Jeremias Joachim - Gli Anagrapha Di Gesu (apocrifos)

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BIBLIOTECA DI CULTURA RELIGIOSA 2

Dello stesso autore presso l'editrice Paideia: Abba Le parole dell'ultima cena Le parabole di Gesù Il discorso della montagna Il problema del Gesù storico Il significato teologico dei reperti del Mar Morto Il messaggio centrale del Nuovo Testamento Teologia del Nuovo Testamento

JOACHIM JEREMIAS

GLI AGRAPHA DI GESÙ Traduzione di Omero Soffritti

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera: Joachim Jeremias Unbekannte Jesusworte Dritte, unter Mitwirkung von Otfried Hofius vollig neue bearbeitete Auflage Traduzione italiana di Omero Soffritti ©Giitersloher Verlagshaus Gerd Mohn, 1963 © Paideia Editrice, Brescia 1965, '1975

PREMESSE

DALLA PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

In questi ultimi anni ho avuto occasione di parlare degli ' agrapha ' di Gesù in varie località della Germania e della Svizzera, e ogni volta sono rimasto profondamente impressionato al constatare quanto interesse 'suscitasse l'argomento in tutti gli ascoltatori, senza distinzione di cultura. Le parole di Gesù riportate nei nostri Vangeli ci sono così familiari fin dalla giovinezza che corriamo il rischio di non cogliere più il loro vero valore. Ma di fronte a queste parole ' non conosciute ' di Gesù l'uditore provava sempre l'impressione di avvertire qualcosa di ciò che provarono gli uomini quando le udirono la prima volta dalla bocca stessa del Maestro. Così ho condisceso volentieri alla preghiera di darle alla stampa... Nutro la speranza che il lavoro, pur nei suoi modesti limiti, possa colmare veramente una lacuna anche nel campo della ricerca scientifica. Nessuno che sia esperto dell'argomento negherà che l'indagine sugli agrapha si sia arrestata al problema della loro autenticità e che ormai sia giunto il tempo di procedere oltre e di tentarne una interpretazione. Mi auguro che molti di noi siano indotti a riavvicinarsi a Gesù dalle Sue parole e dai brani narrativi che lo riguardano e che formano oggetto di discussione in questo libretto.

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PREMESSA ALLA TERZA EDIZIONE

La terza edizione (ia ed. 1948, 2" ed. 1951) doveva rispondere a due esigenze. Occorreva anzitutto utilizzare il materiale nuovo: il Vangelo di Tommaso ed alcune tradizioni siriache finora trascurate. A questo scopo venne rifatta completamente la prima parte, che ora può offrire un prospetto completo degli agrapha. In secondo luogo, si doveva riesaminare criticamente la scelta dei logia interpretati nella seconda parte. Qui si giunse a restringere il criterio di scelta. Le prime due edizioni rappresentavano un tentativo di interpretare quegli agrapha che •per la storia della tradizione, per contenuto e per forma, potevano esser posti sullo stesso pianò'dei nostri quattro Vangeli. La terza edizione invece si limita a quegli agrapha di cui si può seriamente discutere l'autenticità. Il loro numero si riduce così da ventuno a sedici, elevandosi tuttavia a diciotto per l'aggiunta di due, scoperti recentemente. In appendice vengono discussi due agrapha, spesso citati, che non rientrano più nel piano del nostro lavoro. Vote inoltre essere meglio chiarita la storia della tradizione di alcuni dei logia discussi. Questo lavoro è stato compiuto in collaborazione con Otfried Hofius, il quale, essendo impegnato a fondo nello studio del Vangelo di Tommaso, possedeva un'ottima preparazione per attendere a questa edizione. L'esegesi dell'agraphon che si legge a p. 108-113 è quasi tutta opera sua. Góttingen, agosto 1962. JOACHIM JEREMIAS

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PARTE

PRIMA

Stato dell'indagine Questo libro tratta delle parole « disperse » del Signore, dette, con termine greco, ' agrapha ' ' ( = lett. « parole che non si trovano scritte »). Con agraphon s'intende un detto (logion) di Gesù che non si trova nei quattro Vangeli. Possediamo in effetti un numero notevole di tali detti (logia), che ci sono stati tramandati al di fuori dei Vangeli canonici. Prima di intraprenderne lo studio occorre dire qualcosa sullo stato presente dell'indagine e definire esattamente i compiti che ci siamo proposti.

1

Gli agrapha noti e tramandati in forma autonoma fino al 1911 furono raccolti da E Klostermann, Apocrypba I I I , 2a ediz., Agrapha, slavische Josephusstiicke. Oxyrhynchos-Vragment, 1911, KIT 11, Bonn e Berlin, 1911. Gli agrapha contenuti in Vangeli extracanonici e in papiri si trovano in E. Klostermann, Apocrypha I I , 3 a ediz., Evangelien. KIT 8, Berlin, 1929. H. B. Swete, Zwei neue Evangelienfragmente, KIT 31, Bonn, 1908, 1924. H. I. Bell e T. C. Skeat, Fragments of an Unknown Gospel, London, 1935. Il testo copto del Vangelo di Tommaso rinvenuto a Nag Hamadi è citato secondo l'ediz. Evangelium nach Thomas, Koptiscber Text hg. und ùbersetzt von A. Guìllaumont, H.-Ch. Puech. G. Quìspel, W. Till und Yassah 'Abd al Masih, Leiden, 1959. Vengono costantemente confrontate le precedenti raccolte di A. Resch, Agrapha, 21 ediz., Aussercanonische Schriftfragmente gesammelt und untersucht, T U N . F. 15,3-4, Leipzig, 1906 (citato Resch), e J. H. Ropes, Die Spriiche Jesu, die in den kanonischen Evangelien nicht uberliefert sind. Eine krìtische Bearbeitung des von D. Alfred Resch gesammelten Materials, TU 14,2, Leipzig, 1896 (citato Ropes). La bibliografia viene data a suo luogo. Abbiamo intenzionalmente rinunciato a dare un'indicazione bibliografica completa perché, data la natura dell'argomento, sono state scritte (fino ai tempi più recenti) anche opere prive di valore scientifico.

II

CAPITOLO I

L'ORIGINE DELLA TRADIZIONE EXTRA-EVANGELICA DEI LOGIA DI GESÙ

La questione che si pone è anzitutto questa: è possibile che esistano detti (logia) di Gesù, che non si trovano nei Vangeli? Perché questi detti non hanno trovato posto nei Vangeli? Come si giunse alla coesistenza di una tradizione evangelica e di una tradizione extra-evangelica dei logia di Gesù? Per rispondere a queste domande occorre ricordarsi di due fatti che riguardano gli inizi della tradizione evangelica. Primo: per lungo tempo si ebbe soltanto una tradizione orale su Gesù, sulle sue parole, sulle sue opere, sulla sua vita, sulla sua morte, sulla sua risurrezione. In quei decenni decisivi nei quali la nuova fede si diffuse nella Siria, nell'Asia Minore, in Grecia e in Italia, l'evangelo, per quanto ci risulta, esistette esclusivamente in forma orale. Così andarono le cose per circa trentacinque anni! Un primo mutamento si ebbe (ripetiamo: per quanto ci risulta!) con la persecuzione neroniana. Quando i membri della comunità romana che erano riusciti a sfuggire alle stragi della persecuzione nell'autunno del 64, si raccolsero di nuovo, dovettero piangere la perdita di tanti fratelli e, prima di tutti, di Pietro, che era stato crocifisso nei giardini vaticani. Essi pensarono alle ore indimenticabili nelle quali Pietro, attingendo ai propri ricordi, aveva loro parlato della vita terrena di Gesù: dell'invito, che Gesù gli aveva rivolto, a seguirlo, della sua professione di fede presso Cesarea di Filippo, del Getsemani, della notte precedente il venerdì santo, quando aveva rinnegato il Maestro. Pensarono allora di rivol13

gersi a Giovanni, soprannominato Marco, collaboratore di Pietro, che era sopravvissuto alla persecuzione, per pregarlo di annotare per loro tutto ciò che si rammentava dell'insegnamento dell'apostolo. E Marco li accontentò 2 . Le sue note, molto semplici, costituiscono la prima tradizione scritta sulla vita di Gesù di cui si abbia notizia certa \ Secondo: questa relazione, che Marco fece, delle parole e delle opere di Gesù deve aver prodotto una sensazione inattesa. Il suo esempio infatti entusiasmò. Un campo era maturo per la messe. Si vide che il Vangelo di Marco (naturalmente!) non comprendeva tutto ciò che di Gesù si conosceva anche da altre tradizioni. Così anche in altri luoghi ebbe inizio la raccolta delle notizie trasmesse da queste tradizioni. Nei successivi decenni si ebbero un po' dovunque composizioni del genere, in parte ad imitazione, in parte con utilizzazione (come i Vangeli di Matteo e di Luca) del Vangelo di Marco. Ben presto ogni regione ecclesiastica ebbe il suo Vangelo. Verso la metà del sec. II la Chiesa si trovò così di fronte ad una realtà: l'esistenza di un gran numero di Vangeli di genere disparato. Quanto vario fosse il quadro si comprende meglio se si tien presente che anche la gnosi - quella multiforme corrente religiosa che in un'ampia concezione sincretistica fuse 3 La più antica notizia della composizione del Vangelo di Marco, la notizia fornitaci da Papia (Eusebio, Hist. eccl. I l i , 39,15), presuppone che il Vangelo di Marco sia stato scritto dopo la morte di Pietro, se Papia aveva saputo dal « Presbitero » che « Marco, l'interprete di Pietro, aveva annotato diligentemente tutto ciò che ricordava ». 3 Tutte le affermazioni fatte sull'esistenza di presunte annotazioni scritte anteriori al Vangelo di Marco sono ipotesi indimostrabili. Non è probabile che alla base del Vangelo di Marco stiano fonti scritte; la cosidetta ' Logienquelle ' (fonte di logia) è, a nostro avviso, un prodotto della fantasia, e niente prova che 1' ' Ur-Lukas ' (la fonte particolare del Vangelo di Luca) sia più antico del Vangelo di Marco. Non ci si può nemmeno appellare al ' molti ' di Le. I,I per dimostrare la probabilità dell'esistenza di annotazioni anteriori a Marco. Come ha dimostrato H. J. Cadbury in: F. Jackson and K. Lake, The Beginnings of Christianity I, 2, London, 1922, pp. 492 s., ciò significa fare della retorica e tener presenti esclusivamente il Vangelo di Marco e la fonte specifica di Luca.

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idee giudaiche, orientali e greche con elementi cristiani — produsse tutta una serie di Vangeli. I primi cenni di una tendenza gnostica si trovano nel Vangelo di Pietro; gnostici furono poi, ad es., il Vangelo degli Egiziani, il Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Filippo4. Questi Vangeli gnostici contenevano solo in piccola parte antiche tradizioni di detti e opere di Gesù; prevalentemente essi presentavano dottrine gnostiche, talora astruse, poste dagli gnostici in bocca a Gesù — per lo più risorto - per conferire alle stesse dottrine un'autorità maggiore. In questa situazione intollerabile la Chiesa trovò una soluzione geniale nella enunciazione del canone dei quattro Vangeli. Tutti gli altri a poco a poco cedettero il campo e vennero infine considerati apocrifi. Nel periodo successivo essi andarono in gran parte perduti. In particolare, dei Vangeli giudeo-cristiani - d'una importanza singolare - son giunti a noi soltanto frammenti. Qui si trova la risposta alla questione che ci siamo posti: come si spieghi l'esistenza di una tradizione extra-evangelica di parole di Gesù. Il numero delle tradizioni di parole e opere di Gesù circolanti nel vasto mondo della Chiesa era tale che i nostri quattro Vangeli non le poterono contenere. Inoltre, tanto nel mondo della Chiesa quanto in quello della gnosi l'ambito della tradizione si ampliò sempre più con l'inserimento di quei logia che venivano ricollegati a rivelazioni dirette del Risorto. Così si spiega come, fin dall'inizio, accanto ai nostri quattro Vangeli sia esistita una multiforme tradizione extraevangelica riguardante Gesù.

Si noti che molti testi provenienti da Nag Hamadi (v. pp. 23 ss.), come, ad es., il Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Filippo e il Vangelo degli Egiziani, non sono identici a quelli che finora andavano sotto lo stesso nome e di cui si conoscevano soltanto frammenti. L'indagine sui rapporti esistenti fra gli excerpta tramandati dai Padri della Chiesa e i testi copti integrali è appena agli inizi.

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CAPITOLO

II

STORIA DELLE RICERCHE E DELLE SCOPERTE

La ricerca degli agrapha nei tempi moderni risale all'anno 1889. In quest'anno - quindi prima dell'epoca del ritrovamento dei papiri — il materiale venne per la prima volta presentato in forma scientificamente utilizzabile. Alfredo Resch, continuando l'opera di altri che l'avevano preceduto, pubblicò allora la raccolta che rimane ancora fondamentale, intitolata Agrapha. Aussercanonìsche Evangelienfragmente. La seconda edizione (1906) porta un titolo leggermente diverso: Agrapha. Aussercanonìsche Schriftfragmente. Leggendo il libro si nota ancora la gioia della scoperta che deve aver provato il Resch quando potè, qua e là e spesso in luoghi lontanissimi, sottrarre all'oblio un detto di Gesù fino allora dimenticato. Ma il Resch propugnò la teoria, parecchio fantastica, di un Vangelo primitivo {Urevangelium) e credette ciecamente di poter ravvisare ovunque, negli agrapha del Signore, frammenti dell'Urevangelium da lui immaginato. Per conseguenza con lui la critica del materiale raccolto fece pochi passi (anche se non manca del tutto). La reazione non poteva mancare: nel 1896 - quindi prima ancora dell'epoca dei papiri — sette anni dopo la prima edizione del libro del Resch, apparve l'opera di uno studioso americano, James Hardy Ropes, intitolata Die Sprilche Jesu, die in den kanonischen Evangelien nicht uberliefert sind. Eine kritische Bearbeitung des von D. Alfred Resch gesammelten Materials. Se al Resch siamo debitori di una raccolta di materiale che ancor oggi resta fondamentale, al Ropes dobbiamo un esemplare esame critico di questo materiale stesso. Ecco i risultati 2

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della sua indagine: vengono anzitutto eliminati 84 logia che o dalla tradizione non erano affatto ritenuti del Signore (73), o erano stati da essa erroneamente citati come logia di Gesù ( I I ) . Il restante materiale viene chiaramente distinto in: a) 44 agrapha spurii 5 , b) 13 incerti, e) 14 probabilmente autentici. Nei suoi giudizi il Ropes in genere è piuttosto cauto, sicché in diversi casi la critica deve procedere oltre i suoi risultati 6 . Negli anni successivi l'esame critico è stato continuato soprattutto da Walter Bauer 7 . Il Resch per la prima edizione della sua raccolta aveva attinto il materiale essenzialmente dai cosidetti apocrifi del Nuovo Testamento, (v. pp. 33 ss.), dai Padri della Chiesa (v. pp. 36 ss.), da liturgie e costituzioni ecclesiastiche (pp. 39 ss.). A queste fonti dalla fine del secolo scorso se ne aggiunge un'altra: i papiri. Fra i numerosi papiri rinvenuti in Egitto, accanto a frammenti canonici si trovano logia di Gesù fino allora completamente sconosciuti. In questo modo veniva offerto all'indagine un materiale quanto mai appetitoso, come è dimostrato 5

=Nr. 85-127 + 98 «in appendice. ° Così pensiamo rii dover scartare 7 dei 14 agrapha probabilmente autentici per il Ropes (nn. 141-154). Per il nr. 141 {Ad. 20,35) v- P- 52- Non c'è la minima ragione di vedere nel nr. 145 (Apoc. 16,15) un logion del Signore ' terreno '. Per quanto riguarda il nr. 147 (Girolamo, In Ezech. 18,7 [MPL 25, 1845, 174 B]: « In quel Vangelo degli Ebrei, che i Nazareni usano leggere, viene considerata massima colpa ' se uno turba lo spirito del proprio fratello ' »), bisogna chiedersi se qui si tratti veramente di un logion autonomo del Signore o semplicemente di una variante di Mt. 18,6: « chi dà scandalo a uno di questi piccoli ». Per il nr. 149 (2 Clem. 5,2-4) v. pp. 57 s.; per il nr. 151 (Eusebio, Theophania syr. 4,12 [E. Nestle, Novi Testamenti Graeci Supplementum, Leipzig, 1896, p. 92]: « Io mi scelgo i più degni; i più degni sono coloro che il Padre in cielo mi concede », è difficile decidere, ma con ogni probabilità si tratta di un logion postgiovanneo; per il nr. 152 (b. 'A. Z. i6b/iya) v. pp. 47 ss.; per il 153 (cod. D a Mt. 20,28) v. p. 58. In Dictionary of the Bible, Extra volume, p. 343 ss., lo stesso Ropes nel 1904 ha ridotto il numero degli agrapha probabilmente autentici da 14 a io, eliminando i numeri 145, 149, 150 (Orig. In Mt. tom. XV, 14 [v. pp. 65 ss.]) e 151. 7

W. Bauer, Das Leben Jesu im Zeitalter der neutestamentlichen Apokrypben, Tùbingen, 1909, pp. 377-415. 18

dall'abbondanza delle opere proocate da questi frammenti papiracei. Occorre ora chiarire meglio le caratteristiche dei quattro più antichi frammenti rinvenuti in Egitto, che sono i papiri di Ossirinco 1,654,655 (recentemente ridivenuti oggetto d'indagine scientifica) e il papiro di Ossirinco 840 (per l'importanza del suo contenuto). Successivamente daremo un breve cenno degli altri papiri che interessano l'indagine degli agrapha. Nel 1897 due studiosi inglesi, B.P. Grenfell e A.S. H u n t , durante certi scavi a Behnesa (medio Egitto), località posta dove un tempo sorgeva Ossirinco, scopersero il famoso papiro di Ossirinco 1, un foglio papiraceo scritto su entrambe le facciate, delle dimensioni di cm. 15 x 9, che, in base alla scrittura, si può far risalire al 200 o agli anni immediatamente successivi 8 . Poiché sul verso si legge un numero di pagina, si deduce che il foglio faceva parte di un libro, non di un rotolo di papiro. Sul foglio si trovarono otto logia, di cui sei poterono essere decifrati con una certa sicurezza 9 . E questa fu la grande sorpresa: tutti i logia erano introdotti con le parole « dice Gesù ». Si trattava quindi di una raccolta di logia di Gesù! Essa aveva un duplice aspetto. Del primo logion era conservata soltanto la parte finale: « ... e allora vedrai come poter togliere la trave che è nell'occhio del tuo fratello ». Si trattava esattamente di Le. 6,42, con una trasposizione di termini. Il sesto logion « Dice Gesù: ' Non è accetto un profeta nella sua patria, né un medico compie guarigioni su coloro che lo conoscono ' » risultò un'amplificazione di Le. 4,24. Il settimo infine era una variante ampliata di Mi. 5,14 b: « Dice Gesù: ' Una città costruita sulla cima di un alto monte e solidamente fondata, non può esser fatta cadere né restare nascosta '». Dunque questi tre logia presentavano parole di Gesù già note, ' B. P. Grenfell e A. S. Hunt, Logia Jesou. Sayings of Our Lord from an Early Greek Papyrus, 2* ediz., Oxford, 1897, p. 5. Testo con tentativi di integrazione in E. Klostermann, Apocrypha II, 3a ediz., KIT 8, 1929, p. 19; traduzione in J. Jeremias, Oxyrbynchos-Papyrus 1. In Henneckeì I, pp. 66-70. 9

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in redazioni alquanto divergenti. Ma lo stupore maggiore fu provocato dal fatto che fra queste parole note di Gesù si trovarono, al secondo, terzo e quinto posto, tre logia di Gesù completamente nuovi. Di uno di essi si discuterà in appendice10. Nel 1903 i due studiosi trovarono poi, tra le rovine dell'antica Ossirinco, altri due papiri recanti logia di Gesù. L'uno - il papiro di Ossirinco 654 - era gravemente danneggiato: del testo erano conservate soltanto mezze righe, sicché fu, in parte, impossibile darne integrazioni sicure u. Si^poterono distinguere sei logia di Gesù e, in due luoghi, ancora l'introduzione « Dice Gesù ». A quanto si potè vedere, questi logia recavano un'impronta decisamente gnostica12. L'altro papiro rinvenuto nel 1903 - il papiro di Ossirinco 655 — consisteva di vari frammenti: i due maggiori erano in parte leggibili13 e riportavano vari logia. Si poterono individuare una combinazione di Le. 11,52 e Mt. 10,16, un parallelo al logion dei gigli del campo (Mt. 6,25.28.27; Le. 12,22.27.25) e una conversazione di Gesù coi discepoli, di carattere gnostico. Un agraphon di questo papiro verrà discusso a pp. 127 s. I tre papiri di Ossirinco 1,654,655 provocarono tosto numerosi tentativi di integrazione I4 e una ricca bibliografia 15. Ma quando si scoperse il Vangelo copto di Tommaso l6 si vide con stupore che in esso erano contenuti, in lingua copta, i logia dei 10

V. pp. 137 ss. Testo con tentativi di integrazione in E. Klostermann, Apocrypha II, 3" ediz., pp. 20-22; traduzione in W. Schneemelcher, Oxyrhynchos-Papyrus 654, in Hennecke1 I, pp. 61-66. " Come esempio cfr. l'esame del logion 1 (= prologo e logion 1 del Vangelo copto di Tommaso), p. 50. " Testo e tentativi di integrazioni in E. Klostermann, Apocrypha II, 3* ediz., pp. 23 s.; traduzione in W. Schneemelcher, Oxyrhyncos-Papyrus 655, in Hennecke1 I, pp. 70-72. 14 La miglior rassegna si trova in H. G. E. White, The SayingS of Jesus from Oxyrhynchus, Cambridge, 1920. 15 Un'ampia bibliografia relativa ai tre papiri è stata raccolta da J. A. Fitzmyer in ThSt 1959, pp. 556-560. " Sul Vangelo copto di Tommaso v. pp. 25 s. 11

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tre papiri. Il papiro di Ossirinco 654 corrisponde all'inizio del Vangelo copto di Tommaso, cioè al prologo e ai logia 1-7 ", il papiro 1 ai logia 26-33 e 77 b, mentre i frammenti del papiro 655 hanno i loro paralleli nei logia copti 36-39 18. I tre papiri di Ossirinco sono dunque i resti di una redazione greca del Vangelo di Tommaso. I logia copti permettono ora di integrare con relativa sicurezza le lacune del testo greco dei papiri w. J. A. Fitzmyer x e O. Hofius21 hanno diligentemente confrontato la redazione greca con quella copta e proposto tentativi di integrazione del testo greco 22, ambedue partendo dal presupposto che il testo copto sia una traduzione di un originale greco. Invece G. Garitte a ha tentato di dimostrare che i logia greci sono (retro)versioni dal copto. Questo tentativo però era destinato a fallire, nonostante l'acutezza delle singole osservazioni fatte dal Garitte 24. Anche se vari passi dei papiri greci non si possono ancora integrare con assoluta esattezza, si 17 La numerazione dei logia del Vangelo di Tommaso, nelle edizioni che se ne hanno, non è, purtroppo, unitaria. Noi seguiamo l'ediz. di Leiden (v. n. 1). " R. Kasser, in Les manuscrits de Nag Hammadi, RThPh 1959, p. 367, n. 1, è riuscito a ricostruire il frammento d del papiro 655, rimasto finora indecifrabile, e a ritrovarlo nel logion 24 del testo copto. 19 Nei logia copti le parole non corrispondono sempre esattamente a quelle greche. Da ciò si deduce che il testo deve aver avuto una sua storia e una sua evoluzione tra i due momenti rappresentati dai papiri e dal Vangelo di Tommaso. 20 J. A. Fitzmyer, The Oxyrhynchus Logoi of Jesus and the Coptic Gospel according to Thomas, ThSt 1959, pp. 505-560. 21 O. Hofius, Das koptische Thomasevangelium und die Oxyrhynchus Papyri Nr. 1, 654 und 655, EvTh i960, pp. 21-42; 182-192. 22 Per la ricostruzione del papiro di Ossirinco 655 cfr. ora anche R. A. Kraft, Òxyrhynchus-Papyrus 655 Reconsidered, HThR 1961, pp. 253-262. 23 G. Garitte, Les ' Logoi ' d'Oxyrhynque et l'apocryphe copte dit « Évangile de Thomas », Muséon i960, pp. 151-172. Cfr. J. B. Bauer, Das Thomas-Evangelium in der neuesten Forschung, in R. M. Grant e D. N. Freedman, Geheime Worte Jesu. Das ThomasEvangelium, Frankfurt am Main, i960, pp. 182-205, ivi pp. 185 ss. A. Guillaumont, Les Logia d'Oxyrhynques, sont-ils traduits du copte?, Muséon i960, pp. 325-333. - E. Haenchen, Literatur zum Thomasevangelium, ThR 1961, pp. 147-178, ivi pp. 157-160.

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può tuttavia stabilire con sicurezza il contenuto e il senso dei logia. Il Vangelo di Tommaso a proposito dei frammenti greci conferma il giudizio che abbiamo già dato: in massima parte i logia risultano formazioni secondarie o forme divergenti di logia sinottici già noti. Il ritrovamento di gran lunga più importante è costituito dal papiro di Ossirinco 840 25 . Anche di questo testo siamo debitori agli studiosi Grenfell e H u n t , che nel dicembre del 1905, tra le rovine dell'antica Ossirinco, rinvennero un foglio ingiallito, foracchiato da vermi, della grandezza di cm. 8,5 x 7, che proveniva da un libro in pergamena. Sul retto e sul verso c'erano 45 righe in lettere greche. La scrittura, microscopicamente piccola ma perfettamente leggibile, risale al 400 circa, ma il testo è molto più antico. Anche per quei tempi un libretto di cm. 8,5 x 7 non era di tutti i giorni. Come si potè giungere a comporre libri tanto piccoli? L'enigma fu risolto da E. Preuschen 26, che rimandò a un passo di una omelia tenuta da Giovanni Crisostomo in Antiochia l'anno 387, quindi circa al tempo in cui fu scritto il nostro libretto. Ivi si legge: « Non vedi come le donne e i bambini si legano al collo, in luogo di un grande amuleto, dei libri contenenti i Vangeli, e li portano seco dovunque vadano? 27 ». Possiamo quindi immaginare che le cose si siano svolte così: circa l'anno 400 una donna cristiana di una piccola città del medio Egitto acquista al mercato un libretto in pergamena perché protegga il suo bambino o lei stessa dagli spiriti cattivi, e dopo più di mille e cinquecento anni alcuni scavatori rinvengono proprio una pagina di questo libretto. La si decifra e si trova che essa contiene una storia

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Testo in H. B. Swete, Zwei neue Evangelienfragmente, KIT 31, 1908, 15,24, pp. 3-9. V. bibliografia relativa al papiro a pp. 68 s. 26 E. Preuschen, Das neue Evangelienfragment von Oxyrhynchos, ZNW 1908, pp. i - n .

27

Giov. Crisostomo, Homilia de statuis XIX, 4 ad pop. Ant. (MPG 49 [1862], 196). Altre testimonianze in E. Nestle, Evangelien ah Amulet am Halse und atn Sofà, ZNW 1906, p. 96. 22

di Gesù del tutto sconosciuta, straordinariamente interessante 2S. In seguito vennero alla luce alcuni altri papiri con parole di Gesù. Nel 1935 H. I. Bell e T. C. Skeat pubblicarono frammenti di un Vangelo sconosciuto presentanti influssi giovannei: il papiro Egerton 2 29, in cui si trovano due agrapha di Gesù 30. Grenfell e Hunt, a cui dobbiamo i papiri di Ossirinco 1,654,655 e 840, pubblicarono anche i resti di un libro in papiro risalente agli inizi del sec. IV: il papiro di Ossirinco 1224 31. È di questo papiro Pagraphon che esaminiamo a pp. 125 ss. Anche il papiro di Ossirinco 1081 32, che contiene un brano dell'opera gnostica Sophia lesu Christi33 e il Frammento di Vangelo del cosidetto papiro copto di Strasburgo M contengono degli agrapha 35. Il ritrovamento di questi pochi frammenti poteva già dirsi un avvenimento sensazionale, ma tanto più sensazionale fu la scoperta, avvenuta nell'anno 1945 (o 1946) nell'alto Egitto, di una intera biblioteca di manoscritti copti36. Ivi sul fianco orien28

Cfr. questo racconto e un altro agraphon a pp. 69 ss. e pp. 134 s. H. I. Bell e T. C. Skeat, Fragments of an Unknown Gospel, London, 1935. Vedi anche G. Mayeda, Das Leben-Jesu-Fragment Papyrus Egerton 2 una seine Stellung in der urchristlichen Literaturgeschichte, Bern, 1946. - J. Jeremias, Unbekanntes Evangelium tnit johanneischen Einschlàgen (Pap. Egerton 2), in Hennecke' I, pp. 58-60. 30 Per la valutazione v. pp. 58 ss. 31 Testo in E. Klostermann, Apocrypha I I , KIT 8, 3° ediz., 1929, p. 26; traduzione di W, Schneemelcher in Hennecke' I, pp. 72 s. 32 Testo in E. Klostermann, Apocrypha II, p. 25. 33 H.-Ch. Puech, Les nouveaux écrits gnostiques découverts en HauteÉgypte, in Coptìc Studies in Honour of W. E. Crum, Bulletin of the Byzantine Institute I I , Boston, 1950, pp. 91-154, ivi p. 98, n. 2. Sulla Sophia lesu Christi v. H.-Ch. Puech, in Hennecke' I, pp. 168-173. Cfr. W. Schneemelcher, Evangelienfragment des Strassburger koptischen Papyrus in Hennecke', I, pp. 155-157. Nessun agraphon è contenuto nel cosidetto Frammento di Fajjum, che rappresenta evidentemente una redazione secondaria di Me. 14,27. 29S., e nel Papyrus Cairensis io 735, che contiene l'annuncio della nascita di Gesù e la fuga in Egitto, ma nessuna parola di Gesù. Cfr. l'esame dei due frammenti fatto da W. Schneemelcher in Hennecke' I, pp. 73 s. La bibliografia relativa a questa scoperta, come quella relativa ai testi 29

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tale del Nilo, dirimpetto al villaggio di Nag Hamadi, nella regione dell'antica Chenoboskion, furono trovati, entro una brocca, tredici codici in papiro, contenenti quarantaquattro scritti gnostici, dei quali alcuni in varie copie37. Questi scritti, in gran parte apocrifi del Nuovo Testamento, erano finora, fatte poche eccezioni, completamente sconosciuti. Molti di quelli pubblicati (e anche, a quanto si può dedurre dai titoli, alcuni degli inediti) contengono agrapha. Ma il cosidetto Vangelo della Verità, pubblicato per primo nel 1956, ha deluso le aspettative. Si constatò che la designazione dello scritto - giunto a noi senza titolo - è equivoca, giacché non si tratta di un vangelo 38, ma di una omelia in cui s'intende rivelare perfettamente la verità dell'evangelo39. Così gli scritti intitolati L'essenza degli Arconti e Origine del mondo (titolo secondo lo Schenke) sono semplicemente testi di dottrine gnostiche che non contengono agrapha né sono posti in bocca al Cristo glorioso. Invece l'apocrifo di Giovanni, nella sua parte essenziale, si presenta come la stilizzazione di un discorso apocalittico del Risorto 40 . Il Vangelo di Filippo, che non s'identifica con lo scritto citato da Epifanio portante lo stesso titolo 41, rappresenta « una specie di florilegio di sentenze e pensieri gnostici » 42 , i quali però, in di Qumran, s'avvia a divenire immensa. Citiamo quindi soltanto un'opera che fornisce buone informazioni sulla storia della scoperta, sul suo carattere e su alcuni scritti: W. C. van Unnik, Evangelien aus dem Nilsand, Frankfurt am Main, i960. Altra bibliografia raccolta da van Unnik e da H.-Ch. Puech in Hennecke1 I, pp. 161 s. 37 Contando separatamente anche le varie copie degli stessi scritti si ha un totale di 49 testi. 38 Lo scritto è chiamato Vangelo della verità dagli editori per erronea deduzione dalle parole iniziali dell'opera, che appare senza titolo. 39 II primo ad esaminare l'opera è stato W. C. van Unnik in Het kortgeleden ondekte « Evangelie der Waarheid » en het Nieuwe Testament, Amsterdam, 1954, pp. 86 s. 40 Ciò vale anche per la Sophia Iesu Còristi, ancora inedita, ma già nota dal papiro di Berlino 8502 (v. H.-Ch. Puech in Hennecke2 I, pp. 168-173). " Epifanio, Panar, haer. 26,13,25. (p. 292,1333. Holl [GCS 25]). 42 H.-M. Schenke, Das Evangelium nach Philippus in J. Leipoldt e H.-M, Schenke, Koptisch-gnostische Schriften aus den Papyrus-Codices von Nag24

massima parte, non sono presentati come parole del Risorto. Alcuni nuovi agrapha si trovano tuttavia nei logia, 18, 26, 34, 54, 55, 57, 69 e 97 43. I testo più importante per lo studio degli agrapha è rappresentato dal Vangelo di Tommaso44. Si tratta non di un vangelo di carattere narrativo, ma di una raccolta di logia di Gesù (114, secondo la numerazione di Leiden; 112 o 113, secondo la numerazione del Leipoldt), la più ricca fra le extracanoniche. Oltre un abbondante materiale comune ai Sinottici, spesso riprodotto molto liberamente, vi si trova anche il testo dei papiri 1, 654 e 655 di Ossirinco. Inoltre il logion discusso a pp. 89 ss., del quale precedentemente il testimone più antico era Origene, è ora attestato anche dal Vangelo di Tommaso. Vi si trovano poi diversi agrapha finora sconosciuti che abbisognano di una cernita critica. Un tal lavoro fu avviato da J. B. BauHamadi, ThF 20, Hamburg-Bergstedt, i960, p. 33. *3 Numerazione dello Schenke. Senza dubbio alcuni di questi logia sono intesi come parole del Gesù ' terreno ' (ad es., nei logia 26,34,54 e 55). Probabilmente gli agrapha del Vangelo di Filippo risalgono a un Vangelo apocrifo. 44 Fotocopia del manoscritto copto in Pahor Labib, Coptic Gnostic Papyri in the Coptic Museum at Old Cairo, voi. I, Cairo, 1956, 80 r. 10-99 r. 28. Edizione del testo copto: Evangelium nach Thomas, hg. und iibers. von A. Guillaumont, H.-Ch. Puech, G. Quispel, W. Till und Yassah 'Abd al Masih, Leiden, 1959. Traduzioni tedesche: J. Leipoldt, Eine neues Evangelium? Das koptische Thomasevangelium ùbersetzt und besprochen, ThLZ 1958, col. 481-496; Das Thomas-Evangelium, in J. Leipoldt e H.-M. Schenke, Koptiscb-gnostische Schriften, pp. 7-30. W. Till nella succitata edizione di Leiden. H. Quecke, Das Thomas-Evangelium, in W. C. van Unnik, Evangelien aus dem Nilsand, Frankfurt am Main, i960, pp. 161-173, e m R- M. Grant e D. N. Freedman, Geheime Worte Jesu. Das Thomas-Evangelium, Frankfurt am Main, i960, pp. 206-222; E. Haenchen, Die Botschajt des Thomas-Evangeliums, ThBT 6 Berlin, 1961, pp. 14-33. Dalla bibliografia riguardante il Vangelo di Tommaso citiamo: H.-Ch. Puech, Das Thomas-Evangelium, in Hennecke1 I, pp. 199-223. W. C. van Unnik, Das Thomas-Evangelium in Evangelien aus dem Nilsand, pp. 5769. R. M. Grant e D. N. Freedman, Geheime Worte jesu. Das ThomasEvangelium, Frankfurt am Main, i960. E. Haenchen, Literatur zum Thomasevangelium, ThR, 1961 pp. 147 -178 e la succitata opera dello stesso autore. 25

er * e C. • H. Hunzinger 46. C. - H. Hunzinger ha tentato di dimostrare autentiche due parabole di Gesù: quella dell'attentatore (logion 98) e quella del pesce grande (logion 8). J. B. Bauer nei suoi scritti esamina alcuni logia e giunge alla conclusione che ve ne sono che possono, « sia pur con cautela, esser presi in considerazione come genuinamente ' jesuanisch ' »47. Quantunque il Bauer, nello stabilire come possibile l'autenticità di alcuni logia, proceda con molta cautela e misurando bene le parole, la cernita dei logia in lingua copta deve essere condotta ancora più criticamente48. Così non ci siamo potuti convincere che, oltre la parabola del pesce grande e oltre il logion discusso a pp. 89 ss., si potesse aggiungere al gruppo i) (pp. 61 s.) un altro degli agrapha contenuti nel Vangelo copto di Tommaso. Quindi, nonostante l'abbondanza degli agrapha in esso contenuti, il suo contributo di materiale autentico è relativamente scarso. Resta da vedere quanto potranno giovare all'indagine sugli agrapha i testi di Nag Hamadi non ancora 45

J. B. Bauer, De agraphis genuinis Evangelii sec. Thomam coptici, VD 959> PP- 129-146; Echte Jesusworle?, in W. C. van Unnik, Evangelien am dem Ntlsand, pp.108-150. 46 C.-H. Hunzinger, Unbekannte Gleichnisse Jesu aus dem Thomas-Evangeliutn, in Judentum Urchrìstentum Kirche. Festschrifl ftir J. Jeremias, BZNW 26, Berlin, i960, pp. 209-220. 47 J. B. Bauer, Echte Jesusworte?, p. 122. " Così, ad es., il logion 51, discusso dal Bauer a p. 127 s. (« I suoi discepoli gli dissero: ' In qual giorno avverrà il riposo dei morti, e in qual giorno verrà il nuovo mondo? '. Egli disse loro: ' Il (riposo), che voi aspettate, è (già) venuto, ma voi non lo conoscete ' ») ha un carattere inequivocabilmente gnostico. Esso attribuisce a Gesù la concezione, variamente attestata nella gnosi, che il riposo (àvrimaucrn;) viene già al presente comunicato all'uomo che ha ricevuto la conoscenza {yvC^uic,). È anche difficile vedere, col Bauer, una genuina sentenza di Gesù nel logion 58 (« Gesù disse: ' Beato è l'uomo che ha sofferto; egli ha trovato la vita ' »), nonostante la sua affinità con Iac, 1,12 e 1 Petr. 3,14, e ciò perché non è possibile proporre un termine aramaico equivalente né per ^OJT), usato in senso assoluto, né per •KÒ.ajziv, usato come verbo indicante il soffrire per effetto di persecuzione. Cfr. G. Dalman, JvsusJescbua, Leipzig, 1922, p. 117 s. (per 7iàuxei.v); Die Worte Jesu I, 2a ediz., Leipzig, 1930, pp. 129 ss. (per ^wr)). J

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pubblicati. Le prime provvisorie informazioni sull'apocrifo'di Giacomo che sta al principio del codice Jung permettono di dedurre che in questo scritto, che contiene un colloquio del Risorto con Giacomo e Pietro, si trovano alcuni agrapha degni d'attenzione 49.

W. C. van Unnik, Bvangelien aus dem Nìlsand, pp. 93-101. H.-Ch. Puech in Hennecke1 I, pp. 245-249. 27

CAPITOLO

III

RASSEGNA DELLE FONTI

In questa rassegna delle fonti considereremo anche quegli agrapha che presentano, stilizzate, parole del Signore risorto. Infatti i testi nei quali troviamo i logia extra-evangelici di Gesù spesso non si curano affatto di distinguere le parole pronunciate da Gesù prima da quelle pronunciate dopo la risurrezione.

a) Nuovo Testamento La fonte più antica che ci fa conoscere parole di Gesù non contenute nei quattro Vangeli canonici è il Nuovo Testamento stesso. Nel discorso di addio, che, secondo gli Atti degli Apostoli, Paolo rivolge agli anziani di Efeso, l'apostolo cita, a conclusione, un detto di Gesù che non si trova nei Vangeli (20,35) 50 . È indiscutibile e indiscusso che in questo passo abbiamo un agraphon. In altri luoghi però le cose non sono altrettanto chiare. Nelle sue lettere Paolo si richiama quattro o cinque volte a un detto di Gesù: Rom. 14,14 (?) 1 Cor. 7,10; 9,14; 11,24 s.; lThess. 4,16 s. I tre luoghi della 1 Cor. trovano rispondenza nei Vangeli: Me. 10,11 s. par.; Mt. 10,10 par.; Me. 14,22-24 par.; quindi non sono agrapha. È invece difficile giudicare Rom. 14,14: « Io so e sono convinto nel Signore Gesù che niente è in sé impuro; solo chi considera qualcosa impuro, è impuro ». Con ogni probabilità, anche se non con assoluta certezza, si può dire che la locuzione « io so e sono convinto nel Signore » attesta che Paolo cita un detto del Signore. Se così è (e lo comprova, tra l'altro, il Per la valutazione v. p. 52. 29

fatto che Paolo fa spesso riferimento a parole di Gesù pur senza un esplicito rimando), Paolo si richiama evidentemente al logion riferito da Me. 7,15 par.: « Non ciò che entra nell'uomo dall'esterno può renderlo impuro, ma ciò che esce dall'uomo, questo lo rende impuro » 5 1 . In Paolo però il concetto è molto diverso: in Me. 7,15 è detto che non il nutrimento impuro, ma la parola impura rende impuro l'uomo, in Paolo invece leggiamo che l'impurità non risiede nelle cose, ma nella valutazione dell'uomo. Sarebbe quindi difficilmente giustificabile l'ammissione in Rom. 14,14 di un logion autonomo. Potrebbe trattarsi invece di un tentativo di formulare, nel suo significato fondamentale, la prima parte (negativa) dell'enunciato di Gesù (Me. 7,15 a). Un diverso giudizio si deve dare di 1 Thess. 4,16 s. Questo passo rivela contatti con la descrizione della parusia che abbiamo in Mt. 24,30 s., ma con differenze così rilevanti che in 1 Thess. 4,16 s. dobbiamo vedere un logion autonomo di Gesù, quindi un agraphon 52. Nel Nuovo Testamento, accanto a parole pronunciate dal Signore prima della risurrezione, se ne trovano altre pronunciate dopo. Il primo a darci notizia di un logion del Signore glorioso è Paolo, a cui il Signore si rivolse rispondendo a una sua preghiera (2 Cor. 12,9 53 ). Poi sono da ricordare le istruzioni extra-evangeliche che, negli Atti degli Apostoli, il Risorto impartisce ai suoi discepoli {Act. 1,4 s. 7 s.) e le parole che il Signore glorioso, nel racconto della conversione di Paolo, rivolge al futuro apostolo e ad Anania {Act. 9,4-6.10-12.15 s.; 22,7 s. i o ; 26,14-18). Anche in seguito gli Atti danno notizia di parole che il Signore glorioso rivolge a Paolo in visioni

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Così anche C. H. Dodd, Gospel and Law, Cambridge, 1951, p. 49; ENNOMOZ XPILTOY, in Studia Paulina in honorem J. de Zwaan, Haarlem, 1953, p. 106. 52 V. l'esame a pp. 105 ss. 53 Supposto che in questo passo si parli, come è probabile, del Kyrios Gesù e non di Dio. 30

(Act. 18,9 s.; 22,18.21; 23,11). Infine bisogna registrare anche le parole che il Figlio dell'uomo rivolge a Giovanni nell'Apocalisse (Apoc. 1,11.17-20; 16,15; 22,10-16.18-20) e le sette lettere da lui dettate a Giovanni per le comunità dell'Asia Minore (Apoc. 2 e 3).

b) Integrazioni e varianti nei manoscritti dei Vangeli Tra le fonti degli agrapha bisogna annoverare gli antichi manoscritti del Nuovo Testamento. In alcuni di essi si trovano talvolta parole di Gesù che mancano nella maggioranza dei codici. Ricordiamo anzitutto un episodio del Vangelo di Giovanni e due logia del Vangelo di Luca, che non appartengono originariamente ai rispettivi Vangeli, ma hanno avuto tale diffusione in manoscritti antichi e in traduzioni antiche e moderne da divenire parti integranti dei rispettivi Vangeli. Si tratta del brano dell'adultera (Joh. 7,53-8,11 54) e della preghiera di Le. 23,3412 (Ma Gesù disse: « P a d r e , perdona loro perché non sanno quello che fanno »), che manca in una parte notevole di codici 55 e che quindi sembra essere una integrazione basata su un'antica tradizione. Si tratta infine dell'aggiunta che parecchi codici 56 inseriscono dopo Le. 9,55 a come v. 55 b e 56 a: « ( 5 5 : Ma egli si volse verso di loro e li sgridò) e disse: ' n o n sapete di quale spirito siete? 5 7 56 a: Infatti 5 8 il Figlio dell'uomo non è venuto per dannare le anime degli uomini 5 9 , ma per salvarle! ' » 6 0 . Anche la chiusa più lunga (e non au-

V. a questo proposito l'excursus sulla storia del testo di loh. 7,538,11 in W. Bauer, Das ]ohannesevangelium, HNT 6, 3° ediz., Tùbingen 1933, pp. 115-117. 55

B D* W 0 a sy-sin sa. koiné © lat sy-cur, e anche Marcione. Questa proposizione si trova anche in D. « Infatti » manca in © e in molti codici recenziori. « Degli uomini » manca in lat sy-cur. Per la valutazione dell'aggiunta v. p. 61. 31

tentica) del Vangelo di Marco {Me. 16,9-20) rientra in questo gruppo. Ma oltre a questi testi, nei manoscritti dei Vangeli si trovano certe aggiunte che non sono accolte nelle nostre traduzioni della Bibbia. Citiamo alcuni esempi. Il codex Bezae Cantabrigiensis (D) al posto di Le. 6,5 riporta un breve episodio riguardante Gesù, di cui ci occuperemo nella seconda parte del nostro lavoro (v. pp. 83 ss.). A Le. 10,16: « Chi ascolta voi, ascolta me, e chi respinge voi, respinge me; ma chi respinge me, respinge colui che mi ha mandato » alcuni codici61 aggiungono come quarto stico la frase conclusiva : « e chi ascolta me, ascolta colui che mi ha mandato » a. Similmente l'antico codice siro del Sinai (sy-sin) in Ioh. 12,44 r e c a un'aggiunta alle parole di Gesù riportate dagli altri codici: « (Ma Gesù gridò e disse: ) ' Chi non somiglia a me, non somiglia a colui che mi ha mandato, e (chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato) ' » a. Per concludere, citiamo ancora una frase di Gesù risorto: il cosidetto Logion Freer. Si tratta di un brano inserito nella succitata chiusa non autentica del Vangelo di Marco {Me. 16, 9-20; ivi dopo il v. 14), brano che è attestato soltanto dal codice di Freer (sec. IV-V). In esso i discepoli attribuiscono a Satana la responsabilità della loro mancata fede nella testimonianza riguardante la risurrezione di Gesù e pregano il Risorto di manifestare immediatamente la sua giustizia. Cristo replica che il regno di Satana è giunto alla fine, ma che prima che avvenga la parusia devono ancora compiersi segni terribili, 61

tp it sy-sin sy-cur. In D la frase sta al posto del terzo stico. Per la valutazione v. p. 55. 63 A. Smith Lewis, The Old Syriac Gospels or Evangelio» da-Mepharreshé, London, 1910, p. 249. L'aggiunta non è registrata in F. C. Burkitt, Evangelion da-Mepharreshe., voi. I, Cambridge, 1904. Per la valutazione dell'aggiunta v. p. 5^. 62

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ed aggiunge l'invito alla penitenza

c) Vangeli e scritti apocrifi Vangeli apocrifi. Come abbiamo detto, accanto ai Vangeli canonici sorse tutta una serie di altri Vangeli, che furono poi dalla Chiesa dichiarati apocrifi. Alcuni di essi appartengono a un genere letterario che s'accosta ai Vangeli sinottici. Da tali scritti provengono i frammenti dei papiri di Ossirinco 840 (v. p. 22) e 1224 (v. p. 23) e del papiro Egerton 2 (v. p. 23), che non possono essere attribuiti ad alcuno dei Vangeli oggi conosciuti. Ma in questo gruppo rientrano anzitutto due Vangeli giudeo-cristiani, e precisamente il Vangelo dei Nazarei e il Vangelo degli Ebioniti65 nei quali appunto, per quanto riguarda i logia di Gesù, è entrato un materiale extracanonico discretamente abbondante 66. Il terzo Vangelo giudeo-cristiano, il Vangelo degli Ebrei, è così difficilmente ricostruibile che non si può classificare 67 . Anche il Vangelo di Pietro s'accosta ai Vangeli sinottici per quanto riguarda il genere letterario, ma se ne allontana decisamente per il suo contenuto tutto rivolto a una massiva dimostrazione apologetica della risurrezione di Gesù 6 S . Nel frammento a noi giunto Gesù parla brevemente soltanto due volte (vv. 19 e 42). Notevole è la trasformazione subita dal suo grido sulla croce: « Mia forza, mia forza, mi hai abbandonato » (v. 19) 6 9 . Il Vangelo copto di Tommaso nella sua struttura di rac64

Per il logion Freer v. J. Jeremias in Hennecke' I, pp. 125 s. - E. Helzle, Der Schluss des Markusevangeliums {Mk. 16,0-20) und das Freer-Logion {Mk. 16,14 W), ihre Tendenzen und ihr gegenseìtiges Verhàltnis. Eine wortexegetische Untersucbung. Phil. Diss., Tiibingen, 1959, (v. ThLZ i960, coli. 470-472). Cfr. Ph. Vielhauer, Judenchristlicbe Evangelien, in Hennecke1 I, pp. 75-108, ivi pp. 75-104. V. pp. 47; 57; 67 ss.; 123 ss. Per il Vangelo degli Ebrei v. Vielhauer, ibid., pp. 104-108. Cfr. Chr. Maurer, Petrusevangelium, in Hennecke* I, pp. 118-124. 65 Cfr. p. 50. 3

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colta di logia richiama soltanto lontanamente, da un punto di vista formale, i Sinottici, ma si accosta ad essi più di tutti gli altri Vangeli apocrifi che conosciamo per il fatto che ha comune con essi molto materiale, sia pure con interpretazioni diverse e palesi alterazioni70. Gli scarsi frammenti del Vangelo degli Egiziani non permettono di caratterizzarlo con esattezza71; i suoi logia extracanonici hanno una chiara tendenza gnosticoascetica. La maggior parte dei Vangeli di carattere gnostico 71 non ha, per quanto concerne il genere letterario, quasi nulla a che vedere coi Vangeli canonici. Si chiamano Vangeli soltanto perché intendono presentare come « buona novella » una verità rivelata, posta di solito in bocca al Signore risorto, che la spiega in lunghi discorsi. Li ricordiamo qui unicamente a cagione del loro titolo di « Vangeli »; per la sostanza essi rientrano nel sesto gruppo (f) delle fonti che consideriamo73. Uno di questi testi è il Vangelo copto di Filippo, del quale abbiamo fatto menzione sopra trattando della ricerca delle fonti (v. pp. 24 s.). Rientrano inoltre in questo gruppo i Vangeli di Maria e di Mani. A proposito di quest'ultimo è particolarmente difEcile stabilire quali agrapha provengano proprio dal Vangelo di Mani, quali da altri scritti manichei (v. p. 40) e quali dai Vangeli da lui accettati. Molti Vangeli apocrifi hanno in comune con quelli gnostici questa caratteristica: integrano determinati periodi della storia di Gesù e, in parte, li svolgono diffusamente. Nei Vangeli gnostici si tratta del periodo che va dalla risurrezione all'ascensione, in quelli apocrifi per lo più dell'infanzia o della passione di Gesù. Le molte parole che qui Gesù pronuncia non hanno un carattere gnostico e tanto meno sinottico, ma dimostrano, in70

Per la valutazione del Vangelo di Tommaso v. pp. 25 s. Cfr. W. Schneemelcher, Aegypterevangelium, in Hennecke? I, p. 109-117. " H.-Ch. Puech, Gnostìsche Evangelien und verwandte Dokumente, in Hennecké* I, pp. 158-271. 73 V. pp. 55 s. 71

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sieme col materiale narrativo, che abbiamo a che fare con un altro genere di scritti, e precisamente con leggende di edificazione. Citiamo, per questo tipo di narrazioni, il Racconto dell'infanzia di, Tommaso, il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo arabo dell'infanzia, il Vangelo dello Pseudo Matteo, il Vangelo di Nicodemo e gli scritti riguardanti Pilato e infine, gli scritti che vanno sotto il nome di Bartolomeo 7 4 . Altri scritti apocrifi. Accanto ai Vangeli apocrifi, di cui abbiamo trattato, stanno alcuni altri scritti apocrifi che contengono agrapha: ad es., la Leggenda di Abgar, in cui si riportano le lettere scambiate tra Gesù e il re Abgar di Edessa 7 5 , e l'Epistola Apostolorum, che contiene una conversazione tenuta da Gesù coi suoi discepoli dopo la risurrezione 76. Inoltre, si trovano agrapha nella Lettera di Tito apocrifa 77 , di cui rimangono soltanto frammenti; in alcuni Atti degli Apostoli apocrifi78, come, ad es., negli Atti di Filippo, di Tommaso, di Giovanni e di Pietro79, nella Vita di Giovanni il Battista secondo Serapione93, nell'Apocalisse di Pietro apocrifa 81. In questo gruppo, infine, va collocata la Storia di Giuseppe il falegname, un racconto, che si presume Gesù faccia ai suoi apostoli, della vita e della morte di Giuseppe suo padre, quando, sul Monte degli Ulivi, raccontò loro la propria vita 82.

'* C£r., a questo riguardo, quanto è detto in Hennecke1 I, specialmente il cap. Vili « Vangeli dell'infanzia » e il cap. X « Attività e Passione di Gesù ». 75 Cfr. W. Bauer, Abgarsage, in Hennecke* I, pp. 325-329. 76 Cfr. H. Duensing, Epistula Apostolorum, in Hennecke3 I, pp. 126-155. 77 V. W. Schneemelcher, ibid., pp. 115 s. 71 Testi in Ada apostolorum apocrypha, edd. R. A. Lipsius et M. Bonnet, Leipzig, 1891-1903, ristampa Darmstadt, 1959. 75 Un agraphon degli Actus Petri cum Simone {Ada apostolorum apocrypha I, pp, 45-103) viene discusso a p. 117 ss. ,0 V. O. Culmann in Hennecke* I, pp. 304.310 s. 81 H. Weinel, Offenbarung des Petrus, in Hennecke2 pp. 314-327. " S. Morenz, Die Geschichte von Joseph dem Zimmermann, TU 56, Berlin e Leipzig, 1951.

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d) Padri della Chiesa {fino al 500) Una fonte assai ricca di agrapha sono i primi scrittori cristiani. In genere, quanto più uno scrittore visse prossimo al tempo di Gesù, tanto maggiore sarà l'attendibilità della tradizione da lui attestata; tuttavia proprio l'esempio del più antico testimone, cioè di Papia (v. pp. 52 s.) dimostra che questo principio non va applicato indiscriminatamente. Nel dare l'elenco dei Padri della Chiesa che ci hanno tramandato degli agrapha ci limiteremo al periodo che arriva fino al 500: a questo punto gli agrapha di questo gruppo, derivati, come si può dimostrare, da Vangeli apocrifi, non sono presi in considerazione. Gli autori cristiani dei primi tempi presso i quali si rinvengono degli agrapha sono i seguenti s3 (gli agrapha non registrati dal Resch e dal Ropes sono contrassegnati in nota da un asterisco): Papia (intorno al 130) 84 . 2 Clem. (prima del 150) 85 Giustino (morto intorno al 165) 86 Ireneo (morto intorno al 200) 8? Clemente Alessandrino (morto prima del 215) 8S " Nelle pagine che seguono esamineremo criticamente il materiale tratto dagli scritti patristici che si trova in Resch, tenendo conto dell'esame che dei passi ha fatto il Ropes. Sono stati accolti nella nostra lista soltanto gli agrapha che i Padri della Chiesa designano come parole del Signore o ritengono tali. 84 In Ireneo, Adv.haer. (ed. Harvey [2 voli. Cambridge 1857] V, 33,3 s. (cfr. Hippolyt. In Dan'. IV, 60). 15 2 Clem. 5,2. 86 Dialogus cum Tryphone (ed. Goodspeed [Die àltesten Apologeten, Gottingen, • 1914] 35,3 (cfr. Pseudoclem. Hom. XVI, 21,4; Lattanzio, Div. Inst. IV, 30,2); 38,2; 47,5; 51,2. - De resurrectione (ed. von Otto [Corpus Apologetarum Christianorum I I I , 3 a ediz., Jena, 1879] 9. - In Apol. I, 15,8 non c'è alcun agraphon: v. la dimostrazione di E. Klostermann in ZNW 1905, p. 105 s.; cfr. Apocrypha I I I , 2 a ediz., 1911, p. 6, n. 87 Adversus haereses (ed. Harvey) V, 36,2. 88 Stronzata (ed. Stahlin [GCS15]) I, XXIV, 158,2 (cfr. Origene, Sei. in Psalm.4^; Eusebio, in Psalm.16,2); I I I , XV, 97,4; V, X, 63,7 (cfr. Pseudoclem. Hom. XIX, 20,1). In Teodoreto, In Psalm. 65,16 [MPG 80 (1864),

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Tertulliano (circa 160-220)89 Ippolito (morto nel 235) *° Origene (morto nel 253/254) 91 Trattato pseudociprianeo De duobus montibus (prima del 240) H Trattato pseudociprianeo De aleatoribus (intorno al 300) 93 Lattanzio (intorno al 300) 94 Alessandro di Alessandria (313-345) 95 Eusebio di Cesarea (morto nel 339) % Afraate (scrisse nel 337-345) 97 Efrem (circa 306-373)98 1369 C] il logion non è presentato come parola del Signore, come è dimostrato dalle argomentazioni relative a Ps. 24,14 [MPG ibid. 1041 B]) VI, VI, 44,3. - Quis dives salvetur (ed. Stahlin [GCS 17]) 37,4. - Per Paedagogus I I I , XII, 91,3 v. p. 52, n. 148. 89 De baptismo (ed. Borleffs [CChr 1,1]) XX,2. - De idololatria (ed. Reifferscheid-Wissowa [CChr, 11,11]) XXIII, 3. - Non è certo se il logion che si trova in De oratione (ed. Diercks [CChr 1,1]) XXVI,1 sia inteso come parola del Signore; nel passo parallelo di Clemente Alessandrino, Strom. I, XIX, 94,5 e I I , XV, 70,5 non è presentato come agraphon. 90 In Danietem Comm. (ed. Bonwetsch [GCS 1,1]) IV, 60 (cfr. Papia in Ireneo, Adv. baer. V, 33,3 s.). 91 In lobannem Comm. (ed. Preuschen [GCS i o ] ) XIX,7 (cfr. Pseudoclem. Hom. I I , 51,1; Girolamo, Epist. CXIX, 11,2; Socrate, Hist. eccl. I I I , 16; Vita S. Syncl. 100). - Selecta in Psalm. 4,4 (MPG 12 [1862], 1141 C; cfr. Clemente Aless., Strom. I, XXIV, 158,2 par.). 92 De duobus montibus o De montibus Sina et Sion (ed. Hartel [CSEL 3.3]) 13. 93 De aleatoribus (ed. Hartel [CSEL 3,3]) 3. 94 Divinae instìtutiones (ed. Brandt [CSEL 19]) IV 30,2 cfr. Giust., Dial. 35,3 par.). 95 * In Teodoreto di Ciro (morto intorno al 466), Hist. eccl. (ed. Parmentier-Scheidweiler [GCS 44]) I, 4,45. Cfr. U. Holzmeister, Unbeachtete Patristiscbe Agrapha, ZKTh 1914, pp. 113-143, ivi, pp. 134 s. 96 In Psalm. Comm. 16,2 (MPG 23 [1857], 160 C; cfr. Clem. Aless., Strom. I, XXIV, 158, 2 par.). 97 Demonstrationes (ed. Parisot [PS 1,1]) 1,17 (col. 41,16 ss.); IV, 16 (col. 173,26); XVI, 8 (col. 784,10). 91 Opera ed. Assemani I, 30 E (Resch, n. 169); I, 140 D (Resch, 170); I I , 232 (Resch. 171); I I I , 93 E [Resch, 172; = Ediz. Oxf., p. 179,1). - Ev. Concordantis explanatio (ed. Leloir [CSCO 137]) XIV, 24; XVII, 1.

37

Liber Graduum ( p r i m a m e t à del sec. I V ) " Diaiogus de recta

fide

Omelie pseudoclementine

(sec. ( t r a il

W*

m

325

e

il 3 8 1 ) 1 0 1

S i m e o n e d i M e s o p o t a m i a (fine d e l sec. I V ) I 0 2 E p i f a n i o d i S a l a m i n a (circa 3 1 5 - 4 0 3 ) l 0 3 G i r o l a m o (circa 3 4 7 - 4 2 0 ) 1 0 4 D i d i m o Cieco d i A l e s s a n d r i a ( m o r t o i n t o r n o a l 3 9 8 ) 1 0 5 S o c r a t e ( s t o r i c o della C h i e s a , m o r t o d o p o il 4 3 9 )

m

La p s e u d o a t a n a s i a n a Vita S. Syncleticae (fine del sec. V ) I 0 7 . " * Il « Libro dei gradi » siriaco (Liber Graduum, ed. Kmosko [PS I, 3]) contiene un gran numero di agrapha, che abbisognano ancora d'una cernita e d'un esame approfonditi. Nell'ambito di questo lavoro non è possibile una presentazione di tutto il materiale: si richiederebbe una cernita preventiva delle citazioni evangeliche ed extra-evangeliche del Liber Graduum. Tuttavia in certi casi l'abbiamo utilizzato: v. ad es., Serm. I l i 3 =XV, 4 (pp. 108 ss.); X, 5 (p. 54); XVI, 12 (p. 53); XXIX, 8 (p. 57). 100 Diaiogus de recta fide (ed. van de Sande Bakhuyzen [ G C S 4 ] ) I, 13 (cfr. Vita S. Syncl. 63). "" Pseudoklementinische Homilien (ed. Rehm [GCS42]) I I , 17,4 s. (forse citazione libera); II, 51,1 (= I I I , 50,2; XVIII, 20,4; cfr. Origene, In Ioh.XIX, 7 parr.); I l i *50,2; 52,2; 53,3; 55,2; XI, 26,2; XII, 29,1 (cfr. la formula di citazione nell'epitome greca!); XVI, 21,4 cfr. Giust., Dial. 35,3 par.); XIX, 2,4; 20,1 (cfr. Clem. Aless., Strom. V, X, 63,7). ""• Homilia XII, 17 (MPG 34 [1903], 568 D); XXXVII, 1 (ibid. 749 D); non è certo se in Hom. XIV, 1 (ibid., 569 D) sia inteso come logion del Signore. Un altro '''agraphon in H. Dorries, Symeon von Mesopotamien, TU 5 5 , 1 , Leipzig, 1941, p. 224, n. 3. 103

Panarion haeresium (ed. Holl [GCS 25.31.37]) 23,5,5 (=4 I ,3> 2 ; 66, 42,8; Ancor. 53,4); 69,44,1 (= Ancor. 21,2; cfr. Didimo, De Trin. I l i , 22); 69,53,2; 80,5,4 (non è certo se sia inteso come logion del Signore). Per 34,18,13 = Ireneo, Adv. haer. 1,20,2 cfr. ora il logion 38 del Vangelo copto di Tommaso. m Epistula CXIX ad Minervium et Alexandrum (ed. Hilberg [CSEL ^^~]) 11,2 (cfr. Origene, In Ioh. XIX, 7 parr.). 105 De Trinitate I I I , 22 (MPG 39 [1863], 917 C; cfr. Epifanio, Panar. 69, 44,i par.). ,os Hist. eccl. I I I , 16 (MPG 67 [1864], 421 C; cfr. Origene, In Ioh. XIX, 7 parr.). 107 Vita S. Syncleticae 63 (MPG 28 [1887], 1525 A; cfr. Dial, de recta fide I, 13); 100 (MPG ibid., 1549 B; cfr. Origene, In Ioh. XIX, 7 parr.).

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e) Liturgie e Costituzioni ecclesiastiche Alcuni pochi agrapha si trovano in liturgie e costituzioni della Chiesa antica. Segnaliamo anzitutto due ampliamenti del Pater noster e, precisamente, un'aggiunta alla sesta domanda nella Liturgia di Alessandria (« ... e non ci indurre in tentazione a cui non possiamo resistere ») I08 e la dossologia in due parti che si trova in Didachè 8,2 (anteriore al 100 d. C.)109. Singoli logia si trovano poi in Didachè 1,5, nella Didascalia siriaca (sec. I l i ) , che in V, 14,15 ss. riporta anche un immaginario discorso del Signore no , e nella cosidetta Disciplina ecclesiastica apostolica (inizio del sec. IV) u l .

f ) Apocalissi ed inni gnostici Oltre agli scritti gnostici di cui abbiamo fatto menzione (denominati espressamente « Vangeli »), esistono numerosi altri documenti di gnosi cristiana, che pongono in bocca al Cristo glorioso concezioni gnostiche e logia apocalittici. Le affinità coi sinottici consistono solo nel fatto che ivi sono reinterpretati logia evangelici. Per il resto, gli agrapha che ne risultano sono indipendenti dalla tradizione canonica. Scritti gnostici di questo genere sono VApocrifo di Giovanni,12, la Sophia Iesu Christi, m

Resch, p. 85, (nr. 62). Per la dossologia cfr. p. 61. 110 L'indicazione d£i passi è fatta secondo la numerazione di F. X. Funk, Didascalia et Constitutiones Apostolorum I, Paderborn, 1905; poniamo in parentesi quadre il numero delle pagine (e delle righe) dell'edizione siriaca curata da M. D. Gibson {The didascalia Apostolorum in Syriac. Horae Semiticae I, London 1903): Didascalia syr. I I , 3,3 (p. 34,14 s. Funk IP- 35,19 s. Gibson]); V, 14,15-24 (p. 276,16 ss. [p. 163 ss.]); V, 14,22 (ur'autocitazione del finto discorso; p. 280,r3 s. [p. 164]); VI, 5,2 (p. 310, 4 [p. 178]); VI, T44 (p. 342,5 s. [p. 190]); VI, 18,15 (p. 362,17 s. [p. 109

201]).

"' XXVI, 2 (Th. Schermann, Die allgemeine Kirchenordnung, jriihchrìstliche Liturgien und kirchliche Vjberlielerung, in Studien zur Gescbichte und Kultur des Altertums, 3. Erganzungsband, 1. Teil, Paderborn, 1914, p. 32,8 s). 112 Non si può ancora dire con sicurezza se VApocrifo di Giacomo rin-

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il Dialogo del Redentore, il Libro di Tommaso l'atleta, la Pistis Sophia, i due Libri di ]eù, la Memoria Apostolorum, ì frammenti di un Dialogo di Giovanni con Gesù e le Domande di Maria I13. A questi trattati, esaminati da H.-Chr. Puech, si devono aggiungere: gli Excerpta tratti da Teodoto, gnostico valentiniano 114, lo Scritto di Baruch gnostico 115 e, degli scritti manichei, i Kephalaia 116, il Libro dei salmini e il Libro dei misteri118. Un agraphon particolarmente interessante, nell'ambito della gnosi, è costituito dalle parole che Gesù pronuncia in quell'J«no dei Naasseni che si trova nella cosidetta Predica dei Naasseni tramandata da Ippolito 1W. Notevole è il fatto che qui non abbiamo, come di solito nei testi gnostici, un logion del Cristo glorioso, ma parole che il Cristo preesistente rivolge al Padre. L'inno descrive anzitutto il destino dell'anima che è immersa nella materia e che, inseguita dalla morte, cerca invano una via d'uscita dal labirinto. Poi continua: « Allora Gesù disse: venuto a Nag Hamadi (v. p. 27) sia da collocare nel gruppo degli scritti apocalittici gnostici (cfr. W. C. van Unnik, Evangelten aus dem Nilsand, i960, pp. 93-101 e H.-Ch. Puech in Hennecke1 I, pp. 245-249). I pochi resti del frammento di Vangelo del papiro copto di Strasburgo (v. p. 23) non consentono di precisarne meglio le caratteristiche. 113 Per quanto riguarda questi scritti v. presentazione e bibliografia in H.Ch. Puech, Gnostische Evangelten und verwandte Dokumente, in Hennecke1 I, pp. 158-271. 114 O. Stahlin, Excerpta ex Theodoto, GCS 17, Leipzig, 1909. - R. P. Casey, The Excerpta ex Theodoto of Clement of Alexandria, StDi, London, 1934. - F. Sagnard, Clement d'Alexandrie, Extraits de Théodote. Texte grec, introduction, traduction et notes, SC 23, Paris, 1948. 115 W. Vòlker, Quetten zur Geschichte der christlichen Gnosis, SQS N.F. 5. Tubingen, 1932, pp. 27-33. 116 H. J. Polotsky, A. Bòhlig e H. Ibscher, Kephalaia I, Stuttgart, 1940. '" C. R. C. Allberry e H. Ibscher, A Manichaean Psalm-Book II, Stuttgart, 1938. '" Cfr. A. Adam, Texte zum Manichàismus, KIT 175, Berlin, 1954, pp. 8-10. "' Hippol., Refutatio V, 10,2 (pp. 102-104 Wendland [GCS 26]). 40

' Guarda, o Padre, questo essere sventurato, come lungi dal tuo alito erra infelice sulla terra, vuole sfuggire all'amaro Chaos, ma non sa dove (sia) l'ascesa. In suo aiuto invia, o Padre, me, che laggiù scenda, coi sigilli nelle mani, attraversi tutti gli Eoni, riveli tutti i misteri, discopra a lui l'essenze divine e il mistero della santa via — gnosi chiamo io ciò — a lui annunci ' »120. Qui viene posta in bocca al Cristo preesistente la dottrina gnostica della redenzione dell'anima: mediante la conoscenza della sua origine l'anima smarrita trova la via per risalire dalla sfera della morte al mondo celeste. Infine, tra gli inni gnostici nei quali parla lo stesso Redentore sono da citare, accanto all'Inno dei Naasseni, le Odi di Salomone m, molte delle quali contengono parole del Cristo glorioso (ad es., Ode 31,6 ss.).

g) Il Talmud Negli scritti rabbinici si parla assai di rado di Gesù, secondo la consuetudine, assai in voga nell'antichità, di condurre le polemiche col metodo del silenzio. Soltanto in due luoghi della vasta letteratura talmudica sono riportate parole di Gesù. Si tratta precisamente di due brani che parlano del cristianesimo con disprezzo. Ciò non toglie che uno dei due passi sia molto importante, perché probabilmente ci ha conservato il testo ara120

La corrispondente traduzione tedesca è di A. Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte I, 4a ediz., Tiibingen, 1909, p. 257, n. 2. 121 W. Bauer, Die Oden Salomos, KIT 64, Berlin, 1933.

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maico di Mt. 5,17 UI. Il secondo logion di Gesù contenuto nel Talmud viene discusso a pp. 47 ss.

h) Autori maomettani Un gran numero di logia extra-evangelici di Gesù si rinviene negli Autori maomettani e in particolare nel più grande teologo dell'Islam: Al-Ghazali (1059-1111). Già nel Corano si trovano notizie apocrife su Gesù. Inoltre, nel primo secolo successivo a Maometto si sviluppò presso i primi asceti islamici una vasta tradizione riguardante la vita e la predicazione di Gesù m. Avvenne così che certi elementi della tradizione evangelica canonica ed apocrifa, che i Maomettani potevano aver attinti o dalla tradizione orale o dagli scritti di monaci cristiani, si fusero con la raffigurazione mistico-ascetica di Gesù data dagli asceti islamici124. Conseguentemente gli agrapha maomettani presentano un carattere vario. In parte si tratta di rielaborazioni o trasformazioni di logia canonici di Gesù, in parte di leggende di edificazione, in parte ancora di logia che sono stati attribuiti a Gesù a motivo della stima che egli godeva nell'Islam. Per quest'ultimo gruppo ecco un esempio '" B.Shab. 116 ab. Qui, in un aneddoto in cui si deridono i cristiani, Mt. 5,17 viene citato in questa forma: « Io, l'evangelo ('awon gillajon — ' orlo di peccato ', cacofemismo) non sono venuto per togliere (miphhat) dalla Torà di Mosè, ma (così ed. Mon.; ed. B, ' e non ') per aggiungere (osophe) alla Torà di Mosè sono venuto ». Non c'è dubbio che lo schema narrativo è stato fissato appunto in età amorea (K. G. Kuhn, Giljonim und sifre minìm, in ]udentum Urchristentum Kìrche, BZNW, 26, Berlin, i960, pp. 24-61, ivi p. 5^), e Mt. 5,17 è stato erroneamente inteso come autoenunciazione dell'evangelo. Ma ciò non esclude affatto la possibilità che la relazione che b. Shab. 116 ci offre di Mt. 5,17 abbia conservato l'equivalente aramaico di xaTaXuom e -rtVripóJam. Supposto che itXTjpwow renda osophe ( = aggiungere, completare), il senso originario sarebbe questo: Gesù accampa il diritto di portare a compimento la rivelazione di Dio. 123 Cfr. il cap. Der Islam und das Christentum in T. Andrae, Islamische Mystiker, Urban-Biicher 46, Stuttgart, i960, pp. 13-43; m Cfr. Andrae, o. e, pp. 22 ss. L'Andrae adduce qui alcuni esempi tipici della tradizione islamica su Gesù. 42

in cui Gesù predica la virtù dell'umiltà: « Egli disse ai figli d'Israele: 'Dove cresce la semente?' - 'Nella polvere'. - In verità io vi dico: la sapienza può crescere soltanto in un cuore che sia diventato come polvere ' » 125. Una raccolta di agrapha maomettani, ampia e per completezza ancora insuperata, è stata pubblicata da M. Asin y Palacios. Essa contiene 225 logia di Gesù tramandati in lingua araba, a cui s'aggiungono otto agrapha trasmessi solo in latino o in francese 126. Tra i logia del Signore tramandati dall'Islam si trova anche l'agraphon del ponte, che esamineremo in appendice {pp. 143 ss.).

125

Abù Tàlib al-Makki, Qùt al-qulùb... II, 74, citato in T. Andrae, o. e,

p. 25. 126

Logia et agrapha Domini ]esu apud Moslemicos scriptores, asceticos praesertìm, usitata, PO 13,3, Paris, 1919, pp. 327-431; 19,4, 1926, pp. 529624. Però il numero degli agrapha presentati dall'Asin y Palacios diminuisce alquanto, perché bisogna escludere alcuni logia che sono attribuiti a Giovanni il Battista, a suo padre Zaccaria e alla Vergine Maria. Il valore di questa singolare raccolta non è pregiudicato dal fatto che l'Autore, nel discutere la questione dell'autenticità, decide con scarso senso critico. Raccolte precedenti di agrapha maomettani: D. S. Margoliouth, Christ in Islam. Sayings attributed to Christ by Mohammedan 'Writers, ET 1893/94, pp. 59,107,177 s.; 503 s., 561. - E. Sell and D. S. Margoliouth, Christ in Mohammedan Lìterature, in A Dictionary of Christ and the Gospel I I , 4 a ediz., Edinburgh, 1924, pp. 882-886. - J. H. Ropes, Agrapha, in Dictionary of the Bible. Extra volume, Edinburgh and New York, 1904, PP- 350-352.

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CAPITOLO

IV

CLASSIFICAZIONE DEL MATERIALE

I numerosi agrapha di cui abbiamo conosciuto le fonti hanno un valore assai disparato: pula e grano, moltissima pula e pochissimo grano. Occorre vagliare. Questo lavoro di critica, che abbiamo già preparato con qualche accenno durante la presentazione delle fonti, non mi propongo qui di condurlo in modo particolareggiato; mi limiterò soltanto ad illustrarlo nei suoi aspetti fondamentali e con alcuni esempi. È naturale che, nel far ciò, i vari logia vengano riuniti in gruppi. La nostra classificazione ne comprende nove, disposti, in certo modo, in cerchi concentrici: a mano a mano che procederemo verso il centro il vasto materiale si ridurrà sempre più, e sempre più difficile sarà decidere se un agraphon contenga o non contenga una tradizione antica. Cominciamo con un gruppo sul quale il giudizio è assolutamente univoco.

a) Agrapha tendenziosamente inventati In questo gruppo rientra in massima parte la tradizione extra-evangelica su Gesù, quindi anzitutto il gran numero di vangeli e trattati gnostici che pretendono di trasmettere verità mediante rivelazioni fatte dal Cristo glorioso o ' terreno '. Qui l'intenzione di legittimare particolari concezioni ha offerto il pretesto per inventare parole del Signore. Diamo alcuni esempi per illustrare questo genere di agrapha. Nel Vangelo greco di Filippo ul, menzionato da Epifanio, stava scritto: « Il Si127

Questo Vangelo non è identico a quello che è stato trovato a NagHamadi e che porta lo stesso titolo; cfr. H.-Ch. Puech in Hennecke1 I, pp. 194 ss. 45

gnore mi ha rivelato che cosa deve dire l'anima quando sale al cielo, e che cosa deve rispondere a ciascuna delle Potenze superiori, e precisamente: ' Io mi sono conosciuta e mi sono raccolta da ogni parte e non ho procreato figli all'Arconte, ma ho estirpato le sue radici e raccolto le membra disperse; e io so chi tu sei, perché io sono di coloro che sono dall'alto ' » 128. Questo è il linguaggio della gnosi! Gli gnostici s'affannano a ricercare che cosa debba dire l'anima alle Potenze cosmiche che tentano di impedirle il cammino quando, dopo la morte, essa sale al cielo. Per conferire autorità alla parola d'ordine segreta da usarsi dalle anime nel loro viaggio celeste, la si presenta come parola di Gesù. Il logion 50 del Vangelo copto di Tommaso fa esprimere a Gesù un concetto che è caratteristico della gnosi, cioè che l'io dello gnostico proviene dal mondo celeste della luce come da sua vera patria. Ivi si legge: «Gesù disse: ' Se la gente vi chiede: ' Donde siete venuti? ', rispondete loro: ' Siamo venuti dalla luce, dal luogo in cui la luce è sorta da se stessa ' » 129. Un altro motivo che diede luogo all'invenzione tendenziosa di parole del Signore fu il desiderio di far risalire a Gesù esigenze ascetiche allo scopo di legittimarle. A questo proposito si può citare, ad es., il seguente agraphon del Vangelo greco degli Egiziani: « Io sono venuto a distruggere le opere di ciò che è femminile » 13°, che è un rifacimento di 1 loh. 3,8 e propugna l'ascesi sessuale. La stessa tendenza ascetica tradisce un altro logion, tratto anch'esso dal Vangelo greco degli Egiziani e presumibilmente rivolto a Salome, « che la morte sarà finché le donne partoriranno » m. Fra i motivi che spinsero all'invenzione di agrapha bisogna 128

Epifanio, Panar, haer. 26,13,2 (p. 292,14-20 Holl [CGS25]). Come esempio di tendenziosa invenzione gnostica cfr. anche il logion del Cristo preesistente tratto dall'Inno dei Noasseni (citato a p. 40 s.). 150 Clem. Aless., Strom. Ili, IX, 63,2 (p. 225,4 s. Stahlin [GCS 15]). 131 Clem. Aless., Strom. Ili, VI, 45,3 (p. 217,8 s.); I l i , IX, 64,1 (p. 225, 20); Exc. ex Theod. 67,2 (p. 190 Sagnard [SC23]). 129

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ricordare l'apologetica. Per esempio, ii Vangelo dei Nazaret presenta Gesù che sulle prime si rifiuta di accedere al battesimo di Giovanni dicendo: « Quale peccato ho io commesso perché vada da lui e mi faccia battezzare? » 132. Questa frase vuol mettere in evidenza l'assenza di peccato in Gesù, per togliere lo scandalo implìcito nella notizia che Gesù si sottopose al battesimo di Giovanni per la remissione dei peccati {Mt. 3,6; Me. 1,4; Le. 3,3). Anche la polemica ha inventato parole di Gesù, come risulta dal seguente racconto tratto dal Talmud. Un insigne teologo giudeo, R. Eliezer ben Hyrkanos, fiorito intorno al 90 d. C. e noto come rappresentante irremovibile dell'antica tradizione, riferisce che un giorno, nella cittadina galilea di Sefforis, e precisamente nel mercato superiore, fu interpellato da un cristiano di nome Giacomo, del villaggio di Kephar - Sekhanja. Questo Giacomo gli avrebbe proposto la seguente questione: « Nella vostra legge sta scritto: ' Non porterai (nella casa di Die) il salario di una prostituta (Deut. 23,19). E allora: con quel (danaro) si può far costruire un cesso per il sommo sacerdote? ' » )33. E lui, Eliezer, sul momento non avrebbe saputo cosa rispondere. Allora quel tal Giacomo gli avrebbe detto: « Così mi ha insegnato Jeshua di Nazareth: ' Da salario di prostituta è stato raccolto, in salario di prostituta ritornerà [Mich. 1,7); da lordura provenne, in lordura ritornerà'» 1 3 4 . Non è facile decidere il valore di questo logion. Noi presentiamo il prò e il contro. Anzitutto il prò: non v'è dubbio che Rabbi Eliezer si sia incontrato con quel cristiano: Giacomo di Kephar-Sekhanja risulta discepolo di Gesù anche da altre fonti135; merita inoltre 132

Girolamo, Adv.Pelag. I l i , 2 (MPL 23 [1845], 570 s.). II sommo sacerdote, nella settimana precedente il giorno dell'espiazione, doveva passare la notte nel tempio: Joma 1,1; /. ]oma 1,39 a, 22 ss. ™ b. 'A.Z. i6b/ija. Il parallelo in Midr. Eccl. 1,8 con la sua maggiore prolissità si dimostra più recente. 135 Cfr. Tos. Hul. 2,22 s. (ed. Zuckermandel, p. 503,13 ss.), dove però è chiamato Giuseppe di Kephar-Sama, e paralleli. 135

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fede la precisa indicazione del luogo dell'incontro. Il racconto della fine di Giuda (Mt. 27,6 s.) comprova che ai tempi di Gesù era vivo il problema: che cosa dovessero fare i tesorieri del tempio con quel danaro al quale fosse notoriamente collegato il peccato. E che Gesù non rifuggisse da espressioni drastiche risulta da Me. 7,19 e dal papiro di Ossirinco 840 discusso a p. 69 ss.. Né si può obiettare che la frase attribuita a Gesù è del tutto priva di un significato profondo; che certo il problema dell' uso del danaro impuro procacciato per il tempio non lo ha interessato; o anche che Gesù volesse « far rispettare la santità della casa di Dio » 136 non è detto nel testo. Piuttosto, il significato profondo del logion di Gesù in questo caso è la superiorità del Profeta rispetto alla Torà, affermata con l'ausilio di un esempio drastico. Il genere dell'argomentazione (passo scritturistico contro passo scritturistico), sotto il riguardo tecnico, ha una analogia in Me. 10,2 ss.. Chi, sulla base di queste considerazioni, propende per l'autenticità del logion, vedrà in esso il frammento di un discorso. Gesù avrà affermato la superiorità dei Profeti non senza scopo; purtroppo non siamo informati delle conseguenze che egli ne traeva. In ogni caso, il nostro passo sarebbe un'altra prova dell'ampia libertà con la quale Gesù si contrappose alla legge mosaica. Ma vi sono anche gravi argomenti in contrario. Consideriamo la tradizione evangelica e diciamo: è mai possibile che Gesù (anche a scopi più seri) abbia affrontato nel suo insegnamento il problema se potesse essere accettato, come contributo per la costruzione del tempio, il danaro che le prostitute ricavavano dalla loro professione? E ancora: è mai possibile che Gesù si sia dichiarato per una attenuazione della rigida proibizione della Torà a questo riguardo (Deut. 23,19) ed abbia ammesso che il provento delle prostitute potesse essere impiegato almeno per costruire luoghi di decenza nel tempio? Chi conosce il materiale della polemica anticristiana negli scritti talmudici pri136

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Ropes, p. 151.

mitivi non esiterà a pensare che tale polemica, in questo caso, abbia posto in bocca a Gesù una frase che doveva screditarlo. Chi osserva la storia della tradizione troverà una valida conferma a questa ipotesi. Abbiamo tre redazioni del racconto dell'incontro di R. Eliezer col cristiano chiamato Giacomo 137. La redazione più antica dà notizia, senza più precise indicazioni, di « una parola eretica » pronunciata da Giacomo di Kephar-Sikhnin in nome di Jeshua' ben Pantere ( = Gesù) 1M ; la redazione successiva (da noi riferita) pretende di conoscere questa parola; la terza 139 la precisa ancora meglio. Evidentemente già la tradizione più antica ignorava quale fosse la parola di Gesù che aveva fatto colpo su Eliezer 140. Si può quindi concludere che questo logion non ci tramanda una tradizione antica141, ma è stato inventato per screditare Gesù.

b) Logia tendenziosamente falsificati Quando si è voluto fare appello a Gesù non sempre si è fatto ricorso alla libera invenzione di logia; un mezzo molto più semplice è consistito nel falsificare quelli tramandati. Così in certi ambienti di rigido ascetismo si è attribuita a Gesù stesso l'esigenza della rinuncia a possedere portando la frase con la quale egli invia i suoi messaggeri {Mt. 10,9: «Non procacciatevi né oro, né argento, né bronzo ») alla generalizzazione: « Non procacciatevi nulla sulla terra » 142. Il prologo 137

Billerbeck I, pp. 36-38. Tos. Hul. 2,24 (ed. Zuckermandel, p. 503,26 s.). Mìdr. Eccl. i,8. 1.0 Così anche A. Schlatter, Die Kirche Jerusalems vom Jahre 70-130, BFChTh 2,3, Gutersloh, 1898, p. 14; Geschichte Israels von Alexander dem Grossen bis Hadrian, 3" ediz., Stuttgart, 1925, p. 449, n. 360. - H. L. Strack, Jesus, die Hàretiker und die Christen, Leipzig, 1910, p. 23*, n. 7. 1.1 Contro B.opes, pp. 149-151. 142 Efrem, Testamentum (Opp. Graece ed. Assemani I I , 232), cfr. Ropes. pp. 102 s.; Resch, pp. 198 s.; una citazione simile, ma senza l'indicazione della provenienza, in Liber Graduum, Serm. XIX, 19 (col. 481,6, Kmosko [PS 1,3]): noli possidere quidquam in terra. ns

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del Vangelo copto di Tommaso (« Queste sono le parole segrete che Gesù vivente disse e che Didimo Giuda Tommaso annotò ») è seguito dal logion: « Chi troverà il significato di queste parole non gusterà la morte » 143 . Qui abbiamo senza alcun dubbio una alterazione gnostica di loh. 8,52: « Se qualcuno custodirà la mia parola, non gusterà la morte in eterno ». Mentre nel logion di Giovanni la disposizione necessaria alla preservazione dalla morte eterna è l'ubbidienza nella fede, nel pensiero gnostico tale preservazione è garantita dalla conoscenza del significato segreto delle parole di Gesù: in altri termini, dalla conoscenza della stessa dottrina gnostica. In questi due casi l'alterazione delle parole canoniche di Gesù è dipesa dall'intenzione di conferire autorità alle proprie opinioni. Diverso è il motivo che troviamo nel Vangelo di Pietro. Se qui il grido di Gesù sulla croce è: « Mia forza, mia forza, tu mi hai abbandonato » (v. 19), ciò dipende dal fatto che in questo modo l'autore ha voluto togliere lo scandalo provocato dal grido col quale, secondo i Vangeli di Matteo e di Marco, Gesù lamentava l'abbandono da parte di Dio.

c) Invenzioni leggendarie Numerosi sono gli agrapha che, pur non tradendo alcuna opinione eretica che possa aver dato adito alla loro formazione, risultano leggendari o dal contesto o dal contenuto. Si tratta di invenzioni prodotte dalla fervida fantasia di qualche scrittore cristiano dei primi tempi. A questo gruppo appartengono in primo luogo tutti quei logia che si trovano nei Vangeli dell'infanzia o della passione (v. pp. 33 ss.) e in altri racconti della vita di Gesù 144. Come esempio di questo ge1,1

Logion i, secondo la numerazione di Leiden. - J. Leipoldt (v. p. 25, n. 44) vuol vedere nel logion un'affermazione di Tommaso; conlra O. Hofius, Vas koptische Thomasevangelium uni die Oxyrhynchus-Papyri Nr. 1,654 uni 655, EvTh i960, pp. 21-42; 182-192, ivi p. 26. 144 Cfr., ad es., gli Atti di Giovanni 88-102 (Acta apostolorum apocrypha IT, 1, ed. M. Bonnet, Leipzig, 1898, ristampa Darmstadt, 1959, pp. 194



nere di agrapha riportiamo un breve brano del Vangelo copto di Filippo, Ivi, nel logion 54, si leg-ge: « Il Signore entrò nella tintoria di Levi, prese settantadue colori e li mise nella bacinella. Poi li trasse fuori (di nuovo) ed erano tutti bianchi. Ed egli disse: ' Allo stesso modo [il] Figlio dell'uomo è venuto [per togliere] i peccati ' » 14~. In questo racconto, che risulta senza dubbio inventato, si trova un agraphon che spiega il miracolo dei colori come una allegoria della missione di Gesù. Questo agraphon echeggia Le. 19,10, ma a confronto con questo passo risulta un'espressione sbiadita. Nel gruppo delle invenzioni leggendarie rientrano, ad es., anche la Lettera di Gesù ad Abgar dì Edessa (v. p. 35), i racconti che lo riguardano nella Storia di Giuseppe il falegname (v. p. 35) e quei discorsi del Cristo glorioso che sono di genere convenzionale e non apocalittici. Possiamo aggiungere che la formazione leggendaria di logia di Gesù non è mai cessata. Così i colloqui edificanti del Signore risorto con santi padri, quali vengono riferiti specialmente negli scritti del monachesimo ascetico 146, sono invenzioni di pie fantasie, come pure le frasi tramandate da autori e codici medievali, o come numerosi agrapha maomettani147. Essi si trovano sullo stesso piano delle leggende su Gesù create nei tempi moderni e come queste non hanno, dal punto di vista storico, alcun valore.

d) Attribuzioni errate In molti casi si sono formati nuovi agrapha perché a Gesù è stata attribuita qualche espressione non sua: la frase d'un ss.), dove però intervengono anche concezioni docetiche. 143 Numerazione e traduzione secondo H.-M. Schenke, Das Evangelium nach Philippus, in J. Leipoldt und H.-M. Schenke, Koptisch - gnostische Schriften aus den Papyrus-Codices von Nag Hamadi, i960, p. 47. 116 Come esempio citiamo gli Atti dei Martiri in lingua copta: Acta Martyrum, edd. I. Balestri et H. Hyvernat, CSCO 43 in copto, 44 traduz. lat., Louvain, 1955. Cfr. ivi, ad es., pp. 12,30 ss.; 18,20 ss.; 45,9 ss. della traduzione. I4 ' Sugli agrapha maomettani v. anche a p. 42 s.; 143 ss. 51

apostolo, il detto di un profeta, il versetto di un salmo, un motto apocalittico, una massima sapienziale, una norma etica, una formula liturgica, un proverbio. Per es., nella Didascalia siriaca la frase di i Petr, 4,8 « L'amore copre una moltitudine di peccati » è riferita erroneamente come sentenza di Gesù 148. Anche l'agraphon citato in Act. 20,35 è probabilmente un proverbio derivato dal mondo greco-romano e attribuito a Gesù W9. Certamente il vescovo Papia di Gerapoli è incorso in un errore quando ha citato una descrizione dell'era futura come logion di Gesù. Papia fu il primo raccoglitore di agrapha del Signore. Ireneo informa che egli avrebbe conosciuto personalmente, in Asia Minore, Giovanni figlio di Zebedeo 15°. Questo anziano, che con tanto zelo raccolse materiale per la sua opera in cinque libri intitolata Esegesi delle parole del Signore, non era, a giudizio di Eusebio, un genio 151, e quindi accettava indiscriminatamente tutto ciò che gli veniva offerto, come, ad es., un presunto logion di Gesù, che si trova nel seguente contesto tramandatoci da Ireneo: « Così i presbiteri che avevano visto Giovanni, il discepolo del Signore, ricordano d'aver udito da lui come il Signore, a proposito di quei tempi, aveva insegnato e detto: ' Verranno giorni in cui cresceranno viti, ciascuna delle quali avrà 10.000 polloni, e ciascun pollone 10.000 rami, e ciascun ramo 10.000 viticci, e ciascun viticcio 10.000 grappoli, e ciascun grappolo 10.000 granelli d'uva, e ciascun granello, spremuto, darà 10.000 litri di vino. E se uno dei santi porrà mano a un grappolo, un altro grappolo griderà: ' Io sono un grappolo migliore; prendi me, loda il Signore per mez1,s Didascalia sir. II, 3,3 (p. 34,14 s. Funk; 35,19 s. Gibson). Cfr. Clem. Aless., Paedag. I l i , XII, 91,3 (p. 286,14 Stahlin [GCS12]), dove però non è del tutto chiaro se il passo di 1 Petr. 4,8 sia citato come parola del Signore. "' E. Haenchen, Die Apostelgeschichte, i3 a ediz., Meyer K., Gdttingen, 1961, pp. 526 s., specialmente n. 5. 159 Ireneo, Adv. haer. V, 33,3s. (parte II, pp. 417S. Harvey); cfr. Eusebio, Hist.eccl. Ili, 39,1 (p. 284,24 ss. Schwartz [GCS9,i]). 151 Eusebio, Hist.eccl. I l i , 39,13 (p- 290,11 ss. ed. Schwartz).

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zo di me '. Allo stesso modo un granello di frumento metterà 10.000 spighe, e ciascuna spiga avrà 10.000 chicchi, e ciascun chicco darà 5 chilogrammi di fior di farina bianca e pura; ed anche gli altri frutti (produrranno corrispondentemente) semi e steli in maniera loro appropriata; e tutti gli animali si nutriranno dei cibi offerti dalla terra, vivranno in pace e in concordia tra di loro, sottomessi all'uomo in perfetta obbedienza '. Questo attesta Papia, discepolo di Giovanni e compagno di Policarpo, un anziano, per iscritto nei quarto dei suoi libri. Tutta la sua opera comprende esattamente cinque libri. Ed egli (Gesù? Papia?) aggiunse: ' Queste cose sono credibili ai credenti '. E quando Giuda, il traditore, così egli informa, non volle crederci e chiese: ' Come farà il Signore a produrre questa crescita? ', il Signore avrebbe detto: ' Lo vedranno coloro che entreranno in esse ' » !=2. Qui non è il caso di spendere molte parole: questa sfrenata descrizione fantastica della fertilità della natura rinnovata non ha certamente nulla a che vedere con Gesù. Si trovano anche paralleli... non nei Vangeli, ma nell'apocalittica tardo-giudaica153.

e) Attribuzioni motivate Ma non in tutti i casi le attribuzioni sono avvenute per errore. Così, per es., il versetto citato da Paolo in 1 Cor. 2,9, tratto da una fonte che non conosciamo, verrà in seguito attribuito a Gesù proprio perché non se ne conosceva la fonte. Sono molti i luoghi in cui esso viene citato come agraphon 154. con qualche lieve variante dei testo. Testimonianza antichissima è il logion 17 del Vangelo copto di Tommaso: « Gesù 152

Ireneo, Adv. haer. V, 33,3 s. II testo più vicino al frammento di Papia è Bar. («>.) 29. Vangelo copio di Tommaso logion 17; Martyrium Vetri X = Actus Vetri cum Simone XXXIX (Acta aposlolorum apocrypha I, ed. R. A. Lipsius, Leipzig, 1891, rist. Darmstadt, 1959, pp. 98,7ss., 99,9ss.); Liber Graduum, Serm. XVI, 12 (col. 412,19 ss. Kmosko [PS I, 3]); frammento di Turfàn M 789 (v.Hennecke3 I, p. 217). 153

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disse: ' Io vi darò ciò che nessun occhio ha veduto e nessun orecchio ha udito e nessuna mano ha toccato e non è entrato nel cuore dell'uomo ' ». In molti casi furono concezioni cristologiche che indussero ad attribuire a Gesù parole d'altra provenienza. Ciò vale anzitutto per l'attribuzione di certe massime veterotestamentarie provocata dalla convinzione che per bocca dei profeti o del salmista abbia parlato il Cristo preesistente. La Chiesa antica, che si serviva dell'Antico Testamento greco, nel mpioc, (ebraico « Jahvè ») ha visto spesso il Cristo preesistente e, per conseguenza, gli ha attribuito anche espressioni che l'Antico Testamento attribuiva a Dio. Questo processo ha inizio già nel Nuovo Testamento 15\ In modo analogo, parole degli Apostoli furono intese come parole del Cristo glorioso: lo dimostra molto bene un passo del Liber Graduum siriaco (prima metà del sec. IV). Ivi, in Semi. X, 5, una frase dell'apostolo Paolo (Rom. 14,21) è introdotta mediante la locuzione: « Così prescrive il Signore... per bocca di Paolo » 156. Questo passo spiega come mai nel Liber Graduum parole di Paolo siano spesso citate come parole del Signore 157. Questa locuzione mostra parimenti come nella Chiesa antica si giustificasse l'autorità delle parole di Paolo. Un tal modo d'intendere queste parole era già stato avviato dall'Apostolo stesso in 1 Tbess. 2,13. Per la nostra questione questa osservazione è importante perché ci prova che l'attribuzione di versetti dell'Antico e del Nuovo Testamento a Gesù non è stata determinata soltanto, come si è pensato finora, da errore o da arbitrio, ma anche da motivi teologici: nelle parole dei testimoni dell'antica e della nuova Alleanza la 155

Cfr., ad es., Hebr. 2,11-13; i°>5-9"6 Col. 257,21 ss. Kmosko (hakana paqed enun maran... kad amar befad Paulos). Cfr. la citazione, del tutto analoga, di parole veterotestamentarie nella Didascalia siriaca, ad es., in V, 15,2: sicut dixit Dominus et salvator noster per lesaìam prophetam (282,2 s. Funk). 157 Ad es., Serm. I I , I I I (col. 29,175. [Rom. 12,21]; col. 324 [Rotn. 12, 14]); XII,6 (col. 300,22 s. [Col. 3,1]).

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Chiesa percepiva la voce del suo Signore preesistente e glorioso.

f ) Alterazioni di logia evangelici Ad una attenta considerazione risulta che un numero considerevole di agrapha non sono in realtà nient'altro che alterazioni di logia dei Vangeli. Si tratta per lo più di ampliamenti (o abbreviazioni), di elaborazioni retoriche, abbellimenti, illustrazioni, spiegazioni, miglioramenti (ad es., di espressioni rozze), talora di citazioni inesatte, armonizzazioni di paralleli sinottici, mescolanza di logia disparati o trasformazioni di parole di Gesù determinate dalla mutata situazione della Chiesa. Con particolare predilezione si ricorre all'ampliamento secondo le leggi del parallelismus rnembrorum. Un esempio istruttivo a questo riguardo l'abbiamo nell'ampliamento a Le. 10,16, che si trova in alcuni manoscritti: « e chi ascolta me ascolta colui che mi ha mandato » (v. p. 32). Il fatto stesso che questa chiusa sia scarsamente attestata rende assai improbabile che essa « possa essere inclusa con sicurezza tra le parole originali di Gesù » 158. Se si osserva inoltre che questa frase spezza la struttura del brano (parallelismo progressivo) e toglie al logion la gradazione, l'incisività, la forza consistente nel fatto che il logion si chiude col rifiuto di Dio, si giunge alla sicura conclusione che in essa abbiamo una integrazione pedantesca rispondente alle esigenze del parallelismus rnembrorum. Non diversamente dev'essere giudicato l'ampliamento di loh. 12,44 che si trova nel cod. siro - sinaitico (v. p. 32). Anche il Vangelo copto di Tommaso presenta in alcuni dei suoi logia elaborazioni secondarie di questo genere; così, ad es., nel logion 31 il detto che il profeta non è accetto nella sua patria (Le. 4,24) viene ampliato mediante il membro parallelo: « Nessun medico guarisce coloro che lo conoscono » (= papiro di Ossirinco 1,6, v. p. 19). Altrettanto si dica del logion 100, dove Gesù alla

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Resch, p. 49.

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domanda riguardante la moneta del tributo risponde: « Date, ciò che è di Cesare, a Cesare; date, ciò che è di Dio, a Dio; e ciò che è mio, datelo a me ». Il noto logion dei Sinottici (Mt. 22,21; Me. 12,17; Le. 20,25) è ampliato mediante un terzo stico parallelo che include Gesù stesso nel contenuto dell'asserzione. Anche il magnifico agraphon contenuto nel logion 25: « Ama il tuo fratello come la tua anima 159, custodiscilo come la pupilla dei tuoi occhi! » non si deve considerare autonomo: nel primo stico esso risulta una libera riproduzione del precetto dell'amore (Lev. 19,18 = Mt. 19,19 b; 22,39 par.; Me. 12,31 e Le. 10,27), ampliata nel secondo stico mediante una espressione sinonimica (certamente derivata da influssi di passi quali Deut. 32,10^; Ps. 17,8; Prov. 7,2). I passi che abbiamo citati rappresentano alterazioni di logia canonici di Gesù, eseguite secondo le leggi del parallelismus membrorum. Ora consideriamo un altro logion del Vangelo copto di Tommaso che ci può chiarire come siano avvenute queste libere alterazioni dei logia di Gesù. Il logion 48 dice: « Gesù disse: - Se due fanno la pace fra di loro in una stessa casa, allora diranno al monte: ' Levati di qua! ' ed esso si leverà ». Una espressione energica! A due uomini che, dopo essere stati nemici, fanno la pace, vien fatta una grande promessa: l'impossibile diventa possibile, l'impensabile diventa realtà m. La frase non scandalizzerebbe in bocca a Gesù; tuttavia è da vedere in essa una formazione secondaria che ha trasferito alla pacificazione, cioè all'amore, il tema dello spostamento dei monti, che in Mt. 17,20; 21,21 par.; Me. 11,23 viene applicato alla fede (cfr. 1 Cor. 13,2).

Cioè: come te stesso. Per la locuzione « trasportare le montagne » cfr. Billerbeck I, p. 759.

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g) Racconti evangelici trasformati in logia di Gesù Alcuni agrapha si sono formati in questo modo: un brano narrativo, o anche una notizia dei Vangeli canonici fu trasformata in discorso e posta in bocca a Gesù. Ad es., in Afraate, padre della Chiesa siriaco, come agraphon di Gesù si trova questa frase: « Pregate e non stancatevi » 16!. Qui probabilmente non si ha una diretta attribuzione a Gesù della frase di Paolo (1 Thess. 5,17): « Pregate ininterrottamente », ma un agraphon formato per reminiscenza di Le. 18,1 I62, dove si legge: « Diceva loro una parabola per far capire loro che dovevano sempre pregare e non stancarsi mai ». Un altro esempio per questo gruppo di agrapha è offerto dal Vangelo degli Ebionìti, nel quale la chiamata dei dodici Apostoli viene narrata da Gesù stesso 163, con inserimenti, nel racconto, di elementi tratti da tutti e tre i Sinottici.

h) Agrapha come strumenti tecnici di composizione Il materiale è ora notevolmente scemato. Consideriamo un ottavo gruppo, riguardo al quale è quanto mai diffìcile decidere. Si tratta di agrapha che molti studiosi hanno considerato come provenienti da tradizioni antiche, anzi come autentiche parole di Gesù, ma che, nel contesto, si rivelano creazioni libere, destinate a servire alla struttura della composizione come elementi di trapasso o di conclusione. Elemento di trapasso deve essere considerata, a nostro avviso, la seguente frase della 2 Clem.: « Infatti dice il Signore: ' Voi sarete come agnelli in mezzo ai lupi ' (Mi. 10,16; Le. io, -**1" Aphraates, Demonstrationes IV, 16 (col. 173,26 Parisot [PS I, 1]); cfr. Liber Graduum, Serm. XXIX, 8 (col. 832,15 Kmosko [ P S I . 3 ] ) , dove come agraphon, sono citate queste parole: « Siate instancabili nella preghiera ». "" Così anche Ropes, pp. 76 s. - Rescb, pp. 138 s., ritiene l'agraphon una genuina espressione del Signore, volta da Luca in discorso indiretto. ,6! Epifanio, Panar, haer. 30,13,25. (p. 349,1 ss. Holl [GCS25]). Cfr. la traduzione in Hennecke1 I, p. 102.

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3). Pietro gli rispose: ' E se i lupi sbraneranno gli agnelli? ' Gesù disse a Pietro: ' Gli agnelli non devono temere ì lupi oltre la loro morte. Voi pure non dovete temere coloro che vi uccidono e null'altro possono farvi, ma temete colui che dopo la vostra morte ha potere sull'anima e sul corpo di gettarli nella gehenna del fuoco ' » 164 (Mt. 10,28; Le. 12,4 s). Già il contenuto, per nulla geniale, rende difficile scorgere nelle parole poste in corsivo un agraphon del Signore 165. In verità tutto il brano risulta un agglomerato piuttosto maldestro di logia, ottenuto mediante l'inserimento di un membro inventato166. Non più benevolo giudizio possiamo dare dell'aggiunta che si trova, in certi manoscritti, dopo Mt. 20,28, la quale non è che una variante secondaria di Le. 14,8 - io, con in più una proposizione che, a prima vista, sembra priva di senso, ma in realtà è una maldestra espressione introduttiva. Infatti il verbo « cercate » che in essa si trova (« Ma voi cercate di crescere dal piccolo, e di divenire più piccoli dal grande ») ha senso esortativo e tutta la frase vuole evidentemente dire: « Siate modesti per essere onorati; se vi vien fatto onore, rinunciate volontariamente ad esso! ». Un tentativo secondario e, a causa della sua oscurità, fallito, di riassumere il significato del brano simbolico che tratta dei posti a tavola. La frase introduttiva costituisce l'elemento di passaggio da Mt. 20,25-28 al logion riguardante i posti a tavola. Evidentemente la sua formazione è dovuta alla tecnica della composizione 167. Più difficile è dare un giudizio sui due seguenti agrapha del papiro Egerton 2 (v. p. 23) segnati in corsivo. Il frammento 1 verso dice: « [Gesù disse a]gli scribi! : 'Punite (?) chiunìque trasgredii sce la le gì gè, ma non me! [...] che cosa fa e come 164

2 Clem. 5,2-4. Così Ropes, pp. 146 s., con cui concorda E. Klostermann, Apocrypha I I I , KIT 11, 2* ediz., 1911, p. 3., e, dubitativamente, R. Seeberg, Worle Jesu, in Christoterpe 1904, p. 31 dell'estratto. 164 W. Bauer, Das Leben ]esu im Zeitalter der neutestamentlichen Apokryphen, Tùbingen, 1909, p. 131 s. 167 Contra, Resch, pp. 39 s., e Ropes, pp. 151 s. 16!

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lo fa '. E rivolto ai capi del popolo disse queste parole: ' Voi indagate le scritture, nelle quali pensate di avere vita. Sono esse che testimoniano di me. Non pensate che io sia venuto per accusarvi presso mio padre; c'è uno qui, che vi accusa, Mosè, nel quale avete posto le vostre speranze '. Essi dissero: ' Noi sappiamo bene che a Mosè parlò Iddio; di te non sappiamo nulla, donde tu sia venuto '. Gesù rispose e disse loro: 'Ora (già) viene levata accusa contro [la vostra t]ncreduli[ta]'. Abbiamo qui una disputa di tipo giovanneo: si tratta probabilmente di un interrogatorio ufficiale, al quale Gesù viene sottoposto, dal momento che i « capi del popolo » a cui egli si rivolge vogliono arrestarlo immediatamente. Infatti il frammento i recto continua: « [... raccolsero] pietre per lapidarlo e i capi posero le mani su di lui per catturarlo e consegnarlo alla folla. Ma non poterono prenderlo perché l'ora della sua consegna non era ancora venuta ». Nel frammento i la situazione è descritta in modo da provocare immediatamente obiezioni di rilievo. Non è degna di fede la comparizione dei « scribi » e dei « capi del popolo » come due gruppi distinti, né che « i capi » volessero catturare Gesù per consegnarlo alla folla. L'esortazione al lebbroso, che segue poche righe dopo, di presentarsi ai sacerdoti (plurale) dimostra che l'autore non sapeva come stessero le cose in Palestina. Ignoriamo quale fosse il motivo dell'interrogatorio, ma il fatto che siano riportate parole di Gesù da loh. 5 fa presumere con molta probabilità che tale motivo fosse una infrazione del sabato da parte di Gesù 168. Comunque, il senso della prima delle due proposizioni poste in corsivo non può essere dubbio, anche se all'inizio di essa sono possibili varie integrazioni: «punite» (Bell-Skeat), o «incriminate» (Dodd), o « giudicate » (Dibelius)I69. In ogni caso il senso dell'agraphon '" Cosi anche M.-J. Lagrange, Critique textuelle II, Paris, 1935, p. 634 (=RB 1935, P- 48). '" Cfr. l'apparato in G. Mayeda, Das Leben-Jesu-Fragment Papyrus Egerton 2, Bern, 1946, p. 7.

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è che Gesù protesta perché i suoi accusatori teologi lo trattano come un delinquente comune. Poi Gesù si rivolge ai capi del popolo con parole del Vangelo di Giovanni, facendo loro osservare, con loh. 5,39, che essi esaminano le Scritture e che quindi dovrebbero conoscere la testimonianza che esse danno di lui; e, con loh. 5,45, dice loro minacciosamente che lo stesso Mosè, nel quale ripongono la loro speranza, li accuserà. Quando, con loh. 9,29, essi obiettano che considerano Mosè inviato da Dio, mentre non sanno donde venga Gesù, questi risponde col secondo agraphon del nostro papiro, usando la frase concisa, severa, singolarmente solenne: « Ormai viene levata accusa contro la vostra incredulità ». L'ora del rifiuto di Gesù (e non un futuro giorno del giudizio) è l'ora dell'accusa davanti a Dio! La valutazione di questi due logia di Gesù dipende dal giudizio che si dà dell'intero papiro Egerton 2, e soprattutto da ciò che si pensa dei rapporti intercorrenti tra questo stesso papiro e il Vangelo di Giovanni. Chi ritiene che il papiro abbia attinto a una fonte comune anche al Vangelo di Giovanni 170, ammette senza difficoltà che i due logia siano attribuibili alla tradizione. Chi invece, con la maggioranza degli studiosi, ritiene che l'autore del nostro frammento attinga ai nostri quattro Vangeli, dovrà prendere in seria considerazione la possibilità che i due logia posti in corsivo siano formazioni dello stesso autore. Noi siamo di quest'ultima opinione, perché riteniamo che la compresenza di materiale giovanneo e sinottico, la fusione di terminologia giovannea e contenuto sinottico (e viceversa), come pure le correlazioni dei termini, dimostrino decisamente una utilizzazione mnemonica di tutti e quattro i Vangeli m. Dobbiamo quindi vedere nei due logia del papiro Egerton 2 formazioni secondarie con funzione di trapasso.

™ Mayeda, p. 75. '" J. Jeremias und K. F. W. Schmidt, Ein bisher unbekanntes Evangelienfragment, ThBl 1936, coli. 34-45. - H. I. Bell, Recent Discoveries oj Biblical Papyri, Oxford, 1937, pp. 17 ss., e molti altri.

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Negli agrapha di questo gruppo fin qui trattati abbiamo visto formule di trapasso inventate per motivi di tecnica compositiva. Si trovano peraltro esempi di logia conclusivi, in una serie di varianti del testo neotestamentario, il cui contenuto, in sé e per sé, non dà adito a dubbi, ma che sono insufficientemente attestati. Ciò vale, ad es., per la dossologia del Pater noster (Alt. 6,13 b) m, per le parole di Gesù in Le. 9,55 b e 56 a173 e per l'aggiunta del Diatessaron a Alt. 17,26: «Disse Simone: ' Sì '. Dice Gesù: ' Dà, dunque, anche tu come se fossi un estraneo per essi ' ».

i) I rimanenti agrapha Dopo questa cernita rimane un gruppo di agrapha di Gesù ai quali non si possono opporre obiezioni rilevanti né per quanto riguarda il contenuto, né per quanto riguarda la storia della tradizione. Anzi essi si adattano al quadro della tradizione offerta dai Vangeli sinottici, sicché può essere seriamente presa in considerazione la loro autenticità. Tuttavia, sia ben chiaro, in vari casi ci si può non trovare d'accordo sulla limitazione. L'interesse del presente lavoro è rivolto esclusivamente agli agrapha di questo gruppo. Essi si trovano nella 1 Thess., nel Codex Bezae Cantabrigiensis, nei papiri di Ossirinco 655, 840 e 1224, nel Vangelo copto di Tommaso, nel Vangelo dei Nazaret, nel Vangelo degli Ebrei, in Giustino martire, in Apelle discepolo di Marcione, nello gnostico egiziano Teodoto, in Tertulliano, in Clemente Alessandrino e nei cosidetti Atti di Pietro. Se esaminiamo la storia della tradizione di questi logia, ci risulta che in parte essi provengono sicuramente da Vangeli apocrifi (Vangelo copto di Tommaso, 1,2

Vogliamo però sottolineare decisamente che il carattere secondario della dossologia del Pater nosler non autorizza affatto a rigettarla. Infatti ogni analogia con preghiere contemporanee accerta che nell'intenzione di Gesù il Pater noster doveva terminare con una dossologia; solo che, originariamente, era concèsso all'orante di formularla liberamente. 171 V. P. 31. 61

Vangelo dei Nazaret, Vangelo degli Ebrei). Anche il logion spesso citato dei cambiavalute (v. pp. 130 ss.) fu trovato da Apelle nel suo Vangelo m; e poiché Teodoro conobbe e utilizzò il Vangelo degli Egiziani, può darsi che l'agraphon da lui tramandato (v. pp. 102 ss.) provenga da questo Vangelo. Gli agrapha del papiro di Ossirinco 655 appartengono ad una redazione greca del Vangelo di Tommaso, e anche gli altri agrapha tramandati su papiro, che saranno discussi nella seconda parte del nostro lavoro, provengono probabilmente tutti da fonti scritte. Anche per l'agraphon tramandato da Tertulliano (v. 97 ss.) occorre in definitiva presupporre una fonte scritta. Rimane incerta k provenienza del breve racconto tramandato dal Codice D (v. pp. 83 ss.), degli agrapha trasmessi da Clemente Alessandrino e da Giustino e del logion degli Atti di Pietro (v. pp. 117 ss.). Ma anche per gli ultimi tre si può supporre che derivino da un Vangelo. Direttamente alla tradizione orale risale con sicurezza Soltanto l'agraphon della 1 Thess. Siamo così pervenuti a questo importante risultato: gli agrapha dell'ultimo gruppo derivano quasi esclusivamente da Vangeli apocrifi.

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Apelle in Epiph., Panar, haer. 44,2,6 (p. 192,16 s. Holl [GCS31])

PARTE

SECONDA

Gli agrapha di Gesù Nella Prima parte lo studio preparatorio degli agrapha era rivolto esclusivamente al problema della loro autenticità. Nessuno ancora ha affrontato l'esegesi di quegli agrapha che, nella nostra cernita critica, abbiamo inclusi nell'ultimo gruppo (i). E questo è proprio il compito che ci proponiamo di assolvere in questa Seconda parte: commenteremo gli agrapha che per contenuto, forma e storia della tradizione possono essere posti accanto ai logia di Gesù contenuti nei Vangeli sinottici: di quegli agrapha, cioè, dei quali si può seriamente prendere in considerazione l'autenticità.

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CAPITOLO I

TRE RACCONTI

i. La storta del giovane ricco Nel Vangelo dei Nazarei la storia del giovane ricco è presentata in forma diversa da quella che ha nei primi tre Vangeli (Me. 10,17 ss.; Mt. 19,16 ss.; Le. 18,18 ss.). All'inizio abbiamo una stretta rispondenza col racconto evangelico: « Si rivolse a lui l'altro dei due uomini ricchi: ' Maestro, che cosa debbo fare di buono, affinché io viva? '. Egli rispose a lui: ' Uomo, fa ciò che sta scritto nella Legge e nei Profeti '. Colui gli rispose: ' Questo l'ho fatto '. Egli disse,a lui: ' Allora va, vendi tutto ciò che hai e distribuiscilo ai poveri, poi vieni e seguimi! ' ». Fin qui il racconto ci è familiare. Ma a questo punto nel Vangelo dei Nazarei si legge: « Allora il ricco cominciò a grattarsi la testa, e ciò non gli piaceva affatto. E il Signore gli disse: 'Come puoi dire: — Ho fatto ciò che sta [scritto) nella Legge e nei Profeti, se nella Legge sta scritto ' Amerai il prossimo tuo come te stesso '? Ed ecco: molti dei tuoi fratelli, figli di Abramo, vanno coperti di luridi cenci, muoiono di fame e la tua casa è piena di molti beni, e nulla, proprio nulla ne esce per loro1. ' ». La conclusione del brano ci riporta ancora alla narrazione evangelica: « Ed egli si rivolse al suo discepolo Simone, che sedeva accanto a lui, e disse: ' Simone, figlio di Jona, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli ' ». Coepit autem dives scalpere caput suum et non placuit ei. Et dixit ad eum Dominus: Quomodo dicis, legem feci et 5

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prophetas? Quoniam scriptum est in lege: Diliges proximum tuum sicut te ipsum; et ecce multi fratres tui filii Abrahae atnicti sunt stercore, morientes prae fame, et dotnus tua piena est multìs bonis, et non egreditur omnino aliquid ex ea ad eos? l Nella valutazione di questo brano l'opinione prevalente è che in esso si abbia un ampliamento secondario della redazione che del racconto del giovane ricco ci dà M a t t e o 2 : avremmo qui, aggiunti, vari elementi adatti ad illustrare Mt. 19,19 b (« Ama il prossimo tuo come te stesso »), mentre sarebbe eliminata la frase « Dio solo è buono » {Mt. 19,17) perché considerata scandalosa 3 . In realtà alcuni concreti elementi plastici potrebbero essere ampliamenti novellistici: ad es., la descrizione del disagio del ricco, manifestato col grattarsi la testa, o l'osservazione che Gesù sta seduto accanto a Pietro. Anche la menzione di un secondo ricco potrebbe essere una duplicazione secondaria, quale quella che sicuramente si trova in Mt. 8,28; 20,30, anche se nel nostro brano le cose non sono cosi semplici, perché, mentre nei due passi di Mt. la duplicazione serve ad ingrandire il miracolo, qui un motivo del genere manca. Piuttosto la menzione dei due ricchi al principio del brano mostra che prima si era data notizia del loro incontro con Gesù. Comunque, anche se si considera la nostra redazione come un ampliamento della tradizione, bisogna ammettere che essa presenta una coloritura palestinese: la locuzione « figli d'Abramo », l'animazione di cose inanimate nella frase ' Origene, In Mt. tom. XV, 14 (soltanto nel testo latino, pp. 389 s. Klostermann [GCS 40] ). 2 La redazione del Vangelo dei Nazaret s'accosta moltissimo, com'è logico, a quella di Mt. : a) la domanda quid bonunt faciens vivant ha rispondenza soltanto in Mt 19,16 (in Me. e Le. la parola «buono» è attratta nell'apostrofe!); b) soltanto Mt. 19,17 presenta una rispondenza a leges fac; e) soltanto Afa. (19,196) ricorda il precetto dell'amore del prossimo. 3 Resch, pp. 216-218. - J. Wellhausen, Einleitung in die drei ersten Evangelien, 1* ediz., Berlin, 1911, pp. 114 s. - Ph. Vielhauer in Hennecke1 I, p. 93. - Il Ropes dapprima ne difese l'antichità (pp. 147 s.); in seguito mutò opinione (v. p. 18, n. 6).

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« niente esce di casa per i poveri » e il fatto che chi insegna sta seduto. Inoltre c'è tutta una serie di considerazioni da fare, che impediscono di negare in blocco ogni valore alla nostra redazione. i. Nella tradizione evangelica il termine ' fratello ' ha subito una restrizione di significato. Si può cioè dimostrare che nella più antica tradizione il termine è usato, con assoluta prevalenza, nel significato veterotestamentario di ' connazionale ', ma che assai presto, secondo un uso dei primi cristiani variamente documentato, il termine venne ridotto al significato di ' fratello cristiano '. Così di regola in Matteo 4. Nel nostro testo il termine ' fratello ' viene usato nel senso lato di ' connazionale ' e ciò è segno della sua antichità. 2. Confrontato con le redazioni dei Vangeli canonici il testo del Vangelo dei Nazaret non risulta affatto una semplice elaborazione, anzi rivela una compresenza notevole di nette abbreviazioni e, nel contempo, di ampliamenti5; tuttavia non dà l'impressione di un'opera composta a forza di rappezzature, ma risulta avere in sé una solida compattezza e coerenza; anzi è più unitario della redazione di Matteo (nella quale si riconosce una elaborazione della redazione di Marco 6 ). Ciò esclude che ci troviamo di fronte ad una elaborazione letteraria della redazione di Matteo. 3. Le frasi nuove che abbiamo nella nostra redazione corrispondono al carattere di Gesù: al precetto dell'amore del prossimo {Lev. 19,18) Gesù ha conferito un valore fondamentale {Mt. 22,39 s- P ar -); la descrizione della miseria dei poveri trova corrispondenza in Le. 16,20 s. e la sua drasticità, nel papiro di Ossirinco 840 (v. p. 78); il carattere di «figli di Abramo» viene anche altrove da Gesù indicato come motivo della necessità 4

Cfr. J. Jeremias, Die Gleicbnisse Jesu, j3 ediz., Gottingen, 1965, p. 108,

n. 2. 5 6

Cfr. Ropes, p. 147. J. Wellhausen, Einleitung in die dreì ersten Evangelien, 2" ediz. p. 115.

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di soccorrere bisogni spirituali e corporali {Le. 13,16; 19,9). Ancor più efficacemente che in queste particolarità, il carattere di Gesù si esprime nella peculiare severità che ghermisce la coscienza. Prese insieme queste tre osservazioni portano a concludere che il Vangelo dei Nazaret ha conservato una redazione antica della storia del giovane ricco, che circolava indipendentemente, accanto alla redazione utilizzata da Me. In questa variante della storia del giovane ricco davanti a Gesù sta il Fariseo, l'uomo pio che pensa troppo bene di se stesso. Egli è persuaso d'aver adempito tutta la legge, è convinto di non aver commesso peccati, d'aver fatto tutto ciò che si può esigere da un galantuomo. Gesù fa la prova: il Salvatore dei poveri richiama l'attenzione sulla miseria dei poveri, e già di fronte al più semplice dei doveri verso i fratelli l'uomo fallisce completamente. Allora Gesù si fa severissimo. Questo è infatti il Gesù che conosciamo: le sue parole assumono un tono di massima severità quando tratta non con pubblici peccatori, ma con uomini che si ritengono pii, giusti, onesti, esecutori della volontà di Dio. Allora la sua requisitoria si fa aspra: « Come puoi dire: ' Ho fatto la volontà di Dio, ho compiuto il mio dovere, sono un galantuomo! ', mentre molti tuoi fratelli, partecipi della promessa del popolo di Dio, sono amicti stercore, morìentes prae fame: coperti di cenci, moribondi di fame, e la tua casa è piena di ogni bene? Come puoi tu dire: ' Ho fatto la volontà di Dio '? ».

2. Lo scontro di Gesù col sacerdote-capo fariseo nell'atrio del tempio A p. 22 abbiamo fatto menzione del foglio pergamenaceo facente parte di un vangelo usato come amuleto: il papiro di Ossirinco 840 7, rinvenuto nel 1905. Nelle righe 1-7 di questo 7

B. P. Grenfell e A. C. Hunt, Oxyrbynchus Papyri, voi. V, London, 1908, nr. 840; Fragment of an XJncanonical Gospel, Oxford, 1908. A. Biichlet, The New « Fragment of an XJncanonical Gospel », JQR 1907/08,

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foglio abbiamo la chiusa di un discorso tenuto da Gesù a Gerusalemme (cfr. pp. 134 ss.) e il seguente racconto precedentemente ignoto: 7 Ed egli li 8 prese e li introdusse nel settore stesso della purità 9 e s'aggirava nel tempio. E fattosi io avanti un fariseo sacerdote-capo, Levi di nome, s'imbatte in loro e disse al Salvatore: « Chi ti ha concesso di calpestare questo settore della purità e di guardare queste sacre suppellettili, senza aver fatto il bagno e 15 senza che i tuoi discepoli si siano lavati (anche solo) i piedi? Ma imbrattato hai messo piede in questo tempio, luogo puro, che nessun altro che non si sia (prima) lavato e mutato 20 d'abito calpesta, né osa guardare queste pp. 330-346. E. J. Goodspeed, The New Gospel Fragment front Oxyrhynchus, Biblical World 1908, pp. 142-146. E. Preuschen, Das neue Evangelienjragment von Oxyrhynchus, Biblical World 1908, pp. 142-146. E. Preuschen, Das neue Evangelienjragment von Oxyrhynchos, ZNW 1908, pp. I - I I . A. Harnack, Ein neues Evangelienbruchstiick. Aus Wissenschaft und Leben I I , Giessen,i91 i,pp. 237-250. E.Schùrer, Fragment of an uncanonical gospel (recensione all'opera di Grenfell-Hunt), ThLZ 1908, coli. 170-172. H. B. Swete, Zwei neue Evangelienfragmente, KIT 31, 1908, pp. 3-9. A. Sulzbach, Zum Oxyrhynchus-Fragment, ZNW 1908, p. 175 s. L. Blau, Das neue Evangelienfragment von Oxyrhynchus buch- una zaubergeschichtlich betrachtet, ZNW 1908, pp. 204-215. A.Marmorstein, Einige Bemerkungen zum Evangelienfragment in Oxyrhynchus Papyri, voi. V, n. 840, ZNW 1914, pp. 336-338. H. Waitz in Hennecke2, p. 18 s. E. Riggenbach, Das Wort ]esu ìm Gespràch mit àem pharisàischen Hohenpriester nach dem Oxyrhynchus-Fragment V, Nr. 840, ZNW 1926, pp. 140-144. J. Jeremias, Der Zusammentoss Jesu mit dem pharisàischen Oberpriester auf dem Tempelplatz, CN XI in honorem A. Fridrichsen, Lund-Kopenhamn, 1947, pp. 97-108; Id. in Hennecke* I, p. 57 s. 5 I discepoli. 9

'AyvEUTTipiov. Questo termine, non attestato negli scritti giudeo-greci, indica con ogni probabilità l'atrio interno, o, più esattamente, l'atrio degli Ebrei. Ciò risulta dalle prescrizioni (ricordate nelle righe 12 ss.) relative all'ingresso nello hagneuterion (v. pp. 73 s.).

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sacre suppellettili! ». E tosto fermatosi il Salvatore coi suoi discepoli rispose: « Tu dunque, che {pure) stai nel tempio, sei puro? ». Quello disse a lui: « Sono puro: mi sono infatti lavato nella piscina di Davide ed essendo sceso per una scala, per l'altra sono risalito e vesti bianche e pure ho indossato e (solo) allora sono venuto e ho guardato queste sacre suppellettili ». Allora il Salvatore gli rispose: « Guai a voi, ciechi che non vedete! Tu ti sei lavato in queste acque versate, nelle quali cani e porci stanno immersi notte e giorno, e ti sei lavato e ti sei asterso la pelle esterna, che anche le prostitute e le suonatrici di flauto ungono e lavano e astergono e imbellettano per (eccitare) le voglie degli uomini, ma dentro esse sono piene di scorpioni e \_di ogni malvagità. Io invece e i \_miei discepoli^], che tu dici non larvati, ci siamo im\mersi in acque vigenti e pure (?)] provenienti da\Y\ [Padre in cielo (?). M~\a guai a coloro... Kocì, rcapaXafkbv aùxoùc; EÌOT)Yay£v zie, GCÙTÒ TÒ àyvEUTT)piov xal Tt£pr.£7tàT£l, £V TU LEptp. K a ì "rcpoaE[X-]

io dwv «Sapicraiói; TIC, àpxiEpEÙi; AEU[EC<;] TÒ ovovia
ta Ta ay<.a OTCEUT) pv/]TE X o u a a t p O é v t y ] ^[rj-] 15 TE [a.T)v TWV (jiaìhiTwv cou nove, n;[ó8a<; 3 a - ] TmadivTtov; àXXà P;E(J.OXU[IJI.[JIÉVO<;]



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έπάτησας τοΰτο το ιερόν, τ[όπον ÒV] τα καθαρόν, δν ουδείς α[λλος ει μή] λουσάμενος καί άλλά[ξας τα ένδύ-] ματα πατεί, ουδέ ό[ράν τολμά τ α ϋ τ α ] τα άγια σκεύη. Καί σ[ταθείς ευθύς δ σωτήρ] σ[ύν τ]οΐς μαθηταΐ[ς αύτοϋ άπεκρίθη ] Συ ούν ενταύθα ών έν τω ίερφ καθαρεύεις; λέγει αύτφ εκείνος Καθαρεύω έλουσάμην γαρ έν τη λίμνη τοϋ Δαυείδ καί δι' ί~:έρας κλίμακος κατελθών δι' ετέρας ά[ν]ήλθον, καί λευκά ενδύματα ένεδυσάμην καί καθαρά, καί τότε ήλθον καί προσέβλεψα τούτοις τοις άγίοις σκεύεσιν. Ό σωτήρ προς αυτόν άπο[κρι]θείς εϊπεν Ούαί τυφλοί μή όρώντ[ε]ς" σύ έλούσω τούτοις τοις χεομένοις ϋ[δ]ασι(ν), έν οίς κύνες και χοίροι βέβλην[ τ α ι ] νυκτός καί ημέρας καί νιψάμεν [ 1°ς ^ò έκτος δέρμα έσμήξω, δπερ [κα]ί αϊ πόρναι καί α [ ΐ ] αύλητρίδες μυρί[ζ]ου[σιν κ]αί λούουσιν καί σμήχουσι [καί κ]αλλωπίζουσι προς έπιθυμί[αν τ]ών ανθρώπων, ϊνδοθεν δέ έκεΐ [ναι πεπλ]ήρω(ν)ται σκορπιών καί [πάσης άδι]κίας. έγώ δέ καί οί [μαθηταί μου,] ους λέγεις μή βεβα[μμένους, βεβά]μμεθα έν υδασι ζώ[σι καί καθαροϊς τοϊ]ς έλθοϋσιν άπό [τοΰ] [ • · · · ά λ ] λ α ούαί [τ]οϊς . .. . 1 0 .

Questo gioiello di narrazione evangelica non ha avuto finora la considerazione che merita. La pubblicazione della scoperta 10

Testo secondo Η. Β. Swete, Zwei neue Evangelienfragmenle, KIT 31, 1908, p. 4 s. con variazioni minime: r. 36 s. Swete integra μυρί[ζ]ου[σαι r. 43 s. ζω[ής αιωνίου τοις κα]τελθοϋσιν, che però ha un timbro trop71

(1907) avvenne sotto cattiva stella, perché gli editori, fidandosi della opinione di un eccellente esperto quale E. Schiirer, considerarono tutto il brano un prodotto di fantasia: l'autore non avrebbe avuto alcuna conoscenza delle reali istituzioni giudaiche al tempo di Gesù, e in particolare del tempio di Gerusalemme e del suo rituale. A torto! Infatti le obiezioni avanzate allora e in seguito, oggi non reggono più. È quindi tempo di togliere la narrazione dello scontro di Gesù col sacerdote-capo fariseo dall'oblio in cui, senza ragione, era caduta. Esaminiamo brevemente le obiezioni "

1. La menzione di un archiereus fariseo di nome Levi (riga io) potè costituire una difficoltà finché il termine archiereus fu erroneamente inteso nel senso di « sommo sacerdote »: in realtà un sommo sacerdote di nome Levi non è mai esistito. Ma oggi sappiamo che archiereus può significare non soltanto « sommo sacerdote », ma anche « sacerdote-capo »12, e nel nostro passo è questa la traduzione che s'impone per la mancanza dell'articolo determinativo. Dunque questo Levi che chiede conto a Gesù del suo contegno è sacerdote-capo. Ciò vuol dire che egli era o custode del tesoro del tempio, o capitano del tempio 13. Ambedue le funzioni s'accordano col suo intervento. Se egli era custode del tesoro, custodiva anche le suppellettili del tempio che Gesù stava guardando; se era capitano del tempio, era responsabile dell'ordine del tempio stesso. La seconda ipotesi è più probabile (v. p. 80). Che poi certi sacerdoti fossero membri di comunità farisaiche è attestato anche altrove 14.

pò giovanneo per il nostro testo.

11

Una più ampia motivazione e una più precisa indicazione delle fonti ho dato nel saggio citato a p. 69, n. 7 (in onore di A. Fridrichsen), al quale in parte mi attengo nelle pagine che seguono. 12 J. Jeremias, Jerusalem zur Zeit ]esu, 3a ediz.,Gòttingen, 1962, pp. 197-204. 13 14

Ibid. pp. 187-197. Ibid. pp. 291 s.

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2. Il fatto che Gesù osserva le sacre suppellettili (riga 13 s., cfr. r. 20 s.) potè sembrare una riprova dell'ignoranza dell'autore a riguardo del rituale del tempio di Gerusalemme finché si credette che le suppellettili che Gesù osservava si trovassero nel Santo del tempio. È una strana supposizione condivisa quasi da tutti. Se questo fòsse stato il significato del testo, esso in realtà sarebbe risultato privo di valore. Ma l'osservazione delle sacre suppellettili è intesa in tutt'altro modo. Gli atri del tempio erano circondati da camere che ne custodivano gli immensi tesori, e fra esse vi erano quelle destinate alle suppellettili. Alcune di tali camere servivano come luogo di custodia delle 93 suppellettili d'argento e d'oro che venivano usate quotidianamente per il rito sacrificale15, altre per custodire i pezzi di riserva 16, o le suppellettili donate come offerte votive al tempio 17. In questo caso era il donatore stesso che portava le sue offerte nella camera delle suppellettili. Ne risulta quindi che essa era accessibile ai laici. Non può dunque essere motivo di contestazione il fatto che nel nostro brano Gesù osserva coi suoi discepoli le suppellettili sacre. 3. Una reale difficoltà sembra si possa sollevare a proposito della descrizione che il sacerdote-capo Levi fa del cerimoniale del tempio (righe 12-21). A suo dire, ai laici che volevano entrare nello hagneuterion 18 si richiedeva: a) un bagno per immersione (r. 14.19), b) il cambio delle vesti (r. 19 s.). Come stanno le cose? a) Risulta certo che chiunque volesse visitare l'area del tempio, o anche soltanto varcarne i confini esterni, doveva deporre il bastone da viaggio, le scarpe e la bisaccia e stare bene attento che i suoi piedi non fossero impolverati19. È anche certo che nell'atrio degli Israeliti (differentemente da quello dei gentili 15

Tarn. 3,4. Hagh. 3,8. 17 Sheq. 3,6. " p. 69, n. 9. 19 Ber. 9,5. 16

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e delle donne) potevano entrare soltanto quegli ebrei che possedessero la piena purità levitica: nessuno, dice la Mischna, può entrare nell'atrio interno « che non abbia ancora recato l'offerta prescritta dopo la purificazione da impurità levitiche»20. E, in perfetto accordo, Giuseppe Flavio dice che « a quegli uomini che non avessero ancora compiuto la loro purificazione era vietato l'ingresso nell'atrio interno » 21 . Secondo loh. 11,55, la prassi era questa: i pellegrini, in occasione di feste, facevano in modo di trovarsi a Gerusalemme da sette a dieci giorni prima dell'inizio della festa, per avere in precedenza la possibilità di « santificarsi », cioè di purificarsi dalle impurità contratte dopo l'ultima visita al tempio. Per questo appunto si richiedevano sette giorni 22. Non è certo se al termine delle cerimonie di purificazione, che comprendevano un bagno, fosse richiesto, dal giorno precedente la visita all'atrio degli Israeliti, un altro bagno 23; a quanto pare, valeva la regola: « Chi ha fatto il bagno, ha bisogno soltanto di lavarsi i piedi » (loh. 13,10) 24 . b) Se le righe 12-19^ del nostro frammento non contrastano con quanto s'è detto, si presenta però una difficoltà a riguardo 20

Kel. 1,8. Bell. lud. V, 227. Inoltre e. Apionem I I , 104. Potevano entrare nell'atrio degli Ebrei masculi ludaeorum mundi existentes atque purificati. 22 In ogni modo, quando si trattasse di impurità derivante da contatto con cadaveri {Num. 19,12.19). Ma poiché non soltanto il toccare un cadavere, ma anche, ad es., il solo passare sopra una tomba (Mt. 23,27), o l'entrare in una casa pagana (loh. 18,28) rendeva impuri come il contatto con morti, praticamente ogni pellegrino doveva calcolare d'aver contratto, dall'ultimo pellegrinaggio, una tale impurità. 23 Questa la prescrizione rabbinica in b. ]oma 30 a b. 24 II testo lungo di loh. 13,10 a è originale; d u/rj toù? Tió5aq manca solo in S e, edd della Vulg., Orig. La frase, tanto tormentata, offre nel contesto un senso eccellente se la si intende alla lettera, senza riferimenti simbolico-allegorici al battesimo o alla cena eucaristica. Alla richiesta di Pietro che gli vengano lavati anche le mani e il capo, Gesù risponde: « Chi (come pellegrino pasquale) ha fatto il bagno (prescritto), ha bisogno soltanto di lavarsi i piedi per essere puro ». Solo nella frase seguente riguardante Giuda (io è- n) si parla di purezza in senso traslato. 21

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del testo immediatamente successivo: il cambio degli abiti non è mai attestato come prescrizione valida per i laici! Pure, ci si può chiedere se il testo vuole effettivamente dire che anche i laici prima di entrare nell'atrio degli Israeliti dovevano cambiarsi gli abiti. Si osservi: il rimprovero rivolto al laico Gesù e ai suoi discepoli (righe 12-16) si limitava a contestare — a giusto titolo - che essi avevano tralasciato di fare il bagno e di lavarsi i piedi. Nelle righe 18-21, invece, viene ricordata in generale la prescrizione della purificazione per chi volesse entrare nell'atrio interno. Tale prescrizione esigeva: 1) nelle righe 18-19 a, il bagno (da tutti), 2) nelle righe 19 £-20, il cambio delle vesti (dai sacerdoti in servizio). In altri termini, la congiunzione ' e ' nella riga 19, come spesso nelle lingue semitiche, ha il significato di ' o ' 2 3 . E non può, questo, 23

II semitico in corrispondenza del nostro avverbio « rispettivamente », « o » possiede soltanto la congiunzione tv" ( = e), poiché la congiunzione 6 ( = o, ovvero) ha un valore disgiuntivo più accentuato. Di conseguenza una alternativa viene espressa di solito mediante una congiunzione copulativa. Sull'importanza che questo uso linguistico ha nel Nuovo Testamento non si è ancora indagato. Esempi tratti dall'Antico Testamento: Gen. 26,11: «Colui che tocca questo uomo e (= o) sua moglie sarà fatto morire! »; Ex. 12,5 (dell'agnello pasquale): «lo sceglierete dalle pecore e ( = o) dalle capre»; 21,17: « Chi maledice suo padre e (= o) sua madre, sia messo a morte»; Lev. 21,14; 1 Sam. 17,34: «Veniva un leone e (= o) un orso»; ler. 44,28: « Riconosceranno di chi si avvera la parola, la mia e ( = o) la loro ». Cfr. W. Gesenius e F. Buhl, Handworterbuch ùber das Alte Testamenti i5 a ediz., Leipzig, 1910, p. 187 b. - L. Kòhler e W. Baumgartner, Lexicon in Veteris Testamenti libros, Leiden, 1953, p. 245 a. Esempi dell'ebraico della Mischna in M. H. Segai, A Grammar of Mishnaic Hebrew, Oxford, 1927, § 501, p. 235. Esempi tratti dal Nuovo Testamento: Afe. 3,22: «Essi dicevano: 'È posseduto da Beelzebub, o (xa£) scaccia i demoni con l'aiuto del capo dei demoni ' » (l'accusa è duplice: d'essere posseduto dal demonio e di essere suo alleato, e diversi sono gli accusatori); 3,35: « Chi fa la volontà di Dio, è mio fratello o (xoù) mia sorella o (xaó) mia madre » (col termine ' fratello ' Gesù indica gli uomini, con ' sorella ' e ' madre ' le donne che lo seguono); 4,8.20: « parte (xai) il trenta, parte (xaQ il sessanta, parte (xai) il cento»; Mt. 12,37 (alternativa espressa con xai); 2r,23 (cfr. Me. 11,27 e Le. 20,2); 22,6: « Maltrattarono o (xai) uccisero

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considerarsi un modo d'esprimersi impacciato; infatti per chiunque conoscesse il rituale del tempio di Gerusalemme era perfettamente chiaro che la congiunzione ' e ' della riga 19 aveva un significato non aggiuntivo, ma alternativo ( = ' o ', rispettivamente '). Al contrario, la naturalezza con la quale nella riga 19 è presupposta la conoscenza del rituale da rispettare prima di entrare nell'atrio interno (dovere del bagno per i laici, e, in più, cambio delle vesti per i sacerdoti in servizio) è proprio una riprova dell'antichità del nostro racconto. 4. Il fatto che la piscina di Davide in Gerusalemme (r. 25) non sia mai attestata altrove non prova nulla contro la sua esistenza. Abbiamo conoscenza di un'altra piscina a cui era toccata la stessa sorte e la cui esistenza è stata dimostrata ai nostri giorni con la massima evidenza. Nemmeno la piscina di Bethesda, di cui si parla in loh. 5,2, è attestata in alcun altro scritto contemporaneo. Nel 1931-32 l'autore di questo libro potè assistere alla dimostrazione definitiva dell'esistenza della piscina di Bethesda, riportata alla luce da faticosi scavi condotti sotto rovine alte fino a 25 m. Essa risultò avere forma di piscina doppia, della superficie di oltre 5000 m. 2 , situata 100 m. a nord del tempio 26. Una delle due parti, separate da un tramezzo roccioso, doveva essere destinata agli uomini, l'altra alle donne. Si potrebbe benissimo pensare che la prima si chiamasse ' piscina di Davide '; comunque, l'immediata vicinanza del tempio permette di supporre con ogni probabilità che ambedue le piscine di Bethesda fossero usate dai visitatori del tempio e dai sacerdoti per i bagni purificatori, tanto più che Gerusalemme non possedeva molte di tali costruzioni. L'ipotesi

i suoi servi » (l'evangelista pensa agli araldi della Nuova Alleanza, la cui sorte fu varia); Le. 13,18 (cfr. con Me. 4,30); 14,26 (cfr. Mt. 10,37); cfr. anche Rom. 1,5 éXàPopvsv xàpw xai àTioatokriv (se non si tratta di una endiadi, con x<*piv Paolo pensa alla comunità, con emoa'To)i'r)v a se stesso e ai suoi collaboratori). 26 J. Jeremias, Die Wiederentdeckung von Bethesda. Johannes 5,2, FRLANT, N. R, 41, Góttingen, 1949.

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che la ' piscina di Davide ' (r. 25) fosse una delle due piscine di Bethesda ha ricevuto una inaspettata, recentissima conferma, dal rotolo di rame di Qumran. Ivi, nella colonna XI, riga 12 s., si trova questa notizia « in Bet Eshdatain, nella piscina, all'ingresso del bacino minore... »27. Senza dubbio qui è indicata Bethesda, tanto più che il termine fmumit (diminutivo di jam = ' mare ', quindi ' il piccolo mare ', ' il piccolo bacino ') fa riferimento alla duplicità della piscina. Il rotolo di rame, con una etimologia popolare, fa derivare, come anche certi autori medioevali, il toponimo Bethesda da 'ashad = ' versare ', e quindi interpreta il nome nel senso di « luogo delle acque versate ». In questo modo si dovrebbe risolvere l'enigma presentato dalla locuzione, strana e finora oscura, del nostro papiro « hai fatto il bagno nelle acque versate » (r. 32 s.). Essa accenna, come ora possiamo comprendere, all'interpretazione che si dava del nome ' Bethesda ', inteso nel senso di « luogo delle acque versate » 2S. 5. Tradotta alla lettera, la riga 32 dice: « Ti sei lavato in queste acque versate, nelle quali cani e porci stanno notte e giorno ». Ne risultano due cose impossibili: che ci fossero maiali a Gerusalemme e che un sacerdote-capo facesse il bagno in una piscina in compagnia di cani e porci. Ma questa frase deve essere intesa non in senso letterale, bensì in senso traslato:

" T. T. Milik, Le rouleau de cuìvre de Qumràn (3 Q 13), RB 1959, pp. 321-357, ivi p. 328 (traduzione) e p. 347 s. (commento). - J. M. Allegro, The Treasure of the Copper Serali, London, i960, a p. 53 vuol leggere « bbyt 'swhyn », il che, stando al facsimile (p. 52), è del tutto improbabile. A p. 166 lo stesso Allegro ammette che il testo « as it stands » presenta un d, e quindi legge « "sdtyn ». 28 A favore della identificazione della « piscina di Davide » con una delle due piscine di Bethesda sta infine il fatto che questa, nella riga 25 del nostro papiro, viene indicata col termine )àp,vT]. Con questa designazione concorda Eusebio, che nel suo Onomasticon a spiegazione di Br|? a M dice Xiu.vou 8i5unoi (p- 58,23 Klostermann [GCS 11,1]: cfr. J. Jeremias, Die Wiederentdeckung voti Bethesda, pp. n s.) e concorda anche il rotolo di rame, che usa il termine fmumit.

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nella drastica espressione di Gesù con « cani e porci » — proprio come in Mt. 7,6; 2 Pelr. 2,22; cfr. Apoc. 22,15 — s'intendono « uomini impuri ». Come può purificare un'acqua, nella quale fanno il bagno uomini che nel loro cuore sono quanto mai impuri, e tali restano? Dunque anche questa quinta obiezione contro l'autenticità è infondata. 6. Non mi pare che le aspre parole sulle prostitute e le suonatrki di flauto esprimano un disprezzo che contrasti col carattere di Gesù 29. Anzi, non si deve dimenticare che la bontà con la quale Gesù chiama a sé le persone spregiate e i peccatori ha come fondamento l'inesorabile serietà dell'invito alla penitenza ed implica ovviamente l'orrore per la professione delle prostitute. In verità le righe 34 ss. corrispondono esattamente allo stile oratorio di Gesù. Se si confrontano le espressioni di queste righe col rimprovero che Gesù scaglia contro i farisei (Mt. 23,27 s.: « Guai a voi, farisei ipocriti! x Poiché siete simili a sepolcri imbiancati, che all'esterno appaiono belli, ma all'interno sono pieni di ossa di morti e d'impurità di ogni sorta. Così anche voi all'esterno sembrate giusti agli uomini, mentre all'interno siete pieni di ipocrisia e d'iniquità! »), si constata una larga corrispondenza di forma e di contenuto. Tanto qui quanto là troviamo la stessa antitesi di bella esteriorità e di riprovevole interiorità, la stessa drasticità e la stessa asprezza con la quale Gesù sferza la falsità che inganna gli uomini coprendo con l'apparenza esterna l'interiore malvagità. 7. Un'altra obiezione rinvia alla chiusa del testo: il fatto che Gesù nelle righe 41 ss. presenti, coi suoi discepoli, se stesso come bisognoso e partecipe della vera purificazione sa29

H. B. Swete, Zwei neue Evangelienfragmente, p. 4. Mt. 23,27: « Scribi e farisei ». Gli scribi, a ragione, mancano nel parallelo Le. 11,44. ( I n tutto il discorso di Mt. 23 si sono fusi i rimproveri contro i teologi e quelli contro i membri della comunità farisaica; in Le. invece sono, a ragione, accuratamente distinti i rimproveri, del tutto diversi, che Gesù rivolge a ciascuno dei due gruppi; cfr. J. Jeremias, Jerusalem zur Zeit Jesu, 3a ediz., Gottingen, 1962, pp. 286-289). 30

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rebbe la dimostrazione più chiara dei carattere apocrifo del frammento 31. Questa è veramente un'obiezione seria. Bisogna però andar cauti per quanto riguarda il presunto « bisogno di purificazione » da parte di Gesù; non si può cioè trascurare che nelle righe 42-44 abbiamo lo stesso gioco di parole che si trova in Me. 1,8; loh. 1,33; Act. 1,5; n, 16. Come in questi passi si contrappongono battesimo di acqua e ' battesimo ' di spirito, così nel nostro testo Gesù contrappone il bagno nell'acqua all' ' immersione ' nell'acqua di vita 32. Quindi egli non parla affatto della sua purificazione, ma della sua partecipazione al mondo puro della perfezione di Dio. Tra le due cose c'è una notevole differenza! Certo solleva dubbi il fatto che Gesù accomuna se stesso e i suoi discepoli nel pronome ' noi '. Si potrebbe peraltro ricordare che Gesù, quando si presentò al battesimo di Giovanni, si sottopose allo stesso bagno che avevano compiuto coloro che dovevano poi diventare suoi discepoli, i quali, molto probabilmente, in precedenza erano stati con Giovanni 3 3 , e si potrebbe ricordare anche che egli, almeno ad alcuni di essi, preannucia lo stesso ' battesimo ' con cui egli stesso sarà battezzato (Me. 10,38). Quanto al fatto che egli accomuna se stesso e i suoi discepoli, abbiamo nei Vangeli sinottici solo poche corrispondenze 3 4 . Dobbiamo quindi vedere nelle righe conclusive 41-45 una tarda stilizzazione. Anche « l'acqua di vita » (r. 43 s.) richiama loh. 4,10 ss.; 7,37 s.; Apoc. 22,17. Se le obiezioni sollevate contro il nostro testo, eccetto l'ultima, non sono valide, tanto più significativo è questo racconto rabbinico che conferma, sotto vari riguardi e in modo con31

E. Riggenbach, Das Wort Jesu ìm Gespràch mit dem pbarismschen Hohenpriester, ZNW 1926, pp. 140-144, ivi pp. 143 s. 32 Cfr. loh. 4,14; 7,38; anche I?. 43,20; 44,3; 55,1; Ez. 47,1 ss.; Ioel 3,1; 4,18; Zach. 13,1; 14,8; Apoc. 22,1 ss. 33 Così loh. 1,35. Si osservi anche che nel giorno di Pentecoste i discepoli non vengono battezzati. 34 Ad es., Me. 10,33 Par-J Le. 22,8. Il Pater noster non rientra in questo caso, perché è considerato preghiera dei discepoli. 79

vincente, la descrizione della situazione che ci dà il nostro testo: « (Il sacerdote) Simeone (soprannominato) il Morigerato disse in presenza di R. Eliezer (ben Hyrkanos, vissuto intorno al 90): ' Sono entrato nello spazio tra il tempio e l'altare (degli olocausti), senza essermi (prima) lavato le mani e i piedi '. Quello rispose: ' Sei tu dunque migliore del sommo sacerdote (al quale ciò non sarebbe permesso)? '. Egli taceva. E quello continuò: ' Certo ti vergogni di ammettere che (perfino) il cane del sommo sacerdote è migliore di te? '. Egli rispose a lui: ' R a b b i , tu l'hai d e t t o ' (cioè ' h a i ragione') 3 5 . Quello continuò: ' Durante il servizio nel tempio! Anche a un sommo sacerdote avrebbero spaccato il cranio con ceppi! Come hai potuto evitare che il sorvegliante (ba'al happul) ti sorprendesse? ' » 3 6 . In questa frase conclusiva si presenta proprio come possibile la situazione reale narrata nel brano di cui stiamo trattando: il sorvegliante chiede conto dell'operato ad un uomo che è entrato nel cortile del tempio senza essersi lavato le mani e i piedi. Se si considerano i numerosi semitismi del nostro testo 37, le sue strette corrispondenze lessicali e stilistiche coi sinottici 3 8 , e se si pensa inoltre che anche il suo contenuto di pensiero s'inquadra perfettamente nel mondo dei Vangeli sinottici 3 9 , si conclude che in questo racconto abbiamo un'antica tradizione in cui è evidente il colorito locale 35

Cfr. Mt. 26,25.64; 27,11. Tos. Kelim B. Q. 1,6 (ed. Zuckermandel 569,22 ss.). Cfr. G. Dalmati, Der zweite Tempel zu Jerusalem, PJ 1909, p. 35. - Billerbeck I, p. 990. " Vedine le prove in Fridrichsen-Festschrift (v. p. 69, n. 7), p. 98. 38 Riga 7: mxpaXaftòv aòtoic, cfr. Me. 10,32; Le. 9,28; 18,31, ecc. Riga 8: TOPIETOÌTEI EV -rcp ìepy cfr. Me. 11,27; anche Ioh. 10,23. - Riga 15 s.: Pa-rc-ci^Eiv, detto degli atti di purificazione in uso tra i Giudei, anche in Me. 7,4 v. 1.; Le. 11,38. - Riga 31 s.: per oùai cfr. i ' guai...! ' di Gesù nei Sinottici, a rimprovero della cecità in Mt. 15,14; 23,16 s. 19.24.26. - Riga 33: l'appaiamento di XÙVE<; e xoìp0'- s' trova anche in Mt.7,6. - Riga 33 s.: PÉpVnvTGa = 'giacciono' anche in Mt. 8,6; 9,2; Me. 7,30. - Riga 34: vuxxòq xaì ifinépa?, cfr. Me. 4,27; 5,5; Le. 2,37. Riga 34 ss.: contrapposizione di purità esteriore e interiore anche in Mt. 36

23,25 ss. 3

' A. Harnack, Aus Wissenschaft und Leben II, Giessen, 1911, pp. 243 s.

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di Gerusalemme e lo spirito di Me. 7,1 ss. Anche in questo racconto di fronte a Gesù sta il fariseo, questa volta in veste di aggressore. Il sacerdote-capo e fariseo Levi, il quale evidentemente presta servizio come sorvegliante (bdal happul) nell'atrio degli Israeliti, agisce con piena coscienza del suo diritto e del suo dovere quando chiede a Gesù di render conto d'avere, coi suoi discepoli, trasgredito il cerimoniale del tempio. I discepoli, egli sostiene, non si sono lavati nemmeno i piedi prima di entrare nel santuario (r. 15 s.); ma il rimprovero più grave è rivolto a Gesù, che è responsabile dei suoi discepoli. Nella struttura delle frasi lo sconosciuto evangelista ha conservato un'eco dello sdegno manifestato dal sacerdote-capo al constatare tanta irriverenza verso il luogo sacro. Il testo non offre alcuna giustificazione del contegno di Gesù. Disprezza egli il tempio? Niente affatto. Il motivo si deve dedurre da Me. 7,6-8: la prescrizione che anche chi era puro doveva fare il bagno prima di metter piede nell'atrio degli Israeliti non aveva alcun sostegno nella Torà, ma era (come la prescrizione che i laici si lavassero le mani prima dei pasti, Me. 7,1 ss. w) una disposizione rabbinica, e, per giunta, ancora controversa all'inizio del sec. II 4 1 . Ma Gesù ha respinto con la massima decisione le disposizioni rabbiniche, considerandole « disposizioni di uomini » (Me. 7,8), e le ha coscientemente trasgredite. Gesù non si difende, ma replica con una controdomanda, asciutto asciutto: « T u dunque, che (pure) stai nel tempio, sei puro? » (r. 23 s.). Sei realmente puro, Levi? Alla presuntuosa risposta affermativa del sacerdote-capo, che attesta d'aver fatto il bagno nella piscina di Davide con la precauzione di scendere per la scala degli impuri e di risalire per quella dei puri, con l'aggiunta del cambio delle vesti, Gesù

40 11

Billerbeck I, pp. 695 s. b. ]oma 30 a b. D. Hoffmann in Mìscbnajot VI, Wiesbaden, 1933,

P- 13, n. 52.

6

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replica con un grido: « Guai a voi, ciechi42, che non vedete! » (r. 31 s.). Che cosa non vede Levi? Che la sua purità, di cui egli è così certo, non è purità! Che egli è impuro! Gesù gli deve aprire gli occhi. Con una drastica crudezza, che nei nostri Vangeli è superata soltanto da Me. 7,19 (anche lì si tratta di una discussione sulla purità), e nella quale si esprime tutto lo sdegno di Gesù per la farisaica presunzione della propria giustizia, Gesù mostra in due modi al sacerdote-capo che cosa si deve in realtà pensare della sua purità. Primo: Levi ha fatto il bagno in acqua naturale. Come se essa potesse purificare! Gli uomini più impuri, che internamente sono sozzi come cani e porci, stanno in quest'acqua notte e giorno (la notte è menzionata prima perché si contava il giorno dal tramonto del sole ) e rimangono quali erano: impuri (r. 32-34). Secondo: Levi ha purificato il corpo. Come se la purezza consistesse in ciò! La stessa cosa fanno anche le prostitute e le suonatrici di flauto... al servizio del peccato e con un'anima piena di scorpioni velenosi e di malvagità d'ogni sorta (r. 34-41)! Questa presunta purità è inganno di sé e del prossimo, è menzogna. Noi invece (nelle ultime righe [41-45] Gesù accomuna sé ai discepoli), ai quali tu rinfacci di non esserci purificati immergendoci nell'acqua, noi ci siamo immersi nell'acqua della vita, noi stiamo nell'era salvifica di Dio, apparteniamo al suo mondo nuovo e puro, Ma guai a coloro... (che si stimano puri)! Sei puro? Questo è il problema di coscienza che Gesù pone al fariseo che si ritiene puro. Se può apparire tale davanti agli uomini, ciò non significa che lo sia davanti a Dio. Guai a coloro che nella loro cecità hanno un esagerato concetto di se stessi! La vera purità non è opera dell'uomo, ma dono dell'era della salvezza.

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Cfr. Ut. 15,14; 23,16 s. 19.24.26. ' Cecità ' equivale a caparbietà, cfr. Jj.6,9s. (Ioh. 12,40). " Me. 4,27; ^ j ; Le. 2,37; Act. 20,31; 26,7.; J Tira. 2,9; 3,10; 2Thess. 3,8; 1 lìm. 5,5; iTim. 1,3. 82

3. L'uomo che lavorava in giorno di sabato Il cod. D, al posto di Le. 6,5 e a conclusione del brano che narra come i discepoli raccogliessero spighe in giorno di sabato, reca il seguente breve episodio: « Nello stesso giorno egli vide un uomo che lavorava di sabato e gli disse: ' Uomo! Se sai ciò che fai, sei beato. Ma se non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge ' ». Tf) αύτΐ) ήμερα δεασάμενός τίνα έργαζόμενον τφ σαββάτω εΐπεν αύτω· άνθρωπε, ει μεν οΐδας τί ποιείς, μακάριος ει, ει δε μή οϊδας, έπικατάρατος και παραβάτης ει τοϋ νόμου. Ora ci chiediamo: questo breve episodio (che, nonostante la brevità delle parole introduttive, rientra nel genere dei brani narrativi riguardanti Gesù: infatti la presentazione della situazione in cui il logion fu pronunciato ha un'importanza essenziale per la sua comprensione) è una libera invenzione? Sono state sollevate obiezioni a riguardo sia del contenuto sia della forma. Per quanto concerne la forma R. Bultmann "* richiama l'attenzione 1) sulla introduzione (l'espressione θεασάμενος... εΐπεν è stata formulata secondo lo schema degli apoftegmata dei filosofi greci), 2) sulla concettosità di είδέναι; e ne deduce che si tratta di una formazione ellenistica. Ma, 1) l'introduzione è anche perfettamente palestinese, sia per quanto concerne xfi αύττί ήμερα 4 S , sia per quanto con­ 46 cerne δεασάμενος... εΐπεν ; ζ) per quanto riguarda la concet­ tosità di είδέναι essa è del tutto consueta nel linguaggio palestinese 47. In terzo luogo si potrebbe piuttosto ricordare che 44

R. Bultmann, Die Geschtchte der synoptischen Tradition, FRLANT N.F. 12, 3 a ediz., Gottingen, 1958, p. 24. 45 Cfr. R. Sander, turchi und Liebe im palàstinischen ]udentum, BWANT IV, 16, Stuttgart, 1935, Excursus pp. 75 ss. a ho bajjom. 46 b. Qid. 81 a e molti passi talmudici; Me. 2,5; 10,14; I°b- *>3%', 6,5. 47 Shebi'il 5,8; Ter. 2,2; Ned. 4,4 (due volte); Naz. 2 4 : «vederci chiaro

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il voc. èivdpwra è un grecismo 48 . Ma un confronto di Le. 5,20 con i paralleli Me. 2,5 e Mt. 9,2 49 suggerisce di non dedurre da questo solo fatto l'origine ellenistica di un testo. D'altro canto, il parallelismo antitetico dei membri risponde allo stile palestinese, e la retroversione in aramaico x riporta ad una struttura ritmica, a paronomasie, alla prevalenza di suoni gutturali, che, con ogni probabilità, deve essere considerata indizio di una forma coscientemente elaborata 51. Per quanto riguarda il contenuto del nostro brano, si obietta che esso conterrebbe l'insegnamento dell'abrogazione del sabato - ciò che Gesù non ha mai fatto 52! Certo, Gesù non ha mai predicato l'abrogazione del sabato! Ma è veramente questo l'insegnamento del brano? Chi intende così pone l'accento sulla prima parte del logion di Gesù, sulla beatitudine: beato colui che ha compreso il messaggio dell'evangelo, cioè che l'era del sabato è passata! In realtà, è del tutto escluso che l'accento cada sulla prima parte del parallelismo antitetico. La

in qualcosa»; Shebu'ot 2,1 (sei volte); Ker. 1,2; 4,2: «essere consapevole ». L'equivalente ebraico è sempre jada'. L'antitesi di ' sapere ' e ' non sapere ', che si trova nel nostro brano, ha un parallelo notevole in Shebu'ot i,6, dove si tratta di trasgressioni 'consapevoli' e 'inconsapevoli ' (boda' wclo boda'). Per sìSÉvai = « vederci chiaro in una cosa » cfr. anche Me. 10,38; Mt. 20,22. 48 G. Dalman, Jesus-Jeschua, Leipzig, 1922, p. 183; Ergànzungen und Verbesserungen zu ]esus-Jeschua, Leipzig, 1929, p. 13; Worte ]esu I, 2* ediz., Leipzig, 1930, p. 32,370. - P. Joiion, L'Évangile de Notre-Seigneur Jésus-Christ, Verbum Salutis V, Paris, 1930, p. 327. L'apostrofe ' uomo ' è attestata in ebraico (Mich. 6,8; Ez. 2,1, ecc.; Dan. 8,17) e in arabo, ma, a quanto mi consta, non ancora in aramaico. 49 Si confronti anche la redazione che dell'episodio del giovane ricco ci dà il Vangelo dei Nazarei (v. p. 65 s.): « homo, leges et prophetas fac » con Mt. 19,17. 50 M. Black, An Aramaic Approach lo the Gospels and Acts, 2a ediz., Oxford, 1954, p. 130, n. 1: in 'fda't ma 'abed alt, berik att; / Ma 'fda't, arur att we'obar oraajjeta. 51 Black, ibid., pp. 119 ss. " E. Klostermann, Vas Lukasevangelium, HNT 5, 2a ediz., Tiibingen, 1929, e K. H. Rengstorf, Das Evangelium nach Lukas, NTD 3, 9° ediz. Gòttingen, 1962, p. 82 commento a Le. 6,5. 84

stessa brusca allocuzione ' uomo! ', con la quale Gesù si rivolge severamente all'interlocutore, mostra che Gesù non vuol lodarlo, ma chiedergli conto del suo operato. Parimenti, la disposizione e la contrapposizione delle due proposizioni e (soprattutto!) le due particelle greche « piv... 8È » permettono di dedurre soltanto che l'accento cade sulla seconda metà del logion, sulla maledizione 5-3. Lungi dall'insegnare l'abrogazione del sabato, il nostro logion vuole proprio difendere il sabato contro le trasgressioni sconsiderate! Quindi, supposto che esso sia stato inventato, dovrebbe considerarsi originario di ambienti giudeo-cristiani nei quali si rispettasse il sabato (cfr. Col. 2,16, e anche Mt. 24,20 M ); ma il cod. D non tradisce affatto tendenze giudeo-cristiane! 55 Oltre a ciò, occorre osservare che difficilmente in questi ambienti si sarebbe potuto giungere a proclamare beato un trasgressore del sabato. D'altro canto, molti elementi fanno pensare che qui ci troviamo di fronte a una tradizione molto antica *. La vicenda si svolge in un ambiente in cui vige l'osservanza del sabato, in cui, anzi, ci si meraviglia se tale osservanza non ha luogo. Siamo quindi, con ogni probabilità, in Palestina. La forma del logion, l'antitesi, è senz'altro una caratteristica dello stile di Gesù, che amava esprimersi con antitesi nette come questa57. Il carattere intimo di Gesù si manifesta nel collegamento della libertà col rispetto, nella semplicità, nella solenne gravità. Nonostante la scarsità degli indizi, il nostro brano ci per53

Così anche Ropes, p. 125. G. Hoennicke, Das }udenchristentum, Berlin, 1908, p. 262. " J. R. Harris, Four Lectures on the Western Text of the New Testament, London, 1894, pp. 1-13. Ph. H. Menoud, The Western Text and the Theology of Acts, Studiorum Novi Testamenti Societas, Bulletin II, Oxford, 1951, pp. 19-32, ivi pp. 27 ss. 56 A. Merx, Die vìer kanonischen Evangelien II, 1, Berlin, 1902, p. 87. Th. Zahn, Das Evangelium des Lucas, 3a e 4a ediz., Leipzig e Erlangen, 54

1920, p . 2 7 3 , n. 20. 57

C. F. Burney, The Poetry of Our Lord, Oxford, 1925, pp. 71-88, specialmente pp. 83 s.: il parallelismo antitetico come il più chiaro contrassegno degli ipsissima verba di Gesù.

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mette di cogliere in qualche modo la vastità dell'opera svolta da Gesù. Egli non conosce l'uomo che sta lavorando, come dimostra l'apostrofe ' uomo! ', ma pensa che possa essere uno dei suoi seguaci. Dunque questi sono così numerosi che lo stesso Gesù non li conosce più singolarmente!ss Di solito si pensa che l'uomo stesse lavorando in un campo 59. Ma con questa supposizione del tutto gratuita ci si preclude la possibilità di comprendere l'episodio. Si suppone cioè che Gesù proclami beato quell'uomo - che sta arando o seminando o mietendo (ma si può pensare che avvenisse una cosa simile di sabato?) - semplicemente perché viola il sabato. No. Considerando tutto ciò che sappiamo sulla posizione assunta da Gesù nei riguardi del sabato, si può supporre che ciò che induce Gesù a proclamare quella beatitudine può essere soltanto il genere di lavoro che quell'uomo sta compiendo in giorno di sabato. Evidentemente per Gesù esiste la possibilità che quell'uomo compia un atto d'amore. Quindi possiamo pensare che egli stia portando qualcosa, nonostante la proibizione di portare pesi in giorno di sabato. Gesù si rivolge a lui con un'apostrofe recisa: ' uomo! ' (cfr. Le. 12,14). Non meno reciso è Vaut-aut che gli prospetta: « Se sai quello che fai, sei beato ». Se hai compreso perché io ho infranto il sabato quando ho guarito l'uomo dalla mano inaridita (Me. 3,1 ss. par.), la donna ricurva (Le. 13,10 ss.), l'idropico (14,1 ss.); se tu infrangi il sabato per soccorrere qualcuno, se sai che per i figli di Dio su ogni precetto sta l'amore, tu sei beato! Ma, o uomo, « se non sai ciò », se non sei autorizzato alla trasgressione, se ritieni che io permetta che i miei discepoli violino sconsideratamente la santità del giorno festivo e gli ordinamenti sacri, se agisci per leggerezza e impudenza, allora « sei maledetto e trasgressore della legge », sei reo di morte, meriti la lapidazione {Num. 15,355.)! Questo è Vaut-aut: di fronte alla M

II fatto stesso che quell'uomo ardisca di compiere un lavoro di sabato potrebbe essere una conseguenza dell'attività di Gesù. 59 Th. Zahn, Das Evangeliutn des Lucas, p. 273, n. 20.

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disposizione divina, alla sacra consuetudine, stanno due vie che si possono imboccare liberamente. L'una è la libertà sovrana, la libertà dei figli di Dio, la libertà di coloro che sono liberi nella loro coscienza perché vincolati dall'amore. L'altra è la libertà dei ribelli, la libertà di coloro che sono schiavi nella loro coscienza. Giacché con un accostamento a Rom. 14,23 si potrebbe dire che tutto ciò che non proviene dall'amore è peccato. - Sai tu ciò che fai? — chiede Gesù all'uomo. Tutto deve essere ricondotto al movente dell'azione. Sei libero nella tua coscienza, o sei schiavo? Questo brano che tratta di un'infrazione del riposo sabbatico ha un valore straordinario perché ci presenta la posizione assunta da Gesù nei riguardi del sabato sotto un aspetto tutto diverso da quello che troviamo nei racconti dei Vangeli canonici. La Chiesa primitiva, trovandosi a combattere contro il giudaismo e il fariseismo, ha tramandato anzitutto narrazioni di episodi nei quali Gesù sostiene la stessa lotta contro la fredda casistica che regolava l'osservanza del riposo festivo. Questo racconto dimostra qual è il principio fondamentale a cui s'ispira Gesù negli atteggiamenti da lui assunti di fronte al giorno festivo. Tale principio è presente in ogni brano in cui si narrano contrasti fra Gesù e i Giudei a proposito del sabato: esso promana dalla volontà di una genuina santificazione del sabato, Gesù dice: — può presentarsi il caso di uno, che, unito nell'intimo della coscienza al Dio vivente, infranga il sabato perché Dio lo incarica d'una azione suggerita dall'amore soccorrevole. Beato colui che infrange il sabato a questo modo! Ma chi lo infrange per leggerezza o indifferenza è maledetto. Questa è la decisa e impressionante concezione che Gesù aveva della santificazione del riposo festivo. Tre episodi, tre domande: - Come puoi dire: « Ho fatto la volontà di Dio »? - Sei puro, realmente puro? — Sai ciò che fai? —. Non avvertiamo qui qualcosa di ciò che provarono gli uomini che udirono per la prima volta quei racconti evangeli su Gesù che ci sono cosi familiari? 87

CAPITOLO

II

LOGIA APOCALITTICI DI GESÙ

Tutta una serie di agrapha tratta di avvenimenti escatologici imminenti. Sono logia destinati a preparare i discepoli di Gesù ad un futuro imminente. Che cosa sovrasta? Anzitutto tribolazione!

i. La grave situazione del seguace di Gesù Il Vangelo di Tommaso in lingua copta ha tramandato, come logion 82, il seguente agraphon: « Gesù disse: ' Chi è vicino a me, è vicino al fuoco; e chi è lontano da me, è lontano dal regno ' ». Pethèn ero; efhèn etsate auó petwèu immoj fwèu intm'ìntero 60. Conoscevamo già questo logion dagli scritti di Origene e di Didimo. Origene (morto nel 253/54) in una delle sue esegesi destinate al culto della comunità dice: « Ho letto in qualche luogo come logion del Signore (e mi chiedo se qualcuno abbia assunto il ruolo del Salvatore, o se abbia citato a memoria, o anche se sia vero ciò che è detto), comunque ivi il Salvatore diceChi è vicino a me, m

Evangelium nach Thomas, Leiden, 1959, 95,17-19

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è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal regno » 6 I . Dalla introduzione, molto contorta, che Origene premette alla citazione, sembra risultare che egli guardava all'agraphon con molto scetticismo. Ma le cose stanno diversamente. Origene attinse la citazione da una fonte scritta (« ho letto ») apocrifa (« in qualche luogo »). Si trattava senza dubbio del Vangelo di Tommaso. Che Origene conoscesse il Vangelo di Tommaso è dimostrato dal fatto che in una omelia su Luca egli giudica decisamente apocrifo quel Vangelo 62. Ma poiché in quell'occasione l'aveva rifiutato, non poteva in un'altra omelia designarlo come fonte attendibile a cui appoggiare la propria argomentazione 61. Quindi la cauta introduzione, che evita una espressa menzione del Vangelo di Tommaso e nel contempo presenta come affatto dubbia l'autenticità del logion citato, fu probabilmente suggerita non dal contenuto del logion, ma dal fatto che si trattava di una fonte extracanonica H . Ma che ad Origene il contenuto per se stesso apparisse non sospetto risulta dal fatto che in altro luogo egli cita senz'altro

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Origene, In leretn. hom. lat. I l i , 3 (p. 312,255. Baehrens [GCS 33]): Qui iuxta me est, / iuxta ìgnem est; / qui longe est a me, / longe est a regno. La prima parte del logion, introdotta da « scriptum est », si trova anche in Origene, In lib. Jesu Nave hom. IV, 3 (p. 311,22 Baehrens [GCS 30]): « qui approxìmant mihi, approximant igni». Cfr. A. Harnack, Der kirchengeschichtliche Ertrag der exegetischen Arbeiten des Origenes I, TU 42,3, Leipzig, 1918, p. 20. 62

Origene, In Lue. hom. I (p. 5,8 ss. Rauer2 [GCS 49]). " R. M. Grant e D. N. Freedman, Geheime Worte Jesu. Das ThomasEvangelium, Frankfurt am Main, i960, p. 86. 64 Anche in altri casi Origene, quando utilizza fonti apocrife, ha cura di mettere bene in chiaro, nell'introdurle, le sue riserve. Vedi ad es., per la citazione del Vangelo degli Ebrei, Ropes, p. 82, n. 1; della Doctrina l'etri, Ropes, p. 59; degli Atti di Paolo, Ropes, p. 61. Altri esempi in A. von Harnack, Der kirchengeschichtliche Ertrag der exegetischen Arbeiten des Origenes II, TU 42,4, Leipzig, 1919, pp. 36 ss. 90

come passo scritturistico la prima metà dello stesso logion 6 5 . Didimo Cieco di Alessandria (morto intorno al 398) ci tramanda del logion una redazione greca che corrisponde letteralmente al testo latino di Origene e al testo copto del Vangelo dì Tommaso 66. Eccola: ó lYfvc, [XOU, iyyvc, TOÙ Tivpóc,' ó Sé [xaxpàv àrc' Èpioù, (aaxpàv arcò TTJ<; pacaXetac 67. Didimo non cita la fonte dell'agraphon, ma non si può in alcun modo dimostrare che l'abbia attinto da Origene 6 S . È più probabile che anche Didimo, come Origene, l'abbia attinto da una edizione greca del Vangelo di Tommaso. Comunque non sembra possibile dubitare che Didimo abbia conosciuto questo Vangelo, dato che esso si diffuse in Egitto e in Egitto fu letto fino al sec. V avanzato, come viene con sicurezza dimo-

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V. p. 90, n. 61.

L'unica differenza tra il testo copto e il testo greco sta in questo: il primo collega i due logia mediante ' e ' (auó), il secondo li contrappone mediante 8é. Tuttavia il copto auó si può senz'altro spiegare come traduzione del gr. 8É. 67 Didimo, In Psalm. 88,8 (MPG 39 [1863], 1488 D). 68 La dipendenza di Didimo da Origene è stata sostenuta da A. Harnack, Vber einige Worte ]esu, die nicht in den kanonischen Evangelien stehen, SÀB 169, 1904, pp. 170-208, ivi p. 184), che ha trovato credito, senza un esame critico, fino ai tempi recenti (cfr. ad es., T. B. Bauer, Echte Jesusworte?, in W. C. van Unnik, Evangelien aus dem Nilsand, i960, p. 108IJO, ivi pp. 123). L'argomento fondamentale di A. Harnack (che mjpó<; in Origene sia lezione errata per *n:aTpó? e che Didimo abbia accolto l'errore) è risultato insostenibile dalle redazioni copta e siriaca del logion (v. sotto). Una prova convincente della dipendenza di Didimo da Origene non è nemmeno il fatto che ambedue introducono il logion come parola del ' Salvatore ' (Salvator - croJT^p), se si considera che questo modo di introdurre i logia di Gesù era assai diffuso e si riscontra anche nell'introduzione armena del nostro logion (v. sotto). Infine, poiché Didimo non cita espressamente Origene e presenta inoltre l'agraphon in tutt'altro contesto, una dipendenza di Didimo da Origene è indimostrabile. •or

strato dai codici della versione copta, scritti, al più presto, dopo il 400. Il manoscritto copto di Nag Hamadi, Origene e certamente anche Didimo rappresentano quindi la tradizione del nostro agraphon in una linea comune: quella del Vangelo di Tommaso. Una seconda tradizione, indipendente da questo Vangelo, si deve scorgere in una Spiegazione del Vangelo m giunta a noi in lingua armena, ma risalente a un originale siriaco. Tale Spiegazione, come indica il suo titolo, fu attribuita, a torto, ad Efrem siro. Essa è composta di tre trattati originariamente indipendenti, dei quali il secondo, che tratta « del perfetto discepolo e della perfetta direzione, illustrati con parabole e massime di Gesù » 7 0 e che risale probabilmente a prima del 430 d. C. 7 1 , contiene il nostro agraphon, espresso in questi termini: « Questo è ciò che ha detto il nostro vivificante Redentore: egli dice: ' Chi si avvicina a me, si avvicina al fuoco, e chi s'allontana da me, s'allontana dalla vita ' » 7 2 . Non sap-

69 Di questo scritto è stata data traduzione con commento da J. Schàfers, Eine altsyrische antimarkionitische Erklàrung von Parabeln des Herrn und zwei andere altsyrische Abhandlungen zu Texten des Evangeliums, NTA 6, 1-2, Munster, 1917. Nel trattare di questo scritto seguiamo le indagini condotte dallo Schàfers. " Schàfers, p. 225. n Ibid. " Traduzione dello Schàfers, p. 79. A p. 185 lo Schàfers, per consentire un confronto con Didimo, dà la seguente retroversione greca del testo armeno: arm.: or merienay ar is, ar hur merjenay. ew or beri è yinèn, beri é i kenac; gr.: 'Oc, iyyit,ti Tipòc; È[XÉ, Ttpòi; [TÒ] itìip lyyit,u. 3caì S<; (oppure: 8? Sé) \xaxpàv ÈffTiv àir'e[wù, p,<xxp<xv ÈCTW dmò [TTÌ<;] Ì^WTÌ^. . Questo testo differisce dalle redazioni che rappresentano il Vangelo di Tommaso specialmente perché al posto di ' regno ' dice ' vita '. J. B. Bauer, Das Jesuswort « Wer mir nahe ist », ThZ 1959, pp. 446-450, a questo riguardo fa osservare che anche nella predicazione di Gesù si trova la stessa equivalenza di concetti nelle locuzioni « entrare nel regno » e « entrare nella vita » (cfr. Me. 9,43.45 con 9,47; Mt. 19,16 con 19,23 s.). Secondo il Bauer, il logion « può benissimo essere un agraphon di Gesù in entrambe le forme » (p. 447). La lezione ' vita ' nel testo armeno può tuttavia dipendere dal contesto, il quale, immediatamente dopo la citazione dell'agraphon, parla della « lista della vita », nella

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piamo a quale fonte l'originale siriaco abbia attinto il logion. Sembra comunque da escludere che la fonte sia stata il Vangelo di Tommaso, giacché non è possibile scorgere nel trattato che contiene il nostro agraphon una utilizzazione di questo Vangelo. La testimonianza più antica del nostro agraphon si può trovare in una allusione del vescovo Ignazio di Antiochia, morto martire verso il n o . Nella lettera ai fedeli di Smirne egli scrive: « E perché ho consegnato anche me stesso alla morte, al fuoco, alla spada, alle fiere? - Ma (essere) accanto alla spada (significa essere) accanto a Dio, in mezzo alle fiere, in mezzo a Dio, - solo nel nome di Gesù Cristo! Per soffrire con lui sopporto ogni cosa, se egli me ne dà la forza » ". Il grido inserito come inciso echeggia cosi dappresso — nella prima parte letteralmente e nel suo insieme anche sostanzialmente - il nostro agraphon, che è molto difficile respingere l'ipotesi di una dipendenza. È probabile che Ignazio abbia conosciuto il logion che tratta dell'ardore dei patimenti e l'abbia applicato alla propria situazione. Anche la menzione del ' fuoco ' nella domanda introduttiva lo fa pensare. Ma poiché era in viaggio verso Roma per sostenervi il combattimento contro le fiere 74, Ignazio ha dato al logion una forma adeguata. quale « vogliamo essere iscritti » (cfr. anche la formulazione dell'introduzione). Poiché nello stesso contesto si parla anche della « aspirazione... alla porta celeste del regno », è ovvio supporre che l'autore dello scritto conoscesse l'agraphon in una forma corrispondente a quella del Vangelodi Tommaso. Che poi il testo armeno in luogo di « è vicino » legga « si avvicina », è colpa del traduttore: il verbo qereb, che sicuramente si trovava nel testo siriaco, può avere entrambi i significati: « avvicinarsi » e « essere vicino » (cfr. C. Brockelmann, Lexicon Syriacum, 2" ediz., Halle, 1928, p. 691 b). 73

Ign., Smyrn. 4,2: -ci 5è xal éauxòv gxSoxov 6É5wxa xy davàxy, T.pòc, ttùp, 7ipò^ nàxaipav, 7tpò<; frnpta; akX' ÈYYÙ? [xaxaipa<; ÉYYÙ? fteoù, [iEta|ù fhipiojv [XETaS-ù &EO0' uivov ÈV xtp òvóixaTi 'Irpoù XpicxoO. EÌr, TÒ a\j\ntaf)dv aùxy ixàvxa ÙTOUÌVOJ, oaixoù p.E Èv8uvapx>0vxo?... 74 Cfr. Ign., Eph. 1,2; Trall. io; Rom. 4,1.2; 5,2 s. Origene, In Lue. hom. VI (p. 34,25 ss. Rauer'); Ireneo, Adv. haer. V, 28,3 (parte II, p. 403 Harvey); Girolamo, De viris ittustr. XVI (p. 17,17 ss. Richardson [TU 14,1]) attestano che Ignazio fu effettivamente sbranato dalle fiere 93

Un parallelo molto prossimo — per lingua e per struttura formale - al nostro agraphon e che, a prima vista, potrebbe far pensare che l'agraphon non sia di origine palestinese, si trova in questo proverbio attribuito ad Esopo: « Chi è vicino a Zeus è vicino al fulmine » (è iyyòc, Aió^, lyyvc, XEpauvoù)75. Non sarebbe per caso il nostro agraphon un'attribuzione a Gesù di questo proverbio? L'ipotesi è insostenibile per diversi motivi: i) se, com'è molto probabile, Ignazio fa riferimento al logion di Gesù, l'attribuzione del proverbio a Gesù dovrebbe aver avuto luogo già prima di Ignazio. Ma è difficile concepire un fatto simile. 2) Lo stesso proverbio ci è stato tramandato in una silloge di sedici proverbi attribuiti ad Esopo, contenuta in un foglio del cod. Florentinus Laurentianus LVIII 24, risalente al sec. XIV d. C. 76 . Anche se la fonte da cui questa silloge deriva era già divulgata nel XI e forse anche nel X o nel IX sec. v , il proverbio risulta sempre attestato oltre mezzo millennio dopo il nostro agraphon. 3) Già in Sinesio di Cirene (370/75 - 413/14) 7 8 e nella silloge di proverbi79, che è attribuita a Diogeniano, contemporaneo di Adriano, ma che è da riportare a data più recente so , e più tardi anche nel Lessico di Suida (sec. X) 81 e in Michele Apostolios (sec. XV)82 si in Roma. Corpus Paroemiographorum Graecorum, ed. E. L. von Leutsch e F. G. Schneidewin, parte I, Gottingen, 1839; parte I I , Gottingen 1851; ivi II p., p. 228. - Aesopica I, ed. B. E. Perry, Urbana, Illinois, 1952, p. 290. Anche J. B. Bauer nel saggio, che abbiamo citato a p. 92, n. 72, rimanda ai proverbi greci citati sopra nel testo (pp. 448 ss.). 7 Aesopica I, p. 263. 77 lhid., p. 262. 78 Sinesio, De regno XI C (ed. N. Terzaghi, in Synesìi Cyrenensis Hymni et Opuscula, parte I I , Roma, 1944, ivi p. 24). 75 A. Pauly e G. Wissowa, Real-Encyclopàdie der classischen Altertums wtsst:tschaft V, Stuttgart, 1905, col. 782 s. (Cohn). '" Diogeniano V I I , 77 b, (Corpus Paroemiographorum Graecorum I, p. 300). " Suidae Lexicon, ed. A. Adler, in Lexicographi Graeci I, Leipzig, 1935, parte IV, nr. 2086 (p. 177 Adler). 12 Apostolios XIV, 65 (Corpus Paroem. Graec. I I , p. 620). 75

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trova la seguente locuzione proverbiale: « Lungi da Zeus e dal (suo) fulmine » (rcóppw Aiòc, TE XOÙ xepauvoù). L'interpretazione più sbrigativa di questo proverbio ci è data dallo (Pseudo -) Diogeniano: si tratterebbe di « una esortazione a guardarsi dal tiranno come dal fulmine » 83 . Anche Sinesio e il Lessico di Suida attestano che il senso del motto è questo: è meglio vivere in pace e sicurezza una vita tranquilla e modesta, piuttosto che pagare l'onore d'esser parente di un re o di un tiranno col pericolo continuo d'essere esposto alle sue insidie perniciose u . Questa forma del proverbio è attestata da Sinesio per il sec. IV e dallo (Pseudo-) Diogeniano per un'epoca ancora precedente. In essa dobbiamo vedere senza incertezze la sua redazione originaria, mentre la redazione assai più recente e attribuita ad Esopo costituisce una formazione secondaria, che deriva da influssi del nostro agraphon 85. Il risultato a cui siamo pervenuti, cioè che l'agraphon è attestato indipendentemente sia dal Vangelo di Tommaso per l'ambiente egiziano, sia dal trattato a noi giunto in lingua armena per quello siriaco, e che esso era già noto ad Ignazio, dimostra che in esso abbiamo una tradizione molto antica. Anche dal punto di vista del contenuto non c'è nulla che si possa 83

V. n. 80. J. B. Bauer, Das jesuswort « Wer mir nahe ut », ThZ 1959, pp. 448 s. ritiene che il senso originario del proverbio sia da ricercare nell'opinione secondo la quale « chi era colpito dal fulmine, veniva considerato prediletto da Dio, un uomo del quale Dio aveva preso possesso... ». Mancano tuttavia le prove che il proverbio sia mai stato così inteso. A fondamento del proverbio dovette stare semplicemente la credenza, comune dal tempo di Erodoto, che il fulmine fòsse l'arma di Zeus. Esso vuol dire semplicemente: è pericoloso stare vicino a Zeus. E allora Ja questione è di nuovo questa: il proverbio è mai stato inteso e usato in un senso traslato che non fosse quello che lo riferiva al re o signore? 85 L'ipotesi di J. B. Bauer {ibtd., p. 450; cfr. Echte Jesusworte?, p. 124) che Gesù si sia ricollegato a un proverbio ellenistico di senso religioso (cfr. n. 84) è difficilmente sostenibile per il fatto che il proverbio TOppw Ató^ TE xcù xepocuvoù per i tempi di Gesù non è attestato, e nella redazione simile al nostro agraphon (ò iyyùc, Aióc, iyyhc, XEpcrjvoù) è attestato soltanto molto tardi.

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obiettare a questo logion. Si avverte in esso l'eco di Me. 9,49 e 12,34 e, anche considerandolo dal punto di vista formale, si ha l'impressione che si tratti di un detto autentico di Gesù. Gesù ama esprimere il suo pensiero in antitesi nette come questa. La frequenza del parallelismo antitetico costituisce appunto una caratteristica del suo stile 86. Si aggiunga che nella retroversione in aramaico 8? si ottengono due stichi tetrarsici, con prevalenza del mem e la rima: indagini recenti hanno dimostrato che lo stico tetrarsico è uno degli elementi caratteristici delle istruzioni rivolte da Gesù ai discepoli 88 , e che egli amava usare l'allitterazione e l'assonanza 89 e forse anche la rima 9 0 . Ma ciò che soprattutto fa pensare all'autenticità del logion è che esso vuole trattenere da qualche cosa (Mi. 8,19 s. par.; 16,243. par.). Non sappiamo in quale occasione Gesù abbia pronunciato questo logion, che enuncia la grave situazione e la gloria di chi si pone alla sua sequela. Il contenuto fa pensare che esso sia stato rivolto a uno che si dichiarava disposto a seguire Gesù. Possiamo immaginare che questo individuo, preso da vivo entusiasmo all'annuncio della Buona Novella, si sia presentato a Gesù. Ma Gesù è molto freddo: - Hai pensato a ciò che fai? Essere vicino a me significa essere vicino al fuoco! -. Che s'intende dicendo ' fuoco '? Certamente, come dimostra il parallelismo delle due frasi, il fuoco escatologico! Il fuoco del quale Gesù dice: « Sono venuto a portare un fuoco sulla terra, e quanto desidererei che fosse già acceso! » (Le. 12,49). È il fuoco della prova, della tribolazione, della soffe86

Cfr. p. 84. Man diqerib 'ìmmi, qerìb 'im nura; / man dìrechìq minni, rechiq mimmalkuta. A un testo aramaico soggiacente al testo greco accenna anche la costruzione di u.axpàv con la preposizione dito, che corrisponde a un aramaico rechiq min. In greco di regola si trova la costruzione del semplice genitivo. Per [xaxpàv ornò TTJ? (3am)i.Eux<; cfr. Me. 12,34. 88 C. F. Burney, The Poetry of Our Lord, Oxford, 1925, pp. 112-130. "' M. Black, An Aramaic Approach to tbe Gospels and Acts, 2" ediz., 87

Oxford, 1954, pp. 118-142.

,0 C. F. Burney, o.c, pp. 161-175. - K. G. Kuhn, Achtzebngebet und Vaterunser und der Reim, WUNT 1, Tiibingen, 1950, pp. 30-46.

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renza (1 Petr. 1,7; Apoc. 3,18), che annuncia il regno che viene e del quale ogni discepolo di Gesù deve essere pervaso: « ognuno sarà salato con fuoco » {Me. 9,49). Ciò deve essere chiaro per chiunque si accosti a Gesù: la vicinanza a lui è pericolosa. Egli non promette la felicità e la gioia, ma l'ardore dell'afflizione, il crogiuolo della sofferenza. Essere discepolo di Gesù significa essere su una via che passa attraverso il fuoco, significa portare la croce, seguire il maestro nella via dolorosa. « Chi è vicino a me è vicino al fuoco ». Ti atterrisce il fatto, continua Gesù, che seguirmi significhi essere vicino al fuoco? Preferisci ritirarti? Allora sappi anche questo: « Chi è lontano da me è lontano dal regno ». Chi rifiuta di essere discepolo di Gesù, esclude se stesso dal regno di Dio! Il fuoco è semplicemente il tragitto alla gloria di Dio! Che l'interpretazione del fuoco come sofferenza sia giusta è comprovato, se mai ce ne fosse bisogno, da Ignazio, supposto che egli riferisca il nostro logion al martirio che lo aspettava. « Unicamente in nome di Gesù Cristo » e per patire con lui egli è pronto ad offrirsi alla morte e ad affrontare il fuoco, la spada e le fiere. In questa disposizione alla sofferenza lo conforta la certezza che « chi è vicino alla spada è vicino a Dio, chi è in mezzo alle fiere è in mezzo a Dio ».

2. Tutti devono passare attraverso la tentazione Tertulliano in De baptismo 20 scrive: « "Vigilate dunque e pregate', dice, 'per non cadere in tentazione' (Mt. 26,41; Me. 14,38; Le. 22,40). Quindi, penso, essi sono stati tentati perché si erano addormentati, cosicché abbandonarono il Signore quando egli fu catturato; e quegli stesso che rimase accanto a lui e fece uso della spada, lo rinnegò tre volte. Infatti precedentemente era stato detto anche: ' Nessuno può ottenere il regno dei cieli, 7

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che non sia passato attraverso la tentazione ' ». Neminem intemptatum regna caelestia consecuturum 91. Tertulliano è l'unico che riferisca questo logion citandolo espressamente come detto di Gesù; ma nella Didascalia e nelle Costituzioni apostoliche esso viene citato (in forma alquanto diversa) 92 come passo scritturale, o come « parola della voce di Dio », ecc.93. Ma ciò che induce ad attribuire importanza alla notizia di Tertulliano è il fatto inconsueto che egli ci fa sapere in quale contesto evangelico si trovava il logion: nel racconto della passione, e precisamente poco prima dell'episodio del Getsemani. In realtà Gesù, secondo il racconto dei Vangeli, ha parlato a questo punto delle tentazioni in cui i discepoli si vennero a trovare con lui (Le. 22,28), della tentazione che in particolare minacciava Pietro (22,31 s.), dello scandalo che tutti i discepoli avrebbero patito (Me. 14,27; Mt. 26,30) e della prossima rinnegazione di Pietro (Me. 14,30 par.). In questo contesto il nostro logion si troverebbe perfettamente a posto. L'indicazione della fonte ci sembra un fatto così rilevante che riteniamo di dover riconoscere nel logion un'antica tradizione. A favore di questa interpretazione sta anche la stretta, intima affinità con l'agraphon discusso a pp. 89 ss.; i due logia hanno appunto lo stesso contenuto. Tuttavia non è possibile che Tertulliano, per un errore di memoria (v. pp. 50 s.), abbia citato come logion della passione di Gesù un passo come quello di Iac. 1,12 (cfr. 13) M ? Gesù, parlando del regno dei cieli e della tentazione, ha dato a questi due termini un significato tutto diverso da quello che " Tertulliano, De baptismo XX, 2 (p. 294,9 ss. BorlefTs [CChr I, 1]). Didascalia lat. II, 8,2 (p. 44,4 s. Funk): Dicit enìm scriptura: Vir, qui non est temptatus, non est probatus a Deo. Idem in greco nelle Const. apost. II, 8,2 (p. 45,4 Funk): Xiyv, yàp T) YpafpVi • 'Av-fjp à8óxifxoi; à7iEipa(7T0<; uapà xy fteiji (= agli occhi di Dio). 93 Resch, pp. 130 s., riporta otto citazioni del nostro logion; le formule introduttive sono varie. 94 K. Kòhler, Das Agraphon bei Tertullian de baptismo cp. 20, ThStKr 1922, pp. 169-173, contesta, a torto, la presenza di un qualsiasi agraphon. 52

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essi hanno nel nostro linguaggio corrente. Quando parlava del regno dei cieli egli pensava all'istituzione della regale signoria di Dio instaurata col ritorno del Figlio dell'uomo e con l'annientamento di Satana. E quando parlava della tentazione egli pensava all'estrema tentazione a cui Satana sottopone il mondo. Questo è anche il senso che ha il termine ' tentazione ' nel logion del Getsemani citato da Tertulliano: « Vigilate e pregate perché non cadiate nella tentazione » {Me. 14,38). Non s'intende soltanto la tentazione contro la fede provocata nei discepoli dalla passione e dalla morte di Gesù, ma s'intende anche la grande tentazione mondiale, l'inizio dell'afflizione escatologica, l'attacco di Satana ai santi di Dio 95. Tutto è imminente: la passione e la morte di Gesù sarà il preludio, seguiranno il martirio dei suoi seguaci, la manifestazione di Satana nel santuario e tutti gli altri orrori dell'estrema tentazione. Per i discepoli di Gesù è giunto il tempo di vigilare e pregare per non cadere nella tentazione. Secondo Tertulliano, il racconto della passione riferiva che già in precedenza Gesù, probabilmente sulla via del Getsemani, aveva parlato della tentazione: «Nessuno può ottenere il regno dei cieli, che non sia passato attraverso la tentazione». Tutto l'accento cade su 'nessuno'. Per tutti l'esistenza della tentazione è la condizione per essere ammessi al regno di Dio. Quindi nessuno pensi che gli venga risparmiata la prova: Dio vuole che il suo regno venga attraverso le sofferenze e che la via che ad esso conduce passi attraverso la tentazione e la prova. Questo ' nessuno ' vuole essere un intimo conforto per i discepoli, nel caso che essi tremino per tema del futuro. Essi devono sapere che non esiste altra via per giungere al regno, che non sia quella che passa attraverso il fuoco. Soltanto a chi " Per la concezione escatologica del termine peirasmós cfr. C. H. Dodd, The Parables of the Kingdom, 2a ediz., London, 1936, p. 166, n. 1, in relazione e in polemica con M. Dibelius. Cfr. inoltre E. Lohmeyer, Das Vater-unser, 4" ediz., Gottingen, i960, p. 144. - J. Jeremias, Die Gleichnisse ]esu, 7a ediz., Gottingen, 1965, pp. 40 s., 52.

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persevera è riservata la promessa %.

3. Il preannuncio di scismi S. Giustino martire, nel cap. 35 del suo Dialogo col giudèo Trifone, dice: « Infatti egli (Cristo) ha detto: ' molti verranno in nome mio (Mt. 24,5), fuori in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci ' (Mt. 7,15)- Inoltre: 'Vi saranno scismi e lotte di parte ' ». "Effovxai, axiapaxa xaò oàpÉcrsu;9?. Fin dall'antichità la rottura di ogni vincolo e di ogni ordinamento è considerata, in Oriente, come contrassegno dell'era 96

Cfr. Me. 13,13: « (Soltanto) chi resiste fino alla fine, Dio lo salverà »; (per l'integrazione di ' soltanto ', che spesso manca in aramaico, cfr. J. Jeremias, Die Gleichnisse Jesu, cit., p. 36, n. 3). Si può anche porre la questione se non esista contraddizione tra il nostro agraphon, il quale dice che nessuno può evitare la tentazione, e il logion del Getsemani: « Pregate per non entrare in tentazione » (Me. 14,38). Secondo una diffusa interpretazione il logion del Getsemani (come il Pater noster) chiede appunto che si sia risparmiati dalla tentazione (così recentemente anche E. Lohmeyer, Das Vater-unser, p. 136). Ma ci si chiede: è possibile intendere Me. 14,38 e la sesta domanda del Pater noster come richieste di essere risparmiati dalla tentazione? Per intendere il linguaggio di queste preghiere può giovare molto una contemporanea preghiera del mattino e della sera, a noi giunta, nella quale si dice: « Non condurre il mio piede in potere del peccato e non guidarmi in potere della colpa, né in potere della tentazione, né in potere della turpitudine » (b. Ber. 60 b). L'orante chiede quindi di non cadere in potere del peccato, della colpa, della tentazione, della turpitudine. Quindi non chiede di essere risparmiato dalla tentazione, ma di poterne uscire indenne. La stessa cosa avviene nella sesta domanda del Pater noster. Ciò risulta chiaro non appena si comprenda che essa in Matteo costituisce un tutto unico con la settima domanda. La richiesta negativa: « Non c'indurre in tentazione » è spiegata da quella positiva: « M a liberaci dal maligno». Anche qui dunque non si chiede di essere risparmiati dalla tentazione, ma di uscirne indenni. Lo stesso avviene in Me. 14,38. Quindi non esiste alcuna contraddizione col nostro agraphon. Cfr. J. Jeremias, Das Vaterunser im Lichte der neueren Forschung, Calwer Hefte 50, Stuttgart, 1962, pp. 26-28. 97 Giustino, Dial. 35,3 (p. 130 Goodspeed). IOO

del terrore, precedente l'era della salvezza; quindi nell'apocalittica tardo-giudaica è un segno precursore della fine. Si ricordino le parole con le quali Gesù, in accordo con Mich. 7,6, preannuncia la frattura dei più intimi legami familiari: « Io sono venuto per separare i figli dai padri, le figlie dalle madri, le nuore dalle suocere, e nemici dell'uomo saranno i suoi stessi coinquilini » (Mt. 10,35 s -)- H nostro agraphon è forse soltanto una formulazione libera del logion di Gesù testé citato (Mt. ro,35 s.), formulazione suggerita dalla considerazione delle esperienze compiute dalla Chiesa primitiva (« lotte di parte »), o una profezia derivata da 1 Cor. 11,18 s. e posta in bocca a Gesù? Oppure questo agraphon, che in sé non contiene nulla di specificamente cristiano, è un detto dell'apocalittica tardo-giudaica, attribuito erroneamente a Gesù? A congetture del genere si contrappongono le testimonianze riguardanti l'agraphon. Esso si legge non soltanto in Giustino, ma anche nella Didascalia siriaca (« Come anche il Signore e Salvatore nostro disse: ' V i saranno lotte di parte e scismi' ») 9i , e le Omelie pseytdoclementine ricordano due volte che il Signore ha preannunciato lotte di patte ". Il fatto che tutte e tre le fonti sono indipendenti 10° mostra che si tratta di una tradizione antica. In tale annuncio con ' scismi ' s'intende la disgregazione della schiera dei discepoli, con « lotte di parte » i conflitti nell'interno della comunità: l'uno e l'altro preannuncio, come abbiamo detto, non hanno in sé nulla di specificamente cristiano. Pure, a proposito di questo agraphon avviene ciò che suol avvenire per molti altri logia apocalittici dal Nuovo Testamento, che trattano dei segni premonitori della fine: ciò che a prima vista appare come un luogo comune, ad un più attento esame rivela le sue caratteristiche cristiane. Nel nostro caso tale caratteristica risulta evidente non appena ci si chiede 58 Didascalia syr. VI, 5,2 (p. 310,3 s. Funk; p. 178 Gibson). " Hom. Pseudoclem. II, 17,4 (p. 42,11 Rehm [GCS 42]); XVI, 21,4

(p. 228,11 s.).

™ Resch. p. 359. IOI

quale sia la causa degli scismi e delle lotte che vengono preannunciati: essi hanno luogo a causa della comparsa di pseudoprofeti (Afe. 13,5 s. 22 s.). Ben a ragione, al nostro logion Giustino fa precedere Mt. 24,5 e 7,15. I falsi profeti trovano fede a seguaci... nella comunità di Gesù! Questo è ciò che fa inorridire! La tentazione escatologica si presenta sotto molteplici aspetti: dall'impiego della potenza bruta alla seduzione dello spirito. Ciò che rivela lo stile di Gesù è la gravità tutta particolare con cui egli mette in guardia dai falsi profeti, lupi in veste di agnelli, Satana in veste di Salvatore. Molti saranno vinti dal fascino di voci bugiarde, inebbriati dall'entusiasmo, e la schiera dei discepoli di Gesù si dividerà e molti cadranno. Gesù ammonisce: « Ecco, io vi ho predetto tutto » (Me. 13,23).

4. Un grido di fronte all'estremo pericolo Uno gnostico egiziano del sec. II, Teodoto, discepolo di Valentino, tramanda il seguente agraphon: « Perciò dice il Salvatore: ' Salva te stesso e la tua vita! ' ». Stp^ou cu xaì, T) IJAJXT) COU 1W-

Questo logion si ricollega strettamente a Gen. 19,17, dove Lot riceve l'ordine: « Salvati! Ne va della tua vita! » (lett.: « Salvati a motivo ('al) della tua vita! »). Si noti che qui non abbiamo alcuna utilizzazione dei LXX (cy^wv crcp^E TTJV CECCUTOÙ 4/UXTQV). Fa pensare che si tratti di una tradizione antica anche il fatto che, a quanto dicono i Sinottici, Gesù si è notevolmente occupato del racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen. 19; cfr. Mt. 10,15 Par-> Le. 10,12; Mt. 11,23 s.; Le. 17,28-32; cfr. Me. 9,49; Le. 12,49) e che, secondo Le. 17,31 s., egli si è riferito in particolare all'episodio in cui Lot e la sua famiglia sfuggono alla pioggia di fuoco. Il nostro agraphon si inserisce quindi in un ben definito mondo di immagini nell'ambito della tradizione di logia escatologici. "" Clem. Aless., Exc. ex Theod. 2,2 (p. 56 Sagnard [SC 23]). 102

Il laconico comando: « Salva te stesso e la tua vita! » richiama gli ascoltatori alla vicenda di Lot che fugge da Sodoma già votata alla distruzione. « Con le mani sul capo » (vale a dire: avendo abbandonato ogni sostanza)102 Lot e la sua famiglia dovettero un giorno fuggire per salvare la loro vita. La stessa cosa avverrà, dice Le. 17,31 s., quando avrà inizio l'estrema catastrofe: « In quel giorno, chi è sul tetto 103 e ha le sue cose in casa, non scenda a prenderle, e chi sta nei campi non ritorni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot! ». Ciò significa che nella fuga di Lot e della sua famiglia da Sodoma Gesù ha visto l'immagine della fuga escatologica. Tale immagine, che già echeggia nella predicazione del Battista (Mt. 3,7 par.) e si rinviene poi in tutti e tre i Sinottici {Me. 13,14-18 par.; Mt. 23,33; Le. 17,31 s.) e ritorna infine nelPApocalisse di Giovanni (12,6.13 ss.), s t a anche alla base del nostro agraphon. La trattazione più dettagliata della fuga escatologica si trova nella cosidetta Apocalisse sinottica di Me. 13, che è sì una composizione della comunità primitiva, ma ottenuta con logia di Gesù. I giorni della tribolazione, dice Me. 13, non porteranno soltanto persecuzioni e tentazioni (cfr. i logia a pp. 89 ss.; 97 s.; 100 s.) ma anche ciò che è più orribile e che viene indicato appresso: «l'orrore della desolazione» (Me. 13,14), Satana sul trono di Dio! Cessa il culto di Dio, il santuario è desolato. «Ma quando vedrete l'orrore della desolazione stare là dove non può stare — chi legge presti attenzione - allora {Me. 13,14)... », e qui la descrizione s'interrompe: non si aggiunge parola, la rapida allusione è abbastanza eloquente. Una cosa sola resta ora da dire, da ripetere, da inculcare in locuzioni sempre nuove: l'esortazione: ' Fuggite! '. « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi è sul tetto non scenda né vada a prendere qualcosa da casa, e chi è nel campo non ritorni a 112

;'. Sanh. 10,9, 29 d.

103

Nelle calde notti d'estate si dorme sul tetto. 103

riprendere il suo mantello. Guai alle donne gravide o lattanti in quei giorni (quanto saranno impacciate nella fuga)! Pregate poi che ciò non avvenga d'inverno (quando, dopo l'estate asciutta, ha inizio la stagione delle piogge e le strade sono impraticabili: ciò che ostacola la fuga)» (Me. 13,14 b -18). Vediamo: Il testo non ci dà alcuna indicazione di ciò che è causa del terrore, ma solo e sempre ripete: « Fuggite, fuggite senza esitazione, non arrestatevi per nessun motivo, evitate anche la più piccola perdita di tempo! Satana sul trono di Dio, reclamante onori divini è un fatto così orribile, così inaudito che di fronte ad esso rimane solo la fuga ». Perché? Quando Lot fuggì da Sodoma il comando fu: « Salvati! Ne va della tua vita » (Gen. 19,17). Ma anche nella fuga escatologica ne va della vita: gli sgherri di Satana incalzano i fedeli che si rifiutano di adorarlo. Questa volta però si tratta di qualcosa di più della vita terrena, si tratta della vita nel senso pieno del termine! La manifestazione di Satana segna l'ora della grande defezione. Non le guerre, le catastrofi naturali, le carestie, non le persecuzioni, le inquisizioni, i maltrattamenti, non le false dottrine, il fanatismo religioso e le delazioni (Afe. 13,5-13), ma la grande defezione segna l'ora della grande tentazione che avverrà su tutta la terra. È in vista di essa che Gesù dice: « Pregate per non cadere in (potere della) tentazione» 104 (Me. 14,38). Il pericolo per le anime sarà allora così terribile, che per tutti coloro che abitano nell'ambito del santuario (Me. 13,14) indugiare vorrebbe dire soccombere. Quindi l'unica cosa importante è questa: fuggire da tutto ciò che può trascinare alla defezione! Nessun patteggiamento! Nessun compromesso! Fuggite! Il nostro agraphon è dunque un grido di fronte all'estremo pericolo. L'estrema grande prova è alle porte. « Il Salvatore dice: ' Salva te stesso e la tua vita! ' ».

V. p. 100, n. 96. 104

•). Il ritorno del Signore Ma l'ultima parola non spetta alla tribolazione, alla falsa dottrina, a Satana: l'ultima parola spetta al Signore quando ritornerà. Di lui tratta un logion, che è il più antico di quelli non tramandati dai Vangeli canonici: 1 Thess. 4,16-17 a. L'anno 49, quindi molto prima della redazione dei nostri quattro Vangeli, l'apostolo Paolo si richiama al seguente logion del Signore: 16 «Il Signore scenderà dal cielo con comando, grido d'arcangelo e tromba di Dio. E prima risorgeranno i morti in Cristo m. 17 Poi noi vìventi, noi che siamo rimasti, insieme con loro saremo rapiti in alto sulle nubi, nell'aria, per incontrare il Signore » 106. 16 AÙTÒq è x\ipt,o£ év XEXEUCTIJUX-CI,, év cpcjovfj à p x a Y T ^ 0 U xaì, ÈV aàXmYY 1 ' fr£°ù xaTaSrio'EToa alt' oùpavoù, xaì, oì vexpoì, év XpicnràJ àvaa-rriffovToa -rcpWTOV, 17 ETTEITO, r\\xzic, oì, Z&vtzc, oL •Kspikei'KÓixzvoi ap,a crùv a ù t o ù ; àp7taY'na'ó[Ji£fra ÈV vzq>i\a.ic, tic, à-reàvTTicnv TOÙ xupiou tic, aspa. Paolo trasmette questa breve apocalisse alla comunità di Tessalonica per liberarla da un'angoscia tormentosa. La giovanissima comunità, fondata appena da qualche settimana, era rimasta addirittura sconvolta per la morte di uno o di alcuni dei suoi membri, perché temeva che i confratelli defunti non potessero partecipare al glorioso ritorno di Cristo. Paolo cerca di dissipare questo timore coi versetti che abbiamo riferiti, dai quali risulta che, secondo le parole di Gesù, « noi viventi, ,05

Oì VExpoì Èv Xpicrxtji indica, come oì JCOI,|JIIQ&ÉVT£<; èv XpiffTtI) (1 Cor. 15,18), i cristiani defunti. L'assenza dell'articolo davanti a év XpiffTip, attributo preposizionale posposto, si spiega in quanto qui oì VEXpoi ha valore verbale (B. Rigaux, Les Épitres aux Thessalonicìens, Paris, 1956, p. 545) = « coloro che sono morti ». ,06 Per quanto concerne la delimitazione, si è riconosciuto giustamente che 105

che siamo rimasti fino al ritorno del Signore, non preverremo affatto coloro che si sono addormentati » {1 Thess. 4,15). Certo Gesù non può aver formulato questo logion esattamente come noi lo possediamo; anzi la tradizione deve aver agito sulla sua formulazione almeno in tre punti: 1) la locuzione introduttiva <XIÌTÒ<; Ó xupio<;, che non s'addice in bocca a Gesù, è stata probabilmente sostituita da Paolo all'originale ó mòc, TOÙ àvfrpómou; 2) l'espressione tipicamente paolina, év Xpio-rw deve essere stata aggiunta da Paolo; 3) anche la prima pers. plurale nel v. 17 risale probabilmente alla tradizione o all'Apostolo. Inoltre, poiché il nostro logion non ha una corrispondenza esatta nei Vangeli, si tende in vario modo a considerarlo un passo apocalittico attribuito a Gesù 107, o un logion del Signore glorioso m. Paolo però era convinto, come è dimostrato dalla locuzione év Xóyw Kupiou (v. 15)109, di trasmettere un logion del Gesù ' storico '. Ci si può quindi chiedere se, a prescindere dai mutamenti di cui abbiamo fatto menzione, si può considerare possibile che Gesù abbia dato una tale descrizione della parusia. A questa domanda si deve rispondere affermativamente: infatti che Gesù abbia pronunciato frasi apocalittiche è fuor di dubbio. Il parallelo più prossimo è dato dalla descrizione della parusia che si trova in Mt. 24,30 s. (che amplifica leggermente Me. 13,26 s.), nella quale pure, in accordo con Dan. 7,13, si parla della venuta dal cielo, della scorta celeste (n.£Tà SuvàLXEto^ xaì SÓ1;T)<; uoXXfjc;), degli angeli, della grande tromba, delle nubi e della sorte degli eletti. Nel caso che in 1 Thess. 4,15 abbiamo una ricapitolazione anticipata dell'Apostolo (si osservi particolarmente la frattura dello stile tra il v. 15 [stile epistolare] e il v. 16 [stile apocalittico], cfr. M. Dibelius, An die Thessalonicher, HNT 11, 3° ediz., Tùbingen, 1937, p. 25 s.); così anche le ultime parole del v. 17 (xaì. OUTW£ TOXV-COTS aw xupico Ècró[j.sSa) possono essere

una chiusa paolina. In questo modo il logion del Signore comprenderebbe i vv. 16-17 a-

107 M. Dibelius, An die Thessalonicher, p. 25. '0! W. Michaelis, Die apokryphen Schriften zum Neuen Testament, 2a ediz., Bremen, 19^8, p. 6. 109 G. Kittel, art. XÉyco D, in ThW IV, 1942, pp. 105 s.

106

la descrizione che abbiamo in i Thess. 4,16 s. risalga a Gesù, non ne conseguirebbe necessariamente che egli stesso già considerasse il punto di vista che ha importanza per Paolo, cioè che i morti, in quella occasione, non sarebbero stati svantaggiati. Ma non è da escludere. Infatti dal libro IV di Esdra, dove il veggente chiede se la salvezza venga concessa soltanto a coloro che giungono alla meta (5,41; l'impressionante risposta suona: «Il mio giudizio è simile a un girotondo: gli ultimi non sono di dietro, i primi non sono davanti »; 5,42), risulta che la domanda era, per così dire, nell'aria. A Gesù l'occasione per pronunciarsi sulla questione può essere stata offerta dalla profezia, da lui fatta, che alcuni dei suoi discepoli avrebbero subito il martirio (Me. 8,34 s.; 10,39; I 3 . 1 2 s -; Mt. 10,28; 24,9; loh. 16,2). Ma, come s'è detto, non ne consegue necessariamente che il nostro logion, nel caso che sia autentico, consideri soprattutto il destino dei martiri; il -rcpÙTov di 1 Thess. 4,16 potrebbe essere stato particolarmente accentuato da Paolo. Dato che anche per l'immagine del rapimento sulle nubi si hanno paralleli rabbinici u0 , nella descrizione della parusia in 1 Thess. 4,16 s. - a prescindere dalle menzionate modifiche riguardanti la formulazione — è difficile scoprire un solo tratto che non sia pensabile in bocca a Gesù. In un potente trittico Pagraphon rappresenta il ritorno di Cristo. Ci si serve qui di una rappresentazione dedotta dal cerimoniale a cui si ricorreva nell'Oriente antico in occasione del ricevimento del re. Le tre immagini dipingono avvenimenti che si susseguono con la massima rapidità. La prima è un'immagine militare. Il Figlio dell'uomo [Dan. 7,13) appare in cielo scortato da più di dodici legioni di angeli, pronti al suo comando. Lo squillo che dall'ultima tromba divina traggono gli angeli al comando di Cristo - questa è la seconda immagine - chiama i morti dalla tomba. (Nel tardo giudaismo è diffusa l'immagine dei morti che nel giorno della risurrezione avanzano a schie"° Bulerbeck I I I , pp. 635 s. 107

re111; anche secondo i Cor. 15,23 i cristiani defunti sono la prima schiera dei risorti). Ed ora - questa è la terza, fondamentale immagine - coloro che appartengono a Cristo, risorti e sopravvissuti, vengono rapiti insieme su nell'aria, per fare da scorta d'onore m al re che scende dal cielo.

6. State preparati! L'attesa del ritorno di Cristo significa che la sua comunità è invitata a stare preparata. Ciò viene espresso da un agraphon tramandato nel Liber Graduum siriaco: « Come sarete trovati, così sarete portati via ». Ak

d"teschtakechun

tetdalfrun

1U

.

Questo logion, che finora non era mai stato preso in considerazione dagli studiosi, trova corrispondenza in un agraphon che ci è stato trasmesso da S. Giustino martire (morto intorno al 165), il quale nel suo Dialogo col giudeo Trifone, per giustificare l'opinione che Dio considera peccatore chi dal suo timore e dalla giustizia è precipitato nell'ingiustizia e nell'ateismo, scrive: « Perciò il Signor nostro Gesù Cristo ha detto: ' Dov'io vi trovi ivi vi giudicherò ' ». Iv ole, <xv ò[xàc, x<XTa)ià@to, EV TOUTOK; x a i xpivw

.

111 Ad es., Sifre Deut. 355 a 33,21; Targ. Jer. I, II Onqelos Deut. 33,21; cfr. J. Jeremias, art. Mwucrfj<; in ThW IV, 1942, p. 861,15 ss. 112 E. Peterson, Die Einholung des Kyrios, ZSTh 1930, pp. 682-702. 113 Liber Graduum, Serm. I l i , 3 (col. 49,26 s. Kmosko [PS I, 3]), dove poco oltre s'incontra unito a un altro agraphon (col. 52,7 s.), e XV, 4 (col. 244,15 s.}. Cfr. anche Serm, XXIV, 2 (col. 720,13): ak demeschlekach nasch metdebar. 114 Giustino, Dial. 47,5 (p. 146 Goodspeed).

108

Con qualche lieve differenza di forma ll5 questo logion è citato anche da Clemente Alessandrino (morto prima del 215) H6 e, dopo di lui, assai spesso dai Padri della Chiesa greci e latini 117. Alcuni autori lo riportano in terza persona. Ciò che più sorprendeva era che nei luoghi fino allora noti l'agraphon venisse attribuito expressis verbis a Gesù soltanto da Giustino; gli altri autori - primo Clemente Alessandrino — lo citano prevalentemente senza precisarne l'origine, anche se il contesto dimostra senza possibilità di equivoco che come soggetto s'intende Dio. Le pseudoatanasiane Quaestiones ad Antiochum (sec. V [ ? ] ) " 8 , la Vita del vescovo Giovannicio, morto nell'846 119 ed Elia di Creta (sec. X)120 lo presentano come logion pronunciato da Dio per mezzo di un profeta, e la traduzione che Evagrio di Antiochia fece intorno al 375 della Vita S. Antonii di Atanasio m, come anche Giovanni Climaco (morto intorno al 6 4 9 ) m , l'attribuiscono al profeta Ezechiele. Lo stato dell'indagine dell'agraphon che abbiamo presentato ha indotto gli studiosi a pensare che il logion di Giustino sia stato erroneamente attribuito a Gesù e che in realtà appartenga all'apocrifo Libro di Ezechiele 123. E la ragione fondamentale sarebbe che non si riesce a comprendere come mai si sia perduto 115 Eccettuata la redazione poetica che si trova in Giovanni Geometra (la quale ha EXW), in luogo del verbo xaxaXau.pdcvEiv si trova una forma di EÙptcxeiv o di invertire. 116 Clemente Alessandrino, Quis dives salv. 40,2 (p. 186,12 s. Stahlin [GCS 17]). '" Rescb, p. 102, 322 ss., adduce ben 18 testimonianze, oltre Giustino e Clemente. 118 Quaest. ad Ant. (MPG 28 [1887], 617 C). 119 Vi rimanda il Ropes, p. 137, il quale, a sua volta, attinge il rimando da A. von Harnack. Sulle tre Vite di Giovannicio cfr.F.Halkin, Bibliotbeca Hagiographica Graeca, 3 a ediz., parte I I , Bruxelles, 1957, p. 35. 120 Elia di Creta in Ius canonicum Graeco-Romanum (MPG 119 [1881], 989 C). m Vita S. Antonii 18 (MPG 26 [1887], 869; MPL 73 [1860], 136 A). 122 Giov. Climaco, Scala Paradisi, gradus V I I (MPG 88 [1864], 812 D). m Così, dopo altri (v. Ropes, p. 139) anche K. Holl, Das Apokryphon Ezechiel, in Gesammelte Aufsàtze zur Kirchengeschicbte I I , Der Osten,

109

completamente il ricordo della provenienza da Gesù di un logion sì spesso citato, e come sia stata generalmente accettata, relativamente alla sua origine, una tradizione meno importante. Sorprende però che Giustino, che è il testimone più antico, attribuisca espressamente il logion a Gesù; inoltre l'attribuzione all'apocrifo Libro di Ezechiele non è che un'ipotesi: quest'opera non ci è giunta e l'assegnazione ad essa dei quattro frammenti124 è quanto mai incerta. L'agraphon che abbiamo citato al principio di questo paragrafo offre ora l'occasione per un riesame del materiale. Infatti esso, che è citato in tre passi del siriaco Liber Graduum 125, corrisponde senza alcun dubbio al logion trasmessoci da Giustino. Che nel Liber Graduum il logion « Come sarete trovati, così sarete portati via » sia inteso come parola del Signore, risulta in Serm. III,/3 (col. 49,265.) dal contesto, in III, 3 (col. 52,7 s.) e XV, 4 (col. 344,15 s.) dal fatto che esso è introdotto come parola del « Signore », termine che nel linguaggio caratteristico del Liber Graduum può significare soltanto Gesù. Abbiamo così una seconda testimonianza che si tratta di un logion di Gesù. Un'altra attestazione a favore della derivazione da Gesù l'abbiamo infine in Cipriano (morto nel 258) m, che lo riporta in questa forma: Qualem te invenit Dominus cum vocat, talem pariter et iudicat. Qui infatti con Dominus si vuol indicare Gesù, come è dimostrato dal seguito della frase quando ipse testetur et dicat, che introduce la citazione di Apoc. 2,23 ir''. Abbiamo dunque tre testimonianze antiche, tra loro indipendenti, che attribuiscono il nostro agraphon a Gesù: Giustino (prima del 165), Cipriano (prima del 258) e il Liber Tubingen, 1928, pp. 33-43, ivi pp. 40 s.

121

V. K. Holl, op. cit. pp. 35S. - P. Riessler, Altjiidisches Schrifttum ausserhalb der Bibel, Augsburg, 1928, pp. 334-336. 125

126

V. p. 108, n. 113.

Cipriano, De mortalitate 17 (p. 308,4 s. Hartel [CSEL 3,1]). 127 Anche negli altri passi dell'opera di S. Cipriano De mortalitate, nei quali ricorre il termine Dominus, esso significa sempre Gesù; cfr. capp. 2.3.5.11.18.24. no

Graduum siriaco (prima metà del sec. IV), nel quale il logion risale probabilmente ad un'antica tradizione siriaca 128. A questa testimonianza si contrappone tuttavia il gran numero delle restanti attestazioni129. Ma già il Ropes aveva formulato l'ipotesi che tutte queste testimonianze posteriori, fatta eccezione per Cipriano m, dipendessero, direttamente o indirettamente, da Clemente o dalla Scuola alessandrina m. Ci dobbiamo quindi chiedere come si possa spiegare che Clemente Alessandrino abbia inteso il nostro logion genericamente come parola di Dio e gli autori successivi l'abbiano attribuito al profeta Ezechiele. Una risposta a questa domanda si può avere se si confronta la redazione che dell'agraphon abbiamo in Giustino con quella che abbiamo nel Liber Graduum. Ciò che sorprende nella redazione siriaca è che da un lato Gesù non parla in prima persona, e che, dall'altro, il logion non accenna a un giudizio di Gesù, ma a un « esser portati via ». Senza dubbio la redazione del Liber' Graduum è più antica. Qui infatti il logion non reca ancora i segni della cristologia comunitaria, ma parla semplicemente della fine irrompente e del significato che essa ha per gli uomini su cui sopraggiunge. Indizio della sua antichità sono anche i costrutti passivi coi quali si indica l'opera di Dio, attuata mediante i suoi angeli m: « Come gli angeli di Dio vi troveranno », quando saranno inviati a scegliere e a raccogliere gli uomini per il giudizio 133, « così vi porteranno via ». In Giustino il logion è pronunciato in prima persona da Gesù stesso e accenna alla sua parusia; non sono più gli an-

128

Le citazioni canoniche ed extracanoniche del Liber Graduum siriaco attendono ancora di essere sottoposte ad un esame approfondito, ma pare rappresentino antiche tradizioni siriache. 129 V. p. 109 s. 130 II Ropes lo nota con un punto interrogativo. 01 Ropes, p. 138. 132 Cfr. in Mt. 25,32 il passivo perifrastico <7uvGcxdT]
geli che, per conto di Dio, operano la cernita, ma è lo stesso Cristo glorioso, che ritorna in veste di giudice universale. Corrispondentemente 1' « esser portati via » è diventato un « esser giudicati ». In questa redazione in prima persona il logion si è poi diffuso. Così esso si presenta in una formulazione che ha stretti contatti con frasi di Ezechiele, in particolare con Ez. 33,20: EXGCCTTOV év tale, ò8oì<; GCÙTOO xpivco ù[xà<;. Già lo stesso Giustino nel citarlo rimanda a Ez. 33,12-20, e anche S. Girolamo (morto nel 419/420), che lo riporta in una citazione non letterale, vi accenna collegandolo direttamente a Ez. 33,12 ,34. L'affinità di contenuto ha probabilmente offerto a Clemente e agli autori che rappresentano il ramo alessandrino della tradizione, l'occasione di parlarne semplicemente come di una parola del Signore o di vedere in esso un logion di profeti o di Ezechiele. Invece a Roma (Giustino), a Cartagine (Cipriano) e in Siria (Liber Graduimi) si continuava ad attribuirlo a Gesù. La scoperta della redazione siriaca ha posto il nostro agraphon in una luce completamente nuova. Non si può più collocare nel gruppo delle « attribuzioni errate » (v. pp. 51 ss.). Inoltre la redazione siriaca si rivela molto antica: alla mancanza di cristologia (v. p. I " I I ) e all'uso del passivo per indicare l'opera idi Dio (v. ibid.) si aggiungono, come indizio di antichità, il ritmo e la rima. Il nostro agraphon rientra nella serie di quei logia e di quelle parabole in cui si afferma che gli uditori stanno vivendo nell'imminenza della catastrofe estrema I35, e s'intende richiamarli alla coscienza della gravità dell'ora. Giacché il giudizio di Dio è imminente e fugge il tempo concesso per la conversione. Nei Sinottici il discorso apocalittico si presenta in due forme diverse. La più antica {Le. 17,20-37) pone l'accento sulla subitaneità dell'imminente evento, la più recente (Me. 13 par.) ne descrive '" Girolamo, Epist. CXXII (o XLVI) ad Rusticum 3 (p. 66,14 s. Hilberg CSEL 56). "5 Per questo e per quel che segue v. J. Jeremias, Die Gleichnisse Jesu, cit., pp. 160 ss. 112

minutamente i segni premonitori. Il nostro logion appartiene al gruppo più antico. È evidente che ad esso sottostà la convinzione che l'irruzione dell'ultimo giorno sarà del tutto improvvisa. Altro indizio della sua antichità è la concezione secondo cui la cernita sarà compiuta dagli angeli di Dio I3é. Mentre secondo Me. 13,27 par.; Mt. 24,31 gli angeli raccolgono gli eletti e secondo Mt. 13,41 gli stessi angeli raccolgono i pervertitori e Ì pervertiti, sembra che nel nostro agraphon la concezione sia che gli angeli porteranno gli uni alla salvezza, gli altri alla perdizione 137. La caratteristica del nostro agraphon a questo riguardo sta nel fatto che in esso si afferma col massimo rilievo che la situazione in cui ciascuno verrà trovato deciderà del suo destino. Quando gli angeli saranno stati inviati e avrà avuto inizio il giudizio, non sarà più possibile alcuna dilazione o alcun cambiamento, ma « come gli angeli di Dio vi troveranno, così vi porteranno via ». L'agraphon prospetta efficacemente agli uditori la gravità del momento. Come la parabola delle dieci vergini {Mt. 25,1-12), il nostro logion ammonisce di essere sempre preparati. Chi ascolta deve attendersi in ogni momento l'inizio della fine e la venuta del Figlio dell'uomo, e deve orientare a questo avvenimento tutta la sua vita.

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Così si deve intendere anche Mt. 24,40 s. par.; cfr. E. Klostermann, Das Matthàusevangelium, HNT 4, 2* ediz., Tiibingen, 1927, p. 197. W. Bauer, Worterbuch zum Neuen Testament, 5* ediz., Berlin, 1958, col. 1228, J. v. 7c<xpaX.a[ji,|3àvto 1. 137 Una rappresentazione affine si trova nel Libro di Henoch etiopico (specialmente in 100,4 s-)> d ° v e si parla, da un lato, degli angeli delle tribolazioni e delle punizioni, che raccolgono i peccatori, dall'altro degli, angeli santi, che Dio ha dgto come custodi a tutti i giusti" e'santi. Cfr. Billerbeck I, p. 974.

8

II3

CAPITOLO

III

L'ATTIVITÀ DI GESÙ

i. La parabola del pesce grande Il Vangelo di Tommaso in lingua copta riferisce come ottavo logion la seguente parabola di Gesù: « Ed egli (Gesù) disse: ' L'uomo è simile a un accorto pescatore che gettò la sua rete nel mare e m (di nuovo) la ritrasse dal mare piena di piccoli pesci. Tra di essi l'accorto pescatore trovò un bel ™ pesce grande. (Allora) egli gettò (di nuovo) nel mare tutti i pesci piccoli e 140 scelse senza indugio 141 il pesce grande. Chi ha orecchi per intendere, intenda! ' » 142. Probabilmente in origine la parabola riguardava il regno di Dio 143, come le altre tramandate dal Vangelo di Tommaso 144. L'attuale locuzione introduttiva « l'uomo è simile » si può spiegare in questo modo: nel logion 7, che precede la no1,8

La lingua copta ama le serie asindetiche di proposizioni principali. In italiano è necessaria una ' e '. "' All'aggettivo ' bel ' corrisponde nel testo copto una proposizione complementare, che determina meglio tutta l'espressione « un pesce grande ». Perciò in italiano ' bel ' deve precedere l'espressione, Così, giustamente, traduce anche H. Quecke in: R. M. Grant e D. N. Freedman, Geheime Worte Jesu. Das Thomasevangelium, Frankfurt am Main, i960, p. 208. 1,0 V. n. 138. 141 II termine copto hìse significa propriamente « fatica, affanno, dolore, disagio ». Nel nostro testo è usato nel senso traslato di « esitazione, impedimento, indugio ». 142 Testo copto in Evangelium nach Thomas, Leiden, 1959, 81,28-82,3. 143 Così anche C.-H. Hunzinger, Unbekannte Gleichnisse Jesu aus dem Thomas-Evangelium, in Judentutn Urchristentum Kirche, BZNW 26, Berlin, i960, pp. 209-220, ivi p. 218. 144 Logia 20,57,76,96,97,98,107,109. 115

stra parabola, il vocabolo « uomo » ricorre quattro volte: per influsso di esso l'amanuense copto, in luogo del termine esatto mìntero (= regno, fta.vu.zLa) può aver scritto, per errore, róme ( =uomo) 1 4 5 . La chiusa della parabola è un invito a comprendere 146 che conosciamo anche dai Sinottici. Qui vuol essere un richiamo per i lettori gnostici del Vangelo di Tommaso a comprendere il significato profondo della parabola. La quale poi si contraddistingue per il colorito locale palestinese (tecnica della pesca, il lago di Genezareth chiamato « mare » 146*) e per l'affinità di contenuto con due parabole del Vangelo di Matteo. Questa parabola, come quella della rete e dei pesci (Mt. 13, 47 ), ci conduce sulle rive del lago di Genezareth 147. Ma, mentre in Matteo viene descritta una grande pesca compiuta stando su barche e mediante reti a strascico 14S, nel Vangelo di Tommaso abbiamo un sol pescatore che si è appostato in acqua poco profonda e usa il giacchio 149. Legatasi una saccoccia ai fianchi, egli ha gettato un sasso in acqua per attirare i pesci. Poi lancia il giacchio circolare, del diametro di quattro metri, appesantito ai bordi da piombini, di modo che, lanciato a campana, rapidamente sprofonda. Con l'ausilio di un dispositivo scorrevole che si diparte dal centro, il giacchio viene poi ritirato, e immediatamente ha luogo la cernita dei pesci: quelli piccoli e non commestibili vengono gettati sulla spiaggia o in '" La spiegazione data da Grant e Freedman (Geheime Worte Jesu, p. 123) - che per Tommaso «l'uomo vero, orientato verso l'intimo» sarebbe « l'attuazione del regno di Dio » - non convince. Se così fosse, ci si dovrebbe attendere una alterazione simile anche nelle parabole trasmesse come logia 76, 96 e 98. 146 Mt. 11,15; 13,9.43; M-c- 4>9-23; Le. 8,8; 14,35. Nel Vangelo di Tommaso l'invito a comprendere si trova anche nei logia 21,24,63,65,96. 1,6 " Cfr. Billerbeck I, p. 184 s. "' Cfr. Mt. 7,10 (par. Le. 11,11); 13,47 s.; I7>27; Me. 1,17 (par. Mt. 4,19). 145 G. Dalman, Arbeit und Sitte in Palàstina VI, BFChTh II, 41, Gutersloh, 1939, p. 348 ss.; Orte und Wege Jesu, 3* ediz., BFChTh II, 1, Gutersloh, 1924, p. 145. "' Per quanto segue cfr. G. Dalman, Arbeit und Sitte in Palàstina VI, cit., pp. 346 ss. e fig. 66. - K.-E. Wilken, Biblisches Erleben im Heiligen Land I, Lahr-Dinglingen, 1953, pp. 192 s. 116

acqua. Il risultato di ciascun lancio è vario: può capitare che la rete ritorni ripetutamente vuota. Un osservatore moderno contò che un pescatore con un lancio fortunato aveva preso 20-25 pesci 15°. La nostra parabola ci presenta un pescatore in uno dei suoi lanci. La sua rete è piena di pesciolini, ma tra di essi151 egli vede un bel pesce commestibile. La sua gioia è grande. Se non gli fosse capitata questa fortuna, sarebbe rimasto incerto se mettere nella saccoccia l'uno o l'altro dei pesci piccoli, ma, così, non esita: getta di nuovo in mare il resto della pesca. Questo avviene, dice la parabola, quando un uomo è sopraffatto da una grande gioia: ogni altra cosa perde il suo valore. La parabola del pesce grande è molto affine a quella del tesoro nel campo (Mt. 13,44) e della perla preziosa [Mt. 13,45 s-)> k quali pure vogliono descrivere come, a confronto con la gioia del ritrovamento, tutto il resto divenga secondario 152. Nella parabola il pescatore è detto « accorto ». Così è accorto anche colui che, conquiso dalla Lieta Novella, stima ogni cosa vile a confronto con questa preziosa scoperta. La divina figliolanza diviene il centro della sua vita e la grande gioia, che oltrepassa ogni misura, determina d'ora innanzi il suo agire.

2. Incomprensione Negli Atti di Pietro apocrifi (Actus Vetri cum Simone = 150

Wilken, o. e, p. 192.

151

II testo copto deve essere interpretato soltanto così! Dopo 'intbt inkùj si deve porre uno stacco, con ìnchraj 'inhétù ha inizio una nuova proposizione. L'in che precede chraj non è, come vorrebbe Hunzinger, p. 2r8, una particella che unisce attributivamente chraj 'inhétù con ciò che precede, ma è una preposizione (= « in ») legata a chraj (= « ciò che sta sotto »). Da ìnchraj dipende poi, a sua volta, la preposizione inhèt col suffisso pronominale di terza persona pi. ( = « di essi » [se. i pesci piccoli]). Quindi non è necessario eliminare una presunta particella in, né - come vorrebbe Hunzinger - emendare il suffisso di terza pers. pi. in « in essa » o « in esso » (cioè: nella rete o nel mare). '" J. Jeremias, Die Gleichnìsse Jesu, cit. pp. 197-199. 117

Actus Vercellenses) cap. X, si racconta di un senatore romano chiamato Marcello che, dopo essere stato membro della comunità cristiana, perde la fede perché traviato da Simon Mago. Marcello viene convinto del suo fallo da Pietro, che egli prega perché interceda per lui presso Cristo. Nel fare ciò, egli ricorda il logion di Gesù sulla fede grande come un granello di senapa [Mt. 17,20) e riconosce di non essere rimasto saldo nella fede, ma aggiunge che ad essa è venuto meno lo stesso Pietro quando fu vinto dal dubbio sul mare (Mt. 14,28 ss.) e che gli sarebbe venuta in mente anche la frase pronunciata da Gesù e dallo stesso Pietro certamente udita: « Quelli che stanno con me non mi hanno compreso ». Qui mecum sunt, non me intellexerunt153. - Se, dunque, prosegue Marcello, perfino gli apostoli non sono andati esenti da dubbi, oso sperare che Cristo mi perdoni la mia apostasia. Accanto a una citazione letterale del Vangelo di Matteo e a un cenno alla pericope, tramandata dallo stesso Matteo, in cui si racconta che Pietro camminava sul lago, il nostro apocrifo contiene un agraphon di cui non conosciamo la provenienza. In questa menzione della ' estraneità ' di Gesù rispetto ai suoi si è voluto scorgere un influsso gnostico 154. Ma, anche a non considerare che è diffìcile che gli Actus Vercellenses siano stati composti al di fuori della grande Chiesa 155, contro una tale ipotesi sta il fatto che il nostro agraphon si distingue completamente dalle affermazioni gnostiche relative alla ' estraneità ' del Salvatore 156. Nella gnosi, infatti, il Salvatore è estraneo agli 153 Ada apostolorum apocrypha I, ed. R. A. Lipsius, Leipzig, 1891, rist. Darmstadt, 1959, p. 58,5 s. 154 H. von Campenhausen, Kirchliches Atnt una geistlicbe Vollmacht in den ersten drei ]ahrbunderten, BHTh 14, Tiibingen, 1953, p. 11, n. 3. 155 W. Michaelis, Die apokrypben Schriften zum Neuen Testament, z" ediz., Bremen, 1958, pp. 332 s. W. C. van Unnik, Pelrusakten, in RGG3,

V, 1961, p. 256. 156 Sulla concezione gnostica della ' estraneità ' del Salvatore cfr. H. 118

estranei, ma noto ai suoi; il nostro agraphon invece parla della estraneità rispetto ai suoi. Con ciò è esclusa la possibilità di una interpretazione gnostica del logion. L'agraphon è affine a quei logia dei Vangeli canonici che parlano di una imperfetta comprensione dei discepoli (ad es., Me. 4,13: 7,18 par.; 8,17 ss. par.; 8,32 s. par.; 9,19; loh. 14,9) e si pone sul loro stesso piano, anche se sorprende l'uso della terza persona. Anche nei discepoli che pure gli stavano così vicino, Gesù dovette trovare incomprensione, tiepidezza e dubbio; dal loro gruppo sorsero continuamente false aspettative nei suoi riguardi. La sua passione ebbe inizio non al Getsemani, ma molto prima con l'incredulità e l'incomprensione dei suoi intimi.

Jonas, Gnosis und spàtantiker Geist I: Die mythologische Gnosis, FRLANT, N. F. 33, 2a ediz., Gottingen, 1954, pp. 122-126. 119

CAPITOLO

IV

LA CONDOTTA DEI DISCEPOLI

i. Fratellanza vera Nella sua esegesi della Lettera agli Efesini (a 5,3.4) S. Girolamo dice di aver trovato nel Vangèlo degli Ebrei un logion indirizzato ai discepoli: « E solo allora siate lieti, quando guarderete al vostro fratello con amore » Et numquam (inquit) laeti sitis, nisi cum fratrem vestrum videritis in cantate 157. Le due ultime parole del testo sono difficili da tradurre. Due sono le questioni che si pongono: 1) che significa caritas? La miglior rispondenza al latino si ha intendendo caritas come termine tecnico nel senso di « banchetto d'amore », cioè di agape (cfr. lud. 12). « E allora soltanto siate felici, quando vedete il vostro fratello nel banchetto d'amore »158. Cioè: tranne il banchetto fraterno, non dovete celebrare alcuna festa. Si tratterebbe di una proibizione ai cristiani di partecipare a pranzi e banchetti mondani. Ma S. Girolamo non ha inteso il logion a questo modo, come dimostra il futuro anteriore 159. Inoltre c'è da chiedersi se questo significato si possa far risalire al testo originario (S. Girolamo ci da soltanto una traduzione del Vangelo degli Ebrei aramaico). Se invece alla parola 157

Girolamo, In Ephes. 5,3.4 (MLP 26 [1845], 520 A). Cfr. E. Schwartz, Osterbetrachtungen, ZNW 1906, pp. 1-33, ivi p. 1, n. 1; con lui concorda J. Wellhausen, Einleìtung in die drei ersten Evangelien, 2 a ediz,, Berlin, 1911, p. 76. 159 L'osservazione è di E. Haenchen, Mùnster. 158

121

caritas diamo il significato consueto di « amore », si presenta un'altra difficoltà: 2) il complemento in cantate si riferisce all'oggetto o al soggetto? Nel primo caso m il senso sarebbe: « E allora soltanto siate felici, quando vedete che il vostro fratello è nell'amore ». Ma che cosa significa ' il fratello è nell'amore ' ? . Si potrebbe spiegare: quando vedete il fratello pieno di disamore o circondato da disamore, ciò vi deve affliggere al punto da guastarvi ogni gioia. Ma questo riferimento del complemento in cavitate all'oggetto è, dal punto di vista linguistico, così forzato, che S. Girolamo non l'ha nemmeno preso in considerazione. Se invece lo riferiamo al soggetto m , otteniamo un senso più soddisfacente. In questo caso la durezza linguistica che avvertiamo nella preposizione ' in ' (in cantate) si elimina considerando che questo ' in ' non è che la traduzione letterale di un semitico be. Bisogna quindi tradurre: « E allora soltanto siate felici, quando guardate al vostro fratello con amore ». Come dimostra l'iniziale congiunzione ' e ', il nostro logion è la conclusione di un brano sconosciuto contenente un discorso rivolto ai discepoli 162 . Il termine ' fratello ' è inteso in senso molto lato { — connazionale) I W , quel senso che è prevalente nella più antica tradizione su Gesù 1 M . Esso non può quindi essere limitato ai discepoli: anche al nostro logion, come a Mt. 5,22 e 18,15, soggiace il precetto veterotestamentario di Lev. 19,17: « Non nutrire odio nel tuo cuore contro il tuo fratello, ma francamente riprendi il tuo connazionale ». Il nostro logion corrisponde perfettamente a ciò che, nei 160

Così Resch, p. 236. Così Ropes, pp. 145 s. A. Harnack, Vber etnige Worte Jesu, die nicht in den kanonischen Evangelica steben, SAB 169, 1904, p. 175. M. Dibelius, Geschichte der urchristlichen Literalur I, Berlin e Leipzig, 1926, p. 56. 162 A. Harnack, ibid. - H. J. Schoeps in DLZ 1951, col. 290, vorrebbe assegnare a questo frammento di discorso anche l'agraphon citato a p. 18, n. 6, derivato dal Commento ad Ezechiele di S. Girolamo. 163 Così anche negli agrapha di Gesù esaminati a pp. 65 ss. e a pp. 123 ss. 164 Cfr. J. Jeremias, Die Gleicbnisse Jesu, cit., p. 108, n. 2. 161

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Vangeli, Gesù dice a proposito dei sentimenti fraterni che egli esigeva dai suoi discepoli verso i connazionali. Poiché ogni espressione d'odio contro il fratello provoca l'ira di Dio (Mt. 5,22), poiché ogni dissidio tra fratelli, che non venga composto, è un ostacolo che s'interpone tra il discepolo e Dio (Mt. 5,23 s.; Mt. 11,25), P e r i discepoli di Gesù non può esservi gioia « se non guardano il fratello con amore » cioè fino a quando il loro cuore è agitato da avversione e da odio. La pietra di paragone, che stabilisce se i seguaci di Gesù prendono sul serio la loro condizione di discepoli, è data dal cuore capace di provare una gioia perfetta allorché sgombra da sé tutto ciò che lo divide dal fratello.

2. Essere indulgenti! Nel Vangelo dei Nazaret S. Girolamo trovò il seguente brano: « Se (dice) il tuo fratello con una parola ha peccato (contro di te) e ti ha dato soddisfazione, accoglilo sette volte al giorno. Simone, suo discepolo, gli disse: ' Sette volte al giorno? '. Il Signore rispose e gli disse: ' Anzi io ti dico: fino a settanta volte sette'. Infatti perfino nei profeti si trovò un discorso di peccato dopo la loro unzione mediante lo Spirito Santo ' ». Si peccaverit (inquit) frater tuus in verbo et satis tihi fecerit, septies in die suscipe eum. Dixit illi Simon discipulus eius: septies in die? Respondit Dominus et dixit ei: etiam ego dico tihi, usque septuagies septies. Etenim in prophetis quoque, postquam uncti sunt spiritu sancto, inventus est sermo peccati165. Mt. 18,21 s. ci riporta il colloquio, svoltosi tra Gesù e Pie,65

Girolamo, Adv. Pelag. I l i , 2 (MPL 23 [1845], 571 A). La frase conclusiva, in greco, nell'edizione di Sion dei Vangeli: xaì f à p èv -COL^ •KpocpTjTai^ [XExà TÒ XpicrèTyjat. COITOÙ<; èv •Kvzvp.ati àyiui eùpia'XETO Év aÙToii; Xóyo? àuapTia^ (E. Klostermann, Apocrypba I I , KIT 8, 3 a ediz., Berlin, 1929, p. 8, nr. io). 123

tro, nel quale si tratta del dovere di perdonare illimitatamente al fratello. Di tale colloquio il Vangelo dei Nazaret ci offre una redazione ricca di tratti caratteristici. Da una tradizione orale, utilizzata anche da Luca I66 derivano il pentimento dell'offensore {Le. 17,3.4) e le parole « al giorno ». Altri tratti caratteristici di questa redazione sono: il peccato (del fratello che pecca sette volte al giorno [17,4]) è limitato al peccato di parola; 2) l'esigenza di perdonare « settanta volte sette » viene motivata col singolare rinvio ai peccati di lingua 167 dei profeti. Si tratta di un caso limite. È certo che il nostro agraphon rivela espressamente un colorito palestinese tanto nella lingua quanto nel contenuto. Non è invece facile dire se qui si abbia una derivazione secondaria di Mt. 18,21 s. o una redazione autonoma di questo logion. Decidere è difficile! Si può consi166 È del tutto improbabile che sia stato utilizzato il Vangelo stesso di Luca. 167 La locuzione sermo peccati = Xòyoc, àu,<xpTÌa<; può essere tradotta in tre modi: 1) «la parola peccato» (così Ph. Vielhauer in Hennecke' I, p. 96): questa traduzione non ha assolutamente senso; 2) in corrispondenza alla locuzione aramaica pitgam dehób in Targ. Onqelos Ex. 22, 8, « qualche peccato » (così J. B. Bauer, Sermo peccati, BZ i960, pp. 122-128, ivi pp. 124 s. d'accordo col Lagrange; così pure W. Michaelis, Vie apokryphen Schriften zum Neuen Testamenti pp. 124, 127, il quale rimanda alla locuzione analoga }>,ÓYO<; TOpvsCat; di Mt. 5,32); 3) « discorso peccaminoso » (interpretazione consueta). Già S.Girolamo intese l'agraphon in questo senso, come una massima riguardante i peccati di lingua. L'interpretazione è comprovata da Ecclus. 23,13, dove appunto si trova la locuzione Xóyo^ àu-ap-ciat;: « Non abituare la tua bocca alla maleducazione oscena (àiraiSEUCTÌav àcupfi), ECTTIV yàp Év aÙTfj "Kòyoc, àu-ap-cia? (in essa infatti si giunge a parole peccaminose)». Che qui Xòyoc, à(xapTLa<; significhi « discorso peccaminoso », « parole peccaminose » è dimostrato dalla traduzione siriaca « parole d'inganno » e dal ricorrere, nella letteratura sapienziale, di locuzioni simili, tipiche del linguaggio ebraico e aramaico. Così, proprio due versetti dopo {Ecclus. 23,15) è menzionato un uomo abituato a « parole ingiuriose » o a « discorsi oltraggiosi » (Xóyoi Òv£i5iop.o0). Cfr. anche, ad es., Prov. 1,2 ^óyot, (ppov^CEWt; (parole giudiziose); 22,21 Xóyoi, akr$da.c, (parole fidate); 23,12 Xóyoi cdoDriffeio^ (parole intelligenti); Ecclus. 29,5 Xórot àxrjSiai; (parole afflitte); 31 [34], 31 Xàyoc, òvEiStcru-où (parola oltraggiosa); 41,25 Xóyoi òvEi5«7[j.oi3 (discorsi oltraggiosi, AS singolare); 41,26 Xayoc, àxofjt; (discorso udito).

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derare secondaria la limitazione del peccato (peccati di lingua) e lamentare, nella motivazione, la mancanza di quella sublimità « che è da attendersi in un logion del Signore. Il fatto che dagli uomini più ragguardevoli non ci si possa aspettare qualcosa di meglio, non è il motivo più idoneo a giustificare l'esigenza di un illimitato perdono al fratello »168. Ma si può anche fare il ragionamento inverso. L'ipotesi più naturale non è forse che nella domanda di Pietro (quante volte debba perdonare al fratello) si presuppone che si tratti effettivamente di villanie ripetute più volte? Il fatto stesso che il peccato si ripeta più volte nello stesso giorno lo conferma decisamente. E lo conferma anche la constatazione che la leggerezza nel ricorso a villanie, maledizioni, ecc. è una caratteristica dell'orientale. E la frase conclusiva è veramente sconveniente in bocca a Gesù? Egli non vuole enunciare il motivo che giustifica il perdono, ma semplicemente confortare i discepoli alla sopportazione. Se sei adirato contro il tuo fratello (il termine in bocca a Gesù, come abbiamo visto nell'esame del logion a p. t 2 i s., ha il senso lato di ' connazionale '), che ti ha ripetutamente offeso, pensa quanto facilmente gli uomini cadono in peccati di lingua. Se gli stessi sacri araldi di Dio, unti dal suo Spirito, vi sono caduti1M, come puoi tu stupirti se lo stesso capita al tuo fratello?

3. Piena fiducia Nel papiro di Ossirinco 1224, assai avariato, si trova, tra "" Ropes, p. 164. H. J. Schoeps, Theologie und Geschkbte des Judenchristentums, Tiibingen, 1949, p. 167, vede nel nostro logion una variante a Mt. 18,21 s., nella quale si esprimerebbe l'avversione degli Ebioniti nei riguardi dei profeti. 169 Esempi rabbinici di peccati di lingua commessi da Mosè: Billerbeck I, pp. 277,279 s.; di Eliseo: ibid., p. 277. Il concetto è quindi del tutto palestinese. 125

l'altro, il seguente frammento costituito di tre proposizioni e riguardante i nemici e i lontani: « E pregate per i vostri [ne]mici (cfr. Mt. 5,44). Infatti chi non è [contro di vo]i, è con voi (cfr. Le. 9,50). [Chi oggi~\ è lontano, domani [vi] sarà [vicino] ». ['O enrpepov w]v [xaxpàv aupiov [ÈYYÙ<; ùiaCiv Y]tvr\crti:ai m. Sull'autenticità di questa breve frase non dovrebbero esistere dubbi. A suo favore stanno: 1) il collegamento con due ben noti logia di Gesù (liberamente citati); 2) l'antitetico parallelismus membrorum, per il quale Gesù ha mostrato una predilezione m (delle due antitesi lontano/vicino, oggi/domani la prima ricorre nell'agraphon discusso a p. 89 ss. la seconda nel Pater noster); 3) il contenuto. La frase, così intensa ed espressiva, è tutta pervasa da una ferma fiducia. Questa fiducia è una caratteristica così dominante in Gesù da poter essere considerata appunto uno dei centri vitali del suo messaggio, come è dimostrato con la massima chiarezza dalle quattro parabole del granello di senapa {Me. 4,30-32), del lievito (Mt. 13,33), del seme che cresce spontaneamente {Me. 4,26-29) e dell'intrepido seminatore (4,3-8). Caratteristica di tutte queste parabole è che esse pongono l'imminente regno di Dio in netto contrasto col presente. Da un nulla (granello di senapa, manciata di lievito), senza alcun intervento dell'uomo (il seme che cresce spontaneamente), nonostante ogni insuccesso (seminatore), Dio instaura il suo regno m. La stessa sovrana sicurezza spira anche nel nostro logion: « Chi oggi è lontano, domani vi sarà vicino ». Il segreto di questa sicurezza sta nella serietà che Gesù mette nel trattare con Dio! Egli ha fiducia nel Padre suo celeste, confida nella promessa divina espressa in Is. 57,19: « Io creo il frutto delle labbra e salvezza, sì salvezza per i lontani e per i vicini, dice "a E. Klostermann, Apocrypha II, KIT 8, 3" ediz., Berlin, 1929, p. 26. V. p. 96. 172 J. Jeremias, Die Gleicbnisse Jesu, cit., pp. 145-153. 171

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il Signore ». Questa è la sicurezza che i discepoli devono apprendere da Gesù. Egli li vuole fortificare e rassicurare in modo che inimicizie, contrarietà, indifferenze non li possano più scoraggiare. Essi devono sapere che Dio è onnipotente e che guida i cuori degli uomini come rivi d'acqua. Non hanno dunque alcun motivo di dubitare. Ma nello stesso tempo Gesù chiarisce ai suoi araldi qual è l'atteggiamento interiore che devono assumere nei riguardi dei nemici e dei lontani: negli avversari di oggi essi devono vedere i discepoli di domani. 4.

Il Padre provvede

Nel papiro di Ossirinco 655 si trova questa esortazione: « [Non datevi pensiero] dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, del vostro nutrimento, che cosa mangerete, o del vostro vestito, con che cosa vi coprirete ». Questa esortazione, dopo un accenno ai gigli che crescono anche senza filare, si chiude così: « Egli stesso vi darà il vostro vestito ». m AVTÒ[<; 8]w(r£t ùp,£Ìv TÒ EV8UU.<X ùpiwv . Per quanto riguarda il contenuto, questa proposizione non aggiunge nulla a Mt. 6,25-34 (P ar - Le. 12,22-31). È ben vero che qui Gesù porta l'esempio del corvo, che non usa il vomere, non semina e non miete, e l'esempio dell'anemone, che non gira il filatoio e non siede al telaio m eppure Dio li nutre e li veste, e poi aggiunge: « Ma se Dio veste in tal modo l'erba del campo, che oggi è e domani viene gettata nel forno, non molto più voi, uomini di poca fede? » (Mt. 6,30 par. Le. 12,28). 173 E. Klostermann, Apocrypha I I , cit., p. 23. La proposizione manca nel corrispondente logion 36 del Vangelo copto di Tommaso, ma probabilmente la redazione originaria del logion è quella del papiro di Ossirinco: cfr. O. Hofius, Das koptisebe Thomasevangelium und die OxyrhynchusPapyri Nr. 1, 654 und 655, EvTh i960, p. 189. 174 J. Jeremias, Die Gleichnisse Jesu, cit., pp. 212 s.

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Ma queste parole contengono la stessa promessa che si trova nel nostro logion, il quale quindi potrebbe essere semplicemente una concisa sintesi di Mi. 6,30. Però, data la sua semplicità, esso appare antico. Si aggiunga che nel papiro di Ossirinco 655 a questo logion ne segue un altro, gnostico, nel quale viene ripreso il termine ' vestito ' 1 7 5 . Se ne potrebbe dedurre, per la tradizione del logion contro gli affanni, l'esistenza di una redazione nella quale ricorresse il termine ' vestito '. Gesù proibisce espressamente il lavoro ai discepoli che invia ad evangelizzare m . Essi dovranno attingere tutto il loro vigore dall'evangelo. Ma come faranno? Dovranno soffrire la fame, dato che non hanno danaro per comprarsi da mangiare? Dovranno soffrire il freddo, dato che non hanno da vestirsi? Uomini di poca fede, replica Gesù, come potete parlare a questo modo? Voi avete un Padre! Dovete fare totale assegnamento su di lui: « Egli stesso vi darà il vostro vestito ».

^. Un logion sulla preghiera Clemente Alessandrino, forse da una raccolta di logia di Gesù 177, cita il seguente: « Chiedete ciò che è grande e Dio ™ vi darà anche ciò che è piccolo ». ALmords (yàp cpTjtn) xà p.zyà'ka x a ì xà [juxpà ù|xiv •rcpoa'Tdhio'ETGu 179. 175

Nel papiro di Ossirinco 655 il logion contro gli affanni e il successivo colloquio coi discepoli, di contenuto gnostico, sono senza dubbio due brani autonomi. Solo nel Vangelo copto di Tommaso se n'è formato, secondariamente, un logion unico: cfr. O. Hofius, Das koptische Thomasevangelium, pp. 189 s. 174 J. Jeremias, Die Gleichnisse ]esu, cit., pp. 212 s. 177 Ropes, p. 140. 178 Letteralmente: « e vi sarà dato in aggiunta ciò che è piccolo ». Ma questa traduzione non coglie il senso esatto, poiché il passivo (« vi sarà dato in aggiunta ») è perifrasi del nome di Dio. Quindi bisogna tradurre: « e Dio vi darà in aggiunta il piccolo ». "' Clem. Aless., Strom. I, XXIV, 158,2 (p. 100,1 s. Stahlin [GCS15]). 128

Oltre che da Clemente Alessandrino (« egli dice »), il logion è citato anche da Origene (« il Salvatore dice »), da Eusebio (« il Salvatore ha insegnato ») e da Ambrogio (« sta scritto »)180. Esso è molto affine al logion che si trova nel Discorso della montagna: « Cercate prima il regno (di Dio) e la sua giustizia, e Dio vi darà anche tutto questo » {Mt. 6,33; Le. 12,31). Non potrebbe darsi che questo logion venisse dalla comunità applicato alla preghiera (ad es., nell'istruzione dei catecumeni) e ne derivasse il logion trasmessoci da Clemente? Sarebbe un'applicazione molto felice e pienamente rispondente allo spirito di Gesù. Ma non è del tutto improbabile che esso sia un agraphon 181. Infatti, da un canto, le corrispondenze del nostro logion con Mt. non sono, per quanto riguarda il testo letterale, così strette come potrebbe sembrare a prima vista (esse si limitano alle due parole TipoaT£&T)a'£Tai, ù[j,ìv, « Dio vi darà anche »); dall'altro, il nostro logion contiene un'antitesi, caratteristica dello stile di Gesù. Anche dal punto di vista del genere letterario esso presenta da cima a fondo un carattere sinottico, mentre dal punto di vista del contenuto (come vedremo subito in un confronto col Pater noster) la richiesta centrale della preghiera di Gesù è, formulata in modo conciso e chiaro. L'aspetto che hanno certe amplificazioni indiscutibili operate dalla comunità risulta dalla redazione bimembre che il nostro logion ha assunto in Origene e Ambrogio: « Chiedete ciò che è grande, e Dio vi darà anche ciò che è piccolo; e chiedete ciò che è celeste, e Dio vi darà anche ciò che è terrestre » m . Qui la seconda parte, aggiunta, presenta un linguaggio non sinottico, ma paolino-giovanneo. lM

Origene, Selecta in Psalm. 4,4 (MPG 12 [1862], 1141 C); De orat. ?., 2; 14,1 (p. 299,19 ss.; 330,7 ss. Koetschau [GCS3]); Eusebio, In Psalm. 16,2 (MPG 23 [1857], 160 C); Ambrogio, Epist. I, XXXVI ad Horontianum 3 (MPL 16 [1845], 1082 C). 1,1 A. v. Harnack, Der kirchengeschkhtlkhe Ertrag der exegethchen Arbeiten des Orìgenes II, TU 42,4, Leipzig, 1919, p. 40. 182 Origene (v. n. 180): AÌXEÌXE xà (j,EyàXa / xal xà |juxpà ÙJÌLV itpoffxeOriffETai, / xaì CÌTELTE xà éitoupàvia / xal xà èmysia ù[i.ìv •rcpoffxEfrfV 9

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Il nostro logion ribadisce un'esortazione costantemente ripetuta da Gesù ai suoi discepoli: il principio informatore della nostra vita deve essere il regno di Dio, la gloria di Dio, il comandamento di Dio e non i nostri desideri, il nostro benessere, il nostro io {Mt. 6,33; cfr. 6,24 ss., ecc.). Questo principio dell'istruzione impartita da Gesù ai discepoli viene applicato alla preghiera. Anche nella preghiera il motivo centrale deve essere ciò che è grande e non ciò che è piccolo: il regno e la gloria di Dio e non le proprie preoccupazioni o le necessità del momento. Allo stesso modo nel Pater noster Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare per la santificazione (del nome) di Dio, per le grandi grazie dell'era messianica: il pane dell'era della salvezza e la remissione dei peccati 183 . Ciò non significa che i discepoli di Gesù non possano rimettere nelle mani del Padre anche le loro piccole necessità. Le cure quotidiane però non devono essere il motivo dominante delle loro preghiere, perché essi sanno che « Dio concederà spontaneamente anche ciò che è piccolo ».

6. Siate spiriti positivi! « Fatevi cambiavalute accorti ». TLvzaftz TpaTC^ìica Sóxinoi 1 M . La Chiesa primitiva ha mostrato di prediligere questa espressione metaforica. Essa è citata come nessun altro logion extracanonico dagli scrittori cristiani dei primi tempi. Mentre però alcuni (Origene, Omelie pseudoclementine, Pistis Sophia, S. Girolamo, Socrate, Vita S. Syncleticae) la dicono parola di Gesù, ffExai. - Ambrogio (v. ibid.): Petite magna / et parva adiicientur vobis. I Petite coelestia, / et terrena adiicientur. is3 p e r u n a motivazione della suaccennata esegesi del Pater noster cfr. la mia opera Das Vater-Unser im Lichte der neueren Forscbung, cit. m Hom. pseudoclem. II, 51,1 (p. 55,17 Rehm [GCS 42]); III, 50,2 (p. 75,20); XVIII, 20,4 (p. 250,13), ecc. 130

altri (Clemente Alessandrino, Origene, Palladio, Niceforo) la citano come passo scritturistico, e altri ancora come parola del Vangelo (Apelle, Cesario, Cassiano)18S. L'instancabile A. Resch ha raccolto 37 citazioni e 20 riferimenti, in cui è notevole l'unità della tradizione per quanto riguarda sia il testo sia l'interpretazione. Se, nonostante questa predilezione, il logion cadde in dimenticanza, ciò avvenne perché in esso si accenna alla professione dei cambiavalute, che, in tale forma, non è nota all'occidente moderno 186. Il logion è una metafora con la quale si rappresenta la natura della vocazione dei discepoli. Come Gesù rappresentò spesso la sua missione di Salvatore sotto l'immagine di una professione (pastore, medico, edificatore, ecc.) ,87 , cosi fece anche per la missione e la natura dei discepoli. Per essi Gesù è ricorso all'immagine di diverse professioni: quella del mietitore (Mt. 9,37), del pastore (Mt. 10,6; 18,12-14), del pescatore (di uomini, Me. 1,17), dell'amministratore (Mt. 16,19 a; cfr. 13,52), del giudice (Mt. 18,18; 16,19 b: « sciogliere e legare » è mandato del giudice)... e quella del cambiavalute. « Fatevi cambiavalute accorti »: che significa? Il termine TPGCTCE^{TT)<; nei Vangeli si trova solo in Mt. 25,27: « Avresti potuto consegnare il mio danaro ai ' cambiavalute ' (che avrebbero pagato gli interessi) ». Qui il termine indica il banchiere. Il nostro logion deve essere inteso in questo senso? « Fatevi banchieri 185 I passi si trovano in Resch, pp. 112-122; altri tre luoghi di Origene in A. v. Harnack, Der kirchengeschichtliche Ertrag der exegetischen Arbeiten des Origenes I I , p. 40; un passo di Vittore da Capua in H. J. Vogels in BZ 1910, p. 390. V. a p. 37, n. 91 l'indicazione dei passi patristici nei quali l'agraphon è citato come logion di Gesù. Sull'applicazione che del logion hanno fatto i Padri della Chiesa e sull'influenza da esso esercitata fin nella teologia gesuitica del sec. XVII cfr. H. Rahner, Werdet kundige Geldwechsler! Zur Geschichte der Lehre des hi. Ignatius vor. der XJnterscheidung der Geister, Gregorianum 1956, pp. 444-483. 186 Ropes, p. 141. 187 J. Jeremias, Jesus ah Weltvollender, BFChTh 33,4, Gùtersloh, 1930, pp 32 ss.; Die Gleichnisse Jesu, pp. 121 s.

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accorti! Siate persone provate e fidate! Fate fruttificare ciò che vi è stato affidato! Fate vedere le vostre capacità! »? Certamente no. Vi si oppone l'interpretazione concorde della Chiesa antica, la quale risulta dalla forma più lunga che si trova già in Clemente Alessandrino: « Fatevi cambiavalute accorti, che qualcosa rifiutano e tengono ciò che è buono! » 18s. Il tertium comparatìonis è dunque la distinzione delle monete, di quelle autentiche e correnti da quelle false e fuori corso. Bisogna immaginarsi l'animazione del mercato di Gerusalemme, nel quale avevano corso monete romane d'ogni valore e, accanto ad esse, monete greche d'argento e di rame del genere più disparato (monete di procuratori, monete di rame erodiane e fenicie)189. I pellegrini, che confluivano da tutte le parti del mondo, portavano danaro di tutti i paesi del mondo, pezzi consistenti per comodità di viaggiol90, che in Gerusalemme i cambiavalute cambiavano in moneta spicciola, sedendo ovunque nei bazar. Un banco speciale di cambio per ogni genere di versamento era necessario nel tempio, dato che in esso, specialmente per il tributo del tempio (per il quale si incassavano somme enormi, perché doveva essere pagato ogni anno dai Giudei di tutto il mondo) m, era ammessa soltanto valuta di Tiro 192. Quindi Gerusalemme era una delle capitali di cambio del vicino Oriente; i più grossi affari vi si svolgevano in occa183

Clemente Alessandrino, Strom. I, XXVIII, 177 (p. 109,13 s. Stahlin [GCS 15]) ecc. O. Roller, Munzen, Geld und Vermógensverhaltnisse in den Evangelìen, Karlsruhe, 1929, pp. 5 s. - S. Krauss, Talmudìsche Archeologìe II, Leipzig, 1911, pp. 404-416. - Billerbeck I, pp. 290-294. 190 Cfr. Sheq. 2,1; S. Krauss, ibid., pp. 412 s. 191 Billerbeck I, p. 762 s. 192 L'opinione invalsa che l'atrio dei gentili fosse perennemente occupato da cambiavalute non è giusta. Ciò avveniva soltanto tre settimane prima della Pasqua, quando si esigeva il tributo del tempio: « Il 15 (del mese di Adar, quindi un mese prima della Pasqua) i cambiavalute ponevano i loro banchi (dovunque) nella regione (la Palestina), il 25 nel Santuario » Sheq. 1,3. Lo sdegno di Gesù contro i cambiavalute nel tempio (Me. 11,15; M-t. 21,12; Ioh. 2,14 s.) si comprende ancor meglio se l'atrio dei gentili non offriva tutto l'anno Io spettacolo dei cambiavalute. 189

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sione delle festività in cui avevano luogo i pellegrinaggi (Pasqua, Pentecoste, festa dei tabernacoli). I cambiavalute stavano dietro un piccolo banco 193, che forse già allora (come oggi) era coperto da una lastra di vetro. Nei casi dubbi si facevano risonare le monete sul vetro per riconoscere al suono se fossero o non fossero buone. Qual è la caratteristica del cambiavalute ' accorto ', esperto? Il colpo d'occhio sicuro. Ogni numismatico sa quanto sia difficile l'identificazione di monete antiche ordinarie, spesso consunte al punto da risultare irriconoscibili. Il cambiavalute esperto riconosce al primo sguardo quale moneta ha davanti a sé e s'accorge subito se una moneta è falsa o fuori corso. Non accetta moneta falsa e non si lascia ingannare. Gli scrittori cristiani antichi, quando citano questo agraphon, adducono sempre a chiarimento il logion paolino di 1 Thess. 5,21 s. 194 . Ivi Paolo limita l'esortazione a non spegnere lo Spirito, a non disprezzare la profezia (cioè a lasciar posto ai carismi nella vita della comunità e nella liturgia) con l'aggiunta di questi tre stichi: « Esaminate tutto: ritenete ciò che è bene, evitate ogni forma (eiSoc,) cattiva ». Gli scrittori cristiani antichi intendono quindi il vocabolo ELSOI; nel senso di ' valuta ' — lat. species 195. Se avessero ragione, si dimostrerebbe che già l'apostolo Paolo ha conosciuto il nostro logion e l'ha usato nella 1 Thess.: — Date modo ai carismi di operare, ma, come cambiavalute accorti, controllate! Fate la cernita degli spiriti! Accettate tutto ciò che è buono, ma allontanate tutto ciò che non proviene dallo Spirito di Dio! Tuttavia il significato di ' valuta ' per EISOC; non è attesta193 II cambiavalute (banchiere) trae il suo nome (-TpaitE^i-uTi^, shulhani) dal banco (TpcbtE^a, shulhan). m Passi in Resch, pp. 112 ss.; cfr. Ropes, pp. 142 s. "' Resch, p. 125, il quale rimanda a J. M. A. Hansel, Vber die richtìge Aufassung der Worte Pauli 1 Thess. 5,21 s., ThStKr 1836, pp. 170-184.

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to 196. Per giunta, in Giuseppe Flavio, Ant. X, 37, ricorre una locuzione (itàv siSoc; TOVTjpia^ £Ta8£il;àu.Evo<;... xaì yviqSèv àcrepèc; itapaXiraóv), in cui si trova un'eco evidentissima della frase usata da Paolo (ara -KOLVZÒC, ei'8ov<; TOViqpoù àitixEcfe). Il v. 22 deve quindi essere tradotto: « evitate ogni genere di malvagità ». Supposto che il logion esaminato risalga a Gesù, possiamo congetturare in quale occasione egli può averlo pronunciato? Gesù afferma con vigore: - Verranno falsi profeti che si appelleranno a me, compiranno grandi segni; le folle li acclameranno, soltanto pochi ne scopriranno i pensieri (Me. 13,5 s. par.; 21 s. par.; Mt. 7,15 s.; 24,11). Essendo imminente l'ora della prova, occorre dare ascolto all'esortazione: Siate spiriti positivi! Non lasciatevi sedurre! Rifiutate tutto ciò che non proviene dal mio Spirito! Imparate dai cambiavalute a distinguere prontamente ciò che è falso! « Fatevi cambiavalute accorti! »19?.

7. State in guardia! Il papiro di Ossirinco 840, al quale dobbiamo il racconto dello scontro di Gesù col sacerdote-capo fariseo (v. sopra a p. 68 ss.), ci riporta, nelle prime sette righe, la chiusa di un discorso che Gesù rivolse in Gerusalemme ai suoi discepoli prima di entrare con essi nel tempio. Purtroppo soltanto della seconda delle tre frasi pronunciate da Gesù è possibile dare una traduzione sicura: « In precedenza, prima di commettere ingiustizia (?) 19S , egli 196

Hansel cita soltanto due passi di tardi scrittori cristiani nei quali ricorre dSoc, vop;iff[jiaTO!;. 197 Similmente già intendeva W. Bauer, Das Leben Jesu im Zeitalter der neutestamentlichen Apokryphen, Tùbingen, 1909, p. 401: una esortazione a guardarsi « dalle tante dottrine eretiche che si presentano ». 1,8 II manoscritto legge (r. 1): TCpóxspov 7cpo<x5»còo"ai « per giungere prima nell'agire ingiusto ». Con gli editori (Grenfell-Hunt) inseriamo l'ar134

considera astutamente ogni cosa. Ma guardatevi [da simili persone), affinché non vi avvenga la stessa cosai Infatti non soltanto tra i vivi i malvagi tra gli uomini 1 9 9 vengono ripagati, ma devono sopportare anche punizione e grande tormento ». i -rcpó-repov npò (TOÙ) àSua5aoa icàvTa cocpi^ETca. àXXà •npocÉXEXE p.r\ IHO^ xaì \j\xzZc, •xò. oiaoia aùxoù; izàìr^v où ydp èv TOÌ<; i^uoìt; pvóvoic; àTcoXaiipàvou5 civ oì. xaxoùpYOi TWV àv&pwiwwv akXà [ x ] o à xóXatnv ùitopivoinnv xoà TI;OX[)S.]T)V pàaavov 20°. I discepoli di Gesù sanno bene che i malfattori ordiscono con astuzia le loro malefatte ( i a frase) e che la punizione terrena è soltanto un preludio a un grande tormento e alla punizione che veramente merita questo nome (3* frase). La novità del nostro testo sta solo nell'ammonizione che Gesù rivolge ai discepoli di guardarsi dall'operare ingiustamente, perché anche a loro non tocchi la stessa sorte (2 a frase). Anche i discepoli di Gesù sono minacciati! Non devono sentirsi sicuri! Per quanto grande sia l'astuzia a cui possono ricorrere, come fanno i malfattori raffinati, per ingannare il prossimo sul loro malvagio operare e sulla loro vera natura, tale astuzia non può loro giovare al cospetto del Dio vivente. S'appressa il suo giudizio che avrà luogo nella casa di Dio. Esecutori e semplici ascoltatori della parola, frumento ed erbaccia, vergini sagge e vergini stolte si manifesteranno quali sono, discepoli autentici e semplici parolai verranno separati. La separazione sarà fatta tra i discepoli stessi. Due giaceranno nello stesso letto, due

ticolo: TipÓTEpov Ttpò (TOÙ) àSixriom. "' Il manoscritto legge (r. 5): oì xcocoùpYoi TTWV àvdpcóitwv che può essere tradotto sia « i malfattori tra gli uomini », sia « coloro che fanno del male agli uomini ». 280 Testo secondo H. B. Swete, Zwei neue Evangelienfragmente, KIT 31, Bonn, 1908, 1924, p. 4, il quale, peraltro, alla r. 1 legge 7tpoa5ixT}om e alla r. 4 segna diversamente l'accento (^lóou;)135

uomini lavoreranno nello stesso campo, due donne alla stessa macina, di fuori perfettamente uguali, nessuna differenza all'occhio umano... eppure si aprirà una voragine tra di loro: l'uno, un figlio di Dio, l'altro, un figlio della perdizione (Le. 17,34 s'.; Mt. 24,40 s.). Chi può garantire per se stesso, quando giunge la grande tentazione? State in guardia, dice il nostro agraphon. State in guardia... contro voi stessi!

136

CAPITOLO V

APPENDICE

Aggiungiamo la trattazione di altri due agrapha spesso citati, che si distinguono da quelli finora esaminati perché la loro autenticità storica non è probabile o non si discute nemmeno. In entrambi i casi si tratta di logia profetici elaborati dalla comunità cristiana.

i. La presenza del Signore Il papiro di Ossirinco i, parte di una redazione greca del Vangelo di Tommaso, contiene nel suo 50 logion il seguente agraphon: « Dice Gesù: ' Dovunque siano [due], [non] sono senza Dio, / e dove uno è solo, io dico: — Io sono accanto a lui ' m . Alza m la pietra, e là mi troverai; spacca il legno, ed ivi io sono ». "EYEI[P]OV TÒV XU)OV,

xàxEÌ zvpr\azic, [ir EXE!, EllJH.

.

In realtà qui abbiamo non un unico logion, ma due logia originariamente indipendenti. Al testo greco del primo (« Do20

' Integrazioni di F. Blass (cfr. n. 204). "EyEipov = solleva, alza. 203 E. Klostermann, Apocrypha I I , KIT 8, 3° ediz., Berlin, 1929, p. 19. m

137

vunque siano due... »), nella cui restituzione si è reso particolarmente benemerito F. B l a s s m , corrisponde nella redazione copta del Vangelo di Tommaso il logion 3 0 ; il testo copto è sì molto lacunoso, ma può essere reintegrato per congettura. Ne risulta un testo sostanzialmente corrispondente alla ricostruzione che del testo greco ci ha dato il Blass 205. Questo logion ci è stato trasmesso isolato anche dal Padre della Chiesa Efrem Siro, che cita come logion del Signore la seguente frase: « D o v e uno è (solo), là sono anch'io 2 0 6 , e dove sono due, là sarò anch'io » 20?. Questo logion trova una corrispondenza formale in un altro dello scriba galileo Hananja b. Teradjon, che subì il martirio nel 135 d. C. 208 . Esso potrebbe essere un'amplificazione del logion di Mt. 18,20, che, a sua volta, appartiene a uno strato più recente dello stesso Vangelo (« Dove due o tre sono raccolti nel mio nome, io sono là in mezzo a loro »). Ciò che in Mt. 18,20 è promesso a « due o tre », vale anche, dice l'amplificazione, per un singolo discepolo: Gesù è accanto a lui. Nel Vangelo greco di Tommaso le ultime parole di questo primo logion («Dove uno è solo, io dico: ' I o sono accanto a lui'») sono illustrate da un secondo logion, che si ricollega al precedente mediante un felice raccordo. Il secondo logion con due esempi illustra come Gesù sta accanto al singolo. Nel Vangelo 2W

Evangelische Kirchenzeitung 1897, pp. 498 ss. Cfr. O. Hofius, Das koptiscbe Thomasevangelìum und die Oxyrbynchus-Papyri Nr. 1, 654 und 655, EvTh i960, pp. 21-42, 182-192, ivi pp. 185 s. 206 Qui Efrem inserisce alcune spiegazioni. 2,7 Efrem, £1». cotte, expl. XIV, 24 (p. 200,2.45. Leloir [CSCO 137, in armeno]; p. 144,13 ss. [CSCO 145, traduzione in latino]). Cfr. Resch,

2115

p. 201; Ropes, p. 48. 208 Pirqe Abot 3,2: « Dove due siedono insieme e tra di loro stanno parole della Torà, ivi dimora fra di loro la presenza della grazia di Dio (v. Mal. 3,16). Qui sento parlare soltanto di due. E perché anche per uno che siede e si occupa della Torà vale il detto che Dio gli destina un compenso? Perché sta scritto (Lam. 3,28): 'Egli siede solo e tace'; infatti egli riceve (così il Midrasch) ». Cfr. Billerbeck I, p. 794. 138

copto di Tommaso il testo corrispondente a questo secondo logion della redazione greca si trova in tutt'altro luogo, e precisamente nel logion 77, dove è del pari collegato a un altro logion: « Gesù disse: ' Io sono la luce che sta sopra ogni cosa. Io sono il tutto: il tutto è uscito da me, e il tutto è a me (ri)tornato. Spaccate un legno, io sono là; alzate la pietra e là mi troverete ' ». A confronto con la redazione greca il testo copto del secondo logion m presenta tre differenze che lo fanno apparire secondario: 1) in copto i due membri del parallelismo sinonimico sono invertiti. L'inversione potrebbe essere dipesa dal fatto che, mediante il rilievo del pronome ' io ' (copto anok) che si ha nel versetto che parla della spaccatura del legno, il nostro agraphon viene strettamente legato al logion precedente, nel quale lo stesso pronome anok viene espresso, in tutto rilievo, due volte 21°; 2 ) mentre nella redazione greca i verbi sono al singolare, il testo copto presenta forme al plurale, e ciò per assimilazione ai logia del contesto nei quali pure sta la seconda pers. plurale (logion 76 [ 9 4 , 1 9 ] , logion 78 [ 9 4 , 29. 3 2 ] ) . Inoltre il logion 77 presenta una costruzione esattamente parallela a quella dei logia 76 e 78: una asserzione (76,77) o una interrogazione (78) nella prima metà del logion è seguita nella seconda metà da una esortazione; 3) la traduzione copta della prima riga ha soppresso l'articolo determinativo accennante all'uso del linguag259

Evangelium nach Thomas, Leiden, 1959, 94,26-28: póch 'innùsche / anok tììmmau, / fi impóne echraj / auó tetnahe ero) ìmmau. m K. H. Kuhn rinvia inoltre al termine póch, che nel logion 77 a significa « giungere a », e nel logion 77 b « spaccare » {Some Observations on the Coptic Gospel according to Thomas, Muséon i960, pp. 317-327, ivi pp. 317S.). A comprovare il carattere primitivo della sequenza pietra/legna nella redazione greca sta anche la concordanza con Eccl. 10,9 (v. p. 142). 139

gio semitico, mentre la redazione greca, che l'ha conservato, risulta per ciò stesso più antica. Da queste tre osservazioni si deduce che nel testo greco abbiamo la forma primitiva dell'agraphon e che tale testo ci ha conservato la posizione originaria che il logion aveva nel Vangelo di Tommaso. Nel testo copto invece abbiamo probabilmente una trasposizione avvenuta più tardi. Questo è un fatto importante per la valutazione del carattere del nostro agraphon. Il Vangelo copto di Tommaso, come risulta dal complesso delle due frasi componenti il logion 77, intende l'agraphon come una enunciazione della onnipresenza di Gesù risorto. Egli si può trovare dovunque: chi alza una pietra, chi spacca un pezzo di legno ve lo trova. Egli è nella pietra e nel legno. Qui abbiamo dunque una interpretazione panteistica, meglio pancristica, del logion, con la quale si attribuisce a Gesù una ubiquità cosmica. Diversamente stanno le cose nella redazione greca rappresentata dal logion 5 del papiro di Ossirinco 1, il cui contesto esclude completamente una interpretazione pancristica dell'agraphon 2n . Infatti il logion che lo precede garantisce in generale la presenza invisibile del Cristo glorioso accanto ai suoi, e, dopo di esso, l'agraphon di cui trattiamo illustra questa promessa per quanto riguarda chi è solo. Oltre il 2 " Il significato panteistico del logion è sostenuto da Th. Zahn, Die jiingst gefundenen «Auspriiche Jesu», ThLBl 1897, coli.417-420, 425-431, ivi col. 428. - R. Reitzenstein, Poimandres, Leipzig, 1904, p. 239 s.; Idem in GGA 1921, pp. 165-170. - Resch, p. 69. - W. Bauer, Das Leben Jesu im Zeitalter der neutestamentlichen Apokryphen, Tiibingen, 1909, p.406 s. - A. Uckeley, Worte Jesu, die nicht in der Bibel stehen, Berlin, 1911, p. i o . - E. Hennecke in Hennecke2, 1924, p. 37. - M. Dibelius, Geschichte der unrchristlicben Literatur I, Berlin und Leipzig, 1926, p. 53; Die Formgeschichte -des Evangeliums, 3° ediz., Tiibingen, 1959, p. 285. A. Oepke, art. lyziput in ThW I I , 1935, p. 333, n. 3. - H. Kòster, Die ausserkanonischen Herrenworte ah Produkte der cbristlichen Gemeinde, ZNW 1957, pp. 220-237, ' v ' P- 2 3 ^ ' _ W. Michaelis, Die apokryphen Schriften zum Neuen Testament, p. 24. - W. Schneemelcher, Bemerkungen zum Kirchenbegriff der apokryphen Evangelien in Ecclesia. Festschrift ftir J. N. Bakhuizen van den Brink, 's-Gravenhage, 1959, pp. 18-32, ivi pp. 30 s.

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contenuto, contro una interpretazione pancristica del testo greco stanno anche le seguenti caratteristiche linguistiche: il sinonimico parallelismus membrorum, l'asindeto, la mancanza di ogni particella tranne il xat, la locuzione EYEIPEIV TÒV Xtdov2U, la duplice sostituzione della protasi con l'imperativo, a cui segue l'aggiunzione paratattica dell'apodosi; l'uso dell'articolo determinativo con valore indeterminato. Tutto ciò è tipicamente palestinese e permette di concludere che l'agraphon è molto antico. Ma al cristianesimo palestinese primitivo è del tutto estranea una concezione pancristica213. Soltanto in terra egiziana il logion subì successivamente una interpretazione determinata da influssi mistico-panteistici. Questo processo si può cogliere nella redazione copta del Vangelo di Tommaso, la quale, sciogliendo l'agraphon dal suo contesto originario e collegandolo al logion 77 a, fa capire che esso è stato interpretato pancristicamente214. Quindi la significazione gnostica dell'agraphon risulta da una interpretazione tarda che

ln

'EyeipEiv = ' sollevare ' non è usato nel greco classico e potrebbe riallacciarsi all'ebraico heqim o all'aramaico aqem. Nei LXX è termine usuale per rendere heqim. Il significato di « sollevare da terra » si trova in 2 Sam. 12,17 e Ps- H3>7- P e r heqim ebeti cfr. Deut. 27,2.4; los. 4,9.20; 24,26 (qui però i LXX non traducono con ÈTeipEiv). 213 Contro il significato gnostico del logion greco: A. Harnack, tSber die jtingst entdeckten Spruche ]esu, Freiburg, 1897, p. 18. - ' C . Taylor, The Oxyrhynchus Logia and the Apocryphal Gospels, Oxford, 1899, pp. 40 s., 51 s. - H. G. E. White, The Sayings of Jesus from Oxyrhynchus, Cambridge, 1920, p. 38. - A. Deissmann, Licht vom Osten, 4a ediz., Tubingen, 1923, p. 32, n. 3. - J. Leipoldt, Der Gottesdienst der àltesten Kirche,- Leipzig, 1936, pp. 19 ss. - J. Jeremias, art. Xidoc, in ThW IV, 1942, p. 273. - O. Hofius, Das koptische Thomasevangelium und die Oxyrhynchus-Papyri Nr. 1, 654 und 655, cit., pp. 186-188. 2 " O. Hofius, o.c, pp. i86-r88. W. Schneemelcher (v. p. 140, n. 211), p. 30, n. 3, ritiene che la redazione copta dimostri che l'agraphon deve essere inteso in modo « effettivamente ' panteistico ' ». Da ciò risulta che egli non ha compreso la diversa posizione che l'agraphon assume nel testo greco e nel testo copto. La redazione copta dimostra semplicemente che il traduttore copto ha interpretato il logion panteisticamente. Ma con ciò non si è provato nulla del carattere del logion in se stesso. 141

gli attribuì un senso che originariamente non aveva 215 . Il senso originario di questo logion, diverso e molto più semplice, è deducibile dalla menzione di due lavori pesanti, il « sollevare pietre » e lo « spaccare legna » m. Probabilmente l'accoppiamento dei due generi di lavoro è fatto per reminiscenza di Eccl. 10,9: « Chi spacca pietre, ne è ferito, chi spacca legna, ne corre pericolo » 217 . È un logion desolato. L'ecclesiaste, uomo di meditazione, che critica pessimisticamente ogni avvenimento della vita e ogni cosa demolisce col suo scetticismo - tutto è caduco, tutto è vano, tutto è inutile — nel suo pessimismo non s'arresta nemmeno di fronte al lavoro. « Quale vantaggio trae l'uomo da tutta la sua fatica? » (Eccl. 1,3). Il lavoro comporta pericolo e dolore. Chi abbatte un muro può essere morso da un serpe (10,8), chi spacca pietre può ferirsi, e così pure chi spacca legna (10,9)! N o , dice il nostro logion, non è così. « Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt. 28,20), ha promesso il Signore risorto, e ciò vale anche per il lavoro. Per il discepolo di Gesù il lavoro non è pericolo, peso, dolore, ma presenza del Signore! « Mi troverai quando spacchi le pietre; io sono là, quando spacchi la legna ». In Mi. 18,20 viene promessa la presenza di Gesù a coloro che congiungono le mani in suo nome; nel nostro logion la stessa promessa è fatta a

2

" Anche il parallelo alla seconda parte del nostro logion, citato a p. 143, n. 218, non contiene alcun concetto panteistico; cfr. A. Deissmaitn, Licht vom Osten, 4a ediz., p. 32, n. 3. 2.6 Supposto che il TÉXTWV di Me. 6,3 abbia il senso lato di ' carpentiere ', entrambi gli esempi sarebbero tolti dal mestiere esercitato da Gesù. Ma TÉXTWV (naggar) è proprio il falegname (cfr. G. Dalman, Orte und Wege Jesu, BFChTh II, 1, 3" ediz., Gutersloh, 1924, p. 79). 2.7 È osservazione di H. Lisco, che A. Harnack ha citata e fatta sua in iìber die jiingst entdeckten Spruche Jesu, p. 19; così pure H. B. Swete, The Oxyrhynchus Fragment, ET 1896/97, pp. 544-550, 568, ivi p. 548. H. G. E. White, The Sayings of Jesus from Oxyrhynchus, p. 39. 142

coloro che compiono un duro lavoro 21S. Non a caso sono citati due esempi di lavoro pesante: il lavoro di chi costruisce una casa e il lavoro dello spaccalegna. Appunto il lavoro manuale pesante può apparire banale e insensato. No, dice il nostro logion: anche il lavoro più duro ha per il discepolo di Gesù lo splendore d'una gloria nascosta. Egli, il Signore, è accanto ai suoi, qualunque cosa facciano. La sua presenza santifica e benedice tutt'intera la loro esistenza. Questa promessa dell'invisibile presenza di Gesù accanto al discepolo presuppone che Gesù sia vicino a Dio. Essa cioè s'addice al Cristo risorto. Il nostro logion quindi s'accosta a Mt. 28,20; cfr. 18,20; loh. 14,23.

2. «Il mondo è un ponte » m Nel 1900 l'attenzione dei teologi fu attratta da una breve notizia apparsa su una rivista inglese, la quale annunciava che in una iscrizione araba rinvenuta tra le rovine della città di Fathpur Sikri, nell'India settentrionale, si poteva leggere un agraphon 220 . Fathpur Sikri si trova a 175 km. a sud di Delhi, non lungi da Agra, e deve la sua importanza e il suo brevissimo periodo di splendore al Gran Mogol Akbar, vissuto dal 1.542 al 1605 e salito al trono tredicenne il 14 febbraio 1556. L'anno 1569 Akbar s'apprestò a trasformare l'insignificante borgo di Sikri in una grandiosa « Città della vittoria » ( = Fathpur) che fu la sua residenza fino al 1585 ni. Nel maggio del 1601 (1010 dell'Egira) egli ritornò trionfalmente nella precedentente ca™ 'AvàffTO, vùv GfjXji xà tjùXa xoù ptvr|[xóvEUÉ u-ou, dice il Bambin Gesù nel Racconto dell' infanzia di Tommaso (ed. C. Tischendorf, Evangelia apocrypha, Leipzig, 1876, graece A cap. X, pp. i^os.; lat. Vili, p. 174) a uno spaccalegna che egli ha sanato. 219 Le pagine che seguono sono una rielaborazione del mio saggio Zur Uberlieferungsgeschichte des Agraphon « Die Welt ist eine Briicke », NAG, Phil.-hist. Klasse, 1953, nr. 4, pp. 95-103. 220 H. C. G. Moule, An Agraphon, ET 1899/1900, p. 507. 221 V. A. Smith, Akbar, the Great Mogul, Oxford, 1917, pp. 105 s. 143

pitale e, a ricordo del fatto, fece porre una iscrizione sull'imponente portale meridionale (Buland Darwaza) della grande moschea di Fathpur Sikri. Uscendo dalla moschea per la porta principale questa iscrizione si trova a sinistra (est). In essa, alla menzione della circostanza in cui fu posta e alla data, segue la frase: « Gesù, sul quale sia pace, ha detto: ' 17 mondo è un ponte. Trapassate per esso... ma su di esso non prendete dimorai ' » 2U. È un logion che impressiona. Si trova anche nella cosidetta Disciplina clericalis di Pietro A l f o n s i m , un ebreo spagnolo che ricevette il battesimo il i gennaio 1106 e fu medico personale del re Alfonso I di Aragona (1105-1134). La Disciplina clericalis è una raccolta di massime sapienziali di origine orientale. Tale raccolta vuole servire ad illustrare principi di morale cristiana. L' esempio XXVIII contiene, con a l t r i m , il nostro logion, il quale però non è attribuito a Gesù, ma è presentato come sentenza di un ' filosofo '. Esso suona: « Il mondo è simile a un ponte: quindi passaci sopra, non farvi dimora » {seculum est quasi pons: transi ergo, ne hospiteris225). Nel prologo della sua opera Pietro Alfonsi ci informa sulla 2n

B. Pick, Paralipomeni!, Remains of Gospels and Sayings of Christ, Chicago, 1908, p. 100, nr. 107. - In un altro luogo della medesima moschea, e precisamente sull'arcata dell'ala settentrionale del lìwàn (il corpo centrale vero e proprio della moschea) si trova una iscrizione del tutto simile, la quale pure fu collocata nel 1601 nella stessa circostanza, e riporta il nostro agraphon in una redazione alquanto diversa: « Disse Gesù Cristo, benedetto egli sia: ' Il mondo è un palazzo alto, perciò sta all'erta e non costruire su di esso ' ». (E. W. Smith, The Moghul Archiiecture of Fathpur Sikri IV, New Imperiai Series of the Reports of the Archaeological Survey of India, voi. XVIII, 4, Allahabad, 1898, p. 15. Purtroppo lo Smith non riporta il testo arabo). m Die Disciplina clericalis des Petrus Alfonsi, hg. von A. Hilka und W. Soderhjelm, Heidelberg, 1911. - Alla Disciplina clericalis ha rimandato H. Sahlin, « Die Welt ìst eine Briicke...», ZNW 1956, pp. 286 s. 124 Ne dà notizia H. Sahlin, ibid., p. 286. 125 Disciplina clericalis, p. 45. 144

provenienza e sulle fonti del suo materiale. Ivi egli dice d'aver attinto le sue massime sapienziali « partim ex proverbiis philosophorum et suis castigacìonibus, partim ex proverbiis et castigacionibus arabicis et fabulis et versibus »226. Ora, nel mondo occidentale non è attestato né il logion del ponte né alcun altro logion simile. Ciò convalida l'ipotesi che Pietro Alfonsi l'abbia attinto da quelle massime morali e proverbi arabi (cioè maomettani) di cui fa cenno. Anche la redazione offerta dall'iscrizione indiana fa pensare che esso provenga dall'Islam. La formula introduttiva: « Gesù, sul quale sia pace, ha detto » è infatti una introduzione stereotipata dei logia di Gesù tramandati nel mondo maomettano. Agli scrittori arabi il nostro logion è ben noto, e non v'è dubbio che esso sia giunto in India e in Spagna per tramiti maomettani 227 .'Esso non solo è citato da Al-Ghazali (1059-1111) e da Abu Talib al-Makki (sec. X) - da ciascuno due volte come logion di Gesù228 -, ma già da Ibn Abi al-Dunya (sec. IX)2M e da Wohayb ibn al-Ward (sec. Vili). Quest'ultimo afferma che Gesù l'ha pronunciato immediatamente prima di ascendere al cielo 2X . Ma la tradizione è ancora più antica. Infatti due altri ai

Ibid., p. 2. L'immagine del ponte manca nella raccolta di 77 agrapha maomettani pubblicata da D. S. Margoliouth in ET 1893/94 (v- P- 43> n- I 2 6); manca anche in E. Sell e D. S. Margoliouth, Christ in Mohammedan letterature in A Dictionary of Christ and the Gospels II, 1924, pp. 882-886. Il mio lavoro avanzava a fatica quando .ebbi modo di consultare l'ampia- silloge pubblicata nel 1919 e nel 1926 dall'arabista madrileno prof. M. Asin y Palacios: Logia et agrapha Domini Jesu apud Moslemicos scriptores, asceticos praesertim, usitata, PO 13,3, Paris, 1919, pp. 327-431; 19,4, 1926, pp. .529-624. (Cfr. p. 43, n. 126). Per completezza supera di gran lunga tutte le precedenti, ma è passata stranamente inosservata nella bibliografia teologica. m M. Asin y Palacios, ibid., nr. 46, pp. 376 s.; nr. 75, p. 404; inoltre la seconda parte del logion, da sola, si trova in Al-Ghazali come logion di Gesù, e, come vedremo, in Al-Daylami come logion di Maometto, ibid. nr. 34, pp. 367 ss. 225 Ibid., p. 368. 230 Ibid., p. 404. !27

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testimoni, Al-Daylami (sec. XI), che attribuisce il logion a Maometto231, e Malik (sec. Vili) 2 3 2 citano ambedue, a garanzia, un compagno di Maometto di nome Ibn Omar (sec. VII). Grazie a questa serie inconsueta di legami il nostro logion risulta uno dei più antichi dei numerosi233 agrapha di Gesù trasmessi in lingua araba. Per antichità di tradizione possono paragonarsi ad esso soltanto due racconti, che si presumono tramandati dallo stesso Maometto sul « suo fratello Gesù »234, una preghiera di Gesù a5 , attestata, come il nostro logion, da Ibn Omar, un apoftegma tramandato da Ibn Abbas, compagno del Profeta236, e una storia dell'infanzia di Gesù tramandata da Abu Sa'id al-Khadari, altro compagno del Profeta237. Ma possiamo risalire anche oltre Ibn Omar. Questi trasmette il logion come massima del profeta Maometto, aggiungendo però che esso veniva attribuito anche a Gesù 23S. Del tutto sorprendente è questa incertezza del testimone più antico, e ancor più il fatto che l'attribuzione del logion a Maometto non riuscì ad imporsi, sicché negli anni che seguirono (se si eccettuano Malik e Al-Daylami)2Ì9 il logion venne tramandato, senza alcuna limitazione, come parola di Gesù, come fa appunto l'iscrizione indiana dalla quale siamo partiti. Questi due fatti si spiegano soltanto se si suppone che il logion sia originariamente anteriore all'era maomettana e che la tradizione che lo faceva risalire a Gesù fosse così solida da non poter essere scossa. In questo modo si risale a più di un millennio oltre la data del231

Ibid., p. 404. Ibid.,p. 377. Cfr. n. 238. 233 V. pp. 42 s. 234 M. Asin y Palacios (v. n. 227), nr. 45, pp. 375 s.; nr. 184, p. 579. 235 Ibid., nr. 11, pp. 355 s. 236 Ibid., nr. 96, p. 420. 237 Ibid., nr. 206, pp. 591 s. - Seguono alcuni agrapha che rappresentano tradizioni più recenti, e i cui tradenti vivevano ancora nel sec. V I I : ibid., nr. 2, 4, 39, 55, 80, 88, 102 ter, 102 quater, 164, 178, 210, 216. 238 Ibid., p. 377, a quanto afferma Malik (sec. V i l i ) . 239 Purtroppo non sappiamo a quale autore maomettano Pietro Alfonsi debba la conoscenza di questo agraphon. 232

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l'iscrizione indiana. Ad un'epoca ancor più antica ci rimanda il Vangelo copto ài Tommaso, il quale come logion 42 tramanda il seguente agraphon di Gesù: « Gesù disse: « Siate di passaggio! » 24°. schópe etetiriirparage. In forma più ampia questo logion si trova anche in Al-Ghazali, il quale pure lo riporta come massima di Gesù241: « Perciò vivete in esso (se. il mondo) come persone che passano, e non come persone che in esso hanno preso dimora; e sappiate che la radice di ogni peccato è l'amore per il mondo ». Affine è anche la massima di un ' filosofo ', che Pietro Alfonsi cita immediatamente prima del logion del ponte: « Il mondo è simile a un passaggio » (seculum est quasi transitus)242. La continuazione di questa massima {oh hoc itaque cum honestate tibi omnia provide, quia brevis est cursus vitae) dimostra che, a rigore, non il mondo, bensì la vita umana è paragonata a un transitus. Quindi il punto di partenza di quel concetto della vita intesa come un passaggio, che per il mondo maomettano è attestato da Al-Ghazali, Al-Daylami e Pietro Alfonsi, si deve ricercare nel cristianesimo primitivo. Infatti, come dimostra il Vangelo copto di Tommaso, al più tardi verso la fine del sec. II circolava tra i cristiani d'Egitto un logion di Gesù che parlava del ' pellegrinaggio ' dei fedeli in questo mondo. L'illustrazione di questo concetto mediante l'immagine del ponte deve essere considerata una coloritura escogitata molto probabilmente in Egitto, e non nell'arida terra di Palestina243. 2,0

II precedente testo greco, che soggiace al testo copto del nostro logion, può essere soltanto YIVECSE TtapàyovTE<;; cfr. ad es., l'analoga traduzione in saidico del gr. ybjtaOt £TOIU.OI {Le. 1240). 241 M. Asin y Palacios (v. p. 145, n. 227), p. 368. Al-Daylami attribuisce il logion a Maometto (ibid., p. 369). 2,2 Cfr. H. Sahlin (v. p. 144, n. 223), p. 287. "3 Peraltro, l'immagine del ponte non è del tutto impossibile in Palestina, se, per es., in Tos. Para 9,9 (638,243.) si legge: acqua di espiazione e 147

A confermare che l'immagine del ponte è secondaria, si può osservare che nella Mischna gine ne concorre un'altra. In Pirqe Abot 4,16 guente massima, strettamente affine al logion struttura stilistica e per contenuto:

una coloritura con tale immasi trova la sedel ponte per

« R. Ja'aqob (e. 200) soleva dire: ' Questo mondo è simile all'anticamera del mondo futuro. Preparati nell'anticamera affinché tu possa trovare accesso nella sala da pranzo! ' ». Anche qui, come nel logion del ponte, abbiamo un tristico, costruito secondo lo schema a-f-b || e (tema e svolgimento nel parallelìsmus membrorum). In entrambi i casi il tema è una comparazione. Ciò che sorprende in entrambi i logia è che questa comparazione ha inizio con le stesse parole: « Il mondo (presente) è simile... ». Ad essa segue in entrambi i casi, come illustrazione, un imperativo con l'aggiunta Cu una proposizione sulla quale cade tutto l'accento. Anche il contenuto dei tre stichi corrisponde al logion del ponte: in entrambi i casi abbiamo l'esortazione a dedurre dalla labilità del mondo la necessità di orientare la propria vita al futuro mondo di Dio. Solo l'immagine è diversa: là il ponte, qui l'anticamera. La diversità dell'immagine ha prodotto un lieve spostamento di accento, che nel logion rabbinico cade sul richiamo a prepararsi al futuro regno di Dio. Nell'anticamera si raccolgono gli ospiti invitati al banchetto. Qui vengono loro lavati i piecenere di espiazione « si può portare sopra un ponte, sia sul Giordano, sia su qualunque altro fiume, (all'altra sponda) »; e se in 'Er. 5,1 si trovano prescrizioni riguardanti « ponti, presso i quali si trova un'abitazione (certo, per il doganiere) ». Anche in altri testi rabbinici si fa ripetutamente menzione di ponti. In particolare ci si può richiamare alle strade romane di Palestina e ai loro ponti: cfr. P. Thomsen, Die rómischen Meìlensteìne, ZDPV 1917, p. 13. - F.-M. Abel, Géographie de la Palestine I I , Paris, 1938, p. 226. - Cfr. anche S. Krauss, Talmudiscke Archàologie I I , Leipzig, 1 9 0 , pp. 32S ss.

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di 244 , una mano (certamente la destra) 2 4 5 , viene unto loro il capo con olio 24* e offerto un antipasto 247. Poi vengono ammessi, dietro il padrone, nella sala del convito 248. Questa è l'ultima breve occasione offerta all'ospite per pulirsi e ungersi in vista della partecipazione al banchetto, perché non gli sia negato l'ingresso nella sala del convito 249. Allo stesso modo, dice R. Ja'aqob, tu devi utilizzare il breve periodo della tua vita per prepararti all'eternità. Nell'immagine del ponte è presente l'ammonizione a non vedere in questo mondo la propria patria: questa vita è soltanto un passaggio dal tempo all'eternità. Non dimenticatelo! Non fate del ponte la vostra dimora! « Trapassate per esso, ma su di esso non prendete dimora! ». Nei due logia l'affinità di forma e, nonostante alcune differenze, anche di contenuto, è evidente. Si dovrà quindi vedere nella concisa redazione del Vangelo di Tommaso « Siate di passaggio! » il nucleo più antico, e in ciascuna delle due immagini una derivazione secondaria. Poiché tale nucleo costituisce già la base del logion rabbinico, esso deve aver avuto la sua patria nella tradizione sapienziale giudaica, nella quale il confronto della vita con la condizione di stranieri e di ospiti è consueto 250. Ma in semitico « colui che è di passaggio » è locuzione abituale per indicare il viandante 2 5 1 . Il logion del Vangelo di Tommaso va quindi tradotto: « Siate viandanti! ». 244

Cfr. Le. 7,44; inoltre b. Men. 85 b: in Galilea una schiava, prima del pasto, lava con acqua calda le mani e i piedi all'ospite e al padrone giudeo. 245 Billerbeck IV, p. 616. 246 Le. 7,46. 247 Billerbeck IV, p. 616. 248 Ibid.,p.6i7. 249 Cfr. Mt. 25,11 s.; 22,11-13. Sui numerosi logia che trattano dell'accesso cfr. H. Windisch, Die Spriiche vom Eingehen in das Reich Gottes, ZNW 1928, pp. 163-192. 250 Ps. 119,19.54; 1 Chr. 29,15 par. Ps. 39,13. 251 b. Sanh. 103 b: « Il suo pane era preparato per i passanti della strada (cioè, per i viandanti, i viaggiatori) »; 70a: «un viandante della Galilea predicava »; ecc. 149

L'esortazione « Siate viandanti! » non ha alcun parallelo diretto nei logia di Gesù contenuti nei Vangeli canonici. Tuttavia il rimando alla labilità della vita e l'esortazione a non dimenticarsi della sua caducità si trovano spesso nelle parole di Gesù, ad es., in Le. 12,20; 16,19.27 s., e anche in 16,9 (« tabernacoli eterni »); l'analogia più prossima si ha probabilmente in Mt. 6,21, con l'esortazione a non affezionarsi ai tesori della terra. Si può quindi pensare che Gesù abbia fatto suo il laconico comando: « Siate di passaggio! », « Vivete come pellegrini! ». Ma ciò non è molto probabile; vi si oppone in particolare la mancanza di un'eco escatologica. Ma è certo che il nostro agraphon esprime un concetto che era vivo nella cristianità primitiva. Tanto la Lettera agli Ebrei, quanto la ia Lettera di Pietro affermano che i fedeli sulla terra sono ospiti e pellegrini (Hebr. 11,13; 1 Peir- 2,11); la loro vera patria non è in questo mondo. Essi sono il popolo errante (Hebr. 3-4), che aspira alla città costruita da Dio (11,10). Sarà dunque, questo, un logion della profezia comunitaria. L'immagine del ponte, con la quale la tradizione cristiana posteriore ha illustrato l'immagine del pellegrino, era una delucidazione adeguata e felice dell'ammonizione: « Il mondo è un ponte », un ponte dal tempo all'eternità. Non è il fine, è solo un passaggio. Perciò « Trapassate per esso, ma su di esso non prendete dimora! ». Questa viva immagine esprime in modo penetrante la certezza che l'autore della Lettera agli Ebrei ha espressa con queste parole: « Noi non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo quella futura » (13,14).

*5° .

CAPITOLO

VI

L'IMPORTANZA DEGLI AGRAPHA DI GESÙ PER LO STUDIO DEI VANGELI

Non è qui necessario esporre minutamente quale importanza abbia per la teologia e per la Chiesa qualsiasi arricchimento del nostro sapere nei riguardi di Gesù e del suo messaggio. I racconti su Gesù e gli agrapha riportati nella seconda parte di questo libro parlano da sé a chi ha orecchi per intendere. Qui basterà indicare molto brevemente alcuni risultati utili per lo studio dei Vangeli. i. Per quanto riguarda la storia della tradizione, sorprende che i racconti extracanonici su Gesù, confrontati con gli agrapha, costituiscano un materiale di notevole valore. Tutti e tre i racconti da noi esaminati ci presentano inequivocabilmente situazioni palestinesi per quanto riguarda sia i loro temi (adempimento della Legge, purità legale, osservanza del sabato) sia il loro particolare svolgimento. È da notare inoltre che tra le narrazioni extracanoniche più antiche solo sporadicamente si trova materiale secondario l e in misura neppure lontanamente paragonabile a quella in cui siffatto materiale si trova negli agrapha di Gesù. Questi quindi erano più di quelle espo1

Per es., la scena del Giordano nel papiro Egerton 2 (v. Hennecke3 I, p. 60) e, in S. Girolamo, De viris ìllustr. II, la prima apparizione del Risorto a Giacomo, fratello del Signore, della quale dava notizia il Vangelo degli Ebrei (v. Hennecke1 I, p. 108). Vi potremmo includere aliene il colloquio di Gesù con sua madre e i suoi fratelli sull'opportunità di presentarsi al battesimo di Giovanni (v. p. 47). C'è tuttavia da osservare che della scena del Giordano sono rimasti soltanto frammenti, sicché su di essa non è possibile un giudizio definitivo, e che un'apparizione a Giacomo è attestata in 1 Cor. 15,7 (però non come prima apparizione). 151

sti ad alterazioni, amplificazioni, falsificazioni, invenzioni2. 2. Singolare è il risultato che si presenta sotto l'aspetto biblico-teologico, se si raccolgono le narrazioni e i logia extraevangelici ad illustrare la predicazione di Gesù. Vi hanno risalto la lotta che Gesù sostenne contro il fariseismo, il numero relativamente alto di logia apocalittici e soprattutto l'ampio spazio riservato agli ammonimenti morali, in particolare le sempre nuove formulazioni del precetto dell'amore. Mancano invece logia che abbiano come oggetto l'evangelo nell'evangelo, l'offerta ai peccatori della remissione dei peccati e della salvezza. Ciò sarà dipeso probabilmente dal fatto che tutti i logia di questo genere, che fossero noti, erano già stati raccolti nei quattro Vangeli canonici. Comune a tutte le narrazioni e a tutti i logia è una severità che colpisce la coscienza e, nelle narrazioni, non rifugge da un'aspra drasticità. Vi si nota inoltre quella piena coscienza della propria autorità, da cui trae valore ogni parola. 3. Occorre infine far cenno a un risultato negativo che riguarda gli agrapha e che è già stato rilevato dal Ropes 3. Gli scritti extracanonici, considerati nel loro complesso, sono di una povertà impressionante. La maggior parte è leggenda e reca evidenti i segni dell'invenzione. Soltanto qua e là, in mezzo a ciottoli e a detriti, brilla una pietra preziosa. Il materiale storicamente utilizzabile è molto scarso. « Non c'era nulla! », diceva il Ropes nel 1894 4. Ma è un giudizio troppo severo. Certo, il totale insuccesso a cui pare sia andato incontro il primo raccoglitore di agrapha di Gesù, Papia di Gerapoli (v. pp. 52 s.), comprova che veramente c'era poco. Ma da quando, nel 1897, quindi un anno dopo la pubblicazione del libro del Ropes, han2

Si conferma così un risultato che J. Wellhausen aveva già enunciato in Einleitung in die drei ersten Evangelien, 2* ediz., Berlin, 1911, p. 76, « contro la comune opinione ». 3 4

P- 159 sp. 160.

152

no avuto inizio le scoperte che hanno accresciuto in qualche modo il materiale su cui si può lavorare, è doveroso concedere alla tradizione extracanonica una stima un po' più alta di quella riconosciutale dal Ropes. Particolarmente incresciosa è la perdita dei Vangeli giudeo-cristiani. Ma ciò non muta in nulla il giudizio generale, che è questo: l'importanza della tradizione extracanonica sta essenzialmente nel fatto che essa fa risaltare il valore unico dei nostri Vangeli. Chi vuol conoscere la vita e il messaggio di Gesù, li ritrova soltanto nei quattro Vangeli canonici. Gli agrapha possono offrire integrazioni, importanti e preziose integrazioni. Null'altro.

153

INDICI INDICE DEI LUOGHI CITATI

Antico Testamento: Gen. 19: 102 19,17: 102 s 26,11: 75 Ex. 12,5: 75 21,17: 75 Lev. 19,17: 122 19,18: 56.67 21,14: 75 Num. 15,35 s - : 86 19,12.19: 74 Deut. 23,19: 47 27,2.4: 141 32,10: 56 7o.r. 4,9.20: 141 24,26: 141 1 Sam. 17,34: 75 j C£r. 29,15: 149 Ps. 17,8: 56 39,13: 149 113,7: 141 119,19.54: 149 Prov. 1,2: 124 7,2: 56 22,21: 124

23,12: 124 Eccì. 1,3: 142

10,8:142 10,9:139.142 Is. 6,9 s.: 82 43,20: 79 44.3: 79 55,i: 79 57,19: 126 s. ler. 44,28: 75 Lam. 3,28: 138 Ez. 2,1: 84 33,12-20: 112 47.1 ss.: 79 Dan. 7,13: 106 8,17: 84 loel. 3,1: 79 4,i8: 79 Mich. 1,7: 47 6,8: 84 7,6: 101 Zach. 13,1: 79 14,8: 79 Mal. 3,16: 138 Ecclus. 23,13-15: 124 29,5: 124 3 i [ 3 4 l 3 i : 124 41,25 s.: 124

Nuovo Testamento : Ut. 3,6: 47 3.7: 103 4,19: 116 5,14: 19 .5,17: 42 5,22: 122 s. 5,23 s.: 123 5.32: 124

5,44: 126 6,13: 61.100 6,21: 150 6,24 ss.: 130 6,25-34: 127 6,25.27 s.: 20 6,30: 128 6,33: 129 s.

*5

7,6: 78.80 7,io: 116 7,15: 100.102.134 8,6: 80 8,19 s.: 96 8,28: 66 9,2: 80.84 937: 131 10,6: 131 10,9: 49

21,21: 56 21,23: 75 22,6: j ^ s. 22,11-13: 149 22,21: 56 22,39: 56 22.39 s.: 67 23: 78 23,16 s. 19.24.26: 80 23,25 ss.: 80

10,10: 29 10,15: 102

23,27: 74-78 23,27 s.: 78 23,33: 103 24,5: 100.102 24,9: 107 24,11: 134 24,20: 85 24.30 s.: 30.106 24,31: in.113 24.40 s.: 113 25,1-12: 113 25,11 s.: 149 25,27: 131 25.31 s.: i n 25,32: in 26,25: 80 26,30: 98 26,41: 97 26,64: 80 27,6 s.: 48 27,11: 80 28,10: 142

10,16: 20.57 10,28: 58.107 10,35 s.: 101 10,37: 76 11,15: 116 11.23 s.: 102 12,37: 75 13,9: 116 13,33: 126 13,41: in 13,43: 116 13,44.45 s.: 117 13,47 s-: I][6 13,49: I H 13,52: 131 14,28 ss.: 118 15,14: 80 16,19: 131 16.24 s': S>6 17,4: 124 17,20: 56.118 17,26: 61 17,27: 116 18,6: 18 18,12-14: 131 18,15: 122 18,18: 131 18,20: 138.142 18,21 s.: 123 s. 19,16 ss.: 65 19,16: 66 19,17: 66.84 19,19: 56 19,23 s.: 92 20,22: 84 20,25-28: 58 20,28: 58 20,30: 66 21,12: 132

156

Me. 1,4: 47 1,8: 79 1,17: 116.131 2,5: 83 s. 3,1 ss.: 86 3,22: 75

3,35: 75 4,3-8: 126 4,8: 75 4,9: 116 4,13: 119 4,20: 75 4,23: 116 4.26-29: 126 4,27: 80.82 4,30: 76 4,30-32: 126 •),y. 80.82

6,3: 142 7,1 ss.: 8i 7,4.6-8: 81 7,8: 81 7,15: 30 7,18: 119 7,19: 48 7,30: 80 8,17 ss.: 119 8,32 s.: 119 8,34 s.: 107 9,19: 119 9.434547: 92 9,49: 96 s. 102 10,2 ss.: 48 10.11 s.: 29 10,14: 83 10,17 ss-: 65 10,32: 80 10,33: 79 10,38: 79.84 10,39: 107 11,15: 132 11,23: 56 11,25: 123 11,27: 75.80 12,17.31: 56 12,34: 96 13: 103.112 13,5 s.: 102 13,5.13: 104 13.12 s.: 107 13,13: 100.107 13,14: 104 13,14-18:. 104 13.21 s.: 134 13.22 s.: 102 13,26 s.: 106 13,27: ni.113 14,22-24: 29 14,27.29 s.: 23.98 14,30: 98 14,38: 97-99-104 16,9-20: 31 s. 16,14: 33 Le. 1,1: 14 2,37: 82

5,y- 47 . 4,24: 19.55 5,20: 84

6,5:32-83-87 6,42: 19 7,44: 148 7,46: 149 8,8: 116 9,28: 8c 9,50: 126 9,55 s.: 31.61 10,3: 57 s. 10,12: 102 10,16: 32.55 10,27: 56 11,11: 116 11,38: 80 11,44: 78 11,52: 20 12,4 s.: 58 12,14: 86 12,20: 149 12,22-31: 127 12,22.25.27: 20 12,28: 127 12,31: 129 12,49: 96 s. 102 13,10 ss.: 86 13,16: 67 13,18: 76 14,1 ss.: 86 14,8-10: 58 14,26: 76 14,35: 116 16,9: 149 s. 16,19: 149 16,20 s.: 67 16,27 s-; J 49 17,3 s.: 124 17,20-37: 112 17,28-32: 102 17,31 s.: 103 17,34 s.: 136 18,1: 57 18,18 ss.: 6^ 18,31: 80 19,9: 67 19,10: 51 20,2: 75 20,25: 56 22,8: 79 22,28.31 s.: 98 22,40: 97 23.34: 31

157

l o . 1,33.35: 79 1,38: 83 2,14 s.: 132 4,10 ss. 14: 79 5: 59 5,2: 76 • 5,39.45: 60 6,5: 83 7,37 s.: 79 7,53-8,11: 31 8,52: 50 9,29: 60 10,23: 80 11,55: 74 12,40: 82 12,44:32.55 13,10 s.: 74 14,9: 119 14,23: 143 16,2: 107 18,28: 74 Act. 1,4 s.: 30 1,5: 79 1,7 s.: 30 9,4-6.10-12.15 s.: 30 11,16: 79 18,9 s.: 30 s. 20,31: 82 20,35: 18.29.52 22,7 s. io: 30 s. 22,18.21: 31 23,11: 31 26,7: 82 26,14-18: 30 Rom. 1,5: 76 14,14: 29 s. 14,21: 54 14,23: 87 J Cor. 2,9: 53 7,io: 29

9M-

2

9

11,18 s.: 101 11,24 s..: 29 13,2: 56 15,7: 151 15,8: 105 !5, 2 3 : 108 2 Co?. 12,9: 30 Co/. 2,16: 85 j Thess. 2,9: 82 2,13: 54 3,10: 82 4,15: 1.05 s. 4,16 s.: 29.105-108 2Tbess.2,9\ 82 iTim. 5,5:82 2 Tim. 1,3: 82 1 Petr. 1,7: 97 2,11: 150 3,14: 26 4,8: 52 2 Petr. 2,22: 78 1 lo. 3,8: 46 Hebr. 2,11-13: 54 3-4: 150 10,5-9: 54 11,10.13: 150 13,14: 150 Iac. 1,12: 26.98 1,13: 98 lud. 12: 121 Apoc. 1,11.17-20: 31 2-3: 31 3,18: 97 12,6.13 ss-: 1 0 3 16,15: 18.31 20,10-16.18-20: 31 22,1 ss.: 79 22,15: 78 22,17: 79

Fonti giudaiche: Baruch (sir.) 29: 53 _ , 4 Esdra 5,41 s.: 107 Henoch (etiop.) 100,4 s - : "3 Giuseppe Flavio A«f. X,37: 134 158

C. Ap. I I , 104; 74 Bell. Lud. V,227: 74 maraschini Midr. Eccl. 1,8: 47 Sifre Deut. 355 a 33,21: 108

Qumran 3Q15.XI.12 s.: n Talmud b. A. Z.i6b/ija: 18.47 Ber. 9,5: 73 b. Ber. 6ob: 100 Rag. 3,8: 73 TOT. H»l. 2,22 s.: 47 2,24: 49 'LV. 5,1: 148 Joma 1,1: 47 è. JoOTfl 30 «é: 74.81 ;. /owa 1,39 a, 22 ss.: 47 Kel. 1,8: 74 Tiw. &?/. B. Q. 1,6: 80 iCtfr. 1,2; 4,2: 84 è. Afe». 85b: 148 Naz. 2,4: 83 s.

Ned. 4,4: 83 Tos. Para 9,9: 147 Pirque Abot 3,2: 138 4,16: 148 è. £W. 8ia: 83 è. Sanh. yoa; lo^b: 150 /. Sanh. 10,9,29^: 103 6. SAtfè. 116 ab: 42 Shebìt'it 5,8: 83 Shebu'ot 1,6; 2,1: 84 Shequ. 1,3: 132 ,V£e#. 2,1: 132 5.6: 73 T a « . 3,4: 73 Ter. 2,2: 83 Targa»* Ex. 22,8 Onq.: 124 ler. 1,11 Onq.Deut 33,21: 108

Fo«;/ cristiane antiche e medioevali: Afraate D m . 1,17; XVI.8: 37 IV,i6: 37-57 Ambrogio Ep. I.XXXVI.3: 129 Apocrifi del N. T. Actus Vetri e. Sim. X: 117 ss. XXXIX: 53 Atti di Giovanni 88-102: 50 s. Martyrium Petri X: 53 V«»g. Jeg/i Ebioniti : 57 V<j«g. Jeg/j £ £ « . : 46 Va«g. iz Filippo 18, ecc.: 25 54: 25.51 V ang. dei "Nazaret : 47.65 ss. 123 ss. Vang. di Pietro 19: 33.50 42: 33 Va«g. di Tommaso prologo: 21 1-7: 2 1 . 7: 116

8: 25 s. 115 ss. 17: 53 s. 20: 115 21.24: 116

25: 56 26-33: 21

3° 13S 31: 55 36-39: 21 38: 38 42: 147 ss. 48: 56 51: 26 57: 115 63.65: 116 76: 115.139 77: 139 ss. yyb: 21 78 139 8 2 89 ss. 96 116 97 115 98 26.115 s100: 55 s. 107.109: 115 Pseudo-Atanasio Vita Syncl. 63: 38 100: 37.38 Quaest. ad Ant. 36: 109 Atti dei Martiri (in copto): 51 Cipriano De mort. 2 ss.: no 17 : n o ss. 159'

Pseudo-Cipriano De àuob. moni. 13: 37 De aleat. 3: 37 2 Clem. 5,2-4: 18.36.58 Clemente Alessandrino Exc. exTheod. 2,2: 102 67,2: 46 Paedag. Ili,XII ,91,3: 37.52 Quis dives 37,4: 37 40,2: 1 0 9 . n i s. Strom. I,XIX,94,5: 37 XXIV,i58,2-. 36 s. 128 s. XXVIII, 177: 132 II,XV ) 7 o,5: 37 III,VI,45,3: 46 IX,63,2; 64,1: 46 XV,97,4: 36 V,X,6 3 , 7 : 36.38 VI,VI, 4 4,3: 37 Const. apost. 11,8,2: 98 Crisostomo Hom. de stai. XIX4: 22 Dial. de recta fide 1,13: 38 Did. 1,5; 8,2: 39 Didascalia lat. 11,8,2: 98 syr. 11,3,3: 39.52 V,14,15-24; VI,14,4; 18,25: 39 V,i5,2: 54 VI,5,2: 39.101 Didimo InPs. 88,8: 91 De trìti. 111,22: 38 Efrem ed. Assemani 1,30 E. 140 D; I I I , 9 3 E : 37 11,232: 37.49 Ev. corte, expl. XIV,24: 37 XVII.i: 38.138 Elia di Creta: 109 Epifanio Panar. 23,5,5; 34,18,13; 69,44,1; 69,53,2; 80,5,4: 38 26,13,2 s.: 24 26,13,2: 46 13,30,2 s.: 57 44,2,6: 62 Eusebio Hist. eccl. 111,39,1.13: 52 III.39.J5: 14 In Ps. 16,2: 37.129 160

Theoph. syr. 4,12: 18 Evagrio, Vita Ant. 18: 109 Freer (logion): 32 s. Giovanni Climaco Scala VII: 109 Giovannicio Vita: 109 Girolamo In Eph. 5,3 s.: 121 Epist. CXIX.i 1,2: 38 CXXII, 3 : 112 InEz. 18,7: 18 Adv. Pelag. 111,2: 47.123 De viris ili. I I : 151 XVI: 93 Giustino Apol. 1,15,8: 36 Dial. 35,3: 36.100 ss. 38,2: 36 47,5: 36.108 ss. 51,12: 36 De resurr. 9: 36 Ignazio Eph. 1,2: 93 Rom. 4,1 s.; 5,2 s.: 93 Troll, i o : 93 Smyrtì. 4,2: 93.97 Ippolito In Dan. IV,6o: 37 Ref. V,io,2: 40 Ireneo Adv. haer. 1,20,2: 38 V,28,3: 93 V,33,3S.: 36.52 s. V,36,2: 36 Lattanzio Dìv. Inst. ^ , 3 0 , 2 : 3 7 Lessico di Snida: 94 Liber Graduum I I - I I I : 54 111,3: 38.108 ss. X ) 5 : 38.54 XII,6: 54 XV,4: 38.108 ss. XVI,i2: 38.53 XIX,i9: 49 . XXI V,2: 108 XXIX,8: 38.57 Michele Apostolios XIV,65: 94 Naasseni (Inno dei): 40 s.

Od. Sai. 31,6 ss.: 41 Origene In ler. hom. I l i 3: 89 ss. hiloh.XÌXj: 37 s. I.-i Is. hom. IV,3: 89 ss. In Lue. hom. I: 90 VI: 93 I« M.atth. tom. XV,14: 16.55 ss. De orai. 2,2; 14,1: 129 s. Sei. in Ps. 4,4: 37.129 s. Papiri di Berlino 8502: 24 del Cairo 10735: 23 Egerton 2: 23.33.58 ss.: 151 Frammento di Fajjum: 23 di Ossirinco 1: 19 s. 25.55.138 ss. 654: 19 ss. 25 655: 19 ss. 25.61 s. 127 s. 840: 19.22 s. 33.48.61.67.68 ss. 134 ss. 1081: 23

1224: 23.61.125 ss. Pap. copto di Strasburgo: 23 Frammento di TurfanM 789: 53 Pseudoclementine Hom. 11,17,4 s.; 11,52,2; 53,3;

55,2; XI,26,2; XII,29,i; XVI, 21,4; XIX,2,4; 20,1: 38 11,17,4: 101 I l , 5 i , i : 37 s. 130 ss. 111,50,2: 38.130 ss. X V I ,21,4: 36 XVIII,20,4: 130 ss. XIX,20,i: 36 Simeone di Mesopotomia Hom.

XII,I7;XIV,I;

XXXVII,i : 38 Sinesio di Cirene De regno XI C: 94 Socrate Hist. eccl. I I I , i 6 : 37.38 Teodoreto Hist. eccl. 1,4,45: 37 In Ps. 24,14; 65,16: 36S. Tertulliano De bapt. XX,2: 37.98 Deidol. XXIII.3: 37 De orat. XXVI, 1: 37 Altre fonti Diogeniano VII,77è: 94 s. Esopo: 94 Autori maomettani: 42 s, 143

Autori moderni: 'Abd al Masih Yassah, 11.25 Abel, 148 Adam, 40 Allegro, 77 Andrae, 42 s. Asin y Palacios, 43.145 ss. Bauer J. B., 21.25 s> 9i-ss. 124 Bauer W., 18.31.35.41.58.113.134. 140 Baumgartnei, 75 Bell, n.23.59 s. Billerbeck, 49.56.81.107 113.116.125.132.138.148 Black, 84.96 Blass, 137 Blau, 69 Bonnet, 35 Brockelmann, 93 Biichler, 68 s.

Buhl, 75 Bultmann, 83 Burkitt, 32 Burney, 85.96 Cadbury, 14 v. Campenhausen, 118 Cohn, 94 Cullmann, 35 Dalman, 26.80.84.116.142 Deissmann, 141 Dibelius, 59.106.122.140 Dodd, 30.59.99 Dorries, 38 Duensing, 35 Fitzmyer, 20 s. Freedman, 21.25.90.116 Garitte, 19 Gesenius, 75 Goodspeed, 69 161

Grant RJVL, 21.25.90.116 Grenfell, 19.22.68.134 s. Guillaumont, 11.21.25 Haenchen, 21.25.52.121 Halkin, 109 Hansel, 133 v. Harnack, 41.69.80.90 s. 109.122. 129.13i.14 1 s Harris, 85 Helzle, 35 Hennecke, 140 Hoennicke, 85 Hoffmann,D.,8i Hofius^i^o.^s-^8-1^ Holl, 109 s. Holzmeister, 37 Hunt, 19.22.68.134 s. Hunzinger, 26.115.117 Jonas, 118 s. Joiion, 84 Kasser, 21 Kittel, G., 106 Klostermann, 11.19 s. 23.36.58. 84.113.126 s. Kohler, £ . , 98 Kohler, L-, 75 Kiàster, i 4 ° Kraft, R.A-, 21 Krauss, 132.148 Kuhn, K.G., 42.96 Kuhn, K.H., 139 Labib, Pahor, 25 Lagrange, 59- I 2 4 Leipoldt, 25.50.141 Lipsius, 35 Lisco, 142 Lohmeyer, 100 Margoliouth, 43.145 Marmorstein, 6^ Maurer, 33 Mayeda, 23.59 s. Menoud, 85 Merx, 85 Michaelis, 106.x18.124.140 Milik, yy Morenz, 35 Moule, i43 Nestle, 22 Oepke, i 4 ° Peterson, 108 Pick, 144 162

Preuschen, 22.69 Puech, n.23.25.34.40.45 Quecke, 25.115 Quispel, 11.25 Rahner, H., 131 Reitzenstein, 140 Rengstorf, 84 Riggenbach, 69.79 Resch, 11.17 ss. 36.39.49.55.66.98. 101.109.122.131.133.138.140 Riessler, n o Rigaux, 104 Roller, 132 Ropes, 11.17 ss. 36.43.48 s . 5 7 s. 66 s. 85.90.109.in.122.125.128. 131.133.138.152 s. Sahlin, 144.147 Sander, 83 Schàfers, 92 Schenke, 24 s. 51 Schermami, 39 Schlatter, 49 Schmidt, K.F.W., 60 Schneemelcher, 20.23.34. s. 140 s. Schoeps, 122.125 Schiirer, 69 Schwartz, 121 Seeberg, R., 58 Segal,M.H., 75 Sell, 43.145 Skeat, 11.23.59 Smith, E.W., 144 Smith, V.A., 143 Strack, 49 Sulzbach, 69 Swete, 11.22.69.71.78.135.142 Taylor, 141 Thomsen, 148 Till, 11.25 Uckeley, 140 van Unnik, 23 s. 25 s. 27.40.91.118 Vielhauer, 33.66.124 Vogels, 131 Waitz, 69 Weinel, 35 Wellhausen, 66 s. 121.152 White, 20.141 s. Wilken, 116 s. Windisch, 149 Zahn, 86.140

ABBREVIAZIONI

BFChTh BHTh BiUerbeck

BWANT BZ BZNW CChr CN

esco CSEL DLZ EvTh ET FRLANT GCS GGA Hennecke Hennecke HNT HThR JQR KIT MeyerK MPG MPL Muséon NAG N.F. NTA NTD NTS PJ PO PrJ

3

Beitràge zur Fòrderung christlicher Theologie. Beitràge zur historischen Theologie. H. L. Strack und P. BiUerbeck: Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch. I 1922, II 1924, I I I 1926, IV 1928, V-VI (a e. di J. Jeremias e K. Adolph) 1956. Beitràge zur Wissenschaft vom Alten und Neuen Testament. Biblische Zeitschrift. Beihefte zur Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft. Corpus Christianorum (series latina). Coniectanea Neotestamentica. Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium. Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum. Deutsche Literaturzeitung. Evangelische Theologie. The Expository Times. Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments. Die Griechischen Christlichen Schftsteller der ersten Tahrhunderte. Gòttingische Gelehrte Anzeigen. E. Hennecke: Neutestamentliche Apokryphen., 2a ediz., Tiibigen 1924. E. Henneckeund W. Schneemelcher: Neutestamentliche Apokryphen., 3° ediz., Band I: Evangelien. Tubingen 1959. Handbuch zum Neuen Testament. The Harvard Theological Review. The Jewish Quarterly Review. Kleine Texte fiir Vorlesungen und Ubungen. fondati da T. Lietzmann, editi a cura di von K. Aland. Kritisch-exegetischer Kommentar iiber das Neue Testament, fondato da H. A. W. Meyer. Patrologiae cursus completus. Series graeca. Ed. J.-P. Migne. Patrologiae cursus completus. Series latina. Ed. J. P. Migne. Le Muséon. Revue d'Etudes Orientales. Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Gòttingen. Neue Folge. Neutestamentliche Abhandlungen. Das Neue Testament Deutsch. New Testament Studies. Palastinajahrbuch. Patrologia Orientalis. Preussische Jahrbiicher. 163

PS RB RGG 3 RHR RThPh SAB SC SQS StD ThBl ThBT ThF ThLBl ThLZ ThR ThSt ThStKr ThW ThZ TU VD VigChr WUNT ZDPV ZKTh ZNW ZSTh

Patrologia Syriaca. Revue Biblique. Die Religion in Geschichte una Gegenwart, 3" ediz., Tùbingeti 1957 ARevue de l'Histoire des Religions. Revue de Théologie et de Philosophie. Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin. Sources Chrétiennes. Sammlung ausgewàhlter kirchen- und dogmengeschichtlicher Quellenschriften. Studies and Documents. Theologische Blatter. Theologische Bibliothek Topelmann. Theologische Forschung. Wissenschaftliche Beitrage zur k;rchlich-evangelischen Lehre. Theologisches Literaturblatt. Theologische Literaturzeitung. Teologische Rundschau. Theological Studies. Theologische Studien und Kritiken. Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament. Theologische Zeitschrift. Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristichen Literatur. Verbum Domini. Vigiliae Christianae. Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament. Zeitschrift des Deutschen Palàstina-Vereins. Zeitschrift fiir katholische Théologie. Zeitschrift fùr die neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der alteren Kirche. Zeitschrift fiir systematische Théologie.

INDICE GENERALE

Dalla Premessa alla prima edizione

8

Premessa alla terza edizione

9

PARTE PRIMA

Stato dell'indagine

11

CAP. 1. L'origine della tradizione extra-evangelica dei logia di Gesù

13

CAP. 11. Storia delle ricerche e delle scoperte

17

CAP. IH. Rassegna delle fonti

29

a) b) e) d) e) f) g) h)

Nuovo Testamento Integrazioni e varianti nei codici dei Vangeli Vangeli e scritti apocrifi Padri della Chiesa (fino al 500) Liturgie e Costituzioni ecclesiastiche Apocalissi ed inni gnostici Talmud Autori maomettani

CAP. IV. Classificazione del materiale a) b) e) d) e) f) g) h) i)

Agrapha tendenziosamente inventati Logia tendenziosamente falsificati Invenzioni leggendarie Attribuzioni errate Attribuzioni motivate Alterazioni di logia evangelici Racconti evangelici trasformati in logia di Gesù Agrapha come strumenti tecnici di composizione I rimanenti agrapha

29 31 33 36 39 39 41 42

45 45 49 50 51 53 55 57 57 61

165

PARTE SECONDA

Gli agrapha di Gesù

63

CAP. 1. Tre racconti

65

1. La storia del giovane ricco 2. Lo scontro di Gesù col sacerdote-capo fariseo nell'atrio del tempio 3. L'uomo che lavorava in giorno di sabato

CAP. 11. Logia apocalittici di Gesù 1. La grave situazione del seguace di Gesù 2. Tutti devono passare attraverso la tentazione 3. Il preannuncio di scismi 4. Un grido di fronte all'estremo pericolo 5. Il ritorno del Signore 6. State preparati!

CAP. IH. L'attività di Gesù

1. La presenza del Signore 2. «Il mondo è un ponte»

89 89 97 100 102 105 108

115 117

CAP. IV. La condotta dei discepoli

CAP. v. Appendice

68 83

115

1. La parabola del pesce grande 2. Incomprensione

1. Fratellanza vera 2. Essere indulgenti! 3. Piena 4. Il Padre provvede 5. Un logion sulla preghiera 6. Siate spiriti positivi! 7. State in guardia!

65

: fiducia

121 121 123 125 127 128 130 134

137 137 143

CAP. VI. L'importanza degli agrapha di Gesù per lo studio dei Vangeli 151 Indice dei luoghi citati 155 Abbreviazioni 163 166

Finito di stampare nel settembre 1975 dalla tipografia Paideia di Brescia

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