Heidegger - La Questione Della Tecnica

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La questione della tecnica La riflessione sulla tecnica, condotta più volte, aveva portato Heidegger già in Ess ere e tempo a evidenziare come l'uomo, il cui compito è "prendersi-cura" degli uti lizzabili, ossia degli enti intramondani, tenda invece a ridurli a semplici mezz i sottoposti alla sua manipolazione. In particolare nella conferenza La questione della tecnica, del 1953, il pensato re tedesco pone la domanda circa l'essenza della tecnica moderna, rintracciando la sua origine nella mentalità metafisica, che riduce tutto al livello dell'oggett ività misurabile e pianificabile, a partire dalla sua impiegabilità concreta. La tec nica è divenuta così il modo prevalente del «disvelamento» (aletheia), nel senso che l'u omo di oggi esperisce la verità dell'Essere sotto forma di tecnica, la quale si «imp one» all'uomo come «pro-vocazione». Essa è cioè un appello dell'Essere: per definirne l'es senza Heidegger usa il termine Gestell («scaffale», «montatura», e appunto «imposizione») ch e spinge l'uomo a dirigere ogni elemento della natura, ogni energia, persino se stesso al fine di immagazzinarli, modificarli e nuovamente impiegarli. Di fronte a questa im-posizione, l'uomo può recuperare la sua libertà soltanto diven endo consapevole del vero carattere della tecnica, che al fondo non è qualcosa di meramente strumentale, e la cui «montatura» non ha nulla di tecnico, ma è ancora una v olta parte del destino dell'essere. Questo, da un lato, non può essere dunque cont rastato, tuttavia una sorta di amor fati, di assunzione di responsabilità nei conf ronti di un tale destino, può consentirci di custodire la possibilità di una salvezz a, oggi messa in grave pericolo dalla tecnocrazia. Come aveva scritto Friedrich Hölderlin, è proprio nel pericolo che si annida ciò che salva;[68] e Heidegger in ques t'ottica, a partire dal senso originario della parola techne («arte»), ne riscopre l 'affinità con la poiesis: entrambe, nell'antica Grecia, stavano a indicare la prod uzione del vero e del bello. A quel tempo, opere d'arte e opere "tecniche", erano, in un certo senso, lo stes so, e l'estetica non era diventata ancora una branca del tutto separata nel modo di conoscere umano. È proprio questa, quindi, la via di salvezza che Heidegger pr opone all'uomo moderno: essa passa per un ambito che è strettamente affine alla te cnica stessa, e tuttavia ne è distinto nel fondamento, ovvero l'ambito dell'arte, poiché « L'essenza più profonda della tecnica non è nulla di tecnico. » (M. Heidegger, La questione della tecnica, trad. it. in Saggi e discorsi, Mursia , 1976) L'abbandono[modifica | modifica sorgente] Il fatto che Heidegger ritenesse un destino ineluttabile l'avvento dell'era tecn ocratica ha indotto alcuni critici a vedere in questa sua convinzione, paradossa lmente, una sorta di giustificazione e apologia della tecnica stessa.[69] Quel c he traspare dai suoi scritti, tuttavia, è una speranza e quasi un'attesa religiosa che, se pure il destino del mondo sfugge alle decisioni dei singoli uomini, un cambiamento epocale potrà un giorno verificarsi.[45] Il termine utilizzato in proposito da Heidegger nella conferenza del 1955 è Gelass enheit («abbandono»),[70] termine che, come sempre accade nell'ultima fase del pensi ero di Heidegger, pone significativi problemi di traduzione. Il pensatore tedesc o intende con questa espressione richiamare l'uomo a un atteggiamento speculativ o di fronte alla realtà, che consiste, a suo avviso, in un raccoglimento (cui allu de il prefisso tedesco ge-), che lascia-essere[71] le cose così come sono, senza i ntervenire. Heidegger volge così sempre più il suo pensiero a un atteggiamento mistico, sintetiz zabile nella formula «ormai solo un dio ci può salvare»,[72] che egli pronunciò in una c elebre intervista.[28] Egli intende lanciare una sorta di allarme nei confronti della tecnica, con cui l'uomo mette a repentaglio se stesso nell'obiettivo di co nseguire l'egemonia sull'ente, obiettivo che lo ha infatti portato, egli sostien

e, sulla soglia dell'era atomica. Si tratta quindi, di fronte al predominio dell a tecnica, di approdare ad un'etica originaria, attraverso una duplice condotta: l'abbandono agli enti, agli oggetti del mondo, ossia una disposizione mentale ch e, riconoscendo sul nascere gli schemi di pensiero originantisi nel linguaggio, rifiuti l'atteggiamento calcolante proprio della tecnica, per ri-meditare la rel azione fra l'uomo e l'ente fino a cogliere quel senso trascendente che nel mondo della tecnica si cela; l'apertura al mistero, che consiste nel mantenersi aperti, mediante una tale med itazione sulla tecnica, alla possibilità di una nuova manifestazione della verità de ll'Essere. Questo atteggiamento meditabondo, che recupera la mistica renano-fiamminga rappr esentata soprattutto da Meister Eckhart, Johannes Tauler ed Enrico Suso, non esc lude neanche il silenzio quale modo per cercare di superare le forme linguistico -concettuali della metafisica, il che non significa affatto rinunciare ad indaga re i «massimi problemi». Occorre piuttosto trovare un altro mezzo che possa farci ri accostare all'Essere senza i limiti del linguaggio. La poesia può servire a questo . Essa infatti è la prima forma di linguaggio che, per la sua giovinezza, mantiene ancora intatta la freschezza dell'Essere.[45] La ricezione critica[modifica | modifica sorgente] I primi studi su Heidegger risalgono agli anni trenta in seguito alla pubblicazi one di Essere e tempo, che accese un vivo dibattito sui temi dell'esistenzialism o, soprattutto in Francia,[73] mentre in Germania si inseriva in quello già avviat o da Karl Jaspers.[74] In Italia Heidegger fu introdotto da studiosi di formazio ne cattolica, come Carlo Mazzantini e Luigi Pareyson,[75] in contrapposizione al l'idealismo immanentista e storicista della tradizione hegeliana,[76] dominante in quegli anni e rappresentato soprattutto da Benedetto Croce, che su di lui esp resse un giudizio fortemente negativo.[77] Ad una rivalutazione della sua filoso fia esistenzialistica, ma al di fuori di un contesto religioso, concorse anche l a ricezione di Nicola Abbagnano[78] e Pietro Chiodi.[79] In seguito agli sviluppi del pensiero heideggeriano nel secondo dopoguerra, lo s tesso Chiodi e diversi seguaci come Löwith presero le distanze dalla sua «svolta», giu dicandola un'involuzione.[80] Tra gli altri critici, soprattutto di area marxist a, Jean Wahl contestò il tentativo heideggeriano di unire i temi del soggettivismo esistenzialista, come l'angoscia e la cura, con quelli del realismo ontologico attraverso la categoria di essere-nel-mondo,[81] mentre Levinas e Derrida lo acc usarono di ricadere nella metafisica per via degli aspetti logocentrici presenti nella sua filosofia.[82] Diverse letture hanno invece sottolineato l'importanza dell'ispirazione religios a ed escatologica che fa da sfondo alla filosofia di Heidegger, ad esempio da pa rte di Otto Pöggeler,[83] di Enrico Garulli,[84] o di Umberto Regina, per il quale il filosofo tedesco, rivelando la direzione ontologica della conoscenza umana, ne ha svelato anche la dignità e la destinazione teologica.[85] Ispiratori di Heidegger[modifica | modifica sorgente] In proposito, molto si è discusso sulle ascendenze e gli anticipatori che possano aver ispirato il pensiero di Heidegger. Oltre agli interpreti già citati, soprattu tto Hans-Georg Gadamer ha evidenziato la nota mistico-religiosa che risuona spes so nelle sue pagine, dovuta in particolare all'influenza esercitata su di lui da San Paolo e dal giovane Lutero, nonché da altri esponenti del misticismo tedesco come Angelus Silesius e i renano-fiamminghi. La stessa avversione di Heidegger v erso l'oggettivismo e la metafisica sarebbe nata dall'idea che questa sia stata inquinata dal concetto greco dell'Essere, e quindi resa incapace di pensare la v isione cristiana dell'Eschaton.[86] Sarebbe dovuto in particolare a Platone e Aristotele il fatto di averci tramanda

to un concetto travisato dell'Essere, che pure gli antichi greci avevano conosci uto nell'originaria purezza con cui l'aveva enunciato Parmenide, verso il quale Heidegger si fece quindi fautore di un ritorno, e nel cui alveo viene fatta inse rire la sua riflessione.[87] Tra i filosofi più recenti a cui invece Heidegger esplicitamente si richiamò emergon o Edmund Husserl, padre della fenomenologia, di cui fu discepolo, oltre a Friedr ich Nietzsche,[88] il poeta Friedrich Hölderlin,[89] e Søren Kierkegaard,[90] che già svolsero prima di Heidegger riflessioni analoghe anche sulla poesia, la tecnica, l'essere, la temporalità, l'abitare. Un altro filosofo ad aver ispirato Heidegger, specialmente nella sua seconda fas e, è Friedrich Schelling, anticipandolo nel fare dell'arte l'organo della filosofi a che più si avvicina alla comprensione dell'essere. Di Schelling Heidegger apprez zò in particolar modo le riflessioni da lui condotte intorno al 1809 sulla libertà u mana[91] in funzione di contrapposizione al nascente sistema filosofico onnicomp rensivo di Hegel; fu proprio verso quest'ultimo invece che Heidegger ebbe un app roccio sintetizzabile nella seguente formula: «tenere il sistema di Hegel in cima allo sguardo e quindi pensare in una direzione totalmente opposta».[92] E aggiunge va: «io stesso non so ancora abbastanza chiaramente come debba essere definita la mia "posizione" rispetto a Hegel. Come "posizione antitetica" sarebbe troppo poc o».[93] Il filosofo contemporaneo Stanley Cavell, emerito di Harvard, ha rilevato notevo li somiglianze fra il pensiero di Heidegger e le principali opere dei due primi grandi filosofi americani dell'800, Henry David Thoreau e Ralph Waldo Emerson.[9 4] Analoghe forti somiglianze sono state evidenziate col neoplatonismo greco e c ristiano, specialmente sul tema dell'ineffabilità dell'essere.[95] Opere[modifica | modifica sorgente] Dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto (1915) Fenomenologia della vita religiosa (1919 20) Il concetto di tempo (1924) Prolegomeni alla storia del concetto di tempo (1925) Essere e tempo (1927) Che cos'è metafisica (1929) Kant e il problema della metafisica (1929) L'essenza del fondamento (1929) Concetti fondamentali della metafisica. Mondo-Finitezza-Solitudine (1929) L'origine dell'opera d'arte (1935 36) Hölderlin e l'essenza della poesia (1936) Contributi alla filosofia. Sull'evento (1936 38) La storia dell'Essere (1938 40) La dottrina platonica della verità (1942) L'essenza della verità. Sul mito della caverna e sul "Teeteto" (1943) L'essenza del nichilismo (1946 48) Lettera sull'umanismo (1947) Sentieri interrotti (1950) Il linguaggio (1950) Introduzione alla metafisica (1953) La questione della tecnica (1953) Saggi e discorsi (1954) Che cosa significa pensare? (1954) Il principio di ragione (1957) Identità e differenza (1957) L'abbandono (1959) In cammino verso il linguaggio (1959) Nietzsche (1961) Tempo e essere (1962)

La tesi di Kant sull'essere (1963) Segnavia (1967) Ormai solo un dio ci può salvare (1969) Il trattato di Schelling sull'essenza della libertà umana (1971) Quattro seminari (1977)

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