34024624 Capire E Vincere La Depressione (1)

  • Uploaded by: Giorgia Sannino
  • 0
  • 0
  • February 2021
  • PDF

This document was uploaded by user and they confirmed that they have the permission to share it. If you are author or own the copyright of this book, please report to us by using this DMCA report form. Report DMCA


Overview

Download & View 34024624 Capire E Vincere La Depressione (1) as PDF for free.

More details

  • Words: 47,998
  • Pages: 168
Loading documents preview...
Francesco Parenti Pier Luigi Pagani

Capire e vincere

LA

DEPRESSIONE La protesta in grigio dei nostri giorni

P r o t e s t a r e in grigio è sentirsi inutile, insufficiente, n u t r i r e un o d i o d i s p e r a t o per la p r o p r i a e n t i t à fisica e m e n t a l e e per i p r o p r i simili. È a n c h e n o n a v v e r t i r e più l'esigenza fisiologica di sopravvivere, non provare alcun desiderio, non scorgere, nelle p i e g h e i m m a g i n a b i l i del t e m p o , n e p p u r e u n o b i e t t i v o c h e meriti u n i m p e g n o d i l o t t a . ' P r o t e s t a i n g r i g i o ' , d u n que, è depressione. F r a n c e s c o P a r e n t i e P i e r Luigi P a g a n i p e r c o r r o n o in q u e s t e p a g i n e i l l a b i r i n t o della d e p r e s s i o n e , t r a c c i a n d o u n r e p o r t a ge c h e s c u o t e il l e t t o r e e lo c o i n v o l g e . La l o r o i n d a g i n e p a r t e dal s o t t o f o n d o psicologico del f e n o m e n o e si r a v v i v a c o n l'es p o s i z i o n e n a r r a t a d i m o l t e vicende u m a n e . A f f r o n t a q u i n d i le radici s t o r i c h e e c u l t u r a l i del m a l e , ne c e r c a i segni nella l e t t e r a t u r a e n e l l ' a r t e e d i p i n g e un r i t r a t t o a t t u a l i s s i m o della n o s t r a società d i s o r i e n t a t a e i n c e r t a sul d o m a n i , n e l l ' a m b i t o della q u a l e i m u t a m e n t i o r m a i si c r e a n o e si d i s t r u g g o n o c o n un ritmo incredibile. Nel libro n o n c'è s o l t a n t o q u e s t o . C ' è a n c h e — s o s t e n u t a dalla g r a n d e e s p e r i e n z a p r o f e s s i o n a l e degli a u t o r i — u n a serie di p r o p o s t e a g g i o r n a t e per p r e v e n i r e e c o m b a t t e r e il f e n o m e n o d e p r e s s i o n e . E, i n f i n e , u n a f o r m u l a per il vivere a t t i v o : a c cettarsi e fare p r o g e t t i . Francesco Parenti e Pier Luigi Pagani, medici, analisti e didatti, sono stati promotori nel nostro paese di un progressivo rilancio della psicologia individuale adleriana. Hanno già firmato assieme molti volumi scientifici, di saggistica è di costume, fra cui ricordiamo in particolare P s i c o l o g i a e d e l i n q u e n z a , I g u a r i t o r i , P s i c h i a t r i a d i n a m i c a e Lo stile di v i t a . Parenti è anche collaboratore fisso di un noto mensile di divulgazione medica e recentemente ha pubblicato una biografia di Alfred Adler.

Indice

Prefazione alla prima edizione

p.

5

Premessa alla seconda edizione

»

9

Le ragioni di un 'indagine

»

11

I.

»

15

Lo stile depressivo

L'espressione e il linguaggio, 15. L'autodistruzione, 17. L'ansia, 19. L'opposizione al mondo, 21. Il senso di colpa, 23. Le ossessioni e le fobie, 24. Il delirio, 25. L'improduttività, 27. L'astensionismo sessuale, 27. II.

La depressione nella letteratura, nella filosofia e nell'arte » 29

Lo stile depressivo nella letteratura, 31. Lo stile depressivo nella filosofia, 38. Lo stile depressivo nella pittura, 44. Lo stile depressivo nel cinema, 49. Lo stile depressivo nell'architettura e nell'urbanistica, 53. III.

Storia e geografia politica dell'ambiente depressivo »

Qualche esempio dalla storia, 56. L'autodistruzione al culmine del progresso sociale, 59. Vitalità e rassegnazione: un confronto etnologico, 64. La depressione degli sconfitti, 68. La depressione degli spiriti liberi, 72.

55

PARENTI - PAGANI

IV.

Lo stile depressivo nel Paese dei paradossi: note di costume sull'Italia contemporanea p. 80

Una Babele senza torri, 80. L'ex leader dagli occhi di ghiaccio, ovvero la morte del superuomo politico, 82. Declino e rinascita della comicità, 84. L'isolamento musicale: statico o ambulante, 89. I suicidi delle reclute, 93. Declino e sofferenza di una classe dirigenziale, 96. Le tappe della droga, 99. Prima fase: la droga come protesta, 100. Seconda fase: la droga come declino e rassegnazione alla morte, 102. I genitori dei drogati, 104. Il revival della cocaina, 108. L'Aids, fatalità, errore degli uomini o punizione divina?, 110. Delle diete, del colesterolo, del modello magro e di altri temi, 112. La fine dello sport come libertà istintiva, 116. L'orgasmo pianificato, ovvero la nuova sessualità, 118. La donna: in bilico fra passato e futuro, 121. Un revival terribile: gli stupri, 124. Il ritorno all'ascetismo, 126. La più minuta rinascita dell'occulto, 131. V.

Depressione e psicologia del profondo

» 137

La psicoanalisi, 138. La visione adleriana, 142. La formazione dei dinamismi depressivi: il ruolo dell'individuo, della famiglia e dell'ambiente, 145. Il ruolo storico dei mutamenti e delle perdite, 148. VI.

Per dissolvere il grigio

» 150

Può esistere una cultura antidepressiva?, 150. Problemi e difficoltà nella psicoterapia del depresso, 153. Come condurre il trattamento, 155. Analisi di un caso, 158. Accettarsi e fare progetti: una formula per il vivere attivo, 164. Glossario di alcuni termini e concetti psicologici contenuti nel testo

» 167

Francesco Parenti

Pier Luigi Pagani

Capire e vincere

LA DEPRESSIONE La 'protesta in grigio ' dei nostri giorni

ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI

Le ragioni di un'indagine

Sentirsi inutile, insufficiente, incapace di affrontare il divenire continuo della realtà. Non confidare più nell'intervento di una mano protesa ad aiutare o a sorreggere. Sentire spezzato il legame biologico con l'esigenza di sopravvivere. Non provare alcun desiderio, non avvertire, nelle pieghe immaginabili del tempo, neppure un obiettivo che meriti un impegno di lotta. Nutrire un odio disperato per la propria entità fisica e mentale e per i propri simili. Tutto questo è depressione. Tale abbandono autodistruttivo, se pure configurato come istinto da alcune ipotesi psicologiche devianti, contrasta con lo schema generale evolutivo non solo dell'uomo, ma di ogni essere vivente. Il lungo cammino di sviluppo civile delle collettività umane, sebbene cosparso di errori e perversioni, lascia intravedere nella sua globalità una forza competitiva proiettata in avanti, generatrice di solidarietà o invece di ferocia, ma sempre con l'intenzione palese o segreta d'imporre forme di dominio da parte di un individuo o di un gruppo d'individui. Le manifestazioni depressive comportano dunque un tradimento o almeno una rinuncia nei confronti della spinta istintiva a sopravvivere. E ovvio perciò considerarle come segno individuale o collettivo di malattia o decadenza. La psichiatria tradizionale, un po' ingenuamente fiduciosa nella possibilità di trovare presupposti organici al comportamento dell'uomo, si è occupata in modo abba11

PARENTI - PAGANI

stanza restrittivo dei ritmi biologici che sottendono il tono dell'umore nel singolo. La nuova psicologia dinamica ha intrapreso con ardore pionieristico l'esplorazione di sentieri occulti sempre nell'individuo, delineando meccanismi e contenuti inconsci che inducono una depressione reattiva, ossia una risposta abnorme al mancato appagamento di un bisogno o di un desiderio. L'una e l'altra scuola (ce ne occuperemo più a fondo in un capitolo) hanno privilegiato la sessualità o le esigenze che nascono da una supposta eredità ancestrale o le istanze che derivano dalla competizione fra gli uomini, come fattori di frustrazione. L'analisi sviluppata in questo libro scaturisce, con diversa ispirazione, da una lettura psicologica della storia e da un'osservazione del mondo attuale. Crediamo che la depressione maturi con incidenza limitata in soggetti già predisposti o condizionati da personalissime esperienze esistenziali, ma dilaghi come più preoccupante fenomeno collettivo, sollecitata dai fermenti mutevoli della cultura. A nostro parere sono i modelli di pensiero e di costume scanditi dall'ambiente a influenzare la "protesta in grigio" come compensazione sterile per le frustrazioni del singolo, bloccando scelte alternative sicuramente più vitali. Non siamo certo i soli a sostenere un'impostazione ambientalista, che anzi si propone come bandiera di un nuovo conformismo e, talvolta, come strumento di potere. Le nuove correnti dell'antipsichiatria, d'indirizzo marxista, hanno affrontato in modo apparentemente analogo le malattie mentali, inclusa la depressione, attribuendole alla società. L'analogia delle tesi è però solo parziale, poiché il marxismo tende a dogmatizzare delle verità limitate, considerando, con finalità extrascientifiche, solo i conflitti economici di classe come cause delle psicosi e delle nevrosi. Uno studio veramente obiettivo della civiltà e della cultura consente invece di acquisire, accanto alle tensioni economiche e senza escluderle, altre e più cospicue matrici di deviazione, alcune delle quali proprio riferibili ai fermenti di12

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

struttivi delle trasformazioni politiche. Così, più volte nel corso del tempo e ancora oggi, la dissacrazione di certi valori e ruoli, anche solo convenzionali e contingenti, ha favorito lo scoraggiamento e la depressione, colpendo vasti strati o solo determinati settori delle collettività umane. L'esplodere della violenza si è dimostrato capace di deprimere soprattutto le sue potenziali vittime, specie se già minate nel loro vigore difensivo. In linea di massima la depressione si è diffusa più incisivamente durante le fasi di decadenza di ogni civiltà, sia che questa dipendesse da un logorio interno, sia che fosse crudamente sollecitata da attacchi esteriori. La finzione letteraria del fatto depressivo è un fenomeno a sé stante, in cui la carenza di fiducia e di entusiasmo per ogni aspetto della vita ha il sapore artificioso di moda culturale ma contemporaneamente è un mezzo che valorizza i suoi propagandisti, in realtà assetati di gloria e di dominio e quindi tutt'altro che depressi. Con un effetto paradossale, però, questo gioco fittizio ha assunto nel corso della storia il ruolo contagiante di stimolo depressivo, specie per gli elementi umani più ricettivi, come le generazioni giovanili o gli anziani spodestati o i detentori di funzioni minate dai cambiamenti del costume. L'impegno di duttilità non dogmatica, cui abbiamo cercato di attenerci nel rilevare questi fenomeni, è stato sorretto dalla nostra formazione psicologica adleriana. La chiave interpretativa di Adler, infatti, fedele soltanto alle istanze fondamentali dell'uomo, sempre ambiguo fra il competere e il cooperare, e immune da schematismi come il pansessualismo di Freud, è tale da inserirsi senza forzature nel mutare degli eventi collettivi.

13

CAPITOLO PRIMO

Lo stile depressivo

Ogni uomo rappresenta un'unità irripetibile, con un suo "stile di vita", fatto di opinioni e tratti emozionali, di scelte d'azione e di obiettivi prevalenti, di modalità espressive e di ritmi dinamici: uno stile suscettibile oltre tutto di un rinnovamento continuo, che sfugge a ogni previsione e risponde in modo personalissimo agli stimoli dell'ambiente. Anche una condizione frequente come quella depressiva, pur segnando la confluenza variabile di alcune caratteristiche comuni, offre aspetti diversi in ciascun individuo e ancora nelle fasi mutevoli della sua esistenza. L'essere depressi può costituire inoltre un'impronta di base con alternanze di tono, una cadenza di episodi intervallati dalla normalità o dall'euforia, o invece una risposta transitoria a precise circostanze. Per queste ragioni, nel ricostruire il quadro depressivo, abbiamo evitato di proposito le rassicuranti finzioni scientifiche basate sulla codificazione dei sintomi e abbiamo preferito illustrare aspetti e fenomeni attraverso alcuni ritratti umani, il cui limite individuale desse comunque risalto alle possibili confluenze.

L'espressione e il linguaggio

Una donna di quarantacinque anni, che lascia decadere polemicamente la sua trascorsa bellezza in una passività se15

PARENTI - PAGANI

mantica densa di accuse al mondo, che accentua lo spegnersi della sua precedente vivacità espressiva nel grigiore di una fissità mimica, come scolpita nel pallore del marmo. L'abbiamo conosciuta in passato tutta protesa verso la valorizzazione estetica, pronta a incanalare le sue tensioni nella presentazione di un personaggio di élite, capace di polarizzare sempre e comunque l'attenzione maschile. Il duro, inesorabile avvertimento dei segni dell'età ha spezzato in lei la compensazione prevalente della sua insicurezza di fondo. Il mutare impietoso del costume non le ha consentito di dar corpo a un modello sostitutivo, che inserisse la classe ammirata nella maturità. Un'altra variazione clamorosa, che segna il passaggio dallo stile esistenziale di piena realizzazione a quello depressivo. Avevamo conosciuto il soggetto, un professore di lettere sessantunenne, ora da poco in pensione, in una sua precedente fase d'impegno gratificato. Allora il suo stile era sottolineato proprio dalla scioltezza e dalla creatività della comunicazione verbale, ricca d'improvvisazioni originalissime. Lo rivediamo preda di una sindrome da pensionamento, incapace di ravvivare la cessazione dell'attività didattica con il culto ancora vitale d'interessi liberi. E proprio la decadenza di ruolo dell'anziano a generare il quadro. Il mito della maturità avanzata come fonte di saggezza è oggi decaduto e sostituito dal prorompere dissacrante dei fermenti giovanili, che dequalificano per assunto le impronte del passato. Il nostro paziente non è preparato a compensazioni narcisistiche, proprio perché la sua armonia era prima fondata integralmente sulla comunicazione. Il fatto di non essere più ascoltato induce in lui una degradazione semantica, paradossalmente esasperata. Oggi lo scaturire delle sue parole è lentissimo, intervallato dall'evasione astensionistica nel buio della disattenzione. Anche il suo gestire, prima elegante e un po' teatrale, è scomparso e ribadisce la fenomenologia censurata del discorso. Che non si tratti di un decadimento fisico senile, ma di un fatto 16

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

essenzialmente psicologico, è provato dalla gradualità positiva degli eventi nel rapporto psicoterapeutico. Con l'analista, infatti, egli riesce a stabilire sul tempo una più vivace anche se ristretta relazione, che non trova alternative nel contatto ormai spezzato con il resto della società. L'astensionismo semantico dei depressi è talvolta gravido d'imprevedibili esplosioni negative. Di colpo, un "raptus" può far scatenare l'ira incontrollata dal grigiore della rinuncia. In una giovane donna di trent'anni, osserviamo la drammaticità di questo brusco mutamento. Nella prima parte di una seduta con lo psicoterapeuta è condotta a ricapitolare stancamente, senza alcuna vivacità espressiva, le fasi del suo fallimento esistenziale. Racconta con parole scarne le carenze affettive della sua famiglia d'origine e poi le vicende di un matrimonio sempre anaffettivo, che s'intuisce accettato "per uscire di casa". D ' u n tratto la figura del marito scatena e polarizza una sua rabbia imprevista. E significativo notare in lei i drastici cambiamenti della mimica e del linguaggio. Il viso senza impronte emotive si contrae in una trasmissione d'odio. I frammenti di discorso, prima intervallati da lunghi silenzi abulici, acquistano rapidamente un incalzare vertiginoso. I contenuti desolati e privi di scopo defluiscono senza pause di transizione nel calore patologico e assurdo delle minacce di morte.

L'autodistruzione

E proprio l'autolesività che, a nostro parere, configura il depresso come il più grave malato psichiatrico. L'idea di distruggersi contraddice l'istinto e quindi ogni afflato di sopravvivenza. Essa può elaborare sottili e continue linee di scavo o prendere corpo nella decisione estrema del suicidio. Non si può ignorare che C. odia se stesso, anche se non lo esprime a grandi lettere. E un uomo di cinquant'anni, di aspetto ancora gradevole, ma lascia intendere a mezzi 17

PARENTI - PAGANI

toni il disgusto per il proprio corpo e per i suoi dinamismi precocemente stanchi. Segnala in ogni occasione il difetto delle sue facoltà di pensiero e d'azione nei confronti degli obiettivi che deve affrontare e dell'efficienza altrui, presentandola come irraggiungibile. Non gratifica se stesso di alcun piacere, negandosi polemicamente anche le piccole situazioni in precedenza gradite, e per farlo ricorre ad artifici di ogni genere. S'inventa disturbi funzionali che gli impediscono di assaporare i cibi, stanchezze che gli vietano le lunghe serate piacevoli di un tempo. E paradossale come la sua intenzione autodistruttiva si travesta con la superficiale ricerca di una protezione: non mangio per non star male, non esco perché non reggerei all'impegno. Ma il significato dell'operazione è trasparente. Analizziamo tre tentativi di suicidio, in cui la depressione lascia defluire i suoi temi autolesivi a un diverso livello, con un totale distacco dal mondo di chi continua a vivere o invece con l'intenzione caparbia di utilizzare la morte per punire l'ambiente o per richiamarne l'attenzione. In tutti è possibile avvertire il carattere innaturale e controistintuale del suicidio, posto in atto per far cessare una sofferenza insopportabile o come arma disperata rivolta verso gli altri: in nessuno la fine della vita appare credibilmente come obiettivo primario. La motivazione del primo caso è la solitudine associata al declino fisico. U n a depressione senile in un vedovo, che non ha più una mano vicina da stringere la sera, che sente i figli autonomi e lontani, protesi in una ricerca esistenziale che lo esclude. E facile intuire in lui, più che il bisogno di porre fine a una vita, il rimpianto per non poter più avere stimoli, emozioni, comunicazioni, speranze, la convinzione di non poter più chiedere impegni di conquista alla propria entità psicofisica. La spinta autodistruttiva, nel secondo caso, scaturisce dalla frustrazione affettiva, generatrice a sua volta di orgogliose rivalse fondate sull'aggressività. Una ragazza di ap18

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

pena diciott'anni e di viva intelligenza, già in contrasto con i genitori, incompresa nella sua creatività da un ambiente scolastico non congeniale e ulteriormente ferita da una relazione con un coetaneo che compensa con spunti sadici e con alternanze di rifiuto la propria inferiorità intellettuale. Un colloquio con la giovane, appena riemersa dal coma barbiturico, lascia affiorare le sue fantasie punitive indirizzate verso coloro che l'avevano frustrata, il bisogno di colpevolizzarli con la propria morte. L'ispirazione negativa, nel terzo caso, è l'ambizione spezzata dalla vita, che trova una sua assurda rivalutazione nella morte. Uno scrittore mancato sui quarant'anni tenta il suicidio (e non si tratta di un'azione puramente dimostrativa) dopo l'ennesimo rifiuto di un suo manoscritto da parte di un editore. La base compensatoria della sua autodistruzione è dimostrata da uno scritto intenzionalmente postumo, in cui la sofferenza non rifugge dall'esibizionismo estetico, elaborato anzi con un impegno perfezionista non privo di valori. A fianco delle situazioni specifiche che condizionano questi episodi, l'ambiente umano di oggi lascia scorgere la sua impietosa indifferenza, la sua povertà di occasioni alternative, in contrasto con una cultura di superficie che esibisce per assunto una solidarietà sociale, in realtà fittizia o puramente burocratica.

L'ansia

Gli stati ansiosi esprimono una sofferta incertezza negli eventi futuri e sono tanto connaturali all'uomo da punteggiare obbligatoriamente i suoi dinamismi psichici nell'ambito di un'estrema varietà di esperienze. Esiste però un'ansia positivamente proiettata in avanti, verso obiettivi desiderati e intesi come raggiungibili, anche se difesi da una barriera di ostacoli. La locuzione latina timeo ut indica mol19

PARENTI - PAGANI

to bene tale condizione emotiva, in cui l'individuo sembra spingere «perché qualcosa accada». Ben diversa è l'ansia che nasce dall'opposto timeo ne, ossia dal timore che qualcosa di terribile o di avversato stia per accadere. Il bisogno ansioso non si dirige qui verso un appagamento, la speranza è solo quella di sfuggire a un pericolo che incombe. L'ansia che compare nella depressione è appunto quella, avara di fiducia nel domani, che si sviluppa rodendo sotto l'egida del timeo ne. Una tipica depressione ansiosa da esame in una studentessa di medicina, molto intellettualizzata, introversa, sempre indirizzata a prefigurare il peggio. Non si tratta dell'abituale quadro d'ansia che precede ogni prova in tutti i candidati. Qui la situazione-esame vale come simbolo contingente nell'ambito di un più generale tedio della vita. Nelle sue fantasie, la ragazza configura già la frustrazione di un esito negativo e ne tenta una compensazione ancor più negativa. Dequalifica infatti il futuro ruolo di medico con artificiose argomentazioni sociologiche. La responsabilità di una cultura è in questo caso chiarissima. Ma l'operazione non mostra alcuna via di uscita, poiché il soggetto la estende a macchia d'olio su tutte le possibili alternative di scelta. La distruzione propria e dell'ambiente, volta a minimizzare una personale insicurezza, appare come scopo segreto di un intero stile di vita. Osserviamo una diversa elaborazione del tema in un giovane non ancora trentenne, commerciante per necessità, umanista mancato nell'intimo dei suoi sogni a occhi aperti. L'obiettivo maggiore della sua ansia è però quello affettivo-sessuale. I continui insuccessi negli approcci amorosi non hanno in apparenza piegato la sua caparbia competitività settoriale. Prova e riprova, ma sempre con la certezza della sconfitta. Esibisce un'espressione timida e rinunciataria, una gestualità impacciata che neppure le ragazze d'oggi, più aperte al maschio debole, sono in grado di sopportare. Si avverte in tutto ciò la finalità occulta di es-

20

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sere abbandonato, per protrarre all'infinito la condanna inesorabile del timeo ne. Decisamente inserito nella dinamica violenta del nostro tempo è un caso di angoscia fobica, in cui la componente depressiva si accentua col tempo sino a dominare. Il quadro è scatenato da un episodio oggi comune: uno studente liceale picchiato per un equivoco sulla sua appartenenza politica. Ne nasce un camminare furtivo, un temere le ombre alle spalle; prende corpo poi la rinuncia totale a uscire, lunghe ore trascorse in casa senza più pensare all'interrogazione di domani, senza più desiderare il sorriso delle ragazze. Vi è certo, alla base del quadro, anche una problematica familiare, un'insufficiente guida ad affrontare margini purtroppo correnti di rischio. Ma è altrettanto certo che l'impietosità dell'ambiente abbia giocato il suo ruolo sadico, uccidendo la speranza.

L'opposizione al mondo

Secondo Adler il depresso è quasi sempre un giudice, un accusatore. Considerare l'ambiente indegno di fiducia e responsabile della distruzione propria e altrui è infatti un artificio che legittima il difetto di speranza e consente di mantenere un minimo di valore alla propria individualità, intesa come vittima di una morsa oppressiva. E proprio la componente accusatrice, implicita o palese, a rendere così sgradevole chi è affetto da depressione e ad accentuare il suo isolamento. Tutta la semantica depressiva suscita negli altri angosciose ondate di rimorso, che incrementano la distanza o rendono fugaci i rapporti umani, poiché nessuno gradisce il ruolo d'imputato. Alcune volte i capri espiatori dell'operazione di accusa sono contenuti nell'ambito della famiglia o nella ristretta cerchia dell'ambiente più vicina al singolo. Per una giovane di ventiquattro anni, studentessa fallita, moglie fallita, più 21

PARENTI - PAGANI

volte amante fallita, tutte le disgrazie di una vita senza vie di recupero sono riferibili al mancato affetto dei genitori e all'indifferenza delle due sorelle mai solidali con lei nelle sue rivendicazioni d'amore. La chiamata di correi si estende agli insegnanti, al marito, ai fugacissimi compagni di sessualità, sempre inquadrati come egoisti e come incapaci di comunicazioni arricchite da un minimo di calore. Per un uomo di trentott'anni, che trascina con stanchezza un'attività commerciale ereditata dai genitori, non congeniale alle sue attitudini, la rovina della sua esistenza è attribuita al fatto di non essere stato compreso nelle sue potenzialità creative in campo umanistico né dai familiari né dagli esaminatori che hanno per ben due volte deriso le sue puntate anticonformiste, impedendogli di conseguire la maturità classica. La rassegnazione sofferta e l'atteggiamento di accusa sono le sue compensazioni depressive a circostanze che avrebbe potuto superare o aggirare con l'autocritica e l'iniziativa. Altre volte il giudizio acre e colpevolizzante del depresso coinvolge orizzonti più vasti, estendendosi a tutta la società. E il caso di un professore di liceo cinquantaduenne, che giunge alla decisione di ritirarsi dall'insegnamento, rinunciando a un'attività che aveva identificato in precedenza come ragione totale di vita. Qui non siamo ancora di fronte all'assurdità del delirio, di cui ci occuperemo fra breve. L'analisi del mondo contemporaneo che il soggetto ci offre è in realtà lucidissima, il suo pessimismo poggia su precise constatazioni: non si sente più di operare in un ambiente che ha soffocato la cultura, che ha confuso il progresso con la distruzione. Le sue critiche, però, sono così negative, così chiuse alla speranza e all'entusiasmo anche per piccole azioni, da suscitare il disagio e l'imbarazzo persino in chi condivide i suoi presupposti, precludendogli quegli scambi umani che avrebbero potuto arricchire con la solidarietà e la coincidenza creativa una prospettiva individuale forzatamente protesa verso l'isolamento. La sua

22

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

monotematicità di accusatore perenne fa inoltre da barriera alle alternative di affetto, ostacolate dalla caparbia censura di ogni diversa trasmissione di stati emotivi.

Il senso di colpa

Il termine "zitella" ha un sapore patetico di antiquariato, non è più congeniale al nostro tempo, poiché la donna evoluta sa gestire oggi con disinvoltura e talvolta con implicazioni di sfida la libertà dal matrimonio. Eppure la parola si addice ancora alla signorina C, poiché il suo stile rifiuta l'aggiornamento. Ha dedicato la vita a sua madre, rinunciando alla professione (ha una laurea non utilizzata), alla sessualità, a ogni altro affetto. Questa dedizione volontaria e totale ha provocato però un accumulo di frustrazioni, scaricate per compenso nevrotico in un'aggressività gestuale e verbale che ha riempito di tensioni la routine del piccolo nucleo familiare. Ora, dopo la morte della madre, avvenuta da quasi un anno, la signorina C. non è più aggressiva: è anzi caduta in una depressione fondata sul rimorso, poiché attribuisce al suo precedente comportamento la scomparsa della mamma, in realtà dovuta a una precisa malattia organica. La sua sofferenza ipertrofizzata con intenzione, il suo abbandono dei pochissimi piaceri correnti prima coltivati, ad esempio quello del cibo e specie dei dolci, le valgono come fattore di espiazione e perseguono una linea segreta e assurda di autovalorizzazione decontaminante. Osserviamo, in questo caso, tutte le caratteristiche del senso di colpa nevrotico, che distingue alcune depressioni reattive. Una colpa grave e ben definita non sussiste (l'uomo, paradossalmente, compensa soggettivamente assai meglio azioni davvero lesive). Non si configura neppure un vero e proprio delirio, poiché le idee autocolpevolizzanti si appoggiano a elementi concreti, emotivamente interpretati

23

PARENTI - PAGANI

e ingigantiti. A tutto ciò si abbina l'intenzione, ancora più occulta, di trovare un alibi morale per non affrontare, in circostanze particolari della vita, l'uscita da una posizione protetta, anche se frustrante, e l'assunzione di nuove responsabilità, con il rischio intuibile derivante dall'autonomia.

Le ossessioni e le fobie

Un uomo di sessant'anni, un ipocondriaco come tanti, ma con qualcosa di cupo, di rinunciatario in più. Teme di essere malato di cancro o almeno di poterlo più facilmente contrarre per una specie di predestinazione biologica (alcuni suoi familiari sono morti per tumore) e non crede alle parole rassicuranti dei medici. Osserva una dieta particolare, attuata con precisione ossessiva, ma non è proteso con ansia verso la salvezza, non ricorre a farmaci e consultazioni che si rinnovano con gettate di speranza, come fanno invece altri patofobi. Si abbandona alla sua terribile prospettiva di morte con uno stile tipicamente depressivo. L'ossessività nella cura dei figli è un tratto assai comune nelle giovani madri, non ancora collaudate dall'esperienza e perciò bisognose di rassicurarsi con la ritualità e con la ripetizione delle cautele. In genere, però, quel tanto di coatto che c'è nelle loro azioni è tutto proteso verso l'efficacia dei risultati e si alterna positivamente con il compiacimento amoroso per lo sviluppo dinamico della nuova vita. Osserviamo invece, in una madre appena ventenne, un difetto di speranza che toglie ogni valore rasserenante, anche transitorio, alla gestualità automatizzata con cui alleva la sua bambina. Ne pone in rilievo la gracilità, il pallore, la tendenza a rifiutare il cibo con un senso terribile di predestinazione negativa. E offre così una connotazione depressiva, ribadita da segni che abbiamo già descritto, come la costanza immota dell'espressione mimica, il tono

24

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sommesso della voce, i riferimenti impliciti di accusa al destino, che sembrano attribuire scontate incidenze dello sviluppo a una congiura impietosa della sorte. In linea generale, secondo la psicologia di Adler, i sintomi fobici e ossessivi sono un mezzo di pressione sull'ambiente o un artificio antico per raggiungere una sicurezza simbolica. Essi presentano infatti analogie chiarissime con la ritualità superstiziosa dei primitivi, ossia con una finzione diretta a rendere meno terribile la scarsa conoscenza della natura e della sue forze segrete. Come la magia e la stregoneria primordiali davano all'uomo di un tempo una convinzione illusoria di sicurezza, capace almeno di attenuare l'impatto negativo con il rischio, così gli automatismi di pensiero e d'azione del nevrotico ossessivo sono inventati anche oggi dal singolo per rendere meno terribili le conseguenze di un sentimento d'inferiorità e d'insicurezza e inducono transitorie neutralizzazioni dell'angoscia che nasce dall'impressione della propria insufficienza. Nel contesto della depressione, però, anche l'ossessività non è sostenuta dalla speranza, è una difesa abulica che ha il sapore di ultima trincea. Le fobie della maggior parte dei nevrotici sono una chiamata di soccorso o un trucco che evita gli eccessi di responsabilità, e lasciano scorgere un minimo di fiducia nella sopravvivenza. Nel depresso, invece, la strutturazione del terrore fobico è un grido d'allarme con implicazioni d'inutilità, in quanto non presume ascoltatori disponibili all'aiuto.

Il delirio

Uno sguardo che esprime la diffidenza e il rancore in modo totale, inappellabile. Un uomo senza età definibile, non collocabile nel tempo (in realtà ha solo trentasei anni). L'ambiente: una camera di una casa di cura per malattie mentali, le cui concessioni al comfort e ai valori estetici

25

PARENTI - PAGANI

contrastano con il personaggio, incapace di assorbirle. Ci vogliono tutta l'esperienza e la duttilità di uno psichiatra con impostazione psicologica per stabilire un rapporto umano e un colloquio articolato con il paziente, che da principio tace con ostilità o risponde a monosillabi. Poi, sul tempo, affiorano con stanchezza i pensieri che gli fermentano dentro. Motiva con parole sussurrate il suo precedente silenzio: è certo che, nella stanza, vi siano dei microfoni nascosti che registrano non soltanto il suo discorso, ma anche le sue idee. Il soggetto, però, non combatte per difendersi con la pertinacia assurda e in qualche modo vitale di certi paranoici, le cui accuse sono recepite talvolta persino dai tribunali. Il soggetto devalorizza se stesso e gli altri, trascina la sua sofferenza senza spinte d'energia verso nessun fine. Neppure il rifugio nell'altra dimensione della follia vale a compensare con credibilità interiore il suo antico disadattamento. Le idee deliranti sono l'estremo rifugio dell'uomo alienato, strutturano il massimo della "distanza" fra l'individuo e l'ambiente, abbattendo persino il sottile terreno comune d'intesa con gli altri che prende corpo nella logica e nel riconoscimento dei dati reali. E possibile sempre ricostruire dei sentieri dinamici anche per queste massime espressioni della malattia mentale, risalire a circostanze, rapporti umani, esempi che diano una ragione psicologica al delirio. Persino le più drastiche assurdità di pensiero inseguono scopi di autovalorizzazione, di dominio o di difesa. Resta però un interrogativo che la scienza cerca ancora di approfondire, a seconda della sua impostazione, dando rilievo alle caratteristiche biologiche del terreno o agli influssi dell'ambiente: perché la maggior parte delle persone reagisce ai traumi esistenziali con manifestazioni nevrotiche che conservano almeno in parte la critica e solo alcune ne varcano i confini? Nel caso che introduce questo tema è possibile avvertire, con sicure analogie verso i settori già esposti, le differen-

26

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ze che configurano lo stile depressivo. Nelle psicosi deliranti non depressive, il distacco dal reale raggiunge paradossalmente le sue finalità di compenso, valorizzando l'individuo e dandogli qualche motivazione di vita: si osservano idee di grandezza o distorsioni del pensiero e distacchi capaci almeno di porre un freno alla sofferenza. Nelle psicosi depressive, per contro, i deliri elaborano ipotesi di persecuzione non rimediabile o di colpa in cui s'intuisce sempre l'autodistruzione.

L'improduttività

Un tratto costante del depresso è la rinuncia a produrre con efficacia in tutti o in quasi tutti i settori dell'impegno umano. Lo abbiamo visto sempre negli esempi sin qui riportati. La ripresa della produttività segna in genere, anche se non è ancora sostenuta dalla speranza e dalla fiducia nel riconoscimento altrui, un primo passo verso prospettive di recupero. Il depresso che riesce a produrre almeno per se stesso è un depresso minore, in genere sensibile ai trattamenti psicologici: accordargli ascolto e credibilità contribuisce quasi sempre a elevare il suo tono emotivo, a facilitargli la messa a punto di uno scopo d'azione, il che rappresenta di per sé l'antitesi della condizione depressiva.

L'astensionismo sessuale

La psicologia individuale adleriana, superando la concezione riduttiva della psicoanalisi basata solamente sull'istinto, inquadra la dinamica della sessualità collegandola al grado di armonia nei rapporti interpersonali. I disturbi e le perversioni sessuali presumono sempre, secondo il nostro punto di vista, una "paura del partner" e una conseguente necessità di compensi innaturali fondati sulla ridu-

27

PARENTI - PAGANI

zione della comunicazione erotica o sull'appagamento solitario o distante o sulla sua abolizione frustrata. L'abbinamento fra l'atto erotico e l'integrazione affettivo-emotiva presume infatti una confidenza in se stessi e "nell'altro" e quindi il massimo di armonia nel settore. Se si tiene conto che il depresso è per assunto un isolato, carente di autostima e carico di rancore verso i suoi simili, si comprende la ragione per cui lo stile depressivo si accompagna d'abitudine all'impotenza nell'uomo e alla frigidità nella donna. Ciò non significa però che tali disturbi implichino sempre la depressione. A volte infatti la non partecipazione nell'erotismo elabora compensi con implicazioni aggressive e polemiche, dirette, se pure in modo distorto, a influenzare l'ambiente a proprio vantaggio. Ci sembra utile, a questo punto, la comparazione fra due casi d'impotenza. Un uomo di quarant'anni, sino a poco tempo prima capace di notevoli prestazioni erotiche e di gratificare in tal senso la moglie. In lui un'impotenza basata sull'eiaculazione precoce è comparsa come manifestazione reattiva a seguito di un conflitto con la sua compagna per ragioni economico-professionali. Non è difficile avvertire nel disturbo un intento segreto punitivo. Un altro uomo della stessa età soffre di un'impotenza dovuta a perdita della erezione prima del coito, dopo un tradimento della moglie, cui è seguita un'apparente riconciliazione. In realtà il soggetto non ha fiducia in se stesso, si considera inferiore al rivale e ripiega verso un astensionismo inconsapevole, poiché non sa reggere all'impegno di una presumibile e continua competizione, cui preferisce una rinuncia frustrata. E chiarissimo qui lo stile depressivo.

28

CAPITOLO SECONDO

La depressione nella letteratura, nella filosofia e nell'arte Le capacità creative e critiche dell'uomo, che si realizzano nella produzione letteraria, artistica e nella formulazione di nuove linee di pensiero, hanno espresso ed esprimono con frequenza contenuti depressivi, improntati cioè al pessimismo e all'astensionismo scoraggiato e sofferto. Esse inoltre, per la loro particolare carica suggestiva, possono influenzare in modo negativo l'ambiente umano ed essere quindi matrici di depressione. Chi produce creazioni depressive può essere condizionato in questo senso da precise circostanze o da una più generica crisi esistenziale. In determinate epoche, però, alcune forme dell'espressione creativa portano in sé quasi d'obbligo l'impegno alla depressione, che viene inteso come connaturale al genere: si pensi, ad esempio, a vasti settori e periodi della letteratura poetica. Il fenomeno, allora, assume le stigmate di una moda culturale e può prescindere anche largamente dalle caratteristiche psicologiche dell'autore, costretto a un adeguamento che offre garanzie di successo. Esistono poi periodi storici e strutture sociali che coltivano germi autodistruttivi tanto spiccati da condizionare verso la depressione non una forma specifica, ma tutta la produzione culturale. Esce dal nostro proposito una vera e propria indagine storica sugli aspetti che ha assunto nel corso del tempo il fenomeno che stiamo affrontando. Ci limiteremo quindi a

29

PARENTI - PAGANI

presentare qualche esempio di analisi come premessa alla ricerca socio-psicologica sul nostro tempo, che seguirà e che più ci interessa. Ci sembra giusto insistere soprattutto sugli effetti di plagio della produzione depressiva. In alcuni autori appare chiarissimo il limite della depressione e quindi il limite del plagio. Essi esprimono una sofferenza soggettiva per certi eventi personali, per desideri ambiziosi o affettivi frustrati, ma lasciano intuire in trasparenza che l'appagamento di questi darebbe speranza o felicità. Altri delineano, pur nell'assunto pessimistico, percezioni positive e gratificanti, con tanta convinzione da neutralizzare involontariamente lo stile depressivo. Altri ancora si compiacciono palesemente della loro retorica e offrono così l'impressione di privilegiarla, il che dimostra il perseguimento di un fine affermativo e quindi euforizzante, in ambivalenza con i contenuti. Tali tipi di produzione sono assai poco contagianti in senso depressivo per chi legge o assorbe, giungendo talora sino a stimolare entusiasmi e finalità positive. Ben diversa e assai più incisiva è la suggestione pessimistica esercitata dagli autori che negano per l'uomo o addirittura per ogni essere vivente tutte le possibilità di comunicazione affettiva, di curiosità, di desiderio e di appagamento. Qui la depressione, infatti, è presentata come una condizione universale, cui nessuno si può sottrarre, ed esclude perciò l'efficacia di ogni artificio di recupero. Uno speciale ruolo ha l'appiattimento demitizzante delle percezioni, che toglie all'individuo anche le briciole di piacere offerte dalla sensorialità, una via di compenso molto spesso così efficace da garantire la sopravvivenza emotiva anche in circostanze traumatiche. Questa spinta costrittiva verso il grigiore può essere esercitata da romanzi, costruzioni filosofiche, immagini figurative o astratte. Si tratta solo di un filone della cultura che però, confluendo con altri, può rivelarsi determinante in modo negativo. Un aspetto paradossale del fenomeno è rappresentato dal fatto che l'ef-

30

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

fetto distruttivo sussiste sia quando l'autore esprime con genuinità il suo senso della vita, sia quando egli è soltanto uno strumento del costume imperante, reso credibile nel suo gioco da una sicura dotazione. Vedremo ora, analizzando esempi tratti dai vari settori, come e con quali gradazioni l'invito alla depressione si realizzi a livello di chi recepisce.

Lo stile depressivo nella letteratura

Ecco un esempio dal passato, in cui la depressione reattiva di un uomo sempre disponibile a riserve di entusiasmo, si esprime con le immagini retoriche congeniali a un'epoca. Ugo Foscolo, un personaggio fortemente emotivo, un'esistenza protesa verso mete personali e collettive: l'amore, il nazionalismo, il pregnante rapporto sensoriale degli esseri umani con la natura. E anche uno scrittore compiaciuto del suo stile, capace di gratificarsene persino nella descrizione del dolore. Il protagonista della sua narrazione più depressiva, Ultime lettere di Jacopo Ortis, offre larghe risonanze autobiografiche con l'Autore. La sua vicenda si conclude nel suicidio non già perché la vita non meriti di essere vissuta, ma per il crollo contingente di alcune idealità, additate agli uomini come obiettivo raggiungibile negli stessi momenti dell'autodistruzione. L'analisi psicologica del testo deve prescindere dai confronti di linguaggio e non cedere agli impulsi d'irrisione generati dal tramonto della teatralità semantica, allora naturalissima a chiunque scrivesse. Notiamo anzitutto che, in un romanzo dedicato alla delusione amorosa, il culto dell'illusione è protratto sino alle ultime pagine. La trama, insomma, ci comunica che l'appagamento affettivo, negato all'eroe, mantiene il suo ruolo esaltante per chi sia favorito nel raggiungerlo. Leggiamo in dettaglio i momenti della realizzazione:

31

PARENTI - PAGANI

... Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a' miei sguardi...

Leggiamo ora invece i momenti della disperazione e troviamo in essi ancora il tentativo di mantenere vitale la capacità affettiva: ... Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele...

Ci preme sottolineare soprattutto in queste parole il rigetto totale dell'apatia, di quel silenzio emozionale, la cui realistica descrizione avrebbe potuto avere una funzione di contagio alla fuga depressiva. Ancora più significativi, sul piano psicologico, sono i passi in cui il protagonista esibisce tutta la sua sofferenza, ma continua suo malgrado a gustare il rapporto fisico con la natura, denso di un piacere estetizzante. ... Vado correndo come un pazzo senza saper dove e perché; non m'accorgo, e i miei piedi mi strascinano fra' precipizi. Io domino le valli e le campagne soggette; magnifica ed inesausta natura!...

Se pensiamo alle possibili reazioni emotive di un lettore del tempo, e in quanto tale sensibile a queste forme di espressione, dobbiamo concludere che egli, pur partecipando ai dolori dell'eroe, abbia continuato a gustare la ricorrenza di tanti stimoli al piacere e alla speranza, da non poter ricevere, leggendo, un plagio depressivo. Presentiamo ora una voce poetica depressiva, sulla cui genuinità non si può discutere. Sergio Corazzini morì infatti ventenne di tisi, un termine medico che ha sapore di passato, di un tempo in cui la grave malattia non era sorretta come oggi dall'efficienza tecnicistica, ma suscitava solo la compassione e il distacco che si concedono appunto ai morituri. Appare nelle sue liriche una sofferenza tutta in-

32

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

dividualizzata, che non giudica la realtà, ma un rapporto privato e inesorabile con la realità. La lirica del Corazzini che meglio si è offerta alla nostra analisi psicologica è stata Desolazione del povero poeta sentimen-

tale. In essa l'Autore sembra dissociare, provandone angoscia, la condizione di poeta da quella di uomo destinato in breve tempo alla morte, come se l'una e l'altra non fossero compatibili e l'inesorabilità della morte trova in lui un paradossale compenso in una finzione di desiderio per la morte stessa. Leggiamone qualche verso. Io voglio morire, solamente perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle cattedrali mi fanno tremare d'amore e d'angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.

Anche se c'è una punta di retorica, qui essa si affievolisce con l'afflato più sommesso del decadentismo. Le percezioni, come abbiamo detto, sono utilizzate per inserire un piacere struggente nell'attesa della morte che così si trasforma e si nobilita un poco, indossando venature romantiche. La chiusura della poesia lascia intravedere però il carattere fittizio del gioco e la vera desolazione di chi lo ha impostato. Al termine, infatti, morire non è più una scelta edonistica decadente, ma un'insufficienza. E il non poter essere poeta una rinuncia sofferta. Oh, io sono veramente malato! E muoio un poco ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per esser detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire.

Amen.

33

PARENTI - PAGANI

Tentiamo ora un'analisi dei brani riportati, alla luce di una loro possibile azione di contagio depressivo. I versi non distruggono sul piano generale le potenzialità positive della realtà, ma ne delineano un assorbimento melanconico legato a una situazione soggettiva. L'Autore lascia comprendere che un poeta sorretto da un'energia vitale potrebbe leggere in ben altro modo la natura e il suo divenire creativo di persona. Il testo, dunque, può generare un'identificazione sofferta in chi sia già soffocato da prospettive terribili, chiuse alla speranza. Ma lascia aperte più chiare dimensioni del futuro in chi abbia invece davanti a sé una continuazione credibile dell'esistenza, sollecitando in lui una compassione differenziata, sostenuta dalla vitalità. La depressione dunque, qui, è presentata come problema del singolo e non coinvolge obbligatoriamente ogni lettore. Con il proseguire dell'evoluzione stilistica e la conquista di un comunicare scarno, ultrasintetico, la letteratura poetica, esprimendo in modo essenziale i contenuti emotivi, si presta ancor più all'analisi psicologica, essendosi liberata dai doveri un po' contorti della retorica. Vediamo quello che, a nostro parere, è il massimo esponente di tale indirizzo: Giuseppe Ungaretti. Le sue liriche sono un distillato della mutevolezza dei sentimenti e alternano perciò con maestria lo scandirsi e l'alternarsi del tono emotivo, di volta in volta compiaciute del meraviglioso, depressivamente ripiegate sulla sua negazione, tenacemente riaggrappate all'anelito della vita. La lettura complessiva di Ungaretti, dunque, ricostruisce il sentire dell'uomo, non imposta obblighi né depressivi né euforici, ma prende atto del grafico emotivo a singhiozzo che tutti noi tracciamo dentro la nostra psiche. Ecco due esempi, molto significativi. Nel primo appare qui come fenomeno nuovo un inquadramento depressivo delle percezioni non puramente legato alla soggettività, ma tremendamente capace di appiattire con crudezza la strut-

34

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

tura del reale. Questo tipo di comunicazione distingue la lirica Sono una creatura: Come questa pietra del S. Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata come questa pietra è il mio pianto che non si vede. La morte si sconta vivendo.

Come esempio di contrapposizione emotiva, leggiamo un'altra poesia di Ungaretti: Veglia. Qui l'immagine di partenza della morte, sollecitata dal dramma bellico, si presenta quasi senza appello, ma poi desta con rabbia nell'osservatore poetico un richiamo del sentimento e dell'istinto di sopravvivenza, entrambi ricchissimi di vitalità e di speranza: Un'intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.

35

PARENTI - PAGANI

Giungiamo ora, col trascorrere degli anni, alle constatazioni più amare, che appaiono dunque come frutto di un'epoca. Quale rappresentante significativo della distruzione di ogni speranza per mezzo della letteratura abbiamo scelto Alberto Moravia. La nostra selezione non è casuale. Moravia, infatti, indossa convinto gli abiti di una categoria: quella degli intellettuali che hanno fatto il nostro costume, nello stile, nella politica, nel diradarsi del sentimento, nella demitizzazione persino del piacere sensoriale. Proprio da quest'ultimo punto desideriamo partire, poiché togliere agli uomini il gusto del percepire significa neutralizzare freddamente in essi ogni possibilità di compenso immediato nei momenti immancabili della tristezza. La nostra analisi non vuol essere una critica letteraria e ne rifiuta pertanto l'eleganza sussiegosa e astratta. Intendiamo presentare delle constatazioni dirette sul piano psicologico, anzi diremmo meglio quasi fisiologico. Leggiamo assieme un brano del romanzo La Noia, dedicato appunto alla dimostrazione impietosa che gli oggetti cui si rivolgono i nostri sensi sono cose povere, glaciali, deludenti per inesorabilità. Osserviamo il passaggio dalla percezione normale a questa che noi riteniamo distorta e plagiante: ... La mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina; come a vedere in pochi secondi per trasformazioni successive e rapidissime, un fiore passare dal boccio all'appassimento e alla polvere.

L'Autore cerca di persuadere chi legge che sono gli oggetti ad essere insufficienti e immeritevoli di essere percepiti. La depressione che nasce da tale processo, se assorbita, diviene perciò irrecuperabile. Un'ulteriore conseguenza dello stato "non emotivo" che stiamo analizzando è, come conclude lo stesso scrittore, l'obbligo dell'incomunicabilità: Per esempio, può accadermi di guardare con una certa attenzione un bicchiere. Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente

36

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

di cristallo o di metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si spanda, finché, cioè, sono in grado di rappresentarmi con convinzione il bicchiere, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto, ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col quale non ho alcun rapporto, cioè, in una parola mi appaia come un oggetto assurdo, e allora da questa assurdità scaturirà la noia la quale, in fin dei conti, è giunto il momento di dirlo, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne.

Questo è l'aspetto del Moravia narratore che colpisce in modo più fine e incisivo noi psicologi, in quanto diretto a distruggere la gratificazione percettiva. L'influsso clamoroso di Moravia sul costume è però legato alla sua concezione della sessualità, nella quale intravediamo qualcosa di puramente meccanicistico, che inibisce la comunicazione emotivo-affettiva nel rapporto erotico. Il danno sociale è qui molto più marcato. Esso deriva però, a nostro parere, dall'impostazione percettiva che abbiamo esaminato. Anche il partner amoroso, insomma, è quasi "devitalizzato", inserito in quella sterilizzazione emotiva degli oggetti, che con grande e perciò pericolosa efficacia l'Autore definisce "avvizzimento". Ancora figlio del medesimo processo è l'amoralismo di fondo di questo scrittore, che non si limita ad aggredire certe convinzioni etiche, effettivamente in parte superate, ma disattiva ogni possibilità di rapporto emotivo-spirituale fra gli esseri umani. Su Moravia, uomo e scrittore, vorremmo fare un ultimo e più rasserenante commento. Prendiamo atto che Moravia, sulle pagine di uno dei più diffusi quotidiani del nostro paese, pubblica ora corrispondenze di viaggio e proprio dall'Africa, un continente dalla sensorialità ricca e pregnante. In questi articoli egli vede e descrive, mostrando senza equivoci di aver percepito. Come interprete, poi, tende a razionalizzare, mostrando un rifiuto delle astrazioni

37

PARENTI - PAGANI

intellettualistiche che gli erano prima abituali. Si tratta certo, dobbiamo rilevarlo, di un rifiuto della morte e di una vittoria forse personale sui ripiegamenti distruttivi.

Lo stile depressivo nella filosofia

È nostro parere che la filosofia pura, non pragmatica, tutta protesa verso il dipanarsi autocompiaciuto del ragionamento, abbia esercitato un plagio depressivo assai minore rispetto alla letteratura. Il narcisismo di chi prospetta e di chi assorbe il concatenarsi della logica sorregge infatti sempre la volontà di potenza e gratifica l'individuo con l'avvertimento di saper pensare o almeno di saper comprendere. In linea subordinata, comunque, tale compensazione solitaria, se vissuta in modo integrale, può sostituire la comunicazione del sentimento nel rapporto interpersonale e incrementare con ciò quella "distanza" fra individuo e individuo che segna l'impronta della distorsione psichica e quindi anche della depressione. Il fatto di vivere l'impegno filosofico in modo esclusivo è però una scelta negativa che non può nascere solo dalla presa di rapporto con un'idea o dalla sua formulazione: esso deriva da una tematica conflittuale già strutturata: al più servirà a consolidare una linea direttrice che ha già preso corpo. Quando invece la filosofia, divenendo applicata, interagisce con la sociologia, con l'economia e con la politica, esercita un'azione assai più intensa sul costume, sino a modificare lo stile di vita della collettività e di molti individui. In tal modo alcuni influssi filosofici possono incrementare anche la depressione. Un classico esempio di stile depressivo nell'ambito della filosofia teorica è rappresentato dal pensiero di Schopenhauer. Il suo spunto più interessante sotto questo profilo coincide per noi con il concetto di "divisione". Ne deriva infatti un'acquisizione tragica, predestinata, ineluttabile

38

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

dell'esistenza in tutte le sue forme. Secondo Schopenhauer l'unico principio che produce il mondo genera infinite piccole sue parti in continuo, reciproco conflitto. Questa obbligata, crudele competitività coinvolgerebbe sia la materia inorganica, costituita da forze contrastanti, sia le forme di vita vegetali e animali, anch'esse protese a lottare per soffocarsi. Il destino dell'uomo non si sottrae a questa terribile interpretazione poiché, nella filosofia che stiamo analizzando, ciascun individuo è condannato a cercare di essere il tutto, distruggendo gli altri individui che perseguono la medesima esigenza. La teoria di Schopenhauer sulla divisione competitiva sembra proporre in apparenza qualcosa di attivo e perciò in contrasto con la depressione. Siamo però qui di fronte a un'ipotesi che si differenzia radicalmente da quella di Nietzsche sulla volontà di potenza, attiva e antidepressiva anche se immorale, poiché in Schopenhauer il processo di lotta non è realmente individuale, ma guidato da un'unicità trascendente che annulla la credibilità di ogni individuo, appiattendolo nell'essere parte non autonoma di una fermentazione globale. E facile comprendere come questo tipo di filosofia, dal punto di vista psicologico, possa avere incanalato le problematiche personali di alcuni depressi intelligenti senza però avere il mordente pragmatico per condizionare il modo di pensare e di vivere degli uomini impegnati in più sanguigne, emotive e concrete competizioni esistenziali. Un altrettanto classico esempio di filosofia pragmatica, e quindi più condizionante sull'uomo, è costituito dalla dottrina di Karl Marx. E possibile comprendere il suo ruolo socio-psicologico, tenendo presenti il suo disprezzo per gli "ideologi" e la sua affermazione che l'importante non è interpretare il mondo, bensì cambiarlo. Esce dalla nostra formazione e in particolare dal programma di questo libro ogni impegno di critica del marxismo sul piano concettuale. A noi psicologi interessa piuttosto analizzare quali siano

39

PARENTI - PAGANI

state e siano le possibili conseguenze del pensiero marxista sul comportamento e sul tono emotivo dell'uomo moderno e contemporaneo. L'intenzione di Marx nel formulare la sua dottrina fu quanto mai lontana dalle ispirazioni depressive e si orientò piuttosto verso un'impegnativa speranza a lungo termine. Tale obiettivo euforizzante prese le mosse dal progetto di riportare ogni cosa a basi economiche, dalla critica spietata delle strutture capitalistiche e delle loro sovrastrutture sociali, culturali, artistiche, di costume, per ipotizzare un'armonica meta finale. Fra la realtà contingente ipercriticata e quella ideale ipotizzata, Marx delineò però inevitabili e distruttive fasi conflittuali. E chiaro che il semplice assorbimento intellettuale del pensiero marxista non può generare di per sé una reazione depressiva. Questa può presentarsi solo se si verifica un incontro fra il contesto storico-culturale e certi particolari condizionamenti emotivi dell'individuo. Per chi vive in una società competitiva e consumistica, il marxismo può offrirsi come una prospettiva alternativa e utopistica, forse rasserenante per coloro che, pur essendo critici, sono ragionevolmente integrati nel qui e nell'oggi. Se invece un individuo è gravemente frustrato nell'affermazione lavorativa e negli affetti, l'utopia marxista elaborata soggettivamente può apparire nel contempo idealizzata e irraggiungibile, favorendo la depressione come protesta. Il momento attuale, in cui anche i paesi così detti socialisti stanno vivendo una crisi di revisione, può generare un senso di perdita particolarmente intenso e depressivizzante in chi viveva "quella" utopia con valenze fantasmatiche di fanatismo. Otto anni fa avevamo registrato la depressione di coloro che, vivendo sotto una dittatura giustificata dal marxismo, sentivano frustrate la loro creatività e la loro ansia di libertà. Oggi, nei paesi d'oltre cortina che stanno affrontando una faticosa e meravigliata apertura al liberismo, ab-

40

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

biamo avvicinato persone che vivevano in due modi diversi questo processo di trasformazione: con un compiacimento permeato di speranza o invece con un senso sofferto, e perciò depressivo, d'incompletezza. Ci è bastata una conversazione appena approfondita per avvertire, come sottofondo dell'uno o dell'altro modo di atteggiarsi, delle dinamiche personali: negli uni un'attesa ottimistica favorita da appagamenti nell'amore e nelle relazioni d'amicizia, negli altri una vita vuota di soddisfazioni negli affetti o nel lavoro. Ecco un esempio, forse più comprensibile per i lettori, di depressione politica nostrana. Fausto ha sempre vissuto per il partito, per il proletariato, per la lotta di classe. Oggi, ormai vicino alla sessantina, non accetta il "nuovo corso" della sinistra, le strizzatine d'occhio al riformismo gli appaiono come dei tradimenti, nelle assemblee di sezione i suoi interventi sono accolti con una bonaria condiscendenza. Non ha alternative alla perdita di ruolo in politica, poiché gli altri settori della vita gli hanno consentito solo investimenti poco incisivi. Magrissimo, sgraziato, con un viso affilato e irregolare, ha trovato una moglie priva di fascino, soltanto paziente e remissiva, che ancora oggi cerca di vincere il sonno per ascoltare i suoi comizi casalinghi senza comprenderne il senso. Non ha figli e il suo lavoro è monotono, ripetitivo. La pensione, ormai prossima, gli prepara una patetica, accorata decadenza. Altre persone, ben note nella vita pubblica, hanno diversamente sfrondato il marxismo delle sue implicazioni filosofiche e sociali, ma lo hanno utilizzato pragmaticamente per dare voce alla loro ambizione. Assai raramente tali individui si attengono ai principi che professano nella loro vita privata, ma in merito accampano una giustificazione impeccabile: «non esistono ancora le condizioni obiettive». Si tratta di soggetti pochissimo ricettivi alla depressione. Non facciamo esempi, sarebbe indelicato. Il superamento filosofico del marxismo e la sua rielabo41

PARENTI - PAGANI

razione non dogmatica o il suo tradimento deviazionista hanno generato altre teorie, alcune delle quali si prospettano come ancor più drastiche matrici di depressione. In questo settore dedicheremo la nostra analisi al pensiero di Jean-Paul Sartre, che ci sembra il più significativo. Il contributo culturale di Sartre, pur rigoroso e dettagliatissimo nella sua parte filosofica, si differenzia da quello degli altri filosofi perché arricchito da una parallela produzione narrativa, densa di cariche emozionali. A noi pare che il pensatore francese risulti particolarmente efficace nel dare una ragione teorica al fenomeno psicologico che abbiamo rilevato in Moravia. Egli infatti, descrivendo l'esperienza de La Nausea, presenta un estraniamento conflittuale fra coscienza e oggetto: nelle sue pagine, la prima si distingue per una libertà vuota, inutile e intesa come condanna; il secondo diviene gelido e indifferente. Ritornano qui il fiore e il bicchiere di Moravia, destinati inesorabilmente ad avvizzire in un processo percettivo distorto da una depressione apatica. Da ciò discende un appiattimento inevitabile di tutte le determinazioni della libertà, tanto che a un certo punto Sartre afferma che divenire un condottiero o ubriacarsi in solitudine sono la stessa cosa. Di qui ancora l'impulso a scelte stravaganti, che non riescono neppure a gratificare per il loro anticonformismo poiché sono considerate fondamentalmente inutili. Terribile è inoltre il concetto sartriano dell'individuo prigioniero delle situazioni, che appare, ad esempio, con effetto pregnante e distruggente, in queste sue parole: ... Io nasco operaio, francese, sifilitico per eredità o tubercolotico. La storia di una vita, qualunque essa sia, è la storia di una sconfitta. Il coefficiente d'avversità delle cose è tale che sono necessari degli anni di pazienza per ottenere il più piccolo dei risultati...

Sorge spontaneo in noi un paragone con il pensiero adleriano. Nella psicologia individuale, l'uomo è largamente frenato dalle influenze negative ambientali, ma cerca

42

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sempre di porre rimedio a tali ostacoli elaborando una "compensazione" attiva o passiva, positiva o negativa, che rappresenta però comunque almeno un tentativo di lotta contro le cose. In Sartre invece le cose sono ineluttabili e l'uomo vive tra di esse, condannato a una libertà inconsistente. Il plagio depressivo di questa filosofia risulta dunque eccezionalmente efficace, poiché propaganda appunto l'inutilità dell'agire. Aggiungiamo che il sartrismo non è rimasto, come altre filosofie, pura dottrina, ma è riuscito a improntare, in un certo periodo almeno, alcuni settori della società e del costume, attuando una dissacrazione senza precedenti nella sua sterilità, poiché vuota di una vera passione. Non si può non rilevare che una condizione umana di questo tipo predispone a fughe antivitalistiche, come quella oggi dilagante del fenomeno-droga. Le generazioni influenzate direttamente da Sartre sono ormai invecchiate, ma quelle successive portano più di un segno della sua eredità. Dalla filosofia sartriana è nato paradossalmente un frutto non privo di aspetti positivi, insomma una specie di riscatto del pensatore e dei suoi seguaci anche posteriori: la psicoanalisi esistenziale. Questo complesso teorico-pratico ha rappresentato un acuto superameno delle concezioni freudiane: sul piano critico esso è incomparabile. Confluisce ad esempio con la psicologia individuale nel rinnegare la forzata suddivisione della psiche in tre zone e nel sostenere la sua totalità. E ancora ricco di spunti credibili quando propone un'analisi non limitata alle profondità convenzionali di un inconscio diviso in categorie, ma vitalmente estesa in un'operazione globale alla ricostruzione dello stile dell'individuo (ritorna l'analogia adleriana), compenetrato di significazioni nascoste e di tratti comportamentali coscienti. La sua ricerca della "scelta fondamentale", che ne costituisce il vero obiettivo, smentisce fra l'altro il nichilismo rassegnato dei suoi presupposti filosofici.

43

PARENTI - PAGANI

Lo stile depressivo nella pittura

La rappresentazione artistica della percezione visiva che assume sostanza e senso psicologico nella pittura ha in sé delle implicite gratificazioni estetiche che sembrano contrapporsi per assunto al plagio depressivo. Gustare un quadro, quali siano il suo contenuto e le sue tecniche espressive, coincide sempre con un momento di felicità sensoriale. La pittura è però anche un processo di comunicazione emotiva fra l'artista e il suo pubblico, capace di trasmettere, a volte con incidenze terribili, la condizione psichica e il senso della vita di chi dipinge. Nell'osservare un'opera pittorica, quindi, si può essere, se pure conquistati dall'armonia, contagiati in modo sottile o clamoroso anche in senso depressivo. La raffigurazione diretta dell'uomo, nella sua mimica e nella sua plasticità gestuale, è forse il modo più semplice e immediato con cui il pittore può elargire la sua protesta in grigio. Questo mezzo semantico trascende il tempo e le mode artistiche, superando le convenzioni allegoriche, concettuali e stilistiche che hanno cercato di imbrigliare i pittori di certi periodi storici. La disperazione di un viso può comparire infatti tanto in un soggetto religioso o epico, quanto nel dipingere naturalistico, quanto nelle interpretazioni soggettive, lontane dalla realtà, della pittura moderna e contemporanea. Un primo esempio fra i tanti possibili: L'assenzio di Edgard Degas. In questo quadro, che risale al 1876, la rinuncia totale al pulsare attivo della vita da parte di chi è soggetto alla droga o all'alcool è impressa sulla tela con tragica evidenza. La donna che funge da personaggio centrale ha un'espressione mimica immota e abbandonata alla tristezza, una debilità muscolare con sapore di rinuncia e non di rilassamento. Davanti a lei, sul tavolino del vecchio caffè, fra gli arredi squallidi pur nella loro cromaticità, spicca il verde veleno della bevanda nella lucidità del bicchiere. Ac-

44

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

canto a lei, vicina e distante, crudamente convinta dell'inutilità di ogni intervento, si staglia una figura maschile più consapevole. E una scena ottocentesca, che segnala con equilibrio di spazi una situazione umana purtroppo non tramontata. Lo psicologismo pittorico scaturisce ancor più drammatico nel Ritratto di Herwath Walden di Oscar Kokoschka. Il dipinto fa parte di una serie di ritratti che risalgono al primo Novecento, nei quali l'Autore inserisce un sondaggio analitico tanto sentito da lasciar sospettare una proiezione di propri contenuti. Sulla tela, lo sfondo buio e sfumato dà risalto al pallore di un volto atteggiato a malinconia senza speranza, accompagnata però dall'angoscia e non dall'apatia come nel quadro precedente. Tale condizione emotiva è confermata dall'atteggiamento delle braccia e soprattutto delle mani: scarne, con le dita aggrovigliate l'una all'altra, spasmodicamente contratte in una lotta autodistruttiva. E impossibile non riconoscere qui alcuni fra i tratti psicologici della depressione, che abbiamo descritto in apertura. Il paesaggio, nella pittura, si presta a contaminazioni depressive più lievi, che nascono con varia incidenza sia dalla scelta dei luoghi, sia dalla loro introiezione in un vissuto personale sofferto. Giocano qui un ruolo determinante la diluizione dei colori, più spesso cupi o evanescenti per questa significazione, la natura, anch'essa selezionata con un proposito deprimente, le costruzioni dell'uomo tese verso la sua crudeltà oppressiva o verso l'abbandono desolato. Dall'arte figurativa dell'ultimo Ottocento presentiamo un quadro di Arnold Bòcklin: L'isola dei morti. Il frammento di terra che sta al centro dell'opera è contornato da acque scurissime, percorse da una barca su cui si erige una bianca figura spettrale. Sulla piccola isola sorgono costruzioni fatiscenti, ferite da una sequela di monotone finestre. Fulcro del tutto sono lunghi, gotici, neri cipressi. Il dipinto elabora il tema della morte nelle sue implicazioni più allusive e dense di minaccia: non come liberazione dalla sofferenza

45

PARENTI - PAGANI

e neppure come fine accettata dei processi vitali, piuttosto come condanna e decadenza punitiva per l'uomo. L'isolotto vale come immagine di luogo di pena senza ritorno, agli alti fusti degli alberi sorge spontaneo attribuire il ruolo di giudici impietosi. Yves Tanguy è un pittore surrealista, capace di generare sulla tela sfondi evanescenti, punteggiati da forme non figurative ma tanto bizzarre e armoniose da suscitare nell'osservatore propensioni struggenti e gradite verso la magia. In un suo quadro del 1929, Le plan des sources, il paesaggio è impiegato invece con una maestria discreta, valida solo per un pubblico in grado di avvertire le più segrete sfumature percettive, quale fonte di comunicazioni depressive. Qui le immagini sono un poco più realistiche di quanto usi l'autore nelle altre sue opere: un susseguirsi di colline distese, appena emergenti dal piano, linee ipnotizzanti sul terreno, creature ameboidi che volano o strisciano agli estremi di contorno. L'impressione generale che infonde la tela è quella di una rassegnazione sofferta, poiché gli orizzonti percepibili o ipotizzabili del paesaggio non offrono alcuna garanzia di realtà sensoriale. Vi è, nell'assieme, un sicuro richiamo simbolico all'impossibilità della speranza che ci è trasmessa da certi sogni. Il surrealismo, che rifiuta per impegno orgoglioso l'ossequio alla realtà, è la corrente artistica che si assume più di ogni altra il ruolo di portavoce dell'inconscio. Il suo linguaggio è intenzionalmente simbolico e perciò le sue immagini devono essere lette oltre l'apparenza, per giungere all'ispirazione profonda degli autori o invece ad altri, personalissimi contenuti profondi degli osservatori. L'evasione dal presente e dal tangibile presume sempre un disadattamento creativo e vale come compensazione di fuga dalla realtà obbligata. Talora le vie di compenso surreali sono gravide di una speranza almeno immaginata, esibizioniste, clamorose, fondate sul divertimento: ne fanno testo molti quadri di Salvador Dalì, vere e proprie sfide scintil46

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

lanti alla convenzione. Altre volte, per contro, consentono sguardi velati nelle zone più buie della psiche, dove fermenta appunto la depressione. Un esempio: L'oeil du silence, un dipinto di Max Ernst che risale al 1944. Al centro del quadro stanno ancora le acque scurissime di un laghetto, un simbolo di profondità che ricorre nel surrealismo. In primo piano, sulla destra, una delicata figurina femminile, che unisce la grazia alla malinconia. Attorno giganteggiano e dominano psicologicamente forme mostruose di pietra, con occhi in cui non si può escludere una vitalità negativa. Non conosciamo l'idea di fondo che ha ispirato l'Autore, ma ci rendiamo conto, direttamente coinvolti, che l'opera può destare richiami morbosi in ogni persona sensibile. Il suo linguaggio segreto è quello della fobia, della paura irrazionale perennemente infantile, che continua a galleggiare nell'adulto, alimentata dall'insicurezza e radicata alle sfumature trascorse dell'esistenza. Più vicina ai temi depressivi del nostro tempo è la pittura di René Magritte, la cui precisione figurativa svela le incognite e le crudeltà, che rappresentano la faccia non visibile del reale nell'universo burocratico e tecnologico in cui siamo costretti a vivere. Così, nel suo quadro La tempête, nubi ovattate, semplicissime ma cariche di allusioni, s'infiltrano in una finestra squadrata, fra cubi lineari di cemento. Non fidatevi - sembra dire l'Autore - dell'apparente razionalità, dell'illusorio materialismo del nostro mondo. Non riteniamo che i pittori sin qui analizzati abbiano esercitato un plagio depressivo con effetti di rilievo sul costume generale. H a n n o avuto modo, al massimo, di ribadire, con una struggente percezione, uno stato d'animo già radicato in persone sensibili, capaci di recepire una comunicazione emotiva. Hanno però sempre elargito assieme una gratificazione estetica, in ambivalenza positiva, e una forma evoluta di solidarietà nella sofferenza o nel rifiuto di certi schemi contingenti, contribuendo forse a togliere 47

PARENTI - PAGANI

qualcuno dalla solitudine intellettuale. Certe ispirazioni contenutistiche, come quella di Magritte, sono poi chiaramente scaturite dal conflitto fra una minoranza ribelle alla massificazione e certe impronte costrittive, superburocratiche e supertecnologiche della società attuale. Altre volte invece anche la pittura è direttamente condizionata da una pressione autoritaria, che le impone una monotematicità osannante in ossequio a determinati temi ideologici. Fenomeni di questo tipo si sono verificati sotto l'egida di alcune dittature del passato e di regimi oppressivi purtroppo ancora in atto in una larga parte del mondo. Gli scopi intenzionali dell'arte dittatoriale non sono mai protesi verso la sollecitazione dello stile depressivo: cercano anzi d'incrementare un entusiasmo acritico, di spingere la popolazione, mediante forme estetiche molto semplici, sulla via di un'obbedienza fanatica. Ne risulta però un appiattimento collettivo delle immagini e ciò finisce per produrre risultati paradossali: la monotonia, la ripetitività, la censura delle libere espressioni creative, infatti, plagiano depressivamente gli individui più evoluti e inventivi, destando in essi l'angoscia, un senso di limitazione e d'impotenza che genera l'apatia e l'isolamento affettivo. Osserviamo, a questo proposito, gli stereòtipi del così detto "realismo socialista". In esso prevalgono due tematiche. La prima è l'esaltazione del lavoro d'assalto o della lotta armata in favore degli ideali collettivistici, i cui protagonisti figurativi sono uomini e donne dal piglio atletico ed efficiente, dallo sguardo fanatico o deciso, che possono vivere altre emozioni (a volte sono rappresentati l'amore o la maternità) solo in linea subordinata all'impegno sociale. E possibile che ciò, per i cittadini integrati in modo acritico nel sistema, abbia valore di conferma gratificante. Chi nutra in sé almeno delle potenzialità anticonformiste, sul piano dell'affettività, dell'intelligenza o anche solo dell'edonismo, ne riporta però un'impressione d'inesorabilità glaciale, di condanna senza speranza alla uniformità, sicu48

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ra fonte di depressione. Il secondo filone del realismo socialista svolge un'azione di propaganda distruttiva verso le forme tradizionali di convivenza civile ed elabora quindi con emotività didascalica i temi della fame, della repressione dei moti rivoluzionari, del lavoro degradante al servizio del capitalismo. Queste immagini si propongono un effetto euforizzante e rassicurante per chi vive sotto i regimi neomarxisti. Perseguono invece d'intenzione lo scopo di provocare reazioni depressive o d'insofferenza rabbiosa nei cittadini del resto del mondo, lungo la linea di una guerra ideologica, condotta per la verità con efficacia contagiante, anche per l'adesione sempre più vasta da parte degli artisti dei Paesi liberi.

Lo stile depressivo nel cinema

Il film rappresenta oggi la via di comunicazione artistica che racchiude in sé le più intense capacità di plagio. Mentre infatti la letteratura e la pittura, che abbiamo prima esaminato, raggiungono l'attenzione di una percentuale ridotta della popolazione, il cinema offre a quasi tutti i cittadini il suo linguaggio e i suoi contenuti, ora portati in ogni casa anche dalla televisione. La creatività cinematografica scandisce con maggior forza d'urto i temi depressivi già analizzati. Essa raffigura, con l'aiuto convincente del movimento, tutta la gamma delle sofferenze umane legate a particolari situazioni individuali e sin qui conserva dei limiti di contagio, aggredendo solo chi, per il suo vissuto, sia spinto a identificarsi con i protagonisti. Assai più grave è l'azione distruttiva di alcune recenti tendenze della cinematografia, che sembrano voler dimostrare l'impossibilità per l'uomo di oggi (o di sempre?) di comunicare affettivamente con i suoi simili, dissacrando ciò che ieri era stato esaltato forse con un eccesso di retorica. Il fenomeno prende corpo a diversi livelli 49

PARENTI - PAGANI

di qualità, sia nei film d'arte che in quelli di consumo, con abilissime e variabili scelte di stile, centrate sulla recettività delle differenti categorie di spettatori. Cominciamo ad analizzare l'operazione di plagio nella tematica sessuale, una delle più prorompenti. La nostra non è una critica moralistica: non siamo contrari alla libera rappresentazione del corpo e di atti erotici sostenuti dalla compartecipazione emotiva, insomma di immagini gratificanti senza lesività. Pensiamo che persino il problema omosessuale possa essere affrontato con una levità esente da traumi, come è stato fatto da pochi registi di classe. Sta esplodendo però nel cinema una sessualità "cattiva" o ripugnante di ben altro significato. In queste immagini, la gratificazione nasce dal fatto di ledere il partner o di gustare situazioni sordide per obiettività, non per convenzione. Nel tessuto del film, anche al di fuori dell'atto erotico che ne costituisce il culmine, i rapporti umani sono impietosi, diffidenti, ironici, senza speranza. Ne scaturisce ovviamente la depressione, poiché si cancella così dall'erotismo quello scambio fondato sul dare e ricevere stimoli graditi, possibile come evento momentaneo anche senza una stabilizzazione affettiva. La lotta fra individui appare dunque inesorabile per l'uomo. Diversi anni fa avevamo avvertito, in modo estremamente evidente, la concezione negativa della sessualità in un film di Pier Paolo Pasolini: I racconti di Canterbury. In esso, la crudeltà sembra un presupposto obbligato dell'erotismo, si dipana nei sentieri inventivi di scherzi permeati di sadismo, fondati sul piacere che nasce dall'osservare l'umiliazione altrui. L'apparenza e la gestualità disgustose di alcuni personaggi non servono a inquadrare con solidarietà affettiva una certa tipologia umana, ma si propongono chiaramente di trasmettere allo spettatore il gusto perverso che nasce dalla degradazione. Un successivo film dello stesso Autore, che elabora una storia di torture negli ultimi giorni della repubblica di Salò, si nasconde dietro il paravento fittizio

50

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

di una denuncia, ma lascia intravedere al di là del falso scopo come il regista si compiaccia, ad esempio, nel vedere alcuni ragazzi e ragazze costretti al ruolo di animali e piegati alle voglie sadiche degli aguzzini. La perfezione estetica delle scene, anziché nobilitare l'assunto, lo rende più incisivo e contagioso. La convinzione che l'uomo sia una belva e che l'erotismo sia una sua espressione non può che rimanere come traccia depressiva nei settori del pubblico più sensibili. Vediamo oggi nel film Nove settimane e mezzo i temi della sessualità sado-masochistica elaborati in un modo più assurdo e quasi surreale. La pellicola dipana la storia di una breve relazione fra un uomo e una donna che sembrerebbero collocarsi nel sofisticato mondo "yuppie". I due si incontrano per caso e con estrema rapidità lui fa di lei una schiava erotica. C'è meno crudezza e meno volgarità, qui, rispetto al film di Pasolini. Nelle torture manca il sangue e non si avverte neppure l'enfasi popolare o militaresca che avevamo sottolineato. Sul corpo della donna scorrono ghiaccio e miele, non fruste o lame di coltello. La soggezione femminile è più totale, perché partecipe. E poi diventano erotismo anche azioni che con il sesso non sembrano aver nulla a che vedere. Come quando la protagonista raccoglie con la bocca dei dollari sparsi per terra. O quando, a occhi bendati, è stimolata e frustrata in veloci successioni con la tentazione del cibo. I corpi degli attori - s'intuisce - sanno di dopobarba e di deodorante, anche nel corso delle scene più perverse. Nove settimane e mezzo è un film americano, ma noi vorremmo rapportarlo alla nostra cultura. Cercheremo di analizzare le reazioni del pubblico italiano alla diffusione televisiva dello spettacolo. L'indice di ascolto è stato altissimo e ha falcidiato gli altri canali. Il giorno seguente tutti parlavano di quel programma e quasi sempre molto male: secondo il livello di cultura, con scandalo o con irrisione. Eppure, la sera prima avevano trascurato altre amatissime 51

PARENTI - PAGANI

trasmissioni. Come si spiega tutto questo? In modo ripartito, secondo le categorie. Pensiamo che molti uomini abbiano vissuto una rivalsa contro i nuovi ruoli della donna e che le donne, con sottili ambivalenze, abbiano interiormente agitato bandiere di protesta, ma anche provato qualche inconfessata nostalgia, subito respinta nelle scene finali, mentre la protagonista si ribellava alla schiavitù. Gli schemi della dissocialità e della violenza sono stati modificati in modo assai pericoloso in alcuni settori della recente cinematografia. La violenza filmica del passato o si vestiva con i panni antichi dell'eroismo, sterilizzandosi, o si configurava come "atto cattivo" e perciò meritevole di punizione a tutela dei cittadini indifesi. Oggi invece la distruttività umana è presentata come fatto scontato e inevitabile, spogliato di ogni retorica e quindi di ogni nobilitazione e oltre tutto liberato dalle prospettive di castigo che concludevano un po' ingenuamente le pellicole di un tempo. Non resta allo spettatore psicologicamente debole e poco autonomo, che identificarsi in modo frustrato con le potenziali vittime o in modo perverso con i distruttori. L'una e l'altra soluzione immaginativa delineano come impossibile la positiva compartecipazione emozionale fra individuo e individuo, che suona a garanzia sociale contro la depressione. Molto più tenue, allusivo, rallegrato dalla vis comica è il miniplagio depressivo dei film brillanti all'italiana. Le storie che vi compaiono, spesso narrate con vera maestria, dispongono sul telone una tipologia umana, la cui sopravvivenza è legata di necessità alla truffa o all'imbroglio e altre figurine patetiche perpetuamente vittime o dei protagonisti della prima categoria o di un potere vessatorio e insensibile, contro cui sono inutili tutti gli appelli. Anche qui il lato impietoso dell'operazione si nasconde dietro la denuncia e non manca per la verità di motivazioni obbiettive: in effetti il costume italiano scandisce tale fenomenologia. La ricostruzione dell'ambiente è però parziale e poco 52

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

attendibile, anche se accattivante. Non mancano infatti nelle nostre città e nei nostri paesi, travolti dalla decadenza civile, esempi antitetici di solidarietà interpersonale, di amore, di comprensione, che qui sono del tutto taciuti. L'effetto dei film del filone comico-dissacratorio è quindi ancora quello di togliere la speranza e di avviare allo stile depressivo.

Lo stile depressivo nell'architettura e nell'urbanistica

Gli edifici in cui l'uomo vive, studia, lavora e sviluppa le sue relazioni pubbliche, attraverso la loro impronta estetica, le loro dimensioni, la loro disposizione nello spazio, hanno in genere caratteristiche condizionate da particolari significati e finalità e, a loro volta, condizionano emotivamente chi li occupa in armonia con gli scopi per cui sono stati costruiti o rivelando invece potenzialità assai diverse e persino contrastanti. Anche oggi, come sempre, le tendenze ufficiali dell'architettura come arte riescono a prendere corpo solo in alcune costruzioni pubbliche e in poche private, sorrette da impegnativi stanziamenti economici e dirette più verso l'edonismo estetico che verso l'utilità. Le abitazioni che formano il tessuto più esteso delle città seguono più largamente esigenze pragmatiche anche casuali, ma sono entro certi limiti ugualmente influenzate dal gusto architettonico generale dell'epoca, cui si adeguano di solito con soluzioni peggiorative. Le matrici psicologiche e sociali dell'architettura odierna attingono alla linfa della tecnocrazia, della pianificazione intenzionalmente razionale e quindi producono una semplificazione delle forme, che rifiuta ogni ornamento, e uno sfruttamento integrale dello spazio al servizio di precise finalità. E nata così l'architettura organica funzionalista, che sviluppa il concetto di "edificio come macchina". Anche se la genialità inventiva di alcuni progettisti ha tradi53

PARENTI - PAGANI

to sporadicamente la freddezza dell'ispirazione obbligata generando creazioni quasi inconsapevolmente arricchite dalla poesia o dal misticismo, l'incidenza statistica ha privilegiato purtroppo l'orientamento impietoso e disumano dei principi base. E significativo che la crudeltà del plagio architettonico si sia incrementata contemporaneamente nei due opposti sistemi economico-politici che si stanno fronteggiando. L'uno infatti ha sacrificato il calore dell'habitat umano in ossequio al mito della produttività economica, mentre l'altro lo ha immolato sull'altare della massificazione fanatica. Emblematica è l'analogia di molte soluzioni costruttive che si osservano nei due settori del mondo. In sintesi, dobbiamo constatare che gran parte degli uomini nel nostro tempo, appunto, abita, studia, lavora e sviluppa le sue relazioni pubbliche nel contesto di edifici non creati per l'individuo e per i suoi affetti, ma per gli ingranaggi di un gigantesco macchinario. Che ciò favorisca una depressione legata alla carenza di stimoli per la comunicazione emotiva è tanto ovvio da non richiedere spiegazioni di dettaglio. La negatività della situazione è stata per la verità rilevata sul piano teorico e inserita in quel movimento critico ecologico che cerca di dare nuovo spazio alla spontaneità della natura. La tematica è stata adottata, come spunto di propaganda, anche dai politici, che si limitano però a trarne fermenti per una polemica puramente verbale. Fra le poche realizzazioni pratiche che seguono questa ispirazione, ricorderemo alcune scuole materne "ecologiche", sorte negli ultimi tempi: costruzioni basse, luminose, circondate da un po' di verde, in cui si sviluppa genuinamente il gioco. Le paragoniamo d'istinto agli edifici burocratici e glaciali di certi istituti medio-superiori.

54

CAPITOLO TERZO

Storia e geografia politica dell'ambiente depressivo Che la cultura possa esercitare sull'uomo un plagio depressivo è già apparso dall'analisi di alcuni filoni della letteratura, della filosofia e dell'arte. L'influenza depressiva dell'ambiente scaturisce però anche da molti altri fattori. Alcuni derivano dalla stessa natura e dal clima: il freddo, la monotonia dei luoghi, la carenza di luce, ad esempio, tendono ad abbassare il tono emotivo, così come la mancanza delle risorse essenziali per la sopravvivenza. La popolazione umana, comunque, è capace in molti casi di rivitalizzarli con la sua creatività, sino a trasformarli completamente. Assai più grave è l'effetto negativo di alcune degenerazioni del costume, che segnano un processo involutivo degli stessi uomini, scandendo temi incombenti di pericolo, diffidenza, oppressione, rassegnazione fatalista, esaurimento per stanchezza dei desideri fondamentali, persino in condizioni di prosperità. Poiché la nostra inchiesta ha per obiettivo l'ambiente attuale, prima di affrontarlo, comparandone i vari settori, ci limiteremo a trarre dalla storia pochissime radici esemplificative di civiltà gravide di fermenti depressivi, valide come termine di confronto con la società contemporanea.

55

PARENTI - PAGANI

Qualche esempio dalla storia

Inizieremo con l'analisi parallela di due civiltà dell'antico oriente, nella convinzione che esse siano state in parte matrice anche del divenire dell'occidente: l'Egitto e l'India. La società e la cultura dell'Egitto faraonico furono impostate sul tema preminente del culto dei morti. Eppure, in apparente contrasto, ci sembrano pervase da fermenti vitali, sempre agganciati alla gratificazione dei sensi e assai poco contaminati dallo stile depressivo. Dedicare l'esistenza all'impegno di conservare il proprio cadavere, assicurandogli il massimo d'integrità fisica, predisponendogli una dimora accogliente, circondandolo di oggetti capaci di gratificare i sensi, in vista di una sua rinascita, è una forma caparbia di rifiuto della morte intesa come fine del piacere, un'illusione tenace diretta a perpetuare la fiducia appunto nella continuazione del piacere. La magia su cui si basò il costume dell'antico Egitto nei periodi più maturi fu sempre un'arte pragmatica, con l'obiettivo di allontanare il dolore, la sofferenza, la malattia, ogni ostacolo alla felicità contingente. Raffinate discipline solo in apparenza futili, come la cosmetica, furono coltivate dagli egizi proprio per caratterizzare l'esperienza esistenziale quotidiana con il massimo di gratificazioni percettive. Che il culto egizio della morte non fosse rinuncia alla vita è provato anche dal grande sviluppo che ebbe in quella civiltà la medicina pratica, preoccupata non tanto di teorizzare quanto di porre rimedio concretamente ai mali dell'uomo, frenando la sua corruzione fisica ed esaltando la sua efficienza. Osserviamo, in negativo, un'altra grande civiltà dell'antico oriente, quella indiana. Non a caso essa fu matrice di un pensiero filosofico-religioso assai evoluto e ancora oggi pregnante, ma tutto proteso verso la liberazione dello spirito dalle catene del corpo. Ciò implica una svalutazione rassegnata della felicità sensoriale contingente, uno scettico 56

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

abbandono delle gratificazioni legate alla realtà, un rifugio nell'ascesi, astensionista sul piano dell'azione e quindi con implicazioni depressive. La scarsa confidenza degli antichissimi abitanti dell'India nelle potenzialità autonome dell'uomo prese corpo, come attestano i remoti testi vedici, nella ricerca di droghe quale sostegno: si pensi al "Som a " , la pianta-divinità che risale alla preistoria, dotata di proprietà inebrianti per gli uomini e persino per gli dei. La dottrina indiana della metempsicosi, basata sulla trasmigrazione delle anime in una serie di corpi viventi, può apparire negatrice della morte come quella egizia, ma è invece tutta spirituale, rarefatta, demitizzante e piena di disprezzo nei confronti dei piaceri esistenziali. Il divario con la mentalità occidentale è molto chiaro sul terreno dello yoga, di cui l'occidente ha privilegiato le tecniche corporee, svuotandole del loro significato di preparazione all'ascesi. Solo oggi l'Europa e l'America del Nord si aprono, specie nei loro settori umani più disadattati, verso il misticismo non volitivo dell'estremo oriente. Questo fenomeno, ancora una volta, si accompagna spesso all'uso di droghe, segnando la sconfitta dell'uomo, il suo ripiegamento abulico di fronte alle prospettive concrete immaginabili. La storia d'Europa offre un esempio a noi più vicino, documentando il passaggio da una cultura sanguigna, a tratti edonistica ed estetizzante e a tratti pragmatica nella crudeltà ma sempre assetata di fermenti vitali, a una successiva cultura notturna e cupa nei suoi simbolismi, tanto rigida e astensionista in certe sue fasi da caratterizzarsi in senso depressivo. La civiltà greca, dopo i suoi primordi ancora legati a influenze orientali, elaborò in Atene propri schemi improntati al culto dell'armonia percettiva e della linearità civile e scientifica. Essa fu quanto di più antidepressivo si ricordi nel corso dei tempi. Le colonne ben spaziate dei suoi templi, con lo sfondo di un cielo euforizzante, ebbero luce di giorno e segnarono uno stile, avviando i popoli a gu57

PARENTI - PAGANI

stare piaceri evoluti. I suoi dei furono tanto legati alla sensorialità dell'uomo comune, da condividerne i piccoli, patetici difetti esistenziali. Essa si basò largamente sull'arte del comunicare (si pensi alla retorica), negatrice per assunto della depressione. Altrettanto poco depressiva, anche se profondamente diversa all'origine, fu la civiltà romana. Essa coltivò la legge, divenendone maestra, e quindi mostrò la fiducia in convenzioni che presumono la vita, poiché con la morte esse perdono consistenza e realtà. Perfezionò un'arte della guerra certo immorale, ma tutta protesa verso il piacere del dominio e il suo esercizio esibizionista anche nell'esteriorità. Si contaminò poi con l'eredità greca, perdendo parte del suo vigore, ma acquistando in evoluzione. La stessa decadenza dell'era greco-romana, sul defluire dell'impero, ebbe toni edonistici e corrotti, feroci ma sempre legati al piacere. Il cristianesimo originario, che la pervase prima delle invasioni barbariche, non ebbe alcun tono depressivo. Anche se polemico verso l'edonismo, lo sostituì con l'amore e con una fratellanza patriarcale, simboli di vita e di fiducia. Il passaggio ai toni ombrosi del Medioevo fu condizionato, come vedremo, da un intervento esterno, scaturito da un'assai differente cultura. I mutamenti indotti nella nostra vita collettiva dalle invasioni barbariche possono essere compresi, nel loro drastico significato psicologico, attingendo alle tradizioni dei Celti, radicate in Francia (dove furono per la verità schiarite dalla romanità), in Britannia, in Irlanda, in Belgio, nella Germania occidentale e persino nella Spagna del Nord. Queste popolazioni furono influenzate dal grigiore dei luoghi e dal dominio, ad essi congeniale, della casta sacerdotale druidica. Il druidismo fu qualcosa di più di un culto e di una religione. Esso giunse a improntare, mediante la pressione ferrea degli iniziati, molti e complessi aspetti dell'esistenza, certo garantita in parte dalla sapienza embrionale dei sacerdoti, ma continuamente minacciata dall'incombenza tetra che essi irradiavano. Le pietre semplici 58

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

e allusive dei dolmen, che si stagliavano su cieli quasi sempre filtrati dalle nubi, erano così contrapposte al terso simbolismo dei templi greci e delle morbide colline su cui questi sorgevano, da visualizzare il potenziale depressivo di tutta una cultura. Fra i Cimbri del Galles si celebrava, la notte del primo novembre, un orrendo e sanguinoso rito, basato sulla distruzione e sulla successiva ricostruzione, da parte delle sacerdotesse, del tetto di un tempio. Se una delle druidesse lasciava cadere parte del materiale trasportato, le compagne si gettavano su di lei, in preda a furore mistico, facendola a brandelli. Vi è qui tanto incisivo il concetto di punizione inesorabile connesso alla religiosità, da far comprendere la revisione depressiva che i nordici impressero al cristianesimo, appena attecchito nel Sud e da loro adottato solo in apparenza, ma poi inserito nel perpetuarsi di abitudini antiche. L'isolamento della vita monastica, il divampare segreto della caccia alle streghe, il senso autoprotetto delle microcomunità feudali e altro ancora nel costume del Medioevo ebbero sentore druidico, non privo di fascino occulto, ma generatore di furtività, di toni spenti, insomma di stile depressivo.

L'autodistruzione al culmine del progresso sociale

Ci imbarchiamo in un porto scandinavo per un breve viaggio marittimo, di sole cinque ore. La nave è piccola, pulitissima, confortevole. Assieme a noi salgono a bordo, gradualmente, due o trecento persone. L'apparente atmosfera iniziale è quella di una gita festiva, ma senza l'impronta dopolavoristica clamorosa di quelle italiane o tedesche. Il pubblico è molto vario e dà un'impressione di civiltà che ci riempie d'ammirazione: nel solito stile italiano siamo portati a fare confronti un po' autodenigratori. La curiosità del viaggiatore e il condizionamento psicolo59

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

gico ci spingono a attente e indiscrete osservazioni umane. Siamo attratti da una coppia di adolescenti. Il ragazzo e la ragazza sono biondi, diafani e belli, molto molto nordici. Stanno abbracciati a poppa a guardare la partenza. Offrono un'immagine accattivante di fuga sentimentalsessuale. Un folto gruppo di uomini sulla trentina sembra accomunare diverse individualità in qualcosa di standardizzato, forse il lavoro. Notiamo anche degli anziani di entrambi i sessi, non accoppiati, coloriti da un vestire un po' esibizionista che stupirebbe nel nostro Paese e che sembra sfidare l'età. Al bar scambiamo qualche parola con un signore distinto, vestito di blu scuro, assai più formalista degli altri. Di sua iniziativa allaccia con noi una conversazione di maniera, superficiale e cortese. Il suo ragionare sul clima, quel giorno eccezionalmente temperato, lo caratterizza quasi con una stigmata anglosassone, sebbene sia del luogo. Lungo il proseguire della navigazione, il mutamento del quadro è subdolo ma incalzante. Da principio sfiora appena la nostra consapevolezza, poi la incide sempre più a fondo. La nave è straordinariamente ricca di tavolini e banchi di mescita, come se fosse un grande caffè. Le passeggiate e i ponti sono quasi deserti, il pubblico affolla le sale interne, si siede ai tavoli e ordina da bere. Ciò sembra contraddire la passione tutta scandinava per il sole. Notiamo che la gente ordina quasi esclusivamente superalcoolici e ripete le ordinazioni una dopo l'altra con un "crescendo" da sinfonia. Sul tempo gli occhi si appannano, le teste si reclinano, le conversazioni si spengono. Il signore in blu, che nel frattempo ha dimostrato un'ottima cultura, un po' imbarazzato chiede scusa e si allontana. Va a sorbirsi il suo liquore e poi i suoi liquori in un tavolo appartato. Imbarazzati anche noi, facciamo quattro passi per la nave. Scorgiamo quasi subito i due giovanissimi innamorati, che ci erano parsi alla Peynet. Sono addormentati, sbronzi, con la testa sul tavolino. L'impressione di silenzio, con un 60

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sentore d'incubo, s'intensifica. La nave rigurgita di corpi abbandonati, riversi, mossi appena da un respiro innaturale, nel quale l'alcool spegne l'autocoscienza. Non avevamo mai osservato questa maniera di ubriacarsi assieme, ma senza comunicare. L'ebbrezza alcoolica collettiva ha in genere tonalità festose, puerili, importune, talvolta violente. La silenziosità triste non le è abitudine congeniale, caratterizza piuttosto la sbronza solitaria dell'infelice, lontana dalla folla. Un membro dell'equipaggio ci vede stupiti e ci spiega tutto. A terra, le bevande alcooliche sono gravate da imposte assai pesanti, stabilite d'intenzione per contenere il vizio. Sulla nave invece, fuori dalle acque territoriali, gli alcoolici sono venduti a prezzo accessibile. Di qui l'afflusso di tanta gente che non sbarca neppure al porto d'arrivo, ma ritorna a quello di partenza, in condizioni tali da dover essere spesso ricoverata. Nello stesso Paese, facciamo un giro turistico organizzato in una delle maggiori città. La nostra guida è una giovane signora di origine italiana, che ha sposato un insegnante nativo del luogo. Notiamo subito che ha un'espressione turbata, malinconica, che sembra sforzarsi a parlare. Durante una breve sosta la vediamo appartarsi e piangere in silenzio. Ci avviciniamo a lei, rompendo il pudore, e le offriamo la nostra solidarietà. Ci ringrazia e si lascia andare. «Scusatemi... non avrei dovuto. Può sembrare assurdo, ma piango perché mio marito ha avuto una promozione che non può rifiutare e un aumento di stipendio. Per voi sarà difficile crederlo, ma così, per via del fisco e del cumulo dei redditi, incontreremo dei grossi problemi economici. Dovrò rinunciare al mio lavoro, che sarebbe del tutto improduttivo perché assorbito dalle tasse. D'altra parte il solo stipendio di mio marito, aumentato di ben poco, non ci consentirà di mantenere gli impegni che abbiamo preso di recente... Scusatemi ancora». 61

PARENTI - PAGANI

Un terzo, piccolo flash perfeziona l'immagine psicologica del costume locale. Facciamo amicizia con un operaio italiano immigrato e parliamo a lungo con lui. Lavora a un certo livello come specialista in un settore dell'ottica. Vive in una casa più che dignitosa di proprietà della moglie, profuga da un Paese nordico ora sotto il dominio sovietico. Ma non è contento. Racconta i lunghi pomeriggi invernali che sanno di notte, con i negozi che chiudono prestissimo e la gente perbene che rincasa a leggere (per strada rimangono solo gli ubriachi). Frequenta la famiglia di un pastore protestante e alcuni connazionali, isolati come lui. Il discorso cade e si allarga sull'incapacità dei suoi amici italiani di adattarsi all'ambiente. Fa delle osservazioni molto acute su un fenomeno che ci interessa. E psicologo e sociologo senza saperlo. «Quando sono arrivato qui, sapevo già che c'erano molti suicidi nel Paese. Ero convinto che fosse una specie di malattia ereditaria di questi popoli. Mi dicevo: loro sono freddi, chiusi, bevono molto e parlano poco. Non sanno gustare la vita. A noi non capiterebbe mai, abbiamo il sangue caldo e siamo allegri, per questo le donne del posto ci cercano sempre. Ma poi è successo qualcosa che mi ha fatto cambiare idea. Anche tre italiani che conosco hanno tentato di uccidersi, forse non hanno sopportato il clima, il buio, la gente, le abitudini. Allora non è l'eredità, è qualcos'altro che c'è qui a fare questo effetto. Anch'io rimango per mia moglie e per la casa, altrimenti andrei in Germania, dove pagano di più e dove la vita è più divertente». Il nostro interlocutore si è dimostrato inconsapevolmente ambientalista, come noi. Ha compreso insomma, per intuizione, che il tono emotivo dell'individuo può essere drasticamente influenzato dalle caratteristiche dei luoghi e del clima, dal costume della collettività in cui l'uomo vive, dallo stile affettivo delle persone con cui ha rapporto. Le nostre osservazioni sulla nuova società nordica sono maturate soprattutto in Svezia e in Norvegia (in Danimar62

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ca abbiamo avvertito toni espressivi più clamorosi, nella gioia o nell'aggressività, e non conosciamo la Finlandia). Diciamo subito che nutriamo una viva ammirazione per alcuni aspetti di quelle civiltà, che sono riuscite a pianificare con efficienza senza ledere troppo la libertà del singolo. Ma, sul piano psicologico, abbiamo dovuto prendere atto che in esse stanno germogliando, in parallelo all'evoluzione, cospicui fermenti depressivi. Il fenomeno non colpisce certo strati molto larghi della popolazione, in prevalenza capace di vivere socialmente con armonia e con rispetto reciproco, ma si localizza su settori umani per varie ragioni più disponibili a compensazioni depressive, con un'incidenza però senz'altro più sensibile rispetto ad altri Paesi europei. Su questa base cercheremo di analizzare il processo storico che, a nostro parere, ha generato il quadro attuale. La mitologia e le più antiche tradizioni scandinave ci offrono l'immagine di un popolo capace di compensare l'impietosità del clima e la durezza, peraltro affascinante, della natura, mediante ipotesi fantastiche ricche di creatività e di poesia e mediante il culto epico del coraggio e dell'avventura, il che implica un atteggiamento intellettuale ed emotivo che contraddice la depressione. Il fatto che i Vichinghi siano stati grandi navigatori, protesi alla scoperta del mondo, conferma istanze antidepressive di curiosità, di ricerca del nuovo. Anche il primo impatto con la civiltà tecnologica ha mantenuto negli scandinavi tracce vitali degli antichi fermenti: si pensi agli esploratori polari dell'inizio del secolo e al collaudo ginnico e sportivo dell'uomo con la natura invernale, inteso, nelle tradizioni locali, come genuino piacere percettivo. Un'opinione che è divenuta un luogo comune e che non ci persuade affatto attribuisce l'impronta depressiva della Scandinavia odierna a una saturazione dei desideri dell'uomo comune, che sarebbero interamente appagati dallo Stato assistenziale. Quei popoli hanno tutto, si afferma insom63

PARENTI - PAGANI

ma con un giudizio semplicistico formulato a distanza, e quindi non hanno più nulla da desiderare. Un'analisi condotta in luogo ci ha portato a ben diverse conclusioni. A nostro parere, infatti, le socialdemocrazie nordiche non hanno evaso i bisogni più intimi, ma li hanno concretizzati e standardizzati, sterilizzandoli del loro sottofondo di fantasia e inserendoli in una lucida macchina burocratica. Il perfezionismo organizzativo ha positivamente liberato il singolo dalla lotta per le necessità essenziali. Esso ha però tracciato per il cittadino binari obbligati, capaci di condurlo a una sessualità disinibita, ma un po' meccanicistica e priva di mordente; a un lavoro retribuito in giusta misura, con scelte di carriera già ben codificate e quindi alquanto carenti d'imprevisto; a una sicurezza esistenziale di stile materialista, fondata su moduli da compilare e sul corrispettivo di un prezzo tributario piuttosto pesante, accessibile con sacrifici ragionevoli, ma limitatore di quelle iniziative avventate, ansiogene e suggestive, di cui l'uomo ha talora bisogno. Tale impeccabile operazione non è stata neppure sostenuta dall'azzardo pionieristico che si è prospettato altrove, poiché in linea di massima le nazioni scandinave avevano già raggiunto traguardi economici rassicuranti. Si può comprendere dunque che delle popolazioni con ascendenti d'avventura e con un'antica sete di surreale comincino a coltivare in sé germi di dissenso individuale non ben chiariti, resi inattuabili dall'organizzazione e perciò destinati marginalmente a defluire in una fuga distruttiva dalla realtà.

Vitalità e rassegnazione: un confronto etnologico

Ci alziamo all'alba in una caotica città del Centro America, dopo una notte resa agitata dalla perplessità schizzinosa del condizionamento civile. Abbiamo dormito in un albergo di dubbia collocazione e non abbiamo retto al lun64

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

go trascorrere delle ore. Vagabondiamo per le vie deserte del centro e poi sconfiniamo in un quartiere che da principio ci incuriosisce e infine ci sconcerta. Vi si ammassano vecchissime case di legno, corrose, scure, che sembrano reggersi appena. Fra l'una e l'altra vi sono pertugi irregolari, non vere strade. Non è una bidonville, è qualcosa di più antico e terribile, che lascia trapelare la consunzione di una dignità perduta. Assorbiamo dal luogo un'impressione di scoraggiamento, tetra e sicuramente depressiva. Assieme allo schiarirsi mattutino del cielo, il quartiere si risveglia di colpo e si trasfigura, disegnando un quadro dinamico inaspettato. Le finestre si aprono l'una dopo l'altra e lasciano scorgere un fervore di preparativi. La popolazione delle case è tutta negra, vivacissima. Vediamo e ascoltiamo gente che si veste, chiacchiera, canta, grida. All'aperto, di fianco a un'abitazione, una madre giovanissima lava una bambina in una tinozza di legno e ci sorride. Con progressione incalzante, dalle porte sconnesse escono frotte di negretti e negrette, tutti con un grembiulino arancione e una cartella uguale, di cartone, fra le mani. I maschi hanno il capo rasato o i capelli cortissimi, le femmine dei curiosissimi bigodini colorati che fanno commedia musicale. L'identità del vestiario non riesce a pianificarli: ognuno è diverso dagli altri e prorompente nel comunicare propri contenuti emotivi. Rallegrano anche noi rapidamente, mentre li osserviamo correre in piccoli gruppi verso la scuola. Un poco più tardi escono gli adulti, diretti al lavoro: le donne con vestiti stampati appariscenti, gli uomini con camicie bianchissime, dinoccolati e pronti al sorriso. Lo spirito vitale delle entità umane, dunque, ha sconfitto in fretta la depressione del luogo. Ne prendiamo atto. Un'altra città del Centro America, nel pieno del traffico pomeridiano. Le strade sono gonfie di un'umanità composita, distribuita o intrecciata in razze diverse, commistioni, sfumature di ogni genere. Notiamo, agli angoli dei marciapiedi, il ricorrere di una figura femminile stereotipa, im65

PARENTI - PAGANI

mutabile, come prodotta in serie. E proprio il fatto che queste donne siano tutte uguali, copie di un medesimo modello, a richiamare la nostra attenzione. Hanno un corpo pingue, accovacciato sull'asfalto, e un viso dalla mimica inespressiva, con gli occhi obliqui che sembrano fissare il vuoto. Davanti a loro, esposti alla meglio sopra un foglio di carta, stanno pochi dolci appiccicosi, che presumiamo in vendita, sebbene le presunte venditrici non lo diano a vedere in alcun modo: non gridano, non parlano, non reclamizzano la merce, se ne stanno lì ferme e silenziose. Accanto alle donne, di tipica razza india, c'è sempre un'enorme scatola di cartone. Al terzo o al quarto incontro la curiosità ci spinge a guardare nello scatolone. Ciò che vediamo è incredibile: nel contenitore sono sistemati dei bambini, anch'essi silenziosi, sporchi e immobili. Abbiamo di nuovo occasione di osservare questo modo depressivo di far commercio in altri Paesi abitati da indios centroamericani. Un mercato coperto, in particolare, ci colpisce per la sua oscurità e per l'assenza del clamore che avrebbe dovuto risuonare in così poco spazio. Nello stesso luogo ci rendiamo conto di quanto incidano sui frequentatori le persone affette da malformazioni fisiche di ogni genere: vediamo in gran numero gobbi, sciancati, paralitici. Abbiamo insomma l'impressione di una razza in decadenza organica e psichica, carente di entusiasmo, di vivacità, e chiusa alle comunicazioni espressive. Per intuizione l'apparenza ieratica di questa gente non ci sembra assimilabile a quella degli indiani d'Asia, che mostra il suo abbeverarsi alla ricerca ascetica. Qui si scorge piuttosto un ripiegamento rassegnato, senza fiducia in un futuro neppure trascendente. La vitalità dei negri e la depressione degli indios che abbiamo presentato non sono certo generalizzabili: anche a noi è capitato di osservare manifestazioni opposte in entrambe le razze. I fenomeni comunque sussistono, se pure localmente, con incidenze reali. La nostra formazione 66

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

adleriana (quanto di meno razzista si possa proporre) ci porta ad escludere nell'interpretazione ogni ipotesi biologica di predestinazione etnica. A nostro parere sono stati gli stimoli ambientali a produrre rispettivamente l'ansia di sopravvivere e la degenerazione fisiopsichica. Cercheremo di ricostruire storicamente i processi. Gli eventi più lontani dei popoli d'Africa e d'America, ricostruiti dalle ricerche archeologiche e dai diari d'esplorazione, offrono dati antropologici tanto diversi dalla situazione attuale, da consentirci di attribuire il quadro che oggi si può osservare soprattutto al condizionamento imposto da parte dei conquistatori bianchi. Uno studio degli ultimi secoli di storia illumina, infatti, senza ambiguità lo sviluppo civile dei due gruppi etnici, consentendone una interpretazione comparata. I colonizzatori mantennero a lungo diffidenza e ostilità timorosa verso gli autoctoni americani e verso le loro tradizioni, tanto da rifiutarne in parte persino l'utilizzazione come forza di lavoro. A queste popolazioni fu consentita una limitata sopravvivenza inattiva in ristrette aree territoriali. Gli invasori, inoltre, favorirono in ogni modo l'uso di droghe e di bevande alcooliche, per garantirsi contro eventuali rinascite bellicose di popolazioni che erano riusciti a sconfiggere grazie a una superiorità tecnologica e organizzativa. Proprio per tale ragione essi importarono degli schiavi africani, che furono costretti a mantenere in condizioni di efficienza fisica, se pure umiliati, per potersene servire. Il lento progredire dell'emancipazione civile trova dunque oggi, in media, questi ultimi in condizioni di maggiore vitalità rispetto agli indigeni americani. Il fatto che i bianchi d'occidente, dopo avere usato le tossicomanie come arma distruttiva di conquista, le lascino ora dilagare con rassegnazione nei loro figli ha risonanze agghiaccianti di ritorsione storica.

67

PARENTI - PAGANI

La depressione degli sconfitti

Sbarchiamo di primissimo mattino in un'isola greca, la cui dignità naturale è stata in apparenza vivacizzata, in realtà appiattita dal consumismo turistico. Dormono tutti a quell'ora, le vie della cittadina portuale sono vuote e silenziose. Dopo una curva a gomito, stretta fra le case in riva al mare, ci troviamo improvvisamente di fronte una spiaggetta appartata ma non deserta, anzi gremita di corpi immobili. Scendiamo sulla rena grigiastra per osservare da vicino. L'atmosfera mattutina è gelida, malgrado la stagione estiva. Moltissimi giovani, forse un centinaio, sono coricati nella sabbia, avvolti nei sacchi a pelo o riparati alla meglio da qualche coperta. E chiaro che non sono greci: i loro visi offrono variazioni cosmopolite con prevalenza della tipologia anglosassone o nordamericana. Si svegliano uno alla volta e tremano per il freddo, ma non si muovono e non parlano. Non sono aggressivi, non proviamo alcun timore camminando fra loro. Hanno visi caratterizzati da un estremo pallore e sguardi fissi, come spaventati ma senza capacità di reagire. L'ipotesi di una gita di gruppo in povertà di mezzi, rovinata dall'inclemenza imprevista del clima, ci sfiora ma non ci convince. Usciamo dalla spiaggia e proseguiamo verso il centro dell'abitato. In meno di un'ora lo scenario locale si ravviva. Il sole sale e scalda sempre di più, le strade si popolano, i caffè e i negozi si aprono. Facciamo anche noi i turisti, vagabondiamo fra le case bianche, ci sediamo al tavolino di un bar. La cittadina dà un'impressione di una alacrità persino eccessiva: protesa verso un piacere standardizzato nei villeggianti e verso il suo sfruttamento negli indigeni, che ci paiono evoluti e operosi. A metà mattinata, in tacito accordo, torniamo alla piccola spiaggia. I cento giovani sono ancora lì, riversi sulla sabbia ruvida, sempre silenziosi, immoti, abulici. Eppure il clima si è fatto decisamente estivo e, a pochi metri di distanza, turisti 68

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

e paesani passano a frotte e vivono intensamente. L'ipotesi di una reazione al freddo è ormai caduta. Resta, più probabile, quella della droga. Il portiere di un albergo vede il nostro stupore e ci si avvicina, desideroso di parlare o meglio di sfogarsi, come capiremo ben presto. Critica quel frammento di umanità con un disprezzo un po' compiaciuto, s'intuisce in lui la soddisfazione di sottolineare la decadenza di persone appartenenti a nazioni più ricche. E un uomo giovane, sui trent'anni, eppure il suo discorso ribadisce l'abisso che si è creato fra la sua e le generazioni venute dopo. È uscito, con spirito d'iniziativa e tenacia, dalla condizione di povertà contadina della sua famiglia d'origine. Gli risulta perciò incomprensibile che degli adolescenti, più privilegiati di lui se non altro perché nati in un ambiente più evoluto e forse anche per più marcati vantaggi economici di partenza, arrivino a distruggersi in questo modo, rinunciando a garanzie di prosperità e piacere. Si capisce che, nonostante una certa compassione, provi nei loro confronti un sordo rancore perché non hanno saputo utilizzare quegli elementi favorevoli che a lui sono mancati. Gli americani dicono che New York non è l'America. Hanno probabilmente ragione, ma questa città rappresenta ugualmente un fenomeno "mondiale" meritevole di attenzione antropologica, poiché esaspera il pulsare ambizioso e decadente dell'odierna civiltà occidentale. D'altra parte New York, come l'America, è a sua volta composita, frammentabile in settori assai distanti di umanità che, pur incontrandosi in vortici comuni, hanno una vita autonoma e aspetti non sovrapponibili. Così, se pure New York intesa globalmente non è una metropoli di stile depressivo, anzi coloratissima, feroce, allegra e interessata, essa nutre nel proprio corpo isolate zone di malattia, di un grigiore esasperato. La scena ci appare inaspettata, senza un'aura di atmosfera che la preannunci. Avevamo già notato che nella città 69

PARENTI - PAGANI

il contenuto umano delle vie tende a cambiare drasticamente, pur nella continuità delle costruzioni e degli spazi. Anche questa volta è così. Sul marciapiede, davanti a noi, giacciono abbandonate delle figure umane. Non sono veramente immobili, ma tanto lente nei movimenti da sembrarlo, come certe scimmie di grande e naturale pigrizia che si chiamano bradipi. Hanno apparenza di clochard, insomma di barboni. Da principio non ci stupiamo: ce ne sono anche da noi e a Parigi e a Londra. Ma poi, proseguendo, notiamo altre figure simili, che caratterizzano tutta la strada. Abbandoniamo dunque l'idea del clochard, che per assunto è un individualista, con una sua dignità libertaria avvolta negli stracci. Questi invece stanno a gruppi e dignità non ne hanno affatto. Chiedono stancamente l'elemosina e scolano le ultime gocce di liquore da vecchie bottiglie tascabili. Osservati da vicino offrono nuove sorprese. Non sono sempre vecchi come ci aspettavamo, lo si capisce scrutandoli attraverso la sporcizia e i segni del declino. Allora sono degli alcolizzati. Ma perché tutti assieme e tutti in quella via? E innegabile che il fenomeno sia cospicuo, pur nella sua settorialità, e abbia importanza sociale. Se paragoniamo questi alcolizzati agli scandinavi con cui abbiamo aperto la nostra rassegna, notiamo alcune sostanziali differenze pur nella costante depressiva. Lassù il vizio era esibito nel quadro della vita collettiva, senza apparenti discriminazioni per chi ne era affetto. Invece qui è relegato in un ghetto e presume una messa al bando da parte della popolazione integrata. Ci chiediamo ancora: è proprio l'alcoolismo la causa dell'emarginazione? L'ipotesi è contraddetta dal ricordo di altri bevitori e ubriachi, visti un po' dovunque nella città e inseriti senza traumi nel suo ritmo vitale. La ragione è un'altra. Se il bere rappresenta una pausa del ciclo produttivo di un individuo, è tranquillamente accettato, talvolta costituisce anzi una prova di virilità. Se invece l'alcoolismo è una condizione stabile e ostacola perennemente la capacità di produrre e di 70

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

consumare, smentisce concettualmente uno dei presupposti base di quella società e richiede quindi l'isolamento. L'impegno nel lavoro e l'edonismo gastronomico sono impronte caratteristiche dell'attuale Germania dell'Ovest. Siamo da qualche giorno in una grande città di quel Paese e abbiamo incamerato sino alla saturazione immagini di persone coinvolte, con diretta partecipazione emozionale, nella grande macchina produttiva e di altra gente, uomini, donne e bambini, intenti a mangiare e a bere birra in tutte le ore del giorno, anche in quelle per noi assai poco congeniali ai pasti. Di notte abbiamo osservato un quadro estroverso, ben differente da quelli depressivi che abbiamo prima descritto: l'ondeggiare di un'umanità affratellata nell'atmosfera fumosa delle birrerie. Ma i nostri passi ci conducono in una zona dell'agglomerato urbano che non sembra assolutamente Germania. Qualcosa di cupo e dimesso nelle abitazioni, qualcosa di triste e scuro nei volti della gente. Gli uomini: visi affilati di predoni, incarnato bruno, rughe di stanchezza e di rinuncia nel volto. Le donne: soprabiti lunghi sino alle caviglie, malgrado la stagione calda, fazzoletti neri che incorniciano il volto accennando al tema arcaico del velo islamico, sguardi ancora più spaesati e privi d'attenzione. Non c'è dubbio, sono turchi. Ma in questi turchi, nonostante i segni di un certo benessere acquistato, non c'è la dignità bellicosa, la fierezza polemica palesata in terra d'origine. Ci sono, con sicurezza, le stigmate della depressione. Sono lavoratori, inseriti nella ben oliata macchina dell'industria locale, con i loro familiari, qui affrancati dallo spettro della povertà. Eppure si comprende che non sono partecipi della grande competizione economica, che non assaporano il gusto del consumismo. La loro malinconia nasce dalla consapevolezza di essere estranei a quelle nuove forme di lotta per il potere, troppo distanti dai valori presenti nella loro tradizione. Ecco una possibile traccia per comprendere i fenomeni appena descritti. Nell'occidente neocapitalista la depressio-

71

PARENTI - PAGANI

ne è limitata, ma denuncia le conseguenze di alcune sue regole dinamiche. Esso apre a tutti le porte dell'appagamento, ma pone delle condizioni. Per essere gratificati occorre partecipare a una grande corsa collettiva e non rimanere indietro, accettare la competizione e ragionevoli dosi di fatica, con tutte le salvaguardie offerte dal progresso sociale. Nel suo ambito esistono certe differenze. Nei Paesi più poveri c'è ancora il problema dell'esclusione dal lavoro, in parte rimediato dalla possibilità di migrazioni, che impongono a loro volta non facili necessità di adattamento. Nei Paesi più ricchi anche gli esclusi dal lavoro hanno dignitose tutele di sopravvivenza. Gli individui più dotati e duttili possono incontrare momenti di successo e di fallimento, ma hanno sempre occasione di recupero e trovano a loro disposizione, come premio alla lotta, perfezionate fonti di piacere. Tutto ciò comporta ansia, ma non depressione. Anche per i mediocri c'è spazio e vitalità: si abbassano solo i limiti degli obiettivi di conquista. Lo stile depressivo si presenta invece come una condanna per chi non compete. La non adattabilità distingue in linea di massima chi è ancora agganciato al passato e chi rifiuta il presente, pur mantenendo legami e obblighi con l'umanità inserita. Per quanto riguarda poi le ultime generazioni, l'analisi della fenomenologia depressiva nell'occidente è alquanto più complessa. Alle suddette motivazioni si deve aggiungere infatti un contagio distruttivo che proviene dall'esterno e fa proseliti. Entrare nella "quinta colonna", però, impone costrizioni di lotta non meno impegnative: anche qui gli astensionisti e gli abulici sono puniti con la depressione.

La depressione degli spiriti liberi

Un episodio che risale agli Anni Cinquanta esemplifica molto bene le conseguenze depressive dell'applicazione acritica o imposta dall'esterno dell'ideologia. Racconta un 72

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

nostro amico, ingegnere idraulico, che ha tenuto, per ragioni di lavoro, rapporti frequenti con la Cecoslovacchia. «La ditta da cui dipendevo, che stava realizzando un mio impegnativo progetto, aveva commissionato del materiale a una grande fabbrica cecoslovacca, che vantava dall'anteguerra tradizioni di serietà ed efficienza. Purtroppo il materiale era risultato difettoso per errori di calcolo. Ero stato perciò inviato sul luogo per ottenerne la sostituzione. Le mie prime conversazioni con i tecnici del Paese erano state cariche d'imbarazzo, poiché gli ingegneri locali avevano cercato di negare i difetti delle apparecchiature commissionate. Ma poi, dati e calcoli alla mano, ero riuscito a ottenere quanto desideravo. Prima della mia partenza, uno dei direttori della fabbrica produttrice mi aveva invitato a cena, con iniziativa personale, in un ristorante cittadino. « Mentre si cenava, avevamo parlato del più e del meno con un tono cordiale ma distaccato. Poi era arrivato il cameriere con il conto e l'aveva consegnato al mio ospite, che l'aveva scorso e, improvvisamente, era scoppiato a piangere, con il capo appoggiato alla tovaglia e il corpo scosso da sussulti. Intuibile il mio disagio. Il collega cecoslovacco si era infine ripreso e aveva confessato di non avere il denaro per pagare: l'invito non era ufficiale e non poteva, quindi, addebitarne le spese allo Stato imprenditore. Era seguito un suo sfogo umano, sulla scia di parole rotte dall'emozione. «"Non ne posso più", mi aveva detto con l'intensità dell'introverso che rompe il suo ritegno, "ho uno stipendio di poco superiore a quello degli operai e obblighi d'orario e di lavoro molto più costrittivi. Non mi è consentito di appagare la mia inventiva, perché sono legato dai programmi dei politici, che seguono linee misteriose per me incomprensibili. Vivo nel terrore di essere accusato di trasgredire l'ortodossia ideologica, mi sento osservato e spiato da tutti, soprattutto dai miei dipendenti, che invidiano la mia posizione e non sanno che invece è molto più scomoda e dif73

PARENTI - PAGANI

ficile della loro. Oggi mi pento di avere accettato la carica e non mi sento neppure di chiedere un declassamento, poiché sarei accusato di tradire la causa socialista. Neppure gli svaghi del tempo libero mi sono di sollievo: ero appassionato di teatro, di cinema e di letteratura, che qui sono fiorenti anche se ripetono sempre gli stessi temi. Da principio credevo in queste idee, ma ora mi hanno soffocato, sono arrivato a odiarle..." ». Sappiamo che oggi la situazione del settore tecnologico è parzialmente mutata in quei Paesi. Si è dato un maggiore riconoscimento economico alla capacità, ammettendo così il fallimento di principi teorici ritenuti prima indispensabili. La cultura umanistica e l'arte sono però ancora prigioniere della politica e i loro cultori o accettano il ruolo di cortigiani o sono costretti alla rinuncia e alla depressione. Due personali ricordi di viaggio ci aiutano a documentare la comparazione fra una prima fase, rigida e del tutto acritica, di applicazione del marxismo, e l'introduzione di settoriali libertà consumistiche e competitive, in un Paese che continua a manifestare un ossequio formale alla pianificazione collettivistica, pur essendosene pragmaticamente allontanato. Un viaggio in una città iugoslava sulle soglie degli Anni Cinquanta. Al confine controlli rigorosi, gravidi di una atmosfera di sospetto e con qualche brivido di timore non razionale. Entriamo nell'agglomerato urbano verso sera: è contraddistinto dal grigiore, nelle case, negli uomini, nei locali pubblici vecchiotti nell'esteriorità, ma senza alcun fascino regressivo. Scesi in un albergo, usciamo quasi subito e passeggiamo qua e là. Notiamo una lunghissima coda davanti a un negozio con i vetri smerigliati (l'insegna non ci dice nulla, vista la nostra ignoranza della lingua locale). Per spirito di scoperta, decidiamo di metterci in coda pure noi. Gli occhi dei nostri compagni di fila sono amichevoli, però ci osservano con stupore: forse perché abbiamo chiare stigmate di stranieri e indossiamo abiti non certo 74

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

esibizionistici, ma un poco più adattati al corpo di quelli delle altre persone, che pendono come divise da coscritti. Non ascoltiamo conversazioni ad alta voce, solo qualche parola sommessa, scambiata con discrezione. Sembra un popolo introverso - ci diremo poi - ma molto educato. L'attesa è lunga e comincia a infastidirci, ma teniamo duro sino in fondo, dopo aver acquisito inconsapevolmente un po' della tristezza del luogo. Entriamo finalmente nella bottega e scopriamo la ragione della coda. Tutti comprano dei biscotti secchi, uguali, che una commessa, anche lei discreta, toglie da un vaso di vetro simile a quelli delle nostre nonne. Li acquistiamo per adeguarci e così ci guadagniamo un paio di sorrisi più aperti. Li assaggiamo subito: non sono cattivi, ma sanno ancora di guerra. Torniamo di recente nella stessa città e stentiamo a riconoscerla, poiché oggi si differenzia ben poco dalle nostre. Già al confine c'era aria di trasformazione, poiché non avevano quasi guardato i nostri passaporti. Le vie del centro sono affollate: ragazzi e ragazze in jeans, gente alacre, attenta, comunicativa, l'introversione di una volta, decisamente, non c'è più. Entriamo in un grande magazzino e osserviamo, senza variazioni, gli articoli della Rinascente e dell'Upim, i richiami accattivanti dei saldi, le suggestioni rosate delle estetiste che fanno dimostrazioni pubbliche. Lungo le strade corrono le abituali nostre utilitarie e, in percentuale non trascurabile, alcune grosse cilindrate. I chioschi dei giornali scintillano di rotocalchi. Notiamo anche un settimanale italiano particolarmente polemico verso tutto ciò che ha sapore di sinistra. Dalla porta di una discoteca scaturisce la stessa musica rock che campeggia in testa alle nostre classifiche. Un raffronto fra i due quadri, per essere obiettivo, non deve cedere alle tentazioni del semplicismo. Non siamo di fronte a una pura variazione di tenore economico. Si è acquisita oggi, evidentemente, la possibilità di scambiarsi emozioni, di comunicare lungo le linee del consumismo 75

PARENTI - PAGANI

senza troppa paura, di competere pragmaticamente per conquistare dei beni e del piacere. Arrivano in luogo persino alcune voci estranee al sistema. Eppure sappiamo che la conquista della libertà ideologica, in quel Paese, è sporadica e contraddittoria. Non esistono organi di stampa locali autorizzati a contrapporsi in una vitale battaglia di idee, non esiste un pluralismo partitico né sindacale. E presumibile che questa situazione parzialmente limitativa induca ripiegamenti depressivi solo in chi abbia impostato la propria vita sulla rivendicazione di una libertà intellettuale, ma non intacchi il tono emotivo della maggior parte della popolazione, assai più sensibile alle variazioni dei prezzi e all'immobilismo degli stipendi. In altri Paesi d'oltre cortina abbiamo avvertito di recente imprevedibili alternanze fra il nuovo corso del costume e tracce di un controllo ferreo non ancora dissolto, tanto da riportarne uno sconcerto che ci impediva di comprendere e d'interpretare. Ecco, come esempio, due ricordi percettivi dalla Bulgaria. Un ristorante-cottage ai limiti di un'autostrada. All'interno la musica vivace di un'orchestrina, cameriere graziose, brusio di chiacchiere lievi dai tavolini, ottimo cibo piccante. Tutto sommato, assai meglio di alcuni nostri grill autostradali, permeati di automatismo e di fretta. Ma poi, terribili e incombenti, certe strade di Sofia, dominate da cartelloni politici ripetitivi, punteggiate dalle divise dei militi, popolate da un nereggiare di folla silenziosa in attesa dei tram. E ancora, in Ungheria, una Budapest festaiola, con le strade rumorose e affollate sino a tarda notte, ma con i negozi in pieno centro dalle vetrine più che modeste, nei quali gli acquisti dovevano seguire lunghi rituali burocratici. Infine, in Romania, una campagna intrisa di passato e ignara dell'oggi, cui si contrapponeva una Bucarest dallo splendore mitteleuropeo, neutralizzato dalle divise dei poliziotti, presenti con una densità mai osservata altrove. Le persone: anche qui impressioni contrastanti. Qua e là, senza una regola per tracciare delle categorie, in76

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

dividui sfuggenti e guardinghi e altri pronti a criticare senza apparente timore le strutture dei loro Paesi: alcuni con evidente speranza di cambiamento, altri con una rassegnazione un po' scettica. Ammettiamo che la nostra carrellata di avvertimenti troppo rapidi non consente un'indagine seria, approfondita. Ne abbiamo tratto però l'impressione di un contesto culturale percorso da filoni diversi, tali da impedire la sicurezza, e forse psicologicamente popolato da brevissime felicità fatte di piccole cose, poi smentite da incertezze ansiose per il domani. Un terreno, certo, che può favorire la sopravvivenza attiva dei più forti e i ripiegamenti depressivi di chi non è stato preparato dal suo vissuto ad affrontare l'imprevisto. Non abbiamo mai visitato l'Unione Sovietica. Privi di esperienze personali, azzarderemo un'indagine sociologica basata su elementi indiretti, riferita naturalmente alla Russia di Gorbaciov e non a quella più cupa che avevamo trattato nella precedente edizione del libro. Dopo qualche incertezza abbiamo deciso di accantonare i dati passati attraverso il filtro di una qualunque soggettività, sempre permeata dal desiderio di schiarire o da quello di rivolgere accuse. I racconti dei viaggiatori, dunque, non ci hanno convinto proprio perché in reciproco contrasto. Ci siamo basati invece sulle fotografie: quelle pubblicate dai giornali e quelle offerteci da alcuni privati. Ecco, in una sequenza un po' confusa, alcune immagini. U n a sfilata di moda che presenta modelli non troppo dissimili dai "prét-à-porter" nostrani. Dei suonatori di jazz, con il viso entusiasta e un po' ingenuo, sullo stile Anni Cinquanta. Una via di Mosca, di primavera, con gente vestita come da noi e con un tono abbastanza borghese (la stagione favorisce l'affinità per l'assenza dei colbacchi). Degli agenti di polizia che reprimono duramente una dimostrazione, per la verità poco affollata. La classica sfilata militare sulla Piazza Rossa: forse qualche missile in meno, ma 77

PARENTI - PAGANI

sempre soldati molto impettiti e attorno a essi ali di una folla altrettanto rigida e immota. Un'aula parlamentare popolata da signori anziani, sulle cui giacche campeggia da ambo i lati un'incredibile esibizione di medaglie. Un cronista italiano che sta intervistando persone giovani che, per la foggia nel vestire e per le espressioni dei visi, potremmo benissimo collocare in piazza San Babila a Milano. Dei fanti di marina che picchiano rabbiosi un gruppo di ecologisti o pacifisti che siano, anch'essi riuniti in un gruppo sparuto. Nella via di una città alcune contadine dal viso bonario, con lo scialle sul capo, vendono frutta e ortaggi e si differenziano dai passanti più attuali nel vestire. L'interno di una chiesa ortodossa illuminata per una funzione, opulenta di dorature e affollata da fedeli dall'aria paesana. Le strade brulicanti di una città della Russia asiatica, sullo sfondo una moschea, dovunque gente dagli occhi obliqui, turbanti, caffetani e abiti occidentali che si confondono. Un'atleta dal viso angoloso, sorridente, e dal corpo tenace e poco femminile. Una campionessa di ginnastica artistica, giovanissima, nel contempo fine, delicata e scattante. In questo magma di figurazioni, solo in superficie incoerenti, non è difficile scoprire tre impronte di cultura, che segnano una successione temporale disturbata da sopravvivenze. L'antica Madre Russia, fatalista, rassegnata, dignitosa. Una generazione figlia della rivoluzione, che ha prodotto sue classi senza precedenti, rituali rigidi, un entusiasmo legnoso e una silenziosa diffidenza. L'invasione di fermenti libertari e del costume occidentale, che sta comunicando il gusto, prima proibito, della polemica. L'immenso terreno di coltura che abbiamo sorvolato nelle sue immagini fotografiche può favorire adattamenti o depressioni, secondo le infinite varianti dei vissuti individuali. Con qualche invenzione attendibile e senza lasciarci influenzare dai nostri punti di vista ideologici, facciamo agire dei personaggi di scena esemplificativi. Un qualsiasi uomo politico, collocabile alla periferia o ai 78

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

vertici, può avere gustato la struttura rivoluzionarioconservatrice del suo Paese come garanzia di ruolo e ora può sentire il suo piedestallo di idee e di potere che sta vacillando, riportandone depressione. Un altro può applicare agli attuali, prevedibili cambiamenti lo stesso trasformismo attivo che gli ha consentito di sopravvivere in passato mentre si altenavano tanti capi. Un giovane, anticonformista nel suo contesto ambientale, può avere gustato gli attuali accenni di rinnovamento con la speranza di un loro rapido sviluppo e avere poi riportato una frustrazione depressiva avvertendone i limiti, la contraddittorietà, la lentezza evolutiva. Un altro, condizionato da esperienze personali positive, può apprezzare l'aria nuova come piacere immediato e contingente, senza rimanere deluso dai suoi limiti. Un cittadino sovietico, che pratichi con fervore la religione ortodossa, può sentirsi emarginato da un materialismo che il nuovo corso non sembra avere ancora scalfito. Un altro può confinarsi appagato nella minoranza comunitaria che condivide la sua fede. Un soldato reduce dall'Afghanistan può assorbire come tradimento delle ragioni per cui ha combattuto le attuali, prudenti aperture all'occidente, configurando una sindrome di disadattamento analoga a quella dei reduci americani dal Vietnam. Un altro può invece vivere con sollievo l'allontanarsi dello spettro della guerra. Anche qui dunque, come nelle molte varianti del mondo occidentale, è presumibile un fondersi o un differenziarsi dell'individuale con il collettivo, che induce di caso in caso la depressione o l'euforia o una disincantata accettazione degli eventi.

79

CAPITOLO QUARTO

Lo stile depressivo nel Paese dei paradossi: note di costume sull'Italia contemporanea Una Babele senza torri

I filoni sociali del fenomeno depressivo nel mondo civilizzato di oggi, come si è visto nella precedente panoramica, sono essenzialmente due: la frustrazione degli sconfitti nel processo competitivo dei Paesi neocapitalisti e la repressione che appiattisce il senso creativo e critico nei Paesi neomarxisti. L'Italia in cui viviamo, però, sfugge ad entrambe le categorie di classificazione e non perché sia stata in grado di sviluppare proprie scelte. A differenza di qualche anno fa, l'uno e l'altro indirizzo coesistono in essa, ma hanno perso il mordente, sono dichiarati o smentiti ogni giorno lasciando trasparire un trasformismo furbesco che esclude ogni soluzione coerente. Ne deriva, come nella mitica Babele, una confusione di lingue. Ma qui non si osserva neppure il tentativo di costruire una torre, orgogliosamente proiettata verso l'alto. Gli scontri verbali e d'azione senza vinti né vincitori, le ambizioni frustrate e il dubbio sofferto sono per ora il solo risultato della conflittualità interna. Chi cerca di sviluppare onestamente la libera iniziativa in ogni campo è castigato da una scoraggiante pressione burocratica, costretta a colpire solo chi è limpido e scoperto, e invidia rabbiosamente chi ha il coraggio di commettere impunito clamorose infrazioni; i cultori un tempo fanatici della pianificazio80

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ne provano paradossali nostalgie per il privato e proseguono perplessi in una linea in cui non credono più; chi ha proceduto sinora sulla strada dell'irregolarità comincia a intravedere la fine della sua impunità e tenta angosciato gli ultimi colpi di mano. Questa fucina di desideri inappagati e di perdite improvvise dovrebbe, stando alla teoria, indurre gravissime incidenze di depressione. Ma ciò non accade da noi, per il momento. Vediamone le possibili ragioni, che crediamo sostenute dalla storia locale. Pensiamo che, nel corso dei secoli, gli italiani abbiano subito una robusta vaccinazione contro le attese ideali frustrate, dovuta all'alternarsi in casa loro, con imprevedibili conseguenze, di padroni e invasori di ogni razza, tipo e pensiero. Sono stati così allenati nel tempo a esigenze di trasformismo e a uno scetticismo di fondo verso il potere. Hanno inoltre acquisito la capacità di vivere, nella ristretta cerchia delle loro relazioni umane, l'antico motto latino carpe diem, proponendosi obiettivi limitati e validi sotto ogni regime, nell'ambito di passioni spicciole, di modesti rivoli di guadagno e di rancori competitivi estremamente personalizzati. Tale garanzia di adattamento, se ha contenuto e contiene la sofferenza con la ricerca di qualche piacere, ha impedito e impedisce però che la vivace intelligenza nostrana prenda corpo in realizzazioni civili corali e impegnative. Chi crede alla duttilità immutabile delle "soluzioni all'italiana" e continua a fidarsi della nostra tradizione di furberia paesana non deve però illudersi: quelli di oggi sono forse i suoi ultimi respiri di vitalità. La storia non segue più ristrette piste regionali e comincia a disegnare piani senza confini. Così, se pure l'Italia non è ancora globalmente un Paese di stile depressivo, i fermenti della protesta in grigio iniziano a serpeggiare nel suo corpo. La piccola inchiesta di costume che seguirà nelle prossime pagine, fatta di avvertimenti intuitivi, di notazioni ambienta81

PARENTI - PAGANI

li e umane a guisa di flash, si propone appunto di sottolineare un fenomeno che sta nascendo e che per ora parla con voce sommessa.

L'ex leader dagli occhi di ghiaccio, ovvero la morte del superuomo politico

Per dimostrare come il tempo cambi rapidamente gli uomini e il costume, inventando nuovi temi per la protesta in grigio, ripresentiamo un personaggio descritto nella precedente edizione di questo libro, riproponendolo quindi com'è oggi, radicalmente modificato dal divenire della cultura. L'episodio di apertura risale a una decina di anni fa. U n a cena a casa di amici. Dopo il caffè la conversazione si polarizza sul figlio dei nostri ospiti, che non è ancora rientrato e compie proprio quel giorno diciott'anni. Non lo vediamo da più di un anno e ascoltiamo i genitori parlare di lui con un orgoglio perplesso, che a tratti sfiora la reverenza e a tratti sembra invece venato di preoccupazione. Ora si occupa di politica - dicono - e trova anche il tempo per continuare gli studi, compatibilmente con i suoi impegni quest'anno darà la maturità classica. Il rumore di una chiave nella serratura e della porta che si apre: il ragazzo arriva nel pieno del discorso e si unisce a noi con una certa degnazione. E magrissimo, i jeans bene aderenti al corpo, e ha uno sguardo fermo, serio, con la diffidenza immune dall'imbarazzo di chi si sente superiore. La conversazione devia e finiamo per discutere di un film che tutti abbiamo visto. Le sue opinioni sono elargite con spirito concessivo, prive di entusiasmo, fredde, pronte a reggere a ogni obiezione. Il padre e la madre le bevono in silenzio, è chiaro che si sentono detronizzati come esseri capaci di pensiero, ma indirettamente valorizzati dalla loro continuazione genetica. 82

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

La discussione, di conseguenza, si restringe fra noi e il giovane. Il nostro interlocutore si accorge ben presto che sfuggiamo alla sua standardizzata classificazione degli adulti (facili avversari da sconfiggere e patetici imitatori cui vanno segnalati i propri limiti) e ne rimane sconcertato. Del film, oltre tutto, più che la componente ideologica ci interessa il substrato affettivo, il che risulta per lui incomprensibile. Con una certa difficoltà riusciamo a mantenere il discorso appunto sul tema degli affetti. In breve affiorano, dietro il paravento esibizi'onistico del modello sociale perseguito, le frustrazioni di fondo del ragazzo. Ha una basilare sfiducia nella credibilità di ogni "compartecipazione amorosa" individualizzata: il tentarla, oltre tutto, gli sembra degradante. Ammette una sessualità vissuta nello spirito di gruppo, decisamente povera, ci pare, per l'appagamento di esigenze personali. Non può esaudire quindi una delle istanze essenziali dell'uomo. Riesce però a evitare conclamate reazioni depressive esercitando un ruolo di potere e confidando nell'afflato di una utopia collocata nel futuro e raggiungibile mediante una lotta che rappresenta la vera ragione di vita del ragazzo. Il suo parziale equilibrio, dunque, si regge sull'esistenza di conflitti sociali e delinea un quadro che potremmo definire con un colorito neologismo psichiatrico come "sindrome di Che Guevara o del rivoluzionario permanente". Rivediamo oggi il figlio dei nostri amici. I suoi occhi sono sempre privi di calore, ma il suo sguardo non ha più la gelida durezza di un tempo: è come spento, perso nel vuoto. Ora è possibile parlare con lui di ogni argomento, pacatamente, senza che la conversazione s'infranga contro la sua convinzione di superiorità. Con lui si prova, però, un'altra forma di disagio. Non ci contraddice mai, spesso anzi approva assentendo col capo, ma non partecipa veramente alle emozioni che cerchiamo di trasmettergli, sembra che il suo consentire sia dovuto a una cortesia distac83

PARENTI - PAGANI

cata. La sua vita è cambiata, inserita in una routine pervasa da rassegnazione. Il giovane, che oggi ha ventott'anni, ha interrotto gli studi universitari e lavora in banca, senza ambizioni di carriera: deride bonariamente, senza acrimonia, il mondo dei bancari. Ha pochi amici, che paiono selezionati per affinità nell'abulia e nel pessimismo: sono quasi tutti, come lui, orfani del sessantotto. Se si discute di politica si astiene e ci ascolta con un sorriso particolare, fra il triste e il disincantato. Ha comunque un abbozzo di vita affettiva, trascina da tempo una relazione con una ragazza paziente, disposta a tollerare i suoi lunghi silenzi. Il ripiegamento depressivo di questo personaggio è certo dovuto alla perdita di un ruolo che era stato costruito con troppa rigidità e che proprio sulla rigidità basava la sua forza di presa. Forse il fatto di essere stato quasi divinizzato dai genitori gli ha impedito di acquisire quella duttilità che ha consentito ad altri orfani del sessantotto di inserirsi in un potere di segno diverso.

Declino e rinascita della comicità

Nella cultura ricreativa del nostro Paese, prima e dopo l'ultimo conflitto mondiale, campeggiava la figura del "grande comico" di rivista. Dopo la terribile ventata della guerra, i contenuti della comicità consumistica si erano arricchiti con un po' di satira politica, ma lo stile era rimasto quello di prima: colloqui confidenziali con il pubblico sui bordi della passerella dei teatri, un filone di barzellette allusive, personalizzate dal dicitore, il gusto ancora presente di infrangere gli ultimi tabù sessuali, ma sottovoce, perché lo scandalo rimanesse fra amici. Nell'ambito della vis comica, il vero cambio di costume era avvenuto con la rivoluzione culturale del sessantotto. La fine dei tabù aveva distrutto il gusto delle allusioni. La generazione cultrice della rivista si era ritirata in un silen84

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

zio timoroso, lasciando uno spazio rancoroso o plaudente alla retorica dei figli. E questa era priva di humour. Tutto ciò configurava una depressione da perdita, almeno per chi si sentiva sorpassato. E di quel tempo anche il declino di un altro filone della comicità: quello goliardico. La goliardia, con i suoi "papiri' e i suoi canti pervasi da una pornografia medievalista, riproponeva il sapore dell'infrazione, ma con più coraggio e in un modo più scoperto, sostenuto dalla forza del gruppo. Con il sottinteso scontato che "il giorno dopo" gli studenti si sarebbero reinseriti nella morale comune. Come sempre, da generazioni. Il nuovo clima, seriosamente ideologico, non permette più agli studenti di abbandonarsi a evasioni vuote di ideologia. Inoltre gli universitari, con la prospettiva di una laurea che condurrà inesorabilmente alla disoccupazione, hanno perso l'orgoglio protervo e giocoso di chi si sentiva predestinato a divenire classe dirigente. Ancora, dunque, vissuti di perdita che incentivano la depressione. Oggi i rapporti fra cultura e comicità sono ancora una volta sovvertiti. Sono bastati dieci, quindici anni perché i cittadini del nostro Paese riconquistassero il diritto alla risata aperta, non più frenata dalla paura, estesa a tutte le generazioni. È nato così un nuovo senso del comico, paradossalmente generato dalla caduta delle illusioni rivoluzionarie. Si tratta però di un fenomeno completamente diverso dalle evasioni ingenuamente peccaminose del passato. Vediamone prima i contenuti e poi alcuni esponenti fra i più rappresentativi. L'erotismo è ormai divenuto estraneo alla comicità, poiché non rappresenta più un'infrazione, si ritrova senza brividi in ogni edicola, in ogni spiaggia, in ogni sala cinematografica, sui banchi di ogni farmacia, in ogni volume acquistato in libreria. Si può affermare anzi, decisamente, che la comicità non si basa più sull'infrazione, poiché le contravvenzioni alle regole sono entrate a far parte della 85

PARENTI - PAGANI

banalità quotidiana e non sollecitano più il gusto del peccato. Si ride, invece, prendendo atto con rassegnazione divertita della caduta di tutti gli ideali, di tutti i punti fermi, di tutte le sicurezze. Quella che è risorta è allora una comicità politica? In un certo senso sì, ma non ha nulla a che vedere con la satira politica di un tempo, che era spudoratamente di parte e presumeva quindi un odio e una fede contrapposti. Dieci anni fa era possibile deridere a voce alta miti e personaggi con una certa collocazione, ma ogni attacco a miti e personaggi di altro segno richiedeva prudenza, doveva essere furtivo e sussurrato. Oggi invece si può tranquillamente e senza rischi dissacrare Reagan o Gorbaciov, Almirante o Natta, De Mita, Pannella o Craxi. Chi lo fa in modo particolarmente efficace, alternando le sue vittime, riesce a sollecitare un'ilarità che presume una sconsolata constatazione: «Visto a che punto siamo arrivati? Non si può più credere a nulla, non ci si può più fidare di nessuno! ». Abbiamo scelto alcuni esempi, selezionati da un'analisi più vasta, che ci sono sembrati dimostrativi del carattere abulico e depressivo dell'odierna comicità. Lo schermo televisivo ha sostituito il palcoscenico dei teatri per dare figura e voce ai neo-comici scoraggiati e scoraggianti, vittime e persecutori, masochisti e dissacranti. Due fra questi ci hanno specialmente colpito per la loro grinta comunicativa. Il primo, intensamente ligure nell'accento e nella mimica, recita d'abitudine uno stupore da cui siamo coinvolti, di fronte al crollo generale di ogni credibilità civile e umana. Il suo personaggio distrutto e appunto stupefatto mette paradossalmente k.o. gli ex potenti, a loro volta sgretolati, che hanno travolto la sua totale ingenuità. La sua indubitabile presa deriva dal fatto che coloro che lo osservano vedono rappresentate con esasperazione comica le proprie disillusioni. Il secondo, toscano e maledetto in un senso che supera la cattiveria intellettuale di Malaparte, espone un turpiloquio senza limiti, una sfida 86

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

agli ultimi baluardi della morale. L'effetto che ne deriva non è affatto erede dell'antiquato coraggio goliardico, ma frutto di una rassegnazione sconcertata che si trasforma in divertimento. Le esplosioni di ilarità che abbiamo evocato potrebbero essere acutamente definite "risate fra le macerie". Entriamo ora in un altro settore dell'umorismo nostrano e attuale: quello, decisamente rinnovato, della vignettistica satirico-politica. Si tratta, ma solo in apparenza, della continuazione di un filone antichissimo. Un tempo le caricature politiche servivano a condurre una battaglia in favore di una tesi e cercavano di inattivare con la derisione la tesi opposta. Oggi invece le vignette umoristiche si rivolgono contro "tutte le tesi" e sottolineano quindi, con implicazioni ovvie, che non vi è più alcuna tesi sostenibile. Siamo ancora di fronte al fenomeno già rilevato a proposito dei comici televisivi. Al di fuori del clima elettorale, i disegni satirici cercano di ravvivare il grigiore della prima pagina dei quotidiani, appesantita dal linguaggio cifrato degli articoli di fondo. I lettori non troppo coinvolti - ossia la maggioranza - dedicano ai disegni uno sguardo distratto e reagiscono con un sorriso ai più graffiami. Nelle serate di attesa dei risultati elettorali davanti al teleschermo, però, la proiezione delle vignette di Forattini (citiamo solo la firma grafica più nota) ha un suo effetto emotivo, testimone del cambiamento avvenuto di questi tempi in chi trasmette e in chi osserva. Può essere interessante, al riguardo, un confronto transculturale. Prima scena: una decina di anni fa. In un appartamento medio, siede davanti al televisore una famiglia media, in compagnia di alcuni amici invitati per l'occasione. I risultati che si susseguono di tanto in tanto, interrompendo le sussiegose discussioni degli "esperti", suscitano nei presenti reazioni compiaciute e un po' aggressive o risposte improntate a un disappunto polemico, manifestazioni di una spe87

PARENTI - PAGANI

ranza che scioglie il timore, tentativi capziosi di negare un'evidenza o rassegnazioni pessimistiche a un inesorabile domani. Seconda scena: oggi. La medesima famiglia nella medesima occasione, con qualche amico in meno, il che denuncia una certa caduta d'interesse. L'atteggiamento dei presenti è alquanto modificato, assomiglia di più a quello di chi assiste allo spettacolo di varietà del sabato sera. Il susseguirsi dei risultati induce espressioni di uno scetticismo vero o recitato: ogni segno di coinvolgimento squalificherebbe chi lo manifesta. La comparsa delle vignette, invece, scatena un gradimento compiaciuto, un'ironia esibita senza più remore, ha insomma un ruolo disinibente. Compare, inevitabilmente, la caricatura di Spadolini, sempre nudo e vergognosamente obeso, assimilato alla Fiat Uno con allusione ai mutamenti di percentuale; l'immagine di De Mita con un fumetto che pone in rilievo la sua incredibile dizione; il viso scavato di un Natta abbacchiato; un Pannella sorpreso e schiacciato da una Cicciolina esageratamente procace; un Almirante astenico, con il fez pendente, che regge con fatica un manganello; un Craxi assai più mussoliniano, con il torace gonfio e la mascella protesa. In superficie, tutti gli spettatori sono felici e rilassati. Un osservatore più attento noterebbe che qualche vignetta ha colpito residue zone vulnerabili generando un po' di sofferenza, subito compensata da una rivalsa vendicativa sollecitata dal disegno seguente. Ancora risate fra le macerie, questa volta dipinte di rosa. Vorremmo parlare ora di un argomento patetico e forse troppo scontato: le barzellette sui carabinieri. Ci sembra che anche questo tema consenta qualche osservazione più sottile. Portiamo come esempio una storiella classica e brevissima, che può valere come materiale per un'analisi psico-culturale. «Un carabiniere, rientrando in caserma, vede un commilitone chino su un quaderno, con il viso preoccupato. Gli 88

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

si avvicina e lo ascolta mormorare: "Quattro per quattro venti, cinque per sei ventotto, sei per sette quarantuno, otto per otto novanta...". Stupito, gli chiede: "Che cosa ti è successo? Che cosa stai facendo?". L'amico risponde, con la voce rotta dalla disperazione, che il medico gli ha prescritto di fare degli esami! ». L'irrisione della più rigida e militaresca fra le forze dell'ordine potrebbe prospettarsi come una compensazione vendicativa da parte di avversari politici o da parte di chi si identifica con la criminalità comune. Ma il contenuto della barzelletta sembra colpire soprattutto delle carenze di cultura ed esibire in chi deride una superiorità di classe. La nostra ministatistica personale sembra confermare tale ipotesi: abbiamo infatti acquisito il gusto delle storielle sui carabinieri particolarmente in una fascia di opinione solidamente borghese, ossia in coloro che dovrebbero vedere nelle forze dell'ordine una tutela per la loro sicurezza. Qual è dunque il sottofondo inconsapevole di questa dilagante linea della comicità? Formuliamo, in merito, due ipotesi non dimostrabili, ma con diversi spunti di attendibilità. Forse alla base del fenomeno sta la protesta di chi non si sente a sufficienza difeso; o di chi prova rancore verso uno Stato che sta affossando la meritocrazia ed esercita un cieco potere burocratico. Entrambe le interpretazioni suonano a conferma del masochismo scoraggiato che continua a emergere dalla nostra indagine.

L'isolamento musicale: statico o ambulante

Ascoltare la musica è un bisogno connaturale all'uomo sino dai tempi più remoti. Il suo appagamento, nelle culture primitive, dava corpo a rituali collettivi, nei quali tutta la tribù scaricava i suoi fermenti erotici e aggressivi. L'evolversi delle civiltà trasformò queste esperienze, rendendo89

PARENTI - PAGANI

le più raffinate, mantenendo il loro carattere di gruppo e articolandolo in rapporti sociali complessi, ma aggiungendo a questi un piacere personalizzato della musica, non di rado permeato dalla malinconia. Di qui un ricorso all'evasione musicale per ricaricare le proprie energie nei momenti difficili o invece per accentuare il proprio isolamento da una realtà non accettata. Nel nostro tempo e da noi, la prima rivoluzione giovanile esplose sulla scia di ritmi musicali provocatori, gestiti dalla nuova entità sociale del "gruppo", che aveva sostituito il potere di presa della famiglia in crisi. Ora, dopo il declino della ribellione culturale, molti giovani non provano più il calore della fusione neppure nel gruppo e si abbandonano a un annullamento nella musica del tutto privato e certo non esente da depressione. Il fenomeno ha comportato dapprima lunghe ore di autoreclusione in un'altra entità caratteristica della nostra epoca, questa volta spaziale: "la camera del giovane", avulsa dal resto dell'appartamento genitoriale e costellata da manifesti, le cui figurazioni sono gradualmente passate dalla rappresentazione di eroi rivoluzionari (primo fra tutti Che Guevara) alla reclamizzazione consumistica dei cantanti rock. Da poco il rituale dell'isolamento musicale si è ulteriormente trasformato con il supporto di un'innovazione tecnologica. E uscito di casa, è divenuto itinerante, scandendo un nuovo modo di camminare automatico, robotico, avulso dall'ambiente sotto l'egida di due auricolari e di un'antenna eretta sul capo. Prima di analizzare queste forme di comportamento, ecco due esempi per comprenderle meglio. S., una ragazza appena quattordicenne, è passata attraverso una serie di deviazioni alternanti. Una psicoterapia ha bloccato un suo rapporto sporadico con droghe minori e poi maggiori da fiuto. Il recupero ha avuto un prezzo probabilmente non troppo gravoso, che ha lasciato però perplesso il terapeuta. S. si è costruita la sua stanza di iso90

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

lamento musicale, come spazio privato anche di pensiero e di emozioni. Al terapeuta parla di tutto, gli porta i suoi ricordi e i suoi sogni, ma ogni sondaggio discreto sul suo vissuto interiore o sulle sue fantasie durante l'ascolto della musica suscita lunghi, scontrosi silenzi. L'origine dei suoi problemi emerge comunque a grandi linee e dimostra una confluenza di fattori familiari e ambientali: il confronto con una sorella maggiore, più brillante negli studi e nei rapporti sociali e poi l'incontro casuale con alcuni ragazzi sbandati del quartiere, nei cui confronti si sentiva ancora inferiore e impacciata. L'uso incostante delle droghe le serviva per darsi un tono, per non sentirsi troppo diversa da loro. Forse la sua reticenza parziale nasconde qualcosa di consapevolmente represso. O invece non vi è nulla di censurato e l'abbandono alla musica è solo una fuga in un'altra dimensione obnubilata, lontana dalla realtà. Il secondo personaggio che presenteremo è più totalmente misterioso, anche perché non è un paziente di analisi. Frequenta l'ultimo anno del liceo classico, ce ne ha parlato con stupore una sua insegnante. Ogni giorno arriva in classe con le sue cuffie e la sua antenna, che si toglie quando inizia la lezione. Ha un rendimento scolastico di buon livello medio, è sempre accurato nell'osservare i suoi impegni. Con i compagni ha cordiali, ma superficiali rapporti, non è veramente amico di nessuno. Non ride mai, sorride soltanto con un suo sorriso che forse è ingenuo o forse nasconde un po' d'ironia. Quando esce dalla scuola, indossa di nuovo le cuffie e l'antenna, allontanandosi da solo. I genitori hanno riferito all'insegnante che il ragazzo, a casa, è molto educato, parla talvolta di argomenti banali, non si confida mai davvero e non ascolta mai musica. Quando esce da solo, per qualunque motivo, estrae sempre la sua attrezzatura e se la pone sul capo. Questo caso, non analizzato, in cui i fenomeni sono estremizzati nella loro astratta precisione, ci offre forse paradossal-

91

PARENTI - PAGANI

mente le indicazioni più significative per la nostra indagine. Dobbiamo interpretare anzitutto l'ascolto della musica esasperato e continuativo nell'ambito dei gruppi giovanili, senza gli eccessi osservati nei due casi precedenti. Anche così questo fenomeno di costume si propone come una via di compenso fondamentalmente depressiva, se pure non veramente patologica, poiché sospende per tempi lunghi la comunicazione fra i membri della collettività. Alla sua base è intuibile una carenza relazionale soprattutto verbale, che induce una regressione a schemi di comportamento di tipo primitivo. I casi d'importanza maggiore, in cui l'ascolto è individuale, non condiviso con nessuno, rivelano quasi sempre all'analisi dei precoci confronti negativi in seno alla famiglia d'origine e poi nei primi rapporti extrafamiliari. Ne deriva una caduta dell'opinione di sé e un conseguente bisogno compensatorio di estraniarsi da una realtà sgradevole, caratterizzato da automatismi auto-ipnotici solitari e quindi eccezionali rispetto all'impronta sociale della nostra specie. La più recente abitudine a portare fuori di casa, mediante apparecchi per l'ascolto, il proprio isolamento musicale non può essere valutata secondo schemi standardizzati, congeniali a tutti i protagonisti. Essi rivelano infatti, individualmente, sfumature assai diverse. In alcuni si può avvertire un esibizionismo pseudo-valorizzante, come se i soggetti volessero segnalare il loro aggiornamento a una moda e anche il possesso elitario delle apparecchiature: ci troviamo qui nell'ambito di un patetico neoconformismo. In altri il comportamento riveste il ruolo di una sfida asociale, ossia di una dichiarazione provocatoria sul tipo della seguente: basto a me stesso, non ho bisogno di voi! Nei casi più devianti, infine, si può riscontrare una vera e propria "sociofobia", cioè una paura morbosa dei rapporti umani. 92

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

Allora l'ascolto solitario vale come meccanismo di difesa, adottato durante l'esecuzione di compiti sociali non evitabili.

I suicidi delle reclute

Quelle notizie terribili cominciarono ad apparire qualche anno fa sulle pagine di cronaca dei quotidiani, dapprima sporadiche e poco osservate. « Un militare di leva suicida nella caserma di... », « Una recluta si spara mentre è di guardia». Poi il loro ritmo di incidenza è divenuto incalzante, tanto da sconcertare persino coloro (e non erano pochi) che cercavano di minimizzare il fenomeno. Sulla stampa gli interventi degli esperti che abitualmente commentano le lacrime della cronaca sono stati molto rari e piuttosto evasivi, il che prova la difficoltà d'inserire l'accaduto negli schemi prefabbricati della psicologia e della sociologia. Una nostra accurata ricerca in merito ha dimostrato che la frequenza dei fatti rende inattendibile l'ipotesi delle coincidenze. Sembra acquisito, dunque, che lo shock della vita militare sia risultato insopportabile, in un dato momento storico, per una certa percentuale di giovani. Ci è parso inoltre che la resistenza degli esperti ad analizzare a fondo gli episodi esprimesse il rifiuto di comparare alcuni aspetti della nostra cultura alle caratteristiche nello stesso settore delle culture precedenti. Abbiamo proceduto quindi proprio in questo senso, ponendo a confronto il vissuto del servizio di leva in tre epoche assai vicine, eppure molto diverse. Ecco il nostro Paese prima dell'ultimo conflitto, in piena era fascista. I ragazzi sono cresciuti in un clima familiare e poi scolastico che dava per scontato il principio di autorità, nei suoi aspetti coerenti ma anche nelle sue implicazioni illogiche, assurde. Per sopravvivere è codificato che si debba obbedire, ma è anche possibile fingere di obbedi93

PARENTI - PAGANI

re, commettendo infrazioni segrete e sussurrando derisioni del potere, che generano un particolare gusto della complicità nei rapporti con gli amici. La parsimonia e un certo disagio fisico fanno parte del costume e perciò non sono neppure avvertiti: le mance settimanali dei genitori sono molto modeste, occorre risparmiare a lungo per concedersi un piacere; solo poche famiglie possiedono l'auto, spostarsi significa camminare, attendere a lungo i tram, le gite si fanno in bicicletta quando il tempo lo permette; in genere ogni cosa piacevole ha un suo prezzo ed è sempre aleatoria. Il modello dell'uomo duro e ipervirile è politicamente imposto: che lo si accetti, traendone esaltazione, o che lo si derida di nascosto, occorre comunque fare i conti con la sua immagine. L'allenamento alla scomodità e al dovere che abbiamo ricordato non impedisce che l'impatto con la "naia" sia severo e sgradevole. I comandi dei sottufficiali sono più secchi e impietosi di quelli dei genitori e degli insegnanti, il rancio provoca la nostalgia per il minestrone di casa, gli scherzi dei " n o n n i " sono umilianti, i quaranta chilometri di marcia stroncano le gambe. Ma esistono per tutte o quasi tutte le reclute validi meccanismi di difesa. Chi è coinvolto dal patriottismo stringe i denti perché si sente un po' eroe, chi è critico verso il sistema deve comunque difendere il suo orgoglio, non può sfigurare. E poi la pause e le libere uscite con i commilitoni ritemprano lo spirito, l'attesa delle licenze induce fantasie meravigliose. Ecco ora il nostro Paese nel primo dopoguerra. I ragazzi crescono in un'atmosfera di ricostruzione, in cui sono tramontate le fantasie eroiche, ma nella quale i genitori lavorano per l'impegno caparbio di raggiungere obiettivi che paiono ancora stimolanti, almeno sul piano della praticità e dei piaceri consumistici. A scuola il principio di autorità è scalfito ma non ancora tramontato, la politica ha un sapore nuovo che incuriosisce, la progressiva caduta dei tabù sessuali induce continue scoperte. Soprattutto vige an94

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

cora il concetto che tutto ciò che si desidera deve essere conquistato con fatica. In tale ottica, anche il servizio militare si presenta come una pausa fastidiosa, ma non estranea al ricordo di molti prezzi già pagati nella vita, come una sequela di giorni da contare alla rovescia, in attesa di tornare a progetti non facili già tracciati. Il nostro Paese, com'è oggi, lo conosciamo. I giovani sono cresciuti senza una guida genitoriale credibile, dalla società hanno ricevuto abbondanti indicazioni sui loro diritti e assieme la convinzione che questi non saranno mai appagati. Sono stati addestrati a protestare, in ogni occasione, e quasi sempre senza ottenere risultati. Alcuni hanno avuto privilegi in ogni campo, pur restando insoddisfatti perché ne avrebbero voluti di maggiori; altri hanno vissuto osservando con rancore i vantaggi altrui, nutrendo così un'insoddisfazione aggressiva. Le fatiche fisiche sono per quasi tutti un'esperienza ignota, con l'eccezione di quelle sportive sorrette dai miti residui del nostro tempo. La libertà è stata acquisita come argomento per richieste da avanzare, in un crescendo dai confini sfumati. Si può comprendere che, per chi ha vissuto in questo clima, il servizio militare appaia come un collaudo sconvolgente. Pensiamo che, per i giovani di oggi, il suo aspetto più incredibile sia la fine improvvisa del diritto alla protesta, dell'autorizzazione a differenziarsi e a stupire, provocando traumi negli adulti. Anche le scomodità e i disagi si propongono alla maggior parte delle reclute come esperienze ingiuste e mai provate. Infine la prospettiva di un lontanissimo ritorno a casa non può sorreggere chi non è abituato all'attesa e non offre temi per fantasie positive, già minate da un saldo scetticismo. Tutto ciò è certo sufficiente per generare diversi livelli individuali di depressione. La sua massima espressione, il suicidio, richiede però l'esistenza di fattori personali latenti, abitualmente controllati, ma pronti a scatenarsi in circostanze relativamente e soggettivamente eccezionali. Si tenga presente che il suicidio è, per 95

PARENTI - PAGANI

l'uomo, la "massima protesta", suscettibile di emergere in modo particolare quando le usuali forme di protesta sono impedite. Mentre scriviamo queste pagine, prendiamo atto che, da qualche mese, le notizie di suicidi di reclute si sono diradate. Un superamento della fase critica? Forse. Si può anche ipotizzare che, da principio, la diffusione degli episodi abbia agito come fattore di contagio e in un secondo tempo abbia indotto una salutare paura preventiva.

Declino e sofferenza di una classe dirigenziale

Una crisi di senilità dirigenziale in un uomo appena quarantenne. Sorprendente, ma reale e attualissima. Il nostro paziente ha fatto carriera dalla "gavetta", come si diceva una volta (la locuzione è stata abbandonata in ossequio all'antimilitarismo). Un rapidissimo iter di promozioni, sospinto da un'intelligenza pragmatica e dalla caparbia volontà di arrivare: operaio specializzato, capo operaio, capo intermedio e infine dirigente con ruolo di prestigio. Poi, di colpo, l'impatto crudele con una nuova, impietosa categoria di competitori," entrati nella ditta con la carta di credito di una formazione tecnicizzante di tipo americano. Sono poco più che ragazzi, ma parlano un gergo da iniziati, l'inglese manageriale, seguono il linguaggio misterioso degli organigrammi, applicano abilissimi compromessi tra un progressismo di copertura e l'interesse della proprietà. I vecchi criteri di conduzione, fondati sul buon senso e sulla capacità di decidere caso per caso, anche improvvisando senza troppe regole, non reggono più nell'ambiente di lavoro, divenuto allergico alla spontaneità come la scheda perforata di un computer. Di qui un preoccupante episodio depressivo, un lungo periodo d'inerzia e infine il ripiego verso un'attività "vecchia maniera", al servizio di una ditta artigianale. 96

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

Il secondo dirigente della vecchia leva, di cui esporremo la crisi, ha percorso una carriera sin dall'inizio con tutte le carte in regola. Cresciuto in una famiglia medio-borghese, si è laureato con il massimo dei voti in economia e commercio presso una prestigiosa università privata, il che gli ha consentito subito l'accesso a un buon impiego. I suoi passi avanti nell'ambito dell'azienda sono stati progressivi, ma non rapidissimi, collocati sul filo impegnativo di un continuo aggiornamento, sia teorico che pratico. Mirava alla dirigenza in un settore ed era certo di raggiungerlo, esibendo rigore e preparazione. Egli consegue la sua meta a cinquantatré anni e ne è pienamente soddisfatto. Assapora il successo mantenendo l'autocontrollo e continuando ad aggiornarsi. Ogni giorno si compiace del suo ufficio ampio e confortevole e si preoccupa anche di gratificare i suoi collaboratori: come Napoleone non dimentica di far capire a ciascuno che nel suo zaino vi è il bastone di maresciallo. I suoi cinquantacinque anni coincidono con un avvenimento imprevisto e terribile. La ditta in cui lavora è assorbita da un'altra assai più grande che, per un misterioso gioco di politica economica, decide di ridimensionarne l'attività. Ciò comporta uno sfoltimento del personale, anche dirigente. La pillola, certo, è addolcita. Gli offrono una superliquidazione, gli fanno notare che la sua pensione sarà quasi uguale al precedente stipendio e gli fanno balenare lo specchietto di possibili consulenze. Gli fanno anche capire che, se s'interstardisse a restare, la sua vita in azienda diverrebbe difficile. Le dimissioni sono inevitabili. La nuova vita di pensionato di lusso presenta all'inizio qualche sfumatura di piacere: parecchi viaggi all'estero, il tennis ancora praticato, in effetti alcune consulenze. Ma l'energia vitale del personaggio, ancora attivissima, non tollera i pomeriggi d'inverno davanti al televisore (immutabili sia a Milano che a Rapallo), la lettura delle pagine economiche dei quotidiani come qualcosa di estraneo, l'assenza di quella grande scrivania, simbolo di potere. È la 97

PARENTI - PAGANI

depressione. Ma è per fortuna anche l'inizio di un'analisi, lunga e faticosa, che preparerà comunque un uomo nuovo, capace di gestire una coraggiosa attività in proprio. I due episodi ci sono sembrati significativi per sottolineare la crisi odierna del dirigente italiano e i fatti depressivi individuali che la punteggiano. Sono ovviamente più colpiti dal fenomeno i capi d'azienda di vecchia formazione, che risentono del ringiovanimento dei quadri. L'abbassamento progressivo dell'età media dei dirigenti è una conseguenza dei privilegi consumistici e politici che la società di oggi elargisce alle nuove generazioni. In un ambiente collettivo in cui la produzione, la vendita, i programmi dei partiti, lo spettacolo, i mezzi d'informazione audiovisiva si rivolgono con più larga incidenza addirittura agli adolescenti, è comprensibile che la direzione delle varie attività sia affidata a chi abbia appena raggiunto la maturità, sia perché lo si presume più vicino ai gusti e alla sensibilità del nuovo pubblico, sia perché si pensa che abbia ricevuto una formazione tecnica al passo con i tempi. Ai fermenti negativi che nascono nel luogo di lavoro si aggiungono poi, per il capo maturo, quelli che si assorbono in famiglia e nella vita privata, attraverso la constatazione di un calo di prestigio generazionale. Il secondo caso che abbiamo portato segnala un gravissimo fenomeno, che per la verità non riguarda solo i dirigenti: quello del prepensionamento forzato. Secondo ogni previsione, fra pochi decenni un terzo della nostra popolazione sarà costituito da persone mature e anziane. Inserire d'imperio nell'anzianità degli individui che stanno esprimendo al meglio le loro capacità è, secondo noi, un vero e proprio crimine sociale e per due ottimi motivi: la sofferenza depressiva degli interessati e la rinuncia da parte della società a usufruire dei frutti dell'esperienza. Ci stupiamo soprattutto che ciò stia avvenendo sotto l'egida di uomini politici in gran parte radicati a vita alle loro poltrone. 98

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

Le tappe della droga

Le tossicomanie esistono da che mondo è mondo e hanno assunto nel corso del tempo un significato e una pericolosità che variavano con il variare delle culture. Le tribù primitive usavano droghe per trovare la forza di lottare contro entità mal conosciute e per evadere da una vita gravida di rischi ignoti. Nel secolo scorso, in un'Europa decadente e gravida senza saperlo della rivoluzione tecnologica, si drogavano isolatamente gli sconfitti della vita con una forma indiretta di suicidio e assumevano orgogliosamente droghe gli artisti e i letterati che si collocavano in una élite autodistruttiva, ma ricca di fascino. Nei primi anni della nostra professione abbiamo avvicinato il fenomeno droga come manifestazione minoritaria, non davvero preoccupante sul piano sociale e ancora ristretta nell'ambito di vissuti individuali disastrosi e di un elitarismo emarginato. Abbiamo poi assistito a una vera e propria esplosione: quella delle tossicomanie come fenomeno dilagante giovanile, non più legato solo alle deviazioni dei singoli, ma scatenato da una gigantesca operazione di plagio e di spaccio, le cui finalità vanno probabilmente oltre quella del profitto economico e sono assai difficili da interpretare. Questo disegno diabolico, per altro condotto con abilità magistrale, ha diffuso sostanze diverse e prodotto differenti dinamiche collettive, adattandosi ai mutamenti della storia e del costume. L'eroina è apparsa sulla scena anche del nostro Paese come grande dispensatrice di morte. La cocaina si è sovrapposta con una falsa euforia, contagiando chi cercava il successo. Nuove misture a basso prezzo, già presenti altrove, si avvicinano a noi come prospettiva ancora peggiore. Vediamo assieme, per ora impotenti ma non privi di spirito di battaglia, alcune fra le tappe della droga. 99

PARENTI - PAGANI

Prima fase: la droga come protesta

Una quindicina di anni fa, una seduta di gruppo sul tema droga in una scuola media superiore privata. Lo psicologo ha illustrato ai ragazzi i pericoli delle tossicomanie, presentando anche diapositive e filmati di grande effetto, che documentano con crudezza la degradazione fisica e psichica delle vittime degli stupefacenti. Al termine del suo intervento galleggia nell'aula per qualche minuto un silenzio reattivo: i visi dei giovani esprimono imbarazzo, disagio, preoccupazione. Lo scopo preventivo sembrerebbe raggiunto, mediante una vaccinazione emotiva basata sulla paura. Dagli altri si differenziano però due ragazzi e una ragazza, che manifestano quasi subito il loro bisogno di polemizzare. Il primo a prendere la parola è un adolescente che ha gestualità e spigliatezza verbale da leader. Ascoltiamolo. «Che differenza c'è, secondo lei, fra la droga e l'alcool?». «Sul piano dell'abuso, nessuna», risponde lo psicologo, sorridendo appena e mostrando così di essere preparato alla domanda, « un alcolizzato e un drogato sono in fondo la stessa cosa. Esiste invece una sicura diversità sul piano del consumo moderato, possibile senza danno per le bevande alcooliche e invece sempre pericoloso nel campo degli stupefacenti. Secondo te, qual è il corrispettivo innocuo del grappino che si beve in una gita in montagna? Forse l'iniezioncina? ». «Glielo dico io che cosa c'è», ribatte pronto il ragazzo, «c'è lo spinello che si fuma in compagnia e che forse è ancora meno dannoso. Già dal secolo scorso l'alcoolismo è stato tollerato apposta dai capitalisti per tenere buono il proletariato. Anche oggi la vostra generazione fa le sue campagne contro la droga e continua a permettere l'abuso di alcoolici. Sappiamo bene il perché: lo spinello, per noi

100

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

giovani, è una bandiera di libertà, l'insegna di una rivoluzione, una sfida al vostro perbenismo! ». Il gruppo comincia a drizzare le orecchie, a liberarsi dalle paure evocate, ad ascoltare con una nuova attenzione più disposta alla polemica. Lo psicologo è bravo, ma un poco in difficoltà. Spiega di condividere appieno la lotta all'alcoolismo. Ma aggiunge che un pericolo sociale non deve essere combattuto con un altro pericolo. Polemizza poi sulla presunta non pericolosità della marijuana e dell'hashish, affermando che queste droghe, al di là della loro azione sugli organi, strutturano una vera e propria mentalità tossicomaniaca, anche perché sono assunte proprio dai giovani nello spirito sterile di un distacco dalla realtà concreta. Inoltre queste sostanze, sul tempo, deludono, lasciano insoddisfatti. Di questo fenomeno si servono gli spacciatori per introdurre le droghe più lesive. Sin qui l'atteggiamento del pubblico è ancora perplesso, forse diviso in due campi. Ma infine la voce della prevenzione, utilizzando l'umorismo, riesce a ottenere un successo di misura. Lo psicologo, contestando lo spinello come bandiera di lotta, esclama che una rivoluzione di drogati si disperde a calci nel sedere. Si tratta purtroppo solo di una boutade, anche se utile in quel momento. Abbiamo riportato l'episodio soprattutto come dimostrazione di comportamento. I protagonisti dell'episodio, che ormai ha sapore di antico, erano consumatori alle prime armi di droghe leggere. La loro citazione in questo libro può sembrare non pertinente. Essi infatti, allora, non mostravano alcuna manifestazione depressiva, erano anzi eccitati, battaglieri, protesi ed efficienti nella loro ansia di contestare. Riteniamo invece che chiamarli in causa sia stato più che legittimo. Per noi è chiaro che i ragazzi stavano vivendo inconsapevolmente la prima fase di un più lungo e infausto processo, forse predisposto ad arte da mani segrete. Compiremo il dovere spiacevole di seguire gli ulteriori passi della loro involuzione. 101

PARENTI - PAGANI

Seconda fase: la droga come declino e rassegnazione alla morte

Lo psicologo di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti e uno dei giovani che contestavano in favore delle droghe leggere s'incontrano dopo qualche anno. Il ragazzo è giunto al colloquio su insistenza del padre e dopo tre appuntamenti mancati per dimenticanza. Vediamo la sua trasformazione. E magrissimo, ha il viso coperto da foruncoli, non mostra più la baldanza polemica di un tempo, esibisce un sorriso abulico e accoglie senza resistenze l'invito a parlare della sua situazione. Ascoltiamolo. «Che cosa vuole che le dica... sì, mi buco, due iniezioni di eroina al giorno. Certo, lo so che dovrei smettere, un mio amico è morto, altri due sono in carcere... ma subito non me la sento, sto troppo male. Mio padre non capisce niente, si arrabbia, con lui non si può parlare. Mia madre, poverina, piange e non sta bene. Devo sbrigarmela da solo, non c'è altro da fare. Il problema sono i soldi, se continua così finisco dentro anch'io». Dopo una pausa comprensiva, lo psicologo lo interroga sui temi della sua vita: lo studio, le ragazze, la politica, gli amici. «Per il momento mi sento vuoto, non c'è niente che m'interessi davvero... o forse sì, una ragazza. Con lei stavo bene, ma i genitori non la lasciano uscire, la controllano. Adesso ne ho un'altra, ma solo per interesse, è una che spaccia, mi serve per quello e basta. All'università non vado quasi mai, l'anno scorso però ho dato due esami, sono andati bene. Con la politica ho finito, fanno chiacchiere e nient'altro. Nella mente io la concepisco solo come terrorismo, ma ho troppi guai personali per occuparmene. Gli amici? I migliori, come le ho detto, sono finiti male. Vedo qualcuno, anche loro si bucano, ma non sono veri amici, non ci capiamo». Interrogato sul perché continui a drogarsi e sul tipo di 102

I

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

piacere che prova facendolo, risponde ancora di buon grado. « Piacere? No, ormai non provo più niente. Ma sto male, malissimo, se non prendo la droga». Quando lo psicologo gli chiede se immagina quali saranno le sue prospettive continuando su questa strada, il ragazzo abbassa il capo e mormora: «Certo che lo so, ne ho visti troppi finire così. Sono morti per quelle porcate che aggiungono adesso all'eroina o sono finiti in prigione». Nel suo atteggiamento, nel suo tono di voce, nelle sue parole, c'è tutta l'essenza, abulica e scoraggiata, di un dramma già segnato. Non è questa la sede per trattare a fondo il vasto problema della droga, di cui ci interessano qui solo gli aspetti sociali legati alla depressione. E certo, come abbiamo appena documentato, che le tossicomanie generano sempre, nella fase di consumo abituale, l'autodistruzione e uno stile depressivo. Nella genesi di fondo del fenomeno agiscono sicuramente fattori collocabili nella grande protesta in grigio, tipica soprattutto delle nuove generazioni. Il fatto che un settore della popolazione ricorra su vasta scala agli stupefacenti significa che è particolarmente ricettivo nei loro confronti, il che significa a sua volta che è bisognoso di compensazioni basate sul distacco dalla realtà e sulla rinuncia a un ruolo attivo nella vita singola e collettiva. Le notazioni di costume che abbiamo esemplificato con la vivacità immediata di alcuni episodi scandiscono a grandi linee gli influssi culturali che possono spingere specie i giovani a una scelta di morte. Il carattere di gruppo di tale degenerazione risulta ancora comprensibile analizzando la complessa crisi dei modelli familiari, della scuola, degli ideali civili, della sessualità, del costume in genere. L'affratellamento dei deboli prima in una protesta sterile e poi nell'attesa della morte è un simbolo così chiaro di decadenza collettiva da non richiedere ulteriori delucidazioni. L'in103

PARENTI - PAGANI

terpretazione del fenomeno droga solo in base a questi dati non ci risulta però convincente. Vediamone i motivi. Non crediamo che il rilancio delle tossicomanie possa essere ragionevolmente spiegato come un prodotto spontaneo del tessuto umano odierno. I nostri adolescenti (è proprio dall'adolescenza che parte nella maggior parte dei casi il triste cammino verso la morte chimica) hanno caratteristiche polivalenti di debolezza, aggressività e vulnerabilità. Da tale situazione avrebbe potuto nascere al massimo il consumo allargato di quelle minidroghe artigianali che avevano appunto contrassegnato il primo periodo della contestazione giovanile, astenicamente musicale, ingenuamente ecologico, ripiegato verso un primitivismo di maniera. Ma droga oggi significa eroina, ossia la più terribile fra le sostanze stupefacenti, un prodotto non certo di preparazione spicciola e oltre tutto un oggetto obbligatoriamente d'importazione. Non si può negare, dunque, che le droghe mortali si consumano perché si vendono. Tutto ciò presume un intervento esterno, organizzato con cura e propagandato con grande abilità psicologica. Siamo perciò di fronte a uno sfruttamento intenzionale delle caratteristiche del terreno. Le misteriose, intoccabili figure che stanno dietro l'operazione agiscono senza dubbio per fini di lucro, ma forse non solo per quelli.

I genitori dei drogati

Un padre e una madre già in età, privi di cultura, pieni di amore come pochi, integralmente proiettati a proteggere e stimolare il divenire di una figlia unica, fonte di realizzazione indiretta per le loro speranze ormai sopite. La ragazza ha mostrato prestissimo un'intelligenza non comune, senso estetico e una sicura predisposizione per il disegno. Ora ha diciassette anni e frequenta il liceo artistico, mantenuta agli studi dai sacrifici dei genitori, verso cui non 104

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sembra grata, anzi spesso esibisce insofferenza nei loro confronti, considerando quanto riceve come dovuto. Li tratta dall'alto della sua superiorità culturale e del suo "scetticismo" di maniera, taccia di conservatorismo loro che hanno dedicato una vita al lavoro. Esige una libertà totale e, quando vi sono obiezioni, se la prende con aggressività. L'iniziazione e l'addestramento della giovane alla droga sono avvenuti nel solito modo: il contagio da parte del gruppo, gli spinelli, poi qualche cocktail da fiuto, infine l'eroina. L'abitudine acquisita costa cara, ma la ragazza è troppo orgogliosa per prostituirsi. Oscilla quindi, insieme al suo ragazzo del momento anch'egli drogato, nell'ambito della piccola criminalità: furti d'auto e di radio, spaccio minuto di stupefacenti. Quando riesce vende qualche suo quadro nelle vie del centro (sono molto belli, di un surrealismo caldo e infelice, ma non sempre ha voglia di dipingerli). I genitori vengono a conoscenza della situazione tramite un medico, che ha ritenuto opportuno informarli, vista la minore età della figlia. Da principio non credono alle sue parole: «Non è possibile, la nostra figliola è così intelligente, così matura, tanto brava a scuola... ». Poi, di fronte all'evidenza dei fatti, sostenuta da un'incriminazione per un piccolo reato, sono schiacciati d'improvviso dalla realtà. Hanno passato da poco i cinquant'anni, ma piombano di colpo in una senilità precoce e depressiva. Si sentono troppo inferiori culturalmente alla figlia per reggere a un colloquio con lei, che tentano in modo maldestro e interrompono per poi abbandonarsi a un pianto rassegnato. I fatti segnano la fine di ogni vitalità nella loro esistenza. Altri due genitori, un diverso ambiente sociale. Un padre piccolo industriale ex paracadutista, giunto al successo con le sue forze e con la sua volontà caparbia di fronte agli ostacoli. E un dittatore anche in famiglia, sebbene aggiornato, inserito con disinvoltura nel nostro tempo. La 105

PARENTI - PAGANI

madre è una donna fine, esile, ancora ricca di fascino, compiaciuta di essere stata accolta in un ambiente di élite. E sottomessa in tutto al marito, che le lascia poco spazio per i compiti educativi (le risulta comodo, d'altra parte, ricorrere alla sua forza d'urto per risolvere le situazioni difficili). Tre figli maschi, di cui solo l'ultimo presenta dei problemi. Il primogenito ha interrotto gli studi, ma collabora attivamente con il padre nell'azienda e la prospettiva è che ne diventi un valido continuatore. Il secondogenito studia medicina con ottimo profitto, rifiuta ogni interesse economico e tecnologico, ha salde e selezionate amicizie fra i compagni di università, è già legato stabilmente a una ragazza molto seria, accettata di buon grado dai genitori anche se di condizione sociale un poco inferiore (« Non ho pregiudizi», dice il padre, «quello che conta è la persona»). Analizzeremo a parte, in dettaglio, la situazione dell'ultimogenito. Il suo è stato il tipico vissuto del beniamino viziato, coccolato da tutti, ma nel contempo posto sempre di fronte a paragoni da cui emergeva la sua inferiorità. Persino il padre, con lui, è stato più tollerante e permissivo, rudemente intenerito dalla sua iniziale dolcezza e dalla sua gracilità. Oggi ha vent'anni e segue ancora l'ultimo anno di ragioneria, aspettando con abulia la terza bocciatura. Sino allo scorso anno ha frequentato le amicizie dei fratelli, accontentandosi di un ruolo marginale e soffrendo un poco solo per la scarsa attenzione delle ragazze. Da qualche tempo, però, si è intruppato con un gruppo di ragazzi dissociali del quartiere e ne ha adottato il costume protervo. Si è aggiunto infine il problema droga: la madre ha scoperto dell'eroina in un suo cassetto e ne ha informato il marito. Il padre prende in mano la situazione con la sicurezza che gli è abituale e la moglie, come sempre, si tranquillizza un poco, confidando nella sua decisione. Degli investigatori privati assumono l'incarico di seguire il ragazzo. Il loro la106

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

voro è ottimo: in breve tempo confermano la tossicomania e forniscono alla famiglia persino il nome e la descrizione di un piccolo spacciatore della zona, da cui il giovane acquista la droga. A questo punto, scatta tempestiva l'azione d'urto del genitore. L'uomo, rinverdito nella sua trascorsa bellicosità, attende sotto casa e affronta direttamente lo spacciatore. Lo prende a pugni e, quando è a terra sanguinante, lo diffida dal frequentare ancora suo figlio, minacciandolo di conseguenze ancora più gravi. La sera parla al figliolo con un nuovo tono autoritario. «Non ti permetterò di rovinarti», gli dice con una voce che non ammette repliche, « ti salverò anche contro la tua volontà. Da oggi uscirai solo con me, ti accompagnerò a scuola e ti verrò a prendere di persona. Il tempo libero lo passerai in casa, fino a che mi darai la prova di esserti liberato dalla droga». Il ragazzo non risponde e si rinchiude in un mutismo totale. Da principio sembra dominato, ma, dopo una settimana, fugge di casa durante la notte. E ritrovato dopo due giorni dal padre, che lo picchia duramente e lo rinchiude a chiave nella sua stanza. Ma il ragazzo pone in atto un serio tentativo di suicidio con un sonnifero trovato nella farmacia di famiglia. Appena uscito dal coma, si rivolge ai genitori con una calma cattiva e determinata, affermando che non riusciranno a piegarlo, che scapperà ancora o tenterà di nuovo il suicidio alla prima occasione. Il padre è costretto a prendere coscienza della sua sconfitta, forse la prima nella sua vita che non offra possibilità di recupero. La rassegnazione per lui è insostenibile. Perde ogni interesse anche per il lavoro, defluisce in un grave stato di depressione che, dopo un inutile ricovero, si trasforma in decadenza. I casi che abbiamo presentato documentano le due risposte estreme dei genitori con figli drogati. Nell'uno e nell'altro apparivano precedenti errori di fondo nell'educazione familiare (per carenza di modelli evoluti nel primo e 107

PARENTI - PAGANI

per il confronto con modelli inferiorizzanti nel secondo). Abbiamo avuto però frequenti occasioni di osservare lo sviluppo del fenomeno droga anche nell'ambito di nuclei familiari in giusto equilibrio fra l'impegno formativo e la tolleranza connaturale ai nostri tempi: il plagio intenzionale esterno è oggi infatti così dilagante ed efficace da travolgere ogni positivo influsso anteriore. Per i genitori la scoperta di un figlio tossicomane agisce quasi sempre come fattore scatenante di grande intensità, capace di drammatizzare una perdita di ruolo generazionale già radicata o di scompensare all'improvviso l'ansiosa finzione di sicurezza che parecchi adulti cercano ancora di mantenere di fronte ai nuovi giovani. Che ciò induca con notevolissime incidenze reazioni depressive, basate sul trauma affettivo e sulla perdita di autostima, è dunque comprensibile.

Il revival della cocaina

Forse in base al principio che una grande operazione commerciale deve lanciare sul mercato prodotti alternativi (o in base a quello che per distruggere una civiltà si devono usare contemporaneamente armi diverse), i venditori di morte chimica, senza interrompere lo spaccio di eroina, stanno diffondendo nel mondo occidentale e anche da noi un'altra droga, eccitante, che finge di stimolare l'efficienza: la cocaina. Anche questa tossicomania evoca in noi immagini di un passato in cui il fenomeno si presentava limitato ed elitario. I ricordi sono intensamente letterari e dipingono figure allucinate di poeti e artisti "maledetti", protesi a recitare un personaggio e a sorreggerne la creatività con ogni artificio. Oggi il consumo di cocaina parte ancora da una élite - questa volta soprattutto economica - ma dilaga robustamente oltre i suoi confini, intaccando per desiderio d'i108

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

mitazione coloro che aspirano a un ruolo di successo senza possedere davvero le capacità di raggiungerlo. Al contrario dei modelli già saldamente aggrappati alla fama, i patetici imitatori si gettano nella droga senza autocontrollo, sospinti a incrementarne l'uso dagli insuccessi nella scalata al potere. Quando l'assuefazione avrà distrutto i momenti di euforia, li attenderà una discesa depressiva verso la fine. Ascoltiamo il racconto rassegnato di una giovane, partner di un cocainomane per ansia di successo: «Renzo era un compagno meraviglioso, nei momenti della tenerezza, del sesso e del tempo libero. Quando parlava del suo lavoro, faceva il rappresentante, diventava però un'altra persona, era insoddisfatto e cattivo. Aspirava a qualche cosa di più, ma non aveva le idee chiare, il suo modello era un magnate dell'industria, la sua invidia più concreta e vicina si rivolgeva a un gruppo di conoscenti molto più ricchi di lui. Poi è venuta quella sera, quella maledetta festa. "Pensa - mi ha detto con esaltazione - mi hanno invitato i G., a casa loro, è incredibile!". Ha voluto portare anche me, ma io mi sono tenuta in disparte, quella gente non mi piaceva, ho assistito a tutto come all'inizio di una tragedia. Quando ho visto circolare quel vassoio d'argento colmo di una polvere bianca, ho cercato di fermare Renzo, ma lui mi ha mormorato sottovoce un insulto. Il resto è stato come un incubo, che ora vedo rapidissimo anche se è durato più di due anni. Renzo ha lasciato il suo posto sicuro e si è fatto coinvolgere in quel tentativo azzardato, impegnando tutti i suoi risparmi. Guadagnava meno di prima e quel poco lo spendeva per la coca. Ma "frequentava" e questo continuava a esaltarlo. Otto mesi fa mi ha lasciato, oggi dico per fortuna, ma allora ero disperata e ferita dalle sue parole "non sei all'altezza". Ho appreso gli ultimi avvenimenti da altre persone: il processo, una condanna con la condizionale e sempre la coca. Due giorni fa l'ho visto passare in una via del centro e l'ho riconosciuto appena; 109

PARENTI - PAGANI

pallido, emaciato, con il vestito che gli pendeva addosso, camminava come uno spettro». Una storia come tante, una storia di droga e di depressione.

L'Aids, fatalità, errore degli uomini o punizione divina?

La fantasiosa ipotesi elaborata dai popoli primitivi, che attribuisce l'origine di alcune malattie a una punizione per peccati commessi violando i tabù tribali, sta ritornando paradossalmente attuale nel nostro mondo in apparenza disincantato. Responsabille di questo ritorno alla preistoria è l'Aids. L'attuale diffusione di questa malattia, se pure ancora relativamente limitata, ha innescato un fenomeno culturale di più vasta portata per le caratteristiche delle categorie a rischio iniziali: gli omosessuali e i tossicodipendenti. Il rischio di contrarre l'Aids suscita in certi settori della popolazione e in certi soggetti vissuti di colpa e di degradazione, paura dell'ignoto, ripensamenti angosciati a esperienze trascorse, reazioni depressive con un senso incombente del destino. Il modo di reagire a questo virus enigmatico, che sta sfidando tutte le sicurezze della scienza, appare estremamente differenziato secondo la tipologia umana. Porteremo qualche esempio tratto dalla nostra esperienza professionale. Larghi strati dell'opinione pubblica elaborano una rassicurazione fittizia che sembra negare la sua esistenza. Ciò appare comprensibile nelle categorie fuori rischio, ma è di più difficile interpretazione in persone non esenti da occasioni di contagio che si nascondono dietro la barriera di un pensiero inconsapevole: "a me non può capitare". I tossicodipendenti abituali, ormai arrivati a forti dosi quotidiane, sono così vicini all'inesorabilità della morte da ignorarne la minaccia con un'apatia proterva, forse indotta 110

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

in parte dalle sostanze. Per alcuni tossicomani sporadici il timore dell'Aids è divenuto paradossalmente un fattore di recupero. Quando però essi sono raggiunti dalla sieropositività o dalla malattia, le reazioni psichiche sono intense e scoraggiate. In media gli omosessuali italiani non tossicodipendenti sono preoccupati e attenti al problema e si sottopongono a frequenti controlli. I clienti della prostituzione transessuale sono invece spesso così coinvolti nella loro deviazione da non sapervi rinunciare, affrontando rischi assurdi di contagio. Le reazioni più intense e drammatiche si osservano in chi è stato contagiato da un partner di cui ignorava la tossicomania. E in questa fascia che si rilevano soprattutto l'angoscia scoraggiata dell'isolamento, l'incubo del domani, la vergogna che impedisce il sollievo mutuato dalle confidenze. In questi casi, però, la solidarietà e gli interventi psicologici possono essere di aiuto. Abbiamo osservato con stupore che i nevrotici affetti da fobie estranee al tema malattia tendono a ignorare il pericolo potenziale dell'Aids, rimanendo trincerati nella loro paura degli spazi angusti o aperti, del buio, della polvere o di altre inconsistenti minacce, che evidentemente hanno una forza simbolica capace di resistere alle interferenze. Gli ipocondriaci invece inseriscono più spesso anche il nuovo virus in una posizione di parità nella gamma delle loro fobie. Recenti episodi di cronaca hanno segnalato il suicidio di soggetti non a rischio, assurdamente convinti di avere contratto la nuova malattia. Abitualmente questi individui presentavano un radicato complesso di colpa, sotto forma di nevrosi o più drasticamente di psicosi delirante.

111

PARENTI - PAGANI

Delle diete, del colesterolo, del modello magro e di altri temi

Dopo argomenti terribili come la droga e l'Aids, concediamo una breve pausa agli aspetti maggiori dell'angoscia, entrando nei sentieri più minuti e apparentemente futili dell'ansia, che però, a nostro parere, meritano anch'essi attenzione psicologica. Ci ritroviamo per una cena con vecchi compagni e compagne di università. La lista del ristorante, ben scelto, è pingue di suggestioni. Noi ordiniamo secondo il nostro abituale edonismo gastronomico, che osserva il culto della qualità e della varietà, censurando solo l'abbondanza delle porzioni. Lo giudichiamo un compromesso regressivo con il costume del momento. Una collega, che regge all'età con sorprendente tenuta estetica, comanda invece del primo un'insalata spartana condita con olio di semi e poi un filetto ai ferri senza aggiunta di grassi. « Questa sera faccio uno strappo», commenta, «di solito prendo solo un tè». Le altre signore, con l'esclusione di una, la imitano con modeste varianti. L'atmosfera, prima distesa e allegra, si fa un po' greve. Due o tre fra gli uomini, che stavano studiando la lista con sguardo voglioso, cominciano a mostrare perplessità. Uno chiama in causa con imbarazzo il suo colesterolo e dichiara: «O il primo o l'antipasto». L'inibizione si fa corale al momento dei dolci, che tutti rifiutano, noi compresi. La fase del caffè trasforma furtivamente la tavola in un banco di farmacia. Quasi tutti i commensali estraggono dalle tasche e dalle borse minuscole scatole metalliche e sussiegose bustine. Sembra scontato e codificato che la bevanda non si debba dolcificare con lo zucchero. Il piacere dell'alimentazione (essenziale obiettivo della psicologia, che alcuni interpretano in chiave sessuale e altri in chiave aggressiva) non è fatto solo di contenuti, ma anche di apparenza, di vitalità gestuale, di luci, colori e profumi. Fra i nostri ricordi giovanili si staglia l'immagine domenicale di una grande pasticceria del centro cittadino. La 112

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ricordiamo gravida di folla, occupata a nutrirsi con clamore e con avidità. Mangiavano di tutto: dalle tartine gelatinate ai cannoncini alla crema, che rendevano lucide e sensuali le labbra degli avventori. I cibi erano messi in mostra con un consumismo d'avanguardia, vivido e accattivante. La grande azienda che gestiva il locale era fra le più prospere sul piano economico. I nostri commenti, allora, erano improntati alla censura elitaria di quel fenomeno collettivo, basata sull'orgogliosa autodifferenziazione. Oggi ci differenziamo di nuovo, ma per motivi diversi, dai più clamorosi connubi fra cibo e folla esibiti dal centro della nostra città. Vogliamo alludere - i lettori l'avranno capito - al fenomeno dei "fast-food". La denominazione si collega a un'effettiva esigenza del suo luogo d'origine: gli Stati Uniti. Laggiù quei locali sono proprio fatti per mangiare in fretta e sono frequentati da persone di ogni genere, che hanno stabilito un compromesso fra i loro impegni pressanti e il bisogno di nutrirsi. In America siamo entrati anche noi senza imbarazzo in quei contenitori di umanità efficiente, gomito a gomito con fattorini e vecchiette, bancari e studenti, commesse e poliziotti. Nella nostra città invece, specie di sera, nei fast-food la fretta non l'abbiamo trovata. E non abbiamo trovato neppure campionari di umanità. Sul piano antropologico abbiamo riscontrato una monocultura: tanti ragazzi che elaboravano tre o quattro simbologie standard nel vestire e stazionavano lì a lungo. Non erano ostili, ma un poco protervi, farsi largo tra l'uno e l'altro per raggiungere il banco di ordinazione non era un'esperienza rilassante come quella che avevamo provato, ad esempio, a Burlington (Vermont) fra le vecchiette, i poliziotti e gli studenti. Poi ci siamo accorti che, noi e gli altri, stavamo guardandoci come se fossimo allo zoo e credendo, sia noi che gli altri, di stare al di fuori della gabbia. Ci siamo persino guadagnati qualche sorriso, mordendo con finto interesse un panino molliccio che sapeva di plastica. All'uscita, navigando fra un mare di cartacce, abbia113

PARENTI - PAGANI

mo evitato con agilità un ragazzo lungo e magro che sfrecciava sugli schettini e abbiamo gettato i resti del panino in un cesto per i rifiuti. Sulla via del ritorno a casa, abbiamo fermato la macchina davanti a un altro locale: un bar più piccolo ma sempre affollato. Gli avventori erano sempre, in prevalenza, giovani, però meno pittoreschi nel vestire. C'era anche qualche persona matura, che non stonava. Aleggiava nell'aria un profumo fragrante, un calore accattivante. Tutti mangiavano panini con evidente piacere. Li abbiamo subito imitati, il cuore ci si è aperto: erano eccezionalmente buoni, avevano un sapore antico, forme e contenuti diversi. Nel complesso l'atmosfera, in cui ci siamo naturalmente inseriti, era quella rituale e silenziosa di una religione proibita. Abbiamo visitato, utilizzando un buono propagandistico inviato ai medici, un club "ginnico-dimagrante", uno dei tanti che prosperano nella nostra città. L'ambiente ci è parso subito confortevole, elegante, efficientissimo per quanto riguarda le metodologie fisiche applicate. Il nostro interesse di psicologi ci ha indotti però, durante la visita, a trascurare i dettagli tecnici e a sondare invece con una curiosità più genuina le motivazioni e le reazioni intime della vasta e varia clientela che animava i locali. Abbiamo visto uomini e donne, in media dai trenta ai cinquant'anni, coinvolti dagli attrezzi, dalle apparecchiature e dalle azioni, in genere ripetitive sino alla monotonia e rigorosamente preordinate, con un impegno e una determinazione che oggi è raro osservare negli altri settori della vita collettiva, ad esempio nel lavoro, nello studio o anche nel divertimento. Il sudore sottolineava, nei volti, una mimica totalmente protesa verso una finalità, il che non è cosa da poco in un'epoca che ha visto cadere quasi tutti gli ideali. Si leggevano su quei visi alternanze ritmiche di soddisfazione narcisistica e di scoraggiamento. La tipologia umana proponeva, in alcuni casi, scontate ragioni per quella libera scel114

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ta di fatica e lasciava, in altri, riserve di perplessità per noi ricche di stimoli. Ci è sembrato inutile chiedere ai soggetti obesi perché affrontassero quei volontari supplizi, evidentemente terapeutici. La nostra inchiesta si è fissata quindi sulle persone dal fisico apparentemente normale o appena sfumato da tenui sospetti di sovrabbondanza adiposa. La maggior parte delle interviste è risultata chiarificatrice dal punto di vista psicologico. Quegli uomini e quelle donne, prima di compiere la grande scelta, avevano vissuto gravi frustrazioni e temi interiori depressivi per una ragione che li accomunava: la loro mancata coincidenza con il "modello magro", che oggi suona come requisito indispensabile per una serie vastissima di obiettivi. I frequentatori del club ritenevano tutti che fosse indispensabile essere magri per apparire giovani o ancora giovanili, per conquistare o conservare un partner sessuale, per garantirsi una carriera nel lavoro, per avere rispetto di se stessi. La caparbia operazione che stavano compiendo apriva certo speranze e transitori compiacimenti, ma delineava sempre sull'orizzonte nebbioso del futuro lo spettro di un possibile ritorno dei chilogrammi perduti. Uno spettro sicuramente di stile depressivo. I lievi bozzetti di costume che abbiamo tratteggiato segnalano coralmente un fenomeno discreto e contraddittorio dell'Italia contemporanea: la decadenza dell'edonismo. Può sembrare paradossale che il fatto si manifesti proprio in coincidenza di una decolpevolizzazione del piacere. Ma esiste una spiegazione psicologica che abolisce il paradosso. Se si toglie al piacere il gusto del proibito, la gratificazione aggressiva che nasce dall'aver infranto un tabù, esso diviene ben poca cosa. Si può anche prospettare l'ipotesi che l'uomo non tolleri l'assenza di regole e di costrizioni, soffrendo inconsciamente per la loro mancanza, sino al punto di doversene creare delle altre, a volte con una compensazione nevrotica personale e a volte lungo un filone del costume che vale sempre come compenso collettivo. 115

PARENTI - PAGANI

La fine dello sport come libertà istintiva

Noi, autori di questo libro, abbiamo entrambi imparato prestissimo a nuotare. Siamo entrati da bambini nell'acqua dei fiumi, dei laghi e dei mari così alla buona, senza prendere lezioni da nessuno, pasticciando in qualche modo fra gli spruzzi e acquistando compiaciuti il senso naturale di potenza che deriva dall'avvertimento incredibile di essere capaci di restare a galla. Uno di noi ha praticato l'equitazione, senza sottintesi di snobismo, anzi con una componente che oggi si direbbe ecologica. L'altro ha fatto dello sci, usando appena i rari mezzi di risalita allora disponibili e arrancando al freddo verso limitate cime per concedersi una discesa. Il tutto ravvivato dal piacere di farlo con degli amici, di fraternizzare con loro nella fatica, d'interrompere quando ne provava il desiderio. Per entrambi i risultati stilistici sono stati assai modesti, ben compensati però dal divertimento. Un nostro piccolo paziente, di appena otto anni, è mandato dai genitori a lezioni di nuoto. L'accompagnano d'inverno in una piscina riscaldata, indossa il costume in uno spogliatoio esemplare per il suo nitore, pratica ogni volta, in gruppo e secondo regole precise, dieci minuti di ginnastica pre-natatoria. Dopo una doccia altrettanto pianificata, arriva infine per lui il momento di entrare in vasca. Un istruttore qualificato guida rigorosamente i movimenti suoi e dei compagni, li corregge di continuo, li plasma sino alla perfezione. E un individuo con molta grinta, la sola persona capace di imporre una disciplina che il bambino abbia incontrato fino a quel momento, poiché a scuola la disciplina è considerata antipedagogica. Questo ragazzino ci è stato inviato perché presentava dei disturbi psicosomatici, fra cui faceva spicco un vomito chiaramente funzionale (tutti gli accertamenti clinici erano risultati negativi). In sede di colloquio psicologico la sua disinibizione non è stata facile. Prima di toccare i temi di 116

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

conflitto abbiamo dovuto giocare con lui, inventare assieme delle storie, stabilire insomma un rapporto di reciproca amicizia. Il suo quadro nevrotico era complesso e non ci sembra necessario parlarne a fondo in questa sede. Diremo soltanto che nei sogni, nelle associazioni di parole e in altre occasioni di stimolo per l'analisi è risultato un chiaro abbinamento fra il concetto di nuoto e quelli di frustrazione, timore, rabbia contenuta. In effetti il piccolo paziente presentava un certo impaccio motorio e la comparazione rigida dei suoi movimenti con quelli degli altri durante la lezione di nuoto costituiva per lui un motivo di confronti negativi. Dopo aver risolto il quadro nevrotico con una lunga serie di spiegazioni e di interventi che esorbitano dal nostro tema, ci è rimasto da risolvere il problema del rapporto condizionato negativamente fra il bambino e la "situazione nuoto" (avevamo fatto sospendere subito le lezioni). Lasciarlo timoroso dell'acqua non ci sembrava positivo, poiché avrebbe radicalizzato in lui un settore d'insicurezza e d'inferiorità. Ci è stata d'aiuto un'intuizione illuminante. D'accordo con i genitori di altri due ragazzini che presentavano un simile blocco, abbiamo favorito, con una finta casualità, il loro incontro in una piscina estiva all'aperto, senza istruttori, né ombre paventate di rituali preparatori. Siamo particolarmente orgogliosi del fatto che i tre bambini abbiano finito per giocare assieme nell'acqua e poi per nuotare in qualche modo, uscendone non certo pronti per l'agonismo, ma sicuramente più felici e più preparati alla vita. L'esempio che abbiamo riportato offre una situazione peculiare che non fa testo sul piano generale. Esso contribuisce però a delineare alcune reazioni individuali a un fenomeno collettivo, tipico del costume contemporaneo. Siamo ancora di fronte a una società che ha distrutto polemicamente le regole in determinate sedi, creandone poi altre, cariche di rinnovato rigore, in sedi diverse. Rimane il fat117

PARENTI - PAGANI

to che la pianificazione dello sport, specie infantile e adolescenziale, contribuisce a ridurre la spontaneità di una gratificazione edonistica, un tempo assai florida. Si tratta in fondo di un'altra modalità di quella decadenza del piacere di cui abbiamo appena parlato. Aggiungiamo inoltre che le pratiche sportive così articolate neutralizzano ulteriormente la comunicazione fra individuo e individuo, già minata da molti aspetti del costume, come ad esempio, nell'ambito delle famiglie, l'adorazione serale collettiva del feticcio televisivo. E superfluo notare che piacere e comunicazione erano fra le più sicure salvaguardie contro lo stile depressivo.

L'orgasmo pianificato, ovvero la nuova sessualità

Una giovane donna di venticinque anni, sposata da quattro, si rivolge a noi lamentando problemi sessuali di coppia. Le rivolgiamo le domande di rito e per qualche tempo siamo incapaci di comprendere. La paziente nega di essere frigida e nega pure, nel marito, sia l'impotenza che l'eiaculazione precoce. Non affiorano neppure, nell'uno e nell'altro coniuge, forme di blocco psicologico verso la situazione erotica. L'affettività e la tenerezza espressiva nella coppia (punti sui quali insistiamo particolarmente) sono dichiarate ottime. Solo con un interrogatorio più sottile arriviamo a capire l'origine della frustrazione. Le circostanze esposte, evidente frutto di un plagio da parte della nuova cultura, meritano una trattazione più dettagliata. La giovane racconta che dall'epoca delle esperienze prematrimoniali sino a qualche mese prima del colloquio "credeva" di essere soddisfatta dei rapporti sessuali con il suo partner. Infine era arrivata per lei una conoscenza illuminante, nata dalla lettura di un periodico specializzato, dalle spiegazioni di un'amica appassionata di sessuologia e dall'ascolto di una conferenza. Era sorta allora in lei 118

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

la convinzione che il suo appagamento precedente fosse solo illusorio: «Pensi - sono parole della paziente - che il mio orgasmo e quello di mio marito non coincidevano! Ho cronometrato il tempo di permanenza in vagina del pene di mio marito - è un'altra sua affermazione - e sono rimasta malissimo constatando che era molto inferiore a quello dichiarato ideale dalla rivista... ». Non si tratta di un'invenzione polemica, garantiamo la veridicità dei fatti riportati. X. Y. è un dirigente d'azienda trentottenne, attualissimo, efficiente, del tutto ligio al modello citato nel nostro precedente paragrafo sulla categoria. Anch'egli viveva soggettivamente un'esperienza erotica senza problemi (questa volta varia e al di fuori del matrimonio) sino alle evenienze che stiamo per esporre. La tragicommedia ha inizio quando l'azienda, sulla scia di un iter formativo, invia il nostro protagonista a seguire delle sedute di gruppo, con finalità programmatiche di fusione interpersonale e disinibizione. Da principio egli si sente a disagio, disorientato, poiché la comunità psicologica elabora situazioni che gli sembrano assurde, molto lontane dalla sua praticità razionale, ponendo in discussione la sicurezza che gli deriva dal ruolo di manager. A un certo punto, però, i membri del gruppo si spogliano e cominciano a massaggiarsi, ad accarezzarsi, coinvolgendolo e destando in lui un'intensa eccitazione sessuale, che non sfocia comunque in veri e propri atti erotici. Dopo le sedute, la sera, fra i partecipanti si formano spontaneamente delle coppie, che si appartano con ovvie intenzioni. Nessuna delle ragazze presenti, tutte molto più giovani di lui, mostra di gradirlo come partner, il che gli provoca un angoscioso stato d'isolamento e una grave frustrazione. Abbiamo avuto occasione di seguire questo soggetto come paziente proprio a causa dell'episodio. E depresso, ha perduto la sua disinvoltura nei rapporti con l'altro sesso, l'amore individualizzato e i legami precedenti non lo sod-

119

PARENTI - PAGANI

disfano più. All'analisi, egli evidenzia un'acuta e frustrata nostalgia per l'erotismo di gruppo, probabilmente dovuta al bisogno inconscio di riscattare la sua sconfitta. Anche se il trattamento psicoterapeutico ha consentito poi un buon recupero, in tempi comunque non troppo brevi, il fatto resta più che significativo sul piano del costume. Ecco ora una storia più lieve, che si riassume in una scoperta sessuale imprevista, gradita, ma non sconvolgente. G. è una giovane di ventitré anni, nel contempo immatura e disincantata. Gravita nell'università - un esame ogni tanto, senza troppo impegno - e frequenta un gruppo di persone sbandate, vagamente artistoidi, senza un programma di vita. Non è diventata neppure una vera tossicomane, anche se fuma qualche volta uno spinello in compagnia e le è capitato di provare la coca, ma senza ricavarne alcun piacere. Ha avuto e ha ancora esperienze sessuali, tanto per riempire una serata, con dei ragazzi come lei annoiati di vivere, incapaci di passione. Forse proprio nel sesso risiede il suo cruccio segreto: ha dovuto constatare di essere frigida e ciò le crea un disappunto in apparenza non esasperato. Ogni tanto ci pensa e accantona subito questo tema, anzi ogni contenuto della mente: è un esercizio psichico che la tranquillizza, forse una specie di yoga. L'incontro con T. avviene sotto il segno di una curiosità concessiva: è un piccolo borghese, non ha nulla in comune con lei, ma forse potrebbe nascerne un gioco divertente. T. è un esemplare umano in arretrato con il tempo, è romantico, appassionato, anche il suo lavoro è patetico: fa il rappresentante di giocattoli. G. lo fa soffrire d'intenzione, non si concede o gli concede pochissimo e poi si ritira. Quando il gioco si sta ormai saturando e ha perso mordente, T. cambia d'improvviso e fa scaturire un'aggressività offesa, che però non è priva di dolcezza. G. si lascia andare e poi... dentro di lei comincia a manifestarsi qualcosa che prima non aveva mai provato. Piacere, ribellione e tenerez120

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

za assieme. Un gioco antico, anche se lei non lo sa, e anche il desiderio di farlo, ancora, all'infinito... Gli esempi portati non pretendono di provare che le modalità odierne dell'erotismo offrano deviazioni peggiorative, e quindi fonti di maggior depressione, rispetto a un passato recente. Essi contribuiscono però alla constatazione che, sul piano psicologico, il problema non è stato risolto, sebbene si siano propagandate, con una certa sufficienza, soluzioni ritenute miracolistiche. Si può affermare con obiettività che i traumi e le frustrazioni non sono stati neutralizzati, ma sostituiti da altri. Così, un tempo la sessualità era avvolta da tabù che la morbosizzavano in segreto e posta sotto l'egida di un privilegio maschile. Negli ultimi anni i rapporti sessuali sono stati dapprima un po' ingenuamente tecnicizzati e privati della loro passionalità; un successivo riflusso, neoromantico con prudenza, è comparso sulla scena, creando ambivalenze e alternanze. Ne è derivata una situazione ambigua e irrisolta, che non coincide né con il passato remoto, né con quello recente. Ne possono derivare, accanto ad appagamenti teneri o entusiasti, situazioni di solitudine non immuni da depressione.

La donna: in bilico fra passato e futuro

Gli anni ruggenti del femminismo, quelli dei cortei e delle dichiarazioni provocatorie, sono tramontati da poco, ma sembrano ormai lontani nel tempo. Come seguaci di Adler, che fu un precursore nella difesa dei diritti della donna, riconosciamo che il movimento femminista esprimeva in modo paradossale ed esasperato alcune rivendicazioni ineccepibili. Esso fu quasi ignorato dagli uomini e ridimensionato dall'insufficiente consenso femminile, ma contribuì certo a ottenere dei risultati positivi e parziali. Sui problemi della sua posizione nell'ambiente sociale e dei suoi rapporti con il sesso maschile, la donna riceve oggi una 121

PARENTI - PAGANI

grande quantità di stimoli compositi e insieme contraddittori, che non contribuiscono a generare un orientamento basato sulla chiarezza. In alcune attività professionali ha raggiunto una piena parità con l'uomo o almeno un avanzamento di ruolo, in altri settori lavorativi è ancora gravemente discriminata sui piani della carriera e della retribuzione. Nei campi dell'amore e della vita familiare, la nostra società di transizione continua a nutrire filoni diversi. La cultura tradizionale, dominata dal maschio, è in crisi profonda ma continua a elargire una parte dei suoi messaggi più minuti, specie per quanto riguarda la sessualità e l'affettività. Molte donne lottano per un cambiamento, mentre altre - forse la maggioranza - mostrano nostalgie di subordinazione o preferiscono competere con le armi del passato. Non di rado le due scelte coesistono, innescando un conflitto interiore. L'immediatezza di qualche esempio faciliterà la comprensione dei problemi. M., donna e ingegnere, vive intensamente entrambi i ruoli, che ripartisce in diverse ore della sua giornata, il che non attenua le sue intime contraddizioni. Nell'ambito del lavoro svolge funzioni direttive con polso fermo, anche nei confronti dei dipendenti di sesso maschile. Da qualche anno si è separata da un marito debole e sin troppo devoto, che la irritava con le sue assiduità. Da qualche mese ha iniziato una relazione con un uomo più giovane di lei, dal piglio virile, disincantato, ma decisamente inferiore per cultura. E gelosissima del suo nuovo partner, che cerca di trattenere con una seduttività tenera e tradizionale. Dopo quindici anni di un matrimonio iniziato sotto il segno della passione e defluito in una routine avara di appagamenti emotivi, F. ha ripreso a frequentare di sera il liceo classico. Il marito sopporta male questo suo revival intellettuale: in superficie non oppone divieti, ma si rinchiude spesso in un mutismo polemico e riduce le sue attenzioni sessuali. Una figlia quattordicenne tiene apertamente per 122

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

la madre, il che innesca una silenziosa conflittualità familiare. Il tempo darà ragione al fronte femminile, provocando una resa dell'uomo, incapace di reggere all'isolamento. Alla fine l'emancipazione della donna darà un nuovo ritmo creativo anche ai rapporti di coppia. Due esempi opposti nell'ambito della medicina. U n a donna chirurgo, con grandi qualità ma condannata dal suo sesso a mansioni minori. Nella struttura dove lavora, per fare carriera occorre essere maschi. Si è vista passare avanti tutti i coetanei e poi i colleghi più giovani. A quarantacinque anni si ritira, frustrata, non perché la professione non le piaccia. Decide di darsi alla medicina generale, tenendo dentro di sé come fantasia inevasa il ruolo di protagonista nella sala operatoria. Un'altra donna, psichiatra e psicoanalista. Non vi sono preclusioni per lei. La sua strada sale rapidamente verso il successo. La sua rubrica di appuntamenti è colma, anche in campo teorico ha un nome. Nei congressi, le sue relazioni sono ascoltate nel silenzio più attento. Cerchiamo di interpretare i due fenomeni, entrambi confermati dalle statistiche. Forse è una questione di simboli culturali. La figura del chirurgo è una metafora tipicamente virile, anche se le mani femminili, così precise nel ricamo per tradizione, potrebbero esserlo anche nella delicatezza delle minuzie operatorie. Parlare con un malato psichico, invece, è oggi più che mai offrirgli un sostegno che può avere un significato materno. E poi, nell'analisi, alcuni pazienti maschi desiderano inconsciamente rendere magica e possente la figura femminile, mentre alcune pazienti hanno, consapevolmente o inconsapevolmente, bisogno di un modello femminile come punto di riferimento per l'emancipazione.

123

PARENTI - PAGANI

Un revival terribile: gli stupri

La cultura a volte si tinge di perversioni incredibili, che sembrano smentire tutte le intelaiature che la sorreggono e anche tutte le analisi che la giustificano. Se pensiamo alla violenza carnale come fatto di costume e non come isolata manifestazione psicopatologica, la nostra mente corre a epoche lontane che nulla hanno a che vedere con la nostra. Immaginiamo dei soldati, coperti di cuoio e metallo, macchiati di sangue, che saccheggiano una città appena conquistata. Oppure dei feudatari, baffuti e massicci, che esercitano l'antico jus primae noctis. O anche certe feroci fasi rivoluzionarie, in cui la donna rappresenta per chi è insorto un simbolo del sistema che vuole distruggere. Il sesso, oggi e da noi, sembrerebbe essere tutt'altra cosa, riassunto in ben altre immagini. Coppie di giovani pubblicamente abbracciati, come per dire che i tabù sono scomparsi. Edicole che esibiscono un erotismo scoperto e policromatico. Genitori e insegnanti che spiegano pacatamente ai bambini "come si fa quella cosa", sottintendendo che il farlo è pulito e permesso. Di conseguenza ci sovviene un luogo comune psicoanalitico, secondo cui la violenza scaturirebbe pressoché esclusivamente da una società che reprime l'erotismo. Eppure, proprio mentre noi scriviamo, i mass-media riportano quasi quotidianamente sorprendenti e raccapriccianti episodi di stupro, commessi da uomini comuni, con una vita normale, che dovrebbero fruire del clima liberatorio in cui tutti crediamo di vivere. Escluderemo dalla nostra indagine le violenze commesse dagli psicopatici, poco influenzate dalla cultura del momento e allineate sui percorsi distorti di sempre. Gli altri stupri, la cui spiegazione sfugge alla psichiatria convenzionale, sono oggi d'abitudine un fenomeno di gruppo e si articolano in due modalità tipiche. La prima, più frequente, è premeditata e pianificata con cura seguendo una fur124

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

beria elementare e feroce. Le vittime sono irretite con un invito che si presenta innocente o al più come prospettiva di un'avventura romantica. Poi sono condotte di forza in un luogo isolato o in un casolare, dove in genere attendono altri uomini pronti a violentarle. La seconda modalità, che non ha preliminari, è subito spietata: un'aggressione improvvisa a una donna che transita in una via deserta. Non di rado ne scaturisce un omicidio o per il carattere acuto dell'impulsività o per evitare un riconoscimento degli aggressori, che non possono trincerarsi neppure dietro una parvenza di consenso dell'aggredita. Vediamo ora le figure dei violentatori. Dalle cronache giudiziarie emergono in media personaggi quanto mai comuni, con alle spalle un comportamento inseribile in una routine paesana o rionale, in parte maggiore adolescenti o molto giovani, solo talvolta guidati da uno o due uomini più maturi. Le fotografie scandiscono l'assenza di difetti estetici di un certo rilievo. Spesso gli interessati hanno mogli o fidanzate. Non si propone quindi nessuna attenuante che inquadri il misfatto come l'unica via di accesso possibile alla donna. Abbiamo ripartito le figure delle vittime in due grandi categorie, pur riscontrando alcune eccezioni. Alcune fra le donne aggredite presentano caratteristiche di reale o presunta superiorità culturale, rispetto ai carnefici. Qualche esempio: delle turiste straniere provenienti da Paesi del Nord, inquadrabili come più evoluti e prosperi nei confronti del contesto ambientale dei persecutori; delle studentesse con i libri sotto il braccio e con un tono almeno piccolo-borghese, tali da suscitare invidia o confronti devalorizzanti in una fascia maschile più grezza e socialmente frustrata. Un altro prototipo femminile, scelto come oggetto di violenza, delinea invece un'estrema fragilità o condizioni di palese svantaggio. Anche qui esemplifichiamo: bambine o preadolescenti, orfane, giovani comunque prive di un sostegno familiare. 125

PARENTI - PAGANI

Sulla base della tipologia umana che abbiamo descritta, avanzeremo alcune ipotesi interpretative. Sottolineiamo in apertura che gli uomini oggi in età giovanile hanno ricevuto un'educazione ufficiale alla non bellicosità, scarsamente bilanciata da occasioni di incanalamento gratificanti e non lesive dell'aggressività (fa eccezione lo sport, che da noi però vede più tifosi che adeti). Abbiamo già parlato della progressiva emancipazione femminile e qui la richiamiamo in causa. Notiamo infine la progressiva scomparsa dal costume corrente di quelle finte resistenze femminili, che un tempo riempivano di un ardore di conquista ogni approccio del maschio. A questo punto sorge in noi un dubbio intuitivo. Forse il revival degli stupri scandisce una ribellione assurda e squilibrata di giovani maschi particolarmente nostalgici di un passato che assegnava privilegi e potere al loro sesso. Forse questa rivolta dei frustrati infierisce come protesta sulle protagoniste dell'emancipazione femminile o invece sceglie vittime così indifese da ricreare in quegli attimi il mito dell'uomo possente. Tutto ciò ha un taglio chiaramente depressivo, poiché nasce da un vissuto di perdita e innesca un meccanismo di compenso grigio, crudele e inconsistente. Come corollario, non possiamo trascurare le componenti di contagio e d'imitazione che la diffusione degli episodi potrebbe esercitare su soggetti psicologicamente e culturalmente predisposti.

Il ritorno all'ascetismo

Una famiglia della media borghesia milanese, fino a una certa fase della sua evoluzione pragmaticamente impostata sul culto del successo economico. Un padre, appunto, commercialista, consulente affermato, con le idee chiare e forse un po' limitate ai temi della sua professione. U n a madre che domina con morbidezza, apparentemente rinchiusa nei 126

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

suoi compiti tradizionali arricchiti da un certo prestigio sociale, ma che in realtà condiziona il comportamento esteriore e le finalità del coniuge. Due figli maschi, distanziati da appena due anni di età e cresciuti per continuare la strada paterna: prima ragioneria e poi la facoltà di scienze economiche e commerciali, amicizie superficiali e non troppo impegnative, appena sfiorate dall'edonismo di consumo, qualche ragazza dello stesso ambiente. Poi, d'improvviso, la crisi che si dipana in modo imprevedibile. Vediamone in breve la storia. U n a serata diversa dalle altre, una scelta effettuata per pura curiosità, sullo stimolo di alcuni manifesti appiccicati un po' dappertutto nel centro cittadino. Un santone indiano espone la sua dottrina ai suoi seguaci e a coloro che ne sentano la suggestione. L'incontro ha un valore di rivelazione. I ragazzi rincasano entusiasti, i genitori li ascoltano con scetticismo bonario. Ma il fenomeno si sviluppa con progressione e spezza gradualmente i cardini di una vita standardizzata. Le letture si spostano dai giornali sportivi a divulgazioni annacquate degli antichi testi vedici, l'alimentazione esclude la carne, l'importanza del denaro si attenua o piuttosto assume il ruolo di un doveroso sostegno alla setta, appare persino, sfumata, un'esigenza di castità. Osservando da lontano l'accaduto siamo stati portati da principio a interpretarlo secondo schemi psicologici che poi sarebbero risultati errati, ammonendoci sulla relatività della nostra scienza. Avevamo pensato a una protesta dei figli contro la rigida predeterminazione da parte dei genitori, sentimento comune in ogni tempo e oggi anche come prassi. Ma la successione degli eventi risulterà tale da proporre ben altre tematiche interpretative. Intendiamo riferirci al successivo coinvolgimento dei genitori, del tutto imprevisto da parte nostra. La madre è la prima nel seguire i figli e ciò potrebbe spiegarsi con le sue venature di snobismo, un'interpretazione confutata però dal modo rigido con cui si attiene alle regole e dalle sue molte rinunce. Ul127

PARENTI - PAGANI

timo, ma davvero sconcertante, l'adeguamento paterno. Oggi quella famiglia riproduce ogni giorno un frammento imitato e un po' distorto dell'India arcaica. Ci guardiamo bene dall'irridere con semplicismo e non siamo certi che si possa parlare di regressione. Forse il mutamento presenta anzi qualche aspetto di evoluzione, almeno sul piano culturale, ma è certamente reso poco credibile dalle punte di fanatismo acritico. L'esempio trova posto in queste pagine poiché non è isolato. Sebbene il fenomeno in Italia non sia esteso, il ritorno all'ascetismo e specificamente a quello orientale interessa alcuni ambienti, tanto da costituire un fatto culturale meritevole di analisi. A dimostrazione, citiamo un altro caso. Protagonista è un giovane medico, serio e introverso, professionalmente impegnato sulla strada iperrazionale della ricerca e con qualche difficoltà nell'approccio all'altro sesso. E proprio questo problema, che punteggia negativamente una ragionevole soddisfazione di vita, a dare l'avvio alla trasformazione. Il giovane pensa che un perfezionamento sia fisico sia interiore potrebbe incrementare la sua sicurezza, rendendolo più virile e quindi più accettabile dalle donne. Si iscrive, perciò, a corsi di yoga. Anche qui, come sempre, si distingue per la sua intelligenza, tanto che il suo istruttore si spinge oltre il puro meccanicismo ginnico e lo inizia anche ai fondamenti teorici, antichi e posteriori, del movimento spirituale yogico. La trasformazione che avviene in lui è assai diversa rispetto a quella della famiglia che abbiamo prima esaminata. Egli non acquisisce particolari regole di alimentazione o d'igiene o di comportamento, ma cambia totalmente il suo orientamento spirituale e quindi il suo senso della vita. Il problema dei rapporti con la donna perde in lui importanza, diventando irrilevante. La vita professionale e scientifica continua, con l'abituale efficienza, ma il significato delle sue scelte è coerente con i principi della nuova filosofia. Le sue poche

128

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

amicizie si diradano, poiché nessuno riesce a sopportare il prevalere dell'astrazione nei suoi interessi e nei suoi discorsi. Non si può negare che il nostro collega abbia raggiunto così una particolare forma di serenità, in apparenza abulica, ma pregnante nei contenuti. Il giovane, insomma, accetta di sopravvivere, riduce i rapporti umani selezionandoli per affinità e pratica un culto molto intellettualizzato dell'ascesi, che diviene una ragione esistenziale. Anche qui evitiamo ogni critica fondata sul luogo comune e su concetti statistici di normalità. Adlerianamente assegniamo il valore di compensazione all'accaduto, ma siamo consapevoli che tale ruolo può essere attribuito anche a indirizzi di vita molto più comuni. Sul piano culturale ci interessa invece lo sviluppo non raro di fenomeni antichi di questo tipo nella società di oggi. Il principio base dell'ascetismo indiano, cui si rifanno anche le manifestazioni attuali qui descritte, se pure in parte corrotte dal trascorrere del tempo, è quello della liberazione dello spirito dalle catene del corpo. Un'interpretazione storico-etnologica del fenomeno può essere effettuata, a nostro parere, tenendo conto dei due fattori remoti e collettivi che lo hanno determinato. Le popolazioni di allora si trovarono di fronte a grosse difficoltà reali di sopravvivenza, quali la carenza di risorse naturali, le epidemie, le migrazioni, la perenne bellicosità dell'uomo. Nell'impossibilità di controllare o dirigere tutto questo, esse utilizzarono spontanee attitudini d'intelletto, fondate sulla tendenza all'astrazione e all'elaborazione mistico-filosofica, inventando un modo geniale per ridurre il livello d'importanza della sofferenza umana. L'impostazione ascetica che ne nacque ebbe risultati sorprendenti sul piano spirituale e forse psicologico, ma fermò la realizzazione del progresso civile, sviluppato invece altrove. Se poi le popolazioni dedite all'ascetismo siano più o meno felici, nella loro miseria carnale e nella loro creduta elevazione interiore, rispetto a quelle dedite a culti più fattivi, è problema tanto grande 129

PARENTI - PAGANI

da superare i limiti della scienza, nel cui modesto ambito ci collochiamo. Il ritorno dell'ascetismo, non certo generalizzato ma sensibile, in una civiltà burocratica, tecnologica, edonistica, competitiva, legatissima ai palpiti della carne, è in apparenza un paradosso non facile da interpretarsi. Comunque ci proveremo. Non è certo possibile, oggi e da noi, chiamare in causa le difficoltà, i rischi e le carenze di allora e laggiù. Particolarmente nella nostra fase civile, anche se perdurano problemi legati ad esempio alla povertà, il perfezionismo del vivere e le garanzie scientifiche sono tanto più evoluti rispetto ai fatti generazionali precedenti da non proporre, certo, l'ipotesi di un rifugio nella spiritualità come compensazione all'impotenza pragmatica. Si affaccia in noi, però, un'altra credibile supposizione. La nuova cultura contemporanea ha così profondamente dissacrato i sostegni idealistici del progresso precedente, da indurre perplessità e sfiducia almeno in una parte di coloro che si trovano costretti ad operare sulla scia di finalità ormai derise o infamate dalla critica collettiva. Di qui, forse e specie negli individui, nelle classi e nelle generazioni più colpiti dalla cultura dissacrante, la riesumazione degli antichi obiettivi ascetici ha potuto nobilitare l'astensionismo che inevitabilmente si associa all'impossibilità di scegliere. Il contrasto fra le scelte di minoranza di tipo ascetico e gli aspetti prevalenti della società e della cultura è certamente più accentuato e quindi più traumatico nell'ambiente italiano, rispetto ad esempio al mondo anglosassone la cui tradizione, sia pure seguendo linee diverse, affonda maggiormente le sue radici nel favoloso, nel magico, nel trascendente. I nuovi adepti nostrani, di conseguenza, o hanno largamente snaturato la genuinità mistico-filosofica del fenomeno, inserendovi patetiche impronte locali, o invece hanno risentito in modo più grave della loro "diversità", scadendo nella patologia psichica. Lo stile collettivo del nostro Paese, infatti, è largamente pragmatico, furbe130

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sco, esibizionista, emotivo, provinciale anche nella gestione della sessualità. Vediamone più in dettaglio le influenze specifiche. Alcuni giovani e meno giovani italiani, divenuti in apparenza seguaci del distacco ascetico dalla vita terrena, ne hanno in realtà adottato solo le forme esteriori, soprattutto nel vestiario e nelle caratterizzazioni di superficie, trascurando però le implicazioni spirituali e razionali dell'antica cultura indiana e coltivando sempre con vigore l'utilitarismo spicciolo e quel gallismo amoroso che sono proprio la negazione del substrato etereo, evanescente, della strada verso il "nirvana". Per contro coloro che, con una buona fede anche interiore, hanno imboccato più convinti le vie dell'ascetismo hanno avvertito con sofferenza il rifiuto o la derisione o la non comprensione da parte degli altri. Il predicatore di una nuova religione si colloca con una sua dignità accettata o almeno rispettata in un parco londinese, ma stride, e in modo così drastico, nei viali colorati di Villa Borghese, da subirne una grossa frustrazione. Che ciò possa essere matrice di depressione, tramite l'isolamento psichico dai propri simili, è intuibile e ne giustifica la menzione in questa sede.

La più minuta rinascita dell'occulto

Non ci è mai capitato di partecipare a un convegno più eterogeneo e imprevedibile di quello che stiamo per descrivere. L'episodio risale a una decina di anni fa. Abbiamo accolto l'invito di una nostra conoscente, pittrice, scultrice e altro ancora, che ce lo ha proposto con queste parole accattivanti e un po' misteriose: «Venite da me questa sera? Vi garantisco che ne vale la pena, vi farò conoscere alcune persone... no, non vi dico niente, è meglio che sia una sorpresa». Appena entrati, notiamo un collega primario patologo e in più studioso di scienze bibliche. Riconoscia131

PARENTI - PAGANI

mo poi un altro medico, cui siamo legati da amicizia e consuetudine. Ci presentano per prima una donna semplice sulla cinquantina: il suo cognome desta in noi qualche risonanza e riusciamo presto a collocarlo, è quello di una nota guaritrice che opera nella provincia di Milano. Segue l'impatto con altri visi e con altre presentazioni, senza nulla di comune, anzi con marcati elementi di disparità. Un giovane sui vent'anni che sembra uno studente, un uomo di mezz'età con i capelli riportati e con l'impronta tipica dell'impiegato statale e altri ancora in rapida successione. Uno dei presenti riprende la lettura di un foglio, che aveva interrotto al nostro ingresso. Ascoltiamo con attenzione sempre maggiore. Sembra un testo religioso, piuttosto retorico e intriso di luoghi comuni. Vi si propaganda la fratellanza fra gli uomini, si condanna la loro bellicosità e si prevede una catastrofe, salvo che... A questo punto s'intrecciano gli interventi e i temi si arricchiscono di altre implicazioni. Udiamo parlare di astronavi atterrate sulle pendici dell'Etna, di messaggi trasmessi per telepatia. Concorde è la condanna delle autorità, di tutti i governi civili che non vogliono prendere atto di una realtà ormai innegabile. Ci sembra legittimo avanzare pure noi qualche domanda e la situazione infine si chiarisce. I convenuti, fatta eccezione dell'ospite, dei colleghi e della guaritrice, appartengono tutti a una confraternita che asserisce di aver preso contatto con degli extraterrestri e di trasmettere un loro messaggio religioso e di salvezza per l'umanità. Il nostro condizionamento professionale ci impegna in una serie di osservazioni non espresse. Gli intervenuti non hanno alcuna connotazione psicopatologica, sebbene le loro idee paiano deliranti. Gli insegnamenti religiosi da loro propagandati sono quanto mai terrestri e comuni, con radici semplicistiche tratte soprattutto dal cristianesimo, dall'ebraismo e dal buddismo. I membri della setta hanno livelli di cultura e posizioni professionali senza alcuna af132

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

finità, sono tutti maschi e appartengono a varie generazioni (apprendiamo poi che la loro reciproca conoscenza è avvenuta tramite inserzioni o notizie pubblicate su periodici). Nessuno di essi sembra possedere le caratteristiche di vita (molto denaro, noia, solitudine affettiva, lontananza dal mondo del lavoro) che di solito predispongono a queste forme di suggestione. Sono tutti bene inseriti, in gran parte sposati, hanno affetti e amicizie anche al di fuori di questo ambiente. Sottolineiamo le differenze che esistono fra questa situazione e quelle appena descritte a proposito dell'ascetismo indiano. Là i contenuti facevano parte di una cultura secolare, qui invece siamo di fronte a ipotesi costruite oggi in base a contatti venati di assurdità. La mancanza di tratti patologici nelle persone che abbiamo conosciuto non ci stupisce: è abbastanza frequente che individui normali subiscano la suggestione di qualche paranoico dotato di fascino. A questo punto la finalità dell'analisi entra nel sondaggio di costume e nella sociologia. Il fenomeno non è tanto diffuso da preoccupare veramente, ma il fatto che soggetti ben integrati sentano il bisogno di aderire a una fuga nel non credibile mostra come le nostre strutture stiano perdendo il loro ruolo di sostegno. Per quanto riguarda il nostro tema, possiamo certo escludere nei fatti una componente depressiva. Pensiamo però che queste scelte rappresentino una difesa abnorme contro la depressione. In una cultura dissacrante, che non lascia spazio ai progetti, avendone minato tutte le basi preliminari, si può comprendere che riacquistino peso e fascino gli antichi fondamenti dell'occulto, paradossalmente rielaborati con il supporto fantascientifico della nuova tecnologia. Una spiegazione analoga, quindi sempre nell'ambito di una difesa contro la depressione, può essere trovata per un altro filone dell'occulto che oggi sta proliferando. Intendiamo riferirci al crescente ricorso alle medicine alternative e ai guaritori di ogni tipo. Questi ultimi possono essere clas133

PARENTI - PAGANI

sificati in due grandi categorie, con qualche reciproca contaminazione. La prima comprende gli ultimi palpiti della medicina popolare, che si vale ancora largamente della ritualità e degli "oggetti feticcio" e agisce sui pazienti con il principio automatizzato e immutabile della certezza non spiegata. Essa ha in prevalenza una clientela poco culturalizzata, che ripete un'abitudine antica, trasmessa di generazione in generazione con tradizioni verbali. La seconda sfrutta doti particolari di operatori sganciati completamente o quasi completamente dai presupposti della magia e ritenuti capaci di emettere radiazioni o fluidi in grado di normalizzare l'organismo umano. E in questo settore che si verifica oggi il " b o o m " più cospicuo. Il ricorso ai guaritori per fluido si sta diffondendo anche negli strati sociali più evoluti. Qui non vogliamo entrare in merito all'attendibilità delle doti paranormali, che forse in alcuni casi non può essere negata, pur alternandosi all'utilitarismo furbesco. C'interessa piuttosto analizzare le motivazioni che portano al tradimento della medicina ufficiale. Le insufficienze e le deviazioni dell'attuale medicina italiana derivano a nostro parere soprattutto da due sue impronte ipertrofizzate: il tecnicismo e la burocratizzazione. Da un lato la superspecializzazione e l'impiego di mezzi tecnologici hanno certo perfezionato la professione sanitaria, ma le hanno contemporaneamente tolto l'ancestrale carattere di "arte". È stato un prezzo inevitabile pagato al progresso, che ha neutralizzato però almeno una parziale componente del fenomeno di guarigione: quella più emotiva, suggestiva, quasi metapsichica. D'altro canto la medicina si è vastamente pianificata, aggravandosi di compiti fiscali e burocratici, che hanno anch'essi contribuito a spogliare l'operatore sanitario dei suoi più sottili elementi di fascino, anche perché egli è così divenuto l'oggetto quotidiano di una "rivendicazione di diritti". Il paziente ha acquisito potere e il medico lo ha perso, ma il malato ha perduto contemporaneamente quella possibilità di aver fiducia 134

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

che rappresentava una sua esigenza trascurata dai pianificatori. E perciò comprensibile, tenendo conto di questi presupposti, come molti cittadini, e non tutti culturalmente sprovveduti, consapevolmente delusi dagli inevitabili limiti della scienza e più sottilmente insoddisfatti, di solito a livello inconscio, per la dissacrazione (di cui sono loro stessi artefici) degli operatori medico-burocratici, sentano una spinta emotiva verso qualcosa di più segreto, forse di più irrazionale, certamente di più magico e rinnovino l'ancestrale ricorso alle figure degli "iniziati". I guaritori, insomma, detengono ancora frammenti di quel "potere" che può generare fiducia, speranza e un rispetto talvolta un po' scettico, ma intriso di timore. Un terzo settore dell'occulto che sta prosperando nella nostra società è quello che appaga il bisogno, naturalissimo nell'uomo, di proiettarsi in avanti, di programmare in qualche modo gli eventi futuri. Vediamo così incrementarsi il ricorso ai professionisti della profezia: cartomanti, chiromanti, veggenti, astrologi, ecc. È soprattutto significativo che il fenomeno si sia esteso largamente anche fra le persone di buona cultura, uscendo dai limiti in cui finora era stato relegato: quelli cioè della gente minuta. Ci sembra interessante proporre una nostra interpretazione socio-psicologica anche di questo aspetto della rinascita dell'occulto. La società di oggi, dopo aver lanciato con un grande battage politico-propagandistico le relazioni di gruppo, sostituendole ai rapporti interpersonali più autentici e individualizzati, ha fatto naufragare nella delusione il mito del collettivo. Ora il fenomeno del riflusso sta riproponendo con prudenza le comunicazioni personalizzate, ma sta anche esasperando una competizione sfrenata e pragmatica, ormai priva di ogni sostegno teorico. Ne sono derivate dinamiche complesse e contraddittorie, che abbinano i sentimenti al pudore di provarli, il bisogno di confidarsi a una diffidenza di fondo. Inoltre non è più riemersa 135

PARENTI - PAGANI

l'immagine del "potere benevolo" e gli individui mancano di solidi punti di riferimento con ruoli di guida e protezione. In questo clima i "consiglieri segreti" sono divenuti un polo di attrazione per chi desidera aprirsi senza paura e avere un indirizzo in un'esistenza troppo gravida di conflitti. Nella luce discreta dei loro locali di consultazione, fra le mura e gli oggetti dei loro vecchi appartamenti, scompare per qualche attimo l'inibizione che, d'abitudine, impedisce le confidenze. Il fenomeno, non clamoroso ma più significativo di quanto appaia, vale come rimedio minore per la crisi di una civiltà che ha esaurito tutti i suoi modelli.

136

CAPITOLO QUINTO

Depressione e psicologia del profondo

Come il lettore si sarà già reso conto, questo libro affronta il tema dello stile depressivo nella società contemporanea sia dal punto di vista psicologico sia da quello culturale. Esso si rivolge pertanto a un pubblico con diversi interessi, suscettibili di privilegiare l'uno o l'altro settore. Il collegamento con la psicologia del profondo, che qui tratteremo, potrà dunque affascinare alcuni e apparire invece ad altri un po' troppo teorico, privo di quel vivace agganciamento ai fatti e agli uomini osservati che distingue le pagine precedenti. La decisione di soffermarsi a fondo o di sorvolare sarà perciò una libera scelta di chi legge. Precisiamo ancora di non aver voluto, neppure in questa sede, scrivere una trattazione nozionistica. Ci siamo limitati a paragonare lo "spirito" dell'approccio al fenomeno depressione da parte degli psicoanalisti ortodossi, ligi al rigore dell'istintualismo, e da parte nostra, ossia di due liberi seguaci della psicologia individuale adleriana. Il testo non si occuperà volutamente della cosiddetta "depressione endogena", per cui una parte della psichiatria ipotizza cause biologiche, costituzionali o dismetaboliche. Terremo presente in prevalenza la "depressione reattiva", che s'intende come risposta abnorme dell'individuo a stimoli negativi maturati nel corso delle sue esperienze personali e quasi sempre influenzate da certe caratteristiche dell'ambiente, senza trascurare la componente psicologica che 137

PARENTI - PAGANI

s'inserisce d'abitudine, con vario rilievo, anche nelle forme organiche, tanto da rendere assai sfumata la distinzione fra le due categorie.

La psicoanalisi

Freud, padre padrone della psicoanalisi, anche per quanto riguarda la depressione aveva preso le mosse, nell'inquadrarla, da uno dei suoi acutissimi avvertimenti, per inserire poi la sua geniale intuizione primaria in un castello elegantissimo e perverso di elaborazioni intellettuali, che peccava però purtroppo, a parere dei suoi critici e nostro, di scarsa aderenza con la realtà. Nella sua opera Tristezza e melanconia (Trauer und Melancholie,

1917) egli aveva notato la fondamentale analogia che esiste fra il quadro depressivo patologico e la situazione obiettiva di "lutto", conseguente perciò alla perdita di una persona amata. Il passaggio a ipotesi analitiche era però ostacolato dal fatto che la sindrome depressiva, salve alcune situazioni particolari reattive, poteva largamente non collegarsi a vere situazioni di lutto. Freud ideò allora la teoria che il depresso viva un senso di perdita non per una persona reale, ma per un oggetto introiettato puramente fantasmatico. Cerchiamo di spiegare meglio il concetto psicoanalitico dell'introiezione, che proprio qui prese corpo. Esso comincerebbe nella prima fase evolutiva della sessualità, quella orale, in cui il bambino proverebbe un piacere libidico succhiando il capezzolo materno. Il concetto di perdita, che potremmo definire pseudoluttuosa, è complicato da ipotesi di ambivalenza, ossia di odio-amore per l'oggetto introiettato, così che nella depressione l'individuo sarebbe spesso in sofferta contraddizione fra l'idea di aver distrutto l'oggetto introiettato e l'incapacità di sopravvivere senza di esso. Questa, in sintesi, l'origine della depressione (cfr. Charles Rycroft, Dizionario critico di Psicoanalisi, Roma, 1970). 138

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

Il difetto di questa teoria sta nella scarsa scientificità dell'ipotesi totalmente soggettiva dell'introiezione e ancora nel suo dogmatico collegamento con temi esclusivamente erotico-libidici. Per noi, più concretamente clinici e attenti a quanto accade nella vita, è doveroso constatare che la depressione insorge come risposta patologica a un'infinita gamma di stimoli personali e ambientali, in cui la sessualità vive relazioni non preminenti di buon vicinato con situazioni di orgoglio frustrato, di affettività non appagata, di rapporto interpersonale e sociale traumatico e così via. Resta però valida, lealmente lo riconosciamo, la constatazione del senso di perdita, sfrondata del suo dogmatismo sessuale e resa duttile da un grandangolare psicologico. S'inserisce nella tematica depressiva anche l'ipotesi freudiana, elaborata più tardivamente, dell'istinto di morte, contrapposto alla vitalità dell'Eros. Per quanto ci riguarda, non ci sembra coerente avvertire l'autodistruzione fra le spinte istintuali, che riteniamo protese verso la conservazione del singolo e della specie. Il suicidio, ossia la più drastica manifestazione autodistruttiva quasi sempre inquadrabile nella depressione, è interpretato dagli psicoanalisti appunto come derivante dal thanatos, l'istinto di morte, o come un attacco rivolto contro l'oggetto introiettato (vedasi il già citato Dizionario critico di Psicoanalisi di Charles Rycroft). Parleremo più avanti, in contrapposizione, dell'analisi adleriana del suicidio, inteso come artificio di dominio indirizzato verso l'ambiente, con precise e variabili finalità. Melanie Klein è un personaggio affascinante, che desta in noi risonanze di compartecipazione emotiva per la sua vita anche sofferta. La dottrina di questa psicologa oggi molto seguita specie dai neuropsichiatri infantili, che prosegue con radicali innovazioni creative la linea di Freud, desta però in noi perplessità ancora più profonde. Le sue ardite e ben concatenate ipotesi intellettuali ci richiamano infatti alla mente certe lucide invenzioni dell'antica filosofia 139

PARENTI - PAGANI

greca, che tentavano d'imbrigliare aspetti della natura ancora sconosciuti in un casellario puramente teorico di categorie, poiché mancava loro il supporto della futura impostazione sperimentale della scienza. Vediamo in sintesi alcuni concetti della Klein che includono anche i fenomeni depressivi. La prima fase dello sviluppo psichico infantile, come era stata ipotizzata da Freud sulla traccia del divenire libidico, fu frammentata ulteriormente da Melanie Klein in due successive sottofasi, definite "posizioni". Secondo l'Autrice, ben citata e riassunta dall'Enciclopedia della Psicoanalisi di Laplanche e Pontalis (edizione italiana, Bari, 1973), nei primi tre o quattro mesi di vita il bambino si troverebbe in una "posizione schizo-paranoide", distinta dai seguenti tratti: «... le pulsioni aggressive coesistono immediatamente con le pulsioni libidiche e sono particolarmente forti; l'oggetto è parziale (principalmente il seno materno) e scisso in due, l'oggetto buono e l'oggetto cattivo; i processi psichici prevalenti sono l'introiezione e la proiezione; l'angoscia, intensa, è di natura persecutoria (distruzione da parte dell' oggetto cattivo) ». Sempre secondo la Klein, alla precedente seguirebbe una "posizione depressiva", di cui riprendiamo le caratteristiche ancora dall'Enciclopedia della Psicoanalisi: «... il bambino è ormai capace di percepire la madre come oggetto totale; la scissione tra oggetto buono e oggetto cattivo si attenua, mentre le pulsioni libidiche e ostili tendono a riferirsi allo stesso oggetto; l'angoscia, detta depressiva, è rivolta verso il pericolo fantasmatico di distruggere e di perdere la madre a causa del sadismo del soggetto; questa angoscia è combattuta con diversi modi di difesa... ed è superata quando l'oggetto amato è introiettato in modo stabile e rassicurante». Qui, come si vede, alcune caratteristiche delle malattie mentali maggiori sono inserite come processo normale, fisiologico, nello sviluppo del bambino. A noi, naturalmente, 140

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

interessa soprattutto la posizione depressiva, nella cui analisi la Klein si ricollega a quanto dice Freud circa il timore di perdere l'oggetto introiettato. Secondo molti psicoanalisti odierni, traumi scatenanti della vita adulta potrebbero far ripiombare l'individuo nella depressione infantile, esasperandola. La concezione morbosizzante kleiniana dello sviluppo infantile è tale da sconcertare persino coloro che, per obiettività psicologica, hanno superato l'immagine angelica, edulcorata, del bambino inteso dalla tradizione. Il principio che turba di più il nostro indirizzo basato sull'osservazione è l'ipotesi della dissociazione da parte del bambino del seno materno, assorbito invece della personalità della madre. Il ruolo determinante del seno è stato ormai da anni detronizzato dall'avvento del poppatoio, senza che ciò abbia determinato grosse variazioni nei tratti della psiche infantile. Ci sembra che il bambino anche piccolissimo, pur se capace solo di percezioni parziali, subisca influssi essenziali dal "comportamento" materno, reagendo non tanto agli oggetti, quanto alla tenerezza, alla durezza, all'indifferenza, all'alternanza delle dinamiche emotive. Non abbiamo poi ravvisato particolari aspetti depressivi nei piccoli dai quattro mesi in poi, che anzi mostrano segni di gradimento verso gli stimoli piacevoli e di opposizione o difesa solo verso gli stimoli dolorosi o frustranti. Comincia forse a intuirsi, in queste nostre parole, il ben diverso concetto di un bambino finalisticamente indirizzato verso la conquista del mondo in tutti i suoi aspetti, aiutato o invece ostacolato da intermediari a lui vicinissimi, fra cui campeggia la figura della madre, che si prospetta sin dalle prime fasi come "persona". Torneremo fra poco sull'argomento.

141

PARENTI - PAGANI

La visione adleriana

Ci sembra più efficace sul piano della documentazione, prima di illustrare secondo la psicologia individuale i processi dinamici che conducono alla strutturazione di uno stile di vita depressivo, offrire la citazione diretta di alcuni brani, tratti dagli scritti di Alfred Adler, che affrontano i più significativi aspetti della depressione. Un paragrafo della fondamentale opera di Adler dedicata alla conoscenza dell'uomo (Psicologia individuale e conoscenza dell'uomo, Roma, 1975) sviluppa un tema tipicamente depressivo: quello del pessimismo. Leggiamone alcuni passi. [i pessimisti] passano tutta la vita cercando di provare di essere colpiti dalla sfortuna e non riescono a portare a termine nulla di ciò che intraprendono. A volte sembrano compiacersi del proprio fallimento, come se questo derivasse da una forza soprannaturale [...]. Queste forme di esagerazione sono tipiche di chi si considera il centro dell'universo. E una fissazione persecutoria che potrebbe essere confusa con la modestia. In realtà è un aspetto più clamoroso dell'ambizione. I pessimisti, infatti, pensano che le forze ostili trascurino gli altri per occuparsi esclusivamente di loro [...]. [...] sono uccelli di cattivo augurio, capaci di rovinare la propria vita e quella altrui. Tutto ciò cela costantemente la vanità, si configura di nuovo come una forma di esibizionismo.

E' facile avvertire in queste parole, scritte con lo stile asciutto e immediato caratteristico dell'Autore, che la formazione dei concetti psicologici nasce qui direttamente dall'osservazione e dall'analisi del comportamento e segue perciò un criterio sperimentale, il che si differenzia dall'intellettualizzazione astratta della psicoanalisi. Appare anche, nei brani citati, l'orientamento finalistico che distingue tutta la psicologia adleriana. Affiora infatti la preoccupazione di comprendere "lo scopo", a volte inconscio, verso cui si dirigono i sintomi e i tratti comportamentali e di pensiero devianti: in questo caso un appello sofferto e caparbio rivolto all'ambiente, da cui il sogget142

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

to esige il massimo di attenzione e cui rivolge le proprie accuse. In un altro paragrafo dello stesso libro, che si occupa della tristezza, l'analisi della depressione ribadisce i medesimi spunti e si fa più precisa e approfondita. Eccone alcuni passi. [...] La tristezza presenta alcune analogie con l'ira; essa però si manifesta in circostanze diverse, si serve di altre disposizioni e di altri metodi. Possiamo ravvisare comunque anche qui la medesima aspirazione alla superiorità e alla valorizzazione [...]. [...] Chi è triste si pone infatti essenzialmente come accusatore. Se questo sentimento giunge alla sua massima intensità comporta sempre un certo grado di ostilità e un certo impulso di distruzione verso l'ambiente. [...] E possibile riconoscervi [nella tristezza], come tratto caratteristico, l'esigenza. L'ambiente è dunque sempre di più chiamato in causa. La tristezza è infatti un'argomentazione che tende a coinvolgere gli altri, una forza che si propone di piegarli.

E' interessante paragonare gli spunti analitici di Adler con quelli di Freud e della Klein. Per i due psicoanalisti la depressione si ricollega sempre a un rapporto, puramente istintuale, sensoriale, parziale, con oggetti, resi ancora più improbabili dal concetto teorico dell'interiorizzazione. Per Adler il fenomeno nasce dal rapporto fra l'individuo e altri individui, già intesi come "persone" sino dalle prime fasi della vita. La psicoanalisi è costantemente ripiegata verso il passato, anche quando analizza il presente, e si preoccupa in modo limitativo di risalire ad agganciamenti con processi molto ristretti, racchiusi nel singolo. Nella psicologia individuale affiora invece la concezione di un individuo proteso a esercitare una pressione, a volte artificiosa e improduttiva, sull'ambiente umano. La sua deviazione da uno stato di armonia e felicità si manifesta quando le relazioni interpersonali, influenzate da esperienze negative, divengono conflittuali, non sono in grado di strutturare quella compartecipazione emotiva che costituisce, in equilibrio o in 143

PARENTI - PAGANI

urto con il bisogno di affermarsi, una delle due esigenze fondamentali dell'uomo. L'argomento "suicidio", che si trova all'acme della fenomenologia depressiva, è trattato con efficacia da Alfred Adler nel suo volume Il temperamento nervoso (Roma, 1971). Ne esporremo alcuni fra i passi più incisivi. Ho già avuto modo di dire che il suicidio rappresenta una delle forme più intense della protesta virile, una disposizione di difesa contro l'umiliazione e la svalorizzazione e una vendetta dell'uomo nei confronti della vita [...]. [...] Uno dei tratti di carattere più frequenti in questi candidati al suicidio è il desiderio di affermarsi mediante uno stato morboso permanente o transitorio e la soddisfazione che provano nel pensare al dispiacere dei genitori nel caso essi dovessero morire. E per questo che il nevrotico giunge a identificare il suicidio con l'unico mezzo a sua disposizione per evadere da una situazione umiliante e per vendicarsi della famiglia che non condivide, a suo avviso, il suo amore. Egli passa dall'idea all'azione quando il sentimento di umiliazione e di svalorizzazione ha raggiunto un grado così elevato da impedire al soggetto di vedere la contraddizione esistente tra il gesto che egli medita di compiere e il suo scopo [...].

Che anche questi concetti di Adler nascano da acquisizioni sperimentali e non da ipotesi soggettive è provato, fra l'altro, da una nostra ricerca personale. Abbiamo raccolto, in un reparto psichiatrico d'urgenza, le fantasie raccontate e preliminari al gesto autodistruttivo di alcune persone che avevano effettuato tentativi di suicidio. Ebbene: nei loro sogni ad occhi aperti campeggiava il compiacimento aggressivo di prefigurare la punizione e il rimorso dei familiari o di altri individui a loro vicini, da cui ritenevano di non aver ricevuto sufficiente affetto o protezione o attenzione. In altri casi abbiamo ascoltato fantasie di tipo "eroicoautodistruttivo" nelle quali l'immaginario suicida si valorizzava per così dire post mortem. Il confronto con l'interpretazione psicoanalitica del suicidio, basata sulla distruzione di ipotetici oggetti introiet144

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

tati o su di un presunto piacere istintuale di morire, suggerisce valutazioni intuitive tanto evidenti, da non richiedere corollari esplicativi.

La formazione dei dinamismi depressivi: il ruolo dell'individuo, della famiglia e dell'ambiente

Il bambino, inteso come il cucciolo dell'uomo, affronta il mondo esterno e il processo di maturazione psichica nel suo ambito in condizioni di particolare inferiorità rispetto ai piccoli di altre specie. E debole, indifeso, funzionalmente immaturo, privo di protezioni fisiche contro gli agenti atmosferici, insomma è quanto di meno autonomo si possa immaginare. Il suo lento cammino verso l'autonomia richiede di necessità l'aiuto di intermediari, il primo dei quali è d'abitudine la madre, la quale provvede a nutrirlo (che lo faccia con il proprio seno o con altri mezzi non ha per noi particolare importanza), a coprirlo, a proteggerlo dai pericoli, ad allontanare da lui gli stimoli spiacevoli e a procurargliene altri gratificanti. Da tutto ciò deriva che il bambino avverte un primitivo senso d'inferiorità del tutto fisiologico, suscettibile di essere superato con maggiore o minore efficacia in rapporto a due ordini di fattori che sempre interagiscono: la propria dotazione organica di base e il comportamento di chi lo cura. In particolari situazioni di sfavore, il naturale sentimento d'inferiorità si accentua in modo abnorme sino a divenire "complesso d'inferiorità". Esaminiamone alcune. Se il bambino è fisicamente menomato (per qualche malformazione, perché frequentemente malato o gracile, perché esteticamente sgradevole e così via) finisce per sentirsi inferiore nel confronto con i suoi simili, a meno che la madre prima e un numero crescente di persone poi collaborino con lui per aiutarlo a superare l'handicap di partenza. La psicologia individuale definisce quella che abbiamo de145

PARENTI - PAGANI

scritto come "inferiorità d'organo" e le attribuisce un valore relativo, in quanto soggetto a minimizzazione o esasperazione secondo gli influssi dell'ambiente umano. Il complesso d'inferiorità può manifestarsi però anche in soggetti fisicamente ben dotati, a causa dell'apporto negativo scaturito dalla madre e da altre persone. Se l'affettività e la protezione, concesse in giuste dosi, sono elementi essenziali per la formazione di un armonico stile di vita, esse divengono paradossalmente fattori d'inferiorità quando peccano per eccesso o per difetto o quando si alternano nella loro intensità secondo dinamismi imprevedibili. Il bambino viziato si scontra di necessità con i comuni ostacoli ambientali che non è stato allenato a superare. Analoghe frustrazioni riceve chi non è stato guidato con amore e chi è stato costretto a paventare con ansia le reazioni illogiche di chi lo cura. Grande importanza hanno per la psicologia individuale i rapporti tra i fratelli, trascurati invece dalle altre scuole. Nel loro ambito si dipanano scontri e confronti che a volte, appunto, ribadiscono e morbosizzano l'inferiorità. La palestra di collaudo della scuola e altre circostanze fortuite della vita agiscono in modo variabile, consolidando soluzioni già provate o invece neutralizzandole o addirittura rovesciandole. La vita sessuale è uno dei capitoli d'azione e d'emozione più significativi ma non ha, secondo noi, un ruolo autonomo, in quanto resta sempre condizionata dallo stile di vita già strutturato con cui l'individuo l'affronta. Sesso e affetti, nella loro normale espressione, sono sempre un rapporto fra persona e persona e scandiscono perciò un'estesa gamma di temi: tenerezza e odio, solidarietà e competizione, subordinazione e prepotenza, piacere e dolore. La psiche del singolo è adlerianamente sempre proiettata in avanti come matrice di ipotesi, progetti, azioni, ripiegamenti di fuga. Così, quando un complesso d'inferiorità ha ormai preso corpo, la volontà di potenza non si ras146

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

segna e cerca di creare artifici per restare a galla o almeno per fingere una sopravvivenza, secondo un inquadramento di se stesso e degli altri che è quasi sempre un "come se", ossia una visione condizionata da certi scopi. Gli artifici di compenso a volte riescono in effetti a trovare rimedi per l'inferiorità e riescono a riequilibrare la persona nei suoi rapporti con il mondo. Altre volte invece i trucchi compensatori sono delle finzioni improduttive e peggiorano addirittura la situazione di partenza. Sono questi i casi in cui nascono le nevrosi e persino le psicosi. La depressione non sfugge a questo inquadramento, almeno quella reattiva e nevrotica. Si tratta insomma di un artificio sbagliato, con cui il singolo esige, protesta e condanna, seguendo l'assurda illusione, in gran parte dei casi inconsapevole, che la sua autodistruzione serva a sensibilizzare l'ambiente, mentre invece, purtroppo, provoca quasi sempre negli altri risposte di rifiuto. Gli accusatori, infatti, i giudici, i grilli parlanti, le cattive coscienze sono avvertiti come insopportabili, il che aumenta ancora di più la distanza patologica fra il depresso e il resto dell'umanità. Può essere interessante un'esplorazione psicologica diretta ad appurare quali siano le situazioni capaci di sollecitare con maggior frequenza vie di compenso depressive. Un'analisi accurata non consente conclusioni semplicistiche. Se il depresso è colui che esige e giudica, frustrato perché non ottiene quasi mai nulla, perché non è amato né ammirato, si può comprendere che giungano alla depressione soprattutto i figli che ricevono poca attenzione, i "capri espiatori" che fanno da parafulmine alle tensioni familiari, per cui la scelta della protesta in grigio rappresenta l'ultima risorsa dopo una serie più o meno variata di fallimenti. Però la scelta depressiva insorge talora anche in chi abbia avuto occasione di osservarla in altri componenti della famiglia o in persone vicine nel corso della vita, nei rapporti amorosi, di lavoro, di amicizia. Essa costituisce allora una modalità di compenso fondata sull'imitazione, proces147

PARENTI - PAGANI

so che condiziona non solo questo, ma molti tratti dello stile di vita. Abbiamo visto che diverse scuole della psicologia del profondo concordano nel riferire la depressione a un senso di "perdita": la psicoanalisi, ad esempio, chiama in causa il timore di perdere un oggetto sessuale introiettato, mentre la psicologia individuale è disposta a recepire con ampia libertà elementi perduti di ogni genere: sessuale, affettivo, intellettuale, lavorativo, sociale. R. Spitz ha coniato il termine di "depressione anaclitica" (vedasi, fra gli altri scritti dell'Autore: La première année de la vie de l'enfant, Parigi, 1953) per definire i sintomi depressivi che si manifestano nel bambino che sia privato di una madre ben vissuta durante i primi sei mesi di vita. La forma può essere ammessa dagli studiosi di ogni indirizzo: alcuni la vedranno come perdita di un oggetto sessuale, altri, fra cui ci collochiamo, come perdita di affetto, protezione, garanzia di sicurezza. L'ambiente, infine, fornisce modelli depressivi con particolari impronte culturali plagiami, che abbiamo esaminato in un precedente capitolo, e ancora mediante trasformazioni, specie se drastiche e rapide, influisce sulle strutture sociali e sul costume. Pensiamo che l'argomento meriti una sua evidenza.

Il ruolo storico dei mutamenti e delle perdite

Che i cambiamenti delle situazioni economiche in senso peggiorativo determinino reazioni depressive in una parte talora notevole della popolazione è un fatto largamente riconosciuto, specie nella nostra epoca in cui il marxismo è un indirizzo culturale dominante: si pensi alla grande crisi finanziaria del 1929, matrice di un'epidemia di suicidi, e a tutte le circostanze storiche in cui si estende la disoccupazione. Può apparire invece un'affermazione assurda e polemica che anche i mutamenti in senso progressista inducano sensibili incidenze della protesta in grigio. Ma il fe148

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

nomeno sussiste e ci sentiamo in dovere di rilevarlo, senza che ciò implichi genericamente una condanna del progresso sul piano politico. Pensiamo che forse sollecitino scoraggiamento nelle minoranze attive le modalità iniziali, a volte ingenuamente e poco logicamente fanatiche, delle trasformazioni. Alcuni esempi sono stati forniti nel capitolo iniziale sullo stile depressivo. Chi ha raggiunto con fatica un ruolo sociale di prestigio, con un'ascesa a volte scorretta, ma a volte invece sostenuta da indubbi meriti, tende oggi a reagire con la depressione al proprio declassamento, già in atto o solo esposto nei programmi a breve scadenza. Ancora l'ascesa culturale, politica e consumistica delle nuove generazioni, abbinata alla contestazione e alla derisione delle precedenti, può generare nelle persone mature ed anziane un calo del tono emotivo, un lasciarsi andare precocemente alla senilità, che sono tipiche espressioni della protesta in grigio.

149

CAPITOLO SESTO

Per dissolvere il grigio

Può esistere una cultura antidepressiva?

A questa domanda conclusiva, che sorge spontanea dopo aver analizzato i fermenti depressivi della cultura contemporanea e le loro matrici segrete, dobbiamo rispondere purtroppo in modo negativo. L'ambiente e la convivenza umana che in esso si sviluppano ci sembrano destinati a generare, comunque in una certa misura, quelle spinte verso lo scoraggiamento e la protesta che stanno appunto alla base della depressione. La nostra inchiesta, riletta da noi stessi in negativo, ci ha condotto però a riassumere alcuni stimoli vitalizzanti, che possono scaturire dalla società, dall'azione e dal pensiero degli uomini, il cui grado d'incidenza può almeno in parte contenere le opposte influenze che danno avvio alla protesta in grigio. Vediamone alcuni. Assegniamo intenzionalmente il primo posto alla comunicazione fra persona e persona. Lo stile depressivo può essere infatti ragionevolmente e genericamente interpretato come un artificio abnorme che cerca di compensare l'incomunicabilità. Per essere efficaci, le occasioni che una collettività offre di comunicare devono consentire rapporti umani non solo di gruppo, ma anche individualizzati; devono essere per quanto possibile immuni dal timore e dalla diffidenza, così da non creare eccessi d'inibizione autodifensiva; devono essere fondate sulla solidarietà reciproca, senza che questa soffochi una competizione mantenuta entro linee civili; 150

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

devono realizzare un sensato equilibrio fra alcune regole di comportamento (per impedire ogni genere di abusi e sopraffazioni) e un ampio spazio lasciato alla libertà e alla spontaneità d'espressione. Non si dimentichi che il depresso diviene tale proprio perché non riesce a trovare, vicino a sé, nessun individuo che gli conceda attenzione affettiva, che gli offra il modo di condividere in un afflato di comprensione le sue sofferenze e le sue frustrazioni. La seconda garanzia di vaccinazione psicologica antidepressiva è rappresentata per noi dallo spazio sociale per la curiosità e per lo spirito di scoperta, ossia dalla possibilità credibile di fare progetti. Tutti gli esseri viventi, e l'uomo più degli altri perché più evoluto, per sopravvivere devono protendersi verso finalità capaci di ricrearsi, di non esaurirsi nella rassegnazione abulica. Per procedere ancora in negativo, osserviamo che una società dinamicizzante non dovrebbe imporre norme tanto restrittive da censurare ogni desiderio e non dovrebbe offrire in modo acritico appagamenti estesi e pianificati, tanto da chiudere tutte le ipotesi di cambiamento attivo. U n a delle caratteristiche fondamentali del depresso è infatti l'indisponibilità a progettare. Le depressioni reattive, ossia le risposte patologiche ad avvenimenti carichi di dolore, sono infatti tanto più intense, quanto meno esistono canali di scelte parallele, fonti di ricambio per l'energia frustrata. La terza garanzia culturale antidepressiva che proponiamo è la ricchezza quantitativa e qualitativa dell'area del piacere. Questa affermazione ci apparenta solo in modo marginale agli psicoanalisti freudiani, poiché essi riducono lo spazio ipotizzato per il piacere alla pura sessualità, mentre noi lasciamo al piacere amplissime aperture, contemplando sì l'erotismo, specie se unito all'affettività, ma anche le gratificazioni intellettuali, estetiche, lavorative, generate dall'acquisire ammirazione o almeno apprezzamento, e vissute con modalità non egoistiche e narcisistiche, ma condivise emotivamente con altre persone. L'opposta rinuncia 151

PARENTI - PAGANI

all'edonismo dei depressi è tanto evidente da non richiedere nuovi commenti. Il quarto fattore di prevenzione sociale che ci piace sottolineare è costituito dalla mobilità fisica e psichica e perciò dalla duttilità di azione e di pensiero e dall'antiautomatismo. In negativo, infatti, depressione significa immobilità, rigidità, ritualità anticreativa. Abbiamo visto, nell'analisi comparata delle varie civiltà di oggi, che operano in senso costrittivo immobilistico sia le società iperegualitarie che censurano e puniscono ogni anticonformismo, sia le strutture ipercompetitive che castigano con l'astensionismo obbligato le minoranze sconfitte. All'immobilismo conduce per la verità anche il dominio della tecnologia, che sussiste e s'incrementa purtroppo in entrambi i sistemi socioeconomici che oggi si affrontano. Ci sembra assurdo un ritorno al primitivismo, poiché l'uomo contemporaneo non saprebbe rinunciare ai vantaggi acquisiti per merito della scienza, ma riteniamo che si possano ricreare, parallelamente alle convenzioni del progresso, spazi per le dinamiche emotive del singolo. Come ultimo antidoto del plagio depressivo, suggeriamo una dote culturale molto impegnativa e certo un po' utopistica, di cui basterebbero dosi moderate per ottenere effetto: la capacità di polemizzare senza odio. Ammettiamo che il progresso richiede mutamenti e critiche razionali al presente, ma facciamo osservare che le implicazioni dissacranti e persecutorie disturbano il cammino in avanti anziché servirlo. Ogni riforma intellettualmente evoluta presume una comprensione del ruolo storico e del substrato emotivo delle strutture che intende modificare. Persuadere è assai più efficace che punire. Al contrario, l'incremento dell'odio assegna ai cittadini, inquadrati nell'una e nell'altra parte in lotta, una posizione drammatica di vittime che sollecita la depressione. Si ricordino le interpretazioni psicologiche adleriane che dipingono il depresso come un accusatore frustrato. 152

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

Problemi e difficoltà nella psicoterapia del depresso

Affronteremo qui esclusivamente la cura psicologica della depressione, poiché il tema dei farmaci esorbita dal carattere prevalente d'interpretazione culturale della nostra opera. Chi è affetto da una forma depressiva è quasi sicuramente il paziente più difficile e impegnativo per colui che conduce un trattamento analitico. Ciò è comprensibile se si pensa che la psicoterapia è basata essenzialmente sulla comunicazione e che il depresso si caratterizza invece per l'incomunicabilità, o in subordine per modalità di comunicazione sgradevoli e accusatorie. Si prospetta dunque all'analista, in questi casi, il primo compito di allacciare con gradualità e senza traumi, neppure involontari, un rapporto emotivo che consenta uno scambio verbale, mimico, gestuale, espressioni tutte queste di un'accettazione reciproca. Un più profondo aspetto della comunicazione è costituito dal "transfert", ossia dal sottile legame emotivo che unisce l'analizzato al terapeuta. La strutturazione di un transfert positivo è condizione indispensabile perché il trattamento abbia successo. Ora, se da un lato il depresso è tale, in quanto privo di valide relazioni affettive di cui ha perciò un grande bisogno, dall'altro tutto il suo castello di finzioni e di proteste si basa su giudizi negativi rivolti a un mondo di cui avverte soggettivamente il rifiuto. La sua resistenza al transfert positivo, spesso all'inizio veramente drastica, deriva dalla difesa strenua degli artifici, che ha elaborato e radicato in sé con tenacia. D'altra parte il sentirsi accusato per più e più sedute, il non avvertire richieste d'aiuto e conseguenti espressioni di gratitudine incidono negativamente sul "controtransfert", ossia sulla disposizione emotiva del terapeuta verso l'analizzato. Quest'ultimo è per la verità un problema un poco meno grave, poiché gli analisti efficaci sono d'abitudine preparati da una precedente analisi personale e in certo qual modo vaccinati 153

PARENTI - PAGANI

contro le forme di aggressività palesi o silenziose dei loro pazienti. Le sedute con i depressi sono, ad ogni modo, fra le meno accattivanti di una giornata di lavoro psicologico. Ogni psicoterapia si costruisce, capitolo per capitolo, come un lungo progetto, intessuto di ripensamenti, modifiche, innovazioni creative. Vi sono pazienti, come gli ansiosi puri o gli isterici, che sono già integralmente protesi verso una progettazione sbagliata; una progettazione che mostra comunque vitalità e che mette in evidenza una clamorosa carica di energia disponibile per diversi scopi. Il duello curativo è in questi casi faticoso, ma sempre dinamico, e capace di riempire attivamente il tempo dell'analisi. Il depresso, per contro, manifesta con protervia il suo immobilismo, che fa derivare dalla cattiveria, dall'anaffettività, dall'insensibilità vere o presunte dell'ambiente. Il dovere di renderlo capace di progettare non può essere rinviato alla fase conclusiva del trattamento, anche se solo in questa egli dovrà fattivamente cambiare il proprio stile di vita. Anche le fasi iniziali di esplorazione in profondità, infatti, non possono procedere senza un minimo di fiducia nella meta finale. Mancherebbero altrimenti gli stimoli che spingono il paziente a raccontare, a ricordare i propri sogni, ad associare liberamente le proprie idee, operazioni tutte che richiedono una propulsione emotiva di fondo, necessariamente finalistica. Abbiamo visto che il suicidio è il corollario massimo e più terribile della depressione. La minaccia di suicidio è di conseguenza un'arma di grande efficacia, sempre a disposizione del depresso. Nella sua finzione patologica egli se ne serve con lo scopo intenzionale di dominare il mondo e quindi anche il terapeuta che, durante l'analisi, è il rappresentante del mondo che si trova più vicino al paziente. Si tratta di una forma di ricatto che può influenzare l'analista, caricandolo di responsabilità e di un'ansia struggente. Il tecnicismo professionale può costituire una difesa contro questo pericolo, ma può a sua volta inattivare il tran154

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

sfert, riducendo il rapporto analitico a un confronto razionale inefficace. Occorre quindi purtroppo che chi conduce la psicoterapia delle depressioni paghi un suo ragionevole e controllato prezzo d'angoscia.

Come condurre il trattamento

Seguiamo la traccia degli ostacoli appena delineati, per proporre qualche orientamento diretto a superarli. All'inizio il paziente depresso offre al terapeuta silenzio o comunicazioni molto scarne e stenta ad allacciare con lui un legame emotivo poiché, nella sua finzione rafforzata, presume che il mondo esterno gli sia ostile o indifferente e meriti perciò solo dei messaggi accusatori di protesta. L'analista dovrà dimostrare l'inconsistenza di queste due ipotesi prima di tutto per quanto riguarda la sua persona e la sua disponibilità solidale a comprendere e a partecipare. In una fase successiva dovrà far capire al malato l'utilità di offrirgli non soltanto lamentele e critiche, ma anche dei dati che gli consentano di ricostruire i perché di un'infelicità provocata e rimediabile. E facile rendersi conto che l'approccio tradizionale della psicoanalisi, con il soggetto disteso sul divano e l'analista non visto che sta silenzioso ad ascoltare libere associazioni mentali, comporti un frequentissimo fallimento della disinibizione preliminare. Un terapeuta vicino e visibile, disposto a offrire un immediato incoraggiamento, come quello adleriano, ha maggiori possibilità di ottenere positivi risultati, sin dalla fase iniziale del trattamento. Grande importanza ha il ruolo emotivo giocato dallo psicoterapeuta. Non è sufficiente che egli offra disponibilità e solidarietà, poiché potrebbe in tal modo trasformarsi in una specie di masochistico capro espiatorio su cui si scaricano le tensioni del soggetto, che ne riporterebbe un certo sollievo, ma consoliderebbe ulteriormente il suo stile d'ac155

PARENTI - PAGANI

cusa nei rapporti con l'ambiente. Questo pericolo deve essere spiegato con instancabile ripetitività, assieme ai vantaggi che derivano dalla rinuncia ad accusare sempre e comunque e dall'offrire agli altri segnali affettivi più gradevoli. L'indirizzo, limpido sul piano teorico, è disturbato nella realtà dal fatto che queste spiegazioni suscitano un'aggressività di rivalsa nel paziente, poiché demoliscono tutto il suo castello di difese. La soluzione, quando è possibile raggiungerla, può essere trovata nel rivestire la presentazione dei contenuti analitici con garanzie semantiche d'amicizia e di affetto, da inserirsi nel tono della voce, nella scelta delle parole, nella gestualità e nella mimica di chi conduce il trattamento. Anche qui la posizione dell'analista adleriano, così orientata, risulta più efficace, ma decisamente più impegnativa e nello stesso tempo vulnerabile. E un altro prezzo da pagare, che richiede una lunga preparazione emotiva negli operatori, garantita ad esempio dall'avere a loro volta superato un'analisi personale e didattica, in cui tali situazioni siano state già vissute e corrette con un maestro. Il viaggio analitico a ritroso nel tempo, se ben condotto, fa emergere con gradualità i remoti conflitti che stanno alla base della depressione. Quasi sempre alcune figure familiari (genitori o fratelli) ne escono responsabilizzate in modo negativo. Il chiarimento è senz'altro utile al paziente, che può giungere a capire come il suo attuale odio contro il mondo non sia che la continuazione e il trasferimento fittizio di un antico odio più limitato, in quanto rivolto a singole persone. A questo punto la primitiva avversione può esasperarsi e ciò, a nostro parere, resta come ostacolo a una vera guarigione. Sorge di conseguenza un nuovo compito difficoltoso per il terapeuta: far comprendere al soggetto che il padre, la madre o i fratelli "cattivi" erano costretti ad essere tali a loro volta per una sofferenza meritevole di compartecipazione emotiva. Anche questa tesi suscita resistenze e turbe del transfert. A tale proposito si rivela assai 156

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

utile illustrare all'analizzato che il superamento dei remoti odi familiari è una forma di valorizzazione adulta e una premessa indispensabile per poter gustare le gratificazioni contingenti che rendono accettabile la vita. Un'ardua premessa al recupero è rappresentata dalla dimostrazione di quanto sia artificiosa e controproducente la tendenza polemica ad autodistruggersi. Gli argomenti non mancano. La colpevolizzazione dei familiari o dei nemici è quasi sempre un insuccesso, poiché nessuno accetta senza reagire l'ipotesi di essere responsabile della morte di una persona a lui legata e si difende con controipotesi nelle quali il suicida appare come un tarato. Anche la valorizzazione post-mortem è quanto mai fittizia, tanto che nessuno può assaporare la felicità che deriva da una gloria postuma. Anche qui, però, la distruzione dei castelli di nebbia suscita reazioni aggressive verso il terapeuta, reazioni che solo la sua dolcezza e la sua solidarietà possono neutralizzare. Restituire al paziente la capacità di fare progetti è l'ultimo dovere del terapeuta, collocabile nella fase di recupero attivo. Conoscere le ragioni profonde della propria depressione (come di ogni altro disturbo psichico, d'altra parte) non significa affatto essersene liberati. Si deve inoltre tener conto che lo stato depressivo è una condizione terribile e sofferta, ma ovattata dall'abulia e dalla deresponsabilizzazione. Tornare a essere dinamico è, al contrario, faticoso e quasi ripugnante per chi si sia a lungo adagiato nell'astensionismo. Entra a questo punto nella psicoterapia adleriana una componente pedagogica e d'incoraggiamento diretto, che la maggioranza delle altre scuole di psicologia del profondo respinge con sdegno. Proprio da questo processo scaturisce invece la guarigione. Per realizzarlo occorrono finezze diagnostiche che esorbitano dall'analisi dell'inconscio, ma non si contrappongono a essa, anzi la completano. E indispensabile scoprire le potenzialità di riserva dei soggetti. Ogni uomo, anche se d'intelligenza inferiore, ha doti sepolte che gli consentono in qualche modo di agire e 157

PARENTI - PAGANI

di gratificare sé e gli altri. La decisione sulle scelte operative, per garantire una tenuta, deve essere però, per quanto possibile, comune e non imposta. E proprio nella fase conclusiva che analista e analizzato hanno la possibilità di trasformarsi in una specie di binomio attivo simbiotico, quasi una persona sola finalmente capace di vivere. Se il tutto riesce, e ciò non avviene sempre purtroppo, la fatica e le sofferenze del trattamento defluiscono nel premio finale.

Analisi di un caso

La protagonista del trattamento che abbiamo scelto come esempio è una giovane di ventiquattro anni, già citata in sintesi nel capitolo sullo stile depressivo. Si presenta alla prima seduta, denunciando con distacco scontroso un insuccesso esistenziale polivalente. Per lei tutti i compiti vitali sono falliti: ci dice in poche e scarne parole di non essere stata amata nella famiglia d'origine, di aver interrotto gli studi cui da principio teneva, di avere rotto un matrimonio e poi altre relazioni amorose, sino a distruggere in sé ogni speranza. Eppure c'è qualcosa in lei che sembra contraddire i suoi fallimenti. Ha un viso interessante, con occhi profondi e scuri, la cui intensità emotiva riesce ad affiorare persino attraverso la mimica inerte suggerita dalla depressione. Le sue comunicazioni distruttive, il suo disprezzo per il mondo scaturiscono da un linguaggio evoluto e dissacrante, anche se velato dalla rinuncia a curarsi del suo aspetto esteriore. Nelle seguenti sedute la paziente lascia intendere che la sua scelta di un trattamento psicoterapeutico, del tutto spontanea, non è sorretta da speranze di recupero. Sembra piuttosto che abbia voluto trovare un ascoltatore obbligato per le sue accuse a un mondo ostile, un interlocutore paziente da sconfiggere con la superiorità dei suoi argomenti. La sua tesi è che tutte le persone con cui ha avuto un rap158

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

porto, dall'infanzia al momento attuale, le hanno procurato soltanto infelicità, lasciandola priva di energie per lottare e con la sola prospettiva di un suicidio. Desidera, insomma, una specie di notaio psicologico per un testamento verbale, poiché tutti verso di lei sono insofferenti, negandole persino la possibilità di spiegare le sue motivazioni autodistruttive. Descrive in poche frasi, dipinte in grigio, la sua esistenza chiusa alla comunicazione. Da un anno è separata dal marito, che non le offre alcuna possibilità di colloquio, neppure telefonica. I genitori, benestanti, le concedono un aiuto economico, ma si sottraggono a ogni richiesta di solidarietà morale, attribuendole la colpa della sua solitudine. Le sorelle hanno loro amicizie e legami affettivi in cui non ammettono interferenze. Gli uomini che ha incontrato occasionalmente sembrano mostrare per lei un esclusivo interesse sessuale, dileguandosi di fronte a ogni ipotesi di stabilizzazione affettiva. La continuazione del trattamento vede la nascita di un transfert, ma distorto. La giovane esce gradualmente dall'iniziale apatia, diventa più emotiva, più ricca nel comunicare, ma nella prima metà delle sedute le sue comunicazioni sono intenzionalmente distruttive e colpevolizzanti per il terapeuta. Ha qualche nozione di psicologia e contesta il lunga attesa dei risultati che l'analisi comporta, esprimendo questa sua protesta con parole aggressive: «Io sto male adesso, lo vuol capire! Ho bisogno di un uomo, di un affetto, subito, altro che aspettare! Vorrei vedere lei nella mia situazione, lei non mi può capire perché non ha sofferto come ho sofferto io. E inutile, non mi resta che uccidermi». L'analista reagisce al ricatto emotivo cercando di evitare sia il distacco professionale, che irriterebbe ancor più l'ammalata, sia il coinvolgimento frustrato che lo dequalificherebbe, togliendogli ogni possibilità di essere d'aiuto. Fa capire alla paziente di partecipare davvero alla sua sofferenza. Aggiunge che, se gli fosse possibile, le offrirebbe solu-

159

PARENTI - PAGANI

zioni immediate, ma che queste purtroppo non sussistono. Le spiega che potrà aiutarla solo portandola a modificare il suo modo attuale di concepire i rapporti umani. E aggiunge che ciò presume la scoperta delle cause e degli scopi inconsapevoli che sottendono il suo stile di vita. L'operazione riesce con lenta progressività e con alternanze imprevedibili. L'affettività del soggetto si manifesta da principio solo al termine delle sedute, al momento di lasciare l'operatore, con un "grazie" pieno di pudore e di scontrosità. Poi si estende via via a tutto il colloquio. A questo punto il transfert sembra positivo e abbastanza consolidato. Ma sopravviene un inconveniente. La paziente lamenta la ristrettezza del tempo trascorso con l'analista e manifesta di nuovo rancore nei suoi confronti per la sua limitata disponibilità. E necessaria una spiegazione analitica anche di questo fenomeno: la giovane ha trasferito sull'operatore la sua rivendicazione affettiva, esprimendola con l'aggressività che fa parte del suo stile. Il terapeuta offre comprensione anche per questa esigenza, ma si vede costretto a sottolineare come questo tipo di relazione burrascosa renda inoperante l'analisi e quindi allontani ancor di più il recupero. Il lungo susseguirsi di fasi che abbiamo descritto ha monopolizzato sino a qui le sedute, lasciando pochissimo spazio all'acquisizione di dati sul vissuto dell'analizzata. Si tratta quasi sempre di avvenimenti attuali e specificamente di minirapporti amorosi, iniziati con cauta fiducia e finiti di nuovo in richieste d'affetto tanto aggressive e punitrici da indurre l'allontanamento del partner. Tutto ciò è illustrato con precisione e pazienza, assieme al bisogno analitico di sviscerare le situazioni remote che hanno avviato il soggetto verso la sua distruttività. C'è una chiara resistenza da parte della giovane a rievocare pieghe più intime e lontane della sua vita. Rammentarle e parlarne le sembra improduttivo, una perdita di tempo che rinvia le soluzioni incombenti e oltre tutto la fa 160

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

soffrire. Ma poi si giunge a una convinzione parziale e a una collaborazione frammentaria, spezzettata, comunque utile al trattamento. E impossibile rendere con efficacia la tensione dinamica del processo terapeutico. Offriremo piuttosto una sintesi degli elementi raccolti. La paziente è primogenita, con due sorelle minori, rispettivamente di due e quattro anni. Al momento della sua nascita il padre e la madre erano emotivamente immaturi e vivevano un loro idillio romantico e sganciato dalla realtà, nel cui ambito il ruolo di genitori era vissuto come un fattore di disturbo. Il padre era un uomo brillante, simpatico, attraente, contraddistinto da una virilità convenzionale e puramente esibizionistica. La madre era una donna debole, insicura anche se molto graziosa, tutta protesa a tenersi un marito così ricco di fascino. Di qui un atteggiamento distaccato e poco affettivo verso la prima figlia. La secondogenita e la terzogenita erano nate invece dopo una relativa maturazione dei genitori, che si erano occupati di loro con maggior senso del dovere e con più ampia disponibilità di attenzione emotiva. La nostra paziente era cresciuta così con l'impegno ad esigere anche in modo sgradevole. Ciò le aveva lasciato un'impronta di scontrosità, palese fattore d'isolamento. Altrettanto ineccepibile la sua competizione sfiduciata con le sorelle, più aperte e accattivanti per le gratificazioni ricevute. Le frustrazioni familiari si erano trasferite, per un condizionamento di riflessi comportamentali, nelle esperienze scolastiche e nelle relazioni con i coetanei. Il soggetto aveva affrontato gli insegnanti e i compagni dando per scontata la loro ostilità o almeno la loro indifferenza, e perciò provocandole paradossalmente mediante un'ossessiva colpevolizzazione. Altra conseguenza paradossale era stata l'interruzione degli studi medio-superiori, in conflitto sofferto con i bisogni della ragazza, ricca di intelligenza creativa e anticonformista. 161

PARENTI - PAGANI

L'inizio della vita amorosa era stato per la paziente assai precoce, rivelatore della sua ansia di conquistare e tenersi ad ogni costo un maschio gradevole e desiderato, con caratteristiche simili a quelle del padre. Teniamo a precisare che questa analisi è assai più gravida di sfumature rispetto al tradizionale edipo freudiano, fermo alle sole richieste istintuali. Sono risultati infatti in gioco sfaccettati conflitti basati certo sulla sessualità, ma anche sull'orgoglio ferito, sull'affettività, sulla competizione, sul ruolo femminile. La disponibilità erotica del soggetto non aveva avuto premi, ma solo punizioni involontariamente indotte. Il suo stile depressivo, ormai già maturato, contemplava preliminarmente l'ipotesi dell'abbandono e una colpevolizzazione assurda, rivolta verso obiettivi fantasmatici. E quanto di peggio esista per consolidare situazioni amorose, poiché l'innamorato che chiede inutili conferme è quasi sempre vittima di abbandono. L'episodio matrimoniale non era stato altro che una ripetizione un poco più lunga dei brevi antefatti. E così pure i tentativi seguiti alla separazione. Vi sono basi attendibili per l'interpretazione. Il quadro depressivo ha preso corpo per gradi: le richieste d'affetto inevase ai genitori, l'aggravamento delle frustrazioni per il confronto perduto con le sorelle più amate, il pessimismo generatore di dubbio e premessa alla sconfitta in ogni rapporto umano, la trasformazione aggressiva delle richieste in accuse e infine, a seguito degli ultimi fallimenti, l'estrema ipotesi dell'autodistruzione come punizione simbolica dei genitori, del marito e degli amanti tiepidi e come valorizzazione postuma pseudoeroica. La fase di rinnovamento dello stile di vita procede sulla scia di questa interpretazione e ha come modello e collaudo diretto il rapporto con il terapeuta. Si tratta soprattutto di un'analisi e di una modifica della comunicazione interpersonale. Questa, com'è strutturata al momento, aliena alla paziente la simpatia degli altri, in cui non sol162

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

lecita la compartecipazione emotiva, ma un'aggressività di rivalsa. L'analista fa osservare al soggetto come sia più facile, anche per lui, svolgere il suo ruolo di aiuto e guida quando riceve messaggi sottili di gratificazione, sottolinea le espressioni polemiche indotte dalla depressione, le analizza ancora di volta in volta e apprezza in alternativa i momenti di relazione armonica. Quando il rapporto interno alla situazione terapeutica è positivamente mutato, la trasformazione, la correzione e il collaudo si estendono con gradualità agli incontri umani che la giovane struttura con l'ambiente esterno. L'inizio di un nuovo rapporto amoroso sopravviene, per circostanze fortuite, sin troppo rapidamente. Da principio sembra che la circostanza sia favorevole: la paziente riesce a gestire assai meglio il nuovo legame e attenua drasticamente tutto il suo stile depressivo. Ma poi una tensione apparentemente futile scatena per riflesso condizionato il vecchio comportamento accusatorio, colpevolizzante, negativo dell'ammalata, provocando prima la sorpresa e poi la fuga anche di questo partner. Di qui una seria ricaduta nel quadro precedente di depressione, che apparentemente inattiva i risultati ottenuti. Si deve ricominciare con possibilità di recupero migliori di quelle della fase iniziale. Si ripete, in sintesi, il trascorso lavoro d'interpretazione e di modifica, con l'incoraggiamento dell'operatore che fa osservare come l'ultima relazione sia sopravvenuta prima che il rinnovamento dello stile di comunicazione fosse completato. Anche in questa fase il transfert, con le sue fonti di solidarietà, gioca un ruolo di primo piano. Il trattamento è ancora in atto, sotto l'egida di una ritrovata speranza e ravvivato dalla capacità ricomparsa di fare progetti. Tale disponibilità a progettare è da considerarsi un più ampio segno di recupero psicologico, poiché si è estesa, dal primo settore dominante dell'affettività e della sessualità, anche nei campi dell'amicizia, dell'intelligenza e del lavoro. 163

PARENTI - PAGANI

Accettarsi e fare progetti: una formula per il vivere attivo

Viene a farci visita un collega poco più che cinquantenne. E un uomo di aspetto vigoroso, lo ricordiamo dotato di un'estroversione un po' ingenua ma sempre accattivante. Sappiamo che lavora in un settore della medicina pubblica, alle dipendenze di un ente parastatale. La conversazione inizia con un certo calore, manifesta all'inizio il piacere di ritrovarsi e di evocare vecchi ricordi. Si intristisce (o ci intristisce) però quasi subito, quando affronta i temi del presente. L'amico di un tempo non raccoglie agganci sui piccoli piaceri della vita quotidiana, sulla cronaca dei nostri giorni, sulla politica, sullo spettacolo, sui filoni compositi della cultura. Sembra indossare una grande etichetta simbolica su cui spicca la parola " O r m a i " . Pare stupirsi che questi argomenti ci interessino ancora. Appaiono ben presto i due contenuti che in lui prevalgono: l'emancipazione dei figlioli, che sta ponendo fine ai suoi compiti educativi, e alcuni misteriosi (per noi) calcoli burocratico-economici che potrebbero accelerare con particolari artifici la fase del suo pensionamento. Le sue progettazioni, insomma, sono rivolte allo scopo di non far più progetti. Dopo averlo salutato, prendiamo atto del disagio sottile che ci ha comunicato. Abbiamo avvertito la costruzione inconsapevole di fondamenta per un inesorabile edificio depressivo. Il fortuito alternarsi delle circostanze umane ci ha proposto, nella stessa giornata, un altro, più benefico incontro. Con un anziano pittore (ha da poco compiuto gli ottant'anni), coinquilino di uno di noi. Lo abbiamo visto di partenza, mentre caricava sulla sua utilitaria tele, colori e cavalietti. Ci ha parlato con entusiasmo quasi adolescenziale di certi paesaggi, di certe luci allusive, che aveva scoperto in una di quelle vallate premontane che la Lombardia ancora nasconde dietro il suo esibizionismo consumistico. Ci ha trasmesso, questa volta con positivo contagio, il piacere di una progettazione senza fine, alla ricerca di nuovi 164

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

obiettivi e di nuove tecniche per riprodurli, dopo averli interiorizzati e soggettivamente trasformati. Un uomo, dunque, ancora capace di accettare se stesso e di giocarsi, come possibile carta vincente, fra i tanti rischi della grande partita esistenziale. Ci piace concludere il nostro libro offrendo la semplice formula contro la depressione che nasce dal confronto degli ultimi due esempi umani riportati. L'uno e l'altro sono modelli di finzione, poiché l'uomo è costretto a elaborare sempre le immagini di se stesso e del mondo con interpretazioni e modifiche personali, che riflettono il suo senso della vita. Esaminiamo le strutture fittizie del medico cinquantenne, fondamentalmente depressive. Il culmine della maturità, per altri ancora gravido di ricchezze intellettuali ed emotive, vissuto come preludio al declino. La rinuncia ad accettarsi come elemento attivo nella società contemporanea, come persona capace ancora di proporre soluzioni, nella certezza abulica che queste sarebbero considerate inattuali. Un piano di totale abdicazione, anche educativa, nei confronti dei propri figli, considerati come maturi per la piena successione. Un distorto scarico d'ansia in questa cessione di ruoli, in questa liberazione dalle responsabilità condizionanti. Come conseguenza: la messa a punto di progettazioni ridotte allo scopo di ottenere regressive garanzie di vita, con l'impegno formale sottoscritto dalla grande madre collettiva. La fine, soprattutto, dei rischi quotidiani che nascono dal confrontare le proprie idee con quelle degli altri, le proprie qualità di lavoro con l'imprevedibile e amplificata serie di ostacoli che ad esse si frappongono. Ma anche la fine del piacere sempre rinnovato d'inventare qualcosa, d'influire sugli altri, di elargire o ricevere solidarietà e polemica, ironia e comprensione, fermenti di aiuto e di lotta. Ecco invece la finzione del pittore ottantenne, forse ancor più lontana dalla valutazione del reale, ma orgogliosa 165

PARENTI - PAGANI

e magnifica, permeata assieme d'illusione e fattività. Vivere gli ottant'anni come se fossero quaranta. Desiderare ancora cambiamenti di luogo e di ritmo esistenziale, sostenendoli con un mai sopito spirito di scoperta. Accettarsi appieno e di conseguenza proporsi per l'accettazione altrui. Impostare modifiche anche interiori, trasformando l'autocritica in nuova capacità produttiva, in un rinnovamento mutevole dei propri mezzi di espressione. Ciò ancora senza porre limiti al tempo e "come se" la sua ipotizzabile vicina scadenza non fosse invece da ipotizzarsi. La formula è tutta qui, nelle grandi lettere di questo esempio, vergate con caratteri di energia. Un esempio che ogni giorno proponiamo (perché no?) per dare fiato e speranza anche ai giovanissimi, alcuni dei quali paiono oggi inconcepibilmente invecchiati. Un modo antico e nuovissimo per prevenire e combattere la protesta in grigio: accettarsi e fare progetti nella sessualità, negli affetti, nel vivere civile, nell'impiego duttile, insomma, di tutte le proprie doti.

166

GLOSSARIO DI ALCUNI TERMINI E CONCETTI PSICOLOGICI CONTENUTI NEL TESTO

Questo libro ha per tema i rapporti fra depressione e cultura e si rivolge, oltre che agli studiosi di psicologia, psichiatria e sociologia, a un pubblico più vasto di persone sensibili al problema. Abbiamo ritenuto quindi utile aggiungere un breve glossario di alcuni termini e concetti psicologici contenuti nel testo, spiegandone con semplicità il significato e senza maggiori ambizioni di approfondimento specialistico. I concetti esposti si ispirano in prevalenza alla psicologia individuale di Alfred Adler, che ci ha orientato nell'analisi, fatta esclusione di alcuni termini con valore generale e di pochi altri collocabili nella psicoanalisi freudiana e kleiniana, con cui sono stati effettuati confronti interpretativi nel corso dell'esposizione. Il glossario è ovviamente incompleto, poiché si limita d'intenzione a termini e concetti che appaiono nel volume.

AGGRESSIVITÀ Abbraccia tutte le manifestazioni psichiche e di comportamento che si rivolgono verso l'ambiente con intenti di affermazione e competizione. Comprende quindi sia le espressioni mantenute nell'armonia dei rapporti interpersonali e sociali, sia le azioni direttamente lesive sull'uomo, per cui può essere impiegato il termine "violenza". AMBIENTE È il complesso degli obiettivi e degli stimoli esterni a sé che l'uomo deve affrontare e che gli sono offerti dalla natura e dagli altri individui.

167

PARENTI - PAGANI

AMBIVALENZA Coesistenza in un individuo di orientamenti emotivi in reciproco contrasto verso un medesimo obiettivo. AMICIZIA Secondo la psicologia individuale è uno dei tre compiti vitali dell'uomo e si collega al bisogno innato, presente in ogni individuo, di compartecipare emotivamente con i propri simili. AMORE Il concetto adleriano di amore si estende oltre la pura sessualità e supera anche il semplice desiderio, poiché implica un coinvolgimento sia affettivo che fisico, protratto nel tempo. ANALISI Il termine è usato nel testo con l'accettazione limitata di un'interpretazione psicologica approfondita ai dinamismi inconsci. ANALISTA Anche questo vocabolo è impiegato in senso specifico per indicare l'operatore che si dedichi a una psicoterapia analitica. ANGOSCIA Aspetto particolarmente intenso dell'ansia, accompagnata da un corteo di sintomi funzionali a carico di vari organi. ANSIA Stato di tensione e di sofferenza, sostenuta anche da disturbi neurovegetativi e generata d'abitudine dal timore e dall'incertezza nevrotica circa eventi futuri. AUTODISTRUZIONE D'accordo con Adler, non accettiamo il concetto freudiano di "thanatos" o istinto di morte. Riteniamo pertanto che la tendenza all'autodistruzione sia una deviazione patologica che tradisce l'istinto ed è appunto caratteristica di alcune forme di depressione. COLPA (SENSO DI) Stato di sofferenza psichica, disagio e autodeprezzamento che si collega alla vera o presunta infrazione di una regola morale. Il senso di colpa nevrotico è di solito inquadrabile in una "finzione", che sopravvaluta o ipotizza con carenza di obiettività azioni o pensieri dell'individuo. COMPARTECIPAZIONE EMOTIVA Concetto originale della psicologia adleriana, che si riferisce a un processo psichico mediante il quale un individuo si sente emotivamente coinvolto nelle emozioni di un altro individuo o di un gruppo. COMPENSAZIONI Secondo la psicologia individuale sono modalità e artifici di pensiero e d'azione con cui la volontà di potenza cer-

168

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

ca di superare o aggirare un sentimento o un complesso d'inferiorità. Le compensazioni possono essere positive e raggiungere quindi le loro finalità o invece possono prendere corpo in un comportamento deviante e nei sintomi di una nevrosi o di una psicosi, che aggravano anziché neutralizzare la situazione di partenza. COMPITI VITALI La psicologia individuale definisce così i tre principali canali d'integrazione dell'individuo fra i suoi simili e nella comunità umana: amore, lavoro e amicizia. COMPLESSI In psicoanalisi: gruppi di idee sostenuti da un'intensa carica emotiva e parzialmente o totalmente inconsci. In psicologia individuale: atteggiamenti emotivi collegabili ai modelli ideali del singolo (vedansi le voci: Edipo e inferiorità). COMPORTAMENTO Assieme delle modalità con cui l'individuo agisce o reagisce nei confronti dell'ambiente. CONTROTRANSFERT Orientamento emotivo di particolare intensità, positivo o negativo, che può avvincere al suo paziente chi conduce una psicoterapia analitica. CULTURA Comprende tutte le modifiche che l'uomo ha indotto nell'ambiente in cui vive e i simboli che le rappresentano. La cultura a sua volta tende a esercitare condizionamenti sull'uomo. DELIRIO Produzione di idee assurde, in contrasto con la realtà e con il giudizio razionale, da parte di un individuo (si escludono ovviamente le idee acritiche che possono far parte di una determinata cultura). Il delirio è un sintomo tipico di molte psicosi. DEPRESSIONE Stato psichico abnorme, caratterizzato da abbassamento del tono affettivo-emotivo, caduta della sicurezza e dell'autostima, sfiducia e odio per il mondo esterno, tendenza all'isolamento e carenza o assenza d'impegno nei compiti vitali. La distinzione psichiatrica tradizionale fra depressione endogena (dovuta a cause organiche) e depressione reattiva (indotta da fattori ambientali) è oggi superata, poiché si è constatato che le due motivazioni tendono spesso a confluire. E più attuale la classificazione sostenuta da Silvano Arieti in depressione lieve e depressione grave, basata sull'entità del disturbo. DISTANZA Nella concezione individualpsicologica: posizione autodifesa dei nevrotici e ancor più drastica degli psicotici, che rende as-

169

PARENTI - PAGANI

sai difficile la loro comunicazione e la loro compartecipazione emotiva con gli altri individui. EDIPO (COMPLESSO DI) Definisce, secondo la psicoanalisi, una fase infantile caratterizzata da amore e desiderio sessuale per il genitore del sesso opposto e da rivalità per il genitore del proprio sesso, fase che può abnormemente perdurare o comparire regressivamente durante l'età adulta. EMOZIONI Dinamismi psichici di maggiore intensità, sollecitati da una necessità improvvisa, consapevole o inconscia. EROS Nella dottrina psicoanalitica: assieme delle pulsioni di vita, essenzialmente di natura sessuale. EROTISMO In un senso psicologicamente più ampio di quello psicoanalitico, comprende tutte le idee, i simboli e le modalità di comportamento finalizzati verso il piacere sessuale. FINALISMO Orientamento della psicologia individuale, che inquadra le manifestazioni psichiche normali e patologiche alla luce dello scopo, conscio o inconscio, verso cui si indirizzano. FINZIONE Concetto individualpsicologico che si riferisce a valutazioni finalistiche, soggettive e carenti di obiettività, di sé e del mondo esterno. Ogni individuo tenderebbe normalmente ad elaborare finzioni. FINZIONE RAFFORZATA Finzione deviante per eccesso e contenuti, elaborata dal nevrotico e ancor più dallo psicotico. FOBIE Paure patologiche per eccesso o per distorta valutazione degli obiettivi. Caratterizzano alcune nevrosi, dette appunto fobiche, e si differenziano dalle idee deliranti perché conservano almeno un certo grado di autocritica. FRUSTRAZIONE Ostacolo che blocca la soddisfazione di un bisogno o di un desiderio senza abolirlo. INCONSCIO Zona della psiche, ipotizzata dalla psicoanalisi, in cui si svolgono tutti i processi non avvertiti dalla coscienza. Aggettivo che qualifica i suoi contenuti. La psicologia individuale ammette anch'essa i dinamismi inconsci, ma li inquadra in una fondamentale uni-

170

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

tà della psiche e pertanto non li separa rigidamente dai processi consapevoli. INFERIORITÀ (SENTIMENTO E COMPLESSO DI) La psicologia individuale riconosce un normale sentimento d'inferiorità che distingue il bambino, costretto ad affrontare un mondo ancora sconosciuto e paragoni con gli adulti più forti e ricchi di conoscenza. Sempre nella normalità, tale condizione sarebbe gradualmente compensata positivamente nel corso dello sviluppo psichico. Un'abnorme accentuazione del sentimento d'inferiorità, indotta da svariate influenze negative, quali minorazioni organiche o estetiche, errori educativi, conflitti con l'ambiente, ecc., è definita "complesso di inferiorità". INTROIEZIONE Processo ipotizzato dalla psicoanalisi e dalle sue derivazioni, mediante il quale l'individuo farebbe passare dall'esterno all'interno della sua psiche, in modo fantasmatico, persone, oggetti e loro qualità. IPOCONDRIA Timore morboso della malattia, inquadrabile come nevrosi fobica e abitualmente collegato all'esecuzione di rituali ossessivi diretti a scongiurare ciò che il soggetto teme. ISTINTI Da un punto di vista generale: forme di comportamento ereditate e caratteristiche di una specie. Nella psicoanalisi: termine talora impiegato come equivalente di "pulsioni", ossia come spinte energetiche dell'organismo verso un obiettivo. LAVORO È uno dei tre compiti vitali dell'uomo contemplati dalla psicologia individuale. Se bene esplicato, appaga sia il bisogno di cooperare con la collettività, sia quello di ottenere un riconoscimento delle proprie doti. LIBIDO

Nella psicoanalisi: energia dell'Eros (vedasi).

MASOCHISMO Comprendiamo in questo termine non solo la classica perversione sessuale che identifica il piacere erotico con la sofferenza fisica e morale, ma anche una più generale tendenza a subordinarsi e a umiliarsi. Fra le più frequenti motivazioni profonde del masochismo si acquisiscono il tentativo di rendere accettabile un vissuto d'inferiorità e l'espiazione di un senso di colpa.

171

PARENTI - PAGANI

NEGATIVISMO l'ambiente.

Modalità patologica di resistenza ed opposizione al-

NEVROSI Disordini psichici, manifestati con il comportamento, con emozioni e con svariati disturbi funzionali, che si differenziano dalle psicosi perché mantengono almeno un certo grado di autocritica e non comportano un radicale distacco dalla realtà. OSSESSIONI Idee che s'impongono in modo insistente e ripetitivo e possono tradursi in azioni incoerenti automatizzate o in inibizioni. Caratterizzano le nevrosi dette appunto ossessive e mantengono una parziale autocritica. POSIZIONE DEPRESSIVA Seconda fase dello sviluppo psichico infantile ipotizzata da Melanie Klein. Comparirebbe verso il quarto mese di vita, seguendo la posizione schizoparanoide (vedasi). Il bambino, giunto a percepire la madre come oggetto totale, non più frammentato in parti buone e cattive, sarebbe angosciato e depresso dal timore di distruggerla e perderla. POSIZIONE SCHIZOPARANOIDE Prima fase dello sviluppo psichico infantile ipotizzata da Melanie Klein. Si estenderebbe dalla nascita ai tre o quattro mesi di vita, durante i quali il bambino sarebbe capace di percepire solo oggetti parziali (soprattutto il seno materno) che introietterebbe e scinderebbe in due immagini, l'una buona e l'altra cattiva. PSICOANALISI Dottrina psicologica ideata da Sigmund Freud. Costituisce la prima teoria dell'inconscio organicamente impostata nei suoi presupposti analitici e nelle sue applicazioni terapeutiche. PSICOLOGIA DEL PROFONDO Denominazione applicabile alla psicoanalisi e a tutte le altre scuole ad essa posteriori che hanno per obiettivo lo studio dell'inconscio. PSICOLOGIA INDIVIDUALE Teoria psicologica formulata da Alfred Adler e anch'essa collocabile nell'ambito della psicologia del profondo. Si differenzia dalla psicoanalisi soprattutto per la sua impostazione finalistica (diretta cioè ad analizzare non solo le cause ma anche gli scopi dei dinamismi psichici normali e patologici), per un superamento dell'istintualismo pansessuale freudiano e per il maggior rilievo assegnato invece ai rapporti interpersonali e sociali.

172

CAPIRE E VINCERE LA DEPRESSIONE

PSICOSI Denominazione generica delle più gravi affezioni mentali, distinte da un marcato difetto di autocritica e da un distacco dalla realtà. PSICOTERAPIA Termine generico che sta ad indicare ogni forma di cura basata su metodi psicologici. REGRESSIONE Ripiegamento abnorme verso fasi già superate della vita psichica. Mentre la psicoanalisi la interpreta come ritorno a particolari periodi di gestione della sessualità, la psicologia individuale la considera in modo assai più ampio, con estensione quindi a tutti i dinamismi psichici del passato. SADISMO Comprendiamo in questo termine, oltre alla perversione sessuale che investe di piacere la sofferenza procurata ad altri durante un comportamento erotico, una più ampia tendenza a gratificarsi dominando e umiliando gli altri. In chiave adleriana, il sadismo è interpretato come supercompensazione negativa di un complesso d'inferiorità. SENTIMENTO SOCIALE Secondo la psicologia individuale è un bisogno innato dell'uomo di cooperazione e di compartecipazione emotiva con i suoi simili. SOCIETÀ Esteso raggruppamento di individui che vivono nell'ambito delle medesime strutture collettive e che sono influenzati dalla medesima cultura. STILE DI VITA Secondo la dottrina individualpsicologica è l'assieme dei tratti di comportamento, delle emozioni e delle opinioni di ogni individuo che caratterizza la sua personalità e il suo orientamento verso determinati scopi prevalenti. SUICIDIO Togliersi la vita è l'espressione massima della depressione e ne esaspera le finalità profonde, in gran parte dirette verso una colpevolizzazione di figure familiari e verso una valorizzazione pseudoeroica del soggetto, estremo artificio di compenso di un'insostenibile autosvalorizzazione. TABÙ Termine che all'origine stava a indicare certi divieti sacrali delle tribù primitive ed è impiegato oggi in psicologia dinamica con riferimento alle idee e alle azioni che inducono un senso di colpa.

173

PARENTI - PAGANI

THANATOS Presunto istinto di morte ipotizzato da Freud. Il concetto fu sviluppato specie nelle sue ultime opere. TOSSICOMANIA Abitudine contratta e stabilizzata in modo coatto ad assumere sostanze stupefacenti o psicotrope, comunque capaci di indurre una dipendenza fisica o anche soltanto psicologica. TRANSFERT Particolare legame emotivo che avvince al terapeuta chi segue una psicoterapia analitica. Può essere positivo o negativo e subire notevoli variazioni d'intensità e di contenuti. VOLONTÀ DI POTENZA Nella teoria individualpsicologica è, assieme al sentimento sociale con cui si armonizza o si scontra, una delle due essenziali forze motrici psichiche dell'uomo. Essa spinge l'individuo ad affermarsi, a dominare i suoi simili o invece soltanto a sopravvivere aggirando difficoltà e umiliazioni.

174

Related Documents


More Documents from "Rossana Bianchi"