Martina Von Limburger: Indicazioni Meditative | Ecoantroposophia

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Tentativo di una sintesi di varie indicazioni di Rudolf Steiner riguardo alla meditazione Amburgo, S. Michele 1953

Premesse Forse io sono attualmente una dei soci più anziani della nostra Società. E così accade che non di rado mi si preghi di dare indicazioni sul meditare. Ritengo perciò che la cosa più giusta sia di far parlare Rudolf Steiner stesso. Nell’anno 1906 potei entrare nella cerchia più ristretta dei suoi discepoli ed ebbi così spesso l’occasione di parlare con lui, sia da sola sia insieme ad altri. Ho raccolto qui liberamente alcune sue spiegazioni sulla meditazione, espresse in varie occasioni ed altre ne ho accluse traendole da conferenze. È rimasto escluso quanto sulla meditazione vi è nei libri, perché è generalmente noto ai soci. Martina von Limburger

La meditazione e la concentrazione non sono speciali cose misteriose – sono attività spirituali rafforzate al massimo che, nei gradini più elementari, si presentano anche nella vita ordinaria. Meditazione è una dedizione dell’anima potenziata illimitatamente quale l’abbiamo nei più bei sentimenti della vita religiosa. Concentrazione è un’attenzione potenziata al massimo che dobbiamo impiegare anche nella vita usuale. La caratterizziamo come attenzione quando non lasciamo fluttuare arbitrariamente sugli oggetti le nostre rappresentazioni e sentimenti, bensì quando ci concentriamo per dirigere il nostro interesse su un unico oggetto. Questa attenta osservazione può essere illimitatamente rafforzata soprattutto con il collocare al centro della vita dell’anima alcune rappresentazioni date dalla Scienza dello Spirito. In tal modo, con l’esclusione di ogni altra cosa, di tutte le preoccupazioni e gli affanni, di tutte le impressioni dei sensi e gli impulsi di volontà, di tutti i sentimenti e di ogni pensare, l’intera nostra vita dell’anima può venir concentrata per un dato tempo in queste rappresentazioni poste al centro della vita dell’anima. Dobbiamo tuttavia tener presente che non ha tanto importanza il contenuto della rappresentazione, quanto l’attività, l’interiore attività che svolgiamo nella dedizione a tale rappresentazione. E spesso è necessario un ripetuto, lungo esercitarsi, talvolta per decenni, a seconda della diversa disposizione individuale, finché l’anima non sia interiormente sufficientemente rafforzata per sviluppare quelle forze che altrimenti dormirebbero assopite in lei e che mediante tale attenzione e dedizione illimitatamente rafforzata scaturiscono da essa. Ciò che qui importa in modo particolare è l’esperienza attraverso la quale l’anima, mediante l’attività ora descritta, giunge a disciogliersi e a rendersi libera come essere animico-spirituale sempre più dalla realtà fisicocorporea. In tal modo, col tempo, si perviene a collegare un significato autentico alle parole: ora tu ti sperimenti quale essere animico-spirituale senza servirti dei tuoi sensi e delle tue membra; tu ti sperimenti fuori del tuo corpo fisico. E si è raggiunto un punto fecondo nella propria evoluzione, quando si è pervenuti ad osservare a partire da questa esperienza animico-spirituale, da fuori del corpo fisico, la propria corporeità con tutto quanto nel mondo fisico le è collegato, così come si ha dinanzi a sé un oggetto del mondo fisico.

Di regola, si riesce a liberare in questo modo dagli strumenti capacità pensanti, le capacità rappresentative dell’anima, in special cervello e dal sistema nervoso, cosicché si sa di essere in tessere del pensare completamente basato su se stesso, tuttavia fuori nervoso e del cervello.

corporei le modo dal un libero del sistema

La prima esperienza ci dà la consapevolezza di sapere: tu vivi pensando come nell’ambiente che circonda la tua testa; tu vivi e tessi così come di solito ti sperimenti allorché ti servi dello strumento del tuo pensiero, ma ora sai esattamente che questa vita e questo stare nel pensare si realizzano fuori del tuo capo. E soprattutto rimane indimenticabile – allorché la si sia vissuta una volta – l’impressione che si prova nel reimmergersi nel sistema nervoso e nel cervello, di come entrambi offrano una resistenza materiale, cosicché ci si deve immergere con violenza nell’elemento corporeo, dopo che ci si è sperimentati al di fuori di esso per un certo tempo. Ciò che a tutta prima, mediante l’attività ora descritta si riesce disciogliere dall’elemento corporeo è la capacità rappresentativa del pensiero, e non ancora l’attività del sentimento e quella volitiva dell’anima. A questo risultato porta solo l’illimitato accrescimento della dedizione. Una rappresentazione per questa accresciuta facoltà di dedizione dell’anima la offre il confronto con il sonno, nel quale l’anima dell’uomo nella completa immobilità del corpo viene separata da questo. è dedita all’andamento universale del mondo. Niente del nostro pensare cosciente s’intromette in questa condizione di sonno. Questo stato naturale deve essere suscitato volontariamente mediante la meditazione, tuttavia con la differenza che in questo caso l’accresciuta capacità di abbandono deve condurre ad uno stato di coscienza più elevato. Mediante un atto volontario dell’anima il ricercatore spirituale deve portare al silenzio tutti i sensi, così come nel sonno viene distolta l’attenzione da qualsivoglia impressione del mondo esteriore. Tuttavia, mentre l’anima nel sonno s’immerge nell’incoscienza, con la facoltà di dedizione spirituale essa si desta entro la corrente divino-spirituale delle forze universali ad una coscienza nei confronti della quale l’abituale coscienza diurna appare uno stato di sonno. Con tali disposizioni animiche l’investigatore dello Spirito, attraverso una totale immobilità della vita di rappresentazione legata al cervello e dell’intero organismo della parola, raggiunge la facoltà di sviluppare interiormente la medesima forza che, altrimenti, ad opera del corpo fisico, si manifesta l’esterno nel pensare e nel linguaggio. Il momento più adatto per immergersi nella meditazione si dimostra essere la mattina poco dopo il risveglio. Al nostro risveglio dobbiamo anelare a ritornare prima possibile di nuovo nel mondo spirituale. Ora però coscientemente, reimmergendovisi mediante la nostra meditazione, così come ci prepariamo la sera ad entrare nel mondo spirituale.

Al momento del risveglio il meditante deve permanere, alcuni momenti, in maniera pienamente cosciente, nella quiete spirituale. Allorché fa ciò, egli accende il fuoco sacro, il calore interiore, che sono necessari per il suo anelito animico. Tuttavia, durante la meditazione che segue ci si deve sforzare di plasmare i pensieri in modo chiaro, acuto e determinato, quale agire animico svolgentesi in piena coscienza e consapevolezza. Al contempo, il proprio organismo fisico ed eterico deve rimanere intoccato, poiché in una e corretta meditazione si giunge a sperimentarsi, fuori dell’organismo fisico ed eterico, nel contenuto di forze di pensiero novellamente sviluppate. Attraverso ciò si giunge all’esperienza personale in una condizione di relativa oggettività. La si contempla e la si ri-irradia in forma di pensiero quanto si esperimenta nell’etere. Quanto a lungo si deve meditare? Questo non lo si può esprimere in concetti temporali. Si persista tanto a lungo su ciascuna parola fintanto che si possa sviluppare mediante essa forza interiore. Si deve meditare con l’intero essere. Correnti di vita spirituale fluiscono sempre attraverso il mondo. Tuttavia, fintantoché ci occupiamo con gli abituali pensieri giornalieri, quelle correnti non possono fluire in noi. Le parole delle nostre meditazioni sono porte aperte nei mondi spirituali, esse sono messaggeri alati che sollevano in alto l’essere umano nei regni sovrasensibili. Esse hanno la forza di dischiudere la nostra anima cosicché possano riversarsi in noi i pensieri delle nostre grandi Guide, i pensieri dei “Maestri della Saggezza e Armonia delle Sensazioni”. Perché ciò possa avvenire deve regnare in noi il più profondo silenzio. Le parole che al risveglio facciamo vivere nella nostra anima e che ci sono state date dai grandi Maestri dell’Umanità, non devono essere usate come argomento per speculare. Il resto della giornata ci offre il tempo per rifletterci sopra. Durante la meditazione dobbiamo tenere lontano ogni riflessione sul contenuto di quelle parole. Tuttavia dobbiamo anche ben guardarci dal ripetere le parole solo senza badare al senso e meccanicamente. Dobbiamo piuttosto aver chiaro che queste parole schiudono alla nostra anima il riversarsi in essa delle Entità Divine, così come il calice del fiore si apre per accogliere in sé i raggi del sole. Elevate Entità Spirituali si riversano su di noi durante la meditazione, ma soprattutto i pensieri di quelli che chiamiamo i Maestri dell’Umanità. Essi ci guidano e ci sono vicini durante la meditazione. Di notte troviamo i discepoli con i loro Maestri sul piano astrale, poiché colui che nella meditazione ha creato un legame con il proprio Maestro, possiede il collegamento che lo conduce a Lui. Questo processo si svolge durante la notte. Ogni uomo, mediante l’immersione nelle scritture corrispondenti, può giungere ad un tale scambio e pervenire così al suo Sé superiore. Quello che fra qualche migliaio di anni sarà il nostro Sé superiore, riposa ora nel seno dei Maestri.

Ed anche la reale conoscenza del nostro Sé superiore dobbiamo cercarla là dove oggi già la si deve trovare: presso le più eccelse Individualità. Questo è il rapporto del discepolo con il Maestro, mediante la meditazione. La forza delle parole della nostra meditazione non è soltanto nel loro contenuto, ma soprattutto nel loro ritmo e nel loro suono. Dobbiamo ascoltarlo, allora attraverso di esse il mondo spirituale risuona nella nostra anima. Per questa ragione una formula di meditazione non si può senz’altro tradurla in una lingua straniera. Quanto possediamo in lingua tedesca di formule di meditazione è stato anch’esso tratto direttamente dai mondi spirituali. Ogni formula, ogni preghiera, suscitano i massimi effetti nella loro lingua originaria. Impariamo a vivere nel suono delle parole, allorché immettiamo vera vita nelle nostre immagini di pensiero. Ciò si può raggiungere col formarsi di ogni singola parola una rappresentazione contemplabile sensibilmente, ad esempio per la parola “schöpfen” – in tedesco ‘versare’, ‘creare’ – come si versa (schöpft) acqua da un vaso. Così nella meditazione tutte le parole devono ricevere vita interiore concreta. Tutte le rappresentazioni spaziali esistenti sul piano fisico, devono essere eliminate durante la meditazione; ma tutto quanto si collega alle impressioni dei sensi, come colore, luce, suono, odore, è presente invece anche nel mondo astrale. Per questa ragione è bene crearsi delle rappresentazioni possibilmente piene di contenuto; poiché in tutto quanto i sensi percepiscono, si esprimono Entità spirituali. Esse fanno fluire la loro essenza spirituale in colori, suoni, odori. Così, per la parola “Luce”, si deve risvegliare in se stessi una rappresentazione chiara, piena di luce, mentre si sperimenta come correnti piene di luce si riversino su di noi. Immergendosi in tal modo in certi concetti e in pensieri eterni, si creano nel proprio corpo eterico impressioni vivificate (Leben-erhaltende), plasmatrici di organi. Si può, così, meditare anche sul concetto “Sapienza”; tuttavia non con definizioni irrigidite, bensì risvegliando in noi rappresentazioni di sensazioni dinamiche. Se si medita in modo giusto sul concetto di Sapienza, qualcosa della Sapienza stessa fluirà a noi e dai mondi superiori ci verrà fatta ottenere l’illuminazione. Nei tempi antichi il rapporto coi mondi divino-spirituali poteva effettuarsi solo con i mantram, attraverso il suono. Oggi l’uomo può delineare nel suo intimo l’unione con la forza del Cristo mediante la parola ricolma di significato. Quando il discepolo riesce a isolarsi completamente nella meditazione dagli influssi e rumori esterni, quando egli riesce ad escludere il corpo fisico, egli vive allora nel corpo eterico, nel corpo astrale e nell’Io. Come in un fluido magnetico nella nostra meditazione dobbiamo essere trasportati nei mondi spirituali: siamo allora nella giusta disposizione spirituale.

Ma non importano le parole di per se stesse bensì che dai mondi spirituali fluisca in noi il vero senso giusto quale forza risvegliatrice di vita, che ess siano ricolme di forza del Cristo. Le parole delle formule meditative sono scelte in modo da operare in maniera assolutamente impersonale, perché esse sono una veste, in cui si può celare il Logos fluente nel mondo. A queste correnti del Logos si debbono adattare le parole, che perciò sono collocate in modo assolutamente determinato. La nostra meditazione, allorché essa avviene in modo corretto, determinerà in noi un rafforzamento spirituale. Non si creda che tale rafforzamento non sia già iniziato, anche se non siamo capaci di sentirlo. Spesso raccogliamo solo dopo anni frutti che non ci saremmo aspettati. Chi si contenta di poco e non esige con brama e impazienza la crescita animica, otterrà sempre un rafforzamento spirituale. Poiché ogni meditazione prima o poi determina in noi un rinvigorimento di forze. Durante la meditazione si deve lasciare fuori tutto quanto è collegato con la vita esteriore. La porta che oltrepassiamo nella meditazione è come una sottile fessura. Tutto quanto di pensieri non pertinenti la meditazione vi s’intromette, agisce quale fuoco distruttore su quanto deve germogliare nel nostro intimo. La tentazione di lasciar intromettere nella meditazione tali pensieri è enormemente grande. Poiché attraverso la nostra meditazione vorremmo evolverci più rapidamente, cercando di lavorare per l’evoluzione dell’umanità, proprio per questo la meditazione è il campo nel quale forze ostacolatrici cercano in ogni modo di intervenire producendo danni, facendoci venire per esempio in mente gli avvenimenti della vita quotidiana. Abbiamo però un mezzo occulto per proteggerci da questi pensieri non desiderati, un mezzo per ridurli al silenzio. A tale scopo ci si raffiguri nel modo più chiaro possibile il Caduceo, un’asta splendente, intorno alla quale si avvolge un serpente nero. Ci si raffiguri poi un serpente bianco che si muove incontro all’altro. Il serpente nero simboleggia i pensieri materiali, che ci disturbano, come essi siano collegati con l’uomo inferiore, mentre il serpente luminoso rappresenta i pensieri divini del Sé superiore. Se ci poniamo dinanzi all’anima, in tutto il suo significato, questo simbolo, come il serpente chiaro si avvolga di contro a quello nero, allora questi ostacoli scompaiono, cosicché possiamo dedicarci indisturbati alla nostra meditazione. Tuttavia si deve mettere l’accento sul fatto che quel che importa non è di raggiungere più presto possibile dei progressi. Molti discepoli a tale scopo esigono sempre nuovi esercizi. La forza animica di un uomo si dimostra proprio nel fatto che egli è capace di indugiare a lungo su un esercizio, e che da esso sa trarne forze, spesso per un’intera vita. Ogni formula di meditazione è dotata di grande forza che è sufficiente per molto tempo per risvegliare le assopite forze vitali. Più progredito è il discepolo, maggiormente si destano in lui le forze spirituali, tanto più semplici divengono gli esercizi che riceve. La vita meditativa riposa sul fatto che rendiamo presente all’anima il contenuto della meditazione nella “ripetizione”; in tal modo la meditazione diviene una forza interiore che continuamente persiste, come avviene allorché una goccia cade sempre di nuovo su di una pietra ed infine la incava.

Se presente nella nostra anima solo una volta o dieci volte, la meditazione non riesce a condensare la forza interiore, che è quel che importa. Solo con la pazienza questa forza può svilupparsi, cosicché noi diventiamo coscienti dell’eterno germe essenziale dell’uomo. Poiché quello che conta è questa forza; ma essa viene in molti modi sfuggita dall’uomo. Possiamo accogliere in noi le Potenze del mondo spirituale solo se possiamo portare loro incontro in modo giusto questa calma interiore. Possiamo conoscerle unicamente, andando loro incontro mediante la nostra vita di rappresentazione. Parallelamente alla meditazione disinteressata, deve procedere l’entusiasmo per ogni sensazione. Questo tuttavia deve porsi accanto al rafforzamento dei pensieri. Certi mistici cercano di soffocare completamente proprio i pensieri e di curare unicamente la vita delle sensazioni. Ogni esoterista progredisce, s’egli esegue fedelmente e regolarmente i suoi esercizi, anche quando è insoddisfatto del loro risultato. Conta anzitutto il leale anelito. Con la meditazione diveniamo effettivamente altri uomini; questo avviene incondizionatamente, anche se noi non lo notiamo. Si può concepire la vita esoterica in modo da considerare gli esercizi che si ricevono come un’aggiunta alla propria vita normale. Ci si accorgerebbe, tuttavia, che i progressi ottenuti in tal modo non sarebbero rilevanti. La decisione, che l’esoterista dovrebbe prendere, consiste piuttosto di proporsi di portare in relazione alla sua vita esoterica tutto quel che incontra nella vita ordinaria. Attraverso ciò egli si crea un centro, dal quale dirige l’intera sua restante vita. Con la meditazione dobbiamo sviluppare una grande forza, la quale utilizza le parole della meditazione quali strumenti mediante i quali a poco a poco plasmiamo interiormente nel nostro corpo astrale i nostri organi spirituali con i quali poter percepire il circostante ambiente spirituale. Le impressioni che imprimiamo nel nostro corpo astrale solo col tempo diventano durature, poiché posiamo paragonare il corpo astrale ad una massa elastica che accoglie sì impressioni, ma dopo un certo tempo riacquista la forma precedente. Queste impressioni vengono impresse nel corpo astrale durante il sonno, quando l’Io ed il corpo astrale hanno abbandonato il corpo fisico. Più forte ed intensa è la nostra meditazione, tanto più fortemente queste impressioni s’imprimono nel corpo astrale, finché alla fine divengono durature, cosicché da esse si possono sviluppare gli organi animici. Se ci si rende sordi e ciechi alle impressioni sensorie esteriori, si solleva con la meditazione a poco a poco il proprio corpo eterico fuori del corpo fisico e ci si unisce con l’aura del Cristo, che è ora l’aura della nostra Terra. Se ci sollevassimo fuori del nostro corpo senza il contenuto della nostra meditazione, la nostra anima sarebbe sola con se stessa. Ma così viene compenetrata dal Cristo e sperimenta il detto di Paolo: “Ora non io vivo, ma il Cristo in me”. Il meditare determina una condizione intermedia, mediante la quale può venir superato l’unilaterale elemento luciferico e quello arimanico.

Nel solitario pensare e rimuginare vi è la tentazione luciferica. Nell’osservazione unilaterale, tutta tesa verso l’esterno, vi è la tentazione arimanica. Si può, invece, determinare una condizione intermedia nella propria anima, rafforzando interiormente i propri pensieri in maniera così vivente, che li si abbiano dinanzi come qualcosa di vivente, come una percezione che si oda o si veda. Questa è una condizione intermedia, che viene raggiunta con la meditazione. Il meditare non è né pensare, né percepire, è un pensare che vive nell’anima in maniera così vivente, come una percezione, ed è un percepire che non ha nulla di esteriore, bensì ha pensieri come oggetti della percezione. Tra l’elemento luciferico del pensiero e l’elemento arimanico della percezione, scorre nel meditare la vita dell’anima in una condizione intermedia divinospirituale, che sola sorregge il progresso dell’evoluzione del mondo. L’uomo meditante, che vive nei suoi pensieri, sì che essi divengano in lui forze viventi, vive nella corrente divina. A destra egli ha i soli pensieri, a sinistra le sole percezioni; egli non esclude né gli uni né le altre, bensì sa che le polarità si debbono mantenere in equilibrio, così come il triangolo è determinato dalla somma dei suoi angoli. Meditazione significa: dedizione ad alcuni pensieri e sensazioni particolarmente adatti alla nostra individualità, con i quali ci identifichiamo totalmente. Naturalmente, in questa via lo sforzo umano assai facilmente s’indebolisce perché di fatto il rinnovato proporsi questo silenzioso e intimo atteggiamento dell’anima costa grandi superamenti. Ma con il tempo si riceverà il sentimento: sinora questo pensiero lo hai sempre solo pensato. Ora esso comincia a sviluppare una propria vita, a sviluppare una propria intima vivacità. È come se si fosse realmente in condizione di generare da sé un essere. Il pensiero comincia ad acquistare un’interiore forma. Questo è un momento importante, quello di sperimentare come il pensiero sia solo un involucro per un essere vivente realmente spirituale. Cosicché ci si può dire: i tuoi sforzi ti hanno portato a creare un palcoscenico su quale si sviluppa qualcosa che mediante te ora si desta a vita propria. Questo vivificarsi del pensiero meditativo è un momento importante. Il discepolo avverte allora di venire afferrato dall’oggettività della realtà spirituale, egli sa che il mondo spirituale in un certo qual modo si occupa di lui; sì, gli si è avvicinato. Quel che avviene nella meditazione, dimentica di se stessa, è qualcosa della più alta importanza. Mediante tale intimo processo del meditare viene realizzato un sottile consumo di calore. Ogni processo meditativo è connesso con un sottile processo di calore e di luce. Luce e calore vengono da noi consumati durante la meditazione. Attraverso di esso si forma nella meditazione proprio un processo vitale. Anche nel nostro pensare quotidiano si verifica un processo di calore nel nostro organismo, che determina il ricordo. Ma nella meditazione non si deve arrivare a ciò.

Se viviamo nel puro contenuto di pensiero, quello che consumiamo quale calore e luce non si imprime nel nostro corpo, bensì nell’universale etere cosmico. E ciò causa un processo esteriore nell’ambiente circostante. In un’autentica meditazione imprimiamo la nostra forma di pensiero nell’universale etere cosmico, cosicché nello sguardo retrospettivo su di un processo di meditazione, non abbiamo a che fare con un ricordo, ma con una percezione obbiettiva di impressioni nell’etere cosmico. Chi è impegnato nel vero meditare, vive in un evento che contemporaneamente è un processo cosmico. Quel che accade è quanto segue: nel meditare viene consumato calore, attraverso il quale sorge il freddo. L’intero etere cosmico generale viene raffreddato. E poiché viene consumata anche luce, poiché essa viene attenuata, ne nasce oscurità. Chiaroveggentemente si può sempre osservare, quando un individuo ha meditato in un luogo: di lui vi rimane un’immagine d’ombra, che è persino più fresca dell’ambiente circostante. Si è realizzato qualcosa che può essere paragonato all’impronta su una lastra fotografica. Se riflettiamo a ciò, capiremo altresì come l’uomo, che nell’incarnazione successiva ritorna sulla Terra, ritrovi nell’etere cosmico le tracce dei suoi pensieri di meditazione. Qui vediamo realmente come operi il Karma. Perciò il meditante ha sempre più il sentimento: non sei semplicemente tu, colui che qui pensa, bensì avviene qualcosa, all’interno del quale tu stai, ma che si realizza oltre te come qualcosa di duraturo. Questo «sentirsi come nell’atmosfera, come nell’atmosfera del tessere e dell’essere dei propri pensieri», come se i pensieri si muovessero in onde dentro ed attraverso di noi, ciò dà il sentimento sicuro: tu ti trovi all’interno di un mondo spirituale, e tu stesso sei solo un membro tessente nel tessere generale del mondo divino. E questo è un sentimento notevole che ci giunge nella quiete animica della meditazione: non sei solo tu colui che fa compie ciò – ciò viene compiuto! Tu hai iniziato a provocare queste onde, ma esse si espandono attorno a te. Esse hanno una loro vita propria, della quale tu sei solo il centro. È un’esperienza che ci dischiude la conoscenza del mondo spirituale. È un’esperienza di straordinaria importanza, alla quale tuttavia appartengono pazienza, costanza e abnegazione. È sufficiente questa esperienza per ricevere la piena convinzione dell’obbiettiva esistenza del mondo spirituale. I momenti più importanti, più significativi per lo sviluppo della nostra vita esoterica sono quelli dopo la meditazione, quando facciamo penetrare nell’anima la calma assoluta, al fine di fare agire su di noi il contenuto della meditazione stessa. Dobbiamo sforzarci di prolungare sempre più tali momenti, perché col «trarsi fuori» dalla cerchia dei nostri pensieri e sentimenti giornalieri, con questo «svuotar se stessa» della nostra anima, noi ci poniamo in comunicazione con un mondo dal quale ci vengono incontro immagini, delle quali dobbiamo dire che esse non sono possono essere paragonate a nessuna altra cosa della nostra restante vita.

Se dopo ogni meditazione risvegliamo in noi un sentimento di gratitudine e venerazione – un sentimento che possiamo chiamare stato interiore orante – e al contempo siamo coscienti della grazia della quale siamo stati partecipi, allora noteremo già che siamo sulla strada giusta e come i mondi spirituali ci vengano incontro. Sullo sguardo retrospettivo La sera prima di addormentarci dobbiamo prepararci al fatto che entriamo nei mondi spirituali, ma non con preghiere egoistiche per una fine beata o qualcosa di simile, bensì nello stato interiore di gratitudine, perché di nuovo saremo accolti nel grembo delle Entità Spirituali. Qui giuoca un grande ruolo l’esercizio dello sguardo retrospettivo. In forma di immagini, ma con successione invertita, risalendo dalla fine verso l’inizio, il giorno trascorso deve scorrerci dinanzi retrospettivamente. Al tempo stesso, per ogni esperienza vissuta nella giornata, dobbiamo domandarci: ho fatto giustamente questa cosa, non avrei potuto farla ancora meglio? Molto importante è, al contempo, imparare a guardare a noi stessi come ad un estraneo, come se ci considerassimo dall’esterno e ci criticassimo. Soprattutto dobbiamo tendere ad avere una rappresentazione della vita della giornata la più chiara possibile. È perciò molto più importante potersi ricordare i piccoli avvenimenti che non le vicende importanti. Un comandante che abbia combattuto una grande battaglia, avrà la sera davanti agli occhi l’immagine della battaglia, essa aderisce da sé alla sua anima, invece come si sia infilato o sfilato gli stivali non lo saprà più. Importante è avere un quadro il più possibilmente completo della nostra vita giornaliera. Ci vediamo per es. attraversare la strada, cerchiamo di ricordarci come erano allineate le file di case, dinanzi a quale vetrina siamo passati, quali uomini abbiamo incontrato, che aspetto avevano, quale aspetto avevamo noi stessi. Poi ci vediamo entrare in un negozio e ci ricordiamo della commessa che ci è venuta incontro, cosa aveva indosso, come parlò, ecc. Per ricordarci questi particolari dobbiamo sforzarci molto, ma proprio questo rinvigorisce le forze della nostra anima. Tuttavia non si ha bisogno di pensare che per fare ciò sia necessaria un’ora. Dapprima ci si ricorderà poco, ma infine si giungerà a percorrere chiaramente l’intera vita diurna con l’anima in soli cinque minuti, in immagini mutevoli e in tutti i particolari. Tuttavia a questo risultato si deve tendere con pazienza; a chi faccia scorrere dinanzi a sé solo in modo superficiale gli eventi della giornata questo esercizio non serve affatto. Lo scopo a cui tende è questo: quando un uomo ha percorso una lunga via e alla fine del cammino desidera conoscere il tragitto percorso, può farlo in due modi: può collocarsi con la schiena di contro alla via percorsa e cercare di ricordare quello che sta dietro a lui. Ma può anche voltarsi per abbracciare con lo sguardo la via. Di un periodo di tempo passato, possiamo dapprima solo ricordarci con la memoria, ma non sappiamo ancora abbracciarlo contemplativamente con lo sguardo. Ma l’abbracciare con lo sguardo, che conosciamo unicamente per lo spazio, è possibile anche per il tempo.

Così impariamo a leggere nella Cronaca dell’Akasha, ove è iscritto ogni avvenimento. Dapprima si riconoscono solo i fatti che ci riguardano, finché s’impara a riconoscere anche dell’altro. A questo processo si ricollega anche la trasformazione della memoria, che nella sua astratta forma nell’esoterista scompare mentre un’altra facoltà ne prende il posto. La capacità di contemplare direttamente il passato, cosicché non si ha più bisogno della memoria usuale. Un buon allenamento (Schulung) per la memoria è anche quello di leggere prima dell’addormentarsi circa sette righe di “Scienza Occulta” e imprimersene il contenuto, senza imparala a memoria, e la mattina dopo richiamarli alla mente. Con l’esercizio si acquista presto una certa abilità che agisce in modo benefico e rinforzante sulla memoria. Quel che si esegue nello sguardo retrospettivo è una creazione di immagini spirituali, che portiamo con noi quale estratto nel mondo spirituale. Che ciò debba avvenire in successione rovesciata, è in rapporto con lo scorrere del tempo nel mondo spirituale, il quale si svolge in senso inverso, cioè nella direzione contrapposta alla sequenza del mondo fisico. In tal modo il mondo spirituale può fluire più facilmente in noi. Con l’abituale pensare progrediente ci poniamo in opposizione al mondo spirituale e lo respingiamo lontano da noi. Taluni esoteristi si lamentano del fatto che nella meditazione serale si addormentano, ma tali lamentele spesso non sono giustificate, poiché questo fatto può anche significare un progresso. Naturalmente ci si deve dare da fare per restare svegli; ma non è necessariamente sempre un errore se durante la meditazione serale ci si addormenta. Avviene che, dopo l’addormentarsi, l’esercizio prosegua. Svegliandosi durante la notte, si deve cercare di ricordare l’esercizio e cioè il punto in cui questo si è interrotto. Si può allora ricevere il sentimento di come l’esercizio nel frattempo abbia ulteriormente operato in noi. In questo caso, si cerchi di ricordare che cosa nel frattempo ha continuato incoscientemente ad agire in noi. Ciò può causare gradualmente la penetrazione cosciente nel mondo spirituale. Si faccia attenzione, inoltre, al fatto che non si deve mai meditare tra mezzanotte e l’una di notte, poiché in tale ora ci colleghiamo con azioni nocive.

Meditazione all’addormentarsi «Ritorna a se stessa l’anima che avvolta nel sonno vola nei mondi spirituali, quando la costrizione dei sensi l’opprime». «Io mi addormento; fino al risveglio la mia anima sarà nei mondi spirituali. Lì incontrerà la Potenza dell’Essere che guida la mia vita terrena, che vive nel mondo spirituale. Là essa incontrerà il suo Genio. E quando mi sveglierò, avrò avuto l’incontro col mio Genio. Le ali del mio Genio avranno avvolto la mia anima».

Ulteriori indicazioni per la meditazione Prima di iniziare una meditazione dobbiamo renderci conto con chiarezza se abbiamo il tempo di portarla a termine. Interromperla non va bene, perché allora Arimane può impadronirsene. Anche una meditazione fatta distrattamente può offrirgli questa occasione. Non si deve mai iniziare una meditazione nuova, quando la luna è decrescente, la cosa più giusta è iniziarla due giorni dopo la luna nuova. Prima o poi conosceremo i mondi spirituali attraverso la nostra meditazione, ma dobbiamo essere memori sempre del fatto che questo avvenga nel modo giusto, cioè non per curiosità, ma per aiutare l’umanità. Se faremo attenzione di non portare mai con noi nei mondi spirituali nulla delle nostre simpatie e antipatie e delle nostre piccole preoccupazioni, allora essi ci si schiuderanno e ci lasceranno entrare nel modo giusto. Per l’esoterista, non è sufficiente nemmeno la pura e semplice, seppure coscienziosa, osservanza della morale corrente, poiché codesta morale può essere sottilmente molto egoistica, ove l’uomo dica se stesso: Voglio essere buono, cosicché vengo considerato buono. L’esoterista non fa il bene, per essere considerato buono, ma perché sempre di più riconosce che solamente il bene fa progredire l’evoluzione del mondo, mentre il male e la stupidità e la bruttezza pongono ostacoli sulla via dell’evoluzione. Tutte le meditazioni, le concentrazioni e gli altri esercizi saranno privi di valore, e perfino dannosi sotto certi riguardi, se la vita non si ordina secondo queste condizioni. All’uomo non si possono dare forze, si possono soltanto portare a sviluppo quelle che già sono presenti in lui. Queste non si sviluppano da sole, perché vi sono ostacoli interiori ed esteriori.

Gli ostacoli esteriori sono eliminati mediante particolari regole di vita, quelli interiori soprattutto mediante le particolari indicazioni sulla meditazione, concentrazione, ecc. Si può rendere talmente vivo interiormente quello che si pensa, talmente pieno di forza, da avere dinanzi a sé il proprio pensiero come qualcosa di vivente, in maniera così concreta come qualcosa che si oda o si veda. Questo è una condizione intermedia. Nel mero pensare, alla cui base vi sia il rimuginare, vi è l’accostarsi di Lucifero all’uomo, nel mero ascoltare, invece, sia che si tratti di percezione, sia che si tratti di sottomettersi all’autorità degli uomini, vi è l’elemento arimanico. Quando si rafforza interiormente e si risveglia l’anima, in modo da udire e vedere, per così dire i propri pensieri, allora si ha il meditare. Il fare i nostri esercizi con dedizione e serietà è lo strumento esoterico per l’allentamento del nostro corpo. Per il corpo fisico trarre fuori il corpo eterico è come quando ad una pianta, per un certo tempo si sottraggono i succhi. La pianta inaridisca e così è – anche se non lo si vede fisicamente – anche il corpo fisico: se vi è prediposizione a malattie, queste vengono fuori. Ma se il corpo eterico si abbevera nel modo giusto di verità spirituali, allora esso acquista forze nuove e queste agiscono a loro volta in maniera risanatrice sul corpo fisico. Dobbiamo riuscire a sviluppare i “fiori di loto” nel corpo eterico mediante impronta del corpo astrale*. [* N.d. M.v.L: Vedi le esposizioni di Rudolf Steiner in L’iniziazione. Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori. Del resto in una conferenza una volta il Dr. Rudolf Steiner parlò della rotazione dei fiori di loto. Egli mostrò ciò chiaramente sul petto dell’interrogante, così come le lancette dell’orologio ruotano sul quadrante dell’orologio stesso]. Dobbiamo sentire nella nostra anima le parole della meditazione il più possibile piene di colore e di luce, dobbiamo sentirle risuonanti nella nostra anima, vivere completamente immersi in esse. Nei colori e nei suoni dimorano entità spirituali. Mettendoci in contatto con determinate impressioni sensorie fluiscono in noi determinati esseri. Attraverso il lavoro esoterico dobbiamo appropriarci di un nuovo pensare, di un nuovo sentire e di un nuovo volere. Un pensiero una volta pensato, noi dobbiamo farlo trapassare penetrare nel nostro sentimento, e questo compenetrarlo interamente. Il pensare fluttuante in noi al momento del risveglio è il pensare cosmico che pensa in noi. Possiamo essere immersi in esso, se il sogno non viene sperimentato solo in maniera riflessa, come accade il più delle volte, ma in modo tale da esservi realmente immersi dentro, così da muoverci insieme con l’elemento animico, in maniera da essere presenti in esso spiritualmente. Con il penetrare nei mondi spirituali, i concetti che qualcuno che si son fatti sul piano fisico non aiutano uno nel modo più assoluto. Solo qualcosa può essere conservato: la facoltà dei concetti, il senso per la verità e la logica. Inoltre, la capacità di formare nuovi concetti e il senso per le nuove verità che si impareranno a conoscere. Ciò che l’uomo sperimenta interiormente nella meditazione e concentrazione, agisce sul corpo astrale così come la luce agisce sull’occhio fisico, e il suono sull’orecchio fisico, poiché entrambi sono stati plasmati a partire dalla luce e dal suono.

Mediante questa esperienza interiore della meditazione il corpo astrale riceve una nuova organizzazione. Ne vengono tratti fuori gli organi di conoscenza per i mondi superiori, così come gli organi sensori fisici sono stati tratti dalla luce e dal suono. Ma questi organi si consolidano nel corpo astrale solo in quanto vengono impressi, stampati nel corpo eterico o corpo vitale. Fintanto che il corpo eterico si trova nel corpo fisico, è molto difficile che vi si imprimano le esperienze del corpo astrale. Specialmente nei tempi antichi non era possibile che quanto si formava nel corpo astrale mediante la meditazione e concentrazione si imprimesse nel corpo eterico, se questo restava unito al corpo fisico. Se riflettiamo che veramente il mondo sensibile esiste per noi soltanto perché in esso sono stati plasmati con fine cesello gli organi, allora non ci sembrerà particolarmente strano che venga affermato che anche negli arti superiori dell’uomo, nel corpo eterico e astrale, vengano formati siffatti organi superiori. Il corpo fisico dell’uomo oggi è già organizzato, invece i corpi superiori non lo sono ancora. In colui che aspira all’iniziazione vengono formati questi organi superiori. E per realizzarli si tratta di afferrare l’astrale, là dove esso lo si può avere nella sua purezza. Oggi non è affatto facile sollevare, estrarre il corpo eterico. L’uomo riconoscerà sempre di più la necessità di concentrarsi realmente nel pensiero (wirklich regelmäßig zu konzentrieren), per raccogliere l’intera vita dell’anima in questi pensieri; per dirigere l’intera sua vita dell’anima su pensieri ben precisi, che egli stesso si pone dinanzi alla coscienza, mentre diversamente egli lascerebbe fluttuare i suoi sensi di cosa in cosa, di fatto in fatto. Così sempre più egli dirigerà, anche se per breve tempo, la sua vita di pensiero su oggetti ben determinati che egli stesso si sceglie. Si giungerà al punto che, mediante la vivificazione delle rappresentazioni della Scienza dello Spirito, in un certo qual modo, ci si metterà in una condizione simile a quella in cui si trova un uomo che è seduto in treno o su una nave, e che si deve sforzare interiormente contro lo sballottamento, tanto da non accorgersene più, e restare completamente “in sé”. Oggi questo è possibile solo con rappresentazioni della Scienza dello Spirito, ma si deve tenere presente che a tal scopo è necessaria la sempre rinnovata ripetizione, poiché quello che conta è la forza che da essa scaturisce. Allora si rimane, per così dire in sé, presenti a se stessi, calmi e sicuri. Le potenze del mondo spirituale possono “entrare” in noi, allorché portiamo loro incontro in modo giusto una tale calma. Solo così possiamo divenir coscienti, che andiamo loro incontro attraverso una tale vita di rappresentazione come è stata caratterizzata. Ciò che conta è di sentire che, indipendentemente dalla vita del nostro intelletto, qualcosa pensa in noi, qualcosa di cui possiamo dire: non io penso, bensì esso pensa in me. Anche se dapprima tali pensieri per noi sono poco significativi, li possiamo però rinforzare e sollecitare con un sentimento di gratitudine verso le potenze superiori.

Quando dopo ogni siffatto evento, anche se per breve momento, diciamo: “Vi ringrazio, o Potenze delle Gerarchie superiori, che mi avete fatto notare una cosa simile”, allora ad opera di questo sentimento di gratitudine, di venerazione aumenteranno questi momenti nei quali mondi superiori si vogliono manifestare. Potremo dapprima conservare nella memoria quanto la percorse come oscuro sogno, ed infine potremo volontariamente determinare tali condizioni, e a poco a poco ci diventerà chiaro che questo pensare, in fondo, è sempre in noi, indipendentemente dal pensare intellettuale. La gratitudine è la coppa che noi eleviamo agli Dèi, onde la ricolmino coi loro doni meravigliosi. Se, con tutta serietà, si sviluppa il senso di gratitudine, allora vi sarà la gratitudine, la dedizione piena d’amore per gli invisibili donatori della vita spirituale, ed è la maniera più bella di esser condotti, partendo dalla propria personalità, al soprasensibile, se questa direzione muove mediante la gratitudine. Una tale gratitudine approda infine alla venerazione e all’amore per lo spirito umano donante vita. Essa genera l’amore, l’amore genera poi il dischiudersi del cuore per le Potenze spirituali che permeano la vita. Se, dopo ogni meditazione, ridestiamo in noi il sentimento di gratitudine e venerazione –sentimento che possiamo chiamare stato d’animo orante – e diveniamo consapevoli della Grazia di cui partecipiamo, allora ci accorgeremo che stiamo sulla strada giusta, e che i mondi spirituali ci vengono incontro. Dobbiamo farci altre rappresentazioni su ciò che a tutta prima sperimenteremo. Ci lamentiamo, per es., che nella nostra meditazione si intromettano pensieri che ci opprimono e ci disturbano. Se riflettessimo meglio, dovremmo riconoscere che è un progresso l’esser divenuti più sensibili, poiché avvertiamo che questi pensieri sono più forti di noi. Essi ci inducono a raccogliere maggiore forza nella nostra meditazione, poiché sono esseri luciferici quelli che in noi sollecitano i nostri propri pensieri. Questi esseri sono sempre presenti dentro di noi, ma nell’andamento della vita ordinaria la loro voce è sopraffatta. Il silenzio che creiamo con la nostra meditazione ci fa avvertire che cosa accade nell’andamento della vita giornaliera. L’intera nostra costituzione, il rapporto dei nostri corpi, muta ad opera della nostra meditazione: anche se la facciamo ancora male e in maniera ancora poco abile, tuttavia traiamo fuori dal corpo fisico il nostro io e corpo astrale, e parte del corpo eterico, e così nei minuti che seguono alla meditazione possiamo avere esperienze notevoli nel nostro corpo eterico. Dai mondi superiori ci possono venire anche ispirazioni per il mondo materiale. L’anelito è quello che conta. Attraverso questi esercizi diveniamo effettivamente uomini diversi; questo avviene incondizionatamente, anche se noi non lo notiamo. Poiché in tutti questi esercizi, siano essi dati in libri o a voce, risiedono le forze che disciolgono il legame del corpo eterico e lo traggon fuori del fisico. Altra cosa è rendersi conto di tali mutamenti. Difatti l’anima può già avere effettivamente organi, ma c’è una differenza s’essa dorma o sia desta nel suo ambiente spirituale circostante. Per ridestarsi e divenir cosciente le necessitano grande forza e preparazione.

Alcuni hanno difficoltà a diventar coscienti, perché si rappresentano sempre di nuovo il mondo spirituale come un secondo mondo fisico, solo più sottile, più compenetrabile. Questo è un grande ostacolo, perché non notiamo allora i delicati sintomi del risveglio. Ma chi accoglie correttamente le spiegazioni esoteriche, può comprendere come il mondo spirituale venga sperimentato al risveglio dell’anima. Per realizzare ciò ci si deve porre dapprima una volta la domanda: che cosa è realmente il pensare? Esso è sovrasensibile: con il pensare dell’uomo, noi siamo sempre dentro al mondo sovrasensibile. Noi viviamo nel pensare, ma non lo sperimentiamo in maniera immediata. Poiché quello che sperimentiamo sono i riflessi del pensare nel corpo fisico. Il cervello è lo specchio. Attraverso il discepolato esoterico l’uomo deve giungere a sperimentare il pensare stesso e non soltanto i pensieri. Si tratta di un gran passo avanti verso questa esperienza. Come ulteriore esperienza emerge il fatto che l’uomo sente irradiare da sé tutto il bene, il giusto, il vero ch’egli pensa. Egli sente ciò come un crescere verso l’avvenire, e come se plasmasse il seme per il proprio futuro. Però cresce e si espande anche quanto di non giusto, di cattivo, e di brutto egli pensa e sente. Sente irradiare ciò in maniera assolutamente reale, molto concretamente, e sa che i pensieri cattivi che egli emana, serviranno in futuro di alimento a quelli buoni. Perciò impara a capire perché nella meditazione lo sopraffanno tanti pensieri e sentimenti errati e brutti. Le potenze malvagie prediligono gli uomini che progrediscono mediante la meditazione, piuttosto che gli uomini comuni e li perseguitano ancora più intensamente, per rovinarli. Ma di fronte a chi si rappresenti dinanzi all’anima la lignea croce nera con le sette rose le potenze malvagie devono cedere. Nella meditazione i pensieri si devono formare in modo chiaro, acuto, preciso, essere un atto di pura spiritualità che svolgentesi in piena consapevolezza. Il nostro organismo fisico ed eterico deve restare completamente immobile nella meditazione. In una meditazione corretta si giunge a vivere il contenuto delle forze di pensiero, sviluppate fuori del proprio organismo fisico ed eterico. Lo si contempla ed esso irradia, riflettendo in forma di pensieri, quanto si sperimenta nell’etere. Si possiede lo sperimentare eterico nella propria organizzazione, si giunge allo sperimentare personale in condizione di una relativa oggettività. L’uomo deve meditare in immagini per penetrare nella sua interiorità. In ciò agisce il culto, che veramente si accosta con fervore all’uomo: ogni elemento cultico, non solo ciò che è forma esteriore del culto, bensì la comprensione del mondo in immagini. Fintantoché si vuole giungere nella propria interiorità, alla autocoscienza con immagini e rappresentazioni astratte, non ci si riesce. Non appena ci si immerge nella propria interiorità con immagini che ci rendono concrete le esperienze dell’anima, allora ci si afferra nella interiorità. Con lo sviluppo superiore il discepolo abbandona, anche se per breve tempo del giorno, il suo sé inferiore col quale egli si trova nella vita quotidiana, e mediante il quale entra in contatto con il mondo esteriore.

Durante la meditazione egli lo abbandona a se stesso, gli sottrae, per così dire, un vigilante che di solito lo controlla continuamente, che regola in parte e in parte reprime le sue caratteristiche particolari, o perlomeno le imbriglia. Per il fatto che tale nostro io inferiore è lasciato a se stesso, sia pure per breve tempo, sbucano fuori da ogni parte angoli nascosti delle nostra natura qualità, che credevamo già vinte e la cui soppressione ci era sembrava affatto facile. L’uomo può divenire in certo modo peggiore se non esercita continuamente il più rigoroso controllo su se stesso. Dobbiamo anche essere grati agli Dèi per i nostri difetti, giacché la lotta contro di essi ci rende forti e liberi. Ma, neppure per un attimo, dobbiamo amare i nostri difetti. Se combattiamo seriamente e ci sforziamo instancabilmente, sentiremo come quanto in noi è difettoso muoia. Ma questo diventar peggiori non può verificarsi, se il meditante fa sufficiente attenzione a se stesso, alla sua vita, al suo ambiente. Soprattutto l’esoterista deve aver quotidianamente davanti agli occhi, che tutto il suo anelito è quello di raggiungere il suo Sé superiore, e deve riflettere che cosa sia questo Sé superiore. Non deve credere di dover portare qualcosa incontro a questo Sé superiore, bensì deve mantenersi in atteggiamento di attesa di fronte ad esso, e tutto attendere da lui. Come un fluido magnetico nella nostra meditazione, esso deve condurci nei mondi spirituali, allora siamo nella giusta disposizione di pensiero. Ma non hanno tanta importanza le parole – le parole devono dare soltanto la veste – ma quello che conta è che da esse fluisca in noi dai mondi spirituali il senso giusto, ciò che conta è essere ricolmi della forza del Cristo.

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Hugo de Paganis il 15 luglio 2016 alle 15:41 scrive:

Martina von Limburger, della quale nel mio precedente articolo ho delineato una breve presentazione biografica, appartiene alla primissima generazione di discepoli che si raccolsero attorno a Rudolf Steiner, non appena questi intraprese pubblicamente la sua missione di Istruttore spirituale, di Maestro dell’Iniziazione. L’articolo precedente su di lei voleva essere soltanto la necessaria introduzione a questo suo scritto, nel quale Martina von Limburger riunisce tutta una serie di indicazioni sulla meditazione, che si rivelano preziose per chi aspiri seriamente all’Iniziazione, ad una superiore vita spirituale. Lo stesso Rudolf Steiner ebbe modo di far notare, negli ultimi tempi della sua attività spirituale pubblica, come coloro che si erano accostati alla Scienza dello Spirito negli anni che andavano dagli inizi del nuovo secolo sino allo scoppio della I Guerra Mondiale, fossero dapprima una sparuta serie di persone, le quali accolsero l’Antroposofia non intellettualmente, bensì in maniera rigorosamente ascetica. Egli stesso rileva come fossero persone non numerose, è vero, ma tutte dedite ad una fervida pratica interiore degli esercizi: della concentrazione, della meditazione. E Martina von Limburger, pur avendo ricevuto dall’educazione familiare una raffinata formazione culturale, “intellettuale” lei non lo era punto: era un’asceta praticante. Sino allo scoppio della I Guerra Mondiale, coloro che si accostarono alla Scienza dello Spirito erano relativamente pochi sia in Germania che in altri paesi. Nel dopoguerra furono invece alcune decine di migliaia, e spesso si trattò di persone con le più disparate esigenze culturali, intellettuali, estetiche e via dicendo: gente che, per usare un’espressione degli ambienti occulti ottocenteschi, “si perdeva, e disperdeva lo Spirito, nelle chiacchiere dei filosofanti”. Nel suo breve scritto sulle indicazioni operative, date da Rudolf Steiner sulla meditazione, ritroviamo lo stesso linguaggio semplice e scarno che abbiamo avuto modo di conoscere nei pochissimi scritti e nelle rare conferenze di Giovanni Colazza, che ci sono rimaste. Dietro la semplicità del linguaggio, si avverte sempre l’asceta operante per il quale lo Spirito ha bisogno non di essere diluito nelle analisi filosofiche o nella retorica estetizzante, bensì di essere risolutamente incarnato nella concreta realizzazione pratica: unica autentica dimostrazione e giustificazione di se stessa. Mi ricordo come Massimo Scaligero, in vari colloqui, mi descrivesse il modo di parlare di Giovanni Colazza come esteriormente “disadorno”, “dimesso”, quasi “sciatto”, ma come al contempo quando egli parlava – nelle riunioni del “Gruppo Novalis” o nelle rare conferenze pubbliche – si sentisse veramente “aleggiare lo Spirito”, ed accompagnava questa sua descrizione con un espressivo gesto della mano. E, per chi abbia una fine sensibilità interiore, un tale “aleggiare” spirituale si respira anche nella lettura di quanto ci è rimasto di Giovanni Colazza e di queste pagine di Martina von Limburger: sono un prezioso aiuto a chi si impegna nella pratica interiore. Martina von Limburger scrisse questa breve sintesi delle indicazioni operative di Rudolf Steiner sul meditare su esplicita richiesta di Marie Steiner, della quale la nostra Martina era intima e fedele amica. In un’epoca nella quale, nel secondo dopoguerra, Albert Steffen e Günther Wachsmuth operavano attivamente alla dissoluzione della Scienza dello Spirito attraverso una gelida intellettualizzazione ed una estetizzazione acuta di essa, Marie Steiner con un coraggio estremo – che gli sciocchi e i pusillanimi giudicarono “temerario” – si prese la responsabilità di donare al mondo, ma soprattutto ai cercatori indipendenti, i contenuti della “Scuola Esoterica”, iniziandone la pubblicazione in quelli che furono i primi tre “Quaderni Esoterici”, da lei curati e pubblicati i primi due nel 1947 e nel 1948, mentre il terzo, anch’esso da lei curato, uscì nel 1949, poco dopo la scomparsa di Marie Steiner. Lo scritto di Martina von Limburger è sulla stessa linea dell’azione disvelatrice di Marie Steiner: donare a chi seriamente aspiri all’Iniziazione preziose indicazioni operative. Tale immane lavoro di raccolta e pubblicazione dei contenuti della “Scuola Esoterica” di Rudolf Steiner sarà poi, nei decenni successivi, il còmpito al quale dedicherà la sua vita Hella Wiesberger, che sarà altresì la più completa e profonda biografa di Marie Steiner. Nella sintesi che viene pubblicata su questo “blog”, la nostra Autrice si serve del materiale riservato della “Scuola Esoterica”, che in non pochi punti ella paragrafa, ridonandoci così, almeno in parte, le parole stesse del Maestro. Si tenga conto che quando redasse queste pagine, Martina von Limburger era già molto anziana, ed era esule, avendo dovuto abbandonare Lipsia e la Sassonia in seguito agli sconvolgimenti e ai disagi causati dalla II Guerra Mondiale, e dalla successiva occupazione della zona orientale della Germania da parte delle truppe dell’Armata Rossa. Per cui, ci si può fare un’idea della forza interiore, della grande energia volitiva di questa eroica praticante interiore, la quale, ultraottantenne, si preoccupò fattivamente di trasmettere agli autentici cercatori dello Spirito, a coloro che vogliono consacrarsi alla pratica interiore, alla concentrazione e alla meditazione, indicazioni preziose per la realizzazione spirituale. In particolare, è da rilevare la chiarezza della sua indicazione di come sia fondamentale l’esperienza del pensare puro, ossia non tanto, o non solo, dell’esperienza dei pensieri, ma quella del pensare stesso, indipendente dagli stessi pensieri, che è l’esperienza stessa dell’Io indipendente dall’anima. La traduzione che ho fatto di questo scritto – eseguita in una calura estiva veramente eccessiva – è costata non poca fatica, sia per le mie men che modeste competenze linguistiche, sia per la volontà di non “tradire” il testo con abbellimenti retorici o discutibili interpretazioni personali. Ho teso – per quanto lo consentono le esigenze della lingua di Dante – a rimanere “ad litteram” fedele il più possibile alle parole stesse della nostra Autrice. Voglio solo rilevare come, nella terminologia dell’epoca, quando lei usa l’espressione “parole” – in tedesco “Worte” – a seconda dei casi intende sia interi “mantram”, o “formule meditative” – “Meditationsformeln” – sia le singole parole che compongono i “mantram” o i versetti meditativi, gli “Sprüche” del patrimonio sapienziale della Scienza dello Spirito. Altri punti avremo modo in seguito di rilevarli ed eventualmente di chiarirli. Hugo de’ Paganis

isidoro il 19 luglio 2016 alle 17:50 scrive:

Che incredibile regalo ha fatto il nostro Hugo ai lettori di Eco e a chiunque potrà accadere che legga questa accurata traduzione! C’è tanta ricchezza (anche troppa) sino a singole righe, a qualche parola illuminante. Chi pratica troverà conferme o correzioni di quello che sta facendo. Chi non pratica ancora potrà forse trovare stimoli o una scintilla per accostarsi al tentativo dell’avventura interiore: essa diviene poi il centro del nostro essere. Non perché “si fa” ma per quel tanto di VITA interiore che ne viene sollecitata. In realtà il meditare, pur apparendo relativamente semplice, è difficile poiché si fonda non sopra “qualcosa” ma su una attività interiore che ordinariamente nemmeno esiste. Il meditare che non sia scambiato per una delle cose passive che si possono svolgere nell’anima, presuppone un movimento che comincia a prender forma con la disciplina del controllo del pensiero. Per molti il meditare sarà un’opera assai breve, poiché il “riposare”, l’abbandonarsi in un tema fuori dalla infernale bufera di pensieri, sentimenti e sensazioni che ci fendono o ci strattonano non può essere un velleitario tentativo di una prolungata disciplina. Ancora una cosa che Massimo Scaligero mi disse e che non so sia cosa rivolta a me oppure valida per tutti. Mi disse di non passare dalla concentrazione alla meditazione in continuità. Cioè di tenerle separate. Piuttosto, al termine della concentrazione, di tenere per pochi minuti il massimo silenzio interiore “in paziente attesa” (sono parole sue).

Hugo de Paganis il 20 luglio 2016 alle 15:46 scrive:

Isidoro, io ho sempre pensato – in maniera oltremodo estremista – che la concentrazione sia una “tecnica”, e che la meditazione sia invece un’ “arte”. Ciò implica che la concentrazione sia essenzialmente un’operazione della volontà nella corrente del pensare, ed essa deve essere attuata con precisione scientifica, eseguita con modalità esatte, con energia, senza verun sentimentalismo, addirittura brutalmente quando necessario. La meditazione è, al contrario, un’operazione interiore più “delicata”, implicante uno stato interiore di “degnità” interiore. Tale “degnità” non è richiesta come prerequisito della concentrazione: semmai ne è indiretto e prezioso risultato. La concentrazione richiede coraggio. energica volontà, salda risoluzione, e infinita tenacia. Perciò la concentrazione è una operazione attuabile da ogni tipo umano, anche il più “indegno”, se costui ha ferma volontà di una radicale trasformazione interiore. La fase iniziale della concentrazione è decisamente brutale: è l’azione dell’Io come ego, che giunge ad essere così potente da attuare il volitivo annientamento della forma “ego” dell’Io: non la si può attuare senza volontà risoluta e crescente energia. Se tale sforzo interiore non viene pavidamente evitato, se non ci si risparmia, se si dà veramente tutto di noi stessi, allora la fase successiva della concentrazione si attua come atto di una volontà più sottile, più “delicata”, e in questo più affine alla meditazione. La meditazione in quanto “arte” è un’operazione spiritualmente più “esigente”, in quanto già presuppone il conseguimento di un almeno minimo dominio del pensare, che normalmente è frutto di una intensa e prolungata disciplina della concentrazione. La meditazione si alimenta di un’energica disciplina della concentrazione. Essendo un’operazione spirituale essenzialmente non egoica, la meditazione presuppone che con l’ego si siano già fatti risolutamente i conti nella concentrazione: sino ad arrivare ogni volta sempre più al dissolvimento della forma egoica dell’Io. Questo dissolvimento dell’ego va attuato senza sconti, senza attenuazioni, senza misericordia: oggi soltanto la Via del Pensiero, come Via dello Spirito OLTRE e MALGRADO l’anima, dà concretamente questa possibilità. Non è affatto sano e consigliabile farsi troppe illusioni che attraverso le comode “vie dell’anima” si possa giungere a un dissolvimento dell’ego, e ad un’autentica azione spirituale, indipendente dal coinvolgimento nei melmosi e oscuri meandri dell’anima ferreamente legata alla natura corporea. Il consiglio di Massimo Scaligero di una non contiguità tra la concentrazione e la meditazione, secondo la mia esperienza di sperimentalista selvaggio, è motivato dall’esigenza che sia nella concentrazione che nella meditazione l’asceta deve tendere a dare tutto se stesso, impegnandosi senza residui con tutta la sua volontà, sino al superamento del limite personale. La concentrazione che deve essere tenuta temporalmente distinta dalla meditazione, è quella che intensificandosi diviene concentrazione profonda ed infine contemplazione ed esperienza della pura forza-pensiero vuota di pensieri. In quanto tale, la concentrazione profonda è essa stessa “meditazione”. Meditazione e concentrazione hanno lo stesso scopo: divenire esperienza della forza fulgurea del cosmico pensare pre-individuale, che si fa individuale in noi nella contemplazione meditativa e concentrativa, senza tuttavia cessare di fluire in noi nella sua purezza sovraindividuale. Tuttavia, per esperienza personale, un breve esercizio di concentrazione può essere efficacemente introduttivo alla meditazione profonda: Una breve concentrazione può disperdere il “fatuo accendersi dei pensieri”, riducendoli al silenzio ed instaurando quel clima interiore che è necessario all’attuarsi della meditazione. Essendo quella del meditare una “arte” sottile e spirituale, pur dovendo essere sempre estremamente rigorosi, non si può essere in essa legnosamente rigidi seguendo ottuse regolette filistee. E Massimo Scaligero consigliava pratiche diverse a persone diverse, a seconda della reale esigenza interiore ogni volta riscontrata. Questo non significa affatto che nel meditare si possa fare come più aggrada, ossia quel che compiace ogni volta all’ego. Anche un savio medico darà farmaci diversi a pazienti diversi, e ciò ovviamente non autorizza un paziente ad assumere a suo libito i farmaci più diversi: gli effetti sarebbero sicuramente disastrosi. L’arte della meditazione si alimenta della concentrazione e dello studio rituale della Via del Pensiero, altrimenti facilmente può prendere ambigui “sentieri laterali”. La Concentrazione – parola di Massimo Scaligero – perseguita con coraggio, tenacia, fedeltà e volontà consacrata, da sola, può portare all’Iniziazione. La meditazione, senza la Concentrazione, porta facilmente alla follia. Hugo de’ Paganis

lapprendista il 1 agosto 2016 alle 22:44 scrive:

C’è una frase sugli ostacoli esteriori ed interiori che è praticamente identica a quella nel capitolo “REGOLE INIZIATICHE” del Manuale pratico della meditazione di Massimo Scaligero. Che gli impedimenti interiori vengano eliminati tramite particolari indicazioni sulla meditazione e la concentrazione mi è comprensibile. Mentre mi sono sempre chiesto quali siano gli impedimenti esteriori che vengono eliminati mediante le regole di vita indicate nel Manuale. Qualcuno avrebbe voglia di dirmi qualcosa in proposito? Grazie!

Hugo de Paganis il 2 agosto 2016 alle 20:59 scrive:

In fondo al “Manuale pratico della meditazione” Massimo Scaligero traduce e pubblica il testo di Rudolf Steiner della Scuola Esoterica, approntato da Marie Steiner per la pubblicazione dei “Quaderni Esoterici”, relativo ai “Nebenuebungen”, ossia a quegli esercizi “collaterali” che devono accompagnare il lavoro di concentrazione e di meditazione vero e proprio. Martina von Limburger attinge per la sua sintesi della operatività interiore allo stesso materiale della “Esoterische Schule”, al quale ha attinto Massimo Scaligero nel suo “Manuale”, appunto nel capitolo “Regole Iniziatiche”, per comunicare quegli stessi esercizi. E siccome la nostra ascetica Autrice in quelle frasi parafrasa e riproduce esattamente quei punti dello scritto di Rudolf Steiner, ho ritenuto doveroso attingere alle espressioni italiane delle quali Massimo Scaligero si serve per tradurre quelle stesse frasi. Quanto agli “impedimenti esteriori”, sono chiaramente indicati e ben descritti da Rudolf Steiner nella stesura del testo stesso dei vari esercizi, e questo non sfuggirà al ricercatore sagace e diligente. Un ulteriore aiuto ci viene dato dalla descrizione dei medesimi esercizi da Giovanni Colazza nelle sua conferenza “La ricerca dell’Io nel periodo dell’anima cosciente”, ove egli descrive da un’angolatura diversa i medesimi “ostacoli esteriori” descritti nel suddetto testo. Hugo de’ Paganis, che poggiando la testa al guanciale, aspetta convinto e speranzoso l’arrivo dell’era glaciale.

lapprendista il 2 agosto 2016 alle 22:35 scrive:

Cappero, effettivamente sono indicati così come indicato da Hugo! Ehm, grazie per questo benevolo “scappellotto”…

Hugo de Paganis il 4 agosto 2016 alle 11:11 scrive:

Gentile lapprendista, per rendere più esauriente e calzante la risposta alla Sua legittima e interessante domanda, La rimando alla conferenza di Giovanni Colazza, “La ricerca dell’Io nel periodo dell’anima cosciente”, da lui tenuta a Milano l’8 dicembre 1940, da me diligente pubblicata su questo ospitale e temerario sito il 26 ottobre 2015. In quella, per me mirabile, conferenza Giovanni Colazza descrive le difficili condizioni e gli impedimenti interiori dell’uomo di questa epoca per accedere alla conoscenza spirituale diretta, e descrive altresì gli impedimenti esteriori che erodono molto delle forze interiori sviluppate nella Concentrazione e nella Meditazione, se non vengono superati. Avrò modo di ritornare su questi temi. Hugo de’ Paganis, che pensando in maniera speciale, sogna l’avvento dell’era glaciale.

Maurizio Barut • Cervignano del Friuli STUDIO GRAFICO EDITORIALE www.barut.it • agosto 2019

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