ultimi passi si è ancora ben lontani dal dire che da una bocca esce una spada. L'idea presente in Apoc. 1,16• andrà dunque considerata come peculiarità mentale dell'autore o come una particolarità della visione concessagli n. II fatto che questa iden sia ancora operante non solo in 2,12.16 ma anche in 19, 15.21, mostra come essa debba essere stata considerata essenzial.e. Perciò l'aspetto sorprendente, anzi forzato, di questo tratto non dovrebbe essere sfuggito all'autore, ma è stato probabilmente da lui voluto 28• 2,16 mostra di che cosa si tratta già in l,6: Cristo, diversamente da quanto si legge in Hehr. 4,12 a proposito della µ6.xa.tpoc (~ VI, coll. 1425 s.), è il giudice che ora veglia sulle sue comunità e, quando sia necessario, con la sua parola tiene giudizio e punisce. Cosl in 2,16 viene annunciato ai seguaci dei Nkolaiti: 'ltoÀ.eµ1]crw ca una spada» (come pensa CLEMEN 373) è una spiegazione che non può soddisfare. 2~ Il giudizio di BousSET, Apok., ad I. («qui una espressione del tutto figurata viene inserita in un fenomeno reale») non contribuisce molto alla comprensione. C. ScHNEIDER, Die

    Erlebnisechtheit der Apk des Johannes (1930) 46 sottolinea con ragione che l'autore eviden· temente ha visto tutto ciò in immagine. :B un fatto contemplato, non pensato.

    . ·

    . .

    ·

    IOOI

    (VI,998)

    ~oµq>a.l« B 2 -

    e (w. Mlcnae.tJSJ

    \

    "'"'J;l;/·~1

    .... - ~ -

    µE't 'aÙ'tWV Év -tli poµ<poclq. 'tOU cn6µoc- serirsi in tutta la concezione della poµ't6<; µov, «combatterò contro costoro <pa.la uscita dalla bocca di Cristo; il che con la spada della mia bocca». L'espres- significa che in 19,15.21, come anche in sione di 19,15: xoct h. -cou u-c6µa-coc; 2,16, non solo viene sottolineata la gra· C'lÙ'tOU b;'Tt'opEVE'ta~ poµq>ocloc Ò~E~OC, «dal- vità del giudizio, ma è anche detto ela sua bocca esce una spada aguzza>~, fa splicitamente che l'unica arma portata parte di una descrizione d'ampiezza si- da Cristo è la parola 31 • Nel quadro di mile a quella di 1,13 ss. Questa s'addice 2,16 e 19,21 emerge per la comunità lo a Cristo quale giudice escatologico delle stesso ammonimento di I Petr. 4,17: nazioni (19,II ss.) e lo descrive come comincia il giudizio nella casa di Dio. È il cavaliere sul cavallo bianco che avan- significativo che il grande numero di za alla testa delle sue schiere quale re passi dell'A.T. con poµ<poclo: (intesi in e kyrios celeste 29 • In 19,21 30 è ripresa senso non figurato e che variamente parnuovamente quest'idea: xocl ot À.0~7toL lano di violenza e di vendetta), nel N.T. a'Tt'EX'tU\li}T)O'OCV ~ 't1i poµq>ociq. 'tOU xoc~ abbiano trovato un'eco soitanto nell'Ai}i)µÉvov hct -rou tmtov 'tTI È~EMovcrn Èx pocalisse, ed anche qui un'eco che è in'tOU O'"t6µa.-coc; a.ù-.ou, «gli altri furono tegra solo in 6,8. uccisi dalla spada che usciva dalla bocca di colui che sedeva sul cavallo». Questa C. I PADRI APOSTOLICI frase può fare l'effetto della descrizione Nei Padri apostolici poµ<pa.loc si trova di un avvenimento reale, analogamente solo in Barn. 5,13 (citazione di q, 21,21). alla grande morte di 6,8 (~ col. 999), Degli apologisti solo Giustino usa il vocabolo 6 volte, sempre in citazioni vetee tale senza dubbio potrebbe anche esrotestamentarie. Ciò conferma quanto sere, riel quadro del realismo delle vi- raramente ~oµ<pala. compaia anche in sioni apocalittiche. Tuttavia anche que- periodo post-neotestamentario. sta frase insieme con 19,15 dovrebbe inW. MICHAELIS 29 Al confronto, l'immagine dd pastore, presentata in 19,15 con l'ausilio della locuzione tratta da ljl 2,9 ('ltO!.IJ.aVE~ o:.ò-roùç Èv ~&.po~
    30

    Non è molto illuminante l'idea di KLEIN-

    KNECHT che proprio 19,IJ possa offrire lo sptmto per considerare se ~oµq>a.'4 sia da tradurre

    con lancia, dato che· la lancia regale come antico simbolo del potere del re sarebbe confacente a Cristo quale re vincitore.

    Cfr. J. BEHM, Die Offe11baru11g des Jobannes: N.T. Deutsch II 1 (r916) a x9,15 . .B il motivo conduttore di Sap. 18,22: lvlx'l)O'EV oÈ 'tbv XOÀ.OV oòx. CO'xùL 'tOV O'
    Ù1tÉ'tct~EV- Invece ha un altro significato l'assenza della spada in 4 Esdr. 13,ro: il torrente di fuoco e il soffio ardente con cui il Messia annienta i nemici nella battaglia finale ha (non ostante "I.3'4) ben poco da fare col potere della parola giudicante, ma vuol significare qualcosa di più terribile della spada realisticamente intesa.

    puoµm A

    1003 (v1,999)

    'PoM--'>

    IV,

    1

    (W. Kasch)

    coli. 141 ss.

    t puoµm. SOMMARIO:

    A. Il significato fondamentale del verbo greco e i suoi equivale111i ebraici. B. Contenuto del verbo: I. nel mondo greco; II. nell'A.T.: I. somiglianza con gli enunciati grcco-profant; 2. la peculiarità degli enunciati veterotestamentari; III. nel N.T.

    A. IL

    SIGNIFICATO FONDAMENTALE DEL VERBO GRECO E I suor EQUIVALENTI EBRAICI

    respingere (Horn., Il. 5,538; Od. 24, 524), proteggere (Horn., Il. 15,257. 290), salvare (Horn., Il. 17,645 ecc.), fare schermo (Horn., Il. 9,396), custodire (Horn., Il. 23,819); inoltre nei derivati iipuµcc, difesa, protezione, baluardo (Horn., Il. 4,137; Hes., op. 536; Xenoph., Cyrop. 4,3.9), Èpuµvo't1}c;, forza di difesa, robustezza, vigore (Xenoph., Cyrop. 6,1.23; Aristot., pol. 7,xr. [p. 1330 b 18]), pU'tlJP (Horn., Od. 17, r87.223) o p1hwp, protettore, custode

    (Aesch., Sept. c. Theb. 3I8), pucnoc;, liberatore, salvatore (Aesch., Suppi. 150),

    pucnc;, salvataggio (Ecclus 51,9) e puµa., Il verbo rientra in un gruppo di vo- protezione (Aesch., Suppi. 85; Soph., caboli indoeuropei che hanno il signifi- Ai. 159; Eur.,Heracl. 260). Conforme al cato originario di difendere, proteggere. suo fondamentale significato greco, il voIl suo significato originario appare par- cabolo significa mantenere integra la ticolarmente chiaro nel nordico primi- condizione di uomini e beni con l'impietivo waru, «il cerchio di pietre che re- go di una forza divina, umana, tecnicinge tutt'attorno una tomba»; inoltre ca o magica. In confronto a o-~~w l'uanche nell'avestico var, fortezza, nell'an- so del vocabolo è relativamente scarso. tico alto tedesco weren, di/ endere. In Lo si trova in Horn., ad es. in Il. 15, greco, formato dalla radice fpU, fE- 141; Od. 12,107 ecc.; Hes., theog. 662; pu 1, compare (a partire da Horn., Il. nelHdt. r,86,2; 4,187a ecc.; non molto la poesia epica ionica) nella forma ìtpu- frequente nei tragici e in Aristofane, nelµa.t, pvoµat, i::ipuµm con i significati di la prosa attica presente soltanto in Thuc. l.

    puoµa.L Avvertenza. Dopo la morte di A. Oepke, W. Kasch ha rielaborato l'articolo, utilizzando un manoscritto incompiuto di Oepkc. Per A: Bo1sAcQ, FRISK, s.v. Épuw 568 s.; M. LrmMANN, u&:oc; e crwc;, in MNHMH:E XAPIN, Gedenkschrift P. Kretschmar II (1957) 8 s.; LrnDELL-ScoTT, s.v. ~uoµlu; P,i,ssow, s.v.; P!IB[SIGKE, Wiirt.; PRELLWITZ, Etym. Wort., .1.v.; PoKoRNY 1080; WALDE-PoK. r 282; BL.DEBR. § 101; 3II,2. Per B m: ii. H. CHASE, The Lord's Prayer. Texts and

    Studies in the Early Church I 3 (189x) 7x-73;

    A. KIRCHGASSNER, Erliisung rmd Siinde im N.T. (1950) 66-69.170 s.; K. G. KU11N, 'ltET.pacrµ6c; - àµa.p'tla. - cr6.pl;: ZThK 49 (1952) 200-222; E . LoHMEYER, Das Vater tmser (1946) 147-162; T. W. MANsoJll, The Lard's Prayer (1955) 99-II3; C. G. SHERWOOD, The Lord's Prayer, A St11dy in Sources (r940/41) u9 s. :B difficile che puoµaL, come pensano Boisacq e Passow, si sra formato da tpuw, tirar via, trarre a sé (tirar fuori dal pericolo = salvare). In tal caso i derivati sarebbero di diflicile comprensione. 1

    puoµa.L A I - n .1 I (W. Kasch)

    1005 (VI,999)

    (v1,1000) 1006

    5,63 nella formulazione pucrE~O:L EPYQ 't'àc; a.hla.c;, «compensare le ac- nif'al, salvare ed essere salvato; nFr, oscuse con una buona azione»; non si tro- serva1'e, custodire, sorvegliare; PiiF!i, va nei presocratici, in Platone, in Ari- salvare, e pet' l'aramaico sjzb, liberare. stotele, nei Cinici, negli Stoici e in Filone; sì. invece in Plutarco, ad es. vit. B. CONTENUTO DEL ·VERBO dee. orat. 2 (n 834e), in iscrizioni (IG 5,1, nr.1328,12 2 ) e P.Oxy. Xli 1424, I. Nel mondo greco ro. Si distingue da ~ cr~w 3 per un l. In rispondenza a quello che sopra ambito semantico più ristretto, che si abbiamo detto essere il suo significato mantiene lungo tutta la storia del con- fondamentale, pvoµm viene usato per cetto che stiamo esaminando ed ha co- indicare la salvezza e la tutela degli uome conseguenza che cr4>sw può sostitui- mini da parte degli dèi. «Padre Zeus», re sempre puoµa.i, mentre puoµat può prega Aiace, «salva gli Achei dalla notte essere usato come sinonimo di cr~sw so- oscura» (Horn., Il. 17,645). «Solo te lo nei casi in cui quest'ultimo ha il si- hanno salvato Zeus e gli altri dèi», grignificato speciale di salvare o proteg- da Achille ad Enea durante 1n disputa gere. prima della lotta (Il. 20,194). «Allora dammi protezione e accompagnami con 2. Anche i LXX hanno avvertito una l'aiuto dei Numi», dice Priamo a Hercerta difEerenza tra crsw e puoµa.t; in- mes, messaggero degli dèi (Il. 24,430). fatti, in una presenza complessiva di 141 Apollo consola Ettore affiitto: «Apollo volte, essi usano puoµa.t 84 volte come ha protetto te e la rocca turrita di Ilio» equivalente di n# hif'il, salvare, 4 volte (Il. 15,257; cfr. 15,290). Ma non soltanper il rispettivo nif'al, salvare per sé o to in battaglia proteggono e salvano gli per qualcuno, e 2 volte per la forma dèi. L'uomo spera che lo guardino dai hof'al dello stesso termine 4; mentre u4>- pericoli, da miseria e morte. «Se tu sw, con un totale di presenze nella Bib- sottrai Damis alla povertà, come recenbia greca molto più alto di puoµa.i, solo temente l'hai strappato al mare, egli ti 23 volte è equivalente di n#. 12 volte sacrifica un capretto, o signora dal corpuoµa.i sta per l'ebraico g'l, riscattare, no d'oro» (Anth. Gr. VI 231 5 ; cfr. ibid. riacquistare, detto anche di Dio che re- vr 191, dove s'implora la salvezza Éx dime il suo popolo (usw neppure una \/ocrou xa.t 1'CE\/lt]c;, «dalla malattia e dalvolta), ro volte per pl! pi'el, portare al l'indigenza»). Una ragazzina tormentata sicuro, salvare (u~sw x volta), 7 volte da una vecchia può dire: 't'ijc; oÈ yEper #' hif'il, salvare, liberare, soccorrere pa.~ijc; pvEo 't'TJV xoupriv, npl'V 't't xaxòv nel bisogno (aÉttV, «saiva questa fanciulla dalla per mlt pi'el, salvare (cr$sw I I volte), vecchia, prima che ne abbia danno» 2 volte per il nif' al della stessa radice (Anth. Gr. v 288,12). In Hdt. l,87 s'imcol significato di sfuggire, salvarsi (cr$- plora la salvezza Éx -tou X('X.Xou; in 5'49i ~w 33 volte). In casi isolati (comples9,76 Éx oouÀocruvric;; in 4,187 É\/ v6sivamente 14 volte) pvoµa~ sta ancora crou; in Eur., Or. 1563 b XEPW'\/ µta.LCfr. H . COLLITZ, Sammlung griechische11 Dialektinschriften IV (1884 ss.) 4438,4.

    2

    3

    Cfr.

    ~ LEUMANN 8

    -7 WALDE-POK. I

    706.

    s.;

    ~ PoKORNY 1080;

    4 11ii~al

    qal corrisponde all'indrca a tpuw. I LXX potrebbero dunque aver inteso puoµm come una formazione da ~puw. 5 Citato secondo la traduzione di H. BECKBY in Anth. Gr. (x957).

    1007 (VI,1000)

    ~uoµaL

    B

    1 1 - II

    cpovw\I; in Soph., Oed. Tyr. 1352 ~'lt~ cpo\lou; in Eur., Or. 598 ~x i}a\la'Tou (cfr. Eur., Alc. n; Hdt. 7,n); in Eur., Aie. 770 xaxwv µuplw\I. Pind., Pyth. 12,18 s. dice che una dea Ex 'TOV"t"W\I cplÀ.oY U\lopa: 1t0\IW\I ~ppUCT<X:'tO, «sottrasse un amico a queste pene». Oltre agli uomini, la custodia e la salvezza da parte degli dèi si estendono anche alle cose di cui l'uomo ha bisogno per la sua vita o la sua protezione. Le mura di una città (Hdt. 6,7), la regione (Hdt. 7,217) sono oggetto della loro salvezza e protezione. 2. Ciò che vale degli dèi, vale anche degli uomini. Sono i principi che proteggono città e paesi (Horn., Il. 9a96). I guerrieri di Ilio proteggono le donne troiane e i fanciulli dai popoli bellicosi di Argo (Horn., Il. 17,224). Con preghiere e sacrifici il sacerdote può recare salvezza (Soph., Oed. Tyr. 312). Un popolo accoglie i perseguitati sotto la sua protezione (Soph., Oed. Col. 285). Un amico protegge e custodisce l'amico (Theogn. 103 [Diehl' II 8] ). Viene ricordato che Ulisse non potè salvare i suoi compagni di viaggio, che si erano resi colpevoli (Hom., Od. 1,6). Nella vita quotidiana sono le guardie che difendono l'esercito dall'attacco di sorpresa del nemico (Horn., Il. 10,417 ). Infine, vi sono anche cose che, tutelando e proteggendo l'uomo; mantengono la sua incolumità. Le mura proteggono (Horn., Il. 18,515). L'elmo ripara il capo dei giovani fiorenti (Horn., Il. l0,259). La corazza protegge dalle ferite (Horn., Il. 23,819). In Od. 6,129 è un ramo che protegge le vergogne di Ulisse davanti a Nausicaa e alle sue compagne di giochi. Proprio in quest'ultimo esempio appare particolarmente chiaro il significato essenziale di ~voµa.t. Con questo verbo si tratta sempre di mantenere intatto il potere dell'uomo su di sé e sul stio mondo. Ma c'è anche un limite alla salvezza

    xa (W. Kasch)

    (V11 IOOI) Ioo8

    e alla difesa, a cui sono legati tanto gli uomini quanto gli dèi. Come Ulisse non può salvare i suoi compagni, perché essi stessi si sono procacciati la rovina col misfatto (Od. 1,6 s.), cosl anche gli dèi possono salvare l'uomo solo nell'ambito del suo destino personale: «È impossibile salvare dalla morte la progenie cli tutti gli uomini mortali», fa dire l'Iliade ad Atena nel consiglio degli Olimpi (Il. I 5 ,141 ). Anche gli dèi hanno dei limiti insuperabili: «Giacché neppure Posidone ti ha salvato dalla disgrazia (cioè da Cariddi-)» (Od. I2,rn7). Ne segue che l'uomo con dubbio ansioso supplica la divinità: «Chi, dio o dea, ci salverà?» (Aesch., Sept. c. Theb. 91). Infatti la salvezza, la protezione e la difesa da parte degli dèi, come degli uomini e delle cose, sono condizionate dall'uomo, cioè determinate antropocentricamente. Perciò anche nel valutare le possibilità degli dèi misura delle cose è l'esperienza dell'uomo, la possibilità insita in lui di conoscere se stesso.

    .

    .~

    II. Nell'Antico Testamento

    ·'.!t ·,\

    1.

    Somiglianza con · gli enunciati grecoprofani

    a) Se si guarda ai particolari, a prima vista l'uso veterotestamentado di puoµa.t si distingue appena da quello grecoprofano. Solo che in luogo degli dèi del1'0limpo (~ coli. 1006 s.) appare Jahvé, che salva non solo il suo popolo (cfr. ad es. Ex. 6,6; 14,30; Iud. 6,9 cod. B; 8,34; 4Bacr. 18,32; 2 Ea-op. 8,31; Mich. 4,10; 5,5; ls. 36,15; 44,6; 48,17; 49, 7.26; 54,5.8; Ez. 13,21,23; I Mach. I6, 2 ecc.), ma anche le singole persone (dr. 2Bacr. 12,7; 22,18.44.49; lob 5,20; 22, 30; 33,q; ~- 6,5; 24,20; 7,2; 16,13 ecc.; Aa.\I. 3,88 ecc.). Salva il suo popolo dalle mani degij Egiziani (Ex. 14, )o; Iud. 6,9 cod. B), dalla servitù (Ex.

    ?

    i,.

    ·'.~

    >i ;

    1009 (VI,lOOI)

    ~voµa~

    B n xa-2b (W. Kasch)

    6,6), dalle mani di tutti i suoi nemici (!ud. 8,34), dalle mani di Assur (4 :Scur. r8,32; Mich. 5,5; 36,15), dalla cattività (Mich. 4,ro), da tutti questi mali (Esth. 10,3 s.; 3 Mach. 2,12), dai falsi profeti (Ez. r3,2r.23). Quanto· a singole perso· ne, egli salva (David) dalle mani di Saul (2 Bacr. r2,7), dal forte nemico (22,r8; cfr. J Mach. 6,ro), dai persecutori (ljJ 7, 2), dal vicino malvagio (\jl 33,5), dagli uomini falsi e cattivi (\(J 42,1; Is. 25,4), da coloro che odiano (tV 68,35), dal tentato omicidio (\jl r7,30), dal sangue (tV 50,16), dalla spada (!Ji 21,2I), dal fuoco ardente (Dan. LXX J,88), dalla rovina (lob 33,17), dalla trappola del cacciato· re {\jl 90,3 ), dalla morte e dalla carestia (\jJ 32,18 s.; cfr. lob 5,20), dal regno dei morti (\jl 85,13; cfr. "' 55,14; Os. XJ, 14), dagli empi (tjl 16,13; cfr. 58,J; 70, 4; 96,10), dalle tribolazioni (ljJ 3J,r8. 20), dai peccati (l)J 38,9; 39,14; 78,9).

    b) Come la grecità profana (~ coli. 1007 s.) anche l'A.T. conosce salvatori utnani. In Ex. 2,r7.19 Mosè salva

    le figlie del sacerdote dei Madianiti. In

    fod. 9,17 (cod. B) Gedeone e in 2 BaO'. 19,ro il re sono chiamati salvatori d'Israele. In 2 Brxcr. 14,r6 è il re che salva una donna. In \jJ 81,4 si ordina ai giudici di salvare i poveri e i bisognosi dalle mani dell'empio. In-Ecclus 40,24 si ricorda che il fratello e compagno può es" sere uri salvatore. Il ladro si può salvare se restituisce con la refurtiva anche i suoi averi (Prov. 6,31 ). Infine un uomo si può salvare sborsando danaro (J

    Mach . .2,_32). 2.

    La pecutiarietà degli enunciati veterotestamentari

    a) Si ha invece un'altra impressione se si considera nel suo insieme l'uso veterotestamentario di pvoµat. Allora si vede che, alla fondamentaie comprensio-

    (VI,1002) IOXO

    ne antropocentrica, nella quale si dispiegano tutti i possibili significati della parola nel mondo greco, ne subentra una teocentrica. Non certe leggi dell'essere, scoperte dall'uomo attraverso esperienze del destino e valide per gli dèi e per gli uomini, determinano l'essenza e la possibilità della salvezza, ma la volontà di Jahvé, creatrice ed intesa alla conservazione, per cui la salvezza del popolo e del singolo è conseguenza dell'azione creatrice di Jahvé nella storia della salvezza da lui iniziata. Poiché egli è il Signore sovrano di questa storia, l'essenza, l'ampiezza e la possibilità della salvezza dipendono esclusivamente da lui e dalla sua volontà. Perciò v'è salvezza «soltanto secondo la sua grande misericordia» (Neem. 9,28), «secondo la sua pietà» (lfJ _32,18 s.; 33,8; 85,r3), «per il suo nome» (\jl 78,9). Jahvé salva «per· ché mi volle» (l)J 17,20). Infatti, secondo la concezione veterotestamentaria, ogni salvezza, anche quella che avviene per mezzo degli uomini, risale soltanto a lui, ma ad un tempo è la sua gloria e il suo onore. «Non v'è nessun dio, che possa salvare come lui», confessa Nabucodonosor (Actv. Theod. J,96). «Gli dèi delle nazioni non hanno salvato la loro terra», è detto in 4 BaCT. l8,J3 (dr. Is. 36,19) in contrasto con ciò che può fare Jahvé. Infatti per lui e per la sua volontà di salvezza, «che degli abissi del mare ha fatto una via per la quale i salvati potessero passare» (ls. 5I,10), non c'è potenza o legge che ponga dei limiti. Perciò il nome di salvatore è proprio il nome che fa per lui (pvCTa.t -i}µfu;, '-i)µfu; i
    ron (v1,roo2)

    puoµm

    B 11 2b-d (W. Kasch)

    (v1,1002) ro12

    subentrare una comprensione personali- Ez. 14,20), chi si prende cura dei debostica. Perciò nell'A.T. salvezza significa li (~ 40,2; cfr. Eccltts 40,24 ). E vicevertutela contro l'essere strappato dalla sfe- sa, quando il popolo gli è disobbediente, ra salvifica istituita da Jahvé. Ma, poi- egli lo abbandona al suo destino (!ttd. ché questa sfera salvifica non è magica 8,34). Infine, quando l'uomo riconosce di ma storica, può darsi salvezza soltanto per esseri storici, cioè per persone. Lo restare sempre debitore di Jahvé, il momostrano anche gli esempi citati, che tivo proprio della salvezza diventa la sua parlano sempre della salvezza di perso- misericordia (lj/ 30,2; 70,2; cfr. 32,18 ne sociali o individuali ed inoltre si ri- s.; 33,8; 85,13), e la ricostituzione del feriscono quasi sempre alla salvezza da rapporto con Dio turbato colpevolmente situazioni provocate dalla volontà ostile dall'uomo diventa il fatto proprio della di persone. Quanto sia ovvia questa con- salvezza: perciò l'uomo pio prega: «Salcezione personalistica della salvezza si vami da tutti i miei peccati!» (ljJ 38,9; vede dal fatto che Mosè osa rivolgere a dr. 39,13 s.; 78,9). Dio il rimprovero di una mancata salvezza: «Da quando sono andato dal Faraod) Sotto l'aspetto linguistico, da quanne a parlare in tuo nome egli ha trattato to abbiamo detto consegue che i molti male questo popolo. Ma tu non hai sal- significati della parola nel mondo greco vato il tuo popolo» (Ex. 5,23; cfr. 3 si riducono nei LXX quasi esclusivamenJ\facb. 6,II ). te al concetto di 'salvare'. Infatti, per la concezione volontaristica e personalic) Se la salvezza significa il manteni- stica della salvezza, per la quale la salmento dell'uomo nella sfera della pre- vezza si riferisce sempre all'intenzione senza salvifica di Jahvé, l'uomo deve di colui che opera, necessariamente vencorrispondere alla salvezza con la fede gono del tutto meno le differenze tra in Jahvé. Perciò è detto: «I padri spe- proteggere, aver cura, difendere e conrarono e tu li salvasti» (ljJ 21,5.9); «egli servare, da un lato, e dall'altro salvare, salva coloro che lo temono e sperano liberare, redimere, perché esse esprimonella sua misericordia» (ljl 32 118 s.; 33, no in modo puramente esteriore la situa8 ). Perciò anche la mancanza di fede si zione concreta dell'uomo da salvare, ma manifesta come negazione della possibi- non l'intenzione del salvatore, partendo lità salvifica di Jahvé: «Se il giusto è fi- dalla quale l'A.T. considera l'evento eglio di Dio, Dio lo assisterà e lo libererà spresso con puoµa.i. Inoltre si deduce dalle mani dei suoi avversari. Mettiamo- che (con l'unica eccezione di 3 Mach. 2, lo alla prova con oltraggi e maltratta- 32) mai nell'A.T. si trovano enunciamenti... Condanniamolo ad una morte ti relativi ad una salvezza compiuta con infame, perché, a sentire lui, egli lo pro- mezzi tecnici (rocca, mura, armi, danateggerà» (Sap. 2,18.19a.20; cfr. Is. 36, ro), che pure per i guerrieri d'Israele e14-20). Ma la concezione etico-religiosa rano altrettanto naturali che per quelli della salvezza va ancora più in profon- greci. Giacché, a differenza del pensiero dità. La fiducia che J ahvé salva deve a- magico-cosmologico greco, nel quale an· vere conseguenze etiche, non si può ac- che le cose possono avere una funzione compagnare alla disobbedienza alla sua autonoma, per il pensiero volontaristico volontà. Donde le affermazioni che Jah- e personalistico derivante dalla fede vevé salva solo l'innocente (lob 22,30; dr. terotestamentaria in Dio le cose sono talmente strumenti di colui che opera, I Mach. 2,60), il giusto (tV 33,20; cfr.

    1013 (vr,1002)

    ~uoµa~

    B n 2d - III 3 (W. Kasch)

    che non spetta più loro alcuna funzione, e pertanto neppure una qualificazione salvifica 6 •

    III. Nel Nuovo Testamento I. Se si considera l'uso del vocabolo nel N.T., innanzi tutto stupisce la scarsa sua presenza. Nei vangeli compare solo in Mt. 6,13 (nella preghiera del Pater), in Mt. 27,43 come parola di scherno dei capi giudei e in Le. l,74 nel cantico di Zaccaria. È usato tre volte nella Lettera ai Romani (7,24; rr,26, 15,31), tre volte in 2 Cor. l,10, una volta ciascuno in Col. l,13; I Thess. 1,10; 2 Thess. 3,2; 2 Tim. 3,xr; 4,17.18; 2 Petr. 2,7 .9. In confronto a l;w, usato più di cento volte, puoµa.t è dunque 1·aro. 2. Per il suo contenuto esso significa in tutti i passi salvare, e oggetto della salvezza sono sempre degli uomini, mentre dappertutto Dio è detto l'autore della salvezza. Sotto questo aspetto, dunque, il concetto mostra di essere totalmente dipendente dall'uso veterotestamentario (~ coli. 1008 ss.). La sua dipendenza daU'A.T. appare inoltre nel fatto che dei quindici passi dove esso compare sette sono citazioni veterotestamentarie o per senso derivano dal1'A.T. Ad esempio la frase di Mt. 2 7 ,43: nfoodtE" bct 'tÒ\I 7}E6v, pucracrl>w vuv d 'Ì}ÉÀ.EL a.Ù'to\I, «ha confidato in Dio, lo salvi dunque se vuole», è una combina-

    Soltanto nella poesia sapienziale si trovano passi in cui la salvezza non viene ricondotta, né direttamente né indirettamente, a Dio, ma è trattata come frutto dell'opera umana: Prov. 6,31; 13,17; 32,23; 23,14; 24,n; Ecclus 40,24. Ripetutamente al posto di Jahvé troviamo la sapienza (Prov. 2,12; Sap. 10,6.9.13.15) o la giustizia (Prov. 10,2; n,6; 12,-6), che salvano gli uomini. Infine qui appare una comprensio6

    (vr,1003) roq

    zione di \jJ 21,9 e Sap. 2,13.18.20, che qui come nell'A.T. deve rendere chiaro il comportamento blasfemo degli oppositori attraverso un insulto posto sulle loro labbra. Le. I ,73 s.: opxo\I Sv wµol7E\I •.• 'tOU Souva.L 1Jµi:v ... h. XELpÒc; ÉX~PW\I pwitÉv-ra.c; À.a'tpEUEW a.ù-.<;i, «il giuramento che giurò ... di concedere a noi che ..., liberati dalla mano dei nemici, lo serviamo», si riallaccia, per l'affermazione circa la salvezza, a Il; 17,1 (cfr. 3 Mach. 6,10; 2 Ba.
    spetto il significato di puoµaL nel N.T. viene allargato, nel senso che si ricorre a questo vocabolo per definire dati di fatto escatologici. Cosl è detto in Mt. 6, l 3 : &.À.À.à pu17a.L iJµ~ ànò 'tOU 1t0\11]pou, in Rom. 11,26: -qt;EL Èx :Etwv ò pu6µevoc,, àTCOO''tpÉ\jJEL IÌO"EPElac; IÌ1tÒ 'Iaxw~. in Col. I ,I 3: Se; ÈppVO"O.'tO 1}µéic; ÉX 'tljc; E:!;ouo-lac; 'tOU O"XO"t'OVc; xa.t µEi:icr-.riO"E\I dc; i:1]v Pao'LÀ.Elav 'tOV utoO -tfjc; ne spiritualizzante e individualistica della salvezza, che altrove è sempre estranea all'A.T.: ({Non fare violenza al misero, perché egli è povero, e non rendere ingiustizie al debole in giudizio. Giacché il Signore terrà il suo giudizio e tu salverai la tua anima (soltanto) se è immacolata» (Prov. 22,22 s. LXX; dr. Prov. 14, 25; 23,r4).

    pvoµa.~

    1015 (VI,l oo3)

    B 111 3 (W. Kasch)

    Thess. I,Io: 'll]crouv 't'Òv pu6µEvov 1}µ1ic; tx -rijc; òpyijc; 't'i'jc; ~pxoµivric;, in 2 Tim. 4,I8: pvoncx.l µE oxvptoc; à.nò 7tcx.v-çòc; ~pyou 1COVl]pou xcx.L
    7

    Cfr.

    I

    ~ KUIIN .218-2:ir. I QpHab 8,1-3 dice che Dio sal-

    s·eos1 ad es.

    va dalla casa del giudizio, il commento a Michea 1,5-7 in I QpMi [DJD I 78,8-10] parla degli «eletti (di Dio, che adempiono la legge) nella comunità dell'unione, che saranno sal·

    {v1,roo4) 1016

    prensione della salvezza si rifanno ai passi teologicamente più centrali dd1'A .T. nei quali s'implora la salvezza dai peccati("' 38,9; 39,I3 s.; 78,9). Ma vanno oltre ad essi in quanto attribuiscono l'inclinazione umana a peccare non all'uomo stesso, bensl a quella potenza del male che regna in questo eone, la quale in vista dell'imminente definitivo conflitto vuole trascinare l'uomo alla rovina eterna e alla quale l'uomo non ha possibilità di resistere. È proprio questo il signifìcato dell'interrogativo di Rom. 7,

    µE puG'E't'
    24: ..le;

    questo corpo di morte?», interrogativo al quale risponde Col. I ,I 3 : Dio, oc; Èp-

    pvcra't'O 1Jµ(ic; b 'ti'jc; tçoualac; 't'ou o-x6't'ouc; xcxL µE't'Écr't'l]
    Die Ha11dschrifte11ftmde am Toten Meer. Die Sekte von Qumran [19J8] .293).

    _·;

    (



    puoµo:t B III J (W. Kasch)

    1017 (VI,1004)

    maschile o come neutro 9 ) la richiesta a Dio della salvezza definitiva dalla potenza del male, la quale nel conflitto escatologico vuole precipitare l'uomo nel!'eterna rovina, da cui l'uomo non può difendersi. Ma con questa preghiera (e qui si conclude l'evoluzione del significato di puoµa;t) Dio non è riconosciuto soltanto come creatore, conservatore

    9

    Cfr. specialmente

    ~ LoHMEYER

    q9-153.

    (VI,1004) 1018

    e salvatore dell'esistenza naturale e storica del suo popolo e di tutti gli uomini, bensl come l'eterno signore, che piega al suo servizio anche il male. Ma ciò significa che con questa preghiera di salvezza si compie la vittoria sul male nel riconoscimento della sua maestà e nel dono dell'accettazione della sua volontà. W.KASCH

    crci~~cx:tov, crcx.~~cx:t'tcrµoc;,

    1tapacr:xw1}

    t

    cra~Prt:tov, 1tapaCTXEUlJ

    daismo : a) l'uso linguistico nel giudaismo palestinese ed ellenistico;

    b) il sabato dall'epoca maccabaica fino alla redazione della Misbna; 2. il divieto di lavorare di sabato: a) le prescrizioni dei Giubilei e del Domento di Damasco; b) le prescrizioni degli scritti rabbinici; e) Ja sospensione del sabato in casi speciali; 3. la celebrazione del sabato: a) Ja celebrazione in casa; b) il culto sabbatico; e) il giudizio dei non giudei sulla celebrazione del sabato giudaico; 4 . l'anno sabbatico: a) l'usanza del maggese e il condono dei debiti ogni sette anni;

    ud:{3{3a'to\I Per A.: J. WELLHAUSEN, Prolegomena wr Geschichte lsraels 3 (1886) 113-121; H. ZIMMERN, Sabbat: ZDMG 58 (1904) 199-202; ID., Nochmals Sabbat: ibid. 458-460; J. MEINHOLD, Sabbat u. Woche, FRL 5 (1905); D . LOTZ, art. 'Sabbath u. Sabbathjahr', in RE3 17 (1906) 283-295 (con la bibliogr. meno recente); J. HEHN, Sicbenzahl 11. Sabbat bei den Babylonicm u. im A.T., Leipzigcr Semitische Studien 2, 5 (1907); E. MAHLER, Der Sabbat: ZDMG 62 (1908) 3379; G. BEE.R, Schabbath (:1908); J. MBfNHOLD, Sabbat 11. Som1tag, Wissenschaft u. Bildung 45 (1909); J. HEHN, Der isr. Sabbat, Bibl. Zeitfragen Il 2 (1909); ]. MEINHOLD, Die Entstehung des Sabbats: ZAW 29 (1909) 81-112; B. LANDSBERGER, Der k11ltische Kale11der der Babylonier ti. Assyrer, Leipziger Semitische Studien 6,1-2 (1915); E. l\1A1-1LER, Handbuch der

    ;tid. Chro11ologie ( 1916); J. MEINHOLD, Zur Sabbatfrage; ZAW 36 (1916) 108-no (Sabbat/rage r); J. HEHN, Zur Sabbat/rage: BZ 14 (1917) 128-213; G. BEBR, art. 'Sabbat', in PAUL'Y-W, ra (1920) 1551-1557; W. NowAcK, Schabbat (1924); B . D.EERDMANS, Der Sabbath, in Vom A.T., Festschr. K. Marti (1925) 79-83; P. VoLz, Die bibl. Altertiimer• (1925) 81-90. F. H. CoLsoN, The Week (1926); O. Etss1 FELDT, art. 'Feste u . Feiern' II, in RGG II 552-554; K. BuDDE, Sabbath u. \'foche: ChrW 43 (1929) 202-208.265-270 ( = The Sabbath and the W eek: JThSt30 (1929] x-x5); J. MBINHOLD, Zur Sabbath/rage: ZAW 48 (:1930) 121-138 ( =Sabbathfrage n); K. BuDDE, Ant· wort 011/ J. Meinholds «Zur Sabbathfrage» : ZAW 48 (1930) 138-145; W. W . CANNON, The Weekly Sabbath: ZAW 49 (1931) 325-327; E. G. KRAELING, The Present Status o/ the Sabbath Question : American Journal of Semitic

    SOMMARIO:

    A. Il sabato nell'A.T.: r. origine del sabato israelitico; il sabato prima dell'esilio; 3. il sabato dopo l'esilio; 4. l'anno sabbatico. 2.

    B. Il sabato nel giudaismo: r. l'evoluzione del precetto sabbatico nel giu-

    rr6:~~ci.,.ov

    1021 (vn,z) b) settimana e sabato cosmici.

    C. Il sabato nel N.T. : r. il sabato giudaico nel N .T.; polemiche di Gesù sul sabato: a) i racconti sabbatici in Mc. e i paralleli di Mt. e Le.; b) le narrazioni sabbatiche nel materiale proprio di Le.; c) i racconti sabbatici in Io.; 3. il sabato in alcune comunità cristiane. D . Il sabato nella chiesa antica: r. sabato e domenica;

    A I

    l.I;!;. Lohse}

    ~

    vu. 1.LJ ..1..u""

    2. la settimana giudaica nella chiesa cristiana; 3. il sabato nel giudeo-cristianesimo.

    2. le

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    A. IL

    SABATO NELL'A.T.

    r . Origine d~l.iuabato israelitico ,.

    ·s

    Il contenqto del precetto sabbatico si è venuto modificando nel corso dei secoli; ma il precetto si trova in tutte le fon-

    Gottesdienst in seiner geschichtlichen Entwicklrmg 3 (1931) 107-122; W. O. E. OESTERLEY, Le Sabbat (1935); M. ZoBEL, Der Sabbat, sei11 Abbild im iiidischen Schrifttum, seine Geschichte 11. sei11e he11tige Gestalt (1935); S. M. SEGEL, The Sabbath Book(1942);H,J.llisHEL, The Sabbath (1951); J. Z. LAUTERDACH, Rabbinic Essays (1951) 437-472; D. Co1uums, Die Mischna Schebiit (vom Sabbatjahr), Diss. GOttingen, dattiloscr. (1954); F. Landsberger, Rit11at Implements far tbe Sabbath: HUCA 27 (1956) 387-415; H. BRAUN, Spiitjiidisch-baretischer ti. friihchristlicher Radikalismus I (1957) I16-120. Per C.:

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    xo23 (VII,2)

    O'u~~CX't'OV

    ti scritte della legge attribuita a Mosè: Ex. 34,21 (J); Ex. 23,12 (E); Ex. 20,8u e Deut. 5,12-15 (Decalogo); Lev. 23, 1-3; 19,3; 26,2 (Legge di santità); Ex. 31,12-17; 35,1-3 (P) 1• Nessun altro precetto dell'A.T. ritorna con altrettanta frequenza, e già da questo fatto si può dedurre l'alta antichità del precetto sabbatico. Ma dove ne cercheremo l'origine?

    A

    I

    (E. Lohse)

    (vu,3) 1024

    nilunio, con la sospensione del lavoro, perché quel giorno era considerato infausto e perciò si trascorreva in penitenza e in preghiera come t2m nufJ libbi, «giorno di riposo del cuore» (degli dèi)3. Il plenilunio si chiamava shapattu, termine la cui etimologia e il cui significato non sono ancora stati chiariti 4 • Ci si chiede, dunque, se tra lo shapattu babilonese e il sabato israelitico vi sia qualche rapporto.

    Nonostante le molte discussioni, il In Babilonia lo shapattu non si celeproblema nel quadro della storia delle religioni rimane tuttora insoluto. Paral- bra ogni settimana, come il sabato israeleli del precetto sabbatico si trovano litico; la sua ricorrenza è legata al cinell'antica Babilonia. Da un canto i gior- clo lunare e, come i settimi giorni, si ni 7.14.(19.)21 e 28 dei mesi di Elul e presenta quale giorno di penitenza per di Marcheshwan risultano infausti, e in via di una serie di tabù e di proibizioni. essi vanno osservate le seguenti prescri- Invece il sabato israelitico torna regolarzioni: «Il pastore dei grandi popoli non mente ogni sette giorni, indipendentemangerà carne cotta sulle braci né pane mente dal ciclo lunare 5 e il suo signifìabbrustolito. Non indosserà (abiti) pu- ficato non si riduce affatto a quello di un liti. Non offrirà un sacrificio. Il re non dies nefastus carico di tabù. Perciò tra viaggerà su un cocchio. Non parlerà in sabato israelitico e shapattu babilonese veste di sovrano. Nel luogo dell'arcano non si può dire che esistano dei rapporti l'aruspice non farà parola. Il medico non diretti. Tuttavia è possibile che - per porrà la mano su alcun malato. (Il gior- tramiti che noi non conosciamo - il suo no) non si presta all'esecuzione di un nome sia derivato dal babilonese shaprogetto. Di notte il re porterà il suo pattu, anche se neÙ'A.T. il termine sabdono ai grandi dèi, offrirà un sacrificio: bàt è stato inteso regolarmente come allora l'elevazione della sua mano sarà giorno di riposo e non come giorno negradita a Dio» 2 • D'altro canto, in Babi- fasto 6. Le tribù israelitiche devono aver lonia il 15 del mese si celebrava il ple- adottato il nome in un tempo assai rederte; ZNW 6 (r905) 1-66; C. W. DuGMOll.B, The Influence o/ the Synagogue 11po11 the Diville Office (1944) 26-37. 1 Cfr. --.+ BuooE, Sabbath 203. i A.O.T. 329. l Si tratt~ probabilmente di placare il cuore degli dèi con sacrifici e preghiere. Cfr. --.+ HEHN, Sabbat/rage 201. 4 Cfr. T . G. PINCHES, Sapallt1, the Babylonia11 Sabbath: Proceedings of the Society of Biblica! Archcology 26 (1904) JI-56; -+ Z1MMERN 199-202.458-460; recentemente ~ ]ENNI

    n. 19.

    II

    5 I ripetuti tent11tivi fatti dal Meinhold per mostrare come il sabato sia la festa del plenilunio, sono stati confutati dalla risposta di ~ BunnE e vanno considerati come falliti: «Non vi è alcun passo dell'A.T. in cui il sabato appaia come plenilunio~ (~ BUDDE, Antwort 145). I passi di Ex. 34,21 (J) e Ex. 23,12 (E) attestano sicuramente che già negli antichi tempi il sabato ricorreva ogni sette giorni; in entrambi infatti il verbo 1bt è usato ool valore denomin11tivo di osservare il sabato; cfr. BUDDE, Antwort x43. 6 Cfr. B. STADE, Bibl. Theol. des A.T. 2 (x905) x78. Originariamente il verbo 1bt significa so-

    1025 (vn,3)

    ua~~a·w.i

    A

    moto, probabilmente già prima dell'epoca mosaica 7 • Che gli Israeliti abbiano mutuato il sabato dai Cananei 8 è da escludere, se non altro perché presso questi ultimi non v'è traccia di un sabato 9 • Del tutto problemati~o è pure supporre che il sabato sia giunto in Israele passando· attraverso i Keniti 10• Iri ogni caso è certo che il significato e la portata del sabato nell'A.T. non si possono spiegare partendo da modelli babilonesi o di altra matrice extra-israelitica, ma solo e unicamente sulla base della fede d'Israele in Jahvé 11 •

    I-2

    (E. Lohse)

    \ VllAJ

    lU:.<.O

    potesse essere osservata già da nomadi. Perciò l'osservanza del sabato sembra risalire ai primi inizi della religione jahvistica 13•

    Il precetto sabbatico prescrive il riposo assoluto. Questa norma non presuppone necessariamente un'economia rurale 12, quale in Israele si ebbe dopo l'insediamento nella terra; è invece del tutto possibile che una tale disposizfone

    Il precetto sabbatico è ben radicato nelle due redaziçni del Decalogo conservate dalla tradizì,çne. Perciò si deve ammettere che essd~'iii origine, nella serie delle proibizioni categoriche, 'ricevesse una formulazione parimenti. negativa con la proibizione di eseguire qualsiasi lavoro in giorno di sabato 14• Secondariamente il divieto di lavorare sembra essere stato trasformato nel comandamento positivo di santificare il sabato 15, comandamento più tardi arricchito di abbondanti giustificazioni. Queste sono variamente formulate in Ex. 2o e Deut. 5. In Ex. 20,8-à la motivazione echeggia il racconto sacerdotale di Gen: 2,2 s. e ricorda come Jahvé in sei giorni abbia creato il cielo e la terra, il mare e tutto

    spendere il lavoro. Cfr. KoHLER-BAUMGARTNl!R, s.v. sbt; ~ }ENNI 28. 7 Cfr. ~ PROCKSCH .544; a Cosi F. DELITZSCH, Babel u. Bibel' (1905) 65; ID., Die grosse Tiiuschung r (1920) 99 s.; -7 EISSFELDT 553. ~ Cfr. ~ BunuE, Sabbath 205. I()~ EERDMANS 79-83; ~ BUDDE, Sabbath 268-270; L. KoHLER, Der Dekalog: ThR N.F. r (1929) i8o s. Recentemente si sono occupati del problema ~ RowLEY I05)-II4; --> NoRTH 198 s. Il passo di Am. 5,26 (dove· potrebbe forse trattarsì del giorno o dell'adorazione di Saturno) non si può prendere come prova, attesa l'incertezza testuale. Ex. 35,3 poi (dr. anche Nmn. 15,32), dove si proibisce di accendere il fuoco di sabato, è di origine sacerdotale, cosl che non se ne possono trarre conclusioni per l'epoca più remota. Richiamandosi a H. WEBSTER, Rest Days (r911), ~ JENNI i2 s. cerca di mostrare che il sabato deriva dai giorni di mercato regolarmente ricorrenti; ma egli stesso ·deve ammettere èhe tra le· popolazioni intorno ad Israele di tali mercati settimanali non si ha l'attestazione (13). Inoltre Am. 8,4 s.

    fascia intendere che commercio e scambi erano proibiti già nell'antico Israele, per modo che era impossibile che di sabato si tenesse il mercato. 11 ~ TuR-SINAI 14-16 amtesta che vi sia una qualsiasi connessione tra sabato e shapallu ba· bilonese e ritiene «che il sostantivo Japattu, in quanto nome di un determinato giorno, venne probabilmente assunto da un dialetto prossimo all'ebraico e immesso nel calendario assiro-babilonese» (I j). 12 Cosi ~ WELLHAUSEN n5; B. STADE, op. cit. (--> n. 6) 176 s. e alui. 13 Anche ~ RowLEY n7 ritiene probabile che il precetto sabbatico risalga ad epoca anteriore a Mosè. 14 Cfr. A. ALT, Die Urspriinge des israel. Rechts, in Kleine Schri/ten zur Geschichte· des Volkes Israel I (1953) 317-321. Anche le proibizioni assolute del diritto apodittico - a differenza di quello ~asuistico - lasciano capire che il precetto sabbatico non può esser stato mutuato dai Cananei. Cfr. A. ALT, . op: cii., 323.330. l5 Cfr. ALT, o.e.(~ n. 14) 321 n. i; 331 n. x.

    2.

    Il sabato prima dell'esilio

    o-6.~~a.i:ov

    A

    ciò che vi si trova, e come nel settimo giorno si sia riposato e abbia cosl benedetto e santificato il sabato (v. n) 16• Nel testo parallelo in Deut. 5,I2-r5 11 I. ancor più che in Ex. 20, ro si sottolinea che del riposo sabbatico devono fruire non solo l'israelita e la sua famiglia, ma allo stesso modo anche gli schiavi e gli animali domestici: «Il tuo schiavo e la tua fantesca riposino come te» (v. 14; cfr. Ex. 23,12). In questa frase si esprime il momento sociale, che prende spicco anche in altri passi del Deuteronomio 18• 2. In Deut. 5,I5 il precetto del sabato non viene fatto risalire all'opera creatrice di Jahvé e al riposo da lui tenuto nel settimo giorno, ma si rammenta che Israele è stato schiavo in Egitto e che di là Jahvé lo ha tratto con mano forte e braccio disteso 19 : «per questo Jahvé ha comandato di osservare il sabato» (v. l 5 ). Il fondamento del sabato, dunque, si trova nella storia d'Israele, che ha fatto l'esperienza del riscatto operato dalla mano di Dio. Come Jahvé ha liberato il popolo dalla schiavitù d'Egitto, cosl anche lo schiavo deve, di sabato, esser libero dal suo lavoro 2fJ. In tal modo i doveri verso Dio e verso il prossimo vengono saldati in una unità indissolubile 21 • 16

    Qui però invece di Jiibat, come in Gen. 2,

    2 s., si usa il verbo 11uaf;. Le opere della creazione sono il cielo, la terra e il mare; quest'ul· timo non è invece menzionato in Gen. 2,I. l7 La motivazione in Deut. 5,15 è fatta in chfa. to stile deuteronomistko; perciò non vi è ragione di togliete dal Deuteronomio il precetto sabbatico e tutto il decalogo, per assegnarlo all'epoca post-esilica, come fa ~ MEINHOLD, Sabbat u. Wocbe 38; cfr. anche ~ BUDDJ~, Antwort 128 e passim. Si confronti: «ricorda· ti» (7,18; 8,2.18; 9,7; 16,3; 24,9; 25,17); «Che sei stato schiavo in Egitto» (15,15; 16,12; 24, 18.22); «con mano forte e braccio disteso» (4, 34; 6,21; 7,8.19; 9,26.29; u,2; 26,8); «Jahvé, tuo Dio, ha comandato» (r,r9 2,37; 4,5.23; 5, 3:i (29]; 6,1 .20; 13,6; 20,17). Cfr. ~ RowwY

    2

    (E. Lohse)

    Secondo il decalogo cultuale jahvistico il precetto del riposo sabbatico si estende espressamente anche al tempo dell'aratura e del raccolto, nel quale l'interruzione del lavoro risulta particolarmente pesante (Ex. 34,21 ). Il Codice dell'alleanza prescrive che ogni sette giorni l'israelita riposi e prenda fiato, e insieme con lui anche il suo bue, il suo asino, il figlio della sua schiava e anche il forestiero (Ex. 23,I2). Nelle antichissime notizie riportate nell'A.T. al di fuori del corpus legislativo, sabato e novilunio vengono spesso nominati insieme, essendo gli unici giorni festivi che tornano regolarmente durante tutto l'anno (Am. 8,5; Os. 2,r3; Js. 1,13; 2Reg.4,23) 22 • Di sabato (come anche nel novilunio) non si potevano concludere affari (Am. 8,5), nel tempio venivano offerti doni e sacrifici (1s. I ,I 3) e si celebrava una festa di gioia (Os. 2, 13). Il giorno di riposo offre la possibilità di percorrere un lungo cammino per raggiungere Un uomo di Dio (2 Reg. 4, 2 3 ). È in giorno di sabato che il sommo sacerdote Jojada pone fine alla tirannide di Atalia con una sommossa nel tempio di Gerusalemme e mette sul trono Joas (2Reg. n,5.7.9). Il narratore non sem· 85 n. 2 . 1s ar. Deut. r2,12.r8; r6,11s.14 ecc.: anche gli schiavi devono prendere parte alle feste in onore di Jahvé. · 19 Questo accenno è frequente nel Deuteronomio;~ n. 17. 20 ~ }ENNI 15-19. 21 EICHRODT, Theol. A.T. I 5 38. 22 Anche in seguito novilunio e sabato sono spesso accostati: Is. 66,23; Ez. 45,17; 46,r; Neem. 10,34; I Par. 23,31; :1. Par. 2,3. Questo accostamento non autorizza a trarre illazioni di sorta per il problema dell'origine del sabato, poiché il sabato nominato accanto al novilunio non può indicare il plenilunio. Cfr. 4

    n.5.

    1029 (VIIA)

    cra~~CX.'tOV

    A 2-3 (E. Lobse)

    bra per nulla scandalizzato dal fatto che questa sollevazione violenta costitul una profanazione del sabato ( 2 Reg. II) 23 . Ciò mostra che nell'antichità il comandamento dell'astensione dal lavoro non era ancora inteso con quel rigore che gli avrebbe attribuito l'interpretazione successiva. Tuttavia è certo che già prima dell'esilio il sabato, al termine della settimana, era osservato come giorno di riposo stabilito da Jahvé e a lui consacrato 24• 3. Il sabato dopo l'esilio

    La comunità di Jahvé deportata in esilio si trovò nella necessità di distinguersi da quelli che professavano altre fedi, e per farlo pose un accento particolare sui due tratti distintivi che le erano rimasti per assicurare l'appartenenza al suo Dio. Da allora insieme con la circoncisione il sabato assunse una grande importanza; ma solo Israele, a differenza dei gentili, ogni sette giorni "Considerò il sabato come giorno consacrato al suo Dio. Perciò Ezechiele dice che il sabato è un segno tra Jahvé ed Israele, «affinché si riconosca che sono io, Jahvé, quello che li santifica» (Bz. 20,!2, cfr. v. 20). Il profeta giunge anzi ad affermare che proprio la profanazione del sabato è la causa della sciagura occorsa al popolo (Ez. 20,13.16.20.24; 22,8.26; 23,38; cfr. 2 Par. 36,21). Perciò alla comunità si raccomanda con particolare insistenza il dovere di osservare le feste e di santificare i giorni di sabato (Ez. 44,24). In 21

    Cfr. ~ MEINHOLD, Entstehtmg 84; ~ Io., Sabbathfrage II r23. 2~ Una rassegna dei testi in ~ CANNON 325327· 25 In Gc11. 2,2 il testo ebraico dice che Jahvé nel settimo giorno terminò le sue opere e si riposò da esse; ìnvece secondo i LXX Dio compie la creazione già nel sesto giorno, e cosl si

    attesa del tempo nel quale si potranno di nuovo offrire sacrifici nel tempio, si prescrivono accuratamente il numero e le modalità dei sacrifici da offrire in sabato (fa. 45,q; 46>4 s.). La legislazione sacerdotale ribadisce l'importanza del precetto sabbatico, proclamando anch'essa che il sabato è un segno tra Jahvé ed Israele (Ex. 31,14 s.; 35,2). Il sabato dev'essere santificato da Israele come un'istituzione salvifica valida per l'eternità (berlt 'olam: Ex. 31, 16). «In sei giorni, infatti, Dio ha creato il cielo e la terra, ma nel settimo si è riposato e ha preso fiato» (Ex. 31,17). Egli ha benedetto e santificato il settimo giorno (Gen. 2,1-3) 25 • Il sabato, quindi, non viene dedotto dall'esperienza della manna, di cui Israele si cibò nel deserto (Ex. 16,22-30, P), ma risponde al volere divino fin dalla creazione. È questo volere che viene manifestato ad Israele sul Sinai, quando il sabato gli è dato come segno che è stato Jahvé a santificare il suo popolo (Ex. 31,13). Il sabato significa quindi un beneficio divino, che rammenta assiduamente come Jahvé abbia scelto e santificato il popolo 26 • Dopo l'esilio il severo precetto di tralasciare di sabato qualsiasi lavoro viene precisato meglio nei particolari. In giorno di sabato è probito accendere il fuoco (Ex. 35,3), portare pesi (Ier. 17, 21 s. 24.27), commerciare (Neem. ro, 32), pigiare, caricare bestie da soma o tener mercato (Neem. 13,15-22),percorrere lunghe distanze e concludere affari evita anche il più piccolo sospetto che il giorno di riposo sìa stato pregiudicato da qualsivoglia lavoro. Cosl anche in Iub . .2,16. 26 Il precetto assoluto di salv.aguardare la santità del giorno tralasciando qualsiasi lavoro vale per il sabato di ogni settimana e anche per il giorno dell'espiazione, che in Lev. 23,32 è detto labbat labbiiton.

    1031

    (vn,5)

    cra~~ct'tOV

    A 3-4 (E. Lohse)

    (Is. 58,13) o profanare in qualsiasi modo il giorno sacro (Is. 561 2). Il richiamo ad un esempio che viene variamente proposto serve a inculcare la serietà del precetto: un uomo che di sabato aveva raccolto legna nel deserto venne punito con la morte decretata da Jahvé (Num. l5,J2-36, P). Vuol dire che, se si ha bisogno di qualcosa per il sabato, lo si deve raccogliere e allestire il giorno innanzi (Ex. 16,22-26.29), giacché il sabato è il santissimo giorno di riposo di Jahvé (Ex: 35,2), che viene solennemente celebrato nel ·santuario (Lev. 23a2; cfr. Ez. 46,r). Ogni sabatò si rinnovano i pani ·della· proposizione (Lev. 24,8; I Par. 9,32) e vengono offerti due agnelli senza macchia, d'un anno, unitamente ai relativi sacrifici di oblazione e libagione (Num. 28,9 s.). I cantotì intonano il Ps. 92 partendo dal v. r n. Nella comunità postesilica il precetto sabbatico diviene la prescrizione più importante della legge divina. Dire che Dio ha dato ad Israele la legge o che gli ha ingiunto di santificare il sabato è quasi la stessa cosa. Chi santifica il sababato e lo proclama sua gioia si procura la benevolenza di Jahvé (Is. 58,13 s.). Chi aderisce al patto e fa la volontà di Dio si guarda bene dal profanare il sabato (Is. 56,1-7), poiché l'amore del nome di Jahvé e la fedeltà al suo patto si dimostrano col rispetto zelante e puntuale della legge, il cui precetto supremo è la sacra osservanza del sabato. 4. L'anno sabbatico Come, dopo sei giorni, la settimana si chiudeva col sabato, cosl nell'A.T. vi 27 Per i sacrifici sabbatici cfr. inoltre I Par. 23, 31; 2 Par. 2,3; 8,13; 31,3. 28 ·Per l'onno sébbatico cfr. ora -> CoRRENs, con ampia bibliografia; H. WILDllERGRR, Israel 11. sein Land: EvTheol 16 (1956) 404-422; E. KuTSCH, art. 'Erlassjahr', in RGG3 II 568 s.;

    (vn,6) 1032

    è un altro sabato, che viene osservato al termine di ogni ciclo di sei anni 28 • Ogni settimo anno il 'suolo ·d'Israele doveva rimanere a riposo: non vi si lavorava né vi si raccoglieva. Questa istituzione sembra aver avuto origine al tempo dell'occupazione della Palestina e, a quanto pare, inizialmente significò che, ogni settimo anno, avveniva l'annullamento completo degli impegni giuridici e dei debiti esistenti, e che ·per sorteggio ·i fondi e il terreno venivano ridistribuiti ai singoli gruppi familiari 29• La più antica redazione del precetto del maggese sacrale si twva nel Codice dell'alleanza (Ex. 23,rns.): in ogni settimo anno si rinuncerà ai prodotti del suolo, affinché - dice la motivazione i poveri del popolo abbiano di che mangiare. Nel Deuteronomio una disposizione dell'antico diritto divino 30 stabilisce: «Al termine di sette anni farai atto di remissione» (Deut. 15,1). E il precetto viene poi illustrato con spiegazioni in forma predicatoria, le quali specificano che nel settimo anno ai poveri vanno rimessi i prestiti ( vv. 2-u ). Più tardi i brevi ammonimenti del Codice dell'alleanza riguardo all'anno di maggese vengono specificati meglio nella Legge di santità, dove sono collegati con disposizioni prese dal precetto sabbatico (Lev. 25,1-7): nel settimo anno tutta la terra celebrerà un sabato in onore di Jahvé (Lev. 25,4) e si sospenderà ogni semina e ogni raccolto. Quel che il suolo produrrà spont:meamente nel tempo di riposo servirà da nutrimento agli Israeliti, ai loro schiavi e schiave, ai salariati e ai residenti (Lev. 25,6) 31• Nella Legge di santità alle precisazioIn., Erwiigunge11 zur Geschichte der Passafcier u. des Massot/estes: ZThK 55 (1958) 25-28. 29 Cfr. ALT, o.e. (-> n. 14) 327 s. 30 Cfr. G. v. R.An, De11teronomiumstudien1 FRL 58 (1947) IO. Nell'A.T. l'anno sabbatico è ricordato on-

    31

    1033 (vn,6)

    c;6:~~a-.ov A 4 - B

    rn (E. Lohse)

    (VII,7) 1034

    ni sull'anno sabbatico se ne aggiungono sione, che Dio ha stretto un patto con altre riguardanti l'anno giubilare (Lev. la sua comunità. Dappertutto, per indi25,8-55) 32, che doveva tenersi ogni cin- care il settimo giorno, si conserva i! noquantesimo anno, al termine di sette me 'Sabbiit trasmesso dalla legge 33, anche settimane di anni. In questa ciicostanza se esso non indica solo il. giorno di satutti gli Israeliti finiti in schiavitù dove- bato, ma anche il periodo che intercori-e vano ricuperare la libertà e tornare cia- tra un sabato e l'altro, quindi tutta la scuno al suo fondo e alla sua terra. Que- settimana 34 • Anche la forma aramaica ste disposizioni, che riprendono, in par- · 5abbctà' designa tanto il giorno quanto te, brani di tradizione inizialmente rela- la settimana 35 • Il giorno precedente vien tivi all'anno sabbatico, offrono un qua- detto 'ereb 5abbiit, 'vigilia del sabato' 36 • dro artificioso e hanno un significato pu- La notte dal sabato al primo giorno delramente teorico, poiché in effetti un Ja settimana e questo stesso primo gioranno giubilare non venne mai celebrato. no son detti mo~ii'é Jabbiit, 'uscita dal sabato' 37, mentre gli altri. giorni sono indicati col numero progressivo 38• B. IL SABATO NEL GIUDAISMO r. L'evoluzione del precetto sabbatico nel giudaismo

    a)L'uso linguistico nel giudaismo palestinese ed ellenistico Nella diaspora non meno che in Palestina H giudaismo si mostra convinto che nella diligente osservanza del precetto divino del sabato Israele si pone in .sintonia con la sua elezione tra tutti i popoli e che tale osservanza gli rammenta assiduamente, anche nella dispercora in Neem. 10,32 e 2 Par. 36121. 32 Per l'anno giubilare cfr. A. JIR1m, Das isr. Jobeljahr, in R. Seeberg-Festschr. u (1929) 169179; N. M. N1cOLSKIJ, Die Entstehung des ]obe/jahres: ZAW 50 (.1932) 216; ALT, o.e. (-4 n. 14) 328 n. r; C. H. GoRDON, Sabbatical Cycle or Seasonal Pattem?: Orientalia 22 (1953) 79-81; R. NORTH, Sociology of the Biblica[ Jub;/ee, Analecta Biblica 4 (1954). 33 3~

    Cfr.

    STRACK-BILLERBECK I 610 s.

    Cfr. i testi in STRACK-BILLERBECK r 1052 s.: kl jmwt hibt, «tutti i giorni della settimana» (Gen. r. n[8b] a 2 13); bkl bibt, «durante tutta la settimana» (Ned. 8,r). Cfr. anche S. KRAuss, Talm11dische Archiiologie II (19II) 422 s. 3S Testi in DAI.MAN, Gramm. 247 s. 36 Per es-. Shab. 2,7; 19,1 ecc.; in aramaico 'rwbt swb', oppure 'rwbt'; cfr. i testi in

    Nella diaspora i Giudei di lingua greca conservano il termine ebraico, grecizzato in o-&f3f3a.'tOV. Quando si vuole spiegare ai Greci il significato dell'.epraico, al posto di o-&f3[3oc'toV si dice .:&:vcf· 7taucnc;, 'riposo', poiché «quello çhe ·in ebraico si chiama O'ocf3[3a-.ov signific~ il riposo da ogni tipo di lavoro» ('tÒ µà'.1 YtXP rTocf3f3a'tOV Xct't'à. 't''Ì}V 't'WV 'Iouolilwv oLaÀ.e:x't'ov àv&:mx.vo-lc; È
    in

    STRACK-BIL-

    della settimana in Shab. b. 156a: bpd _bJb' {nel 1° giorno della settimana); btrj bsb' (nel 2° giorno... ); .bilt' bSb' (nel 3° giorno ... ); b'rb" bib' (nel 4° giorno ... ); bl;m1' b1b' (nel 5° giorno ... ); bm'li 1bt' (nella vigilia del sabato); bJbt' (nel sabato). Altri testi in DALMAN, Gramm. 247 s.; STRACKBILLERBECK J 1052; ~ ScHiiRER, Die siebentiigige Woche 3-8. 39 «Dapprincipio alt~~a'ta non er(l un plurale; non è altro che l'ebraico sabbiit; la terminazione -a per sé non è che un'aggiunta fonetica, determinata dalla necessità di far sentire il -t ebraico nella finale del greco» (E. SCHWYZER, Altes u. Neues ZII [ heb1'.-] griech. a&.~~u-.a., [ griech.·] lai. sabbata, usw: Zschr

    ro35 (vn,7)

    cr
    B ra (E. Lohsc)

    si significati: I. spesso designa vari sabati; ad es. Èv 'toi:ç cra.f3f3a:cot<; xa.1. iv -.a.i:<; vouµ11vla.tç, «nei sabati e nei noviluni» (Ez. 46,3 LXX); dr. pure Is. r, 13 LXX; 2 Par. 31,3; Flav. Ios., ant. 3, 294; x2,276 s.; 13,252. 2. Spesso, nonostante la forma plurale, -tà. crà.{3f3a.-ta. indica anche un solo sabato; ad es. Ex. 20,IO LXX: 'tTI OÈ 'ÌJ!LÉP't 't'TI èf3o6µn cr~f3f3a'ta. xupl({.l 'téi) i>e<';> crou, «nel settimo giorno, sabato, in onore del Signore tuo Dio»; Flav. Ios., ant. 3,143: 'tlJV

    yà.p Èf3o6µ'l'}v 1)µipa.v cr
    (vn,8) ro36

    µ1) (1]µÉpa.) viene ad essere l'equivalente di crci.(3(3a.'tov (cfr. Gen. 2,2 s. LXX; Ex. 16,26 s. ecc.); Flav. Ios., ant. 3,237: xoc'tOC oÈ ~(3S6µ'r)v 1JµÉpa.v, i)'tt<; utX.(3{3ct..'toc xa..Àei:-ra.~ (cfr. ant. 3,143}; Philo, Abr. .2.8: 'tlJV é(3o6µ'T)v, iJv 'E(3pai:oi crtX.(3f3oc'ta xaÀouaw (cfr. anche Philo, mut.

    nom. 260; spec. leg. 2,41.86 e vit. Mos. 2,209.215.263). Il termine -li ~f3ooµa.t) "tÒ craf3(3a.'TOV (Ex. 31,13 s. LXX; Lev. 19,3 ecc.) 42 • Ma si usa anche il neologismo
    Il giudaismo, dunque, per designare il giorno di riposo stabilito da Dio si

    ua.f3f3&...wv) 41 • La vigilia è detta 'ltpocrci.f3{3a.-.ov (Iudith 8,6), Ti 7CpÒ -.oO CT('l.f3f3!i"t'OU (Flav. los., ant. 3,255 s.) oppure 'lt('l.pa.
    serve di un uso linguistico coerente, nel quale il termine sabbiit, preso dalla legge, si conserva stabilmente sia in Palestina sia nella diaspora; con ciò esso mostra che le comunità giudaiche disperse per il mondo hanno coscienza di essere tra loro unite e fuse grazie al precetto divino del sabato +i.

    fiit vergleichende Sprachforschung 62 [1935] ro). Nella pratica, poi, "tà cr&.~~IX"l'tt è sentito come plurale dei nomi greci di feste, che designano le feste «con tutti gli annessi e con· nessi:. (SCWHYZER, Griech. Grammatik II 43 con n. 5). Al dativo si usano indifferentemente le forme "tori; ua~~acrw (I Mach. 2,38; Flav. Ios., tml. 13,337; 16,153; vii. 279) e "l'Oiç O'CL~­ ~&."toi.ç (Num. 28,10, LXX; 2 Par. 2,J; usuale nei LXX; inoltre F1av. Ios., ant. 3,294; rr,346; 12,.p76 s.; 13,252; beli. 1,146); dr. STRACKBILLEKBECK I 610 s.; PREUSCHEN·BAUER~, s.v. 40 Nei LXX per indicare la settimana si dice anche Ti É~lioµ&.ç; ad es. Lev. 23,r5 s.; 25,8 ecc. 41 \.fr. anche Lev. 23,32 LXX: aa~~a:tCL O"CL~-

    Pa"l'w'V = giorno dell'espiazione; anche Philo, spec. /eg. 2,194. 42 Inoltre si usano pure le formule "l'Ò cr6;f3~ct· "O'V "1'1JPE~'V (lo. 9,16) e 1telPr1."1'1JpEW -rT)'V "l'W\I cra~f3&."t'w\I 'l'}µlpct\I (Flav. Ios., ani. 14,264). Cfr. SCHLATTER, ]oh. a 9,16. 43 Inoltre in Giuseppe si hanno le formazioni cra.~~CL"t'Efov (allt. 16,r64 = uno spazio desti· nato alla celebrazione del sabato; cfr. S. KRAuss, Synagogale Altertumer [1922) 25 s.; P. KATZ, Das Prob/em des Urtextes der Septuaginta: ThZ 5 (1949] 5 s. n. 6) e
    'Tpao~

    io37 (vn,8)

    craf3f3a:t"O\I H Ib

    b)ll sabato dall'epoca maccabaica fino alla redazione della Mishna

    (.!'...

    Lonse)

    elezione; nessun altro popolo, infatti, è stato benedetto da Dio per osservare il sabato, tranne il solo Israele (Iub. 2,r9. 31; 50,9 s.). Il giorno di riposo, celebrato già dai padri 45 , consente di pregustare fin da ora quella gloria eterna che sarà un sabato senza fìne 46 • D'altra parte, gli effetti meravigliosi del sabato

    sono tanto vasti, che nel settimo giorno persino gli empi nella geenna possono aver riposo dal loro tormento 47 • Perciò il peso del precetto sabbatico eguaglia quello di tutti gli altri precetti della legge messi insieme (Ber. ;. 1 [3c 14 s.J) e il premio assicurato da Dio per la sua fedele osservanza è particolarmente alto 48 • Qualora Israele osservasse anche due soli -sabati nella maniera prescritta, si sarebbe all'aurora della redenzione 49• Il precetto sabbatico, dunque, è il

    ch'essi la circoncisione e il sabato quali segni del patto. Inoltre certi gruppuscoli giudaici, che nella diaspora si aprivano ad influssi sincretistici e perciò erano ben lontani dal giudaismo ortodosso, vollero nondimeno tener vivo il loro legame con Israele mediante l'osservanza del sabato. Ad es., in un'iscrizione della regione di Elaiussa in Cilicia (DITTENBERGER, Or. lI 573) il nome :ta.f3f3a.·ncr-cal designa un gruppo compatto, nn'associazione che ha per Dio ò i}Eòc; ò :ta.f3f3a-c~cr·d1c; (dr. KRAUSS, o.e. [---? n. 43] 27). Quest'associazione di 'cultori elci sabato' (1) ~-ra.~pda. -rwv :ta.(3(3a.·ncr-rwv) probabilmente era un gruppo ereticale giudaico, che adorava pure il dio Sabazio (dr. H. LmTZMANN, Geschichle der alten Kirche I '[ 1953) r66) e perciò si trovava ai margini del giudaismo, se non già al di fuori (cfr. J. LruPOLD, Das Ev. der Wahrheit: ThLZ 82 [1957] 829). Dal giudaismo sincretistico della diaspora viene anche la piccola setta degli !psistari, di cui si ha notizia in Asia Minore nel IV sec. d.C. Costoro mischiavano tradizioni giudaiche con concezioni dcl parsismo, adoravano il 'dio altissimo', osservavano il sabato e le prescrizioni relative ai cibi, ma respingevano la circoncisione. Cfr. Greg. Naz., or. 18,5 (MPG 35 [1857] 991 s.); G. BoRNKAMM, Die Hiiresie dcs Kol. , in Das Ende des Gese/1.es 2 (1958) 153-155. Infine, certe particolari idee circa il sabato si trovano tra i Falasha dell'Abissinia (cfr. J. HALÉVY, T~'hJ1.a Sanbat, lexte éthiopien publié et traduit [ 1902]), che ogni sette sabati ne celebrano uno con riti speciali. Per i Falasha, Sanbat, che è la personificazione del

    sabato, è un'entità divina, il figlio di Dio vero e proprio che ha sede nel cielo, è imperituro cd eterno e ogni settimana discende a svolgere il suo ufficio tra gli uomini. Il venerdl sera si leva dal suo trono, preceduto da schiere d'angeli scende sulla terra e vi si trattiene fino al sabato mattina per 1a gioia dei pii. Indubbiamente qui ha esercitato il suo in.flusso il mito gnostico della discesa del redentore, che offre pure il modulo alle concezioni mandaichc su Habsabba, il primo della settimana, ed nlla sua discesa quale messaggero del mondo della luce. Cfr. L. TROJE, Sanbat, Beigabe III, in R. RErTZENSTEIN, Die Vorgeschichle der christ/icbe11 Tau/e (r929) 328-377; A. ADAM, Die Ps. des Thomas "· das Perlenlied als Ze11gnisse vorschristl. Gnosis, Beih. z. ZNW 24 (1959) 79· 41 Cfr. lub. 2,r9·24; Gen. r. u(8c); STR.ACKBrLLERBECK 1 200. 46 Cfr. i testi in STR.ACK-BILLl!RBECK IV 839 s. e VoLZ 384 s. In Ber. b. 57b si dice con più precisione che il sabato è un sessantesimo del mondo avvenire. 47 Sa11h. b. 65b; Gen. r. u(8b); altri passi in STRACK-BILLERBECK IV 1082 s, 43 Secondo R. Eliezct (c. 90) l'osservanza del sabato preserva da tre castighi: dai dolori del Messia, dal giorno di Gog e dal giorno del grande giudizio (Mek. Ex. 16,29 [59a)). Altri detti rabbinici sul premio riservato all'esatta osservanza dcl sabato in STRACK-BILLERBECK I 614 s.; IV 497.950.1067. 49 Cosi R. Shimon b . Johai (c. r50) in Shab. b. 118b bar.

    Il sabato settimanalmente ricorrente

    è per il giudaismo un segno della divina

    a6.(3(3a-.ov B rb (E. Lohse)

    1039 (vn,8)

    cuore di tutta la legge 50 • Contro di esso sto terribile evento si decise che per mosse i suoi attacchi il re sito Antioco l'avvenire sarebbe stato consentito di Epifane, quando vietò non soltanto i sa- prender le armi anche di sabato, qualocrifici a Gerusalemme, ma anche l'osser- ra ci si dovesse difendere (I Mach. 2,39vanza del sabato e con essa la professio- 41) 52 • Ma continuò a considerarsi proine pubblica della fede giudaica (I Mach. bito l'attaccare di sabato 53 • Certi giudei, 1,39.44 s.). Ciò comportava che d'allora che prestavano servizio in corpi straniein poi «non era permesso né celebrare ri, si rifiutarono di attaccare in giorno il sabato, né osservare le festività pa- di sabato (2 Mach. 15,1-5). Per questo i trie, né, in breve, professare di essere Romani rinunciarono ad arruolare i Giugiudeo» ( 2 Mach. 6,6: flv o'OU'tE 11aB- dei 54• Ma più tardi talvolta si ritenne ~a"tlsE~V, ou"tt: 'lta"t~ovç Éop"tàç otache fosse permesso di attaccare anche di cpvla"t't'EW, ou"tE &:itÀ.wç 'Iouoat'ov òµo- sabato i pagani incalzanti 55 • In generale À.oyE~v Elvai). In effetti si ottenne che anche i rabbini riconobbero il principio molti giudei apostatarono, «sacrificaro- che nel caso di pericolo di vita si poteva no agli idoli e violarono il sabato» (I trasgredire il precetto sabbatico, come Mach. 1,43). Ma d'altra parte a questo pure quando si trattava di difendersi 55 comando del re si· accese l'appassionata o di darsi alla fuga 51 • · opposizione dei pii, i quali difesero la In altri casi l'eyoluzione delle prescriprofessione della legge fino all'estremo, tutelarono la santità del sabato e lotta- zioni sabbatiche non appare cosl chiara rono tenacemente per i giorni di festa .e come negli esempi addotti, dal momento di riposo, fino ad ottenere che i re della che non possediamo testimonianze lette· Siria li riconoscessero ufficialmente (I rarie altrettanto copiose. Tuttavia si può dire che in genere la halaka antica è Mach. rn,34). più rigida di quella recente, quando la Nella halaka pm antica tra i lavori Mishri.a si applica a interpretare il pre· proibiti rientrava anche il combattere in cetto del sabato; infatti il giudaismo reguerra (Iub. 50,I2). Ossequenti a questa ligioso interpretava più rigorosamente disposizione, all'inizio della sollevazione la legge e il precetto del riposo per dimaccabaica alcuni pii giudei in giorno fendersi dell'ellenismo che incalzava.daldi sabato si lasciarono trucidare dai ne- l'esterno. Cosl, per es., in Iub. 2,29 s. e mici senza opporre resistenza (I Mach. 2, Dam. II,4 s. (13,13 s.) si proibisce di 32-38) 51 • Ma sotto l'impressione di que- portar qualunque peso, senza eccezione, sa Quale importanza abbia il sab.ato per il giudaismo, si può vedere, tra l'altro, nel fatto che ben tre trattati della Mishna si occupano esclusivamente di questioni riguardanti il sabato: Shabbat, Erubin e Beza, ai quali bisogna aggiungere il trattato Shebiit, che si occupa dell'anno sabbatico. 51 Cfr. anche 2 Mach. 6,11; Flav. Ios., ant. 13,

    377. . si Cfr. inoltre

    I

    . Mach. 9,34.43 s.; FJav. Ios.,

    ant. 13,12 s.; 18,318·324; bell. l,146. Giuda Maccabeo, dopo aver riportato una vittoria in venerdl, il sabato sospende l'inseguimento dei nemici (2 Mach. 8,26 s.); cfr. an· 53

    che Flav. Ios., ani. 14,63 e SCHLATTER, Theologie. des Judentttms ri7. .st Cfr. le esenzioni di cui si parla in Flav. Ios., ant. 14,223-240. 55 Flav. Ios., beli. 2,517 s.: i Giudei non si fanno scrupoli, in giorno di sabato, di attaccare e respingere i Romani che si avvicinano a Gerusalemme. M In T. Er. 4,5-8( 142) si ritiene che in determinati casi sia permesso ariche di sabato marciare contro i nemici che avanzano; dr. STRACK-BILLERllECK I 626.s. 57 Testi in STRACK-BILLERlll!CK 1 952 s.

    ot::·.

    cr&.~~a:tov

    B 1b (.E. Lohse)

    come pure di apprestare qualsivoglia me- l'antica halaka senza apportarvi sensibili scolanza. A chi di sabato attinge acqua variazioni;. ma nei passi appena citati (2,29; cfr. 50,8), naviga (50,12), va a -tengono di norma una posizione più mocaccia (50 ,12) e persino a chi intrattiene derata 00 • Invece i gruppi più compatti rapporti coniugali (50,8), il Libro dei degli osservanti che, come i fedeli delGiubilei commina la pena di morte 58 • In l'epoca maccabaica, volevano difendere Dam. ro,21 (13,7) il cammino del saba- la santità del precetto divino e offrire to viene misurato in soli mille cubiti 59 • l'immagine della vera comunità d'IsraeGli animali recalcitranti non si possono le, continuano a sostenere e a promuoné battere né trar fuori a forza, di sa- vere l'interpretazione rigida dell~ torà bato (Jub. 50,12-; Dam. u,6 s. (13,15 sabbatica e ad esigere che la si osservi s.] ), né è perm~sso esigere da uno schia- integralmente 61 • Gli Esseni osservavano vo lavoro .di sorta (Dam. I I ,12 [ 13, il sabato più scrupolosamente degli altri Giudei, evitando di fare qualsiasi lavo2 r] ), e ·se. una bestia è caduta in una fossa non la si può tirar fuori (Dam. n, ro, di accendere il fuoco, di rimuovere 13 s. [ 13,22-24] ). Anche il culto dev'es- un-oggetto dal suo posto e c~rcando persere limitato al minimo indispensabile, sino di non fare i propri bisogni -p er tutche in Dam, II,17 s. .(r3,27) e in lub. ta la durata del giorno 62 • Anche i Saddu50,10 s. consiste nell'offerta dell'olocau- cei erano per l'interpretazione rigida del sto prescritto per il sabato. I rabbini ac- precetto 63 , mentre invece i Farisei e gli cettano numerose altre prescrizioni del- scribi si studiavano di evitare il rigoriPiù avanti le prescrizioni della Mishna si fanno alquanto più miti. Secondo Er. xo,7 di sabato è permesso, a determinate condizioni, f!ttingere acqua_; in Shab. 16,8 il viaggiare in nave non appare proibito, come pure la caccia, per la quale in Sbab. 1,6; 13,5 s.; 14,1 si ammettono alcune eccexioni permissive. La Mishna poi non contiene alcuna proibizione riguardante l'uso del matrimonio in -gi9mo di sabato. 59 Tuttavia in Dam. u,5 s. (13,14 s.) non si può condurre il bestiame a pascolare a più di duemila cubiti dalla città. Perciò c'è da diiedersi se anche in Dam. ro,21 (13,7) non sia da leggere 'lpim in luogo di 'lp. Cfr. ~ BRAUN 58

    I II7 n. I. 60 Cfr. ~ n. 58

    e le tavole comparative in

    ~

    BRAUN I n7-r20.

    Cfr. Dam. 3,14 s. (5,2 s.); 6,18 s. (8,15). Il Libro dei Giubilei e il Documento di Damasco furono sicuramente letti e tenuti in considerazione n Quin1an, come dimostrano i fram· menti dei due scritti rìtrovati nelle grotte. Cfr. O. EissFELDT, Einleitung in das A.T. ' (1956) 751.804.807 e la bibliografia ivi citata. In r QS il sabato non è ricordato. In I QpHab u,8 si ricorda «il sabato del loro» (scil. dei pii) riposo (Jbt ·mnwptm ). In I QM 24 si nominano insieme il novilunio e i sabati. Nelle 'Parole di Mosè' -si dice che gli Israeliti trasgredireb61

    bero «ogni sacr~ adunanza, il sabato del patto e le feste» (r Q 22 I 8 [Discoveries in the Judaean Desert I 92]). Infine il vocabolo Jbt si trova in r Q 27, fr. 4 (Discov. in the ]ud. Desert I 106). Nel contesto della rigorosa prassi sabbatica fra Ie cerchie dei devoti va ricordata anche l'indicazione di Nidda b. 38a bar., secondo cui gli antichi osservanti (!Jasidtm ri'Iontm) persino nella procreazione di figli avevano cura di non scegliere quel momento che rendesse probabile una nascita in giorno di sabato. Cfr. K. SCHUBERT, Did Gemei"de vom Toten Meer (1958) 36. 62 Flav. Ios., bell. 2,147. Secondo Philo, omn. proh. lih. 81, gli Esseni caratterizzavano il sa· bato dedicandosi all'istruzione, astenendosi da qualsiasi lavoro e radunandosi,nelle sinagoghe. Cfr. ~ BRAUN 1 74 n. 2. In vit. cont. 30 s., parlando dei Terapeuti che erano vicini ogli Esseni ma conducevano vita eremitica, dice che anch'essi si riunivano di sabato per ascoltare la parola di un anziano (v.it. cont. 30 s.). Uno speciale onore era da essi riservato ad ogni settimo sabato, alla- vigilia del quale si riunivano in bianche vesti per celebrare il culto e prendete il pasto in comune (vit. cont. 6582 ), a cui seguiva la sacra festività notturna della na.wuxl<; (vit. co"t. 83). , 63 Il permesso di fare una mescolanza ('erub)


    1043 (vu,10)

    smo nel tentativo di armonizzare, per quanto possibile, le prescrizioni con le circostanze e le esigenze concrete e di non turbare la gioia del sabato. Perciò le indicazioni raccolte nel trattato Shabbat della Mishna rappresentano la conclusione provvisoria di un'evoluzione abbastanza lunga 64, proseguita poi nelle discussioni dei maestri amorei 65 • I Giudei ellenisti avevano coscienza di essere tenuti a prestar obbedienza alla legge ·e ad osservare il sabato non meno dei loro fratelli di Palestina. Essi però non si accontentavano di fondare il precetto sabbatico richiamandosi al comando divino, ma si appoggiavano anche a certe speculazioni orfico-pitagoriche riguardanti il numero sette, allo scopo di attribuire al sabato un significato filosofico e di mostrarne e giustificarne il valore agli occhi degli ellenisti. Nel sec. II a.C. Aristobulo dice che il sabato è per natura diverso dagli altri giorni, «in quanto - riferisce Eus., praep. ev. 13,12,9 s. - esso segnerebbe in senso proprio la prima origine della luce, nella quale si scorgono connesse tutte le cose; lo stesso si potrebbe poi applicare alla sapienza, in quanto da essa proviene tutta la luce» (lì ~1) xai 1tPW'tTI q>UW't'~c; yÉVE 'tOC 'ItUV't'c.t crvvilEwpi::i:'t'c.tL. µE'tc.tq>ÉPOL'tO o'<ì:v 't'Ò OCÙ't'Ò xcx.i E1ti -.fjc; era dato dai Farisei a determinate condizioni che venivano invece respinte dai Sadducei (Er. 6,2; dr. Dam. II,4 s. [13,13]), i quali ritenevano pure che di sabato non fosse lecito offrire il sacrificio pasquale, mentre Hillel era d'avviso che quest'ultimo rimuove il sabato (T. Pes. 4,1 s. [162]); cfr. STRACK-BILLERBECK II 819 s. I Sadducei tuttavia non erano d'accordo con le comunità esseniche, le quali pen· savano che il dettato della legge equivalesse alla richiesta di obbedienza totale. Cfr. ~

    passim. Cfr. MooRE u

    DRAUN J,

    .

    u 819: «Spesso si è potuto constatare che al

    61

    27; STRACK-BILLER»ECK

    (vu,u) 1044

    uocplaç 't'Ò yà.p miv cpwc; EO''tLV t~ ocù't''i)c;). Dio ha voluto che considerassimo questo giorno come santo «e ce l'ha fatto conoscere chiaramente come giorno stabilito dalla legge per designare la norma del numero sette che domina su di noi, per la quale conosciamo le cose umane e divine» (OLc.tO'ECTcX(jll}XE o'1)µiv c.tÒ't'Ì)V i!woµov EVEXEV CTT)µELOU 'tOV 7tEpt 1)µ&.c; t~o6µ.ou ÀOyou xaili::cr'tw't'oc;, f.v i;> yvwcrw i!x;oµEv &.vilpw7tlvwv xcd i)i:;lwv 7tpayµci.'twv: ibid. 13,12,12). Come ..._ tutto nel cosmo si muove sul ritmo settenario, cosl il settimo giorno è stato posto da Dio come giorno di riposo (ibid. 13,12,13), «perché veramente esso è anche l'origine prima della luce, nella quale di tutto si prende visione e possesso» (Clem.Al., strom. 6,138,1: lì oli xai 7tPW't1J 'ttfl ov'tL q>W't'Òç yÉvE 't'à. mX.v•a uuvi}i::wpEi:'t'c.tL xocì. ?tli.v't'l'I. xÀ:ripovoµEi:'t'cx.t). Per Filone 66 il sabato è il giorno della nascita del mondo (spec. leg. 2,59.70). È importante notare, egli dice, che il termine cra~~c.t't'<X corrisponde al greco &.vamx.ucrLc; (riposo) o't't "tfl ov't't ò i!~ooµoc; àpti)µòc; i!v -tE 't'tf> x6crµ~ xaì. €v 1]µiv aù't'oi:c; àEi àcr-ra.ulaa't'oc; xcx.t à7toÀEµoc; xat à
    65

    66

    Cfr. anche TROJE, op. cit. (~ n. 44) 343-346.

    :ro45 (VII,Ir)

    cr&.(3~o::wv

    B rb-2a (E. Lohse)

    dimostrato dalle sette Svvaµé'.t<; operanti nell'uomo, delle quali la settima è la facoltà dello spirito sovrano ('lÌ 'ltEPi -;:òv 1)yEµ6vcx. vouv); ad essa quindi corrisponde il riposo (avcinocuO'L<;), che è il significato del sabato (Abr. 28-30 ). Il sabato deve pertanto esser dedicato al qnÀ.oO'ocpELV, per aver parte a quel DEW· pEL\I che Dio nel settimo giorno dedicò al creato (decal. 100) 67 . Passando in rassegna l'evoluzione del precetto sabbatico nel giudaismo dall'epoca dei Maccabei fino alla redazione della Mishna, abbiamo potuto rilevare che tutto il giudaismo aveva coscienza di essere obbligato alle prescrizioni della legge; ma nel corso dei secoli la maniera di intenderla subl dei cambiamenti, e si giunse perfino a concezioni che nella madrepatria erano diverse da quelle della diaspora. 2 . Il

    divieto di lavorare di sabato

    Perché si potesse obbedire alla legge, nel giudaismo si dovette incessantemente discutere e risolvere questo proble67

    Queste considerazioni 'filosofiche' del giudaismo ellenistico a proposito del sabato più tardi vennero fatte proprie e variamente sviluppate dalla gnosi cristiana (dr. ad es. Oem. AL, strom. 6,137,4-145,7) e dal giudeo-cristiasimo sincretistico. 68 Cfr. MOORE l i 30. 69 <(A proposito della scomposizione in casi singoli H Documento di Damasco è più vici· no ai rabbini; è pertanto chiaro che i Giubilei sono più antichi del Documento di Damasco». ~ BRAUN I 20. 1o I testi di Qumran, i Giubilei e il Documento di Damasco insistono sulla necessità che le feste e i tempi si osservino esattamente. Ai sacerdoti di Gerusalemme si rimprovera di se· guire un calendario errato. In Dam. 3,14 s. (5, 2) i sabati e le feste figurano tra le cose segrete nelle quali l'intero Israele ha tralignato (cfr. anche i QpHab u,8; i Q 22 I 8 [Discov. ]ud. Des. 92]). Perciò l'insistenza con cui i

    l Vl1 1 IIJ

    H14u

    ma: quali sono le esigenze che in concreto si devono dedurre dal precetto della Scrittura? Si rese cioè necessario sviluppare in una casistica sempre più articolata le prescrizioni della legge, applicandole a tutti i casi immaginabili 68 • a) Le prescrizionì dei Giubilei e del Do-

    cumento di Damasco

    Le più antiche serie di divieti, con un gran numero di lavori da non farsi di sabato, si trovano nel Libro dei Giubilei 69 • La ripetizione del racconto biblico della creazione sfocia nella fondazione del sabato ad opera di Dio e nella diffusa illustrazione del valore di segno che esso ha (2,17-33) 70 • All'interno di queste lunghe esposizioni vien dato un più preciso sviluppo alla proibizione del lavoro, alla cui trasgressione è riservata la minaccia di morte (2,25-27). Di sabato agli Israeliti non è consentito «fare la propria volontà, né preparare qualcosa da mangiare o da bere, né attingere acqua, e neppure accostare o scostare dalle loro porte, dentro o fuori, nulla che non abbiano predisposto nelle loro case Giubilei e il Documento di Damasco inculcano il precetto sabbatico va vista anche nel contesto dell'importanza che il calendario rivestiva per le comunità degli osservanti ai quali tali scritti appartenevano. Qui non occorre discutere i difficili problemi specifici connessi col computo del calendario che si presuppone nei Giubilei, nel Documento di Damasco e nei testi di Qumran. Cfr. A.}AUBERT, Le calen·

    drier des Jt1bilés et de la secte de Qumran: VT 3 (1953) 250-264; EAD., Le calendrier des Jubilés et /es ;ours /iJurgiques de la semaine: VT 7 (1957) 31-71; J. MoRGENS'I'ERN, The Cale11dar of the Book o/ ]11bilees, its Origin and its Cbaracter: VT 5 (1955) 34-76; J. 0BBRMANN, Cale11daric Elemems in the Dead Sea Scrolls: JBL 75 (1956) 285-297; J. MILIK, Le travail d'éditio11 des mam1scrits du Désert de ]uda: VT, Suppl. voi. 4 (1957) 17-26; E. KuTSCH, art . 'Chronologie' III in RGG1 1 1813.

    1047 (Vll,II)

    ua~~a-çov

    B 2a-b {E. Lohse)

    lavorando durante i sei giorni.. E nulla in questo giorno portino dentro o fuori da.casa a casa» (Iub. 2,29 s.). Al termine del libro si ribadiscono le leggi riguardanti le feste e i tempi, e soprattutto si torna a sottolineare espressamente il significato del sabato (50,6-13 ). Non meno severa è la spiegazione del divieto .di lavorare che si legge nel Documento di Damasco ;i, dove il divieto viene sviluppato in 28 disposizioni (ba~ lakot: rn,14-II,18 [13,1-27]) 12• Dopo il titolo 'l hJbt (ro,14 [J,1]) viene la serie dei divieti espressi in forma apodittica 73 , introdotti tutti da11a partice1la 'a/.(non), concisi e solo in qualche caso provvisti di una spiegazione o precisazione 74 per dire, tra l'altro, che di sabato non si possono percorrere più di lOoo (o, forse, 2000) 75 cubiti, non è permesso fare una mescola112a ('erub) 76, condurre il bestiame più lontano di 2000 cubiti, far uscire una bestia da una buca, aiutarsi con una scala, una fune o un altro strumento per trarre un uomo da una fossa 71, offrire un sacrificio che non sia l'olocausto prescritto per il sabato 78 • Con queste precisazioni tutti gli Israeliti 71 In un solo punto il Documento cli Damasco è meno. severo dei Giubilei,· quando cioè non prevede la morte per chi profana il sabato: chi ha profanato il sabato pu~ esser riam-

    messo nella comunità dopo sette anni (Dam. 12,3-6 [ 14,6 s.]}. Cfr. ~ BRAUN I u3.u9 n. 2. 72 Alcune precisazioni dei Giubilei non hanno il corrispettivo nel Documento di Damasco; per es. la proibizione di avere rapporti coniugali, cli accendere il fuoco e cli mettersi in viaggio. 73 Dalla formulazione stilistica si capisce che il catalogo non è stato sicuramente compilato ad hoc, ma risale ad istruzioni· giuridiche, che dovevano esser date di frequente alla comunità. Per ·il carattere ·di tali elenchi cli proibizioni dr. v. RAD, o.e. ("' n . 30) u-I4. 7l La proposi2ione positiva in 11,1 (13,10) interrompe la serie delle proibizioni: «Quando, per la strada, uno scende a lavarsi, può bete Jà

    che appartengono alla vera comunità di salvezza vengono mantenuti nell'obbedienza totale alla legge e nella rigida osservanza del precetto sabbatico. b) Le prescrizioni della letteratura rabbinica

    Nella Mishna le molteplici prescrizioni particolari, stabilite dai rabbini a proposito del divieto di lavorare, sono raccolte in alcuni elenchi di ammonimenti 79, .dei quali il più importante è il .ca- .... talogo di Shab. 7,2: «I principali lavori vietati sono quaranta .meno uno: che si leghino covoni; che si trebbi, si tratti col ventilabro e si faccia la cernita; .che si macini, si setacci, si impasti e si cuocia; che si tosi la lana, la si pulisca, la si cardi, colori e fili; che si ordisca, che si tirino due fili (sul telaio), li si intrecci e divida; che si faccia e si sciolga un nodo, si cuciscano e si scuciscano due punti per farne due; cacciare una gazzella, ucciderla e toglierle la pelle; metterla sotto sale, conciarne la pelle, raschiarla e dividerla; scrivere due lei:tere e cance11arle per scriver due lettere; costruire e abbattere; spegnete il fuoco e dove si trova», Vedi sopra "' n. 59. Dam. n,4 s. ,(13,13); leggi iJ'rb, dr. ~ BRAUN I n8 n. l. La congettura itr'b consentirebbe di veder qui una proibizione riguardante il digiuno; ma ciò equivarrebbe a mitigare la severità del comando che caratterizza Dam. 77 Di opinione diversa ~ ·BRAUN I u8; ma cfr. la recensione di K. SCHUBERT: BZ N.F. 3 (I959) 122. 78 Cosl anche Iub. 50,ro s.; cfr. "' BRAUN I u9. . 7J Nei rabbini si trovano anche elenchi ·di opere senza riferimento al sabato; per es. T. Ber. 7 ,2 dove Ben Zoma dà lode a Dio per aver egli creato gli altri uoinini affinché lo servissero col loro lavoro. Cfr. anche il catalogo delle <>pere proibite nei giorni festivi: T. Beza (j6m !Ob) 4,4 (207); STRACK-BILLERBECK Il 815 S.

    . 75 76

    0'6..~~a't"OV B

    1049 (vn,n)

    2b (b. Lohse)

    \ VH,Lj) LVJV

    accenderlo; dare un colpo di martello; giorno di sabato, come le attività comportar da un posto all'altro. Questi so- merciali e i processi. Perciò un'altra racno i lavori principali: quaranta meno colta, essa pure tiella Mishna (Beza 5,2), uno». In questo catalogo' con l'enumera- presenta un elenco che non corrisponde zione di 39 lavori principali si è tentato affatto a quello di Shab. 7 ,2: «Con quedi usare il valore numerico 40-1 80 per ste occupazioni (di sabato e nelle feste includere nel divieto di lavorare un in- si contravviene) al riposo sabbatico: non sieme sistematico di opere. Per spiegare si può salire su un albero, cavalcare una perché i lavori scelti siano proprio que- bestia, nuotare in acqua, battere le masti, alcuni dotti notarono che si tratta ni, percuotersi l'anca, danzare. Ci sono delle opere richieste per la costruzione opere per se stesse lecite,- ma che, se del tabernacolo 81 • Più tardi altri rabbi- compiute, costituiscono una colpa, e soni cercarono di ricavare il numero 40-r no le seguenti: non si può celebrare un dall'espressione 'lh hdbrjm, «queste so- processo 114, fidanzarsi con una donna, no le parole», di Ex. 35,r 82 • In seguito non ci si può togliere il sandalo (nella cela lista dei lavori proibiti venne sostan- rimonia di rifiuto del matrimonio per zialmente allargata con l'aggiunta ad o- levirato), non si può celebrare il matrigni lavoro di sei specificazioni; · cosl per monio del levirato. Ci sono opere coes. nella raccolta si fece entrare la mieti- mandate ma che non si possono fare, t ura, la vendemmia, il cogliere olive, la pena la colpa, e sono le seguenti: non falciatura, lo sterpare è il coglier fichi si può consacrare nulla, non si può fare (Shab. j. 7 [9c r-7]) 8l. Tuttavia il cata- una stima,- dichiarare una cosa anatema, logo dei 39 lavori proibiti con le relati- fare un prelievo o isolare una decima» 85 ; ve specificazioni non può esser preso èo- Anche · se si mettono insieme i lavori me una enumerazione completa, né co- enumerati in Shab. 7,2 e in Beza 5,2, me tale è stato considerato; non vi figu- non si ha ancora un quadro completo cU rano infatti alcuni importanti lavori che ciò che è proibito fare di sabato; basti non si potevano per nulla eseguire in pensare che mancano lavori importanti e~ MooRE JI 27 s. Dell'e rezione del tabernacolo si parla in Ex. 35.4· Poiché appena prima (Ex. 35,r-3) si parla del precetto sabbatico,· i rabbini collegano fra di .loro i due brani e giustificano l'elenco dei 39 la~ori fondamentali col dire che corrispondono a quelli richiesti per la costruzione del tabernacolo. Cfr. Sbab. b. 49b; 73b; 96b; B. Q. b: 2a; STRACK-BILLERBECK 1 616 s. 82 Secondo Shab. b. 97b b ar., Rabbi faceva questo conto: se il plur. dbrim equivale a '2 cose', allora hdbr;m, con l'articolo, equivale a 3; 'lh dà un valore numerico di 36; cosl abbiamo 36+3=39. R. Abbahu (c. 300 d.C.) faceva un altro calcolo: 'lh = 36; dht (singolare) = l cosa; dbrjm (plurale) 2 cose; quindi abbiamo 36+1+2::::39. Invece i rabbini della scuola di Cesarea ragionavano cosl: '= 1; l= 30; h( = fJ> = B; quindi r +30+8=39 (Shab. ;. 7,2 [9b,72-76]); cfr. STRACK·BILLBRBECK I 6r7. 80

    Cfr. Deut. 25,3

    BI

    =

    Cfr. STRACK-BILLERJIECK I 617; cfr. anche Philo, vit. Mos. 2,22: oò yàp ~pvoç, oò xÀ.&.lìo'll, opE~V fJ ~yxaÀ.Et\I fJ 8.l

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    1051 (vn,13)

    u&.~~CL"tO\I B 2b (E. Lohse)

    quali il commercio e la cura degli infermi. Fino a qual punto tali occupazioni siano permesse e proibite, è detto in numerose prescrizioni particolari, e la de. cisione è presa in base al principio che è proibito tutto ciò che in qualche modo appare come lavoro 86• La halaka contiene pure delle precisazioni preliminari tendenti a far sì che il pio giudeo non cada in qualche trasgressione per negligenza. Ad es., «un sarto non può uscire col suo ago poco prima che si faccia buio, perché non gli capiti, sbadatamente, di usarlo (quando il sabato è già iniziato). Cosl pure lo scrivano non può uscire col suo calamo» (Shab. 1,3). Con un simile steccato eretto intorno al sabato si cercava di prevenire ogni possibilità che nel giorno del riposo venisse eseguito qualsiasi lavoro. Chi poi, nonostante tutto, trasgrediva per negligenza il riposo sabbatico, era tenuto ad offrire un sacrificio di espiazione (Sanh. 7 ,8 ). Ma la profanazione intenzionale andava punita con la morte mediante lapidazione (Sanh. 7,4). Una cura speciale ponevano i rabbini nell'interpretare esattamente quei passi Qui non è possibile indicare le singole determinazioni. Basterà addurre alcuni esempi caratteristici, cosa che faremo nel paragrafo dedicato al N.T., quando quest'ultimo fa riferimento a speciali prescrizioni casuistiche della halaka sabbatica. 87 Shab. ,,I-4; per l'abbeveraggio cfr. Er. 2,1 s. e STRACK-BILLERBECK II 199 s. 88 Inoltre si precisa che è proibito inclinare d'un poco la lampada del sabato per dar più olio allo stoppino; T. Shab. 1,13 (no); dr. STRACK·BlLLERBECK IV 936. 89 Cfr. Sota 5,3; Ed. 4,3 ecc.; inoltre Hier., ep. 121,1:0: Solent ... dicere: Barachibas et Simeon et Helles, magistri nostri, tradidemnt nobis, 11t duo milia pedes ambulemus in sabbato. Poiché in pratica la distanza consentita di due mila cubiti spesso non risultava sufficiente, si cercava di aumentarla a seconda del86

    (VII,14) 1052

    dell'A.T. nei quali vengono date più precise istruzioni sul divieto di lavorate. Stando alla lettera della legge, anche gli animali erano soggetti al precetto del riposo (Ex. 20,rn; Deut. 5,14); occorrevano perciò più precise indicazioni sul modo di condurre gli animali all'abbeveratoio87. Secondo Ex. 35,3, di sabato non si poteva accendere il fuoco: ne veniva che la lampada del sabato doveva essere accesa prima dell'inizio del saba. to (Shab. 2,7 e passim) e che durante il riposo non si poteva nemmeno spegnere un lume (Shab. 2,5) 88 • Poiché in Ex. 16,29 si proibisce agli Israeliti di uscire dall'accampamento in giorno di sabato, se ne deduce che «a noi non è consentito fare un viaggio né di sabato né in giorno di festa» (FJav. Ios., ant. 13,252: oùx EçEo--.t o'1)µtv OU't'E -.otç cra;f3f3(hotç oih'Év -.TI Èop-.fi oOEUEtv); i rabbini poi indicano in due mila cubiti la distanza che si può percorrere di sabato 89• Sottili discussioni furono provocate dalla proibizione di portar qualsiasi sorta di pesi in giorno di sabato, stabilita in Ier. 17,21 s. e ripetuta in Shab. 7,2. Le minime quantità di ciò che in ogni caso si poteva ancora portare furono stabilite con precisione: «(trasgredisce il precetle possibilità del caso. Ad es., si allargava la sede sabbatica entro la quale si doveva osservare il riposo (un quadrato che proprirunente poteva misurare solo quattro cubiti di lato) fino a comprendere tutto il luogo in cui esso si" trovava, e cosl avveniva che ci si poteva muovere liberamente in tutta una città (T. Er. 4, 12 s. [ 142); altri testi in STRACK-BILLERllECK 11 592 s.). Per allungare il cammino del sabato si ricorreva anche alla teoria della «mescolanza dci confini» ('erub t'/;fìmin): per poter percorrere più di due mila cubiti, il giorno precedente il sabato si dovevano collocare, al termine del percorso sabbatico, vivande per due pasti; in. tal modo ci si assicurava una seconda sede sabbatica, dalla quale si poteva partire per percorrere un altro tratto di due mila cubiti. Cfr. Er. 4,7-9; 8,2 ecc.; STRACK-BII.· LI!RBECK Il 59r-593 S.

    cra~~ct'tOV

    B 2b-c (E. Lohse)

    (VII,15) 1054

    to) colui che porta tanto vino quanto (ne occorre) per mescere un bicchiere, tanto latte quanto ne occorre per un sorso, il miele [bastante] a coprire una piaga ... ; colui che porta una corda bastante per fare un cappio per una cesta ..., l'inchiosto per scrivere due lettere» (Shab. 8,r-4). Di sabato era permesso portare indosso ciò che serviva all'abbigliamento e al decoro indispensabile; tutto il resto era proibito (Shab. 6,r9) 90. Era vietato portar qualcosa da un ambiente a un altro (Shab. 7,2) 91 • Si cercavano anche tutte le scappatoie possibili per aggirare queste precisazioni oppressive. Ad es., due persone potevano portare insieme un oggetto che potesse esser trasportato anche da una sola (Sbab. 10,5) 92 • Era anche consentito portar qualcosa in maniera insolita, ad es. col piede o con la bocca (Shab. xo, 3). Oppure per strada un oggetto veniva passato da uno ad un altro, senza che nessuno lo portasse più di quattro cubiti, quanti erano consentiti in ogni direzione dal riposo sabbatico (Er. xo,2). La precisazione secondo cui in giorno di sabato non si poteva portar nulla da un luogo privato (ad es. una casa) a uno pubblico (ad es. la strada) e viceversa, veniva aggirata disponendo una 'mescolanza' (' érub): gli abitanti delle case adiacenti a un cortile depositavano di venerdl in una di esse un cibo fatto col contributo di tutti; cosl il complesso edilizio veniva a formare, insieme col cortile, uno unico grande complesso pri-

    Per quanto esteso fosse il modo di intendere il precetto sabbatico 95, vi erano pur sempre dei casi nei quali i rabbini riconoscevano la necessità che esso venisse sospeso per qualche impegno improrogabile. Ad es., i preparativi necessari per l'offerta del sacrificio sabbatico dovevano esser fatti dai sacerdoti anche nel giorno di riposo (Iub. 50,10 s.). In Dam. n,17 s. (13,27) l'unica cosa espressamente consentita è l'offerta dell'olocausto del sabato. Ma i rabbini insegnavano che il sabato rimaneva sospeso anche per il servizio nel tempio (Shab. b. 132b) e per preparare il sacrificio pasquale (Pes. 6,r); ìn questo caso ci si atteneva alla regola di R. Aqi-

    90 Cfr. STRACK-BILLERBECK II 457. Si distinguevano quattro tipi di ambienti: uno aperto (r'Jat hfirabb1m); uno privato (r'sfit ba;;a[J1d); uno misto (karm'lit), costituito da quegli spazi che avevano e del pubblico e del privato; uno libero, non proibito (miiq~m Pii!ur): T. Shab. 1,1 (no); cfr. STRACK-BILLERBECK Il 455. 92 Cfr. STRACK-BlLLERBECK IV 412 . 9J Cfr. STRACK-BILLEBECK IV 349. Per le diverse possibilità di aggirare la proibizione di tra-

    sportare oggetti disponendo in qualche posto un 'érub, si vedano le precisazioni del trattato Erubin, e anche -)o SCHilR.BR n 574-576. 91 Che si disponesse un 'érfJb era invece proibito nel Documento di Damasco (--+ n. 76) e dai Sadducei (n. 63). 9S Di questa tendenza ad ampliare il divieto del lavoro si ha un indizio caratteristico là dove si discute se si possa mangiare un uovo deposto da una gallina in giorno di sabato; cfr. Beza r,r; Ed. 4,1.

    91

    vato, e in esso era permesso trasportare oggetti 93 (cfr. Er. 3,1; 6,1-3.8-10 ecc.). (Oltre a questa 'mescolanza dei cortili' ('erub f>aferot), era possibile attuare anche la 'mescolanza del vicolo' ('erub-miiboj), sbarrando con una trave un vicolo o uno spazio chiuso da un muro su tre lati; fatto questo, si depositavano nello spazio cosl delimitato delle derrate, ed entro quei confini era consentito trasportare degli oggetti (cfr. Er. l,1-7 ecc.)9-1. Con queste trovate i rabbini si studiavano di attenersi alla lettera della legge, ma anche di armonizzarne, per quanto era possibile, le prescrizioni con le esigenze concrete. c) La sospensione del sabato in casi spe-

    ciali


    ba, secondo cui qualunque lavoro si po tesse fare alla vigilia del giorno di riposo non annullava il sabato (Pes. 6,2) 96 . Un giudeo che venisse a trovarsi in pericolo di vita poteva violare il precetto sabbatico 'TI. In questo senso al tempo dei Maccabei fu presa la decisione di difendersi con le armi anche in giorno di sabato 98 • A questa concezione si attennero i rabbini, dichiarando che in caso di pericolo era lecito anche di sabato salvar la vita con- la fuga 99• Ad un ammalato in pericolo di vita era permesso portare aiuto, anche violando il sabato (]oma 8,6) 100• Della sospensione del sabato quando si tratta di salvar la vita di un uomo tratta anche il detto di R. Shimon b. Menasja (c. 180 d.C.): «Il sabato è affidato a -voi, non voi al sabato» 101 • Ma questo detto non ha valore quando il pericolo di vita non è imminente; in questo caso, prima di far qualcosa per il malato si deve attendere la fine del sabato. Se a una donna sopraggiungono le doglie, le si può prestare l'assistenza per il parto (Shah. 18,3) per salvare cosl la vita d'un essere umano. Se di sabato scoppia un incendio, è lecito intraprendere i lavori necessari per salvarsi (Shab. 16,1-7 ). Finalmente, il sabato restava sospeso quando era necessario osservare il precetto di circoncidere ogni israelita maschio nell'ottavo giorno dopo la nascita (Gen. 17,10-12; Lev. 12,3); se questo giorno cadeva di sabato, si doveva ugualmente procedere alla circoncisione (Shab. 18,3; 19,1-3) 162 • Ma anche in questo caso ci si doveva attenere al prin96 .Cfr. STRACK-BILLERBECK IV 47. Peraltro i Sadducei non ritenevano lecito macellare gli agnelli pasquali in giorno di sabato, -+ n . 63. rn Questo motivo era addotto da alcuni maestri quale scusante di David, quando di sabato mangiò i pani della proposizione in Nob; dr. Men. b. 95b; - STRACK-BILLBRBECK I 618 s. e -+ coli. 1072 ss. 98 I Mach. 2,39-41; cfr. sopra -+ coll. 1039 s. 99 Tanh. ms'i 245a; cfr. STJtACK-BILLERBECK I

    (vu,15) 1056

    cipio, stabilito da R . Aqiba e universalmente riconosciuto, secondo cui sospendevano il sabato soltanto quei lavori che non si potevano fare alla vigilia del giorno di riposo (Sbah. ·19,1 ). ··

    In tutti i casi ricordati, nei quali era possibile sospendere il sabato, si tratta di eccezioni e di lavori indifferibili, che proprio come tali rendevano lecita la trasgressione del sabato. Ma nel· dubbio che ci fosse davvero una necessità .o un pericolo di vita, non era lecito profanare il giorno di riposo né fare lavoro di sorta 103• 3. La celebrazione del sabato

    Al termine dei sei giorni lavorativi il sabato ·veniva salutato con gioia, come una regina e una sposa (Shah. h. n9a). Questa giornata, dedicata esclusivamente al riposo e al ristoro, veniva celebrata in casa e nell'adunanza cultuale. R. Joshua {c. 90) raccomandava di dividere il sabato in maniera da dedicarne metà al mangiate e al bere e l'altra metà all'istruzione (Pes. b. 68b) mi. a) La celebrazione in casa

    La vigilia si dovevano fare tutti i preparativi per il sabato: prelevare la decima dei cibi del sabato (Shah. 2,7), apprestare il banchetto sabbatico (Shab. b. n9b) e conservarlo caldo, giacché in sabato non si poteva ·né accendere il fuoco né cucinare (Shah. 4,1 s.), .accon952 s. 100 Testi 533 s., e

    in STRACK-BILL!!RBECK I 623-629; li -+ col. 1078. 101.Af. Ex. 31,i:z (109b); dr. STRACK-BILLER11EcK- u 5. 1112 Altri testi in STRACK-BILLERllECK l i 487 s.; IV 24 s . 103 Tanh. B. lk lk § 20 (38b); STRACK-BILLER· 11ECK I 624, t(}i Cfr. STRACK-BILLERBECK I 6II.

    '

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    1057 (vu,15)

    cr«~~r.t-.ov

    B 3a (E. Lohse)

    ciare la lampada per il sabato e preparare un 'ériìb (Shab. 2,7). L'inizio del sabato era annunciato nel tempio dai sacerdoti 105 e nel contado dagli inservienti della sinagoga con un triplice squillo di tromba che indicava la separazione del profano dal sacro 106• Da quel momento si dovevano deporre le fìlatterie (Sanh. b. 68a) im, si accendeva la lampada sabbatica (Shab. 2,7) e si indossavano begli abiti> in modo da celebrare dignitosamente la festa 108•

    In generale la sera prima del sabato, sull'imbrunire, si prendeva il pasto (T. Ber. 1,1). Poi l'inizio del sabato veniva introdotto solennemente con la 'consacrazione del giorno' 109• Se vi era vino a sufficienza per due calici, si iniziava col mescere il primo, sul quale si pronunciava la preghiera di ringraziamento (Ber. 6,r ). Sul secondo, poi, il padre di famiglia recitava la preghiera di consacrazione del giorno, il cosiddetto qiddush (T. Ber. 5,4). Per questa benedizione ·R. Eleazar bar Sadoq (fine del sec. I d.C.) propose la formula seguente: «Mio pa· dre usava dire sul calice: [Sia benedetto] colui che ha santificato il giorno di sabato (qjds 't jwm hfbt)» no. In Ber. b. 49a si conserva una formula più lunga: Flav.Jo5., bell.. 4,582; Sukka 5,5. r. Sukka 4 ,II s. (199); Shab. b. 35b; Tanh. pn!is (243b); altri testi in STRACK-BILLERDECK I 580; IV '140·142, u11 Cfr. anche Shab. ;. 5b,61-63; STRACK-BIL! LERDECK IV 315 S, 100 Rebbi disse: «Santificate il sabato con l'abito!»,-Pes. r. 23 (117b). Altri testi in STRACKBILLERBECK I '6II.615. 109 Cfr. - ELBOGEN, l'#TZgang 173-187. HO T. Ber_3,7. Cfr. }EREMIAS, op. cii. <~ n. 84) 23; ~ MooRE II 36. io;

    106

    s. op. cit. (~ n. 84) 23 s., con fa documentazione. Il qiddush, originaria-

    lii

    Cfr.

    STRACK-J!ILLERBECK IV 632

    112

    Cfr.

    J. }EREMIAS,

    mente parte del pasto, in epoca amorea venne spostato alla sinagoga, quando invalse l'uso di

    (vn,16) 1058

    «Sia benedetto colui che ha donato i sabati a riposo del suo popolo d'Israele nell'amore, affinché siano segno e patto. Sia benedetto colui che ha santificato il sabato» 111 • Se avveniva che il pasto del venerdl pomeriggio si .protraesse fino all'inizio del sabato,-prima si terminava il banchetto, poi si inseriva il qiddush nella preghiera postconviviale m.

    II giorno di riposo doveva esser caratterizzato da una tavola ricca e scelta (Iub. 2,2r.31; 50,9s.; Shab. b. n9a ecc.) m. Di solito . nei giorni infrasettimanali si prendevano due soli pasti; di sabato invece se ne facevano tre 114• Perché l'allegria sabbatica potesse esser gustata a dovere durante i pasti, si consigliava di mangiar poco il giorno precedente, sl da cominciare il sabato con al>' petito (T. Ber. 5,1) 115• Di solito il pasto principale ·si faceva sul mezzodl, dopo la fine del culto (Flav. Ios., vii. 279 ). Al banchetto si amava invitare qualcuno per offrirgli una larga ospitalità (Shab. 23,2; T. Shab. 17,5 [137]) 11~. Di sabato non era permesso digiunare, per non intralciare il godimento della festa (ludith 8,6; Ber. b. 3x,b) 117• Al termine -della giornata festiva si tenere un'adunanza cultuale all'inizio del sabato. Cfr. - ELBOGEN, Gottesàienst :r:n; }EREMIAS, op. cit. (4 n. 84) 24 n. 2, 113 Altri testi rabbinici in STRACK-BILLERBECK I 6u-615.825. 114 Shab ..16,2; .dr. STRACK-BILLERBECK 1:-6u6"I5.

    us Cfr.

    STRACK-BILLERBECK 1

    6u s.

    Altri testi rabbinici -in STRACK-BILLERBECK II 202 s. 1l7 Il 9 di Ab, giorno della distruzione del tempio, non si digiunava, anche se cadeva in sabato, ma si mangiava e beveva a sazietà (T. TaaTZ. 4,13 (:221]; dr. STRACK·BILLRRBECK IV 89). Il digiuno in giorno di sabato ·era permesso solo in ben precisi casi eccezionall, per es., si poteva digiunare quando s'era fatto un brut· to sogno (Shab. b. :na); cfr. E . L. EHRLICH, 116

    1059 (vu,16)

    cr6:l3l3a:tov B 3a-b (E. Lohse)

    (vu,17) 1060

    tornava a indicare, con una speciale be- za difetti, e due decime di efa di pura nedizione, la divisione tra sacro e pro- farina temperata in olio, costituenti l'ofano 118• Durante la preghiera vespertina blazione; inoltre la relativa libagione si inserivano nella quarta benedizione (Num; 28,9s.) 119• I sacerdoti incaricati alcune parole indicanti il passaggio, le di celebrare questi sacrifici supplemenquali potevano anche esser recitate a tari dovevano essere più numerosi di parte a conclusione dell'ultimo pasto del quelli che offrivano i sacrifici degli altri sabato, accompagnate, se possibile, da giorni (Joma 2,y5); allo stesso modo, di un altro calice di vino. Queste parole (la sabato altri due sacerdoti in più dovecosiddetta habdala) secondo Pes. b. ro3b vano essere incaricati di portare i due suonavano: «[Sia benedetto] colui che turiboli all'altare della proposizione e di divide il sacro dal profano, la luce dalle rinnovare i dodici pani che vi si trovatenebre, Israele dalle genti, il settimo vano (Lev. 24,8; I Par. 9a2; Men. II, giorno dai sei giorni lavorativi». Una 7) 120• La classe di sacerdoti incaricata formula più completa è trasmessa da R. ogni settimana del servizio veniva semJoshua b. Levi (c. 250): «[Sia benedet- pre rilevata il sabato, dopo il sacrificio to] colui che divide il sacro dal profano, del mattino, mentre quella subentrante la luce dalle tenebre, Israele dalle genti, offriva il sacrificio della sera (Flav. los., il settimo giorno dai sei giorni lavorati- ant. 1a65; T. Sukka 4,24 s. [200]; vi, l'impuro dal puro, il mare dalla ter- Sukka 5,7s.) 121 • L'inno del sabato era raferma, le acque superiori dalle inferio- il Ps. 92 (cfr. v. 1) 122. ri, i sacerdoti dai leviti e dagli israeliti Di sabato, nelle sinagoghe di Palesti- e si conclude dicendo: [Sia benedete della diaspora 123 si celebrava il culto] colui che ordina il creato» (Pes. b. na 124 to • Il culto del mattino comprendeva ro4a). Questa formula indicava in tono solenne la fine del sabato e l'inizio della le stesse parti che costituivano125la liturgia del lunedl e del giovedl : recita nuova settimana. dello s•ma', della t"filla, lettura della Bibbia e relativa spiegazione 126• I passi b) Il culto sabbatico di Deut. 6,4-9; II,13-21; Num. 15,37Di sabato nel tempio si offrivano l'in- 41, appartenenti allo J•ma', erano recicenso e i sacrifici prescritti per questo tati come nei giorni feriali, ma con qualgiorno, cioè due agnelli d'un anno, sen- che ampliamento 127• Il sabato la t'filla si Der Tra11m im Talmud: ZNW 47 (1956) 141 . Altri casi in Taa11. 3 ,7. Cfr STRACK-BILLERBECK IV 236 s. Cfr. Iub. 50,10. Invece secondo Dam. 11,17 s. (13,27) di sabato si dovevano offrire soltanto gli olocausti sabbatici. Per i sacrllìci sabbatici dr. anche Flav. Ios., ani. 3,237. 120 Cfr. J.JEREMJAs, Jerusalem zur Zeit Jesu 118 119

    11

    A 2 (1958) 64.

    Cfr. SCHURER Il 336. In R.H.b. 3ra si riferisce che di sabato durante il sacrificio addizionale (ml1saf) si cantava il Cantico di Mosè (Deut. 32) e durante l'offerta del sacrllìcio incruento (mi11~8) i passi di Ex. 15,1-ro.:n-18; Num. 21,17 s. Cfr. EL121

    122

    BOGI!N, Gottesdienst n6 s.

    Testi di Filone e FJavio Giuseppe in Theologie des Jude11111ms 101 s. 124 Cfr. STRACK-BILLI!RBECK IV 153-188; ~ ELBOGEN, Gottesdiemt, specialmente 107-122. 123

    SettLAITER,

    125 ~ ELBOGEN, 1211 Cfr. il breve

    Gottesdienst

    u2.

    riassunto del culto sinagogale in Midr. Cani. 8,x3 (134a): «Gli Israeliti, dopo esser stati occupati per tutti i sei giorni (della settimana) nei loro lavori, il sabato si accingono e vanno alla sinagoga, recitano lo I'ma•, si portano innanzi allo scrigno (a reci· tare la preghiera delle 18 benedizioni), fanno una lettura della torà e concludono con una lettura dei profeti». Cfr. Sn.AcK-BILLERBECK llI 323; IV 153· 12'1 , . ELBOGEN,

    Gottesdic11st n4.

    ro61 (vn,17)

    cra~Bit-.ov

    B 3b-c (E. Lohse)

    riduceva a sette domande: si tralasciavano le tredici intermedie e tra le prime tre e le ultime tre benedizioni veniva inserita la benedizione del giorno (qdwJt hjwm: T. Ber. 3,12) 128• Per le letture della torà da farsi nella liturgia del mattino e della minl}a, come pure in quella del lunedl e del giovedl, il Pentateuco era diviso in determinate pericopi: in Palestina si aveva un ciclo triennale di 154-175 brani, mentre in Babilonia tutta la torà, suddivisa in 54 parashot, si leggeva in un solo anno 129 • Nella Mishna era stabilito che al sabato nel culto mattutino avesse luogo anche una lettura dei Profeti, oltre che della Legge; ma di essi non erano state fissate precise pericopi 130• Essendo fatta alla fine del culto, la lettura dei Profeti era detta anche haftara 131 , poiché rappresentava la conclusione della celebrazione, dopo di che l'assemblea veniva congedata 132• Anche alla haftara poteva seguire un sermone, qualora tra i presenti vi fosse qualcuno che avesse capacità e conoscenze tali che lo rendessero atto ad istruire la comunità 133 •

    (VII,I!S} IOo2

    Flavio Giuseppe scrive che «né tra i Greci né tra i barbari né tra alcun altro popolo vi è una sola città nella quale

    non si sia introdotta la costumanza nostra di celebrare il settimo giorno e non si osservino il digiuno, l'uso di accender lampade e molte delle nostre proibizioni relative ai cibi» (Ap. 2,282). Si tratta di un'esagerazione, che contiene però questa verità: in tutto il mondo ellenistico-romano vi erano comunità giudaiche che godevano della protezione assicurata alla religio licita e perciò celebravano liberamente il sabato. Il loro culto era oggetto di molta attenzione anche da parte dei gentili, per cui un certo numero di non giudei accettava costumi e usanza giudaiche. Certo, avveniva spesso che scrittori latini e greci mettessero in ridicolo il sabato dei Giudei 134, considerandolo semplicemente un giorno d'ozio, trascorso dai Giudei nell'indolenza e nell'infingardaggine m. Seneca rimproverava ai Giudei di sprecare nell'inerzia un settimo della loro vita 136• Se in sabato essi evitavano ogni lavoro, la cosa poteva avere una sola spiegazione: consideravano il settimo giorno come un tabù; difatti coincideva col giorno di Saturno, che dappertutto era ritenuto infausto (Tac., hist. 5 A) 137• Secondo Dione Cassio la presa di Gerusalemme ad opera sia di Pompeo sia di Erode, come pure più tardi ad opera di Tito, avvenne sempre nel giorno infausto di Cronos ( =Saturno) (37,16,4; 49,22,4; 66,7,2). Perciò ai

    128 ~ ELDOGEN, Gottesdienst 109. Per Ja preghiera addizionale del sabato cfr. W. STAERK, Altiiidische liturgische Gebcte, KlT 58 1 (1930) 21 s. 26 s. 129 Cfr. Meg. 34-6. Altri testi in STRACK-BILLl!RBECK IV 155 s.; MooRE I 297 s. 300; III 98 s.; ~ ELDOGEN, Gottesdienst 155 s. 130 Meg. 4,5; ELBOGEN, Gottesdienst 176. 131 Da hif{ir, tra/asciare; cfr. STRACK-BILLERBl!CK IV 166. 132 Cfr. STRACK-BILLl!RBECK IV 165-171. 133 Cfr..STRACK-BILLl!RBl!CK IV 171-188. 134 Cfr. Ja fondamentale raccolta di materiale

    in ~WoLFF r62-172. llS Cfr. Ovid., ars amatoria 1,76.416; remedia amoris 219 s.; Iuv., sat. r4,95-106; Persius, sat. 5,179-184. 136 In Aug., civ. Dei 6,u. In Horat., sai. 1,9,69 si deve adottare l'interpunzione seguente: hodie lricesima, sabba/a, «oggi è il noviluvio, quindi il riposo sabbatico». l37 Talvolta anche i rabbini hanno messo in relazione la settimana giudaica con quella dei pianeti, e quindi il sabato con Saturno (Shab. b. 156a). Naturahnente si tratta cli accostamenti tardivi, dai quali nulla è possibile ricavare circa l'origine del sabato.

    c) Il giudizio dei non giudei sulla cele-

    brazione del sabato giudaico

    io63 _(VII,18)

    ucif3{3a't'O'V B 3c-4a (E. Lohse)

    Greci e ai Romani l'osservanza giudaica del sabato doveva apparire come qualcosa di superstizioso. A giudizio cli Seneca, il _culto giudaico richiede soprattutto l'accehsione della lampada sabbatica nel tempo stabilito (ep. 95,47). Per spiegare il sabato. giudaico ai lettori greci, Plutarco equiparava Jahvé Sabaot a SabazioDioniso, divinità microasiatica (quaest. conv. 2 [II 67xe-672a]). Una siffatta spiegazione, come pure l'affermazione di Marziale che i Giudei digiunavano di sabato (4,4.7), mostra che nel mondo gr_eco-romano la conoscenza del giudaismo e della celebrazione giudaica del sabato .era molto superficiale 138• Gli apologeti giudei cercarono comprensione e forse anche consensi alla lor_o religione giustificando l'istituzione del sabato anche con parole di scrittori non giudei, dei quali: per lo più adduceva.Do citazioni falsate. Secondo Aristobulo, ad ·es., l'osservanza del sabato sarebbe menzionata in alcuni detti di Esiodo, Òmero e Lino (Eus., praep. ev. x3, 12,9-i6). Sebbene i Giudei fossero spesso oggetto di scherno, l'apologetica giudaica e soprattutto la rigorosa osservan1 za del sabato non mancavano di produrre una profohda impressione, al punto che venivano persino adottate certe usanze giudaiche, si osservava il riposo nel settimo giorno, si seguivano certe preserizioni alimentari, si digiunava alla maniera dei Giudei e insieme con loro 138 Giuseppe deve respingere le insinuazioni di Apione, secondo il quale tutti i Giudei, al momento di lasciar l'Egitto, si sarebbero ammalati di gonfiori ai genitali. Essi avrebbero mutuato il nome di sabato da questa malattia, detta appunto O'a~f3a·n.mc; (o 11a.~f3w; cfr. Ap. 2,20-27). È chiaro che Apione riprendeva un'espressione offensiva del linguaggio da strada di Alessandria, con la quale si !ntendeva ridicolizzare il sabato dei Giudei. Cfr. U. ScHEu.ER, uaf3~w tmd ua.~~hwoi.c; : Glotta 34 (19_s5) 298-300. IJ9 Cfr. SCHURER II1 166 s .

    (VII,18) 1064

    si accendevano lumi. Di ciò abbiamo testimonianza non solo nell'affermazione di stampo apologetico di Giuseppe (Ap. 2 , 282 [ ~ coli. ro6r s.]), ma anche in alcuni scrittori non giudei che ci dànno notizie circa l'influsso del sabato sul mondo pagano circostante. Svetonio narra di un certo Diogene, grammatico vissuto a Rodi al tempo di Tiberio, il quale voleva disputare solo di sabato; anche quando fu visitato dall'imperatore, egli non si scostò da quest'uso, ma lo accolse solo in sabato (Caes. 3,32). Tertulliano parla di certi pagani i quali, uniformandosi al costume giudaico, osservavano il riposo nel settimo giorno (nat. x3) 139 • Si può dunque dire che, oltre la cerchia delle comunità giudaiche che dappertutto nella diaspora santificavano il sabato in onore del Dio d'Israele, vi erano molti timorati di Dio e proseliti che celebravano essi pure il sabato come giorno di riposo. 4 . L'anno sabbatico a) L'usanza del maggese e il condono dei

    debiti ogni sette anni A partire dal II sec. a.C., e forse anche prima 140, risultano osservate in Palestina le prescrizioni della torà sull'anno sabbatico m. Dal I di Tishri si lasciava il terreno a maggese ( R. H; I, r ). Le conseguenze del mancato raccolto dovevano esser pesanti specialmente in 140

    Cfr. Neem. r o,32.

    Cfr. SCHìiRER l 35-37.214.258 s.; ~ MAHLER, Chronologie 103-n54xo-419; }ERE· MIAs, Jerusalem wr Zeit ]eru II A 1 (1958) 141

    J.

    57-61; ID., Sabbatiahr 11. nt.liche Chronologie: ZNW 27 (1928) 98-103; ScHLATTER, Theologie des ]udentums 12~ s.; DALMAN, Nbeit II 136-139; m r83-185 ; R. NORTH, Maccabean Sabbat Years: Biblica 34 (1953) 501-515; ~ CoRRENs; H. WILDBERGER, · Israel tmd sein Land: EvTheol 16 (1956) 4n-41 6; E. KuTSCH, art. 'Erlassjahr', in RGG l-u 568 s.

    a&.~~c:t'TO\I

    1o65 (vn,r8)

    B 4a (E. Lohse)

    tempo di guerra o di carestia. Casi di questo genere sono attestati di frequente1.u. In I Mach. 6 si narra che durante l'assedio di Bet-Sur e Gerusalemme ( r 63a.C.) tra gli assediati si ebbe una carestia «perché nella terra vi era il riposo sabbatico» (8-n O'afj~cx:•ov -i'}v Év -.l) yfj: v. 49), o «perché era il settimo anno»

    (oi.à 't'Ò

    M~ooµov

    E-.oç dvai.: v. 53; dr.

    anche Flav. Ios.,ant. 12,378). Di un anno sabbatico si fa menzione anche "in occasione dell'assedio della fortezza cli Dagon ad opera di Ircano nel 13.5 a.C. (Flav. Ios., ant. 13,234; bell. 1,60) 143 • Quando Erode, nel 37 a.C., ebbe posto l'assedio a Gerusalemme, i difensori patirono una grave carestia, «perché in quel tempo ci si trovò nel settimo anno» ('t'ÒV yàp !Pooµtt.'t'txòv Évi.a.u-ròv cruvl!311 xa"t"à. 't'OU't''Etvai.: Flav. Ios., ant. r4A75;

    cfr. anche l 5 ,7 ). Un altro anno sabbatico s'era avuto prima della ·conquista di Gerusalemrile ad opera di Tito (70 d.C.), e in seguito ad esso s'era fatta acutissima la carestia nella città 144• Secondo Flav. Ios., ant. u,j38, già Alessandro Magno aveva concesso ai Giudei l'esenzione dalle imposte ogni sette anni 1-45. Più tardi i Giudei, grazie alla tolleranza dei Romani, poterono celebrare l'anno sabbatico, come risulta da un decreto di 142 Oggi non siamo in -grado di dire se l'anno sabbatico si tenesse regolarmente ogni sette anni, poiché le notizie sono troppo frQJIUDehtaric. Per la cronologia degli anni sabbatici dr. -4 CoRRENS 25-33; discorde NoRTH, o.e. (-4 n. 141), specialmente 5n-5r4. 143 Ciò che dice Flavio Giuseppe quando parla dell'anno sabbatico analogamente alla prassi sabbatica è equivoco: tvla-tc1:ra.L -.b lhoç tiu;~

    vo,

    xa~'8

    auµ{3a.lvEL "ToÙç 'Iov8alovc; à:pyEi:v·

    xa.-.à o! l-n;-tÒ:. ~'t1) 'TOU'tO rtapa.'t1)pouaw, wç tv -raLc; t{3ooµam.v iJµipa.~c; (ant. r3,234); cf:r.

    bell. 1,60;

    ~ CORlU!NS 19

    s.

    T. Taan. 4 ,9 (220); Taa11. j. 4,8 (68d, 28f); Taan. b. 2§a; Ar. b. nb. HS Secondo Flav. Ios., ant. n,343 i Samaritani domandarono lo stesso favore. Il decreto di 144

    Alessandro è spurio. Cfr. ]EREMIAs; · Sabba.

    \VII,19} 1000

    Giulio Cesare, secondo il quale ogni st:tte anni non si doveva riscuotere alcuna imposta (Flav. Ios., ant. I4,202.206).:.I passi degli scritti di Qumtan riguardanti l'anno sabbatico 146 e le minute disposi~ zioni del trattato Shebiit, stabilite dai rabbini: per l'osservanza dell'anno del riposo; s(anno a testimoniare la serietà con ct1i si prendevano le istruzioni della legge. Nell'anno sabbatico andava sospe~ so il lavoro dei campi, mentre per il resto la vita seguiva il suo corso normale. Perciò ai rabbini interessava soprattutto di tracciare con esattezza la distinzione tra i lavori permessi e quelli · proibiti nell'anno sabbatico 147• Ma oltre al condono dei debiti sancito dalla legge si dovèttero dare più precise istruzioni 148• La lOgica dell'osservanza delle prescrizioni legali sul condono dei debiti ogni sette anni (Deut. IJ,9) avrebbe dovuto portare alla conseguen:ia generalizzata del rifiuto di prestare de. naro. Perciò Hillel (verso il 20 a.C:) stabili il cosiddetto prosbol (pr~sM!), cioè una dichiarip;ione legale con fu.quale chi c~ncedeva un prestito si rise!Vava di poterlo riscuotere in ogni temp0, quindi anche durante l'anno sabbatico (Sheb. 1013-7) '"'· In questo modo.-si tjahr (~ n. i41) _98 n. 2 . In I Q 22 m r-7 (D]D 1 94 s.) tra le ·'pa· role di Mosè' si ttovano ,delle istruzioni· cirCa l'anno sabbatico, da osservare· lasciando .~ripo; sare · toutlmente il terreno. In I -QM 2,6-9 si stabilisce che negli anni di remissione non si facciano né preparativi -né smantellamenti bellici, «poiché è un anno di riposo per·Israele»". 147 Per l'anno sabbatico cfr. ancora .r E
    hist. JA· . · ~·. 148 Per la remissione dci debiti alcune prescrizioni si trovano solo nell'ultimo capitolo: del trattato Shebiit, poiché al tempo della. redaziOne della Mishna la remissione non si ·p raticava più. 149 Cfr. STRACK-BrLLBRBBCK I 718. Si può -pen~ sare che Hillel non facesse · che legalizzare

    O'a~~rJ.'tOV

    B 4a - e I (E. Lohse)

    cercò di mitigare gli aspetti più duri della legge e di tenere in piedi la vita economica nonostante l'anno sabbatico.

    b)Settimana e sabato cosmici

    (vn,20) 1068

    nuova. Trascorsi seimila anni, il settimo millennio sarà un grande sabato, una pausa prima che spunti l'ottavo giorno, che darà inizio alla nuova creazione 154• In Sanh. b. 97a i rabbini insegnano che il mondo durerà seimila anni e poi per altri mille sarà distrutto, o che, dei settemila anni della sua esistenza, mille passeranno in stato di riposo 155• Quindi anche nel corso della storia del mondo si aspetta un grande anno sabbatico, prima che spunti il nuovo eone 156•

    L'apocalittica ha molto speculato sul corso della storia universale, che si compie in periodi successivi 150• In questi tentativi di calcolare la durata e la fine del mondo al numero sette compete una parte speciale (~ III, coli. 807 ss.) 151 • In Dan. 9,24-27, per es., si parla di 70 settimane d'anni, che incominciaC. IL SABATO NEL N.T. no con la distruzione di Gerusalemme per mano di Nabucodonosor e si svol- I. Il sabato giudaico nel N.T. gono fino a quando l'empietà è compleL'uso linguistico del N.T. coincide apta e piena la misura del peccato. In 4 Esdr. 7,3 I si legge che fra sette giorni pieno con quello giudaico(~ rn33 ss.) l'eone ora addormentato si sveglierà e L'ebraico Jabbat è reso con 't'O cr6:.(3(3ala corruzione svanirà 152• In Hen. slav. 'tO\l 157 (Mc. 2,27 s.; 6,2; Mt. 12,8; Le. 6, 33,1 s. la durata del mondo è computa- 5 ecc.), con Ti 'ÌjµÉpa -cou craf3f3
    BILLERBECK m 687. Per la concezione del sabato cosmico dr. anche STRACK-BILLERBllCK IV 969.976.990 s. 156 La concezione della settimana del mondo e l'attesa di un regno intermedio è usata dal veggente Giovanni nella elaborazione della sua dottrina del regno millenario (Ap. 20,1-10). Cfr. A. WIKF.NHAUSER, Die Herk1mft der Idee des tat1sendjiihrigen Reiches in der Apk.: Rom. Quartalscrift 45 (1937) x-24; fo., Weltwoche t1nd tausendfiihriges Reich: TheolQuart 127 (1947) 399-417; H.BIETENHARD,Das Tausendjiihrige Reich 2 (1955). 157 Plur. -tà o-ii.(3(3a-ta (Act. 17,2 ecc.), dat. plur. 'tO~<; o-li~f3rt
    -rii É'lt(,(j!WO"xouCTfl E~ µlav ua~f3iX-twv. L'espressione ÒljJÈ o-af3(3a-rwv corrisponde al rabbinico m()!i°N 1abbàt e~ col. 1034) e indica la notte tra il sabato e il primo giorno della set-

    cra~~Gt"l"O\I C I (E. Ìohse)

    1069 (vn,20)

    semplicemente Ti E~ooµ"r] (scil. 1)µ1pa.), 'il settimo giorno', esptessione di cui si hanno esempi nel giudaismo (~ ro35 ss.). Conformemente all'uso linguisticò giudaico (~ rn35), craf3f3a.i;o\I, al sin· golare, può significare anche settimana (Le. I8,I2: otç "COV cra.f3f3rhou, cfr. an· che Mc. 16,9; r Cor. 16,2); lo stesso si dica del plurale (Mc. 16,2: i;fi µLcy. "tW\I c;cx.f3f3ai;w\I, dr. anche Le. 24,1; Mt. 28, I; Io. 20,I.19; Act. 20,7).

    Il quadro del sabato, quale è stato ri· cavato dalle fonti giudaiche, trova conferma e compimento negli scritti neote· stamental"i. Nella vigilia 159 devono esser fatti tutti i preparativi necessari (~ 1056 ss.), affinché il giorno di riposo rimanga libero dal lavoro. È per questo che, per non profanare il sabato, si dovette togliere dalla croce il corpo di Ge. sù fin dalla vigilia (Mc. 15,42-47 par.; Io. 19,42) 100• A tutela della santità del giorno sta un severo divieto di lavorare. È proibito procedere a qualsiasi raccolto (~ coll. ro48.ro49), anche nella sem· plice forma di strappare spighe (Mc. 2, 23 s. par.). Proibito è pure prestare aiuto a un malato che non versi in pericolo di vita (Mc. 3,1 par.; Le. I3,14i 14,3 s.; Io. 7,23; 9,I4 [~col. rn55]), come an· che trasportare oggetti di qualsiasi tipo timnna, oppure il primo giorno stesso. Cfr. ad l.; P. GARDNER-SMITH, 'EIIIcl>.U:EKEIN: JThSt 27 (1926) 179-i:Sr.

    STRACK-BILLERBECK,

    =

    'ltctpaCTXEUTJ (Mt. .i7,62 ; lo. i:9,31.42; Le. 23,54). Qui si legge: xaL 'Ì)µipa -\1j'll 1tapaaxwi'jc;, xat crét~~a"l"O\I htÉ
    Giorno preparatorio

    l'apparire della prima stella all'inizio del sabato. Mc. 15,42, rivolgendosi a lettori ellenisti, spiega cosl: 1tGtP!lCTXEvi), B fo~~v 1tpocra~~!X.-

    (vn,21)

    ro70

    (I o. 5,9 s. [-+ coll. rn49.1052 ss.J ). La distanza che si può percorrere è solo quella .fissata per il sabato (Act. l,I2 [ ~ col. rn52]) 161.

    Le prescrizioni riguardanti il riposo sabbatico possono essere sospese solo in casi speciali per l'intervenire di doveri pressanti: i preparativi dei sacerdoti necessari per l'offerta dei sacrifici (~ col. rn54) devono esser fatti anche di sabato (Mt. 12,4 s.); ad un uomo o ad un animale che sia in pericolo di vita (~ col. 1055) si può prestare aiuto (Mt. I2,II s.; Le. 14,5 ),. cosl come anche di sabato si deve osservare il precetto che prescrive di circoncidere tutti i figli d'Isràele l'ottayo giorno dalla nascita (Io. 7,22 s.; ~ col. ro55). Il sabato è giorno di riposo (Le. 23, 56; ~ rn56 ss.), nel quale si ama invitare in casa degli ospiti (Le. 14-,1; -+ IO 5 8) per far del bene al prossimo (cfr. Mc. 3,4 par.). Ogni sabato nella sinagoga si leggono la legge di Mosè e gli scritti dei profeti (Act. 13,15.27; 15, 2I; Le. 4,16·20; -+ rn61). Gesù e i discepoli fanno come tutte le persone pie: di sabato si recano alla sinagoga per prender parte al culto (~ 1060 s.) "l"O\I. ·In Io. 19,14 "l"OV mxaxa.

    si menziona la 'lt!X.PtXO'XEV'Ì) .

    ..

    In lo. 19,31, in riferimento al sabato successivo alla parasceve, si nota: 1}'11 'YlÌP µeya'X.11 'li 'liµtpa ~xEl\lov "l"OV aa~~&.~ou. Il sabato è detto grande perché, secondo la cronologia giovannea, coincideva col primo giorno della festività cli pasqua-ma,r,rot. Cfr. STRACK-BIL100

    LERBECK II 581 S, 161

    Cfr. anche Mt. 24,20 7ad I . -> coli. 1091 ss.).

    1071

    (vu,21)

    ua~~tt-to\I

    e 1-2a (E. Lohse)

    e per approfittare del diritto, spettante ad ogni israelita maschio, di aggiungere alla lettura biblica un ·sermone o un'istruzione (Mc. 1,21 s. par. 162; 6,2 par.; Le. 4,16-21; :r3,10; Io. 6,59 [var.])..Allo stesso modo; di sabato i primi missionari cristiani entrano nelle sinagoghe e annunciano la buona novella di Gesù il Cristo (Act. 13,14 s. 42. 163 44; 16,13; 17,2). 2. Le.polemiche

    di Gesù sul sabato

    a) I racconti sabbatici in Mc. e i paralleli di Mt. e Le.

    Al termine di una serie di discussioni di Gesù con Farisei e scribi (Mc. 2,:r-3,6 par.), Marco ci informa su due conffitti sabbatici. Passando per i seminati, i discepoli strappavano delle spighe (Mc. 2, 23-28 -par.) 164• È vero che la 'legge permetteva di strappar delle spighe dal campo per ca.Injare la fame (Deut. 2 3; 26), ma i Farisei 165 obiettano Che racco162.Nella pericope di Mc. 1,:21-28 l'evangelista ha intrecciato due motivi: l'insegnamento autorevo1e di Gesù e la dimostrazione della sua t~ovcrla. mediante il miracolo (dr. BuL'rMANN; Trad. 223 s.). Nella narrazione i;!el miracolo non si 'p resuppone che fosse sabato. I testimcr ni presenti restano stupiti solo per la ll;ovcrltt di Ge_sù._(v. 27),_ma nessuno si scandalizza per· ché la guarigione sia avvenuta in sabato.

    m In Aci. 1 342 · 'tò µt:'t'tù;,ù O'aflfla:to\I. è il sabàto seguente; cfr. Aci. 13.i14: 'ti;> o~ lpxoµtv O'tt{lfl&.'t..:,•.'. ; '· · · : 164 Per l'episodio si yedatio, oltre ai· commentari, le due arbitrarie' interpretazioni di K; BoRNHAUSER, Ztir Pèrikope vo'm Bruch de's Sabbals: NkZ 33 (1922) 325-j34, "é B.MmtMELSTBIN, ::]e.rn Gb!1g durch die Saatfelder:

    (Vll,22) 1072

    gliendo spighe i ·discepoli compiono di sabato un lavoro non permesso_166: 8 oux ~~EO''tL\I ( = 'iistìr, v. 24). Gesù respinge la rimostranza appellandosi all'esempio di David che, fuggendo da Saul, giunge dal sacel'.dote Achimelech 167, gli domanda i pani della proposizione e li ottiene (r Sam. 21,2-7). Come il gesto di David comportava anche quello dei suoi uomini, cosl Gesù giustifica l'agire dei suoi discepoli (~ IX, col. :r403 ). È chiaro che il rapporto tra il racconto. veterotestamentario e questa violazione del sàbato ad opera dei discepoli di Gesù viene scorto nel fatto che in entrambi i casi vi sono delle persone pie che çompiono un'a2ione proibita 168• Ma il punto di confronto diventa ·ancor più chiaro se si osserva che l'esempio di David è stato.chiamato in causa anche nelle dispute sabbatiche degli scribi 169• Una parte dei rabbini era d'avviso che David avesse preso i pani della proposizio· ne in giorno di sabato, allorquando non si mancava mai di sostituire i pani vecchi con altri nuovi (Lev. 24,8) 170• Per discolpare David d'aver violato il sabato Angelos 3 (1930) n1-120. · Secondo Mc. e Ml. i Farisei si lagnano con Gesù del contegno dei discepoli, mentre in Le. si rivolgono ditettamente à questi ultimi. 166 L'atto, di . strappar le spighe è una sottospecie della mietitura, la quale veniva annoverata tra i 39 lavori proibiti; ~ col. 1049. 167 In Mc. 2,26 nomina erroneamente Abiatar, il quale esercitò 'il sacerdozio. ~olo più tardi, dopo Ja morte del padre; dr . .t Sam. 22,20 ecc. Mt. e Le. correggono tacitamente questa svista, liµiitandçisi a tralasciare il nome del sacerdote. . 168 Cfr. LoHMF.YEtt, Mc. 64. 169 Cfr. i testi in STRAcK-BILLruleECK I 618 s. e MuRMELSTEIN; o.e. (~ n. 164) n2 s. 110· COsl ·R. Shimòn (c. 150), secondo Men. b 165

    si

    xo73 (vn,:u)

    ua~~a:tov

    C

    si faceva notare che, fuggendo da Saul, egli s'era trovato in gravissima necessità e che il peric9lo della .vita sospende il sabato 171 • · · Nella discussione con i Farisei non si vuol difendere solo un atto isolato dei discepoli, ma si intende fondare sulla Scrittura e giustificare una prassi della comunità cristiana che si è liberata dal precetto giudaico del sabato 172; Questo atteggiamento della comunità nei confronti del sabato viene espresso in due 'massime di predicazione> che sono state aggiunte alla pericope. «Il sabato esiste per l'uomo, non l'uomo per il sabato» (v. 27). Parole di questo tenore sono note anche al giudaismo 173• Ma i rabbini con una massima siffatta non intendono ledere in alcun modo il precetto sabbatico, ma solo dire che, per 95b e la tradizione conservata in Ja/q11t Shim'oni a 1 Sam. 21,5 (S 130) e derivata dal Midrash ]'lamm•dentl. m Cosl l'insegnamento riferito nel passo citato e~ n. 170). Cfr . . STRACK-BnLERBECK r 619. 172 La contestazione dei Farisei nasce di fronte all'agire dei d,iscepoli, non di Gesù. Il dibattito che ne sorge si svolge nella formJl delle dispute che la prima comunità sosteneva con i Giudei. Perciò nella sua forma attuale la struttura di Mc. 2,23-28 par . .è opera della comunità (cfr. BuÒ'MANN, Trad. 14). 1'.uttavia il fatto che già con Gesù (senza aspettare la comunità) ci siano stati dei coiifiltti riguardo. alle prescrizioni del sabato può bene essere uno .dei tratti più sicuri. della tradizione, anche non è più possibilé ricostruire i particolari. Cfi;. - BRAUN JI 70,72. . 173 Cfr. il detto di R. Shimon b : Menasja (~ 15,r2 ss.). 174 Cfr. STRACK-BILLERBEèK II 5. .

    se

    2a

    (E. Lohse)

    (vn,22) 1074

    salvar la vita d'un uomo, sarebbe senz'altro consentito di violare il sabatom. Invece in Mc. 2,27 la considerai.ione per l'uomo e per i suoi bisogni è posta ·al di sopra del precetto 175• Ciò equivale a mettere in discussione l'obbligatorietà della legge in assoluto, ma non ancora a negare· in linea di principiò che il precetto sabbatico abbia valore. Ma il v. 28 («il Figlio dell'uomo è signote anche del sabato») aggiunge una novità sostanziale al v. 27. Qui non si trae una conseguenza da quanto precede, quasi ad attribuire all'uomo la signoria sul sabato 176, ma si aggiunge un detto originariamente indipendente, col quale la comunità cristiana professa la propria fede in Gesù Figlio dell'uomo, che in quanfo xvptoc; sta al di sopra anche della validità é dell'abolizione del sabato 117• La 11s Forse Mt. e Le. hanno tralasciato il logi6ti di Mc. 2,27 perché, a confronto col v. 28i · lìi giustificazione basata sull'uomo si considerava inadeguata. ar. - BRAUN n 70 n. I . .. . 176 Cosl già H. GROTIUS, Annotaliones in N.T. r (1755), ad l. Tra gli altri, è soprattutto W1m.• HAUSl!N, Mk. lo, che rifermre ul~·· ». · ·· ·

    invece

    1075 (vn,23)

    q&,ppa:rov C 2a (E. Lohse)

    sua signorja pone fine alla casistica sabbatica, e perciò nella frase conclusiva la comunità esprime pure il risultato a cui è giunta partendo dal conflitto sabbatico che le è stato trasmesso 178 • Nel passo parallelo di Mt. 12,1-8 179 la controversia tra Gesù e i Farisei risulta allargata grazie al ricorso a due passi dell'A.T. Anzitutto l'evangelista fa presente che, secondo Num. 28,9 s., per offrire i sacrifici prescritti per il sabato i sacerdoti devono per forza violare il precetto che proibisce il lavoro 1113• Ma se gli stessi precetti di offrir sacrifici sospendono il sabato, tanto piì1 le prescrizioni sabbatiche possono esser trasgredite ora che c'è qualcosa più grande del tempio (V. 6: o·n 't'OU ÌEPOV µE~SO'V ÈcrnV WOE) 181 • E per sottolineare che cosl è, si adduce subito la citazione di Os. 6,6

    («voglio misericordia, non sacrificio», EÀ.Eoç i>ÉÀ.w xat où 1>uO"la:v ), a cui l'evangelista ha già fatto ricorso in Mt. 9,:1 3, nella disputa con i Farisei 182• II comandamento dell'amore è superiore alla casistica del sabato. Se avessero capito la parola del profeta, i Farisei non condannerebbero i discepoli innocenti (v. 7 ). Ma perché questi sono senza colpa, pur avendo trasgredito il precetto sabbatico? L'affermazione che il Figlio dell'uomo è signore del sabato (v. 8) in Mt. sembra essere l'ultima ragione di ciò, non la conseguenza. Per questo i suoi discepoli sono sciolti dal vincolo del precetto sabbatico e hanno un precetto che supera tutti gli altri, cioè il dovere di esercitare la misericordia. In Le. 6,1-5 ·Ia pericope risulta più breve e anche più serrata m.

    178 Cfr. LoHMBYER, Mk. 66: «Cosl è legittimata anche la deduzione; essa indica la conclusione che la comunità .trae dai fatti e dalle parole di Gesù». 179 In Mt. 12,1, per spiegare il gesto dei di· scepoli, si dice che essi avevano fame. 180 Questo esempio tratto dalla torà nella discussione acquista maggior peso che non la storia della trasgressione della legge ad opera di David. Perciò Mt. aggiunge alla motivazione haggadica una precisazione halakica. Cfr. ~

    Non può trattarsi d'altro d~e del secondo sabato d'una serie. In 4,16 è stato ricordato il sabato; con 4,31 ha inizio la prima pericope sabbatica mutuata da Mc. Cfr. al riguardo Io. 2,11 (aPX'IÌ -rwv G'T]µ.Elwv), Io. 4,54 (lìEU't'Epov G'T]µefov). Nel giudaismo una enumerazione analoga dei sabati è sconosciuta. STRACK-BILLERBECK II Ì58 ricorda che, secondo L ev. 23, 15 s., venivano contati i giorni e le settimane dall'òffetta del primo covone fino a Pentecoste, e perciò pensa che 'il sabato secondo-pi:imo' sia il secondo tra Pasqua e Pentecoste. Nel Kerygma Petri si menziona un u&.P~o:rov 't'Ò À.Ey6µevov 1tpw't'ov (Clem. Al., strom. 6,5,41), e ciò suppone chiaramente una certa numerazione di sabati. Cfr. E. KLOSTERMANN; Apocrypba, KIT 3 (1933) 14. E. VOGT, Sabbatum 'deutero-proton' in Le. 6,I et antiquum kalenda· ri11m sacerdotale: Biblica. 40 (1959) 102-105, considera il termine ÒEV't'Epo1tpùyr~ come un'antichissima glossa e l'intende come indica· tionem liturgico-chronologicam. Il sabato ante oblatio11e111 spicamm (Lev. 23,n.15) sarebbe il

    DAUBµ 67-71 . 181 «Se violano il sabato i sacerdoti, tanto più lo può fare colui che è da più del tempio, colui che è il signore del santuario, il sommo sacerdote messianico». G. FRIEDRICH, Beobach-

    tungen zur messia11ischen Hohepriestererwartung in de11 Synoptikem: ZThK 53 (1956) 289. 182 Per la citazione di Os. 6,6 clr. K. STEN· DAHL, The School o/ Matthew (1954) 128 s. 18.l In Le. 6,x si dovrà leggere lv ua.PPb:t~ lìEVTEp01tpW't'~ (con i codd. ACD q> ~ vg).

    e

    I077 (YII,23)

    crci.~~Ct~O\I

    C 2a {h. Lohse)

    II cod. D mette la frase conclusiva alla fine del secondo conflitto e al posto del v. 5 riporta un altro racconto sabbatico. Lo stesso giorno in cui passa per i campi coi discepoli, Gesù incontra un tale intento a lavorare di sabato e gli dice che, se sa quel che fa, è beato, ma è invece maledetto e trasgressore della legge se non lo sa. La frase, formulata antiteticamente, rimanda senz'altro ad un ambiente palestinese 184• Ma è difficile immaginarsi che Gesù abbia davvero incontrato un uomo che lavorava di sabato 185• Si tratta piuttosto di un logion che fa dipendere l'abolizione del sabato nella comunità cristiana dall'l:'.tÙÉvai: possono trasgredire il sabato soltanto coloro che hanno una retta conoscenza 186 • Gli altti sarebbero maledetti come trasgressori della legge (cfr. Num. 13,35 s.). Quindi sembra trattarsi di un prodotto della comunità giudeo-cristiana, col quale si giustifica l'abolizione del

    sabato per coloro che sanno. II ·conflitto tra Gesù e gli avversari si accentua in una seconda scena, unita·alla precedente da un legame labile (Mc. 3,1-6 par.) 187• Gesù si reca in una sinagoga 188 e n s'imbatte in un uomo che ha una mano secca 189 • Secondo la halaka universalmente accettata, di sabato era permesso prestare aiuto a un infermo, ma solo quando egli fosse in pericolo di vita (~ col. 1055) 190• Ma la duplice domanda di Gesù agli avversari non lascia spazio a considerazioni casuistiche, poiché va da sé che di sabato si deve fare il bene 191, salvare la vita e non toglierla. Gesù guarisce l'infermo, dimostrando cosi che il Figlio dell'uomo è signore del sabato 192• Al termine del rac-

    sabatum primum post azyma et sec11ndum post pascha. Donde la conclusione: Antiq1111s igitt1r glossa/or, cum post vocem 'sabbato' (Le. 6,r) alteram 'deutcroproto' inscruit, videtur voluisse significare discìpulos spicas vulsisse sabbato ante dicm oblationis spicarum (103 s.). 1114 Cfr. J. ]EREMIAS, Unbekanllte Jesusworte (r95r) 49-53. IBS Che quell'uomo stesse compìendo un'opera di misericordia (JEREMIAS, o.e. ( ~ r84] 52) non è accennato da alcuna parola. 186 Si . paragoni il significato che ha 'sapere' negli scritti cli Qumran. Cfr. F. NorscHER, Zt1r theol. Terminologie der Qumrantexte, Bonner Bibl. Beitrage- IO ( x956) 38-63. 187 Secondo Le. 6,6 la scena si sarebbe svolta

    MANN, Apocryphu II)' K1T 8 (1929) 8; 3 NECKE I 96. Invece Marco si limita a

    tv

    hlp~ crcr.[3~6...-((l.

    Poiché si deve pensare alla sinagoga di Cafarnao, Mt. 12,9 e Le. 6,6 usano l'articolo (Elc; i:nv CT1Jvr1:ywyf,v). 189 Il Vangelo degli Ebrei è più pittoresco nel presentare la storia del malato, il quale dice a Gesù: cae111e11tari11s eram, manibus victmn quaeritans; precor te, Ies11, ut mibi resti· tuas sanitatem, ne turpiter mendice111 cibos (Hier.,_comm. in Mt. !2,13). Cfr. E. KLOSTER188

    HENindicare i pochi dati indispensabili per comprendere la vicenda. 190 Cfr. anche l'ampia raccolta · di materiali in STRACK-BILLERllECK I 622-629. Nel caso presente, dunque, avrebbe dovuto esser decisiva la considerazione che, «dato che la mano arida non comporta un pericolo diretto per la vita del . paziente, non è consentito operare la guarigione in sabato» (STRACK-BlLLBRllRCK I 623). 191 Si può confrontare la storia del pio Abba Tachna, il quale poneva l'opera di misericordia per un lebbroso al di sopra della corretta osservanza delle prescrizioni sabbatiche (Midr. Qob. 9,7; cfr. STRACK-BlLLERBBCK I 391). Ma per il resto i rabbini insegnavano che la gioia del sabato non doveva essere turbata col recar consolazione agli afflitti o col far visita agli ammalati. Cfr. i testi in STRACK-BILLERl!ECK I 630. 192 L'interesse

    del racconto non va alla guarigione, per la quale si hanno vari paralleli (I Reg. 13,r-6; Philostr., vii: Ap. 3,39), bensl al conflitto, nel quale viene dimostrata l'autorità cli Gesù.

    O"a~~a"t"O\I

    C 2a (E. Lohse)

    (vu,25) rn8o

    conto si constata in maniera breve e stringata l'avvenuta guarigione (v. 5) 193• Nella redazione di Matteo il secondo conflitto sabbatico viene ricollegato più intimamente al racconto che precede 194 e ancora una volta si dà maggiÒr peso alla controversia 195• L'evangelista ha usato un logion sul sabato trasmesso isolato, che in altro contesto è conservato pure in Le. 14,5 (~col. 1083). Anche in questo detto 196 l'uomo è posto al di sopra delle esigenze casuistiche della legge 197• Alla domanda introduttiva degli awersari Gesù replica con una controdomanda che esige una risposta affermativa: se uno ha una pecora e questa di sabato gli cade in una buca, di certo l'aiuta ad uscirne (v. II) 193. Di qui, con una conclusione a minori ad maius, si deduce che, avendo l'uomo ben più valore di una pecora, è lecito far del bene

    in giorno di sabato (v. 12). Con questa frase si riprende il pensiero contenuto nella duplice interrogazione di Mc. 3,4 e insieme si porta la polemica alla sua conclusione: al centro dell'esigenza posta dal comandamento di Dio si colloca il precetto dell'amore, non le prescrizioni casuistiche riguardanti il sabato. Alla domanda del V. IO: Et s;EO''tL\I 'toic; O'tX~~rt­ O'W i>Eprt1tEVO'aL;, «è permesso guarire di sabato?», si dà una risposta che va oltre il caso concreto; essa enuncia un principio di valore universale, alla luce del quale vien fissata la posizione della comunità rispetto al sabato: «Di sabato è lecito far del bene» ( v. 12 : Ù>a''tE E~EO''tW 'toic; a-cX.~~aO"L\I xa.À.wc; 7tOLEi\I ) . Il breve racconto della guarigione degli ammalati rappresenta cosl la logica conclusione della controversia vittoriosamente sostenuta 199•

    193 ll v. 6 ·non segue il termine della pericope, ma dell'intera serie cli con.Bit!! n::trati in 2,

    usato frequentemente nei dibattiti sabbatici e tramandato in diverse redazioni, delle quali la più antica si ha in Mt. 12,u s. Per Le. r4,5 ~ n.:w3. 198 Nella legge è prescritto cli soccorrere l'animale (Ex. 23,5; Deul. 22A)· il problema era se tale soccorso potesse prestarsi di sabato. La risposta di Dam. Ù ,I3 s. (13,22-24) è negativa (~ 1047 s.). Ma i rabbini non con· siderano vietato in blocco ogni soccorso; secondo la tendenza più severa è permesso dar d11 mangiare all'animale, ma non lo .si -può tirar fuori. Invece i maestri meno rigidi permettevano di aiutare l'animale ad uscire dalla fossa. Cfr. la discussione in .Shab, b. 128b

    I-3,6. 194 . La

    nuova pericope non incomincia, come

    Mc. 3,1, con un naÀ.w indetermi.n11to, ma con

    l'indicazione che Gesù passa dalla campagna alla sinagoga. 195 La fomia che le controversie· llssumono in Mt . .mostra chiaramente che la comunità matteana era 'tuttora impegnata fu ·:c'ontroversie còn la ·sinagoga riguardo al sabato. Cfr. G. D. K i LPAT1UCK, The Origi11s of the ·cospel accordiitg ·10 St. Matthew . (1946) rx6; per Mt. 20, 24 -~- coli. I09I SS. . ~96 I detti introdotti oon "t"Lc; · l~ ùµWv n·on hanno paralleli· r-iibbinici. Perci~ ·il logion va fatto risalire a Gesù stesso. Cfr. H. GRREVEN, «Wer imter euch...»: Wort u. Dienst; ·Jahrb. der 'Thool. Schule Bethel N.F. 3 (I952) 86io1:; G. Boll.NKAMM; Jer11s von Nazareth 1 ('t959) 63.u4.. ._ ·, · 197 È

    :. ·

    chiaro che il logion cli Gesù è · stato

    Ma

    (STR.ACK-BILLERBECK 1

    629). In

    Mt. r2,n

    si

    presuppone che il principio secondo cui .il sabaro resta sospeso quando è in pericolo là vita vada applicato anche à un animale. · 199 Nell'ulthna frase, che parla della decisione cli mettere a· morte Gesù, in Mt. 12,14 si nominano soltanto i Farisei, trascurando gli Ero-

    io81

    (vn,25)

    r;a~~a-rov

    C 2a-b .(E. Lohse)

    Il testo parallelo di Le. 6,6-II segue sostanzialmente la redazione di Marco. b) Le narrazioni sabbatiche nel materiale

    proprio di Le. Oltre i due racconti sabbatici presi da Marco, nel Vangelo di Luca vi sono altre due pericopi che parlano di guarigioni in sabato (Le. r3,ro-r7; 14,r-6). In Le. 13,15 si procede ancora con una argomentazione a minori ad maius: tutti, nel giorno di sabato, sciolgono un bue o un asino dalla greppia e lo portano all'abbeveraggio (v. 15)1.00. Accentuando il verbo À.UEL'll, se ne trae la conclusione che tanto più doveva esser sciolta dai suoi ceppi questa figlia di Abramo (v. 16). Rispetto a Mc . .3,1-6 par., nel racconto lucano della guarigione della donna ricurva (Le. 13,ro-17) spicca la circostanza che si ha prima la guarigione stessa, mentre 1a discussione con l'archisidiani (Mc. 3,6). La ragione può stare nel fatto che al tempo dell'evangelista non vi erano più Erodiani. Ma furono proprio i Farisei i soli che con le loro opinioni determinarono Ja vita della sinagoga dopo l'anno 70 e che nelle di· scussioni con i cristiani (anche riguardo .alla prassi sabbatica) provocarono la rottura definitiva tra .Ja sinagoga e la comunità cristiana. Un cenno alla separazione tra i cristiani e 111 sinagoga si ha all'inizio dcl v. 9, dove si dice che Gcs~ andò El<; -i:Tiv O'VVaywyfiv a.ò-rwv, cioè nella sinagoga dalla quale lui e i suoi discepoli erano già separati. 200 Il fare e disfare nodi secondo .Sbab. 7,-2 è uno dei 39 lavori principali proibiti e~ col. 1048 ). Però i maestri sapevano far valere determina~e. eccezioni. R. Meir (c. 150) dice: «Per un nodo che si può sciogliere con una sola mano nop si contrae colpa» (Shab. 15,1). Aµ. che di sabato era inevit11bile che si abbeverasse

    (vn,26) 1082

    nagogo viene in un secondo tempo. Sembra pertanto che Le. 13,10-17 sia da ritenere una compos.izione più rece.pte, sorta dal logion di Le. 13,15 2l'.l.•, dapprincipio indipendente 202 • L'evangelista ha preso la narrazione dalla trad.Wo9,<,! preesistente e, con un'osservazione redazionale conclusiva (v. 17b)~ l'ha inse· rita nel contesto da lui stesso composto, nel quale il racconto sabbatico serve quale esempio dell'impenitenza dei Giudei (13,1-9; dr. V1tOXpL-ra.l nel v. 15). Una composizione più recente, costruita in analogia .a Mc. 3,1-6 par., si ha pure in Le. 14,1-6. Mentre in Mc. 3, 4 la domanda rivolta agli avversari ·era formulata in modo tale che costoro non sapevano che rispondere (--+col. 1078), la frase di Le. 14,3 invece è solo un'eco tardiva di Mc . .3•4> espressione di una situazione nella quale il problema del sabato forse non era più acuto per la comunità cristiana. Invece la seconda domanda di Gesù agli avversari proviene da una tradizione antica. Essa suona: «C'è qualcuno di voi çhe, se un figlio o un bue gli cade in un pozzo, non lo tira su subito, (anche) in giorno di sabato?» il bestiame; ma era lec1to soltanto ciò che fosse strettamente indispensabile ·a questo fine. Cosl in Er. b. 2ob bar. si stabiliva questo: «L'acqua non si travasi né si metta davanti alla bestia in sabato; ma si può travasare ·e versare in modo che la bestia beva da sola». In Er. 2,1 s. si impartiscono disposizioni per l'utilizzazione delle fontane. Cfr. i testi in STRACK·BILLERllECK Il 199 s. 201 Questo però, in confronto a Mt. 12,n s. e al par. Le. r4,5 1 risulta «conservato in maniera meno giudaica; il punto di confronto non sta nella salvezza d'un animale e d'un uo· mo, ma - in forma sostanzialmente più letteraria - nel fatto che l'animale vien sciolto dalla greppia e l'uomo dall'infermità». M. DIBEuus, Die Formgeschichte des Evangeliums 3

    (1959) 94. 202

    Cfr. BULTMANN, Trad. 10.

    ua~~Q:"tOV

    C 2\x (E. Lohse)

    ('t'lvoç ùµwv viòc; il ~ove; Elc; cppÉa:p 'JtEcrE~'ta.t, :;ca;ì. ovx EùMwc;
    sinagoghe della Galilea (Le: 4 ,15). In giorno di sabato Gesù, secondo il suo 't'ÒV Èv 1)µÉpq. 't'OV cra.~~thou;, v. 5; cfr. solito, va nella sinagoga e dà inizio alMt. 12,II s.):im. Se ne deve trarre la conclusione che, se di sabato si viene in l'annuncio del suo messaggio con una aiuto a una bestia, tanto più si deve pre- predica programmatica a Nazaret (Le. 4, stare assistenza a un uomo 204 • La peri- 16-30). Sempre di sabato insegna nelle cope di Le. 14,r-6 sembra costruita a partire dal detto isolato di Le. 14,5, al sinagoghe (Le. 6,6; 13,10), ma viene requale offre l'opportuna cornice narrati- . spinto. Anche i suoi inviati incominciava 205 • L'evangelista ha preso la storia rono con l'entrare neJle sinagoghe (Act. dalla tradizione, vi ha premesso il v. 1 quale introduzione e ha usato anche la 13,14s.42-44; 16,13; 17,2; 18,4), sescena del banchetto per la successiva guendo la loro usanza di pii giudei (Act. composizione del detto e della parabola 17,2). Solo dopo che il loro messaggio ( 14,1-61-1 I .12-14.15-24). era stato ostinatamente respinto dai Giudei essi si recarono dai gentili. E con .Poiché l'evangelista Luca inserisce in ciò il vangelo incominciò a percorrere tal modo i racconti sabbatici in altri contutto il mondo. testi, ci si deve domandare per qual motivo in lui i racconti di conflitti sabbac) I racconti sabbatici in lo. tici sono assai più numerosi che non Nel IV Vangelo, nel contesto di due negli altri evangelisti. Per lui e per la sua comunità il sabato non era più un racconti di guarigione, si nota che queproblema attuale~; ma le pericopi sab· ste avvennero di sabato e che perciò batiche mostrano quale strada lo svol- Gesù si trovò impegnato in un'aspra digersi del compimento storico-salvifico scussione coi Giudei. Il comando al paabbia imboccato m. In Luca la vita pub· ralitico di Bethesda di levarsi, pren~ere blica non ha inizio con la proclamazio- il suo lettuccio e camminare (Io. 5,1-9) ne dell'imminenza del regno di Dio (Mc. è un'aperta violazione del precetto sab1,15),. ma con Gesù che insegna nelle batico e quindi una provocazione per i M. BLACK, An kamoic Approach to the Gospels and Acts 2 (19.H ) 126 ha mostrato che in aramaico il detto forma un gioco di parole: ut6c;=b'ra', ~ouc;=b"ira', cppÉct.p= bera'. Nella redazione lucana del logion fa meraviglia veder nominato, accl!Ilto alla bestia, anche il figlio, che non è ricordato né in Ex. 23,5, né in Deut. 22A e nemmeno in Mt. 12,u s. Per spiegare la cosa, Black suggerisce che, forse, l'aramaico b"ir1l' (animale) abbia indotto per errore prima a leggere b•ra' (figlio), poi a tra· durre variamente con 7tp6~a."tOV, O\IOç e ~ovç. Cfr. anche J . }EREMIAS: GGA 210 (1956) 9 203

    (recensione del libro di Black): b"ra' è <mn ampliamento orientale autentico dell'originario gioco di parole b"tra'/ bhii', che nel corso del· la tradizione orale diventa b'rii'/b''ira/berii'». :11:)4 Per la haJaka giudaica in questo caso ~ n. 198. 2115 .Cfr. BuLTMANN, Trad. 10. n In Mt. le cose stanno diversamente, ~ n. 195. m Cfr. E. LOHSE, Lk. als Theologe der Heilsgeschichte: EvTheol 14 (1954) 256-276 (speciahn. 266 s.) e, per l'insieme del problema, H. CoNZELMANN, Die Mitte der Zeit 1 (1959).

    cr6;f3f3a-rov C 2c (E. Lohse)

    (vn,28) 1086

    Giudei 208 • Dato che il trasporto d'un og- ché - dice Filone 212 - Dio non cessa getto era annoverato fra le 39 opere mai di creare e di operare. I rabbini poi principali proibite di sabato (Shab. 7, adducono vari motivi per sostenere che 2) 209, questa violazione della legge non l'agire divino continua anche di sabato poteva non scatenare l'opposizione dei e che egli è sempre all'opera quale conGiudei. Gesù si difende 210 passando al- servatore e giudice del mondo 213 • La l'attacco: ò 1ttt."t"TlP µou itwc; &p'tt Èpya1;e:- parola di Gesù accetta queste considera'ttt.t, x&yw Èpya1;oµ.a.t, <~il Padre mio è zioni e sottolinea la continuità dell'agire tuttora all'opera, e anch'io opero» (v. divino, che non trova ostacolo nemmeno 17 ). La premessa si riferisce al quesito, nel sabato 214 • Ma poi si continua: come spesso discusso fra i Giudei, se anche opera il Padre, così anch'io opero. Con Dio, come gli Israeliti, fosse tenuto al queste parole si rivendica per Gesù il precetto sabbatico, dato da lui stesso, diritto di operare in continuità poiché, e se quindi nel giorno di riposo doves- in quanto Figlio, gli spetta un'autorità se interrompere il suo lavoro. Alla do- divina e perciò il suo agire non conosce manda il giudaismo ellenistico e i rab- sospensione, nemmeno a motivo del sabini rispondevano negativamente 211 , poi- bato 215 • I Giudei capiscono perfettamenDapprima nella narrazione del miracolo (vv. I·9"> non si fa parola del sabato. Solo dopo, nel v. 9b, l'evangelista aggiunge l'osservazione che 1')v 6È crétf3f3a-rov lv txElvn -tli i]µlpq;. 209 Il materiale riguardante le singole prescrizioni, ampiamente discusse dai rabbini, si trova raccolto e ordinato in STRACK-BILLBRllECK II 454-461. 210 Gli imperfetti H>lwxov (v. 16) ed ~!;1)-rouv (v. 18) sottolineano l'ostilità assidua dei Giudei contro Gesù; allo stesso modo E1tOlE~ (v. 16) ed n .VEV -çÒ cr6;f3f3a"tOV (v. 18) indicano l'atteggiamento costante e il modo di agire solito di Gesù. 211 Cfr. STRACK-BILLERBECK II 461 s.; BA.UER, ]oh. 82; C. H. Donn, Tbe Interpretatio11 of the Forth Gospel (1953) 320-328. 212 Dio, se da un lato fa riposare dal lavoro le forze create operanti, dall'altro ov naveTtx\ ••• 1tOLWV cxv-r6c; (leg. ali. r,6). Cfr. anche Aristobulo in Eus., praep. ev. 13,12,II = Clem. Al., strom. 6,r41 s. 213 Secondo R. Hoshaja (c. 225) nel settimo giorno Dio ha smesso di lavorare nel mondo, ma non sugli empi, che egli continua a giudicare e a punire (Ge11. r. 11 [8c] a 2,2). Rabban Gamaliele n (c. 90) adduce una conclusione 200

    r. minori ad maius: se l'uomo, di sabato, può

    spostare qualcosa entro la sua proprietà privata, tanto più può lavorare di sabato Iddio, del quale tutto il mondo è proprietà privata (Ex. r. 30 [89d]). Cfr. STRACK-BILLBRBBCK n 46r s.; H. OoEBERG, The Fourth Gospel (1929) 202.

    214 Per la spiegazione della locuzione ~wc; ap-r~

    dr. C. MAuRBR, Steckt hinter ]oh 5,r7 ein Vbersetzungs/ehler?: Wort u. rnenst, Jahrbuch der Theol. Schule Bethel N.F. 5 (1957) 130140. Richiamandosi a una supposizione di BULTMANN, Joh. 183 n . 6, Maurcr avanza la proposta illuminante di far risalire lwc; 8.p-r~ a un '6d semitico, che può indicare sia la durata sia il punto finale. Poiché in Io. 5,17 non si indica un punto finale, l'espressione dev'essere intesa come un à.El indicante la durata; cosl viene sottolineata la permanenza dell'operare divino.

    Nel nostro passo non si ha un interesse liturgico dell'evangelista, dato che non si accenna che la domenica subentri al sabato. Di diverso avviso è O. CULLMANN, Sabbtit u. Sonntag 11ach dem ]oh.-Ev., In Memoriam Ernst Lohmeyer (1951) i27-13r; Io., Urchr. tmd Gottesdienst 1 (1956) 89. 215

    1o87 (vu,28)

    a&~~O:'t"O\I

    C

    2c

    (E. Lohse)

    (VII,28) 1088

    te. c~e con .".iò Gesù non solo ha violato il sabato, ma lo abolisce,. Chiama Dio padre suo, facendosi uguale a Dio (v. 216 1 8) • Cosl il racconto della trasgressione del precetto sabbatico porta alla questione decisiva: se si riconosca, o meno, il potere di Gesù quale inviato di Dio. Intorno a questa questione si muove il complesso di discorsi che seguono (5, 19-47) 217• Il conflitto sabbatico poi si conclude con un breve scambio di battute fra Gesù e i Giudei (7,19-24) 218• Ges.ù _chiede alla folla (oxÀ.oç): «Ho compiuto un'opera sola (si riferisce alla guarigione appena operata) e tutti ve ne meravigliate?» (ev Epyov ~1tol'r)cra xa.t 1tav't'Eç l'ta.uµtisE't'E SLà -roiho;, vv. 21 s.) 219• La circoncisione prescritta dalla legge é praticata già dai padri (Lev. 12, 3; Gen. 17,10-12) porta sempre a violare il sabato, giacché la prescrizione di pratica,rla l'ottavo giorno dopo la nascita del bimbo dev'essere osservata anche quando tale giorno cade in sabato (vv:-2ù.) 220• Ora da ciò si deduce una conclusione a minori ad maius: se anche

    di sabato l'uomo riceve la circoncisione perché non resti violata la legge di Mosè, come è possibile prendersela con Gçsù perché ha guarito di sabato tutto l'uomo (v. 23)? Frasi di questo tenore si trovano anche nei rabbini; ma esse n;lirano solo a permettere che si infranga il sabato in determinati casi di forza maggiore, quando è necessario soccorrere senza indugio un uomo che si trovi in pericolo di vita 221 • Perciò la conclusione tratta da Gesù non è valida per ascoltatori giudei, non avendo la guarigione salvato un uomo dalla morte, ma vuol esprimere la sua pretesa di essere inviato da Dio. Ed è proprio questa pretesa che viene avanzata una volta ancora. Una siffatta conclusione del conflitto mostra una volta di più che per la comunità cristiana alla fine del r sec. il precetto sabbatico era ·definitivamente liquidato. Poiché Gesù ha abolito il sabato (5,18), il suo operare di sabato è espressione della sua eccellenza divina. E la comÙnità che professa la sua fede in lui è come lui liberata dal sabato.

    216 Qui s.i riflette il rapporto tra chiesa e sin11goga itl.ln fine del I sec. -

    /Dsten» Redestiicke in ]oh J: ZNw 49 (1958) 98. 21~ Per la divisione della frase ~ BuLTMANN, Job. 208. 220 Per la sospensione del sabato a causa della circoncisiope ~ col. 1055 e il materiale in STRACK-BILLERBECK II 487 s. 221 Cfr. il detto di R. Elezar b. Azarja (c. 100): ~<Se sospende il sabato la circoncisione, che riguarda solo uno delle 248 membra dell'uomo, tanto più l'intero suo corpo [quando sia. in pericolo di vita] deve sospendere il sabato». ]oma b. 85b; dr. STRACK-BILLERBECK II 488 e i paralleli rabbinici ivi elencati. ·

    211 Il v. 17 rappresenta pure il tema del successivo discorso di Gesù (5,19-47). Come il Padre, c<;>sl anche Gesù opera la salvezza e il giudizio. Cfr. MAuRER, o.e. (~ n. 214) :139 s. 2IS La pericope Io. 7,15-24 in origine si collocava_ senza. dubbio al termine del cap. 5, e probabilmente è finita nel suo posto attuale in seguito a uno scambio di fogli; qui non è che Un esempio del liLo&O'xtw di Gesù (Io. 7,x4). Cfr. E. SCHW!!IZER, Ego eimi, FRL 56 (r939) 1ci8-t11; BULTMANN, Joh. 177 's. 205209; R. ·scHNACKENBURG, Di!! «situationsge-

    cr
    Stando al racconto della guarigione di un cieco nato (Io. 9,1-41 ), un sabato 222 Gesù aveva sputato per terra, con la saliva aveva fatto un impasto e l'aveva messo sugli occhi del cieco per guarirlo (vv. 6 s.). Ora, il fare un impasto è uno dei 39 lavori principali espressamente proibiti in sabato (Shab. 7,2): È quindi chiaro che Gesù non osserva il sabato 223 e perciò a giudizio dei Farisei non può essere che un peccatore (v. 16). Ma altri domandano se sia mai possibile che un peccatore compia simili segni; e così tra i Giudei nasce una divisione (CTXLO"µoc, v. 16). Anche qui Gesù, lavorando in giorno di sabato, vuol significare che lo fa in quanto è inviato-da Dio e cpwc; -cov xoO"µou, «luce del mondo» (9,5; 8,12). A confronto con lui si de-

    cide chi è cieco e chi 'ci vede (9~39-41). Cosl nelle guarigioni operate hi sabato si rendono manifeste le. opere di· Dio (9,3). La professione di fede in lui o il rifiuto appassionato del suo agire che dissolve la legge sono i tratti che dividono la chiesa dalla sinagoga 224 • 3. Il sabato ~n alcune çomun,ità cristiane.

    . .Tutti e q~attr~ .i . vangeli: sono c~n~ cordi nell'attestare che Gesù morl in croce un venerdl (Mc. 15,42.; Mt. 27,62;, Le. 23,54; Io. 19,31-42) 225 e che risorse dai morti il pr~mo giorno deUa settimana (Mc. 16,2; .Mt. 28,1; Le. 2_4,1; Io. 20,I-19) 226.'La èomunità cristiana s1 raccoglie a celebrare 1a liturgia il ·primo giorno della settimana (I Cor, 1.6,~; Act. 20,7) per fe~teggiare il giorno .della .resurrezione di Gesù quale xvpi.ocx1} 'l'}µipoc (Apoc. l,1o)w. La domenica, la"q1j origine risi_1le ai tempi più remoti della

    La precisaz.ione che 1a guarigione ebbe iu0I Cor. I5A- xa-t4 -r<Ìç ypa.cpa.; non è da ingo di sabato viene fatta di nuovo po_steriortendere come detto del terzo giorno, ma della . mente, nel v. 14. Cfr. ~ n. :zo?. resurrezione _di- Cristo, -p er- la quale, per f!~•• in Att..--2,25-:z.8 çome prova. scritturistica viene· 223 I rabbini si chiedono anche quali oftalmie possano esser trattate con wmata in. giorno addotto · Pf. 16_,8 -ll. Nonost_a nte la .differente datazione della _pasqua, i sinottici e· Io. sono di sabato (A.Z.b. :z8b). Ma ci si è sempre attenuti al principio_che in sabato si 1>9tevano d'accordo neU'assegoare la çrocifissione alla parasceve e la resurrezione· di Cristo al primo prestare delle cure solo in ç_a so di . pericolo giorno della settimana. Quindi deve .trattarsi acuto. Cfr. STRACK-BILLERJ\ECK II 533 s. di una . $UCcessione . cronologica malto antica, 224 Cfr. L. GoPPELT, Christentum 11. Judentumim ersten u. :zweiten _Jahrhtmd., BFfh II 55 corrispondente alla realtà storica. Cosl Ges~ ­ venne c;roci.lisso ùn venerdl, e la prima appa(1954) 46 s. Per i Giudei, Gesù è sabbati tizione del Ri$orto -ayvenne Ja domeni~ .sedes/ructor (Tertull., spect. 30). guente. Cfr. nnçhe B. LrnTZMANN, Gesc.hichle lli Cfr. ~ ]EREMIAS, o.e. e~ n. 84) IO. I sider alten Kirch(! 1 1. (1953) 60 s. Per l'indicanottici e Io. indicano per questo venerdl due zione dei tre giotni ry .Iv, colL r:zo-u·5. ·H. date diverse. GRASS, Ostergescheh.en u. Oste.rberic.hl
    ua~~a:to'll

    (vn,30) 1092

    C 3 (E. Lohse)

    chiesa 228, venne celebrata in tutte le comunità etnico-cristiane.

    pregare perché la catastrofe non sopravvenga d'inverno; ma il corrispondente Mt. 24,20 dice: «Pregate perché la vostra fuga non avvenga d'inverno e nemmeno in sabato» (1tPOCTEUXE<1i>E OÈ l:va

    Le comunità giudeo-cristiane continuarono a sentirsi legate al giudaismo e dapprima si attennero in gran parte all'osservanza della legge e del sabato. Già in Matteo abbiamo dei dibattiti strutturati con citazioni scritturistiche e parole del Signore, i quali lasciano intendere che il problema del sabato per le comunità giudeo-cristiane non era affatto divenuto irrilevante (~ n. 195); inoltre in Mt. 24,20 abbiamo una prova che i giudeo-cristiani continuarono ancora ad osservare il sabato. Nell'apocalisse sinottica, in Mc. 13,18 si legge che negli orrori dell'ultimo tempo i fedeli devono

    dichiarato che, quando fosse in pericolo la vita, era lecito di sabato darsi alla fuga 229 • Ma se, di fronte agli orrori della fine, non si può evitare nemmeno la profanazione del sabato, vuol dire che l'evento è ancora più spaventoso 230• I giudeo-cristiani, che continuavano ad offrir sacrifici nel tempio (Mt. 5,23) e a pagare anche il tributo del tempio (Mt. 17,2427), continuavano pure, in ossequio alla

    mud: ZNW 6 (1905) 202. 223 Qui non è il caso di trattate più ampiamente l'origine della domenica cristiana, le cui prime testimonianze si hanno in Barn. 15, 9; Did. 14,1; lgn., Magn. 9,1; Iust., apol. l,67, 3.7; dial. 24,1; 41A; 138,1; Plin., ep. 10,96,7. Indubbiamente se la domenica si affermò CC>me giorno festivo, ciò dipese anche dal fatto che fin dal sec. I a.C. nel mondo ellenistico-ro... mano andò sempre più imponendosi la successione dei sette giorni chiamati coi nomi dei pianeti. Il giorno cli Saturno era generalmente considerato come nefasto, il giorno successivo invece (domenica) godeva cli particolare onore. Cfr. ~ ScHURER 1-66; F. BoLL, art. 'Hebdomas', in PAULY·WISSOWA 7 (x9r2) 2547-2578; -4 CoLsoN. Per l'origine della domenica cristiana dr. Tu. ZAHN, Geschichte des Sonntags, vornehmlich in der alten Kirche, Skiuen aus dem Leben der alten Kirche' (x894) x96-240; DmssMANN, L .O. 304-309; S. V. McCASLAND, The Origin of the Lord's Day: JBL 49 (1930) 65-82; ]. BoEHMER, Der christliche Sotmtag nach Ursprung u. Geschichte (r931); P. CoTTON, From Sabbath to Sunday (1933); F. J. DoLGER, Die Planetenwoche der griech.-rom. Antike u. der christliche Sonntag, Ant. Christ. VI (r950) 202-238; PH. CARJUNGTON, The Pri-

    mitive Christian Calendar (x952) 38; LIETZMANN, o.e. (-4 n . 226) 6o s.; CULLMANN, Gottesdiemt e~ n. 215) 14 s.; ~ BAUER, 106· no; ]. NEDBAL, Sabbat u. Sonntag im N.T., Diss. Wien (1956); H . RIESl!NFELD, Sabbat et iour du Seigneur, in N.T. Essays in Memory of T. W. Manson (1959) 210-2r7. Per spiegare l'origine della domenica, Riesenfeld suppone che i primi cristiani dapprincipio continuassero a partecipare alla celebrazione giudaica del sabato e ·subito dopo di questa si raccogliessero come comunità cristiana nelle loro case. Questa celebrazione si sarebbe tenuta nella notte dal sabato al primo giorno della settimana; in seguito sarebbe stata sganciata dal sabato, e cosi questo non sarebbe più stato solennizzato dai cristiani, i quali avrebbero invece celebrato la domenica. Si tratta però di un'ipotesi che non trova i necessari sostegni nelle fonti. Per il problema etico· della santificazione del sabato cfr. K. BARTH, Kirchliche Dogmatik III 4 (1951) 51-79. 229 Cfr. Tanh. ms'i 247a, STRACK-BILLERBECK I 952 s., 4 col. 1055. 230 La supposizione cli F. BoLL, Aus der Of· fenbarung des ]ohannes (1914) 134 n. l, che in Mt. 24,20 si celi un riferimento al giorno infausto di Saturno, è fuor di luogo.

    µi) yÉvl')'taL

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    cpuyi) ùµwv XELµwvoç

    µ'l')OÈ CTa~p&.-.4> ). Già i rabbini avevano

    o.

    1093 (vn,30)


    C 3 (E. Lohse)

    (vu,31) 1094

    legge, a santificare il sabato 231 • 't'OU x6crµov ), ed egli li serve non solo Invece nelle comunità etnico-cristia- attenendosi alla 'religione degli angeli' ne, sorte grazie all'azione missionaria (iJpT)crxEla. '>W\I &:yyÉÀwv, Col. 2,18; ~ degli ellenisti e di Pa~lo, il precetto sab- IV, coli. )65 ss.), ma soprattutto osserbatico non ebbe più alcuna obbligato- vando con scrupolo una serie di prescririetà. zioni ascetiche riguardanti i cibi, le feTuttavia alcuni agitatori giudaizzanti, ste, i noviluni e i sabati (Col. 2,16)i;i. venuti cli fuori nelle comunità cli Gala- Ponendo in rilievo questi giorni e oszia, si misero d'impegno a convincere gli etnico-cristiani che, per conseguire servandone con cura le leggi, si seguono pienamente la salvezza, bisognava ag- i mutamenti della natura, che vengono gregarsi ad Israele, eseguire la circonci- determinati dal corso dei corpi celesti. sione e assoggettarsi alla legge. Contro Ma questo significa che il sabato è suquesti tentativi prese appassionatamente bordinato all'adorazione degli a''t'OLXEfo. posizione Paolo e, quanto al calendario delle feste giudaiche 232 , affermò che i -.oi:i x6crµov, poiché è da questi che i cristiani di Galazia, se si fossero impe- te111pi e i giorni speciali ricevono contegnati ad osservarlo, sarebbero con ciò 235 stesso ritornati al paganesimo, nel quale nuto e significato • Contro questa ereun tempo erano stati schiavi delle po- sia sincretistica l'Apostolo rammenta ai tenze demoniache che dominano il mon- fedeli di Colossi che essi, con Cristo, do (Gal. 4,8-rn). Perciò lo stare sotto la legge (Ù'ltÒ \16µov, Gal. 4,5) equivale a sono morti agli elementi del mondo. Ma soggiacere agli elementi del mondo (vnò in tal caso è impossibile continuare a -.à. a''t'o~x€ia. -.oi:i x6a'µou, Gal. 4,3 ). Ma voler compierne i dettami e le v~lontà se Cristo è la fine della legge (Rom. 10, (Col. 2,20). Con la liberazione dalla 4), è giunta anche la fuie del precetto sabbatico e della pretesa che la sua os- schiavitù degli a'->otxda. "ou x6crµou, anservanza sia necessaria alla salvezza. che i Ooyµa,-i:a, (~II, coli. 1342 s.) sono Una singolare connessione di conce- aboliti, e cosl la comunità cristiana è zioni gnostiche e di mentalità legalistica definitivamente liberata dal precetto giudaica si ha nella dottrina dei 'filosofi' sabbatico, sia questo fondato sul richiadi Colossi (dr. Col. 2,8) 233 • La nascita e il destino hanno assoggettato l'uomo agli 'elementi del mondo' (~ cr-.o~xEia.

    mo alla necessità della legge per la salvezza oppure sul dominio delle potenze cosmiche 236 •

    231 Cfr. anche -+ BRAUN II 69 n. 4. I dibattiti di Mt. r2,1-II mostrano chiaramente che i giudeo-cristiani si sono certamente chiesti in quàle maniera, essendo cristiani, dovessero osservare il precetto sabbatico. Il comandamento dell'amore e della misericordia è superiore alla prescrizione della legge (Mt. 12,7). 232 In Gal. 4,10 le Tiµtpa:t sono prima di tutto i sabati, ma sono pure altri giorni, come

    per es. il giorno dell'espiazione. Cfr. BoRNKAMM, o.e. (~ n. 44) r39-r56; DmELIUS, Gefhr. ', excursus a Col. 2,23; GoPPELT, o.e. (~ n. 224) 137-140. 234 lop;1}, vEoµT]vla e
    cr&.f3f3a't'ov D r (E. Lohse)

    D. IL

    SABATO NELLA CHIESA ANTICA

    1 . Sabato

    e domenica .

    Nelle comunità cristiane si celebrava la domenica come giorno della resurrezione del Signore: «Nel giorno del Signore radunatevi a spezzare il pane e a render grazie» (xcnà xuptax-i]\I oÈ xuplou CT).J\ltx.Xl>Évnç xÀocpoCTUVT]V, Év xat ò 'l'J]aovç à.vÉa't'l) Èx \IExpwv xa.t <pa.vEpwl>Etç &.vÉ~ll Elç oupavouç, Barn. 15,9) 217 • La celebrazione nel primo giorno della settimana significava una cosciente distinzione dal sabato giudaico, dal quale ci si è definitivamente separati, «non osservando più il sabato, ma vivendo secondo il giorno del Signore» (µ1)XÉ't'L

    n

    o-a~~a'tl~onEç, &.),)..à. Xct't'CÌ. xuptcx.x'Ì]v

    swv-tEç, Ign.,' Mg. 9,1) 233 • La giudaica 'superstizione sabbatica' (1tEpL 't'IÌ crocti~a'tct OEtcrtooctµo\llct) insieme con le prescrizioni alimentari, la circoncisione, il digiuno e l'osservazione del novilunio, venne dai polemisti cristiani computata tra «le cose ridicole e non meritevoli di esser nemmeno menzionate» (xa'tayÉÀa
    m Per la celebrazione della domenica 228

    Diogn. 4,1). Non è anzi un'empia bestemmia affermare che Dio proibisce «di far qualcosa di buono in giorno di sabato» (iv tj'j i:w\I ua(3(3a~wv ·:fjµÉp~ xa.:X.6v i:t itOLEtv, Diogn. 4,3) 239 ?. Origene respinge il precetto veterotestamentario e giudaico del sabato,' data l'impossibilità di attuarlo alla lettera, «poiché non vi è vivente che possa starsene seduto l'intero giorno senza mai ·muoversi dal SUO posto» · (OÙOEvÒç S~OU OV\lcx.µéVOU 0t'oÀ.1}ç XCX.~ÉSEoi}at ·d'jç 1}µÉpaç xcx.t àxwl')niv IX-itò 't'OV xcx.i}É!;E
    apocrifi, anche gli apostoli net loro discorsi missionari hanno messo ·in evi-· v xo;-tÉÀ.VCTEv, xa.t -tòv xai>ap~aµòv -tòv lM Mwaiwç xa-n'Jptr)O'Ev xaL -tà a&.(3(3a-ta. xa:t ~àç \ltoµrivloo;, ~'t~ q>TJo-l.'11 ovx eteri." vnò DEou 't'E'ta.yµlva:t.

    cra~~CX.'tO\I

    D

    Per provare la. superiorità del giorno del Signore sul sabato si ricorreva anche alla Scrittura. In Barn. 2,5 si dice, con una diffusa citazlone di Is. 1,n-13, che Dio non può sopportare i noviluni e i sabati e non vuole i sacr.ifìci. Se ne deduce che giustamente culto e sacrifici sono aboliti e. che in luogo della legge antica è subentrato ormai il xawòç v6µoc; -.ou xvplou i)µwv 'll)crov Xp1cr-.0G (Barn. 2,6). Invece in Barn. 15 il precetto veterotestamentario del sabato riceve un'interpretazione positiva mediante il ricorso ~ speculazioni apocalittiche (~ col. ro67) ·che gli conferiscono un aspetto diverso 242 • Che cosa si vuol dire si chiede lo scrittore - quando si afferma che Dio compì la creazione del mondo in sei giorni e che nel settimo la terminò (Gen. 2 ,2) 2A3? «Significa che in sei mila anni il Signore porterà a compimento tutte le cose» ('tov-ro oÈ À.ÉyEL, éht E.v t!;ax1crx1A.lo1c; l·mnv O"UV'tEÀ..ÉO"Et >tUptoc; 'tà. CTUµ'JtCXV'tet), giacché presso di lui un giorno indica mille anni (Barn . 15,4). E come va intesa la frase: «E nel settimo giorno si riposò» (xoct Xet'tÉ'JtOCVUEV 'tTI T)µipct 'tTI tS86µn, Gen. 2 ,3 )? 't"OU"'C'O À..tyEL" 8'ta'V ÉÀ.i}wv o UtÒc; aÒ"t'OU xa't'apy1icm -ròv xoctpòv 'tOV &.v6µou xat Xpt\IE~ 'tOÙc; àcrESE~ xai &,),),&.!;EL 'tÒV i)À.1ov xat -niv·crEÀ.1)'V1)v xaì. 't'oùc; &.cr'tÉpac;, 't'6't'E xa.lwc; xa.'ta.TCaucrE'ta.t E.v "TI 1}µÉpq; 'tTI E.So6µn, «vuol dire: quando verrà il Figlio suo e porrà fine al tempo dell'Iniquo ·e giudicherà gli empi e mu2.4Z

    Cfr. WINDISCH, Barn. 381-385. Cfr. anche

    J. DANIÉLOU,

    La typologie millénariste de la semaine dans le christianisme primitif: Vigi-

    liae Christianae 2 (:r948) r-r6. 243 Secondo LXX Gen. 2,2 Dio termina la creazione nel sesto giorno (~ n. 25); ma l'autore della Lettera cli Barnaba non si fa più scrupolo di farlo terminare nel settimo. 244 lust., nel suo dial. torna ripetutamente sul carattere speciale dell'ottavo giorno, che è incòmpa.rabilmente superiore al settimo; inoltre interpreta il comando di eseguire la circonci-

    I

    (E. Lohsc)

    (Vll,32) 109\S

    terà il sole e la· luna e le stelle, allora gloriosamente si riposerà, nel settimo giorno» (Barn. r 5 ,5 ). Come la creazione e il riposo di· Dio vengon rìferiti alla settimana dèl mondo e al sabato che la conclude, cosl anche il precetto di santificare il sabato sarà tradotto in atto nell'avvenire; al presente nessuno è in grado di santificare veramente il giorno reso santo da Dio (Barn. 15:,6). Quando invece non vi sarà più àvoµloc e tutto sarà stato rinnovato dal xupLoc;·, allora lo santificheremo nel giusto riposo: «allora lo potremo santificare; essendo .prima 'stati santificati noi stessi» ('t6'tt ouVT)àc; VEOµl)Vlocc; VµWV iC(X.L 'tà
    sione l'ottavo giorno dopo la nascita come un tipo del giorno del Signore (dial. 24,1; 41,4-7). In 138,r.5 si dice che le otto anime della famiglia di Noè salvate dal diluvio crUµ~oì.ov Etxov -cijc; à.pdti-u'.!> µ€v 6yo61J<; 1ii4Pcu;, iv TI iqia\ITJ 6 XpLO"tÒc;, -i)µWv à.'l'L'Ò \IEXphl\I ava.11-C&.c;, Bvvaiu;L o'à.tt 'ltpw-c71.; Ù7ta.pxouO'IJc;. Invece la richiesta di Trifone al suo interlocu· tore suona cosl: 'l'L'pW'tO\I µ€v 'l'L'Ep~·uµou, ~ha qlVÌ..a.ço\I,

    W<;

    \IE\16µ!.0''tCX.~, -CÒ cr&_~~CX.'tO\I

    Xru

    'tcXç fop-càc; xat -càç \IEOµT)\llcu; 'tOU itEOV (dial. 8A).

    1099 (vn,32) 2.

    créL~~IJ.'tOV

    D 2-3 (E. Lohse)

    La settimana giudaica nella chiesa cristiana

    (vu,33) 1100

    7tɵ7t't"1}.. . 'lta.pacrxEuljç ovCT1)c; (const. Ap. 5,r4); otOE\I yètp aÒ't'Òç xrx.t "tljc; 'V1)11't'Ela.ç 't!Ì. a.lvLyµct"ttt 't'WV 1}µEpWV 't'OU't'W'V 't'fjç 'tE'tpaooc; xcd 'tik. 'l't'OCpOCO'XEUTjc; À.Éyw (Clem. Al., strom. 7,I2, 75) 243• Il sesto giorno è detto anche 7tpocraf3f3rx.-.ov (Epiph., haer. 70,12,3; 75, 6,2) e il settimo si continua a chiamare sabato. Cosl in Hipp., consti!. 45 s. si stabilisce che i catecumeni, all'appressarsi del battesimo, il quinto giorno della settimana facciano un bagno, nella parasceve digiunino e il sabato si radunino per passar la notte in preghiera e ricevere il battesimo nelle prime ore del giorno di pasqua 249 •

    Pur essendosi affrancata dal sabato, la .chiesa cristiana accettò la settimana giudaica 245 e per la designazione dei giorni mantenne pressoché inalterata la suddivisione del giudaismo: tutti i giorni, escluso il sabato, venivano numerati 246 e solo al giorno del Signore si dava uno speciale rilievo. Perciò negli scritti della chiesa antica ricorre di frequente cr&.Baa.-.ov I cr&.~Ba-.o: nel senso di settimana; anche il venerdi viene spesso chiamato parasceve, sebbene l'idea di preparazione non gli si addica più. Proprio in una istruzione enunciata per sottolineare la distinzione dalla prassi giu- 3. Il sabato dei giudeo-cristiani daica del digiuno troviamo la divisione I gruppi giudeo-cristiani si attenevano giudaica della settimana: «I vostri digiuni non si facciano con gli ipocriti, al sabato giudaico, richiamandosi a Gesù che digiunano il secondo e il quinto stesso. Egli avrebbe insegnato che solo giorno della settimana; voi invece digiu- col digiuno si può ottenere l'ingresso nate nel quatto e nel giorno di prepa- nel regno di Dio, «e se non osserverete zione» (ai V1)CT'tEÌO:~ ùµwv µ1) fo-.wcrav il sabato non vedrete il Padre» (xa.i M.v µE'tà 'tW'V V1tOXP~'tW\I' V1)CT'tEUOUCTI. yàp µi} O"ocf3f3oc't'lCT')")'"l:E "tÒ uaf3f3ct't'OV, OÙX OEU'ttprt craaa&-rwv xoci '1tfiµ7t·qr uµe~c; otjJE
    24S ~

    ScnfuraR, passim. l46 Cosl già nel N.T.: I Cor. x6,2; Aci. 20,7; Mc. x6,2 par.; Io. 20,1.x9. m Per il concetto di 'sabato grande' vedi sopra ~ n. x6o e A. STRABBL, Die Passaerwartzmg in Lk. I7,20 f.: ZNW 49 (1958) x84 n. 1 03.

    Altri testi in ~ ScHiiRBR 8-13. 249 HENNBCKE l 578 s.; H. AcHELIS, Die iiltesten Quellen dcs orientalischen Kirchenrech248

    tes, TU 64 (1891) 93. P. Oxy. 1 x = Kt.osTER.MANN, o.e. (~ n. x89) 19. Cfr. W. BAURR, Dar Leben Jesu im leitalter der. nt.lichen Apokryphen (1909) 352; }BREMIAS, o.e. (-+ n. 184) 19; ID., in HBNNEKKE 1 1 67. Questo Iogion si trova anche nel Vangelo copto di Tommaso, dr. J. LEIPOLD, Ein neues Ev.?: ThLZ 83 (19,s) 486, logion 28; ma qui è probabile che sia stato inteso in senso traslato; dr. LEIPOLDT, o.e. 496; Hebr. 250

    4,9.

    uo1 (vn,33)

    ua~~cx-.ov

    l vn,34J 1102

    D 3 (E. Lohse)

    to 251 • Gesù non poté respingere una tale a sera nella posizmne nella quale si preghiera, sebbene per il resto si mante- trova quando sopravviene il sabato (hct nesse ossequiente alla legge. A di:fEeren- 't'OU a-x.1Jµa.:to<;, où 8:v Xct'ta.À:l)cpt)fi 't't<; za di questo quadro i vangeli apocrifi È\I 'tij TjµÉpq. 't'OU cra.~~6..-tou, µÉVEW µÉ· sorti in circoli etnico-cristiani non mo- XPt<; tcr'ltÉpa.<;). E Filastrio parlando di strano più alcun riguardo per il precetto Corinto dice: Docet autem circumcidi et sabbatico. Gesù bambino, secondo il sabbatizari etChristum nondum surrexisVangelo di Tommaso (2,2-5) 252 , un sa- se a mortuis, sed resurrecturum adnunbato prende dell'argilla umida e ne fa tiat (haereses 36 [CSEL 38,19]). Neldodici passerotti. Essendosi un giudeo le Omelie pseudo-clementine si parla di lagnato presso Giuseppe di questa pro- una strana celebrazione del sabato tenufanazione, il padre ne chiede ragione al ta dai Simoniani solo ogni undici giorni figlio. Allora il piccolo batte tranquilla- (hom. 2,35,3) 254 • Secondo Eus., hist. mente le mani e comanda ai passerotti ecci. 3,27,5, gli Ebioniti osservavano il che volino via. Quelli se ne vanno cin- sabato come giorno di riposo, ma celeguettando e i giudei restano intimo- bravano pure la domenica 255• Epifanio, riti m. invece, degli Ebioniti rammenta solo la Le concezioni dei gruppi giudeo-cri- pratica sabbatica, nella quale essi si acstiani che osservavano il sabato era- cordavano con i Giudei: Èv 't'ét} \16~ no segnate da profondi influssi sincreti- 't'OU 'Iovoa.~aµov 'ltpocra'IJÉXEW xa.'t'à. stico-gnostici. Nella dottrina di queste c;a.~~<X'ttcrµÒ\I xa.t xa:tà. -cfi\I 'ltEpt-coµi)\I comunità organizzate come sette la pra- xa.t XCX.'t'à. "t'tl aÀÀu.. 'ltci\l'ta., ÒCTa'ltEp 'JtU..tica sabbatica era per lo più subordina- poc 'Iov&a.lotc; xa.t l:a.µa.pEl'ta.tc; Ém-.eta al culto degli angeli e degli astri, il À.Ehu..t, «Si attengono alla legge dei Giucui corso determina il destino dell'uomo dei quanto alla celebrazione del sabato, e quindi crea anche l'esigenza che si os- alla circoncisione e a tutte quelle altre servino accuratamente certi giorni spe- cose che si fanno presso i Giudei e i ciali. Nei Padri non si hanno che scarse Samaritani» (haer. 30,2,2) 256 • I Nazorei notizie su questa concezione giudeo-cri- stanno tra i Giudei e i Cristiani, in una stiana del sabato. Secondo Orig., princ. posizione che Epifanio caratterizza cosl: 4,3,2, Dositeo di Samaria avrebbe di- «Dai Giudei e dai Cristiani si differensposto che «uno debba rimanere fino ziano solo in questo: non concordaICI.OSTERMANN, o.e. (~ n. 189) 8 e ~ n. 189. Cfr. anche H. J. ScHOEPS, Theologie ti.

    l5I

    Gesehiehte des Jude11ehristent11111s (1949) 144· 252 ~ JkNNECKE 3 I 293 s. 253 Nel logion 8 del . Vangelo

    di Filippo trovato a Nag-Hammadi si dice che il frutto matura ogni giorno: «(la forza [che lo fa crescere] non) è sterile nemmeno di sabato». Cfr.

    H. M. ScHENKE, Das Ev. naeh Phìlippus: ThLZ 84 (t959) 6. Il sabato è menzionato anche nel cod. Jung (32,t8-25), ma in senso traslato, e inteso in riferimento al giorno della redenzione: un sabato Gesù salvò una pecora caduta nella fossa, «affinché sappiate che cosa è il sa· bato, nel quale si conviene che la salvazione resti inoperosa». Cfr. H. M. SCHENKE, Die Her-

    k1111/t des soge11annten Evangelium veritatis

    (x959) 48. 2S4 «Il passo parallelo in reeogn. l,20 è cambiato dall'autore, e l'espressione è venuta a mancare. Il testo delle homiliae è quindi primario e va fatto risalire allo scritto-base. Non è escluso che l'autore dello scritto-base, il quale scrisse verso il 260, abbia mutuato la concezione dalla tradizione simonianica che aveva presente» (comunicazione epistolare di G. STRECKER). Nel resto delle Pseudo-Oementine il termine appare solo in hom.

    uaaaci-.ov

    19,22A. 2S5 Dal momento che celebrano la domenica, è possibile che siano giudeo-cristiani appartenenti alla chiesa, non degli eretici. Cfr. SCHOEPS,

    (~ n. 251) 139. 256 Cfr. anche ScHOEPS,

    o.e.

    o.e.

    (~

    n. 251) 137·

    no3 ivn,34)

    a:a~~cmcrµ6c,

    no con i Giudei, in quanto hanno la fe.de in Cristo; con i Cristiani non concordano; in quanto sono ancora irretiti nel.fa legge, nella circoncisione, nel ·sabato e nelle altre cose» (Èv 't'OV't'C() oè ·µovov 7tpÒc; 'Iou&alovç ota.q>~PO.V't'<Xt xa.l Xp1r c:nta.vovc;, .'Iovoa.lotc; µAv µ'Ì) uvµcpw.vovv'n:c; &t&. 't'Ò Elc; XpttT'.t'ÒY 1tEmai:wxÉva.i, Xpt
    (E. Lohsc)

    teria ha fatto il mondo, e nello stesso giorno il nostro salvatore Gesù Cristo è risuscitato dai morti» ('t'f)'ll &è 'tOU -i}À.lov 'Ì)µÉpa.v xo~vn miv-n:c; -ç'l')v O'uvÉÀ.euaw 7tOtouµei>a., ÈTCELOlJ 1tPW"ti] ÈO''t'L\I i}µÉprt., È\I é i>Eòc; 'tÒ u:x;6i:oc; xa.t 't''Ì)\I UÀ/1')\I 't'pÉtjlac; x6
    n

    67,7).

    t

    &a~Ba.·twµ6c;

    Come la comunità cristiana si era separata dalla sinagoga nella questione del sabato, così anche la chiesa si divise dal giudeo-cristianesimo eretko che si atteneva a quella pratica. La chiesa celebra la domenica, che è il giorno della risurrezione del Signore, e perciò mette in ~ard~à i. giudeo-cristiani dal pòrre il sabato al di sopra del giorno del Signore (didasc. 27) 251 • Come il giudaismo nella madrepatria e nella dispersione si stringe nell'osservanza del precetto sabbati·co, cosl l'intera chiesa di Gesù Cristo celebra il giorno del Signore come giorno· della gidia e dell'esultanza: «nel giorno dèl sole d raccogliamo tutti insieme, perché quello è il primo giorno, nel quale Dio trasformando le tenebre e la ma-

    II concetto di crcx.BBct't'tCTµ6ç, che al di fuori della Bibbia si trova solo in Plut., superst. 3 (II r66a), nell'A.T. non si legge mai e nel Nuovo solo in Hebr. 4,9. Nella pericope di Hebr. 3,7-4,r3, nel contesto dell'interpretazione di Ps. 95,7-Ir, l'autore deduce da Ps. 95,n che la generazione del deserto non è en· trata nella xa.'t"a1tcx.u
    Cfr. H. Aomus - J. FLEMMlNG, Die syr. Di4arkalia, TU 251 2 (1904) 136 s.

    1

    151

    cra~~cx:noµ6ç

    = m•nfìl;ii, dr. G. v. RAD, Es irt 11ocb eine

    <1cx~~cx-.~11µ6c; - (E. Lohse)

    riposo sabbatico, celebrato nel settimo giorno con la sospensione da ogni lavoro (Ex. 34,21; 35,2; z Mach. r5,r). Perciò in Hebr. 4,9, in una frase che ha l'aria di una conclusione,. invece che di xa.
    va

    µ

    (vn,35) no6

    celeste affonda piuttosto le radici in.concezioni apocalittiche e gnostiche, per le quali il riposo perfetto è il traguardo posto al termine della via verso la redenzione 4. L'autore de1la Lettera fonda questa speranza del riposo celeste sull'esegesi di Ps. 95,in e _Gen. 2,2, pun-tualizzando Je sue esposizioni in -senso parenetico: poiché si _va· verfo il ·cra.~~c:t­ ·tt
    E. LOI-ISE

    Ruhe voihanden dem Volke Gottes: ZdZ I I (i933) mf-ru; - Iri., Theologie des A.T. I (1957) 223. 2 Cfr. il termine S'biit quale designazione della quiete sabbàtiCa perfetta (Shab. ro,6); inoltre Ab.-R-. Noi. I (re): «Il giorno cli sabato del Ps. 92,1 ... cioè il giorno che è del tutto sabato (cioè ripoS<>); nél quale non si mangia si beve, non sl compra né si vende; ma i giusti se ne staranno seduti con corone in capo e si rifocilleranno allo splendore della - 1'k1nil» (STRACK-BILLERBECK m 687). Israele al sabato esperimenta' fin d'ora un.-poco- cli questo bene salvifico futuro. Cfr. la fo1se contenuta nelle preghiere del sabato:- w'gam bimnuF;atd -'lo'



    jisk'11/J 'are/1m kt l'.jifra'el 'amm•ka n'tatto b"ababa (W. STAERK, Altjildische Liturgische Gebete 2, KIT 58 [1930] 27).

    Cfr. E. KXsEMANN, Das wanderttde Got(esvolk, FRL 55' (r959) 40-45. -

    3

    4 Cfr. Apoc. r<Jf13:

    civcx1ta1j11ov-rcx~

    h 'tWV

    :>c6'1ttùV cxò-.wv; P. R. El. 18 (9a); vedi~ .w n . r55. In ·act. Phil. 148 lo scopo del cammino

    della redenzione -è cosl indicato: ~n.e-.e ocva'l>CXijvcx~ tv "TI tivet?tcxu11e~ -.ov ~eov. Qui va confrontato anche Barn. 15 (~ 1097 s.). Vedi anche L.-TROJE, Sanbat, in R: RE1TZl!NSTEIN, Die Vorgeschichle der christl. Tari/e (r929) 328-377; KAsEMANN, o.e. (~ n. 3) 40--4).

    II07 (vn,35)

    l:alìlìovxa'Loc; A (R. Meyer)

    (vu,36) IIo8

    t I:cx.oòouxcx.i:oc; I. i vangeli sinottici; Il. gli Atti degli Apostoli. SoMMARJO:

    A. L'uso linguistico. B. Il sadd11ceismo nel mondo giudaico: I. origine del concetto dr l:alìlìovxa'Loc;: 1. Sadochiti

    e Sadducei; Sadoc e Boeto; 3. Sadducei quale denominazione di un gruppo politico. II. I Sadducei di Gerusalemme: 1. Saddm:ei e Asmonei 2 . i Sadducei durante il dominio erodiano e romano. III. Il sadduceismo nel suo aspetto di fenomeno religioso: 1. la dogmatica sadducea; 2. la concezione della legge. 2.

    C. I Sadducei nel N.T.: l:alìlìovxa~oc; V. APTOWITZER,

    Die Parteipolitik der Hasmoniierzeit (1927); BoussET-G.RESsMANN, indice s.v. 'Sadduziier'; G. H. Box, Who were the Sadducees?: Exp. 8,15 (1918) 19 ss.; Id., Scribes and Sadducees in the N.T.: ibid. 401 ss.; A. E. Cowuw, art. 'Sadducees', in EB IV 4234-4240; D. EATON, art. 'Sadducees', in HASTINGS, D.B. IV 349-352; B. D. liERDMANS, Farizeen en Sadduzeen: ThT 48 {1914) 1-16; A. GEIGER, UrschrifI u11d Obersetzung der Bibe/l (1928) 101-158; G. H6LsCHEB., Der Sadduziiismus (1906); ID., art. 'Levi', in PAULY-W. 12 (1925) 2169-2208; J. ]ERBMIAS, ]eruralem zur Zeil ]esu 11 B1 (19,8) 95-100; J. KLA.usN;ER, Jesu:r von Nazareth 3 (1952); K. KoHLER, art. 'Sndducees', in JewEnc 10 (1909) 630633; J. Z. LAUTBRBACH, The Pbarisees and

    their Teaching:r: HUCA 6 (1929) 6!.}-139; In., The Sadducees and Pharisees, R.nbbinic Essays (19,1) 23-48; In., A Significant Con/roversy between the Sadducees a11d the Pharisee:r: HUCA 4 (1927) 173-20,; R. LBsCYNsKY, Die Sadduziier (1912); J. W. LIGHTLHY, Jewish Sects and Parties in the Time of ]e:ru:r (192,); T. W. MANSON, Sadducee and Phari:ree - The Origin and Significance of the Name: Bulletin of the John Rylands Library 22 (1938) 144159; MEYI!R, Urspmng II .290-319; MOORE, in-

    A. L'uso

    LINGUISTICO

    Nel N.T. e in Flavio Giuseppe ::Eaòoouxai:oi; è attestato solo al plurale (::Eaooouxai:oL) 1 e presuppone un neologismo ebraico in forma di aggettivo di provenienza o di appartenenza 2 : fadduqt3, che si presenta però tradizionalmente come tduqt, al plurale tdlJqim e al femminile singolare ~eduqtt (plur. ~·du­ qrjjot), sadducea 4 • Negli apocrifi e pseudepigrafi finora conosciuti non compare il concetto di l:aooouxocfoç o fadduqt, che invece ricorre nella letteratura rabbinica, dove di norma prevale il plurale, per es. ]ad. 4,6 s. 5 ; Makk. 1,6; Para 3, dice s.v. 'Sadducees'; H . OoRT, De oorsprong van den naam 'Sadducee11': ThT 10 (1876) 60,-617; H. RAsP, Flavius ]oseph11s und die jiid. Re/igionsparteien: ZNW 23 (1924) 2747; H. J. ScHOEPS, Die Oppositiot1 gegen die Hasmoniier: ThLZ 81 (1956) 663-670; K. SCHUBERT, Die

    jiidischen und judet1cbristlichen Sekten im Licbte der Handschriften/unde von 'En FeJ!;a: Zeitschr. filr katholische Theologie 74 (19,2) l-62; ScHiiRBR 1i:4 47.N89 (bibl. 447449); M. H. SEGALL, Pharisees and Sadducees: Exp 8,13 (1917) 81 ss.; F. SrnPF.ERT, art. 'Pharisiier und Sadduziier', in RE1 l,,264-292; E. STAUFPBR, Probleme der Priestertradition: Th LZ 81 (1956) 135-1,0; J. WELLH.AUSEN, Die Pharisiier und Sadduziier (1874). I PRF.uscHEN-BAUEll 5, s.v. 2 Circa il carattere di questa formazione nomine.le cfr. G. BEEll·R. MEYBR, Hbr. Grammatik I (19,2) § 4Irf. 3 rnddt1q1 rappresenta una geminazione secon· daria; dr. G. BEEll- R. MEYER, o.e. e~ n. 2) § 28,3. 4

    T. Nidda 5,3 accanto a bnwt hfdwq;n, ibid.

    5,2.

    s In ]ad. 4,8 fdwqj gljlj, un sadduceo di Galilea, è una nota di biasimo che sta in luogo di mjn gljlj, un eretico di Galilea; cfr. ScHii-

    ::no9 (vu,36)

    l:a.lìlìouxo:Loc; A-B I 1b (R. Meyer)

    7; Nidda 4,2; ]omab. 19b. Il raro singolare !adduqt si trova per es. in Er. 6, 6 2 e T. Para 3,7 • Flavio Giuseppe menziona :Ea.ooovxa.i:oL in beli. 2,n9.162166; ant. 13,171 ss. 293-298; 18,11.16 s.; 20,199; vit. 10. Nel N.T. i passi che ne parlano sono cosl ripartiti: Mc. 12, 18; Mt. 22,23; Le. 20,27 (comune a tutti i sinottici); Mt. 22,34; 3,7; 16,1; 16, 6; 16,u s. (tradizione peculiare); Act. 4,1; 5,17; 23,6 ss. Finora il concetto di 'La.oiSovxa.i:oc; non è attestato al di fuori della letteratura giudaica e cristiana. L'interpretazione del suo significato è resa più difficile dal fatto che evidentemente è riferito a diversi gruppi giudaici e che sia il N.T. sia Flavio Giuseppe e le fonti rabbiniche usarono il termine 'sadduceo' in senso polemico e spregiativo.

    B.

    IL SADDUCEISMO NEL MONDO GIU· DAICO

    I. Origine del concetto di l::a.ooouxa.i:oi; l.

    Sadochiti e Sadducei

    a) Il vocabolo l::a.ooovxa.i:oc;, faddi1q2, risale al nome proprio fadoq, nei LXX l::a.ooovx 7, e può essere sostituito dall'equivalente ben fadoq, figlio di Sadoc, RER II 452 n. 5; G . LrsowsKY, Jadajim (1956) 79 s. 6 In T. Para 3,7 {dwqì è parallelo a kwhn gdtvl e significa il sommo sacerdote d'orienta· mento sadduceo (~ coll. n52 ss.).

    In luogo della pronuncia FàrJoq, propria della scuola di Tiberiade, i LXX, Flavio Giuseppe e· asc. Is. 2,5 pronunciano !addilq; anche il cod. de Rosst ha la forma !«dduq e rispettivamente Fiiddflq in Pea 2,4; Ter. 10,9; Shabb. 24,5; Pes. 3,6; 7,2; 1013. Cfr. a questo riguardo ScHURER n 477 n. 13. 7

    8 ~

    n. 2. L'antica teoria che faceva derivare

    l:cdìSovxai'.oc; dall'ebraico !addlq, giusto - come già sosteneva Epiph., haer. 14,2,1 (GCS 25,207) - oggi è universalmente abbandonata;

    (VII,37)

    IIIO

    sadochita; per il senso il composto bene ~iidoq

    corrisponde al plurale faddiJqlm,

    figli di Sadoq cioè Sadochiti 8 • Ne deriva l'annosa questione se i Sadducei siano in qualche modo storicamente in relazione con i Sadochiti che già conosciamo dall'A.T. 9 • b) I Sadochiti si dicono discendenti di Sadoc, uno dei sacerdoti più influenti intorno a David (cfr. 2 Sam. 15,24.27. 29.35; 17,15; 19,12). Nella lotta per la successione al trono di David egli fu uno dei più decisi sostenitori di Salomone e con la vittoria di quest'ultimo nel 965 a.C. divenne sommo sacerdote di Gerusalemme (I Reg. l,32 e passim) 10, mentre il suo rivale, Abiatar, avversario del nuovo re e fautore di Adonia, fu costretto all'esilio (I Reg. 2, 35). Pare che i discendenti di Sadoc, analogamente ai loro sovrani, abbiano costituito a Gerusalemme una secolare dinastia sacerdotale che durante la riforma cultuale di Giosia (verso il 623 a.C.) riusci finalmente ad eliminare, come classe politica e come ideologia, i sacerdoti dei santuari non gerosolimitani, quelli cioè che più tardi saranno i Leviti (cfr. ~VI, coli. 651 ss.). Qui probabilmente va ricercato l'aggancio storico alla disposizione di Jahvé circa il nuovo tempio cfr. ScHi.iRER II 477 nn. rn s. 9 Il primo ad affermare il legame storico tra Sadochiti e Sadducei fu ~ A. GEIGER nel 1857. A lui segul con argomentazioni più valide ~ WELLHAUSEN 45-51; cfr. inoltre ~ HotscHBR, Sadd11zaismus 102-104; SCHtiRER u 477-480; ScHLA'l'TER, Gescb. Isr. 165 n . 151; STRACK-BILLERl!l!CK IV 339; M. NoTH, Geschicbte Israels1 (1954) 335 n. 2 . Questo rapporto è negato da MEYER, Urspruf!g II 290 s.; anche H. J. ScHOEPS, Urgemeinde, Judenchristenltlm, Gnosis (1956) 7r, nega che i Sadochiti preesilici abbiano influito sul tardo giudaismo. IO Cfr. anche P. GAECHTER, Petrus und sei/le Zeit, Neutestamentliche Studien (r958) 64-74 [G. BERTRAM].

    11n (vu,37)

    :Eao!ìovxai:'oç B 11b (R.:Mcyer)

    (vn,37) 1n2

    profetizzato da Ezechlde: «Ma i sacerdoti leviti, figli di Sadoc (bene fadoq ), che hanno avuto cura del culto nel mio tempio quando gli Israeliti si allontanarono da me, essi potranno avvicinarsi a me e servirmi» 11 • Nello stesso contesto i sacerdoti che in precedenza svolgevano le loro mansioni nei santuari fuori di Gerusalemme, in quanto-leviti, sono degradati al ruolo di clero minore per una colpa descritta a tinte caricate che avrebbero commesso contro Jahvé (Ez. 44,1014, dr. 40,46; 43,19; 48,n). In effetti è un sadochita Josua ben Jehosadac, che verso il 520 a.C. riveste Ja carica, che ormai s'afferma, di sommo sacerdote 12• Tuttavia una vera organizzazione della classe sacerdotale, espressa soprattutto in una corrispondente genealogia, a quanto pare si ha solo durante il sec. v a.C. in Babilonia, mentre a Gerusalemme si afferma solo dopo Esdra, ossia nel sec. Iv a.C. 13 • Di conseguenza l'aristocra-

    zia sacerdotale che elegge effettivamente il sommo sacerdote a vita appartiene ai «figli di Aronne» 14• A sua volta essa si suddivide in due alberi genealogici: un ramo discende da Itama-:, figlio di Aronne, mentre l'altro fa capo a Finehes, figlio di Eleazaro e quindi nipote di Aronne 15• Secondo I Chron. 5,29-34 i Sadochlti sono tra i discendenti di Finehes 16• Non sappiamo come gli Itamarid e i Sadochiti si siano spartiti l'autorità sacerdotale a Gerusalemme nei secoli quarto e terzo a.C. 17, ma si può affermare con certezza che verso il 200 a capo della ierocrazia gerosolimitana stavano i Sadochlti. Circa la loro posizione a quell'epoca abbiamo una buona fonte di informazione in Gesù ben Eleazar ben Sirac (c. 190 a.C.). Nella sua «lode dei padri» egli colloca Finehes, capostipite dei Sadochiti, accanto a David (Ecclus 45,25), per cui gli eredi di David sono i legittimi rappresentanti del potere se-

    Ez. 44,x5; a questo riguardo come pure per quanto segue cfr. G. FoHRER-K. GALLING, Ezechiel, Handb. A.T. I 13 (1955) a 44>4·31· 12 Ag. l,1; cfr. r Chron. 5AO s. e W. RUDOLPH, Chron., Handb. A.T•.1 2.l (1955) ad I. Il Oggi si sostiene spesso - e probabilmente a ragione - l'ipotesi che Esdra sia venuto dopo Neero.ia. Come imperatori sotto cui è vissuto sono da prendere seriamente in ·considerazione Artaserse I Longimano (465-424 a.C.) e Artaserse II Mnemone (404-358 a.C.). Secondo W. RUDOLPH, Esr. imd Neh., Handb. A.T. 1 20 (1949) ad Esdr. 7-10; Norn, op. cit. (~ n. 9) 288 s. è più probabile che Esdra sia vissuto sotto Artaserse I. W. F. ALBIUGHT, From Ezra to the Fall o/ the Perslan Empire, The Biblica.I Archaeologist 9 ( 1946) 13, risale fino al 428 a.C. A. ·vAN HOONACKER, Néhémie et Esdras: Le Museon 9 (1890) 151-184.317-351. 38!)-401 invece sostiene la datazione più recente sotto Artaserse u, nel 398 a.C.; dr. a questo riguardo anche E. G. KRAELING, The Brook/yn Museum Papyri (1953) 109. D'altra parte C. H. GoRDON, Geschichtliche Grundlagen des A.T. (19;;6) 278 n. 1 forna a basarsi sull'antica ipotesi che ·Esdra sia anteriore a Neemia. Per tutto il problema e per la relativa bibli<>-

    grafia dr. H. H. Rowu:v, The Chronological Order of Ezra and Nehemia, in The Servant

    11

    of the Lord and the Other Essays on the O/d Testam_ent (1952) 129-159. A prescindere dalla datazione storica di Esdra, ciò che importa alla nostra trattazione è che secondo Esdr. 7, r ss. in Gerusalemme Esdra compare come primo sadochita postesillco; dr. anche Esdr. 8,2 e RUDOLPH, op. cit. ad Esdr. 8,r-14. H Cfr. i passi di tradizione sacerdotale e del tutto secondari : Ex. 28,r; 40,x2-x4; N11m. JA· 10.38; 18,1.7; inoltre I Chron. 23,13 e l'accentuazione del diritto degli aronniti in 2 Chron. 26,r6-2r. 15 Cfr. l'elenco delle 24 classi sacerdotali io I Chron. 24,1-19, che dal v. 7 può aver trovato la sua forma definitiva solo in epoca asmonea; RUDOLPH, op. cit. (~ n. 12) ad l. e la biblio. grafia ibid. 16 Cfr. RUDOLPH, op. cii. e~ n. 12) ad l. 17 Da 2 Chron. 24,4 ss. emerge che vi era rivalità tra il casato di 'Eleazaro' e quello di 'Itamar' e che i sacerdoti della stirpe di Eleaza· ro rivendicavano il diritto alla preminenza; d'altra parte all'inizio del sec. u a.C. il potere era in mano ai Sa·dochiti di questo casato.

    xn3 (vn,37)

    :Eaolfovxcx.foç B

    colare, i Sadochiti di · quello spirituale. Il ruolo dei Sadochiti risulta particolarmente chiaro se si tiene presente che tutto il brano poetico culmina nel panegirico della persona del sommo sacerdote Simone, in onore del quale è scritto Ecclus 50,r""2r. Inoltre il testo ebraico di Ecclus termina.con un'appendice che è un innò di ringraziamento con ogni probabilità· ·desunto dai testi liturgici dell'epoca e in cui si ringrazia Dio per il sacerdozio dei Sadochiti: «Lodate colui che ha eletto al ministero .sacerdotale i figli di Sadoc, perché eterna permane la sua grazia» 18• c) Con Simone II il potere sadochita a Gerusalemme raggiunse il suo apogeo 19, mentre il figlio Onia III, suo successore nella carica di sommo sacerdote e seguace delle sue idee, non riusd a reggere alle tendenze riformatrici 'ellenizzanti'. Nel 175 fu deposto da Antioco IV EpiEcclus 51,12i ( ebr.): hwdw lbw!Jr bbnj !fdwq lkh11 ki l~wlm {Jsdw; dr. a questo riguardo~ STAUFFllR _138 s. e P. KAHLI!., Zu den Handschri/lenrollen in Hohlen heim T oten Meer:

    13

    Das .Nterium 3 (1957) 34-46, che sottolinea giustamente che il salmo di Ecclus 5x,12a-r, di tendenza sadochita, non fu tradotto in greco come tutlQ il rimanente testo, perché all'epoca del nipote del Siracide a Gerusalemme i Sadochiti onnai da tempo avevano perso la loro preminenza. Viceversa -+ H6LSCHBR, Saddt1:diismt1s 103 n. i: non ha colto ìl carattere di questo salmo liturgico, nel quale egli scorge un tardivo «manierismo». 19 Per la stima goduta da Simone u dr. anche Flav. Ios., ani. 12,43: l:lµwv ... ò xai o(xaioç ~­

    -.ò 7tpÒç -.òv ~EÒ\I tllO"E~E<; xat -.ò npòç -.oùç òµocpvXovc; Eìlvovv (Flavio Giuseppe fa erroneamente riferimento a SimoinXÌ..l)lMc; oL
    ne I) e Ab. x,2. Dopo Onia Ili il potere passò per breve tempo al fratello Giasone, di tendenza riformista (Flav. Ìos., ani. 12,239 lo cita col nome ebraìco di Giosué): 2 Mach. 3,1 ss.; 4,1·6.7 ss. 33 ss. Già nel 173 o 172 a.C. fu destituito dall'usurpato.i:e Menelao (che secondo Flav. Ios., ani. 1~,239 in origine si chiamava Onia), il 20

    I

    xb-c (R. Meyer)

    (VII,38) III4

    fane e nel·r70 fu assassinato ad Antio· chia. Le successive lotte per il sommq sacerdozio non solo portarono all'eliminazione dei Sadochjti :111, ma con la mor. te di Alcim:o (nel 15_9 ) segnarono la fine del predominio ·aronnita a Gerusalemme, e per sette anni il seggio di sommo sacerdote rimase vacante 21 • _ Nell'anno 152 a.C. Alessandro I Balas durante la festa delle capanne conferl la carica di sommo sacerdote all'asmoneo Gionata (r Mach. xo,r8-2x), e verso la fine dell'estate 140 Simone ottenne per plebiscito che la dignità . diventasse ereditaria {r Mach. 14,25-49). Nel corso della vittoriosa lotta contro il giudaismo riformista e conu·o la dinastia dei Seleucidi il potere conflul nelle mani di «piccoli sacerdoti di campagna» 22 , homines novi senza alcun crisma di legalità, tanto che anche la loro appartenenza al sacerdozio gerosolimitano era molto dubbia 23 • Non dovrebbe essere molto lontana dal quale riuscl a conservare il potere fino al ·162 a.C. (2 Mach. 4,26; 5,1-10; 13,r-8; Flav. Ios., ant. 12,385; _20,235); a questo riguardo. cfr. E. BICKERMANN, Der Gott der Makkabiier (1937) 85. 21 I Mach. 7,1-5; 9,54 ss, Nonostante la tendenza filoasmonea dei passi in questione, non vi può essere dubbio sulla legittimità aro~­ tica di Alcimo,Eliakim; perciò BicKERl){ANN, op. cit. (°"' n, 20) sottolinea giustamente che egli ripristinò la gerarchia del tempio rip0rtaridola alla condiziOne precedente ad Antioco IV Epifane. Uno degli aspetti di questo stato di diritto era che il sommo sacerdote era insediato e appoggiato dal re; di opinione leggermente diversa è NoTH, op. cii. (~ n. 9) 335. Per tutta la questione cfr. anche MEYER, Urspru11g II 245-252. zi Come sostiene giustamente ~ STÀUFFER. 140. 2J È

    .

    vero che, secondo l Mach. 2,1; 14,29, gii Asmonei appartengono all'alta nobiltà sacerdotale in quanto rientrano nella classe l!acerdotale di Jojarib (°"' n . 15); tuttavia questa classe non appartiene al ceppo del sacerdozio del tempio, poiché è tornata dall'esilio solo in epoca tardiva; dr. Taa11. b. 27b par.; dove

    n15 (vn,38)

    l:a.lìliovxa.ioc; B

    I

    lc-d (R. Meyer)

    (vu,39) n16

    vero l'ipotesi che la nuova dinastia se- menti abbiano fatto fiorire in Egitto una gnasse l'inizio di una nuova ideologia tradizione sadochita, anche se a questo sul sacerdozio e che gli Asmonei faces- proposito i documenti scritti sono lasero di tutto per cancellare 24 o almeno cunosi 25. screditare le tradizioni sadochite di Ged) L'allontanamento di Onia III semrusalemme. Tuttavia i «figli di Sadoc» e i loro simpatizzanti non erano affatto e- bra aver avuto anche un'altra conseguenstinti. Infatti, quasi nello stesso tempo za. Secondo r Mach. 2,29-48, evidentein cui in Gerusalemme dopo l'usurpa- mente già prima della ribellione dei tore Menelao assumeva il potete Alci- Maccabei e indipendentemente da quemo, sommo sacerdote legittimo benché sta, alcwii giudei fedeli alla legge si eranon sadochita, Onia IV, figlio dell'assas- no rifugiati nel deserto. Tra costoro vensinato Onia III, fuggiva in Egitto (Flav. gono menzionati in particolare agli Arnlos., ant. 12,237.387}. Sotto la prote- oai:oL ({Jasld1m ), che con i Maccabei zione di Tolomeo VI Filometore costrul stanno in un rapporto molto tenue 26• a Leontopoli un tempio giudaico e fon- L'atteggiamento di questi gruppi, ostile dò una nuova comunità del tempio ai movimenti di riforma, fa supporre che (Flav. los., ant. u,388; 13,62-73; bell. essi stessero dalla parte dei Sadochiti r,33}. Si può pensare che tali avveni- esiliati 11 • Jojarib è presentato come un epigono di Je- debba intendere una ~fazionel> che in seguito daja. Pertanto questa famiglia sacerdotale, che sfocia in quella dei Farisei (~ ct.fnCTa.i:oc;); in origine non rientrava nel novero di quelle cfr. Nora, op. dt. (~ n. 9) 335 n. 1. !! più legate al tempio, deve senza dubbio la sua probabile che sotto il nome di Hasidim si ceascesa all'emergere del suo ramo asmoneo, che lino vari gruppi giudaici per nulla omogenei e afferma di risalire a un sacerdote di nome di volta in volta avvetsi, più o meno rigidaAsmon (Flav. Ios., bell. 1,36; ani. 12,265: mente, al corso politico predominante nella ie'Ac;aµwva~c; = l;aim6n) ed era originaria rocrazia gerosolimitana. In questa prospettiva del villaggio di Modio, checché ne dica Fla- si comprende che secondo z Mach. 7,13 vi fossero Hasidim disposti a pacificarsi col sommo vio Giuseppe. Cfr. ~ ScHOEPS 663 s. 24 Giustamente ~ ScHOEPS 664 sottolinea che sacerdote, mentre altri evidentemente contila nomina di Simone a àpxr.t:pEvc;, CT't"pa.TI)ybç nuavano a rimanere all'opposizione. C'è inolxat lDvapxTJç (1)yooµe:voç) -t&v 'Iovllr.dwv tre da osservare, come ha fatto notare H. (nomina avvenuta, secondo I Mach. 1441 ss., EwALD, Gescbichte des Volkes Israel IV (1864) nel 140 a.C. ad opera dei sacerdoti e dell'as· 483-494 (dr. anche ~ WBLLHAUSER 78 n. I) semblea popolare) segnò anche l'esclusione uf- che il plurale ebraico !;sidim corrisponde al ficiale dei Sadochiti e il rifiuto delle loro ri- plurale siriaco-aram. fl"sén e rispettivamente al plur. enfatico p•saija, la cui trascrizione greca vendicazioni. 25 Cfr. SCHLATTER, Gesch. Isr. 122-127_ è 'Ecrcrtj\lol o 'Ecraa.i.o~, e che inoltre in Phi:lo, 26 z Mach. 242: 'Acnlla~oL, ebr. ~asidim, sono omn. prob. lib. 13 'ECTcra.i.oL<'esaija< fl•saija è in primo luogo i 'pii' che, in quanto zelanti so- reso appropriatamente con !Soi.o~. Perciò è prostenitori della legge e quindi anche della le- babile che anche gli Esseni vadano fatti derivagittimità del sommo sacerdozio, sono passati re dai gruppi di Hasidim del sec. u a.C., almeall'opposizione. Quanto fossero legati alla ge- no con lo stesso diritto con cui si sostiene che rarchia del tempio risulta da I Mach. 7,13, se- da questi siano poi sorti i Farisei. Pare inolcondo cui essi sono disposti a far pace allor- tre che gli Esseni d'età recente - presentati da ché assume il potere Alcimo nella sua qualità Flavio Giuseppe e da Filone come scuola filodi aronnita e quindi di legittimo aspirante al sofica - abbiano mantenuto il loto carattere per ministero di sommo sacerdote(-+ n. 21). nulla unitario, come provano le recenti scoZ1 ~ il caso di chiedersi se per O"IJVaywrlJ perte; cfr. ScHOEPS (-+ n. 9) 85. Ma che in Acnl>a.lwv = 'adat !iasidl1t1 (z Mach. 2,42) si questi ambienti 'essenici' le tradizioni sadochi-

    .: ,i: -:

    · .·J

    1n7 (vn,39)

    l:a81ìouxrxfoç B 1 rd (R. Meyer)

    (VII,40) rn8

    Risulta cosl dal Documento di Dama- evidentemente il ruolo di guida. Inoltre, sco e dai testi di Qumran che, al di fuo- poiché essi sono stati designati al potere ri della gerarchia del tempio gerosolimi- per disposizione divina, ci si attende che tano e indipendentemente dalle trasfor- un giorno assumano pubblicamente il mazioni politiche in essa avvenute, le potere inerente al sommo sacerdozio con tradizioni aronnito-sadochite riuscirono tutte le conseguenze che esso comporta. a salvarsi con una sorprendente capacità Benché il Documento presupponga uno di sopravvivenza. Il passo di Ez. 44,I5, stadio più recente dell'evoluzione della che parla del personale del culto nel comunità 30, le rivendicazioni dei Sadcr nuovo tempio di Gerusalemme, è citato chiti fanno pensare che le speranze di da Dam. 4,2 ss. (6,I ss.) in una forma giungere al potere espresse in questi pasgià adeguata agli interessi dei Sado- si affondino le loro radici in un tempo in chiti («sacerdoti e leviti e figli di Sa- cui appunto questi Sadochiti furono cacdoc») 28, ed è interpretato in questo ciati da Gerusalemme 31 • Ora il Docusenso: «I sacerdoti sono coloro che tor- mento Damasceno è integrato da I QS narono in Israele [e] uscirono dalla ter- 5 ,2 .9, dove i Sadochiti sono definiti «sara di Giuda [, e i leviti sono coloro] cerdoti che custodiscono l'alleanza» 32• che si unirono ad essi, e i figli di Sadoc Poiché inoltre solo gli Aronniti hanno sono gli eletti d'Israele che portano il diritto di esercitare l'autorità giudiziaria nome di chiamati e appariranno alla fine sulla comunità e di amministrare il padei giorni» 29• Di conseguenza il Docu- trimonio comune fino al giorno in cui mento Damasceno presuppone una co- «sorge un profeta e gli unti da Aronne munità sacerdotale con una rigida orga- e Israele» 33, il ruolo di guida dei Sadonizzazione nella quale i Sadochiti hanno chiti emerge anche da I QSa I,2.24; 2,3 te occupassero un posto stabile, risulta inequivocabilmente dal materiale delle fonti: di cui trattiamo più avanti. 2~ Testo ebraico: whkhnjm hlwjm bnj !dwq, «ma i sacerdoti leviti, figli di Sadoc»; invece Dam.: hkhnjm whlwim wbnj !dwq. 29 hkhnjm hm Ibi jsr'l bjw!'im m'r! jhwdh w[hlwjm] hnlwjm 'mhm wbnj [dwq hm b!Jiri ;!r't qrj'j h!m h'mdjm d'IJrjt hjmjm; per il testo cfr. L. RosT, Die Damaskusschrift, KlT 167 (1933) ad l. 30 Cfr. O. EissFELDT, Einleitung ifl das A.T. 1 (1958) 806 s. 31 Da questa prima cacciata dei Sadochiti sotto Onia m si dovranno distinguere gli avvenimenti accaduti sotto Alessandro Ianneo. Secondo 4 Qp Nah 2,12 s. (M. ALLEGRO, Furtber Light on History o/ Qumran: JBL 75 [r956] 89-95) infatti è probabile che nel corso dei disordini antìasmonei il «maestro di giustizia» di I Qp Hab verso il 90 a.C. abbia rivendicato diritti sadochiti. Come tutti gli oppositori di qualsiasi tendenza anch'egli fu sconfitto e costretto a fuggire, come forse accennano Flav. Ios., ant. 13,383 e Ps. Sal. 17,15-23. Probabilmente anche in Qid. b. 66a (-7 n27 s.) abbia-

    mo un lontano ricordo delle dvendicazioni sadochl te contro la monarchia ierocratica di Ianneo, quando la leggenda mette in bocca a Giuda ben Gedidja le parole: «Re Ianneo, conten teti della corona di re a lascia la corona sacerdotale agli Aronniti». 32 bnj 1dwq hkwhn;m 1wmr; hbrit; dr. ibìd. 5,21, dove gli Aronoiti sono menzionati come coloro «che si sono impegnati ad istituire il suo patto e ad accettare tutte le sue norme»; e&. anche~ STAUFFER 140 n. 27. 33 r QS 9,7: rq bnj 'hrwn jm1lw bmip! wbhw11; r. u: 'd bw' 11bi' wmfi!Ji 'hrwn wiir'l. r QSa 2,12.14 dà un carattere di certezza obiettiva allo stato costrutto plurale mf;IJi, nonostante la frafilmen tarietà del testo; invece i paralleli Dam. 12,23 (I5A): 'd 'mwd miwl; 'hrn w;ir'l; 14,19 (r8 ,8): msw]J; 'hrn wjSr'l; 19,10 s. (9,10): bbw' m1i!1 'hrn wjir'l, e 20,1 (9,29): 'd 'mwd 111I;J; m'hrn wmifr'l, dove abbiamo il singolare, sono da atuibuire a manipolazioni medioevali. Per la bibliografia dr. ~ STAUFFER 136 n. 6; K. G. KUHN, Die beiden Messias Aarons und Israels: NTSt l (1954-1955) 159-179; DJD r 121 s.; inoltre F. NoTSCHER, Zur theologischen Terminologie

    III9 (VJlAO)

    :Eaooouxai.'o.; B

    e. ·I QSb ,3,22 s. Nell'ultimo di · questi i «figli di Sadoc» sono defuiiti i S',Jterdoti «che Dio ha eletto perché consolidino la sua alleanza per [sempre e] applichino tutte le sue .disposizioni nel suo popolo» 34• A questi enunciati s'aggiunge che nella comunità quale si mauifesta a Qumran anche nella liturgia 35 sembra esistere un'organizzazione gerarchica 36•

    1,

    1d-e (R. Meyer)

    (VllAO) II20

    e) Sotto il profilo della storia delle re-

    ligioni ciò che più è rilevante all'interno della tradizione sadochita è un'escatologia a tinte fortemente immanenti che rispecchia in pieno la più antica soteriologia postesilica 37•· La fede nella risurrezione, tanto rilevante nella dogmatica farisaica fin dal I sec. d.C., costituisce nell'ambiente sadochita un motivo niente affatto necessario alla salvezza 38, tanto che gli aderenti a gruppi di matrice sadochita potevano addirittura .passare per negatori della risurrezione 39 • D'al-

    der Qumran-Texte, Bonner Bibl. Beitrage 10 (1956} 50 s. -H bnj !dwq hkwhnjm "fr bpr hm 'l llp.q brjtw l['wlm . wlb ]pw11 kwl mspfjw btwk 'mw; a questo riguardo dr. DJD I 124 s. ;s A questo riguardo dr. M. WErsE, Kqltzeitelt und kultischer Bundesschluss in der «Ordemregel» ·von Qumran, Diss. dattiloscritta Jana (1956) soprattutto 73-n2. .'6 La comunità di Qumran risente notevolmente dell'inBusso di antiche idee di carattere sacerdotale-legittimistico, come prova ass. Mos. (dell'inizio del sec. I d.C.), uno scritto che si può collocare coµ sufficiente certezza nell'area d'inBuenza di Qumran. L'opera combatte il sommo sacerdozio illegittimo degli Asmonei (6,1, dr. 5A= qui non sunt sacerdotes, sed servi. de. servis: 11ati), 1a monarchia di Erode (6, 2: rex petulans, qui non erit de ge11ere sacerdotum, hoJt!.oJemerarius et improb11s) e il governo dei.suoi ~gli (6,6 s.). In una forma che ricor9a: la pol~mica farisaica contro i Boet~iani (-> ,col. 1123) ass. Mos. 7,7 s, descrive i sacerdoti del suo tempo: in scelere pieni et iniqui/ate ab [sole} oriente usque ad occidenlem; dicentes: H4bebimus disc11bitiones et lux_uriam .efkntes et bibentes, et potabim11s nos tamqpqm" p1incipes (= m!j'im) erimus; lo scritto oontesta inoltre jlllche il rabbinismo fari~ic.Ò (Mi 7,3~) in perfetta ·consonanza formale con Dam. 8,13 s. (9,22); dr. 4,19 (7,,1.} .. Riguardo a .; S:r~ÙFFBR 137 s. r41 s,; P. KAHLB, Die Gemeinde des neu,en Bundes und die hebriiischen Handschrijte11 au!i der Hohle: Tiù..Z 77 (1952) 401-4l2; per fa: bibliografia ve


  • grande insurrezione contro Alessandro. Ianneo (~n. 31 ), e soprattutto I QM con le sue-esplicite speranze intramondane. Per l'edizione del testo e la bibliografia ~u I QM cfr. EissFBLD'.l', op. cit. (-7 n. 30) 807-810. 38 Secondo r QH 6,29 .s. al momento del giudizio si destano tutti i figli della sua verità: kwl bni '[m}tw j'wrw, mentre secondo 6,34 «coloro che giacciono nella tomba fanno il segnale e gli abitanti delle tombe (propriamente i vermi dei morti} alzano lo stendardo»: w1wkbi 'pr hrjmw lm wtwl't mtim nf'w ns. In tal modo non si travalicano ancora per nulla i limiti di Dam. 12,2. 39 SCHOEPS, op. cit. (-?·n. 9) 72 s. indica due importanti tradizioni che mostrano come per lungo tempo sia rimasto vivo il ricordo di un gruppo di persone .designate come Sadd11caei che non hanno nulla a che vedere coi l:alìlìouxafoL di Flavio Giuseppe e del N.T. e ché, benché molto religiosi, .negano la risurrezione dei morti: a) Ps. ·Clem., recogn·. 1,53 s.: 111 multas etenim iam partes·· pop11/us sdndebat11r initio s11mpto a Johanne baptista... Erat ergo primum schisma eomm, ·qui dicebant11r Sadducaei, initio ]ohannis iam pene temporibus s11mpto. Hique ut caeteris iustiores segregare se coepere a populi coetu, et . mort11orum re; s11rrec/ionem negare idque argumeflto in/idelitatis asserere, dicentes non esse dig11um ·ut quasi sub mercede- proposita cola/ur deusi b} Ephr. Syr., test; armeno, Corp. Script. Christ. Or. 137 (1953) 351; trad. lat. a cura di L. Leloir, Evangelii concordantis expositio, ibid. 145 (1954) 249: Sadducaei (in) dieb11s Johannis inìtium habuerunt, .quasi i11sti separantes. seipsos, .et resurrectionem · rnorluorum nega11t,- confide11tes in seipsis, q11ia non con· ve11it, ai1111t, ob mercede111 gratiae adorare et

    pas~i

    II21 (VIl,40)

    :Eo:lìlìovxo:for; B 1 xe-2a (R. Meyer)

    tro canto in questi ambienti si rilevano forme di pensiero di tradizione antica, forse derivanti in ultima analisi dal retaggio cananeo di Israele, che appartengono alla sfera sacerdotale e si esprimono in coppie di concetti antitetici 40 • Questo modo di concepire per antitesi può aver contribuito in parte al dualismo singolarmente accentuato della comunità di Qumran e, nel quadro della storia delle religioni, all'inserimento e all'elaborazione teologica anche di elementi iranici 41 • f) Nella misura in cui oggi è possibile

    ricostruire la storia dei Sadochiti, si può affermate che per tutta la sua durata questo gn1ppo non ba mai stabilito rapporti pacifici con lo stato di Gerusalemme che si accentrava nel tempio. Non è pertanto lecito identificare questo ambiente con i Sadducei di Gerusalemme che troviamo citati da Flavio Giuseppe e dal N.T. D'altro canto con la seconda distruzione del tempio di Gerusalemme si. è salvata solo una parte della letteratura di indirizzo sadochita. La sua riscoperta risalente all'8oo d.e. ha influito notevolmente sui earaiti (è noto che per colere Deum. Per altri particolari~ n. 46. 40 In ass. Mos. 10,1 per es. per indicare il diavolo troviamo il nome Zabulus, giustamente equiparato a 8ia~oÀor; da ~ STAUFFER 142 n. 37. Ora il medesimo termine zbl = *zabiilu, «principe, signore», si trova· già nei testi mitologici di Ugarit a volte per indicare Ba'al: zbl b'l = «principe Ba'afo, oppure zbl b'l 'ari «principe, signore della terra», e anche composto in zblb'l, al quale si può equiparare BEEÀ~E~DVÀ e~ II, coli. 239 ss.). Tuttavia zbl è soprattutto l'epiteto di ;m=*iammu, «mare»; cioè zbl im «principe maÌe» è, come lP! nhr «giudice fiume», un'espressione indicante la potenza caotica dell'acqua che è l'opposto assoluto di Ba'al e quindi della natura in fiore. Non vi può essere alcun: dubbio che nel termine Zabulus usato isolatamente vi sia ancora l'eco di un'antica tradizione sacerdotale cana· nea. Per i testi cfr. G. D. YoUNG, Cottcordance

    =

    (VllAXJ II22

    un certo periodo essi esercitarono un notevole influsso sull'evoluzione spirituale del giudaismo), al punto che questi si consideravano in rappotto genealogico coi Sadducei (4> col. I126) 42• 2. Sadoc

    e Boeto

    In una tradizione rabbinica i Sadducei e i Boetosiani, questi ultimi spesso menzionati insieme coi primi, sono fatti risalire a due rabbini farisei del sec. II a.e. ·a) Secondo Ab. R. Nat. 5 Antigono di Soco, la cui attività va collocata agli inizi del sec. II a.e., ebbe due discepoli di nome Sadoc e Boeto. Egli trasmise loro l'aforisma: «Non siate come gli schiavi che servono il padrone per averne un dono, ma come schiavi che servono il padrone senza l'intenzione di averne un dono, e il timore di Dio sia con voi» 43 • Nella generazione di discepoli successiva a Sadoc e Boeto questo principio avrebbe dato luogo alla controversia sulla retribuzione: «Per quale motivo i nostri padri h'1nno detto queste parole? Può essere che un operaio lavori tutto il giorno senza riceverne alla sera la ricomo/ Ugaritic, Analecta Orien.tQJ.ia 36 (19,6) s.v. b'l, zbl, lP!· . 41 Cfr. NoTSCHBR, op. cit. (~ n. 33) 79-Io4; ~ STAUFFER 137· 42 ~ n . 51; riguardo al problema dei Caraitl cfr. P.KAHLE, Tbc Cairo Geniza 2 (19,9) 17· 28.

    Secondo Ab. R. Nat. recensione B e Ab. 1,3. In Ab. R. Nat. (recensione A) si ha una correzione çenforme alla dogmatica rabbinica con l'aggiunta: «Affinché la vostra riçempensa sia duplice nel mondo fururo» (ltdi 'fihjh skrkm kpwl l'tjd lbw'). Per scoprire il senso autentico di Ab. R. Nat. :> è necessario cancellare questa aggiunta; contro J. GoLDIN, The Fathers Accordi11g to Rabbi Nathan (19,5) 39 n. 2. Circa il carattere della leggenda cfr. ~ 4l

    Sadduzèiism11s r6 s.; · MEYER, Ursprrmg II 291.

    HoLSCllllR,

    1123 (VIIAI)

    l:alìlìouxai:oç B

    1

    2a-b (R. Meyer)

    pensa? Se invece ai nostri padri fosse insieme con Giuda, il capo di una banda stata nota l'esistenza di un altro mondo di volontari galilei. Probabilmente si e di una risurrezione dei morti, non a- trattò di unificare sotto un unico provrebbero parlato in questi termini». Poi- gramma di salvezza escatologica gruppi ché secondo i discepoli di Sadoc e Boe- nazionalistico-religiosi già esistenti. Lo to Ja fede nell'«eone futuro», che inclu- scopo perseguito dal movimento era di de naturalmente la speranza nella retri- instaurare il regno di Dio su questa terra buzione, come pure il dogma della ri- ingaggiando la guerra escatologica consurrezione dei morti, sono confutati dal- tro i Romani e i Giudei collaborazionila sentenza di Antigono, probabilmente sti 45 • Si può quindi senz'altro affermare essi si ritennero sciolti dalla torà, dan- che Sadoc abbandonò la linea farisaicodo origine a due sette che da Sadoc e rabbinica e fondò una nuova 'scuola'. Boeto presero il nome di Sadducei e Mentre infatti secondo il fariseismo, per Boetosiani. Per il loro indirizzo esclu- lo meno quello che si rifaceva a Hillel, la sivamente immanente presumibilmente salvezza futura sarebbe venuta con l'iniessi sostennero anche che la ricompensa zio del nuovo eone(~ r, coll. 555 s.) insarebbe stata concessa durante la vita dipendentemente dagli avvenimenti storici, lo zelotismo riprendeva l'antica speterrena 44 • ranza immanentistica per cui l'inizio del b)Nel periodo in cui Quirinio fu go- regno di Dio dipendeva dall'impegno vernatore della Siria, nell'anno 6/7 d .C., personale del credente 46• Ora in questo quello che era stato il fariseo Sadoc ab- contesto la leggenda ha fatto di Sadoc bandonò la sua setta per fondare il par- l'eroe eponimo dei Sadducei ~ perché lo tito degli Zeloti (~ III, coll. 1506 ss.) identificò con il discepolo di Antigono, Analogamente, la conclusione di Ab. R. Nat. 5 dice: «Pertanto per tutta la loro vita [i Sadducei e i Boetosiani] usavano oggetti d'argento e d'oro- non per un senso di alterigia, ma perché i Sedducei affermavano: 'La seguente tradizione viene meno presso i Farisei', in quanto essi (i Sadducei) si affaticavano in questo mondo, ma in quello futuro non avrebbero assolutamente nulla». Cfr. a questo proposito la polemica di ass. Mos. 7,7 s. (~ n. 36). 45 Flav. Ios., ant. 18,4 ss. 23 ss.; beli. 2,n8.15r ss.; cfr. R. MEYBR, Der Prophet aus Galiliia (1940) 74 s. n. 169; ScHLATTER, Gesch. Isr. 26x-264. 46 Ab. x,3 può essere senz'altro inteso nel senso di impegno disinteressato per Dio in questo mondo. Da questo presupposto è possibile dedurre che Sadoc si ricollegasse ad Antigono e avesse fatto di Ab. x,3 il suo programma; in particolare egli poteva essere entrato in quella vasta e multiforme cerchia di opposizione antigerosolimitana e antiromana di cui gli Esseni di Qumran rappresentano evidentemente solo un gruppo. Ora, se Pseud.-Clem., recogn. x, 44

    53 s. ed Efrem (~ n. 39) narrano che all'epoca di Giovanni Battista i Sadducei si sepatarono dagli altri Giudei perché si consideravano giusti, non può trattarsi degli antichi Sadochiti né dei Sadducei della gerarchia del tempio, ma solo dei seguaci di quel Sadoc che compare come capo degli Zeloti. Quindi non è forse solo un tratto apologetico quello con cui Flav. Ios., ant. 18,9 fa di Sadoc (con Giuda) il fondatore di una «quarta filosofia». Che secondo la tradizione rabbinica Sadoc si avvicini direttamente ad Antigono e lo scisma esploda solo nella seconda generazione di discepoli, s~ spiega pensando che, grazie a riflessioni cronologiche, la successione delle tradizioni ha sublto un prolungamento di carattere secondario. Comunque non è possibile stabilire se questo Sadoc sia entrato in rapporto con gli ambienti sadochiti di Qumran; in ogni caso non si può negare un'a.flìnità spirituale. 47 Dal punto di vista rabbinico si tratta naturalmente dei Sadducei legati alla gerarchia del tempio; per i rabbini i Sadochiti più antichi e i fautori più recenti di Sadoc non han-

    n25 (vn,.p)

    !:a.lioouxa.~oc;

    B r 2b-3 (R. Meycr)

    oppure, ed è la seconda possibilità, perché confuse le due figure omonime. Tra l'altro questa confusione era facilitata dal fatto che i Sadducei, legati all'autorità del tempio e nonostante tutta la loro astuzia politica, fino alla fine mantennero un indirizzo soteriologico di matrice escatologica(~ col. u34).

    'Boeto' 50 • La fusione di motivi eterogenei, inoltre, può essere stata la causa per cui la medesima leggenda, che i rabbini tramandano in polemica con i Sadducei e i Boetosiani, ha invece un valore positivo nella tradizione dei Caraiti 51 , che nel Sadoc di Ab. R. Nat. 5 vedono il loro capostipite spirituale. Tuttavia questo passo non permette alcuna illazione circa le origini di quei Sadducei che troviamo legati all'autorità politica del tempio.

    c) Accanto a questo Sadoc la tradizione conosce un Simone b. Boeto, o semplicemente Boeto di Alessandria, che fondò la dinastia dei Boetosiani 411 • Una figura di un certo rilievo tra i sommi sa- 3. Sadducei quale denominazione di un cerdoti di questo casato fu Joasar b. Boegruppo politico to, perché, quando Sadoc e Giuda rifiutarono il censimento di Quirinio, tentò di L'ultimo sommo sacerdote legittimo convincere il popolo a non opporsi alle prima degli Asmonei, l'aronnita Alcidisposizioni del governatore romano 49 • mo, con la sua politica dura e riformistiDi conseguenza nella :figura di Joasar ab- ca screditò presso i 'giusti' il sacerdozio biamo un 'Boeto' accanto a un Sadoc, ov- aronnita 52 • Poiché tra tutti gli Aronviamente non certo per l'affinità tra i niti quelli che vantavano una tradizione due personaggi, ma per una radicale op- particolarmente solida erano i
    lv oEwi;> cpÉpov-.Ec; -.1}v È1tt -.ai:c; Ò:1to'YP«cpcti<; àxp6a.cw ÙltOXC1:tÉ~'l]CTCl.\I 'tOV µ1} tlc; 'ltì..éov lvav-.~oucrl}a~ 'ltEloii oÈ oihoc; vU1c; ijv. so Giustamente ScHLAT'l'ER, Gesch. Isr. 23r n. 2rr ricorda che secondo le nostre fonti la

    legittimità della casa di Boero, a di.l.Ierenza di quella degli Asmonei, non è stata messa in

    dubbio (~ coli. 1127 ss.). SI Cfr. Ja'qub al-Qirqisani, Kitab al-tfowar wal-Maraqib, ed. L. Nemoy (1939) 1,2,7; inoltre L. NnMoY, AJ-Qirqirani's Account o/ the Jewish Secls and Christianity, HUCA 7 (1930) 326. Quando al-Qirqisani accanto a Sadoc menziona anche Boeto fra i capostipiti dei Caraiti, dimostra dì dipendere dalla tradizione rabbanitica che abbiamo in Ab. R. Nat. 5, ma non dice se e in che misura i Caraiti disponessero effettivamente di autentiche tradizioni sa· dochite; dr. anche E. BAMMEL, Kirkisanis Sadduziier, ZAW 71 (1959) 265-270. 52 Cfr. I Mach. 7,13-18; è significativo che I Mach. non dica perché Alcimo fece giustiziare 60 Hasidim.

    :Eaolìouxa~oc;

    B

    1

    mentre a Leontopoli e nei paesi confinanti con la Palestina gli autentici Sadochiti coi loro fautori erano contrari all'evoluzione che avveniva in Gerusalemme, la maggioranza sacerdotale rimasta nel tempio veniva definita polemicamente 'sadocea'.

    II. I Sadducei di Gerusalemme r. Sadducei e Asmonei

    La penuria di fonti adeguate non permette di tracciare un profilo storico esauriente di quel gruppo politicamente attivo che Flavio Giuseppe e la tradizione rabbinica designano col nome di Sadducei e collegano strettamente alle vicende dell'autorità politica ·del tempio di Gerusalemme. Sono rari i punti in cui è possibile fare un po' di luce sulla realtà storica. I- Sadducei vengono menzionati da Flavio Giuseppe come partito o corrente che emerge per la prima volta sotto·Giovanni Ircano ·1 (135-ro4 a. C.). Secondo un aneddoto vagante narrato ln Flav. Ios., ant. 13,288-296 e in Qid. b. 66a riferito ad Alessandro Ianneo ( ro3-76), in un primo momento Giovanni Ircano l sarebbe stato discepolo e amico dei Farisei. Tuttavia in occasione di un banchetto offerto dal sommo sacerdote a tutto il gruppo dei suoi amici ( ! ) il fariseo Eleazaro, con terrore Tuttavia Poco dopo Flavio Giuseppe con entusiasmo descrive Ircano I come un sovrano càrismatico che assommava la funzione cli gòverno, la dignità cli sommo sacerdote e il dono profetico (-7 VI, col. 825), ani. 13,299; bt;ll._x,_68.

    53

    Tuttavia questa adesione è considerata apostasia; dr. Ber. b. 2911: «II sommo sacerdote, Johanan tenne per 80 anni la carica di sommo sacerdote, ma alla fine si fece sadduceo» (jw(1nn khn gdwl sms bkhw11h gdwlh Jmnim Jnh wlbswf n'Jb fdwqi); cfr. a questo riguardo la tipologia di· Salomone, che nella vecchiaia apo·

    Si

    3 - n x (R. Meyer)

    di tutti, avrebbe rinfacciato agli Asmonei di essersi impadroniti illegalmente della più elevata carica sacerdotale. Benché la vicenda fosse terminata in modo pacifico, il sadduceo Gionata sarebbe riuscito a sobillare il sommo sacerdote sl da fargli abbandonare i Farisei e appoggiare i Sadducei. Ne sarebbe derivata una vera e propria persecuzione contro i rigidi osservànti della legge, che presero a odiare gli Asmonei 53 • Il nucleo storico dell'aneddoto, che poggia sulla rivalità delle due scuole e risale certamente al sec. I d.C., sta probabilmente nel tentativo di spiegare come mai Giovanni Ircano I, che in definitiva doveva il prestigio del suo casato all'opposizione dei fedeli osservanti della legge, si fosse aggregato a coloro che agli occhi dei 'pii' avevano un· passato tutt'altro che limpido 54• La risposta storicamente valida a questo interrogativo dovrà essere ricercata, a differenza di quanto fa Flav. Ios., ant. 13,288-296, n~lla seguente direzione: se gli Asmonei intendevano conservare il potere mentre ancora era forte l'influsso della ierocrazia, non potevano non allearsi con gli esponenti del1'antica aristocrazia sacerdotale rimasti a Gerusalemme, e dovevano quindi mettersi dalla parte dei 'Sadocei' 55• Infatti solo costoro, data la loro origine, potevano liberare §li Asmonei dalla taccia di illegittimità . A loro volta i 'Sadocei' erano indotti a far pace e ad allearstatò dalla retta fede (r Reg. n,1-8). Nonostante I Mach. 14,25-46, l'uccisione di Simone e dei suoi figli Mattatia e Giuda da parte del genero Tolomeo rivela la fragilità della sovranità asmonea; dr. ibid. 16,13. Naturalmente r Mach. non dice se e in che misura il tentativo cli cacciare gli Asmonei risalisse all'opposizione legittimistica (-7 n. 24). Ricollegandosi a Nicola di Damasco, Flav. Ios., a111. 13,288; beli. x,67 accenna alle difficoltà politiche interne che anche Giovanni Ircano dovette affrontare. 56 Un segno che Flav. Ios., ani. 13,288-296 55

    :l:alìlìovxcil:oç B u

    si con gli Asmonei per non essere a lungo straziati da pericolose lotte intestine 57• Riferito alla genealogia sacerdotale, tutto ciò significa che, al più tardi sotto Ircano 1, Jojarib, l'ultima classe sacerdotale, passò ufficialmente al primo posto 58, con la conseguenza di attirare sul casato degli Asmonei l'avversione dei 'pii' che non potevano dimenticare questa 'apostasia'La simbiosi fra la nuova generazione di sommi sacerdoti e i 'Sadocei', ossia i Sadducei, si mostrò senz'altro una scelta intelligente sotto l'aspetto storico-politico, poiché gli Asmonei poterono condurre le loro guerre di espansione con la giustificazione dell'antica escatologia salvifica particolare 59 con cui erano in par. è un dato recente dovrà essere visto nel fatto che l'accusa dei Farisei contro Ircano, secondo cui sua madre per alcuni anni sarebbe stata prigioniera di guerra e pertanto non poteva più essere considerata vergine, mira solo ad affermare che non poteva assumere la carica di sommo sacerdote, ma non mette in discussione la legittimità di tutto il casato HasmonJojarib. Ma qui non si tratta in primo luogo della semplice osservanza di una legge circa l'idoneità di un sacerdote, come ritiene ancora SCHLATTER, Gesch. Isr. 139, bensl si parla della posizione conquistata rispetto all'ot>posizionc sadochita estranea alla gerarchia del tempio. 51 Nel momento in cui venne meno l'alleanza, si abbatté su di essi la catastrofe (Flav. Ios.,

    am. 13>405-417), 58 ~

    n.23.

    Cfr. la campagna contro i Samaritani e il loro tempio, Flav. Ios., ant. 13,275 ss.; bell. 2, 64 ss. con Ecclus 50,26 e Iub. 30,18.28; R. MEYER, op. cit. (~ n. 45) 63 s.; Nora, op. cit.

    S9

    (~ n. 9) .346 s. A questo punto va inoltre collocata l'annessione della Galilea e l'espulsione degli abitanti ellenistico-pagani (Flav. Ios., ani. 13,280.318 s.). A questo riguardo è da confron· tare A. ALT, Gali/Jische Proble111e 5: Die Um-

    gestaltung· GaUliias durch die Hasmoniier, Kleine Schriften zur Gesch. dès Volkes Israd ·II

    l

    (R. Meyer)

    {Vll,44)

    II30

    piena sintonia, e, nonostante qualche travaglio 00, continuarono su questa linea politica fino alla loro scomparsa. Pertanto se si vuole dare un volto al movimento che appoggiava gli Asmonei e che era guidato dall'aristocrazia sacerdotale e laica, è necessario tener presente che l'ideofogia sadducea, o sadocea, presuppo. neva l'affermazione del concetto di uno stato nazionale particolare incentrato sul tempio, che, in armonia con- le-tradizionali attese soteriologiche ed escatologiche, costituisce il germe della purificazione della terra santa, della liberazione da ogni elemento pagano o semipagano, come pure del ripristino del regno ideale d'Israele che un giorno era stato· di David 6-1• Tutto ciò ovviamente era subordinato al principio che l'attuale epoca sto(1953) 407-423 . Lo stesso dicasi per la sottomissione della Idumea con Ebron, l'antica città in cui David fu incoronato re (~ x,' coll. 59 ss.) (Flav. Ios., a1Jf. 13,257). Aristobulo I (104~ 103 a.C.), evidentemente su' presupposti analoghi, giunse a imporre la circoncisione agli Iturei (Flav. Ios., ani. 13,318 s.). · . . 00 Anche Alessandro Ianneo distruggeµqo la città dì Pella sì colloca sul piano. dell'escato fogia soteriologica di tipo nazionale e partico. Iaristko (Flav. Ios., ani. 13,397). A questo .i:i~ guardo non deve indurre in inganno la ribellione del popolo sobillato dai "pii', che vide schierate sui due 'fronti trupjie ·merc!énarie (Flav. Ios., ant. 13,372 ss.). Cfr. a questo riguardo Sc!iLATTER, Gescb-. Isr. 143-146; Nora, op. cit. (~· n. 9) 349 s.; ~ ScHOEPS 666-s . .. 61 Presso gli Asmonei, come pure.presso i lo.r o sostenitori sacerdoti e laici, non si può notare alcuna traccia di univetsl!!.ismo e di gesti di amicizia verso i pagani - èhe ne sono la éon~eguenza diretta - , come invece r!petono fonti più recenti a proposito dei Sadducei: Qtletto particolare è stato giustamente messo in rilievo, tra l'altro, da ~ HoLSCHER, Sadduzaismtis So s. Inoltre il fatto che gli Asmonei,'éOme prova la storiR della loro fanùglia, pagaròno il loro tri'buto all'ambiente ellenistico;. non.esclude che In loro concezione fondàmentale e quella dei loro sostenitòri fossero di indirizro 'sadoceo'. •; ,

    l:cx.ooovxcx.i:oç B n

    rica è soggetta alla sovranità ierocratica dei prlncipi di casa asmonea. 2.

    I Sadducei durante il dominio erodia. no e romano

    Dopo che Erode ebbe assicurato la sua monarchia con la conquista di Gerusalemme nel 37 a.C. e l'asmoneo Antigono fu decapitato dai Romani, secondo Flav. Ios., ant. 15,6 quarantacinque esponenti delle principali famiglie di Giudea furono costretti a togliersi la vita. Secondo un'altra tradizione attestata da F1av. los., ant. 14,175, dopo la conquista del potere Erode eliminò tutti · i componenti della gerusia (~ O'U\lfOpto\I) fatta eccezione del fariseo Samaio. È presumibile che le due notizie si riferì· scano al medesimo avvenimento, cioè alla soppressione della gerusia di tendenza asmonea compiuta da Erode 62• Sareb. be ingiusto vedere in questo fatto di sangue solo l'atroce vendetta dell'uomo nuovo finalmente giunto al potere, mentre è più probabile che la vicenda significhi la vittoria di una linea politica e. spressa da .Erode e diametralmente opposta a quella degli Asmonei, e quindi radicalmente ostile all'antico sadduceismo. La ierocrazia asmonea poggiava su un particolarismo religioso-naziona· listico e l'accanita difesa di Gerusalemme da parte di Antigono prova a sufficienza che la popolazione della città ad eccezione dei Farisei - nutriva sostanzialmente _gli stessi sentimenti 63 • L'atteggiamento di Erode invece era universalistico, il suo regno si doveva inserire organicamente nell'impero romano e 62

    Cfr. ~ WELLHAUSEN Io6.

    Qr. Flav. Jos., be/l, I,347 e ant. 14470; SCJILATTl!R, Gesch. Isr. 230. Circa il compor-

    6J

    tamento opposto dei farisei Pollione e Samaia cfr.

    ant.

    IJ,3.

    A proposito del regno di Erode cfr. ScHO· RER I 360-418; SCHLATJ'ER, Gesch. Isr. 230-

    64

    241; Norn, op. cit. <~ n. 9) 369·376.

    i-2

    (R. Meyer)

    (VII,45) 1132

    concedeva spazio a tutti, Giudei o Greci che fossero, e a tutti si volgeva la sollecitudine del monarca M. Per quanto si sentisse giudeo 65, egli non aveva mai pensato di purificare la terra santa con le conversioni coatte e l'esilio dei non giudei, come invece era ovvio per i primi Asmonei. A prima vista la caduta degli Asmonei dovette infliggere un colpo mortale all'antico sadduceismo, o almeno togliergli vitalità. faode aboll il privilegio del sommo sacerdozio a vita ed elesse a questa carica persone di sua fiducia. Ciò non significò solo l'inizio dell'ultima fase nella storia del sommo sacerdozio di Gerusalemme, ma anche un nuovo e ultimo periodo di vita di ciò che ancora rimaneva del sadduceismo. Il primo sacerdote, dopo l'esecuzione capitale di Antigono, fu H ananel. Circa la sua origine abbiamo due versioni: secondo Flav. Ios., ant. z5,22 verrebbe da Babilonia, mentre M . Para 3 5 lo definisce 'egiziano'. In quest'ultimo caso si potrebbe supporre che per motivi di legittimità Erode si procurasse un sacerdote di Leontopoli che, in quanto esponente di autentiche tradizioni sadochlte, fosse in grado di mettere a tacere anche ideologicamente le aspirazioni asmonee al sommo sacerdozio 65 . Più chiare risultano le intenzioni di Erode con l'elezione di Simone b. Boeto a sommo sacerdote 61• Il casato di Boeto a cui apparteneva Simone era originario di Alessandria. Secondo Flav. Ios., ant. r 5,319 s. 322 Erode nominò sommo sacerdote Simone perché ne voleva sposare la bella figlia Marianne II e perché voleva ave1

    Cfr. per es. la coerente osservanza del rito della circoncisione da parte di Erode e dei suoi familiari(~ x, coll. 59 ss.). 66 Cfr. ScHLATTER, Gesch. Isr. 429 n. 211. 67 Tra Hanand, il cui ministero fu interrotto per breve tempo da Aristobulo, e Simone, ricoprl la carica di sommo sacerdote Gesù, figlio di Phiabi (ant. i5,322). 6.5

    u33 (vu,45)



    - -n~,

    --,...-.

    re un suocero del suo rango. Probabil- aspetti teologici che erano in dissonanza mente anche in questo caso abbiamo con lo spirito ormai dominante nella siun'interpretazione novellistica di un at- nagoga. Nonostante Je brutali epurazioto politico del re; infatti potrebbe be- ni di Erode, l'antico sadduceismo non nissimo essere che il casato di Boeto - era stato completamente debellato nelcosa che Flavio Giuseppe, di origine a- l'aristocrazia sacerdotale e profana, tansmonea, tace per ovvi motivi-fosse ere- to che nel primo secolo d.C. sopravvivede di tradizioni sadochite egiziane che va ancora la mentalità 'sadocea' che in costituivano la premessa della legittimità ultima istanza poggiava sopra una sotedel nuovo sommo sacerdozio di Gerusa- riologia escatologica nazionalistica e parlemme 68. Se le cose stanno cqsl, Simone ticolare. Non ai Farisei va attribuito ben Boeto abbracciò incondizionatamen- il merito di essere riusciti con l'astuzia te l'universalismo di Erode e rinunciò e con la decisioiie a tenere in vita nelper la propria persona e la propria fa- l'impero romano lo stato basato sul temmiglia all'antica linea di opposizione sa- pio, ma all'aristocrazia sacerdotale e a quella secolare che ne condivideva lo dochita. Il casato di Boeto rimase strettamen- spirito. Quando infine, nel 66 d.C., Gete unito alla dinastia di Erode e alla po- rusalemme fu investita dai funesti avlitica degli erodiani, e tale legame costi- venimenti che ne dovevano segnare la tul un grave fardello per questa dina- fine, fu la nobiltà sacerdotale a non cestia di sommi sacerdoti agli occhi dei dere e a perire insieme col tempio e con 'pii' delle più varie tendenze. Poiché i- l'idea che la città santa fosse la fonte noltre la famiglia di Boeto esercitò un di vita d'IsraelefH; e questo è un dato notevole influsso sugli altri appartenen- di fatto che tuttora si riflette anche nelti alla classe sacerdotale, di necessità per le leggende dei rabbini 70• l'opinione pubblica tutto H sacerdozio gerosolimitano risultò contaminato. C'è III. Il sadduceismo come fenomeno reda aggiungere che spesso Sadducei e ligioso Boetosiani erano considerati alla stessa stregua, per cui era naturale che il terDa quanto s'è detto risulta che solo mine 'sadduceo' decadesse al significato Flavio Giuseppe e i rabbini usano il conspregiativo di 'semipagano' o 'rinnega- cetto di 'Sadducei' - e i rabbini anche to'. Una spinta a ciò può esser venuta quello di 'Boetosiani' - per in'dicare dei anche dal fatto che verso la fine del giudei c;he apertamente non si adeguano primo secolo d.C. Flavio Giuseppe e i alla norma dogmatica ed etica domirabbini, consapevoli della vittoria ripor- nante nella sinagoga dopo la caduta deltata dalla dottrina farisaica sulle altre la ierocrazia gerosolimitana e la consecorrenti giudaiche, concentrano nel sad- guente vittoria del fariseismo. Soprattutduceismo e nel boetosismo tutti quegli to la tradizione rabbinica sottolinea con ~ In ogni caso è degno di nota che, nonostante l'odio che nutre verso i Boetosiani, l'opposizione non solleva mai l'accusa di illegittimità (~ n. 50). fH Questo particolare risulta più chlaro se si confronta per es. la fuga del capo supremo dei Farisei da Gerusalemme assediata (Gitti11 b. 56a/b; MEYRR, op. cii. [ _,,. n. 45] 56) col ruolo svolto dai sacerdoti, o almeno da una

    parte di essi, nei fatti d'arme (_,,. HlksCHER, Sadduziiismus 73-77). 70 Secondo una leggenda riferita in seguito alla caduta del tempio salomonico e riportata da Taan. b. 29a bar., nell'ora della caduta del tempio ·1a parte migliore dei sacerdoti restitul fa chiave del santuario a Dio e tosto si gettò tra le fiamme.

    II35 (VII,46)

    l:a.olìovxa.~oç

    B III xn-c (R. Meyer)

    particolare vigore che il sadduceismo e il boetosismo sono da considerare apo-

    rò il pensiero epicureo è travisato.

    stasia, aberrazione e separazione dalla grande ortodossia.

    b) Alla teologia sadducea corrisponde un'analoga antropologia. Secondo Flav. Ios., ant. 18,16 essi negano l'esistenza di un'anima immortale 76 ; questa affermazione è confermata da Ab. R. Nat. 5 (~ n22) secondo cui la vita goder~c­ cia dei Sadducei e Boetosiani è la conseguenza diretta della loro concezione puramente terrena dell'uomo. Perde cosl qualsiasi giustificazione la fede nella sopravvivenza individuale dopo la morte e nel giudizio ultimo, che secondo Flav. Ios., beli. 2,165 avverrà nell'Ade.

    1.

    La dogmatica sadducea

    a) Nell'ambito della dogmatica 71 dei Sadducei, di cui Flavio Giuseppe ricorqa qualche aspetto dissociandosene esplicitamente, va ricordata anzitutto la dottrina su Dio. A differenza dei Farisei, che integrano in senso sinergistico attività divina e agire umano 72, secondo Flav. Ios., bell. 2,164 s. i Sadducei non accettano la heimarmene, cioè un par-ticolare aspetto della provvidenza divina: Dio non interviene nella storia del mondo né si cura dell'individuo. Pertanto. bene e male, felicità e infelicità, sono effetto esclusivo della libera volontà umana 73 • Il sadduceismo appare quindi come un atteggiamento dottrinale che, pur senza negare teoricamente l'esistenza di Dio, finisce in un ateismo pratico.74 • È significativo che Flavio Giuseppe paragoni i Farisei agli Stoici e gli Esseni ai Pitagorici, ossia ad indirizzi :filosofici d'ispirazione religiosa (vit. 12; ant. 15,371), e accosti invece i Sadducei agli Epicurei. Essi infatti, secondo ant. lo,278, si ingannano credendQ . che non esista .la provvidenza e che Dio non si curi in alcun modo dell'universo che sta fuori di lui 75• Un'analoga equiparazione di Epicurei e Sadducei si troya nella tradlzione. rabbinica (~ col. I I 37), dove pe11

    Per la .documentazione dr.

    1!BCK

    STRACK-BILLER-

    IV 344 S.

    72 Cfr. per es. Ab. 3,15; R. MEYER, Hellenisti-

    sches in der rabbinischen Antropologie, BW ANT IV 22 (1937) 69"74· .. 73 I:a.olìovxtx~o~... T1}v µtv Elµa.pµlV'l)v 'ltCX.V· Ta-n:a.ow &.va.ipouow xa.t Tl>v ·' beòv ~~w .Tov 6piiv 'tL [xa.xòv] fi l<popiiv 'tliltv'ta.i <pa.ut o'l1t'd.vDpt:>m.t>v lx)..o'rii 't'Ò 6è xcx.Mv xa.t Ti> xa.xl>'J.. 'ltpox.t:rcta.~ xttt -'ti> xet't~ "('Vwµ:1w txiiO''TOV 'tOV'tWY ~xu:dplt) 'ltPOO'l.É'VCtL (Flay.

    c) Sul piano dell'escatologia vera e propria i Sadducei rifiutano il dogma della risurrezione dei morti. A differenza dei Farisei, non conoscono un «conforto della risurrezione», per usare l'espressione con cui Flav. los.; ant. 18,14 rende appropriatamente il medio-ebraico t"~ijja. Secondo i rabbini questa è una delle caratteristiche principali del pensiero sadduceo. Per es. in Sanh. b. 9ob è ripor.tata la seguente disputa fra Sadducei e rabban Gamaliele II (verso il 90 d.C.): «l Sadducei chiesero a rabhan Gamaliele come [si pos~a provare] che il .Santo; sia egli benedetto, dà . nuova vita ai morti. Egli rispose loro: 'Dalla legge, dai profeti e dagli agiografi.'. Ma essi -non lo ammisero».- Questo episodio prova chiaramente che secondo i Sadducei non si può trovare un valido fondamento scritturistic-0 all'idea della los., beli. 2,164 s.). 74 ~ HoLSCHER, Saddr~ziiimms

    4 s.

    8EÒV ovx &.~LOU01.V ·Ém'tp01tEVE~V 'tWV 'ltpcx.rµ«-cwv, ovò'&itò Tijç ·µ.«xa.pla.ç xa.t 4,\I ovcrla.ç XV~Ep'.iéia'­ ~a.L 1'à crùµ1tetv'ta., {iµ.oLpov lìè 'iJvL6jov xat &v x6oµov a.v'toµti;~wc; cpÉpeuba.~ Myouow (Flav. Ios., ant. lo,218). 7/J l:a.lìlìouxa.loi.ç !>è Tàc; lfivx.àç o Myoc; crwaq>etvl~EL 'to~c; CTWµ.clcrt. (ani. 18,16). ·

    75

    1137 (VIIA7)

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    .1

    risurrezione dei morti e nemmeno rab- tosiani rifiutano anche questo aspetto ban Gamaliele è riuscito a convincerli dell'escatologia, e in Ber. 9,5 si dice edel contrario; in altri termini essi rifiu- splicitamente che i Sadducei sono «detano il dogma per motivi teologici, cosl generati» perché sostengono che «c'è un come fanno i Sadducei e i Boetosiani in solo eone» 78 • Ab. R. Nat. 5 (~ u22). Ma questo atteggiamento è condannato da Sanh . d) Per rendere giustizia alle affermazioni polemiche di Flavio Giuseppe e 10,1: «Questi invece non fruiranno del futuro eone: chi dice che non c'è risur- dei rabbini ·sul sadduceismo è necessarezione dei morti e che la torà non vie- rio anzitutto analizzare l'origine storica ne da Dio, cioè gli 'epicurei'». In questo delle categorie con cui si è valutata la passo il termine 'epicurei' è usato nel dogmatica sadducea. A questo riguardo senso di 'liberi pensatori' o di 'libe- c'è da tener presente in primo luogo che raleggianti' e specifica il carattere pecu- a partire dal II sec. a.C. il giudaismo suliare del sadduceismo. Perciò in Seder bl a poco a poco un profondo cambiaOlam r. 3 i Sadducei sono catalogati in- mento nella sua struttura interna. Sulla sieme con traditori, ipocriti ed epicurei. base di una cultura ellenistica e in parte Di loro si dice che spargono terrore sul per influsso di antiche tradizioni orientapaese dei viventi, non credono nella ri- li e iraniche, diffuse su tutta la fascia di surrezione dei morti e negano la divi- paesi ad oriente del Mediteranneo, dalnità della torà. Questa categoria di pec- l'Egitto al Tigri e all'Eufrate, nel giudaicatori, alla quale appartengono anche i smo disperso su tutto questo territorio Giudei che deridono le parole dei saggi, si svilupparono un'antropologia e un'eva certamente incontro al castigo dell'in- scatologia alle.· quali non corrispondeferno 77 • Tra i motivi citati in questo pas- vano più le antiche categorie tradizioso il rifiuto del dogma della risurrezione nali e che superavano e allargavano sotto e il disprezzo per le parole dei saggi, il profilo teologico anche l'antica immache va inteso senza dubbio come rifiuto gine di Dio. Questo processo di trasfordella tradizione orale rabbinica, sono da mazione <>he ha un'importanza costituconsiderare con certezza i segni princi- tiva non da ultimo anche per la formapali della mentalità sadducea. Nell'am- zione della prima teologia cristiana, trobito dell'escatologia rabbinico-farisaica va la sua origine· evidentemente nella.siil dogma della risurrezione trova il suo nagoga della diaspora. Invece nella mariscontro tematico nella speranza che un drepatria d'Israele, più esattamente negli giorno «questo mondo» sarà sostituito ambienti della ierocrazia gerosolimitana, dal «futuro eone» (~ 1, col. 555), nel la teologia traclizionale del tempio costisenso che si avrà il compimento della tul per molto tempo un solido baluardo salvezza. Di conseguenza secondo Ab. contro queste innovazioni 79, un baluarR. Nat. 5 e~ II22) i Sadducei e i Boe- do che alla luce di tutta la storia non fu 77 'bl mj Jpr!w mdrk; ;bwr kgw11 hfdwqjn (var. minin) whmswrwt hm'fwmdi11 wh'piqw· rwmjm wJntnw l}ttm b'rf h!Jjjm w'fkprw bt!Jijt hmtim wh'wmr;m 'i11 twrh mn bsmjm:.. whml'jgjn 'l dbri l;kmjm gjhnm nn'lt bp11jhm .wni· dwnjn btwkh l'wlmjm. B. RATNER {1897) 17. 78 Tutti coloro che si trovavano nel tempio alla fine delle 10 ro preghiere usavano · dire: <,dall'eternità» (mn h'wlm; . var.: . ~d · d'wlm,

    «per l'eternitb). Ma quando i Sadducci (cosi i testi a stampa; cod. Monacef!sis 95: m;n;n; «eretici») degenerarono e sostennero che esisteva un solo eone ('wlm '!Jd), si diede disposizione di dire: ·«Di eone in eone» (mn·'b'wlm w'd h'wlm). 79 La fonte più chiara a questo riguardo è la raccolta di massime costituita dal libro dell'Ecdesiastico.

    u39 (vn,47)

    .EaSSouxa~oç

    B m 1d (R. Meyer)

    scosso nemmeno dal breve periodo in cui prevalsero le tendenze riformistiche di Antioco IV Epifane 80. Un esempio di antropologia lontana dall'antico giudaismo è Hen. aeth. 103,2 ss., dove notiamo che la nuova visione dell'uomo è ormai pienamente sviluppata e ha dato luogo a quella solida speranza individuale nell'oltretomba che conosciamo da Flavio Giuseppe e dalla tradizione rabbinica: l'uomo possiede un corpo terreno e un'anima eterna, in questi scritti definita di solito 'spirito', che è avviata verso le gioie celesti o i tormenti dell'inferno in corrispondenza alla condotta terrena 81 • È diffìcile dire quando questa antropologia sia entrata nella teologia farisaica per diventare poi la dottrina tipica dei rabbini. Se i Salmi di Salomone, - non omogenei, ma pur sorretti da una forte attesa di salvezza - almeno in parte sono un'eco dello spirito farisaico 82 , abbiamo in essi alcuni testi della seconda metà del primo secolo a.C. che indicano come, secondo il fariseismo dell'epoca, la morte non costituisca la fine dell'esistenza umana, perché c'è una vita ultraterrena che porta felicità o dannazione eterna 83• Il più antico documento che si possa definire con una certa sicurezza come rabbinico e che sostiene l'immortalità dell'anima è Lev. r. 34,3 a 25,5, in cui sotto forma di aneddoto si narra che Hilld, vissuto a cavallo dell'era cristiana e nato nella diaspora babilonese, diceva che l'anima è ospite nella caGià il Bousset ha notato che il nuovo senso della vita e la nuova cosmologia si sono formati anzitutto in ambienti che si trovavano in opposiilione alla teologia predominante, o che non erano riconosciuti dai suoi rappresentanti ufficiali; BOUSSET·GRESSMANN 189 s.; SCHOEPS, op..cit. (-+ n. 9) 85. 81 M.EYBR, op. cit. (-> n. 72) 14. 82 Cfr. EissFELDT, op. cit. (-+ n. 30) 754-758. !IO

    sa del corpo &1. Dopo la distruzione del tempio i documenti che attestano la nuova antropologia si fanno più numerosi. Ricordiamo Ber. b. 28b, secondo cui Johanan ben Zakkaj avrebbe pianto in punto di morte perché temeva il rigore del giudice ultraterreno che ha il potere di mandare l'uomo alla vita eterna nel giardino dell'Eden, oppure alla morte eterna nella geenna. Quasi contemporaneo è 4 Esdr. 7 ,78-99: nel momento della morte gli spiriti si separano dai corpi mortali e tornano a Dio dal quale sono venuti, gli uni alla settiforme beatitudine delle celesti camere di riposo, gli altri alla settiforme pena di un'eterna vagare &S. Dalla fine del primo secolo d.C. in poi nell'antropologia rabbinica predomina un tale dualismo di corpo-anima, che da questo momento va considerato dogma di fede. Del tutto analoga è la situazione per quanto riguarda l'escatologia. La fede nella risurrezione o meglio ri-vivifìcazione dei morti - t"~ijjat hammettm - solo accennata nella letteratura veterotestamentaria cimonica 86, in epoca precristiana è attestata con certezza solo in 2 Mach., Hen. e Ps. Sai. 81 , per cui è diffidle sostenere che sia universalmente accettata. Ps. Sal. 3,12 per es . .afferma: «Ma coloro che temono il Signore risorgeranno a vita eterna e la loro vita [trascorre] nella luce e [essa] non si estinguerà mai». Solo dopo Cristo i testi diventano più frequenti sia nella letteratura pseudepigrafica sia in quella Cfr. Ps. Sai. 3,u; 13,n; 14,9 s.; 15,10; 16, 2; Vou, Esch. 27. 84 MEYER, op. cit. (-> n. 72) 49. &S Documentazione presso STRACK-BILLBRBECK IV I016-II68. 86 Is. 26,19; Dan. I2,2. 87 Cfr. per es . .2 Mach. 7,9 ss.; 12,43 ss.; 14, 46; Hen. 22 passim; per tutto il problema ve83

    di VoLZ, Esch.

    229-216 .

    l,;a;òòovxa;~oc;

    .o

    rabbinica; determinante a questo proposito è che ora il dogma di fede della risurrezione è legato al culto 88 •

    111 10 \I\..

    1m:yc1 1

    zione ai recenti sviluppi dogmatici, per cui va definito conservatore 9'2.

    In effetti non è difficile provare che i Anche l'attesa di un eone futuro (~ giudizi sul sadduceismo sono un attacco sferrato contro l'antica teologia ufficiale I, coli. 5 5 5 ss.), che evidentemente affonda le sue radici in concezioni escatolo- della ierocrazia di Gerusalemme, teologiche e cerca di spiegare la storia come gia dominante quando, lentamente e una successione periodica di epoche di- lontano dalla grande linea, cominciaroverse, si trova nella religione giudai- no a svilupparsi la nuova antropologia ca solo in età relativamente recente 89 • e la nuova escatologia. Un documento, Del sec. I a.C. sono Hen. aeth. 48,7, che risale circa al 190 a.C., di questa in cui si fa menzione di «questo mon- teologia ufficiale è Ecclus 17,27 s.: «Chi do di ingiustizia>>, ed Hen. aeth. 71,15, potrà negli inferi lodare l'Altissimo in che alludono al «mondo futuro». Anche luogo dei vivi e di quelli che lo ringraa Qumran pare si conosca lo schema dei ziano con la loro lode? Per il morto, che due mondi, in quanto secondo I QS 3, [ormai] non è più, la lode è cessata; 13-4,26 il presente con le sue lotte tra chi vive ed è sano loda il Signore». Per luce e tenebre sarà concluso da una nuo- il Siracide, entusiasta sostenitore dei Sava creazione 90• Con ogni probabilità il dochiti (~ rn2 s.), l'uomo è un essere più antico documento farisaico-rabbinico esclusivamente di questo mondo: legge è B. M. j. 2,5 (8c 25 s.), secondo cui Si- e sapienza sono le colonne su cui poggia mone ben Shetah (verso il 90 a.C.) pre- il mondo in cui egli vive; ma questo suppone l'idea di un eone futuro. Tutta- mondo appunto è unico, è il luogo in via il dogma per cui l'eone futuro è un cui si incontrano Dio e l'uomo, che sulperiodo di salvezza totale con sfumature la terra è punito o premiato per il suo parzialmente trascendenti si è sviluppato comportamento. L'Ade invece significa in pieno nella teologia rabbinica solo solo morte eterna o una parvenza di durante il primo secolo dopo Cristo, co- vita, priva di qualsiasi rapporto con sl come è avvenuto per la fede nella ri- Dio. Queste categorie dell'ortodossia postesilica sopravvivono sotto due asurrezione. spetti, per quanto siamo in grado di sePoiché dunque è evidente che le af- guirne l'evoluzione. In primo luogo gli fermazioni polemiche circa il sadducei- autentici Sadochiti e i loro seguaci, da smo poggiano sopra categorie dogmati- quanto attestano i documenti finora sco. che molto recenti, non possono servire petti a Qumran, sono rimasti fedeli a per valutare i reali contenuti del pen- un'antropologia intramondana: se già in siero sadduceo 91 • È invece il caso di di- Dam. ristÙta che nel contesto delle at· re che il sadduceismo non rappresenta tese escatologiche predominanti la salun indirizzo di fede deviante dall'orto- vezza futura è vista sempre in chiave dossia, ma è il tradizionale patrimonio puramente immanente, ora, soprattutto categoriale che non ha prestato atten- in r QS 3,13-4,26, è chiaro che, anche ss Cfr. Sh. E. 2; Ber. b. 6ob. 89 Cfr. R. MEYBR, art. 'Eschatologie III (Judentum)', in RGG 1 n 662-665. 90 Comunque in base ai documenti attualmente 1n nostro possesso resta indeciso o dubbio se a Qumran una siffatta periodizzazione tra-

    scendesse effettivamente l'ambito intramondano; cfr. NoTsCHER, op. cit. (--+ n. 33) I49-I5391

    Come ha già messo chiaramente in evidenza Sadduziiismus 105 s.

    ~ HòLSCHER, 91

    Cfr. BoussET-GREsSMANN 185-187.

    l:a.ooouxa.~oç

    B m

    quando nel suo essere individuale l'uomo è il luogo del conflitto tra l'angelo della luce e l'angelo delle tenebre, non c'è posto per la fede in una vita individuale ultraterrena dell'anima. Parimenti alla luce dei testi di Qumran a nostra cortoscenza il motivo della risurrezione può essere considerato nella migliore delle ipotesi come un elemento che non ha valore di necessità per la salvezza e~ n. 38). - In secondo luogo, 1a medesima linea s'incontra nella teologia ufficiale della ierocrazia gerosolimitana. Di solito sono le affermazioni della parte contraria - come per es. Hen. 103,2-6 - che illustrano· la vecchia ortodossia oltre a metterne in luce l'appoggio dato dall'autorità costituita, ossia dalle classi dirigenti. Al tempo stesso però risulta, per es. da Ps. Sal. 4-6, che anche in ambienti in forte contrasto con la politica asmonea del primo secolo a.C. è molto viva l'idea della retribuzione intramondana collegata all'idea che individuo e società non vanno oltre questo mondo 93 • Lo si nota quando nell'antica cosmologia e teologia ortodossa l'ottimismo cede il passo a un profondo pessimismo. Cosl la convinzione della relatività di ogni esistenza umana (ad es. Eccl. 2,12 ss.; 3,19 ss.; 8,14)non induce l'autore di Eccl. a rinunciare, poniamo, a se stesso, ma 'lo spinge a una maggiore attività. Ne deriva per lui il dovere di godere e cogliere il meglio della· breve vita concessagli, prima che cali l'eterna notte della morte (Ecci. 9,1-10):-1n complesso si deve affermare che ciò che Flavio Giuseppe e i rabbini intendono e combattono come sadduceismo e boetosismo non è che l'antica ortodossia giudaica fonda93

    Cfr. VoLz, Esch. 27.

    Noµi.µ6. ·mia. 1ta.ptoouav -rii) oiill'P ot
    94

    ld-2

    (R. Meyer)

    (vn,50) 1144

    ta sulla torà e sulla sapienza e rappresentata dalle classi predominanti della ierocrazia di Gerusalemme e dai suoi sostenitori sicuramente diffusi in tutto il mondo, ma che col passare del tempo fu considerata sostanzialmente eresia e apostasia, perché con la caduta di Gerusalemme aveva perso i suoi principali esponenti, mentre si fece strada esclusivamente la dogmatica farisaico-rabbinica col suo nuovo modo di intendere la vita e il mondo. 2.

    La concezione sadducea della legge

    L'aspetto arcaicizzante del sadduceismo quale indirizzo religioso all'interno del giudaimo è confermato dagli enunciati che trattano del rapporto tra i Sadducei, o i Boetosiani, e la legge. Sia per Flavio Giuseppe che per la tradizione rabbinica una peculiarità essenziale dei Sadducei è il rifiuto della tradizione farisaica, cioè della cosiddetta legge orale. Secondo Flav. Ios., ant. 13,297, «i Farisei hanno dato al popolo alcuni precetti presi dalla tradizione dei padri, che non sono scritti nella legge di Mosè. Ma appunto per questo la corrente dei Sadducei li rifiuta, perché dice che è da considerare norma solo ciò che sta scritto [nella legge di Mosè], mentre non si è tenuti ad osservare ciò che proviene dal· la tradizione dei padri» !». Determinante per la concezione sad· ducea della legge è che il rifiuto della tradizione orale talvolta ha avuto effetti positivi sulla tradizione rabbinica, soprattutto nel caso di diatribe circa importanti problemi giuridki. Per es. in Sanh. b. 33b si discute se e in quale mi-ro\i-ro -ra\i"t"oc -rò I:a.ooouxa.lwv yÉvoç fa~6.).. ì.a, Myov lxE~va. · oE~V ijyE~a:t v6µi.µu. -ri'i yEypo:µµÉva:, -rà. o'tx '1tet.p«80CTEWt; 't~V 'Jl'Q.· 'l:Épwv µTi 't1)pE~v (Flav. Ios., ant. r3,297; cfr. 18,16, ~ - n. 76).

    II4.5 (vu,50)

    l:a;ooouxo.for:; B m

    sura nei processi penali si possano rivedere sentenze errate. In base a una tradizione che proviene dalla scuola di rabbi Ismael, o~sia della metà del sec. II d.C. (dr. Hor. b. 4a.b), l'amoreo palestinese Hijja bar Abba (c. 280 d.C.) richiamandosi a Johanan bar Nappaha (i° 279 d.C.) afferma la necessità di distinguere tra sentenze emesse sulla scorta di una halaka rabbinica non accettata dai Sadducei e quelle che anche i Sadclucei accettano perché si rifanno a una legge di Mosè. Nel primo caso vi può essere una revisione solo se torna a vantaggio dell'accusato, nel secondo caso la sentenza va riveduta anche qualora il nuovo processo vada a danno delI'imputato. In tal modo però Sanh. b. 33b riconosce la serietà dell'interpretazione sadducea della legge: una sentenza secondo lo spirito sadduceo rispecchia necessariamente in ogni caso la norma giuridica. Perciò il principio «grazia in luogo di legge» viene meno quando una revisione comporta un danno per l'accusato; infatti, per chi giudica da sadduceo non esiste una «siepe attorno alla legge», in quanto egli si basa sempre direttamente sulla legge di Mosè 95 •

    2

    (R. Meyer)

    no questo atteggiamento non un approfondimento della religiosità, bensl un dissolvimento e un'attenuazione dell'autentico concetto di legge. Perciò i veri Sadochiti ("' n. 36) polemizzano contro la «siepe attorno alla legge» di matrice farisaica e per lo stesso motivo i Sadducei e i Boetosiani legati alla gerarchia del tempio rifiutano la tradizione orale dei Farisei e con la stessa motivazione molti secoli più tardi i Caraiti si oppongono al movimento dei rabbaniti 96 •

    Le diverse concezioni della.legge sono quindi anche il vero motivo per cui i Farisei sono presentati come giudici miti, mentre i Sadducei hanno fama di essere severi, come sottolinea con vigore Flav. Ios., ant. 13,294; 20,199 s. La «siepe attorno alla torà» significava per il fariseismo la possibilità di applicare la legge nella vita quotidiana, mentre gli avversari del fariseismo, cioè del rabbinismo di matrice farisaica, considerava-

    Nel contesto della vita cultuale-rituale la peculiarità sadducea affiora per es. in T. Sukka 3,I. In epoca postesilica una consuetudine popolare prevedeva che il settimo giorno della festa delle capanne durante la grande processione con i rami di albero si percuotesse con le fronde il suolo attorno all'altare. Non sappiamo più quale fosse il senso e l'origine di questo rito, certamente di matrice magica. Comunque l'usanza era cosl radicata nel rituale della festa delle ca· panne che i Farisei la definivano «halaka di Mosè al Sinai» e la permettevano anche quando il settimo giorno cadeva di sabato. I Boetosiani invece ritenevano che dovesse prevalere la santificazione del sabato e cercavano di costringere i pellegrini all'osservanza del sabato con un sotterfugio, consistente nel nascondere, la vigilia del sabato, i rami di vinco sotto cumuli di pietre. Tuttavia probabilmente le loro astuzie non ingannavano i pellegrini, che continuarono a praticare il rito '11_ L'aneddoto è importante perché mostra che i Boetosiani erano esponenti di una tipica interpretazione rigida della legge del sabato,

    Naturalmente ciò non esclude l'esistenza di una halaka sadducea oltre che sadochita; riguardo .a quest'ultima .cfr. -J. T.Mu.1K, Dix a11s de découvertes dans le désert de ]t1da (1956) 36. L'autore rileva che la halaka di Qumran è più vicina alla .vita che non la legge religiosa farisaica codificata nella Mishna

    e in larga misura puramente teoretica; cfr. ~ tl>apwa.ioç. 96 A questo riguardo cfr. KAHLE, op. cit. (~ n . 42) 81. 97 Circa Ja qualificazione di 'anime ha'àref data da T. S11kka al pellegrino che partecipa alla festa ~ IX, coli. 87 ss.

    95

    l:a.SSovxa.foc; B

    n47 (vn,50)

    mentre i Farisei per il loro dogma della «legge orale» potevano introdurre senza problemi questa consuetudine nel loro sistema. Del resto le vicende del rituale della festa delle capanne nella sinagoga indicano che l'antica concezione boeto· siana rimase viva ancora per molto tempo 98 • Un altro esempio ci viene offerto da T. Sukka 3,16. Durante il sacrificio quotidiano mattutino nella festa delle capanne era consuetudine compiere una libagione d'acqua. Ora accadde che un boetosiano non versò l'acqua sull'altare, ma di fianco, «ai suoi piedi». Perciò il popolo adirato scagliò contro di lui una tale massa di frutta, che di solito serviva al rituale della festa, da rompere addirittura uno spigolo dell'altare, e fu necessario sospendere la cerimonia finché non si provvide a riparare lo spigolo con un blocco di sale. Flav. Ios., ant. 13,372 informa che quel boetosiano sarebbe stato Alessandro Ianneo, noto avversario dei Farisei 99 • Da Flavio Giuseppe e T. Sukka 3,16 il sommo sacerdote in carica è presentato come spregiatore di tradizioni ormai consacrate dall'uso e quindi avversario della vera pietà religiosa. Il contenuto storico che emerge dalle due varianti della narrazione ovviamente è un altro: non è possibile dedurre dalla legislazione cultuale del Pentateuco una norma riguardante la libagione con l'acqua - ancor meno nel corso della festa delle capanne. È vero che già sotto David (2 Sam. 23,16; cfr. r Sam. 7,6) la libagione con l'acqua è una consuetudine popolare, ma non si sa quando in epoca 9~

    Poiché secondo la halaka boetosiana e contro quella farisaica è proibita la processione di sabato, si evitò che il settimo giorno della festa delle capanne cadesse di sabato; I. ELBOGEN, Der jiid. Gottesdienst in seiner geschichtlichen Entwickltmg 3 (1931) 2r9. 99

    Cfr.

    SCHLATTER,

    Gesch. Isr.

    144 s.

    III 2

    (R. Mcyer)

    postesilica siffatto rito sia entrato a far parte della liturgia della festa, forse attraverso il diritto consuetudinario. Ordunque, se il sommo sacerdote, sia egli Alessandro Ianneo o un altro boetosiano non identificato, versa l'acqua senza conferirle valore sacrale, la sua azione non esprime tanto un atteggiamento peccaminoso, quanto la difesa di un'altra tradizione sacerdotale, certamente più antica, che egli cerca di far prevalere sull'uso corrente. Comunque il tentativo di abbandonare consuetudini popolari già entrate nella tradizione solleva la protesta della folla, e la presa di posizione molto chiara dei rabbini mostra che anche in questo caso il fariseismo è col popolo. I due esempi illustrano l'affermazione di Flav. Ios., ant. 18,15, secondo cui tutte le attività religiose avvengono conformemente all'interpretazione dei Farisei. Anche se questo giudizio dovesse poggiare sopra una polemica di scuola e antisadducea, sorta quando il rabbinismo aveva ormai preso il sopravvento e i Sadducei non rappresentavano che un'esigua minoranza 100, è senza dubbio vero che grazie alla loro concezione della legge i Farisei erano sempre in grado di legalizzare qualsiasi consuetudine popolare, a prescindere dalla sua provenienza, mentre il sadduceismo era troppo legato alla tradizione sacerdotale per poter essere altrettanto popolare.

    Questo atteggiamento diventa chiaro per es. in una discussione circa la purità rituale della donna sadducea in Nidda 4,2; T. Nidda 5,2 s. In Nidda b. 33b si dice esplicitamente che per timore dei Farisei la donna sadducea si comporta secondo la loro halaka, per cui si può dedurre che ormai i Sadducei non avevano più alcun potere. 100

    IX49 (VIT,51)

    C. I

    l:a.ooouxcx.~oç

    SADDUCEI NEL N.T.

    I. I sinottici Una peculiarità della tradizione neotestamentaria consiste nello scarso rilievo che in essa trovano le complicate situazioni del giudaismo dell'epoca. Pertanto non fa meraviglia che il sadduceismo non sia presentato nelle sue molteplici caratteristiche e in tutta la sua problematica 101 • Il N.T. infatti si limita a mettere in rilievo un solo particolare, cioè che i Sadducei negano il dogma della risurrezione(~ u36s.). Nella pericope comune a tutta la tradizione sinottica e che presenta la polemica sollevata dai Sadducei (Mc. 12,18-27) 102 questi sono presentati come rappresentanti di un gruppo ostile a Gesù, «i quali dicono che non c'è risurrezione» 103 • Dalla forma di Mc. 12,18-27 che culmina con l'affermazione che i Sadducei sono maestri d'errore - 1tOÀ.Ù 'Jl:À.et.véi<TitE - si deduce che Marco rientra nella tradizione della stessa scuola di Flavio Giuseppe (~ n. 76) e dei rabbini (~ u22 s.), ma sarà bene non fare illazioni dalla forma al contenuto e scorgere in Mc. 12, 18-27 solo un brano di teologia della 101 È significativo che nella letteratura proto· cristiana non neotestamentaria i Sadducei non compaiano. L'unica volta che vengono menzionati è in Iust., dial. 80A, ma questo passo sembra citarli esclusivamente in senso tradizionale quali negatori della risurrezione. Non sembra che Giustino conosca meglio coloro che portano questo nome [W. SCHNEBMELCHER). I02 Cfr. Mt. 22,23-33; Le. 20,27-40 e i com-

    e

    I

    (R. Meyer)

    (VII;5i)

    IIJO

    comunità. Se poi si tiene presente che quella che in seguito sarà presentata come eresia sadducea anticamente non era che la teologia giudaica ortodossa, sotto il profilo storico lo scontro di Gesù coi rappresentanti della teologia ufficiale della gerarchia del tempio risulterà non solo pensabile, ma addirittura un reale dato di fatto. In Matteo la menzione dei Sadducei è po' più frequente che in Marco, ma ciò non significa una maggiore familiarità col sadduceismo, anzi si ha l'impressione che Matteo sia sostanzialmente più lontano di Marco dalla realtà storica. Nel passaggio dalla pericope della polemica sulla risurrezione a quella riguardante il comandamento più grande Mt. 22,34 presenta i Sadducei come coloro che ne escono sconfitti, con grande soddisfazione dei Farisei. In Mc. 12,28 invece non c'è nulla di tutto ciò; chi si rallegra per la risposta di Gesù è semplicemente <mno degli scribi», che a sua volta pone il quesito sul principale comandamento. Stereotipo è l'accostamento di Farisei e Sadducei in Mt. 3,7, dove i due gruppi assistono al battesimo di Giovanni, mentre Le. 3,7 parla solo del-

    un

    mentari ad l. La disputa, che M.DlBELIUS, Fomzgeschicbte des Evangeliu111s 1 (1959) 40.,4.56 classifica nel genere dcl 'paradigma', viene condotta con gli stessi mezzi delle analoghe discussioni tra rabbini e Sadducei. Si riscontra cosl una notevole affinità con Sahn. b. 9ob, dove i Sadducei chiedono a rabban Garmaliele II (90 d.C. circa) di portare la prova seritturistica della risurrezione e~ col. 1136).

    100

    II.51

    (vn,52)

    l:et8Bouxeti:oç

    e HI (R. Meyer)

    1a folla e in tal modo è più vicino alla fonte dei logia. Analoga è la situazione per Mt. 16,1, dove, a differenza di Mc.8,n, oltre ai Farisei anche i Sadducei chiedono a Gesù un «segno dal cielo». Infine nel dialogo circa il lievito (Mc. 16, 5-12) Gesù chiede ai suoi discepoli di guardarsi «dal lievito dei Farisei e Sadducei», mentre Mc. 8,15 nel medesimo contesto parla del «lievito dei Farisei e di Erode». In Mt. 16,n s. (tradizione peculiare matteana) l'evangelista non solo cita due volte Farisei e Sadducei insieme, ma arriva a stabilire un parallelismo tra la dottrina delle due correnti 104, segno evidente che è andata perduta ogni reale idea delle peculiarità dei due gruppi.

    (vn,53) n52

    stanno predicando si presenta un manipolo di soldati del tempio agli ordini dei sacerdoti e guidato dal capitano del tempio. In questo contesto abbiamo la frase: xa.t ol ~a&Souxcx.i:ot, &ta.'ltovouµE\IOL

    È.v

    Otà. 'tO ... CX.VTOÙç... XCX.'ta.yyD..ÀEW

    •ii> 'l'l}
    'ti}v ocv
    «e i Sadducei, indignati perché ... essi ... annunciavano nella persona di Gesù la risurrezione dei morti» (Act. 4,1 s.). Queste parole significano che la politica e la teologia del tempio erano determinate dai Sadducei, cosa che in effetti corrisponde alla realtà storica (~col. n34). A quanto pare, Luca presenta in questo passo il tema della risurrezione collegato all'atteggiamento O· stile dei Sadducei per illustrare la profonda antitesi tra i rappresentanti della teologia ufficiale della gerarchia del temII. Atti degli Apostoli pio da un lato e la giovane comunità criRispetto a Matteo, Luca dispone di stiana dall'altro. In pratica tuttavia il una tradizione migliore che non fa uso contesto narrativo non sottolinea la difstereotipo del termine 'sadduceo' né ferenza dogmatica 106, ma evidentemente nel vangelo, in cui Le. 20,27 è l'unico il fatto che le autorità del tempio si vepasso che si attiene contenutisticamente dono costrette a intervenire perché, daal modello di Mc. 12,18, né negli Atti. ti i loro presupposti teologico-politici, Solo tre volte i Sadducei sono menzio- non potevano tollerare la pretesa escanati negli Atti e anche qui quando si tologica dei discepoli. parla della fede nella risurrezione. Un altro caso in cui i Sadducei sono Act. 4,1-22 narra l'arresto degli apo- presentati come esponenti -del medesimo stoli Pietro e Giovanni mentre parlano principio politico-teolo~ico è Act. 5,17presso il tempio (Act. 3,12-26) e il pro; 42, che verte sul medesimo tema, con la cesso che ne segue 105• Agli apostoli che differenza che o:ra sono incriminati tut•i» T6-tE auvi}xa.v lht oòx EfaEv 1tpoutxm1 à.1tò -.i)ç ~Ùµ'TJt; 't'WV ll>etptO'et(wv xa.L l:etlìlìou· xalwv, à).M à.1tò -t1)ç lìtlìa.xiii; -twv cxpt.-

    \IEXpwv,

    crcxlwv xcxL l:alìlìouxalwv (Mt. J6,12). 1os Cfr. HAENCHEN, Ag., a 4,r -12. 106

    Cfr.

    WENDT,

    Ag., a 4 12.

    Lrtòòouxa~oc;

    II53 (VI,J3)

    ti gli apostoli. All'inizio si dice: «Si alzò il sommo sacerdote e tutti i suoi soci che costituivano il partito dei Sadducei; presi da zelo misero le mani sugli apostoli ... ». La difesa degli apostoli culmina con l'annuncio di Gesù riella sua qualità di risorto (vv. 30 ss:), che provoca la condanna a morte da parte dei Sadducei (v. 33). Anche in questo caso però non si tratta semplicemente di una differenza dogmatica tra i cristiani e i loro avversari. Più esplicitamente che in Act. 4,1-22, infatti, l'intervento del fariseo Gamaliele (~ col. 562) indica che gli apostoli sono accusati di rivendicare il valore escatologico del loro messaggio e vengono perseguitati dalle classi dirigenti della ierocrazia perché si temono conseguenze politiche. Inoltre Act. 5,r7-42 - a prescindere dalla storicità o meno dell'esposizione 107 prova che Luca è perfettamente a conoscenza del ruolo svolto a Gerusalemme dai Sadducei prima della distruzione del tempio: sadduceo è il sommo sacerdote e cosl pure la seconda autorità dopo di lui, il capitano del tempio (v. 24; cfr. 4, I), sadducei sono gli appartenenti alle altre famiglie di sommi sacerdoti ai quali sono da aggiungere gli altri esponenti dell'aristocrazia laica di Gerusalemme che in buon numero fanno parte della gerusia, cioè del sinedrio. Si tratta ovviamente della forma di sadduceismo formatosi sotto Erode e per influsso dei m Cfr. lliRNCHEN, Ag., a 5,17-42; inoltre op. cii. n. 45) 47 s. 83 ss.

    MEYER,

    <-

    e II

    (R. Mcyer)

    (VII,J4)

    IIJ4

    Boetosiani (~ coll. rr3r s.). Gamaliele appare come uno dei pochi non sadducei che compongono la gerusia. Più attento all'aspetto autenticamente dogmatico è Act. 23,6-9 100• In questo passo Paolo si trova davanti al sinedrio e, avendo notato che l'assemblea giudicante è composta in parte da Sadducei e in parte da Farisei, esclama: «Sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza e della risurrezione». In questo contesto il motivo della risurrezione dei morti non è riferito a Gesù, ma genericamente agli uomini, in armonia col dogma farisaico; il contenuto della 'speranza' quale motivo d'accusa altro non è che la fede nell"eone futuro' visto quale condizione del compimento della salvezza (-)o col. x r41 ). Qualche difficoltà crea l'inciso del v. 8: «I Sadducei infatti sostengono che non c'è risurrezione, né angeli, né spirito». È evidente che la fede nella risurrezione va considerata uno dei dogmi, mentre la fede negli angeli e nello spirito rappresenta un secondo dogma, poiché la frase continua: «I Farisei invece professano l'una e l'altra cosa». Non abbiamo altre fonti che provino che l'antica teologia ortodossa non concedesse spazio alla fede negli angeli e negli spiriti. Probabilmente vi è sottintesa l'antica critica della fede tradizionale contro l'angelologia e demonologia popolari, verso le quali i Farisei avevano mostrato una 100 Cfr. HAENCHBN, Ag., a 23,6 ss.

    u55 (vn,54)


    notevole apertura, mentre era evidente che l'atteggiamento dei rappresentanti ufficiali della ierocrazia di Gerusalemme, di matrice fortemente razionalistica basata sulla torà e sulla sapienza, vi si op_tJoneva e rifiutava la demonizzazione della vita quotidiana. Poiché dunque ora i Farisei con le parole: «Non troviamo nulla di male in costui, forse gli ha parlato uno spirito o un angelo» difendono un alleato della loro corrente, l'intero episodio finisce in una disputa di scuola più che in un normale procedimento giudiziario 1tl'J. Act. 23,6-9 è importante per

    1

    (F. Lang)

    (vn,55) u56

    la storia del cristianesimo primitivo, perché nella tradizione di cui fa uso Luca è ancora vivo il ricordo che, nonostante tutte le divergenze che derivano necessariamente dal contenuto del messaggio del vangelo, l'Apostolo è più vicino alla fede e alla mentalità popolare, su cui poggia largamente anche il fariseìsnw, di quanto non sia la teologia sacerdotale di Gerusalemme, che viene percepita come sadduceismo nel senso peggiore del termine e quindi considerata lontana dalla mentalità dell'Apostolo.

    R.

    MEYER

    t cm.lvw 1. Etimologicamente da crrx:vjw, intutto dallo scodinzolare del cane all'apdoeurop. l"!f!JiO 1; aor. EO"'l'JVOC, dorico E- pressarsi di qualche essere amico. 1. Senrrava. (Pind., Olymp. 4>4L in greco si so proprio, di .solito riferito ai cani. a) trova a partire da Omero, prevalente- intr.: scodinzolare; o"t'' &v &.µcpt &vocx-i-a mente presso i poeti. Senofonte, Plato- xuvEç ... o-alvwO"i, «quando attorno al pane e gli storici precristiani non usano il drone i cani... scodinzolano» (Horn., Od. termine, che manca anche nelle iscri- io,216 s.; cfr. r6,6); col dativo: oùpfj: zioni. Il significato fondamentale del Horn., Od. 17,302. b) trans.: "t'~va; saverbo è scodinwlare=muovere qua e là. lutare qualcuno scodinwlando, detto di L'uso linguistico fu determinato soprat- cani: XUVOC<; Ot "t'OÙ<; Ùq>~XVOUµévouç ... ttl'J Circa il problema della storicità dell'episodio dr. liAENCHEN, Ag., a 23,6 ss. e la biblio·

    grafia ivi riportata. cta.lvw LIDDELL-ScOTT, s.v.; DoB., Th. 133.s. n. 3 (raccolta dei testi); E. NESTLE, Ei11 neues W'orl /ur das Wiirterbuch des N.T.: ZNW 7 (1906) 361 s.; G. MERCATI, u~alve
    (1907) 242; R. P ERDELWITZ, Z11 ua.lvEÀlljieuw -rmha.~ç I Th. 3,3: ThStKr 86

    (1913) 613-615; A. D. KNox, Tò µ'l')lì~va. ualVEcti>a~ Év -ra.~ç l>Mljlectw -ra.v-tu.~ (I Th. 3, 3): JThSt 25 (1924) 290 s.; R. S. PARRY, l:alvEui)a~ I Th. 3,3: ibid. 405; I. A. HEIKEL, Konjecturen zu einigen Stelle11 des neutesta· mentliche11 Textes: ThStKr 106 (1935) 316; H. CHADWICK, I Th. 3,3 : ua.lvE
    1157 (VII,55)

    ualvw

    1-2

    (F. Lang)

    \VII,55) IIJO

    cra.lvoucnv WC17tEP -roùc; cruvT}l}Eo--ra:touc;, 231'9 s.]); ingannare, illudere: 1i o'&p'É'J «cani che salutano scodinzolando quelli ux6-r~ }..i'Jl>ouO'OC µe Ewv'Ìj ... influenzato dal N.T. 3. ' .,I.~ ' , y ' ' q-a.pxoc; •1ooVTJV acrncx...,oµev11 xai.' crai.voucra; (Plut., Col. 30 [II 1125b]); con Dunque il termine in senso traslato l'ace. della persona: salutare: cpatopò: indica prevalentemente lusingare sia co(accusativo avverbiale) yovv ocn'òµµoc'tWV cralvet µe, «mi saluta con esultanza me espressione di autentica simpatia sia a giudicare dagli occhi» (Soph., Oed. come pretesto (perfidi disegni nascosti Col. 319 s.); 7tat&6c; µe cra.lveL qiMyyoc;, «mi saluta una voce di giovine» (Soph., dietro una bella facciata : cfr. il proverAnt. l 2 r 4); allietare: où yocp µe cralvet bio t'Ì)v ljlux1}v, «le cose che vengono dette Normalmente viene usato per indicare ... rallegrano l'animo» (Aristot., metaph. sentimenti di gioia. Tuttavia il signifi13,3 [p. 109oa 37]); passivo: cralvoµaL cato fondamentale permette talvolta che, ùrc'ÉÀ.TClooc;, «sono rallegrato dalla spe- in circostanze dolorose, il verbo venga ranza» (Aesch., Choeph. 194); allettare, trascinare:
    J. ScHERl!R, Entretien d'Origène avec Héraclide .et les évéq11es ses collègues sur le Père, le Fils, et l'Ame, in Publications de la Société

    2

    Fouad I de Papyrologie: Textes et Documents IX (1949) 140 r. 5. l ~ CHADWICK r58.

    II.'.59 (vn,55)

    rralvw 2-4 (F. Lang)

    (vn,56) u6o

    la salvezza eterna. Tuttavia il fatto che le antiche traduzioni (lat.: m_oveatur) e gli interpreti gred intendano senza eccezioni il termine nel senso di essere mos3. Nel N.T. il verbo compare in un si, scossi, turbati, fa propendere per la solo passo e al passivo: I Thess. 3,3. seconda interpretazione, che può trovare Paolo invia a Tessalonica Timoteo, suo sostegno in Diog. L. 8 ,41 (~ col. 5 5) e collaboratore, per confortare la comuni- nel ·recente reperto papiraceo {~ col. 5 5 tà nella fede: -rò 4 µ'l'}o~va. acclvEcri}a.t 5 lv n. 2 ). Vi è poi anche la conferma del lesTttXc; i}).,lljJww w.1hmc;. Dai tempi di sicografo Esichio:
    F.LANG

    4 L'infinito sostantivato col µ1} sostituisce una finale con tw.t µ1}; dr. il classico i:ò µ1) dopo verbi di impedimento (BL.-Th!BR. S 399,3 appendice). 5

    La variante mutila di G µ711ìtv a
    cna.lv2al}a1., provar disgusto. K. LACHMANN, N.T. graece et latine n (1850) _,21 propone µ118h1 &.acx{vEal}cxt., non lasciarsi turbare da nulla (ào"alvEO"bat. = ào"iial}cxt da i) &a"T), nausea, affanno). Le due varianti presentano testimonianze incerte. Giustamente non è stata accolta la congettura di ~ PERDELWITZ "tb

    µ1) oELÀruvE
    o-axxoç A (G. Stahlin)

    (vu,57) u62

    t o-cixxoc; SOMMARIO:

    A. Origine e significalo. B. U.ro e significato della veste di crine nel mondo antico, soprattulto nell'A.T.: r. crcixxoç, veste di stamigna; 2 . .faq, veste di lutto; 3. iaq, veste penitenziale; 4. !aq, veste profetica. C. cr1hxoç nel N.T.: l. cr&:xxoç, modello di oggetti di colore scuro;

    craxxoç, veste penitenziale; 3. crcixxoç, veste profetica. 2.

    o-axxoç In generale: Thes. Steph.; MouLT.-MILL.; PREISIGKE, Wort., s.v. uaxxoc;; GEsi::Nms-BUHL; KoHLBR-BAUMGARTNER, s.v. Jaq; WETTSTE.IN I 384 s. a Mt. n,21; II 775 ad Apoc. 6,:rz; S. A. CooK, art.

    'sackcloth', in EB IV (1903) 4182-4184; J. VAN DoDEWAARD, art. 'Cilicium', in LexThK 2 2, 1203 s.; A. HAucK, art. 'Cilidum', in RE 3 4, u6; A. HERMANN, art. 'Cilìcium', in RAC m 127-136; R. lliNDRINGER, art. 'Cilicium', in LexThK 1 2,967 s.; A. H. Hua, art. 'saccus (Sack)', in PAULY-W. l a (1914) 1622-1624; H. LECLERCQ, axt. 'Cilice', in DACL 3 (1914) 1623-1625; H. LRSETRE, art. 'Cilice', in Dict. Bible II 7_59-761; In., art. 'sac', ibid. v :i: 308 s.; A. MAu, art. 'Cilicium', in PAULY-W. 3 (1899) 2545; W. NowACK, art. 'sackcloth', in JewEnc x 614 s. Per B 1: K.A.T. 603; J.BENZINGER, Hbr. Archiiologie 1 (1927) 73-76; H. BtiiMNER, Technologie tmd Terminologie der Gewerbe tmd Kii11ste bei Griechen und Romem 1 I (1912) :w4; DALMAN, Arbeit V 4 s. 17 s. 163-165.175 s.; K. GALLlNG, art. 'Kleidung', in BR 337; R. KITTEL, Die Biicher der Konige, Handkomm. A.T. I 5 (1900) a I Reg. 21,27; 2 Reg. 1,8; a 2 Reg. 6,30; S. KRAuss, Ta/mudische Archiiologie I (1910) 7 s. 138.277 n. 85.534 nn. ro7.1n; F. NorscHER, Bibl. Altertumskunde (1940) 60; ScH"URER II 80 n. 219; P. THOMSl!N, art. 'Kleidung', in RLV 6, 390 s, Per B 2: J. FREY, Die altisraelitische Totentrauer, Diss. Jurjew (Dorpat) (1898) 4-10.13-15; In., Tod,

    D. crckxxoc; in età postneotestamentaria.

    A. ORIGINE E

    SIGNIFICATO

    Il termine O'axxoc; rientra nel novero di quelle designazioni linguistiche di oggetti materiali che sono proprie di tutta In civiltà del mondo antico e quindi si trovano sia nelle lingue semitiche sia in quelle indoeuropee 1• È possibile seguirne il passaggio da Babilonia (accadico Iaqqu) alla Palestina (ebr. saq) 2 , al manSeelenglaube tmd Seelenkult im alten Israel (1898) 36-42.45-47.50.52; C. GRiiNErSl!N, Der Ahne11k11ltus u11d die Urreligion Israels (1900) 64 s. 79 s.; G . .HERZOG-HAUSER, art. 'Trauerkleidung', in PAULY-W. 6 a (1937) 2225-2231; S. KLEIN, Tod und Begriib11is in Paliistina zar Zeit der T a1111aiten, Diss. Freiburg i. Br. (1908); F. ScHWALLY, Das Leben nach dem Tode (1892) rI-I4; In., Miscelle11: 4) Jaq: ZAW n (1891) 173-175; R. ZEHNPFUND, art. 'Trauergebriiuche bei den Hebriiern', in RE 3 20,85; H. F. LuTZ, Textiles and Costumes among the Peoples o/ the Ancient Near .East (1923) 176 s. Per B 3: H. EMoNDs-B. PoscHMANN, art. 'Busskleid', in RAC II 812-814; W. ScHRANK, Bab. Siihndten, Leipziger Semitistische Studien 3,1 (x908) 6971; SCHLATTER, Komm. Mt., a Mt. u,21; STRACK-BILLERllECK IV xo3. Per D: G. GRUPP, Kulturgeschichte des Mittelalters 3 2 11 (1923) 365-367; IV 3 (1924) 101-103; V (1925) 170; VI (1925) 99s.; ].A. }UNGMANN, Die lai. Bussriten (:i:932) 48 s. 58 s. e passim; B. PoscHMANN, Paenitentia sec11nda. Die kirchliche Busse im iiltesten Christe11tum bis Cyprian tmd Orige11es (1940); In., Die abend/a11dische Kircbe11busse im Ausgang des christlichen Altertums (1928) x8 s. 89 s. 148 s. 168. 1 Cfr. O. ScHRADBR-A. NEHRING, art. 'Sack', in Reallexikon fiir idg. Altertumskunde 2 II (1929) 270. 2 Cfr. K.A.T. 603.650; H. ZIMMBRN, Akkadische Fremdworter als Beweis fiir bah. Kultureinf/ws' (1917) 67; KoHLER-BAUMGARTNER,

    u63.(vn,_57)

    cnhxoç A (G. Stiihlin)

    do greco e latino (saccus) 3 e di qui nelle lingue moderne (sacco, Sack, sack, sac ecc.); forse il passaggio dalle lingue semitiche a quelle indoeuropee è stato mediato in modo determinante dal commercio fenicio 4 •

    Il significato originario di
    s.v. iaq;

    459. 4

    Cfr. T. K. CHEYNE, art. 'sack', in EB

    IV

    4182.

    s In greco la grafia varia tra la forma attica con un solo x (per es. Aristoph., Ach. 822; dorica con xx (per es. in bocca a un megarese); e altri antichi grammatici s.v. Entrambe le forme si trovano nelle iscrizioni e nei papiri, cfr. i pas· si in PAssow, LIDDELL-Scorr, P.REISIGKE, Wort., s.v.; anche per il diminutivo aax(x)lov si nota la medesima oscillazione. È prevalsa la forma aaxxoc;, che è l'unica ad apparire nei LXX e nel N.T. L'Esapla in ljl 29,12 col. b trascrive Jq con C1EXKt. 6 Come ritiene erroneamente ScHi.iRER n 80 ri. 2.1 9;_ che si trattasse di un tessuto risulta inequivocabilmente da S. Lev. n,32 (214a) cfr. STRACK-IlILLERl!ECK II 746 n. l e S. Nt1111. 157 a 3 x,20 alla fìne. 7 Cfr. Hcsych., s.v. aaxoc; c.tt'yELoc;, Nmn. 31, io; S. N11m. 157 a 31,20; --> Coox 4182; ~ HAUCK 216; ~ HERMANN 127; --> HINDRINGER 967; · ~ LECLERCQ 1623; ~ LESÉTRE 760; ~ MAu 2545; ~ NowAcK 614; ~ THOMSEN 390; B. TRJSTRAM, The Natural History o/ the Bible 1 (1883) 66; DALMAN, Arbeit v 17 s. i63 con nn. 1,165.175 s .; ~ BLtiMNER 204. La recente competente trattazione di R. ]. FoR-

    Ecci. 502) e quella Aristoph., Ach. 745 dr. Phryn., ecl. 229 presso The>. Stepb.,

    zione di tende 9 • Perciò questa stoffa fu anche chiamata cilicium 10 (per es. Plin., nat. hist. 6,I43: [tabernacula] quae ciliciis metantur, «tende che vengono montate con teli di crine»), che in latino, soprattutto nelle versioni latine della Bibbia, è sinonimo di saccus. Poiché nei paesi di confezione il mantello delle capre di soli.to è bruno o nero (cfr. Cant. 4,I; 6,5 ), anche la stoffa che se ne ricava e le tende 11 , le vele, i tappeti, gli abiti ecc. che se ne confezionano hanno un colore scuro o nero (cfr. x Sam. 19, I3.I6; Cant. r,5; Ecclus 25,I7, cod. B; Apoc. 6,I2 (~col. 6I); I Clem. 8,3 (~ col. 63). Il nome saq-craxxoc; passò dalla stoffa ad alcuni oggetti che ne erano fatBES,

    Studies in A11cietJt Tech11ology IV (1956)

    58 cfr. 63, non prende in considerazione la

    stoffa di lana caprina in quanto economicamente irrilevante. 8 Cfr. Plin., nat. hist. 8,203; ]. FINE.GAN, Light /rom 'the Ancient East (1946) 255: «Sul massiccio del Tauro, coperto di nevi fino al mese di maggio, vivono e prosperano magnifiche capre, la cui lana è stata a lungo famosa per robustezza e durata . Questa lana viene filata e tessuta a formare una tela robusta, nota in antichità col nome di cilicimn dalla ·provincia di origine. Il tessuto serviva poi a costruire tende o altri oggetti d'uso». 9 Non si sa se è questo il motivo per cui Paolo di Tarso, città in cui ancor oggi esiste questo tipo di artigianato, era uno O"XTJ\IOltOL6<; (Act. x8,3), come sostengono tra gli altri Sc~rii­ RER II 80 n. 2r9; STRACK-BJLLERBECK JI 746 s. Di solito gli antichi davano a ax'l)\I01to~6ç un altro significato, cioè quello di cuoiaio, sellaio, ed è questo il senso attribuitogli anche da molti autori moderni, cfr. ZAHN, Ag. a x8,3 con n. 10; ]AcKSON-LAKE I 4,223 ad Act. 18,3; HAENCHEN, Apg. a 18,3 n. 3. IO Cilicium compare come barbarismo anche nella lingua dei rabbini: qilqi, per es. S. Lev. 53b; Shabb. b. 64a; dr. ScHi.iRER II 80 n . 219; DALMAN, Arbeit v 163 n. 1; ~ KRAuss 534 n. xn; LEVY, Wort. IV 293, s.v. u Cfr. DALMAN, Arbeit vi 29 s. e l'illustrazione 1811. Questa stoffa di crine scuro servl anche a costruire la tenda dell'alleanza, cfr. Ex. 26,7; 35,6.23.26; 36,14.

    uaxxoc; A-B

    ti, soprattutto 2. il sacco 12, per es. Gen. 42,25 .27.35 13 ; Ios. 9,4; Hdt. 9,80; Aristoph., Lys. 1209; Poli., onom. 10,64; 3. il tappeto, per es. Esth. 4,3; cfr. anche 2 Sam. i.I,10; Flav. Ios., ant. i9, 349; Eus., hist. eccl. 2,10,5; Theodoret. 1 I ,24,1 (-...+ n. 47); 4· fa veste di crine 4, indossata soprattutto come segno di lutto e di penitenza(~ B), ma anche come grembiale da lavoro, dr. Herm., sim. 8, 'Y ' •'\ IS ' ' 4,r: 7'Ept-,,wcra.t wµo11.tvov ... Ex cra.xxov yEyOVÒç xai}a.poV. Inoltre CTaXXOç può indicare alcuni altri oggetti fatti di crine, per es. 5. il setaccio, il vaglio 16, ad es. P. Hamb. 10a9: crtixxot >tplxtvot, e infine oggetti per un certo verso somiglianti alla tela di sacco, quali 6. una barba ruvida 11 (Aristoph., Ecci. 502 ), oppure oggetti a forma di sacco, come 7. la crocchia, la reticella per ca12 Cfr. ~ HuG 1622 s. Da questo derivano aaxxll'.,w, feltrare (Hesych., s.v.: l1tt 't"OU è.xxe:vw6poc; (
    [BBRTRAM]. l~ La forma piena

    è l'btiJ faq (Esth. 4,2), veste di crine di capra, grec. 't"PlXLvoc; gvlìuµa, per es. Athanasius, vita Anto11ii 91 {MPG 26 ( 1857] 972 B) e sim., lat. saccea tt1nica, Hier., in Is. 20,1 (MPL :z4 [1845] 188 D). Pertanto craxxoqi6poc; (~ n. 12) può anche

    I

    (G. Stiihlin)

    (vn,58) n66

    pelli, la cuffietta 18•

    B. USO

    E SIGNIFICATO DELLA VESTE DI CRINE (faq 19 ) NEL MONDO ANTICO E SOPRATTUTTO NELL'A.T.

    r . Se si prende in considerazione la storia della civiltà e della religione, ma soprattutto il N.T., il significato primo di cr«ixxoc; è quello di veste di crine. In quanto veste di lutto e~ u67 ss.) e di penitenza e~ u69ss. l174ss.) sembra essere un'antica tradizione del mondo semitico lll; inoltre fìn da tempi remoti è attestato quale veste del profeta e~ II77 s.). Probabilmente esso tramanda una forma primordiale della veste dell'uomo (cfr. Gen. 3,7.2r) 21 , indossata in luoghi e tempi che hanno un significato caratteristico, di solito religioso 22 ; cioè forse in origine il saq non indicare chi porta una veste cli crine, per es. Plut., instituta Laconica 37 (II 239c); dr. anche Iust., dia/. 107,2 (uaxxocpopÉw e iT<xxxoqioplo:); per i gruppi ascetici dei cro:xxoip6poL sorti in epoca successiva cfr. ~ col. u82. u Naturalmente non significa sdalle (da wµoc;, secondo H. WBINEL citato da HxlNNRCKE 2, ad /.) ma un grembiale grezzo (da wµoc;; giustamente DIBl!LIUS, Herm., ad l.: u11a specie di

    grembiale confezionato con stoffa di crine o lana caprina). 16 Cfr. ~ HuG 1624. Da questo derivano craXEVW, uo:xl~w, qaxEÀl~w, filtrare. 17 Cfr. l'uso di qilqi (~ n. xo) in Miq. 9,2. 13 Cfr. ~ HuG 1623 s. e i derivati O"ct.XXOTC>..6xoc;, cro:xxvqiav't'r}c;, saccarit1s <~ n. r:z), fabbriàmte di ct1/fie; cfr. anche V. RYSSEL, Sir., in KAUTZSCH, Apokr. 360 n. f, a 25,17. 19 Useremo d'ora in poi questa trascrizione per indicare la veste di crine da distinguere dal vocabolo italiano 'sacco', il cui senso str~t­ to è più limitato del-termine affine ebraico o greco. :zo Cfr. ~ EDMÒNDS 812; ~ SCHRANK 69 s. 61

    n, r.

    21 Cfr. tra gli altri~ BENZINGER 75. 22 Cfr. ~- ScHWALLY, Lebe11 12; ~ K1Tl'EL 159; ~ CooK 4183; ~ VI, col. l49I n. 16; M. ]ASTROW, Bari11g of the Arm and Shot1lder as a Sig11 o/Mourning: ZAW 22 (1902) II7-120.

    u6.xxoi; B I -:z (G. Stahlin)

    era che un perizoma 23, più tardi sicura· mente ampliato i 4 _ In seguito venne fissato ai fianchi (cfr. Gen. 37'34; I Reg. 20,31 s.; Is. 20,2; Iudith 4,14; 8s e passim) per mezzo di una cintura (dr. Mt. l,6 par.) o con corda (Is. 3,24), e di solito indossato quale unica veste sul corpo nudo 25 • In certi casi la parte di stoffa sopra la cintura ricadeva su quella inferiore 2.6 lasciando scoperto il busto della persona v . 2.

    Questo modo di vestire assume-

    Forse era anche un ritorno ad una foggia di vestire arcaica; cfr. --> THOMSEN 390 s. Giustamente in questo contesto (per es. da parte di --> SCHWALLY, Miscellen x74 s.) si ricorda spesso il fenomeno analogo dell'ipram (una specie di perizoma) indossato dai pellegrini musulmani che si recano alla Mecca. 21 --+ SCHWALLY, Leben 12; ~ BENZINGER 75; --> Coox 4182; DALMAN, Arbeit v 202. 24 Cfr. --+ GRiiNEISEN 64. Che il saq avesse una certa dimensione è provato tra l'altro dal fatto che era usato come coperta o stuoia per dormire (cfr. 2 Sam. 2r,ro) e come tappeto su cui svolgere le pratiche penitenziali (--+ n. 47). 25 Talvolta il !aq era. portato sotto la veste vera e propria (e quindi direttamente a contatto con la pelle) come in 2 Reg. 6,30 (lo stesso vale nella tarda antichità --+ lliRMANN 134), oppure anche sopra il vestito consueto, come dice probabilmente !on. 3,6; cfr. specialmente Flav. los., ant. 5,37:_ uaxxoui; tm:vBvv·nc; 't"CX.~ a'toÀcx.i:<;, dove tuttavia Flavio Giuseppe proietta nel passato l'usanza del suo tempo. Qualcosa di analogo vale già per Iudith 9,I, dove il Jaq è abbinato all'abito delle vedove. Diversa è l'opinione di --> GRiiNEISEN 79: il Jaq è una sopravveste indossata sopra la sottoveste. 2-i Cfr_ A.O.B. :6g. 198. ZT Cfr. Ier. 48,37; 2 Mach. 3,19 (V'ltE~WO'µÉ· vcx.~. .. Ù'ltÒ -.oùi; µcx.ct'toùi; cx.t. yuvcx.~xE<; .O'axxovi;); ~ GALLING 337; A.0.B. :fig. 665 e r98; in senso analogo a questa descrizione vanno intese certe formulazioni, quali t11L 'ltaO"'IJ<; 611cpuoc; u6.xxoc; (Iep. 31,37 (48,37 ]) e simili. u Cfr. --+ BENZlNGER 75.78; In., art. 'Kleider und Geschmeide', in RE 3 I0,519 s.; circa i riti funebri in genere --> GRtlNElSEN 6I-I04

    (vn,59) II68

    va un significato particolare allorché il di lutto 28 , perché lasciava scoperto il pe_tto da battere (cfr. per es. Ir. 32,II [v, coli . 780.785.797.809]). In questo contesto acquistava importanza anche la tinta scura della tela di faq, in quanto era il colore usato presso numerosi popoli fin dall'antichità per indicare il lutto 'l!J_ Questa consuetudine del faq di lutto, insieme con altti riti di mestizia, aveva i suoi modelli nell'ambiente intorno ad Israele 30 ed era una tradizione costante saq era usato come veste

    (con bibl.); --+ BENZINGER r34; A. BERTHOLET, Kt1lturgescbichte Israels (1919) x39; --> v, col. 797. Si sono formulate diverse ipotesi per spiegare perché si portava il Jaq proprio du· rante il lutto: 1. in origine deriva dal culto dei morti: ci si avvicinava al morto indossando il Jaq in atteggiamento di umile supplica (--> ScHWALLY, Lebe11 n); 2. affonda le sue origini nella credenza che ci si doveva difendere dagli spiriti dei defunti; perciò vi era l'usanza funebre di indossare il minimo indi.spensabile o di spogliarsi completamente, perché lo spirito del defunto non ·potesse aggrapparsi all'abito; 3. per timore della potenza della morte, «perché la casa del defunto è un tempio della morte» (dr. H. J. ELHORST, Die israelitischen Trauerriten, in Festschrift. fiir J. Wellhausen, ZAW Beih. 27 [1914) u7128). Probabilmente la risposta esatta va cercata nell'idea che nell'esperienza del limite della mprte l'uomo indossa il vestito più semplice tramandato dagli avi, che, oltre al lutto, esprime l'umiltà davanti alle potenze a cui l'uomo è soggetto. '.19 Eur., Aie. 440; Or. 458; Hel. ro88; dr. Diod. S. 19,106: ElWDani.... l'lte~Sètv µElswv 'ti.<; !hUX~ ylVT)'t«L 'l\Ept -ri)v '1t6ÀLV, µi)..wn O'aXXOL<; XCX.'tr.t.Xa.ÀU'l>'tEW 'tÒ'. 'tElX.TJ, --> µDo.ac; vr, col. r487 con n. 4; col. 1490 con n. u; F. DELITZSCH, art. 'Farben in der Bibel', in· RE 1 5,759 s.; DALMAN, Arbeit V 214; ~ HERZOGHAusER 1226-1230; G. R.ADKE, Die Bedeutung der weissen und der schwart.etJ Farbe in K11lt t1t1d Brauch der Griechen und Romer, Diss. Berlin (1936) 69-73; P. STRNGEL, Opfergebriiuche der Griechen (1910) r35; WETTSTElN Il

    775.

    30 Cfr. A.O.B. 64 con fig. 198 (dall'Egitto);

    ucbcxoç B 2-3 (G. Stiihlin)

    sia del cordoglio privato (per es. Gen. 37,34 e quindi Flav. los., ant. 2,38; 2 Sam. 21,10; Ioel 1,8; Iudith 8,5) sia di quello pubblico (per es. 2 Sam. 3,31 e quindi Flav. Ios., ant. 7,40; dr. ls. 3, 24; ler. 6,26; 48a7).

    (vn,60) II70

    3. Oltre che per il lutto, ben presto il saq fu indossato nel mondo orientale come abito penitenziale davanti a divinità e ad uomini; la profonda radice comune dei due usi sono i motivi dell'afflizione e dell'umiliazione di sé. Sorta probabilmente in ambiente babilonese 31 ,

    la tradizione penitenziale prese _piede in tempi remoti anche in Israele 3z. Indossare il saq costituiva un segno nel senso d'una azione simbolica 33 mediante cui si attua ciò che viene rappresentato. Cambiare il proprio aspetto esteriore indossando il faq e spesso insieme cospargendo il capo di cenere (~ n.' 48 ), radendo barba e capelli (cfr. Ecclus 25,17, var.) rappresentava 34 un profondo atto di umiliazione 35, sia davanti a Dio (per es. 2 Reg. 19,1 36; I Chron. 21,16) sia da . vanti ad uomini (per es. I Reg. 20,3 r

    191 con fig. 665 (da Biblo), anche~ GALLINO, lìg. 7. Quali segni di lutto presso i primi Greci non troviamo una veste come il Jaq, ma soltanto la cenere e sim. (Horn., Il. 18,22-27; 24, 164 s.); tuttavia Plut., instituta Laconica 37 (II 239c) narra: uaxxo
    noltre C. A. l<ELLER, Das W ori Oth als 'OfGottes', Diss. Basel (1946); G. STAHLIN, Die Gleichnishandlungen ]esu, in Kosmos und Ekklesia, Festschrift fiir W. STAHLIN ( 1953) 9-22. ~ Il faq può anche essere segno di umiliazione subita ad opera d'altri, per es. come abito dei prigionieri di guerra, dr. Is. 3,24, accanto al marchio di fuoco. Cosl può spiegarsi anche l'atteggiamento della gente di Benadad (1 Reg. 20,31 s.), che si offre da sé prigioniera di guerra ad Achab. Cfr. ~ GRilNEISEN 64 s. 86. 88, che interpreta il rapporto nel senso che i prigionieri di guerra in origine erano soggetti all'anatema e per questo portavano la. veste di lutto. lS Cfr. la significativa interpretazione rabbinica in T aan. b. 16a (STRACK-BILLERBECK IV 84 n. 4): perché si indossano abiti di sacco? R. Hijja ben Abba (300 circa) ha ·detto che in tal modo si intende affermare: «Ecco, siamo considerati come animali» (perché il Jaq è tessuto di ruvido crine ~ n. 59). :B improbabile l'ipotesi proposta da~ ScHWALLY, Leben 12, secondo cui in quanto antico indumento di schiavi il Jaq esprime in modo tangibile l'atteggiamento servile non solo davanti a Dio e agli uomini, ai quali ci si avvicina in umile' atteggiamento di supplica, ma anche davanti ai morti. 36 Analogamente in questo caso (v. 2) vengono inviati a Isaia messaggeri vestiti di sacco perché chiedano l'intercessione del profeta; cfr. anche Esth. 4,17k.

    f enharrmgszeichen

    u71 (vn,60)

    cra"xoç B 3 - C (G. Stahlin)

    s.) 37, per ottenere cosi benevolenza ericonciliazione e prevenire una disgrazia incombente 38• Talvolta per sottolineare il sentimento di penitenza ·s i portava il saq anche di notte (cfr. I Reg. 21,27; loel l,13). Lo si indossava soprattutto in casi di grandi sventure nazionali (per es. 2 Reg. 6,30; Don. 9,3; I Mach. 3>47), come pure in momenti di pericolo per tutto il popolo (per es. Estb. 4,1 s.; Is. 22,12; Ier. 6,26; Ion. 3S s. 8) 39, in particolare in vista dell'imminente catastrofe escatologica (Ioel 1,13; dr. Am. 8, lo; Ez. 7,18). Ma il saq viene del pari indossato anche in casi di tribolazione personale per sottolineare la richiesta di aiuto (cfr. Ps. 30,12; 35,13; 69,12; Flav. los., ant. 7,154). Nel processo di ritualizzazione delle vive consuetudini religiose, anche il saq diventò un tipico rito penitenziale (cfr. Neem. 9,1; lob 16,15; Ion. 3,5-8; Dan. 9,3) e insieme con altre cerimonie ri-

    (vn,61) 1172

    dotte a puri formalismi incorre nel giudizio di condanna dei profeti (cfr. Is. 58,5) . Ciò nonostante il saq rimase una tradizione costante nel giudaismo; spesso venne indossato durante U digiuno (cfr. per es. già Ps. 35,13, ~ n. 48), anzi si giunse persino ad attribuirgli efficacia teurgica quale sussidio della preghiera 40 (cfr. ~ n. 38). 4. Circa l'uso di saq quale veste profetica ~ coll. n77 s.

    c. O'élxxoç NEL N.T. Nel N.T. cnhxoç si trova solo quattro volte e sempre nel senso di veste di crine (~ col. n66), una volta (con duplice attestazione: Mt. u,21=Lc. 10,13) come abito penitenziale, un'altra volta (Apoc. l r ,J) come vestito del profeta e una volta (Apoc. 6,12) come tertium comparationis in un confronto col colo.. re nero.

    Cfr. il rilievo, spesso riprodotto, di Sen- (Ion. 3,8), possono essere obbligati a compiere nacherib a Ninive (Kujundshik), che raffigura le pratiche penitenziali del digiuno e del saq·; la conquista della città di Lachis (tra Ebron e a questo proposito si ricordi che nella storia e Gaza), per es. presso A. LEGENDRE, art. 'La- . riegli usi popolari si attesta la partecipazione chis', in Dict. Bible IV 23 fìg. n; G. E. di animali al lutto, per es. Plut., Aristides r4 (1 327): vengono tosati i cavalli e i muli; dr. WRIGHT, Biblische Archiiologie (1958) 163 s. fig. u6.n7: gli abitanti di Lachis si presen- E. F. C. RosENMULLER, Scholia in Vetus Testa: tano al conquistatore in vesti di penitenza (tut- mentum 7,2' (182;7) 394 s. a !on. 3,8. Il libro di Giona descrive la sincera penitenza dei tavia l'interpretazione è incerta), Niniviti coi colori delle cerimonie penitenziali 38 Cfr. le scene con la µf>. .awa eubi}ç in Flav. ormai usu.ali 'nel suo tempo. . Ios., vit. 138; ant. 14,172; ~ K.RAuss l .550 40 Cfr. la sentenza di un certo R. Helbo (300 n. 211; per la tarda antichità ~ HBRMANN circa) in STRACK-BILLERBECK JV 103: chi ini34. Evidememente si attribuiva al Jaq un'effi- dossa il !aq e digiuna, prima di deporlo avrà cacia addirittura evocativa su coloro che erano ricevuto l'oggetto della sua domanda; altretsupplicati da chi l'indossava; cfr. Flav. Ios., 2, tanto sostiene Jalqut R11beni 55d a Gen. 33,r 237; ~ n.40. (STRACK-BJLLE RBECK I 605): ciò che più rac39 Perciò in siffatti casi l'intero popolo, e in comanda l'uso del Jaq è che la preghiera delalcune circostanze anche gli animali domestici l'uomo non ritorna vuota. 37

    u73 (vu,61)

    CilXxXcc;

    e I-2 (G. Stahlin)

    1. crcixxoc; come modello di oggetti di colore scuro. Apoc. 6,12: xa.t ò fjÀ.~oc; ÈyÉ\IE'tO µÉÀ.ac; wc; craxxoc; 'tptXWO<;, «e il sole divenne nero come un telo di crine». Il colore nero, oltre ad essere segno fondamentale di rudezza e di una semplicità che dimostra umiltà(-> col. 1168 con n. 29), è anche una caratteristica del craxxoc;. Perciò l'oscuramento escatologico del sole {~ o-xo-.l~w) 41 può essere raffigurato, tra l'altro, con l'immagine dell'indossare il crcixxoc; (~ VI, col. 1491)42.

    (vn,62) II74

    come nell'apocalisse sinottica l'oscuramento precede immediatamente la parusia del Figlio dell'uomo (Mc. 13,24 ss.).

    In Apoc. 6,12 l'oscuramento del sole è uno degli avvenimenti che, all'apertura del sigillo, dischiudono la i]µÉpoc µEycH:ri -.ijc; opyljc;, «il grande giorno del1'ira» (v. 17 ~ VIII, u28.1208) 45, cosl

    2. craxxoc; come veste penitenziale. Nelle parole che Gesù rivolge alle città di Galilea che l'hanno rifiutato (parole che provengono dalla fonte Q: Mt. II, 21 =Le. 10,13) craxxoc; è segno di conversione e penitenza: d Èv Tupcp xat ~LOWVL ÈyÉ\IO\l'l'O (Le.: ÉyEv1}i>1]0'0C\I) cd ouvciµELç al j"EVOµE\l<X:L ÈV uµt\I, TCciÀ.oct &\I È\I O'aXXCfl xai O''JtOOW (Le.: xcx.i}i)µEVOL) µE'tE\/OlJO'OCV, «se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che sono stati compiuti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza in cilicio e cenere». Luca, che di solido trasmette i logia alla lettera, aggiungendo xa.i>1}µE\IOL dopo 0'1tOO@ fa vedere chiaramente che la sua concezione è alquanto diversa da quella di M_atteo: questi intende il crchxoc; come una veste e si tiferisce alla cenere con cui ci si cosparge il .capo, mentre Luca probabilmente indica lo star seduto 46 'come atto di cordoglio (~IV, 1332 s.), il craxxoc; come tappeto su cui si compiono i riti

    41 Non è il caso cli pensare all'effetto del terremoto menzionato immediatamente prima (cosl intende BoussET, Apok., ad l.) né ad un'eclissi o nube oscura come in Ez. 32,z; Ioel 2,2; cfr. a questo riguardo F. BoLL, At1s der Offenbartmg ]oh. (19r4) 17 con n. 5; inol. tre CLEMEN 391. 42 Cfr. St1k. b. 29a: quando il sole ha l'aspetto di un faq, i dardi della fame percorrono il mondo; cfr. STRACK-BILl.ERBECK I 955 a Mt. 24,29. Secondo Hier., adv_Pelag. 2,3 (MUL 23 [1883] 589 C.D) nel giorno del giudizio tutto

    Cfr. K.A.T. 393· Cfr. tra gli altri CLEMl!N 142-144; BouSSl!T, Apok., a 6,12. 45 Cfr. J. BEHM, Die Offe11bartmg des ]obanne!, N.T. Deutsch I I 1 (1956) ad l.: già balena il grande giorno dell'ira. 46 In seguito durante l'esorcismo battesimale invalse anche l'uso di stare in piedi sul
    Il modello diretto è Is. 50,3. Il motivo comune dell'oscuramento del sole, per il quale si può risalire fino agli omina dell'èra maledetta dei Babilonesi 43 , ritorna spesso nell'escatologia veterotestamentaria, tardogiudaica e precristiana 44 ; cfr. Am. 8,9; Is. 13,ro; Ioel 3A = Act. 2,20, donde anche ass. Mos. 10,5; Ioel 4,15; Eccl. 12,2; Hen. 102,2; Sib. 3,801 s.; 5,476-482; Mc. 13,24 par.; Le. 21, 25 e 23.44 s.; Apoc. 9,2 che deriva da Ioel 2,10.

    +

    ìl cielo sarà coperto da un craxxoc; (cilicium). 41

    ..i

    n75 (vn,6.z)

    ua:x:xoç C

    2

    (G. Stiihlin)

    penitenziali 47 e lo 0"7too6c; come luogo in tanza al saq in quanto tale o a simili cui stanno coloro che fanno peniten- consuetudini, ma alla conversione 50• za 48 • In entrambi i casi o-6.xxoc; xai 0"7t0- Probabilmente nel suo logion pensava 06c; sono i segni esterni dell'umilia- all'immagine della µE'tEai>E~ua (Rufino: mpra cilicia strati) -.i;> 'J'Ca"l'plEÒ'V Lxl't'EUO'V \mÈp 't'OV PmnMwç. Il tema della fedeltà alla legge nell'indossare il aaxxoc; viene spesso sottolineato da Flavio Giuseppe - cfr. anche ant. 1 0,II; 12,300 - benché non sia prescritto dalla torà. Altri passi sono citati da ScHLATTER, Ko111m. Mt. 379: Taan. j. 4,8 (68d 53 s.); FJav. Ios., ani. 7,154 (dove si distingue tra l'abito di lutto, µf>..awa f.oitfic;, e il tappeto penitenziale, cr6.xxoç). 48 ar. SCHLATTl!R, Komm. Mt., a u,21. Spesso anche in altri casi al cr6.xxoc; è collegato lo O"TCoB6<; o il digiuno, per es. Taan. :z,1 (~ n. 50); Gen. r. 84 (1J4a), dr. E. K. DIETRICH, Die Umkehr (Bekehmng und Busse) im A.T. tmd ivi ]ude11tum (1936) 369·371; STRACKB1LLERBECK IV 103 s. o l'una e l'altra cosa: Dan. 9,3; Barn. 7,5. Talvolta l'uso di cr6.xxoç e rno!ì6c; corrisponde alla raffigurazione di Mt., come per es. in Esth. 4,1 s.; I Mach. 3,47; test. Ios. x;;,:z; cfr. Flav. Ios., ani. :zo,123: µE· "\E"Vlìucraµt'Vo~ a6.xxouc; xat rnolìoii "t(Ì<; xEq>aÀà.c; t'L'VU.7tÀ1}cra'V'tE<;, bell. :z,237: cr&.xxouç «µ1CEX61U'VO~ xat "tÉcpprt.'11 "\W'\I XE
    Iust., dial. 15,4 (diverso è Bam. 3,:1. per l'aggiunta di l'VOUC11')ai>t); Esth. 4,3: cr6.xxov xu.L a~ "l'i}'V tl;oµoÀ6YJ1CTW, o!o"V OÈ 'ln)CT't'Elac; xcxt 11.ypup;'\l(ac; 't'E xat craxxou xat 0"1to8ou \mou-rpwcrEWc; xat È)..t'l)JlOaUVI)<; &.qiE~ooi:ic; xat lì..apii.ç xat -.w"V lf.)..'J...w'V xap'!i:w"V "\W'\I XEXPEWCi'Tijµl'\IW'\I t j 6.xpi.~El µ&· 't'o;'\lol~. Altri passi in ~ HmtMANN 135 s. Sotto un certo aspetto ciò significava ritornare an· cor più indietro di certe concezioni rabbiniche (~ n. 50). 53 Cfr. Taan. 2,r: per la gente di Ninive non si dice: 'Dio guardò il loro abito di penitenza e il loto digiuno, ma (ciò che sta scritto in) Ion. 3,10. Or. anche Taatz. b. 16a (~ n. 35); a questo riguardo cfr. DIRTRICH, op. cit. (~ n . 48); ~ VII, col. u66. 5L Cfr. BULTMANN, Trad. n8, che nei due

    n77

    (vn,62)

    craxxo<; C 3 (G. Stii.hlin)

    3. craxxoc; come veste dei profeti. I due testimoni che in Apoc. n,3 vengono presentati direttamente quasi che se ne fosse già parlato in precedenza, sono caratterizzati come :figure profetiche (-7 VI, coli. 1331 ss.; XI, col. 631): xai crét.xxouç, «e profetizzeranno ... vestiti di sac-

    1tp0q>l]"t'EVO'OUO'l.'V ... 'TCEptBEBÀ:r]µÉ\IOI.

    co», e al v. ro poi sono esplicitamente de.finiti ol Mo 1tpoc:p1]-cat. I colori dell'immagine sono in particolare quelli di Mosè (v. 6b) ed Elia (vv. 5.6") si. Anche i crtixxot di cui sono vestiti 53 ricordano la veste profetica di Elia (2 Reg. 1,8, do. ve però non si parla di una veste di crine, ma di una pelle 54 ). Il passo è una delle principali prove che crcbcxoc; è la logia \'ede l'opera della comunità; ma I. la menzione delle località di Corozain e Betsaida, che in nessun altro passo vengono ricordate come luoghi dell'attività di Gesù, fanno risalire il detto alla più antica tradizione; 2. nulla meglio della coscienza di sé e della valutazione dei suoi miracoli, quali si hanno nei due detti, ci fa conoscere il Gesù reale. Cfr. J. SCHNIEWIND,

    N.T. Deutsch

    Das Evangelium nach Matthifos, 2 ' (1956) ad l.

    Probabilmente coi due profeti s'intendono effettivamente Mosè ed Elia e~ IV, coll. 96 ss.; VI, col. 882 e n. 28; vn, col. 805 e n. 189). Si sono però prospettate numerose altre ipotesi: Enoc ed Elia (dr. .BoussET, Apok., ad l.; 52

    !D., Der Antichrist [1895] 134-139;

    ~ IV,

    veste del profeta. Come nel caso della veste di lutto e di penitenza (-7 col. n66), anche nel nostro contesto torna in questione la dipendenza da una veste arcaica 55, e anche qui(~ n69) è ovvio supporre un intimo rapporto tra la missione dei profeti e la loro 'divisa' 56; soprattutto in Apoc. n,3 i l:TaxxoL dei testimoni potevano essere segni del loro compito di predicare e ·infliggere castighi, in piena rispondenza alla veste del Battista (Mc. 1,6 par.), che può essere intesa come atto simbolico (-7 col. n70) che accompagna la sua predicazione di penitenza SI.

    pagnatori di Gesù sul monte della trasfigurazione (Le. 9,31). S4 Le indicazioni circa ]'«abito professionalei. dei profeti nell'A.T. (dr.~ KlTTEL 183) non sono concordi: x. una pelle: 2 Reg. r,8; dr. Hebr. 11,37; anche Mc. r,6 cod. D: 8Éppt.t;; 2. un mantello di crine: r Sa111. 28,14; 2 Reg. 2,8.13 s.; Zach. 13A; 3 . il Jaq: Is. 20,2; è quanto attesta anche l'istruttivo passo del mari. Is. 2,10, in cui si parla della secessione dei profeti vestiti di Jaq, e soprattutto l'abito del Battista, ~lìvµa ... 1bi:?i -rp~xwv xaµ'l'}À.ou (Mt. 34); dr. E. NESTLE, Zum Mantel au1 Kamelshaaren: ZNW 8 (1907) 238; WOHLE1'1· »ERG, Mk. 41 n. 15 a x,6; ~ XI, col. 591.

    ss ScHWALLY, Miscellen 174. Cfr. DILLMANN in ~ KITTEL 18,3; F. Di}.

    coll. 95 s. 98 s.), Esdra e Baruc (cfr. 4 Esdr. 6, 26), ma anche Pietro e Paolo (J. MUNCK, Pe-

    56

    tmd Paulus in der Olfenbarung des Joha11nes [1950)), Giovanni e Giacomo. Tuttavia le

    tisch-exegetischer Komro. zum N.T. 16' (1887)

    lrus

    tinte veterotestamentarie sconsigliano l'applicazione agli apostoli; dr. tra l'altro CLEMEN

    BoussnT, Apok. II,3; BoussBT· GRBSSMANN 122.233; O. CULLMANN, Petrus 144-146;

    (1952) 94-96. 53 I cr6.xxot di colore scuro stanno anche in antitesi alla li6~ci che circondava i due acoom-

    STERDIECK,

    Die Olfenbartmg Joha11nis, Kri-

    a II,3; DALMAN, Arbeit V 165.248.

    Anche in seguito alcuni predicatori penitenziali portano il saq. La chiesa antica ha visto in Giovaruù Battista il modello neotestamentario di colui che indossa l'abito penitenziale, dr. Pseud ..Chrys., opus imper/ectum in Mt., hom. 3 (MPG 56 [1859] 648). SI

    II79 (VII,63)

    D. cnixxoç

    craxxoc; D l-3 (G. Stiihlin) IN ETÀ POSTNEOTESTAMEN-

    TARIA l. Presso i Padri apostolici e i primi apologeti cristiani l'uso di aci;xxoç ha una colorazione prettamente veterotestamentaria; cfr. I Clem. 8,3 in una citazione altrimenti sconosciuta: Èà.v w~t\I a.l &.µa.p"t'LG.L ùµwv ... 7tUppO"t'€pOCL xoxxov xa.i µ€À.OC\IW"t'Epa.t a«ixxou, «quand'anche i peccati vostri fossero ... più rossi del carminio e più neri del sacco» (cfr. ls. l,18); Barn. 3,2 (ls. 58,4 s.); 7,5 (Lev. 23,26-32); Iust., dial. 15,4 (ls. 58, 4 s.); 107,2 (Ion. 3,5 ss.). Solo Herm., sim. 8,4,l menziona un uso particolare di un indumento di crine come veste da lavoro (~col. n65 e la n. 15).

    2. Non molto tempo dopo il a«ixxoç wlxwoç - saccus (cilicium) è un elemento fisso della pratica penitenziale della chiesa, come risulta già presso Tertull., de pudicitia l 3 ( conciliciatus et concineratus, «coperto di sacco e di cenere») e Cypr., de lapsis 35 (in cilicio et sordibus valutari, «avvoltolarsi nel sacco e nel sudiciume»)--+ n. 48. Questa prassi

    c. J.

    venne consolidata da vari sinodi (per es. Toledo 400 e 589; Agde 506): durante il periodo della penitenza ecclesiastica era obbligatorio portare il cilicio, che poteva essere deposto solo dopo l'assoluzione 58 • Spesso si sottolineò la simbolica asperità della veste penitenziale 59 e si disse che il suo significato era quello di esprimere il dolore per i peccati e l'autoumiliazione, per es. Pseud.-Ambr., de lapsu virginis 8 (MPL 16 [1880] 394): totum corpus... cinere aspersum et opertum cilicio perhorrescat... 00, e se ne scorgeva l'effetto nella riammissione alla comunione liturgica 61 • Peraltro la veste penitenziale diventò sempre più un puro rito 62 soprattutto nel caso della penitenza dei malati, quando si consegnava il cilicio agli infermi o lo si poneva sul capo dei malati gravi 63 • Accanto a questa consuetudine ecclesiastica fìn dalI'antichità invalse anche un frequente uso privato della veste penitenziale; in particolare essa divenne anche un segno di preparazione alla morte e veste funebre 64. 3. In luogo di una penitenza tempo-

    58 ~ HERMANN 13I; dr. tra gli altri VON HEFELE, Conciliengeschichte II• (1875) 653.

    PoscHMANN, Kirchenbusse 285; ~ JuNGMANN 49 n. 175; ~ IIERMANN 135 s., dove sono ri-

    779; M. FÉROTIN, Le Liber Ordi1111m, Monumenta Ecdesiae Liturgica V (1904} 87 s., ~ n. 61. '>9 Per es. Pseud.-Isidor. de offe.cii; ecclesiastici; 2, X7A (lyiPL 83 [1862] 802 C): bene ergo in

    portate anche altre interpretazioni simboliche dcl cr&.xxo<;; dr. a questo proposito le interpretazioni simboliche del saq presso i rabbini n . 35). in Taatt. b. l6a 60 Nel medioevo non solo i penitenti, ma anche i predicatori di penitenza portano il Jaq; dr. ~ GRUPP v 173; dr. anche Mt. 3,4 par.; Apoc. II,3 col. n77); inoltre Bas., ep. 44,1 (MPG 32 [1857] 361 D). 61 Cfr. il gioco di parole nel canone 2 del sinodo di Toledo (400): st1b cilicio divino ... reconcilia111s altario, in F. LAUCHERT, Die Ka110-

    cilicio et cinerc poenitem deplorai peccatimr, quia in cilicio asperitas est et punctio peccatomm ecc. Cfr. Bas., ep. 45 ,1 (MPG 32 [1857] 365 C): CTtXXX4) oÈ -rpaxe~ -rò crwµ
    <-

    <-

    nes der wicbtigsten altkirchliche11 Co11cilie11 (1896) 178,7. 62 Cfr. per es. ~ }UNGMANN 58 n. 199· 63 Cfr. - JuNGMANN 130 s.; FÉROTIN, op. cii. n. 58) 91; ~ n. 48. 1 64 Cfr. ~ HERMANN 132 s.; ~ GRUPP II 2 365.367; IV II8 S. 120; VI 99·

    <-

    craÀEÙW x-tÀ. (G. Bertram)

    ranea che comportava l'obbligo di indossare l'abito penitenziale per un certo periodo di tempo, presso i monaci e in seguito anche presso i religiosi del terzo stato subentrò una permanente vita paenitentium, nella quale la veste di sacco diventò un'istituzione 65 stabile 66• Ovviamente ai primi monaci questo abito fu suggerito dalla natura del deserto egiziano, cfr. Pachomius, ep. 8 {MPL 23 [1883] 102 A.B): ad fratres, qui tondebant in deserto capras, de quarum filis texuntur cilicia. In seguito si ebbero voci contrarie al cr
    t


    t

    (vn,6:>) n82

    4. Come ultimi epigoni flJ della storia che abbiamo tratteggiata incontriamo sia in Oriente sia in Occidente i crctxxoq>6po~, per es. Bas., ep. 199 (Canonica secunda) canone 47 {MPG 32 [1857] 730 C) o saccophori o fratres saccati, ai quali venivano attribuite tendenze eretiche, e le saccariae, cioè le monache vestite di sacco 'JQ. In ambiente bizantino invece troviamo sorprendentemente un cr6.xxoç che costituiva esattamente l'opposto dell'abito penitenziale, ossia una veste particolarmente sontuosa {purpurea:!) indossata da patriarchi e metropoliti, e un abito solenne, benché nero, che gli imperatori e le imperatrici d'Oriente usavano portare insieme col diadema 71 •

    G. STAHLIN

    cniÀoç

    O"(Ù.euw, crcx.À.-euw, provocare scotimento, e craÀ.oc;, di etimologia incerta, forse dalla radice indoeur. tw-el-, ingros-

    sar(si) 1, che però foneticamente non si connette al germanico schwellen, indicano l'incessante movimento ondulato-

    65 Talvolta rispettata sorprendentemente alla lettera; cfr. Hier., vita Hilarionis IO (MPL 73 [1883) 33 B): Saccum quo semel fuerat indu-

    2 (1910) 3188. Uno di questi è anche la variante del cilicio descritta da J. MAsT, art. 'cilicium', in H . J. WETZER - B. WELT.E, Kirchen-Lexicot1 II (1848) 546: <mno strumento .di mortificazione fatto di crine o di filo metallico intrecciato da portare ai fianchi». 1 10 Cfr. O. ZocKLER, art. 'Sackbriider', in RE ll,327. 71 Vedi il passo in Thes. Steph. VIII 29, s.v.; cfr. H. LECLERCQ, art. ·vetement' 27,6, in: DACL r5 (1953) 3005.

    tus mmquam lava11s et mperfl1111m esse dicens m1111ditias in cilicio quaerere (scil. appunto perché è di color bruno scuro); lo stesso è detto, di un altro eremita, in vita Abrahae 18 (MPL 73 [ 1883) 292). Cfr. P. R. 0PPENHEIM, Das Mo11chskleid im christlichen Altertum: Rom. Quartalschrift Supplement 28 (1931). 67 Cfr. Cassianus, de institutis coe11obiorum 1, 2,3 (CSEL 17,10,13 ss.); Epiph., haer. 80,6,6: 0;},,),6't"pLOV 'Ya.P È<J'fL 'f'i}ç xa.ooÀLxijç ÉxxÀ."l)· crlo;ç u&.xxoç 7tpocpa.v1]ç (la veste penitenziale portata pubblicamente per sfoggio, cfr. Mt. 6,r.16); Pall., hist. La11s. 28; altri testi in K. HoLL ad Epiph., haer. 80,6,J (GCS 37,4.91). 68 Cfr. LECLERCQ, art. 'Cénobitisme', in DACL 66

    flJ

    O'Cf..ÀEVW

    PREUSCHEN-BAUER ', s.v.; LIDDELL-SCOTT, s.v.; MoULTON-MILLIGAN, s.v.; HELBING, Kasussyn-

    tax

    320.

    I BOISACQ 850; WALDE-PoK. I 710; II 303 s. [DEBRUNNER),

    HOFMANN


    rio del mare nella sua mutabilità che denota incertezza e nella sua pericolosità c::he minaccia distruzione. Sotto il profilo semantico il termine è affine a ctElw, xwÉw e ai loro derivati, e a 'ta.pétcrcrw; talvolta anche a vocaboli che esprimono un'emozione interna quale il timore, lo stupore o la meraviglia. A. IL

    GRUPPO DI VOCABOLI NEL GRECO PROFANO

    Attestato da Eschilo in poi, il vocabolo s'incontra relativamente spesso nei tragici, per es. riferito al fluttuare del mare in Eur., Hec. 28; Or_ 994; Iph. Taur. 1443; Soph., Phil. 271; al terremoto Eur., Iph. Taur. 46. Secondo Aristotele i fenomeni del progredire e regredire, del divenire e del cessare possono essere percepiti in vario modo, tutti però rientrano nella natura e nella meccanica (meteor. 2,2 [p. 356 a 3]; mechanica 26.27 [p. 857a 7-26]). Pseud.-Aristot., mtmd. 3 (p. 392b.33 s.) sostiene la fondamentale solidità, immobilità e saldezza della terra al centro del cosmo 2, un'idea che ha predominato la cosmologia ecclesiastica fino a Giordano Bruno
    Secondo Manetho, apotelesmatica

    2,22

    c. A. M. AxTIUS - F. A. RIEGER [ 1832]) i

    (ed.

    poli

    sono immobili.

    3 F. BoLL, · At1s der Offenbartmg Johannis (1914) 135. 4

    s

    Ed.

    c.

    WACHSMUTII (1897). PREISIGKE, ori. Il 449. Nei

    w

    papiri compare

    (VI,66) n84

    nizione neotestamentaria a guardarsi dagli eretici. Questa incostanza è determinante anche per la corporeità dell'uomo, nella misura in cui è soggetta al normale e regolare avvicendamento (Plat., Tim. 79e) ed è minacciata dalla malattia e dalla vecchiaia (Plat., leg. 11,923b). Il mondo ellenistico pertanto cerca la stabilità dopo la morte, dove non esistono stenti, invecchiamento, lotta per la vita e si gode calma imperturbabile ( &
    B. IL

    GRUPPO DI VOCABOLI NELL'A.T . GRECO

    Nella traduzione greca dell'A.T., soprattutto nei LXX, ctct.À.EUW non traduce un unico vocabolo ebraico. Nei libri canonici con testo ebraico ricorre 61 volte per tradurre 2 3 diverse radici ebraiche. Ne risulta, per il vocabolo greco, non solo un forte allargamento in varie direzioni del campo semantico, ma anche una trasposizione di contenuto. Mentre il vocabolo greco ha il senso di movimento naturale proprio soprattutto del mare, la radice ebraica mwt, che è alla base di-un terzo (20) dei passi in questione, indica principalmente l'improvvisa, inattesa e minacciosa oscillazione della terraferma (lfl 81,5). lon. 1,15 usa un'altra radice ebraica per esprimere solo il verbo in un significato più ampio e generico: a proposito di contratti irresolubili: P. Lips. I 34,18 (sec. IV d.C.); dipendere: DITT., Or. II 515,47 (sec. III d.C.); P. Oxy. III 472,50 (sec. II d.C.); mt1overe: P. Oxy. Ili 528,12 (sec. n d.C.), toccare, toccarsi: P. Greci e Latini 4,2994 (sec. II d.C.).

    u85 (vn,66)

    cra:ÀEVW B (G. Bertram)

    (vu,66) n86

    l'infuriare del mare. Ma anche le espres- Chron. r6aoa); 96'4; 98,r; u3,7. In sioni ebraiche che significano vacillare, ljJ 17,8 si parla del terremoto che scuote vibrare, tremare, spaventar(si), agitar- la terra e i monti per la rivelazione del ( si), cioè in genere movimenti di natu- Dio adirato, e in tjJ 45,6.7 la saldezza ra incerta, sconclusionata, ma anche sen- della città di Dio si contrappone alla timenti di timore, inquietudine ed ira, confusione dei popoli, alla caduta dei reoltre che di emozione gioiosa, sono rese gni e persino alla terra scossa dal terredai traduttori con cra.À.Euw. Nella misura moto. Anche in lob 9,6 è Dio, il creain cui gJi enunciati hanno significato og- tore dell'universo, che si rivela nel susgettivo, si riferiscono all'attività di Dio sulto che fa sobbalzare cielo e terra, coo all'atteggiamento dell'uomo. Ogni va- sl come la potenza di Dio si manifesta cillare, ogni scotimento si contrappone nella storia con effetti di distruzione. Aall'ordinamento della creazione. Per es. nalogamente Aquila usa il nostro verbo nell'episodio di Giona (fon. r,15) l'in- nella minaccia che preannuncia lo scofuriare del mare è dovuto all'ira di Dio timento e il crollo delle mura di Babiloed è lui che accheta lo sconvolgimento nia (Ier. 51 [28],58) e Teodozione lo dei flutti (IJi 88,10; 106,27). Altra ma- riferisce alla caduta della città marinara nifestazione dell'ira e dell'onnipotenza di Tiro (Ez. 27,28). Allo stesso modo in di Dio si ha quando egli scuote la terra Zach. 9,14 si dice che il Signore marcia (ljJ 59i4i cfr. Ez. r2,18; lob 39,24; Is. fra il tremore della minaccia che spira 63,19 [64,I] e Is. 54,10 [Theod.J). La da lui (T.M.: nelle tempeste del sud) 6 • liberazione d'Israele dall'Egitto avviene Teodozione in Ier. 10,10 ha inteso la ridurante una battaglia cosmica in cui tut- velazione dell'ira di Dio nel tremore delto il creato è coinvolto e nel corso del- la terra come una minaccia contro i pola quale la terra trema (tjl 76,19). Anche poli. In questo contesto rientra di fatto in Mich. l .4 la manifestazione di Dio è anche l'immagine dell'ebrezza dell'ubriacollegata al sussulto dei monti e ad altri co che in Ier. 23,9 è usata per indicare fenomeni naturali di distruzione (cfr. lo sconvolgimento interiore del profeta Nah. 1 15; Am. 9,5; Abac. 3,6). In que- per la rivelazione delle parole di Dio (~ sto stesso modo vengono espressi il ter- II, coll. 1332 ss.). La metafora del vino remoto, segno di riverente rispetto (~ dell'ebbrezza si trova in tjJ 59 15 (Simni.) e in Is. 51,17 (Theod.). Secondo Zach: III, col. 350), e il gioioso tremore della creazione davanti al suo creatore. In 12,2 Jahvé fa di Gerusalemme un calice questo senso i LXX parlano dell'ondeg- d'ebrezza per tutti i popoli vicini: i negiare del mare (iJI 95,n; 97,7), mentre mici che s'inebriano per la vittoria riil testo originale ebraico ne esprime lo portata su Gerusalemme lo fanno a lostrepito furioso che partecipa al canto ro propria rovina. Tuttavia per un fraindi lode dell'intero creato. In questo con- tendimento del vocabolo (oppure per testo di riverente adorazione del crea- una diversa lezione?) i LXX giungono tore da parte delle cose create da Dio a dire: «torrione scosso» 7 , un'espressione che è importante per l'interprerientrano anche IJi 32,8; 95,9b (cfr. I 6

    Per il testo cfr. F. WuTz, Die Transkriptionen von der Septuaginta bis zu Hiero11ymus (r933) 234 s. 318 s. 7 Cfr. Mt. 27,51; ev. Hebr. in Hier., ep. uo,8, 2 (wperliminare templi... corruisse); a questo riguardo W. BAUllR, Das Leben Jesu im Zeitalter der net1testamentlichen Apokryphe11

    (1909) 232 s.; STRACK-BILLBRBBCK I 1046, che dta anche Ps. 104,32; Ier. 25,30; 51,29; Zach. 14,5; G. BERTRAM, Die Leidensgeschichte ]esu mul der Christt1skult (1922) 90-92. In riferimento ad Am. 8,3 il protoevang. Iacobi 24,3 narra un fatto analogo per la morte di Zaccaria. Il tema del terremoto è 1eg~to all'asce~si~

    u87 (vn,66)

    crcx.ÀEUW X"tÀ. (G. Betttam)

    (vn,67) n88

    tazione cristiana. Per il senso anche Abac. 2,16 8 appartiene alla rivelazione dell'ira di Jahvé col calice dell'ebrezza (---,)- x, col. 267). Come in Zoch. 12,2 Gerusalemme, cosi in ler. 51 (28),7 Babilonia è un calice d'oro nella mano del Signore, un boccale d'ebrezza dal quale i popoli devono bere sl da vacillare. Anche in altri casi l'intervento di Dio nella storia per distruggere e scuotere gli uomini viene presentato in questi termini. Cosl accade alle sentinelle e agli abitanti di Gerusalemme quando la città è conquistata (Lam. 4,14.15) 9, e cosl avviene in ler. 50 (27),3 (Aquila; manca nei LXX) in riferimento alla fuga degli uomini alla caduta di Babilonia (cfr. anche Dan. 4,14 [Theod.]; 2 Reg. 17,20; 21,8 2 Chron. 33,8). Secondo Nah. 3,12 le fortezze di Ninive sono come alberi di fico che vengono scossi e lasciano cadere i loro frutti in bocca al nemico. La descrizione del viaggio del re di Babilonia nell'Ade (Is. 14,9), che fa tremare tutti gli inferi (Simmaco in questo passo ha il nostro verbo), ha importanza tipologica per la raffigurazione della discesa di Cristo agli inferi 10• Ecclus 16,18 parla dello scotimento della terra quando è visitata da Dio, ma in questo caso si tratta propriamente del cuore dell'uomo che prova in modo misterioso l'azione di Dio (dr. Ecclus 43,16 11 ). Ma quando nell'A.T. si parla di sussulto, non sempre è Dio la causa diretta; cfr. Ecci. 12,3; Ez. 12,18 (Simmaco e Teodozione); lob 39, 24. Soprattutto si parla del timore e del-

    In tutto ciò il concetto di scotimento caratterizza enunciati antropologici e teologici circa il mondo e gli uomini che sono senza o contro Dio o che si trovano sotto l'ira di Dio. Per contro nei LXX la negazione è spesso premessa a acd.euw per indicare l'imperturbabilità. E non si trova affatto soltanto in enunciati, diciamo, escatolqgici 13; anche quando si usa al futuro, esso indica l'esperienza diretta dell'uo-

    ne di Gesù in Pist. Soph. 3A (6.7); cfr. anche Apoc. u,12 s. 8 F.HORST, Kleine Propheten, Handbuch A.T. 14' (1954) ad l. corregge il T M. seguendo J. WBLLHAUSEN, Dìe kleinen Propheten' (x898) ad l. e appellandosi a I QpHab e LXX; cfr. Bibl. Hebr., KITT. 10, ad l. 9 Cfr. Teodozione in Is. 24,20 con riferimento al giudizio escatologico. 10 I LXX hanno sefllire come amaro. Il termine si riferisce oggettivamente alla difficoltà di digestione: inferno e morte non riescono a

    ingoiare il Redentore (dr. od. Sal. 42,16.x7). H. ScHMIDT, Jona (1907) 172-184; J. KROLL, Gott und Ho/le (r932), indice s.v. 'Verschlingung'; G. BERTRAM, art. 'Hollenfahrt Christi', in RGG 2 u 1968-r970. li Per il testo cfr. R. SMBND, Die Weisheit des ]esus Sirach (1906) ad l. e F. WuTZ, op. cit. (--+ n. 6) 222 s. (scambio di r e z). 12 Qui è stato accolto il pensiero di Ecci. 1,13, dr. G. BERTRAM, Hebr. tmd griech. Qoh.: ZAW 64 (r952) 44s. 13 Peraltro queste espressioni, proprio in quan-

    =

    l'inquietudine della vita umana (per es. in Ecclus 40,1-5 12); lo scotimento è legato a confusione, timore di morte e altre angustie della convivenza uma.ua. Lam. I ,8 enuncia esplicitamente il necessario legame fra peccato e scotimento che è implicito anche in altri passi dell'A.T. Così il campo semantico del nostto verbo abbraccia evidentemente anche il timore numinoso, e i traduttori accanto o in luogo di scotimento usano espressioni come meraviglia(~ IV, coli. 219 ss.), confusione, orrore (---,)-iv, coli. lJI ss.): 4' 47,6, cfr. 2 Reg. 7,15; ljJ 30, 23; u5,2; 103,7 ecc. Anche il pio corre il pericolo di inciampare(~ 72,2; cfr. in 93,18 la confessione del traviamento) pur nella certezza della misericordia di Dio. Stando a ~ 14,5 pare che la sicurezza offerta dalla dottrina della ricompensa poggi sulle opere. Ma il pio, che pur si vanta di tale sicurezza, è pronto ad abbandonare tale vanto (lji 29,7.8), mentre l'empio che persiste nella sua arroganza è preda dell'ira di Dio(~ 9,27).

    craÀ.Eutù xù. B-C (G. Bertram)

    mo religioso; cd è soprattutto la fede in Dio creatore che porta all'affermazione della stabilità del mondo. L'inizio della sovranità di Dio ha come conseguenza che la terra non vacilli più (tjJ 92 ,r; 95, 14 10; I Chron. 16,30 ). Di questa saldezza fruiscono tutti coloro che appartengono a Jahvé: Gerusalemme, il monte Sion con i suoi abitanti, il re e i pii in genere (tjl 15,8; 16,5; 29,7; 45,6; 54, 23; 61,3; 65 19; nr,6; r20,3; 124,1; cfr. Prov. 10,30 [Simmaco e Teodozione] ; Prov. r 2 ,3 [Simmaco] ; inoltre 2 Sam. 22,37; Ps. 26,r. Nella lode dei padri in Ecclus 48,12 si celebra la saldezza di Eliseo come profeta ispirato e depositario di rivelazione.

    (vn,68) 1.190

    genti esperienze della vita e del mondo.

    C. IL

    GRUPPO DJ VOCABOLI IN FILONE D'ALESSANDRIA

    nella vita naturale la rivelazione di Dio ha l'effetto di uno scotimento, che poi si trasmette anche alla vita storica e, specialmente nelle minacce escatologiche dei profeti, serve a dipingere il giudizio di Dio sul popolo eletto, sui suoi nemici e sugli empi. L'uomo si trova sempre nel pericolo di vacillare ed è peccaminosa arroganza credere di essere solidamente fondati. In natura, l'apparente saldezza della terra ben piantata si contrappone allo scotimento che avviene in molteplici fenomeni naturali. A ciò corrisponde una tensione nell'individuo e nell'intero genere umano: proprio il pio vive in questa tensione, si trova nel pericolo di inciampare ogni qual volta cerca di camminare per forza propria; sa di trovarsi nella saldezza donatagli da Dio, che lo protegge internamente ed esternamente da qualsiasi vacillamento, anzi gli dà la certa sicurezza della fede e della speranza proprio in mezzo alle sconvol-

    In Filone Alessandrino l'uso essenzialmente teologico del verbo presso i LXX è sostituito· o delimitato da quello psicologico. Filone non proclama esplicitamente il Dio rivelato nell'A.T. che interviene negli avvenimenti del mondo e nella vita umana attraverso le forze naturali e insieme con libertà personale e onnipotenza. Secondo lui l'azione, la realtà e l'efficacia di Dio sono implicite nel concetto di onnipotenza o di universalità, che si era già sviluppato nei LXX e~ IX, coli. 944 s.). Viene così meno l'aspetto sconvolgente della sua rivelazione, e si manifesta invece la tendenza, determinata dalle formulazioni di sapore quasi dualistico-gnostico, a determinare il divino come l'imperturbabile. Ciò vale anzitutto per la legge quale ordinamento cosmico immutabile (vit. Mos. 2,r24) e vale in uguale misura per la legge quale norma del popolo comunicata a Israele mediante Mosè: le leggi di tutti i popoli sono mutevoli, solo quelle del popolo d'Israele sono certe, immutabili e immutate, quasi avessero in sé il sigillo della natura stessa (vit. Mos. 2,14). L'ordine del mondo poggia sull'imperturbabile equilibrio degli elementi (aet. mund. n6). Su questo principio si fonda l'idea della legittimità e regolarità del corso degli elementi, soprattutto dei corpi celesti. Per esprimere l'equilibrio di tali movimenti viene pure usato il nostro verbo che viene cosi a ricevere un nuovo contenuto, essenzialmente diverso (dr. Plat., Tim. 79e [ ~ col. n84]). Riferito all'accezione erigi-

    to affermazioni sulla creazione, acquistano valore escatologico, precisamente nella misura in cui parlano della partecipazione dei pii alla saldezza di Dio.

    14 Per l'interpretazione escatologica di questi canti d'intronizzazione dr. H. GUNKBL, Die Psalmen, Handkomm A.T. (1926) ad l.; In., Einleitung in die Psalmen (r933) 329-347.

    L'uso di
    u9r (vu,68)

    cra.).euw C-D (G. Bertrnm)

    (vu,68) u92

    natia di andirivieni del moto ondoso del mare, non significa l'infuriare selvaggio, disordinato, ma il movimento armonicamente equilibrato delle forze celesti, movimento che rappresenta in modo meraviglioso l'ordine di Dio. A questo corrisponde nella realtà umana la ragione, che persiste salda con la sua autorità, in antitesi all'insensatezza, che invece si lascia trascinare con facilità (omn. prob. lib. 28, dr. Eur., Ba. 386-393 [ ~ col. 6 5 J). In definitiva nella realtà cosmica e in quella umana la sicurezza è fondata in Dio, che imprime il sigillo della stabilità sulle creature a suo piacimento (som. r,r58). Egli è l'unico che rimane saldo, tutto il resto è confuso e vacillante (leg. all. 3,38 ). La situazione propria della realtà terrena, soprattutto dell'uomo, è contrassegnata da incertezza e incostanza. Fedele al metodo esegetico allegorico 15, Filone interpreta nel senso di tale mutabilità e avvicendamento i nomi propri che s'incontrano nell'A.T., per es. Canaan: sacr. A.C. 90; sobr. 44.55; Naid (Gen. 4,r6):cher. r2 .r3; poster. C. 22.32; Thamna (Gen . 36,I2): congr. 60. II nome Thamna indicherebbe che l'anima viene meno ed è impotente davanti alla passione, per cui attinge dal corpo molta incertezza e fluttuazione. La matrice stoica della teoria psicologica secondo cui l'anima giunge alla quiete, cioè al porto della virtù, dopo aver attraversato la tempesta degli affetti con l'aiuto della ragione, è già esplicita nel passo precedentemente citato (sacr. A.C. 90) e in Deus imm. 26 (cfr. con/. ling. 16 31.32 ). Corrispondente è la caratterizzazione (omn . prob. lib. 24) del filosofo, definito anche l'uomo libero. II saggio sta accanto a Dio conforme all'es-

    sere imperturbabile e immutabile di Dio. Se la ragione umana è cosl saldamente fondata su quella divina, essa può resistere a tutti coloro che gioiscono dell'ondeggiamento e della fluttuazione. Perciò il servitore di Dio che si attiene alla verità si contrappone radicalmente a coloro che non hanno uno stabile fondamento conoscitivo e pertanto sono caduti nell'instabile fluttuazione della vita (sacr. A.C. 13). Col suo atteggiamento il patriarca Giuseppe scuote i suoi fratelli che raffigurano l'amore fisico (migr. Abr. 22 ). Anche Abramo temporaneamente è spinto da sentimenti instabili, ma si libererà da ogni allettamento (migr. Abr. 150). È questa la realtà conforme alla natura dell'uomo ancora irretito nel peccato; cosl viene descritto Adamo in leg. all. 3,53, mentre la situazione opposta è presentata in leg. all. 2, 90. In un senso più positivo O"aÀ.o~ è usato in spec. leg. 4,139; le norme della legge devono sempre aleggiare, muoversi, danzare davanti ai nostri occhi per richiamare la nostra attenzione. Quando Filone interpreta in questo modo la prescrizione riguardante i tefillim (Deut. 6, 8 ), pare abbia letto craÀ.EU't«i e non c'tcrcD.. Eu'ta. nel testo greco dell'A.T. 17. In cher. 36-38 per descrivere le peripezie della vita Filone usa l'immagine del vento che provoca il moto ondoso del mare.

    L'interpretazione dei nomi in Filone è arbitraria e probabilmente proviene dall'esegesi allegorica clell'A.T. propria della tradizione giudaica. Cfr. L. CoHN, Die Werke Philos votJ Alexandrie11 III (1919) :z50 n. :z. 16 W. VoLKER, Fortschritt tmd Vollendung bei

    Philo von Alexandrien (1938) 318-321; E. R. GooDENOUGH, The Politics of Philo Judaeus (1938) 76-85 . 11 Cfr. FmLD ad Ex. 13,16. Anche le traduzioni di Aquila e Simmaco che vi sono riportate e le varie congetture non risolvono nulla.

    15

    D. IL GRUPPO DI VOCABOLI NEL N.T. Nel N.T. .incontriamo diverse volte il nostro verbo in senso figurato. In Aci. 17,13 indica gli agitatori che da Tessalonica sobillano e istigano la popolazio-

    u93 (vn,68)

    uaÀEÒW x-tì... D (G. Bertram)

    (VII,09) u94

    ne di Berea contro Paolo 18• O"cÙ..Evw è una delle voci che servono ad indicare l'atteggiamento ondeggiante della folla attestato sia qui che in numerosi altri racconti (Mt. 21,1o;Act. 17,13; 2 Thess. 2,2). Inoltre il termine serve anche a caratterizzare l'atteggiamento di singoli individui. Nell'immagine della canna al vento 19 usata da Gesù (Mt. II,7; Le. 7, 24) non si presuppone il cedimento cli Giovanni Battista: né il titolo di messia attribuitogli da alcuni sostenitori, né la persecuzione sublta e la minaccia di morte sono riusciti a far vacillare e a rendere ambigui il suo atteggiamento e i suoi sentimenti 21l. Del tutto analogo è l'uso del vocabolo in Paolo, che mette in guardia i Tessalonicesi (2 Thess. 2,2) perché nella loro attesa escatologica non si lascino andare all'incertezza e all'inquietudine a motivo di una fallace predicazione apocalittica 21 •

    r:ra.À.Euw si incontra in Act. 2125 ss. nella citazione di ljJ 15,8. Questa frase, che per l'uomo pio dell'A.T. costituisce un'espressione quasi presuntuosa di autocoscienza religiosa, riceve qui un'applicazione escatologica e cristologica e nel contesto serve a comprovare la profezia della risurrezione di Cristo 72• Se l'enunciato di Act. 2,25 s. si riferisce alla vita terrena, alla morte e risurrezione del Signore, esso viene a trovarsi in un contrasto insoluto 21 con le ultime parole di Gesù (Mt. 27,46; Mc. 15,34 [~ n, coli. 296 s.]) e forse anche con la lezione xwptç (l>Eoi:i) di Hebr. 2,9 24, che attestano l'abbandono di Cristo da parte di Dio 25 • Ma \jJ x5 non dimostra propriamente la risurrezione, bensl l'esaltazione che viene dalla croce 26, e l'affermazione della propria imperturbabilità (2, 25) posta in bocca a Gesù è in contraddizione col racconto della passione, so-

    uaÀEuovn<; (xat .-ap&.o-o-uov-tE<;, omesso da P" ~ E al); forse il secondo verbo è stato aggiunto a spiegazione. Cfr. A. C. CLARK, The Acts of the Apostles (r933) ad l: Spesso nei LXX i due verbi ricorrono insieme o come traduzioni alternanti di varie radici ebraiche. 19 In 3 Mach. 2,22 è Dio stesso che scuote come una canna al vento il malvagio persecutore dei Giudei, Tolomeo Filopatorc. L'immagine ricorre anche in Luc., Her111ot. 68. 20 Cfr. Tito di Bostra, ad l. secondo CRAMER, Cat. 11 58. 21 L'annuncio cli Paolo, la parola della croce, non si occupa dell'evento escatologico, ma contiene la testimonianza della morte e risurrezione del Signore. Ogni coloritura apocalittica dell'àttesa escatologica rientra fonda· mentalmente nella gnosi dal falso nome (1 Tim. 6,20.21. ~ µa:tatoÀ.oyla VI, col. r4r8; ~ µwpoì,.oyla. vn, coll. 756-759; ~ 1to).u)..o~

    "(fn. X, coll. 1353 ss.). 22 La scena cli act. Phil. 60

    JS

    può sembrare un parallelo alla rivelazione del Risorto. Tuttavia la frase conclusiva non parla di un tettemoto che colpisce la casa, ma di una commozione interiore di coloro che vi· si trovano. 21 HAENCHEN, Apg., ad l. 24 A. VON HARNACK, Zwei alte dogmatische Ko"ekturen im Hebriierbrief: SAB (1929) 6273. 25 W. HAsENZAHL, Die Gottverlassenheit des Christ11s nach dem Kreuzeswort bei Mt und Mk und das christologische Verstandnis des gricchischen Psalters (1937) 103-145. 26 G. BERTRAM, Die Himmelfahrt ]esu vo111 Kreuz aus und der Glaube 011 seine Allferstehu11g, Festgabe fiir A. Deissmnnn (1927) 187207; In., Der religio11sgeschichtlicbe Hinter~ grund des Begri/fs der 'Erhohunt ili der Septuaginta: ZAW 68 (1956) 57-71.

    qa.Àeuw x-rÀ.. D (G. Bertram)

    prattutto con la scena del Getsemani. In questo contesto Io. 12,27 ricorre addirittura a -.a.pa
    zione e, per il carceriere pagano, la conferma della missione degli apostoli. Come in 4,31, il terremoto significa che ondeggia il luogo, cioè l'edificio, in cui si trovano coloro che pregano 29 • Nell'apocalisse sinottica, in quella di Giovanni e nella Lettera agli Ebrei sommovimenti di natura terrena e cosmica rientrano nei segni della fine dei tempi. In Le. 21,25 . 26 o'a~oç è usato per indicare la minaccia escatologica da parte del mare 30• Non è chiaro in quale misura i terremoti apocalittici siano una premessa del rinnovamento di cielo e terra. Comunque in questo senso Hebr. I2,26 concepisce il sommovimento cosmico nel giudizio finale, benché non si tratti di una distruzione ma di una trasformazione. Ciò che è creato è soggetto al mutamento (cfr. I Cor. 7,31), questo è il senso in cui va inteso qui o'ct.À.Evw. Rimane solo ciò che è incrollabile (v. 27), cioè il regno di Dio che la comunità cristiana ha ricevuto. Nonostante questo enunciato, di sapore ellenistico, sul presente, la comunità cristiana è rimasta fedele alla speranza escatologica. Cosl p er es. l'antica esegesi ecclesiastica 31 a proposito dell'e-

    H.wcx, Lk., ad l. propone di ripartire i concetti esplicativi in donatore e ricompensa; H. J. HoLTZMANN, Mk. (x892) ad I. sottolinea la sovrabbondanza della ricompensa che non sembra corrispondere appieno all'uguaglianza di valore stabilita nel passo immediatamente successivo e in Mc. 4 124. 28 Probabilmente il parallelo più prossimo è il tuono in risposta alla preghiera di G esù nel Getsemani (cfr. Io. !2128-30). Anche in questo passo si narra di una risposta data con mezzi celesti; per 1a persona che la riceve diretta-

    mente tale risposta può essere formulata in termini umani, mentre coloro che non ne partecipano percepiscono solo un fenomeno natu· raie e possono tutt'al più supporre che si tratti di una voce dal cielo:

    27

    ad l., che ricorda anche il riferimento a .2 Thess. 2 12. 30 Mt. 8 124 usa ou0'µ6ç per indicare la tempesta sul lago; Mc. 4 137 e Le. 8 123 hanno :>.a~ 29 HAENCHEN, Apg.,

    :>.aljl. 31 Chrys.,

    hom. in Hebr. 33 (MPG 63 [x862]

    cra>.my!;

    X'tÀ..

    spressione «regno incrollabile» ( H ebr. 12,28) osserva che non solo non possiamo essere scontenti di ciò che Dio dona al presente, ma gli dobbiamo la massima riconoscenza per ciò che verrà. Tuttavia il contenuto escatologico del verbo è andato in larga misura perduto a causa di un uso linguistico di impronta cosmologica. Cosl il nostro termine serve ad esprimere la regolare circolarità delle forze celesti che sono pacificamente soggette a Dio (I Clem. 20,r ). Pertanto la concezione ellenistica nella forma in cui era stata accolta da Filone (-+col. rr90) si trova espressa anche nella cosmologia cristiana: i cieli percorrono le loro orbi-

    (G. Friedrkh)

    te secondo la disposizione di Dio. Sotto il profilo teologico il verbo O'aÀEVEW e gli altri termini affini non hanno una particolare rilevanza nel N.T., tanto più che l'idea escatologica del sommovimento cosmico è collegata più frequentemente a crElEw e ai suoi derivati (~ uwrµ6c;). La pregnanza peculiare del termine è determinata dal collegamento con l'idea veterotestamentaria di Dio. Nell'A.T. 'sul creato incombe la minaccia di un sommovimento operato da Dio e la promessa di una incrollabil,ità da lui concessa. L'escatologia neotestamentaria poggia quindi sulla fede escatologica nel Creatore propria dell'A.T.

    G.

    t

    BERTRAM

    t

    o-cH.my~, craÀ7tlsw cra.À.mO"'t'TJç

    t

    SOMMARIO:

    A. Il gruppo di vocaboli in greco: I. significato: r. craÀ.my~; 2. crct.À'Ttl~w;

    3. O'C1.À1tLO""tlJt;. IL Origine e uso della tromba: I. origine della tromba; 225), cfr. anche Theod. Mops. secondo STAAll 2II.

    O'aÀ:r.:~y!; X't À.. I. Abrahams, art. 'trumpet' in HAsTINGS, D.B. IV, 815 s.; C. AnLER, The Shofar its Use and Origifl: Annua! Report of the Board of Regents of the Smishsonian Institution ( 1893) 437-450; F. BEHN, Musikleben im Altertum tmd fruhen Mittelalter (1954) indice s.vv. 'Trompete', 'Salpinx', 'Tuba'; A. BiiCHLER, Zur Geschichte der T empelmusik und der

    2. la tromba in guerra; 3. il significato della tromba in tempo di pace; 4. la tromba come strumento musicale. B. Il gruppo di vocaboli nell'A.T.: I. gli equivalenti ebrnici: i . crcf.).myl;:

    a) so/ar,

    Tempelpsalmen: ZAW 19 (1899) 96-133; 20 (1900) 97-rx4; I . M. CAsANowtcz, art. 'trumpet', in JewEnc xn 268; G. L. CmmN - I. D. EISENSTEJN, art. 'shofar', in JewEnc XI 3oi306; C.H.CoRNILL, Mt1sic in the Old Testament: Tue Monist 19 (1909) 240-264; S.B. FmEsINGER, Musical lnstruments in 0/d Testameni: HUCA 3 (1926) 56-63; ID., The Shofar: HUCA 8-9 (1931{32) 193-228; F. W. GALPIN, The Music of the Sumeria11s and their immediate S11ccessors, the Babylonians and

    1199 (vn-,71)

    uaÌl.7tLyl; x-r)•. A 1 l (G. Friedrich)

    b) fJa!tJ!ra,

    c)qeren, d) ;obel, e) t'rlJ'iJ, tiiqoa'; 2 . CTaì.:itl~w;

    o

    3. O'ltÀ.7tlO''ti)c;.

    II. Uso e significato del corno e della tromba: corno e Ja tromba in guerra; 2. il corno e la tromba in solennità di pace; 3. il significato cultuale del corno e della tromba; 4. il suono del corno nelle teofanie; 5. il significato escatologico del corno; 6. il corno e la tromba come strumenti musicali. C. Il gmppo di vocaboli nel giudaismo: Li rispettivi vocaboli:

    2. la tromba e il corno in occasioni speciali in tempo di pace; 3. la tromba e il corno nel culto giudaico; 4. il significato escatologico del suono del corno; 5. il corno e la tromba come strumenti musicali. D. Il grnppo di vocaboli nel N.T.: I. i singoli vocaboli: I, cr6:À;ltL"(~j

    i: il

    r. ItJfiir,

    (vII,72) 1200

    2. <TIXÌl.7tll;w; 3. O'O:À.'ltLCT-t1)ç. IL Il significato dell'uso della tromba: I. la tromba di guerra; 2. l'uso della tromba in occasioni solenni; 3. la tromba nella teofania e nella visione; 4. il significato escatologico della tromba; 5. la tromba come stmmento musicale,

    A. IL GRUPPO DI VOCABOLI IN GRECO

    2 . f!ìi16!rt1,

    3. qeren, 4. salp1ngiis. II. Il significato del corno e della tromba nel giudaismo: 1. lo strumento per fare segnali in guerra;

    Assyrians; Sammlung musikwissenschaftlicher Abhandlungen 33 (1955) 20-25; E. R. GoonENOUGH, Jewish Symbols it1 the Greco-Roman Period III (1953); IV (1954) 167-194; H. GRESSMANN, Musik tmd Musikinstrumente im ;'.1.T. (1903); H. HlcKMANN, La Trovipette dans l'Egypte Ancienne: Annales du Servke des Antiquités de l'Égypte, Suppl. 1 (1946); K. v. }AN, Sigmil- und Schlaginstrumente, in A. BAUMEISTEll, Denkmiiler · des klassischen AJtertums III (1888) i'6j7 s.; B. KòH~ACH; Das Widderhorn: Zeitschrift de·s Vereins fiir Volkskunde 25 (1915) n3-128; E."KoLARI, Mt1sikinstrume11te und ihre Verwendung im A .T. (1947) 39-14; S. KRAuss~ Talmudische Archiiologie 111 (1912) 83 s. 96-99; F. LAMMERT, art. 'Tuba' in PAUL'Y-W. 7a (1948) 749-752; A. MAECKLENBURG, Oher die Musikinstrumente der alten Hebriier: · ThStKr 101 (1929) 196199; R:MAUX, art. 'S·alpinx', in PAuiv-W. I (r920) 2009 s.; K. O. MOLLllR:·w : DEECKE, Die Btrusker n (i877) 206-21j; J.l'ARisor, art. 'Trofupette', in Dici. Bibl. V 2322~2325; In., art. 'COrne', in Dict. Bibl. II 1010..1012; J. D. PRINCE, ·art. 'Music', in' ·EB III 3230 s.;

    a

    I. Il loro significato I.

    craÀ.myç a) O'OCÀmyç {lat. tuba) è generalmente

    TH. REICK, Probleme der Religionspsycholpgie I: Das Schofar: Internationale Psychoanalytische Bibliothek V (1919) 178-235; A. REINACH, art. 'Tuba', in DAREMBERG-SAGLIO V 522-528; H. RrnMANN, Handbuch der Musikgeschkhte 1 (1923) II.5 s.; E . C. A. fu.l!.HM, art. 'Musik', in H.W. II 1052 S.j H. SBIDEL, Horn und Tron1pete im alten Israel tmter Beri.icksichtigung der 'Kriegsro/le' von Qmnran : Wissensé:haftliche Zeitschrift der Karl-Marx-Universitat Leipzig, Gesellschafts- und sprachwis~enschaft­ liche Reihe 6 (1956/57) 589-599; O. R. SEL· LERS, Mt1sical InstrtÌmmts o/ lsrael: Biblical Archaelogist 4 (1941) 42; H. N. SNAITH, The ]ewish New Year Festival (1947) 150-176; M. WEGNER, Das Mt1sikleben der Griechen (1949) 60 s.; J. WBiss, Die musikalischen Instmmente 'in den heìligeì1 Schriften des A.T. (1895) 89-98; E. WERNER, M11sic'al Aspects o/ the Dead-Sea-Scrolls! The Musical Qmirterly 43 (1957) 21-37; WETZSTEIN, Schofar, Verhandlungen 'der Berliner Ges'ellschaft fiir Anthrop0logie, Ethnologie und · Urgeschichte (1880) 63-7r; ]. G. WILKINSON, Manners rmd Customs o/ the At1i:ie11t Egyptians II (1887) 260-265;

    12or (vu,72)


    A I l -2 (G. Friedrich)

    uno strumento a fiato diritto 1, distinto dalla bucina (greco ~vxii'lll')), che è il corno metallico ricurvo, e dal xÉpcxc; {lat. cormi), anch'esso ricurvo e in origine derivato da un corno d'animale 2• La craÀ.myl; è di ferro o di bronzo, l'imboccatura di corno. All'estremità inferiore il lungo tubo si apre a padiglione (Poll., onom. 4,85). b) Con cr&.À.7tLjl; s'intende non solo lo strumento a fiato, bensl anche il suono che ne esce, che Poll., onom. 4,86 chiama craÀ.'TtLjµCX. È lo squillo di tromba (Xenoph., eq. 9,n; Arrianus, anabasis Alexandri 1, 14,7 3 ; Aristot.; rhet. 3,6[p.1408 a 9]; Paus. 3,17,5); il segnalé che viene dato con la tromba (Thuc. 6,32,1; Xenoph., eq. mag. 3,12; Polyb. 4,13,1; Arrianus, anabasis Alexandri 3,18,5). 7tpw·n1 craÀ.myl; è il primo segnale di tromba (Ael. Arist., or. 34,22 [Kei]] ), dr. inoltre crciÀ.1wyyoc; &.xoVEL\I (Aristoph., ran. 1042; Ael. Arist., or. 36,27 [Keil]); 'Ì') craÀ.1ttyl; 1ta.pa.xa.À.Ei: (Arrianus, anabasis Alexandri 5,23,7); 't'TJ craÀ.'1tLYYL XEÀEUEL\I (Xcnoph., hist. Graec. 5,1,9). Con cr6.À1ttyl; si può anche intendere l'atto di suonare la tromba (Dio C. 57 ,18,3). c) In senso traslato si intende il tuono: .6..Lòc; crii:X.myl;· (Nonnus, Dionys. 2,558); oùpa.Vt'r} craÀnLyl; (Tryphiodorus, excidium Ilii 327 4 ); oppure oùpa.vl11 Atòç ua:X.myl; (Nonnus, Dionys. ·6,230 s.). Anche di uomini si dice che sono tromY. YADIN, The Scrollo/ the War of the So11s of Light against the Sons of Darkness 2 (r957) 82-105 (in ebraico). Però dr. Poli., 0110111 .. 4,85. Una riproduzione in C. SAcHs, Geist tmd Werden der M11siki11· strumente (1929) tavola 23 ,. fìg. 154; ~· WEGNllR, tavola 26. L'etimologia di 116.À..my!; è incerta. Per lo più il vocnbolo viene messo in· relazione ·con il lituano ivilgirì, wfolare con le labbra, cfr. BoISACQ 850 s., HoPMANN 304. Però sembra piuuosto strano, cfr. P. CHANTRAINE, [;, Jormation des 110111s en grec ancien (1933) 398. Sul suffisso -~rY cfr. ScHWYZER 1

    1

    498

    [RtscH].

    be. Pindaro parla cli mEptxà. a6.À:1wy; (Ant. Graec. 7,34,1, dr. 16,Jo5), Demostene di ÒT]µ'l'}y6poc; cniÀ.my; (Ant. Graec. 2,23). In senso negativo si parla di Antistene come cr6:À.7CL')'l; (Dio Chrys., or. 8,2). Un uso figurato si trova in Achill. Tat. 8,ro,IO: a.ih1) oùx Ù'TtÒ utJ.'Amyyt µ6vov &,)..,)..,à, xa.L X.TJPl>XL µoLXEUE't'IXL.

    2.

    o-a.Àitlsw

    a) L'aoristo di cra.À:1tlsw, in rispon· denza a craÀ.my~-.:11:lsw è già conten.uto il soggetto usuale, cioè o-a.À.mx-.Tjc; (Xenoph., an. 1,2,17). cra.À.'Ttlsw talvolta ha anche il significato generico di soffiare in, suonare uno strumento (Xenoph., an. 7,J,32}. c) Come il sostantivo (--'>- 1201 s.) anche il verbo può essere usato in senso traslato, ad es. a proposito del cielo quando tuona Più tardi per xépac; si intese spesso il flauto frigio, al quale in basso era applicato un corno. In Eustath. Thessal., comm. in Il. J8,219 e nel ros. T (Townleyana) degli scholia ad Horn., Il. l8,2J9 (ed. E. MAss II (1888] 253) vengono descritte 6 trombe diverse: r. la elle· nica grande, 2. l'egiziana rotondo, .3. la galata _medio-grande, 4. la paflagonica molto grande, 5. la media con tubo a canna, 6. la tirrenica con un padiglione ricurvo. Probabilmente non si tratta di un elenco cli diversi tipi di tromba, ma semplicemente di una descrizione cli strumenti musicali di ottone. · 3 Ed. A. G. Roos (r907). 4 Ed. W. WEIN.BERGBR (r896). 2

    qaJ,myl; x-c)... A

    I 2 -

    n

    l

    (G. Friedrich)

    (vII,73) 1204

    (Horn., Il. .21,388; cfr. Eustath. Thessal., comm. in Il. 2I,388) o del canto del gallo (Pseud.-Luc., Ocyp. n4).

    conosce (Il. r8,2 I 9; 21,388), ma sembra che a quel tempo non fosse ancora in uso negli eserciti greci. Al contrario era assai diffusa in Oriente. In un tempio di Mari (c. 2700 a.C.) due figure 3. CTaÀmcr·n)ç tengono in mano due oggetti, che poIl sostantivo che indica colui che suo- trebbero essere dei corni. Essi vengono na la tromba presenta diverse forme 5• menzionati nei cilindri di Gudea {2400 La forma cra.Àmyx-.i)ç, che ci si attende a.C.) e in atti contabili del tempio. per prima, si trova in CIG I IJ83,5 Nei tumuli di Tepe Rissar e di Asta(II sec. a.C.); IG 7,3195 (r sec. a.C.) e rabad in Persia {II millennio a.C.) si sopassim, cfr. Thuc. 6,69,2; Polyb. 4,r9, no trovate trombe d'oro miniate 6 • Su 12; q,3,6. In iscrizioni è attestato dap- un bassorilievo ittita di Karkemish 7 e prima O'a.À'lttx-tT]ç (Ditt., Syll. 1 1 r53 su un altro del palazzo Sennacherib so68 s . [IV sec. a.C.]; Ditt., Or. I 5r,64 no raffigurate delle trombe 8 . Tusratta, [m sec. a.C. J; Ditt., Syll. ' II 667 ,44 [II re di Mitanni, in occasione delle nozze sec. a.C.]; corrispondentemente Polyb. della figlia con Amenophis III (1380 1,45,r3; 2,29,6 ecc.). Presso gli scritto- a.C.) inviò come dote due trombe 9• Ciò ri, nei mss . si trovano spesso entrambe le dimostra l'alto valore degli strumenti. lezioni; cfr. Xenoph., an. 4,3,29.32; Dio In Egitto la tromba compare in molte C. 36,49,I, cfr. 47,43,1; 56,22,3; Ap- figure a cominciare dal 1550 a.C. 10• Nelpian., beli. civ. I,105 (494). Più tardi, la tomba di Tutankamen (verso il 1350 come Ècr1H.:1wra. sostituisce ÈCTaÀmy~a. a.C.) si sono trovati due strumenti in buono stato di conservazione, uno d'are~ col. r202), cosl in luogo di cra.Àmx-.1]ç compare la forma O'a.Àm
    tavola III

    201;

    i.

    M11sik!eben, fig. 37. 23 s. io Trombe dell'epoca di Thutmosis IV (intorno

    8 BEHN,

    9 ~ GALPIN

    al 1400 a.C.) in M. WEGNER, Die Murikinstrumente des alten Orients, Orbis Antiquus 2 (1950) tavola i4a; altre riproduzioni dei tcm· pi di vari re egiziani in W. WRESZINSKI, Atlas wr altiigyptischen Ktilturgerchichte II ( 1935) tavole 24 s. no s. 127 s. 134 s. l5r.i61s.169 s. 185.191 s. 199 s.; ~ HrcKMANN 4-16. 11 H. C. CARTER, Tut·ench-Amu11 n 1°{1938), tavola 2 B; ~ HICKMANN, tavola 1. 12

    Ed.

    w. M. LINDSAY l9II.

    1205

    2. La

    (vu,73)

    ua).my!; x't'À.. A n

    tromba di guerra

    Nell'antichità la tromba è stata usata pochissimo come strumento musicale, ma più come strumento di segnalaz~one. Perciò si parla spesso del CTl)µctWEW della tromba o del trombettiere (Xenoph., an. 4,2,1; Polyb.14,3,5; Diod. S. r5,53,>; Polyaen., strat. 4,3,26), cfr. anche 'tÒ O"T)µEi'.ov craÀ.7tL~EW (Athen. 4,5 [ l 3ob ]); ..~ 7tGt:paxÀ.'"t]'ttXà 'tOV 1tOÀ.ɵou È1ttCTT]µa.lvm1 (Dion. Hai., ant. Rom. 4,17a). In sostanza 1~ tromba fu usa,ta nell'esercito come craÀ.7tty1; 7tOÀ.tµta (Athen. 10,59 [442c]). Essa è un opyavov 1toÀ.ɵou (Philo, spec. leg. 2,190), un opya.vov 1tOÀ.Eµtcr't1)pto\I (Artemid., oneirocr. I ,56) O opyOCVO\I 1tOÀ.EµtX6\I > > • (Hesych ., s.v. ), EVXPiJCT'tO'tlX.'ti) rn; 'tovc:; 1tOÀɵouc; (Diod. S. 5 ,40,1 ). Secondo Bacchilide (18,3 s.) la xaÀ.xoxwowv (con padiglione di bronzo) cr&.À.myl; fa risonare 1tOÀ.EµT)ta.v àoto&v. I Greci, raffigurando Nike con la tromba in mano 13, mostravano quale importanza attribuissero alla tromba nel conseguimento della vittoria. Gli Spartani originariamente non entravano in battaglia a segnali di tromba, ma al suono di flauti, marciando a ritmo regolare e a tempo (Thuc. 5,70; Plut., Lykurgus 22 [1 5 3]; Polyb. 4, 20 6; Paus. 3,17,5; Clem. Al., paed. 2, 42:2). Il flauto dava loro anche il primo segnale di battaglia (Luc., salt. ro) .. I Cretesi oltre al flauto usavano la lira (Strabo I0,4,20). Più tardi la tromba soppiantò gli altri strumenti (Plut:, de musica 26 [II 114oc]). Essa serviva a trasmettere vati ordini (Asclepiodotus, tactica 12,ro; Ael., tact. 35,1 14 ), specialmente quando era difficile intendersi in altro modo (Arrianus, tactica 32,5 15). I

    13 ~ WEGNER, tavola 26b. Altre riproduzioni della tromba da guerra ad es. in A. FURTWANGLER - K. REICHHOL», Griech. Vasenmalereien II (1909) 113 e tavola 82; P. HARTWlG, Die griechischen Meisterschalen der Bliithezeit des strengen rothfigurigen Stiles (1893) 276, spe.-

    2

    (G. Friedrich)

    (vn,74) .1206

    Con la tromba venivano dati i segnali di prepararsi alla battaglia e gli ordini di andare all'attacco (Aesch., Sept. c. Theb. 394; Eur., Phoen. 1377 ss.; Xenoph., an. 4,2,7 s.; 4,3,29; Diod. S. 20,51,2). Essa aumentava il frastuono provocato dalle grida bellicose dei soldati (Arrianus, anabasis Alexandri 1,14,7), infiammava il coraggio degli attaccanti (Thuc. 69,2; Plut., Aem. 33,1 [1 272 f]; Plut., Crass. 23,9 [r 557d]; Polyaen., strat. 4,3,26; Dio C. 47,43,2; Eustat. The~­ sal., comm. in Il. 21,388), spaventava tl nemico e ne sconvolgeva le righe (Xenoph., an. 7,4,19; Polyb. 2,29,6). Con la tromba si dava anche il segnale della ritirata (Polyb. 3,69,13; 10,13,u; 15, 14,3 ), della fìne della battaglia (Xenoph., an. 4,4,22; Diod. S. 15,87,2), della rac· colta dei dispersi (Artemid., oneirocr. r, 56) e della marcia verso l'accampamento (Philo spec. leg. 2,190; Poll., onom. 4,86). Segnali di tromba venivano d~ti spesso anche come stratagemma per ingannare il nemico sulla vera situazione (Dio C. 56,22,3), Presso i Romani le sentinelle dopo il pasto serale si recavano al loro turno di notte ad un segnale di tromba (Polyb. 14,3,6). Dell'esercito romano è detto che «la tromba dà il segnale del riposo e della guardia e dell'alzata. Nulla avviene senza comando» (Flav. Ios., beli. 3,86). Il trombettiere, assieme al portainsegna e ad altri, fa parte degli uomini della truppa che, fuori dei ranghi della compagnia, erano a disposizione per servizi speciali (Asclepiodotus, tactica [ ~ n. J4] 2,9; 6,3; Ael., tact. 9,4; 16,2).

    dalmente n. 1 con rinvii ad altre riproduzioni. 14 Asclepiodotus ed Aelianus, ed. H . KoCHLYW. Ri.isTOw, Griech. Krieg:rschriftstelfer II (1855). 1s

    Ed. R. HERCHER

    e

    A. EBERHARD (1855).

    1207 (vxr,74)

    ua).my~ X'tÀ..

    A

    3. Il significato della tromba in tempo di pace

    Oltre che nell'esercito, la tromba ve· niva usata in occasioni quanto mai varie. I pastori radunavano con segnali di tromba il loro gtegge(Polyb. 12,4,2 s.). Secondo Aesch., Eur. 566 ss. all'inizio di una seduta in tribunale l'araldo con la tromba dava al popolo l'ordine di non distubare. Cosl pure un segnale di tromba ordinava il silenzio prima della preghiera (Thuc. 6,32,1). Con la tromba si chiamava a raccolta il popolo per assistere al sacrificio (Poll., onom. 4,86; Eusthath. Thessal., comm. in Il. 18, 219; schol. ad Horn., Il. 18,219 [ ~ n. 2 J). La tromba cultuale, per distinguerla da quella di guerra, era detta iEpci (Artemid., oneirocr. l ,56) o anche tEpa.:nx1) (Lydus, de mensibus 4,73) 16• Il trombettiere addetto al culto si chiamava !.Epo
    Ed. R. WilNSCH (1898).

    J. QUASTBN, Musik tmd Gesang in den Kr1l-

    ten der heidnischen Antike und christlichen Friihr.eit: Liturgiegeschichtliche Quellen und Forschungen 25 (1930) tavola 24. Sull'uso culruale della tromba cfr. inoltre A. FRICKENHAUS, Der Schiffskarren des Dionysos in Athen: Jahrbuch des deutschçn Archiiologischen Institutes 27 (1912) 65 e allegato 1, fig. 4: alla testa di un corteo sacrificale avanza un giovane che suona la tromba.

    Il

    3 (G. Friedrich)

    (vu,75) uo8

    Anche in età greca e romana si fa menzione di trombettieri sia in cortei funebri sia in cortei trionfali. Alla testa del corteo che si recava alla tomba dei caduti a Platea marciava il trombettiere, che intonava il segnale di vittoria (Plut., Aristides 21,3 [r 332a], dr. Arrianus, anabasis Alexandri 7 ,3 ,6 ). Originariamente la musica funebre doveva probabilmente procurare al defunto una buona accoglienza da parte degli dèi inferi; più tardi essa diventò un puro sfoggio di sontuosità (Appian., bell. civ. r,105 [494s.]; Persius, sat. 3,103 19 ; Horat., serm. 1,6,44). Sen., apolocyntosis .12,1), raccontando la sepoltura di Claudio, dice che i tanti suonatori facevano una tale sarabanda, che poteva udirla perfino il morto; tutti erano felici e contenti. Un bassorilievo romano offre la rappresentazione viva di un corteo funebre con i suoi musicanti 20 • Anche il corteo trionfale era aperto da squilli di tromba (Plut., Aem. 33,1 [r 272f]; Appian., Libyca 66 [293]). Di una donna si racconta che È
    tavole 185.

    Ed. W. V. CLAUSP.N (x959).

    op. cit. (~ n. 17) tavola 31. Cfr. anche Ant. Christ. u 2 s. 316. Tertull., de corona u,3 (CCh 2 [19,:14] 1956) si oppone all'idea che dei cristiani, che attendono di essere svegliati dalla tromba dell'arcangelo, dopo la loro morte ·siano disturbati dalla tromba dei suonatori. 20 QUASTEN,

    J209 (vn,75)

    crli}..myl; x-r}... A

    II

    3 -B r xa (G. Friedrich)

    (vu,7.:1) 1210

    89; Soph., El. 7II; Martianus Capella, de nuptiis Philologiae et Mercurii 9,

    non vuol dire che i trombettieri abbiano suonato una marcia, ma che hanno 925 21 ). Quantunque con la tromba si dato il segnale, o anche segnato il passo, potessero suonare solo poche note (~ di truppe avanzanti. La tromba mal si col. 1210), suonare la tromba era con- prestava come strumento musicale; dalsiderato un'arte, perché era necessario le trombe provenienti dall'Egitto(~ col. avere molto fiato per farne uscire un 1214) si possono ricavare in sostanza suono 22 • Negli agoni si svolgevano an- solo due note, la tonica e la decima. A che gare musicali di tromba (CIG I gran fatica si ricava una terza nota, che 3 è di due ottave più alta della tonica 24• 1585,5; IG 7,1760,11; Ditt., Syll. n 667>44 ecc.). A quanto pare in queste Non molto diversamente devono essere gare contava la forza del suono. Erodoro andate le cose con le altre trombe 25 • Con non era eccelso; ma si elogia la forza dei tale strumento si possono dare segnali, suoi polmoni: Ècr1}µawE oÈ crcù:1tl~wv si possono segnare ritmi ma non fare µÉyLCT'tOV. Egli avrebbe addirittura suo- musica in senso vero e proprio. Il suonato contemporaneamente due trombe no delle trombe egiziane è molto for(Athen. 10,7 [414e); Eustath. Thessal., te, aspro e poco gradevole all'udito 26 • comm. in Il. 21,388). Di Aglaide si dice Per i Greci il suono della tromba era (Poli., onom. 4,89): cr&.À:myyL Ù'ltEPEP- à.pls11Àoç, assai chiaro, forte (Horn., Il. pwµÉvwç èxpl)cra-to &.yovLCT't1}pl4) 'tE xai 18,219), OL
    2~ R. KIRBY, Ancient EgyptiatJ Tr11mpets: Music Book 7 (1952) 250. Di diversa opinione ~ HxcKMANN 3r. Egli parla cli tonica, ottava e quinta superiore.

    Se per suonare le antiche trombe egiziane, o le loro imitazioni, si utilizzano delle imboccature moderne, a un suonatore abile è possibile ottenere alcune nitre note; -+ HrcKMANN

    2S

    32. 26

    -+ HICKMANN 33 .

    27 -+ GALPJN 23.

    12II (vu,75)

    u&.À.myl; X't'À.. B I ia-b (G. Friedrich)

    nei LXX serve a rendere sofàr, che peraltro in più di 20 passi è tradotto dai LXX, e talvolta più fedelmente, col sinonimo XEPO:'tLV'tJ. Non è stata finora trovata un'etimologia del tutto soddisfacente di sofàr. Probabilmente dall'accadico sapparu è derivato l'ebr. sofiir, ma con uno spostamento di significato: il caprone selvaggio è diventato il corno del caprone 28 , sofàr è dunque uno strumento a fiato ricavato da un corno di ariete. Perciò sofàr non si può rendere né con tromba né con trombone, ma si deve tradurre con corno 29• Più tardi il significato speciale di corno di ariete si venne ampliando e sofàr diventò designazione collettiva di vari corni di animali, anzi in generale di corni e strumenti a fiato. A differenza del greco
    b)!Ja!o!ra 11 vocabolo appare nell'A.T. circa 30 volte, e, ad eccezione di Os. 5,8, sempre al plurale. L'etimologia è difficile 30• Probabilmente pl#o!ra va collegato all'arabo /.J!r 31 , il cui significato principale è stretto e quindi /;a!O!ra è lo strumento stretto che emette un suono stridulo. 28 KoLARI

    42 s. Non è possibile una definizione che distingua esattamente la tromba dal corno; cfr. C.

    29

    SAcHs,

    Reallcxikon der Musikinstrumente

    Ciò corrisponde alla descrizione che ne

    fa Flavio Giuseppe (ani. 3,291 s.), dove dice che la canna era stretta, un po' più spessa di quella del flauto 32 • Cosl la ~a!o!ra è riprodotta anche sull'arco trionfale di Tito 33 • Essa è uno strumento di metallo, lungo, sottile, diritto, rifinito con argento (Num. 10,2), che va distinta dal sofiir, il corno d'ariete ricurvo (-7 col. l2l r), rispetto al quale essa presenta la caratteristica di strumento espressamente cultuale che, eccettuate le notizie sull'ascesa al trono di Joas (2 Reg. 11,14 e 2 Chron. 23,13), si è sempre trovato nelle mani dei sacerdoti. In Num. ro,8 viene esplicitamente ordinato che a suonarla siano soltanto sacerdoti. Secondo Num. 10,2 Mosè riceve da Dio l'incarico di costruire due trombe d'argento; nel corso dei tempi, poi, il numero delle trombe d'argento è stato aumentato. Durante la consacrazione del tempio di Salomone 120 sacerdoti suonavano le trombe (2 Chron. 5,12 s.). Poiché la hasosra della Bibbia ha una certa somigli~nza con le trombe egiziane 34 , è stata avanzata l'ipotesi35 che gli Israeliti l'abbiano portata dall'Egitto nel corso dell'esodo. Ma ciò non sembra corrispondere al vero. La l}a~os­ ra si trova quasi esclusivamente in scritti piuttosto recenti dell'A.T. Probabilmente è venuta in uso soltanto tardi presso gli Israeliti. Dato che era lo struoÈ EÙpoç &pxouv E'ltt 'ti!>
    (1913) r89 s. 395. Per ttomba generalmente si

    291).

    intendono strumenti a .fiato di forma cilindrica con padiglione, per corno invece strumenti ricurvi a forma conica,-,> HICKMANN 23. 30 ~ KoLARI 49.

    Vedi ad es. -,> CORNILL, tavola vr; Bru-m, fig. 83; A.O.B. fig. 509 ecc. 34 --,) BEHN, figg. 63.65; C. SACHS, Altiigyptische Musiki11strume11tc: AO 2I,3 s. (1920) fig. I4; -,> HrcKMANN, tavola 1; H. HrcKMANN, Musicologie Pharaonique: Sammlung musikwissenschaftlicher Abh. 34 (1956) 35. 35 A. W. AMBRos, Geschichte der M11sik I 2 (1880) 166 e KJRBY, op. cit. (~ n . 24) 225.

    31 --,) GRESSMANN 30 s.

    EVPE lit xat ~ux&.VJ)c; -.p67tov ti; à:pyupou 7tOL'TJCTaµ.evoc;, EO"'t'L lit 'toi.a.u'trr µijxoc; µtv EXEL mix.vaiov òMy~ M~'ltov, O"'t~VÌJ li'lu't't cr6pLyl; aùÀ.ou ~PctX.Ei: 1taX,v'ttpa, ·mxpéx.ouua 32

    33

    craÀ:m:yt; xù. B

    1213 (vn,76)

    mento più prezioso e più nobile, si è cercato di sostituirla al sofiir 36 • Nel tempio di Salomone i sacerdoti suonatori di {Ja~o~rot hanno un posto fisso (2 Chron. 5,12). Anche nella riforma del culto nel tempio sotto Ezechia le trombe dei sacerdoti vengono citate come strumenti importanti ( 2 Chron. 29,26 ss.). Dove prima si suonava il sofiir, più tardi si fa menzione delle f?a~o~rot. In I Reg. r,34; 2 Reg. 9,13 durante l'incoronazione viene suonato il sofiir. In 2 Reg. II,!4; 2 Chron. 23,13 si parla di biiFo~rat. La stessa cosa risulta da un confronto dei racconti del trasporto dell'arca; 2 Sam. 6,15 parla del so/ar, I Chron. r3,8; 15, 24.28 delle ba~o~rot. In 2 Chron. r3,12. r4 si fa menzione di biiF6~rot in guerra, in Iud. 7,16 e altrove di JO/iir. In Os. 5,8; Ps. 98,6; I Chron. 15,28; 2 Chron. 15,r4 i due strumenti si trovano insieme. Nel panorama complessivo delle citazioni veterotestamentarie non si può stabilire una differenza sostanziale nell'uso dei due strumenti. c)qeren qeren come strumento a fiato compare nella parte ebraica dell'A.T. soltanto in Ios. 6,5. Invece la forma aramaica della parola si incontra 4 volte in Dan. 3,5.7.ro.15. Come sofiir, esso è il corno di un animale. Accanto ai già citati sofiir e hasosra esso non costituisce uno strum~nto. particolare. In Ios. 6,5 ss. sofiir e qeren sono usati come sinonimi. In Daniele esso compare insieme ad altri strumenti musicali nell"orchestra' di Nabucodonosor. In nessun luogo è uno strumento cultuale. 36 -+ FINESINGER,

    Shofar 210;

    -+ SEIDEL

    593.

    37

    Sulla difficoltà dell'etimologia e sulle varie teorie che sono state proposte riferisce R. NORTH,

    Sociology

    o/ the Biblica/ Jubilee, Ana-

    lecta Biblica 4 (1954) 100-102. 33 -+ GRESSMANN

    :z s. 3l.

    I

    Ib-c (G. Friedrich)

    d) jobel

    Sull'origine del vocabolo non si sa nulla di certo 37• Si è supposto che la vocalizzazione di jwbl sia errata e si è collegato lo strumento con Jubal, l'inventore della musica di Gen. 4,2r. Se lo strumento fosse identico al nome del primo musicista, allora jobel sarebbe da identificare col trombone 38• Probabilmente jobel in origine è la guida del gregge, l'ariete 39; donde poi si sono sviluppati i significati di corno di ariete, tromba, fatta di corno d'ariete, segnale di tromba ed infine la festa che viene annunciata con lo squillo della tromba 40 • Come qeren, anche jobél non costituisce uno strumento particolare accanto a sofiir e a ~ii~ofra. Nel significato di corno a fiato compare soltanto in Ex. r9,x3, dove il suono prolungato di jobel è chiaramente identico a qol haHofiir di Ex. r9,r9, cfr. r6. Negli altri passi jobel si incontra sempre collegato con qeren e sofiir. In Ios. 6,5 si ha la locuzione qeren hajjobel, in los. 6,4.6.8.13 sofrot ha;;obltm. Probabilmente nei rispettivi passi jobél indica il materiale di cui è fatto il corno. e) t"ru'a

    In un passo (Lev. 23,24 [cfr. anche lEp. 34,2 Simm.]), craÀ.my!; nei LXX serve a rendere rru'a. Ma rru'a non è uno strumento musicale, bensl il rumo· re, lo schiamazzo 41 (Ios. 6,5; I Sam. 4, 5 s.), il segnale fragoroso (Num. 10,5 ). Quando i LXX traducono t•ru'a con
    235 .

    P. HuMBERT, La «Terou'a», analyse d't1t1 rite bibliq11e (1946).

    41

    1215

    (vn,77)

    craÀ1tL'Y~ X'\"À.

    B I lC-3 (G. Friedrich) ba~a!o!ra

    (Num. ro,8; 2 Reg. II , Chron. 23,I3). La locuzione tiiqa' t"ru'a (suonare con fragore) si trova in Num. 10,5 s., tradotta dai LXX con crcx.À.1tL~f.~'V CTT]µrxulcx.'V. Su tiiqa' battiiqoa' di Ez. 7,14 ~ col. 1215. c) rua' in forma hifìl (far chiasso, gridare) in Num. 10,9 (cfr. 2 Chron. 13,12) è collegato con pa!D!ra: suonare fragorosamente la tromf) eaqoa' ba. I mss. dei LXX in Num. ro,9 oscilIn Ez. 7,14 i LXX traducono tàq'u lano nella traduzione tra 1111µa.vf.t"t"f. e battàqoa' con cru.À.7tlurx"CE f.v cnH:myyL. cru.À.mEt-rc. "t"cx.tc;
    (~col. 1201 ), mentre altrove i LXX traducono «suono di tromba» letteralmente con due parole in modo conforme al modello ebraico(~ col. 1211) . Nel passo di Num. 29,r, che corrisponde a Lev. 23,24, teru'fi è tradotto appropriatamen· te con
    42

    W. ZIMMERLI, fa:. (Bibl. Komm. A.T.

    13).

    taqa'

    (vu,78) 1216

    I4;

    ad l.

    2

    II. Uso e significato del corno e della tromba r. Il corno e la tromba in guerra

    Come in Grecia e~ coll. I205 ss.) cosl in Palestina il corno era un importante

    strumento militare. Al confine e sparsi all'interno del paese v'erano posti di guardia, che in caso di pericolo (specialmente all'avvicinarsi di nemici) davano l'allarme agli abitanti (Ier. 4,5; 6,i.r 7; Os. 8,1; Am. 3,6; Ez. 33,3 ss.; Neem. 4, l 2 ). I giovani venivano chiamati alla guerra santa a suon di corno (Iud. 3,27; 6,34; I Sam. 13,3; ler. 51,27; Ez. 7,14). Che la chiamata a convegno delle tribù col sofiir non fosse una faccenda privata ma un atto religioso, è provato dalla notizia contenuta in !ud. 6,34: «Allora lo spirito del Signore venne su Gedeone, ed egli soffiò nel corno». Anche nel caso di scoppio di rivolte ci si serviva del suono del corno per mettere in istato di allerta i partecipanti (2 Sam. 15,10; :2.0, l). Come presso i Greci e~ col. uo6) cosl presso i Giudei il segnale dell'attacco veniva dato col corno (lob 39,24 s.; 2 Mach. 4,13; 9,12 s.), dopodiché le truppe levando grida di guerra si lanciavano sul nemico, ed il suono dei corni aumentava il fragore dell'assalto (Ios. 6, :w; !ud. 7,18 ss.; 2 Chron. 13,14 ss.; Ier. 4,19; I Mach. 5,31). Ma il corno non era un semplice strumento cli segnalazione, usato per trasmettere ordini (cfr. Num. 10,2 ss.), infondere coraggio nei combattenti e seminare il panico tra il nemico (--'>- col. 1206); dr. Iud. 7,18 ss. Anche quando era usato in guerra, aveva per gli Israeliti un significato religioso; infatti col suono del corno si chiamava Dio perché venisse in aiuto. Doveva ricordare loro Num. 10,9, cosl che gli squilli di tromba altro non erano che un forte appello a Dio. Perciò il suono delle trombe prima della battaglia non poche volte è messo in relazione con la

    preghiera: «Essi gridarono al Signore ed i sacerdoti .soffiarono nelle trombe» (2 Chron. 13,14). «Essi levarono forte il loro grido al cielo ... 'Come possiamo resistere loro se non ci aiuti?'. E suonarono le trombe e gridarono a gran voce» (r Mach. 3,50 ss.). «Essi caddero col ·viso a terra e suonarono le trombe delle segnalazioni e gridarono al cielo» (r Mach. 4 ,40). «Li·. aggrecil alle spalle con tre schiere, ed essi diedero fiato alle trombe e gridarono in preghiera» (r Mach. 5,33; cfr. 2 Mach. 15,25 s.). Il corno dava anche il segnale di desistere dall'inseguimento e di por :fine alla battaglia (~col. 1206) (2Sam. 2,28; I8,16). La tromba squillava con altri strumenti quando si rientrava da una campagna vittoriosa e ci si avviava al tempio (2 Chron. 20,28 ). Come il suono dei corni chiamava a raccolta l'esercito, cosl col suono di corno esso veniva congedato e rimandato a casa (2 Sam . .20,22). 2.

    Il corno e la tromba in solennità di pace

    Durante la cerimonia dell'ascesa -- al trono del re gli araldi suonavano il corno ed il popolo acclamava: - Viva il re! (2 Sam. 15,10; r Reg. 1,34.39.41; 2 Reg. 9,13; 11,14; 2 Chron. 23,13). Dato che Dio è propriamente il re e l'ascesa al trono cli Jahvé corrispondeva al rito dell'intronizzazione politica, anche nei salmi di intronizzazione è fatta menzione della tromba. «Dio ascende fra acclamazioni, Jahvé al suono del corno» (Ps. 47,6}, e: «Al suono della tromba e del corno acdamate al cospetto del re Jahvé» (Ps. 98,6). Si suonava il corno anche in altre occasioni speciali. Quando fu consacrato il tempio di Salomone, 120 sacerdoti suonarono la tromba (2 Chron. 5,12; 7,6); e quando fu posta la prima pietra del nuovo tempio, ritornarono a squillare le trombe dei sacerdoti (Esdr. 3,10; cfr. 1 Euop. 5,57. 59 .62 s.). Come

    1219 (vu,79)


    Bu

    presso i Greci (~ coli. 1207 s.) cosi presso gli Israeliti in occasione di solenni cortei e processioni si suonavano gli strumenti. Cosl l'arca del Signore fu portata a Gerusalemme fra il suono dei corni (2 Sam. 6,15) e squilli di tromba (1Chron.13,8; 15,24.28).Nella solenne processione della consacrazione delle mura, di ognuno dei due gruppi facevano parte sette sacerdoti con trombe (Neem. 12,35.41). Quando con la riforma del culto sotto Asa i Giudei si dichiararono pronti con tutto il cuore e con tutta l'anima a stare dalla parte di Dio, essi giurarono davanti al Signore tra il clangore delle trombe e dei corni (2 Chron. 15,14). 3. Il significato cultuale della tromba e del corno

    Già nella sezione precedente si è accennato al significato cultuale del corno e della tromba. Questa veniva suonata durante gli olocausti e i sacrifici. Quando squillavano le trombe durante gli olocausti, tutta la comunità si affrettava a gettarsi a terra per pregare (2 Chron. 29, 27 s.; Ecclus 50,16 s.). Qui, come all'inizio del combattimento (~col. 1217), il fine per cui si suona è che Dio non si dimentichi ma si ricordi della comunità (Num. 10,10; Ecclus 50,16). Quando nella consacrazione del tempio suonarono le trombe e gli altri strumenti e si intonò il canto di lode al Signore, Dio scese nel tempio con la shekinà e la gloria cli Dio riempl la casa ( 2 Chron. 5, 13 s.). Era importante anche l'uso della tromba nelle varie feste (Num. 10,10; 2 Ea'op. 18,15). Essa veniva suonata la sera del novilunio (Num. 10,10; Ps. 81,4}. Il corno annunciava la festa di capodanno, che era un giorno di comme43 --+ REIK 204; A. WEISER, Zt1r Froge nach der Beziehungcn der Psalmen zum Kt1lt: Die Darstell1111g der Theophanie in den Psalmen

    2-4

    (G. Friedrkh)

    (vn,80) 1220

    morazione con suon di tube (Lev. 23,24, cfr. Num. 29,1 ). Allo stesso modo, nel giorno della riconciliazione veniva annunciato col corno l'anno giubilare (Lev. 25,8 s.). Se si proclamavano digiuni, se ne dava notizia con segnali (Ioel 2,15). 4. Il suono dei corni nelle teofanie

    Non è possibile fare una netta distinzione tra significato profano, cultuale e teologico del corno. Si ha il riferimento a Dio anche nell'uso del corno in guerra, nell'allarme per l'avvicinarsi dei nemici(~ col. 1217), nel suo suono prima della battaglia (~ col. 12 17) e, in tempo di pace, nell'ascesa al trono del re (~ col. 1218). Anche se talvolta il corno può sembrare uno strumento profano di segnalazione, nella maggior parte dei casi esso si trova però ad essere riferito molto strettamente a Dio. Il suono del corno accompagna la teofania del Sinai (Ex. 19,16 ss.). Chi lo faccia suonare, in Ex. 19 non è detto. Probabilmente è Dio stesso. Anche in Zach. 9,14 è lui a suonare il corno. Il suono del corno delle teofanie non annuncia soltanto la venuta cli Dio. Non è neppure un'espressione figurata del tuono, come per i Greci (~ col. 1201); infatti in Ex. 19,16 e 20,18 tuono e suono del corno sono tenuti distinti. Il suono del corno probabilmente rammenta la voce irripetibile di Dio 43 • Ciò si può dedurre da Ex. 19,19: «Il suono dei corni si venne 1111d

    im Festkult, in Fcstschr. A. Bertholet

    (r 950) ,523 ; --+ SEIDEL ,589.

    122r (vn,80)

    uaÀ.1W'(~ X't'À..

    B

    prolungando ed amplificando. Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce alta}>. L'esattezza di questa interpretazione è confermata da Deut. 5 ,22: «Queste parole disse Jahvé sul monte a tutta lavostra comunità di tra il fuoco, le nuvole e l'oscurità, con voce alta». 5. Il significato escatologico del corno

    Come il corno suonò nella rivelazione di Dio sul Sinai, così suonerà anche nell'evento escatologico. Il giorno di Jahvé dev'essere annunciato dal suono dei corni (Ioel 2,1; Soph. 1,16). Il suono del corno annuncia il giudizio finale. Come esso segnalava l'avvicinarsi del nemico e provocava perciò panico e terrore (~ col. 1217 ), cosl anche il giudizio escatologico di Dio sarà annunciato per mezzo di esso. Il suono dei corni annuncia l'inizio del tempo della salvezza. Segue l'adunata d'Israele, il ritorno a Sion degli esiliati. «Avverrà in quel giorno che si suonerà il grande corno» (Ir. 27,13). Dio stesso suonerà il corno ed apporterà il ritorno in patria e la liberazione dei Giudei (Zach . 9,14). 6. Il corno e la tromba come strumenti musicali

    In Dan. 3,5.7.10.15 il corno con lo zufolo, la cetra, la lira a sette corde e la cetra a trapezio, formano l'orchestra alla corte del re Nabucodonosor. Quando in 2 Chon. 5,13 si parla del complesso di musici costituito da suonatori di tromba e da cantori e si dice che si udiva come 44 KrnnY, op. cit. (-7 n. 24) 254.

    II

    4-6 (G. Friedrich)

    (vn,80) 1222

    una voce sola che risuonasse a lode di Jahvé, e in Ps. 150,3 il corno è nominato al primo posto tra gli strumenti del tempio, verrebbe fatto di pensare che in Palestina la tromba e il corno venissero suonati come in un'orchestra di oggi. Ma ciò è escluso; infatti, poiché non avevano nessun pistone o apertura laterale, con essi si potevano suonare solo poche note (~ col. 12IO). Sul corno d'ariete, come mostrano gli strumenti ancora in uso nelle sinagoghe, si potevano suonare, oltre la tonica, soltanto due altre note: la quinta e l'ottava 44• Ma mediante l'imboccatura si poteva produrre un suono differente ed un ritmo diverso, secondo che si soffiava nel corno in modo pacato ed uniforme con un respiro prolungato oppure con brevi immissioni di aria. In Num. ro,3 ss. vengono distinti vati segnali. È alquanto diverso suonar la tromba come in Num. 10,3 s. oppure per fare semplicemente rumore come in Num. Io,5 s., dr. 10,7. Probabilmente coi verbi tiiqa' (~col. 1215), miisak (~ col. 1216) e rua' <~ col. 12I6) s'intendono diversi modi di suonare. taqa' potrebbe voler dire suonare in staccato, a squilli brevi; miisak è più il suonare sostenuto, a note prolungate; ruli' potrebbe indicare il clangore della tromba. Nel tempio i sacerdoti non tanto suonavano la tromba per accompagnare il canto dei leviti, quanto piuttosto si inserivano nelle pause tra strofa e strofa con ritmi squillanti. Se più tardi le trombe sono nominate contemporaneamente ad altri strumenti o a cantanti (I Chron. I5,28; 2 Chron. 15,14; Ps. 98, 6; 150,3), esse non avevano il compito di suonare una melodia, ma di sottolinearne il ritmo, rinforzando il suono di un'allegra e vivace musica popolare, come fanno oggi le nostre fanfare.

    1223 (vu,80)

    uaÀ.myt; X't'À..

    eI

    C. IL

    GRUPPO DI VOCABOLI NEL GIUDAISMO

    I. I singoli vocaboli I.

    sofiir Il sofiir è comunemente ricurvo (R.H.

    3,4), ma ve n'erano anche di diritti, che

    venivano suonati nella festa di capodanno (R.H. 3,3a). Esso era usato tanto nel tempio insieme con le fla!ofrot (R.H. 3, 3b ), quanto nella sinagoga. A Qumran il corno era suonato dai leviti e da tutto il popolo (z QM 7,13 s.; 8,9 ss.; 16,7 s.; 17,13 s.), mentre la pafOfra era uno strumento strettamente sacerdotale. Quale significato avesse il Mfiir per i Giudei, si può dedurre dalla sua frequente riproduzione su pietre tombali, bicchieri, lampade, colonne, monete, mosaici, anelli ed amuleti 45•

    /.Ja!ofra La paf6fra era un up1co strumento del culto del tempio: «Non vi sono state trombe fuori del tempio» (R.H.j. 3,3 [58d 30]). In quale misura essa facesse parte del servizio sacerdotale, si può ricavare dalla notazione che chi non ha la hasosrà non è un sacerdote (T. Sota 7 ,i'5 ). À Qumran le trombe si trovano esclusivamente in mano ai sacerdoti (~ 1225). Dopo che il tempio col suo culto fu distrutto e le trombe con gli altri utensili sacri furono trasportate a Roma, la pÌifDfra cadde in disuso e prevalse ancora il sofiir, tanto che invece di ptlf6fra 2.

    45

    CTr. le riproduzioni in A.

    R.BIFENBERG,

    Denkmiiler der jiidiJchen A11tike (1937) tavole 44. 54. 57 s. 62 s.; In., Ancient ]ewish Coins l(1947) figg . .174.182.186; ~ GooDE· NOUGH Ili, figg. 334 SS. 346.444.478.565 S. 571 ss. ,so ss. 592. 624. 632. 639. 647. 651 s. 666. 671. 696. 715 ss. 768 s. 787. 806. 808.817. 837. 846 ss. 872 s. 878. 891. 893. 928. 94I. 958. 961 ss. 1010 ss. 1023. 1026. ro34.

    46 KRAuss, Leh11w. II 395 s., cfr. }ASTROW,

    l - 11 l

    (G. Friedrich)

    (vn,81) 1224

    si parla di s6fiir e viceversa (Shabb. b. 36a). Non si faceva più alcuna differen· za tra sofiir e {la~o~ra (Sota b. 43a; Sukka b. 34a). 3 . qeren

    Come nell'A.T., cosl nel giudaismo qeren ha un significato più generico. Con qeren si può anche indicare lo strumento a fiato costituito da un corno di mucca, mentre s6fiir era un corno d'ariete (R.H . 3,2 e R.H.b. 26a). In altri passi sono menzionati anche corni con imboccature metalliche, costituite di varie parti (Kelim 11,7).

    4. salpingiis Il vocabolo greco crcH.my!; è entrato come barbarismo 46 nel vocabolario giudaico. Si trova in diverse forme: slp;ngs ( = crciÀ.myycxi;) (Qoh. r. 8,8 ); slpirgsj (Lev. r. 29,4 a 23,24); swlpjrjs (Gen. r. 99 a 49,26); srpjnws (Lam. r., introd. 23) srpjnjsm (Qoh. r. 12,7).

    Il. Il significato di corno e tromba nel giudaismo 1.

    Lo strumento per fare segnali in guer· ra

    Il libro della «Guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre» contiene un ampio regolamento di guerra per le truppe, dal quale emerge chiaramente il significato della tromba 47 • Al suono s.v. salp111giis. Tuttavia dal testo tramandato non si ricava un sistema coerente; esso infatti appare composto di elementi disparati; cfr. C. H. 47

    Fragmente einer alteren Fassung des Buches Milpama aus Hohle 4 von Qumran: ZAW 69 (1957) 131-151. Si possono os-

    HUNZINGER,

    servare varie interferenze e incongruenze; cfr. Règle dc la Guerre (1958)

    J. CARMIGNAC, La uo; J. VAN DER

    PLOEG,

    Le Rouleau de la

    l225 (VII,81)

    craXmy~

    r.-r)•. C n x (G. Friedrich)

    (vn,82) 1226

    delle «trombe della chiamata}> (PFW~rwt mqr'm) i soldati si apprestano ad uscire dalle porte per correre alla battaglia (I QM 3,1.7; 7,I3.I5; Ba; 9,3). Le «trombe dell'ordine di combattimento» (hsw~rwt sdrj) dànno il segnale dell'alll~ea­ mento in battaglia. Ad un secondo segnale le truppe avanzano fino in vicinanza del nemico (r QM 3,r.6; 8,5-8; 16, 5 s.; q,10 s.). Il segnale dell'inizio della lotta è dato dalle «trombe degli uccisi» UNWFrwt hMlim: I QM 3,8; 8,8 s.; 9, 2; 16,7.9; I7,13), che son dette anche «trombe del fragore degli uccisi» (pfW· frwt trw'wt hplljm: I QM 3,1) o, in forma abbreviata, «trombe del fragore» (pfWfrwt hjwbl: r QM 7,13). Un grup· po di 6 sacerdoti suonava queste trombe (r QM 8,8; I6,6 s.). Il clangore delle trombe si unisce ai corni dei leviti, producendo un frastuono di guerra (r QM 8,9; 16,7 s.; 17,13). Le trombe degli uccisi accompagnano la battaglia con il loro fragore (r QM 9,1 s.; 16,9) «per fondere il cuore del nemico» (r QM 8,10). Non è dato vedere quale funzione abbiano le «trombe dell'imboscata}> (pfWFrWt hm'rb: I QM 3,I s. 8), poiché non sono menzionate nelle singole descrizioni di battaglie. Degno di nota è ciò che vi sta scritto sopra: «Il segreto di Dio per l'annientamento dell'empietà» (r QM 3,9). Le «trombe dell'inseguimento» (pFWFTWt hmrdp: I QM 3,2. 9; 9,6) guidano le truppe se il nemico è

    battuto. L'iscrizione mostra lo scopo del segnale: «Dio ha sconfitto tutti i figli delle tenebre. Egli non distoglie la sua ira prima del loro annientamento» (I QM 3,9). Le «trombe della ritirata» (p!WFrwt hmswb: r QM 8,2.r3) probabilmente s'identificano con le «trombe dell'adunata» (PFW!rwt hm'sp: I QM 3, 2). Le «trombe del rientro» (hswsrwt drk mswb) sono menzionate soio in I QM 3,10 s. Esse squillano quando le truppe dal campo di battaglia rientrano nella comunità verso Gerusalemme. Questi segnali variano secondo il modo di suonarli. Nella maggior parte dei casi viene usato il verbo tq' (-7 col. I 2 I 5 ). Nella battaglia vera e propria, quando squillano le trombe degli uccisi e i corni dei leviti, si usa invece rw' (~ col. 12i6) (I QM 8,r.8 s. I2.15; 9,1 s.; 16,7 s.; I7,12 s.). In alcuni passi viene particolarmente caratterizzato il modo di suonare. Per il segnale di combattimento il suono è prolungato (r QM 8,5), per il secondo segnale di partire all'attacco il suono è lento e sostenuto (r QM 8,7), durante la battaglia il suono è acuto e con brevi interruzioni (I QM 8,9; 16,7), per la ritirata il segnale è simile a quello di combattimento, cioè lento, prolungato e sostenuto (I QM 8, q).

    Guerre: Studies on the Texts of the Desert of Judah II (x959) 14 s. 18.IIB. Il numero delle trombe e la terminologia non sono concordi. In r QM 3,6-xr sono enumerate 7 trombe; in 7 ,u. si parla di 6 sacerdoti con la tromba; in 7,13 invece sono menzionate soltanto 5 trombe. In r QM 7,13 le trombe della chiamata e quelle del ricordo sono tenute distinte; viceversa in r QM 3,I.7 e 8,3 le trombe della chiamata hanno la stessa funzione che in 16,3 s. hanno quelle del ricordo. In r QM 7,13 pare che le trombe del ricordo sostituiscano le trombe dell'ordinamento per la battaglia (1 QM 3,

    1.6). In r QM 18,4 è In tromba del ricordo a dare il segnale dell'adunata per irrompere sul nemico in fuga, per cui sembra stare al posto della tromba dell'inseguimento. Forse 4 tromba del ricordo non occupa un posto fisso nel corso della battaglia, ma viene suonata di volta in volta come tromba della preghiera (-7 col. 1217) nelle fasi decisive della battaglia. In 1 QM 7,13 insieme con la tromba del fragore è probabilmente menzionata la tromba degli uccisi. In 1 QM 17,II essa corrisponde alla tromba dell'ordinamento per la battaglia di r QM 16,6.

    n27 (vu,82)

    crriÀ:my!;

    X'tÀ..

    e II 2 -3

    (G. Fricdtich)

    (vn,83) 1228

    Il vero e proprio significato di questi strumenti a fiato appare nelle funzioni religiose e feste regolari. Nei giorni ordinari si davano almeno 2 I squilli di tromba; in occasioni speciali erano di più, ma in nessun caso si superava il numero di 48. I segnali venivano dati tre volte al giorno: al mattino all'apertura delle porte del tempio 3 suoni di trombone, 9 al sacrificio mattutino e altri 9 a quello della sera (Sukka 5,5). Al sacrificio mattutino le trombe davano il via al coro dei leviti, che poi veniva in-

    terrotto dalle stesse trombe. Non appena queste squillavano, il popolo si prostrava per pregare (col. I2I9} (Tamid. 7,J). Secondo Dam. 11,21-23 (14,2 s.) non si deve più entrate nello spazio riservato all'azione liturgica dopo che è stata suonata la tromba dell'adunanza. Probabilmente tale tromba introduceva all'atto dell'adorazione, che non doveva essere disturbata dall'andirivieni della gente 48 • A parte le trombe di guerra (~ 1224 ss.), in I QM 3,2-n sono menzionate altre 6 trombe diverse da usate in tempo di pace, che chiamavano a raccolta la comunità e ne regolavano la vita 49• Con un triplice squillo veniva annunciato l'inizio del sabato (~ col. 1057): T. Sukk'ii 4,n s.; Sukka 5,5; Shabb. b. 35b; Flav. Ios., hell. 4,582; A.Z.b. 7oa. Con segnali di tromba il collegio degli scribi annunciava il novilunio (Nidda b. 38a). Il giorno di capodanno il suono fragoroso era tratto soprattutto dal corno. Si utilizzava a questo scopo il corno diritto dello stambecco, la cui imboccatura era ricoperta d'oro. Per mettete in rilievo l'importanza del Jofar in questo giorno, esso era affiancato da due trombettieri (R.H. 3,3b). Simile era il suono nella festa del giubileo (R.H. 3,5b). Nella festa dei tabernacoli squillavano le trombe quando i rami di vinco venivano posti ai lati dell'altare (Sukka 4,5 ). Quando, durante la libagione dell'acqua, il sacerdote dalla fonte di Siloe giungeva alla porta dell'acqua, era ricevuto con squilli di tromba (Sukka 4,9a). Segnali di tromba al canto del gallo ponevano fine alla

    48 H . KosMALA, Hcbriier, Essener, Christe11, Studia Post-Biblica 1 (1959) 359. 49 Secondo M. MtiLLER, art. 'Glocken', in RE 3 6,704, un segnale di tromba annunciava ai monaci cristiani in Egitto l'inizio dell'assemblea liturgica. Comunemente si suppone che i monaci abbiano ripreso questa usanza dall'A.T. Secondo KosMALA, op. cit. (~ n. 48) l'avrebbero ripresa dai monasteri essenici. Ma forse si riallacciano anche a costumanze egiziane;

    infatti in Egitto la tromba ha avuto ·d a sempre un grande ruolo (--+col. 1204). Da LmzBARSKI, Jobannes 104A ss. si ricava l'impressione che i cristiani nella loro predicazione missionaria e nelle loro funzioni liturgiche usassero i corni: «Tu li hai ingannati con i corni e con shofar hai diffuso disonore». Ma, poiché mancano in proposito altre attestazioni, si dovrà forse supporre che l'autore abbia scambiato un dato giudaico per uno cristiano.

    2.

    Tromba e corno in occasioni speciali in tempo di pace

    Nel caso di situazioni di emergenza, come malattia del grano, itterizia, cavallette, animali selvaggi (Taan. 3,5 ), siccità (Taan. I,6; 3,2 s.), si suonava con fragore per invitare alla generale mestizia del digiuno (~ col. 1220). Quando si annuciava il digiuno, i due suonatori di tromba venivano affiancati da suonatori di corno, che avevano corni di ariete ricurvi con imboccature d'argento. Poiché in questo caso interessavano le trombe, queste suonavano più a lungo dei corni (R.H. 3,4). Un segnale di corno annunciava anche la morte di una persona (B. M.b. 59b; M.Q.b. 27b); cosl si faceva anche quando si trattava di iniliggere o revocare la scomunica (M.Q.b. x6a; 17a; Sheb. b. 36a). In tal modo s'intendeva ricordare a Dio il reato del malfattore, perché lo punisse (M.Q.b. qb). 3. Tromba e corno nel culto giudaico

    r229

    (vn,83)

    rrcD.:my~

    x't'À..

    e II 3-4 (G. Friedrich)

    luminaria nel vestibolo delle donne (Sukka J,4C). Nella festa di pasqua suoni di tromba precedevano l'uccisione degli agnelli (Ps. 5,5) 50 •

    sale con giustizia. Che significa: 'Dio ascende tra suoni di giubilo' (Ps. 47,6)? Nell'ora in cui gli Israeliti prendono i corni e li suonano davanti al Santo sia benedetto - egli si alza dal trono del diritto e passa al trono della misericordia, come è detto: 'l'Eterno con suoni di corni' (Ps. 47,6), e diventa colmo di pietà per essi e si impietosisce di loro e muta la misura della pena in misericòtdia» (Lev. r. 29,J a 23,24, cfr. Pesikt. 151b). Il suono del corno, come rende clemente Dio, cosl confonde Satana. Quando questi ode la nota del corno per la prima volta, s'impaurisce; al secondo suono nota che è giunto il tempo di essere divorato ed arretra (R.H.b. 16a). Cosl il suono non ha soltanto un'importanza esteriore, ma anche un significato profondo.

    Questi suoni durante le funzioni religiose non servivano soltanto ad annunciare il compimento di atti liturgici, ma dovevano provocare effetti sintomatici. Prima di tutto essi erano, come nell'A. T. (~ coli. I217. 1219), un atto di preghiera: si doveva richiamare il ricordo di Dio (~ukka b. 131b). «Perché si suonano i corni? Per dire con ciò: 'Rivolgi lo sguardo a noi, quasi che mugghiassimo davanti a te come le bestie'»: T aan. j. 2,1 (65a 30 s.). Quando Dio, nelle quattro feste (di pasqua, del convegno, di capodanno e dei tabernacoli) giudica il mondo, vuole essere 1·icordato col suono dei corni: «Suonate davanti a me col corno dell'ariete, affinché io mi ricordi 4. Il significato escatologico del suono del sacrificio d'Isacco figlio di Abramo; dei corni così lo ascriverò a vostro favore, come se a) La tromba annuncia la fine (~ col. vi foste sacrificati per me» (R.H.b. 16a). Si collegava l'ariete, che si era impiglia- 1221): «La tromba suonerà alta, tutti to con le corna nel cespuglio (Gen. 22, gli uomini improvvisamente la udranno 13), a ciò che è detto del corno dell'a- e tremeranno» (4 Esdr. 6,23), perché si riete in Zach. 9,14: «Dopo tutte le ge- avvicina l'ora del giudizio, come il senerazioni i tuoi figli diverranno preda gnale della tromba di Michele annunciò dei peccati e si intricheranno nelle mi- la sentenza di Dio su Adamo nel paraserie; ma infine essi saranno salvati dal- diso: «Quando udimmo suonare la tromle corna di questo ariete» (Taan. j. 2,4 ba dell'arcangelo dicemmo: -Ecco, Dio [65d ross.], cfr. Lev. r. 29,10 a 23,24). viene nel paradiso per giudicarci» (apoc. Naturalmente anche gli altri popoli han- Mos. 22, cfr. 37). Il suòno della tromba no più tipi di trombe e di corni (Lev. r. fa parte delle descri?ioni del giudizio tra 29,4 a 23,24); la diflerenza consiste nel catastrofi cosmiche (Sib. 8,239). Prima fatto che Israele col suono del corno in- della fine appare un grande segno con tende ottenere la grazia del suo creatore spade e trombe (Sib. 4,173 s.). b) Ma (R.H.b. r6b). «Nell'ora in cui Dio si as- con lo squillo di tromba comincia anche side e ascende al trono del diritto, vi la salvezza. «In Tgri allora verranno reR.H. 4,9 dà il seguente ordine di suoni: si suona tre volte, ogni volta su tre note. Il tempo di una tqj'h corrisponde a quello di tre trw'wt e quello di una trw'h al tempo di tre ibbwt. In R.H.b. 34a si parla di tq;'h, trw'h e sbrjm. La tqj'h dev'csser stata una nota pro.

    5?

    lungata, alla quale corrispondevano le tre trw'wt e le nove jbbwt. ---)> EisBNSTBIN 3o6 e P. FIEBIG, Rosch haschana, Giessener Mischna II 8 (x9r4) r o5 dànno esempi di note del moderno uso sinagogale.

    uaÀ.1C~y!; X"t"À.. e II

    denti. Infatti questo si deve dedurre dalla parola corno, perché è detto: 'Suonate il corno al novilunio' (Ps. 8r,4), e poi è detto: 'In questo giorno verrà suonato un grande corno' (ls. 27,13)» (R. Rb. uh). Al segnale del grande corno vengono rimpatriati gli esiliati (Midr. Qoh. r,7). Secondo apoc.Mos. 22 è l'arcangelo Michele a suonare la tromba, secondo apoc. Mos. 38 le trombe fanno parte della dotazione dell'angelo che accompagna Dio. Ma, in base a Zach. 9, 14, per lo più si dice che è Dio stesso a suonare il corno (S. Num. 77 [ 2oa] a 10,10 ). «Allora suonerò la tromba dall'aria e manderò il mio eletto... egli allora chiama da tutte le nazioni il mio popolo schernito» (apoc. Abr. 31,1 s.). Perciò si prega cosl: «Suona il grande corno per la nostra liberazione, e innalza una bandiera per la raccolta dei nostri esuli» (Sh. E. 10 ) . In quel tempo anche a 'Gerusalemme dev'essere suonata la tromba, perché gli abitanti ricevano i rimpatriati (Ps. Sal. II,I). c) Anche il risveglio dei morti avviene col suono dei .corni: «Dio prenderà in mano un grande corno ... vi soffierà dentro, ed il suo suono andrà da un capo all'altro della terra. Al primo segnale trema tutta la terra; al secondo si raccoglie la polvere; al terzo le ossa vengono ricomposte; al quarto si riscaldano le membra; al quinto la loro pelle si distende sopra di esse; al sesto gli spiriti e le anime entrano nei loro corpi; al settimo essi diventano viventi e si mettono in piedi nei loro abiti, com'è detto: 'Il Signore dell'universo suonerà il corno' (Zach. 9,14)». (Alpha.bet-Midr. di R. Aqiba 9 51 ). 6. Corno e tromba come strumenti mu-

    sicali Anche nel giudaismo il corno e la Beth-ha-Midrascb (ed. A. }ELLINEK 1 [ x938] m 3x,28 ss.). 52 Cfr. H. BORNHAUSER, Sukka, Giessener 51

    4 . D I l (G. Fricdrich)

    (vn,85) 1232

    tromba non sono stati utilizzati come strumenti musicali nelle orchestre. Nelle luminarie notturne durante la festa dei tabernacoli si distinguono i leviti con cetre, arpe, cimbali ed altri strumenti musicali 52, e i due sacerdoti con le due trombe, che annunciano la fine della festa (Sukka 5A). In R.H.b. 28a e T.R. H. 3,5 è detto che l'obbligo di suonare è adempiuto se si suona una canzone. Ma il corno e la tromba al massimo possono aver dato il segnale o l'intonazione per avviare un canto; infatti non sono mai stati strumenti atti ad accompagnare o suonare una melodia{~ col. 1222). Probabilmente questo passo del Talmud va inteso diversamente, poiché il testo è incerto 53 • Il suono degli strumenti a fiato era più forte che bello. Il giorno di capodanno il suono dei corni era tanto forte che nella preghiera non si udiva più la propria voce (R.H.b. 3oa). Si deve ricordare che questo suono poteva con· fondersi col raglio di un asino (-'>- col. r2ro) (R.H.b. 28b). I Romani intesero il suono del corno dei Giudei a capodanno come un segnale di sommossa, e si precipitarono su di loro (R.H.j. 4,8 [59 c. 41 ss.]). Ciò fa capire come fosse il suono liturgico.

    D. IL GRUPPO DI VOCABOLI NEL N.T. I. I singoli vocaboli I. cniÀ:1t~y~

    Come in greco cosl nel N .T. uciÀmy~ significa tanto lo strumento (~ col. 1201) - ed è la maggior parte dei casi (I Cor. 14,8; Hebr. 12,19; Apoc. r,ro; 4,1; 8,2.6.r3; 9,I4) - quanto il suono prodotto dallo strumento (->col. I 201 ), lo squillo di tromba, il segnale (Ml. 24, 3r; rCor. 15,52; rThess. 4,16). Mischna

    II

    6 (1935) a 5,4b.

    .s.1- ~ F1NESINGER,

    Sho/ar 227.

    1233

    (vu,85)


    x-.À.. D

    1 2 -11 2 ·

    (G. Friedrich)

    {VII,1.15) 1234

    l'aramaico al greco sia avvenuto un errore54. Anche le 13 cassette per le offerIl verbo acx.À.1tl!;w s'incontra soprat- te nel tempio (Mc. 12,41) erano chiamatutto nell'Apocalisse. In I Cor. 15,52, te sofiirot perché, per evitare furti , eracome anche nel greco profano (~ col. no fatte a forma di corno: strette in al1202), è usato impersonalmente. Chi sia to e larghe in basso (Sheq. 6,r.5). Quecolui che suona, nel passo non è detto. sta forma di cassette era usata anche in provi.Ilda (Sheq. 2,1). Dunque in Mt. 6, 3 . crcx.À.mcr-.1)ç 2 Gesù con questo vocabolo avrebbe sconsigliato di deporre le offerte nel soDel trombettiere nel N.T. si parla so- fiir. Poiché il traduttore ignorava quelo in Apoc. 18,22 nell'elenco dei musi- sto significato di Jofiir, avrebbe reso canti di Babilonia (~ col. 1240). questa locuzione con craÀ.1tll;w. Ma si tratta di un'ipotesi errata, perché non II. Il significato dell'uso della tromba si poteva cadere nell'equivoco di considerare un acx.À.1tlSEL\I il deporre le l. La tromba di guerra offerte nel sofiir. D'altra parte non poNel trattare della glossolalia Paolo si trebbe reggere l'idea che delle persone ricche chiamassero i poveri nelle strade serve dell'immagine della tromba di e nelle piazze con squilli di tromba 55• guerra (I Cor. 14,8) per mostrare come Nella sinagoga, ma specialmente in ceril'annuncio della comunità debba essere monie liturgiche di digiuno, che nei casi di grandi calamità si tenevano nelle chiaramente comprensibile (~ III, coll. pubbliche piazze delle città (Taan. 2,1 ), 1194 ss.). Se la tromba dà un segnale spesso certe persone promettevano con equivoco, le truppe non si preparano al- voto pubblico delle somme di danaro per i poveri (Ber. b. 6b), perché si crela battaglia. deva che le elemosine, come la penitenza e la preghiera, potessero stornare un 2 . Il suono della tromba in occasioni sodestino fatale (Taan. j. 2,1 [ 65b 3] ). Solenni lo che in questo contesto non si parla di suono del corno. Ma proprio nelmai Il senso di Mt. 6,2 sul suonare la le cerimonie liturgiche di digiuno il cortromba quando si fa l'elemosina è ine- no ha una grande importanza. Taan. 2,5 quivocabile: non si deve fare del bene dà notizia che dopo ogni benedizione agdavanti a tutti (vv. re 3) per essere o- giunta alla fine delle preghiere si gridava: «Suonate, sacerdoti, suonate; suonorati (v. 2). Non è chiaro invece se nate, figli di Aronne, suonate». Si racaa.À.1tlsw vada inteso in senso traslato : conta anche che donatori di somme piutstrombazzare e simili, o se si pensi a de- tosto notevoli erano oggetto di uno speciale onore, in quanto nella liturgia siterminate usanze del giudaismo. Mancanagogale potevano sedere accanto al rabno prove a favore di entrambe le ipotesi. bino (Hor. j. 3,7 [48 a 39.54.57]). In Ecclus 31,n si legge: «La comunità te· Si è pensato che nella traduzione dal- stimonierà delle elemosine di lui» 56 • 2. <mÀ:nlsw

    s4

    G. K LEIN, Mt. 6,2: ZNW 6 (1905) 204.

    vangelicam a Mt. 6,2 (Corp. Ref. 73 [ 1891] t91).

    ss J. CALVIN, Comme11tarit1s in Har111011iam E-

    56

    Cfr.

    STRACK-BILLl!RBECK IV

    546-554.

    1235 (vn,86)

    cra}.my!;

    X/t'À..

    D

    II 2-4a

    (G. Friedrich)

    (vII,86) 1236

    Su queste basi si dovrebbero intende- vuole alludere all'indescrivibilità del re le parole di Gesù in Mt. 6,2. Proba- suono. Non è detto chi sia colui che parbilmente nelle sinagoghe, quando veni- la. Non è la voce di un angelo come in vano elargite elemosine particolarmen- Apoc. 5,2; 17,1; 21,9. Soltanto nei due te elevate, si suonava il corno (in an- passi caratteristici di Apoc. l,IO e 4,r titesi a quanto avveniva in occasione all'inizio della visione la voce è paragod'una scomunica [ ---7 col. I 2 2 7]), per nata ad una tromba, ma non nel resto incitare altri a compiere simili gesti e dell'Apocalisse, quando è l'angelo che per ricordare a Dio il benefattore (---7 parla al veggente. Stando ad Apoc. l, col. 1229). Gesù si scaglia contro l'uso r2 ss. si potrebbe supporre che si tratdi donare qualcosa davanti agli uomini, ti della voce del Figlio dell'uomo, la quaper il proprio onore. Dio non ha biso- le però in Apoc. 1,15 è descritta diversagno che si richiami col corno la sua at- mente. Col suono come di una tromba tenzione sull'opera buona compiuta, s'intende la voce di Dio stesso (cfr. perché vede nel segreto {v. 4). Apoc. 16,i.17), come nell'A.T. (---7 coll. 1220 s.); ma qui, come mostrano Apoc. r,1 o 22,6.16, non è necessario fare una 3. La tromba nella teofania e nella visostanziale distinzione tra Dio e Cristo. sione In Apoc. l,IO la grande voce apre lariNella teofania sul Sinai, di cui parla velazione delle lettere, in Apoc. 4,1 Hebr. 12,19, la menzione del clangore quella delle visioni vere e proprie. delle trombe non è un modo per indicare la voce di Dio come in Ex. 19,16 ss. 4. Il significato escatologico della tromba {---7col. 1220); infatti le parole, che gli ascoltatori non avevano voluto percepiGli enunciati escatologici sulla tromre, vengono singolarmente riferite. Il ba corrispondono nel N.T. a quelli delsuono delle trombe, l'oscuramento delle l'A.T. e del giudaismo. nubi, le tenebre e la tempesta non sono a) La tromba annuncia il giudizio uniche fenomeni concomitanti della teofania. Diversamente vanno intesi Apoc. l, versale alla fine del tempo (---7 1230 s.). 10 e 4,1. Nella sua visione il veggente oIn Apoc. 8,2 non solo l'arcangelo Michede una voce come di tromba. Non si par- le suona la tromba come nella condanna la, come fa Hebr. 12,19, di un clangore di Adamo, ma, in corrispondenza al giudi trombe, ma il grande suono che Gio- dizio su tutto il mondo, hanno la tromvanni ode è solo comparato a quello di ba anche 7 angeli. Questo numero 7 è una tromba. Con dà non soltanto si di- in relazione col significato che esso ha ce qualcosa sulla sua intensità, ma si nella struttura dell'Apocalisse (---7 III,

    1237 (vn,86)

    O'aÀ:my!;

    X'tÀ..

    D n 4a-c (G. Friedrich)

    col. 820 ss.) ed anche col fatto che altrove si parla ripetutamente di questi 7 suonatori di tromba si. I primi squilli di tromba segnano l'inizio delle condanne di Dio sotto forma di catastrofi naturali nelle quattro sfere della creazione, con le quali condanne viene aggredito lo spazio vitale dell'uomo: la terra (Apoc. 8,7), il mare (Apoc. 8,8 s.), i corsi d'acqua (Apoc. 8,ro s.) e gli astri (Apoc. 8, 12). Sono l'estremo ammonimento di Dio, il suo richiamo alla penitenza, non ancora il castigo finale; infatti le piaghe non toccano l'uomo stesso e neppure è distrutto tutto il cosmo, ma soltanto la terza parte delle quattro sfere, per cui agli uomini resta ancora la possibilità di vivere. Col quinto squillo di tromba (Apoc. 9,1) gli uomini stessi sono coinvolti nelle sofferenze (Apoc. 9A s.). Su di essi scendono piaghe, quali finora essi non avevano conosciuto. Si apre un baratro (Apoc. 9,2) ed il re delle potenze demoniache si getta su di loro con i suoi spiriti tormentatoti. Neppure queste condanne hanno come scopo la rovina finale (Apoc. 9 ,5 ), ma costituiscono un incitamento alla conversione. Ma gli uomini non cercano Dio bensl la morte, non il perdono bensì l'annientamento (Apoc. 9,6). Col sesto squillo di tromba (Apoc. 9,13) aumenta ancora la punizione. L'irrompente esercito di cavalieri ha il compito diretto di uccidere gli uomi57

    Ios. 6,4.8.13; Neem. 12,41;

    2

    Chro11. 15,24;

    QM 7,14; 3,6-n. I sette angeli con trombe sono forse gli arcangeli di Tob. 12,15; però I

    ni. Ma neppure questo è il giudizio finale; infatti muore soltanto un terzo dell'umanità (Apoc. 9,15.18). Apoc. 9,20 s. dice che in sostanza queste punizioni sono divini giudizi di grazia . Il :6ne che Dio persegue con l'invio delle piaghe è .la conversione degli uomini dalla schiavitù degli idoli. Esse devono indurre gli uomini alla penitenza, prima che sia definitivamente troppo tardi; ma gli uomini rifiutano questi ammonimenti. Il settimo squillo di tromba è descritto in modo del tutto diverso dai sei precedenti. Si attende il terzo ed ultimo «guai!» (Apoc. 9,12; n,14). Però non viene descritto il giudizio finale con la punizione degli uomini empi, ma il veggente parla della sentenza salvifica di Dio (Apoc. rn, 7 ). Egli non dà notizia di avvenimenti sulla terra, ma dell'effetto che il settimo squillo di tromba produce in cielo: si intona un inno di trionfo, perché ora Dio col suo Cristo ha assunto la sovranità illimitata su tutto il mondo per tutti i tempi (Apoc. n,15 ss.). b) Con un forte clangore di tromba, che giunge fino agli angoli più remoti della terra, alla fine del tempo gli angeli (Mt. 24,31) riuniscono gli eletti da tutte le direzioni e~ col. 1231). c) Al suono della tromba avviene la trasformazione dei viventi ed il risveglio dei morti (~ col. 1231). La fcrx&:n1 dr . apoc. Mos. 38: «Vennero tutti gli angeli, gli uni coi vasi dei profumi gli altri con trombe».

    n39 (vn,87)

    1:aµ&.pEU.t X't ">.. (Joach . Jeremias)

    craÀ.7tLy1; (I Cor. 15,52) non è l'ultimo

    di una serie di squilli di tromba, ma è il segnale escatologico che suona alla fine del tempo (~ coll. 1230 s.). Il Cristo scendente dal cielo, dirama un ordine (~ v, coll. 321 ss.) ai cristiani defunti, che risuona con la voce dell'arcangelo (~ 1, col. 232) e con la tromba di Dio (I Thess. 4,16). Né in I Cor. 15,52 né in I Thess. 4,16 si dice chi suona la tromba 58 • Che si parli della µEyaÀ.1) o-cX.À.·m y!; (Mt. 24,3 r ), della Ècrxa:t"(} cr&.À.myt; (I Cor. 15,52) o della crcX.À.1tLyt; 1'Eou (I Thess. 4,16), si intende sempre il segnale della tromba alla fine del tempo, che non viene dato con alcuno strumento umano.

    (vn,88) 1240

    5. La tromba come strumento musicale Soltanto un passo fa pensare che la tromba potesse essere uno strumento musicale. In Apoc. 18,22 nel contesto del giudizio su Babilonia, che pone fine a tutto, vengono nominati, insieme con suonatori di arpa e di flauto ed altri musicanti, anche suonatori di tromba, ridotti al silenzio. Significativamente la tromba è citata tra gli strumenti musicali che si possono udire nelle feste e solennità pagane. Nel culto cristiano dei primi tempi non ha avuto alcuna funzione (-4 n. 49).

    G. FRIEDRICH

    l:o:.µapEt.a, l:cx.µo:.pl·t"T]ç, t :Eaµaphr.ç SOMMARIO:

    rnaritani al tempo di Gesù.

    A. I Samaritani in età 11eotestame11taria: la religione samaritana;

    B. I Samaritanì nel N.T.:

    a) l'evoluzione delle relazioni fino al 300 d .C.; b) la posizione dei Giudei rispetto ai Sa-

    r . l'inimidzia tra Giudei e Samaritani; la posizione di Gesù rispetto ai Samaritani; 3. la missione della comunità primitiva in Samaria.

    ~ In descensus Mariae 3 (ed. H. PBRNOT, Desce11te de la Vierge aus enfers: Revue des

    The Sa"Jaritans. The Earliest ]ewish Sect. Their History, Theology and Literat11re, Boh-

    :E.tudes Grccques :r3 [1900] 240) Maria dice a Michele: xa~pE, MLX«Ti">- «PXLO"l'pa·nrfE, ò (lf>..ÀWV CTa)..1Clsm1 Xal U;urcvlSEW 'l'OÙt; àr:' a.lWvoc; XE1'o~µ1]µÉvouc;. Però lo scritto non risale oltre j} sec. vm o IX.

    lcn Lectures 1906 (1907}; ScHURER n 18-23. 195-198.522; A. E. CowLEY, The Samarilat1 Liturgy, 2 voi. (1909}; A. MERX, Der Messias oder Ta'eb der Samaritaner, Beih. ZAW 17 (1909); ]. E. H. THOMSON, The Samarita11s.

    1.

    ::z. Giudei e Samaritani:

    :Eaµa.pl'l'1]t;

    X't'À.

    Per A: Ampia raccolta di testi rabbinici in STRACKBILLERBECK I 538-560; J. A. MONTGOMERY,

    2.

    Their Testimony to the Religion of Israel, Alexander Robertson Lectures 19:r6 (1919); M. GASTER, The Samarilam. Their History, Doctrines ami Liferatt1re, Schweich Lectures

    1241 (vu,88)

    !:aµflp<.to; X'th. A

    Il vocabolo };aµapw1. fino ai tempi di Erode il Grande aveva un doppio significato, in quanto indicava sia il territorio della Samaria sia ]a sua capitale. Ma dopo che Erode nel 27 a.C. ebbe dato alla capitale il nome di °I:EBrur·ni (Augusta), col nome di Samaria si indicò soltanto il territorio, come fa sempre il N.T. In età neotestamentaria ]a Samaria occupava la parte centrale della Palestina occidentale, da Megiddo (tell el-mutesellim) a nord fino Borkeos {presso el-lubban) a sud. La Samaria aveva un suo senato (Flav. Ios., ani. 18,88), che corrispondeva al sinedrio della Giudea. Il nomen gentile è ~czµapl~'l)c;, femm. l:aµa.pht<;, in ebraico fomronl {nell'A. T. soltanto in 2 Reg. 17,29 al plurale), in aramaico fomrii'a; la Mishna usa sempre lo spregiativo kuti (Cutei, cfr. 2 Reg. 17,24.30).

    1923 (1925); Io., Tbe Samarita11 Oral Law 1md A11cie11t Traditions l . Samaritan Eschalo· logy (1932) (propende con molta esitazione per una datazione antica); JoACH. }EREMIAS, Die Passah/eier der Samaritaner 1111d ihre BeJeuttmg /iir das Vestiindnis der alttestame11tlichen Passahiibcrliefertmg, Beih. ZAW 59 (1932); SCHLATTER, Theol. d. ]udi. 75-78; D. RETTIG, Memar Marqa. Ein Samaritanischer Midrasch t.um Penta/euch (1934); JoACH. JP.REMIAs, Jerusalem wr Zeil Jem II B 2( 1958) 224-231; E. HAENCHEN, Gab es eine vorchrist· liche Gnosis? : ZThK 49 (1952) 3r6-349. Per B: K. BoRNHAUSER, Die Samariter des N .T.: ZSTh 9 (1932) 552-566; M. S. ENsLIN, Luke and the Samaritans: HThR 36 (1943) 277-298; O. Cuu.MANN, La Samarie et les origines de la mission chrétietme. Qui sont Jes "AAAOI de Jean N, 38?: École Pratique des Hautes Etudes, Section des Sciences Religieuses. Annuaire r95:p 954 (I 953) 3-12; JoACH. JEREMIAS, Jem Verheissung fiir die Volker, Franz

    1

    (Joach. Jeremias)

    A. I

    SAMARITANI IN ETÀ NEOTESTAMENTARIA

    1.

    La religione samaritana

    Nei due secoli di dominazione persiana sulla Palestina (538-332 a.C.) Gerusalemme e il suo retroterra poco a poco si separarono dalla provincia persiana della Samaria 1• Ma non fu l'indipendenza amministrativa della provincia di Giudea, ma soltanto la costituizione di un proprio centro di culto samaritano sul Garb:im, a portare allo scisma. Poiché i Samaritani tengono come Sacra Scrittura soltanto il Pentateuco, la rottura definitiva tra Giudei e Samaritani dev'essere avvenuta dopo la fine della redazione del Pentateuco e prima della canonizzazione degli altri scritti dell'A.T. 2 . Delitzsch-Vorlesungen 2 (1959); J. BoWMAN, Samaritan Studies: BJRL 40 (1958) 298-327. I A. ALT, Die Rolle Samarias bei der Entstehung des ]udentums, Festschr. O. Procksch (1934) 5-28; In., Zur Geschichte der Grent.e zwiscben ]ttdiia tmd Samaria: PJB 31 (1935) 94-III. 2 Non è possibile una precisa datazione. L'A. T. non cita affatto il santuario samaritano. Le cronache samaritane, che però sono apparse soltanto nel Medioevo, pongono la costruzione del tempio nel v secolo a.C. (per i testi ~ }EREMIAS, Jemsalem 225 n. 2); il racconto del tutto inattendibile di Flavio Giuseppe la fa risalire all'anno 332 a.C. (ant. u,324, cfr. 13, 256). Alcuni autori moderni datano lo scisma addirittura al periodo degli Asmonei (W. F . ALl!RIGHT, Van der Steint.eit z11111 Cbristentum [1949] 452). Un panorama della discussione si trova in H. H. RowLEY, Sanballat and the Samaritan T emple: BJRL 38 (1955/56) 166198.

    I:aµapmx.

    1243 (vn,89)

    X'\"À.

    A

    1

    (Joach. Jeremias)

    Cosl sono già indicate le due principali differenze tra la religione giudaica e quella samaritana: I. per i Samaritani fino al giorno d'oggi non è il monte Sion ma il monte Garizim il 'luogo eletto'; il Morijja del sacrificio d'Isacco, il luogo «in cui i nostri padri hanno adorato» (Io. 4,20 ). Il fatto che il tempio sul Garizim, dopo la distruzione compiuta da Giovanni Ircano {c. 128 a.C.) fosse ridotto in rovine (-->col. 1245), non diminuiva per nuila l'alta autorità del sacro monte. 2. I Samaritani ancora oggi riconoscono come Sacra Scrittura solo il Pentateuco, e per di più in un'antica redazione che in circa 6000 passi si discosta dal testo masoretico 3 • Perfino il Talmud ammette che essi osservavano scrupolosamente le prescrizioni della legge mosaica 4 • Ancora in età neotestamentaria i Samaritani respingevano l'attesa della risurrezione dei morti, perché il Pentateuco l'ignora 5• La loro speranza nel Messia, che è attestata chiaramente per la prima volta in Io. 4,25, poteva ricollegarsi soltanto al Pentateuco e perciò non ha nulla che fare con la stirpe

    di David; essi aspettano quale Messia 'il profeta come Mosè' promesso in Deut. 18,15-19 (""""* vn, coli. 792 ss.) e lo chiamano Ta'eb (""""* r, coli. ro37 ss), restauratore, perché si attendono da lui la reintegrazione del culto 6 • Quanto fosse viva questa speranza ai tempi di Gesù (-->col. 562) si deduce dalla notizia che nel 36 d.C. «un uomo ... incitava (il popolo) a salire con lui sul monte Garizim, ... e prometteva a coloro che fossero venuti di mostrare gli arredi sacri che Mosé vi aveva sotterrato» (Flav. Ios., ant. 18,85). Ai tempi della comunità primitiva un mago di nome Simone {""""*VI, col. 970) di Gitta (ar. gett) 7 ebbe un numero considerevole di seguaci (Act. 8,9 s.). Purtroppo ben poco di attendibile sappiamo su di lui e sulla sua dottrina, dato che i racconti dei Padri della chiesa sulla gnosi simoniana rispecchiano uno stadio successivo del movimento 8 • Ma chi ritiene che di Simone non sappiamo più dell'esistenza e del nome 9 è troppo scettico; infatti l'affermazione degli Atti(""""* vr, coll. I464 ss.) che i se-

    3

    Questa redazione (fatta astrazione dalle varianti testuali samaritane) sopravvisse anche nel giudaismo. Risulta dai reperti cli Qumran: ad esempio un manoscritto dell'Esodo ritrovato nella grotta 4 (all'incirca del 100 a.C.) presenta la forma testuale samaritana (4 QEX", cfr. P. W. SKEHAN, Exodus in the Samaritan Recension /rom Qumran: JBL 74 [1955] 182187). La più recente edizione del Pentateuco samaritano è stata curata da A. GALL, Der hebr. Pentateuch der Samaritaner (r9r4-r9r8).

    particolare chiarezza dalle loro regole per l'uccisione degli agnelli pasquali, ~ }EREMIAS, Passahfeier 66-106. 5 STRACK-BILLERBECK I 551 s. 6 Reintegrazione del culto: ~ M E RX 28,q ss. 7 Iust., apol. r,26,2. Sull'identificazione di Gitta con ar. gett ( x8 chilometri a sud-est di Cesarea di Filippo) cfr. A. ALT, Das Instit11t i. ]. 1924: PJB 2I (1925) 47 s. 8 Le fonti più importanti sono: lust., apol. r, 26,1-3; Iren., adv. haer. r,23; Hipp., ref. 6,

    4 Ber. b. 47 b. L'atteggiamento rigorosamente conservatore dei Samaritani si può dedurre con

    9-20.

    a

    9

    E.

    DE

    FAYE,

    G11ostiq11es et gnosticisme

    ...

    !:aµ
    guaci di Simone avrebbero visto in lui l'incarnazione della «grande forza» ( 8, 10 10) e l'avrebbero venerato come rivelatore, appare del tutto attendibile u. Inoltre, qualora fosse storica la notizia (e non può essere inventata dall'apologeta Giustino, oriundo della Samaria) che Simone era accompagnato da una exprostitu ta di Tiro di nome Elena e che essa era chiamata dai simoniani la prima ennoia (idea) uscita da Simone 12, avremmo nel movimento simoniano i primi cenni di una gnosi precristiana 13 .

    l-.2b

    (Joach. Jeremias)

    I7 1 20; bell. r,562) sta forse ad indicare che egli intendeva giungere ad una distensione. Ma dopo che certi samaritani, al tempo del procuratore Coponio (6-9 d.C.), avevano profanato il tempio di Gerusalemme, gettandovi di notte delle ossa umane (Flav. Ios., ani. 18,29 s.), l'odio antico divampò più di prima. Soltanto nel II secolo per l'autorità di R. Aqiba (t 135 d.C.) si affermò un indirizzo più conciliante. Ma prima ancora del 200 si ebbe un ulteriore inasprimento delle relazioni, e intorno al 300 la rottura totale: da allora i Samaritani furono considerati pagani 15 • b) La posizione dei Giudei rispetto az

    Samaritani ai tempi di Gesù 16 2.

    Giudei e Samaritani

    Il giudizio estremamente differenziato di cui son fatd oggetto i Samaritani nella letteratura rabbinica si spiega col fatto che le relazioni tra Giudei e Samaritani hanno subito notevolissime variazioni 14• Le tensioni seguite allo scisma giunsero all'acme quando intorno al 128 a.C. Giovanni Ircano distrusse il tempio sul Garizim (Flav. Ios., ant. 13, 255 s.). Che Erode avesse sposato una samaritana (Malthake) (Flav. Ios., ant.

    Il I secolo d.C. fu dunque un periodo di relazioni molto tese tra Giudei e Samaritani. L'antico contrasto tra nord e sud, tra Israele e Giuda, aveva riassunto tutta la sua asprezza. Mentre i Samaritani attribuivano grande valore alla loro discendenza dai patriarchi d'Israele (lo. 4,12), i Giudei negavano loro, in quanto 'Cutei' (-7 1241), ogni rapporto di sangue col giudaismo 17 • Inoltre si rinfacciava loro di avere adorato le divinità dei cinque popoli pagani immigrati in Samaria (2 Reg. I7 ,30 s.) e si negava la legittimità della loro attuale adorazione di Jahvé 18• Questo giudizio di fondo sui

    '(1925) 429-432. 10 oih-6c; É>) non sono convincenti, dr. H. Jo-

    NAS, The Gttostic Religion (1958) rn4. G. Qu1sPEL, Simo11 en Elena: Nederlands Theologisch Tijdschrift 5 (1950/Jr} 345; ~ HAl!NCHEN 349. 14 ~ ]EREMIAs, Jerusalem 224-227. lS STRACK-BILLERBECK I 552 s. 16 ~ }EREMIAS, f erusalem 228-23r. 17 Flav. Ios., ant. n,341; 12,257; dr. Le. 17, l 8: cX,).).oye'lri)c;. 18 Testi rabbinici contenenti l'accusa ai Srunaritani dì idolatria, in STRACK-BILLERBECK I ,538.549.553. Se anche Io. 4,18 rientri in questo contesto è, a motivo del v. I9, estremamente dubbio; per l'interpretazione allegorica dei «cinque uomini» si è espresso recentemente

    a) L'evoluzione delle relazioni fino al 300

    d.C.

    13

    1247 (vn,91)

    :Eaµaprnx x-rì.. A 2b - B

    Samaritani ebbe per conseguenza la loro esclusione dal culto gerosolimitano 19, il divieto del connubio con essi 2ll e l'accresciuta difficoltà di rapporti a causa di singole proibizioni 21 • Infatti essi «non hanno comandamenti, neppure i resti di un comandamento, e perciò sono sospetti e degeneri» 22 • Vale a dire che praticamente i Samaritani nel I secolo erano posti sullo stesso piano dei pagani 23 •

    B. I Samaritani nel N .T . Mentre Mc. non li cita mai e Mt. ne fa menzione una volta sola in senso negativo ( l0,5 ), le due opere lucane (Le. 9,51-56; 10,30-37; n,u-19; Act. r,8; 8,1-25; 9,31; 15,3) e Io. harmo per loro grande interesse. Non a caso tutte e tre le pericopi di Le. sui Samaritani appartengono al patrimonio proprio di Luca, dove anche altrove l'interesse maggiore sta nel descrivere come Gesù si rivolge ai disprezzati e ai piccoli. x. L'inimicizia tra Giudei e Samaritani

    I vangeli rispecchiano in più passi l'odio acceso che esiste.va tra i due grup~ CuLI..MANN

    6 s. (bibliografia). Si accettavano da essi solo doni votivi e do· ni volontari, che erano entrambi accettati anche da pagani (Sheq. 1,5) e comprendevano anche certe offerte sacrificali, ma non offerte sacrificali di precetto, cfr. STRACK-BILLll.RllECK II 549-551; ScHORER 11 357-363. :za Il divieto è ripetuto spesso (Qid. 4,3; T. Qid. 5,1 s.; Qid. b. 74b-76b; trattato Kuthitn l,6; 2,9 ecc.,~ }EREMIAS, Jerusalem 230. 21 Un giudeo non poteva mangiare ciò che veniva macellato per un samaritano (Hul. 2,7; cfr. STRACK-BILL!!RBECK I _538), e cosl neppure i loto azzimi pasquali {Qid. b. 76a bar.; Hul. b. 4a bar.; T. Pes. r,r,, dr. STRAcK-BILLBRlll!CK 1 143); non potevano essere usati i loro bicchieri: lo. 4,9 (~ col. 1248) ecc. n Pes. ;. I (27 b ~p) (R. Shim'on b. Johaj [c. lJO], che nei confronti dei Samaritani rappre19

    1

    (Joach. J cremias)

    pi (~ coll. 1245 s.) . Da parte dei Giudei I:a.µapL't1)c; è usato come sferzante insulto (Io. 8,48)24 ; lo scriba giudeo evita di pronunciare la parola 'samaritano', e preferisce sostituirlo con una perifrasi (Le. rn,37 ); nella giusta indignazione dei figli di Zebedeo contro l'inospitale villaggio samaritano, sul quale vorrebbero invocare la discesa del fuoco escatologico (Le. 9,54), traspare in pari tempo l'ostilità nazionale. Inoltre lo stupore della samaritana per la richiesta di Gesù di un sorso d'acqua dalla sua brocca (Io. 4,9) conferma che in età neotestamentaria i Giudei praticamente equiparavano i Samaritani ai pagani; infatti la spiegazione oggettivamente appropriata che l'evangelista dà della stupita domanda della donna: où yàp CTU'YXPWV'ta.t 'Iouoa.i:ot l:a.µa.pl·mtc;, «infatti i Giudei non si servono (del vasellame) insieme coi Samaritani» (4,9b) 25 presuppone che per i Giudei il vasellame dei Samaritani senta la tradizione più antica) . Le numerose prescrizioni attenuate, che si trovano nella Misbna, non possono essete addotte per descrivere la situazione nel I sec.

    23

    d.C. Stranamente mancano attestazioni talmudiche, ad eccezione di Sota b. 22a (STRACK-BILLE.R.BECK u 524 s.), dove kuthi è parallelo a bur (uomo rozzo). Però cfr. Ecclus 50,26; test. L. 7;i.. Nel contesto dì Io. 8,48 l'insulto di 'samarìtano' e quello di ' ossesso' stanno sullo stesso piano: l:aµapl-rT]c; d aù xaL lìa~µ.6v~ov i!xnc;. Diversamente intende~ BowMAN 308 n. 1: «Parli come se fossi un samaritano». 24

    The New Testament and Rtlbbinic Judaism, Jordan Lectures r952 (19,-6) 373-382 ha riconosciuto che avyxpiiai}a~ di lo. 4,9b significa seruirsi dello stesso uasellame, La mancanza di 4,9b nei codd. S* D

    2S D. DAUBE,

    l:<.tµlxprn,; "'t).. B I-2b (Joach. Jeremias)

    fosse impuro 26• Che da parte samaritana i Giudei fossero ripagati con la stessa moneta è confermato da Le. 9,53: a Gesù è negato l'alloggio perché egli è in cammino verso l'odiato tempio di Gerusalemme. Soltanto sullo sfondo di questo insanabile odio reciproco è pienamente comprensibile ciò che il N.T. racconta della posizione di Gesù e della comunità primitiva nei confronti dei Samaritani. 2.

    La posizione di Gesù rispetto ai Samaritani

    a} Anche agli occhi di Gesù la popolazione mista samaritana non fa parte della comunità d'Israele, che li mette alla pari dei pagani. Il lebbroso sait non autorizza a considerare senz'altro l'emistichio una glossa seriore; potrebbe essere caduto per una svista del copista. 26 Alla base della prescrizione potrebbe essere il fatto che le samaritane «dalla culla» (cioè sempre) erano considerate mestruanti e perciò i loro mariti sempre contaminati dalle mestruazioni (Nidda 4,1; T. Nidda 5,1; dr. STRACK-BILLERBECK I 540). Però, secondo Shabb. b. 16b.r7a, questa prescrizione è entrata in vigore soltanto con le cosiddette «d~i­ sioni del solaim>, che furono prese nel solaio di Hananja ben Hizqijja ben Garon nel 65/66 d.C. (ma forse già prima del 48 d.C. ~ JEREMIAS, ]erusalem 230 n. 44; P. BILLERllECK, comllllÌcazione verbale}, ma può essere stata praticata già prima (dr. DAUBE, op. cit. [ ~ n. 2:;] 373 s.). Tuttavia si potrebbe pensare anche alla disposizione forse più antica secondo cui i Samaritani sarebbero stati affetti da impurità cadaverica, perché si diceva che essi gettavano j feti dei loro aborti «nei locali immondi della casa» (latrina), Nidda 7,4 (dr. STRACK-BILLERBECK 1 541; ~ ]EREMIAS, Jemsalem 230 n. 45).

    maritano è detto 'straniero' (&.ÀÀoyE\llJ<;, Le. 17,18) ed un tristico antico di tradizione aramaica Il proibisce in egual modo ai discepoli ogni attività fra i Samaritani come fra i gentili: «Non andate 28 nelle nazioni / e non entrate nella terra 29 di Samaria / ma piuttosto andate (soltanto) 30 dalle pecore sperdute della casa d'Israele» (Mt. 10,5 s.). b} Se Gesù sostanzialmente condivide

    il giudizio dei suoi tempi sui Samaritani, tuttavia il suo comportamento di fronte ad essi è totalmente diverso da quello del suo ambiente. Non è il caso di insistere sul fatto che, nel pellegrinaggio a Gerusalemme, sceglie la via attraverso la Samaria 31 , perché questa via diretta era quella normalmen27

    Indicazioni precise in~ }EREMIAS, Verheissung 16 s. Ivi anche considerazioni sulla questione dell'autenticità. 28 E(ç o/ì6v non vuol dire SII una strada, ma rende wi aramaico l'''orah=a. 29 dç 7t6)..w l:aµap~'tWV; la traduzione lette· raie in una città dei Samaritani non ha senso. La mancanza dell'articolo prima di 7t6ì..Lv rimanda a un soggiacente stato costrutto. Se si rittaduce in aramaico si ha limdinat Jomriiiiri. Questo costrutto aveva Wl duplice senso, perché in aramaico palestinese m•dJnà' (indeterminato) significava provincia, m•difltii' (determinato) citJà. Il senso originario di E/.ç 1t6ì..w l:aµapi'l"WV era: nella provincia di Samaria. L'errore di traduzione di m'd1nii' in città si t rova anche in Le. 1,39 (cfr. Act. 8,J). ~ }EREMIAS, Verbeissung r7 n. 66 (bibliografia). 30 Le lingue semitiche tralasciano volentieri di dire soltanto anche quando per noi è necessario; dr. JEREMIAS, Gal. 29 n .1:. 31 Questo fatto è comprovato da Le. 9,:;1-:;6 (dr. Io. 4,4: ~lìE~). W. GAS SE, Z11111 Reisebericht des L11kas: ZNW 34 (1935) 293-299, nega che Le. 9.51 ss. presupponga un viaggio di Ge.

    l:aµapmt X't'À.. B 2b-3a (Joach. Jcrcmias)

    te seguita 32. Maggior peso hanno altri fatti: che Gesù rinfacci ai discepoli il loro odio (Le. 9,55), che egli nonostante il pericolo di contaminazione chieda alla samaritana un sorso d'acqua dalla sua brocca (lo. 4,7 ), che conceda il suo aiuto anche ad un lebbroso samaritano (Le. 17,16), che agli appartenenti al popolo di Dio presenti dei samaritani quale umiliante esempio di disinteressato amore del prossimo, che supera l'odio (10,30-37), e di riconoscenza che rende onore a Dio (r7,u-r9); e che attraversando la Samaria annunci almeno per due giorni (Io. 4,40.43) l'evangelo ai Samaritani (lo. 4.4-42). Anche se è lecito domandarsi, magari proprio con riferimento a Io. 4,4-42, se il racconto sia storico in tutti i suoi tratti, tuttavia i particolari, visti nel loro contesto, compongono un quadro del tutto coerente. Di ciò si darebbe un'interpretazione errata, se si giudicasse il comportamento di Gesù verso i Samaritani come quello di un uomo libero dai pregiudizi dei suoi fanatici compatrioti, precorritore dei tempi, magnanimo; perché allora resterebbe incomprensibile la proibizione della missione fra i Samaritani (Mt. ro,5 s.). Piuttosto il comportamento di Gesù va inteso, proprio anche nella sua contradditorietà, sulla base della coscienza della sù attraverso la Samaria; con Elc; É't~pav xw· (9,56) si potrebbe intendere soltanto un villaggio non samaritano. Ma si trascura il fatto che già allora in Palestina (come ancora oggi) oltre a località famigerate per il loro fanatismo ve n'erano di ospitali per gli stra-

    µ'Y]v

    sua sovranità e dell'annuncio della svolta escatologica. La proibizione, che egli rivolge ai suoi discepoli, di predicare in Samaria va vista in relazione alla sua posizione verso i non giudei. Gesù fondamentalmente limita l'attività dei discepoli entro i confini d'Israele, perché doveva compiersi la promessa del1'oflerta di salvezza fatta ai patriarchi, prima che potesse avvenire l'inserimento escatologico delle gentì, fra le quali includeva i Samaritani, nel popolo di Dio 33• Ma in pari tempo Gesù era certo che con la sua venuta già s'era iniziato il tempo della salvezza. Già adesso nel mondo presente è entrata maestosa la sovranità regale di Dio, nella quale sarà cancellata l'impurità delle nazioni e sarà loro donata la partecipazione alla salvezza di Dio. Nel comportamento di Gesù verso i componenti di questo popolo odiato e disprezzato, paragonato ai pagani, si manifesta proletticamente e a guisa di segno quest'ora dell'adempimento. 3. La missione in Samaria della comuni-

    tà primitiva a) Gli Atti si aprono programmaticamente con la promessa del Cristo risorto ai discepoli: saranno suoi testimoni a Gerusalemme, nella Giudea nieri. 32 Flav. Ios.,

    a111.

    20,n8:

    ~f)oç -i'jv 'tO~

    raì..L·

    Xctloi.ç Év -.a~<; fop-.a~c; et<; -rl)v tEpllY n6ì..w 1tapay~voµÉvoi.ç ÒOEVEW lìt.à -.fjç l:aµapÉ<s.lY

    xwpru;, cfr. bell. 2,232.

    33 ~ ]EREMIAS,

    Verheissung 61 s.

    1253 (vu,93)

    l:aµapE~a

    Y.'tÀ.. B 3a-b (Joach. Jeremias)

    e nella Samaria, e fìno all'estremità della terra (1,8). Secondo 8,4-25 Filippo, uno dei capi degli ellenisti cacciati da Gerusalemme dalla persecuzione seguita alla lapidazione di Stefano, svolge per primo opera missionaria in Samaria 34 • Secondo 8,25 la predicazione giunse a molti villaggi samaritani, anzi, secondo 8,9-13; 18-24, perfino Simone (-7 col. 1244) si sarebbe fatto battezzare Ma poiché Giustino dice che intorno alla metà del II secolo quasi tutti i Samaritani adoravano Simone come elio supremo 35 , sarà bene non sopravvalutare i successi della missione cristiana 36 ; specialmente i contatti di Simone con i missionari cristiani devono essere stati superficiali 37 • L'importanza della predicazione in Samaria non consiste nel successo numerico, ma piuttosto nel fatto che questo primo superamento dei confini d'Israele rappresenta il passaggio al(]'a\IOaÀLO\I -7 VIII,

    la predicazione tra i pagani. Il compimento di questo passo si può capire soltanto con la certezza che con la Pasqua ha avuto inizio la svolta escatologica; infatti la predicazione della buona novella alle genti è segno dell'ora escatologica 33 .

    b) Il Vangelo di Giovanni (4,4-42) utilizza un solo fatto dell'attività di Gesù, il suo colloquio con la samaritana al pozzo di Giacobbe 39 , per far risalire allo stesso Gesù la missione fra i Samaritani 40 e metterne in rilievo il significato per la chiesa. Esso consiste in ciò, che l'ammissione di allogeni nella comunità salvifica è un'anticipazione (v. 23: 'Vuv; v. 35: ì]ori) dell'ora in cui cesserà la disputa sui santuari e sarà abolita ogni divisione tra i popoli, perché «i veri adoratori adorano il Padre in spirito e verità» (v. 23). }OACH. }EREMIAS

    coli. 871 ss.

    34 Su xa'tE).itl:>v Etc, 'tTJV 7t&.~v 'tijç l:aµa;pElaç (8,5) ~ n. 29. 35 lust., apol. 1,26,3; dial. 120,6. 36 La frase «la Samaria ha accolto la parola cli Dio» (8,14), nell'uso linguistsico protocristiano (R9m. 15,26; 2 Cor. 9,2) vuol dire semplicemente che là erano sorte comunità cristiane. 37 A ciò alludono gli stessi Atti (8,18-24). 38 ~ JEREMIAS, Verheissung 63. 39 Il rac(:onto si basa su una buona tradizione;

    infatti si• rivela assai bene informato sia nei dati geografici (circa il pozzo cli Giacobbe e la tomba cli Giacobbe, cfr. JEREMIAS, Heiligcngriibcr in ]esu Umwelt [1958] 31-36) sia nelle espressioni sui Samaritani (cfr. ad es. l'appropriato aoristo 7tPOl7EXVVTJl7av del.v. 20: ai tempi di Gesù non c'era più un culto samaritano sul Garizim; ~ JEREMIAS, Passahfeier 58 e ~ coll. 1245 s.). 4.'.l ~ CuLLMANN

    5 s. n.

    O'a.1tp6c; Ia·b (O. Bauemfcind)

    t

    crcx:rcp6ç,

    t

    cr1ptw

    r. I due termini nella loro accezione fondamentale si riferiscono al processo che in italiano è indicato con putrefazione 1.

    a) crli1tw, attivo: far marcire (da Eschilo in poi), più frequente al passivo: marcire, putrefarsi (da Omero in poi, per es . ~ n. 2), di solito è usato in senso proprio 2 • A questo proposito va tuttavia ricordato che - fatta eccezione per il fuoco - non c'è materia di cui non si possa dire che sia esposta al criinEcr~ai. 3. L'ampiezza dell'uso del termine comporta che non sempre ci si riferisca alla decomposizione. Anzi, benché raramente, si può intendere anche il processo naturale di trasformazione della materia 4 e persino la produzione della linfa nel tralcio di vite 5 • Tuttavia in senso

    traslato il termine significa sempre corrompere, venir meno 6 . b)
    <>'an:p&;, a-/inw

    ibid. 4,3 (p. 381b 9·u ).

    C. LINDHAGEN, Die \Vtm.el :EAil im N .T. und A .T., Uppsala Universitets Arsskrift, 1950, 5 (1950) 27-69. 1 Radice ksap, marcio, dr. WALDE-POK. 1 500;

    Emped., fr. 81 (DIELS 15 340,32): olvoc;... cra.nÈv Év ~uMii \iowp (contestato da Aristot., topica 4,5 [p. l27a l7-x9]). 6 Plat ., Theaet. 153c: ai µtv -iiCT\Jxla.t a-/in:ov
    Bo1sACQ ~857 s.;

    E. ZUPITZA, Etymologien, Bei· trage :t.ur Kunde der idg. Sprachen 25 (1899) 92'95· Per i suffissi nominali in -po (cra.-np6c;O'Tmw come à~p6c;-i'J~11) cfr. SCHWYZER 1 48xb 2.

    2

    Decomposizione in un corpo ancora vivo (Hom., Il. 244r4); Aesch., Choeph. 995); putrefazione del cadavere (Hes., scutum Herct1lis 152); marcescenza del legno (Aristoph., eq. 1308), dell'acqua piovana (Hippocr., de aere aquis locis 8 [CMG Il, p . 62,25 s.]). Il puz:ro di tutto ciò che marcisce è ricordato da Theophr., fr. 4,2 (WIMMER): ana.v yàp 't'Ò 0"1)1t6µntov xa.xwBE<;; cfr. tuttavia -+ n. r3. 3 Aristot., meteor. 4,r soprattutto p. 379a r4: lìt.ò O'irrtE't'«t n&.v't'a. ·dJ.).:ka 11:).:nv mip6c;. 4 Hippocr., fl/orb. 1,6.28 (LITTRÉ VI 152.r96); Aristot., meteor. 4,1 (p. 379b 6 s.): xat ~ii>a.

    tyylvE't'at

    't'O~


    pullulano in materie in decomposizione», cfr.

    5

    8

    Il divario in taluni p assi è cos) sorprenden· te da far ritenere che il nostro termine sia entrato nel testo solo per un'errata tradizione: F. H. Bonm, Aristophanis comoediae l (1828) 340 riguardo ad Aristoph., pax 554 (~ n. :r5); A.DIETERICH, Abraxas (I89x) 178 a proposito di PRE1sENDANZ, Zoub. u 13,636 (~ sopra) LIDDELL-ScoTT, s.v. m a Theopom·


    1257 (vn,95)

    Se ciò che è crcmp6v in senso proprio ripugna alla vista e all'odorato(~ n. 2), in senso improprio l'aggettivo può essere applicato anche a fenomeni che per es. invece colpiscono l'udito; Theopompus Comicus, fr. 50 (C.A.F. I 746): «ÌJ· ÀE~ yàp cra:itp&. a\hl] ye: xpouµa-.', «costei fa uscire suoni sgradevoli dal flauto»; M . Ant. I I ,15: cra'ltpoc:; xaL xl~ li'l'}À.oc:; ò ÀÉywv, «quanto è odioso e falso chi dice ... ». Allo stesso modo, in rispondenza al senso di ripugnanza e al pericolo causati da processi di decomposizione nel corpo umano e indicati con crcutp6c:; (Hippocr., morb. l,13 [Littré VI I 60] ), si può parlare in senso traslato anche di un oroscopo infausto (Vett. Val. 1,21 [Kroll 36,3oss.]) o di un destino avverso (Preisendanz, Zaub. II 13,636: àv1D.ucrév µou -.Tiv cra.rcp&.v dµa.pµÉV'l']V), come noi possiamo dire: «C'è del marcio ... ».

    wc;

    Un uomo è detto cra.7tpéc; quando può anche essere chiamato anziano. Collegato a yÉpwv, in Aristoph., pax 698 ua.'7tp6c; sottolinea il disfacimento, l'assenza di forza e di bellezza dovuti all'anzianità 9 • Se invece crarcp6c:; è solo, include già l'idea di vecchio: Aristoph.J Eccl. 884: cra7tp&., donna anziana, vecchiacpus Comicus,

    fr .50

    (C.A.F.

    I

    746) (~ s~pra).

    Ma è d.ifiidle ritenere che il vocabolo


    sia stato cosl piacevole ai copisti da farlo introdutre per sbaglio, in passi completamente diversi, in luogo di termini molto più appropriati. Le singoÌe congetture prese per sé po. trebbero anche convincere, tutte insieme invece provano solo che si deve ammettere un'ampiezza dell'uso del termine sorprendente anche per l'esperto. 9 Cfr. anche il giudizio sull'anacronistico sa· Iuta col semplice xa.lpEw in Aristoph., Plut. 3:i3: &pxa.i:ov xa.t
    eia; dr. Aristoph., vesp. 1380. Anche per i generi alimentari e voluttuari crrJ.rcp6c; naturalmente indica merci stantie, che tuttavia possono talvolta essere ancora utilizzabili. Il pio ua.1tpo1twµ6.pioc; citato nell'iscrizione 760 di Korykos 10 ha venduto non mele marce, ma mele conservate o sidro. Il ilp~ov -.aplxovc:; crarcpou, «la foglia di cavolo con la carne salata», menzionata da Aristoph., Ach. nor, non va gettata, ma è da mangiare. In latino sapms indica una qualità di formaggio che Plin., nat. hist. 28,132, senza accennare al gusto 11, definisce medicamentosa 12• Per i generi alimentari per i quali è auspicabile un certo periodo di maturazione ('invecchiamento') (~ nn. 4.5), cranp6c; può acquistare senso positivo; ciò vale forse del formaggio 'stagionato', ma soprattutto del vino (~ col. 1255; ~ n. 5). Di solito crcr.np6c; è il contrario di y À.uxvc;, Antiph., fr. 125,3.6 (C.A.F. II 61), ma nel giudicare un vino si possono trovare accostati croc1tp6c:; e yÉpwv con senso positivo; Alexis, fr. 167,J s. (C.A.F. l i 358): Ecr't"(X,t xat µ6.À.a 1)ouc:; y', 6o6v'tocc; oùx ÉXWV fiSTJ CTOC1tpÒ~ À.Éywv (? ), yÉpWV YE Soctµovlwc;, «sarà dunque assai amabile, non più asprigno, invecchiato, maturato divinamente» 13 • Già anticamente si Ed. J. KErL . A. WILHELM, Monumento A:riae Minoris Antiqua III (r931) 207.210. 11 Cfr. in Mart. 3,77,ro saprophagere, per in-

    10

    dicare un'alimentazione troppo mOdesta. Diosc., mat. med. 1,84,2: cra1tpl n. 2: ...ÉL µ1) -rtc; '"iv 6!;v't1)'ttt ì..lyE~ -rou o(vov

    è notato che
    ou

    Ma per il resto au:rcpoc; implica di regola un giudizio negativo, greve, non troppo determinato e con sfumatura peggiorativa: inutile, scadente 16 • Dal contesto si possono poi cogliere talvolta significati particolari. Cosl cT('J.'ltpÒv o'Voµ('J. in Preisigke, Sammelbuch III 5761,23 è non soltanto scadente, ma anche malfamato; Cia'Jtpèx. oéy(.LCt.-.('J. in Epict., diss. 3, 22,16, cfr. 3, 16,7, sono non solo opinioni di poco conto, ma anche dannose, pericolose 11 • I q>ocpµet.x('J. nominati da P. Lond. 11 252 sono detti
    ts Comunque, in questo contesto rientra an· 1 che il singolare verso: wç iiitCX.\l't' i)8T) 'CT-rL µsa.u'ì..ov (-> sopra). Questa ac· cezione, che è legata all'uso di O"f)'ltW ricorda· to :illa ~ col. r:z55, benché non possa dedursi soltanto da questo passo, è comunque limi·

    vocabolo non è possibile dedurre se fossero anche stantii o ripugnanti o addirittura andati a male. 2.

    Nei LXX si trova

    a) L'attivo 0'1)1tw nel senso traslato di annientare; Iob40,12 : o-fjljiov OÈ &17E· (3~tc; 7tr!pax.pfiµa (ebr. : hdk), «annienta di colpo gli empi» 18• In senso proprio il passivo è riferito alla carne in putrefazione (al n. r4). 16 Cfr. Chrys., hom. in I Tim. 4 (MPG 6:z (1862] J:ZJ): 1téi'V yckp 8 µ'Ì} 't'ÌjV lola.v XPdct.V 7tÀ.T)po~
    12.61 (vu,96)

    cra:'ltp6<; :rn-3 (0. Bauernfeind)

    1tiiV Epyov Gì)'lt6µEvov significa «ogni opera caduca» 20 • Parimenti in senso traslato in Prov. 10,7 (Aquila, Simmaco) si dice che il nome degli empi verrà meno (ebr.: rqb; LXX: cr{3Évw'ta~). Inoltre Simmaco usa in senso proprio il verbo all'attivo in Eccl. ro,r: rendere puzzolente un olio profumato, LXX: cra:'ltplsw o crrt.'ltpL6w, ebr.: b's in forma hif'il 21 • b) La traduzione greca del samaritano

    Tg. Lev. 27,14 rende ra' (contrario di tob) con cra1tp6c;, cosi come un "A)..Àoc; 22 ( Field 2I 8) nel parallelo v. 33 del medesimo capitolo. In ambedue i casi il senso è spregevole (LXX: 'ltO\l'l']p6c;-xaÀ.6c;). Nelle altre traduzioni, inclusi i LXX, e presso Filone e Flavio Giuseppe, O'a1tp6c; non compare. Poiché il vocabolo suggerisce una certa grossolanità non ben determinata si dovrà ritenere che non si tratti di un puro caso 23 • 3 . In Iac. 5,2 (~ rv, coli. ro46 s.) trosi alcuni altri passi. Un traduttore sconosciuto ha reso con h !;vì..wv acrii1t"tlù\I anche 'a!é-gi5fer di Gen. 6,14 riferito all'arca di Noé (si tratta probabilmente di legno di conifera); cfr. anche ~ LINDHAGEN 39 n. r [BERTRAM]. 20 rqb è tradotto qui sia con hÀEl1tEW sia con CTTJ7tEoi}a:L; cfr. ~ LINDHAGEN 38. 21 Tra i vocaboli derivati da crii'itW nei LXX CTTJ7tl] e ufjlj!Lç si trovano una sola volta rispettivamente in Ecclus 19,3 e Is. 14,II, in ambedue i casi nel senso di muffa (Is. 14,u, ebr.: rimma). Presso Aquila il ternùne cii'ltTJ in lob 17,14; 21 ,26 traduce l'ebraico rim1111J, vermi che pullulano in materie decomposte (LXX: O'a:'ltpla: ~ n. 23), Aquila e Simmaco usano cri'j1Jnç in Os. 5,12 nel senso di putrefazione (LXX: xlv-.pov, cbr.: rqb). Infine O"l)'!lEOW\I in Simm. lob 13,28 traduce rqb, putredine (LXX: M-x6<;, per roqeb?). 22 Perciò cra:'ltp6ç sembra risalire alla glossa marginale del cod. M dei LXX; cfr. A. RAHLFS, Verzeichnis der griech. Ha11dschriften des A.T., Mitteilungen des Septuagintaunternehmens 2 (1914) 183; cfr. anche 4 LINDHA'GEN 40 s.

    (vu,97) 1:2.62

    viamo l'accezione fondamentale più vasta di cr1)7tw (~ col. r 2 55): 'lt )..oui:oc; µwv crÉcr't)'ltEV, «la vostra ricchezza (come tutto ciò che è terreno) è marcita», senza che il verbo permetta di risalire alla qualità della ricchezza di cui si parla 24 • Che significhi >. Il Àéyoc; crcmp6c; invece non è in funzione delle necessità della comunità, perciò non è qualcosa di in~erente, ma un vaniloquio («chiacchiere vane»), come risulta anche dal confronto con il precedente versetto 28 costruito in modo parallelo: il Myoc; cra7tpoç sta al )..6yoc; àya:itéc; come il furto al soc-

    o

    v-

    23 D'altro canto non è solo una circostanza fortuita che in vari passi in cui si sarebbe potuto usare l'aggettivo <1CX:?tp6ç si trovi il sostantivo cra:'ltpla: mai attestato prima dei LXX e raro anche in seguito. I LXX usano questo sostantivo in un senso che si accosta all'.accezione fondamentale in Ioel 2,20 per tradurre b"os, puzza (cfr. 2 Mach. 9,9) e quattro volte in lob per tradurre rimmt1, vermi che p11ll11la110 in materie in decomposizione o già deco111posle: 7,5; 17,14; 21,16; 25,6; dr. 2,9°. In lob 8,16 TCpa:crliiç, (attraverso) il s110 giardino, sarebbe un'appropriata traduzione di gaggiito: H. M. 0RLINSKY, Some corr11ptio11s in the Greek Text of ]oh: JQR, N.S. 23 (1935/36) 134 s.; nel testo corrotto in cra-r:plaç probabilmente si è poi pensato a roccia friab.hle <~ n. 3); ~ LINDHAGEN 43· In Is. 28,21 il cod. B ha cra?tpln. in luogo di 'ltt.xpla. (ebr. nokriiit1); 4 LINDHAGEN 47·.H in questo caso pensa a un aliem1m opus e richiama PREISl!NDANZ, Zaub. lI 13,636 ( 4 col. 1257; - n. 8). Aquila usa CTCX:'ltpla. in Am. 4,xo (lezzo) e in Is. 5,2 (agresto). 24 Cfr. DIBl!LIUS, Jk., ad I.; HAUCK, Jk, ad l.

    n.63 (vu,97)

    cra.1tpoc; 3 (0. Bauernfeind)

    corso cristiano 25 • Nella parabola della rete (Mt. 13.4750) è evidente che una parte dei pesci pescati vien detta 't'à. .•.
    25 Tenuto presente il dato di fatto ricordato sotto b), è improhabile che qui si abbia una reminiscenza veterotestamentaria o rabbinica (contro STRACK-BILlil!RllECK III 640 s.) e che O'a.1tp6ç vada tradotto con malfamato: È irioltr6 improbabile ·un'anticipazione di Eph.

    sue presunte virtù, lo giudica
    O. BAUERNFEIND

    1.6

    Cfr. i cp&.pµa.xa. · menzionati alle

    ~

    coli.

    r259 s. Circa l'origine della metafora dr. M. BLACK, An Aramaic Approach to the Gospel and Acts 1(1954) 148 s.

    aapt; (li. Baumgartel - R. Meyer - E. Schweizer)

    O"aps, O"a.px1.x6c;,

    t

    cr&.pxwoc; g) in senso metaforico;

    SOMMARIO: 2.

    A. a
    corpo umano o animale; l'origine della carne; 3. acl:pl; in quanto corpo; 4 . significati particolari; 2.

    5. a6:.pxwoc;; 6. la aO:pl; caduca distinta dalla parte im· pcritura dell'uomo; 7. aO:p!; in quanto sede delle sensazioni in Epicuro; 8. gli influssi di Epicuro.

    B. Carne ne/l'A.T.: i. basar: a) carne in senso proprio,

    b) in senso più ampio, c) kol-biifiir, d) espressione della consanguineità, e) eufemismo per gli organi sessuali, f) in senso traslato,

    a6:.pt; In generale: E. DE W. BuRTON, Spirit, Soul and Flesh ... in Greek \Vritings and Traslated Works /rom the Earliest Period to i8o AD... at1d in Hebrew Old Testament (r918); P. DAUBERCIES, La condition chamelle (1959); W. D. DAVIES, Paul and the Dead Sea Scrolls: Flesh at1d Spirit, in K. STENDHAL, The Scrolts and the New Testament (1957) 157-182; O. Kuss, Der ROmerbrief (1959) ;;06-540; PRimscHBN-BAUER5, s.v.; J. A. T. ROBINSON, The Body (1952) 17· 26; W. ScHAUP, Sarx (1924); E. ScHWEIZER, Die hell. Komponente im 11t.liche11 aapl;-Begri/1: ZNW 48 (19;;7) 237-253; H.H. WBNDT, Die Begriffe Fleisch tmd Geist im biblischen Sprachgebrauch (1878). Per A:

    D . DIMITRAKos, Lexiko11 Helle11ikes Glosses vm (1950), s.v.; LIDDELL-Scorr, s.v.; R. B. ONIANS, The Origins of Europea11 Thought about the Body, the Mi11d, the Soul, the World, Time a11d Fate (1954); PAssow, s.v.; Thes. Steph., s.v. Per C: BoussET-GRESSMANN 399-409;

    D. FLUSSER,

    The Dead Sea Scrolls and Pre-Pa11/i11e Chri-

    J.''er:

    a) carne in senso proprio, b) espressione della consanguineità, c) in senso traslato, 3. la traduzione delle espressioni ebraiche nei LXX; 4. i testi che mancano nel canone ebraico.

    C. Came nel gi11daismo: I. il concetto negli scritti di Qumran: x. il concetto comune; 2. indicazione della persona; 3. l'uso collettivo; 4. la caducità dell'uomo; 5. il rapporto col peccato; 6. carne e spirito; li. l'uso linguistìco nei targuroin; III. carne e corpo nel Talmud e nel midrash; IV. gli apocrifi e gli pscudepigrafi; V. Filone e Flavio Giuseppe.

    D. Riepilogo storico-religioso. E.Il N.T.:

    stia11ity, 9. Flesh and Spirit: Scripta Hierosolymitana rv (1958) 252-263; H. HUPPBNBAUER, Basar 'Fleisch' in dw Texten von Q11mra11 : ThZ 13 (1957) 298-300; J. P. HYATT, The View o/ Man in tbe Qumra11 'Hodayot': NTSt 2 (1955/56) 276-284; R. MnYER, Hellenistisches i11 der rabb. A11tropologie, BWANT IV 22 (1937); MooRE 445-496; S. SoruLZ, Zur Rechtfertigung a11s G11ade11 i11 Qumra11 und bei Paulus:. ZThK 56 (1959) 160-163; W. D. STACEY, The Pauline View o/ Man in Relation lo its ]udaic and Hellenistic Background (1956) 85-117.1_54-180; STRACK-BILLERBECK I 730 S.; III .330·332.400; IV 466-483,

    Per E: BULTMANN, Theol. 228-241 (§ 22 s.); CREMER· Kti<mL, s.v.; W. P. D1cKSON, St. Paul's Use o/ the Terms Flesh and Spirit (r883); E. KXsl!MANN, Leib und Leib Christi (1933) 100-u8; C. H . LINDIJER, Het begrip Sarx bij Paul11s, Diss. Amsterdam (1952); E . LoH.MEYBR, Pro-

    bleme pa11l. Theol. m: Silnde, Fleisch und Tod: ZNW 29 (1930) :r-59; E. ScHWEIZER, R I ,J f und der Gegensat:t. von Fleisch ut1d Geist vor und be{Pa11l11s: EvTheol 15 (1955) 56j-571.

    uiip~

    A r (E. Schweizer)

    I. i sinottici e gli Atti degli Apostoli : r. i sinottici; 2.

    gli Atti degli Apostoli;

    II. Paolo: 1. uO:.p!; 2.

    =

    corpo; <Tiipl; in quanto sfera terrena;

    3. u&.pl; xa;t alµa;, mio-a. uri pi;; 4. crO:pl; in quanto oggetto di fiducia; 5. xa...à. o-apxa. con un verbo; 6. cr&.p!;. 'in quanto soggetto del peccato; 7. la vittoria sulla 0'6.p!;; 8. riepilogo; III. Col., Eph., lettere pastorali: 1. la Lettera ai Colossesi; 2 . la Lettera agli Efesini; 3. le lettere pastorali; IV. Giovanni: r . il Vangelo di Giovanni ; 2. le lettere giovannee; V. La Lettera agli Ebrei; VI. Le lettere cattoliche; VII. u&pxwoç, cra.pxtx6ç.

    F. L'età post11eotestamentaria: i Padri apostolici; Atti apocrifi di apostoli; 3. gli apologisti; 4. la gnosi. 1.

    2.

    A.
    NEL MONDO GRECO

    r . ucip~ in quanto parte muscolare del corpo umano o animale

    Nella lingua più antica 1 è usato solitamente il plurale uocp>m;, da Omero riferito esclusivamente alla carne del corpo umano. Nel senso di carne d'animale si trova per la prima volta in Hes., theog. 538 nel contesto del sacrificio, ma sembra una reminiscenza di Horn., Od. 9,293; più tardi sarà detta carne anche t Probabilmente derivato da -i:fa.px- *twck(cfr. l'eolico O'VpXE<;) e quindi probabilmente molto affine all'ittita tuekkaJ, corpo, persona, al plurale membra del corpo, nel caso che quest'ultimo derivi da *twerka-. Lo si collega inoltre con l'avestico itwaras- presumibilinente tagliare, meglio plasmare, creare, cfr. BmsAcQ, s.v.; più cauto HotrMANN, s.v.; circa l'avestico

    (VII ,99)

    1268

    quella dei pesci e del bestiame minuto (Diosc., mat. med. 2,4; Poli., onom. 5, 5 r ). Carne e ossa sono menzionate insieme da Hippon., A 13 (Diels 1 386, 4 r ); da un anonimo pitagorico, fr. 25 (Diels I 457,ro); Anaxag., A 45 (Diels 2 II 18,22); Pind., fr. 168 ; Eur., Hec. 1072; Plat., Phaed. 96d; Aristot., hist. an. 3,2 (p. 5rrb 5 ss.); pari. an. 2,9 (p. 655b 23); Alex. Aphr., an. 98,ro 3 • Spesso vi si aggiungono i tendini (vevpoc, !veç, cpÀ.É~ec;): Horn., Od. rr,219; Anaxag., A 45 (Diels II 18,15); Democr., A 141 (Diels (II 123,32); Plat., Tim. 74b.82c.84a; Aristot., part. an. l, 5 (p. 645a 29); 2,1 (p. 646b 25), dove sono menzionate anche altre parti; Epict., diss. 4,7,32, c&. 2,9,18; Alex. Aphr., de mixtione i5 (p. 235,4 s.), dove si menziona anche il sangue. Insie· me si fa menzione anche delle viscere in Horn., Od. 9,293; Hes., theog. 538. Tutta una serie di altre parti del corpo si trova in Poli., onom. 2,232 s. Carne (uap:>m;) e sangue come parte caduca dell'uomo compaiono paralleli in Eur., fr. 687,1 s. (T.G.F. 575). Presso Polyaen., strat. 3;i:1,r gli uomini forniti di oclµoc xoct ucipxocç sono contrapposti agli dèi 4• In quanto muscolo, la carne avvolge le.membra od ossa per difenderle dal freddo e dal caldo (Plat., Tim. 74b; A· ristot., probl. 27,4 [p. 966a 37]; part. an. 2,9 [p. 654b 27 e p. 65 5a 30]; dr. già Horn., Od. 18,77). Essa se ne può staccare (Eur., Med. r200.ur7; Nicand., theriaca 404). Costituisce lo strato che sta tra pelle e ossa (Aristot., hist. an. 3,16 [p. 519b 26]. In quanto tercfr. M . LEUMANN, Der indoira11ische Bildncrgott Twaritar: Asiatische Studien 8 (1954) 79-84 [RISCH). Ed. B. SNELt' (1955). 3 Cfr. anche la definizione di Poll., onom. 2, 233. 4 Per il mondo greco ~ coli. n75.u77; n. 56; per quello giudaico~ coli. l:292.IJI7 s. 2

    crap~

    A

    l

    (E. Schweizer)

    (vn,100) r:qo

    so Omero 12 e i tragici più antichi deriva prevalentemente da questo fatto. Il singolare indicava in primo luogo solo la singola parte della carne 13 oppure la sostanza 14 ; tuttavia in seguito questo uso linguistico a poco a poco scompare 15• Comunque continua a prevalere il plurale anche dove il vocabolo acquista la funzione di o-wµa. (~ coll. 1272 s.), e lo stesso Diane Crisostomo usa solo il plurale. A questo plurale si collega facilmente l'idea della massa di carne, soprattutto nel caso di persone corpulente (Dio Chrys. 39,5; Luc., nec. 10,5); ma lo stesso si può dire anche del singolare (Eur., Cyc. 380; cfr. euoyxoç crei.pi; in Aret. 8,6,1 (CMG II 165,11); TCOÀ.À.'ij crd.pç in Soranus, gynaecia 4,2,3 (CMG 4,131,24). Le
    mine medico indica il muscolo (Hippocr ., de arte 10 (CMG I 1 p. 15,ZI); de carnìbus l (Littré VIII 584) 5 • Però lo scrittore erotico Caritone (de Chaerea et Callirrhoe 2,2 2 6) può . anche essere innamorato della -rpucps:poc crcip!; di una donna. Cosl il crwµrx. è fatto di ossa e tendini, carne e pelle (Plat., Phaed. 98 cd), di capelli, carne, ossa e sangue (Plat., symp. 207d), di arµa xrx.ì. 'lt'\IEUµa oltre che di carne, ossa e tendini (Dio Chrys. 3 o, l 5). In questo senso crcip~ è la materia distinta dal crwµa organicamente strutturato: Eur., Ba. n30.n36 s. (la carne viene strappata via dal corpo, cfr. 607 ); Aristot., gen. corr. 1,5 (p. 321b 197 ); Dio Chrys. 39, 5; Poll., onom. 5,80. Ci troviamo c9sl già a un livello di pensiero più evoluto. L'ipotesi che Omero non avesse ancora l'idea del corpo come unità 8 non è per altro sostenibile in termini cosl radicali 9, anche se nel descrivere l'uomo si serve in prevalenza di termini al plurale 10• Questa terminologia corrisponde alle raffigurazioni primitive, nelle quali appunto le singole parti della carne sono particolarmente sottolineate e distinte fra loro li. Forse il plurale crci.pxEc; pres-

    l:d.pl; può anche indicare la carne che si mangia, benché a questo scopo si preferisca usare xpÉa.ç 16• Può essere la car-

    s Le uapxeç sono di cr&.pt; (Hippocr., de carnibus 9 (LITTRÉ VIII 596,3 s.). Anche Platone conosce solo uapt;, non µuç, dr. F. M. CoRNFoRD, Plato's Cosmology (1952) 298. Gal., defi11itio11es medicae Bo (Ki.iHN 19,367) distingue: i µuEç sono 11wµ.a-ca. \IEVpW1ì'T) ai quali è frammista crapt;, dr. Alex. Aphr., an. p. 98, 12 s.: il 11wµ.a del muscolo cardiaco è qual· cosa tra uap!; e w:upo\I, 6 Ed. w. E. BLA.KE (1938). 7 È uÀ.1}; cfr. anche Aristot., part. an. 34 (p. 429b 13 s.) 7 (p. 43rb 15). 8 B. SNELL, Die Auffasstmg des Menschen bei Hom., in Die Entdeckung des Geistes3 (1955) n -25. 9 R. HIRZEL, Die Person: SA Miinch 1914, rn (1914) 5-7; H . RAHN, Tier und Mensch i11 d er homerischen Auffammg der lVirklichkeit: Paideuma 5 (1954) 431-443; H. KoLLER, µ.a bei Hom. : Glotta 37 (1958) 278-281; ->

    Vedi anche ~ crwµet.. op. cii. (~ n. 8) 21-25. 12 Unica eccezione Od. 19,450. 13 IG 12,7 nr. 237,17; 12,2 nr. 49S,'C6; Nicand., fr. 74,49; inoltre DITT., Or. 78,16; D1TT., Syll. lm 1047,7; n71 ,5. 14 Hes., sc11tum Herculis 364.461 e ~ nn. J· 15. 15 Il plurale indica la sostanza in Plat., Phaed. 96d, cfr. Eur., Hipp. I239.1343; Ba. n30. In Aristot., ge11. corr. 1,5 (p. 321b 21 s.) si di· chiara esplicitamente che sia la U)..'l} sia l'Et. ooç si chiamano crap~ od 6cr-touv; ma dr. an· che p. 321b 32; meteor. 4,12 (p. 39oa 2-b 22). 16 Horn., Od. 9,293; Theocr., idyll. 2;,224 accanto a 230, dove 11ap~ indica la carne del leone vivo; Philetaerus, fr. 10 (C.A.F. XI 233), dove un pe2ZO di carne di maiale è detto ua:pxòç vMaç xpfoç. In Dio Chrys. 8,30 il corpo

    1

    l:w-

    361,8]).

    uwµa. 10

    u

    SNELL,

    1271 (vu,100)

    uapl; A l -3 (E. Schweizer)

    ne di cui si ciba il cane (Antiphanes, fr. 326 (C.A.F. n 134), oppure la carne cotta o arrostita mangiata dall'uomo (Eur., fr. 467,3 [T.G.F. 503]; Gal., comm. ad Hippocr. vict. 4,98 [CMG V 9,1 p. 348, 2 ss.] in alternanza con xpÉaç; Nicand., alexipharm. 573 s.; c&. Aesch., Ag. 1097; Eur., Tro . 775). Già Orfeo avrebbe messo in guardia dalla Éowo1} cra.pxwv (Orph. Fr. 215 [Kern 62), cfr. Plat., leg. 6,782c).

    (vn,101) 1272

    na nasce la CTapt; del bambino. Essa è 1tVÉouCTci, succhia il sangue e cresce mediante il 1t\1Euµri (dr. Gal., definitiones medicae Bo s. [Kiihn 19,367]; Alex. Aphr., de mixtione 16 [p. 238,13 s.]). Aristot., gen. an. 2,6 (p. 743a 10 ss., dr. 7 44b 2 3) fa risalire la sua origine ali "umidità', mentre viceversa dalla carne deriva sangue denso (Aristot., hist. an. 3,2 [p. 512b 9]). 3. crcl.pt; in quanto corpo

    2.

    L'origine della carne

    Già i presocratici discutono sulla provenienza della carne dai quattro elementi (Emped., fr. 98 [Diels I 346 ,23], cfr. Pseud.-Heracl., e l [Diels I 185,9] ed Emped., A 78 [Diels 1299,5 s.]) 17, oppure dal seme femminile, mentre le ossa, o la psiche e la sensitività, derivano da quello maschile (Hippon., A 13 [Diels I 3 86,41]; un anonimo pitagorico, fr. rn [Diels I 450,4] ). Ma forse anche carne e ossa sono elementi primi, poiché la carne non può avere origine dalla non-carne (Anaxag., A 43 [Diels II 17,19]; fr. 10 [Diels II 37,7]). Strettamente affine è il sangue (Emped., fr. 98 [Diels I 346,23]) che è succhiato dalle parti della carne (crapxwo'r)): Diogene di Apollonia, fr. 6 (Diels II 65,13). Platone insegna che carne e tendini hanno origine dal sangue (Tim. 82cd; cfr. 8oe). L'idea è ampiamente illustrata da Hippocr., de natura infantis 14-q (Littré vu 492-498): dal sangue della don-

    Il significato del termine diventa sempre più ampio. Quando Horn., Od. 18, 77 parla del tremito delle crcl.pxEç si riferisce esplicitamente anche alla parte muscolosa che avvolge le membra. Cosl anche negli esempi successivi ci si può chiedere fino a che punto questo significato sia ancora presente 18• È chiaro però che anche nell'uso linguistico di crapt; si va diffondendo l'idea che il corpo è un tutt'uno omogeneo. Allorché cr&:p; al singolare o al plurale abbraccia questa totalità, si tratta soprattutto del corpo fisico, che può essere giovane o senescente (Aesch., Ag. 72; Sept. c. Theb. 622; Eur., Herc. fur. u51.1269 19), può essere lacerato e distrutto (Eur., Hipp. 1239.I343; Med. u89; Soph., Phil. u57; Trach. 1054; Poll., onom. 4, 179 20}. Eur., fr. 201 (T.G.F. 421) parla del «benessere della CTapt;». Anche il corpo morto può esser detto crapXE<; (Eur., Hipp. 1031 21 ). Philemon, fr. 95 (C.A.F. II 508) sottolinea che lo schiavo

    muscoloso dell'atleta è detto
    19 La carne è quella parte del corpo in cui si rendono particolarmente visibili la vecchiaia e la malattia (Plat., Gorg. 518d; Dio Chrys. 19, 5, cfr. 39,5). 20 Cfr. anche Eur., Ba. 746: la pelle è «l'in· volucro della carne» del toro morente. Bagnare Je O'apxEc; o la crapt; ( := il corpo): Nicand., alexipharm. 462; Plut., quoest. conv. 8,9 (II 734a). · 21 Anche Emped., /r. 1yj,6 (DIELS I 367,21): le qJl°ka.~ aapxEc; sono i propri figli. Hom.,

    1273 (vn,101)

    a6:p!; A n (E. Schweizer}

    ha 1a stessa crapç del libero; in questo caso il concetto ha un carattere prettamente fisico, infatti la motivazione dell'enunciato è che nessuno <j)UCTE~ è nato per essere schiavo. Lo stesso dicasi per il principio secondo cui le crcipxec; umane sono deboli e quindi incapaci di opporre resistenza (Dio Chrys. 6,26) e per le Wl}'t~t crcip:>m; :a.

    (vn,101) 1274

    carne dell'albero, e dei frutti (p. 82oa 37). Infine va menzionata l'immagine fiabesca di un mostro dalla carne di ferro presso Theocr., idyll. 22,47. Il modo di dire El<; crapxa 7t'l}µcx.WEL\I 7A significa colpire probabilmente nella carne, nel vivo. 5. crapxwoc; l5

    Non sorprende che anche l'aggettivo indichi ciò che è materialmente di carne; Plat., leg. 906c: cn~µc.mx. fatti di Poiché la pelle non è che uPlat., Tim. 75e-76a), anche la parte in- crtc; crapxivl}. Dall'immagine della Eol che si dicate con
    Il. 8,380; 13,832 parla cli grasso e di u6:pxE~ degli uomini che vengono dati in pasto ai cani e agli uccelli. Z2 Apollod. Athen., bipliotheca 1,5,1 (sec. u/1 a.C.) ed. J. G. FRAZER I (1954). 2.l Cfr. già i «condotti della carne» sotto la pelle in Emped., fr. IOO,I s. (DIELS I 347,14). 24 Philodem. Philos., de Epicuro 2, Jr. 6, col. IV 2 (ed. A. VOGLIANO (1928]), 25 uapx~x6c; è attestato solo debolmente pri-

    ma di Paolo: Sotades, collectanea Alexandrina (ed. J. U. POWELL [1925] 244); Aristot., hist. a11, n ,3 (p. 635a u); probi. 5,7 (p. 88xa 16); dopo Paolo: Max. Tyr. n,roe; testo cristiano: Anth. Graec. l,107. 26 ~ DIMITRAKOS, I.V. 27 Philodem. Philos., voltm1i11a

    rethorica 4, col. 5;u (ed. S. SUDHATJS I [1892] 149). L'EtSw)..ov è µaxP4) 't'jj xr.d)c.utEpEt aapxt Si.a.· q>Épov, evidentemente dallo stesso oggetto rap-

    fr.

    l,

    1275 (vn,ro1)


    A 5-6 (E. Schweizer)

    cr6:p~ quando indica la realtà di cui è priva la figura. D'altra parte proprio l'aggettivo contiene appunto la sfumatura di caducità. iJ'llCt:t'ot XIX.L crapXL'llOt. sono gli uomini col loro crwµa. facilmente corruttibile e con le difficoltà e i dolori della loro ~uxli (Pseud.-Democr. C 7 [Diels II 228,25]) 28 • Secondo Epicuro ciò che è cr6:pxwo'V è soggetto alla cpiìopti '29. Perciò l'esser crr:X:px~'lloç distingue l'uomo dagli dèi (Aesch., fr. 464,2 [T.G.F. 127]; Epic. 30 ~ col. 1268). Nessun 7t6:ì}oç carnale-terreno tocca gli dèi (Epict., gnom. Stob. 4) o la contemplazione dell'anima che sale oltre le stelle (Max. Tyr. n,rne 31 ). Peraltro vi sono autori che considerano
    6. La crtipç caduca distinta dalla parte imperitura dell1uomo Già in Hom., Od. n,219-222 si legge che carne e ossa vengono distrutte dalla morte, a differenza di iìuµ6ç e ~ux1). Parimenti in Eur., Med. 1200. 1217.1219 troviamo la ~ux.1}, l'energia vitale, accanto alle crapxEç che si sepapresentato, che certamente non è detto toto corpore differens, come ritengono C. J. VoOIJS e D. A. KREVELEN, Lexicon Philodeme11111 (1934-1941), s.v. Cfr. similmente Clero. Al., strom. 148A. 28 Peraltro l'enunciato deriva probabilmente solo dal neopitagorico Ipparco. Cfr. analogamente Philodem. Philos., de signis 33,30-34, 5 (ed. P.H.DE LAZY [1941] xoos.)---)- col. 1319. :» Philodem. Philos., de deis 3, fr. 8,7 (ed. H. DrnLs, AAB 1916, 4 [1916) 45); diversa è la posizione in de pietate 59,21 s. (ed. TH. GoMl'F.RZ, Herkulanische St11dien II [ 1866) 31).
    rana dalle ossa. Anche la più grande massa di carne non serve a nulla; prima di salire sulla barca di Caronte la si deve deporre e passare di là 'nudi' (Luc., nec. rn,5). Secondo la scuola pitagorica, al corpo composto di carne e ossa si contrappongono la ~ux1J e la a.tcr~'T)CTLç (Anonymus, fr . xa [Diels I 450,4]). Aristot., part. an. 3.4 (p. 429a 10 ss.) menziona la aap!; materiale accanto alla ~u­ x+i 32• Secondo Chrysipp., fr. II52 (v. Arnim II 322,30 s.) anche alla O"apl; del maiale è frammista, come sale, la ~uxli, la forza vitale, che protegge dalla corruzione. Diversa è la contrapposizione se all'energia vitale si sostituisce la mente, l'intelletto dell'uomo, come si nota già in Aesch., Sept. c. Theb. 622, dove il \love; senile appare accanto alla cr&.pl; giovanile, oppure nella formulazione pregnante di Eur., El. 387, dove con a.i. crapxEç XE'Va.t
    I27] (VlI 1I02)

    a&p!; A 6-7 (E. Schweizer)

    imperturbata e 0'6:px&:ç intatte. Epict., diss. 4,7,32 contrappone alla carne, alle ossa e ai tendini ciò che li usa e governa e possiede consapevolezza. Pe_rciò gli dèi non sono di c;ap~ e~ col. 1268), ma sono vovc;, Èmei"t'lJµ'l'}, À.Oyoc; (Epict., diss. 2,8,2) .

    (vn,.103) J278

    parlare di O'ap!; e tliux1] come delle due parti di cui è costituito l'uomo (de exilio r [n 599c]), poiché l'anima immortale è inseminata nella carne mortale (ser. num. pun. 17 [n56oc]). Cosl egli cita anche gli ostacoli carnali (O'O:pxwa;) dell'anima (quaest. conv. 9,14,7 [n 745 e.f]; Col. 27 [n n22d]) 40• In Epict., diss. 1,3,5 s.; 29,6 il
    Ma più importanti sono le concezioni in cui una parte imperitura dell'uomo è esplicitamente affiancata alla n. 32 ). Lo stesso vale per l'età O'G'lµrx. e ljJvx11 (quaest. conv. 5,1 [II seriore che ha rilevanza per il N.T. Se672d]); Col. 20 (II 1n8d), talvolta può condo Philodem. Phifos., de pietate n6, Ci limitiamo rigorosamente ai passi in cui compare cr6:pl;; ~ crwµa; ~ ljluxofi. 36 Cfr. anche ev. veritatir 20,30: deporre le «vesti mortali» e indossare l'immortalità. 37 A questo riguardo e per i presupposti di tale idea cfr. CoRNFORD, op. cit. (~ n. 5) 284286; L. GERNET, L'anthropologie da11s la religione grecque, in C. J. BLEEKER, Anthropologie religieuse (1955) 55-59. 35

    38 Del tutto analogo Epigr. Graec. 225,1 dove l'anima partecipa alla rotazione eterea. 39 Artemid., oneirocr. 5AO. 40 Senza la u6:pl; insaziabile la vita sarebbe più facile (Plut., sept. sap. conv. 16 [II 160 be]). 41 Con lo scolio a Eur., Phoen. !285 BLà uapxa va inteso nel senso di «attraverso ...» come in Horn., Il. 10,297 s.

    xa79 (vn,103)

    aapl; A 7-8 (E. Schweizer)

    3 s. (--+ n. 29) la sensazione è colta dal'lta.pa.l~l)cnç cra.pxlvri. Presso Sext. Emp., math. 7,290 la sostanza carnale ( crapxwoç oyxoç) è sede delle sensazioni, e Alex. Aphr., an. 56,14-58,5 disquisisce se sia la ucip~ stessa a percepire o qualcosa che si trova in essa 42 • l

    la

    Ma questo fatto diventa essenziale per il N.T. nell'aspetto assunto presso Epicuro e soprattutto presso i suoi avversari. Se Platone aveva parlato delle i1tii>uµla.~ xa.-.cì uwµa. (per es. Phaed. 82c --+ crwµcx.), .in Epicuro troviamo i) xa...à uapxa.. i]oovfi 41 • In lui la cr&pç diventa in particolare la sede del piacere, della T)oov1) (sententiae selectae 4, 18 [--+IV, coll.32s.]). Poiché l'insorgere del piacere è considerato un effetto puramente meccanico degli atomi 44, il piacere provato nella crtipç acquista anche il ruolo preminente in quanto è il più evidente. «Inizio e fonte di ogni bene è il piacere del ventre» (fr. 409). Quando la voce della carne grida: «Non aver fame, non aver sete, non aver freddo!», l'anima non può fingere di non 42

    Per la Stoa dr. L. STEIN, Die Erkenntnistheorie der Stoa (1888) 133-153 e -) X, coli. 832 ss.; inoltre --+ uwµoc. ~ Philodem. Philos., de Epictiro (-) n. 24) 2, fr. 6, col. XI; H . DrnLs, Ein epikureisches Fragment uber Giitterv.erherung: SAB 37 (1916) 903 II J! al auyyE\IE~ xri:tà crapxa T)8ovcx.l. Diels ritiene che uwµoc sia il conglomerato degli atomi che include anche l'anima: C. BAILBY, The Greek Atomists and Epicums (1928) 487 n. 3; N. W. DE Wrrr, Epicurus and His Philosophy (1954) 197 s.22J. 44 Testi e bibliografia in -) ScHWEIZER, Hell. Komponente 240 n. 20. Cfr. anche Da Wnr, op. cii. (~ n. 43) 201 s. ~ fr. 3J (ed. C. DIANO [1946] .n ). Pare che

    (vn,104) 1280

    udire l'esortazione della natura (fr. 200 ). Se l'uomo ottiene tutto ciò, gode la felicità di Zeus 45 • Ma non è vero che Epicuro inviti semplicemente a godere ogni piacere e a evitare qualsiasi sofferenza, anzi, egli richiede un'accorta scelta e un saggio esame 46• La ot
    È necessario ricordare a questo punto in questi termini Epicuro esorti alla moderazione, dr. DIA.NO 140 a fr. 50. Circa la prio-

    rità della #ìoviJ quale scopo autentiro della vita prima di Epicuro e in Epicuro cfr. E. ScHWARTZ, Ethik der Griechen (1951) 97-100. 15l·I54.179-191. 46 Testi e bibliografia ~ SCHWBIZER, Hell. Kompo11enle 241 n. 27. 47 Non è semplicemente la ragione, ma comprende intelletto, volontà e facoltà sensitiva (DrANO, op. cit. [-) n. 45) 121 s. a sententia 18,8). 48 Per tutto l'argomento cfr. SCI-{WARTZ, op. cit. (-) n. 45) 180 s. 49 Trattazione esauriente presso-7 ScHWEI.ZER, Hell. Komponente 241-246. Qui sono ripor-

    a6:pl; A 8 (E. Schweizer)

    (vII,104) 1282

    quanto fosse diffuso il pensiero di Epicuro 50• Tale volgarizzazione portò necessariamente alla rapida scomparsa delle distinzioni più sottili. Lo stesso Epicuro deve difendersi dall'accusa di insegnare semplicemente il piacere indiscriminato, la ricerca ininterrotta di orge e licenziosità con ragazzi e con donne (Diog. L. ro,131 s.). Viene rimproverato di santificare il desiderio e la voglia del corpo, la prostituzione e simili disordini (fr. 414). Non va dimenticato che gli avversari di Epicuro vivono in una tradizione che a partire da Platone 51 ritiene i desideri e i piaceri quali mezzi con cui il corpo ammalia, contamina e macchia l'anima. Di conseguenza in età neotestamentaria l'espressione 1)oovi} a-a.px.6c; diviene addirittura lo slogan deglì antiepicurei e penetra anzitutto nel giudaismo ellenistico 52 • L'epicureismo viene inteso sempre più nel senso di invito alla più volgare libidine: gli animali non conoscono nulla di più elevato della 'Ì)oovli, non conoscono una giustizia divina, a loro tutto serve per la 'Ì)oovi} cra.px:6c; e per la soddisfazione del loro istinto; altrettanto fa però l'epicureo Metrodoro quando dichiara che tutto ciò che v'è di bello, saggio, eccellente nell'anima è solo 't"ijc; M.-.à. cr
    vano come porci le loro anime con i piaceri del corpo; disprezzavano il bello e riponevano il bene nella carne e nelle sue bramosie (Plut., suav. viv. Epic. 14 [II rn96d]). Quanto ciò sia deprecabile risulta dal fatto che chi vuol unirsi alle etere deve attendere l'oscurità della notte (Plut., lat. viv. 4 [II u29b]) 53 • Epitteto, che usa cnipl; solo nella polemica con Epicuro 54 , parla di lui come di un x:wa.iooÀ6yo<;, cioè di un maestro di libidine, e Timocrate narra come egli vomitasse due volte al giorno, tanto era sregolato nel mangiare (Diog. L. l0,6). In Alciphr., ep. 3, 19,8 si descrive l'epicureo che abbraccia la prima suonatrice che incontra e le dichiara con gli occhi languidi e socchiusi che questa è la necessaria quiete della carne e concentrazione del piacere, dell'1Jo6µEvov. Persino un polemista eccellente della levatura di Cicerone definisce i seguaci di Epicuro voluptarii, libertini (Tusc. 3,40) che a tutto antepongono i «piaceri osceni» (Tusc. 5,94); anzi Epicuro stesso avrebbe anteposto «i piaceri del sesso al diletto della vista e dell'udito» (or. in Pisonem 66). Di conseguenza la ucip~ viene considerata sempre più specificamente fonte della -/ioovfi, precisamente della sfrenata sessualità e della smodata gozzoviglia 55 • Essa rende impossibile la libertà

    tate solo le frasi più pregnanti.

    't7jç

    Diog. L. l0,9; Lucretius, de rerum 11at11ra G,8; Cic., fin. 1,13.25; DE WrTT, op. cit. (~ n. 43) 328-331. 51 Phaed. 81b; dr. 79c.; leg. 8,835c. Circa il ritorno dì questo pensiero in Posidonio e in altri autori dr. K. Hou, Gesammelte Aufsiitze zur Kirchengeschichte n (r928) 259 s. 52 E pie. ~ n. 4 3; Cic., fin. 1,23: voluptas in corpore; dr. Tusc. 3,37.50; Plut., de virtute et vitio 3 (n rorb): al -.ljç uapxòc; #ìo\lal (dr. H 1087 f); suav. viv. Epic. 14 (n 1096c): al -.Tjç uapxòc; Èmftvµ.laL, cons. ad Apoll. 13 (1 107 f: 'ltalh') 'tTjç aa.px6c;, Max. Tyr. 33, 7a: t&o\I crapxwv fi6ovC1l, 4 Mach. 7,18: 't<Ì 5J

    crapxòc; milh'), Philo, Deus imm. 143 e rer. div. ber. 57: cra.px6c; Ti6o\l'fi, cfr. gig. 40; agric. 97. rer. div. ber. 268: n&.lh') aa.pxòc; hrmpux6-.a., leg. all. 2.49 (dr. 3,158): µla. aàpl; xat ~" n
    a-6.p!; B rn-b (F. Baumgartel)

    dell'anima 56• Tutto ciò viene ampiamente assimilato dal giudaismo ellenistico.

    E. SCHWEIZER B. CARNE

    1

    NELL A.T.

    Il presente articolo si occupa solo dell'aspetto linguistico e semantico. Le tematiche di teologia biblica vengono trattate, insieme con i concetti fondamentali dell'antropologia veterotestamentaria (leb, nefeI, ruap ecc.), nell'articolo ~ !Jivx1J. Gli equivalenti ebraici di u
    Etimologia: arabo baJar, or1gmariamente = pelle, e poi, sia al singolare che al plurale, uomo, uomini, genere umano. Accadico biJru, carne e sangue. Ugaritico bJr, carne.

    siir (Lev. x3,2 ss.); basar paj, carne vivaw (Lev. r3,ro ss.); be.far 'orliito (Gen. n, I I ss.; Lev. 12,3); 'erel-biisar (par. 'erellèb) (Ez. 44,7.9); par. diim (Ez. 39,17 s.); particolarità: Ps. xo2,6, dove affiora ancora il significato originario (cfr. l'arabo baiar) di pelle: diib"qa 'aw1i libfiirl, «le mie ossa aderiscono alla mia pelle». Lo stesso modo di dire 61 presumibilmente torna in lob x9,20 (cancellando b"'orl 61 ). Forse il significato di pelle ricorre anche in Ex. 4,7 63 • Nell'animale: daqqot basar o piirot bcrz'ot biisiir (Gen. 41,2 s.); b"sar piggul, carne impura (Ez. 4,14); cibo deJle fiere (Dan. 7 ,5 ); nutrimento dell'uomo, passim; carne delle vittime del sacrificio: b•far-qodeJ (Ier. n,r5 passim.). b) In senso più ampio

    Nell'uomo: passim; 'or (pelle) habbii-

    Corpo dell'uomo: passim; par. 'efem (Gen. 2,23); par. 'afiìmzm (Ps. 38,4); par. 'afilmot (lob 33,21); par. birka;im (Ps. xo9,24); par. 'or (lob 7,5); par. kOa!; (lob 6,12); nefeJ babbiisiìr (Lev.

    mai la radice del male (-7 BuRTON 135 s.) va comunque modificata secondo i passi citati. 56 ~ nn. 31.52; inoltre Plut., quaest conviv. 9,14,6 (II 745ef): Ja musica rammenta all'anima le cose celesti e divine, ma gli orecchi della maggior patte delle persone sono ostruì· ti e spalmati di otturazioni e "Railn carnali, per cui l'anima non si può liberare dal corpo. M. Ant. 12,1: nessuna a.t0'6-r}cr~ della carne cresciuta attorno a noi ci può ostacolare. A differenza di Epicuro, Cic., Tmc. 3,50 ritiene il bene supremo una realtà spirituale, non corporea, una virtù, non un piacere. Anche Seneca talvolta può dire caro in luogo di cor· p11s e vedere jn essa ciò che incatena I'a11im11s col quale instaura lo stesso rapporto che c'è fra materia e Dio (ep. 7,3 [65) 16.:22.24). Molti scelgono Epicuro a copertura dei loro vizi. Perciò la sua scuola è anche chiamata «maestra di vizi», dialog11s ad Gallionem de vita beata 12,3-5; 13,2; dr. ep. 2,9 (21) 9 e dialog11s ad Marciam de co11solatione 24,5.

    Può essere tralasciato l'ptim (Soph. n, x7), non chiaramente decifrabile (dr. i lessici e i commentari), che i LXX traducono con a-tip!;. ss Incluso 1a'ara (Lev. 18,17 ~ n . 82). s9 Circa il genere cfr. K. AumncHT, Das Geschlecht der hbr. Hauptworter: ZAW 16 (1896) 72; per l'uso linguistico cfr. A. H. CR!lMER, art. 'Fleisch', in REJ 6,99 s. Secondo KòHLER-BAUMG., sub voce: rohes Fleisch ( = carne cruda). 61 Non è invece il caso di lob 4,15 (contro H. GUNKEL,Die Psalme11, Komm. A.T. [1926] a Ps. Jo2,6b) e in Ps. n9,120 (contro GuNKEL, ibid. e KOHLER-BAuMG. s.v. bfr). In am· bedue i pasi è più probabile corpo, fisico. b2 Cfr. G. BEER, Der Text des Bucbes Hiob (1897) l2l; C. J. BAJ;L, The Book o/ ]oh (1922) ad l.; G. HoLSCHBR, Das Buch Hiob, Handbuch A.T. I 17' (1952) ad I. 63 Cfr. B. BAENTSCH, Ex. Lv. 1111d N11., Hand· komm . A.T. (1903) ad l.

    a) Carne in senso proprio

    57



    1285 (vn,105)


    B lb-f (F. Baumgiirtel)

    I7 ,II); kol-bcfar6, «tutto il suo corpo» (Lev. 13,13); il corpo nudo (Lev. 6,3 e 16,4: 'al-b"siiro, sul corpo nudo 64 ; I Reg. 2I,27; 2 Reg. 6,30); b"ri'é biisiir, ben nutrito (Dan . I,I5); il corpo morto, cadavere (I Sam. 17,44; 2 Reg. 9, 36); b"sar f?astdékii, par. niblat 'abiidékii (Ps. 79,2); par. riimflt 65 (Ez. 32,5). Particolarità: biiSiir (analogamente a nefeJ) = se stesso: 'okel 'et-b"siiro, «lo stolto rode se stesso» (Eccl. 4,5); la{Jà!i' 'et-b"siirekii, «per rendere te stesso colpevole» (E ccl. 5 ,5 ); e poi nel senso di una persona, qualcuno (Lev. 13,18). Corpo dell'animale (Lev. 17,II.I4; lob 41 ,15 ), anche dei cherubini (Ez. 10, 12). c) kol-biisiir

    kol-biisiir, ogni essere vivente, uornini e animali (Gen. 6,17 66 ; 9,11ss.; Num . 18,15; Ps. 136,25; Dan. 4,9). kol-biifiir, tutti gli uomini, l'umanità intera (Is. 40,5.6; Ier. 25a1 e passim); par. kol-{Jaj (lob 12,10); par. 'iidiim (collettivo) (lob 34,15 ); 'elohé kol-biisiir (Ier. 32,27; 'elohé hiiru{Jot l"kol-biisiir (~ x, col. 852) (Num. 16,22; 27, 16); ognuno (Is. 66,23.24; Ier. 12,12); mi kol-biisiir, «dove vi fosse qualche essere umano» (Deut. 5,26 [23]); in senso speciale: tutti gli abitanti della regione (Ez. 21,4.9 67 ); tutta la comunità cultuale israelitica (loel 3,1; Ps. 65 .3 ). kol-bofiir, tutto il regno animale (Gen. 64 A meno che non stia eufemisticamente per il membro virile. 65 In origine var., forse rimmil; cfr. i com-

    mentari. 66 Non è certo se in Ge11. 6,12 .13 siano considerati anche gli animali (contro A. DILLMANN, Die Genesis, Kurzgefasstes exegetisches Handb. z. A.T. (1892] ad l. e O. PROCKSCH, Die Ge11esis, Komm. A.T.i.• [1924] ad l.). 67 Nel caso che il v. 9 non parli di un giudi-

    (VII,106) 1286

    6,I9; 7,15.16.21; 8,17). d) Espressione della consanguineità 68

    biifiir mibb"siirt (Gen. 2,23); 'a~mt ub•far2, mio consanguineo (Gen. 29,14; 2 Sam. 19,13.14; dr. !ud. 9,2; 2 Sam. 5, I; I Chron. II ,I); kib"siir ,afienu b~siirenu (Neem. 5,5); s•'èr b"fiiro, il suo parente più prossimo (Lev. 18,6; 25,49); 'iipim1 b"siirenu hU' 69 , egli è nostra carne e nostro sangue (Gen. 37,27). In senso ampio: b•sar•ka, il tuo connazionale (Is. 58,7). e) Eufemismo per gli organi sessuali

    Dell'uomo, b'siir 'erwa (Ex. 28,42); della donna (Lev. 15,19). In particolare: membro virile (Gen. 17,13 70 ; Lev. 15,2.3; forse anche 6,3 e I6,4 cfr. ~ n. 64; Ez. 23,20; 44,7.9); gidle biisiir (Ez. 16,26). In riferimento alla circoncisione: b"sar'orlti, 'prepuzio' (Geli. 17, I I ss.; Lev. 12,3); 'erel-biisiir (par. 'erel leb) (fa. 44,7 ·9 ). f) In senso traslato a) Per indicare tutta l'esistenza esteriore dell'uomo: b"siir1 jiskon liibe{iip (Ps. 16,9); le parole del maestro di sapienza sono vita (pajjim) e medicamento /•kot-b•saro (Prov. 4,22); ha'aber rii'a mibb•sarekii, «tieni lontano il male dal tuo corpo» (Eccl. II ,rn ); saziarsi della biisiir di qualcuno (lob I9,22) o mangiare la sua basar (Is. 9,I9 71 ; 49,26; zio universale; dr. A. BERTI·IOLET, Hesekiel, Handbuch A.T. I ·13 (1936) ad l. 68 Anche l'accadico biiru significa 'consanguineità'. UJ Con i LXX e altri leggasi IJb•Jaremi.

    Cfr. E. KoNIG, Stilistik, Rbetorik, Poetik in Be:wg auf die biblische Lilerattir (r900) 37 s. 71 Invece di z'ro'o leggi re'o, cfr. Bibl. Hebr., KITTEL ad l. 7IJ

    r287 (vu,106)


    Zach. 11,9; Ps. 27,2), c10e distruggere tutta la sua esistenza esteriore; tutta l'esistenza: par. 'e~em (lob 2,5); f;ajje b"sarlm 72 , prosperità di tutta l'esistenza, par. r"qab 'a~iim6t, carie delle ossa, cioè distruzione dell'esistenza (Prov. x4, 30); b"siiri w 0 '6ri, par. 'a~mota; (Lam. 3,4); besiid, pat·. na/Ji, corpo e vita (lob 13,14); besiir'kii us•'ereka (Prov. 5,II). ~)Per indicare il complesso dell'atteggiamento interiore: biisiir e nefeJ bramano Dio (Ps. 63,2); nefe'S, leb e biisiir nel loro desiderio di Dio (Ps. 84, 3).

    y) Per indicare la fragilità e l'impotenza dell'uomo (in contrapposizione all'eternità di Dio): l'uomo è biisiir, cioè è mortale (Gen. 6,3); mli-ia'a.feh biiSiir li, «che cosa mi possono fare uomini» ~he sono impotenti? (Ps. 56,5); mifrajim 'iidiim w"lo' 'et w•suséhem biisiir w'lo' ruaf;, «gli Egiziani sono comuni mortali e non dio e i loro cavalli sono carne e non spirito» (Is. 31,3); 'imm6 z"roa' basar w"immiinu ;hwh 'elohénu, «dalla sua (scil. di Sennacherib) parte c'è un braccio di carne, ma con noi c'è Jahvé nostro Dio» (2 Chron. 32,8); sam basar :bo'6, chi si affida al fragile aiuto umano (I er. 17 ,5 ); gli uomini mortali (Dan. 2,n); ha'ené biisar liik (par. 'enos), «sono i tuoi occhi come quelli di un mortale?» (lob I0,4); par. ruaf; hOlek (Ps. 78,39).

    (vn,107) 1288

    cuore vivo, cioè aperto alla volontà di Dio (fa:. n,19; 36,26); miiman besiiro, par. kcbod ja'aqob, potere e benessere (ls. 17,4 ); minnefeI w•' ad-basar, radicalmente, completamente (Is. 10,18 71 ).

    Etimologia: arabo fa'r, sangue, e poi vendetta di sangue; quindi s"'èr, in origine forse nel senso dì parte interna, sanguigna, della carne, cosl distinta da biisiir, la pelle insieme con la carne. Accadico slru, carne. Ugaritico Jurt, carne. a) Carne in senso proprio

    Forse è soltanto un caso che il vocabolo non sia usato a proposito dell'uomo (cfr. ai punti b. e c.). Dell'animale: quale nutrimento dell'uomo (Ex. 21,10; Ps. 78,20.27). b) Espressione della consanguineità 15

    s"èr, consanguineo (Lev. 18,12 s.; 20, 19); s•'er b'saro (Lev. x8,6; 25,49) oppure s"'èro haqqarob 'éliijw (Lev. 21,2; Num. 27,n), il suo più stretto consanguineo. c) In senso traslato

    g) In senso metaforico leb biisiir (opposto: leb ha'e ben), un

    Per indicare tutta l'esistenza esteriore dell'uomo; b"sar•ka us"'rekii (Prov. 5,n); s''ért (Jl•babt (Ps. 73,26); pamasl us"'er2, pal'. diim, equivalente a: l'esistenza distrutta (Ier. 51a5 16 ); divora-

    72 Per il plurale che troviamo solo in questo passo cfr. E. KoNIG, Historisch-komparative Syntax der hebr. Sprache (1897) § 259e; GESENIUs-K.·§ 124d. 73 Circa i passi di lob 14,22 (par. t1e/eI) e lob I!>,26 (forse da leggere m'baii'rt) cli incerta interpretazione dr. i commentari. 74 Per il genere ~ n. 59. 75 Anche l'accadico Jlru significa 'consangui-

    neo'. Da !1amiist (anche con il diim che segue) f''er sarebbe spiegato nd senso cli carne sanguinolenta, scuoiata (chair déchirée, A. CoNDAMIN, Le livre de Jérémie [1920], ad I.). Altre varianti di s"eri sono: iiilòb, Jibr1, Jò'ati, dr. i commentari. Per la situazione critico-testuale cfr. P. VoLz, Studie11 z. Text des ]er., BWANT 25 (1920), ad l. 76

    Gap!; B 2c-3b (F. Baumgifrtel - E. Schwcizer)

    (vu,rn8) 1290

    re il s"'er del popolo (Micb. 3,3); strapparlo dalle ossa del popolo (Mich. 3,2); (oker s")éro )akziirt' «il crndele sconvolge tutta la sua esistenza» (par. nefeJ) (Prov. xr,17 77 ) .

    19 ); -cpa'ltES<1. (Ps. 78 ,20); ""ta.À.a.L'ltc.vpla. (i LXX probabilmente leggono IO'at'ì oppure sibri, cfr. ~ n. 76) ,lEp 28,35 [51, 35 J).

    3. La traduzione delle espressioni ebrai·

    b) Vi sono alcune particolarità 84 che vanno considerate 85 • I LXX non mostrano alcuna tendenza a collegare cr
    che nei LXX a) Per basar abbiamo: crap~ (145 volte)78, xpfo:c; (79 volte) 79, crwµa. (23) 80 , XPW<; ( I4) ~1 • Af tre traduzioni: avÌ}pW· 7t0<; (Gen. 6,I3); TCVEuµa 'ltltV't'Òç avìJpW7tOU per ruap ko/-bcsar 'ts (lob I2, 10); ~po""t6ç (lob I0,4); -roc nlova. -.fjç 06ç11c; mhou per misman b"fiiro (Is. I7, 4); µEycx.À.6cra.pxoç per g•dal biiiàr (Ez. 16,26); o-apxwoc; (Ez. n,r9; 36,26; 2 Chron. 32,8); CÌ.TCÒ -rwv olxElwv 'tOV 0"7tÉpµa:t6ç
    20,

    Posto c:he qui, come in biifiir (~ col. 1285), non si voglia vedere il concetto di

    11

    «egli stesso», cfr. tra altri C. H. ToY, The Book of Proverbs, ICC1 (1948), ad l.; B. GEMSER, Spriicbe Salomos, Handbuch A.T. 1 16 (1937), ad l. 78 Inclusì Dan. (Theod.) ed Ecclus. Mentre la carne dell'uomo destinata ad essere divorata è detta 17 volte crapxec, (xpfo.c, solo in Zach. II,16), questo termine indica la carne di animale solo in ili 77,27 a proposito delle quaglie ancora vive che cadono dal cielo; in Zach. II,9, dove però le pecore sono solo un'immagine degli Israeliti; in Mich. 3,3, dove il parallelism11s membrorum richiede due nicaboli. 79 Incluso Da11. (Theod.); in Ecclus xpÉctc, non compare. 80 Incluso Ecclus; in Da11. (Theod.) non si trova fa rispondenza r;wµa-biisiir. 81 In Dan. (Thcod.) e in Eccl11s manca la rispondenza. 82 In Lev. 18,17 per la'ara si presuppone In lezione J"erap oppure (con i LXX) J"erkii. In

    F. BAUMGARTEL

    Ecclus manca il testo ebraico. 83 Incluso Ecclus. 84 Il plurale è molto frequente. Di norma si 1rova quando si parla della consunzione delnn. 16.2I.78.168 coli. 1328. la carne 1381), ma anche per indicare la parente1a, le parti muscolose da distinguere dalle ossa e il corpo in genere, anche di un individuo (lji u8,120). A prescindere dall'espressione ni'icrct cr&.p~ il plurale si trova comunemente in lob, Ez., 4 Mach., fotta eccezione per lob 16,18 (o.!µa TTjc; uo.px6c; µov = dm;); Ez. n,19; 36,26 («cuore di pietra dalla vostra carne»); 44,7 .9 (drtEp~-.µ-fi•ouc; [ ! ] cro.pxl); 4 Mach. 9, 28 (-..Tiv cr&:piw. r.U.O"o.v). 85 Per il resto cfr. CREMER-KOGEL, s.v. crO:pl;. 86 Solo in Ez. 23',20 (cfr. 16,26) indica forse l'organo sessuale, mentre in Ex. 28A2; Lev. 15,2 s. 7.19 basiir è reso con XPWc; o uwµo;. 67 Cfr. Ez. 44,7.9 (~ col. 1286). 88 CREMER-KOGEL, s.v. (p. 975). Cfr. Lev. 4,n. Inoltre - coli. 1284.1294. 89 Diversamente il cod. S. Testo ebraico: biisiir fìs"er, oppure mapp'lé b'siiro (WAMPEN).

    e-

    n91 (vn,108)

    4,15) 90 è evidentemente già d'uso corrente in greco(---? n. 33 e col. 1381). È da notare principalmente che nei LXX ha inizio la divisione del cosmo in due sfere, quella degli spiriti e quella della carne. Il «Signore degli spiriti di ogni carne» (Num. 16,22; 27, 16) nei LXX diventa il «Signore degli spiriti e di ogni carne» e in questa forma entra nell'ambiente giudeo-cristiano di lingua greca 91 • In Ez. ro,12 i LXX evitano l'espressione «carne dei cherubini» 92 • Questo «dualismo cosmico» non è il contrasto greco tra vouç divino e awµ.rx. materiale 93, non è sorretto dall'idea che l'uomo unisca in sé le due sfere. Si avvicina piuttosto all'idea persiana secondo cui vi è un mondo spirituale che si eleva sopra il terreno. Ma qui l'unica essenziale linea di distinzione, quella tra bene e male, passa attraverso entrambi, e si può quindi parlare di «dualismo etico» (-7 x, coli. 929 ss.). Invece nell'ulteriore sviluppo del dualismo cosmico nel giudaismo acquista sempre più rilievo la distinzione veterotestamentaria fra creatore e creatura peccatrice ~ (~ 1292 s.1316 s. 133 ss. 1364 ss; n. 377).

    .

    90

    (vn,109) r292

    a&.p!; B 3b-4a (E. Schweizer)

    Testo ebraico completamente diverso. Cfr.

    apoc. El. 16,u-r3.

    Ambiente giudaico: lub. 10,3; Philo, virt. 58; PRBISIGKE, Sammelbuch 2034,2; ambiente cristiano: ibid. 3901,2; 4949,3; 5716,4; 5826,2; 1 Clem. 59,3; dr. anche PREISIGKE, Zaub. I 51460; Il 13,797 s.; S. AALEN, Die

    91

    Begri/le Licht 1md Finstemis im A.T., im Spiitìudenlum und im Rabbinism11s (1951) 96·

    102. L'autore mostra come nel giudaismo la concezione spaziale vada sempre più affet· mandosi. 92 [Osservazione di H . W. HUPPENBAUER]. 93 Ciò può essere comprovato dal fatto che nei LXX viene infranto l'accostamento di crtip!; e 7tVEiiµa. (ls. 31 ,3). 94 Affini sono certi enunciati ellenistici rifeti· ti al macrocosmo. Ma per il giudeo 'Dio' e 'divino' hanno un significato completamente diverso che per l'ellenista. Questi trova in

    4. I testi che mancano nel canone ebraico

    a) Non sorprende l'uso di

    1tiiO"a,

    a&:p!;

    (~ coli. 1285 s.) per indicare animali

    (Ecclus 17,4; 13,16) o uomini (1,10; 45,1) o gli uni e gli altri insieme (Ecclus 40,8) 95, il sentir parlare della carne della circoncisione (ludith 14,10; Ecclus 44,20 [-'>col. 1290]), l'impiego del vocabolo per indicare la parte muscolosa del corpo in genere (Ecclus 19,12; 38, 28; 4 Mach. 9,20.28 ecc.), spesso menzionata accanto alle ossa (Ps. Sal. 14, 19; 13,3; 4Mach. 9,2os.). Né sorprende che anche tutto il corpo nella sua caducita (-'> col. I 287) appaia quale CTapl; (Ecclus 31,1) o la donna quale l&la crap!; dell'uomo (Ecclus 25,26 [ ~ coli. 1286.1316] ). Nuova è invece la designazione dell'uomo quale «carne e sangue» (Ecclus1\18; 17,31 [~ col.1294]; Sap. 12,5 [ ~ coli. 1268.1307 s.1315. 1366.138I.1390; nn. 205.361]) e l'espressione G"wµoc crccpx:6ç di Ecclus 2 3, I7 (cfr. al punto Cr 1; coli. 1318.1360; n. 176) 91, b) Il dualismo cosmico e~ coll. 1291. 13 l 2) affiora per es. nella contrapposiziose stesso, come microcosmo, tale forza. Idee persìane e greche hanno contribuito a dar forma a queste concezioni. Sono già evidenti gli spunti della successiva evoluzione gnostica (-> x, coll. 941 ss.). Ma la forma particolare assunta da quest'idea nel giudaismo è data dalla progressiva chiarificazione della trascendenza di Dio, che è fondata sull'annuncio veterotestamentario dellii santità di Dio e del peccato dell'uomo. In Eccl11s 14,17 atip~ sta accanto alla l)ivxii del v. 16 per indicare l'uomo. Cfr. inoltre Bel et Draco 5: «sovranità su ogni carne» (~ coll. 1363 s.). In fodith 2,3 'ltUO"« cr&.p!; viene ripreso con un plurale. % Nel v. 6 ljluxiJ indica forse tutto l'uomo. 97 Per l'interpretazione cfr. V. RYSSEL in

    95

    KAUTZSCH, LlNDIJER

    Apkr.

    77 s.

    ti.

    Pse11depigr., ad l. e ~

    1293 (vu,ro9)

    a-ap; B 4a - e I I

    (E. Schweizer - R. Meyer)

    ne del f3ctcnÀ.EoJ<; crapX~\10<; al ~ctO'~À.EÙ<; 't'W\I -frEwv (Esth. 4,r7p). Qui tuttavia ha inizio un modo di considerare che distingue anche antropologicamente carne e spirito (--? col. r293). Esso affiora pallidamente in Ps. Sa!. 16,14, dove la vita terrena appare come un vivere È:v crctpx.l. Ma quando Iudith ro, 13 usa la formula: où ... cràpç µla oùoÈ 'itVEvµcx. swljç, le due espressioni stanno in _parallelo. Entrambe, come avviene nell'A.T., designano l'uomo nella sua totalità e sono propriamente equivalenti. Tuttavia si vede che per l'autore entrambi i concetti definiscono l'uomo, che quindi non può essere adeguatamente compreso se lo si considera sotto una sola angolatura 98 • Questo dualismo però appare esplicitamente espresso in scritti d'impronta più spiccatamente ellenistica. Qui la sessualità come tale è sospetta. Secondo Sap. 7,1 s.7 l'uomo è mortale, proveniente da 0"1tÉPµct ed 1)oovfi, formato quale crcip~ nel ventre materno, mentre il 1tVEvµcx. O'ocplcx.ç viene solo in un secondo momento(~ IV, coll. 22 s.; x, coli. 880 ss.). Secondo 4 Mach. 7, I 3 l'uomo è fatto di carne, tendini e muscoli, ai quali si aggiunge il 1t\1Evµcx. della ragione (~ x, coll.876 s.). Qui troviamo anche la tipica espressione rca~ri 'tijç O'CX.px6ç (~ n. 52). Dunque dal presupposto tardo-ellenistico dell'ostilità della carne deriva una concezione della crti:p!; che a tale ostilità connette le passioni (e quindi il peccato) (~ rv, col. 35); tuttavia il processo in Ecclus ha una sfumatura di98 Ma Ecclus I6,17 presuppone la risurrezio·

    ne della carne (- roll. 1319 s.1384.1387). 99 Cfr. Ps. Sal. 4,6: uapl; sede della malattia. 100 I peccatori sono qui solo una parte dell'umanità. 101 Analogamente LINDIJER 79 s.: «benché sia carne». 102 Se si legge, coi LXX: «Cosi anche il malvagio considera che egli è carne e sangue», ci si

    (vn,109) 1294

    versa. Quando in Ecclus 40,8 O'OCp!; indica l'uomo nella sua fragile creaturalità esposta alla malattia 99 e agli affanni, ci troviamo ancora in piena mentalità veterotestamentaria 100• Di non facile interpretazione è Ecclus 28 ,5: «Egli, pur essendo catne, conserva rancore; chi espierà i suoi peccati?». Tuttavia anche in questo caso lo spunto di partenza dovrebbe essere l'antitesi veterotestamentaria: se costui che è limitato, e perciò non è infallibile, serba rancore verso i suoi simili, come potrà non fare altrettanto nei suoi confronti Dio, che ne ha molto più diritto? In questo contesto perciò non si fa che contrapporre il Dio infallibile all'uomo continuamente soggetto all'errore col suo giudizio limitato 1-01 . In Ecclus I7,31 purtroppo il testo è del tutto insicuro iw.

    E. SCHWEIZER C. CARNE

    NEL GIUDAISMO

    I. Il concetto negli scritti di Qumran I. Non ha alcun rilievo sotto il profilo teologico e antropologico l'espressione carne che si incontra in r QS 9,4, dove le regole della comunità di Qumran sono considerate più efficaci «della carne di olocausti e del grasso dei sacrifici». Pure in senso generico la carne è riferita all'uomo; in r QpH 9,2 il sacerdote malvagio subisce «vendetta nel suo corpo di carne» e in questo caso è implicita l'idea che la carne è particolarmente sensibile a malattie e percosse. È quanto afferma poi esplicitalimita a dire che l'uomo è caduco. Se invece si preferisce Ja versione siriaca: «L'uomo che non controlla il suo istinto, perché è carne e sangue», allora al.meno la mancanza di controllo è segno di «carne e sangue». Ancor più sviluppate sarebbero le concezioni se fosse giusta la ricostruzione del testo originario proposta da V. RYSSEL in KAUTZSCH, Apkr. u. Pseud· epigr.: « .. .il cui jefer è carne e sanguel>.

    1295

    (vu,109)

    O'apl; e I 1-4 (R. Meyer)

    mente I QSa 2,5 s., dove viene escluso dall'assemblea della comunità «chiunque sia colpito nella sua carne» 103 oppure abbia un difetto fisico visibile 1<». 2. Nel senso di corpo quale espressione dell'intera persona umana (-? col. 1282) carne ricorre in I QS 3,8 s.: «poiché la sua anima si sottomette a tutti i comandamenti di Dio, la sua carne diventa pura»; in questo passo anima e carne vengono usate con lo stesso senso e indicano entrambe la persona ins. Di conseguenza carne può significare la persona. Così I QH 7 ,17: «rifugio di carne non ho» m·» secondo il contesto, benché frammentario, va interpretato «non posso fidarmi di me stesso» 107 • In I QH 8,31 la distruzione della propria carne significa l'annientamento della propria forza 108 • La descrizione del terrore paralizzante che assale il poeta è introdotta dalle parole: «si sciolse come acqua il mio cuore e si dissolse come Ull wkwl mnwg' bbirw, dove va notata la forma 11111wg', propria della Mishna, contro il biblico ngw' ; dr. DJD 1 117. Circa il «corpo di carne» dr. M. PHrLONENKo, St1r l'exprcssion 'corps de chair' dans le Commenlaire d'Hab.: Semitica 5 (1955) 39 s. I<» La prescrizione sncerdotale dell'integrità fi. sica viene motivata in I QSa 2,8 s. con la presenza degli «angeli santi» (ml'kj qwds) nell'assemblea della comunità; cfr. a questo riguardo I Reg. u ,10 e DJD I n7 ad I. 105 wb'mot npiw lkwl pwqj 'l i{hr b.frw lhzwt bmj 11dh; la confessione dei peccati e l'accettazione dei comandamenti di Dio sono i presupposti perché nell'atto sacrale dell'abluzionr vengano ripristinate la 'purità' e la 'santità' di tutto l'uomo. l
    (vn,uo) i296

    cera la mia carne» (I QH 8,J2 s.) 109• 3. L'uso collettivo di carne per indicare l'uomo o l'umanità (~ col. I28 5) si trova in I QS I r ,7, dove gli uomini che non sono nella comunità sono definiti «assemblea della carne» (swd bfr); nello stesso contesto(-? ibid. r. 6) e col medesimo significato possono essere usate le espressioni «figli di Adamo» o «figli dell'uomo» (bnj 'dm). Identico è il senso della formula ogni carne ad es. in I QSb 3,28: «Possa il disegno di ogni carne essere benedetto dalle tue mani» 110, e in r Q;4 fr. 3 col. 1,3 (DJD r r 5 3): «una vergogna per ogni carne» 111 • In ambedue i casi 'ogni carne' equivale a 'ogni uomo' o a 'chiunque'.

    4 . Inoltre il concetto di carne è usala caducità dell'uomo e la bassezza del creato rispetto al creatore (~ col. I287 ). A questo riguardo può affiorare l'idea della peccaminoto per sottolineare

    f1mde vom Tote11 Meer II (1958) 244: «e il roio rifugio era carne. Non disponevo di perfetta misericordia né di aziorù giuste», non rientra, pare, in questo contesto. 100 Circa lhtm kwfl lqfim wlklwt bir 'd/w'n. 106) 139; Dudjm dr. LICHT, op. cii. PONT-SoMMER, op. cii. <-n. 107) 68. BARDTKE, op. cit. (- n. rn7) 246: «per portare a compimento forza per gli ultimi tempi» non tien conto del parallelismo dei due infiniti lklwt (pi'el) e lhlm (hif'il). C.On LICHT, op. cit. <- n. rn6) 139 si deve forse supporre che a I QH 8,31 soggiaccia l'idea della tribolazione che colpisce gli eletti in momenti già precedentemen· te fissati (lqfm, lmw'djm ). 109 wjngr kmjm lbi wims kdw11g bfrj. C.Ontro ~ HUPPENBAUER . 298 e, in parte, contro BARDTKE, op. cit. (~ n. 107) 258 va detto che I QH 18,14 non fa parte del contesto che pre· cede, poiché qui 111bfr significa «messaggero di gioia» e lbfr 'nwjm «ai miseri portare un messaggio di gioia»; dr. LICHT, op. cii. n. 106) 216; DUPONT-SOMMER, op. cii. 11.

    <-

    <<-

    I07) IOI. HO w'~I 111

    kwl b!r bjdkh jbrk, I QSb p8. f?rpb lkl bfr, I Q 34 s. 3 col. r,3.

    1297 {vn,uo)


    e I 4-5 {R. Meyer)

    sità umana (I QH 4,29s.): «Chi [è] carne, ne [è degno], e quale formato di fango è in grado di compiere grandi prodigi, [se] fin dal seno materno [vive] nel peccato?» 112 • Con particolare frequenza si incontra il motivo dell'impotenza umana nei confronti di Dio, per es. in I QH r5,2x: «Che è mai [chi è solo] carne, per avere conoscenza ... , [e il formato di] polvere ... come potrebbe determinare [da sé] il suo passo?» 113 • Pertanto il poeta, sulla base della conoscenza concessagli da Dio, in r QH 15, 12 s. afferma che «non sta nella mano della carne (bid bfr) o nell'uomo ('nws, 'dm) determinare la sorte della propria vita e consolidare il suo passo» e che «l'aspirazione di ogni spirito [umano] (j~r kl rwl;) sta nella mano di Dio» 114 • Per la storia dell'evoluzione del concetto è essenziale a questo proposito notare che carne, uomo e spirito sono perfettamente sullo stesso piano e sono usati esclusivamente quali sinonimi per indicare la creatura umana soggetta alla volontà divina. Analoga è la situazione in 1 QH 9,15 s., dove 'carne, essere umano' ('nws), 'uomo' (gbr), 'formato [di polvere]' (j~r ['pr] m) e 'spirito' (rw[l) sono giustapposti per dire che, davanti alla giustizia e onnipotenza di Dio, tutte le 112 m; bir k:t.'l wmh j~r ~mr lhgdil pl'wt whw' b'ww11 mr~m. cfr. LICHT, op. cit. (~ n. 106) 95 e DuPONT-SOMMER, op. cil. <~ n. 107) 44; diversa è l'interpretazione di BARDTKE, op.

    cit.

    e~ n. 107) 239.

    wmh 'p hw' bir ki ifkil... { w#r] 'pr 'jk jwkl lhkjn f'dw; per l'integrazione dr. LICHT, op. cit. (ry n. 106) 198; inoltre DuPONT-SOMMER, op. cil. (~ n. ro7) 93 e BARDTKE, op. cii. 113

    (~ n. 107) 255. 114 Cfr. L1cHT, op. cit. (~ n . 106) 196. 115 r QH 9,x6: wbJr mi!r ['pr] jkbd trad.:

    «e una creatura effimera è onorata più dell'altra ...». Per l'integrazione del testo in rispon· denza a I QH, f r. 3,5 e per la sua interpretazione dr. LICHT, op. cit. (~ n. xo6) 145; similmente BARDTKE, op. cii. (~ n. 107) 247,

    (vu,rn) 1298

    differenze tra gli uomini sono cancellate. Infine si trova la domanda retorica : «Che cosa è la carne?» (mb bfr), dove si attribuisce una particolare conoscenza a questa carne. Cosl secondo I QH 18- 2124 il celeste «esercito della conoscenza» 115 ha il compito cli «annunciare prove della potenza [di Dio] alla carne e leggi eterne(?) al nato [di donna] » 117 • 5. Gli esempi addotti - con i loro enunciati circa l'esistenza carnale, cioè effimera, dell'uomo - non trascendono gli enunciati degli scritti del canone rabbinico circa la carne. Oltre a questi però la letteratura di Qumran offre tutta una serie di testi in cui il concetto di carne sembra in rapporto particolarmente stretto con peccato e hybris. Ci si deve chiedere pertanto se e in che misura la comunità di Qumran ha visto nella carne l'incarnazione del mondo ostile a Dio. Poiché a questa domanda si è data una risposta decisamente positiva e la carne come concetto antropologico nel quadro-del dualismo di Qumran è stata assegnata alla sfera del mondo ostile a Dio 118, è necessario riesaminare tutto il materiale disponibile 119•

    diversamente BARDTKE, op. cit. (ry n. 107) 239. 116 Cfr. r QH 3,22 s., dove si parla dell'«escrci· to dei santi» (!b' qdw'fjm) e degli «spiriti del· Ja conoscenza» (rw/;Jwl d' t ). m lspr lbsr gbwrw.t w/.Jwq; 11kw11wt t;twd {'sh], I QH 18,23 s.; per il singolare IJwqj 11kw11wt dr. LICHT, op. cit. (~ n . 106) 217. 11s K. G. KuHN, 'RELpacrµ6ç-ùµap'tlCJ.-crap~ im N.T. rmd die damil wrammenhiingenden Vorstell1mgc11: ZThK 49 (1952) 200-222. 119 Tuttavia è necessario sottolineare decisa· mente che gli elementi di teologia e antropologia dedotti da Qumran vanno trattati con cautela, fin quando la pubblicazione dei testi scoperti soltanto in parte è scientificamente ineccepibile.

    O'&.p;

    U99 (VII,III)

    eI 5

    Carne comporta una valenza negativa in Dam. 1,2 (1,2): «Poiché una lotta ha egli (Dio) con ogni carne e giudizio egli tiene con tutti coloro che lo rigettano con derisione» 120• In questo caso carne significa evidentemente l'umanità arrogante. Identico significato ha il termine dove, in riferimento a Gen. 7,22 s., si descrive la fine della generazione del diluvio: «Ogni carne che c'era sulla terra asciutta morl, ed essi divennero come se mai fossero stati, poiché avevano fatto ciò che diceva la loro volontà e non avevano osservato i comandamenti del loro creatore, finché la sua ira divampò contro di loro» 121 • In modo analogo è usato carne in I QM 4,3, dove si dice che lo stendardo delle centurie che ·combattono contro i figli delle tenebre deve sempre portare la scritta: «Da Dio viene la forza di combattere contro ogni carne della malvagità» 122, e nella preghiera sacerdotale per la battaglia si dice (r QM 12,10 s.): «La tua spada divori la carne colpevole» 123• Tuttavia in questi passi il concetto di carne non acquista un proprio particolare significato, poiché, come negli altri passi citati sopra, può alternarsi con altri termini. Per es. I QM 14,7 dice: «Da coloro che camminano in perfezione saranno annientati i popoli dell'empie120

    ki rjb lw 'm kl bfr wmJpt j'Jh bkt mn'fiw. Dam. l,:z (1,2). 121 kl bsr 'Jr hjb bl;rbh ki gw' wjhjw kl' hjw b'!wtm 't r1wnm wl' Jmrw 't m1w1 'Jjhm 'd 'Jr l;rb 'pw bm, Dam. 2,20 s. (3,6 s.). 122 m't 'l jd mll}mh bkwl bJr 'wl; cfr. a que· sto riguardo Y. YADIN, The Scrollo/ the War o/ the Sons o/ Light2 (1957) 278 s. 123 wl}rbkh tw'kl bfr '1mh; YADIN, op. cit. (~ n. 122) 330 s. 124 wbtmjmj drk ;tmw kwl gwjj r1'h; YADIN, op. cit. (~ n. 122) 340 s. cfr. anche r QM 15, 2: «Annientamento per ogni popolo dell'empietà». 125 wzqq lw mbnj mbnh) 'i1 lhtm kwl rwl} 'wlh mtkmw bfrw wlfhrw brw!; qwdf. Circa l'interpretazione data sopra, in cui tkmj

    r=

    (R. Meyer)

    (VII,112) :r300

    tà» 124, e analoga è la posizione assunta da r QS n,9, dove coloro che stanno fuori della comunità insieme con il giusto o l'eletto sono definiti <momini dell'empietà» oppure «comunità della carne della malvagità» (swd bfr 'wl) (~ col. 1316). Più sviluppato pare l'aspetto antropologico in altri testi che si riferiscono all'essere degli 'eletti'. Per es. I QS 4, 20 s. dice: «Dio ... purificherà per sé ]a figura (?) dell'uomo cancellando lo spirito della malvagità dall'interno (?) della sua carne e mondandolo con lo spirito santo» m. Abbiamo una prospettiva escatologica in cui non 1a carne è contrapposta allo spirito, ma lo «spirito della malvagità» allo «spirito santo»; quindi con 'carne' s'intende l'uomo in tutto il suo essere, di cui un giorno lo spirito santo prenderà interamente possesso. Pertanto da r QS 4,20 s. non si può dedurre la concezione d'una carne che per natura sia ostile a Dio. D'altro canto esiste un'antitesi fra il giusto o eletto e la carne, in quanto egli è superiore a quest'ultima; rQH15,16s.: «E tu hai elevato sopra la carne la sua (scii. del giusto 11.6) gloria; ma hai creato i peccatori per il tempo del tuo furore» 127 • In questo caso per carne non va intesa bfrw viene inteso nel senso - non del tutto in controvertibile - di «interno della sua car· ne» o «interno del suo corpo» suggerito da Y. YADIN, A Note on DSD IV 20 ( :=: 1 Q 4, 20): JBL 74 (1955) 41-43, cfr. LICHT, op. cit. (~ n. 106) 106; 1 QH 5,28; inoltre F. NoTSCHER, Zt1r theol. Terminologie der Qumran-Texte; BBB xo .(1956) 85 n. 17. Diversamente intende J. T. MILIK, DJD I 139 s. a I Q 36, fr. 14,2: btkmi bsr; per mbnh 'iI = mbni 'js, cfr. per es. I QH 13,15: mbnb 'pr, «edificio di polvere», per indicare l'uomo nella sua caducità. l1.6 Cfr. I QH 5,14 s.: rq 'th [ br'Jth fdjq; LICHT, op. cit. e~ n. 106) 196. 127 wtrm mbJr kbwdw wrJ'jm br'th l[ qfi l;rI wnkh; dr. L1CHT, op. cit. (~ n. 106) 197.

    r301 (VII,II2)


    e I 5-6

    tutta la creazione nella sua provvisorietà™, ma la parte dell'umanità ostile a Dio, per cui il concetto di carne viene ad assumere una valenza negativa, contrariamente a I QS 4,20 s. La stessa idea ritorna quando l'eletto nella preghiera si presenta davanti a Dio o si colloca tra i peccatori o si distingue dall'essere carnale. Cosl in I QS II, 9 l'eletto si confessa peccatore con le parole: «Ma io appartengo agli uomini dell'empietà e alla comunità della carne del peccato»; in altri termini: anche l'eletto è ancora in tutta la sua persona un uomo scellerato o una creatura peccatrice. Per questo motivo egli può cadere; ma al tempo stesso può esser certo dell'assoluzione divina; I QS II, 1 2 : «Anche se inciampo per la peccaminosità della carne, il mio perdono rimane in eterno per la giustizia di Dio» 129• In questo caso dunque «peccaminosità della carne» non significa altro che l'inclinazione al peccato dell'esistenza umana. Poiché inclinazione al peccato e scarsa conoscenza dei misteri divini sono in larga misura identiche, dell'uomo nella sua creaturalità si può dire che egli è uno 'spirito carnale' (r QH 13,13 s.: «e lo spirito della carne non è in grado di capire tutto ciò» 130), e in quan128 Cosl -+ HUPPENBAUER 299, che riferisce hfr alle creature caduche senza tener conto del contesto. 129 w'm 'kSwl h'wwn hfr msp!i h!dqt 'l t'11111.1d ln!Mtn; dr. ~ ScHULZ 158-167.

    BO wl]w' rwf? b.fr lhbjn bkwl 'lh; dr. LICHT, op. cii. (~ n. ro6) 182; d'altro avviso è Du-

    (R. Meyer)

    (vu,113) 1302

    to spmto carnale l'uomo è al tempo stesso 'nato di donna' (ilwd 'sh), 'formato di polvere' (mbnh 'pr), 'formato di acqua' (mgbl mim), un individuo governato dallo 'spirito distorto' (rw~ n'wh): ibid. l 3,r4 ss.). Solo dalla bontà di Dio l'uomo è giustificato e salvato e lo spirito che Dio infonde nell'eletto, ossia nel servo, lo rende cosciente che le opere di Dio sono giuste e la sua parola è stabile e irrevocabile (ibid. I3,8 ss.). Di conseguenza il membro della comunità è gtato che Dio non gli abbia infuso una 'aspirazione carnale' (r QH 10,22 s.): «Non hai permesso che mi basassi sul guadagno e il mio [c]uore [non desidera] ricchezza [acquistata con la violenza], e aspirazioni della carne non mi hai dato» rn (~col!. 1320 ss.). 6. Quanto s'è detto finora può· essere cosl riassunto: a prescindere dai passi in cui il concetto di carne è usato in senso neutro, l'uomo - in parte con valore collettivo, in parte come individuo - è presentato in tutta la sua esistenza creaturale come carne, e questa designazione implica sia l'idea di fragilità sia quella di inclinazione al peccato o di insufficiente conoscenza delle azioni di salvezza .e del disegno di elezione di Dio. PONT-SOMMER, op. cit. <~ n. 107) 86: [wmb hw'}h rw{J bfr... ; tuttavia la riproduzione originale in SUKENIK, tav. 47, depone piuttosto a favore dell'integrazione proposta da L1cHT. Per rwf? hfr cfr. anche :e QH x7,25 . rn wl' ntth 111!'11j 'l bf' 11.1hhw11 [ }Jms l' i'wh /Jbj Wifr bfr l' smth li; LICHT, op. cit. (~ n. 106) 156.

    cr6:pt; C 16-lI (R.Meyer)

    1303 (v11,n3)

    In nessun passo risulta nemmeno probabile che la carne sia in lotta con lo spirito. Anzi, in quanto designazione dell'intera personalità dell'uomo, la carne è il luogo in cui avviene lo scontro fra lo spirito santo e lo spirito della malvagità. Solo alla fine dei giorni si risolverà la lotta tra luce e tenebre plasticamente descritta in I QS 3,13-4,24 e l'uomo eletto da Dio sarà puri!ìcato definitivamente in tutta la sua persona. Che in linea di principio la carne appartenga alla sfera ostile a Dio non può essere affatto sostenuto - almeno sulla base dei testi finora disponibili - così come non si può dire che la carne o il corpo sia come il carcere dell'anima umana e impedisca all'uomo la vera conoscenza di Dio o l'esperienza estatica. Anzi, tutti gl'indizi fanno pensare che le idee antropologiche della comunità di Qumran siano conformi agli indirizzi tradizionali 132, cosi come il ragionare in termini anti112

    Come giustamente sostiene

    NoTSCHER, op. ~ HuPPEN·

    cii. (-') n. 125) 85 s.; cfr. anche BAUER 299 S.

    BJ Così I QGen. Ap. col. 2,19-22 (N. AvIGAD Y. YADIN, A Genesis Apocrypho11 [1956]), che nella forma attuale risale forse al sec. I a.C. ma senza dubbio si rifà a uno o più modelli

    anteriori; 21 ,5-22,34 contiene antico materiale targumico a Gen. 14,1-15A. Circa la lingua cfr. P. lGrnLE, The Cairo Geniza2 (1959) 198-200. 134 Per comprendere la letteratura targumica si ricordi che il Tg. O., proveniente da Babilonia, nella sua attuale forma normativa rappresenta il momento conclusivo di un lungo processo dogmaticamente condizionato e che

    (vu,n4) r304

    teucr - per es. spmto di malvagità e spirito santo - non si spiega semplicemente col rinvio ad influssi iranici, ma può aver avuto la sua culla nel pensiero sacerdotale d'Israele {~ x, coli. 929 ss.).

    II. L'uso linguistico nei targumin Le recenti scoperte hanno reso p1u che verosimile l'ipotesi che la letteratura targumica, nelle sue parti più antiche, risalga a prima di Cristo 133 e originariamente non sia affatto legata al rabbinismo farisaico. Poiché quindi si deve supporre che le sue prospettive teologiche e antropologiche presentino in parte anche tratti non del tutto coincidenti con le categorie dogmatiche sviluppatesi e affermatesi come normative nella sinagoga a partire dal secondo secolo d.C. 134, sembra consigliabile non conglobare per principio i targurnin nella letteratura rabbinica, ma trattarli a parte. A questo riguardo si vede che il concetto di carne (bsr', bfr') nei targumin 135 ha la stessa funzione riscontrata nei testi di Qumran finora conosciuti verso l'anno 1000 ha definitivamente soppian· tata la letteratura targumica palestinese; dr. KAHLE, op. cii. <~ n. 133) 191-195. Le no· stre conoscenze riguardo a quest'ultima tuttavia si sono arricchite in modo sostanziale quando nella Biblioteca Vaticana A. Diez Macho ha rinvenuto un codice completo dell'inizio
    331.

    o-api; e II-III I (R. Meyer)

    (VII,II5) 1306

    anche indicare soprattutto l'uomo nella sua qualità di creatura peccatrice e arrogante: mentre in Gen. 6,3 la limitazione dell'età della vita dell'uomo a 120 anni è motivata in modo puramente obiettivo col fatto che l'uomo è solo carne, cioè creatura 140, in Tg. N . pal. I (-7 n. 134) si dice: «Poiché sono carne e le loro opere malvagie, ecco, io dò loro una vita di 120 anni» 141 ; in tal modo la fissazione della durata della vita in un massimo di 120 anni 142 è interpretata come una condanna di Dio contro la carne che agisce in modo peccaminoso. Tuttavia anche in questo caso carne indica tutto l'uomo. Una separazione fra carne e spirito, per es. nel senso di una antropologia dicotomica (-7 col. 1312), è improbabile nei targumin, cosl come un'attribuzione della carne alla sfera delle realtà per principio ostili a Dio.

    e pertanto l'antropologia non travalica il rispettivo precedente ebraico. Per es. carne è usato in senso neutro per indicare tutti gli esseri viventi (kl bsr': Tg. N. pal. 1 [-'> n. 134], Tg. O. a Gen. 7 ,n: kol-biiSiir) oppure tutti gli uomini (kl bnj bsr': T g. prof. ad Is. 40,5: kol-biisar) (--'> col. 1295). Talvolta carne sottolinea la caducità dell'uomo e la sua lontananza creaturale da Dio - normalmente in conformità coi precedenti ebraici (-'> col. 1287 ); per es. in T g. Ps. 78,39 l'espressione 'figli della carne' o 'carnali' indica i puri uomini caduchi 136 ; oppure Tg. f. I a Deut. 5,26 ( 2 3); «infatti dove esiste un qualche figlio della carne (hj djn kl br bjfr') che avesse potuto udire la voce della memrà del Dio vivente di mezzo al fuoco, co· me noi e rimanere in vita?» 137 • Poiché carne indica l'uomo o l'umanità in genere, è possibile intendere il concetto in modo vario a seconda della situazione ermeneutica. Così Is. 40,6: «ogni carne (kol-habbasiir) è come erba» in Tg. prof. ad l. è tradotto: «tutti gli empi (kl rsi'j') sono come erba» 133 ; invece Is. 66, 24: «diverranno ribrezzo per ogni carne (l'kol-basàr)» è cosl parafrasato: «finché i giusti (~djq;' per kol-basiir) riguardo a loro diranno: 'Abbiamo visto abbastanza'» 139• D'altra parte carne può

    1. Anche nella letteratura talmudica e midrashica il concetto di carne (bsr', bfr', bfr) - a prescindere da altre sue funzioni - come a Qumran e nei targumin è riferito all'uomo nella sua esistenza collettiva e individuale. Quale esempio della sua funzione collettiva

    136 Testo ebraico: biiJiir, il cui significato è stabilito in modo inequivocabile dalla spiega7.tonc: «un soffio che va e più non torna». m Testo ebraico: ml kol-biifiir, a cui corrisponde in Tg. O.: miin kol bifrii', «chi fra tut' ti gli uomini» . Cfr. anche Tg. J. I a Num. :z3, 19, dove all'immutabilità delle opere di Dio si contrappone l'instabilità delle opere dei figli della carne (bnj bsr'); STRACK-BILLERllECK u 423 s. 138 Cfr. inoltre Tg. prof. a Zach. 2,17, dove abbiamo la scomparsa di 'tutti gli empi' (kl rsj'j'), mentre nel testo ebraico troviamo solo la scomparsa di 'ogni carne' (kol-biiiiir). 139 Che nel contesto sopra menzionato kl bsr sia «un concetto eticamente dcl tutto indiffe-

    rente» è rilevato da STRACK-BlLLERilEK III 331. 140 lò'-jiidon rii[Ji bii'iidiim l"oliim b'Saggam bi'i' biifiir; w•!Jaju jiimiijw me'a w'efrtm 1iina; la forma b'Jagga111 viene intesa in tutti i Tg. e nei LXX come congiunzione causale = «perché» (aUa lettera «poiché già»). 141 mn bgll d'j11w11 bir w'wbdjhw11 bjJjn IJ' jbjbt lhwn (invece di lkwri) 'rk' m'h w'Irjn foj11; cfr. a questo riguardo Tg. J. II (ed. M. GINSBURGER [1899] 7) e Tg. O. 142 Peraltro, il raggiungimento di questa età si fa dipendere dalla contrizione dell'uomo; perciò T g. neof. pal. I (~ n . 134) ad l.: djlm' dj'bdum ttwbb wl' 'bdw, e similmente Tg. J. II; Tg. O. ha solo 'im j'1ubu11.

    III. Carne e corpo nel Talmud e Midrash

    1307 (vn,115)

    uap~

    em

    l-2b (R. Meyer)

    si consideri la preghiera 'Alenu' Hl: «Perciò speriam9 in te ... che ... il mondo sia ordinato dal regno dell'Onnipotente e tutti gli uomini (wekol-bené basar) invochino il tuo nome» 144 • In B.B. b. 17a bar. da Ps. 16,9 carne viene presa nel senso di ' io' o persona fisica («Anche la mia carne (b"siirl) vivrà sicura») per spiegare che anche David è uno di quei giusti sui quali il «verme e la corruzione» non hanno alcun potere 143 • 2. L'uso linguistico rabbinico è caratterizzato soprattutto dal fatto che da un Iato l'uomo è designato come carne e sangue, dall'altro 'carne' nel senso di corpo o persona viene sostituito dal termine giìf.

    a) La designazione dell'uomo quale «carne e sangue» è anteriore al rabbinismo e deriva dalla tendenza, molto diffusa in ambienti semitici, a determinare concettualmente fenomeni complessi mediante due espressioni complementari. Per illustrare questo dato di fatto citiamo dall'antico cananeo-ugaritico le espressioni «dominatore mare» accanto a «giudice fiume» per indicare l'acqua quale primordiale forza del caos 146, e dall'ebraico «cielo e terra» di Gen. I,I per significare il cosmo e «deserto e vuoto» di Gen. r,2 nel senso di caos. «Carne e sangue» quale designazione Per questa preghiera, attribuita al babifo. ncse Rab Ct :i47 d.C.) dr. J. ELnOOllN, Der

    143

    iiidische Gottesdienst in seiner geschichtlichen Entwicklunf} (1931) 8 s.143; inoltre DALMAN, Worte ]. 1 307 e STRACK-BlLLHRllECK III 331. 144 Cfr. Sidd11r O!ar ha-Tefillot (1914 435 s. 145 STRACK-BILLERBECK I 755; su come si pensano i defunti nella tomba o nella sheol, in base ad arcaiche concezioni antropologiche, cfr. 4 MEYER l -13. 146 Cfr. per es. il testo 68,7.14 e passim (GoRDON, Man11al 150); inoltre G: YoUNG, Concor-

    (VII,115) 1308

    dell'uomo è un'espressione che fa riferimento alla sua presenza corporea esteriore e insieme alla sua esistenza di essere vivente garantita dal sangue (~ 1, coli. 464 s.) quale linfa vitale. A questo riguardo pare che fin dall'inizio all'espressione fosse strettamente collegata l'idea dì caducità e di creaturalità; ad es. Ecclus 14,I8 (ebr.): «Come i germogli delle foglie sull'albero verdeggiante, di cui l'uno cade e l'altro sboccia, così sono le generazioni di carne e sangue: l'una muore e l'altra cresce» 147• Corrispondentemente, i rabbini usano il concetto di carne e sangue in prevalenza quando confrontano 1a natura dell'uomo - solitamente con un'argomentazione a minori ad maius - con l'eternità e l'onnipotenza di Dio; Ber.;. 9 (13b 1): «Se si salva colui che si appoggia a carne e sangue (cioè a un altro uomo), quanto più si salverà chi s'appoggia a Dio». Sono note le numerose parabole del re, nelle quali a un monarca terre· no (mlk bir wdm) fa riscontro Dio quale sovrano celeste 143 (~ col. 1292). b) Per lo sviluppo dell'antropologia giudaica è tuttavia da notare che il concetto di carne, usato a sé, lascia il posto al termine guf, da considerare una derivazione dalla radice giip, che si incontra in arabo e significa essere cavo 149• Nell'A.T. attestato solo in r Chron. 10, 12 nella forma *gufa, cadavere l'!IJ, guf presenta un campo semantico straordidance o/ Ugaritic, Analecta Orientalia 36 (1956), s.v. zbl I (594), !P! (2061). 147 kprlJ '! r'nn ... kn dwrwt bsr wdm 'bd gw' w'f;d gwml; cfr. Eccl11s r7,31 s. e Sap. 12,5.

    Cfr. STRACK-BlLLERDllCK I 730 s. Cfr. l'arabo ga11f, cavità, ventre; GESENIUS· BuHL, KoHLllR-BAuMGARTNER, s.v. gilfa, guf. 150 In I Sam. 31,12 invece si usa ~wijja. Pare che a Qumran guf non sia ancora attestato; cfr. K. G. KUHN, Ruckliiufiges Hbr. Worterb11ch (1958), s.v. 148

    149

    cr6:.pl;

    e III 2b-3 (R. Meyer)

    (vn,n6) I3IO

    nariamente ampio nell'ebraico medio e in aramaico; ricordiamo i signifìcati di cavità, spazio cavo 151, corpo in genere e corpo umano. Pertanto guf può signHìcare persona; cfr. Qid. b. 37a s., dove il dovere giuridico-religioso che inerisce alla persona e va adempiuto in ogni luogo (pwbt hgwf), viene distinto dalle norme limitate esclusivamente alla Palestina (pwbt h'r~). Come nefeJ e biisiir nell'A.T. e 'esem, 'osso' nel medio-ebraico, anche guf può avere funzione pronominale: gwph sl ptjlh, «il lucignolo stesso» (Shab. ;. 2 [ 5a 2 3]) 152•

    smo, il corpo è riempito da un'anima raffigurata in modo corporeo e personale, benché invisibile all'occhio umano (-7 ~ux1J). Alla luce della storia delle religioni è particolarmente rilevante a questo proposito osservare che sono stati i saggi farisaico-rabbinici ad accogliere la nuova antropologia, che si trovava in antitesi con le antiche tradizioni, e ad inserirla più o meno organicamente nel loro sistema teologico (-7 cxptO"riioc;).

    3. Stando a quanto si può dedurre dai testi, il passaggio da 'carne' a 'corpo umano' (d'uso, a quanto pare, più recente) è legato a quell'evoluzione delle concezioni antropologiche che si ha a partire press'a poco dal sec. II a.C. Mentre col concetto di carne, a partire dagli scritti canonici fino a Qumran e ai targumin, di regola si intende l'uomo come persona totale, nel concetto di corpo umano è implicita per principio l'idea del cavo o vuoto, che esige di esser riempito. Secondo un'antropologia più recente, che trova i suoi modelli nell'ambiente ellenistico-orientale circostante il giudai-

    Non ci si deve figurare il passaggio alla nuova antropologia dualistica di corpo-anima come se fosse completamente scomparsa l'antica concezione dell'uomo quale essere totale. Essa conserva la sua validità e non si cessa di speculare sul concetto di carne, sulla sua caducità creaturale e sulla sua problematicità etica. Per es . R. Johanan b. Nappaha (t 279 d.C.) risolve i concetti analogici di 'iidiim, 'uomo', e basar, 'carne', nel seguente gioco di parole: alef = 'efer, 'polvere', dalet=dam, 'sangue', e mem=miira, 'caparbietà'; bet=busa, 'vergogna', samek (in luogo di sin) =s' rupa, 'putrefazione', e resh=rimmi1, 'verme' 153 • Un'altra tradizione nel medesimo contesto considera il sin di bfr come abbreviazione di s•'ol, 'inferi', il

    Può essere che l'idea cli spazio cavo nel senso del greco xo~À.la e~ v, coll. 663-672), . <(cavità ventrale, ventre materno», stia alla base cli Jeb. b. 62a s., secondo cui prima di ricevere un corpo le anime, create precedentemente, attendono nella camera celeste (guf) la loro incorporazione: «Il Messia non viene prima che siano state esaurite le anime che si trovano nel gt1/»: 'd Jiklw kl hnfo11ot sbgwf. AI g11f, dove esistono le anime prima della loro vita terrena, corrispondono le «camere di pace» (4 Esdr. 7,78 ss.) oppure fa «camera di pace» ('w,rr): Qoh. r. a 3,2l (cd. Wilna [x887]

    l2c), che custodiscono le anime dei giusti dopo che hanno completato la loro esistenza terrena salvandoli dall'esisteoza «nuda», senza corpo, dei peccatori, che devono vagare per il mondo nella condizìone di spiriti senza pace; ~ MEYER 53-56.6x n. 6. 152 Su tutto questo argomento come pure per i numerosi significati traslati quali essere, casa prì11cipale, capitale, dottrina /011damentale, membro virile cfr. LEVY, \Viirt, s.v. 153 '"r jwrnn 'd"m 'p"r d"m mr"h bf'r bwS"h srwr"h rn/'h, 'ik' d'mrj s'wl dktib bsin; Sota b. 5a.

    151

    ult.p!; Cm 3 (R. Meycr)

    13u (vu,u6)

    luogo in cui alla fine cade ogni carne (--'>col. r3r8). Tuttavia le principali speculazioni antropologiche sono collegate al concetto di guf, che rispetto a biisiir rappresenta solo la parte muscolare (--'> coli. 1267 ss. 1283 ss.).

    (v11,1q) 1312

    cui vivono. Non diversamente stanno le cose per quanto concerne l'origine dell'uomo dalla 'goccia', che secondo la concezione rabbinica è ·per sua natura corruttibile. Stando alle nostre fonti, questa concezione, accennata per la prima volta in lob 10,ro 155, risale ad Aristotele 156 •

    In questo contesto il concetto di guf trova una corrispondenza nella goccia che emana odore di corruttibile (!ippa scrupa), con cui s'intende il seme maschile quale germe del corpo. Ad es. nella haggada di Kil.i, 8,3 (JIC 40-42), probabilmente tannaitica, riguardo alla composizione dell'uomo in corpo ed anima si giunge alla seguente elucubrazione: «Il bianco proviene dall'uomo; da lui infatti vengono il cervello, lo scheletro e i tendini. Il rosso viene dalla donna; infatti da lei vengono la pelle, la carne e il sangue. Ma lo spirito, il respiro e l'anima vengono dal Santo, sia egli benedetto. Tutti e tre sono interessati a lui» 154 • Gli elementi che secondo questa interpretazione compongono l'uomo sono suddivisi nella parte terrena, che i genitori partecipano al nuovo individuo, e in quella celeste e vivificatrice, che viene aggiunta da Dio stesso. Quest'ultima, per la forma poetica dell'haggada, è distinta in tre parti: «spirito, respiro e anima», che però non significano altro che l'anima raffigurata in forma personale. La speculazione sulla materia fondamentale del corpo umano, secondo cui carne e sangue provengono dalla donna, risale ai presocratici(~ r27r s.) tramite la filosofia greca, ed è da supporre che a questo riguardo i rabbini dipendano dall'ambiente culturale in

    Ma questo corpo non solo (in conseguenza della sua creaturalità) sta in tensione cosmico-dualistica con Dio, come la carne nella precedente concezione, ma per natura è diverso dall'anima. In questa prospettiva l'uomo viene concepito dicotomicamente(~ x, coli. 897 ss.), nel senso che per loro natura anima e corpo appartengono a due sfere diverse e tra loro contrapposte JS7. Il concetto viene espresso in termini particolarmente chiari in S. Deut. 305 a 33 1 2: «Tutte le creature che sono state create dal cielo provengono dal cielo quanto ad anima e corpo, e tutte le creature che sono state create dalla terra provengono dalla terra quanto ad anima e corpo. A questo fa eccezione l'uomo: la sua ani.ma viene dal cielo, il suo corpo viene dalla terra. Se pertanto l'uomo osserva la legge e la volontà del Padre suo che è nei cieli, ecco, è come le creature superiori... Ma se non osserva la legge e la volontà del Padre suo che è nei cieli, ecco, è come le creature inferiori» 158 • Secondo questa teoria l'uomo per natura appartiene insieme al mondo

    l!>4 ~ MEYER

    157 ~MEYl!R

    15-:i5.

    tss Cfr. Sap. 7,1; ~ MEYl!R 34 con n. :i. 156 Cfr. J. PRimss, Bibl.-talm11dische Medi:dn (1911) 448.

    158

    :i5-31; dr. ~ col. u91. L'autore è il tannaitR Simru (c. 200 d .C.);

    dr. :i7 s.

    BACHER,

    Tannailen n 544;

    ~ MEYER


    (vn,n8) I3I4

    superiore e a quello inferiore e in quanto tale presenta da un lato proprietà degli angeli del servizio, dall'altro proprietà dell'animale (Hag. b. 16a bar.) e se non compie la volontà divina cade al livello degli esseri inferiori, cioè ha una mentalità carnale, anche se non si usa questa espressione 159 • Sorge cosl una contrapposizione etica fra l'anima celestialmente pura 160 e il corpo che per il suo carattere terreno tende a opporsi a Dio. Al dualismo etico corpo-anima, molto diffuso entro il giudaismo ellenistico-orientale, corrisponde dall'altro lato l'idea che di notte l'anima apporta all'uomo dall'alto nuove forze vitali: «Quest'anima riempie il corpo e nelle ore in cui l'uomo dorme essa sale in alto e gli attinge vita dall'alto» 161 • Inoltre, secondo questa concezione è l'anima che in sogno comunica all'uomo la conoscenza di eventi futuri, poiché di notte lascia il corpo e vaga qua e là per il mondo 162 • Da quanto s'è detto non si può tuttavia dedurre che l'innegabile acquisi-

    zione di categorie ellenistiche nell'antropologia rabbinica abbia portato a una coerente dottrina dualistica, come avviene per es. nella teologia alessandrina 163 • Evidentemente nella speculazione rabbinica ha ancora un influsso determinante l'antica tradizionale concezione globabale, secondo cui questo mondo è l'unico luogo dell'incontro determinante fra Dio e uomo. In questa prospettiva, come pure in un'attesa escatologica molto grossolana che dopo un tempo intermedio 164 prevede la riunificazione di corpo e anima per la salvezza di alcuni e per la dannazione eterna di altri, il dualismo dell'antropologia popolare radicato ed espresso nel mondo ellenistico-orientale 165 trova i suoi limiti: nel giudizio finale l'uomo viene giudicato come persona totale in rispondenza nl suo comportamento durante la vit·a corporea. Per quanto il corpo appartenga al mondo inferiore e l'anima a quello superiore, per quanto nel momento in cui viene immessa nel corpo per l'esistenza terrena e il periodo di prova l'a-

    159 L'aggettivo raro biJriini, di carne, è usato nel senso di corpz1lento; dr. Ket. b. 6rn e LEVY, \'f/ort., s.v. Da gli/ non deriva alcun aggettivo. 160 A questo riguardo dr. anche ~ MEYER 63-68. 161 L'autore è R. Meir (c. r50 d.C.): Gen. r. 14,9 a 2,19 par.; dr. BACHER, Tannaite11 11

    di Aqabja b. Mahalalel: «Volgi l'attenzione del tuo occhio a tre cose e non cadrai in potere della trasgressione. Sappi donde sei venuto, dove vai e a chi dovrai rendere conto: Donde vieni? Da una goccia ·che sa di corruzione. Dove vai? A bruchi e vermi. Davanti a chi dovrai rendere cont9? Al re di tutti i re, sia egli benedetto»; dr. ~ MEYER 33. 165 Cfr. per es. l'interpretazione figurativa di Ez. 37 nella sinagoga di Dura-Europos (sec. III d.C.); R. MEYllR, Detrachtungen w drei Frcsken der Synagoge von Dura-Europos: ThLZ 74 (1949) 35-38; The Excavatio11s at Dura-Europos. Final Report VIII Part I: C. H. KRAELING, Tbe Sy11agogue (1956) 178-w2.

    64; ~ MEYER 51.

    P.R.El. i4; dr. a questo proposito già Flav. Ios., beli. 7,343 ss. e ~ MEYER 50 s. IB ~ MEYER 31 s.145 s. 164 Al giudizio immediatamente successivo alla morte si riferisce per es. Ab. 3,1, un aforisma 162

    1315 (vn,nB)

    crap~ e III

    3 - IV 2 (R. Mcyet - E. Schweizer)

    nima quale essere celeste e puro possa s. (-7 col. 1290.1325). Frequente è la 169 aborrire la 'goccia' che promana cor- locuzione ogni carne: Iub., passim ; Hen. aeth. 1,9; 61,12; test. Iud. 24,4 ruttibilità 166 , nel giudizio finale entram- [?]; test. G. 7 ,2; apoc . .El. l 8 ,ro; apoc. bi dovranno rendere conto insieme. Co- Esdr. 7 ,7 (p. 3 2 ). Anche in questi scritti sì Sanh. b. 91b conclude una disputa fra dapprima non si nota alcun collegamento 'Antonino' e il patriarca Jehuda II (c. negativo fra il nostro concetto e la sessualità o il piacere della gola. La donna è 190 d.C.) con le parole: «11 Santo, sia la propria carne dell'uomo (vit. Ad. 3 [-7 egli benedetto, prenderà l'anima e la coli. 1292.1325)). In Iub. 16,5 si conmetterà nel corpo e poi giudicherà en- danna solo il rapporto170sessuale proibito con la propria carne • Solo in apoc. trambi» 167• Mos. 25 forse si condanna il rapporto R.MEYER sessuale in genere in quanto à.µap""t"la 'tflç aa.px6c; 171 •

    l. L'uso linguistico osservato nei LXX continua 168• L'uomo è fatto di ossa e carne (test. S. 6,2; Joseph et Asenath 16 [ ~ n. 168] p. 64 [~col. 1329] ). L'espressione carne e sangue compare in Iub. 7,4; 21,10 nel contesto del sacrificio, in 7,28 per descrivere il corpo umano (~ I, 462; ~ col!. 1292.1319 1321 s.). Anche l'espressione 'circoncisione nella carne' si trova in Iub. 15,13

    2. In questi scritti si manifesta però più chiaramente un'evoluzione già osservata nei LXX(~ coli. 129r.1318 s.). Dio e uomo vengono separati sempre più nettamente, nel senso che tale separazione appare collegata a que1la cosmologica fra cielo e terra, fra la sfera degli spiriti e quella della carne. Hen. aeth. presenta dapprima una situazione prettamente veterotestamentaria. Il fatto che ogni carne sia giudicata da Dio (1,9) m, nòn significa ancora che ogni

    l66 Cfr. Tanh. pqidj 3 (1927) 344 ss. par.; ~ MEYER 88-93. 167 Su tutto l'argomento cfr. STRACK-BILLER· BECK I 58r. 168 In senso puramente neutro: carne m11a11a: Hc11. aeth. 7,5; Iub. 3,5; 4 Esdr. 15,58 (carncs); test. lob (ed. M. R. }AMES, TSt v I [1897]) 13 (
    presente Gen. 9,4-6: il castigo per l'atto di bere il sangue è la morte per mano dell'assassino, che a sua volta è castigato da Dio. L'espressione «ogni carne» non si riferisce quindi all'umanità intera, ma è determinata dalla proposizione relativa. L'espressione è stata forse scelta anche perché 'carne' e 'peccato' sono ormai concetti affini? Oppure è semplicemente fa casuale ripetizione dei termini di Gen. 9,5? 1711 Secondo 20,5 non può significare «con il corpo di lei» (cosl E. LITTMANN, in KAuTsc:H, Apkr. u. Pseudepigr.) ma si deve riferire alla pederastia caratteristica degli abitanti di Sodoma e Gomorra (STRACK-BILLEIIBECK m 785 s.) oppure al raplJorto sessuale proibito fra pa· renti entro un certo grado e~ col. 1325), di cui 1618 offre un crasso esempio; dr. Dam. 5,7-9 (?,9·ll). 171 Quest'interpretazione però non è sicura (~ LINDIJER 79). 172 Tramandato anche in greco. Cfr. Dam. 2,20 (3,6).

    IV. Gli apocrifi e gli pseudepigrafi

    =

    13r7 (vu,119)

    O"&.p!;

    e IV 2-3

    carne sia peccatrice; infatti nelle parabole leggiamo anche che ogni carne loda Dio (61,12}. Quando in 14,21 si afferma che nessuna carne può vedere Dio, si va oltre l'A.T. solo in quanto lo stesso vien detto (ibid.) anche degli angeli. Ciò prova che in questo contesto l'uomo in quanto carne si può bensl distinguere dagli esseri che non sono di carne, ma insieme con quelli è contrapposto, quale creatura, al creatore. Si pone dunque una distinzione fra esseri di carne ed esseri spirituali, ma essa non è determinante. La limitatezza dell'uomo non deriva dalla sua materialità 173• Lo stesso concetto emerge dal 'libro della storia' ( 84,4-8 ). In esso si afferma ovviamente che la carne dell'uomo suscita l'ira di Dio, ma si dice pure che gli angeli in cielo sono peccatori. Soprattutto si parla anche di 'carne di giustizia e rettitudine'. Si manifesta dunque la tendenza ad elevare in modo radicale la singolarità di Dio al di sopra del mondo degli uomini e degli angeli, a contrapporlo quale unico essere puro al mondo caduto in peccato 174, senza però abolire la distinzione etica fra peccatori e giusti. Ben diversa è la posizione assunta nella sezione angelologica (15,4-16,1}, dove il peccato delle «sentinelle del cielo» consiste nel fatto che essi, gli «spiriti santi eternamente viventi», si sono 173 Similmente 61,12: «Ogni spirito della luce ... e ogni carne lodi Dio»; 81,2: <
    174 Cfr. al riguardo enunciati quali Bar. syr. 44, 9; 4 Esdr. 7,n s.20-24.46-48.68.n6-126; 8,17. 35; apoc. Esdr. 5 (p. 30), dove però manca 'cnrne'. 175 Secondo 15,7 gli spiriti dimorano nel ciclo, dove non ci sono donne (dr. Mc. n,25). Per il testo cfr. apparato critico e note in R . H. CHARLES, The Apocrypha a11d Pseudepigrapha o/ the Old Testnment (1913), ad l. 176

    Un cod. greco modifica cosl: «dalla sua 2ni-

    (E. Schweizer)

    (vn,120) 1318

    contaminati col sangue delle donne degli uomini e col sangue della carne hanno generato carne e sangue (15,4} (~ col. l 2 9 2} 175 . Analogamente, i giganti che ne son nati sono stati generati «dagli spiriti e dalla carne» (15,8}, e dall'«anima della loro carne» escono gli spiriti (I6,1) 176• Nel testo greco di 106,17 i giganti nati dall'unione degli angeli con le donne degli uomini sono descritti CO· me oux oµotot 1t\1Euµa.cn /J.),J..à. uapx( w )ot 117 • Inoltre anche qui troviamo il duali· smo antropologico. Secondo il testo etiopico (probabilmente originario} di I7 ,6 l'Ade è il luogo in cui migra ogni carne(~ coll. 1312 s.). Nella traduzione greca invece leggiamo: « ... dove nessuna carne migra». Qui l'espressione 'ogni carne' non è più intesa in senso semitico come designazione dell'umanità, bensì come indicazione di sostanza - un caratteristico esempio di cambiamento di significato nella traduzione. Per il traduttore dunque l'Ade è già una sfe· ra separata da quella della carne. Nella morte l'uomo depone la sua carne (-,) coll. 1275 s.), come è detto esplicitamente in ro2s. Le lfJuxal scendono nell'Ade, mentre il uwµa -.1]c; crocpx6c; caratterizza il tempo terreno 178 • 3. Particolarmente chiara è l'antitesi cosmica nel Libro dei Giubilei, dove il ma come da carne». In 15,9 legge: Ò.'ltÒ -roii O'WJ.W."tOç "tijc;
    Jj19 (vn,120)

    o-6.pt;

    e IV 3-5 (E. Schweizer)

    regno degli spiriti è separato da quello dell'essere carnale 179• Le due sfere sono identificate a chiare lettere con cielo e terra 180 • In scritti successivi questa distinzione delle due sfere è sempre più netta. I puri spiriti non possiedono corpo (apoc. Abr. I9). Essi sono 'lt\IEUµcx., l'uomo è
    (vu,120) 13:w

    molto forte, si spera nella risurrezione della carne (~ n. 98) 181 • Secondo parai. Ierem. 6,6 la crapl; rimane incorruttibile 182 benché il corpo in 9 ;n-13 sia considerato
    4. L'ultimo passo ha anch'esso mescolato al dualismo cosmico quello antropologico, il quale è ampiamente radicato nel pensiero ellenistico. Quando l'influsso veterotestamentario si fa sentire

    5. Si manifestano anche pochi sintomi di un'antropologia in cui la carne è connessa al peccato. Si devono distinguere due matrici. Dove predomina il dualismo antropologico emergono tendenze ascetiche che cercano di frenare la carne per dare libertà allo spirito. La rinuncia al piacere della carne può dipendere dall'idea che nell'epoca escato-

    119 Iub. 2,2.n: gli spiriti vengono creati il primo giorno, i primi esseri di carne il quinto giorno. tso Iub. 2,30: «Essi osservarono il sabato in cielo, prima che ad ogni carne fosse mostrato di osservate in esso il sabato sulla terra». 181 Cfr. apoc. Mos. 13 ('ll'fura aapt;); apoc. El. hebr. 22,6 ss. (secondo Ez. 37); Bar. syr. 50; inoltre Ezechiele in Epiph., haer. 64,70,6: giudizio sul corpo e sull'anima (-+ col. 1315). 182 The Rest o/ the \Vords of Bamch, ed. J. RENDEL HARRIS (1889). Cfr. anche E. KèiNIG, Der Resi der Worte Baruchs: ThStKr 50 (1877) 327 s. Analoga è la concezione in test. Abr. B 7 (112,3): 'lfiiaa o-cì.p!; lyEpfhicrE"I'«~. nella condizione intermedia però il uwµa viene trascurato. 183 Cfr. la traduzione di STEINDORF F p. 169.

    Cfr. però apoc. El. 36,18-37,1: il Signore si prende spirito e anima, la carne diventa (pietra?). 184 Il dio egiziano del sole porta negli inferi solo Ja sua 'carne' senza la sua anima (H. IloNNET, Reallexikon der iigyptischen Religionsgeschichte [ 1952] 19). ias & ljiuxofi, -.l yap crs ivH.C1.[3Ev Ek -.ò -.a7t€Lvòv xat -.aÀ.u.l7tWPO\I crwµa (ed. J. A. RonINSON, TSt n 3 [1893] 134,33 s.). 186 Exibit anima de corpore, recedente fo. spiratione (syr.: «respiro»?) de corpore, (ani· mae) separatae de corporibt1>. Se è giusta l'i· potesi di P . RrnSSLER, Joseph u. Asenath: Theol. Quart. 103 (1922) 8 s. in questo apo· crifo è possibile scorgere un'allegoria dell'anima prigioniera del corpo.

    1321 (vu,120)


    I.,

    IV

    5 -

    V l \L, .xnwcac11

    logica come in quella primordiale basti un'alimentazione vegetariana 187• Dove si rinuncia a carne e vino, forse si rifiuta semplicemente qualsiasi cibo che fomenti la lussuria 188• Su questa linea forse anche il rapporto sessuale in quanto tale diventa peccato (~ col. 1316). Diversa pare sia la linea nei Testamenti dei xu Patriarchi. La radicale contrapposizione della sfera divina, celeste a quella umana, terrena porta a incentrare l'attenzione su passi quali Gen. 6,12; Iob4,17ss.; 15,14ss.; 25,4ss.: l'umanità nel suo complesso è peccatrice, non è solo debole, mortale, limitata 189, ma è anche preda della seduzione degli spiriti che in quanto esseri senza corpo sono molto più forti. «Essi sono carne e gli spiriti della seduzione li ingannano» (test. Zab. 9,7) 190• In tal modo anche la limitatezza della conoscenza umana può essere collegata al suo peccato: «senza conoscenza come un uomo e come carne guasto in peccati» (test. !ud. 19,4) (~col. 1298). Ancora più radicalmente si esprimono certi autori posteriori: «Io sono una cosa di carne e Cfr. H. BARDTKE e H. G. Kmm, art. 'Askese' in RGGJ 1 641 s.; Is. n,6 ss.; Gen. r,29 s.; 9,2 ss. 1118 4 Esdr. 9,24 per la preparazione della rivelazione; TH. ScHERMANN, Propheten- 11. Apostellege11den: TU 31,3 (1907) 95,16 (xpÉcx.ç); test. Isaac (cd. J. A. Ro11JNSON, TSt II 2 [1892)) folio 13 verso. Invece Snh11. b. 59b (STRACK-BILLERBECK I 138) afferma che in paradiso gli angeli avrebbero cotto la carne e filtrato il vino ni primi uomini. Cfr. anche I ub. 49,6.12.20; test. R. 1,10. 1s9 Anche Ge11. 6,3 (~ col. 1306) diventa importante. Se carne è intesa nel senso di essere peccntore, forse è perché risente ancora l'influsso della lezione «a motivo dci loro traviamenti». Anche l'aggettivo camales di Pseud. Philo, a11tiq11itates biblicae 3,2 (ed. G. KiscH [1949)) ha forse questa sfumatura. 190 Cod. ci.: « ...e sono ingannati)), 191 Per la sua dipendenza .dalla tradizione greco cfr. A. J. fESTUGIÈRE, La révéfatio11 d'Her187

    \Y&.LJ ... '""..LJ &;J""-

    col. 1292), conosco il mio sudiciume ... e il mio peccato» (test. Isaac) (~ n. r88) folio 14 recto.

    sangue(~

    V. Filone e Flavio Giuseppe I. Non è facile valutare la poslZ!one di Filone, perché in lui si fondono le più diverse tradizioni. Tra A.T. e filosofia greca 191 egli pencola ora da una parte ora dall'altra 192• Nonostante occasionali tentennamenti dovuti alla sua origine giudaica, egli dà una valutazione negativa della crap~ 193 • In quanto sede della a.foi>l)crtç (rei'. div. her. 71; agric. 97; leg. alt. 2,41; Abr. 164) anche secondo lui la cr&.p~ è strettamente legata ai mil>T) o alla i}oov1} (leg. all. 3,r58; gig. 35 . 40 ). Essi però sono ignobili e irrazionali e asservono il vouc; 1!)1. Si manifesta invece una certa cautela nel far risalire il peccato alla a&.p~ 195• È vero che Filone può intendere il peccato originale nel senso che il piacere corporale suscitato dalla donna ha portato al peccato (op. mund. 151 s.r55 s.164) (cfr. ~ n. r95). Egli può affermare che il corpo con le

    mès Trismégiste II (1949) 533-544; W. BousSET, Jiid.-chr. Schu/betrieb in Alexa11dria ti. Rom (1915) 47 s.56 spiega il valore positivo attribuito a 'ltaih] e a i)lìovi} come tradizione di scuola. 192 Cfr. JoNAs, G11osis u 1,74; S. SANDMEL, Philo Piace in Judaism (1956) 1-29. Pare che egli non sia stato fri.fluenzato in modo determinante né dalln tradizione rabbinica né da quella apocrifa (ibid. 198 s . 210 s.). 193 I passi si trovano raccolti in ~ ScawmZER, He/l. Komponente 246-250. 19-1 rer. div. ber. 268; leg. alt. 2,49 s.; altri passi in W. Vé:iLKBR, Fortschritt und Vol/e11dung

    bei Philo von AJexandrien (1938) 80-84. 195 A questo riguardo W. KNuTH, Der Begriff der Siinde bei Philon vo11 Alcxandria, Diss. Jena (1934) 23-32. Per es. secondo Filone il rapporto sessuale per la procreazione è un bene, mentre è male il piacere; cfr. HELMU'l' SCHMIDT, Die Alithropologie Pbilons von Alexn11dria, Diss. Leipzig (r933) 37 s.

    i323 (vn,121)

    aétpt;

    eVl

    sue passioni induce l'uomo a peccare (plani. 43; rer. div. ber. 296). L'Egitto

    è l'incarnazione delle passioni e dei piaceri che penetrano attraverso gli organi sensoriali (congr. 8x). Cosl Filone, come gli avversari di Epicuro (-+ coll. X28o ss.), può additare nelle orge del ventre e nella libidine del sesso le cause del male 196• Ma egli afferma pure che è l'anima che ha a)..oya. 7t&i)11 e genera il male, ovviamente quando la carne acquista potere su di essa 191 • Tuttavia il a-&pxwoc; oyxoc; può essere sottoposto a servizio come i sandali ai piedi (sacr. A.C. 63). Ma ciò dice soltanto che l'antropologia di Filone è diventata molto più composita rispetto all'originaria contrapposizione di a-wµa. e ljluxTi 198• Per Filone è di capitale importanza mantener ferma la libertà della volontà di colui che >ceglie tra il bene e il male e non richiamarsi alla condizione fisica dell'uomo per cercare in essa una discolpa 199 • Questo suo atteggiamento è legato all'idea che anche l'anima in un certo senso ha attinenza con la carne 200 e che l'effettiva unione fra Dio e l'uomo si attua al di là di corpo e anima 201 (--7 x, col. 945 ). Influiscono qui concezioni veterotestamentarie. Accanto a questo indirizzo è impor196

    leg. all. 3,143.159; op. m1111d. 152.157 s., dove nella pericope 160-162 polemizza con Epicuro. Cfr. spec. leg.1,192: mangiare e bere eccitano il ventre e i bassi desideri; inoltre H. A. WoLFSON, Pbilo (1947) 108 s.; cfr. anche LEISEGANG, s.v. 'Epikur'. 191 Deus imm. 52; rer. div. ber. 295; leg. ali. 1,106; altre indicazioni in KNUTH, op. cit. (~ n. 195) 23. Come in Seneca, si attribuisce grande importanza al ruolo della facoltà intellettiva nell'origine del peccato: KNUTH, ibid. 25 s. 198 Cfr. E. R. GoonENOUGH, An Introd11ction to Philo ]udaeus (1940) 151-153. !99 WéiLKER, op. cii. (~ n . 194) 73-79. Perciò Filone non afferma mai direttamente che la il:>.:11 in quanto tale sia cattiva (~ BuRTON 163-166).

    (E. Schwei?:er)

    (vn,122) 1324

    tante un secondo orientamento che va inteso più sullo sfondo del dualismo cosmico(~ col. i29r) che di quello antropologico. Secondo Filone Dio è un essere senza carne, privo di corpo 202 • Perciò lo possono riconoscere solo gli amici dell'anima che sono in grado di deporre l'involucrn di carne; infatti anche l'anima è del pari priva di carne e di corpo 203 • Cosl il corpo, la carne, per l'anima significa aggravio, schiavitù, bara e urna. È un cadavere che la trascina con sé2°". Perciò essa deve uscire dall'Egitto, dal corpo: ciò che all'uomo diventa possibile nell'estasi (migr. Abr. 14; somn. 2,232). Qui la carne è semplicemente la realtà fisica che impedisce il volo dell'anima e blocca la crescita della sapienza. Cosl i servitori dello spirito devono diventare esseri pallidi, in un certo senso privi di corpo, ridotti quasi a scheletri, perché trascurano tutto ciò che è gradito alla carne (spec. leg. 4,xq; gig. 30; mut. nom. 32 s.). Cosl è essenziale la liberazione della carne nell'ascesi, non perché la carne induce al peccato, ma perché impedisce lo slancio dell'anima immateriale verso le altezze celesti di Dio. Se qui dunque si contrappone la carne ad ogni religiosità e il piacere della carne alla conoscenza di Dio 205, s'intende una contrapposizione 200 L'amicizia fra anima e corpo è oggetto di discussione in det. poi. ins. 15. Anche i sensi sono da valutare positivamente quando sono soggetti al potere dello spirito; cfr. SCHMIDT, op. cit. (~ n. 195) 34.70-73. 2Ul Cfr. JoNAS, Gnosis II r, 103-rn6.n3 s. 'li1l Anche secondo Epict., diss. 2,8,2 e ~ col. 1388. 203 De11s imm. 52-56; gig. 31. L'uomo celeste è privo di corpo, cfr. H. WILLMS, Eikon (1935) 82 s. 2Gl gig. 31; rer. div. ber. 268; migr. Abr. 16; agric. 25; Deus imm. 2. Cfr. anche la raccolta di passi in SCHMIDT, op. cit. (-7 n. 195) 3436. 205 som11. 2,67; Deus imfll. 143; rer. div. her. 57 (a.lµa xa.t <mpxòc; i}oovfi).

    1325 (vn,122)


    I -

    D

    2

    (E. Schweizer)

    (vu,123} 1326

    fisica. Carne non è tutto l'uomo con- per es. in Platone (~ col. 1277), nella dannato da Dio, come nell'A.T., bensl questione riguardante il rapporto fra cor· la condizione fisica, il freno al volo dell'anima. Solo in quanto il permanere in po e anima (~ CJ'Wµa, \jlux1}). Anche il questa condizione fisica, cioè fa rinun- tentativo stoico(~ CJ'Wµa) di intendere cia al volo dell'anima, equivale a una l'anima in senso corporeo, pur distincolpa, tale contrapposizione acquista vaguendo fra regens e rectum, indica la lore etico 206 • stessa problematica. Si arriva cosl alla 2. Presso Flavio Giuseppe o-apxe<; interminologia di Epicuro che distingue le dica la carne animale (ant. 6,120 accan- parti non spirituali del corpo in quanto to ad arµa; I2,2II S. accanto ad Òrf'tfi 207 ) o umana (ant. 6,186 = r Sam. O'ap~ dalla òdtvo~a e intende stabilire 17,44). L'invariato colore della o-&.pç in l'equilibrio tra le due componenti (~ ant. 15,236 è segno di intrepidezza. In col. l28o). Tutte queste risposte hanno bell. 3,274 la o-&.pç vulnerabile è pain comune il fatto d'intendere l'uomo rallela a . ra, la sostanza che determina l'essere dell'uomo.

    D. RIEPILOGO

    STORICO-RELIGIOSO

    Abbiamo visto modi completamente diversi di concepire l'uomo. 1. Si può considerare l'uomo un essere composito e interpretarlo secondo le sue componenti (~ coli. 1269 s.). Il problema dell'unità dell'uomo affiora,

    206 Cfr. lcg. ali. 3,152: l'anima che abbandona le sacre case della virtù si rivolge alle 15)...a~. 'lJJ7 Qui in parallelo con xpÉaç, che [secondo una comunicazione di P . G. FRITZ] si trova x7 volte (di cui una al singolare) per indicare la carne di animale che serve al pasto (lo si

    Completamente diverso è il modo d'intendere l'uomo nell'ambito dell'A.T. Per principio l'uomo è visto nel suo rapporto con Dio. Quale creatura di Dio egli è carne, in ogni momento esposto alla morte. L'alito di Dio è la sua vita, la sua anima. La volontà del suo cuore 2.

    può dedurre anche da ant. 10,261 s.; 12,194). im

    Qui i due termini sono al plurale.

    20'> Carne però non è collegata a BRAUN, Spiit;tid.-hiiretischer und

    cher Radikalismt1s

    I

    (1957) 88.

    peccatO: H. fruhchristli-

    1327 (vn,123)

    cr&.pl; D

    2 -

    E 11 (E. Schweizer)

    accetta o rifiuta il comandamento di Dio. L'uomo è interpretato partendo non dalla sua natura, ma dal suo rapporto. Egli è ciò che è in questo rapporto. Carne allora definisce la sua situazione davanti a Dio. E qualora si comprenda anche una parte soltanto di questa prospettiva, non è più possibile dividere l'uomo in una parte divina e in una terrena. Se si deve stabilire una divisione, si può fare solo fra Dio e uomo, cielo e terra. In altri termini, è pensabile solo il dualismo cosmico.

    (vn,124) 1328

    ricorre solo in Iac. 5,3; Apoc. I7,16; 19, 18.21, quando cioè con un linguaggio veterotestamentario si parla della consumazione della carne umana. Manca il termine crapxlov {--7 col. I 3 96), usato spesso in senso spregiativo, e l'abbinamento crtl.pl;-1tvEuµa in senso greco compare solo nei limiti sopra citati (~ col. 1278).

    I. I sinottici e gli Atti degli Apostoli l.

    I sinottici

    Prescindendo da due citazioni dell'A. T. (Mc. lo,8 par.; Le. 3,6) e da un passo in cui abbiamo '1taO"a
    3. Nell'ellenismo questo dualismo veterotestamentario-orientale (--7 x, coll. 937.rno4 s.) entra in contatto col penIn Mt. 16,17 la formula carne e sansiero greco-naturalistico. La sfera di apgue (~ col. 1292) indica l'uomo nella partenenza è considerata un dato dinasua limitatezza rispetto a Dio, cioè non tura. L'uomo le appartiene per sorte, nella sua mortalità, ma nella sua incanon per scelta; è ciò che è in base alla pacità di conoscere Dio {-7 coli. 1291. sfera a cui appartiene: asservito e non li1319). Carne e sangue non sono dunbero finché vive quaggiù, libero e salvaque parti distinte dell'uomo, ma incluto non appena gli riesce di giungere in dono addirittura le sue facoltà intelletalto. Estasi, consacrazione, formule setuali, religiose o mistiche. Il concetto grete e conoscenze esoteriche lo aiutecontrapposto è Dio. Si conserva in tutranno ad abbandonare la sfera della carto e per tutto la visuale unitaria delne(~ x, coll. 936 ss.). l'A.T. (~ 1286 s.). In Mc. 14,58 (--7 x, coll. 947 s.) 210 l'enunciato si accosta a E. I L NUOVO TESTAMENTO un dualismo antropologico; ma, analoLa visione di tipo unitario dell'A.T. gamente a quanto accade nel giudaismo influisce for temente sul N.T., come si (--7 1300 s.) e in Filone(~ col. 1322), vede già esteriormente dal fatto che il ciò che si contrappone alla carne non è plurale crtl.pxEç, frequente anche nei più una possibilità umana, bensi l'opeLXX e negli apocrifi giudaici (--7 n. 84), ra di Dio. Con carne e ossa {~ coll. 210

    In quanto glossa tardiva eliminato da

    BRAUN,

    op. cit.

    (~

    n. 209)

    u5

    n. 4.

    132 9 ( vn,124)

    O'apl; E I r - II x (E. Schweizer)

    1268.1275 s.1315) Le. 24,39 (~ x, coli. 998 s.) indica la sostanza dell'uomo terreno. Si stabilisce un'antitesi tra realtà corporea e realtà incorporea 211 • Si tengono presenti entrambe le possibilità, che tuttavia non qualificano l'uomo, perché il passaggio all'assenza di corpo non significherebbe per sé la salvezza (~ col. 1320).

    mo 'egli'. Come nell'A.T. lJ;ux1i e C'apt, sono ancora intese come designazione di tutto l'uomo. II.Paolo I.

    o-apt, = corpo

    A prescindere da due citazioni (2,17. 26) rimane da menzionare solo 2,31 212, dove dal passo citato in 2,26 si deduce l'incorruttibilità della cr&.pç di Gesù (~ col. 1320). Va notato che non si riprende invece il termine \jiux1J (v. 273 ). L'autore dunque evita la ovvia suddivisione dell'uomo nelle parti complementari e non contrapposte cr&pç e lJ;ux1J . In luogo della \jiux{] della citazione abbia-

    uapç può indicare semplicemente la parte muscolosa del corpo(~ coll. I267 s.), come per es. nell'immagine della spina nella carne (2 Cm·. 12,7) 213 • Il termine non compare mai in Paolo nel nesso «carne e ossa»(~ coli. r328 s.). Anche quando è usato nel senso consueto, designa sempre tutta l'esistenza fisica dell'uomo 214 • Così anche in ·r Cor. 15,39, nonostante la concezione a mo' di sostanza, non s'intende solo la patte muscolosa del corpo(~ x, coli. 1013 ss.) 215 • In Gal. 4,r 3 la aui)ÉVEL
    211 ~ col. 1291. Nel mondo ellenistico: Philostr., vit. Ap. 8,12 (in KwsTERMANN, Lk.) e soprattutto Luc., vem historia 2,12: i beati sono impalpabili e senza carne e ossa, benché l'assenza di corpo sia in essi constatabile solo attraverso il tatto. 212 Una variante secondaria in 2,30 corrisponde, nell'uso del termine, a Rom. 1,3 e 9,5 (~ coll. :r333 s.). m Anche se con PH.MENOUD, L'écharde et l'ange sataniquc, in Studia Paulina, Festschr. J. de Zwaan (1953) 163-171 vi si scorge il dolore per l'incredulità d'Israele e non una malntti~ che affligge il corpo, q6;p1; resta determinata dall'immagine, non dal senso traslato. O. GLOMBITZA, Gnade - das entscheidende 'Vort: Nov Test 2 (1959) 281-290 intende aapl; nel senso di esistenza ( :::: la precedente attività persecutoria di Paolo). 214 Perciò in questi termini si indica sempre la persona vivente. Per la carne di animale

    morto abbiamo xpÉm; in Rom. 14,21; 1 Cor. 8,13 (~ col. 1270; nn. 16.168.207). 215 J. HÉRING, I Corinthiens, Commentaire du N.T. 7 (1949) ad l. : uso 'chlmico' del vocabolo (accanto a quello mornle, genealogico, bfologico e sociale). Comunque Paolo evita sempre il termine quando si tratta di piante e corpi celesti, perché aO:pl; include anche il concetto della corporeità 'muscolosa' {-7 col. :r338). Per le piante Paolo parla di awµix, per i corpi celesti di 1ì61;a.. Mentre in caso di necessità Paolo potrebbe usare questa espressione anche per i corpi terrestri (v. 4ob), non potrebbe mai, come faranno gli autori successivi (~ coll. :r319 s.), parlare di
    2.

    Gli Atti degli Apostoli

    o-cip!; E II 1 (E. Schweizer)

    (vn,125) 1332

    (v. 14) è il fisico malato di Paolo, la sua esteriore forma fenomenica (~ IX, col. 1440) 217 • Viceversa, in Rom. 6, l 9 la stessa espressione indica la debolezza della conoscenza. crap!; pertanto non solo include le facoltà spirituali, ma talvolta può averle come contenuto quasi esclusivo, come in altri casi può indicare solo quelle corporali 218 • Secondo 2 Cor. 7,5 ii cr~pç i]µw'll equivale a 1)µEi:ç e comprende espressamente anche gli affanni interiori (~ x, col. 1053), anche se qui in primo piano abbiamo la tribolazione esterna (diverso è H caso in 2,13). Analogamente in r Cor. 7 ,28 crocp!; indica tutto l'uomo esposto alla l>À-~\fitç fisica e spirituale. 2 Cor. 7, 219 I probabilmente è una glossa , tuttavia il popolare binomio '!t\IEvµrx. xrx.t crocp!; non sembra del tutto impossibile in Paolo(~ x, col. 932 n. 335). In ogni caso non si distingue nell'uomo una parte migliore da una peggiore. Ambedue sono minacciate dalla contaminazione, entrambe possono essere purificate 220 • In 2 Cor. 4,II la l>VTJ"t"IÌ crocpç designa

    l'esistenza terrena di Paolo. Ci si chiede se si voglia dire che -dopo la morte la forza di risurrezione di Gesù si manifesterà - nella W'l'}"t'lÌ cr&:pç 221 • Peraltro, in questo caso si dovrebbe intendere che essa scomparirebbe nella nuova condizione e ne verrebbe assorbita 212 (~ col. 1339). Ma questa prospettiva emerge solo al v. 14. Il v. II, come mostra il v. IZ, significa che la vita di Gesù si m::inifesta proprio nell'attuale condizione mortale dell'Apostolo e precisamente in modo che proprio le sue tribolazioni procurano alle comunità questa vita di Gesù. Precisamente attraverso l'impotenza del messaggero l'annuncio acquista la sua forza. Non è la fuga :filosofica dalla corporeità (~ col. 1322), che anzi Paolo accetta perché sa che solo con essa il suo annuncio diventa credibile. Questa sua terminologia è possibile perché secondo l'Apostolo l'uomo non è in linea di principio un microcosmo chiuso in se stesso, ma è ciò che è per la sua relazione con Dio e con chi gli è dato da Dio, la comunità. È necessario quindi sottolineare più la creaturalità che la materialità corporea, che si limita a descrivere il modo di questa creaturalità 223 •

    DBBR. § i:z3,3 appendice, non si deve intendere «tra debolezza» (Vulg., Padri della chiesa), ma «per debolezza»: essa lo ha trattenuto presso i Galati. 217 S'intrecciano due costrutti: «non mi avete disprezzato» e «non siete caduti nella tentazione di disprezzarmi» (LlETZMANN, Gal.,

    go di o-a.·w.vri..c, non è paolino. L'ammonizione di I Cor. 5,10 è, per il contenuto, del tutto inattesa. Contenuto e forma corrispondono invece nl gruppo trattato in ~ x, coli. 932 s. Cfr. BuLTMANN, Theol. 202 n. r (§ 18,3). 220 Cfr. r Cor. 5,3; 7,34; Col_2,5 (solo qui abbiamo o-ap~), ~ x, coli. 1053 ss. 221 Secondo LmTZMANN, Kor.', ad l. Z22 Cfr. KiiMMEL, in LlETZMANN, Kor. 4, od l.: n\le:uµa non è comunque il 'nucleo' dell'uomo terreno. m K. STALDER, Das W erk des heiligen Gei-

    ad l.). ScHLATTER, Rom, ad l. ritiene che si tratti di dcbolev.a morale: «dico cose umane» = fa debolezza della carne non le mette in pratica. Ma &:11frpwm\lo\I À.Éyw va certamente inte· 21s

    so secondo 3,5. Il contesto 6,3/7,2 viene notevolmente turbato nei due punti di sutura. Bi;.À.tap in luo-

    219

    In

    2

    Cor. 10,3; Gal. 2,20; Phil. l,22.

    24 ( È\I) crapxl indica semplicemente

    la

    stes in der Heiligrmg 11ach der Lehre des Apostels Paulus, Diss. Bern, inedita (1959) n. 394·

    1333 (vn,125)

    uupl; E Il 1-2 (E. Schweizer)

    vita terrena nella sua globalità 224 , che non per questo viene disprezzata. Proprio in essa è offerta all'uomo la possibilità di vivere non secondo la carne, (-7 col. x344) morto alla legge, per Dio nella fede, di compiere il servizio per Cristo. Infine anche la O'ap!; consegnata alla corruzione (I Cor. 5 ,5) indica tutto l'essere teneno (-7 x, coll. 1055 ss.). Per questo motivo O'ap!; (Gen. 2,24) può essere assunta da Paolo insieme con crwµIX. (I Cor. 6,16) (-7 x, coli. 1009 ss.; rnr2 ss.). 2 . 11'ap!;

    in quanto sfera terrena

    Come mostra Rom. 1,3 s. (-7 x, coll. 1002 ss.), Paolo fa suo un uso linguistico che - come Is. 31,3 e il giudaismo (-7 col. 1291) - contrappone la sfera terrena della 116.pl; a quella celeste dei 7t\IEVµ1X.'toc o del 7WEuµa. L'ambito della O'ap!;, in questo contesto, non va considerato la sede del peccato e dell'ostilità a Dio, ma semplicemente la realtà limitata e 224 BULTMANN, Theol. 231 s. (§ 22,2) dall'inconsueto Èv deduce che qui riaffiora la concezione ("' KiisEMANN ro3-105: gnostica) della sfera, in par. con ÈV -n;vevµa-c~ ("'qui sopra); tuttavia l'espressione è già presente in ambito giudaico("' col. 1293; n. 178; col. 1383). 225 Ci si può anche chiedere se u&.pl; non includa la sfwnatl!ta della bassezza. In questo caso nell'A.T. David sorebbe stato inteso c
    (VII,I26) 1334

    provvisoria. Esso è determinato dalla successione naturale delle generazioni. Entro questa sfera Gesù è il Messia davidico; ma l'evento determinante avviene solo nella sfera dello spirito 225 • Quando la uapl; descrive la sfera terrena nell'aspetto dell'interdipendenza delle generazioni, abbiamo un uso linguistico ovvio, poiché nel giudaismo il termine indica la parentela(~ col. I286). Anche in Rom. XI ,14 il singolare intende la totalità dell'Israele terreno-nazionale. In una serie di passi che parlano di questa unità nazionale o-api; acquista un significato più vasto. In Rom. 9,3 già il concetto di cruyyE\IEt<; indica la parentela. L'aggiunta X~'tà
    185.

    Non è del tutto esatto che xa.'t'à. u&.pxa. ed Èv ua.pxl siano esclusivamente di Paolo (-7 LOHMEYER 31), -7 nn. 177,224; col. r325. lI1 Che Abramo anche per stirpe sia antenato dell'Apostolo è forse ribadito perché secondo alcuni rabbini nl proselito si negava il diritto di chinmarlo padre (MICHEL, Rom., ad l.) e perché in seguito tale distinzione fu tolta. Collegato al verbo, xa-clZ u&.pxa. non ha un senso plausibile, a meno 226

    I335 (vn,126)

    cr&:p!; E n

    2

    Certo ci si potrebbe chiedere a questo punto se crapç ed È7ta.yye'ì.la rappresentino ciascuno una forza generatrice 229• C'è tuttavia da tenere presente che nel passo parallelo di Gal. 4,23.29 (-7 coll. 1345 ss.) compare sl la formulazione otà i:Tjc; É.7ta.yye'ì.lac;, ma non il parallelo &&. 't'tjc;
    o

    che non si congetturi un

    dpy6.cr~a.~

    (R. R.

    WrLLIAMS, A Note on Romans 4.r: ExpT 63 [1951/52) 91 s.). 2.28 -rò xa.Tà u&:pxa è formulato per limitare la precisazione di è!; &v ... ed evitare l'equivoco di ritenere Gesù Messia solo XO'.Tb. crapxa;. Implica dunque fa possibilità di un'altra con· siderazione (~ RoBINSON 21). 229 Cosl C. H. Dono, Tbe Epistle o/ Pari/ to the Roman:r (1932) ad l., e similmente anche LmTZMANN, Rom., ad l. 230 Cosl MICHEL, Rom., ad l.; ma va notato che la sua parafrasi («coloro che pensano uni· camente secondo la loro discendenza terrena») è forse troppo dipendente da Gal. 4,23.29. In questo passo non si dice ancora nulla sul loro atteggiamento interiore. Paolo intende dire che essi sono figli di Dio non già perché discendenti fisicamente da Abramo, ma p erché sono sotto la promessa. 231 Qui manca -r6.

    (E. Schweizer)

    definisce solo in ragione di questa origine. Tuttavia il contesto non tratta questo problema, e non è un caso che non sia stato formulato il concetto opposto di 'Icrpa"Ì]À. :xai:cì 7t\1Euµa. 732 • Anche qui a-ap~ è dunque la sfera terreno-umana in sé neutrale, della quale Paolo dice che non vi si trova salvezza. Veramente negativo xa.'t'&. cr&:pxa diventa solo quando è determinato da un verbo (-7 coli. I 344 ss.). Allo stesso modo i crocpo~ xa:i:&. cr&.pxa di I Cor. l,26 sono i saggi nel mondo terreno secondo categorie umane. Ciò non esclude affatto che essi posseggano anche la sapienza di Dio, perché è senz'altro possibile essere saggi in tutte e due le sfere. Nella comunità però si trovano solo pochi che sono saggi secondo la carne 233 • Philm. 16 è l'unico passo in cui .crapç e xuptoc; sono legati da un xal 234 • Anche in questo caso cr&.pt; designa l'ambito

    o

    23l Il v. 18 è un inciso che intende solo chiarire il concetto di xowwvla.. Il v. r9 apporta una nuova considerazione in merito al problema aperto col v. 14. Quindi l'Israele del v. x8 viene ad essere quello stesso che al v. 1 è detto ol 'l':O'.TÉpEc; 1]µWv; cosl intende, ad es., HÉRING, op. cit. (~ n. 215) ad l., ed anche H. VON SoDEN, Sakrame11t und Ethik bei Pauliis, in Urchristentum tmd Geschichte I (1951) 246, che riferisce il v. x8 all'episodio del vitello d'oro, cosa che però è improbabile. II contrasto con !'«Israele di Dio» sarebbe un po' più forte se ci si riferisse all'Israele contempora· neo. m Il valore relativo delle virtù umane non è mai detto crap!;; in I Cor. 6,5 c'è solo ITO
    1337 (vn,127)

    O'apl; E n 2-3a (E. Schweizer)

    (vn,u8) 1338

    dei reciproci rapporti puramente uma- col. r 362) 237 • Ma l'antitesi determinante, ni, a prescindere dal fatto che lo schia- come nell'A.T., è quella fra Dio e uovo e il suo padrone in quanto credenti mo. Come X(X:roc 7tVEuµa può essere sorientrino anche nella sfera del Signo- stituito in 2 Cor. II,17 da xa"tà xupiov, re 235 • In questo caso non si tratta di così xa."t'èt cr6.pxa può essere sostituirapporti di parentela, ma di rapporti so- to in I Cor. 3,3 da XCl"t'OC avltpW7tO\I . Cociali ed è molto chiaro che le due sfe- sì anche in I Cor. 1,24-26 la sapienza di re non si escludono a vicenda. Tuttavia Dio si contrappone a quella della O"ctp~ l'ambito della crap!; non è quello deter- (cfr. 2 Cor. 1,12) e in 2 Cor. ro,4 la pominante. Esso abbraccia tutta l'esisten- tenza di Dio ai crapx~xà. o7tÀ.oc. In Rom. za umana, le funzioni corporali e quelle 9,8; Gal. 4,23.29 la promessa è la forza spirituali, senza però tener conto del do- che si contrappone alla crtip~ 238 ( ~ col. no di grazia della fede nel xupioc;. L'e- 1343 ). Come, per Paolo, l'eone futuro vento rivelatore è inteso come qualcosa penetra già nella comunità di questo che non va considerato a partire dal- eone, cosl qui l'ambito di Dio può el'uomo, ma penetra in esso dall'esterno. mergere all'interno della sfera umana. Questo uso linguistico corrisponde Questa prospettiva va intesa alla luce in larga misura a quello veterotestamen- dell'antitesi veterotestamentaria fra il tario(-> col. 1291), come prova il fatto creatore onnipotente e la creatura deboche la distinzione tra corporale e spiri- le. Tuttavia s'intravede già una distintuale non ha alcuna importanza. Man- zione di principio che trascende questo cano anche le distinzioni locali 'sopra' e contrasto (~ coll. 1341 ss.; x, coll. 'sotto' (~ n. 302). Vi si congiungono 1035.1040 s.). piuttosto dati temporali. In I Cor. 2,6; ~,18 s. questo eone o questo x6uµoc; può indicare ciò che in I Cor. l,26 è detto cr&.p!; 236 • Le potestà spirituali di a) Quanto abbiamo detto trova con· carattere demoniaco rientrano senz'altro ferma nell'uso paolino di queste formuneJla sfera della crocp!; (-> nn. 174.302; le stereotipe. crà.p!; xa.ì. alµa (~ col. Ge/br., ad l. con LIETZMANN, Rom., excursus a Rom. 8,n: «in quanto uomo e cristiano».

    2lS DrnELIUs,

    236 Cfr. anche ~ x, coll. 1017 ss. Ulteriori paralleli tra O'apl; e x6aµoç in BULTMANN, Theol. 231 (§ 22,2).

    Peraltro non vengono mai designate col termine O'apl; (diversamente ~--col. 1377). Non s'è quindi ancora perso il concetto di corpo237

    reità (~ n . 215). Supposto che i}E6ç in Rom. 9,5 si riferisca a Cristo (cfr. O. CuLLMANN, Die Christologie des N.T. [1957] 321; CREMER-KOGEL) anche in questo caso la divinità del Cristo glorioso sarebbe contrapposta alla CT6:p~ della realtà terrena. È vero che per Paolo ciò non sarebbe impossibile; ma poiché egli non conferisce mai questo titolo a Cristo, è più probabile che la dossologia si riferisca a Dio. 2..18

    1339 (vn,128)

    cr6.p~

    E n 3a-b (E. Schweizer)

    1292) in Gal. l,16 e Mt. 16,17 (~col. 1328) designa l'uomo in quanto tale, che può trasmettere opinioni teologiche, esperienze religiose o tradizioni ecclesiastiche. Anche in questo caso il contrapposto è Dio stesso quale rivelatore. Manca completamente l'aspetto di realtà soggetta a peccare. Molto più difficile invece è valutare r Cor. 15,50.

    o-&.pç 'X.CX.t a.tµa. vanno distinti da cpi)opct? La risposta sarebbe affermativa se il v. 50 andasse riferito ai vv. 51-55 239 •

    (vu,128) 1340

    Si tratta comunque solo di una distinzione categoriale. A differenza di quanto avviene nel pensiero greco, non si separa una parte imperitura dell'uomo da una caduca; anzi, Paolo intende affermare che la nuova condizione è completamente diversa, è un inesprimibile dono di Dio, una realtà miracolosa (~ x, coli. ro14 ss.). Paolo non nega che si tratterà di un~ o-wµa, ma non parla cli r;à.pç xa.t a.lµa quasicché di essere umanamente comprensibile e immaginabile, di un prolungamento logico della condizione attuale 243 •

    o-à.ps xa.t atµa dunque descrive anIn questo caso i vv. 36-49 risponderebbero alla domanda: «Con quale cor- che in I Cor. 15,50 l'uomo intero nella po?» (v.35b), i vv. 50-55 alla doman244 da: «Come?» (v. 35a). o-àpç :>eaL al:µa totalità delle sue funzioni • Si tenga sarebbero al1ora gli uomini viventi al presente però che ~acr~À.Elav ì}Eou Y.À.'l")momento della parusia, mentre con cpì}o- povoµE~'\I è una formula 245 che ritorna pcl. si intenderebbero i morti 2-w. Tutta- solo in I Cor. 6,9 s.; Gal. 5,21 in contevia la distinzione dei vv. 51 s. non si può più mantenere nei vv. 53 s. 241 • Il µuo--ti}- sto etico-tradizionale e, nel secondo dei p~cw del v. 51 (~VII, col. 702) notifica due passi, in un enunciato riguardante le un nuovo mistero finora non menziona- opere della craps. Si può dunque presuto. Ma allora o-ckpç xat a.tµa sta in pamere che per Paolo la o-apç di I Cor. 15, rallelo con cpìTopcX. e in quanto conclude i vv. 36-49 (~col. 133o)vainterpretato 50 implichi non solo l'idea della caducialla luce di essi. Nel passo in questio- tà ma anche la precarietà dell'uomo di ne Paolo deve polemizzare con avversa- fronte alla tentazione (~ coll. l30I s. ri che ragionano esclusivamente in categorie sostanziali, perciò conferisce a 1321 s.1351 ). Tuttavia il contesto non cràpç xat a.tµa ( ~ col. l 3 72) il valore lo dice e non si può quindi dimostrare. di sostanza 242 • o-apç è la qualità che distingue il terreno dal celeste (vv. 48 s.). b) Una nuova sfumatura compare nel&.oEMj>ol si trova facilmente all'inizio di un brano, ma con altrettanta facilità si trova anche nel riepilogo finale, per es. I Cor. 7,24; II, 33; 14,39. 2.io Cosl J. }ER!lMIAS, Flesh and Blood ca1111ot inherit the Kingdom o/ God: NTSt 2 (1955/J6) 151-159. 239

    m Comunque (jl0ctp't6ç in Rom. 1,23 non è riferito all'uomo morto, ma al vivo; è quindi usato come equivalente di bvi)-.6ç.

    242

    BuLTMANN,

    Theol. 189 (§ r7,r). Cfr. ~

    n.

    215.

    241 La distinzione proposta da ~ ScHAUF 5658, secondo cui il corpo di risurrezione è sl sostanza carnale in continuità col corpo terreno, ma non possiede più qualità carnali, è valida solo per la parte negativa. 244 Lo si coglie anche dalla forma al singolare, forse originaria, dcl verbo; cfr. JEREMIAS, op. cit. (-7 n. 240) r5I. 24S Di solito Paolo dice ii ~a.Eoii.

    1341 (vu,128)

    o-api; E II 3b-4

    (E. Sc:hweizer)

    (vn,129) 1342

    l'uso di -r-fio'a, crcip~. L'espressione ri- le si effettua la vera determinante circorre in Rom. 3,20 e Gal. 2,16, in una concisione, in sintonia col modo d'ecitazione di ~ 142,2 in sostituzione di sprimersi dell'A.T. e del giudaismo 248 • 7t&<; swv 246, oltre che in I Cor. r,29 247 • Ma questo contrasto, in cui Eou o ctu'tov è espresso in esprime la particolare istanza dell' ApoRom. 3,20 e I Cor. 1,29, mentre è sot- stolo 249 • Nel contrapporre la
    ~

    n.347.

    249

    Anche Hebr. 9,9 s.; rn,22; I Petr. 3,21 partono dalla consueta antitesi fra purificazione esteriore e purificazione del cuore o della coscienza. Anche in Hehr. 9,10 è sviluppata que· sta contrapposizione, ma in modo tipicamente diverso e~ c:oll. 1373 s.). 250 H. SAHLIN, Ei11igc T exteme11datio11e11 zum Rom: ThZ 9 (1953) 95 s. cancella il secondo È\/ -;~ q>l'X.VEP4'.J. 251 LIETZMANN,

    Gal., ad l. pensa a un doppio senso: «di una vittoria esteriore sopra di voi» e
    1343 (vu,129)

    c:rapt; E II 4-5 (E. Schweizer)

    quanto oggetto di vanto. Anche al v. 12 Paolo intende probabilmente la stessa cosa 252 , ma l'espressione potrebbe anche significare solo: davanti a uomini 253 , oppure: nell'ambito della
    Secondo SCHLillR, Gal., ad 1., che però ritiene possibile anche un doppio senso. 253 Cfr. PREUSCHEN-BAUER', s.v. EIÌnpocrwnELV, 254 Cfr. LIETZMANN, Gal., ad l. 255 crap~ è in definitiva tutto all'infuori di Cristo, dr. J. CALVIN, Corp. Ref. 80 (1895) ad/. Per il parallelo con 2 Cor. u,18.21 cfr. W. ScHMITHALS, Die Irrlehrer des Phil.: ZThK 54 (1957) 316 n. 4. 256 Naturalmente sì deve leggere i>Eov, non i>Eéii, cfr. LoHMEYER, Phil., ad l. 257 Questa contrapposizione fra lv e xc.n&. non si trova altrove in Paolo, cfr. W. ScHMIT· HALS, Die Gnosis in Korinth (1956) 80. Ma

    (vn,130) 1344

    sino la nuova fiducia è opera di Dio 256 (~ x, coli. 1035 ss.). 5. xa•à
    Quanto abbiamo detto acquista particolare intensità in 2 Cor. ro,2: f.v at xa.-cà o-6:pxa (~ v, col. 301 n. 39) 258, un menar vanto in cui l'uomo tiene conto solo di ciò che può essere mostrato e che ha valore davanti a uomini. A questo atteggiamento si contrappone un discorso XG.'t~ XVpLOV (V. 17) che tiene in considerazione ciò che piace a Dio ed ha valore davanti a lui. Anche il ~ouÀ.EVEquesto particolare non va spiegato nel senso di un netto rifiuto di fantasticherie gnostiche, che vorrebbero cancellare l'tv cra.pxl (ibid.); infatti la stessa contrapposizione ritorna, quanto a contenuto, in Gal. 2,19 s., e lv O'a.pxl descrive spesso in senso neutro la vita terrena; con un verbo, invece, xa.-rà crapxa. illustra sempre un errato indirizzo della vita. In questo caso, come indicano i versetti successivi, si intende soprattutto una fiducia in armi che sono troppo deboli e vengono meno (dr. -+ RoBINSON 20). 258 Come sempre in Paolo (17 volte + una volta in Col. e una in Eph.) xa.-r~ cr&.px('.( va letto senza articolo (contro i codd.B~).

    1345 (vn,130)

    cr6:p!; E II 5 (E. Schweizer)

    crì}a.~

    (vu,131) 1346

    xa."tÙ. o-ci.pxa. di 2 Cor. 1,17 è il calcolo che tiene conto solo dei dati umano-terreni, non della volontà del Signore. Ciò vale anche per il tanto discusso passo di 2 Cor. 5,16. Qui xa.-tà o-
    1036 s.) si riferisce a un generare che ha avuto luogo solo in vista di possibilità umane, e non in vista della promessa. E poiché in questi termini per Paolo si raffigurano due StaMjxa~ (-? 11, coll. 1082 s.), ciò rimanda a un nuovo aspetto della teologia paolina: la decisione di orientare la propria vita secondo la o-cip~ o secondo il Signore, la sua promessa e il suo spirito, evidentemente non è una scelta isolata, provvisoria, soggetta ad arbitrio, ma è un atto fondamentale che determina tutta una vita. Ciò è provato anche da Rom. 8,4.12 s., dove la novità di vita è descritta come rinuncia al 7tE'.p~7tct."t'E'.tV O SfiV Xtx"t'ct a<Xpxa.. E se al v. 5 si dice invece: 'tÒ'.. "t'fjç uapxòç cppove:i:v, ciò significa che s'intende appunto questo orientamento spirituale cosciente della vita alla sfera

    Il problema non è di capitale importanza,

    no. Al v. 13 Paolo dichiara di conoscere un Èl;lcr-tau!ta~ ma solo davanti a Dio: il suo uwippovEL\I è per loro vantaggio (I Cor. 14, 1 ss.); l'amore di Cristo lo trattiene da un entusiasmo del quale gli avversari credono di potersi vantare: R. BuLTMANN, Exegetische Probleme des .2 Kor.: Syrobolae Biblicae Up. salienses 9 (1947) 12-20.

    259

    (dr. BuLTMANN, Theol. 234 S 22,3); ma questo

    sarebbe l'unico passo in cui Y.t1.'tà. uapxa. conferirebbe un valore esplicitamente negativo a un sostantivo. Anche la prospettiva globale sembra deporre contro tale connessione, e pare che Paolo eviti l'espressione XpL
    legassero xa-tèt
    lo intendevano in senso puramente sostanziale (ScHMITHALS , op. cit. [-+ n. 257] 69); ma ciò è dubbio, poiché nel resto di I Cor. uapl;

    non riveste molta importanza. UJJ Év crapxl in Rom. 2,28 s., in entrambi i casi in antitesi a xa.p!ìla. Cosl anche in 2 Cor. II,18 il XOC'tà.
    W. ScHMITHALS, Zwei gnostische Glossen im .2 Kor.: EvTheol 18 (1958) 552-564 non lo ritiene credibile, perché non è detto esplicita· mente (554). Pertanto, come in .2 Cor. 3,17, pensa che si tratti di una glossa tardiva. Spesso però le espressioni di Paolo sono dettate dal· l'impulso.

    262

    Con ciò non si dice che Paolo abbia conosciuto il Gesù terreno. Lo ha anche considerato puramente come figura storica, cioè quale fallito pretendente Messia, se ne ha sentito parlare solo dopo la sua morte. Ciò tuttavia è escluso dall'attualit~ della salvezza nella comunità, cfr. J. DUPoNT, G11osis (1949) 180186. 263

    1347 (vn,131)


    puramente terrena 264 • Ma anche in questo caso è chiaro che ciò non si riduce a una singola scelta affidata all'arbitrio dell'uomo, ma è la conseguenza dell'indirizzo fondamentale di tutta la vita: il pensiero è conforme a un EL'Vcu. xa~à. crét.pxa (-7 coli. r354ss.).

    6. o-cX.pç in quanto soggetto del peccato

    In Phil. 3,J; Rom. 8,r3 s.; Gal. 4,23; 5,18 si può fare un'interessante osservazione sul testo: il 'ltVEvµoc o l'btocyyi::).,loc di Dio compaiono in dativo o col OLét. strumentale, ciò che Paolo non fa col contrapposto crcX.pt;. La o-cX.pç quindi non è una forza che agisce alla stessa stregua del 'ltVEvµa, non appare mai come soggetto di un agire senza trovarsi all'ombra di un enunciato riguardante l'agire del nvevµa. 265 ; mentre viceversa 1tVEuµa. compare spesso come soggetto agente con o senza la presenza di cr&pç nel contesto. Quindi l'orientamento tipicamente paolino è quello esposto alle -7 coll. 1341 ss. ed è determinato dalla mentalità veterotestamentaria, !hl In luogo di '"CCÌ -tljç crcxpx6ç Paolo può di· re -tà l1tlyna. (Phil. 3,19). u.s Le formule di I Cor. l,29; l ,5,,50, oltre che 2 Cor. 7,5, naturalmente non sono un'eccezione. La mancanza di cr&.pl; sorprende particolarmente in Rom. 5,12-21 (MICHEL, Rom. 121), ma vi manca anche 1tVEuµo:.. Lo stesso vale in genere p.:r i primi capitoli di Rom. Cfr. ~ Kuss 514.539 s. 266 Paolo non dipende direttamente nemmeno da Qumran (~col. 1298). L'uso linguistico che ivi si riscontra chiarisce soltanto lo sviluppo ricordato alle ~ coli. 1348 ss. Cfr. ~

    (vn,132) 1348

    come si può osservare anche in altri casi (-7 n, coll. 1301 ss.; v, coli. 298 ss.). Pertanto si fraintende Paolo se si prendono le mosse dal dualismo cosmologico, che egli senza dubbio conosceva 2IL>. Questa è la categoria del pensiero tardo-giudaico (-7 col. I 2 9 I) ed ellenistico (-7 col. 1268). Paolo ricorre alle concezioni del suo tempo per esprimersi, ma non intende questo schema in un senso mitico in cui le sfere rappresentano ciascuna una potestà che signoreggia sul1'uomo. Il nesso tipicamente paolino di carne e peccato è quello che già s'era individuato nell'A.T. (-7 col. 1287): peccato è l'atto umano di edificare sulla carne, che Gal. 6,8 designa come un seminare nella carne. Se la cr&pç è fonte di cpitop&, ciò significa che essa è anzitutto espressione di tutto ciò in cui l'uomo pone la sua fiducia. Ma, in parallelismo antitetico con 7tVEvµoc, O"ap!; si avvicina all'idea di una potenza che esercita un influsso sull'uomo e determina la sua sorte anche dopo la vita terrena. A questo proposito si può individuare una seconda linea concettuale che olDAvrns 171 e H.

    BRAUN, Rom. 7,7-25 1111d das Selbstverstiindnis des Qumra11-F10111111en:

    ZThK 56 (1959) l-18 . Ciò vale anche contro ~ ScHAUF 194-198, che considera Gen. 6,3 (~col. 1306 e Pseud.-Philo, antiq11itates biblicae [ ~ n . 189] 3,2) e soprattutto Sap. pre-

    cursori di un dualismo fisico-escatologico che Paolo avrebbe trasformato in etico. Tuttavia egli nota anche che Paolo formula il con· cetto di cr&.p~ in parallelo agli enunciati sul 1tVEvµc<. (199). Secondo ~ KXsEMANN 105 carne è qualcosa come un eone gnostico in cui l'uomo vive.

    1349 (vu,132)

    aapl; E n 6 (E. Schweizer)

    (vn,133} 1350

    trepassa l'A.T. Paolo l'accetta solo con cautela e solo quale formulazione antitetica rispetto agli enunciati riguardanti il 7tVEvµoc. Come colà il significato di forza trapassa a quello cli norma (~ x, col!. 1034 s.), cosl qui quello cli norma trapassa a quello di forza. La norma della cr&pç secondo la quale l'uomo orienta la propria vita diventa una forza che lo determina. È evidente che in questa situazione Paolo mira a descrivere la perversione dell'uomo nella cr<Xpç, da cui solo la potenza dello spirito di Dio lo può liberare. Carne e spirito non sono due potenze fra le quali l'uomo possa fare e rifare liberamente la sua scelta (~ x, col. 1058). Gal. 5,I9 parla degli itpra -.-ijç cra.px6ç e li descrive tosto con un tradizionale catalogo di vizi, in cui al primo posto stanno peccati sessuali, seguiti da mangiare e bere, odio e discordia. Al v. 16 Paolo menziona anche la Èmi)vµla crapx6ç '167 • In un analogo contesto Rom. 13,14 si avvicina a questa formulazione 268• L'uso linguistico è certamente influenzato anche dalle formulazioni ellenistiche elencate alla ~ n. 52, che sono entrate nella pole-

    mica giudaica contro l'ellenismo. Ma Paolo può parlare anche - in modo completamente difforme dall'uso greco delle Èm1'uµlaL 'tW\I :xapÙLW\I (Rom. l, 24 ~ col. 1362). Soprattutto però in questi termini non si è disvelato che un aspetto in cui si può manifestare questa perversione dell'uomo. In Gal. 3,3 aap;d È1tL'tEÀ.Ei:crì}aL 2ff) indica l'esperienza del legalismo e 4,8-10 attribuisce alla 'pia' osservanza delle feste lo stesso valore del precedente paganesimo. Solo nella Lettera ai Romani si è appalesata la colpa di chi si considera giusto secondo la legge. Quindi l'essere succubi della cr6.p~ caratterizza sia il legalismo del fariseo sia l'immoralità del pagano m. Ma in questo caso il significato decisivo del termine non può essere quello postepicureo (~ l28o ss.). cr&pç è per Paolo tutto ciò che è umano-terreno, compresa anche la giustizia per la legge (~ 1342.1343). Ma poiché alletta l'uomo a confidare di potersi cosl assicurare ed acquistar gloria, ciò per Paolo talvolta assume il carattere di una potenza che si contrappone all'azione dello spirito. La formulazione più

    Cfr. ~ SCHAUF 158-163; ~ KXSEMANN 8-16. Il passaggio da aapl; a uwµa in Rom. 8,13 indica che Paolo può anche pensare a

    LOHMEYER 34.

    267

    vincoli e istinti corporali (MICHllL, Rom., ad l.). ui.i'llXç, richiederebbe forse
    269 Dativo cli modo; cfr. B1..-D!ll1R. § r98,5. ScHLIER, Gal., ad l. lo intende piuttosto in

    senso strumentale. Quando MICHEL, Rom., a 2,:z8 n. 4 vede nell'antitesi 'lt\IEuµa/
    2;0

    1351 (vu,133)

    a-&.p!; E u 6 (E. Schweizer)

    {vn,r33) 1352

    netta si ha in Gal. 5,r3.r7, dove la crcip!; una potenza mitologica; Paolo infatè presentata come una potenza autono- ti con altrettanta proprietà può consima superiore all'uomo 271 • Tuttavia Pao- derare l'uomo stesso soggetto del
    o-

    Zil Ma già qui è presumibile che Paolo clichia· ri espressamente che chi vive secondo lo spirito è ancora esposto alla tentazione della
    il fraintendimento docetico. Cfr. ~ Kuss 491496.498, che però sottolinea che la carne cli Cristo e quindi la carne in genere fu annientata.

    MrcHEL, Rom. a 7,14 pensa a un modello ellenistico-giudaico. Cfr. ibid. a 7,22 n. 2; LmTZMANN, Rom., a 7,13 s. excursus; KUHN, op. cit. (~ n. u8) :zu; contro ~ WENDT 1n-II4, cfr. ~ ScHAUF 103-105. Tuttavia va seriamente considerata la probabilità che 7,25b sia una glossa tardiva: dr. R. BuLTMANN, Glorsen im Romerbrief: ThLZ 72 (1947) 198 s.; cosl pensa anche E. FucHs, Die Freiheit der Gla11bens (1949) ad l. FT6

    1353 (vu,133)


    lVIl,13411354

    tamente diverso. Sullo sfondo di Rom. mente nel suo opposto, in un agire se7 vi è l'esperienza del peccato dell'uo- condo la carne, per cui non è più possimo non ancora cristiano. Ciò comporta bile distinguere momenti di volontà pula frattura tra quel che nella realtà del- ra da altri, di azione sbagliata 279 • Ilvola sua vita egli è, e quel che dovrebbe o lere del \louç, è semplicemente quel rovorrebbe essere. In netta contrapposi- vescio dell'agire della a-cX.pt retrospettizione al pensiero greco il \lo\ic; (-7 VII, vamente accertabile, alla cui luce tale coll. 1056 ss.) non è una forza che possa agire risulta responsabile e colpevole. governare o frenare temporaneamente o completamente la crap!;, anzi, è un im7. La vittoria sulla a-O:p!; potente osservatore m. La situazione è così vera, che solo il credente riconosce Secondo Rom. 7,5; 8,8 s.; Gal. j,24 il retrospettivamente questn dicotomia. credente non vive più nella
    SCHAUF xo;p89-192 rimanda a Rom. 2,10-16, dove però manca il concetto di \love;

    né si trova alcun accenno a un dualismo an· tropologico. Vi compaiono solo xa.pola. (- v, coll. 212 s.) e .- O"l)'llE(o1)01.c;. Paolo si prefigge solo di svergognare il giudeo. Il fatto che il pagano compia anche -tò. -tou x6aµov non vuol dire che egli osservi la legge in modo da essere giusto davanti a Dio; anch'egli infat· ti vive in lotta con la sua coscienza (vv. 15 s.) come l'uomo di Rom. 7. Con.....,> ScHAUF 105 c'è da dire contro B. Wmss, Lehrb11cb der bibl. Tbeol.1 (1903) 248-253 che
    no~v, anche al suo notE~V buono (Gal. 3,u) e consideri se stesso come scopo ultimo della sua vita. Di nobilitazione e perfezionamento del vouc; in sé buono (-7 SCHAUF II8) SÌCu· raroente Paolo non s'interessa (-)o x, col. 1041 n. 648; coll. 1057 s.). Per 1a determinazione di u&.p!; dr. anche~ Kuss 454. Z78 Secondo BULTMANN, Theol. 260-264 (§ 27, 2); G. BoRNKAMM, Siinde, Gesetz und Tod, in Das Ende des Gesetxd (1958) 51-69. In ciò Paolo si distingue dalla asserzione giudaica riguardante l'impulso malvagio, alla quale rimanda C. K. BARRETT, A Commentary on the Epistle to the Romans (1957) ad l., e da Qumran; cfr. BRAUN, op. cit. n. 266) 15-18. 279 Esattamente cosi il yvov·m; -tÒ'll ik6v di Rom. x,zx si tramuta immediatamente nella perversione dell'idolatria.

    e-

    r355 (vn,r34)


    to Paolo dice anche di essere lui stesso crocifisso con Cristo. La O'ap~ di Gal. 5, 24 non è dunque qualcosa che l'uomo può deporre o sconfiggere, ma è lui stesso. Quando è intesa in pieno senso teologico, come in Gal. 5,24, la crap~ indica l'essere dell'uomo determinato non dalla sua materialità fisica ma dalla sua relazione con Dio(--? colL 1326 s.), come spiega in Gal. 2,20 mediante il concetto contrapposto: il vivere di Cristo è vivere nella fede in Cristo. Gli enunciati di Rom. 7,5; 8,8 s.; Gal. 5,24 sicuramente non significano che l'uomo continua a praticare le opere della carne elencate in Gal. 5,19-21 benché sappia che da Dio non gli sono più imputate. Paolo dichiara incontrovertibilmente che il credente non compie più queste opere; eppure al tempo stesso egli può dire che nella comunità vi sono ancora odio, liti e simili e non si stanca di esortare a respingere queste opere della carne. Tali imperativi sono sempre fondati sull'indicativo dell'annuncio di salvezza. Paolo dimostra che questo comportamento è incoerente e invita a rinnovare la propria fede. Da quanto è stato detto alle-) coll. 1347.1348 ss. risulta che, secondo Paolo, l'orientamento alla O'ap~ o al "RVeuµ« e quindi il vivere 280 I

    Cor. 3,13 s.; Gal. 6,4; I Thess. 1,3. In Gal. 5 , 22 xa(nt6ç (sing.) sostituisce come termine più approprinto il plurale ~pya, e cpaVEpa viene a cadere. In 2 Cor. 5,10 àya»6v e cpavÀov riassumono i singoli atti cosl come compaiono davanti al giudizio di Dio. Inoltre cfr. ~ III, coll. 850 ss. All'infuori della citazione in Rom. 2,6 (ma vedi il v. ?[) il plurale in-

    per Ja forza della O"apç O del 1tVEVµa rappresenta un atteggiamento globale che determina tutto l'insieme. Chi è retto dallo spirito non deve più cercare sicurezza per la sua vita nella o-apç né nella ricchezza di danaro o di buone opere. Ciò tuttavia significa che non è più possibile frantumare la vita in mille singole azioni come fanno i moralisti legalistici e i penitenti scrupolosi. La vita è determinata globalmente dalla crap~ O dal 7tVE.iJµa, non consiste più di molteplici t'.py«, è diventata un unico Epyov 280. Nelia considerazione frantumatrice di una boria tipicamente farisaica o di un complesso d'inferiorità religioso la O'cipç continua a rimanere al centro dell'esistenza. Invece l'uomo che è arrivato a credere nel Figlio di Dio non è più nella o-&:p!;, perché crede e ha quindi cessato di costruire la sua vita su di essa, cioè di peccare. Tuttavia Paolo è ben lontano dal diventare un perfezionista, perché è cosciente che l'uomo ogni giorno deve accettare e vivere in modo nuovo il dono della fede. 8. Riepilogo a) L'uomo non è determinato essen-

    zialmente dalla sua natura né dalle sue dica solo le opere malvagie; diversamente Epb. 2,10 e le Pastorali . ~ Kuss a Rom. 8,5: vi sono dunque due categorie di persone; quelle che appartengono per sé alla sfera della carne e quelle che appartengono semplicemente alla sfera del pneuma; cfr. però ibid. a Rom. 8,12 e 17.

    r357 (vn,135)

    cr!Xpl; E

    II 8

    -m

    qualità fisiche 281 né dal mondo materiale che lo circonda. In ultima istanza è qualificato dalla sua relazione con Dio e quindi anche col prossimo. b) La salvezza non sta in una fuga dalla corporeità, ad es. dalla sessualità, alla realtà spirituale, per es. allo studio della legge o all'ascesi 28i. Funzioni corporali e spirituali sono viste in perfetta unità quali espressioni comuni di vita umana: le une e le altre possono separare l'uomo da Dio, ma possono anche essere assunte al servizio di Dio. c) 'Carne' pertanto non è una sfera da delimitare rispetto ad altre cose terrene né è per sé cattiva o particolarmente pericolosa. Diventa malvagia solo se l'uomo su di essa costruisce la sua vita. Sessualità da un lato, religiosità farisaica dall'altro sono esempi particolarmente crassi di un siffatto falso orientamento di una vita umana; ma anche ogni altra realtà umano-terrena può essere 'carne'. d) Quando si definisce carne, l'uomo dichiara di essere in potere di ciò che lo vuole allontanare da Dio 283 • Questa si-

    l

    (E. Schweizer)

    tuazione può essere sentita cosl fortemente, che la carne appare come una potenza che domina l'uomo, eppure non è che la sua propria condotta peccaminosa. e) Pertanto la redenzione non è un avvenimento fisico o meta.fisico che escluda la corporeità 284 • Lo a:x:&.voocÀ.ov del crocifisso che non ha raggiunto la giustizia secondo la legge né la ricchezza, diventa salvezza per colui che si lascia da lui accogliere in una vita che vive del dono di Dio e si è quindi liberata dalle pastoie di quegli scopi.

    III. Col., Eph., lettere pastorali l.

    La Lettera ai Colossesi

    aapç

    ha il significato indifferente di corporeità fisicamente visibile ( 2 ,r; ~ 1333 ss.; 2,5; ~ x, coll. 1053 s.). Il :x:a't'~ a&:pxoc collegato al sostantivo in 3,22 indica la sfera di rapporti umani 285 ( ~ 1334). Nel difficile versetto r,24 (~ ix, coll. 1071ss.)1.86 si intende la corpo· reità dell'Apostolo esposto alla tribolazione 287 • Come in 2 Cor. 4,II anche qui 23; Iac. 4,r e~ coli. 1320.1393; n. 4or.

    281 Quelle per es. menzionate da --) ScHAUF 16-21 e ibid. 186 s.; contro ~ DrcKSON 3xr-

    iBS

    315.

    pLoc; è il Signore celeste.

    Ciò non significa che studio della legge e ascesi non possano diventare necessari; ma in questo caso è per un servizio a Cristo, non per se stessi (Rom. 3,21; 1 Cor. 9,27). Similmente --) SCHAUF 95-98. 283 Non è solo il veterotestamentario abbandono alla tribolazione e alla morte. m Che nel redento non la
    (vu,136) 1358

    Qui è aggiunto perché normalmente XV·

    Bibliografia in ScHWEIZER, op. cit. (~ n. J. KR.EMER, Was a11 de11 Leide11 Cbristi 11och ma11gelt (1956); G. LE GREL· L"E, La plénìtude de la parole dans la pauvrcté de la chair d'après Col. 1,24: Nouvelle Revue Théologique 8r (1959) 232-250 parafrasa cosl: «lo compenso pienamente la scarsità della tribolazione di Cristo (sofferta) nella mia carne». w Strettamente giustapposto uwµa. indica ivi la chiesa quale corpo di Cristo e~ ScHAUF ro1) ~ col. 136r. 286

    225) 140 n. 635;

    1359 (vn,136)


    Em

    l

    (E. Schweizer)

    (vu,137) 136o

    probabilmente si dice che Paolo, proprio a motivo delle sofferenze alle quali è corporalmente esposto, è un testimone attendibile del vangelo e cosl porta a compimento l'evento salvifico (sicuramente, secondo 2 Cor. 5,19 s., in ciò rientra anche l'annuncio). L'espressione quasi incomprensibile di Col. 2,23 probahilm~nte intende l'uomo che valuta secondo i propri criteri di misura e non secondo quelli di Dio 288 • In 2,13 (--+ 1341 ss.) l'interlocutore non è il giudeo, ma il pagano. Il suo peccato non si rivela nella fiducia nella circoncisione, ma nella sfrenatezza (3,5 ). Cosl la &.xpofjucrr:la 'tfjc; crapx6c;, che dapprima indica semplicemente il pagano che si distingue corporalmente dal giudeo, passa a

    indicare colui che non ha ancora ricevuto la circoncisione di cui parla 2,u Ciap!; pertanto descrive l'essere dell'uomo estraneo a Dio, ma nell'affinamento di significato che l'uso linguistico ellenistico ha reso consueto 289 • Nuova rispetto a Paolo è l'espressione
    Le diverse possibilità sono elencate da D1Ge/br.'; C. F. MouLR, The Epistles o/ Par1l the Apostle to the Colossians and to Philemon (1957), ad l. e ~ x, coli. 217 ss. La

    Per l'argomento cfr. ~ coli. 1354 ss. L'immagine del deporre il O'Wµa -t'ijç O'O.pX6ç, COil· nessa alla circoncisione, è ancor più plastica. Giusto è dire che ciò significa anche la liberazione dalle forze demoniache celate dietro la legge (P.ERCY, op.cit [~ n.289] 80); ma il fatto che non può estendersi anche a quanto segue; contro la seconda vi è la dif-

    288

    BBLIUS,

    soluzione più semplice sarebbe quella risultante dalla congettura - ivi non ricordata di P. L. HEDLEY, Ad Colossenses 2,20-3,4: ZNW 27 (1928) 2n-216: Xpfjul)& OV\I o.ù'tOLç i:H.)..'oùic... Altrimenti, tenuto conto di 2,18, è meglio intendere aap~ nel modo sopra indicato piuttosto che come awµa. O si spiega nel senso di: «non vale nulla, serve solo a soddisfare la carne», oppure si considerano i vv. 22b e 23• come parentesi e si uniscono 22• e 23b: «per la distruzione nell'uso ..., non a soddisfazione della carne per il fatto che viene loro reso onore (mediante l'ascesi)». 289 Per Paolo ciò non è impossibile (~ coll. 1349 s.). 2,16 indica che s'è anche visto il pericolo del legalismo, cfr. E. PERcY, Die Probleme der Kolosser- und Epheserbrie/e (1946) 79 n. 27. 290 Genitivo di appartenenza; per il contenuto cfr. ~ col. 1353· 291 Difficilmente distinguibile dal battesimo quale suo preliminnre.

    292

    aétp~

    E llI 1-2 (E. Schweizer)

    pare nel resto della Lettera.

    2.

    La Lettera agli Efesini

    L'uso di cr6:.pl; è ancor più semplice rispetto a Paolo. In 5,31 (~ VII, coli. 703 s.) incontriamo la stessa citazione di I Cor. 6,16. Di qui deriva la designazione della moglie quale cr&;p~ ( = ~ crwµoc, v. 28) fo.V't'OU (dell'uomo) nel v. 29. Certamente non paolina è l'applicazione di questo concetto alla chiesa quale corpo di Cristo, come essa è presupCol. 3,22 posta nel v. 32 293 • Per 6,5 ~ col. 13 5 8. In 2, 14 s'intende il corpo del Gesù terreno appeso alla croce (-,> 1352.1360). In 2,II (~ X, coli. 73 S.) ritorna la consueta espressione 'circoncisione nella carne' e~ col. 1290), ma si tratta di una ripresa puramente linguistica, poiché 'ltEPt"t"oµ1}, in rispondenza a €ìhln, designa Israele. É\I crocpxl qualifica dunque come transitoria la distinzione fra Giudei e pagani (dr. ~

    =

    ficoltà dell'immagine della circoncrs1one di Gesù, soprattutto se si tengono presenti i pa· ralleli col battesimo del credente (non di Ge· sù) e col v. 13•. Nel v. 15 l'interpretazione che Cristo abbia deposto il suo corpo di carne (_,). RoBINSON 4:c s., dr. C. A. A. ScoTT, St. Paul [1936] 7_5.JI3.262) non regge, perché questo argomento non è nominato (J. B. LIGHTFOOT, St. Paul's Epistles to tbe Colossia11s and lo Philemon [1876) e MoULE, op. cit. [....,)- n. 288), ad/.). W. ScHMITHALS, Die Hiiretiker in Galatien: ZNW 47 (1956) 46 s. ipotizza uno sfondo gnostico. 293 H . SCHLl!lR, Religionsgeschicbtlichc Unters11cb11ngen zu den lgnatiusbrie/en (1929) 9193; cfr. anche E. BnsT, One Body in Christ (1955) 182. La variante della koiné in 5,30

    n. 248 ). Essa vale nel mondo terreno-umano di cui fa parte anche la religione, ma non dice nulla circa l'appartenenza alla comunità di Gesù; perciò non si parla nemmeno di incirconcisi e~ n. 87). È la stessa riserva espressa dall'aggiunta ÀEy6µEvoc; 294• Se in 2,2 si considerano i concetti paralleli a 2 ,3 (~ 1348 s.; IV, coli. 308 s.), si nota come crcip!; possa assumere carattere sem~ pre più spiccatamente personale-demonico: ciò che peripagani erano l'eone di questo mondo e il principe della potestà dell'aria, per i Giudei era la crcip~ 295 • Singolare è la ripartizione dell'uomo in crcipl; e 8tcivota.i. (~coli. 1276 s.1280). L'eredità veterotestamentaria tuttavia risulta chiara, in quanto le &&;voi.oci. (Num. 15'39 LXX~ vn, col. 1081) sono distorte come la crap~ (cfr. anche-,> n. 297). Tipico è 6,12 296• Il contenuto dell'enunciato ha rispondenza nel pensiero tardo giudaico, che distingue la sfera degli spiriti incorporei da quella invece è una correzione secondo Gen. 2,23. Per la tradizione giudaica dr. P. WINTER, Sadokite Fragme11ls IV 20,2I: ZAW 68 (1956) 82. Per lo schema storico-religioso delle sizigie celesti e terrene dr. ScHLlER, Eph., a 5,32 s. ex· curst1s (276) ~ 001. 1388 e ....,)- ERMACHER 117. 295

    Questa suddivisione ricalca quella di DI· Gefbr.', ad l., S c HLIBR, Eph., ad l. (nonostante lo scambio nei vv. 5-8). Altri· menti il parallelo sarebbe ancor più stretto. 296 aIµa precede, come in ....,)- coli. l268.r372. 1388 s.1392; n. 205, dove si intendono le sostanze che l'uomo 'ha'. BELIUS,

    c:r6.pl; E III 2

    - IV I

    (E. Schweizer)

    L'uso linguistico è completamente diverso rispetto a Paolo. Ciò risulta già dal fatto che il termine crocp~ in I o. è abbastanza raro. L'uso di 1téi
    ne 299 • Per il resto, a prescindere dalle sei volte che il termine compare nel discusso brano di 6,51-58, sono solo cinque i passi in cui troviamo uapç. In 8,15 Gesù accusa i suoi avversari : ÙµEi:t; xcx:•IZ 't'lJ\I cr
    Anche secondo tesi. Sai. 20, 12 i demoni dimorano nel firmamento. In Epb. 2,2 s. il desiderio della O'apl; corrisponde a quello del «principe della potestà dell'aria», al 'lt\IEÙµl'I. che opera nei disobbedienti. Questo divario cosmico fra terra e aria, carne e spirito è quindi completamente diverso dall'antitesi qualificata fra O'apl; e r.vEuµl'I. in Paolo, che for-

    se echeggia ancora in 2,3 ma manca nel resto di Eph.; dr. D.E.H. WHITELEY, Epbesim1s VI. I2: ExpT 68 (r956f57) rno-rn3. 298 Cfr. ScHWEIZER, op. cit. (-'> n. 225) r32 s. e per lo schema dell'inno dr. il quintuplice chiasmo di Prov. ro,1-5. m La seconda metà del versetto probabilmen· te si l'iferisce all'incarnazione. Cfr. -'> n. 9.5·

    della carne (-7 col. 1291) 29'7. 3. Le lettere pastorali Nonostante echi di Rom. 8,3 (-7 col. 1352); Col. 1,22 (-7 col. r360) ed Eph. 2,14 (-7 col. 1361), il passo di I Tim. 3, 16 {-7 x, coll. I002 s.) si distingue da quanto abbiamo finora esposto, in quanto la comparsa di Cristo nella carne (-7 coll. 1366.1370.1388 s.139r}, cioè nella sfera terrena, già come tale è evento salvifico. Il presupposto di una siffatta asserzione è la concezione ellenistica delle due sfere (-7 col. 1327). Cristo è considerato essere celeste la cui venuta nel mondo dell'uomo è per se stessa un prodigio 298• Il resto delle lettere è caratterizzato dall'assoluta mancanza del concetto (-7 x, coli. 1082 s.).

    IV. Giovanni r. Il Vangelo

    297

    o-api; E 1v I (E. Schweizer)

    (vn,140) 1366

    cono nulla sulla sua provenienza. uapç Per sua natura la crapç, in quanto sfera pertanto è la sfera terrena perfettamen- terrena, jnferiore 301 , determina colui che te jdonea a valutare cose terrene, ma vive esclusivamente in essa e acquista inadeguata a giudicare chi viene da quasi il carattere di una potenza (~ un'altra sfera. Manca completamente il col. 1301), soprattutto perché è insieme significato di realtà peccatrice o istiga- principio di generazione e di nascita (-7 trice al peccato. Il passo 3,6 è molto vi- col. I286). Ma il carattere di realtà peccino a questa concezione. Dell'intera u- catrice deriva al mondo non tanto dalla manità e di quanto da essa è generato uapt;, quanto dalla sua incredulità. Non si dice che è u&pç. L'accezione del ter- è mai chiamato cr&pç per aver deciso di mine in questo caso risulta dal paralle- non credere 302 • In l,13 o-ap!; è il prinlismo antitetico in cui si trova. Accanto cipio della nascita naturale, a cui si alla cnipç sta il 'lt\IEvµa. (~ x, col. 1064). contrappone la nascita da Dio. Alla crapç è la sfera umano-terrena che non crap!; è attribuita una volontà, per ha alcuna conoscenza di Dio e quindi cui sta in parallelo più con à.v-iip che non ne può dare comunicazione (~ con a.i'.µa.-i-a. (~ coli. 1292.1372 e n. 1291.1372 s.; n. 308, dr. II, col. 440) 300 • 296). Essa indica l'uomo nella sua inteCiò non significa che per questo si trovi rezza, che, in quanto si contrappone a nel peccato. In 15,22-24 si dichiara e- Dio, non possiede la salvezza; quindi non splicitamente che solo la venuta di Ge- è una parte del corpo che si possa disù convince il cosmo di peccato. Certo stinguere anatomicamente. o-&pç sylw.nel suo essere a-apt;, il mondo non trova "tO (1,14) non vuol dire che il Logos ha nulla che lo possa salvare dalla sua con- pl'eso su di sé i peccati del mondo 303, né dizione di essere destinato a perdizione. si limita a dare un'indicazione geogra300 Non si tratta dunque dell'idea tardogiudaica secondo cui gli avvenimenti in cielo e sulla terra si corrispondono (test. Sol. 20,15; dr. SCHLATTI!R, Komm. ]oh., a 3,31). Pertanto è difficile riferire 3,31 al Battista (C. K. BAR· RETT, The Gospel according to St. fohn [1955], ad l.). Cfr. R. ScHNACKENBURG, Die 'siltlatiot1sgel0sfe111 Redestiicke in ]oh. 3: ZNW 49 {1958) 94, che riferisce Io. 3,31 a Nicodemo ìn quanto rappresentante e tipo di tutti. 301 Cfr. 3,3.7.12; 8,23.44, dove È7tlyEW. e xti· 'tW sono concetti paralleli (~ x, coll. 93I s.); E. ScHWBIZER, Der Kirche11begriff ùn Evange· limn u. den Briefen des ]oh., ìn St11dia Evangelica, TU 73 (1959) 373· 302 Il pensiero di Giovanni è quindi impostato sulla concezione delle sfere, ma, diver-

    samente da Paolo, non supera sostanzialmente queste categorie, Viceversa ciò non include alcun riferimento alla sostanza, né nel senso che il credente partecipi alla sostanza spiri· tuale di Gesù e in tal modo perda la sua carne, né nel senso che dopo la morte egli sia trasposto ìn una sfera superiore in cui cessa la sostanza della carne. Completamente assen· te è la concezione ascetica. Lo schema mentale di fondo è la contesa giudiziaria fra Dio e uomo (TH. PRE1ss, Die Rechtfertigung im joh. Denken: Ev.Theol. 16 [1956] 293-303), in cui il 'lt'llEUµa. non si presenta come una sostanza ma come testimone del mondo superiore a difendere i diritti di Dio e a convincere il mondo. 303 Questo viene detto solo in :i:,2 9. In un in· no cristiano preesistente al prologo (senza i

    crapl; E

    IV

    l (E. Schweizer)

    fica del luogo in cui avvenne la tivelazione. Significa invece che, quale essere che si rivela, Dio ha assunto la figura d'uomo 301 e non l'ha indossata quasi si trattasse di un paludamento, ma si è identificato con essa affinché i nati da Dio scorgessero la &61;a del Padre 305 nei miracoli, tangibili ma non schiaccianti, e nell'obbedienza di Gesù fino alla croce m. Teologicamente, dunque, l'incarnazione si motiva in quanto, nel processo cosmico intentato da Dio contro il mondo che lo accusa, la fede può essere generata solo da un µap-i:upE~\I (~ VI, coli. 1337 ss.) che coinvolge la persona intera, e non da una semplice

    partecipazione di gnosi divina. La diversità della posizione teologica rispetto a Paolo risulta dal fatto che questi ha sl conoscenza del Cristo preesistente, ma non parla mai della sua discesa o addirittura della sua incarnazione. Infine la contrapposizione
    vv. 6-8.12".13, R. ScHNACKENBURG, Logos-I-Iy11111t1s und joh111111eischer Prolog: BZ, N.F. r [1957] 69-109) ciò che precedeva il v. 14 probabilmente nel linguaggio della letterntura sapienziale era riferito alla dimora dcl Logos, non ancora incarnato, nel mondo. Giovanni invece concentra tutto nel rapporto con Gesù. Per lui, quindi, a partire dal v. 5 tutto è riferito al Verbo incarnato (E.KXSHMANN, Aufbau emd Anliegen des johanneische11 Prologs, in Libertas Christiana [ 1957] 79-82; diversamente CULLMANN, op. cit. [ ~ n . 238] .269). Quindi crapi; è per lui ancora la sfera in cui non c'è conoscenza cli Dio, ma che diventa ostile a Dio solo quando rifiuta Gesù. Cfr. anche S. ScttuLz, Die Kompositio11 des Johamzesprologs, in Stud;a Evangelica, TU 73 (1959) 351359. 304 Forse abbiamo acipl; in luogo cli liv&pw7toc; perché è ancora viva l'idea dell"uomo' celeste (J. HÉRING, Kyrios Anthropos: Rev HPhR 16 [1936] 207-209). 305 Presumibilmente il v. l4bc è un'aggiunta dell'evangelista e~ n . 303). 306 SCHWEIZER, op. cit. (~ n. 255) 56 s. 3fll La migliore argomentazione a favore: G.

    chien: ZThK 54 (1957) 62. W. WILCKENS, Vie E11tstehungsgeschichte des vierte11 Eva11grliums (1958) 28 s.7 5 s. tenta di provare che

    DoRNKAMM,

    Die eucharistische Rede im Joh.-

    Ev.: ZNW 47 (1956) 161-169; dr. BULTMANN, Joh. , ad l.; H. KoESTER, Geschichte tmd Kultus im Joh.-Ev. 1111d bei lgnatius von Antio-

    Jo stesso evangelista ha aggiunto una pericope originarin dell'ultima cena. X'l8 Peralrro uétp!; in 3,6 come in l,13 appare solo come principio d'una nascita naturale che non comunica la salvezza. Di ciò qui non si parla. H. BECKER, Die Rede11 des ]oh.-Ev. (1956) 68 n. 4 attribuisce 3,6 alla fonte, 6,63 ali'evangelista. 3:l9 A ciò che è stato detto da E. ScHWEIZER, Das iohanneische Zeugnis vom Herremnahl: EvTheol 12 (1952/ 53) 35)-363, c'è da aggiungere S. ScttULZ, Unterst1chunge11 :wr Me11scbensoh11christologie im Joh.-Ev. (1957) lJ4. 135-139, il quale dimostra che 5,28 s. è una tradizione già usata dall'evangelista, il che per· mette di dedurre un analogo rapporto in 6, 51-58 (54b!). Ciò è confermato da W. NAUCK,

    Die Traditio11 tmd der Charakter des I . ]ohbriefes (1957) 23. Cfr. anche W. WILCKENS, Das Abendmahlszeug11is im vierte11 Eva11geli11m: EvTheol 18 (1958) 354-370. V1tÉp del v. 51° si trova anche in IO,II .15; n,50 ss.; 18, 14 (17,19). L'accenno alla morte di Gesù (vv. 51-58) porta allo scisma (v. 61 e 10,17-19). Il senso menzionato di uapl; è Jo stesso di 8,15, dove prima si ha questa stessa discussione (6, 42). xa-ta~alvH\I ricorre non solo in 6,51', ma

    116;p~

    E IV 1- 2 (E. Schweizer)

    {vu,141) 1370

    Gesù nella carne 313 ( -7 col. r 36 3) viene considerata l'elemento che discerne gli In questo caso anche 6,63 intende di- spiriti 314 • Ora non esiste più solo l'alterre che non porta alcun vantaggio consi- nativa tra fede e incredulità, ma c'è anderare la crcipç di Gesù, ossia il suo a- che il fenomeno nuovo di una falsa fespetto visibile. Solo il messaggio di Ge- de in Gesù. Evidentemente in questo sù che annuncia se stesso quale Figlio caso il pericolo è dato non tanto da del Parde è 7t\IEUµcx. e ì;w1} (x, coll. 1070 un'eccessiva umanizzazione, quanto da ss.). Il versetto sarà quindi un ammoni- una divinizzazione esagerata di Gesù 315 mento a guardarsi da un sacramentalismo probabilmente legata a culti ellenistici che fraintenda la cr&.pç gustata nella ce- di salvatori divini. In tal modo l'afferna eucaristica come una «medicina d'im- mazione che il Figlio di Dio ha assunto mortalità}> 310; infatti il termine crocpç, la sta situazione e di vivere di questo do- ila.À.µw\I. La precedente ammonizione a no 312. non amare il mondo potrebbe essere intesa ancora in senso veterotestamen2. Le lettere giovannee tario come un invito a non riporre la In I Io. 4,2; 2 Io. 7 la professione di propria fiducia nel mondo. Ma già il fede (~ X, col. 434) nella venuta di termine 'amare' indica che si mette in si ripete esattamente ciò che è detto in 8,x5 in un'analoga situazione di dialogo.

    anche in 6,58, che non è una semplice ripeti· zione redazionale del v. 5r. Infine, data Ja r arità di crap~ in Giovanni, sarebbe strano che 6, 63 fosse esistito senza alcun legame coi vv. 51· 58 aggiunti successivamente . 310 Ign., Eph. 20,2 ~ IV, coli. 203 ss. 3u i:pwyEw non significa 'masticare'; infatti Io. anche in Ps. 41,10 usa (13,18) i:pwyE~'V in luogo di fo1)lm1, come fa Mt. 24,38 in con· fronto a Le. 17,27. 312 Par. 13,6-rn, dove probabilmente si accenna al battesimo. Anche in 15,3 si allude alla parola di Gesù (BARRllTT, op. Cit. r~ n. 300], ad l.). u&.p~ è uso linguistico siriaco (BULT·

    MANN,

    ]oh. 175 n. 4)? Ma proprio le traduzio-

    ru siriache non fanno alcuna distinzione ri-

    spetto al uwµa dei sinottici (J. H. BnRNARD, SI. fohn 1, ICC [1928) CLXIX). 313 L'espressione è più ampia rispetto a Io. 1,14 . Evidentemente non c'è il pericolo che si fraintenda nel senso che un essere divino sia apparso «nella carne» come se l'avesse assunta quale vestimento. 314 In alcuni codici ritorna in 4,3. 315 Cfr. anche NAUCK, op. cit, (4 n. 309) 124 s. 316 Qui però ci si riferisce a peccati, non solo a insufficienze fisiche, J. CHAINE, Les ép1tre catholiques (1939), ad l.


    -

    guardia contro una fallosità diversa da quella di cui parla l'A.T. (~ v, col. 951). Inoltre il v. 16 dice che il desiderio della carne, come tutto ciò che vi è nel cosmo, proviene dal cosmo e quindi non dal Padre. Ritorna dunque quella concezione dualistica in cui l'uomo è determinato dalla sfera che lo avvolge. In questo orizzonte, come indicano le espressioni parallele, cr&pç è intesa come l'organo delle impressioni sensoriali che eccitano la brama 317• Se tutto ciò è tipicamente ellenistico, l'ammonizione a guardarsi dagli sguardi seduttori invece ha buoni fondamenti giudaici 318 •

    V. La Lettera agli Ebrei Come in I Io. 4,2, crap~ può indicare l'esistenza terrena di Gesù. L'espressione i giorni della sua carne 319 (5,7) indica che Gesù è considerato un essere coli. 1277 s. Si intende non solo ma principalmente il desiderio sessuale, dr. ScHNAKKENBURG , Joham1esbriefe, ad l. Cfr. lùlITZENSTEIN, Jr. Eri. 25: «Considera il mondo ... quale grande brama esso sia». Per l'ulteriore sviluppo dr. - n. 368. 318 Gm. 39,7; Num. x5,39; lob 31,7; fa;. 6,9; Ecclus 23A-6; test. R. 2,4; Mt. 5,29 (2 Petr. 2, x4). CHAINE, op. cit. (- n . 316), ad l. rimanda a Ecci. 2,10; Prov. 27,20, dove secondo lui ci si riferisce a lussuria, mentre in I Reg. 20,6; Eccl. 4,8 ad avarizia. 319 awµa in questo senso compare solo in 10, 5.10, dove è desunto dai LXX e indica il corpo del sacrificio (MICHEL, Hebr. a xo,10 n. 1). 320 MrcHEL, Hebr., ad l. rimanda a Gen. 6,3 .5; 9,29; 10,25; 35,28; Deut. 30,20; Le. r,7, che rendono comprensibile l'espressione. 321 WINDISCH, Hebr. a 5,7 afferma che Gesù nella sua esaltazione ha deposto la carne, ma 317 ~

    v (E. Schweizer)

    (vu,142) x372

    celeste la cui vita terrena rappresenta solo un periodo 3w. Cosl aJµ
    H. STRATHMANN, Der Brie/ an die Hebriier, N .T. Deutsch 97 (x957) a 2,14-16. L'enunciato si distingue però da Paolo. Il ragionamento connesso a
    1373 (vn,142)

    uap!; E

    V

    (E. Schweizer)

    la base della concezione di due sfere, tipica di Hebr. 323• II Padre degli spiriti è l'onnipotente, al quale è soggetto anche il mondo superiore (-7 col. I29:r), mentre i padri che appartengono alla sfera della carne sono quelli terreni. L'aggiunta 'Ì}µwv 324 indica ovviamente che vi è ancora una reminiscenza dell'idea di generazione (-7 col. 1286). In o~xcttwµrx:w. pwnot in 6,16 s. 324 Solo a u6.pt;, non a 'lt'llEU(..UX:t~ (MICHEL, Hebr., ad l.). m MicHEL, Hebr., similmente WINDISCH, H ebr., STRATHMANN, op. cii. (~ n. 322), C. 2 SPICQ, L'épitre aux H ébreux II (1953), ad l., e già Ioannes Damascenus, comm. ad Hebr. a 7,16 (MPG 95 [1864] 964). 326 Cfr. ·10,22, dove la cnNellì'l)ir~ç localizzata nel cuore e il uwµct si integrano, e ~ 1376. Ma anche in Hebr. 9,13 s. la uap!; è in un certo contrasto con la sfera del '7t'llEUµct, ~ x, 1085 s. 327 Secondo l'A.T. ovviamente anche le situa-

    (vn,143) 1374

    zioni giuridiche della sfera terrena 330 • In ogni caso l'esterno non è contrapposto ad un interno indicante la possibilità propria dell'uomo. Esso intende l'uomo cosl com'è davanti a Dio e com'è da lui giudicato. Pertanto solo il sacerdote celeste concede tale purità interior~.

    Difficile da comprendere è 10,20, do. ve la CT&.pç di Gesù è il velo attraverso il quale egli ha inaugurato una via nuova e vivente.
    W. MANsON, The Epistle

    lo

    the Hebrews

    ( r 95x) 67s.; J. MoFFAT, To the Hebrews, ree (1924) ad l. m Questa ipotesi viene attentamente vagliata da STRATHMANN, op. cii. e~ n . 322), ad t., il

    0'6:p!; E

    r375 (vu,143)

    V-VI 2

    trano, ma in guisa che il mondo celeste rimane nascosto e quindi la o-ap!; di Gesù cela e insieme dischiude l'accesso al cielo 334 ? Se la breve frase non è da considerare una glossa di qualche lettore 335, la spiegazione più probabile è che 1u via del cielo porta il credente prima attraverso la
    VI. Le lettere cattoliche I.

    Per Iac. 5.3

    2.

    L'uso linguistico della

    -?

    col. 1328. 1

    N.A.DAHL, The Approach to God accor-

    di11g to Hebrews IO,I9-25: Interpretation 5 (1951) 405. 335 C. HoLSTEN, Exegetische Untersuchtmg iiber Hebr. ro,20 (1875) r5.

    Cfr. E. KiisEMANN, Das wandernde Got· tesvolk, FRL 5:f (1957) 146 s.: in quanto insel'ita nella sfera terrena la u6.pl; è Wl ostaco·

    336

    collega ampiamente a quanto è stato detto. II veterotestamentario ·miaa o-ap!; (~ col. 12 85) compare solo nella ci tazione di 1,24. I passi 3,18; 4,6 presenta· no la concezione delle due sfere, ma sono tradizionali(--+ x, coll. 1088 ss). In 4,1 s. (ev) E~V, dato che nessuno forse può pensare a una sofferenza che non sia terrena. Poiché la prima volta compare in relazione a Cristo, forse si può risalire a formule come quella di 3, 18 338 • Se 4,1b va spiegato nel senso indicato in -? 1x, 1039 s., cru.pxl è da intendere sulla base di Col. 2,II (-? col. I 360 ). Ma è più probabile il riferimento alla sofferenza fisica causata dalla persecuzione, e in questo caso l'espressione è volutamente assimilata al v. ra 339, Così anche in questi passi abbiamo la contrapposizione tra sfera terrena e sfera celeste. Pertanto in 3,21, come nella Lettera agli Ebrei, ci si ricollega all'altro uso linguistico che distingue o-&.p!; quale realtà esteriore dalla O'UVElOT)CTLc; (~ col. 1373).

    Petr. si ri-

    quale però rimanda a i)µtv. 334

    (E. Schweizer)

    lo sulla via che conduce a Dio (~ x, coll. 1085 s.). 337 M1cHEL, Hebr., a 7,26 ss. 338 Probabilmente bisogna anche leggere 1!1ta~&\I.

    Quindi r.foav'ta~ à.µap-tlru; significa probabilmente: con la sua decisione di patire egli ha rotto sostanzialmente con la vita del peccato.

    339

    1377 (vn,144)

    uapl; E v1 2

    -

    vn a {.E. ::lchweizerJ

    3. Interessante è Iudae 7. Gli atti im-

    \ v11,144J 1370

    indossa indica quanto sia grossolana la concezione. Tuttavia non si pensa affatto a un nucleo psichico o spirituale che non sia toccato da tale contaminazione. Comunque gll enunciati sono cosl brevi, che non se ne .può dedurre nulla di preciso.

    morali commessi con carne estranea si riferiscono forse alla concupiscenza dei Sodomiti nei confronti degli angeli che avevano fatto visita a Lot 340 (-7 n92. I3I6.I325). o-6:.p~ è dunque la corporeità che nell'uomo è diversa da quella degli angeli (-7 n. 21 .5 ). Certo essa è oggetto di piacere sessuale, che però non è male in sé, ma solo nella sua per- VII . o-apxwoi; (~ coli. 1274 s.), cra.pxi.x6ç (~col. 1320) versione. Questo versetto viene ripreso a) L'uso dell'aggettivo praticamente da 2 Petr. 2,10 senza però l'attributo È.'t'Épa, ma con l'aggiunta di È'V f.mì}uµ.lq. non apre alcuna nuova prospettiva riµ.w.crµov, il che significa che la 2 Petr. spetto a quello del sostantivo. L'aggetconsidera peccato lo stesso desiderio ses- tivo greco consueto crapxwoç si trova in suale della carne. È un passo fondamen- senso neutro in 2 Cor. 3,3 in una citatale verso il disprezzo ascetico della car- zione veterotestamentaria. Le tavole di ne. Sulla stessa linea, questa lettera carne del cuore 341 sono valutate positial semplice f.mì}uµlo:t. (ludae 16) sosti- vamente 342 rispetto alle tavole di pietra tuisce l'espressione ellenistica Èmiluµlo:t. della legge. Indicano quindi l'interioriO"a.px6i; (2,18), ~ n. ,52. Quasi impossi- tà dell'uomo, contrapposta all'esterioribile da interpretare sono I udae 8 .23 (-7 tà di un'osservanza dei comandamenti puramente legalistica (~ 1287 s.). ViVII, coli. 348 s.). In ambedue i casi o-
    ibid.)?

    342 'Carne' contiene appunto l'allusione a ciò che è vivente(~ KAsEMANN 6).

    343 Come in 9,10 s'intende un comandamento che ha a che vedere con la carne (la purità cultuale) dell'uomo (cosl MrcHEL, Hebr., ad l.); oppure: è un comandamento che richiede cose carnali (fa discendenza da Levi), come spiega WnrorscH, Hebr., ad l. In ogni caso non s'intende il comandamento che proviene dalla carne e stimola al peccato.


    1379 (vn,144)

    E

    VII

    a - F r (E. Schweizer)

    ramento stesso del Dio vivente (v. 21). In Paolo l'aggettivo ricorre solo in due passi, oltre alla citazione menzionata. A prescindere dal fatto che in entrambi i casi è riferito a uomini 341 , non si può stabilire una differenza rispetto a <1(f.pxtx6c;. In r Cor. 3,1-3 si alterna a quest'ultimo per indicare i Corinzi che con i loro litigi dimostrano di essere ancora uomini e non 1t'VEVµcx:nxol (---+ x, coll. 1021 s. n. 605). In Rom. 7,14, dove Paolo designa se stesso prima della conversione come t:Tcipxwoc;, sta ancora in antitesi a v6µoc; 'ltVEUµa:nx6c; e lo si interpreta nel senso di «venduto sotto il peccato» (---+ x, coli. 298 ss.). Abbiamo cosl un'ulteriore conferma che t:Tcipç non abbraccia solo una parte, ma la totalità dell'uomo in quanto non è nella fede, non è soggetto alla grazia (---+ 1352 s.). In entrambi i casi acipxwoc; è quindi usato in senso perfettamente paolino e qualifica l'uomo che edifica la sua vita solo all'interno della crcipç e non ascolta l'È.r.a.yyùlu. per un senso di litigiosa ambizione o di farisaica osservanza del dovere.

    (vn,145) 1380

    b)
    F. L'ETÀ POSTNEOTESTAMENTARIA 1.I

    Padri apostolici

    Il concetto di cr&.p~ viene sempre più 344 MrcHEI., 345

    Hcbr.,

    a 7,15.

    F. W. BEARE, Tbe First Epistle of Peter

    (r948), ad l. richiama Plat., Phaed. 8ic (4 n . 51). Tipico è inoltre che il peccato in I Petr. consista solo nella vita di vizio (BULTMANN, Theol. 5i4, § 58,31). H. PREISKER, in WINDISCH, Kath. Br. 3 , ad l. ricorda che in 3,18; 4,x s.6 u6:p!; comprende tutto l'uomo. Ma l'aggettivo usato da Paolo può avere un senso completamente diverso dal sostantivo (--+ lJivxTi e ljlvxLx6c;). lnoltre 3,r8

    346

    e 4,6 sicuramente, 4,x s. probabilmente, ap· partengono alla tradizione. Infine il dualismo cosmico in 3,18; 4,6, come l'Èv cm:pxl di 4,r s., è compatibile con l'idea ellerùstica di un'anima che vive nella carne provenendo dalla sfera superiore. Può essere che r Pelr. con uapl; intenda tutta la natura di chi non è redento (BEARE, op. cit. [--+ n.345], ad/.) e con ljivXTJ indichi propriamente lo spirito di Dio. Ma anche se le cose stessero cosl, l'autore si è espresso in termini ellenistici, senza rendersi conto della differenza.

    1381 (vn,145)

    u&.p!; F

    1

    (E. Schweizer)

    ellenizzato. L'espressione semitica 'ltiicrapl; ricorre ancora, come formula stereotipa, solo in I Clem. 59,3; 64 (--? n. 91) e in una citazione in 2 Clem. 7,6; 17,5. Manca l'abbinamento 'carne e sangue' per indicare l'uomo (---? coll. 1292. r382); esso ricorre soltanto nel contesto della morte di Gesù in croce o dell'eucaristia(---? coli. 1290.1388 s.). In senso tradizionale crei.pi; appare come il luogo della circoncisione in Barn. 9,4; Diogn. 4'4 (---?col. 1290) 347, come designazione del Gesù terreno («Cristo secondo la carne» o espressioni simili) in I Clem. 32,2; lgn., Sm. r,r; Eph. 20,2; Mg. 13, 2, e della vita umana in genere in 2 Clem. 8,2 348 • In 2 Clem. 5,5; 9,2-4 è tipica l'espressione «questa carne», perché esiste anche la carne risorta (---? l 384. I 387 .r 388 .1389 s.). Così
    Del tutto nuovo in questi scritti è il problema del rapporto fra carne e aniTale circoncisione sembra svalutata in 4(5) Esdr. r,3r __,. n. 248. 348 Analogamente la via della carne in lgn., Rom. 9,3 indica il viaggio terreno di Ignazio. 349 In Bom. 5,13 abbiamo il plurale. 350 Qui la scelta di cr&.pl; è condizionata dal 347

    termine a{µa. che precede. Quindi non è più tutto l'uomo, ma la parte inferiore data ai piaceri (-7 col. 129:z. ). JS2 Cfr. ScHLIER, lg11., op. cii: (-7 n. :z.93) 131. 135; C. C. RxcHARDSON, The Christio11ity o/

    351

    ma o carne e spirito in Gesù o nell'uomo in genere. Anche quando la soluzione non è conforme alla mentalità greca, per comprendere la problematica è necessario rifarsi all'ambiente greco. Ancora relativamente vago è I Clem. 49,6: «Egli diede la sua carne per la nostra carne e la sua anima per le nostre anime» 350• Tutte e due insieme costituisco· no l'uomo, ma entrambe vengono immolate. L'anima non è la parte che sopravvive. Secondo Herm., vis. 3,ro,7; sim. 9,r,2 per ricevere la rivelazione è necessario avere un fisico robusto, ma con ciò non viene espressa alcuna ostilità al corpo. Il dualismo ellenistico trova invece la sua più decisa espressione in Diogn. 6,5 s.: «La carne odia l'anima ... , perché le impedisce di darsi ai piaceri». I piaceri sono esplicitamente visti come funzione della carne in lotta contro l'anima (-7col. 1380). Tuttavia si continua ad atletmare che, viceversa, l'anima ama «carne e membra» 351 , ciò che dev'essere d'esempio ai credenti perché facciano altrettanto verso i loro persecutori. Secondo Herm., sim. 5,7'4 con la carne si contamina anche lo spirito, e secondo mand. 3,1; ro,2,6 lo spirito dimora nella carne (--7 x, coli. 933 ss.). Chi sviluppa ampiamente questa problemittica è Ignazio 352 • Egli si colloca anzitutto in quella linea dogmatica secondo cui l'incarnazione del Cristo preesistente è l'evento salvifico primario (--7 col. 1363). Pol. 7,r continua dunIgnatius o/ Antioch (1935) 48-50; H. W. Gnostisches Gut rmd Gemeindetradition bei Ignati11s von Antiochien (1940) rn4. n9-122; TH. RiiscH, Dic E111stehung der Lehre vom Hl. Geist bei Ignatius vo11 A11tiochie11, T heophilus vo11 A11tiocbie11 tmd I ren. vo11 Lyon, Diss. Ziirich (1952) 50-54.59-65; H. voN CAMPENHAUSEN, Kirc/Jliches Amt 11. geistlicbe Vollmacht (1953) 106 n. 3; BuLTMANN, Tbeol. 535-540 (§ 38,3 o); KosTER, op. cit. (-i> n. 307) 56-69. BARTSCH,

    uapl; F l (E. Schweizer)

    que I Io. 4,2 s. Cristo deve rivelarsi nella carne, perché diversamente gli uomini non lo potrebbero conoscere (Barn. 5,6.10 s.; 6,7.9.14) 353• In David egli ha avuto un precursore nella carne (Barn. 12,ro). Prima era 1tveuµa poi divenne cnl.pç (2 Clem. 9,5) 354 • La concezione più interessante si trova in Herm ., sim. 5, 6,5-7: la carne di Gesù servì tanto bene lo spirito che in essa abitava, da essere premiata con la partecipazione alla risurrezione 355• Già questo contrasto col TIVEuµcc, che manca in Io. 1,14 e I Io. 4, 2 s., indica che rJapç viene sempre più intesa come sostanza. Ciò vale anche per Ignazio: Gesù è ~v rJccpxt yEvoµEvoc; 17E6c; (Eph. 7,2), cnxpxocp6poc; (Sm. 5, 356 357 • Così le due sostanze 2) che caratterizzano le due sfere in lui sono diventate una cosa sola. Egli è O"apxtxéc; 'tE Anche nell'aggiunta cristiana di test. B. 10, 8 si parla del Dio apparso nella carne. 35l Secondo 14,3 s. la stessa cosa vale anche per la chiesa. In quanto preesistente essa è pneumatica; apparve nella
    MAURER, lgl1(:tius von Antiochien und das Joh.-Ev. [1949] 88-99). Ci limitiamo a pren·

    xa.t 1t\IEVµa."tLX6c; (Eph. 7,2; cfr. Mg. 1, 2). In tal modo cielo e terra, Dio e uomo 358 sono confluiti in uno. Non ciò che Gesù fece o disse è importante, bensl il suo esistere in quanto tale 359• L'impostazione del problema è dunque ellenistica. Ma la soluzione è completamente diversa. Non si tratta di liberare nell'uomo il germe divino dall'involucro della carne. Pertanto non solo si sottolinea la reale incarnazione di Cristo, ma si riafferma che carne e spirito rimangono uniti anche nel Risorto 300 • Questa unità però viene comunicata al credente, forse nel sacramento 361 ma soprattutto nell'appropriazione vitale 362• Anch'egli è carnale e spirituale (lgn., Tr., inscriptio; 12,1; Sm. 1,1; Poi. 2,2) 363 ed è chiamato a realizzare dere in esame i passi che contengono crap!; (per il resto ~ II, col. 81). In Eph. 7,2 Cristo nella sua unità corporale-spirituale appare come medico, e ciò può essere collegato a 20,2 (-7 xv, coll. 203 ss.). Ma se vi si accoglie la lectio diffecilior o in luogo di ISç (MAURER, op. cit., 93 s.),.come in Tr. 8,1, scompare il riferimento al sacramento. Tuttavia in Sm. 7,1 l'eucaristia è definita u&.pt; di Gesù. C'è però da chiedersi se Ignazio pensi a una assimilazione d1 natura sostanziale all'unità di carne e spirito esistente in Cristo nel sacramento (KOSTER, op. cit. [ ~ n. 307] 6x); questa infatti in nessun altro passo è collegata all'eucaristia. Ivi, secondo Rom. 7,3; Phld. 4,1, si ha la com· binazione di carne e sangue che è tipica del tema della morte di Gesù (~ col. 1381}: Sm. 1,1; 12,2; Tr. 8,r. BARTSCH (-4 ll.JJ.2) 119122 ritiene che anche in Sm. 12,2 come in Tr., inscriptio si tratti del itai>oç di Gesù comu· nicato sacramentalmente. Phld. 5,1 chiama cr&.pl; di Gesù il vangelo, non l'eucaristia. Cfr. ~ n. 362. 362 Anche l'eucaristia serve da immagine della comunione con Cristo da raggiungere nel martirio (Rom. 7 ,3), oppure della realizzazione della vita nella fede e nell'amore: MAURER, op. cit. (~ n. 361) 88-92; BuLTMANN, Theo/. 537 s. (§ 58,3 o). 363 Non è chiaro se in questo caso si pensi al-

    uap!; F

    l

    (E. Schweizer)

    (vu,q7) r386

    questa unità anche eticamente, per es. accontentandosi «in carne e spirito» del coniuge (Poi. 5,1; Mg. 13,1; Rom., inscriptio; aggettivo: Eph. rn,3; Mg. 13, 2; Po!. 1,2). Esattamente all'opposto di Paolo (~ 1350 s.), il segno dell'uomo riconciliato non è quindi la tentazione dello spirito ad opera della carne o la vittoria dello spirito sulla carne, bensì la loro integrazione. Ovviamente, solo in questa comunione con lo spirito la c;ap~ può avere valore positivo. Quindi essa altro non è che la corporeità, di cui sono privi solo i demoni e gli eretici: Sm. 3,2; 2 (--+ 1319.1328 s.). Tuttavia essa può anche diventare una forza che rende schiavo l'uomo. In quanto tale, quando cioè l'uomo vive xa-tèt. c;apxa (Mg. 6,2; Rom. 8,3) 364, essa può, come in Paolo-lM, essere opposta a Dio o a Cristo. In questo senso si dice che lo spirito non ammette l'errore della carne (Phld. 7,1 ). Tutti questi passi perciò, e ancor più chiaramente Phld. 7,2; Mg. 3, 2, non presentano un dualismo antro-

    Tutto ciò contribuisce a far sì che la carne in guanto tale divenga sempre più sospetta. Did. 1,4 ammonisce di guardarsi dalle «brame carnali e corporali» cioè dall'egoismo umano duramente sferzato dal discorso della montagna 368 • Invece la «brama della carne» di Barn. ro, 9, che impedisce ai Giudei la retta comprensione, poteva avere un significato sessuale 369• Poi. 5,3 nella citazione sostituisce c;&.pç con Èmi}uµla, che ha sfumatura sessuale. In I Clem. 38,2 si predica esplicitamente la continenza sessuale. Tuttavia non si giunge, come nel-

    lo spirito come donum superadditum, o se s'intenda parlare dell'fow1>Év 'tE xaL ~!;wi}Ev puramente antropologico (Rom. 3,2), come è propenso a fate RICHAlIDSON, op. cit. (-7 n. 352) 48 s. appellandosi ai LXX. Poiché Ignazio parJa solo cli credenti, non è possibile decidere con sicurezza. È probabile che per Ignazio il problema non si ponga in termini netti, poiché lo Spirito cli Dio trasforma in nuovo lo spirito dell'uomo. Ma la contrapposizione non potrà essere vista in limiti puramente antropologici, poiché già nei LXX il dualismo è cosmologico (-7 col. 1291) e tale rimane prevalentemente anche nel giudaismo e nel N.T. 354 Quindi uapt; non è semplicemente la realtà sensibile, ma la sfera terrena che può acquistare forza; solo che, diversamente da Paolo, è intesa come provvisorietà, non come pecca· to: R. BuLTMANN, IgnalitH tmd Pa11lus, in Studia Pa11lina, Festschr. J. de Zwaan (1953) 45 s. Verosimilmente in Eph. 16,2 con l'abbattimento delle case che avviene xa:rà C'cXPXct s'intende la lussuria. Ma ·anche in questi termini C'cXp!; designa la sfera terreno-corporale

    alla quale si contrappone la realtà superiore della fede, peraltro senza la rilevanza teologica di Mg.6 ,2; Rom. 8,3. 36S Diogn. 5,8 è ancor più chiaramente conforme all'uso linguistico paolino di :z Cor. 10,3: i cristiani compaiono nella carne, ma non vivono secondo la carne. ~ Anche in questo senso (~ n. 358) &v1>pw1tOç o à.v»f)Wnwoç possono sostituire a!Xpt; (Tr. 2,r; Rom. 8,1; Eph. 5,1). L'uomo vero però è solo quello liberato dalla t!À.7) (Rom. 6, 2). '367 Ad essi corrispondono i mC'-i:ol e tl:mcr-i:o~ di Mg. 5,2. 368 L'orientamento a questo mondo diventa se-mpre più sospetto, quello al mondo ultra· terreno sempre più lodevole (Ign., Rom. 7; Barn. 4,1; Polyc., ep. 9,2; Herm., vis. r,1,8; :z Clem. 5,6; 6,6; cfr. Ab. 5,21). 369 Precedono tre interpretazioni allegoriche che applicano un comandamento veterotesta· mentario alla pederastia, all'adulterio e alla fornicazione.

    pologico, ma l'antitesi fra Dio e uomo :w.. In Eph. 8,2 i due significati di O"cipç sono congiunti: gli uomini spirituali, cioè determinati dallo spirito di Dio, sono in assoluta opposizione a quelli carnali, cioè a quelli determinati dalla carne 367 • Appunto per questo però anche la loro realtà carnale, cioè la loro vita esteriore, corporale, sarà spirituale.

    crtip!; F I-3 (E. Schweizer)

    (vn,148) I388

    l'ellenismo, ad insegnare la fuga dalla 2. Atti apocrifi di apostoli carne, per quanto evidenti siano i tratAnche in questi scritti la nascita di ti ascetici. Frequente è l'esortazione a custodire la carne 370 come un tempio e Gesù dalla vergine è un
    Non il crwµa come

    I

    Cor. 6,19.

    371 Anche ep. apostolorum 22.26 (op. cit. [ ~ n. 356] 74 s.82 s. e passim, cfr. 196.199 s.314). 372 Cfr. i succitati passi di Ign. ed Herm. In 2 Clem. 14 e lgn., Pol. 5,2, a meno che non si accenni al celibato di Gesù, l'unione di Cristo e chiesa serve inoltre da modello. Sulla base di Eph. 5,32 e~ col. I36l) e altri luoghi analoghi questo ulteriore passo è ovvio. Probabilmente esercita il suo inilusso la diifusa concezione dello 1.EpÒç y&.µoç; molto più problematico è stabilire se si abbia l'eco anche di una elaborata dottrina della sizigia; dr. ScHLIER, Eph., a 5,32 s. (specialmente 268-

    271) e ~ O"wµa. m act. Paul. 8,25 s. (ed C. ScHMIDT, Verof-

    fentlichungen der Hamburger Staats- u. Universitatsbibliothek n [ 1936]). 374 3 Cor. 3,5 s. in act. Paul. 48,22 ss. (testo copto ed. da C. ScHMIDr (1905]). 375 Qui con l'aggiunta di et.V"tTJ in parallelo a x6crµoç oi'.i>toç. Xenoph., oec. I0,4 s.: 'tOU crwµai:oç. Cfr. I. DoRESSI!, Les livres secrels des gnostiques d'Egyptc (1958) 238.260. m Cfr. l'ulteriore influsso del dualismo cosmico per es. in Stob., ecl. l,275,2I-276,n; 277, 8-16 (Corp. Herm. n,2). 378 L'uomo terreno ha carne: Iust., dial. 48,3; dr. Aristid., apol. r5,1; egli è crapxo'lto~'l')bE~: Iust., apol. 32,rn; 66,2; con carattere eviden376

    temente tradizionale, collegato alla nascita ver-


    di Gesù vengono distribuiti in nutrimento dei nostri a.ìµoc xoct G"ap,m; (Iust., apol. 66,2). Per la critica alle concezioni greche della divinità mossa da Athenag., suppl. 21,1.4, l'incarnazione di Gesù costituisce naturalmente un'angustia, poiché egli deve ammettere che Dio può assumere una crcip; ed essere cra.pxoE~­ Poiché, tuttavia, ritiene che di solito a questa concezione si congiunga l'idea di un SouÀ.oc; È1td~uµl~ soggetto ad eros e a sofferenza, egli dichiara esplicitamente che ciò è indegno di un dio. In Iust., dia!. uap; serve spesso a indicare l'esteriore 379 circoncisione o incirconcisione (~ col. 12 90): -c-i}v uapxoc (10,1), xa:rà. ucipxoc (16,2 s.; 18,2 s.; 19,3 s.; 43,2), 1tEpt -cljv cr6:pxa.: (92,3 s.), crocpx~xTi (23s); il battesimo (14,1) e la stirpe (43,7; 44,1; 66,4; qo,2;

    onc;.

    vocpx~xòv


    (vn,149) 1390

    ca nel N.T. Tat., or. Graec. lJ,r s. combatte l'idea di un'anima immortale: essa muore insieme con la O'ap; ( = O'Wµ.a. ), insieme con essa il crapxlov è reso immortale (25,2) di modo che entrambi risorgono insieme ( l 5 ,I). La difficoltà dell'apologista deriva dal fatto che egli pensa in categorie greche in cui Dio è acra.pxoc; e l'uomo è O'cipç. Il fatto che \{iuxi) e crapç sono omogenee e guidate dal 1tvi::vµa. rientra ancora in un certo qual modo in questo schema, mentre la risurrezione della crap; e il fatto che i demoni (che non sono più semidei ma potenze malvagie) sono privi di crapxlov creano gravissime difficoltà ( l 4, r ; r 5, r 3). La
    In Iust., dial. 80,5 si insegna esplicitamente la O'ocpxòç &.v&:
    (~col.

    I388).

    m Cfr. 69,6: certi invalidi xa:rà. -r:1)v uapxa sono guariti da Gesù; 23,5: l'aspetto della O'ap!; ( :=: parti genitali o tutto il corpo?) del· la donna è diverso da quello dell'uomo, per cui non viene circoncisa. 380 W. BnmER, Aufersteh1111g des Fleisches O·

    der des Leibes?: ThZ I (1945) 105-I20. I passi patristici sul problema del cibarsi della carne sono elencati in Bibliothek der Kirche11viiter, Generalrcgister 1 (193x) 205. Cfr. J. HAUSSLEITER, Der Vegctarism11s in der A11tike, RVV 24 (I935) 35-41. 381

    a-api; F 4 (E. Schweizer)

    1391 (vn,x49)

    4. La gnosi (~ x, coli. 936 ss.) L'uso linguistico può essere meglio illustrato in ~ crwµa. Nel presente articolo tratteremo solo quei passi in cui compare
    •oc;

    38Z Ed. M. MALININE, H.CH. PUECH, SPEJ, (1956). 383 Solo l'anima del awµa sofferente

    G. QUI-

    si affida alle mani del Padre, mentre il redentore stes· so salva il suo 'ltVEUµ«-.LXOV (ibid. 62,3; dr. inoltre 1,1; 26,1; anche lren., haer. 1,6,1). 384 Cfr. In traduzione di J. LEIPOLDT, Ein neucs Evangelium?: ThLZ 83 (1958) 481-496. 385 Logion 28 (tav. 86,22) = P. Oxy. 113 s. 386 Logion 29 (tav. 86,31 s.). Prodigio ancor più grande è il divenire dello spirito per amore del corpo (~ aWµa), verosimilmente il divenire del Cristo preesistente per la futura incarnazione. 387 Kephalaia, Maoichaische Handschriften der staatlichen Museen Berlin I (1940) 61,23: egli venne nel 1tMctµa della cr6;pt;; 89,26 s.; 95, 3 s.: il vouç che è luce entra (nel corpo) della carne e l'attrae. Anche certi apostoli compaiono nella carne (101,33). 388 Pare che per Simon Mago non abbiano avuto importanza né cr&:pt; né awµa., tranne che nella dichiarazione che la ennoia migra di corpo in corpo (Iren., haer. 1,23,2) e nell'espressione T!'éicra. aapt; in senso veterotestamentario (Hipp., re/. 6,9,8; 10,2). Il racconto di Pseud.-Clem., hom. 2,26 che Simone avrebbe trasformato il Tl'VEUµa. in acqua, poi in san· gue e infine in carne, presuppone il passaggio

    (vu,149) 1392

    ne 385• Anzi, in questo testo il divenire della carne per amore dello spirito è il miracolo da domandare 386• Anche i Manichei hanno formulazioni meno circospette 387 • Completamente diversa è la situazione in Clem. AL, exc. Theod. 1,r, dove gli
    coli. 1271 s.), non la contrapposizione delle sostanze. Corp. Herm. 1; ro; 12 usa solo ~ a&iµa. (cfr. ~ coll. 1393.1395 s.). 369 Presso i Valentiniani tra le tre classi di persone (-> x, coli. 944 ss.) compare il xo~­ xéç o ÙÀtx6ç invece del cra.pxtx6ç (Iren., haer. 1,5; 6,1; 7,5; 8,J; Orig., comm. in lo. 10,33 .37; 20,24) e lo stesso avviene presso lo gnostico Giustino (Hipp., re/. 5,26,32; 27,3) e presso i Nansseni (Hipp., rcf. 5,7,30.36; 8,14. n; ma dr. ~ col. 1394). Per ÙÀ.txoc; cfr. anche Corp. Herm. 1,24; 10,10 s., per yi)~voç 10, 17-19. In apocr}1pho11 loam1is (~ n . 176) 55, 7-13 UÀ.'I'}, tenebre, tm-Ouµla e avnxElµEVOV 7tVEVµa sono catene e tomba del corpo. Il re· gno e fo stolta saggezza della uapt; appaiono invece solo in 16,9 s. accanto ad altre figure della «quarta potestà», che l'anima incontra nella sua ascesa. Secondo 58,4-7 (cfr. 63,5 s.; 74,r-75,7) il drago di Gen. 3 insegna a generare la l-rm'h>1.u'.a senza che però si parli mai di carne (-> col. 1394). Cfr. anche DORllSSE, op. cit. <~ n. 376) 183. 390 Koptisch-gnostische Schriften (ed. C. SCHMIDT- W. TILL, GCS 45 [1954) 341,27; 359,33). Cfr. ~ col. 1319. Secondo sophia Iesu (in Tu.i., op. cit. [ ~ n. 1761) 79,2-5 nessuna carne mortale può vedere il Risorto, che è accessibile solo a una crapt; pura e perfetta.

    1393 (vn,149)

    crap~

    F 4 (E. Schweizer)

    termedia è quella assunta dal Vangelo di Filippo 391 : «Non devi temere la carne, ma nemmeno amarla» (logion 62). «Vinci il senso carnale» (104). Le nozze immacolate non hanno nulla a che vedere col O"apxtx6v (I 22 ). La circoncisione della crapl; significa la distruzione della crapç delle membra (~ n. 401) del mondo (123). Risorgere significa per sé spogliarsi della carne (63); ma Gesù ha la carne verace di cui la nostra è solo copia, ossia il Logos (72 e 23), di modo che è possibile salvare la dottrina ecclesiastica della risurrezione della carne. Singolare è il logion xr2 dell'ev. Thom. (tav. 99,10 ss. ~ n. 384): «Guai alla carne che aderisce all'anima; guai all'anima che aderisce alla carne». Evidentemente ciò a cui si deve tendere è la separazione tra carne e anima, intendendo forse che alla carne si possa attribuire un ruolo temporaneamente positivo di servizio nel senso del logion 29 (~col. 1392). Secondo Corp. Herm. 3,3 s. la t)iuxiJ vive nella t'.µlfiuxoc; crapl;. Secondo i Valentiniani l'anima divina è nascosta nella crapt; o nell'anima ilica che le serve da O"apl; o da crwµ<X. (Clem. Al, exc. Theod. 51,1 s.). Prima di tutto fu formato lo tVVXLXÒV crwµa poi lo CT1tÉpµa maschile aggiunto si mescolò alla \jJIJ)ltl e alla CTapl; (ibid. 2,I S.; cfr. 5 ,J). Naturalmente il crapxtx6\I deriva dalla uÀri (Iren., haer. l,5,6; dr. 6,1) e la tx l)iuxi]c; xpEµaµÉ\lfJ cr&.pl; è la uÀ.ri creata dal Demiurgo (Hipp., ref. 6,J7, Traduzione secondo H. M. ScHBNKll, Das Evangelitlm 11ach Philippus: ThLZ 84 (r959)

    391

    5-26.

    Apocrypho11 Ioannis (~ n . 176) 68,2; 70,8. Secondo la congettura molto incerta cli 65,20 · la O'ap!; sarebbe l'aspetto esterno dell'uomo, che egli usa ma che non tocca il suo interno. 393 Cfr. anche H. J. PoLOTSKY, Manichiiische Homilien (1934) 14,rn; DoRESSE, op. cit. (~ n. 376) 209. . 39-1 Cfr. Biicher des Jeu, op. cit. (~ n. 390) 259,Jo-260A: «carne» non intende la corpo39'2

    (vn,r50) r394

    7 s.). Neil'apocryphon Ioannis le anime provengono dalla crapl; e dopo essere state salvate non sono più costrette a ritornarvi 392• Persino in senso manicheo troviamo una volta l'immagine che agguaglia la crocpl; dell'umanità all'ostrica che contiene la perla ( l'anima) (kephalaia [ ~ n. 387] 204,8 s.14) 393 • Tuttavia 220,6 s. indica che in questo senso si preferisce parlare di «corpo», mentre alla «carne del peccato» si addice l'odio 394• È il vincolo della crapl; della e:lµcx.pµÉ\11], al quale si sfugge quando si esce dal corpo 395 • Dunque, quando è usato in senso tipico il termine cr'&.pl; indica una sfera di potere a cui l'uomo è consegnato 396 • In queste concezioni si esprime certamente un senso del mondo di stampo gnostico, che però si può intendere come evoluzione della concezione delle due sfere (~ col. 1291 ), dove tuttavia il modo greco di concepire per sostanze ha assunto uno schema che originariamente era inteso in modo completamente diverso. A questo riguardo non è ancora necessario presupporre il mito del redentore gnostico.

    =

    Corrispondentemente il rinato -rH.E~oç a\li)pwnoc; dei Naasseni o dei Frigi non è

    più crcx.pxtx6c;, ma '1tVEvµ<x:nx6c;, ài}a\lcx.-roc; (Hipp., re/. 5,7,40; 8,7.18.23.36

    s.; 9,4 397 ). Egli ha lasciato il crwµa terreno (8,23) e non pratica più l'É'mìhJµl<X. 'tjjc; crapx6ç (-7 n. 5 2) ( 8 ,3 l) 398• La reità, ma la «carne dell'ignoranza». 395 Biicher des Jetì, op. cii. (~ n. 390) 315A7. Nei Salmi di Tommaso (ed. C. R.C. ALBERRY, A Ma11ichaea11 Psalm-Book 11 [r938] 219,6; cfr. 204,22) cr6:p!; non ha alcuna accentuazione. 396 ~ Kii.SEMANN 57: «Il corpo 'ha' noi» (non noi abbiamo il corpo!) Cfr. anche DoRESSE, op. cit. e~ n. 376) 172.238.244. 397 Altrettanto dice Hipp., re/. 5,2I,6 a proposito dei Sethiani. 398 Saul praticava il demonio della uo.px~xi)

    1395 (vn,150)

    crcip!:, F 4 (E. Schweizer)

    nascita carnale rientra nei piccoli misteri; da essa d si deve allontanare come il castrato Attis ( 8,40 ). Nessuno ljlux~x6.; o vap:>nx6.; 399 entra in cielo ( 8 .44) 4'.Xl. Secondo i Manichei è soprattutto il corpo di carne che genera i demoni ed è radice e origine di ogni male 401 • In esso vive il peccato (kephalaia [ ~ n. 387] 94,26, cfr. x51,9). Esso imprigiona la 'mente' nella carne (95,18 s.), e con la redenzione la mente dell'anima prigioniera nella carne 402 ne viene liberata, non però la mente del peccato (95,25; 96,18 s.). Nei cinque mondi della crapç o delle crcX.pxEç maschili e femminili abita la 1)oov1} (26,33 s.; 27,3 s.7 s.; cfr. 151 ,30 ). Cosl la crcipç corrisponde al veicolo delle tenebre (170,15). Essa è creata dall'Inviato mediante la forza del peccato (54>4 s.; 56,23 s.; 138,10 ss.), e la uÀtj ha posto su di essa la sua impronta (179,4 s.). Perciò non si devono gustare carne e sangue (192,12; cfr. 229,21) 403 • Un giorno la carne ( il corpo) sarà sconfitta (Manichiiische Homilien [~n.393] 8,n; cfr. n,28; 39,

    =

    E.:dbµia (Hipp., re/. 5,9,22). In Hit>p., re/. 5,8,45, dove si parla della nascita verginale, si ha crwµa:nx6.:; e µcx.xciptoç in luogo di 'ltVEVµcntx6.:;. Cfr. ~ n. 389. -100 Similmente per i Valentiniani: la xofot·h crcip!:, non va in paradiso (Clero. Al., exc. Theod. 51,1 s.; cfr. Iren., haer. 1,7,1 a proposito dello ljlvxtx6v; secondo l,6,3 essi però esercitano le 1)oow1.t -.ijç crcx.px6c; perché le si sentono superiori). 401 E. WALDSCHMJDT- W . LENTZ, Die Stellung Jesu im Ma11ichiiismus, AAB 1926,4 (1926) 100 s. {19b.23a.b). 106 (49a). 121 (15,15). 123 (394). Ibid. xr2 (2 recto rn) compaiono le «membra del corpo e prigioni», che accumulano i desideri (cfr. kephalaia [~ n. 387] 95, 17; ~ n. 284). Ma in uo {76c) il credente prega che il suo corpo di carne giunga a pace e gioia perenne, e in kephalaia (~ n, 387) 151,9; 169,31 il corpo di carne è usato in senso neutro. 402 Anche PoLOTSKY, op. cit, e~ n. 393) 86, 399

    404

    • Il passo ermetico, che si legge in Stob., ecl. l,461 405 e secondo il quale le anime sono immerse CPE~ct.'It"t~
    3-2 5)

    Certamente in questi enunciati abbiamo un uso linguistico specificamente gnostico. Ma in quanto essi non esprimono semplicemente l'avversione per il corpo propria della tarda antichità e il senso dell'abbandono in potere altrui, difficilmente tale uso potrà dirsi primario rispetto al N.T. Con ogni probabilità in entrambi i casi è presente l'inBusso del dualismo cosmologico tardogiudako e orientale in genere (~ col. 1291). Tuttavia in Io., dove pure esso esercita chiaramente il suo influsso, non viene acuita la valutazione negativa della cnip~ (~ 1363 ss.), e in Paolo la potenza della crcX.p~ non è deducibile dal mito gnostico, anzi non rientra nemmeno nello schema delle due sfere (~ 12; dr. 27,7. D'altronde neppure Clemente d'Alessandria, che ci informa, è lontano dai suoi avversari. Per l'abbinamento di crap!; cd btdhJµla cfr. strom. 2,41,
    1397 (vrr,151)

    cra:m.viiç (W. Focrstcr - K. Schafer
    (vn,152) 1398

    col. 1347 ). Il ruolo negativo della O'ap~ nella gnosi 407 , come talvolta avviene anche nel resto del N.T., dovrebbe risalire alle idee indicate alle -7 coli. I 280 ss., a un'errata interpretazione di Paolo

    e soprattutto alla concezione delle due sfere determinata sempre più marcatamente dalla categoria di sostanza (-7 x, col. 937).

    -7 OLa~oÀ.oc;

    B. Satana nel N.1'.: i . l'accusatore e la sua caduta; 2. gli enunciati sinottici riguardanti Satana; 3. gli enunciati su Satana nelle epistole; 4. il principe di questo mondo in Io. e nelle epistole giovannee. C. Satana nei Padri apostolici: a) terminologia; b) aspetti generali; e) Satana e la chiesa; d) Satana e il martire; e) Satana e il singolo cristiano.

    -7

    oalµw\I II, coll.740 ss.;

    coli. 925 ss.; -7 ÈXi}p6c; III, coli. r3x6; -7 xa.-1)yopoc; v, coli. 267 ss.; -? <Sq>Lç IX, coli. 2 3 ss.; -7 1tEtpa IX, coli. x417 ss.; -7 1tO\IT)p6c; x, coli. 1389 ss.

    II,

    SOMMARIO:

    A. Q11mran e la salanologia tardogit1daica: x.Qumran; 2. il tardo giudaismo. «L'uomo 'disincarnato' è la risposta ereti· al Dio 'incarnato'» (E. PETERSON, Der Hass wider dar Fleirch, V ermchtmg tmd Fall d11rch die Gnosis: Wort und Wahrheit 7 [1952] 9). ua-taviiç ~ lìL6..(3oÀoç II, coli. 921 ss.; J. TURMEL, Histoire d11 diable (1931); Satan: Études carmélitaines 27 (1948), ivi specialmente A. FRANK - DuQUESNE, En marge de la tradition i11déo-chrétien11e l81-3 u; E. LANGTON, Essentials of Demonology (1949); K. L. ScHMIDT, L11cifer als gefallene E11gelmacht: ThZ 7 (1951) 161-179; S. V. McCASLANn, By tbe Finger o/ God (1951) 72-75; K. G. KuHN, 'ltELpm1µ6ç, àµap-tla, cr&p~ im N.1'. rmd die damit :wsammenhangenden Vorstellrmgen: ZThK 49 (1952) 200-222; G . P1cc0Lr, Etimologie e significati di voci bibliche indicanti Satana: Rivista di filologia classica, N.S. 30 (x952) 69-73; A. RoETS, De duivel en de stichtillg van het godsriik: Collationes Brugenses et Gandavenses 2 (1956) 145-162; In., De duivel e11 de krirtenen, ibid. 300-321; J. DucHESNE - GmLJ,EMIN, art. 'Dualismus' B u "'i u I, in RAC Ili 342-347. 4U7

    ca

    e

    E. SCHWEIZER

    Per A: A. Lons, La ch11/e des a11ges: RevHPhR 7 (1927) 295-315; J. WocHENMARK, Die Schicksalsidee im Jt1de11tum: Vero!Ientlichungen des orientalischen Seminars der Universitiit Tiibingen 6 (1933) 71-77; M. BuRROWS, Vie Schriftro/len vom Toten Meer (1957) 210-216 (= BURROWS 1); In., Mehr Klarhcit iiber die Schriflrollen (1958) 239-249 ( = BuRRows n); H. W . HuPPENBAUER, Belial in den Qumra11texte11: 1hZ 15 (1959) 81-89 ( = HUPPENllAUER I); In., Der Me11sch zwischen zwei Welte11, AbhThANT 34 (1959) (= HUPPBNDAUER

    II),

    Per B: BULTMANN, 1'heol. J 258 s. 368 s. 376 s. 500 s.; STAUFFER, Theol. § 13-15.28.36.53; L. BouYER, Le problème du mal dans le christianisme

    antiq11e: Dieu vivant 6 (1947) 17-42; B. NoAcK, Satanas und Soteria (1948); E. FASCHER, Jes11s tmd der Satan, Hallische Monographlen II (1949); R. LEIVESTAD, Christ the Conqueror (1954) 40-61.85-92.224-228; G. B. CAIRD, Principalitics a11d Powers. A Study o/ Pa11lit1e Theology (1956); J. M . RoBINSON, Dar

    r399 (vn,152)

    rra-cavfi.c, A

    Dopo la pubblicazione dell'art. --+ II, coli. 70 ss. i testi rinvenuti a Qumran hanno portato nuovi contributi alla satanologia tardogiudaica che sotto vari aspetti permettono di conoscere meglio la situazione nel N. T. Il presente articolo prende in considerazione, oltre ai passi in cui appare cra:tuvéic;, anche quelli che contengono OLaf3oÀ.oc; o espressioni analoghe. oiéc~oÀ.oc;--+

    A. QUMRAN

    E LA SATANOLOGIA TARDO-

    GIUDAICA

    r.Qumnm Riguardo alla figura di Satana, di solito chiamato Belial, gli scritti di Qumran presentano una serie di enunciati particolari, che si distaccano notevolmente da quelli delle opere pseudepigrafiche e del tardo giudaismo rabbinico. Secondo I QS 3,13-4,26 Dio ha dato all'uomo «due spiriti perché in essi cammini» (-7 x, coli. 929 ss.), la rw/;J h'mt e la rw/;J h'wl; «nella dimora 1 della luce Geschichtsverstii11d11is des Mk.-Ev., AbhTh

    ANT 30 (1956); S. LYONNET, De natura pecca·

    I

    (W. Foerster)

    (vn,152) 1400

    sono le origini del peccato. Nella mano del principe delle luci è la sovranità sui figli della giustizia ... ; nella mano dell'angelo delle tenebre è t utta la sovranità sui figli del peccato» (I QS 3,18-21). Più avanti si dice che i due spiriti «fino al presente lottano nel cuore di un uomo» (4,2 3 ). Per vari aspetti qùesto brano è isolato nel complesso della letteratura qurnranica: «i due spiriti» non si incontrano più negli scritti di Qumran 2 , cosl come non ritorna la contrapposizione fra il «principe delle luci» e l'«angelo delle tenebre». Inoltre l'allusione alla fonte delle tenebre induce a chiedersi se da ciò non emerga W1 ambito preesistente all'angelo delle tenebre e di lui comprensivo, sicché l'angelo delle tenebre abbia un'origine sua propria; i noltre non si dice mai espressamente che Dio lo ha creato. Questi problemi insoluti si connettono al fatto che qui sono state riprese concezioni iraniche 3 che, per quanto riguarda la terminologia, non sono state accordate con gli enunciati degli altri scritti di Qumran e, per quanto riguarda jiid. Gnosis: ThLZ 78 (1953) 495-506; H. WILDBERGER, Der Dualismus in den Qumran· schri/ten: Asiatische Srudien 8 (1954) 163r77; A. DuPONT- SOMMER, Le problème des

    ti q11id doceat Novum Tes/ame11/um: Verbum Domini 35 (1957) 204-22r.271-278.332-343; G. BAUMIIACH, Qumran imd das Jçh.-Ev., Aufsiitinftuences étra11gères s11r la secte juive de zc und Vortrage zur Theologie und ReligionsQumran: RcvHPhR 35 (1955) 75-92; F. NoTscHER, Zur theologischen Terminologie der wissenschaft 6 (1958). Qumrantcxte: BBB IO (1956) 79·92; E. t Oppure dalla fonte (ma'o11 o ma'ian, r QS 3, ScHWEIZER, Gegenwart des Geistes und escha19); A. DuPONT - SoMMER, L'instmction st1r les deux Esprits da11s le «ma11uel de Discipli- . tologischc Hof/wmg bei Zarathustra, spiitiii11e»: RHR 142 (1952) 17 s.; P. WERNI!ERG- dischcn Gruppen, Gnostikern und Zeugen des N.T., in The Backgrot1nd o/ the N.T. and Its MoELLER, The Manual of Discipline (1957) 70 Eschatology, Studies in Honour of C. H. DODD n.58. 2

    Solo in

    BARDTKE,

    I

    QH r,17 vanno forse sottintesi; H.

    Die Loblieder von Qumran: 1bLZ

    81 ( 1956) l 51; cfr. A. DuPONT - SOMMER, Le Livre des Hynmes: Semitica 7 (1957) :q.

    K. G. KuHN, Die Sektenscrift tmd die ira11ische Religion: ZThK 49 (1952) :z96-316; A. DuPONT - SoMMBR, The Jewisb Sec/ of Qum· ran and the Essenes (1954) rr8-r30; K. ScHuDERT, Der Sektenkanon tmd die Anfiinge der 3

    (1956) 482-508;

    -)o

    BURRows I 212-2r4; G.

    Quelques Rappor/s e11tre Juifs et Iranìens à l'époque des Parthes: Suppi. VT 4

    WIDENGREN,

    (1957) r97-241; -)o DucHESNE·GUILLEMIN 34:z347; ID., Le Zervanisme et les ma1111scripts de la mer morte: Indo-Iranian Journal l {r9.n) 96·99; S. WIBBING, Dìe Tugend- und Lasterkataloge im N.T., Beih. ZNW 25 (1959) 64 s.;

    O.]. F. SEITZ, Two Spìrits in Man : NTSt 6 {1959/60) 82·95.

    i401 (vn,152)

    cra.-.11.véi<; A

    il contenuto, non sono state ridotte a sistema dogmaticamente non contraddittorio. Tuttavia dall'intera pericope di I QS 3,13-4,26, meglio ancora se vi si aggiungono r QH, I QM e Dam., si deduce con sufficiente chiarezza il vero significato dei testi citati..Dopo una sorta di introduzione, in r QS'3,15 s'inizia la vera e propria esposizione con l'affermazione che tutto proviene dal «Dio delle conoscenze», che ha stabilito il fine ultimo delle cose prima ancora che queste esistessero, per cui non c'è mutamento. Questo potere assoluto di Dio su tutto il creato, anche sopra l'uomo e la sua via, è sottolineato con estremo vigore anche nel salmo conclusivo di 1 QS eripetutamente in r QH. In questa prospettiva non c'è posto per un «angelo delle tenebre» autonomo, pertanto si deve concludere che Dio ha creato anche questa figura con la sua specifica funzione. Anche la «fonte delle tenebre» non è una sfera indipendente da Dio; già da Is. 45,7 gli uomini di Qumran potevano dedurre che era stata creata da Dio. Poiché dell'«angelo delle tenebre» si predicano le stesse cose di 'Bclial ', le due figure andranno identificate. E poiché dei due 'spiriti' si parla in categorie personali, lo «spirito del peccato» sarà concepito come persona, come nella teologia zaratustriana che qui si riflette, e verrà a identificarsi con l'angelo delle tenebre e con Belial 4 • La locuzione <(lotta degli spiriti nel cuore dell'uomo» fa pensare alla dottrina rabbinica dei due 'istinti' che Dio fin dall'inizio ha creato nell'uomo 5 (-7 x, Secondo l'ipotesi più diffusa, p. es. J .T. M1Dix ans de découvcrtes dans le désert de ]uda (1956) 77 s.; ~ BuRnows II 248; F.M. CROSS, The ancicnt Library o/ Qt1mra11 (1958) 157; K. ScHU:BERT, Dic Gemeinde vom Tote11 Meer (1958) 58 s.; più cautò- ~ HuPPENBAUER I 85; II 35 s. 53. Va però tenuto presente che 4

    LIK,

    r

    (W. Foerster)

    (vu,153) 1402

    coli. r372 s.). Ora, c'è realmente un passo che parla di questa lotta: secondo I QS 3,21-25 tramite !'«angelo delle tenebre» viene l'errore dei figli della luce e «gli spiriti della sua eredità esistono per indurre a cadere i figli della luce; ma il Dio d'Israele e l'angelo della sua verità aiuta tutti i figli della luce». Tuttavia non si dice mai che l'angelo della luce intervenga in modo analogo sui figli delle tenebre. Pertanto in questo contesto la dottrina dei due spiriti ha un significato diverso da quella dei due 'istinti' tra i quali l'uomo può e deve scegliere. Gli scritti di Qumran seguono un pensiero predestinazianistico; in essi il potere assoluto di Dio preordinato ad ogni cosa si estende anche agli uomini. Dio ha creato Belial, l'angelo delle tenebre, lo spirito di peccato, come pure il giusto e l'empio. Il mondo e gli uomini sono soggetti alla sovranità di Belial che Dio e i giusti odiano e che a sua volta odia Dio e i giusti. Dio chiama i giusti dalla massa dei figli di Belial e con la sua guida li prepara in modo che liberamente si assoggettino in tutto alla volontà di Dio. Belial cerca di indurre in fallo i figli della luce e li opprime e li perseguita (r QS 3,24; I QM, passim). Agli ordini di Belial stanno anche spiriti punitori (r QS 4,I2; Dam. 2,6 [2,4], cfr. Hen. aeth. 56,r-4; Iub. 49,2). Contro l'elezione di Dio che si è manifestata in tutta la storia d'Israele (Dam. 2,n s. [2,9]) Belial ha impegnato la sua potenza (Dam. 5,r7-19 [7,19]). Ma il «principe delle luci» protegge i figli della luce. Ciò che rinsalda tutta la colo «spirito del peccato» proviene dalle tenebre, mentre I'«angelo delle tenebre», Belial, ne è il signore; cfr. la trattazione presso WERNBERG-MOELLER, op. cit. (--+ n. I) 70 n. 56. s STRACK-BILLERBEcK rv 466-483; MoonE I

    479-493.

    cra;-.;a;-,iéiç A r-2 (\Xl. Foerster)

    munità e il singolo in essa nella lotta contro Belial non è la legge, che per i rabbini è la medicina contro l'istinto cattivo (S. Deut. § 45 a II,I8), ma Dio e l'angelo della luce 0 , oltre che il ricotdo della misedcotdia di Dio e delle ptove della sua grazia (I QH l,31 s.; 2,25. 28; 4,Jr-40; 6,9 s.; 7,18; 9,r2 s.; ro, 17; dr. I QS l,2r s.). E se Dio ha creato lo spirito del peccato, ha anche posto un termine all'esistenza del peccato (I QS 4,18); allora Bella!, i suoi angeli e le schiere degli uomini che appartengono alla sua 'eredità' incorrono nel giudizio. Un'ultima selvaggia battaglia · segnerà la fine di Belial, dopo di che regnerà la verità sulla terra. Dio creerà una realtà nuova, il ritorno del paradiso e una vita in comune degli uomini con gli angeli (I QS 4,20-25; r QH 3,21 s.; 6,13; 7,14 S.; II,12 S . 25-27; I5-16). È naturale che debbano rimanere aperti alcuni interrogativi: se Dio creerà una realtà nuova (r QS 4,25), allora la realtà vecchia è diventata imperfetta o s'è corrotta? Nei testi non emerge una connessione tra Belial, i mali del mondo e la sovranità della morte. Se Dio ha creato i malvagi e li ha destinati a] <~giorno del macello» è perché conobbe le loro opere (r QH r5,r7-I9; Dam. 2,7 s. [ 2,6s.J). In questo caso la predestinazione non viene forse attenuata da una preveggenza di Dio? Ma questi interroQS 3,24 s.; I QH 7,6; 9,28 s. «in te cerco rifugio dai raggiri cli Belial» (trad. secondo H.

    'i I

    BARDTKE,

    Die Ha11dscbri/tc11/1mde am Tote11

    Meer n [1958] 248); 17,21-23; 18,9.24 s. 7 STRACK-BILLERBECK III 251 s. bli'l non sempre è nome proprio, spesso è l'appellativo ve-

    terotestamentario malvagità, corruzione, ~ I 81-84; II 35 S. 53- BEÀM.tp è nome proprio in vite dei profeti, dr. C. E.

    HUPPENBAUER ToRREY,

    The Livcs o/ the Prophets, JBL Mo-

    nograph. I (1946). 8 I QH, fr. 4,6: bkl stn ms!;it; I QH, fr_45, 3: kl #n wmJ[Jjt; I QSb l,8: S(n; dr. ~

    (vn,154) 140+

    gativi mettono ancor più in chiaro quale fosse l'interesse immediato degli uomini di Qumran: risolvere il mistero del male facendo risalire a Dio anche ciò che egli odia e condanna. Nell'importanza che gli scritti di Qumran attribuiscono al concetto di mistero è implicita la sensazione che nemmeno questa soluzione può rispondere a tutti gli interrogativi. Che questa concezione di Qumran occupi una posizione peculiare nello sviluppo del pensiero tardogiudaico, risulta dalla stessa terminologia. Il nome più frequente per indicare il 'demonio' è qui ·hl;'l, che manca completamente nella letteratura rabbinica 7 • m'f!mh a quanto pare è presente negli scritti di Qumran solo come termine astratto (r QS 3 ,23; I QM 13,4-II; Dam. r6,5 [20,2]), come nome proprio in Iub. ro,8; Ir,5.n; 17, r6; 18,9.12; 19,28; 48,2; 49,2,manon negli scritti farisaici. f!n invece si trova solo tre volte negli scritti di Qumran in contesti che non si possono determinare specificamente, per cui non è chiaro se è nome proprio oppure appellativo («il nemico») 8 • Manca invece Sammael, il nome proprio che i rabbini hanno dato al diavolo 9 • 2 .

    Il tardo giudaismo 10

    L'attività specifica di Satana che emerge dall'A.T., cioè quella di accusa83 n. 2r. Satana è nome proprio in Iub. 10,n e forse anche in 23,29; 50, 5; è incerto il senso di 40,9 e 46,2; '.EaTavéiç si trova 5 volte in test. XII Patr. e spesso in test. lob (cd. M. R. JAMES TSt v I [1897 ]). 9 Sammael si trova 8 volte in asc. Is. (accanto a Belial 13 volte e a Satana 6 volte) e in Bar. gr. 4·9· 10 Nella misura in cui è possibile individuare un satanologia, tra i numerosi scritti rinvenuti a Qumran si possono segnalare (senza che però se ne possa distinguere a pieno l'identità): 1 QS; I QM; 1 QH; inoltre Dam. AlHUPPENDAUER r

    1405 (vn,154)

    uu•avac; A

    re davanti a Dio 11, si trova in Iub., nelle parabole di Hen. aeth. (al plurale), in apoc. El. 4,4.9; 10,19 s. e passim 12 e nei rabbini (-') n, coll. 937 ss., nn. 31.37. 39.41). Accanto a lui si trovano in lub. 4,6 gli angeli che dànno notizia a Dio di tutti i peccati com.messi in ci~lo e sulla terra 13 • L'accenno alle accuse del Maligno solleva immediatamente il ptoblema di come si possa far fronte ad esse: in Iub. Satana è legato perché non possa accusare (48,15.18), in Hen. aeth. 40,7 l'arcangelo Fanuel preposto alla penitenza scaccia i vari Satana, presso i rabbini i difensori sono Michele od opere buone (-') 11, coli. 939 s., nn. 37-39). L'attività di accusatori non è mai attribuita a demoni H. Nell'A.T. Satana è uno dei «figli di Dio» e in quanto tale ha accesso a Dio; perciò si può supporre che la dottrina qumranica dei due spiriti creati da Dio abbia preso di qui le mosse (-') col. 1399), attribuendo a uno dei due, Belial, il ruolo di accusatore. Ma è proprio questa funzione che manca del tutto in questi scritti, e ciò prova che tutta la quanto lontani da queste opere si trovano i seguenti libri rinvenuti frammentari a Qumran: Iub.; Hen. aeth.; test. XII. Patr. Prossimi ad essi nel tempo sono ass. Mos. e Ps. Sai., mentre la maggior parte delle piccole apocalissi pseudoepigrafiche è più recente. Su questa distanza cfr. W. FOESTER, Ne11testame11tlicbe Zeitgeschichte 11 (1959) 78-80. 11 A. Lons, Les origines de la figure de Satan, ses fonctions à la cot1r céleste, in Mélanges syriens olferts à R. D11sst111d II, Bibliothèque ar·

    chéologique et historique 30,2 (1939) 649-660, ricorda che anticamente in Oriente non esisteva nulla di analogo al pubblico ministero e presuppone che il modello del Satana veterotestamentario siano stati i ministri itineranti ad· detti alla vigilanza chiamati l'«occhio» o I'«O· recchio del te».

    Cfr. anche apoc. Soph. l,r3 (ed. G. STEIN· DORFF TU 17,3 [1899) III.I70). 12

    :i

    (W. Foemer)

    (vu,15+) 1406

    concezione dei due spiriti è stata elabo· rata non sulla base di ciò che l'A.T. dice di Satana. Inoltre salta subito agli occhi che la concezione fondamentale della dottrina di Qumran non concede spazio all'idea che il diavolo sia un angelo decaduto. È un'idea che non si trova nemmeno negli pseudepigrafì rinvenuti nelle grotte di Qumran. Essa compare solo negli scritti rabbinici (-') II, col. 942 n. 44), in Hen. slav. 29,4 s.; 31,4 s. e in vit. Ad. 12-16, anche se è già presupposta in Sap. 2,24. Inoltre risulta estranea anche l'idea che l3elial abbia fat· to entrare il peccato nel mondo corrom· pendo Adamo o che comunque solo con la caduta di Adamo il peccato sia entrato nel mondo. Quest'idea manca anche in Iub., test. XII Pat1-. ed Hen. aeth. 15 • L'importanza determinante della caduta di Adamo è affermata esplicitamente già da Ecclus 25,24, è forse presupposta in Sap. 2,24 ed è presente in 4 Esdr., Bar. syr., vit. Ad. e negli scritti rabbinici 16• Si riprende e si amplia cosl il racconto biblico al quale la dottrina dei due spiriti non concedeva spazio alcuno. Il Cfr. anche in ~ II, col. 941 n. 41 un parallelo rabbinico, analogo a Qid. j. 1,10 (61d 3251), cfr. STRACK-BlLLERJIECK II 560. 14 Fa eccezione Cant. r. 2,1, che la attribuisce ai principi degli angeli dei popoli (STRACKBILLERBECK III 49). JS Hen. aeth. 98,4 (gli uomini si sono creati da sé [il peccato]), considerato il plurale, non si riferisce al peccato di Adamo. Il peccato di Adamo non è accennato né nella visione dei 70 pastori né nell'apocalisse delle xo settimane cli Hen. aeth. 85-90; 93; 91,12-17. Secondo HUPPENBAUER II 90-93 in fr. 27 col. I 5 (DJD I 103) potrebbe trattarsi di angeli decaduti quali «causa della corruzione». Pare invece che l'apocrifo di Gen. di Qumran I non abbia toccato per nulla o solo brevemente la caduta degli angeli di Gen. 6,1 ss. - HuPPENBl\UER Il

    94.

    •• STRACK-BILLERBECK

    479.

    m 227 s.; MooRll I 474·

    <111.:ta.véi.ç A 2 (W. Foerster)

    Invece il peccato degli angeli di Gen. 6,r-4 già nei più antichi pseudepigrafi aveva una grande importanza 17• Anche per esso la dottrina dei due spiriti non offriva spazio alcuno. È tipico il fatto che Dam. 2,18-21 (3,4-7) accenna al peccato dei «vigilanti», ma non gli attribuisce il ruolo determinante di avete così introdotto il peccato nella storia dell'umanità, ma lo colloca sullo stesso piano del peccato dei figli di Noé, dei figli di Giacobbe in Egitto, della generazione del deserto e dei figli d'Israele in Palestina (Dam. 3,1-12 [4,1-ro]). Anche . nella visione dei 70 pastori in Hen. aeth. la caduta degli angeli è un episodio che ha solo un'importanza relativa per la storia dell'umanità 18• Alquanto diversa è la situazione in Iub., dove è vero che anche gli angeli peccatori di Gen. 6 sono legati e i loro figli annientati e Dio dà una natura nuova e giusta a tutte le sue creature (lub. 5,r-12), ma si dice anche che dopo il diluvio demoni impuri seducono i nipoti di Noé. Contraddittoriamente costoro sono chiamati «figli dei vigilanti» (Iub. 10,5) e «spiriti di Mastema» (Iub. r9,28). Quando poi per richiesta di Noè devono essere distrutti, Mastema, «il principe degli spiriti», ottiene che un decimo di loro sopravviva poiché diversamente non potrebbe esercitare il potere della sua volontà sui figli degli uomini (Iub. IO, 8). 17

    ~

    Lons 295-315. Hen. aeth. 86,1-88,3: gli angeli caduti sono incatenati; dopo il diluvio non si dà notizia di una nuova irruzione delle forze demoniache suJla terra (89,9). I~ Già i diversi nomi dei principi degli angeli :lecaduti, soprattutto Shemjaza e Asa(s)el, indicano la disparità delle speculazioni. Un altro indizio è che lub. 69,6 attribuisce la seduzione di Eva a Gadreel, mentre pochi versi più avanti si dice che la morte non avrebbe toccato gli uomini fatti come gli angeli, se non avessero imparnto la scrittura da Penemue (fob. 69,n). Secondo 54,6 le schiere di Asasel 13

    (vn,:r55) i408

    Qui è evidente che vengono artificiosamente collegate concezioni disparate. Lo stesso vale per i relativi enunciati che si leggono in Hen. aeth., dove soprattutto paganesimo, guerra, lusso e mancanza di fedeltà ai misteri di Dio sono connessi al peccato degli angeli e da allora sono di moda tra gli uomini 19• In test. XII Patr. il peccato di Adamo non viene menzionato e la caduta degli Èypl]yopo~ in test. R. 5,6 s.; test. N. 3,5 viene adibita, come in Iub., solo ad uso parenetico. La letteratura rabbinica conserva solo ricordi fievoli e tardivamente attestati di queste elucubrazioni apocalittiche 20 e le rifiuta coscientemente 21 • Secondo test. XII Patr. l'uomo si trova davanti alla scelta: «Sappiate che due spiriti si dàtlllo pena per l'uomo, quello della verità e quello dell'errore» (test. Iud. 20,1); l'uomo deve decidere fra luce e tenebre, fra la legge del Signore e le opere di Belial (test. L. 19,1). In forma del tutto demitizzata Ecclus r5,17 dice: «Davanti agli uomini sta la vita e la morte, e ciò che vuole gli sarà dato»; secondo 4 Esdr. ogni uomo deve lottare e accettare il frutto della sua vittoria o della sua sconfitta (7, 127 s. e passim); Aqiba paragonava la situazione morale dell'uomo a .un acquirente al quale il negoziante vende volentieri a credito, ma che pri?1a o poi furono assoggettate a Satana e corruppero gli abitanti della terra. 20 STRACK-BILLERBECK III 780-783. 2 1 Rispetto alle sporadiche reminiscenze :rabbiniche della tradizione di Enoc si può provare l'anteriorità della ccinvinzione attestata nel Tg. e in epoca tannaitica secondo cui con l'espressione «figli di Dio» di Gen. 6 si indicano i figli dei grandi della terra (STRACK-BILLERDBCK III 783). Abbastanza significativo è anche che, con un'allusione a Gen. 6, secondo Bar. syr. 56,5-r:r il peccato di Adamo costitul un pericolo per gli angeli (e non viceversa). Cfr. BouSSET-GRESSMANN 253.


    dovrà inesorabilmente pagare (Ab. 3, 16). A difesa dal Maligno, sia esso Sammael o «l'istinto cattivo», all'uomo è concesso il rimedio della legge (S. Deut. § 45 a u,18 [legge intesa qui come esigenza della volontà di Dio]). Non era questo il punto di vista degli uomini di Qumran, secondo i quali l'uomo non è posto davanti a una libera scelta. Il rapporto tra l'elezione di Dio e l'istituzione della comunità di Qumran, tra l'affiliazione dell'individuo in essa e le prove ed ostilità di Belial, perde d'importanza negli pseudepigrafi rinvenuti a Qumran e poi nel giudaismo rabbinico, e con esso recedono le concezioni predestinazianistiche. L'idea di elezione viene ancora una volta estesa a tutto Israele, per essere poi un'altra volta attenuata, perché a lungo andare è soverchiata dalla convinzione che Israele è 'eletto' per la sua libera accettazione della legge. Passa in primo piano l'impegno individuale nel!'osservanza della legge, e in questo orizzonte la tematica ruota spesso attorno al peccato e alla propensione dell'uomo a peccare. Quindi l'attività di Satana è descritta in maniera molto colorita con riferimento a Gen. 3, nel tentativo di renderla evidente, e in tal modo risulta attenuata, oppure scompare completamente come in 4 Esdr. (--)II, coll. 936 ss. 941); in questo caso il singolo individuo, senza che intervenga quasi nessun fattore trascendente, si trova davanti alla libera scelta pro o contro la legge di Dio.

    (vn,156) 1410

    Nella storia del tardo giudaismo gli scritti di Qumran sono gli unici a sviluppare una satanologia in certo qual

    modo unitaria. Nel dualismo di luce e tenebre, creato da Dio, l'angelo delle tenebre, Belial, è il principe unico e sovrano delle tenebre, accanto al quale non vi sono altre forze autonome del male. La lotta fra luce e tenebre è il tema dominante della storia universale. Accanto ai figli della luce e a quelli delle tenebre non ci sono realtà 'intermedie' 22; senza ridurre gli uomini a strumenti privi di volontà nelle mani dei due 'spiriti', l'antropologia di Qumran ritiene che sia Dio ad attribuire agli uomini la loro 'sorte' nel bene e nel male. Si respinge così tutta una serie di enunciati dell'A.T. e di altre fonti: il ruolo di accusatore di Satana davanti a Dio, il peccato di Adamo o la sua seduzione da parte del serpente, ossia Satana, il peccato degli angeli come momento iniziale del male e di potenze demoniache, la figura di Lucifero. Eppure queste concezioni sono penetrate negli pseud~ pigrafi rinvenuti a Qumran e più ancora negli altri scritti pseudepigrafici e nel fariseismo, anche se ora nella letteratura rabbinica non troviamo che frammenti sparsi di tali concezioni 23 • All'elezione subentra la libera decisione sulla base della legge, che toglie importanza alla figura di Satana. Solo un'idea è comune a tutto il tardo giudaismo, ed

    Circa gli «esseri intermedi» cfr. MooRE l 495 s.; II 318; Qid. j. 1,10 (61d. 32-51), dr. STRACK-BILLERBECK II 56oa (Aqiba); R. H. b. 16b e r. Sa11h. 13,3, dr. STRACK-BILLI!RDECK IV 1043 s. n78 (scuole di Shammai e cli Hillel);

    test. Abr. A X2 (p. 90,23-25). 21 Satana considerato angelo della morte «sovrano del mondo» ~ n, coll. 939 s.; STRACKBILLERDECK I 144-149; identificazione con «l'istinto malvagio» B.B.b. 16a (Resh Laqish).

    2.?

    l4II (vn,156)

    CTa-raviiç A

    2 -

    è la convinzione che alla fine dei tempi la potenza del male - comunque sia concepita - sarà disttutta 24 • A questo riguardo l'attenzione di Qumran è rivolta prevalentemente alla cessazione del peccato, anche se il tempo finale porterà comunione di vita con gli angeli (I QH 3, 21 s .; 6,12 s.; II,II s.) oltre che la :fine di «affanno e sospiri» (I QM u,26). Quest'ultima speranza trova espressione anche negli pseudepigrafì: tum zabulus finem habebit et tristitia cum eo abducetur (ass. Mos. ro,r; cfr. Iub. 23,29; 4 Esdr. 7,u-13; 8,54a) e ritorna ogni volta che si parla di un nuovo ciclo e una nuova terra 25 •

    B. SATANA NEL N.T. r. L'accusatore e la sua caduta La peculiarità degli enunciati neotestamentari riguardanti Satana si può individuare nell'uso particolare del tema della caduta di Satana dal cielo. Si accoglie un'idea nota dall'A.T., cioè che Satana in quanto accusatore ha accesso a Dio, ma la si sviluppa in modo proprio. La situazione del logion di Le. 22,31 è identica a quella del prologo di Giobbe (~ r, col.523): Satana chiede di po24

    I QS 4,18-23; Iub. 23,29; 50,5; Hen. aeth. 69,29; 91,8; 4 Esdr. 6,27; 7,113 s.; 8,53; STRACK-BILLERBECK IV 482 s.; ~ II, coli. 941 s., n. 43; VoLZ, Esch. 309-320.332-340. 25 Iub. l,29; 4,26; Hen. aeth. xo,7.17.22; 45A s.; 91,16; 4 Esdr. 13,26; Bar. syr. 51,8; Hen. slav. 65 ,6·9; Gen. r. 12s a 2A (STRACK-BrLLER.IlECK I 19), cfr. Votz, Esch. 338-340. Sa-

    B

    1

    (W. Foerster)

    (vn,157) 1412

    ter disporre dei discepoli per vagliarli come il grano. Lo scopo di questo va· glio è di svelare le deficienze di ciascun discepolo di modo che Satana lo possa accusare; a questa accusa si contrappone l'intercessione di Gesù 26 • Qui Gesù si attribuisce la funzione che nel giudaismo hanno gli angeli, soprattutto Michele (--7 col. 1405). Analoga è la situazione in Apoc. 12,7-12, dove Michele combatte contro Satana, il «grande serpente». In questo testo si parla di una definitiva caduta di Satana dal cielo, per cui d'ora in poi egli non ha più accesso a Dio quale accusatore (12,10). La caduta di Satana dal cielo e la determinazione 'temporale' del fatto (v. 12), ossia al tempo della venuta di Gesù (v. 5), dividono il N .T. dal giudaismo (--7 col. 1406). I due momenti s'intravedono anche nel passo di Le. 10,18, anch'esso proprio del ter· zo evangelista: Èi}Ewpouv 'tÒ\I (fa'tu..\liiN GJ<; ci(f.-pU..1t'Ì]V É% 'tOU oÙprJ..\IOU 1tEO'O\l'C'a. (--7 x, coli. 305 s., n. Il) «vedevo Satana come folgore cadere dal cielo». Il verbo rne:wpow sicuramente non si può riferire ad una visione preesistente (--7 VI, col. 363 n. 220), né a una visione prolettica di un evento escatologico. Pertanto anche in questo caso la caduta dal tana e i suoi angeli causano danni esteriori agli uomini ~ II, col. 938 nn. 32 e 33; Ex. r. 20,8 a 13,7. i;. Cosl ScHLATTER, Komm. Lk., ad l.; W. FoERSTER, Lukas .2.2,JI s.; ZNW 46 (1955) 129-133; diversamente la maggior parte dei commentari; dr. BuLTMANN, Trad. 287 s. ed Ergiinzu11gshe/t 39; ~ NOACK xo1 s.

    1413 (VII,157)


    cielo indica la fine della possibilità di accusare davanti a Dio n. Tuttavia dal contesto emerge che ciò non significa la fine di ogni attività di Satana, ma che la cessazione totale della sua possibilità di accusare comporta anche la fìne della facoltà di nuocere là dove opera la.potenza di Gesù. Non si dice a quale momento in particolal'e si riferisca l'èì}ewpouv 28. Che secondo Le. 22a1 s. Satana abbia ancora accesso a Dio non infirma questa interpretazione di Le. 10,18, poiché la vita di Gesù costituisce un evento unico. È da notare che in nessuna lettera paolina, comprese quelle forse spurie, si incontra l'immagine della caduta dell'accusatore. In questo contesto va collocato però Io. 12,31, anche se lavar. (}À.'l']i}1)crE'tat xa'tw è certamente secondaria. Il luogo 27 ZAHN, Lk.; ScHLATTER, Komm. Lk.; K. H. RENGSTORF, Das Evangelitlm nach Lt1kas, N.T.

    Deutsch 3' (1958) ad l.; clr. anche M. ZERWICK, Vidi satanaf!J sicut fulgur de caelo cadentem: Verbum Domini 26 (1948) II0-n4. i~ Comunque non si deve pensare solo alla tentazione; cfr. ZAHN, Lk., ad l. 29 ScHLATTER, Komm. ]oh., ad l. ; diversamente BuL'rMANN, ]oh., ad l. 3-l Viceversa anche nel N.T. si trovano elucubrazioni riguardanti la caduta degli angeli: Iudae 6 e 2 Petr. 2.4 accettano la dottrina apocrifa della temporanea punizione degli angeli decaduti di cui parla Gen. 6, a cui I Petr. 3,19 probabilmente non ha pensato (~ v, col. 452; x, col. 1090) ma che forse riecheggia in Le. 8,31; vedi i commentari ad l. e B. RErKE, The Disobedient Spirits and Christian Baplism, Acta Seminariì Neotestamentici Upsaliensis 13 (1946). Cfr. anche Apoc. 9,1-n; 12,4•. li Cfr. i commentari ad l. 32 L'unico passo del N.T. che potrebbe accennarvi è Phil. 2,6: ovx Ù()1ta.yµòv i}yi]crcx.-ro -rò

    l

    (W. Foerster)

    da cui è 'estromesso' il pl'incipe di questo mondo (~I, col. r 301 n. 5) può essere solo la sede del giudizio, cioè il cielo 29 • Jn fo. I 6, I I Ò &p)GWV 'rOV XOCTµOU 'tOU'tOU XÉXPL'tCU, «il principe di questo mondo è giudicato», il giudizio nei suoi confronti è un dato di fatto così palese, che non occorre darne prova al mondo. In tutti questi passi che parlano della caduta del diavolo o della sua condanna, al «già» si collega un <<non ancora». È questa la caratteristica che contrassegna gli enunciati neotestamentari su Satana. Ora, all'idea della caduta di Satana dal cielo avvenuta nel tempo non si può collegare la concezione mitologica del peccato di Lucifero avvenuto prima che il mondo fosse 30; allo stesso modo s'è abbandonato il fondamentale principio qumranico dei due spiriti creati da Dio (~ 1399 ss.). A proposito del diavolo I udae 9 si rifà a una leggenda che non ha più rispondenze letterarie 31 • A maggior ragione sorprende che nel N.T. non si parli di una primordiale caduta di Satana e dei motivi che l'hanno causata 32 • Eivo:t te1cx. 1'E!i). Paolo potrebbe aver pensato all'antitesi rispetto a una tendenza diabolica a identificarsi con Dio, e quindi ad un premon· diale peccato del diavolo. Ma poiché in tutta la pericope l'attenzione è rivolta soltanto all'operato di Cristo e nemmeno gli uomini sono considerati come esseri da redimere, si dovrà escludere che il motivo soggiacente sia quello di Lucifero . ~ STAUFFER 47 cita i passi di Le. 10,18; Apoc. 12,9; Io. 12,31, sopra considerati, per provare che le «tradizioni giudaiche circa una catastrofe avvenuta negli esseri liberi della creazione anteriori all'uomo» sono «presupposte come note e valide nella chiesa primitiva, specialmente in Paolo», ciò che non è invece provato né dai passi citati, né da Apoc. 9,1-n, In 2 Cor. n,14 Paolo non ha scritto: 6 ua-raviic; (M.'tEO")C'l')µG.-rl
    r;r.cr:aviiç B 1-2 (W. Foerster)

    A prescindere da Paolo, gli scritti gio- pri di Luca (rn,18; 13,16; 22,3.31)hanvannei non ne presentano traccia, poiché no esclusivamente (tranne solo Le. IO, non si dice che ÈV CÌ.PXTI O O~a~oÀ.oç i)- 19: -> o!xl}p6ç) ò cra.-av~, che l'isale µ IX, col. 64). L'Apostolo invece proveniente dalla fonte Q Mt. (tranne non ha utilizzato le elucubrazioni circa 4,3: ò 7tELp6:swv e 4,10: era-cava) e Le. una seduzione sessuale di Eva da parte hanno ò 8~6:.~oÀ.oc;, che altrove si trova del serpente/Satana (--7 IX, col. 63). La solo in Mt. I3 39; 25,4!. Inoltre Mt. definizione di «omicida sin dall'inizio» ha diverse volte ~ ò ÉXl}p6ç e --7 ò 1tOdata da Io. 8,44 al demonio presuppone V1)p6c;. o cra-cavélç di Mc. 4,15 è sostiprobabilmente anche una sua identifica- tuito da o 7tOV'f)p6c; in Mt. 13,19 e da zione col serpente 34 • Invece nel N.T. ò SL6:.~oÀ.oc; in Le. 8,12. non v'è traccia della successiva identifiNella primitiva tradizione cristiana cazione rabbinica di Satana con l'angelo della morte o con l'istinto malvagio (--7 tramandata dai sinottici si parla raraII, coll. 939 ss. con n. 43). In Hebr. 2, 14 abbiamo la massima approssimazio· mente di Satana, tuttavia i pochi passi ne, non una totale identificazione con permettono di cogliere gli indirizzi fonl'angelo della morte. Sia Paolo che l'A- damentali della satanologia neotestamenpocalisse distinguono nettamente morte taria 35 • La ripulsa di Gesù alla tentazioe Satana (r Cor. 15,26; Apoc. 20,10.14). ne (--7 IX, coll. 1446 ss.) è più che un atto negativo: è una vittoria che dimostra 2. Gli enunciati sinottici riguardanti Sachi è il più forte 36• Chi trasmise questi tana Terminologia: nei sinottici Mc. (r, racconti di tentazione aveva del demo13; 3,23.26; 4,15; 8,33) e i brani pro- nio l'immagine di una volontà sagace 1

    MANN, Kor., ad l. e -7 LANGTON r38.19x. In Io. 8M" si parla, come pare, di un pa· dre del diavolo. In termini gnostici ciò potrebbe voler dire che i Giudei provengono dal de· miurgo considerato padre del diavolo. Ma, nello gnosticismo, caratteristica del demiurgo non sono tanto i 'desideri' quanto l'ignoranza e l'orgoglio. Inoltre la suddivisione ternaria del mòndo che ne conseguirebbe sarebbe in contraddizione con Ja visione globale di Io. 34 C'è ancora da considerare se con questa e· spressione si alluda alla storia di Caino (cosl HrnscH, ]oh. 218 s.; H1RSCH, Studien 78-80); ma di solito questa ipotesi viene giustamente 33

    respinta, cfr. i commentari e ~ NoACK 86-90; 011 the Gospel accordillg to St. John II, ICC (1928) ad l. lascia aperto il problema.

    J. H. BERNARD, Commentary

    Anche se le formulazioni delle pericopi sinottiche di cui stiamo per trattare sono da attribuire in misura più o meno notevole alla primitiva comunità palestinese o ellenistica, i presupposti concettuali résalgono allo stesso Gestt. Diversamente, quali sarebbero le basi dcl suo diverso atteggiamento ' rispetto al giudaismo? JS

    3S

    Contro ->

    LEIVES1'AD

    50-:53.

    <Jo.-.a.véiç B 2 (W. Foerster)

    (V!I,159) I418

    intenta a impedire che il regno di Dio si attuasse attraverso la vita e la passione di Gesù, e che ha a sua disposizione fo potenza di questo mondo. Nell'episodio in cui Pietro viene chiamato Satana (Mc. 8,J3 par. Mt. 16,2 3) anzitutto è ovvio intendere
    di una lotta contro Satana, anzi che quest'ultimo sia nominato così poco. In ogni caso non si dice esplicitamente che dietro alle domande tentatrici rivolte a Gesù si celi il Maligno(~ IX, coll. 1429 ss. 1449 ss.) 40 • Tuttavia non si può trascurare la luce che l'episodio della tentazione proietta sulla vita di Gesù. Tutta l'esistenza e le sofferenze di Gesù sono un sl a Dio e quindi un no al tentatore. Solo in un altro passo sinottico si accenna a un contrasto di Gesù con Satana; si tratta della pericope su Beelzebul (Mc. 3,22 ss. par.). Con la form.ulazione e la trasmissione di questa pericope la comunità primitiva ha tramandato una serie di importanti enunciati. Anzitutto in luogo della confusione circa i demoni, che si osserva nel giudaismo dell'epoca(~ 1407 ss. e~ II, coll. 239 ss. 776 ss.), si enuncia l'inequivocabile unità del regno del male sotto un capo unico: Satana. In secondo luogo gli indemoniati non sono uomini che il messaggio di Gesù pone davanti a una scelta, beosì individui che la potente parola di Gesù libera da una potestà che rende schiava la loro esistenza personale. Si tratta di una speciale categoria di malati, e la loro malattia è effetto della potenza del Maligno (~ III, col. 1335). Anche

    37 Anche ~ NoACK 86 soppesa questa possibilità, ma giustamente la respinge. 38 Qualcosa di simile vale per Le. 22,53: UVTIJ Éc''tLv vµWv 1)
    3'.l

    Forse la chlave viene da Hebr., che ha rapporti con la tradizione della comunità primitiva, quando in 4,15 sottolinea l'espressione 'ltEm:1pcxaµ.tvov xcxi:èt 'lttiV't'CX xa.ll'6µor.6i:'l)'t'cx.

    "° Diversamente-+ FASCHER 35-38; ~ RomNSON

    37 s. 58,

    ua-.avaç B

    14r9 (vn,159)

    malattie che non portano il segno della possessione demoniaca (-7 II, col. 787) sono ritenute opera di Satana (Le. 13, x6) 41 • Va tuttavia osservato che non ogni malattia viene considerata di origine satanica. Ma non si cerca un accomodamento o una pura distinzione fra malattie 'naturali' e 'sataniche', anche sedietro al fenomeno malattia si cela «l'omicida fin da principio». Perciò Act. xo,38:

    2

    (\V/. Foerster)

    (vn,160) 1420

    µevoc; 'ltav't'm; 'toùc; xoc't'aouva.cr't'euoµlvovc; UJtÒ 't'OV OLa.(36Àou, «(Gesù) il quale passò beneficando e sanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo», può presentare tutte le guarigioni come esorcismi ~ • Un terzo enunciato fondamentale contenuto nella pel'icopc su Beelzebul sta nel traslato del forte e del più forte (Mc. 3,27 par.). Si tratta di Wla giustificazione dell'attività di Gesù e allude a un avvenimento della sua vita. Di solito si ritiene che nella tentazione si sia compiuto questo
    è non solo una questione di potere, ma anche di diritto. L'incatenamento del più forte e la caduta dell'accusatore dal cielo indicano lo stesso dato di fatto. Mc. 3,27 e Le. xo,17 s. si spiegano a vicenda. La comunità primitiva ha tramandato inoltre altri due importanti enunciati sotto forma di spiegazioni di parabole. Nella parabola del seminatore il seme che cade sul sentiero (Mc. 4>4) ha già determinato il suo destino. Nell'interpretazione, che non fa ancora della parabola un'allegoria 43 , alla caduta del seme sulla via corrisponde unicamente il µi) cruv~ÉV't'oç (Mt. x3,19) che si trova solo in Mt. Contro l'applicazione all'attività del diavolo sta il plurale degli uccelli, oltre al fatto che nelle persecuzioni e anche nel! 'inganno della ricchezza si può pensare all'attività del Maligno esatsamente come nel primo caso. L'opera di Satana menzionata unicamente in Mc. 4,x5 e Le. 8,12 rinvia a un fattore che trascende i sensi e oltrepassa la comprensione umana. Non è conforme alla parabola vedere nel µ1J CTWLÉvnc; di Matteo la colpa umana antecedente e nell'opera di Satana solo l'effetto conseguente 44, cosl come non si può ritenere che nell'azione di Satana si esprima la

    41 ~ Lt.NGTON

    ad/.;

    ('ITJO'Oiic;) Be; OLi)MEV EÙEPYE't'WV xa.t lw-

    2

    169 ritiene trattarsi di un cnso

    ZAHN,

    Ag., ad l.;

    diversamente~ LANG-

    di possessione a motivo del miEvµ.a &:uDtvElaç del v. II, ma con dò non s'accorda né la parola guaritrice di Gesù (v. 12) né l'imposizione delle mani {v. 13); dr. anche STRACK-BILLER-

    definisce Act. «addirittura un commento a Mc. 3,27».

    BECK IV 524-526. 42 Cosl -') Not.cK 75 s .; Bt.UERNFEIND,

    44 A. M. BRouwnR, De geliikenissen (1946) Ag.,

    TON 182. -') ROBINSON 30

    4J

    Jtiucmrn, Gl. Jesus

    140.

    II

    rn,38

    537.

    1421 (vn,160)

    ua:w.vuç B 2-3 (W. Foerster)

    (vn,161) 1422

    visuale dell'evangelista e in Mt. 23,37 l'opinione di Gesù 45 • Va piuttosto ammesso che non si può risolvere in un modo o nell'altro la compresenza di enunciati d'impronta predestinazianistica e della frase «chi ha orecchi per intendere, intenda» 46 • Nella parabola della zizzania seminata tra il grano la situazione mista della comunità è attribuita al diavolo (Mt. I3,28 .39), ma questa non è una spiegazione, bensl, in realtà, un enigma ancor più grande: come può l'avversario seminare nella comunità i suoi semi di zizzania? Infatti seminando sparge nella comunità non cristiani imperfetti, ma «figli del Maligno». La rinuncia all'ideale di una comunità pura è accompagnata però proprio in Mt. dall'invito alla disciplina ecclesiastica (Mt. 18,15-17 ). Evidentemente i due aspetti sono uniti e servono insieme ad evitare equivoci nell'uno e nell'altro senso. Le tradizioni conservate presso i sinottici non presentano una satanologia omogenea, indicano invece che cosa la comunità primitiva ha ritenuto conveniente e importante conservare e tramandare in relazione all'attività del Maligno. Non abbiamo però alcun tentativo di oggettivare l'essere, il divenire e l'operare del diavolo, cosl come non si accetta la soluzione di I QS 3,13-4,26.

    Per i sinottici rimane un mistero di cui non si cerca la soluzione 47 • La potenza del Maligno è ritenuta unitaria e guidata da un'intelligenza. Il suo scopo è ro· vinate l'uomo sotto ogni riguardo, ma soprattutto lottare contro Gesù di Nazaret quale apportatore del regno salvifico di Dio. Con la sua vita di obbedienza fino alla morte, che il diavolo cercò invano di turbare, Gesù ha sconfitto la potenza del Maligno, pur senza distruggerla e vanificarla completamente. Per questa sua opera si distingue dal profetico Maestro di giustizia della comunità di Qumran . Le concezioni giudaiche nei sinottici sono chiare, ma anche radicalmente superate.

    4> -+ NoACK nx. 4; Non diversa è la situazione in Paolo che in .2 Cor. 4,4 parla degli &m
    26.30.32.45; inoltre vit. Ad. 9 .r2-16; apoc. Mos. 7.17-19.

    3. Gli enunciati su Satana nelle epistole'"

    Terminologia: nelle lettere più anti· che, compresa la 2 Thess. Paolo non usa mai ò Òtaf3oÀ.oc;, ma di solito ò (]'<J.-r:a\lli<; : Rom. 16,20; I Cor. 5,5; 7,5; 2 Cor. 2,n; n,14; 12,7; r Thess. 2,18; 2 Thess. 2,9 (senza articolo solo in 2 Cor. I2,7); ò 1mpcil;,wv: r Thess. 3,5 (~IX, coli. 1439 s.); Ò TiìVtjpéc;: 2 Thess. 3,3 (~ x, coll. 1396 ss.); BEÀ.tap: 2 Cor. 6, r 5 (~ n, col. 24 3 ). ò cra-r:avlic; s'incontra anche in r Tim. 1,20; 5,15; ò ò~6.f3o­ Àoc; in Eph. 4,27; 6,n; I Tim. 3,6.7; 2 Tim. 2,26; ò 1tOV'l'Jp6c; in Eph. 6,16. Altre designazioni in 2 Cor. 4,4; Eph. 2,2. In Act. 5,3 e 26,I8 si ha ò cra:rn.vOO;, in rn,38 e 13,IO (ò) ot&:f3oÀ.oc;. Le Lettere cattoliche hanno solo òt&:f3oÀ.oc;: Iac. 4,

    48 Escluse le lettere giovannee; sono invece inclusi Act. e Apoc.

    1423 (vn,161)

    C'rt:ttt.Vii<;

    B 3 (\Y/. Foerster)

    7; Hebr. 2,14; I Petr. 5,8; Iudae 9. Apoc. ha ò ucx.·rn.véic; in 2,9 .13.24; 3,9; 20,7; Ò OtcX.~oÀoc; in 2,10; l2,I2j 20, ro; tutti e due i nomi nei passi enfatici 12,9; 20,2. Incontriamo inoltre xa't'1}ywp in 12,IO (-? v, coll.268s.) e le immagini O oqnc; (-? IX, col. 62) e O 8pchwv (-? II, col. 1467 ). Circa l'uso linguistico giovanneo-? coll. r427 ss.

    o

    Nelle epistole neotestamentarie la prospettiva nettamente predominante in cui si parla del diavolo è l'attacco che egli sferra contro la comunità. Ciò avviene soprattutto nelle persecuzioni (Apoc. 2,10; 12,17; 13,7; I Petr. 5 1 8) 49 . L'ostilità attiva contro la comunità cristiana è probabilmente anche il motivo per cui Apoc. 2,9; 3,9 definisce le comunità giudaiche sinagoghe di Satana 50 • Ma il diavolo agisce contro la comunità soprattutto nelle tentazioni: I Thess. 1-3 è scritto nella preoccupazione µi) TIWc; m'.lpa
    o

    e-

    4 ~ A motivo del versetto successivo l'attività di Satana al v. 8 va riferita alle persecuzioni. 5t'l Che per lungo tempo le persecuzioni siano state causate dai Giudei è detto da Paolo in r Thess. 2,15, è illustrato dagli Atti e risulta chiaramente in 111art. Polyc. 12,2; 13,1; 17,2; dr. Iust., dial. r6,u; H. CADBURY, The Book of Acts in History (1955) 91 s. In particolare come motivo dell'appellativo di sede di SatRna attribuito a Pergamo in Apoc. 2,13 entrano in considerazione il culto imperiale (BoussET, Apok., ad I.; R. H. CHARLES, The Revelation af St. ]obn, ree [1950) ad l.), il grande al-

    (vn,162) 1-12-f

    può offrire a Satana lo spunto per la tentazione. In 2 Cor. 2,II Paolo parla dei vo·~µ.a:m di Satana che lo vuol sopraffare con le sue macchinazioni; in Eph. 6, II delle µ.EitOOEL
    cro:'t'o:\l
    e spesso evitando occasioni di tentazione (I Cor. 7,5; I Tim. 3,6 s.; 5,14 s.; cfr. Eph. 4,27; Rom. 16,17). ò oÈ ih:òc; -.ijç

    Elpnvnc; uuv-.pltfia -.òv cru.-r:r:1.vfi\I v7tò -r:oÙç 1t60r:t.ç Ùµwv ÉV 'taXEL, «il Dio della pace ben presto stritolerà Satana sotto i vostri piedi» (Rom. 16,20), esclama Paolo alla comunità di Roma: Dio lo farà, ma mediante la comunità. Anche in altri modi Satana cerca di contrastare la comunità: impedisce a Paolo di compiere il tanto necessario viaggio a Tessalonica (I Thess. 2,18) e il suo angelo lo maltratta (2 Cor. 12,7 ~ 1418 s.) 51 • Paolo non attribuisce al diavolo ogni malattia di un cristiano o di un suo collaboratore (Phil. 2,25-30) né ogni viaggio che venga impedito (Rom. 1,13: Èxw:>..vihw). Si può solo dire che nel suo ministero l'Apostolo ha sperimentato non solo la guida di Dio, ma anche l'ostacolo di Satana, senza per questo collegare le due cose in modo esplicito. L'attività già appariscente di Satana è quella di cui si parla in I Cor. 5 ,5 e I Tim. 1,20. Che Satana e le sue schiere possano danneggiare e uccidere gli uomini è affermato talvolta nel tardo giudaismo, anche a prescindere dalla successiva identificazione di Satana con l'angelo della morte (~ n. 25, cfr. an· che Le. 13,16). Cosl pure non è una novità per il tardo giudaismo che l'angelo della sventura mandi a compimento il Qualunque sia il significato di
    51

    giudizio di Dio. In I Cor. 5,5 invece la condanna, che viene eseguita da Satana, ha uno scopo salutare. Il tardo giudaismo non hn osato giungere a tanto. Paolo può scrivere così perché l'ora delle tenebre divenne salvezza del mondo? L'angelo di Satana (~ n, col. 782; v, coli. 751 ss.), la spina nella carne, è «data» a Paolo «affinché non s'insuperbisca» (2 Cor. 12,7). Molto meno frequentemente rispetto alla sua lotta contro la comunità viene menzionata anche l'attività di Satana fuori di essa, dove esercita indisturbato il suo potere, finché la testimonianza della comunità non lo contrasti. L'incatico dato dal Risorto a Paolo sulla via di Damasco consiste nell'aprire gli occhi dei pagani "t'OV Èmrr-.pÉljiaL 1btò ..• "t''ijç Èçoucrlaç

    -.ou Uet."t'avéi È.1tÌ. "t'ÒV 1>~6v,

    «perché passino dal. .. potere di Satana u quello di Dio» (Act. 26,18) . Nel paganesimo la magia è ritenuta strettamente congiunta al Maligno (cfr. Act. 13, 10:

    uU

    OLa~6Àou).

    Dell'annientamento finale del diavolo si parla esplicitamente solo in Mt. 25, 41 e Apoc. 20,ro. Logicamente esso è da presupporre anche in Paolo, ma è degno di nota che in I Cor. 15,24-26 egli parli della fine di ogni àpx1J -ed è.çouula. e della fine della morte, ma non di Satana e nemmeno del peccato.

    r2,7: Collcctanea Mechliensia 3r [1946] 160163), si tratta in ogni caso di un impedimento all'attività missionaria.

    1427 (vn,162)

    ua.,;a.v!i.; B 3 (\VI. Foerster)

    4. Il principe di questo mondo in lo. e nelle epistole giovannee

    L'affermazione principale riguardo al diavolo si ha in Io. 8,44. La relazione del diavolo con l'uomo è analoga a quella del padre rispetto al figlio (cfr. I Io. 3, ro), cioè determina tutto il suo essere. A questo scopo si usa anche (.r Io. 3,12) la formula fa 't'Woç e:lva.t (senza l'immagine del padre). I rabbini non argomentavano in termini cosl essenziali 53 poiché secondo loro è la volontà dell'uomo che determina la sua condizione religiosa. Una particolare forma di questa determinazione dell'essere da parte di Satana è presentata da Io. 6,70: È~ uµwv Ere; ot6.f3oÀ.6ç È
    volo», che ricorda l'epiteto di Satana affibbiato a Pietro (Mc. 8,33; ~ 1417), e da lo. 13,27: Satana entrò in Giuda (che ha il suo parallelo in Le. 22,3). I due enunciati non trovano rispondenza nel tardo giudaismo, dove non il diavolo o Belial ma uno dei suoi spiriti entra ncll'uomo 54 • Tre cose quindi son dette in Io. 8,44: le parole: «egli era un omicida &.rc'apxfic;», richiamano il peccato originale (~ n. 34). Il successivo É:v -cii ci.À'r)i}e:l~ ovx f
    52 Gli altri riferimenti al tradimento di Giuda hanno solo oi.U~oÀo;. Anche in Apoc. n,9; 20,2 non manca ua;-;a;véic; tra le solenni designazioni del diavolo. sl ScHLATTER, Komm. ]oh. a BM. Qualcosa di simile si trova negli scritti di Qumran nelle espressioni «figli delle tenebre>>, <momini del-

    l'eredità di Belial»; cfr. anche Sap. 2,l4b. 5-1 Il parallelo più prossimo sarebbe test. A. 1, 9: ò 1'11cra.vpòc; -.où &a.aovÀ.lov 11:0\ll)pou 1t\ltl'.I· µa.,;oc; 1tE:7tÀ:{jpw-rc:tt, poiché, stando al contesto, con spirito cattivo non s'intende uno dei tanti st>iriti possibili, bensl la fondamentale pienezza del Maligno.

    Negli scritti giovannei abbiamo quattro designazioni del diavolo. a) ot6.f3oÀ.oç pur non essendo nome proprio è la designazione propria del diavolo (7 volte); i figli di Dio e i figli del diavolo si contrappongono (.I Io . 3,ro). b) Solo una volta incontriamo CJ'ct't'a.viic;, ed è riservato alla frase che determina il destino di Giuda Iscariota (Io. 13,27): 't'O't'E e:lCJ'ijÀ.i}e:v e:lç ÉY.e:~vov ò
    cra:taviic; B 3 (W. Foerstcr) • C b (K. Schaferdiek)

    gine del diavolo. Una particolarità degli scritti giovannei è ]'importanza degli enunciati ontologici: nati da Dio - essere dal diavolo; essere :6gli di Dio - essere figli del diavolo. Chi commette peccato è be 'tou Ota~6À.OU (I Jo. 3,8); d'altro canto, poiché Caino era Éx "t'OV 1tOVT)poO, uccise suo fratello (I Io. 3,12). Chi è nato da Dio non pecca, il Maligno non lo tocca (I Io. 5,18). Con altre parole si dice ciò che Gesù affermò circa l'albero e i suoi frutti 55 e che in Paolo si esprime nella compenetrazione e coimplicazione di indicativo e imperativo. Quando Giovanni dice ai \léavl
    Barn. 18,1; lgn., Eph. 13,1; Polyc. 7,1; mart. Polyc. ep. 3. L'espressione più usata (32 volte, delle quali 25 in Herm. che usa esclusivamente questa designazione) è IM.~oÀ.oc;: 2 Clem. 18,2; Ign., Eph. roa; Tr. 8,1; Rom. 5,3; Sm. 9,1; Polyc. 7,1; mart. Polyc. 3,1; Herm., mand. 4,3, 4.6; 5,r,3; 9,9.n; II,3.17; 12,2,2; 4, 7; 5,r.4; 6,r.4; sim. 8,3,6; 9,32,2 ( diabolus) e due volte ciascuno in Herm., mand. 7,2.3; 12.4,6; 5,2; 6,2 . Inoltre è usato apxw'J con varie specificazioni: 1tovripòç &pxwv (Barn. 4,13), &otxoc; apxwv (mart. Polyc. 19,2), &pxwv Xlltpou -rou vuv 'tf}c; avoµlaç, «principe del presente tempo d'iniquità» (Barn. 18,2) e &pxwv "t'ou alwvoc; "COU"tou, «principe di questo eone» in lgn., Eph. 17,1; 19,1; Mg. 1,2; Tr. 4,2; Rom. 7,1; Phld. 6,2 . La designazione Ù.V'tLXElµEvoc;, 'avversario', viene usata in assoluto da I Clem. 51,1 e con l'aggiunta ..<'il yÉVEL -rwv OL· xa.lwv, «della schiatta dei giusti» in mart. Polyc. 17,1; pare inoltre che rientri in questo contesto l'oscuro Èvepywv di Barn. 2,1 (la versione latina ha contrarius 56). Altre designazioni sono 1t0\11]· p6c; (Barn. 2,rn; 21,3) insieme con av"t'ls7JÀ.oc;, invido, e ~Wrxa.voç, maligno in mart. Polyc. 17,1; µÉÀ.aç (Barn. 4,ro; 20,1) e &voµoç (Barn. 15,5). Oscuro rimane il rapporto intercorrente tra Satana e l'Anticristo chiamato xo11µ01tÀ.a.v1)c; in Did. 16+

    =

    W.FOERSTER

    b) Aspetti generali

    C.

    Il termine a-a-rn:vaç (come nel N.T. col senso di appellativo) si trova solo quattro volte presso i Padri apostolici:

    Come nel N.T. anche nei Padri apostolici si presuppone l'esistenza e l'attività di Satana senza arrivare a riflessioni e speculazioni specifiche sull'argomento. Il centro dell'interesse è la salvezza, e solo in quanto entra in rapporto con essa Satana viene preso in considerazione da-

    ss L'immagine dell'albero e dei suoi frutti nei

    So

    termini usati da Gesù non ha iilcun parallelo nel tardo giudaismo.

    t11m' (1876 ss.) ad l. congettura pertanto &.v•E·

    SATANA NEI PADRI APOSTOLICI

    a) Terminologia

    A. HILGENFELD, N.T. extra ca11011em reccp-

    vepywv.

    <JfJ.'C<J.Vél.c;

    e b-e (K. Schaferdiek)

    gli autori. Egli è presentato come colui che è stato ridotto all'impotenza da Cristo. Ignazio ne parla in termini di stampo gnostico; la sovranità dell'li.pxwv -rou alwvoc; "t'ou-.ou, caratterizzata da µr1..yEi:r1.., OEcrµòc; xcx.xlac;, &y-votcx.,, e morte, è da considerare 7trJ..À.atà. ~acrtÀ.Eltx. (Ign., Eph. r9,3); essa infatti è crollata per l'avvento salvifico, nascita e morte del Redentore, che rimasero celati all'apxwv •ou cx.lwvoc; -cou-.ou (Ign., Eph. r9,1) e furono rivelati agli alwvEc; solo nell'ascensione collegata alla sua morte (Ign., Eph. 19,2). In un enunciato apocalittico Barn. r 5 ,5 parla della fine del xatpòc; -rou ò:v6µou, «tempo dell'Iniquo» (cfr. 21 ,J ). Comunque Satana viene visto principalmente nella sua contrapposizione non al Salvatore ma alla via di salvezza. A questo proposito, in rispondenza ai diversi modi di concepire la realizzazione della salveza (nella chiesa o nella passione del martire o nell'adempimento della legge), esso appare di volta in volta nel suo aspetto di avversario della chiesa, del martire o del singolo cristiano.

    c) Satana e la chiesa Secondo Ignazio Ja salvezza si attua nell'unità sacramentale della chiesa, che in quanto tale è unita a Cristo e al Padre, È\I cì) Ù1tOµé\IO\l'tE<; 'tTJ\I TCfi.<1a\I ht1)pELrl..\I 'tOU li.pxov-.oc; 'tOU alwvoc; 'tOU'tO\J xai ow.cpuy6v-cEc; 1>Eou -cw~6µ€l}a;, «nel quale, se resisteremo e scamperemo ad ogni tracotanza del principe di questo eone, raggiungeremo Dio» (Mg. r,2). Pertanto, dove questa unità nell'assemblea della comunità si realizza dc; E1'.1xa.pLcr-clav l>i::ou xat i::tç ò6~av, «per ringra:dare e lodare Dio», si annientano le ovv6:µELç 'tOU
    la chiesa, operano le xcxxo-cExvlat e le ÈvÉopa.L dell'apxwv a.lwvoc; -cou-.ou (lgn., Tr. 8,r; Phld. 6,2), e torna ad essere suo schiavo chi abbandona l'unità della chiesa nello scisma, nell'eresia, o chi si sottrae agli obblighi morali della vita nel nuovo essere mediato dalla chiesa (Ign., Sm. 9,r; Eph. 17,r; rn,3; cfr. Polyc. 7,r; mart. Polyc., epilogus 3. In forma più esteriore è vista l'ostilità di Satana contro la chiesa quando in mari. Polyc. 17,I gli si attribuisce la responsabilità di impedite che il cadavere di Policarpo sia consegnato alla comunità.

    -.ov

    d) Satana e il martire La passione del martire è ritenuta una lotta contro Satana che termina con la vittoria nel martirio (mart. Polyc. 3,r; 19,2). Finché questa lotta non divampa, Ignazio si considera Ù1tÒ xlvouvov, «nel pericolo» (Ign., Eph. 12,1; Tr. r3,3), perciò deve praticare 1tpa6'tl]<;, «mitezza», perché per mezzo di essa venga sconfitto l'apxwv 'tov alwvo<; ...ou-.ou, che opera attraverso lo sfJÀ.o<; che lo assilla (Tr. 4,2). In quanto sofferenze del martire, ossia segni di questa lotta con l'li.pxwv 'tou alwvoç "t'ounu (il quale cerca di scuotere la volontà di Ignazio orientata a Dio per avvincerlo cosl a sé: Rom. 7 ,1 ), le pene vengono anche definite xoÀ.a
    e) Satana e il singolo cristiano Secondo Barn. i cristiani stmo bensì

    't'TI ?tlcr'tn -ciii; ~TCa.yyEÀ.lac; xat 'tii) À6·

    y~ swonotouµi::voi, «vivificati dalla fede 8 (1929) 18 n. 1 collega xaxlac; non con 5Ecrµ6c; ma con li:yvow•.

    n3 (vn,165)

    1 ..

    1u1:tav&.; C e (K. Schaferdiek) .. uPÉwuµ~ (F. Lang)

    nella promessa e dalla parola>> (6,q), ma vivono ancora nel tempo presente, su cui ha É~ouo-la (2,1) Satana in qualità di iipx;wv xatpov 't'OV vvv 't'fic; àvoµlac;, «principe del presente tempo d'iniquità» (18,2, cfr. 15,5). Mezzo per attuare tale potere è la possibilità della «via delle tenebre», a cui sono preposti gli iiyyr.À.oL -rov 11a-ra.voc (18,1, cfr. 20,1). Disconoscere la conseguente situazione comporta il pericolo di concedere spazio alla sovranità del «Nero», del «Maligno» (4,ro.13, cfr. 2,r.10) e di perdere cosl la salvezza. Seduttore al peccato appare Satana in Clem. 51,1; 2 Clem. 18,2 (gli unici passi di questi due scritti in cui si parli del diavolo) e soprattutto in Herm., mand. 4,3,6; sim. 9,31,2, che oltre che nella debolezza dell'uomo vede nella rcoÀ.urcÀ.oxla., «scaltrezza», del diavolo il motivo per cui Dio concede la possibilità di una rinnovata penitenza (mand. 4,3,4.6). A prescindere da mand. u,3 in cui si legge che se occasionalmente un falso profeta dice una verità è perché il diavolo l'ha riempito nel suo spirito con l'intenzione di far cadere il giusto - questa rcoÀ.vrcÀ.oxla -roO 8taf36)..ou o l'éx1mpa11l7f}vat urcò 't'OU OLa.(36).ou, «essere tentati dal diavolo», si presenta nella I

    possibilità di peccare offerta all'uomo nel libero arbitrio. Erma illustra questa possibilità di scegliere tra bene e male mediante concezioni e motivi disparati, solo imperfettamente (o per nulla) connessi o rielaborati, che poggiano largamente sopra un dualismo demonologico, ma che vengono collegati solo in parte e in forma del tutto asistematica con la fi.. gura del otcif3o)..oc; (per es. la dottrina dei due angeli in mand. 6,2,r-9 non ha alcun legame col diavolo). Tuttavia, anche secondo Erma dovrebbe essere in ogni caso il 8tcif3oÀ.oç quello che fonda e tiene aperta la possibilità di scegliere il male e urge perché si realizzi. Ciò risulta chiaro dalle espressioni Év-roÀaL -rov 8taf36)..ou (mand. 12,4,6) ed f!pya. -rov 8taf36).ou (genitivo oggettivo) (mand. 7, 3 ). Per questa sua funzione il diavolo possiede anche una ouvaµtç che però può esercitare solo su coloro che non hanno Ia decisione morale dei servi di Dio, mentre la sua forza non ha alcun effetto su chi accetta e mette in pratica b possibilità offerta dall'angelo della pe· nitenza (mand. 7,1-3; r2,4,6-6,5). Un siffatto conflitto e il martirio stesso possono essere definiti lotta contro il diavolo (cfr. mand. 12,5,2 con sim. 8,3,6).

    K. ScHAFERDIEK

    o-f3Évvuµt 1 / o-Be:wuw 2, attestato fin da Omero (tranne il presente), talvolta nella forma ellenistica ~BÉvvvµt (per es.

    P. Lond. I 121,364) 3, nella sua accezione fondamentale significa spegnere.

    a~Éwvµ~

    Syll.3; CREMER-KOGEL e TRENCH. 1 Etimologia: indoeuropeo *sg"es-neu-mi; dr. BOISACQ 586; HOFMANN 307 s.

    LIDDELt-ScoTT; PAPE; PAssow; MouLT.· M!LL.; PREISIGKE, Wort.; DIELS m; HATCHREoP.; LmsirGANG; PRBUSCl:ffiN·BAUER5, tutti

    s.v.; manca invece presso v. ARNrM; D1TT.,

    2 Cfr. BL.-D1mR. § 92; ScHWYZER I 698 s. 3

    Per In grafia

    !;~

    in luogo di

    a~, molto cliffo.

    u~Éwuµ~

    1435 (vn,165)

    A. NEL MONDO

    A

    1 -

    GRECO

    Il verbo si trova in tutta la letteratura, da Omero ai papiri, in senso sia proprio sia traslato. l.

    Senso proprio

    a) Detto prevalentemente del fuoco o di oggetti che bruciano, transitivo (futuro 0"(3fow, aoristo fo(3EO'IX): spegnere (in Omero solo composto): -cò xm6µEvov (Hdt 2,66); xEpaw6v (Pind., Pyth. l, 5); (Hes., op. 590), 7tT)ya.l (Anth . Graec. 9, 128); aIµIX (Plut., adulat. 2 [rr 49c]). c) Di uomini, piante e città, solo al passivo: morire, perire: ò oÈ -Oci.va-t6c; Èa"'t~ u(3wl)fjvm, «la morte non è che uno spegnersi» (Luc., ver. hist. l,29); oÉvopov (Poll., onom. 1,231); 'P6ooc; (Anth. Graec. 9,178). d) Di cibi nell'arte culinaria: cuocere a vapore, stufare: lxiìuwv ~à µe;l)' ?ùwv u(3Euì>Év"ta, <mova di pesce cotte con sale}> (Athen. 3,12 lC). e) In senso generico, transitivo: calmare, sedare, moderare: xuµa.-ca (Aristoph., av. 778); -c'l)v a.ti~nv 't'E xat É.mpp6'l')v, «l'incremento e l'affiusso}> (Plat., leg. 6,783b); Ò {3opÉa.ç... o-BÉWUO"L i:l)v i7Epµ6-.'l')i:a, «il vento Borea ... mitiga il sa in età ellenistica, cfr. BL.-DnBR. § 10.

    B

    1

    (F. Lang)

    calore» (Aristot., meteor. 1,ro [p. 347 b 4] ); VOCX't"L ollJ!av (Apoll. Rhod. 3, 1349); oq>Ewv l6v (Orph. Lithica 49 [Abel p. no]); intransitivo: tranquillizzarsi, rilassarsi, affievolirsi: del vento (Horn., Od. 3,182 s.); del suono (Tryphiodorus, excidium !lii IO); in medicina, delle pustole: regredire, sparire (Hippocr., acttt. 26 [Kiihlewein I 159]). 2.

    Senso traslato

    a) Soprattutto di passioni e sentimenti, transitivo: spegnere, acchetare, appagare, lenire: xoÀ.ov (Hom., Il. 9,678); avitpw1tWV... µÉvoc; (ibid. 16,621 ); u{3pw (Heracl., fr. 43 [Diels I 160,!2]; Plat., leg. 8,835e); "tòv ?Nµov (ibid. lo,888a); &:yr:ivoplnv (Anth. Graec. 5aoo); EÙq>poO"UVTJ\I (ibid. 9,375). b) In senso generico, attivo: reprimere, limitare: ou1tw O"OU 'tÒ Xll.À.ÒV XPO\loç fo(3EO"EV, «il tempo non ha ancora spento la tua bellezza}> (Anth. Gl'aec. 5,62); xÀ.foc; (ibid. 9,ro4); -cupa.vvloa (Plut., de Lycurgo 20 [1 52e] ); q>o\lo\I (Eur., Bere. fur. 40 ); m:~­ pav (Soph., Ai. I057); ouvaµEL<; (Plot., Enn. 6,4,10); passivo: recedere, venir meno, ritirarsi, estinguersi: dell'influsso di una personalità: ~0"{3foi7T) Nlxa.vopoc; (Anth. Graec. 12,39); di un oratore: &.na:yopEUOV"t"a. xa.t o-{3EwuµE\lov, «sfiancato dal parlare e spento» (Plut., praec. gel'. reip. 9 [II 804c] ); della forza di combattere: i:ò µaxLµo\I ..• o-{3Ewuµi::vov Ù7tÒ y1Jpwc;, «che vien meno per la vecchiaia>> (Plut., Pomp. 8 [I 622e]); del filtro amoroso: tu{3Écrì)l) "tà
    B. NEL GIUDAISMO ELLENISTICO r. Nei LXX il verbo ricorre circa 45 volte e rende quasi esclusivamente i verbi ebraici kbh e d'k. kbh è tradotto 21 volte con u(3ÉwvµL e una sola volta

    1437 (vn,ré6)

    O"~éwvµ~

    B

    (Prov. 31,18) con Ò'..1to0"\3Éwuµt; solo in 2 passi (I Sam. 3,3 [Aquila e Simmaco: O"j3Évvuµt] e P1·ov. 26,20) abbiamo altri vocaboli. d'k è tradotto con 0"\3Éwuµt 6 volte; in \jJ r l 7, 1 2 è reso con È.xxa.lw (Aquila e Simmaco: à.rcoO"j3Éwuµt); in 2 passi il testo dei LXX è abbreviato rispetto al T.M. Raramente O"j3Éwuµt traduce altri verbi ebraici. In lob 30,8 esso rende il nifal di nk' (forma secondaria di nkh ). Nei LXX il verbo si trova in senso proprio, metaforico e traslato.

    a) In senso proprio è usato prevalentemente a proposito del fuoco e di oggetti che bruciano; transitivo: fuoco ardente: 1tUP
    (À.aµ'lt1}p: Prov. 24,20; cfr. 20,20 [LXX: 20,9"]) degli empi si spegnerà è frase che indica la loro inconsistenza e il giudizio di condanna che grava su di loro. Spegnere la scintilla può voler dire in senso metaforico distruggere completamente la discendenza di un individuo (2 Sam. 14,7; cfr. 21,17); infine lo spegnimento del fuoco può essere immagine dell'e4 O'~Éwual}m

    detto del sole in test. L. 4,1.

    I

    -

    e (F. Lnng) spiazione dei peccati (Ecclus 3,30). La frase «non spegnerà il lucignolo fumigante» di Is. 42,J illustra l'atteggiamento misericordioso e soccorritore del Servo di Dio che si volge verso chi è sventurato.

    c) In senso traslato il verbo è usato a proposito dell'ira di Dio («il mio furore ... non si estinguerà»: 2 Reg. 22,17; 2 Chron. 34,25; cfr. Ier. 4,4; 21,12), delle passioni in bonam e in malam partem (amore, Cant. 8,7; ardimento indomito che getta fiamme e fuoco, 3 Mach. 6,34; desideri, Ecclus 23,17; fiamme della concupiscenza, 4Mach. 3,17; lite : µa.xp6tluµoc; civiip xa-.M\3ÉcrEL [iasqzf J xplO"Etc;, «l'uomo paziente placherà le liti», Prov. 15,18"; cfr. 26,20; gli affetti: -.<;> À.oyicrµQ -.ijc; s:ÙO"s:BElac; Xa'tÉcr~E­ O"EV "'t'rL. mHhi Ì) µ1]-.rip, «col senso della pietà la madre represse i propri sentimenti», 4 Mach. 16,4) e per indicare l'annientamento degli uomini (empi, lob [LXX] 34,26; 40,12; ovoµa ... Ò'..<7E\3ouc;, Prov. 10,7). 2. Anche Filone e Flavio Giuseppe conoscono i vari usi del verbo. Filone lo riferisce in senso proprio al fuoco (plant. 10) o al lume degli occhi (Deus imm. 78); metaforicamente alla fiamma delle passioni (sacr. A. C. l 5); in senso traslato all'anima dei morenti (som_ 1, 31) e alla ragione (où ... O"BÉWU't'<X.L ... ò òpi}òc; À.6yoc;, <<non ... si estingue ... la retta ragione», leg. alt. l,46). Flavio Giuseppe parla sia dello spegnersi del fuoco (1tup, beli. 7,405) sia dell'attenuarsi della gioia (-.~v xap&.v, bel!. 6,31) o della tristezza ('tò Àu1tovv, ant. II,40).

    C. NUOVO

    TESTAIVIENTO

    Nel N .T. il verbo s'incontra complessivamente 6 volte (4 volte transitivo e

    o-~Évvuµt

    2 volte intransitivo), cli cui 3 volte con senso proprio, 2 con senso metaforico e I volta con senso traslato.

    r . Uso proprio

    Mc. 9,48 5 (xat 't"Ò 7tUp où O"~ÉWU't"ar., «e il fuoco non si spegne») cita Is. 66, 24, che per i Giudei è il passo fondamentale per descrivere i tormenti dell'oltretomba con le due immagini dei vermi che divorano e del fuoco che consuma il cadavere. La citazione si discosta alquanto dai LXX, che, in rispondenza al testo ebr., leggono xat 't"Ò 7tvp aù't"WV où O'~Eui}1)ol:'t"a.L, «e il loro fuoco non si spegnerà». Il contesto di Marco chiarisce che s'intende l'inestinguibile fuoco dell'inferno (v. 43) (~ II, col. 378; XI, 868 s.). In Mt. 25 le vergini stolte destandosi dal sonno sono improvvisamente costrette a constatare di essere senza olio (cfr. v. 3) e che le loro lampade si spengono (ai ÀaµmX.OE<; 1]µwv uSÉvvvv-.at). Un'interpretazione allegorica di questo particolare non risponde al senso della parabola originaria. Hebr. u,34 (Ecr~ECTCX.\I ouvcxµw 7tup6ç, «spensero l'ardore del fuoco») allude ai tre amici di Daniele, ai quali per l'assistenza di Dio il fuoco della fornace di Nabucodonosor non poté far nulla (Dan . 3,23-25; cfr. I Mach. 2,59; I

    Clem. 45,7).

    Sotto il profilo critico-testuale i vv. 44 e 46 (presso i codici occidentnli e siriaci) probabil-

    5

    (vu,x68) 1440

    C 1-3 (F. Lang) 2. Uso

    metaforico

    In Mt. 12,18-21 le parole che riguardano il Servo di Dio (Is. 42,r-4), che anche nei Targumin sono interpretate in senso messianico, sono applicate a Gesti. La citazione non segue fedelmente i LXX (Àlvov xoc7tv1s6µEvov où 0"{3ÉO"E1, «non spegnerà un lucignolo fumigante», Is. 42'3) né il testo ebraico. Al v. 20 Gesù è descritto come soccorritore dei percossi e degli oppressi 6 • Con espressione metaforica Eph. 6,16 dice che i cristiani con lo scudo della fede possono «spegnere tutti i dardi infuocati del Maligno» e~ II, 246 s.). Qui O"SÉ
    }. Uso traslato

    In r Thess. 5,19 Paolo esorta la comunità: 't"Ò 1t\IEVl-l;OC µ'i) cr~ÉVW't"E, «non spegnete lo spiritm>. 1t\1Euµoc (~ x, coll. 767 ss.) in questo caso è il concetto generale che comprende svariate forme particolari, per es. profezia (v. 20) ·e glossolalia, e indica le manifestazioni mente sono tarde assimilazioni al v. 48. 6 LoHMEYER,

    Mt., ad 1.

    crÉ[3oµa.L

    1441 (vu,168)

    'X'tÀ.

    straordinarie dello spirito (~ x, coll. 1018 ss.}. c(3Ewuvm significa in senso traslato (~ 1436) reprimere, limitare 7 (il contrario è civr:x.~w1tupEi:v: 2 Tim. r,6}. «L'estinzione» non avviene a causa di una condotta impura (Crisostomo) o dell'indolenza (Calvino) 8 • Paolo invece ammonisce di non reprimere coscientemente gli effetti straordinari dello spirito nella comunità (cfr. a questo riguardo anche r Cor. 14,28 ss.). Non è necessario supporre che con la sua condotta la comunità di Tessalonica avesse offerto lo spunto a questa ammonizione, poiché tutta la pericope non è che una succinta esposizione dell'ordinamento comunitario.

    (W. Focrster)

    D. I

    PADRI APOSTOLICI

    Presso i Padri apostolici il verbo si trova solo in citazioni dell'A.T. oppure in reminiscenze di immagini bibliche. 2 Clem. 7,6 e 17,5 cita alla lettera Is. 66, 24 secondo i LXX, a differenza di Mc. 9,48. Did. 16,1 (ot Mxvot vµwv µ1) crPE43; Mt. 3,12; Le. 3, 1



    F.LANG

    In greco abbiamo un numero straordinario di derivati dalla radice CE~-, i quali indicano in modo caratteristico la

    religiosità greca. Con ciò contrasta la situazione nei LXX, i quali, pur non evitando completamente tutto questo grup-

    I Il collegamento con 7tveiiµa ha paralleli nel mondo greco ( -roii 1t\IEUµ«'to~ 7tO.V't&:mx.u~v tÌ'lte
    ref. 80 (189_'.j) xn; Chris., hom. in ad l.: MPG 62 (1862) 46L

    s I.

    CALVJN,

    Comm. a

    I

    Thess., ad l.; corp.

    I

    Thess.,

    al~oµa;L

    K. KERÉNYI, Die antike Religion1 (1 9_:!2) 8790; D. LoBNBN, Eusebeia en de cardinale deugden, Mededelingen der Koninklijke Nederlandse Aks.dernie vs.n Wetenschappen, Afdeeling Letterkunde, Nieuwe Reeks 23,4 (1960) 7-9 .

    o-Éf3oµo;~

    A

    1

    po di vocaboli, ne fanno un uso innegabilmente cauto. Sorprende soprattutto che ciò avvenga con EÙcre:~1)i;, EÙcrÉf3e:w. ed e:ùcre:f3fo.>; questi concetti cosl importanti per i Greci ricorrono con frequenza soltanto in 4 Mach. Non altrettanto cauti si mostrano i LXX nei riguardi di à.
    A. CTÉf3o(J.aL I.

    NEL MONDO GRECO

    L'uso linguistico omerico alla luce del significato fondamentale della radice O'Ef3-

    La radice cre:f3- significa originariamente arretrare davanti a qualcuno o a qualcosa 1• In quale senso si intenda questo arretrare risulta da Omero e dagli Inni Omerici, dove s'incontra I volta craif3oµaL, 2 volte cre:f3&.soµaL e 9 volte crÉf3aç. Anzitutto si tratta di un arretrare nel senso di desistere. In Horn., Il. 4,242 Agamennone invita gli Argivi alla battaglia: ou '\IV crÉf3e:crih:;, «non rifuggite dall'esser vili?». Similmente in Il. r8,r78 Iride si rivolge ad Achille: crÉf3aç SÉ CTE Dvµòç lxÉcrDw, cioè devi inorridire all'idea che la salma di Patroclo divenga preda dei cani di Troia. Analogamente CTEf3&.soµaL: Prete si trattiene dall'uccidere Bellerofonte (Il. 6,I67), Achille dallo spogliare Etione della sua armatura: CTEI Bo1SACQ, r .v.; HOFMANN, r .v,

    (W. Foerster) ~cX.O'cra-.o yà.p 'tO ye: wµQ (Il. 6,4r7). Diversa è l'idea implicita nell'espressione corrente che guardando qualcosa uno è preso da O'É~aç: crlPai; itxe:t (dç)opéw'V•ct; ad es. Nestore guardando Telemaco, per la sua somiglianza con Ulisse (Od. 3,r23, cfr. ibid. 4,142), Ulisse guardando Nausicaa (Od. 6,161), Telemaco a Sparta vedendo la gr;mdezza del palazzo di Menelao (Od. 4,75), gli immortali alla vista di Atena (Horn., hymn. ad Minervam 6). Il prato, che Gaia fece germogliare per sedurre Core, era a vedersi un O'ÉPai; per dèi ed uomini (Horn., hymn. Cer. ro; si noti che, nell'inno, poco distante si trova la parola 1}avµa<Ti:6ç). Nello stesso inno al v. r90 viene descritto come Demetra stava nel vestibolo di Celeo e toccava col capo le travi del tetto: ma la madre fu presa da atowç, CTÉPai; e xAwpòv OÉO<;. Qui lo stupore si accompagna alla paura. In tutti i casi in cre:P- c'è un senso di soggezione sia per una grave mancanza sia di fronte a qualcosa di alto e venerabile.

    Ha seguito la seconda accezione lo sviluppo successivo della parola ere:~-. Nel fatto fisico di tirarsi indietro si esprime un atteggiamento interiore, quello di lasciarsi impressionare da qualcosa di grande e di elevato. Soggetto di questo atteggiamento possono essere dèi e uomini; oggetto dèi, uomini e cose. In CTEP· non c'è ancora uno speciale senso religioso. Ma è significativo per la grecità che proprio questa radice sia diventata espressione specifica di un atteggiamento religioso. Linguisticamente il mondo semitico non ha alcun parallelo a crÉ~oµat: hista[Jawa ha la sua corrispondenza in 7tpOO'XU'VEL'V (-+ col. 386), che però in greco rimane limitato all'atto singolo e non è diventato punto di partenza per un uso linguistico di vasta portata 2 • Un altro fatto fisico quasi affine è il tremito; ma anche se a volte pau2 lt(lOO"XU\IE~\I

    nel senso generico Ji adorazione

    crÉffoµet.L A 1-.z (W. Foersrer)

    Ancora in Platone (Tim. 69d) a-Éf3oµm ha il significato di rifuggire da un'azione non buona: a-e:f36µe:VoL µLa.bmv "t'Ò 1Mov, cfr. leg. 7,798b. In Aesch., Pers. 694 s. indica timore reverenziale alla vista di qualcosa di nobile (cioè il volto del grande re defunto). Poi crÉf3oµai. e l'atto eccezionale vengono usati per caratterizzare un atteggiamento: Apollo è qualificato come crÉf3wv (Aesch., Eum. 752; dr. Soph., Ant. 745) per il suo intervento a favore di Admeto. In Phaedr. Platone descrive come il non iniziato alla vista della bellezza où a-éf3e:-cai 1tpocropwv, <<non la guarda con stupita reverenza» 4 ; viceversa v'è uno che, quando vede un l>e:oe:toÈ.c; 'ltpoa-wnov, prima si mette a tremare, ma poi 7tpocropw'll (sci!. 't'Ò np6CTW'ltOV) wc; l>e:ÒV crÉf3e:-rat. e addirittura gli sacrificherebbe, se non temesse di sembrare pazzo (Plat., Phaedr. 25oe25ra). Per lo più qualcosa che salta alla vista per la sua grandezza, bellezza ed elevatezza non causa, come nei passi citati, un senso di timore reverenziale; ma

    un'elevatezza interiore, che si presenta esteriormente in cose o uomini, provoca un a-É(3Ecr17m: Bageo vide che avevano un grande rispetto per le lettere ed il loro contenuto (Hdt. 3,128). Non sempre concorre il momento religioso 5, che però di rado è assente. Cosl sono oggetti del cr€f3EO·tl'aL la patria (Plat., Crito 51b), una località considerata sacra (Etir ., Ba. 566; Hdt. 7,197; Plut., quaest. 11at. 23 [n 917 s.]), le orge (Aristoph., Thesm. 949; Archiloch., fr. n9 [Diehl JIII 47 ]), sogni (Aesch., Ag. 274), il bene fatto dai genitori (Plut., de C. Marcio 36 [r 2 31c]), la olxri (Plat., leg. 6,777d), la 't'UXTJ e il òalµwv di un uomo (Plat., leg. 9,877a), anche i suoi pensieri (Plat., ep. 7,344d) o la sua virtù (Plat., leg. 8, 837c), e ancora i genitori 6 , i defunti, gli eroi (Plut., amat. r 7 [ u 761]; de Ramulo 27 [135a])ei benefattori (Plut., de Timoleone 16 [r 244]). Anche in epoca neotestamentaria il momento· religioso è ancora vivo: ÒLÒ xa:ì. -.p1wv ov't'WV fl. 1tE1tO\ltJ(f..CTL\I oi 'ltOÀÀot 'ltpòc; -rò tJEÌ:OV, s'l)À.oU xat cp6f3ou XCtÌ. 'rLµfjc;, S'llÀ.OÙ\I ~v mhoùc; xat µaxaplsEtv folxaCTL XCt.'tÙ 'tÒ acpiJap't'OV Xt'J.Ì. Ò:tOLOV Éx1tÀ1)o-cre:cri>CJ.L oè xat OEOLÉVc.tL xai:à "t'Ò xupLov xat ouva-c6v, &yamiv oÈ xat -rLI() !:\ I:' µocv xa.i\ CTEjJE
    di Dio è «molto raro» nell'ellenismo, J. HoRST, Proskynein (1932) 179. 3 Aristoph., 1111b. 293 s.: xat créffoµar. ... oil"C'Wç aò'Tàç (le nuvole) 't'E't'pq.uxlvw xat 7tEcp6!3TJµ«r.. Plat., Phaedr. 254b: i!&Er.Efo·a. «vÉ7tEE xa.aECJ''rW'tWV. 4 Grammaticalmente costruito come alcrxùvo-

    mi vergogno di fare. Aesch., Pers. 166: davanti a tesori non custodi ti non sì ha riguardo a Év 'TLJ.l.TI o-É(3Er.v. Partenopeo apprezza (crt!.{3rn1) la sua lancia più di un elio, più dei suoi occhi (Aesch., Sept. c. Theb. 529 s.). 6 Soph., Oed. Col. l377 : -toùç (j)U-rEvcrav-.a.ç uÉ{3EL\I, Soph., Ai. 666 s.: duoµEcrìta. µè.v i>Eoi:ç E!xET.V, µa.frria6µEailet ~· 'A-tpEloa.ç crÉ{3ET.V.

    ra e tremore si trovano accanto a cn!f30µa.1 3, si tratta di eccezioni che non possono nascondere che crÉ(3oµru non ha che fare col tremito di paura. Da «guai a me, sono perduto» di Is. 6,5 all'omerico créf3ac; µ'EXEL Ei.crop6wv't'a (-7 col. I444) c'è una µE't'af3acrLc; dc; /1).Ào yÉvoc;, la µe:>taf3mnc; dell'A.T. alla grecità.

    2.

    crif3oµat nel greco classico ed ellenistico

    1

    I

    f..UU 'TCOtWV

    5

    =

    \

    I

    l+4ì (vu,170)

    ué(3oµa.t A

    2

    venerati a motivo della giustizia» (Plut.,

    de Aristide 6 [I 322b]). Accanto ad esso tuttavia troviamo in questo periodo anche un uso molto sbiadito, per cui si dice ad es . che i ricchi sono celebrati come persone felici ed altamente stimati dalla maggior parte dei genitori 7 • Per la ricchezza di contenuto di 1JÉ(3E1Ji}at è importante Plut., de Aristide 6 (I 322b]) (~ qui sopra), dove
    l'atteggiamento che la maggior parte degli uomini (gli incolti) tiene verso Dio, il <1É(3Eo-:>m xoct -ttµiiv è accompagnato da un po' di batticuore (crcpuyµ6ç) e di paura (qi6(3oc;), che si chiama anche OEtO'toatµovla; nel contesto ricorre OEÒtÉvcu 9.

    Ma accanto a questo significato si è lentamente fatto strada uno spostamento dell'uso linguistico, nel senso che a-É(3Eat non significa più soltanto un at7 -.où; 7tÀ.O\JO'lOV; EÙSatµo\IL~O\l'tW\I xa:t C1E~oµÉVW\I (Plut., attd. poet. 14 [II 36d/e]). 8 Inoltre DITT., Syll.3 n 6n,24 s. (189 a.C.):

    i Romani si comporteranno in modo da 't"OÙç l>Eoùç aÉ{JEultm xa:t ·nµiiv, Plut., qt1est. conv. 7,4,3 (li 703a): tv(ouç 't"Ò X\J\lhl\I ')'lvoç iJ.1'<1.V C"É~ea&m xat 'tLµiiv, lib. educ. 10 (II 7e): la filosofia insegna O'tL Sei: l>EoÙç ~v uÉ~Eulla:L, yovfo.ç o~ 't"Lµiiv, dove il senso diventa chiaro se si considera che la filosofia non dà prescrizioni sul modo di venerare gli dèi, bensl sul modo di onorarli= stimarli altamente; questo passo, poi, è importante perché mostra che il concetto di ulf3EaDat, se non esclusivamente almeno in crescente misura, è limitato all'atteggiamento verso gli dèi, e per il retto comportamento verso i genitori vengono usati altri vocaboli. Anche in Dio Chrys., or. 12,60: ·raii-.a. ('t"à l1toup&.vta.)... l;vµm1.v't"a: 1S yE voiiv ~xwv uÉ~EL, l>Eovç -iiyouµ.Evo; µaxdplovç µa.xp61>e\I &pwv - poiché questa frase viene usata per giustificare la creazione di inunagini di dèi - il senso di O'É~Eul>a:t dovrebbe essere

    (W. Foerstcr)

    teggiamento ma anche un comportamento, non soltanto l'onore reso agli dèi ma anche la loro adorazione. Una delle più antiche attestazioni di questo significato di adorare si ha in Xenoph., hist. Graec. 3,4,18, dove, dopo aver dato la notizia che Agesilao e i suoi soldati avevano dedicato ad Artemide le corone vinte nel ginnasio, è detto: 01tOU yàp élv8peç 1}Eoùç µÈv crÉ~oLV'tO, 't"à ÒÈ 7toÀ.Eµixà àa-xoi:Ev .••, m7>c; oùx. dxòc; Év-taOiJa mx.v'ta µEa-'t'à fa7tlSwv &:yaì>wv elva:L;, «dove infatti ci sono uomini che adorano dèi e praticano esercizi di guerra ... , come non supporre che ivi tutto consenta buone speranze?». L'ultima espressione mostra che qui s'intende parlare di un'adorazione degli dèi visibile a tutti 10• Il significato di adorare si trova anche, ad es., in Cornut., theol. Graec. 16 (p. 25,22 s.): IJÉ~O\l~(l.t o'a1hÒ\I (Ermete) xat ~v 'tCX.L«; 7tCXÀ.cxlcr't"pa~c; µe:-tà 't"OU 'Hpa:xÀÉouc;, dove evidentemente si pensa ad un atto di culto nella palestra. Così poi at con l'accusativo di un dio viene ad indicare il suo quello di tenere in grande considerazione. Plut., Is. et Os. 18 (II 358a): i coccodrilli non attaccano i viaggiatori su barche di papiro perché hanno timore (q>O~E~ul>a:t) o soggezione (u~~Eul>ct.L) della dea; hanno timore della sua potenza e del suo castigo, hanno soggezione della sua maestà. 10 Analogamente forse anche Xenoph., mem. 4A,I9; viceversa, 1a notizia che trÉ~W o ct.t reso a Zeus si dovrebbe intendere soltanto il fatto di onorare e non un determinato modo di adorare. 9

    1449 (vu,171 ì


    A

    2 -

    a• • "A\IOUpLV, a adoratore: OL· O"EtJOµE\IOL 'tO\I gli adoratori di Anubi 11 •

    B. aif3oµa.t

    NEI LXX, NEGLI PSEUDEPI· GRAFI, IN GIUSEPPE E IN FILONE

    1. Nei LXX aÉf3oµa;L è solo una volta traduzione di 'ebed (Is. 66,14) ma non in tutti i codd.; altrimenti esso rende sempre jr'. In confronto alla traduzione corrente di questa radice ebraica con cpof3Ei:a'i)a.i, il numero dei passi con O"É· BEai)a.i è estremamente ridotto (5 passi: Ios. 4,24; 22,25; lob 1,9; Ion. 1,9; Is. 29,13). Senza rispondenza nel test? e: braico crÉf3EaÌ)cxi si trova I 3 volte, di cu1 7 per indicare l'adorazione di dèi pagani (fra cui Io$. 24,33b). Il senso si può rendere preferibilmente con servire: l'onore reso a Dio e la sua adorazione si attuano facendo ciò che egli vuole e ordina. In lob r,9 Satana chiede: µi) owpEà.V o-ÉfjE-.a.t 'Iwf3 -.òv i)E6v; in Is. 66, 14 servire Dio sta di fronte allo cxt mhòv xa.t 'JtOLEL\I mhoii -.à i)e)..1]µa.-.a., «conceda a voi tutti disposizione a servirlo e a fare le sue volontà»; in 3 Mach. 3'4 dei Giudei è detto: a-Ef36µe'lloL of. -.bv i}Eo\I ... xwpioµòv È1tolouv, «servendo Dio ... se ne stavano appartati». Servire l'unico Dio è la caratteristica dei pii Giudei in confronto ai gentili. In Ion. 1 ,9 Giona di sé dice: oouÀ.oç xuplou Èyw dµt xa.t i:òv xupiov 11eòv "tOÙ oùprt.\IOÙ È'yW O'Éfjoµai, «servo del Signore io sono e adoro il Signore Dio del cielo»; cfr. 4 Mach. 5, 24; 8,14. 11 Plut., Is. et Os. 44 (II 368f); de/. orac. 45 (n 43-if); DITT., Syll.' II 558,12 (207/6 a.C.); altre attestazioni in PREUSCHEN·BAUER', s.v. Invece, secondo E. FRAENKEL, Aeschyltts Agame11no11 nr (1950) 76r s., la più antica attestazione del significato venerare è in Archi-

    B 3 (W. Foerster)

    (vn,172) 1450

    2. Negli pseudepigrafi aÉf3oµet.L s'incontra raramente. Nei test. XII Patr. H verbo si trova solo in Ios. 4,6, dove Giuseppe dice alla moglie di Putifarre: ouX~ Èv àxa.i>ci.pcrlq. i}ÉÀ.EL xupLot; ..-oùç crEPoµÉvouc; a.u-.où, «il Signore non vuole che i suoi adoratori vivano nell'impurità». Viceversa vi è frequente il verbo cpof3Et:cri)ai riferito al rapporto con Dio. In ep. Ar. invece cpof3Ei:cri)m non si trova affatto, ma ricorre a.L (16.139.140) per esprimere il retto comportamento verso l'unico Dio dei Giudei. L'ultimo passo è importante: Alyu1t"tlwv ... LEpE~ç ... à.vi)pw1touç i)Eov 'ltpoof3E~crl>at e 1 volta EÙÀa;~E~oPEto11a.t (i)e6v) in 3,29, accanto a 'ttµéiv (Ei:owÀa) in 3,606. Ciò significa che negli scritti che non sono stati concepiti in greco il verbo crÉ~ea-i)ocL per indicare 1'11dorazione del Dio dell'A.T. scompare quasi del tutto in confronto a q>O~Ei:­ o1JaL. 3. Flavio Giuseppe usa uÉf3Ecrl>aL (per lo più al medio), a parte la designazione dei timorati di Dio, ad es. in ant. 14, r 10, per l'adorazione del Dio d'Israele (ant. 3,91; 4,318; 8,280; 9,87) e degli idoli 12• La sfumatura greca del verbo avere rispetto (~ n. 2) al massimo si Ioch., fr. n9: A-i)µ.'1)-tpoç àyvfiç xat K6p'l)ç -ri)v 'ltavi}Yupw qÉ{3wv (celebrare); altre attestazioni nei tragici ibid. [segnalazione di H. KRAEMER] , 12 Secondo HoRST,

    op. cit. (~ n. 2) n3, Flavio Giuseppe evita di usare la stessa espressio-

    14;;1 (vu,172)


    potrebbe cogliere in ant. 4,318: .-ò
    (Dio) uµi:v xat 'tOÙ<; v6µovi;, «a voi conviene serbare rispetto e onore a Dio e alle leggi». Filone usa µ:ii
    <(quando vien meno il rispetto verso Dio, necessariamente vien meno anche l'onore dovuto ai genitori, alla patria, ai benefattori, e chi osa rifiutare questa venerazione e recate oltraggio, davanti a quale eccesso di perversità ha mai arretrato?»; e in spec. leg. 4,33 dove &:À.1)i}EL
    C. <7É~oµttL

    NEL NUOVO TESTAMENTO

    O"É~oµa~

    (soltanto al medio) nel N.T. non viene usato da cristiani in riferimento a cristiani. In Mc. 7,7 par. è citato Is. 29,13; in Act. 18,13 i Giudei accusano Paolo davanti a Gallione: 1tct.pà -.bv v6µov à.vcx.7tEli)EL ou'toc; 'toùc; à.v1'pw7touc; crÉ~Ecr1'm -rò"V 1'E6v, «costui persuade la gente ad adorate Dio in modo ne per indicare l'adorazione di Dio e la venerazione degli idoli. Ma ciò non vale per ut~ELv, che non solo nei passi citati da Horst (ani. 9,99; 4,130.137), ma anche in a11t. 9,205 (Geroboamo EtSw).a... utB6µevoç) è usato in

    (vu,172) 14;;2

    contrario alla legge», ed in Act. i9,27 Demetrio lo usa per l'adorazione di Artemide a Efeso. Inoltre, negli Atti, 6 volte mediante crEBoµEvoL, con e senza i>Eov, si indicano i cosiddetti «timorati di Dio» (~ coli. 339 ss.). Qui ci occupiamo soltanto dd significato linguistico di questa espressione. Essa s'appaia a cpoBouµEvot 'tÒv i>E6v, che di fatto ha lo stesso significato e corrisponde all'ebraico ;r' jhwh 13 • La sua trasformazione nella formula con crÉBEcri>a.t mostra come ai Greci suonasse inadeguata quella con cpoBEicrì>ix.i. La formula crEB6µgvot 'tÒV 1'E6v si collega alla parallela designazione di adoratori di divinità pagane (~ coli. 1448 s.). Essa vuole esprimere due cose: da un lato la pretesa di servire l'unico vero Dio, cfr. ep. Ar. 140 (--> col. 1450); dall'altro aEBoµEvoi; con l'accusativo di un dio non indica chi gli rende onore, ma chi lo adora (--> coli. 1447 ss.). Se dunque questa formula viene applicata ai «timorati di Dio», essa vuol dire che costoro non soltanto sono stati impressionati dal Dio dell'A.T., non solo gli rendono onore, ma anche lo adorano, e precisamente con determinate azioni.

    t


    1. Questa parola, evidentemente derivata da <7É~ac;, serve soprattutto a so-

    riferimento agli idoli. Il ;r' 't 'l anche in Dam. l:o,2 (9,15); 20,19 s. (20,43), non nel senso speciale di «timorati

    di Dio».

    O'E{36.l;oµat I - c-É{31wµa 2 (W. Foerster)

    stituire o-ÉBoµet.L, usato soltanto al presente. Pet conseguenza ha avuto un analogo sviluppo di significato. In Omero s'incontra 2 volte nell'espressione CTE0&.o-cret."t'O yàp "t'O YE DuµQ (~ coli. 1443 s.), in un significato analogo in Anth. Gr. 7 ,r 22 con l'aoristo passivo: IluDuy6pric; -r:l -r:6crov xu&.µouc; Èo-EBri1

    crl>T);, in Orph. Argonautica

    522 :

    aÀ-

    ).'òrto•'èì.v Di::CT1..toi:c; !;Ei:vov o-E0a'r}crav) animali.

    ou

    wv

    (vu,173) 1454

    significa un oggetto di adorazione o di onore, specialmente l'immagine divina che viene adorata. Così in Sap. !4,20; 15,17 e Bel et Draco 27 (Teodozione); in Flav. Ios., ant. 18,344: È7tL "d}ç olxlaç EXEW crEPricrµet.-r:a, «avere in casa gli oggetti del culto»; Sib. 8,57 (a proposito di Adriano): li'Tta.:vw,, crEBacrµa'tet. McrEL; Dion. Hai. l,30,3: ȵrmplcx. 'tW\I 'TtEpt 't'Ù i)Ei:ci CiEBricrµci-ta ÀEL'rOVpytwv, «competenza nelle funzioni riguardanti gli oggetti del culto divino»; Pseud.-Clem ., hom. 10,21 a proposito delle immagini degli dèi, a riguardo delle quali i pagani sostengono che, anche se sono soltanto oro e argento, in esse abita il 7tVEliµa divino. Sib. 3,550 lo definisce geneticamente l'oggetto dell'adorazione: ollvoµa 7tcx.yyEvhao crÉBwrµ'EXE 1, «consideralo qualcosa di sacro». 2. Nel

    N.T. la parola si trova solo

    3. Nel N .T. il vocabolo s'incontra sol-

    due volte. Act. 17,2 3: &.va.i>Eµipwv -.à crEPricrµai:et. ùµwv Evpov xat BwµOv.

    tanto in Rom. r,25: ÈcTEBrio-Dria-civ xai ÉÀa-r:pEUO"ClV -r;fi X"'CLCm 'lttipà 't'ÒV X"'CL-

    Qui sono a-E0aa-µet."t'a non solo le immagini degli dèi, ma in generale tutti gli

    IJ
    oggetti connessi al culto, fra l'altro gli altari. L'altare non è un oggetto dell'a-

    IJEBcH~EcrDciL, secondo quanto abbiamo detto, sign.iiica non soltanto l'atto di sa-

    ne tributato un crÉPE:crDm, una venerazione; tale lo designa Paolo; che cosa

    cro rispetto 2, ma anche l'atto o gli atti dell'adorazione: «essi adorarono e servirono la creazione invece del creatore»

    egli pensi di questi luoghi santi risulta dal seguito del discorso. In 2 Thess. 2, 4 l'&vDpc.moç "t'ijç &.voµlaç è caratteriz-

    (--?-IX, col. 491).

    zato come ò à.v't'txdµEvoç xet.t {mi::pet.LpoµEvoç È1tt 'ltcivi:a. Ài::y6~vov i>Eòv

    i" créBa.ol~Cl r. cré0acrµa (attestato dal cr€~ai;oµa~ Orph. (ABEL) 22. 2 M1cHEL, Rom., ad l. 1

    dorazione, ma è un oggetto al quale vie-

    I

    sec. a.C.)

    11

    crÉPacrµa. Anche qui crÉPacrµa non può significare semplicemente l'immagine crÉ~CXO'f.Ul 1 crÉ~acrµ', come legge A. KURPESS, Sibylti11ische Weissagrmgen (1951) contro J. GEFFK-

    1455 (vu,173)

    degli dèi, ma deve designare un oggetto del crÉPEcrl}cx~. Con le sue parole Paolo si collega a Dan. u,36, ma con lo strano À.EyoµE\lo\I e con l'aggiunta di aÉPu
    :I:tPc.tu-t6c; TH. MoMMSEN, Rom. Staatsrecht II 2 2 (1877) 771-774; C. CicHORIUS, Rom. Studien (:192:z) 380 s.; F. MULLER-IZN, Augus/llS: Mcdedelingen der Koninklijke Akademie van Wetenschappen, Afdeeling Letterkunde 63, Serie A nr. n (1927) 275-347, e la recensione di A. v. !>REMERSTBIN: Plùlol. Wochenscht. 49 (1929) 84_:s-850; S. REITER, Augustus; l:Eaa.11-t6c;: ibid. 50 (1930) II99 s.; M. A. KooPs, Kaiser Tiberitls: Mnemosync, tertia series 5 (1937) 34-39; A. v. PRBMl!RSTEIN, Vom Werden des Primipats: A. A. Miinch., N.F. :15 (1937) 64.rr9.169;

    A. WAGl!NVOORT, lmperium

    (1941) 14-19; H . HOMMEL, Horaz (1950) u1-

    fermazione genetica ed ampia il più possibile. Ne verremo a capo se per O"É~cx­ O"µa intenderemo tutto ciò a cui viene reso un cré~Ecri)cxt, vale a dire se vi includeremo gli 'ordinamenti' della famiglia, dello stato, del diritto, che per gli antichi stavano sotto la protezione degli dèi ed erano oggetto di un O"É~Ecri)at o di un EÙO"E~Ei:\1 2 •

    t

    LE~IXO"'t'oc;

    r. O"E~cx
    als Titel rmd Nome bis zum E11de des Mittelalters, Diss. Miinster (:1957) 5-12.9:1-95; F. TAEGBR, Charisma II (1960) II7-II9. I Ovid., fast. 1,609 s.: sancta vocatlt augusta patres, augusta vocantur tempia sacerdotum rite dicata manu. 2 Res gestac divi Augusti (ed. H. VoLKMANN, KIT 29-30 [r957] 56-59) § 34: in consulatu sexto et septimo, bella ubi civilia exti11xeram per conse11sum tmiversomm potitus rerrm1 0111nium, rem publicam ex mea potestate i11 senatus populique Romani arbitrium tra11stuli. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus oppel/atus st1m (gr.: 'l:EPct11-tòc; 'ltpOa'r}-

    yopEl'.1lhiv). 3

    F. MULLER-IZN, Augustus: Mnemosyne, no-

    va series _:s6 (:1928) 223: augusti enim adiectivum eum designai, qui ceteris maius 'augus', id est arcanam quandam augendi, creandi, alendi v1m ostendit a deis oblatam. 4 -+ CrCHORIUS; ~ V. PREMERSTEIN 849;

    (vn,175) 1458

    1457 (VII,Iì4)

    spressione latina separa l'imperatore dalla massa di tutti gli altri mortali. Il titolo era conferito dal senato e nel primo secolo d.C. fu attribuito esclusivamente all'imperatore regnante (e talvolta a sua moglie) 5 • 2. II greco O"E~acr-.6c;, più raro, indica qualcosa cui è reso un rispetto reverenziale di carattere religioso. Cosl Numa eresse un santuario alla 7tlo-·nc;: oihw youv
    5 6

    -+ CICHORlUS. leg. Gai. 143: ò BLà. µtyEl)oç i}ysµo\lfo:c; o.ò-

    Toxpcx.Toi.ic; òµoi.i xcx.t xcx.ì..oxcx.yaDlccc; 1tpW'>O<; Ò\I0(.1.mrlMc; l:E~acr-.6c;... o.ò-.òc; YE'llÒµE\loç à;p. O'EPacrµou xat 'tote; ~1tEL't«. 1 DJTT., Syll.' 11 820,3-7 : µvcrTi)picx. xa.t fui.

    Xn

    Questo titolo ha un suo ruolo quando al sovrano in vita vengono tributati culto e·venerazione. Cosl sentiamo parlare, oltre che del giorno dell'imperatore (la cref3acr't'1)), di µucr.-m per i ite:ot ~E~a­ unl7, di uµVcpOOL 'Ì}e:ou ~Ef3an.-ou, di un O'Ef3acr-roÀ.6yoc; o di un ae:f3acr-.ocp&.v'>1JS 8 • In processi a cristiani non risulta che il titolo di ~Ef3aa't6c; abbia avuto un ruolo, poiché ai cristiani si chiedeva che dicessero xup~E Kai:o-ap, che offrissero un sacrificio o che giurassero per il genio dell'imperatore (mari. Polyc. 8,2; pass. Set. Scilit. 2,5 ).

    3. Nel N.T. il vocabolo s'incontra solo in Act. 25,2r.25 in bocca a Festa. A differenza di Kai:crap corrente nel N.T., che anche Festa usa nel contesto (vv. 12.21), 1:e:Bao-..6ç ha un che di ufficiale, e perciò meglio si adatta al colloquio tra il procuratore romano e Agrippa II. In Act. 27,1 la cr?tErpa l:Ef3an-.1} è una denominazione, attestata anche altrove, di truppe ausiliarie 9 •

    A. NEL

    MONDO GRECO

    r. Tutti e tre i vocaboli (pochissimo l'aggettivo EÙ
    0Eoµocp6pti) xo.t freoi:c; l:E~acrTotc; V7tÒ µuCl''tWV µE'tà. 7toì..)..ijc; ckyvElac; xa.t \loµlµwv efrwv (83-84 d.C., Efeso). 8 Inscr. Perg. II 374 A, righe 4 s.; DEISSMANN, L.O. 297,3.306-309; NILSSON II 353; altre notizie in W. FOERSTER, Herr ist ]esus (1924) I OZ S .

    9 lIAEN'CHEN,

    A pg., ad l., con bibliografia.

    lf59 (vn,175°)

    EÙcrs~i)r; X'tÀ.

    A

    1-2

    (\V/. Foerster)

    (vn,175) 1460

    EÙo-ESEi:v. Esse vengono introdotte dalle preposizioni dc;, 7tEpl, 'ltp6c; o stanno in accusativo 1 • Anche in periodo seriore questo uso linguistico di specificare l'oggetto dello EVO'ESEi:v è ancora vivo 2• Es' E1(.l ' Il' e EUO' so prova ch e EUO'Ep1J<; tJELIX. senza una specificazione precisa hanno un significato più ampio 3• Ma anche senza aggiunta EUCTE[3EL\I ecc. definiscono in modo speciale un comportamento verso gli dèi, come ad es. in Aesch., Sept. c. Theb. 344 1 dove la distruzione di templi in guerra è chiamata un µLcx.t\IEW EÙuÉSmx.v 4. È chiaro che in età ellenistica e neotestamentaria EÒO'Éf3Eta senza aggiunte in generale esprime il retto comportamento verso gli dèi, la pietà. Nella progressiva caduta di una specificazione appare una riduzione del concetto di EÒ
    poche sostanze piuttosto che esser ricco disonestamente»: qui EÙO'EPti:v è il contrario di àolxwc; nÀ.ou•i::i:v, dunque un concetto assolutamente generico. Giurare il falso sarebbe oùx EÙCTEf3Et\I (Plat., ap. 35c); assistere il padre morente è EU
    tÙcrE/3i)r;, tiicréf3mx., EUcrE~Éw

    {1947) 125-134; DJBEtrns, Past.' (1955) excr1rsus a r Tim. 2,2; W. FoERSTER, Evul~eLa in den Pastoralbriefen: NTSt 5 (1959) 213218; D. LoE.NEN, Eusebeia en de cardinale de11gden = Mededelingen der Koninklijke Akademie van Wetenschappen, Afdeeling Letterkunde, Nieuwe Reeks 234 (:1960) . i Soph., Phil. 1441: EvcrEPE~v 'tà. npòc; i>Eouc;, Isoc. 1,r3: evcrÉ~EL -rà rrpòc:; 'toùc; fu:ouc;, similmente 3,2. 2 Epict., ench. 31,1; Diod. S. 19,7,3; Dio Chrys., or. 31,r46; CIG I 1446, riga r3; D1TT., Syll.3, indice s.v. EVO'É/3ELa. J Antiphon Or. 5,96: oil-tE 'tÒ Ùµ.É'tepov E.Ùctt:pèç 7ta;pLE/.ç, detto ai giudici: = io non abbandono !'EÙcrE~Ér; verso di voi; Isoc. 4,33:

    Per A:

    K. F. Nii.GELSBACH, Die nachhomcrische Thcologie des griech. Volksglaubem (1857) 191227; O. KERN, Die Religioll der Griechen 1 (1926) 272-290; U. v. WILAMOWI'l'Z-MOELLEN· 1 DORFF, Der Glaube der Hellenen I (1955) 15 s. 35 s.; J. C. EoLKESTEIN, 8crLoç en EÙcrEMJç, Diss. Utrecht (1936); W. J. TERSTE.GEN, EÒCIE· ~Tir; en 8crLor; in het grieksch taolgebruik na de vierde eeuw, Diss. Utrecht (1941). Per B: G. BERTRAM, Der Begri/} 'Religion' in der LXX: ZDMG 87 (1934) 1-5; C.H. DoDD, The Bible and the Greeks (1935) 77.173-175. Per C: H. J. HoLTZMANN, Lchrbuch der neutestamentlichcn Theologie Il1 (19u) 306-312; CREMER-KèìGEL, s.v.; F. TILLMANN, Vber 'Frommigkeit' in de11 Pastoralbrie/en des Ap. Pa11· lus: Pastor bonus 53 (1942) 129-136.161-165; C. SPICQ, St. Paul, Les épitres Pastora/es

    2 . Da quale uso linguistico si può far derivare la limitazione dell'eucrEf3Ei:v all'aspetto religioso? Gli oggetti ai quali è rivolto l'EÙcrESEi:v e la Eùo-tSmx. sono, ol-

    npòr; -tà. 'tWV ltewv eùcre~fo-ta'ta 0La1mµtvour;. 4 In Menand., georg. 35 un campo che fa ere· scere molto bene le piante sacre a Dioniso, ed altre solo in modo normale, è detto ironicamente ù:ypòç eÒcrE[ ~fo'tepor;] .

    EÙcrE~-/ic;

    wtÀ.. A 2 (W. Foerstcr)

    tre gli dèi e i loro santuari, i morti e i loro voµtµa. (Eur., Hel. 1277), in special modo i parenti defunti (Soph., El. 464; Ant. 943), e poi i congiunti in generale, padre, fratelli, genitori 5, inoltre il sovrano (Soph., Ai. 1350), nel periodo neotestamentario l'imperatore 6 , i giudici (Antiphon Or. 5,96), gli stranieri e coloro che chiedono protezione 7 , in generale i 'buoni' (Soph., Ant. 731), il il giuramento 8 e in generale il diritto 9 • Ma può anche esprimere la compassione per l'età di un accusato 10 o una condotta di vita coerente con la filosofia (Plat., ep. 311d.e). Possiamo trascurare altri usi più rari 11 • Da questo panorama risulta chiaro che EÙ
    agli dèi stessi. Questo trapasso appare chiaro in Isoc. 1,r3: 1tpc7rrov ... eucrÉfkt -.à 1tpòc; -roùc; i}eouc; µ:/i µovov Wwv, ocÀlèt xat 'tote; opxot<; ɵp,Évwv, «usa rispetto a ciò che riguarda gli dèi non soltanto offrendo sacrifici, ma anche mantenendo i giuramenti». L'evoluzione avviene nel senso che l'Eùa'ÉBw·i, come retto comportamento verso gli dèi, vie. ne distinta dalla OLXa.toa'UVlJ quale retto comportamento vetso il prossimo, e dalla crwcppoO"vvri o dalla Éyxpci·ma quale retto comportamento verso se stessi. Cosl è detto di Socrate: EÙO'E(31]c; µè:v ou't'wc; WCT't'E µ110Èv èlvEu -i:fjc; -.wv 7Jewv yvwµ'T]c; 'ltOLELV olxa.Loc; OÈ WO"'t'e f3À.a'lt'tH\I µÈv µt}oÈ µtxpòv µrioÉvCt., wcpEÀ.Ei:v OÈ -cà µÉyta''t'a. 'tOU<; xpwµÉvouç Cl.Ù't'Q, Èyxpa.-i:1]c; oè: wa'-r:E µ1]0É1to-r:E -itpooc~pEi:­ crt}a.~ 't'Ò 1}otO\I &.v-.t "'COV PEÀ.'tL'.)VOc;, «COsl pio da non far nulla senza il consiglio degli dèi, cosl giusto da non arrecare il minimo danno ad alcuno e da giovare al massimo a chi ricorreva a lui, continente al punto da non preferire mai il piacere al bene» (Xenoph., mem. 4,8,u) 12•

    s Plat., resp. l0,6l5c; Soph., Ocd. Tyr. 1431; Pseud.-Plat., Ax. 364c; Dio C. 48,5A. 6 P. Lond. Ili n78,r4 (Claudio); DrTT., Syll.' II 814,2 (Nerone); dr. A. SrnonEL, Zwn Verstii11d11is vo11 R IJ: ZNW 47 (1956) 8r (Tiberio); in questo caso la EUe~ctv ... à.'ltoÀ.vov-ceç eùcrepei:-ce. 11 Interessante è la frase di Soph., E/. 968, dove si pnrla della euulfk~a: del defunto genitore verso i suoi figli imploranti, e quella di Antiphon Or. 3,2,12: 't'/iv..• EÙO'É~na:v -.ou-cwv "t'W\/ 'ltPctxMv-cwv... a:tlìouµevoL òulwc; xctt lii.-

    xa:lwç a'ltOÀ.UE"t'E iJµ«ç; il motivo era eccezion:tle: un incidente di cui l'autore non aveva alcuna colpa. È solo da rilevare che euueMic; talvolta significa anche onorato, vc11era11do, Eur., El. I272 cli un oracolo; Plut., Pomp. 80 (I 661c): Ellp'I]µct EÒO'E~tç. 12 Inolue ad es. Isoc. 3 ,2: -cà.. 7tEpt -coùc; i>eouc; EUO'e~ouµEv xaì. -.1)v lìLxmocrvvl]V licrxoiiµev, Demosth., or. 9,16: "t'Ò o'EÒCTE~èc; xa:t "t'Ò olX'1.LOV ••• ·ne; 8.v... 'ltctpct~alvn: nella rottura di un trattato è violato il diritto divino ed umano; Diod. S. r,92,5 a proposito degli egiziani, che rammentano la vita di un defunto; ml.À.w livlìpòc; j'Eyov6-.oc; 't:Yiv EluÉ~ELIX.V x at lìLxmocrv\/Tjv, ~"CL Ot -c1)v lyxpb:mctV xctt "CcXç /}.).. À.a:c; apE-càc; ctù'toii StE!;Épxov-cctL. Epict., diss. 3,2A: l'uomo deve osservare le relazioni naturali e quelle acquisite wc; EUCTEl)lj, wc; u16v, wc; àoEÀ.q>ov, wc; 'lta-ripa:, wc; 7toM-cl]v, M. Ant. 5,33: ~EOU<; µèv
    I

    ev

    EVCTE{31)ç X'i À. A 3 ( W. Foerster)

    3. Platone nel suo dialogo sulla pietà fa dite ad Eutifrone, come rappresentan dell'opinione popolare: EÒCJE~É<; 'tE xaì ~<nov sarebbe "t"Ò rcEpì 't'Ì)\/ -rwv i}ew\/ i}epoc'ltElav, «ciò che riguarda la cura degli dèi» (Euthyphr. 12e), precisando .il concetto nei seguenti termini: Èà.v µÈv XE)CaptO"µÉWt. 'ttç btLO"'t'l'}'tat 'tOi:ç 1'Eoi:~ ÀÉyEt'\I 'tE xocì. 'ltptX't'tELV Eùx6µEv6ç 'tE xa.L i>Uwv, 'tau-ç'fo'tt 'tà é>cna, xaL cr(il'tOC 'tOtaU'ta -touç 'tE lolouç o(xouç xoct •à xowà -twv rcoÀ.Ewv· 'tà oÈ Évav'tla. -twv XEXctptcrµÉvwv Ù
    -rèt. rcEpL 'toùc; 17Eoùç \léµiµoc Elowc; opltwc; av Ùµtv €UCTE'31)ç wptcrµivoc; dT), «per voi dunque è rettamente definito religioso colui che conosce le norme riguardanti gli dèi» (Xenoph., mem. 4,6,4) 13 • Pseud.-Plat., de/. 412e presenta un compendio delle varie definizioni della pietà: EÙcrÉ(1Eta 0LxaL011u'lllJ rcEpL iteouc;- ou'llaµLc; 1'EpmtEV"t"LX1) i}Ewv ÈxoiJcnoc;· m:pt 17ewv 'ttµfiç u'ltoÀTJt!JLc; 6pMr È'ltLa--r1Jµri 't'ijç '7tEpt lJEwv 'ttµijç, «giustizia verso gli dèi, facoltà di riverire gli dèi di propria spontanea volontà, retta comprensione del culto degli dèi, scienza del modo di riverire gli dèi». Le molte iscrizioni onorarie del periodo ellenistico indicano come motivo eostante dell'onore reso ad uomini meritevoli la EÒCTÉ~ELa ltpÒç 'tOÙç lteoiJc;. Per quanto si può dedurre dal contesto, vengono indicati l'esercizio coscienzioso e costoso di atti di culto, incluse le somme dedicate all'erezione di santuari 14• Più tardi Elio Aristide dà la seguente definizione: -rò oÈ EUO'E~Èc; cruvlcr"t"a'taL Èx -c'ijc; q>VO'Lxfjç '7t1Xpct'tl)fJ'l'icrEWc; 'tWV 1tpÒc; -roùc; lJEoÙç: OtXalwv XIXL Voµlµwv· -rÒ OÈ foLOV
    l'aggiunta 'ltpÒç (7toi:l) 'Toòç Dtouç ad EvcrÉ{3Ettt., e la menzione onorevole, che non manca quasi mai, del suo lodevole comportamento verso la città che lo onora viene espressa con altre parole, per esempio tiivoi.a.. DITT., Sy/l.1 n 734,12 ss. (94 a.C.): xai)ijxov... tu-.t AEÀ.·

    tmcr-.i)µ'l'}v i>Ewv DEpttTtElac; (Zenone); Plut., Aem. 3 (I 256d): Emilio Paolo come augure era molto coscienzioso e xu.'tEV6'l'}CTE TlJv 'tWV TtO:ÀCUWV 'ltEpt 'iÒ &i:ov EÒÀ.6:.Beiu.v, t'J>CT'te ... µap'tvpi]O'aL -toi:c;
    <po'Lç à'ltolitxEcrl}al 'tE xat "ti.µ&v "toòç EVCTE13Elq. xa.t litXO:LOcrUVq; lita
    stvcu.

    sn

    14

    Cfr. DITT., Syfl.l, indice s.v. EuaéPeta e W.

    aePWc;. 15 Ael. Arist., de arte rhetorica x,12,5,8 (ed. W. D1NDORF [1829] 2,761, righe 2-6).

    to cli signifìcato analogo a quello cli O"É.SoµaL (-7 coli. I447 ss.): da onorare a venerare un dio. Occorre rilevare però che EUO"ÉSwx. non signifìca semplicemente la venerazione degli dèi in quanto tale, il puro e semplice compimento del culto, ma anche e sempre l'atteggiamento interiore che si rende manifesto nell'atto esteriore 16• Perciò nella definizione pseudoplatonica citata sopra -7 col. I464 non manca È.xovO"Loç. 4. In età ellenistico-romana EUO"ÉSi;:ia per lo più significa l'adorazione degli dèi resa con partecipazione interiore, ma non è andato perduto nel vocabolo l'altro signifìcato, per il quale EVO"ÉSmt in generale indica l'atteggiamento reverenziale verso gli ordinamenti della vita. Perciò in questo periodo il vocabolo i:.ùO"ÉSELa viene usato anche per esprimere il comportamento con i parenti, tra uomo e donna, perfino degli schiavi col loro padrone, delle legioni verso l'imperatore, ma anche la conduzione degli affari dello stato da parte dello stesso imperatore 17• Nella gente colta si manifesta un atteggiamento di riserbo o di critica nei confronti dell'adorazione cultuale degli dèi secondo la pietà popolare, e per conseguenza un concetto interiorizzato di EVO"ÉSEw., nel quale è decisivo il momento della reverenza. Ad esempio Epitteto dice: 't'ijc; 7tEpÌ. 't'oùc; l}eoùc; EÙO"ESElac; tcrlh Q't'L 't'O xuptW't'ct't'OV tui:v6 È:O"'t'W, òpMc; Ù'ltoÀ.lj~w; m:pt au-twv 16 Perciò nelle iscrizioni onorarie ellenistiche per lo più è aggiunto un xciÀwc; xa.t ip~À.o-.l- . µwç e simili; DITT., Syll. 3 II 599, n. 14 (216/ 215 a.C., Delfi): -ràç... INITlw; [lNaE -ràc; 1ta1'plovç XfXÀ.Wç xa:t q>LÀ.o-.lµwç: il semplice adempimento dei sacrifici tradizionali non è sufficiente come caratteristica della EÒO'É~Eta. Molto significativo è l'inizio dell'iscrizione sepolcrale di Antioco di Cornmagene: Èyw m~v­

    -rwv à;ya:ilwv oò µ6vov x1'TjO'l.v ~Eaato-.ii1'1)V, à;).).à. XfXt &:rtOÀO:UO'l.V 1)Slp
    EXELV wc; OV't'W\I xat OtOtXOVV't'W\I -r;à, oÀ.a xaÀ.wc; :iw.t &xalwc; xat O"au-.ov Elç '°'OV't'O XO:'t'U.'t'E'°'U.XÉVa.t, '°'O 7tEllJE
    che l'elemento principale della pietà verso gli dèi consiste nell'avere rette opinioni intorno ad essi, cioè nel credere che essi veramente esistono e governano ogni cosa bene e giustamente; e nell'essere disposti ad ubbidire ad essi e nell'acconsentire a tutto ciò che avviene e nell'adattarvisi cli buon grado pensando che tutto è disposto ed accade per il miglior consiglio» (ench. 31,I). Se gli dèi dispongono per l'uomo pio ogtù cosa giusta e buona, questi deve accettare la loro volontà in tutte le cose esteriori e null'altro cercare se non ciò che essi mandano, altrimenti la sua pietà non può sussistere 18 • Anzi, buon filosofo è l'uomo pio: oa·nc; É'ltLµEÀ.frcat 't"OU ÒpÉyEO"Ì}a.t wc; OEL xat ÈxxÀ.t\IEtV, ÉV T@ aÙ't'@

    xai EvcrEf3Elai; ÉmµEÀ.Ei:'t'at,

    cioè colui che accetta la dottrina stoica delle cose da ricercare e di quelle da non ricercare, nel prendersi cura di ciò si prende cura anche della pietà (ench. 31, 4). Quando poi Epitteto prosegue: ttXO"i;O't'E 7tpoa-1}xH xal}apwc; xaL µ'Ì) bt
    crifici, all'offerta delle primizie, occorre 14). Cfr. anche EÒ<7Éf3mx. come traduzione di 'dhamma' (sanscrito dharma), «dottrina buddistica della salvezza» (propriamente 'legge') nell'iscrizione greca ·di Asoka nel Kandahar :

    D. SCHLUMBERGllR, U11e bili11gue gréco-ard111ée1111e d'Asoka: Journal Asiatique 246 (1958)

    2

    [RISCH].

    J7 ~ TERSTWEN :r49-15i.154-157. 18

    diss. 1,27,14: èàv µ'Ì] ~v -.<;> a.ò-.éi> ti -.ò EÒxat cruµqiÉpov, oò ouva'tfXL <7w~Tiva~ -rò

    <7E~è~

    EUO'ef3Éç.

    EÒcre.(H1; xù. A 4 (W. Foerster)

    ogni volta procedere, secondo le costumanze patrie, con purità e mondezza, e non trasandatamente né con grettezza né con dispendio superiore alle proprie possibilità» (31,5), con ciò dimostra che per lui la partecipazione al culto è soltanto un dovere civile tradizionale, non l'elemento essenziale della pietà 19, Una cosa a cui tiene molto Plutarco è distinguere la EUCTÉ.~rnx. dalla ÒELO'LÒO.Lµovla 20 • Il oELCTLoalµwv si aspetta dagli dèi ogni male: opfi.ç oÈ ofo. 1tEPL "tWV i>Ew'V ot OELCTLoalµovEç cppovoucrw, ȵnÀ:fpc-.ouç, a7tLCX.~6À.ouç, '>Lµ<JlP1'J't'LXOVç, wµouç, µLXpOÀ.l'.J1tOVç Ù7tOÀ.aµ~aVo\l-.Eç, «vedi come i superstiziosi concepiscono gli dèi: li stimano insani, infidi, mutevoli, vendicativi, crudeli, pronti ad offendersi per un'inezia}> (superst. I I (II nod/e]); invece l'EUCTE~i)c; sa che gli dèi sono i rca.-.p@~L xa.t ysvÉ1}À.LoL, i Eou O'Eµv6•'I)•a µe:-.oc XP1'JO"'t6"t1]"toç xa.t µe:yaÀ.ocppocrUvTJc; xa.t e:ùµe:ve:la.c; xrx.L x118e:µovla:c;, «la maestà della divinità congiunta a bontà, magnanimità, benignità e sollecitudine» (6 [II 167e]). Qui ricompare come elemento portante il timore reverenziale per qualcosa di nobile e di grande, che fin da principio fu insito in crÉ.~oµaL (--7 coll. 1444 s.) e ricompare anche l'autentico sentimento greco, per il quale è proprio dell'elevatezza e grandezza dello i>Ei:o'V l'essere bontà, libera dalle passioni umane, solo l9

    Talvolta si giunge anche a contrapporre

    EÙ-

    aé~Et<X. e adempimenti cultuali tradizionali:

    oct yò.p /lv EÒcre.(ifo-tEpot xat òcrtwupot yivncrl>E, 'tOCTOV't È).,rh-tW\I fo-tm 11ap'ùµ~v Ò Àt~a\IW'tÒç xat "tà l)uµi6:µ11..-ta xat -tà ct'tt<pa.vwµa-ta., xat Menu eÀ6:"t"touç -l)ucrlaç xat
    donante, benefattrice degli uomini. Dunque per la cultura greca il timore reverenziale, pieno di stupore, per il mondo elevato e puro del divino, la sua adorazione nel culto e l'osservanza dei suoi ordinamenti sono l'essenza vera della EÒCTÉ(3ELCX.. Essa non consiste nell'essere obbligato incondizionatamente da una forza personale. Perciò la EU(J'É~ELa nel mondo greco può essere una &.pE"tlJ, una virtù come le altre, ad esempio la crwcppocrvvn 21 • È vero che in un caso è detto; Oo-ot '1'Ò ~Ei:o\I µ"Ì) Èv 'ltapÉpn> crÉfjoucrL", où'tot xat "t"à. 'ltpòc; &.'Vl)pw1touç &ptO'-rov 8.v EÌEV, «quanti tributano alla divinità un culto non superficiale saranno ottimi anche nei rapporti con gli uomini» (Luc., pro imaginibus 17), ma ciò non significa che fondamentalmente la pietà sia valutata come la fonte di tutte le virtù. Essa va insieme con tutte le altre, perché le singole &.pE'tal non possono stare l'una accanto all'altra, o addirittura contro l'altra senza un collegamento o riferimento reciproco. In quanto virtù l'e:vcrÉ~ELa può essere lodata, la sua mancanza, la &.crÉ(3rn"L, moralmente condannata.

    35). 20 Numa 22 (I 75b); Pericl. 6 (1 154f); Fab. Max. 4 (r 176b); dr. anche adulai. 12 (n 56e);

    superst., passim. 21 CIG 1 I 446: -ri'jc; "te. in. ).rie; àpE-tiic; E!vsxa xat -tiiç dc; -toùc; DEoùc; EÒctEfMac;, cfr. Diod~

    S. 1,9z,5

    ~

    n. 12.

    EÌJ
    B

    B. NEL

    GIUDAISMO, NEI LXX, NEGLI PSEUDEPIGRAFI, IN GIUSEPPE E IN FILONE

    1. Nei

    LXX (fatta astrazione da 3 e 4

    Mach.) EUCTE(3Ei:v si trova soltanto I volta in Sus. 63, 4 volte in 4Mach., ma non si trova né in test. XII Patr. né in Ps. Sai. né in Hen. aeth.; ricorre invece 1 volta in Sib. 3-5: 4,187. EUCTE(31)c; si trova 8 volte nei LXX, compreso Ecclus, come traduzione di ~addlq, I volta come traduzione di niidib e hiisld (Ecclus 43,33), 2 volte per fob (Ecclus 12, 4; 39,27), e altre 10 volte senza testo ebraico; in test. XII Patr. e Ps. Sai. I volta ciascuno (nei secondi contro i codd. come congettura [ r 3,5]) e 4 volte in Hen. aeth.: 27,3; 102,4.6; ro3,3; inoltre 3 volte in ep. Ar., I I volte in 4 Mach. e 10 volte in Sib. 3-5. EucrÉ(3ELtt, come traduzione di jir'at jhwh, compare 3 volte nei LXX: Is. n,2 da solo, Is. 33,6 e Prov. 1,7 con 7tp6c; [Eic;J xuptov [1}E6v], I volta (Ecclus 49,3) è traduzione di hesed. Inoltre senza testo ebraico 3 voÌte in 3 Mach. e 47 volte in 4 Mach., 8 volte in ep. Ar., 3 volte in test. XII Patr. e 6 volte in Sib. 3-5. f.ÌJcrEPEi:v con l'accusativo in 4 Mach. u,5; EÒcrÉPEtlt sta per lo più senz'aggiunta, con EÌ<; 'tÒ\I t)E6v in 4 Mach. 12,14, col genitivo oggettivo (eucré(3i::ta. i}Eou) in 16,14, in ep. Ar. 24,42 con xa.-cà ·miv'tWV e 1tpÒç 1}i;6v. Come concetti opposti a f.ÒcrEP;ic; compaiono nei LXX: 'lto'\ll}pol (Is. 32,7 s.), &.1lE'tOUV'tE<; (Js. 24,16), à.crEPac; (Prov. 12,12; 13,19; Ecci. 3,16), à.µcwmiÀ.ol (Ecclus u,22; 13,17; 16,13; 33,14; 39,27; Hen. aeth. 102,6), &qipwv (Ecclus 27,n). EUCTE(31}c; sta in parallelo a cru\J"l}PWV Èv..oÀ.6:c; in Ecclus 37,12, a olxatoc; e <Ì.À.1Ji}w6c; in

    "ò"

    "ò"

    test. L. 16,2; Hen. aeth. 102,4; 103,3. Concetto opposto a EÙcrÉ~ELlt è <Ì.\Joµla. (Prov. 13,u); concetti paralleli sono: O"UVEO"L<; (test. R. 6,4), à.À.Tji)ELlt (test. Iss. 7,5), yvw
    1-2

    (W. Foerstcr)

    Émcr..1)µn (ls. 33,6), µLcro1tovnpla. (2

    Mach. 3,1). Viceversa in Ps. Sai. ed Hen. aeth. la contrapposizione più frequente è quella tra &lxa.Lo<; e àµap'twÀ.oc;. Il gruppo EU
    1471 (vn,178)

    tuo-e~Tic;

    X'tÀ.. B 2-3 (W. Foerster)

    (vn,179 ) 1472

    'ti}

    1w.).J,ovli i:lc; Ècr't'L 1tpwi:Euoucra. i:ò oÈ OUWt.'t'Ò\I a.ùi:'i)c; ÉCT't'W à.y1btl}, «che cosa merita il nome di bello? ... La pietà. Essa infatti è una sorta di bellezza sovrana, e la sua ·forza è l'amore».

    quale non v'è differenza tra piccole e grandi trasgressioni della legge {5,20 s.). eùcréSEta. è quindi onorare Dio come il solo Dio e adorarlo nell'osservanza della sua legge. Le due cose coincidono.

    Se il riferimento alla legge non è espresso in modo particolare in ep. Ar., esso appare predominante in 4 Mach. Il tema di questo scritto è infatti che a.ÌJ't'OOÉ0"1to't6c; ÉCT1:L\I 't"WV mx.l1wv ò EÙCTf.f3iic; À.oyLcrµ6c;, «la ragion religiosa è dominatrice assoluta delle passioni» (spesso anche: ò ·d)c; f.Ùcref3Elac; À.oyLcrµ6c;). Quanto è detto in 1,15 ss. mostra come vanno unite ragione e legge: À.oytcrµòç ... fo°'tt\I vouc; µE't"CÌ. 6pl1ov Myou ?tpo.-tµwv 1:Ò\I crocplac; (3fov • CTOCj)tet. OlJ 't"Ot• wv ÉpwTilvwv 1tpa.yµchwv ..., a.ih'I) oii .-olvuv Écri:tv ii 'tou v6µou 7ta.toela... ., «ragione è intelletto che con retta considerazione presceglie la vita della sapienza; sapienza a sua volta è conoscenza delle cose divine ed umane ... ; questa è quindi formazione conseguita mediante la legge». Ciò viene discusso praticamente in 1,32 ss. relativamente a varie leggi: lo evcn.f31Jc; ì..oyLcrµ6c; è quello che segue la legge: xa.I. ~xl1pac; b;Lxpa'te~v ò À.oyt11µòc; ovva..-m OLCÌ. 't'Ò\I v6µov, «la ragione può dominare persino l'odio verso i nemici» (2,14). Che cosa sia eòcrÉf3eta è insegnato dalla legge. -i) mii:ptoc; 111.J.Wv evcrÉf3eta. (9,29) o 1i eùcrÉf3rn.t 1}µwv (9,30), il nostro modo di adorare Dio, quasi la nostra religione, si trova in 4 Mach. allorché si discute del nutrirsi di carne suina (5 ,2 ss .) ; essa è 1i btL 'tTI eÙcrESElct o6~ct, «il nostro concetto di religione», che non puo essere invalidato (5,r8); cos} l'istruzione che la legge impartisce nell 'eòcréf3Eta. è di onorare (o-ÉSEtV) l'unico Dio (5,24 s.). EÙcrÉf3Eta. è dunque il complesso della religione giudaica, nella

    Dagli Oracula Sibyllina c'è poco da ricavare sull'uso linguistico e sul contenuto di eÙcrESEi:v ecc. In 4'35 s. abbiamo 'tp6rtoc;, dm:f3l'!l e -iji}ect paralleli, in 4,169 s. si parla dell'eò1TE(3l'J}v MXEL\I, altrove genericamente soltanto dei pii e degli empi, di EVCTE(3Ei:c;, olxcttOt, mcr-çol, CTO<pol, fiytot, aVOpEç aya.lTol O di UCTE(3EL<;, OUO"CTE(3EL<;, Xc.tXOl, avoµot, aVa.yVOt, liotXOt, àì>ɵtcr'tOL. In questi scritti il gruppo EÒCTES- viene riferito quasi esclusivamente al rapporto con Dio. 3. Diversamente stanno le cose presso Flavio Giuseppe. Linguisticamente EÒO'EBE~V è usato con l'accusativo {oggetto: Dio, ant. 10,45; Ap_ 2,r25; vit. II 3) o con eìc; (ant. 2,152}. Con EvcreS1ic; e EÙcrÉSeta. molte volte l'oggetto è preceduto da 1tp6c; o da Etc;; si trova anche il semplice accusativo (ant. 9,236), però è sufficiente anche il solo aggettivo o sostantivo per indicare il rapporto con Dio 22 • L'indicazione di un oggetto dipende dal fatto che eùcreSTic; definisce anche il comportamento verso gli uomini: con EÙCTÉ(3f.ta. 'ltpÒc;
    22

    24 Inoltre

    Cfr. ScHLATTl!R, Theol. d. Jdt. 96 s. Theol. d. Jdt. r69.

    1J Cfr. SCHLATTER,

    I

    ScHLATTBR,

    ani. 8,ur.280.300; 12,43, cfr. Theol. d. ]dt. 37.

    1473 (vn,179)

    eùO'efj1)<;;

    Y.'t'A..

    B 3-4 { W. l'oersterJ

    mento pio· di pagani, con riferimento agli Ateniesi, a Pitagora, a Serse e a re come Creso 25 • Per far -distinzione dal morido greeo egli dice non a torto che Mosè ov µÉpoç cipE"tfj<; É1toi'T)CTE\I "t'Ì}\f f.ÙcrÉSwx.v (come i Greci ~ col. 1468),

    ètD..à :.a.ti...11c; µÉP'YI "tà.Àla., À.Éyw oÈ -.:'Ì}v Oixatowvla.v • a:rw.~ crat yàp a.l npoc~Et<; xat oLa"tptScxL xa.~ ).6y-o t nocvnç È1tL "t'Ì)\I 1tpÒ<; ~EÒV 1Jµ~V EÒcrÉSEta.'i.I civa.cpÉpouow, «non fece · della religione una parte della virtù, bensl tutto il resto parte della religione: la giustizia, la temperanza, la fortezza, l'armonia completa dei cittadini tra di loro; infatti per noi le azioni, le occupazioni, le parole si riportano futte alla religione» (Ap. 2,qo s.; cfr. 181). Ma poiché la EùcréSEta.-è tramandata nelle leggi (Ap. 1 ,60: noi consideriamo "tÒ q>UÀ.OC"t"tEt\I •oÙç v6µouç xat "t'i)V XU"t<Ì "tOU"tOU<; 'JtOCpaoeooµÉV'r)\I eùcrÉSEtav ~pyov &.va:yxoct6...a.-.ov 7tctV"tÒ<; "toii Slou, «l'osservanza

    dellè leggi e della pietà tramandata in conformità di essa quale esigenza fondamentale di tutta la vita»), si può parlare anche di EùcrlSELai. al plurale 26, e la pietà può disperdersi in una serie di atti prescritti -dalla legge. I sacerdoti prigionieri a ·Roma si nutrivano solo di noci e .fichi e in tal modo oòx È1tEÀ.oci}o'll-co Tijç El<; 't'è 1Mov EÙnO'a.\I oi.' a.v-vwv oùx IÌO'É~ELOC\I µiv, EUcréSELCt.\I o' aÀ.'Tji}EO'-.OC't'l'}V OLOOCcrXO'll'tEC, ... àoLxlaç ÈX1)pol, &xaLOCTU\11}<; bttµEÀE~<;. àpyla.\I xa.t 'ltOÀ.U'tÉÀ.EL<X.\I È~opl~O\l"tE<;,

    «mostrano da se stesse che non insegnano l'empietà, ma la più genuina pietà ... che sono nemiche dell'ingiustizia, solleis 11111.

    xr,120; Ap. 1,162; 2,130 s.

    cite della giustizia, avverse alla pigrizia e :!lla sontuosità» (Ap. 2,291). Resta fermo naturalmente che la fede nell'uni~ co Dio e la sua adorazione anche nel cùlto è la componente più nobile della legge. La cura della pietà spetta·· invero a tutto il popolo,·· ma sopmttutto ·ài sacerdoti: fAp. 2,_188). -Se ancJie· cosl Giuseppe si discosta dall'idea greca; nel senso che questa fa della pietà · una parte della virtù e~ col. !468), mentre la legge ·riduce le virtù a componen-: ti della .pie.tà (~ col. i473), egli ha però pagato un tributo al pensiero greco col considerare la pietà anche · una virtù, anzi, ·."come la virtù cardinale: .. ~ 7tpÒ<; EÙcrÉSEiav xa.t "t-Y)v &kÀ.nv ao'X'l'}
    pietà e il rimanente esercizio della virtù» (ant. r,6); essa viene premiata (ant. 20,48). Dipende dall'influsso greco se egli non ·parla di qi6~oç 1'Eov 27 • 4. In Filone il gruppo EÙCTES- compare circa 200 volte, il gruppo àcrE~- circa 150 volte. Più precise determinazioni con 1tp6ç, dç ecc. si trovano solo di rado, quando l'oggetto non è Dio, ma l'imperatore romano (leg. Gai. 279 s. 335; Flacc. ro3) o i genitori (decal: 120), oppure se il contesto esige una maggiore esattezza 28 • Ciò mostra che per Filone in EVCTl'.S- e àcrES- prèdomina sempre il contenuto religioso. Naturalmente quando i termini si riferiscono all'imperatore o ai genitori, il loro significato è quello di onorare (non 'adorare'). Il contenuto prevalentemente religioso di questi concetti appare chiaro nel fatto che per Filone EÒO'i~E~OC significa il comportamento verso Dio, a -differenza di quello verso se stessi o verso il prossimo. Egli giustappone
    v Cfr.

    ScHLATTBR,

    Theol. d. Jdt.

    15J.

    2

    ~ a11t. 18,127: oVBÈv wq>eÀ.E~ TCÀ.ijl>oç... Slxa. '\"WV 'ltpl>ç -rl> l>e~O\I EÒOl:~ELWV, dr. SCHLATTER,

    2Jì

    Theol. d. ]dt. 96 s.

    dre,

    mut. 11om. 226: se tu trascuri padre e maCtO'É~EL xa.t dç 't6 DEi:ov.

    147' (VII,179)

    e.uaE~fiç X't)....

    pO
    una vita beata e serena, portando iippresse le convinzioni della religiosità e santità» (op. mund. 172). Che il mondo è eterno è stato detto, «non certo piamente e santamente» (µ1) 'lto't''EUEo7tla.
    2,n) . Esattamente come il pensare, cosi anche l'agire può essere EÒ
    cher. 96; det. pot. ins. 73. Alla fine di un lungo elenco di vizi in senso negativo acré~eia, &.Sixla e axo)...aala (sacr. A.C.. 22). JO spec. leg. 4,135; deeal. 52 : apxi)... &.plcr't"l'}

    B 4 ( \Y/. Foerster)

    (vJI,180) 1476

    pure àcrEPÉc;. -.ò yocp é'.vExa i>Eov µ.O\lov 7t(X'\l't'CX. rcpopEt:~a.t -tòv ov"ra., «in rapporto sia all'amore sia al timore dell'Essere» (Deus imm. 69). Nella forma esteriore EÙCTÉPEta. è ·una i>Eou i>Epa'ltELa.., e cosi Filone accoglie una definizione pagana (-')o coll. 1463 ss.). Ma egli si distacca dall'opinione diffusa nel paganesimo che si potessero offrire a Dio doni sensibili: noi possiamo offrire a Dio soltanto la cpLloofoTCo't'oc; yvwµl] (det. pot. ins. 56). Naturalmente l'adempimento della legge secondo la lettera rientra, secondo Filone, nell'ambito della EÙ
    itv-


    In tal modo Filone con la sua idea di si mantiene nella sfera greca, a parte le modificazioni che comporta il suo legame con l'A.T. e la legge. L'influsso greco (-')o coll. 1467 s.) appare anche nella sua concezione che la EuEo-r'l']c; ma di <Ì
    ... apE'tW\I li'EvaÉ~na, cfr. praem. poen. 53; spec. leg. 4,147; Abr. 60 ecc. 31 sacr. A .C. 95; conf. ling. 134; leg. .ali. 143; dr. det. pot. ins. 122.

    EUvtPTic;

    1477 (VII ,180)

    Y.'TÀ.

    B 4-e

    mente congiunti. Chi non si volge al mondo del non sensibile, dello spirituale, del vero essere, deve, secondo Filone, darsi al mondo sensibile, cioè al male. cX.il'Eo-r'f)c;, &
    J

    1i o'CÌ.
    fjELctV, cioè che se si aggiunge qualcosa alla religiosità si ha la superstizione, se se ne toglie si ha l'empietà (spec. leg. 4,147 ). La limitazione all'aspetto religioso è in Filone l'eredità veterotestamentaria.

    C. NEL NUOVO TES'l'AMENTO EUO"E(3iJc;, sempre senza specificazione, si trova in Act. ro,2.7; 2 Petr. 2,9, e nelle Lettere Pastorali 2 volte come avverbio: EVCTE(3wc;. II vocabolo EÒO"É(3Ha, anch'esso senza indicazione di un oggetto, sta in Act. 3,r2 e I l volte nelle Lettere Pastorali più 3 volte in 2 Petr.; ma non ricorre nei sinottici, in Paolo e Giovanni. e:ÒO"E(3Éw con l'accusativo si trova soltanto in Act. 17,23 e r Tim. 5>4I. A

    parte le Lettere Pastorali e la 2• di Pietro, e:ÙcrE(3- nel N.T. non compare mai come espressione di atteggiamento di fede e di vita cristiana: in Act, 3,12 Pietro nega esplicitamente di aver guarito il paralitico Uìlrt- ouvaµn il EUue:f3Elt'l-; in Act. ro,21 Cornelio è chiamato e:ùcre:f31}c; xrxi <pof3ovµi;voc; '"tÒV i}e:6v (-7 coll. · 339 ss.) ed uno dei suoi soldati è detto .e:ucrE(31}c;; e quando nel discorso dell'Areopago Paolo annuncia a32

    K. BoRNHAUSER, Studien :r:ur Apostclgeschichte (1934) 143 pensa che l'altare del dio ignoto fosse un altare a Jahvé; infatti l'tUCTE· ~EL'rE di Act. 17,23, che si riferisce ad esso, non è mai usato da Paolo per il culto degli

    I

    (W. Foerstcr)

    (vn,181) 1478

    o &.yvoovv·nc;

    e:ÙO'E(3d-re: (Act. 17,23), questo verbo si adatta bene all'indeterminatezza con cui all'inizio si parla della religiosità degli Ateniesi 32 • Dunque il riserbo nei confronti del gruppo EÙCTE~- nel N.T. è addirittura ancora maggiore che nell'A.T. (~ coll. 1469 s.). Ciò dipende anche dal fatto che in ebraico e nella lingua materna della maggior parte degli uomini del N. T. non esisteva un equivalente linguistico diretto di questi concetti greci. Ciò appare ad esempio in un'esptessione di Eph. 5,33: +, oÈ yuvTi ~va <po(3fj't'CXL -ròv èivopa, «e la moglie tema il marito», che un vero greco non avrebbe mai usato. L'assenza di EÙcre:l3- nei· vangeli e nelle lettere {più antiche) di Paolo è dovuta anche ad altri motivi che non quello puramente linguistico. In EÙO"Efj- non è implicita una norma assoluta. È vero che per :Socrate la voce della ragione e della legge ha una forza incondizionatamente obbligante, e che Senofonte ha definito il comportamento di lui come quello di un Evcre:(3-/ic; (-7col. 1462); ma nella parola per se stessa non c'è l'incondizionalità dell'obbligo. Ciò che e:ùCTE(3EiV richiama alla mente non è un'entità personale ma un solenne ordinamento, è ò i}e:6c; ma "ò 1>Eiov. Ciò rende questo gruppo di vocaboli poco adatto per l'Antico ed il Nuovo Testamento. Si gli Ateniesi:

    non

    idoli, ma soltanto per il culto reso al Dio vero. Il Bornhiiuser trascura che EUO"E~EL\I viene usato soltanto nelle Pastorali e qui soltanto in determinati contesti. (~ qui sopra).

    l479 (VII,l8I)

    EUGEp-/jç X't'À.

    e 1-2 (W. Foerster)

    (vn,182) 1480

    gnifica un determinato modo cli comportarsi nella vita. EÙÉÀO'll't'Ec; siiv EV
    detto che l'EÒCTÉ~Eta- ha una promessa per questa 'vita per quella futura, s'intende padare di _un etfetto positivo cli questa condotta di vita. Analogamente in I Tim. 6~n Timoteo: viene esortato a cercare l'EÙO'É~-L~,_ c~e _q ui sta dopo otxcxtoir\i\l'r} e prima di rcla''.tL<;,_tiy<.ol01.ç EÒO'E~lcxc;, ma negano la sua forza, vale a dire il suo effetto sulla condotta di vita (2 Tim. 3,5). Essi considerano ciò che .chiamano EÙ
    Questa spiegazione è più adeguata all'insieme delle Pastorali di quanto non lo sfa con-

    cepire qui Eòut~Et.a come equivalente di ~l­ CT't!.<;=religione.

    aggiunga che 1'VCTE~ pone l'accento sul comportamento dell'uomo, che valuta moralmente come virtù(~ col. 1468). Con il moralismo anche -il concetto di EÒCTÉ~Et:t.t scompare dal N.T.: Paolo non parla -di- EUCTE~Etc;, ma di a:yt.Ot, cli EXAEX'tOL, e al posto dell'EÒO"ÉPEL(l per lui stanno -la 7tt
    3l

    EU
    e

    EV
    ;t-i;).,.,

    e2

    EÙcrÉf3EL~ significa la pietà, cioè un comportamento rivolto a Dio. La 'pietà' delle Lettere Pastorali è qualcosa d'altro che nel mondo giudaico e in quello greco. Quella giudaica è determinata dalla legge (---') coll. 1471 s.), che invece nelle Lettere Pastorali ha un ruolo soltanto per gli avversari (I Tim. l,7 ss.; Tit. 1,13 s.). Nelle Pastorali non si può vedere alcun legame della r;.ÙcrÉf3m~ con 1a legge. Cosl pure essa non consiste in atti cultuali di alcun genere, come nel mondo greco (~ coll. 1463 s.), neppure in quelli dell'azione liturgica della comunità. Essa non è neanche un'idea speciale, retta, adeguata, della divinità, quantunque venga respinta l'ascesi con un richiamo a Dio creatore. Neppure è una virtù, quantunque la si persegua come un ideale, la si possa 'esercitare' (~ col. 1479). Essa non - è un ideale ma un genere di condotta di vita, che può dettare la norma per la dottrina. Senza definizione è chiaro ciò che è dottrina 'sana', conforme alla pietà. Nell'uso frequente di EÙcr~f3wx. ecc. nelle Pastorali si compie la separazione da un movimento fanatico gnosticizzante delle comunità. Esso predicava un'ascesi, dunque considerava la creazione una cosa maligna o cattiva. In questo contesto esso arrivava al disprezzo di tutti gli ordinamenti e disposizioni di questo mondo, al rifiuto dell'autorità, all'emancipazione delle donne e al disprezzo del-

    34

    Cfr.

    PREUSCHl!N'BAUER5,

    s.v.;

    DIBELIUS,

    (W. Focrster)

    la famiglia. Probabilmente tutto ciò era legato all'idea che la risurrezione fosse già avvenuta (2 Tim. 2,18). L'autore delle Lettere_ Pastorali nega che questo comportamento degli avversari nel suo insieme sia EÙcrÉPt:Lct, giusto onore reso a Dio, perché per lui Dio è il creatore e il redentore di tutti gli uomini. Ma egli estende il concetto al comportamento totale degli uomini (Év 1taCTTJ EÙcrt:PEl~, I Tim. 2,2 = «in ogni genere di comportamento reverente» 34 ) e intende con ciò anche il rispetto degli ordinamenti ·posti in essere dal Creatore, che gli eretici disprezzano. Dunque nelle Pastorali t:ÙcrÉPELct non sta in luogo della 'IttCT't'L<; delle lettere anteriori di Paolo, ma significa un determinato tipo di condotta di vita: l'onore reso a Dio, creatore e redentore di tutti gli uomini, proveniente dalla 'ItLCT't'L<;, che si compie nella vita quotidiana; esso è il servizio di Dio che si mantiene all'interno degli ordinamenti della vita. Ma questi non vengono assunti come assoluti di per sé. Ciò diventa chiaro quando si afferma che coloro che vogliono vivere t:ÙcrEf3wç in Cristo Gesù saranno perseguitati (2

    Tim. 3,12). ~'uso di tale concetto tipicamente greco di EÙa-~PELct in questo contesto di dottrine antiche dipende anche dal fatto che l'autore tiene sempre davanti agli occhi l'impressione della condotta dei cristiani su coloro che sono «al di fuo-

    Past., ad I.

    EÙO"t~-f}ç X't'À..

    C 2-3 (W. Foerster)

    ri» 35• Mentre gli avversari, o comunque tro. La situazione generale degli eretici, gran parte di essi, rinunciano a far im- in confronto a quella delle Pastorali, è pressione sui non cristiani, l'autore con- mutata in quanto all'ascesi è subentrato fida che una vita condotta Èv EÙO'Ej3Elq. un libertinismo. L'elenco delle virtù in faccia sl che coloro che sono 'fuori' non r,6 s. sembra poco rigoroso 33 • Si potrebpossano esimersi dal giudicare di tro- be tentare di intenderlo nella linea di varsi di fronte alla pietà, che è un ono- quanto è detto a proposito delle Pastore e un servizio reso a Dio. Con l'e- rali, nel senso che alla Èyxp1J (2,7) con i suoi flvoµa t'.pyci 8), e in questo senso essa è un grande (2,8) segue: OLOEV xupwc; EÙO'Ej3Ei:ç ÈX 7tOpt0'µ6ç (I Tim . 6,6), senza che con ciò 7tEtpaat (2,9); ed il plurale sia garantita l'esclusione di persecuzio- EUO'É~Etctt in 3,11 (accanto al plurale ni. Nello stesso tempo si fa sentire in EÙ- ayia.i &:vau-.pocpal) indica che la EUO'Éi3E~tx. (a differenza delle Pastorali) si può O'Éj3na. un poco dell'antico significato di questa parola, del timore reverenziale presentare come la somma di singole averso gli dèi e verso gli ordinamenti zioni pie; gli atti della pia condotta venprotetti da essi (~ coll. 146I s.); solo gono motivati con l'imminente giudizio. che ora la reverenza per gli ordinamenti In I,3 -.ci 7tciv-ça Tjµi:v -çfjç l}Elac; ouvocsi fonda sulla volontà del Creatore, che µEwc; aÙ'tOU -rà 7tp6c; SWIÌV XctL EÙIJ'Éè anche pW1tWV (I ~EtaV OEOWpl]µÉv'J}c; (comunque s'intenda nei particolari [~II, col. I537]), Tim. 4,rn) 37• con tùul~Ettx. si pou:ebbe voler dire ge3. Il gruppo EUO'Efi- s'incontra ancora nericamente una vita pia, cioè moralin quattro passi della 2a Lettera di Pie- mente buona. 35

    I

    Tim. 3,7; 6,1; Tit. 2,5.8.10; anche l'avÉyI Tim. 3,10; Tit. 1,6 s. è orientato

    xÀ.1]-toç di

    allo stesso modo. 36 Cfr. W. BRANDT, \17andel als Ze11gnis

    1111ch

    dem I Pt, in Verbum Dei ma11et in aetern11m, Festgabe fiir O . Schmitz (I953) 10-25. 37 Cfr. ScHLATTBR, Past., ad l. (122). 38 WINDISCH, Kath. Br., ad l.

    EVO"E~'fiç xù. Dr - cicn:~'fiç x'tÀ. A r (\V/. Foerster)

    D. NEI

    PADRI APOSTOLICI

    Nei Padri apostolici EUO'EBÉw manca del tutto; EÒcrÉPEi.a ed EÙO"t:Biic; si trovano solo in I e 2 Clem. I. In I Clem., nella descrizione dell'antico stato glorioso della comunità dei Corinzi, EÙcrÉBrni si trova dopo 7tlcr·nc; e prima di q>LÀ.oçEvla e yvwO"tc; (1, 2). In tal modo si vuole descrivere il comportamento della comunità com~ pio, a Dio piacente. Tutta la lettera e scritta per coloro i quali vogliono EVUE· Bwc; xat oi.xalwc; OLEVWVELV, ciò che è parallelo a lvapE-çoc; Piòc;, «vita virtuosa» di 62 I. In 15,1 µE-ç'EVO"I0'.(3Elac; El' ~'( , plJVEUELV contrapposto a µEu V'ltOXpLcrEwc; è volere la pace; così pure la EÙO"EB'Ìlc; 1tE7torn1JcrLc; in 2,3 è contrapposta implicitamente .a una fiducia non pura. Quindi EÙcrÉBrn:r. e EÙcrE(3i)c; definiscono tutta la condotta di vita cristiana rivolta a Dio. Perciò come azione la EucrÉBEi.a accanto alla O"UVECTL<; e alle opere in 32 A appare insufficiente per la giustificazione. In 1 r,r è detto che Lot fu salvato otà q>LÀ.oçEvlav xat EUO"EBEV.lV. In ciò che segue questo viene associato alla speranza in Dio, per cui EUO"ÉPEt~ è attiva fiducia in Dio. Nella preghiera per le autorità si supplica che esse :sercitino il loro potere in pace e 7tpav-tl)c; EUtrEBwc; (61,2). Ricorda una formula pagana 50,3 dicendo che da Ada1!1o ~n poi i perfetti nell'amore occupano il xw· poc; Evo-e:[3w\I 39 • )

    2. In 2 Clem. ò EÙrn[3l]c; è designazione generica del cristiano (19,4). In 20, 4 -rò EÙcrEBÉç si trova in contrapposizione al xEpoa.ÀÉov (il guadagno). In 19,1 si parla dei giovani che si affaticano per

    39 Cfr. Diod. S. 1,96,5: 'toùç 'tW\I EVO"E~wv ÀEtµWva~ (prati); Callim., epigr. 1o(x~) : Év EUO"E~Éwv (xwptp). à.ut~i)ç, à.aÉ~EtCX., Ò:O"E~ÉW 989 s.; ~I, coli. 413 ss.; coll.

    CREMER-KOGEL,

    la e:ÙcrÉ(3ELa. e la bontà di Dio. Nonostante la scarsa documentazione, si può vedere che il significato di EVO"É(3ELa si va evolvendo fino ad esprimere in generale la pietà, quasi la religione. 3. Questo è chiaramente il caso di ì1EocrÉ[3ELa (e dei suoi derivati), che nel N.T. si trova solo in r Tim. 2,ro. r Clem. ha solo ì1EocrÉ(3ELa nella citazione di I7,3. In 2 Clem. 20,4 è contrapposta al «fare affari con la fede»; mart. Polyc. 3,2 parla del ìJe:oq>LÀÈç xa.t -lkocrE[3èc; yÉvci; -r:wv XptO"'t"La.vwv. Ma per Diogn. i}EocrÉ[3ELa è semplicemente religione: tu vuoi -ri)v ì1Eocrf:[3e:tav -r:wv XpLo..navwv µalMv (r,I), cioè vuoi apprendere non il pio compmtamento ma la religione dei cristiani; similmente in 6,4: IÌ.opa.-oç OÈ aÙ-r:W\I 1} ìJEocrÉ~ELCJ. µÉVEL, e:ocrÉ(3ELa oppure µwpla o &.q>poiruvlJ (3,3; 4,5).

    A. NEL

    MONDO GRECO

    r. Uso linguistico, ambito di significato e di contenuto di questo gruppo di vocaboli corrono in complesso parallelamente ad Eucre:P-. Sul piano linguistico, in particolare negli scritti più antichi, viene aggiunta un'indicazione dell'oggetto con e:ic;, m:pl, 7tp6c; o con l'accusativo 1• Con ciò si dimostra, come nell'uso di e:urrE[3-, che gli oggetti dell'ào-EBEt\I 419 ss.; C. H. Dono, The Bible and the Greeks (1937) 79-81.174 s. 1 à.O"E~E~v ~ç 'tÒ\I fit6v (Eur., Ba. 490); iicre~E~ç 'ltEpt itEotiç (Xenoph,, Cyrop. 8,8,27 ); iiui~Etct. 1tEpL fieouç (8,8,7 ). Con l'accusativo: A-

    Me.~-fic; x'tÀ.

    A

    possono essere vari, specialmente nei tempi pii1 antichi. Iµ Plat., resp. ro,615 ' \ ' ~r.1 l • c: Etç ... !\ uEO\Jc; CXCTc;.pE et.e; 'tE XCX.L. EUCTE(3Elcic; xa.t yo~Éw;, «quanto ad empietà e pietà verso dèi e genitori»; symp. r88 c: 1tiiLÀ.EL yly'VEO"i>CXL ... xcx.t 7tEpL yo'VÉ<:t.c; xcxt swv't'cx<; xat 't'E'tEÀ.EV't'l]X6·rcx.c; xcxt 7tEpt 1>Eoùc;, «ogni

    forma d'empietà suol nascere ... e nei riguardi di genitori, vivi e morti, e nei riguardi di dèi». Anche qui sono definite con &.O"EB- specialmente le azioni contro gli ordinamenti portanti dello stato: Ò'ltOCT!l.L o'f.!;a'ltCX.'tWO'L'V 7tCXpcx.(3cx.lvoucrl 'tE 'tOÙç opxouc; 'tOÙç 'VE'VOµLO"µÉ'VOUç xEpowv ouvex'È'ltt (3À.af311, i] '1n1cplaµa-

    ..a xcxt voµov SlJ't'OUCT'cZ\/'tLµEi>Li) (Plat., leg. 9,877c). Quando Platone vuole dimostrare che i miti narrano OELV~ xat &.uEf31j degli eroi, elenca solo atti di violenza, e non speciali mancanze contro gli dèi (resp. 3,391c/d). Quando si dice che Dicearco innalza altari alla àatPE~a ed alla ·'ltapocvo(..i.lcx (Polyb. l 8,,54,10 ), con &.aÉPELa s'intende il disprezzo per quegli dèi che sono custodi dei trattati. Quest'uso linguistico si può constatare ristoph., Thesm. 367: licrE~o\icr'!XoLxoiicrl -tE -.Tjv 1t6Àw, Plat., leg. 12,941a: 'Epµoii xaL ALÒc; à.yyeÀlaç xaL fot-tà~ELc; m~pcì \16µov àcrE~'l)cràv-rwv. Simili aggiunte si trovano an-

    che in epoca neotestamentaria, ad es. in Pseud.-Luc., Syr. dea 24: tç ~eòv &:cre(lfov-.tt,

    1-2

    (W. Foerster)

    più volte in Plutarco: gli «scudi d'argento» di Alessandro Magno sono detti ME(3E'Gc; xat ih)pLWOELc; (Plut., Eumenes 19 [1 595a]) per il loro modo di condurre la guerra. Che Perseo avesse fatto prigionieri degli ambasciatori era stato un Epyov aO"E~~c; xaL OEL\16'11 (Aem. 13 [r 261d] ). Agesilao avrebbe definito la rottura di un trattato fra popoli amici à.O"EPÉc;, fra nemici, invece, òlxa.LO'V e 'Ì)ou (aprophth. Lac. , Ages. n [n 209 b]).

    2. Come con EUO"E(3- (~ coll. 1461 s.) anche con àcrE~- si rileva un uso linguistico che restringe questo gruppo di vocaboli al comportam ento verso gli dèi e per il comportamento verso le leggi e verso il prossimo usa un'altra parola. Xenoph., Cyrop. 8,8,27: q>l]µt yàp IlÉp' fl _5\ \ \ O"ac;••. xa~' CX.O'EpEO"'tEpovc; 7CEPL vEouc; X<X.L I

    \

    àvoCTLW't'Épovc; 7tEpL cnJyyE\/Et<; xcxt àoLXW't'Épovc; 7tEpt 't'OÙ<; {f>.À.ouc; xai a'VU.\10pO'tÉpOVç 't<Ì. Etc; 'tÒ\I 1t6À.Eµov' «dico

    infatti che i Persiani sono più empi verso gli dèi, più scellerati verso i parenti, più ingiusti verso i loro simili, più inu_mani nella condotta di guerra» 2• È importante anche Xenoph., ap. 22: l:wxpaTT)c; 'tÒ µèv µ'l)'tE 1tEpt i>Eo~c; àa-EPilµ1)'tE 'ltEpt &.vi}pw7touc; liotxoc; cpcxvljvcxL 7CEpt 'ftCX\l'tÒc; É1tOLE~'tO, «Socrate O"aL

    teneva in gran conto il non sembrare empio verso gli dèi e ingiusto verso gli uomini», e Plat., Prot. 32 3e: xcà ti àotxta. xcxt ti &a€(3r::La xa.t crvÀ.À.TJBOlJV miv 'tÒ Èva.v'tlo'V -.jjc; 'ItOÀ.L'tLxi'jc; àpE't'ijç, «l'ingiustizia, l 'empietà e, in breve, tutto ciò che è contrario alla virtù politica». Dio Chrys., or.-31,13 fa la seguente distinzione: -.à µèv 'ltEpt -.oùr; l>eoùc; Diod. s. I M,3 : àcrt~EtlX Elç -toùç ilEOU<;, più di frequente in Flavio Giuseppe.

    Cfr. Xenoph., Cyrop. 8,8,7; hist. Graec. 2,3, oò µ6vov Elcrl ·1tepL avl>pW7tOUç aotXW"C'IX:tot, aÀM XC1.L 1tEpl DEoÙ<; cl(TE~Éa'tC1.'tOt. 2

    n;

    '°'uef3i'Jç xù. A 2-3 (W. Foerster)

    yLyvoµEva. µ1] oEov...wç ME{3'l)µa. ...a. xa.ÀEi:'ta.i, 'tà. Ot 1tpÒç à,),J,:1iÀ.ouc; "toi:ç IÌ.Vi}pw7tOLç &:01.x:r)µo:~a., «i falli contro gli dèi non necessariamente son detti MEf3Tiµo:,..o:, quelli invece degli uomini tra di loro son detti à.oixTiwx•a:». In Plat., Prot. 323e l'à:crÉ{3ELr.t e l'à:oLxfo. rientrano nel concetto di 7tfiv 'tÒ Èva:v-.lov -tfjç 1tOÀL'tLx.1)c; &.pE'tfiç. Aristot., de virtutibus et vìtiis 7 (p. 1251 a 30 s.) definisce l'àcrÉ{3Et.r.t come una specie di ciot.xlcx. e precisamente come Ti nEpt i)Eoùç 1tÀ'l'}µµÉÀELCX.. Nei processi aterùesi di &:crÉ{3ELr.t il non credere negli dèi in cui crede la polis è chiamato ètoixEi:v (Plat., ap. 24b). Platone nelle Leggi ha preteso di proibire tutti gli atti di culto privati, che debbono cadere sotto la legge di rXO'E{3Et.Cl. (leg. 7 ,799b; 10,907d • 909d. 910e). Nella misura in cui l'antica polis aveva consistenza e forza, l'ètcrÉ{3Et.CX., o la mancata adorazione degli dèi cittadini, significava trasgressione dell'ordine della polis. La partecipazione al culto dello stato era EvcrÉ{3Etrx., il rifiuto à:crÉ{3ELrx.. Fino alla :fine dell'era antica, perciò, parte importante dell'EvcrÉ{3Ew. e dell'àcrÉ{3Et.CX. rimane la partecipazione al culto statale o il suo rifiuto. Quando un sacerdote romano a causa di altri affari di stato non adempiva i suoi doveri cultuali, ciò costituiva (astraendo completamente dalla sua intenzione) un ltcrsfMv "tOÙç itEouç (Plut., quaest. Rom. II3 [II 291c] ). Chi non presta fede ai miti appare a chi li racconta un Ò:
    ferma che gli dèi esistono, che si curano delle cose dell'uomo e che sono incorruttibili. In particolare chi nega !'.ultima opinione sarebbe 1triv-.wv -çwv àCi'E{3wv xrixt.cr-çoc;... xcx.t ù.o-E{3fo-ça,..oc;, «il peggiore· e il più empio di tutti gli empi» (leg. rn,907b ). Quando poi la città-stato perdette tutto il suo valore portante, questo concetto di ào-É~E~a. venne ulteriormente sviluppato. Tuttavia dalla fede popolare i filosofi che negano l'esistenza degli dèi continuano ad essere considerati àcrE{3E~ç (Luc., Tim. 7). Ma Epitteto dice: àcrE~-l}ç oÈ ovx ò 'toùc; ... wv 'Ii.oÀÀwv itEOùc; àva~pwv, ù.À).; ò -.àc; 'tWV 1tOÀ.Àwv 86!;.a:c; i)Eoi:c; '.1tPOO'cX1t't'WV, «empio è non colui che elimina gli dèi del volgo, ma colui che agli dèi applica le credenze del volgo» (Diog. L. rn,123). Nella stessa direzione va la dimostrazione di Sext. Emp., Pyrrh. hyp. 3,u. Per Epitteto, parallelamente alla sua concezione di EÙcrÉ{3w>: {~ coli. 1466 s.), è Ò:crE{31]ç chi se la prende col destino. Anche colui che disonora le doti e le capacità date da Dio, ad es. il dono della parola, è Ù.O'E~ljç (diss. 2, 23,2). 3. Una conseguenza importante dell'evoluzione che s'inizia con la decadenza della polis è la separazione di !Xi}g6-ç1}ç ed <ÌcrÉ{3sLrx.. Per Plutarco nel suo scritto de superstitione l'EùcrÉSEta è il giusto mezzo tra la OEtcrt.orx.tµovloc e l'ài}s6-ç1)c;, ma non l'aaÉ~Et.CX. (14 [II 171 s.]). Tuttavia egli lascia vedere che l'àl1Ech1}c; è scambiata spesso per Ò:O'É~ELCX. (superst. IO [n·69e]). Ma non è un caso che egli non parli di aaÉ{3Et.CX.. Per lui l'ài)E6't'l')ç è un'opinione filosofica (a suo avviso errata), un'insensibilità al bene che viene dagli dèi. Ma essa non rende infelice l'uomo e (anche se Plutarco non lo dice, lo si deve dedurre) non ne fa senz'altro un acrE~lJc;. Già Platone avcv'l p:ulilto di coloro i quali non credono affatto agli dèi, ma a cui è proprio un giusto '~ilo~

    1491 (vn,185)

    ciO'E~'fiç

    xù. A 3 - B l (W. Foerster)

    di natura, che amano i giusti, e 1i aveva dts:mti da quelli che, oltr'! a non C'redere agli dèi, si dànno anche ai piaceri (leg. 10,908b-d). Zenone aveva distinto due specie di lii>Eo~: OL"'t't'ÒV oÈ Elvct.t -ròv lii)Eov· "t"OV 't'tvav'tlwc; 'tcll i}e:l!f> Àe:y6µEvov xat "t'Ò\I 1U;ovDE\li)Tt.XÒV 'tOU 1Mov· o7tEp oux Elvai. 1te:pL miv'ta cpavÀ.ov, «l'uno nel senso di contrario alla divinità e l'altro di incline al disprezzo della divinità; cosa non del tutto perverso» (Diog. L. 7 ,I I 9). ruriBmx. non è allora un concetto soltanto negativo, ma un concetto assai positivo. Nell'antica polis nessuno poteva essere neutrale nei confronti del culto statale; se non partecipava al culto infrangeva gli ordinamenti della polis. Ora uno può non credere negli dèi, non partecipare ad alcun culto, senza porsi al di fuori dell'ordine. Può essere cx-be:oc; senza essere aO"e:~1}c;. Ciò può essere chiarito anche da una trattazione di Muson. 78,8-13, con la quale egli vuole spiegare che, quando si hanno figli, bisogna anche allevarli: WIT1te:p y(J.p ò 7tEpt ~Évovc; ri.01.xoc; dc; 'tÒ\I ;Évi.ov à.µap'tave:i. Ala ... , o\hwc; oovc; à.µap-r&.ve:i. De:ouc;... ò oÉ YE 1tEpt -roùc; i)e:oùc; à.µap-raVW\I acTE~1)c;, «Come, infatti, quando si tratta di ospiti, colui che è ingiusto verso un ospite offende Zeus, . . . cosl anche chi è ingiusto verso la propria stirpe (esponendo un figlio) offende gli dèi patrii... e chi offende gli dèi è >. Qui WTEB1ic; non è una parafrasi di 'ItEpt -roùc; i)Eoùc; à.µa.p"t'avwv, ma va oltre: definisce il malfattore. Non avere alcun rispetto non è dunque soltanto un dato negativo, ma un concetto veramente attivo.

    (VII,186) 1492

    cristiana, non appena fu riconosciuta la sua diversità dal giudaismo. Che i cristiani fossero considerati ifi)EoL ( ~ IV, coll. 468 s.), cioè persone che non partecipavano ai culti cittadini e statali, era un fatto che essi non potevano cambiare; ma che fossero considerati anche à.cnBEi:c;, malfattori, fino a un certo punto dipendeva da loro. È interesse primario delle Lettere Pastorali e della Ia Lettera di Pietro di tenerli lontani dall'èurf.(3i::La e di far sl che si attenessero all'EÙCTÉ$Et.a o all'&.ya~or-oLta.. Con quale successo, risulta non solo dalla lettera di Plinio a Traiano (10,96,8) ma anche dal Martirio di Policarpo, dove Policarpo è invitato a lasciare i cristiani con le parole atpi:: -roùc; àiMouc; 3 • Gli antichi cristiani non hanno potuto impedire per flagitia invisos esse (Tac., ann. I5,44), come dice anche :r Petr. 2,12 alle comunità, ma che i pagani xa-raÀa.Àouow uµwv wc; xaX07tOLWV, «sparlino di voi come di malfattori», non dovrà avvenire per colpa dei cristiani (cfr. ~ III, coll. 754 s.) .

    B. NEL

    GIUDAISMO GRECO

    La differenza tra &ikoc; e ào-EB1ic; divenne molto importante per la comunità

    r. Nei LXX acrE$Éw è 9 volte traduzione di pii'fa', ro volte di riisii', 2 volte di ztU, una volta rispettivamente di zimma, miira e 'iiid tebei. à.
    3 mart. Potyc., 9,2; cfr. 12,2: Policarpo, 6 'tWV i)µnÉpW'll itEW'\I xa.ita;~pE-r'l'Jç, 6 1tOÀÀoÙç

    oLlìO:
    1tpo
    Man·

    1493 (VH,186)

    ii7E~TJ~ :e-.),.

    B I (\V/. Focrster)

    (VII,187) 1494

    rie di altre parole. &.crE[31)c; è prevalentemente (144 volte) traduzione della radice rs', 6 volte di /;Jiinéf, 5 volte della radice /;!'e di k•sU, 3 volte di zur, 2 volte di r", una volta ciascuna di diverse altre radici, fra cui piifa', che qui passa in secondo piano perché non ne derivò alcun aggettivo. Per la parte di Ecclus conservata in ebraico, àcrE~- è traduzione di rs' (4 volte), di ziidon (3 volte) oltre che di alcune altre radici. àcrEBÉw è costruito solo una volta (2 Beta-. 22,22 ='1J 17 ,22) con cbt6 ( riifa' m1n), più spesso con dc; (parlando di Dio, e solo in 2 Mach. 4,17 della legge), €vav·n, ?W.'t!i ('toii 'Voµou, Os. 8,1) oppure con l'accusativo (Soph. 3,4); àcréf3wx. solo una volta con Elc; (Abd. ro ), 2 volte col genitivo oggettivo (yfjc;) (Abac. 2,8.17); àcrEBTic; è sempre senza indicazione dell'oggetto. Tuttavia ciò non vuol dire che l'oggetto diretto di à
    sua lealtà verso David dicendo di non aver commesso nessuna &.o-éBELCY. e nessuna &.ihhncnc; (I Ba.a-. 24,12: ma qui concorre probabilmente il fatto che Saul è l'<mnto del Signore»). Se, ciò non ostante, ad &.crE[3T)c; e &.crÉ[3ELet manca una specificazione, il motivo è che i LXX nel loro uso di questo gruppo di parole ignorano la distinzione greca (~ coll. 1488 ss.) tra mancanza di timore reverenziale verso gli dèi e ingiustizia verso gli uomini. Quando si trovano unite &.crÉBEtet e &.otxt'.oc, non vengono indicate trasgressioni in due settori diversi, ma abbiamo soltanto una perifrasi per parlare di una sola azione, conforme al paraltelismus membrorttm 5 ebraico. Anche in &.OLxla. è determinante il riferimento a Dio 6 • Inoltre per i LXX àcréf3etet non è un atteggiamento soggettivo, ma un dato di fatto oggettivo. Caratteristico è Am. I e 2, dove i crimini compiuti per lo piì1 in guerra dai popoli vicini, l'idolatria e il disprezzo della legge di Giuda e le ingiustizie sociali d'Israele, nelle frasi che si succedono e che sono costruite tutte nello stesso modo vengono indicati come ào-Éf3wi.L (al plurale!)(= p•sa'rrn). L'idolatria dei ·pagani non viene chiamata chéf3etoc in modo specifico. Il dato di fatto oggettivo, a cui allude il gruppo &.o-Ef3- nei LXX, è piuttosto l'offesa recata alla volontà di Dio, quale che sia la sfera in cui essa si verifica. Poiché la legge regola l'intero comportamento dell'uomo, tutti gli atti non buoni sono ètcrÉBEtett. Però un gran numero di altre parole p6ssono esprimere lo stesso dato di fatto. Dan. 9,5: l]µcip'toµev, l}Stxii-

    1J15,n; 64,4; Prov. 28,3; Os. l2,1; Am. 1 e (8 volte); 5,12; Mich. 1,13; 3,8; 7,18; Abac. 2,8.17; ls. 59,20; Ier. 5,6; Lam. l,5; fa:. 14,6; 16,58 18,28.31; 21,29; 23,27.48; J Mach. 6,

    rallelo a <̵C1.p-t6:'11m1); lob 34,8; r Mach. 9,23 ss.; Prov. 28,4; Mich. 6,7; 7,18; Abd. xo; Ez. 2x,29; 33,14. 6 Soltanto Prov. n,5 si potrebbe spiegare diversamente: iicrÉ~rni: TC€(lLTClTI~EL aoLxl~, però in quel che segue auÉ~EL
    =

    4

    2

    10,

    Jer. 3,13: "(\IWi)t "rT)V ldìn,lCl.V O'OV, 0-i:L El<; xvpiov ..• i)uÉPriiraç, Ecclt1s 15,20 (ri'..crEP<."Lv pa-

    S

    &.crt~iJç X"t)••

    B

    x- 2

    (\Xl. Foerstcr)

    (VIl,188) q96


    prio per questo apWV, avoµoc;, TCa.pcb1oµoç. ecc. mine. Concorda con ciò il fatto che nelSpecialmente nei Proverbi la giustappo- l'ambito linguistico greco Ò:O'E~- poteva sizione, che ritorna sempre nel paralle- designare il delinquente nel senso amlismus membrorum, è tra 8lxa.toc; e MEpio della parola (~ col. I49I). Inoltre ~1)c; (più di I/J di tutti i passi con &. boli viene usato per parlare dell'apostacoli. I472.1474) EÙO'E~- era troppo de- sia dei figli d'Israele nel tempo finale bole in confronto a cpé~oc; 't'OV ~tou e (test. L. rn,2; I4,I .2; test. N. 4,4; test. A. 7,5; test. Zab. rn,3). In Sib. 3,5 qualtroppo soggettivo nel definire il retto che volta si trovano gli empi di fronte comportamento verso Dio e l'obbedien- agli uomini pii (3,568; 4,167.171; 5, za alla sua volontà, per poter essere usa- 171, inoltre 8u
    1

    7 Similmente Bar. 2,12: l)(»Xp-tOµ.E\I, "iJ11t~1}­ ucxµEv, Tjo~xi)ucxµE\I, cfr. Is. 59,13. B Accanto ad à.crE~Éw ecc. è più raro l'affine

    ou11ut~Éw o

    l>ucruEM1ç,

    r 'Euop., 7 volte in

    Mach.

    2

    ou11crÉ~E~cx: 2 volte

    Mach. e

    2

    in

    volte in J

    1497 (Vll,l88)

    àcTE~-i]ç :r.-tÀ.. B 4 (W. Foerster)

    (vu,188) 1498

    pagani (beli. 2,I84.472.483; 5,443); ùmipXEL, Òtà. 'toÙç ài>fouc;, wv ol µÈv qualche volta si trova anche il plurale É.veoolao"tEpla'a.vnc; nepì. 'tijç &.crÉf3EtOCL (ant. IOiI04) parallelamente a ùmipçEwc; ocò'tou, ol ÒÈ 'toÀµ11pé'tEpot 1ta.pa.voµla.t. Giuseppe a volte fa distin- xocì. xa-re:ilpacruvav-ro cpciµEvot. µ110'0zione, seguendo l'uso-greco, tra &.crÉ~ELtl. Àwc; e:lvat, «anzitutto che il divino esie &.òtxla.: i sicari npocrU1tEpf3aÀ.À.ELV &.À- ste e· sussiste, a motivo -degli atei, dei )..fi)..ou<; Mv -.E 'tate; 1tpòç -i>EÒ\I &.cre~Eloct<; quali gli uni dubitarono, incerti della xa.t -.a.te; Et<; "t'oùc; 1tÀ;ncrlov tÀ.ow:lx:ri~av, «facevano a gara a supera~si vicendevolmente nelle empietà fatto». Già il dubbio che Dio esista è verso ùio e· nelle ingiustizie verso gli ài>e6n1c; 9 • Ma, d'altro canto, -.ò ,-çoÀl'.Juomini» (bell. 7,260); i Sodomiti Etc; 'tE 1h:ov è detto èi.-i}eov (fug. 114), e cosl an&.vi>pw'ltouc; -i')Ei:ov à:crEf3Ei:ç, «oltracotanti verso gli finita ài}Ew-ra't'Y) (leg. Gai. 77 ). Generaluomini èd empi verso la divinità» (ant. mente Filone in molti passi usa indiffel,194). Questa differenza appare anche rentemente èii>Eoc; e àa'Ef31)c; (conf. ling. in Ap. 2,194 quando si dice che chi non 114; det. pot. ins. xo3 ecc.). L'idea che osserva il verdetto del sommo sacerdote Dio vada soggetto a pentimento è un'à:ÙcpÉçEL olxriv wc; EL<; 'tÒV i>eòv"a.ù-ròv &.- ilEé'tT)<; maggiore degli à.µap-r1}µa'tcr. CTESwv; «sarà punito- come se avesse della generazione del diluvio (Deus commesso empietà verso Dio stesso»: imm. 21). La scomparsa terminologica non la cattiva azione è definita à.EO't1]c; ed à:CTéf3Et.a dima il rifiuto dell'obbedienza al sommo pende da ciò che, per Filone, negare l'esacerdote. Però Giuseppe non distingue sistenza di Dio e darsi al mondo dei senrigorosamente tra &.crÉf3Et.a. e à:Òtxla, ad si, cioè alla sensualità, sono connessi ines. in ani. lo,104: Geremia XEÀ.Euwv a dissolubilmente. Sedecia -ràc; µÈv èi)..)..ac; &.cref3dac; xat b) Filone attribuisce un ruolo-guida 'ltapaVO(.llac; xa'taÀ.mEL\I, 1t(JO\IOEL'\I &è 'tOU ot.xalou, «comanda a Sedecia di ab- come alla EÒCTÉf3ELa cosl anche all'à:CTÉbandonare ogni altra empietà e illega- f3et.a o all'àl>e6~1)c;: 7'1JY'ÌJ oè: -rcav'tw\• lità e di vigilare sulla giustizia». Qui con à:&tx'Y)µ&.'tWV àlJEO'tl}c;, «l'ateismo è fonolxat.O\I si intende tutto il comporta- te d'ogni delitto» (decal. 91) 10• D'almento, e le &.créf3etcr.~ e le -mx:pocvoµlat. tro canto, però, Filone afferma spesso che il piacere è l'origine di tutti i sono in parallelo. 4. In Filone, oltre a quanto s'è già vizi, fra i quali poi annovera anche detto con EÙcrEf3- (~ coll. I474 ss.), Ia wÉf3e:1.a.: tcrl}L oùv... o'tt yEvoµ€voç (j)LÀTJÒO\IOç 1tav-.'ÉCTE~ 'ta.iha., «Sappi vanno rilevati ancota tre aspetti. dunque ... che, una volta divenuto aa) à1h:o't1}c; indica talvolta in Filone mante del piacere, sarai tutto quanto sela negazione dell'esistenza di Dio, come gue» (sacr. A. C. 32), e Filone fa seguiin op. mund. 170: dalla creazione del re un elenco di più di cento vizi, fra i mondo discendono cinque insegnamen- quali tra a'tax'toç e àvlEpoc; compare ti: -rcpw'tov µÈv o't~ lEi:ov xaì. anche IÌcrES1}c;, ma non &-ì)Eoc; 11 • Si può Analogamente migr. Abr. 69, dove Ti aDeoç e ii 'ltOÀVih:oç 86~ct sono contrapposte; cfr. spec. leg. r,32.330.344. 10 Cfr. leg. ali. pJ. dove si parla dcll'al>Eoc;

    9

    xcxt 'l'tyEµovtç 'tW\I 7tcxi)wv o6~ct del faraone. li Cfr. anche congr. l6o: l'eccessiva dissolutezza porta a -tÒ µlyL:lct diventa à.<Tii~ELct e

    cf.O'E~TJc;

    1499 (vu,188)

    xù. B 4 .

    addirittura dire che per Filone l'immoralità conduce all'irreligiosità; si semina ]'ò:&Lxlcx., si raccoglie l'ò:aéBELCX. (con/. ling. 152).

    c) Se in leg. alt. 3,9 l'&.aEP'l)c;, che fugge da Dio, viene contrapposto al olxaLoc;, che rimane al cospetto di Dio, se ne può dedurre che per Filone Ò:O'É(3ELCX. e &.&Lxla. non sono chiaramente e rigorosamente distinte. Quando in con/. ling. l l 7 egli elenca i vari EÌ:O"t] dell'unica xcx.xlcx., pone l'una accanto all'altra ogni volta due componenti, coJlegate con ~­ -.oc, oggettivamente omogenee, fra cui µE-.à ncx.pcx.voµtwv àcrÉ{3ELCX.. Per Filone acrÉBmi e &.&txla si corrispondono più strettamente che E.vcrÉPELCX. e ÒLXet.tocrv'lll): -.irv oÈ èHìLxov xcx.t lJ.l}Eov IJiuxliv cpuyaoEuwv &.q>'fo.u't'ou... oLÉO'rtE.tpEv dc;

    -còv 1joovwv xa.t Èmi>up,i.wv xa.l. &.&Lx"!]· µihwv xwpov, «(Dio) bandisce l'anima ingiusta ed empia disperdendola nella regione dei piaceri, delle concupiscenze e delle ingiustizie» (congr. 57 ). C. NEL

    NUOVO TESTAMENTO

    Il gruppo &.crEB· manca del tutto nei sinottici, negli Atti, negli scritti giovannei (compresa l'Apocalisse), nella Lettera di Giacomo e in quella agli Ebrei. Nelle lettere più antiche di Paolo ne abbiamo solo 4 attestazioni, peraltro in passi non privi di importanza della Lettera ai Romani. Al riguardo non si deve partire dalla citazione in Rom. n,26: i)~EL... Ò puoµE.Voç, Ù7tOO''tpE\}iEL acrE&.&6't'Y)<;. 12 ScHLATTER, Riim., ad l. ad l.; STRACK-BILLERBECK,

    49 ; MICHEL, Riim., ad l. Di parer~ opposto A. NYGREN, Der Riimerbrief {r954) ad I. 13 ZAHN,

    Riim., ad l.

    14 STRACK-BILLERBECK a Rom. r,18B. IS Gli altri passi citati da M1cHEL, Riim.,

    (IJ! 72,6; Prov. u,5

    [nl riguardo

    vedi~

    ad I. n. 6)

    e Hen. aeJb. 13,2 [ r-Ept 'ltaV'tWV -.wv t'.pywv 'tWV CÌO'E~Eiwv XllL 'tTjç aoixlaç xat -tf}ç &.-

    e

    I (W. Focrster)

    (vn,189) i500

    ~Elctc; &.7tò 'Ia.xw~ (Is. 59,20), perché sul plurale àcrl~ELa.~, che poco si adatta al contesto, non cade alcun accento speciale: le àcrÉ(3ELaL sono parallele alle ètp.Ct.p-.lcx.L del versetto che segue.

    x. Più importante è Rom. :r,18: à1toxa.M7t-.E.-CCX.L yà.p Òpyl) 'Ì}E.OU àn'oùpCt.VOV btt rtMa.'11 a
    acrEIH1i; X'tÀ..

    e r-3

    àoLxla. in Rom. 1,r8 sono dunque una endiadi: una scellerata ingiustizia. In Rom. 4,5 mCT't"EUOV'tL oÈ É7tL 'tÒV oLxaLovv'ta 'tÒV ME(31}, traducendo con irriverente 17 si potrebbe avvertire nel termine il timbro prettamente greco. Ma più precisamente, e senza allontanarsi troppo dal greco, si può far parlare Paolo in modo veterotestamentario dello scellerato. Questa interpretazione è rafforzata dal quarto passo, Rom. 5,6: eì: "J'E XpLO"'tòç ov'twv -iJµwv &.cri>evwv E'tL xa'tò: Y.a.Lpòv U7tÈp &.cnf3wv &.7tÉl)avEV, «quando eravamo ancora deboli, Cristo nel

    (W. Foerstct)

    (vn,r90) r502

    frazione intenzionale degli otdinamenti, e i «piaceri mondani» alla cupidigia di denaro degli avvetsari. 3. Gli altri passi con ci.cnf3- si trovano tutti nelle due lettere di Pietro e in quella di Giuda. Di essi

    Petr. 4,r8 è una citazione da Prov. r I '3 l e mostra I

    l'affiancamento di à.O"E~l}c; e ò:µa.p'twMc;, ivi frequentissimo . Una citazione di Henoch con un quadruplice uso del gruppo di vocaboli ci.o-ef3- compare in Iu-

    dae l 5 ( = H en. aeth. I ,9 ), dove si trova anche la locuzione
    nel v . 8 con ò:µap'twÀwv ov'twv 1)µwv.

    ~Etc;, mai documentata altrove. In questa citazione il genitivo di itpya àcrE(3Elixc; sostituisce l'aggettivo (cfr. in Iudae

    Nelle Lettere Pastorali cXO"E(31]c;

    18 [--)- vnr, co11. 1276 ss.] l'espressione Èm~uµla~ -rwv àn. 15] ).

    tempo stabilito morl per noi scellerati», poiché <Xui>EvEi:c; e &.crE(3Ei:c; sono ripresi

    2.

    compare una volta (I Tim. 1,9) e &.crÉ~e:Loc due volte (2 Tim. 2,16; Tit. 2,12).

    Petr. 2,5) i grandi peccatori del passato,

    Tim. 1,9 ricorre il nesso veterote-

    la generazione del diluvio e Sodoma e

    stamentario di cXO"E(31)c; e Ò:µap'twMc;,

    Gomorra, e &.o-e(3Et'c; (ludae 4; 2 Petr. 2, 6) gli eretici (comparsi nella comunità)

    In

    I

    dove i due concetti vanno uniti anche oggettivamente e contenutisticamente, come i due precedenti &voµoL e àw1t6--ca.x-i-oL e i due seguenti civ6rnoi e f3Éf3lJÀOL. Con (3É(3l)Àoi xe:vocpwvla.L... btL 'Jt),e:i:o\l 7tpox61}1oucrw ao-Ef3dac; in 2 Tim.

    In Iudae e in

    2

    Petr. son detti empi

    (2

    per la loro condotta (anche ·per la loro dottrina?). Tanto in Iudae 18 quanto in

    2

    Petr. 3,7 si parla del giudizio su di

    loro e sulle loro azioni. Il gruppo di vocaboli qui designa i grandi peccatori di

    nali come nel v . 18b, ma agli effetti mo-

    tutti i tempi, fino a qtiello finale, quali malfattori, empi e peccatori ad un

    rali e religiosi che ne derivano. Soltanto

    tempo.

    2,16 non si pensa ad enunciati dottri-

    per Tit. 2,12 ci si può domandare se l'&.o-Éf3rnx, come opposto dell'i;ucrÉ(3t:.L<.t richiesta nelle Pastorali, si riferisca all'ioi}eocr-.uyE~ç e ù~pL
    11 BARTH, Rom., ad l.'; (xor, n. 2).

    M1c1mL,

    Rom., ad l.

    crnµv6ç x-.À.. A

    I,503 (Vllj19·0 )

    t creµvéç, t rnµv6-r'T}c; A. NEL MONDO

    .

    GRECO

    mxpà. -ro cr€Bw aEBvòc; xa.t O'E1...w6c;, ò crEBmrµov lit;toc;, ò 1}a.vµ'a.O'-ròc; xa.t
    1-2

    (W. Foerster)

    aç xat xrioeµovla~, «(i superstiziosi) disprezzano i filosofi e le ~rsone civili, che mostrano come la maestà della divinità vada congiunta a bontà, màgnanim:ità, benignità e cura». Plutarco nega dedsamente che i OEt.
    1. O'Eµv6ç è per prima cosa un attributo di dèi: augusto_ (Horn., hymn. Cer_ 1 ,486 [parallelo atoo~oc;] ), specialmente delle Erinni ad Atene {Soph., Ai. 837; in età ne'otestamentaria in Cornut., theol. G1·aec. 10 e Luc., bis accusatus 4). Poi è un attributo di cose divine, venerando, sacro, detto della testa di Zeus (Hom., hymn. ad Minervam 5), dei misteri di Cerere (hymn_ Cer. 478}, del cielo e del suo ordine (Dio Chrys» or. 4_0, 35), della santità del tempio giudaico (Philo, leg. Gai. 198). Di che natura sia la O'Eµv6't''l')t; degli dèi mostra Plutarco (superst. 6 [11 167e]): q>tÀou6q>wv oÈ xat 7toÀ.i·nxwv &.vopwv xa-rcxqipovoucrw (scil. ot oEvnoalµovEç) &.nooeLxvuv-tw\l -div -rou »eou creµv6't'T}-ta µE't'à. XP'l11T't6-r11-roc; xat µeyaÀoq>poO'UVl)V µe't''eùvol-

    2. Con oggetti trEµv6ç per prima cosa significa l'elevatezza e la grandezza visibili esteriormente: érEµvo;; è un: trono regale (Hdt. 2,173,2); di Ba·cnÀ.ixi) creµ.v6't1)<; parla Plut., Demetr. 2 . (1 889e) in parallelo a i)pwi:~1) -rie; Èmoc; pvitµòç uEµ\IÒç [solenne] xa.t ÀEx-ri.xòç xal ci.pµovla.ç, oE6µevoc; 2). Nella tonalità dorica c'è 'ltoÀ.Ò -.ò (Plut_, de musica I7 [II u36 e]). Ma ciò che per Plutarco fa la musica
    UEµv6ç, UEµv6-.11ç

    itp6vov

    E. WrLLIGER, Hagios, RVV I9,1 (1922) 68 s.; G. J. DE VRIES,
    2

    Plato: Mnemosyne u (:r945) :r5r-156. I Aristoph., Pi. 940: 7t)..oihov ot xouµi~v l~ux.-.toLç rtEµvo~ç 7tpibm, Xenoph., Cyrop. 6, x,6: O"Eµ'llWç XExooµ'l')µlvoç È!;ij)..frE xa~ È7tl

    M'l'}ll~xou

    lxotlMl:;tTo.

    Cfr. Plut., de musica

    ouv xix.-.à. 'l'C!iVTot

    14

    (u II36b): uq.tV'l)

    ii µoucnx'l'J, twv EllP'J)µa

    ouaa. 3 Anche Filone usa

    oo;oxo1tla e 'tvcpoc; (superbia e fasto) (Pcricl. 5 [1 154e]). Trattando di poesia CTEµvéc; è detto speciaLnente della tragedia; l'attore imita µaÀ.a creµvwc; -rò 'l"OV Kéxpo'ltoc;... crxfiµa, «molto solennemente il portamento di Cecrope» (Luc., nec. 16); l'&ya.v O'Eµv6'V diventa poi -rpaytxév (Aristot., rhet. 3,3 [p. 1406 b 7]). Per Flav. Ios., ant. 1,24 l'oscurità della descrizione allegorica comporta la O"EµVo't1)c;. Così O"Eµv6c;, se voltato in malam partem, può anche significare parole superbe, arroganti (Soph., Ai. 1107).

    (vn,191) 1506

    sTJCTliµ'l'}v ȵEwu-.6v, «cercai me stesso», Eraclito credette di aver raggiunto µÉya.. 'tL xa.t oeµv6v (qualcosa di alto). Le µEyaÀ.a..t xa.t crEµva.t àpxCJ.l sono gli alti e stimati posti d'onore (Epicht., diss. 4,r, 148 s.). Per Philo, leg. Gai. 361 è un µÉyt(nov xa.t
    3. Ma più importanti sono i passi in cui CTEµv6c; indica una intima elevatezza di cose. µ'r)'t'poc; 'tE xocì. 1tOC'tpòc;... ·nµtW-rep6v ÉCT'tLV '1tOC'tptç xat O"Eµ\lo'tEpO'V xa.t àytw-.epov xoct lv µelsovt µolp~ xaì. 'Ita.p<Ì i>eoi:ç xa.ì. 'lta.p'ò:v{}pw'ltotc;, «più della madre e del padre... la patria è onorabile, augusta e santa e in maggior considerazione presso gli dèi e presso gli uomini» (Plat., Crito 5ra) 4• La virtù degli dèi è definita, in confronto alla loro aq>ltapCTLOC e OUW.CµLc;, CTEµ\16't"tX.'t0\I xa.Ì. i}et6'ttl'tO\I (Plut., Aristides 6 [1 322a]). Filone parla della CTeµv6·n1c; (dignità, santità) del numero sette (spec. leg. 2, 149; op. mund. 1n). Il filosofare è un 1n:µvòv 1tpti:yµa. (Pseud.-Plat., Hipp. I 288d). Altrettanto giudicano Epict., diss. 3,24,41 e Dio Chrys., or. 12,15, che fa distinzione tra 't'ÉXVU.t e hi:tO''tijµoct O"Eµ'll6'tEpoct e ÈÀ&'t"C'O'llEç, e annovera fra le prime la µa'll't'LXTJ e la croqno-·nx'Ì} ÈmCT't"i]µ'l'} 5 • oùi>Èv O"Eµvòv è niente di particolare (Aristot., eth. Eud. ,3,l [p. 1228 b n]) 6 • In senso positivo Plut., Col. 20 (11 ux8c): col suo tSt-

    O"Eµv6c; e >, domanda Caronte quando si fa avanti Ciro (Luc., Char. 9 ). Pompeo cerca di far apparire la·
    4 Similmente Luc., patria 1: oùSÈv yÀUXLOV••• 'lta'tpl6oç•., ttp'oi'i\I e~&; ye•.. lìLEÀ.1)À.vDaç. 6 Cfr. Plat., resp. 2,382b; Plut., praec. ger.

    reip. 27 (u 82oc): oò6lv µiycx 1tEitol'l')XEV fi
    cn:µ\16c; x-rÀ. A 3 (W. Foerster)

    {vn,r91) r508

    CTEµvé't1)"t'Oc; (Philo, leg. Gai. 296). Ma specialmente crEµvé"t'1}<; indica un atteggiamento dell'uomo visibile esteriormente: riguarda lo crxfiµcx. (Pseud.-Plat., de/. 4r3e). La strega di Endor vede Samuele come U'llOpCX. CTEµ'VÒ'\I xat iJE01tpE1t'ij (Flav. los., ant. 6,332). Ester comparve davanti al re 7tpOO"l'J'llÈc; xat CTE~ µvòv ÈTtLXELµl\11} -tò xciÀ.À.oc;, «adorna d'una bellezza soave e dignitosa» (Flav. los., ant. u,234), il faraone fu colpito dalla O'Eµ'Vé't1}ç di Giacobbe (Philo, Ios. 257, dr. 165 e Piace. 4). Qui O'Eµ'Vé't1)c:; sta fra due estremi come giusto mezzo: crEµvé'tTJc; oÈ. µEcr6-.t]c; aMa.oElr.tc; xa.t à.pEalvEa1>cx.L µ7] xcx.Àrnòv àÀ.À.à at, «ed appare non arcigna ma grave e tale da incutere non timore ma rispetto» 10, cosl che CTEµ'Vo"t''l}<; può essere definita una µaÀ.axi) xa.t E.ucrx1Jµwv ~apv'tl)c;, «soave e composta gravità» (Aristot., rhet. 2,17 [p. 1391 a 28 s.]). Tuttavia, quanto siano affini crEµv6c; e a.ÙCT't'l)poc; risulta dal fatto che si pone quasi da sé la domanda se il Caridemo caratterizzato come CTEµv6c; non apparisse anche «piuttosto arcigno» (crxviJpwné-.Epoc; Èq>alvE't'o, Dio Chrys., or. 30,5). oùx i'jv rx.ùCT..-r)pòv oùo'lnaxi>È.c; li.yav aù-.ov ..-ò crEµ"V6v, «la sua serietà non era severa né troppo spinta», dice Plutarco di Nida (Nicias 2 [r 524c]), e Musonio (fr. 33) consiglia: 'lmpa>tÉov xa-ta7tÀ.l)X't'txòv

    µ oÈ &.1t1)'VEtlt mx.paxoÀ.ovìki:, «bisogna cercar di apparire ai propri dipendenti leggermente impacciati piuttosto che terribili; nel primo caso, infatti, essi ricevono un'impressione di gravità, nel secondo di disumanità». È significativo anche Plutarco (Cato Maior 6 [I 339 e]): Catone si presentava nelle città senza cavalcatura, con un solo onµ6crtoc; (apparitore), dunque senza CTEµ'VO'tT)<;, ma È'V oÈ 'tou-.otc; OU'tW<; ElixoÀ.oc; xa.ì. CÌatv6µEvoc;, rx.u~ iltc; Ù.'V'ta'ltl:'.OLOOV 't''lÌV O'Eµ\16"t"l]'tLÀ.rivl)-pwnov (C. Gracch. 6 [I 837e]) 11 • È chiara anche la formulazione di Filone (pr:aem. poen. 97) che gli uomini pii esercitano tre virtù, Xtx.'ttx.O'XEVa~EL, -.ò oÈ OEWÒ'V 1p6~ov, 'tÒ oÈ. ÉÒepyE'ttxÒ'V EUvoLa.'11, «infatti la gravità procura rispetto, la severità timore, la beneficenza benevolenza». Però Filone collega più strettamente l'(1.ÙCT't'lJp6v col tÀ.a.uCT't'TJpoc; xat O'Eµvòc; ~loc; (op. mund. 164) 12 • Non ]'oro, l'argento ecc. fanno una donna più ador-

    9 Atistot., eth. Eud. 3,7 (p. 1233 b 34 s.).

    comportamento a corté) 1tE1toi'r}'trt.t 'tTJ\I lm.1ìTJµla\I -cii nept fo.u-ròv t\I niicn. O'Eµ.\16TIJ't't, npoCTE\IEXO'E~ ~ 1téi.
    10 Atistot., pol. ,5,rr (p. 1314 b 18-20). Viceversa cr~µ\16.; non sign.Uìca moralmente buono, come pensa ~ WILLINGER 68 s.

    Il

    Cfr.

    DITT.,

    Syll.3 II 807,n-16 in un'iscri-

    zione onoraria per il medico personale di Nerone, T. Claudio Tiranno, tornato a Magnesia dopo la sua liberazione; egli av1H.oyo" (al

    ~la\/ 'tOV

    xc.d>'ta.u'tÒV µEyé&ouc;

    É'ltL~E~IXpij­

    cri)at,

    u Cfr. Phi.\o, ebr. 149: 1tpòc; -rò CTEµ\16't'EPOV xa.! IXUCTTI)p6't'EPO\I 't'ij\I olru.'tU.\I.., µE'taf3a.ÀEi:\I (spec. leg. 2,19).

    uEµv6ç

    X'tÀ.

    A 3 - B x (W. Foerster)

    na (x60"µi.oc;) ma oO"a. O"Eµvo't'l')'t'oç, EÙ'ta· l;lac;, atoouc; EµqiaO"w 7tEpt.'t'li>TJO"t.v, «ciò che produce serietà, compostezza, verecond.ia» (Plut., praec. coniug. 26 [II 141 e}). Lo spettacolo di una folla è ilEi:ov, cri::µv6v e µEyaÀonprnÉc;, se essa è 1tPfi.· oc;, xatliJpoa\iviJ e à'tctpa.l;la in quanto il primo indica un essere e comportarsi dell'uomo in sé e per sé, il secondo invece il comportamento visibile al prossimo, l'atteggiamento. <JEµ'o1oc; è ciò che, influendo sull'essere delle cose, sul comportamento degli uomini, sugli altri, suscita un O'Éf)Ecr1>at.. II suo contenuto è orientato a ciò che presso i Greci crea effettivamente un O'Ef)i::o-tlai.. Poteva essere la solennità di un trono regale, l'ornamento della veste, la bellezza del discorso, il suono della musica. Ma non ogni suono, non ogni eloquio forbito, ·non ogni ornamento era considerato O'Eµv6c; ..
    Inoltre
    (vII,192) 1510

    grazia leggera delle parole e dei gesti, non era sentito come <7Eµv6c; . Il greco ne provava piacere sì, ma non arretrava ammirato e timoroso davanti ad esso. La nobile misura della serietà, se si voleva conservare la CTEµv6't1]ç, non doveva mutarsi in una severità cupa, ma neppure ridursi alla grazia affabile o scherzosa. Non a caso è detto, non della luminosa chiarità del giorno, ma della solennità dell'oscurità: cn:µvé'tTJ't'ExEL crx6-coc; (Eur., Ba. 486).

    B. NEI

    LXX E NEL GIUDAISMO

    1.
    quila).


    B

    la o-qiv6't''l'}c; ml. àcru)..la. del tempio onorata in tutto il mondo (3,12). In tutti i passi sta bene la traduzione santo, che corrisponderebbe anche alla quasi esclusiva accezione religiosa della radice crEr3- nei LXX. Ad ogni modo, se 4 Mach. non rientra del tutto in questa linea, ciò corrisponde alla posizione tutta propria di questo scritto, constatata anche per EÒcrÉ~ELa.:
    w

    µvwc; xa.t -.& àv&pwmva O'Vµq>Epov"twc; . In tutti questi passi tradurre con «degno» non sarebbe appropriato; meglio è tradurre degno di Dio. In ogni caso C1E· µv6c; non serve a dire che la legge è santa, ma a sanzionare un giudizio di lodt; emesso dall'uomo. 2.

    crEµv6c; e O"Eµv6't'l}c; mancano jn

    test. XII Patr., in Ps. Sai., nelle parti greche rimaste di Hen. aeth., ed anche in Sib. 3-5; si trovano invece in ep. Ar. Qui çrt:µv6c; e creµv6't"l')c; sono applicati anzitutto alla stessa legislazione (5.313), alla legge ( l 7 l ) e alla sua 1h:wpla (31 ) ·il che corrisponde a 2 Mach. -; affine è anche 144, dove, a proposito delle legislazione interpretata allegoricamente, si parla di un CJeµvW<; à.vrt-re-raxi>rtL. Ma poi, in rispondenza alla finzione dello scritto, CTEµv6c; è applicato pili genericamente: Filocrate ha itp6uxÀLO"LV 1tpòc; -.1}v O'Eµvb't'r}'t'ct dei Giudei (5), Dio darà al re 't''Ì}V O'Eµ\ri)v b~lVOLCt.V (271) 14; inoltre, come in generale nel monqo 14 Ci pare difficile poter accettare la traduzione di P . WEN»LAND in KAUTZSCH, Apokryph. 1111d Pse11depigr., ad l. «sentiinento pio», per-

    .1- 2

    (W. Poerster)

    (vu,193) 1512

    greco (~ coll. 1504 s.), crEµv6c; è usato per esprimere la magnificenza delle opere regali (56.258).

    3. In Flavi~ Giuseppe e Filone l'uso dei due vocaboli, come si deduce dai passi già riportati (~ nn. 1-3), è parallelo a quello degli scrittori greci. In Filone però vanno ricordate due particolarità, cioè l'uso di questi vocaboli per lodare il legislatore e la legge. Qui O'Eµv6c;, come mostra l'impiego del comparativo e del superlativo, non è un concetto assoluto, misurato sulla santità di Dio. Si tratta di un di più o di un di meno; Mosè, facendo precedere alla legislazione la storia della creazione del mondo, ha dato ~e leggi 1tlX"fxlXÀ.'l]V xcxl O'Eµvo-ra't''r}v à.p.x1}v, «un principio quanto mai bello ed augusto» (op. mund. 2); le leggi sono CTEµvoL. &-.t:

    itpòc; -ri)v &xprtv à.pt:TI')v fi},,dqiov't'Ec;, «severe... perché inculcano il grado sommo della virtù» (spec. leg. 4,179) . Il nome di Dio è xat· a.òTijc; EÒXÀEtO"'rEpov CTEµ\16-n]'t'O<;, «più nobile della maestà stessa» (spec. leg. 2,253); la valutazione della o-t:µv6-cnc; proviene dall'uomo. D'altro lato per Filone ut:µvéc; è un epiteto del mondo soprasensibile, spirituale, in contrasto col mondo dei sensi. Dominare il corpo e i suoi desideri è O"Eµv6't'l]POV (3a.crLÀela.c; 't'Ò fpyov, «UD compito più nobile del regnare» (sacr. A. C. 49); coloro che spezzano i legami familiari per amore della legge, iiv-ctÀ1)µ1Jiov't'IXL... O'EIJ.VO'tÉ{la(; xa.L lEpo1tpE'ltEO''t'ifpa.c; cruyyEvElrtc;, «riceveranno in cambio parentele di maggiore dignità e santità» (spea. leg. 1,317: qui si può anche tradurre superiore). L'uomo è un'offerta votiva più 11obile (tnµ'116't'tpov) e più srutfa dell'oro e dell'argento (decal. 133).-Dal distacco dal mondo dei ché la traduzione suggerita dal contesto è «sentimento serio», ~ n. 12.

    1513 (vn,193)

    11q1v6ç X't"À.,

    B

    2 -

    sensi, che per Filone ha un grande ruolo, dipende anche il fatto che presso di lui CTEµv6c; e etÙO''tl]p6c; di solito sono connessi più strettamente che negli scrittori greci (-7 col. 1508) 15•

    C. NEL

    NUOVO TESTAMENTO

    I. Soltanto in Phil. 4,8 O'Eµv6c; non si riferisce al comportamento degli uomini. Con ocra.... à.À:r1MJ, oO'et O"Eµva ..., Paolo, come indica anche il seguente EÌ: -.~e; ... , vuole fare_ un'affermazione il più possibile generale 16• Paolo non dice che cosa siano tXÀ.'l")tHj, creµvoc, o(xa.Let ecc. Indubbiamente col v. 9 (& xat ɵO:-i}En•.• xat Et8E'tE èv ɵol) egli ha ancora presente ciò che ha detto nel v. 8. Per i Greci Paolo può non essere apparso per molti motivi un &.viJp O'Eµv6c;, ma al contrario un &.v1)p 'tet1tew6c;. Perciò egli nel v. 8 non accoglie semplicemente come valido il giudizio del mondo circostante su ciò che è O"Eµva. Eppure presuppone che il suo comportamento sia parso alle sue comunità «veritiero, serio, giusto ... » e che anche ai Greci possa essere parso tale, e -fissa anche come scopo alle sue comunità che il loro comportamento faccia un'impressione analoga sul mondo in cui vivono. Quando Paolo in I Cor. r3,5 dice dell'amore: oùx &uxTJµovei:, «nulla fa di sconveniente», anche qui non siamo lontani dall'idea di O'eµv6c;, poiché la O"EµV6t'1Jç riguarda lo O'XfiµO'..;

    15

    Ma cfr. in contrario vit. cont. 66.

    16

    Contro

    11

    W. S. VAN LEEUWEN, Eirene in het Nieuwe

    LoHMEYER,

    Phil. ad l.

    e2

    (W. Foerster)

    (vrr,t94} 15r4

    e quando alla fine di Phil. 4,9 parla del Dio della pace, si sente vibrare qualcosa della ELpTJV'l") di I Cor. r4,33a (-7 III, coli. 22 3 s.) 17 • In questo passo della Lettera ai Filippesi Paolo si è volutamente tenuto sulle generali per dischiudere lo sguardo dei lettori su ciò che si presentava ad essi come vero, giusto, O'Eµ\la, vale a dire come qualcosa che incuteva un timore reverenziale, qualcosa di se1'io, qualcosa di nobile, quale che ne fosse la provenienza. Nelle Lettere Pastorali O'Eµv6c; ricorre tre volte, sempre fra gli ammonimenti rivolti a membri dirigenti della comunità, ai diaconi (I Tim. 3,8), alle loro spose (v. rr) e agli anziani (Tit. 2, 2), Se né in I Tim. né in Tit. crEµv6ç non s'incontra nell'elenco dei doveri dei vescovi, ciò dipende dal fatto che là non viene elencato un gruppo di doveri esattamente delimitati e chiaramente distinti l'uno dall'altro. In I Tim. 3,8 O'Eµ\16ç comprende piuttosto ciò che è differenziato nell'immagine esemplare del vescovo: un O'EµVÒ<; à.viJp è \IT)qJaÀ.to<;, O'WqJpW\I, xboµ~oc;, non mipoLvoc;, non 1tÀ.1]2.

    X'tl)<;; è ~1ttetxlic;, &µetxoc;, <ÙJ>tÀapyu-

    poc; (3,2 s.). Serio e dignitoso sarebbe una traduzione adatta di creµv6ç nelle Lettere Pastorali.

    Testament, Diss. Utrecht (r940) 201 s., vede in Elrrl!vri la sottomissione all'unità della comunità; àxa't"aO"'t"aO"l« sarebbe ribellione, disobbedienza. Ciò non corrisponde al contesto.

    cTEµ'\loc; X'tÀ..

    e3-D

    3. In 2 Tim. 2,2 o-e:µv6't1)<; sta accanto ad EÙO"É~e:~a. L'una è la pietà, che si esprime anche nella reverenza agli ordinamenti, l'altra è il corrispondente comportamento serio e dignitoso. In I Tim. 3 A: -.ou lolou o~xou xaÀ.Wc; 1tpo~o--caµE­ vov, 'tÉxva EXOV'ta Èv uno'tetyi} µE-cà 'ltciO'T}c; créµvo't"l')'toc;, «deve governare bene la propria casa, tenendo soggetti i figli con ogni rispettabilità», le tre ultime parole non vanno riferite a 'ltpotcr-ca
    ScHLATTER, Past., ad l.

    2

    (W. Foerster)

    gnità, corrispondente al contenuto della dottrina.

    D. NEI

    PADRI APOSTOLICI

    créµv6c; e ~EµVO't'l'}c; nei Padri apostolici compaiono solo in I Clem. ed in Herm. I. Secondo I Clem. i Corinzi un tempo avevano ordinato ai giovani µÉ-tpta

    xa1. O'Eµvà. voEi:V e insegnato alle donne

    -cci. xa.-tà -iòv o!xov crEµvwc; otxoupye:i:v (1,3). Qui UEµv6c; è usato nel senso di contegno dignitoso, onorevole, misurato e disciplinato, dunque nel senso che si trova anche nel N.T. (~col. IJI4). Anche neil'unico passo in cui si trova il sostantivo (41,1): EXa.O""t'O<; T}µwv ... ÈV 't~ lolw 'tayµa'tL EÙetpEO'"t'Et'tW ~ i>E0 ... µ'Ì) 1tCX.pEx~alVW\I 'tÒV WPL!TµÉVOV 't'ijç À.EL'tOUpylac; aÙ"t'OV XCX.\IOVa., ÈV O'Eµv6't'l'}'tt, «ciascuno di noi, ... nel proprio posto, cerchi di piacere a Dio ... , senza trasgredire la norma stabilita per il suo ufficio, con dignità», potrebbe essere presente lo stesso significato. Ma già in I Clem. l.'aggettivo e il sostantivo hanno un altro timbro quando si parla del O'Eµvòv xctt 1tEptS6rrtov ... ovoµa ùµwv (1, l ), del UEµVÒ" 'ti'jc; 1tEPLSo1)-.ou cptÀa.OEÀcpla.c; ùµwv (4 7 ,5}, della creµ'\l'lÌ 'tf)c; cptÀ.a.oe:À.cplac; 1]µWv à.r'\l'lÌ àywy{i (48, 1), dell'EòxÀ.el}c; xat creµvòc; -tiic; 1ta.pao6crEwc; ".ijµwV XctVWV (7 ,2) e della ocµwµoc; xa1. ue:µvl) xat &:y\l'Ìj cruvElO'l'JCTLc; fr, 3). UEµv6c; diventa un attributo specificamente cristiano che si avvia a porsi sullo stesso piano di &ytoc;. 2. Questo trapasso è compiuto in Herm. eov (vis. 3,5,1). Le o-

    19

    Contro SCHLATTER, Past. , ad l.

    t517 \ Vll,195)

    0'€µV6ç

    X't A..

    lJ 2 ( W. l'oerster)

    pere delle virtù sono &.yvà. xcxt crEµvoc xa.ì. i)Etcx. (vis . 3,8,7). creµv6ç sta accanto a à:yv6ç anche in vis. 3,5,1; sim. 9,25, 2. In mand. 6,2.J la CTEµvo-c"l')c:; compare come virtù, dopo OLXl't.LOcrU\ITJ e ocyvélcx., prima di cx.Ù't'ap:)ma e 7t8.v Epyov olxcx.Lov xa.t 7tficra. àpE-c"ii ltvoo!;oç. Sta dopo &.7tÀ.6-t7]<;, È1tL
    (vn,195) 1518

    si dice: 01tOU yàp
    FINE DEL VOLUME UNDICESIMO

    W.FOERSTER

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