Migliaro Misuraca - Sociologia E Marxismo Nella Critica Di Gramsci

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Universita degli Studi di Padova Biblioteche del Polo iuridico

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Dalla critica delle sociologie alla scienza della storia e della politica

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UNiitRSITA Dl PADOVA Dipoiserito di Storia e Filosofia del Diritto e Diritto Corionic_____

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Razeto Migliaro Misuraca SOCIOLOGIA E MARXISMO NELLA CRITICA DI GRAMSCI

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IncI?. n. Luis Razeto Migliaro Pasq Sociologia e marxismo nella critica di Gramsci



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Il 1977 è stato un anno di forte ripresa degli stu di e del dibattito sul pensiero di Gramsci. L’in contro tra le iniziative promosse da strutture di ri cerca del movimento operaio per la celebrazione del quarantennale della morte del fondatore’ del marxismo italiano e la particolare congiuntura p0liUca hanno posto al centro del dibattito cultu rale il valore di tesi quali quella dell’egemonia, l’analisi di come questa possa coniugarsi con il pluralismo politico e istituzionale, il rapporto tra tunzione nazionale della classe operaia e crisi del capitalismo. Le tappe salienti di queste ricerche su Gramsci sono nei libri di Badaloni, Buci-Glucksmann, Pag gi-Gerratana-De Giovanni e nel recente volume col lettivo: Politica e storia in Antonio Gramsci (Edi tori Riuniti, Roma 1977). In questo quadro il libro di Razeto Migliaro e Mi suraca parte da un punto di osservazione origi nale, dalla convinzione cioè che la persistenza della crisi è connessa alle carenze scientifichn nella comprensione delle condizioni reali e nella progettazione delle iniziative razionali; e che il suo superamento è perciò legato alla critica del le teorie sociali più diffuse e alla costruzione di una nuova scienza della storia e della politica. Secondo questo programma, a partire da una let tura nuova dei Quaderni di Gramsci, e secondo una prospettiva di storia della cultura, si svolge in questo libro una analisi critica della sociolo tendenza deteriore » gia marxista (intesa come del marxismo), incentrata nella critica del concet to di legalità storica. Si individuano quindi le con dizioni storiche e gli elementi costitutivi fonda mentali di una scienza della storia e della poli tica che dia ragione dei processi storici attuali nel-

la loro particolarità, esaminando specificamente I avviamento di esse nelle teorie gramsciane della crisi organica, dei fenomeni del fascismo, del. americanismo’, della burocrazia moderna.

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L. Razeto Migliaro fino al 1973 ha insegnato so ciologia presso l’università tecnica dello Stato di Santiago. Attualmente insegna presso la facoh di scienze statistiche, demografiche e attuariali dell’università di Roma. In Italia ha pubblicato, tra l’altro, con F. Cerase e F. Consoli, Classi ed istituzioni in America Latina (Roma 1977). P. Misuraca lavora presso l’istituto di Sociologia della università di Roma. È autore di Sulla ricostruzione gramsciana dei concetti di struttura e superstruttura, pubblicato su « Rassegna italiana di Sociologia n. 3. 1977.

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Dalla critica delle sociologie alla scien2a della storia e della politica

De Donato

A 0 © 1978 De Donato editore S Bari Lungomare Nazario Sauro, 25

CL 07-0311-7

Indice

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Prolegorneni I. LA CRITICA DELLE SOCIOLOGIE



1. 2. 3. 4.

3. Teoria della burocrazia moderna

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40 57

DELLA POLITICA 11. LA SCIENZA DkLi,A STORIA E

11 soggetto della critica ismo La sociologia come tendenza deteriore del marx marxismo La sociologia come scienza sociale alternativa al Critica delle leggi storiche e statistiche 75

75 80 101

III. NOTE TEORICHE

1. Dalla esperienza alla ifiosofia ed alla scienza 2. Teoria della crisi organica

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Prolegomeni





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Le scienze storiche e politiche si trovano oggi nella necessità di comprendere, spiegare e dare risposte a un insieme di fenomeni e di problemi che investono gli Stati contemporanei, la cui com plessità e novità sono tali da evidenziare le carenze degli stru menti conoscitivi di cui dispongono le culture più avanzate. L’in sieme di questi fenomeni e di questi problemi è solitamente compreso sotto il termine generico di crisi ma le teorie finora elaborate sulle crisi economiche e politiche non sembrano suffi cienti a dare ragione della novità e complessità che caratterizzano la crisi attuale e a indicare adeguate politiche per affrontarla: ciò rivela che essa coinvolge le scienze storiche e politiche me desime. Possiamo intravedere la natura complessa e nuova di questa problematica attraverso una preliminare considerazione di alcuni tra i sintomi più evidenti dell’attuale situazione critica: nel mondo capitalista un processo di rottura degli equilibri del mercato in ternazionale, proprio nel momento in cui l’annodarsi dei pro blemi (disoccupazione, inflazione e stagnazione in quanto feno meni non puramente congiunturali ma piuttosto tendenziali, con seguenze e parti del modo in cui le forze produttive si sono svi luppate) esige soluzioni internazionali, che tuttavia sono contrad dette dagli interessi e dalle ragioni politiche degli Stati nazionali. del sistema isti attiva e passiva Ancora: la contestazione tuzionale, sempre più estesa e profonda, che pone in questione la separazione tra dirigenti e diretti e spinge questi ultimi a met tere in discussione la legittimità della rappresentanza nelle sue attuali forme. Infine: la caduta di capacità delle ideologie domi nanti nel suscitare il consenso indispensabile ad assicurare l’in tegrazione sociale e ad evitare i sempre più vasti fenomeni di decomposizione morale nella convivenza civile. Nel mondo so cialista, a sua volta, la difficoltà dei rapporti tra i diversi Stati

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(l’acuta conflittualità tra l’Unione Sovietica e la Cina popolare, l’occupazione della Cecoslovacchia ad opera delle forze mffitari del Patto di Varsavia come modo di garantire un certo sistema di rapporti intersocialisti) proprio nel momento in cui la com petizione tra i sistemi capitalista e socialista, e l’interna necessità di uno sviluppo socialista basato su una pianificazione coinvol gente i diversi Stati, abbisognano di un internazionalismo che pervenga ad un livello qualitativamente superiore. Ancora: la divergenza tra un insieme di trasformazioni rivoluzionarie nella struttura sociale e di notevoli successi nella crescita economica da una parte, e le cristallizzazioni burocratiche nelle sovrastrut ture politiche e culturali dall’altra; tra la pianificazione accen trata e tecnica e la necessità di partecipazione e controllo di massa nei processi decisionali. Infine: la persistenza del ricorso a pratiche amministrative nei confronti della intellighenzia dis senziente. Senza ancora proporre un’interpretazione di questi fenomeni e problemi, possiamo intanto cogliere in essi due caratteristiche definitorie della crisi attuale. Il suo investire l’insieme degli Stati, e il suo coinvolgere unitariamente economia, politica e cultura. Il mondo contemporaneo cioè attraversa una fase di crisi organica generalizzata una fase della vita collettiva ca ratterizzata da un processo di scissione fra la struttura e la sovrastruttura che ha contenuti e adotta forme diverse negli Stati capitalisti e socialisti, manifestandosi tuttavia in ambo i sistemi come fenomeni interrelati. È una fase in cui le varie formazioni economico-politiche sono di fronte alla necessità di compiere scelte radicali, tali da riorientarne il complessivo sviluppo futuro. La persistenza della crisi è connessa alle insufficienze teo rico-scientifiche nella comprensione e nella risposta a quest’ultima e il suo superamento è legato alla costruzione di una nuova scienza della storia e della politica, capace di avviare il passaggio ad una nuova epoca politica. Capire questo rapporto tra crisi e scienze implica esaminare la crisi organica attuale come risultato di un processo storico le cui origini rimontano a quell’altra epoca storica di crisi interna zionale, che segnò l’inizio dell’attuale assetto mondiale. Decisivi furono gli anni 1929-32. Gli anni, nel mondo capitalista, in cui l’acutizzarsi dello squilibrio economico-finanziario è la premessa di una riorganizzazione istituzionale del ciclo di accumulazione marcata principalmente dall’intervento sistematico dello Stato come fattore regolatore necessario. L’odierna crisi manifesta il logoramento di quel progetto di sviluppo economico, di ristrut turazione dello Stato e di ricomposizione dei rapporti tra econo mia e politica. Nel mondo socialista, in quel tempo rappresen 8

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tato soltanto dall’URss, sono gli anni della grande svolta ca ratterizzata dalla politica di industrializzazione accelerata e di collettivizzazione dell’agricoltura, che ebbe come corollario il fenomeno che conosciamo come stalinismo La crisi che oggi percorre il mondo socialista esprime a sua volta il logoramento di quel ‘modello’ di sviluppo economico, di organizzazione dello Stato e dei rapporti tra dirigenti e diretti. Ora, l’analisi di quella crisi e l’elaborazione delle risposte ad essa furono condotte da determinate scienze sociali le quali, pur conservando distinte strutture concettuali di derivazione marxista nel mondo socialista, di derivazione economico-socio logica nel mondo capitalista avevano in comune un com plesso di fondamenti teorici e di connotazioni metodologiche che ci permettono di assumerle sotto la denominazione generale di sociologie. Il logoramento di quelle analisi e di quelle risposte alla crisi segna oggi la crisi di quelle strutture conoscitive, ed evidenzia la necessità della costruzione di una nuova scienza che comprenda, spieghi e dia risposte alla crisi organica attuale. Questo è il nostro programma di lavoro.





Un insieme di esperienze politiche e teoriche maturate in re lazione al problema italiano ed alla vicenda cilena ci hanno indotto a soffermarci su Gramsci che, a seguito della sconfitta del movimento operaio in Europa e nel contesto della ristrut turazione differenziata degli Stati contemporanei, consegna ai Quaderni del carcere i suoi studi critici sul marxismo e sulla so ciologia e l’esame della crisi organica a lui contemporanea. Gramsci riflette su questi problemi nel preciso momento storico in cui i « modelli che oggi manifestano le proprie limitazioni si organizzano e cominciano a concretarsi. E chiaro che la coin cidenza cronologica di per sé non vuoi dire niente oltre una ge nerica relazione che sempre radica l’uomo nella propria epoca, il pensiero teorico nel contesto storico. Ma il nesso storico che legittima la ricerca in Gramsci di un punto di partenza per una impostazione scientifica dei problemi reali attuali, è dato dal fatto che la sua riflessione s’incentra precisamente nella problematica storica che in quel tempo tendeva a imporsi, ponendosi già al lora come critica delle risposte (modelli) date ed il logoramento delle quali costituisce l’essenza dei problemi presenti. E ancora dal fatto che Gramsci affronta tale problematica attraverso la critica delle concezioni teoriche, delle ideologie (la sociologia da una parte, un certo modo di concepire il marxismo dall’altra) che stavano alla base di quei modelli. E in questo senso e su

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questa base che attribuiamo attualità a Gramsci, una attualità determinata

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Cfr., in/la, Nota teorica 11, pp. 129-33.





L’analisi dei problemi sui quali ci siamo proposti di interve nire esige non solo la lettura diretta dei testi di Gramsci, ma anche l’esame critico delle diverse interpretazioni di cui il pen siero gramsciano è stato oggetto. Questo è, da un lato, prerequl sito della stessa lettura filologica, poiché oggi non è possibile leggere e interpretare l’opera gramsciana prescindendo dalla me diazione delle interpretazioni che di questa si sono date. Dal l’altro è una esigenza della problematica che ci occupa, in quanto essa emerge in un contesto culturale del quale formano parte le interpretazioni dell’opera gramsciana. Quaranta anni di studi gramsciani, che offrono una variegata costellazione di interpretazioni divergenti del pensiero di Gramsci considerato sia nel suo complesso che riguardo ad argomenti ci pongono di fronte all’esistenza di difficoltà di let specifici tura e comprensione. in effetti, le interpretazioni di Gramsci, con diversa fortuna, hanno percorso praticamente l’intera gam ma logica delle possibilità. Lo si è inteso come leninista con seguente, come revisionista, come politico impegnato nel tenta tivo di porre teoricamente la questione del passaggio al sociali smo nei paesi occidentali, come storicista assoluto, come parzial mente storicista, come precursore dello strutturalismo, e via via 2 Questo destino di Gramsci è paradossale, ove si ponga mente alla permanente preoccupazione d’essere preciso ed espli cito (fatte salve le particolari condizioni carcerarie); egli ritorna più volte sugli stessi appunti, perseguendo, in ulteriori stesure e in nuovi sviluppi teorici delle medesime questioni, l’approfon dimento e la chiarificazione di ciò che gli appare ancora im preciso. Cosa spiega la molteplicità contraddittoria delle interpreta zioni dell’unico Gramsci? Comporre cosf la domanda, e cioè significa rifiutarsi di avanzare a includendo l’aggettivo unico priori l’ipotesi opposta, costruita sulla possibilità logica di una carenza di unità teorica nell’esposizione gramsciana, d’una ete rogenea mescolanza non risolta di posizioni teoriche contrastanti. Da una tale ‘ipotesi’ potrebbe derivarsi una meccanica spie gazione della esistenza di interpretazioni cosf disparate, coi risultato però di mancare proprio l’individuazione delle difficol tà d’interpretazione. Ci sono stati impedimenti per una lettura biologicamente

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rigorosa dei Quaderni. Fino alla recente edizione critica (1975) non era possibile esaminare gli scritti gramsciani nell’ordine ge netico in cui furono elaborati, il che ha impedito di appropriar si dell’evoluzione intellettuale dell’autore. Inoltre: l’organizza zione tematica dei Qitaderni nelle precedenti edizioni era una opzione a posteriori rispondente già a una determinata interpre tazione dei testi. Il contesto tematico (esteriormente e da altri sovraimposto) attribuisce senso e contenuti ad ogni paragrafo particolare in quanto lo propone inserito in una certa proble matica teorica, e priva di concretezza i concetti rendendoli ge nerici in quanto ne mette in ombra i legami col determinato momento storico complessivo e con l’ordine dei pensieri del l’autore. Che il contesto tematico attribuito agli scritti carcerari non corrisponda all’originale contesto problematico secondo il quale Gramsci sviluppa la sua esposizione, soltanto adesso è possibile cogliere manifestamente. In effetti l’ordinamento cro nologico di cui ora disponiamo permette di accedere ad un nuo vo (antico quanto i Quaderni manoscritti) ordinamento proble matico. In base a ciò sarà rimarchevole comprovare che appa nelle affermazioni testuali renti contraddizioni nella lettera in realtà non sono tali: derivano piuttosto dalla di Gramsci inclusione in un medesimo nodo problematico di proposizioni che nel pensiero originale dell’autore erano riferite a questioni diverse. È chiaro che queste confusioni hanno dato origine a suggestive diversità interpretative. È opportuno cogliere a questo riguardo un altro aspetto della stretta relazione che intercorre tra il problema filologico e il problema delle interpretazioni diverse del pensiero di Gramsci. Una certa diffusa forma di leggere Gramsci può essere intesa appunto come una vera e propria teonizzazione (giustificazione) Alcuni della possibilità di formulare interpretazioni libere studiosi sostengono infatti che per penetrare nel vero senso, nello spirito del pensiero gramsciano, è necessario andare oltre le parole. il testo scritto, quasi che la lettera non corri come se Gramsci avesse sofferto spondesse a detto spirito una difficoltà espressiva insormontabile. Questa forma di lettura libera permette di aggirare le apparenti contraddizioni tra proposi zioni inscritte in diversi contesti, poiché nei fatti non si fanno i conti col senso diretto delle affermazioni stesse e si finisce ac cettando come veramente coerente con lo spirito gramsciano taluna e non talaltra delle proposizioni contrastanti. E decisivo a questo punto richiamare il fatto che una interpretazione del l’opera di un autore è più valida di un’altra nella misura in cui ne comprende più parte, rende conto di pi elementi e al limite delle formulazioni nella loro interezza.

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e intorno sione. Si mostra oggi come una sistematizzazione formal

Un altro problema di lettura deriva dal carattere a prima vista disordinato degli scritti gramsciani, e consiste nel proble ma di quale sia il criterio di sistematicità coi quale avvicinarsi ai testi. Anche a questo riguardo precise indicazioni emergono oggi dalla lettura dell’edizione critica. La precedente edizione tematica era un tentativo di sistema rizzazione e in quanto tale esterno, nel preciso senso di una sistematizzazione che si propone di supplire una presunta ca renza di sistematicità originaria. Il criterio di sistematizzazione editoriale corrispose a una determinata interpretazione dell’opera gramsciana (e a una determinata interpretazione dei criteri di sistematizzazione dichiarati più volte dallo stesso Gramsci) e al pro getto politico di divulgare Gramsci facilitandone la compren

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ad unità tematiche che ha condizionato il dibattito sulla siste maticità o meno dell’opera gramsciana, privandolo delle que stioni riguardanti 1’’ ordine di esposizione e 1’’ ordine (logica) della ricerca La ricostruzione filologica dei Quaderni permette di riaffron tare il problema della sistematicità dell’opera oltre ogni media zione derivante da sisternatizzazioni sovrapposte. In effetti di viene chiaro che Gramsci costantemente ricerca una determinata sistematicità sia nella esposizione che nella investigazione; ed è riduttivo interpretare quella ricerca come semplice lotta contro la frammentarietà delle condizioni psicologiche e tecniche della vita carceraria, poiché il significato decisivo di quello sforzo sta nel perseguimento di un nuovo tipo di sistematicità, inferiore, parte costituente la logica del suo pensiero, e che è tutto il contrario di ciò che può esser detto una sisternaticità tematica. TI concetto gramsciano di sisrematicità della teoria e del la voro teorico può costituire l’oggetto di più specifici studi; ci li nlitiamo qui alla individuazione degli essenziali punti di riferi mento cile segnalano la direzione nella quale debbono essere convogliati gli sforzi tesi allo scioglimento di queste dicoltà di lettura. Un punto di partenza può essere quello offertoci da Gramsci in due lettere a Tania nelle quali espone i suoi progetti di la voro intellettuale. Nella prima leggiamo: « studiare è molto più dicie di quanto non sembrerebbe [...] vorrei, secondo un piano prestabilito, occunarmi intensamente e sistematicamente di uualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore. Ho pensato a quattro soggetti finora, e già questo è Abbiamo qui il conun indice che non riesco a raccogliermi »

data A. Granii. Lnr da! carcee, Linaudi, Torino 1973, p. 58 (la ddlla lettera è 19 ìear:o 1927).

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cetto di sistematicità della ricerca come occupazione intensa con forme ad un piano prestabilito intorno a un soggetto che centra lizza in modo assorbente la vita interiore del ricercatore. i vero che enumera di seguito quattro soggetti dei quali intende occuparsi, distinti, (e non è l’unica volta che fa elenchi temati ci); però da un lato sottolinea che alla base di questi temi sta l’unità di un nodo problematico (< In fondo, a chi bene os servi, tra questi quattro argomenti esiste omogeneità: lo spirito e gradi di sviluppo, è popolare creativo, nelle sue diverse fasi 4); dall’altro esplicitamente alla base di essi in misura uguale » avverte che proporsi di lavorare su soggetti diversi « è già [...] un indice che non riesco a raccogliermi ». Nella lettera del 23 maggio 1927 appare ancora più chiaro il senso della sistematicità che si propone: Un vero e proprio studio credo che flli sia impossibile, per tante ragioni, non solo psicologiche, ma anche tecniche; mi è molto dif ficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una ma teria e sprofondarmi solo in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente Sempre la stessa idea: non la stessa sistematicità formale ed esterna, ordinamento e organizzazione di temi distinti, e nep pure la sistematicità il cui criterio consiste nell’allacciamento di problemi o temi tra di loro, bensi l’approfondimento in un solo nodo problematico per scoprirne tutti i rapporti possibili e congiungere il tutto attorno a un centro unificante. Questa sistematicità deve dunque essere identificata nella lo gica interna dei Quaderni stessi, implicita alla ricerca ed alla dal momento che il esposizione teorica. Da qui la difficoltà; concetto di sistematicità della teoria è parte della teoria stessa e della stessa sistematicità della teoria, si rivela indispensabile dal livello filo unico modo di rompere il circolo partire logico. La tendenza a comprendere i testi richiamandosi allo spirito gramsciano si mostra come aggiramento speculativo del problema, come un arbitrario surrogato di una componente essenziale della teoria. Sulla base di questo modo d’intendere il problema della si stematicità, una lettura che metta in condizione di accedere alla determinata teoria-sistemalicità gramsciana implica l’analisi di ogni paragrafo come un tutto coerente in sé medesimo ed auto nomo, strutturato secondo una logica concreta e particolare che deve essere intelletta. In ogni ragionamento gramsciano tenden Ivi, p. 59. Ivi, p. 92.

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è presente il nocciolo del ed implicitamente zialmente omia dei l’auton suo pensiero complessivo; è per questo che da altri, ma paragrafi non significa separatezza e sconnessione al contrario radicale interiore unità. asistemati La forma di esposizione gramsciana (l’apparente altro) che appariva cità, il trascorrere da un argomento a un si rivela in sotto il velo dell’inorganicità delle note sparse il metodo della ri vece una forma di esposizione coerente con cerca e con il contenuto dell’analisi teorica. le note dei pri Il passo che Gramsci compie nell’organizzare e in una sem mi quaderni nelle successive stesure non consist ma in un supera plice riorganizzazione lormale del materiale, in nodi problema mento qualitativo dell’analisi, che concentra re quantità di rap tici pi(i precisamente identificati una maggio della logica par porti armonicamente connessi. E il dispiegarsi ticolare dell’oggetto specifico.







alcune note Questa ricerca è articolata intorno alla lettura di oni critiche dei Quaderni in cui Gramsci concentra le sue riflessi mi della proble sui marxismo e sulla sociologia e in cui analizza i ia il sog crisi e del riassetto degli Stati contemporanei. Tuttav appunto attraverso questa lettu getto di cui ci occupiamo matica trascende i confini cosf del testo come della proble preoc ra nostra in esso esaminata da Gramsci. Ciò significa che la fica e poli cupazione non è prioritariamente filologica ma scienti ne dei funzio tica; più precisamente che il lavoro filologico è in e politica problemi teorici e pratici: è l’intenzionalità scientifica dalla gio che ci conduce alla filologia, all’analisi dei testi. Il passag ti lema prob teoria e dalla politica alla filologia, e da questa alla mi proble i ca scientifica e pratica ha come punto di partenza Gramsci reali attuali della scienza e della politica; ‘leggiamo ire ad una in quanto per il suo tramite sembra possibile perven punti di nuova impostazione dei problemi e individuare validi ttiva nella riferimento che ci permettano di entrare nella prospe quale essi possono ricevere risposta. a nella prima Questo lavoro è il risultato di una ricerca iniziat e e let teorich vera dei 1975 e sviluppata attraverso discussioni Ogni que ture metodiche unitariamente condotte dagli autori. lari e le stione è stata esaminata da entrambi fin nei partico ma dalla ioni, singole proposizioni sono risultate non da mediazin omaggio ad costruzione di un testo comune. Pure va detto, dispari e delle una pratica abituale, che la cura dei paragrafi Misuraca, e dei note teoriche pari è da attribuire a Pasquale paragrafi pari e delle note dispari a Luis Razeto. 14

La critica delle sociologie

1. Il soggetto della critica





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Sebbene affronti la questione in più luoghi, Gramsci concentra la critica della sociologia in sei pagine dei Quaderni: due para grafi del Quaderno li secondo l’edizione critica, corrispondenti a una nota del Quaderno XVIII secondo l’edizione tematica Ora, presentare il problema nei termini generici di critica del la sociologia solleva immediatamente domande decisive, dalla risposta alle quali dipende l’interpretazione che di tale critica si da. TI primo quesito è; A quale sociologia si riferisce Gramsci in questa occasione? È questo un problema delicato, poiché la su perficiale risoluzione che ad esso è stata data sta all’origine di varie interpretazioni che non sono riuscite a cogliere il profondo significato delle proposizioni gramsciane. Alcuni hanno indivi duato in esse una critica della sociologia borghese altri hanno percepito soltanto la critica alla Teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia marxista 2 di Nikolaj J. Bucharin. Più elementi devono essere presi in considerazione per avviare una risposta a questa domanda, alcuni dei quali emergono solo con l’edizione critica (in qualche modo ciò serve a capire perché le interpretazioni date si mostrano precarie). Già nel titolo del primo dei paragrafi la complessità del problema

Paragrafi 25 (Riduzione della losoja delta praxis a una sociologia) e 26 (Quistiorn generati), pp. 1428-34 dei Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Finaudi, Torino 1975 (d’ora in poi citati con la sigla Q seguita dal numero di pagina); nota Materialismo storico e sociologia, pp. 146-51 de Il materialismo storico e la iflosofla ,li Benedetto Croce, Editori Riuniti, Roma 1971. 2 La tbéorje dli matérjalisrne historique. Manuel populaire de sociologie ‘narxiste, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1977.

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a una socio è anticipata: Riduzione della filosofia della praxis e tema logia. Degno di nota intanto è il fatto che nella edizionito nella tica dei Quaderni questo titolo non compare; è assorb questa sop proposizione di apertura della nota. A ben vedere piii ancor pressione è conseguenza diretta di un altro fatto a paragr del carico di implicazioni —: il mancato riconoscimento ad un fo nella sua autonomia. Infatti il paragrafo viene saldato generali), e altro e compreso sotto il titolo di questo (Quistioni uimento; dall’edi a questo appare subordinato come suo proseg paragrafi sia zione critica risulta invece sia la distinzione dei Riduzione della l’originale disposizione di questi: il paragrafo segue, quel filosofia della praxis a una sociologia precede, e non ione compiuta lo intitolato Quistioni generali. L’arbitraria operaz è conseguenza nella edizione tematica induce a (e forse anche identificazione del soggetto o parziale di) una erronea la nota della critica di questi brani, e in primo luogo perché Saggio di Bu cos composta appare incentrata nella critica del charin e su questa si apre. del ti Rimesse le cose al proprio posto, la semplice lettura ci Grams tolo del primo dei brani permette di intravedere come i più termin in questo individua il soggetto della sua critica nei lare cri comprensivi, tali da comprendere come parte la partico sulla « riduzio tica del Saggio buchariniano. L’accento è posto a) socio ne » della fiIosoa della praxis a « una » (indeterminat Bucharin. logia, e non a la (determinata) sociologia di dun tratta si Di quale « riduzione » e di quale « sociologia » dalla pro que? Un primo aspetto della questione viene posto posizione di apertura del paragrafo: ne della ten Questa riduzione ha rappresentato la cristallizzazio lettere a due stu denza deteriore già criticata da Engels (nelle denti pubblicate nel « Sozialistische Akademiker ») LI. recente Il problema sta dunque in una « tendenza », non ori del marxi mente emersa ma contemporanea agli stessi fondat nel marxi arsi sino; tendenza deteriore che Engels vede svilupp Come tale smo, e che è inscritta nella storia dei marxismo. ende e la Gramsci comincia con il considerarla, ma la compr dola riflesso e spiega da un punto di vista più generale ritenen a al marxi manifestazione specifica di una tendenza non limitatdella cultura smo ma che si manifesta nell’insieme della storia contemporanea, come più oltre espliciteremo. Leggiamo la proposizione per intero: ne della ten Questa riduzione ha rappresentato la cristallizzazio due stu denza deteriore già criticata da Engels (nelle lettere a 16

denti pubblicate nel « Sozialistische Akademiker ») e consistenti nico nel ridurre una concezione del mondo a un formulano mecca1428) che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca. (Q,





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Dunque non solo riduzione della filosofia della praxis, ma questa come momento di una più generale riduzione cli una con cezione del mondo. È necessario a questo punto, per approssimarci ulteriormente al nucleo problematico che centralizza l’interesse di Gramsci in questo paragrafo, andare alla prima stesura (precedente di due anni: 1930-3 1) dello stesso, che incontriamo nel Quaderno 7 dell’edizione critica. Il paragrafo è qui aperto da questa pro posizione: « La riduzione del materialismo storico a ‘sociolo gia marxista è un incentivo alle facili improvvisazioni giornali (Q, 856). Questa concisa formulazione stiche dei genialoidi non lascia dubbi rispetto ad un punto: esplicitamente Gramsci si propone di criticare una sociologia marxista, riduzione del materialismo storico. Tuttavia in questa prima stesura è assente ogni riferimento ad una tendenza, e cioè alla storia del marxi smo; e già l’intitolazione del paragrafo (Il « Saggio popolare » e la sociologia) indica come soggetto della critica specificamen te il marxismo di Bucharin. Ciò evidenzia un processo, una maturazione, nel pensiero di Gramsci. Dalla prima alla seconda stesura si dà uno spostamen to e una ricomposizione di problematica, segnata fondamental mente dal passaggio dalla critica a una forma particolare cli riduzione’ alla critica ad una tendenza generale che ha una continuità storica ed una dimensione culturale comprensiva; la critica a Bucharin è incorporata come momento della critica di una certa deteriore tendenza del marxismo (ponendo cosf il problema in termini di storia del marxismo), e questa è a sua volta incorporata come momento della critica di un certo svi luppo della cultura (ponendo il problema in termini di storia della cultura). Tutto questo non emerge soltanto dalla comparazione della proposizione di apertura e dei titoli delle due stesure ma dal contenuto e dal contesto di ambo le redazioni nella propria in terezza. Dal confronto globale risulta una ulteriore dimensione, che è necessario prendere in considerazione a questo punto per una in tellezione accurata dei paragrafi. La prima stesura del paragrafo è parte d’un Quaderno da Gramsci intitolato Appunti di filosofia. Materialismo e ideali smo. Questo titolo ed il contenuto della generalità delle note che compongono il Quaderno 7 racchiudono un preciso conte sto problematico su1 quale Gramsci riflette in quel momento (1930-31) e che attribuisce un particolare senso alla nota sulla

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sociologia: il materialismo storico come filosofia, la sua origi nalità e specificità nei confronti delle altre filosofie che critica. La problematica è fondamentalmente, se non esclusivamente, di livello teorico-filosofico. La seconda stesura del paragrafo (1932-33) sta in un Qua derno (l’il) in cui il problema teorico della filosofia marxista e del confronto con le altre filosofie, è integrato nel più ampio contesto problematico della storia della cultura. Il Quaderno manca di un titolo originale (il titolo redazionale scelto dai cu non ratori dell’edizione critica Introduzione alla filosofia rende ragione della rivoluzione problematica che sostanzia que sta seconda stesura, oscurandone la lettura); abbiamo tuttavia di pugno di Gramsci i titoli parziali dei due complessi di paragrafi che compongono il Quaderno. Già il primo è degno di nota in quanto appunto sottolinea il terreno non puramente filoso fico dei problemi trattati: Appunti e riferimenti di carattere storico-critico. Il titolo del secondo insieme di paragrafi (comprende i due paragrafi che stiamo esaminando e che direttamente ci interessa) è ancor più indicativo: Appunti per una introduzione e un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura. Determinanti novità sono presenti in questo titolo (là cui completa trattazione sta nelle note stesse del Quaderno). e Scompare qui la contrapposizione materialismo-idealismo cosi am con ciò si dissolvono le contrapposizioni meccaniche tra filosofia idealista e filo piamente diffuse in quegli anni sofia materialista, tra scienza borghese e scienza proletaria, tra La collocazione sociologia borghese e sociologia marxista della filosofia della praxis nel quadro della storia della cultura non passa più attraverso la mediazione del binomio caudino materialismo-idealismo Il terreno e l’elemento di differenziazione, secondo Gramsci, si raggiunge per via della critica di tutta la cultura precedente (da non intendere restrittivamente in senso cronologico, in quan to inclusiva della cultura presente e tendenzialmente persistente), la quale contiene tanto indirizzi idealisti quanto indirizzi ma terialisti e correnti filosofiche, scientifiche e sociologiche che ad essi possono richiamarsi o ricondursi. La filosofia della praxis è il fondamento e l’espressione teorica di una nuova cultura integrale. La precisa individuazione di questa prospettiva è un passo decisivo per comprendere il percorso dell’elaborazione gramscia na, ed in particolare per identificare con esattezza a quali forme teoriche è diretta la sua critica della sociologia A questo scopo è opportuno prendere in considerazione il paragrafo che, significativamente, segue i due paragrafi del Qua18

derno 11. In esso è sottoposto ad analisi il Concetto di orto dossia’, che è appunto un modo di precisare i confini della fi losofia della praxis, e di specificarne la differenza rispetto alle altre filosofie.

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non deve essere ricercata in scrive Gramsci L’ortodossia questo o quello dei seguaci della filosofia della praxis, in questa o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina originale, ma nel concetto fondamentale che la filosofia della praxis ‘basta a se stessa contiene in sé tutti gli elementi fondamentali per co struire una totale ed integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali, non solo, ma anche per vi vificare una integrale organizzazione pratica della società, cioè per diventare una totale, integrale civiltà. (Q, 1434).











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Su questa base Gramsci individua il carattere rivoluzionario di una teoria nel suo rappresentare « un elemento di completa scissione tra i sostenitori del vecchio e del nuovo mondo. Una teoria è appunto rivoluzionaria nella misura in cui è elemen to di separazione e distinzione consapevole in due campi, in 1434). quanto è un vertice inaccessibile al campo avversario » che cade molto Il senso profondo di queste affermazioni oltre ogni lettura che in esse superficialmente veda una prospet lo esamineremo dettagliatamente più avanti. tiva integralista Questa citazione viene qui inserita allo scopo di mostrare che l’inclusione della tendenza deteriore del marxismo nel quadro d’una storia-critica della cultura significa l’avviamento di una critica ad un determinato marxismo in quanto questo non ha raggiunto a) teoricamente la necessaria autonomia rispetto ai fondamenti filosofici della cultura precedente; b) politicamente una prospettiva rivoluzionaria indirizzata ad una integrale riorga nizzazione pratica della società. Ecco perché la critica gramsciana della sociologia marxista non si presenta separata dalla critica delle sociologie non-marxiste o ‘borghesi’. Ancora: nemmeno gli borghese ‘) compaiono nella seconda stessi termini (‘ marxista stesura. Le diverse sociologie sono ricondotte da Gramsci ad una storia culturale comune, senza perciò negare ad ognuna di esse la propria specificità. Rimane da sottolineare che non essendo questa critica esclu sivamente teorica ma insieme politico-pratica, essa è rivolta an che al modo di fare politica che è parte di quella cultura da su perare, e che include una tendenza, un modo di far politica presente anche nella stessa storia politica del movimento operaio. La gramsciana critica della sociologia deve intendersi dunque come un momento, una parte della critica complessiva di una certa cultura prevalente. Sebbene internamente connessa alla cri-

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tica della filosofia, la critica della sociologia non si identifica con essa, ma si svolge in forma specifica, rilevando nel contempo l’importanza progressiva che le diverse sociologie acquistano nel la cultura. La gramsciana critica della sociologia corrisponde (in par te) alla marxiana critica della economia politica. Questo centrare la critica nella sociologia (e non in altri set tori ideologici) ha ragioni storiche e teoriche. Storiche, nel capitalismo, in quanto precisamente lo sviluppo della sociologia è il modo specifico che assume l’ideologia delle classi dominanti per rispondere ai problemi dello sviluppo del capitalismo e al dominio di quelle classi nelle singole società. In effetti, l’economia politica classica servi fondamentalmente nel l’epoca delle origini e della prima espansione del capitalismo ai bisogni della borghesia in ascesa che consolidava il suo sistema politico-economico, nella lotta contro le ideologie tradizionali; nell’epoca dell’espansione imperialista del capitalismo, delle sue crisi, della sua critica teorica e pratica da parte delle classi su bordinate, i problemi delle classi dominanti non erano piti giu stificare e fondare il sistema su basi teorico-economiche (l’eco nomia politica), ma piuttosto controllare e contenere i fenome ni di dissoluzione del sistema, le sue ‘anomie’ e disfunzio nalità’, e cioè quei settori sociali conflittuali al sistema, reale minaccia al dominio delle classi proprietarie. È vero che anche il margi l’economia aveva conosciuto uno sviluppo ulteriore nalismo, le teorie dell’organizzazione industriale e del lavoro, le ma questo sviluppo, sebbene teorie microeconomiche, ecc. indirizzato a funzionalizzare ed aggiustare il sistema affrontando i suoi problemi immediati, non si appropriava del problema cen trale della nuova fase di sviluppo del sistema, problema che non era strettamente economico ma sociale: era la sociologia che si proponeva di dare a questi problemi risposte al livello richiesto, ed è per questo che le discipline sociologiche conquistavano rispet to ad altre un posto centrale ed egemonico. Nell’Unione Sovietica, a sua volta, i rivoluzionari al potere si trovavano a dover affrontare problemi nuovi, riguardo ai quali il marxismo classico, orientato alla critica teorica e poli tica del sistema economico capitalista, si mostrava carente di elaborazioni e strumenti adeguati. Lo sviluppo del marxismo co me sociologia popolare si impone in tale situazione come il modo specifico che assume storicamente l’ideologia rivoluziona ria divenuta dottrina ufficiale di Stato. In effetti il marxismo servi nel come critica dell’economia politica classico l’epoca del dominio delle classi proprietarie per l’organizzazione sociale e politica delle masse all’esercizio della lotta di classe ed alla formazione della coscienza e della cultura politica di classe; 20







Editori









Riuniti, Roma 1972.







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nell’epoca apertasi con la conquista del potere statale da par te dei rivoluzionari, che poneva a questi il compito di riorga nizzare complessivamente l’economia e le istituzioni di potere, si presentavano anche problemi di controllo, di integrazione so ciale, di contenimento di moti politici e culturali centrifughi, di funzionalità e stabilità organica del nuovo sistema in formazio ne. Un processo di sociologizzazione del marxismo fu la rispo sta teorica (di pratiche conseguenze) che in quelle condizioni storiche tendeva ad imporsi scavalcando la ricerca leniniana ed emarginando I’’ alternativa troskijana. La critica delle socio logie sviluppatesi nell’ambito del capitalismo, già avviata in qual che modo da Lenin nel 1894 (Che cosa sono gli ‘amici del po polo e come lottano contro i socialdemocratici) non fu svi luppata ulteriormente dai marxisti; Gramsci proprio in quel man cato sviluppo della critica individua la causa, e l’espressione, della crisi di sviluppo del marxismo, sottolineando con ciò la centralità del nuovo compito critico necessario. Accanto a queste ragioni storiche, anche ragioni teoriche por tavano Gramsci a centrare lo sviluppo del marxismo nella cri tica delle sociologie. Una parte di queste si erano sviluppate nel come superamen mondo occidentale come risposta a Marx to del marxismo: della sua concezione della storia (con una teoria sociale ‘), della teoria della lotta di classe (con una teo ria dei gruppi e della stratificazione sociale, ad esempio), dei suoi criteri d’interpretazione (con le metodologie ‘). La risposta a Marx’ non era una funzione ideologica se condaria, ma elemento organicamente connesso al compito di contenere i conflitti e guidarne la ricomposizione. Il ritardo di una profonda critica scientifica di queste sociologie indebolisce il movimento delle classi subordinate e lo rende vulnerabile al livello della formazione della coscienza di classe e della lotta ideologica, privandolo sia delle armi da opporre a quelle tecni che di controllo sia della elaborazione di proprie tecniche di mobilitazione (queste alternative a quelle, poiché la costruzione del nuovo sistema d’egemonia si basa su una espansione orga nizzata del movimento sociale e non sul contenimento del con flitto nell’adattamento sociale). Questo non è tutto; l’assenza di una critica sistematica rigo rosa delle sociologie comportava gravi conseguenze per lo stesso sviluppo del marxismo. Da un lato emergeva la tendenza al re in particolare teorie sociali e me cupero di svariati elementi accorpandoli acritica di quelle scienze sociali todologie mente al marxismo; il marxismo della Seconda Internazionale, 3

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nel nome del realismo politico e sociale, esprimeva manife stamente questa tendenza. Reagendo con violenza contro di es sa, accusandola di revisionismo esorcizzando in blocco e sen za la mediazione della critica che distingue e supera in forma reale (non verbale), questa sociologia, il marxismo ortodosso si chiudeva in se stesso secondo una concezione esclusiva ed autosufficiente del proprio divenire, dogmatizzandosi ed ampu tando uno dei piedi sui quali cammina la scienza, e cioè la cri tica comprensiva d’ogni sviluppo teorico nuovo, capace di di gerire il positivo e di negare il mistificatorio. A fronte della so si proponeva cosi s’iniziò a chiamarla ciologia borghese come vera e unica sociologia il materialismo storico, che veniva sottoposto ad un processo di /ormalizzazione sistematizzante. Il libro di Bucharin era inscritto in questa tendenza; Gramsci ri conoscerlì nel sottotitolo (Saggio popolare di sociologia) l’ele mento di verità contenuto nel denominare « sociologia » que sto marxismo.



Si manifesta cosf una curiosa convergenza negli indirizzi che il marxismo assume in condizioni storico-politiche non solo di verse ma apparentemente di segno opposto, in Occidente ove il marxismo è all’opposizione e nell’URss ove è al potere. L’interpretazione oggi prevalente secondo la quale il marxi smo in Occidente si conformò alla tendenza che il marxismo aveva assunto in URSS in ragione della subordinazione politica e organizzativa dei partiti comunisti occidentali a quello sovie tico, ci sembra insufficiente per il fatto che, sebbene questa subordinazione fosse un fatto reale che ebbe riflessi nel terreno dello sviluppo teorico, questo costituiva anche una risposta ai problemi specifici che i partiti comunisti fronteggiavano in Oc cidente. Il processo di ideologizzazione del marxismo in Occidente che assume quasi la portata di una vera rinuncia all’analisi delle nuove realtà di un capitalismo che si ostinava a funzionare si dispiega come reazione alla situazione di crisi in cui si dibat teva il movimento comunista, come riflesso della sùccessione di sconfitte che il movimento subiva in quegli anni, come freno alla dispersione ed antidoto all’attrazione dei revisionisti Di contro a ciò, e dovendo continuare a realizzarsi come critica del capitalismo, il marxismo diventa astratto e metafisico alla critica concreta dei processi concreti si sostituiva la fede nell’ineluttabile sbocco nel socialismo delle contraddizioni og gettive del sistema. In questo modo la convergenza di indirizzi tra il marxismo al potere ed il marxismo sconfitto trova 22

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comune

tendenza deteriore



del marxismo

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spiegazione nella reale affinità delle difficoltà e dei problemi pratici che in situazioni diverse entrambi dovevano affrontare Riassumendo. L’individuazione del soggetto della critica del la sociologia ci ha portato a collocare il problema nel quadro della storia-critica della cultura e a discriminare nel concetto generico di sociologie’ un insieme complesso di tendenze teo riche che si riconoscono come tali. Alcune di queste sociolo gie costituiscono tendenze interne del marxismo e della sua storia, altre a questo si contrappongono come alternativa. Tuttavia la critica gramsciana della sociologia coinvolge en trambe le tendenze in un unico movimento critico; se noi sce gliamo di procedere analiticamente distinguendo la critica di ognuna delle tendenze, lo facciamo nella prospettiva di ritro del soggetto della cri vare alfine la sintesi, la matrice tica, e l’unitarietà della critica del soggetto. 2. La sociologia come









Nella già riportata proposizione d’apertura del primo paragrafo, nella quale abbiamo mostrato che è possibile leggere il sogget to generale della critica gramsciana della sociologia, è contenuta insieme l’individuazione della « tendenza deteriore » che con Bucharin si autodefinisce « sociologia marxista ». i criteri che permettono di indicare quale sia esattamente questa tendenza sono i medesimi elementi storico-critici esplicitati nella propo sizione (è la stessa critica che identifica il soggetto della critica); pér comprendere ciò in tutto il suo significato è necessario aver conformemente al concetto gramsciano di sistema presente l’idea gramsciana di scienza o di filosofia della praxis. ticità L’affermazione era questa:

Questa riduzione [della filosofia della praxis a una sociologia] cri ha rappresentato la cristallizzazione della tendenza deteriore già nel « Soziali ticata da EngeIs (nelle lettere a due studenti pubblicateconcezione del stische Akademiker ») e consistenti nel ridurre una mondo a un formulano meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca. (Q, 1428)

Nota

teorica III, pp. 133-4.



Si tratta, anzi tutto, di una riduzione, vale a dire un restrin gimento della prospettiva, un ridimensionamento dei contenuti teorici, una diminuzione di questi contenuti come risultato di una loro fornializzazione in forme ridotte rispetto a quelle che sono loro proprie. Questa riduzione è la manifestazione di Cfr.;- in fra,

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una cristallizzazione. E questo un termine che e si esprime in descrive il fenomeno chimico-fisico per cui una sostanza passa dallo stato fluido al solido assumendo forma e struttura fissa; riferito analogicamente al processo teorico rappresenta la fissa zione della teoria in uno stato di compiacimento, repulsivo di ogni mutazione, riconducendo questo processo teorico ad una replica rituale del medesimo nel diverso. Cristallizzazione di una tendenza deteriore. Deteriore, in quan to risultato di una alterazione progrediente apportatrice di uno scadimento, di una perdita come impoverimento. Tendenza: una propensione persistente, un modo di concepire e ragionare inclinato ricorrentemente in una certa direzione, che riemerge più volte in forme determinate diverse che però manifestano un comune orientamento. Chi sperimenta questa tendenza riducente, questo deteriora mento? E la prima domanda che ci dobbiamo porre. La secon da sarà: qual è in concreto il prodotto, il contenuto e la forma, di questa determinata tendenza? Se torniamo al testo troviamo due formulazioni; una generale che parla di « una concezione del mondo» che è ridotta « a un formulano meccanico che dà che l’impressione di avere tutta la storia in tasca », l’altra individua la « Riduzione della filosofia della la specifica praxis a una sociologia ». Le nostre domande diventano conse guentemente queste: Come intende Gramsci la filosofia della praxis ‘? Ed in cosa consiste questo formulano meccanico questa sociologia ‘? Una filosoj’ia della praxis concepita da Gramsci come teoria aperta ed in sviluppo, complessa e diversificata, refrattaria alla schematizzazione e ad ogni riduzione a tesi fisse pena il proprio snaturamento, da una parte. Dall’altra un formulano meccanico il quale si reputa contenga tutta la storia, l’applicazione del quale basterebbe a renderne ragione; riferimento all’interpre tazione schematica del materialismo storico, ridotto a una serie di categorie e leggi, determinazioni e contraddizioni (‘formu le ‘), con le quali si presume di comprendere e spiegare qual sivoglia processo o fenomeno storico-sociale, e che implicita mente nega che nella storia e nella società possano svilupparsi novità che abbiano significato teorico, cioè che esigano sviluppi e mutamenti qualitativi della teoria stessa. Che di questo precisamente e non di altro si tratti è confer mato dal riferimento alle due lettere di Engels in cui Gramsci vede già avviata la critica della tendenza deteriore. Il senso del riferimento è degno di una sottolineatura: questa tendenza di inviluppo del marxismo è colta intanto da Gramsci in un ante cedente storico concreto che permette di risalire alle sue ori24





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gini. Questa tendenza compare quando i fondatori del marxismo sono ancora in vita, e da essi è criticata nel suo stato nascente; questa tendenza persiste tuttavia, ottenendo un successo sto di rico: si sviluppa, si cristallizza come sociologia marxista venta dottrina e disciplina teorica. E la critica di questa cri stallizzazione che permette a Gramsci di comprendere e cri ticare alla radice tutta la tendenza, e la critica stessa può an dare oltre la critica engelsiana in quanto coglie la tendenza cioè nel suo dispiegamento teorico e nella sua fase matura politico.







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L’emergenza e la persistenza di questa tendenza denuncia che le sue radici sono, oltre che di natura teorica, propriamente sto rico-sociali. Non è bastata la critica engelsiana, quando essa era allo stato incipiente, per sconfiggerla. Non è bastata nemmeno la critica gramsciana, e di altri ancora, constatiamo oggi quando la tendenza acquisiva corposità teorica, per arrove sciarla. Anzi la tendenza assurgeva a dottrina ufficiale del primo Stato socialista, insediandosi sulla cattedra per la formazione dei quadri politici del movimento comunista (il Manuale buchari niano servi infatti a formare tutta una generazione di rivolu zionari), e per la diffusione del materialismo storico tra le masse. Tre interrogativi si sommano: la base reale, di classe, della tendenza; le ragioni del suo successo politico; il perché della sconfitta della critica. Lasciando per ora le domande come tali, avanziamo due elementi di riflessione riguardanti l’ultima: 1. la critica è rimasta sostanzialmente incompresa (da alcuni è sta ta sintomaticamente accomunata al revisionismo ‘); 2. i pro tagonisti della critica si sono posti essi stessi, in certo modo, come sconfitti, là dove agivano sotto l’influenza dell’idea se condo la quale l’impoverimento che comporta ogni diffusione massiva del marxismo conduce necessariamente ad una schema tizzazione. in ultima analisi al sacrificio della dialettica

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Il contenuto di queste lettere engelsiane è stato generalmente individuato come critica di una interpretazione economicista, determinista e meccanicista della concezione marxista della sto ria, interpretazione che non riconosce la complessa dialettica che forme politiche e inerisce ai rapporti tra base economica riflessi ideologici Gramsci da un lato coglie questi elementi Cfr., in/ra, Nota critica 1V, pp. 134-6.

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Avanti!

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Milano 1914,



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della critica engelsiana, e ne sottolinea il riferimento alla ten denza alla scorporazione dalla teoria delle « tesi principali » ed al loro uso nella forma di « equazioni » (Engels) o « formulario »; ed ancora che Engels in qualche modo nel far la critica ad un errore teorico intravede tutta una tendenza della cul tura marxista (infatti Engels scrive •che « accade troppo spesso che si crede d’aver compreso perfettamente una nuova teoria, e di poterla senz’altro maneggiare, non appena se ne sono im le tesi e anche questo non sempre rettamente parate principali. Questo rimprovero io non lo posso risparmiare ad alcuno dei nuovi marxisti ‘; e in verità è stata scritta della roba meravigliosa ») 6: D’altro lato Gramsci non soio, abbiamo detto, va oltre Engels nella critica della tendenza deteriore ma il soggetto della sua critica comprende anche certe tesi che in queste lettere En gels sostiene: le stesse tesi che Engels all’ errore ‘-tendenza aveva opposto. Quasi che la critica engelsiana non fosse riu scita ad uscire dalla logica in cui quell’errore era inscritto e della tendenza stessa. nonostante tutto partecipasse perciò Questo aspetto del problema sarà ripreso e approfondito più avanti. •La critica gramsciana della tendenza deteriore non si ferma alla identificazione dell’improprietà dell’interpretazione della teo ria e delle sue conseguenti applicazioni (schematiche e dogma tiche) nelle analisi storiche particolari; individua altresi le ragio iii storiche e teoriche che spiegano questa tendenza, il posto e il significato che essa ha per -la storia del marxismo, per la storia della cultura. Nelle pagine gramsciane si svolge un modo d’inten dere il marxismo e la-- sua storia; la sua proposizione della filosofia della praxis, che rende conto di questa tendenza deteriore (nei suoi presupøosti e nelle sue conseguenze), comporta un nuovo modo di concepire I’ ortodossia marxista. Distinguere nella storia del marxismo una tendenza deteriore implica distinguere questa ultima dalla filosofia della praxis. Im plica concepire il marxismo come un processo storicizzabile nel suo proprio sviluppo teorico e politico, e la filosofia della praxis come sua tendenza ortodossa In questo senso il marxismo si pone come luogo di conflitto teorico. Orbene la filosofia della praxis, in quanto tendenza ‘ortodossa’, rifugge ogni dogmatismo e si pone come teoria scientifica aperta; però dal momento che nella storia del marxismo si manifestano tendenze deteriori di viene necessario sottolineare che non si tratta di una apertura -

6 Marx - Engels Lassalle, Opere, Società editrice p. 6.

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indiscri-minata ed eclettica, che riconosca validità conoscitivo a qualsiasi sviluppo e orientamento. In (atti seb’ -: bene l’ filosofia della plaxls e aperta in sento storzco\essa isierne indipendente e autonoma il-i senso teorico: essaasta se stessa, contiene in sé tutti gli elementi fondamentalìperzco struire una totale ed integrale concezione del mondo ». E ve nuto il- momento di soffermarci su questa affermazione per veri ficare se in essa si manifesti una concezione integralista. Ancor più si tratta di porsi il problema cosi reale e attua le dei rapporti tra pluralismo, egemonia e ortodossia della possibilità di un « concetto di ortodossia » liberato dalle sco rie di una certa tradizione staliniana, e più in generale dalle pro prie connotazioni di sapore religioso; della possibilità di- un cri terio di critica storica e di analisi politica che permetta di distin guere le esigenze della coerenza scientifica dalle richieste ideolo giche di parte, e di individuare una comune radice teorica alla pratica politica rivoluzionaria; della possibilità di teori-zzare un processo di costruzione dell’egemonia nel contesto di una pratica politica e culturale pluralista. Senza pretendere di dispiegare in modo articolato le risposte a questi problemi, cercheremo di cogliere nella formulazione gramsciana i nodi che sembrano costituire consistenti basi teo riche per il loro sviluppo. La filosofia della praxis non deve né uscire da se stessa, alie narsi, prendendo in prestito da altre concezioni del mondo fon damenti teorici e metodologici che ne guidino lo sviluppo, né compiacersi nella deduzione dei propri principi e delle proprie ‘leggi Nella storia del marxismo si vede come entrambi questi due atteggiamenti sono presenti e come entrambi rivendicano a sé d’essere i veri eredi dei padri fondatori. Gli uni i realisti si richiamano ad un modo d’inten dere I’ apertura della teoria come accoglimento di ogni ele mento conoscitivo sorto al di fuori del marxismo, a questo som mandoli esteriormente. Gli altri gli ortodossi proclama no la compiutezza della teoria e ne intendono lo svolgimento solo nella applicazione pratica a realtà diverse, e nel rifiuto d’ogni teoria diversa. Gramsci scopre che questi due modi apparentemente opposti di rapportarsi alle teorie diverse condividono in realtà una co mune contaminazione ideologica da parte di queste: da un lato per accettazione acritica e dall’altra per negazione acritica. L’autonomia non si presenta mai come un dato acquisito ma deve essere conquistata di volta in volta di -fronte ad ògni svi luppo culturale; essa è garantita soltanto dalla critica che digeri sec e subordina, in un -processo che non è né di accettazione né

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di nella critica di queste di negazione delle altre teorie ma ricostruzione di se stessa. L’immagine gramsciana dell’ ortodos sia non è focalizzata nel punto medio tra due deviazioni’, ma si forma in un « vertice inaccessibile » ed autonomo: si pone al di là del segmento, sopra.





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Nell’impostazione dei problemi storico-critici, non bisogna conce pire la discussione scientifica come un processo gudiziario, in cui c’è un imputato e c’è un procuratore che, per obbligo d’ufficio, deve di mostrare che l’imputato è colpevole e degno di essere tolto dalla cir colazione. Nella discussione scientifica, poiché si suppone che l’inte resse sia la ricerca della verità e il progresso della scienza, si di mostra più avanzato chi si pone dal punto di vista che l’avversario può esprimere un’esigenza che deve essere incorporata, sia pure come momento subordinato, nella propria costruzione. Comprendere e va lutare realisticamente la posizione e le ragioni dell’avversario (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto es sersi liberato dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista critico l’unico fecondo nella ricerca scientifica. (Q, 1263) ‘.





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Il concetto di apertura si allaccia al concetto di ortodos sia La filosofia della praxis condivide con tutte le altre con cezioni del mondo la necessità di diventare un sistema compiuto ed in quanto tale distinto da tutti gli altri. Però alla filosofia della praxis il problema si presenta in modo diverso che alle altre filosofie; la sua diversità radicale sta anche nel modo di La compiutezza è essere e nel modo di concepirsi compiuta in essa qualcosa che sta sempre nel futuro, e cioè, si pone per manentemente come progetto, come realtà non acquisita e tut tavia come tensione che dà impulso allo sviluppo, come motore trainante. In atto, e cioè in ogni momento della sua storia, la fi losofia della praxis vive nella (e della) incompiutezza ‘; più pre cisamente, la sua compiutezza in atto si manifesta nella forma in forma polemica, di perpetua lotta di autonomia Possiamo ormai rileggere l’affermazione di Gramsci cogliendo in essa una piena coerenza con quanto abbiamo detto: 1. non dice che la filosofia della praxis contiene la totalità degli elementi di una integrale concezione del mondo, bensf « tutti gli elementi fondamentali », ai quali altri si possono e si debbono subordinare; 2. non dice che quegli elementi costituiscono già compiu tamente la nuova concezione del mondo, bensf che essi servono per costruire questa totale concezione, segnando in questo modo che quella compiutezza è da intendersi come un progetto di lavoro. In realtà tutto ciò non riveste di per sé grande valore teorico, 28

















ove risulti la semplice affermazione di un certo punto di vista opposto ad altri, privo delle ragioni fondanti. Gramsci le ra gioni le ha però fornite. Ad esempio in quel passo del paragrafo intitolato Osservazioni e note critiche su un tentativo di « Sag gio popolare di sociologia », dello stesso Quaderno, ove scrive della « necessità in una esposizione della filosofia della praxis della polemica con le filosofie tradizionali » sostenendo che « per questo suo carattere tendenziale di filosofia di massa, la filosofia della praxis non può non essere concepita che in forma polemica, di perpetua lotta» (Q, 1397). In qual modo Gramsci pone la relazione tra il carattere cri tico della filosofia della praxis e il suo carattere tendenziale di filosofia di massa? In qual modo questa relazione sta a fonda mento della compiutezza caratteristica della filosofia della praxis? La compiutezza della filosofia della praxis il progetto di compiutezza non cade dentro la teoria stessa, non è la com piutezza formale di un sistema che abbia elaborato e collegato tutti i propri concetti, e perciò la elaborazione di questa compiu tezza non è ridotta al lavoro dei filosofi o di particolari organiz zazioni intellettuali; al contrario caratteristica costitutiva di que sta teoria è il suo vivere non nel rapporto dei propri astratti elementi ma nel suo divenire coscienza collettiva, e perciò la compiutezza della filosofia della praxis sta nella costruzione di un « ordine intellettuale collettivo », si elabora nella sua espansione progressiva. La forma della compiutezza della teoria consiste in tanto nel suo essere filosofia di massa. Condizione di questa espansione è il rapporto critico che la filosofia della praxis stabilisce con le altre teorie, cioè la critica delle concezioni che sono diffuse a vari livelli tra le masse. Que sta attività critica non è altro che l’esercizio di una autonomia intesa non come espressione di distacco e separazione dal pen siero e dall’azione altrui che comporterebbe una polemica volta alla distinzione ed alla autodifesa della propria integrità ma come critica volta alla conquista di ciò che le si oppone. Il contenuto della compiutezza della teoria sta allora nella conqui sta dell’egemonia. Il concetto di egemonia è richiamato da Gramsci nel brano dedicato al « concetto di ortodossia » in rapporto ai concetti di autonomia e di critica, acquisendo sotto questa luce una medita dimensione. Il carattere egemonico della teoria non significa il predominio esteriore sulle altre teorie, cioè il fatto che la filosofia della praxis dirige il processo culturale definendo per esempio il terreno ed i problemi sui quali le teorie devono confrontarsi lasciando intoccate le altre teorie nella loro autonomia (e se

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compiutezza



stessa nella propria indipendenza), cioè ancora sancendo la sepa razione tra le diverse teorie; comporta invece la subordinazione a sé delle altre teorie attraverso una attività critica che le 4Ironia, aggredisce, penetra, scompone, demistifica, sovverte ed as simila. Questo digerire comporta una crescita ed un mutamen to della stessa filosofia della praxis, di modo che la tendenza alla che non si presenta mai come conquista definitiva egemonia poiché sempre nuove teorie da criticare emergono ed anche le si realizza nella co. vecchie persistono reiterate o rinnovate struzione dell’autonomia e non si distingue da questa. Condizione di questo e quello, della conquista dell’egemonia e dell’espansione progressiva della filosofia della praxis, è il par ticolare rapporto di questa teoria con la pratica. La pratica con nessa a questa teoria non si pone come un suo momento suc cessivo e perciò esteriore, inteso ad applicarla, e la teoria stessa non si pone come pura ‘interpretazione del mondo’ da verifi care nella pratica. La pratica assorbe la teoria nell’opera di tra sformazione del mondo ‘; la teoria non si compie perciò in se stessa, bensf nella critica reale della società, cioè nella, costru zione di una nuova cultura, in una nuova organizzazione pratica della filosofia della della società. In sintesi: la praxis non si realizza all’interno della teoria stessa, bensi si rea lizza tendenzialmente nel rapporto teoria-pratica. Leggiamo per intero la proposizione gramsciana, in condizione ormai di cogliervi l’effettivo contenuto, la ricchezza e la rigorosa articolazione (ulteriore conferma del tipo di sistematicità proprio degli scritti gramsciani):

(Q,

1434)



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L’ortodossia non deve essere ricercata in questo o quello dei se guaci della filosofia della praxis, in questa o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina originale, ma nel concetto fondamen tale che la filosofia della praxis basta a se stessa contiene in sé tutti gli elementi fondamentali per, costruire una totale ed integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze na turali, non solo, ma anche per vivificare una integrale organizzazione pratica della società, cioè per diventare’ una totale, ‘integrale civiltà.



compiutezza



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Ancora, prendendo le mosse dall’ultima parte della proposi zione ‘gramsciana, un nuovo problema dobbiamo esaminare. Ma insomma la filosofia della praxis si compie nel comunismo? E della teoria come un progetto mai l’aver posto la storicamente concluso, significa pensare la filosofia della praxis come l’ultima ‘e più avanzata teoria possibile, che accoglierà ii sé ad inflnitum gli sviluppi di tutto il pensiero futuro? Ad en trambe le domande, con Gramsci, rispondiamo negativamente. E3()

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vivificare

• L’affermazione gramsciana si pone infatti al di fuori di ogni prospettiva ‘escatologica. La realizzazione della filosofia della praxis s’ta nel diventare una totale, integrale civiltà nel ima integrale organizzazione pratica della società Si individua cioè la prospettiva storica di una organizzazione pratica o civiltà nuova e diversa rispetto alla civiltà precedente che assorbe e su pera; processo sottolineato nell’altra , frase della stessa nota ove si osserva come « la filosofia della praxis comincia ad esercitare una propria egemonia sulla cultura tradizionale ». In questo è il carattere rivoluzionario della teoria, allo stesso modo in cui « il cristianesimo fu rivoluzionario in confronto del paganesimo per ché ‘fu un elemento di completa scissione tra i sostenitori del vec chio e del nuovo mondo». (Q, 1434-5) La. filosofia della praxis, in quanto teoria rivoluzionaria sto ricamente delimitata epocale si presenta internamente strut turata come filosofia di combattimento. ‘

Una teoria è appunto rivoluzionaria nella misura in cui è ele mento di separazione e distinzione consapevole in due campi, in quanto è un vertice inaccessibile al campo avversario. (Q, 1434)

‘,

vita



La filosofia della praxis non è dunque la filosofia della demo crazia ideale; è ihvece quella che oggi, nelle condizioni storiche date,,’ ci mostra la strada per avvicinarsi ad essa, alla società senza classi ove svanisce la separazione tra intellettuali e sem plici dirigenti e diretti; ove la scienza si fa senso comune e la regolazione della sociale si manifesta come dominio della li bertà. Solo che dall’interno di tutte le società contraddittorie e quindi delle teorie che in esse si affrontano, tale società futuribile flon pùò comparire che come utopia politica, non può es sere perciò teorizzata ma pensata e rappresentatti miticamente (ideologicament). Coerenti a queste risposte si mostrano le affermazioni di Gramsci contenute nel paragrafo Storicità della filosofia della praxis.



•Che la filosofia della praxis concepisca se stessa storicisticamente, come cioè una fase transitoria del pensiero filosofico, oltre che im plicitamente da tutto il suo sistema, appare esplicitamente d’alla nota tesi che lo sviluppo storico sarà caratterizzato a un certo punto dal passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. Tutte le filosofie (i sistemi filosofici), finora esistiti sono state la manifestazione delle intime contraddizioni da cui, la società è stata lacerata [...j Ma se anche la filosofia della prassi è una espressione delle contraddi zioni storiche, anzi ne è l’espressione più compiuta perché consape vole, significì che ‘essa pure è legata, alla ‘necessità e non alla ‘li bert,à !, .che non esiste e non può ancora esistére storicamente. Dun que, se si .dimostra che le contraddizioni spariranno, si dimostra im

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plicitamente che sparirà, cioè verrà superata, anche la filosofia della più prassi: nel regno della ‘libertà’ il pensiero, le idee non potranno nascere sul terreno delle contraddizioni e della necessità di lotta. Attualmente il filosofo (della prassi) può solo fare questa afferma evadere zione generica e non andare più oltre: infatti egli non può più che dall’attuale terreno delle contraddizioni, non può affermare, genericamente, un mondo senza contraddizioni, senza creare immedia tamente una utopia. (Q, 1487-8)











Tutto ciò che precede sta in una precisa connessione con il problema della tendenza deteriore, e ci mette in condizione di comprendere questa tendenza ad un livello ulteriore di comples sità teorica e di cogliervi le ragioni del deterioramento del marxi smo che questa tendenza storicamente esprime. Per risalire il percorso compiuto dalla nostra analisi in modo da ritrovare queste ragioni, possiamo intanto annotare come Gramsci nella nota soprariportata individua precisamente nella concezione che nega la transitorietà storica della filosofia della praxis un rap porto costitutivo della tendenza deteriore. Secondo Gramsci una ragione per cui « avviene anche che la stessa filosofia della prassi tende a diventare una ideologia nel senso deteriore, cioè un sistema dogmatico di verità assolute ed eterne; specialmente quando, come nel Saggio popolare, esso è confuso col materialismo volgare », si trova nella difficoltà di praticamente » che l’affermazione teorica se « far comprendere condo la quale « ogni verità creduta eterna e assoluta ha avu to origini pratiche e ha rappresentato un valore provvisorio’ », « è valida anche per la stessa filosofia della prassi » (Q, 1489). Si tratta insomma della difficoltà sperimentata dal marxismo di rivolgere a sé i suoi criteri di critica della teoria altrui. Perden do la capacità auto-critica, la teoria si disarma di fronte alle altre teorie; si chiude in atteggiamento difensivo, negatore di queste, o si consegna in un atteggiamento ‘aperturista’, di ac cettazione di una etero.direzione (eteronomia). La individuata difficoltà di far comprendere che « tutto il si stema della filosofia della praxis può diventare caduco in un mondo unificato » (Q, 1490), che è una difficoltà reale e pratica, perché non affrontata viene ideologicamente capovolta e accolta nella teoria sotto la forma della concezione esattamente contraria, secondo la quale cioè il marxismo è il sistema delle ultime ve rità, il sistema i cui elementi fondamentali filosofici sono da in tendersi come verità assolute, tesi cristallizzate. Di questa difficoltà bisogna però rendere ragione. Gramsci la vede insorgere nei processi di volgarizzazione della teoria. E con ciò ritroviamo il problema che abbiamo denominato dell’espan sione progressiva della teoria, processo nel quale la filosofia della 32

















praxis diventando filosofia di massa rischia di deteriorarsi. Quan do essa si diffonde tra le masse nella forma della volgarizzazione di una dottrina (come insieme di contenuti teorici da insegnare e da imparare) essa si sovrappone alla filosofia spontanea delle masse, al senso comune al quale si accorpa come un suo ulterio re frammento. Entra cioè a far parte del processo di formazione storica del senso comune, un processo nel quale si frammischiano frammenti di diverse concezioni del mondo, si sedimentano ed esteriormente si compongono in un tutto eterogeneo. La filosofia della praxis, espandendosi non come critica e nella critica del senso comune e delle filosofie che in esso ricadono, sperimenta quella perdita d’identità, di quella autonomia sua propria che piega e subordina a sé sia il senso comune che le filosofie. Si nella coscienza delle masse e come riflesso fin subordina alle concezioni del mondo proprie nel proprio statuto teorico delle classi dominanti, poiché il senso comune costituisce l’ideo logia politica che esprime e riproduce l’egemonia di quelle classi sull’intera società. Per questa ragione s’incontra la difficoltà di far comprendere praticamente la storicità della stessa filosofia della praxis: ricon dotta ad essere una dottrina analoga alle altre, essa si auto-con cepisce secondo i criteri che le altre adottano per sé, secondo la convinzione di rappresentare verità assolute, sistema compiuto; secondo la credenza che « se una tale convinzione non fosse, gli uomini non opererebbero, non creerebbero nuova storia, cioè le filosofie non potrebbero diventare ‘ideologie’, non potrebbero nella pratica assumere la granitica compattezza fanatica delle cre denze popolari che assumono la stessa energia delle forze ma teriali » (Q, 1487). Intesa la teoria secondo i criteri di compiu tezza formale propri delle altre filosofie si finisce col frainten dere il nuovo rapporto teoria-praxis che essa tende a stabilire, politico e teorico che si manifesta appunto come processo di espansione della teoria, come incompiutezza in atto.

La tendenza al deterioramento della teoria nel processo at traverso il quale diviene filosofia di massa costituisce un pro blema più complesso di quanto sembri, ed è uno dei nodi teo rici centrali della riflessione gramsciana. Per la filosofia della praxis il problema non consiste soltanto nell’evitare di deterio rarsi nel processo della sua diffusione tra le masse, nel presen tarsi come già compiuta alle masse proprio quando in realtà acquisisce progressiva compiutezza nell’universalizzarsi. Il pro blema non consiste solo nel fatto che essa si diffonde in forma dogmatica e volgarizzata, e quindi il problema non si risolve or-

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ganizzando tale espansione in forma tale che i suoi contenuti e tra essi quello fondamentale della propria storicità e tran sitorietà siano rispettati. Oltre a ciò occorre individuare il carattere strutturale del problema. Espandersi tra le masse significa espandersi tra le classi subor dinate economicamente, politicamente e culturalmente, tra classi cioè che non sono mai state autonome ma sempre eterodirette, che non hanno l’esperienza del controllo e della direzione dei processi storici e delle proprie condizioni di esistenza, che non hanno mai elaborato proprie coerenti concezioni del mondo ma che invece hanno un modo di pensare incoerente e frammentario nel quale si riassumono e compongono tutte le subordinazioni subite. Queste classi debbono diventare autonome’, autonomia che non consiste nel non subire pni l’influenza ideologica delle classi dominanti e nello svolgere indipendentemente una propria razionalità, ma nel raggiungere un vertice inaccessibile agli av versari dal quale poter criticare, subordinare ed assimilare ogni vecchia o nuova concezione del mondo. Progetto molto difficile da realizzare e che richiede tempi e sforzi di tale portata che alta è la probabilità che compaiano tentazioni di risolvere il problema dell’ egemonia con altri mezzi, burocratici (civili e militari). Ma in tal caso la politica delle classi subordinate pur essendo di classe non è progressiva, non allarga e rende supe riore la vita culturale. Alla luce di questo concetto di autonomia il problema poli tico della rivoluzione acquista dimensioni tutte nuove, eviden ziandosi in tal senso la centralità politica delle ricerche gramscia ne sullo « spirito popolare creativo, nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo »

A. Gramsci, Lettere dal carcere, op. cit., p. 59.



La tendenza deteriore si rapporta al problema della incompiu tezza della filosofia della praxis non soltanto perché fa scomparire il concetto di incompiutezza e di storicità della teoria, ma anche in quanto il fatto stesso che la filosofia della praxis sia incompiu ta in atto, sia quindi una storia essa stessa, implica la possibilità di soffrire processi di deterioramento (tendenze deteriori). Que ste si pongono in rapporto con la teoria come ‘momenti nega tivi della sua storia, con i quali la teoria deve costantemente lottare e dai quali deve differenziarsi. L’emergenza di ogni nuova concezione del mondo segna l’ini zio di una lotta nell’ambito della cultura. La prospettiva nella quale questa lotta è intrapresa è la subordinazione e l’assorbi 7

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mento di tutte le teorie avversarie da parte di ognuna: nella lotta ideale e culturale o si assorbisce o si è assorbiti. Ciò che distingue una teoria rivoluzionaria è il suo imporsi come « un vertice inaccessibile al campo avversario », vale a dire la poten ziale capacità di digerire tutto « il mondo culturale esistente » e di porre i fondamenti (« elementi fondamentali ») del mondo culturale futuro. L’esempio storico scelto da Gramsci a com provare una tale concezione della storia della cultura riguarda « il cristianesimo [che] fu rivoluzionario in confronto del paga nesimo perché fu un elemento di completa scissione tra i soste nitori del vecchio e del nuovo mondo ».



.

Il conflitto permanente tra le diverse concezioni del mondo è stato plasticamente rappresentato da M. Weber come « conflitto tra gli dèi che presiedono ai singoli ordinamenti e valori ». « Tra i diversi valori che presiedono all’ordinamento del mondo il con trasto è inconciliabile » E questo un problema centrale e ricor rente della riflessione weberiana. Nel saggio Il significato della ‘avalutatività delle scienze sociologiche e economiche, precisa:



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.

coglie in tal modo la radicalità del conflitto ideale, e diversamente da Gramsci, ritiene che la scienza non i criteri per decidere della superiorità teorica di un si pensiero su altri:

sibile nessuna relativizzazione e nessun compromesso



Tra i valori si tratta in ultima analisi, ovunque e sempre, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione, come tra dio’ e il demonio Tra di loro non è pos

Weber tuttavia, contenga stema di





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Come si possa fare per decidere scientificamente tra il valore della cultura tedesca e di quella francese, io lo ignoro. Anche qui c’è un antagonismo tra divinità diverse, in ogni tempo. E...] Su que sti dèi e sulle loro lotte domina il destino, non certo la scienza È dato solamente intendere che cosa sia il divino nell’uno o nell’altro caso, ovvero in un ordinamento o nell’altro 10



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Non riconosce quindi la possibilità di attingere un vertice la necessità di subordinare ad una le altre teorie. La lotta non si

8 M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1971, pp. 31-2. ‘ M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1966, p. 332. M. Weber, Il lavoro cit., pp. 31-2.

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risolve perciò sui terreno scientifico ma solo attraverso il dominio sui terreno politico. Questa separazione tra scienza e politica è assunta dalla teoria stessa di Weber, in quanto il criterio di scelta tra le teorie resta fuori della scienza, sul terreno etico e politico: Giudicare la validità di tali valori è però una questione di fede, ed è inoltre forse un compito della considerazone speculativa e del l’interpretazione della vita e del mondo nel loro senso, ma non è si curamente oggetto di una scienza empirica





La filosofia della praxis, poiché si pone come tendenziale filosofia di massa, non esaurisce la sua battaglia nello scontro con le altre filosofie ma la svolge simultaneamente, molecolarmente, sul ter reno del senso comune; e in quanto si pone come critica pratica tesa alla trasformazione dei rapporti sociali, svolge la lotta non limitatamente sul terreno culturale ma anche sui terreno econo mico e politico. A causa di ciò non gli è sufficiente l’aver attinto teoricamente e ciò non si realizza comunque una il vertice inaccessibile per vincere la guerra. La manifestazione e lo volta per tutte sviluppo delle tendenze deteriori segnalano infatti i vincitori vinti. La filosofia della praxis comincia ad esercitare una propria egemo nia sulla cultura tradizionale, ma questa, che è ancora robusta e so prattutto è piil raffinata e leccata, tenta di reagire come la Grecia vinta, per finire di vincere il rozzo vincitore romano. (Q, 1434-5)











conoscitiva

Proprio nel Saggio popolare, manuale della tendenza deteriore, Gramsci vede come « L’ambiente ineducato e rozzo ha dominato l’educatore, il volgare senso comune si è imposto alla scienza e non viceversa; se l’ambiente è l’educatore, esso deve essere edu cato a sua volta, ma il Saggio non capisce questa dialettica rivo luzionaria » (Q, 1426). Da questo punto di vista possiamo ricavare elementi esplica tivi che consentono di scoprire la radice comune dell’emergenza del revisionismo in Occidente e dello stalinismo nei paesi socialisti. In Occidente il movimento operaio fu sconfitto sul terreno della lotta politica ed economica. Come reazione alla sconfitta da un lato però anche come parte concorrente a questa —



1 M. Weber, Il metodo cit., p. 62, nel saggio L’ oggettività della scienza sociale e della politica sociale.

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la cultura marxista è sottoposta ad un processo di revisione che la subordina alla cultura delle classi vittoriose; dall’altro si assiste ad un rinserramento nella ortodossia (in senso deteriore) che finisce anch’essa con la subordinazione della cultura marxista, seppure in forme distinte:

Quando non si ha l’iniziativa nella lotta e la lotta stessa finisce quindi con l’identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coe sione, di perseveranza paziente e ostinata. « Io sono sconfitto mo mentaneamente, ma la forza delle cose lavora per me a lungo an dare ecc. ». La volontà reale si traveste in un atto di fede, in una certa razionalità della storia, in una forma empirica e primitiva di finalismo appassionato che appare come un sostituto della predesti nazione, della provvidenza, ccc., delle religioni confessionali. (Q, 1388)

Nei paesi socialisti le classi subalterne vincono sul terreno po litico ed economico, ma la rivoluzione culturale avviata da Lenin rimane a mezza strada. Bucharin volgarizza la cultura marxista (e forma i quadri); nella lotta per l’egemonia i vincitori politici vengono vinti. Gramsci coglie tutta la gravità del fenomeno: ‘

Quando il subalterno’ diventa dirigente e responsabile dell’atti vità economica di massa, il meccanicismo appare a un certo punto un pericolo imminente. (Q, 1388)





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Mancata l’egemonia, faffito l’assorbimento della vecchia cultura dominante, con lo stalinismo il terreno della battaglia culturale è occupato con le armi, dell’economia e della politica. Sopravvive il socialismo, tronco di rma autonoma cultura. Se, come annota Gramsci, « i rapporti materiali sono il contenuto e l’ideologia la forma », si può dire che la sociologia-tendenza deteriore del marxismo informa questi rapporti di produzione e le istituzioni politiche dei paesi socialisti. Possiamo ormai, riprendendo la lettura dei due paragrafi, esa minare come Gramsci precisamente individui quale sia la con cezione del mondo alla quale la sociologia-tendenza deteriore del marxismo si subordina ed in qual modo questa subordinazione si affermi. A partire dal precedentemente individuato modo di intendere il carattere della sua auto la storia della filosofia della praxis nomia, il modo della sua compiutezza, le forme del suo deterio Gramsci, nella sociologia-tendenza deteriore del mar ramento xismo individua una subordinazione teorica ad una filosofia pre di cui essa è un « fram marxista, al materialismo filosofico mento subordinato ». Scrive Gramsci:

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Nel Saggio popolare non è neanche giustificata coerentemente la premessa implicita nell’esposizione ed esplicitamente accennata in qualche posto, casualmente, che la vera filosofia è il materialismo filosofico e che la filosofia della praxis è una pura sociologia’. Cosa significa realmente questa affermazione? Se essa fosse vera la teoria della filosofia della praxis sarebbe il materialismo filosofico. Ma in tal caso cosa significa che la filosofia della praxis è una sociologia? [.1 Cosi non è giustificato il nesso tra il titolo generale Teoria ecc. [Teoria del materialismo storico] e il sottotitolo Saggio popolare [Saggio popolare di sociologia marxista]. Il sottotitolo sarebbe il ti tolo più esatto se al termine di sociologia si desse un significato molto circoscritto. (Q, 143 1-2)















Intendere precisamente il significato di queste affermazioni e di queste domande non è semplice: in esse è inscritto un pro blema ben definito ed è implicita una risposta ad esso. Il pro blema è quello dei rapporti dati tra le sociologie e le filosofie; la risposta, esplicitata più avanti nel testo, è fissata sintetica mente là dove si dice che « ogni sociologia presuppone una filo sofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordi nato » (Q, 1432). Occorre leggere questa ‘formula non come una proposizione normativa, che stabilisca al livello ideologico dei principi un rapporto necessario, bensì come una proposizione cli carattere scientifico volta alla identificazione ed alla critica di un rapporto di fatto, e cioè il mancato raggiungimento da parte delle sociologie esistenti di un loro proprio statuto scientifico, e cioè di una reale rottura tale da renderle autonome dalle filo sofie speculative. Queste ultime continuano ancora a detenere il terreno e gli elementi costitutivi della teoria sociale. Le disci pline sociologiche sono perciò costituite da un miscuglio (combi• nazione che non risolve la reciproca esteriorità degli elementi) di frammenti di teorie sociali deduttivamente ricavate dalle filo sofie, e di. fatti particolari costituenti il materiale empirico che, conformato secondo categorie e leggi dedotte dalla teoria ge nerale, dia a queste (teoria, categorie e ‘leggi ‘) la parvenza di fondarsi sulla realtà. Mentre in realtà queste discipline sono strutturate in subor dine ad una logica deduttiva, esse si vantano di condurre una battaglia decisiva contro la speculazione filosofica. In effetti però l’aggancio che stabiliscono con i fatti storico-sociali, il passo che le avvicina all’ oggetto non si compie come rottura della lo gica speculativo-deduttiva ma come riproposizione di questa su un terreno diverso. Torneremo più oltre su ciò, al momento del l’esame della critica gramsciana delle sociologie non-marxiste. Questi elementi ci permettono comunque di raccogliere il si gnificato di quelle affermazioni e domande gramsciane che ab 38

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biamo prima riportato. In esse Gramsci osserva che Bucharin distingue nel marxismo due livelli, il filosofico ed il sociologico. Il livello filosofico è costituito dal materialismo filosofico che sarebbe dunque la filosofia marxista o vera filosofia ‘; il li vello sociologico è costituito dal materialismo storico che sa rebbe dunque la sociologia marxista una « pura sociologia ‘o. Nota Gramsci che, nel Saggio, questa distinzione è una « pre messa implicita nell’esposizione ed esplicitamente accennata in qualche posto, casualmente o. Nel testo buchariniano sono difatti contenute, fra altre, affermazioni come queste, nelle quali è facile cogliere sia la distinzione del marxismo in due livelli, sia il rap porto deduttivo che il secondo (sociologico) lega al primo (filo sofico):



Anche nelle scienze sociali, dunque, l’unico punto di vista giusto è quello materialista. Marx ed Engels hanno applicato in maniera coerente la concezione materialista alle scienze sociali. E...] Va da sé che Marx ha avuto dei predecessori soprattutto fra i socialisti uto pisti (Saint-Simon). Ma soltanto Marx ha studiato a fondo la conce zione materialista [un modo buchariniano di riferirsi al materiali smo filosofico’] nel solo modo capace di produrre la vera sociologia scientifica 12

ancora al paragrafo 6, La teoria del materialismo storico

classe operaia ha una propria sociologia, conosciuta sotto il di materialismo storico, i cui principi sono stati enunciati da e da Engels. Viene chiamata anche concezione materialistica storia, o, più semplicemente, « materialismo economico »

come sociologia marxista:

La nome Marx della

N. I. Bucharin, Teoria del materialismo storico. cit., pp. 61-2. Ivi, p. 13.

Ma, Gramsci si domanda: < Cosa significa realmente questa affermazione? o, e cioè cosa effettivamente comporta conside rare il materialismo storico come la sociologia marxista e che essa si costituisca nella applicazione del materialismo filosofico? E risponde: « Se essa fosse vera la teoria della filosofia della praxis sarebbe il materialismo filosofico ». Il materialismo sto rico, in quanto sociologia, non avrebbe dunque in se stesso gli elementi teorici costitutivi, che dovrebbe ricevere dalla filosofia. Insiste Gramsci: « Ma in tal caso cosa significa che la filosofia della praxis è una sociologia? ». Significa appunto che si è cos costituito il tipico rapporto che lega le sociologie alle filosofie, caratterizzato dalla subordinazione delle prime alle seconde e dalla applicazione delle seconde nelle prime. « Cos non è giu 3

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stificato il flesso tra il titolo generale Teoria ecc. e il sottotitolo Saggio popolare. Il sottotitolo sarebbe il titolo più esatto ». Cioè Gramsci nega che il Saggio di Bucharin abbia un carattere teo rico, vale a dire che abbia raggiunto il vertice attinto dalle teorie rivoluzionarie ‘; gli riconosce invece un carattere socio logico ‘: l’esere un frammento subordinato alla cultura tradi zionale. Una espressione della tendenza deteriore del marxismo che ci fornisce la possibilità di individuarla nei suoi segni es senziali. Si badi, Gramsci in più punti dei Quaderni ha svolto una cri tica del materialismo filosofico mostrandone il carattere pre marxista. Ha criticato anche l’espressione materialismo storico in quanto in essa si è prevalentemente messo l’accento sul pri mo termine (« di origine metafisica »), e fors’anche perché la stessa struttura lessicale dell’espressione sembra riassumere in formula la composizione tra il materialismo filosofico e l’analisi storica, cioè l’applicazione della filosofia materialista nella scienza della storia. Tuttavia non bisogna immaginare che Gramsci critichi la socio logia marxista in quanto dipendente da una filosofia pre-marxi sta, lasciando aperta la possibilità di costruire una vera socio logia da una vera filosofia. Da tutto ciò che abbiamo preso in esame risulta invece chiaro che egli critica tutte le sociologie costruite sulla base di qualsiasi filosofia pre-costituita; Gramsci infatti pensa ad un rapporto radicalmente inverso e pone la possibilità della teoria (‘ filosofia ‘) nella teorizzazione dei con cetti che permettono di sancire il carattere scientifico, o meno, di una disciplina In ciò la chiave di lettura delle proposizioni omesse nella nostra citazione, al centro della citata sequenza di affermazioni e domande. Riportiamole adesso: E cosa sarebbe questa sociologia? Una scienza della politica e della storiografia? Oppure una raccolta sistematica e classificata secondo un certo ordine di osservazioni puramente empiriche di arte politica e di canoni esterni di ricerca storica? Le risposte a queste domande non si hanno nel libro, eppure esse solo sarebbero una teoria. (Q, 143 1-2)

Su questo argomento però ci soffermeremo più oltre. 3. La sociologia come scienza sociale alternativa al marxismo



La critica gramsciana di quelle sociologie che, da Comte a Mi chels, si propongono come scienza della società, diverse ed oppo ste al marxismo, si allaccia alla critica della sociologia-tendenza 40

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deteriore del marxismo Difatti, seguitando la lettura del testo, osserviamo che Gramsci compie il passaggio che una lettura poco attenta potrebbe non avvertire dalla critica di questa alla critica di quelle.







Cosf non è giustificato il nesso tra il titolo generale Teoria ecc. e il sottotitolo Saggio popolare. Il sottotitolo sarebbe il titolo più esatto se al termine di sociologia si desse un significato molto circoscritto. Infatti si presenta la quistione di che cosa è la sociologia ‘? Non è essa un tentativo di una cosidetta scienza esatta (cioè positivista) dei fatti sociali, cioè della politica e della storia? cioè un embrione di filosofia? La sociologia non ha cercato di fare qualcosa di simile alla filosofia della praxis? (Q, 1432)





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Dalla constatazione che il lavoro buchariniano non raggiunge il livello teorico in quanto non dà risposte a domande teoriche, e dalla constatazione della mancata giustificazione teorica del nesso tra il titolo (Teoria) e il sottotitolo (sociologia) Gramsci passa ad esaminare direttamente il concetto di sociologia non già nel si gnificato attribuitogli da Bucharin nell’espressione « sociologia marxi sta », hensf nel « significato molto circoscritto » che il concetto mo stra come proprio dalle origini e nella tradizione disciplinare. In questo modo Gramsci mentre da una parte innesta il saggio di Bu charin nella tradizione sociologica, dall’altra passa alla specifica « quistione di che cosa è la sociologia », vale a dire alla analisi critica della sociologia in quanto scienza sociale alternativa al marxismo. La specificità della sociologia è precisamente individuata da Gramsci nel tentativo « di fare qualcosa di simile alla filosofia del la praxis ». In una determinata fase dello sviluppo capitalistico, nella storia della cultura si manifesta un bisogno di conoscenze sui processi sociali dal quale originano due filoni di ricerca in com petizione: da un lato « un tentativo di una cosidetta scienza esat ta (cioè positivista) dei fatti sociali », dall’altro il tentativo di una scienza materialistica della storia. E proprio perché cercano di fare qualcosa di simile di organizzare risposte ai medesimi pro blemi reali il che è molto diverso dall’accomunarle come scienze della società, cioè scienze dello stesso oggetto, come vedremo più oltre la sociologia e il marxismo si manifestano in un rapporto di competizione che li rende fra di loro alternativi. Il punto nodale della critica gramsciana dell’insieme delle socio logie sta nella individuazione del fatto che esse non si costituisco no come teorie. Il libro di Bucharin era riconosciuto da Gramsci come testo di sociologia proprio per il fatto di non fornire rispo ste teoriche. Cosa sarebbe allora la sociologia ‘?

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della scienza La sociologia è stata un tentativo di creare un metodo tiri tentativo storico-politica [.1 La sociologia è quindi diventata.., politici E...] di descrivere e classificare schematicamerite fatti, storici e entalmente La sociologia è dunque un tentativo di ricavare sperim le leggi di evoluzione della società umana. (Q, 1432)













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se formal Abbiamo qui tre elementi di identificazione i quali, ione: la mente organizzati, adotterebbero la forma di una definiz classificare i sociologia è un metodo che permette di descrivere e società. fatti sociali in modo tale da poterne ricavare le leggi della l’essen Gramsci però non è alla ricerca di una definizione che dia Gramsci è za della sociologia. ii « che cosa è la sociologia » in storia invece l’avvio di una ricognizione storica di un filone della tempi della cultura; ciò si manifesta nella precisa progressione dei è quindi diventata è stata dei verbi delle tre proposizioni E...] è dunque »). In questa critica 11 punto di partenza fissato da Gramsci non è dato dai risultati raggiunti sui quali dare una valutazione pragma tica, ma invece dagli oliettivi costituenti la « particolare logica interna delle diverse sociologie », cioè dai propositi (‘ tentativi ‘) che queste esplicitamente si danno nel ioro proprio specifico at trezzarsi di fronte ai processi sociali emergenti. Primo proposito, determinante di una prima fase della storia della ociologia, è quello della creazione di un metodo della scien za storico-politica. La sociologia si costituisce storicamente, origi enta nariamente, nella costruzione di una metodologia che accons di dare scientificità alla conoscenza della realtà sociale. La costru ulte iione di una teoria sociale si presenta come elaborazione costi nere, dipendente dall’esercizio del metodo. Questo processo tutivo delle sociologie segna il mancato distacco di queste dalle nella filosofie poiché, mentre il progetto consisteva precisamente mstituzione delle filosofie sociali da parte delle scienze sociali con l’elaborazione di un metodo privo di propri supporti teorici di « un al posto della teoria mancante duce all’assunzione co ». sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionisti originaria Dal momento che la sociologia non si costituisce una mente come ricerca di una teoria, bensf come ricerca di guida) todologia, ricerca guidata (nell’assenza di una propria iateoriai principi della filosof positivista da due contrastanti fattori ne risulta la mancanza ed I modello delle scienze naturali principi di autonomia, cioè la duplice dipendenza: tanto dai dipendente che dal modello’. (Allo stesso modo in cui, in quanto ci aveva critica e subordinata al materialismo filosofico Grams to la sociologia-tendenza deteriore del marxismo ‘). i e mo La critica della dipendenza dai due fattori (‘ princip un siste da dello è diversamente articolata. Il mancato distacco

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ma filosofico già elaborato speculativo (speculativo perché già per Gramsci, come per Marx ed Engels, una filosofia elaborato non-speculativa è possibile soltanto a partire dai risultati della scienza; per Gramsci, piii precisamente, si costituisce nella teoriz zazione dei concetti della scienza. Ma su ciò ritorneremo), la di pendenza da una filosofia, è di per sé una negazione del processo costituente una scienza, che non può adottare la via deduttiva a partire da una filosofia poiché per ciò diventa anch’essa (la scien za o meglio la metodologia scientifica ‘) speculativa. In altri termini: nel processo di formazione della sociologia il rapporto scienza-filosofia è stato invertito, e questo evidenzia le carenze strutturali tanto della sociologia come scienza che del positivismo evoluzionistico come filosofia. Contemporaneamente però il rapporto di dipendenza della me todologia sociologica dal modello delle scienze naturali determina quella specifica tensione nei rapporti tra la sociologia e il positi vismo evoluzionistico dalla quale origina una certa reazione par ziale della sociologia nei confronti della filosofia. Secondo proposito, determinante di una seconda fase della sto ria della sociologia, diviene quello di conoscere empiricamente i fatti storici e politici. La sociologia si sviluppa storicamente nella descrizione e classificazione dei fatti sociali nella cumulazione di dati i quali, nella loro organizzazione secondo schemi, fornisca no una immagine del mondo una certa ricostruzione dei mec canismi e del funzionamento della società In tal modo la reazione della sociologia contro la filosofia si pone come reazione empirista: in ciò la sua insufficienza e parzia lità. Difatti l’intento di sostituire la filosofia sociale per mezzo di una descrizione e classificazione empirica dei fatti sociali non in terrompe il rapporto di dipendenza nei confronti della filosofia po sitivista: il ricorso ai dati è già nella logica di questa; la reazione e non recide la dipendenza in quanto non si sviluppa come critica teorica del sistema filosofico già elaborato Cri nella tica teorica che non può fare in quanto, non avendo raggiunto il livello della teoria, è priva degli strumenti necessari allo scopo. La reazione non si costituisce come critica, bensf limitatamente come rifiuto, negazione non-critica.

Si condanna in blocco il passato quando non si riesce a differen ziarsene, o almeno le differenziazionj sono di carattere secondario e si esauriscono quindi nell’entusiasmo declamatorio. (Q. 341)

In conseguenza della mancata critica teorica, lo stacco dalla filosofia consiste in una operazione tale da proporre la sociologia come sostituto della filosofia, nel medesimo modo in cui un siste

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forma



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sistema

ma filosofico succede ad un altro. Lo stacco in realtà è appena

teoria





sufficiente per fare della sociologia « una tendenza a sé, [...] una filosofia dei non filosofi » (Q, 1432). «Tendenza a sé »: una ten sione verso l’autonomia propria di una scienza empirica e speri di questa nella costruzione mentale; la sociologia adotta la dei propri criteri secondo il modello delle scienze naturali’, re stando però al contempo priva di uno statuto teorico scientifico. espressione Con ciò « è diventata la filosofia dei non filosofi con la quale Gramsci sembra indicare in questa sociologia una ra zionalizzazione del senso comune. Allorché la sociologia utilizza schematicamente nell’analisi dei dati i criteri di descrizione e clas sificazione presi dalle scienze naturali, oltre al rimanere sotto, non attingere, le esigenze di interpretazione e spiegazione del movi mento reale dei processi (cioè di quella « logica specifica dell’og getto specifico » (Marx) che sta sotto le cose e dietro la rete ideo logica), riduce i fatti storici e politici a fatti sociali letti come cose Terzo pmpi/(J determinante di una terza fase della storia del la sociologia, è quello della costruzione, a partire da una classifi cazione e schematizzazione dei dati e come risultato di una analisi di tendente a individuare i rapporti di causalità, di un leggi che permetta la previsione dell’avvenire. Questa ulteriore elaborazione dei dati si pone come tentativo di costituire una sociologica. In tale modo il processo di strutturazione della sociologia co me scienza sociale compie la promessa formulata nella sua pri ma fase, chiudendo il circolo che dalla metodologia scende ai dati e da questi sale alla teoria. Il compimento del circolo è tuttavia apparente poiché il suo percorso non si è svolto nell’autonomia di un discorso scientifico specifico, ma piuttosto subendo in ogni momento del proprio sviluppo l’attrazione dei due fattori esterni di cui abbiamo detto. Cosicché, sprovvisto di un proprio centro,



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più adeguatamente si il percorso non ha formato un circolo può rappresentare come configurazione di un’ellisse, i due fuochi della quale sarebbero dati appunto dai principi filosofici e dal mo dello delle scienze naturali. L’emergenza della teoria sociologica segna in effetti un allon tanamento ulteriore rispetto alla filosofia sociale e simultaneamente







un avvicinamento alla logica delle scienze. Ma cosa significa co struire una teoria sulla base di dati intesi come presupposti ad essa? E cosa sarebbero questi dati antecedenti la teoria? Sono forse essi frammenti di realtà immediata? E cosa potrà essere un metodo indipendente sia dai dati specifici che dalla teoria, spe cifica anch’essa, ai quali il metodo si è proposto di corrispondere? Non implica ciò il richiamo ad un metodo generale ed universale

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ed indeterminato? Quali differenze sostanziali persisterebbero tra tale metodo ed una logica filosofica speculativa? e le risposte critiche che contengono Queste domande sono decisive per il fatto che la ricognizione storica dello sviluppo della sociologia fatta da Gramsci è insieme una analisi della « par ticolare logica interna delle diverse sociologie ». Nei fatti in ognuna delle fasi precedentemente delineate c’è una articolazione dei tre elementi (metodo, dati, teoria) essendo ogni fase distin guibile col criterio della dominanza successiva del primo, del se nell’analisi dell’ultima delle fasi, condo e del terzo elemento. quella della maturità della sociologia, che la logica interna di questa può essere colta, poiché soltanto in essa gli elementi pre cedentemente formatisi si articolano in •una struttura relativa mente stabile. Siamo alla critica di questa logica. La critica fondamentale da fare al processo-logica di costitu zione della sociologia è radicata nel fatto che l’articolazione tra il metodo i dati e la teoria è esteriore, in quanto ogni elemento si forma in un diverso rapporto di subordinazione ai due fattori esterni In effetti Gramsci, dopo la distinzione sto rico-critica delle fasi, svolgendo le conseguenze specificamente teo riche della critica della sociologia, cosf prosegue:

In ogni caso ogni sociologia presuppone una filosofia, una conce zione del mondo, di cui è un frammento subordinato. Né bisogna confondere con la teoria generale, cioè con la filosofia, la particolare ‘logica’ interna delle diverse sociologie. logica per cui esse acquistano una meccanica coerenza. (Q, 1432)



critica





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nuova

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frammenti

nuova

contenuti

La subordinazione di ogni sociologia ad una filosofia è anche di ordine logico (oltre che storico-culturale): mentre una vera rottura dei rapporti con la tradizione filosofica speculativa comporta rap porti concreti espliciti e critici, la sociologia si mantiene a questa logicamente subordinata nella forma di una contrapposizione astrat ta i cui contenuti specifici non sono criticamente esplicitati. Della (per esem tradizione filosofica la sociologia conserva certi ecc.), dato empirico ‘individuo pio, i concetti società nega la preesistente organizzazione di questi, rifiutandosi con ciò scienza, di conoscenza, cioè non elementi costituenti una ne in teorie circoscritte a fenomeni e processi particolari, po nendo cosf se stessa (la sociologia) come un’insieme di scienza, di conoscenza, cioè non elementi costituenti una bensf ‘frammento subordinato’ d’una filosofia. La sociologia non è una critica delle ideologie e per questo non è una critica della società della quale le ideologie costituiscono l’organizzazione, il cemento. della organizzazione sociale equivale a criticarne la Fare

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logica specifica. Mentre la filosofia della praxis si costituisce nella pas critica del sistema di conoscenze organico al sistema sociale sando dalla critica della filosofia alla critica dell’economia politica, la sociologia in ed arrivando ora alla critica della sociologia vece s’illude di attingere direttamente la realtà sociale e magari di rappresentarne una critica. Per arrivare a questo essa precisa mente tenta la costruzione d’una metodologia secondo il model lo delle scienze naturali; cosf come le scienze naturali pervengo no, attraverso il loro metodo, alla conoscenza della realtà natu rale, si suppone che attraverso una omologa metodologia è possi bile conseguire la conoscenza della realtà sociale. Qual è la base di questa convinzione se non quella distinzione propria della tra dizione filosofica che individua fianco a fianco, nella realtà senza aggettivi, l’ordine naturale e l’ordine sociale? Cos l’oggetto della sociologia sono i fatti ed i fenomeni specifici dell’ordine sociale, intesi come cose o rapporti tra cose e la sociologia stessa occupando un viene incorporata ad un sistema delle scienze corrispondente alla luogo specifico nella gerarchia del sistema collocazione del mondo sociale nell’immagine della realtà fornita dall’evoluzionismo positivista. Risultato della elaborazione di una scienza sociale secondo il modello delle scienze naturali è l’organizzazione della sociologia come tecnica; infatti per la logica interna delle scienze naturali e a del loro metodo l’applicazione della conoscenza scientifica è di carattere tecno questa connessa come tcndenza strutturale assunta come criterio e ga logico. L’efficacia della sociologia è l’efficacia operazionale tipica ranzia di oggettività scientifica d’ogni tecnica. Essa si manifesta nel carattere sperimentale che tende ad acquisire la sociologia in quanto tecnica dell’adattamento e del controllo sociale: a differenza della filosofia, che cerca di produrre direttamente il consenso sociale attraverso la proposizio ne di una concezione del mondo organica ai rapporti sociali dati, la sociologia individua i meccanismi attraverso i quali il consenso si produce e si riproduce, tramite l’osservazione di singoli feno meni, processi e gruppi sociali. Chiunque possieda il metodo oggettive sociologico è in condizione di fornire conoscenze perché oggettivo è il metodo che si pongono come verificabili in quanto costruite sui dati La proposizione di un metodo comporta implicitamente la scelta di un oggetto, alla conoscenza del quale il metodo serva. Questo significa che l’oggetto non è costruito dalla propria scien za, e neanche dall’impiego del metodo’, ma di questo e di quel la costituisce un presupposto. Ma allora esso può essere ottenuto per due vie: per scorporamento di insiemi di concetti dalla tradi zione filosofica (o da un determinato sistema filosofico), oppure

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per assunzione di insiemi di fenomeni empirici pre-organizzati dal l’esperienza scientifica precedente. In entrambi i casi l’operazione consiste nella recinzione di un terreno proprio, di un proprio am bito di realtà, differenziandosi soltanto il criterio col quale il ta glio è condotto. L’oggetto cosf inteso è esteriore alla scienza, e in questa esteriorità la sociologia fonda la propria oggettività La società i ‘fatti sociali diventano realtà esterne; esterne a ciò che dovrebbe costituirne la scienza, al soggetto di questa scienza (lo scienziato ‘), all’esperienza scientifica (1’ attività pra tico-critica ‘), alla teoria stessa. La sociologia concepisce la realtà (e quindi la realtà sociale ‘) allo stesso modo del senso comune: per criticare la concezione soggettivistica essa accoglie la concezione della realtà oggettiva « nella sua forma più triviale e acritica, senza neanche sospettare che a questa può essere mossa l’obbiezione di misticismo » (Q, 1415). Allorquando la sociologia afferma che la realtà (sociale) è oggettiva in quanto esterna, non svolge in effetti una ricogni zione teorica di ciò che esiste, bensf organizza ideologicamente e soggettivamente (‘ misticamente ‘) un’esperienza. Costruendosi un oggetto separato, produce realmente la sepa razione tra le condizioni (storicamente determinate) e l’iniziativa; nel linguaggio sociologico, tra la società e 1’’ individuo cate gorie che appunto all’interno della sociologia servono a formaliz zare tale separazione, una operazione di oggettivazione della so In un processo di cietà e di soggettivazione dell’ ‘individuo duplice polarizzazione è organizzato concettualmente sotto il no me di società ciò che è ridotto a fatto oggettivo (‘ cose o rapporti tra cose ‘), e sotto il nome di individuo ciò che, sfug gendo ad ogni controllo, è ridotto a soggetto. In tal modo la sociologia, piuttosto che produrre una espe rienza scientifica (una scienza sociale ‘) produce una esperienza è essa stessa una politica. politica (una politica sociale Da e su questo ‘oggetto la sociologia tenta dunque di ela borare una teoria che di esso colga i meccanismi di funzionamento (cioè i meccanismi di integrazione) e i meccanismi di sviluppo (cioè le tendenze evolutive). Dal momento che l’oggetto dell’ana lisi sociologica include soltanto ‘fattori oggettivi (le condizioni) ed esclude l’iniziativa, la teoria su di esso costruita assume la me desima struttura delle teorie che si riferiscono ai processi della natura. Questo procedimento di riduzione dei processi storici a processi naturali fa della sociologia, come scrive Gramsci, « un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l’avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si sviluppe rà una quercia » (Q, 1432). In tal modo la teoria sociologica co

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struisce leggi e modelli esplicativi dell’integrazione e del muta mento sociale in modo da escludere dal proprio campo visivo lo intervento pratico-critico dei soggetti attivi, vale a dire la politica. L’operazione teorica di esclusione della politica dal proprio og getto è organica all’operazione pratica di esclusione della attività politica stessa. Rimane della politica soltanto il sistema di dire zione col quale i gruppi dirigenti organizzano la subordinazione, consensuale o coercitiva, dei diretti. Di ciò la sociologia diviene la teoria e la tecnica. In quanto teoria della politica la sociologia si presenta come « una raccolta sistematica e classificata secondo un certo ordine di osservazioni puramente empiriche di arte politica » (Q, 1431-2), e di « criteri empirici di arte politica ». Gramsci approfondisce questo aspetto della sociologia in un riferimento a Henri De Man: ‘

Il libro di Henri De Man, se ha un suo valore, lo ha appunto in questo senso: che incita a ‘informarsi particolarmente dei senti menti reali e non di quelli supposti secondo leggi sociologiche, dei gruppi e degli individui. Ma il De Man non ha fatto nessuna sco perta nuova né ha trovato un principio originale che possa superare la filosofia della praxis o dimostrarla scientificamente errata o sterile: ha elevato a principio scientifico un criterio empirico di arte politica già noto ed applicato sebbene forse insufficientemente definito e svi luppato. Il De Man non ha neanche saputo limitare esattamente il suo criterio, perché ha finito col creare una nuova legge statistica e inconsapevolmente, con altro nome, un nuovo metodo di matematica sociale e di classificazione esterna, una nuova sociologia astratta. (Q, 1430-1)



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Intanto vediamo che il De Man è considerato da Gramsci come un rappresentante di questo aspetto della sociologia come scienza sociale alternativa al marxismo, e questo brano contiene gli ele menti generali della critica di esso. Il De Man prende come og getto l’arte politica in quanto attività dei gruppi dirigenti, dei capi; soltanto ad essa è attribuito e riconosciuto il carattere di realtà cosicché essa diventa oggetto proprio della scienza della società. Alla massa popolare, ai diretti vengono attribuiti e rico nosciuti soltanto sentimenti soggettivi, incapaci di costituirsi come realtà sociale in quanto per sé stessi impotenti, sterili e pas sivi. L’arte politica dei gruppi dirigenti e dei capi consiste proprio nella oggettivazione, in un piano subordinato, di tali sentimenti. E soltanto per la mediazione dell’attività politica dei gruppi di rigenti e dei capi che i diretti, il popolo diventa reale: i suoi stati d’animo vengono rappresentati, mostrandosi come reali non in sé stessi ma nell’attività di coloro che li rappresentano. L’ arte poli tica è l’arte di questa rappresentazione. Rappresentazione che non è un prodotto (« una scoperta nuova ») della sociologia, ma che 48

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già aveva prodotto nel proprio esercizio criteri empirici, sebbene insufficientemente definiti e sviluppati. Tali criteri erano noti (ai) ed applicati dai gruppi dirigenti e dai « capi individuali (o cari smatici, come dice 11 Michels) [...] per intuizione » (Q, 1430). L’arte politica consiste dunque nel « processo di standardizza standardizzazione che rende possi zione dei sentimenti popolari bile l’esercizio della rappresentanza dei molti da parte dei pochi, nella misura in cui riduce una primitiva molteplicità di sentimenti spontanei ad una uniformità elaborata (standard), « che il capo traduce in idee-forza, in parole-forza » (Q, 1430). La sociologia si inserisce in questo processo introducendo in esso nuovi elementi di razionalità (dei nuovi problemi e bisogni dei gruppi dirigenti, risposta, abbiamo già accennato; vi ai quali la sociologia dà ritorneremo più oltre). Da una parte dunque la sociologia « incita a informarsi par ticolarmente dei sentimenti reali E...] dei gruppi e degli indivi dui ». La sociologia introduce cosf un primo elemento specifico di razionalità nell’arte politica: l’informazione empirica. Essa tende a sostituire la supposizione del reale, sia nella forma dell’intuizio ne (dei politici) che nella forma della deduzione (in base a prin cipi e leggi generali). Dall’altra essa eleva a principi scientifici quei criteri empirici di arte politica già noti ed applicati, cioè li generalizza, ne estrae le uniformità ricorrenti, li classifica e siste matizza. In tal modo la sociologia introduce la statistica nella po litica, la quale acquista la razionalità esteriore che le dà l’uso stru mentale di un nuovo metodo, « un nuovo metodo di matematica sociale, di classificazione esterna, una nuova sociologia astratta ». La sociologia non corrode né investe i rapporti tra i dirigenti e i diretti, bensf tende a stabiizzarli e ad istituzionalizzarli provve derido i gruppi dirigenti di una nuova tecnica d’induzione del con senso. Anche se proposito, più o meno consapevole, della sociolo gia era ed è quello di sostituire la politica (ed i politici) per mez zo di una ingegneria sociale totalizzante. Dal complesso dell’analisi storico-logica fin qui svolta della sociologia come scienza sociale alternativa al marxismo risulta una più precisa intelligenza del problema, da Gramsci accennato laddo ve individua la meccanica logica interna della sociologia: il pro blema della separazione delle tre parti costitutive della sociologia. i dati e la teoria costituitisi nella reciproca Il metodo esteriorità, hanno configurato una tendenza allo sviluppo auto nomo dei campi inerenti ad ognuna delle parti. Si tratta di una tendenza alla dispersione che induce una vera e propria istituzio nalizzazione disciplinare, che distingue e delimita nella sociologia della i corpi separati della metodologia della ricerca sociale banca dei dati della ‘teoria sociologica

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Dalla critica storico-logica emerge che tale tendenza non risulta dalle necessità di divisione tecnica del lavoro scientifico, né è un prodotto della traduzione della scienza secondo le esigenze del l’accademia, bensf tendenza costitutiva, strutturale della sociologia. Anche da ciò dipende la difficile cumulabilità dei risultati della sociologia, ove non sia intesa come cumulabilità puramente este riore. Difatti il dramma di una scienza sociale che tenta (osten ta e stenta) di svilupparsi secondo il modello delle scienze natu rali è quello di non svolgersi storicamente al modo di una scienza. Mentre le scienze naturali si sviluppano in una cumulazione di ri sultati che costituisce un terreno ogni volta piii ricco ed avanzato sul quale poggia lo sviluppo qualitativo della scienza stessa, la so ciologia invece sembra procedere secondo il modello di sviluppo proprio delle filosofie, che è caratterizzato da una successione di concezioni e sistemi che si affiancano l’uno all’altro in un rapporto che conduce ad una cumulazione esteriore. Una esposizione di sto ria della sociologia non somiglia pi ad una esposizione di storia della filosofia che ad una di storia della fisica o della biologia? Circa un anno dopo la seconda stesura di questi paragrafi sul Saggio popolare e la sociologia, Gramsci in un nuovo contesto problematico incentrato nella riflessione sulla politica e sulla sua scienza riprende il discorso sulla sociologia. Il paragrafo s’intitola Machiavelli. Sociologia e scienza politica, titolo seguito da « (ve dere i paragrafi sul Saggio popolare) » (Q, 1765). Essa da un lato conferma gli indirizzi della critica della sociologia fin qui svilup pata, dall’altro introduce alcuni elementi nuovi che dobbiamo considerare. Il paragrafo cosf inizia:





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La fortuna della sociologia è in relazione con la decadenza del concetto di scienza politica e di arte politica verificatasi nel secolo XIX (con pii esattezza nella seconda metà, con la fortuna delle dot trine evoluzionistiche e positivistiche). Ciò che di realmente impor tante è nella sociologia non è altro che scienza politica. Politica divenne sinonimo di politica parlamentare o di cricche personali. Per suasione che con le costituzioni e i parlamenti si fosse iniziata una epoca di evoluzione naturale che la società avesse trovato i suoi fondamenti definitivi perché razionali, ecc, ecc. Ecco che la società può essere studiata col metodo delle scienze naturali. Intanto si vede che il problema della sociologia è ripreso da Gramsci in termini di storia della cultura e viene storjcjzzato esso stesso. Egli specificamente coglie le ragioni dell’emergenza ed in sieme del successo della sociologia nella crisi delle attività politiche tradizionali che matura fin dagli inizi del XIX secolo e che scop pia nella sua seconda metà. Una crisi organica, crisi di rappresen 50







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tanza per la quale i dirigenti hanno perso l’egemonia ed i diretti ne contestano l’autorità. Una crisi di un determinato tipo di orga nizzazione statale, di un modo di fare politica e di garantire e le gittimare i rapporti di dominazione e subordinazione di classe, complessivamente fondati e cementati con l’ideologia del razionali smo illuminista che aveva prodotto le costituzioni, i parlamenti elettivi e l’idea di uno Stato che esprime e realizza indifferenzia tamente gli interessi e le aspirazioni del cittadino Precisamente le dottrine evoluzionistiche e positivistiche rappresentavano una critica dell’ideologia illuministica ed un tentativo di superamento di tale crisi organica. Il progetto di una scienza della società’ si basa sulla convinzione che questa avesse trovato i suoi fonda menti definitivi perché razionali ‘; la sociologia eredita dalla teoria politica precedente la persuasione che con le costituzioni e i parla menti si fosse iniziata un’epoca di evoluzione naturale persua sione ideologica tradottasi nella possibilità di fare della società un oggetto che può essere intelletto con 1’’ oggettività’ del meto do positivo. La crisi del complesso delle attività pratiche e teori che che organizzano la vita sociale induce la sostituzione delle pre cedenti ideologie e teorie politiche con la sociologia, il cui propo sito essenziale è quello di restaurare, ricostituire, rifondare l’ordi ne politico-sociale. Per questo « ciò che di realmente importante è nella sociologia non è altro che scienza politica ». Proseguiamo la lettura del testo gramsciano.

Se scienza politica significa scienza dello Stato e Stato è tutto il complesso di attività pratiche e teoriche con cui la classe dirigente giustifica e mantiene il suo dominio non solo ma riesce a ottenere il consenso attivo dei governati, è evidente che tutte le quistioni es senziali della sociologia non sono altro che le quistioni della scienza politica. Se c’è un residuo, questo non può essere che di falsi pro blemi cioè di problemi oziosi. (Q, 1765)

—,







si forma come erede ribadisce Gramsci La sociologia delle teorie politiche (operanti nel diciottesimo ed agli inizi del diciannovesimo secolo), in quanto il suo problema fondamentale è costituito dal complesso delle attività dirigenti (di governo), del le attività di conservazione del potere e di produzione ed organiz zazione del consenso. La sociologia è perciò la scienza dello Stato, cioè la scienza della politica propria della (nuova) epoca politica nella quale la ricomposizione dell’equilibrio tra la società politica e la società civile nello Stato contemporaneo richiede la passività delle masse. che appunto entrava in crisi La precedente epoca politica sorta con la costituzione rivoluzionaria degli Stati mo organica derni, aveva richiesto invece il concorso attivo delle plebi e dei

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cittadini, mobilitati ed organizzati dall’alto attraverso un’arte ed una scienza politica capaci di produrre io specifico livello di con senso politico necessario. Se l’epoca politica che si chiudeva si fondava su una politicizzazione diffusa, dall’alto indotta e conte nuta in certi limiti, l’epoca politica che si apriva necessitava di una generale smobilitazione (depoliticizzazione) che atomizzasse le masse e orientasse gli individui (in individui infatti si era no trasformati i cittadini ‘) verso le attività private economi che e civili. Questa nuova epoca richiedeva l’esercizio di una arte politica assegnata ad appositi funzionari (la politica come profes sione la burocrazia dello Stato la classe politica ‘) e di una scienza politica, la sociologia, elaborata da nuovi intellettuali che, sebbene organici a tale struttura statale, erano separati dalla poli tica e dal suo esercizio (la 14 scienza come professione la tecno crazia 1’ Intellighenzia ) Di seguito Gramsci individua il modo in cui questa nuova pro blematica politica si presenta nell’interna struttura (nella logica ‘) della sociologia. La individua nel criticarla: Se è vero che l’uomo non può essere concepito se non come uomo storicamente determinato, cioè che si è sviluppato e vive in certe con dizioni, in un determinato complesso sociale o insieme di rapporti sociali, si può concepire la sociologia come studio solo di queste con dizioni e delle leggi che ne regolano lo sviluppo? Poiché non si può prescindere dalla volontà e dall’iniziativa degli uomini stessi, questo concetto non può non essere falso. (Q, 1765-6)











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Essendo lo Stato e la politica il soggetto reale della sociologia avviene però che l’oggetto proprio di tale scienza è concettualiz in sotto il nome generico di società zato e formalizzato modo tale che lo specificamente politico, la volontà e l’iniziativa degli uomini stessi, l’intervento consapevole ed attivo, sia escluso ed occultato da esso. Quando la società è intesa come l’insieme delle condizioni e delle leggi che ne regolano lo sviluppo la « società umana » è ridotta a società naturale società di cose e di rapporti tra cose e non società di uomini e di rapporti tra uomini.

1

Cfr.,



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in fra, Nota teorica l,

pp.

136-8.





Qual è il rapporto tra tale modo di elaborare il proprio oggetto da parte della sociologia e il bisogno politico di organizzare quella specifica passività che la nuova struttura statale richiede? Nel paragrafo intitolato Problemi di cultura. Feticismo, Gramsci dà gli elementi per una risposta. Questa operazione di distacco della per la quale la società è oggettisocietà dall’ ‘individuo

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vata come totalità esteriore e trascendente i singoli ‘individui’, oggetto svuotato dei soggetti (‘ condizioni oggettive vuote di ini è da Gramsci denominata appunto « fetici ziative soggettive smo »:

Come si può descrivere il feticismo. Un organismo collettivo è costituito di singoli individui, i quali formano l’organismo in quanto si sono dati e accettano attivamente una gerarchia e una direzione determinata. Se ognuno dei singoli componenti pensa l’organismo col lettivo come un’entità estranea a se stesso, è evidente che questo organismo non esiste pii.l di fatto, ma diventa un fantasma dell’in telletto, Ufl feticcio i ... i Si è portati a pensare i rapporti tra il sin golo e l’organismo come un dualismo, e ad un atteggiamento critico esteriore del singolo verso l’organismo (se l’atteggiamento non è di una ammirazione entusiastica acritica). In ogni caso un rapporto fe ticistico. (Q, 1769-70)

‘.







Tale rapporto feticistico Gramsci lo individua in tre tipi di or ganizzazioni umane: le organizzazioni religiose (la Chiesa), le orga nizzazioni politiche (i partiti), le organizzazioni universali (lo Sta to, la Nazione). Per la Chiesa: questo rapporto « è naturale che avvenga [...], poiché, almeno in Italia, il lavorio secolare del centro vaticano per annientare ogni traccia di democrazia interna e di intervento dei fedeli nell’attività religiosa è pienamente riuscito ed è dive nuto una seconda natura del fedele »; rapporto fondato teorica mente dalla teoria della « trascendenza cattolica ». Per i partiti: « Ciò che fa meraviglia, e che è caratteristico, è che il feticismo di questa specie si riproduca per organismi vo lontari di tipo non pubblico o statale, come i partiti e i sin [...} TI singolo si aspetta che l’organismo faccia, anche se

dacati.

mento molto diffuso, l’organismo è necessariamente inoperante »

egli non opera e non riflette che appunto, essendo il suo atteggia

(Q, 1770).











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Gramsci rileva che tale rapporto feticistico ha un significato di stinto nelle organizzazioni religiose e nelle organizzazioni politiche. Per le prime tale rapporto appare naturale in quanto la Chiesa (cattolica specialmente) storicamente ha svolto funzioni ed elabo rato ideologie tese a sacralizzare la separazione tra dirigenti e di retti, gerarchia e fedeli. Come dice Gramsci « l’intervento dal bas so disgregherebbe infatti la Chiesa (si vede ciò nelle chiese prote stantiche) » (Q, 1771). Producendo in questo modo una seconda le ìiatzira negli uomini, trasformando gli uomini in fedeli Chiese fanno politica: organizzano normalmente un consenso pas sivo e indiretto e la protesta impotente. Per i partiti la riprodu

zione di questo rapporto « fa meraviglia » in quanto sembra con-

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traddire le funzioni storiche e le ideologie sulle quali si fondano. I partiti, « organismi volontari cioè organismi che fanno col lettiva la volontà dei singoli, e che rendono coerente, omogenea, potente l’iniziativa dei soggetti, in contraddizione a ciò diventa no sotto certe condizioni organizzazioni anch’esse caratteriz zate da questo rapporto. Gramsci individua nella « molto diffusa E...] concezione deterministica e meccanica della storia (concezio ne che è del senso comune ed è legata alla passività delle grandi masse popolari il fondamento teorico della feticizzazione del partito: E...] ogni singolo, vedendo che, nonostante il suo non intervento, qual cosa tuttavia avviene, è portato a pensare che appunto al disopra dei singoli esiste una entità fantasmagorica, l’astrazione dell’organismo collettivo, una specie di divinità autonoma, che non pensa con nes suna testa concreta ma tuttavia pensa, che non si muove con deter minate gambe di uomini, ma tuttavia si muove, ecc. (Q, 1770)











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In questo modo il partito, che in se stesso costituisce una critica dell’economjcjsmo, lo prolunga all’interno della vita politica dan dogli forma politica.

1771)







Cosf è da dire di ogni forma del cosi detto centralisnio organico il quale si fonda sul presupposto, che è vero solo in momenti ecce zionali di arroventatura di passioni popolari, che il rapporto tra go vernanti e governati sia dato dal fatto che i governanti fanno gli interessi dei governati e pertanto devono averne il consenso, cioè deve verificarsi l’identificazione del singolo col tutto, il tutto (qua lunque organismo esso sia) essendo rappresentato dai dirigenti. (Q,





Per lo Stato, Gramsci aveva già esaminato il problema deI fe ticismo nel precedente paragrafo Machiavelli. Sociologia e scienza della politica, e di ciò abbiamo già scritto. Vi è in questo paragrafo uno sviluppo ulteriore della critica della sociologia. Al nuovo Stato, sorto dalla crisi organica del vecchio Stato li berai-democratico, è organica la sociologia. Essa si pone come scienza politica, scienza di questo Stato in quanto fonda teorica mente la ‘società come oggetto Vuoto di soggetti concreti. Men tre lo Stato in realtà è un complesso di attività teoriche e prati che, di attività concrete degli uomini concreti e delle classi che li organizzano, esso appare agli individui come un feticcio: realtà oggettiva, esteriore e naturale che rappresenta la società umana come società naturale (‘ società ‘) producendo una ‘terza natura degli uomini. Allo stesso modo in cui lo Stato (i governanti) pro duce la passività degli individui (i governati), crea per cosf dire 54

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i propri oggetti, la sociologia (gli intellettuali organici a questo Stato) produce il proprio oggetto, produce la società Tutta la sociologia, anche quella sociologia che svolge una certa critica della società e che razionalizza ed organizza la protesta, non perciò smettendo di fondare la separazione. La sociologia critica non può essere una critica della sociologia e dello Stato poiché si svolge comunque nel terreno della scissione. Una volta stabiliti l’atteg « i rapporti tra i singoli e l’organismo come un dualismo giamento dei singoli può essere tanto « di una ammirazione entu siastica acritica » che « un atteggiamento critico esteriore del sin golo verso l’organismo »: « in ogni caso un rapporto feticistico >. La sociologia secolarizza nello Stato contemporaneo ciò che la re ligione « nei vecchi regimi paternalistici » aveva sacralizzato. In effetti la sociologia, come la religione, è politica. Lo è, in primo luogo, come già abbiamo visto, in quanto si presenta come scienza politica; ma si tratta precisamente di vedere in qual modo essa è scienza per cogliere il suo modo d’essere politica Gramsci conclude il paragrafo nei seguenti termini:

















‘,

Il problema di che cosa è la scienza stessa è da porre. La scienza non è essa stessa attività politica’ e pensiero politico, in quanto trasforma gli uomini, li rende diversi da quelli che erano prima? Se tutto è politico occorre, per non cadere in un frasario tautologico e noioso distinguere con concetti nuovi la politica che corrisponde a quella scienza che tradizionalmente si chiama filosofia dalla poli tica che si chiama scienza politica in senso stretto. Se la scienza è scoperta di realtà ignorata prima, questa realtà non viene conce pita come trascendente in un certo senso? E non si pensa che esiste ancora qualcosa di ‘ignoto e quindi trascendente? (Q, 1766)

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È qui affrontato il problema della critica della scienza, della data pratica scientifica, a partire dalla critica dell’ideologia che in forma tale pratica. La scienza è concepita da Gramsci non ridutti vamente come conoscenza ma come pratica, cioè intervento uma no che trasforma la realtà e gli uomini. In questo senso ogni cioè creazione scienza è « attività politica e pensiero politico di realtà nuove. Il che non significa la semplice ripetizione che tutto è politica, e perciò anche la scienza; essa è politica in un duplice senso: in quanto pensiero politico determinato, interpre tazione del mondo, ed in quanto attività politica determinata, trasformazione del mondo. Questi sono i concetti vecchi per di stinguere la politica propria della filosofia dalla politica pro Tale distinzione non si dissolve in pria della scienza politica una tautologia a condizione che sia realizzata in modo nuovo, con concetti nuovi ». Mentre i vecchi concetti distinguevano tra interpretazione e trasformazione del mondo, la distinzio

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fini

——















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ne gramsciana individua due modi di interpretare e insieme tra sformare, due politiche. Una è « la politica che corrisponde a quella scienza che tradi zionalmente si chiama filosofia la quale consiste nell’organiz zare la vita dci singoli, il loro modo di volere, pensare ed ope rare, attraverso la fissazione di fini e principi generali, valori e norme di comportamento; fornendo un determinato senso alla vi ta al quale si connette una determinata etica, essa orienta gli uo mini nella prospettiva di un determinato progetto storico-politico. L’altra è « la politica che si chiama scienza politica in senso stret to vale a dire la sociologia, la quale consiste anch’essa nel ten tativo di orientare gli uomini secondo un progetto storico-politico. Lo fa però in un modo parzialmente diverso ioiché, sebbene co mune rimanga l’intento generale di organizzare la subordinazione dei diretti, mutate sono le condizioni storiche: la produzione di massa richiede la standardizzazione degli uomini e crea le masse, l’uomo-massa; il controllo e la direzione delle masse richiede un modo di volere, pensare ed operare di massa, una politica di massa che crei il consenso passivo. A questo scopo la scienza della società non ridiscute quei e principi generali, quei va lori e norme di comportamento fissati dalle filosofie (perciò ogni sociologia presuppone una filosofia alla quale si subordina). ma elabora teorie che razionalizzano il senso comune, metodi e tecniche d’accertamento e di controllo sociale, dati’ che riducono le differenze e i cambiamenti a quantità operazionali (riducendo la qualità a quantità, elaborando la realtà sociale quantitativaniente matematica sociale e operazionalizzandola statisti camente, organizza la realtà stessa secondo modelli operazionali e in controlla praticamente). Questi due modi di fare scienza (come filosofia e come scienza politica in senso stretto ‘) implicano un concetto della conoscenza come « scoperta cii realtà ignorata prima » e, po nendo cos( la realtà come trascendente ed esteriore ai soggetti, ri ducono questi alla passività politica. A tali scienze Gramsci con trappone l’esigenza di una « scienza della storia e della politica »; egli prospetta un nuovo concetto di scienza, una nuova pratica scientifica e una nuova politica tese a costruire l’unificazione della teoria e della pratica, della scienza e del suo oggetto delle con dizioni e della iniziativa. Intesa la scienza come « creazione », co me intervento che organizza e dà forma, che fa diventar sogget tiva la realtà, essa trasforma gli uomini in soggetti politici attivi. Su questa nuova scienza e sul come essa produca una nuova poli tica, ed al contempo sul come condizione della sua elaborazione sia l’attivazione politica delle moltitudini, svoigeremo pii avanti l’analisi. 56

-I. Critica delle leggi storiche e statistiche

‘.























‘.

Dall’insieme delle analisi sulla sociologia-tendenza deteriore del marxismo e sulla sociologia-scienza sociale alternativa al marxismo risulta l’unitarietà (li fondo della critica a queste, in qLlanto sono basate su una analoga filosofia della storia ed una comune cultura politica. Queste sociologie presuppongono entrambi una certa con cezione del mondo, l’una il materialismo filosofico, l’altra il posi tivismo evoluzionistico; tuttavia l’eterogeneità che implicitamente sembra derivare dalla dualità del fondamento filosofico non è deter minante: il materialismo filosofico ed il positivismo evoluzionistico coincidono nel concepire lo sviluppo storico come processo naturale soggetto a leggi fisse e nell’interpretare ie vicende storiche sulla base del modello dei rapporti causa-eìeflo. L’interpretazione legalitaria della storia umana deriva preci samente dall’uso di un modello esplicativo (ricavato dalle scienze naturali) che pone in relazione i fenomeni sociali secondo le categorie di causalità: determinati fenomeni causano altri fenome iii; rapporto che è inteso sostanzialmente in maniera analoga sia quando è definito come rapporto tra determinante e determinato che come rapporto tra variabile indipendente e variabile dipen dente Ed è perciò che la critica gramsciana delle sociologie si incentra sul problema delle leggi della storia Queste leggi assumono forme distinte nella sociologia-tenden za deteriore del marxismo, ove si presentano come leggi generali della storia (per esempio legge di corrispondenza tra forze pro duttive e rapporti cii produzione ‘) e come leggi particolari di sin goli modi di produzione (per esempio legge di concentrazione del capitale ‘), e nella sociologia-scienza sociale alternativa al marxi smo, ove si presentano come leggi generali dell’evoluzione (per esempio ‘legge del pii forte ‘) e come leggi statistiche specifiche (per esempio ‘legge di correlazione tra l’urbanizzazione e la sco larità ‘). La critica gramsciana di questi due modi d’intendere le leggi della storia si svolge unitariamente: l’asse del problema è io stesso concetto di legge in quanto applicato alla realtà storicopolitica, e l’uso che di queste leggi è fatto e si può fare nelle ana lisi concrete dei processi concreti. Dal momento che la funzione primaria delle leggi nelle socio logie è quella di permettere previsioni sul futuro dei processi (as sunto come livello di scientificità di una scienza il grado della sua potenza predittiva), la critica di questo concetto di legge si prolun na nella critica del concetto di previsione scientifica. La critica gramsciana delle leggi è contemporaneamente critica di un modo di concepire la storia e critica di un modo di fare la scienza di questa storia. Essa svela i legami concreti stabilitisi fra

57

una concezione della storia ed una concezione della scienza in una intera fase della storia della cultura, mostrando come un modo di fare scienza produce una concezione del mondo (una filosofia della storia) e come quest’ultima si ripercuote nella forma di questa scienza, ed ancora come entrambe hanno i propri fondamenti sto rici nella specificità della prassi umana di una determinata epoca politica. Questo il programma dell’analisi che segue. Si parte dalla critica di una concezione della scienza storico-sociale. Riprendiamo la lettura dei paragrafi critici della sociologia:

1432)



La sociologia è dunque un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l’avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghian da si svilupperà una quercia. L’evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico. (Q,



‘:









‘.

È qui posto in evidenza come la ricerca sperimentale di leggi sociologiche è il risultato di una concezione naturalistica della storia. Questa concezione della storia esclude ogni novità che ri sulti da interventi umani-soggettivi: cosf come la quercia è im plicita nella ghianda, è il suo sviluppo, l’avvenire è implicito nel passato e nel presente, è la proiezione delle condizioni determi nanti. Quantunque la storia non sia intesa come costante ripeti zione dello stesso, ed un certo ordine di novità sia cosf riconosciu to, essa è rappresentata come un processo di sviluppo, cioè accre scimento, espansione, svolgimento, insieme dei processi attraverso i quali un organismo acquista la sua forma matura. Questo concetto di sviluppo che fonda lo svolgimento storico come processo regolato dalle condizioni oggettive nega il « passag gio della quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità ». Soffermiamoci su questo passaggio Solitamente la critica all’evoluzionismo ed alla legalità sociologica si è risolta nella contrapposizione di un’altra legge di evoluzione alla concezione del mutamento graduale e di un’altra ‘legalità (riformistico) della società viene opposta la concezione del mu tamento secondo rotture repentine (rivoluzionarie); però anche in quest’ultima concezione il mutamento sociale è concepito secondo il canone di una legge obiettiva, la legge appunto del passaggio dalle trasformazioni quantitative alle trasformazioni qualitative, se condo la quale naturalmente dall’accumulo delle piccole e parziali trasformazioni ad un dato momento avviene la metamorfosi del tutto. Gramsci non a caso non solo evita di parlar di ‘legge dia lettica (del passaggio dalla quantità alla qualità), ma esplicitamen

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I





te sostiene che questo passaggio « turba ogni legge ». Gramsci nega con ciò non i rapporti dialettici ma la loro assunzione come legge della storia, come ad esempio allorché si sostiene che il ca pitalismo è la ghianda del socialismo, cioè che lo sviluppo del ca pitalismo, il graduale accumulo delle sue proprie contraddizioni, sfocia necessariamente nel socialismo. Il problema del passaggio e delle leggi Gramsci l’aveva già af frontato nel paragrafo precedente dove, dopo aver riconosciuto una certa utilità pratica a certi tipi di leggi (su ciò ci soffermeremo più-oltre), osserva che:







Ma non è stato messo in rilievo che la legge statistica può essere impiegata nella scienza e nell’arte politica solo fino a quando le grandi masse della popolazione rimangono essenzialmente passive per rispetto alle quistioni che interessano lo storico e il politico o si suppone rimangano passive [...] Infatti nella politica l’assunzio ne della legge statistica come legge essenziale, fatalmente operante, non è solo errore scientifico ma diventa errore pratico in atto; essa inol tre favorisce la pigrizia mentale e la superficialità programmatica. È da osservare che l’azione politica tende appunto a far uscire le mol titudini dalla passività, cioè a distruggere la legge dei grandi numeri; come allora questa può essere ritenuta una legge sociologica? Se si riflette bene la stessa rivendicazione di una economia secondo un piano, o diretta, è destinata a spezzare la legge statistica meccanica mente intesa, cioè prodotta dall’accozzo casuale di infiniti atti arbi trari individuali, sebbene dovrà basarsi sulla statistica, il che però non significa lo stesso: in realtà la consapevolezza umana si sostitui sce alla spontaneità naturalistica. Un altro elemento che nell’arte politica porta allo sconvolgimento dei vecchi schemi naturalistici è il sostituirsi, nella funzione direttiva, di organismi collettivi (i partiti) ai singoli individui, ai capi individuali (o carismatici, come dice 11 Michels). (Q, 1429-30)

È da rilevare intanto che, sebbene Gramsci in questo brano considera esplicitamente le leggi statistiche della sociologia, il di scorso coinvolge tutte le leggi sociologiche, cosf come risulta dal medesimo contenuto delle argomentazioni e da un trittico di para

Per Gramsci la storia è storia umana, è la praxis degli uomini,

‘,

grafi (Libertà e ‘automatismo Regolarità e necessità, Previsione e prospettiva) incentrati sul problema.

non è data naturalmente ma è costruita soggettivamente, ove per soggettivo è da intendersi l’intervento attivo più o meno consape vole. Punto di riferimento essenziale sono le Tesi su Feuerbach. da Gramsci ritradotte in carcere. La prima, specialmente, che si apre criticamente cosf:





Il vizio fondamentale di ogni materialismo, fino ad oggi, com preso quello di Feuerbach è che l’oggetto, il reale, il sensibile è

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(Q.

2355)

cnnccpito solo sotto la forma dell’oggetto o della intuizione; ma non



come attività sensibile umana, praxis, non soggettivamente.





L’otiava: « La vita sociale è essenzialmcnte pratica. Tutti i mi steri, che sviano la teoria verso il misticismo, trovano il loro sciogli mento razionale nella praxis umana, e nel concetto di questa praxis ». La nona, laddove il « materialismo contemplativo » è definito e cri ticato in quanto « materialismo che non concepisce il reale come attività pratica » (Q, 2357). Se la storia è praxis, per inteiligerla concretamente occorre però distinguere in essa con concetti nuovi le diverse strutture (artico (azioni) di questa praxis. E ciò che fa Gramsci. Egli distingue tra la situazione pratica in cui « le grandi masse della popolazione rimangono essenzialmente passive » e la situazione pratica in cui « l’azione politica tende appunto a far uscire le moltitudini dalla passività ». Nel primo tipo cli situazione la storia appare come « prodotta dall’accozzo casuale di infiniti atti arbitrari individuali », nel secondo « in realtà la consapevolezza umana si sostituisce alla propri della storia con spontaneità naturalistica ». Fenomeni caratteristici di questo secondo tipo di situazione ten’pormea pratica sono « il sostituirsi, nella funzione direttiva, di organismi collettivi (i partiti) ai singoli individui, ai capi individuali », « lo estendersi dei partiti di massa e il loro aderire organicamente alla vita piii intima (economico-produttiva) della massa stessa », la « ri vendicazione di una economia secondo un piano, o diretta ». Ora, come è sorto il concetto di regolarità e di leggi nello svi lippo storico? Le « leggi della storia » sono sorte come generaliz zazioni astratte dal primo tipo di situazione pratica. I singoli in dividui interagiscono sul piano degli interessi privati, in modo tale da non risultarne nessuna coerente attività politica. Le masse si organizzano ed agiscono ad un livello pre-politico (religioso, eco nomico-corporativo, consurnistico, ludico, psicologico). Gli atti con creti degli individui e delle masse. nella situazione pratica che cosf deniscono, sembrano non costituire storia, non produrre nes la forma suna concreta attività storica. Il loro svolgersi acquista della casualità, il loro ripetersi cluella della regolarità e necessità. I.,a generalizzazione astratta di questa esperienza pratica e l’assun zione acritica della stessa ideologia che la conforma, raffinata teo ricamente, conduce alla proposizione di leggi che descrivono e presuntivarnente spiegano e guidano lo sviluppo storico. Dal momento che i risultati storici (i fatti storici) non sono quelli consapevolmente voluti e perseguiti nella praxis di ogni sin golo individuo e della massa stessa, la storia appare non come il prodotto della praxis umana (concreta) bensf come il prodotto di !orze iiatnrali (quando non siano intese addirittura come forze 60

i



extrastoriche), che agiscono secondo una propria logica (che de termina i singoli fatti storici in quanto facenti parte di un sistema di relazioni predeterminate, le cui parti stanno giuridicamente connesse) secondo la quale, date certe relazioni, se ne può preve dere lo sviluppo. Le due lettere di Engels che Gramsci ricorda in questo stesso pa ragrafo trattano il medesimo problema. Engels nella prima cosf scrive:



[...1 la storia si forma in modo tale che i] risultato finale scaturisce sempre dai conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali alla sua volta viene prodotta da una quantità di speciali condizioni della vita; ci sono adunque innumerevoli forze che s’incrociano, un gruppo infinito di parallelogrammi delle forze, da cui esce una risultante che alla sua volta può nuovamente es l’avvenimento storico sere considerato come i prodotto di una potenza agente, come un tutto, incoscientemente e involontariamente. Però quel che ogni sin golo vuole, viene impedito da ogni altro, e quel che ne risulta è



storia, ma finora non con una generale, neppure in una data contrariano; ed in ogni simile necessità, di cui l’accidentalità



una qualche cosa che nessuno ha voluto. In questo modo la storia scorre fino ad ora a guisa d’un processo naturale, e in sostanza è anche esposta alle stesse leggi di moto. Ma, per il fatto che le sin gole volontà ognuna delle quali vuole quello a cui la spingono la sua costituzione fisica o circostanze esteriori ed in ultima istanza economiche (o sue proprie personali o generali della società) non raggiungono ciò che vogliono, ma si fondono in una media generale, in una resultante comune, per questo fatto non si può ancora concludere che esse siano eguali a zero. Al contrario, ognuna contribuisce a pro durre la resultante ed è in essa compresa °. E nella seconda: Gli uomini fanno essi stessi la loro volontà generale e secondo un piano società limitata. Le loro aspirazioni si società prevale appunto per questo la

è il complemento e la forma di manifestazione. La necessità, che si impone attraverso ogni accidentalità, è alla fin fine la necessità eco nomica .

-

-

Marx Engels Lassalle, Opere, Ivi, p. 8.

nt.,

jx 5.

Dal confronto tra queste proposizioni engelsiane e il paragrafo gramsciano in cui sono richiamate risulta evidente che Gramsci a queste due lettere si riferiva non soltanto per identificare in esse gli inizi dell’autocritica del pensiero marxista di fronte alla sua tendenza deteriore, ma insieme per identificare altresf in esse sia certe premesse teoriche della scienza della storia e della politica, ‘

61



‘,

sia la persistenza nel vecchio Engels del feticcio di una conce zione legalitaria della storia. Le premesse sono da individuare in quelle proposizioni engel siane che rappresentano i processi storici come prodotti della pra tica umana concreta. Questo presupposto risale all’Ideologia Te desca: I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre saio nell’immagina zione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condi zioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esi stenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione 17

K.

-

»,

Marx F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 8.

»,

Solitamente il presupposto si presenta in compagnia del prin cipio (fondamentale del materialismo storico) della determinazione della sovrastruttura da parte della struttura. Il presupposto ed il principio sono affermati insieme, anzi sono presentati come com plementari: reciprocamente l’uno viene tirato in ballo di fronte alle accuse a cui l’altro è sottoposto ed alle insufficienze di cia scuno di dare ragione sufficiente di specifici processi. Tale coesi stenza è presente nelle proposizioni engelsiane citate. Le due let tere engelsiane rispondono in effetti alle domande di due studen ti che chiedono «fino a qual punto le condizioni economiche ine « come sia stato inteso da Marx ed En fluiscono causalmente gels stesso il principio fondamentale del materialismo storico » ri guardante la determinazione economica. Per rispondere a tali do mande anche Engels espone l’uno di fianco all’altro il presupposto ed il principio ma, non limitandosi a questo, tenta un passo ulte riore: spiegare il rapporto tra i due individuando il passaggio teo rico dall’uno all’altro. Il principio, lo svolgimento della storia secondo le « stesse leggi è presentato come la conclu di moto » « d’un processo naturale sione di un sillogismo in cui le premesse sono: la prima, che « noi stessi facciamo la nostra storia », la quale risulta « sempre dai con flitti di molte volontà singole »; la seconda, che però « quel che ogni singolo vuole, viene impedito da ogni altro, e quel che ne risulta è una qualche cosa che nessuno ha voluto ». Questo nella prima lettera. Nella seconda il ragionamento si ripete: (prima pre messa) « Gli uomini fanno essi stessi la loro storia »; (seconda premessa) « ma finora non con una volontà generale e secondo un piano generale; le loro aspirazioni si contrariano »; (conclusione) « in ogni simile società prevale appunto per questo la necessità ». Ma qui Engels aggiunge un nuovo elemento, informandoci sul fatto che ciò che è espresso nella conclusione (il principio) « pre 17

62

»,









vale » e « si impone » sulle premesse nella esplicazione dei pro cessi storici. La a necessità » si impone attraverso ogni « acciden talità le leggi della storia cioè prevalgono tramite la casuale attività dei singoli. Quest’ultima (il presupposto) si pone come « il complemento e la forma di manifestazione » della legalità storica. Questa operazione engelsiana di teorizzazione dei rapporti fra il presupposto ed il principio ottiene dei risultati puramente ver bali. Difatti la conclusione logica dalle premesse (presentarsi i fe nomeni storici non coincidenti con la volontà e le idee di chiun que) sarebbe da identificare in una storia senza indirizzi prefissati, appunto illegale. Ciò vuoi dire che in effetti il presupposto ed il principio non possono convivere in pace. (Non è testimonianza pa lese di questa incompatibilità la polarizzazione persistente e la lotta, nella storia del marxismo, tra storicisti e strutturalisti? Quantunque entrambi a parole sostengano unitamente il presup posto ed il principio, essi nel far teoria poggiano (sul) e privile giano l’uno o l’altro). Engels osserva che gli eventi storici si realizzano attraverso la concreta attività degli uomini, ma queste attività sono il mezzo attraverso cui si esprimono, agiscono naturali (incoscienti ed involontarie) strutturate secondo proprie leggi di moto. L’inter pretazione della storia si ottiene dunque non tramite l’esame delle attività concrete degli uomini concreti, e delle trasformazioni che ne risultano, ma piuttosto nella individuazione della logica imma nente che conforma queste attività. Agli uomini concreti non è cosf riconosciuta la responsabilità di creatori-produttori della sto ria; la loro attività è ridotta a quella di attori che impersonano una trama. In Engels in tal modo assistiamo ad una trasforma zione del presupposto al fine di farlo convivere col principio, ma proprio tale trasformazione costituisce la sua negazione. Engels, per negare il presupposto nella sua forma originale de finisce la volontà degli uomini come « prodotta da una quantità di speciali condizioni della vita » e la loro attività come « quello a cui la spingono la sua costituzione fisica o circostanze esteriori ed in ultima istanza economiche (o sue proprie personali o gene rali della società) ». Per sostenere insieme che la storia è risultato della attività degli uomini ed al contempo prodotto delle proprie leggi, fa ricorso alla osservazione che l’attività degli uomini poggia sulle circostanze esteriori date; cosi facendo confonde la banale osservazione che ogni iniziativa parte da certe condizioni con la supposizione che ogni iniziativa non sia che (e non sia compren sibile altro che in quanto) lo sviluppo di ciò che sta implicitamen te contenuto nelle condizioni date. Il concetto di determinazione cristallizza la confusione, in

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‘.







‘,

due quanto adoperato indistintamente per esprimere teoricamente pre la diverse questioni: la terrestrità dell’attività degli uomini e determinazione della direzione di sviluppo della storia. Che En rapporti ete gels tenti di risolvere in un medesimo concetto due accompa rogenei è da leggersi anche nel fatto che frequentemente istanza gna al termine determinazione la formula ‘in ultima contenuto di il che comunque non ci dice nulla di concreto sul vago, questo concetto, mentre invece lo rende sufficientemente verbalmente comprensivo di rapporti eterogenei. propria con In sintesi è questo il modo in cui Engels fonda la accargere che la cezione legalitaria è valida « finora ». Ci si può politica delle zione pratica, quella caratterizzata dalla passività non per masse. Engels fissa la validità della concezione legalitaria in classi; egli tutta la storia ma per la storia delle società divise che tale con difatti dichiara esplicitamente nella seconda lettera accorgere che la cezione legalitaria è valida « finora ». Ci si può afferma la seconda premessa del sillogismo la cui conclusione situazione sto necessità nella storia, esplicitamente delimita una volontà gene rica definita temporalmente: «finora non con una l’imposses rale e secondo un piano generale ». Engels rimandava della so samento della storia da parte degli uomini all’avvento generale della cietà senza classi, realizzazione secondo un piano volontà generale dei due Da tutto ciò risulta palese che Gramsci nella costruzione rappor preciso paragrafi critici della sociologia aveva stabilito un concezione materia to teorico con le due lettere engelsiane sulla problemi affron listica della storia. Ma Gramsci prende in esame i di dell’elaborazione tati da Engels nelle lettere non in funzione di analisi termini una concezione generale della storia, bensf in l’origine sto storica concreta. Per Gramsci si trattava di spiegare della storia e rica (teorica e pratica) delle concezioni legalitarie a questo pro costruire una scienza della storia e della politica; pratica è fonda posito la distinzione fra i due tipi di situazione non era soio un mentale. Agli inizi degli anni trenta il socialismo non interpreta progetto ma una realtà storica concreta; e Gramsci modalità pre le la realtà del suo tempo conformandola secondo Non spartisce la fissate da una concezione generale della storia. l’analisi della storia re storia in due fasi, ma identifica attraverso politica degli uo cente la realizzazione di nuovi modi dell’attività consapevole: le collettiva mini, caratterizzati dall’organizzazione pianificato dello organizzazioni politiche di massa e l’intervento dell’attività degli uomini Stato nell’economia. Tali nuove forme pratica. conformano un nuovo tipo di situazione situazioni pratiche col Gramsci pone in relazione le due diverse situazioni in cui « le problema delle leggi nella storia. Se nelle

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L

grandi masse della popolazione rimangono essenzialmente passive « non si può escludere l’utilità pratica di identificare certe leggi di tendenza », in quanto esse forniscono una certa immagine del ri sultato dell’intreccio delle attività degli uomini secondo la loro volontà e i loro piani privati, nelle situazioni in cui « l’azione po litica » fa « uscire le moltitudini dalla passività » quella residua utilità delle leggi scompare, in quanto l’azione politica collettiva è appunto orientata contro le tendenze in atto. Mentre per En gels l’azione organizzata delle masse è rivoluzionaria nella misura in cui aderisce alle leggi della storia, per accelerarne e personaliz zarne lo sviluppo, per Gramsci l’attività politica delle moltitudini è rivoluzionaria nella misura in cui « tende a distruggere la legge dei grandi numeri », quando cioè l’iniziativa produce il passaggio dal primo al secondo tipo di situazione pratica. Ricapitolando: la concezione legalitaria della storia emerge dal l’interno del primo tipo di situazione pratica come una sua genera lizzazione astratta. Nello stesso Quaderno, alcune pagine più avanti, Gramsci, in un paragrafo intitolato Regolarità e necessità, af fronta il medesimo problema riferito direttamente a Marx. Il pa ragrafo inizia con la domanda:

Come è sorto. nel fondatore della filosofia della prassi, il concetto di regolarità e di necessità nello sviluppo storico? La risposta:







‘,



Non pare che possa pensarsi a una derivazione dalle scienze na turali, ma pare invece debba pensarsi a una elaborazione di concetti nati nel terreno dell’economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ri cardo. Concetto e fatto di mercato determinato cioè rilevazione scientifica che determinate forze decisive e permanenti sono apparse storicamente, forze il cui operare si presenta con un certo automa tismo che consente una certa misura di prevedibilità’ e di certezza per il futuro delle iniziative individuali che a tali forze consentono dopo averle intuite e rilevate scientificamente. [.1 Dopo aver rile vato queste forze decisive e permanenti e il loro spontaneo automa tismo (cioè la loro relativa indipendenza dagli arbitrii individuali e dagli interventi arbitrari governativi) lo scienziato ha, come ipotesi, reso assoluto l’automatismo stesso, ha isolato i fatti meramente eco nomici dalle combinazioni pil o meno importanti in cui realmente si presentano, ha stabilito dei rapporti di causa ed effetto, di pre messa e conseguenza e cosf ha dato uno schema astratto di una de terminata società economica. (Q, 1477-8)

In questa risposta Gramsci osserva dapprima che la concezione marxiana delle leggi è elaborata non a partire da una concezione

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‘,



‘.

‘,



‘,





generale della storia (Cioè nel terreno teorico delle sociologie), ma dall’analisi concreta dell’economia capitalistica (cioè nel terreno teorico dell’economia politica). Per ciò il concetto di regolarità e di necessità nello sviluppo storico in Marx non deriva dal mo dello delle scienze naturali, ma dalla forma e dalla metodologia che la scienza economica aveva acquisito con Ricardo. Detto questo Gramsci coglie l’origine dell’elaborazione marxiana delle leggi economiche nella situazione pratica caratterizzata dalla formazione di un determinato mercato generale, il mercato capi talistico. Tale mercato determinato infatti, si costituisce allor quando si generalizzano sulla scena storica comportamenti econo mici relativamente automatici. Questo mercato sembra subire una regolazione spontanea come se funzionasse sotto lo stimolo di una propria razionalità, di proprie leggi che sono appunto le co siddette leggi di mercato Tale struttura regolare si svolge con « relativa indipendenza dagli arbitrii individuali e dagli interventi arbitrari governativi », funzionando cioè indipendentemente dalla azione degli uomini. Di fronte a ciò o lo scienziato » (Marx) spie ga l’automatismo del mercato analizzandolo come se fosse rego lato da « rapporti di causa ed effetto, di premessa e conseguenza »; considerato il processo economico in quanto combinazione di fatti economici giunge all’esclusione della concreta azione umana e fornisce uno « schema astratto » che pone come « assoluto l’auto matismo stesso », il funzionamento regolare del mercato. Gramsci identifica e spiega il configurarsi di un funzionamento automatico del mercato nella comparsa sulla scena storica di determinati gruppi sociali omogenei e relativamente permanenti che svolgono una azione razionale, portatori cioè di nuovi com portamenti economici razionali. Questi gruppi regolano il mercato mettendo in opera « iniziative individuali » basate sul calcolo in dividuale, secondo un omogeneo comportamento di gruppo. Que sto comportamento è orientato a garantire agli stessi gruppi « cer tezza per il futuro » attraverso la riproduzione allargata delle con dizioni economiche date; è questo che secondo Gramsci « consen te una certa misura di prevedibiità », nella misura in cui ap punto le iniziative presenti organizzano un futuro calcolato. Marx, come Gramsci annota, aveva « rilevato queste forze de cisive e permanenti », ma aveva assegnato il dispiegarsi della loro azione al terreno determinante della produzione, dei rapporti di produzione; il mercato rimaneva determinato appunto dalla pro duzione, risultando cosf che la spiegazione del suo funzionamento non richiedeva la considerazione della azione degli uomini in esso. Per Gramsci invece « mercato determinato equivale pertanto a dire determinato rapporto di forze sociali in una determinata struttura dell’apparato di produzione rapporto garantito (cioè 66

reso permanente) da una determinata superstruttura politica, mo





rale, giuridica » (Q, 1477). Di tale complessa definizione ci limi tiamo a questo punto a rilevare che il mercato consiste in un svolge se rapporto di forze sociali il quale, nella misura in cui si condo un equilibrio stabile (che è anche politico e culturale), offre una immagine di funzionamento regolare e necessario. (Ogni crisi del mercato è quindi un mutamento dei rapporti di forza; ma di ciò più oltre). Questa operazione teorico-critica di spiegazione degli automa tismi nei processi economici non come sviluppo di determinate leggi oggettive (immanenti nelle cose’) indipendenti dalla volon tà degli uomini, ma come risultato di un processo di standardiz zazione e generalizzazione dei comportamenti di gruppi sociali orientati a certi fini, era già stata il soggetto di un paragrafo prece dente, intitolato Libertà e automatismo (Q, 1245-6). In esso Gramsci riconosce all’economia politica, al livello da essa attinto con Ricardo, l’avvenuto superamento della concezione deterministica e naturalistica:





‘.



condizioni

e

Quando Ricardo diceva poste queste condizioni’ si avranno queste conseguenze in economia, non rendeva deterministica l’economia stes sa, né la sua concezione era naturalistica

Insieme però coglie nel rapporto cos fissato tra l’elaborazione di un nuovo legalismo: conseguenze

Osservava [Ricardo] che posta l’attività solidale e coordinata di un gruppo sociale, che operi secondo certi principii accolti per convinzio ne (liberamente) in vista di certi fini, si ha uno sviluppo che si può chiamare automatico e si può assumere come sviluppo di certe leggi riconoscibili e isolabili col metodo delle scienze esatte.

La spiegazìone gramsciana degli automatismi non ricorre, invece, ad alcun modello legalitario.

In ogni momento c’è una scelta libera, che avviene secondo certe linee direttrici identiche per una gran massa di individui o volontà sin gole, in quanto queste sono diventate omogenee in un determinatogliclima ar etico-politico. Né è da dire che tutti operano in modo uguale: bitrii individuali sono anzi moleplici, ma la parte omogenea predomina e detta legge

Non esistono leggi oggettive, ma soltanto l’azione organizzata di gruppi sociali che dettano norme di comportamento alle masse: si tratta cioè del processo di formazione del dominio e del consenso.

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Gramsci va ancora più oltre, ponendo il problema in termini stonei, laddove di seguito annota:

‘,

Che se l’arbitrio si generalizza, non è più arbitrio ma spostamento della base dell’ automatismo nuova razionalità.





‘.

‘,







È cosf posto il problema della formazione degli automatismi e del passaggio da un automatismo ad uno nuovo. Il ‘sistema dell’econo mia borghese’ funziona automaticamente’ non in quanto guidato da leggi e tantomeno per la composizione spontanea degli arbitrii individuali, ma per l’azione conforme delle masse secondo i modelli d’azione prodotti dalle classi dominanti in un determinato clima etico-politico La formazione degli automatismi capitalistici di mer cato non risulta dal passaggio da un tipo di società umana in cui gli arbitrii individuali sano stati predominanti sulla parte omoge nea ad un’altra (capitalista) in cui gli arbitrii individuali diventano omogenei, bensi dal passaggio da un vecchio ad un nuovo automa tismo. Storicamente si è verificato il passaggio non dall’arbitrio al l’autornatismo, ma da un tipo di automatismo ad un altro, prodotti dall’azione di diverse classi dominanti: « spostamento della base dell’ automatismo nuova razionalità ». Come Gramsci aveva scrit to in apertura di paragrafo, « l’automatismo è una libertà di gruppo, in opposizione all’arbitrio indiviclualistico ». Il paragrafo si conclude con la precisazione delle ragioni che spin gono Gramsci a preferire il termine automatismo a quello di raziona ijt, con la sottolineatura che il rendere autonomo l’automatismo ri spetto all’attività pratica degli uomini non è altro che una metafora verbale:









Automatismo è niente altro che razionalità, ma nella parola auto matismo’ è il tentativo di dare un concetto spoglio di ogni alone spe culativo: è possibile che la parola razionalità finisca coll’attribuirsi al l’autornatismo nelle operazioni umane, mentre quella automatismo tornerà a indicare il movimento delle macchine, che diventano auto matiche dopo l’intervento dell’uomo e il cui automatismo è solo una metafora verbale, come lo è detto delle operazioni umane. In qual modo tutto questo riguarda direttamente la concezione legalitaria in Marx? Gramsci ritiene che la critica dei concetti di regolarità e di legge propri dell’economia politica classica è ancora valida riguardo i concetti di regolarità e di legge propri della cri tica dell’economia politica di Marx. Nel paragrafo Regolarità e necessità Gramsci attribuisce alla critica marxiana un preciso superamento dell’economia politica classica:













La critica dell’economia politica parte dal concetto della storicità del mercato determinato e del suo autornatismo mentre gli econo (8











‘,



naturali ‘; la misti puri concepiscono questi elementi come eterni critica analizza realisticamente i rapporti delle forze che determinano il mercato, ne approfondisce le contraddizioni, valuta le modificabilità connesse all’apparire di nuovi elementi e al loro rafforzarsi e presenta la caducità e la sostituibilità della scienza criticata; la studia come vita ma anche come morte e trova nel suo intimo gli elementi che la dissolveranno e la supereranno immancabilmente, e presenta 1’’ erede che sarà presuntivo finché non avrà dato prove manifeste di vitalità ecc.. (Q, 1478)



‘,

Ma ciò Gramsci non considera suflciente per il superamento de finitivo del modello esplicativo (del posto che della legalità fat tuale) raggiunto nella scienza economica con Ricardo:





‘,







‘,

La economia classica ha dato luogo a una critica dell’economia po litica ma non pare che finora sia possibile una nuova scienza o una nuova impostazione del problema scientifico. E...] Per stabilire l’ori gine storica di questo elemento [le leggi] della filosofia della prassi (elemento che è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire I’’ immanenza ‘) occorrerà studiare l’impostazione che delle leggi eco nomiche fu fatta da Davide Ricardo. Si tratta di vedere che il Ricardo non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prassi solo per il concetto di valore in economia, ma ha avuto un’importan za filosofica ha suggerito un modo di pensare e di intuire la vita e la storia. Il metodo del posto che della premessa che dà una certa conseguenza, pare debba essere identificato come uno dei punti di partenza (degli stimoli intellettuali) delle esperienze filosofiche dei fondatori della filosofia della prassi. (Q, 1478-9)

‘,

Gramsci spiega questo elemento di continuità tra il Ricardo ed il Marx con la persistenza di una stessa situazione pratica, dello stes so mercato determinato dei medesimi automatismi. La raziona lità economica continuava ad essere, nel tempo di Marx, prodotta dagli stessi gruppi sociali dominanti nel tempo di Ricardo:

Date queste condizioni in cui è nata l’economia classica, perché si possa parlare di una nuova ‘scienza’ o di una nuova impostazione della scienza economica (il che è lo stesso) occorrerebbe aver dimostra to che si sono venuti rilevando nuovi rapporti di forze, nuove condi





zioni, nuove premesse, che cioè si è determinato un nuovo mercato con un suo proprio nuovo ‘automatismo’ e fenomenismo che si pre



‘.

paragonabile all’automatismo obbiettivo senta come qualcosa di dei fatti naturali [.1 Che nella vita economica moderna l’elemento





‘,



‘,

arbitrario sia individuale, sia di consorzi, sia dello Stato abbia as sunto un’importanza che prima non aveva e abbia profondamente tur bato l’automatismo tradizionale è fatto che non giustifica di per sé la impostazione di nuovi problemi scientifici, appunto perché questi inter venti sono arbitrari di misura diversa, imprevedibili. Può giustifi care l’affermazione che la vita economica è modificata, che c’è crisi

69

i



‘.

automati ma questo è ovvio; d’altronde non è detto che il vecchiodi quelle di amo sia sparito, esso si verifica solo su scale più grandi prima, per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono ‘impazziti (Q, 1478-9)

tarnenti collettivi.













‘.

‘,





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Le condizioni di una nuova scienza emergeranno con l’avvento o dei partiti di massa che confotmeranno un nuovo tipo di situazi il ne pratica, allorquando muta il rapporto di forze costituente mercato per l’ascesa in campo di gruppi portatori di nuovi compor









‘,

occorre prendere secondo Gramsci Da queste considerazioni automati le mosse per stabilire ciò che significa regolarità ‘legge sica smo nei fatti storici. Non si tratta di scoprire’ una legge metafi cau di di determinismo’ e neppure di stabilire una legge generalesi costitu i salità. Si tratta di rilevare come nello svolgimento storico scono delle forze relativamente permanenti che operano con unaa certa regolarità e automatismo. {...] La necessità nel senso specul tivo-astratto e nel senso storico-concreto (Q, 1479) In queste affermazioni è sintetizzata la critica gramsciana dei con rie cetti speculativo-astratti di necessità e di legge in quanto catego e che fissano rapporti di determinnzione e di causalità, ed insiem è

‘,



proposta la spiegazione della regolarità storica in quanto risultato storico concreto dell’azione delle forze sociali che impongono deter minati comportamenti collettivi costanti all’interno di certe situa zioni pratiche. Le ‘leggi della storia non sono per Gramsci indipendenti dalla volontà e dalla coscienza degli uomini, non sono cioè ‘leggi ogget an tive bensi pratiche collettive regolari indotte dalle classi domin ti all’insieme degli uomini. La razionalità della storia consiste nel processo attraverso il quale i tini concreti degli aggruppamenti so ciali dominanti in ciascuna fase storica conquistano il consenso ge nerale. Gramsci precisa ed esplicita questa dimensione soggettiva

(politica) della razionalità della storia:

la cui Esiste necessità quando esiste una premessa efficiente e attiva, con consapevolezza negli uomini sia diventata operosa ponendo deidi tini convin creti alla coscienza collettiva, e costituendo un complesso ri ». zioni e di credenze potentemente agente come le e credenze popola (Q, 1479-80)

‘.



Con questa proposizione si sovverte il senso della concezione kan tiana fatta propria da Engels, secondo la quale la libertà è la co scienza della necessità Quando la consapevolezza negli uomini del la necessità diviene operante si è prodotta nella coscienza e nella 70

L

hanno acquisito autonomia (non agiscono liberamente, non agiscono

azione collettiva una subordinazione ai tini concreti delle classi do minanti. Quando le masse agiscono nella convinzione che la situa zione storica non può che dirigersi verso sbocchi necessari, esse non

in funzione dei propri tini, non hanno una propria politica), ma restano subordinate

sione scientifica

‘.

Se non ci sono leggi che guidino il processo sto



Queste osservazioni pongono direttamente il problema della previ

‘,

rico, è possibile, e cosa vuol dire, prevedere lo sviluppo storico? Se l’avvenire non è legalmente determinato dal passato e dal pre sente, in qual modo esso può essere visto prima, previsto? Gramsci, nel paragrafo Il concetto di ‘scienza mostra come la critica della

stica).

:omune concezione della previsione scientifica è un momento indi spensabile del superamento della concezione legalitaria della storia, e più generalmente d’ogni concezione finalistica (e quindi causali



impostare esattamente il problema della scrive È necessario prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare csaurientemente la concezione del causalismo meccanico, per svuotarla di ogni prestigio scientifico e ridurla a puro mito che fu forse utile nel passato, in un periodo arretrato di sviluppo di certi gruppi sociali su balterni (vedere una nota precedente) 18• (Q, 1404)

Se la razionalità della storia sta nel fatto che i gruppi sociali fon clamentali organizzano la propria azione verso tini storici concreti ed elaborano e costruiscono i mezzi adeguati al raggiungimento di questi, la previsione dell’avvenire prossimo si può in certo modo realizzare in quel tipo di situazioni pratiche nelle quali le masse ri mangono sostanzialmente passive, cioè quando prevale l’automati smo dato dal dominio egemonico delle classi dominanti che ordi nano ai propri tini le attività delle classi subordinate. La regolarità







‘,

IS Gramsci si riferisce, come indicano i curatori dell’edizione critica, alla Nota i di p. 1394: « A proposito della funzione storica Svolta dalla conce zione fatalistica della filosofia della praxis si potrebbe fare un elogio funebre di essa. rivendicandone la utilità per un certo periodo storico, ma appunto per ciò sostenendo la necessità di seppellirla con tutti gli onori del caso. Si potrebbe veramente paragonare la sua funzione a quella della teoria della grazia e della predestinazione per gli inizi del mondo moderno che poi ha però culminato con la filosofia classica tedesca e con In sua concezione della ato popolare del libertà come coscienza della necessità. Essa è stato un surrogvo ed elementare grido dio lo vuole tuttavia anche su questo piano primiti era un inizio di concezione piò moderna e feconda di quella contenuta nel dio lo vuole’ o nella teoria della grazia. [..] 11 deperimento del fatalismo e del meccanicismo indica una grande svolta storica ».

7[











in realtà ha un program

dei comportamenti collettivi, individuata con gli strumenti della statistica, può dar luogo in queste situazioni pratiche a delle pre visioni fondate sullo svolgimento quantitativo delle tendenze pre senti. Questa operazione di rappresentazione anticipata non può in cludere la rappresentazione delle novità storiche, ma solo la conti nuazione dall’esistente. La previsione in tal senso è una previsione tecnica, una tecnica funzionale alla riproduzione dei rapporti di forza dati, della passività delle masse. Ma allora, è possibile prevedere le novità storiche, i mutamenti qualitativi (il socialismo, ad esempio)? Cominciamo intanto coi ri levare, con Gramsci, che la previsione non è un atto scientifico di conoscenza. Si conosce ciò che è stato o è, non ciò che sarà, che è un non esistente’ e quindi inconoscibile per definizione » (Q, 1404). A meno che, appunto, ciò che sarà non sia altro che la ri produzione allargata di ciò che è. (In questo senso il futuro pros simo prevedibile è da considerare come presente, in quanto non contiene alcuna novità. Il presente non è da intendersi in termini di istante cronologico, ma come tutta una situazione storica se gnata dalla persistenza di determinati comportamenti regolari). Ora, il vero futuro, una situazione cioè inciusiva di novità sto riche, non può essere oggetto di conoscenza scientifica, ma solo di progetto politico.





‘.

scrive Gramsci Chi fa la previsione ma da far trionfare. (Q. 1810) Ed ancora: ‘



Realmente si prevede nella misura in cui si opera, in cui si ap plica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato preveduto (Q, 1403) Questo non significa che l’attività predittiva equivalga all’attività politica, ne costituisce soltanto un momento, un momento specifi camente teorico. La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di cono scenza, ma come l’espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva. (Q, 1403-4) Come più precisamente intendere questo atto teorico che tut tavia non è conoscitivo? Innanzitutto esso consiste nella proposi zione alla coscienza ed alla volontà degli uomini di fini tali da su scitare un complesso di comportamenti collettivi informati ad una diversa razionalità. Consiste cioè nell’elaborazione di un progetto. Questa proposizione di fini e questa elaborazione di progetti non 72

i

sono atti di conoscenza, ma si basano su atti di conoscenza. Non qualsiasi progetto acquista il carattere di una previsione razionale; si possono produrre (si producono) previsioni arbitrarie, gratuite, utopiche. Condizione necessaria di una previsione razionale è la ri gorosa individuazione degli elementi fondamentali e relativamente permanenti del processo storico, cioè delle forze sociali decisive. Per prevedere bisogna prima conoscere, ma non basta: bisogna in sieme volere.





‘:

‘,



Solo chi fortemente vuole identifica gli elementi necessari alla realiz zazone della sua volontà. [...j Ciò si vede dalle previsioni fatte dai cosf detti spassionati esse abbondano di oziosità, di minuzie sot tili, di eleganze congetturali. Solo l’esistenza nel previsore’ di un programma da realizzare fa sj che egli si attenga all’essenziale, a quegli elementi che essendo organizzabili suscettibili di essere diretti o de viati, in realtà sono essi soli prevedibili. (Q, 1811)







‘.





L’atto del prevedere in quanto atto teorico non conoscitivo ma più precisamente progettuale, collega l’attività scientifica e l’attività politica, la razionalità teorico-scientifica e la razionalità storico-po litica. Queste osservazioni pongono il problema della scienza e della po litica e del rapporto tra queste. Problema che affronteremo positi vamente più avanti. Esso è stato qui preso in considerazione per il fatto che la critica delle leggi implica la critica del comune concetto di previsione scientifica Difatti la credenza nella operosità di leggi oggettive (immanenti al processo storico) crea l’illusione che è possibile anticipare scientificamente il futuro; ma è soprat tutto il bisogno di esser certi del proprio futuro, di aver fede nel proprio successo (l’atto del prevedere con certezza scientifica è un atto di fede) che richiede che la storia si dispieghi secondo leggi indipendenti dalla propria e dall’altrui volontà.

La posizione del problema come una ricerca di leggi, di linee costan ti, regolari, uniformi è legata a una esigenza, concepita in modo un po’ puerile e ingenuo, di risolvere perentoriamente il problema pratico della prevedibilità degli accadimenti storici. (Q, 1403)





problema del rap

»

In questo modo «Si pensa generalmente che ogni atto di previ sione presuppone la determinazione di leggi di regolarità del tipo di quelle delle scienze naturali. Ma siccome queste leggi non esi stono nel senso assoluto (o meccanico) che si suppone, non si tiene conto delle altrui volontà e non si prevede la loro applicazione. Pertanto si costruisce su una ipotesi arbitraria e non sulla realtà

Questa critica delle leggi storiche ci riporta

(Q, 1811).

73



‘,

portc della sociologia con il modello delle scienze naturali. Dal momento che tale modello viene adottato per l’analisi dei fatti urnani (storico-politici), a questi vengono attribuite le caratteristiche dei Fenomeni materiali delle cose, cioè regolarità costanti in Ufl S1 sterna di rapporti necessari. ‘,







Poiché pare per uno strano capovolgimento delle prospettive, che le scienze naturali diano la capacità di prevedere l’evoluzione dei pro cessi naturali, la metodologia storica è stata concepita scientifica solo sc e in quanto abilita astrattamente a ‘prevedere l’avvenire della so cietà 19 (Q, 1403)

Nota teorica VI,

pp. 138-44.



Con la critica complessiva delle scienze sociali (le sociologie ‘) Gramsci inizia l’elaborazione della scienza della storia e della po litica. 9 Cfr., ,nfra,

1

Il. La scienza della storia e della politica

i. Dalla esperienza alla filosofia ed alla scienza



...

La critica delle sociologie è l’avviamento della scienza della storia e della politica. In effetti ogni scienza si costituisce come critica delle elaborazioni scientifiche precedenti: la marxiana scienza della economia si presenta come critica dell’economia politica. L’avviamento della critica suppone il possesso di un punto di vista teorico superiore, autonomo rispetto alle teorie che costituiscono il sog getto della critica. La distinzione tra il momento polemico ed il momento positivo ha un valore puramente espositivo, dal momento che il carattere costituente della scienza è dato dalla criticità. Tut tavia nel concreto strutturarsi di una scienza è possibile individuare un passaggio dall’implicito all’esplicito, cioè un processo di progres iva autonomizzazione della nuova scienza dai materiali teorici an tecedenti. Processo questo che si svolge nell’intreccio di tre mo menti di ulteriore elaborazione: elaborazione allargata del nucleo teorico originario, analisi concreta delle novità, espansione della nuova scienza come coscienza teorica collettiva. Ci proponiamo ora di esplicitare gli elementi costitutivi fonda mentali della gramsciana scienza della storia e della politica già nella precedente esposizione della critica delle contenuti ‘in germe sociologie. Torniamo ai due paragrafi dei Quaderni dai quali siamo partiti. [mmediatamente dopo la proposizione di apertura del paragrafo Riduzione della filosofia della praxis a una sociologia, nella quale critica la « cristallizzazione della tendenza deteriore E I consistente nel ridurre una concezione del mondo a un formulano meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca », Gramsci esplicita il punto di vista teorico che, stando alla base di quella avviava la nuova scienza della storia e della politica: critica,





‘.





















L’esperienza su cui si basa la ftlosofia della praxis non può essere schematizzata; essa è la storia stessa nella sua infinita varietà e molte plicità il cui studio può dar luogo alla nascita della filologia come metodo dell’erudizione nell’accertamento dei fatti particolari e alla na scita della filosofia intesa come metodologia generale della storia. (Q, i428-9)





Per Gramsci la conoscenza scientifica dei processi storico-politici non prende l’avvio da alcuna concezione generale del mondo e della storia, bensi dall’esperienza. Il contrario, cioè partire da una filosofia, produce necessariamente una subordinazione che impedi sce il raggiungimento dell’autonomia della nuova scienza. Come ab biamo visto nella critica delle sociologie, la caduta teorica del marxi è contenuta nella assunzione del il suo deterioramento smo materialismo filosofico come fondamento dell’analisi scientifica dei processi storici e naturali. Ma cosa è questa esperienza che fonda il processo conoscitivo? Non si tratta certamente dei dati empirici, poiché questi sono già ordinamenti della realtà elaborati sulla base di concezioni teoriche determinate esplicite o implicite. Per espe rienza Gramsci intende i processi storici concreti, la storia stessa nella sua infinita varietà e molteplicità ‘; esperienza che non può essere schematizzata proprio per il fatto che non è costituita di dati (classificabili), ma di azioni. di processi complessi individuali. In tal modo Gramsci si oppone simultaneamente tanto ad una fon dazione di carattere speculativo, quanto ad una fondazione di carat tere empirista della conoscenza scientifica. Lo studio di questi processi concreti apre due forme di cono scenza a cui Gramsci riconosce validità: la filologia e la filosofia. Il che non vuoi dire che l’analisi dei processi storici costruisce due metodi. Alla base della conoscenza sta una attività specifica: « lo studio », lo svolgimento d’una indagine relativa ad un insieme di processi determinati. Il metodo è la struttura di questa attività Con creta, e non invece un sistema normativo elaborato indipendente mente. (Ogni metodologia scissa da una pratica conoscitiva si presenta infatti come una etica normativa). L’analisi dei processi storici si organizza in due strutture fon damentali, che sono appunto la filologia e la filosofia. Per filologia è da intendersi la struttura dell’attività di ricognizione degli acca dimenti storici in quanto accertabili nella propria determinata indi vidualità. Questa attività si presenta dunque come una prima orga nizzazione dell’esperienza storica che produce ciò che di solito è denominato dati empirici Questi dati però non sono dati ma costruiti, in quanto non costituiscono il materiale originario della conoscenza ma già un risultato di essa. Il dato empirico è l’espe Questo metodo conoscitivo che è la filologia configura nel pro-

rienza filologicamente organizzata.

76







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‘.



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prio sviluppo storico e nell’interna articolazione logica tre progres. sivi gradi o momenti. Il primo è dato dalla filologia come semplice constatazione dei fatti storici particolari, vale a dire dalla storio grafia descrittiva (bistoire événementielle); il secondo grado è dato da una attività che organizza quei fatti storici particolari secondo categorie compilative. Questa attività produce aggregazioni di dati e corrisponde a quell’ambito della conoscenza sociale comu nemente designato come sociologia empirica o statistica. La critica della sociologia-scienza sociale alternativa al marxismo e la critica delle leggi immanenti ai processi storici, « non significa che non si possa costruire una compilazione empirica di osservazioni pratiche che allarghino la sfera della filologia come è intesa tradizionalmente. Se la filologia è l’espressione metodologica dell’importanza che i fatti particolari siano accertati e precisati nella loro inconfondibile ‘individualità’, non si può escludere l’utilità pratica di identificare certe ‘leggi di tendenza più generali che corrispondono nella po litica alle leggi statistiche o dei grandi numeri che hanno servito a far progredire alcune scienze naturali » (Q. 1429). Questo secondo grado della filologia, come di seguito Gramsci mostra in un passag gio che già abbiamo preso in esame, mantiene una certa validità solo all’interno del primo tipo di situazioni pratiche, caratterizzate dalla relativa passività delle masse. Il terzo grado o momento della filosogia, in un certo senso so stitutivo del secondo nelle situazioni pratiche definite dall’attività organizzata delle moltitudini, è denominato da Gramsci « filologia vivente ». Questo tipo di attività conoscitiva si realizza nel rap porto tra le grandi masse, il partito e i gruppi dirigenti. Il partito si pone come nuovo soggetto di conoscenza che struttura le attività conoscitive in modo da organizzare l’esperienza storica particolare come conoscenza (e giudizio) continua e molecolare. Conoscenza che « non avviene più da parte dei capi », e da parte dei singoli filologi « per intuizione sorretta dalla identificazione di leggi sta tistiche, cioè per via razionale e intellettuale, troppo spesso fal ma av che il capo traduce in idee-forza, in parole-forza lace, viene da parte dell’organismo collettivo per compartecipazione at tiva e consapevole per con-passionalità per esperienza dei par ticolari immediati, per un sistema che si potrebbe dire di filologia vivente Cosf si forma un legame stretto tra grande massa, partito, gruppo dirigente e tutto il complesso, bene articolato, si può muo vere come un uomo-collettivo > (Q, 1430). La filologia, nell’insieme dei suoi gradi o momenti, è una strut tura conoscitiva che non raggiunge da sé il livello della conoscenza una organizzazione dell’esperienza che può attingere scientifica. un alto grado di precisione nell’accertamento empirico dei fatti sto rico-sociali, che produce dati ‘leggi di tendenza consapevolezza

77



pratica dei processi collettivi immediati; non elabora però concetti e teorie, e perciò non giunge alla interpretazione e spiegazione dei processi che constata. la scienza della storia e della politica la struttura conoscitiva che permette di attingere la spiegazione teorica dei processi storici, attraverso l’elaborazione di concetti. (Cosa siano questi concetti lo discuteremo più oltre). Gramsci adopera le espressioni filosofia della praxis e scienza della storia e della politica come intercambiabili, almeno entro certi limiti. Con ambedue le espressioni egli qui identifica indistintamente quella che abbiamo definita come seconda struttura conoscitiva fondamentale. Tuttavia, nell’insieme dei Qua derni, l’espressione filosofia della praxis designa un ambito teorico dai confini indecisi; talvolta si allarga a comprendere l’insieme della teoria e persino della cultura marxista, talaltra si propone più re strittivamente in sostituzione dell’espressione materialismo storico (a volte come semplice sostituto terminologico, ma nella maggior parte dei casi come espressione criticamente alternativa). L’espres sione scienza della storia e della politica designa invece sempre un definito ambito teorico, la proposta di una struttura esplicativa scientifica dei processi storici. E da rilevare che questa seconda espressione s’impone progressivamente nei Quaderni, e che tende sempre più ad acquisire autonomia e più precisi contenuti in quanto proposta d’una nuova scienza. Ma il fatto che le due espressioni restino intercambiabili rivela che Gramsci non aveva compiutamen te definito il rapporto tra la teoria marxista e la propria elabora zione. Non è però ancora il momento di affrontare il problema di questo rapporto; occorre ancora esaminare pid da vicino questa seconda struttura conoscitiva.





Questa scienza della storia e della politica non prende il movi mento da principi o assiomi pre-costituiti (categorie filosofiche ge nerali), e neppure dai dati empirici (dai prodotti della filologia), ma dall’esperienza storica stessa. Quando nei processi storici con creti si manifestano situazioni problematiche, cioè determinate dif ficoltà storicamente decisive la cui soluzione non può emergere dallo sviluppo lineare degli automatismi predominanti, ma richiede la creazione di una razionalità storica nuova, matura la necessità di un tipo di conoscenza critica e creativa superiore alla semplice ela borazione filologica. Non solo: queste situazioni problematiche esi gono la formazione di una scienza nuova in quanto fuoriescono dall’ambito teorico delle scienze date, vale a dire allorquando i nuovi problemi denunciano l’insufficienza delle risposte che si pos sono ottenere attraverso l’analisi (di essi) con gli strumenti teorici di cui dispone la struttura conoscitiva data. Insufficienza delle ri sposte nel senso che l’azione organizzabile mediante i concetti pro pri di una determinata scienza non permette di risolvere pratica78







mente le difficoltà concentrate e annodate in situazioni di crisi. Da questo punto di vista l’affermazione marxiana che « l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione » 20, va « svolta criticamente E...] e depurata da ogni residuo di meccanicismo e fatalismo » (Q, 1774): se è vero che un problema diviene reale e attuale quando esistono le forze sociali che possono affrontarlo, ciò non vuol dire che que ste siano da sé in condizione di risolverlo, poiché per ciò è neces sario costruire anche una struttura conoscitiva in grado di organiz zare la soluzione. Le situazioni storiche di crisi sono precisamente quelle in cui si verifica la contraddizione per cui da una parte esi stono le forze sociali che possono avviare il passaggio ad una nuova superiore organizzazione sociale, mentre dall’altra non esiste ancora la struttura conoscitiva in grado di comprendere la crisi stessa e di progettarne il superamento, ornogeneizzando, potenziando e ren dendo efficienti in tutti i suoi elementi quelle forze sociali. Ecco perché la situazione di crisi organica è data secondo Gramsci dalla contraddizione tra la struttura e la sovrastruttura ‘; ed ecco perché essa può prolungarsi irrisolta per decenni. Da queste situazioni di crisi organica si esce con svolte storiche di segno regressivo o progressivo, attraverso cioè il ripristino coat to di razionalità sorpassate o mediante la costruzione di una nuova razionalità. Condizione dell’avviamento di una svolta storica pro gressiva è appunto la fondazione di una nuova scienza e la sua espansione nella coscienza collettiva; difatti « si può escludere che, di per se stesse, le crisi economiche immediate producano eventi fondamentali; solo possono creare un terreno più favorevole alla diffusione di certi modi di pensare, di impostare e risolvere le qui stioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita statale » (Q, 1587), cioè di una nuova scienza della storia e della politica. Ecco perché il problema della identità di teoria e pratica si pone specialmente in certi momenti storici cosi detti di transizione, cioè di pili rapido movimento trasformativo, quando realmente le forze pratiche sca tenate domandano di essere giustificate per essere pii’i efficienti ed espan sive, o si moltiplicano i programmi teorici che domandano di essere anch’essi giustificati realisticamente in quanto dimostrano di essere assimilabili dai movimenti pratici che solo cosf diventano piii pratici e reali. (Q, 1780)

Dalle precedenti considerazioni viene fuori un nuovo concetto

ia critica dell’economia politica, Editori Riuniti,

di scienza (della storia e della politica): la scienza è l’insieme delle

20 K. Marx, Prefazione a Per Roma 1974, pp. 5-6.

79



‘,







attività pratico-critiche tese a riorganizzare l’esperienza e a ricercare una nuova razionalità storico-politica. I conflitti sociali e politici propri di un dato ordinamento sociale (le contraddizioni della razio nalità storico-politica data) sono colti nella coscienza scientifica e risolti teoricamente nella individuazione degli elementi necessari alla realizzazione del passaggio ad una nuova superiore razionalità. La scienza è una impresa di creazione di una nuova razionalità teo rico-scientifica, critica della razionalità storico-politica data e inizio di una razionalità nuova. Ecco perché la scienza è sempre rivolu zionaria; ed ecco perché le attività teoriche di riproduzione della razionalità data sono delle tecniche di contenimento e di con trollo (come le sociologie). Naturalmente la scienza non produce da se stessa la nuova razionalità storico-politica concreta, la quale si costruisce nella lotta politica dalla scienza guidata. Ora, da questo punto di vista, quali rapporti intercorrono tra le rivoluzioni teorico-scientifiche (la costituzione di una nuova scienza) e le rivoluzioni storico-politiche (l’organizzazione di nuovi comportamenti collettivi razionali)? Abbiamo visto che il terreno sul quale si è costituita la scienza della storia e della politica fu la grande crisi la crisi organica mondiale degli anni ‘20; una situazione storica cruciale che culminò nella ristrutturazione dei si stemi politico-economici contemporanei. E questa l’esperienza (com plessa e multiforme) su cui si radica la scienza della storia e della politica; lo studio di quei processi storici porta21• Gramsci ad elabo rare i concetti fondamentali di questa scienza 2. Teoria della crisi organica





Cfr.. infia, Nota

teoria

VII, pp. 144-8.

‘,

La scienza della storia e della politica ha come premessa storica lo sviluppo della grande crisi organica, e l’analisi del problema di questa crisi produce i primi contenuti teorici di questa scienza. Ci soffermiamo perciò sulla crisi, sulla teoria gramsciana della crisi organica, per individuare insieme le condizioni storiche in cui si forma questa scienza, i problemi intorno ai quali lavora, ed i suoi primi concetti. Esaminiamo quei passi dei Quaderni dove più direttamente ed esplicitamente Gramsci analizza tale situazione critica problematica. Prendiamo in esame il paragrafo intitolato La crisi. In essa Gramsci fissa alcuni elementi fondamentali per una teoria della crisi. In primo luogo: con il concetto di crisi Gramsci individua una fase storica complessa di lunga durata e di carattere mondiale, e non uno o più eventi particolari manifestazioni di essa. Il con

80

cetto di crisi definisce difatti ciò che solitamente è denominato pe riodo di transizione, cioè un processo cruciale nel quale si manife stano le contraddizioni della razionalità storico-politica dominante e l’emergenza di nuovi soggetti storici portatori di inediti compor tamenti collettivi.



responsabili.

(Q,

1753-6)



-

—,

che ha molte manife scrive Gramsci Si tratta di un processo stazioni e in cui cause ed effetti si complicano e si accavallano E...] Si può dire che della crisi come tale non vi è data d’inizio, ma solo di alcune manifestazioni più clamorose che vengono identificate con la crisi, erroneamente e tendenziosamente E...] Tutto il dopoguerra è crisi, con tentativi di ovviarla, che volta a volta hanno fortuna in questo o quel paese, niente altro. Per alcuni (e forse non a torto) la guerra stessa è una manifestazione della crisi, anzi la prima manifesta zione; appunto la guerra fu la risposta politica ed organizzativa dei









‘,

Intanto è da notare che la ‘grande guerra date le sue dimen sioni mondiali, manifesta il carattere mondiale della crisi stessa, e corrobora la critica gramsciana della interpretazione « di quelli che nell’ americanismo vogliono trovar l’origine e la causa della cri si» (Q, 1733). Il carattere mondiale della crisi è rimarcato da Gramsci in quel passaggio dove afferma che, sebbene alcuni paesi « hanno sentito più la crisi », è una « illusione » immaginare di poter sfuggire ad essa; illusione che discende dal fatto che « non si comprende che il mondo è una unità, si voglia o non si voglia, e che tutti i paesi, rimanendo in certe condizioni di struttura, passe ranno per certe crisi » (Q, 1757). In qual senso la guerra è stata prima manifestazione della crisi e prima risposta politica ed organizzativa ad essa, lo esamineremo più avanti. Un secondo elemento della teoria della crisi consiste nell’indivi duazione di essa come processo che coinvolge l’insieme della vita sociale, ragione per cui non può essere ridotta a suoi aspetti parti colari: crisi finanziaria, crisi d’autorità, crisi commerciale, crisi pro duttiva ecc. —



la crisi economica scrive Gramsci difficile nei fatti separare dalle crisi politiche, ideologiche ecc., sebbene ciò sia possibile scientifi camente, cioè con un lavoro di astrazione. (Q, 1756)





È con il concetto di crisi organica che Gramsci definisce una crisi storica complessiva. Gramsci contrappone il concetto di crisi organica al concetto di crisi di congiuntura; una crisi di carattere congiunturale « non è di vasta portata storica », « e si presenta co me occasionale, immediata, quasi accidentale » (Q, 1579), ed è de terminata da fattori « variabili e in sviluppo » (Q, 1077). Una

81







‘,

crisi di carattere organico invece « investe i grandi aggruppamenti, di là dalle persone immediatamente responsabili e di là dal perso nale dirigente (Q, 1579); in questo caso « Si verifica una crisi, che talvolta si prolunga per decine di anni. Questa durata eccezio nale significa che nella struttura si sono rivelate (sono venute a maturità) contraddizioni insanabili e che le forze politiche operanti positivamente alla conservazione e difesa della struttura stessa si sforzano tuttavia di sanare entro certi limiti e di superare » (Q, 1579-80). Le crisi (congiunturali o organiche) si manifestano sul terreno del ;;zercalo determinato; ora, come abbiamo visto, Gramsci intende per mercato determin:to e determinato rapporto di forze sociali in una determinata struttura dell’apparato di produzione rapporto garantito (cioè reso permanente) da una determinata superstruttura politica, morale, giuridica ». (Q, 1477) ‘



Ma cos’è il mercato determinato e da che cosa appunto è deter minato? Sarà ceterrninato dalla struttora fondamentale della società in luistione e allora occorrerà analizzare questa struttura e identificarne quegli elementi che, (relativamente) costanti, determinano il mercato ecc., e quegli altri’ variabili e in sviluppo che determinano le crisi congiunturali fino a quando anche gli elementi (relativamente) costanti ne vengono modificati e si ha la crisi organica. (Q, 1077) ‘

Scrivendo sulla grande crisi Gramsci segnala « che sempre più la vita economica si è venuta incardinando su una serie di produzioni di grande massa e queste sono in crisi: controllare questa crisi è impossibile appunto per la sua ampiezza e profondità, giunte a tale misura che la quantità diviene qualità, cioè crisi organica e non più di congiuntura ». (Q, 1077-8) Quando Gramsci sottolinea il carattere organico della crisi pren de le distanze dal comune accostamento del concetto di crisi sto rica complessiva a situazioni di stagnazione o depressione econo mica. -

Altra quistione connessa alle precedenti scrive è quella di ve clere se le crisi storiche fondamentali sono determinate immediatamen te dalle crisi economiche E...] Si può escludere che, di per se stesse, le crisi economiche immediate producano eventi fondamentali. (Q, 1586-7) Ed a aucste considerazioni fa seguire l’esempio della grande crisi tl 1789 in Francia: essa si svolgeva in un periodo in cui « la si e 1

tuazione economica era piuttosto buona immediatamente, per cui non si può dire che la catastrofe dello Stato assoluto sia dovuta a una crisi di immiserirnento E...] in rottura dell’equilibrio delle 8?





forze non avvenne per cause meccaniche immediate di immiseri mento del gruppo sociale che aveva interesse a rompere l’equilibrio e di fatto lo ruppe [la classe borghese], ma avvenne nel quadro di conflitti superiori al mondo economico immediato, connessi al pre stigio di classe (interessi economici avvenire), ad una esasperazio ne del sentimento di indipendenza, di autonomia e di potere. La quistione particolare del malessere o benessere economico come causa di nuove realtà storiche è un aspetto parziale della quistione dei rapporti di forza nei loro vari gradi » (Q, 1587-8). La crisi organica non è dunque né una crisi puramente econo mica né una crisi specificamente politica; essa consiste proprio nella contraddizione tra i dati rapporti economici e gli emergenti rap porti politici, tra economia e politica, tra condizioni ed iniziative, tra struttura e superstruttura. In stretto rapporto con questo secondo elemento Gramsci iden tifica un terzo elemento della teoria della crisi organica:











Una delle contraddizioni fondamentali è questa: che mentre la vita economica ha come premessa necessaria l’internazionalismo o meglio il cosmopolitismo, la vita statale si è sempre più sviluppata nel senso del nazionalismo’, del bastare a sé stessi ecc... Uno dei caratteri più appariscenti della attuale crisi è niente altro che l’esasperazione del l’elemento nazionalistico (statale nazionalistico) nell’economia: contin gentamenti, clearing, restrizione al commercio delle divise, commercio bi lanciato tra due soli Stati ecc. (Q, 1756)



‘,

La crisi si presenta nel periodo in cui il capitalismo aveva for mato un mercato di dimensioni mondiali e quindi si era creata la possibilità che i gruppi economici dominanti nelle singole nazioni ricavassero il profitto sottraendo ricchezza ad altre nazioni capi talistiche; in queste condizioni il mercato economico internazionale si costituisce come un luogo di competizione tra gruppi economici dominanti nazionali. Essendo il mercato un determinato rapporto di forze sociali in una determinata struttura dell’apparato di produzione il costi tuirsi del mercato mondiale significa: a) che le forze sociali comin ciano ad operare su scala mondiale, in una struttra dell’apparato di produzione che presenta una crescente interdipendenza delle singole strutture produttive nazionali; b) che le forze sociali le quali affrontandosi costituiscono il mercato sono a questo punto tutte le classi dei diversi paesi, e che perciò il problema dei rap porti di forza si fa molto più complicato, per la sostanziale molti plicazione dei contendenti. In queste condizioni i gruppi economici dominanti rispettiva mente unificati nei diversi Stati nazionali si difendono gli uni dagli altri attraverso politiche economiche nazionaliste, protezioniste.

83









che facendo un’analisi [della crisi] si scrive Gramsci Mi pare dovrebbe cominciare dall’elencare gli impedimenti posti dalle politiche nazionali (o nazionalistiche) alla circolazione; 1) delle merci; 2) dei capi tali; 3) degli uomini (lavoratori e fondatori di nuove industrie e nuove aziende commerciali) E.. .1 La premessa maggiore in questo caso è il nazio nalismo, che non consiste solo nel tentativo di produrre nel proprio ter ritorio tutto ciò che vi si consuma (il che significa che tutte le forze sono indirizzate nella previsione dello stato di guerra), ciò che si espri me nel protezionismo tradizionale, ma nel tentativo di fissare le princi pali correnti di commercio con determinati paesi, o perché alleati (per ché quindi li si vuoi sostenere e li si vuol foggiare in un modo più ac concio allo stato di guerra) o perché li si vuoi stroncare già prima della guerra militare (e questo nuovo tipo di politica economica è quello dei contingentarnenti che parte dall’assurdo che tra due paesi vi debba essere bilancia pari negli scambi, e non che ogni paese può bilan ciare alla pari solo cornmerciando con tutti gli altri paesi indistintamen te). (Q, 1715-6)







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In cluesto senso va riesaminata la spiegazione leniniana della



Questo nazionalismo della vita statale era dunque risultato di retto dell’internazionalismo della vita economica (internazionalismo contraddittorio e parziale, in quanto espressione dell’allargamento del raggio d’azione dei gruppi economici che si unificavano soltanto a livello nazionale). Ecco perché la prima guerra mondiale fu la « prima risposta dei responsabili » della crisi (e la seconda guerra mondiale mostrerà in seguito l’insufficienza delle risposte a questa crisi). La contraddizione tra il cosmopolitismo della vita economica ed il nazionalismo della vita statale è dunque all’origine della guerra, in quanto i rapporti di forza a livello internazionale (tra le classi dominanti unificate nei singoli Stati nazionali) non trovavano un luogo di confronto politico, quindi di mediazione e ricomposizione, quale una istituzione statale sovranazionale; in mancanza di una dialettica politica dei rapporti di forza internazionali il momento militare (dei rapporti di forza) s’impone. In questo senso la guerra costitui un surrogato di uno Stato multinazionale, cioè un comples so di attività pratiche e teoriche militari (che definiscono la guerra, lo Stato come guerra) al posto di quel complesso di attività prati mancante sul piano internazionale che e teoriche politiche che definiscono lo Stato. In questo senso è da intendersi la conce zione della guerra come continuazione della politica con altri mezzi. ai (‘ Continuazione come acutizzazione dei conflitti politici interni ma anche come allargamento del le guerre civili singoli Stati le guerre tra gli Stati, le guerre mondiali campo della lotta come internazionalizzazione del conflitto).

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I





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.

1 paragrafo Sull’ori fatta propria in parte da Gramsci ne guerra secondo la quale la guerra è la gine delle guerre (Q, 1631) lotta inter-imperialistica per il dominio dei mercati coloniali, « per La grande una suddivisione e nuova ripartizione delle colonie » guerra fu piuttosto lotta per la ristrutturazione del mercato nei paesi industrializzati.

Nei tre elementi già esposti della teoria gramsciana della crisi è implicito un quarto elemento, consistente nell’individuazione dell’ori gine della crisi in un mutamento complessivo dei rapporti di /orza tra le classi e tra gli Stati.









La crisi ha origine nei rapporti tecnici, cioè nelle posizioni di classi rispettive, o in altri fatti? Legislazioni, torbidi, ecc.? Certo pare dimo strabile che la crisi ha origini tecniche cioè nei rapporti rispettivi di classe, ma che ai suoi inizi, le prime manifestazioni o previsioni dettero luogo a conflitti di vario genere e a interventi legislativi, che misero più in luce la crisi stessa, non la determinarono, o ne aumentarono alcuni fattori. (Q, 1756)













Questo non è una riaffermazione del criterio teorico-meto dologico generale secondo il quale ogni processo storico è prodotto conflitto tra le classi; essa dal e può essere spiegato come piuttosto riassume una specifica analisi storica concreta della gran de crisi e delle sue particolari manifestazioni. In particolare Gramsci fornisce una originale spiegazione dei fenomeni di infla della « perturbazione dell’equilibrio dinamico zione e deflazione fra la quota consumata e la quota risparmiata del reddito nazionale come espressioni di mu 793) e il ritmo della produzione » tamenti dei rapporti di forza tra le classi e tra gli Stati. Sui fenomeni monetari della crisi:



«

Progress

»,

Mosca, p. 168.



Quando in uno Stato la moneta varia (inflazione o deflazione) avvie ne una nuova stratificazione di classi nel paese stesso, ma quando varia una moneta internazionale (esempio la sterlina, e, meno, il dollaro ecc.) avviene una nuova gerarchia fra gli Stati, ciò che è più complesso e porta ad arresto nel commercio (e spesso a guerre), cioè c’è passaggio gratuito di merci e servizi tra un paese e l’altro e non solo tra una classe e l’altra della popolazione. La stabilità della moneta è una riven dicazione, all’interno, di alcune classi e, all’estero (per le monete inter nazionali, per cui si sono presi gli impegni) di tutti i commercianti; ma perché esse variano? Le ragioni sono molte, certamente: 1. perché lo Stato spende troppo, cioè non vuol far pagare le sue spese a certe classi, direttamente, ma indirettamente ad altre e, se è possibile, a paesi stranieri; 2. perché non si vuole diminuire un costo direttamente

V. I. Lenin. Opere scelte, Edizioni

85

(esempio il salario) ma solo indirettamente e in un tempo prolungato, evitando attriti pericolosi ecc. In ogni caso, anche gli effetti monetari sono dovuti all’opposizione dei gruppi sociali, che bisogna intendere nel senso non sempre del paese Stesso dove il fatto avviene ma di un paese antagonista. (Q, 1758)



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Sul problema dello squilibrio tra il consumo il risparmio e la pro c-luzione nella grande crisi Gramsci coglie inoltre che, alle sue radici, più che di uno squilibrio nei rapporti tra salari e profitti si tratta del fatto che « è avvenuto che nella distribuzione del reddito nazionale attraverso specialmente il commercio e la borsa, si sia introdotta, nel dopoguerra (o sia aumentata in confronto del perio do precedente), una categoria di prelevatori che non rappresenta nessuna funzione produttiva necessaria e indispensabile, mentre as sorbe una quota di reddito imponente » (Q, 793). Si tratta cioè della formazione (o dell’allargamento oltre certi limiti) di un grup po sociale parassitario ciò che comporta la strutturazione d’una composizione demografica irrazionale. Insorge una crisi quando cre scono forze del consumo in confronto a quelle della produzione; ma non si tratta solo d’una questione quantitativa. La crisi esiste quando « una funzione parassitaria intrinsecamente si dimostri ne cessaria date le condizioni esistenti: ciò rende ancor più grave tale parassitismo. Appunto quando un parassitismo è necessario il sistema che crea tali necessità è condannato in sé stesso » (Q, 1343). Questi processi non dipendono naturalmente dallo svolgimento dei meccanismi economici, ma risultano da progetti politici che hanno alla propria base il problema dei rapporti di forza tra le classi: Il saggio del risparmio o di capitalizzazione era basso perché i capi talisti avevano voluto mantenere tutta l’eredità di parassitismo del pe nodo precedente, affinché non venisse meno la forza politica della loro classe e dei loro alleati. (Q, 1994) Ancora:

‘,

Che non si vogliano (o non si possa) mutare i rapporti interni (e neppure retticarlj razionalmente) appare dalla politica del debito pub blico, che aumenta continuamente il peso della passività demograca proprio quando la parte attiva della popolazione è ristretta dalla disoc cupazione e dalla crisi. Diminuisce il reddito nazionale, aumentano i parassiti, il risparmio si restringe ed è disinvestito dal processo produt tivo e viene riversato nel debito pubblico, cioè fatto causa di nuovo pa rassitismo assoluto e relativo. (Q, 1991)

Un quinto elemento della teoria gramsciana della crisi consiste nella individuazione della rottura degli automatismi dati e della 86

I





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»,

tuttavia non emergenza di nuovi comportamenti collettivi, i quali è una arrivano ad espandersi fino a sostituire i precedenti. Questa rappresentanti e rappresentati « situazione di contrasto tra te, che il cui o contenuto è la crisi di egemonia della classe dirigen grande e sua avviene o perché la classe dirigente ha fallito in qualch con la forza sua impresa politica per cui ha domandato o imposto perché vaste il consenso delle grandi masse (come la guerra) o si intellettua masse (specialmente di contadini e di piccoli borghe attività li) sono passati cli colpo dalla passività politica a una certa nico costi e pongono rivendicazioni che nel loro complesso disorga ciò ap e tuiscono una rivoluzione. Si parla di crisi di autorità complesso punto è la crisi di egemonia, o crisi dello Stato nel suo (Q, 1603). della crisi; Questo è l’elemento decisivo della teoria gramsciana all’in esso permette di individuare il ruolo della crisi economica terno della crisi organica:

iche immediate Si puì escludere che, di per se stesse, le crisi econom un terreno più fa producano eventi fondamentali: solo possono creare impostare e risol vorevole alla diffusione di certi modi di pensare, disviluppo della vita vere le quistioni che coinvolgono tutto l’ulteriore statale. (0, 1587)





dei rap Una crisi economica consiste in effetti in uno squilibrio re gli auto porti di forza nei mercato determinato tale da incrina cioè tale da matismi dominanti (nei comportamenti collettivi) e lazione, ac fare emergere comportamenti deteriori, anomali (specu ti sono di caparramento, tesaurizzazione ecc.). Questi comportamen dati carattere regressivo. tuttavia l’incrinatura degli automatismi ivi si elabo’ è ciò che fa possibile che nuovi comportamenti collett mi nuove rino e si diffondano. che cioè di fronte ai nuovi proble gruppi e corti risposte teoriche e pratiche maturino all’interno di ne organizzino l’attività. sociale e Più in concreto si tratta di processi cli mobilitazione quali passano dalla di attivazione politica di determinate classi, le a politica, passività all’attività. dal consenso passivo all’autonomi partiti, e in dalla fase economic-o-corporativa alla organizzazione dello Stato che insomma si pongono l’obiettivo della conquista ici si qeneraliz affinché i nuovi comportamenti di cui sono portatr nel fatto che zino all’intera società. La crisi organica sta dunque statale, si stac determinate classi non si riconoscono più nella vita ancora non cano dai gruppi dirigenti dati ma allo stesso tempo riescono ad imporsi come nuove classi egemoni.

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—,

L’analisi gramsciana della grande crisi oltre alla individua zione degli elementi fondamentali che permettono di coglierne il carattere organico, si svolge nello studio storico-concreto delle sue manifestazioni particolari nel mondo occidentale e nell’URss. Questi elementi generali della teoria gramsciana della crisi ci permettono di riconoscere come i processi che nell’URss condus sero allo stalinismo sono da spiegare in connessione con la grande crisi mondiale. La mancanza di una interpretazione teorica soddi sfacente del ‘fenomeno stalinista ci sembra che in parte dipenda appunto dalla non-individuazione del fatto che la crisi mondiale coinvolse anche quel paese. Solitamente difatti tale crisi è intesa come crisi del capitalismo; il risultato è che da una parte non si colgono i rapporti storici che intercorsero tra le tre grandi ri e dall’altra sposte alla crisi fascismo, New Deai, stalinismo che dello stalinismo si danno spiegazioni che si limitano ad una messa in evidenza delle condizioni storiche, culturali e politiche nazionali Allo stesso modo che in Occidente, nell’URss la crisi consi stette in un lungo e complesso processo storico. Abbiamo mostra to che datare la crisi negli anni 1929-30 è risultato della riduzione d’essa a crisi economico-finanziaria del capitalismo; limitare a que gli stessi anni la crisi che interessò l’URSS, in coincidenza con i processi di collettivizzazione nell’agricoltura e di industrializzazione accelerata, comporterebbe l’assunzione di analoghi criteri riduttivi d’interpretazione. Se invece la guerra è da considerarsi manifesta zione della (e prima risposta alla) crisi mondiale, compresa dun due la crisi nell’URss, allora l’inizio dei processi che approdarono al fenomeno stalinista è da anticipare fino a una situazione ante cedente la stessa rivoluzione d’ottobre: la guerra. Ma, allora, la rivoluzione sovietica richiede di essere compresa e spiegata come avvenimento prodottosi all’interno della crisi e lo stalinismo in connessione con essa. Le interpretazioni (da parte marxista) della rivoluzione bolsce vica e dei suoi sviluppi solitamente separano il processo rivoluzio nano russo dal concreto processo cli sviluppo della crisi mondiale, e adoperano come criterio interpretativo l’ideologia dei protago nisti della rivoluzione, cioè la concezione con la quale i gruppi so ciali che la produssero furono unificati, mobilitati e diretti. Tale procedimento interpretativo discende dall’idea che il successo rivo luzionario sia la conferma teorico-pratica della scientificità della ideologia rivoluzionaria: la rivoluzione russa è la dimostrazione de li Capitale. Il risultato è la confusione tra la concezione ideologi ca che costituisce la componente ideale dell’azione rivoluzionaria, e che quindi ne costituisce una parte, e i criteri teorico-metoclolo gici d’interpretazione storica (del processo complessivo). 88

i











Come in Occidente, nell’URs s la guerra significò lo spostamento di grandi masse (specialmente di contadini), il livellamento delle condizioni di vita dell’insieme delle classi subordinate, la concentra zione di esse e la loro organizzazione disciplinata in vista di un fine comune (all’esperienza della disciplina di fabbrica degli operai si aggiunge l’esperienza della disciplina militare economica e di guerra, cioè politica dell’insieme delle classi subalterne), la esperienza di momenti di vita intensamente collettiva (sviluppo di una volontà e di una coscienza di massa), e insomma l’elabora zione pratica, ancora confusa e istintiva, di nuovi comportamenti collettivi. Questi elementi sono da considerarsi essenziali per una interpreLazione della rivoluzione d’Ottobre e dei suoi sviluppi; ma a noi interessa piuttosto considerarli in quanto processi che indi viduano lo sviluppo della crisi nell’URss. La guerra è stata già l’espressione ed il luogo di un mutamento complessivo dei rapporti di forza tra le classi nell’URss. Questo mutamento continuò attraverso le complesse vicende degli anni successivi, essendo la rivoluzione appunto il momento di giudizio e di arrovesciamento dei rapporti di forza precedenti (che co stituisce la differenza riguardo ciò che avvenne nei paesi capitali srici, dove il mutamento dei rapporti di forza fu a favore delle classi dominanti); la rivoluzione però non portò con sé immedia tamente una fase di equilibrio e di stabilità organica, poiché i rap porti di forza continuarono a mutare significativamente negli anni seguenti (il periodo della Nxp, ad esempio) a conferma che si era ancora all’interno della crisi. Questi problemi sono esaminati particolarmente da Gramsci in due paragrafi nei quali sono messi in evidenza i rapporti tra la guer ra, i nuovi comportamenti collettivi che ne risultano, la rivolu zione, i problemi della razionalizzazione della produzione e del lavo ro, l’industrializzazione accelerata e lo stalinismo. Questi paragrafi, che a prima vista possono sembrare osservazioni teoriche generali sui problemi che si presentano nel passaggio e nella costruzione del socialismo, si fanno compiutamente intelligibili solo se intese come analisi storico-critiche di quella fase storica concreta. Il soggetto del primo paragrafo Animalità e industrialismo è il mutamento complessivo dei comportamenti collettivi che av viene nel mondo intero a partire dagli inizi della crisi e nel con testo dei processi di industrializzazione; tale processo, inteso come periodo di passaggio ad una nuova civiltà, è caratterizzato dallo sviluppo di « nuove, più complesse e rigide norme e abitudini di ordine, di esattezza, di precisione che rendano possibili le forme sempre più complesse di vita collettiva che sono la conseguenza necessaria dello sviluppo dell’industrialismo » (Q, 2160-1). Ma la espansione di questi nuovi comportamenti collettivi non è stata il

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‘.

prodotto di una elaborazione consapevole di massa di una raziona lità funzionale alle esigenze dei processi di produzione, bensf è stata « imposta dall’esterno e finora i risultati ottenuti, sebbene di grande valore pratico immediato. sono puramente meccanici in gran parte, non sono diventati una seconda natura Ma ogni nuo vo modo di vivere, nel periodo in cui si impone la lotta contro il vecchio, non è sempre stato per un certo tempo il risultato di una 2161). A questa ultima domanda compressione meccanica? » Gramsci risponde richiamando l’esperienza storica passata di mu tamenti epocali in cui non furono spezzati i rapporti di domina zione:





Finora tutti i mutamenti del modo di essere e di vivere sono avve nuti per cocreizione brutale, cioè attraverso il dominio di un gruppo sociale su tutte le forze produttive della società: la selezione o educa 7ione dell’uomo adatto ai nuovi tipi di civiltà, cioè alle nuove forme di produìionc e di lavoro, è avvenuta con l’impiego di brutalità inau dite. gettando nell’inferno delle sottoclassi i deboli e i refrattari o eh ninandoli del tutto. (Q, 2161)





‘.

a

nuovi

viene

esercitata su tutto Ora. « QLlando la pressione coercitiva il complesso sociale [«.1 si sviluppano ideologie puritane che dàn no la forma esteriore della persuasione e del consenso all’intrin seco uso della forza: ma una volta che il risultato è stato raggiun to, almeno in una certa misura, la pressione si spezza E...] e av viene la crisi di libertinismo » (Q, 2161-2). Questo processo di liberalizzazione riguarda le classi dominanti, non « tocca altro che superficialmente le masse lavoratrici {...]: queste masse in tatti o hanno già acquisito le abitudini e i costumi necessari ai nuovi sistemi di vita e di lavoro oppure continuano a sentire la pressione coercitivo per le necessità elementari della loro esisten za » (Q, 2162). Dopo queste osservazioni Gramsci arriva all’analisi particolare della grande crisi Essa è considerata da Gramsci in rapporto a questi problemi del passaggio a nuovi tipi di civiltà, a nuove for modi di pensare e di ope me di produzione e di lavoro, rare:

A ogni avvento di nuovi tipi di civiltà. o nel corso dcl processo di sviluppo, ci sono state delle crisi. (Q, 2161) l)i nuovo Gramsci riparte dalla guerra mondiale. —-

scrive

-

-—

si

è verificata una crisi dei costumi di Nel dopoguerra estensione e profondità inaudite, ma si è verificata contro una forma di eoercizione che non era stata imposta per creare le abitudini conformi a una nuova forma di lavoro, ma per le necessità, già concepite come 90

i

transitorie, della vita di guerra e di trincea [...] La crisi [< che si è sca tenata al momento del ritorno della vita normale »l è stata (cd è ancora) resa più violenta dal fatto che ha toccato tutti gli strati della popola zione ed è entrata in conflitto con le necessità dei nuovi metodi di lavoro che intanto si sono venuti imponendo (taviorismo e razionalizza zione in generale). (Q, 2162)

costumi

ai

Lo specifico di questo processo di formazione di nuovi compor tamenti collettivi consiste nel fatto che essi si espandono all’insie me delle classi e sono imposti attraverso una compressione esterna estremamente rigida, sulla base delle esigenze della pratica militare e non soltanto del lavoro produttivo (le attività produttive stesse sono militarizzate). La crisi dei che si manifesta nel do poguerra non è perciò conseguente ad un allentamento della pres sione coercitiva derivante dall’acquisizione da parte delle masse delle abitudini e dei costumi necessari ai nuovi sistemi di vita e di lavoro, ma piuttosto dalla fine della guerra. Ciò che mette in evidenza Gramsci relativamente a questa crisi è il fatto che i nuo vi modi di vita, di pensare e di operare (la nuova civiltà) corri spondenti alla nuova fase dell’industrialismo, che si erano formati cd espansi nella guerra, una volta finita la situazione costrittiva del regime di guerra di e trincea, non si mantennero, cosf deter minando l’inadeguatezza dei comportamenti collettivi bisogni della produzione. Le risposte a questo aspetto della crisi che fu rono approntate nel periodo successivo (taylorismo e razionalizza zione del lavoro, ecc.) le esamineremo più oltre. Gramsci passa di seguito all’esame della situazione in Russia:



















‘.

Questo elemento diventa tanto più grave se in uno Stato le masse lavoratrici non subiscono più la 1ressionc coercitiva di una classe su periore, se le nuove abitudini e attitudini psicofisiche connesse ai nuovi metodi di produzione e di lavoro devono essere acquistate per via di persuasione reciproca o di convinzione individualmente proposta ed ac cettata. Può venirsi creando una situazione a doppio fondo, un con flitto intimo tra l’ideologia verbale che riconosce le nuove necessità e la pratica reale animalesca che impedisce ai corpi fisici l’effettiva acqui sizione delle nuove attitudini. Si forma in questo caso quella che si può chiamare una situazione di ipocrisia sociale totalitaria. Perché totalitaria? Nelle altre situazioni gli strati popolari sono costretti a osservare la virtù’; chi la predica, non la osserva, pur rendendole omaggio verbale e quindi l’ipocrisia è di strati, non totale; ciò non può durare, certo, e porterà a una crisi di libertinismo; ma quando già le masse avranno as similato la virtù in abitudini permanenti o quasi, cioè con oscillazioni sempre minori. Nel caso invece in cui non esiste pressione coercitiva di una classe superiore, la virtù viene affermata genericamente, ma non osservata né per convinzione né per coercizione e pertanto non ci sarà l’acquisizione delle attitudini psicofisiche necessarie per i nLlovi metodi di lavoro. La crisi può diventare permanente cioè a prospettiva cata

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(Q,

ione di strofica, poiché solo la coercizione potrà definirla, una coerciz tipo nuovo, in quanto esercitata dalla élitc di una classe sulla propria 2163’)

lina. cLasse, non può essere che un’autocoercizione, cioè un’autodiscip

.





da osservare in primo luogo come per Gramsci il problema del passaggio ad una nuova civiltà non consista soltanto nell’avvento al potere delle classi subalterne e nella eliminazione delle classi sfruttatrici, ma piuttosto nella elaborazione di nuovi comporta menti collettivi stabilmente assimilati dalla generalità degli uo mini. (La sparizione delle classi sfruttatrici è soltanto una condi zione della universalizzazione di tali nuovi comportamenti). La rivoluzione d’Ottobre non significò il superamento della cri si, né l’inizio di una fase di stabilità organica. Tuttavia essa segnò l’inizio di una divaricazione negli sviluppi ulteriori della crisi, nel senso che la crisi segui strade diverse nel mondo capitalistico e nell’Urss. In URSS caddero le classi dominanti, ciò non portò tuttavia ad una generale crisi dei costumi (come conseguenza della si fine della guerra) poiché i nuovi comportamenti collettivi che erano costituiti e diffusi nella guerra furono sviluppati da parte io delle classi subalterne nella lotta e nella organizzazione rivoluz naria; dopo l’Ottobre la situazione di guerra permane sia all’in terno (il pericolo controrivoluzionario e l’estensione della rivolu zione alle altre repubbliche dell’Impero) che nei confronti degli altri Stati (il pericolo dell’aggressione ed il progetto di internazio nalizzazione della rivoluzione). Il problema si presenta allorquando tive, i nuovi comportamenti dovevano informare le attività produt che richiedevano una rigot-osa disciplina. Le classi lavoratrici do vevano responsabilizzarsi della produzione e dirigere il proprio la delle classi diretta e indiretta s’oro senza piii la costrizione proprietal-le, ciò che comportava una assunzione consapevole e consensuale della disciplina economica; ma questi nuovi comportamen ti formatisi nella guerra erano invece stati assunti meccanicamente (specialmente da parte delle masse contadine). Il risultato fu quel la « situazione di ipocrisia sociale totalitaria » di cui parla Gramsci, cioè l’affermazione di una etica (e di una ideologia) non intima mente assimilata e acquisita nelle abitudini; si stabilisce cosi una crisi permanente, poiché la prospettiva catastrofica è evitata sol tanto attraverso la rigida coercizione esercitata dalla élite delle classi subordinate sulle masse. Queste osservazioni di Gramsci sono la constatazione di un i fatto, cioè l’analisi storico-critica di quei processi storico-politic concreti; che non costituiscano invece una giustificazione dei risul tati e dei mezzi a cui tali processi approdarono, sulla base di una cualche ‘inevitabilità’ della coercizione sulle masse nei processi rivoluzionari, si vede nel paragrafo immediatamente successivo, inti 92

I

tolato Razionalizzazione della produzione e del lavoro. In esso il pro blema è affrontato in riferimento alla discussione svoltasi all’in terno del gruppo dirigente del Pcus, che dal punto di vista gramsciano acquista una medita dimensione:





La tendenza di Leone Davidovi [Trotskijj era strettamente connessa a questa serie di problemi, ciò che non mi pare, sia stato messo bene in luce. Il suo contenuto essenziale, da questo punto di vista, consisteva nella troppo risoluta (quindi non razionalizzata) volontà di dare la supremazia, nella vita nazionale, all’industria e ai metodi industriali, di accelerare, con mezzi coercitivi esteriori, la disciplina e l’ordine nella produzione, di adeguare i costumi alle necessità del lavoro. Data l’im postazione generale di tutti i problemi connessi alla tendenza, questa do ‘eva sboccare necessariamente in una forma di bonapartisrno, quindi la





necessità inesorabile di stroncarla. Le sue preoccupazioni erano giuste, ma le soluzioni pratiche erano profondamente errate: in questo squili brio tra teoria e pratica era insito il pericolo, che del resto si era già manifestato precedentemente, nel 1921. Il principio della coercizione, diretta e indiretta, nell’ordinamento della produzione e del lavoro è giusto (cfr. il discorso pronunciato contro Martov e riportato nel vo lume sul Terroris;27o) ma la forma che esso aveva assunto era errata: il modello militare era diventato un pregiudizio funesto e gli esercizi del lavoro fallirono. Interesse di Leone Davidovi per l’aniericanismo; suoi articoli, sue inchieste sul byt e sulla letteratura, queste attività

erano meno sconnesse tra loro di quanto poteva sembrare, poiché i nuovi metodi di lavoro sono indissolubili da un determinato modo di vivere, di pensare e di sentire la vita: non si possono ottenere successi in un campo senza ottenere risultati tangibili nell’altro. (Q, 2164)









La novità dell’analisi gramsciana (del 1934) sta nella individua zione dei rapporti concreti tra le scelte economiche e le scelte po litiche nella spiegazione del fenomeno stalinista. Gramsci individua nella politica di industrializzazione accelerata proposta prima una risposta alla da Trotskij e di seguito realizzata da Stalin crisi non corrispondente al livello dell’acquisizione da parte delle masse operaie e contadine di quei comportamenti collettivi (« com plesse e rigide norme e abitudini di ordine, di esattezza, di preci sione ») che sono funzionali ai nuovi metodi produttivi. Cosi stan do le cose, l’industrializzazione accelerata comportava l’impiego di retto (nelle fabbriche) ed indiretto (al livello statale) di mezzi coer citivi esteriori, che imponessero autoritariamente la disciplina nel la produzione e adeguassero i costumi alle necessità del lavoro Al livello della vita statale tale contraddizione comporta il pericolo della riduzione della politica alla attività repressiva, a ciò che Gramsci qui denomina « una forma di bonapartismo » (il cui con tenuto si può desumere dal riferimento gramsciano alle sue prime manifestazioni nel 1921: prima epurazione nel partito, drastica restrizione della dialettica politica interna). L’attenzione con cui

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‘.







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Gramsci seguI lo sviluppo del problema si riflette in una signifi cativa correzione della prima nella seconda stesura. Nella prima (Ouader;zo 4, dcl 1930-1932) scrive che « la volontà di dare la supremazia all’industria e ai metodi industriali, di accelerare con mezzi coercitivi la disciplina e l’ordine nella produzione, di ade guare i costumi alle necessità del lavoro. Sarebbe sboccata neces sariamente in una forma di bonapartismo, perciò fu necessario spezzarla inesorabilmente » (Q, 489). Confrontando questa alla se conda stesura (Quaderno 22), già riportata, si nota come Gramsci dapprima parla di una avvenuta stroncatura di una tendenza che altrimenti sarebbe sboccata in una forma di bonapartismo; dopo (nel 1934) pone al presente la necessità di stroncare la tendenza, che intanto si era realizzata. Il problema individuato da Gramsci della imposizione coatta dei nuovi comportamenti collettivi funzionali ai nuovi rapporti e me todi di produzione, pone in luce la realtà di un inadeguato svi luppo della nuova cultura, di una coscienza scientifica di massa. Alla crescita accelerata sul terreno economico (industrializzazione, collettivizzazione, pianificazion e) non corrispose un rapido accresci mento della soggettività collettiva, una rivoluzione culturale ‘; ciò che già abbiamo definito nei termini pid comprensivi di un al largamento della divaricazione tra lo sviluppo della struttura e della « sovrastruttura Quale la ragione di questo squilibrio? La risposta non può essere individuata in una mancata consapevolez za, del problema e della necessità di produrre un rapido sviluppo della cultura e della coscienza di massa, nei dirigenti della rivolu zione, nel partito e nel sindacato. Agli inizi degli anni ‘20 ci fu una ampia discussione su questi temi: intervennero gli organizza tori del Prolethult, Lenin, Bucharin, Trotskij ecc. La ragione va piuttosto ricercata nel complesso dci problemi storico-politici che in precedenza abbiamo individuato e nelle risposte che ad essi furono date. La scelta dell’industrializzazione e della militarizza zione della produzione e del lavoro fu la risposta pratica al pro blema culturale, come osserva Gramsci quando annota che « i me todi di lavoro sono indissolubili da un determinato modo di vi vere, di pensare e di sentire la vita: non si possono ottenere suc cessi in un campo senza ottenere risultati tangibili nell’altro ». Intimamente connesso con questi problemi che mostrano la per sistenza e la specifica direzione di sviluppo della grande crisi nell’URss è il problema del conflitto tra il nazionalismo della vita statale ed il cosmopolitismo della vita economica. Questo elemen to della crisi assume in URSS specifiche connotazioni. La contrad dizione attinge una estrema acutezza, date le condizioni create dai nuovi rapporti sociali instauratisi e dagli indirizzi politici del nuo vo potere statale. La tendenza a 1 cosmopolitismo era parte essen 94



‘.

ziale dei processi economici e politici: a) dato il carattere interna zionale della classe salita al potere; h) dato l’internazionalismo del l’ideologia che guk!ava il processo rivoluzionario; c) data l’esi genza di razionalizzazione economica mondiale derivante dai rap porti socialisti di produzione e dai nuovi metodi di regolazione dell’economia (la pianificazione). Tutti questi fattori erano attiva mente operanti in quegli anni in URSS; che la rivoluzione non si realizzasse anche in altri grandi paesi capitalisti era visto come il maggior pericolo per la sopravvivenza della stessa rivoluzione bolscevica, ed il problema costituito da questa carenza restò dram maticamente aperto fino a quando non fu elaborata la concezione del socialismo in un paese solo A questo bisogno di internazio nalismo corrispose invece l’attivo isolamento dell’URss da parte dei paesi capitalisti, che portò l’URss alla chiusura nazionalistica come previsione dello stato di guerra e ad una esasperazione del sentimento di indipendenza, di autonomia e di potere. L’industria lizzazione accelerata fu in questo contesto la risposta pratica alla contraddizione, che permise la sopravvivenza dei processi storicopolitici aperti dalla rivoluzione russa. Questo tuttavia non costituf il superamento della crisi, ma piuttosto la sua stabilizzazione negli specifici indirizzi assunti da essa in URSS.

Gli indirizzi assunti dalla crisi in Occidente Gramsci li esamina centrando il discorso sulla razionalizzazione capitalistica in Ame rica. Seguitando la stesura del paragrafo Razionalizzazione della pro duzione e del lavoro, Gramsci scrive:

In America la razionalizzazione del lavoro e il proibizionismo sono indubbiamente connessi: le inchieste degli industriali sulla vita intima *



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degli operai, i servizi di ispezione creati da alcune aziende per control lare la moralità degli operai sono necessità del nuovo metodo di la voro. Chi irridesse a queste iniziative (anche se andate fallite) e vedes se in esse solo una manifestazione ipocrita di puritanismo si neghe rebbe ogni possibilità di capire l’importanza, il significato e la portala obbiettiva dcl fenomeno americano, che è anche il maggior sforzo col lettivo verificatosi finora per creare con rapidità inaudita e con una co scienza del fine mai vista nella storia, un tipo nuovo di lavoratore e di uomo. La espressione coscienza del fine può sembrare per lo meno spiritosa a chi ricorda la frase del Tavlor sul gorilla ammaestrato Il Taylor infatti esprime con cinismo brutale il fine della società ameri cana: sviluppare nel lavoratore al massimo grado gli atteggiamenti mac chinali ed automatici, spezzare il vecchio nesso psico-fisico del lavoro professionale qualificato che domandava una certa partecipazione attiva dell’intelligenza, della fantasia, dell’iniziativa del lavoratore e ridurre le operazioni produttive al solo aspetto fisico macchinale. Ma in realtà non si tratta di novità originali: si tratta solo della fase pi recente di

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un lungo processo che si è iniziato coi nascere dello stesso industriali smo, fase che è solo più intensa delle precedenti e si manifesta in più brutali, ma che essa pure verrà superata con la creazione di unforme nuo vo nesso psico-fìsico di un tipo differente da quelli precedenti e indub biamente di un tipo superiore. Avverrà ineluttabilmente una selezione forzata, una parte della vecchia classe lavoratrice verrà spietatamente eliminata dal mondo dcl lavoro e forse dal mondo fout court (Q, 2164-5)

—-.





tinuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali 23•









‘,





Roma



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1973,



Gramsci pone in evidenza che il fenomeno americano consiste in un complesso ed organico processo di razionalizzazione, che mu ta gli uomini e le classi in modo tale da coinvolgerli attivamente nella realizzazione del progetto e dei fini propri della classe bor ghese; ciò che non si esaurisce nella ricerca del consenso, in una azione cioè di carattere sovrastrutturale ma che si svolge al livello di una trasformazione antropologica, ristrutturando « il flesso psico-fisico del lavoro », e di una costruzione di una nuova classe operaia, ristrutturando la « vecchia classe lavoratrice ». Ma questa grandiosa opera di razionalizzazione è indirizzata verso fini riduttivj delle potenzialità umane: sviluppando nei lavoratori i comportamenti macchinali ed automatici si limita e si controlla la partecipazione attiva della loro intelligenza, fantasia, iniziativa. La piena consapevolezza di questo fine da parte dei settori più avan zati della classe borghese, nel contesto del mantenimento e della intensificazione dei rapporti di sfruttamento, si manifesta nel ci nismo brutale di una classe che dichiara senza ‘ipocrisia i pro pri scopi. Questa risposta americana alla crisi non ne costituisce un supe ramento, ma anche in questo caso una sua stabilizzazione. L’insuf ficien.za di questa risposta ai problemi della crisi è rilevata da Gramsci nel primo paragrafo del Quaderno 22 intitolato Amen canismo e /ordisrno laddove scrive che « le risoluzioni di essi [problemi] sono necessariamente impostate e tentate nelle condi zioni contraddittorie della società moderna, ciò che determina com plicazioni, posizioni assurde, crisi economiche e morali a tendenza spesso catastrofica, ecc. E...] Che un tentativo progressivo sia ini ziato da una o altra forza sociale non è senza conseguenze fon damentali: le forze subordinate, che dovrebbero essere manipola te e razionalizzate secondo i nuovi fini, resistono necessariamen te. Ma resistono anche alcuni settori delle forze dominanti, o al meno alleate delle forze dominanti. Il proibizionismo, che negli Stati Uniti era una condizione necessaria per sviluppare il nuovo tipo di lavoratore conforme a un’industria fordizzata, è caduto per l’opposizione di forze marginali, ancora arretrate, non certo per l’opposizione degli industriali o degli operai ecc. » (Q, 2139). Non solo: la crisi prosegue specialmente in quanto allo sviluppo di nuovi comportamenti sul terreno economico non corrisponde una trasformazione culturale complessiva organica a quei comporta menti. La contraddizione data dal diseguale sviluppo della strut

VI, Editori Riuniti,



Intanto Gramsci subito pone in evidenza come anche in Ame rica il problema centrale nello sviluppo della crisi stava nella co struzione di nuovi comportamenti collettivi funzionali allo svilup po dei metodi di produzione e di lavoro propri della nuova fase della storia dell’industrialismo. Questo problema, a differenza che nell’URss, era in America il problema di una classe dominante la classe borghese che in funzione della propria espansio ne doveva costruire tali comportamenti in altre classi le classi lavoratrici Da questo modo di impostare la questione risulta come il problema che si presentava alla classe borghese non era solo quello di conservare e riprodurre la subordinazione delle classi lavoratrici (che è l’aspetto generalmente rilevato da parte marxista), ma insieme quello di trasformare strutturalmente le classi lavoratrici; il problema non era quindi di mantenere cristal lizzati i rapporti sociali dati, la posizione e la composizione delle classi sociali, bensf di dirigere i mutamenti delle classi sociali in modo tale da espandere la propria classe elaborando forme supe riori di dominio. Posizione dunque non puramente conservatrice, ma corrispondente all’obiettivo di passare ad una nuova civiltà all’interno del capitalismo. Parimenti che in URSS si poneva la esigenza della elaborazione pratica di una nuova morale e di una nuova coscienza collettiva, ciò che mostra come il taylorismo e più in generale i metodi di razionalizzazione del lavoro non sono ri ducibili a processi puramente tecnici o comunque limitati settorial mente a parti della vita sociale (il lavoro nelle fabbriche, il lavoro burocratico), ma piuttosto sono processi che ristrutturano com plessivamente la vita economica e politica, il modo di sentire, di volere. di pensare e di operare degli uomini e delle classi. Il fenomeno americano è una risposta a questi problemi, una seconda risposta alla crisi, la cui importanza, significato e portata storica Gramsci riconosce come « il maggior sforzo collettivo veri ficatosi finora per creare con rapidità inaudita e con una coscienza del fine mai vista nella storia, un tipo nuovo di lavoratore e di uomo ». Questa lode dell’americanjsmo ricorda la lode della clas se borghese fatta da Marx nel Manifesto:

voi. 23 K. Marx F. Engeis, Opere complete, pp. 488-9. -

La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivolu zionaria [..] La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di con-

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tura e della sovrastruttura si manifesta nella espansione dei fenomeni di delinquenza organizzata, dei psico-farmaci, delle cri si morali delle nuove generazioni e, aggiunge Gramsci, nella s< enorme diffusione nel dopoguerra » della psicanalisi « come espres sione dell’aumentata coercizione morale esercitata dall’apparato sta tale e sociale sui singoli individui e delle crisi morbose che tale coercizione determina > (Q, 2140).

raflca razionale.

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Una terza risposta alla crisi, che segna una variante di stabiliz zazione capitalistica di essa in alcuni Stati europei è configurata dal fenomeno fascista. Ci limiteremo ad analizzare il fenomeno sol tanto in relazione ai problemi prima considerati. Da questo punto di vista, il fenomeno fascista è analizzato da Gramsci come il modo assunto dal processo di costruzione dei nuovi comporta menti collettivi adatti all’espansione dell’industrialismo, nei paesi europei in cui non c’è ciò che egli chiama una composizione demo







L’americanismo scrive nel paragrafo intitolato Razionalizzazione della composizione demografica europea nella sua forma più compiuta, domanda una condizione preliminare, di cui gli americani che hanno trattato questi problemi non si sono occupati, perché essa in America esiste naturalmente questa condizione si può chiamare una compo sizione demografica razionale e consiste in ciò che non esistano classi numerose senza una funzione essenziale nel mondo produttivo, cioè classi assolutamente parassitarie. La tradizione la civiltà europea è invece proprio caratterizzata dall’esistenza di classi simili, create dalla ricchezza complessità della storia passata che ha lasciato un muc chio di sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina e dell’esercito prima profes sionale poi di leva, ma professionale per l’ufficialità. (Q, 2141 Ora, in America, « Poiché esistevano queste condizioni prelimi nari, già razionalizzate dallo svolgimento storico, è stato relativa mente facile razionalizzare la produzione e il lavoro, combinando abilmente la forza (distruzione del sindacalismo operaio a base

territoriale) con la persuasione (alti salari, benefizi sociali diversi, propaganda ideologica e politica abilissima) e ottenendo di imper niare tutta la vita del paese sulla produzione. L’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quan

tità minima di intermediari professionali della politica e dell’ideo logia » (Q, 214-6). Diversamente a quanto accade in America, « In Europa i di versi tentativi di introdurre alcuni aspetti dell’americanismo e del O il

fordismo sono dovuti al vecchio ceto plutocratico, che vorrebbe conciliare ciò che, fino a prova contraria, pare inconcffiabile, la

vecchia e anacronistica struttura sociale-demografica europea con

una







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forma modernissima di produzione e cli modo di lavorare qua le è offerta dal tipo americano più perfezionato, l’industria di En rico Ford. Perciò l’introduzione del fordismo trova tante resisten ze intellettuali e morali e avviene in forme particolarmente brutali e insidiose, attraverso la coercizione più estrema. [...] La reazione europea all’americanismo è pertanto da esaminare con at tenzione: dalla sua analisi risulterà più di un elemento necessario per comprendere l’attuale situazione di una serie di Stati del vec chio continente e gli avvenimenti politici del dopoguerra » (Q, 2140-1). Il riferimento al fenomeno fascista è evidente. In questa analisi Gramsci coglie elementi di spiegazione del fenomeno fa scista solitamente non considerati, la cui necessarietà per una sua comprensione Gramsci stesso esplicitamente sottolinea. L’interpretazione del fascismo come reazione difensiva delle clas si dominanti al pericolo rivoluzionario fattosi più concreto a seguito dell’Ottobre che coglie un elemento politico del pro cesso, dimentica che il fascismo costituf anche un momento dello sviluppo capitalistico, in date condizioni. Il fascismo fu anche una risposta alle esigenze interne della espansione del capitalismo e delle sue classi dominanti. In effetti, l’approntamento negli Stati Uniti di nuove tecnologie e nuovi metodi di lavoro e la competi zione tra gli Stati capitalistici per il controllo del mercato, pone vano ai paesi capitalistici meno sviluppati e aperti l’esigenza di cercare rapidamente e con ogni mezzo di ammodernarsi. Tale pro getto (di razionalizzazione capitalistica) urta nella composizione de mografica irrazionale, trova resistenza nei vecchi comportamenti e si avvia perciò « attraverso la coercizione più estrema ». D’altra parte, mentre negli Stati Uniti promotori furono i ceti imprendi toriali più avanzati, in questa serie di Stati del vecchio continente « i diversi tentativi di introdurre alcuni aspetti dell’americanismo e del fordismo sono dovuti al vecchio ceto plutocratico », il quale vorrebbe avere « tutti i benefizi che il fordismo produce nel po tere di concorrenza, pur mantenendo il suo esercito di parassiti che divorando masse ingenti di plusvalore, aggravano i costi ini ziali e deprimono il potere di concorrenza sul mercato internazio nale » (Q, 2141). Il fenomeno fascista esprime di conseguenza una pretesa irrealistica (in quanto « vorrebbe conciliare ciò che, fino a prova contraria, appare inconciliabile »), fallisce nel tentativo di superare la crisi e ne rappresenta un suo allargamento. Le due varianti della stabilizzazione capitalistica della crisi (il fenomeno americano e il fenomeno fascista) affrontano anche quel le altre contraddizioni che, come abbiamo mostrato, costituiscono

9L)

elementi della crisi mondiale. Alla contraddizione tra nazionalismo della vita statale e internazionalismo della vita economica la ri sposta più vistosa fu il « tentativo di dare una organizzazione giu ridica stabile ai rapporti internazionali » (Q, 1824), espresso nella costituzione, ad esempio, della Società delle Nazioni; tentativo che andò presto incontro al fallimento. Agli squilibri del mercato (rap porti di forza tra le classi e tra gli Stati) la risposta fu il tenta tivo « di giungere all’organizzazione di un’economia programma tica» (Q, 2139), e di definire un nuovo modo d’intervento dello Stato nell’economia. E evidente che la stabilizzazione e l’allargamento della crisi pro dotte da queste tre risposte non hanno comportato l’arresto o il blocco dell’espansione economica; lo sviluppo delle forze produt tive è andato avanti con rapidità inaudita sia in URSS che in Oc cidente. Ma allora la crisi non trattenne lo sviluppo? Servi forse a stimolarlo? Per rispondere a queste domande occorre tener pre sente che le crisi definiscono fasi storiche di accelerato processo trasformativo: ‘

Si potrebbe allora dire, e questo sarebbe il più esatto, che la crisi non è altro che l’intensificazione quantitativa di certi elementi, non nuovi e originali, ma specialmente l’intensificazione di certi fenomeni, mentre altri che prima apparivano e operavano simultaneamente ai pri mi, immunizzandoli, sono divenuti inoperosi o sono scomparsi del tutto. La crisi è « un rapidissimo movimento di elementi che si equi libravano ed immunizzavano. Ad un certo punto, in questo mo vimento, alcuni elementi hanno avuto il sopravvento, altri sono spariti o sono divenuti inetti nel quadro generale » (Q, 1756-7). Di fronte a ciò sta il mancato sviluppo di una teoria scientifica che fosse in condizione di comprendere la crisi e di elaborare una razionalità teorico-scientifica tale da fondare ed avviare una nuova razionalità storico-politica. La mancata elaborazione e diffusione della scienza della storia e della politica fece impotente di fronte alla crisi ogni tentativo di costruire quelle attività pratiche e teo riche, quei nuovi comportamenti collettivi, quei nuovi modi di es sere, di volere, di pensare e di operare che potevano significare l’effettivo superamento della crisi stessa e l’inizio di una nuova epoca politica. Le tre concrete strade che la crisi segui segnarono la sconfitta del progetto e delle previsioni di Marx sullo sviluppo delle società capitalistiche più avanzate, del progetto di Lenin sul la costruzione del socialismo in URSS, di Gramsci nella sua lotta teorica e pratica immediata. Le risposte concretamente date alla crisi trovarono piuttosto espressione teorica in URSS nella sociologia-tendenza deteriore del marxismo, in Occidente nella sociologia-scienza sociale alternativa 100





al marxismo. (Negli Stati fascisti europei nel dopoguerra non fu rono elaborate risposte teoriche articolate. Tale carenza è supplita da una ideologia composita ed eclettica; nei confronti della socio logia poi il fascismo assume un atteggiamento contraddittorio, espressione delle limitazioni proprie del suo progetto di razionaliz zazione). In effetti fu tramite queste elaborazioni di cui in pre cedenza abbiamo delineato le caratteristiche e svolto la critica che i gruppi dirigenti e le classi al potere nei diversi tipi di Stato acquistarono coscienza dei propri fini ed approntarono specifiche risposte ai compiti immediati che avevano di fronte: a) costruzione degli strumenti teorici per guidare la raccolta delle informazioni e l’approntamento delle decisioni statali; b) formazione degli intel lettuali, dei tecnici e dei funzionari responsabili della organiz zazione e realizzazione del progetto ai vari livelli; c) la diffusione di massa dei nuovi indirizzi e la costruzione del consenso 24 Le sociologie organizzarono una risposta pratica complessiva a tali esigenze: la burocrazia. L’organicità dei rapporti tra burocra zia e sociologia costituisce in effetti uno dei caratteri fondamentali della organizzazione degli Stati contemporanei. Nello svolgimento della critica delle sociologie abbiamo già individuato i fondamenti teorici di questi rapporti; esamineremo ora specificamente il pro blema della burocrazia. 3. Teoria della burocrazia moderna

burocrazia:

L’analisi storico-critica del problema della burocrazia è, nel suo rapporto col problema della crisi, uno dei soggetti a partitre dai quali si costituisce la scienza della storia e della politica. Gramsci riconosce infatti a questo problema un « significato primordiale » nella costituzione della nuova scienza. Cosi inizia il paragrafo Sulla



‘,

11 fatto che nello svolgimento storico delle forme politiche ed eco nomiche si sia venuto formando il tipo del funzionario di carriera tecnicamente addestrato al lavoro burocratico (civile e militare) ha un significato primordiale nella scienza politica e nella storia delle forme statali. (Q, 1632)

Cfr., in/ra, Noia teorica VIII,

pp. 148-53.

Questa centralità del problema della burocrazia nella costruzione della scienza deriva appunto dalla sua centralità « nella storia delle forme statali », nella questione dello Stato. L’analisi della buro crazia non si può svolgere cioè indipendentemente da una analisi dello Stato, ma questa a sua volta non si può realizzare scientifi 24

101

.















camente che ponendo il problema della burocrazia nel nucleo del l’analisi. Questo punto di vista costituisce una vera svolta riguardo al iwdo in cui la teoria dello Stato si è affermata nella tradizione marxista, dove il problema dello Stato è stato esaminato lasciando praticamente ai margini il problema della burocrazia. La tendenza a separare il problema della burocrazia dal problema dello Stato è già in Marx, il quale nell’analisi dello Stato stabilisce una netta che distinzione tra il contenuto di classe dell’apparato statale e le ‘forme isti determina l’essenza, il carattere dello Stato tuzionali, che dello Stato costituiscono l’aspetto accidentale, la « apparenza ». E pur vero che il giovane Marx affronta il problema della buro crazia nella Critica della filosofia hegeliana dci diritto pubblico (opera d’altronde rimasta a lungo inedito); ma in questo stesso te sto è gà contenuta la tendenza all’emarginazione del problema. In effetti Marx nella critica della concezione hegeliana dello Stato de (nisce la burocrazia come la parte formale dello Stato e l’analisi hegeliana come o Semplice descrizione dila situazione empirica di Il nocciolo della critica marxiana consiste preci alcuni paesi » samente nel contestare che l’analisi hegeliana attinga il livello della spiegazione teorica proprio perché incentrata nell’analisi della bu rocrazia.









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burocrazia



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non scrive Marx Ciò che Ilegel dice del potere governativo merita il nome di spiegazione losnfica. La maggior parte dci paragrafi potrebbero stare, parola per parola, nel codice civile prassiano; e tuttavia l’amministrazione propriamente detta è il punto piii difficile da spiegarsi. Poiché Hegel ha già rivendicato alla sfera della società civile il potere -li polizia e il potere giudiziario il potere governativo non è niente 26 altro che l’amministrazione, ch’cgli sviluppa come E pii avanti:







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li formalismo di Stato ch’è la burocrazia, è lo Stato come forma lismo e Hegel l’ha descritta come un tale formalismo. In quanto que sto formalismo di Stato si costituisce in potenza reale e diventa esso stesso il suo proprio contenuto niaferiale, s’intende da sé che la buro crazia è un tessuto di illusioni pratiche ossia 1’ illusione dello Stato Scrivendo che « l’amministrazione propriamente detta è il punto piti dicile da spiegarsi », Marx rilevava la carenza di strumenti

lvi, p. 37. Ivi, p. 59.

p. 53.

K. Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili, a cura di G. della Volpe, Editori Riuniti, Roma 1969, 26 27

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teorici adeguati allo scopo e nel contempo anticipava una difficoltà che doveva permanere irrisolta nell’insieme della propria opera. E da osservare inoltre che Marx coglie riduttivamente l’analisi hege liana in quanto dal problema dello Stato vede esclusa l’analisi del la polizia e del potere giudiziario e la vede invece limitata all’esame dell’amministrazione. Hegel aveva invece scritto: « il potere governativo, nel quale sono compresi il potere giudiziario e quello di polizia » n, Che Marx avesse della burocrazia un con

le chiude la critica dell’analisi hegeliana al potere governativo:

cetto ristretto è testimoniato ancora dalla affermazione con la qua

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Hegel esprime poi (S 308, nota) lo spirito vero della burocrazia, quando lo caratterizza come routine amministrativa e orizzonte di una sfera limitata’



‘.

Anche l’analisi leniniana dello Stato non coglie il problema della burocrazia come problema essenziale. Lenin vede la burocrazia co me un fenomeno di deterioramento dell’organizzazione, e neI buro crate un funzionario dominato da atteggiamenti di routine

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Il riconoscimento della centralità del problema della burocrazia nell’analisi dello Stato è in Gramsci parte di una rielaborazione complessiva della teoria dello Stato. Piuttosto che completare la idea dai pii. ricavata teoria dello Stato di Marx e di Lenin dalla formula gramsciana « Stato = società politica + società la ricostruisce. La convinzione diffusa che l’elabora civile » zione gramsciana sul problema dello Stato riguardi specificamente gli Stati capitalistici avanzati e che perciò essa non neghi la ela che restano legittime e sufcienti borazione marxiana e leniniana non tiene per gli Stati a minor sviluppo della ‘società civile conto del criterio metodologico generale secondo il quale l’analisi delle formazioni storiche pii evolute permette di comprendere le formazioni storiche meno complesse, quel criterio fissato da Marx nell’espressione: « l’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anato mia della scimmia » 30, Una teoria dello Stato basata sull’analisi delle formazioni statali pM complesse, costituisce una rielabora zione complessiva che si pone come superamento della teoria pre cedente, e fornisce gli strumenti per dare ragione di quella teoria e di quegli Stati meno complessi

G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia dci diritto. Laterza. Roma-Bari. 1974, p. 288. Passo daltroride riportato da Marx stesso, Critica dello filosofia hegeliana, cit., p. 53. K. Marx, op., cit., p. 66 3 K. Marx, Introduzione a Per la critica, cit., p. 193.

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Il concetto gramsciano di Stato, nella sua forma più matura, compare nel paragrafo già considerata Machiavelli. Sociologia e scienza politica: Stato è tutto il complesso di attività pratiche e teoriche con cui la classe dirigente giustifica e mantiene il suo dominio non solo ma riesce a ottenere il consenso attivo de governati. (Q, 1765)

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Gli elementi di novità contenuti in questo concetto di Stato sono almeno tre: a) lo Stato non viene definito come un apparato una mac china uno strumento ma come un complesso di attività, come l’insieme delle attività delle classi dirigenti in quanto dirigenti. Questo significa che lo Stato non è più inteso come una fortezza da conquistare, come una macchina che possa essere alternativa mente guidata da un personale politico o da un altro, come un ap parato istituzionale che può essere posseduto da una classe o da un’altra, ma invece come insieme di azioni svolte da determinate classi, da determinate categorie sociali, da determinati gruppi di rigenti, da determinati uomini concreti; b) le attività che costituiscono lo Stato sono attività « pra tiche » e « teoriche ». Questo significa che lo Stato non è ridotto alle attività amministrati va giudiziaria e di polizia cioè all’esercizio pratico del potere attività che ne costituiscono una parte ma comprende anche attività elaborative, produttive di ideologie, informazioni e conoscenze. Ciò vuoi dire che lo Stato non è teso alla conservazione se non attraverso il concreto svilup po di determinati modi di sentire, di comprendere, di agire; e vuoi dire che la produzione, l’organizzazi one la e diffusione delle conoscenze è una parte dello Stato e che gli intellettuali una parte di essi sono parte dello Stato (anche da questo punto di vista si comprende perché il problema della burocrazia è un pro blema centrale nella teoria dello Stato); c) lo Stato non è ridotto alle attività di dominio (esercizio della coercizione) ma comprende le attività di direzione (costru zione del consenso); ma non si tratta semplicemente di questo, cioè del fatto di identificare una più complessa articolazione dello Stato. L’elemento di novità in Gramsci sta piuttosto in questo, che lo Stato non si presenta più come una entità separata dalla vita collettiva, come un organismo a sé che domina e dirige la società in quanto si pone al di sopra di essa, ma invece come il complesso di attività che organizzano e rendono omogenee le mol titudini, che stabiliscono i rapporti di rappresentanza dei diretti da parte dei dirigenti, che infine coinvolgono attivamente le masse nello Stato stesso. Mentre solitamente lo Stato è visto come l’or104



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ganismo che dal di fuori domina e dirige, riproducendo l’estranei tà da sé dei dominati e dei diretti, Gramsci coglie il fatto che le attività statali non sono attività volte a fissare la separazione este riore tra d_irigenti e diretti, ma piuttosto a costruire l’integrazione dei diretti nello Stato; ciò non vuoi dire che i diretti divengano dirigenti, ma che in quanto diretti si integrano nel complesso di attività statali che appunto tendono a realizzare i fini ed i pro getti delle classi dirigenti. Lo Stato è dunque l’organizzazione dei rapporti tra i dirigenti ed i diretti. Individuato cosf il problema dello Stato, il problema della buro crazia diviene fondamentale nella scienza della storia e della poli tica, e particolarmente nella teoria dello Stato. Ma cosa è più pre cisamente la burocrazia? Un primo elemento della teoria gramsciana della burocrazia sta nella identificazione della sua generale funzione di strutturazione e fissazione dei rapporti tra i dirigenti e i diretti. Gramsci nell’in dividuare la funzione della burocrazia nella organizzazione e nel mantenimento del collegamento dei diretti con i dirigenti, non in tende identificare una funzione mediatrice di uno strato sociale intermedio al modo di Hegel ma invece rilevare come le classi dirigenti affidano ad un personale specializzato, organicamente connesso ad esse, la gestione della dominanza dei dirigenti e della subordinazione dei diretti. Che in tal modo sia da inten dersi la funzione di collegamento della burocrazia è reso evidente dal fatto che essa, anche nel caso di uno Stato rappresentativo, non è, né ritiene di essere, rappresentativa dei diretti, eletta e controllata dal basso. Il personale burocratico dello Stato è no minato dall’alto, dai dirigenti politici dello Stato, ai quali rispon de delle proprie attività, ed è selezionato sulla base della compe tenza tecnica, che appare come criterio di legittimazione. In que sto modo, mentre le classi dirigenti richiedono ai burocrati fe deltà allo Stato (‘ spirito di Stato ‘), cioè alla propria politica, le classi subordinate possono esigere da questi soltanto l’efficienza tecnica nell’esercizio delle loro funzioni. Da questo deriva che la burocrazia rappresenta la continuità dello Stato, che garantisce dalle oscillazioni e dai rischi derivanti dalle lotte politiche di frazione all’interno delle classi dirigenti; come scrive Gramsci, « è la burocrazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente che esercita il potere coercitivo e che a un certo punto diventa casta. Onde la rivendicazione popolare della eleggibilità di tutte le cariche, rivendicazione che è estremo libe ralismo e nel tempo stesso sua dissoluzione ». 752)

Per Hegel « I membri del governo e i funzionari dello Stato co stituiscono la parte principale dello stato medio nel quale trovasi

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l’intelligenza educata e la coscienza giuridica della massa d’un po polo. Che essa non assuma la posizione isolata di un’aristocrazia, e che la cultura e la capacità non diventino mezzo di arbitrio e di dominazione, ciò è assicurato dalle istituzioni della sovranità, dal l’alto, e dai diritti delle corporazioni, dal basso. [...] Nello stato medio, a cui appartengono i funzionari statali, risiedono la co scienza dello Stato e la cultura la pid eminente. Perciò esso è anche la colonna basilare dello Stato in rapporto alla rettitudine e all’intelligenza [...] Che questo stato medio si formi è interesse principale dello Stato » . Come si vede, Hegel aveva impostato il problema della burocrazia al livello dei rapporti tra dirigenti e diretti, e individuata la sua centralità nel problema dello Stato. Egli aveva anche colto la situazione specifica dei burocrati in quanto delegati del potere politico e legittimati dalla competenza Hegel detecnica: questi due momenti politico e tecnico nomina aspetto soggettivo e oggettivo:

—-

Per la loro destinazione ai medesimi [compiti di governo] il momen to oggettivo è la conoscenza e la dimostrazione della loro [dei funzio nari j attitudine, dimostrazione che assicura allo Stato ciò che abbi sogna 1...] Il lato soggettivo, per cui questo individuo tra molti [...1 è scelto e nominato a un ufficio ed è delegato alla gestione dei pubblici negozi; questa congiunzione dell’individuo e dell’ufficio, come due lati per sé l’uno verso l’altro sempre accidentali, spetta al potere del prin cipe, in quanto potere statuale decidente e sovrano Tuttavia Hegel nell’individuare questi elementi del problema della burocrazia non ne fa la critica, piuttosto razionalizza una pratica in termini positivi. La sociologia, soprattutto con M. We ber, sviluppa l’analisi della burocrazia in termini analoghi e an dando poco oltre il contributo hegeliano (Weber si limita sostan zialmente a formalizzare l’analisi hegeliana); Gramsci invece ri prende la problematica hegeliana sulla burocrazia, la ricostruisce criticamente e cosi si pone oltre hegel, oltre Weber ed anche ol tre Marx, che sul problema della burocrazia non riesce a cogliere la decisività dei problemi posti da Hegel.

timamente legato al precedente, è l’individuazione del suo presen

Un secondo elemento della teoria gramsciana della burocrazia, in iarsi simultaneamente come fatto politico e come fatto tecnico. Gramsci identifica questo doppio carattere della burocrazia a par 31 K. Marx, Critica della filosofia cii,, p57. Questa e le successive cita ziuni dai lineamenti di 1Icgcl sono tratte dalla traduzione di G. della Volpe. date le deficienze della ormai invecchiata traduzione del Messineo » (G.d.V. ° G. W. F. Hegel; Lineamenti cit.. p. 55.

106

I

tire appunto

scrive:

dall’esame dei rapporti

tra

dirigenti e diretti. Egli

Primo elemento è che esistono davvero governati e governanti, diri genti e diretti. Tutta in scienza e l’arte politica si basano su questo fatto primordiale, irriducibile (in certe condizioni generali). E...] Dato questo fatto sarà da vedere come si può dirigere nel modo pid efficace (dati certi fini) e come pertanto preparare nel modo migliore i dirigenti (e in questo pit’s precisamente consiste la prima sezione della scienza e arte politica), e come d’altra parte si conoscono le linee di minore re sistenza o razionali per avere l’obbedienza dei diretti o governati. [...]

Occorre tener chiaro tuttavia che la divisione di governati e governan

ti, seppure in ultima analisi risalga a una divisione di gruppi sociali, tut tavia esiste, date le cose cosf come sono, anche nel seno dello stesso gruppo, anche socialmente omogeneo; in un certo senso si può dire che essa divisione è una erezione della divisione del lavoro, è un fatto tecnico. (Q, 1752)

‘,





——







‘,

Il duplice carattere politico e tecnico della burocrazia di scende dal fatto che la stessa distinzione tra dirigenti e diretti, clic costituisce il terreno nel quale la burocrazia si forma, risponde a esigenze politiche e tecniche della vita collettiva. La consapevo lezza di ciò permette a Gramsci di comprendere come la separa zione tra dirigenti e diretti, e quindi il terreno costituente della burocrazia, si riproduce anche laddove si realizzi una società senza classi ed ancora all’interno di un gruppo sociale omogeneo, ed all’interno dei partiti. Precisamente l’esistenza di una burocra zia manifesta una situazione di scissione tecnica e politica tra dirigenti e diretti. Aggiunge Gramsci: « Su questa coesistenza di motivi speculano coloro clic vedono in tutto solo tecnica necessità tecnica ecc. per non proporsi il problema fondamen tale » (0, 1752): che è questo:

Nel formare i dirigenti è fondamentale la premessa: si vuole che ci siano sempre governati e governanti, oppure si vogliono creare le con dizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? (Q. 1752)

Il terzo elemento della teoria gramsciana della burocrazia ri guarda il processo di formazione della burocrazia ed il problema della sua origine sociale. Riguardo al problema della formazione storica della burocrazia Gramsci individua un primo canale nella azione dei partiti:

Posto il principio che esistono diretti e dirigenti, governati e gover e vero che i partiti sono finora il modo pid adeguato per elabo dirigenti e le capacità di direzione. (Q, 1753) i

n’aliti,

rare

107

»,



‘,







Un secondo canale è dato dalla dissoluzione delle vecchie (pre cedenti) classi dominanti nella formazione del nuovo Stato, vale a dire nel fatto che gli intellettuali ed i quadri di quelle classi di ventano funzionari (amministratori, tecnici, organizzatori, ecc.) del nuovo potere statale. Gramsci coglie questo processo alla base della o nascita degli Stati moderni europei per piccole ondate ri formistiche successive, ma non per esplosioni rivoluzionarie come quella originaria francese. [...] Il periodo della Restaurazione è il pii ricco di sviluppi da questo punto di vista: la restaura zione diventa la forma politica in cui le lotte sociali trovano qua dri abbastanza elastici da permettere alla borghesia di giungere al potere senza rotture clamorose, senza l’apparato terroristico fran cese. Le vecchie classi feudali sono degradate da dominanti a go vernative ma non eliminate, né si tenta di liquidarle come in sieme organico: da classi diventano caste con determinati ca ratteri culturali e psicologici, non pi con funzioni economiche prevalenti » (Q, 1358). Proseguendo Gramsci si domanda se un processo analogo si può verificare nella formazione di uno Stato socialista: o Questo modello della formazione degli Stati moderni può ripetersi in altre condizioni? E ciò da escludere in senso assoluto, oppure può darsi che almeno in parte si possano avere sviluppi simili, sotto 1358). forma di avvento di economie programmatiche? » Gramsci individua in questo canale di formazione della buro crazia moderna uno degli elementi che danno ragione sia del fatto che « lo Stato [diviene] ogni tentativo di cristallizzare permanen temente un determinato stadio di sviluppo, una determinata situa sia di « un certo equilibrio instabile delle classi, determi zione nato dal fatto che certe categorie d’intellettuali (al diretto servizio dello Stato, specialmente burocrazia civile e militare) sono ancora troppo legate alle vecchie classi dominanti » (Q, 75 1-2). Questi due processi convergenti nella formazione della buro crazia riflettono e prolungano la distinzione gramsciana tra intellet tuali organici e intellettuali tradizionali; Gramsci cosf precisa la questione: 11 problema dei funzionari coincide in parte col problema degli in tellettuali. Ma se è vero che ogni nuova forma sociale e statale ha avuto bisogno di un nuovo tipo di funzionario, è vero anche che i nuovi gruppi dirigenti non hanno mai potuto prescindere, almeno per un certo tempo, dalla tradizione e dagli interessi costituiti, cioè dalle formazioni di funzionari già esistenti e precostituiti al loro avvento (ciò special mente nella sfera ecclesiastica e in quella militare). (Q, 1632) Ma l’analisi gramsciana della formazione storica della burocra ia moderna individua un terzo canale: 108



‘,





























Esiste [...] uno strato sociale diffuso per il quale la carriera burocra tica, civile e militare, sia elemento molto importante di vita economica e di affermazione politica (partecipazione effettiva al potere, sia pure in direttamente, per ricatto ‘)? Nell’Europa moderna questo strato si può identificare nella borghesia rurale media e piccola che è piti o meno dif fusa nei diversi paesi a seconda dello sviluppo delle forze industriali da una parte e della riforma agraria dall’altra. Certo la carriera burocratica (civile e militare) non è un monopolio di questo strato sociale, tuttavia essa gli è particolarmente adatta per la funzione sociale che questo stra to svolge e per le tendenze psicologiche che la funzione determina o favorisce; questi due elementi danno all’insieme del gruppo sociale una certa omogeneità ed energia di direttive, e quindi un valore politico e una funzione spesso decisiva nell’insieme dell’organismo sociale. Gli ele menti di questo gruppo sono abituati a comandare direttamente nuclei di uomini sia pure esigui e a comandare politicamente’, non ‘econo micamente ‘; cioè nella loro arte di comando non c’è attitudine a ordi nare le cose a ordinare uomini e cose in un tutto organico, come avviene nella produzione industriale, perché questo gruppo non ha fun zioni economiche nel senso moderno della parola. Esso ha un reddito perché giuridicamente è proprietario di una parte del suolo nazionale e la sua funzione consiste nel contendere politicamente al contadino coltivatore di migliorare la propria esistenza, perché ogni miglioramento della posizione relativa del contadino sarebbe catastrofica per la sua po sizione sociale. La miseria cronica e il lavoro prolungato del contadino, col conseguente abbruttimento, sono per esso una necessità primordiale. Perciò spiega la massima energia nella resistenza e nel contrattacco a ogni movimento culturale contadino che esca dai limiti della religione ufficiale. Questo gruppo sociale trova i suoi limiti e le ragioni della sua intima debolezza nella sua dispersione territoriale e nella inomogeneità che è intimamente connessa a tale dispersione; ciò spiega anche altre caratteristiche: la volubilità, la molteplicità dei sistemi ideologici se guiti, la stessa stranezza delle ideologie talvolta seguite. La volontà è decisa verso un fine, ma essa è tarda e ha bisogno, di solito, di un- lungo processo per centralizzarsi organizzativamente e politicamente. Il proces so si accelera quando la volontà’ specifica di questo gruppo coincide con la volontà e gli interessi immediati della classe alta; non solo il processo si accelera, ma si manifesta subito la forza militare di questo strato, che talvolta, organizzatosi, detta legge alla classe alta, almeno per ciò che riguarda la forma della soluzione, se non per il contenu to. [.1 In questo senso deve intendersi la funzione direttiva di questo strato e non in senso assoluto; tuttavia non è piccola cosa. [...] È da notare come questo carattere militare del gruppo sociale in quistione, che era tradizionalmente un riflesso spontaneo di certe condizioni di esi stenza, viene ora consapevolmente educato e predisposto organicamen te. [...] (Q, 1603-7)

Attraverso questa analisi delle origini sociali e dei canali di formazione della burocrazia, Gramsci affronta il problema dello Stato e della sua struttura di classe ad un livello di concretezza diverso da quello dell’analisi marxiana, e della rielaborazione di

109







‘.

‘.



questa sviluppata da Lenin. Per essi il problema era quello di de finire il carattere dello Stato, che veniva fissato nella corrispon denza tra il modo di produzione determinato (capitalista, sociali sta) e le classi dominanti (borghesia, proletariato); ne conseguiva la concettualizzazione del carattere dello Stato in termini di dit tatura borghese e di dittatura del proletariato L’analisi (li Gramsci conduce invece alla individuazione dei rapporti concreti tra le classi dirigenti e le classi subordinate e delle mediazioni (cioè delle attività volte a produrre la subordinazione delle se conde alle prime) attuate da particolari categorie sociali (intellet tuali, burocrati, tecnici). Il quarto elemento della teoria gramsciana della burocrazia ri iLLarda il processo attraverso il quale la burocrazia si configura come casta e concepisce se stessa come corpo separato Un fattore decisivo per la comprensione di questo processo sta nella osservazione gramsciana sulla parziale sovrapposizione del proble ma della burocrazia e della questione degli intellettuali. In effetti nella analisi degli intellettuali Gramsci individua le ragioni sia del loro costituirsi come gruppo sociale che del loro concepire se stessi come distaccati dalle classi e dai loro interessi:







—,





Siccome queste «arie categorie di intellettuali tradizionali sentono con spirito di corpo la loro ininterrotta continuità storica e la loro qua lifica scrive Gramsci cosi essi pongono se stessi come autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante; questa auto-posizione non è senza conseguenze nel campo ideologico e politico, conseguenze di vasta portata storica (tutta la filosofia idealista si può facilmente con nettere con questa posizione assunta dal complesso sociale degli intel lettuali e si può defl&re l’espressione di questa utopia sociale per cui gli intellettuali si credono ‘indipendenti’, autonomi, rivestiti di carat teri loro propri ecc. [.1 (Q 1515) Pié specificamente sulla burocrazia:



E...] il gruppo portatore delle nuove idee non è il gruppo economico, ma il ceto degli intellettuali, e la concezione dello Stato di cui fa la propa ganda, muta d’aspetto: esso è concepito come una cosa a sé, come un assoluto razionale. La questione può essere impostata cosf: essendo lo Stato la forma concreta di un mondo produttivo ed essendo gli intellet tuali l’elemento sociale da cui si trae il personale governativo, è proprio dell’intellettuale non ancorato fortemente a un forte gruppo economico, di presentare lo Stato come un assoluto: cosf è concepita come assoluta e preminente la stessa funzione degli intellettuali, è razionalizzata astrat tamente la loro esistenza e la loro dignità storica. Questo motivo è ba silare per comprendere storicamente l’idealismo filosofico moderno ed è connesso al modo di formazione degli Stati moderni nell’Europa conti nentale come reazione-superamento nazionale della Rivoluzione fran cese che con Napoleone tendeva a stabilire una egemonia permanente. (Q. 1360-1) 110

Tale importanza attribuisce Gramsci a questo elemento della teoria che lo adopera come espressione sintetica del fenomeno bu rocratico:

752)

E...] la burocrazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente che esercita il potere coercitivo e che a un certo punto diventa casta. ((,







‘,



In questi due brani Gramsci rileva l’esistenza di un rapporto tra la posizione della burocrazia come categoria sociale separata e la concezione dello Stato come ente autonomo distaccato dalla vita delle classi. In tali condizioni lo spirito di Stato del quale la burocrazia è il depositano, non consiste in un insieme di prin cipi etici che lo Stato pone come norma a Lutti i cittadini, e nep pure nell’assunzione di punti di vista e criteri di carattere uni versale (il bene comune, il patriottismo eccì. ma invece nel ce mento ideologico che rende omogenea e compatta la burocrazia stessa, cioè una ideologia particolare (di gruppo) che razionalizza a posizione da essa detenuta. In questo modo lo spirito statale 1 espresso dalla burocrazia non consiste nella assunzione dei fini ge nerali da parte di funzionari statali (come riteneva Hegel), ma nel proporre i propri fini di gruppo come f]ni generali della col lettività. Ecco perché il potere governativo appare come corpo separato, ed ecco perché « lo Stato era concepito come qualcosa di astratto dalla collettività dei cittadini, come un padre eterno che avrebbe pensato a tutto, provveduto a tutto ecc.; da ciò la assenza di una democrazia reale, di una reale volontà collettiva nazionale e quindi, in questa passività dei singoli, la necessità di un dispo tismo pid o meno larvato della burocrazia » (Q, 750-1).

‘,



Questo elemento della teoria della burocrazia è costruito da Gramsci in diretto riferimento all’analisi hegeliana della burocrazia dei Lineamenti della filosofia dcl diritto. (È da osservare che Gramsci non conosceva, perché ancora medita, la interpretazione e la critica del testo di hegel sviluppata da Marx nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Questo significò un rapporto diretto, senza mediazioni, con l’analisi hegeliana). Hegel affronta la questione della sussunzione dei particolari interessi della società civile nella sfera dell’universale in sé e per sé dello Stato in quanto compiuto e funzione della burocra zia, particolarmente nei paragrafi 287 e 289. Nel primo scrive:

Questo compito della sussunzione in generale comprende in sé il potere goveHratiuo, in cui sono parimenti compresi il potere giudiziario

111

e quello di polizia, che, pii’i direttamente, hanno rapporto con la parti colarità della società civile e fanno valere in questi fini l’interesse ge nerale. E nel secondo:

.

Il mantener fermo l’interesse generale dello Stato e la legalità in questi diritti particolari, e il ricondurre i medesimi a quello, esige una cura da parte dei delegati del potere governativo, dei funzionari statali esecutivi e delle superiori autorità consulenti in quanto costituite col legjalmente E...] Come la società civile è il campo di dell’inte resse privato individuale di tutti contro tutti, cosf quibattaglia ha la sua sede il conflitto del medesimo con i comuni affari particolari, e di questi insieme a quello contro i piii alti punti di vista e ordinamenti dello Stato. Lo spirito corporativo, che si genera nel diritto delle sfere par ticolari, si converte in sé stesso, ad un tempo, nello dello Stato, giacché esso ha nello Stato il mezzo di conservazione spirito dei fini particolari. Questo è il segreto del patriottismo dei cittadini da cioè essi conoscono lo Stato come loro sostanza, perché questo lato, che le loro sfere particolari, il loro diritto e la loro autorità, come ilconserva loro benessere. Nello spirito corporativo, poiché esso contiene immediatamente il ra dicarsi del particolare nell’universale, è pertanto la profondità e la forza che lo Stato ha nel sentimento













‘,

L’interpretazione e la critica di Marx di queste analisi hegeliane danno la chiave per comprendere l’insieme della teoria marxiana dello Stato. In un senso Marx realizza un superamento della con cezione hegeliana dello Stato, in quanto coglie il fatto che lo Stato non rappresenta astrattamente gli interessi generali, ma gli inte ressi particolari delle classi dominanti (riconoscendo un certo grado di universalità all’azione di certe classi, nel momento in cui esse svolgono una funzione progressiva e rivoluzionaria); in un altro rimane al di sotto della analisi hegeliana, in quanto non coglie per intero la funzione sostanziale della burocrazia nello Stato. La radice di tale parzialità sembra risiedere nella troppo somma ria lettura che Marx fa dei brani sopra riportati; egli difatti nel commento ad essi riduce sia il concetto hegeliano di società civile che quello di Stato:

‘,

‘.

Ciò inizia Marx è notevole: 1) per la definizione della società civile come bellum omnium contra omnes; 2) perché l’egoismo privato è svelato come il segreto del patriottismo dei cittadini e come la profondità e la forza dello Stato nel sentimento ‘; 3) perché il ‘citta dino l’uomo dell’interesse particolare in Opposizione all’universale, il membro della società civile, è considerato come ‘individuo fisso men tre lo Stato si oppone egualmente in degli individui fissi ai citta dini .n Ivi, pp. 53-4. K. Marx, Critica della filosofia cit., p. 54.

112









,

-



Marx non vede che la società civile per Hegel non è soio la sfera dell’interesse privato individuale, ma anche la sfera dei Co muni interessi particolari, che quindi nell’analisi hegeliana la so cietà civile’ non sono solo i cittadini come soggetti economici pri vati, ma anche « le corporazioni delle comunità e degli altri me stieri e stati » come soggetti collettivi organizzati provvisti di una propria burocrazia particolare. Queste corporazioni e i loro propri funzionari. « rientrano nella società civile » e « restano fuori E...] dello Stato » Due osservazioni ancora su questo punto. In primo luogo: la società civile diviene in Marx la sfera delle attività puramente economiche, laddove in Hegel essa includeva organizzazioni sociali, norme giuridiche, apparati burocratici, ecc. In secondo luogo: in Marx la lotta nella sfera econnmica, individuata come lotta tra classi, non trova momenti (li mediazione all’interno della sfera della società civile ma soio nella sfera statale; in Hegel la lotta tra gli interessi opposti, individuata come conflitto tra singolo e tra cor porazioni (concezione piil primitiva in questo senso di quella marxiana), trova momenti di mediazione già nella sfera della so cietà civile (concezione pi1 evoluta in questo senso di quella marxiana). Riguardo il concetto di Stato, Marx ripete la medesima opera zione di esclusione della burocrazia dal quadro dell’analisi. Egli non vede che la sfera dello Stato per Hegel non è solo la sfera della empirica esistenza dei governanti, cioè di determinati individui che si oppongono ad altri individui, in un astratto rapporto-oppo sizione tra Stato e cittadini, ma anche una concreta organizzazione l’attività della bu del potere, « l’organizzazione delle autorità » rocrazia. Dato che Marx attribuisce a 1-legel l’esclusione della burocrazia sia dalla sfera della società civile che dalla sfera dello Stato, inter preta la concezione hegeliana della burocrazia come se questa fosse fondata sulla separazione tra lo Stato e la società civile: ‘









‘,

Hegel parte dalla separazione dello Stato e della società civile dei particolari interessi e dell’’ universale che è in sé e per sé’ e

senza dubbio fonda la burocrazia su questa separazione





E dato che Marx non s’accorge che l’analisi hegeliana individua due concreti livelli di organizzazione burocratica (nella sfera della società civile e nella sfera dello Stato), e che il rapporto tra lo Stato secondo Hegel lo specifico compito di e la società civile è Ivi, p. 33. Ivi, p. 35. u Ivi, p. 58.

113

queste burocrazie, rivolge a Hegel la critica di aver lasciato a mez z’aria la burocrazia, e di averne dato una rappresentazione specula tiva. E fa il verso a Hegel:







‘,

‘,



.









‘,

‘.

Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia, e la burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni. La corporazione è la burocrazia della società civile; la burocrazia è la corporazione dello Stato. In realtà la burocrazia si contrappone perciò come società civile dello Stato allo Stato della società civile alle corporazioni. Là dove la burocra zia è un nuovo principio, dove l’interesse generale dello Stato comincia a diventare un interesse a parte e però un interesse reale essa lotta contro le corporazioni come ogni conseguenza lotta contro l’esisten za dei suoi presupposti. Al contrario, tostoché la vita reale dello Stato si sveglia e la società civile, mossa da proprio istinto razionale, si libera dalle corporazioni, la burocrazia cerca di restaurarle; ché appena cade lo Stato della società civile cade la società civile dello Stato Lo spiritualismo scompare assieme al materialismo, suo contrapposto. La conseguenza lotta per l’esistenza dei suoi presupposti, tostoché un nuo vo principio lotta non contro tale esistenza, ma contro il principio di essa esistenza. Il medesimo spirito che crea, nella società, la corpora zione, crea, nello Stato, la burocrazia



‘.

Cosicché solo alla fine del ragionamento Marx riconosce le buro crazie ;zella società civile e nello Stato, ma nei termini dell’attribu zione a Hegel di una analisi speculativa. Questa insufficienza della interpretazione e della critica di Marx del testo hegeliano non è senza conseguenze. Essa è in effetti alla base del modo in cui Marx imposta e risolve il probema dei rap porti tra economia e Stato e tra « struttura e « sovrastruttura Nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica Marx parte proprio dal rapporto con Hegel:

Ibid.

Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assalivano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui apparve l’introduzione nei Deutsch-franziisische Jahrbiicher pubblicati a Parigi nel 1844. La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rap porti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali della esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esem pio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di società civile ‘; e che l’anatomia della società civile è da cercare nella economia politica, E...] Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servf da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato cos: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’in38

Ii I

sieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita 39.







‘.





Dal momento che Marx, sulla base di quella lettura di Hegel, ri duce la società civile ai rapporti economici e toglie la burocrazia (e gli intellettuali) dalla società civile e dallo Stato, egli perde la possibilità di individuare i rapporti concreti tra economia e Stato, struttura e « sovrastruttura Tali rapporti sono in realtà attuati da specifiche categorie sociali (la burocrazia, gli intellettuali), sicché, non individuate queste categorie nella loro propria funzione, questi rapporti concreti sfuggono all’analisi e vengono quindi concepiti in modo astratto attraverso concetti speculativi: determinazione, cor rispondenza, rispecchiamento, condizionamento, ecc. Una insufficien za nella analisi concreta della organizzazione sociale e statale porta Marx ad una formulazione teorica speculativa su questi problemi. Gramsci, a partire da una propria lettura critica di Hegel e da una interpretazione ed una critica di Marx, affronta questi problemi in modo diverso. Ci limitiamo ad accennare i tratti fondamentali della risposta gramsciana. Egli critica il carattere speculativo (« « mi racolo superstizioso» [Q, 1422]) dei rapporti tra « struttura’ e sovrastruttura e tra società civile e Stato, in quanto coglie la funzione di collegamento specificamente svolta dagli intellettuali (« funzionari della sovrastruttura ») e dalla burocrazia, e su que sta base definisce i rapporti tra « struttura e sovrastruttura col concetto di blocco storico, blocco sociale tra classi organizzative dell’economia e gruppi dirigenti dello Stato cementato dalla atti vità delle diverse categorie intellettuali; e definisce i rapporti tra dirigenti e diretti sulla base del concetto di Stato come società civile più società politica, organizzati dalla burocrazia. Ma Gramsci dà anche una spiegazione delle posizioni assunte da Hegel e da Marx sul problema, inquadrandole storicamente. In uno dei primi paragrafi del Quaderno i intitolato Hegel e l’associa zionismo, scrive:



K. Marx,

Per la critica cit., pp. 4-5.





La dottrina di Hegel sui partiti e le associazioni come trama pri vata dello Stato. Essa derivò storicamente dalle esperienze politiche della Rivoluzione francese e doveva servire a dare una maggiore con cretezza al costituzionalismo. Governo col consenso dei governati, ma col consenso organizzato, non generico e vago quale si afferma nell’istan te delle elezioni: lo Stato ha e domanda il consenso, ma anche educa questo consenso con le associazioni politiche e sindacali, che però sono organismi privati, lasciati all’iniziativa privata della classe dirigente. 39

1i



Hegel, in un ccrto senso, supera già, coil, il puro costituzionalismo e teorizza lo Stato parlamentare col suo regime dei partiti. La sua conce zione dell’associazione non può essere che ancora vaga e primitiva, tra il politico e l’economico, secondo l’esperienza storica del tempo, che era molto ristretta e dava un solo esempio di organizzazione, quello corporativo (politica innestata nell’economia). Marx non poteva avere esperienze storiche superiori a quelle di Hegel (almeno molto superiori), ma aveva il senso delle masse, per la sua at tività giornalistica e agitatoria. Il concetto di Marx dell’organizzazione rimane ancora impigliato tra questi elementi: organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di piccoli gruppi, organizzazione (Q, 56-7)

giornalistica.

‘,



Gramsci sottolinea l’importanza della analisi hegeliana della so cietà civile, che permette a Hegel di teorizzare lo Stato che orga nizza ed educa al consenso con le associazioni politiche e sindacali, oltreché coi propri mezzi. Ma insieme ne coglie la limitazione nel fatto che Hegel non poteva ancora avere l’esperienza dei partiti di massa, che è all’origine della critica della sociologia e della scienza della storia e della politica, come abbiamo visto. Neanche Marx ebbe tale esperienza, tuttavia rispetto a Hegel aveva in pi il senso delle masse ma in meno la comprensione della complessità della vita e dell’organizzazione statale. La critica di Gramsci a Marx su questo punto decisivo non si poteva finora cogliere, in quanto il passaggio che abbiamo citato era stato omesso nelle precedenti edizioni dei Quaderni. Questa osservazione storico-critica di Gramsci è da collegare col problema della formazione dello spirito statale. Come già abbiamo visto, per Hegel lo spirito statale ha origini nelle corporazioni (« lo spirito corporativo, che si genera nel diritto delle sfere parti colari, si converte in se stesso, ad un tempo, nello spirito dello Stato, giacché esso ha nello Stato il mezzo di conservazione dei fini particolari »). Gramsci sviluppa criticamente questo tema, ri tenendolo cruciale:





—---

...] lo spirito di partito E...1 è l’elemento fondamentale dello spirito scrive nel paragrafo citato Machiavelli. Elementi di politica, e statale La dimostrazione che lo spirito di partito è l’elemento fon prosegue damentale dello spirito statale è uno degli assunti pi6 cospicui da so stenere e di maggiore importanza. (Q, 1755) Laddove hegel identifica la formazione dello spirito statale nelTe corporazioni, Gramsci la individua nei partiti politici, con ciò cogliendo il passaggio storico a forme pi6 evolute di organiz zazione statale; non solo: laddove Hegel fondava il divenire dello spirito corporativo in spirito statale sul fatto che lo Stato garan tiva la realizzazione dei fini delle corporazioni e dei diritti del cit 116

i

tadino, Gramsci fondava il divenire dello spirito di partito in spi rito statale sul fatto che è nel partito che gli uomini ed i gruppi sociali acquistano una coscienza universale-nazionale (superando lo individualismo e l’interesse economico-corporativo di gruppo, po nendosi fini generali); è nel partito che si educano i dirigenti ed i funzionari statali; attraverso i partiti le classi divengono Stato.



‘,

M. Weber,

Economia

e

socieflh,

——







‘.

Edizioni di Comunità, Milano 1961,

——

Quinto elemento della teoria gramsciana della burocrazia è il carattere storicamente determinato del problema della burocrazia, e quindi il rapporto tra le burocrazie moderne e la grande crisi « Si può dire che ogni forma di società ha la sua impostazione o soluzione del problema della burocrazia, e una non può essere uguale all’altra » (Q, 974), scrive Gramsci a conclusione del paragra fo Sel/-government e hz;rocrazia, ove prende in esame il caso inglese in rapporto al francese e al tedesco. « È certo che ogni forma so ciale e statale ha avuto un suo problema dei fun7.ionari, un suo modo di impostarlo e risolverlo, un suo sistema di selezione, un suo tipo di funzionario da educare. Ricostruire lo svilgimento di tutti questi elementi è di importanza capitale » (Q, 1632) scrive ancora nei paragrafo Sulla burocrazia. L’affermazione del carattere storicamente determinato del problema della burocrazia non è per Gramsci soltanto un richiamo metodologico generale, ma un ele mento della teoria della burocrazia al quale attribisce importanza capitale e questo perché in esso è racchiusa la critica specifica a tutte le teorie che nella burocrazia vedono un tratto tipico di tutte le società moderne, e su questo fondano una analisi socio logica generale ed astratta, non storica. (Si veda per tutti M. \Veber, che in Economia e società alla analisi della burocrazia pre mette la seguente « Osservazione preliminare. Abbiamo di propo sito preso le mosse dalla forma specificamente moderna di ammi nistrazione per poter in seguito raffrontare con essa in altre » La storicità del problema della burocrazia porta Gramsci a prendere in esame l’assetto delle burocrazie moderne nel contesto della grande crisi organica mondiale, in quanto tale crisi segna una riorganizzazione complessiva dei come abbiamo visto fe rapporti tra dirigenti e diretti. Nelle tre risposte alla crisi sul nomeno americano, fenomeno fascista, fenomeno stalinista terreno della riorganizzazione dello Stato, coglie l’imponente espan sione ed il predominio acquisito dalla burocrazia come indice del mancato superamento della crisi. In una serie di paragrafi esamina il processo storico che conduce alla crisi del modello di organizza zione degli Stati europei contemporanei. Gramsci prende le mosse dalla individuazione dcl progetto di 4°

p. 215,

117

organizzazione dello Stato sviluppato dalla classe borghe se; nel pa ragrafo Lo Stato e la concezione del diritto scrive:

937)



‘,



La rivoluzione portata dalla classe borghese nella concezione del di ritto e quindi nella funzione dello Stato consiste special mente nella vo lontà di conformismo (quindi eticità del diritto e dello Stato). Le classi dominanti preced enti erano essenz ialmen te conser vatrici nel senso che non tendevano ad elaborare un passaggio organi co dalle altre classi alla loro, ad allargare cioè la loro sfera di classe ‘tecnicamente e ideologi camen te: la concez ione di casta chiusa . La classe borghe se pone se stes sa come un organismo in continuo movim ento, capace di assorb ire tutta la società, assimilandola al suo livello cultura le ed econom ico: tutta la funzione dello Stato è trasformata: lo Stato diventa educatore ecc.

(Q,



È il progetto di organizzare i rapporti tra dirigen i ti e i diretti (la vita dello Stato) sulla base del consen so, cioè sulla base della conformazione dei governati ai fini dei govern anti, che è il senso proprio della aspirazione universalistica affidata allo Stato della classe borghe se. Questo progetto si strut tura in due elemen ti, il princip io di rappresentatività (come delega del potere) che si esprim e nel re gime parlamentare e dei partiti, e il princip io di compe tenza tecni ca che si esprime nel regime burocratico (nella divisio ne dei po teri dello Stato). Identificato il proget to, Grams ci prende in esame le condiz ioni della sua realizzazione e le sue limitaz ioni strut tural i, e dell’or ga nizzazione statale che ne risulta fa la critica. Grams ci intend e il progetto della classe borghe se non come l’ideaz ione di un modello astratto di organizzazione della vita statale e la propos izione dei modi di attuarlo, ma come risultato dei conflit ti reali e risposta (iniziativa) alle condizioni date che gli ideologi razionalizzano e rendono sistematicamente coerenti nella teoria. La divisione dei poteri e tutta la discus sione avvenu ta per la sua rea li7zazione e la dogmatica giuridi ca nata dal suo avvent o, sono il risultato della lotta tra la società civile e la società politic a di un determinato periodo storico, con un certo equilibrio instabi le delle classi, determi nato dal fatto che certe categorie d’intellettuali (al diretto servizio dello Stato, specialmente burocrazia civile e militar ati alle vecchie classi dominanti. (Q, 751) e) sono ancora troppo le scrive Gramsci iniziando il paragrafo Egemo nia (societ à civile) e di visione dei poteri. La critica gramsciana allo Stato borghe se non consiste nell’individuare contrad dizion i astratte nel model lo di Sta to, e neanche nel contrapporre il model lo astratto alla sua realiz zazione concreta, hensf nell’analisi storico-critica della lotta tra le 118









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classi dalle quali risulta la conformazione di uno Stato che risente dell’equilibrio instabile dei rapporti tra le classi, di uno Stato che è contraddittorio in quanto risultante da una lotta. Più precisamente: il conflitto tra rappresentanza politica e com petenza tecnica, tra regime parlamentare e regime burocratico, esprime il fatto che le categorie d’intellettuali al diretto servizio dello Stato, specialmente burocrazia civile e militare, sono troppo legate alle vecchie classi dominanti, di modo che il progetto uni versalistico della borghesia s’infrange contro una burocrazia che diviene casta, stacca lo Stato dalla società civile e lo assolutizza. La classe borghese non riesce a produrre a sufficienza i propri in tellettuali organici, non raggiunge la piena egemonia e deve ricor mediante com rere o alla violenza giacobina o alla utilizzazione degli intellettuali tradizionali; da questo risulta che promesso lo Stato borghese non può poggiare sulla sola rappresentanza in quanto la sua attività di educazione al consenso è insufficiente e di e non riesce ad organizzare un conformismo di massa conseguenza la burocrazia (civile e militare) assolve sempre più funzioni politiche ed occupa spazi crescenti nella vita dello Stato. La conclusione critica gramsciana viene di seguito nel medesimo paragrafo:

Importanza essenziale della divisione dei poteri per il liberalismo po litico ed economico: tutta l’ideologia liberale, con le sue forze e le sue debolezze, può essere racchiusa nel principio della divisione dei poteri e appare quale sia la fonte della debolezza del liberalismo: è la buro crazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente che esercita il po tere coercitivo e che a un certo punto diventa casta. Onde la rivendi cazione popolare della eleggibilità di tutte le cariche, rivendicazione che è estremo liberalismo e nel tempo stesso sua dissoluzione. (Q, 752)

Molto più oltre, nel paragrafo Machiavelli. Lo Stato., Gramsci ri prende il problema:





...] quale fondamento hanno le accuse che si fanno al parlamentarismo e al regime dei partiti, che è inseparabile dal parlamentariSmo? (fonda mento obbiettivo, s’intende, cioè legato al fatto che l’esistenza dei Par lamenti, di per sé, ostacola e ritarda l’azione tecnica del governo). Che il regime rappresentativo possa politicamente dar noia alla burocrazia di carriera s’intende; ma non è questo il punto. Il punto è se il regime rappresentativo e dei partiti invece di essere un meccanismo idoneo a scegliere funzionari eletti che integrino cd equilibrino i burocratici nominati, per impedire di pietrificarsi sia divenuto un inciampo e un meccanismo a rovescio e per ragioni. (Q, 1708)

Lo sviluppo storico di queste ‘contraddizioni’ culmina nella crisi di rappresentanza e nella vittoria della burocrazia, processi

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che significano la crisi storica dello Stato liberale. Questa crisi manifesta il fallimento del progetto statale della classe borghese, in quanto essa non è riuscita a diventare classe generale che con forma a sé le altre classi:



Come avvenga un arresto e si ritorni alla concezione dello Stato come pura forza, ecc. La classe borghese è saturata solo non si diffon de, ma si disgrega; non solo non assimila nuovi elementi, ma disassimila una parte di se stessa (o almeno le disassimilazioni sono enormemente più numerose delle assimilazioni. (Q, 937) In ciò precisamente consiste la crisi organica. Gramsci spiega il rapporto tra la crisi dell’organizzazione sta tale rappresentativa e il predominio della burocrazia (nell’organiz

zazione statale) in Osservazione su alcuni aspetti della struttura dei partiti politici nei periodi di crisi organica. A un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini che li costituiscono, li rappresentano e li dirigono non sono più riconosciuti come loro espres sione dalla loro classe o frazione di classe. (Q, 1602-3) Un primo elemento individuato da Gramsci è che la crisi di rap presentanza si presenta innanzitutto come crisi dei partiti, cioè dei canali in cui si esprime la rappresentanza e si organizza il consenso; ciò vuol dire che non si tratta solo del fatto che le classi subordinate non si riconoscano nella data direzione statale, ma che le stesse classi dominanti percepiscono i propri organi par titici come inadeguati ai compiti che esse si pongono nel momento storico dato. Ciò accade perché mentre le classi si evolvono, i par titi si cristallizzano chiudendosi in un processo di burocratizza rione. Prosegue Gramsci: Quando queste crisi si verificano, la situazione immediata diventa de licata e pericola, perché il campo è aperto alle soluzioni di forza, all’at tività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali o Ca rismatici. Come si formano queste situazioni di contrasto tra rappresen tanti e rappresentati, che dal terreno dei partiti (organizzazioni di par tito in senso stretto, campo elettorale-parlamentare, organizzazione gior nalistica) si riflette in tutto l’organismo statale, rafforzando la posizione relativa del potere della burocrazia (civile e militare), dell’alta finanza, della Chiesa e in generale di tutti gli organismi relativamente indi pendenti dalle fiuttuazioni dell’opinione pubblica? In ogni paese il pro cesso è diverso, sebbene il contenuto sia lo stesso. E il contenuto è la crisi di egemonia della classe dirigente, che avviene o perché la classe dirigente ha fallito in qualche sua grande impresa politica per cui ha 120



domandato o imposto con la forza il conscnso delle grandi masse (come la guerra) o perché vaste masse (specialmente di contadini e di piccoli borghesi intellettuali) sono passati di colpo dalla passività politica a ùna certa attività e pongono rivendicazioni che nel loro complesso di sorganico costituiscono una rivoluzione. Si parla di crisi di autorità e ciò è appunto la crisi di egemonia, o crisi dello Stato nel suo com plesso. (Q, 1603)

È in questo passo la formulazione più compiuta del processo, che vede insieme il fallimento del progetto universalistico della classe borghese che si esprime nella perdita dell’egemonia, lo svi luppo dell’autonomia ideologica delle classi subordinate che si espri me nell’avvento dei partiti di massa e il raflorzamento della buro crazia come stabilizzazione dei rapporti di dominio tra le classi. Elemento caratterizzante di questo periodo storico è il rapporto tra la grande guerra e la mobilitazione e l’organizzazione di grandi masse, che in precedenza abbiamo analizzato. Gramsci prosegue:

La crisi crea situazioni immediate pericolose, perché i diversi strati della popolazione non possiedono la stessa capacità di orientarsi rapida mente e di riorganizzarsi con lo stesso ritmo. La classe tradizionale di rigente. che ha un numeroso personale addestrato, muta uomini e pro grammi e riassorbe il controllo che le andava sfuggendo con una celerità maggiore di quanto avvenga nelle classi subalterne; fa magari dei sacri flzi. si espone a un avvenire oscuro con promesse demagogiche. ma mantiene il potere, lo rafforza per il momento e se ne serve per schiac ciare l’avversario e disperderne il personale di direzione, che non può essere: molto numeroso e molto addestrato. Il passaggio delle truppe di molti partiti sotto la bandiera di un partito unico clic meglio rappre senta e riassume i bisogni dell’intera classe è un fenomeno organico e normale, anche se il suo ritmo sia rapidissimo e quasi fulmineo in con fronto di tempi tranquilli: rappresenta la fusione di un intero gruppo sociale sotto un’unica direzione ritenuta sola capace di risolvere un pro blema dominante esistenziale e allontanare un pericolo mortale. Quando la crisi non trova questa soluzione organica, ma quella del capo carisma tico, significa che esiste un equilibrio statico (i cui fattori possono es sere disparati, ma in cui prevale l’immaturità delle forze progressive) che nessun gruppo, né quello conservativo né quello progressivo, ha la forza necessaria alla vittoria e che anche il gruppo conservativo ha bi sogno di un padrone (cfr. 1118 brumaio di Luigi Napoleone). (Q, 1603-4)

Nella situazione di una crisi di rappresentanza il problema im mediato della classe dominante è quello di evitare la propria di sgregazione e di riorganizzarsi come classe dominante; essa prende atto della sua crisi di egemonia e non è in condizione di perse guire il progetto di conformare a sé le altre classi, non utilizza più il regime rappresentativo cd i partiti come organizzazioni volte

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alla costruzione del consenso. Essa si unifica e si riorganizza in torno alla burocrazia (civile e militare) che emerge come il par tito unico il solo in condizione di assolvere i nuovi compiti della classe dominante. Si configura il predominio organico del regime burocratico. Questo predominio, come di seguito rileva Gramsci, non si manifesta solo nello Stato (il partito della classe dominante), ma coinvolgc anche le organizzazioni sociali, i partiti, le istituzioni cul turali (anche quelle delle classi subordinate, anche laddove diven tarono Stato): Questo ordine di fenomeni è connesso a una delle quistioni piii im portanti che riguardano il partito politico, e cioè alla capacità del partito di reagire contro lo spirito di consuetudine, contro le tendenze a mum mificarsi e a diventare anacronistico. I partiti nascono e si costituiscono in organizzazione per dirigere le situazioni in momenti storicamente vi tali per le loro classi; ma non sempre essi sanno adattarsi ai nuovi com piti e alle nuove epoche, non sempre sanno svilupparsi secondo che si sviluppano i rapporti complessivi di forza (e quindi posizione relativa delle loro classi) nel paese determinato o nel campo internazionale. Nell’analizzare questi sviluppi dei partiti occorre distinguere: il gruppo sociale; la massa di partito; la burocrazia e lo Stato maggiore del par tito. La burocrazia è la forza consuetudinaria e conservatrice più peri colosa; se essa finisce col costituire un corpo solidale, che sta a sé e si sente indipendente dalla massa, il partito finisce col diventare ana cronistico, e nei momenti di crisi acuta viene svuotato del suo con tenuto sociale e rimane come campato in aria. (Q, 1604) La burocratizzazione nei partiti Gramsci la coglie anche a par tire dalla individuazione dei compiti che si pongono le classi nel loro sviluppo. I partiti nascono per dirigere, per organizzare la espansione delle classi e realizzarne il progetto di universalizza zione; ma allorché esse non riescono a costruire l’egemonia o sono costrette a posizioni difensive, la burocrazia di partito, che assolve funzioni di dominio interno, prende il sopravvento con la conse guente separazione del partito dalla classe, lo rende anacronistico, politicamente settario e teoricamente dogmatico.

Di questo processo di burocratizzazione dello Stato e dei partiti Gramsci, in Passato e presente. Agitazione e propaganda, dà una analisi specifica riferita al caso italiano; la riportiamo per intero anche perché essa approfondisce e precisa alcuni concetti prima esposti. La debolezza dei partiti politici italiani in tutto il loro periodo di at tività, dal Risorgimento in poi (eccettuato in parte il partito nazionali122

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sta) è consistita in quello che si potrebbe chiamare uno squilibrio tra l’agitazione e la propaganda, e che in altri termini si chiama mancanza di principii, opportunismo, mancanza di continuità organica, squilibrio tra tattica e strategia ecc. La causa principale di questo modo di es sere dei partiti è da ricercare nella deliquescenza delle classi econo miche, nella gelatinosa struttura economica e sociale del paese, ma questa spiegazione è alquanto fatalistict: infatti se è vero che i partiti non sono che la nomenclatura delle classi, è anche vero che i partiti non sono solo una espressione meccanica e passiva delle classi stesse, ma reagiscono energicamente su di esse pec svilupparle, assodarle, uni versalizzarle. Questo appunto non è avvenuto in Italia, e la manifesta zione di questa omissione è appunto questo squilibrio tra agitazione e propaganda o come altrimenti si voglia dire. Lo Stato-governo ha una certa responsabilità in questo stato di cose (si può chiamare re sponsabilità in quanto ha impedito il rafforzamento dello Stato stesso, cioè ha dimostrato che lo Stato-governo non era un fattore nazionale): il governo ha infatti operato come un partito si è posto al disopra dei partiti non per armonizzarne gli interessi e l’attività nei quadri per manenti della vita e degli interessi statali nazionali, ma per disgre garli, per staccarli dalle grandi masse e avere una forza di senza par tito legati al governo con vincoli paternalistici di tipo bonapartistico cesareo cos occorre analizzare le cos dette dittature di Depretis, Crispi, Giolitti e il fenomeno parlamentare del trasformismo. Le classi esprimono i partiti, i partiti elaborano gli uomini di Stato e di go verno, i dirigenti della società civile e della società politica. Ci deve essere un certo rapporto utile e fruttuoso in queste manifestazioni e in queste funzioni. Non può esserci elaborazione di dirigenti dove manca l’attività teorica, dottrinaria dei partiti, dove non sono sistema ticamente ricercate e studiate le ragioni di essere e di sviluppo della classe rappresentata. Quindi scarsità di uomini di Stato, di governo. miseria della vita parlamentare, facilità di disgregare i partiti. corrom pendone. assorbendone i pochi uomini indispensabili. Quindi miseria della vita culturale e angustia meschina dell’alta cultura: invece della storia politica, la erudizione scarnita, invece della religione la supersti zione, invece dei libri e delle grandi riviste, il giornale quotidiano e il libello. Il giorno per giorno, con le sue faziosità e i suoi urti per sonalistici, invece della politica seria. Le università, tutte le istituzioni che elaboravano le capacità intellettuali e tecniche, non permeate dalla vita dei partiti, dal realismo vivente della vita nazionale, formavano quadri nazionali apolitici con formazione mentale puramente rettorica, non nazionale. La burocrazia cosi si estraniava dal paese, e attraverso le posizioni amministrative, diventava un vero partito politico, il peg giore di tutti, perché la gerarchia burocratica sostituiva la gerarchia intellettuale e politica: la burocrazia diventava appunto il partito sta rale-bonapartistico. (Q, 386-8)

Il predominio della burocrazia è il segno comune delle tre risposte che alla crisi furono date (americanismo, fascismo, stalinismo). Tali risposte non furono risolutive della crisi e l’affermazione stessa

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della burocrazia dà la misura della stabilizzazione della crisi, in quanto segna la cristallizzazione dei rapporti tra diretti e dirigenti. Tuttavia, nella costruzione di quelle risposte alla crisi organica si produce un cambiamento nella struttura interna della burocra zia, fattosi necessario per il bisogno di organizzare e controllare processi di formazione dei comportamenti collettivi connessi ai nuovi metodi di produzione ed alla razionalizzazione del lavoro. Emerge una burocrazia tecuocrafice, portatrice di criteri tecnici di gestione più conformi alle esigenze del processo di razionalizza zione, che si affianca prima e progressivamente si sostituisce poi alla burocrazia tradizionale; burocrazia tecnocratica non più legata alle vecchie classi dominanti ma organica alle nuove. Questo processo analizza Gramsci nel primo paragrafo del Qua derno 12, intitolato Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali.

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Nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali, cosi intesa, si è ampliata in modo inaudito. Sono state elaborate dal sistema sociale democratico-burocratico masse imponenti, non tutte giustificate dalle necessità sociali della produzione, anche se giustificate dalle necessità politiche del gruppo fondamentale dominante. (Q. 1520) Poco più oltre puntualizza:



I ...] nella civiltà moderna tutte le attività pratiche sono diventate cosf complesse e le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attività pratica tende a creare una scuola per i propri dirigenti e spe cialisti e quindi a creare un gruppo di intellettuali specialisti di grado pi elevato, che insegnino in queste scuole. E..l la crisi del program ma e dell’organizzazione scolastica, cioè dell’indirizzo generale di una politica di formazione cle moderni quadri intellettuali, è in gran parte un aspetto e una complicazione della crisi organica più comprensiva e generale. [.1 Lo sviluppo della base industriale sia in città che in campagna aveva un crescente bisogno del nuovo tipo di intellettuale urbano [...] Si può anche osservare che sempre pié gli organi delibe ranti tendono a distinguere la loro attività in due aspetti’ organici quella deliberativa che è loro essenziale e quella tecnico-culturale per cui le quistioni su cui occorre prendere risoluzioni sono prima esami nate da esperti ed analizzate scientificamente. (Q, 1530-2)

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Dalla individuazione delle condizioni sulle quali sorge l’intellet tualità tecnica, delle esigenze pratiche nella produzione e nelle istituzioni che emergono nel processo di ammodernan-iento, Gramsci passa ad esaminare più specificamente i mutamenti ri guardanti la burocrazia. Cosi prosegue: Questa attività ha cercato già tutto un corpo burocratico di una nuova struttura, poiché oltre agli uffici specializzati di competenti che 124

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corpi deliberanti, si crea un se preparano il materiale tecnico PCIcondo corpo di funzionari, più o meno volontari e disinteressati. questo scelti volta a volta nell’industria, nella banca, nella finanza. tino dei meccanismi attraverso cui la burocrazia di carriera aveva finito col controllare i regimi democratici e i parlamenti; ora il meccanismo si va estendendo organicamente ed assorbe nel suo circolo i grandi specialisti dell’attività pratica privata, che cosi controlla e regimi e burocrazia. Poiché si tratta di uno sviluppo organico necessario che tende a integrare il personale specializzato nella tecnica con personale specializzato nelle quistioni concrete di amministrazione delle attività pratiche essenziali delle grandi e complesse società nazionali moderne, ogni tentativo di esorcizzare queste tendenze dall’esterno, non produce altro risultato che prediche moralistiche e gemiti retorici, E...] Il tipo tradizionale del dirigente politico, preparato solo per le attività giuri dico-formali, diventa anacronistico e rappresenta un pericolo per la vita statale. (Q, 1332) Questo passaggio dalla burocrazia tradizionale alla burocrazia tecnocratica, se da una parte deriva dalle esigenze della razionaliz zazione della produzione e del lavoro, costituisce un mutamento complessivo nei rapporti tra dirigenti e diretti. Si tratta del pas saggio dal modello liberale di organizzazione del regime rappresen tativo-burocratico al modello tecnocratico di organizzazione di un regime burocratico-rappresentativo, un regime cioè in cui si tecni cizzano insieme i rapporti di rappresentanza e quelli burocratici; da ciò risulta il predominio delle competenze tecniche (del mon do dei funzionari ‘) anche nel processo di rappresentanza e di for mazione del consenso, col loro conseguente svuotamento ideolo gico. Si costruisce il consenso non più attraverso il discorso reto rico bensf tramite l’induzione di stereotipi comportamentali che non evidenziano il contenuto ideologico del messaggio, utilizzando per ciò le complesse tecniche della comunicazione di massa. La teoria gramsciana della burocrazia non si esaurisce nei ter mini generali considerati; essa si prolunga e si specifica nella teo ria del partito. Gramsci esamina il rapporto tra l’evoluzione dei partiti di massa ed i processi di burocratizzazione, tenendo d’oc chio particolarmente il problema del centralismo burocratico (in rapporto al più generale fenomeno di centralizzazione della vita economica, istituzionale e culturale). Ma tale problematica costi tuisce piuttosto parte della teoria gramsciana del partito. E l’ana

lisi di questa teoria rimanda ancora alla concezione gramsciana della politica stessa, e del progetto di trasformazione complessiva del la società umana che Gramsci, a conclusione del paragrafo Machia velli. Lo Stato, imposta con l’interrogativo:

da vedere se parlamentarismo e regime rappresentativo si identi ficano e se non sia possibile una diversa soluzione sia del parlamenta rismo che del regime burocratico, con un nuovo tipo di regime rap presentativo. (Q, 1708)

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La crisi organica e la sua stabilizzazione nel predominio della burocrazia sono le condizioni storico-politiche della costruzione del la scienza della storia e della politica, cioè della iniziativa teorica che si propone di affrontare e di risolverle attraverso l’avviamento di una nuova epoca politica. Per questo tali condizioni costituisco no i primi fondamentali problemi che questa scienza si pone; la teoria della crisi organica e la teoria della burocrazia sono quindi elementi costitutivi di questa scienza. Ma sono solo i suoi elementi introduttivi; essa dovrà dispiegarsi nello studio di una vasta pro blematica. Più concretamente, problemi da esaminare sono i se guenti. Un primo complesso di problemi riguarda la politica, ed include l’analisi storico-critica dello Stato e dei partiti, dei rapporti tra economia e politica, e la progettazione di una nuova razionalità storico-politica. Un secondo complesso di problemi riguarda la scienza, ed include l’analisi teoretica dei problemi dell’astrazione, della misura, del superamento dello storicismo ecc., e l’analisi, in termini di storia della cultura, dei rapporti tra Marx, Lenin e Gramsci. Un terzo complesso di problemi riguarda i rapporti tra scienza e politica, ed include l’esame dei rapporti tra teoria e pra tica, razionalità storico-politica e razionalità teorico-scientifica, strut tura e sovrastruttura sullo sfondo della successione delle tre fasi della vita dello Stato: Alla fase economico-corporativa, alla fase di lotta per l’egemonia nella società civile, alla fase statale corrispondono attività intellettuali deter minate che non si possono arbitrariamente improvvisare o anticipare. Nella fase della lotta per l’egemonia si sviluppa la scienza della politica; nella fase statale tutte le superstrutture devono svilupparsi, pena il dis solvimento dello Stato. (Q, 1493)

III. Note teoriche





I. L’attualità di un sistema teorico è fondamentalmente data dalla persistenza dei problemi che esso ha individuato e teorizzato, cioè dal fatto che i problemi sui quali si struttura quella concezione teo rica permangono irrisolti o che a un certo punto si ripropongono. La continuità del processo storico e teorico è da individuare nel fatto che restano decisivi determinati ordini di difficoltà la cui so luzione incerta implica la possibilità di una altrnativa. Ora, l’attribuzione di attualità al pensiero di un autore è ciò che ne giustifica la rilettura; ogni interpretazione contiene quindi, im plicitamente o esplicitamente, una determinata definizione di tale attualità. Il significato dell’attualità dell’opera di Antonio Gramsci è stato colto, dalla linea interpretativa più importante e nei vari momenti del suo sviluppo, in intima connessione con l’affermazione della classicità della sua figura storica e del suo pensiero teoricopolitico. In una prima fase, dominata dalla figura di Palmiro Togliatti, il rapporto attualità-classicità è costruito nella ricerca di una fondazio ne teorica di una determinata prassi politica. Come ha scritto E. J. Hobsbawm (Dall’Italia all’Europa, ne «Il Contemporaneo », Rina scita, 1975, n. 30): ‘



Gramsci diventa un classico del partito perché Togliatti e i suoi compagni lo considerano il fondamento teorico di una strategia di lotta e di una prospettiva di trasformazione socialista in Italia, che guida le attività del partito. Ma, identificando Gramsci con la politica del par tito, lo hanno reso vulnerabile alle critiche rivolte a quesra politica.

Completamento funzionale alla definizione di Gramsci come clas sico del partito è la proposta di Gramsci come classico nazionale italiano, in quanto erede e superatore dell’alta cultura italiana. In una fase successiva, ancora in corso, si delinea una relazione

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meno diretta e più problematica del pensiero di Gramsci con la po litica del Pci. Gramsci è proposto come intellettuale marxista di primo piano del movimento operaio in Occidente; a partire da tale collocazione più universale gli viene attribuita una generica classi cità, diviene un classico marxista. L’attualità del suo pensiero è perciò ricercata, come tendenzialmente in ogni classico, più che nei risultati della sua riflessione nel metodo di questa. Questa interpretazione del rapporto tra attualità e classicità del l’opera di Gramsci, Valentino Gerratana porta avanti nella Prefa zione all’edizione critica dei Quaderni. I Quaderni sono « una ri flessione approfondita della propria esperienza politica e culturale e la costruzione teorica di una complessa metodologia critica per aggredire attivamente i processi in atto nel mondo contemporaneo » (A. Gramsci, Quaderni cit., p. xxxiv); questo privilegiamento del metodo in confronto ai risultati è fondato su ciò: che Gramsci « In nessun momento [...] ritiene di aver raggiunto la forma definitiva dei saggi progettati: questi non saranno mai scritti, e rispetto ad essi tutte le note dei Quaderni, nelle diverse stesure rappresentano solo una raccolta di materiali preparatori > (ivi, p. xxvi). Ma, è da chiedersi, non è proprio il rifiuto di rinchiudersi in una ‘forma de finitiva un elemento essenziale della stessa struttura della scienza gramsciana? Per spiegare il privilegiamento della elaborazione metodologica di Gramsci (alla quale viene riconosciuto il valore della classicità) ri spetto ai risultati concreti della sua ricerca storico-politica (di fronte ai quali è formulato « al di là del richiamo alla discrezio ne e alla cautela l’invito a una lettura maggiormente responsa bilizzata, non limitata a una semplice ricezione passiva. Il che non vuol dire affatto una lettura aperta a qualsiasi possibilità d’inter ri pretazione » (ivi, p. xxxiv), Gerratana avanza l’argomento conosciuto valido dalla generalità degli interpreti di Gramsci delle limitazioni oggettive che 1’’ isolamento del carcere’ com portò alla ricerca gramsciana. Continua difatti Gerratana: Gramsci scriveva in un’epoca di profonde trasformazioni, per lettori che avrebbero dovuto affrontare nuove esperienze e sarebbero stati in possesso di nuovi elementi di giudizio che egli, nell’isolamento del car cere, poteva solo confusamente intravedere (ivi, p. xxxiv). Ora, è giusto portare l’attenzione sulla specificità delle condizioni e delle circostanze in cui i Quaderni furono stesi, ma non si può estendere oltre certi limiti la portata esplicativa di tale situazione; ancora: la linea di ricerca sulla condizione carceraria dovrebbe por tare non solo alla individuazione del condizionamento tecnico e psicologico che l’essere in carcere comportava ma soprattutto al ri levamento del fatto che il carcere rappresentava un luogo privile 128



giato di osservazione della vita politica e statale in quella epoca. In effetti il carcere era una istituzione che esprimeva sintetica mente la situazione di sconfitta del movimento operaio, il momen to repressivo delle attività statali, e una microorganizzazione so ciale totalitaria ‘; era cioè una istituzione in cui si concentravano e annodavano un insieme di esperienze e contraddizioni caratteriz zanti un’epoca storica.

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TI. Più che esaminare particolarmente le interpretazioni date, con ta qui osservare come generalmente siano articolate intorno alla proposta di un concetto o di un altro (società civile, egemonia, moderno Principe, blocco storico, intellettuale organico, guerra di movimento e guerra di posizione ecc.) come centro organizzatore che permette di individuare la coerenza interna del pensiero gramsciano, dimodoché le interpretazioni si stratificano coincidendo raramente sul contenuto dei concetti e dando luogo a scarsi mo menti di intersecazione. Tuttavia è possibile individuare alcune assunzioni generali co muni al grosso delle interpretazioni, che possono essere ricondotte schematicamente a una doppia coppia di questioni. Riguardo la identificazione dell’oggetto della investigazione di Gramsci, si è soliti, ad esempio, affermare che Gramsci è un teorico della so vrastruttura ed in particolare dei rapporti tra società civile e società politica, degli intellettuali come funzionari della sovrastruttura e delle ideologie in funzione dell’egemonia. Questo oggetto teorico proprio dell’analisi gramsciana è posto in relazione con una deter minata situazione storica: il capitalismo in Occidente, laddove lo Stato si mostrava più sviluppato e complesso che nel tempo di Marx e nella Russia di Lenin; laddove il momento della direzione intellettuale e morale e gli stessi intellettuali avevano più decisiva importanza, data la grande tradizione culturale e lo sviluppo dei materiali e della struttura ideologica. Sarebbe la specifica proble matica posta da quella situazione storica l’elemento in grado di spiegare l’orientamento dell’opera di Gramsci, ed in particolare il fatto che il soggetto della sua scienza non sia stata l’economia (rispetto alla quale egli avrebbe considerato che l’analisi e la cri tica fossero già compiutamente svolte ne Il Capitale), bensi la po litica e le espressioni ideologiche della cultura e dell’arte. Cosi intesi l’oggetto e la problematica del pensiero gramsciano, si individua conseguentemente il livello di analisi nel quale si muo ve Gramsci come meno generale rispetto a quello in cui si pone Marx, e più vicino ai bisogni della strategia politica. Gramsci avrebbe dato come già acquisite le proposizioni generali del mate rialismo storico (rispetto alle quali la sua preoccupazione sarebbe

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stata quella di ricostruirle nella purezza originaria recuperandone la dialetticità antidogmatica), e la sua ricerca si muoverebbe sul piano della applicazione di questi criteri teorici e metodologici alle particolari condizioni storiche dell’Italia. Da parte di altri è stata proposta una interpretazione secondo la quale Gramsci svolgendo analisi storiografiche concrete (per esempio sul Risorgimento, sul Partito d’azione, sulla formazione degli intellettuali italiani nel l’Alto Medioevo, ecc.) utilizzava certe proprie categorie di scienza della politica (blocco storico, intellettuale organico, guerra di mo vimento e di posizione, ecc.) che posseggono una certa generalità. Concetti che, secondo alcuni, avrebbero una validità affine a quella delle categorie sociologiche; e che secondo altri invece devono es sere pensati subordinati alle più generali categorie del materiali smo storico. Da questa identificazione del soggetto teorico e del livello di analisi si trae una interpretazione dei rapporti di Gramsci con Marx in termini di sviluppo accumulativo, d’impiego (e in certo modo di adattamento) del marxismo nell’analisi di nuove esperienze sto riche e di altre sfere della realtà; ed insieme e a causa di ciò una considerazione del pensiero gramsciano come frammento subor dinato del marxismo. (A questo riguardo sorge il problema del grado di coerenza del frammento subordinato rispetto al conte nente marxiano, e spesso si teorizza sulla contaminazione ideali stica derivata dall’influsso del Croce e del Gentile.) Con questa prospettiva siamo andati in un primo momento ai testi; ma presto si presentarono decisive difficoltà di comprensione: le proposizioni gramsciane, di fronte all’analisi filologica, solo in parte potevano essere ricondotte a queste assunzioni interpretative. Dal momento che era manifestamente arbitrario attribuire a priori ai testi la responsabilità di ciò che si mostrava come oscuro ed in coerente. non restava che riprendere la lettura in un esplicito rap porto di criticità nei confronti di quelle interpretazioni. La critica di esse è progressivamente sviluppata nel corso dell’esposizione. Occorre precisare che ci sono interpretazioni di Gramsci che non possono essere ricondotte a quella linea interpretativa prevalente, emerse nell’arco degli ultimi dieci anni. Tra queste è opportuno a questo punto considerare particolarmente quella di N. Badaloni che, nel suo saggio Il marxismo di Gramsci (Einaudi, Torino 1975), in dividua le insufficienze delle più diffuse interpretazioni di Gramsci nei seguenti termini: A me Sembra intanto che il non aver posto il problema della fusione delle fonti di Gramsci abbia indebolito la forza della sua analisi della società occidentale. Perso l’elemento della fusione di diverse esperienze storiche del marxismo, il pensiero di Gramsci ha avuto risonanza, so prattutto per merito di Togliatti, come punto di riferimento delle forme 1.30

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che la stessa dittatura operaia assume nelle sue diverse fasi e può assumere in paesi diversi Poi questo grande ed appassionante proble ma teorico si è ridotto nella misura del filo rosso dell’egemonia e, più restrittivamente ancora, in quella di una particolare sensibilità che una certa accezione del leninismo ha dei problemi culturali e della que stione della soprastruttura. Indebolito il grande problema posto da To gliatti, tutto sembra convergere sulla questione dell’inversione del rap porto di predominanza tra struttura e soprastruttura (p. 180).

Badaloni arriva alla critica a questa e altre precedenti interpre tazioni del pensiero di Gramsci per via della ricognizione delle fonti teoriche dalle quali Gramsci avrebbe preso le mosse per ri comporre l’unità originaria del marxismo nelle concrete condizioni della transizione al socialismo. Per noi invece il riconoscimento dell’insufficienza di tali interpretazioni è risultato di una specifica analisi filologica dei testi gramsciani. La diversità dell’approccio critico non è senza conseguenze, sia in rapporto alla radicalità del la critica stessa, sia riguardo alla nùova proposizione interpretativa che da quella critica emerge. L’approccio e il percorso del saggio di Badaloni meritano alcune osservazioni. Una prima considerazione riguardo il metodo di comprensione di un autore attraverso l’esame delle fonti del suo pensiero è già nei Quaderni:

Lo studio della cultura filosofica di un uomo come il fondatore della filosofia della praxis non solo è interessante ma è necessario purché tut tavia non si dimentichi che esso fa parte esclusivamente della ricostru zione della sua biografia intellettuale e che gli elementi di spinozismo, di feuerbachismo, di hegelismo, di materialismo francese, ecc., non sono per nulla parti essenziali della filosofia della praxis né questa si riduce a quelli, ma che ciò che più interessa è appunto il superamento delle vecchie filosofie, la nuova sintesi o gli elementi di una nuova sintesi, i] nuovo modo di concepire la filosofia i cui elementi sono contenuti negli aforismi o dispersi negli scritti del fondatore della filosofia della praxis e che appunto bisogna sceverare e sviluppare coerentemente. In sede teorica la filosofia della praxis non si confonde e non si riduce a nes sun’altra filosofia: essa non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cioè rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia stessa (Q, 1436).

Gramsci si riferisce a Marx; ma il medesimo criterio di analisi è da adoperare nei confronti dello stesso Gramsci, come mostra l’insieme della nostra ricerca. Oltre a ciò occorre rilevare come la ricognizione che Badaloni fa delle fonti di Gramsci sia alquanto riduttiva, ciò che lo conduce a limitare la portata critica del pensiero di Gramsci. Difatti Bada

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ioni interpreta Gramsci nell’orizzonte teorico definito da Labriola, Sorel, Croce e Gentile, e Lenin. La sua tesi è che Gramsci, pren dendo criticamente le mosse da ciò che questi diversi autori ave vano separato e considerato parzialmente del marxismo, io ricom pone in unità ad un livello più avanzato, rimanendo interamente nella prospettiva aperta da Marx ed elaborando « il più efficace strumento antirevisionistico che il marxismo occidentale abbia for giato » (p. 178). Per noi invece, come esplicitiamo progressiva mente attraverso l’intera ricerca, il pensiero di Gramsci non si fa compiutamente comprensibile che in una prospettiva di storia della cultura decisamente più ampia, che comprende la scienza della po litica da Ivlachiavelli a Hegel, l’economia politica e la sua critica, la sociologia da Corntc a Michels, le diverse tendenze del marxismo contemporaneo. Di questo vastissimo arco culturale Gramsci svol ge la critica, raccogliendo importanti elementi che subordino, non alla ricomposizione di un’unità precedente ma alla costruzione di una propria e nuova razionalità teorico-scientifica, alla proposta della scienza (Iella storia e della politica. Veniamo di nuovo alla questione delle interpretazioni in gene rale. Lo studio di esse può essere svolto analiticamente utilizzando lo schema dei problemi di cui ci siamo serviti per formulare una sintesi molto generale di interpretazioni diverse. Per -un tale stu dio è comunque necessario considerare le interpretazioni date se condo una prospettiva teorica di storia della cultura. Si tratta di fare la storia delle interpretazioni in modo da evitare sia la clas sificazione di queste in fedeli e false, sia la concezione di un pro cesso cumulativo di appropriazione del pensiero di Gramsci. Fare questa storia comporta piuttosto ricostruire il rapporto delle suc cessive interpretazioni rilevando di volta in volta, insieme al modo in cui i testi vengono colti, il rapporto con le corrispondenti a livello nazionale e in fasi storiche del movimento operaio e i momenti della storia della cultura. ternazionale Allo stato attuale degli studi di storia della cultura contempora nea e di storia del movimento operaio tale ricostruzione è soltanto agli inizi. Contributi allo studio storico-critico delle interpretazioni (da intendere queste a loro volta come proposizioni successive di rapporti determinati tra i testi di Gramsci, le esigenze politiche del momento e i dati rapporti culturali) si trovano in: E. Ragio nieri, Gramsci e il dibattito teorico ne? movimento operaio inter nazionale, in Gramsci e la cultura contemporanea, Atti del Conve gno del 1967, Editori Riuniti, Roma 1969, volume I, pp. 101-47; G. Amendola, Rileggendo Gramsci, in Prassi rivoluzionaria e sto ricismo in Gramsci, Quaderno di « Critica marxista >, n. 3, 1967, pp. 208-30; L. Poggi, Introduzione a Antonio Gramsci e il moder no Principe. I, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. VI1-LIV; V. Ger 132

ratana, La ricerca e il metodo, e E. J. Hobsbawm, Dall’Italia al l’Europa, entrambi in « Il Contemporaneo », « Rinascita » n. 30, Una 1975, dedicato all’edizione critica dei Quaderni; F. De Felice, nuova scienza della politica, recensione all’edizione critica dei Qua derni ne « l’Unità », 25.9.1975, p. 3; G. C. Jocteau, Leggere Gramsci, Feltrinelli, Milano 1975.





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III. Se tale fu la tendenza prevalente nel marxismo nel periodo tra le due guerre mondiali, contemporaneamente si svilupparono linee di interpretazione ed elaborazione marxiste che quella tendenza contrastavano. In Occidente tali elaborazioni, sviluppate da grandi intellettuali ed intorno a riviste e istituti di ricerca, non ebbero nell’immediato una grande rilevanza politica; ma è a partire dal l’insieme di questa produzione teorica che si rese possibile negli anni sessanta un’a rinascita del marxismo. Caratteristiche distintive di quella produzione teorica furono da una parte il prendere in con siderazione e il confrontarsi criticamente con le discipline sociali non marxiste (sociologia, economia, statistica, psicologia, psicoana lisi, linguistica, filosofia ecc.), dall’altra l’analizzare le trasformazioni in corso e le novità storiche dello sviluppo delle economie e degli Stati contemporanei. G. Lukks e K. Korsch pubblicano nel 1923 rispettivamente Sto ria e coscienza di classe e Marxismo e filosofia; ripensano il marxi con indirizzi diver smo specialmente nei suoi aspetti filosofici criticando io semplificazioni affermatisi nel periodo precedente, si tentando entrambi una critica della sociologia e proponendo nuovi rapporti con la cultura filosofica europea più avanzata. Lukcs andrà concentrando la sua ricerca in un settore della storia della cultura (estetica, critica letteraria), Korsch articolerà la propria in più di retto rapporto con i problemi politici del movimento operaio. Nell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, diretto da M. 1—Iorkheimer dagli inizi degli anni trenta e del quale facevano parte 11. Marcuse, T. W. Adorno, E. Fromm ed altri, si sviluppano origi nali versioni di una teoria critica della società che si richiama aI pensiero di Marx. Distingue la produzione della Scuola di Fran coforte da una parte il confronto del marxismo con diversi orien specialmente la fenomenologia, la psicoanalisi, tamenti teorici dall’altra l’analisi di de l sociologia (in particolare M. Weber) i fenomeni terminati aspetti delle società capitalistiche avanzate la dell’alienazione dell’uomo, l’autoritarismo, le istituzioni ecc. critica delle ideologie, la riflessione sui problemi della libertà e dei rapporti tra le strutture e gli individui. Un certo sviluppo teorico del marxismo si produce anche in Francia, sulla base di un confronto critico con determinate disci

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pline scientifiche quali la psicologia, la linguistica, la biologia. Da segnalare tra gli altri G. Politzer e il suo lavoro su Freud e Bergson (1928), M. Prenant (Biologie et marxisrne, 1935) e H. Wallon (De l’acte à la fJensée, 1942). Nel campo della teoria economica i contributi marxisti di mag gior rilievo SOnO quelli del tedesco H. ann Grossm jo,ie umulaz (L’acc e la legge del crollo dei sistema capitalistico, 1929), dell’inglese M. Dobb (Economia politica e capitalismo 1937 e Teoria economica e socialismo, 1923-54), del nordamericano P. M. Sweezv (La teoria dello sviluppo capitalistico, 1942). Un particolare sviluppo teorico-politico del marxismo è dato dal gruppo dirigente del Partito comunista italiano durante il regime fascista, intorno alla rivista « Lo Stato operaio ». Indirizzo carat terizzante di questa elaborazione teorica era l’esigenza della analisi differenziata della storia e della struttura sociale determinata (na zionale) come fondamento dell’iniziativa politica, e quindi in par ticolare lo studio delle radici sociali e dell’ideologia del fascismo.

Nell’America Latina il peruviano J. C. Mariàtegui nel suo lavoro Sette saggi di interpretazio,je della realtà peruviana (1928) svolge una originale analisi marxista sulla struttura sociale, sulla storia e sulla cultura nazionale. Sviluppi nuovi della cultura e del pensiero marxista nel periodo considerato, progressivamet influenti in Occidente, furono dati specialmente da V. I. Lenin, in particolare nei suoi ultimi scritti

ove svolge una riflessione critica sui problemi della costruzione del lo Stato sovietico e della cultura; da L. Trotskij, che negli anni del suo esilio svolge una intensa attività teorica intorno ai temi della storia della rivoluzione russa, della struttura economica e di po tere dello Stato sovietico e della lotta di classe in Europa; dal gio

vane Mao Tse-tung nelle sue ricerche Analisi delle classi della so cietà Cinese (1926) e Rapporto d’inchiesta sul movimento conta dino nello Fjunan (1927) e nelle sue riflessioni sul marxismo nel l’epoca di Yenan (1937-1945 circa).



TV. l.a tendenza deteriore del marxismo ha avuto uno svi luppo storico molto complesso; essa si è manifestata in differenti tipi di produzione intellettuale e nei vari campi della conoscenza (filosofia, storia, economia, biologia, psicologia ecc.). La sua storia è da farsi; tuttavia la traccia del suo percorso fondamentale si può cogliere in una sua espressione particolare e caratteristica: la pro pensione alla manualizzazione, alla composizione di sintesi sistema tiche convergenti alla forma1izzazioie scolastica del pensiero marxi sta come un tutto compiuto pronto per la sua diffusione e applica zione.

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indi Il primo grande lavoro in cui è possibile cogliere questo che ha rizzo è l’Antidiihring (1878) di F. Engels. Questo libro, seconda svolto una funzione determinante nella formazione della Gramsci da generazione dei marxisti, è considerato criticamente come un diretto antecedente del Saggio buchariniano:

ricercarsi nel L’origine di molti spropositi contenuti nel Saggio è dae, di elaborare l’Antidiili ring e nel tentativo, troppo esteriore e formal di filosofia della un sistema di concetti, intorno al nucleo originario tezza. Invece praxis, che soddisfacesse il bisogno scolastico di compiu prese affer di fare lo sforzo di elaborare questo nucleo stesso, si sono state as mazioni già in circolazione nel mondo della cultura e sonoazioni che unte come omogenee a questo nucleo originario, afferm ro superiore. erano state già criticate ed espulse da forme di pensie anche se non superiore alla filosofia della praxis. (Q, 17861





opportuno tuttavia rilevare come Engels, nella Prefazione alla tica del prima edizione dell’opera, mostra una consapevolezza autocri tato forma risultato e spiega il fatto che l’esposizione abbia acquis g in campi (li sistema in quanto « ho dovuto seguire il sig. Diihrin che può nei quali io posso muovermi tutt’al più con le pretese dell’og avere un dilettante >, ed ancora che « proprio la natura critica ad getto stesso [il sistema di Dtihringl ha costretto la uto scien un’ampiezza che è assolutamente sproporzionata al conten ni Rinasci tifico di questo oggetto > (F. Engels, Antidiihring, Edizio ta, Roma 1956, pp. 10-11). nov con i Pro Un secondo tentativo fu compiuto da G. Plekha one filosofica blemi fondamentali del marxismo (1908), manualizzazi Internazionale. del marxismo che diviene un classico della 11 Gramsci ne svolge la critica in questi termini:

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in due cor La tendenza dominante [nel marxismo I si è manifestata sentata da Ple renti principali: 1) Quella cosidetta ortodossa, rappre nonostante le sue khanov (cfr. I Problemi fondamentali) che in realtà, e. Non è stato affermazioni in contrario, ricade nel materialismo volgar ro del fondatore bene impostato il problema delle origini del pensie cultura filosofica della filosofia della prassi: uno studio accurato della cui egli si formò di del Marx (e dell’ambiente filosofico generale in come premessa rettamente e indirettamente) è certo necessario, ma e originale’ filo allo studio, ben più importante, della sua propria cultura sua per sofia, che non può esaurirsi in alcune fonti’ o nella sua attività crea occorre, prima di tutto, tener conto della sonale del Pie parte trice e costruttrice. Il modo di porre il problema da e mostra le khanov è tipicamente proprio del metodo positivistico sue scarse facoltà speculative e storiografiche. (Q, 1508)

(1921), il terzo tentativo importante è il Manuale di N. Bucharin o nel Pcus e che diviene un punto di riferimento teorico decisiv

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nella prima fase della III Internazionale. L’importanza negativa di questa opera sta nel fatto che rappresenta la cristallizzazione della tendenza deteriore proprio nel momento in cui si organizza il primo Stato socialista che si eleva a guida del movimento comunista mondiale e modello di costruzione del socialismo. La gravità di tale deterioramento della teoria è in rapporto al momento cruciale nel quale si produce, poiché «dal momento in cui un gruppo subal terno diventa realmente autonomo ed egernone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti pii.i universali, le armi ideologiche pi6 raffinate e decisive. E...] Si può cosf porre la lotta per una cultura superiore autonoma ». (Q, 1508-9) Infine abbiamo, di G. Stalin, Il materialismo dialettico e il mate rialismo storico (1938), esposizione sistematica di ciò ch’egli ritiene « i tratti fondamentali del materialismo dialettico e storico », ope ra che per tutta la seconda fase della III Internazionale « ha rap presentato E...] l’insuperabile modello dell’elaborazione filosofica e sociologica nell’URss » (P. Vranicki, Storia del marxismo, Editori Riuniti, Roma 1973, volume TI, p. 166). Questo scritto di Stalin impoverisce il marxismo a un punto tale che la teoria originale di Marx non è riconoscibile; eppure questa opera è un elemento fon damentale della cultura marxista, in quanto insieme alle Que stioni del leninismo (1926) costituf per tutta un’epoca il prisma attraverso cui furono interpretate le opere di Marx e di Lenin. Seguirà, fino ad oggi, la moltiplicazione di manuali che riprodu cono, con minore o maggiore dogmatismo, i tratti decisivi della tendenza, con l’aggravante della frammentazione disciplinare (ma nuali di filosofia, economia, sociologia, socialismo scientifico, storia. materialismo storico ecc.) in funzione di una organizzazione scolare dell’insegnamento del marxismo.



V. Il problema della individuazione delle origini storiche e teo riche della sociologia è stato affrontato da A. Pizzorno in uno sti molante saggio intitolato Il pensiero sociologico (in Storia delle idee politiche economiche e sociali, collana diretta da L. Firpo, UTET, Torino 1973, vol. VI). Egli indica in A. Comte e K. Marx « i veri padri fondatori della nuova scienza » in quanto in entrambi « la categoria società viene trattata in maniera autonoma e siste matica, distinguendosi specificamente dalla categoria fondamentale per il pensiero politico, quella di Stato » (pp. 609-10). Tra le con dizioni che stanno alla base del configurarsi del concetto di società e quindi del suo divenire oggetto della sociologia, Pizzorno pone il progresso tecnico e l’accrescersi delle ricchezze materiali, l’accre 136



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sciuto controllo dell’uomo sulla natura attraverso la scienza, il raf forzarsi ed espandersi della classe borghese e l’esperienza del fal limento dei tentativi di riformare l’uomo e la società a partire dalle istituzioni politiche. Fenomeni che stanno alla base della so stituzione del concetto di Stato con quello di società in quan to portano « a ricercare quali siano i rapporti sociali che veramente contano, quei rapporti sociali, cioè, i quali, essendo retti da leggi inaccessibili all’attività volontaria degli uomini, in qualsiasi posi zione di potere questi si trovino, finiscono inevitabilmente per dare scacco a tutte le buone intenzioni di modificarli e regolarli pro grammaticamente. In altre parole, compito dei nuovi scienziati di venta quello di scoprire rapporti piil duraturi e phl forti dell’arbi trio mutevole dei politici; di scoprire cioè la necessità sociale [...] È cosf che i rapporti che caratterizzano la società civile diventano i rapporti cosiddetti strutturali, cioè quelli retti da leggi che si possono conoscere ma non modificare ad arbitrio, e dai quali gli altri rapporti sociali pni effimeri potranno venir dedotti » (pp. 6 12-3). —

Vero è specifica ancora che la scienza borghese per eccellenza non è la sociologia, ma l’economia E...] Ma è chiaro che anche la so ciologia è in rapporto con il formarsi della nuova classe. Questo rap porto però non è diretto. E...] Dovendole cioè trovare delle precise radici sociali converrà partire dall’ipotesi che essa è espressione di rap porti tra gruppi intellettuali e potere, piuttosto che partire dall’ipotesi che essa sia espressione degli interessi della nuova classe dominante (p. 612).



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Nell’analisi di Pizzorno ci sembra che osservazioni penetranti e valides’impiglino in una confusa prospettiva di storia della cultura. Egli osserva che la sociologia emerge dalla crisi della vecchia scien za politica e del modo di fare politica corrispondente, e che essa mostra di differenziarsi nel porre come proprio oggetto la società anziché lo Stato Ciò che gli sfugge è che alla radice ditale dif ferenziazione non sta l’eterogeneità dell’oggetto teorico, bens una l’organizzazione dei rapporti tra medesima problematica politica in due diverse governanti e governati, cioè delle attività statali fasi dello sviluppo degli Stati nazionali, in due distinte epoche po litiche. Questo precisamente è ciò che gli impedisce di cogliere i rapporti in cui stanno l’economia politica, la scienza politica, Hegel, Comte, il marxismo e la sociologia. Nel fare storia delle idee e delle discipline solitamente si pro cede alla ricerca dei rapporti tra le concezioni teoriche e gli in teressi sociali o di classe che ne costituiscono la base, mancando con ciò la comprensione del fatto che le concezioni del mondo, le teorie e le discipline si spiegano fondamentalmente in rapporto alla

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vita dello Stato, cioè ai progetti e alle attività politiche dei grari aggruppamenti sociali. (Si potrebbe dire che i rapporti tra classi sociali e idee sono mediati dalla politica e dallo Stato.) Connessa a questo errore è la dimenticanza del fatto che formandosi gli Stati moderni come Stati nazionali ciò comporta lo sviluppo differenziato nazionale di concezioni e teorie che hanno contenuti fondamentali comuni, in quanto si formano nel terreno di una stessa cultura e affrontano gruppi di problemi affini relativi allo sviluppo di orno loghe fasi nella vita dello Stato. Da questo punto di vista perdono significato sia la distinzione classista delle concezioni teoriche e delle scienze che quella disciplinare ‘; entrambi vanno reinter pretate, in quanto le differenziazioni classiste corrispondono in realtà a progetti politici di diversi blocchi sociali complessi, e le differenziazioni disciplinari hanno alla propria origine linguaggi e tradizioni culturali nazionali differenti. (Riguardo a questo proble ma di grande importanza sono le note grarnsciane sulla « traduci bilità reciproca dei linguaggi scientifici », nelle quali pone in rap porto la filosofia classica tedesca, l’economia politica inglese e il pensiero politico francese.) Acquistano invece un valore essenziale le distinzioni realizzate secondo il criterio della cor in termini di storia della cultura rispondenza tra sviluppo delle idee e fasi di formazioni e sviluppo dello Stato. Molto schematicamente: nei periodi di formazione dei moderni Stati nazionali sorsero un insieme di scienze politiche quali la filosofia della storia e del diritto e la scienza dello Stato di Hegel, l’economia nolitica di Smith e Ricardo, la filosofia politica di Hob bes, la scienza politica di Montesquieau, la scienza della politica di Machiavelli. In una prima fase di disgregazione e di lotta per la egemonia all’interno di quegli Stati sorgono il pensiero socialista, la filosofia positiva di Comte, il materialismo storico e la critica dell’economia politica di Marx. Nella fase dello Stato della crisi or ganica troviamo le sociologie. Per una nuova epoca politica Gramsci pone i fondamenti di una nuova scienza, la scienza della storia e della politica.







VI. Il problema della ‘legalità’ storica è stato uno dei problemi nodali nella vicenda del movimento operaio internazionale, special mente nella fase della Seconda Internazionale, ed intorno ad esso s’imperniano le discussioni politiche fondamentali radicalizzatesi fino alla divisione del movimento. (Da notare che anche oggi il dibattito internazionale tra i partiti comunisti pone al centro la questione delle leggi oggettive universali della transizione e della costru zione del socialismo). È stato cosi non solo in quanto dal modo in e quindi il passaggio al socialicui s’intenda Io sviluppo storico 138





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smo dipende l’elaborazione della strategia e il modo in cui i partiti si definiscono e si organizzano, ma anche in quanto il con cetto di legalità storica è stato sempre posto a fondamento della possibilità di costruire una scienza della storia e della società, e quindi della possibilità di fare una politica scientifica, e dello stesso socialismo scientifico In effetti nella cultura marxista si va af fermando una tendenza che fissa un rapporto logico necessario tra le affermazioni che la storia si svolge secondo leggi oggettive, che compito della scienza è l’individuazione di queste leggi e la loro ap plicazione all’analisi dei processi concreti, e che funzione del par tito è appropriarsi di questa scienza e guidare le masse in confor mità a tali leggi. E utile considerare le posizioni espresse dai mag giori protagonisti di tale dibattito, quali furono certamente K. Kautsky, E. Bernstein, R. Luxemburg e V. Lenin. Tutti condividono il concetto della storia soggetta a leggi; ciò che li differenzia è il modo in cui ne definiscono il rapporto con la scienza e con la po litica, il che comporta l’attribuzione di significati diversi alla le galità stessa. Segno distintivo del pensiero di K. Kautskv, pervenuto alla conce zione materialistica della storia e della scienza fondamentalmente at traverso la lettura dell’Origine delle specie di C. Darwin e dell’Anti diihring di F. Engels. è la decisa accentuazione del determinismo eco nomico e del carattere’ legale ‘del processo storico. E questo l’elemen to che non muta nel suo percorso dalle posizioni ortodosse a quelle revisioniste ‘; anzi in questo è da ricercare la chiave del passaggio dalle une alle altre; mentre da ortodosso sostiene la via rivolu zionaria al socialismo e critica i revisionisti in base alla legge che individua nell’acutizzazione delle contraddizioni oggettive del capi talismo la via al socialismo, da revisionista affida la venuta del socialismo allo sviluppo naturale del capitalismo secondo le sue proprie leggi. E sempre sulla base dell’analisi delle leggi e dei mec canismi propri del capitalismo che egli dapprima ritiene imminente la rivoluzione, e conseguentemente la necessità di prepararsi ad essa, ed in seguito sostiene che occorre attendere in modo piut tosto passivo l’avvento del socialismo, in quanto esso risulterà me luttabilmente dallo sviluppo contraddittorio del capitalismo. Il rap rorto tra leggi, scienza e partito in Kautskv è colto da M. L. Sai s’adori nei seguenti termini: « L’azione concreta della socialdemo crazia assumeva [...] il carattere di adempimento ad un dettato prefissato dalle leggi dell’evoluzione storica; la scienza marxista ne diventava lo specchio razionalmente disposto; mentre l’organiz zazione politica e il movimento pratico diventavano lo strumento per l’attauzione delle tendenze oggettive rispecchiate dalle ‘leggi scientifiche ». [La concezione del processo rivoluzionario in Karl Kautskv (1891-1 922), in Storia del marxismo contemporaneo, An-

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nali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli,. Milano 1973, p. 30]. La biografia intellettuale di Kautsky illustra in modo paradigmatico come la concezione legalitaria della storia conduco alla subordina zione teorica e politica. Il revisionismo di E. Bernstein ha una struttura logica diversa e in certo modo opposta a quello di Kautsky. Bernstein ridimen siona il determinismo economico, in quanto « la società moderna è molto più ricca di ideologia non determinata dall’economia E...] il grado di sviluppo economico oggi raggiunto lascia ai fattori ideo logici, e specialmente a quelli etici, un’autonomia molto più ampia che nel passato » (t presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Laterza, Bari 1974, p. 38), e limita il campo di validità delle leggi in quanto distingue nella storia due componenti diverse: un ambito ragolato secondo leggi oggettive e necessarie cci un altro che rimane indeterminato e « incalcolabile ». quello dato dall’operare della volontà. Egli però possiede un concetto di scienza come conoscenza di ciò che è secondo leggi (quindi sostan zialmente medesimo a quello kautskyano), col risultato che il ter reno su cui opera la scienza è ridotto allo studio delle condizioni regolari del processo storico, ed esclude le attività che dipendono dalla volontà. Conseguenza di ciò è che non si può prevedere scientiflcamente l’avvento del socialismo « anche se si può dimo strare la desiderabilità, la possibilità e la probabilità. Quando in una teoria si introduce la nostra volontà, tale teoria cessa di es sere scienza pura. » (citato da Vernon L. Lidtke, Le premesse teo riche dcl socialismo in .Bernstein, in Storia del marxismo contem p’)r’lneo cii., p. 153. Da E. Bernstein, [dealismus, Kampftheo .V/issenschaft, in « Sozialistische lvlonatshefte », agosto 1901, ne mie! 1 a. V, o. 8, pp. 602-3). Una scienza ge;,’erale della storia non è pos sibile poiché « il dato della volontà umana esclude la possibilità di predeterminare scientificamente su basi generali gli sviluppi sto rici. E...] E parimenti ogni predizione storica conterrà sempre un elemento ipotetico, perché in tutte le forze storiche calcolabili la volontà degli uomini irstroduce un elemento incalcolabile. » (ivi, da E. Bernstein, Der Kernpunkt des Streiies. Ein Schlusswort zur ie ist wissenschaftlicher Soziaiismus iniiglich?, in « Sozia 7 Frage: ‘X listische Monatshefte », ottobre 1901, a. V, n. 10, p. 783). Una scienza della politica non è possibile, essendo la politica il terreno dell’azione della volontà organizzata, anche se « Per giungere alle mete volute esso [il socialismo] ha bisogno di assumere come filo conduttore la conoscenza scientifica delle forze e dei rapporti esi stenti all’interno dell’organismo sociale, nonché delle cause e degli effetti nella vita della società. » (ivi, p. 135. Da E. Bernstein, Wie ist wissenscha/tlicher Sozialismus miiglich?, Berlin 1901, p. 33). in questo contesto Bernstein stabilisce una relativa separazione tra 110

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scienza e partito, in quanto l’azione del partito solo in parte è gui data dalla conoscenza scientifica ed il partito stesso non è oggetto di scienza. L’iniziativa politica risulta in ogni momento dalla valu tazione empirica delle situazioni e dal giudizio etico sulle prospet tive possibili di sviluppo. L’azione del partito non è perciò scien tificamente controllabile e assume a guida il c;iterio di opportunità; la nota espressione di Bernstein secondo la quale o la meta, quale che sia, non è nulla per me, il movimento è tutto » sancisce, oltre alla incontrollabilità scientifica, quella più ampiamente dottrinaria. Con ciò anche le posizioni di Bernstein portano alla subordinazione teorica e politica, come pone in evidenza Gramsci nei paragrafo Il movimento e il fne:

È possibile mantenere vivo ed efficiente un movimento senza la prospettiva di fini immediati e mediati? L’affermazione del Bernstem secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla [...] nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli. (Q, 1898-9)



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non è la volontà in effetti quando l’intervento umano finalizzato secondo un progetto consapevole (che prospetti obiet tivi di medio e lungo termine ‘), viene ricondotto a passività, non è riconosciuto « come iniziativa e spinta progressiva antagonista. E...] Non si tratta di altro che di una sofistica teorizzazione della passività » (Q, 1899). Rosa Luxemburg affronta il problema del rapporto tra leggi, scienza ed azione politica in maniera originale. Ella sostiene ad un tempo la necessità oggettiva e l’intervento attivo nello svolgimento storico, accentuando ambo gli elementi ancor pié di Bernstein, e la tensione del suo pensiero scaturisce dai tentativo di integrarli teoricamente e praticamente in una dimensione unitaria (diversa mente da Bernstein, che crede di risolvere il problema nella loro separazione). E il tentativo di fondare l’elemento soggettivo nell’og gettività: lo svolgersi della storia secondo leggi oggettive si mani festa e si realizza attraverso l’attività consapevole delle masse. La pratica politica della classe operaia è portatrice del senso della sto ria; ciò è già presente nell’azione spontanea delle masse e diviene consapevole nella maturazione della coscienza di classe, quando cioè le masse raggiungono la consapevolezza degli obiettivi (la rivolu zione dal grado di maturità raggiunto dallo sviluppo sociale, ma lo sottolinea il valore dell’attività politica spontanea delle masse, e contrariamente a Bernstein, l’importanza della consapevolezza dei non fanno arbitrariamente la loro scrive fini. « Gli uomini storia, ma essi la fanno da sé. Il proletariato dipende nella situa zione dal grado di maturità raggiunto dallo sviluppo sociale, ma lo sviluppo sociale non può prescindere dal proletariato; esso è a un

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tempo la sua molla di propulsione e la sua causa, come pure il suo prodotto e la sua conseguenza. La sua azione stessa è un mo mento determinante della storia. E se non possiamo saltar sopra allo sviluppo storico, come l’uomo alla sua ombra, possiamo però affrettano o rallentarlo. » (citato da F. Tych, Masse, classe e par tito in Rosa Luxemburg, in Storia del marxismo contemporaneo, cit., p. 288. Da Rosa Luxemburg, Wvbòr pism (Scritti scelti), Varsavia 1957, voi. TI, p. 266). E ancora: « Il socialismo è il primo movimento popolare nella storia del mondo che si proponga, e vi sia chiamato dalla storia, di portare nell’agire sociale degli uomini un senso cosciente, un pensiero pianificato e con ciò il libero volere ». (Rosa Luxemburg, Scritti politici, a cura di L. Basso, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 446-7). Secondo questa soluzione del problema risultano ridi mensionati insieme il ruolo del partito e quello della scienza, in quanto le leggi agiscono e la loro consapevolezza diviene operante all’interno della classe, nel passaggio che in essa, nello svolgersi della propria pratica, si attua dalla spontaneità alla coscienza di classe. Come in Kautskv e in Bernstein, anche nelle posizioni della Luxemburg il raggiungimento dell’autonomia teorica e politica è compromesso: è vero che la classe operaia è ritenuta soggetto di azione e di coscienza autonoma, in quanto in sé e senza uscire da sé attua le leggi e si fissa i fini; ma tale autonomia, intesa come separazione e autosufficienza, è precaria e illusoria, poiché si fonda sulla affermazione aprioristica della superiorità oggettiva della classe operaia, dimenticando che la situazione di subordinazione socio-politica e culturale può essere superata solo mediante la cri tica degli altrui e dei propri precedenti modi di pensare e di ope rare e l’elaborazione di una nuova superiore razionalità teorico-scien tifica. V. Lenin compie il più notevole sforzo realizzatosi nell’intera cul tura marxista di organizzare in una concezione unitaria e coerente i diversi elementi del problema, cioè di articolare legalità storica e attività politica consapevole senza diminuire né il valore della scienza, né l’importanza del partito. Egli fonda la possibilità della scienza sociale rilevando nella struttura economica della società rapporti regolari e costanti. Già in Che cosa sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici? (1894), in cui svolge una articolata critica della sociologia soggettivistica, cosi in dividua « la possibilità di un atteggiamento rigorosamente scienti fico verso i problemi storici e sociali »: « separando ‘i rapporti di produzione come struttura della società e dando la possibilità di applicare a questi rapporti quel criterio scientifico generale della reiterabilità, la cui applicazione alla sociologia era negata dai sog gettivisti [...] L’analisi dei rapporti sociali materiali [...j ha su‘.



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bito reso possibile di nilevarne la reiterabilità e la regolabilità e di generalizzate gli ordinamenti di diversi paesi in modo da giungere ad un unico concetto fondamentale di formazione sociale. [...1 que st’ipotesi creò per la prima volta la possibilità di una sociologia scientifica, perché soltanto riconducendo i rapporti sociali ai rap porti di produzione, e questi ultimi al livello delle forze produttive, si è ottenuta una base salda per rappresentare l’evoluzione delle formazioni sociali come un processo storico-naturale. » (Editori Riu niti, Roma 1972, pp. 19-20). Individuando le leggi di sviluppo nella struttura economico-produttiva, egli fonda la scienza econo mica, ed in quanto riconduce la spiegazione dei processi sociali a quella regolarità, fonda la sociologia, scienza dei rapporti sociali. Ed in quanto alla base dei processi sovrastrutturali politici e culturali — agiscono sempre i medesimi rapporti economici e so ciali, apre la possibilità ad una scienza della politica, il socialismo scientifico. È questa una scienza subordinata poiché la sua possi bilità non è data da regolarità specifiche del processo politico, ma dal fatto che i fenomeni sovrastrutturali sono analizzati e spiegati in quanto connessi ai fenomeni strutturali. La scienza della poli tica i cui elementi fondamentali sono in Lenin la teoria dello Stato, della rivoluzione e del partito non è però elaborata de. duttivamente a partire dai principi della scienza dei rapporti eco nomici e sociali, ma invece si costruisce nell’analisi dell’esperienza storica concreta, in particolare dei movimenti e delle lotte rivolu zionarie e dei processi di formazione degli Stati. Difatti Lenin esige costantemente « l’analisi concreta dei processi e delle condi zioni concrete », che vengono ricondotti, nel processo esplicativo, alle loro radici strutturali. La teoria politica è una sintesi della esperienza organizzata secondo i criteri del materialismo stori co In Stato e rivoluzione quest’idea si ripresenta più volte, pro posta come corretta interpretazione della teoria marxiana dello Sta to e della rivoluzione: « Fedele alla sua filosofia, il materialismo dialettico. Marx prende come base l’esperienza storica dei grandi anni rivoluzionari 1848-1851. Qui, come sempre, la dottrina di Marx è il bilancio di un’esperienza, bilancio illuminato da una pro fonda concezione filosofica del mondo e da una vasta conoscenza della storia. Il problema dello Stato si pone in modo concreto: come è sorto storicamente lo Stato borghese, la macchina statale necessaria al dominio della borghesia? Quali trasformazioni, quali evoluzioni ha subìto nel corso delle rivoluzioni borghesi e di fronte ai mutamenti autonomi delle classi oppresse? Quali sono i com piti del proletariato rispetto a questa macchina statale? » (Editori Riuniti, Roma 1970, p. 88). A questo riconoscimento della speci ficità dei processi politici, e alla non riduzione della scienza della politica alla scienza dell’economia, si lega coerentemente la con-

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cezione leniniana dcl primato della politica sull’economia nel pro cesso rivoluzionario. L’affermazione di questo primato parte dal riconoscimento del fatto che la classe operaia da sé, nel terreno iella lotta economica tra le classi, non supera il livello della co scienza e dell’organizzazione rivcndicativa-traduzionista. Per ciò « La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dal l’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolaone con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi. » (Che fare?, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 115-6). Il movimento rivo luzionario è la fusione del movimento operaio con la teoria scienti fica. La tesi del primato della politica si associa cori alla tesi della necessità della scienza senza teoria rivoluzionaria non c’è azione rivoluzionaria. Ragione di ciò è che la determinazione delle ideo logie da parte dei rapporti economici e sociali è tale da portare al l’occultamento e alla distorsione dei veri rapporti, e cioè alla for mazione di una coscienza falsa l’analisi scientifica che svela la reale logica dei processi, mediante la critica dei rapporti concreti esistenti e dei loro riflessi ideologici. Compito del partito è di ap propriarsi e sviluppare queste scienze, e di guidare con queste le masse; il suo carattere di avanguardia della classe operaia risiede precisamente nel fatto di essere la sua organizzazione politica che agisce scientificamente. La soluzione leniniana del problema non è condivisa da Gramsci, in quanto egli critica la concezione che vede operare nella società leggi oggettive indipendenti dall’azione umana e il concetto di scienza connesso a tale concezione; ciò implica un nuovo modo di intendere la scienza, e la necessità di costituire una scienza della storia e della politica su diverse fondamenta. In tal modo la strut tura del problema dei rapporti tra storia, scienza e politica diviene altra.



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VII. Negli stessi anni in cui Gramsci si propone di fondare una scienza a partire dall’esperienza, K. Popper pubblica un libro (Lo gica della scoperta scientifica, 1934) nel quale svolge una critica radicale dell’empirismo e propone come unico metodo valido per tutte le scienze empiriche ciò che definisce come metodo de duttivo dei controlli E opportuno esaminare qui l’argomentazione essenziale di questo autore, sia perché egli è divenuto un impor tante punto di riferimento del dibattito epistemologico odierno, sia in quanto la sua critica del metodo induttivo intende riguardare ogni progetto di costruzione di una scienza che prenda l’avvio dal lo studio dell’esperienza. 144

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li centro della critica popperiana dell’empirismo consiste nella critica della logica induttiva, cioè della possibilità di « stabilire la verità asserzioni di universali basate sull’esperien », za problema che si pone in quanto « il resoconto di un’esperienz a di un’osserva zione, o del risultato di un esperimento può essere soltanto un’asserzione singolare e non un’asserzione universale » (K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1974, p. 6). Tale critica si specifica in tre momenti: a) non è giustificato inferire asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime, poiché « qual siasi conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa: per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la conclusione che tvtti i cigni sono bianchi » (idem); b) d’altronde le stesse asserzioni singolari non sono pur reso conti o registrazioni di osservazioni o percezioni immediate, poiché in ogni asserzione singolare devono comparire concetti universali: « Ogni descrizione fa uso di nomi (o di simboli, o di idee) tuliVer rali; ogni asserzione ha il carattere di una teoria, di un’ipotesi. La asserzione: Questo è un bicchier d’acqua non può essere verifi cata da nessun’esperienza basata sull’osservazione. La ragione è che gli universali che compaiono in essa non possono essere messi in relazione con nessun’esperienza sensibile specifica. E...) Con la pa rola bicchiere per esempio, denotiamo corpi chimici che esibi scono un certo comportamento regolare, e lo stesso vale per la pa rola acqua » (p. 87). A questo punto la critica dell’inferenza si connette alla critica dell’astrazione: « qualsiasi tentativo di definire i nomi universali con l’aiuto di nomi individuali è destinato a fal lire. Questo fatto è stato spesso trascurato ed è largamente diffusa la credenza che sia possibile, mediante un processo chiamato astra zione sollevarsi da concetti individuali a concetti universali. Que sto punto di vista è parente stretto della logica induttiva, col suo passaggio da asserzioni singolari ad asserzioni universali. Questi due procedimenti sono egualmente impraticabili dalla logica » (p. 52); c) ancora: i medesimi dati d’esperienza (le percezioni e le os servazioni immediate) sono impregnati di teorie, sono « esperienze soggettive» (p. 26). « Il mio punto di vista è che il nostro lin guaggio ordinario è pieno di teorie; che l’osservazione è sempre osservazione alla luce delle teorie e che soltanto il pregiudizio in duttivistico può farci pensare che possa esistere un linguaggio dei fenomeni, privo di teorie e distinguibile da un ‘linguaggio teori co » (p. 43, in nota). Coloro i quali ritengono che alla base della scienza stiano esperienze empiriche irriducibili « non riescono ad accorgersi che, ogni qualvolta credono di aver scoperto un fatto, si sono limitati a proporre una convenzione » (pp. 36-37).

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La critica popperiana di ogni metodo induttivo non comporta la negazione della possibilità di una scienza empirica, bensf la fonda zione di questa nel metodo deduttivo dei controlli, cioè nel « pun to di vista secondo cui un’ipotesi può essere soltanto controllata empiricamente, e soltanto dopo che è stata proposta (p. 9). « Le scienze empiriche sono sistemi di teorie. [...] Le teorie scientifiche sono asserzioni universali, {...] Le teorie sono reti gettate per cat turare quello che noi chiamiamo il mondo per razionalizzarlo, per spiegarlo, per dominarlo. Ci sforziamo di rendere la trama sempre più sottile (p. 43). Il metodo consistente nel sotto porre le teorie a controlli critici I...] procede sempre lungo le linee seguenti. Da una nuova idea, avanzata per tentativi e non ancora giustificata in alcun modo una anticipazione, un’ipotesi, un si stema di teorie, o qualunque cosa si preferisca si traggono con clusioni per mezzo della deduzione logica (p. 12). Si ottengono in tal modo asserzioni di livello progressivamente meno universale, le quali vengono sottoposte ad un controllo preliminare di coerenza logica tra di esse. Queste asserzioni singolari sono caratterizzate dal fatto di poter essere controllate empiricamente.





Scopo di quest’ultimo tipo di controllo è di scoprire fino a qual punto le nuove conseguenze della teoria E...] vengano incontro alle richieste della pratica, sia a quelle sollevate da esperimenti puramente cientiflci, sia a quelle che derivano da applicazioni tecnologiche pra tiche. Anche qui la procedura dei controlli rivela il proprio carattere deduttivo. Con l’aiuto di altre asserzioni già accettate in precedenza si deducono dalla teoria certe asserzioni singolari che possiamo chia mare predizioni E...] In seguito andiamo alla ricerca di una deci sione riguardante queste (e altre) asserzioni derivate, confrontando queste ultime con i risultati delle applicazioni pratiche e degli espe rimenti. Se questa decisione è positiva, cioè se le singole conclusioni si rivelano accettabili o verificate, la teoria ha temporaneamente su perato il confronto: non abbiamo trovato alcuna ragione per scartarla. Ma se la decisione è negativa, o, in altre parole, se le conclusioni sono state falsificate, allora la loro falsificazione falsifica anche la teoria da cui le conclusioni sono state dedotte logicamente. È opportuno no. tare che una decisione positiva può sostenere la teoria soltanto tempo raneamente, perché può sempre darsi che successive decisioni la scal zino. E...] Nel procedimento delineato qui non compare nulla che so migli alla logica induttiva. Io non presuppongo mai che si possa con cludere dalla verità delle asserzioni singolari alla verità delle teorie (pp. 12-3),

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Riconosciamo senz’altro nelle posizioni espresse da Popper ele menti indirizzati ad una valida prospettiva. Tra gli altri: una con cezione aperta, non dogmatica, criticistica della scienza, che pro cede attraverso la falsificazione delle teorie date; ed uno dei mo menti della sua critica all’espirismo, quello che coglie nei dati

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l’impronta teorica. Tuttavia sia la critica all’empirismo (nel suo complesso) che la proposta del metodo deduttivo dei controlli vanno criticate. La critica popperiana al metodo induttivo non è convin cente, in quanto si fonda sulla richiesta ad esso di condizioni di logicità proprie del metodo deduttivo; in effetti specihco del me todo deduttivo è procedere da una proposizione all’altra stabilendo tra di esse nessi di necessità logica. Ora, ciò che si può chiedere al metodo induttivo è che le asserzioni più generali comprendano il complesso delle osservazioni realizzate (non di quelle logicamente possihiP). In ciò consiste la generalizzazione induttiva. Le genera lizzazioni non pretendono di essere universalizzazioni. Le generaliz zazioni induttive sono del tipo: Tutti i cigni osservati sono bian chi Ecco perché è legittimo il passaggio dall’esperienza alla filo logia, vale a dire il primo tipo di struttura conoscitiva riconosciuto da Gramsci (il metodo dell’erudizione nell’accertamento dei fatti particolari). È piuttosto il metodo deduttivo dei controlli che non regge alla argomentazione che Popper fa militare contro il metodo induttivo; in elfetti l’eterogeneità tra asserzioni universali e asserzioni sin rilevata da Popper allo scopo di dimostrare impossibile golari evidenzia l’impossibilità di il passaggio dalle ultime alle prime passare dalle prime alle ultime attraverso un processo puramente logico. Il passaggio logico da un’asserzione universale ad una con clusione singolare richiede sempre la mediazione di un’altra asser zione singolare. Ciò non vuol dire negare validità nel lavoro scien tifico al procedimento deduttivo, ma individuarne i limiti: con l’ausilio della logica deduttiva si possono costruire ad esempio ipotesi, ma esclusivamente con essa non è possibile attingere il livello della realtà concreta individuale. Queste osservazioni criti clic mostrano che il problema è male impostato da Popper. Egli non riesce a divincolarsi dalla concezione positivistica della scienza come spiegazione della realtà attraverso la formulazione di leggi. Anche se non pretende che sia possibile fornire una prova scienti i nostri tentativi di indovinare fica dell’esistenza delle leggi sono guidati dalla fede non-scientifica, metafisica (se pur biologica mente spiegabile) nelle leggi, nelle regolarità che possiamo svelare, egli sostiene che la scienza è per definizione, scoprire » (p. 308) strutturalmente, costruzione cli leggi. Dal momento che le asser zioni universali (esplicative) non possono avere che la forma di leggi universali, è già in partenza fissata l’impossibilità di salire dall’esperienza alle leggi, alla scienza. « Le leggi universali trascen dono l’esperienza, se non altro perché sono universali e trascen dono qualsiasi numero finito dei loro casi osservabili (p. 481). Il problema va impostato in modo diverso allorquando si tratta

di una scienza dei processi individuali in quanto individuali, cioè

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di una struttura conoscitiva che non utilizza leggi (senza che ciò ne pregiudichi il carattere scientifico). Ci limitiamo a questo punto a svolgere alcune considerazioni generali. E questa una scienza che concepisce il proprio oggetto come esperienza soggettiva (come già è stato colto da Marx nella prima Tesi su Feuerbac/); proprio per ché l’esperienza iniziale è soggettiva, razionalmente disposta, è pos sibile passare da essa alla sua teorizzazione, è possibile cioè la co struzione di concetti mediante un processo di astrazione che colgano la logica specifica dell’esperienza specifica (concetti che a loro volta possono essere teorizzati). In questo modo è fondata la possibilità di un passaggio dall’esperienza alla scienza, vale a dire al secondo tipo di struttura conoscitiva riconosciuto da Gramsci.

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VIlI. E opportuno analizzare in quale rapporto stiano la teoria grarnsciana della crisi organica e la teoria marxiana delle crisi del capitalismo. A questo scopo faremo riferimento al noto lavoro di P. M. Sweezv La teoria dello sviluppo capitalistico (1942), ove si trova una sintetica rigorosa esposizione della natura delle crisi ca pitalistiche secondo il punto di vista di Marx. Sweczv inizia l’esposizione della teoria marxiana della crisi esa minando la possibilità e la natura delle crisi nella produzione mer cantile semplice. Secondo la formula adoperata da Marx per rap presentare la razionalità economica specifica della produzione mer cantile semplice (M D M), la crisi consiste in « una frattura nel processo di circolazione, che è causata dalla separazione dei due mo menti della compero e della vendita o (Torino, Boringhieri, 1972, o. 159). « La formula della circolazione M O M contiene certa mente la possibilità di una crisi, ma nello stesso tempo essa signi fica produzione per il consumo; e, poiché il consumo è fondamen talmente un processo continuo, è poco probabile che quella possi bilità diventi realtà » (p. 161); a meno che « operino fattori ester ni come le guerre e le deficienze di raccolto » (ibM) nei quale caso i produttori repentinamente possono essere indotti a sospendere gli scambi. Nella produzione capitalistica invece, l’interruzione del processo di circolazione è un portato interno della razionalità specifica di questo sistema espressa nella formula O M D’. Dato che il capi talista è interessato unicamente a massimizzare il saggio del profitto, se questo sparisce o declina al di sotto del livello normale, « scom pare Fo declina] l’incentivo della produzione capitalistica » (p. 167). Quando il saggio de] profitto scende al di sotto del livello normale, si verificherà un arresto delle operazioni da parte dei capitalisti. Non difficile scoprirne le ragioni. Per la natura stessa del processo di cir cohivionu, il singolo capitalista è continuamente chiamato a scegliere

tra l’una o l’altra di due possibili condotte: o rimettere in circolazione il proprio capitale o trattenerlo nella sua forma monetaria. P bensi s’ero che a lunga scadenza questa alternativa non esiste perché, se il capitalista vuole continuare a operare nella sua qualità di capitalista, presto o tardi dovrà reinvestire il suo capitale. Ma ciò non significa che egli debba immediatamente reinvestire il suo capitale e neanche che egli debba continuare a reinvestirlo sempre nello stesso ramo di produzione. E principio generalmente accettato che, se il saggio del profitto va al di sotto del livello normale in una particolare industria, i capitalisti trasferiranno il loro capitale da quell’industria in un’altra. Se, tuttavia, il saggio del profitto scende al di sotto del livello nor male in tutte o in quasi tutte le industrie, non vi può essere nessun vantaggio a trasferire il capitale da un’industria all’altra. Quando ciò si verifica, i capitalisti non sono più spinti a continuare a reinvestire in quelle condizioni, che devono per forza essere da loro considerate sfavorevoli; essi possono rinviare il reinvestimento, finché le condizio ni siano di nuovo favorevoli: vale a dire, finché il saggio del profitto sia tornato al livello normale o finché essi si siano rassegnati ad un nuovo e più basso livello del saggio del profitto. Nel frattempo, il rinvio del reinvestimento avrà interrotto il processo di circolazione e causato crisi e superproduzione. La crisi e la successiva depressione sono, infatti, parte del meccanismo mediante il quale il saggio del profitto è riportato completamente o parzialmente al suo livello prece dente (pp. 168-9).





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Cosi definite in generale le crisi capitalistiche, Sweezy prosegue alla ricerca delle cause, da individuare « esaminando le forze agenti sul saggio del profitto » (p. 172). Giunge in tal modo a distinguere due tipi di crisi: crisi associate alla caduta tendenziale del saggio del profitto e crisi di realizzo Nel primo caso la crisi dipende da una caduta del saggio del profitto attribuibile ad un aumento del la composizione organica del capitale in relazione ad un aumento dei salari; nel secondo la crisi risulta da una caduta del saggio del pro fitto derivante dalla impossibilità di realizzare le merci al proprio va lore in relazione ad una generale carenza della domanda effettiva di merci. In entrambi i casi si tratta dell’operare di leggi economiche proprie del modo di produzione capitalistico le quali ad un certo punto producono squilibri e si trasformano « in una forza antagoni stica di questo metodo di produzione e che ha bisogno di crisi pe riodiche per essere vinta » (K. Marx, Il Capitale, vo . III, citato da 1 Sweezv, p. 175). Riguardo questa teoria marxiana della crisi Sweezy riconosce che essa considera soltanto i tratti essenziali del fenomeno e ad un alto livello di astrazione. « Le crisi scrive sono fenomeni partico larmente complicati, che sono regolati in maggiore o minore grado da una grande varietà di forze economiche. Come Marx ebbe ad esprimersi al riguardo, « la crisi reale può essere spiegata solamente con il reale movimento della produzione capitalistica, della concor

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renza e dei credito » (T/aeorien iiber dcv Mehrwert, voi. 11/2, p. 286). Per concorrenza e credito egli intendeva l’intera strut tura dei mercati e del meccanismo finanziario che rende l’economia reale molto più complicata dei sistemi-modello analizzati nel Capi tale. Per dirla in altre parole, la crisi, come complesso fenomeno concreto, non potrebbe essere completamente analizzata ove l’inda gine fosse condotta a quel livello di astrazione, ai quale si tiene il Capitale. Ciò che vi possiamo trovare sono tutti quegli aspetti del problema della crisi che emergono a un alto livello di astrazione » (pp. 157-8). È evidente che nonostante l’allargamento del quadro analitico proposto qui da Sweezv per l’esame delle crisi, tutta l’analisi di queste svolta nei termini della teoria economica marxista consiste in un tentativo di spiegazione del fenomeno come prodotto della medesima razionalità economica del sistema di produzione capita listico. Dalla interpretazione da noi proposta della teoria gramsciana della crisi organica risulta evidente una netta diversità d’imposta zione del problema, tanto riguardo l’identificazione del fenomeno quanto riguardo la sua spiegazione. Occorre tuttavia rilevare come tale diversità d’impostazione non significa che le due teorie riguar dino processi e problemi diversi, ma piuttosto che esse si presen tano come analisi alternative di uno stesso processo storico, e come distinte risposte a similari questioni. Ciò è confermato dall’analisi del percorso compiuto da Gramsci nello studio di questo argomento cruciale. Nel Quaderno lO, in alcuni paragrafi stesi nella seconda metà del 1932, Gramsci fa il tentativo di comprendere la crisi secondo i cri teri e i concetti della teoria marxiana; interpreta questa teoria e cerca di svilupparla, rimanendo però al suo interno. Esaminando la questione della legge tendenziale dcl saggio del profitto, annota che « occorrerà forse meglio determinare il significato di legge ten denziale’: poiché ogni legge in Economia politica non può non essere tendenziale, dato che si ottiene isolando un certo numero di elementi e trascurando quindi le forze controperanti, sarà forse da distinguere un grado maggiore o minore di tendenzialità e mentre di solito l’aggettivo tendenziale si sottintende come ovvio, si insiste invece su di esso quando la tendenzialità diventa un caratte re organicamente rilevante come in questo caso in cui la caduta del saggio del profitto è presentata come l’aspetto contraddittorio di un’altra legge, quella della produzione del plusvalore relativo, in cui una tende ad eliminare l’altra con la previsione che la caduta del saggio del profitto sarà prevalente. Quando si può immaginare che la contraddizione giungerà a un nodo di Gordio, insolubile normalmente, ma domandante l’intervento di una spada di Ales sandro? Quando tutta l’economia mondiale sarà diventata capitali150





stica e di un certo grado di sviluppo: quando cioè la frontiera mobile del mondo economico capitalistico avrà raggiunto le sue colonne d’Ercole. Le forze controperanti della legge tendenziale e che si riassumono nella produzione di sempre maggiore plusvalore relativo hanno dei limiti, che sono dati, per esempio, tecnicamente dall’estensione della resistenza elastica della materia e socialmente dalla misura sopportabile di disoccupazione in una determinata so cietà. Cioè la contraddizione economica diventa contraddizione poli tica e si risolve politicamente in un rovesciamento della praxis » (0, 1279). E poco piil oltre, nel paragrafo Sulla caduta tendenziale del saggio del p;o/ltto, interpreta l’americanismo come un tentativo di « superare la legge tendenziale, eludendola col moltiplicare le variabili nelle condizioni dell’aumento progressivo del capitale costante » (Q, 1312); dove a seguito di un’analisi particolareggiata di tale questione, conclude:

La legge tendenziale della caduta del profitto sarebbe quindi alla base dell’americanismo, cioè sarebbe la causa del ritmo accelerato nel progresso dci metodi di lavoro e di produzione e di modificazione del tipo tradizionale dell’operaio. (Q, 1313)

Questo tentativo di spiegare la crisi dall’interno della specifica razionalità economica capitalistica è in diretto rapporto con il con cetto di mercato determinato, che Gramsci a questo punto mostra di non aver ancora sufficientemente elaborato. Difatti poco sopra egli scrive:

Mercato determinato per l’economia critica [è] E...] l’insieme delle attività economiche concrete di una forma sociale determinata assunte ‘

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nelle loro leggi di uniformità, cioè astratte ma senza che l’astrazio ne cessi di essere storicamente determinata. Si astrae la molteplicità individuale degli agenti economici della società moderna quando si parla di capitalisti, ma appunto l’astrazione è nell’ambito storico di ima economia capitalistica. (Q, 1276-7)

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In questa formulazione del concetto Gramsci coglie già che il mercato determinato è un insieme di attività concrete (attività eco nomiche e in ciò sta una prima riduzione); mostra tuttavia di ri tenere che tali attività concrete sono adeguatamente assunte, tra mite l’astrazione determinata, in leggi di uniformità, come la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Ecco perché la spie gazione della crisi è ricercata sul terreno delle leggi, cioè su quel livello astratto in cui si ritiene sia radicata la razionalità interna del capitalismo. Il decisivo superamento critico di tale concetto di mer cato determinato è documentato nel Quaderno il, nel paragrafo Regolarità e necessità, che abbiamo preso in esame nel testo. Gramsci svolge qui una precisa critica al procedimento attraverso

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il quale si astraggono dalle attività le leggi, e con queste si spie gano quelle: Dopo aver rilevato queste forze decisive e permanenti e il loro spontaneo autornatismo (cioè la loro relativa indipendenza dagli arbitrii individuali e dagli interventi arbitrari governativi) lo scienziato ha, come ipotesi, reso assoluto l’automatismo stesso, ha isolato i fatti meramente economici dalle combinazioni piil o meno importanti in cui realmente si presentano, ha stabilito dei rapporti di causa ed effetto. di premessa e conseguenza e cosf ha dato uno schema astratto di una determinata società economica. (Q, 1477-8) ‘









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« Mercato determi Il nuovo concetto di mercato determinato nato equivale a dire determinato rapporto di forze sociali in una determinata struttura dell’apparato di produzione rapporto garan tito (cioè reso permanente) da una determinata superstruttura po non comprende solo le attività litica, morale, giuridica » (Q, 1477) economiche ma l’insieme organico delle attività concrete, non indi vidua la razionalità del mercato nell’operare delle leggi ma nel con creto rapporto tra le forze sociali attive, non esprime soltanto la razionalità particolare dell’azione dei capitalisti (come in D M D’) ma il conflitto tra razionalità diverse. Sul terreno di questo nuovo concetto di mercato determinato tutta la problematica della crisi sarà conseguentemente riformuiata; riformulazione che abbiamo esposto nel testo come teoria gramsciana della crisi organica. Ci limitiamo qui di seguito alla esplicitazione di alcuni elementi critici sulla teoria marxiana della crisi capitalistica contenuti nella nuova teoria. Nel Quaderno 15. steso nella prima metà del 1933, nella nota Passato e presente. La crisi, la critica alla teoria che vede nella ca duta del saggio del profitto la causa della crisi è molto esplicita: « Occorrerà combattere chiunque voglia di questi avvenimenti dare una definizione unica, o che è lo stesso, trovare una causa o una 1755). E facile vedere come alle fondamenta origine unica » di tale interpretazione (da Gramsci criticata) della crisi stia il pre supposto ideologico, dedotto dalla concezione materialistica della storia, che il sistema capitalistico, al pari di tutti i precedenti, è condannato a cadere sotto il peso delle proprie contraddizioni. Tanto forte è questo condizionamento che, sebbene quella stessa analisi della crisi faccia intravedere in essa (crisi) un momento di controllo e di guida del processo economico da parte dei capitalisti (< la crisi e la successiva depressione sono, infatti, parte del mecca nismo mediante il quale il saggio del profitto è riportato completa mente o parzialmente al suo livello precedente », Sweezv), predo mina di fatto l’idea della crisi come processo incontrollato e passi vamente subito dai capitalisti. Ma il problema di fondo è un altro. Se la razionalità capitalistica porta nel proprio seno l’autodistruzio 152

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ne di questo modo di produzione, l’analisi di tale razionalità è in dirizzata alla individuazione delle sue contraddizioni, e le crisi assumo no il significato di sintomi o manifestazioni di esse. E precisamente questo che ostacola la comprensione della specifica razionalità; questa razionalità viene presentata come una razionalità irrazionale, dove que sto carattere irrazionale è desunto da un giudizio etico, cioè dal con fronto dei fui specifici della produzione capitalistica (merci come valori di scambio) e dei capitalisti (il profitto) con i fini umana mente razionali dell’attività produttiva (prodotti come valori d’uso). Questo confronto consiste in realtà nel misurare i comportamenti dei capitalisti col metro di una razionalità economica precedente (M D M), propria della produzione mercantile semplice e che si prolunga nel comportamento economico delle classi subordinate (< la formula della circolazione M D M non scompare affatto né diviene irrilevante coll’avvento della produzione capitalistica. Inve ro, per i lavoratori, che costituiscono la stragrande maggioranza del la popolazione, la circolazione continua ad avere la formula M i) M con tutto ciò che essa implica. Il lavoratore comincia con una merce, la forza-lavoro che, nella migliore delle ipotesi, ha per lui un ben limitato valore d’uso; egli converte la sua forza-lavoro in denaro; e da ultimo usa il denaro per acquistare beni necessari alla sussistenza. Questo è M D IVI e l’obiettivo è un aumento del va lore d’uso. 1) M D’ è cosi estraneo al lavoratore, al pari che ai produttori in una produzione mercantile semplice. E, quindi, del tutto errato dipingere i lavoratore come dominato dal motivo del profitto e immaginare che egli condivida l’intenso desiderio del capi sempre maggiore di ricchezza in talista di un’appropriazione astratto » Sweezv, pp. 164-5). Proprio perché la critica della ra zionalità capitalistica è svolta dal punto di vista di una razionalità storicamente antecedente (la cui superiorità è rivendicata in base a un giudizio etico) la razionalità capitalistica risulta incompresa e valutata come perversa ed assurda, irrazionale appunto. Come abbiamo cercato di mostrare la questione va interamente reimpostata. Ogni razionalità è internamente coerente; la contraddit torietà nei processi storici concreti risulta dalla compresenza e dal conflitto di diverse razionalità (dominanti o subordinate, sorpassate o emergenti); una data razionalità dominante risulterà superata sol tanto nell’espansione di una nuova, superiore, autonoma razionalità (nello stesso paragrafo Passato e presente. La crisi, Gramsci mostra ciò analizzando le ragioni della caduta dell’impero Romano, che egli mostra non spiegabile « collo svolgimento della vita dell’Im pero Romano stesso », ma la cui spiegazione piuttosto « è da ri cercare nello sviluppo delle popolazioni barbariche e anche oltre », Q, 1759). Sono queste le premesse della teoria grarnsciana della crisi organica.

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Finito di stampare nel mese di maggio 1978 rialla Tipolitografìa ì\Iaic Snc in Bari iei conto di De I)onaio editore Spi\

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