Blok Poesie

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A. BLOK POESIE

LE R IC I EDITORI

PROPRIETÀ LETTERÀRIA E ARTISTICA. RISERVATA O

IM O

COPYRIGHT B T LERICI EDITORI S.p.A.

L e n d e d ito r i

M ila n o

Poesie, di Aleksandr Blok Studio' introduttivo, traduzione note al testo e commento, bibliografia a cura di

Angelo M. Ripellino

Tommaso Lamđolfi

Stadio introduttivo

Aleksandr Àleksàndroviï Blok è 'la figura piu cospi­ cua di quella .generazione di simbolisti russi che perce­ pirono' in modo spasmodico il rombo sotterraneo1degli avvenimenti, la crisi della cultura borghese, F approssi­ marsi della tempesta. Maturati sul limitare di due epo­ che, con tutta l’irrequietezza di chi vive su un’incerta striscia di confine, i giovani simbolisti respinsero il po­ sitivismo, le formule naturalistiche, i vezzi dei decadenti in nome di concezioni messianiche, d i teorie religiose che appagassero la loro brama di grandi rivolgimenti. Pervasa del disperato presagio della vicina catastrofe, dell’ansia febbrile del crollo del vecchio mondo, la poe­ sia blokiana è appunto poesia di confine. I suoi versi preannunziano il cataclisma con la sottigliezza vibratile di strumenti sismici. L a trepidazione smaniosa di quegli « anni terribili » , anni di accese speranze e di tragiche

frane, si immedesima in essi eoi destino e l’orgasmo del poeta, si riflette nell’agitata vicenda di estasi e di cedi­ menti, di metafisici sogni e di arlecchinate. Blok è il tema precipuo dì Blok, l’attore principale della sua poesia. 2. Le testimonianze dei contemporanei rassomigliano Blok a un’immagine nordica, a. un marinaio di navi scan­ dinave. Ciò si spiega col stia lignaggio' straniero: i Blok discendevano' infatti, da un tedesco del MeclemburgO',' medico deH’imperatrice Elizaveta Petrovna. Aleksàndr Aleksàndrovic nacque il 16 (28) novem­ bre 1880 a Pietroburgo. Il padre, Aleksàndr L ’vovič (20 ottobre 1852 -1 dicembre 1909), insegnava diritto costituzionale a Varsavia. L a madre, Aleksandra An­ dreevna (20 ottobre 1860-25 febbraio 1923), era figlia del professore dì botanica Andrej' Nikolaevič Beketov, rettore dell’Università di .Pietroburgo. Subito' dopo le nozze (7 gennaio 1879), i genitori di Blok s’erano' stabiliti, a Varsavia. Fu un matrimonio in­ felice. Uomo di larga erudizione, incline più alla poesìa che alle leggi, eccellente pianista, Aleksàndr LVovic ave­ va un carattere fosco e contraddittorio. N el poema Vmmeziìie (La nèmesi) il poeta Io raffigura come un dèmone simile a quelli che Vrubel’ dipinse, dèmone lugubre, vinto, dalle ali spezzate \ Dispotico e follemente geloso,1 1 Michail Aleksàndroviî Vrubcl' esercitò un forte influsso su Blok, su Beivj, su Brjusòv e su .altri simbolisti Bramoso' di im­ magini .mitiche e leggendarie da contrapporre al grigiore della realtà russa, sin dalla giovinezza, egli s’era invaghito del perso­ naggio d’un poema di Lerm ontov, il Dèmone, e tutta la vita si tormentò a ritrarne l’effigie in una serie d i tele, acquerelli, boazetti, con insistenza ossessiva. Questa ricerca affannosa ebbe cul-

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terribile negli istanti di còllera, picchiava la moglie per malintesi e dissensi, e avaro avarissimo le faceva soffrire la fam e. Il primo bambino nacque morto. Quando, nell’au­ tunno 1880, recatosi a Pietroburgo per discutere la sua tesi d « m agister », Aleksandr L ’vovič vi condusse an­ che la moglie, incinta d otto mesi, i Beketov furono così colpiti d all’aspetto sparato e malaticcio di Alcksandra Andreevna, che la convinsero a rimanere con loro. Poco dopo ella diede alla luce il futuro poeta. E non miné in due grandi quadri che affascinarono la fantasia -dei sim­ bolisti: Dèmo» sidjaSSij (II Dèmone seduto) del 1890, in. cui il titano ribelle (estrema variante 'di' eroi byroniani), corroso da una indomabile angoscia, affisa con occhi lucenti Io spazio, staglian­ dosi su uno scenario di rocce simili a gemme e di fiori fantastici, che compongono come un mosaico, e Dèmo» pcvérzennyj -(Il Dèmone precipitato) del 1902, in cui giace scontorto cd arcigno fra le pium e sm aglianti delle ali schiantate e con un’ala confitta in un ghiacciaio, sullo sfondo dei picchi nevosi del Caucaso, im­ m ersi in un crepuscolo lilla. Vrubel’ espose questo quadro alla m ostra del gruppo « Mir iskusstva » (Il mondo dell’arte). M a, perseguitato dalla parvenza del Dèmone, tornava a ritoccarla ogni giorno con crescente insoddisfazione, sempre piu deformandone Û corpo malconcio e il volto livido di rancore. L a sua ragione cominciò a ottenebrarsi. Trascorse gli ultim i anni, cieco e demen­ te, in un ospedale psichiatrico. L a m orte di V rubel’, il i ° aprile 1910, fu per i sim bolisti un oscuro indizio di rovina. Com e la loro poesia, la creazione di questo pittore, tram ata anch’essa di emblemi, d i enigm i, di m iti e visioni spettrali, esprim eva con allucinato fervore i dubbi, le am basce, la torbida trepidezza dell’epoca. Incantati dall’arte d i V rubel’, che sembra innestare l’au­ sterità bizantina con g li ornamenti Boreali dello « Jugendstil », essi trasferirono nei propri versi, non solo il tema del Dèmone_ (che riappare d’altronde persino in Pasternak^ m a anche la ge- ’ fida gam m a dei suoi colori, dom inata dai toni violacei. C fr. S . D urylin, Vrubel’ i Lermontov, in Literatumoe nasledstvo (4546), M osca 1948, pp. 541-622; E . Žuravleva, Vrubel', M osca 1958; E . P . Gom berg-Veržbinskaja, Vrubel’, M osca 1959.

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tornò piu dal marito a Varsavia, nonostante le sue im­ plorazioni e lusinghe. N el settembre 1889 la madre di Blok passò a seconde nozze col tenente del reggimento di granatieri della guardia imperiale Franz Feliksovic Kublickij-Piottuch, uomo ligio al dovere e di angusto ingegno, che senti, ge­ losia del poeta e non ebbe per lui comprensione. Il padre si accasò lo stesso anno con M arija Timofeevna Beljaeva. E anche questo fu un matrimonio non. lieto: dopo ap­ pena tre anni la moglie lo abbandonò, portando seco la figlia Angelina Aleksandrovna, alla quale piò tardi Blok avrebbe dedicato i suoi Giambi. Aleksàndr L ’vovië si ridusse allora a Varsavia in una stizzosa solitudine dì misàntropo. Andava, sudicio, coi polsini stracciati, e si sfamava in rancide pasticcerie. Per­ sisteva, taccagno, a non riscaldare, in quei freddi tnàrchiani, il suo appartamento-spelonca, e se ne stava ravvolto nella logora pelliccia, risparmiando le forze. G rigi strati di polvere coprivano i mobili e i libri. Con avidità disperata questo «m oderno A rpagone» conservava e ammucchiava (come si legge in Vozmezdìe) « pezzi di carta, brandelli di stoffe, foglietti, croste di pane, pen­ nini, scatole di sigarette, cataste di biancheria non la­ vata, ritratti, missive di donne e parenti ». E solo la mu­ sica pareva recargli sollievo.

3Le prime liriche di Blok, raccolte nel ciclo Ante Lucent (1898-1900), rispecchiano l’atmosfera serena e patriarcale in cui egli crebbe, le tradizioni antiquate della fam iglia Beketov. L ’infanzia del poeta si svolse a Pie­ troburgo, in casa del nonno-rettore, e a Sachmatovo, la piccola tenuta dei Beketov nella regione di Mosca (di­ stretto di K lin), a diciotto verste dalla stazionò di posta 16

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Podsolnecnaja. Šachmatovo (tigli secolari ombreggiavano la vecchia palazzina, dal cui balcone si apriva la lim pida lontananza russa; il giardino era folto di serenelle e ci­ liegi selvatici, di bianchi narcisi e di iridi lilla; un viot­ tolo ripido portava allo stagno e al burrone coperto di frutici e luppolo, e di qui a un grande bosco) — Šachmatovo ebbe uno straordinario significato nella vita e ndParte di B io t­ in casa Beketov coltivavano tutti la letteratura e la musica. La nonna, Elizaveta Grigor’evna, figlia del­ l’esploratore dell’A sia centrale G rigorij Silyc Karelin, traduceva romanzi francesi ed inglesi. L e zie Ekaterina Andreevna e Marija Andreevna (poi biografa del poeta) verseggiavano e traducevano da varie lingue. E la madre di Blok, anche lei, volgeva in russo scrittori francesi, oltre a comporre poesie per bambini. Blok venne su, vezzeggiato' da tante donne, che fa­ cevano a gara nel colmarlo di cure. Ma soprattutto influì su di lui, col suo affetto morboso, la madre, creatura fra­ gile e isterica, soggetta a crisi di esaltazione religiosa e a tetri accessi d’angoscia, che la spingevano spesso sul­ l’orlo d d suiddio. Nelle prime liriche Blok ricalca i motivi, il lessico," le intonazioni degiache, persino gli stampi di Fet e Polonskij, e in genere della poesuTHd secondo Ottocento. L a materia di questi suoiversi è unTtitto tessuto di neb­ bia, dl~cui, si profilano, sotto improvvisi bagliori di g £ fida luce, evanescenti scenari boreali, sconfinate pianure seleniche, mute distese sonnolente, pervase di languidez­ za, di morbida malinconia. Il mondcTTjnteavistÖ*cöme attraverso uh diffusore che appanni e renda fluttuanti e senza contorni paesaggi e figure. Ma ciò che piò preme notare è che già qui, sull’inizio, la poesia (fi Blok « re­ gistra », come una sottilissima membrana, trame impal17

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pabili di confusi presagi, echi di arom i fruscii, palpiti di abissali lontananze. L e consuetudini conservatrici della fam iglia Beketov e l’adolescenza appartata in una cerchia idilliaca fecero si che il poeta ignorasse al principio le correnti moderne. Anno decisivo per la sua formazione fu il (1901^ quando egli conobbe le liriche e le dottrine- cleL f Vladim ir Solov’ev (1853-1900). Personaggio bislacco, sempre oscillante tra il misti­ cismo e il burlesco. Solov’ëv asseriva, risalendo ai concetti platonici, che la realtà della terra è soltanto un insieme di fenomeni effimeri, uno scialbo ed inerte riflesso, appena un barlume del mondo delle idee perenni. E gli te­ neva per certo che l’Anim a dell’Universo, la Sposa Eter­ na. si sarebbe incarnata per riscattare l’umanità dal pec­ cato. E ravvicinando Parte alla liturgia, considerava ^ poeta un teurgOj U n veggente. In gracili, trepide liriche, nelle quali a volte si insinua una goffaggine professorale, Solov’ëv canta la Sposa celeste con veemenza d’amore, come una donna viva. Quei versi sono un curioso miscu­ glio dì estatiche invocazioni e di rapimenti sensuali, di anelanti pronostic! e di stridule incrinature grottesche. Gol suo erotismo mistico, con le sue predizioni e le speranze messianiche neH’avvento dell’Etèrno' Femmini­ no, là poesia di Solov’ëv divenne suggello di. fede per' la generazione di Blok. A ll’inizio del secolo, a Mosca, si formò, un gruppo di giovani poeti, che vagheggiavano di armonizzare le sue teorie escatologiche con le-tëridënzè“ visionarie del simbolismo. N e fu guida il focoso An­ drej' Beivi (Boris NikolaeviÒ Bugaev), figlio d ’un pro­ fessore di matematica dell’Università di Mosca. Questi neosimbolisti, che presero nome « Argonau­ ti », si riunivano nel salotto di Michail Sergeeviò Solov’ev, fratello di lettere e d i arri. Animato da un grande fervore teosofico, Michail Ser-

geevič, assieme alla moglie Ol’ga Michajlovna, pittrice, si studiava di conciliare gli arzigogoli mistici coi dettami del modernismo. Andre) Belyj, compagno del loro fiI gliuolo Sergej, poeta anclle lui, era intimo dei Solov’ev. Tutti costoro vivevano in un’aura di fanatismo, .ansiosi, ’.di teofanie, di miracoli, di apocalissi, glossando le pagine :1 filosofo come i responsi di un oracolo e confidando^ Ila discesa imminente della Sposa celeste. A Pietroburgo frattanto Blok scopriva la lirica di Vla­ dimir Solov’ev per suo conto. E la madre, che era cugina d itM ’giTh&fiàjlovna, spediva' ai. Solov’ev i versi che il figlio .andava scrivendo sulle orme del poeta-filosofo. Furono i Solov’ëv i primi ad apprezzare e a diffondere i componimenti blokiani, furono loro a mostrarli a Belyj, che ne rimase colpito come d ’un mistico evento. A Mo­ sca quei versi passarono di mano in m ano, ancor prima d’esser pubblicati. Gli «jArgonauti »j esultavano d’aver trovato un fratello, che condivideva le loro chimere sulla . venuta dell’Eterno Femminino. Cosi Blok, per mezzo dei Solov’ëv, si inserì nella schiera di quei simbolisti m e-, tafisici che si prefiggevano di'mettere la creazione poetica . al servizio della teologia, opponendosi at simbolisti estelizzanti della prima leva (B al’mont, Brjusov, Sologub, ^eccXTqjÜ â Ë avevano proclamata l’assoluta antnnrmiia dell’arte. Ebbe origine allora la sua amicizia con Belyj, burra­ scosa am icizia durata quasi vent’anni, ardente e convulsa sequela di invaghimenti, ripicchi, sospetti, rotture, sfide a duello e patetiche riconciliazioni. G ià per i contempo­ ranei i due nomi furono come due facce di un’erm a: nella triviale pasquinata di Burenin Kcdosì na gólovach (Calosce sulla testa) Andrea Bellogoriaccio e Blocchio, « poeti di corte in una casa di alienati » , figurano come due Aiaci. Il loro epistolario, specialmente agli inizi, è un docu-

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mento prezioso del clima sovreccitato in cui si dibatte­ vano i giovani simbolisti : un ordito difforme di deliranti disquisizioni esoteriche, di filosofem i, una selva di di­ spute oziose, intessute col gergo sibillino d’un forsennato nfistidsm o.

4L a conoscenza dei precetti di Solov’ev fu per Blok una conferma delle sue idee mistiche, un conforto al suo desiderio di grandiose trasform azioni. Nelf'igoi-cojfegli compose gli Sticht o Prekrasnoj Dame (Versi sulla Bellissim a Dama), che vennero B u lic a t i n e ir o ^ b r Z ^ Ì T dalla casa editrice simbolistìca « G rif» (Il Grifone) di Mó­ sca. L ’eroina di questa raccolta è im a variante della Sposa celeste, un’ipòstasi dell’Eterno Femminino. I versi sulla Bellissim a Dam a riprendono in pieno, nei temi e nei procedimenti stilistici, la strategia verbale di Solov’ev. Come il poeta-filosofo, Blok contrappone il trambusto del mondo fallace aH’immoto silenzio del eielo, riflettendo questo dualismo persino nella spezzatura delle quartine in distici antitetici. Anche lui, come So­ lov’ev, costruisce spesso le liriche a guisa d’anello, in modo che l’ultima strofa ripeta la prima, assume nevi e tormente a simboli di peccato, illumina i versi d ’un tenue balenio di crepuscolo, attribuisce colori ai pensieri e alle Sostanze astratte. .Creatura incorporea, che si direbbe il prodotto ingannevole d’una nEaziòne atm o sfericaja Bcllissmm D ^ ia balugina da u n ascon fin atalon tananzauattraversodensissimi sfrati di nebbia e turbini di tempeste. E solo a volte, come per un prodigioso contrarsi delle distanze, si appressa fugacemente ai nostri occhi, prendendo un aspetto ingemmato e fiabesco, che richiama alla mente la fragile Zarèvna-Cigtio di VrubeP.

Atteggiandosi a paggio, a novizio,, a scudiero, iti: una sorta di culto cavalleresco, il poeta, invoca la mistica Sposai conigli'appellativi delle litanie, e si teqde a co­ gliere neirinfinito ogni bàttito', ogni richiamo,'ogni, in­ dizio che annunzi il suo avvento. Quei versi costituiscano un singolare diario d ’amore, in cui. la dolcezza dell’estasi e la divozione sono a tratti turbate da fiamme sensuali, 'un'diario''tutto presagi, tremori, sospiri, speranze, una trama di febbrili messaggi cosmici. ^ Per rendere le percezioni ineffabili, i sentimenti piti vaghi, i piti, indistinti barlumi, Blok ricorre ai costrutti allusivi, alle Jorm e alogiche e impersonali. Le frasi li­ riche sgorgano come ondate di macchie sonore, con­ fluendo in una maliosa caligine musicale, in un intreccio solubile di invenzioni melodiche. La realtà, si assottiglia ad un giuoco di fugaci riverberi, gli oggetti sì sfioccano in frange iridescenti. Ne risulta un universo larvale e ipnotico, una creazione contràttile e senza contorni, che palpita in ogni sua fibra per la spasmodica attesa di im­ possibili eventi. I vaporosi paesaggi di queste poesie, soffusi di tra­ sognata tenerezza, somigliano a quelli, dei quadri, sacri di Nesterov, a cui Blok sembra attingere anche le fre­ quenti metafore di vita monastica. Allo scenario illusòrio' sì intrecciano a volte elementi folclorici, ripensati nello spirito ornamentale dello «Ju gen d stil». Ed è curioso che, nonostante le brume dell’astrattezza, da alcuni, versi 'traspaiano confusamente le linee di Pietroburgo e in qualche punto si trovino accenni precisi (i campì d i tri­ foglio, i boschi dentellati, la bianca chiesa sopra il .fiu­ me), che ci rimandano 'alle vedute di Sachmatovo, ài. tipici, sfondi della regione di Mosca. Non solo, m a i versi piti astrusi e cifrati si possono interpretare in chiave bio­ grafica, perché quel mistico amore rispecchia in effetti il romanzo terreno del poeta, e la Bellissima Dama, que­l ll

sto fantasm a teologico, non è che la donna d a lui am ata, Ljubòv’ Dmitrievna Mendeleeva, w Blok e Ljubòv’ Dmitrievna (29 dicembre 1881 - 27 settembre 1939), figlia del famoso chimico Dmitri) Ivanovič Mendeleev, s’erano conosciuti; nell’infanzia. Si ac­ cesero l’uno dell’altra nell’estate 1898, quando il poeta, che aveva allora compiuti gli studi .ginnasiali, cominciò a recarsi a Boblovo, la tenuta dei Mendeleev a sette verste da Šachmatovo. Vi giungeva sul suo alto cavallo bianco, calzando lunghi stivali russi. Ljuba indossava a quel tempo abiti rosa, come la Dam a celeste, e annodava in magnifiche trecce i capelli dorati \ L e loro nozze si svolsero con austerità patriarcale il 17 agosto 1903 nel villaggio di Tarakanovo, in im a chiesa vetusta, d d l’epoca d i Caterina II, bianca chiesa di pietra in m ezzo a un verde prato. A ll’uscita dal tempio, i con­ tadini recarono in dono agli sposi due candide oche ador­ ne di nastri. Poi il corteo si diresse a Boblovo su tròiehe addobbate con ghirlande di rovere. E qui, mentre i gio­ vani Blok .salivano gli scalini del pogginolo, la vecchia nutrice li cosparse di luppoli). Durante il festino una. folla di contadine agghindate cantava dinanzi alla palazzina, glorificando la coppia. Molti intravidero in quegli spon­ sali il 'segno di imperscrutabili portenti. Uno dei testi­ moni dèlia sposa, il nobile polacco Rozwadowski, vi rav­ visò una divina rivelazione e, tornato in Polonia, si ritirò in un convento *. Sergej Solov’ev, Belyj ed altri « Argonauti. » conven­ nero' che Ljubòv’ Dmitrievna era I’incamazione terre­ stre della Bellissima Dama. Diedero vita perciò ad ima1 1 C fr. M . A . Beketova, A le\sandr B lo \: Biografižeslpj ožerlb Pietroburgo 1922, p. 61. a C fr. Beketova, op. d t., pp. 82-84, e Sttd’ba B lo\a, a cura di O. Nem erovskaja e C . VoPpe, Leningrado 1930, pp. 53-54.

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setta dL « blokisti », ad un ordine cavalleresco, che si proponeva dì venerare come un’immagine sacra la mo­ glie di Blok. Ë Sergej Solov’ev, tra il serio e il faceto', escogitò la parodia di due dotti del X X II secolo, Lapan c Pampan, intenti a indagare con l’ausilio della mitolo­ gia se quella' setta fosse realmente esistita. S’è conservata una strana fotografia, in cui Belyj e Sergej Solov’ev seg­ gono impettiti a un tavolo Impero soffalto da zampe ca­ prine, sul. quale campeggiano, ai lati d’una Bibbia, i ri­ tratti di. 'Vladimir Solov’ev e di Ljuba. ■ Questa, infatuazione giunse .al' culmine' quando, nel gennaio 1904, Blok visitò Mosca assieme alla moglie, per incontrarsi coi simbolisti di quella città. Con ardore in­ fantile gli « Argonauti » tormentavano Ljubòv’ Dmi­ trievna, cercando riferimenti teologali nei suoi abiti, nei suoi gesti, nelle sue acconciature. Tutto ciò era sotteso, s’intende, da una vena d’ironia: anch’essi talvolta re­ cavano in burla i rigidi schemi del loro misticismo, se­ guendo anche in questo l’esempio dì Vladim ir Solov’ev, che era incline ai bisticci, al « nonsense » , ai travestimenti. Ma, a lungo andare, l’adorazione iperbolica che, sconfinando nel buffo, lasciava un amaro residuo, finì col tediare il poeta. Nacquero i prim i dissapori con Belyj, che in quel culto poneva un’eccitazione fanatica, dissa­ pori che si sarebbero piu tardi inaspriti, quando Belyj divenne rivale di Blok nella passione per Ljuba. L ’insofferenza del poeta per gli eccessi e le fisim e degli « Argonauti », i quali farneticavano come catecùmeni invasati, ci fa ricordare che già nei versi sulla Bellissima D am a improvvisi sprazzi di scherno scompigliano le visioni serafiche e l’estatica attesa è incrinata da sfiducia, sospetti, esitanze, da presagi di insidie e di tradimento. Lam peggia a tratti nel poeta il dubbio che la Sposa agognata discenda dal delo, e il dolcissimo idillio si rivela fittìzio. 23

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Fra le preghiere sommesse si vanno man mano infil­ trando motivi di sortilegio e di demoma allucinante. N el ciclo Rasput’ia (Crocicchi, 1902-04) invadono i versi' maoîEœeê^^stregate schiere di gobbi, indovine e versiere, " 3 Ï cupi figuri che sembrano usciti da una seduta spiritica, di diavoli storti e pagliacci dai variopinti brandelli, e so­ prattutto di colombine e arlecchini che sì direbbero rita­ gliati dalle Fêtes galantes di Verlaine, se non li avvol­ gesse un alone di nordica nebbia. Il continuo ricotte le .A m a & cfa e ra te ,^ ^ con quell'insistenza funesta su vòrtici e cerchi, simboleggia la labilità della sorte, la vacillante incertezza delle chi­ mere. Il paladino della Bellissim a D am a m uta la sua assisa medievale in una nera m arsina o nei rappezzi d’un clown e si cam uffa sovente da vecchio decrepito, traendosi dietro un lugubre sosia. Sin dagfi. ultimi mesi del 1903 la poesia di Bldk jtpmincia a inquadrare con scorci allegorici la miseria e i contrasti della città moderna, le creature um iliate e i misteriosi omini neri che annaspano nelle sue tenebre. Rotto l’incantesimo degli argomenti teologali, Blok af­ fronta motivi prosaici, scene di. vita, dei grigi quartieri operai, 'indugiando sulle sofferenze dei poveri. E non importa se il suo populismo si vale in princioio di toni melodrammatici. Già in Rasfut’ja vi sono, fra tonto, ri­ goglio di/ simboli, quadretti incisivi, della realtà sociale delPepoca,, come, ad esempio, la descrizione della fab­ brica, con la torva, siluetta del nero Qualcuno che in­ combe, parvenza malèfica, sulla disperata fatica degli infimi.

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Diremo ora qualcosa, dell’ambiente letterario dì Pie­ troburgo. La vita, artistica della capitole russa si accentrò airinìzió del secolo in tre pittoreschi salotti. 34

V a ricordato innanzi tutto quello di D m itrij Merežkovskij e di Zinaida Gippius, nel « Dom M uruzi », al Litejnyj prospékt. Qui, in un’atmosfera da tepidario (i rossi mattoni dei muri e gli spessi tappeti erano infocati dalle fiamme del caminetto), si radunavano poeti, filo­ sofi e dignitari del clero, per dibattere in dispute ardenti, impetuose problemi liturgici e confessionali. Qui i de­ cadenti tenevan bordone ai coadiutori del Sinodo, ai casisti dell’Accademia ecclesiastica. Raggom itolata su un morbido sofà, la Gippius, in un bianco saio, scrutava con l’occhialino i suoi ospiti, che sottilizzavano, sfoderando i cavilli e gli accorgimenti d’una tortuosa scolastica. Aveva occhi-smeraldi, splen­ didi occhi dalle scintille verdognole, capelli rosso oro che le scendevano sino alle ginocchia, coprendole i fianchi e la vita, e al collo i grani d’un rosario con una grossa croce nera V Era strana, in mezzo a quei popi balzani, a quelle secche figure di cartapecora, la presenza di questa donna ammanierata, che usava un profumo di tuberosa e fu­ mava sigarette aromatiche, traendole da un cofanetto laccato di rosso. Come una fredda regina orientale, la Gippius dava esca alle controversie teologiche, affasci­ nando i presenti con paradossi ed enigmi. .£■ anche' Blok, negli anni del misticismo narcotico, fu preso nella sua rete. Soltanto di poesia e di ..tecnica poetica discutevano invece, negli incontri domenicali, gli ospiti' di Fëdor Sologub, che abitava all’isola di V asilij, nell’edificio della scuola elementare, di cui era ispettore. N el suo gelido studio dai mobili d i pelle, in una luce appannata e ver­ dastra, recitavano versi timidamente e ascoltavano i giu­ dizi solenni, spesso acerbi e spietati, del poeta. Faceva1 1 C£r. Sud’ba Bloka, pp. 68-82. 25

gii onori di casa la sorella di Salogub, O l’ga Kuzm inična, identica a lui nell’aspetto, silenziosa e severa \ M a dairautunno 1505 il salotto piu illustre fu quello di Vjačeslav Ivànov. Ogni mercoledì, nell’appartamento di questo poeta-erudito, a l sesto piano in via Tavri&skaja, si raccoglievano, in una sorta di simposio platonico, scrittori ed artisti, intellettuali e filosofi, per discettare, da mezzanotte ai primi chiarori dell’alba, 'di simboli­ smo, d i « anarchia mistica » , di misteri ellenici, di « tea­ tro collettivo » 2. Impasto di mago'e di professore tedesco', Ivànov pre­ siedeva ai convegni coti austerità di feticcio, ingegnan­ dosi di conciliare le antitesi in una superiore armonia, in un sincretismo universale. Anima delle riunioni era la moglie del poeta, Lidija Dmitrievna Zinov’eva-Annibal : vestita di variopinti chitoni, disegnati per lei dal pittore Somov, portava in quell’areopàgo la sua vivacità esube­ rante, cosi diversa dalla calm a apollinea e dal raffinato accademismo di Ivànov. Sul far dell’alba, cessate le dispute, si recitavano poe­ sie. Anche Blok declamava le proprie. Gorodeckij rac­ conta: « N ella sua lunga prefettizia, la cravatta floscia an­ nodata con ricercata noncuranza, in un nimbo di capelli oro cenere, era romanticamente bello allora, nel sei-sette. Lento, si accostava ad un tavolo con le candele, guardava all’intorno con occhi di pietra e lui stesso impetrava, fino a quando il silenzio non avesse raggiunto l’assenza d i suoni. E attaccava, tenendo la strofa con tormentosa m aestria e rallentando appena appena nelle rime. E gli ammaliava con la propria dizione, e quando finiva una, lirica, senza mutare la voce, di scatto, pareva sempre1 1 Cfr. Sud'ha Bhkfi, pp. 82-84. * Cfr. ivi, pp, '9:2-107.

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che quella delizia fosse finita troppo.prato e che ancora si dovesse ascoltare » L a « torre » dit Ivànov fit per qualche anno una spe- d e dì laboratorio s'p51maag'»~.iflt„Qui. àTìj^SiB vM to .e. si distruggevano glorie, correnti e fortune. Bìok vi si mo­ veva spaesato, come « un dio in. un lupanare », secondo l’espressione di Ivànov. Fu 11, forse, che egli avverti per " la prima volta l ’untuosa fallacia del mondo artìstico, pantano di maldicenza e di "invidia, la falsità dei" rappòrtFIra'i letterati: falsità di cui avrebb^scfïtid piu tardi Era, quello di Ivànov, un mondo cieco e pericolante come un uovo su un getto d ’acqua, un oppiaceo Parnaso, ove gli accòliti del simbolismo si trastullavano in oziosi certami, in vane schermaglie. Mutando in giorno la not­ te, intrecciando im passibili dispute, sospese sul tempo come ragnateili di simboli e arabeschi di vuote parole, gli ospiti di questo salotto si distoglievano dalla tragica realtà della Russia desolata ed inerme, su cui imperversava frat­ tanto una bieca reazione. ■6. Diversamente da quegli esteti, Blok aveva ormai aperto gli. occhi sui conflitti e Ü travaglio dell’epoca. .SLeano,cs.tinte le spe a m ae jld la Bellissim a Dam a. Sempre meno io attraevano i trucchi escatologici. Le tumultuose vicende dell’inizio del secolo contri_b p im im .A -d issip flre. l e n i t o l e tracce di quel quietismp mistico, in cui a volte tornava per inerzia a impigliarsi. Le amare sconfitte della Russia nella guerra col Giap­ pone e la fallita rivolta del 1905 .distrassero la sua fan­ tasia dal punto morto a cui era inchiodata. Egli si venne 1 Sergej Gorodeckij, 'Vospomìmnìfa ob Ale\sandre fifone, in « Pe&t’1i Revoljueija », 1922, 1. .27

sciogliendo dalKndifferenza, guardò in volto la vita e cominciò a interessarsi alle manifestazioni e agii^ scioperi della classe operaia. Abitando in: un quartiere proletario (nella casa del patrigno-ufficiale, dentro una grande caserma accerchia­ ta da fabbriche e da stamberghe operaie), Blok potè se­ guir da vicino il febbrile brulichio' di giorni tempestosi. I fatti del igqg._(e.in specie la fosca « Domenica di san­ gue », quando Fumile folla che si recava dallo zar con icone e bandiere, a implorare ingenuamente giustizia, fu falciata dalle truppe cosacche) provocarono in lui un ra­ dicale mutamento. N ella ricerca di nuovi scenari da opporre agli stinti fondali celesti,. Blok posa lo sguardo sul paesaggio delle paludi. N el ciclo Pazyri zemli ^Bolle di terra. IQ04-05). che trae nome da un verso del Macbethl, egli tratteggia, in ariosi disegni che paiono tessuti col fiato, diavoletti, pretini palustri, monachine taciturne ed altri fantocci di muffa, minuzzoli primaverili, che incarnano le forze, elementari della natura. Le fragili creature della sua demonologia immaginosa (non dissimili da quelle d ’un Rémizov) si muovono su tappeti di muschi, bagnati da scrosci, di pioggia, fra. ciuffi di erbe che splendono come malachite, nella melma de­ gli acquitrini. Un, soffio di levità primaverile trascorre per lo scenario palustre e ne anima, le figurette sottili. I v«a-esprim©nQ-;a«eraviglia il respiro della -stagione no­ vella eìnsicm e il torpore m alarico, la stregoneria degli stagni che attorniano Pietroburgo. 1 Sono le parole pronunziate da Banquo dopo la sparizione delle streghe : The earth hath bubbles, as the water' has, and these are of them. Whither .are they vanished?

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A questo ciclo, che oscilla fra spunti di favola e note di delicato burlesco, si ricollega il poemetto Nocmja P ialla (La Violetta Notturna, 1905-06). Ilppeta sogna di uscire, in un piovoso crepuscolo, dalla periferia cittadina e di inoltrarsi per sonnolente paludi in cui sboccia il « placido e puro fiore verde lilla che si chiama Violetta Notturna ». Come T at’jana nel suo sogno, entra anche lui in ima capanna, ove trova, non mostri ghignanti, m a legnose parvenze assopite, che emergono dalla voràgine di tempi lontani. Fra i guerrieri del séguito caduti in letargo, seg­ gono accanto a una botte di birra un decrepito re ed una vècchia regina dalle corone appannate sui riccioli verdi e dagli occhi come fiammelle palustri. L a ragazza non bella dal viso impercettibile, chej'siede in un angolo, intenta a filare in silenzio, è la Violetta Notturna, principessa d’un paese dimenticato. Su una panca malferma, dinanzi ad un gotto di birra, sta come impietrito un malinconico scaldo, che s’affisa da. secoli nella Violetta Notturna, corroso da un desiderio immu­ tabile, Blok si asside vicino a quel giovane, Ormai simile a un fòssile, per vagheggiare (per istanti o per secoli) Ja creatura.che fila in_sdenzio. impregnando la sgangherata capanna del suo profumo narcotico, del suo veleno. Cosi il timido fiore delle paludi diventa una misteriosa sembianza vegetale. E nel sopore il poeta ricorda d’aver già vissuto in un evo remoto tutto d o che vede ora in sogno, ricoM àri’essèie stàto'una volta cön questi sovrani nei fiordi scandinavi, si rammemora che la ragazza era un tempo leggiadra. Come se al mondo dell’attesa si so­ stituisse quello della memoria. •I riferimenti,..SGno.,perspicui : la ^Violettsi Nottorria a;è la Bellissima Dama,^ non più miraggio di teologali lon­ tananze, ma fantasma ipnotico che germina dalle pallidi; il giovane scaldo, irrigidito in. una tòrpida adorazione, è 29

un sosia, un riflesso del poeta ingolfato in un culto rterile e ozioso; e i guerrieri del séguito a rie g g ilo agii « Argqnauti ». I versi di questo poemetto rendono con penetrante vivezza olfattiva i miasm i palustri, la m ucida annosità della capanna e il soporifero odore della Violetta N ot­ turna." Lo spazio dell’universo si è ridotto a un’angusta baracca issata sugli acquitrini, a un tugurio che è come una nave di morti, a una cadente casupola, dove si alli­ neano, in pose statuarie,, guerrieri acciocchiti, automi, la cui carica si è spezzata, .per incantamento, e dove il filare incessante della Violetta Notturna equivale a un delirio, a una monomania. II vocabolario ottico di: Blok si fa qui più, preciso e, come gemme'tea 'falde di' nebbia, i suoi colori, hanno adesso un’aw am pantc lucentezza. Sonori colori e gli im­ pasti di VrubeF : tutto il poemetto è soffuso d’un brillio verde lilla. In quegli anni il poeta campiva le im m agini a preferenza di toni gridellini. « Se dipingessi un qua­ dro, — egli scrisse più tardi —■ raffigurerei le impressioni di questo momento cosi : nella tenebra lilla dell’immenso universo ondeggia un enorme catafalco bianco, e su esso giace una bambola morta, £1 cui viso confusamente ri­ corda quello che traluceva fra le rose celesti » \ Già nel ciclo Puzyri zemli Blok aveva accennato una caricatura dei mistici, presentandoli come diavoli deca­ duti. dal. berretto a. sonagli. Ma la .satira.J e l .misticismo trapassa ' in. dileggio nella commedia-calembour Baiaganci\ (Il piccolo baraccone), che egli ricavò1da una lirica omònima. Blok vi schernisce, non. solo la cerchia maniaca dei mistici, parodiandone il gergo esoterico, ma anche gÜ.ideali della sua giovinezza» L ’impalcatura chi­ merica del culto della Bellissima .Dama si frantuma ed 1 0 savremennom sostojaniì rnsskpgo stmvolizma (1910).

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annega nel Maelstrom d’una spietata ironia, che nascon­ de un senso di freddo e di pena, un’insanabile angoscia. ! mistici,, con ftnaiiziere..e .vestiti jdi moda^aspettarig, j j un tavolailluminato-una « vergine da.unaJontana con­ trada Pierrot, sognante e stravolto, in un bianco saio, ^attende invece i’arrivo di Colombina. Come evocata dalle Jo ro impiatasioni,. compare d’un tratto. ttng...vag a ,J anciulla...con le trecce, dall’effigie d’una bianchezza opaca. ■■ . o -1 benché Pierrot riconosca in lei la sua amata, i mistici, "presi da orrore, ravvisano nella ragazza la n Pallida Amica ■•>, la Morte. Quand’ecco giunge Arlecchino, con tintinnio di sonagli, e si porta via Colombina, fra lo sgomento dei mistici : « sono tutti rimasti sospesi senza vita sulle sedie. Le màniche delle finanziere si allungano sino a coprire le nocche, come se non vi fossero le mani. Le teste si sono ritratte nei baveri. Si direbbe che sulle sedie pendano vuote finanziere ». Arlecchino s’inyola felice con la facile preda nell’axgentea bufera* che li cinge come un anello nuziale, ma ben presto s’avvede che la ragazza è soltanto un’« amica di^cartone : quando.tenta di avvilupparla nel proprio _ mantello, Colombina cade bocconi nella neve. Stanco d’un m ondo fittizio^ le cui creature si afHosdauo come pupazzi di trucioli, e ansioso di immergersi nella vita reale, Arlecchino, durante una festa di maschere, salta dalla finestra. Ma l’orizzonte è un fondale dipinto, la carta che simulava il. paesaggio si squarcia, e Arlecchino piomba nel vuoto a gambe levate. L a viva realtà non è dunque meno illusoria delle brumose pitture celesti. Nello squarcio, cullata dal vento dell’alba, fa capolino la Morte con lunghi, candidi veli., e la falce sulla spalla. Appena, tendendo le braccia, Pier*, rot muove verso di lei, la falce d’argento svanisce nella foschia mattinale e la Morte ridiventa Colombina. Tutto potrebbe concludersi in bell’armonia, se d’im31

provvisti le scene, collie per un cataclisma, non volassero in aria, disperdendo le maschere spaventate. .Resta solp^ , Pierrot alla ribalta, a lamentarsi del proprio destino.. II cavaliere della Bellissim a Dam a si è quindi mutato in un sospiroso Pierrot, che rammenta le clorotiche im­ magini dì Laforgue, e insieme il timido sognatore de Le notti Insinché. L ’arcana seduta dei mistici ha certo at­ tinenza con l’interminabile sonno dei re e dei guerrieri nel tugurio palustre. M a se in quel poemetto il poeta, nel dormiveglia, udiva ancora segnali lontani, quasi il vento spingesse vascelli da paesi stranieri, promettendo un’effimera gioia',, qui il "disinganno non lascia, spiragli. Il mistero traligna, in arlecchinata,, in un delirante tra­ stullo di manichini e di goffe fantasime. Non a caso l’in­ tera commedia si impernia su un irriverente bisticcio: la parola « kosà » vale in russo tanto « falce » che « treccia ». Quasi a irridere la fallacia delle esperienze mistiche, BtàaganU\ si svolge in un clima di esasperata finzione e di scaltra doppiezza, che ci richiama ai motivi del ro­ manticismo tedesco. Basta pensare alla scena, in cui dalla testa d’un pagliaccio, che un innamorato geloso ha col­ pito con la spada di legno, sprizza succo di m irtillo in­ vece di autentico sangue : scena che sembra riassumere il carattere di tutto un periodo del moderno spettacolo russo. Le m alizie e gli incastri di situazioni grottesche, il continuo spezzarsi dell’illusione teatrale, e lo stesso personaggio dell’Autore, che di tanto in tanto si affaccia per protestare, accostano questo lavoro alle commedie di Tieck.

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Bdaganak introduce dunque nella creazione di Blok

I la certezza che la .realtà della terra è altrettanto fumosa ■ delle visioni teologiche. Quest’amara certezza si rifrange 32

nelle liriche in cui egli sviluppa argomenti di cartoman- ' zia e sortilegio, e soprattutto nei versi del cielo Gòrod z— (L a citta), scritti sotto 1 influsso della raccolta di Brjusov Urbi et Orbi, che aveva straordinariamente colpito la sua fantasia. * 7 L a città blokian a.ag g reg ata funesto di bettole, b i- ^ sche, ristoranti e postriboli, è un’orditura ingannevole, uno spettrale sfolgorio tra Je^ nebbie, un plesso confuso tlì lìnee fluttuanti ed ubriache. Eroine evanescenti di questo ciclo sono le prostitute delle vie di Pietroburgo,*Il "proiettate in un’aura da parabola biblica, ambigue par­ venze che acquistano a tratti la sublimità metafisica di creature umiliate da un’inesorabile sorte. v Qui Blok affastella metafore accese e sgargianti, che paiono precorrere il primo M ajakovskij. Tutto il ciclo è venato da un orrido brulichio di bagliori rossastri. Sfondi, esseri, attrezzi son 'tìnti di sanguigno. Strie di crepuscolo inondano i casamenti, e le strade d’una luce scarlatta, la luce delle catastrofi e della rovina. Il rosso incombe sulla città blokiana con forsennata insistenza, come il vessillo di fuoco sulla simbolica gio­ stra, che Nikola) Sapunov dipinse in quegli anni in una sua temperal, Il nervoso armeggìo 'di baldracehe vermi­ glie, di nanerottoli fulvi, di m antelli di porpora, tutta quest’orgia di rossa immette in quelle poesie un frèmito d’apocalisse, Forgasmo d’un mondo che è alForlo dello siacelo. « L a nostra realtà — scrisse Blok nel saggio Bezvrèmen’e (Tem pi calam itosi, 1906) — trascorre in un rosso chiarore. I giorni son sempre piu rumorosi di gridi, di rosse bandiere sventolanti; a sera la città, assopitasi un attimo, è insanguinata dal crepuscolo. Etì notte il rosso 1 Karmel’ (1908). Cfr. N . Puniti, Tri chudoznìks: U, N . Sa­ putivi', in « Apollon » 1915, 8-9.

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canta sugli abiti, sulle guance, sulle labbra delle donne da conio. Solo la pallida m attina scaccia l’ultim a tinta dai volti emaciati ». Ed ecco, i versi blbkiani palesano' un nuovo' duali­ smo, che trae origine forse dalle invenzioni di Hoffmann. Si veda, ad esempio, la lirica La Sconosciuta. A ll’apparire di questa creatura enigmatica^Tmpulsi mistici irrom5Snb "nell’ambiente volgare dei ristorante di periferia, che ' u^öetäaveväTdescntto con minuzioso. mahsmo. L a realtà terrena traluce, mostrando il lampeggia, di yn^uniyerso IfrazTohaie. N ell’ubriachezza, che sposta i consueti li"111115 psìchici, una donna di strada rivela, come in traspa­ renza, ì lineam enti dêlEa Sposa ce leste . ^ La Sconosciuta è tra le piu suggestive figure della poesia russa di questo secolo. Le metafore fluiscono stf* due diverse superimi semantiche, permettendoci di per­ cepirla in due modi, come donna concreta o simulacro fantastico-.,. Il « cappello con piume di lutto », le « elastiche vesti di seta », la « scura veletta »' ci .riportano al gusto della <1Belle Époque », a certe immagini di Toulouse-Lautrec. Ma inoltre c’è in lei, come in parecchi' personaggi del simbolismo russo, un che di demonico, di chtonio. Non a caso il poeta osservò : « Non è solo una dama dall’abito nero con piume di struzzo sul cappello. È una diabolica lega di molti mondi, principalmente il turchino e il lilla. Se io avessi avuto 1 mezzi, diJ^ajb^V m n eL jttn ato un Dèmone » l. Č oa interpretata, questa sembianza som iglia alla Dame Dämon di Klee, m iscuglio inquietante di mistico e di terrestre, imbastita con disparati brandelli di vari colori che dissolvono l’uno nell’altro, m agica larva che vaga nel cosmo su assurde gambette sottili e con un cap1 O sovremennom sostojanii russ\ogo simvolizma (1910).

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pello alla moda \ N cll’una e nell’altra si avverte qual­ cosa di labile e di malsicuro. Il quadro tracciato da Blok è per di piu traballante a causa dei fumi del vino. Gli « ubriachi dagli occhi di coniglio », i « sonnacchiosi lacchè » , le piume sul cappello della Sconosciuta, gli ef­ fluvi di occulti profumi : tutto barcolla in un dondolìo sonnolento, che si contagia al lettore. Liriche di questo' tipo d’ora in. poi torneranno con sempre m aggiore frequenza nelle pagine di Blok. Sul tessuto realistico guizzano, come in sovrimpressione, elementi d ’una realtà ineffettuale. Pigmenti onirici co­ lorano la banalità quotidiana. Ciò che è triviale si im­ beve d ’un lièvito m agico, si fa m isterioso; la lontananza incantata trapela da un interno prosaico. Cosi può accadere che una qualsiasi prostituta ricordi la Spo saan gelica, e una -qualsiasi" bet.tdIS7 per effetto della luce o degli specchi o dell’ubriachezza, divenga uno scenario soprannaturale! ~~~ L._. ( , Queste trasmutazioni prodigiose si svolgono tutte \ sullo sfondo di Pietroburgo, concepita, nella tradizione di Gogol’ e di Dostoevskij, come città incomprensibile e stregata, come incantesimo sorto dalle acque rugginose delle paludi finniche^ Non la Pietroburgo neoclassica > dalle architetture severe, non la Paimira del Nord ma­ gnificata da Puïkin nei'Cavaliere di bronzo, ma la Pie­ troburgo' del Nevskij * e soprattutto degli angoli peri»12 1 C ff. Carola Gìedion-Welcker, Paul Klee, Stuttgart 1954, p. 62. Per il suo carattere di grottesco' d'amore che si dilata allo '.spazio 'dell’universo, L a Sconosciuta si potrebbe confrontare con If-la. .lirica An Anna Blume di Kurt Schwitters (« D u trägst den H ut auf deinen Pässen...»),

2 Kornej Cukovskij {Ot Cechova da naskh dnej, 23 ediz., Pietroburgo 1908, p. .40) definì Blok «'poeta del Nevskij prospéfet», aggiungendo: « l i Nevskij prospékt è la patria spirituale di Blok, e Blok il primo poeta, generato da questa sterile strada ». 3.5

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ferici, intreccio di vicoli sordi, di grigie casupole, di tavenie e cortili. Come già Dostoevskij, il poeta si ingegna di coglierne la Banalità misteriosa, di scoprire l’arcana sostanza che si nasconde sotto la sua squallidezza abituale. Ricordi il lettore ciò che afferma Versilov ne L ’adolescente, con­ ducendo Arkadij in una sòrdida trattoria : « Forse tu non lo sai, ma a me piace talvolta per la noia. .. per Terribile noia dell’anim a... entrare in sim ili cloache. Questa atmo­ sfera, quest’aria balbettante della Lucia, questi camerieri dagli abiti russi fino all’indecenza, il tanfo di tabacco, g li urli dalla sala d i biliardo: tutto ciò è cosi triviale e prosaico, da confinare quasi col fantastico » (parte se­ conda, cap. V , III). Pietroburgo balena nelle liriche di B lak con le sue nebbie, coi rossi crepuscoli che la circondano come le fiamme d’una cromosfera, con le notti bianche, con le cicatrici degli stagni, scenario sferzato dalle gelide raf­ fiche della Neva. E ancor oggi, se andate in un piovoso tramonto d’autunno alia periferia di Leningrado, vi sembrerà di trovarvi la luce e le immagini delle strofe blokiane. Quel sentore palustre, quella natura malinco­ nica e singhiozzante, quel gocciolio che cancella i con­ torni degli uomini. Gli alberelli giallicci sprigionano barbagli metallici, e tutto il paesaggio ha un alone fosfo­ rescente. E la sera, come nei versi biokiani, nell’umido velluto dell’aria verdeggia la splendente fiamm ella d’un semaforo. Cosi dalle prospettive infinite del cielo Blok era sceso m ari mano nel cerchio allucinato di Pietroburgo. È chia­ ro che un simile mutamento doveva allarm are e deludere gli « Argonauttin Sm orzatasi la väm pätadel G ran T anatismo^ oostoro avevano fatto della Bellissim a Dam a, sembianza in naftalina, la loro idea fissa, il loro « dada », per usar l’espressione di Sterne. 36

Impassibili in un’assonnata immunità dadaica, «’erano accorti da tempo che Blok veniva meno alle loro speranze, come un pianeta che uscisse dall’orbita. Si ri­ sentirono della poesia Diavoletti palustri, in cui cran chiamati « spiriti impuri, malsanla delle acque », ma so* ; pràtttltto li offese. Bdam nBk. Si riconobbero in quei m istici ottusi infagottati nello stiffelius, in quelle figure-fonògrafi, perdute a ripetere formulette teologali. Fu un duro colpo. Il paesaggio ce­ leste era ormai una baracca da fiera devastata da un ura­ gano, e la Bellissima Dama, scalzata, dal piedistallo, una maschera da commedia, una ridicola « arnica di car­ tone ». Tutto d ò parve loro un sogghigno sacrilego, un tra; dimento dei dogmi di Solov’ev. Resistenti ai bacilli della vita reale, dimenticarono che anche il poeta-filosofo aveva titubato fra l’estasi e gli scatti blasfemi. E Belyj, benché fosse lui stesso proteiforme e incostante, si adontò oltre misura di quel cambiamento. In un saggio del 1908, che sembra il sogno d i un entomòlogo, egli paragona i versi blokiani a « rose di raso », da cui siano sbucati, come leggiadri coleotteri, diavoletti e pretini, e proclama Blok falso mistico e « poeta di bruchi », dei quali il piu velenoso è la Bellis­ sima Dama, « decompostasi in prostituta e in finta gran­ dezza del genere di v/ —1 » L ’artificioso disdegno cfì Belyj scaturiva, non tanto da morivi teologia, quanto dagli aspri contrasti perso­ nali con Blok e dalla crescente rivalità nell’amore per Ljuba. D el resto, già in Noénaja Fialha, il poeta aveva scritto: M a che cosa è più gradito al mondo che la perdita dei m igliori am ici?1 1 Oblom\ì mirov, ripubblicato poi in Arabeskj, 1911, pa­ gine 463-64.

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8.

L ’abbandono degli argomenti mistici coincide per Blok con l’ingresso nel mondo del teatro. D i teatro si era appassionato sin da ragazzo, decla­ mando romanze e monologhi con T’accento imperioso ed i gesti patetici di reboanti attori ottocenteschi, come D al’skij e Dalmatov e organizzando ogni estate spetta­ coli di famiglia a Sachmatovo e a Boblovo. Qui, il i ” ago­ sto 1898, mise in. scena alcuni brani' -àéi'Amleto dinanzi ai Beketov e ai contadini dei dintorni., che ridacchiavano senza comprendere nulla. Intabarrato in un mantello corvino, con un nero co­ stume e la spada al fianco, sosteneva lui. stesso la parte dì Amleto. Ljuba era Ofelia : indossava una « candida ve­ ste dalla scollatura quadrata, con guarnizione lilla chiaro sull’orlo e nei fori delle lunghe maniche a sboflfi. D alla cintura le pendeva un’« aümônière » lilla, ricamata di perle. N ell’episodio delia follia i capelli disciolti, leg­ germente arricciati e cosparsi di fiori, le scendevano sino alle ginocchia. Fra le mani un gran fascio di malve rosa, di vilucchi e di luppolo alla rinfusa con altri fiori di campo » l. Per qualche anno il poeta vagheggiò la carriera d’at­ tore e nell’autunno 1899 si iscrisse persino ad un circolo filodrammatico, interpretando, con lo pseudonimo Borskij, una piccola parte in Le Mcâtre de forges di Georges Ohnet. M a poi al teatro prevalse la vocazione poetica. Ljubòv’ Dmitrievna invece tradusse in realtà il proposito di calcare le scene. Dopo aver frequentato i com dram ­ matici di Aleksandra Citau, si uni a diverse iniziative di Mejerchol’d, recitando in provincia (1908), a Terioki (1912), nella Sala Tenišev a Pietroburgo (1914). Fu nella com pagnia di Zonov a Kuokkala, lavorò al cabaret1 1 M . Beketova,

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op. cit.,

p. 62.

« Privai komeđiantov » (L a teppa dei commedianti) e, dopo la rivoluzione, alla Commedia popolare di Radlov. Spunti teatrali si incontrano sin dal principio nella creazione di Blok. G ià in Ante Lucetn ricorre, con sin­ golare frequenza, il tema di O felia e di Amleto. Piu tardi compaiono liriche in cui con m odi hoffrnanniani il poeta assom iglia il teatro a imo specchio illusivo che sdoppia le im m agini, a una scintillante bugia che dissi­ m ula il vuo to. I gesti liturgici si sono mutati in una stridula tram a di contorcimenti e di smorfie pagliaccesche. Disertate le imprese teologiche, Blok assapora l’incanto del palcosce­ nico, la stregheria delle lu d della ribalta, si inebria di quinte, velari e costumi sbiaditi, scopre il fascino dei ba­ racconi e finanche del rozzo mestiere dei guitti. II crescere del disinganno m oltiplica le poesie-panto­ mime, in cui con lazzi e movenze legnose Arlecchino, Pierrot, Colombina rendono, in chiave burlesca, la di­ sperazione del poeta. NeU’aria brumosa di Pietroburgo le maschere della commedia dell’arte ondeggiano come fantasmi, come incorporee parvenze di gelo.. Il cosmo è screziato dei loro brandelli come di. macchie opalescenti. E persino' gli astri di questo universo glaciale assumono aspetto di maschere : la luna è, ad esempio, un « Pierrot celeste ». Come un’idea musicale ripetuta in tante varia­ zioni, Farlecchinata metafisica diventa un motivo conti­ nuo nella scrittura, di Blok : e non è da stupire se torna persino nei Dodici. Può darsi che Balaganci\ riflette le trappole e i truc­ chi delle spettacolose arlecchinate che si rappresentavano nei baracconi di Pietroburgo. M a il gusto delle maschere, delle marionette, dei fantocci da Fêtes galantes eia. co­ mune ai poeti, ai pittori, ai registi del tempo. Non vi fu poeta in quegli anni, da Belyj a Gumilev, da Kuzmin a Vološin, che non inserisse arlecchini nelle

proprie liriche. Non vi fu pittore, "da Sapunov a Benois, da' Sudejkin a Somov, 'die non tratteggiasse maschere a m m a n ierate, accompagnandole spesso con la Morte. E quanti registi pagarono il loro tributo' ai" simulacri della commedia italiana: Mejerchol’d, mettendo in scena mol­ teplici canovacci e pantomime, Ira: cui, col titolo Sarf Kolombmy (La sciarpa di Colombini),-Der Schleier der Pierrette di Schnitzler-Dohnânyi ; Evreittov, scrivendo l’arlecchinata Vesëlaja smerf (L a gàia morte); Komissarževskij, aggiungendo un «. divertimento' » di maschere a Le bourgeois gentilhomme di Molière. Era di moda (e lo conferma il Petruska di Stravinski}) convertire i personaggi in arcadiche figurette di Sassonia, in pupazzi invertebrati dai tondini, verm igli sulle guance e dal « succo di mirtillo », in bambole meccaniche simili alla Coppèlla di Delibes. Balsgsneik è strettamente connesso con questa tendenza. Il turbinoso episodio della lesta, carosello di ma­ schere stilizzate e variopinte, fa pensare alle tele di Somov e di Sapunov. M a se a quegli artisti il mondo del teatro • serviva solo di pretesto per uno sfoggio d i preziosismo ornamentale, in Blok costituisce la tragica antitesi delle chimere teologiche e, per la menzogna e doppiezza del giuoco scenico, quasi l’allegoria della sua delusione. Lo si vede anche dagli altri due dram m i che egli com­ pose nello stesso periodo. D a KoròV na ploscadt (Il re sulla piazza), in cui è descritto con ritm o affannoso il febbrile scompiglio d’una città spaventata che attende l’arrivo di misteriosi vascelli, una città .su cui incombe, . come un malefizio, il gigantesco idolo d’un vecchio''so­ vrano. E specialmente da Nezna\om\a (L a Sconosciuta), che scaturì..daH’omonima poesia. Qui una stella, cadendo dal cielo ai. margini di Pie­ troburgo, si trasforma in una donna leggiadra».,vestita di nero. Solo un Astròlogo e un Poeta sanno di lei. Il

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Poeta, che aspetta da secoli, è ormai tutto azzurro, per aver troppo a lungo guardato il firmamento. A lle inerti effusioni del suo menestrello la ragazza caduta preferisce però gli abbracci terreni, e si allontana col primo che le si presenta. Questo dramma ironizza con lo stesso sarcasmo dì Balaganci\ l'inutile attesa della Sposa mistica. Nella ter­ za « visione », in un salotto letterario, la padrona di casa annunzia agli ospiti: a Signori! Silenzio! Il nostro bel­ lissimo poeta ci reciterà una sua bellissima .poesia e, spe­ ro1, di nuovo sulla Bellissima Dama ». Anche qui, come B lo t sommuove le scene, forse per parodiare l’immobilità dei paesaggi teologici : nella pri­ ma (( visione » le pareti d’una bettola, su cui sono dipinti vascelli con enormi bandiere, si mettono d’improvviso a roteare, cosi che le navi sembrano prendere il largo. L a fralezza impalpabile dei personaggi, che svapo­ rano come mantelli di neve, l’azzurrità d ’acquerello, il pudore dei toni rendono in questo lavoro ancor piu la­ cerante l’incrmatura del sogno. Vachtangov diceva che occorre accostarsi alle im m agini di Neznàkpmka con « argentei campanellini nelFanima » l. Benché Blok fosse convinto che il teatro g li avrebbe permesso di evadere dalle strettoie della lirica, i suoi ten­ tativi drammatici traboccano di lirism o. Un lirism o tra­ mato di orrore, di raccapriccio. L a loro sostanza sembra riassumersi in quel grido di freddo, in quel « B ri! » che echeggia due volte in Nezna\om\ct come lo schiocco d’una frusta. Balaganci\ fu rappresentato il 30 dicembre 1906 al Teatro di Vera Kom issarževskaja a Pietroburgo, assieme 1 Cfr. Boris Zachava, Tvorces\ij p u f E. B. Vachtangova, in : Evgenij Vachtangov, Zapìsht. Pis fan. Stufi, Mosca-Leningrado 1939, p. 351. 41

a Le Miracle de Saint-Antoine 'di' Maeterlinck. Le scene erano di Sapunov; di Kuzm in le musiche. MejerchoFd, che provvide alla regia, interpretava Pierrot con infles­ sioni pungenti che penetravano l’anima \ L o spettacolo inaugurò una tendenza fra le piti prestigiose del moderno teatro russo, tendenza ispirata alla com m alia italiana, che Vachtangov porterà al culmine nel 1922 con la sua messinscena della Turandot di G ozzi. Il regista aggrandì in maniera iperbolica 1’episodio dei m istici. Sedevano tronfi ad un lungo tavolo parallelo alla ribalta e ricoperto sino a terra di panno nero *. Quan­ do d ’un tratto il ribrezzo li risucchiava nel nero stiffelius, sulle sedie restavano i corpi senza testa né mani. E allora appariva chiaro che quelle sembianze balorde erano solo una serie di sagome di cartone, su cui Mejerchol’d aveva fatto dipingere con gesso e con nerofumo i colletti, i pol­ sini, le finanziere. Per camuffarsi da m istici, gli attori infilavano le mani nei buchi d’una prefettizia posticcia, appoggiando la testa a un solino di cartone 3 21.4 M ejerchoì’d mutò [’episodio del ballo in una sorta di. sagra distrettuale russa, (ricordo forse degli anni passati, a Penza), immettendovi maschere delle feste di provin­ cia*. D ’altronde nei baracconi di Berg, e dei. Fratelli Legat a Pietroburgo, alla fine del secolo scorso, accanto alle maschere della commedia improvvisa, si mostravano 1 Cfr. Evg. A. Znosko-Borovskij, Russ^ij teatr naiala X X ve\a, 'Praga 1925, pp. 284-92, e Xikolaj Volkov, Mèjerckofd,, I, Mosca-Lentngrado 1929, pp. 276-81. 2 Pili, tardi, in Gore armi (Guai all’ingegno) di Gr.iboed.ov (1928), MejerehoL’d si rammentò di BMagètttEfy nel disporre i. pettegoli ospiti di Famusov dietro un lunghissimo tavolò' che fronteggiava la platea. * Cfr. Andrej Belyj, Simvolićeskjj teatr (1907), in Arabes^i, Mosca 1911, pp. 310-11. 4 Cfr. Nikolaj Volkov, op. cit., I, pp. 330-31. 42

tìpiche figurine russe, tolte di peso dalle stampe popolari, come il sarto gobbo N itka (Filino) e sua moglie* la na­ suta befana Iglà Nožnicevna (G ugliata Forbicetti) \ Bdagatm \ fii accolto dal pubblico con un misto di applausi e veementi dissensi. E qualcuno ravvisò addirit­ tura in quell’aspra arlecchinata un’allusione alle circo­ stanze del tempo, al fallim ento delle recenti sommosse *. Le prove e la messinscena di Balaganci^ introdussero Blok nella cerchia di M ejerchol’d e della Komissarzévskaja. 1 Cfr. A. fa. Alekseev-Jakovlev, Russifie narodnye guljan ja (a cura di Evg. Küznecov), Leningrado-Mosca 1948, pp. 29 e 68. s Mejerchol’d mise in scena Balaganéiif ancora due volte: a Minsk nel marzo 1908 (cfr. N . Volkov, op. d t., I, pp. 372-73) e a Pietroburgo, alla Sala Tenišev, il 7-11 aprile 1914, assieme a N ezna\om \a (cfr. M. Beketova, op. d t., pp. 194-95, e N . Volkov, op. dt., II, pp. 317-24). Quest’ultimo spettacolo fondeva elementi del teatro orientale con trovate della commedia a soggetto. In Nezna}famt(ß il regista inserì giocolieri cinesi e « servi del pro­ scenio », i quali spostavano mobili e attrezzi e cambiavano tende e velari al cospetto del pubblico. Gli attori, con rossi nasi incol­ lati. con accese parrucche e sgargianti truccature da baraccone, recitavano a scatti come automi, gettando alla fine arance nella platea adorna di lampioncini di carta (MejerchoFd dirigeva allora la rivista « Ljubòv’ k treni apel’sinam », « L ’amore delle tre me­ larance »). Ljuba, che aveva cucito i costumi, impersonò la pa­ drona del salotto nella terza « visione ». Neznakomka fu inoltre rappresentata, nel 1917, aìT K ffè « Pittoresque » di Mosca (il f a­ moso1carte- d’avanguardia arredato e dipinto da Tallin e da faktìlov) con regia di due allievi di Mejerchol’d : S. V. Vermel’ e G, A . KroF (cfr. fa. T-d, M os\ovs\ie teatry, in « Apollon », 1917, 8-10). I registi si ingegnarono di trarre da quel dramma traso­ gnato uno spettacolo eccentrico di cabaret, avvicinando' il testo di Blok allo spirito del futurismo (le scene erano del futurista' Lentulov) e insieme ponendone in luce le radici romantiche, hoffmanniane. L a Sconosciuta indossava un flessuoso ed elastico abito nero, guanti neri, un cilindro splendente. Il Poeta, un :■Apollo' massiccio dal sussiego di tragico provinciale, portava una 43

Fragile figura dai grandi occhi azzurri c dalla voce melodiosa, Vera Fedorovna Kom issarževskaja parve in­ carnare le aspirazioni e il travaglio della generazione poetica che sussegui a Čechov \ Attrice dalla sensibilità morbosa e apprensiva, visse tormentosamente quegli an­ ni, col presagio d i ineluttabili cataclismi e con l’ansia inappagata di agire, d i sperimentare, di cogliere nelle apparenze il riverbero di un’altra realtà. E lla traspose in linguaggio teatrale il nebuloso liri­ smo, di cui erano imbevuti i simbolisti. Anche lei crea­ tura di frontiera, agognava come loro ad un’arte che rigenerasse gH uomini. Singhiozzante violino, d i musi­ calità non terrena, esprimeva nelle sue parti la smaniosa irrequietudine dell’epoca, il patimento di un’anima fe­ rita, di un puro spirito in Io ta con la grettezza borghese. Tutto il suo breve cammino fu come ispirato dalle parole di Treplev nel Gabbiano : « Sono necessarie nuove for­ me. Nuove forme sono necessarie ». Dopo essersi affermata sulle scene ufficiali, insoddifulva parrucca e, sebbene nel dramma sìa azzurro, uin costume giallo-arancione. .L’Astròlogo aveva un’assisa turchino-verdogno­ la, un cilindro tempestato -di stelle e una cravatta fosforescente. Né va dimenticato che Georges Pitoëff presentò Balaganéi\ in francese a Ginevra, alla Salle des Amis de l’Instruction il i° marzo 191:6, Col titolo Le Tréteau (Ludm illa Pitoëff era Colom­ bina), e poi a Parigi, alla Comédie des Champs Elysées, il 22 novembre 1923, col titolo L a Petite Baraque (Antonin Artaud impersonava il Presidente dell’assemblea mistica). Cfr. Aniouta Pitoëff, Ludmilla, ma mère, Parigi 1955, pp. 74-75 e 116. 1 Gfr. gli artìcoli di Sergej Auslender, Georgij Culkov, Jurij Ozarovskij, N . Evreinòv, in «A p o llo n » 1910, 6. Inoltre: Evg. A . Znosko-Borovskij, op. cit., pp. 266-95; Sbornii pamjati V. F. Kom issarzevs\oj, Mosca 1931 (soprattutto i saggi N a ruòeze dvuch epoch di Ju. Sobolev e V. F . Komissarzévskaja i simvolisty di S. Gorodeckij); P. Markov, Vera Fedorovna Komissarževskaja, Mosca 1950. 44

sfatta dei vecchi stam pi, abbandonò l’Aleksandrinskij, per fondare nei settembre 1904 a Pietroburgo un Teatro ■D ram matico che dal 1906, sotto la guida di Mejerchol’d, diventò un avamposto del simbolismo. Mejerchol’d per­ seguiva'altea un teatro pittorico nel quale gli attori, movendosi con pigra lentezza, armonizzassero come macchie cromatiche Coi fondali dipinti. I critici (e Belyj fra loro) avversarono questo stile, sostenendo che avrebbe soffocato il talento della Komissarzévskaja. A mano a mano lei stessa si convinse che gli attori si sarebbero per questa via tramutati in marionette, e il 9 novembre 1907 ruppe coli Mejerchol’d, spiegandogli le proprie ragioni in una famosa lettera. Qualche anno piò tardi, nel 1909, durante una tour­ née in provincia, decise di ritirarsi dal teatro, e ne diede notìzia agli attori con queste parole : « Me ne vado per­ ché il teatro nella forma in cui oggi esiste ha cessato di parermi necessario, e la strada da me seguita nella ricerca di nuove forme non mi sembra piu giusta ». Pochi mesi dopo (il io febbraio 1910) doveva soccombere nella lon­ tana Tasként di vainolo. I simbolisti percepirono la sua morte come un prean­ nunzio straziante di sventura e rovina. Erano tutti in­ namorati di lei, dei suoi occhi profondi e malinconici, occhi spauriti che fuggivano (secondo l’immagine di Rémizov) come lucciole su un filo \ Blok le dedicò im a dolente poesia, irta di mesti quesiti, e scrisse in un saggio : « 'Vera Fedorovna Komissarzévskaja vedeva molto più lungi di quanto possa vedere un occhio comune; non avrebbe potuto altrimenti, perché aveva, negli occhi una scheggia di specchio magico, come il ragazzo K aj nella1 1 Aleksej Remizov, Bespndmnim, in Pijasusaj demon, Pa­ rigi 1949, pp. 37-41. Cfr. anche Andrej' Belyj, MeMu àvuch renoIjud), Leningrado 1934, pp. 385-92. 45

fiaba di Andersen. Perciò questi grandi occhi azzurri, guardandoci dalla scena, ci sorprendevano tanto e ci ra­ pivano: parlavano di qualcosa di immensamente piu grande di lei stessa » \ L ’ambiente di Vera Fedorovna accolse con entusia­ smo il poeta venticinquenne2. G li volevano bene per il suo contegno discreto, timido e un po’ fanciullesco. Alle riunioni del sabato', che la Komissarževskaja teneva nel ridotto del teatro, egli conobbe altri letterati e pittori delle correnti modernistiche. A un « cotillon », la sera dopo la prima di Salaganči^ si invaghì perdutamente della bellissim a^teicc N atal’ja Nikolaevna Volochova. 9* A lta e snella, i capelli e gli occhi neri, grandi « occhi alati » , il sorriso sm agliante, la Volochova aveva un ful­ gore da icona. Blok trascorse un « anno folle » accanto al suo « stràscico nero », e di lei scnssčMei d^ijSneznaja Maskß (Maschera di neve, 29 dicembre (19^-13 gennaio 1907) e Faìna (1906-08). Questa passione-uragano è adombrata nel primo ci­ clo come ebbrezza. metafisica, come bruciante delirio. Per rendere l’immensità di un amore, che rompe 1 con­ fini dell’esistenza consueta trapassando in spasimo e tor­ tura, Blok ricorre a raffronti con turbini, raffiche e gor­ ghi di burrasche. L e poesie sono come rattratte da guizzi serpentini, da un sinuoso contorcersi di m ulinelli dì neve. Le meteore e le larve esalate dalla tormenta parteci­ pano andi’esse dell’infatuazione 'del poeta. L ’universo è un’immane voràgine, in. cui rotea un sinibbio devasta­ tore, una giostra infrenabile di ali di neve, di irruenti ghiaccioli stellati.1 1 Pamjati V. F . Kom issarževs\oj (1910). a Cfr. M. Beketova, op. d i., pp. 103-04. 46

p :Sjmboleggiando il gran fuoco e il supplizio di questo incendio d’amore, la neve costruisce croci e falò, preci­ pita in falde corrusche e in trottole di schiuma, trabocca incoiate vulcaniche. L a meteorologia si immedesima con la,: passione, je le intemperie compongono come un dia­ gramma cinetico delle vicende amorose. C'è in quei versi una luce abbagliante, la folle luce di latitudini glaciali, di bianche distese desolate. La va­ rietà delle formule metriche e la scrittura nervosa, im­ pulsiva rendono mirabilmente il dinamismo dell’univer­ so in tempesta, lo svolazzare irrequieto di fiocchi e spruz­ z a g li. Il motivo del volo ritorna a ogni istante come tema melodico. E il continuo ripetersi di imperativi accresce l’urgenza è l’affanno di questo vortice aereo1, di queste rime aleggianti, in cui il senso delle parole si stempera in un indistinto flusso canoro, in un lampeggio musicale. Anche nel ciclo Faìna Fautore è veleno e sortilegio, analogia della morte, vorace incantesimo che paralizza e distrugge : ........SO

Striscia da me come serpe strisciante, assordami nella sorda mezzanotte, con le labbra languide tormentami, soffocami con la treccia nera. Come sono lontani al confronto i palpiti del misti­ cismo, l’estasi vereconda del paladino teologico ! Per la beltà irresistibile, per gli occhi ardenti, per l’abito di seta nera l’effigie di Faina-Volochova richiama alla mente una delle più intense figure di Dostoevskij : N astas’ja Filippovna. N on (fiversa d ia appare nel dram m a allego^' rico Pesnja Sud’by (II Canto del Destino, 1908): « un semplice abito nero le avvolge come scaglia di serpe la snella persona. N ei suoi scuri capelli riluce una pietra 47

preziosa, mettendo ancor p iu in. risalto l’incendio degli occhi enormi ». Sollecitato da un ambiguo monaco, simile a un an­ gelo dall’ala spezzata, l’eroe di questo dramma farra­ ginoso, il sognante German, abbandona la sua candida casa su un colle, per recarsi nel mondo : invano la moglie e la madre lo scongiurano di restare. E gli capita all’Espo­ sizione universale, nel gigantesco padiglione delle mac­ chine, dove un professore avvizzito illustra i prodigi della tecnica fra il dileggio dei visitatori. Qui Faina, canzonettista ed acròbata che si esibisce su un podio in quel padiglione, lo sferza con uno scudi­ scio, lasciandogli un solco di sangue nel volto. German cade in ginocchio ai suoi piedi, come il poeta dinanzi allo « stràscico nero » di N atal’ja Volochova. Poi, attra­ verso una serie di trasposizioni stentate, Faina assurge ad im m agine della Russia, e German si muta nel suo salvatore, nel suo principe predestinato. A parte queste soprastrutture tediose (che rispondono d ’altronde alla ihrama dijtopulism o thè stimolava Blok in quegli anni), Faina, sia nel ciclo di versi che nel la­ voro teatrale, è una variante della Sconosciuta. Ricom­ pare piu volte nelle liriche blokiane questa effigie di donna inguauiata in una veste aderente di seta nera, con nere piume e con stràscico, un lungo stràscico simile alla coda d’una cometa. Una donna dalle movenze di serpe, una « Schlangengöttin » che passa superba sul fondo del­ l’universo, come dentro un immenso palcoscenico, or­ nato di corpi celesti e di sciami di stelle. G li atteggiamenti del poeta, che im plora «filtri odorosi, soffocanti » , m alfa d’amore, passioni-tempesta, hanno spesso qualcosa di melodrammatico, che sembra preludere ai cinedrammi svenevoli di qualche anno dopo, alle languide pose d’un Mozžuchin. 48

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fio )

Blok .sofie fisicamente il ristagno e la reazione che seguirono alla rivolta del '05. Negli anni di Stolypin, anni di accidia, d i soffocamento, d i noia inorpellata, 'si, accrebbe a dismisura il suo grande catastrofismo. Egli f upreso da un senso di nausea, di funerea tetraggine.' L ’umor nero di Blok non è una propensione lette­ raria, un abito esteriore, ma il basso continuo, la fosca filigrana della sua vita, giorni e notti, giorni e notti. In­ calzato dall’ansia di ramingare, di perdersi negli angoli abietti e remoti della periferia cittadina, egli va alla ven­ tura, girando per squallide strade fiancheggiate da lerci abituri, alla luce di lampioni che. vacillano nella nebbia. L e lettere e i diari di Blok abbondano in questo 'periodo ■ di appunti di passeggiate notturne ai margini di Pietro­ burgo e di memorie di incontri con zingare e acrobate in. .ristoranti e postriboli. Sempre piti discostandosi dalla compiaciuta fam iglia I degli esteri e dei teosofi, il poeta si immerge nel brulichio delle bettole, dei cabarets, dei ritrovi con orchestre zisi ubriaca, assalito da accessi di angoscia. Gli occhi vitrei, rigonfi dal sonno, si accompagna ad artiste di varietà, a prostitute, cui lascia sempre in ricordo il proprio biglietto da visita. L ’ubriachezza sconfina in tortura, abbagliandolo con nere allucinaziom. Brividi di vergogna, d i ribrezzo, di rancore attanagliano e spezzano la sua coscienza affralita. Una folata di nordica follia confonde e deforma ai suoi occhi le sembianze della realtà. V i sono momenti nel diario di Blok che ci immettono nel vivo di questa disperazione. Quante scappate in car­ rozza, quanti voli sul bàratro della notte, in' compagnia di donne "casuali : a Le strappo il merletto e la, batista, 49 4

in queste ruvide mani e in questi tacchi aguzzi è non so che forza e mistero. Le ore con lei sono penose, sterili. La riconduco indietro. Qualcosa di sacro, come una fi­ glia, una bimba. Si dilegua in un vicolo conosciuto ed ignoto, sorda notte, pago il cocchiere. Un freddo taglien­ te, tutti i bracci della Nevà sono colmi, è .'notte dovun­ que, come, alle sei della sera, alle sei del mattino, 'quando rientro in casa. Il giorno è perduto, s’intende. Un Bagno, una camminata, qualcosa duole nel petto', si ha voglia di gemere, perché questa notte perenne conserva e decu­ plica sempre lo stesso sentimento — sino.alla pazzia. Si ha quasi voglia di piangere » (io novembre 1:911). ■ Il diario ci mostra desolanti riquadri della, periferia pietroburghese nell’epoca della, reazione : ” 28 febbraio 1912: « Passeggiate serali (riprese dopo lungo tempo) per lugubri luoghi, dove i teppisti fracas­ sano i lampioni, ti si appiccica un cucciolo, sono finestre appannate con tendine. Viene una bimba, ansimando come un cavallo: è tisica, è chiaro : soffoca dalla tosse sorda, fa qualche passo, si piega... Mondo terribile ». 24 marzo 1912 : « Ieri vicino a una casa di Kàmennyj òstrov i portieri schernivano un topo ferito. E ra stato forse abbrancato per la testa da una gatta o da un cane. Ora fugge, cercando di appiattarsi sotto un grumetto di neve, ora cade su un fianco. Dissemina gocce di san­ gue. Non ha dove andare. Mi immagino i suoi occhi ». i l aprile 1912: « Quanta tristezza — quasi fino alle lacrime. Notte — sull’ampio lungoneva nei pressi ddFUniversità; appena visibile fra. le pietre 'un. bambino, Un maschietto. L a madre (una « semplice ») lo ha preso in, braccio, le si afferra al collo con le manine— spaurito. Terribile, infausta città, dove un bimbo si perde, viene un. groppo alla gola. ». Quegli incontri, quelle osservazioni, quelle passeg­ giate si .rispecchiano nei versi del ciclo. Stfdsnvi i»ir (Il 50

mondo terribile) e in altri gruppi di liriche scritte fra il "1908 eTT 1916. Liriche tutte che esprimono T erm e este­ nuante dTun uomo scorato nella caligine del « mondo terribile ». Il cavaliere teologico è ormai un vagabondo che me­ stamente si aggira com ejin condannato fra j. lupanari e le bettole d’una città spettrale, una spenta Creatura dalle, speranze deluse, che trova sollievo soltanto nel vino e in fugaci, brucianti passioni. Piangendo la giovinezza sva­ nita, il distrutto ideale giovanile, questo « cadavere vi\ente >\ questo automa, conscio e persino appagato del proprio s fa ^ ^ ^ a m S p r ^ S h m m e n s lS a e le t e n e b r e , come un turacciolo fluttuante nel nulla. In sostanza egli avversa il « mondo, terribile », ne aborrisce la. cupa im­ postura, _ma vi è ingollato senza scampo, anche, se tenta ^ talvolta di staccarsene. A ttraversoT è^Serenze dell’eroe randagio le poesie di Strdsnyj mir e dei cicli congeneri simboleggiano la torpidezza e lo squallore deDa...Bn^a pila vigilia della rivoluzione. Come evocate da una lanterna m agica, sul cero tessuto dei versi si profilano inquadrature e figure di quell’epoca. Ed ecco il « giallo tramonto invernale » di Pietro­ burgo: il « rosso damasco di divani stinti » nell’albergo a ore, in cui si danno convegno « mercante, baro, stu­ dente, ufficiale » ; il « maxixe », la danza di m oda; il desolato lamento dei violini » nel ristorante dalle sa­ lette appartate; il. marinaio ubriaco che assidera nella tormenta; i primi voli; la gran, dama mondana che o$-erva con indifferenza .lo sfracellarsi d’un temerario avia­ tore; le larve inquietanti, della perversione notturna. Si seda la lirica Sulla strada ferrata, dove alla storia stra­ ziante d’una ragazza infelice si sovrappone l’immagine di tutta la .'Russia, del tempo, con la sta.zionci.na sperduta,

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l’ussaro, i vagoni dì vario colore, e il popolo in essi, che , canta e piange. Nelle poesie di questi anni Blok porta all'estremo la negazione, la:,;m£gfisica. d el mon.essere. Come^impre""gnando il suo genio di bile e di ripugnanza, egli effigia un universo-obitorio, in cui ogni porta di bettola è come la porta duna to m b ^ egli stessi riverberi dei f an ali sulle ' strade hanno contorsioni diaboliche. L a vita è farnetico, insulsa sequela di abbagli grotteschi che sferzano gli oc­ chi come ali di pipistrello. E non è meraviglia che la realtà più concreta sia in quei versi la Morte. G uardi appunto il lettore le Danze della Morte, in cui Blok traspone in emblemi e moSvi barocchi il suo irriducibile pessimismo. Quelle mummie da fantascopio, che sorgono dalla fossa per recìnsi idle riunioni mon­ dane, precorrono i truculenti simulacri che si vedranno più tardi nei film s espressionistici. M a già in una lirica d’un poeta del primo Ottocento, Aleksandr Odoevskij, una festa sontuosa dell’alta società di Pietroburgo si tra­ sforma di colpo in un ballo di scheletri che volteggiano per un immenso salone, abbracciandosi con le gialle ossa e ostentando tutti un’identica àfona risata*. A leggere queste Danze della Morte, ci sì sente sfio­ rare. da una viscida gelidezza di meduse. U n’uguale fo­ schia avviluppa la lirica I gassi del Commendatore, dove la leggenda di Don Giovanni, che P u ltin aveva ambien­ tato in una vivida e calda Madrid, vien trasferita nella notte allucinante e nebbiosa di Pietroburgo, in un sepol­ crale silenzio di neve, squarciato dal clackson di un’auto, dal ràuco rintocco di 'Un orologio,, dai passi pesanti del. Commendatore. Gli esseri, che balenano spauriti nelle pieghe del «■ mondo terribile», non sonò'chevuoti--contorni,. guiz-1 1 Bai, del 1825. 52

zanti siluette da disgradare le macabre parvenze di un ombiòmane. Ciò che più sbigottisce adesso nei versi di Blok è questa pungente cupidità di morte, l’anèlito di um iliazione, il desiderio frenetico di accelerare la pro­ pria fine. Per la disperata rinunzia, l’assiduo ricorso dei temi di morte e sventura, il martellante presagio di vicende rovinose l’arte blokiana collim a con le composizioni di Rachmaninov. E come in quella m usica, sembra di udir­ vi insistente il luttuoso « stuk-stuk-stuk » del destino. N el periodo del « mondo terribile » in Blok si fa piu sottile l’intuito dei cataclism i, il fiuto della storia. Ogni argomento si dilata in una sintesi dell’epoca, e gli spunti autobiografici si intrecciano col moto dell’universo, con le circostanze della vita sodale. Ogni esperienza, ogni fatto recente è un pretesto per una sorta di sinfonia cosmica. La visione dell’aviatore che si schianta al suolo gli suggerisce l ’immagine di mostruose guerre future. L a corsa vorticosa sulla « ruota del diavolo » (piattaform a rotonda che ammulinava n d « giardini d’estate » di Pietroburgo, emettendo un sibilo persistente) si leva a significare la fuga degli n o m in i verso la catastrofe, l’in­ costanza della felicità, l’incertezza del vivere. L ’appari­ zione, n d 1910, d'una cometa, che pareva minacciare la terra, gli dà appiglio per una prospettiva sfuggente del cosmo, solcato da treni e da « greggi di libellule d’ac­ ciaio ». Il timore di torvi occhi estranei che braccheggia­ no l’uomo diventa vertigine dell’ignoto, sgomento me­ tafisico. Blok si ingegna di cogliere d’un sol sguardo e d ’un fiato tutti i fenomeni concomitanti di un’epoca, di sco­ prire le arcane corrispondenze fra l ’immite realtà della terra e la tenebria d d pianeti, di raffrontare n d loro sin53

cremisino i diversi aspetti dell’esistenza, penetrandone la connessione, gli accordi, il riposto senso musicale. il. Zigeunermusik immer schön - wann wird alles enden? M ax B eckmann, Tagebücher

A guardar bene, il vagabondo che strascica per il « mondo terribile » è un’estrema variante, lugubre e de­ pressiva, di quel « dandy » che Puškin aveva introdotto nella poesia russa col personaggio di Onegin. G li accenni ai ristoranti con specchi, alle marsine, alle pellicce di zibellino, ai boccali di A ï risvegliano nella memoria le predilezioni e l’ambiente dell’eroe puškiniano. Il m a lk ^ n ico « dandy » di Blok, che alterna i pia­ ceri come una filza di riti stucchevoli, si infervora solo a contatto con gli zingari, nella cui musica coglie i bar­ lumi d’un paradiso perduto. Nella stagione del « mondo terribile » Blok si abbandona Senza ritegno all’elemento zigano. E non solo lettere, versi, taccuini spesseggiano di riferimenti agli zingari, ma la romanza,.zigana diventa .Cajofflanza 'badi, non è cosa-di poco mo­ mento nella lirica russa. Vi fu nel secolo scorso tutta una schiera di poeti. « zìganisti », dei quali almeno Apollon Grigor’ev merita di non esser dimenticato. È noto che Leone Tolstòj teneva in gran pregio questo « genere per' 'chitarra »... Gli piaceva ascoltare al gram­ mofono le romanze cantate da Varja Panina e, quando gli zingari si accampavano nei pressi dì Jàsnaja Poljana, andava a sentirli e. a vederne le danze Quei passi del1 1 Cfir. Sergej Tolstoj, Oberai òyloge, 2a edizione, Mosca 1956, pp. 376 e 389-90, Si veda anche Viktor SWovskij, 0 Mapkovskom, Mosca 1940, pp. 27-28. 54

diario blokiano, in cui il poeta indugia con parole attònite sulla malia della musica Zingara, sembrano' ricalcare le battute di Fedja Protasov nel Cadavere vivente, dramma nel quale ha larghissima parte l’elemento zigano. Nelle sue tormentose romanze Blok si ricollega a Grigoriev, di cui specialmente ammirava la ballata Cygans^aja venger\a (La zingara ungherese), tutta .frè­ miti e strappi e singulti \ Lunga traiettoria di un’anima: dai fievoli suoni celesti di Solov’ev agli arpeggi "focosi ■ della chitarra zingaresca. Guardi, ad esempio, il lettore le liriche « Inchiodato al banco d’una bettola », « Un nero corvo nella penombra nevosa », « Abbassati, ten­ dina scolorita », « Io, che ero un tempo superbo e altez­ zoso », « Oggi tu su una tròjka squillante ». Alle inflessioni della romanza zigana Blok affida l’ar­ dente amarezza della sua vita randagia, la brama di eva­ dere dalle strettoie d’un mondo fallace. Quelle poesie, singhiozzanti come logore corde, tese fino allo spasimo, esprimono l’immensità travolgente di effimeri am ori, di fuggevoli slanci dì ebbrezza, che si risolvono sempre in umiliazione. N ote di esausto rammarico vi si avvicen­ dano a lampi di gozzoviglia, di tripudio febbrile. N el cerchio magico delle melodie zingaresche l’amo­ re diviene per lui, come per Fedja Protasov, fiam m ata di ubriaco entusiasmo, lacerazione dello spirito. Come se, nel fiottare straziante di questa musica, sferzato da raffiche misteriose che soffiano dalla notturna voràgine dell’universo, egli perdesse i legami col tempo e con la realtà, sprofondando in un caos primordiale. "Sono attimi, passeggeri di estasi e di abbandono, cui seguono, plumbei risvegli, rimorsi e trafitture di noia, che rendono ancor piti intollerabile la consuetudine del-1 1 Blok pubblicò nel novembre 1915 un’edizione 'critica delle poesie di Grigor’ev, premettendovi un proprio studio-.. 55-

l ’esistmza. E tuttavia ranim a» sempre eccitata da smi­ surati desideri, ansiosa di esperienze infinite, trova una dolcezza fatale in quegli istanti di oblio, agogna la per­ dizione come riscatto dall’uggia d’una vita deserta, in­ sipida, inutile. Ci. si ricorda delle parole, di Fedja Protasov :. « Solo quando bevi, cessi d ’aver vergogna. E la musica — non. le opere e Beethoven — m a gli zingari... ti infonde una tale vivezza, una tale energia] E aggiungi quei cari oc­ chi nari e il sorriso. E quanto piu tutto questo ti affa­ scina, tanto piti grande è poi la vergogna» (atto III, quadro 2®, scena IV ). D ’altra parte la smania di libertà irrazionale, la bramosia del peccato e della caduta, l’ir­ ruenza sfrenata delle passioni avvicinano il Blok delle romanze zigane a certe figure di Dostoevskij. Ed è curioso che l’elemento zigano si apprenda, non solo ai verri dedicati alla patria, m a anche a quelli ita­ liani, che egli compose nel 1909, dopo un breve viaggio nella nostra penisola. Firenze à jm a _ £ e r M a _ a n ^ a , ; adorna di iridi fumose. E Venezia, un funereo riverbero > di Pietroburgo, con gondole-feretri, scialli neri, buffi di .'gelido vento: città, anch’essa del «m ondo terribile», nelle cui tenebre vaga la larva di Salome, recando su un ; piatto la testa, mozza del poeta... In quelle liriche avverti con. assoluta chiarezza che le h radici di Blok vanno cercate nell’àmbito del romantieif smo tedesco*. Non a caso la sua creazione discende dal ceppo della poesia romantica di Žukovskij ; non a caso egli si appassionò per il gotico al puntò’ Ha scrivere alla m adre.da Bad Nauheim, al ritorno d all’Italia, queste incredibili parole : ■ « Mi hanno colpito la. bellezza e la familiarità della Germania, i suoi costumi per me comprensibili e l’alto lirism o di cui vi è permeata Ogni cosa. Ora è perfetta­ mente chiaro che metà della stanchezza e dell’apatia de•5(5

rivara dal fatto che in. Italia non si può vivere. Ê il paese meno lirico che esista : non c’è vita, ma solo arte e an­ tichità. E perciò, uscendo da una chiesa o da un museo, ti par d’essere in mezzo a non so che assurda barbarie. Gli italiani non sono uomini, ma sgradevoli bestioline strillanti.'.. Patria del gotico è soltanto la Germania, il paese piti affine alla Russia, eterno rimprovero a lei. Oh, seti tedeschi prendessero' la Russia sotto la loro tutela! Respireremmo meglio, e avrebbe termine tutta questa ignominia. Solo qui è una vera, religione della vita — una vita gotica, the sa render sacro persino il servizio sta­ tale... ». L ’inclinazione per gli zingari è all’origine d’un nuo­ vo invaghimento di Blok : egli si innamorò nel 1914 del­ l’attrice Ljubòv’ Aleksandrovna D el’m as, che interpre­ tava Carmen al Teatro del Dramma musicale. Svelta, e flessuosa, la chioma fulva e un incantevole volto irrego­ lare, la D el’mas avvìnse il poeta per l’identità sorpren­ dente col tipo della gitana spagnuolah E Blok la cantò in alcune poesie di Arfy i sfyipìfi (Arpe e violini, 1908-16) e nel ciclo Carmen (1914) che, per le metafore e le ca­ denze rapinose, l’analogia passione-tempesta e lo sfondo teatrale, rammenta i fervidi v era di Sneznaja M as\a, in cui egli aveva effuso il suo amore per un’altra bellissima attrice : N atal’ja Volochova. 12. Et la neige continue à tomber, lente, verticale, uniforme... A lain R obbe-Gruxet , Dans le labyrinthe

Blok tonta di districarsi dalle reti vischiose del « mon- j do terribile », cercando un diversivo in occupazioni non | letterarie. Frequenta il Luna-Park, lanciandosi, coti la I1 1 Cfr. M. Beketova, op. dt., pp. 192-93,

slitta per i declivi nevosi delle « montagne ghiacciate » ; divora i romanzi triviali di Breïko-Breskovski) ; si eser­ cita alla ginnastica svedese; si interessa dei primi voli, del cinema, di questioni politiche:' e soprattutto di quella « lotta francese », che era allora in gran, crédito nei cir­ chi di Pietroburgo. Apprende le n o m e e i principi di questo sport, che rinfranca il suo spirito' e lo stimola, a. creare Giudica con sicurezza provetta dei valori «artistici» dei cam­ pioni : « Di autentica genialità — cosi scrive alla madre (21 febbraio 1911)— è dotato solo uno di quelli che ho visto, l’olandese Van R ijL E gli m i ispira assai più d’un Vjačesiav Ivànov ». Le gare di « lotta francese » e le audaci virate degli aviatori equivalgono alle invenzioni poetiche, si inseri­ scono anch’esse per Blok nell’« orchestra universale delle >arti » . E lo stesso andamento ritmico della poesia è da lui ragguagliato allo sviluppo del sistema muscolare. In quelle espressioni di salute fisica, non guasta dal moder­ nismo artefatto di gruppi e cenacoli, egli si illude di rin­ venire un antidoto alla cupezza, al marasm a dell’epoca. Ma non c ’è scampo alle tenebre: quegli espedienti resistono per poco spazio, e subito, come una m olla com­ pressa, scatta di nuovo la nera disperazione, il mecca­ nismo' del tedio. E come il Tasso ne! dialogo leopardiano', Blok toma a cercare il suo genio « in qualche liquore generoso ». À„vùlte era incline a vedere la fonte d’ogni suo male nel lirismo che lo soggiogava e da cui' non sapeva affran­ carsi. Ber sfuggire alla piena dell'clemento lirico, che in lui si immedesima, a tratti con lo sfacelo del .«-mondaterribile», lavorò a lungo, e con grande fatica, al poema - Vozmezdie (La nèmesi, 1910-21).1 1 Cfr. M. Beketova, vp. à i., p. 146. 58

Si prefiggeva di intesservi, attraverso le vicende pri­ vate d ’una. progenie di nobili (la sua progenie), una sorta di storia « musicale » degli anni tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nostro secolo, ossia una. sintesi degli avve­ nimenti accaduti in quel tomo nella cultura e nella po­ litica. Voleva in altre parole riprendere un procedimento 'sperimentato da Puškin: inscrivere le circostanze della storia nella cornice del romanzo di. famiglia. Trasse lo spunto dalla morte del padre a Varsavia (T dicembre 1909), e l’idea, si allargò in un’amplissima tela, di cui riuscì a stendere il prologo', il primo capitolo, l’introdu­ zione al secondo e una parte del terzo. Quest’ultim a parte, ispirata, dal viaggio a Varsavia per i funerali, è la più compatta ed insieme la più, com­ movente. Il poeta accompagna il minuzioso ritratto del padre, dèmone byroniano spentosi in un’accigliata soli­ tudine, con un confuso sottofondo sonoro, in cui si fram ­ mischiano l’ululo della tormenta e il brontolio di rancore e vendetta che percorre la Polonia martoriata. Qui si dispiega con straordinaria veemenza quel li­ rismo che Blok avrebbe voluto reprimere. Riaffiorano le intonazioni delle liriche più sconfortate, il motivo d dl’uomo che brancola nei gorghi del mondo borghese. E Varsavia, accecata dal turbinio della neve, ha il plum­ beo squallore, il malessere di Pietroburgo. Questi fram ­ menti confermano ancora una volta che Blok è alieno dalle strutture architettoniche, dalla saldezza dell’epòs, che ogni suo tema si spande in un’am orfa nebulosa, lam ­ peggiando di sprazzi metafisici, di notturna follia. D ’un desolato lirism o egli impronta anche il dramma Roza i Krest (L a Rosa e la Croce, 1913), nel quale ha forte risalto quel gusto degli scenari medievali che si av­ vertiva nelle sue pagine sin dall’inizio. L a misteriosa can­ zone del trovatore Gaetano, che afferma l’identità della 59

Gioia e del Dolore; la malinconia della ..giovane Isaure che si strugge per questa canzone brumosa; le còbbole trasognate dei menestrelli; le querimonie dell’infelice Bertrand : tutto ciò ricollega gli episodi del dramma al mesto tessuto delle liriche. E non importa se qui fanno da sfondo i castelli del Languedoc e le lande, l’oceano della Bretagna. I legam i fra Isaure, Aliscan e Bertrand (nel conce­ dersi al paggio Aliscan, Isaure prega Bertrand, che di lei è innamorato senza speranza, di vegliare sotto la sua finestra, perchè nessuno li scopra) richiamano alla me­ m oria il triangolo Colombina-Arlecchino-Pierrot. E in realtà il sospiroso Bertrand che, sebbene ferito, protegge gh amanti sino all’ultimo fiato, per tener fede alla donna diletta, è una trasposizione medievale del Pierrot di

Balaganci\. Anche qui i personaggi sono siluette indistinte, mac­ chie verbali, proiezioni d’un cruccio indicibile. E certe battute pili trepidanti riecheggiano i moduli delle ro­ manze zigane.

13. I

Lo stesso, lirismo pervade i versi dedicati alla Russia, I che oscillano fra i toni sommessi dei componimenti sulla, j Bellissima Dama e l’impeto ubriaco delle canzoni zingaI ..tresche. L a Russia di Blok non è quella, ingioiellata e dolcia­ stra'che ci viene incontro dalle pagine degli stilizzatori e dei poeti contadini, feticcio onusto di spoglie folcloriche come di luccicanti ex voto, ma una viva, creatura dolente, un’anima nuda. E gli rende l’ebbrezza delle vastità scon­ solate, la malinconia delle interminabili largure con im­ m agini rotte da singhiozzi. Si rivolge alla Russia cerne a una donna amata, rinnoyehando gh accenti di tenerez60

za e di sollecitudine che aveva, un tempo, per la Sposa celeste. Negli, anni del « month* terribile » la Russia miserai e affranta è per Blok Tunica verità, Tunica fonte di vita,j . a differenza dì Pietroburgo, miraggio palustre, impal-1 V catura illusoria. Trovi in quelle poesie la Russia di Nekràsov, con la bufera di neve, le isbe, i fazzoletti a rabeschi, il canto del postiglione. L a Russia degli incan­ tesimi e delle form ule magiche, lacera terra stregata, con dèmoni e con fattucchiere. L a Russia finnica e quella di Kulikòvo, coi gridi dei cigni, le tende dei T artari, le insegne del principe D m itrij D onskòj. E , in contrap­ punto con le angustie del presente, il sogno d ’uria Russia y di opifici e 'di fabbriche, il presagio d’una RussiaAmerica. L a storia addensata nei versi blokiani non si risolve in un morto scenario o in una pigra veduta da cosmo­ rama. come, ad esempio, nelle poesie-medaglioni di Brjusov, dove episòdi di età remote assumono una rigi­ dezza accademica da rammentare le tele di Gustave Moreau. E gli trasfonde la storia nella vita del momento. E cosi gli accade di proiettare le circostanze della batta­ glia di Kulikòvo (1380) nell’àmbito del proprio tempo, facendone quasi un preannunzio di tempeste purifica­ trici, di grandi cataclismi futuri.''E lo stesso eroe'lirico, 10 stesso poeta sì identifica con un guerriero delle schiere di Dmitrij Donskòj, che sul fiume Meprjadva attendono 11 combattimento con l’orda dei Tartari : un guerriero cui appare in un fulgido alone la mistica Sposa, la notte prima della battaglia. Cantando la Russia, tuffandosi nella diserta realtà della patria, Blok si lusinga di porre rimedio al crescere della sua solitudine. Come Belyj, egli visse un periodo di esasperato populism o: gli pareva che almeno il contatto w col popolo sarebbe valso a salvarlo dal naufragio nel 61

« mondo terribile ». E d è in questo' senso caratteristica la sua interpretazione dei fatti di Kulikòvo. Nel saggio N ardi i intelligencija (Il popolo e Tintellìghenzia)'egli paragona il dissidio fra il popolo e gli intellettuali alla cupa avversione fra l’oste russa e l’orda dei 'tartari schierate a battaglia. 'Come quei due eserciti la notte 'die precedette la mischia, l’uno e gli altri si fron­ teggiano senza capirsi, divisi da un. solco profondo', si­ mile al fiume Neprjadva. N el campo tartaro regnano rombo' e fermento, mentre quello del popolo è immerso in un silenzio assonnato. Ma, staccata' dal popolo, l’intel­ lighenzia degenera, imbevendosi d’un desiderio di, mor­ te, mentre il popolo porta nell’intimo una fervida volontà di vita. ■ Con una tensione spasmodica dell’udito interiore Blok va cosi penetrando la musica sotterranea, le con­ nessioni simboliche della storia russa. 14. Blok aveva in grande abominio i « sazi » , i borghesi, i soddisfatti. V i sono poesie, specie nel ciclo Giambi (1907-14), in cui egli insorge contro i filistei con una vee­ menza che ci richiama alle pagine nelle quali M ajakovskij deride la protervia dei « pingui ». In alcuni brani dei diari e delle lettere la sua avversione ri costumi bor­ ghesi trapassa in un acre senso di nausea e di ripugnanza, in ima sorta di soffocante rigurgito. Ë a tratti la ritrosia si dilata in ribrezzo per la condizione degli uomini, per la realtà di quell’epoca. « L a gente — egli scrive da Mi­ lano alla madre il 19 giugno 1909 — è per me abomine­ vole, la vita tutta è un orrore. L a vita europea è altret­ tanto schifosa di quella russa, in genere tutta la vita degli uomini in tutto il mondo è, a parer m io, una pozzan­ ghera mostruosamente lurida ». 62

■ Macchina di presagi, Blok presentiva 1Ineluttabile approssimarsi del cataclisma. E gli sapeva che il sovverti­ mento avrebbe spazzata la sua classe, m a era pronto ad accettarne il tracollo, purché fosse distrutta Podiata con­ sorteria dei borghesi. Sapeva che la rivoluzione avrebbe portato frangenti di sangue e di m elm a, m a tuttavia era persuaso che non vi fosse altro scampo all’ingiustizia del « mondo terribile ». E d è davvero ammirevole la sua antiveggenza, se si considera che egli era cresciuto in ur. ambiente idilliaco, in una famiglia devota alle pro­ prie origini gentilizie. Blok accolse con gioia gli avvenimenti del 1917, e so­ prattutto le giornate di Ottobre. E gli udì interiormente la « musica » della rivoluzione, il rovinìo tumultuoso del vecchio mondo, il fragore assordante della fiumana che straripava per la Russia, travolgendo decrepite istituzioni e privilegi. E non si crucciò per l’agonia del suo ceto né per lo scom piglio delle consuetudini. Unico suo rim­ pianto, Sachmatovo, che era stata distrutta. M ajakovskij ricorda di averlo incontrato in quei gior­ ni dinanzi al Palazzo d’inverno. Sm ilzo, con un pastrano soldatesco (rim astogli addosso dal tempo in cui aveva servito nel genio, nelle paludi di Pinsk), si scaldava a un falò, e alla domanda d i M ajakovskij se gli piacesse ciò che era accaduto: « Bene » rispose, rammaricandosi solo che gli avessero bruciata la biblioteca, in cam pagna1. « Ora — scriverà più tardi in un saggio su Andreev — di quei cari luoghi, dove ho trascorso i tempi migliori della m ia vita, nulla è rim asto; forse soltanto i vecchi tigli stormiscono, se non hanno scortecciato anche loro ». A l pari d i Beivi, di Esènin e di altri poeti, egli fu allora vicino al gruppo degli « Sciti » . i quali interpreta1 Vladimir Majakovskij, JJm er A le\sandr Bloì( (1921). 63

'vano 1! grande sconvolgimento come catarsi, dell’umanità e trasfigurazione dell’orbe terracqueo, come incendio universale che avrebbe mutato le radici dell’essere. Anpbf lui concepiva ' ...... ------ la . rivoluzione in termini meteorologici, Agguagliandola a un gigantesco uragano, a una bufera di neve, a un turbinio irrefrenabile di forze irrazionali. Il suo massimalismo romantico, alieno dai compromessi e dai limiti., allargava a dimensioni cosmiche le vicende d’Ottohre. Da questa ubriacatura di lib e r tà r ia .questo fervore^ nacque tutto d’un fiato, nel .gennaio...1918,..it.poemetto' Dvenòdcaf fi Dodici), dove Blok si abbandona alla furia degli elementi come nelle stagioni in cui aveva cantato la Volochova e la D el’mas. Le irruenti sequenze di que­ sto poemetto inquadrano in una gelida luce ventosa la Retrogrado dei giorni della rivolta. D alla tempesta di neve il poeta fa emergere squallide sa gome del « mondo terribile » , tratteggiate con. un ri­ salto satirico che le avvicina alle maschere sociali di Majakovskij: un borghese dal naso tuffato nel bavero, uno scrittore loquace""ctaTlunghi capelli, un pope pan­ ciuto, una signorina in pelliccia di caràcùl (figure tutte Ormai indissolubilmente legate alle illustrazioni di An­ nenkov). Alle reliquie sparute di classi in sfacelo si contrappone l’immagine di dodici guardie rosse che mandano per R etrogrado, lacere e insanguinate, simbolo d’una torbida massa sospinta d a un nebbioso anèlito di giustizia. E in ^uesta-visioaa^L.mcuneaJa-aimia--trivi^|e di K at’ka.juna. prostituta contesa fra Van’ka, e Petmcha. Della chiusa silTseritto sino alla noia : i dodici, turba fangosa e sbrigliata, avvezza, a saccheggi e violenze, si trasformano infine nei dodiciapoitolL Vanno con passo maestoso neirortìci della tormenta, e li precede Gesù in-

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ghirlandato di rose, con una bandiera scarlatta. In tal modo creature reiette, spregiati ribaldi diventano porta­ tori di luce, interpreti d’un mistero liturgico, di un’azio­ ne allegorica. N on a caso Blok affermava a quel tempo d i scorgere angeliche ali alle spalle d’ogni guardia rossa \ N ei versi dei Dodici i ritmi rapinosi della burrasca ** coincidono con le cadenze d’una libertà intemperante e /• sfrenata. Montaggio di piccole scene fulminee, il poemetto è percorso da cima a fondo da un martellante contrasto di bianco e nero, di neve e di tenebre (« la ti­ vokzione. come tutti i grandi accadimenti, accentua sempre la nerezza » sì legge in un saggio di Blok su | p Catilina, « bolscevico romano »). L a sua scrittura, squas| | | sala da sincopi e schianti, da sbalzi metrici, da aspre dis­ sonanze (sibili, nodi di vento, scalpiccio, crepito di paip l"::-lottole), mescola in un insolito impasto .lessicale slogans da cartellone polìti co e formule di preghiera, costrutti da ode solenne e ingiurie di strada, termini rozzi d’uno slang proletario e accenti di romanze, riecheggiando a tratti nei toni e nei simboli la canzone rivoluzionaria polacca

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Ma quanti motivi del Blok precedente vi tornano : Pietroburgo che annega nell’immensità dello spazio, la notte, le bettole, i moti di deca passione, la frenesia zin­ garesca, la fuga in carrozza nel buio, il deio nerissimo, gii accessi di lugubre noia, la metafìsica del banale. E persino l’arlecchinata : l’amore di Van’ka e Petrucha per KatTta ci rammenta ancora una volta il dissidio fra A r­ lecchino e Pierrot innamorati di Colombina. D d Dodici furono date le spiegazioni piu strane. Qualcuno volle considerarli un proclama di fede bolsce1 Testimonianza d i K . Culto vskij citata in. fsuà’ba Moka, p. 220',.. 65

vica, altri vi cercarono invece una parodia della rivolu­ zione. G ran parte dei letterati (e soprattutto la Gippius, nemica acerrima del comuniSmo) si scagliò contro Blok con rampogne e frecciate di scherno. E pochi si accor­ sero che il poema era connesso' coi presagi febbrili e le immagini delle sue liriche anteriori. ■Al Dodici fa riscontro un altro poemetto del gennaio m a ta rarifiuM sis M L sti> 1à Jp o a flà a del <■. panmongolismo Convinto che i Mongoli si ap­ prestassero a invadere l'Europa. mettendo a repentaglio la stessa esistenza deUa civika ocddentalfi, il poeta-filo­ sofo aveva esortato la Russia ad assumersi il cómpito jdi proteggere il mondo cristiano dal contario dei gialli. ' ■ Blok muove di q u q d ä q u e ste invenzioni messiani­ che, per contrapporre con tuttp l’ardore del suo massi­ malismo la Russia-Sfinpe all’Europa borghese, . alia rovina, il poemetto fu scritto in giomat'ein cui si temeva un’avanzata tedesca, su Pietrogrado>. Con la foga d’un vate-tribuno Blok lancia una sfida all’Ocddente sospettoso ed ostile, ricordandogli che la Russia mongoliche. C om eT versi dei Giambi e molti passi dei diari, an­ che questo poemetto- è imbevuto di rancore per i filistei intesi all’utile, di esecrazione per la meschinità borghese. Blok vi alterna le torve minacce con l’invito a un festino di pace, le espressioni di sdegno con improvvisi scatti ■ di iperbolico amore. E quasi in polemica coi proponi­ menti incendiari dei cubofuturisti (M ajakovskij compre­ so), pone in rilievo che gli A siatici, i barbari Sciti, sve­ gliati dalla rivoluzione, non intendono di rifiutare o .di­ struggere, ma di appropriarsi i valori piò alti della civiltà occidentale.

I5. Dopo 1 Dodici € Gli Sciti l’entusiasmo del poeta andò digradando. Svaporato l’ardore dei primi mesi, Blok fu assalito dal dubbio e dal tedio, e cessò di avvertire J ’inehriante « musica » della rivolta. G li parve che una pe­ danteria burocratica fosse sopravvenuta a im brigliare la furia degli elementi, riducendo ad anguste misure ter­ rene un sommovimento planetario, che l’esistenza tor­ nasse a stagnare e che tutto si fosse risolto in un’incre'dosa lotta per le razioni. Nemico dei cavilli politici, si accorse con fosca am arezza che la rivoluzione, da lui per­ cepita come tempesta ed incendio, si era ingolfata negli schemi di un arido razionalismo. Lunacarskij racconta : « Blok aveva in orrore i marxisti, "perché gli sembrava~che essi trattassero la vita cpasi come un problema di matematica, di meccanica. Gli sembrava probabilmente che i marxisti accettassero la rivoluzione senza in effetto capirla. Durante l’unico in­ contro e il colloquio relativamente lungo che ebbi con lui dopo le vicende d’Ottobfe, quando fu nominato di­ rettore d’un grande teatro leningradese e venne da me per accordarsi sul programma, Blok mi disse con un sorriso cattivo : « Voglio' sforzarmi di lavorare con voi. A dire i l vero, se foste soltanto marxisti, sarebbe per me straordinariamente difficile, il marxismo m i dà un senso di freddo; m a in voi bolscevichi io sento tuttavia la no­ stra Russia, Bakünin. D i Lenin amo parecchio, m a non il marxismo » \ Deluso dai compromessi, dai ripieghi, dalle incertez­ ze, perdette man mano lo slancio inventivo. Viveva come sommerso in uno spettrale silenzio, senza udire alcun suono all’intom o. A d accrescere il suo pessimismo con-1 1 A. V. Lunacarskij, M uzy\a i Revoljucija, in V mire muzy\i, Mosca 1958, pp. 123-24. 67

corsero le privazioni di quegli anni m alagevoli. Scarseg­ giava la luce (era difficile procurarsi petrolio o candele), e per riscaldare bisognava trascinarsi da soli le fascine di legna. L a penuria di cibo, l’assçnza di servitù e di tele­ foni, le piccole brighe, le file, ì turni di vigilanza not­ turna lo irritavano, rendendolo di giorno in giorno piu cupo. Si aggiungano le faticose adunanze e sedute nelle istituzioni di cui Blok era entrato a far parte: dal Bol’šoj dramatičeskij teatr alla casa editrice « L a letteratura uni­ versale » (fondata da G or’kij), dalla Libera Associazione Filosofica all’Unione panrussa dei poeti. U n’abulìca, plumbea stanchezza lo invase. Si fece sempre piu fiacco il suo rapporto con la vita. Scrisse ar­ ticoli e saggi, ma pochissimi versi. Pubblicò due raccolte di poesie giovanili : Di là d d confine dei giorni passati e La 'grìgia mattina, che sapevano orm ai di stantio. N el 1920, in agosto, Un ultim o invaghimento fuggevole : per la leggiadra scrittrice Larisa Rejsner, venuta da Mosca col compito di attirarlo al partito1. M a, nei diari, di nuo­ vo ventate di gelo, come al tempo del « mondo terribile ». L ’n febbraio 1921, in una cerimonia solenne alla Casa dei Letterati per Yfy* anniversario della scomparsa di Puškin, egli tenne un alato discorso sulla missione del poeto, in qualche punto adombrando se stesso, la propria qisperazione : « N on fu la pallottola di D Anthes ad uccidere Puškin. L o uccise lFm ancanzaTTaria...7^ S T 7?berta. Sono necessarie al poeta, perché egli possa dišciog ïie re l ’ arm o n ia . Ma è tolgono anche la pace,"ancheTa libertà. Non la pace esteriore, m a quella creativa. Non la libertà dei bambini o dei liberali, m a quella creativa, la libertà segreta. E il poeta muore, perché l’aria si fa/ irrespirabile; la vita ha perduto senso ». J1 1 Cfr. M. Beketova, op. d t., p. 285. 68

Nell’aprile dello stesso anno insorsero i primi sìnto­ mi della malattia che doveva stroncarlo: una torpida spossatezza e lancinanti trafitte .alle braccia e alle gam­ be, Le impressioni sgradevoli, e in specie i frequenti bat­ tibecchi fra la madre e la moglie, lo deprimevano pro­ fondamente. Squallido', spento manichino, reciso via dalla vita, con gli occhi vuoti ed opachi, Blok pareva in quei giorni prepararsi alla morte. A maggio andò' a Mosca, per recitarvi poesie, ma il viaggio non gli recò alcun sollievo. Di quell’estrema esperienza si legge nelle memorie: di Čukovskij : « Stavo con lui dietro le quinte, alla Casa della Stampa, quando sui palcoscenico si udì uno di quegli oratori che a Mosca sono cosi numerosi, il quale dimostrava allegramente che Blok, come poeta, era morto : « Io vi domando, compa­ gni, c’è una dinamica in queste poesie ? Questi versi sono vecchiume, e li ha scritti un cadavere! », Blok si chinò su di me, mormorando: « H a ragione (benché non lo vedessi, sentii con tutta la schiena il suo sorriso), dice la verità: sono morto... » \ Al ritorno da Mosca, un attacco di cuore, con alta temperatura. L a diagnosi: endocardite, psicastenia... Vizzo, smagrito, il respiro affannoso, soffocava a ogni minimo movimento, e d’altronde star fermo lo inner­ vosiva. Gli amici si prodigarono per ottenergli il permesso di andare in una clinica finnica, ma era ormai troppo tardi. Con l’apatia d ’un fantoccio, inchiodato su un punto morto, senza chiarezza né memoria, giaceva nel dormiveglia, fra atroci dolori, levando a tratti urli ag­ ghiaccianti. Chiuse gli occhi, il 7 agosto, una domenica, alle 10,30 del mattino. I funerali si svolsero tre giorni dopo, era la festa della Madre di Dio di Smolensk. Scrittori e poeti Citato in Sud’òa BIo\a, p. 264. 69

(e fra loro anche Belyj) portarono Blok in una bara sco­ perta, mondata "di crisantemi. Splendeva un limpido sole gioioso \

16. L a poesia blokiana si sviluppa dunque come un. ro­ manzo' 'lirico, incentrato sulla figura reale del poeta. Un romanzo folto di contrasti, e di antitesi, il cui eroe si tra­ sforma da cavaliere in pagliaccio, da paladino teologico in cliente di bettole, pencolando fra il misticismo e la perdizione. E dove ogni episodio, per quanto banale, dis­ solve in una fantasia metafisica, in un giuoco d’ombre. Perché, come Blok scrisse di VrabeF, « ad ogni pagina di vita si intreccia un verde stelo di leggenda » a. Un romanzo animato da una teatralità appariscente. Si direbbe (con B eckmann) che l’eroe blokiano viva la pro­ pria esistenza come « eine Szene im Theater der Unen- dlichkeit » \ E non solo vi sono nei versi, come abbiamo già visto, riferimenti al teatro o nuclei di drammi e di pantomime (O felia e Am leto, Colombina e Pierrot, il me­ nestrello e la Dam a), ma le poesie hanno sempre cadenza d i lamentosi monologhi, intonazioni melodrammatiche, e non rifuggono dagli effetti teatrali. Blok trova spesso l’accento di quegli attori di pro­ vincia che rapivano con tirate strazianti, con tremebonde inflessioni. E come nelle battute di codesti interpreti, nei suoi versi ciò che piu conta è spesso la carica emotiva. E d è per questo che in Blok non si osserva un’estrema novità di metafore, ma le metafore piu fruste e consunte si rinnovano nell’émpito della commozione, fl poeta non1 1 Cfr. M. Beketova, op. dt., pp. 304-05. * Pam jati Vrubelja (1910). 3 Max Beckmann, Tagebücher 1940-1950, München 1955, p. il. 70

schiva e non teme le frasi e le im m agini logore, anzi ri­ corre di proposito a espressioni ritrite, a form ule pronte, che nella foga d’una scrittura appassionata acquistano (come nel mestiere degli attori) un fascino insolito, ima freschezza iniziale. Non a caso talora inserisce nelle sue 'finche versi di Fet, di Žukovskij, di Polonskij, come vieta materia verbale, cui appunto quell’enfasi dà un timbro e un sapore inconsueti. D ’altronde Blok è talmente legato alla cultura poe­ tica dell’Ottocento, che la sua novità è spesse volte sol­ tanto rivivi scenza (in chiave simbolistica) dei moduli di certa poesia liricheggiante delio scorso secolo. C i sembra­ no esatte le seguenti parole di M andelstam : « egli sen­ tiva con straordinario vigore lo stile come una specie, e Iger 'questo intendeva la vita del linguaggio e della form a letteraria, non come rottura e distruzione, m a come in­ crocio. accoppiamento di specie e nature dissim ili, e come innesto di frutti diversi su uno stesso albero » \ Di qui la sua tendenza agli stam pi patetici, ai generi cantabili, allé romanze zigane; di qui la sua musicalità. Blok si abbandona passivamente alla seduzione dei suoni, lasciando che la musica inghiotta e sommerga il segno verbale. E cosi avviene che i vocaboli perdano la solidez­ za, il risalto semantico, sciogliendosi in una sostanza me­ lodica, il cui flusso infrenabile può compararsi al rigoglio dell’ampio cespuglio di lilla raffigurato da Vrubel’, amorfa massa vegetale che straripa e si spande per tutto lo spazio del quadro. L a m usicalità divorante di questa poesia appanna g li oggetti e ne cancella i contorni. Toccherà poi ai cubofuturisti ridare agli attrezzi poetici una concretezza tan­ gibile, scrollandoli d all’abulfa della m usica; ed essi pro­ romperanno con irruenza sfrontata, tramutando la lirica * Osip M andđ’štam, BarsuFja nera (1922), in O poezii, 1928, e ora in Sobranie sobinenij, New York 1955, P* 3^i71

in una sorta di « comédie d’accessoires » (si pensi al primo Majakovskij), II verso canoro, morbido', eufonico di Blok (a confrontiTHirqüalé T ì S u ^ r i ò l m .rassomigliano ai. « growls » delle 'trombe nel jazz) induce il let­ tore in uno stato di magica ipnòsi, in. un barcollio mu­ sicale. Per rafforzare il silo melodismo, Blok usa fre­ quenti iterazioni di frasi e di interi versi, agymriarKfo le 'strofe in. intrecci di rispondenze acustiche,. Nelle poesie della prima stagione, ad esempio, do­ mina il trucco delfepanalèssi, la costruzione ad anello: un periodo, introdotto all’inizio, ricompare alla fine in una, stesura conforme o ’lievemente alterata. Avvolte è 'tutta la prima quartina, che torna con spostamenti, e ri­ tocchi.. N e consegue' un’oscillazione emotiva, che accen­ tua il carattere melodrammatico dei testi. Una singolare canorità contraddistingue. l’universo blokiano. In lui tutto canta: gli oggetti, i concetti, le meteore, le membra. Cantano il vento, la neve, le tene­ bre, l’acqua, la mezzanotte, le spalle, l ’a n im a , gli,occhi. Ora, questo profluvio di musica dà spesso alle liriche un’astrattezza svanente, im palpabile. Blok non di rado compone orditure vocali, paesaggi fonetici, il cui det­ tato, privo di consistenza logica, si. sgretola in una ma­ liosa corrente di suoni. Ci riferiamo a poesie come La Notte, «U n o stràscico spruzzato di stelle», « L à , nel notturno ululante gelo », e soprattutto al ciclo Sneznaja M as\a. In sim ili testi le parole divengono segni musicali, spogliandosi d’ogni significazione concreta. Ad aumentare l’indefinitezza., l’irrazionaEtà dell’arte blokiana concorrono le misture di termini contraddit­ tori, la dovizia di ossimori e di abusioni, l’accostamento di divergenti linee concettuali, e in specie (soprattutto nel suo primo tempo) la fitta trama di segnalazioni ae­ ree, di gesti nel vuoto, di movimenti non oggettivi. Si

pensi al continuo balenio di segnali nei versi sulla Bel­ lissima Dama, al roteare di cerchi fiammeggianti, alFastiduo ritorno di sigle cabalistiche : in breve all’arcana geometria che stringe l’intera creazione di Blök. . A guardar bene, gli stessi personaggi di questo ro­ manzo lirico (la Bellissima Dama, Faina, la Sconosciuta, Carmen, Ofelia) si struggono'In caliginosi arabeschi, in macchie iridescenti, come le sembianze irreali dei qua­ dri di Vrubel’. A questa mancanza di netti contorni, a questa nebbiosità fa riscontro una scala di traslati che rendono il fluire, la stanca mutevolezza dell’esistenza. Il verbo « plyt’ » (navigare, nuotare) si ripresenta a ogni i passo come un motivo emblematico. E barche e vascelli, ■ affliggenti simboli dell’incertezza, riappaiono con esa- j sperata frequenza: come i talismani in Apollinaire o le frecce e le navi in Paul Klee. Tutto è dunque malfermo ed effimero nell’universo J di Blok (nella sua « Spiegelwelt »). Siano di scena i fon­ dali celesti Q gli acquitrini o le bettole ö Venezia ó Var- \ sàvia, tutto-è indistinto fluire, instabilità, tremolìo. Parole e'.metafore non hanno saldezza oggettiva, ma, mulinate da raffiche di tormenta o dissolte nella caligine, sembrano fluttuare sul vuoto, come veli di musica: come i Veli di Loie Fuller, a quel tempo.

'(Quasi -parvenza incorporea, questa ballerina svento­ lava grandi d i di garza che, iridate dà fasci di luci po­ licrome, si alzavano iti nebbie violacee, in volate di fumo, serpeggiavano a guisa di fiamme, si increspavano in onde di neve con uša ricchezza infinita dì toni). In ugual modo' la creazione di Blok è un turbinio di >veìi evanescenti, 'un melodioso aleggiare, un fuggevole ''-moto dì larve dì bruma, un duttile intrico di arabeschi ^musicali, che palesano a tratti una curiosa attinenza, con :gli ornamenti del « modem style ». 73

Anche quando riflette elementi reali e la parola vi si fa piu concreta, la scrittura blokiana non si distoglie dalla m agia della musica. A l melodismo confuso delle prime raccolte si va sostituendo man mano una complessa per­ cezione musicale del cosmo. L a musica è il connettivo che am algam a in una sola sostanza gli avvenimenti terrestri, il tumulto del sangue, il brivido degli spazi, l’ebbrezza smodata delle passioni, l’angoscia di vivere. Ma è anche identità di tempesta, simbolo di rivolta, liberazione dalla disperata grettezza del mondo borghese. Angelo M aria Ripellino

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Testo e traduzione

JleHHBO h thjkko njiHByT oöaaKa

JleHHBO h thhîko nauByr oßjiana no CHHEîiy 3HOK> He6ec. flopora Mon THatena, nanena, B HenBHJKHOM TOMJieHHH 31ec.

Mofl hohe yxoMHncn, xpairaT noffo mhoh, Korna-To ponHMüä npmoT? . . A TaM, najieKO, H3-3a Hanta Jiectioft KaKyio-TO necHio hoiot. H KaateTcn: ecjra 6h rojioc Monnaji, . MHe 6hjio 6h TpyjtHo HBimaTE, h hohe h h

6h

6h , xpana, Ha nopore ynaa, ne Mor nocKaKatb!

JleHHBO H Tfl'JKKO IHIHByT oSnana, h aec HCTöMaeHHHtt BOKpyr. ^oporä MOH THHteaa, najieiîa, ho necHH — moë cnyTHHK h Hpyr. 2t

ÿeepa.vi 1900

Pigre e pesanti nuotano'

Pigre e pesanti nuotano le nuvole per l’azzurra canicola dei cieli, il mio cammino è lungo, faticoso, .-nmobile languisce la foresta. il mio cavallo si è stancato, sbuffa sotto di me. Raggiungerò il mio ostello?... Ma lontano, laggiù, dietro la folta foresta hanno intonato una canzone. Penso che, se la voce si tacesse, mi sarebbe difficile il respiro, e il cavallo, sbuffando, crollerebbe sulla strada, e non potrei arrivare! Pigre e pesanti nuotano le nuvole, e la foresta languida m i attornia. Il mio cammino è lungo, faticoso, ma la canzone amica mi accompagna. 27 febbraio 1900

B nojiHoqïj rayxyio poHueimaa

B nonnom rnyxyio poMtneHHaa CnyTHHKOM ßaeflHHM 36*0111, b. TKami 36MJIH oß.ICTCHHaH, TH eepeßpiöiacfc Baaan.

IIIen a na ceBep fieajiHCTBemïHfi, men a b sioposHofi iibltii, CHHmaa tboô ronoc TaHHCTBeHHuâ, TH cepeßpimacb B®am. B' n o m o m rayxyro poîKaeiman, TH cepeSpiiixaei» B^ama. Ciana nynia yrHerenHaH ^

TKaHBIO MOpOBHO'Ë. 36M.HH.

/

BnniiHH, Corn SeccoHHue,

BciaubTe b iioposHoii num i CojiHqeM CBOHM ontHHeHHHe, comme paaneflTe Bnami ! BmIIHHH, 3 JIJI1ÎHH C0 HHH6 ,

comae paanelTe issami! Ciana nynia nopaMCHHaa KOMOH XO.IOaUOÜ 3eMJIHÎ S i Oenaßpa ISSO

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Creata nella sorda mezzanotte

Creata nella sorda mezzanotte dal satellite scialbo della terra, avvolta nel tessuto della terra, brillavi come argento in lontananza. lo andavo verso il nord spoglio di fronde, io andavo nella polvere del gelo, sentivo la tua voce misteriosa, brillavi come argento in lontananza. Creata nella sorda mezzanotte, brillavi come argento in lontananza. L a m ia anim a depressa è diventata tessuto di terra glaciale. Elleni, numi insonni, sorgete nella polvere del gelo ! Ebbri del vostro sole, spandete sole nella lontananza! Elleni, elleni assonnati, spandete sole nella lontananza! L ’anima stupefatta è diventata zolla d i gelida terrai 24 dicembre 1900

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B exep irpiraec HsnanëKa

Beiep npiniec asiajiëKa necHH BeceHHeÄ Baue«, frc-to cBeTuo b rnySono Heßa oTKp'HncH kjiobok. B 3toë. ÔeaioHHol jiaaypH, cyuepKax S'jihskoI bcchm

b

unaKaBH smmhhc ßypn, penna: SBesnHue chm. P oSk O, T6MHO h rayßoKO BJiaKaJIH CTpy'HH MOB. BeTep npHHec HananëKa SByqHHe necHH tboh.

Il vento portò dà lontano

Il vento portò da lontano l'accenno d ’un canto d’aprile, chissà dove, limpido e profondo, si apri un pezzetto di cielo. In questa smisurata azzurrità, tra i primi albori della primavera, ie bufere invernali piangevano, ri libravano sogni stellati. Timide, cupe e profonde le mie corde piangevano. Il vento portò da lontano le tue canzoni .squillanti. 29 gennaio 1901

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O T xo n H in i b cyM paK am afl:

T h oTxoHMMb b cyMpaK a n a l , b SecKOHeiHue Kpyra. f l nocnamaji otsbvk Marnai, OTRaaeHHHC m ani.

B.1H3KO TH Emu naneie aaTepaaacb b BHiiiHe? HînaTB IIJIB HCT BHeaaiIIIOÎi BCTpeiH B 3T0Ü BByïHôS THIIIMHC? B THILIIIH0 BBy^aT CBJIbHee OTHanßHHHB m am ,

TH « b. CMHKaemb., naasieHen, ßecKoneHHBie K pyra?

«1

84

T e n e v a i nelle' ten e b re scarlatte

Te ne vai nelle tenebre scarlatte) in cerchi senza fine. Ho udita un’eco sottile, un'eco di passi lontani. Mi sei daccanto oppure in lontananza ti sei smarrita nell’alto dei cieli ? Devo aspettarti o non avrò improvvisi incontri in questo sonoro silenzio? Nel silenzio risuonano piò forte i passi lontani, sei tu forse che chiudi, fiammeggiando, i cerchi senza fine? fi marzo 1901

85

HeöecHoe yMOM He HSMepHuo

HeßecHoe yjiost He naMepuMO, aa3ypHoe cokphto ot ywoß. JTnnib H3 penKa npsHOCHT cepa$HMM CBHiaeSHHÖ COH HSßpaHHHKaM MHpOB.

II MHSmaCb MHé PoccHlcKaH' Benepa, . THHtenöK) TyHHROft' noBHTa» ôeccTpacTHa b hhctotc, nepaiocTHa 6e3 jiepti, b nepTax nana cnöKolHan mòto . Ona cotona Ha seitnio He sneprabie, ho BKpyr Hee tojihhtch b nepBbiii paa SorarapH Be te, h hhthsh mhhc. , . H cTpaHCH CnecK ee rayßoKHx. rnaa. . . ZS Mtm 2901. C . maxMamoeo

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I l celeste n o n è m isu rab ile c o n l ’in telletto

Il celeste non è misurabile con l’intelletto, l'azzurro è occultato d io spirito. Solo di rado i serafini portano una sacra visione agli eletti dei mondi. E mi è apparsa la Venere Russa, avvolta d’una tunica pesante, impassibile e candida, immensamente crucciata, con un placido sogno nei lineamenti. È scesa sulla terra non per la prim a vòlta, ma per la prim a volta intorno a lei si affollano non più gli eroi del m ito, m a altri paladini... E strano è il bagliore dei suoi occhi profondi... J&.flMggio 1901. Sacbnutova

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OHHHOKHf, K -reöe n p a x o a c y

OaiIHOKHÜ. K Teôe npHXO/KV. OKOHUOBaH OrHflMH jhoSbh . T h ranaemt. — Mera ne bobh. — a H CSM JM H3BH0 BOpOHty. Ot TaHtenoro SpeaieiiH jict cnacaiiCH ohm:oë BopoHtSott, H OHHTb BOpO/KV Hai TOÖOfi, HO He HC6H H CMJTCH 0TB6T. h

BopO/KÔOiî UOHOHeHHHe 1HII, fl :ie;ieio ro ia, — ne bobh. , . T ojibko cKopo «b noracuvT orra aaKOJiioBaHHoË tgmhoM jho6bh ?1 1 timtm: 1901,

m

C . IB o x m am o m

Solitario, vengo a visitarti

Solitario, vengo a visitarti, ammaliato dai fuochi dell’amore. T u dici la ventura. — Non chiamarmi. — Ormai da tempo strologo io stesso. Dal pesante carico degli anni solo il sortilegio mi ha salvato, e strologo di nuovo su di te, m a confuso e non lim pido è il responso. D al sortilegio sono avvinti i giorni, io vezzeggio gli anni, — non chiamare... j Forse si spegneranno presto i fuochi j dello stregato tenebroso amore?

■1" giugno 1901. Sacbmatovo

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Iïpo 3 pa«iHiie, nesegoMHe tchh

IIpoBpaHHHe, HeseHOMMe tchh k Tede njiHByT, h c hhmh T h njiHBemb, B odtHTHH Jia 3ypHBIX CHOBHHeHHH, HeBHHTHHX H3M, Ceda T ei OTaaerab.

-

Fiepen T oSoh chhciot dea rpaaxmu Mopa, nona, h ropn, a aeca, nepeKJiHKaiOTCH b cbo6okhoh buck m aim , BCTaeT TyMaa, aaeioT Hedeca. A 3flecb, BHH3y, b mum, b yHH'mHceHbH, y3peB Ha mht deccMepTHHe aepni, 6e3BecTHHË pad, HcnonHen BnoxnoBeHba, Teda noex. Ero ae snaemb Th , ne oxa'HHH'nib ero b Tonne napoaHo#, ne HarpaRHiiib yuadKoio ero, Koraa bo enea Bsapaex, HecBodôHHHË, BKycHB Ha mht deccMepibH Tßoero. 13 Im att 19ÓÌ

O m b r e tra sp aren ti, arcan e n u o tan o

Ombre trasparenti, arcane nuotano verso d i T e, e T u navighi con loro, fra le braccia di cerulei sogni; incomprensibili a noi, T i abbandoni. Dinanzi a T e s’inazzurrano senza confine . m ari, cam pi, e montagne, e foreste, nella libera altezza gli uccelli si chiamano, si alza la nebbia, rosseggiano i cieli. Ma qui, in basso, nell’onta, nella polvere, visti un attim o i Tuoi tratti im m ortali, l’ignoto schiavo con ispirazione T i canta invano. T u non lo conosci, non lo distingui fra la moltitudine, non lo rimeriti d’un Tuo sorriso, quando, umile, T i segue con lo sguardo che ha gustato la Tua immortalità.

3 luglio m i

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A s p e t t o u n g r i d o , c e rc o u n a r is p o s ta

Aspetto un grido, cerco una risposta, .1 cielo è muto, la terra in silenzio, dietro il giallo maggese — in lontananza — s’è destato un istante il mio richiamo. Negli echi d ’un discorrere lontano', dal cielo notturno, dai campi assonnati, sento i misteri d’un futuro incontro, di convegni sereni, ma fuggevoli. lo aspetto — e un nuoto tremito mi invade. l|m p re piu vivido è il cielo, piu sordo il silenzio... Distruggerà la parola il mistero notturno... Iddio, pietà delle notturne anime! Dietro il m aggese si è destato un attimo come un’eco lontana il m io richiamo. Aspetto un grido, cerco una risposta, ma il prolungarsi del silenzio è strano... 7 luglio m i

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CÿuépKH, cyHepnn Bemaùe

Cyaiepiai, cyaiepiai Benmiie, xjiagHEte bojihbi y nor, b cepmie — HanemHH HeanemHue, BOJiHH đervT Ha neco«. O'TBByKH, necHH RajieKaa, ho pasnmHTb — He story, riaateT lyma oshhoksh Tasi, Ha Äpyro« ßepery.

Taiina jib moh coBepmaeTca, TH an BOBernt BHaneKe? JlonKa HHpHeT, KanaeTCH, HTO-TO Öe>KIIT HO pCKC. B cepme — HaiejKHH He3nemHHe, kto'-to HascTpeqy — 6ery. , ■. OißaecKH, cyMiepKH Bennane» KiiiiKii na tom öepery. j e m egcam

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1SÛ1

P r im a v e r ile c r e p u s c o lo

Primaverile.Crepuscolo,' ai piedi gelide ondate, nel cuore speranze celesti, Lambiscono le onde la sabbia. Gli echi d’un canto lontano, ma non mi è dato distinguerli. Piange solitaria l’anima ià, su quell’altra sponda. Il mio mistero si compie? Sei tu che chiami lontano? La barca s’immerge, vacilla, qualcosa corre nel fiume. Nel cuore speranze celesti, mi viene incontro qualcuno... Barlumi di crepuscolo, voci su quella sponda. 16 agosto MOI

95

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HeaocTvima b Cbocm ïepeuy. H npm m yca BeaepHeii nopoio, b ynoenibii Me«ny oÔh ibiv . T h , BacjiHinas m ch h œ iajiëK a, CboîI KocTcp pasBenentb sBeaepy, CTaiiy, BepHHË BejiemiHM PoKa, nocTHraTb oraeByio nrpy. H , Korna cpemi Mpana. CHonauH H CKpH C T a H JT Kpyat.HT.lbCa B ablMV, ---

a yjiaycb c oraesHMU Kpyraim h HacTHray T e6a b Tepeiiy. 18 iiûtyem a 1901

96

T u r is p le n d i s o p r a u n a lto m o n te

Tu risplendi sopra un alto monte, inaccessibile nella Tua torre. Io accorrerò nell’ora vespertina, per abbracciare nell’ebbrezza il sogno. A sera, nelPudirmi di lontano, accenderai d’un tratto il Tuo falò, ed io mi metterò, ubbidendo al Fato, a-decifrare il giuoco delle fiamme. Quando cominceranno nelle tenebre a turbinare a sciami le scintille, — accorrendo con circoli di fuoco, io T i raggiungerò nella T ua torre.

1S agosto 1901

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op'jiH, Kpiraamiie b aasypii. lion rHCB'OM CBCTMOt KpaCOTH OHH BcenacHO b BHxpe 6ypn. CTpejia npoH3aer idc cepnna, OHH ueTHT b n an eH bH r h k o h . . .

Ho h b naneHbH — hct KOHqa

xBanasi, h: Kuenory, h KpHBaul 21 sßeepaAfi

98

ISO

2

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T u sei il giorno limpido

T u sei il giorno limpido. I miei sogni sono aquile gridanti nell’azzurro. Sotto lo sdegno della tua bellezza — vacillano fra turbini di neve. Una ^cia.ûrâfigg£ijJbca.ÆUXui, volano in un’ir Ma anche nella caduta non c’è fine oer le lodi, e lo strèpito, e le grida! 21 febbraio 1X2

99

M i r a i » M eipieHHäH

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HChshb MéineHHaH mua, nan cTapaa ra^anstc, TaHHCTBeHHo uieiwa saSunrue cuoca.' BaiH xau o hcm-to h, aero-™ 6mjio i«ajiKQ, KaKoto-TO' mcttoë: ropena 'ronoea. ' ÖCfaHöBHCb' na nepeitpecTKe, b none, HaÖmoian ayòaarae neca. Ho nasse 3flecb, non uroM qyataoft bojih, Kaaaaocb, thjkkh 6bnm Heßeca. h

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naenenbH nyM, nneneBbìi iohlix chji. A T3M, Baajm — ByßaaTHe Depuram i

aeub oTxonnmHö tomho 3ojiothji. . . BecHä, BecHal CBantu, aero arae ntajiKo? Ka»oÄ Meatofi n ra a e i ronoBa? TaHHCTBeHHo, KaK CTapan ranamca, MHe üieiraeT »HSHb sa d m u e caosa. 16 .«ap/na iSOi

100

L e n t a l a v ita a n d a v a ...

Lenta la vita andava come una vecchia indovina, bisbigliando in segreto parole dimenticate. Sospiravo qualcosa, di qualcosa avevo pena, di qualche sogno ardeva la mia testa. Fermandomi nel campo, ad un crocicchio, contemplavo ì boschi dentellati. Ma anche qui, sotto il giogo d’un volere film i, pesanti parevano' i cieli. E mi sovvenne delle cause occulte. del servaggio dei giovani pensieri. Ma lontano le cime dentellate languidamente il tramonto indorava... Primavera! Di che cosa ho pena? Di quale sogno brucia la mia testa? In segreto, come una 'vecchia indovina, mi bisbiglia la vita parole dimenticate. bK

-'mano 1902

101

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fl, OTpoK, saænraio CBerai, oroHb KaRHHfcHHtt 6epery. Ona fies mhcjim h 6ea peau Ha tom CMeeTCH 6epery. Jlio ó a io

B e a e p n e e

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ÜOHopHHË jiacKOBOMy BarjiHHy, jiioôyrocb TaftHOl Kpacom, h sa uepKOBHVK) orpaay 6poca.ro Sentie tpera. Ilaaei TTMaimas aaBeca. Hieniix coìrci lia ajrrapa, H OT BepmiîH gyÔsaTHx ueca aaSpeHtHtHT ßpamas 3apa. 7 um an 1902

102

lo, adolescente, accendo le candele

Io. adolescente, accendo le candele, c.istodisco il fuoco del turibolo. Senza pensare e senza favellare, Elia ride su queiraltra riva. Amo la preghiera vespertina presso la bianca chiesa sopra il fiume, :I villaggio sul fare del tramonto o l’oscurità torbido-azzurra. Docile allo .sguardo carezzevole, mi perdo ad ammirare la bellezza misteriosa, ed oltre lo .steccato della chièsa getto fiori bianchi. L-adrà la cortina di nebbia. Scenderà lo sposo dall’altare. E dalle cime a dentelli del bosco spunterà un’aurora nuziale. 7 luglio 1902

y«aceH xenon seaepoB

y»ace:H xcuio« seaepoB, hx Berep, Gbioiihhëch b Tpesore, HecymecTByKjmux iiiaroB TpCBOffiHHl IIlOpOX Ha HOpOFC,

XonoÄHaa aepia 3apn, K8K naiiHTb (ümaKoro Heayra H B C p H ilft 3 H a K , HTO M H B H JT p H

HepasMUKaeuoro Kpyra. MfCW Ib 1902

104

Ë terribile il freddo delle sere

È terribile il freddo delle sere, il loro vento che batte angoscioso, il febbrile frusciare sulla strada di passi inesistenti. La fredda linea del crepuscolo è come il ricordo d’un male recente e il segno certo che noi siamo dentro un cerchio non aperto. luglio 1302

105

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y noa^eaja menrajicfl C TCMHOTOt ap.TCKIIH. E h JI OKJTaHHHi MTJIOIO öeno-KpacHwö napaa. Hasepxy — 3a ctohok) — myxoBCKoä .uacnapaa. Tasi M ao JKpHBaJIH B paSHO'UBCTHyiO JIOJKB'. Ho b pyae ysnaBaira HeaaSeHtHyio apoatb. «Oh» -- MCHO.M aepeBHHHUH Haaepran HHCBMena. Bocxiiineiman crpaimuM. ' noTyanaaaci. « Ona ». BocxiimeHBio ne sepa, c Te.MHOTOio — oaiin — y 3aayMn.MBo# asepsi xoxoTaa apneran. 6 6

106

asegcma 1902

Barcollava la luce a una finestra

Barcollava la luce a una finestra, nella penombra — tutto solo — bisbigliava all’ingresso con l’oscurità un. arjecchino. ! Era avvolto di nebbia il suo bianco-rosso vestito1. Di sopra — oltre il muro — un buffonesco ballo in maschera. * Lassù nascondevano il volto in una menzogna policroma. Ma dalle mani si riconosceva l ’inevitabile 'trèmito. a Lui y> con la spada di legno -tracciava segni di lettere. Rapita da tanta stranezza, « Lei » chinava la testa. Non credendo a quell’estasi, con l’oscurità — tutto solo— accanto alla porta pensosa b rideva l’arlecchino. ’

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107

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Egli comparve a ll’arm o n io so ballo

E gli comparve all’armonioso ballo in un cerchio serrato a meraviglia. Luci di malaugurio sfavillavano, mentre lo sguardo descriveva un arco. ■ Tutta la notte un tùrbine di danze, ■il cerchio si stringeva alle pareti.. E all’alba — nel brillio d’una finestra in silenzio si presentò il suo amico. Sorse, levando lo sguardo di gufo, a rimirare —■ attento — tetto solo il tùmulo Arlecchino che inseguiva la pallida, la smorta Colombina. E là — nell’angolo — sotto le immagini, tra l’inquieto svariare della folla, rotando gli occhi, di bimbo, batte i denti Pierrot ingannato. 7 ottobre 1902

109

CßOÖOfla GMOTpHT B CHHeBy

CBO'ÖOfla CMÖTpUT B CHHeBy. Okho oTKpHTo. B o ssy x pesoK. 3 a /KonTo-KpacHYjo jin c T sy

yxoAHT Mecaiia OTpeaoK. Oh SyseT hohbio — cBeTHHit cepa, CBep.Käio;iHHl na xtaroé hohe. Ero' eaKaT, ero ymepß b nocHeÄHHi pas nacKaer ohm., K hk m Torna, 3B6hht okho. Ho roaoc moë, kek soanyx cbchchB, nporaeji nasiio, aauojxK sasHO nos TpÖCTHHKOM V npHÔepeÆHH. öneseH uecan b cimese, KaK 303IOTHTCH TOHKHÖ BOJIOC. . . Kan TaM KanaeTC« b jihctbc 3a6HTHH, ÖJieKJIblÖ, MepTBHÖ KOJIOC. K sk

10

ORDUifipa 1902

La libertà contempla il cielo azzurro

La libertà contempla il cielo azzurro. La finestra è dischiusa. L ’aria è ruvida, Dietro il fogliame giallo-rosso declina un segmento di luna. Sarà notte la luminosa falce che splende sulle biade della notte. Il suo tramonto, la sua decrescenza l’ultima volta lusingano gli occhi. Tintinna come allora la finestra. Ma la mia voce, come l’aria fresca, da tempo è cessata, da tempo s’è spenta sotto le canne lungo il litorale. Com’è scialba la luna nell’azzurro, come biondeggia il capello sottile... Come vacilla laggiù tra il fogliame la spiga obliata, pallida, morta... IO ottobre 1902

111

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coBepinaio Scannt oSpaa. TaM: m nj h Ilpenpacitoii flambi b MepiiaHBH KpacHux aainiaa. B T6HH y BHCOKQË KQtflQHHH npoHty OT cKpiina asepeìi. A B MIÏO UH6 mflflHT, OBapeHHHS, TonbKO oopa3, aimiB coh o Heft. O , fl n p H B H K K 3THM p H S a »

Beaiiflasoft Beinoli JKchhI B h c o k o ô e r j ’T n o K a p m ra aM

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O, CBHTafl, K&K naCKOBH CBeflH, K3K OTpaRHEl T b OH lepTKlI MhC HC CJIHIIIHBI HH B3HOXH, HH pCHH, ho fl Bepio : Miuiafl — T h . SS oKmaôpx IMS

Varco la soglia degli oscuri templi

Varco la soglia degli oscuri templi, compio una cerimonia disadorna. Aspetto M la Bellissima Dama Bello scintillio di rosse lampade. N ell’ombra accanto ad un’alta colonna trepido al cigolare delle porte. E mi guarda nel volto, illuminata, solo l’immagine, la Sua parvenza. Oh. sono avvezzo alle splendenti icone della solenne Imperitura Sposa! Fuggono in alto per i cornicioni sorrisi, favole e sogni. . Come sono affettuose le candele, come consolano le Tue fattezze! Io non sento sospiri né loquele, ma credo, Amata, nella Tua presenza,

2 J ottobre 1902

113

PaaropaioxcH

T a lm ie . sh s k h

PaaropaioTCH Tatìu&ie 3naKii H a r a y x o f i , n e n p o ô y a H o ii C Tene.

SonoTHC

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KpacHue Marni

HanO HHOtt THrOTdOT BO CHC. y i c p u B a r a c b b HOHHue n em ;e p H II HC HQMHK» CypO BH X q y n e c . H a a a p e — r o n y ö b ie X H M ep u cMOTpHT b a e p K a n e n p ie u x H eß ec, y ö e r a i o b n p o iiie «H iH e M u r a ,

3aKpHB,aiO'

oT c r p a x a r a r a a a ,

H a j r a c r a x x o n o ^ e io m e ii K iiiir n — ' a o n o T a a neBHHbfl K o c a . H a i e .MHoii aeßocBO Ä yw te h ji b o k , w p H b iii co h THroTeeT b r p y m r . M o ä K o n e n npenna^iepTaH H BiH Öji h b o k , h

B o i n a , h n oH cap — B iie p e m i.

ownsGab 1902

Divampano simboli arcani

Divampano simboli arcani sai muro cieco, profondo. Dorati e rossi papaveri gravano sopra il mio sonno. Mi riparo negli antri notturni, non rammento i miracoli austeri. A ll’alba le azzurre chimere si specchiano in vividi cieli. Fuggo negli attimi passati, chiudo gli occhi dalla paura, sui fogli d’un libro che gela — l’aurea treccia d’una fanciulla. Su me il firmamento è ormai basso, nero sonno mi grava nel petto. La fine predestinata si approssima, e guerra e incendio mi stanno davanti ottobre 1902

3 arJiHatycb jih a b Hora rel="nofollow"> Ha MeTeunny

3arjiHHtycb uh a b nora» uà MeTeunny, aaropiocb — h noracHyrb HesMoub. ’I to b o 'i a x t b o i i x , K p a c n a f i n e B iiq a ,

Hamemana une chhäh hohi». Hameaìaaacb mhc cKaaita KocuaraH, Haraiau saKOunoBaäBufl nyr npo 'Teßfl CHOBimeHbH Kpioiarae, npo: tcòh,. HeyrasaHHuft npyr,

fl saBbio-cb CHéroBofl navTiiHoio, noBBuya — hto nouMe chbì. H y io c e p n n e i s o e n e ß e n a H o e ,

cUHiny æapKoe ceppine

B e e ra i.

Haranaua' BonbÉiafl MenBejpina, na KonnyHBH, uopoaHan h o h e , htq b oaax TBÒ.HX, KpacHan neBuaia, na neue TBoeu, croma; hou». 18

116

WMtlSpM 1902

Se ammirerò di notte la tormenta

Se ammirerò di notte la tormenta, m’infiammerò senza potermi spegnere. A me l'azzurra notte ha bisbigliato dò che è negli occhi tuoi, ragazza bella. fin a fiaba vellosa ha bisbigliato ed un prato incantato mi ha predetto sul tuo conto parecchi sogni alati, sul tuo conto, mia amica misteriosa. M ’intreccerò come una ragnatela di neve, i baci sono lunghi sogni. Sento il tuo cuore di cigno, discemo à r d e n te cuore della primavera. L'Orsa Maggiore mi ha profetizzato, e anche una strega, creatura del gelo, :iàe dentro agli occhi 'tuoi, ragazza bella, istilla tua fronte c’è l’azzurra notte. 12 novembre 1902

117

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H Bupesan nocox 113 nyßa non aacKOBi.il monoT Bbiom. On;e«HH 6enHH h rpyfîu, O» KÜK HCHOCTOiHH ÜOÂpyTH ! Ho nafiny, h ram n i, flopory, BHXOflH, MOp03HOe COJIHKel 1IpoôpQ/Kv sect nera, paflii 6ora, BBenepy nocrynycb b OKOnne. . . H oTKpoeT 6e,loi pynoio noTaiiiiyio KBepb npeflo hhok) HOJionan, c 30JI0T0Ö kocoio, C HCHOÜ, OTKpHTOii flVIUOK). Mecaii h 3B03h;h b Kocax. . . « Bxonn, Moi napcBira npHBCTHblfi. H 6eflHH.fi' flyôoBHil nocox saÖJiecTHT cjiesoâ ca-Morae-nioi. . . 25 Mapma 1903

118

Un bordone di ròvere ho intagliato

Un bordone di ròvere ho intagliato nel dolce sussurrio della tormenta. Povere e rozze sono le mie vestì, oh, come indegne dell’amica miai Ma troverò, pur misero, la strada, spunta, sole glaciale! Girellando tutto il giorno nel nome di Dio, busserò verso sera al finestrino... Ed aprirà con la sua mano bianca dinanzi a me la porta misteriosa una giovane dalla treccia d’oro e dall’anima schietta e luminosa. Xelle sue trecce la luna e le stelle... « Entra, mio zarèvic amorevole... » Ed il bordone povero di quercia risplenderà d’una gemmata lacrima... 2S marzo 1903

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12»

Ero tutto brandelli variopinti

Ero tutto brandelli variopinti, -dauco, rosso, con una brutta maschera. Ridevo e mi torcevo sui crocicchi, e raccontavo favole scherzose. Sgomitolavo prolisse leggende in modo lento, slegato e sonoro su vecchi e su contrade senza nome, su una ragazza dagli occhi di bimba. Qualcuno ridacchiava scioccamente, a lungo, ma qualcuno si affliggeva. E quando all’improvviso mi smarrivo, dalla folla si alzava il grido: « Basta! »

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Ilo ropony Öeran aepHutt tohobck. r'acH'H oh foHapsiKK, KapaÖKancb Ha aecTHMny

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122

ISO S

Per la città correva un uomo nero

Per la città correva un uomo nero. Si arrampicava a spegnere i lampioni. Lenta, bianca l’aurora si appressava, salendo assieme all’uomo sulla scala. I.à dov’erano quiete, morbide ombre — le gialle strisce dei lampioni a sera, — la prima, luce ha coperto i gradini, penetra da tendine e da spiragli. Ah, com’è scialba la città sull’alba 1 L ’omino nero piange sulla via. a?dk 1903

1.23

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1 OKm&ôpx 1903

124

L a mia lima è in un maestoso' zenit

La mia luna è in un maestoso zènìt. Mi inebrierò di libertà notturna e À mi avvolgerò' in argentei fili, in un eccesso di felicità. Movendo incontro a un’ardente abulia e a nient’aìtro che all’Alba futura, annuisco all’azzurra largura e mi tuffo nello scuro argento!... Sulle piazze dell’afosa capitale uomini ciechi ciangottano : — Che c’è sopra la terra? Un pallone. Che c’è sotto la luna? U n aeròstato. Ed io per il deserto inargentato corro bruciando dal delirio, e nelle pieghe d’una pianeta azzurrocupa ho nascosto la mia Diletta Stella. 2 ottobre I9 ft3

125

®aôpuna

B COCCHHeM HO'Me OKHa JKO.HTM. Ilo Be^epau — no Beqepasi CKpiinHT aajyji'iHBBie oohtm, IIOJXXCaHT JIK'JIH K BOpOTEM. H rjiyxo aan ep m BopoTa, a na CTene — a na CTene HeRBHJKHMfi K'TO-TO, H e p H H t KTO-TO

raoRCË CHiiTaei b Tinnirne. H c.-iHiuy Bcë c Moefi Bepimmu : OH MCRHHM FOJIOCOM 30BBT corHyTB H3MyqeHHHe cmm&i BHHsy coôpaBmHlcH napoa. Ohh boI hjt h pa36penyTC.H, naBaJiHT Ha chhhh kvhii. H B /KOJITbIX OKHâX 3aCMCK)TCH HTO OTIIX HHIUIIX HpOBCJIH. 2 4 HQRÔpR 1903

126

Nella casa vicina sono gialle ’.e finestre. Ogni sera — ogni sera pensierose scricchiano le sbarre, ii avvicinano gli uomini al portone. E il portone massiccio è sprangato, ma sul muro — sul muro qualcuno immobile, nero, qualcuno gli uomini conta in silenzio. Io sento tutto dalla mia altitudine : con la voce di bronzo egli sollecita la gente che di sotto s’è raccolta a curvare la schiena travagliata, Essi entreranno e si disperderanno:, caricandosi i sacelli sul dorso. E alle gialle finestre rideranno .d’avere abbindolato questi poveri. Û4 novembre 1903

Ha nepeKpecTKe

Ha nepeKpecTKe, rie «asm nocTaBH.na, b

neaantHOM

bcccumi:

B c ip e n a » Beciiy.

Ha seM.ie eine HteciKoi: npoÒHBaeTCfl nepsaa TpaBKa. II b Kpyatese Sepeara — RaaeKo — rnySoKo —

niooBue CKàTH oBpara. Ona BBMaHHna, 36MJIH nyCTHHHafl! Ha sanale, pica: ot xonoia, connine, Ka.K mbähhI urne« nonna, oÖpaiqeHHoro jihkom neaantHHH K mibiM ropiraoirraM, K HHHM BpeueHau. . . II oiHinaK — sonoToe oònano — THHCT BBUCb GeHHMH nepbHMH Hai lepanol npacoio jioxm 'othI BeqepHHx MOHxf M HtanKHe Kpanta moh — irpwHbH BopoHtero iivrana — nnaiieneioT, ksk conneqatil nuieu, ot6h 6Ckom seaepa. . . OTßjieCKOM CHaCTHH. . .

I2B

Sul crocicchio

Sul crocicchio, dove la lontananza mi ha posto', con afflitta gaiezza accolgo la primavera. f

I

Sulla terra ancora rigida spunta la prima erbetta. E fra il merletto d’una betullina — profondi — in lontananza — [ i declivi lilla d’un burrone. * Mi ha invogliato la terra deserta! A ponente rosseggia per il freddo il sole come l’elmo di rame d’un guerriero, che volga Fimmagine afflitta | verso altri orizzonti, j altri tempi... Ed il morione — nuvola dorata — allunga in aria le sue bianche piume sulla proterva bellezza dei miei brandelli serali!

I

E le mie misere ali — da spauracchio di corvi — ! come l’elmo del sole fiammeggiano per il riflesso della sera... per un riflesso di felicità...

1.29

H. KpecTH —

h RajieKHe okhs — BepniHHH ayÔ'ïaxoro Jieca — BCë HHOIHT HeHHBHM

h

h

Gern™ pasuepoH BecHti.

S Mcm 1904

E le finestre lontane — e le croci e le cime del bosco dentellato — tutto respira il pigro e sciolto metro della primavera. > maggia 1904

Tw o^eiienib

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cepeöpo

Tw ojjeHenib mchh b cepeöpo, a , Korsa a yMpy, Bwfijter Mecflfl —- HeÖecHwfi Ilbepo, BCTaneT RpacHwä n aan Ha iopy. MepTBwö Mecflfl ÖecnoMomHO

hcm,

HHKOMy HHHero He oTKpwn. Tom .ko cnpocHT noapyry — 3a*ieM h Korna-To ee nojnoÖHn? B OTOT apocTHwt co h Ha flßy OnpOKHHyCB H MepTBWM JIHflOM. II nanu HcnyraeT cosy, 3arpe.MeB noa ropoS öyöcHHOM. . .

3Haio — CMopmeHHufi jihk ero CTap ÖeccTwaeH b aeMHoö Harote. Ho 3JiOBemnH BocxoRHT y rap — K HeöecaM, k bhcotc, k hhctotc. h

l ì M a a 190i

132

'Tu mi vestirai d’argento'

T u mi vestirai d’argento, e alla mia morte ■ la luna spunterà — Pierrot celeste, sorgerà il rosso pagliaccio .ai quattro venti. La morta luna è senza scampo muta, non ha svelato nulla a nessuno. Chiederà soltanto alla mia amica a che scopo un tempo io Labbia amata. In questo sogno furioso a occhi aperti, mi capovolgerò col viso morto. E il pagliaccio spaventerà la civetta, tinnendo di sonagli sotto il monte... Lo so : vecchio è il suo aspetto grinzoso e impudico nella nudezza terrena. Ma si leva l'ebrietà funesta verso i cieli, l’altura, la purezza. 14 maggio 1904

B Mac, Koraa nbHHeioT HapnnccH

B Mac, Korzta .ittaiieiGT HâpiiuccH, h Tearp b aaKamoM orne, b

noJiyTCHb nocne^Hefi KyjiHCM

KTO-TO XOflHT B3flbIXaTb

060

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ApjieKHH, 3a 6aæiÜHâ o poarn?

T h , Ho.« THxooKâH .nam»?' BCTCpOK, JipHHQCHHÏHË C HQJIfl ÂjHOBeHHfl jientym n aia? H, naau;, y ßaeCTHiiqel pâMttH B'OSHHKaiO B' OTKpHTHfl ŒOK'. 3xo — ôeajïHa cmotpht ckbosb naMUH HeHacHTHo-HtanHHH iiayK. H, noua nbHHCiDT fiapuMCCH, Ä KpHB.MHIOCB, KpyTHCb H 3BCHH. . . Ho b Tenu nocjienHefi KynacH KTO-TO naaMeT, »aurea Mena.

H cjkhhS Hpyr c ronydiiu TyuaHOM, yôaroitaH KaMenaio chob. CHpOTBHBO npHHHKfflHt K paHau jierKonepc'THHl aanax se Mem SSCi. C, ZSoMsmno

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iibctôb.

N ell’ora in cui s’inebriano i narcisi

N ell’ora in cui s’inebriano i narcisi, e il teatro è nella luce del tramonto, Ie lla penombra dell’ultima quinta viene qualcuno per me a sospirare... Arlecchino che ha obliata la parte? Tu, mia, dàina dagli occhi sereni? O la brezza che porta dai campi un leggero tributo di soffi? Io, pagliaccio, alla splendida ribalta affioro da una bòtola dischiusa. ;:È- il bàratro che guata Ira le lampade, avido ragno insaziabile. E mentre che s’inebriano i narcisi laccio smorfie, torcendomi e tinnendo... Ma nell’ombra dell’ultima quinta piange qualcuno che mi compatisce. Un soave amico dall’azzurra nebbia, ■ cullato da un’altalena di sogni. L ’odor dei fiori che con lievi dita si stringe mestamente alle mie piaghe. 26 maggio 1904. Sacbmatava

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136

L a città verso rosse contrade

La città verso rosse contrade ha volto il suo morto sembiante, gol sangue del sole'ha innaffiato ;1 suo grigio corpo dì pietra. I muri delle fabbriche ed i vetri delle finestre, il sudicio pastrano rossiccio ed i capelli che svolazzano : ogni cosa è inondata dal tramonto. Brillano le criniere sfavillanti di cavalli dorati come bragia, fuggono le furiose meraviglie ielle avide mammelle delle .nuvole, M un rosso portiere fa guazzare le secchie con l'ubriaca acqua scarlatta, ballano le anche infocate d'una prostituta dozzinale, ;e sulla torre del campanile fra baili sonanti e rimbombo' di bronzo una campana libera e festosa mostra la propria lingua insanguinata. 28 giugno 1904

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138

La notte

Un mago disteso sul mondo d’argilla, Intesta avvolta d ’una benda làttea. I segni delle tarde generazioni fanno felice il terrestre indovino. S’è levata per il sentiero làtteo, in un alone di luce veleggia. Un elmo rosso dalle punte aguzze solca la volta del cielo. pon un lungo vestimento nero, |on uno stuolo di neri carri, con uno scialbo splendore fosforico la notte spazia per la via delle regine. Sotto la luna scintillano fibbie di pianete chiuse fino al viso. Appoggiata a un compasso pesante, guarda in basso con indifferenza. Offuscando tutta la pianura, le trecce hanno nascosta mezza fronte. H a abbracciato con l’ombra delle ali metà di tutto il mondo sublunare. Ohi sei T u che con filtri notturni mi hai avvelenato? Chi sei Tu, Nome Femminile ha un. .nimbo di rosso fuoco ? Î9 novembre 1904

139

B' KaÔaKax, b. nepeynKax, b aaaaB ax

B «aÔaKaXj b aepeymcax, b asBasax» b aneKTpMecKOM' cae Haasy a HCKaa ÖecKOHeaHO apacasux H fîeCCMepiHO BHMÔlieHHHX B MOJIBy. Etimi ymn.i|H nuiau ot kphkob. E lIJIÏI COittHDta B CBep«aHBH BHTpHH. KpaCOTSL 3TIIX HîeHCTBeHHHX 3IHKOB! 3 th ropnue B3opu Myaraaii! 3io 6hjih aapa. — ne CKiiTaribiiM! H cnpocHÂ GTapHKa y ctchh: « Tu yapacan ax. tohhhc nam»aH HïeinyraMH aecHeraoft « cubi? Tu au naji paanoiiBeTHue layôKa? T h aaæer ax cHoaaua Jiyaeâ? T u pacKpacHJi nyamoBue ryöaa, CaHesame ayra ÖpoBeä ? » Ho crapHK Haaero ae otbcthb, otxohh 3a TonnoK» MearaTb. H ocrrajica, TaHHCTBeHHO CBexeji, 3Ty My3HKy öaecaa snaBaTb. . . A OHM npOXOfflHJIH BCë MHMO,

CMyrao Kamnaa b cepnae Tan, aro6 HaBeKH, hh c kbm HecpasHHMoa, OTjiereTb b rojiyÒHe «pan. H MejibKajia aa napoio aapa. . . Äffan h Gseraoro Aurora k nan,.

140

Nelle bettole,, i vicoli, le svolte

Nelle bettole, i vicoli, le svolte, nell’elettrico sogno a occhi aperti ^cercavo le infinitamente belle, :Ìe eterne amanti della diceria. Erano ubriache le strade dai gridi. . Nelle vetrine sfolgorio di soli. Beltà di questi volti femminili! E questi sguardi superbi degli uomini! Costoro erano re — non vagabondi! Io chiesi ad un vegliardo accanto a un muro: « Sei stato tu a ingemmare le sottili dita con perle di valore immenso? A dar loro pellicce variopinte? Ad infiammarle con fasci di raggi? A tingerne le labbra rosso fuoco, gli archi turchinicci delle ciglia? » Ma non rispose il vecchio, e si ritrasse dietro la moltitudine a sognare. Ed io rimasi, arcanamente fulgido, a bere l’armonia dello splendore... Ed esse mi passavano davanti, confusamente nascondendo in cuore la brama di volare, incomparabili, verso le azzurre contrade per sempre. Le coppie balenavano... Aspettavo che un. angelo radioso discendesse

141

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142

fra noi, nel giubilo del marciapiede, f ..per elevare una di loro ai. cieli... I Ma in alto — su un aggetto periglioso — raggricchiato in silenzio, un nanerottolo ljpstrin.se, e parve una rossa bandiera la sua lingua slun.gata.si nel cielo. dicembre 1904

V a n ita , yjiH iia . . .

Yunna, yniaoqa. . , Team deBBayaHo cnemaiinix Testo npoaaTB, h sadseHbe kviihtb, h oiihti* norpysHTBCH b

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Ginne. SaßyntTe enosa jiyieBapHHX.. 0 , ecimß ne 6i>i;io b owiax CBCTOB MepnaiontHx! ■ UI'TOp H nyHQOBBIX I|BeTO»IKOB! Jinn, HaKHOHBHHBIX. H3H CKJJtHOfl' paßOTOft! Bcë THXO. Jly n a noiHHJiacB. H oßjiaqHHx. n eptes p a sti pa3:ße.JK:ajiHc& aaaeno. HHhapb IMS

144

Una strada, una strada..

Una strada, una strada... Le ombre di quelli che senza rumore si affrettano a vendere il corpo, e a comprare l’oblio, e a tufiarsi di nuovo nel sonnolento lago della città — del freddo invernale..., Dormite. Obliate le parole dei raggianti. Oh, se alle finestre non ci fossero le luci con il loro trem olio! Le tende e i fiorellini rosso fuoco! I volti chinati, sul-magro lavoro! ^T utto è pace. L a luna s’è levata. E le file di piume delle nuvole si sono disperse lontano.

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146

Diavoletti palustri Ad Aleksei Rémizov

li > ti ho incalzato con. la frusta r.cl meriggio attraverso i cespugli, per aspettare con te in questo luogo_ -1 placido v u o ta. hd ecco sediamo sul muschio in mezzo alle paludi. L’n terzo — la luna lassù — he scontorto la bocca. Come te sono figlio dei querceti, il mio sembiante è anch’esso cancellato. È più silenzioso delle acque e pili, basso delle erbe un diavolo decaduto. Sul berretto da buffone i sonagli dei distacchi... Alle spalle — In lontananza — una rete di. meandri fluviali... E sediamo, noi stolti, — spìriti 'impuri, malsama delle acque. Verdeggiano i nostri berretti calcati alla rovescia. Pestilenziale sopore dell’acqua, ruggine dell’onda... Siamo le tracce smarrite ' . d’un misterioso abisso... / ;sio 190}

147

Teapu eecewiue {Ha cuibôoMa « K indisch »

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148



Creature primaverili (dall’album « Kindisch » di T. N. Gippius)

Dorati sono i volti dei ranuncoli. Il loro stelo è umido. Sono uscite con andatura grave le monachine taciturne dai buchi odorosi del bosco. Nei punti già sgombri di neve è imposto il silenzio, e la primavera esuberante alleva ’ rovine di nebbie canute. I dintorni traboccano di muschi. Sono tesi i capelli della notte sui palchi di legno e sui ceppi. Nel fogliam e e nell’ombra cominciamo a intendere i suoni di trombe lontane. • . * Nuovi giorni si appressano. Ma intanto siamo sole, ed in silenzio sono aperte le nostre labbra esangui.

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M iracoli! Oh, m iracoli! II fumo dolcemente s’innalza dallo stagno... Ancora un poco resteremo mute. N el sonnacchioso viottolo il mattino ha scagliato uno strale, ma una di noi — sulla mano rovesciata nell’aria, col palmo rivolto alla nebbia dei tronchi —

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H otov bh ne Htajiena — H CT&HOBMTCH CJIHIHKOM CB6TJIO.

Eynere MaaTbca, KaaTbca, HycaTbCH, h aanTBCH, b h , seaeHwe, KpeiiKiie, Manne, TBapn Hanne, Hednsaane. h

Tyniaii KayßHTca, riponociiTCH no centra npynaia. CKOpO KaiKUHfi HOpTHK SaiipOCHTCH ko Cbhthm MecTau. 19 0eepa/m 1905

Ita - ■]levato una lucciola... Guardati intorno: krt nasconderai l’ago notturno di 'questa, verde luce? ; ' sfavilla piuttosto, lucdoletta. " comprensibile ad ogni taciturna! Minuzzolo di luce, biòccolo d’alba...

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' £\~errà un giorno per voi senza tramonto! U Non avevate cura della notte —

: ed ecco che tutto è svanito... f N on avevate pietà della notte — S ed ora la luce si fa troppo vivida. -'Vi estenuerete, vi pentirete, cninincerete a mordervi, a ingiuriarvi, .voi, verdi, salde, piccole j Creature soavi, immaginarie. ■' La nebbia saie a nuvoli, si spande per gli stagni canuti. Presto ogni diavoletto chiederà di andare ai Luoghi Santi.

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19 febbraio 190?

151

HeeuduMKa

Becerihe b hohhom KaSane. Han roponoM chhhh nnuKa. Hon KpacHofi sapeft snaneKe ry a ae ? b iiorrnx HemuiiMKa. TamiyeT Han toiïï. » So-io t , KoatBtoM oKpyacaiomHx: komm, npOTEHtHO 30B6T H HOBT na ronoc, Ha rojioc 3HaKOM.nl. B hm cnanKo Banuxan» o jhoS bh', cAenue, nponaatHBie iBapn ? K to iieóo aanaHKaii b npoBii? Kro BHBecm Kpacmtfi ÿoHapaK? Il BOCT, nan öporaeHHHl nee, MHyneT, K3K cnanKaH Komna, nyHKM Benepeiomax po3 inBHpaeT ônyHHHiiaM b okohiko. .

II JIOMHTCH B HCpHMt npHTOH BHTara Becejinx h iibhiibix, h KaMHM.fi bo stray y.BneneH TOJIHOl npOCTIITYTOK pyUHHUX. . . B T6HH rpoiloBOfl ifsoiiapii, CMOJOtaeT Han roponoM rpoxoT. .. . H a KpacHOfi: noaocKe sap a öe33BVHHMii KanacTcfi xoxor. . .

152

U Invisibile

Allegria nella bettola notturna. | | l l a città un’azzurra nebbiolina. Sotto il rosso crepuscolo nei campi lontani la baldoria l’Invisibile. N. ... . Danza sulla fanghiglia dei' pantani che ad anello circondano le case, chiama con gridi prolungati e canta, imitando una voce conosciuta. È per voi delizioso sospirare d’amore, cieche creature venali? Chi ha imbrattato di sangue il firmamento? Chi ha messo fuori il rosso lanternino? Latra come una cagna abbandonata, miagola come una dolce gattina, scaglia mazzetti di rose che imbrunano nel .finestrino delle meretrici... E irrompe a forza nella nera bisca' ■ una frotta di ubriachi e bontemponi, ê "ciascuno è rapito nella nebbia da sciami di vermiglie prostitute... I lampioni in un’ombra sepolcrale, cessa il frastuono sopra la città... Sulla striscetta rossa del crepuscolo barcolla una risata senza suono...

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BenepBAH Hairnet. ribHiia Haff ABepbK), OTBÔpeHHOË B JI3 B K J...

BMemajiacb b SesyMnyio Hasny c pacn'jiemyTot Hameii

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na Ssepe BarpHHOM — Mena. I S anpe/ui 1905

154

fi--ubriaca la scritta serale Ippra la porta aperta delia bettola... d lla turba demente si è mischiata con la coppa di vino traboccante su una Bestia di Pórpora — la Sposa. 16 aprile 1903

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U pretino■ palustre

A prim avera, nei luoghi già sgombri di neve si scorge, intento a pregare, la sera, un minuscolo prete di palude. L a vecchia tònaca sopra un mucchietto di terra nereggia come un puntino appena distinguibile. E nella calma dei crepuscoli rossastri non si vedono diavoletti scatenati, ma l’incanto della sera lo avvince con le sue braccia sottili... Suoni vespertini, fruscio lieve. Pian pianino egli prega, sorride, si inchina, levandosi il cappello. E ad una zoppa ranocchia che arranca con erba medicinale fascia la zam pa dolorante. Le fa un segno di croce e la licenzia : « Vattene alla tua ripa di fascine. L ’anima m ia si rallegra d’ogni anfibio e ogni bestia e ogni credenza ». E pian pianino egli prega, levandosi il cappello,

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sa CTeßenB, i t o k jio h iit c h , sa SoaBiivio sBepimyio nany h sa pimcKoro nany H e Solca nyqiiHH TpacKofi: cnacex Teda nepuaa pacRa. 17 aape.ix

158

190 S

per un gambo che si piega, per una zampa malata, - e per il Papa di .Roma. Non temere l’abisso 'traballante — ti salverà la tònaca nera. 17 aprile 1905

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B ojioto — rayöoKaa anaaHHa orpoMHoro oKa Besoin. Oh m a R a a Tan äojito, btg b cjieaax iiaoin.io ero oko h m xjiolt TpaBoii nopocjio. Ho CKBQ3B TpaBW II SJiaKH h ßeatHl nyx c.M.e®eHHHx. pecium — xipoßeraeT aeaenaH iicnpa, hto6h ' CHOBa noracHyn» b öo.i otc . II Toraa roBopHT b lepeBHsx HCII3BCCTHO OTKyfla npnnieHHiiie KOJiayHH h Kocuam e bchbuh : — 9 to IHVTIIT H3Ä Ba.MH Co.xoro. --- DtO MHH.HT Bac TCMHaH CHJia, H , Koraa ohh -ran roBopar, CTapHKH -OCeHHlOTCH SHaMCHBCM KpeCTHHM, HQMOIJIHe-- CMCMTCH, a y «esynieK — hcho bhähm 3a naeraim decine kph jibh . S im ii.* 1S0S

160

La palude è Forbita profonda

La palude è Forbita profonda dell’occhio enorme della terra. Pianse cosi a lungo che il suo occhio si consumò' tutto in lacrime e si copri di erba intristita. Ma attraverso erbe e graminacee c bianca lanugine di ciglia chiuse guizza una verde scintilla, per spegnersi nella palude. E allora dicono nelle campagne stregoni e irsute maliarde, venuti chissà da dove: - - È la palude che vi canzona. La forza buia che vi adesca. E quando essi si esprimono in tal modo, i vecchi si fanno la croce, ridono gli anziani, e dietro gli òmeri delle ragazze chiaramente si vedono bianche ali. i gtugtto 190J

161 il

I IIoTexa! PoKoaeT Tpyöa

IIoTexa ! P okohct Tpyöa, KpHBnaiO'Tca öenue poKCn, h BHflHT Ha ifuare npoxoamfi

orpoMHjrto iiaumicb : «. CyRiböa ». ■ IlaaaTKa. PasöpocaHH KapTti. ranaJiKa, CMywiee aioitbCKoro

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CAoea taaitfe mjnoe M otfapm a. KpyroM — BospacTamiqHft Kpirn, CBHCTKH H HeaHCTH© pOTH,

H 'HpMapKH: ryay — aanme b no.rrax oTsenaef aeœemÂ

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B najiame bcč méiraeT h menraer, H CKOpO CHHBaïOtCH 3 ByKH, h ÔHCTptie CMyrjme pyKH BnHBaioTCH Kpeme h Kpenae. . . ranaube! MriioBenbe! Me*rra! . . H, ÔHCrpo noptHHBnmcb, npe3 pirreiii,HMM Hccnmi BCTpaxHyna oneatHoft Han npÔKJiHTHM MecroM, raaaer. . . h meirryT ycïa. H BHOBb 3 aBHBaeT Tpyöa, H B naMHTH TTMJTbHOW BBBHBaiOTCfl pCTH, H pyKH. . . H ffllCTtH. H ÔMCTpafl HafldHCb: « Cyaböa »! Mja«b 1905

962

Divertimento! Strepita la tromba

Divertimento! Strepita la tromba, fanno smorfie bianchi m usi, ed un viandante scorge su un vessillo l’enorme scritta « Destino ». Una tenda. Le carte sparpagliate. Piu abbronzata d’un luglio, l’indovina borbotta, tintinnando di monete, paróle piu dolci, dei suoni di M ozart. Dintorno un clamore crescente, sibili e chiacchiere impure, e al brusio della fiera risponde nei lontani campi un verde sosia. Nella tenda ogni cosa bisbiglia, ed in breve sì fondono i suoni, ■.e’ le. rapide mani abbronzate si aggrappano sempre piu strette... Cartomanzia! Un Istante! Una chimera! E, alzandosi pronta con gesto sprezzante,, scrolla la veste sopra il luogo maledetto, legge la sorte... e la bocca bisbiglia. E la tromba riprende ad ululare, nella memoria: polverosa, sorgono i discorsi, e le mani... e le spalle... e la rapida scritta « Destino » !

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163

E a.iazam iw

B ot orapaT 5anaraH«îiK BecejiMx H' caaBHBEx. flereft, CMOTpaT «esotica h iianbaiin Ha nasi, Koponet h nepTei. hm

H sbjhht1axa aacnan MysuKa, saBHBaeT jh h jih I cmhhok. CTpaniHHft nopx yxBaTHJi KapanysHKa, H CTCKaer KHIQKBCHHMft COK.

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Oh cnaceTCH ot qepnoro rnesa MaHOBCHHBM ßejIOt pVKH. HocMoxpat oroHbKH npiiÔmiJKaioTCH cnesa. . . B hhhhib ÿanejiH? Bimmiib rbimkh? 3 to, sepHo, casia KopojiCBa. . . HEBO^KA

Ax, hex, saaeM th npa3HHmb siéra? 3 to — aHCKaa CBiixa, . .

KoponeBa — Ta xqjpït cpeab 6enoro hhh, riip,xHHjajiH po3 uepeBiira, h nuieË$ ee hocht, sievasm sbchh, B3.H.Hxaioin;HX pmiapet cBHTa. bch

B apy r iiami neperaynca: aa pastny h

Kpiiaiix : « rioMoniTe !

H cT e K a m h k ji i o k b c h h h u c o k o m !

164

IJ piccolo baraccone

Ecco è aperto il baraccone per i bimbi allegri e buoni, una bambina ed un ragazzo guardano le dame, i diavoli e i sovrani. E risuona una musica infernale, ulula un archetto malinconico. Un orrido diavolo agguanta un ometto', j e gocciola succo di rosso- .mirtillo. )

il ragazzo :

Egli si salverà dal nero sdegno con un cenno della bianca mano. Osserva laggiù: da sinistra si appressa un corteo di fiammelle... , Vedi le fiaccole? N o scorgi, il fumo?;. Sarà probabilmente la regina... ' \

LA BAMBINA : Ah, no, perché vuoi stuzzicarmi? Questa è la schiera infernale... La regina va in giro di giorno, tatta avvolta in ghirlande di rose, e, tinnendo di spade, ne porta lo stràscico un séguito di cavalieri sospirosi. D ’un tratto un pagliaccio si sporse dalla ribalta, gridando: «Aiutatemi!. Io perdo sangue-succo di mirtillo! 165

SađllHTOBaH TpAHHIieft! H a rojiOBe Moei — KaproHHuft nmeul A b pytte — ^epcBHHHHii Meni»

•3 annaKa:ra nesoiKa h MamraK, aanpauic« BeeejiHt GajiaranraHK.

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166

Sono' fasciato d’un cencio! Sulla mia testa è un elmo di cartone! i l nella mano una spada di legno! » Ruppero in pianto ragazzo e bambina, e si chiuse l’allegro baraccone. luglio 1.905

167

Ocemwsi e oasi

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Paaryaanacb oceHb b MOKptix gonax, oônaïKE.ia KaagöHEia

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TBöfi y3opHHtt, TBoft HBexHOH pyKaB. K tO B3M3HHa MČHH Hä HyTb 3HaKOMMH, ycMexHyacH

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Libertà autunnale

" Scendo su. una strada aperta .allo sguardo, il vento piega i flessibili arbusti, ^pietre .spezzate coprono i declivi, sterili strati di gialla argilla,,, S’è scatenato Fautanno nelle umide valli, ^.spogliando i cimiteri della terra, ma nei villaggi splende di lontano il rosso fiore dei folti, sorbi. Eccola, la mia allegria che balla e tintinna, perduta fra gli arbustìl lontano fa segni di richiamo la tua manica a colori arabescata. Chijm Jba-^m ciusulLa-nota-strada, chi m i hajsorriso alla finestra del carcere? Forse, attratto dalla via di pietra, un mendicante che cantava salm i? N o, m i incammino senza esser chiamato da nessuno, e la terra m i sia lieve! Ascolterò la voce della Rus’ ubriaca, riposerò sotto il tetto d’una bettola. Mi metterò a cantare della m ia fortuna, di come ho sciupata la m ia giovinezza nel bere... Piangerò sul dolore dei tuoi campi, mi. invaghirò per sempre dei tuoi spazi...

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Molti di noi — liberi, giovani, ben fatti — muoiono senza amore... Accoglici nelle tue sconfinate lontananze! Come vivere e piangere senza di ter' luglio 1905. Strada dì Rogaievo.

171

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Una fanciulla cantava

' Una fanciulla cantava in un coro di chiesa di tutti gli stanchi in contrade straniere, di tutti i vascelli salpati nel mare, di quelli che avevano obliato la gioia. Cosi la sua voce cantava, volando alla cupola, e un raggio splendeva sulla bianca spalla, e ognuno dal buio guardava e ascoltava il bianco vestito cantare nel raggio. E a tutti pareva che fosse vicina la gioia e in un placido golfo ancorati i vascelli, che in terra straniera g li uomini stanchi avessero trovato una vita luminosa. E la voce era dolce, ed il raggio sottile, e solo in alto, alle Porte del Regno, ammesso ai misteri, tm bambino piangeva nessuno sarebbe tornato. _ Ingoffo 15C'j

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H Han MHFOM CBHBaH nOKpOBU, BCH OKy'TaHa 3Be3SaMH Bbior, ynjiHBaemb th b cyiapan cHerosufi, moë or sena BaranaHHHË npyr. aâdÿCin 1905

174

Là, nel notturno ululante gelo

Là, nel notturno ululante gelo, in un campo di stelle ho trovato' un anello. Ecco il suo viso affiora dai merletti, affiora dai merletti il suo viso. Spaziano i suoi trilli di tormenta, ' traendo uno stràscico di fulgide stelle, e il tamburello svolazzante della neve am malia col tinnito dei sonagli. Con crepito lieve s’è sparso un. ventaglio, — ah, die vuol dire non mangiare e non bere! Ma negli occhi rivolti a settentrione io, freddo, scorgo un’ardente novella... E sopra l’attimo attorcendo i veli, avviluppata in stelle di burrasche, nuoti via nelle tenebre nevose, amica m ia divinata da secoli. agosto 1305

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Otta n;aBHO 'MCHH TOMHffl. B paarape HeBCTBenHoi sie«nti OHii CKyqajiH, h ne » h i b , M MAHH SeJIHC IÌB6TBI. H BOT — B CT0.1 0BMX II B rOCTIÎHBIX, Haa rpyHOË' pioMOK, aa.\i, erap y x, Has CKÿKOft HX' 'O'ßemOB HHHHMX “

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10 HonGpa 1905

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I sazi

Da lungo tempo mi hanno infastidito. Nel culmine d’un sogno verginale cascavano dal tedio, senza vivere, e calpestavano ogni fiore bianco.

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r.d ecco — in stanze da pranzo e in salotti, su un mucchio di coppe, di dame, di vecchie, sul tedio dei loro decenti conviti — la luce elettrica s e spenta. A che scopo introducono candele, hanno sul volto dei cerchi gialli, fischiano frasi di pergamena, a fatica si muovono i cervelli. Cosi s’indigna tutto ciò che è sazio, si strugge il sussiego dei ventri satolli, perché il truogolo è stato rovesciato, è sconvolta lalo.ro stalla putrida! Ora una magra sorte li ha colpiti : la loro casa è immersa nelle tenebre, brucia l ’udito il grido di chi ha fame e il riso rosso delle,altrui bandiere! Vivano dunque alla maniera solita — distruggerne la sazietà fa pena. Però ai ragazzi puri non si addice scimmiottare il loro vecchio tedio. 10 novembre 1903

177

M iijim ë S p a i ! 3aBe
Mh hhì opaT! 3a£eHepeno. HvTb cjihihhm KonoKona. Han paBHiiuoii noSeaeao — coHHooKHH nponuia. UpoDJiejia ona — n roana, HeaasieTHaa, tvni-SKa. H ODATI» HAM, KSK ÖHBaDO, noma THÄtKaH aerna. M e» hbjmh crenami 6opa peiKHl nanacT chcjkok. Ilepea H3MH — ccMaifiopa aeaeneeT oroneit. Heöo— b aapese jihjiqbom, cbct anaoBHü na cHerax, eaOBHO MH -- B npO-CTpaHCTBC HOBOM, CnOBQO -- B HOBbIX BpeueHaX. 0'HHHOKO BCKpHKHeT ItTIIIia, orpflxHjB KpHnaMH ent, h aaebinacT na.M pecHimH öeaocHeaiHaH MCTeai». , . HsffajIH -- JIOKOMOTHBa nocTynb THHacaa' cjimiiHa. Cnopo OHHCKoro sauHBa ' . H3M OTKpoeiCH erpana. T h noftuenib, Kan b btom uope odaer'jaeTCH lym a. 178

Dolce fratello ! Imbrunisce

Dolce fratello! Imbrunisce. Le campane si sentono appena. L a pianura è già tutta bianca — la ccchi-di-sonno è passata. È passata solenne, fermandosi, vicina, impercettibile. E di nuovo per noi, come una volta, il pesante fardello è leggero. Tra le due pareti della selva cade una rada neve. Dinanzi a noi d ’un semaforo verdeggia la fiammella. Il cielo è avvolto d’un bagliore lilla, una luce lilla sulle nevi, quasi fossimo in un nuovo spazio, quasi fossimo in epoche nuove. Solitario griderà un uccello, scrollando con le ali un abete, e la bianca bufera di neve ci coprirà di cristalli le ciglia... D i lontano si sente la pesante andatura d ’una locomotiva... E del Golfo Finnico tea poco ci si aprirà la contrada. T u capirai come diventi lieve l’anima in questo mare, 179

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K ohhhm. T hxo BCTaneT c iipecea, H O jn a n H B a 11 C T p o ra .

CnanteT KaatioMy: « B j r ì Becca, 3 a OKHOM jieHtaT ciiera ». 13 am apM 190S

180

quali crepuscoli si spengano dietro le canne a filari. Al ritorno, distesi a nostro agio su un tappeto dinanzi alla stufa, sommessamente racconteremo tutto ciò che s’è visto alla sorella... Finiremo'. Si alzerà pian piano dalla poltrona, silenziosa e austera. A ciascuno di noi dirà : « Sii lieto. Dietro la finestra c’è la neve ». 13 gemmo 1906

Jlaaypwo (wiejpaoä Meenii njiHJi

JIaaypHO 0neji;Hofi mcchu ihihu H3orHyreM nepcTOM. Y Bcex, K KOMy h npiixoniin, Si,in astili por KpecTOM. O'cnan ayóoB hbjish nenanL, II 3a BeHtfOM BOJIOC K a n a a ia c b

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»TO KOMIiaT ÔapXaTIIHli TVliaH Mae nyrny oTpaBSHJi. Ho, nyniy HeatHyio ryoa, B- CC0H B0H3â.H HOJK,

Nel pallido azzurro la luna nuotava

Nel pallido azzurro la luna nuotava come un dito ricurvo, Tutti quelli dai quali mi recavo avevano in croce la bocca scarlatta. p p r-.

Il ghigno dei denti mostrava dolore, e a ritmo dietro il serto dei capelli vacillava una fuga di stanze, dominate dal caos. Le donne avevano uno sguardo apatico, uno sguardo appannato e terribile: sapevo che gli spasmi delle labbra palesavano il loro disonore, che bevevano notte e dormiveglia, ma che il giorno le aveva bruciate... Com’è orrida la placida dimora per coloro che furono infedeli! Ricordavano vagamente i passi, la paura arcana delle cadute, e cerchi rossi nuotavano negli occhi estenuati. Mi stringeva come una serpe il divano, ed io sapevo, ospite curioso, che la nebbia di velluto delle stanze mi avvelenava l’anima. Ma, rovinando l’anima soave, ficcando in me la lama d’un coltello, 183

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CBaBanmae HOHb. MHeapb 1906

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fra i tormenti io ti riconoscevo, splendida menzogna! Oh, l’odore ardente dei profumi! Oh, Pattino frusciarne! Oh, i discorsi di maghi e di indovini! L a pergamena dei gialli libri! Tu, donna senza nome! Misteriosa figlia di un indovino ! Mi sussurravi parole, che fasciavano la notte, gennaio 1906

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La notte di San Giovanni

Scenderemo' in giardino, mia modesta amica, per girellare da soli. Dietro l’erba scura cercherai i fuochi di San Giovanni. Io aspetterò con profonda fiducia i prodigi da te desiderati : le grigie felci divampino sotto la tua mano che sobbalza. L a notte brillerà di verde luce, — e con essa anche tu risplenderai, inebriata in questo sortilegio dal doppio veleno della bellezza! Io aspetterò, estasiandomi in segreto', senza destare aneliti notturni. I tuoi lineamenti verginali — non temere — non spaurirò', bambina! Ma se la notte, scrollati i rami, vorrà illanguidire nel cielo, io ü guarderò con le pupille nebulose come questa notte. Verrà un. istante in cui tu scenderai .ancora in altri cieli. E nei nuovi cieli scorgerai soltanto due stelle — i miei occhi. •187

M arl B am u HeÖe raaa ynopiiBix TH BCH OTpaaSCHa--- CMOTpH !

H non Hasec Beisel yaopn&ix npOHHKJIO TäHHCTBO 3 apil. 12 {ßeepcum 1906

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In questo cielo di occhi pertinaci guarda come sei tutta riflessa! Sotto un tetto di rami arabescati è penetrato il mistero dell’alba. 12 febbraio 1906

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L a Sconosciuta

Hl set ate sopra i ristoranti ia infocata è selvatica e sorda, ^'governa i clamori degli ubriachi ■ spirito pernicioso della primavera. ■ ££iòntano, sulla polvere dei vicoh, -Sul tedio delle rille suburbane, ^indora la ciambella d ’un fornaio, %'kd echeggia un pianto di bambini.

I'-Ed ogni sera, dietro le barriere, con il tubino sulle ventitré, passeggiano tra i borri con le dame -, esperti bontemponi. Sopra il lago scricchiano gli scalmi, 1 ed echeggia uno strillo femminile, S mentre, abituato ad ogni cosa, in cielo I stupidamente il disco si corruga. s ; Ed i gni sera runico mio amico ■ \ '' si n erbera nel mio bicchiere I l i , dall’acerbo e misterioso liquido I - è, acme me, sottomesso e stordito, mentre daccanto, ai tavoli vicini, sonnacchiosi lacchè stanno impalati, e uh ubriachi dagli occhi di conigli p. affannano'a gridare « In vino veritas"! ». Ed ogni sera, all’ora stabilita (oppure è questo solamente un sogno ?), 193 1

fleBOTHä CTaH, uieOTtaMH cxBaaeH H Ui, B TyMaHHOM HBHHteXCH ÖKHC, H MenaeHHO, npoäjxa Mem ni.aHHMH,

Bceraa dea cnyrHHKOB, oflHa, num a ayxaMH

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oHa caflHTCH y oKHa. H BetOT HpeBHHMH nOBepBHMH ee ynpyrae melina, h nmana c TpaypHtnua neptaMH, h b Kontpax yaitaa pyua.

H CTpaHHOH dnH30CTM0 3aKOBaHHUft, CMOTpio 3a TeMHyro Byana, h BHHsy deper oaapoBaHHHfi h oaapoBaHHyio pana. FjiyxHe TaËHbi MHe nopyaeHH, MHC abe-xo conHpe B p y a e H O , h Bceft nyniH Moett H3JiyaiiHH npoH3Hao TepnKoe bhho. H nepbH cTpayca cKnoHeHHBie b

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T èi n p aso , HbHHoe aynoBam e! f l 3HaiO : HCTHHa B BHHe. 2 i anpejw 1306. Oseptm

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una fanciulla inguainata di seta nella finestra nebbiosa sì muove. Lentamente, passando fra gli ubriachi, sempre senza compagni, sempre sola, esalando caligine e profumi, si va a sedere presso la finestra.

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Ed effondono antiche credenze le sue elastiche vesti di seta, e il cappello con piume di lutto, e la stretta mano inanellata. Avvinto dalla vicinanza strana, guardo di là dalla, scura veletta, e vedo una riva incantata ed un’incantata lontananza.

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Cupi arcani mi sono confidati, un estraneo sole mi è commesso, ed il vino acerbo .ha penetrato tutti i meandri delfanima mia. E le piume dì struzzo inclinate vacillano nel mio cervello, e gli occhi azzurri senza fondo fioriscono su una riva lontana. Nella mia anima giace un tesoro, la cui chiave è affidata solo a me! Hai tutte le ragioni, mostro ubriaco! L o so bene : la verità è nel vino. 24 aprile 1906. Ozerki

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Th li bo CHC HeoßmaiHa. Tsoefi oaeaîflH ne kochjcb. flpe'Mji» — h sa ipeMOTot Tatua, h b xaËHe — TH noBHenib, Pycb. Pycb, onoHcaiia pcnaMii h

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Anche nel sogno sei strana. Non toccherò la tua veste. Sonnecchio — e dietro il sopore è il mistero, e nel mistero tu riposi, Rus’. Rus’, circondata di fiumi e avviluppata di boscaglie, con stormi di gru e con paludi, e con torbido sguardo di stregone, dove popoli di vario aspetto di paese in paese, di valle in valle intrecciano halli notturni sotto il bagliore di villaggi in fiam me.. Dove indovini con fattucchiere ammaliano le graminacee sui campi, e le maghe trescano coi diavoli nei vortici di neve delle strade. Dove furiosa la tormenta avvolge sino al tetto la fragile dimora, e la ragazza affila nella neve contro fam ico perfido una lama. Dove tutte le strade e i crocevia sono estenuati, da una viva, gruccia, e il. turbine, fischiando tra le nude verghe, canta leggende del passato... Cosi ho riconosciuto nel sopore la povertà della terra natia.

h b nocKyTax ee jioxmothë ayiim CKpHBaio nanny.

Tpony ne^antHyio, hohhjto ,no norocra npoToirran, h Tau, Ha Kiian;6Hme hohvh, noROJiry necim pacneBair. h

H caM ne hohsht» ne H3Mepiui, Kouy h iiecini nocBHTiin, B' KaKoro iâora cTpacrao Bepnn« Kanyio neBjniKj jïiqShji, /K iibvìo nyniy vKaaana, Pycb, Ha cBOtix npocropax, tu , h bot, oiia ne 3anHTiiaaa nepBoiiaHariBHotì hhctoth. JJpeujiio — h sa apc-Moioii TaiiHa, h b Tai'me iioaiiBaei Pyct. Olia h b eaax jieooMHaiiiia. Ee ohcìkìih He kochvcl . 24 ceHmn&pn 19GS

198

e nascondo la nudità dell’anima nei brandelli dei suoi stracci. Mi sono aperto sino al camposanto una mesta viottola notturna e, passando' la notte ai cimitero, per lungo tempo ho intonato canzoni. Ed io stesso non so, non ho compreso a chi quelle canzoni eran rivolte, in quale Dio credevo ardentemente e chi era la ragazza del mio amore. Tu. hai cullato', Rus’, l’anima viva nello spazio delle tue distese, ed ecco — essa non ha contaminato la sua primordiale purezza. Sonnecchio — e dietro il sopore è il mistero, e nel mistero riposa la R us\ Anche nei sogni essa è strana. Non toccherò la sua veste. 24 settembre 1906

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yaiHpaTb.

Uno stràscico spruzzato di stelle

tin o stràscico spruzzato di stelle, un azzurro, un azzurro, azzurro sguardo. Fra i d eli e la terra un falò sollevato da un turbine. V ita e morte in un vòrtice perenne. In una tesa guaina di seta ti affacd alle vie lattee, nascondendoti fra nuvole temporalesche. Sono cadute le opprimenti nebbie. Spegniti, spegniti luce, dilaga foschia... T u con la mano esigua, bianca, strana m i hai dato in mano una fiaccola-calice. L a scaglierò nella cupola azzurra — traboccherà la via lattea. D a sola tu salirai sopra il deserto a svolgere lo' stràscico delia cometa. Fammi: sfiorare le tue pieghe 'argentee, conoscere col cuore indifferente come sia dolce il mio mesto cammino, come sia Beve e lim pido morire. settembre 1906

Oma eo deop

Oana une ocTanact» Haaeataa: CMOTpCTJjCH B KOXOReSb RBOpa. CseTaer. Beneer oae;-Kna b pacceHHHOM CBCie yrpa. H cjiH'iny ■— CTapiimibie penn npocHymcB raydoKO Ha rh s . B oh T6IUIHTCH HteJITHS CBCTH, saSbiTBie b ' HteM-TO oKiie. PononnaH Konma, npnatanacb y JKOJioSa yTpeHHBx Kpwm. SanaanaTb — ohho mhs ocranocb, h c a y m a n , kok »oapHo th cumin,. T h cniiint», a na yatme tuxo, h h yiiHpaio e tockh, h a,noe, rouoiHoe H hxo ynopHO CTyBHTCH B BIICKII. . . 3 x , MaHHË, B3FJIHHH MH6 B OKOHHe! fla Hs t , He aaraaHeiHH — npofineini,

CoBceu fl Ha SHMHee connue. Ha rjiynoe connpe noxoac. OKITJSßpi.

1905

Finestre

U na sola speranza mi è rim asta: rispecchiarmi nel pozzo del cortile. Fa giorno. Biancheggia un vestito .. nella luce diffusa dei mattino. Io sento che antichi discorsi si sono svegliati, nel fondo., Vi bruciano gialle candele, obliate in qualche finestra. Una gatta affam ata si stringe alla gronda dei tetti, mattutini. _Non mi è rimasto che rompere in pianto e ascoltare il tuo" placido soan br Tu dormi, e per strada è silenzio, ed io m i struggo d’angoscia, e il Male affam ato, funesto picchia tenace alle tempie... Ehi, ragazzo, alza g li occhi alla finestra!.. Ma no, tu passerai senza guardarm i... D el tutto a un sole invernale, a uno stupido sole io rassom iglio. ottobre 1906

Tinulina ueemem

Suera» Tininraa u serei n ^ bii/kct THHtejiHM KopaßjieM nyaiM, h seTcp, nee iiocjiviuhbiü, Matei sy n . nparayTHe KaMHinn.

3»era» b saBogb npaaffHyio Hcenam>e CBOH npHBOIHT KOpaÖJIH. H cjiaflKo THX.oe HesHante o najiBHHX ponoTax scmuh. S ucci. jierKMM oôpaaau H OTÏtaiO CTtïXII MOU,

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nyiian

H TOMHHM 1IX BCipCSaiOT IHJMOM perni coraaciiue cipyn. H., TOMHO OnyCTiSB peCHHIIH, BBT. HeBVlIIKII, B. CTHX8X npOHH-H, K.SK OT crpammiii no CTpainnu.i b lant. noTHHyuH »ypasHH. H. KSJKHHË 3BJK 6bUI BSM HaueKOM H HeCKaaâHHbTM -- KafflMHt CTHX. H b u moGtnm na itmpoKOM npodope jierKHX pinfm mohx. H KajKnaa HaBCR ystia.ra h ne aaGynei HHKorna, KaK oSimiiana, penoBajia, Kan nejia Taxas sona. OKJTMÖpt» JS101lî

2 04

Il silenzio fiorisce

Qui il silenzio' fiorisce movendo il pesante 'vascello delTanima, e 11 vento, cane docile, lambisce i giunchi appena incurvati. Qui il desiderio in un’insenatura vuota fa attraccare i suoi vascelli. E in questa quiete è dolce non sapere dei murmuri. lontani della terra. Qui a lievi immagini, allevi pensieri io consacro i miei versi, e con un languido fruscio li accolgono le armoniose correnti del fiume. Abbassando le ciglia con languore, voi, fanciulle, nei versi avete Ietto come le gru da una pagina all’altra siano volate nella lontananza. E d ogni suono era per voi allusione e sonava ineffabile ogni verso. E d amavate nell’am pia largura delle mie rime scorrevoli. E ciascuna per sempre ha conosciuto e non potrà dimenticare mai come baciava, come s’aw inghiava, come cantava l’acqua silenziosa. ottobre 1906

205

Winy ornefi — oraefi nonyTHUX

Winy orneii — orneft nouyiHbix

qepHHfi, BeaoBCKüii npemeji. Meat TCHHWX saBonefl n mvthhx orpoMHutt MecHu noKpacnea.

b tboë

Ero hboühiik :njiHBeT nan hccom: il cKopo ctaiieT sojiothm. Torna — iipocTop 6 ojiothhm fiecaM, H BORHaHM, 11 HeCOBMM. BepTHEBMö 6ec sepxyinKot emi

IipOTKHBT HCßeCHHl 3QHOTOË, li nojiro Syayr neri. csHpeJin, h erano SBHKaTB sa p e K o t.- . II naatine nyn>,. h iiecau Buine, h 3BC3HH MepKHjrr b eepeôpe. H THXO OSapHJIHCb K’pbllUII b no'iHoii aepemie, Ha rope. Hny, h

h xojiorciot

poeti.

cepeÖpHTCH o refie,

Bcë o Teôe. pacnaerraeft koch

Hjih npyra xafiHoro,

b hs6c.

T a il Mue naxvHiix, nyniHHX senaM

H HflOU CHaHKHM SaMOpOHB, qro6, pa3 bkjchb tbohx B e c e r a !,

HaseKH HOMHHTb 3TJ HOEb. oraiUBfiipb 1906

206

Cerco le luci — le l u d propizie

Cerco le lu d — le lu d propizie verso il tuo nero limite stregato. Fra insenature tenebrose e torbide la gigantesca luna s’è arrossata. Il suo sosia galleggia sopra il bosco e diverrà subitamente d’oro. Allora — largo ai diavoli palustri, e agli spiriti acquatili e boschivi. Con un abete un diavolo smanioso trafiggerà Io zecchino del cielo, e canteranno a lungo le zam pogne, tintinnerà la greggia dietro il fiume... La strada seguita, piu alta è la luna, nell’argento le stelle impallidiscono. Lentamente s’illuminano i tetti nel villaggio notturno, in cima al monte. Cammino, e le rugiade si raggelano, coprendosi d’argenteo luccichio' al pensiero che hai sciolte le tue trecce nell’isbà per l’amico misterioso. Dammi filtri odorosi, soffocanti e annebbiami con un dolce veleno, perché, inebriato- delle tue delizie,' io ricordi per sempre questa notte. ottobre 1906

207

BajiasoH Hy, raapaa «mraa, notaeM jiOMaiB cDoero IIIeKcnupa! M uh

H an aepHofi cjiHKOTfcio nopora öe noHHHMaeTca TyMaa. ße3yT, noKpaxTHBaa, nporn Mofi noJiHHHJiBifi ÖanaraH.

JI hho jcHeBHoe ApjieKHHa ernte ßnenHeö, neu ähk Hbepo. H b yroJi npHaer KcuioMßHHa JIOXMOTbH,

emHTMe HBCTpO. . .

Tamirrecb, TpaypHHe kjihhhI ÄKTepu, npaBbTe peitecno, HTOÖH OT HCTHHM XOflHHefi scesi CTa:io ëoabHO m e se ia o !

B TattHHK nymn npoHaioiä nneceHb, ho Hano naanaTb, nerb, hhth, htoÖ b p an MOHx 3aMopcKHx

OTKp.HÄHCb TopiIHe HÿTH» HOHÖpb 1 9 0 6

208

neceH

Il baraccone Su, vecchia rozza, andiamo a declamare il. nostro Shakespeare!

Keam

Sopra la nera mota della strada non si solleva la nebbia. Una carretta porta rantolando il mio scolorito baraccone. D i giorno il viso di Arlecchino è ancora più smorto del sembiante di Pierrot. E Colombina nasconde in un angolo brandelli di rappezzi variopinti... Trascinatevi, lugubri rozze! Attori, eseguite il mestiere, perché da una banale verità abbiano tutti sofferenza e luce ! L ’intimo dell’anima è muffito, ma occorre piangere, cantare, .andare, perché si "aprano strade abituali per l’èden dei miei canti oltremarini. novembre 1906

2 09 M

T h CMOTpEtIHB B OHII HCHHM SOpflM

T h CMOTpmnb b oto hchbim sopHM, a ropoa CTaBiir oroHbKii,

nepeyjntax naxiier aiopcM, noiOT ^aôpmHHe rym sa. -

h b

H. b cyere Heno6ennHoft jiym a lyuaBau npeaana. . . B ot KpacHHt iuxam» neraniH t mimo , bot » chckmI roaoc, KaK CTpyna.

H HOMHOIM TBOH HC CMCUM, KaK ckh&bkh coBpeueHHHx pim. . . H HteHiqHHH peCHHI(H-CTpejIH Tan «iacTo onycKaioT bhhb. Koro TH B C.KOJIB3KOM MTJie aaMßTBOI? Hm OKHa C'B'CTHT CKB03B TVJiiail ? 3«ec& pecTopaH, nan xpami, CBeieat, h xpan oTKpHT, KaK pecTopaH. . . H a ôeamexoRHHe o6uaHH nyina Hanpaeiio noHecnact: h Bsopu ae-B h pecTopaiiBi noracnvT Bce — b ypoanm l aac. demßph 1906

2 10

Guardi negli occhi i limpidi crepuscoli & Guardi negli occhi i lim pidi crepuscoli, H» e la città dispone le fiamm elle, ed i vicoli odorano di mare, cantano le sirene delle fabbriche. E nellìndomabile trambusto l'anim a alle nebbie è abbandonata... Ecco un rosso mantello svolazzante, una voce di donna come corda. E le tue intenzioni sono timide, come le pieghe delle vesti d’oggi... E le donne così spesso abbassano le loro dgliarfrecœ . Cni hai scorto nella lubrica foschìa? Quali finestre nella nebbia brillano? Qui il ristorante è chiaro come i templi, e il tempio è aperto come un ristorante... Inutilmente l’anim a è volata \ erso questi inganni irrim ediabili : gli sguardi delle donne e i ristoranti à spegneranno all’ora destinata. dicembre 1906

211

B ot HBHjiacB. 3ac.7oim.ia

B ot HBiiaacb. 3acnoHBuia Bcex HiapaKH'Hx, Bcex noRpyr, H' l y n i a bioh B c x y r m n a b

npeHHaaHaTenmit e t

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H EOH 3H0HHHM CE6HCHUM CTOHOM pacyBean neptu tboii . TOŒfeKO TpOtKa MMHT CO 3B0H0M B. CHeJKHO-GejXOM 'BaÔHTbïï. T h B3Maxnyjia ßyßenuaMii,

yBjieuaa mchh b. nona. . . Jlymniub nepHHMH menuaira, pacnaxHvaa coôona. . .

H.

o T oil n u Boa& H ûii B o n e

Berep im a n e x b h o ih » H 3BCHHT, H' F aC H JT

p e r n i, B HOJie

ßyöeHEH, na oroiibKii? 3 o« o t Q'Ë t b o ii n o a c c x a n y x , i ia r n o en p o M en h u k h ë B 3 o p !

IlycTb

MruoiBCHba B c e o ß n a n y x ,

K a a y T b nnaM eH H H Ë n o c T e p !

T au nycKai æ e sexep ßynex l ïe T b O'ÖMaHH, nexb inenital Ilycxb Basen ae 3iiaioT aianu, Kan y3i-;a tboh pvna ! 212

Ecco è apparsa. H a offuscata

Ecco è apparsa. H a offuscato tutte le amiche, tutte le eleganti, e la m ia anima è entrata nel cerchio a lei. assegnato dal destino. Sotto il gèmito ardente della neve sono fiorite le tue fattezze. Solo la tròjka fugge tintinnando in un bianco-nevoso assopimento. T u hai scrollato i sonagli, mi hai trascinato nei cam pi... Con seta nera mi strangoli, sbottoni lo zibellino.,* Forse per quella libertà sbrigliata si rammarica il vento lungo il fiume, tintinnano e si spengono nei campi i sonagli e le deboli fiammelle ? È serrata la tua cintura d’oro, sfrontatamente modesto lo sguardo selvaggio ! I m inuti ingannino ogni cosa, svaniscano in un rogo fiam m eggiante! Cosi il vento si metta a cantare gli inganni, a. cantare la seta! G li Uomini non sappiano giam m ai com’è sottile la tua m ano! Come

213

Kau 3a tcmhok» Bjaniio »me na Miir OTKpunacb nani». . . KaK Hau Seaoii, c-hkkhoü jajihio najia TeuHan ayant. . . denaß p* 1906

214

per un attimo dietro la scura veletta mi si è dischiusa la lontananza... Come sopra la bianca, la nevosa lontananza è caduta la scura veletta,... dicembre 1906

Bmopoe Kpeufeme

O rap SD IH HBCpb' MO® MeTeJIM, s a c T H jia r o p n i m a m o b , h

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T h mhc cynmub cute MraoBeHM? ripopolano», HTO Beam npaner? H o nocM O Tpn, KEK c e p a u e p a n o ! 3 a r p a » n e H a C H eraiiH t b c p h b . B e e r a i n e o y n e i , h He n a n o : K peiqeH beM ip e rb H M 6 y n e T — CM eprc».

3 .w&apsI 1907

216

Secondo battesimo

Hanno aperto il mio uscio le tormente, è gelata la m ia cameretta, „ e in un insolito fonte đi £ e v e ^ ) io ricevo un secondo battesimo.

7/

Ed entrando in un nuovo mondo, so che vi sono uomini e faccende. Che la via del paradiso è aperta a chi batte le strade del male. Sono stanco dei vezzi dell’amica sulla terra che sta assiderando. E una preziosajnetta di bufera luccica eome^hiaecig) sulla fronte. L a fierezza del nuovo battesimo ha trasform ato in ghiaccio il m io cuore. T u mi prometti altri istanti? Predici un’imminente prim avera? M a guarda come il cuore si rallegra! Sbarrato dalle nevi è il firmamento. L a prim avera non verrà, e non serve : terzo battesimo sarà la Morte. 3 gennaio 1907

217

H onxmb eneea

H onfiTB, OHHTB ciiera saMCJiH cjiejpa. . . H a s nycTHHeli chcjkhèix. Meer HPCMHIOT jpae 3B63HH. H n o m , noioT pora. Han napalm su o i boum BBIOra expOHT Ôejlbliî KpëCT,

paccBinaeT CHCSKUBifi upecr. OHHHOKHË CMepa, H Bsa.nn. Braira, Bsa:m, Meatny Heôoia h aesraefi secennTca cuepn». H sa Tyaeft CHeroBoît sanpeuanH KopaßnH —

onpoKHHyTue b TBepjQ» CTaHH CHeæHHX MaHT. H b noHHX ryjraer cuepib — craeroBoS Tpyôaa. . . H BBRHMaeT BBïora cuepa, crpoiiT ôeaHii, ch'Okhh S «peer, saMeiacT TBepnB. . . PaspymaeT cnemHHfi npeci H fîeüîHT OT CHBÎKHHX MBCT. . . H onfitTB raamiTCH cuepTb c ÔesaaKaTHHx sbbsh . . .

S Mmapa IM? 213

E d i nuovo le nevi

E di nuovo, di nuovo le nevi han cancellate le impronte... Sul deserto di luoghi nevosi sonnecchiano due stelle. E cantano, cantano i comi. Sui vapori dell’acqua maligna la tormenta costruisce una candida croce, sparpaglia la croce nevosa un turbine solingo. E lontano, lontano, lontano, fra il cielo e la terra si dà bel tempo la morte. E dietro una nube di neve si sono assopiti i vascelli — capovolti, gli alberi nevosi nel firmamento. V E nei campi gavazza la morte, trombettiere di neve... E solleva la tormenta un turbine, costruisce una candida croce nevosa, ingombra il firmamento... Dirocca la croce di neve e fogge dai luoghi nevosi... E di nuovo si specchia la morte dalle stelle senza tramonto... 8 gennaio 1907

219

Hod MaCKOMU

A non MacKoft 6hh.o 3Bea:iuo. y jIH Ö ajia C B 1BH-TO IÎÛBCCTb, K o p a r a n a c b thxo hohb.

II sanyMTOsaH cobcctb, nixasaa nan ßesaHoit, ysofflijia speMH npo'-ib. teso

II b p y i e a x , K o rn a -T o c r p o r u x , dint Sonali CTeKJiHHHMX B .i a r . H o a b c x o j u a a H a a e p T o r ir ,

3auewiHH m ar. II nOSBflKHBaSH METE, h 3BeHena sn ara b eepane, h apasHini scaenwii BaiiaiiK b noropeBHißM xpycTaae.

A

b

n m a n y ip e M a m a K iiiir n .

TaM — K peBHol CTapimnoi HBepne iipiraeniincH r o o m s jiaabHiiK na OHHOM Kptme. 9 a m a p a 1907

2 20

Sotto le maschere

Ma c’erano stelle sotto la maschera. Sorrideva una storia misteriosa, scorreva sommessa la notte. E la coscienza pensosa, fluttuando sommessa sul bàratro, rapiva il tempo. Fra le mani una volta severe era un. boccale di vitree rugiade. L a notte discendeva sui palazzi, rallentando il passo. E tintinnavano gli attimi, e tinniva nel cuore la rugiada, ed un verde barbaglio stuzzicava nel cristallo ormai spento. E nell’armadio i Ebri .sonnecchiavano. Al vecchio sportello intagliato s’era attaccato per un’ala sola un nudo ragazzo. 9 gennaio 1907

Cepôife npedauo Memeau

CiBepKHH, nocaeiHHH «m a, b cuerax! BcTaHB, orHCHHinaniaa Mraal

BaMCTH TBOiî CHCHtHHt Hpax! Yoeit ueHH, Kan

h

ySua

KOrna-TO 0JIH3KHX. MHC! fl Bcex 3a6un, «oro jho6hji» a cepane BBiorofi aanpyTiux, h

ßpocuji eepjme c Ôenbix rop, Oho aejKHT na hhc!

fl ca.M HHy Ha tboèî Kocrep! CatHrai

mchh!

XïpoHsaË Mena,

KpHJiaTHt B30p, untolo cHencHoro orHfl! 13 mmapœ 1907

2 22

;

Il cuore è abbandonato alla bufera

Sfavilla, ultimo ago, fra le nevi! Alzati, ignivoma foschia! Spazza la tua polvere nevosa! Uccidimi cosi come io ho ucciso uelli che un tempo m ’erano vicini !

Y

Ho obliato' quelli cui volevo bene, ho sollevato il mio cuore in un turbine. Pho scagliato giu dai bianchi monti, ora. sul fondo! Io stesso vengo verso il tao falò! Io stesso chiedo d’essere bruciato! Trafiggimi, sguardo alato, con un ago di nevoso fuoco! ÎJ

gennaio 1907

223

Ynrna. Ho rnaipraTbi »flami

y mua. Ho ruaipiHTH »nana, h neHB ne pa3ßyn;nii oiaia, h b aerotHX cKnaiKax HteHCKof. ma.m :i|Bejia MoanaH TMiiiMHa. B KOCHX jiynax. seaepHefi m um , a 3H&I01» TH npaneinfc ohhtb SnaroyxaHBeM hhjibckmx jiHoiaft

Mena nneHHTB m ohbähstb. Mhc enaöocTB am x pyn sHaKoua, h ara m enaynias penb, H CTpofiHO'fi Tanni! IICTOJia, H MâTOBOCTb lïOKaTHX HJiei • Ho b mie an tbocm — fieaaiepHOCTb, h psusMi cjrupaK rjiaa tbohx raiiT smchhvio iieBepnocTB h hobb npejairaii rpoaoBMX.

II, MH:py nojibHesiy nojpjiacTHa, M e» Bcex — ne aiiaemb

th

oana,

HâKHM: pa^eabAM th npnaacTHa, KâKQKj Bepoi: Kpeuiena.

Boiiaii, CBoeS He siiaa bo.h i , h, »oßpaa, b rjiaaa bstjihqh, H TCMHEOt B30p0M OCTpoffl 6oaiI atHBoe eepme hojiochh. 224

Se ne andò. Ma i giacinti aspettavano

Se ne andò'. Ma i giacinti aspettavano', e il giorno non svegliò "le mie finestre, e nelle lievi pieghe del suo scialle il notturno silenzio fioriva. F ra i raggi sghembi della polvere serale, lo so, tu verrai un’altra volta ad affascinarmi e ad ubriacarmi col profumo dei gigli dei Nilo. So la fragilità d i queste mani, e questa, tua loquela sussurrante, ed il languore'della vita snella, l’opacità delle spalle declivi. Ma nel nome tuo è lo spazio immenso, e la rossiccia tenebra degli occhi cela una serpentina infedeltà e una notte di saghe burrascose. Assoggettata al mondo sublunare, soltanto tu, fra tutti, non conosci di quali divozioni sei partecipe, in quale fede ti, hanno battezzata. Entra, disconoscendo il tuo volere e, benigna, rimirami negli occhi. Col cupo sguardo dell’acuta pena trapassa il mio vivo cuore.

225 IS

B hoji3h ko Mue snieeft nojiayqei, b

r n y x y i o n o n H o ^ b o r n y iir a »

y c T a M ii TQMHHMii s a i a y i a M ,

K ocoK) H epH oii BafflyniH.

31 M apm a 1907

226

Striscia da me come serpe strisciante, assordami nella sorda mezzanotte, con le labbra languide t o r m e n t a m i , soffocami con la treccia nera. 31 mano 1907

227

C KäJKHöi iiecHoro

C KaacfloS BecHoio nyTH mou npyro, MepTBCHHefi cyupaK o ï d . C Kaatnofi BecHOK) HCHefi h nesyaei THHHCTBa ÓC.TBIX HÖHCM. Mecan; jiaju>io onpoKiinya

b

norareRHet

Marnas, — h b o t ctepTtic aim a h hbhhhc Gpeami. . . K apm . . . I^HraHKa noeT. ôaen H oâ

Cmcxom BonnyeMHË aepaHM h rpouKuu, ôbdi y iiac iua!.ieHin»m jih k . Cbct HaSeatan. rtpoMenbKHyjiH noTeMKH., B ot oh: GecerpacTen h rhk. Ban,hihi»:, h MHS iiacTymiaa Ha ropao, nyinHT Kpacasima hohb. . . K paciai nocaSÄHiie CMBiaa n crepjia. . . H to j k ? Ecaii MOHtemb, iipopoHb. . . JlatKH MOH iicy.Me.TBi h rpyôBi, TBi me — nenmet, hcm Mai, Hto me? IJen y t b n o M e p T B c r iB ie ryÔH. I ïqhc rieaaaijHHii cmmail. 7 ju a a

228

1907

A d o gn i prim avera

Ad ogni primavera si fanno piu scoscese le mie strade, pM livida l’oscurità degli occhi. Ad ogni primavera più limpidi e canori sono gli arcani delle notti bianche. L a luna ha rovesciato la sua barca nell’ultima pallida fossa, — e d’un tratto visi cancellati, ebbre chimere... L e carte... U na zingara canta. D a una risata nera e fragorosa è turbata la nostra effigie ardente. L a luce irrompe. G uizzano le tenebre. Eccola : impassibile e selvaggia. Vedi, anche a me ha calpestato la gola, mi soffoca la notte leggiadra... H a cancellato gli ultimi colori... Ebbene? Se puoi, profetizza... Le mie carezze sono goffe e .ruvide, ' tu invece sei pM tenera d ’un maggio. Ebbene?' Bacia le mie labbra smorte. T ogliti la cintura dolorosa.

7

maggio 1907

229

Korna

b.

jiHCTBe ctipoft

h

pmafio®

K om a b jiHCTse CHpoîi H pœ aBot Pä 6hhh saaneeT' rpoani»,. —■ Koma nana1! pyK öi koctjdîbo® BoßbCT B JiaiOHB nOCJieHHHÖ rB'ÖSnb, ■—-

Koma Ha« P'üßblO' pCK CBBHQOBÔË, b cupoft a cepol bhcotb, npéi: hhkom pojpaM cyposoft h aaKaaaioOB na KpecTe, — Toma — npocTopHo h nanëKo CMOTpiO CKB03B KpOBb npeflCMepTHBIX C3I63, a BHHsy : no pene mnpoKO® ko

Mae Hauser b aenHe XpacToe.

B raa aa x — Tarare œe HaKeatiBi, h to ftte pyôm ae Ha neu. H marno cuorpar a s okcmah jiaaoHb, npoßaraa rsosneM.

XpacToc! PojBaoâ npocxop neaajieH ! IÎ3HeMoraio Ha Kpecrel H a e r a tboë — Syptei an npHBaneH K Moefi pacnHTo® bhcotc? 3 OKimißpa 1007

230

Quando' 'tra foglie rugginose ed umide

Quando tra foglie rugginose ed umide rosseggeranno i grappoli del sorbo, — quando il carnefice con mano ossuta nel palmo pianterà l’ultimo chiodo, — quando sul plumbeo incresparsi dei filimi-, ad una grigia ed umidiccia altezza, dinanzi al volto della patria austera comincerò a oscillare sulla croce, — allora — da un’immensa lontananza, nell’agonia, fra il sangue delle lacrime, vedrò venire per un largo fiume Cristo verso di me dentro una barca. Negli occhi avrà le stesse mie speranze, e indosso porterà gli stessi stracci. Misero spunterà dalla sua veste il palmo trafitto da un chiodo. Cristo! È infelice la natia largura! Io mi. sto consumando'sulla croce! E la tua barca — potrà mai approdare all’altezza in cui sono crocifisso? .5 ottobre 1907

23!

B Te ho'to CBCTUHe, n y c m e

B Te nom cBerane, nycme, Korna b H esy rjiHflH? mocth, ohm BCTpeaajiMCb, k &k ayæiie, 8a6uB, to > ecTb npocToe mu. H KaJKffbit 6hh KpaeiiB h m
Ohh aioöioa tohbko asepsi HeM pasapaaHMTb — n vKpoTim>.

b

II aymRHl — ayntnoä Man oh pyrai, h cesep can, enema homohb KpaCIIBOË HeHCHOCTH M CKyKfi, b icHb npc-Bpaman huibvio hohl.

Tan,

b

CBCTnoTe

b o6 t.htbh hohii

hohhoü

nycTbmn,

ne cueiita, raHHeaacB b Kynoar ßjieHHO-ciifliil hx oßpeneHHaH nynia. 10

23.2

OKmađpa 290?

In quelle notti luminose, vuote

In quelle notti luminose, 'vuote, in cui nella Nevà guardano.! ponti, essi si incontravano da estranei, scordandosi che c’è il semplice tu. E ciascuno era giovane e leggiadro, ma, tutta infervorandosi del 'vuoto, ella celava una freddezza strana sotto la beltà inselvatichita. Misurando col cuore sempre rigido, lui non sapeva, non poteva amare. Ella amava in lui solo stuzzicare la belva — e di nuovo ammansirla. Da estranei si stringevano le mani, e il settentrione, accorrendo in aiuto alla leggiadra soavità e alla noia, la viva notte trasformava in giorno. Cosi nella chiaria di quel deserto, indugiando nel grembo della notte, nella cupola azzurra si specchiava la loro anima condannata. 10 ottobre 1907

233

Ch &mckoa dma

Ohs npHinna Ha ihko ® nana — HOHHSH aO'îb HHHX BpeMCH. E e po,RHiie He Bcrperoura, He HpOCHHH et 'HeÖOCKHOH.

Ho G$MHKCa c BHmep'SaeHHHM jihkom Haa iicnojiHHCKOio HeBOi OHa BCTpenana jierKira bckpjikom non 6 y pei Heran cueroBOË. B a s a n o , Bbiora e t

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ases^âHE nnera, rp y jb H CTan, —■ BCÊ CHHTCH e t poflHot EnineT CKB03B TycftnHi: cèBepHHl TyjjaH.

Il Topo« moë îKeneauo-cepHË, rm BCTep, H05KHB, h 3h 6b , h siraa, C KaKOÖ-TO HenOHHTHOH BepOH OHa, KaK BapcTBo, irpHHHna.

E t crajiH apaBHTbCH rpoMajpj, ycHyBniHe b hohhoë raynra, H B OKHaX THXHe JiaMnaHH cjiHJiHCB c MeàTot ee nyiHH. OHa y3Haaa 3u 6 i» h hhmm, OrHH, H MpaKH, H flOMa-B e c b ropon Mot HeQOCTHJKHMHË — HenocTHHtHMaa calia. OHa napHT MHe nepcrem Bbiora aa to, HTO njiam moë hojioh 3Besn, 234

La vergine di neve

Venne da una selvaggia lontananza — notturna figlia di altri tempi. Non V’erano parenti ad incontrarla, non rifulse per lei l’orizzonte. Ma nella notte, sotto la tempesta, diede un fiévole grido nello scorgere la sfinge dal volto intaccato sulla Nevà gigantesca. L a bufera spargeva di stelle le sue spalle ed il petto e la vita, — ma lei sempre sognava l’Egitto nativo fra la nordica nebbia sbiadita. E la mia città ferrigna e grigia, tutta foschìa, mareggio, e pioggia, e vento, con una strana fede inesplicabile ella assunse a suo regno. Cominciò ad incantarsi delle moli assopite nel folto della notte, e alle finestre le serene lampade si fusero coi sogni della sua anima.

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Riconobbe il fumo ed il mareggio, i fuochi, e le case, e le tenebre — tutta la mia città incomprensibile — incomprensibile lei stessa. Mi regala un anello di bufera perché è pieno di stelle il mio mantello, 235

3SL TO, HTO H' B CT aSBH O ft KOat. TVre. Ha Konbayre — CTporai: KpecT.

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O H a r a a g i i T sane npHMO b o h h ,

XBajiH iiepoÔKoro Bpara. G n o j i e t e e x o h o h h o ë h o t iï

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17 OKimtSpst

236

1907

,

perché io sono in un giaco d’acciaio, e sul giaco è una croce severa. Mi guarda lodando il Dai campi irrompono

diritto negli occhi, nemico non tìmido. della sua gelida notte le nevi nel mio spirito.

Ma il cuore della Vergine di Neve è muto e mai non prenderà la spada, per tagliare con mano appassionata la cinghia dell’elmo d’acciaio. E d io, sempre munito’ di corazza, come capo di un avverso esercito, \ con un sacro tremore custodisco il sogno di abbracci trionfali. 17 ottobre

1907

H a npoBeji ßeayMHHfi ron

H a npoBen 6eayuH£ifl roa y in a e tfa aepHoro. 3 a Myra, sa HHH Tepsamifâ h HeBsron MO0X BOJIOC KacajiHCB pyKii, cMOTpaiH TCMHHC raasa» Humana c h h h h rposa. H H CMOTpiO. II CHHIÎM KpjFOM mou rjiasa oÔBeneHH. Oaa 30B6T neaa.TLHBiM apyroM. Ona pacœaaHBaeT chu . H b TeMHbifi Beaep, b Rosirai. seaep s a oKHaMM n pyaurrca Beiep.

II otom oHa KonaaeT npacTb h THxo cKnaRHsaeT npamy. H nepenma sa Tpertio crpauty MOH nepaaocTHaa cxpacTB. CMOTpio. Ile.iyio aepubni Boaoc, h b cepuue jibercH tcmhhm roaoc. TaK npoBOHty a nomi, riiii y inaeft$a aeBu, b thxoë sane. B KaMHHe VMepaii ormi. B oKHe fiucrpee 3annaca;m CHeHÎHHKH Ô U C T p u e --- H BOT, oaa B C T a e r . Ona y linei. Ona 3aBH3U0BaeT t\ to cBoft nepHHi menKOBHl nnaTOK, b nocneiHiifl pas aacttaer npyra, 238

E d io h o trascorso u n an no fo lle

E d io ho trascorso un anno folle presso uno stràscico nero. N ei crucci, nei giorni di torture e avversità le mani m i sfioravano i capelli, m i guardavano gli occhi tenebrosi, un’azzurra tempesta respirava. Anch’io la guardo. E di un azzurro cerchio sono segnati i miei occhi. E lla m i chiama amico sconsolato. Mi racconta i suoi sogni. E nella sera tenebrosa, nella lunga sera turbina il vento dietro le finestre. Piu tardi ella finisce d i filare e ripone il filato con dolcezza. E la mìa malinconica passione già la terza vigilia ha valicato. •La' guardo. Bacio i suoi capelli neri, la cupa voce mi si spande in cuore. Cosi passo le notti., i giorni accanto' a uno stràscico, in una muta sala. Nel cammino le fiamme sono morte. Alla finestra ballano piò rapidi rapidi spruzzi di neve — quand’ecco la fanciulla si alza. Se ne andrà. Ella annoda stretto stretto' il nero fazzoletto di .seta, accarezzando il suo amico per l’ultima, volta. 239

ßpocan JiacKOfiMfl: HaMCK. Ila e i. . . Ë e .nBHHtëHBS 'ÖucTpat, b (wax, TycKHca, racn y i ncii-pti, H s npMcnyiniïBaïQei. k ctvky CTeKJIHHHOH nBepu BflajxeKe, h k sauapaioiaeuy 3Byity yrjieß b noTyxmeM KaMejibKe. . . IToTOM -- OIIHTb Ôpocaiocb K flBepH, 6ery 3a neß. . . B Mopo3HOM CKBepe B3RHxaeT no aoponutaM Hoab. Ona raxoHbKo oraßaeT 3a KnyMÔofi KJiyMßy; OTCTynaer; to nofloôner, to irpaneT npoat». . . H aaJibHHß inyM noarn ne cnHinen, h ropoa cnHT, MoposHO numeH. . .

Jlmiib b B03flyxe Mopo3HOM — ryjiKO 3B6HHT marn. H y3Haio b HesepHou csexe nepeyjiKa mo» upeKpacHyio 3iieK>: oHa nonseT ns caera b c se ra , h BbercH m aeii$, Kan xboct kombth . . H» HacTiiraa» c hobhm wapoM menray efi nettunie caoBa, onßTb KpyjKHTca rojiOBa. . . ^aneKHM 03apeH noæapoM, a nepen He®, kok hhkhS 3sepb. . . CxynHT 3esaioiqaH nsepb, — H, CJIOBHO B 6e3flHy, b jioho hohh BCTynaeM mm. . . IIonteM Ham Kpyr. . . H Ôpen. H Mpan. Chhmt onn. 240

Lanciandogli un’affabile allusione se ne va... Le sue mosse sono rapide, si smorza il luccichio delle pupille. Ed io porgo l’orecchio allo stridore d’una porta a vetri in lon.tan.anza, e al suono dei. tizzoni che dilegua, nel. caminetto ormai, spento... Poi, di nuovo lanciandomi alla porta, le corro dietro... Nel gelido parco sospira lungo i viottoli la notte. Ella va pian pianino costeggiando le aiuole ad una ad una; retrocede; ora s’appressa ed ora scatta, via... E il lontano brusio non si disceme, la città dorme gelida e sfarzosa... Ma nell’aria glaciale risonanti echeggiano i suoi passi. Riconosco nell’incerto barlume d’un vicolo la mia serpe bellissima: ella striscia da una luce all’altra, ed il suo stràscico si attorce come coda di cometa... E , raggiungendola, con nuovo ardore le sussurro tenere parole, mi prendono di nuovo le vertigini.,... Rischiarato da un lontano incendio, io sto dinanzi a .lei come una belva... Sbatte la porta a. vetri spalancata, — ed entriamo nel grembo della notte, come in una ripida voràgine... Delirio. E oscurità. Brillano gli occhi. 24 i

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II ciioBa Benep. . , 21 OKmnôpA 1907

242

Sulle spalle fluiscono i capelli, onda di piombò piu nera del buio... Oh, notte di sponsali torm entosi!... Tum ulto di attim i. Fulgido sogno. Frenesia di abbracci inconcludenti, — e squilli dì campane mattutine : alla finestra gli angeli, si affollano a schiere dietro la tenda compatta, ma con noi è la notte — ubriaca, irniente... Si! La notte è con noi! Quella del giorno con un nuovo potere ora ci avvince, perché il giorno estenuato si consumi tutto nella passione tormentosa, — e lunghe ore, lunghe ore su di. noi la notte echeggia, sventolando le ali... E di nuovo' è la sera.., 21 ottobre 1907

243

Mjieonampa

OmpHT nanonTHKVM neqajibHHft oiHH, i p j r o l h Tperafi ros. Toanoio hbhhqë h HaxanobHoä cnenrau. . . B rpoöy iiapima jusex. Olia aeiKiiT b rpoßy ctckhhhhom, il ne Mep'TBa h ne n a ,

a jhohh mecrayT HeycTasrao o Heft ßeceTHHHHe caoBa. OHa pacKHHyjiacb aemiBO — HaaeK saß en», naseK ycHyn». . . 3 hch nerico, neToponaiiBO e t æaHHT bockobvio r p y st. . .

H eau, noaopHwt h: nposaHcmift, c KpyrauH chhhmh y rnas, npiimea BarjiHHyrb Ha npoÿnju» sastHiaft, H a BOCK, OTKpHTblii HaHOKaS. . . T c6h paccuaipEBaeT Ka«RHfi, ho,

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»



Aperto è il Panoptikum triste da uno, da due, da tre anni. Folla ubriaca e impudente, ci affrettiamo.. Nella bara la regina aspetta. Ella sta in una bara di vetro, né morta né viva, e la gente su di lei bisbiglia senza posa parole sfrontate. Ella si è distesa pigramente scordare e assopirsi per sempre... Lento e leggero, un serpente le morde il petto di cera... Io stesso, perverso e venale, con gli occhi cerchiati di azzurro, son venuto a guardare il profilo grave, la cera scoperta ed esposta... Ciascuno di noi ti contempla, m a, se la bara tua non fosse vuota, io sentirei piu d’una volta il fiero sospiro delle labbra imputridite : « Incensatemi. Spargete fiori. In tempi immemorabili fai regina in Egitto. Ma adesso .sono cera. D isfacim entòrPolverW r— « Regina!' T u mi bai affatturato! Io ero in Egitto' soltanto' 'uno schiavo',

a hh He cyjKHCHo eyifcöoio MHe ÖHTb ncoTOM h uapeM ! T h BimiiHib

Tenepb 11.3 rpoôa, HTO PyCB, K3K PHM, llbHIia TOOOÎÏ ? H to h h Lfesapb — SyfleM 0 6 a b Benax paBHH nepen cyrebSoft? » hm

3auoHK. Chotp» . Ona He chbiuiiit. Ho rpyjp» KortHincTCH ensa h sa npoaparaoü raanbio hhihiit. . . H cjmnry xiixiie esosa:

« Torna h HCToprana rpôsbi. Tenepb HCToprHy Htrynefl Bcex y nbHHoro noaia — cnean, y libano! npocTHTyTKH — eues ». 16

246

d e n rtp a 1907

ed oggi la sorte mi ha destinato d’esser poeta e sovrano! T u vedi adesso dalla tua bara che la Rus’, come Roma, è di te ubriaca ? Che io e Cesare saremo entrambi uguali nei secoli innanzi al destino? » Ammutolisco. Guardo. Ella non sente. Ma il petto palpita appena, respirando nel diafano tessuto... E mi giungono tàcite parole: •&Allora io suscitavo. le...tempeste. Ed ora ciò che di piu ardente io suscito sono le lacrime d ’un poeta ubriaco e il riso di un'ubriaca prostituta ». 16 dicembre 190?

f l MHHÖfiaH 3ÜK3 T SarpHHHË

f l MBHOBan 33K 8T ÔarpHIÏBIÎi, p n ai.1 cT poeH H S MHHOBan, BCTyHHJI B OÔMHIIM H T JM aH H , ---

OrHHMB MHe

C B e p K H ja BO KSaJI. . .

f l c^aBJieH saBK oli HejioBeHbei, e j p a n e o ttcchbh H a sa n . . .

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Kan nneHHHË paô — Ha naararaa. . . O lia npO'XOHHT — h n e BsritH H eT, npeHeßpeHteHHCM n a s i n i . . .

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248

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H o sorp assato il tram on to purpu reo

H o sorpassato il tramonto purpureo» file di 'costruzioni ho sorpassato, sono entrato fra inganni e foschie, — brilla per me di luci la stazione... Sono premuto dalla ressa umana, e per poco non respinto indietro... Ed ecco i suoi occhi e le spalle, e una cascata di nere pium e... E lla passa in un’ora stabilita, la segue un, nano, tirando lo stràscico... Ed io la guardo a lungo, innamorato, come uno schiavo in, catene, il carnefice... Passerà senza volgere le ciglia, castigandomi col suo disprezzo... E solo il nano non si stancherà di fissarm i con un sogghigno. tem u to Ì9 0 8

249

fl noMHio wiHTejifiHiae mjkii

fl noMHio jiaHTexiijHBie mvkii : Herat Roropana aa okhom ; ee 3anoMaeHHHe pyraa ayn» SpeaæanH b aiyae RaesHOM. B CH 3KH3Hb, HCHyJKHO MBHOïTaH, um ana, ymn-Kana, æraa ; a Tasi, K8K npaspaK Boapacian, Rem oSosHaaHji Kvncaa ; non oKoniKOM yHacraraeb npoxoHîHX SbiCTpbie inani; h b cepi.Dc Jiyæax pacxoRiumcb non; Kaixji'HMM rqskrh «pyra; h

H VTpO ROHJIOCb, RJIHJIOCb, RJIHJIOCb. . . h

n p asH H H Ë TH roTiui B o n p o c ;

mwero ne paapeiniiaoci. BeceHHHM nHBHe* SypHBix caca. h

i M apm a 1998

250

Io mi rammento delle lunghe pene

Io mi rammento delle lunghe pene: la notte si spegneva alla finestra; le sue braccia piegate rilucevano appena appena nel raggio del giorno. E la vita, sofferta inutilmente, torturava, bruciava, annichiliva; e, dilatandosi come un fantasma, segnò il giorno i contorni delle cupole; e si accrebbero sotto la finestra i veloci passi dei viandanti ; e nelle grigie pozze si spargevano cerchi sotto le gocce della pioggia; e la mattina durava, durava... e ci affliggeva una vuoto domanda; e nulla fu risolto dallo scroscio primaverile di impetoose lacrime. 4 marzo 1908

251

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cxennyio nain». B g tchh o m : n siM y ßnecHer c b h t o c 3H8 m h h xancKoß cadrai cranb. . . II BeHHHt ßoll lÏQKOi HaM TOJIbKO CHHTCH CKB03E KpOBb H nbOIfa. . . JlerHt, jieTHT CTenHaa Koßmnma h MHer KOBbinb. . . H HeT KOHqa! M enbitaior Bepcraf, Kpynn. . . OCTHHOBH1 HnyT, HayT HcnyraHHiie Tyrnr,

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252

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KpoBH ! II3 cepnna KpoBb erpyuTCH ! ILianb, cepnye, m iaai». . .

Sul Campo di K uli\òvo

Il fium e s’è disteso. Scorre, s’attrista pigro e dilava le sponde. Sopra la sterile argilla del giallo dirupo nella steppa s’attristano i pagliai. Oh, Rus’ m ia! Sposa m ia! Sino al dolore è per noi chiaro i l lungo c a m m in o ! Il nostro cammino con la freccia tartara dell’antica liberò ci ha trapassato il petto. Il nostro cammino è fra le steppe, nell’angoscia sconfinata, nella tua angoscia, o Rus’ I E nemmeno' la nebbia — notturna e straniera — mi spaventa. Scenda la notte. Giungeremo. Coi falò faremo luce alle steppe lontane. N el fum o delle steppe splenderà il vessillo sacro e l’acciaio della sciabola del chan... Eterna lotta! Solo in sogno la quiete ci appare fra il sangue e la polvere... Fugge, fugge la giumenta delle steppe, calpestando la stipa... E non c’è fine! Guizzano verste, greppi... Sforzati di fermarla) Vanno, vanno le nubi sbigottite, il tramonto è di sangue ! Il tramonto è di sangue! Fluisce sangue dal cuore! Piangi, mio cuore, piangi...

253

ïïokoh Hei I CTcniiaa Kofibumiia

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2 M h , caM-npyr, naa CTeni>K> b nomerai» ne BepHyrbCH, He BarnHHyn. Haaaa. 3 a HenpanBot Jiefienn Kproaira, h onarb, onaib o h ii u p ro ar. . . H a nvTii — ropioaiifi fien ai Kauern». 3 a peKOä — nora.Haa: opsa. C sernH l crar Haa HanrasiH noxtKSum He Bsurpaer fionbiue Hmtorna. H, K seiine ckhqhhbhihcb roaoBoio, roBopiiT Miie npyr : « 0 capii CBofl Men, aro fi' He napOM 6 iit i »ch c r a r a p s o i o , aa cBHToe peno ueprBMU neat I » H — ne nepBHii bohh, ae nocaeffHHft, aonro fiyaer pontina fiomBa. ITouhhb at 3a paHHeio ofieaneii Mina npvra, c B c n a a m ena!» 8 m o n a 1908

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home,

Koma Mauaft saner c opnoio crenii h mocth, TeuHOM none-fiumi mh c Toficrao, — pasBe roana T u ?

254

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N on c’è quiete! La giumenta delle steppe galoppa a rompicollo! 7

giugno 1908

2 N oi due sopra la steppa ci fermammo a mezzanotte non potevamo tornare, né volgerci indietro. D i là dalla Neprjadva i cigni gridavano, e di nuovo, di nuovo essi gridano... Sul cammino una bianca pietra ardente. D i là dal fiume l ’orda pagana. M ai più sopra dei nostri reggimenti esulterà il luminoso stendardo. E , piegando la testa verso terra, dice l’amico : «^Affila la tua spada, f per non batterti invano con'l’Orda dei 'tartari, j. pronto a cadere per la santa causa! » Non sonò il primo guerriero, né l ’ultimo, sarà a lungo la patria malata. Ricorda nella messa mattutina il dolce amico, rifulgente sposa ! 8 gugfto 1908

3 L a notte in cui M amàj copri con l’orda le steppe e i ponti, nel cupo 'campo noi eravamo insieme, — T u lo sapevi ?

riepeil ZtOHOM TCMHÜM H SHOBeiHlHM, cpeab HO'iHbtx. nojiett, cnHinan h Î boë rojioc cepaneM Ben&M b KpHKax nelïeaet. C nojiyHôaH TyaeË B03Hocnnacb KHaasecKaa paTb, h

BnsuiH, BjiajiH o erpesia ôanacb, ronocana Man..

H, aepTH a p y ra ,

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peana Baana.

A Haa PycbK) TBxae 3apHaau KHH3a cTeperna. Opnafi KJieKOT Han TaTapcKBM craHOM yrpoatan deaoô, a Henpaasa yßpanaeb TymaHOM, aro KHH?Kiia <J>aTO$i. H c TvManoM Haa H enpaaBofi cnaïaeË» npaMo Ha tu

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comma, b oaeacae cbct cTpyamefi., ne cnyrayB kohh.

CepeSpoM bohhh fînecayna apyry na cranbHou Mene, ocseiKHiia iibiatnyio K oatayry na MOCM nneae«

H Koraa Ha yrpo, Tyaett aepHofi, aBHHynacb opaa, 6bin b iqaTe T boh aaK HepyKOTBopabiô cseTen HaBCeraa. 14

256'

cuoHA 1 9 0 8

Dinanzi al Don funesto e tenebroso, in mezzo ai campi notturni, col cuore fatìdico udii la Tua voce nei gridi dei cigni. D a mezzanotte come nube si levò l’esercito del principe, e lontano', picchiando su una .staffa, singhiozzava una madre. Tracciando cerchi, gli uccelli notturni spaziavano lontano. E sulla Bus’ baleni silenziosi proteggevano il principe. Sopra le tende tartare un garrito d’aquile minacciava sciagura, la Neprjadva s’avvolse nella nebbia, come una principessa in un velo. E con la nebbia verso me scendesti sulla Neprjadva dormiente, in una veste che spandeva luce, senza spaurire il cavallo. Con Fargento dell’onda splendesti al tuo amico sulla spada d ’acciaio, rinfrescasti, il giaco polveroso sulla mia spalla. E quando, all’alba, come nube nera l’orda si mosse, nello scudo il Tuo volto imperituro riluceva per sempre. 14 giugno 1908

257 17

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D i nuovo con angoscia secolare si piegano a terra le stipe. D i nuovo oltre il fiume nebbioso T u mi chiami dalla lontananza... Sono fuggite via, sono scomparse le mandrie di giumente delle steppe, e selvagge passioni si scatenano sotto il giogo della luna scema. Anch’io con secolare angoscia, come un lupo sotto la lim a calante, non so che cosa fare di me stesso, dove volare dieta)' 'alle tue orme! Ascolto il rombo del combattimento ed i clamori delle trombe tartare^ vedo sopra Ja R us’ in lontananza un largo e lento incendio. In preda a un’angoscia possente, mi aggiro su un bianco cavallo... Si incrociano libere nuvole nell’aria brumosa notturna. Si levano chiari pensieri nel mio cuore straziato, e cadono chiari pensieri, combusti da un fuoco opaco... « Appari, mio mirabile portento! Insegnami ad essere chiaro ! » 259

Bammaercfl KOHCKan rpima. . . 3a BerpoM BSHsaiOT Me™. . . 31 m tuu 19 0 S

5 II MTjioH) 6eA HeorpaamttDE rpHaymnü Rem aaaojxoKJio. B

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SentSjU 1903

Si leva una criniera di cavallo... D i dietro al vento implorano le spade... 31 Ittđm 1903

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D i nuovo sul campo di Kulikòvo è. salita e s’è sparsa la nebbia, e, come d ’una nuvola severa, il giorno futuro ha velato. Dietro il profondissimo' silenzio, dietro il dilagare della nebbia '■ non si ode il tuono, non si vede il lampo del prodigioso combattimento. * M a ti riconosco, principio di sublimi e burrascosi giorni! Sopra le avverse tende, come un tempo, il guazzare e le trombe dei cigni. Il cuore non. può' vivere di quiete, non a caso si ammucchiano le nubi. Pesa l’usbergo innanzi la battaglia. La tua ora è giunta. — Mettiti a pregare! 23 dicembre 1908

261

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262

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Tacete dunque, corde maledette! A. Majkov

Siamo tra noi segretamente ostili, invidiosi, sordi, estranei, e invece come potremmo lavorare e vivere senza questa perenne inimicizia! Che fare, se ciascuno s’è sforzato di appestare la propria casa, e i muri sono tutti imbevuti di veleno, e non c’è dove volgere la testa! Nella felicità nessuno crede. Che fare! Vaneggiando dalle risa, ubriachi, dalla strada contempliamo il rovinare delle nostre case! N ell’amicizia e nella vita perfidii scialacquatori di vuote parole, che fare! Andiamo spianando il cammino per i nostri lontani discendenti! ’ Quando le ossa infelici marciranno sotto una palizzata fra l’ortica, qualche storico di epoche future scriverà un’opera considerevole... Così tormenterà quel maledetto ragazzi che di: nulla :son colpevoli con le- date di nascita e di morte e: con mucchi di brutte citazioni... 263

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Triste destino1— vivere una vita complessa, disagevole, pomposa, divenir patrimonio d’un docente, produrre schiere di critici nuovi... Piuttosto seppellirsi in mezzo all’erba, cadere in un eterno assopimento! Tacete dunque, libri maledetti! Io non vi ho scritti, non vi ho scritti mai! 24 lagìio 1908

265

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Fuori città crebbe un rione deserto sul suolo acquitrinoso e vacillante. Vi stavano i poeti, e si incontravano sempre con un sorriso tracotante.. Invano il giorno fulgido sorgeva su questo malinconico padule: il suo abitante consacrava il giorno al vino ed ai lavori diligenti. Ubriachi, si giuravano amicizia, ciarlando in modo cinico e mordace. Vomitavano all’alba. Poi, rinchiusi, lavoravano tòrpidi e con zelo. Sbucando dai casotti come cani, rimiravano il luccichio del mare. E con occhio sicuro si incantavano delboro d’ogni treccia che passava. Sognavano, accidiosi, il seco! d’oro, di concerto ingiuriando gli editori. E piangevano per un fiorellino, per1una piccola nube perlacea... Vivevano cosi, lettore e amico! Tu pensi forse tutto ciò sia peggio dei tuoi fiacchi conati quotidiani, della tua gretta e misera pozzanghera ? N o, mio lettore, mio critico cieco! Non foss’altro, per il poeta esistono

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268

e le trecce e le .nubi e il secol d’oro, ma per te tutto questo è inaccessibile!... T u sarai pago di te e dì tua moglie, e della tua costituzione monca, ma il poeta ha un’ubriachezza universale, non gli bastano le costituzioni ! Ch’io chiuda gli occhi sotto uno steccato come un cane, e la vita mi calpesti, — sono convinto : è Dio che mi ha coperto ■di neve, è il turbine che mi ha, baciato! 24 luglio 1908

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270

D i nuovo, come negli anni d’oro, strisciano tre logore imbrache, e le ruote dipìnte s’impantanano nei solchi delle strade sgangherate... Russia, m isera Russia, per me le grigie tue isbe, per me le tue canzoni al vento sono ; come le prim e lacrime d’am ore! S D i te io non so avere compassione, e porto con prudenza la m ia croce... Cedi la tua bellezza brigantesca allo stregone che ti sta piu a cuore! Che egli ti adeschi e ti inganni, — non ti. perderai, non perirai, e solo l’apprensioiie annebbierà le tue bellissime fattezze... Ebbene ? Per un affanno di piu, per una lacrima il fiume è piu fragoroso, ma 'tu sei sempre la stessa : foreste e campi, e fazzoletto a rabeschi fin sopra le ciglia... E l’impossibile si fa possibile, la lunga strada è lieve, quando in essa balena di lontano da un fazzoletto uno sguardo improvviso, quando con pena di carcere echeggia il sordo canto del postiglione!... Ï8 ouoi>re ISO®

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Inchiodato al banco d ’una bettola

Inchiodato al banco d’una bettola, sono ubriaco da un pezzo. Che m ’importa. Su una tròjka la m ia felicità in un fum o d’argento è rapita... Vola sulla tròjka, sì è sommersa nella neve dei tempi, nella distanza dei secoli... E inonda il cuore con la nebbia argentea che sprizza sotto ai ferri dei cavalli... Scaglia scintille nelle sorde tenebre, e tutta la notte, tutta la notte c’è luce... Un sonaglio balbetta sotto l’arco che la mia felicità è svanita... E soltanto la bardatura d’oro tutta la notte si vede... tutta la notte si sente... Ma tu, anima... anima sorda... sei follemente ubriaca... ubriaca follem ente... 26 ottobre 1908

273 18

0 HößjiecTflx, o noÄBHrax, o « r a se

0 HoßjxecTHx, o nouBHrax, o cjiaße a 3aöbiBaa aa ropecraoft 3eMJie, Korsa TBoe nano b npocTOÄ onpaBe nepeno mhoS chhjio aa done. Ho aac Hacran, a th ynuia H3 flOMy. H öpocan b aoab 3aBCTHoe kojibho. T m OTnajia cboïo cyjgböy itpyroiny, h a saSun apeapacHoe naaö. JleTejia HHH, Kpyracb npoKMTHM poeM. . . B hho h crrpacTb -repsajiH acH3Hb moio. . . H BcnoMHHji h Teßa apen ananoeM, a 3Baji Teßa, Kan Monojtocrb cbok>. . . H 3san Tefia, no tm ne oraauynacb, h cnesH JiHji, ho th He CHuaonraa, T h b chhiiFi im am neaaJibHo saBepäyjiacb, B CHpyiO' HOHB TH H3 flOMy JHIJia. He SHaio, nte npiuoi cfioeft ropabiHe th ,

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274

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Le prodezze, le gesta, la gloria

Le prodezze, le gesta, la gloria dimenticavo sulla terra afflitta, quando il tuo viso in una semplice cornice risplendeva dinanzi a me sul tavolo. M a giunse l’ora, e andasti via da casa. Io gettai nella notte il caro anello. A ffidasti ad un altro il tuo destino, ed ho dimenticato il vago viso. Sciame esecrato, volavano i giorni... Vino e passione mi straziavano la vita... T i ricordavo davanti all’altare, e li chiamavo come la mia giovinezza... Io ti chiamavo, ma non ti volgesti, versavo lacrime senza commuoverti. Mestamente ravvolta in un mantello turchino, te ne andasti nell’umida notte. N on so dove il tuo orgoglio abbia trovato, m ia diletta, m ia tenera, un rifugio... N el sonno profondo rivedo il mantello turchino, con cui te ne andasti nell’um ida notte... N on sognerò piu tenerezza e gloria, tutto svani, passò la giovinezza! Con la mia mano ho tolto via dal tavolo il tuo viso nella semplice cornice. SO dicembre 1908

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OnycTHCfc, 3anaBecKa jiKHsna»,' Bä. öoabHtie repaHii moii. CniHb, puraHCKaa » hshb HeÖuBajian, nöracH, coiikhh o*m tboh! T h JIH , HCH3HB, M O » ropH H H y 'CKJHHJK) yöiipajia CTemiMM KOBiine:«! T h jih , jkiishb , mo» coHB HenpoßyHHyio aeneHÓM oTpasnfljia bhhom!

Kau: UHraHKa» naaraaMH yaopHUMH paccTEJianacfl th npeno mhoh, oä-jih: Koca.Mii nccHHH-nepHHMH, oö-jiii Öype.1 cTpacTcö orseBoä! H tO ptmajIOCB MH6 B fflOnOTe, B 3ä6tITbH, HeaéMHHe jib Karae CJioBa? CaM He cboS tojibko 6un a , ßes naMHTH, h

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HII OrHH, HH 3Be3HH, HH HyTH. . . H Koro Hejioßaji — He moh Buna, th , KOMy oöemajica, — npocTH. . . SO denaöpa 1908

276

Abbassati, tendina scolorita

Abbassati, tendina scolorita, sui miei gerani m alati. Scom pari, falsa vita zingaresca, spegni, serra i tuoi occhi! E ri tu, vita, a ornare la m ia squallida camera con erba della steppa? E ri tu, vita, a mettere il veleno d’un verde vino nel m io plumbeo sonno? Zingara dagli scialli rabescati, eri davvero tu che ti stendevi dinanzi a me con trecce azzurro-nere, con ardente burrasca di passioni? Che cosa io bisbigliavo singhiozzando nel deliquio, parole non terrene? Ero fuori di me, privo di sensi, con la testa che mi turbinava... I Bruciata è la mia steppa, l’erba è a. mucchi, | . non un fuoco, né una stella, né una strada... I Se ho badato qualcuno, non ne im colpa, ■i tu a cui mi ero promesso, perdona...

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30 dicembre 1908

277

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Ilae.M n:o HtHHBbio, ne enema, C TO0OIÖ, Hpyr MQ'fi. CKpQMHHÌf, h HBÄHBaeTCH jiyina, KaK b ceubCKofl: neprasn tcmhoë. Ocemnat nenb bhcok h thx,

nnmb cjihiiiho — Bopon rnyxo 30BST TO'Bapaniet cboiix, l a Kainaaei ciapy xa. Obiih paccrenex bhskhâ hmm, h nonro non obhhom MH BBOPOM npHCTajIbHHM CJieUHM 3a nëTOM «ypaBfflHHHM- . . JICTHT, JI6THT KOCHM yrJIQM, BOHtaK 3B6HHT H IBiaTOT. . . O TOM 3B6HHT, O' TOM? O TOM? Hto nnan occhhiiü anaaiiT? •H HE3RBX HHIHHX. nepeBBHb He ctoctb, ne CMepuib okom, H CBCTHT B nOTCMHeSUIIlÜ R6Hb KocTep b nyry naneKOM. . . O, Hamas moh c-Tpaiia,

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278

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1909

Un giorno d'autunno

Andiamo per le stoppie senza fretta insieme, mia semplice amica, e l’anima s’effonde come in una tenebrosa chiesa di campagna. Alto e placido è il giorno d’autunno, si sente solo la voce del corvo, che chiama sordamente i suoi compagni, ed una vecchietta che tossisce. Un seccatoio distende basso il fumo, e a lungo, a lungo sotto il seccatoio noi seguiamo con lo sguardo intento il volo delle gru... Volano, volano ad angolo sghembo, la guidaiuola garrisce e piange... Ma che cosa esprime il suo garrito? Che vuol dire quel pianto autunnale? Ed i bassi miseri villaggi non puoi contarli né commisurarli, e risplende nel giorno imbrunito in un prato lontano un falò... O misera mia terra, che significhi tu per il cuore ? 0 povera mia sposa, perché piangi amaramente ? 1

gennaio 1909

279

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lion HiyM II 3 BOH OnHOOÔpaSHUâ, non roponcnyio cyery a yxoHty, nyiiroro npaBRHMft, b Mcxeitt, bo Mpa.K h b nycTOTy. f l oSpHBaK) HHTb C0 3 QaHbH li saSHBato, 'ito 11 k r k . ...

KpyroM — cnera, TpaHBan, anam a, a Bitepcjui — ormi h MpaK. Ht Ó, eCKH H, 8 aB0 p 0 JKeHHH&, C0 3 HaHbH OßopBaBmill HHTb, sepHycb romoS. yHHHHHceHHbrä, — tèi Momenib m Mena npocrarrb? T h , 3 Haioma.a n a m a e i pera: nyTeBORHTOIbHHi MaHK, IipOCTiniIB UH MH6 MOH MBT6 JIH( noi. Open, no38HK) n apai-;? I t o . Moatenib nynne: ne npoipaa, ÔynHTb MOH KOHOEOJia, ptoóm pacnyTHpa noaiiaa OT po«HHH ne yBena? 2 (jSeepajCR 1909

Sotto' un fragore e un tintinnio monotono

Sotto un fragore e un tintinnio monotono, fra gli echi del trambusto cittadino io me ne vado con l’anima oziosa nella tormenta, nel vuoto e nel buio.

10 spezzo il filo della mia coscienza e dimentico che cosa e come... Nevi,, tram, edifici, dintorno, e dinanzi oscurità e fanali. Che sarà di me se to, stregato, spezzando il filo della mia coscienza, tornerò a casa neiFumiliazione, — ■tu. potrai perdonarmi ? Tu, che conosci del lontano scopo

11 faro che addita la strada, mi perdonerai le mie tormente, il mio delirio, la poesia e le tenebre? Oppure meglio : senza perdonare, puoi risvegliare tu le mie campane, perché i meandri fangosi della notte non mi portino via dalla mia patria? 2

febbraio 1909

281

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y » BC'iep CBCTHOt IIÖÄ0 C010 na xjiaflHHx pejiBcax Aóropattr T u, cTpoftHan, c Tyrol kocok) nponria no nepHHM naTHasi irnian. Tsofl ÖucTpuft B3 op oraeM hokjthhhm MCHH OÖHCOr H OCJieiIHJI. MrHOBeHbe. . . rpoMOM 0 HH0 3 BynHUM Hac nepHuii noeafl pasnejiHji. . . Koraa ate nyrb apoatamsM 3 bohom nponejiH peubcu: ne 3 aöypn>, h ceHaÿop oraeM seaeouM MHe yna 3 aji cboGoahuh nyrb, — yat tu aaaëKo yxonHna, yace Tepama dibot TpaBa. . . Tau Î1M3ÏÏJ B3 BHJiaCB, TaM HOHb BCTyiIHJia ß CBOH TyuaHHué npasa. . . TpeBOJKHul cBiiCT h Kjiyßn nuua 3a noBopoTOM uà rope. . . Hanpaenufi mht, nponnuBinmi mhmo. . . OroHb senemii: uà 3 ape. 1 Mapma 196S

282

Ormai la sera come striscia lucida

Ormai la sera come striscia lucida si spegneva sui gelidi binari. Snella, le trecce tese, percorresti le nere macchie delle traversine. Il tuo rapido sguardo come un fuoco fastidioso mi arse abbacinandomi. U n istante... con strepito monotono un nero treno ci divise... Quando con suono appena tremolante cantarono i binari: non obliare, ed il semaforo con luce verde mi indicò che era libera la strada, — tu ti. eri ormai allontanato, ormai l’erba perdeva colore... S ’era alzata la polvere, la notte entrò' nei suoi diritti nebulosi... Un fischio inquieto e vòrtici di fumo dietro la svolta sul monte... Un inutile istante dileguato... Una luce verde nel crepuscolo. I marzo

1909

283

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Beceaantt nera npomeji 6ea aeita y HeyMUToro o ra a ; CKysana sa ctchoh h nena, KaK nraqa ruieaHan, HteHa.

H, He enema, coöpan öeccTpacTHo BocnouHHaHbH h nena; h ciano 6ecnoma«HO hcho; HtH3Hb npomyMejia h ymna. Eme BepHyrcH mlicjih, cnopH, ho 6yneT CKyrao h tcmho ; K neMy cnycKaTb Ha OKHax urropH? AeHì. aoropeji b Hyme gasHo. .darmi 1909

284

Il giorno primaverile

H giorno primaverile è trascorso nell’ozio accanto alla finestra non lavata; s’annoiava e cantava dietro il muro, come un, uccello in gabbia, la mia sposa. Senza fretta ho raccolto' indifferente le ricordanze e le faccende, ed ecco ho visto con chiarezza inesorabile che tumultuando la vita è passata. Si avranno ancora dispute, pensieri, ma sarà tutto fastidioso e tetro. A che scopo abbassare le tendine? Nell’anima da tempo il giorno è spento. mano 19Ò9

285

Kanaa nusHaa ttapTHHa

K an aa HHBHaa KapTHHa TBOH, o, ceaep moö, tboh ! B eeraa 6ecnnoHHaH paBHHHa,

nycTaa, KâK Mcnra moh! 3aecb nyx moA, bjio6hh A h ynopHuA, TpesoatHT CMexoM THinHHy; H, OTKJIHKaaCb, BOpOH qepHbift KaaaeT MepTByio cocny; BHii3y KJioKoayT BOHonajpj, Tona rpajHHT h Koproi jtpeB; H Ha KaMHHX nOIOT HaHflH ôecnonHH rnMH 6e3MymHHX nee; 8TOM ryne boh xojiohhhx, B nOCTHUIOM KpiIKe BOpOHbH, h b

nos pHßbHii BsopoM Hea ÖecnnoHHtix THXOHBKO TJieCT 3HH3Hb MOfl! .«caput 1 S09

Che quadro sorprendente

Che quadro sorprendente è il tuo, mio Nord, il tuo! Una pianura eternamente sterile, vuota come il mio sogno! Qui lo spirito mio, tenace e astioso, turba con. una risata il silenzio; e, facendogli eco, un nero corvo dondola un pino esànime; le cascate gorgogliano rodendo le radici degli alberi e il granito; e sugli scogli cantano le nàiadi un inno senza sesso1, da zitelle; ed in. questo fragore d’acque fredde, nel grido detestabile dei corvi, sotto gli occhi di pesce delle sterili si consuma pian piano la mia vita! mano ISO?

287

Paeenna

Bcë, HTO MHHyTHO, BCë, 'ITO ÔpôHHO, noxopoHHjia

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T u, KaK MaiafleHen, cnniiib, PaseHHa, y 'COHho« bbtoocth b pÿKax. PaÔM GKB03B pHMCKMC BOpOTa yate He bbo3ht M0 3 aÉK. H noropaeT no3 onoTa b CTeHax npoxjiaHHbix 6 a 3 HJiHK. Ot uenneHHux iroSaaHHit Bttara Heamee rpyßbiä cboh rpoéuHq, m e 3 ejieHeioT capKo^arn CBHTMX MOHaXOB H UapHH.

EesuojiBHU rpoßöBHe 3a,iu, TCHHCT H 'XaajteH HX. nop'OT1, hto'6 aepHHi B3op 6aaateHHot Tannu, npocHyBnuici., KaMHH He npoatef.

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Ravenna

Tutto ciò che è fugace e perituro nei secoli da te fu. seppellito. Come un bambino tu. dormi, Ravenna, in braccio all’assonnata eternità. Per le porte romane umili schiavi ormai non ..introducono mosaici. Si va. spegnendo ormai l’indoratura sui muri delle tue fresche basiliche. I lenti baci dell’umido rendono più delicata la ruvida volta di cripte in cui verdeggiano sarcòfaghi di monaci santi e regine. Silenziose le sale sepolcrali, ombroso e freddo il loro limitare, che il nero sguardo della beata Galla non infiammi, destandosi, la pietra. ' Della mischia guerriera, e dell’oltraggio è cancellata l ’orma sanguinosa, che la risorta voce di Placidia non canti le passioni dei vecchi anni,.

S’è ritirato in lontananza il mare, e le .rose circondano il bastione, che Teodorico dormiente in un feretro non. sogni la tempesta della 'vita. Ed i deserti coltivati a vigne, case ed uomini — tutti sono tombe. 289 19

Jinan. Menb' TopHcecTBeaaôft Hararaa neuer Ha njnrrax, ksk ïpyda. Jlimib B' npiicTajibHoii

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Baope

paseHHCKHx aeByinéK, napoli, neTOHi o HeBOBBpäTHöu nope npoxojpHT poÖKOÖ qepeaofi.

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TeHb ^airra c npo^Haeu opjmnHM o HoBofi ÎKH3HH MHe noer. M a ü — morn» 1909

290

Solo il bronzo di un aulico latino sulle lapidi canta come tromba. Solo nel fisso e taciturno sguardo delle ragazze di Ravenna, a volte, la tristezza d’un mare irrevocabile trascorre in. una timida vicenda. Solo a notte, chinandosi alle valli, enumerando i secoli futuri, l’ombra dì Dante dal profilo d’aquila vien cantando per me la Vita Nuova. magg/o-g/ueio 1909

Beneiiun I

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yxonsui h b >iope, HOKHnail h 6eper, h 6ï>m HaaëKO, saßira: a 6jih3khx . . .

O, KpacHHl napyc b 3ejieHoft nana! HepHufi cxenniipyc na TCMHOt marni 1 H hct ct cyMpa'iiioü oÔchhh, H6T B cepme KpOBH. . . XpiiCTOC, ycTaBinEft i;peer iiecra. AapuaTiiHecKoil ji» 6 obh — Moeit nocnejpeft — IipOCTII. npOCTHl S MOS 1909

2 XonoKHHft BCTep oT jxaryHH. FoHHoa ßesMoaBiiue rpoôa. H B 3 Ty HO'ih-- ÔOJIMOft H fflHHft npocrepT y ntBHHoro cxoaQa. Ha Sanine, c ïicchh» 'qyrjHHot, raraHTBi 0mot iionnoaubift aac. MapK yronnn: b aaryiie JiyHHoft ySOpHHË CBOÜ lIKOHOCTaC.

292

Con lei me ne .andavo nel mare, con lei abbandonavo la sponda, con lei me ne stavo lontano, dimenticando i miei cari... La rossa vela nella verde lontananza! L a nera, conterfa sul cupo scialle! Torna dalla messa tenebrosa, nel cuore non ha piu sangue... Cristo ormai stanco di portar la croce... !

L ’adriatico amore — mio ultimo amore — perdona, perdona!

? maggio 1909

2 Un vento gelido dalla laguna.

Silenziosi fCTëffi~gr M 8dôlër Stanotte io sono steso — infermo e giovane accanto alla colonna, del leone. Con un canto di ghisa, sulla torre, battono i giganti, mezzanotte. Nella laguna della luna, .annega San Marco la sua adorna iconostasi.

B Tenu ïPiopiKOBiOË. raimepen, 'lyTt oaapeHHatt aiyfioi, Tâacb, npoxoHHT Cänöiiea c Moet KpoBsuBofl roaoBot, Bcë CÏÏHT — HBOpiXH, KaHSHH, JIKWH, jihihb nprapaKa 'CKOJibsainHft mar, jihihb roiiOBa Ha aepno:* ßjiitwe rnaaiiT c tockoë b onpecTUbiii MpaK.

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CnaSeer « hshh ryji ynopHtii. . yXORHT BCIMTB npHJIHB 3 a 5 oT. H HeKiift BCTp ckbobb ôapxaT aepHHft O JKH3 HH ÔynymeË noeT.

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KaHËQHOfi H65KHOË 'CJiyX INISHH, o x e n rp «H y iH H Ë c k b q 3 b n a n e B H

y » e npejpiyBCTByeT Mena?

294

N ell’ombra della galleria ducale, appena rischiarata dalla luna, furtivamente passa Salomé, recando la mia testa, insanguinata. Dorme la gente, i palazzi, i canali, solo il passo slittante del fantasma, solo la testa su quel piatto nero guarda mesta la tenebra dintorno. agosto 1X 9

3 Si attenua l’ostinato fragore della vita. Si ritrae la marea delle inquietudini. Ed un vento 'tra il velluto nero canta della futura mia esistenza. Forse mi desterò' in un’altra patria, -...magati in questa terra tenebrosa? E a volte mi accadrà 'di sospirare con la memoria questa vita in sogno? Chi sarà a darmi vita? Il nipote d’un doge, un mercante, un pescatore, o un prete dividerà il suo letto nelle tenebre future con la mia futura madre? Forse, affascinando il proprio udito col soave canto d’una veneziana, il mio futuro padre fra gli accenti, di. quel motivo già mi presagisce ?

295

H HeyjKejii»

b rpaiymeM Bene MJiaieHny mhc — bcjiht cyflbCa anepBbie apornymime s e r a OTKP'HTB y abBHHOro CTOnÔa?

MaTb, HTÓ noK'T rjiyxae CTpynti? Y m TH MCHTaeniB, MoæeT ôhtû, M6HH OT serpa, ot aaryHH CBHmenHoâ maatio orpajpmb? H bt ! Bcë, BTo ecu»,

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Mctth, BHneHbfl, JtyMH — npoHb ! B o rn a BOSBpaTHoro npiiairaa Ôpocaer b fiapxaTHjio ho'ib ! 26 aezycma 1909

2% .

E non forse nel secolo venturo a me bambino ordinerà la sorte, di schiudere le palpebre tremanti accanto alla colonna del leone? Madre, che cantano le àfone corde? Forse tu stai già fantasticando di proteggermi con un sacro scialle dal vento e dalla laguna? N o! Ciò che esiste, che è esistito — è vivo! Visioni, fantasie, pensieri — indietro! L ’onda dell’alta marea che ritorna li scaglia nella notte di velluto! 26 agosto 1903

297

0jtopmqua I y jip H , OnopeiimiH, Myna,

HCTG3HH B CyMpaK B6K0B0&! H b qac jiio6bh tc6h sa6yxy, b qac CMepTH 6yny ne c toóoìì • O, Bella, cueäCH nan coóoio, yjtt ne npeKpacHa Sojiwne t u ! F hiuioë MoptmiHoii rpoßoBO'H) HCKaHCeHH TBOII BepTH ! XpnnHT TBOii sbtomoShjih, TBOII 3rpOH']IHBH BOMS, BceeBponeiiCKOii ateaiTott hmjih tbi

npenana eeßn calia !

3 b 6hht b hkdih BejiocHnefflH TaM, rue cbhtüë mohbx cojkäch, rue Jleonapno cyMpaK Beaaa, Beato CHHJicH chhmë coh ! T h nHfflHHX Ménirael TpesoacHinb, TH TQiraeilDb JIIOIHH CBOII,

HO BOCKpeCHTb CeÖH He MOHtenib b nBinii ToproBoft TOJineii ! THyeaBoi mbcch ctoh hpothhöhhü Tpynnui 3anax pos b itepmax —

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rpv3 Toeiai MHorooTaiKHufi —

CriIHB B OHHCTHTeHBHHX BCKax! MXÜ— ElîOHb 1909

298

Firenze 1

Muori, Firenze, Giuda,

svanisci nelle tenebre dei secoli! T i scorderò nell’ora dell’amore,

non sarò teco all’ora della morte ! O Bella, deridi te stessa,

hai perduta .l’antica leggiadria! D a una putrida grinza sepolcrale sono alterate le tue fattezze! Ansano le tue automobili, mostruose sono le tue case,

alla gialla polvere d ’Europa tu stessa ti sei consegnata,! Tintinnano i bicicli nella polvere là dove fu bruciato il santo monaco, dove Leonardo scrutava le tenebre ed il Beato- sognava azzurri sogni!! Tu impensierisci gli sfarzosi Medici, vai calpestando i tuoi gigli, ma non puoi rianimarti nella polvere di' questo pigia pigia mercantile! Gèmito strascicato d ’una messa nasale e odore cadaverico di rose nelle chiese —■ peso smisurato dell’angoscia — dissolviti nei secoli purificatori! maggio-giugno 1909

299

2 © ttO p e m a iH , TH HpHC HCJKHHfl;

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KOM TOMHJICH H OHHH

.TUOOOBBK) HHHHHO'fl, OeSHaUC/KHOn,

Becs neat b. nwaii tboîix Kaman? O» cnajfKO BcnoMHHTB oesmme/KHOCTb : Me«ITaT& H ÎKHTb B TBOCÜ iv iv u n i ; yËTH B TBOfi KpeBH H Ë 3HOË H B Q6 HCH0 CTB C Boeii C T a p e jo m e i: H y m n . . .

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H a u p a sn y îH T b C H ,

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TBOfi HHMHBlfi. HpHC 6 yHfiT CHHTbCH, K&K lOHOCTb paHHHH MOH. ZUQtKb

1909

3 CrpacTbio HJiHHHofi, SesMHTeatHofi aaHHJiacb atyma moh, HpHC HHMH H H , HpHC HeJKHHË,

ÖJiaroBOHHÄ cTpya, n e p e n a w T i. s e m i b ce p e r a

na B0 3 n y n iH H x napycax, yTOHyTb B é a r n B a s e r a b

T e x BeHepHHX. n e Q e c a x ,

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» o r n a npenaM CH s u o r a ,

ronyßofi se^epirafi s n o f i B ronydoe r o n y S o io yiieCCT MCHH BOJIHOfi. . . UIOM» 1909

300

2

Firenze, sei un’iride soave. Per ehi tutto il giorno ho languito di un. amore lungo;, disperato nella polvere delle tue Cascine? Oh, è dolce ricordare lo sconforto : sognare e vivere nei tuoi recessi; ridursi nell’antica, tua calura, nella mitezza del cuore" che invecchia....

Ma è destinato che ci si divida, e attraverso lontane contrade sognerò le tue iridi fumose, come la mia prima giovinezza. giugno 1909

3 Una lunga, placida passione al mio animo s’apprende, l’iride fumosa, iride soave, .rivolo di fragranza, mi ingiunge di passare tutti i fiumi con vele gonfie d’aria,. mi ingiunge di sommergermi per sempre in questi cieli vespertini, e quando mi sarò abbandonato alla calura, la calura azzurra della sera. mi 'trascinerà via con un’onda. azzurra nell’azzurro... giugno 1909

301

4

JK ryr pacKarieuHbie khmhh MO0 jmxopaaoHHua B3rnan.

JTmmhwp. iipHCH b nnaineHH, cJioBHo ceßaac ynerar. O, 6e3HCXÔRHOCTB n«â3IH, BHaio TeÖH HOiiaycTbl B qepHoe HeSo Efraaim nepHot Hynio'K) raaæ ycb. lo o m 1909

5 Oroaa jioHmwe Hâ He6e nepnoM, H npo/KCKTop Ha npesHCM aBopue. B ot npoxoiHT olia — bch b ysopHou H c yjïHÔKOl Ha cuyrjioM aime, A BBHO yat MJTHT MOH B30pH h no ÄHjiaM othcji paaaHftocB. . . 9mo Mue cneim a amom ee>iep, cumopa? Mm cnemb, *tmo6 flan, caadm cnanocb? warn, 1909

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jićhh

HOOTST HtepKOĐHHC CTJHeHH, KBeTyT HepaaóCTHo insérai. 302

4

Bruciano le pietre incandescenti il mio sguardo febbrile. Fumose iridi in fiamme sembra che stiano per volare. Oh, desolazione irrimediabile, io ti conosco a memoria! Nel nero cielo d’Italia mi specchio con l’anima nera. giugno 1909

5 Finestre di logge sul nero cielo, e un riflettore sul palazzo' antico. Eccola, passa, adorna di rabeschi, con un sorriso sul volto abbronzato. Ed il vino già intorbida il mio sguardo, come fuoco dilaga per le vene... Che debbo cantarvi stasera, signora,

perché siano dolci i vostri sogni: giugno 1909

6 N ell’accidia del caldo fiorentino sono piu poveri i tuoi sentimenti : tacciono gli scalini delle chiese, senza gaiezza germogliano i fiori. 303

TaK ôepern ocxaTOK HyBcma. XpaHH xoTi> TBop’iecKyio jiohcb: nmiib b jxerKOM aenHOKe HCKycciBa ox CKjKH Miipa yniiHBenib. 17' Atra 19 a U

7 ronydoaaTHM hhmom BeqepHHË 3 HOË. B0 3 H0 CHTCH, HOMME TOCKâHCKHX Eapb. . . Oh MEMO, MH'MO» MEMO nerynefi ivmrmhio ÔpociiTCH non ynMMHHfi ÿosapb. . .

H bot yace b aoniniax HecMeTHHË coHM. o ra c i, h bot yæ e b BiiTpiniax OTBCTHWË Ô.ieCK KaMHCfi, H ropon CKpHHH ropH b CBOli cyaipaK m jiyß ol, H TemaTCH CHHbOpbl KaHHOHol naoicqaHHOË. . . 3 bDIlITCH nblJIbHHË IipiIC, M jierKoli nenoü nemrrcH 6 oKa.T XpncTOBbix 'Gn:e.3 . . .

ILramH h doh ha nape, OjiopemviH, iisMemiima, b BCHKe cnaneHHHX posi ......

304

Risparmia un brìciolo di sentimento, conserva almeno la bugia creativa: solo nel lieve battello dell’arte potrai salpare dal tedio del mondo'. 1.7 maggio 1909

7 Con azzurrognolo fumo il caldo serale s’innalza, re delle valli toscane... Sfiorandoti senza indugiare, come un pipistrello si lancia sotto un lampione di strada... Ed ecco già nelle valli una gran folla di fuochi, • e nelle vetrine in risposta un luccicare di gemme, celano le montagne la città nelle loro tenebre azzurrine, ed i signori traggono diletto da una canzone triviale... L ’iride polverosa esala fumo, e spumeggia d’una lieve spuma un boccale di Lacrime di Cristo... Intreccia balli e mettiti a cantare al banchetto, Firenze traditrice, con la ghirlanda di rose bruciate!...

305 20

Cbcrh c vira KaimoHQt o npeiaHHOË jik>6bh , h cnejiaË HOHb Secco imo it. H CTpVHH o S o p B H , h

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p a n a m a Tau! B nycTUHHOU nepeyjiKe

cKopßiiT ayuia tboh. . . a e sy c m 1909

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306

Fammi impazzire con una canzone intorno a un amore fedele, e rendi insonne la notte, e strappa le corde, e percuoti il tuo tamburello sonoro, nascondendo i singhiozzi! In un deserto vicolo s’affligge, s’affligge la tua anima... agosto 1909

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B MHMKMieTHHX MCHÖHaxl K an panocTHO npenancH jichh, HOHyBCTBOBäTB, KSK B JKHJiaX KpOBB aepeiŒBaeTCH nesyae, ßpocaiomyio b map aioSoBb noûBiaTB sa tvhkoio jicxyaei, h rpeanTb, ßyjpo « hshb canta BCTâCT BO Bcell HiaMHäHCKOM ßnecKe, b MypHHKaromeM hcjkho ' ipecKe Miiraiomero cinéma! Â aep es rc a —

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Ha n oaoine

a e p ru «jipaimyæeHKii npeaccTHOü ! . , iifOHb 1905.

308

Foligno

L ’a r te è u n f a r d e llo

L ’arte è un fardello sulle nostre spalle, però come apprezziamo, noi poeti, le fuggevoli inezie della vita!

È dolce abbandonarsi alla pigrizia e sentire nelle proprie vene il melodioso scorrere del sangue, cogliere dietro una fugace nuvola un amore che suscita le fiamme, e immaginare che la vita sorga in tutto il suo splendore di champagne nel delicato crepitio Tonfante d’uno sfavillante cmémal E un anno dopo all’estero: stanchezza, una città, non conosciuta, folla, — e sullo schermo novamente il volto d’una francese adorabile!... giugno 1909. Foligno

309

B c ë 3TO 6 h h o , 6 m jio , SbIJIO

Bcë aro 6tuio, 6wno, Shjio, CBepniBuicH aneft KpyroBopoT. Kanaa nomi,, KaKaa croia Te6a, npomeninee, BepHCT? B qac yrpa, hhcthë h xpycTajibHHü, y CT6H MoCKOBCKOrO KpeMJIH, Boeropr nymn nepBOHaaanbHHÜ BepHer jim muc moh seroia? Mjib b hohè aa ïïaex y , Han Hesoro, non BerpoM, b CTyaty, b jienoxon — ciapyxa HHxqaa kjhokoio MO'fl îpyn cnoKOfiauä meBenbHèT?

li:ih na BoajiloôJieHHoft nomme non nienecT ocbhh cenofl ime lejio b aomneBOM TyMaae pacKJiiôeT KopmyH mohosoö? Hjib npocTo b aac tockh Ôe33Be3HHo0, B K3KHX-T0 HeTHpeX CTBHaX, C HeOÔXOKHMOCTbK) 5Kejie3HOÎÎ ycny Ha Seau x npocTHHax? H B HOBOË JKH3HH, HenoxoaîeË, 3 a 6 y n y n peatH ioio M erry , h

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n o a te ô ,

K3K mierae noMHio KajiHTy? 310

Tutto questo' è stato, è stato, è stato

Tutto questo è stato, è stato, è stato', s’è compiuto il vòrtice dei giorni. Quale forza mai, quale menzogna potrà farti tornare, passato? In un mattino terso e cristallino, lungo le mura del Cremlino a Mosca, potrà forse ridarmi la mia terra il primordiale entusiasmo dell’anima? Oppure a Pasqua, sopra la Nevà, sotto il vento, nel freddo, nel disgelo, una misera vecchia con la gruccia rivolterà di notte il mio cadavere? O sulla mia radura prediletta allo stormire del canuto autunno un nibbio giovane verrà a beccare nella nebbia piovosa il .mio corpo ? O solamente in un’ora di angoscia priva di stelle, fra quattro pareti, con una ferrea legge ineluttabile mi assopirò fra candide lenzuola? E in una nuova, dissimile vita mi scorderò dei sogni, precedenti, e mi rammenterò dei dogi, come adesso mi rammento Kalità? 311

Ho Bepio ■*—ne npofiner SeccjiegHo B C ë , '*ÎTO T3K CTpaCTHO H IIIQÒHJI, se c t Tpener aio # hchshh ÖeRHot» B e e l. 9TOT HenOHHTHHfi H H H 1 aasgem H05

312

Ma non sarà passato senza tracce tutto ciò che ho amato con passione, il palpito di questa vita povera, tutto questo fervore inesplicabile! agosto 1909

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Bcë, Bcë oÖMan, ceibtM TyuaHOM noraer neaajib yrpioMbix MecT. H enb KpecroM, KpecTOM ßarpaHbiM KjxaneT Ha aajib B03nyuiHbrü KpecT. . . Iloapyra, Ha BeaepHeM nnpe, nöMeÄHH snecb, no6ynb co mhoë. 3 a6ygb, 3a0yjp> o crpaniHOM Mnpe, B3H0XHH HeCecHoË myfiHHoË. 'Gmotp'H e 'neqanbHoio ycnagoB, Kan b CBCT 3apn BHonsaer jpin, H orpa&y Teßs orpajoii —‘ KQJIbltO'M 03 pyK, KOJIMJOM 'CTanbHHM.

H orpanty tcóh orpanofi — KO'JIbHOMt 5KM.BHM, KOJIbHOM M3 pyK II HaM, KaK IHM, CTpyHTbCH Halo cenami TyataHoM — b a.-iuii Kpyr. aeiÿem 1909

314

11

fumo del falò

Non andartene. Resta con me, è tasto tempo che ti amo.

Il fumo del falò come un rigagnolo grigiastro fluisce nel barlume, nel barlume del giorno. Solo un velluto scarlatto come un manto scarlatto, solo la luce del crepuscolo mi avvolge. Tutto, tutto è illusione, per la nebbia canuta si spande la tristezza di questi luoghi tetri. Ed un abete simile a una croce porporina posa un’aerea croce sopra la lontananza... Amica, nel convito vespertino, indugia qui, resta con me. Dimentica, dimentica, il mondo terribile, .respira là 'profondità dei cieli. Guarda con mesto godimento il fumo, che striscia entro la luce del crepuscolo. Io ti proteggerò con un recinto — con le mani, ad anello, un anello d’acciaio. Io ti proteggerò con un recinto — . con un vivo anello, l’anello delle mani. Anche noi, come il fumo, dobbiamo fluire per la nebbia canuta in un. cerchio scarlatto'. agosto

1909

315

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316

In questi gialli giorni

In questi gialli giorni tra le case noi ci incontriamo solo per un attimo. Tu mi bruci con gli occhi e ti nascondi in una scura viuzza senza uscita... Non; per nulla in me susciti vampate col silenzioso incendio' dei tuoi occhi, non per nulla io mi piego di nascosto dinanzi a te, menzogna silenziosa.! Gi getteranno le notti .invernali forse in un folle e indemoniato' ballo, ed alla fine mi distruggerà il tagliente tuo sguardo, tuo pugnale! fi ottobri' 1909

317

H s xpycranbHoro Tvitaiia

Hs xpycTaubHoro TjMana, 113 HCBH'naHHOrO CHE «leä-TO oßpas, nei-TO crpaHHHË. . . (B KaÖHHeTe pecropana sa övTuaKoio Basa).

Baiar UbiraiiCKoro Hanesa. Haneren ms jnajibHHX aan, lan&Hiix CKpanoK Borat TysiaHHHfâ. . . Bx OHH'T BCTep» BXOHHT «esa b rayßb HCTepaeHHHx sepKan. Bsop BO1 BBOp -- II Htryqe-CHHHi oßosnamiicH npocrrop. M araa.nma ! M araaaim a !

Beer Beiep as nycTUHH, pasHyBaiO'inEfi Kocrep. y 8 KBit TBO.I óoKa.i h Btiora sa nryxHH ctckjiom orna — »M3 HH ïoabKO noaoBiraa! Ho sa Bbioroft — conimeli wra onajieHHaH cipana ! P'aspemeHbe Bcex niynem!, Bcex xyncHHl h noxsan, Bcex 3 Memiyixcß vjihöok, acex npocHTenbHux nBHHteHBä, — ÎKIISHb pasßeft, KSK M0 Ë ßoKan ! 318

Dalla nebbia di cristallo

Dalla nebbia di cristallo, dall’inusitato sogno affiora un’immagine strana... (Nella stanzetta d’un ristorante dinanzi a una bottiglia di vino). Lo' Stridio d’un motivo zigano irrompe da sale lontane, di lontani violini il nebbioso lamento... Entra il vento, entra una fancM la nel fondo di specchi coperti di sgorbi. Lo sguardo nello sguardo — e azzurro-ardente si è profilata una distesa immensa.

Magdalina! Magdalina! Il vento soffia. Soffia dal deserto, ravvivando la fiamma del falò. H tuo stretto boccale e la tormenta alla finestra dallo spesso vetro sono soltanto metà della vita! Ma dietro la tormenta è una contrada bruciata dal sole del Sud! Soluzione di tutte le torture,

di tutti i biasimi e tutte le lodi, e di tutti i sorrisi serpentini, di tutti i movimenti supplichevoli, — spezza la vita come il mio boccale! 319

H to6 na nome ncaroìì

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He XBaTHHO CTpaCTHHX

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HtOÔ b HyCTUHHOH BOUJIG CKpHHOK nepenyraHHue ohii CMepTHbii cviipaK noracHn. 6 OKmxòpa 1909

320

Perché sul letto della lunga notte non bastino le forze alla passione! Perché nel desolato lamento dei violini il crepuscolo mortale spenga gli occhi sbigottiti. 6 ottobre 1909

321 fi

ücßffHei oceHbK) na rasam i

IlosiHeft oceHbK) M3 raBami

OT sauereHHoË CHeroM scmhh b npeanasHaMeHHoe nnaBaHte Hftyr THjRSjme Kopaßma. B

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na GCHeHtëHHOM Öepery. H uaTpoc, Ha Sopì ne npHHHTbii, H I 6 T , maTaacb, c k b o b b ß y p a n . Bcë HOTOpHHO, BCë BbimiTO ! HoBoabiio — ßeuibHie ae Mory. , . Â öeper onycTe.ioii raBami yat nepBHË JierKiti: caer saHec. . . B CaHOM HHCTOM, B CaUOM H69HHOM CaBaHÖ cjiaRKo uh cnaTb Teße, iiarpoc? 14 HORŠpa 1909

Nel tardo autunno dal porto

Nel tardo autunno dal porto, dalla terra ingombra di neve, verso un viaggio predestinato muovono le pesanti navi. Nel nero cielo si staglia sopra l’acqua il braccio d'una gru, e una sola .lanterna vacilla sulla sponda nevosa. Ed un marinaio, non preso a bordo, va barcollando dentro la tormenta. Tutto è perduto, tutto è tracannato'! Ne ho abbastanza — non resisto piti... Sulla sponda del porto desolato cade di nuovo una leggera neve... Nel piu puro e piti morbido sudario' il tuo sonno è dolce, marinaio ? 14 novembre 1909

323

Ha ocmpoeax

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Enarra moct h npa orini. II ronoc :HÎCHIHHHH BJIIQÔJieHHHË. H xpycT necKa n xpan koiih. nopenye, aeTHT y hqhqcth caaeìi. Ho ne Taflet h ne pesaya, a c 3T0Ä HOBOii — c ibichhoS — c nei Temi,

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Her, a He nepeyio aacKaio a B CTporotì aernocTH itoci yjKe b noKopHOCTb He Hrpaio h napcTB ne Tpeôyio y nel. H er, c nocTOHHCTBOM. reoneipa

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H, TOHKMït cran oGlIflB, ayKaBHTB, h iraaTBca b caer a reMiioTy. H nOMHHTb ySKHe SoTMHKH,

BmoSnaacb b xnaam ie iiexa..... . 324

Sulle isole

Di nuovo le colonne nella neve, di nuovo il ponte Elagin e due fuochi. E la voce amorosa d’una donna. Scricchio' di sabbia e sbuffi del cavallo. Volano due ombre .fuse in. un abbraccio accanto .alla coperta, della slitta. Senza celarmi e senza ingelosire, mi accompagno a una nuova prigioniera. Si, c’è una triste delizia nel fatto che passerà l'amore come neve. Oh, ma davvero bisogna giurare antica, sempiterna, fedeltà? No, non è poi la prima, che carezzo' e nella mia. severa precisione ho smesso di giocare all’obbedienza e da lei. non esigo alcun regno.

No, con perseveranza di geòmetra, ogni volta enumero in silenzio ì ponti, la cappella, l'aspro vento, la squallidezza delle basse isole. Rispetto un rito: è facile aggiustare la coperta d’orso ed, abbracciando la vita snella, adoperare astuzia, volare nella neve e nelle tenebre, e ricordare le scarpine strette, amare la sua gelida pelliccia... 325

Beni, rpynb

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He BCTpeTiiT a m a ra æeHHxa. . . B e n t co CBenefi

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Bce TQjiBKO — npoaoH/KeuBe 6ana, 113 c-BCia b cyiipaK nepexon. . . 22 HQRßpsI 2909

Tanto il mio petto non. incontrerà in un duello la spada dello sposo... Né ci sarà la madre ad aspettarla con la candela in un’antica angoscia. N é sì consumerà di gelosia un povero marito a una. finestra... Ciò di cui splendeva l’altra notte, ciò con cui mi invita la presente, è tutto solo il séguito d’un ballo, un passo dalla luce nelle tenebre.... 22 novembre 1909

Ojca.ibHhdi ameji

Ha pasyKpameHHyio enny il na nrpaiomax neTefl cyca.ibiiuii am en cuorpHT a meimy saBparmx Harayxo aaepeil. A HHHH Tonar neHHj a äctckoI , OrOHb TpeiHHT,.' ropHT CB6TJI0. - . Ho anreji Taer. Oh — HesieiiKHi. Eiiy ne SoabHo n Temo. CHanana TaioT kphjibh npoinKH»

ronoBKa nanae? na.iaj, cnoManHCb caxapHue hohîkh h b «lam m t jiyjKHiie neæaT. . . rioTOM h JiyjKima aacoxjia.

XosflËKa HiqeT — nei ero. . . Ä HHHH crapan ornoxjia, Bop'HiT, ne noMiniT minerò. . . JIoMalTecB, Taire h yMpaxe, coaHantH xpynKiie mchth, non a p r a « nnaMencM cqShthë , non ryn æmeüeKoü cyem ! ï a i ; ! IlornoaiiTc ! Htq b Bac Tonny? XlycBaË ramit pas, 6mjihm p m a , o sac nonnaneT BTiixoMonny manyiiLH jicbohkh — .nynia. . . 25 HQSiôpfi 1909

328

L ’angelo d’orp'eÜö

Su un adorno alberello di Natale e sui bambini, die stanno giocando' .[’angelo d ’orpello figge gli occhi ■ per lo spiraglio dell’uscio serrato. L a balia accende nella loro stanza la stufa, il fuoco crepita, fa luce... Ma si strugge l’angelo. È tedesco. .E non. prova dolore e non ha. "caldo. .Prima si struggono le ali di questo minuzzolo, la testina ricade all’indietro. Spezzate, le gambette di zucchero1' giacciono in una dolce pozzanghera... Poi anche la pozzanghera si asciuga.

L a padrona lo cerca — non c’è piu... E la vecchia balia, ormai insordita, brontola, senza ricordare nulla... Spezzatevi, struggetevi e morite, della creazione fragili chimere, nella fiamma corrusca degli eventi, nel chiassoso trambusto d’ogni giorno! Dunque! Perite! Che senso c’è in voi? Solo una volta, riandando il passato1, pianga un poco per voi sommessamente l’anima, ragazzetta birichina... 2 } novem bre 1909

329

Hepnadä BopoH

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cyMpane CHentHOM

HepHHË BopoH b cyMpaKe chbîkhom, nepmsl: dapxaT na CMyraux njienax. T o'MhhS rojioc neaaeu' aeatHHM une noet o johîhhx aoaax. B jierKöM. cepspe — cipacTt h 6ecnë1iHocTb, CÄOBHO C HOpH MM6 nO®&H 3HaK. Han ôesnôHHUM npoBajioM b bcthq'ctb., sawxaHCb» JieTHT ptican. CuemHeß BCTep, TBoe n;exaHi.e, OHBHHCHHM6 rVÔH MO», . . BaneHTMHa, aseBna, uearasbel KaK nOIOT TBOH COJÏQBM. . . CTpaniHüEË MHp! Oh œiH cepma receHl B Heu — TBOHx noK&nyeB 6pen, Tp.MHTJH MopoK ipuraHCKiix necen, ToponxHBuâ nouer komöt! 0eepoA b 1910

330

Un nero corvo nella penombra nevosa

Un nero corvo nella penombra nevosa, nero velluto su spalle abbronzate. Una languida voce con morbida nenia canta per me delle notti del Sud.

Nel cuore sereno passione e indolenza, quasi dal mare dessero un segnale. Sopra la smisurata frana, ansando, vola un corsiero nell’eternità. • Il turbine di neve, il tuo respiro, le mie labbra inebriate... Valentina, mia stella, mia chimera! Oh, come cantano i tuoi usignuoli... Mondo terribile! Ed angusto al cuore! Vi si trova il delirio dei tuoi baci, il fosco incanto dei canti, zigani, un frettoloso volo di comete! febbraio

1910

331

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In morte di Vera Kom issarzevskaja

Venne nel tempo della mezzanotte al polo estremo, in una terra morta. Non le credevano. Non era attesa. Quasi non disgelasse, non soffiasse maggio. Non le credevano. Ma la sua voce giovane cantò piangendo della primavera, come se il vento toccasse le corde là sopra, ad un’altezza sconosciuta, come se ripiegassero gli inverni nel cielo dilaniato da tempeste, e come corde gli angeli piangessero, spandendo le ali sopra l’universo... Ma silenziosa era la nostra cripta, e avvolto il polo di gelido argento.

Se ne è andata. Di tutti i suoi splendori, ecco soltanto due ali nel crepuscolo. Che singhiozzava in lei? Che combatteva? Che aspettava da noi? Non lo sappiamo. Morta è la voce della primavera, spente le stelle degli occhi turchini. Si, ciechi gli uomini, basse le nubi... Potremo mai conoscere il trionfo ? Qui s’è posata una pietra rovente, crescono salcerelle ai nostri piedi... Dormi dunque, estenuata dalla gloria, dall’amore, la vita, la calunnia...

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334

Ora tu sei con lui — con il maestoso, con l’ineffettuabile tuo sogno. E noi che siamo nel convito funebre? Che possiamo sapere, a che giovare? Sia piti chiara la morte della vita, fiaccola funeraria nella notte... Anche se in cielo, Vera sia con noi. Guarda fra le nuvole : è lassù, bandiera spiegata dal vento, primavera promessa. febbraio 1910

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Le voci dei violini A E c g . Ivatov

Dalle lunghe erbe si leva la luna come lo scudo rosso di un. eroe, e un’ondata di musica furiosa è spruzzata nel mare del crepuscolo'. '.Perché nell'ora limpida dei trionfi tu. incollerisci, mio stridulo archetto, e irrompi nell’orchestra universale con. un canto isolato e frettoloso? Impara la solerzia di queste erbe, sbocca nel mare dei vani crepuscoli, in.vi.ando la tua voce 'Strascicata ‘ nel paese dei violini oltreterreni. febbraio 1910

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336

Odore piccante di marzo

Odore piccante di marzo v’era nel cerchio lunare, sotto la neve disciolta scricchiava la sabbia. L a mia città disgelava nella tempesta umidiccia, singhiozzavo d’amore ai piedi d'ima. T u ri: stringevi sempre più .superstiziosa, e mi pareva tra gli sbuffi del cavallo — ' che nel nero del cielo una danza ungherese tintinnasse e piangesse, stuzzicandomi. Ed il vento frenetico, fuggendo sulla largura, mi bruciava l’anima, gettandomi la tua veletta in viso e intonando canzoni d ’altri tempi... E d’improvviso tu, lontana, estranea, con un lampo negli occhi mi dicesti : è l’anima che, entrando nell’ultimo cammino, ■ piange follemente per i sogni passati. fi marza 1910

■ 339

B pem opam

HsKorga HejMrfSyny ( oh 6hm, hjih ne 6hji , OTOT Beflep): noHîapoH aapa C0ÂÎHÎ6H0 H paSH'BIIHJTO ßaeflHoe He6o, h na » e n r o l aape —■ ÿoHapa. ff CHuea y owaa b nepenomeHHOM saue. Pae-To nenn cmotkh o mtoÖBH, ff nocaaa teße Hepay» posy b fiottane aoaoToro, Kai; Heßo, ä h ,

Th BarjiHHyjia. ff BCrpenui ciiymeHHO h flep3KO B80p HaHMCHHHË H OTflajI HOKHOH. OßpäTHCb K KaBaitepy, EaMepeHHO pe3 KO th CKasasxa: « II btot Baioßaeu ». H ceöaae «te b otbct ito-to rpaeyjiH cTpyHH, HCCTynneHHo aaneira çmh
340

A l ristorante

Non .ini. scorderò mai (sia stata o non sia stata quella sera) : dall’incendio del crepuscolo combusto e dilatato il cielo pallido, e sul giallo crepuscolo ì lampioni.

Sedevo alla finestra nella sala gremita. Chissà dove gli archetti cantavano d’amore. Io ti mandai una nera rosa in un boccale di Aï dorato come il cielo. Mi. guardasti.. Ed io accolsi turbato e insolente lo sguardo altezzoso' e ti feci un inchino. Volgendoti al tuo cavaliere, -con intenzionale durezza tu dicesti : « Anche quello è innamorato ».

E subito in risposta le corde attaccarono, gli archetti intonarono un canto frenetico... Ma tu mi eri vicina con tutto il tuo disprezzo giovanile, col tremito della mano appena percettibile... Ti lanciasti col moto di un uccello spaurito, passando leggera come il mio sogno.,. Soffiarono i profumi, si assopirono le ciglia, cominciò' a bisbigliare smaniosa .la seta.

tu mi gettavi sguardi e nel gettarli gridavi : « Afferrai... » Ê il monile tinniva, ballava la zingara, urlando al crepuscolo canti d’amore. Ma dal fondo di specchi

19 aprile 1910

341-

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BecHbi, 311TH, th ó\',ieuib «aarb — Beciia oßiiaHCT. T h ßyneinb connue Ha ueGo 3 saTb — CO.TlIUe H6 BCTilHCT. H npiiK, Koraa th ìianueiUL npiinaìb, «aK KaMCHb, KaHCT. . . 342

Una voce''dal coro

Come piangiamo spesso — voi ed io — sulla nostra vita, miserevole! Oh, se voi conosceste, amici miei* le tenebre'e il freddo dei giorni futuri! Ora tu stringi la mano all’amata e con lei giuochi scherzando, ma piangi se scopri l’inganno è nella sua. mano una lama, bambino, bambino! Menzogna e perfidia non .hanno misura, e la morte, la morte è lontana. Sarà sempre pini nero il mondo terribile,

sempre piu folle il turbine degli astri per secoli ancora, per secoli! E l’ultìmo secolo, il piu orrido, anche noi lo vedremo. Il laido peccato nasconderà tutto il cielo, su tutte le bocche agghiaccerà la risata, l’angoscia del non essere... Bambino, aspetterai la primavera —• la primavera ti deluderà. Tu chiamerai sul firmamento il sole — ma il sole non si leverà nel cielo. E fi grido, se. comincerai a gridare, come una pietra sparirà nel. nulla... 343

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O1, ecjiHß 3HajiH, R em , b u , xoror h:

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& mou® 1920 — 2 ? $eepa.Aa 2914

344

Siate dunque contenti delia vostra vita, piu. calmi dell’acqua, pili bassi dell’erba 1 Oh, se voi conosceste, bambini, le tenebre e il freddo dei giorni futuri! 6 giugno 1910-27 febbraio 1914

H a Mcejiesuou dopine M apuu Ilaejiom e H m m eoä

Iloa Hacbmbio, bo pBy HeicomeHHOM, •JiejKHT H CMOTpHT, KaK HtHBOH, QBeTHou nnaTKe, H'a KpacHBan n Monoflaa...

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E m an o , rana noxoHKoi hhhhoio Ha IliyM H CBHCT 3a SilH/KIUIM JieCOM. Bcio 060HHH nnaT$opMy ipmHHyio, jKnajia, BOjiHyacb, non HasecoM. Tpn apraix rna3a Haòeraromnx — HeatHett pywtHHeH, rtpyae jiokoh : ÒHTb MOHcet, KTo H3 npoe3JKaK>mitx nocMOTpHT npacxajibHeß h3 okoh. . .

BaroHH nulli npiiBHraofi UHHueä, nonparHBajiH h cKpHHenH; Mooraana » e ir m e h: eimiie; b

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BcTaBaim coHHLie sa CTeiuiaMii m oßBOHMUH pOBHblM B3rHHHOM njxaTifiQpiay, can c KytrraMii öneraiHMH, ee, BKaHiap'Ma c

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Jlunib pas rycap» pyKoä HeßpeatHOio oóaoKOTHCb Ha 6apxaT anHi, cKOflbSHyn no nett yjiHÔKoi HeMHQio. . . CKOJibSHyji — h noean b nana yiraajiQ..'

TaK Mianacb iohoctb ßecnoneanaH, b nycTux Meaiax HSHCMoraH. . . 346

Sulla strada ferrata A M aria Pavlovna Ivanova

Sotto il ciglione, in una fossa non faldata, sta distesa e guarda come viva, con lo scialle a colori sulle trecce, leggiadra e giovane. Con decente andatura, un tempo andava verso il fragore e il fischio dietro il bosco. Su e giu per là lunga banchina, aspettava trepidante sotto la tettoia. Tre occhi accesi avanzavano — e il rossore si faceva più soave, più irti i riccioli : forse da un. finestrino tin viaggiatore più attentamente l’avrebbe guardata...

Andavano i vagoni nella solita sequela, sobbalzando e scricchiolando : i gialli ed i turchini erano muti, neLyerdi si piangeva e si cantava. Si alzavano assonnati dietro i vetri, abbracciando con lo sguardo uguale i la banchina, gli scialbi cespugli, la ragazza, il gendarme al suo fianco... Solo una volta un ussaro, appoggiato sbadatamente al velluto scarlatto, ! guizzò lungo di lei con un sorriso tenero, e il treno lo rapi lontano... Cosi fuggi la giovinezza inutile, estenuandosi in vuote fantasie...

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347

TocKa nopoHCHan, »ejieanaH CBHcrena, capane paspuBaa. . Ha HTÓ— nasHO v;k cepaue bhhjto ! Tan MHoro ornano iiok;iohob, TaK MHoro HtaHHHX BSO pO B KHHyTO b iiycTHHHHe rnaaa saroHOB. . . He nofflxonHTe k aeft c BonpocaMii, Bau Bcë paBHO, a e t — jobohbho : JH 060B Ì.K ), r p H 3BIO ÏIJIB KOJIBCaMII

oHa pa 3 naB«eHa — scë S qjibho. 14

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2910

Sulla strada ferrata la mestizia sibilava, dilaniando il cuore... Ebbene, il cuore è da tempo estirpato! Quanti saluti furono rivolti, quanti sguardi cupidi gettati nelle orbite deserte dei vagoni... Non accostatevi a lei con domande, poco v’importa, ed ella ne ha abbastanza: dall’amore, dal fango o dalle ruote è schiacciata — tutto le fa male. 14 giugno 1910

349

Koraa-TO ropRuii h HaRMeHHHÄ

Korna-To ropnnft il HanMCHHHfi, Tenepb c nHraHKO® fl b paro» il bot —■ nporay ee cMnpemio : «Cnjiainii, maraHKa, hceshb mo» » .

II aonro HHHTca imac ywacHHi, H H\I13Hb npOXOHKT IipeHO MHQÌt gesyuHoft, cohhoò ii npenpacHofi h: oTBpaTHieatHoS mshtoh. . . To KpyîKHTCH, BaKBHyB- pyKH, to nononse-r 3Meefi, ■— h Bipyr Bea aauepjia b ne-roue cityKH, a SyöeH nanaeT ns pya. - .

O, KaK s 6h 3I 6orai- norjnta-To, Ha ace — ho ctojit mrraKa: BpajKRa, hkiGobb, noma h axa-ro, a rryme — caiepTHan tockb. i t tatu ai i s t e

350

Io, che ero un tempo superbo

Io, che ero un tempo superbo e altezzoso, con una zingara sono ora in paradiso, ed ecco la imploro umilmente ; « Balla, zingara, balla la mia vita ». E l’atroce ballo dura a lungo, e la vita .mi passa dinanzi come una chimera ripugnante, dissennata, assonnata e bellissima... Si muove in giro con le braccia alzate, striscia come una serpe — e d’improvviso vien meno nei languore deHastidio, e il tamburello le cade di mano... Oh, com’ero ricco in altri tempi, ma tutto questo non vale un cinquino: | amore, inimicìzia, fama ed oro, ! e piu di tutto l’angoscia mortale. 11 luglio 1910

351

T a e OTaacTCH b h jih h h h x s a j i a x

F rc OTRaeicH b h.hihhhx sanax ßeayMHHx xpoeK Taxait hot, me Bima tcdoihtch b 6 o«aaax, — iaM. BOBHEOtaer xoposoH. Illypm a, 3B6HH, BHHCB, ÖCHCH,

imyT no MewieHHHM npyraM; h cKpanKH, Taa h. cnaßea, caaiOTCH ßeaieHHM CMMKaM.

Ojina BbixosiiT npoHb as npyra, npocrepma pyay b iionyairyiy; aaßpas HaaHaneHHoro npyra, hbbtûk poiiaeT Ha irony. He noHHBMafi uBexna : b hcm cnaffocn» saÓBenbH Bcex npomeìpaiix hhcë, M BCH HeilCTOBaH paROCTb

rpnayiqeft raßejiH TBoeft! , . . Ta.M Bcë — arpa orna h pona, H TOJÏbKO B FOpbKHË HaC ü5lIH H3 HeB03BpaTHoro nanena neiajiBHHfi amen npocKBOBirr. . . 1 9 UKhia J92&

352

L à dove echeggia nelle lunghe sale

Là dove echeggia nelle lunghe sale il dolce volo delle pazze tròjke, dove splendono i vini nei boccali, — sta per nascere adesso un ballo tondo.

Frusciando, tintinnando, biancheggiando, volteggiano tracciando lenti cerchi. E i violini, struggendosi e infiacchendo', \ si abbandonano ai furiosi archetti. 1 Col braccio teso verso la caligine, una esce fuori dal cerchio: scelto Famico destinato, lascia cadere un fiore per terra. Non raccattare quel fiore : v’è in esso il dolce oblio di tutti i giorni andati, e 'tutta la frenetica allegria della toa futura rovina!...

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V ’è tutto— il giuoco del fuoco e del fato, solo nell’ora amara delle offese da una lontananza irrevocabile ne traluce un angelo accorato...

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19 luglio 1910

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C eroaH H t h n a t p o i i K e b b o h k o ë

Ceromia th Ha Tp osine sbohkoü jieTHHifc, óoran, rycap, hoot, h: KajKHMi, npoxoKH cropoHKOtì, 3a.BHCT3IHB'0 nOCMOTpilT BCJien. . . Ho Hiiiarn, — npoesìKas nopora, HeaaaHO, ;-kytko uà .nyme: anecï. BCHKOft npaaHHol roam mhopo OCTäTBCH X0H6T B. ÖapHHie. . . Himitimk — 6ym» oh b. nonneBKe TCMHoft c nepoM nasaMHBHM HanoKaa, 6yHB OH MCHTOfi 1I03T3 CKpOMHOË,-He ynycKai. ero H3 ruas. . . SaupeMaenib — h tcôh b npeniOTe oh. ocipHM nojiocHer kjihhkom, hjib na SeamoAHOM noBopoTe K Bepcre npHKpyrHT KymaKOM, h b qac, »orn a h3mchht bojih,

Te6e Müraei HsnaneKa b KYCTC TCMiieiomero nona aiïHIB ßpH'HHÄ CBeTlIK CBCT.TIHKS. . . 6 Gezycma 1910

354

Oggi tu su. una tròjka squillante

Oggi tu su una tròjka squillante voli, riccone ed ussaro e poeta, e ciascuno, passandoti di fianco, ti seguirà invidioso con lo sguardo... Ma. la vita è una strada di passaggio, nell’anima scompiglio e raccapriccio: molta, gentaglia oziosa d’ogni sorta qui pensa solamente al suo profitto... II. postiglione — indossi una. poddiòvka scura con una piuma di pavone, oppure sia la. semplice illusione d’un poeta, — non perderlo di vista... T i assopirai — con la tagliente lama ti trafiggerà nel dormiveglia, oppure ad una svolta abbandonata, ti legherà a una versta con la cinghia. Quando la volontà ti verrà meno, agli occhi tuoi sfavillerà da lungi, nel. cespuglio d’un campo che annerisce solo il povero lume d’una lucciola... 6 agosto IM O

355 '

KoMema

T u HaM rpo3innb nocjienHHM nacoM, H3 CHHeft BeHHOCTH 3Be3Ha 1 Ho Hama neBH — no am acau bhborht mejiKOM Mnpy: na! Ho ÔynHT Hoiib Bcë TeM æ e m acoli — CTajibHUM h poBHHM — noe3Ra!

B e » Hont jiBiOT cBet b tboh ceneHbH BepjIHH, H JIOHAOH, H IlapEDK, h m i He 3HaeM ynHBaeHbH, cnenn tboë njTb CKB03b creKJia npurn, 6eH3on npHHOCHT ncnenenba, no 3B e3H pa3H0CHTcn Mammn! Ham Mnp» pacKHHyB xboct naBjiHHnft, Kan TM, HcnOHHen 'CyftctBoix rpes: nepes Chmiïhoh, Mopn, nycTMHn, CKBOSfc arati! BHxpfa HeôecHHx poe, CKB03B HOHb» CKB08t> Mrjiy —; CTpeMHT 0 THHH6 noHiBT— ciana CTànbHHX cipenos! rpôSHCb, rpoaiicb san ronóBoio, âBesHH yacacHoft KpacoTai CMOJIKafi CepnHTO 3 a ciihhoio, ojmoo6pa3Hua TpecK BiiHTa! Ho rnôejib He cTpanma repoio, nona 6e3yMCTByer Menral CëHJWïÔpb 1910

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La cometa

T u ci vai minacciando l’ultima ora dalla turchina eternità, cometa! Ma le nostre fanciulle con la seta sul raso tracciano1 « si » all’universo1! Ma con voce monotona e d’acciaio i treni sempre destano la notte! L a notte, Londra e Berlino e Parigi nei tuoi villaggi riversano luce, e non proviamo1stupore a seguire il tuo cammino dai vetri dei tetti, la benzina ci porta guarigione, sino alle stelle si spande il ma-give ! Allargata la coda di pavone, il mondo è come te folto di sogni : d’ora in poi sopra ai mari, i deserti, il Sempione, fra il tùrbine rosso di rose celesti., fra notte e nebbia indirizzano il volo greggi di libellule d’acciaio! Incombi minacciosa sulla testa, bellezza d’una stella spaventevole! Dietro la schiena spegniti stizzoso, uniforme crepitio dell’elica! Ma l’eroe non teme la catastrofe, finché imperversano le sue chimere! settembre 1910

357

f l K O pO T am JKH3Hb MOIO

fl KOpOTaiO HCH3HB MO®, SesyMiiyio. rayxyjo : CerOfflHH -- Tpe3BO TOpîKCCTBy®, a 3 aBTpa — imany h no®. mo®

Ho ecaiH m 6 em> npeacToiiT? Ho ecjiH sa Moei: cniiao® TOT-- HeOÔTbHXHO® pjKO® lïO'KpHBiHHt 3epKa.no — ctoht? . . , Kaecuer b raasa sepKanMHi cbct, h b rapace, saJKMypa crai, .a oTCTvnaio b xy oSnacrt, hohh, OTKjna BOSBpaOteBbH Hex . . . 27 ceHmsiëpfi 1910

353

Io trascino, trascino la mia vita

Io trascino, trascino la m i a vita, la mia vita sorda, dissennata : oggi esulto con animo sereno, e domani invece canto e piango. Ma se la catastrofe è imminente ? Se mi sta dietro alla schiena colui che ha coperto lo specchio con la sua mano immensa?... Dallo specchio lampeggerà una luce e, serrando gli occhi dall’orrore, ripiegherò in quel regno della notte, da cui non si fa piu ritorno... 2 7 settembre 1910

359

MflyT HaCH, H ÄHH, H rOflH

H hjtt ^acH, h hhh, h row&i. X o ay CTpHXHyrb Kanoft-TO coh, BBrnHHytb b armo m onel, npnpOfflH, pacceHTib cyMepKH speMen. . , TaM KTO-TO MameT, npasHirr cbètom (TaK 3HMHeft HOHLIO, Ha KptKIbUO

TeHB hbä-to roumeT crayaioM:,, h ÖHCTpo 'cnpaaeTCH mmo).

B ot Men. Oh — Smji. H o oh — He nyaieH. K to oSeccHJiHJi pyKy MHè? — H noMHK): MejiKHfl pan HteMHyjKHH oHHamjpi H ont», npn ayne,

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Ha-non pecHBoq CB.epKHyBin.Htt y æ ac — CTapMHHHä yatac (n at ixohhtb). .

C jio sa ?— Mx He ßmro. -— H to jk Hu coh, HH HBb. B ian n , bipjih bbchcho,. racäio, yxorouiO' Il OTHeJIHJIOCb OT 36MÄH. . . H yiaepiiö. A ryßM nenn. Ilpom m Hacbi, limi rena. . . (JI hihb tetterpa^Hue 3 BeHe.ni Ha TCpHQ'M Heóe npoBona. . .) H BHpyr (KaK na.MHTH.0 , 3HatC0M0l) OTOèTjraBo, H3naneKa 360

6 hho?

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Passano le ore, e le giornate, e gli anni

Passano le ore, e le giornate, e gli anni. Voglio infine disfarmi d’un sogno, guardare in viso la natura e gli uomini, dissipare il crepuscolo dei tempi... ■ Qualcuno muove 'un’irritante luce (cosi d’inverno, a notte, sul poggiolo balena un’ombra come una siluetta, e si nasconde celermente un viso). Ecco la spada. Non ne ho pili' bisogno. Chi mi ha svigorita la mano? — Rammento: una piccola fila di perle una volta, di notte, con la luna,

un gelo lamentevole, malato, e la distesa nevosa del mare... Un corrusco terrore fra le ciglia — un antico terrore incomprensibile... Parole? — Non ce n’erano. — Che c’era? — Né realtà né sogno. Di lontano qualcosa tintinnava, si spegneva e si dipartiva dalla terra... E mori. Ma le labbra cantavano. E passarono le ore, oppure gli anni... (Solamente i fili telegrafici tintinnavano sul nero cielo...) E a un tratto (com’è nitido il ricordo!) distintamente dalla lontananza 361

Pa3naxcfl roaoc : Ecce homo: Men BHttsui. .HporHjaa pytsa. . . H nepeBHsaH meratou nyiiiuMM. {uto6 KpoBb He m a ns nepubix jkhh) h 6 hui BecenHM 11 nocaymiiHM, oGeaopyateaHHfl — cjiysKHji. Ho nac nacrait. IIpanouaHaa,

mm, a uè cayza. TaK nanai, nepeBnab iiseTHaa! X jimhi», KpoBb, H o6arpH onera ! h

B cn oM H iiji:

4 cnm aßpa 1910

362

si udì una voce che diceva : Ecce homo! L a spada cadde. Mi tremò la mano... E fasciato di seta soffocante (perché il sangue dalie nere vene non scorresse), ero docile ed allegro e, cosi disarmato, servivo. Ma l’ora giunse. Rivangando il tempo, mi sovvenne : no. non sono schiavo. Cadi dunque, benda colorata! Sgorga, sangue, ed imporpora le nevi ! 4 ottobre 1910

363

B

HeyBepeHHOM, 3h 6kom noJieTe

B HéÿôèpeHHOM.,. bhSkoiì hojictc TM Han ÔeSHHOË B3BHJICH H HOBIIC. Hto-to HpeBHee ecTb b noBopoie MepTBMX. K p w jib e B , n o R o r H y m x . b h h s . neraib h : k p j j k h t b c h Ses .juö6bh, fies lymiH, Ses mma? O, CTanbnafi, ÔeccrpacTHaa nraiia, qeM TH MOîKeuib npocnaßarb TBopaa?

K & k t u 'M o æ e r a t

B cepHX ajjepax aerati a CKHTafica, nycTb opKecTp na rpaSyne rpeMHT, ho non Jientyio My3HKy BaflbCH ocTaHOBHTCH cepuae — a bhht. K oœ ôpb 1910

In un incerto, vacillante volo

In un incerto, vacillante volo ti sei innalzato e penzoli sul bàratro. C ’è qualcosa di antico nel virare delle ali morte, ripiegate in. giù. Ma come puoi volare e volteggiare senz’amore, senz’anima né viso? Impassibile uccello d’acciaio, come puoi render gloria al tuo creatore? Vola e gironza nelle grigie sfere, sulla tribuna l’orchestra risuoni, ma alla leggera musica d’un valzer si fermeranno l’elica ed il cuore. novembre 1510

365

ynuMcemie

B sepHHX cy*n>ax nepes oÔHaæeHRwx JKenTHÄ 3HMHHH 3aKaT 3a OKHOM. (K amatory m aasHh ocyaweHHHx ■ nosenyT na saltate Taicou). KpaCHHfl IHT0$l HOJIHHHBMX RHäaHOB, □pomxaeHHue khcth noptbep. . . B 3TOÄ KOMUaTe, B 3BOH6 CTâKaH'OB, KyniHK, niyjiep, CTyneHT, o^auep. . . 3 thx rojiBix pHcyHKOB atypaana He moRCKaa Räcajiacb pyna. , . H pyna n o d .ie ifa Harauana 3Ty rpa3Hy*o KHOimy 3BOHKa. . . Hy! Ilo MHrKHM KoapaM npoBBeneaii innopw, cmex, saraymeHHHt nBeptMH..... . Pa3Be ROM 3TOT — ROM B CSMOM Rene? Passe max cysHReHO Mean ju o r b h h ? Pa3Be pan h ceroRHaioHefi BCtpeae? Hto th jiïiftOM Sena» cjüobho unar? H to b tboh oôHaHîeHHHe nneHH 6ï»eT oTpoMHHffl xohorhhì aanat? TojibKO rySbi c 3aneKinefica KpoBhio n:a iiKOHe TBoeâ aonorott (pa3Be amo mu 3Bana ìhoSobbio?) npeaoMïuiH'CB ßeayMHot a e p io l. . .

B mejrroM, 3hmh6m, orpoMHOM aaicaTe vTOHyna (xaK iihuiho!) KposaTi». . . 366

Umiliazione

Nei .neri ..rami degli alberi .spogli alla finestra un giallo tramonto invernale. (Porteranno al supplizio i condannati in un siffatto tramonto.) Rosso damasco di divani stinti,,

nappe impolverate di portiere... In questa stanza, nel tintinnio dei bicchieri, mercante, baro, studente, ufficiale... Questi nudi disegni di rivista non li ha mai sfiorati mano umana... Ma la mano d’un rettile ha premuto / il sudicio'pulsante di questo campanello...

Risuonano sui morbidi tappeti sproni, risa smorzate dalle porte... Questa casa è davvero una casa? E fra gli uomini è questa la sorte ?

!|-

Sono io contento del mio incontro d’oggi? Perché sei bianca come un fazzoletto? Perché sulle tue spalle denudate batte l’enorme gelido tramonto ? Solo le labbra col sangue aggrumato

sulla tua icona d ’oro (davvero questo chiamavamo amore?) si rifrangono in una linea folle...

^

Nel giallo, enorme tramonto invernale è annegato (sontuosamente!) il letto... 367

Eine TCCHO nHinaTB ot oobethë, HO TH CBHmeiUb OHHTb H OIIHTb. . . Oh He Beceji —

Hy !

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3aMorHJH>HKH.

— 6opuöTaHHe omop. . .

CnOBHO 'SMefi', THJKKHÄ» CHTHI

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HHHBHHË

HïHei'i)' TBOl c Hpecen noitaeT Ha K osep. .

T h cuenäl Tan eine 6ym> oeceTpauiHeü! H —-He MyjK, He iKeuiix tboä, hc npyr! Tan BOH3aß me, Moft aHrea BaepaniHHtt, B cepnqe — ocrrpHÄ <J>paH0y3CKHß KaßayKl 6 öeKaöps 1911

368

Siamo ancora ansimanti dagli abbracci, ma tu già fischi di nuovo e di nuovo... Non è allegro il tuo fischio sepolcrale... D i nuovo, ascolta, un borbottio di sproni... Come una serpe sazia e polverosa, il tuo stràscico striscia sul tappeto... Tu sei audace! Sii ancora piu impertèrrita! Non sono tuo sposo, né fidanzato, né amico! Configgimi dunque nel cuore, mio angelo d’ieri, il tuo pungente tacco alla francese! 6 dicembre 1911

m

Ulap pacKajieHHHÄ, 3<wioTofi

Eopucg CadoecKOMy M ap pacKajieHHuit, 30jiotoö nonuieT b npocrpanclBo nya orpoMHtifi, Il iHHHHHi KOHyC T6HH TCMHOt b npocTpaHCTBO 6pocHT map apyrofi.

TaKOB Ham 6e3HaHani>HMfi Map. C e fi KOHyc — H a m a h o h l a e jm a H .

3a He® — oïïHTb, omrrb aÿap' nnaHeTa njiaBHT sajioTan. . . H Mae cTpanmu, hk>6obb moh, tboh

cH Ä iQ iip e o h h :

ywaeHfefi' Khh, CTpamHee Hoaii CHHHHe HeÖMTHH. 6 nnaapn 1912

370

Una dorata sfera incandescente A Boris Sadovskoj

Una dorata sfera incandescente manderà nello spazio1un raggio immenso, scaglierà nello spazio un’altra sfera un lungo cono d’ombra tenebrosa. Tale è il nostro universo sempiterno. Questo' cono è la notte della terra. Dietro alla nostra notte, novamente un pianeta dorato fonde l’ètere. Mi incutono paura, amore mio, i tuoi occhi sfolgoranti.: piu terribile dèi giorno, pili tremendo della notte è il balenio del non essere. 6 gennaio 1912

371

Betrp naacTiiT, sasoer caer

Berp uaaeTHT, aasoer euer, Il B naMHTH Ha MHT B03HHKH6T tot Kpaii, tot 0'THajieHH.bitt 6per. . . Ho iiBCT yBHJi, no« eneroii hiikhct. . , H menecTHT TpaBOil cyxoi MOH CTapBHHHie 603ie8HH. . . H n o m . II B H o ib — TpoHol rnyxoM any K npBKpurofi cneroji Sea^ne. . . Hont, nee ix CHer. II h hccv nocTHUHfl: rpya BoenoMHHaHHË. . . Bupyr — M arat homiik Ha nonane, h neBOHKa noe-T b jiecy. e xH tttp* 1912

372

Il vento irromperà) urlerà la neve

Il vento irromperà, urlerà la neve, sorgerà nella mente per un attimo quella contrada, la remota sponda... Ma il fiore è vizzo, langue tra la neve... E frusciano come erba secca i miei vecchi mali... Ed è notte. E nella notte per un’erma viottola scendo in un bàratro avvolto di neve... Notte, bosco e neve. Ed io trascino il peso odioso dei ricordi... A un tratto una minuscola casetta nella radura, e una fanciulla che. canta nel bosco. 6

gennaio 1912

373

Aeuamop..

JleTjH oTnymeH Ha cboôohy. K rhhjb. nee nonacra cboii, K&K uyaiime MopcKoe b Bony, C K O JIbSH yjI B BO aH yiH H H e C T p y H .

Ero BHHTH. n o io T , i-;aK crpyHH . . . CMorpa: iieaponiyBimitì hhjiot k cnenomy corany nan TpaßyHot CTpeMHT CBO't BHHTOBQË H03I6T. . . Y »

B BHIÏIMHe HCÂOCTHJKHMOË

iBBraTenH Ment... . Tasi, eue chhhihhë h Heapauufi, oponejmep npontwiataeT neri». . . chhct

rioTOM — HanpacHO imieT oko : Ha Heöe se nainenit cjiena: B ÖHHOKJie, BCKHHVTOM BHCOKO,

JIMHÏI» B033YX -- HCHHË, K3.K BOfla. . . A 3»ecb, b KoneßH»meMCfl 3Hoe, b KjpaineicH a a n n y r o M urne, aarapH, mona, bcö bcmhoc — Kan 6h npirnaB.aeno k seune. . .

Ho j ;a K

CHOBa B 3 0 JI0 T 0 M

TYMailÜ,

ßyHTO, n e a e M iio ii a m t o p n . • ■

Oh Bjimsok, m b t p y K o m t e c K a H H ä H HtajIKHÄ MIipOBOÜ peKOpffl !

Bcë HHHte cnycK BHHTQoßpaaHHi, Bce Kpyae »onaeret hsbhb, 374

Il dragone è messo in libertà. Dondolando le due proprie pale, come un mostro marino nell’acqua, scivola nei rigagnoli dell’aria. Cantano come corde le sue eliche... Guarda*, il pilota senza 'trepidare al cieco sole sopra la tribuna indirizza il suo volo elicoidale... Ormai ad un’altezza .inaccessibile riluce il bronzo del motore... Là, udibile appena e invisibile, il propulsore séguita a cantare... Dopo — rocchio cerca inutilmente : sul cielo non si scorge alcuna traccia : nel binocolo puntato in alto soltanto l’aria chiara come l ’acqua... E qui, nella calura vacillante, nella foschia che fumiga, sul prato, gli hangar, la gente, quello che è terrestre come se alla terra sia schiacciato... Ma di. nuovo nella nebbia d’oro si ode come un accordo non terreno... Si approssima ristante degli applausi e un pietoso primato universale! Sempre piu bassa la discesa a vite, sempre piu brusca l’ansa delle pale.

a BHpyr. . . H en en ai, CesoÔpasHuft b oH.Hoo6pa.3bH nepepsiB, . .

H 3BCpb C yMOJIKHIHMH BHHTaMU iiobîic nyraiomiiM yrnoM. . . Huai oTHBeTHiHMH raasaiiH onopa b B03Hyxe. . . nycroMÎ yjK no3ftHo: Ha Tpase paBHHHbi Kpuna HBMHTaH nyra. . . B cnjieTeHbH npoBOJioK ManraHU pyita — MepTBee ptaraara. . . SaneM th b He6e 6h ji , OTBaîKHbtË, b cBoâ nepBHË h nocjienHHÜ paa? Hto6 jibBHue cseTCKoft h npoHaaraott noRHHTb K Te6e (jmajiKH raa3? IL m BocTopr caMoaaÔBeHbH ry6HTëHbiHMi HBBeHaa

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O03VMHO BoaaiiKaji nanenbfi H CaM QCTäHÖBHJI BIIHTH ? 11.3b O'TpäBHÄ TBOË M03F HeCTaCTHHË rpanym m c hohhoë:

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aemuie HBCymnâ nanaiaHT? 1910— m ieapo 1912

376

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urne HeeacTHol

e all’improvviso... senza senso, atroce nella monotonia un’interruzione,.. E la belva dalle elicile ammutite penzola come un angolo pauroso... Cèrcati, cerca con gli occhi sfioriti un appoggio nella vuota aria! Troppo tardi : sullo spiazzo erboso l’arco sgualcito dell’ala... Nel viluppo di fili della macchina una mano piu morta d’una leva... Perché sei stato in cielo, temerario, per la tua prima e per l’ultima volta? Perché una gran dama mondana e venale a te levasse le viole degli occhi ? Oppure tu hai provato l’entusiasmo rovinoso dell’abnegazione e, bramando da folle la caduta, hai tu stesso rattenuto le eliche ?

O forse ha avvelenato il tuo cervello l’orrida vista di future guerre : un notturno dragone che alla terra fra nebbia e pioggia porta dinamite ? 1910-g.ennaio 1912

M am KoMandopa B. A. Sapseutfipeio T hjkkhS: 'naoTHHt aaHaßec y Bxoia, 3a HOHHBIM OKHOM —; TVJiaH. Htó Teaepb tBOH nocrunaH CBOÔoaa, CTpax no3HaBiniiH J^oH-JKyaH?

X ohorhd h nycro b hbiihhoë cn an tie, cjiym cnflT h Herat ray x a. Ha CTpaflH "ßjiaaseaHoi, HemaKOMoli, H aataeâ CawniHO n:eH&e neTyxa. Htó :H3MeHH!ii«y 'ÖiiajKeHCTBa asyitH? MhTB 'JKBBHH C0HT6HH. bornia A hhe CEH.T» cKpecTHB na cepoqe pyKH, Kosnaa A a aa bhret chh . . . Hm Hep'TH /KCCTOKHe 3aCTH3IH, B sepaanax OTpaaceHH? ÂHHa, Asma, cnanKo n& cnaTb

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CaaqKO jib bhrctb HeaeMHBie chh? }K h3hb nycTa, 6e3yMHa h 6e3R0HHal B hxorh Ha 6nTfiy, cTapuü pont H B OTBeT---HOSCRHO H BniOÔJieHHO — B CHeHtHOfi MTJie HOCT pOHtOK. . . npoJieraeT, 6pH3HyB b hohb orHHMH, aepHHâ, thxhë , KaK co sa, MOTop. T hxhmh, THHteiEHMH niaraMH b rom BCTynaeT KoataHRop. . .

Hacreacb RBept. H 3 HenostepHoß ciyata, CJIOBHO xpHHJIHä 6ott HOHHHX HaCOB —378

1 passi dei Commendatore A V . A Zorger.jrei

Pesante, compatta la tenda all’ingresso, alla notturna finestra — foschia. Che vale la tua odiosa libertà. Don Giovanni, adesso che hai. paura? Fredda e vuota è la sontuosa camera, dormono i servi e la notte è profonda. D a un’incògnita terra felice e lontana si ode il canto d’u a gallo. Ma quei suoni di felicità che valgono per un traditore? Gli attimi della vita son contati. Donna Anna dorme, le mani incrociate sul cuore, donna Anna sta sognando... Quali fattezze rigide e crudeli si riflettono adesso negli specchi?

Anna, è dolce dormire in una tomba? È dolce scorgere sogni celesti? L a vita è vuota, folle e senza fondo! Scendi a batterti, vecchio destino! E in risposta — trionfante e innamorato — nella nebbia nevosa un clackson canta... Vola, spruzzando i fari nella notte, un’auto nera, quieta come un gufo. Con placidi passi pesanti varca la soglia il Commendatore... Si spalanca la porta. D all’immenso gelo, come il rauco rintocco di un orologio notturno — 379

6öä tocob : « Th 3Baji Mena Ha y*HH. H npiimcji. A th totob? . . . » H a Bonpoc æecTOKHt Her oTBeia, HCT 'OTB'CTâ---THIIIHHa.

B imùiMol cnaa&He cTpafliHo b too paccBera,

ciiym chat, h hoTO 6nenHa.. B toc paccaeTa xonojmo h crpaHHo, b toc paccBeTa — hoto Myrna. fleBa CBeTal Tue th , noHHa AHna? ÂHHa! ÂHHa! TainaHa. TojibKo b rpo3HOM yrpeHHeM TyMaHe 6bk>t toch b nocjieKHHË pas: ffoHHa Anna e cMepmmiü Mac meoü ecmanem. Aum ecmanem e CMepmuuü Mac. I S 20— IS tfSeepcuui 1912

380

un rintocco : « Mi hai invitato a cena. Sono venuto. Sei pronto?... » Alla domanda crudele nessuna risposta, nessuna risposta — il silenzio. L a sontuosa camera è terribile sul far dell’alba, dormono i servi, e la notte è sbiancata. Sul far dell’alba tutto è freddo e strano, sul far dell’alba è torbida la notte. Vergine della Luce I Dove sei, donna Anna ? Anna! Annal' — Il silenzio. Nella torva foschia: mattinale soltanto l’orologio rintocca per l’ultima volta,: Donna Anna si leverà nella tua ora suprema, si leverà nell’ora della morte, 1910- tó febbraio 1912

381

.ÎIjiMcm cMëpmu 1

Kan thîkko jiepTBeuy cpejpi jiionefi 3KHBHM H CTpaCTHBIM HpHTBOpHTbCHi Ho nano, nano b. oShjcctbo BTupaibCH, CKpuBâH Hilft Kaptepii jurar KOCTCt. . ■.

ÎKhbhc cnsT. MepTBep BCTaer hb rpo6a, h b 6aHK Hîter, h b cyn HßeT, b ceHaT. . . HeM HOHb 6enee, Ten aepHee 3Jio6a, h nepbfl TopHîecTByiome ckphhht, MepTBeH secb neHb ipynaTca Han noKJianoM. ripHcyrcTBae KOHnaeTCH. H bot — HamenTHBaeT oh, bhjihh 3anoM, ce&aTopy cnaßpeaHMt aneKsoT. . . y » Benep. MenKXdk loænb aanuienaii rpasbio HpQXOHOÏX, H HO'Ma,. H npOHIIÎi BBIOp., « . Â MèpTseiia — K ipyroMy ßesoßpaab® ■ CKpeiKeHiyiliHl Hecer taKCOiioTop.

B saie MHorojironHHü h HHoroKoaoHHHtt CneinHT MepTBen. Ha Heit — h3hihhhô $paK. Ero napHT yjiHÔKOfi ßjiarocKJioHHoö xo3HflKa — nypa h cynpyr — nypaK. Oh H3HeMor ot hhh tohobhoA cKyiot, HO HH3r KOCTefl My3HKO0 3arayinoH. . . Oh Kpemto hîmct npHfrrejibCKHe pyiœ — HCBBUU, hchbhm KaaaTbcst noimteH 'Otti

382

D alle « D anze della morte »

Com’è penoso per un morto fingersi 'vivo ed appassionato fra la gente ! Ma bisogna introdursi in società, nascondendo lo stridere delle ossa.;. Dormono i vivi Sorge dalla bara, e va in banca, al senato, al tribunale... Piu bianca la notte, piu nera la collera, e scricchiano le penne trionfalmente. Tutto il giorno il morto ri affaccenda a un rapporto. L ’orario ha fine. Ed ecco, dimenando il sedere, egli sussurra a un senatore uno scabroso aneddoto... Ê sera. Schizza la pioggia 'di fango i passanti e le case ed altre inezie... Ed 'un’auto di piazza cigolante porta il morto a una nuova turpitudine.

Verso un gremito salotto a colonne s’affretta il morto. H a un elegante frac. Gli porgono un benevolo sorriso la sciocca padrona e il suo sciocco consorte. È spossato dal tedio dell’ufficio, ma la musica soffoca il fragore delle ossa... Stringe le mani agli amici — vivo, vivo egli deve apparire!

383

Jliimb y KoaoHHH BCTperntcH oaaMH e i i Q n p y r ö i Q — ona, M k o h , MepTsa. 3 a hx ycaoBHO-cBeTCKHMH penaMii

TH CÄHIHHIHb HaCTOfllRHe CJIOBa: « YcraaHfi jtpyr, mho CTpaHHo b btom 3aae. YcTaaHH apyr, Morena xononHa. Yat hojihohb ». -— « fla, ho bh ae npHrjiamajra Ha Baabe S Ì L Olia b Bac BJiioÔ.ieHa. , . » A Tau: —- NÏT y « nmeT BHopoM cTpacTHBoi ero, ero— e BOjraeHHeM b KpoBH. . .

B ee arane, neBsraecKH npeitpacHOM, ßeCCJUHCJieHHHÄ BOCTOpr JKHBOß HlOßBH. . . Oh rnenHCT e i HesHananiHè peau, njieHHTeaibHue huh hchbhx eaxosa,

H CMOTpHT OH, KäK p030BeiöT HJieHH, KaK Ha naeno creiioHHJiaci» roaoßa. . . H OCTpHi HR npHBBIHHO-CBeTCKOË 8HOCTH

c He3RemHeä bjioctbïo pacToaaer oh. . . « K an oh yMCH! Kan oh b mchh saioßaeH ! » B ee y rn ax — HesReiiiHHi, cTpäHHHi sboh: TO KOCTH JIH3raiOT O KOCTH. 19 |ÿt«pa.ta 1 S J S

2 Hoab, yjrana, $OHapb, anreKa, ÖeCCMHGHeHIDHt. II TyCKHHt CB6T. î K h b i i " ô i i i e x o t i » H c T B e p T b Bena ^ BC ë S y a e T T a K . Hcxona n e T . 384

A una colonna incontrerà con gli. occhi l’amica, anch’ella morta come lui. Dietro1i loro mondani convenevoli tu senti delle autentiche parole : « Mia stanca amica, io sottro in questa sala. Mia stanca amica, è gelida .la tomba. Mezzanotte » — « Perché non invitate al valzer M N? S ’è invaghita di voi... » N N lo sta cercando con lo sguardo appassionato, col sangue in subbuglio... Sul suo viso verginalmente bello Festasi assurda dell'amore vivo... Le bisbiglia discorsi inconcludenti, parole affascinanti per i vivi, e rimira le sue spalle rosee, la sua testa chinata su una spalla... Con la malignità dei morti sparge il pungente veleno dei salotti... « Oh, com’è arguto! E com’è innamorato! » Nelle orecchie di lei un rumore strano: lo stridere delle ossa contro le ossa. 19 febbraio 1912

2 Notte, strada, fanale, farmacia, una luce assurda ed appannata. Pur se ancora vivrai venticinque anni — sarà sempre cosi. Non c’è .rimedio.

Yiipenib — Haniieiiib omm> caaaajia,

H IIOBTOpHTCH BCË, KaK BCTapb :

Hoat, jxeaHHaH pa6b Banana, amena, yaiina, (jjonapb.

10 onmaSpa 1912

T u morirai — comincerai di nuovo, e tutto riaccadrà come una volta : gelido incresparsi del canale, notte, farmacia, strada, fanale. 10 ottobre 1912

Mh[)h aeTHT. Fona lierht. IlycTaa

M ap« aeTHT. rojia aeraT. Ilycraa BceaeHHan raanar b Hac MpaKOM raa3. À TM, nyala, ycraaaa, rayxaa, o caacTHH tBepHHUib, — KOTopufi pa3? H to CTactae? BeaepHue npoxaanu b TeMH'eroDQteM cany, b aéfeHoft raynm? Haï. iipaaHBie noporatie venant! Basa, CTpacreii, nornSeMa nynra? H to caacTHe? KoporftKft mut h tbchmm, aaÔBente, eoa, H otïçhx ot aaôoT. . , OaHeintCH — bhobb 6e3yuHHfl, HeifaBcctHHii h aâ cepnae XBâiaioiuBift iioaer. . . BsnôxHyà, raaHHniB — onacHocra. MHHOBaaa. . Ho B 3T0T CaMHl MHT' *— OHHTb TOÎTIQK! SaiiymcHHbiô Kyna-TO, aai? nonaao, aC'THT, HîyjKÎKHT, TOpOJIHTCH BOJIHOk I H, yaenacb 3a Kpaft CKoab3HmHfi, ocTpufi, Bcerna «yatmaiaHÉ 3boh, — He cxoHHM JW e ywa mm b catene necrpoä npunyMaHHHX npnnna, npocTpaiicTB, BpeaieH. . h cayaiaa

Korna as Koneii? Ha3oSaHBOsny 3syKy He Ù TBH G TCHJt 6e3 ÔTHHXa BHHMaTb. . . Kan cTpanmo Bcë! KaK hhko! — Aafi MHe pyny TOBapniH, npyr! 3a6yneMCH onarb. 2 1I M

388

1912

I mondi volano. G li anni volano. Il vuoto

I mondi volano. Gli anni volano. Il vuoto universo si specchia nei nostri occhi bui. E tu, anima stanca, anima sorda, riparli sempre di felicità. Cos’è felicità? Le frescure serali nell’orto che imbruna, nel folto dei boschi? Oppure le fosche viziose delìzie delle passioni, del vino, del crollo dell’anima? Cos’è felicità ? Un breve attimo angusto, l'oblio, il sonno, e il riposo dai pensieri... T i svegli — e di nuovo un insano, un ignoto volo che ti afferra per il cuore... T i rianimi, guardi — è passato il pericolo... Ma nell’attimo stesso — daccapo una spinta! Scagliata chissà dove, a rompicollo, vola, ronza, precipita la trottola! E, aggrappandosi al margine lubrico, aguzzo, e sempre ascoltando quel suono ronzante, — difficile non impazzire nel variopinto alternarsi di cause illusorie, di spazi, di tempi... Ma quando la fine? Chi avrà mai la forza di udire in eterno il fragore molesto? Com’è orrida e assurda ogni cosa ! — Ridammi la mano. Ci assopiremo di nuovo, compagna ed amica! .2

Indio 1912

389

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Bcë XOHCT HaM IIOMOIb, KaK 8T0T Miip. nereTb 6eciiear>Ho B CHHIOmyiO HOlIt> ! ÜKBMÔjOt. 1912

390

Per un deserto prato paludoso

.Per un deserto prato paludoso voliamo, Noi soli. Come carte laggiù a semicerchio si sparpagliano i fuochi, Bambina, dalle carte della notte indovina dove sia il tuo faro... Più audace ancora sprizzerà negli orchi l’ineluttabile tenebra. È serrata dal mare della notte la distesa lontana dei prati! -E la fragranza amara e sconsolata di nebbie e di profumi, e gli anelli nel guanto sottile, e il paesaggio severo, e lo scalpitare degli zoccoli sopra il deserto squillante — tutto' parla dell’immensità, tutto vuol porgerci aiuto'. Come il mondo volare senza mèta nella notte raggiante! ottobre 1912

391

K Myse

ËCTb b iianenax tbohx coKposeHHHx poKOBan o ruoeaii bsctb. ÊCTB npOKBJtTbe 3&BBT0B CBHmeHHMX, iiopyranne cnacTHH ecTt.

H TaKaa BjieKymaa cuna, HTO rOTOB H TBepHHTb 3a MOJIBOH, SyHTO aHTeiIOB TH HH3BOHBHia, co6na3HHa cBoeft Kpacoroä. . . H Koraa TH CMeentbca Han Bepoft, Han to6 oS 3aropaeTCH Bnpyr tot HeapKHft, nypnypoBO-cepHft h Korna-To MHofi BHneHHHfi Kpyr. 3 aa, nofîpa nu? — T h bch — He OTcrona. Mynpeâo npo tc6h roBopar: Ä H H hhhx Th .“ - h Myaa, H HyflO. Zina Mena TH ■— Myamte h an.' H ne ana»,, saneii na paccseTe," b nac, Horffa yate ire ôbi. io can, ne nonio h, ho jihk tboA aaMetan n tbohx ÿTemeHHl npocn.'i? H xoien, hto0 m h 6 h h h sparam i, Tan sa mo » nonapana MHe TH ayr c aBetaua h TBepjp. co saesnaMH — scë npoKUHTse CBoeii KpacoTH?

H KosapHee ceBepHofl hohh, h XMeabHeft 3onoToro Ah , 392

C ’è nelle tue segrete melodie un.’infausta notizia di rovina. C ’è l’anatèma dei precetti sacri, c’è l’oltraggio della felicità. Ed una tale forza affascinante, ch’io son pronto a ripetere la voce che tu abbia fatto discendere gli angeli, allettandoli con la tua bellezza... E quando' ti fai beffa della fede, sopra, di te si. accende all’improvviso lo scialbo alone porporino-grigio, che fu da me intravisto quella volta. Cattiva, buona? — Tu. non sei di qui. D i te si parla in maniera bizzarra: per altri tu. sei Musa e meraviglia. Per me invece tu. sei martirio e inferno. Ed io non so perché sul far dell’alba, nell’ora in. cui languivano le forze, non sono morto, ma ho scorto il tuo viso e implorato le tue consolazioni. Io volevo che fossimo nemici, ed allora perché tu mi hai donato un prato in fiore ed un. cielo con stelle — l’anatèma della tua bellezza.? Perfide piu della nordica notte e piu inebrianti d’un dorato Aï,

H JIJöSoBM HHTRHCKOS KOpOie ö h ;i h cTpamiibie nacrai t b o i i . .

.

H iüHjia poKOBaa oxpa^a b noimpaHBii aaseTHEix cBUTUHb, h 8e3VMHaH cepany y c a a a a — 3Ta i'opbKaa cTpacxh, kok immuni»! 29 dexaSpH 1912

394

piu brevi di un amore zingaresco eran le tue terribili carezze... Ed era come un bàlsamo fatale il calpestare le intime reliquie, e una delizia folle per il cuore questa passione amara come assenzio 29 dicembre 1912

T h roBopimtb,

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T h roBopimib, «ito h ipeiffl»,

TH yHH3HTein>Ho xoxoHeiin». H TH MCHH 3aCT3BHTb XQHeiHb cto

pas npoii3iiecTii : jimôjim.

T bo:ë » bkhhI roaoc tombh. Clan HanoMHEaeT ctrh ra 3 e.n1, a a npimien k TeÔe m d p a«, rue BeaHbili euer h s o i Meiean. M hc cTpaHCH sajibca H erauf h

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M « 6o »cb xeijH HasBaTb no iDicHii. 3a?eM ime hmh?

Xlaiî MHe TpeBOHCHo caaepuaTt OHa.MlI HfaiHHMH MOHMH TBOii 10/KHHÜ ÔaeCK, 3aÔHTHË llHOl, HanoMHHaioDTHfl nanpacno l e n t yjieTeBumii, ao û t npenpaciibiii,

yÖHTHÄ HOHblO CHerOBOË12 te a œ S jM 1913

Tu dici die io sto sonnecchiando

T u d id che io sto sonnecchiando, tu ridi in maniera umiliante. E tu vorresti obbligarmi a proferire cento volte: ù amo. La tua voce meridionale è languida. H ai la vita come una gazzella,, ma io vengo a te dalle contrade in cui è neve eterna ed urlo dì tormenta. È strano il lieve, tintinnio del valzer ed il nuvolo afoso che ti avvolge. T u sei per me come un leggiadro sogno, che trainee fra polvere di neve... E d ho tanta paura di chiamarti per nome. Il nome a che mi servirebbe? Lascia che io contempli ansiosamente con le avide pupille il tuo splendore

meridionale già dimenticato, che evoca invano nella mia memoria 11 giorno dileguato, il dolce giorno, Uccìso dalla notte nevicosa. 12 dicembre 1913

397

Hoeaa ÄMepum

IIpa3KHHK pajlOCTHUS, IïpaBfflHHK B6JIHKHÖ, na 3Be3na H3-3a Tyu ne bhhh3. . . T h CTOHnn. non, MeTesiaaefi hhkoh, poKOBan, poppiaa erpana. 3a CHeraMH, secam i, ctcohmh TBoero MH6 ne bhkho jiBqa. TojibKO mb crpaniHHH npocrop npen oaauH, HenoHHTHaa nrapb 6es KOHO,a? YTonas b rayöoKOM cyrpoöe, a na yTjxue caraœ caatycb. He b GoraTOM noKomnbCH rpo6e t u , yöoran $HHCKaH Pycb! TaM lipHKHHeillbCH TH ÖOrOMOUbHOä,

Tau cTapyiHKoi npHKHHembCH th , ruac MDŒHTBeHHHË, 8B0H KOJIOKOJIBHHä, 3ä KpecxauH — KpecTH, na Kpecra. . . T qjibko nanan tboë chhkë h pocHBit npO'CKBOBHT MH6 nopO IO MHHU'i. . .

H ei, He CTapuecKMft sh k m He hocthbiä non uočKOBCKHu naaTouHOM: nseTHiiut Ckbd3ì aeuHHe homxohh* m cbbhh, eK T eH B H , CKTeH bH , e K T e H b ll ■—

IHOHOTJIHBUe, THXIie pCTH, sanHjiaBiHHe m era tboh. . , flam m e» nanrne. . . H Berep psanyiicH,

HepHoaeuHHM 398

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nycrapeu. . .

La nuova America

Festa grande e gioiosa, ma la stella non. si vede a causa delle nuvole... T u stai sotto un’aspra tormenta, fatale contrada natia. Dietro le nevi, le selve, le steppe non riesco a vedere il tuo volto. Solo un’orrida ampiezza innanzi agli occhi, una strana largura senza fine? Annegando in un cumulo di neve, io salgo dentro una fragile slitta. Mon è ricca la bara là cui riposi, misera Rus* finnica! Ora simuli d’essere devota, ora simuli d’essere vecchietta, accenti di preghiere, scampanio, e croci, lunghi filari di croci...

Solo nel fumo azzurro del tuo incenso per me traluce a volte un’altra immagine... Non l’aspetto senile da Quaresima col fazzoletto di Mosca a colori! Tra le genuflessioni e le candele, litanie, litanie, litanie — bisbigliami, sommessi discorsi, le tue guance pervase di fiamma... Piu oltre, piu oltre... E il vento s’è lanciato, volando per deserte terre nere... 399

KycT flopojKHtiH no BeTpy Meraynca, CJIOBHO JÇfaHKOH BSMaXHyjl opapeM. . . A yat tom, 3a peitofi iiojihobohhoh, m e .opnrHyjmcb k scarne kobeuih,' thhct rapi>io ropm efi, cboöohhqS, 'CBHmHH rynH b naneKot naan* ■ • Hui» onHTi sto -— c-thu noàOBepKHi h TäTapcKan 6ytHa.H npeni»? He noHcapoM an $ecnn TypeaKofi aaSÿHHiîaa iKKafl cTBHb? Her* He bhhhq TaM KHHHCbero 'Clara, He .meaoMàuH aepnaioT J3oh, ii npenpaCHa». BHyniä sapóre He khhhct nonoBeiiKiift nonoH. . . Her, He BbioTCfl TaM nó BeTpy «lyön, He HecTpeioT b CTenax ôyaayKH. . . TaM aepHeioT $a6pHHHHe TpySbi, TaM aaBoncKne CTonyT ry^KH. nyrb crenHofl — de3 KOHiia, 6es ncxona, cTeub, Ha Berep, na BeTep, — h BHpyr MHorojrpycHtiH Kopnyc 3äBona, ropona H3 paßoHHX jiaayr. . . H a nycTHHHOM npoerope, Ha hhkom th ace Ta, «ito Sana, h He Ta, hobhm th o6epHynacb MHe hhkom, h Hpyran BojrayeT MeiTa. . . MepHHfl yrojib — noH3eMHHfl Meccnn, «tepHbdi yroiib — 3necb napb h hcchhx, 400

Un arbusto nel vento s’è scrollato, come un diacono che agiti la stola... E ormai là, dietro il fiume colmo d’acque, dove le stipe si piegano a terra, spira libero un soffio di 'bruciato, si sentono clamori in lontananza..,' Sono di nuovo le tende dei Pòlovcy e la fortezza indòmita dei Tartari.? Forse con un incendio di fez' turchi di nuovo infuria la steppa selvaggia ? N o, non si vede il vessillo del principe, nessuno attinge con Telino il Don, e la bella nipote d’un varjago non maledice la sua prigionia... No, non s’attorcono duffi nel vento,

non svariano le insegne nelle steppe... Nereggiano i camini delle fabbriche, gemono le sirene di officine. L a strada della steppa è senza fine, steppa, e vento, e vento, — e all’improvviso il corpo a molti piani d’una fabbrica, le città di casupole operaie... Sulla deserta vastità selvaggia, sei sempre quella, eppure sei diversa, ti volgi adesso, a me con nuovo aspetto, e un’incomueta fantasia mi turba... II nero carbone 'è il Messia sotterraneo,

il nero carbone è il sovrano e lo sposo,

ne CTpameH, Heeecra, P occhh, rojioc KaMCHHHx. neccH tboiix! ho

Yrojib CTOHCT, h coat aaSeaenact, h jîtejieaœaH boot pyna..... . To nan CTenbK) nycTott aaropenacb MH6 ÂMepiïKH HOBOt SBeBJtal 1 2 SenaC'PH I S I S

402

ma non spaventai fidanzata, Russia, la voce dei tuoi càntici di pietra! Geme il carbone, ed il sale biancheggia, ulula il minerale di ferro... Sopra la steppa deserta s’è accesa per me la stella d ’una nuova. America! 12 dicembre 1913

Amte AxMamœùü

«'Kpacoïâ CTpanma»,— Barn cke/kvt — B e HaKBHeTe jichiibo inajib McnaHCKyiO' na imena, Kpacïïeît poaaH —■ b Bcuiocax.

«Kpacoia npocTa», — Ba>i cHajwyT — necrpofl majib® Heyaie.no B ei yicpoexe peÔeiiKa. «paCHHS pO'3äH — Ha IÏOJiy. Ho. pacceflBHO' BHimaH BCCM CHOBEM, KpyrOM 3ByHaiqHM,

B e aanyuaeteci. rpycruo h tsepHHTe npö ceon: «He cTpanma h hc npocxa h ; h He TaK cTpamaa, hto6 npocTO yßHBaTb; He Tait npocTa fl, h t o 6 He 3HaTb, KaK HCH3Hb CTpanma». 16 denaöpsi 1913

404

Per Anna Achmàtom

« L a bellezza è tremenda », — Vi diranno — e Voi vi getterete pigramente lo scialletto spagnuolo sulle spalle, con una rossa rosa fra i capelli. « Semplice è la bellezza », — Vi diranno — e Voi con lo scialletto variopinto coprirete malpratica un. bambino. Scivolerà la rossa rosa a terra. Ma, ascoltando distrattamente tutte le parole che suonano al'intorno, malinconica Voi rifletterete, ripetendo da sola sottovoce : « Io non sono terribile né semplice; e non cosi terribile, da uccidere semplicemente; e neanche cosi semplice, da ignorare Forrore della vita ». 16 dicembre 1913

405

Een» arpa . . .

Eon. arpa: ocTopojKHo boììtii. hxoÖ b hum an te Jiionei ycHHHTt,; a rnaaaMB no&ray Hat™; a 3a net HeaaiieTHO 'CJiennrb, Kai; 6h hh 6hdi hotjttok a rpy6 HCHOBeK, 3a KOTOpHH CUCHST, —oh HoayBCTByeT npHCTajibHbit ssrAnn xoTb b y raax ene ipornyBiiiHX ryo. Ä apvrot — tohho epaay notMer: BsnporHyi nneaa, pyKa y nero; oöepHeTCH — h HeT HHaero; MCJKHy TCM -- ÔeCnOKOftCTBO paCTCT. T bm h cxparaeH hcbhähmhö Baratro, BTO ero HeB03M03KH0 nolMan,; qyenn, tu , ho He MOJKenib noHHTb, hbh rjiaaa aa to6ok> cnerorr. He KopHCTb — ne BnioßneHHocTb, He mcctb TaK — arp a, khk arpa y HeTefi; h b coòpaHHH KaatnoM nioneft 3TII TafiHHe C b lU fU K U eCTb.

Tu h cam intorba He notuenib, OTHero TaK 6uBaei nopofi, aro co'Sqjo TH K jiidhhm npimenib, a ytfleiiib ot Klonet ■— ne coòot. EcTb «ypnoft h xoptìmHt ecn» raaa:> TO.3i.bKO ay'mie 6' Hraet ne cnenro: 406

Esiste un giuoco...

Esiste un giuoco : entrare con cautela, per assopire l’attenzione umana: e trovare con gli occhi la preda; e braccheggiarla senza farsi scorgere. Per quanto grossolana ed impassibile, la creatura che viene braccheggiata sentirà quello sguardo almeno agli angoli delle labbra appena sussultanti. E un’altra come se capisse subito : le tremeranno le spalle, la mano; si volterà senza vedere nulla; e nel mentre cresce l’inquietudine. Tanto pM orrendo è lo sguardo invisibile, perché non è possibile ghermirlo; tu lo senti, ma non puoi comprendere di ehi siano gli occhi che ti seguono. Non è amore o vendetta o cupidigia; è un giuoco, come un giuoco di bambini : vi sono in ogni riunione degli uomini simili agenti segreti.

A volte ti è difficile capire perché accada cosi di quando in quando, che ti rechi immutato fra la gente e te ne allontani già diverso. Esiste l’occhio buono ed il cattivo, meglio però se non ci braccheggiassero : 407

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denaôpa 1923

sono troppe le forze sconosciute, che giuocano dentro di noi... Oh, tristezza ! Fra un migliaio di anni noi non potremo misurare l’anima: udremo il volo di tutti i pianeti e gli schianti dei tuoni nel silenzio... Ma frattanto viviamo nell’ignoto, senza conoscere le nostre forze, e, come bimbi giocando col fuoco, bruciamo gli altri e noi stessi... 18 dicembre 1913

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Ax, n e Bcë ma mhc paBHO ! B hobb C Â p y æ y c b c K a S a p K o t cupnimoft, MOHOTOHHO'H II HeBJHel! B hobb h ßyny ühtb bhho! Bcë paBHO, HC XBHTHT CHIIH

noTamiiTbCH ko nonna C TpeSBOÄ, HHtlIBOIO yjlHÔKOË, sa KOTopoü — CTpax mothjih, SeciioKoiicTBo iiepTBeiia. j e Sexaffpa 1 9 1 t

Come aumenta l’angoscia sul far della notte!

Come aumenta l ’angoscia sul far della notte! C ’è silenzio, c’è freddo, c’è buio. L a coscienza rimorde, la vita s’affanna. Non si ha forza di guardar la luna dalla finestra gelata. Qualcosa accade nel mondo. Al mattino ho paura di aprire il giornale. C ’è qualcuno che vuole apparire, qualcuno che va gironzando. O forse ha mutato proposito ? Un ospite insonne, un assito scricchiante? Come se mi importasse tutto questo! Sarò di nuovo amico del violino monotono e canoro delle bettole! Tornerò di nuovo a bere vino! Poco importa, non basterà la forza per trascinarsi cosi fino in fondo con. un sorriso sobrio e menzognero, che celi Io sgomento della tomba, l’irrequietudine d ’un morto.

30 dicem bre 1913

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T p o n a M ii T aäH H U H , h q r h h m h , iip n e u e r e T p a y p iio fi s a p n , npiiR V T aaM yaeH H H e h m h , HaH HIIMII BCTaiiVT y n iiip n . O b ö o t n p iia p a K ii h o t o h c HX nOMHfflJieHfcH h R e n a , il

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TäK HäM Benin epcMeu eejiunbe

poaonepanaa cijdbôa. ! F p o o a , HanojiHeHHue r i n n b i o , cboSo r h iä , cöpocb c Moryniix nrien ! Beë, Bcë — Ra cianer jierKofi rn-obio non eojiHiieM, ne ycTaBiiniM kichb ! h

3 mowi 1907

412

Per sentieri notturni, misteriosi

Per sentieri notturni, misteriosi, alla luce d’un lugubre crepuscolo, verranno quelli clic essi hanno straziato, ■ si leveranno su loro i vampiri. I fantasmi notturni avvolgeranno i loro intenti e le loro faccende, e ancora vivi diverranno putridi i loro corpi troppo, troppo sazi. Le loro navi in un abisso d ’acque non troveranno le ancore ossidate, e tu non finirai di recitare, prete panciuto', il salmo dei morenti! Ceffi sazi di gente soddisfatta, nascondetevi nelle fosche bare! Vuole cosi la grandezza dei tempi ed il destino dalle rosee aita ! Libero, scrolla dalle forti spalle i feretri ricolmi di marciume! Tutto, tutto diventi lieve polvere sotto il sole non stanco di bruciare ! 3 giugno 1907

413

H e c n f l T , n e h q m h h t . He TopryioT.

He ciiHT, ne d O'Mhht , ne TopryioT. H a« nepHHM roponou, nan ctoh, ctoht,

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414

Non dormono, non ricordano, non trafficano

Non dormono, non ricordano, non trafficano'. Sopra la nera città, come un gèmito,

dilaniando k sorda notte, incombe lo scampanio solenne detta Pasqua. Sopra l’umana creazione, che egli piantò ndla terra, sul puzzo, sulla morte e sul dolore scampanano sino a estenuarsi... Sopra le inezie del mondo; su tutto ciò cui non può darsi aiuto; scampanano sulla pelliccia, che tu quella notte indossavi.

30

marzo 1909

415

H — raMJieT. Xoaoneer KpoBb

fl — ràujieT. XojioneeT KpoBb, Korna HJI6T6T K O B apcT B O ceni, h b cepaue — n epsaa hioÖdbl. >KiiBa — K eiuiHCTBeHHoii Ha CBere. '

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8 (ßeepajw 1914

416

Io sono Amleto. Si raggela il sangue

10 sono Amieto. Sì raggela il sangue, quando l’astuzia intreccia le sue reti, mentre nel cuore il primo amore è vivo, vivo per l’unica creatura al mondo. 11 freddo della vita ti .ha portato, Ofelia mia, lontano, ed io perisco', principe, nella contrada nativa, trafitto da una lama avvelenata.

6 febbraio 2,914

4 17

27

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SL Detta cosi l’ispirazione

SL D etta cosi l’ispirazione : la mia libera fantasia s’appiglia sempre a quei luoghi dov’è umiliazione, dov’è sporcizia e tenebra e indigenza. Laggiù, laggiù, con più um iltà, più in basso, — di là si scorge m eglio un altro mondo... H ai m ai tòsto i bambini a Parigi o sul ponte i poveri d’inverno ? Dischiudi gli occhi, schiudili al più presto sul fittissimo orrore della vita, prim a che un grande nubifragio spazzi tutto quello che c’è nella tua patria, — lascia maturare il giusto sdegno, prepara al lavoro le braccia... E se non puoi, fa ’ si che in te si accumuli e divampi il fastidio e la mestizia... Ma di questo' vivere mendace cancella l’untuoso rossetto e, come talpa timida, nasconditi sotto terra alla luce ed impietrisci, tutta la vita odiando con ferocia e tenendo in dispregio questo mondo, e, anche se tu non veda l’avvenire, dicendo no alle cose del presente! autunno 1911 - 7 febbraio 1914

419

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I S l i . Abenomch. Finistère

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Ricordi? Nella rada sonnolenta

Ricordi? Nella rada sonnolenta la verde acqua dormiva, quando1, in fila, con una. lunga scia entrarono le navi da .guerra. Erano quattro, grigie. Molti dubbi ci 'turbarono per un’ora intera, e gli abbronzati marinai passavano accanto a noi coin portamento grave. Il mondo divenne pili attraente t più largo, e a un tratto le navi levarono le ancore. Le vedemmo infilarsi 'tutte e quattro nel cupo delia notte e dell’oceano. E il mare riprese il suo aspetto consueto, lampeggiò malinconico il faro, quando sul basso semaforo fu dato l’estremo segnale...

D i quanto poco, noi bambini, abbiamo bisogno in questa vita, tu ed io. Vedi, il cuore è lieto di allietarsi anche della piu esigua novità. Trova per caso sul tuo temperino un granello di polvere di terre lontane — e il mondo apparirà di nuovo strano, avvolto in una nebbia colorita! 1911 - 6 febbraio 1914. Aberwracb. Finistère

421

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rpemHTb 'ßeccTHRHO, HenpoßyHHo, CHCT HOTepHTb HOHail H RH.HM, H, c rojiOBol OT xr.iertH Tpymioü, npoiTH. CTOpOHKOfi B ÔOJKHË XpaM.

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26 aezycma 1914

422

Peccare senza vergogna, senza risveglio

Peccare senza vergogna, senza risveglio, perdere il conto delle notti e dei giorni, e con la testa greve di ubriachezza .penetrare di fianco nel tempio divino. Inchinarsi tre volte fino a terra, sette — farsi il segno della croce, sfiorare in segreto con la fronte calda il' pavimento coperto di sputi. Mettendo nel piatto un soldino di rame, baciare tre volte e poi sette di séguito il povero rivestimento di un’icona. nei secoExonsunte ■-dai -baci.,. T ornando a casa, truffare qualcuno

per riavere quello stessblölclö^ e col piede scacciare dalla porta, singhiozzando, il cane affamato. Bere sotto il lumino dell’icona il tè, schioccando col pallottoliere, poi, dischiuso il panciuto cassettone, insalivare di nuovo i tagliandi, e su sacconi imbottiti di piume piombare in un sonno pesante... — “•TSfa 'imdic ceaj? le contrade per me la piu cara. 26

« g o lfo

1914

423-

IlerporpancKoe He6o

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ïlerporpancicoe neßo mjtmiiocb noHtnHH, Ha boühv yxoHiot axneaoH. Bea KOHua — aasoi 3 a b3bohom h hithk aa HanojiHHJi 3a saroHOM Baron.

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Her, aaM He 6hjio rpycrao, HaM He 6hjio acajiB, HecMOTpa Ha rojkhjihbjto nana. 424

Il cielo di Retrogrado si intorbidava di pioggia

Il cielo di Retrogrado si intorbidava di. pioggia, la tradotta partiva per la guerra.

Senza fine — plotoni e plotoni, baionette e baionette riempivano un vagone dopo l’altro. In questo treno fiorivano in mille esistenze la pena del distacco, le angosce dell’amore, la gioventù, la forza, la speranza... Nel lontano tramonto le nubi fumose erano rosse di sangue. E , appena sditi, intonavano gli uni Varjàg, e gli altri, discordi, cantavano Urmà\, e gridavano urrà, e scherzavano, e la mano si faceva sommessa la croce. D ’un tratto volò sotto il vento una foglia cadente, sfavillò oscillando una lanterna, e sotto una nuvola, nera un gaio trombettiere diede il segnale della partenza. E con. gloria guerriera ruppe in pianto la tromba, colmando i cuori di angoscia. Un urrà senza fine sommerse lo strepito delle ruote ed un fischio' arrochito. Erano ormai spariti netta nebbia gli 'ultimi respingenti, e sino al. mattino era sceso il silenzio, m a dai campi piovosi giungeva incessante un urrà, nel grido minaccioso echeggiava sempre: e tempo!

No, non sentivamo tristezza né compassione, malgrado la piovosa lontananza. 425

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426

Questo è un terso, fedele, duro acciaio, ed ha forse bisogno della nostra mestizia ? Questa pietà — la sommerge l’incendio, lo scalpitio dei cavalli ed il rombo dei pezzi. La tristezza — la offusca il vapore avvelenato dei sanguinosi campi di Galizia... 1

settem bre 1914

427

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Te, KTo «ocToâHeË, 6o«e, 6ome, na y3pHT aapcTBHe raoe! S ceanu&juz 1914

42B

Quelli che sono nati in tempi oscuri ■ it

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Quelli che sono nati in tempi oscuri non rammentano il proprio cammino. Noi — figli dei terribili anni della Russia — non potremo scordarci di nulla. Anni che trasformate tutto in cenere! Siete forieri di follia o di speranza ? Dai giorni della guerra, dai giorni della libertà — un sanguigno riverbero è nei volti. Si è muti : è stato un rombo di campane a farci serrare le labbra. Nei cuori, una volta esultanti, è adesso un vuoto fatale. Sopra il nostro giaciglio di morte si levi gridando uno stormo di corvi, — quelli che sono i piu degni, Dio, Dio, vedano l’avvento del Tuo regno!

S settèm bre 1914

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KpecT H nacHiib MoruuiH ßpaTCKoi, bot rae TH Tenepb, TMinHHal JI hhib meMHmet necini connaTCKofl Hanané neceTCH son na. Â bSjihbh — Bcë n y cT O h hcmo, b cBiepTHOM CHe — sp ara h: ip y s ta . H ropnT Bseana Bii(|>neeMa TâK CBCTJIO, K a K JüOÔOBb MOH. S êenaôpM 1911

430

Io non ho a lz a ta la ban diera bian ca

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Io non ho alzata la bandiera bianca, assordato dall’urlo dei nemici, tu sei passata per strade notturne, e noi, soli con te, presso i bastioni.

J

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Strade notturne, si, strade fatali ci hanno divisi e ci hanno ricongiunti, e a stento sino a te di nuovo, Russia, siamo arrivati da un paese straniero. L a croce e il terrapieno d ’una tomba comune ora ti accolgono, silenzio ! Giunge soltanto di lontano l’onda di un angoscioso canto soldatesco. Ma in vicinanza tutto è vuoto e muto, nemici e amici in un sonno di morte. E risplende la stella di Betlemme, luminosa cosi come il mio amore. 3 ikem&re 1914

431

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432

Mutò ,tut to in burla dapprima

Mutò tutto in burla dapprima, capi — si mise a rimbrottarmi, tentennava la testa leggiadra, cominciò ad asciugarsi le lacrime. Dimenticato tutto all'improvviso, rideva, stuzzicandomi coi denti.

A un tratto ricordò — ruppe in singhiozzi, disseminando di forcine il tavolo. Si fece scura, si avviò1, si volse, tornò' indietro, aspettava qualcosa, malediceva, mi voltò le spalle, e se ne è andata forse per sempre... Ebbene, è tempo di riprendere il lavoro,

il lavóro consueto. Ma è possibile che la vita abbia smesso di frusciare, di frusciare come la tua veste? 29

febbraio 1916

433 28

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T h h eau 6n a Korna-ro MpaaaeË h CMeneË, no 3Be3nâM npowraTb th yuea, HTO rpanymne hohh — TeMHett a TeMHeft, aro Hoaau HeH3BecreH npeaeji.

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Buno BpeMH HaneHCgu h Bepu öoabmott — 6hh a npocT h HOBepam, KaK t h . Illea a k hiohhm c oîKpHTOË h hctckoë Hynioâ, He nyraacb hiohckoë KaeBeTH. . . Â Tenept — xex Haaeata He oTHmeuib caena,

naaeKHH 3se3naM yHecaocb. H , k KOMy mea c otkphtoë nymoio Torna, OT T o r o oTBepHyTbca npamaoci..

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H caMa Ta Hyina, aro, n n aaa, atnaaa, TpesoaHeHbaH orflafbca enema, — 434

T e ripeti che io sono freddo, chiuso ed' arido

Tu ripeti che io sono freddo, chiuso ed 'arido, è 'vero, e sarò tale anche con te: non per le dolci parole ho temprato lo spirito1, non per le amicizie ho lottato col destino. E ri tu stesso una volta pili tetro e più intrepido, tu. sapevi leggere dagli astri, che le notti, future sarebbero state più. cupe, che le notti non hanno confine. E s’è avverato. E d il mondo s’è fatto' selvatico, non un faro balugina dintorno. Per chi non comprese la, profezia delle stelle, — è insopportabile il buio circostante. Anche a chi non sapeva che esiste il passato,

che la notte futura non è vuota, — annebbiano il cuore stanchezza e vendetta, il ribrezzo ha distorto le labbra... Vi fu un tempo di grande fiducia e speranza — io ero come te semplice e crèdulo. Andavo dagli uomini con animo aperto e infantile. senza temere l’umana calunnia... E adesso — di 'quelle speranze non v’è alcuna traccia, tutto è fuggito .alle stelle lontane. Ho dovuto .staccarmi anche da quelli, dai quali andavo con animo aperto.

E qudl’anima stessa che, ardendo, anelava di concedersi in preda ai turbamenti, — 435

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spamnoK, h JnoÔoBbio o bs H3onijia, cropejia <ma, Ta jtyma.

H ocTajiHCb — yjiHÔKOH cBeneHHaH 6poBb, CHtaTBiS poT h neHanbHaa Buacrb SyHTOBanb HeHacarrayro meHCKyio KpoBb, sam araa 3BepHHyio crpacTb. . . He cTyqiicb me aanpacHo y hjiothhx ABepeft, ctohom ce6a He tomh:

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436

è infiacchita dall’odio e dalTamore, ed è bruciata, quell’anima.

Resta il ciglio rattrattò dal sorriso, la bocca serrata ed il triste potere di eccitare, accendendo passioni ferine,

l’insaziabile sangue femminile... Non battere indarno alle porte massicce, non tormentarti con un>anO'gèmito; non troverai simpatia fra le povere bestie, che prima si spacciavano per uomini. Copri il viso con maschera di ferro,, inchinandoti alle sacre bare, proteggendo col ferro finché puoi un paradiso, inaccessibile agli schiavi folli. 9 giugno 1916

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Cftag5w naHMOHTOJIH3M! XoTb HMH JtHKO, Ho Mae jiacKaeT cjiyx oho. ßjiaduMup Cojioebee Mmhbohh — Bac. Hac — tbmh, h tbmh, h tbmh. IIonpoßyäTe, cpasHTeci. c Bàita! fla , Ckh$ h — u u ! fla, a3HaxH — mh, —• C paCKOCBIMH H JKaHHHMH OaaMHÎ JXbb Bac — BeKa, rjih Hac — eHHmift aac. Mh , KaK nocjiyniHHe xojiohh, HepjKajiH mHT Meat jïByx BpaataeßHux pac — MoHrojioB h EBponn! Beita, BeKa Bam crapwa ropfi KOBaa h aarnyiilaii rponà h8bhhH;, h sHKott CKasKoi; 6h 3i hhh Bac npoBaji h JI'HccafîoHa, h MecciiHHl' B h cothh ner rmmejïH Ha B oćtok, k o h h h njiasa Haum nepjiti, Il BH, rayMHCb, CKHTajIH TOJIbKO cpOK, Korna HacräBHTb nyraeK »ep aa! Box — cpoK HacTaji. KpbmaMH 6bct 6ena, H KaJKRHfi HCHb OÖHH.H MH05KHT, h nem> npHneT — He 6yneT h caeaa OT sauiiDC IlecTyMOB, 6htb Momex! 0 , cxapHi MHp! IloKa th He non*6, nona tùìmhhibch Myitoi cnaRKot, ocraHOBiiCB, npeuynpng, nan Burnì, n p e i C^ hhkcom c npeBHeio 3ara&K0ftl . . .

G li Sciti E an m o eg o lism o ! B en ch é

la parala

sia barbara,

p m e accarezza il m io u d ito . V l a d i m i r ' S o lo v ’ e v

'Voi siete milioni. Noi nugoli, e nugoli, e nugoli. Provatevi a combattere con noi! Si,, gli Sciti noi siamo! Noi siamo gli Asiatici dagli occhi guerci e cùpidi! Per voi i secoli, per noi una sola ora. Noi, come servi obbedienti, facemmo da scudo fra due razze ostili — i Mongoli e l’Europa!

Per secoli e secoli la vostra fucina ha foggiato, coprendo il rombo delle valanghe, e una fiaba selvaggia fu per voi il cataclisma di Lisbona, e quello di Messina! Per cento e cento anni guardaste ad Oriente, accumulando e fondendo i nostri gioielli, e aspettavate con scherno il momento di puntare le bocche dei cannoni ! E l’ora è giunta. Batte le ali la sciagura, e ogni giorno moltiplica le offese, e verrà il giorno in cui dei vostri Paestum forse non resteranno piu vestigia! Oh, vecchio mondo! Prima di soccombere, finché ti struggi d’un dolce tormento, fèrmati, sapientissimo come Edipo, dinanzi alla Sfinge dall’antico enigma!... 439

PoCCHfl--- C$HHKC. JlHKyH II Cftöpßa, II 'OÖJIMBäHCb HfepHOl. KpOBbK), on a raaR H T,'rjiH iH T , n i n n a r :b , TeÖH,

H C HeHaBÄCTHO, H C ätt)6 0 BbK)l . . . JUa» T8K jhoöhtb, KaK jho6ht Hanta npoBb, HHKTO H3 sac RaBHO He jiioöht! 3a6biJiH BH, «no b MHpe ecTb nioSoBb, KOTopaa h nouer, h ryöirrl Mh

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L a Russia è la Sfinge* Esultando e affliggendosi, e irrorandosi di sangue nero, essa tì guarda, ti guarda, ti guarda con esecrazione e con amore !... D i amar cosi come ama il nostro sangue ormai tra voi nessuno è più capace! Avete obliato che esiste un amore, che brucia e che distrugge ! Noi amiamo tutto: e l’ardore dei freddi numeri, e il dono delle visioni divine, tutto ci è comprensibile: e l’acuto spirito gallico, e il tenebroso genio germanico... Noi ricordiamo tutto: l’inferno delle strade parigine, il fresco di Venezia, la lontana fragranza dèi boschetti di limoni, e le moli fumose di Colonia... Noi amiamo la carne — e il suo gusto e colore, e Fafoso, mortale odore della carne.., È colpa nostra forse se scricchia il vostro scheletro ■ fra le nostre pesanti, carezzevoli zampe? Siamo awezzi, .afferrando per le briglie i focosi cavalli che s’impennano, a spezzarne la groppa pesante, e a domare le schiave restie.,. Venite a noi! D agli orrori della guerra venite agli abbracci pacìfici! Finché non è tardi — la spada nel fodero, compagni! Diventeremo fratelli! 441

 ecHE h c t » — ttaM Herero TepaTb, h HSM Hociyntto BeponoMCTBo! Beaa, Betta — sac 6y«er nporaiHHaTb ßojibHoe nosnHee iiqîomctbo! innpoKO no ßeopHM h ïiecaM nepen; E sp o n e» aparoateft paccTynHMcal Mh oSepraeMca k bom cBoeio asHaiCKOi posteti

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H ihtc Bee, ajpnre lia V paal M h , oamipaeM mccto 6 qio CTanbHux M am iïH , n e iMineï Hmerpan, C UOHTOàbCKOft HMKOKt' OP'ROK) l Ho caun mh — oTHMae — bum ne m u , QTHHÎïe B 6ot H6 BCTynHM caMM! Mh nornaiHM, nan CMepTH&ifâ. ôoft khœht, 'CBÖHMH ySHIÏMH F JïasaM H !

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442

Se no, — non abbiamo da perdere nulla, anche noi sappiamo essere perfidi! Nei secoli sarete maledetti dalla tarda, malata discendenza! Per grandi estensioni di macchie e di boschi dinanzi all’Europa avvenente faremo largo! Volgeremo a voi il nostro ceffo asiatico! Venite tutti, venite agli Urali! Noi sgombriamo quei luoghi per la lotta di macchine in cui anela l’integrale con la mongolica orda selvaggia! Ma noi — d’ora in poi — non vi faremo da scudo, d’ora in poi non entreremo in battaglia! Osserveremo la mischia mortale coi nostri occhi stretti! Noi lasceremo che l’Unno feroce frughi nelle tasche dei cadaveri, incendi città, spinga in chiesa le mandrie, cuccia la carne dei fratelli bianchi!.... Per l’ultima volta — vecchio mondo1, ravvediti ! y A un festino fraterno di pace e lavoro, y per l’ultima volta — a un radiosöleVtinö ti invita la lira barbarica!

30

gennaio 1918

443

Blok con la madre, nel 191:9, sul balcone del suo appartaménto a la Prjalka, La foto fu scattata da Aijanskij, il direttore' della casa editrice. « Alkonost », che pubblicò alcune raccolte di Blok.

Blöfc a ventisette anni (1907). Blok nella parte di Amleto in uno spettacolo a Boblovo (1 agosto 1898). Gertrude era interpretata da una parente dei Mendeleev, Serafima Dmitrievna.

Blok a trentun anni (1911). Blok in. uniforme di ufficiale del genio, al Palazzo d’inverno, nel 191:7. Era appena tornato dal fronte e lavorava nella Commissione Straordinaria d’inchiesta sul regime zaristico.

Blok a trentatre anni (1913).

Barcollava la luce a una finestra

107

Inviando questa lirica a Zinaida Gippius, Blok le scrisse il 14 settembre 1902 : « Sto diradando la mia atmosfera densa e lampeggiante con una crudele arlecchinata, di cui vi mando l ’espressione poetica ». L o stesso motivo si incontra piu tardi in una didascalia del dramma Bàlaganci\ (Il piccolo barac­ cone) : « Medioevo. Chinandosi pensosamente, ella segue i movimenti di lu i. Tutto linee severe, grande e pensoso nel suo elm o di cartone, egli traccia per terra dinanzi a lei un cerchio ■ con un’enorme spada d i legno'm.

Creature primaverili

149

Questa poesia fu isp irata a B lok d ai d isegn i d ella pittrice T a t’jana Nikolaevna G ip p iu s. Secondo B d y j ( Vospominanija

o Biof a in et Epopeja »

1922, 3), il poeta soleva am m irare le

immagini di diavoletti e creature fantastiche tratteggiate d alla Gippius^ nelPalbum Kindisch.

su una Bestia d i Pórpora la Sposa

■ 155

Allegoria della Grande Meretrice. (Apocalisse X V II, 3).

Divertimento! Strepita la tromba

163

Questa lirica riflette le aspre dispute fra Blok e gli « Argo­ nauti » nell’estate del 1905 a Šachm atovo, e in particolare la sorda t furiosa partita a carte che egli giocò per tre giorni con Sergej Bolov'ëVi il quale canticchiava incessantemente Paria Æ Tomskij. «. Parole pili, dolci dei suoni di M ozart: T re carte, tre carte,, tre carte » da. L a

dama d i picche di

C ajkovsk ij (ct’r. 449

29

A ndrej Belyj, Vosfom im nija o B lo\e, in « Epopeja » 1922, 2). Sui. contrasti, teologici che divisero quell’estate i giovani simbolisti e sulle infatuazioni mistiche di Sergej Solov’ev cfr. M.

Beketova, Aleksandr B lo\, Pietroburgo 1922, pp. 96-97.

I sazi

177

Blok si riferisce agli scioperi degli operai della centrale elettrica di Pietroburgo nell’ottobre 1905.

Dolce fratello! Imbrunisce

179

L a poesia è rivolta a B ely j. L a « sorella » è L ju b ov’ D m i­ trievna,. la. moglie di Blok. II paesaggio di questo -componi­ mento (i dintorni della stazione di Lanskaja su lla ferrovia d i Finlandia presso Pietroburgo) torna nella lirica « Il vento ir­ romperà, urlerà la neve » del 6 gennaio 1912, I versi « q u asi fossimo in un nuovo spazio, quasi 'fossimo in epoche nuove » riecheggiano un’espressione della ümraaticeskßjß sìmfonija di Belyj.

L a notte di San G o « » »

187

Blok allude ai riti e ai sortilegi dell’antica festa di Kupala, che coincide nel folclore slavo con. la notte di San Giovanili (dal 23 al 24 giugno).- Si accendevano falò nei campi e si cre­ deva. che quella notte apparissero- -dal fondo della terra luc­ ciole, felci, tesori.

L a Sconosciuta

193

N o ta K ornej C u kovskij : « R icordo bene il luogo di villeg­ g iatu ra presso P iter (Pietroburgo) descritto ne

La Sconosciuta.

R icordo le sbarre al p assaggio a livello d ella ferrovia d i F in ­ 450

landia, oltre le q u ali si stendeva la m elm a d ’u n a palude, sca­ vata da borri diritti... Ricordo relegante panetteria, sopra la quale, secondo l ’uso d ’allora, faceva di sé bella mostra, in ag­ giunta 'all’insegna, una grande ciambella indorata, visibile''dai finestrini dei vagoni... » (Jz vospominaatj ob Ale\sanÌre

Bloke, in Literaturnaja Moskva, Mosca 1956, p. 785).

Ecco è apparsa. H a offuscato

213

L ’attrice NataPja Nikolaevna Vclochova.

Secondo battesimo

217

Le poesie Secondo Battesimo, E di nuovo le nevi, Sótto le

maschere, Il cuore è abbandonato d ia tormenta fanno parte del ciclo Sneznàja Mas'j(a (La Maschera di neve).

la sfinge dal volto intaccato — su lla N ev à gigan tesca

235.

U n a delle due antiche sfin gi che cam peggiano su lla riva destra della N ev à, accanto a ll’A ccadem ia delle arti.

A perto è il Panoptikum triste

245

N e l 1907 B lok tornò a visitare p iu volte un m useo delle cere, in cu i era esposto un m anichino d i C leopatra che, g ra­ zie a un acconcio m eccanism o, sem brava respirare. Scrive K orn ej Č u kovskij : « R icordo che il “ Panoptikum triste ” m enzionato n ella su a

Cleopatra

si trovava su l N ev sk ij, al

N . 86, presso il L itejn y j, e che q u aran tan n i (rie!) or sono,

in dicembre, vi incontrai Aleksandr Akksandrovic, e m i sor­ prese il vederlo afflitto e cupo accanto alla regina di cera se­ midistesa con una piccola serpe in mano — una nera serpe di gom m a che, obbedendo a una semplice molla, mordeva 451

mille volte di séguito' il suo petto nudo, tra T esultanza d ’una turba oscena » (Iz m spom ìm nij ob Ale fiandre Bìo'fye, in Li-

teraturnaja M os^m, Mosca 1956, pp, 783-84). S i tratta del cosiddetto « M useo americano Lenz », le cui cere raffigura­ vano « cavalieri medievali in corazza; rappresentanti 'di vari popoli; belve;, animali e uccelli d i paesi diversi; la regina egi­ zian a C leop atra; una donna dilaniata da un leone, ecc. » (L S . R adu nskìj, Zapiskì starogo trotina, M osca 1954, p p . 1617). I sim bolisti avevano una particolare inclinazione per i m anichini e le parvenze d i cera. In un cinescenario d i V aleri) B rju sov, realizzato d a E . Batter nel 1914 col titolo Žizn’

V smetti (L a v ita n ella m orte), l ’eroe uccide la donna am ata, perché non sfiorisca con g li an ni la sua bellezza, e ne con­ serva in u n a cripta il corpo im balsam ato (dir. V en . V is n ev sk ij,

Chudozestvennye ß ’my âorevoljucionnoj Rossii,

M osca 1945, n . 436).

Sul Campo di K td i\ò m

253

L a battaglia sul Campo di K u lik àv o (alla confluenza della Neprjadva col Don), combattuta. l ’8 settembre 13.80 fra Tesercito tartaro del chin Mama.) e quello russo guidato dal prin­

cipe di Mosca Dmitri) Donskòj, si concluse con la vittoria d i quest'ultimo ed 'ebbe un’importanza decisiva per la libe­ razione della Russia dal giogo tartaro.

Ravenna

289

Il 13 m aggio 1909 Blok scrisse alla madre da Firenze: « Siamo stati due giorni a Ravenna. Remota provincia, ancor piu remota di Venezia. L a dttadina è in letargo, e dovunque sono chiese ed immagini dei primi secoli dei cristianesimo, Ravenna .h,a conservato' meglio di ogni altra città Tarte dei. primordi, la transizione da Roma a Bisanzio, Sono molto 452

contento che B rjusov d abbia mandato in quei luoghi; ab­

biamo visto la tomba di Dante, vetusti sarcòfaghi, mosaici stupendi, il palazzo di Teodorico. Nei campi fuori Ravenna — fra rose e glicini — è la tomba di Teodorico. D a un’altra parte un’antichissima chiesa, nella quale, durante il nostro soggiorno, gli archeòlogi hanno tratto alla luce di sottoterra un pavimento musivo del iv -vi secolo. C ’è um idità, e un odore simile â quello dei tunnel ferroviari, e dappertutto se­ polcri, N e ho trovato uno sotto un altare, in un cupo ipogèo di pietra, sul cui pavimento ristagna l’acqua. V i cade sopra la luce da una: minuscola finestra; lo coprono lastre di pietra d’un morbido lilla e strati di muffa verde tenero. E un si­ lenzio terribile intórno, Mirabili scritte in latin o». Il tema' dì Ravenna e dell’esilio d i Dante non si è esaurito con Blok nelle lettere .russe. Ito ha 'di recente ripreso un poeta sovie­ tico, N ikolàj' Zabolocki), in una lirica intitolata U grobnicy Dante (Presso il sepolcro di Dante : « N ovyj M ix » , 1959, 4), che qui traduciamo, perché il lettore possa confrontarla coi versi blokiani:

per me matrigna, qui, a Ravenna. Viandante, non parlar di tradimento, le sia marchio d’infamia anche la morte. L a m ia Firenze fu 10 volli riposare

Sopra il m io austero e candido sepolcro tuba un colombo, uccello delizioso,

ma io

continuo a sognare

la m ia

patria,

e solo a lei tuttora son fedele. N on ho preso nel viaggio' il liuto' infranto, giace laggiù nella n atia contrada. Perché dunque, tristezza mia, Toscana, baci la m ia bocca derelitta?1 11 colombo dal tetto spicca il volo, quasi qualcuno lo spaurisse, e l’ombra funesta d ’un

velivolo straniero la città.

traccia i suoi cerchi sopra:

453

Campanaro, temprila le campane! Il mondo è avvolto di sanguigna schiuma! Io volli riposare qui, a Ravenna, ma anche Ravenna non mi die sollievo. 253

Venezia

In u n a lettera a V alefij B rju sov del 2 ottobre 1909, B lok , par­ lando del suo viàggio n ella n ostra penisola, osserva : « V ene­ z ia è p osta com e in un luogo speciale, d irei q u asi fu o ri d ’Ita­ lia ; la si può am are alT in drca com e P ietrobu rgo; V en ezia sta all’Italia, com e P ietroburgo alla R u ssia » . A lcun i m otivi e colori d i questo trittico blokiano su V enezia ritornano nella seguente lirica d i O sip jM an d el’stam ,'scritta nel 1920:

Della vita a Venezia tetra e sterile il significato mi è perspicuo. Si specchia con un gelido sorriso in un azzurro decrèpito vetro. Aria fine di pelle. Glauche vene. Neve candida. Verde broccato. Su una lettiga di cipresso pongono il tuo corpo caldo ed assonnato. E splendono in canestre le candele, come colombe volate in un'arca. In teatro e nel consiglio neghittoso l’uomo sta per morire. Non sì sfugge .all’amore e allo sgomento: più del platino pesa Fanello di Saturno! Nero velluto ricopre il patibolo e il bellissimo viso. Pesano, Venezia, i tuoi ornamenti, le specchiere in cornici di cipresso. L ’aria è a faccette. E in. camera si fondono mucchi d’azzurro decrèpito vetro. 454

M a fra le dita è una rosa o una fiala — Adriatico verde, perdona! Perché ta d ? D im m i, veneziana, come sottrarsi a questa morte festiva? Trem ola nello specchio il nero Vèspero, Tutto passa. L a verità è buia. L ’uomo nasce. Si estinguono le perle. E deve attendere Susanna i vecchi.

D el tutto diversa è invece la V en ezia effigiata d a Boris P astem àkj in u n a p oesia del 1914, che rivela g ià tu tti i segni dello stile cubofuturistico : 10 fui ridestato innanzi giorno da Un colpo al vetro della m ia finestra. Come ciam bella d i pietra inzuppata, Venezia nuotava nell’acqua. O gni cosa taceva, e tuttavia nel sonno avevo udito un grido, ed esso

come parvenza d’un cessato indizio' continuava a turbare l' orizzonte. Tridente di scorpione, era Sospeso sullo specchio dei mandolini Spenti e chissà, forse, da una donna offesa era stato emesso in lontananza. Spentosi, a guisa di forchetta nera spuntava nella nebbia sino al manico . 11 gran canale con sogghigno torvo si voltava come Un fuggitivo. D i là dall’ ancoraggio delle barche nasceva la realtà dal sonno infranto, Come una veneziana, dalle sponde

ora Venezia si gettava a nuoto.

455

San M arco la su a adorna iconostasi

293

Per « iconostasi » B lok intende la splendida facciata della B asilica d i San M arco.

M uori, F iren ze, G iu d a

299

Il 25-26 m aggio 1909 B lok scrisse alla m adre d alla città toscana : « M aledico Firen ze, non solo per il caldo e le zan ­ zare, m a perché lei stessa s’è abbandonata al putridum e eu­ ropeo e convertita in città strepitante, deturpando q u asi tutte le sue case e le sue vie. R estano solo alcu n i p alazzi, chiese e m usei, e alcuni lontani dintorni, e Boboli, — tu tta l’altra polvere la scuoto d ai m iei pied i, augurandole d i subire la sorte d i M e ssin a».

Fu m ose irid i in fiam m e — sem bra che stiano per volare

303

Nel saggio Molnii hkasstva (I lam p i d ell’arte, 1909), di­ scorrendo d ’una processione d i incappucciati della Miseri­ cordia, B lok si chiede : « E le .iridi azzurre alle Cascine non

sono maschere aneli'esse: Quando un vento fortuito irrompe' nell’immobile striscia dell’afa, — come fuochi azzurri si ten­ dono tutte da un lato, quasi volessero volare».

Che debbo cantarvi stasera, sign o ra...

303

Q uesti versi arieggian o una canzone italian a, che B lok aveva udito in P iazza d ella Sign oria.

Risparmia un briciolo di sentimento' R em iniscenza d ’un verso d i Lérmontov

305

(Duma:

II pen­

siero, 1838) : « N o i risparm iam o avidam ente in petto un bri­ ciolo d i sentim ento » .

456

L ’arte è un fardello sulle nostre spalle

309

In un cinem a d i F o lign o B lök assistette alla proiezione d ’un film francese che aveva g ià visto l’anno precedente a P ietroburgo. S u lla passione del poeta per il cinem a cfr. M . B eketova , Aleksandr Blok, Pietroburgo 1922, p . 260. N el suo d iario si le g g e : « Il cinem a è oblio, l’arte — am m oni­ m ento » (18 m arzo 1908). C fr. anche V . L aksin , Neizvestnoe

pis’mo Al. Bloka o hìno? in « Iskusstvo kino » , 1956, 5.

O su lla m ia rad u ra prediletta

311

A Sachm atovo. adesso m i .ramm ento K alità

311

Il prìncipe Ivàn D anilovie K alità che governò la M oscov ia dal 1325 al 1340.

Ed un. marinaio', non preso a bordo

323

A proposito di questa quartin a K ornej C ukovskij ha scrit­ to : «< Leonid A ndrèev era un am m iratore d i B lok e am ava la sua poesia fino alle lacrime. U n giorno andam m o insiem e a sciare a Vammelsuu. N on lu n gi d alla stazione d i R ajvol, L eon id N ikolaevič stram azzò nella neve, senza potersi rial­ zare : quando tentai d i aiu tarlo a rim ettersi in piedi, respinse la mia m ano e ripete con le lacrim e : E d un m arinaio, non preso a bordo, va barcollando dentro la tormenta. T utto è perduto, tutto è tracannato ! N e ho abbastanza -— non resisto piu... E defini qu esti versi « straordinariam ente g en iali... » (Iz vospominanij ob A lexandre Bloke, in Uteratum aja Moskva, M osca 1956, pp. 791-92). 457

L'angelo d'orpello

329

Il m orivo d ell’angelo d i cera che sì scioglie al calore della stu fa era stato g ià svolto d a L eo n id A ndrèev nel frag ile e

Anvelocek (1899), d i cu i B lok p arla a lu n go Bezvtèmen’e (Tem pi calamitosi, 1906). Il poeta

m esto racconto ilei 'saggio

sembra anche ricordarsi della fiaba di .Andersen sul coraggioso soldatino d i stagno che si fonde nelle Hamme d ’una stu fa. Per la su a delicata soavità questa lirica richiam a alla m ente certi disegni per bambini del pittore D obu žin sk ij, contem ­ poraneo di Blok (cfr. N . .N .

Vrangel’, M stislav

V aìerim ovic

D obuBns\i), in « Apollon », 191:1, 2). In morte di Vera Komissarževskaja

333

« N oi simbolisti — notò Blok nel saggio Pera Fedorovna Kom isssrzevskaja (1910)' — vivemmo, pensammo, ci tor­ m entam m o in silenzio per lu n gh i anni, com pletam ente soli, come se aspettassim o. E in realtà aspettavam o. E d ecco,

I’anno precedente la rivoluzione, si aprirono dinanzi a noi alte porte, si .alzarono pesanti sipari, di velluto -— e ad' una porta — sul fondo d ’una bianca sàia teatrale — comparve, ancora confusa, ancora nel crepuscolo, in distin ta (com e ap­ punto com paiono i

vivi) questa

m inuscola figu ra con la p as­

sione d ell’attica e della, speranza negli occhi azzurri, con un tremito primaverile, nella voce, questa figura raffigurante un solo impeto, una sola aspirazione verso Farcano, verso gli azzu rri, g li azzu rri lim iti della nostra vita terrena. N on sa­ pevam o chi fosse d in an zi a noi, ci abbagliarono le lu ci cir­

costanti, ci soffocarono i fiori, ci assordò la m usica trion fale di qu est’anim a gran de e sempre canora. Eravamo' tutti in­ namorati, .s’intende, di Vera Fedorovna Komissarževskaja, senza nem m eno saperlo, e innam orati, non solo d i lei, m a d i ciò che splendeva dietro le sue spalle irrequiete, d i ciò a cui ci invitavano i su oi occhi insonni e la voce sem pre espres­

siva », 458

Sulla strada ferrata

347

A commento dì questa poesia Blok scrisse : « Involonta­ ria Imitazione di un episodio dii Risurrezione d i T o lsto j: K atj usa M aslova in una piccola stazione vede attraverso un finestrino N echljudov nella poltrona d i velluto d’uno scom ­

partimento di prima classe fortemente illuminato ». Il mo­ tivo della ragazza sperduta coi propri sogni inattuabili, in, un, angolo remoto della provincia russa si incontra altresì nei racconti Stancionnyj smotritel’ (Il m aestro delle poste)

Krasavicy (B ellezze) dì Čechov e n ella lirica Trofia (L a tròica) d i N ek rasov. C fr. L eonid G rossman, Puskjn, M osca 1958, p . 359. L ’argom ento d i Sulla strada fer­ rata forni nel 1915 lo spunto al film Ne podchodite k nef s voproiamì (Non .accostatevi a lei con, domande), diretto da d i P uškin e

Ja . Prûtazanov e interpretato da I. M ozžuđiin. G fr. V en, V isn evskij ,

CAudoSestvennye fj'tny doreeoijuàonnoj Rossii,

Mosca, 1945, a.„ .814, e Jabot- Pmtazmov (raccolta d i .articoli a cura di M . A le/ nikov ), M osca 1957, p. 402.

i g ialli ed i turchini erano m uti,

347

nei verdi si piangeva e si cantava N e lla vecchia R u ssia i vagon i d i p rim a classe erano tur­ chini, qu elli d i seconda g ialli, verdi qu elli d i terza.

Il postiglione — in dossi una poddiòvka

355

L a poddiòvka era un soprabito pieghettato alla vita.

La cometa

357

N el 1910 s’era d iffu sa la voce che u n a com eta m inacciasse la terra. N el poem a

Vozmezdie (L a

nèm esi, I, w . 59-60) si

le g g e : « D ’u n a caudata ed orrid a com eta — lo spettro spa­ ventevole nei cieli » . 459

sino alle stelle si spande il maxixe!

357

D ì questo balio brasiliano, molto' popolare, in quegli anni in Russia come in. tutta l’E u rop a (la forma, russa a m atčiš »■ attraverso E francese « matchieke »), si trova m enzione anche nel monodramma Vladimir tvlajakpvskjj d i M ajakovskij e nella parodia Škola etude] (L a scuola delle dive) d i N . Evreinov. Cfr. inoltre K . Č u k o v sk ij , N at Pinkerton i sovretnennaja

literatura, 2a edizione, 1910, pp. 21-22.

C ad i dunque, benda colorata!

363

S go rga, sangue, ed im porpora le nevi! R em iniscenza d i q u ell’episodio del

Tristano e Isotta,

in

cu i T ristan o m orente si strappa la benda d alla ferita. L ’opera d i W agner era stata m essa in scena d a M ejerch ord al M ariinsk ij d i Pietroburgo il 30 ottobre 1909 (cfr. B v g e n ij B kaudo ,

Liubov’ i Smert\

in « A pollon » , 1910, 4). N e l m arzo-aprile

1910 Blok frequentò con gran de interesse g li spettàcoli w agne­ riani di quel teatro.

In un incerto, vacillante volo

365

Infervorato dai primi successi d d l’ aviazione, Blok affer­ mava che il fragore dell’elica « aveva introdotto nel mondo' un nuovo suono » (cfr. V l . P j a s t , Vospotnimnija o Bló\è, Retrogrado 1923, p. 51). N ella calda .primavera del' 1:910 egli s’era recato piu volte 'all’aeròdromo Kolomjažskij di Pietro­ burgo, per assistere agli esperimenti aeronautici (cfr. M. B e­ ketova, Aleksandr Blok, Pietroburgo 1922, p. 133). « Nei voli degli uomini, anche in quelli sfortunati, è qualcosa di antico e di fatale, e perciò di sublime » scrisse alla madre il 24 aprile 1910.

460

L ’aviatore

375

Q uesta poesia fu isp irata a B lok d all’in fau sto volo d ’uno dei prim i aviatóri ru ssi, V . F . Sm it, precipitato il 14 m ag­ gio 1911 a ll’aeròdrom o K olom jažsk ij d i P ietroburgo durante la « settim ana aviatoria » , din an zi ad u n o sm orfioso pubblico

di « snobs » . Nella prefazion e a l poem a Vozmezdie (L a nè­ mesi), parlando del 1911. egli dice: « Q uell’anno appunto fu in gran moda da noi l’aviazione; — tutti ricordiamo una serie di bei “ loopings ” e tuffi, — di cadute e scomparse dì aviatori mediocri e geniali'». L e favolose esperienze aviato­ rie di quei tempi sonò state rievocate Con malinconia da Jurij Diesa nel romanzo Zai ist' (invidia::; I, 9) e nel racconto' Ja smotrju Vprošloe (Io guardo il passato): « ... il campo verde, l ’erba dei primi voli, illuminata dal giovane sole del secolo, il bel campo vuoto e la folla di signori in "bombetta, i quali corrono fra le margherite incontro alla grande ombra, che scivola sotto i loro piedi... » 1

passi del Commendatore

379

Secondo M andel’štam , questa ballata è il « culm ine della poetica storica d i B lok , il trion fo d ’un m ito europeo che si m uove liberam ente nelle form e trad izion ali e non tem e l ’ana­ cronism o

né la

m odern ità... Q u i g li strati del tem po si sono

distesi l ’im o su ll’altro in una coscienza poetica arata d i nuovo,

e i gran elli del vecchio soggetta hanno dato u n a m esse co­ p ió sa... » (Borsite’ja nora, 1922, ora in

Sobranie soeinenij,

N ew Y ork 1955, p . 360). Il m otivo deH’auto che attraversa

la notte come un balenò, rompendo' il silenzio col suono del clackscn, ricórre anche in altre liriche blokiane, e da Blok passa in M andeKtam , per "esempio nella poesia V Pelerburge my sojdëmsja snova (A Pietroburgo ci incontreremo' "di nuo­ vo, 1920): solo un’alito maligna fuggirà nella nebbia, urlando coinè un cuculo.

461

L a parola « motor » , usata da Blok e da M andćl’štam nel senso d i « autom obile » , si ritrova con Io stesso significato nella poesia d i P asternak

Upre\ ne uspel poiusi{nef (Il

rim ­

provero non ebbe tem po d i offuscarsi, 1931).

tu senti delle autentiche parole

385

Bobòk (Granello)' del 1873, Dnevni\ pisatelja (Il d iario d ’uno scrittore), aveva

Già Dostoevskij, nel racconto incluso nel

immaginato un simile colloquio di morti, motivandolo come allucinazione auricolare d ’uno scrittorucolo ubriaco capitato al cimitero.

N otte, strada, fanale, farm acia

385

Scrive K orn ej C u k o v sk ij: «L e g g e n d o il celebre verso

“ Notte, strada, fanale, farmacia ” , ricordo la. farmacia piétroburghese che apparteneva allo speziale V in n ikov, in vìa O fi-

cerskaja, non lungi dal canale Prjažka. Accanto a questa far­ m acia A leksandr A leksandrovič passava e ripassava ogn i giorno, spesso parecchie volte. E ra sulla sua strada, e nelle

Danze detta morte vien menzionata due volte. Ricordo che nelle stesse Danze delia morte è raffigu rato in aspetto di ca­ davere il nostro comune conoscente Arkadij Rumanov, abile e spietato uom o d ’affari, che sapeva fingere u n a lacerante

vospominanij ob Alexandre Blo%e, in Literatamaja Mos\va, M osca

schiettezza e una larga poeticità dell’an im a» (iz 1956, p . 783),

La nuova America

399

Precorrendo le idee dei costruttivisti, B lok vagh eggiava

una grande rinascila industriale della Russia. « Il futuro della R u ssia —- e g li scrisse nel diario (5 novem bre 1915) — è nelle

462

fo rze ancora intatte delle m asse popolari e delle ricchezze sotterranee » . Q uesta poesia, vicina in qualche punto alle im ­ m agin i dei com ponim enti civili d i Brjusov, preannunzia il tem a d ell’am ericanism o, dell’em ulazione' d ell’A m erica, che ricorrerà d i frequente n ella letteratura sovietica. Q uando essa

fu citata d alla rivista « G ornozavòdskoe d elo » (L a causa m i­ neraria : 1914, i), perché esprim eva la « lum inosa, vivificante id ea d ell’im m enso significato d ell’in d u stria », B lok (a detta d i V l . P ja st , Vospominmija

a Blo\e, R etro grad o

1923, p. 50)

si rallegrò per la « fo rza d ’azione della parola, della poesia

sulla realtà » . V a ricordato inoltre che il .23 ottobre 1915 il poeta concepì un dram m a sul « rinnovam ento industriale

della R u ssia».

litanie, litanie, litanie

399

Il testo ru sso h a « ekten’i » . « E k ten ’jà » (dal greco èx-rév ei«, zelo, fervore) è una preghiera della liturgia ortodossa.

come un diacono che agiti la stola

401

Traduciamo con « stola » il termine « orar’ », lunga stri­ scia d i stoffa portata d ai diaconi su lla sp alla sin istra.

Sono d i nuovo le tende dei Pòlovcy

401

I Pòlovcy, noti in Europa come C um ani, occuparono tra

l ’xi e il xiii secolo le steppe della Russia meridionale, com­ piendo scorrerie contro il territorio kieviano e contro Bisanzio.

e la bella nipote d ’un varjago

401

« V arjag i » è il nom e d ella stirp e norm anna d alla qu ale, secondo le cronache, uscirono i p rim i prin cipi ru ssi.

463

No, non s’attorcono ciuffi nel vento'

401

Il testo russo dice « čuby », « Čub » è il lungo' ciuffo che i cosacchi ucraini portavano sul sincipite rasato, come può' vedersi dal quadro dì Repin

reckpmu sultana,

Zaporoêcy pisat pis’mo

tu-

(G li Z aporoghi scrivono una lettera al sul­

tano turco).

non svariano le insegne nelle steppe

401;

Blok parla di « bunčuki ». Il « bunčuk », coda d i cavallo su un’asta, era il bastone di comando degli' hettnani ucraini.

s’è accesa — per me la stella d’una nuova America

403

L ’espressione £u riportata da M ajakovskij. nella sua poesia T «'

tysiati i tri sestry (Trem ila e tre sorelle, 1928).

L e loro navi, in un abisso d ’acque

413

non troveranno le ancore 'ossidate A llusione alla b attaglia d i T zu sim a (15 m aggio 1905), in cui la fiotta ru ssa fu annientata d a quella nipponica.

S i. D etta così l ’ispirazion e

419

Q uesta poesia riflette le im pressioni del v iaggio com piuto da B lok nel luglio-settem bre 1911 in G erm ania, F ran cia, B el­ gio e O landa, durante il quale egli senti «c o n m olta piu fo rza e acutezza che in R u ssia » « tu tto il m ostruoso assurdo » a cui era giu n ta la civiltà (lettera del 20 agosto d a Q uim per

alla m adre). II verso « H ai m ai visto i bam bini a P arig i » trova riscontro in questa .frase' d ’un a sua lettera del 4 settem ­ bre da, P arig i : « N ei giardin etti riarsi è una fo lla d i bam bini

464

p allid i e rachitici » . Il febbrile m ònito che percorre la lirica ci fa ricordare le parole d i Ivan Ivanyc nel racconto Kryzovni\ ( L ’u va spin a, 1898) d i C ech óv: « Sarebbe necessario che die­ tro la p orta d ’ogni uom o soddisfatto e felice stesse qualcuno a ram m en targli continuam ente còl battere d ’un m artelletto che esistono d egli in felici, che, per quanto egli possa essere

felice, la vita presto o tard i g li m ostrerà le unghie, su l suo capo si abbatteranno sventure, m alattie, m iseria, perdite, e nessuno lo vedrà o sentirà, cosi come egli ora non vede e non sente gii altri... »

.Ricordi? Nella rada sonnolenta

421

N ell’agosto 1911 una squadra navale francese s’era anco­ rata dinanzi al piccolo' porto' d ell’A berw rach sull’Oceano' Atlantico, dove i Blok soggiornavano',, e il poeta aveva inter­ pretato questo avvenimento come un presagio d i guerra.

465 30

A bbiam o disposto, tranne rari casi, le poesie blokiane in ordine cronologico, seguendo il criterio adottato d a V I. O rlov n ella su a edizione del 1955 (A . B ., Soanenija v dvuch tomach, G osudarstvennoe izd atel’stvo chudožestvennoj literatury, M o­ sca). À questa edizione ci siam o attenuti anche per il testo russo, confrontando tu ttavia i sin goli com ponim enti sul Polttoe

sobranie stichotvorenij v dvuch tomach, curato nel 1946 d allo stesso O rlov (Sovetskij pisatel’, L en in grado), e su ll’edizione d i tutte le opere d i B lok apparsa tra il 1932 e il 1936 a Len in ­ grad o (A . B-, Sobranie sočinemj, 12 vo ll., Izd atel’stvo pisatelej).

466

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4 75

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478

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77 Testo e traduzione 79 8i 83 ,85 ^ 87 ^•'89 ‘91 93 95 97 99 101 103 105 107 " 109 in

117 119 121 123 125 127 129 133 135 137 139

Pigre e pesanti nuotano le nuvole Creata nella sorda mezzanotte II vento portò da lontano Te ne vai nelle tenebre scarlatte II celeste non è misurabile con l ’in telletto ^ Solitario, vengo a visitarti Ombre trasparenti, arcane nuotano V Aspetto un grido, cerco una risposta Primaverile crepuscolo T u risplendi sopra un alto monte T u sei il giorno limpido' Lenta la vita andava... Io, adolescente, accendo le candele È terribile il freddo delle sere Barcollava la luce a una finestra Egli comparve all’armonioso ballo V La libertà, contempla il cielo azzurro

Se ammirerò di notte la tormenta Un bordone di rovere ho intagliato Ero tu tto brandelli variopinti. Per la città correva un uomo nero L a mia lima è in un maestoso zenit La fabbrica v Sul crocicchio v T u mi vestirai d’argento' N e l l ’o ra in. cui s’inebriano i narcisi L a città verso rosse co n trad e

La notte

!

B K a 6 a .K a x ,

b

n e p e y jiK a x ,

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140

V anna, y,nm a. . . EojiomHUe nepm eH m i.m

146

T eap u eecenm ie

148

b

144

IlemôuMKa 152 Bojiomtmü nonuK 156 E ojioto — rayÔOKaa BnanHHa 160 IIoTexa! PoKoaer Tpyôa 162 EeuiazamuK 164 Ocemaia. eojut 168 J^eByniKa nejia b aepKOBHOM xope 172 TaM, b HoaHoâ 3aBMBaiomeH cTyate 174

Cumae Mhjibih 6paTÎ 3 aBeaepejio JlasypHO ßneiBoi Mecaij niton: IIsüHusa HOHb .HeanoKOMna Pych IHmeihf», BaöpBisfaHHBiH 3Be3na.Mii O m a so dsop Tuimma qeemem Mmy orHeit — orneii nonyTHHX BajiazaH T h CMOTpaxiiB B oaa hchhm 30pHM B ot HBHaacb. 3 acaoHHaa Bmopoe Kpeufeme M msmb mesa. Hod Ma.cKa.MU Gepdqe npećtako MemeÆtt Y am a. Ho rnaKHHTM Htnajin C KajKBOH BecHoio nyiH moh Kpyae K om a b jiHCTBe cbipoö h pmaBofl B Te nomi CBCTJme, nycTBie Cmotcma dem H h npoBe.T öesyMHBit ron HaeonampO' H MHHOBaa 3aKaT SarpHHHH H nOMHK) HJIHTeJIBHHe MyKH

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141 Nelle bettole, i vicoli, le svolte ^ 145 Una strada, una strada... \ 147. Diavoletti palustri "Z 149 . Creature primaverili v* ^153 L'Invisibile v 157 I1 pretino palustre 161 L a palude è l’òrbita profonda 163 Divertimento! Strepita la tromba -165 II piccolo baraccone V /169 Libertà autunnale "173 Una fanciulla cantava . / 175 Là, nel notturno ululante gelo 177 I sazi ^ 179 Dolce fratello! Imbrunisce 183 N el pallido azzurro la luna nuotava i 187 L a notte di San Giovanni iq^ LalScohosduta^ V ^ Ï 9 7 ~“ R5 r ~ ""Ig L . 201 Uno stràscico spruzzato di stelle 203 Finestre sul cortile 205 II silenzio fiorisce 207 Cerco le luci — le luci propizie 2.09 II baraccone 21J Guardi negli' occhi i limpidi 'Crepuscoli * 213 Ecco è apparsa. H a offuscato 217 Secondo battesimo 219 E d i nuovo le nevi - 221 Sotto le maschere 223 II cuore è abbandonato d ia bufera 225 Se ne andò'. Ma i giacinti aspettavano 229 Ad ogni primavera 231 Quando tra foglie rugginose ed umide 233 In quelle notti luminose, vuote ? 235 L a vergine di neve 239 Ed io bo trascorso un anno folle e 245 Cleopatra - 249 H o sorpassato' il tramonto purpureo I 251 Io mi rammento delle lunghe pene 4 8 1: 31

H a neue KyjiumeoM 252 flpyabfiM 262 IlmmM 266 Poccux 270 f l npHTBomneu k TpaKTHpHoi: CTOiine 2 7 2 0 noßjiecTHX, 0 noHBHxaXjö cjiase 2 7 4 OnycTHCb, sasaBecKa nnsHJiaH 2 7 6

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278

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298

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*

253 263 267 271 273 275 277 279 281 283 285 287 289 293 299 309 3il 315 317 319 323 325 329 331 333 337 339 341 343 347 351 353 355 357 359 361 365 367

camp° ài Kulikòvo A gli amici

I fotti Russia

+"

+■

Inchiodato al banco d ’una bettola V Le prodezze, le gesta, la gloria Abbassati, tendina scolorita \/ Un giorno d’autunno Sotto un fragore e un tintinnio .monotono Ormai la sera come striscia lurida II giorno primaverile Che quadro sorprendente Ravenna Venezia * Firenze L ’arte è un fardello Tutto questo è stato, è stato, è stato II fumo del falò In questi gialli giorni Dalla nebbia di cristallo N el tardo autunno dal porto Salir isole L ’angelo d'orpello U n nero corvo nella penombra nevosa In morte di Vera Komissarzevskaja Le voci dei violini Odore piccante di marzo Al ristorante Una voce dal coro v Saß« strada ferrata '■ Io, che ero un tempo superbo a Là dove echeggia nelle lunghe sale Y O g g itu su una tròika squillante

La cometa Io trascino, 'trascino la mia vita \ / Passano le ore, e le giornate, e gli anni In un incerto, vacillante volo

Umiliazione

l l l a p p acK an eH H M tt, b o jio t o ë B e r p H ajieTH T, b o c t c e e r

Aeuamop lEazu EoMondopa II juicku CMepmu MnpH jieTflT. Fona jictht. rivera« B'OnOTHCTUM, nyCTHHHHM JiyrOM K Mffse T h ro B o p H tn b ) «it o a a p e m m o

37 ° 372 374 37 s

382 388 390 39 2 396 398 404 406 410 412 414 416 418 420 422 424 428 43 ° 432

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484

371 373 375 379 0 383 389 391 393 397 ,® 399 * 405 407 ■ 411 413. 415 417 419.

421

Una dorata, sfera incandescente II vento irromperà, urlerà la neve V'J L ’aviatore 1 fossi del Commendatore Dalle « Danze della morte » 'v I mondi volano. Gli anni volano-. Il vuoto 'd Per un. deserto prato' paludoso

Alla Muso T u dici che io sto sonnecchiando

La nm m America Per.. Anna Ackmà'tom Esiste un giuoco;.,. Come aumenta l’angoscia sul far della notte! Per sentieri notturni, misteriosi Non dormono, non ricordano-, non trafficano Io sono Amleto. Sì raggela il sangue Si. Detta cosi l’ispirazione Ricordi? Nella rada sonnolenta Peccare senza vergogna, senza risveglio II cielo di Pietrogrado si intorbidava di pioggia Quelli che sono nati in tempi oscuri

423 — 425 429 431 Io non ho alzata la bandiera bianca 433 Mutò tutto in burla dapprima / 435 T u ripeti che io sono freddo, chiuso ed arido \f € —439 Gli Sciti —

447 Note al testo e commento

465

Indice delle illustrazioni

4 Aleksandr Blok in una fotografia del 1907. il

Aleksandr Blok a cinque anni.

75 Aleksandr Blok in una fotografia del 1916. Al fron­ te, nelle paludi di PMsk. 191 Manoscritto della poesia Nezna\om \a (La Scono­ sciuta). 445 Alcuni momenti della vita di Aleksandr Blok 467 Aleksandr' Blok a Sachmatovo nel ,1909 (?).

487

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