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OAK ST. HDSF

THE UNIVERSITY OF ILLINOIS LIBRARY

195 VGGYcZ

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L161— H41

SAGGI FILOSOFICI ii

VICO

BENEDETTO CROCE

LA FILOSOFIA DI

GIAMBATTISTA VICO Seconda edizione riveduta

BARI GIUS.

LATERZA & FIGLI

TI l'OQ KAFI-KDITOBI-LIHK AI

1922

PROPRIETÀ LETTERARIA A NORMA DELLE VIGENTI LEGGI

Stampato in Trani, coi

tipi dolla Ditta Tipografica Editrice

Vecchi e C.

ifs-

V4GV X

GUGLIELMO WINDELBAND

743018

AVVERTENZA

Per quali ragioni a me una nuova esposizione della

sia

sembrata necessaria

filosofia

del Vico, potrà

agevolmente desumersi dai cenni sulla fortuna sto scrittore e dalle notizie bibliografiche, che

gono

nella seconda

e

terza

appendice del

di

que-

si

leg-

presente

volume.

Qui occorre avvertire soltanto che la mia esposizione non vuol essere un riassunto libro per libro e parte per parte degli scritti del Vico;

pone

la

conoscenza

vuol eccitare

il

di

questi scritti

e,

e,

lettore a procacciarsela

anzi, presup-

ove manchi, per meglio

seguire, e per riscontrare, le interpetrazioni e

che

gli

vengono da me

giudizi

offerti.

Su questo presupposto, pur valendomi (specialmente nei

i

capitoli

relativi

alla

assai spesso

storiografia)

non ho creduto opportuno virgoleggiarle (salvo dove mi piacesse dare

delle parole testuali dell'autore,

risalto alla precisa espressione originale), perché, aven-

dole di solito combinate da brani sparsi nei più vari luoghi e ora abbreviate ora allargate e sempre fram-

AVVERTENZA

Vili

mischiate liberamente con parole e frasi mie di commento, il continuo virgoleggiarle sarebbe stato un mettere in mostra, con più di

rovescio del

fastidio

che

di

utilità,

il

mio ricamo, che ciascuno potrà osservare

quando ne abbia voglia, col sussidio dei rimandi che ho messi in fondo al libro. Desideroso di attestare, per quanto mi era possi-

da

sé,

ogni particolare del mio lavoro, la reverenza deve al gran nome del Vico, mi sono studiato di essere breve, di quella brevità che egli conside-

bile, in

che

si

rava quasi suggello di libri scientifici ben meditati. Al qual uopo ho sacrificato anche le discussioni coi singoli interpetri,

contentandomi

Del resto, parte delle

sembrano

frutti

di semplici accenni.

interpetrazioni

qui esposte

mi

maturi delle indagini e controversie

che costituiscono

la

migliore letteratura vichiana; e

tutta quell'altra parte, che è

mia personale, e

l'idea

mio libro, difenderò a suo tempo, i dissenzienti e contro caso, gli obiettanti, diretto che nel corso dell'esposizione non

stessa generale del se sarà

nel

il

modo

ho stimato libro

avrà

cendere

le

di adoperare.

Perché

io

spero che questo

l'effetto non già di spegnere ma di racdiscussioni intorno alla filosofia del Vico:

questo Altvater, come lo chiamò il Goethe, che è fortuna per un popolo possedere, e al quale bisognerà sempre fare capo per sentire italianamente

di

la

moderna

filosofìa,

pur pensandola cosmopoliti-

camente.

La dedica

del

mio lavoro

(oltre

a essere omaggio

a uno dei maggiori maestri odierni della storia della filosofia) vuol esprimere l'augurio e la speranza che

AVVERTENZA

IX

venga presto riempita, in tale storia, quale ho richiamato l'attenzione più

mente

alla fine della

la lacuna, sulla

volte, e special-

seconda delle appendici di questo

volume. Raiano (Aquila), settembre 1910.

L'augurio espresso nelle ultime linee della precedente avvertenza ebbe compimento, e non solo il Windelband die luogo alla filosofia del Vico nella quinta edizione della sua Storia della filosofìa moderna (Leipzig,

1911,

I,

597-98),

ma

il

mio

fu

libro

subito tra-

dotto in inglese e in francese, e altre versioni se ne

preparavano, e fiorivano

quando

la

indagini e

guerra sopravvenne

ripresa di studi e la fuori d'Italia.

Non

si

e là richiamati per

delle cose; e

li

i

discussioni,

concetti vichiani non fossero

dominare

richiamò, tra gli

col pensiero altri, lo

delband, nell'ultimo suo scritto, che fu di

le

a

sospendere quella divulgazione dell'opera vichiana per altro che, durante la guerra

e in relazione ad essa,

qua

le

il

stesso

una

corso

Win-

« lezione

guerra » sulla Filosofia della storia. Questa nuova edizione contiene piccole correzioni,

schiarimenti e aggiunte, ed è messa al corrente nella parte bibliografica. La tavola dei rinvìi ai testi vichiani è stata resa più precisa, e in ciò, revisione generale, ho Nicolini,

come

nella

avuto l'amichevole aiuto del

benemerito editore della Scienza nuova.

Circa la concezione e

il

metodo

del libro

non ho

alcun cangiamento da introdurre né pentimento da

X

AVVERTENZA

manifestare

:

ma

la facile

sebbene da più parti mi sia stata rivolta superflcialissima critica, che l'interpre-

del Vico vi sia

tazione

tutta compenetrata dal

non

proprio pensiero filosofico, e perciò tiva

».

In verità, chi voglia conoscere davvero

deve leggere e meditare

i

libri del

indispensabile, e questa è la

mio

sia « oggetil

Vico

Vico; e questo è

sola oggettività possi-

bile:

non

altri

ne faccia, e che non potrebbe riuscire se non

la cosiddetta « esposizione oggettiva »

che

lavoro estrinseco e materiale. L'esposizione, invece, storica e critica di un filosofo ha una diversa e più oggettività, ed è necessariamente il dialogo tra un'antico e un nuovo pensiero, nel quale solamente

alta

pensiero viene inteso e compreso. E tale è, o procura di essere, il mio libro. Che cosa avrei potuto intendere io del Vico, se non mi fossi travagliato su problemi strettamente congiunti ai suoi o derivanti l'antico

da quelli suoi? Per questa ragione anche non posso dare importanza all'opposizione che mi è venuta da egregi scrittori cattolici,

i

quali

è

naturale che vedano

con occhi diversi dai miei. Ciò che, per

mi sembra

logico, è

il

le

altro,

loro sforzo di ridurre

il

cose

non Vico

a pensatore ortodosso; nel quale sforzo urtano inevitabilmente in due gravi difficoltà. In primo luogo essi vengono a trovarsi di fronte all' impossibilità di

spiegare perché mai

il

Vico, che, a loro giudizio, non

avrebbe fatto altro che ripetere o rinfrescare i concetti della tradizione filosofica cattolica, sia sembrato e sembri tanto originale e rivoluzionario, e sia andato tanto a genio ai pensatori moderni.

E

parimente, in

AVVERTENZA

XI

secondo luogo, si tolgono il modo di spiegareT avversione che per lui provarono gli scrittori cattolici del suo secolo e taluno insigne del secolo seguente, co-

me, per

es.,

Cesare Balbo, che

scienza cristiana.

E questo

riguardoso come credo scrittori essi,

lo senti

estraneo alla

aver detto, perché, sempre stato verso gli

basti

d'esser

non perciò polemizzerei mai con cosa tanto poco utile, quanto utile per me, tirare innanzi per la mia via.

cattolici,

stimando

e doveroso

è,

la

Napoli, 27 dicembre 1921.

B. C.

La prima forma della gnoseologia vichiana

JJa prima forma della dottrina del Vico sulla conoscenza si presenta come diretta critica e antitesi del pensiero cartesiano, che

da oltre mezzo secolo dava l'indirizzo

europeo ed era destinato a dominare ancora per un secolo le mepti e gli animi. Cartesio aveva collocato f ideale della scienza perfetta generale

allo spirito

nella geometria, sul modello della quale intese a riformare

del sapere. E poiché il metodo geometrico perviene mercé l'analisi a verità intuitive, e da queste muove dipoi per ottenere con deduzione sin-

la filosofia e ogni altra parte

tetica

sempre più complesse affermazioni,

la filosofia,

per procedere con rigore di scienza, doveva, a mente di Cartesio, cercare anch'essa il fermo punto d'appoggio in una verità primitiva e intuitiva, dalla quale deducesse tutte le sue ulteriori affermazioni, teologiche, metafisiche, fisiche e morali. L'evidenza, la percezione o idea chiara e distinta era, dunque, criterio supremo; e l'inferenza imme-

diata, l'intuitiva connessione del pensiero

con l'essere, del

prima verità

e la base per la

cogito col

smn, porgeva

la

Con la percezione chiara e distinta, e col dubbio metodico che conduceva al cogito, Cartesio si argomentava

scienza.

B. Croce,

La

filosofia

di Giambattista Vico.

1

FILOSOFIA DEL VICO

2 di sconfiggere

per ciò stesso,

una volta per sempre lo scetticismo. Ma, tutto quel sapere non ancora ridotto o non chiara e distinta e a deduzione

riducibile a percezione

geometrica, perdeva ai suoi occhi valore e importanza. Tale la storia, che si fonda sulle testimonianze; l'osservazione naturalistica, non ancora matematizzata pratica e l'eloquenza, che

scenza del cuore

umano

fantastiche. Piuttosto che rituali

;

la

saggezza valgono dell'empirica conola poesia, che offre immagini ;

si

un sapere, codesti prodotti

erano per Cartesio illusioni e torbide visioni

spi-

idee

:

confuse, destinate o a farsi chiare e distinte e perciò a svestire la loro anteriore forma d'esistenza, o a trascinare

un'esistenza miserabile, indegna dell'attenzione del filosofo. La luce solare del metodo matematico rendeva superflue

fiammelle che sono di guida nelle tenebre e proiettano sovente ombre ingannatrici. Ora il Vico non si restringe e non si attarda, come altri

le

avversari di Cartesio, a prendere scandalo per

guenze

del

metodo soggettivo, pericoloso

a disputare scolasticamente se sillogismo, e

se

come

il

cogito

sillogismo sia

o

le

conse-

alla religione;

sia o

non

no difettoso

;

o

un

sia

o a

protestare con l'offeso buon senso contro il disprezzo cartesiano verso la storia, l'oratoria e la poesia. Egli va diritto

al

cuore della questione,

da Cartesio per denza; e dove tutto rosa,

al

criterio stesso stabilito

la verità scientifica, al principio dell'eviil

filosofo francese

stimava di aver fornito

quanto si potesse richiedere per la scienza più rigoil Vico osserva che, posta l'esigenza alla quale s'in-

tendeva soddisfare, in realtà, col metodo raccomandato, otteneva ben poco o addirittura nulla.

si

Vico) è codesta dell'idea chiara e distinta! Ch'io pensi quel ch'io penso è, si, cosa induBella scienza (dice

bitabile,

il

ma non mi ha

scientifica.

Ogni

punto

l'aria

di

idea, per erronea che

una proposizione sia,

può apparire

I.

3

non perché a me appaia tale, acquista virtù scienza. Che « se si pensa, si è anche », era cosa nota

evidente; di

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

e,

persino al Sosia di Plauto, che esprimeva questa sua persuasione quasi con le stesse parole della filosofia cartesiana « sed quom cogito, equidem certo sum ». Ma lo scettico re:

plicherà sempre ai Sosì e ai Cartesì, che egli non dubita di pensare; professerà anzi asseverantemente che quel che

a lui sembra scorgere è certo, e lo sosterrà con ogni sorta di cavilli; e che non dubita di essere, anzi cura di



mercé

per non agcose altri provenienti dalle giungere gli opinioni. Ma, nell'affermare cosi, sosterrà insieme che la esser bene,

ai

la sospensione dell'assenso,

fastidì

delle

certezza del suo pensare e del suo essere è coscienza e non scienza; ed è coscienza volgare. Tanto poco la

chiara e distinta percezione è scienza, che da quando, per viene adoperata nella fisica,

effetto del cartesianismo, essa

conoscenza delle cose naturali non è divenuta punto più sicura. Cartesio ha spiccato un salto per sollevarsi dalla la

coscienza volgare alla scienza ed è ricaduto di piombo in quella coscienza, senza raggiungere la scienza agognata. Ma in che cosa la verità scientifica consiste, poiché cer;

tamente non consiste nella coscienza immediata? In che differisce dalla semplice coscienza? Qual è il criterio, o, in altri termini, quale la condizione che rende possibile la scienza? Con la chiarezza e con la

la scienza

non si muove un sol passo con l'affermazione un primo vero non si risolve il problema, che non è già circa un primo vero, ma circa la forma* che la verità distinzione

;

di

deve avere perché possa essere riconosciuta verità scientifica,

ossia verità vera.

Vico risponde a questa domanda, e giustifica la sua accusa d' insufficienza al criterio cartesiano, col ricorrere 11

a una proposizione che, a bella prima, potrebbe dirsi ovvia e tradizionale. Tradizionale non in conseguenza della

FILOSOFIA DEL VICO

4

storica con la quale

tesi

stesso poi

ebbe a

il

Vico l'accompagna e che egli che quella proposizione ri-

rifiutare, cioè

salga a un'antichissima sapienza italica; ma nel senso che comune e quasi intrinseca al pensiero cristiano.

essa era

Nulla di più familiare, infatti, a un cristiano, il quale recita ogni giorno il suo credo in un Dio onnipotente, onnisciente e creatore del cielo e della terra, dell'affermazione

che solo Dio

può avere scienza piena delle cose, ne è l'autore.

perché egli solo

Il

primo vero (ripete

il

Vico) è in Dio, perché Dio è il primo fattore; ed è vero perché egli è fattore delle cose tutte, esattissimo

infinito

perché rappresenta a

lui gli

elementi cosi esterni come in-

terni delle cose, le quali egli contiene tutte in sé. Questa

medesima proposizione circolava quanto sembra, presso

nelle

scuole,

specie,

scotisti e occamisti, e, nel

a

rinasci-

mento, Marsilio Ficino l'asseriva nella Theologia platonica, dicendo che la natura, opera divina, produce le sue cose con vive ragioni dall'intrinseco, come la mente del geosue figure; e il Cardano ripeteva che tale è la vera scienza, la scienza divina, quaì res facit, e che di essa tra le umane rende immagine

metra dall'intrinseco fabbrica

la sola

le

nel Quod nihil non può « perfecte cognoscere nec Deus creare potuisset nec creata

e lo scettico Sanchez,

geometria;

scltur (1581), ricordava che

quis quaì non creavit, regere quce

non

perfecte prcecognovisset ; ipse ergo, solus sa-

pientia, cognitio, intellectus perfectus,

nia sapit, omnia cognoscit, omnia est et in

1

Si

omnibus, omniaque ipse sunt

veda per

le

origini

il

omnia

intelligit, et

mio saggio: Le

(cfr.

»

il

Windelband, Gesch.

l .

Ma

il

fonti della gnoseologia

Sul concetto del

Opera medica, ed. di Tolosse Tectosagum, 1636,

chiamò l'attenzione p. 23.

quia ipse

in ipso

vicliiana (cit. nell'append. bibliografica), pp. 243-58.

Sanchez

omomnia

penetrai,

p. 110) ri-

d. neuer. Philosophie 3

,

I,

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

I.

Vico non

dendo

restringe ad affermazioni incidentali

si

pel

5

primo

la

e,

inten-

fecondità del concetto espresso in quella

proposizione, dall'elogio dell' infinita potenza e sapienza di Dio e dal raffronto con quella limitata dell'uomo ricavò, contro Cartesio, il principio gnoseologico universale, che la il

condizione per conoscere un-a cosa è il farla, e il fatto stesso: « verum ipsum factum ». Non altro che codesto si vuol dire (egli chiarisce), quando

vero è

afferma che la scienza è

«

» pei- ccnisas scire

perché la cagione è quel che per produrre l'effetto non ha bisogno di cosa estranea, è il genere o modo di una cosa conosi

,

:

scere la cagione è saper mandare ad effetto la cosa, provare dalla causa è farla. In altri termini, è rifare idealmente quel che si è fatto e si fa praticamente. La cogni-

zione e l'operazione debbono convertirsi tra loro, come in Dio intelletto e volontà si convertono e fanno tutt'uno.

Senonché, stabilito nella connessione fatto

della

l'ideale

realtà) conosciuta la natura vera

del

vero e del

l'ideale è la vera

scienza, e (poiché della

scienza, la

prima conseguenza che da questo riconoscimento deve trarsi è quella stessa che ne traevano i platonici e gli scettici del Rinascimento, l'impossibilità della scienza per l'uomo. Se Dio ha creato le cose, Dio solo le conosce per cause, egli solo ne conosce i generi o modi, ed egli solo ne ha la scienza. Forse che l'uomo ha esso creato

creato la propria

All'uomo non è data la

mondo? ha

esso

la

scienza,

ma

la sola

coscienza, non si può fanno. La verità di

quale per l'appunto volge sulle cose di cui

dimostrare

come

vrebbe

genere o forma onde

il

coscienza è sto

il

anima?

il

lato

umano

del

sapere divino, e sta a quepiuttosto che verità, do-

la superficie al solido

dirsi

certezza.

A

Dio

si

:

l'

ìntelligere,

all'uomo

il

solo

cogitare, pensare, l'andare raccogliendo gli elementi delle senza cose, poterli mai raccogliere tutti. A Dio il vero diil

FILOSOFIA DEL VICO

6

mostrativo; all'uomo le notizie non dimostrate e non scientifiche, ma o certe per segni indubitati o probabili per forza di buoni raziocini o verisimili pel sussidio di potenti

congetture. Il

non è scienza, ma non guarda bene dal chiamare

certo, la verità di coscienza,

perciò è il falso. E il Vico false le dottrine di Cartesio

si

egli vuole soltanto

:

degradarle

da verità compiute a verità frammentarie, da scienza a coscienza. Tatt'altro che falso è

il

cogito ergo

sum:

il

tro-

varsi finanche sulla bocca del Sosia plautino è argomento rigettarlo, anzi per accettarlo, ma come verità di semplice coscienza. Il pensare, non essendo causa del mio essere, non induce scienza del mio essere; se l'inducesse,

non per

essendo l'uomo (secondo che i cartesiani ammettono) mente e corpo, il pensiero sarebbe causa del corpo; il che ci av-

volgerebbe tra tutte

le

spine e gli sterpi delle dispute circa

mente sul corpo e del corpo sulla mente. Il cogito è, dunque, un mero segno o indizio del mio essere: nient'altro. L'idea chiara e distinta non può dare criterio, non pure delle altre cose ma della mente medesima, perché la mente in quel suo conoscersi non si fa, e, poiché non si fa, ignora il genere o modo onde si conosce. Ma l'azione della

l'idea chiara e distinta spirito dell'uomo, e,

preziosissima.

mato

Anche per

fra le scienze

è

quel che solo è concesso allo

come unica ricchezza il

Vico

umane, che

ch'egli abbia,

la metafisica

serba

tutte derivano

da

il

lei;

pri-

ma

laddove per Cartesio essa può procedere con sicuro metodo di dimostrazione pari a quello geometrico, pel Vico

deve contentarsi del probabile, non essendo scienza per cause

ma

di

cause.

E

del

probabile

si

contentò ai suoi

bei tempi, nella Grecia antica e nell' Italia del Rinascimento; e

quando

volle

abbandonare

sta dei fumi di quel

navi

»,

il

probabile e

detto fastoso

:

«

si

empi

la te-

sapientem nihil opi-

cominciò a turbarsi e a decadere. L'esistenza di

I.

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

7

Dio è certa, ma non è scientificamente dimostrabile, e ogni tentativo di dimostrazione è da considerare documento

non tanto

di pietà

dimostrare Dio,

quanto piuttosto d'empietà, perché, per farlo: l'uomo dovrebbe diven-

dovremmo

tare creatore di Dio. Parimente bisogna ritenere vero tutto

quello che ci è stato rivelato da Dio,

modo

in qual

sia

ma non domandare non potremo mai

vero, che è ciò che

comprendere. Sulla verità rivelata e sulla coscienza di Dio si

appoggiano

le

ma

il

di verità

non

;

scienze

umane

e vi trovano la loro

fondamento stesso è verità

norma

di coscienza e

di scienza.

Come

il

Vico abbassa

e coltivava, la

geva

risolleva le

le

scienze che Cartesio predili-

metafisica, la teologia, la fisica, cosi

forme di sapere che Cartesio aveva abbassate

la storia, l'osservazione naturalistica, la

:

cognizione empi-

rica circa l'uomo e la società, l'eloquenza e la poesia. 0,

per meglio dire, non ha bisogno di sollevarle per rivendidimostrato che le superbe verità della filosofia condotta con metodo geometrico si riducono anch'esse a niencarle

:

che probabilità e asserzioni aventi valore di seniplice coscienza, la vendetta delle altre forme del sapere è, t'altro

nell'atto stesso, bella e compiuta, perché tutte si ritrovano ormai adeguate alla medesima altezza o bassezza che si dica. L'idea di una scienza umana perfetta, che respinga

indegna di questo nome perché fondata non

da

sé un'altra

sul

ragionamento

ma

sull'autorità, è chiarita illusoria. L'au-

torità delle proprie e delle altrui osservazioni e credenze,

l'opinione generale, la tradizione, la coscienza del genere

umano, vengono restaurate

nell'ufficio

che hanno sempre

avuto e che ebbero nello stesso Cartesio

;

il

quale (come

suole accadere) disprezzò quel che egli possedeva in gran copia e di cui si era potentemente giovato, e, uomo dottissimo, screditò la dottrina e l'erudizione,

nutrito può darsi

il

come

chi

si

è

lusso di parlare con disdegno del cibo

FILOSOFIA DEL VICO

8

che è già sangue nelle sue vene. La polemica di Cartesio contro l'autorità si era provata, per alcuni rispetti, benefica,

avendo scosso

troppo vile servitù di star sempre che non regni altro che il proprio in-

la

Ma

sopra l'autorità.

si pretenda rifare da cima a fondo sapere sulla propria individuale coscienza, che si giunga

dividuale giudizio, che il

(come fece

Malebranche) ad augurare perfino di vedere filosofi e poeti antichi e di tornare alla nu-

il

bruciati tutti dità di

i

Adamo;

una

è

follia o,

meno, un eccesso,

lo

per

dal quale conviene rifuggire nel giusto mezzo. E il giusto è di seguire il proprio giudizio, ma con qualche ri-

mezzo

guardo all'autorità; di congiungere insieme, cattolicamente, la fede con la critica circoscritta dalla fede e giovevole alla fede stessa

:

in

modo conforme

di

mera probabilità che ha

in

modo avverso si

quale par che

il

divina regola delle cose

un gruppo

queste, secondo

modo

un posto

suoi predecessori

i

privilegiato

cartesiane al

;

vale a dire, non

vera e propria scienza, non nella cernella verità: le discipline matematiche. Sono

di coscienza,

ma

ma

delle scienze

Vico riconosca, come

del Rinascimento,

in

si fa

devono credere.

C'è, per altro,

tezza,

sapere o la scienza umana,

all'indirizzo della Riforma, pel quale lo

spirito interno di ciascuno

che

il

al carattere indelebile

di

lui, le

sole conoscenze possedute dall'uomo

del tutto identico a quello del sapere divino, e

cioè perfetto

e

dimostrativo.

aveva creduto, per

effetto

E non

già,

come

Cartesio

del loro carattere di evidenza.

L'evidenza, usata nelle cose fisiche e nelle agibili, non dà

una verità della stessa forza che nelle matematiche. Né le matematiche sono per sé evidenti con quale chiara e di:

potrebbe concepire che la linea consti di che non hanno parti? Ma il punto impartibile, che punti non si può concepire nelle cose reali, si può, invece, de-

stinta idea

si

finire; e col definire certi nomi, l'uomo

si

crea

gli eie-

I.

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

9

menti delle matematiche, coi postulati li porta all'infinito, con gli assiomi stabilisce certe verità eterne, e con questi infiniti e con questa eternità disponendo i loro elementi, egli fa il

vero che insegna. La

nasce, dunque, non dal

criterio

dall'altro enunciato dal Vico;

moltiplica, prende

il

punto

cartesiano,

ma

».

:

«

appunto

ma

non dall'evidenza,

conversione del conoscere col fare stramus, quia verum facimus

forza delle matematiche

dalla

mathematica demon-

L'uomo prende l'uno

e lo disegna; e crea

i

e lo

numeri

e le grandezze che egli conosce perfettamente perché opera sua.

Le matematiche sono scienze operative,

nei loro problemi, si

ma

e

non

solo

negli stessi teoremi, che volgarmente

stimano cosa di mera contemplazione. Per tal ragione anche scienze che dimostrano per cause, contra-

esse sono

riamente tematiche

opinione volgare che esclude dalle maconcetto di causa sono, anzi, le sole, tra le

all'altra il

;

scienze umane, che davvero provino per cause.

procedere provengono

le loro

Da

Verità meravigliose

;

questo e tutto

l'arcano del metodo geometrico consiste nel definire prima le voci, e cioè fare i concetti coi quali si abbia a ragionare; poi stabilire alcune massime comuni, nelle quali colui col

quale si ragiona convenga; finalmente, se bisogna, domandare cosa che per natura si possa concedere affine di poter dedurre i ragionamenti, i quali senza una qualche posizione non verrebbero a capo e con questi principi da verità pili semplici dimostrate procedere fil filo alle più composte, e le composte non affermare se prima non si esa;

minino una per una le parti che le compongono. Si direbbe che il Vico sia circa il valore delle matematiche affatto

d'accordo con Cartesio, dal quale

differisca

soltanto nella fondazione di quel valore. E, posto chela sua fondazione debba considerarsi più profonda, tanto più

ne verrebbe rafforzato ed esaltato l'ideale matematico, prefisso alla scienza da quello. Se l'unica conoscenza perfetta

FILOSOFIA DEL VICO

10

lo spirito umano raggiunga è quella matematica, è chiaro che sopra essa bisogna sorreggersi e alla stregua

che

modellare o giudicare le altre. Il Vico, insomma, sarebbe mosso per dare torto a Cartesio e gli avrebbe procurato una migliore ragione che quegli non sospettava. di essa

si

Ma, quantunque cosi sembri a prima vista (e cosi abbia pensato qualche interpetre), osservando meglio si scorge che

la

gran perfezione che

il

alle

matema-

la sicurezza

che egli

Vico attribuisce

tiche è più apparente che reale

;

che

vanta di quel procedere, è, per sua medesima confessione, acquistata a spese della realtà; e che, insomma, l'accento della teoria

non cade tanto

verità

sulla

pline quanto sulla loro arbitrarietà.

E

di quelle disciin questo risalto

dato al carattere di arbitrarietà egli differisce non solo dai ricordati filosofi del Rinascimento, ma anche da Galileo e dalla sua scuola

L'uomo

*.

infatti (egli dice),

andando attorno a

investi-

gare la natura delle cose, e accorgendosi finalmente di non poterla in niun modo conseguire, perché non ha dentro di sé gli elementi

onde sono composte,

e,

anzi,

li

ha

tutti

fuori di sé, è condotto via via a volgere a profitto questo

vizio della sua mente; e con l'astrazione (non, s'intende, con l'astrazione sulle cose materiali, perché il stesso

Vico non assegna origine empirica alle matematiche, ma con l'astrazione che si esercita sugli enti metafisici) si foggia due cose, « duo sibi confingit » il punto da disegnare, :

l'unità da moltiplicare. Entrambi finzioni (utrumque ftctum), perché il punto disegnato non è più punto e l'uno moltiplicato non è più uno. Indi, da quelle finzioni, di proe

prio arbitrio (proprio iure) assume di procedere all'infinito, sicché le linee si possano condurre nell'immenso,

1

Vico

veda sulla storia della gnoseologia mio saggio cit., pp. 258-67.

Si il

delle

matematiche

fino al

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

I.

l'uno moltiplicare per struisce per suo uso

l'

innumerabile.

un mondo

abbraccia tutto dentro di sé col

A

questo

modo

forme e numeri, che

coegli

e col prolungare, col tagliare,

con l'aggiungere, togliere e compu-

le linee,

comporre

;

di

11

opere e conosce infiniti veri. Non cose e definisce nomi; non può attingere gli elementi reali e si contenta di elementi immaginari, dai quali sorgono idee che non ammettono alcuna controtare

i

numeri,

può definire

fa infinite

le

versia. Simile a Dio,

«

ad Del instar

>,

da nessun sostrato

materiale, e quasi dal niente, crea punto, linea, superficie: il

punto che è posto come quello che non ha parti

linea

come

l'escurso

;

la

del

punto, ossia la lunghezza priva di larghezza e di profondità; la superficie, come l'incontro di due linee diverse in uno stesso punto, cioè la lun-

ghezza e la larghezza senza la profondità. Cosi le matematiche purgano il vizio della scienza umana, di avere sempre le cose fuori di sé e di non aver essa fatto ciò che vuole conoscere. Quelle fanno ciò che conoscono, hanno in sé medesime i loro elementi e si configurano, perciò, a

somiglianza perfetta della scienza divina {sdentici divince similes evadunt).

A chi legge queste e altrettali descrizioni e celebrazioni vichiane del procedere matematico, par d'avvertire come un'ombra

d'ironia, se

non proprio intenzionale, certamente La fulgida verità delle mate-

risultante dalle cose stesse.

matiche nasce, dunque, dalla disperazione della verità; loro formidabile potenza dalla riconosciuta impotenza!

la

La

somiglianza dell'uomo matematico con Dio non è troppo diversa da quella del contraffattore di un'opera col suo autore: ciò che Dio ò nell'universo della realtà, l'uomo nell'universo delle grandezze e dei numeri, ma queuniverso è popolato di astrazioni e finzioni. La divinità conferita all'uomo è, quasi, divinità da burla.

è, si,

sto

Per

effetto della diversa genesi

che

il

Vico assegna alle

FILOSOFIA DEL yiCO

12

matematiche, anche la loro efficacia viene assai

Le matematiche non stanno

più,

come per

ristretta.

Cartesio, al

sommo

del sapere umano, scienze aristocratiche, destinate a redimere e a governare le scienze subalterne ma oc;

cupano una cerchia, per quanto singolare, altrettanto ben circoscritta, fuori della quale se mai esse si provano a uscire, pèrdono, d'un subito, ogni loro mirabile virtù. Il potere delle matematiche incontra ostacoli a parte ante e a parte post: nel loro fondamento e in quel che a loro volta sono in grado di fondare. Nel loro fondamento,

perché se creano i loro elementi, cioè le finzioni iniziali, non creano la stoffa in cui queste sono ritagliate, e che a esse, non meno che alle altre scienze umane, è fornita dalla

non potendo dar loro il proprio sogdà certe ne getto, immagini. Dalla metafisica la geometria metafisica, la quale,

toglie il punto per disegnarlo (cioè, per annullarlo come punto); e l'aritmetica l'uno per moltiplicai'lo (cioè, per di-

struggerlo come uno). E poiché la verità metafisica, per quanto certa appaia alla coscienza, non è dimostrabile, le matematiche, in ultima analisi, riposano anch'esse sull'autorità e sul

probabile. Ciò

basta a svelare la fallacia di

ogni trattazione matematica che si tenti dalla Metafisica. Vico sembra ammettere una specie di circolo tra geo-

Il

metria e metafisica, la prima delle quali riceverebbe il suo vero dalla seconda e, ricevutolo, lo rifonderebbe nella stessa

metafisica,

umana con

confermando reciprocamente

la divina.

contestabile e

si

Ma

la scienza

questo concetto (che è più che e con-

può dichiarare senz'altro incoerente

tradittorio) richiama, in ogni caso, l'uso metafisico, o piut-

tosto simbolico e poetico che della

matematica fecero Pi-

tagora e altri filosofi antichi e del Rinascimento, e nulla da vedere con

modo

una

filosofia trattata

La geometria

non ha

matematicamente

sarebbe, a giudizio del Vico, l'unica ipotesi per la quale dalla metafisica sia dato

al

dei cartesiani.

I.

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

passare alla fisica;

una

tesi,

critica,

ma

rimarrebbe in

probabilità, qualcosa di

tra

l'

immaginazione e

mane sempre la secondo il modo

metafisica di

e,

il

13

tale accezione un'ipo-

mezzo tra

la fede e la

ragionamento, quale

ri-

in genere, la scienza

umana, questa prima forma

vedere del Vico in

della sua gnoseologia.

Come non fondano

la metafisica dalla

quale anzi deri-

vano, cosi le matematiche non sono neppure in grado di fondare le altre scienze, che pure seguono a esse nell'ordine di derivazione. Tutte

le

materie, diverse dai numeri

e dalle misure, sono affatto incapaci di

La

fisica

non è dimostrabile;

cose fisiche,

faremmo

le

(sì

metodo geometrico.

potessimo dimostrare le physica demonstrare possemus, se

faceremus); ma non le facciamo e perciò non possiamo darne dimostrazione. L'introduzione del metodo matema-

non ha giovato a questa disciplina, che fece scoperte grandi senza quel metodo, e nessuna né grande né piccola ha fatta mercé di esso. La fisica moderna somitico nella fisica

glia, in verità,

mente arredata la suppellettile,

a una casa che gli antenati hanno riccae di cui gli eredi non hanno accresciuto

ma

divertono solamente a cangiarla di

si

posto e a disporla in

modi nuovi. È necessario perciò

re-

staurare e sostenere, in fisica, l'indirizzo sperimentale contro

quello

matematico: l'indirizzo inglese contro quello

il

cauto uso che delle matematiche fecero Galileo

francese,

e la sua scuola contro l'incauto e arrogante dei cartesiani.

A

si proibisce l'insegnamento della matematica: cotal metodo non procede se non prima definiti i nomi, fermati gli assiomi e convenute le domande;

ragione in Inghilterra

fisica

ma

in fisica si

hanno a

convenzione che non

definire cose e

sia contrastata,

non nomi, non vi ha né

si

può domandare

cosa alcuna alla ritrosa natura. Onde, nel migliore dei casi, quel metodo si risolve in un puro e innocuo verbalismo: si

espongono

le

osservazioni fìsiche con la dicitura:

«

per

la

de-

FILOSOFIA DEL VICO

14 finizione

e

si

IV», «per

conclude con

il

postulato II», « per l'assioma III», abbreviature: « Q. e. d. » ma

le solenni

;

svolge nessuna forza dimostrativa e la mente resta tutta la libertà di opinare che possedeva innanzi in dipoi di udire tali metodi strepitosi. Il Vico non sa astenersi, a

non

si

proposito, da paragoni

tal

(egli dice),

quando

farsi sentire, e,

appunto come

satirici.

Il

metodo geometrico

è nel suo legittimo dominio, opera senza

ove

fa

segno è che non opera: l'uomo timido grida e non fe-

strepito,

negli assalti

l'uomo d'animo fermato tace e fa colpi mortali.

risce,

ancora:

il

E

vantatore del metodo geometrico in cose in cui

quel metodo non trae necessità di consentire, quando pronuncia: « questo è assioma » o « questo è dimostrato », è simile al pittore che a immagini informi, le quali per sé

questo è uomo », questo è satiro », « questo è leone », e via discorrendo. Onde accade che col medesimo metodo geometrico Proclo dimostri i principi della fisica aristotelica, Cartesio i suoi,

non

possano riconoscere, scriva sotto:

si

«

«

non

certamente diversi; eppure furono due geometri, dei quali non si può dire che non sapessero usare il metodo. Quel che bisognerebbe, se mai, introdurre nella se

fisica

tutti opposti,

sarebbe non

trica;

ma

il

metodo

ma

questa è proprio ciò

Meno ancora

la

dimostrazione geome-

che non è dato introdurvi.

è possibile nelle altre scienze via via più cor-

pulente e più concrete: meno che in ogni altra, nelle scienze morali. E perciò, non potendosi usare la cosa, in

cambio

si

abusa tanto del nome; e, come il titolo di « siun tempo da Tiberio perché troppo su-

gnore

», rifiutato

perbo,

si

dà ora a ogni vilissimo uomo,

mostrazione

tamente

»,

false,

cosi quello di « di-

applicato a ragioni probabili e talora aper-

ha sminuito

la

venerazione che

si

deve

alla

verità.

Per

le

matematiche

sostituzione dei metodi

stesse

il

Vico scorge pericoli nella

analitici ai geometrici o sintetici.

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

I.

E

15

dubita che la nuova meccanica sia frutto davvero del-

l'analisi, la

ventiva,

e,

quale attutisce l'ingegno, ossia la facoltà inrisultato {opere), è oscura nella via

certa nel

metodo sintetico è tum opere tura opera certissimo. L'analisi adduce le sue ragioni aspettando se per caso si diano le equazioni che cerca, e sembra un'arte d'indovinare, o una macchina piuttosto che un pensiero. Per analoghe considerazioni il Vico non teneva in alcun pregio le topiche più o meno meccaniche e le arti lulliane e kircheriane dell'invenzione e della memoria. La simpatia per lo sperimentalismo che, come si è visto, laddove

(opera),

stacca

il

Vico dall'indirizzo francese e cartesiano e

il

av-

lo

vicina piuttosto a quello italiano e inglese, a Galileo e al

Bacone,

lo

rende altresì nemico dell'aristotelismo e dello

scolasticismo. Esortando egli a cercare

particolari e a va-

i

metodo induttivo; affermando che il genere umano era stato arricchito di innumerevoli verità dalla tìsica, la lersi del

quale,

mercé

macchine e

fuoco, le

il

gli

strumenti,

fatta operatrice di cose simili a peculiari

era

si

opere della na-

raccomandando la propria metafisica come tale che serve bene {anclllantem) alla fisica sperimentale; non può non riconoscere ben meritato il discredito in cui era catura;

duta

E

troppo (egli diceva) universale. rimproverava l'introduzione delle forme

la fisica aristotelica,

se a Cartesio

fisiche nella metafisica, e

con ciò

tendenza verso

la

da

terialismo, Aristotele e gli scolastici sono poi sati dell'errore opposto, cioè di

forme metafisiche nella il

sillogismo e

il

sorite

fisica.

il

lui

ma-

accu-

aver voluto introdurre

Come Bacone,

non producano nulla

ripetano ciò che è già contenuto nelle

le

egli stima che

di

nuovo e

premesse; e mette

molteplici danni che gli universali aristotelici cagionano in tutte le parti del sapere nella giurisprudenza,

in chiaro

i

:

in cui le vuote

generalità

nella medicina, che

soffocano

il

senno legislativo;

bada piuttosto a tenere

in piedi

i

si-

FILOSOFIA DEL VICO

16

stemi che a sanare

gl'infermi; nella vita pratica, nella di abusatori universali sono derisi- col nome di quale gli « uomini tematici ». Dagli universali derivano le .omoni-

mie o equivoci, cause d'ogni sorta verso

di errori. Alla diffidenza

qui nel senso di concetti generisponde nel Vico (com'era stato caso fre-

gli universali, intesi

rali o astratti,

quente presso

gli antiaristotelici

della

tazione delle idee platoniche, delle

come

anche

Rinascenza)

forme

l'esal-

metafisiche, o,

chiama, dei generi, modelli eterni degli oggetti e infiniti per perfezione. Nominalista nelle matematiche, sospettoso del nominalismo in tutti gli altri egli

campi del sapere,

le

il

Vico asserisce la realtà delle forme o

come

da giovane fosse attratto da questa dottrina, insegnatagli da un suo maestro che era delle idee, e narra

fin

scotista e perciò seguace di quella tra le filosofie scolasti-

che che più si approssimava alla platonica. Considerata nella sua interezza, la prima gnoseologia del

Vico non è

intellettualistica,

non

mente speculativa; ma contiene che

si

compongono

in certo

modo

è sensistica e

non è vera-

tutte tre queste tendenze

tra loro,

non

col sottomet-

gerarchicamente a una tra esse, ma col sottomettersi tutte alla riconosciuta incompiutezza della scienza umana. Il tersi

suo intento sarebbe di fronteggiare, con un sol movimento tattico, dominatici e scettici, contro i primi negando che si possa sapere tutto e contro i secondi che non si possa sapere cosa alcuna; ma riesce invece a un'affermazione di scetti-

non manca neppure qualdivino è sapere unitario, quello sapere è la frammentazione dell'unità; Dio sa tutte le cose

i> cismo o agnosticismo, nella quale '

che tratto mistico.

umano

Il

perché contiene in sé tutte l'uomo si studia ;

scienza

umana

è

gli di

una sorta

eviene dividendo l'uomo telletto e volontà, e dal

elementi dai quali le compone conoscerle col ridurle in pezzi. La di

anatomia delle opere di natura,

in corpo e

corpo

anima, e l'anima in

astrae la figura e

il

in-

moto, e da

I.

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

17

questi l'ente e l'uno; onde la metafisica contempla l'ente, l'aritmetica l'uno e la sua moltiplicazione, la geometria la

moto dell'ambito,

figura e le sue misure, la meccanica il la fisica il moto del centro, la medicina la ragione, la

morale

la volontà.

corpo, la logica accade di questa ana-

Ma

il

tomia come di quella del corpo umano, circa la quale i più acuti fisiologi dubitano se per effetto della morte e della stessa dissezione sia più possibile

struttura

e

uso delle

indagare

il

vero

sito,

parti. L'ente, l'unità, la figura,

il

il corpo, l'intelletto, la volontà sono altro in Dio, nel quale fanno uno, altro nell'uomo in cui restano divisi in Dio vivono, nell'uomo periscono. La percezione chiara

moto,

:

e distinta, nonché prova di forza, è prova di debolezza dell'intendimento umano. Le forme fisiche appaiono evidenti fintanto che fisiche:

il

«

non

si

cogito ergo

mettono

sum

»

al

paragone delle metaquando l'uomo

è certissimo,

considera sé stesso, creatura finita, ma addentrandosi in Dio, che è l'unico e vero ente, egli conosce veramente non essere: con l'estensione e le sue tre misure crediamo di stabilire verità eterne,

ma

mus

le

stillatici »,

Dio: eterno della parte,

e

si

vede

ci

perché

nel fatto

«

ccelum ipsum peti-

eterne verità sono solamente in

sembra l'assioma che

il

tutto è

maggiore

ma, risalendo ai principi, si scorge che è falso che tanta virtù di estensione è nel punto del

cerchio quanto in tutta la circonferenza. Perciò (conclude Vico) « in metafisica colui avrà profittato che nella meditazione di questa scienza avrà sé stesso perduto ». il

Giudicare (come pur talora è stato fatto) che in queste proposizioni il Vico sia nient'altro che un platonico o un seguace della tradizionale

filosofia cristiana, e

conseguenza qualsiasi importanza

alla

negare per sua prima gnoseo-

logia, significherebbe attenersi a quell'erroneo tica e di storia filosofica

modo

di cri-

alle conclusioni

quale, guardando generali di un sistema, ne trascura il contenuto particolare,

B. Croce,

La

filosofia

il

di Giambattista Vico.

%

FILOSOFIA DEL VICO

18

che solo

gli



la

vera fisonomia. S'intende bene che ogni

filosofo è sempre, nelle sue conclusioni finali, o

agnostico o mistico o materialista o spiritualista, e via dicendo ossia ;

rientra in qualcuna delle perpetue categorie nelle quali si aggira il pensiero e la ricerca filosofica. Ma presentare in

questo il

modo

unilaterale

filosofi

i

giova soltanto a favorire

pregiudizio che la storia del pensiero ripeta di continuo, da un errore ad un

sterilmente, sé medesima, passando

abbandonando l'errore vecchio per il nuovo, che sarebbe anch'esso un vecchio rifatto o ritinto giovane. poi Il platonismo, agnosticismo o misticismo del Vico è somaltro e

mamente non

solo

poranea,

originale perché

non sono

ma

lo

tutto contesto di dottrine

inferiori al livello della filosofia

che

contem-

sorpassano d'assai.

La prima di queste dottrine è la teoria del conoscere come conversione del vero col fatto, sostituita al tautologico criterio della percezione chiara e distinta.

Quan-

Vico quella conversione rappresenti un ideale inconseguibile dall' uomo, non pertanto con essa viene

tunque per

il

esattamente determinata la condizione e la natura della

4

conoscenza, l'identità del pensiero e dell'essere, senza la quale il conoscere è inconcepibile. La seconda è la svelata

natura delle matematiche,

singolari per la loro origine

tra le altre conoscenze

ammirevoli

ma

inette

umane, rigorose perché a dominare e a trasformare

sapere umano. La terza dicazione del della

mondo

arbitrarie, il

restante

dottrina, finalmente, è la riven-

dell'intuizione, dell'esperienza, di quelle forme tutte

probabilità, dell'autorità,

che l'intellettualismo ignorava o negava. In questi punti l'agnostico, il platonico, il mistico Vico non era né agnostico né mistico né platonico, e compieva un triplice progresso sopra Cartesio, che, sotto tutti e tre questi aspetti, veniva da lui definitivamente criticato.

Dove, invece, Cartesio sopravanzava ancora

il

Vico era,

I.

PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

19

per l'appunto, in quel dornmatismo di cui il Vico non voleva a niun conto sapere. Riuscisse o no, Cartesio tentava una scienza scienza; e

umana

perfetta, dedotta dall'interna co-

Vico, giudicando troppo superbo il filosofo francese e disperando del tentativo, asseriva invece la il

trascendenza della verità, si appoggiava alla rivelazione e si restringeva a dare una metafisica « humana imbecillitale

dignam». La sua era una gnoseologia dell'umiltà, come quella di Cartesio della superbia. Ora, il Vico non poteva progredire anche per questo verso se non ismettendo almeno una parte della sua umiltà e acquistando qualcosa della superbia di Cartesio; introducendo nel suo spirito cattolico

un po'

del lievito di quello spirito protestante che gli sem-

brava cosi pericoloso; provandosi a* concepire una filosofia alquanto meno degna dell'umana debolezza e tanto più

degna dell'uomo, che è debole è Dio.

E

e forte insieme, è

questo progresso è manifesto nella

siva del suo pensiero.

uomo ed

forma succes-

II

La seconda forma della gnoseologia vichiana

L

volontà di credere, fortissima nel Vico, e la comdedizione del suo animo al cattolicismo del suo tempo pleta e del suo paese, lo legavano saldamente alla gnoseologia la.

e metafisica platonico-cristiana; la quale, coli psicologici,

per questi osta-

non poteva sviluppare nella mente "di

lui le

contradizioni di cui era pregna. L'idea di Dio lo domava e lo sorreggeva insieme; ed egli non aveva l'audacia né

bisogno d'investigare a fondo quale valore sia da attribuire alla rivelazione, o se sia concepibile un Dio sentiva

il

fuori del

mondo,

in qualche si

che

il

modo

come l'uomo possa affermare Dio senza dimostrarlo e perciò crearlo lui. Per far

o

Vico aprisse e in parte percorresse una nuova avrebbe condotto lo spirito umano al supera-

via, la quale

mento bile

della concezione platonico-cristiana, era indispensa-

che

la

Provvidenza (per servirci

fin

da ora di un con-

cetto vichiano, che verrà illustrato più oltre) adoperasse

verso di lui un inganno, e con lungo e tortuoso giro lo menasse all'imboccatura della nuova via, non lasciandogli sospettare dove questa avrebbe messo capo. Gli scritti, nei quali seologia,

il

De

il

Vico espose la sua prima gno-

ratione studiorum,

lorum sapientia, e

le

il

De antiquissìma

ita-

polemiche relative, appartengono

al

FILOSOFIA DEL VICO

22

quadriennio 1708-1712. Nel decennio che segui, il Vico fu tratto a darsi sempre più alle ricerche sulla storia del diritto e della civiltà.

Lesse Grozio per prepararsi a scri-

vere la vita di Antonio Carafa, e

s'ingolfò nei

dibattiti

sul diritto naturale; intensificò gli studi sul diritto

e sulla scienza del di

una cattedra

diritto in genere,

romano

per rendersi degno

di giurisprudenza nella università napole-

tana; ripensò alle origini delle lingue, delle religioni, degli Stati,

nel

tesi storiche

poco soddisfatto delle

De

da

lui sostenute

antiquissima, e forse anche intimamente scosso da

qualche critica che coglieva giusto, fattagli da un recensente del Giornale dei letterati', l'insegnare rettorica, che era

il

suo mestiere, gli porgeva continua occasione a me-

ditare sulla natura e la storia della poesia e delle forme

non è

del linguaggio. Cosicché, se

esatto dire che

il

Vico

nuovo orientamento, culminante nella seconda' Scienza nuova, mercé un processo non filosofico fu condotto al suo

ma

filologico (essendo chiaro

non può nascere fico),

se

è indubitabile

nuovo pensiero

gli

che un orientamento

filosofico

non da un processo egualmente che

il

furono

filoso-

materiale e lo stimolo pel suo offerti dagli studi filologici.

Attraverso i quali egli ebbe -a fare un'esperienza solenne: cioè, che quella materia di studio non poteva essere e non era elaborata dal suo pensiero senza l'ajuto di

che gli si ripresentavano in ogni parte della storia da lui presa a meditare. Un tempo gli era sembrato che le scienze morali, ragguagliate al metodo matematico, occupassero, quanto a sicurezza, l'in-

certi principi necessari,

fimo posto. Ora, nella quotidiana familiarità con quelle scienze, gli si veniva scoprendo il contrario: niente di più sicuro del fondamento delle scienze morali.

E

quella loro sicurezza non era la semplice evidenza cartesiana", nella quale l'oggetto, per intrinseco che si dica,

rimane estrinseco;

ma

era una sicurezza davvero intrinseca,

II.

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

23

intrinsecamente ottenuta. Nel ripiegarsi con la mente sui il Vico sentiva di appropriarsi meglio qual-

fatti della storia,

cosa che già

apparteneva, di rientrare in possesso di propri beni. Egli ricostruiva la storia dell'uomo; e che cosa era la storia dell'uomo se non un prodotto dell'uomo stesso?

Chi

gli

storia se

fa la

non

la

fa

l'uomo, con le sue idee, i la sua volontà, la sua

suoi sentimenti, le sue passioni,

azione?

E

stesso che

lo spirito si

umano, che

fa la storia,

non

è quello

adopera a pensarla e a conoscerla? La verità

dei principi generatori della storia nasce, dunque, non dalla forza dell'idea chiara e distinta, ma dalla connessione indissolubile del soggetto con l'oggetto della conoscenza.

che importava che la scoperta che piva, la verità che egli ora riconosceva Il

il

Vico ora com-

alle

scienze

mo-

era la visione di un nuovo nesso del principio gnoseologico già da lai formolato nel periodo precedente della rali,

sua speculazione, ossia del criterio della verità riposto nella conversione del vero col fatto. La ragione da lui addotta, per

la

umano,

quale l'uomo può avere perfetta scienza del mondo è per l'appunto che il mondo umano l'ha fatto l'uo-

mo stesso; e « ove avvenga che chi fa le cose esso stesso le narri, ivi non può essere più certa l'istoria ». Con questo riattacco alla precedente teoria l'affermazione circa la possibilità delle scienze morali

non prese,

soggettivamente, nello spirito del Vico l'importanza e non portò le conseguenze di una rivoluzione, che gli sconvolgesse da cima a fondo l'assetto delle sue idee e lo costringesse a procurarne uno affatto nuovo. Quell'affermazione

parve a

da una parte, una conferma della sua vecchia un esempio aggiunto agli altri che aveva già recati

lui,

dottrina,

di scienza perfetta (scienza divina dell'universo e scienza

umana del

del

mondo matematico);

e dall'altra, un'estensione

cui limiti (perché certi limiti sus-

campo conoscitivo, sistevano sempre) aveva tracciati dapprima in i

modo troppo

X

FILOSOFIA DEL VICO

24

Prima, aveva circoscritto una breve sfera luminosa mezzo a un vasto campo buio o fiocamente illuminato; ora, la sfera luminosa si ampliava di un tanto, e di altrettanto scemava la zona tenebrosa. Ampliamento che non stretto.

in

gettava punto in conflitto con

lo

sembrava

le

sue convinzioni

reli-

La non forse la libertà, responsabilità* e religione insegna consapevolezza che l'uomo ha dei propri atti e fatti? Il Vico non senti dunque il bisogno di scrivere un nuovo libro metafisico, perché gli sembrò che bastasse aggiungere una postilla al già scritto e ritoccare alquanto le sue precedenti affermazioni. La sua nuova gnoseologia, tenendo giose, e, anzi,

fermo

il

criterio generale della verità contrapposto al cri-

terio cartesiano

—e

— divideva sce, nel

favorirle ed esserne favorito.

le

cioè,

che solo chi

mondo umano;

fa le cose le cono-

mondo

cose tutte nel

e osservando che

della natura e

il

mondo

della na-

tura è stato fatto da Dio e perciò Dio solo ne ha la scienza,

restringeva l'agnosticismo solamente al mondo fisico, e dichiarava, per contrario, che del mondo umano, come fatto dall'uomo, l'uomo ha la scienza. Elevava cosi

conoscenze, dapprima meramente indiziarie e probabili, circa le cose dell'uomo al grado di scienza perfetle

ta;

ed esprimeva maraviglia che

tanto

impegno

i

filosofi

si

studino con

mondo mondo umano

di conseguire la scienza

del

natu-

o cirale, chiuso all'uomo, e trascurino il vile o delle nazioni (come anche lo chiamava), del quale è possibile conseguire

vava

la

cagione nella facilità

e seppellita nel corpo,

Di questo erramento troche la mente umana, immersa

scienza.

prova a sentire

e nello sforzo e fatica che le

le

cose del corpo,

costa d'intendere sé mede-

sima: come l'occhio corporale vede tutti gli oggetti fuori di sé e, per vedere sé stesso, ha bisogno dello specchio. In ogni altra parte, le sue idee restavano immutate. Di là dal

mondo umano,

il

mondo

soprannaturale, inaccessi-

II.

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

25

il mondo naturale, che era in certo senso anch'esso soprannaturale; di là dalla scienza perfetta che l'uomo può avere di sé stesso, la metafisica platonico-cri-

bile all'uomo, e

stiana, adatta alla debolezza, che

ad

affliggere l'uomo.

Le

continuava pur sempre

discipline naturali venivano con-

sempre come semiscienze; una formazione astratta, validissima

siderate

forza innanzi degli stoici,

il

le

matematiche come

nell'astratto, priva di

al reale. Il sillogismo di Aristotele,

il

sorite

metodo geometrico dèi cartesiani erano peramore

seguitati dallo stesso odio di prima, e con lo stesso

celebrata l'induzione che il Verulamio, « gran filosofo insieme e politico », commendava e illustrava nel suo Organo, e che gl'inglesi adoperavano con gran frutto della

sperimentale

filosofia.

Un ravvedimento

circa l'applicabilità del metodo geometrico potrebbe sembrare la frequente asserzione del Vico che la scienza delle cose umane sia da lui costruita con

uno

«

stretto

metodo geometrico

».

Ma, anche a lasciar

la struttura della Scienza nuova è proprio l'opposto di quella geometrica, è un fatto che, nel tempo stesso e negli stessi libri, "egli non cessa di mettere in guardia

andare che

metodo matematico nelle cose fisiche e ove non sono figure di linee o di numeri quale

contro l'uso del morali,

il

«

non porta necessità, spesso invece di dimostrare il vero può dare apparenza di dimostrazione al falso » onde il preteso ravvedimento sarebbe una palmare contradizione, se non gli si potesse dare un significato che ristabilisce o

;

interamente la coerenza nelle idee del Vico.

Un

signifi-

cato assai sémplice, perché, riconosciuta ormai alle scienze morali non meno che alla geometria la potenza di convertire il vero col fatto, esse potevano e dovevano svolgersi con metodo analogo a quello sintetico della geometria, () con cui da vero si passa a immediato vero, e seguire il *

mondo umano

dai suoi inizi ideali nei suoi progressi fino

FILOSOFIA DEL VICO

26

non doveva sperare di poter intendere le loro dottrine per salti, ma doveva percorrerle per gradi da capo a piedi, senza recalcitrare alle conclusioni inaspettate che ne uscissero, come non alla sua perfezione, sicché lo studioso

si

geometria, e attendendo solsaldezza del nesso tra premesse e

recalcitra a quelle della

tanto a esaminare

la

Era, dunque, codesto un metodo chiamato geometrico per analogia o per sineddoche, ma in effetti intrinsecamente speculativo, da non confondere con l'ap-

conseguenze.

plicazione della matematica alle cose morali, quale ne avevano dati esempì i cartesiani e lo Spinoza.



si

può concedere senza riserve

il

giudizio di alcuni

Vico in realtà, con l'ammettere una scienza dell'uomo da investigarsi nelle modificazioni stesse

interpetri

che

:

il

mente umana, si ravvicinasse e facesse seguace Cartesio; al qual uopo si suole addurre anche l'altra

della

chiarazione di

convenisse



lui,

che, per pensare la sua Scienza nuova,

ridursi a



filosofi

mondo

«

filologi

».

di di-

uno

stato di

somma

ignoranza, come

né libro alcuno fossero mai Vico con

Certamente, gnoseologia entra anche lui il

la

nuova forma

stati al

della sua

nel soggettivismo della filosofia moderna inaugurato da Cartesio (anzi, vi era già entrato, in certo modo, con la sua dottrina attivistica

come rifacimento

della verità gnificato

del

tutto

generico può

siano. Pure, se a Cartesio

ché

ma

dirsi,

e,

in questo si-

anche

rimane ancora

lui,

carte-

inferiore, per-

suo soggettivismo è principio non della scienza tutta di quella sola del mondo umano, per un altro verso si il

pone rità

del fatto);

di sopra al filosofo francese, in quanto, per meditata nel mondo umano non è statica

lui, la

ma

ve-

dina-

mica, non è trovata ma prodotta, è scienza e non coscienza. Per quel che concerne poi l'esortazione a far conto

come

se

non vi fossero mai stati libri al mondo né plaessa non importa altro se non che

citi di filosofi e di filologi,

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

II.

27

bisogni spogliarsi di ogni pregiudizio, di ogni comune invecchiata anticipazione, di ogni corpulenza proveniente da fantasia o da memoria, per ridursi

tendimento, informe

di

«

in istato di

puro inogni forma particolare », com'è

indispensabile per la scoperta e l'apprendimento di ogni nuova verità e tanto poco qui l'esortazione ha il significato cartesiano e malebranchiano di un rifiuto della erudizione ;

e

dell'autorità,

che,

per

non

dir

altro,

nel

medesimo

luogo al quale di sopra si è alluso, si trova avvertito che la Scienza nuova « suppone una grande e varia cosi dottrina

», dalle quali prende le verità come valersene da termini per fare le sue

come erudizione

già conosciute per proposizioni.

Nella nuova sua gnoseologia il Vico, insomma, diventa non già più cartesiano ma sempre più vicinano, sempre più lui. Cartesio non pare gli servisse neppure come tra-

mite attraverso cui giungere alla persuasione della possibilità di costruire con la mente la scienza della mente. Il tramite vero

fu

il

criterio

messo a contatto con

le

stesso vichiano

osservazioni

della verità,

che l'autore venne

facendo nel corso dei suoi studi storici. Che se sero cercare precedenti,

nella storia

della

si

voles-

filosofia,

alla

seconda forma della gnoseologia del Vico, bisognerebbe, circa la divisione dei due mondi di realtà e delle due sfere di conoscenza, e circa la preferenza manifestata per le in-

dagini morali rispetto alle naturali, correre col pensiero alla posizione assunta da Socrate verso i fisiologi del suo

tempo,

al

sentimento di religioso mistero onde il filosofo innanzi al mondo della natura e si ri-

attico arretrava

volgeva a indagare

la

conformazione dell'animo umano. E,

circa la maggiore trasparenza delle scienze morali in quanto concernono cose che l'uomo stesso ha prodotto, si potrebbe

richiamare la partizione aristotelica delle scienze in fisiche, che considerano il movimento estrinseco all'uomo,

FILOSOFIA DEL VICO

28

e in pratiche e poietiche, che considerano le cose prodotte

La

dall'uomo. scuole; e «

ordo qnem

dell'attività

facit ». il

distinzione era passata nella filosofia delle

Tommaso d'Aquino

Ma

parla

ratio considerai sed

umana come

«

non

della

natura come

facit », e del

mondo

ordo quem ratio considerando

queste riferenze non sono indicate dal Vico,

quale pure assai

compiaceva nel fare omaggio dei filosofi e, ammesso anche che

si

propri pensieri agli antichi

;

avessero qualche efficacia sopra di lui, è certo che tra esse e la dottrina vichiana sulla conoscibilità del mondo umano corre distanza non minore che tra la proposizione dell'onniscienza di Dio creatore e il principio gnoseologico che

seppe ricavarne. Di questo principio, la dottrina vichiana sulle scienze

egli

morali è né più né meno che la prima legittima applie inesattamente il suo autore (come di solito,

cazione;

ebbe a presentarla quale semplice estensione delle applicazioni già date, un secondo caso aggiunto a quello già contemplato delle scienze matematiche. poi, gl'interpetri)

Nel caso delle scienze matematiche, il principio della conversione del vero col fatto veniva applicato solo in

apparenza. Originale vera

la

falsa la

e vero, quel principio; originale e

matematiche; del tutto artificiale e connessione delle due verità. Mancava (se non

teoria

delle

c'inganniamo) un effettivo rapporto tra il concetto di Dio che crea il mondo, e, perché lo crea, lo conosce; e quello di colui che costruisce arbitrariamente un mondo di astrazioni e, nel fare ciò,

non conosce nulla o conosce soltanto

(quando non è più geometra o aritmetico quando scrive non gli Elementi di Euclide ma

De

ma le

filosofo,

pagine di

che egli procede arbimatematiche foggiano i concetti a libito, se producono finzioni e non verità, esse, a dir vero, non sono scienze né conoscenze di sorta, e non

gnoseologia del trariamente. Se

antiquissima)

le discipline

II.

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

c'è possibilità di porle a riscontro con

29

la scienza divina,

che è scienza della reale realtà. Nelle matematiche (diceva contenendo dentro di sé un immagiil Vico) « l'uomo,

nato mondo di linee e di numeri, opera talmente in quello con l'astrazione, come Dio nell'universo con la realtà ». Il

ma

riscontro può riuscire brillante,

risplende, forse, di

luce piuttosto metaforica che logica. Nelle scienze morali, invece, il riscontro è tanto logico,

che deve

qualitativamente,

il

medesimo

pensiero divino conosce il titativamente più ristretto, al

mondo

qui crea

il

è,

del divino, e al pari del

mondo umano

della natura. Nel

;

sebbene, quan-

come quello, campo umano, non più espe-

non

si

estenda,

non più

finzioni, non più falsificazioni concretezza del conoscere. L'uomo maggiore mondo umano, lo crea trasformandosi nelle cose

dienti di debolezza, si

umano

dirsi senz'altro coincidenza. Il sapere

:

è nella

sua creazione, ripercorre a rifa id ealmente e perciò conosce con scienza. Questo è davvero un mondo, e

civili; e, col pensarlo, ricrea la

vie già percorse,

vera e piena

l

l'uomo è per davvero

il

Dio di questo mondo.

Ci sembra, dunque, incontrastabile che solamente l'applicazione del verum- factum, quale si effettua nella Scienza

nuova, risponda al criterio stabilito; e che l'altra che ne era stata anteriormente tentata per le matematiche, importante per altri rispetti e validissima a liberare gli spidal pregiudizio matematico, non si possa considerare

riti

vera e propria applicazione. E, forse,

il

Vico ebbe talvolta

qualche sentore della differenza tra le due applicazioni, la propria e la metaforica, che per solito confuse come iden-

La scienza del mondo umano (egli dice) appunto come la geometria che, mentre sopra

«

tiche.

menti

il

costruisce o

'1

contempla, essa stessa

i

si

procede suoi elefaccia

il

delle grandezze; ma con tanto più di realità quanta più ne hanno gli ordini d' intorno alle faccende

mondo

X

FILOSOFIA DEL VICO

30 degli uomini, che o figure

».

cendeva a

E un

non ne hanno altro

indizio

punti, linee, superficie

della coscienza che

si

ac-

avere per la prima volta, nella umano, ritrovata una conoscenza

tratti in lui di

dottrina circa

il

mondo

vera e propria (non una mera finzione di conoscenza), potrebbe vedersi nell'uso assai più convinto, più caldo ed entusiastico che egli fa, in questo caso, dell'epiteto

vino

» ;

ironico,

«

di-

ben diverso da quello freddo, se non propriamente dell' « ad Dei instar » nel De antiquissima. Le

prove della Scienza nuova (dice più d'una volta, con rapimento) « sono d'una spezie divina, e debbono, o leggitore, arrecarti un di v in piacere, perocché in Dio il conoscere e

fare è una medesima cosa! La conversione del vero col

il

non* poteva

».

fatto nelle scienze morali

non ripercuotersi nella trattazione del certo uno dei parecchi significati, e forse il prin-

ossia (secondo cipale, che

il

Vico attribuisce a questa parola) delle co-

gnizioni storiche al

commune

(del peculiare, certuni, contrapposto

o veruni);

il

che forma

della seconda gnoseologia logia, quelle cognizioni si

l'altro tratto

vichiana.

importante Nella prima gnoseo-

erano legittimate e protette, come

è visto, col parificarle a ogni altra sorta di conoscenze

tutte

egualmente deboli o egualmente

forti,

perché tutte

fondate sulla probabilità e sull'autorità, sia dell'individuo (autopsia) sia del genere umano. Ma, redenta dall'autorità e dalla probabilità la

conoscenza dello spirito umano e delle

sue leggi, le cognizioni storiche, quantunque di loro natura fondate sempre in qualche modo sull'autorità, venivano rischiarate di nuova luce. Il certo doveva entrare in un nuovo rapporto, perché aveva ormai di fronte non un altro certo, ossia una semplice conoscenza probabile circa lo spirito umano, ma un vero, una conoscenza filosofica.

Questo rapporto è chiamato di filosofia e filologia,

la

altresì dal

Vico

il

rapporto

prima delle quali versa circa

II.

«

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

necessaria naturai

»

osserva l'autorità onde viene la coscienza del certo.

L'una considera (avrebbe detto «

contempla la ragione onde viene seconda circa « piatita fiumani ar-

e

la scienza del vero, la bitrii » e

31

l'universale, l'altra

vérités de fait ».

tutto, presso

il

l'una

l'individuale,

Leibniz) le « vérités de raison », l'altra le Distinzione che non è mantenuta dapper-

il

Vico, nella

medesima nettezza

tanto che a

;

volte l'autorità contrapposta alla ragione diventa, secondo lui, parte della ragione stessa, o si confonde con la conoscenza dell'arbitrio umano, contrapposta a quella della vo-

ma

lontà razionale;

E

di cui è per altro chiarissimo

«

» il

senso

il

Vico non intende solamente

per filologia generale. lo studio delle parole e della loro storia, ma, poiché alle parole sono annesse le idee delle cose, anzitutto la storia delle

cose; onde

i

filologi

debbono trattare

alleanze, viaggi, commerci, di

attenga

somma

(nel

vita

letterature,

dell'uomo nel mondo.

significato

esatto) abbraccia

ma

di guerre, paci,

e monete,

leggi

che

cronologia, e di ogni altra cosa

di geografia e di alla

costumi,

vichiano,

non solamente

La

che è poi

la storia delle

si

filologia inil

significato

lingue o delle

quella altresì delle idee e dei

fatti,

della

filosofia e della politica.

Certamente, la filologia, le verità di fatto, il certo non sempre erano stati brutalmente maltrattati come dai cartesiani.

Il

Grozio aveva dato esempio di vastissima erudi-

zione storica, messa a servigio delle sue dottrine sul diritto naturale. Il Gravina, contemporaneo e connazionale del Vico, richiedeva

come necessarie

la « ratiocinandi ars »,

la « notitia

temporum

».

ma E

il

al giurisperito

non

solo

la « latince linguai peritia » e

Leibniz, or ora ricordato, rias-

l'importanza dell'erudizione contro i cartesiani e padroneggiava da gran signore i più svariati aneddoti stoseriva

che profondeva a piene mani nei suoi libri. Ma notava che filosofia e filologia rimanevano tuttavia,

rici,

il

Vico

ai suoi

FILOSOFIA DEL VICO

32

tempi, estranee l'una all'altra, tutto presso

greci e

i

i

come erano

romani:

oratori, filosofi e poeti, che

il

state quasi del

tanti luoghi di storici, Grozio accumulava, costituimedesimo il Vico avrebbe giui

vano un puro ornamento e il dicato forse (se ne avesse avuto conoscenza e ce ne avesse comunicato il suo giudizio) del largo uso che il Leibniz ;

faceva della storia. Leggendo i libri dei filologi, egli protal senso di vuoto e di fastidio per l'affastellamento

vava un

inintelligente delle notizie storiche, che era tratto quasi a

dare ragione

(e

dovè darla per qualche tempo incondiziona-

tamente) a Cartesio e al Malebranche nel loro odio contro l'erudizione. Senonché (pensò dipoi), quei due filosofi, in

cambio

di sprezzare l'erudizione, avrebbero

tosto indagare se

non

lologia ai principi della filosofia; e

invece di arrecare

i

fatti

a

di

pompa

i

a scienza:

ceco

il

fi-

filologi, da parte loro, erudizione, debbono ini

dustriarsi di elaborarli a fini di scienza.

da ridurre

dovuto piut-

fosse stato possibile richiamare la

La filologia

è

pensiero del Vico circa

rapporti del certo col vero, della filologia con la filosofia. Che cosa vuol dire ridurre la filologia, o la storia, che

è lo stesso, a scienza o a filosofia?

non è

ma

non perché

possibile,

A

tratti

si

anzi perché quelle sono omogenee

trinsecamente

filosofia;

rigore, la riduzione di :

cose eterogenee, la storia è già in-

non è possibile proferire

la

più pic-

cola proposizione storica senza plasmarla col pensiero, cioè,

con

Ma

la filosofia.

poiché questo presupposto filosofico della filologia allora non era avvertito (come non fu molto spesso neppure nei tempi seguenti), e facilmente veniva

negato; poiché

i

dal

come sappiamo,

più,

ristocratica filosofia

geometrica,

profanum vulgus

ceva prima

il

dei

casi

Vico stesso) una

o concepivano un'a-

disdegnosa e aborrente storici, ovvero (come fa-

filosofia e

una

storia egual-

mente poco rigorose e meramente opinabili; tato

il

suo punto di vista

filosofico,

raggiunta

il

la

Vico,

mu-

coscienza

II.

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

33

del metodo speculativo nella scienza dell'uomo, inteso più

profondamente lo spirito umano, doveva scorgere quanto ci fosse da riformare nella storiografia corrente, sentire bisogno di una più perfetta filologia come conseguenza e in termini gnoseologici con formola del richiamare alla filosofia esprimerlo quella il

della sua più perfetta filosofia,

la filologia, « ut hcec posterior, ut

prioris sit conDoveva, in altre parole, togliere la storia dalla

».

sequentìa

par

est,

sua condizione d'inferiorità, dalla servitù al capriccio, alla vanità, al moralismo, alla precettistica o ad altri fini estrinriconoscerle

seci, e

sario

complemento

filosofia si

il

fine

proprio e intrinseco di neces-

del vero universale. In pari tempo, la

sarebbe riempita di storia, affiatata con la storia;

e da questo affiatamento avrebbe acquistato maggiore larghezza e un senso più vivo della realtà concreta da spiegare. Tale, senza dubbio, è uno dei significati che ha la formola vichiana del congiungimento di filosofia e filologia e della riduzione della filologia a scienza.

Ma non meno formola,

il

è fuori dubbio che, nel pronunziare quella

Vico voleva qualcosa di più

deva qualcosa

d'altro.

e,

di solito, inten-

Questo qualcos'altro può, nel modo

più diretto, essere chiarito dall'appello che egli fa al Ba-

metodo di filosofare più accertato »: metodo espresso nel titolo del libro baconiano: Cogitata et visa, e che il Vico si proponeva di « trasportare dalle naturali alle cone e

al

suo

«

umane

cose civili». Esigeva, insomma, la costruzione di una storia tipica delle società umane (cogitare), da riscontrare poi nei fatti (videre), accertando coi fatti la costruzione ideale e avverando con la costruzione ideale i fatti, confermando la ragione con l'autorità e l'autorità con la ragione; di una scienza che fosse insieme filosofia dell'umanità e storia universale delle nazioni. Ora questa costruzione che egli esigeva, questo qualcosa di mezzo tra il

cogitare e

B. Croce,

La

il

videre, tra

filosofìa

il

pensiero e l'esperienza, questo

di Giambattista Vico.

3

FILOSOFIA DEL VICO

34

misto dei due processi, è intrinsecamente diverso dalla unita, di

filosofia e filologia

in

quanto interpetrazione

filosofica

dei dati di fatto. Questa interpetrazione è la storia vivente l'altra

non

è



filosofia



storia,

;

ma una scienza em-

pirica dell'uomo e delle società, materiata di schemi che non sono le extratemporali categorie filosofiche e neppure

individuali fatti storici (benché senza categorie

gì'

fi-

non potrebbero mai costruirsi) una scienza empirica, e perciò né esatta né vera, ma solosofiche e senza fatti storici

:

lamente approssimativa e probabile, e soggetta a verificazione e rettificazione da parte cosi della filosofia come della storia.

Sarebbe impossibile determinare quale di codesti due significati della filologia ridotta a storia sia quello proprio

del Vico, perché nel suo pensiero si trovano tutti e due ; o quale prevalga, perché effettivamente prevale ora l'uno ora l'altro, quantunque il secondo, quello empirico, sia più di frequente formolato. Anzi si potrebbe dire che, quando

Vico intitolava Scienza pale dei significati che si

riferiva

nuova

la

sua opera,

dava a questo

il

princi-

titolo « invidioso »,

appunto a quella scienza empirica:

alla scienza

cioè che fosse insieme filosofia e storia dell'umanità,

alla

leggi eterne sopra le quali corrono i fatti di tutte le nazioni nei loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini. Il Vico, in realtà, non unificò mai (e non

storia ideale delle

poteva)

i

due diversi

significati, e

quale, appunto perché

non era

ne serbò

distinta chiaramente, pren-

deva apparenza d'identità. Di qui zione di entrambe le tendenze che

la si

parziale

metodo

metodo speculativo,

il

altri

Vico profesche il suo

fosse, nell'idea e nell'attuazione, empirico, indut-

tivo e psicologico

stema

il

giustifica-

sono manifestate tra

gl'interpetri, dei quali alcuni vogliono che

sasse e adoperasse

la duplicità, la

di

filosofia

;

gli

uni che egli mirasse a dare un sigli altri che si propo-

dell'umanità,

II.

SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA

35

nesse una sociologia o una demopsicologia. Unilaterali entrambi, ma i secondi più dei primi, perché se in verità nel Vico c'è del Bacone e c'è del Platone, dell'empirista e del filosofo, quando poi si colga il carattere del suo

nell'intimo del

ingegno, quando

si

e

suoi dissidi e al suo

si

si

partecipi

ai

penetri

deve riconoscere che

era della stoffa di

il

suo spirito,

magnanimo

sforzo,

Vico, checché volesse e credesse,

un Platone

non



un Bacone; che è mezzo parla immaginato da e

di

Bacone stesso del quale egli e che la Scienza lui, è un Bacone alquanto platonizzato nuova gli pareva, in fondo, cosi nuova non perché fosse un'empìrica costruzione baconiana (nel quale caso niente il

;

di più vecchio, e di

i

bastando ricordare

Discorsi del Machiavelli),

una nuova

filosofia,

la

parte, attraverso tutta la

ma



la Politica di Aristotele

perché era tutta pregna quale, infatti, irrompe da ogni sua empiria.

Ili

La struttura interna della

JUa poca chiarezza logia,

l'

circa

indistinzione dei

il

scienza nuova

rapporto di

due modi

filosofia e filo-

affatto diversi

di con-

riduzione della filologia a scienza, sono consecepire e guenza cagione insieme dell'oscurità che regna nella « Scienza nuova » Col quale nome intendiamo tutto quel la

.

complesso di ricerche e dottrine che il Vico venne mettendo fuori dal 1720 al 1730, anzi al 1744, e che, elaborato tre opere del

precipuamente nelle

uno

De uno

universi iuris

principio prima seconda Scienza nuova, ha nella redazione definitiva di quest'ultima la sua forma et fine

e della

e

più sviluppata e matura, alla quale principalmente giova riferirsi.

La Scienza nuova,

in

modo conforme

al vario

signifi-

cato dei termini e del rapporto tra filosofia e filologia, consta di tre ordini di ricerche: filosofiche, storiche ed empiriche; e contiene tutt' insieme rito,

una storia

(o

gruppo

di

una filosofia dello spistorie), e una scienza

sociale. Alla prima appartengono

le

idee, enunciate

in

alcuni assiomi o dignità e sparse altresì nel corso dell'opera, sulla fantasia, sull'universale fantastico, sull'intelletto e l'universale logico, sul mito, sulla religione, sul giudizio morale, sulla forza e il diritto, sul certo e il vero, sulle

FILOSOFIA DEL VICO

88

passioni, sulla provvidenza, e tutte le altre determinazioni

concernenti dello

il

corso o sviluppo necessario della mente ossia

umano. Alla seconda,

spirito

ossia alla storia, l'ab-

una

bozzo storia universale delle razze primitive dopo il diluvio e dell'origine delle varie civiltà; la caratteristica di

della società barbarica o eroica antica in Grecia e specialin Roma sotto l'aspetto della religione, del costume, del diritto, del linguaggio, della costituzione politica; l'in-

mente

dagine sulla poesia primitiva, che si esemplifica poi più largamente con la determinazione della genesi e del carattere

poemi omerici

dei

;

la storia delle lotte sociali tra patriziato

e plebe e dell'origine della democrazia, studiata anch'essa

principalmente in

Roma

;

la caratteristica della barbarie ri-

corsa, ossia del medioevo, anch'esso

studiato in

tutti gli

aspetti della vita e raffrontato con le società barbariche pri-

scienza

mitive. Finalmente,

alla

tentativo di stabilire

un corso uniforme

empirica

si

richiama

il

nelle nazioni, con-

cernente la successione cosi delle forme politiche come delle altre e correlative manifestazioni teoretiche e pratiche della vita, e

tanti tipi che

i

ziato, della

il

Vico viene delineando del patri-

plebe, del feudalesimo, della patria potestà e

della famiglia, del diritto simbolico, del linguaggio metaforico, della scrittura geroglifica, e via discorrendo.

Ora

se questi tre ordini di ricerche e dottrine

fossero

logicamente distinti nella niente del Vico e solo letterariamente mescolati e compressi in un medesimo libro,

stati

questo sarebbe potuto riuscire disordinato, sproporzionato, disarmonico, e perciò faticoso a chi

ma non veramente oscuro. può

dirsi

che

la Scienza

si faccia a leggerlo, del resto, in linea di fatto, Né,

nuova, almeno la seconda ossia il Vico offri del suo pensiero,

l'esposizione definitiva che difetti di

L'opera

un disegno generale, abbastanza ben concepito. il primo dei quali dovrebbe

è divisa in cinque libri,

raccogliere

i

principi generali, cioè la filosofia;

il

secon-

III.

do, oltre

STRUTTURA INTERNA DELLA SCIENZA NUOVA

un breve cenno

39

sulla storia universale antichis-

sima, descrivere la vita delle società barbariche, e ad esso formare appendice il terzo sulla discoverta del vero Omero,

e cioè sul più cospicuo esempio della poesia barbarica; il quarto, delineare la scienza empirica del corso che fanno quinto esemplificare il ricorso col caso parE tuttavia, a dispetto di questa bella la seconda Scienza nuova, com'è la più ricca architettura, e compiuta, cosi è la più oscura tra le opere del Vico. Se, le

nazioni

;

e

il

ticolare del medioevo.

d'altra parte,

il

Vico, pur avendo ben chiare in mente le

sue idee, adoperasse una terminologia insueta o una forma troppo concisa di esposizione e troppo piena di allusioni e d'inespressi presupposti, sarebbe senza dubbio uno scrit-

ma, neppure in questa ipotesi, oscuro. La neanche risponde alla realtà, giacché il Vico

tore difficile,

quale ipotesi

è assai parco di termini scolastici e predilige le espressioni vive e popolari; è scrittore robusto ma non laconico, e spesso si compiace di ripetere le sue idee ferman dovisi sopra a

più riprese e con molta insistenza; emette in tavola tutte le sue carte, cioè tutto il materiale erudito dal quale gli

sono state suggerite le dottrine. Né, infine, si è detto molto quando si è detto che al Vico mancava piena coscienza delle sue scoperte; perché questa coscienza

più o

meno

in

tutti

mai piena. L'oscurità,

i

la

pensatori e in nessuno

manca

può essere

vera oscurità, quella che

si

avverte

che a volte avvertiva egli stesso senza riuscir mai a trovarne la causa, non è superficiale e non nanel Vico, e

sce da cagioni estrinseche o accidentali,

mente

in

oscurità d'idee,

certi nessi e

nella sostituzione con

mento arbitrario che perciò

ma

consiste vera-

nella deficiente intelligenza di nessi

fallaci, nell'ele-

introduce nel pensiero, o, per dirla nel modo più semplice, in veri e propri errori. Si potrebbe riscrivere la Scienza nuova rifacendone l'ordine e mutandone o schiarendone la terminologia (chi scrive" ha s'

FILOSOFIA DEL VICO

40

per suo conto questa prova), e l'oscurità persisterebbe, anzi si accrescerebbe, perché in siffatta traduzione fatto

perdendo

l'opera,

quella torbida

ma

forma originale, perderebbe altresì possente efficacia che può tenere luogo la

talvolta della chiarezza e che, lo spirito del lettore e

dove non illumina, scuote

propaga l'onda del pensiero quasi

per vibrazioni simpatetiche.

Che cagione

dell'oscurità, ossia dell'errore

o degli erindistinzione o confusione già notata nella sua gnoseologia circa il rapporto tra filosofìa, storia rori

del Vico, sia

l'

e scienza empirica, e sussistente

non meno nel suo

effettivo

pensiero intorno ai problemi dello' spirito e della storia umana, risulta dall'osservare come filosofia, storia e scienza

empirica

si

nell'altra

convertano a volta a volta presso di

e,

l'una

lui

danneggiandosi a vicenda, producano quelle

perplessità, equivoci, esagerazioni e temerità, che sogliono

La filosofia dello spicome scienza empirica ora come storia; scienza empirica ora come filosofia ora come storia e la

turbare

il

lettore della Scienza nuova.

rito si atteggia ora la

;

proposizione storica acquista l'universalità del principio filosofico o la generalità dello schema empirico. Per esempio, la filosofia dell'umanità assume di determinare le for-

me, categorie o momenti ideali dello spirito nella loro successione necessaria, e bene merita per tal rispetto il titolo o la definizione di storia ideale eterna sulla quale corrono nel tempo le storie particolari, non potendosi concepire nessun frammento, per piccolo che sia, di storia reale,

dove non operi quella storia ideale. Ma poiché storia ideale anche pel Vico la determinazione empirica dell'ordine in

è

cui

si

succedono

le

forme delle

civiltà, degli stati, dei lin-

stili, delle poesie, accade che egli concepisca empirica come identica alla serie ideale e fornita delle virtù di questa; onde la pronunzia tale che debba

guaggi, degli la serie

sempre esattamente riscontrarsi nei

fatti, « fosse

anco che

STRUTTURA INTERNA DELLA SCIENZA NUOVA

III.

nell'eternità nascessero di

tempo

tempo mondi

in

41

infiniti *;

che è apertamente falso, non essendovi alcuna ragione che si ripetano in perpetuo (col « dovette, deve e dovrà ») il

le

empiriche aristocrazie di Grecia o di Roma, e

le civiltà

sorgano o decadano per l'appunto come sorsero o decaddero quelle antiche. E nel medesimo atto di questo assolutizzamento del corso empirico, il corso ideale si vela di

un'ombra empirica, perché, reso identico

all'altro, riceve

temporalizza, da eterno ed extratemporale che era nella concezione iniziale. Si dica il

carattere empirico dell'altro, e

il

medesimo

delle singole

si

forme dello

spirito, le quali,

come

ed extratemporali, sono tutte e sempre in ogni singolo fatto; ma il Vico, confondendole coi fatti reali e concreti che la scienza empirica fissa nei suoi schemi, viene, ideali

subito dopo averle proposte, ad abbuiarle nella loro ideale forma e distinzione. È vero che il momento della forza

non

e quello della

giustizia;

ma

il

tipo empirico della

società barbarica fondata sulla forza, appunto perché è

una

determinazione rappresentativa e approssimativa, e si riferisce a uno stato di cose concreto e totale, non contiene solamente forza,

si

anche giustizia;

e

quando quel momento come iden-

ideale e quel tipo sono scambiati fra loro e presi

da una parte il concetto filosofico della forza s'intorbida di quello di giustizia e, facendosi ibrido e contradittici,

torio

e

si

incoerente,

sforma, dall'altra

il

tipo

empirico

della società barbarica viene esagerato e di troppo irrigidito. si

La confusione dell'elemento

può

dire manifesta nella

«

filosofico e dell'empirico

dignità

»

che definisce

la na-

non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascono lo cose»; dove appaiono messi insieme le guise e i tempi, tura

delle

cose:

«

la genesi ideale e la

simo che

la storia

Natura di cose

altro

genesi empirica. Similmente, è veris-

debba procedere d'accordo con

la filo-

FILOSOFIA DEL VICO

42 e

sofìa,

che quello che è filosoficamente ripugnante non giammai storicamente accaduto ma, poiché

possa essere

per

il

egli,

è

dove

il

documento

schema

cumenti

come

manca

della scienza empirica, s'illude di

dissipi le dubbiezze, risolve

dice,

«

lecito.

e,

aver fatto

ri-

il

dubbio col prenderli, leggi », cioè sem-

Ma

il

che, in via d'ipotesi, è cer-

queir ipotesi »,

invece, pel Vico,

una

riscontro coi

che

è,

sicché

il

fatti,

pure raccomanda per conferma, dovrebbe essere su-

perfluo; o, se

i

fatti

nel riscontro risultassero contrari,

dovrebbe essere dei

dell'ipotesi, affermata fica.

verità,

gli fornisce lo

in conformità delle

verità meditata in idea

torto

filosofia

«

egli

tamente

egli

sicuro

tuttavia

della

vuoto con la congettura che

pre dello schema empirico; «

nessuna

e perciò

anche, trovandosi innanzi prove metafisiche ». attendere che la scoperta ài altri doanziché dubbi,

corso a fatti

il

gli

sente

si

applicabile,

riempiendo

a

;

la filosofia è indistinta dalla scienza empirica,

Vico

Di qui

la

fatti,

come

cioè dell'apparenza,

il

non mai

verità indubbia perché filoso-

tendenza, che è nel Vico, a

come

fare,

si

dice, violenza ai fatti.

Bastino questi esempì a indicare

il

vizio intimo di strut-

tura che è nella Scienza nuova, e a" porre uno dei capisaldi della nostra esposizione e della nostra critica del

pensiero vichiano, nel corso delle quali molti ci si faranno spontaneamente innanzi e anche

altri i

esempì

già dati sa-

ranno meglio schiariti. Ma un altro caposaldo che bisogna bene stabilire è che quel vizio è il vizio di un organismo sommamente robusto, e che gli ordini di ricerche che ven-

gono dal Vico confusi sono

costituiti

di straordinaria novità, verità e il

vizio

medesimo che s'incontra

gegni assai originali e inventivi,

da

effettive

ricerche

importanza. E, insomma, di i

frequente presso gl'inquali di rado portano a

perfezione nei particolari le loro scoperte; laddove gl'ingegni meno inventivi sogliono essere più. esatti e conse-

III.

STRUTTURA INTERNA DELLA SCIENZA NUOVA

guenti. Profondità e con pari vigore; e

43

acume non sempre vanno insieme e molto il Vico, quantunque non fosse

acuto, era sempre molto profondo. Luce e tenebre, verità ed errore che

alternano e in-

si

crociano quasi a ogni punto della Scienza nuova, sono diversamente appresi secondo le diverse anime dei lettori e

eminenti com'è questo del Vico, si possono scorgere in modo più netto tali diversità. Vi sono anime restie e diffidenti, pronte a notare ogni più piccola critici; anzi, in

casi

contradizione, inesorabili nell'esigere

mazione, vigorose nel

maneggiare

le

prove di ogni afferdilemmi

le tenaglie dei

che stritolano senza pietà un povero grand'uomo. Per costoro l'opera del Vico (e molte altre della stessa qualità) è

un

libro chiuso; e, tutt'al più, offrirà

loro

l'argomento

per una di quelle cosi dette « demolizioni », che essi compiono con grande facilità e gusto, sebbene con scarso successo, perché l'uomo da essi ucciso, dopo morto, suole restare più vivo di prima.

Ma

vi

sono altre anime, che

prima parola che vada diritta al loro cuore, al primo raggio di verità che lampeggi ai loro occhi, si aprono tutte con desiderio, si abbandonano con fiducia, s'inebriano d'entusiasmo, non vogliono sapere di difetti, non scorgono alla

difficoltà, o le difficoltà

ficano

nel

modo più

appianano subito e

i

difetti giusti-

quando per caso scrivono, le loro scritture si configurano come « apologie ». E per costoro è da temere che la Scienza nuova sia un libro troppo aperto. Certamente, se fra questi due atteggiamenti opposti non ce ne fosse un terzo, se bisognasse risolversi di necessità per l'uno o per l'altro, sarebbe da preferire il peccato del troppo vivo amore a quello della semplice,

e,

gelida indifferenza, la troppa fede, che pur lascia cogliere qualche aspetto del vero, alla nessuna fede che non ne

Ma un terzo atteggiamento è possied è doveroso pel critico: quello di non perdere mai

lascia vedere alcuno. bile,

FILOSOFIA DEL VICO

44 di vista la

giungere

luce,

ma

allo spirito

di

non dimenticare

passando oltre

le oscurità;

ma

la lettera,

di

di

non

trascurare la lettera, anzi di ritornarvi di continuo, pro-

curando di mantenersi interpetre libero amante fervido ma non cieco. I

due capisaldi

stabiliti,

riconosciuti propri della

confusione perciò

o

la

il

ma

non

fantasioso,

vizio e la virtù che si sono

mente del Vico,

la

sua geniale

sua genialità confusionaria,

impongono

come generale canone ermeneutico

di

andare

separando per via d'analisi la schietta filosofia che è in lui dall'empiria e dalla storia con le quali è commista e quasi incorporata (e altresì queste da quella), e di notare via via gli effetti e le cause della commistione. Le scorie non

possono essere considerate inesistenti, congiunte come sono all'oro nello

stato

di

natura,

ma non debbono

impedire

di riconoscere e purificare l'oro; o, fuori di metafora, la

storia dev'essere storia senza dubbio,

è intelligente.

ma

tale

non è

se

non

IV

La forma fantastica del conoscere (La poesia e

D."elle

forme dello spirito

nuova, principalmente, e quelle tutt'

il

Vico studiò, nella Scienza

potrebbe dire esclusivamente, individualizzanti, che egli designava

o

inferiori

insieme col

tico la

il linguaggio)

nome

fantasia, nello

di

si

«

certo »:

spirito



nello spirito teore-

la

pratico

forza o arbitrio,

e nella scienza empirica corrispondente alla filosofia dello spirito, la civiltà

barbarica o sapienza poetica, la cui in-

vestigazione costituisce il

(come

egli stesso dice) « quasi tutto

».

corpo dell'opera Perché e come egli prendesse cosi forte interesse a co-

deste forme inferiori e alle società primitive e storie bar-

bariche che

le

rappresentavano, è anche qui, nell'aspetto il Vico ebbe a condurre

estrinseco, spiegato dagli studi che sul diritto

romano

tradizione

umanistica

e sui tropi e le figure

ancora viva

allora rinvigorito per le

in

rettoriche, dalla Italia,

scienze archeologiche,

dal

culto

dalla cu-

riosità

che spingeva a indagare l'antichissima civiltà

liana,

e

via

enumerando.

Ma

altri

ita-

non pochi, nel suo

tempo e nel suo stesso paese, trattarono le medesime materie senza punto acquistare la predilezione e la penetrazione

del

fantastico, dell'ingenuo,

del

violento:

cose

FILOSOFIA DEL VICO

46 delle quali

lo

stesso Vico possedeva la predilezione,

ma

penetrazione, quando compose il De antila ragione piena di queir interessamento Sicché quissima. si vede quando si consideri l'origine del Vico filosofo e si

non ancora

la

tenga presente spirito

me

il

carattere della sua mente, antitetica allo

cartesiano. Il cartesianismo, tatto rivolto alle for-

universalizzanti e astrattive, trascurava le individua-

lizzanti; e tanto più

come da un

il

Vico doveva essere attirato da esse

cartesianismo rifuggiva con orrore dalla selva selvaggia della storia; e il Vico s'internava mistero.

Il

bramoso

in quella parte appunto della storia, nella quale, per cosi dire, è più forte il sentore della storicità: nella storia che è più lontana e diversa dalla psicologia delle età colte. tutti

cartesianismo generalizzava questa psicologia a tempi e a tutti i popoli, e il Vico era portato a in-

Il i

dagare nelle loro profonde differenze e opposizioni

i

modi

di sentire e di pensare delle varie età.

Lo

sforzo grande che bisognava fare, e che egli stesso

per riprendere, attraverso l'intellettualismo moderno, la coscienza della psicologia primitiva, è espresso dal Vico, fece,

dove parla delle « aspre difficultà ricerca di ben venti anni », per

umane nature

nostre

le

ci

», «

che

gli

era costata

« la

discendere da queste

ingentilite a quelle

affatto

è affatto negato

fiere

ed

e sola-

immani, quali d'imaginare mente a gran pena ci è permesso d'intendere »; o, poco ora che diversamente, quando insiste sull'impossibilità le menti umane sono troppo ritirate dai sensi perfino



il

presso

volgo, adusate ai tanti vocaboli astratti, assotti-

gliate con l'arte dello scrivere, quasi spiritualizzate dalla

pratica

dei

numeri



di

entrare nella vasta immagina« le menti dei quali di nulla

tiva dei primi uomini, erano astratte, di nulla assottigliate, di nulla spiritua-

anzi tutte profondate nei sensi, tutte rintuzzate passioni, tutte seppellite nei corpi », e di formare

lizzate,

dalle

LA POESIA E

IV.

natura simpatetica ». E quello sforzo, trionfante, che aveva dovuto compiere, era

l'idea, per es., della

ma

doloroso

«

un'altra delle ragioni per

va

le

quali egli sentiva

sua Scienza. Di questa

la

»

47

LINGUAGGIO

IL

come

«

nuo-

infatti, ossia della ricerca

forma ideale e sull'epoca storica del certo, mancò

sulla

(egli dice) tutta la greca filosofìa. Platone l'aveva tentata invano nel Cratilo, perché gli era rimasta ignota la lingua

dei primi legislatori, dei poeti eroi, tratto in inganno dalle

emendate

forinole

e

ammodernate che

le leggi erano venute

rivestendo via via in Atene. In un errore analogo erano caduti tra i moderni Giulio Cesare Scaligero, Francesco

Sanchez

gue

coi

e

Gaspare Schopp, che presero a spiegare

principi della logica, e

della

sorta tanti secoli dopo le lingue.

E

le lin-

logica aristotelica,

Grozio, il Selden, il Pufendorf e gli altri scrittori del diritto naturale meditarono anch'essi sulla natura umana ingentilita dalla religione e dalle leggi, sicché ritrassero

dalla

metà

in giù; ossia

si

il

il

corso storico cominciando

fermarono sull'intelletto e igno-

rarono la fantasia, sulla volontà moralmente disciplinata e trascurarono la selvaggia passione. Egli stesso, il Vico,

prendere a indagare l'antichissima sapienza italiana aveva dato segno del suo interessamento per quel problema, si era, per altro, sviato nella ricerca, seguendo le orme se col

dell'autore del Cratilo.

Sotto l'aspetto filosofico, la Scienza nuova, per questa preponderanza che vi ha l'indagine delle forme individualizzanti e in ispecie della fantasia (la

popoli come dice

dottrina dei primi

poeti e del loro pensare per caratteri poetici «

la

chiave maestra

» dell'opera),

si potrebbe non troppo paradossalmente definire una filosofia dello spirito con particolare riguardo alla filosofia

è,

il

Vico,

della fantasia, cioè all'Estetica. L' Estetica è da considerare veramente una scoperta del Vico: sia pure con le riserve onde s'intendono sempre

48

FILOSOFIA.

circondate tutte tori, e



le

desse

il

determinazioni di scoperte e di scopri-

le

quantunque

DEL VICO

egli

nome

non

la trattasse in

un

libro speciale,

fortunato col quale doveva battezzarla,

qualche decennio più tardi, il Baumgarten. Del resto, giova notare che nella terminologia della Scienza nuova s'incontra un nome simile ad alcuno degli equivalenti che il

Baumgarten passava

in rassegna per l'Estetica: quello di

Logica poetica. Ma,

in fondo,

il

nome importa

poco, e

che il Vico espose una importa idea della poesia, che era a quei tempi, e doveva rimanere per un pezzo ancora, un'ardita e rivoluzionaria novità. Perla cosa; e la cosa è

assai

sisteva allora la vecchia idea praticistica o pedagogica, che dalla tarda

antichità, attraverso

il

Medioevo,

si

era tra-

radicata nel Rinascimento, della poesia come piantata ingegnoso rivestimento popolare di sublimi concetti filosofici e teologici; e, accanto a questa, sebbene in grado mie

come prodotto o strumento concezioni avevano alterato Queste

nore, l'altra che la considerava di

svago

perfino

il

e di voluttà.

senso originale del trattato aristotelico della Poe-

tica, nel quale venivano introdotte e poi lette come se effettivamente Aristotele le avesse pensate e scritte. Né il carte-

le rettificò, ma piuttosto (com'era da aspettare, data sua generale tendenza) attenuò e annullò l'oggetto medesimo di quelle definizioni, come cosa di nessuno o di tra-

sianismo la

scurabile valore. In

un tempo

in cui

si

cercava di ridurre

a forma matematica la metafisica e l'etica, in cui

spregiava l'intuizione del concreto, letteratura e

si

si

di-

escogitavano una

una poesia atte a diffondere la scienza nel mondo, s'iniziavano tentativi per foggiare

volgo o nel bel lingue

artificiali

viventi, e perfino

logiche più perfette di quelle storiche e si

teneva possibile di stabilire regole per

comporre arie musicali senza essere musicisti e poemi senza essere poeti; in codesto ambiente distratto, gelido, ne-



mico, beffardo, solo un miracolo sembra potesse risvegliare

IV.

LA POESIA E IL LINGUAGGIO

49

una diversa e opposta coscienza, una coscienza calda e veemente di quel che sia veramente la poesia e della sua originale funzione; e questo miracolo fa compiuto dallo spirito tormentato, agitato e scrutatore di Giambattista Vico. Il

come

tutt' insieme le tre dottrine della poesia, esornatrice e mediatrice di verità intellettuali, come

quale criticò

cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza danno far di meno. La poesia non è

sapienza riposta, non presuppone la logica intellettuale, non contiene filosofemi: i filosofi, che ritrovano que-

hanno ficcato dentro essi stessi, senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio di piacere, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile che, senza di essa, non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente

ste cose nella poesia,

ve

le

umana. L'uomo, prima

di essere in grado di formare uniforma fantasmi; prima di riflettere con mente pura, versali, avverte con animo perturbato e commosso; prima di artidi parlare in prosa, parla in versi; termini tecnici, metaforeggia, e il suo prima adoperare metafore è tanto parlare per proprio quanto quello che si dice « proprio ». La poesia, non che essere una maniera

colare, canta;

prima

di

di divulgare la metafisica, è distinta e opposta alla meta-

l'una purga la mentp dai sensi, l'altra ve la im-

fìsica:

merge

e rovescia dentro; l'una è tanto più perfetta

quanto

più s'innalza agli universali, l'altra quanto più si appropria ai particolari; l'una infievolisce la fantasia, l'altra la richiede robusta; quella ci rito corpo, questa

si

ammonisce

di

non

fare dello spi-

diletta di dare corpo allo

spirito; le

sentenze poetiche sono composte di sensi e passioni, quelle filosofiche di riflessioni, che, usate nella poesia, la

falsa e fredda:

stesso

uomo

Poeti e

fu insieme

filosofi

B. Croce,

La

non mai,

grande

possono dirsi

filosofia

rendono

in tutta la distesa dei tempi,

gli

metafisico e

uni

di Giambatlista Vico.

il

uno

grande poeta.

senso, gli altri l'intel-

4

FILOSOFIA DEL VICO

50

letto dell'umanità; e in tale significato è il

detto delle scuole che

non

sia nel senso ».

«

da ritenere vero

niente è nell'intelletto che prima

Senza

il

senso,

non

si



intelletto;

senza poesia, non si dà filosofia né civiltà alcuna. Quasi più miracoloso di questa concezione della poesia è che il Vico intravedesse la qualità genuina del linguag-

meno agitato antica e nuova, fino a quel soleva, a volta a volta, o confon-

gio: problema non meglio risoluto e assai e investigato

tempo.

Il

dalla

linguaggio

filosofia si

derlo con la logicità o abbassarlo a semplice segno estrinseco e convenzionale o, per disperazione, dichiararlo di origine divina.

Il

Vico intese che l'origine divina era, in

questo caso, un rifugio da pigri, e che il linguaggio non è né logicità né arbitrio, e, al pari della poesia, non è prodotto né di sapienza riposta né di placito o convenzione. Il

linguaggio sorge

naturalmente:

nella

prima forma muti », ossia

con atti uomini si spiegarono per cenni, e « con corpi aventi naturali rapporti alle idee che volevano significare », ossia per oggetti simbolici. Ma, di esso, gli

«

linguaggi articolati e per le lingue volgari, « con troppo di buona fede », cioè con iscarso accorgimento, è stato ricevuto da tutti i filologi che essi significhino a

anche per

i

placito; laddove, per le anzidette origini, dovettero significare naturalmente, e ogni parola volgare cominciare cer-

tamente da un singolo individuo di una nazione e provenire dal linguaggio primitivo per cenni e per oggetti. Nel

come nelle altre lingue, si osserva che quasi tutte voci sono formate per proprietà naturali o per trasporti e il maggior corpo delle lingue tutte, presso tutte le nalatino,

le

zioni, è costituito dalla metafora.

;

La diversa opinione

de-

riva dall'ignoranza dei grammatici, i quali, abbattutisi in gran numero di vocaboli che offrono idee confuse e indistinte, non sapendone le origini onde furono un tempo luminose e distinte, escogitarono, per darsi pace, la dottrina

LA POESIA E

IV.

IL

51

LINGUAGGIO

della convenzione, e vi trassero Aristotele e Galeno, doli contro Platone e Giamblico.

La grave

suole mettere innanzi contro l'origine

arman-

difficoltà,

che

si

naturale del lin-

guaggio e in favore della convenzione, la diversità delle lingue volgari secondo i popoli, si scioglie col considerare che

i

popoli, per la

costumi, guardarono

diversità dei

medesime

le

climi,

temperamenti

e

utilità o necessità della

vita sotto aspetti diversi, e perciò

produssero lingue diverse; com'è comprovato altresì dai proverbi, che sono massime di vita umana sostanzialmente identiche, eppure spiegate in tanti diversi modi quante sono state e sono le nazioni. Singolarmente importante è poi l'insistenza onde il

Vico professa di avere ritrovato

lingue

«

nei principi della poesia »:

vere origini delle con che viene, per una le

parte, riasserita l'origine spontanea e fantastica del linguag-

non per esplicito, certo per implicito, tende a sopprimere la dualità di poesia e linguaggio. Nei quali principi della poesia il Vico ritrova non so-

gio, e dall'altra, se si

lamente l'origine delle lingue, ma anche quella delle lettere o scritture, dichiarando errore di grammatici la separazione fatta tra le due origini, che sono congiunte per natura e che come tutt'una cosa si presentano nella lingua primitiva mutola, per cenni -e per oggetti. La sapienza riposta e la convenzione non hanno luogo neppure qui: i geroglifici non furono un ritrovato di filosofi per nascondervi

dentro

i

misteri delle loro grandi idee,

necessità di tutti

i

primi popoli

fabetiche nacquero tra

i

;

ma comuni

e naturali

e solamente le scritture al-

popoli già inciviliti per effetto di

libera convenzione. In altri termini,

il

Vico viene a

di-

modo confuso, nelle cosi dette scritture quella parte che è propriamente scrittura e perciò convenzione, dall'altra che è invece diretta espressione, stinguere, sia pure in

e perciò linguaggio, favola, poesia, pittura. Caratteristica

di queste scritture espressive o linguaggi è l'inseparabilità

FILOSOFIA DEL VICO

52

del contenuto dalla forma; la loro ragione poetica è tutta

qui: che la favola e l'espressione siano cioè

una metafora comune

ai

una cosa

stessa,

poeti e ai pittori, sicché

mutolo senza espressione verbale possa dipingerla.

Il

un

Vico

arreca in esempio di esse alcuni aneddoti tradizionali, come

cinque « parole reali » (la ranocchia, il topo, l'uccello, dente d'aratro e l'arco da saettare), che Idantura, re degli Sciti, mandò in risposta a Dario che gli aveva inti-

le il

mato guerra;

re Tar-

e l'apologo degli alti papaveri che

quinio svolse innanzi agli occhi dell'ambasciatore tìglio Sesto

circa

il

modo

di

domare Gabì:



di suo

procedi-

menti espressivi non diversi da costumanze che si osservano ancora presso popolazioni selvagge e presso i volghi;



e poi, altresì, le imprese,

medaglie e monete.

Una

le

bandiere, gli emblemi delle

frivola

favoletta,

che rimpiccio-

calunnia l'ufficio vero delle imprese, narra come inventate nei tornei di Germania, qual covenissero esse stume di galanteria, dai garzoni che gareggiavano per melisce e

ritare l'amore

delle

nobili donzelle.

Ma

le

imprese, nel

Medioevo, furono cosa seria, come a dire la scrittura geroglifica di quell'età: un parlare muto, che suppliva la povertà dei parlari convenuti o delle scritture alfabetiche; e solamente più tardi, nei tempi colti, diventarono gioco e diletto, si convertirono in imprese galanti ed erudite, le quali bisogna animare coi motti, perché, ora, hanno significazioni solamente analoghe, laddove quelle primitive e naturali erano mutole e tuttavia parlavano senza bisogno d'interpetri. In questa schietta naturalità perdurano nei

tempi colti alcune di tali forme espressive; per es., le insegne o bandiere, che sono una certa lingua armata, con

come prive di favella, si fanno intendere tra loro nei maggiori affari del diritto naturale delle genti, nelle guerre, alleanze e commerci.

la quale le nazioni,

Cosi, al

lume

del

concetto estetico pensato dal Vico,

IV.

LA POESIA E

IL

LINGUAGGIO

53

poesia, parole, metafore, scritture, simboli figurati,

rischiara di lampi e dà guizzi

di

tutto

vita: cose

grandi e cose piccole, l'epos e l'araldica. La dottrina delle forme

si

fantastiche riceve delle idee

;

alle scuole

un avviamento nuovo

affatto nella storia

perché se il Vico si oppone coi suoi concetti del suo tempo e specie alla cartesiana, nem-

meno poi annoda e ripiglia altra scuola o tradizione più o meno remota. Egli stesso sente la propria opposizione come non contro una scuola particolare, ma contro tutte quelle che, nei secoli, avevano formolato dottrine sull'ardiretta

gomento. Circa la poesia dice che egli « rovescia » tutto ciò che se ne era pensato da Platone e poi da Aristotele via via fino ai recenti Patrizzi, Scaligero e Castel vetro, quali

si

ferirle »

perderono in inezie tali (il

«

che fa vergogna

i

fin ri-

Patrizzi faceva nascere la poesia dai canti degli

uccelli e dal sibilo dei venti!). Circa le lingue,

il

suo inten-

dimento non era rimasto soddisfatto né da Platone né dai

moderni Wolfango Lazio, Scaligero tere, rifiutata l'origine divina

e Sanchez. Circa le let-

che era sostenuta dal Mal-

linkrot e da Ingevaldo Elingio, o (che valeva il medesimo) interpetratala a suo modo, dà saggio per iscandalo delle

vane opinioni,

incerte, leggiere, sconce, boriose e ridevoli,

facevano provenire dai Goti e per essi da Adamo e dalla personale comunicazione di Dio, o più direttamente dal paradiso terrestre, o da un gotico Mercurio inventore.

che

le

Circa

le

i tanti che ne avenon ne avevano inteso nulla, e, solo indovinando, lasciavano trapelare un seniore della

imprese, infine, osserva che

vano composto per caso e

trattati,

verità col chiamarle cile

«

eroiche

».

In realtà, sarebbe

diffi-

assegnare veri e propri precedenti ai concetti estetici

vichiani, e tutt'al più

si

potrebbero ritrovarne vaghe sug-

gestioni in certe sparse sentenze che egli raccoglie; qual-

che stimolo più prossimo nelle dispute secentesche sulle differenze tra intelletto e ingegno, ragione e immaginativa,

FILOSOFIA DEL VICO

54

1

dialettica e rettorica estrinseci,

di quel

con

le

come

tempo

e

;

qualche riscontro di particolari

nei ravvicinamenti fatti da qualche retore

(il

Tesauro) delle arguzie rettoriche parlate

arguzie figurate.

Senonché quei concetti, nati da cosi possente getto di originalità, non appena dai loro lineamenti generali si passi determinazioni particolari, dall'idea o ispirazione

alle

effettivi, si

ori-

vedono come turbarsi,

ginaria agli svolgimenti ondeggiare, barcollare. Lasciamo da parte le varie successive opinioni che

il

Vico tenne, e che

si

legano

al

processo

storico del suo spirito, sulla poesia, sulla lingua o sulla

— dalle tafora, dal

orazioni accademiche e poi dal

De antiquissima

De

ancora da queseconda Scienza nuova:

al Diritto universale, e

sto alla prima, e dalla

prima

alla

me-

ratione e



indagine che potrebbe porgere argomento a un'apposita dissertazione e che non entra nel quadro della nostra esposi-

Ma, anche nella forma ultima del suo pensiero estecoesistono dottrine contradittorie. Egli non sta pago a tico, dire, come ha detto, che la forma poetica è la prima operazione della mente, che essa è costituita da sensi di passione, zione.

è tutta fantastica, priva di concetti e di riflessioni;

giungerà che

la poesia,

diversamente dalla

ma

ag-

rappresenta il vero nella sua idea ottima, e compie perciò quella giustizia e attribuisce quel premio e quella pena che spetta a ciascuno e che non sempre si ottiene nella storia, storia,

dominata sovente dal capriccio, dalla necessità e dalla fortuna. Dirà ancora che la poesia ha per suo fine l'anima-

zione dell'inanimato, essendo

più sublime lavoro di essa indirizzato a dare vita e senso alle cose insensate. Dirà

che

la poesia

è altro

che imitazione,

e che

i

fan-

quali valgono assai nell' imitare, sono poeti, e che popoli primitivi, fanciulli del genere umano, furono in-

ciulli, i

non

il

1

i

Si veda

il

capo

3.o della parte storica della

mia

Estetica.

IV.

55

LA POESIA E IL LINGUAGGIO

ha per propria macom'è impossibile che i l'impossibile credibile,

sieme sublimi poeti. Dirà che teria

la poesia

corpi siano menti e pure fu creduto che il cielo tonante fosse Giove, onde i poeti non si esercitarono in altro mag-

giormente che nel cantare i prodigi compiuti dalle maghe per opera d'incantesimi. Dirà che la poesia è nata da inopia, ossia che è un effetto d'infermità dello spirito; perché l'uomo rozzo e di debole cervello, non potendo soddisfare

il

bisogno che prova del generale e dell'univeri generi fantastici, gli uni-

sale, foggia a sostituzione

versali o caratteri poetici; e che, per conseguenza, vero dei poeti e

il

vero dei

astratto e quello rivestito

filosofi

sono

il

lo

stesso, questo d'immagini, questo una meta-

ragionata e quello una metafisica sentita e immagiall'intendimento popolaresco. Parimente

fisica

nata, confacente

da

inopia, cioè

nato

il

dall'incapacità ad articolare, sarebbe i muti e gli scilinguati escono in

canto, e perciò

suoni che sono canti; e dall'incapacità a significare le cose in modo proprio, le metafore. Dirà, infine, che lo scopo della poesia è

d'insegnare al volgo l'operare virtuosaIn questi detti sono accennati i più diversi concetti sulla poesia, alcuni conciliabili con la dottrina mente.



fondamentale, ma proposti senza mediazione e perciò effettivamente non conciliati; altri, affatto inconciliabili. Il

Vico potrebbe essere, a volta a volta, sul fondamento di singoli testi, presentato

come

sostenitore dell'estetica

mo-

astratta e

ralistica, pedagogica, tipeggiante, mitologica, animistica, e via discorrendo. E se non ricasca nelle vecchie teorie che egli aborriva, e se non si dissipa tra gli er-

rori nuovi che precorreva, si deve al fatto che su tutte quelle varietà e incoerenze sormonta costante il pensiero che la poesia è la prima forma della mente, ante-

riore

all'

ziocini.

intelletto e libera da riflessione e ra-

FILOSOFIA DEL VICO

56

Come non seppe, valendosi del suo principio capitale, sceverare e accorciare gli altri che circa la natura della poesia esistevano nella tradizione scientifica o erano stati da lui escogitati, cosi non riusci a liberarsi dalla tirannia delle classificazioni empiriche, vecchie e nuove. In cambio, si

sforzò di filosofarle, e tentò di dedurre serialmente le di-

verse forme della poesia, epica lirica drammatica; del verso e del

del parlare metro, spondaico giambico prosastico metonimia sineddoche ironia; delle parti figurato, metafora ;

del discorso, onomatopee interiezioni pronomi particelle nomi verbi, modi e tempi del verbo (al qual proposito richiama perfino un caso di afasia da lui osservato in Napoli in persona di « un uomo onesto tócco da grave apoplessia, il quale mentova nomi e si è dimenticato affatto de' verbi ») r -

delle

scritture, geroglifiche

simboliche alfabetiche;

delle

lingue secondo la loro crescente complessità, che va dalle parole monosillabiche alle composte e dalla prevalenza di vocali e dittonghi alla prevalenza delle consonanti. In questi tentativi disseminò dappertutto interpetrazioni nuove e parzialmente vere di fatti particolari; e non poteva, a sistemazione scientifica.

ma non giunse, E neppure vide

chiaro nella relazione della poesia con le altre arti, che talora unificò con quella,

camente identiche pittura

come quando considera e poesia, e viene

intrinse-

notando ana-

logie tra la poesia e la pittura del Medioevo;

e, tal'altra,

stranamente separò, come quando pretende che la delicatezza delle arti sia frutto delle filosofie e che delicatissime siano pittura, scultura, fonderia e intaglio, perché debbono astrarre le superficie dai corpi che imitano.

Queste incoerenze ed errori, che abbiamo passati in rapida rassegna, se in parte derivano da scarsa capacità di distinzione e di elaborazione, per un'altra e maggiore parte

si

riportano più

direttamente al già chiarito vizio

fondamentale che è nella strattura della Scienza nuova

^

IV.

LA POESIA E

IL

LINGUAGGIO

57

e qui, propriamente, allo scambio fatto dal Vico tra

il

con-

forma poetica dello spirito e il concetto empirico della forma barbarica della civiltà,. « Talché (egli stesso dichiara) questa prima età del mondo si cetto filosofico della

può dire con verità tutta occupata d'intorno alla prima operazione della mente ». Ma la prima età del mondo, essendo costituita da uomini in carne ed ossa e non da categorie filosofiche, non potè essere occupata intorno a

una sola si

operazione della mente. Quest'una poteva, come

suol dire,

(e la

prevalere

parola stessa scopre

tere quantitativo e approssimativo del concetto); le altre

dovevano essere

in atto insieme con

il

ma

carattutte

lei, la fantasia

e l'intelletto, la percezione e l'astrazione, la volontà e la

moralità,

il

cantare e

il

numerare.

A

evidenza

siffatta

il

Vico non poteva sottrarsi, epperò in quella fase di civiltà introdusse non solo il poeta, ma anche il teologo, il fisico, l'astronomo, gislatore

;

il

paterfamilias

senonché

,

il

guerriero, il politico, il lecostoro volle consi-

le attività di tutti

derare e chiamare poetiche, con metafora tratta dall'asserita prevalenza della

forma fantastica dello

spirito, e

il

complesso di esse sapienza poetica. Il carattere metaforico della denominazione è accusato, o balza agli occhi, in alcuni luoghi caratteristici; le arti

meccaniche,

come dove

le « arti », ossia

produttrici pratiche di oggetti per gli

usi della vita, sono definite « poesie in certo

modo

reali »,

romano, per l'abbondanza delle formolo cerimonie onde si riveste, è detto « poema drammatico

e l'antico diritto e

serio

».

Ma

le

metafore sono pericolose, quando, come nel

caso della Scienza nuova, trovano terreno favorevole alla loro conversione in concetti; e, infatti, l'età storica, barbarica, metaforeggiata

a

trasformarsi,

presso

come sapienza il

poetica,

non tardò

Vico, nell'età ideale

della poe-

sia, conferendo a quest'ultima tutte le proprie attribuzioni. Colà erano teologi, e la poesia fu considerata dal

FILOSOFIA DEL VICO

58

Vico come

sebbene fantastica; educatori, e fu fatta educatrice, sebbene di volgo; sapienti di cose fisiche, e fu fatta sapienza, sebbene di fisica immaginaria. E poiteologia,

ché quei barbari non potevano non pensare per concetti, rozzi che questi fossero e involti nelle immagini,

smi della poesia, individuati, singolarizzati, essa sempre corpulente,

si

le

i

fanta-

sentenze di

falsificarono in universali fanta-

che sarebbero qualcosa di mezzo tra l'intuizione, che è individualizzante, e il concetto, che universalizza la poestici,

:

sia, che doveva rappresentare il senso, lo schietto senso, rappresentò invece il senso già intellettualizzato, e il detto

che niente acquistò

il

schiarito, o

si

trova nell'intelletto che non sia già nel senso, che l'intelletto è il senso stesso,

significato il

senso l'intelletto stesso, confuso; onde non

ebbe più bisogno dell'aggiunta cautela: « nìsi intellectus ipse •». Per converso, la civiltà barbarica divenne come si

una mitologia

o

allegoria

della

ideale

età poetica;

e

i

primi popoli furono trasformati in moltitudini di « sublimi poeti » come poeti furono fatti (nella ontogenesi corri;

spondente a tale filogenesi) perfino

i

fanciulli. Il concetto

dell'universale fantastico come anteriore

all'universale

ragionato concentra in sé la duplice contradizione della dottrina; perché all'elemento fantastico dovrebbe essere con-

giunto in quella formazione mentale l'elemento dell'universalità, il quale, per sé preso, sarebbe poi un vero e proprio universale, ragionato e

non

fantastico:

donde una

petitio

principii, per la quale la genesi degli universali ragionati,

che dovrebbe essere spiegata, viene presupposta. E, d'altro canto, se l'universale fantastico s' interpetrasse come purificato dell'elemento universale e logico, cioè come mero fantasma, la coerenza si ristabilirebbe certamente nella dottrina

ma la sapienza poetica o civiltà barbarica verrebbe mutilata di una parte essenziale del suo organismo, perché estetica

;

privata di ogni sorta di concetti,

e,

per dir

cosi, disossata.

LA POESIA E

IV.

IL

59

LINGUAGGIO

Per risolvere la contradizione conveniva dissociare poesia e sapienza poetica; del che, in verità, s'incontra qual-

che accenno presso

il Vico. Egli confessa talvolta, quasi involontariamente, la non corrispondenza tra la categoria filosofica e il tipo sociale, e per quest'ultimo è costretto a

ricorrere ai

cade di

«

press'a poco

per

dire,

es.,

assai poco ragione

»,

e ai

«

più o

meno

Gli ac-

».

uomini primitivi erano

«

nulla o

e tutti robustissima fantasia »,

«

quasi

che

gli

corpo e quasi niuna riflessione » ovvero, dopo avere distinte con filosofiche pretese tre lingue degli dèi, degli tutti

;

eroi e degli uomini, osserverà che

«

la

lingua degli dèi fu

quasi tutta muta pochissimo articolata; eroi mescolata egualmente di articolata

la lingua degli

lingua degli uomini quasi tutta articolata e

pochissimo

e

muta

».

La

favella poetica

e

alla sapienza poetica

tempo

istorico o

il

«

la

(ammette ancora) sopravvive

scorre civile,

per lungo tratto dentro il (dice con magnifica

come

i

lenza del corso

dismettere della

muta;

grandi rapidi fiumi si spargono molto denmare e serbano dolci l'acque portatevi con la vio-

immagine) tro

età

e di

il

».

Anche

nei

tempi moderni non

parlare fantastico, e « per ispiegare

mente pura

han da soccorrere

ci

i

parlari

i

può

si

lavori poetici

per trasporti de' sensi ». La poesia non sembra che sia finita con la fine della barbarie, perché pur nei tempi civili

sorgono poeti; e

che quelli della prima epoca fosi nuovi tali si facciano per come il Vico vuole, con lo

sero fantastici per natura, e arte ed industria ossia,



sforzarsi di

perdere memoria delle parole proprie,

di

pur-

riempirsi la mente di pregiudizi fanciulleschi o volgari, di rimettere la mente in ceppi co-

garsi delle

filosofie,

di

stringendosi, tra l'altro, all'uso della rima, zioni, del resto facilmente confutabili,

a sminuire

l'importanza

poesia è di tutti

i

del

fatto

si

— queste restri-

affaticano invano

riconosciuto:

che

la

tempi, e non di quello solo barbarico; è

FILOSOFIA DEL VICO

60

una categoria ideale e non un zioni anzidette, ricordati,

come

fatto storico.

la rarità e la

provano che

il

Ma

le restri-

timidezza degli accenni

Vico non era in grado di eseguire

dissociazione tra poesia e sapienza poetica, impeditone ibridismo del concetto e del metodo stesso della Scienza

la

dall'

nuova. Se, per altro, l'idea della poesia come pura fantasia, nonostante tutte le confusioni e incoerenze nelle quali si

avvolge, non fosse rimasta salda nel fondo del pensiero del Vico, e non avesse operato, per cosi dire, nel sottosuolo della Scienza nuova, non sarebbe agevole, né forse possibile, intendere la concezione capitale

sua

che domina la

che è strettamente legata con concezione dello spirito come svi-

filosofia dello spirito, e

quell'idea. Diciamo, la

luppo,

o,

per adoperare la terminologia propria del Vico, o spiegamento: concezione la quale, pur

come corso

senza espressa contrapposizione, superava quella ordinaria, limitantesi quasi esclusivamente a enumerare e classificare

La dottrina degli universali fantacome spontanee formazioni mentali, universali rozzi ma forniti di un motivo di vero, era certamente bastevole come strumento per debellare l'empirica teoria che faceva le facoltà dello spirito. stici

le civiltà da un'alta e ragionata saggezza ordinaopera personale di Dio o di uomini sapienti, sorti non si sa come e piovuti non si sa donde. Il Vico poneva

sorgere trice,

chiaro

il

l'origine

dilemma della

delle

due e non più guise

civiltà: o

nella

riflessione

di

di spiegare

uomini sa-

pienti, ovvero in un certo senso e istinto umano di uomini bestioni; e si risolveva per la seconda ipotesi, per « bestioni » che via via si erano fatti uomini i cioè per ;

pensiero che

evolve dall'universale fantastico a quello l'assetto sociale che procede via via dalla ragionato, per forza all'equità. Ma era quella concezione bastevole per fonil

si

dare la storia ideale o

filosofia

dello

spirito? Nella

fi-

IV.

LA POESIA E IL LINGUAGGIO

losofia dello spirito, essa

di simile, se

61

sarebbe tradotta in qualcosa

si

non d'identico,

alla dottrina che,

del cartesianismo e anche di

una certa

per

effetto

quale rinascita che ebbe la scolastica di Duns Scotus, correva ai tempi del Vico, e secondo cui la vita dello spirito si esplicava nei gradi successivi del concetto oscuro, confuso, chiaro tal

com'è noto, fece argomento di il Leibniz, speciale studio le percezioni oscure e confuse, le « petltes perceptions ». Dottrina nel suo intrinseco intellettualistica, e distinto:

perché

i

concetti,

confusi

e

che

oscuri

fossero,

erano

impotente perciò a dare ragione,

concetti; e

pur sempre nonché della poesia, neppure delio sviluppo spirituale, che non può intendersi, nella sua dialettica quando sia costituito di differenze meramente quantitative, le quali, in realtà, non sono differenze ma identità e perciò immobilità; e, infatti,

tutto quell'indirizzo fa, insieme, antieste-

tico e statico, privo di

di

una vera dottrina

una vera dottrina

dello sviluppo.

Il

della fantasia e

pensiero del Vico

ò,

invece, avverso all'intellettualismo, simpatico alla fantasia, tutto dinamico ed evolutivo; lo spirito è, per lui, un eterno dramma; e, poiché il dramma vuole tesi e antitesi, la

sua

filosofia

della

mente

è impiantata sull'antinomia,

cioè sulla reale distinzione e opposizione di fantasia e pensiero, poesia e metafisica, forza ralità,

ed equità, passione e mo-

per quanto egli sembri talvolta, per

note, disconoscerla

le

ragioni già

quanto venga talvolta a ingarbugliarla con indagini e dottrine empiriche e con o,

piuttosto, per

determinazioni storiche.

La forma semifantasticà del conoscere mito e la religione)

(Il

A,.nche

Vico sul mito, se è non meno

la dottrina del

originale e profonda di quella circa la poesia, non è del tutto limpida, perché le relazioni tra poesia e mito sono cosi strette che

l'ombra gettata sull'una deve necessaria-

mente stendersi

in

qualche modo

Proseguendo a indagare,

sull'altro.

come abbiamo

fatto sin qui

faremo sempre nel séguito, lo stato delle cognizioni ai tempi del Vico secondo le varie discipline e problemi che egli prese a trattare, ricorderemo in breve, circa gli studi

e

sulla mitologia,

lamente

come

tra

il

Cinque e

il

Seicento non so-

mettessero insieme grandi compilazioni letterarie di miti (delle quali già aveva dato esempio, nel Trecento,

il

si

due teorie non ignote del le

ma

venissero dottamente propugnate esplicative già note all'antichità classica e

Boccaccio),

tutto al

Medioevo

:

la teoria del

mito come

allegoria di verità filosofiche (morali, politiche evia discor-

come storia di personaggi effetavvenimenti accaduti, adornate dal-

rendo), e quella del mito

tivamente

esistiti e di

l'immaginazione che divinizzava L'allegorismo ispirava, tra

gli

eroi

l'altre, l'opera di

(evemerismo). Natale Conti,

MythologicB sive explanationis fabularum libri decerti (1568)

FILOSOFIA DEL VICO

64

De sapientia veterum

(1609) del Bacone dove, per altro, era sistema quel proposto non senza qualche dubbio e con la espressa cautela che, se anche non valesse come interpee

il

;

trazione storica, avrebbe potuto sempre mantenere

valore di moralizzazione

aut res ipsas).

Il

il

suo

antiqultatem illustrabimus neoevemerismo era rappresentato autore(aut

volmente da Giovanni Ledere (Clericus), l'erudito ginevrino-olandese verso cui tanta reverenza e gratitudine ebbe Vico per aver degnato di attenzione il suo Diritto universale, e del quale fece epoca, in materia mitoa professare

il

logica, l'edizione della Teogonia esiodea;

lo segui tra gli del Les autore libro: Banier, fables expllquèes par l'histoire (1735). Un terzo sistema, anch'esso non senza qualaltri

il

che precedente antico, derivava

dagli egiziani o dagli ebrei, ovvero dall'opera di sin-

lari,

quando non

goli filosofi e poeti inventori; e,

in

miti da popoli partico-

i

una pura

alcuni o di tutti

i

risolveva

trasmessi dall'antichità o non

miti

riportava alla rivelazione divina, è la teoria

si

e semplice ipotesi storica sulla formazione di

che

il

si

chiaro che implicava

ma un

mito sia non già una forma eterna,

contingente prodotto dello spirito, il quale, com'è nato una volta, cosi possa morire o sia già morto. Il

Vico

scuola,

si

oppone risolutamente

all'allegorismo

storica; e ricorda,

e

alla

il

prima e della

alla terza

derivazione

trattato baconiano dal

meditare

sull'argomento,

che vero

» e per più ingegnoso considerante i miti come storie sacre alte-

ch'egli giudicava

l'altra scuola,

dottrina

perla prima,

quale aveva tratto incentivo a

ma

alla

«

;

particolare dai greci, il De theologla gentili (1642) del Vossio, la Demonstratio evangelica (1679) di. Daniele Huet, e il Phaleg et Canaan del rate e corrotte dai

Bochart.

I

gentili

miti o favole

e

in

non contengono sapienza

riposta,

cioè concetti ragionati, avvolti consapevolmente nel velo della favola; e perciò

non sono allegorie. L'allegoria im-

V. IL

porta che

MITO E LA RELIGIONE

una

abbia, da

si

il

parte,

65

concetto o significato, due cose l'artifizio

dall'altra la favola o involucro, e tra le

che

momenti,

-quella teoria,

forma •a

;

ma

i

e

i

non

miti

neppure

in

si

un

possono scindere

significato e

loro significati sono univoci.

i

gnificante:

Ma

insieme.

le fa stare

in questi tre

Importa

un

si-

altresì,

contenuto, non creda alla creatori dei miti dettero ingenua e piena fede

che chi crede

e fintasi, per es., la

quelle loro creazioni;

divina, la più

di

grande

al

quante mai se ne

prima favola

finsero in

ap-

presso, Giove re e padre degli dèi e degli uomini in atto di fulminante, essi stessi che se lo finsero lo credettero, e con ispaventose religioni lo temerono, riverirono e osservarono. Il mito, insomma, non è favola ma storia, quale possono formarsela gli spiriti primitivi, e da questi è seve-

ramente tenuta come racconto

di cose reali. I filosofi che

sorsero posteriormente, servendosi dei miti per esporre in allegorico le loro dottrine, ovvero illudendosi di ri-

modo

trovarvele per quel senso di riverenza che si porta all'antichità tanto più venerabile quanto più oscura, ovvero sti-

mando comodo

di giovarsi di

fini politici,

e



cosi

stesso, platonizzando

tale

espediente per

Platone omerizzando

Omero;



e,

i

loro

nel tratto

miti favole, intrinsecamente non sono.

resero

i

quali in origine non erano e Onde è da dire che filosofi e mitologi furono piuttosto essi i poeti che immaginarono tante strane cose sulle favole,

laddove

i

poeti o creatori primitivi furono

i

e intesero narrare cose vere dei loro tempi.

veri mitologi

— Per la me-

desima ragione, ossia per essere i miti parte essenziale della sapienza poetica o barbarica, e come tale spontanei tempi e luoghi, non si può attribuirli a un singolo popolo che li avrebbe inventati e dal quale si sarebbero trasmessi agli altri, quasi ritrovato particolare di in tutti

i

uomini particolari od oggetto

di rivelazione.

Codesta dottrina, superante

B. Croce,

La

filosofìa

l

di Giambattista Vico.

'allegorìe mò e

lo storici-

5

FILOSOFIA DEL VICO

66 srao, è

un

compi

delle

tualismo,

il

come forme

altro aspetto della

rivendicazione che

forme conoscitive alogiche contro

il

Vico

intellet-

col presentarle ora ora come prodotti accidentali o do-

le

quale

l'

negava appunto

artificiali

vuti a cause soprannaturali.

Né sembra

accettabile l'opi-

nione che aggrega il Vico all'indirizzo neoevemeristico, da lui in verità non combattuto espressamente e verso il quale presenta anche, se si vuole, alcune superficiali somiglianze, ma insieme con le somiglianze questa radicale diversità: che per lui le favole non sono alterazioni di storie reali



si

riferiscono

di

necessità a individui reali,

ma

sono

intrinsecamente verità storica, nella forma che la verità storica suol prendere nelle menti primitive.

Altra più precisa determinazione circa la natura del mito il Vico non dà né poteva, appunto perché essendo in concetto stesso della poesia, egli non era i limiti tra le due forme. Parlò, in gegrado di e di mito come di cose distinte, ma non nere, poesia fermò la distinzione. Eppure, il Vico si era bene imbattuto lui

ondeggiante

in

il

di segnare

nel concetto che porge quel criterio distintivo, e l'aveva enunciato; senonché, in cambio di valersene per la dottrina del mito, ne aveva fatto una o alcune delle sue parecchie definizioni della poesia.

Quel carattere poetico, quell'u-

niversale fantastico che, introdotto nell'estetica come principio esplicativo della poesia, dà origine a tante insuperabili difficoltà, è invece, per l'appunto, la definizione del mito, e come tale fornisce alla scienza della mitologia il vero principio che le bisogna. Se il concetto del compiere grandi fatiche pel comune vantaggio non si sa staccare dall'immagine di un uomo particolare che abbia di quelle fatiche, quel concetto diventa mito, per es., di Ercole; ed Ercole è insieme un individuo che fa azioni individuali e uccide l'idra di Lerna e il leone

compiuto alcuna^ il

nemeo

o lava le stalle di Augia, ed è

un concetto; come

V. IL il

è,

MITO E LA RELIGIONE

67

concetto dell'operosità utile e gloriosa è un concetto ed insieme, Ercole: è un universale e un fantasma: un uni-

versale fantastico.

Anche quel sublime

lavoro.,

che

il

Vico diceva proprio

della poesia, di dare vita alle cose inanimate, spetta

non

ma al mito. Il quale, incorporando immagini, ed essendo le immagini sempre qualcosa d'individuale, viene ad atteggiarli come esseri viventi. Cosi gli uomini primitivi, che non conoscevano la propriamente i

concetti

alla poesia

in

cagione del fulmine e perciò non ne possedevano la definizione fisica, erano tratti, miteggiando, a concepire il cielo

come un vasto corpo animato, che medesimi quando erano in preda



a somiglianza di essi

alle

passioni, urlando, brontolando, fremendo, lesse dire

qualche cosa.

E

del

loro violentissime



parlasse e vo-

mito e non della poesia si «inopia», nella debolezza

deve riconoscere l'origine nell' della mente e nella sua inadeguazione

ai

problemi che

vuole risolvere, nella incapacità a pensare per universali ragionati e a esprimersi con termini propri, onde sorgono gli universali

fantastici e le

metonimie e

le

sineddoche e

ogni sorta di metafore. Le contradizioni, notate da noi nell'universale fantastico e che lo rendono inadatto a fondare

stanno perfettamente a posto nella dotquale è, per l'appunto, questa contradi-

la dottrina estetica,

trina del mito;

il

zione: un concetto che vuol essere

gine

immagine

e

un'imma-

che vuol essere concetto, e perciò un'inopia, anzi

un'impotenza potente, un contrasto e una transizione spirituale, dove il nero non è ancora e il bianco muore. Infine, sapienza poetica, cioè la teologia, fisica, cosmografia, geografia, astronomia e tutto il complesso delle restanti la

idee e credenze dei popoli primitivi, esposte dal Vico, erano effettivamente mito e non, come egli dice, poesia, per la

buona ragione loro storie;

e

stesso adduce che quelle erano le poesia è poesia e non istoria, neppure

ch'egli la

FILOSOFIA DEL VICO

68 più o

meno

fantasticata. Poesia,

sentimenti e

i

poemi omerici

in

quanto

umane

aspirazioni della grecità; storia, gli stessi poemi omerici, in quanto erano cantati e ascoltati come racconti di fatti realmente accaduti

esprimevano

i

le

:

due forme di prodotti rialmente

spirituali

raccogliersi in

una

sembrano mateopera, non per ciò

che, se

stessa

s'identificano.

Tutto questo il Vico vede e non vede, o, meglio, ora intravede e ora travede e perciò non si può dire che riesca a determinare veramente la distinzione e a risolvere

blema dei rapporti

tra mito e poesia.

e ancora assai dibattuto se cioè

mito sia

il

volte che

i

modo

potrebbe credersi, in-

non già

miti contengono sensi storici, e

si

pro-

netto; perché egli ripete molte

sofici, dei popoli primitivi;

bene attenzione,

il

altro importante

problema della scienza mitologica,

filosofia o storia,

vece, da lui risoluto in

Un

scorge che

ma,

in realtà,

egli,

nonché

ove

filo-

faccia

si

risolverlo,

non

se lo propone neppure. I sensi storici, che il Vico assevera, sono contrapposti non propriamente ai sensi filosofici in ge-

nere,

ma

«

ai sensi mistici di altissima filosofia » e ai « sensi

analogi», che i mitologi da lui criticati vi ritrovavano; cioè, da una parte ripetono la critica all'allegorismo e, dall'altra,

combattono quel cattivo modo d'interpetrazione moderni ai popoli an-

storica che trasferisce idee e costumi

La sua

teoria

si

concilia,

quella che avvicina

il

mito alla

tichi.

a dir vero, alla pari con filosofia, e con l'altra che

ammette entrambi speculativa, che li ammette altresì

l'avvicina alla storia; con l'eclettica che gli elementi, e

entrambi sé

ma

con la

perla ragione che

medesime come nel mito,

filosofia e storia,

cosi

costituiscono, in fondo,

in

una

cosa sola e indivisibile.

Come « inopia », il mito deve essere umana — che agogna naturalmente di ella

superato.

La mente

unirsi a Dio

donde

viene, cioè al vero Uno, e che non potendo per la

V. IL

MITO E LA RELIGIONE

69

esuberante natura sensuale dell'uomo primitivo esercitare facoltà, sepolta sotto i loro sensi troppo vigorosi, di astrarre dai subietti le proprietà e le forme universali, si

la

unità immaginarie, i generi fantastici o i miti, nel suo successivo spiegarsi o esplicarsi risolve via via

era finta

— i

le

generi fantastici in generi intelligibili, gli universali poein ragionati, e si libera dai miti. L'errore del mito

tici

passa cosi nella verità della filosofia. Il Vico conosce e adopera un concetto dell'errore, dell'errore propriamente detto, nascente dalla volontà e non dal pensiero, il quale quanto a sé non erra mai (mens enim semper a vero urgetur quia nunquam aspectu amittere possumus Deum) dell'errore che ;

consiste in vuote parole arbitrariamente combinate (verbo,

autem scepissime

veri vini voluntate

mentem

immo

deserunt,

nienti

mentientis eludimi oc

vim faciunt

et

Dea

obsistunt);

insomma, che, per adoperare la sua efficace descrizione, si ha quando gli uomini « mentre con la bocca dicono, non hanno nulla in lor mente, perocché la lor mente è dentro il falso, che è nulla ». Ma sa anche che dell'errore,

non è mai del tutto errore, appunto perché, non potendosi dare idee false e consistendo il falso soltanto nella sconcia combinazione delle idee, in esso è sempre il l'errore

vero, e ogni favola ha qualche « motivo di verità ». Perciò, lungi dal disprezzare le favole, ne riconosce il valore quasi

embrione del sapere riposto o della

di

filosofia

che

si

svol-

gerà poi. I poeti (ossia, nel nuovo significato che assume nel Vico questa parola, i creatori dei miti) sono il senso (cioè, nel nuovo significato, la filosofia rudimentale e imperfetta); e

i

filosofi

losofia più

di

Dio

tasia

sono l'intelletto dell'umanità (vale a dire, la ficompiuta, che nasce dalla precedente). L'idea

evolve a poco a poco dal Dio, che colpi la fanisolato, al Dio delle famiglie, divi parenDio della classe sociale o della patria, divi patrii,

si

dell'uomo

tum, al Dio delle nazioni, fino a quel Dio

al

«

che a

tutti è

Giove

»,

FILOSOFIA DEL VICO

70 al

Dio dell'umanità. Le favole destarono Platone a inten-

dere

le tre

pene divine, che

gli

uomini, possono

non

dèi solamente, e

infliggere: l'oblio, l'infamia e

il

gli

rimorso;

passaggio per V Inferno gli suggerì il concetto della via purgativa onde l'anima si purifica dalle passioni, e l'aril

rivo agli Elisi quello della via unitiva onde la

mente va

ad unirsi a Dio per mezzo della contemplazione delle eterne cose divine. Dalle somiglianze e metafore dei poeti Esopo trasse gli esempì e gli apologi con cui dette i suoi avvisi ;

e dall'esempio, che le

menti rozze,

si

fonda sopra un caso solo e soddisfa svolge l'induzione, che si vale di più si

casi simili, quale l'insegnò Socrate con la dialettica, e suc-

cessivamente

il

sillogismo, che Aristotele scoperse e che

non regge senza un universale. Le etimologie delle parole svelano le verità intraviste dai primi uomini e deposte nel loro linguaggio; per es., ciò che i filosofi moderni con gravi ragioni hanno dimostrato, che i sensi fanno essi le qualità

chiamate

«

sensibili

» ,

è già

cere » della lingua latina,

rato

«

faccia

»

l'odore.

Il

adombrato nella parola

«

olfa-

che implica il pensiero che l'odoVico attribuisce tanta importanza

a questa connessione tra universali poetici e universali ragionati, tra mito e filosofia, da essere tratto ad affermare

che

le

sentenze dei

filosofi, le

quali non trovino precedente

e riscontro -nella sapienza poetica e volgare, debbano essere errate. Anzi, è questo un altro significato che egli

assegna talvolta al rapporto tra filosofia e filologia di una conferma reciproca tra sapienza volgare e sapienza riposta, conciliate entrambe nell'idea di una filosofia perenne :

dell'umanità.

Con filosofia

la teoria del il

mito e del rapporto di esso con la tutt' insieme, la sua teoria della

Vico ha dato,

tra religione e filosofia. Due a pensieri circolano, questo proposito, per entro la Scienza nuova: l'uno, che la religione nasca, nella fase della debo-

religione

e del

rapporto

V. IL

MITO E LA RELIGIONE

71

bisogno mentale di dare pace d'intendere in qualche modo le cose

lczza e dell'incultura, dal alla

curiosità

e

della natura e dell'uomo (di spiegare, per es.,

il

fulmine);



l'altro, s'ingeneri negli animi pel terrore di colui che minaccia fulminando. E si potrebbero chia-

che

mare

le

la religione

due

pratica

teoretica e dell'origine poiché, conformemente alle

teorie, dell'origine

della

e

religione; dottrine del Vico, l'uomo è nient'altro che intelletto e vo-

come, fuori di queste due origini, la religione non possa averne altre. Ora, lasciando da parte la lontà, è chiaro

religione nel significato pratico (della quale si discorrerà più innanzi), la religione nel significato teoretico che cosa è altro se non l'universale fantastico, l'animismo poetico,

A

il

mito?

la

divinazione,

essa

si il

lega quell'istituto che il Vico chiama complesso dei metodi coi quali si racco-

glieva e interpetrava la lingua di Giove, le parole reali, i segni e cenni del Dio, finto nell' universale fantastico e

creato dall'immaginazione animatrice. E come dal mito procede la scienza e la filosofia, cosi, parimente, dalla di-

vinazione la conoscenza delle ragioni e cause, la previsione filosofica e scientifica. Il Vico, a questo modo, si liberava dal pregiudizio che cominciava a prevalere al suo tempo (si ricordino la storia degli oracoli antichi del Van Dale, resa popolare dal Fon-

tenelle, e

il

libro già citato del

Banier), e tanta efficacia

ebbe per un secolo ancora, delle religioni come « impostura d'altrui », quando erano invece (egli dice) nate da «

propria credulità

artificiale dei miti,

religioni.

turale

Ma come

». Colui che non ammetteva l'origine non poteva ammetterla neppure delle

egli rifiutava altresì l'origine

o rivelata dai miti, cosi nello stesso

ziava né più né

meno che

l'origine naturale, anzi

delle religioni; e, quel che più specialmente è la

sopranna-

atto pronun-

riponeva in una forma inadeguata dello

umana,

da notare,

spirito, nella

FILOSOFIA DEL VICO

72

forma semifantastica, che è il mito. Né bisogna fare casoqualche suo breve detto incidentale, che sembra in contrasto con questa teoria; come là dove dice che la religione

di

precede non solo

le filosofie

ma

il

linguaggio stesso,

la coscienza di qualcosa di

suppone

comune

il

quale

tra gli uomini:

equivoci derivanti dalla solita perplessità metodica e da abito di poca chiarezza. L'identificazione della religione coL mito, e l'origine

umana

temente espressa,

ma

delle religioni,

è essenziale a tutto

non il

solo è insisten-

sistema del Vico.

Origine umana, che non esclude, nelle parole di lui, un diverso concetto di religione: la religione rivelata, e perciò di

origine soprannaturale. Egli, infatti, pone sempre, la teologia poetica, che è mitologia, e la

da un canto,

teologia naturale, che è metafisica

o

filosofia;

e,

dal-

teologia rivelata. Ma quest'ultimo concetto è ammesso da lui, non perché si leghi ai precedenti e tutti l'altro, la

derivino da un principio comune, si bene semplicemente il Vico afferma gli uni e afferma l'altro. L'origine

perché

umana,

la teologia poetica, di cui è séguito la teologia

me-

tafisica, è quella che vale

per l'umanità gentilesca, ossia l'umanità fatta eccezione del popolo ebreo che intera, per è privilegiato dalla rivelazione. Per quali motivi il Vico serbasse questo dualismo, e sopra quali contradizioni pun-

genti fosse a cagione di esso costretto ad adagiarsi, anche

questo si vedrà più oltre, e a suo luogo. Ma appunto perché quel dualismo rimase in lui senza mediazione, noi

dobbiamo, esponendo il suo pensiero, tenere fermo ciascuno dei due termini del dualismo, e, per ora, l'origine

meramente umana:

la religione

quale prodotto del

bisogno teoretico dell'uomo giacente in condizioni di relativa povertà mentale. Concetto che indiretti

ha rapporti solamente

con quello bruniano della religione come cosa ne-

cessaria alla moltitudine rozza e poco sviluppata, e con quello campanelliano della religione naturale o perpetua,

V. IL

eterna

filosofia

MITO E LA RELIGIONE

73

razionale coincidente col cristianesimo spo-

gliato dai suoi abusi; e che ha rari e deboli riscontri negli scrittori del tempo, i quali, anche quando vi accennano di passaggio, l'intendono in

modo

tano senza nessuna coerenza con tono sulla religione in quanto

superficiale e lo presenle altre

ignoranza

loro idee

:

bat-

e trascurano la

sapienza di quella ignoranza, la religione come verità.

VI

La coscienza morale

JLie altre

dottrine del

Vico di ragion teoretica, cioè e matemati-

di logica della filosofia, delle scienze fisiche

che e delle discipline storiche, sono state già esposte nell

'esporre la sua gnoseologia, e

primi

perché

scritti,

nella

si

desumono quasi

Scienza nuova

la

tutte dai

fase

della

appare, più che altro, come un limite della ricerca. Soltanto giova notare che il Vico tocca «

mente

tutta spiegata

»

il problema del rapporto tra poesia e storia, ma, sempre a causa dell' indistinzione tra filosofia e scienza sociale, non gli riesce di risolverlo pienamente. Sotto un aspetto, sembra a lui che la storia sia anteriore alla poe-

altresì

perché questa, dice, presuppone la realtà e contiene una «imitazione di più»; sotto un altro aspetto, che la

sia,

poesia costituisca la forma prima, perché presso primitivi la loro storia è la loro poesia e

sono

i

poeti.

A

tico, intrinseco alla storia;

storia, osserva

i

popoli storici

primi ogni modo, egli insiste sull'elemento poee di Erodoto,

che non solo

più parte di favole,

ma

« lo

i

i

libri

padre della greca di lui sono ripieni la

stile ritiene

moltissimo dell'o-

merico, nella qual possessione si sono mantenuti tutti gli storici che sono venuti appresso, i quali usano una frase

mezza tra la poetica e la volgare »: « verba ferme poStarum come ripete altrove facendo suo un detto di Cicerone.

»,

FILOSOFIA DEL VICO

76

Né fra

trovano svolti particolarmente nel Vico

si

tutto egli suggerisca

di Dio

;

il

onde

rapporti

e volontà,

intelletto e volontà coincidono,

magine

i

benché dapperche come in Dio pensiero generale

teoria e pratica, intelletto

la

similmente nell'uomo, im-

mente o

spirito

non

è divisa in

un

pensiero e in una volontà, in un pensiero che proceda per un verso e in una volontà che proceda per un altro, ma

pensiero e volontà si compenetrano e formano un tutto concezione assai superiore a quella della filosofìa del solo suo tempo, cioè del leibnizianismo, in cui persisteva il con:

cetto dell'arbitrio divino, e perciò dell'irrazionalità.

Un

al-

suo e singolare pensiero importerebbe invece, per chi concluda frettolosamente, la precedenza della pratica sulla tro

teoria

;

concetti

perché

il

Vico dice che

mercé l'esperienza

leggi nelle quali gli uomini

i

filosofi

pervengono

si

accordano come in qualcosa

di universale, e che Socrate e Platone, per es.,

gono

la

democrazia e

i

ai loro-

delle istituzioni sociali e delle

tribunali ateniesi.

Ma

presupponquesta suc-

cessione delle religioni che generano le repubbliche, delle

repubbliche che generano le leggi, delle leggi che generano che egli chiama « una particella della

le idee filosofiche, e

storia della filosofia narrata filosoficamente

teoria d'importanza non filosofica

Per quel che concerne

ma

».

è,

appunto,

sociologica.

le dottrine

di

ragion pratica,

delle quali ora entriamo a trattare, potrebbe parere che il

Vico, diversamente che in quelle di ragion teoretica,

non

suo tempo, ma anzi si ricolleghi proprio a un movimento del suo tempo: alla scuola del diritto naturale. Il capo della scuola, l'iniziasia in recisa opposizione alle idee del

tore del movimento,

dei suoi

quattro

Ugo

Grozio, era da lui chiamato uno

autori, insieme con Platone, in cui trovava

appagata la sua brama di una Bacone che gli aveva fatto sorgere

filosofia

in

idealistica,

mente l'idea

di

col

una

scienza positiva e storica delle società, e con Tacito, che-

VI.

LA COSCIENZA MORALE

vedremo più innanzi qual dette di averne ottenuto.

petuamente

77

servizio gli rese o

E

Vico cre-

il

insieme col Grozio ricorda per-

gli altri principali autori del diritto naturale,

Pufendorf, trascurando gl'innumerevoli loro che considera, piuttosto che autori di scienza, semseguaci, « adornatori » del sistema groziano. plici il

Selden e

Il

il

ricollegamento, in un certo senso, è evidente e conma anche è indubi-

fessato e professato dallo stesso Vico

;

che egli non aderì semplicemente a quella scuola, « neppure la continuò al modo di chi serbi i concetti getabile

nerali e direttivi, e svolga o corregga i particolari. La continuò solamente in significato dialettico, cioè in quanto ne ebbe a contrastare le tesi capitali o ad accoglierle cangian-

dole profondamente. luzioni ferse

diritto naturale gli offerse

Il

ma problemi,

ben determinati,

e di questi altri,

anche se alcuni

non

so-

gli of-

e più gravi, suscitò solamente

problemi dunque o non risoluti o neppure Vico si propose e in parte risolse. Gli aspetti e le tendenze del diritto naturale erano molteplici, e conviene preliminarmente distinguerli ed enu-

nel suo spirito

veduti, che

:

il

merarli. In primo luogo, in quella scuola, presa nel suo e nei suoi tratti essenziali, si esprimeva il pro-

complesso

gresso sociale, onde l'Europa, uscendo dal feudalesimo e dalle guerre di religione, si dava una nuova coscienza, spiccatamente borghese e laica di essa fu quasi

l'altro,

«

«

ricordi che la formazione

si

alla nascita dell'anticleri-

contemporanea

cale e borghese istituto della

voleva dire, tra

:

massoneria

».

non soprannaturale

«Naturale

ostilità o indifferenza di fronte al

soprannaturale e alle

tuzioni che lo

e

ai

conflitti

rappresentavano a caso il Grozio fu arminiano

ingenerava. Non

dorf ebbe

liti

con teologi;

il

Tomasio

è

»

»; e, quindi,

sociali ;

il

isti-

che

Pufen-

rammentato

tra

i

promotori della libertà di coscienza. Le proteste di reverenza verso la religione e verso la chiesa, che con molta

FILOSOFIA DEL VICO

78

abbondanza quei

solevano

pubblicisti

nei

inserire

loro

ne sono come soffusi da un velo di pietà), (i quali erano cautele da politici, che procurano di minare il ne-

scritti

mico senza

lasciarsi scorgere, di ferire coprendosi. Cautela

lodata, per es., nel Grozio da (l'autore della

che celebra

il

dentice », quasi Messia

rale

»

dalla servitù al

forza

di tutta la

uno dei seguaci della scuola

Pauco plenior iuris naturalis historia, 1719), maestro come « instrumentum divince provi-

e

venuto a redimere «

super naturale

di tutta l'abilità

»,

il

«

lumen natu-

e fornito perciò*

occorrenti; talché, caute versabatur

esperto delle persecuzioni scolastiche, « ne maius bilem adversus prudentiam naturalem

et

rationalem

ex latebris productam tara minis irritaret », e procedendo a separare le leggi umane dalle divine, non prendeva di fronte la scuola teologica con l'attaccarne gli errori fondamentali, anzi perfino la lodava nei prolegomeni dell'opera « Naturale » significava altresì ciò che è comune agli individui delle varie nazioni e stati onde, sotto l'aspetto

sua.

;

un ottimo motto d'ordine per riunire in speranze e lotte comuni la borghesia dei vari:

pratico, forniva certi desideri,

paesi. I trattati del diritto naturale furono, nel secolo deci-

mosettimo e nel seguente, per nifesto dei comunisti e

il

grido

la borghesia, quel :

«

do, unitevi », tentarono di essere

che

Proletari di tutto

Mamon-

il

il

perla classe operaia nel

decimonono. In quanto quella scuola e quella pubblicistica erano mamoto pratico, l'interesse filosofico vi aveva

nifestazione di un

parte subordinata e ufficio sussidiario. Per questa ragione,

secondo luogo, le trattazioni del diritto naturale, filosoficamente considerate, non si levano di solito sopra un in

chiaro

e

I principi, sui

popolare empirismo.

appoggiano, non sono approfonditi estrinsecamente unificati;

i

e assai spesso

quali

si

neppure

concetti, che adoperano, sono

piuttosto rappresentazioni generali

;

la

forma della

tratta-

VI.

LA COSCIENZA MORALE

79

zione è solo apparentemente sistematica. Qualcuno di quegli procurava di collegare le sue dottrine giusnatura-

scrittori

con

listicbe

la

filosofia platonica,

stoica o cartesiana, ri-

saliva ad assiomi logici e metafisici,

duzione e del metodo

matematico.

si

giovava della de-

Ma

tutto codesto era

accostamento e non fusione, adornamento e non ravvivamento; e, tutt'al più, valeva come prova di diligenza e di serietà d'intenzioni.

La tisti

per altro, implicita più o

filosofia,

sero a elaborarlo speculativamente, rito del

tempo, del quale

ci

si

meno

nei tratta-

che preaccordava con lo spi-

del diritto naturale ed esplicita nei

sono noti

i

filosofi

caratteri generali.

Cosicché terzo aspetto del giusnaturalismo fu, in etica, o l'utilitarismo, ora più o meno larvato ora apertamente dichiarato, e a volta a volta ragionato con tosto

matematizzante o

piuttosto

filosofia piut-

sensistica,

di

tendenze

materialistiche o di tendenze razionalistiche; ovvero (che

medesimo) un astratto e intellettualistico moralismo, che minacciava di precipitare a ogni istante è quasi

il

nell'utilitarismo. Dal quale intellettualismo e utilitarismo,

combinati con l'impronta pratica e rivoluzionaria di quel moto spirituale, che era rivolto piuttosto a un semplicistico diritto

mente

da far trionfare che non a riconoscere quello realsvoltosi nella storia e ricco di tante forme e vicen-

de, derivava

il

quarto carattere di esso, cioè la mancanza

l'antistoricismo della scuola, la quale stabiliva l'astratto ideale di una natura umana fuori della di senso storico,

storia

umana

o

non fusa e vivente

in questa.

Infine, borghese, anticlericale, utilitario o materialistico

com'era,

il

giusnaturalismo aveva un quinto e importante trascendenza e la tendenza a

carattere, l'avversione alla

una concezione immanentistica dell'uomo cietà. Carattere

nalmente,

poco

ma non

esplicato

pertanto

e

poco

e della

facilmente riconoscibile

complesso dei concetti di quella scuola.

so-

ragionato dottrinel

'

80

FILOSOFIA DEL VICO

Ora, l'ispirazione del Vico era genuinamente ed esclusivamente teoretica, punto pratica o riformistica; alta-

mente speculativo il suo metodo, e disdegnoso dell'empirismo; idealistico, e perciò antimaterialistico e antiutilitaristico,

suo spirito;

il

la

sua gnoseologia anelante al concreto, Per conseguenza, la sua dot-

al certo, e però storicizzante.

trina della ragion pratica, pure

prendendo

le

mosse dal

giusnaturalismo, doveva uscire diversa, anzi contraria a questo, in tutti i primi quattro caratteri da noi enunciati. E se in qualcosa coincideva (non nella via per pervenirvi,

ma

nel

risultamento), era appunto dove meno l'autore nel carattere immanentistico e areligioso.

avrebbe voluto

Ma

poiché

:

nostro proprio tema non è già la critica naturale ebbe nel pensiero il diritto

il

e modificazione che

del Vico,

si

bene questo pensiero

il filo

stesso,

sarà opportuno,

della esposizione, seguire ordine alquanto

ripigliando diverso da quello tenuto nel ricapitolare

i

vari caratteri

del giusnaturalismo, e cominciare dal vedere l'opposizione

Vico all'utilitarismo

del

scuola, e

la

dottrina

dichiarato o larvato

che egli

svolse

sul

di

quella

principio del-

l'etica.

due principali rappresentanti dell'utilitarismo nel secolo decimosettimo, che il Vico ha sempre innanzi agli occhi, sono l'Hobbes e lo Spinoza; ma ricorda insieme con essi il Locke e il Bayle e, del secolo precedente, il MaI

chiavelli e, risalendo all'antichità, gli stoici col loro concetto del fato, gli epicurei con quello

del caso,

Cameade

col suo scetticismo, e perfino l'inconsapevole dottrina che

è contenuta nel motto

«

Vce victis

capo dei Galli invasori di sforzo

una

magnanimo

teoria che

le

Roma.

»,

Brenno o Hobbes ammirava lo

attribuito al

Dell'

nel cercare di accrescere la filosofia di

era mancata nei bei tempi della Grecia,

cioè della teoria dell'uomo considerato in tutta la società del

genere umano;

ma

diceva infelice l'evento,

fallito

il

ten-

LA COSCIENZA MORALE

VI.

tativo, che

81

(come anche quello del Locke) nel fatto risultava L'Hobbes non si era accorto

assai prossimo all'epicureo.

che

egli

non

sarebbe potuto neppure proporre il suo naturale dell'umanità, se il motivo

si

del diritto

problema non gliene

fosse stato fornito per l'appunto dalla religione

comanda verso

cristiana, la quale

nonché

tutto

il

genere umano,

Agli stoici invece, al loro fato e al loro determinismo onde furono incapaci a ragiola giustizia, la carità.

nare adeguatamente di repubblica e di leggi, a codesti « spinosisti dell'antichità », si collegava idealmente lo Spinoza, del cui utilitarismo, diverso di spiriti tanto dal lo-

ckiano quanto

non sensu de

dall'

hobbesiano (perché

lo

Spinoza

la singolarità.

strinse lo Spinoza a ragionare di repubblica in

elevato,

«

«

mente,

rerum diiudìcat

»), non isfuggiva al Vico che debba dirsi, esso coMa, per singolare

veris

come

di

una società che

sia di

modo poco

mercadanti

».

Quelle dottrine utilitarie, calunniose dell'umana natura, parvero al Vico proprie di uomini disperati, che per la loro viltà non ebbero mai parte nello stato, o per la loro superbia si stimarono tenuti bassi e non promossi agli onori dei quali per la loro boria si credevano degni; e anil povero Spinoza, il quale, non avendo, niuna ebreo, perché repubblica, mosso da livore, si sarebbe dato a escogitare una metafisica « da rovinare tutte le re-

noverò tra costoro

mondo

pubbliche del

».

Severo è

il

suo giudizio sulle con-

dizioni dell'etica ai suoi tempi, che era quale poteva essere sulla

base di una metafisica meccanica e materialistica,

senza lume di

finalità. Cartesio fu affatto

sterile in quel cose che poche campo, perché sparsamente ne lasciò scritte non compongono dottrina e il suo trattato delle Pasle

sioni serve piuttosto alla

mente

sterili

il

medicina che

Malebranche

e

Pascal, solitaria eccezione, sono italiani,

B. Croce,

il

La

Pallavicino

filosofìa

offri

il

alla

Nicole, e

morale; simili

Pensieri

del

pur lumi sparsi ». Degli appena un abbozzo di etica nel «

di Giambattista Vico.

6

FILOSOFIA DEL VICO

82

suo trattato Del bene, e

il

Muratori, nella sua Filosofia

mo-

rale, fece

prova assai infelice. L' utilità non è principio esplicativo della moralità,, perché proviene dalla parte corporale dell'uomo e, per provenienza, è caugevole, laddove la moralità, l' honestas, è eterna. Derivare la moralità dall'utilità è scamtale



biare l'occasione con la causa, fermarsi alla superfìcie non spiegare per nulla i fatti. Nessuno dei vari modi

e

nei quali la

il

principio utilitario viene atteggiato dai

frode o impostura,

delle differenziazioni,

frode poteva

la

il

forza,

cioè dell'organismo sociale. Quale e trarre in inganno i supposti

mai sedurre

primi semplici e parchi posseditori di campi,

vano

affatto

ricchi, bati,

i

del grave

i

quali vive-

contenti della sorte loro? Quale forza, se

pretesi usurpatori, erano pochi, e

molti?

filosofi,

bisogno, rende conto

Codeste spiegazioni

problema.

Quei

forti,

i

i

poveri,

sono giochetti,

i

deru-

indegni

quei potenti erano, in

realtà, potenti d'altro che di sola forza; tanto che

si

fa-

cevano protettori dei deboli e oppugnatori delle tendenze distruttive e antisociali: la loro legge era,

si,

di forza,

ma

a natura prcestantiori dlctata » cosa che ben era lecito ignorare al barbaro Brenno, ma non a uomini filosofi. La «

,

forza creatrice e organizzatrice delle prime repubbliche fa tutta umanità generosa, alla quale si debbono ri-

chiamare sempre gli Stati, quantunque acquistati con l'impostura e con la forza, perché reggano e si conservino;

conformemente origini,

ma

al detto del Machiavelli di richiamarli alle

con l'intesa che

le origini

nella clemenza e nella giustizia.

profonde

si

trovano

Gli uomini sono tenuti

insieme da qualcosa di più saldo dell'utilità. Società d'uomini non può incominciare e durare senza fede scambievole; senza che altri riposino sopra le altrui promesse e

acquetino alle altrui asseverazioni di fatti occulti. Si può forse ottenere questa fede col rigore delle leggi penali si

LA COSCIENZA MORALE

VI.

contro la

menzogna? Ma

le leggi

83

sono prodotto della so-

cietà, e, perché sorga società, è necessaria quella fede scambievole. Si dirà, come dice il Locke, che si tratta di un processo psicologico, pel quale gli uomini via via si

avvezzano a credere quando

altri loro

dica e prometta di

narrare la verità? Ma, in questo caso, quegli uomini già intendono l'idea di un vero, che basti rivelare per obbli-

gare altrui a doverlo credere senza niun documento e

umano

;

principio psicologico dell'abitudine è oltrepassato. La causa vera della società umana non è, dunque, l'uti-

il

quale favorisce soltanto, come occasione, l'azione della causa, e fa si che gli uomini, per natura sociale dela

lità,

boli e indigenti, e divisi dal vizio di origine, si

celebrare la loro natura sociale,

secondo

Cose,

che non muta;

circostanze

fatti,

e di qui

traggano a

rebus ipsis dictantibus

pomponiana, che

la forinola

dilezione.

«

il

mutano

l'illusione

»,

Vico ripete con pre-

degli

nella moralità

che

utilitaristi,

guardano dall'esterno e si tengono alle apparenze e vedono il mutamento e non la costanza. L'omicidio è vietato ma ;

dà a colui

quale, minacciato nella non altrimenti salvarsi, uccide l'ingiusto vita, potendo non mutevolezza del criterio morale aggressore, importa

l'approvazione che

si

il

circa l'omicidio, perché, in quelle particolari circostanze,

non

si

che

l'

ma

tratta, in realtà, di omicidio,

di

pena capitale

ingiustamente aggredito, trovandosi in solitudine, infligge quasi per tacita delegazione sociale. Il furto è vietato;

ma

colui che, per

un pane, non viola

la

tenersi

moralità,

in vita,

prende altrui

perché esercita un

di-

fondato sull'equobono. La sola filosofia che porti con sé una vera etica sem-

ritto

bra

al

Vico

la platonica, risalente a

sico, l'idea eterna che educe

da

un principio metafi-



e crea la materia;

laddove l'etica aristotelica è fondata sopra

che conduce a un principio

fisico, alla

una metafisica

materia, dalla quale

FILOSOFIA DEL VICO

84 si

educono

laio

forme particolari facendo

le

che lavori

di

Dio un vasel-

cose fuori di sé. L'etica dei giureconsulti

le

romani abbonda, senza dubbio, di splendidi aforismi, ma non è altro che una semplice arte di equità, insegnata con innumerabili minuti precetti di giusto naturale, che quelli indagavano dentro le ragioni delle leggi e la volontà del

non può considerarsi come filosofia morale, dove fa d'uopo procedere da pochissime verità eterne, stabilite in metafìsica da una giustizia ideale. Per ragioni analoghe il Vico non poteva appagarsi del Grozio e degli allegislatore; epperò

tri

giusnaturalisti

sima, cioè che

i

;

circa

i

quali nota in genere cosa veris-

grossi volumi recano,

loro

si,

titoli

ma-

ma poi non contengono nulla più di ciò che è volgarmente risaputo. Se si pesano i principi del Grozio con gnifici,

la bilancia esatta della critica, risultano tutti piuttosto pro-

babili e verisimili che necessari e invitti. Nella questione

punto giusto, non distinguendo l'occasione dalla causa; né « inchioda », ossia non definisce, l'antichissima disputa se il diritto sia in natura o dell'utilità

il

Grozio non coglie

il

solo nelle opinioni degli uomini, nella quale filosofi e teo-

logi ancora

contendono con

curo; propone l'ipotesi «

semplicioni », poiché quei suoi

ma «

si

lo scettico

Cameade

e

con Epi-

degli uomini primitivi che siano

dimentica affatto di ragionarla. E », accortisi dei danni della

semplicioni

vengono alla vita comune, e questa determinazione è loro dettata dall'utilità, il Grozio scivola anche lui, senza avvedersene, nell'utilitarismo e nell'episolitudine bestiale,

cureismo.

Ma il Vico, invece, alla domanda se il diritto sia per natura o per convenzione risponde con la solenne « dignità » « Le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano :

né vi durano

».

Alla

domanda donde nasca

la società

ri-

sponde richiamando il senso umano, la coscienza, il bisogno che ha l'uomo di salvarsi dal nemico interno che gli

LA COSCIENZA MORALE

VI.

85

rode il petto. L'origine è certamente nel timore, ma nel timore di sé stesso, non della violenza altrui; è nel rimorso che punge, nel pudore che tingendo di rosso il volto dei primi uomini fa risplendere per la prima volta la

moralità sulla terra.

Dal pudore nascono tutte

le

virtù,

l'onore, la frugalità, la probità, la fede nelle promesse, la

verità nelle parole, l'astensione

dall'altrui,

Celebrando la società, l'uomo celebra

la

la

pudicizia.

natura umana.

Il pudore o coscienza morale, tradotto nella corrispondente scienza empirica, dà il senso comune degli uomini d'intorno alle umane necessità o utilità, che

è la fonte del

diritto

naturale delle

genti.

Questo senso

un giudizio senza alcuna ri(dice flessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione e da tutto il genere umano. Giudizio senza riflessione non è veramente giudizio, dal quale la riflessione è inseparabile; non è giudizio anche perché sentito e non pensato. Ma non è neppure quello

comune

il

Vico) è

che poi si disse « sentimento », termine vago, ignoto al Vico non meno che alla filosofia tradizionale. È piuttosto

un atteggiamento pratico dividui viventi

in

che, simile a un di presso negl' incondizioni simili, produce i simili co-

stumi dei vari gruppi sociali, da quelli di una classe particolare a quelli dell'intera umanità. Atteggiamento affatto

spontaneo (e, anche per questo definito privo di riflessione), onde i costumi si generano dall'interno e non dall'esterno, e sono simili senza che siano copiati gli uni dagli altri

senza prendere esempio l'una nazione dall'altra »). Attraverso quel senso comune la coscienza morale s'incor-



pora in compatti e resistenti istituti; ed esso accerta è di sua natura incertissimo.

l'umano arbitrio, che

VII

Morale e religione

M.

.a il timore interno, il pudore, la coscienza morale è svegliata negli uomini dalla religione: il timore è timore di Dio, il pudore è vergogna innanzi a lui. Gli uomini pri-

mitivi errano per la terra solitari, selvaggi, feroci, senza lingue articolate, senza concubiti certi, in preda alle loro disordinate violentissime passioni; piuttosto che uomini, «

bestioni

».

Chi

li

Donde verrà

frenerà?

il

soccorso che

vicenda? Non possono inuomini sapienti, che non si sa donde o come s'introdurrebbero in mezzo a loro; non può salvarli l'intervento di Dio: Dio si è ritirato nel suo popolo eletto loro impedisca di distruggersi a

dirizzarli

e non ha nessun commercio con la restante umanità, con l'umanità gentilesca. Ma quei « bestioni » son pur uomini: Dio, nell'abbandonarli, ha lasciato nel fondo del loro cuore

una

favilla dell'esser suo.

Ecco:

il

cielo fulmina,

i

bestioni

fermano, temono; si accende in loro la confusa stupiscono, idea di qualcosa che li supera, di una divinità. Ed essi pensi

sano, o piuttosto immaginano, un primo Dio, un Cielo o un Giove fulminante; e a quel Dio si rivolgono per placarlo

o per invocarlo a soccorso. corritore

Ma

debbono conformare

tento: umiliarsi alla divinità,

per placarlo e averlo socpropria vita a questo in-

la

domare

l'orgoglio e la fie-

FILOSOFIA DEL VICO

SO

rezza, astenersi da certi atti, compierne altri. Dal pensiero della divinità riceve forza

dunque

il

conato

ossia la li-

bertà, che è propria della volontà umana, di tenere in freno i moti impressi alla mente dal corpo per acquetarli o per dare loro altra direzione. E con questi atti di do-

con la libertà, è nata insieme la motimore di Dio ha posto il fondamento alla

minio sopra sé ralità:

il

stesso,

umana. La terra si copre di are; le grotte dei suoi monti, dove il maschio trascina ora la femmina, vergognoso dei concubiti innanzi al volto del Cielo o di Dio, assistono ai vita

primi

riti

della terra corpi.

proteggono le prime famiglie; il grembo apre ad accogliere il pio deposito dei morti

nuziali, si

Le prime

religioso,

e fondamentali istituzioni etiche

matrimoni, sepolture





culto

sono sorte.

Questa potenza etica- e sociale dell' idea di Dio si riafferma nel corso della storia posteriore perché, quando i ;

popoli sono infieriti con le armi, e nessun potere hanno più sopra di loro le umane leggi, l'unico mezzo di ridurli .è la

religione. Si riafferma nello svolgimento individuale

della vita

umana:

menti insegnare

ai

fanciulli, infatti,

la pietà

non

si

altri-

può

che col timore di qualche divi-

nità; e, nella disperazione di tutti

i

soccorsi della natura,

l'uomo desidera un essere superiore che lo salvi, e questo essere è Dio. Tutte le nazioni credono in una divinità provvidente: popoli che vivano in società senza alcuna coscienza di Dio, per es., in alcuni luoghi del Brasile, in Cafra, nelle Antille, sono novelle di viaggiatori, che pro-

curano smaltimento Se è cosi

con mostruosi ragguagli. certamente), nessuna dottrina è

ai loro libri

(e cosi

è

più stolta di quella che pretende concepire morale e civiltà senza religione. Come delle cose fisiche non si può avere certa scienza senza la guida delle verità astratte fornite dalle matematiche, delle

cose morali non

si

può

senza la scorta delle verità astratte metafisiche, e perciò

VII.

MORALE E RELIGIONE

89

senza l'idea di Dio. Quando si spegne o si oscura la coscienza religiosa, insieme si spegne e si oscura il concetto di

società

e

di

stato.

Ebrei, cristiani, gentili e

maomet-

tani ebbero quel concetto, perché tutti credettero in qual-

che divinità, sia come mente infinita libera, sia come più mente e di corpo, sia come un unico Dio,

dèi composti di

mente gli

infinita libera in

corpo

infinito.

epicurei, che attribuivano a Dio

corpo fato.

il

caso;



gli

stoici,

che

lo

Ma non fecero

E ottimamente Cicerone diceva ad

non potere

con

lo

ebbero

corpo e col

solo

il

soggetto al

Attico, epicureo,

ragionamento intorno alle leggi, se prima non gli concedesse che vi sia provvidenza divina. L'Hobbes, che rinnovava l'epicureismo, e lo Spidi

istituire

lui

noza, rinnovatore dello stoicismo, si è visto che non intesero nulla di quel che siano società e stato. Tra gli empì

uomini primitivi, brutti,

irsuti,

squallidi, rabbuffati, do-

vrebbero andarsi a disperdere quei dotti dalla « sfumata letteratura », e a capo di essi Pietro Bayle, che sostengono che senza religione possa vivere, e viva di

fatto,

umana

società.

La manchevolezza argomento della

nell'

idea di Dio è altresì

critica che

il

Vico

muove

a

il

due

principale di coloro

che egli altamente onorava come « principi » del diritto naturale,. al Grozio e al Pufendorf. Né l'uno né l'altro (egli

primo e proprio principio la provviGrozio non già che propriamente la neghi, ma, « per lo stesso grande affetto che porta alla verità », per meglio assodare la necessità razionale dell'umana società, ne vuol prescindere, e professa che il suo sistema dice) statuisce per

denza divina.

Il

regga, tolta anche ogni cognizione di Dio; onde il Vico socinianismo, perché pone la naturale inno-

lo taccia di

cenza in una semplicità di natura umana. Peggio il Pufendorf, il quale addirittura sembra sconoscere la provvidenza e comincia con

un'ipotesi scandalosa ed epicurea, suppo-

FILOSOFIA DEL VICO

90

nendo 1' uomo gettato in questo mondo senza niun aiuto e cura di Dio (senza neppure quella scintilla chiusa in petto, che si dilaterà in fiamma morale); della qual cosa essendo stato

(dallo Schwartz), cercò

ripreso

una particolare dissertazione giunse a scorgere

di giustificarsi

(l' Apologia del 1686),

con

ma non

principio vero che solo rende possi-

il

bile spiegare la società.

Ora perché mai, essendoci note tutte codeste energiche affermazioni e polemiche del Vico sulla condizionalità reabbiamo asserito che il solo punto in veramente d'accordo col Grozio, col Pu-

ligiosa della morale,

cui egli

si

trovi

fendorf, e in genere con la scuola del diritto naturale, è la

concezione affatto immanente dell'etica?

ben dai

si

Vico non

il

osservi,

giusnaturalisti

al



Perché, se

metodo tenuto

oppone che anzi anch'egli costruisce

;

scienza della società

umana

si

prescindendo, come

il

la

sua

Grozio,

da ogni idea di Dio, e, come il Pufendorf, ponendo l'uomo senza aiuto e cura di Dio, cioè prescindendo dalla religione rivelata e dal Dio di essa. Come per quei due, materia della sua

prannaturale, eletto,

il

indagine è

il

diritto

il

diritto naturale e

non

il

so-

non quello del popolo che sorge spontaneo nelle caverne e non

diritto delle genti e

quello che scende giù dal Sinai. L'opposizione del Vico (da lui esposta con la consueta confusione e oscurità) si

aggira non sopra codeste affermazioni, ma sul concetto stesso di religione. La religione, insomma, della quale egli parla,

lavano,

il

non è

la

Grozio e

medesima il

di cui parlavano, o

non par-

Pufendorf.

Religione, come già sappiamo, vale per il Vico non già rivelazione ma concezione della realtà; o che si affermi,

come

nei tempi della

mente

tutta spiegata, in

forma di

metafisica intelligibile, e mova dal pensiero di Dio per schiarire la logica nei suoi raziocini e discendere a pur-

gare

il

cuore dell'uomo con la morale; o che

si

affacci,

MORALE E RELIGIONE

VII.

91

come

nei primordi dell'umanità, in forma di metafisica poetica. Dalla religione rivelata, quando si ricerchi il fonda-

ma in qual si può ben prescindere che è tutda naturale, quella religione potrebbe t'una cosa con la coscienza della verità? Plutarco, descrivendo le primitive religioni spaventevoli, pone in problema se, invece di venerare cosi empiamente gli dèi, non samento

modo

della

morale,

;

si

rebbe stato meglio che non fosse esistita religione alcuna; ma egli dimentica che da quelle fiere superstizioni si svolsero luminose civiltà e sull'ateismo

non crebbe mai

nulla.

Senza una religione, mite o feroce, ragionata o immaginosa, che dia l'idea più o meno determinata e più o meno elevata di qualcosa che superi gl'individui e in cui gli individui tutti

si

raccolgano, mancherebbe alla volontà mo-

rale l'oggetto del suo volere.

E

quello che abbiamo disecondo significato, pratico o etico, della

a questo punto

stinto

parola

come «

il

religione

»

vendica e giustifica gli

dèi»;

o,

si

chiarisce

nel Vico. Nel qual significato egli ridetto degli empì che « il timore fece

il

anche, addita la radice della religione nel deuomini hanno di vivere eternamente, mossi

siderio che gli

da un senso comune loro mente.

La

d' immortalità nascosto nel

religione

è,

fondo della

in questo secondo significato,

un

fatto pratico ossia la moralità stessa, era la verità stessa.

come nel primo

Intesa dunque la religione dal Vico o (nel primo significato) come condizione o (nel secondo) come sinonimo della moralità, è chiaro che, col censurare

il

"Grozio e

il

Pufen-

dorf per la loro trascuranza di questo importantissimo concetto, egli non faceva altro in sostanza che ribadire la

moralismo e

critica all'insipido

quei due pensatori.

E

pel

tre volte ricorso all'efficace

gione. Perché se

alla

al

larvato utilitarismo di

medesimo

fine

ebbe anche

strumento del concetto di

filosofìa

attribuì

talora

al-

reli-

l'ufficio

di

FILOSOFIA DEL VICO

92

genere umano sollevando e reggendo l'uomo caduto, tal'altra giudicò che essa sia piuttosto adatta a ragionare, e che le massime ragionate dai filosofi intorno alla il

giovare

morale servano solamente all'eloquenza per accendere i sensi a compiere i doveri della virtù, laddove solo la religione è efficace a far virtuosamente operare. Nella scienza empirica, poi, che corrisponde a questa parte della filosofia

dello spirito,

religione (o

prima

il

Vico, mutate in due epoche storiche la poetica) e la filosofia, fatto della

metafisica

carattere dell'epoca

il

barbarica e della seconda

quello dell'epoca civile, è ovvio che dovesse sostenere, come sostenne, che sola fondatrice di ogni civiltà e della stessa filosofia è

religione, e rigettare

la

il

detto (che egli,

non

senza ritoccarlo, attribuiva a Polibio) che, se ci fossero al mondo filosofi, non farebbero uopo religioni. Come potrebfilosofi (egli obietta), se prima non sorgano le repubbliche ossia le civiltà? e come le repubbliche potrebbero sorgere, senza l'opera delle religioni? Quel detto si

bero sorgere

deve dunque invertire: senza religione, nessuna filosofia. la religione, fa la provvidenza divina, che addimesticò

Fu i

figliuoli dei

Polifemi e via via

Aristidi e dei Sperati, dei

Anche

il

per

ridusse all'umanità degli

concetto dello stato ferino, che nei libri dei

giusnaturalisti serviva lico, sia

li

Lelì e degli Scipioni Africani.

da

ipotesi e

isvolgere la trattazione

da espediente didasca-

indipendentemente dalla

teologia mistica senza sollevare troppi scandali, sia per in-

sinuare

le

loro

teorie

utilitaristiche, nel

Vico ricompare

nuovo contenuto. Cattolico di pure inavendo dato tenzioni, pace al suo animo col separare la rivelata da quella umana, egli è in grado di assureligione mere lo stato ferino come vera e propria realtà. Verità con nuovo

ufficio è

ideale, in quanto rappresenta nella dialettica della co-

un momento necessario per la genesi della momento premorale); realtà storica ed empi-

scienza pratica

moralità

(il

VII.

rica,

MORALE E RELIGIONE

come approssimativa condizione

riodi di anarchia e fermentazione

della civiltà o

seguono

93

»

di fatto in quei pe-

che precedono

il

sorgere

alle crisi di queste. I giusnaturali-

facevano ossequio, ora più ora meno, alla dottrina tradizionale della chiesa, cioè che l'umanità gentilesca, nella

sti

dispersione seguita alla confusione babelica, avesse portato seco un residuo di religione rivelata, un vago ricordo del vero Dio, donde l'origine della vita sociale e degli dèi

e bugiardi,

falsi

ragione

come

barlume del Dio vero e per questa veniva proposto nel loro sistema ;

lo « stato ferino »

astratto e irreale.

Il

Vico eseguiva sul serio

la distin-

zione tra ebrei e gentili, e concepiva lo stato ferino come privo di ogni aiuto che provenisse dall'anteriore rivelazione: uno stato nel quale l'uomo era, per cosi dire, da solo a solo con le proprie sconvolte e turbolente passioni.

Stato

di

fatto

senza moralità,

ma

(diversamente che

nell'ipotesi

utilitaria) tutto

dal quale

esce col farsi esplicito di questo implicito.

si

esce

si

naturalmente

e

pregno

di esigenze

non già per

morali, e

effetto della

Ma

grazia

divina: la vera grazia divina è la stessa natura umana, a cui partecipano i gentili al pari degli ebrei, tutti irraggiati nel volto da un lume divino. L'uomo ha libero arbitrio, ma debole, di fare delle pase nel suo travaglio verso la virtù è aiutato naturale da Dio con la provvidenza. Di certo,

sioni virtù; in il

modo

Vico non intende disconoscere l'efficacia altresì della di-

retta e personale

grazia divina; ma,

col suo solito

me-

todo, la separa dalla provvidenza naturale, che sola gì' im-

porta e sola considera. A lui piacque sempre, per quel che concerneva le controversie sulla grazia, di tenersi lontano dai due estremi, tipicamente rappresentati, secondo

pelagianismo e dal calvinismo; e fin

lui,

dal

da giovane, studiando

opere del Ricardo (il gesuita Stefano Deschamps), teologo della Sorbona, ne accettò la dimostrazione circa l'ecle

FILOSOFIA DEL VICO

94

cellenza della dottrina agostiniana, appunto perché media tra quegli estremi. Siffatta temperata dottrina gli sembrava

propria (diceva) per meditare un principio di diritto naturale delle genti, che

diritto ro-

mano

nel

spiegasse l'origine del ogni altro gentilesco, e per tenersi stesso in accordo con la religione cattolica. Era concedere che vi sia una nazione privilegiata, e di

tempo

disposto a l'ebrea; e

che l'uomo cristiano, nella lotta contro le passioni, sia più. forte del non cristiano, perché, dove non giunge la grazia naturale, può essere soccorso dalla soprannaturale. Ma, infine,

il

miracolo è

miracolo, e

la

Scienza nuova non è

scienza di miracoli.

Che al

non

tale

terzo dei

tre

sia, «

è confermato dalla critica del Vico

principi

vanni Selden, celebre poi, autore del

nam

De

ai

»

del

suoi

diritto

naturale, a Gio-

tempi quanto dimenticato

iure naturali

et

gentium iuxta

discipli-

hebrceoì'um (1640). Diversamente dal Grozio (e avver-

sario di lui

anche in

anzi sublimava l'efficacia sibilità

Selden non negava della religione, né concepiva pos-

altre questioni),

il

alcuna di vita morale e civile per

fuori della rivelazione.

La

quale, fatta

il genere umano, da Dio al popolo

ebreo, da questo sarebbe passata ai gentili per molteplici vie di trasmissione: Pitagora, per es., avrebbe avuto per

maestro Ezechiele

;

Aristotele, al

tempo

in Asia, si sarebbe stretto

di Alessandro

della spedizione in amicizia con

giusto; a Numa Pompilio sarebbe giunta qualche notizia della Bibbia e dei profeti. C'era di che soddisfare

Simone

il

ogni animo di credente, che

si

ritraesse timoroso dai libri

degli altri giusnaturalisti avvertendone le tendenze eterodosse. Ma il Vico non vuol sapere di codesto sistema ultrareligioso.

Pufendorf

Se la

Grozio prescindeva dalla provvidenza e il sconosceva, il Selden aveva il torto (egli dice)

il

supporla, di farne cioè un deus ex machina, senza spiegarla con V intrinseca natura della mente umana. Contrario di

MORALE E RELIGIONE

VII.

alla filosofia, quel sistema

95

non era meno contrario

alla storia

quale anche per gli ebrei ammette in certo modo un diritto non rivelato ma naturale, e solamente perché sacra, la

essi

ne persero coscienza nel tempo della schiavitù d'Egitto, diretta di Dio con la legge data a

fa intervenire l'opera

Mosé;



e

non era conforme,

nell'asserita trasfusione di

cognizioni e leggi dagli ebrei nei gentili, a quel che dice

Flavio Giuseppe degli ebrei, sempre restii a qualsiasi contatto con popoli stranieri, e a quel che il Vico supponeva fosse detto anche a questo proposito da Lattanzio, come in

genere era privo di qualsiasi più elementare sussidio di documenti. Cosicché la conclusione del Vico è sempre la medesima: gli ebrei si giovarono altresì di un aiuto straordi-

nario del vero Dio,

ma

le restanti

nazioni s'incivilirono

per opera dei soli lumi ordinari della provvidenza. Se poi il Vico interpetrasse esattamente il Grozio e il Pufendorf ed esattamente ne riferisse le parole, è queper noi di lieve peso, perché non tanto modo nel quale il Vico espose e giudicò gli

sito

e'

importa

il

altri filosofi,

idee che egli sostenne pur attraverso i suoi fraintendimenti storici, che, a dir vero, non sono pochi. Tut-

quanto

le

tavia, sarà

bene indicare di volo, circa

possono incontrarsi su questo punto,

la

le

difficoltà

che

soluzione che a

noi sembra plausibile. Senza dubbio, chi, dopo aver letto le

censure del Vico, apra il De iure belli et pacis e vi trovi il Grozio include espressamente fra i suoi tre principi

che

fondamentali, accanto alla ragione e alla socialità, la volontà divina, e che quel suo prescindere da Dio suona poco più di una semplice frase enfatica a significare la forza della avrebbero efficacia « etiamsi

socialità e della ragione (le quali

daremus non umane,

«

esse

Deum » o summo

sine

quod Pufendorf e

che Dio non

si

curi delle cose

scelere davi nequit >);



chi

apra più solenne rifiuto dell'ipotesi groziana, empia ed assurda, e la dichiarazione che le il

vi legga

il

FILOSOFIA DEL VICO

96

leggi naturali resterebbero sospese in aria, prive di forza, senza la volontà di un Dio legislatore può essere tratto ;

a tacciar

il



Vico di poca diligenza o di strana puntiglioche muove a questi suoi prede-

sità ortodossa nella critica

Ma il Vico, in verità, non sapeva che cosa farsi di un Dio messo accanto alle altre fonti della moralità, o messovi disopra come una superflua fonte della fonte; cessori.

che cercava Dio nel cuore dell'uomo, sentiva e scorgeva l'abisso che lo separava da coloro che non l'avevano più nel cuore e appena, per abito o per prudenza, lo serbaegli,

vano nelle parole. Più sottilmente si potrebbe domandare perché mai, se il Vico era d'accordo coi giusnaturalisti nel prescindere dalla rivelazione, e se egli, anziché rigettare, approfondiva la loro superficiale dottrina immanentistica, si atteggiasse

a loro risoluto avversario e facesse la

voce grossa e insistesse presso prelati e pontefici nell'attribuirsi il vanto di aver esso pel primo formato un si-

stema del

diritto naturale, diverso

da quello dei

tre autori

protestanti e adatto alla chiesa romana. L' ipotesi che operasse cosi per politica cautela la proporremmo, se, invece di lui,

avessimo innanzi, per

ma

furbo frate, un

es.,

un appassionato

e

Tommaso Campanella; ma

magnanimo la

candida

personalità del Vico la esclude affatto, e solo si può concedere che, poco chiaro com'era sempre nelle sue idee, questa

adagiasse alquanto nella poca chiarezza e, trasportato dalla sua calda fede, alimentasse le sue illusioni, fino volta

si

a idoleggiarsi dentro di sé con la veste di defensor ecclesia nell'atto stesso che soppiantava la religione della chiesa

con quella dell'umanità.

Vili

Morale e diritto

D<"opo

che tanto lume di originalità è rifalso ai nostri occhi, non ci* riesce possibile fermare lo sguardo su quelle dottrine e classificazioni etiche che il Vico attinse alla filosofìa tradizionale e mise soprattutto nel primo libro del Diritto universale', quantunque esse per l'appunto riescano assai care a non pochi lettori e siano divenute quasi

popolari per

Ohe Dio

le

continue citazioni che ne sono state

sia «posse, nosse, velie infinitum

nosse, velie finitura

pubblica o Stato infra

quod tendit ad

sia

nemini reddere rationem

come

e

»,



» ;

Dio, e poiché

debba

fatte.

e l'uomo «.posse,

in finitimi

di

immàgine

nil super ius habet »,

se,

»

che «

la re-

omnia

uni Deo, prceterea Dio inerisce

«

la libertà di

alla sua eterna ragione, cosi lo Stato liberamente ubbidisca alla legge

da esso stesso

stabilita



;

che

comandando

litates dirigat et excequet »,

delle repubbliche quasi architetta alle

la giustizia

«

uti-

nella costruzione

due

giustizie parti-

commutativa e distributiva, due fabre divine che misurano le utilità con le due misure eterne, aritmetica e

colari

geometrica, est

ìustum

oltre che

sicché

quum

«

eligis

quod »;

poco originali,

ci

bene possano adornarsi dei B. Croce,

La

filosofìa

est



cequum cum

metiris,

queste e altrettali

idem

sentenze,

sembrano o fallaci o vuote, sebnomi ora di Aristotele ora del

di Giambattista Vico.

7

FILOSOFIA DEL VICO

98

Campanella ora

di altri filosofi antichi o del

Einascimento,

Se, per dirne una, la giustizia consistesse in misurazioni, una filosofia della giustizia non farebbe d'uopo, dovendo

bastare le scienze del calcolo e della misura.

Il

Vico me-

desimo, in un punto, svela involontariamente e ingenuamente il circolo vizioso di quella metafora scambiata per concetto, tra loro

dicendo che

egualmente

gli

uomini debbono

le utilità,

giusta differenza ove si tratta per serbar l'egualità ».

comunicare

«

solamente serbata una e questa stessa

di meriti,

Meglio che queste viete forinole, gioverebbe andare raccogliendo le frequenti e acute osservazioni di psicologia

morale che istile

riso,

trovano sparse nei suoi scritti, espresse in lapidario; o ricordare la sua poco nota teoria sul si

che egli faceva nascere dall'aspettazione delusa e dalla mente e che perciò negava cosi all'ani-

debolezza della

male come all'uomo perfetto, considerando l'uomo che ride come un satiro o fauno, medio tra la 'bestia e l'uomo.



Ma, astenendoci da questa raccolta che è estranea al nostro intento, noteremo piuttosto che, anche nelle sopra -

menzionate comuni distinzioni e

un qualche merito; nel tempo stesso che

classificazioni,

di

il

Vico ha

riconoscere,

per l'appunto, propone, il necessario confondersi e identificarsi di tutte o di molte tra quelle distinzioni. Cosi,

distinte le

due

cioè, le

giustizie, le tre virtù e

col dichiarare che

codeste dualità,

i

tre diritti, finisce

trinità

e molteplicità

fanno tutt'uno.

E

tutt'uno fanno per lui anche giustizia e virtù, giacché quella forza del vero o ragione umana, che è virtù in

quanto pugna con la cupidità, la medesima è giustizia in quanto dirige e agguaglia le utilità. Il che vuol dire che almeno nella esposizione sistematica il Vico non distinse, del Diritto universale, il diritto dalla morale: distinzione che, in verità, ebbe poco rilievo nel giusnaturalismo e ap-

MORALE E DIRITTO

Vili.

pena è adombrata (per e di

un meno

es.

nel Grozio)

,

99

come

quella di un più

di moralità. Affatto moralistica, e dedotta dal

concetto etico di rimorso, è altresì la dottrina vichiana della pena, la quale, inflitta dalle

che

leggi,

non sarebbe per

supplemento sociale alla coscienza individuale nel caso in cui non si purga da sé per mezzo del

lui altro

il

rimorso e della pena interiore.

Ma

il

problema del rapporto tra

presso

pili,

dalla

il

morale quanto

diritto e

Vico, è assente dalla formolazione teorica e

trattazione

sistematica, tanto

osservazioni particolari e circola,

Scienza nuova.

Né poteva

si

più è presente nelle

può

dire, in tutta la

essere altrimenti, atteso che quel

rapporto rimanda alla distinzione tra la volontà morale e forme di volontà inferiori o anteriori; e noi sappiamo

le

che

il

Vico era da tutte

le

sue tendenze portato a profon-

darsi dentro la regione inferiore e oscura dello spirito, cosi

conoscitiva

come

come

pratica, cosi della fantasia

dell'ar-

bitrio e della passione.

se

Delle passioni avverti sempre la somma importanza; e il darsi loro in preda, e se giu-

non poteva approvare

dicò sempre la morale epicurea una morale « da sfaccendati chiusi nei loro orticelli », non approvava nemmeno le

morali troppo austere, come quella degli

altra via riusciva anch'essa a

morale da

stoici,

che per

« solitari »

non

e

da uomini viventi in repubblica. Lo stoicismo predica, si, un giusto eterno e immutabile e vuole l'onestà norma delle azioni

umane; ma convelle

la

natura umana,

la

disumana,

l'annienta e la induce alla disperazione pretendendola affatto insensata alle passioni, sconoscendo le utilità e necessità di natura corporea, inculcando quella

massima

«

più

dura che ferro», che i peccati siano tutti eguali e che tanto pecchi colui che batte uno schiavo quanto chi uccide il padre. Anche il giansenismo gli dovè suscitare nell'animo gli stessi

dubbi, se lamenta che

«

in odio della probabile,

FILOSOFIA DEL VICO

100

Francia

in

s'irrigidisca

ma

losofi solitari,

morale». Non

la cristiana

i

fi-

quelli politici bisogna seguire, e princi-

palmente i platonici, i quali riconoscono che si debbono, non già sradicare, ma moderare le umane passioni e farne

umane

virtù. Cosi dalla ferocia, dall'avarizia, dall'ambii tre vizi che corrono attraverso tutto il

zione, che sono

Provvidenza trae

la

genere umano,

merca-

la milizia, la

tanzia e la corte, ossia la fortezza, l'opulenza e la sapienza delle repubbliche: di quei tre grandi vizi, che distrugge-

rebbero l'umana generazione sulla terra, plasma

la civile

felicità.

Anche circa le sono né buone né tali

utilità

il

Vico osserva che

ex

«

se »

non

nenue turpes neque honestce »), diventando solamente nel loro rapporto con la coscienza

morale

(« sed

cattive

earum



incequalitas

est

tarpitudo, cequalitas

sua scienza empirica, propugna •»). Nella Grozio un ius naturale prius, al quale si riferi-

aittem honestas

contro

il

scono la tutela della propria vita e la procreazione ed educazione della prole, e lo ravvicina aH'&St&popev degli stoici. Che esso non abbia autorità morale è provato da ciò, che il

diritto

che

succede nell'ordine genetico,

gli

turale posterius (da Giustiniano definito ratio inter

omnes homines

pevceque custoditur

constituit

et

:

«

il

ius na-

quod naturalis

apud omnes

gentes

è prius iure, vince nel conflitto tra

»)

due e segna quello anteriore della nota d'immutabilità. Ora, sebbene questo diritto naturale primo sia esemplificato e definito in modo soltanto empirico, che cosa mai esso è, in abbozzo, se non il mero diritto, il diritto non i

ancora eticizzato?

Ma dove il

diritto

più propriamente

come

distinto dalla

si

annida, presso il Vico, concetto del

morale è nel

certo: parola questa usata da lui in molteplici significati, non bene sceverati né messi in armonia né dedotti l'uno dall'altro,

benché

tutti

un

po' confusamente

si

raccolgano

MORALE E DIRITTO

Vili.

come abbiamo

sotto

visto,

flessa.

Il

quello

della

generale

forma

forma

quanto distinta dalla

in

spontanea dello spirito

101

ri-

certo, nella sua accezione pratica, vuol dire, tra

opposizione al vero della volontà, ed è, insomma, la forza di fronte all'equità e alla giustizia, l'autorità di

l'altro,

mera volontà di fronte alla volontà morale. Tale distinzione nasce piuttosto nella nostra mente, che non sia nelle parole del Vico; il quale distingue e non distingue, e, affermato, per es., che « certuni ab auctofronte alla ragione, la

ritate est, veruni «

auctoritas

cum

a ratione ratione

»,

subito dopo afferma altresì che

omnino pugnare non

potest, nani ita

leges essent, sed monstra legum ». Tuttavia, per effetto di questa trattazione del certo, la Scienza nuova gli parve

non

che contenesse una filosofia «

è

(soggiungeva) dicono i morali teologi

quale

giustizia esterna, che

E, cioè, connetteva

».

la

dell'autorità;

fonte della

il

il

concetto

del certo con la distinzione e la terminologia dell'esterno e dell'interno, già in uso nella

morale scolastica, e che,

adoperate circa quel tempo da Cristiano Tomasio, senza troppo merito filosofico di costui erano destinate a dare

avviamento all'indagine

filosofica dei

rapporti tra diritto

e morale.

ma

Altro

che

è quel

gum con «

:

la

il

chiama

lettera che

dura

ma,

affine significato del

si

in contrasto

formula

leggi,

con

tuttavia

ha

la

la

:

della legge in quanto /legge, la quale, de-

un vero contenuto

etico, serba

pur sempre

valore che le viene dall'imperio della volontà. delle

leggi (scrive

il

Vico)

e

«

Il

lo dir lor

il

certo

un'oscure zza della ra-

gione unicamente sostenuta dall'autorità, che le sperimentare dure nel praticarle e Siam necessitati carle per

le-

ragione e sua peculiare efficacia sed certa; durum,sed scriptum est ». E, insom-

valore

stituita di

certo pratico nel Vico

lettera delle

può stare

morale, e lex,

la

certo, che in buon

ci

fa

prati-

latino significa

FILOSOFIA DEL VICO

102

particolarizzato,

come

o,

scuole

le

dicono,

indivi-

Vico intravvede in qualche modo perfino carattere individuale, che è all'origine di ogni legge.

duato

».

Il

il

Il

« legibus, non exemplis iudicandum » è precetto relativamente tardo: le prime leggi furono, per l'appunto, « exem-

pla

»,

reali

esempì

esemplari. Dagli

castighi

quelli ragionati, dei quali si valsero e si

e la rettorica; intelligibili, si

e,

quando poi furono

derivarono

valgono la logica

intesi gli

universali

riconobbe che la legge dovesse avere carat-

tere di universalità.

La

società primitiva che

giuridico, quasi

il

il

Vico ritrae,

è,

nel suo aspetto

mito del diritto mero ossia della forza

Un tempo furono uomini di sformate forze di ed altrettanto stupidi d' intendimento, i quali stimacorpo vano divina ogni forza superiore alla loro umana (e quepratica.

sto era

il

non

loro diritto); e gli dèi

altro che esseri più

quali erano costretti a piegarsi, pur fremendo, coPolifemo, che se ne avesse avuto la facoltà avrebbe

forti, ai

me

combattuto col medesimo Giove, o come Achille, che ad Apollo diceva che, se le sue forze fossero pari, non si sgo-

menterebbe

di venire a tenzone

con

Provvidenza che codesti uomini

lui.

feroci,

Fu

consiglio della

non addomesticati

dall'impero della ragione, temessero almeno la divinità della forza, e da essa estimassero la ragione. E su ciò si

fonda

il

della

principio

guerra. Ma

giustizia

esterna della

mito dell'età della forza non può avere il rigore del concetto filosofico e perciò quei forti sono dal Vico, per un altro verso, considerati come eticamente il

;

«

i

migliori:

il

loro diritto

meno

è

nonché,

il

lo

fortissimi

non

è

il

il

il

il

vero

affermato

certo nel vero postula sottinteso.

e « optimi

vero,

puro certo: è stesso

»

termini identici;

»,

diritto razionale, «

ex certo e

ma nem-

mixtum

».

Sedel

predominio miscuglio concetto del puro certo, dal Vico

MORALE E DIRITTO

Vili.

103

Vico rimprovera il Grozio e gli altri giusnaavere cominciato la storia dalla metà in giù,

Quando

il

turalisti di

il periodo precedente, il rimprovero, per ciò che si attiene alla filosofìa della pratica, si traduce in quello di avere dimenticato il momento ideale della forza per guardare unicamente alla giustizia, al-

dalle età civili, e trascurato

l'equità e alla moralità.

sce l'altra ossia dell'

Hobbes

e,

la

prima

prima

cora, di Epicuro,

i

momento

Il «

metà

»,

della forza, che costitui-

fu invece

il

campo chiuso

di lui, del Machiavelli, e,

prima an-

quali trattarono di esso solo, «con empietà

verso Dio, con iscandalo verso i principi e con ingiustizia le nazioni ». Donde è agevole ricavare che la confu-

verso

tazione che

il

Vico

fa degli utilitaristi e teorici della forza,

tempo, riconoscimento e accettazione della esiche essi rappresentavano e che avevano il solo torto genza di svolgere in modo unilaterale e astratto il suo « stato fe-

è, in pari

:

hobbesiano, con la diffesomiglia per più rispetti renza che da questo l'umanità si salva mercé la riconosciuta rino

»

all'

utilità, e dal vichiano

giosa

e

si

morale. Pure

il

salva mercé la

coscienza

reli-

Vico non professò, per questa

parte, nessuna gratitudine all' Hobbes e allo Spinoza, al Machiavelli o a Epicuro, perché gli parve di avere trovato in un autore classico tutto il materiale e lo stimolo che gli giovava, tutto il contrappeso di cui la filosofia platonica aveva bisogno. L'autore fu uno dei suoi quattro, e

quello appunto di cui si è avvertito di sopra che restava a noi ancora da vedere l'uso che il Vico ne fece: Tacito. Il quale, a suo dire, con mente metafisica incomparabile con-

templa l'uomo qual

quale dev'essere; universale

si

è,

e

laddove

Platone

come Platone con

diffonde in

Tacito discende a tutti

tutte i

le

parti

lo

contempla

quella scienza

dell'onestà,

consigli dell'utilità,

cosi

ac-

ciocché tra gl'infiniti irregolari eventi della milizia e della fortuna l'uomo sapiente di pratica si conduca bene. Al

FILOSOFIA DEL VICO

104

congiungimento nel suo storico

romano

gere, nel

Seicento)

(interpetrato da

modo consueto il

Vico

una propria idea masse

spirito del

presso

attribuì

lui, i

l'essere

della storia

filosofo

come

politici

«

riuscito

eterna,

«

greco e dello

è agevole scortacitiani » del

ad abbozzare

onde se ne

for-

sapiente insieme di sapienza riposta, qual è quel di Platone, e di sapienza volgare, qual è quel di Tacito >. il

Da

Tacito, insomma, egli avrebbe ricevuto la spinta al suo gran lavoro, che fu di rendere concreto l'ideale, e

d'inserire (come diceva, adattando un detto ciceroniano) repubblica di Platone nella feccia di Romolo.

la

IX La

G

/ome

lo spirito

storicità del diritto

conoscitivo passa dal sentire senza avanimo perturbato e commosso e

vertire all'avvertire con indi al riflettere

con mente pura; ferinità

spirito volitivo passa dalla

cosi, al

analogamente, lo e da

certo pratico

questo al vero. Nella correlativa scienza empirica

il passaggio è press 'a poco quello dallo stato ferino all'eroico o barbarico e dall'eroico al civile. Tutte le manifestazioni

della

vita si

conformano a questi

tre spezie di nature, tre spezie diritti e

tre

di

tipi

sociali:

costumi, tre

donde

spezie di

quindi di repubbliche, tre spezie di lingue e di

scritture, tre spezie di autorità, di ragioni, di giudizi, tre sètte di tempi.

Per quanto

il

contradittorio nel determinare

Vico sia confuso e talvolta i

particolari delle varie cor-

suo pensiero generale è chiaro. Dove la ririspondenze, flessione è scarsa e la fantasia gagliarda, sono anche gail

gliarde le passioni, violenti i costumi, aristocratici ossia feudali gli stati, sottoposte alla rigida autorità paterna le famiglie, dure le leggi, simbolici i procedimenti dei negozi giuridici, metaforici

Per contrario, dove dilegua o

si

i

la riflessione

riempie di

passioni regolate,

i

linguaggi, geroglifiche le scritture.

filosofia,

i

predomina, la poesia costumi si fanno miti,

popoli assumono

i

governi,

i

si

le

componenti

FILOSOFIA DEL VICO

106

delle famiglie sono anzitutto cittadini dello stato, le leggi si

di equità, le procedure si semplificano, i sfrondano di metafore, le scritture diventano

compenetrano si

linguaggi

Forme miste,

alfabetiche.

samente alcuni

quali le vagheggiano artificio-

sarebbero mostri; e sebbene si osservino forme mescolate naturalmente, ossia ritenenti il politici,

vezzo delle primiere, ciascuna forma per la sua unità si sforza sempre, quanto più può, di scacciare dal suo subbietto tutte le proprietà di altre forme.

Quale dei vari e porge

il

a fondamento degli altri per giudicarli? o quale è il criterio e

tipi sociali sta

criterio

misura per giudicarli tutti quanti? Una siffatta domanda, per il Vico, non ha senso. Ciascuno di quei tipi ha la prola

pria misura in sé stesso. I governi (egli dice) debbono essere conformi alla natura degli uomini governati la scuola dei principi è la morale dei popoli. Si può inorridire innanzi alla guerra, al diritto del più forte, alla riduzione :

dei vinti a schiavi, cioè a cose che ripugnano ai nostri costumi ingentiliti ma la società, che si esplicava con quei costumi, era necessaria e perciò buona. La divinità ;

della forza,

come

compieva

Vengono

ragione.

è detto

si

l'ufficio del

di

tutta spiegata; e gli forza,

ma

che è

la

di

sopra, teneva

il

posto e

non ancora possibile impero della

poi i tempi della ragione umana uomini non si stimano più secondo la

riconoscono eguali nella natura ragionevole, propria ed eterna natura umana. Altri tempi, altri costumi, e buoni non meno, ma non più, dei primi. si

Tanto varrebbe domandare vari tipi sociali, quanto se

si

età della vita individuale, la

la

misura comune di questi la vera

domandasse quale sia misura comune della

fanciul-

lezza, della giovinezza, della virilità, della vecchiaia. Pa-

ragone che, per l'appunto,

Come

i

fanciulli

il

Vico stesso mette innanzi.

tutto scelgono secondo

comportano con violenza,

gli

il

capriccio

e

si

adolescenti vigoreggiano per

IX.

LA STORICITÀ DEL DIRITTO

la fantasia, gli adulti

e

guidano

cose con più pura ragione

le

vecchi con solida prudenza

i

107

cosi al

;

convenne

crescere dapprima in isfrenata libertà, poi ritrovare

comodi della vita con l'ingegno

cessari, utili e

fantasia (che fu

il

secolo dei poeti);

e,

in-

genere umano,

fermo, solitario e indigentissimo nelle sue origini,

e

i

ne-

con

la

infine, coltivare la

sapienza con la ragione (che fu il secolo dei filosofi). Parimente, il diritto naturale nacque dapprima con leggi, per libidine e di

cosi dire, di giusta

con alcune favole

rivestito

giusta violenza; poi fu

di

infine, si giusta ragione affermò apertamente nella sua schietta ragione e generosa ;

verità.

Con

modo

siffatto

e costumi,

di considerare e giudicare stati, leggi

Vico respingeva un'altra delle dottrine o delle

il

giusnaturalismo: quell'astrattismo e che abbiamo ricordato a suo luogo, e antistoricismo, del quale era conseguenza la concezione di un diritto napretese capitali del

positivo, e perciò una sorta di codice eterno, una legislazione perfetta, non attuata ancora pienamente ma da attuare, i cui lineamenti turale, che

stia di

sopra

al diritto

traspaiono con molta nitidezza nelle opere dei giusnaturaattraverso il tenue velame dottrinale e filosofico. Co-

listi

dice eterno, che era poi, nella sua parte effettuale, un codice contingente e transitorio, o almeno la proposta di un

codice conforme alle tendenze riformistiche e rivoluzionarie di quegli scrittori, piuttosto Il

Vico

si

che

filosofi,

pubblicisti.

spaccia del codice ideale eterno senza averne

l'aria: prontissimo, anzi, a riconoscere

che

il

«

ius naturale

philosophorum ò eterno nella sua idea e severissimamente stabilito « ad rationis mternee libellam ». Ma dall'eternità »

concessagli a parole e per ossequio alla vecchia filosofia qua e là egli risentiva

scolastica e tradizionale, della quale

passa a negargli di fatto l'eternità e il carattere soprastorico, perché, invece di metterlo sopra e fuori la l'efficacia,

FILOSOFIA DEL VICO

108

che

storia, lo colloca al posto Il diritto

gli spetta,

dentro la storia.

della violenza o eroico, cangiatosi nel diritto in-

giunge via via a un certo termine di chiarezza, al quale per la sua perfezione altro non rimane che alcuna setta di filosofi lo compia e fermi con massime ragionate civilito,

sull'idea di

un giusto eterno;

e questo

raziocinamento e

il « ius naturale philosophorum », estrema forma dello svolgimento storico del diritto e non già regola perpetua di esso: risultamento, non misura. Di qui l'accusa

sistemazione è

del Vico al Grozio che, per avere scambiato

il

«

ius naturale

philosophorum », il diritto composto di massime ragionate da moralisti e teologi e in parte da giuristi, col « ius naturale gentium » (nella terminologia groziana per avere :

scambiato

il

naturale con una forma

diritto

arbitrario o positivo), i

fraintese

di

diritto

giureconsulti romani, quali intendevano parlare solamente di questo secondo,

e perciò propose correzioni e

i

mosse loro censure

cui colpi

i

vanno a cadere nel vuoto. Il

codice eterno, considerato intrinsecamente, è un'utoprima e maggiore delle utopie fu la Re-

pia; e poiché la

pubblica platonica, conviene, per meglio determinare punto di cui si tratta, osservare il comportamento del Vico rispetto alla costruzione politica platonica. A dare

il

ascolto alle sue parole, la stata

un

Repubblica platonica sarebbe avrebbe

altro dei tanti incentivi e modelli che egli

avuti a concepire la Scienza nuova. Dallo studio di Platone incominciò a destarsi in lui, senz'avvertirlo, « il pen-

un dritto ideale eterno che celebrasuna città uni ve r sale nell'idea o disegno della

siero di meditare sesi in

providenza, sopra le

repubbliche di

la

tutti

quale idea son pure fondate tutte i tempi, di tutte le nazioni: che era

quella repubblica ideale, che in conseguenza della sua metafisica divina doveva meditar Platone ». Doveva, ma non lo potè fare «

per

l'

ignoranza

», in

cui egli era,

«

del

primo

IX.

uomo caduto

LA STORICITÀ DEL DIRITTO

109

stato

ferino e della

cioè

» ;

dell'originario

sapienza, che gli successe, affatto poetica o volgare ignoranza in cui fu mantenuto per un errore comune delle menti :

umane che misurano da

sé le nature

non ben conosciute

d'altrui, di guisa che egli innalzò le barbare e rozze ori-

gini dell'umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte, e sapientissimi di tal sa-

pienza riposta immaginò quei primi uomini che furono invece, nella realtà, « bestioni tutti stupore e ferocia ». In

cambio

di quest'errore erudito Platone, in

conseguenza

di

meditare sulla repubblica eterna e sulle leggi del giusto eterno con le quali la Provvidenza ordinò il mondo delle nazioni e

bisogne comuni del genere reggono sul comune senso di tutta

governa con

lo

umano onde

esse

si

le

l'umana generazione, « meditò in una repubblica ideale ed in un pur ideale giusto », col quale le nazioni non si conducono punto. E, anzi, se mai, dovrebbero discostarsenc e purgarsene, perché tra quelle determinazioni di repubblica perfetta se ne trovano alcune disoneste e da aborrire,

com'è

la

comunanza

donne. Cosicché,

delle

il

Vico accettava da Platone l'idea di una repubblica eterna, sconvolgendola da cima a fondo con la soggiunta riserva

:

che

platonica,

vera repubblica

la

ma

eterna

corso storico in tutti

il

i

non è

l'astratta

suoi vari e succes-

modi, dai bestioni non esclusi a Platone compreso. Di codesta, che è la « generis Immani respublica », la « magna sivi

generis

humani

tende studiare

civitas », la «

«

respublica universa

», egli in-

formarti, ordines, societates, negotia, leges,

peccata, pcvnas et scientiam in ea tractandi iuris », e come tutte queste cose si venissero svolgendo « a suis usque pri-

mis

human itatis

originibus, divina providentia

moderante,

moribus gentium ac proinde auctoritate », cioè < per varia ntilitatum et necessitatum fiumana rum rudimenta, sioe adeo per ipsarum sponte rerum oblatas occasiones

».

La

«

gran

FILOSOFIA DEL VICO

110

governata da Dio che la Storia. dunque,

città delle nazioni fondata e t'altro,

Negando

il

»

è nien-

fissamento del codice e la delineazione della

società modello, non

vuole, per altro, dichiarare impos-

si

una pratica della scienza concepita dal Vico, cioè, nuova considerata sotto il triplice aspetto

sibile

della Scienza

di storia ideale, storia tipica e storia storica.

ha

Ogni verità

la sua pratica, ossia le sue

un modo

sare in

o in

conseguenze pratiche; e penun altro la natura e lo svolgimento

dell'umanità importa condursi, praticamente, nell'un modo o nell'altro. Chi, per es., crede alla docile innocenza dei popoli

andrà verso quelli

selvatici,

col viso

sorridente,

bocca piena di buone parole, recando in mano l'abbici e il catechismo dei diritti e doveri; chi crede invece con

la

ai « bestioni » vichiani,

severi

che «

i

e, forse, il

adotterà procedimenti alquanto più

ferro e

il

fuoco. Chi pensa,

costumi valgano più delle leggi costumi non si cangino d'un tratto «

i

»,

e,

ma

come

il

Vico,

insieme, che

per gradi *e in

al facile legiferare e non nuovo l'umanità sopra un modello soggettivo. Codesta pratica, a ogni modo, non è più teoria, ma azione; e quando si vuole ridurla a teoria, o si fa un miscuglio mostruoso di determinazioni necessa-

lungo tempo

»,

non sarà incline

s'illuderà di potere plasmare a

determinazioni contingenti, o, nello scansare tale errore e sforzarsi di raggiungere una forma rigorosamente dottrinale della pratica, si riottiene né più né meno che rie e di

la teoria scientifica stessa, dalla Il

Vico ebbe

il

quale la pratica derivava.

pensiero di far seguire alla sua Scienza

nuova una Pratica della Scienza nuova;

e anzi nella

prima redazione italiana dell'opera proponeva due « pratiche »: 1.° una nuova arte critica, da servire di fiaccola per distinguere il vero nella storia oscura e favolosa 2.° un'arte come diagnostica, per determinare i gradi ;

di necessità o utilità delle cose

umane,

e,

come ultima con-

IX.

LA STORICITÀ DEL DIRITTO

seguenza, ottenere bitati

modo

il

conoscere per segni induArte critica e diagnostica

di

nazioni.

delle

stato

lo

che, chi ben consideri, confluivano in gliore conoscenza che, mercé

era

conseguire circa

da.to

111

i

una

sola: nella mi-

principi stabiliti dal Vico,

la vita

passata e presente delle

nazioni.

Tale concetto è ripetuto e schiarito in

medesimo

altri

luoghi del

scienze, discipline e arti fin oggi svolte

Vico) concernono oggetti particolari;

il

(dice

Le

libro.

la

Scienza

nuova, che investiga i principi stessi dai quali escono tutte le discipline, è invece al caso di stabilir l'àxji^ o stato di i gradi e gli estremi per come ogni altra cosa l'umanità, quali deve correre e cosicché si apprendono mortale, terminare; mercé quella scienza le pratiche come una nazione, sor-

perfezione dell'intero complesso, e

i

quali e dentro

i

gendo, possa pervenire allo stato perfetto, e come, decaesso, possa sollevarvisi di nuovo. Lo stato di

dendo da

perfezione consisterebbe nel fermarsi

massime

cosi dimostrate

le

nazioni in certe

per ragioni costanti

come

prati-

cate coi costumi umani, nelle quali la ragione riposta dei filosofi desse la mano e sorreggesse la sapienza volgare delle nazioni, e in cotal guisa convenissero

accademie con

delle

filosofi,

vine e

cioè, e gli

umane

tutti

uomini

i

sapienti

delle

i

più riputati

repubbliche

(i

di stato), e la scienza delle di-

cose civili ossia della religione e delle leggi,

quali sono una teologia e una morale comandata che acquista per abiti, fosse assistita dalla scienza delle divine e delle umane cose naturali, che sono una teologia e le

si

una morale ragionata, trarsi

fuori di

si

che- s'acquista coi raziocini; talché

fatte

massime sarebbe

il

vero errore o

divagamento, non di uomo ma di fiera. La pratica della Scienza nuova, dunque, come si vede chiaro dal program-

ma

non era altro che il riassunto o il della scienza stessa, della quale metteva duplicato cosi

tracciato,

FILOSOFIA DEL VICO

112 in

risalto

i

due elementi

capitali

e quella riflessa, il certo e conto di entrambi.

il

:

la

sapienza spontanea

vero, e la necessità di tener

una delle elaborazioni che il Vico fece nuova (quella del 1731), ricompare il di e la una pratica di essa scienza, come pensiero parola suona il titolo di uno speciale paragrafo conclusivo, che Anni dopo,

in

della seconda Scienza

proponeva di aggiungere all'opera. « Tutta quest'opera (cosi cominciava quel paragrafo) è stata finora raegli si

gionata come una mera scienza contemplativa d'intorno alla comune natura delle nazioni però sembra per questo :

istesso

mancare

di soccorrere alla

prudenza umana onde

ella si adoperi perché le nazioni, le quali vanno a cadere, o non ruinino affatto o non s'affrettino alla loro mina; ed

in

conseguenza mancare nella pratica, qual dee essere che si ravvolgono d'intorno a materie

di tutte le scienze

dipendono dall'umano arbitrio, che tutte si chiamano attive ». Or bene: in che mai consisterà codesta

le quali

« Cotal pratica ne può essere data facilmente da essa contemplazione del corso che fanno le

pratica?

qual avvertiti

nazioni, dalla (gli

uomini

di stato) e

i

sapienti

delle repubbliche

loro principi, potranno con buoni

i

ordini, leggi ed esempli richiamar

i popoli alla loro àx;iyj o sia stato perfetto ». In altri termini: uomo avvisato, mezzo salvato la contemplazione è la sola pratica che la ;

Scienza nuova possa dare; l'altra metà della salvazione

dipende non già dall'avvisante cioè dal pensiero, ma dall'avvisato, cioè dal fare. Al Vico non viene neppure in mente di porsi a determinare « gli ordini, le leggi e gli esempli

tempo

»,

che faccia d'uopo adottare in questo o quel perché codesta non sarebbe impresa da

e luogo,

filosofo;

come

infatti

riconosce esso stesso

chiaramente, col dire: dar noi da filosofi, ella

« si

La

subito

dopo,

pratica, la qual ne possiamo

può chiudere dentro dell'ac-

IX.

cade mi e

»

;

LA STORICITÀ DEL DIRITTO

113

eh 'è quanto dire nel puro campo della scienza

e della cultura. Sarebbe, di certo, temerario pretendere di conoscere con sicurezza le ragioni per le quali il Vico, come aveva omesso nella prima edizione della seconda Scienza nuova circa

le dichiarazioni

pratica che erano nella prima,

la

tralasciò nel manoscritto dell'ultima libro

per

lo

anche

il

capitoletto

sulla

meno congetturare che

la

edizione dello

Pratica.

una che o non

pratica, non si

la

La

il

dava, e finiva

quale, prometcol

confessare

poteva dare o era stata già data con la teo-

ria stessa.

B. Croce,

sarà lecito

ragione principale fosse

nell'avvertita vacuità di quel capitoletto,

tendo

Ma

stesso

filosofia

di Giambattista Vico.

La Provvidenza

LLia vera que

il

e unica realtà del

loro corso

;

e

il

mondo

delle nazioni è dun-

principio che governa

il

corso delle

nazioni è la Provvidenza. Sotto questo aspetto la Scienza

nuova si può definire una Teologia civile ragionata della provvidenza divina. Tra le discipline storiche era segnata dal Bacone una « historia Nemeseos ». Ciò che il Bacone enunciava come poco più che nudo titolo, il Vico formolo come effettivo problema e svolse come teoria. I filosofi, secondo lui, quando non avevano addirittura disconosciuto

come

materialisti e fatalisti la Provvidenza, l'ave-

vano considerata solamente sull'ordine delle cose naturali (epperò chiamavano

«

teologia naturale

confermando quell'attributo

di

la

»

metafisica),

Dio con l'ordine

fisico

che

osserva nei moti dei corpi, per es. delle kfere e degli elementi, e con la cagione finale osservata sopra le altre misi

nori cose naturali. Importava, invece, ragionare la Provvidenza « sull'economia delle cose civili ».

Taluno dei primi interpetri ebbe a notare (e l'osservazione è stata rinnovata in séguito non poche volte) che il

Vico adoperò promiscuamente la parola

«

provvidenza

in significato soggettivo e in significato oggettivo

:

ora

»

come

persuasione che hanno gli uomini di una divinità provvi-

FILOSOFIA DEL VICO

116

dente

che regga

i

loro

destini,

stessa di questa provvidenza.

un medesimo vocabolo

zione di

ed ora come

La duplice

o

l'efficacia

triplice acce-

nella terminologia vichiana

non

è cosa che, a questo punto, ci possa più stupire, perché già più volte finora ci siamo dovuti industriare a sciogliere le sue omonimie o a unificare le sue sinonimie. E perciò

ammettiamo subito che uno denza

>

presso

dei

significati di

«

provvi-

Vico può essere, anzi è per l'appunto,

il

quello della persuasione circa la provvidenza, ossia l'idea

che l'uomo ha di Dio, dapprima nella forma del mito,

di-

pura e ragionata della filosofia. Le antiche nazioni gentili (egli dice) « incominciarono la sapienza poetica metafisica di contemplare Dio per l'attributo della poi in quella

sua provvidenza », sulla quale furono fondati gli auspici e la divinazione. Senza di essa, dunque, non si forma nell'uomo la sapienza, che è coscienza dell'infinito; non sorge la moralità, eh' è

che governa

le

timore e riverenza del potere superiore

cose umane.

Ma

la

provvidenza, in tale

si-

già fatto

non dà luogo a nuovo discorso, dopo di quello da noi a proposito cosi del mito come dei rap-

porti tra

morale e religione.

gnificato,

Passando, dunque, senz'altro, alla Provvidenza nel secondo significato, ossia al suo vero e proprio concetto, ci sembra opportuno prescindere per qualche istante dal Vico e fornire alcuni schiarimenti dottrinali.

È comune

osservazione che altro è produrre un fatto, il fatto prodotto. La conoscenza di ciò che

altro conoscere

realmente un fatto

è,

si

ottiene talora, nella vita dell' in-

dividuo, dopo parecchi anni, nella vita dell'umanità dopo

parecchi secoli. Coloro medesimi che sono i diretti agenti di un fatto, non ne hanno di solito la conoscenza o l'hanno assai imperfetta e fallace; tanto che sono passate in

pro-

illusioni, che, come si dice, accompagnano l'attività degli uomini. Il poeta crede di cantare la purità verbio

le

X.

LA PROVVIDENZA

ed effettivamente canta

la lascivia

;

forza e canta la debolezza; crede di

117

crede di cantare la essere

terribilmente

pessimista ed è fanciullescamente ottimista; crede di essere Satana ed è un brav'uomo inoffensivo. Non meno

s'ingannano i filosofi; e dei loro inganni non dovremo, in verità, andar lontano a cercare esempì, perché tanti e tanti ce ne viene porgendo proprio il filosofo che stiamo studiando: uno di coloro che maggiormente s'illusero sulle reali tendenze dei propri pensieri. E s'inganna l'uomo politico che, assai

tare per credendo

la

libertà,

di lot-

semplice aiutatore di reazione, o a ribellarsi e serve

è

di servire alla reazione, incita

alla libertà.

perché

spesso, credendo e professando

E

via discorrendo.

gl'individui e

i

Illusioni spiegabilissime, nel fervore del produrre o popoli,

appena uscenti da quel fervore, possono forse esprimere loro stato d'animo, ma non farne quella critica che è

il

il racconto storico; onde, quando non si rassegnano a tacere e ad aspettare, narrano di sé stessi storie fantastiche, verità e poesia commiste. Anzi, in questa dimostrata dif-

ficoltà

di

conoscere l'agire

nell'agire

è

uno dei motivi

raccomandazione a parlare il meno possibile medesimi, e della diffidenza che si prova per le au-

della saggia di sé

tobiografie e

libri

i

vuole, importanti,

di

ma

memorie, curiosi e anche, se si che non porgono mai la schietta

verità storica dei fatti narrati.

Le opere umane

ci

giungono, per

lo

storico

superficiale

raccontare come

le

si

tal

modo, avvolte

sollevano dagl'individui. E ferma all'involucro e prende a

nei fumi delle illusioni che

si

cose siano andate, facendosi portavoce

A

questo modo la storia della poesia si viene conformando come il racconto delle intenzioni, delle di quelle illusioni.

opinioni, dei fini del poeta o di quelli che gli attribuirono i

suoi contemporanei; la storia della filosofia,

dotica dei sentimenti, delle bizze, e dei

fini

come

l'aned-

pratici dei

fi-

FILOSOFIA DEL VICO

118 losofi;

come un

quella politica,

interessi, di pettegolezzi,

di

tessuto d'intrighi, dibassi

miserie.

più cauto o diverso ingegno storico rie,

il

primo atto ch'egli compie

si

Ma non appena un avvicina a quelle sto-

è di soffiare sulla nebbia,

spazzare via gl'individui e le loro illusioni e guardare direttamente le cose, quali si sono prodotte nella loro successione oggettiva e nella loro origine sopraindividuale. La storia vera e reale emerge allora di là dagl'individui, come

un'opera che

si

compia dietro

le loro spalle:

opera di una

forza diversa dagl'individui agenti: Fato, Caso, Fortuna, Dio. Gl'individui, che prima erano tutto e riempivano la

scena coi loro gesti o coi loro gridi, ora, in questa seconda guisa di storia, sono meno che nulla, e i loro atti e gridi, destituiti di seria efficacia, destano riso o pietà. Si atterriti

il

Fato che

li

domina,

si

guarda

stupisce alle strane com-

binazioni del Caso e ai capricci della Fortuna, si adorano disegni imperscrutabili della Provvidenza divina. Di co-

i

deste forze gl'individui appaiono a volta a volta l'inerte materiale, i leggieri giocattoli, i ciechi strumenti.

Senonché una più profonda considerazione va oltre anche questa seconda veduta della storia. La pietà che sembrano destare gl'individui, la comicità che suscitano, in effetti non è meritata da essi ma dalle loro immaginazioni, o, piuttosto,

da coloro che

le

è fatta dalle opere e

ma

scambiano per verità. La non dalle immaginazioni

storia reale e illusioni;

opere sono poi compiute dagl'individui, non certamente in quanto sognanti, ma, appunto, in quanto opele

ranti;

non nella frivolezza del loro opinare,

razione del genio,

nel sacro furore del

ma

nell'ispi-

vero, nel

santo

entusiasmo dell'eroismo. Fato, Caso, Fortuna, Dio sono spiegazioni che hanno tutto il medesimo difetto, che è di separare l'individuo dal suo prodotto, via,

come

si

argomentano,

il

e,

invece di cacciare

capriccio o l'arbitrio indivi-

duale dalla storia, inconsapevolmente lo rafforzano e lo

LA PROVVIDENZA

X.

119

moltiplicano. Capriccioso è il cieco Fato, il Caso stravagante, il tirannico Dio; epperò il Fato passa nel Caso e in il

Dio,

Caso

in

Fato e Dio, e Dio

si

converte nell'uno e

nell'altro, tutti eguali e tutt'uno.

L'idea, che supera e corregge tanto la visione individualistica della storia quanto quella sopraindividualistica,

è

La

idea della razionalità della storia.

l'

gl' individui

;

ma

l'individualità è

la

storia è fatta da-

concretezza stessa

dell'universale, e ogni azione individuale, appunto perché

individuale, è sopraindividuale. Non vi è né l' individuo né l'universale come due cose distinte, ma l'unico corso storico, i

cui aspetti astratti sono l'individualità priva di univer-

e l'uuiversalità priva d'individualità. Quest'unico corso storico è coerente nelle sue molteplici determinazioni, salità

al

modo

di

un'opera d'arte che è varia e una insieme e si abbraccia coll'altra, ogni tono

nella quale ogni parola

di colore

si

riferisce agli altri tutti, ogni

linea

si

lega a

ogni altra linea. A tale patto solamente è dato intendere la storia, che altrimenti resterebbe inintelligibile, come inintelligibili restano

un discorso senza

incoerente azione da

folle.

La

ma

storia

significato e

una

dunque non

di quella necessità

bertà che non è caso.

è opera né del Fato né del Caso, che non è fatalità e di quella li-

E

poiché la veduta religiosa che la

Dio ha, sulle altre, il vantaggio e il merito d'introdurre una causa della storia che non sia né

storia sia opera di

né caso, e perciò neppure

fato

ma

pili

propriamente causa

efficienza creativa e spirito intelligente e libero, è na-

turale che, per atto di gratitudine verso questa veduta più alta, tratti

non meno che per opportunità

di linguaggio, si sia

a dare alla razionalità della storia

il

nome

di

Dio

che tutto regge e governa, o della Provvidenza divina. A denominarla cosi, purgando in pari tempo la denominazione delle sue scorie mitiche, per le quali Dio e la sua

FILOSOFIA DEL VICO

120

corrompevano di nuovo in un fato o in un caso. Onde la Provvidenza nella storia ha, in quest'ultima sua forma logica, il duplice valore di una critica delle provvidenza

si

illusioni individuali, allorché piena e sola realtà

della

si

storia, e di

trascendenza del divino. E

presentano come la una critica della

può dire che nel punto

si

collocati e si collochino sempre, anche senza fare professione di espliingegni naturalmente forniti di quella

di vista di essa si siano

come per

istinto, cioè

cita teoria, tutti gì'

particolare attitudine che

Se ora, nel tornare

al

si

chiama senso storico. ricerchiamo quale solu-

Vico,

zione egli desse al problema della forza che muove la storia, e quale contenuto preciso avesse in lui il concetto della provvidenza nel significato oggettivo, è agevole

an-

Provvidenza

tra-

zitutto escludere che la sua fosse quella

scendente e miracolosa, che aveva formato il tema dell'eloquente Discours del Bossuet. Agevole, sia perché egli in tutta la

sua

la

filosofia

non

fa

mai

che ridurre

il

e qui

all'

della terminologia della scuola) per

perché sopra questo punto c'è, petri consenso generale.

o,

altro

innumeri volte ripete che immanente, sua provvidenza opera per vie naturali o (valendosi

trascendente

Non meno come talora

si

cause seconde; può

sia

dire, fra gl'inter-

insistente è la sua critica del fato e del caso, tripartisce, della fortuna, del fato e del caso.

Egli avverte anche che la dottrina del fato si aggira in vizioso, perché la serie eterna delle cagioni,

un circolo con

quale esso tiene cinto e legato il mondo, pende Giove e Giove è insieme soggetto al fato; onde c'è rischio che gli stoici restino avvolti in quella la

dall'arbitrio di

«

catena di Giove

»,

con

la

quale vogliono trascinare le

cose umane. Quei tre concetti, ai quali corrispondono le

opportunità se di quelle

se

si

tratta di cose desiderate, le

che avvengono oltre

la

occasioni

speranza, e gli

acci-

X.

denti

LA PROVVIDENZA

121

se di quelle che si presentano oltre l'opinione, sono

distinzioni più che altro dell'apprendimento soggettivo, per-

ché oggettivamente pertengono a un'unica legge, la quale potrebbe chiamarsi altresì « fortuna », ove con Platone si riconosca per signora delle cose umane l'opportunità; e tutte tre sono le manifestazioni e le vie della Provvidenza

che è intelligenza, libertà, necessità. Quello che

divina, fece

il

mondo

delle nazioni

«

fu

pur Mente, perché

'1

fe-

cero gli uomini con intelligenza; non fu Fato, perché '1 fecero con elezione; non Caso, perché con perpetuità, sempre cosi facendo, escono nelle medesime cose ». Il Vico lumeggia nei modi più immaginosi quella commedia degli equivoci, che sono le illusioni circa i fini delle azioni che si compiono. Gli uomini credettero di salvarsi

dalle

minacce del

cielo fulminante col portare via le fem-

mine

nelle grotte per isfogare la libidine bestiale fuori sguardo di Dio; e, nel tenerle ferme colà dentro, fondarono i primi concubiti pudici e le prime società; cioè i matrimoni e le famiglie. Si fortificarono in luoghi adatti

dello

col fine di difendere sé stessi e le loro famiglie; e, in realtà,

con quel

nomade,

fortificarsi in certi luoghi, al

dei campi. sità dalla

divagamento I

ferino, e

ponevano fine alla vita imparavano la cultura

deboli e sregolati, ridotti alle estreme neces-

fame e dalle vicendevoli uccisioni, per campare

chiedere riparo in quelle terre fortificate facendosi famoli degli eroi; e cosi, senza sliperlo, vennero

la vita corsero a

ad ampliare le famiglie da famiglie di soli miglie anche di famoli e da queste a stati

figliuoli

a

aristocratici

fa-

e

feudali. Gli aristocratici, feudatari o patrizi, credettero di

difendere e perpetuare il loro dominio quiritario sulle terre con l'usare la più stretta rigidità verso i famoli o plebi

che

le

lavoravano;

ma

a questo

modo

indussero

i

famoli,

per loro difesa, a unirsi tra loro, svegliarono in essi la coscienza della propria forza, da plebe ne fecero uomini,

FILOSOFIA DEL VICO

122

e quanto più fieramente

i

si

patrizi

sforzarono di mantenersi

stimarono patrizi e

tanto più efficacemente concorsero a distruggere lo stato patrizio e a creare quello democratico. Cosi (dice il Vico) il mondo delle nazioni esce * da una mente spesso diversa ed alle volte tutta

si

tali,

sempre superiore ad

contraria e

essi fini particoavevan proposti; de' quali fini ristretti fatti mezzi per servire a fini più ampi, gli ha sempre adoperati per conservare l'umana generazione in que-

lari ch'essi uomini

si

sta terra ».

Ma

già da talune di queste parole del Vico

ritrarre

come

bhe

egli

coscienti

tendeva talvolta a concepire

dei

propri

fini

utilitari

e

si

potrebbe gli uomini

incoscienti di

che condurrebbe logicamente a spiegare la vita sociale con esclusivi principi utilitari, e la moralità quelli morali.

Il

come un qualcosa e perciò di

di accidentale rispetto alla volontà

non veramente morale

:

umana

una formazione

estrin-

seca più o meno potente a tenere insieme gli uomini, o l'opera nascosta di una Provvidenza extramondana. L'uti-

una pagina nella quale sua corrotta natura, essendo

litarismo s'insinua soprattutto in è detto che l'uomo, per la

tiranneggiato dall'amor proprio pel quale segue principalla propria utilità e vuole tutto l'utile per sé e niuna

mente

parte pel

compagno

non può porre

e

in conato le passioni

per indirizzarle a giustizia, nello stato bestiale

mente

ama

sola-

sua salvezza; presa moglie e generati figliuoli, ama la sua salvezza con la salvezza della famiglia; venuto a vita civile, ama la sua salvezza con la salvezza della città; distesi gl'imperi sopra più popoli, ama la sua salvezza con la salvezza della nala

zione; unite merci, il

ama

nazioni in guerre, paci, alleanze e comsua salvezza con la salvezza di tutto

le

la

genere umano;

e

«

in tutte queste

principalmente l'utilità propria

».

Per

circostanze la

ama

qual ragione,

X. «

non da

che dalla Provvedenza divina deve essere

altri

tenuto dentro

tali

gliare, la civile e

ordini,

meno

123

LA PROVVIDENZA

ordini a celebrare con giustizia la fami-

finalmente l'umana società; per gli quali

non potendo l'uomo conseguire

ciò

che vuole,

al-

voglia conseguire ciò che dee dell'utilità, eh' è quel

che dicesi giusto ». La pubblica virtù romana (scrive altrove) « non fu altro che un buon uso che la Provvedenza faceva di si gravi, laidi e fieri vizi privati, perché si conservassero le città ne' tempi che le menti degli uomini, essendo particolarissime, non potevano naturalmente intendere

ben comune

».

come sappiamo, è affafto repudel Vico, fondata sulla coconcezione etica gnante e perciò queste sue afferscienza morale o sul pudore Senonché

l'utilitarismo,

alla

;

che inconsapevolmente vi condurrebbero, non possono spiegarsi se non come effetto del turbamento che

mazioni,

talora produceva in lui la sopravvivenza del concetto trascendente e teologico circa la Provvidenza, e anche della

poca chiarezza di pensiero, per la quale non gli riusciva ben distinto il concetto delle illusioni indivi-

di tenere

duali da quello dei fini individuali e sostituiva talvolta

il

secondo dove avrebbe dovuto trattare solamente del primo.. Se la provvidenza divina, 1' « unità della religione d'una divinità provedente

e dà vita

al

può starsene

mondo al

»,

è

«

l'unità dello spirito che informa

questa religiosità non inconsapevole' indirizzamento

delle nazioni

pensiero dell'

»,

dei fini individuali a effetti universali,

ma deve

esplicarsi

dar vita e vigore ai fini universali direttamente, e l'uomo sarà tutt' insieme utilitario e morale, oche s'illuda

nel

di essere

morale dov'è

utilitario o di esser utilitario

dov'è

effettivamente morale.

A

ogni modo, e nonostante queste oscillazioni o piut-

tosto confusioni, concepire

i

degli universali e le illusioni

particolari come veicolo come accompagnanti e eoo-

fini

FILOSOFIA DEL VICO

124

con l'azione importa concepire dialetticamente il moto della storia e superare il problema del male. peranti

Nel Vico, questo problema ha, infatti, pochissimo rilievo, tanto in lui dominava l'idea che la Provvidenza governi tutto; e perciò quel che si chiama male, non solo gli si

mostrava voluto dagli uomini sotto sembianza

sum sub mur),

veri specie,

ma doveva

una forma

mala sub bonorum

di

bene

(fal-

simulaci* ìs amplecti-

logicamente svelarglisi come esso stesso bene era la barba-

di bene, a quella guisa che

rica forza costitutrice della

società. In qualche raro

prima

luogo dei suoi primi scritti nel quale gli accade di accennare a tali questioni, il Vico nota che noi altri uomini, a causa della nostra iniquità onde « nosmetipsos, non hanc

rerum universitatem trariano stimiamo male,

spectamus «

>, le

quce tamen, quia in

mune conferunt, bona sunt ». La concezione della storia diventa oggettiva,

cose

che

ci

con-

mundi com-

nel Vico veramente

affrancata dall'arbitrio divino,

ma non meno

cause e delle spiegazioni aneddotiche e acquista coscienza del suo fine intrinseco, che è d'intendere il nesso dei fatti, la logica degli avveni-

dall'impero delle piccole ;

menti, di essere rifacimento razionale di un fatto razionale. Gli studi storici, a quei tempi, non erano tanto danneg-

primo errore (che anzi la concezione teologica, fin dagli inizi del Rinascimento italiano, poteva considerarsi decaduta), quanto da quella forma di storia che apgiati dal

punto allora venne prendendo nome di prammatica, e che restringendosi all'aspetto personale degli avvenimenti e non raggiungendo per questa via la piena realtà storica, cercava di darsi calore e vita mercé le riflessioni e gli

ammaestramenti

Un monumento

politici e morali.

di storia

sorgeva nella stessa patria del Vico, contem-

prammatica poraneamente

alla Scienza

di Napoli

Pietro

di

nuova

Giannone,

:

il

la Storia civile del regno

quale

era

veramente

X.

LA PROVVIDENZA

125

l'uomo del suo paese e del suo tempo e scrisse un gran libro di polemica e anche, per certi rispetti, di storia, tale che,

con

la

sua altezza, dà

modo

di

maggiore altezza dell'opera vichiana. Ben

ma

segnare la tanto altro che astuzie

di papi, vescovi e abati, e semplicità di duchi e imperatori,

avrebbe saputo scoprire lui

per

filo

e per segno

il

Vico, se avesse dovuto narrare

le origini

della proprietà e della

potenza ecclesiastica nel Medioevo. E ben altro, come vedremo, egli scopri realmente nella storia, tutte le volte

che prese a indagarne qualche parte.

XI RICORSI

I

L

Lio spirito, percorsi i suoi stadi di progresso, e dalla sensazione innalzatosi successivamente all'universale fantastico e poi a quello intelligibile, dalla violenza all'equità,

non può,

conformità della sua eterna natura, se non suo corso, ricadere nella violenza e nel

in

il

ripercorrere

senso, e di là riprendere

il

moto ascensivo,

iniziare

il

ri-

corso.

È

codesto

ma non

è

il

il

significato filosofico del

modo

«

ricorso

»

vichiano,

preciso in cui lo si trova espresso negli

dove l'eterno circolo viene quasi esclusivamente considerato nelle storie dei popoli, come ricorso delle cose umane civili. La civiltà va a terminare nella scritti del Vico,

«

», peggiore della prima barbache era di una fierezza generosa, laddove

barbarie della riflessione

rie del senso,

l'altra è vile, insidiosa e traditrice; e perciò è necessario

che quella malnata sottigliezza d'ingegni maliziosi vada a irrugginire dentro lunghi secoli di una nuova barbarie del senso. Tuttavia, dai fatti storici e dallo

logico bisogna estrarre e depurare

corso

»,

non

schema

concetto del

socio«

ri-

per rendersi conto dell'assolutezza ed Vico gli attribuisce, ma anche per giustifirappresentazione storica e la legge sociologica che

eternità che

care la

il

solo

il

FILOSOFIA DEL VICO

128 si

fondano sopra di esso e da esso principalmente attin-

gono la loro forza. Le leggi di corsi e

ricorsi,

che erano state

stabilite dai

da quelli italiani del Rinascimento, fondavano certamente anch'esse sopra qualche filosofia,

filosofi e politici greci e si

ma

assai superficiale

;

onde assumevano a loro obietto

le

estrinseche e vuote forme politiche, delle quali procura-

vano

determinare

successione sopra dati di esperienza o su vaghi raziocini. Ma il Vico ha per suo obietto le forme di

la

che abbracciano in sé

di cultura,

della vita, l'economia e

scienza e

il

fonte, che è

secondo

tutti

;

e,

ritmo delle elementari forme dello

il

rito. Per questo, tutta l'erudizione che

vicinare

ricorsi vichiani alle

i

libio, del Machiavelli o del

mente

atteggiamenti

gli

diritto, la religione e l'arte, la

riportandole alla loro intima umano, ne stabilisce la successione

linguaggio lo spirito

il

teorie

di

spi-

è spesa per rav-

si

Platone o di Po-

Campanella, riesce mediocreil Vico (il quale, come sap-

inutile: tanto più che

piamo, pure fraintendendo spesso i suoi predecessori, non si può dire che volesse celarli, anzi, dove gli pareva scorgere riscontri e consensi, se ne pompeggiava) non senti il bisogno di ricordarle o vi accennò con poca stima. L'àvay.óxXtoats di Polibio, la

sua economia della natura se-

cangiano e tramutano e al medesimo è sembrata quasi un'anticipapunto gli zione della storia ideale eterna pure il Vico mette Poli-

condo

la

si

quale stati

ritornano,

;

bio insieme con gli altri, invitando «

quanto [poco]

i

filosofi

i

lettori

a considerare

abbiano con iscienza meditato sui

principi dei civili governi, e quanto [poco] con verità, Polibio abbia ragionato sulle loro mutazioni ». Il Campanella

connetteva

i

suoi circoli storici con leggi

astrologiche

;

e

come concepisce la catastrofe che inizia « il ricorso Quando l'astuzia e malignità umana è venuta dove la può venire, conviene di necessità che il mondo

il

Machiavelli ecco :

XI.

•si

purghi per uno

zione, oltre quelli

129

RICORSI

dei tre

umani

delle

modi

fame e inonda-

[peste,

nuove

religioni e linguaggi],

uomini, essendo divenuti pochi e battuti,

acciocché

gli

vano più

comodamente

precedente

I

al

quale

il

e divengano migliori ».

Vico quasi

l'antichissima tradizione

si

'vi-

solo

riferirsi, è

di

gloria

Il

successione delle

egiziana sulla

tre età degli dèi, degli eroi e degli uomini, che interpetra in guisa tutta sua e riempie di contenuto affatto nuovo.

che è nel fondo, conferisce forza alla teoria sociologica vichiana dei ricorsi, il materiale storico col quale è, per cosi dire, impastata, v'introduce qualche de-

Se

la filosofìa,

Vico ebbe pratica e predilezione particolare per specialmente giuridica di Roma, donde mossero

bolezza.

Il

la storia le

sue indagini e alla quale

si

dedicò per più anni; e que-

perché da lui meglio ricercata, sia per

sta storia, sia

la

sua stessa complessità, grandiosità e durata, fini per parergli la storia tipica o normale, da servire di misura tutte

le altre, e gli

confuse

si

Roma

corso e ricorso.

con

stessa

la

gli offriva l'asilo di

Romolo, cioè

passaggio dallo stato ferino all'ordinamento

monarchiche dapprima solo

del

legge

politico

il

;

le

apparenza, e poi neppure nell'apparenza; la democrazia, uscente dalla lotta contro l'aristocrazia e terminante nell'effettiva mo-

.aristocrazie,

narchia, cioè nella forma di qui,

pili

in

perfetta della vita civile; e

per processo degenerativo, la barbarie della

rifles-

sione ossia della civiltà, che è incomparabilmente peggiore della

prima e generosa barbarie, e, conseguenza di essa, una seconda condizione di di vagamento ferino, e la nuova barbarie, la nuova gioventù, il Medioevo. La storia di Roma, a mala pena generalizzata e integrata qua e là con quella della Grecia,

che formolano

prima sentono avvertiscono

B. Cuoce,

La

le il

il

si

scorge nelle

leggi della

degnità

»

vicinane

dinamica sociale. Gli uomini

necessario, dipoi

badano

comodo, più innanzi

filosofìa

«

di Giambattista Vico.

si

all'utile,

appresso

dilettano del

pia-

1>

FILOSOFIA DEL VICO

130

dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrapazzar le sostanze. Ci vogliono prima uomini cere, quindi

immani

si

e goffi

come

i

Polifemi, affinché l'uomo ubbidisca

all'uomo nello stato delle famiglie, e per disporlo a ubbidire alla legge nello stato futuro delle città. Ci vogliono i

magnanimi

e gli orgogliosi

come

gli Achilli,

determinati

a non cedere ai loro pari, affinché sulle famiglie

si

costi-

tuiscano le repubbliche di forma aristocratica. Quindi si richiedono i valorosi e giusti, quali gli Aristidi e gli Scipioni Africani, per aprire la strada alla libertà popolare.

Più innanzi, personaggi appariscenti con grandi immagini accompagnata da grandi vizi, che presso il volgo»

di virtù

fanno strepito di vera gloria, quali gli Alessandri e sari, per introdurre le monarchie. Più oltre ancora, i riflessivi,

i

quali

Tiberi, per istabilirle e sfacciati, quali

furiosi, dissoluti

i

;

e,

i

Ce-

tristi

finalmente,

i

Neroni,

i

Caligola,

i

Domiziani, per rovesciarle.

Per effetto di questo assottigliamento della storia romana a storia tipica, e insieme della corpulenza che la storia tipica acquista nella storia di Roma, la ìegge vichiana dei ricorsi

è

talché se

da eccezioni, assai più frequenti e

tutta rotta

gravi che

le il

medesime leggi empiriche non comportino j suo schema empirico fosse tutt'uno, come a

sembrò, con

legge ideale dello spirito, parrebbe quasi ironia l'affermata costanza di esso nell'eternità e nei mondi

lui

infiniti.

non

Il

la

disegnato corso delle cose

fecero, nell'antichità, Cartagine,

umane Capua

e

(egli

scrive)

Numanzia^

che minacciarono di disputare a Roma l'imperché i cartaginesi furono prevenuti pero del mondo dalla nativa acutezza africana, che più aguzzarono nei le tre città

;

commerci marittimi

;

dall'abbondanza della

i

capuani dalla mollezza del cielo e

Campagna felice; i numantini, perché nel loro primo furore dell'eroismo furono oppressi dalla potenza romana, comandata da uno Scipione Africano, vin-

XI.

citore di

I

131

RICORSI

Cartagine, e assistita dalle forze del mondo.

E

dall'antichità saltando ai tempi moderni, gli americani cor-

rerebbero ora

il

corso

delle cose

umane,

se

non fossero

scoperti dagli europei; Polonia e Inghilterra persistono stati aristocratici (tale stimava il Vico l'Inghilterra,

stati

perché, non

come

la Francia,

monarchia

verranno a perfettissime monarchie, se delle cose

umane

allo stato

ferino, se si apri

ma percorso naturale

assoluta), il

non sarà loro impedito da cagioni straordinarie. Neppur il Medioevo poteva considerarsi, secondo la mente del Vico, come un vero e proprio ritorno civili

con

lo

stabilimento della re-

ligione del vero Dio, del cristianesimo; né, a ogni

modo,

quel ritorno alla ferinità e alla barbarie sembra che sia la sola via che si offra alle nazioni, giunte alla loro che le nazioni corrotte tbqiVj, al loro culmine. C'è l'altra

perdano l'indipendenza e vengano sotto il dominio di Né, infine, la decadenza è inevitabile, se uomini di stato e filosofi, lavorando concordi, possono ser-

altre migliori.

bare la perfezione raggiunta e raffrenare la dissoluzione minacciante, e se difatti (come egli nota) le poche repubbliche aristocratiche che sopravvivevano ai suoi tempi quali residui del Medioevo (per es., Venezia), riuscivano a conservarsi con arti di « sopraffina sapienza ». I suoi propri

una compiuta umanità tutte le nazioni. Pochi sembra sparsa, per oggi, (egli dice) il mondo dei popoli, e quelli anmonarchi reggono grandi cora barbari o durano per la perdurante sapienza volgare di religioni fantastiche e fiere, o insiememente per effetto del temperamento naturale dei vari popoli. Le nazioni, infatti, soggette allo czar di Moscovia sono di mente pigra quelle del chan di Tartaria, genti molli i popoli sui quali regnano il negus di Etiopia e i re di Fez e di Matempi

il

Vico giudica di alta civiltà

:

;

;

rocco, deboli e parchi. Nella zona temperata

celebra un'umanità eroica, somigliante

alla

il

Giappone

romana

dei

FILOSOFIA DEL VICO

132

tempi delle guerre cartaginesi, fieri nelle armi, con una lingua che arieggia la latina (qui il Vico fraintendeva il ragguaglio di un missionario gesuita), con una religione feroce di dèi orribili tutti carichi d'armi infeste (e qui

esagerava alquanto un passo del Bartoli) i cinesi, invece, con una religione mansueta, coltivano le lettere e sono umanissimi; umani ed esercitanti le arti della pace, i popoli del gran Mogol; i persiani e i turchi mescolano ;

alla

mollezza dell'Asia la rozza dottrina della loro

reli-

ispecie temperano l'orgoglio con la col fasto, con la liberalità e con la gratitumagnificenza,

gione, e

turchi in

i

dine. Umanissima per eccellenza l'Europa, composta in grandi monarchie e dove dappertutto si professa la religione cristiana, la quale insegna un'idea di Dio infinita-

mente pura e perfetta e comanda la carità verso tutto il genere umano. Il Vico ferma l'occhio sulle confederazioni dei cantoni svizzeri e delle provincie unite di Olanda (che leghe etolie ed achee), e sul corpo dell'Impero germanico, sistema di città libere e di principi gli

ricordano

le

un grande stato forma ultima degli

sovrani, che gli sembra quasi saggio di aristocratico, stati civili,

il

più perfetto di tutti, si può intenderne altra superiore,

perché non

la prima, l'aristocrazia dei patrizi, re sovrani nelle loro famiglie e uniti in ordini regnanti nelle prime città, ma riproducendola non più barbarica, anzi

riproducendo essa

sommamente

L'Europa sfolgora dappertutto di tanta abbonda di tutti i beni i quali possono l'umana vita non meno pei piaceri della mente e civile.

-umanità, che vi felicitare

si

dell'animo che per gli agi del corpo

;

e tutto ciò per virtù

della religione cristiana che insegna verità sublimi, servita dalle più

dotte filosofie

dei

gentili e dalle

tre

maggiori

lingue del mondo, l'ebraica, la greca e la latina, e riu-

nente per la

tal

modo

la

sapienza comandata con la ragionata,

più scelta dottrina dei filosofi con la più colta erudizione

XI.

I

133

RICORSI

somma civiltà, garantita dal cristianesimo, sarebbe andata o stava per andare incontro a un nuovo stato ferino? È diffìcile conoscere quel che veramente il Vico pensasse in proposito. C'è, tra i suoi versi, dei filologi. Codesta

una canzone cupamente pessimistica ma è una effusione giovanile e, a ogni modo, piuttosto che a decadenza sociale, accenna addirittura a un'imminente fine del mondo. ;

Nelle sue lettere,

un

si fa

quadro delle condizioni

triste

ma non

spinge lo sguardo fuori la vita sociale e a considerare campo ristretto, politica. D'altra parte, nell'ultimo suo scritto filosofico, nel De mente heroica, volgendosi a quelli che dicevano tutto degli studi ai suoi tempi

;

si

di quel

essere ormai perfetto e

affermava che «

Mundus

non presentarsi nient'altro da

fare,

era nel maggior fervore di progresso: iuvenescit adhuc; nani septingentis non ultra ab si

quorum tamen quadringentos barbaries percurquot nova inventa? quot novee artesf qnot novee scientice exeogitatee?... ». Ma si potrebbe osservare che il De mente

hinc annis, rit,

heroica è un'orazione accademica, e che forse per questo

Vico vi fece tacere

i

suoi dubbi o

i

il

suoi intimi convinci-

come adattare nella previsione di una imminente decadenza il sorgere di quel fatto provvidenziale che era la Scienza nuova, la quale illuminava la vita delle menti. In ogni caso,

nazioni e ne rendeva possibile la diagnosi e la cura? Tutto sommato, è probabile che il pensiero del Vico circa le sorti della società a lui

contemporanea

sia difficile

tanto a co-

un pensiero determinato su quel mancava, essendo il suo animo tratto in qua

gliere perché, in verità,

punto a lui da diverse e opposte tendenze e agitato fra timori

e in là

e speranze.

Se non

fosse

stata

turbata

dallo

schema

della storia

empirica dei ricorsi non sarebbe stata costretta ad accogliere tante e tanto gravi eccezioni, né si

romana,

la teoria

sarebbe impigliata in cosi angosciose perplessità, e avrebbe

FILOSOFIA DEL VICO

134

agevolmente allogato le osservazioni storiche dell'auinsomma, si sarebbe presentata con tratti più seme plici generali. Essa sarebbe consistita sopratutto nella pili

tore, e,

determinazione e illustrazione del nesso tra epoche di prevalenza fantastica ed epoche di prevalenza intellettiva, tra spontanee e riflesse, onde dalle prime escono le seconde per potenziamento e dalle seconde, attraverso la

degenerazione e la decomposizione, storia politica mostra di continuo crazie che, da forti che erano, e

cedono all'urto

rozze

di

ma moralmente

classi

si

si

torna alle prime.

fanno

meno

vili e spregevoli,

affinate

o addirittura

più energiche, fintanto che queste,

diventate a loro volta raffinate, raggiunta la più alta ritura delle idee

La

lo spettacolo di aristo-

storiche di cui portavano

il

fio-

germe, en-

trano in un periodo di decadenza e di fermentazione, dal quale esce una nuova classe dominatrice, giovanilmente barbara. E la storia della filosofia mostra periodi positivistici e

filosofiche

periodi speculativi, l'irrigidirsi delle soluzioni nelle dottrine scolastiche e nei dommi, il ri-

torno alla

mera osservazione

del fatto

singolo, e

il

rina-

scente processo speculativo. E la storia letteraria ci parla anch'essa di periodi realistici e idealistici, romantici e classicisti,

di corruttela classica che è alessandrinismo e deca-

dentismo, e di barbarie romantica che da questo risorge. Ecco altrettanti casi di veri e propri ricorsi vie hi ani.

Ma

poiché la natura dello spirito, messa a fondamento di

è fuori del tempo ossia è in ogni istante del non tempo, bisogna esagerare la distinzione dei periodi; e, se quella legge deve avere una certa rigidezza, deve per altro serbare anche una certa elasticità. Non bisogna mai

questi cicli,

dimenticare che in ogni epoca, per aristocratica o democratica, romantica o classica, positiva o speculativa che si dica, anzi in ogni individuo e in ogni fatto, è dato notare

momenti

aristocratici e

democratici,

romantici e

classici,

XI.

positivi e speculativi,

e

I

135

RICORSI

che quelle

'distinzioni

su grande

scala sono quantitative e di comodo: il che non deve portarci né a sostenere quella legge a tutti i rischi, cadendo nell'artificiosità, i

servigi che

gli

né a combatterla a oltranza, ricusando schemi generali e approssimativi sogliono

rendere. Perciò,

non'

e'

è

stridenti

mana

quando

sia

cosi intesa

bisogno d'introdurre in eccezioni che

il

e

corretta,

essa

modellamento

quelle sulla

non

grosse

e ro-

storia

e sulla sua catastrofe finale faceva necessarie,

accuse mosse

solo

ma

le

Vico di troppa uniformità si dileguano. Vincenzo Cuoco, uno dei primi che presero a studiare con intelligenza l'opera del Vico, notava, a proposito e contro al

i ricorsi, che « la natura non si rassomiglia mai a sé stessa, ed è l'uomo che per comporre. le sue osservazioni forma le classi e i nomi ». Verissima sentenza, ma che si volesse ricorsi applicare a questo caso, non varrebbe solo contro i

vichiani, ma contro ogni sorta di scienza umana di carattere empirico. Altri rimprovera al Vico di avere trascurato ordini di cause che hanno importanza grande nella storia, per es. il

clima, le disposizioni naturali delle razze e dei popoli,

avvenimenti straordinari. Ma, lasciando stare che il Vico fece menzione più volte di tutte queste cose mettendo in gli

rapporto i caratteri dei popoli e i climi con le forme e vicende degli Stati e ricordando avvenimenti e circostanze

che affrettano

il

corso naturale ossia ordinario delle na-

zioni (come, tra l'altro, nel discorrere della storia greca) il

vero è che egli

non doveva tenerne conto,

o

;

non

poteva indugiarvisi, perché il suo assunto concerneva le uniformità e non le differenze, o certe uniformità e non certe altre, che rispetto alle prime diventavano differenze trascurabili. Allo stesso modo (e il paragone è calzante ed è più che un paragone) chi si faccia a notare i caratteri generali delle varie età della vita, della infanzia, della fan-

FILOSOFIA DEL VICO

186

ciullezza, dell'adolescenza e via dicendo, trascurerà di no-

tare gli acceleramenti o ritardi di sviluppo secondo

climi o le varie razze

il

vari

i

veri

e

Vico abbia negato

la

di

gruppo che

o

addebiti,

vari

i

Nel medesimo

accidenti.

inopportuni insieme, rientra comunicabilità e compenetra-

zione reciproca delle civiltà col sostenere insistentemente

che la civiltà nacque separatamente presso sapere

nulla gli uni

degli

altri

i

popoli senza

e perciò senza prendere

esempio reciproco. Il quale addebito è stato controbattuto osservando che il Vico non manca di ricordare casi di ef-

un popolo

ficacia di

sull'altro

e di

trasmissione delle ci-

viltà e dei loro prodotti (per es., della scrittura

alfabetica

dai caldei ai fenici e da questi agli egiziani), e che, a ogni la sua legge è non empirica ma filosofica e si ri-

modo,

ferisce alla

spontaneità

umano. appunto l'aspetto em-

produttrice dello

Senonché, ciò che è in discussione è

spirito

non quello filosofico della legge e la risposta giusta sembra a noi, come si è già accennato, che il Vico non potesse e non dovesse tenere conto delle altre circopirico e

;

stanze, al

modo

nello studiare le

stesso (per

varie

manifestazioni del

ripigliare

fasi

della

l'esempio) che chi

vita descrive

le

prime

fantasticare

bisogno sessuale nel

vago o in altri fatti consimili della pubertà, non tiene conto dell'iniziazione all'amore che gli adolescenti meno esperti possono ricevere

dai

piti esperti,

ricerca concerna

non

le

le leggi

fisiologiche

leggi

quando l'assunto

sociali

della

dell'imitazione

dello sviluppo organico.

E

colui

ma che

affermasse che pur senza iniziazione e ammaliziamento

bisogno

sessuale

si

risveglia

egualmente

e

si

il

procaccia

soddisfazione, riaffermerebbe, senza dubbio, nient'altro che l'incontrastabile verità di un'antichissima novellina orien-

Boccaccio inseri nel Decamerone, ma pronunzierebbe insieme il più esatto riscontro alla famosa e tanto

tale

che

il

contrastata dignità vichiana.

XI. I



i

ricorsi vichiani si

si

spesso

è

al

creduto,

opporrebbero,

se,

137

RICORSI

oppongono

di necessità,

come

concetto di progresso sociale. Si

invece di essere semplicemente uniformi,

fossero identici, in conformità dell'idea, che

si

è affacciata

nell'antichità e nei giorni nostri- a qualche cervello strava-

gante, dell'eterno ritorno delle cose singole e individuali. Il ripercorso del corso, il circolo eterno dello spirito, può e deve (sebbene il Vico non lo dica) pensarsi non solo diverso nel moto uniforme, ma continuamente arricchentesi e crescente su sé stesso, in guisa che la nuova epoca del senso sia in realtà arricchita di tutto l'intelletto, di tutto lo

e cosi la nuova epoca della mente spiegata. La barbarie ritor-

svolgimento precedente,

fantasia o quella della il

nata,

barbarie

Medioevo, fu per tanti rispetti uniforme all'antica ma non per ciò deve considerarsi identica se con;

tenne in sé

il

cristianesimo che compendiò e superò

il

pen-

siero antico.

Tutt'altra questione è se nel Vico sia esplicito e rilevato il concetto di progresso. 11 Vico non nega il progresso, vi fa anche,

quando parla

delle condizioni dei suoi tempi,

ma non

qualche accenno come a una realtà ne ha il concetto, e molto meno

gli

sua

del processo

filosofia, se

procura

l'alta visione

di

fatto;



rilievo.

La

dello

spirito ubbidiente alla sua propria legge, ritiene tuttavia,

da questa mancanza di coscienza circa

il progressivo arricchimento del reale, qualcosa di desolato e di triste. Il carattere individuale degli uomini e degli avvenimenti ò,

nel Vico, obliterato:

tanto

una

come

individui e avvenimenti stanno sol-

casi particolari di

fase della civiltà

;

un aspetto

e perciò,

dello spirito o di

sempre, Aristide con Sci-

mai Aristide come Aricome e Alessandro e Cesare come stide, Scipione Scipione, Alessandro e come Cesare. Progresso importa ufficio pripione, Alessandro con Cesare, non

vilegiato di

ciascun fatto, di ciascun individuo,

ciascuno

FILOSOFIA DEL VICO

138

mettendo

la propria nota,

storia, e ciascuno

insostituibile,

rispondente

con

nel

poema

maggior voce

della

al

suo

predecessore.

Ma

la

ragione per la quale

al

Vico doveva fare difetto

l'idea di progresso e la sua ricerca storica unilaterale,

non

si

doveva riuscire

può scorgere bene se non quando

dato uno sguardo alla sua metafisica.

si

sia

XII

La metafisica

_L il

er

Vico

«

metafisica

della

realtà

»

intendiamo

tutta e

la

non del

concezione che ebbe solo

mondo umano;

e includiamo nel significato della parola anche l'eventuale conclusione negativa che affermi l' inconoscibilità o la imperfetta conoscibilità di

quella suprema

una o più

in cui le altre

si

sfere

del

reale, o di

riuniscono.

Il Vico per l'appunto (come ci è noto dalla seconda forma, che è poi l'ultima, della sua gnoseologia) segnò una profonda linea divisoria tra mondo umano e mondo natu-

rale:

e

il

il primo trasparente all'uomo perché fatto dall'uomo, secondo opaco, perché Dio, che l'ha fatto, egli ne ha

la scienza.

E

la

sua concezione della realtà totale e ul-

tima, la metafisica da lui esposta tutt' insieme con la sua prima gnoseologia, ritiene il solo valore, che questa le con-

probabile ma inverificabile congettura, la compie nella certezza della teologia rivelata. Essa

cede, di una

quale

si

rimane perciò senza possibile congiungimento con la Scienza nuova, che procede con metodo sicuro di verità e prescinde affatto dalla rivelazione. Il Vico non la rifiutò mai ne ;

discorre nella sua autobiografia che è del 1725, contemporanea alla prima Scienza nuova; la ricorda con compia-

cimento nel 1737, cioè sette anni dopo

la

seconda Scienza

FILOSOFIA DEL VICO

140

nuova, quando la sua vita scientifica era (ed egli stesso Ma, sebbene non la rifiu-

cosi la considerava) terminata. '

tenne sempre come appartata in -un angolo della

tasse, la

sua mente.

Sembrerebbe che, assodato questo punto, non vesse essere,

circa la

d'importanza

filosofica.

metafisica

vichiana, altro

Pure, non è cosi.

poiché ogni parte della

E

in

ci

do-

da dire

primo luogo,

implica le altre e dalla trattazione di una delle cosi dette scienze filosofiche par-

può sempre desumere

ticolari si

cercar

legittimo

di

il

carattere del tutto, è

scrutando

determinare,

metafisica vi è implicita,

nuova, quale

filosofico quella

plemento

filosofia

scienza

la

Scienza

ossia quale

com-

logicamente sopporta e

richiede.

Ora

la

Scienza nuova, che affermava la conoscibilità cose

piena delle

come

in

una

umane,

psicologia,

e

ma

non già nella

loro superficie

nell'intima loro

natura; la

Scienza nuova, che raggiungeva di là dagl'individui la conoscenza della Mente che informa il mondo ed è Provvi-

denza;

quella

Scienza, che

con divino piacere contem-

plava l'eterno circolo dello Spinto: innalzata che tale altezza

tendeva necessariamente

tutta la realtà,

della

si

era

a

all'interpetrazione di

natura e di Dio

come Mente. Che

questa tendenza fosse oggettiva, della Scienza nuova, e non soggettiva,

del Vico,

nel

quale

quella scienza,

per cosi

era pensata, è quasi superfluo avvertire di nuovo. Il Vico, come persona, non solo non la favori, ma anzi la compresse e represse con tanta energia che non ne lasciò dire, si

apparire traccia nei suoi libri. Di nessuna dottrina filosoebbe tanto terrore, e contro nessuna polemizzò con tanta frequenza, quanto contro il panteismo e forse profica

;

prio questa preoccupazione polemica è la sola traccia, sebbene affatto involontaria, che si possa notare nei suoi scritti, della

tendenza che egli doveva sentire in

sé.

Egli

LA METAFISICA

XII.

141

era e voleva restare cristiano e cattolico: la trascendenza, il Dio personale, la sostanzialità dell'anima, per quanto la

sua scienza non vi conducesse, erano bisogni irrefrenabili della sua coscienza. Ma ciò, come permetteva al Vico di reprimere soltanto, e non di sopprimere, la logica e intrinseca tendenza del suo pensiero, cosi dà a noi facoltà di riconoscerla nella cosa stessa.

E

a ragione un critico

(lo Spaventa) ebbe ad affermare che nel Vico si affacci l'esigenza di una nuova metafisica; e un altro,

italiano

tedesco e cattolico, defini

il

sistema di lui un

teismo. Più arrischiato sarebbe italiano, spingersi a dire

delle

che

il

Vico progredì sul concetto

due sostanze cartesiane e dei due

monade

e della stessa

attributi spinoziani

leibniziana, sorpassando

lismo e l'armonia prestabilita col distinguere videnze,

i

che uno di

due

attributi,

la

natura e

lo

essi sia scala all'altro, e col

di unione e la derivazione del contrario

o sviluppo; onde

la

semipan-

forse, col ricordato critico

natura sarebbe

il

le

il

paralle-

due prov-

spirito, in

concepire

il

modo punto

come spiegamento

fenomeno

e la base

presupposto che lo spirito fa a sé stesso per essere veramente spirito, vera unità. Perché, potendosi dubitare che la distinzione dei due attributi o delle due provvidenze, la naturale e l'umana, sia ben fonpropria dello spirito,

il

data e ineluttabile conseguenza del concepire la sostanza come spirito e come mente, non si può dedurre il passaggio evolutivo dall'una all'altra come tendenza implicita nel concetto vichiano della mente. Per questa seconda e

tendenza occorrono, insomma, prove particodocumentarie, che si hanno bensì ma insufficienti e

particolare lari e

malsicure, e

non nel sistema

della

Scienza nuova,

ma

piuttosto in quello che cronologicamente lo precedette. Perché anche la metafisica che il Vico delineò nella pri-

ma

fase del suo pensiero non è (com'è sembrato a parecchi e può sembrare a prima vista) priva di ogni significato e

FILOSOFIA DEL VICO

142

importanza. Essa dimostra la medesima avversione contro il materialismo e il medesimo amore per V idealismo che

anima

le

La

meditazioni della Scienza nuova.

filosofia di

Epicuro, che prende a suo principio il corpo già formato e diviso in parti multiformi ultime, composte d'altre parti

che per difetto di vuoto interposto

sembrava a

lui

una

filosofia

si

fingono indivisibili, le menti rozze

da soddisfare

e con quanto vedeva spiegate da quel filosofo (ossia nel poema di Lucrezio) le forme della natura corporea, con altrettanto o riso o compatimento lo vedeva tratto dalla dura

dei fanciulli e le deboli delle donnicciuole;

diletto

necessità a perdersi in mille inezie e sciocchezze per ispiegare le guise della mente. Di « falsa posizione », non meno il

dell'epicurea,

Vico accusava

anch'essa ha per principio

da quella

di

Epicuro

in ciò

la

tìsica

cartesiana, che

corpo già formato, diversa che l'una ferma la divisibilità

il

del corpo negli atomi, l'altra fa

suoi tre elementi divi-

i

l'una pone il moto nel vano, l'altra nel a formare i suoi infiniti mondi da comincia l'una pieno; una casuale declinazione di atomi dal moto in giù del prosibili all'infinito;

prio loro peso e gravità;

l'altra,

i

suoi

indefiniti vortici

da un impeto impresso a un pezzo di materia inerte e quindi non divisa ancora, che col moto impresso si divide in quadrelli e impedita dalla sua

mole mette

in necessità

movere in moto retto, e, non potendo per suo pieno, incomincia, divisa nei suoi quadrelli, a moversi circa il centro di ciascun quadrello. Cosi se Epicuro di sforzarsi a

il

commetteva

mondo

Caso, Cartesio lo assoggettava al Fato; e invano, per salvarsi dal materialismo, egli sovrappose alla sua fisica una metafisica alla maniera platonica,

con cui l'altra

il

al

studiò di stabilire due sostanze, una distesa e intelligente, e di far luogo a un agente immatesi

perché queste due parti non erano congruenti nel sistema, richiedendo la sua fìsica meccanica una metafisica

riale,

XII.

LA METAFISICA

143

come

l'epicurea, che stabilisce un sol genere di sostanza corporea operante. Per simili o analoghe ragioni, il Vico filosofie del

le

respingeva

Gassendi, dello Spinoza e del

Locke; e le fisiche di altri autori, quella per es. di Roberto Boyle, gli parevano profittevoli per la medicina e per la spargirica, inutili per la filosofia. Di Galileo giudicava che

avesse mirato la fisica con occhio di gran geometra, ma non con tutto il lume della metafisica. Le sue simpatie si

che erano insieme geometri, e perciò alla fisica pitagorica o timaica, secondo la quale il mondo consta di numeri alla metafisica platonica che dalla forma ai

volgevano

filosofi

;

della nostra mente, senz'alcuna ipotesi, stabilisce per principio di tutte le cose l'idea eterna sulla scienza e coscienza

che abbiamo di certe eterne verità che sono nella nostra

mente

che non possiamo sconoscere o rinnegare;

e

dottrina, che metafisici

;

egli

i

i

Nifo,

i

i

Ficino,

Mazzoni,

i

stoico, dei

alla

punti

del Rinascimento italiano,

e, infine, alla filosofia

quando risplendevano Steuco,

Zenone

attribuiva a

i

Pico della Mirandola, gli

Piccolomini, gli Acquaviva e

Patrizzi. Il

concetto fondamentale della sua cosmologia era dato

dai punti metafisici, nei quali trovava applicazione

il

rio-

matematica sulla metafisica, da lui amperamento messo come procedere analogico costruttivo. Al modo stesso della

che dal punto geometrico nasce la linea e la superficie, e punto che viene definito non aver parti dà la dimostra-

il

zione che le linee altrimenti incommensurabili

si

tagliano

non più

eguali nei loro punti; cosi è lecito postulare punti

ma

geometrici

metafisici,

Tra Dio, che

i

quali,

non

estesi,

generino

corpo, che è moto, s'interpone mediatore il punto metafisico, il cui attributo è il conato, ossia l' indefinita virtù e sforzo dell'universo

l'estensione.

a

mandar

è quiete, e

il

fuori e sostenere le cose particolari tutte. L'esi-

stenza del corpo

non

è altro che

un'indefinita* virtù di

FILOSOFIA DEL VICO

144

mantenerlo disteso,

la quale sta egualmente sotto cose diquantunque disuguali, ed è insieme indefinita virtù di muovere che sta sotto ai moti quanto si voglia disuguali. Sotto un granello di arena vi ha tal cosa che, dividendosi quel corpicello, dà e sostiene un' infinita estensione

stese

e grandezza; sicché la mole dell'universo tutto, nel corpo del granello, se non è in atto, è bene in potenza e in virtù.

Questo sforzo dell'universo, che è sotto ogni piccolissimo corpicciuolo, non è né l'estensione del corpicciuolo né l'estensione dell'universo; è la di ogni corpolenza, agita e

mente

muove

lare determinazione della realtà rità fondamentale. Il

tempo

si

si

di Dio, la quale,

pura

tutto.

Ogni particoaccorda con questa veil

divide, l'eternità è nell'in-

diviso; perturbazioni dell'animo diminuiscono e crescole cose no, la tranquillità d'animo non conosce gradi le

;

estese

si

corrompono,

le

inestese constano nell'indivisibi-

corpo tollera divisione, la mente non la tollera; le opportunità sono nel punto, i casi in ogni parte; la scienza lità;

non

il

si

divide, l'opinione genera le sètte; la virtù

né più in qua né più in

là, il

non

vizio spazia dappertutto

sta ;

il

retto è uno, le cose

prave innumerevoli; in ogni genere di l'ottimo viene collocato nell'indivisibile. cose, insomma, La sostanza in genere, che sta sotto e sostiene le cose, si

divide

nelle

due specie

della

sostanza

distesa, che e

quella che sostiene ugualmente estensioni disuguali, e della sostanza cogitante, che sostiene ugualmente pensieri disuguali; e siccome una parte dell'estensione è divisa dalma indivisa nella sostanza del corpo, cosi una parte

l'altra

della cogitazione,

cioè a dire

un determinato pensiero,

è

divisa dall'altra ed è indivisa nella sostanza dell'anima.

Proprio dell'anima è fatto ai corpi

;

il

conato, ossia la libertà, negata af-

e Cartesio, che cominciava la sua fisica dal

conato dei corpi, la incominciava veramente da poeta e ricadeva nelle concezioni antropomorfiche dei popoli primi-

XII.

tivi.

Quelli che

i

LA METAFISICA

145

meccanici dicono conati, forme, potenze,

sono moti insensibili dei corpi, coi quali essi o s'appressano, come voleva la meccanica antica, ai loro centri di gravità, o, secondo le teorie della meccanica nuova, s'allontanano dai loro centri del moto. E, al pari del conato,

e inconcepibile nei corpi la comunicazione del moto, concedere la quale tanto varrebbe quanto concedere la compenetrazione dei corpi, non essendo altro il moto che il corpo che si muove la percossa data a una palla è sol:

tanto occasione perché lo sforzo dell' universo, il quale era si debole nella palla da far sembrare che essa si mantenesse quieta,

si

spieghi di più e cosi

ci

dia apparenza di

più sensibile moto. Coi cartesiani, per altro, e

in

ispecie

Vico s'accordava circa l'origine delle inclinando alla concezione che Dio le crei in noi volta idee, per volta; coi cartesiani altresì teneva che i bruti fossero

col Malebranche,

macchine

;

e

il

con tutta

la filosofia del

suo tempo ricono-

sceva la soggettività delle qualità sensibili. Lasciando queste ultime dottrine, alle quali

Vico ac-

il

cenna appena e che non gli sono proprie, tutta sua veramente è quella fondamentale dei punti metafisici giacché ;

l'attribuzione di

essa a

un

fantastico

persona erano fusi e confusi l'eleate e

Zenone, nella cui lo stoico

(secondo

un errore comune nella letteratura filosofica del tempo), non può ingannare nessuno, e non ingannò il medesimo Vico che, messo alle strette, spiegò come fosse stato condotto a interpetrare a quel modo ciò che di Zenone riferisce Aristotele e concluse che, se

quella dottrina non

si

voleva ricevere come zenoniana, la si prendesse per sua propria e non assistita da nomi grandi. Né, d'altro canto,

può riportarla alla monadologia leibniziana, che è dubbio se fosse nota al Vico, che il Vico a ogni modo non si

mentova (laddove pur mentova, con parole renza,

il

B. Cuoce,

Leibniz), e

La

filosofia

con

la

di

alta reve-

quale la somiglianza è molto

di Giambattista Vico.

IO

FILOSOFIA DEL VICO

146

vaga, perché

i

punti metafisici non sono monadi. Se mai, può affermare che avesse sopra di essa

efficacia si

qualche

newtoniana (che allora si cominciava a divulgare in Italia anche per opera di taluni amici la scoperta leibniziana e

personali del Vico) del calcolo infinitesimale

;

cui

i

ter-

mini d'infiniti massimi, minori, maggiori e via dicendo stravolgerebbero l'umano intendimento, perché

(egli dice)

l'infinito è schivo di ogni moltiplicazione e

non soccorresse una metafìsica

se

la

gli attuali distesi e attuali

sotto tutti

comparazione, quale stabilisca che

movimenti

sia

una

virtù o potenza di estensione e di moto sempre uguale a sé stessa, cioè infinita. E più giustamente ancora è stato

indagato

confluire

il

nella concezione vichiana delle cor-

renti platoniche (del platonismo della Rinascenza) e galileiane, particolarmente di queste ultime;

non ne diminuisce

il

che, per altro,

l'originalità.

Originalità, senza dubbio, di

un pensare fantasticheg-

giante e arbitrario, che per tal ragione rimase senza pos-

svolgimento e senza efficacia diretta sulla reconcezione del Vico. Al recensente del Giornale

sibilità di

stante dei

letterati,

che chiamava quella metafisica un abbozzo,

un aborto, come aborto, compiuto.

l'autore rispondeva che era affatto compiuta:

invero, piuttostq che un abbozzo,

E

e,

nella Scienza nuova, oltre qualche richiamo alla negata

attribuzione del conato ai corpi, c'è un solo fuggevole

ma

curioso tentativo di connessione con una metafìsica geomeed è là trica o aritmetica sul tipo di quella ora delineata ;

dove

si

afferma che sull'ordine delle cose

e composte

astratte e

si

corpulente conviene l'ordine dei numeri, che sono cose

purissime, e

si

cominciano dall'uno con ai

pochi con

civili

osserva che, infatti, le

le aristocrazie,

monarchie

i

familiari,

governi

passano

s'inoltrano ai molti e tutti

repubbliche democratiche, e finalmente ritornano all'uno nelle monarchie civili (assolute), sicché l'umanità nelle

XII.

LA METAFISICA

147

corre sempre dall'uno all'uno, dall'assolutismo del paterfamilias a quello del monarca illuminato.

Ma

se si

può

e

si

deve negar valore

alla

cosmologia

cui si avvichiana; e manifeste furono notate dai critici del sono volge tempo; è anche innegabile il carattere che essa ha di dinamise

smo,

le

contradizioni e

in opposizione al

oscurità in

le

meccanicismo della

poranea. L'escogitazione dei

filosofìa

contem-

punti metafisici, nella quale

Dio appare il gran geometra che conoscendo fa e facendo conosce le cose dell'universo, è come il simbolo della ne-

Un Vico

cessità di risolvere la natura in termini idealistici.

un Vico agnostico, perfino un Vico immaginoso inventore di romanzi cosmologici e tìsici, si trova qua e là; ma un Vico materialista non si trova in nessuna teologizzante,

parte dell'opera sua.

Anche questa non ardita metafisica destò sospetto di panteismo, benché l'autore insistesse nella dottrina teologica *che il fare di Dio si converte « ab intra» col generato e « ab extra » col fatto, e che perciò

il

mondo

è creato in

tempo; che l'anima umana,

la quale, specchio della divina, pensa l'infinito e l'eterno, non è terminata da corpo e quindi neppure da tempo, e perciò è immortale e che in ;

qual modo

nelle cose finite, ciò, se

l'infinito sia disceso

anche Dio l'insegnasse, non

si

potrebbe

intendere dal-

l'uomo. Comunque, egli stimò necessario chiudere

le

ri-

sposte ai suoi critici col raccogliere le proposizioni che dimostravano il suo ortodossismo, e ribadire che « essendo

Dio altrimente sostanza e altrimente gion d'essere o l'essenza essendo le

le creature, e

la ra-

propria della sostanza,

sostanze create, anche in quanto all'essenza, sono diverse

e distinte dalla sostanza di Dio

La trascendenza limitava di

la

».

mente del Vico

raggiungere l'unità del reale, gì'

dendogli che la conoscenza

veramente completa

di

e,

impe-

impediva anquel

mondo

FILOSOFIA DEL VICO

148

umano,

ch'egli

aveva

cipio, rischiarato. il

cosi potentemente, con opposto prin-

Ed ecco

ora perché

progresso, non poteva averne

osservato che

il il

Vico, senza negare

concetto. E

stato

concetto di progresso è estraneo al cattolicismo e prende origine dalla riforma protestante, e che il

perciò il cattolico Vico doveva inibirselo. Ma altresì il concetto della provvidenza immanente è inconciliabile col tuttavia il Vico lo pensò profondamente. che vuol dire che non l'impulso gli mancava, ma piuttosto la possibilità di andar oltre un certo segno, dove la cattolicismo, e Il

sua fede sarebbe stata messa a troppo aperto sbaraglio. Il progresso, dedotto dalla provvidenza immanente e introdotto nella Scienza nuova, avrebbe accentuato la diffe-

renza nell'uniformità, il sorgere del nuovo a ogni istante, avrebbe il perpetuo arricchimento del corso a ogni ricorso ;

cangiato la storia, da un rassegnato percorrere e ripercorrere il solco tracciato da Dio sotto l'occhio di Dio, in un dramma che ha in sé la propria ragion d'essere; avrebbe trascinato nelle sue spire l'intero cosmo e reso reale il pensiero dei mondi infiniti. Il Vico, all'affacciarsi di questa visione, arretra pauroso, si

è sostituito in lui dal credente.

ferma ostinato,

e

il

filosofo

xnr Passaggio alla storiografia

Carattere generale della storiografia vichiana

D,'alle

cose precedentemente discorse è chiaro che la

parte storica della Scienza nuova non poteva configurarsi

come una

storia del genere

umano, nella quale

ai

popoli e

agl'individui fosse riconosciuto l'ufficio proprio e singolare

che ciascuno di

A

tal

uopo

avvenimenti.

essi esercitò nel corso degli

Vico avrebbe dovuto chiudere

il

di pensiero, che in

il

suo sistema

un punto rimaneva spezzato

e aperto concezione religiosa e innalzare la sua divinità provvidente a divinità progrediente, determinando i corsi e i

alla

;

come

ritmo interno del progresso. Ovvero, per raggiungere nella storia, in senso diametralmente opposto, la visione dell'individualità, doveva abbandonare la sua ricorsi

il

germinale filosofia idealistica, togliere la divisione tra provvidenza ordinaria e straordinaria, darsi totalmente in braccio alla fede e alla tradizione religiosa, e tracciare la storia dell'

umanità

metteva

primo

sul disegno

d' intravvedere.

partito,

lui ricostruita

come

che Dio aveva rivelato o per-

Come

filosofo, al

credente, egli repugnava al

secondo; onde

non poteva essere,

e

non

fu,

la storia

da

storia uni-

versale. Per conseguenza, non fu neppure quello che si chiama filosofia della storia, se a questa denominazione si rida

FILOSOFIA DEL VICO

150 il

significato originario di

che abbia l'occhio

una

«

storia

universale

»

(cioè

maggiori e più nascoste iuncturce

alle

rerum) « narrata filosoficamente » (vale a dire, più filosoficamente che non si solesse dai cronisti, dagli aneddotisti e dagli storiografi cortigiani, politici e nazionali).

La con-

troversia se al Vico o allo Herder spetti di aver fondato la filosofia della storia,

dovrebbe francamente risolversi a

fa-

vore dello Herder, perché l'opera di costui ha quell'andamento di « storia universale » che manca alla Scienza

nuova; sebbene, d'altro canto, sia agevole trovare allo Herder precursori in buon numero, a cominciare dai profeti ebraici e dallo schema delle quattro monarchie, che rimase non solo nel Medioevo derni

lo

schema costruttivo

ma

ben

oltre nei

tempi mo-

della storia universale.



sarà

fuori luogo soggiungere che la cosi detta filosofia della storia in

quanto storia universale non costituisce una speciale

scienza filosofica o una storia nettamente distinguibile da altre forme di storia (salvo che, per ismania di renderla

autonoma, non se ne faccia

una Herder si o di

filosofia

il

mostro di una storia astratta

storicizzata);

attribuisce

il

e

quando

al

Vico o allo

vanto di avere creato con

sofia della storia una

nuova scienza,

si

la filo-

rivolge loro

un complimento

di dubbia lega: il quale, per ciò che in concerne il Vico, è stato cagione che non si particolare il valore' vero dall'opera sua. Infatti, la « Scienza scorgesse

nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni », intesa come l'equivoca scienza della filosofia della storia (Philosophie de l'histoire

intitolò

il

Michelet la sua riduzione

dell'opera vichiana), non ha lasciato vedere la Scienza nuova come nuova filosofia dello spirito e iniziale metafisica della mente.

francese

Il dissidio che era, nella sua concezione generale, tra scienza e credenza, riappare, nella storiografia del Vico, come divisione e opposizione tra storia degli ebrei e

XIII.

CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA

151

storia delle genti, tra storia sacra e storia profana. La storia ebraica non andò soggetta alle leggi delle altre, ebbe

un corso

tutto proprio,

colari, cioè

si

spiega con principi affatto partidi Dio. La Scienza nuova,

con l'azione diretta

che nella sua parte filosofica non ne dava i principi esplicativi, non avrebbe dunque dovuto trattarne altrimenti nella sua parte storica. E tale sarebbe stato, forse, il desi-

Ma

derio del Vico.

al

desiderio

si opponeva (senza parlare era di premunirsi della taccia di empietà, che non sarebbe mancata) il suo scrupolo di uomo di fede e di buona fede, che lo spingeva a cercare una

del bisogno in cui egli

qualche armonia tra

le

due

storie, le quali,

per quanto

vise egli le ponesse (ricordando in proposito che

di-

anche un

autore gentile, Tacito, chiamava gli ebrei « uomini inso>), entrambe si erano svolte sulla terra e avevano

cievoli

avuto reciproche relazioni, non foss'altro che all'origine dell'umanità e nella sua palingenesi per opera del cristianesimo. Accadde che

il

Vico

il

quale voleva e doveva, per il racconto della

l'indirizzo stesso della sua mente, evitare

storia universale, e attenersi insieme ai soli problemi filo-

soficamente e filologicamente trattabili, non potesse esimersi dal rompere talvolta il suo proposito, e dal tentare

un qualche congiungimento tempo una qualche apologia gomenti

tra le

due

storie, e in

pari

della storia sacra con gli ar-

forniti dalla scienza e dalla storia profana.

parte più infelice ma altamente significante dell'opera sua. Egli era costretto ad ammettere, in contrasto a tutte le sue scoperte, con istrazio di tutta la sua

E

questa

mente, che bare intatte della

la

avevano goduto il privilegio di sermemorie fino dal principio del mondo,

gli ebrei le loro

qual cosa

le altre

nazioni

si

vantavano a vuoto, e

che perciò l'origine e successione certa della storia universale dovesse domandarsi alla storia sacra. E l'esigenza di connettere

i

suoi concetti circa le civiltà primitive con

FILOSOFIA DEL VICO

152

con l'anno che

la cronologia biblica,

creazione

alla

del

mondo, con

si

soleva assegnare del diluvio

la tradizione

universale e con quella dei giganti, di trovare (com'egli dice) « la perpetuità della storia sacra con la profana », lo portò a immaginare le cose più stravaganti. Imperver-

dunque nell'anno 1656

sato

dalla

creazione

diluvio, e

il

Noè, mentre gli ebrei iniziano o prosestoria con Abramo e gli altri patriarla loro sacra guono e con le chi, poi leggi date da Dio a Mosè, tutti i restanti separatisi

i

figli di

i camiti e giapetici, i primi più tardi e per minor tempo, i secondi e i terzi più presto e per tempo più lungo, caddero nello stato ferino ed errarono per la terra, be-

semiti e

stioni stupidi e feroci.

E laddove

gli

ebrei, sottomessi al

governo teocratico, severamente educati e praticanti le abluzioni, rimasero di giusta statura, i componenti delle né morale né

altre razze, senza disciplina

gendosi

nitrici

sali

fisica,

travol-

fango, nello sterco e nell'urina e assorbendo

nel

come

(cosi

di sterco e di urina la terra

s'in-

grassa e diventa

feconda) crebbero in corpi mostruosi e giganteschi. Cento anni pei semiti e dugento per le altre due razze durò lo stato ferino; fino a quando la terra, che era rimasta a lungo inzuppata dall'umidore del diluvio universale, asciugandosi mandò fuori esalazioni secche o materie

ignite

in

aria a ingenerare

come già sappiamo, che è Giove,

si

coscienza di

la

e

con

i

fulmini. Coi

la mitologia del cielo

fulmini,

fulminante

sveglia nei bestioni la coscienza di Dio e sé,

onde diventano uomini. Si apre

cosi

l'età degli dèi, che socialmente è quella delle monarchie familiari dove il padre è re e sacerdote e nel corso della si viene costituendo il sistema delle deità maggiori, giganti mercé le spaventose religioni e l'educazione

quale e

i

domestica che

mento

doma

spirituale, e

la loro

mercé

alla giusta corporatura

carne e sviluppa in essi

le

l'ele-

lavande, degradano via via

quale hanno

gli

uomini che

s'

in-

XIII.

CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA

153



Tale,

contrailo agli inizi della susseguente

età eroica.

indicata per sommi capi, è la bizzarra costruzione, fatta dal Vico, dei cominciamenti della storia umana sulla terra,

messi in armonia coi racconti della storia sacra; e di essa si sarebbe riso o sorriso meno, se si fosse guardato al

dramma che

vi è sotto, alla tormentosa coscienza del cre-

dente che, lottando col pensatore, cerca rifugio in quelle stravaganze. Con le quali, a ogni modo, il Vico valicava sopra una serie di sassi vacillanti esalazioni

(il

diluvio,

i

giganti, le

secche) la fiumana della tradizione religiosa e il terreno sodo della storia critica, dove sco-

raggiungeva

priva altresì

il

primo appoggio della sua filosofia dello È da osservare inoltre che il rapporto

spirito, la ferinità.

con

storia

la

ebraica



la

sola

che a

lui

s'

imponesse

come storia vera e propria, cioè come un unicum, sebbene in modo miracoloso, affatto individuato gli suggerì i



rari

accenni

gnare

che

s'

ai vari popoli

incontrano nei suoi

uno speciale

scritti

ufficio o

ad asse-

missione; onde

gli parve talvolta che gli ebrei rappresentassero la mens, i

caldei la ratio e

giapetici la pliantasia.

i

Parallelamente a questa storia fantastica dei cominciamenti del genere umano sulla terra, corrono i tentativi di apologetica biblica.

Il

Vico non tralascia

di arrecare

che dovrebbero profanamente confermare

i

prove

racconti della

storia sacra. Conferma, per es., del diluvio e dei giganti sa-

rebbero il

i

simiglianti racconti dei greci e di altri popoli;



governo teocratico, del quale nessuna storia profana ha

notizia precisa e oscuramente vi alludono favole,

si

e dopo

il

i

poeti nelle loro

riscontrerebbe nel governo degli ebrei innanzi diluvio gli ebrei avrebbero ignorato la divi;



nazione, perché vivevano in diretti rapporti col vero Dio, laddove i caldei ebbero la magia o divinazione secondo i

moti degli astri e

i

popoli di

Europa quella per

auspici.

Si sente in tutto ciò, senza dubbio, qualcosa di voluto,

un

FILOSOFIA DEL VICO

154

voler vedere o un voler non vedere, un darsi sulla voce,

un

eccitarsi alla persuasione;

come

è consueto, del resto,

in molti credenti colti e scientificamente

scriverà perfino delle

una

educati.

volta, nell'esporre la genesi

forme grammaticali e nell'asserire che

i

Vico

Il

storica

verbi comin-

ciarono dagli imperativi e cioè dai comandi monosillabici che i padri davano a mogli, figliuoli e famoli (es, sta, i, da, fac ecc.), che da ciò si ricava un'indiretta dimostrazione della verità del cristianesimo, perché in ebraico la terza

persona singola e maschile del perfetto è rappresentata dalla nuda radice senza alcun segno flessivo prova evi:

dente che

i patriarchi dovettero dare gli ordini nelle loro famiglie a nome di un sol Dio (Deus dixit). Questo, a suo parere, era « un fulmine da atterrare tutti gli scrittori

che hanno oppinato gli ebrei essere stati una colonia uscita da Egitto, quando, dall' incominciar a formarsi, la lingua ebraica ebbe incominciamento da un solo Dio mini, a dir vero, che invece di fulminare

i

».

Sono

ful-

miscredenti,

illuminano la povertà degli argomenti sui quali l'apologetica si appoggia anche in un uomo come il Vico; e, oggettivamente considerando, la divisione introdotta per iscru-

polo religioso tra storia sacra e storia profana, col conse-

guente trattamento critico di questa e dommatico di quella, e con le conseguenti strane ipotesi e difese, faceva e fa pensare irresistibilmente che il sottrarsi della storia sacra alla

scienza

umana provenga non dall'impotenza

della

ma dall'impotenza della storia sacra, cioè, dall'impotenza a serbarsi inalterata nella scienza; sicché di rado uno scrupolo religioso fu di tanto pericolo alla scienza umana,

causa della religione. Ma il Vico aveva troppo genuino e rigoroso senso scientifico

da mettersi a

Selden o

il

Bossuet;

fare, e

per giunta a contraggenio,

onde l'armonizzamento con

il

la storia

sacra o l'apologetica rimangono in lui episodi, dai quali

CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA

XIII.

si

può prescindere.

E

155

poiché, d'altra parte, gli era vietato

di profanare del tutto la filosofia e la storia, e di rappre-

sentare

il

movimento storico complessivo in base al criterio non gli restava se non guardare i fatti dalche la sua filosofia gli concedeva libero:

del progresso, l'aspetto

quello dei corsi e ricorsi, dell'eterno processo e delle eterne fasi dello spirito. Qui era la sua forza, qui poteva

riconoscere

il

carattere

se

specifico,

non

propriamente

quello individuale, di leggi, costumi, poesie, favole, d'intere formazioni sociali e culturali che erano state fraintese dalla storiografia fino ai suoi tempi.

anziché narrare la storia,

egli,

E

per questa ragione

doveva restringersi a met-

tere in luce gli aspetti comuni di certi gruppi di fatti, appartenenti a tempi e nazioni varie. Nella Scienza nuova

ha (egli dice) « tutta spiegata la storia, non già particolare ed in tempo delle leggi e dei fatti de' romani e de' greci, ma sull'identità in sostanza d'in-

si

tendere

e

diversità dei modi lor di spiegarsi

».

arrecheranno (dice ancora in altra occasione) i fatti a modo di esempli perché s'intendano in ragion di prin«

Si

imperocché « vedere avverati i principi nella quasi innumerabile folla delle conseguenze, egli si dee aspettare da altre opere che da noi o già se ne son date fuori o già

cipi

»

,

sono alla mano per uscire

come sappiamo,

in quella

alla luce delle

Scienza

si

stampe ». Ossia, ha da una parte una

una descrittiva empirica, storicamente esemplificata, nella quale i romani non stanno come romani, ma in ciò che hanno di comune coi greci o mafilosofia e dall'altra

gari coi giapponesi la storia di Roma sotto i re o ai primi tempi della repubblica spiega le sue affinità con quella dei ;

primi secoli del Medioevo; e

ma come

Omero non

sta

come Omero,

esempio della poesia primitiva e, attraverso i abbraccia il suo fratello, Dante. Forza e

secoli, ritrova e

limite insieme, perché la storia

non consiste

di certo, essen-

FILOSOFIA DEL VICO

156

ma senza la percezione somiglianze come si giungerebbe a fissare le differenze? Dante non è Omero, i baroni non sono i « patres » r l'ateniese Solone non è il romano Publilio Filone, il feuzialmente, in queste somiglianze

;

delle

dalismo dell'età carolingia e in genere medievale non è la costituzione sociale delle età primitive di Grecia e di Roma;

ma

certamente, per taluni rispetti, Dante è più vicino a al Petrarca, i baroni della prima epoca

Omero che non

più prossimi ai « patres » che non alla posteriore nobiltà di corte, Solone somiglia più a un tribuno o a un dittatore romano che a qualche altro dei sette savi coi quali suole

andare congiunto, il feudalismo medievale si rischiara col ravvicinamento alle società fondate sull'economia agraria. Notare queste somiglianze significa negare o rigettare indietro altre più superficiali e aprire la via alla conoscenza dell' individualità, si

indicando la regione approssimativa dove Il Vico, piuttosto che narrare e

trova la verità piena.

rappresentare, classifica; ma c'è classificazione e classificazione: quella che si fa a servigio di un pensiero superficiale e quella che si fa a servigio di un pensiero profondo.

E

la parte storica della Scienza nuova è una grande sostituzione di classificazioni superficiali con classificazioni pro-

fonde.

In questo àmbito, dov'è la forza della storiografia vichiana, le deficienze e gli errori provengono non dal dì fuori dei limiti

tracciati,

quei limiti stessi.

È

ma

stato

da cagioni operanti dentro

allegato, in discolpa del Vico,

che gran parte dei suoi errori sono da attribuire riali

scarsi

e

insufficienti

dei

storico

i

materiali

brama

di studio, e nel

non può essere questione

mate-

quali egli disponeva;

scarsi e insufficienti rispetto alla nostra

sono, sempre,

ai

ma

di sapere

giudicare uno

di ciò, si del

modo cauto

o incauto nel quale egli adopera i materiali di cui dispone. Ancora è stato detto che il Vico ebbe i difetti del suo tempo;

CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA

XIII.

e

si

quale

dimenticato

è

si

qui

che egli nasceva nel secolo nel

era svolta la criticissima filologia di Giuseppe Sca-

ligero e di tutta la scuola olandese, e Che suoi

ranei furono in Italia lo Zeno,

vero è che

la

minazioni la

Maffei e

il

forma mentale da noi

come turbava turbava

157

della

pura trattazione

la

scienza

ricerca

giù,

Il

descritta, del Vico,

filosofica

con

empirica e dei dati

storica

contempo-

Muratori.

il

le

deter-

storici,

col miscuglio della

cosi

filosofia e

della scienza empirica. 11 Vico era in uno stato come di ebrezza: confondendo categorie e fatti, si sentiva molto spesso sicuro a priori di quel che i fatti gli avrebbero detto e

non

li

lasciava parlare e subito metteva loro in bocca la

sua risposta.

Una

frequente illusione

gli

faceva ravvisare

non ne avevano alcuno; gli mutava combinazione in certezza gli faceva leggere ogni ipotetica negli autori, invece delle parole esistenti, altre non mai scritte e ch'egli medesimo senz'accorgersene aveva interapporti tra cose che

;

riormente

pronunziate e proiettate negli scritti altrui.. L'esattezza gli era impossibile, e in quella sua eccitazione ed esaltazione di spirito, quasi la disprezzava; perché, infatti, dieci, venti, cento errori particolari che cosa avreb-

bero

tolto

genza

»

alla

verità sostanziale? L'esattezza, la

(egli dice)

«

«

dili-

dee perdersi nel lavorare d'intorno

ad argomenti e' hanno della grandezza, perocché ella è una minuta e, perché minuta, anco tarda virtù. ». Etimologie immaginose, interpetrazioni mitologiche arrischiate e infondate, scambi di nomi e tempi, esagerazioni di fatti, citazioni fallaci s'incontrano a ogni passo nelle sue pagine

e molte se ne possono vedere notate nella della seconda Scienza nuova, curata dal

bella

Nicolini, e qual-

cuna ne noteremo via via anche noi a mo'

ma

edizione

di

saggio,

continuo sulla voce, e qualche volta rettificando tacitamente le sue citazioni. Sicché,

guardandoci dal dargli

come parlando

di

della sua filosofia

abbiamo osservato che

il

FILOSOFIA DEL VICO

158

Vico non era ingegno acuto, cosi, parlando della sua stodobbiamo ora dire che egli non era ingegno critico. Ma come, negandogli colà l'acume in piccolo, gli riografia,

riconoscevamo quell'acume in grande che e la profondità, cosi anche qui dobbiamo aggiungere che, se il Vico mancava di senso critico in piccolo, abbondava di quello in

grande. Negligente,

ticolari; circospetto, ziali;

scopre

il

nei par-

cervellotico, affastellato

nei punti essen-

logico, penetrativo

talora

fianco, e

tutta

la

persona

ai colpi

meschino e meccanico erudito, e intimidisce ed è atto a ispirare reverenza a ogni critico e storico, per del

pili

grande che

sia.

E

se

spaziando sempre negli universali e non die

tutto preso dalle sue geniali scoperte, molte volte

tempo

tempo e non

ài

die agio e

campo

alla

sua forza in-

dagatrice e osservatrice di spiegarsi, e invece di storia inventò miti e intessé romanzi dove poi lasciò che quella ;

forza liberamente

si

spiegasse,

della storia cose mirabili,

compi anche nel campo

come c'industrieremo

di venire

mostrando nei capitoli che seguono.

Ma

passare a rassegna

chiane* per confrontarle,

le

interpetrazioni

come da molti

storiche vi-

è fatto ed è co-

si

mune

vezzo, con quelle della storiografia odierna e lodarle o censurarle di conseguenza, sarebbe poco concludente; perché, dove c'è accordo tra

i

due termini del confronto,

l'ac-

cordo potrebbe essere fortuito, e, dove c'ò divergenza, la dottrina recente potrebbe essere pur tuttavia svolgimento o

conseguenza del tentativo antico, e, a ogni modo, lo stato odierno delle cognizioni storiche non porge in niun caso una 9 misura assoluta. E, d'altra parte, sarebbe fuori luogo (oltreché superiore alle nostre forze) ripigliare tutti i problemi il Vico trattò e toccò per esaminare quel che' di vero o di falso fosse nelle sue conclusioni, perché tanto varrebbe

che

scrivere stri

una terza Scienza nuova, meglio conforme

tempi.

A

noi spetta indicare soltanto

i

ai

no-

principali prò-

XIII.

CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA

159

blemi storici che egli si propose, riassumere le soluzioni che ne diede, e avere l'occhio sempre allo stato della ai tempi nostri ma ai tempi suoi, per determinare quali progressi si debbano al Vico nella sto-

scienza non già

ria degli studi storici.

XIV Nuovi canoni PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO E FAVOLOSO

L

.1

me

periodo storiografico, che precedette

un pezzo erano cronache del mondo » e

scorsi da «

il

Vico, fu, co-

s'è detto, tutt'altro che di credulità e di acrisia. Trai

si

tempi

in cui si

compilavano

le

accoglieva ogni favola e ogni

più grossolana falsificazione come storia: i semi sparsi da alcuni umanisti avevano portato i loro frutti negli eruditi italiani, nella scuola giuridica francese, nella già ricordata

scaligeriana, in tutti

grandi cronologi, epigrafisti, archeoche ordinarono nel secolo deci-

i

logi, topografi e geografi,

mosettimo la

prime e

colossali raccolte critiche di fonti per

dell'antichità. Anzi, nel

storia

andavano correggendo

lologi

todi

le

e

sfatavano

fondeva, per ticismo, o

e

tempo

stesso

perfezionando

i

che loro

imposture e riempivano lacune,

si

i

fi-

medif-

effetto della filosofia intellettualistica, lo scet-

pirronismo

storico

come anche era chiamato,

col Bayle, col Fontenelle, col Saint-Evremond e altri molti,

precursori di quella polemica contro la verità e l'utilità della storia, che doveva diventare cosi vivace nel secolo

seguente.

Quest'ultimo indirizzo era, piuttosto che critico, ipercritico,

B. Ckocjo,

mettendo capo La

filosofia

alla distruzione della storia in ge-

di Giambattista Vico.

11

FILOSOFIA DEL VICO

162

nere; e poiché lo scetticismo storico rivesti assai spesso il carattere di paradosso a uso della società elegante e dei

sua efficacia sul progresso degli studi fu asa provocare vigorose reazioni una delle quali fu rappresentante il Vico) a favore

belli spiriti, la

sai scarsa, o, tutt'al più, valse (di

della

tradizione

e

dell'autorità.

Giova invece notare

le

deficienze del primo e seriamente scientifico indirizzo dei e antiquari:

filologi

i

quali restituivano

testi,

svelavano

falsificazioni, ricostruivano serie di sovrani e di magistrati,

raddrizzavano

cronologia, contestavano perfino alcune la mentalità consueta dei puri eru-

la

leggende; ma, sia per

per l'ambiente generale della cultura di vivendo quel secolo, pur sempre a contatto dell'antico e del primitivo, non sentivano punto, e non facevano senditi e filologi, sia

tire, l'antico e

il

primitivo. Fortissimi nei particolari, erano

deboli nelle cose essenziali. si

geniali

Anche quando alcuno

dei più

accorgeva, per es., dell'importanza dei canti po-

tempi in cui mancava o era rarissimo l'uso della scrittura, da queste e simili osservazioni non riceveva tale scossa da esserne spinto polari,

mezzo

di trasmissione storica in

a rinnovare da cima a fondo la sua concezione della vita

come accadde invece al Vico, il quale, quasi a un tempo, intese la forma filosofica del certo e i due primitiva,

periodi di vita spirituale e sociale, che le corrispondevano il periodo oscuro e quello favoloso.

nella storia reale:

Anch'egli moveva da una sorta di scetticismo, scetticismo concernente i pregiudizi dei dotti e delle nazioni circa l'indole e

una

i

fatti dell'antichità

;.

e statuiva, nel

com-

degnità », che paiono ispiBacone, di cui offrono come l'analogo nel campo della ricerca storica. Il Vico metteva in guardia in primo luogo contro le magnifiche opinioni che si erano avute fino ai suoi tempi intorno alla lontanissi-

batterli,

serie di canoni o

«

rati agli « idola » del

ma

e

sconosciuta antichità: ingenua

illusione

di

cui

XIV. CANONI

trovava

PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO

la sorgente in ciò

che l'uomo, allorché

si

163

rovescia

nell'ignoranza, fa di sé regola dell'universo (e qui

vicina l'analogia col Bacone, perché glia per l'appunto alla classe degli

mente

«

tale

è più enunciato somi-

idola tribus

»

in cui la

fa di sé regola delle cose, ex analogia hominis,

non

ex analogia universi). Sopra la medesima osservazione si fonda il detto che « fama crescit eundo », e il tacitiano :

«

omne ignotum prò magnifico

terpetrare

un trasporto

per dine degli antichi

nemico

».

Donde

il

vezzo d' in-

costumi antichi con l'aspettazione di trovarli

i

simili o migliori di quelli «

est

di guerra;

moderni e

civili.

Cosi Cicerone,

ammirava la mansueturomani, che chiamavano « ospite » il

di fantasia »

non avvedendosi che

la cosa

stava pro-

prio al rovescio e che gli ospiti erano « hostes », stranieri e nemici. Parimente Seneca, per provare che convenga

usare umanità verso gli schiavi, ricordava che i padroni erano detti in antico « padri di famiglia » quasi che i :

patresfamilias » non fossero stati disumanissimi, nonché contro gli schiavi e famoli, contro i medesimi loro figliuoli, «

adeguati ai famoli. E per lo stesso pregiudizio il Grozio (che veramente il Vico scambia qui col suo esegeta Gronovio e di costui fraintende le parole), volendo dimostrare la

mitezza degli antichi germani, recava un gran numero con

di leggi barbariche, nelle quali l'omicidio era punito la

multa

di

pochi danari: documento, per contrario, di tenuto a vile il sangue dei poveri vassalli

quanto

fosse

rustici,

che erano per l'appunto

gli «

homìnes

»,

di

cui

parlavano quelle leggi. In secondo luogo, ammoniva di non prestare fede alla boria delle nazioni, che (come avrebbe osservato Dio-



doro siculo) tutte sia greche sia barbare caldei, sciti, si vantarono di avere, ciascuna prima delle egizi, cinesi



altre,

bate

fondata l'umanità, ritrovati le loro

memorie

i

comodi della vita

fin dalle origini

del

e ser-

mondo. Ciascuna

FILOSOFIA DEL VICO

164

non avendo per molte migliaia d'anni avuto comle altre onde potesse accomunare le notizie, buio della sua cronologia, simile a un uomo che, nel fu, dormendo in una stanza piccolissima, nell'errore delle tedi esse,

mercio con

nebre la crede certamente molto maggiore di quanto con le mani la toccherà poi. Chi prenda quei sognati vanti per notizie sicure, si trova nell'imbarazzo di scegliere fra tante nazioni e tante memorie, tutte, con pari fondamento, offrentisi a gara come primitive.

Con

la

boria

nazioni

delle

il

Vico metteva la boria

quali ciò che essi sanno vogliono che sia antico quanto il mondo; e perciò si compiacciono nell' immaginare una inarrivabile riposta sapienza degli antichi,

dei dotti,

i

che coincide poi per l'appunto, mirabilmente, con le opinioni professate da ciascuno di quei dotti e da essi ammantate di antichità per

zione. In tale errore

imporne pili solennemente l'accettacadde non solo Platone, specialmente

nelle ricerche del Cratilo,

chi

e

ma

quasi tutti gli storici, anti-

moderni: vi era caduto

lo stesso

Vico (che potè,

dunque, studiarlo assai bene in sé medesimo), quando nel De antiquissima aveva creduto di trovare nelle etimologie dei vocaboli latini le prove di una metafisica italiana perfettamente concorde con quella sua propria della conver-

sione tra

«

verum

»

e

«

factum

»

e dei punti

metafisici.

Ai quali tre pregiudizi, e più strettamente alla boria dei dotti, va di séguito il quarto che ora si chiamerebbe delle « fonti » o degli « influssi di cultura », e che il Vico .sarcasticamente designava come quello della successione delle scuole per le nazioni. Secondo tale dottrina, Zoroastro, per es.,

avrebbe

istruito

Beroso per

la Cal-

dea, Beroso a sua volta Mercurio Trismegisto per l'Egitto, Mercurio Atlante legislatore dell'Etiopia, Atlante Orfeo

missionario della Tracia, e finalmente Orfeo avrebbe fer-

mato

la

sua scuola in Grecia. Lunghi viaggi, e agevoli,

XIV. CANONI

PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO

1G5

in verità, a quelle

prime nazioni che, appena uscite dallo vivevano appollaiate sulle montagne in siti

stato selvaggio,

poco accessibili, sconosciute

alle loro

medesime confinanti!

E

questi lunghi viaggi avrebbero, avuto per oggetto di diffondere invenzioni, che ciascuna nazione poteva fare senz'altro da sé, e che se poi, conosciutisi tra loro i popoli

per guerre e trattati, si ritrovarono simili, fu perché contenevano un motivo comune di vero e nascevano dalle me-

desime necessità umane. C'era bisogno di supporre l'efficacia del diritto ateniese o di quello mosaico sul romano,

come usavano

i

«

pareggiatori

»

delle

del diritto comparato, per ispiegare

diritto, riconosciuto in Palestina, in

il

o

leggi

come

trattatisti

fosse formato

si

Atene

e in

Roma,

ladro di notte? C'era bisogno che Pitagora andasse diffondendo la dottrina della trasmigrazione delle di

uccidere

anime, che Restava rati

come

il

si

ritrova perfino in India?

pregiudizio circa gli storici antichi consideinformatissimi dei tempi primitivi, i quali, inil

vece, nel racconto delle

i

quanto o meno Vico leggeva, o la confessione che

origini, seppero

posteri. Per la storia greca, credeva di leggere, in Tucidide meglio di

noi

il

greci, fino alla generazione a questo storico precedente,

non conoscevano nulla della propria antichità; e osservava altresì che gli storici greci solo al tempo di Senofonte cominciarono ad avere qualche notizia precisa delle cose persiane. La storia romana si soleva principiarla da

Roma; ma con Roma certamente non nacque

il

mondo,

la

quale fu una città nuova fondata in mezzo a un gran numero di minuti popoli più antichi nel Lazio e per Roma stessa Tito Livio dichiara di non entrare mallevadore della ;

verità dei fatti concernenti

i primi secoli di quella storia, seconda guerra cartaginese, di cui è. in grado di scrivere con più verità, ingenuamente confessa di non sapere da qual parte Annibale fece il suo

e a proposito della

FILOSOFIA DEL VICO

166

memorabile passaggio appennine. Tanto

grande

e

eozie o

dalle

in gli

dalle Alpi

Italia, se

storici antichi

erano

bene informati!

si

Per questi e altrettali motivi di scetticismo, tutto quanto narrava dei greci fino al tempo di Erodoto e dei romani seconda guerra cartaginese parve

fino alla

incertissimo:

un

territorio quasi res nullius,

al

Vico tutto

ove

si

poteva

entrare col diritto del primo occupante. Egli vi entrava armato dei canoni positivi che nascevano accanto, anzi dal

grembo

di

negativi, che

quelli

abbiamo

riferiti.

Perché,

Vico

negava fede agli storici lontani dai tempi e dei fatti che raccontavano, se screditava le vanteluoghi se

il

svelava

rie nazionali, se

le illusioni e le

non rimaneva pago per

dotti,

struzione

badava a

;

ciarlatanerie dei

a quest'opera di die al posto del vecchio e malfido cacciato via

sostituire

giore

resistenza,

quali

era dato

il

cioè

altro

nuovo di migliore qualità e di magun complesso di metodi mercé i

procacciarsi

nuovi documenti con

lo

studiare meglio quelli già posseduti. Ogni avanzamento nelle conoscenze storiche non si effettua, in verità, in altra guisa che con questo ritorno dal racconto ricevuto al

documento

sottostante, col quale solamente è dato con-

fermare, rettificare e arricchire Il

il

racconto.

primo metodo che il Vico addita, la prima fonte che conoscenza delle società antichissime,

egli schiude per la

è l'etimologia delle lingue, che si soleva esercitare ai suoi tempi in modo affatto arbitrario, col raffrontare i suoni di

qualche sillaba o lettera, e cercare altre superficiali somiglianze, inferendone la derivazione di un vocabolo da una lingua

Ma

o

dall'altra, dal

latino, dal

greco o dall'ebraico.

affinché l'etimologizzare sia fruttuoso, bisogna

non

di-

lingue sono i testimoni più gravi dei popoli, che si celebrarono antichi costumi degli al tempo in cui si formarono esse lingue e illuminare per-

menticare che

le

;

PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO

XIV. CANONI

le lingue. Cosi le nel bel mezzo di 1'

«

lingue coi costumi e i costumi con etimologie dei vocaboli astratti ci portano le

perpetuamente,

ciò,

una

per

intelligere »,

167

società affatto contadinesca, perché

es.,

richiama

il

«

»

legere

«

frutti dei

o raccogliere disserere

«

campi (donde legumina »); », lo e la delle espressioni inmaggior parte spargere semenze; i

torno a cose inanimate

e dalle sue « -«

bocca

»

e

parti

si

il

umani

»

«

sensi e passioni,

labbro

come

per orlo di vaso, avanti e dietro, e simili. Il Vico per

per ogni apertura,

fronte e spalle

umano

svelano trasporti dal corpo

dagli

»

vagheggiò un etimologico comune a tutte le lingue native, composto di radici monosillabiche e in gran parte onomatopeiche;

un

altro delle voci di origine straniera, introdotte

dopo che

le

nazioni

universale, per

come

la

si

furono conosciute tra loro; un terzo,

scienza del diritto delle genti, dal quale

guardati con diversi aspetti dalle varie nazioni, avessero ricevuto diversi vocaboli; e, infine, un dizionario di voci mentali, comuni

apparisse

a le

tutte le

gli stessi

uomini,

fatti o cose,

nazioni, che, spiegando

sostanze

e le

modificazioni

uniformi circa

le idee

diverse che le nazioni eb-

bero nel pensare intorno alle stesse necessità umane o lità comuni a tutte, secondo la diversità dei loro cieli,

nature

e

costumi, narrasse le origini

utisiti,

delle diverse

lingue vocali, che tutte convengono in una lingua ideale

comune.

La seconda

fonte, schiusa dal Vico, è l'interpetrazione

dei miti o favole, che, conforme alla sua dottrina, non

erano allegorie, invenzioni

o

imposture,

ina

la

stessa dei popoli primitivi. Nel Diritto universale

distinse quattro sensi pei quali gli dèi passarono:

scienza il

Vico

dapprima

significando cose naturali, Giove il cielo, Diana le acque perenni, Dite o Plutone la terra inferiore, Nettuno il mare,

e cosi via; poi, cose umane naturali, per es. Vulcano il fuoco, Cerere il frumento, Saturno i seminati; in terzo

FILOSOFIA DEL VICO

163 fatti

luogo, cielo,

sociali;

fintanto

furono assunti agli

in

che,

astri, e le

vennero divise dalle divine.

Ma

ultimo, salirono al

cose terrene e

nelle

umane

due Scienze nuove

mise in rilievo quasi esclusivamente il terzo significato, quello sociale, che diventò per lui l'originario; perché (sembra che egli pensasse) le prime nazioni erano troppo intente a sé stesse, troppo

immerse nella loro dura

da speculare astraendo dalle cose

ficile vita,

e dif-

sociali.

Cosi

nei miti egli trovò riflesse le istituzioni, le scoperte, le divisioni sociali, le lotte di

Anche

classe,

i

viaggi, le

guerre, dei

pei tempi abbastanza progrediti

il popoli primitivi. Vico fu alieno dalle interpetrazioni naturalistiche o filosofiche; e il « Conosci te stesso », attribuito all'antico savio,

parve nient'altro che un monito alla plebe ateniese perché conoscesse le proprie forze, trasportato dipoi a sensi gli

questa ermeneutica sociale, un altro principio assai importante egli stabilisce: vale a dire che i significati galanti, lubrici e osceni delle favole fumetafisici e morali. Oltre

rono

tutti

trarono

i

intrusi in tempi tardi e corrotti, che interpecostumi antichi sui propri o presero a giustifi-

care le proprie lascivie con l'immaginare che gli dèi ne avessero dato l'esempio. Onde si ebbero Giove adultero,

Giunone nemica a morte della virtù degli Ercoli, la casta Diana che sollecita gli abbracciamenti degli addormentati Endimioni, Apollo che infesta fino alla morte le pudiche donzelle, Marte che come se non bastasse commettere adulli trasporta fin dentro il mare con Venere, peggio ancora, gli amori di Giove con Ganimede e dello stesso Giove trasformato in cigno con Leda: dipinture atte

teri in terra e,

a sciogliere il freno al vizio, come per l'appunto accadde nel giovinetto Cherea dell'Eunuco di Terenzio. Ma nella loro

forma

e

significato

originari le favole furono

tutte

severe e austere, degne di fondatori di nazioni; e, per es., Apollo che insegue Dafne alludeva agl'indovini o àuspici

XIV. CANONI

PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO

169

delle nozze, che perseguitavano per le selve le donne ancora in preda ai concubiti vagabondi e nefarì; Venere, che si copre le vergogna col cesto, era simbolo pudico di

matrimoni solenni;

gli

Giove, non erano da nozze certe

eroi, figliuoli di

frutti degli adulteri,

ma

gli eroi nati

già e solenni, celebrate con la volontà di Giove che i

lava negli auspici.

Omnia

mundis:

i

intenda

mundis

et

rive-

si

immunda im-

picchi delle montagne non potevano da alcove e postriboli. produrre immagini Oltre queste due ricche fonti delle lingue e dei miti, il Vico ne menziona e adopera una terza, che chiama dei le

selve e

grandi frantumi dell'antichità bate da storici e da poeti: per <

delle

tre

età degli

gua degli dèi

»

(ossia,

come

Omero postilla

ser-

tradizione egiziana

uomini; quei

degli

attribuisce alla il

nomi che

tichissimi); quegli elenchi di

memorie

cioè delle

eroi e

dèi, degli

quattro o cinque vocaboli che

»,

es., la

« lin-

Vico, di eroi ansi

trovano in san-

t'Agostino e il Vico con altri attribuiva a Varrone e che si riferivano ciascuno ad altrettante bisogne della vita na-

economica e

turale, morale, di

Romolo, che Livio definisce

silìum

»,

primi tempi il luco vetus urbes condentium con-

civile dei «

;

e alcuni altri pochi aurei detti, « luoghi d'oro

di scrittori antichi.

Frantumi finora

alla

inutili

»,

scienza,

perché erano giaciuti squallidi, tronchi e slogati, ma che, tersi, composti e allogati, arrecano grandi lumi. Né (quan-

tunque poco il Vico se ne valga e non vi ha troppa pratica) trascura

menti architettonici o

tempo

storico

i

scultori,

si

veda

fondo

in

che

monudichiarando che come del egli di notare

documenti più accertati sono

le

«

i

pubbli-

che medaglie » ossia le monete, cosi per il periodo favoloso e oscuro sono da tenere in luogo di esse « alcuni vestigi

restati

in

marmi

»,

che provano

gli

antichi co-

stumi: quali le piramidi egiziane descritte di geroglifici e altri frantumi di antichità, che si trovano da per tutto,

FILOSOFIA DEL VICO

170

con

siffatti

caratteri di corpi scolpiti.

È degno

di nota poi

come

gli accada perfino di dare esempio di ragionamenti fondati sopra osservazioni di tecnica e conducenti a con-

clusioni di preistoria;

come



dove dice che una prima

età del genere umano è contrassegnata dal mangiare carni arrosto, cibo il più schietto e semplice di tutti perché non

ha bisogno d'altro che della brace; e una seconda dalle carni lesse, che, oltre del fuoco, hanno bisogno

età,

del-

l'acqua, del caldaio e del tripode.

Metodo potente d'indagine perii Vico è zione, istituita tra gli svolgimenti di cui

la

compara-

si

ha notizia

più intera e quelli noti imperfettamente o frammentaria-

mente, donde la ricostruzione analogica dei secondi in base ai primi: dimodoché, per es., il principio dell'eroismo, scoperto a evidenza dentro la storia romana, giova a spiegare

la storia favolosa dei greci, a supplire la

gli egizi e a dare luce alle

zioni antiche.

un popolo

tronca de-

nascoste di tutte le altre na-

Senza negare il fatto delle trasmissioni da il Vico ne satireggiava l'abuso e ne

all'altro,

attenuava l'importanza per

le società primitive, facendo valere in cambio quello degli svolgimenti spontanei e adoperandosi a ricostruirli col metodo comparativo. Il quale

intendeva in modo assai largo, cioè come da esercitare con materiale raccolto dai più vari paesi e tempi. Per egli

come

fulminante suggerisse ai primi uoricorda che gl'indigeni d'America, dio, udirono lo quando prima strepito e videro le stragi delle armi da fuoco in mano agli spagnuoli, credettero che coispiegare

*il

cielo

mini l'idea di un

i rapsodi dei poemi omerici gli richiacantastorie che sul molo di Napoli recitano

storo

fossero dèi;

mano

in

mente

i

poemi di Oliando e dei paladini le trasformazioni o metamorfosi cantate dai poeti antichi ravvicina alle fiabe

i

;

e delle fate che ancora le madri narrano per trattenimento ai figliuoletti bambini, o alle favole che nei

dell'orco

XIV. CANONI

PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO

tempi del Medioevo

padre

erano sparse del mago Merlino;

si

la

focolare è condotta da lui fino alle costu-

del

mitologia

manze

171

del ceppo che in Firenze, ai tempi del Boccaccio, di famiglia

il

accendeva a capodanno sul focolare dando

incenso e spargendo vino, e di quello che la plebe napoletana brucia la sera di Natale, nonché all'uso che vigeva

regno di Napoli di numerare

altresì nel «

le famiglie per e tutti altri Pitone serpente serpenti migli sono messi a riscontro perfino con la biscia « che i

fuochi

tici

»

il

;

milanesi accampa

de Picardie

»,

dei Visconti;

»

i

geroglifici coi « rébtis

che erano in uso nel settentrione della Francia.

Riuscirebbe vano

cercare,

nella

anteriore o

filologia

contemporanea, cospicui precedenti complesso di questi canoni, negativi e positivi, che il Vico stabiliva per la al

storia del

intrinseci

tempo oscuro e favoloso a tutto

il

pensiero

;

perché

filosofico

essi

di

sono troppo

lui

da potere

#ver avuto altra origine fuori di questo pensiero stesso. I rudi frammenti delle antiche leggi e costumanze e forinole romane, i poemi omerici, i vocaboli della lingua la-



tina guardati con occhio sgombro cioè con quella potenza che ha l'uomo di genio di vedere le cose diretta-

mente,



una mente tutta disposta ad apvera indole, doverono suscitare nello

elaborati da

percepirli nella loro

spirito del Vico, rispetto

mente colorita desima rivolta

alla

dotta

ma

incolore o

storiografia del proprio tempo, quella e rivoluzione, che

gliata nello spirito

un secolo dopo

falsa-

me-

fu sve-

di

Agostino Thierry dalle pagine di poetica prosa dello Chateaubriand, ritraenti i Franchi e Faramondo coi loro gesti incomposti, con le loro rozze e atroci armi, coi loro gridi terribili e con le loro cantilene

da

barbari.

XV Le società eroiche

A,.ppunto

come

i

Franchi apparivano, nei compendi di

•storia patria pei collegi

Francia, dispogliati di dotti a sapienti

gesuitici e per le altre scuole tutti

i

loro tratti

di

caratteristici, ri-

monarchi, a pie regine e a guerrieri de-

voti della Chiesa; cosi la storia antica e primitiva,

mercé

ingenue idee dei letterati, si era venuta di luccicanti e falsi colori, press'a poco dei medetingendo simi coi quali allora i Lebrun o i Luca Giordano solevano la rettorica e le

i loro pomposi e teatrali quadri storici. Re che studiavano saggi provvedimenti per giovare ai popoli e insieme non far mancare alle loro corti lo splendore che

colorire

irradia

vano

una

nobiltà, re filosofi, di quelli che ave-

fatto sospirare Platone verso

regnavano o

a

fiorente

i

tempi in cui

i

i

filosofi

ré filosofavano; leali e prodi capitani, pronti

sacrificarsi per la

comune

felicità

;

uomini

di stato

che

compievano a bella posta viaggi d'istruzione per riportare da lontano le leggi più ragionevoli ai loro concittadini -aspettanti

;

buoni padri di famiglia, eccellenti madri, gio-

vinetti arditi e obbedienti, fanciulle innamorate e pudiche,

personificazione ciascuna di qualche virtù, anzi di tutte le virtù radunate, modelli di umana perfezione; queste le



figure che, rese sacre dalla

veneranda antichità, riempi-

FILOSOFIA DEL VICO

174

vano

libri e

i

e

greca

le

fantasie. Questi

romana;

gli

eroi della storia

e questa fastosa decorazione di cartone

dipinto o dorato bisognava stracciare e spazzar via per procedere a ritrovare, nel più intimo fondo dei ricordi del

genere umano,

i

veri eroi, della realtà non del palcoscenico:

ratura, della vita e

e

non

della lette-

gli eroi ignoranti,

duri verso le loro famiglie, spietati verso le plebi, avidi, usurai e, pur tuttavia, anzi superstiziosi, feroci,

per effetto di questi cioè

eroi,

stessi loro aspri

atteggiamenti d'animo,

virtuosi di quella virtù che nei tempi primi-

come era

tivi,

egoisti,

sola possibile, sola era necessaria: la virtù

della forza, della disciplina, della

cupa e intransigente re-

ligiosità.

La

falsificazione dell'eroe primitivo nell'uomo saggio e

virtuoso dei tempi colti

si

assommava, per quel che

si at-

tiene alla storia politica, nel fraintendimento delle tre parole capitali che

compendiano la costituzione dello stato: popolo, libertà. Per il fraintendimento della prima credeva che la forma originaria dello stato fosse la mo-

re, si

narchia assoluta sul tipo del regno di Francia, la monarchia illuminata che si appoggia sulle forze popolari e tiene sottomessi

i grandi, la quale è, invece, prodotto tardo, anzi ultimo, della storia. In siffatto errore si era impigliato Giovanni Bodin, verso cui il Vico polemizza di preferenza.

Ma

il

Bodin, più acuto degli

altri trattatisti di politica, si

avvolgeva in contradizioni, perché, quantunque entrato nel comune errore, pure, osservando nella sognata libertà

romana antica

gli effetti di repubblica aristocratica, punsuo sistema col distinguere tra stato e governo, e affermare che Roma, ai suoi primi tempi, -fu popolare di

tellò

il

ma

governò aristocraticamente; e poiché neppure questo puntello bastava a sostenere il gran peso dei fatti, fini col confessare che quella repubblica fu aristocratica

stato

di

si

governo e

di stato, contradicendo cosi a

tutta la prò-

XV. LE SOCIETÀ EROiCHE

175

pria dottrina sulla necessaria successione degli stati. Il i re di quei primi tempi non erano, a Roma,

vero è che

monarchi, come non furono a Sparta né altrove. Re monarchi, ma dì un tipo speciale, soggetti non ad altri che

nome di spaventose religioni col mezzo d'immanissime pene, furono i padri o patrizi o eroi solo al tempo delle monarchie familiari, quando ciascuna famia Dio, imperanti in

glia viveva

da

sé.

Sorto

il

primo

stato, alleatisi cioè

i

vari

patres familias eroi e costituito per tal modo un orcio, quello patrizio, i loro re non erano altri che uno o più di

medesimi, semplici magistrati dell'ordine. Tantoché Roma, dopo avere in forza di una rivoluzione affatto ariessi

stocratica scacciato

e serbò

i

i

Tarquinì, non mutò punto di stato

re nei due consoli, che erano

due re

aristocratici, ai quali

testate

diminutum

».

Lo

nihil

«

stesso

«

reges

annui

;

»,

quicquam de regia poi due re

carattere ebbero

di Sparta, sottomessi al pari dei consoli al sindacato e che

potevano essere dannati a morte dagli efori. Come falsamente vennero creduti monarchici, falsamente altresì quegli stati furono spacciati per popolari. Il popolo, del quale a proposito di essi

si

parla,

non

solo

non

coincideva con la plebe, ma non la comprendeva in sé « popolo » era il solo ordine patrizio, e « libertà » la :

libertà signorile; la « patria » perché veramente « res patrum », in-

sola libertà dei patrizi, la

ben era detta teresse dei

cosi,

soli

padri.

È

ridicolo

pensare che la plebe,

caterva di vilissimi giornalieri trattati come schiavi, fosse fornita del diritto di eleggere si

il

re, la cui elezione

riserbassero di approvare nel senato.

padri

i

Le relazioni

poi tra padri e plebe consistevano di ben altro che di pacifica

convivenza, scambievole fiducia e concorde cooperazione. Gli eroi, secondo una notizia che il Vico attribuisce ad Aristotele, prestavano solenne

nemici della plebe

:

ecco

il

giuramento di essere eterni

loro spirito democratico

!

E

la

FILOSOFIA DEL VICO

176 «

romana virtù

»,

che

offre tanti e tanti

esempì gloriosi,

verso la plebe. Bruto, che consacra con due suoi figliuoli la sua casa alla libertà; Sce-

nessuno ne

che

offre di pietà

punire del fuoco la sua destra, atterrisce Porsenna; Manlio l'imperioso, che per un felice peccato di disciplina militare fa mozzare la testa al suo figliuolo

vola,

col

reduce da una vittoria;

Curzì, che

i

cavallo nella fossa fatale

;

la salvezza dei loro eserciti

;

i

gettano armati a

si

Deci, che

i

si

Fabrizì e

i

consacrano per Curi, che rifiu-

some d'oro dei sanniti e i regni di Pirro; gli Attili Regoli, che vanno a certa morte per serbare la santità romana dei giuramenti; che cosa fecero a prò della non se plebe, sempre più angariarla nelle guerre, sempre più profondamente sommergerla nel mare delle usure, sempre più seppellirla nelle prigioni private dei nobili, dove i plebei erano battuti a spalle nude a guisa di vilissimi tano

le



schiavi ? sciato

E

guai a colui tra

scorgere

la

gli aristocratici

più piccola

voglia

di

che avesse alleviare

la-

quei

Era subito accusato ribelle e traditore e messo a morte; come accadde in Roma a Manlio capitolino, che

mali!

aveva salvato

Campidoglio dall'incendio dei Galli e che pur tuttavia, per le sue simpatie democratiche, fu fatto precipitare dal monte Tarpeo; e accadde in Isparta (la città

degli eroi di Grecia,

mondo) colà,

il

il

al

magnanimo

come Roma

re Agide,

il

fu degli

eroi del

Manlio capitolino di

quale, perché aveva tentato di sgravare la povera

plebe lacedemone con una legge di conto nuovo e di sollevarla con un'altra testamentaria, fu dagli efori fatto strozzare.

La celebrata

appressa con

le

nella giustizia e

romana » sbalordisce chi vi si idee moderne di una virtù consistente nella benevolenza verso il genere umano. «

virtù

Quale virtù dove fu tanta superbia? quale moderazione dove tanta avarizia? quale mansuetudine dove tanta fierezza? quale giustizia dove tanta inegualità?

XV. LE SOCIETÀ EROICHE

modo che

Allo stesso

devano

verso

eroi

177

verso la plebe, durissimi proce-

proprie famiglie. L'educazione dei fanciulli era severa, aspra, crudele: gli spartani, al fine di avvezzarli a non temere dolori e morte, battevano gli

le

nel tempio di Diana

i loro figliuoli fino all'anima, talché sovente, convulsi dal dolore, cadevano morti sotto le bac-

chette dei padri. In Grecia come in Roma era permesso di uccidere gl'innocenti bambini di fresco nati, diversamente dai tempi moderni nei quali le delizie di che si cir-

condano

i

figliuoli

fanciulli

formano

la

delicatezza della

natura umana. Le mogli erano comperate con le doti eroiche (donde il costume, che rimase per solennità in Roma, dei matrimoni

« coiimptione et far re », di cui il simile viene narrato da Tacito degli antichi Germani e si deve stimare che fosse di tutti i popoli barbari) ed erano tenute per ;

sola necessità di natura, a uso di fare figliuoli,

come schiave

sto, trattate

:

il

che

si

e,

del re-

vede ancora in molte

parti del vecchio e quasi dappertutto nel nuovo mondo. Gli acquisti dei figliuoli, i risparmi delle mogli andavano

a esclusivo profitto dei loro padri e mariti. Rispondevano a siffatta costituzione politica e familiare gli abiti di vita, ignari di lussi, lautezze ed agi. I giuochi erano faticosi, come lotta e corsa, per fermare le forze e gli animi; o pericolosi, come giostre e cacce di fiere,

per adusare

al

disprezzo

delle

ferite e della

morte. Le

conducevano come guerre di religione, e perciò tutte atrocissime. Conseguenza di esse le schiavitù eroiche, nelle quali i vinti erano tenuti uomini senza Dio, onde con

guerre

si

la libertà civile

nieri erano

considerati

sommamente e Plutarco

perdevano anche quella naturale. Gli nemici

:

le

prime nazioni furono

Brigantaggio e corseggio, ammessi; veramente, Giustino) dice che gli eroi si

inospitali.

(o,

recavano a grande onore e si riputavano con l'esser chiamati « ladroni ».

B. Cuoce, La

stra-

filosofia

di Giambattista Vico.

in

pregio d'armi

12

FILOSOFIA DEL VICO

178

Era, insomma, una società uscente immediatamente da

come sappiamo, fu la crisi dello Usciva dalla preistoria, come si direbbe mo-

quell'età degli dèi che, stato ferino.

dernamente, ed entrava per

la

prima volta nella

storia,

ritenendo assai degli anteriori costumi, di quelli che il Vico (pensando ai solitari Polifemi delle grotte) chiamava «

Usciva dall'età dell'oro, dal-

».

imperi paterni ciclopici

l'età dell'innocenza, tanto mansueta, benigna, discreta,, comportevole e doverosa, come vogliono i dotti e i poeti, e che in realtà fu tutto un « fanatismo di superstizione »,

agitata dal continuo terrore della divinità, alla quale per placamento offriva vittime umane (di che si hanno tracce i

presso

fenici, gli

riche, e presso

con

la

i

sciti,

romani

i

germani, i popoli delle Ameche li sostituirono più tardi

stessi,

cerimonia del gittare fantocci di giunco nel Tevere) : i propri figliuoli, come ne serba ri-

sacrificavano perfino

cordo, tra l'altro,

il

sacrificio

che Agamennone offerse

d'Ifi-

genia. Ma in quella età degli dèi, attraverso e per opera di questa crudele superstizione, si fondarono le grandi istituzioni

umane:

il

culto religioso con

matrimoni,

le

la

divinazione per

sepolture. Nozze, tribunali ed

auspici,

i

are, e

togliere all'etere maligno e alle fiere

il

estinti, « diero alle

umane belve

esser pietose

i

»,

corpi degli

come

disse

Foscolo nei Sepolcri, verseggiando per l'appunto la poi prosa del Vico. Quei « ciclopi », che adunavano e conil

fondevano in sé

gli uffici del re,- del sapiente (sapiente in

divinazione) e del sacerdote, avevano posto dapprima le loro sedi sulle alture dei monti, in luoghi d'aria ventilata siti naturalmente forti, presso alle fontane perenni, dove erano nidi di aquile e di avoltoi (gli uccelli, dai quali furono tratti gli auspici). Donde l'im-

e perciò sana, in

portanza dell'acqua e del fuoco, diventati simboli della famiglia; e « aqua et igni » si strinsero i primi matrimoni, tra coloro che avevano l'acqua e il fuoco comuni, cioè ap-

XV. LE SOCIETÀ EROICHE

179

partenevano alla stessa famiglia, sicché dovettero cominciare tra fratelli e sorelle. Età fortemente morale, codesta dei ciclopi sebbene non quale la finsero dipoi i poeti effeminati che licesse ciò che piacesse, perché a quegli uomini, « storditi ad ogni gusto di nauseante riflessione »' ;

può anche oggi vedere da chi osservi il costume non piaceva se non ciò che era lecito, e non era lecito se non ciò che giovava. Erano giusti, (come

si

dei contadini),

della selvatica giustizia verso

ché avevano smesso e

magnanimi, come

il

loro dio; temperanti, per-

il

concubito ferino

;

forti,

industriosi

di necessità in quelle difficili e rischiose

condizioni di vita. Solo più tardi quei primi aggruppamenti si estesero alle pianure, che cominciarono a colti-

umani

vare; e da mediterranei che erano in origine, via via scesero alle marine, e navigarono e dedussero colonie.

Le «

le

famiglie,

«

genti

»

erano dunque prima

delle

città», e le città furono costituite dalle genti, collegate

in ordine, dalle

come vennero

«

gentes maiores

»

o

«

case nobili antiche

poi chiamate per distinguerle

dalle

»,

altre

accolte in séguito nell'ordine (per es., ai tempi di Giunio Bruto, per riempire i vuoti del senato romano dopo la

cacciata dei re), le quali si chiamarono invece « gentes minores ». Ma quelle genti o famiglie avevano in sé un elemento di differenziazione e di lotta. Le famiglie non erano

composte (come, pel solito errore di dare a vocaboli antichi significati moderni, si è generalmente creduto) dalle sole mogli e figliuoli, ma altresì dai fa moli, da coloro

meno

perduranti più a lungo nel divagamento ferino, finalmente, come le fiere talvolta, o pel gran freddo che,

forti e

o inseguite dai cacciatori, per campar la vita si riparano luoghi abitati,, avevano chiesto rifugio presso i più forti, nelle ròcche dei padri. Essi, in cambio della rice-

in

vuta protezione, lavoravano le terre dei padri, alle quali furono come affissi e annodati, onde si appellarono anche

FILOSOFIA DEL VICO

180 « «

nexi

ma

di

seguirono e servirono,

1^

»*,

clientes »

.

La

umano

si

dissero

perciò

consorzio, dopo quella naturale del matrimo-

nio; e costituì

il

consorzio feudale, che a torto si è creduto barbari, cioè del Medioevo,

alcuni tempi

di

particolare

e

società dei famoli coi padri fu la seconda for-

giacché esistette in tutte principio dei feudi

mondo. Come

eroiche e fu l'eterno

le società

onde nacquero tutte

le

repubbliche

al

Tacito dice parlando dei Germani, a questi

famoli e clienti

«

suum principem

et

defendere

tueri,

sua

quoque fortla facta glorice eius adsignare, prcecipuum iuramentum erat » che è una delle proprietà più spiccanti dei :

feudi. Del

resto,

non tanto

i

figli

degli eroi

si

distingue-

vano dai famoli quanto piuttosto visi confondevano: si distinguevano nel nome, « liberi », ma si confondevano nella eguale comune obbedienza e nella mancanza di propria personalità.

La contro

in cui si

necessità, i

trovarono

famoli che sovente

all'alleanza dei padri tra

i

padri di garantirsi

ammutinavano, die origine

si

all'ordine patrizio

loro,

e alla

Della quale città i famoli formarono la diritti di cittadini, perché tali essi non senza prima plebe, né di matrimoni erano, solenni, perché gli auspici stavano

città eroica.

solo presso

avevano

i

padri, né di testamenti, perché

i

e serbarono carattere politico d'imperio.

perciò esclusi dai comizi curiati, che si dri sotto le

testamenti

Ed erano

tenevano dai pa-

armi e che restarono dipoi per trattare

sacre; sotto

quale aspetto

il

si

guardavano

le cose

in quei primi

tempi dappertutto (in Roma, come nell'Egitto o nella Germania) anche le cose profane. I re dei patrizi, che ab-

biamo detto magistrati ticolarmente,

da opporre

Ma

i

ai

gli eroi

dine con la

dell'ordine, furono quindi, più par-

loro conduttori e

capitani nella resistenza

famoli o plebei.

non provvidero

sola

resistenza,

alla

stabilità del loro or-

fatta di forza; e

come

essi,

XV. LE SOCIETÀ EROICHE

181

sovrani nelle loro famiglie, quando si assoggettarono alla maggiore sovranità dell'ordine formarono una specie di

feudi nobili o armati, cosi per tenere contenti in qualche modo

i

famoli

all'obbedienza,

concessero

pur

loro,

senza accoglierli nella cittadinanza, una specie di feudo rustico. L'origine della proprietà appare in tal modo tutta diversa da quella leggiadramente poetica, secondo la quale gli uomini, ornati dalle virtù del secolo d'oro quando la giu-

dimorava

stizia

sulla terra,

prevedendo

rebbero potuti nascere dalla comunione, stati benigni arbitri nel tracciare

cando che ad di

ad

«

che può

domini,

ad

altri

abbondanti «

filoso-

che fanno nascere

— La concessione dei

prima legge agraria,

feudi ru-

distinse

i

tre

bonitario o dei soli frutti concesso dai patrizi

il

ai plebei,

dirsi la

altri

ai sapienti, e infine

rei politici »,

la proprietà dalla violenza. stici,

ad

altresì dall'origine

una volontaria sottomissione

da quella, escogitata da

sarebbero

tutte fertili,

altri affatto assetate,

acque perenni!; e diversa

fica » di

disordini che sa-

confini dei campi, cer-

non toccassero terre

altri

tutte infeconde,

i

i

essi stessi

il

quiritario

o

nobile

conservato

con

le

armi

presso i padri, e l'eminente, che spettava all'ordine tutto, cioè a tutto lo Stato patrizio. E perché nella ricchezza

era riposta la forza dell'ordine, le repubbliche eroiche, per serbare la ricchezza presso i nobili, si guardavano a tutto potere dall'arricchire le plebi, e nelle guerre (ecco la ra-

gione politica della vinti le sole

armi

rilasciavano loro

e, il

medesima ragione,

clemenza romana ») toglievano ai imponendo un tributo comportevole, dominio bonitario delle terre. Per la «

i

patrizi erano rattenutissimi di venire

alle guerre, nelle quali la

riva e

si

Anche

moltitudine dei plebei

si

agguer-

faceva pericolosa. le leggi solo

pur ritenendone

lentamente

si

staccarono dalla forza,

in ogni lor parte l'impronta e

Nelle repubbliche eroiche (afferma

il

il

ricordo.

Vico, anzi fa affermare

FILOSOFIA DEL VICO

182

da

Aristotele)

offese e

non v'erano dapprima leggi da punire

ammendare

torti

i

privati;

onde,

mancando

le le

leggi giudiziarie, ne veniva la necessità dei duelli e delle

rappresaglie, che perpetuavano le costumanze dell'età dell'innocenza o età degli dèi. La poesia e la storia ci descrivono alcuni di questi duelli, che erano giudizi armati, come quello di Menelao e Paride sotto le mura di

Troia e quello degli Orazì e Curiazì tra Roma ed Alba. Consiglio della provvidenza divina, acciocché tra genti barbare e di cortissimo raziocinio, che non intendevano ragione, da guerre non si seminassero guerre, e il torto e il

qualche modo discriminati dal credere di avere propizi o avversi gli dèi, secondo la vittoria o la diritto fossero in

sconfitta.

Ai giudizi armati si accompagnarono e seguirono giumezzo di formole verbali, le quali per l'abito reli-

dizi per

si adoperavano con iscrupolo sommo di a non alterarle pur d' una lettera {rebadando osservanza,

gioso degli animi

verborum). Orazio, che, per l'uccisione della sorella incorse nella legge « horrendi carminis », non potè essere ligio

assoluto

dai decemviri,

il

benché

'assolse (dice Livio) «

lo tenessero

innocente; e admiratione virtutis magis

popolo qiiam iure causce ». Anche piti tardi il diritto romano ritenne tanto di questi scrupoli di parole che esso appunto l

porse argomento a più commedie di Plauto, nelle quali i lenoni sono raggirati dai giovani innamorati, che li fanno trovare rei in qualche forinola di legge. Il diritto privato rispondeva pienamente alla costituzione economica di quelle società, che era del tutto naturale, ristretta alle cose necessarie della vita, senza uso di

danaro poi

si

;

e però

il

diritto

non conosceva

i

contratti

che

dissero compiersi col solo consenso. Tutte le obbli-

gazioni

si

assicuravano con

furono permutazioni,

le

la

mano,

locazioni

le

prime compere

di case consistevano in

XV. LE SOCIETÀ EROICHE

censi di suoli

183

da fabbricare, le locazioni dei terreni in i mandati erano ignoti.

enfiteusi, le società e

La materialità

dei primi contratti e la violenza dei primi via temperate, e diventarono simbofurono via processi liche. Come le finzioni della forza nei riti matrimoniali

rammentava la forza vera onde i prime femmine dentro le grotte;

giganti strascinavano le

cosi, egualmente, le cerimonie della mancipazione, dell'usucapione, della rivendicazione erano state dapprima atti realmente eseguiti. La

mancipazione si compieva, come si è detto, con vera mano ossia con forza effettiva (per es., nella occupazione, prima i domini); l'usucapione si celebrava col continuo ingombramento dei corpi sopra esse cose possedute; le rivendicazioni furono duelli, e le « condictiones », rappre-

fonte di tutti

saglie private. Divennero poi cerimonie o favole: la mancipazione, tradizione civile con atti e parole solenni (si

quis ita

nexum

faciet

mancipiumque,

uti lingua nuncupassit

ius esto)] l'usucapione, possesso che

con l'animo

;

le rappresaglie,

si finge ritenersi azioni personali con la so-

lennità di denunziarle o intimarle al

debitore. Si porta-

rono in piazza tante maschere quante erano •e

sotto la persona o

nascondevano

tutti

i

maschera

di

un padre

figliuoli e tutti

i

le

persone,

di famiglia si

servi della casa. In-

vece delle forme astratte, che ancora mancavano, si ebbero forme corporee animate: l'Eredità, per es., fu finta domina delle robe ereditarie e

in

ogni particolare cosa ereditata

fu ravvisata tutta intera; l'idea del

diritto indivisibile si

materializzava nella gleba o zolla di terra, che si presentava al giudice con la forinola « hunc fundum ». Quell'antica

giurisprudenza era tutta poetica: fingeva fatti non fatti, i non fatti fatti, nati i non nati ancora, morti i viventi, i i

morti vivi. nelle loro eredità giacenti. Introdusse tante vane

maschere senza soggetto (iura imaginaria), ragioni favoleggiate da fantasia; e le forinole, con le quali parlavano

FILOSOFIA DEL VICO

184 le leggi,

le loro circoscritte

per

role si dissero se

bene vi

si

«

carmina

rifletta,

». I

misure di

tali e

tante pa-

frammenti delle dodici tavole,

vanno

nella più parte dei loro capi

a terminare in versi adoni, che sono ultimi ritagli di versi eroici; e Cicerone per imitazione iniziò un paragrafo del De legibus col verso: « Ad Divos adeunto caste, pietatem adhibento

vare che delle

Nello stesso Cicerone

».

dodici

tavole

medesimo trovava

il

Vico riusciva a tro-

romani andavano cantando

fanciulli

i

«

tamquam

n ecessar htm

le

leggi

Carmen

il

»;

in Eliano a proposito dei fanciulli cre-

Minosse; e in altri autori, che le leggi secondo una tradizione, erano « poemi della dea egiziane, Iside », e che in versi o in prosa ritmiche furono formo-

tesi e delle leggi di

late quelle

ateniesi.

che Licurgo diede agli spartani e Bracone agli

Tutto

diritto

il

romano antico

fu

un

«

serioso

Vico dice altrove) « poèma quoddam poema », dramaticum romano rum », che si rappresentava dai romani o (come

il

nel fòro; e l'antica giurisprudenza, una severa poesia. Questa atmosfera poetica delle società eroiche, e questo atteggiarsi metrico dei loro linguaggi, trovano conferma in

molte testimonianze e documenti, in osservazioni e congetture di dotti, in ragguagli di viaggiatori e missionari. Gli ebraisti sono divisi d'opinione intorno all'essere composta la poesia ebraica di metri o di ritmi; ma Flavio Giuseppe, Origene, Eusebio (diceva

il

Vico, facendo sua un'af-

fermazione di san Girolamo) stanno a favore dei metri, e lo stesso san Girolamo vuole tessuta in verso eroico gran parte del Libro di Giobbe. Gli arabi, ignoranti di lettere,

conservarono

la

propria

poemi nazionali, Ano vincie orientali egizi

le

al

lingua con

tempo

in

tenere a

dell'impero greco. In versi

memorie

dei

defunti

;

memoria

i

cui inondarono le Proscrissero

gli

in versi

consegnarono le cinesi; inversi altresì (se-

prime, loro storie i persiani e i condo Tacito) i germani e (secondo afferma Giusto Lipsio)

XV. LE SOCIETÀ EROICHE

185

gli americani; e poiché, delle due ultime nazioni, la prima non fu conosciuta se non assai tardi dai romani e la seconda dagli europei solo alla fine del secolo decimoquinto, si ha forte argomento di congetturare il medesimo per

tutte le altre nazioni barbare, antiche e

primo verso, che

Il

ma

presso gli assiri,

i

si

moderne.

ritrova non solo presso

i

greci

fenici e gli egizi, fu quello eroico;

e per la tardezza delle menti e per la difficoltà della pro-

nunzia dovè nascere dapprima spondaico (onde non lasciò poi

mai nell'ultima sede

dosi più spedite le

spondeo), e solo di poi, facenmenti e le lingue, ammise il dattilo. In lo

séguito ancora, spedendosi lingue e nienti vieppiù, nacque il verso giambico (di piede presto, come dice Orazio), il di tutti alla prosa; tanto che i primi propiù somigliante satori, anteriori

a

Gorgia, usarono numeri quasi

poetici

ossia giambi, e di frequente la prosa scivola in questi. In

giambo fu verseggiata la tragedia, alla quale quel verso convenne per natura, perché nato per isfogare la collera di Archiloco si

(come

narra che l'avesse ritrovato per

isfo-

gare la sua contro Licambe); e se del giambo si valse poi la commedia, fu per una « vana osservazione d'esem-

anche plo

e

»

non perché

fosse connaturato

esso le

come

alla

tragedia.

Oltre che per

il

metro,

i

primi linguaggi di quelle so-

cietà erano poetici perché tutto di metafore attuose,

denti, di fetti o

il

loro corpo

d'immagini vive,

si

componeva

di somiglianze evi-

comparazioni acconce, di espressioni per

perle cagioni, per

le parti o

gli ef-

per gl'interi, di ellissi

o parlari difettosi, di pleonasmi o parlari soverchi, di ono-

matopeie o imitazioni di voci a suono, di accorciamenti, di parole congiunte, di circonlocuzioni minute, di aggiunti

individuati, di contorsioni

modi le

sintattiche e di

episodi. Tutti

da coloro che ignoravano voci proprie o che nel parlare con altrui mancavano di di farsi intendere, trovati

FILOSOFIA DEL VICO

186 voci intese da degli

ambe

le parti. Gli episodi infatti

scegliere delle cose ciò che a essi ciò che

non appartiene

torto è naturale

al

di spiegarsi tutto,

come

si

spettosi che proferiscono i

i

tra-

bisogna né tralasciare il parlare con-

loro proposito

effetto di chi

sono propri

non sanno

ignoranti e delle donnicciuole, che

;

non sappia o

sia impedito osservare può negli irati e dicasi retto e obliquo e tacciono

verbi. Persino le singole parole di quei linguaggi recano,

nella

loro

onde sorse

abbondanza il

parlare;

di

dittonghi, traccia

nelle lingue greca e francese, le quali

mente

e

del

cantare

e cosi ricche di dittonghi rimasero

immaturamente

passarono rapida-

dall'età spontanea alla riflessa.

Un

tesoro di forme eroiche deve offrire la lingua tedesca, con

sua ricchezza di voci composte che cosi felicemente traducono quelle greche e con la sua sintassi tanto più raggirata della latina quanto la latina è più della greca. Se la

i

dotti di essa lingua (ripete più volte

con bramosia sibile)

il

il

Vico, guardando

territorio della germanistica a lui inacces-

attenderanno a trovarne

le origini

mercé

i

principi

della Scienza nuova, vi faranno certamente discoperte

ma-

ravigliose.

Poetica

o,

per dir meglio, mitica fu altresì, presso quelle mondo, e poetiche le storie che

società, la concezione del

narrarono di sé medesime, e cioè delle loro origini e delle loro lotte e vicende;

anzi,

come

si

è visto, le loro poeti-

che concezioni di storia sociale precedono

le

loro conce-

zioni cosmologiche, fisiche e psicologiche. Applicando

flessibilmente questo criterio,

il

Vico svolse

la

in-

sua teogo-

nia naturale, sorta naturalmente nelle fantasie a certe occasioni di umane necessità e utilità: la genesi dei dodici dèi maggiori, ossia di quelli che

le

genti maggiori

fìnsero e in gran parte portarono seco allorché fondarono le città.

fulmini,

Giove o il

il Cielo fu, col suo parlare per cenni di datore delle prime leggi familiari; Giunone sim-

187

XV. LE SOCIETÀ EROICHE

nozze; Diana, la castità dei connubi; Apollo, la luce civile; Vulcano, Saturno e Cibele, rispettivamente il fuoco appiccato alle selve per diradarle, la seminagione le

boleggiò

e

la cultura delle terre; Marte,

avis et focis »; Venere, la

nere

«

celeste

buirono

»

sorse accanto

combattere eroico

«

prò

una "Venere plebea, cui

si attri-

colombe, non già per significare svisceratezze

le

amorose,

ma

aquile; e

un duplice

perché

«

degenere*

famoli, alle cui

»,

uccelli vili a petto delle

significato, patrizio e plebeo, fu dato e a Marte. Nelle dodici deità maggiori

parimente a Vulcano cominciarono a riflettersi coi

il

bellezza civile. Alla quale Ve-

tempestose relazioni dei padri lotte e sofferenze alludono i miti di le

Tantalo, d'Issione e di Sisifo. Ercole (le cui dodici fatiche sono storie poetiche di dodici diverse età) in quanto lotta con Anteo è carattere dei nobili delle città eroiche,

come Anteo nelle

e

prime

dei famoli ammutinati che città poste sulle alture

vengono ricondotti

(Anteo sollevato in aria),

vinti e annodati alla terra, e cioè costretti al lavoro ser-

vile.

La

nascita della decima divinità, Minerva, esprime

l'infiacchimento o diminuzione del potere eroico, perché Vulcano plebeo (i famoli ammutinati) con una scure (stru-

mento

di

bonitario ai plebei e dri.

L'ultima delle

tempo

il capo a Giove. comunicazione del dominio

chi esercita arti servili) fende

Mercurio rappresenta invece il

la

mantenimento del quiritario

dodici

divinità,

ai

pa-

Nettuno, sorge nel

della discesa delle genti alle marine, e le favole di

Minosse, degli argonauti, della guerra troiana, del ritorno Europa e del toro, del Minotauro, di Perseo, di Teseo, ricordano le colonie e i corseggi. di Ulisse, di

Il mitologizzamento della storia prosegue anche dopo fondazione della città. E, se non dèi propriamente, caratteri poetici sono quelli dei fondatori della civiltà, di

!a

Zoroastro o dei due Mercuri Trismegisti, di Orfeo o di Confucio. Esopo è carattere dei soci o famoli degli eroi, e

'FILOSOFIA DEL VICO

188

perciò fu detto brutto ossia privo di bellezza civile (honestas)', e dalla favola esopica della società leonina traspare a maraviglia la realtà del consorzio degli eroi coi famoli, messi a parte delle fatiche

non

Dracone, del quale

altro

si

ma non

poi delle prede.

sa dalle storie

greche se

non che impose leggi severissime, simboleggia la crudeltà degli eroi verso i famoli. Solone o fu un capoparte della plebe di Atene o, addirittura, un'idea degli stessi plebei considerati sotto

ateniesi,

zioni. Pitagora e

i

nonché

pitagorici,

formarono setta politica di

delle

l'aspetto

«

nobili

»,

i

loro

rivendica-

sublimi

di

quali,

filosofi,

avendo

at-

tentato di ridurre le loro repubbliche da popolari in aristocratiche, furono tutti tagliati a pezzi. Caratteri poetici

sono, nella storia romana, Romolo, al quale tribuite tutte le leggi intorno agli ordini;

vennero

Numa,

quelle intorno alle cose sacre e alle divine cerimonie Ostilio, delle

leggi e ordinamenti di

at-

autore di ;

Tulio

disciplina militare;

Servio Tullio, del censo (che, contrariamente alla verità

venne supposto fondamento di repubblica popoladdove fu di aristocratica); Tarquinio Prisco, delle lare, insegne e divise; perfino il decemvirato e le dodici tavole storica,

(intorno alle

Vico scrisse una speciale disserta-

il

quali

zione) diventarono caratteri poetici, perché a questi avve-

nimenti e personaggi furono riportate moltissime delle leggi posteriori agguagliatrici della libertà. Cosi,

vole

e,

prima che

prendessero a elaborare le fasotto l'illusione d'interpetrarle, effettivamente ne i

filosofi



e Platone, per es., introducesse in Giove l'idea del suo etere che scorre e penetra tutto, e altri

creassero di nuove,

in

Minerva che nasce dal capo

di

Giove vedessero

raffi-

gurata l'idea eterna di Dio generata in esso Dio, a contrasto delle idee negli uomini che sono prodotte da Dio, o nel

Caos e nell'Orco natura e

la

la

confusione dei semi universali della

prima materia delle cose,



i

poeti teologi vi

189

XV. LE SOCIETÀ. EROICHE

avevano espresso

le loro idee,

fisiche, nudrite tutte di casi

poco o niente metafisiche e e politici. Il Caos dei

umani

poeti teologi era la confusione dei semi umani nello stato dell'infame comunione delle donne: confuso perché senz'or-

dine di umanità, oscuro perché senza luce civile. L'Orco, mostro informe, divorava ogni cosa, perché gli uomini in quella comunione non avevano forme d'uomini ed erano assorbiti dal

nulla,

non lasciando, per l'incertezza elementi del

prole, nulla di sé. I quattro

mondo

della

rispon-

quattro elementi della vita sociale: l'aria dove fulminava Giove, l'acqua delle fonti perenni, il fuoco onde

devano

ai

furono bruciate, e la terra dove si esercita il lavoro umano. L' essere e il sussistere erano concepiti il

le selve

primo come il « mangiare » (ancora i contadini, per dire che l'ammalato è in vita, dicono che « mangia »!), e il secondo come

lo

corpo era ridotta

«

stare sui

talloni ».

ai solidi e ai liquidi,

La compagine

del

l'anima all'aria, la

generazione al « conclpere » o « concapere », ossia prendere d'ogni intorno i corpi vicini, vincerne la resistenza e adeguarli e conformarli alla propria natura; e tutte le

operazioni interne dell'anima,

al

capo, al petto e al cuore.

vita di quelle società, Anguste, perché erano le idee cosmografiche. Il primo cielo non fu messo più in su delle alture dei monti, dove i giganti videro ristrette alla

scoppiare

i

non fu più profondo di un poco venne ampliato e profon-

fulmini; l'inferno

fosso, e soltanto a poco a

valli, come opposte al cielo, ossia alle cime dei monti; la terra s'identificava coi confini dei campi col-

dato nelle

Col progresso dei tempi il cielo, oggetto di contemplazione per trarne auguri, si alzò più in su, e con esso più in su gli dèi e gli eroi, i quali furono affissi ai pianeti tivati.

e alle costellazioni,

e

si

ebbe cosi l'astronomia poetica.

Poetica del pari era la cronologia primitiva, nella quale gli anni erano noverati con le raccolte del frumento, come

FILOSOFIA DEL VICO

190

Post aliquot, mea regna, videns miràbor aristasmessis erat virgiliani, e anche l'uso odierno dei contadini toscani, che, invece di « tre anni », dicono

mostrano

e

il

il

tertia

abbiamo tre volte mietuto ». La conoscenza geografica non si estendeva di là dal paese abitato da ciascuna na«

zione: che è la ragione per la quale

i

portandosi

popoli,

in terre straniere e lontane, dettero alle

nuove

città e ai

nuovi monti, colli, stretti, isole e promontori i medesimi nomi, che avevano quelli della loro patria d'origine. L'Asia o l'India fu dapprima, pei greci, la parte orientale della Grecia stessa; l'Europa o l'Esperia, quella occidentale; la il

Tracia o la Scizia, la settentrionale; la Mauritania (donde Vico faceva derivare il nome di Morea), la meridionale.

Ma noi non esporremo altri particolari (e moltissimi ne abbiamo già tralasciati), perché non è nelle particolari determinazioni il pregio del quadro che il Vico dipinge dell'età eroica. Etimologie,

successione cronologica delle

interpetrazioni mitiche, genesi e deità', genesi e successione

delle

forme fonetiche, metriche o

contestabili

una per una,

damenti eruditi alquanto

stilistiche, tutte

o quasi

tutte

sono

poggiano su fon-

ma, dal loro complesso,

fragili,

sprigiona una verità che va oltre le particolari affermazioni. Il loro complesso è il possente sforzo di rievocare una forma di società e di umanità vivente senza dubsi

bio nei ricordi. e nei bile

del

ancora qua e



monumenti sopravanzati, frammentariamente

mondo moderno, ma che per come sepolta

del Vico, era stata

gini estranee, di paradigmi

d'ogni sorta, genuini.

secoli,

sotto

un cumulo d'imma-

convenzionali,

che impedivano

di

riconosci-

alcune parti e ancora ai tempi in

scorgerne

di i

pregiudizi lineamenti

XVI Omero e la poesia primitiva

D«'ella non

gli

società eroica fu poeta

Omero

scienze e arti più sublimi, che

antichi avevano

mune cora

e se tale egli fa,

potè appartenere quella profonda saggezza, quella

somma

squisita ed elevata moralità, quella le

;

immaginato

dei letterati e critici

i

filosofi e gli

di lui, e che

del

perizia in tutte scrittori

l'opinione

co-

secolo decimosettimo

an-

gli attribuiva.

sarebbe stato Omero, se fosse stato filosofo; quale stolto ordinatore della greca civiltà, se avesse inteso a ordinare civiltà! Il suo Giove adduce

Quale stravagante

filosofo

per misura della riverenza che sua Minerva, non contenta d'avere bisognava a terra stesa Venere, percuote Marte con un sasso, Marte a sua volta la chiama mosca sfacciata, Giunone strappa il la forza, la forza brutale,

avergli; la

rompe sulla schiena; un semferisce Venere e Marte. Gli eroi mortale, Diomede, plice Achille e Agamennone si scagliano l'un l'altro contumelie, quali ora appena userebbero i servi nelle commedie, diturcasso a Diana e glielo

cendosi

«

occhi di cane

»

e

«

cuore di cervo

» ;

e conten-

dono nel modo più rozzo per le Briseidi e per le Criseidi. Fieri di costumi, abbandonano i cadaveri dei nemici al pasto dei cani e corvi

;

intemperanti nel godere,

si

ubbria-

FILOSOFIA DEL VICO

192 cano. Altezza spirituale

si

d'intelletto,

d'animo, equilibrio

gentilezza

cercherebbero indarno in

sentimenti. Quegli eroi

si

tutti

i

loro

atti

e

dimostrano, invece, di cortissimo

intendimento, di vastissima fantasia, di violentissime passioni, zotici, crudi, aspri, fieri, orgogliosi, diffidenti e osti-

nati

nei

propositi

e,

al

stesso, mobilissimi a ogni

tempo

presenti innanzi. Anche qui il riscontro più calzante può essere offerto dalla psicologia dei contadini; i quali, come giornalmente si osserva, a ogni

nuovo oggetto che

loro

si

motivo

di ragione che loro si dica, si rimettono, ma, perché deboli di raziocinio, lasciando subito sfuggire il concetto che li aveva persuasi, tornano facilmente al primo

proposito. Parimente gli eroi omerici talora, al primo detto che si odono opporre, si acquetano; tal'altra, nel bollore della collera, si

rimembrando a un

dileguano in amarissimi

tratto

pianti; o,

cosa lagrimevole,

mentre sono

afflitti

da somma angoscia, presentandosi loro innanzi cosa lieta (come a Ulisse la cena di Alcinoo) si dimenticano affatto di guai e tutti si sciolgono in allegria; o, infine, mentre stanno riposati e quieti, a un'innocente parola altrui che loro non vada all'umore montano in si cieca collera da minacciare presente atroce morte a chi la profferì. Anche le virtù che sono loro proprie in sommo grado, quel loro animo aperto, risentito, magnanimo e generoso, reca impresso il medesimo carattere di passionalità e d'irriflessione. L'eroe degli eroi, Achille, colui che porta seco i fati di Troia, per (la

con

una privata

quale, per grave che fosse, la

da Agamennone non era giusto vendicare

offesa

fattagli

rovina della patria e di tutta

la nazione),

si

com-

piace che vadano in perdizione tutti i greci, battuti miseramente da Ettore. Né si risolve a recar loro soccorso se

non per dare soddisfacimento a un suo privato dolore, di avere Ettore ucciso il suo Patroclo. E almeno foss'egli venuto in quell'estremo sdegno per passione d'amore e per

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

XVI.

Ma

gelosia!

la Briseicle toltagli

per

da Agamennone,

da empirne

per la quale

fa tanto fracasso

e porgere

materia perpetua all'Ilìade,

la

stra, in tutto

il

193

la terra e

il



e

cielo

— Achille non mo-

corso del poema, pur un

menomo

senso di

amorosi come più piccolo segno Menelao, che per Elena rapitagli muove Grecia tutta contro Troia, ma non mai si tormenta di gelosia perché Paride se la goda. Privo di ogni senso di umanità, Achille a affetti

di questi

;

non dà

il

Ettore che vuole patteggiare con lui la sepoltura se nell'abbattimento l'uccida, nulla riflettendo all'egualità del

grado, nulla o

i

morte che

alla

tutti

agguaglia,

feroce

ri-

uomini patteggiarono coi leoni, Quando e ebbero uniformità di voleri? »; e lupi gli agnelli

sponde:

«

inai gli

(soggiunge), « se t'avrò ucciso, ti trascinerò nudo legato al mio cocchio per tre giorni d'intorno alle mura di Troia » (come realmente poi fece); e, finalmente: « ti «

anzi

»

darò a mangiare

pur

ai

miei cani di caccia

fatto, se l'infelice padre

lui a riscattarne

il

».

Priamo non

cadavere. Ma, anche

E

questo avrebbe

fosse

venuto da

in quell'incontro

sommamente pietoso (continua il Vico, rifacendo alquanto a suo modo il testo omerico), ricevuto Priamo nella sua tenda, il

quale di notte, con la scorta di Mercurio, era passato

mezzo al campo dei greci, e ammessolo a cenar seco, per un sol detto che all'infelice vecchio cade involontariamente di bocca lamentando la perdita di si vatutto

solo per

loroso figliuolo, dimentico delle santissime leggi dell'ospitalità,

non rattenuto dalla fede onde Priamo

lui affidato,

di

un

nulla

commosso

dalle

tal re, nulla dalla pietà di

un

si

era tutto a

molte e gravi miserie

padre, nulla dalla venerazione di un tanto vecchio, nulla riflettendo alla fortuna comune della quale non vi ha cosa che pili vaglia a muotal

vere compatimento, montato in una collera bestiale gì' intuona sopra che « gli vuol mozzare la testa » Della Bri!

seicle toltagli

B. Ckoce,

La

nemmeno morto

filosofia

si

di Giambattista Vico.

placa, se l'infelice bellis-

i:>

FILOSOFIA DEL VICO

194

sima real donzella Polissena, della rovinata casa del poc'anzi ricco e potente Priamo, divenuta misera schiava, non gli

venga

sacrificata

sepolcro e le sue ceneri assetate di

sul

vendetta non bevano l'ultima goccia di quel sangue innocente. E giù. nell'inferno Achille, domandato da Ulisse

come

vi stia volentieri, risponde che « vorrebbe essere

vilissimo schiavo,

ma

vivo

con l'aggiunto perpetuo

»

che Omero, canta

(àjiójAwv),

virtù eroica.

della

un

Un

siffatto

esempio che pone tutta la ragione nella punta della lancia, può altrimenti intendere se non come un uomo or-

eroe, si

goglioso, la

!

— Questo è l'eroe

d' « irreprensibile

ai popoli greci in

non

»

il

quale ora

mosca per innanzi

si

direbbe che non

alla

si

faccia passare

punta del naso.

più grandi caratteri di Omero sono tanto sconvenostra natura civile, le comparazioni delle quali egli si vale hanno a lor materia belve e altre cose da fanselvagge. E se per i costumi che rappresenta

Se

i

nevoli

alla



ciulli per la leggerezza delle menti, da femmine per la robustezza della fantasia, da violentissimi giovani per il

fervido bollore della collera,



per le favole degne di vecchierella che intrattenga bimbi ond'è piena l'Odissea,. non si può attribuire a Omero nessuna sapienza riposta j e

quel suo cotanto riuscire nelle fiere comparazioni non è certamente da ingegno addimesticato e incivilito da alcuna filosofia. Né da animo che sia umanato e impietosito da filosofia stile,

potrebbe nascere quella truculenza e fierezza. di si descrivono tante e si varie e sanguinose bat-

onde

taglie, tante e si diverse e tutte in istravaganti guise

cru-

delissime specie di ammazzamenti, che particolarmente formano la sublimità dell'Ilìade.

Ma gli

chi fu,

in

realtà,

antichi scrittori, che

Omero? Che cosa

si

cosa di

trae dai

suoi

lui

dicono

poemi?

A

leggere l'Iliade e l'Odissea senza pregiudizi, a ogni passo ci si

avventano

agli occhi e ci offendono

stravaganze e in-

XVI.

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

195

coerenze. Incoerenze di costumi, che trasportano or di qua or di là a tempi lontanissimi tra loro: da una parte si

vede Achille, l'eroe della forza; dall'altra, Ulisse, l'eroe della saggezza; da una parte, la crudezza, la villania, la i

ferocia, l'atrocità; dall'altra, di Calipso,

piaceri di Circe,

i

tempi dei proci, che

una

nelopi; da

tentano

i

lussi di

Alcinoo, le delizie

canti delle sirene,

anzi assediano

parte, costumi rustici

le

i

passa-

caste Pe-

e ruvidi, dall'altra

giuochi, vesti magnifiche, cibi squisiti e arti d'intagliare in bassorilievo e fondere in metalli da una parte, rigida società eroica, dall'altra, perfino, accenni a libertà popolari. ;

Questi costumi cosi delicati mal si convengono con gli altri tanto selvaggi e fieri, che nello stesso tempo si nar-

rano dei medesimi eroi, particolarmente nell'Iliade. Messi insieme tutti a un tempo, riescono incompossibili: dai costumi dell'età troiana del si

tempo

di

Numa;

si

sbalza senza transizione a quelli

è costretti a pensare che

ne placidi s coè'ant inmitia », due poemi furono per più età

«

talché, i

da più mani lavorati e condotti. Incoerenze di allusioni geografiche, che anch'esse trabalzano in ambienti fisici e

diversi e lontani:

settentrione

;

l'Iliade all'oriente

l'Odissea,

all'occidente,

della Grecia, verso verso mezzodì. In-

coerenze di linguaggio, sconcezze di favellari, che permangono nonostante l'emendazione di Aristarco, e per la quale si sono proposte le più strane teorie, come quella

che Omero sarebbe andato raccogliendo

da

il

suo linguaggio

tutte le varie popolazioni greche.

Dai poemi passando alle tradizioni circa il loro autore, nessuna fede meritano le vite di Omero scritte da Erodoto (o

da chi

altri

ne

sia l'autore) e

da Plutarco (dallo pseudo

Plutarco). Intorno a Omero mancano mentari: proprio dove dagli antichi

che fu buio.

il

maggior lume

Non

si

sa di

di Grecia,

Omero né

il

siamo

tempo

notizie

le si

tratta

più eledi questo

lasciati affatto al

in

cui visse né

il

FILOSOFIA DEL VICO

196

luogo di nascita ciascuno dei popoli di Grecia lo rivendicava suo cittadino. Si narra bensì ch'egli fosse povero e :

ma

cieco;

codeste sono di quelle minute particolarità che

mettono sospetto, come muove a riso ciò che dice Longino che Omero da giovane componesse l' Iliade e da vecchio l'Odissea. Mirabile che

uomo

faccende di un

conoscessero queste private del quale s' ignoravano poi due cose si

tempo e il luogo E la critica deve domandarsi, anzitutto, come mai fosse possibile che un sol uomo componesse due cosi lunghi poemi, in un'età nella quale da nulla:

il

!

non esisteva ancora

una

la scrittura;

giacché

le

tre iscrizioni

d'Ippocoonte e la terza con troppo buona fede parla il Vossio, sono imposture, simili alle tante che sogliono eseeroiche, di

di Anfitrione, l'altra

Laomedonte,

guire

delle quali

falsificatori di

i

Per

tutte

medaglie antiche.

queste considerazioni sorse

nel Vico

il

so-

Omero non fosse, per lo meno in tutto e per tutto, un personaggio reale, ma anch'esso « per la meta » uno di quei caratteri poetici ai quali si erano riportate nel-

spetto che

lunghe serie di azioni, opere e avvenimenti. Se prova a pensare che i poemi omerici non siano l'invenzione di un individuo, ma due grandi tesori dei l'antichità

infatti ci si

costumi della Grecia antichissima, che contengono del diritto naturale e dell'età eroica delle genti

la storia

greche che a uno o due poeti singoli si pensa a un popolo intero poetante; invece che a due opere di getto, a ;

se invece

una poesia popolare

svoltasi per secoli

:

tutto si rischiara e

riaccorda. Si spiegano le stravaganze delle favole, perché la composizione dell' Iliade e dell'Odissea appartiene alla si

terza età di quelle, vere e severe presso i poeti teologi, alterate e corrotte presso gli eroici, e ricevute cosi corrotte nei due poemi. Si spiegano le varietà dei costumi, richia-

manti

le-

giovane

e

varie età della composizione; e altresì l'Omero l'Omero vecchio, simbolo del più antico e del

XVI.

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

197

più recente tempo della Grecia primitiva. Si spiega la valuoghi di nascita e di morte, assegnati al loro autore, e le varietà dei suoi linguaggi, perché vari furono

rietà dei

popoli che produssero quei canti. Si spiega, infine, perché ogni popolo greco volle Omero suo concittadino, per la ragione cioè che essi popoli per l'appunto furono que-

i

st'Omero; e perché fosse detto cieco e mendico, perché tali erano di solito i cantori che giravano per le fiere recitando le storie. Bisogna dunque che Omero, perché sia inteso nella sua verità,

venga sperduto dentro come un'idea

la folla o carat-

dei greci popoli eroico di uomini greci in quanto narravano cantando le loro storie. Cosi quelle che sono sconcezze e. ine considerato

tere

verisimiglianze nell'Omero finora creduto, diventano nell'Omero qui ritrovato tutte convenevolezze e necessità. E,

aggiunge una sfolgorantissima lode d'essere stato il primo storico a noi pervenuto dell'intera Grecia. In Omero si ha il documento della primitiva ideninnanzi tutto,

gli si

tità di storia e poesia,

una conferma

e

di quel

che

il

Vico

credeva di leggere in Strabone, cioè che prima di Erodoto, anzi prima di Ecateo milesio, la storia dei popoli di Grecia fu scritta dai loro poeti. Nell'Odissea, volendosi lodare al-

cuno per avere ben narrata una storia, raccontata da musico e da cantore ».

si

dice

«

averla

feconde congetture istiIl Vico non si perde in poco tuendo indagini più particolari circa il modo di elaborazione dei poemi omerici. Propende tuttavia,

come

s'è visto,

per due principali autori poeti, l'uno per l'Iliade, nativo dell'oriente di Grecia, verso settentrione, l'altro per YOdissea, nativo dell'occidente verso mezzodì; e il nome «

Omero

»

intende come di compositore e legatore di facanto, a causa del significato puramente

vole. Ma, d'altro

nome, non è da escludere, due Omeri fossero, a loro

ideale che per lui ha quel

forse,

l'interpetrazione che

volta,

i

FILOSOFIA DEL VICO

198

due correnti poetiche e due gruppi di popoli o di cantori popolari. Le persone storiche, che egli si trova innanzi, sono i rapsodi, uomini volgari che paratamente, chi uno chi altro, andavano recitando i canti d'Omero nelle fiere e nelle feste per le città

greche. Lunga età corse dalla primitiva composizione fino ai Pisistratidi, i quali fecero dividere e disporre i canti omerici nei due gruppi delY Iliade e dell'Odissea (donde si deduce quanto innanzi stati una confusa congerie di cose), e ordinarono che d'indi in poi fossero cantati dai rapsodi nelle

dovessero essere

feste panatenaiche.

Comunque, non è di certo in questa risoluzione materialmente intesa dell'individuo Omero in un mito o carattere poetico l'importanza (come, forse, non è la verità) della teoria vichiana. Dalle incoerenze ch'egli non pel primo notava, e

non sempre con esattezza

(la qual cosa, essendo poco rilievo, agevole compensare osservazioni inesatte con le molte altre esatte da lui tra-

per altro, è di le

non c'era rigoroso passaggio logico all'affermazione della non esistenza di un Omero individuo, princi-

lasciate),

pale autore di

uno

o di entrambi

renze" valevano a dimostrare che

il

i

poemi. Quelle incoe-

poeta o

i

poeti lavora-

rono sopra una ricca materia tradizionale, della provenienza più varia per luoghi e per tempi, e non tanto disposta a strati secondo la provenienza (che era a un dipresso

l'fpotesi

piuttosto in tutti

messa innanzi dal D'Aubignac), quanto i

suoi strati mescolata e sconvolta.

o molti poeti, ovvero molti poeti e loro canti, o

una società

un abile

Uno

collettore dei

queste e altrettali ipotesi si potevano proporre (come si sono proposte di poi) con pari diritto, e sostenere (come sono state sodi abili collettori;

stenute) con argomentazioni parimente valide e parimente difettose perché non documentabili. Ma nel fondo di quella

risoluzione di

Omero

in

un carattere poetico (come analo-

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

XVI.

in altre simili risoluzioni fatte o tentate dal Vico)

gamente era

la

199

laboriosa genesi storica at-

scoperta della lunga e

traverso cui era passata la

materia

in questo senso, ben potevano

di quei

poemi, che,

prodotto di collaborazione dell'intero popolo greco. La sostituzione a Omero di un popolo di Omeri fu, anche questa volta, la mitologia tessuta dal Vico sulla propria scoperta: mitologia che dirsi


Parimente l'ana-

Vico svolge del costume dei poemi omerici, oltre che non del tutto nuova, può ben essere, ed è veralisi

che

il

mente, non solo qua e Ih mista di qualche inesattezza, ma, Ciò nonostante, quel-

in genere, esagerata e unilaterale. l'analisi,

nuove vie

progresso e apriva tro

modo

si

alla

poteva abbattere

il

critica.

E

in

immenso qual

al-

fantoccio del-

resistente

signore e buon principe,

l'eroe omerico ingentilito, gran

esempio imitabile

un

rappresentava

nell'insieme,

presa

di virtù civili, militari e private, se

non

scagliandogli contro quell'Achille contadinesco, tutto passioni elementari, violento, testardo, irriflessivo, pronto al-

l'impeto generoso

Né minore

ma non meno

progresso

-artistica della poesia

il

Vico

omerica

:

allo

sfogamento bestiale?

fa

compiere all'intelligenza ed ò qui anzi la sua mag-

giore originalità. La riconosciuta mancanza di buona e ragionata filosofia nel poeta Omero sarebbe stata per ogni altro critico di quel

tempo

(ed era infatti pel D'Aubignac)

l'enunciazione di un grave biasimo; ma in bocca al Vico, e in conseguenza delle sue nuove idee estetiche, suonava si scorgevano in Omero a*l lume deli inducevano critici della scuola neol'intellettualismo,

lode. Gli errori, che

classica,

«

omerofili

»

ardenti, a ripetere volentieri l'ora-

quandoque bonus donnitat Homerus ». Mail Vico, * se cosi spesso non avesse dormicchiato, Omero non sarebbe stato cosi buon poeta » (« nisi ita ziano:

«

tutt'all'opposto

:

!

scepe

dormitaret,

nunquam

bonus

fuisset

Homerus!

»):

FILOSOFIA DEL VICO

200

appunto perché simo.

filosofo

non

fu,

Ebbe memoria vigorosa,

sublime

onde né

;

filosofie

Omero

fu

fantasia

poeta grandis-

robusta, ingegno

né arti poetiche e critiche, le un altro poeta che

quali vennero appresso, poterono fare

per corti spazi gli tenesse dietro. Caratteri eroici si seppero fingere solamente dà lui; le sue comparazioni sono incomparabili; le sue sentenze s'innalzano, insino al cielo sublimi, e sono individuate in coloro che le sentono, prodotte in forza di un'accesa fantasia; la sua locuzione,

piena d'evidenza e di splendore; la sua favella, tutta per somiglianze, immagini, paragoni, priva di quelle idee di generi e di specie che definiscono intellettivamente le cose.. Egli non è delicato ma grande, perché la delicatezza è una piccola virtd e la grandezza naturalmente disprezza le cose piccole: anzi (diceva il Vico con uno dei suoi magni-

paragoni tante volte ripetuto di poi), a quel modo che un grande rovinoso torrente non può far di meno di por-

fici

tare seco torbide l'acque e rotolare sassi e tronchi con la violenza del corso, cosi in Omero si trovano sovente detti di cose vili. Ma il torrente corre impetuoso e superbo con tutte

le scorie

che trascina seco;

e

Omero, nonostante

le

sue rozzezze, e in parte a cagione di esse, è pur sempre padre e il principe di tutti gli altri poeti. La rinnovazione della critica omerica portava implicita

il

in sé la rinnovazione di tutta la

Ma

il

storia

letteraria

Vico fa solo pochi accenni ad non era uno specialista (ignorava

storia: egli

non

scrisse «da specialista, e troppe volte,

solvere col documento e col pensiero

poneva,

antica.

altri punti di questa

li

risolse

era sempre in lui poeti ciclici

con

i

il

greco),

non potendo

problemi che

si

ri-

pro-

immaginazione, la quale per altro tutta solcata da lampi di verità. Cosi i l'

non saranno

stati

denominati a questo

modo

dal circolo di genti volgari in mezzo al quale (simili ai « Rinaldi » o cantastorie, che il Vico vedeva sul molo di

XVI.

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

201

Napoli) declamavano i poemi, e quel circolo non avrà nulla da vedere col « vilem patulumque orbem » oraziano ma ;

che

fossero poco diversi dai cantastorie,

essi

non

male

è

osservato. Cosi non e il caso d'indugiarsi sulle sue congetture circa l'età di Esiodo o di Esopo, né si prenderanno alla lettera le

epoche che egli stabilisce della

tre

inni religiosi, canti funerari per eroi morti,

melica o

«

arie per

rebbe Pindaro, che della Grecia,

cantarono

;

musica fiori

ammirata

pure, è qui

»,

lirica

:

e, infine, lirica

nella quale ultima rientre-

nei tempi della virtù

«

pomposa

»

dove tali poeti divario tra la lirica

nei giuochi olimpici

ben avvertito

il

primitiva e quella affinata e dotta. Della tragedia il Vico pone l'origine nel ditirambo o satira drammatica (di cui nessun esempio si era serbato) e in costumanze villeresche

che ravvicina a quelle che erano vive ancora ai suoi giorni nella Campania durante la stagione della vendemmia e ;

ne nota

le relazioni

con

quando già era spento affiatandosi con

la

l'epos.

lo

La tragedia nacque

spirito eroico,

poesia

omerica,

e

si

rozza,

perfezionò

ispirandosi ai perso-

naggi di questa e rifuggendo da caratteri di nuova invenzione. Strettamente imparentata con la tragedia fu la

com-

media antica, derivata anch'essa da un coro e serbante

la

sua impronta arcaica in quel porre sulla scena personaggi viventi e fatti reali. Un profondo rivolgimento di spirito segnò, invece, la

commedia nuova, dove

la filosofia fece

sentire direttamente la propria efficacia. Ai generi stici

fanta-

erano succeduti gl'intelligibili e ragionati; e Monan-

nuova commedia, vissuti ai tempi umanissimi della Grecia, presero i generi intelligibili dei costumi umani e li portarono in ritratti nelle loro comdro e

gli altri poeti della

medie, sulle

rono perciò

ma

si

quali

filosofia socratica.

I

sente

che è passato

personaggi della il

soffio della

fu-

e non pili personaggi pubblici coro è un pubblico che ragiona

finti di getto,

privati; e, poiché

il

nuova commedia

FILOSOFIA DEL VICO

202 e di

non altro che di cose pubbliche,

non potè più avere luogo

coro. Si

il

quel tempo, a introdurre nella poesia eroi

moralmente

Aristotele,

perfetti.

in quella

commedia

cominciarono, circa eroi

ottimi, gli

memore

della forte

gli

individuazione dei caratteri omerici, ancora alzava in precetto d'arte poetica che gli eroi di tragedia non siano né ottimi



si

pessimi,

Ma

bene mescolati

grandi virtù e

di

grandi poeti tempi foggiarono un « eroismo di virtù dell'idea costruita dai fi», giovandosi losofi: un eroismo che può chiamarsi, perfino, « galante ». vizi.

dei

i

Essi o finsero perciò

tardi

nuove

favole

di

pianta, o le favole,

nate dapprima gravi e severe quali convenivano a fondatori di nazioni, effeminarono piegandole all'effeminarsi dei costumi. Galante è altresì

«

il

pastoreccio

»

dei

bucolici

marci di amore greci, dei Mosco e degli Anacreonte, delicatissimo ». Un'osservazione generale intorno alla let«

teratura greca

e

romana

è che

in

esse furono con tanto

confini della poesia e della

rigore guardati reciprocamente prosa che nessun antico scrisse orazioni e poemi insieme i

(unica eccezione forse, i cattivi versi, ridettila poemata, di Cicerone); il che il Vico tentava di spiegare coi costumi

democratici che costringevano

samente lontani dal culto

maginosi, poco intelligibili

mento all'agevole Della

gli oratori a tenersi studio-

modi d'espressione

di

popolo e

al

romana

il

im-

perciò d'impedi-

e piena notizia delle cause

letteratura

alti e

da giudicare.

Vico non discorre con

la

larghezza usata per la greca, la quale gli porgeva docu-

menti ben più primitivi. Intravvide, per di essa, qualcosa di

altro, negli inizi

alla letteratura greca:

primi primi autori della lingua latina furono i Sali, poeti sacri; e ciò convenevolmente ai principi dell'umanità delle nazioni, le quali nei primi tempi, che furono religiosi, non poeti e

analogo

i

i

dovettero altro lodare che gli dèi. E al modo stesso che quelle più antiche memorie a noi giunte della lingua latina,

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

XVI.

ossia

i

eroico, fatori

203

saliari, hanno un'aria di verso medesimo metro si sente nelle memorie dei trionromani, come nel « Duello magno dirimendo, regibus

frantumi degl'inni

il

subigendis

»

di

Lucio Emilio Regillo, e nel

maxlmas

prosternit

legiones

«

Fundit, fugat,

Anche come Livio An-

di Acilio Glabrione.

»

primi poeti romani cantarono storie vere, dronico (diceva il Vico, seguendo un errore di Celio Rodigino) la Romanide, contenente gli annali degli antichi roi

mani, e Nevio e poi Ennio persone diversamente dai greci,

camminarono con

i

guerre cartaginesi; e

le

reali e

sparlava di

per

romani,

la satira

più notorie. Senonché,

lo i

quali nei loro costumi

giusto passo, non fecero rapido e brusco

passaggio dalla barbarie alla delicatezza, epperò perderono

veduta

affatto di

ma

la loro storia degli dèi (che

Varrone chia-

tempo oscuro » dei romani), e conservarono quindi in favella volgare solamente la storia eroica, che si stende «

da Romolo

fino alle leggi Publilia e Petelia.

La

letteratura

romana, nei suoi maggiori monumenti, è opera di poeti colti, quale fu Virgilio, che il Vico ammira per la profonda scienza delle antichità eroiche, ma di cui dice (in contrasto con la critica neoclassica e, come a lui pareva, in accordo col sentimento di Plutarco e di Longino) che, in

quanto a forza poetica, non si può metterlo neppure a conOmero. Di Lucrezio giudica che portò in lin-

fronto con

gua

nuova materia poetiche introduzioni e d' una

latina, e per dippiù in versi, un'affatto

greca, ma, a riserva delle o altra digressione (come quella della delicata inimitabile descrizione della tenera giovenca che ha perduto la madre, e

quella, incomparabile

nel

genere grande, ove de-

scrive la pestilenza di Atene), del rimanente tratta le materie fisiche con istile niente diverso da quello con cui si

sarebbero insegnate in una scuola latina di filosofia naturale: laddove Virgilio, nella Georg ica, tratta dell'arte villereccia

«

poeticamente

».

Poesia colta e riflessa è altresì

FILOSOFIA DEL VICO

204

ii quale, come Pindaro nei tempi pomposi della le sue odi in quelli più « sfoggiosi » di lavorò Grecia,

in Orazio,

cioè ai tempi di Augusto.

Roma,

Una

letteratura che gli avrebbe offerto elementi pre-

studio della poesia primitiva, sarebbe stata quella biblica; e il Vico muove in verità qualche passo

ziosi

per

lo

per avvicinarlesi, quando nota che la poesia fu la lingua primitiva di tutte le nazioni, «anche dell'ebrea »; che la lingua ebraica omnis poetica

est

parabolis ac similitudinibus

non fece nessun uso della sapienza ridei sacerdoti posta egiziani » e tessè la sua storia « con parlari che hanno molto di conformità con quelli di Omero, e

referto,; e

spesso

li

che Mosè

«

vince nella sublimità dell'espressione

».

Ma

subito

ne discosta, quasi un istinto lo avverta che gli poteva accadere di trattare il Pentateuco come l' Iliade e Mosè come

se

Omero. Onde con cui Dio

si

accade di estasiarsi innanzi a quel motto descrive a Mosè: « Ego sum qui sum », che è

gli

una profondità metafisica (egli dice) raggiunta dai greci appena con» Platone, il quale concepì Dio come xb 8v, e ignodi

rata fino a tempi tardissimi dai latini; tanto che la voce « ens » non è latina pura ma della bassa latinità. Ovvero insiste i

perché

greci

un

si

osservi che nei tempi nei quali correva tra

diritto naturale tutto superstizione e fierezza, Id-

dio dette al suo popolo circa

i

dogmi

una legge

della divinità e

si

«

si

ripiena di dignità

ricolma di umanità circa

pratiche della giustizia, che neppure negli umanissimi tempi della Grecia l' intesero i Platoni o la praticarono gli

le

»: una legge « i cui sommi dieci capi contengono un giusto eterno ed universale sull'idea ottima dell'umana natura schiarita, che formano per abiti un tal sapiente che difficilmente per raziocini potrebbono le massime delle migliori filosofìe; onde Teofrasto chiamò gli ebrei filosofi per natura». La « volontà di credere » sarebbe qui tanto

Aristidi

più efficacemente operante, e tanto più manifesta,

se,

come

OMERO E LA POESIA PRIMITIVA

XVI. il

sospettiamo,

Vico aveva letto

politicus del reprobo Spinoza;

gano « «

le «

pietatem

sublimes cogìtationes » ;

admodum

si

sostiene che

»,

Tractatus

il

dove

205 theologico-

ai profeti ebrei

si

riconoscendo loro

non insegnarono

se

ne-

la sola

non cose

simplices qace ab unoquoque facile percipi po-

terant, atque has eo stilo adornavisse iisque rationibus con-

firmavisse quibus

nem

erga

Deum

maxime

multitudinis animus ad devotio-

movevi posset

rivelate da Dio a

Mosè

«

»;

singularis hebraiorum imperli

»;

e,

sparsi accenni fatti da altri critici,

dicate indagini sul

testo della

la diversità di autori dei

si

nihil aliud

afferma che fuissent

quam

andando ben s'

le leggi

tura

oltre gli

istituiscono spregiu-

Bibbia e sull'autenticità e

libri del

Pentateuco. Si direbbe

quasi che dalla critica biblica dello Spinoza il Vico avesse avuto incentivo alla sua della formazione e dello spirito dei poemi omerici, e che, passato per tal modo dalla storia sacra alla profana, da Mosè a Omero, si fosse poi ostinato a non ripassare a niun patto da Omero a Mosè, dalla storia

profana alla sacra.

XVII La storia

di

Roma

e la formazione delle democrazie

L

in società eroiea, nel periodo di fresca origine e di vigore nel quale l'abbiamo descritta, contiene e comprime in sé energicamente, e ne fa suo proprio sostegno, l'ele-

mento

Ma

di opposizione,

i

famoli o clienti o vassalli: la plebe.

questo elemento riesce a poco a poco a distaccarsi, a

contrapporsi, a lottare apertamente e ininterrottamente, in modo da sconvolgere via via quella vecchia società e dare

forma a una nuova, nella quale esso stesso

vita e

si

risolve:

democratica, repubblica popolare. Il Vico intende anche questo processo come uniforme in tutti i ma poiché le sue riferenze ad altre storie, che popoli la società

la

;

non siano quella pena

fa qualche

di Roma, mancano o sono vaghissime (apaccenno all'origine della democrazia ate-

niese), la descrizione

di

gine della Scienza nuova,

come ora

si

Quel che

quel processo diventa, nelle pa-

un brano

della storia

direbbe, della storia sociale di il

Vico potè congetturare circa

e la primitiva civiltà d'Italia,

romana,

o,

Roma. le

popolazioni

non ha molta importanza,

perché in questo campo, piuttosto archeologico ed etnografico che storico, egli non condusse studi particolari. Nel

De antiquissima italorum

sapientia aveva dato all'origine

FILOSOFIA DEL VICO

208

Roma

di

lo

sfondo di un'antichissima cultura

sarebbero appropriata in

si

modo conforme

an-

italica,

teriore alla greca e proveniente dall'Egitto, che

romani

i

all'indole loro,

rigettando cioè i presupposti teorici e prendendo i risultati pratici (dagli etruschi la tragica religione e l'arte di schierare in battaglia,

come

poi dagli ateniesi e dagli spartani

serbando per tal modo l'ignoranza e la feroonde sarebbe cia; provenuto che essi parlassero lingua di filosofi senza essere filosofi. In séguito, il Vico ritenne an-

le leggi), e

cora per qualche tempo l'anteriorità e l'indipendenza della pili antica civiltà italica rispetto alla greca, e considerò Pitagora, piuttosto che fondatore, cultore d'italica sapienza;

ma anche questa tesi

in ultimo,

sembra,

come definitivamente abbandonò quella

da

lui

abbandonata,

circa l'origine della

religione, della lingua, dei costumi e delle leggi di

Roma

da imitazioni

avere

«

stalliere,

per questa parte errato

Tra non

ingenuamente professando

»

sull'esempio del Cratilo platonico.

quali condizioni propriamente sa dire

;

certo

è

per

Roma

è l'asilo di

i

al

Enea

di

De Segrais

i

tanto il

«

di

partenza che egli

divaganti e ne fanno i loro famoli. Vico conosce la Lettre del Bo-

ne accetta

le

conclusioni, confermanti storici antichi.

Per

lui,

troiana è una favola, nata dall'incrocio di due borie » nazionali quella dei greci, che fecero

rumore

:

della guerra di

loro Enea, allorché di

Roma

Troia e intrusero in

niera lo ricevettero

non molto dopo

;

i

Roma

presero a narrare la storia,

e quella dei romani, che per vantare

se

di

un

il

dubbi già manifestati da alcuni

diverse

Vico

(1663) contro la leggenda della venuta

in Italia, e

l'origine

il

storia è per altro

la

Romolo, cioè le famiglie dei padri che

accolgono nel loro seno Niente colonia troiana; chart

nascesse,

con

storia

che, se

lui

Roma non comincia il mondo, quella nuovo cominciamento. Il punto assume

di

famosa origine

stra-

dunque, che non potè formarsi tempi della guerra con Pirro (all'in-

favola,

XVII.

LA STORIA

DI

ROMA

209

circa a quelli di Fabio Pittore e Cincio Alimento), quando i romani cominciarono a dilettarsi delle cose greche. Piuttosto, a spiegare i nomi e i miti greci misti al racconto della primitiva storia di

Roma,

e l'alfabeto

romano tanto

simile a quello greco antico, egli sarebbe incline all'ipotesi che i romani avessero, nei loro primi tempi, vinta e distrutta nel lido del Lazio alcuna colonia greca (rimasta poi sepolta nelle tenebre dell'antichità), e, con l'accoglierne in Roma come rifuggiti e soci gli abitatori, si fossero im-

bevuti di non poche tradizioni e costumanze elleniche. Neppure s'indugia il Vico sugl'incidenti storici del periodo regio anzi, in ciò è una delle principali differenze tra la sua critica e quella che era cominciata a esercitarsi, ;

o

si

esercitò poco

.storia

romana.

Il

dopo di lui, intorno ai primi secoli della Vico non mira a porre in luogo di aned-

doti leggendari aneddoti storici, ma a intendere la sostanza delle istituzioni e i modi del loro cangiamento. Due idee

direttive (come

si

è visto) egli

ha circa

il

periodo regio

:

questo non fu periodo di monarchia ma di aristocrazia, e che sia da interpetrare conforme al tipo della i'una, che

società eroica o della repubblica dei padri;

nomi

dei re stiano

come

simboli o

«

l'altra,

caratteri poetici

istituzioni di quella società, e talvolta anche, per

nismo

», si

raccolgano sotto di essi

dei secoli susseguenti.

Come anche

«

»

che

i

delle

anacro-

avvenimenti e riforme si

è avuto occasione di

accennare, l'ordinamento di Servio Tullio non era, a giudizio del Vico, da fraintendere, al modo che fecero i romani in tempi ché fu in

seriori,

quale pianta della libertà popolare, per-

pianta della libertà signorile, per la quale i patrizi concessero ai plebei il dominio bonitario dei campi con l'obbligo di pagar loro, e cioè ai singoli patrizi, il effetto

censo e di servirli a proprie spese nelle guerre. E Giunio Bruto, discacciando i Tarquinì e surrogando il re con duo •consoli o re aristocratici annuali, restituì la

B. Ckoce,

La

filosofìa

di Giambattista Vico.

repubblica rolt

FILOSOFIA DEL VICO

210

raana ai suoi principi, ossia riordinò la libertà dei signori dai loro tiranni, non già la libertà del popolo dai signori. L'oppressione che i patrizi esercitarono sulla plebe dopo la loro reintegrazione

che

compiuta da Giunio Bruto,

essi suscitarono e la resistenza

la lotta

che spiegarono, furono

l'anima del nuovo svolgimento, e contengono il segreto della grandezza di Roma, la « clavis historice romance universce ». Polibio offerse di questa grandezza una spiegazione troppo vaga col riporla nella virtù o nella religione dei patrizi e narrò piuttosto

fatti di essa

i

gioni. Il Machiavelli

anche

virtù che non le loro ca-

una volta

è censurato dal Vico,

causa della grandezza romana a sparsi istituti romani civili e militari senza scoprire la fonte di quegl' istituti, cioè la natura di quella società; e un'altra,

perché

riferi la

perché ne arrecò una causa parziale,

la

magnanimità

della

plebe. Plutarco gli sembra inferiore a tutti, perché, invidioso della virtù e sapienza romana, attribuì quella gran-

dezza alla fortuna. Ma, in verità, le altre città del

i

romani

si

sottomisero

Lazio, poi l'Italia e in ultimo

inondo, perché ebbero giovane l'eroismo, quando tra gli altri popoli del Lazio cominciava a invecchiare. Per quel vigore giovanile, i patrizi furono forti nel custodire il loro ordine e la religione su cui

si

fondava e che

lo

il

garantiva

(i

no-

com-

osserva il Vico, cosi, sempre dappertutto, portano verso la religione nativa, e quando prendono a disprezzarla è gran segno che una nazione vada a pere

bili,

dersi); la plebe fu

magnanima

nel volere comunicati a sé

la religione, gli auspici e tutte le ragioni civili

consulti, infine, furono

si

sapienti

;

nell'interpetrare

i

giuree

con-

le antiche leggi fil filo ai nuovi casi che chiedevano essere regolati, e si studiarono a tutto lor potere che quanto meno e con tardi passi si estendessero le pa-

durre di

role di

quelle. Per

tal

cagione

romano cotanto s'ingrandì

e

principalmente l'impero

durò, perché nelle sue vi-

XVII.

LA STORIA DI ROMA

cende politiche procurò cipi. Alle gare tra gli

fermo sopra

i

deve

la

di stare

ordini

si

211

altresì

suoi prin-

prodezza

guerra, perché i nobili naturalmente si consacravano per la salvezza della loro patria, con la quale avevano in

salvi tutti gli onori civili dentro

il

loro ordine, e

i plebei dimostrarsi meritecompievano segnalatissime imprese per voli degli onori dei nobili. E quando i romani stesero le

conquiste e spiegarono le vittorie sul mondo intero, essi fecero uso di quattro norme, che già avevano praticato coi plebei dentro in

clientele

le

provincie feroci ridussero

colonie,

alle

dominio bonitario dei campi, dominio quiritario, ai municipi o

rono il

Roma: perché mandandovi

il

girono

lo

trattamento

stesso

di

mansuete

rilascia-

all'Italia città

permisero benemerite lar-

parificazione che

aveva

ottenuto, in ultimo, la plebe. I risultati delle

era in questione

il

prime lotte, nelle quali, secondo il Vico, dominio bonitario dei campi (riconosciuto

già nella costituzione serviana, ma ritolto dai nobili pei debiti dei censi non soddisfatti), condussero al tribunato, e, per la richiesta che facevano i plebei del dominio qui-

legge delle dodici tavole, che accolse quella conquista plebea. Ma la legge delle dodici tavole fu, insieme, la conquista del diritto scritto, la cessazione ritario, alla

dell'arcano onde

i patrizi avvolgevano le leggi, che essi soli conoscevano, intendevano e interpetravano, e perciò amministravano a loro arbitrio. A questa divulgazione e fissamente del diritto scritto i patrizi non poterono bona-

riamente accondiscendere con quel « desiderici plebis non aspernari », che dice Livio; ma piuttosto vi dovettero

repugnare con quella ritrosia di cui narra Dionigi d'Alicarnasso, espressa dal « mores patrio» servandos, leges ferri non oportere

La della

».

storiografia

legge delle

posteriore adornò di favole l'origine dodici tavole; e raccontò, tra l'altro,

FILOSOFIA DEL VICO

212 della missione che la

per riportarne

da Dionigi, travaglio

si

i

decemviri avrebbero inviato ad Atene

nuova legge

:

cosa affermata da Livio e

ma

ignorata da Polibio e che il Vico con gran sforzava di dimostrare non creduta da Varrone

da Cicerone. Come mai nella natura selvaggia e ritirata delle prime nazioni, tra le quali non potè formarsi comue

nicazione di lingue se non dopo sorte le occasioni di guerre, alleanze e commerci, si sarebbe da oltremare, dalla lontana Attica, tragittata in Roma la fama della sapienza di So-

lone?

Come

i

romani di quei tempi avrebbero avuto nodelle leggi ateniesi da

tizia tanto esatta circa la qualità

stimarle proporzionate a sedare le contese accese tra i loro plebei e i loro nobili? Quali ambascerie potevano cori greci e quei romani che, ancora parecchi anni dopo, erano maltrattati come sconosciuti dai greci di Taranto? E che cosa dire poi di quegli ambasciatori che

rere allora tra

se

ne tornarono da Atene con

le

leggi greche nelle valigie

senza conoscere che cosa per l'appunto contenessero, talché se per caso non si fosse trovato in Roma lo scolaro di Eraclito, Ermodoro, bandito dalla sua patria, i romani non avrebbero saputo che farsi di quel chiuso e inattingibile tesoro? Ed Ermodoro come fece mai a tradurle con tanta

latina purità che Diodoro siculo giudica

non odorare nulla

affatto di grecismo, in guisa cosi perfetta

che nessuno

tore latino seppe più in nessun

durre dal greco?

Come

tempo

rivesti idee

scrit-

raggiungere nel tra-

greche con voci latine

tanto proprie (per es., auctoritas), che i greci affermano non esservi in lingua greca termini corrispondenti per ispiegarle? Ma la lettera di Eraclito a Ermodoro dovette essere

mandata per quelle

stesse poste, per le quali Pita-

gora aveva fatto i suoi lontanissimi viaggi per il mondo, e, insomma, è da ritenere un'impostura bella e buona; impostura la venuta stessa di Ermodoro in Italia, che non mai un cittadino della libera e possente Efeso si sarebbe

'

LA STORIA DI ROMA

XVII.

213

recato, per trovar conforto all'esilio, nella barbarica a

tutti

ignota fuori dei contini

del Lazio

Roma,

impostura statua di Erinodoro, che Plinio narra vedersi ancora suoi tempi nel

vedono

modo

Comizio, nel

la grotta della Sibilla e

;

la ai

in cui ora a Napoli si

tomba

la

di Virgilio; e,

insomma, tutta la favola della origine ateniese di quelle leggi è una boria di dotti, che prima le fecero provenire da altri popoli del Lazio (per esodagli equicoli); poi dalle città greche d'Italia, poi da Sparta, e finalmente da Atene, sul qual nome, per la fama dei filosofi ateniesi, si fermarono soddisfatti. Di certo le leggi delle dodici ta-

vole presentano somiglianze non solo con

ma anche con quelle ma la ragione di ciò è

o spartane,

le leggi ateniesi

di altri popoli e

con

le

nell'uniforme corso delle mosaiche; nazioni. Di certo, ai decemviri furono nell'antichità attribuite leggi con evidenti tracce greche, come quella che proibisce

il

lusso greco dei

perché, come

meno che

i

funerali

;

ma

questo accadde

non

è notato, la legislazione decemvirale,

si

nomi

dei

poetico», e a essa

singoli

re,

divenne un

«

carattere

rapportarono tutte le leggi che dipoi libertà e che si scrissero in pubblici mosi

agguagliarono la numenti. Ma la legge originaria delle dodici tavole, tanto incivile, rozza, inumana, crudele e fiera,.tanto poco conveniente al

tempo

in cui

Atene sfoggiava

di

cultura, è

un

gran testimonio dell'antico diritto naturale delle genti del Lazio, dei costumi che si erano cominciati a celebrare colà fin

dall'età di Saturno.

Ottenuto

il

scritta, la lotta

cui

si

perse

il

dominio



dei

campi e la \cgge ricominciò pel diritto dei connubi: lotta di vero significato e sulla quale gli stessi sto-

rici antichi scrissero

quiritario

cose assurde,

fosse impiantata sulla richiesta dei

immaginando che plebei

(i

essa

quali erano

poco più che miseri e vilissimi schiavi) di potersi liberamente imparentare coi nobili. In tal guisa la storia romana

FILOSOFIA DEL VICO

214

diventa assai più incredibile della favolosa dei greci, perché di questa non si sa che cosa abbia voluto dire, ma quella si oppone a tutto l'ordine dei desideri umani, presentando una plebe che prima aspira alla nobiltà, poi agli onori e magistrature, e in ultimo alla ricchezza; laddove

uomini prima desiderano ricchezze, poi uffici di stato, e Senonché la plebe romana non bramava

gli

in ultimo nobiltà.

non

ma

connubio, acni patribus »,

«

già

«

connubio,

patrum

»;

d'imparentarsi (cosa che non avrebbe ardito pretendere e che in fondo non le premeva), ma il diritto di contrarre nozze solenni, come le contrae-

vano

coi

diritto

il

nobili.

i

Perché, senza

le

nobili

nozze solenni, senza

gli

auspici, plebei non potevano esercitare in effetto il diritto quiritario dei campi, e non potevano tramandarlo ai loro i

congiunti, essendo privi di suità, di agnazione e di genti-

La

insomma, né più né quella della cittadinanza; e fu soddisfatta con la rogazione Canuleia.

lità.

richiesta dei connubi valeva,

meno che

la quale,

Dopo

i

plebei avanzarono la richiesta delle

di ragion pubblica; e prima ne riportarono imperì coi consolati, e finalmente i sacerdozi e i ponteficati, e con questi insieme la scienza delle leggi. -In tal

dipendenze gì'

modo

la

Tullio,

cangiò in pianta di libertà popolare e il censo, pagava ai patrizi, fu pagato invece all'erario, che

che

si

pianta di libertà signorile, tracciata da Servio

si

;

somministrava concernente dal Vico

con

la

«

il

ai plebei le spese nelle guerre. La difficoltà cosiddetto censo di Servio Tullio fu detta

la più aspra

sua meditazione sulle cose romane

»,

quale riusci a risolvere l'anacronismo del censo ser-

viano e a riportare

la

riforma

al

tempo

di

Fabio Massimo.

potestà di comandare le leggi, perché le leggi precedenti, Orazia e Ortensia, non avevano dato ai plebisciti forza di obbligare il popolo

I tribuni

tutto se

procedettero a chiedere

non nei due

la

casi particolari, a cagion dei quali la

XVII.

215

era ritirata una volta sull'Aventino e un'altra sul

si

plebe

LA STORIA DI ROMA

Gianicolo. Questa nuova conquista, che stabili la superiorità della plebe e mutò la repubblica da aristocratica in

popolare, fu la legge Publilia, ordinata dal dittatore Pu-

per la quale i plebisciti «>omnes quivìtes teL'autorità del senato ne venne ristretta, perché

blilio Filone,

nerent

».

laddove, precedentemente, di quel che liberato i padri si facevano « auctores

popolo aveva deora i padri erano

il

»,

popolo, che approvava le leggi secondo la forinola proposta dal senato, o le antiquava, cioè diessi « autori

al

»

chiarava di non volere novità. La plebe ottenne, inoltre, non comunicata, la censura.

l'ultima magistratura ancora

La legge

Petelia, che segui pochi anni dopo, cancellò l'ul-

timo vestigio di legame feudale, il nesso (nexus), che reni plebei, per causa di debiti, vassalli ligi dei nobili

deva

costringeva sovente a lavorare tutta vate prigioni di costoro.

la vita nelle pri-

-e li

Quando Fabio Massimo

divisione

alla

tra patriziato e

plebe, coi corrispondenti comizi curiati e tributi, ebbe sostituita la divisione

secondo

i

patrimoni dei cittadini,

ri-

partiti nelle tre classi di senatori, cavalieri e plebei, l'or-

dine dei nobili venne a sparire affatto, e « senatore » e cavaliere » non furono più sinonimi di « patrizio », né « plebeo » d' « ignobile ». Ma al senato rimase il dominio

«

sovrano sopra nel

sato

timi o delle

«

i

romano imperio, che era già pasmercé i cosi detti senatoconsulti ul-

fondi del

popolo;

e,

ultimce necessitatis

armi

finché la

»,

romana

lo

mantenne con

fu repubblica

la

forza

e popolare quante volte il popolo tentò di disporne, tante il senato armò i consoli, i quali dichiararono ribelli e uccisero i tribuni della plebe che avevano promosso quei tentativi. Il ;

spiega con una ragione di feudi sovrani soggetti a maggiore sovranità, come al Vico pareva confermato dal

che

si

detto di Scipione Nasica nell'armare

il

popolo contro Ti-

FILOSOFIA DEL VICO

216

« Qui rempublicam salvam velit, consulem con le leggi la porta degli onori alla Aperta sequatur moltitudine che comanda nelle repubbliche popolari, non

berio Gracco

:

».

restava altro in tempo di pace che contendere di potenza,

non con le leggi ma con le armi; e mercé atti di potenza comandare leggi per arricchire, quali furono le agrarie dei Gracchi, onde provennero in pari tempo guerre civili in casa e ingiuste fuori.

Tutta

la società, col trionfo della

zione dello stato da aristocratico in

plebe e con la mutapopolare,

muta

fiso-

nomia. Muta, in primo luogo, la flsonomia della famiglia: nella quale, durante l'impero del patriziato, per serbare le ricchezze dentro l'ordine, solo tardi furono ammesse le successioni

testamentarie e facilmente

vano annullati

;

che

;

le

testamenti veni-

aveva

il fi-

una non erano è da dubitare legittimazioni permesse donne succedessero. Ma nella società democratica,

gliuolo emancipato; l'emancipazione

pena

i

dalla successione paterna era escluso

le

l'effetto di

;

poiché la plebe pone tutta la sua ricchezza, tutta la sua forza e potenza nella moltitudine dei figliuoli, si comincia a sentire la tenerezza del sangue, e i pretori ne considerano i diritti e prendono a fargli ragione con le « honorum possessiones » e a sanare coi loro rimedi i vizi o i difetti dei testamenti, agevolando cosi la divulgazione delle ric-

chezze, che sole sono ammirate presso il

il

significato degli istituti della proprietà:

volgo. il



Muta

dominio civile

non è più di ragion pubblica e si disperde per tutti i domini privati dei cittadini, che formano ora la città popolare; il dominio ottimo non è più quello fortissimo, non infievolito

da niun peso reale, neppure pubblico, e signisia libero da ogni peso pri-

semplicemente quello che vato il quiritario non è più fica

:

il

dominio di cui

il

nobile

era signore feudale e che .doveva venire a difendere nel caso che ne fosse decaduto il cliente o plebeo, ma è di-

LA STORIA DI ROMA

XVII.

217

ventato dominio civile privato, assistito da rivendicazioni, diversamente dal bonitario che si mantiene col solo possesso.



Le forme dei

di forinole

solenni, di atti simbolici, sono

razionalizzate: della

processi, cosi frondose di finzioni,

mente del

semplificate e

comincia a far uso dell'intelletto, ossia i cittadini si conformano in legislatore^ e

si

un'idea di comune ragionevole utilità, intesa come spirituale di sua natura. Le caussce, che prima erano forinole cautelate di proprie e precise parole, diventano affari o negozi, che si solennizzano coi patti convenuti e, nei trasferimenti di dominio, con la tradizione naturale e sola;

mente nei

contratti che

si

dicono compiersi con

le

parole,

nei contratti verbali, cioè nelle stipulazioni, le cautele caussce >, nell'antica

«

mangono

ri-

proprietà di questo ter-

certo delle leggi, essendosi la ragione umana spiegata tutta, mette capo nel vero delle idee, determinate con la ragione delle circostanze dei fatti, che è « una for-

mine. Cosi

il

inola informe di ogni

forma particolare

come dice Varrone), che a guisa tutte le ultime

corpi

»

di luce

(formula naturai, informa di sé, in

minutissime parti della superficie loro,

opachi dei

fatti

sopra

i

ella

quali

è

i

diffusa. Nelle

repubbliche popolari regna Ycequum bonum, l'equità naturale. Le crudelissime pene, che si usavano nel tempo



delle

monarchie familiari

delle

dodici tavole

e delle società eroiche (le leggi

condannavano a essere bruciati

coloro che avevano dato pitati

fuoco alle biade altrui,

giù dalla rupe Tarpea

in brani

ì

debitori

falliti),

i

falsi

vengono

testimoni, fatti

sostituite

vivi

precivivi

da pene be-

nigne, perché la moltitudine, che è composta di deboli, è di sua natura incline a compassione. Le leggi, che erano



nelle aristocrazie poche, ferme e religiosamente osservate, si

moltiplicano nelle democrazie e

si fanno cangevoli e serbarono l'aristocrazia, dicescrivevano molte leggi, ma le poche

flessibili.

Gli spartani, che

vano che

in

Atene

si

FILOSOFIA DEL VICO

218

che erano in Isparta si osservavano la plebe romana, a guisa dell'ateniese, comandava tuttodì leggi singolari, e invano Siila, capoparte dei nobili, cercò di ripararvi al:

quanto con si

le

«

questioni perpetue

moltiplicarono di nuovo.



Le

»,

perché, dopo di

stesse

lui,

guerre, crudelis-

sime nelle repubbliche aristocratiche, che distruggevano le città conquistate e riducevano i vinti in gruppi di giornalieri sparsi per le citori,

gliendo

campagne a

ai vinti

il

diritto delle genti eroiche, lasciano loro

quello naturale delle genti

perché

coltivare a prò dei vin-

mitigano nelle repubbliche popolari, le quali, to-

si

umane. Gl'imperi

si

dilatano,

assai più delle ari-

le

repubbliche popolari valgono stocratiche per le conquiste, e più ancora vi

valgono

le

monarchie. in questo generale umanarsi dei costumi, scesapienza di governo, la virtù politica. Gli antichi e, avendo patrizi facevano duramente rispettare le leggi

Eppure,

ma

la

;

privatamente ciascuno gran parte della pubblica utilità, a questo grande interesse particolare, che veniva loro conservato dalla repubblica, posponevano gl'interessi privati minori,

e

perciò

magnanimamente difendevano

dello stato e saggiamente consigliavano

il

bene

intorno ad esso.

Per contrario, negli stati popolari, e perché i cittadini comandano il bene pubblico che si ripartisce loro in minutissime parti quanti sono essi

i

che compon-

cittadini

per le cagioni che producono siffatta gono forma di stati, che sono affetto d'agi, tenerezza di figliuoli, amore di donna e desiderio di vita, gli uomini sono poril

popolo, e

che promuovono le loro private utilità, e perciò all'equobono, che è ciò solo di cui le moltitudini sono capaci. tati

ad attendere

A

cotal

alle

ultime circostanze dei

punto balza spontanea, perché

di

monarchia:

lunga mano

quella mogli ordinari scrittori di politica facevano venir

e resa

preparata narchia che

fatti

necessaria,

la

XVII.

fuori, senza

LA STORIA DI ROMA

precorso di tante e

il

bono condizionarla,

di

un

si

219

varie cagioni che deb-

tratto, al bel principio della sto-

ria umana, « cosi come (dice il Vico) nasce, piovendo l'està, una ranocchia ». E molto meno sorse artificialmente, per effetto della favoleggiata

dell' «

ignorante greTriboniano, con la quale popolo romano si sarebbe spogliato del suo sovrano e libero imperio per conferirlo a Ottavio Augusto. La legge, che le die' vita, fu

cuzzo

legge regia

»

il

una legge naturale, concepita con questa utilità

dano

forinola di eterna

che poiché nelle repubbliche popolari tutti guarloro privati interessi ai quali fanno servire le pub-

:

ai

bliche armi in eccidio della propria nazione, per impedire che le nazioni vadano in rovina debba sorgere un solo,

come «

tra

cuncta

accepit

i

romani Augusto



qui

»j

come

scrive Tacito,

nomine principia su ^ imperium che con la forza delle armi richiami

beììis civililms fessa

>•>);

a sé tutte

un le

solo,

cure pubbliche e lasci

ai soggetti l'attendere

alle loro cose private o a quel tanto delle cose

pubbliche che viene loro permesso, e si circondi di pochi sapienti di stato per consultare con l'equità civile nei gabinetti circa i pubblici affari. Quel solo è invocato alla pari da

da plebei: dai nobili, che dopo essere stati abbassottomessi al governo plebeo, abbandonata l'antica

nobili e sati e

aristocratica volontà d'impero, non pensano se non ad avere salva almeno la vita comoda; e dai plebei, che dopo avere sperimentato l'anarchia o la sfrenata demagogia (della

quale non si dà tirannide peggiore, essendo tanti i tiranni quanti sono gli audaci e dissoluti delle città), fatti accorti dai propri mali, chiedono pace e protezione.

La monarchia

è,

dunque, una nuova forma del governo

popolare. Perché un potente diventi sovrano, è necessario

che

il

popolo parteggi per

polarmente, agguagliare

lui,

tutti

i

ed

egli

deve governare po-

soggetti, umiliare

i

grandi

per tenere libera e sicura la moltitudine dalla loro oppres-

FILOSOFIA DEL VICO

220 sione,

mantenere

popolo soddisfatto e contento circa

il

sostentamento che

gli

bisogna per la vita e circa

della libertà naturale, e

il

gli usi

adoprare un ben ponderato

si-

stema

di concessioni e privilegi o a interi ordini (nel qua!

caso

chiamano

si

ticolari,

«

privilegi di libertà »), o a persone par-

promovendo

fuori d'ordine

uomini di merito straor-

dinario e di virtù eccezionali.

Nella monarchia, che è governo « umano » al pari della democrazia, prosegue e s' intensifica quel processo di umanamente o ingentilimento dei costumi e delle leggi, che le

repubbliche popolari avevano iniziato. Si sciolgono sempre i rigidi vincoli della famiglia paterna e gentilizia. Gl'imperatori, ai quali faceva ombra lo splendore della nobiltà, si diedero a promuovere le ragioni della natura

più

umana, comune a

nobili e a plebei e Augusto attese a fedeco in coi messi, quali nei tempi innanzi, proteggere mercé la puntualità degli eredi gravati, i beni erano pas;

i

sati agi' incapaci di eredità, e

li

trasformò in necessità di

ragione, costringendo gli eredi a mandarli ad effetto. Successe una folla di senatoconsulti, coi quali i cognati entra-

rono nell'ordine degli agnati

;

finché Giustiniano tolse le

differenze tra legati e fedecommessi, confuse la quarta falcidia e trebellianica, distinse poco

e

adeguò

«

ab intestato

i

testamenti dai codicilli

», in tutto e per tutto, gli agnati

i cognati. Tanto le leggi romane ultime si profusero in favorire i testamenti che, laddove anticamente per ogni

e

leggiero motivo essi erano invalidati, poi si dovettero interpetrare nel modo che meglio conduceva a mantenerli

Caduto affatto il diritto « ciclopico », che i padri avevano esercitato sulle persone dei figliuoli, andò cadendo altresì quello economico sugli acquisti dei figliuoli onde

saldi.

;

gl'imperatori introdussero prima attrarre

i

giovani

alla

il

guerra, poi

peculio castrense per il

quasicastrense

per

invitarli alla milizia palatina, e finalmente, per tenere con-

LA STORIA DI ROMA

XVII.

221

quelli che non erano né soldati né letterati, il peculio avventizio. Tolsero l'effetto della patria potestà alle

tenti

adozioni, le quali non

si

contennero

difficili

arrogazioni,

un sui

pater familias stà d'un estraneo ,

sottometta alla patria pote-

si

iiiris,

emancipazioni quali be-

le

per subsequens matritutto il vigore delle nozze solenni. L' « impero nome superbo che sembrava scemare la maestà

nefizi e dettero alle legittimazioni

monium

»

paterno

»,

nella

;

reputarono

;

ristrette

approvarono universalmente alquanto perché è difficile che un

cerchia di pochi congiunti le

più

<;

imperiale, fu mutato nell'altro di « patria potestà ». L'umanitarismo della monarchia si estese anche a quella parte dell'antica famiglia che erano gli schiavi, ratori

raffrenata la crudeltà dei

per favorirli, ampliate negli

avendo

se

non

ai

impe-

effetti e ristrette nelle solen-

nità le manomissioni; e la cittadinanza, che

dava

gì'

signori verso di essi e,

prima non

si

grandi stranieri benemeriti del popolo ro-

mano, fu concessa a ognuno che, anche di padre schiavo, purché di madre libera o affranchila, nascesse in Roma. Le pene si addolcirono ancora, e i monarchi si adornarono •del

Le parole delle leggi largamente interpetrate mercé l'equità

grazioso titolo di

furono sempre

pili

«

clementi

».

può dire che Costantino cancellasse affatto le forinole, quando stabili che ogni motivo particolare di equità faceva mancare le leggi. Si giunse all'estremo op-

naturale, e

si

« privilegia ne irrogante » delle dodici tavole e privilegi erano tutte le eccezioni fatte alle leggi e det-

posto del

;

tate dal particolare

dalle goli

tutto

comuni

merito dei

disposizioni.

La

mondo romano una

prio dei grandi monarchi di

che

li

traeva fuori

restrizione dei diritti ai sin-

popoli fu via via abolita il

fatti,

:

sotto Caracalla

si

fece di

Roma, perché è voto profare una città sola di tutto il

sola

mondo, secondo il pensiero che Alessandro Magno espresse dicendo che tutto il mondo era per lui una città, della

FILOSOFIA DEL VICO

222

quale la sua falange formava la ròcca. Dagli editti pretori lato

si

dei

passò, sotto Adriano, all'editto perpetuo compi-

da Salvio Giuliano

e

composto quasi tutto di

editti

provinciali.

Con cede

il

la

monarchia,

il

posto al diritto

diritto naturale delle genti naturale delle nazioni; onde

quella forma politica, sociale e giuridica è la più conveniente all'umana natura della più spiegata ragione. Con essa (come si è avuto occasione di accennare) si raggiunge da capo, dopo lungo svolgimento, quell'uno, che era delle monarchie familiari dei primi padri e il corso delle na;

zioni

si

deve considerare

oltre jaon è possibile

:

affatto

compiuto. Andare più

possibile è soltanto, in quella

somma

delicatezza dell'umanità ingentilita, corrompersi, imbarbarirsi con la « barbarie della riflessione », e ricadere in una sorta di

nuova

barbarie.

ferinità,

per ripassare dipoi a nuova eroica

XVIII

La barbarie ritornata



tali ricorsi

'i

un caso

il

o il Medioevo

Vico non studia e non addita se non

periodo di storia europea che, appunto ai suoi tempi, si era cominciato a più particolarmente delimitare dagli storici e a denominare (benché il Vico non lo solo

:

il

denomini ancora

cosi)

il

«

Medioevo

».

Che quello fosse periodo, decadenza e di barbarie, non era di certo un pensiero che giungesse nuovo alla codi

perché, specie dal tempo dell'umanesimo, si era distacco e l'orrore verso quei secoli « mediai, et latinitatis », nei quali si trascurarono e dispersero infima

scienza; sentito

i

il

tesori delle letterature classiche, e

rono o

si

spensero

affatto.

E

i

buoni studi langui-

più viva e piena questa co-

scienza, generale nell'Europa colta, era in Italia, la quale

non poteva dimenticare che, quel periodo

medioevo

la fortuna, la

s'

iniziò in

potenza e la civiltà, per lei

fu la fine dell'alma

nome romano

se per altri popoli

Roma,

il

anzi l'avvilimento del

e sorgente sopr'esso l'orgoglio vandalico, vi-

sigotico e langobardico, la devastazione delle ricche città, la distruzione dei maestosi monumenti, che ancora mostravano dappertutto, nei loro ruderi, la lamentabile ruina. Il Machiavelli aveva dato principio alle sue storie con la con-

citata descrizione,

che

tutti

conoscono, del cangiamento

to-

FILOSOFIA DEL VICO

224

tale, seguito alla caduta dell'Impero d'occidente. Ma passare a rassegna le rovine o raccogliere le antichità medie-

non significava ancora penetrare nell'intimo spirito tempo cosi come notare le differenze e le deficienze d'un uomo rispetto a un altro non vuol dire intenvali

di quel

dere Il

;

quell'uomo e neppure quello dell'altro.

lo spirito di

Vico inaugura

l'

costituzione

della

intelligenza dello spirito medievale, cioè sociale

mentale,

e

culturale

di

quel-

l'età.

pur viveva in una parte d' Italia dove molte erano, nonché i documenti, le persistenze del medioevo, confessa che quei tempi della barbarie seconda gli erano Egli, che

riusciti assai più oscuri dei tempi della barbarie prima, dai quali anzi aveva tratto luce per comprendere l'altra. E l'aveva compresa nell'atto stesso che l'aveva cosi bat-

tezzata:

«

barbarie seconda

»

o

«

ritornata

»

o

«

ricorsa »,

considerandola come esempio della legge ideale che egli

aveva

stabilita

generale, di vita e

dei ricorsi.

11

medioevo

gli

apparve, in

come un ripresentarsi di condizioni primitive un conseguente riprodursi del processo sociale

che da queste si svolge. Pensiero quanto originale altrettanto ricco di verità, al quale sarebbe fuori luogo opporre

che

il

Vico scopre

viduali

del

i

caratteri generici e

medioevo

l'appunto era

il

non

i

tratti indi-

perché noi sappiamo che tale per suo problema, la ricerca dei caratteri ge;

nerici ossia delle uniformità, e che egli schivava la storia

propriamente detta per non essere condotto al bivio tra la scienza e la fede, tra la concezione affatto immanente della storia e perciò escludente rivelazione e miracolo, e quella

zione scientifica.

come miracolosa, ribelle alla trattaAnche ai giorni nostri (la cosa è degna

di essere notata)

abbiamo veduto risorgere codesto tenta-

affatto trascendente e,

rendere comportabili tra loro religione e storia, col prescindere dall'aspetto individuale degli avvenimenti tivo

di

LA BARBARIE RITORNATA

XVIII.

e ridurre

la storia

225

a storia d'istituzioni e di uniformità

1 .

In questa posizione, che il problema prende nel Vico, si trova anche la ragione del fatto, che è parso assai strano in

un

nessun risalto da

cattolico, del

lui

dato al cri-

stianesimo, nel quale egli s'incontra proprio all'aprirsi del medioevo e di cui si spaccia in poche parole col dire: che Dio, avendo per vie

sovrumane con

rità della religione cristiana

Roma

tro la potenza di

schiarita e ferma la ve-

la virtù dei

martiri con-

e con la dottrina dei

padri e coi miracoli contro la vana sapienza greca, e dovendo sorgere nazioni armate da combattere in ogni parte la divinità del

permise che

suo autore,

nascesse nuovo ordine di uma-

nità tra le nazioni, perché la vera religione

secondo

lita

il

si

fosse stabi-

corso naturale delle cose umane.

Appaghiamoci dunque delle somiglianze che il Vico viene notando tra la società medievale e quella dei primi secoli di Grecia e di Roma, e non prendiamo scandalo nepsue esemplificazioni e documentaIl suo pensiero storico sostanziale (come già sappiamo) è tanto gagliardo che passa attraverso gli errori, o a essi vive in mezzo senza

pure se molto spesso

le

zioni riescano fallaci e immaginarie.

esserne consunto.

racconto o

il

— Ecco

(per rifare, riordinandolo, il suo suo quadro), ecco nel medioevo risorgere dap-

pertutto gruppi di case sui monti, e sopra il caseggiato appollaiarsi le ròcche, come già nell'età divina dei « ci» perché altro modo di scampo non v'era per le misere genti, battute dalla violenza dei barbari invasori e dalle lotte intestine. Le città più antiche, sorte nei tempi

clopi

;

di mezzo, e quasi tutte le capitali dei popoli, sono, infatti,

poste sulle alture; le

gl'italiani

nuove signorie che

i

Si

vedano

zioni critiche,

B. Ceoc^,

La

I,

(a

allora

proposito di

si

un

chiamano

«

castella

»

tutte

formarono; e perciò anche,

libro del Sorel) le

mie Conversa-

810-22.

filosofìa

di Giambattista Vico.

15

FILOSOFIA DEL VICO

226 nobili

i

forse,

laddove stanti,

dissero

plebei, che

i

«

si

«

summo

abitavano

imo, obscuro loco nati

»

le

o

«

valli e

Ecco

».

illustri loco nati »,

pianure sotto-

riaprirsi gli as ili r

specialmente presso i signori ecclesiastici, che in tanta ferocia di vita erano più mansueti e gli oppressi e gli spau;

riti

portarsi presso costoro e porre sé stessi e

i

loro patri-

moni sotto la loro protezione. Perciò nella Germania, che dovette essere più fiera che le altre parti d'Europa, restarono quasi più sovrani ecclesiastici, vescovi e abati, che non

Un

esempio di queste formazioni politiche era, nel regno di Napoli, la badia di San Lorenzo secolari.

A versa,

illustre

quale s'incorporò quella di San Lorenzo che nella Campania, nel Sannio, nella Puglia Capua, e nell'antica Calabria, dal fiume Volturno fino al mare picdi

di

alla

e

colo di Taranto, governava centodieci chiese o direttamente

o per abati e monaci a lei soggetti, e di quasi tutti quei luoghi gli abati di San Lorenzo erano signori o baroni. E poiché nei luoghi erti e riposti si edificavano piccole chie-

per celebrarvi la messa e per compiere gli altri di pietà, quelle diventarono naturali asili dei popoli,

sicciuole uffizi

che vi vennero fabbricando attorno

i

loro

abituri

:

che è

ragione per cui dappertutto in Europa tante città, terre e castella s'incontrano con nomi di santi e le chiese sono la

i

monumenti più

antichi di quei tempi.

Ed

ecco, per con-

seguenza, in tutta l'Europa, non già formarsi per la prima volta ma tornare al mondo la feudalità, che si vaneggia uscita dalle scintille dell'incendio che i barbari dettero al

romano (come sostengono l'Oldendorpio e tanti giuristi), quando invece il diritto romano esso nacque diritto

altri

dalle

prima barbarie del Lazio, e la feudalità medievale non fu diritto nuovo delle genti di Europa, ma un diritto antichissimo, rinnovellato con scintille dei feudi celebrati nella

l'ultima barbarie. Altro che

del Vico, la chiamava

il

«

materia vile

»

Cuiacio) quella dei

(come,

al

dire

feudi, che è

LA BARBARIE RITORNATA

XVIII.

227

invece tutta eroica e degna di essere adornata della più E perché mai colta e riposta erudizione greca e romana !

di natura le più belle giurisprudenza romana (con le quali lo stesso Cuiacio mitiga la barbarie della dottrina feudale)

se

non per questa sostanziale identità della

espressioni

riescono tanto acconce, che non più,

ad

Ritornò dunque nel medioevo »

o

uomini

»,

eroi e famoli, tra « viri

mano ancora

gli

e

homines

«

si

potrebbe desiderare di

esprimere le proprietà e gli attributi dei feudi ?

«

semplici »

patres

,

o

«

«

i

fondamentale divisione tra

baroni «

»



viri », in

come erano

»,

o

»

patroni

la

«

«

padroni

varones

»,

ben più

di un'abile sostituzione linguistica,

ginano,

E

e,

in

»

chia-

vassalli, tra

i

e servi. I feudisti

che traducono

feudum

» si

lingua spagnuola)

detti

eruditi,

«



«

clientela »,

fanno

come s'imma-

senza saperlo, definiscono storicamente il feudo. medioevo dovettero essere personali,

primi feudi del

i

come che

prime clientele osservava ancora

le

si

di

Romolo: forma

ai

tempi del Vico nei regni del « kmet »

di vassallaggio

settentrione, e specialmente in Polonia, dove gli

erano una specie di schiavi che quei « palatini » (o voievoda) spesso mettevano come poste dei loro giuochi, per-

dendone droni.

famiglie che passavano cosi a nuovi pa-

le intere

Vennero poi

i

feudi rustici,

sistenti in terre incolte

che

i

di specie reale, con-

vincitori assegnavano ai po-

poli vinti per sostentamento, ritenendo essi le terre colte,

e

traducevano (con un'altra eleganza latina con non minore verità storica) « beneficia ». Gli antichi

«

nexi

e che

feudisti

i

furono

»

i

nuovi uomini

«

»

ligi

dovevano riconoscere amici e nemici

o

«

legati

tutti gli

mici del loro signore e che prestavano quella che in si

disse

«

opera militaris

litare servitium ». Il

»

e nel

medioevo

legame feudale

si

si

»,

che

amici e ne-

Roma

ridisse « mi-

estese a più larghi

rapporti politici; e come già i re vinti diventavano alleati e soci di Roma e « servabant maiestatem populi romani »,

FILOSOFIA DEL VICO

228 cosi i

si

ebbero feudi sovrani soggetti a maggiori sovranità,

rappresentanti delle quali, grandi re e signori di grandi

regni e numerose provincie, presero titolo di

Le repubbliche

risorsero

aristocratiche,

«

se

maestà

non

«

».

di

costituzione, per lo meno governo », quanto a effettivo potere politico: il che veniva confessato dai politici e fra gli altri dal Bodin, il stato », per «

forma esterna

di

di

quale del suo regno di Francia giunse a dire che, durante le

due linee merovingia

E

cratico di stato.

e carolingia, fu addirittura aristo-

aristocratici si serbarono fino al secolo

decimosesto, viventi testimoni del passato, zia e di

Danimarca,

e si

serbava ancora,

i

regni di Sve-

tempi del Vico,

ai

ricordata. I primi pubblici parlamenti di

la Polonia, già

Europa dovettero essere composti, come

il

senato di Ro-

molo, dagli anziani della nobiltà, dai « seniores » (donde « signori »); ed erano corti armate, come gli antichi comizi curiati, di baroni ossia di pari. In quei parlamenti si diritti o successioni o

discettavano cause feudali intorno a

devoluzioni di feudi per cagioni di fellonia o di caducazione; le quali cause, confermate più volte con cature, fecero

le

quei parlamenti sembrava di Napoli, al cui

Real Maestà

»,

tali

giudi-

consuetudini feudali. Un'ombra al

presidente

come

Vico si

di

Sacro Regio Consiglio dava il titolo di « Sacra

ai consiglieri

il

il

nome

di

«

milites »,

e dalle sue sentenze non v'era appellazione ad altro giudice, ma solamente richiamo al medesimo tribunale.

Governi aristocratici, e tutti avvolti da un nimbo o da una nube religiosa; tantoché non solo i vescovi e gli abati erano, come si è visto, assai spesso feudatari, ma i feudatari e

sovrani

si coprivano d' insegne religiose, e i re dappertutto, per difendere la religione cristiana quale sono protettori, vestirono le dalmatiche dei i

cattolici

della

diaconi, consacrarono le loro persone

reali

(onde

real maestà ») e presero dignità ecclesiastiche,

«

sacra

come Ugo

LA BARBARIE RITORNATA

XVIII.

229

Capeto che s'intitolava conte e abate di Parigi; e duchi e abati, o conti e abati, s'intitolavano comunemente, come appare dalle antichissime scritture, i principi di Francia. Quei primi re cristiani fondarono religioni armate, con le quali difesero

il

cattolicesimo contro ariani, saraceni e altri i « pura et pia bella » dei

Ritornarono con verità

infedeli.

un orbe, che

popoli eroici: la croce sopra

tutte le potenze

cristiane sostengono sulle loro corone, ricorda le croci spie-

gate in campo nelle guerre sante, nelle crociate. Ritornarono le schiavitù eroiche, che durarono molto a lungo tra le nazioni cristiane, perché, considerandosi le guerre giudizi di Dio,

i

biano col «

divina

i

fossero ab-

vinti

tenevano nientemeno che bestie cani

«

»

i

turchi, e questi

li

nome di «porci »). Gli antichi toglievano humana omnia »; e i barbari nuovi,

et

le città,

cupare

li

chiamano

cristiani

credevano che

vincitori

i

bandonati da Dio e

e portar via

i

non ad

altro

(cosi

ricamai vinti

nell'oc-

attendevano che a ricercare

depositi o reliquie di santi (che

i

popoli in

tempi sotterravano e nascondevano con ogni diligenza), onde in quei tempi avvennero quasi tutte le trasquei

lazioni dei corpi vestigio che

i

santi.

Di

popoli vinti

vittoriosi tutte le

campane

Analoghe somiglianze

si

delle città prese.

ravvisano nell'ordinamento giu-

La somma

ridico della proprietà.

diritto feudale è quella dei beni

diali.

Ma

tissimo,

infievolito

pubblico: erano stati la

i

divisione

delle

cose in

feudali e dei beni alloorigine di un diritto for-

da niun peso straniero, neppure

beni direttamente acquistati e conqui-

dai patrizi o baroni, laddove

i

feudali

importavano

laudazione del signore, dal quale erano stati concessi.

Gli allodiali «

erano in

gli allodiali

non

costumi è restato come

siffatti

debbano riscattare dai generali

rispondevano dunque

ex iure optimo

quando,

in

»,

e

i

feudali

al

al

dominio quiritario, e solamente

bonitario

;

tempi più tardi, nella nuova Europa, come già

FILOSOFIA DEL VICO

230 in

Roma

allodiali

antica,

si

formò un nuovo censo ed erario,

furono sottomessi

ai pesi

denominazione dispregiativa fuso », in contrasto coi feudali,

di

la

«

e gli

pubblici, potè nascere essi

come

beni

«

beni della lancia

».

del Cosi,

a mo' di esempio, le provincie che di poi s' incorporarono nel regno di Francia, erano state un tempo signorie so-

vrane, soggette feudalmente al re di quel regno, nelle quali principi sovrani avevano i loro beni (allodiali), liberi di

i

ogni pubblico peso; ma, poiché per successione, ribellione o decadenza vennero a far parte del regno, quei beni fu-

rono sottoposti ai dazi e tributi e il dominio « ex iure optimo » si confuse col dominio privato non feudale, soggetto a quei pesi, e gli allodi nel significato nobile divennero una cosa sola con gli allodi nel significato volgare. I feudisti degli ultimi tempi smarrirono il valore della distin-

zione originaria, come i giuristi romani ultimi non avevano inteso il significato del dominio « ex iure optimo ». Al dominio feudale si collegavano le enfiteusi, onde il laudemio restò a significare egualmente ciò che il vassallo

paga «

al

signore e l'enfiteuticario al padrone diretto; », che erano le antiche clientele; i « censi

commende

per effetto dei quali nobili (e

si

era tenuti a servire nelle guerre

censuanti, o gli

«

»

e

«

le », i

», ri-

angari perangarì produssero gli « assidui » romani); le « precarie », che dovettero essere dapprima le terre date dai signori alle i

preghiere dei poveri; i « livelli » o permutazioni di beni stabili, che in quell'economia agricola tenevano luogo dei commerci mancanti. L'esclusione delle donne dalle successioni, ch'era dell'antichissimo diritto

nuovo nella

comune

«

legge salica

Germania

» ,

romano,

si

celebrò di

in origine (congettura

il

Vico)

prime barbare nazioni di Europa, e poi restata in vigore solamente nella Francia e nella Savoia. I

alla

castighi

e

a tutte

erano crudeli e

la

le altre

pena

di

morte

si

disse

LA BARBARIE RITORNATA

XVIII.

«

pena ordinaria

».

Ma neppure

nel

231

medioevo c'erano vere

leggi e procedimenti penali pei torti privati: gli ammazzamenti dei plebei o accadevano per fatto dei loro padroni

medesimi, che niuno poteva accusare; o per fatto d'altri, e come di servi altrui si rifaceva al padrone il danno, secondo ancora si costumava nella Polonia, nella Lituania, nella Danimarca, nella Svezia e nella Norvegia. Col di

nome

purgazioni canoniche (non riconosciute per altro dai si celebravano in tutta Europa certe specie

«

»

sacri canoni)

giudizi divini o duelli

di

tempi di Bartolo, vi Nei giudizi intorno agli alrappresaglie. lodi i signori se la vedevano tra loro con le armi e nel reame di Napoli, ancora ai tempi del Vico, i baroni non

ebbero vigore

;

fino ai

e,

le

;

coi giudizi civili fatti

dentro

dove

la forza

tresì

i

'i

ma

loro

con duelli vendicavano

feudi

da

altri

baroni. In

gli

attentati

una

società

imperava, qual maraviglia che tornassero alladronecci eroici, e che il titolo di « corsaro » o

« pirata »



divenisse titolo di signoria?

mai, come

al-

lora, fu tanto varia e incostante la fortuna dei regni. Il diritto

romano

giustinianeo, tutto penetrato dall'idea cadde in oblio. In Francia e in

di equità, fu rifiutato e

Ispagna era gravemente punito chi osasse allegarlo nelle cause; e certamente in Italia si recavano a vergogna i nobili di regolare i loro affari con le leggi romane e professavano di vivere secondo quella langobardica, laddove i plebei, che più tardi si disavvezzano dagli antichi costumi, praticavano alcuni diritti romani in forza di consuetudini.

E

in consuetudini piuttosto

ritti

mole rigide e cosi detti tali

che in leggi consistevano

allora vigenti, nei quali ripresero

«

le

nudi

cerimonie solenni e »

da quelli

«

vestiti

importanza si »,

distinsero

i

di-

le fori

patti

cioè sussidiati

da

Della reverenza per le forinole esempio la leggenda (al tempo del Vico

forinole e cerimonie.

può valere come

creduta fatto storico)

di

quel che intervenne all'imperatore

FILOSOFIA DEL VICO

232

Corrado

III

fomentato

il

allorché prese Weinsberga, città che aveva suo competitore nell'impero e che egli con-

dannò allo sterminio, dando legge che fossero salve le sole donne con quanto potessero trasportare addosso. Ma quelle donne uscirono dalla condannata città, cariche dei loro figliuoli, mariti e padri

e l'imperatore, che stava alla porta,

;

a capo dell'esercito, pronto con le spade sguainate e con le lance in resta a vendicare la collera sua spaventosa, vide e sofferse che passassero salvi tutti, per rispetto alla forinola letterale della legge da lui decretata.

Erano tempi analfabetici, il che sua immagine che tornarono allora

Vico esprime con la

il i

linguaggi

«

mutoli

»-

Le lingue volgari, italiana, francese, spageroglifici gnuola e tedesca, non erano messe in iscritto, e solo si scriveva da pochi ecclesiastici un barbarico- latino, onde o

«

«

chierico

».

»

significò

«

uomo

dotto

»

;

ma

tra gli stessi sa-

cerdoti regnava tanta ignoranza che si vedono scritture firmate da vescovi col segno della croce, perché non sa-

pevano scrivere neppure i propri nomi. Per si sezza una legge inglese disponeva che un reo

fatta scar-

di morte, che sapesse di lettere, come eccellente in arte non fosse messo a morte; e « letterato », come « chierico », si stese

a significare l'erudito. Di qui l'importanza e il largo uso che ebbero le imprese gentilizie per accertare i domini

sopra case, sepolcri, campi e armenti, delle quali tante si osservano ancora sugli edifizì di quei tempi. Con la barbarie tornò altresì il predominio del verso sulla

prosa.

medesimo

si

Le prose

padri della chiesa latina (e il dica di quelli della greca) sono piene di nudei

meri poetici, talché sembrano cantilene. La prima lirica nuova fu religiosa; e se non si ebbero propriamente poemi religiosi cristiani, fu

perché

le

cose della nostra

teologia

superano ogni senso e ogni immaginazione e spossano di troppo

la facoltà poetica.

Poesia e storia

si

riconfusero;

i

LA BARBARIE RITORNATA

XVIII.

233

romanzieri, che furono i poeti eroici dei tempi barbari onde poi tornati, credettero di narrare storie vere ;

.

riil

Boiardo e l'Ariosto presero i soggetti dei loro poemi dalla storia di Turpino, vescovo di Parigi. E quando, per effetto della famosa scuola parigina e della sottilissima teologia scolastica, la lingua francese passò di colpo dalla

come

neità alla riflessione,

mero cosi

dittonghi

i

storia di

la

poema omerico.

pur

De

gestis

riempiendosi

di

Turpino sopravvisse

Gli stessi facitori dei

cantarono altro che

termini

in

i

Provenza

come

e

in

in Italia e

pugliese nel Guniero nel Carmen

i

duellisti

gli uffizi altieri e le

E

gestis.

poeti

non meno che

Risorse la virtù puntigliosa,

Francia.

quella di Achille, nella quale

.riponevano

non

in latino

poemi

scrittori del volgare in Italia

primi

astratti,

Francia quasi

in

heroicum de rebus a Frederico Barbarossa furono

nu-

come Guglielmo

storie,

normannorum

sponta-

essa lingua serbò in gran

tutta

donde uscirono

la

loro

morale

le

leggi superbe, soddisfazioni vendicative dei cavalieri ;

Non sembra

proprio un personaggio omerico dalla rapida commozione quel Cola erranti, cantate

di

dai

romanzieri.

Rienzo, che (come

mentova

si

legge

l'infelice stato di tutti

nella vita

Roma, in

io

come

lui),

dirottissimi pianti?

ragiona, prorompono bole fantastica era ancora una condizione rito,

di

mentre

esso e coloro coi

nei fanciulli; perché (scrive

il

comune Vico)

«

quali

L'iperdi

spi-

sovente

mi ricordo, quando vado a passeggio, che molli clivi si svolgono innanzi agli occhi, parevano a me bami

che mi

bino altissime montagne e dirupate ». Cosi, nel medioevo, gli Orlandi e gli altri paladini erano finti di enorme statura; e le di

immagini degli

Cristo, della

Vergine,

esseri divini, del si

Padre eterno,

dipingevano e scolpivano di

eccedente grandezza.

Ma

gl'ingegni umani sono a guisa dei terreni i quali per lunghi secoli incolti, se una volta si riducono a col-

FILOSOFIA DEL VICO

234

danno nel bel principio fratti maravigliosi in perfezione, grandezza e abbondanza. Epperò al tempo della

tura,

spirante barbarie d'Italia, dopo quattro secoli dei più crudeli e tempestosi,

nacque Dante, l'Omero della ritornata

barbarie; come, poco stante, fiori la poesia delicata del. Petrarca e la prosa leggiadra e graziosa del Boccaccio: esempì tutti e tre incomparabili. E per la natura già definita della barbarie,

naturalmente veritiera, aperta,

fida,

generosa e magnanima, Dante espose in comparsa persone reali e rappresentò fatti reali dei trapassati e il suo poe;

ma

commedia » in ricordo dell'antica commedia che teneva il medesimo procedere. Nel qual poema greca, sembrano avere corrispondenza cosi Y Iliade come l'Odissea: chiamò

«

prima, nell'Inferno, dove Dante impiegò il suo collerico ingegno e tutto il grande della sua fantasia nel narrare la

tante ire implacabili e nel rimembrare di spietatissimi tormenti,

atroci di

un gran numero

degno riscontro alle tante forme

morte descritte da Omero

(le

quali

descrizioni,

che ora destano pietà, agli uditori contemporanei cagio-



la seconda, cioè l'Odissea, navano, invece, piacere); che celebra l'eroica pazienza di Ulisse, trova rispondenza nel Purgatorio, spettacolo di pene tormentose sofferte con

dove si gode infinita una somma pace dell'animo. E un'altra somiDante con Omero è nella fisionomia della lingua

inalterabile pazienza, e nel Paradiso, gioia con

glianza di

da

lui

adoperata, cosi varia che

è opinato che egli l'avesse

quella dei suoi poemi, da tutti i diadella sua nazione: opinione dei dotti del secolo deci-

raccolta, letti

si

come Omero

mosesto, la quale non regge aHa critica, perché è indubitabile

che,

quando Dante

li

usò,

essere comuni in Firenze, né vita stata letti

ad andarli raccogliendo

mancavano

gli scrittori.

glianza che egli ha con

quei parlari dovevano gli sarebbe ba-

d'uomo

tempi in cui dei vari diaMa la più sostanziale somiin

Omero

è nella

sublimità poetica.

XVIII.

LA BARBARIE RITORNATA

Dante è un divino poeta che

235

alle fantasie delicate

mo-

derne sembra incolto e ruvido, e agli orecchi ammorbiditi da musiche effemminate suona un'armonia soventi volte in-

ma non

soave;

badano a

Omero,

cosi agli

uomini

dilettarsi di fiori,

di gusto austero,

che non

acconcezze e amenità. E, come la sua sapienza riposta, ma

grande non per

egli è

sua vigorosa fantasia. Certo, Dante fu dottissimo in divinità; ma in ciò, piuttosto che la sua forza, è la sua la

per

debolezza. Se Dante non avesse saputo né di scolastica né di latino, sarebbe riuscito

anche maggior poeta, e forse

la

lingua toscana avrebbe avuto (come non ebbe la latina) un poeta da contrapporre in tutto e per tutto a Omero. Il

modo acconcio

di

commentarlo

è di dare notizie delle cose,

mentovati dal poeta, di spiegare i sentie tralasciare « ogni morale e molto più scien-

o persone

fatti

menti

di lui,

ziata allegoria

».

Colui che scriveva questa pagina di critica dantesca, e rivendicava Dante dopo secoli di gusto antidantesco (o dan•

tesco-grammaticale e dantesco-scolastico), e lo rivendicava proprio negli anni della fioritura arcadica cosi ritrosa e

avversa a Dante, avrebbe meritato d'incontrarsi col genio di Guglielmo Shakespeare, che forse egli solo, a quei tempi, era in grado d' intendere nella sua possanza poetica. Ma in Italia,

come

in generale fuori d'Inghilterra, dello Sha-

kespeare allora non si conosceva nulla e appena ne giunal Vico una tarda e vaga notizia, cioè che gl'in;

geva

glesi,

non ammolliti dalla delicatezza del

secolo,

non

si

dilettavano di tragedie che non avessero dell'atroce, appunto come il primo gusto del teatro gl'eco fu delle nefa-

cene di Tieste e dell'empie stragi compiute da Medea su fratelli e figliuoli. La tendenza verso la poesia e la letrie

teratura germanica rimase nel Vico, come sappiamo, un sospiro: non gli era possibile scorgerne i precisi e particolari

lineamenti per quanto appuntasse colà lo sguardo, e

FILOSOFIA DEL VICO

236

una volta che fu per

vi accennò, sopra notizie di seconda mano, affermare che, nella nazione tedesca, particolar-

mente nella

Slesia provincia tutta di contadini,

naturalmente poeti

andando

«

nascono

cerca di poesia cioè, ingenua e popolare, gli accadde di abbracciare, senz'avvedersene, i rappresentanti della scuola slesiana, gli Hoffmannswaldau e i Lohenstein, imitatori tedeschi del suo »

;

in

compaesano cavalier Marino! Ma questo è un aneddoto, non ad altro che a confermare con nuovo esempio gli

atto

scherzi che faceva al Vico la sua accesa immaginazione. Come si uscisse dalla seconda barbarie e dalla costitu-

zione feudale, il Vico non dice; e sembra non aver fermato la sua attenzione sul movimento comunale, che tante analogie gli avrebbe offerto con le lotte della plebe romana e col formarsi dell'antica democrazia. Schernisce,

per altro, anche qui, coloro che facevano sorgere le monarchie moderne, per es., la francese, di punto in bianco, con una sorta di legge di Triboniano, per la quale (dice ironicamente)

paladini di Francia

i

della loro potenza, conferendola nei tingia.

si

sarebbero spogliati

re

della

linea cape-

Nota anche che, essendosi sparso e quindi disperso

potere dei baroni per effetto delle guerre civili nelle quali dovevano dipendere dai popoli, fu facile raccoglierla nei re monarchi, mutandosi cosi l'ossequio dei vassalli al

il

nell' « obsequium principis ». Ma speciale importanza egli dà al risorgere della giurisprudenza romana (di questo « diritto naturale delle genti di Europa », come lo

barone

aveva chiamato versità d' Italia

il

;

Grozio) con gli studi aperti nelle uni-

onde

l'equità naturale,

i

si

appresero di nuovo i principi delgì' ignobili furono adeguati

nobili e

ragion civile come già sono nella natura umana, l'arcano delle leggi usci di mano ai feudatari, dei quali nella

modo venne sempre più fiaccata la giunse al governo umano delle repubbliche per

tal

potenza; e

si

libere e delle

XVIII.

LA BARBARIE RITORNATA

237

La già ricorsa società eroica aveva contrario ricorso; e, nella civiltà dei tempi nuovi, era impossibile richiamarla in vita, come vani riu-

perfettissime monarchie.

ormai

sofferto

scirono

i

tentativi di restaurazione aristocratica che fecero

nell'antichità plebei,

il

i

pitagorici e

Dione siracusano. Gli uomini

una volta che

coi nobili, non

si sono riconosciuti di egual natura sopportano più di restare inferiori a essi

E le pochissime repubbliche aristocrache e là avanzavano in Europa, dovevano adotiche, qua molte sollecite cure e accorti e saggi provvediperare

nella vita civile.

menti per tenere a freno governate.

e

contente

le

moltitudini da esse

XIX Il Vico contro l'indirizzo di cultura dei suoi tempi

Gì'iunto, che erano Vico

nel contemplare suoi, di

i

il

corso della storia, ai tempi,

umanità sparsa su tutte

le nazioni,

il

una rapida descrizione del mondo contemporaneo, non soddisfatto, incerto o prudente. Come non era alla Scienza nuova per diretto impulso di problemi

fa

e tace, se salito

(almeno nel significato che hanno d'ordinario quecontemplazioni della Scienza nuova

politici

ste parole), cosi dalle

non discese presenta

alla vita

attiva,

ovvia a un

piti

neppure nella forma che

uomo

si

di pensiero, del libro e del-

l'opuscolo che critichi leggi e istituti o proponga riforme. « pratica » della

Anche quando, per poco, concepì una sua Scienza

che

l ,

non pensò che questa pratica, per

gli spettava, potesse aggirarsi altrove

accademie

La

che

«

la

parte dentro le

».

pratica

«

dentro

le

accademie

»,

ossia nel

campo

della

per altro, pratica anch'essa e politica; e non di certo tra le meno importanti. E uno storico o un filosofo cultura,

è,

non può astenersene mai del o

meno

tutto, se anche l'accentui più fortemente, la svolga con maggiore o minore am-

piezza.

1

Si

veda sopra, cap. IX, pp.

110-13.

FILOSOFIA DEL VICO

240 II

Vico v'insistè e

la svolse

ampiamente;

anzi, la sua

prima affermazione nella vita scientifica fu appunto l'esame dei metodi moderni di studio e di educazione, comparati con quelli degli antichi esame il quale (dopo saggi e tentennamenti nelle prime orazioni) prese corpo nella prolusione universitaria del 1708, De nostri temporis studiorum :

ratione. Negli anni che seguirono, tutt' intento a lavorare alla

Scienza nuova, non dette altre pubbliche manifesta-

zioni del suo malcontento verso l'indirizzo che prevaleva

negli studi; si

ma

con tanto maggiore frequenza e vivacità

espresse sul proposito nelle lettere private e nelle con-

versazioni, né volle tralasciar di ricordare quel ch'egli ne

pensasse nell'autobiografia. Non fa d'uopo dunque ricavare il suo atteggiamento polemico dai sottintesi e dagli incisi

medesimo in più ocmutò gì' incisi in pro-

della sua opera capitale, perché egli

casioni rese

espliciti

i

sottintesi e

posizioni principali.

Quella polemica si mosse in due campi attigui, che rispondono al duplice aspetto della Scienza nuova, come filosofia dello spirito e come scienza generalizzante. Sotto

il

primo aspetto,

il

Vico aveva fatto valere

i

diritti

della fantasia, dell'universale fantastico, del probabile, del certo, dell'esperienza, dell'autorità, e quindi della poesia,

della religione, della storia, dell'osservazione naturalistica,

dell'erudizione, della tradizione.

disegnato uno schema

rito, cosi nella storia del

individuale, messa da lui della storia. Perciò

il

Sotto

il

secondo, aveva

dello svolgimento naturale dello spi-

genere umano come nella vita a continuo riscontro con le fasi

suo esame doveva volgersi di ne-

per una parte, alle disposizioni spirituali del suo tempo e, per l'altra, al modo in cui s'intendeva e s'impartiva allora l'educazione dei fanciulli e giovinetti. Nelcessità,

l'uno e nell'altro campo, il Vico avvertiva le medesime deficienze, ed era offeso da quel medesimo arido intellettua-

XIX. IL VICO

CONTRO

I

SUOI TEMPI

241

lismo che aveva reso inintelligibile il processo della mente, e mutilato e falsato la verità della storia umana.

Ai

fanciulli,

usciti dalle scuole di

appena

grammatica,

soleva infliggere un'istruzione di logica, adoperando, secondo le predilezioni dei maestri, ora la logica scolastica,

si

ora e più

di

frequente quella (in sostanza anch'essa aristoche era stata elaborata dall'Arnaud e

telica e scolastica),

diceva « logica di Portoreale », tutta ripiena di severissimi giudizi intorno a materie riposte di scienze superiori e lontane dal comune senso volgare, tutta infarcita di si

esempì tratti da tali scienze. I fanciulli avrebbero dovuto, mercé quella disciplina, farsi d'un tratto critici e purgare la mente non solo del falso, ma perfino delle opinioni vequando, in verità,

risimili e probabili;

vano purgare, perché

la loro

di niente si

pote-

mente era ancora sgombra

o

scarsamente fornita, e nessuna critica potevano esercitare, per mancanza di materia criticabile avrebbero dovuto es:

sere condotti a ben giudicare innanzi di ben apprendere, contro il corso naturale delle idee, che prima si apprende, poi

si

giudica e finalmente

che gli spiriti a quel secchi nello spiegarsi giudicare d'ogni cosa

modo e,

ragiona. Il risultato era educati diventavano aridi e si

senza far mai nulla, pretendevano

restavano tutta la vita affilatissimi

;

nella maniera di pensare e inabili a ogni grande lavoro critici,

per cosi dire,

ma

sterili.

rezza e arroganza nei giudizi,

quanto

civile, la

sul

quale

si

solo

legge-

ma

tica della vita, nel trattare che si

eloquenza

Donde non

:

incapacità nella prausa con gli uomini, nella

fonda non tanto sulla critica

verisimile e deve ottenere

il

suo

effetto, col

dire cose opportune, penetrando la psicologia dell' interlocutore e 'regolandosi in modo conforme. Della prematura

educazione logico-critica il Vico aveva fatto esso medesimo dannosa esperienza; quando, a lui fanciullo, il gesuita

Del Balzo, che fu tra

B. Croce,

La

filosofia

i

suoi primi maestri, mise in

di Giambattista Vico.

mano 16

FILOSOFIA DEL VICO

242

l'opera del sommolista Paolo veneto; e l'ingegno, ancora

debole da reggere a quella specie di logica crisippea, poco mancò non vi si perdesse, tanto che, per disperazione fatto disertore degli studi,

ne divagò un anno e mezzo. Mi-

gliore ricordo

serbava, invece, perfino delle capestrerie poetiche giovanili, alla scuola dei pili sfrenati marinisti napoletani: divertimento (egli dice) poco meno che necessario per gl'ingegni

dei giovani, assottigliati di troppo e

irrigiditi nello studio delle metafisiche in quegli anni per

l'appunto in cui l'ingegno, per l'infocato vigore dell'età, deve dare in trascorsi perché non si assideri e dissecchi affatto.

Quell'età,

che è

la

barbarie dell'intelletto,

cosi vigorosa di fantasia e (per gli stretti rapporti che sono tra queste trita

due

facoltà) di

ed esercitata con

memoria, richiede

di essere

nu-

la lettura dei poeti, storici e oratori,

e con l'apprendimento delle lingue. L'arte che vi si deve insegnare non è la critica ma la topica, la vera arte del-

ingegno, ossia della facoltà d'inventare; per la quale i vengono apparecchiando la materia per giudicare bene dipoi, perché non si giudica bene se non si è conol'

fanciulli

sciuto

il

tutto della cosa e la topica fa ritrovare per cia-

scuna cosa tutto ciò che

vi è dentro.

Per

tal

seguendo il corso stesso della natura, e filosofi e ben parlanti.

vinetti,

Un

modo, i giosi formano

correttivo, certamente, è indispensabile

rante fantasia;

ma

non deve cercarsi

tosto nella geometria lineare, che è in qualche

pittura, e invigorisce la

memoria

col

all'esube-

nella logica, si piut-

modo una

gran numero dei suoi

elementi, ingentilisce la fantasia con le sue delicate figure e fa spedito l'ingegno nel doverle correre tutte e fra tutte raccogliere

quelle

che fanno

al

caso

per dimostrare la

grandezza domandata. Senonché, anche per la geometria ogni frutto veniva guasto dal metodo favorito nelle scuole di allora, che era l'algebraico; il quale, non meno della

XIX. IL VICO

CONTRO

logica scolastica, assidera tutto

SCOI TEMPI

I

243

più rigoglioso delle in-

il

doli giovanili, loro accieca la fantasia, spossa la

memoria,

l'ingegno, rallenta l'intendimento, danneggiando per queste quattro vie le arti belle, la conoscenza delle lingue e delle storie, le invenzioni e la prudenza. infingardisce

Pili

particolarmente, l'algebra affligge

esso con quel,

metodo non vede

se

non

l'ingegno, perché ciò soltanto che gli

sta innanzi ai piedi; sbalordisce la

vato

il

memoria, perché, ritrosecondo segno, non bada più al primo abbacina ;

perché non immagina affatto nulla; distrugge l'intendimento, perché professa* d' indovinare. I giovani che

la fantasia,

vi

hanno speso molto tempo, messi poi a trattare gli affari sommo rammarico e pentimento

della vita civile, con loro vi

si

meno

ritrovano

utilità e

atti.

non facesse niuno

apprendere per poco tempo e servirsene solo

Onde, perché recasse alcuna si dovrebbe

di si gravi danni,

alla fine del corso

matematico

come mezzo abbreviativo. L'abito

del ra-

gionare si forma assai meglio con l'analitica metafìsica, che in ogni questione prende il vero nell'infinito dell'ente, e pei generi della sostanza viene ciò

che

non è per

la cosa

tutte

gradatamente rimovendo le specie, finché

giunge

all'ultima differenza costituente l'essenza della cosa che

si

desidera sapere. Tutta l'educazione soffriva dell'eccesso di matematica

come se i giovani dovessero un mondo umano, composto

e del difetto di concretezza; e

dalle

accademie uscire

in

linee, numeri e specie algebraiche, si riempiva loro il capo dei magnifici vocaboli di « dimostrazioni », di « verità dimostrate », di « evidenze », e si condannava la re-

di

gola del verisimile, della quale non hanno altra più sicura i politici nei loro consigli, i capitani nelle loro imprese, gli giudici nel giudicarle, i memalati del corpo, i morali teologi nel cu-

oratori nel trattare le cause, dici nel curare

i

i

rare quelli delle coscienze, e sopra la quale tutto

il

mondo

FILOSOFIA DEL VICO

244

acqueta e riposa in tutte le liti e controversie, in tutti provvedimenti, in tutte le elezioni, che tutte si determinano con l'unanimità o maggioranza dei voti. Si presi i

parava una generazione vuota e prosuntuosa, saccente e non sapiente, razionatrice e povera di verità. Quale l'educazione che somministravano,

tali

erano

gli

l'ambiente generale di cultura. La quei metodi analitici « assideravano »

stessi educatori, ossia

poesia era morta

:

una volta la parola che il Vico ripete con frequenza come bene espressiva) « tutto il generoso della miglior poesia ». E veramente non mai come in quella prima metà del settecento 1' Europa fu cosi vasto deserto poetico: l'Italia si era ridotta al melodramma metastasiano la Francia non aveva dato successori ai Cor(giova adoperare ancora

;

Ispagna, esaurita l'ultima grande manifestazione dello spirito nazionale, che fu il dramma, cominciavano l'imitazione francese e il razionalismo; l'Inneille

e ai Raeine; in

sembrava dimentica affatto di aver dato i natali Shakespeare, e la Germania si trascinava anch'essa dietro l'imitazione neoclassica. E non solo non nasceva ghilterra allo

nuova e

poesia,

ma non

Malebranche,

il

le facoltà

i

se

ne desiderava. Seguendo Cartesio professavano di ammortire tutte

filosofi

dell'anima che provengono dal senso, e speciald'immaginare, che detestavano come ma-

mente

la facoltà

dre di

tutti gli errori. I poeti

erano da

essi

condannati col

pretesto che narrassero « favole »: come se quelle favole non fossero le eterne proprietà degli animi umani, che i filosofi politici, economici e morali ragionano e i

falso

poeti presentano in vivi ritratti.

Sull'autorità degli stessi cartesiani, lo studio delle lin-

gue formava oggetto di disprezzo non aveva detto Renato che sapere di latino non è sapere più di quello che sapeva :

la

fante di Cicerone?

La severa conoscenza

del

latino e

del greco era finita con gli scrittori- del cinque e seicento;

CONTRO

XIX. IL VICO il

culto delle

lingue orientali

era

si

stanti; lavori sulla giurisprudenza

La famosa

cora solo in Olanda.

SUOI TEMPI

I

245

ristretto nei

romana

si

prote-

facevano an-

biblioteca napoletana del

Valletta, ricca delle più belle edizioni latine e greche, fa

ma

per

metà del suo primitivo valore, tanto era

sca-

generosamente comprata dai padri dell'Oratorio,

meno

della

la richiesta di quei libri. In Francia la biblioteca del cardinal Dubois non trovò un unico compratore e andò

duta

dispersa nella vendita spicciola. I principi non amavano più il bel latino d'oro; e a nessuno di essi cadde in pensiero di far conservare all'eternità da penna eccellente latina

un avvenimento

cosi

come

strepitoso

la

guerra di

successione di Spagna, paragonabile per la sua complessità

seconda cartaginese. si vantavano i metodi nuovi, ma niuno avrebbe indicare le cose nuove, che si erano ritrovate per potuto loro mezzo. Forinole nuove e cose vecchie; e, in compenso, solo alla

Assai

vane lusinghe di poter giungere in brevissimo tempo e con pochissima fatica a saper tutto. La dottrina civile e politica era trascurata tica; l'esperienza,

secolo

per la

tìsica,

la tìsica

poco esercitata;

precedente,

quasi

affatto

per la matemainventivo del

lo spirito

Lo

spento.

conseguenza del metodo cartesiano, invadeva

scetticismo, il

campo

del

sapere.

Continuava il

in

quel tempo, per tutta Europa, lingua francese: lingua la quale, di-

altresì

predominio della

versamente dall'italiana, è ribelle

alla poesia e all'eloVico) nei vocaboli di sostanza, e, poiché la sostanza è cosa brutale e immobile e non patisce

quenza

;

ricca (diceva

il

comparazioni, incapace amplificare

e

di

dare colore

d'ingrandire, restia alle

alle

sentenze, di

inversioni, sterile

che periodi, posseggono loro metrica ha versi superiori

di metafore. I francesi, piuttosto

membri

di periodi;



la

ai cosi detti alessandrini,

che sono

distrofi e

più inerti e

FILOSOFIA DEL VICO

246

tenui degli elegiaci né le loro parole patiscono altri accenti che non siano quelli delle due ultime sillabe. Impo;

tente al sublime, la lingua francese al

piccolo, e per la già notata

sostanza, ossia di in

per altro, attissima

è,

abbondanza

di vocaboli di

termini astratti, al genere didascalico

luogo dell'eloquenza, offre

Degnamente,

l'esprit.

critica e l'analisi erano nate in

Francia e

si

la

:

nuova

rivestivano di

quella lingua.

La

sola ricchezza, che in tanta povertà ogni giorno

si

accresceva, erano i ristretti, le biblioteche, i dizionari delle scienze, come quelli che portavano i nomi del Bayle, dello Hoffmann, del Moreri maniera d'apprendere la più scioperata e casuale che si potesse mai inven:

tare. Il genio del secolo era più

vago

di esporre in

compen-

dio quanto altri seppe che di profondarsi per passare più

innanzi.

Sembra cosa impossibile; eppure

si

compilarono,

provava da tutti un mercato e si stimavano

perfino, dizionari di matematiche. Si

gran desiderio di scienza a vii buoni i soli libri spiegati e facili, che

;

prestavano a forragionamento per passatempo con le dame, condannando, col dirli inintelligibili, tutti quegli altri che richiedevano nel lettore varia e copiosa erudizione e lo

mar

si

oggetto di

al

costringevano

tormento del molto

riflettere

e

combinare.

Quei dizionari e ristretti suscitavano nel Vico di altri

simili

lessici e le biblioteche dei

E

il

ricordo

lavori della decadenza greca, le ecloghe,

tutta la cultura

i

Suidi, degli Stobei e dei Fozì.

contemporanea

gli

sembrava che rinno-

caso della sapienza greca e andasse a spirare in metafisiche inutili o dannose alla civiltà, e in matematiche

vasse

il

grandezze che non sopportano riga e compasso e non hanno nessuna applicazione. Come altri savi uomini del suo paese, egli viveva persuaso che occupate in

considerare

se la provvidenza divina, per vie,

non

una

delle sue infinite secrete

la invigorisse e rinfrancasse, la

repubblica delle

CONTRO

XIX. IL VICO

I

SUOI TEMPI

247

correva rapidamente verso la fine. Dove era più, sapiente, il vero sapiente, che il Vico aveva in-

lettere

il

allora,

contrato nella storia, dapprima nella figura barbarica del poeta teologo e poi in quella civile e razionale del filosofo

greco e del giurisprudente romano, e che vagheggiava modernamente nel maestro di eloquenza (e si direbbe nella sua propria persona), come chiamato a dare unità, vita ed efficacia a tutto

il

La sapienza,

sapere?

questa o quella conoscenza o

ma

è la facoltà

quale

somma

che comanda a tutte

apprendono

si

la

tutte

le

infatti,

non

è

delle conoscenze;

le discipline e dalla

scienze e tutte le arti

che

E

poiché l'uomo è mente e animo, compongono intelletto e volontà, essa deve compiere all'uomo entrambe queste parti e la seconda come conseguenza della prima: l'umanità.

deve insegnare

la

a sommo bene

le

cognizione delle divine cose per condurre cose umane. Il sapiente è l'uomo nella

sua totalità e centralità, 1' uomo intero. Altissimo ideale, senza dubbio, come giuste tutte alle

le critiche

al

metodo

tendenze spirituali del tempo suo.

e mirabili verità che il

mosse

di

perfettamente educazione e

Eppure, fra tante

lasciavano addietro di lungo tratto secolo decimottavo, si sente nel Vico, pedagogista e cri-

tico,

si

qualcosa di retrivo. Si sente che egli, esclusivamente delle sorti della grande e severa scienza e fisso

sollecito

l'occhio nella forma più compiuta dell'umanità,

deva

il

non inten-

valore rivoluzionario di quello scetticismo e razio-

nalismo e di quella ribellione al passato, che erano necesguerra contro re, nobili e preti di quei

sari strumenti di

;

che dovevano mettere capo all'Enciclopedia; di quella scienza popolare, che preludeva al giornalismo di quei libercoli per dame e per eleganti conristretti e dizionari,

;

versazioni, che

avrebbero alimentato

decimottavo e temprati Si sente in lui,

i

salotti

del secolo

radicalismo giacobino. come nel suo sistema qui filosofico, il catgli spiriti al

FILOSOFIA DEL VICO

248

che è avvinghiato

tolico

al filosofo,

il

pessimista cristiano

sul dialettico dell' immanenza. Egli non sa scorprogresso nei suoi avversari, e perciò non li ricono-

che grava gere

il

ma gradini da a dovuto e che stesso avrebbe lui, giungere egli salire per intendere e posseder meglio sé stesso. Il suo atteggiamento polemico verso la cultura del tempo compie e

sce quali veramente erano, a lui inferiori salire per

conferma sieme dei

l'analisi,

che

difetti della

si

è data di sopra, delle virtù e in-

sua

filosofia.

XX CONCLUSIONE Vico e lo svolgimento posteriore

Il

del pensiero filosofico e storico

Si)i aspetterebbe invano che noi, qui al termine della nostra esposizione, aggiungessimo un giudizio, e, come si suol dire, una « valutazione » dell'opera del Vico. Se il giunon

dizio

si

è già ottenuto

stessa, coincidente

come

risultante dall'esposizione

con essa; se storia e

critica

non hanno

colpa sarà stata o nostra o del lettore a ogni modo, in questo punto non rime-

tutt'uno; la

fatto

poco attento

e,

diabile con aggiunte che sarebbero appiccicature e con ripetizioni che sarebbero ridondanze.

Confessiamo anche di non nutrire simpatia per quei che si usa mettere come conclusione dei lavori

capitoli, critici

intorno ai

filosofi e

che contengono

fortuna delle loro idee. Giacché se prese in modo estrinseco, nei loro effetti tura, quella rassegna, ticolare losofia

1

Si

importanza

}t

la «

storia della

idee

sociali

»

sono

e di cul-

sebbene non priva di certa sua parrimane estranea alla storia della fi-

propriamente detta;

veda Appendice,

le

II.



se invece sono intese

come

FILOSOFIA DEL VICO

250

vere e vive idee

filosofiche,

confluisce né più né

il

racconto della loro fortuna

meno che con non

la storia della filosofia

e' è

ragione di far seguire alla trattazione di uno piuttosto che di altro filosofo singolo. Condursi diversamente è effetto del pregiudizio che le idee posteriore, la

quale

siano qualcosa di solido o di preziose che di cui sia

si

cristallizzato, quasi

tramandino da una generazione

sempre

possibile riconoscere

l'

gemme

all'altra e

inalterata forma

e fulgore nei nuovi diademi che esse compongono e sulle nuove fronti che vengono a costellare. Ma le idee, effetti-

vamente, non sono altro che l'infaticabile pensiero umano, e tramandarle davvero vale trasformarle. Pure, è un fatto che

non abbia

nessuno ha scritto sul Vico che

bisogno di spingere lo sguardo ai tempi notare somiglianze e analogie delle dottrine di lui con quelle che seguirono cinquant'anni o un secolo sentito

il

posteriori e

dopo. E, quel eh' è più, anche noi, nonostante la confesi professati criteri metodici, proviamo ora

sata antipatia e

medesimo bisogno. Perché? Perché il Vico ai suoi tempi passò per uno stravagante e rimase un solitario; perché lo svolgimento successivo del pensiero avvenne quasi tutto il

fuori della sua diretta efficacia; perché

sufficientemente

ancora

il

in

alcuni

anche oggi, noto non ha avuto

circoli ristretti,

posto che merita nella storia generale del pen-

quale mezzo si offre più semplice per mostrare la rispondenza delle sue dottrine, vere o false che fossero, siero. Ora,

a profonde

esigenze spirituali, che

ricordare le idee e

ì

tentativi simili, riapparsi

da dare

la

fisonomia

sofia e di storia?

E

al

fluo, si

dopo che noi abbiamo esapensiero di lai, questo richiamo

se anche,

minato nell'intrinseco ai fatti

più tardi cosi copiosi e intensi lavoro di un secolo intero di filo-

il

che seguirono possa sembrare un espediente superconcederà, per lo meno che, posto che la nostra

come ogni

altra orazione

debba avere

il

suo compimento

XX. IL VICO E LO SVOLGIMENTO POSTERIORE rettorico,

nessuna perorazione

si

presenta più spontanea

un rapido cenno

di quella che consista in

251

della filosofia e

della filologia posteriori, lumeggiate nelle loro attinenze col pensiero vicinano.

metodo che

Si potrebbe anzi, col

barie seconda in

confronto

storia ulteriore del pensiero

con

come

egli

la

tenne per la bar-

presentare la un ricorso delle idee

prima,

del Vico. Ricorsero, in primo luogo, la critica di lui al sapere immediato di Cartesio e il suo criterio della conver-

sione del vero col fatto, nel moto speculativo che andò dal

Kant

allo

Hegel

e che

culminò nella

tesi

dell'identità del

fatto, del pensiero con l'essere. Ricorse la sua unità di filosofia e filologia nella rivendicazione della storia contro lo scetticismo e l' intellettualismo del secolo de-

vero col

cimottavo,

figlio del

cartesianismo;

nella sintesi a priori

kantiana, che riconciliò ideale e reale, categoria ed esperienza; e nella filosofia storica dello Hegel, in cui lo stori-

cismo del secolo decimonono toccò

il più alto punto. Quell'unione di filosofia e filologia, che fu talvolta in lui unione violenta e commistione di metodi, ricorse anche in questa

sua forma errata nella scuola hegeliana; talché siffatto indirizzo mentale potrebbe prendere a giusto titolo il nonfc di « vichismo ». Ricorse la limitazione che egli aveva tentata del valore delle

e

la

matematiche

e

delle scienze

esatte,

sua critica della concezione matematica e naturali-

stica della filosofia,

nismo spinoziano e astratto; e, perle

nella

in quella dello

matematiche

gald Stewart e da

altri)

non

ma

è nei postulati

critica

del

Jacobi

al

Hegel contro

determi-

l'intelletto

in particolare, fu (dal

messo in chiaro che

nelle definizioni, e le

«

Du-

la loro forza ftctiones », di

cui egli parlava, sono rientrate nella terminologia odierna dei gnoseologi di quelle discipline. La logica poetica o la

scienza della fantasia divenne l'Estetica, cosi ansiosamente filosofi, letterati e artisti tedeschi nel corso

indagata dai

FILOSOFIA DEL VICO

252

Kant faceva compiere un come concetto condottrina leibniziana), e un altro gran passo

del settecento e alla quale

gran passo con fuso (che era la

il

la critica dell'intuizione

Hegel, i quali, collocando l'arte tra le pure forme dello spirito, si riavvicinarono al Vico. E il romanticismo (specie tedesco, ma anche pili o meno quella lo Schelling e lo

degli altri paesi), in quanto

si

espresse in forinole teoriche,

fu vichiano, perché celebrazione della fantasia

come

ori-

ginale potenza creatrice. Ricorsero le sue dottrine sul lin-

guaggio, interpetrato non più intellettualisticamente quale sistema artificioso di segni, ma come libera e poetica creazione dello spirito dallo Herder e dallo Humboldt.

La

dot-

dopo che ebbe abbandola teoria della frode, riconobbe cor religione è un processo naturale, corri-

trina della religione e del mito,

nato l'allegorismo e Hume che la

David

spondente agl'inizi della vita umana, tutti passione e immaginazione; con lo Heyne, che il mito è un « sermo symbolicus »,

non prodotto da arbitrio

ma

da bisogno e po-

sermonis egestas », la quale rerum iam tum notarum s imi litud Ines » vertà, dalla

«

Muller, che è impossibile intendere

il

si ;

esprime «per con Ottofredo

mito senza rientrare

nell'intimo dell'anima umana, dove se ne scorge la necessità e

la

spontaneità.

come qualcosa

me

La

non fu più guardata nemico verso la filosofia, co-

religione

di estraneo o di

come inganno di gente furba alle spalle di gente semplice, ma, come il Vico voleva, quale filosofia stoltezza

o

rudimentale, onde tanto si trova nella metafisica ragionata quanto era già in qualche modo nella metafisica poetica o religiosa. Similmente, poesia e storia non furono più te-

nute disgiunte o contrapposte perché si combattessero a vicenda e come già uno dei grandi ispiratori della nuova ;

letteratura

tedesca, lo

Hamann

(per

tanti rispetti simile

Vico nelle tendenze, benché impari nella potenza mentale), aveva ammonito e preveduto dicendo: « se la nostra al

XX. IL VICO E LO SVOLGIMENTO POSTERIORE

poesia non vale, anche la nostra storia

Faraone

delle vacche di storiografìa

del

sècolo

»,

un

farà più

si

253

magra

poesia ravvivò la la quale da incolore

alito di

decimonono,

ridivenne pittoresca, da fredda che era acquistò calore e vita. La critica all'.utilitarismo degli Hobbes e dei Locke, e l'affermazione della coscienza morale come spontaneo pudore e giudizio senza alcuna riflessione, si ripresentò, bene

armata, nella Critica della ragion pratica; e la polemica contro l'atomismo sociale e il conseguente contrattualismo, nella Filosofia del diritto hegeliana. La libertà di coscienza e l'indifferentismo religioso, professati e inculcati dai pubblicisti del seicento,

come dottrina filosofica; e Hegel, come già al Vico,

fu negata

un popolo senza Dio sembrò

allo

introvabile nella storia ed esistente solo nelle panzane dei

narratori

di

viaggi

nuando l'opera

in

paesi

o poco noti. ContiVico non aveva po-

ignoti

della Riforma, che

il

tuto conoscere né esattamente giudicare, la filosofia idealigermanica intese non già a strappare dalla vita la

stica

religione,

ma

ad

affinarla,

ligione alla filosofia stessa.

dando valore Il

certo,

Vico distingueva dal vero del dal

ditazioni

Tomasio

diritto,

Kant

e

spirituale di re-

duro certo, che il formò tema di me-

Fichte, e

al

da costoro

che cercarono, se anche non trovarono,

ai recentissimi

criterio

al

il

distintivo tra le

due forme, e

tutti o

il

quasi tutti « forza »

mostrarono viva coscienza di ciò che chiamarono o

«

coazione

»

e che era stato

come

obliato nella vecchia,

La scuola storivoluzionammo e al riforsecolo decimottavo, doveva ripigliare

superficiale e rettorica dottrina moralistica. diritto, reazione al

rica del

mismo

astratto

del

l'altra

polemica del Vico contro

nismo

di

una repubblica

il

ideale o

platonismo o di

un

il

grozia-

diritto naturale,

fuori e sopra la storia e misura della storia, e riconoscere

col Vico che di

un popolo

il

diritto è corrispettivo all'intera vita sociale

in

un dato momento

storico e giudicabile solo

.

FILOSOFIA DEL VICO

254

in relazione a questa, e vivo e plastico e in continua

come

mu-

linguaggio. Finalmente, la Provvidenza vila razionalità e oggettività della storia, che cioè chiana, osserva logica diversa da quella che le viene attribuita tazione

il

immaginazioni e illusioni, prese un nome non mutò carattere, nell'astuzia della

dalle individuali

più prosaico, ma ragione, formolata dallo Hegel velloticamente ritradotta nella

;

e fu spiritosamente e cer-

popolare

astuzia della

specie Schopenhauer, e, poco spiritosamente sebbene assai psicologicamente, nella cosi detta legge wundtiana dell'eterogenesi dei fini. dello

Sono, come

vede, quasi tutte

si

filosofia idealistica

del

le

idee capitali della

secolo decimonono, che

si

possono

considerare ricorsi di dottrine vicinane. Quasi tutte, perché ve n' ha poi qualcuna della quale nel Vico si trova il precorrimento ma l'esigenza, non l'addentellato ma lacuna da riempire; e per questa parte si ha non pili il

non la

ricorso

ma

il

progresso

del secolo

decimonono sopra

lui, e dal coro gli sorgono contro voci discordanti di

di

amdue

monimento o di rimprovero. La distinzione vichiana dei mondi dello spirito e della natura, a entrambi i quali era applicabile

vero e

il

fatto,

ché quel

criterio

ma

mondo

scibile, e al

al

gnoseologico

della conversione tra

primo applicabile dall'uomo stesso per-

è opera dell'uomo, e perciò da lui cono-

secondo da Dio creatore, e perciò inconoscibile

nuova filosofia che, più vichiana del Vico, dell'uomo semidio fece Dio, sollevò la mente umana a spirito universale o Idea, e la natura spi-

all'uomo, non fu accettata dalla

come prodotto anch'essa dello spitentò d' intendere rito, speculativamente nella « Filosofia della natura ». Distrutto per tal modo questo residuo di ritualizzò e idealizzò e,

trascendenza, rifulse

non aveva scorto,

il

e che

concetto di progresso che i

cartesiani e

i

il

Vico

loro seguaci del se-

colo decimottavo, nella loro maniera superficialmente ra-

XX. IL VICO E LO SVOLGLMENTO POSTERIORE zionalistica,

avevano pure

255

qualche modo intravisto e

in

affermato.

Ma a questo mancato riscontro fa compenso quello pienissimo tra le « discoperte » storiche vicinane e la critica e storiografia del secolo decimonono. Riscontro, anzitutto, nei canoni metodici nella scepsi circa i racconti degli :

documenti

storici antichi, nella superiorità riconosci uta ai

monumenti guaggi come e

narrazioni, nell' indagamento dei lintesori dei concetti e dei costumi primitivi,

sulle

nell' interpetrazione sociale dei miti, nell'

importanza data comunicazioni

agli svolgimenti spontanei sulle estrinseche

delle civiltà, nell'avvertenza di

non interpetrare la psicomoderna; e via discor-

logia primitiva con la psicologia

rendo. Riscontro nelle soluzioni effettive dei problemi storici, perché furono riaffermati il carattere arcaico e barbarico delle civiltà primitive greca e romana, e l'indole aristocratica e feudale delle loro costituzioni politiche; il

come un

cerimoniale dell'antica giurisprudenza riapparve

ad azioni guerresche; il travestimento degli eroi romani in eroi democratici ebbe termine coi giacobini francesi e coi loro imitatori in Italia e

poema drammatico,

altrove;

Omero

quanto più rude

fu ;

allusivo

considerato

poeta

tanto

Roma venne

la storia di

prattutto sulla base del diritto romano, e

i

grande

più.

ricostruita so-

nomi

dei sette

re apparvero simboli di istituzioni e le origini tradizionali di Roma tarde invenzioni greche o condotte sui modelli greci; la sostanza di quella storia fa riposta nella lotta economica e giuridica di patriziato e plebe, e la plebe de-

rivala dai famoli o clienti

;

pel primo aveva rischiarata

la lotta di classe,

di

che

il

Vico

cruda luce, fu accolta come

criterio di larga applicazione alla storia di tutti

i

per l'intelligenza dei maggiori rivolgimenti sociali;

tempi e il

Me-

dioevo, segnatamente durante la restaurazione seguita

periodo napoleonico, attrasse

gli

animi e

le

al

menti, vagheg-

FILOSOFIA DEL VICO

256

giato e sospirato come il contrapposto della società razionalistica e borghese e inteso, perciò, come il periodo religioso, aristocratico e poetico che

come

cosi la

che

il

il

Vico aveva scoperto,

dell'Europa moderna. L'Italia ritrovò del suo Dante, e quella critica dantesca, grandezza Vico aveva iniziata, il De Sanctis portò innanzi:

l'età giovanile

come il Niebuhr e il Mommsen maturarono la storiografia romana di lui il Wolf e posteriori critici di Omero (pari

;

ticolarmente Ottofredo Miiller), la teoria omerica; il Cornerai Lewis, il Pais e il Lambert, l'altra e analoga sua teoria circa la legge delle dodici Tavole; lo ler,

il

Heyne,

il

Miil-

l' interpetrazione dei miti; il Grimm e desiderato di una ricostruzione della vita

Bachhofen,

altri filologi,

il

il Savigny e la primitiva per mezzo delle etimologie scuola storica, lo studio degli svolgimenti spontanei del diritto, con preferenza data alle consuetudini sulle leggi e ;

i

il

codici

;

Troya

il

Thierry e

Fustel de Coulanges in

il

Francia,

una legione di dotti in Germania, medioevo e del feudalismo; il Marx e

in Italia e

concezione del

Sorel, l'idea della lotta di delle società per

mezzo

classe e

dei

di ritorni a stati

la il

ringiovanimenti

d'animo primitivi

e a ricorsi di barbarie; perfino il superuomo del Nietzsche rinnovò, in qualche modo, l'eroe vichiano. Sono alcuni nomi soltanto, che ricordiamo alla rinfusa e un po' a caso, perché a ricordarli

tutti e

ciascuno a suo luogo

si

dovrebbe scrivere l'intera storia del pensiero europeo nella sua fase più moderna: una storia che non è ancora chiusa, sebbene abbia avuto, sotto nome di

positivismo », una parentesi di parziale ritorno all'astrattismo e materialismo del secolo decimottavo, che essa, invece, sembra ora chiusa «

fermamente. Questi molteplici ricorsi dell'opera di un individuo nell'opera di pili generazioni, questo riscontro tra un individuo e un secolo, giustificano una definizione immaginosa

257

XX. IL VICO E LO SVOLGIMENTO POSTERIORE

può dare del Vico, desumendola dallo svolgimento posteriore: che egli fu né più né meno che il secolo de-

che

si

cimonono compendio

in

Definizione che può valere

germe.

dottrine di lui, e contribuire a far intendere gli spetta nella storia

come

ricostruzione ed esposizione delle

della nostra

della

filosofia

il

posto che

moderna. Egli

è

da

veramente accanto a quel Leibniz, al quale è da collocarvelo non perché so-

collocare stato

spesso paragonato

migli

al

Leibniz, come

quest'intento

si

:

è creduto

si

provano

o

falsi

o

(i

paragoni

superficiali),

istituiti

ma,

a

anzi,

perché non gli somiglia punto e gli è quasi opposto. Il Leibniz è il potenziamento del cartesianismo: intellettualista, nonostante le piccole percezioni e la conoscenza conil dinamismo, che è forse più nel suo effettivo pensiero; che immaginazione la sua immensa erudizione storica; nonostante antistorico,

fusa; meccanista, nonostante nella sua

chiuso a ogni coscienza di quel che sia il linguaggio, nonostante che del linguaggio si occupasse fervidamente durante tutta la vita; antidialettico, nonostante la tentata spiegazione del male nell'universo. Rispetto all'idealismo posteriore, la filosofia leibniziana sta come l'espressione più perfetta della vecchia metafisica, che doveva essere superata; quella del Vico, come l'abbozzo della nuova me-

che doveva essere svolto e determinato. L'uno

tafisica,

suo secolo, che

si

intorno e ne proe sonoramente la voce; l'altro, a un pagò rapidamente secolo avvenire ed ebbe intorno a sé il deserto e il silenrivolse

zio.

al

Ma

la

folla

o

il

gli si

affollò

deserto non aggiungono o

tolgono

nulla al carattere intrinseco di un pensiero.

B. Cuoce,

La

filosofìa

di Giambattista Vico.

17

Luoghi del Vico adoprati o richiamati nel corso dell' esposizione



I.

Por questo capitolo

si

vedano

De antiquissima italorum sapientia, de' letterati

allo

e

»

la

spirito della

VI, 5.

le

il

De studiorum

due Risposte

al

ratione,

il

Giornale

<

prima parte dell' Autobiografia. Per l'accenno Riforma (p. 8), Opere, ediz. Ferrari seconda,



(p. 22),

Genesi del nuovo orientamento gnoseologico del Vico la certezza della storia Opere, ediz. cit., IV, 366 sgg.

(p. 23),

V, 147;

II.

IV, 33

;



V, 136-7

;

;

il

mondo

-**

«

nuova

ridursi a

intendimento nato

mondo umano

(p. 24),

;



e suo vero significato (pp. 25-6), V, 51

— significato del detto che per pensare la Scienza

99; V, 51;

convenga

il

metodo cartesiano, indul'asserito « metodo geometrico »

sillogismo, sorite,

zione baconiana (p. 25), V, 239 della Scienza



della natura e

mondo

»

uno

stato di

somma

ignoranza

(pp. 26-7), IV, 33; V, 136, 50, 51;

di linee e di

numeri

»

»



e 1' «

«

;

VI,

nuova

di

puro

immagi-

della matematica e la realtà

— in 118, 160;

qual guisa la scienza del mondo umano la « divinità » delle proceda come la geometria (pp. 29-30), V, 147 della Scienza nuova la ivi filosofia e la filologia (pp. prove (p. 30), (p.

29);

II,

;

30-1), III, 200;



;





l'autorità e la ragione (p. 31), V, 171 sgg.;

filologia studia non solo le parole

ma

anche

le

— la

cose

(ivi), V, 115, filooggetto amplissimo della filologia, IV, 27; V, 98; sofia e filologia ancora estranee l'una all'altra ai tempi del Vico l'erudizione di Grozio non è intrinseca al (pp. 31-2), IV, 20 sgg.;

149;







suo argomento

(p. 32),

IV, 19;



il

disprezzo di Cartesio e del Male-

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

260

branche contro l'erudizione

232;

(ivi), III,

— la necessità di

logia è necessaria il

«

(ivi),

— l'esigenza V, 103;

umane

(ivi),

V, 149-50, 174; IV, 20, 248;

invidioso



;



il

titolo

V, 562.

(p. 34),



V, 99 (degn. XIV) vichiane (p. 42), IV, 81 (p. 41),

;

«



d'una storia tipica

Vari significati della « storia ideale eterna » vichiana la « degnità » sulla « natura delle cose 40-1), Opere, V, 147

III. (p.

nuova

della Scienza

»

la filo-

conseguenza della filosofìa (p. 33), III, 200;

metodo baconiano

delle società

ridurre



la filologia a scienza (ivi), III, 233; IV, 307; V, 98, 174;

>



;



in conformità delle leggi

in idea

IV. »

tica

»

certo

«

Il

fatti

da

e ritenuti

»

«

lui

IV, 73; V, 91, 148-50.

(ivi),



i

prove metafisiche » dubbi sono asseriti dal Vico

le cosi dette

costituisce

»

(p. 45),

Opere, V, 97

quasi tutto

«

il



la

verità meditate

«

sapienza poe-

della seconda Scienza

»

corpo



;

«

le « aspre difficultà » per discendere dalle V, 44 nature nostre ingentilite a quelle degli uomini primitivi e l'idea una della « natura simpatetica » (p. 46-7), IV, 36 V, 141, 166

nuova

(ivi),

;

;

delle ragioni perché

«

nuova

»

la

errori di Platone, Giulio Cesare Scaligero,

spare Schopp (ivi), III, 232-3 IV, 194, 228 Selden e Puffendorf (ivi), IV, 20 V, 175 ;

;

;

rore

commesso da

lui





;

Scienza del Vico

(p. 47),

V, 42;



Francesco Sanchez, Ga-

— —

;

il

gli errori di Grozio,

Vico confessa

medesimo nel De antiquissima

(ivi),

l'er-

IV, 194,

228 la sapienza poetica è la « chiave maestra » della seconda la « Logica poetica » (p. 48), V, 179 Scienza nuova (ivi), V, 42 ;



;

;

la sapienza riposta fu intrusa nella poesia dai la poesia è passim, e cfr. per es. IV, 191-3;



tura

»

e la

220, 237;

mosso

e,

«



il

linguaggio

«

(ivi),

improprio

(ivi),

muti

»

(ivi),



;



linguaggio

il

V, 186;



»

«

la poesia

proprio

la poesia e la

»

me-



dell'umanità (pp. 49-50), V, 152;

losofi l'intelletto atti



V, 115

nessuno fu insieme gran metafisico i poeti sono il senso, i fiIV, 200; V, 441;

tafìsica (ivi), IV, 199-200;

«

IV, V,

necessità di na-

di articolare, canta (ivi), V, 112, 114;

prima

e gran poeta

«

prima operazione della mente umana » (p. 49), V, l'uomo, prima di riflettere, avverte con animo com-

è anteriore alla prosa

e

filosofi, III,



V, 197, 466;



le



il

linguaggio

lingue articolate non

per le origini delle sono per convenzione (pp. 50-1), V, 209-10; lingue furon trovate dal Vico nei principi della poesia (p. 51), V, (p. 50),



LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE



194-218, 466-7;

una

medesima

e



della scrittura (ivi), V, 198;

è

del

l'origine

261

linguaggio e

identità tra favola (poetica) ed espressione (p. 52), IV, 205; »

parole reali

«

cinque

d'



geroglifici (ivi), V, 201, 249;

i

Idantura



V, 82, 201-2

(ivi),

le

alti

g-li

;





analoghi propapaveri troncati dal re Tarquinio (ivi), V, 202; cedimenti espressivi presso popolazioni selvagge e i volghi (ivi), V, 202-3



;



la

favoletta

«

»

sull'origine

— le improse primitive furon

IV, 206; le

imprese, bandiere, medaglie, monete

le

16; V, 230-1;

mutole

«

insegne e bandiere sono una sorta di

— le

IV, 211-2;

da quella del Vico

rovesciate

<

canti degli uccelli

111,



275;

V, 195-7; (ivi),

le teorie di

boriose

«

opinioni

(p. 53),

sibilo

«

il



idea ottima

(ivi),



V, 230-1

(ivi),

lingua armata

»

;

(ivi),

polemica contro

(p. 54),



la

»



i

del Patrizzi (ivi),



i

»

(ivi),

IV, 194;

non



saggio di

sull'origine della scrittura (ivi),

imprese eroiche vero nella sua

delle

trattatisti

poesia rappresenta



IV, 224;

IV, 163

IV, 163; V, 169;

dei venti

Platone, Lazio, Scaligero, Sanchez sull'ori-

e « ridevoli

»

IV, 202; V, 230;

nimato

e

»

lingue sono insoddisfacenti

g'ine delle

«

»

IV, 202-

(ivi),

imprese

teorie di Platone, Aristotele, ecc. sulla poesia son

«

»

delle

ha per

il

fine l'animazione dell' ina-

è altro che imitazione (pp. 54-5),

V, materia l'impossibile credibile (p. 55), è nata da inopia (ivi), III, 271-2; III, 272; IV, 165; V, 168-9; identità del vero dei filosofi e del vero dei poeti V, 220, 442-3; (ivi),

112, 238;

(ivi),

— ha per propria

V, 164;

V, 220-1



V, 456 sgg. figurato

217;

— — da



inopia nacquero

il

canto e

V, 164;

(ivi), ;

(ivi),





V, 182 sgg.;

— delle

— un caso d'afasia — identità intrinseca



(ivi),

(ivi),

V, 222;

le delicatezze





parti del discorso (ivi), V, 213

osservato dal Vico a Napoli tra pittura e

delle

(p. 56),

del parlare

poesia

arti (belle)

(ivi),

(ivi),

VI, 40;

(ivi), III,

son frutto delle

V,



270; V, filosofie

prima età del mondo fu tutta occupata intorno le arti (mecprima operazione della mente (p. 57), V, 237;

(ivi),

alla

metafore

diverse forme della poesia

del verso e del metro

analogie tra la poesia e la pittura medievali

438;

le

scopo della poesia è insegnare al volgo l'operare vir-

;

tuosamente

s =g'-j

;

V, 55;

la



caniche) sono poesie in certo

romano

è

un

«

IV, 225; V, 531;



la

diritto

modo

reali (ivi), V, 112, 288;

poema drammatico serioso

»

(ivi), III,



il

347;

poesia è considerata dal Vico come teolo-

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

262



come educatrice di volgo già fantastica (pp. 57-8), V, 162 sgg. 253 come fìsica (p. 58), V, sgg.; immaginaria (ivi), V, 369 sgg.; i furon tutti di sublimi popoli primitivi poeti (p. 58), V, 107, 443; ;



poeti sono pel Vico perfino

— —

fanciulli (ivi), V, 112

i

primitivi eran nulla o assai poco ragione

— la

187;



V, 212;

— il

(p. 59),

uomini

— quasi

;

poeti primitivi furon fantastici per natura, quelli di epo-

i

che incivilite son

come

gli

V, 379

lingua degli dèi fu quasi tutta muta T immagine dei « grandi rapidi fiumi » (ivi), V,

tutto corpo (ivi), V, 440; (ivi),



;

per industria

tali

Vico ponesse

il



274; VI, 37;

(ivi), III,

problema dell'origine della

civiltà (p. 60),

IV, 24.



V.

Il

De sapientia veterum



Opere, IV, 360, 365;

(p. 64),

di

Bacone

De

il

è più ingegnoso che vero

Voss

theologia gentili del

(ivi),

— la Demonstratio evangelica Huet e Phaleg Chanaan del Bochart V, 80; — miti non contengono sapienza — hanno significati univoci 65), IV, 169; riposta V, 169; — mito di Giove fu effettivamente creduto dagli V, 43, 111-2; IV, 21; V, 171

dell'

;

et

il

i

(ivi),

(p.

(ivi),

il

uomini primitivi

(ivi),



V, 166;

i

miti sono storia vera foggiata



da

la sapienza riposta spiriti primitivi (ivi), IV, 74; V, 18, 109; fu intrusa in essi soltanto in tempi colti (ivi), IV, 191-3; né poi



vennero trasmessi da un popolo



il mito V, 80, 81; il mito del Cielo (p. 67), IV, 164: d'Ercole (pp. 66-7), IV, 167; il Vico asserisce, si, che i miti contengono i sensi storici, V, 248 ma proprianon filosofici, dei popoli primitivi (p. 68), V, 43

all'altro (ivi),





;



;

mente

egli vuol contrapporre

altissima filosofia nei miti

(ivi),

»

e ai sensi



V, 169;

sensi storici ai

i

«

come

analogi

la

l'errore

(p.

69), III,

110;



96; V, 166

II,

in tempi colti

dai miti

si liberi

definizione vichiana del-

— ;

e del

falso

(ivi),

IV,

ogni favola ha un motivo di vero

(ivi),

IV, 169; V, 110;

miti sono embrione del sapere riposto

(ivi),

V, 420;

169; i



intrusi

»,

mente umana

(pp. 68-9), IV, 172; V, 186, 411, 220;

sensi mistici di

«

tori dei miti (« poeti

teologi

»)

letto dell'umanità (ivi), V, 421;

l'idea di Dio

furono



come

(pp. 69-70), IV, 50-1;

divine e delle vie



il

senso,

si sia i

i



filosofi

i



crea-

l'intel-

svolta storicamente

concetti

delle

tre

pene

furono ispirati a Platone donde derivino gli esempì esopici,

purgativa e unitiva

dalle favole (p. 70), V, 387;

l'induzione socratica e

il



sillogismo aristotelico

(ivi),

V, 192;



LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE l'etimologia di

V, 165, 168;

De

«





;

De

il

(ivi),

sofìa e

(p.

linguaggio

;

— due

pensieri circolano

tra religione e filosofìa (pp. 70-1),

divinazione



V, 168;

71),

(p.

oraculis ethnicorum del van Dale



V, 108;

— 155;

il



il

(ivi),

precedo la

la religione

IV, 193-4;

72),

rale e rivolata (p. 72), V,

da Dio

V, 379

ma

sono nate non da impostura d'altrui

le religioni

da propria credulità il

(ivi),

della

l'origine

origine idolatria? e

V, 171

»

olfacere

nuova sui rapporti

nella Scienza

263

filo-

teologia poetica, natu-

popolo ebraico fu privilegiato

più giù le citazioni al cap. XIII. Poesia e storia (p. 75), Opere, V, 437, 109, 441; insistenza del Vico nel notare che l'elemento poetico è intrinseco (ivi): cfr.



VI.

alla storia (ivi),





lo stile di Erodoto V, 109, 110, 444; VI, 15; detto di Cicerone (ivi), IV, 400; le istituzioni

(ivi),



V, 18;

sociali e la



il

filosofia (p. 76),



V, 532, 534;

«

i

quattro auttori

»

del Vico (pp. 76-7): Platone e Tacito, IV, 351; Bacone, IV, 351-2;



Grozio, IV, 366-7;

l'insistente polemica del Vico contro Grozio,

Selden, Puffendorf e gli

«

adornatori

»

del sistema groziano (pp.

76-7), III, passim, spec. 11-2; IV,

V, passim, spec.

Hobbes, Spinoza, Bayle, Machiavelli,

(p. 80):

340; V, 49; epicurei e gallico, III, 57; l'

Hobbes



il

gli

«

polemica contro

fallimento dello

spinosisti i

Cartesio,

IV, 14;

stoici,

(pp. 80-1), V, 106;

Spinoza e

81-2):



175-7;

6,

»



e del

il

«

III,

12; Locke, IV,

tee victis »

sforzo

Locke

trattatisti di etica dal

IV, 343;

«

dell'antichità

del

brenno

magnanimo

(p.

(ivi),

Cinquo

»

V, 138, 49; al

del-

— —

81), VI, 5;

lo

la

Settecento (pp.

Malebranche e Pascal, VI, 127; Nicolo,

Pallavicini e Muratori, VI, 98;



passim, spec. 16-20, 307-8, 391; la polemica contro gli utilitaristi



e Yhonestas (p. 82), III,

l'utilità



la frodo e la forza

la fede nelle (ivi), IV, 87; III, 57; base della e relativa contro il Locke promesse società, polemica l'utilità è causa non occasione, (pp. 82-3), IV, 39-40; (p. 83), III,

30;

ò



30;



il

detto di

Pomponio

(ivi), III,

l'omicidio per legittima difesa e

il

fame

l'etica platonica e l'etica aristotelica (pp. 83-4),



dei giureconsulti romani (p. 84), IV, 334; libri dei

IV, 35

;

giusnaturalisti



i

— — HI, 31;

30; IV, passim; V, passim;

furto per

non corrispondono

(ivi),

IV, 334-5; i

titoli

al loro



l'etica

magnifici dei

contenuto

(ivi),

principi di Grozio pesati con la bilancia della critica

non appariscono necessari

(ivi), III,

12;



Grozio e la questione

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

264

— Grozio e la disputa se vi sia diritto — Grozio non dimostrò la sua ipotesi sui 97; — e fu epicureista senz'avvedersene 43 IV,

dell'utilità (ivi), III, 30;

natura

in «

IV, 17;

(ivi),

stato naturale

pudore son il

«

V,

(ivi),

semplicioni

»



(ivi),

»

la

«

;

»

degnità

vicbiana sulle

cose fuori del loro

«

(pp. 84-5), V, 97 (degn. Vili)



;

rimorso e

il

fonti di tutte le virtù (p. 85), III, 234 sgg.; IV, 49-50;

senso comune degli uomini d'intorno alle umane necessità genti (ivi), V, 98 (degn. XI e XII)

è fonte del diritto delle

costumi son generati

umano

l'arbitrio



VII.

dall' interno,

(ivi),

dall'esterno

V, 98. fulminante fa immaginare

V, 142, 172-3;

umana

non

le



passioni

i

bestioni

«

ai

»

pri-

(ivi),

V, 242; —

il «



conato

»

timore di Dio è fondamento della

il

IV, 291; V, 242-3, 250;

mezzo per ridurre

solo

V,

Opere, V, 165-8, 106, 142;

(p. 87),



l'origine del culto re-

ligioso, dei matrimoni, delle sepolture (ivi), V, 137:

è

(ivi),

è incertissimo (ivi),

Il cielo

per placarla essi raffrenano (p. 88),

»

— — 131; ;

una divinità corrucciata

mitivi

vita

il



infieriti

con



la religione

armi

le

popoli (ivi), V, insegnata ai fanciulli mediante il timor di Dio l'uomo disperato desidera un essere superiore (ivi), V, 242; cbe lo salvi (ivi), V, 142; tutte le nazioni credono in una diil



106;

i

la pietà è





vinità provvidente

di viaggiatori

(ivi),

(ivi),

V, 138;

V, 137;



cose morali (pp. 88-9), IV, 17; si

spegne

il



popoli senza Dio sono novelle

parallelo

(ivi),

cose fisicbe e le

le

spenta la coscienza religiosa, il conconcetto di società e stato (p. 89), III, 387 ;

cetto della divinità presso gli ebrei,

mettani

tra



V, 138;



i

cristiani,

i



gentili e

gli epicurei e gli stoici e

il

mao-

i

detto di Ci-



l'Hobbes e lo Spinoza cerone a Tito Pomponio Attico (ivi), ivi; e la loro inintelligenza del vero concetto di società e stato (ivi),



IV, 320; V, 106, 136, 138;

mata letteratura

Pietro



»

Bayle

e

i

dotti

della

«

sfu-

polemica contro Grozio

(ivi), (ivi), V, 290; contro Puffendorf (pp. 89-90), IV, 18; IV, 17; V, 176; IV, 43; la religione vale come concezione della realtà, o che V, 176 si affermi come metafìsica intelligibile (p. 90), V, 153-4, 241-2 ;







;

o che

come metafisica poetica

V, 163;



la

spaventosità delle religioni primitive e polemica relativa contro Plutarco (ivi), il vero significato del detto che « il timore fece gli V, 253; (p.

91),



dèi

»

(ivi),

V, 108;

— un

senso comune d'immortalità è nascosto

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE nella

mente degli uomini



ma

tal'altra la

filosofia,



V, 242

compito della filosofìa è l'uomo caduto (pp. 91-2), V, 96, 154; secondo lui, è adatta piuttosto a ra-

eia moralo

gionare

(p. 92),

pratica,

giova all'eloquenza

;

ridusse

la religione

V, 108;



142;



come come il

«

i

Vico concepisse

il

arbitrio

libero



V, 490;

all'umanità

»

stato ferino

«

ca-

religione

V, 106, 137-8, 534;

(ivi),

lo

la

civili (ivi),

Polifemi

dei

figliuoli

più che alla

filosofi,

tempi

i

Vico a Polibio

detto attribuito dal

dei

573-4;

V,

(ivi),

ratterizza l'epoca barbarica, la filosofìa il



IV, 9;

(ivi),

Vico, sollevare

pel

talora,

265

V, 97;

»

(ivi),

V,

(p. 93),



— —

quale posizione assumesse nelle controversie sulla grazia (pp. 93-4), IV, 332-3 la grazia naturale e la soprannaturalo (p. 92), V, 97 la po-

lemica contro

Selden (pp.

il

le restanti nazioni, e

(ivi),

92-3), IV, 17

V, 176

;

;



;





gli ebrei e

;

diverso aiuto loro prestato rispettivamente

il

dalla provvidenza (p. 95), V, 131, e

cfr.

citazioni

le

più giù

al

cap. XIII.



Vili. v.

Dio

Dio è

»

finiium

(ivi), III,

posse, nosse. velie infinitum

«

97),

(p.

70-1

;

Opere,



22;

III, 21,



l'uomo

p.

ri.

definizione della giustizia

di

egualità e sua distinzione in commutativa e distributiva

28; IV, 334;



l'egualità e

del Vico sul riso

simo virtù

(ivi), III,

43-6;



(ivi),

IV, 14;

«

la



40;

28*



meriti (p. 98), IV, 46

IV, 309-13

(ivi),

le distinzioni tra le

(ivi), III, 46, 27,

i

due

solitari » e

i

il

il

giustizie, lo tre virtù e

IV, 335;

né buono né cattive

il



«

teoria

tre diritti

(p. 99), III,

e degli

giansenismo (pp. 99-100), VI, 5;

filosofi

i

per la dottrina vichiana della pena (ivi),

(ivi), III,

la

anche giustizia e

lui



i

stoici filosofi

politici », e l'eccellenza della dottrina dei

platonici sulle passioni (p. 100), V, 96, 97;

j.



;

di

Vico annulla egli mede-

tutt'uno fanno

morale degli epicurei





;

«

immagine come rettrice

»,

lo Stato è





le utilità

non sono

naturale prius e il n. posterius, e polemica relativa contro Grozio (ivi), III, 49-52; la Scienza certo, il vero, l'autorità, la ragiono (p. 101), III, 53; (ivi), III,

30;



filosofia

lettera

(ivi),

leggi

— »

la

(ivi),

V, 240-1; (ivi),

ius



nuova contiene, pel Vico, una 171;

il



dell'autorità (ivi), V, 148,



il « certo delle 53; furono V, 133; prime leggi exempla (p. 102), il diritto primitivo fu concepito come forza materiale

IV, 45, 46;

delle





i

«

leggi

III,

le

fortissimi

»,

per

altro,

erano anche etica-

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

266

mente «

gli « optimi ex vero mixlum »

»,

III,

(ivi), III,

han cominciato

naturalisti

— loro diritto era — male Qrozio e gli altri il

63;

65,

87;

certo

il

metà

la storia dell'umanità dalla

giusin giù



IV, 20, 18; V, 175; polemica contro Hobbes, Machiaed Epicuro (ivi), IV, 171; il quarto « aultoro » del Vico: Tacito, e come da Tacito e da Platone egli fosse indotto a medi(p. 103),



velli

una

tare

storia

di Platone e la

feccia

»

di

Romolo

«

la

»

repubblica

V, 96. Il sentire senz'avvertire, l'avvertire con animo commosso, IX. tutte le riflettere con mente pura (p. 105), Opere, V, 112;



il



eterna (pp. 103-4), IV, 351; «

104),

(p.



manifestazioni della vita dell'umanità sociali del

«

ferino

»

(divino), del

«

si

corrispondono nei

barbarico

»

tro tipi

(eroico) e del

«

ci-,

(umano) (pp. 105-6), V, 462-3; IV, 44, o cfr. passim tutto il le forme miste vaghegquarto libro della seconda Scienza nuova; i giate da taluni politici son mostri (p. 106), Opere, V, 511; govile

»





verni debbono esser conformi alla natura degli uomini governati la scuola dei principi è la

morale dei popoli

(ivi),



;

IV, 73; V, 117;

Scienza nuova seconda, ediz. Nicolini, p. 1158; la necessità e d'una società sulla bontà fondata conseguente primitiva guerra e sul diritto del più forte (ivi), Opere, IV, 46

;



l'eguale necessità

e bontà del tipo di società fiorente nei tempi della ragione tutta spiegata (ivi), IV, 4(5; V, 466;



le

umana

varie età della vita in-



dividuale e quello della vita delle nazioni (pp. 106-7), III, 192-3; il tu* naturale philosophorum è ammesso dal Vico a parole (p. 107), III,



88;

ma

negato nel

fatto,

allorché egli

ritto eroico convertito in quello ingentilito e

contro Grozio (pp. 107-8), IV, 18; V, il

lo identifica col

polemizza



al

di-

riguardo

analogamente, Vico confessa d'essere stato indotto dallo studio di Platone a

meditare un

«

diritto ideale eterno

fatto diritto egli nega, allorché

tone, perche

non tenne conto dei

»

148, 176;

(p. 108),

IV, 335;

polemizza contro «

il



ma

sif-

medesimo Pla-

bestioni tutti stupore e ferocia

»

una repubblica ideale onde le nazioni non si reggono la « generis humani respublica » punto » (pp. 108-9), IV, 15; ovvero la « gran città delle nazioni fondata e governata da Dio » i coè nient'altro che la Storia (pp. 109-10), III, 55; V, 571;

e meditò

«





stumi tiche

»



due

« prasvolgono gradualmente (p. 110), V, 117; nella Scienza Vico alla sua Scienza dal prima assegnate

si

le

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

267



nuova

il paragrafo sulla « pra(pp. 110-1), IV, 24-5, 13, 159-60; aggiunto in una redazione intermedia della seconda Scienza nuova e soppresso in quella definitiva (pp. 112-3), Scienza nuova

tica

»,

seconda, ediz. Nicolini, p. 1053 sgg.



X.

»

civili

La Provvidenza va

ragionata

economia delle coso

siili' «



Opere, V, 13, 143-4;

(p. 115),

la sapienza poetica è co-

minciata dalla contemplazione d'un Dio provvidente (p. 110), V, 168 insistente critica del Vico della fortuna, del fato e del



;

caso

107-8; III, 211-2, ecc.;

(p. 120), II,

di Giove

»

V, 172;

(ivi),





fu Mente, non Fato

umane

illusioni

IV, 34-5

;

Vico (pp.

circa

i

fini delle

V, 14, 333-5, 572

V, 143;

122-3),

(p. 123), V, 45-6

che dà vita



;

— ;



delle

(p. 21),

azioni che

il

mondo



V, 572; si

XI.



La

contro Polibio

cfr.



più giù

il

V, 463;

(ivi),



di



»

e

107.

Opere, V, 536,

(p. 127),

governo

problema

il

II,

polemica relativa

la tradizione egiziana sulle tre

uomini

(p. 127), IV, 251; V, 60, Vico trovava nella storia romana (ivi) :

XVII;



le

«

degnità

»

formolanti

dinamica sociale (pp. 129-30), V, 116-7 (dogn.

LXVI

LXVIII) — perché Cartagine, Capua e Numanzia non seguirono corso uniforme delle nazioni (pp. 130-1), V, 558; perché non ;



nemmeno

l'han seguito «

il

le citazioni al cap.

le leggi della

e

;

eroi e degli

quel che

;

forme

IV, 62

(p. 128),

età degli dèi, degli 105, 198

delle

di

provvidente è l'unità dello spirito

nazioni

barbarie della riflessione

«

— la successione

esempì

compiono (pp. 121-2), in una pagina del

l'utilitarismo

del male in uno dei primi scritti del Vico (p. 124),

570;

delle na-

cosa fosse la pubblica virtù romana

la divinità

mondo

al

occasioni e gli ac-

quello che fece

Caso

o

catena

stoici e la «

le opportunità, le

cidenti (pp. 120-1), III, 22; zioni

— gli

aristocratiche

»

gli

americani

(p. 131),

V, 561;

Inghilterra e Polonia diverranno





le

ancora

un giorno

per-

il medio evo s'apre con lo V, 559; stabilimento del cristianesimo (ivi), V, 537; le due vie offerte alle nazioni corrotte: il ritorno allo stato ferino e il dominio stra-

fettissime monarchie

niero

(ivi),

(ivi),





uomini di stato e filosofi, lavorando di conV, 570; contenore la dissoluzione d'una nazione (ivi), IV,

serva, posson 13;

— le poche

cimottavo 557-8;

si

— una

repubbliche aristocratiche persistenti nel secolo deconservano con arti di sopraffina sapienza (ivi), V, «

compiuta umanità

»

sembra

al

Vico che sia sparsa,

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

268

nei principi del secolo decimottavo, per tutte le nazioni (pp. 131-2), una canzone giovanile del Vico cupamente pessiV, 559-61; mistica (p. 133), VI, 317-21 [Affetti di un disperato); il triste quadro dato dal Vico della condizione degli studi ai suoi tempi





(

(ivi),

VI, 3-17, e

nescit

cfr.

più giù

ediz. Nicolini, pp. 348-55



climi, le

i

;

e simili son considerati talora dal

la scrittura



Mundus



iute-

nuota seconda, razze

delle

fattori storici (p. 135),

egli

alfabetica fu trasmessa dai

(p. 136), V, 206. Per questo capitolo, vedere

«

disposizioni

Vico come

Opere, III, 95, 266; IV, 73, 249-50;

che



XIX;

capitolo

127, e cfr. VI, 35; Scienza

ecc. (ivi), VI,

»,

il

manca

d'osservare

caldei ai fenici e da

questi agli egiziani



XII. capitolo

I,



XIII.

le

stesse fonti indicate pel

e cfr. Opere, VI, 105-6; V, 524-5.

Contrapposizione degli ebrei alle genti e della storia sacra a quella profana (pp. 146-7), Opere, III, ijassim, specialmente 206, 207,

262-5,

342; IV, passim, spec. 51, 74-5, 76-7, 91, 151-2, Tacito chiama spec. 113, 131, 148, 229;



182, 252; V, passim,

ebrei

gli

81

;



fin dal

103-4; III,

uomini insocievoli

«

»

(pp. 150

1),

IV, 17, e

principio del

— la

249-51

«

memorie

(p.

151), III, 303; IV, 23;

V,

perpetuità della storia sacra con la profana

IV, 253

;

mondo

;



80; V, 108-9, 157-61;



»

III,

60, 61,

(p. 148),

Vico dei

la bizzarra costruzione fatta dal

cominciamenti della storia umana (pp. 152-3),

V, 79-

cfr.

privilegio degli ebrei di serbare intatte le loro

il

249-61; IV, 75-

saggio dei tentativi viebiani di apologe-

tica biblica (pp. 153-4): 1.

prove del diluvio universale e

stenza dei giganti, III, 255-7; IV, 78-9, 289; V, 104-5; verno teocratico fu peculiare agli ebrei, III, 249, 362;

dell'esi2.

il

a

3.

goloro-

fu ignota la divinazione, III, 207; V, 104; 4. nei verbi ebraici la

terza persona singolare maschile del perfetto corrisponde alla ra-



dice, V, 217-8;

ria

«

»

di spiegarsi

tanto

(p. 155),

come esempì

nuova si ha tutta spiegata la stosostanza d'intendersi e diversità dei modi

nella Scienza

sull'identità in

V, 562

(ivi),

;

— —

i

IV, 38;

fatti,

in essa, si arrecano sol-

la diligenza è

minuta

e tarda

virtù (p. 157), Scienza nuova seconda, ediz. Nicolini, pp. 11-2.

XIV.



rovesciato crescit

Le magnifiche opinioni intorno nell'ignoranza fa di

eundo

»

« ;



all'antichità;

regola dell'universo;

orane ujnotum prò magnifico

est »

l'uomo «

fama

(pp. 162-3),

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE Opere, V, 94-5 (degn. I);

Seneca

piccolissima



95-6;



;

l'errore

borioso

«



V, 58;

164),

(p.

la

«

boria dei dotti

commesso da

»



nelle ricerche del Cratilo (ivi), V, 114; riosi

commessi da

»

rioso

commesso

»

365

228,

;



di errori

esempì

V, 196-7



;

l'errore

e dei sognati viaggi, sopra

»

309; IV, 26; V, 63-4, 79;





(degn. XIII);

è

trasmissione delle anime IV, 29-30;

bo-

«

bo-

romano



(p. 165),

(ivi),

V,

diritto

IV, 97; Scienza nuova

la dottrina pitagorica della

ritrova perfino in

si

greci fino alla

non conoscevano

invenzioni

supporre un'efficacia del

inutile

ateniese o di quello mosaico sul

i

•<

popoli primitivi, perché occasionate

i

seconda, ediz. Nicolini, pp. 1101-3;



V, 63,

tutto di Pita-

le principali

privatamente in ciascuno dalle medesime necessità 98-9

(ivi),

dallo stesso Vico nel

riscontran simili presso

si

(ivi),

»

Platone, specialmente

De antiquissima (ivi), IV, ridicolezza dell' immaginata « successione delle

la

(ivi), III,

dotti

altri

scuole per le nazioni

gora

Vico a Cicerone,

errori attribuiti dal



V, 60, 95;

(ivi),



la « boria delle nazioni » (p. 163), V, 321 l'illusione dell'uomo al buio in una stanza

Grozio

e

269

India

(ivi),

Opere,

generazione precedente a Tucidide



solproprie antichità (ivi), IV, 28; V, 84; Senofonte ebbero notizia delle cose persiane

le

tanto ai tempi di



Roma fu città nuova fondata tra molti IV, 31; V, 85; antichi Livio non si fa mallevadore IV, 27; (ivi), popoli più

(ivi),



della storia

romana anteriore

IV, 28; V, 93;



la storia

alle

guerre cartaginesi (pp. 165-6), è, per la sua

greco-romana primitiva



le lingue sono i V, 93 testimoni più gravi degli antichi costumi dei popoli (ivi), V, 100

re»

incertezza, quasi

(degn. XVII) (p.

;



nullius

167),

etimologie di

le

IV, 201; V, 115-6;

167),

(p.



la

«

;

intelligere

»

maggior parte

e

«

disserere

»

dello espressioni

si svelano trasporti dal corpo umano « i tre V, 182-3; etimologici » e il « dizionario di voci mentali » vagheggiati dal Vico (ivi), IV, 236-7, 237-8, 239-41, 241-3

intorno a cose inanimate



(ivi),

e

cfr.

V, 211;



i

quattro sensi pei quali, nel Diritto universale,



Vico pensò fossero passati gli dèi (pp. 167-8), III, 451-2; il « » del motto te Conosci stesso IV, significato primitivo (p. 68), V, 189 come, quando e perché furono intrusi signi156, 229

il

;



;

ficati

osceni nei miti

vari:

1.

(ivi), III,

Giove, Giunone, ecc.

454; IV, 185; V, 74-5, 113; (ivi),

V, 73-4;



2.



esempì

Apollo e Dafne

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

270



(pp. 168-9), III, 452; IV, 185; V, 265;



V, 246; 245 i



;

IV, 244

grandi frantumi

«

V, 149

;

e

eroi

degli

;



nomi

chi di

uomini

degli

«

frantumi

149



Omero

;

carni arrosto e le

plirò

marmo

carni lesse

storie favolose



V, 447;



e

;

(ivi),



il

;

IV, 88-9

(ivi),

V, le

principio

romana serve a spiegare



;

o supi

cantastorie del Molo di Napoli

i



codesti

scienza



la

gli elen-

tutti

perché



V, 105;

(ivi),

alla

170), V, 430-1

(p.



metamorfosi cantate dai poeti antichi e

le

(p. 163),

(pp. 169-70), IV, 75

»

di altri popoli

poemi omerici

psodi dei

(p. 169),

IV, 183-4: V,

V, 105, 203;

Varrone

IV, 99; V, 102;

(ivi),

dell'eroismo scoperto nella storia le

(ivi),

restassero fino al Vico inutili

»

(ivi),

IV, 251; V, 60, 105, 198;

(ivi),

« vestigi restati in

i

»

») dell'antichità »

di dèi attribuiti dal Vico a

Romolo

luco di

rottami

(o «

Venere

cesto di

la tradizione egiziana delle tre età degli dèi,

lingua degli dèi ricordata da

il

3.

Giove

detti « figli di

4. gli eroi

le

ra-

(ivi) r

moderne

fiabe dell'orco e delle fate o le favole medievali su Merlino (p. 170-l) r



273;

III,

mitici e glifici

XV. Platone

mito del focolare

rebus de Picardie

i

(p.

biscione dei Visconti

il

e

il



I

171),

(ivi),

serpenti i

gero-

V, 202.

(ivi),

Opere, V, 117, 255;

a sacrificarsi per la comune

i



IV, 213; V, 270;

re primitivi furono immaginati

(p. 173),



V, 259-60;



felicità

es.

per

filosofi,

da

vagheggiati pronti i V, 359 pretesi

gli eroi, (ivi),



;

viaggi d'istruzione compiuti da uomini di stato per riportare in patria buone leggi (ivi)

cfr., per l'esempio delle Dodici Tavole, Vico insiste a preferenza, III, 476-81 Scienza nuova seil fraintendimento delle parole conda, ediz. Nicolini, 1061 sgg.

su cui

:

il

«

re », « libertà

»,

«

di

governo

(ivi),

V, 356, 515 sgg.; narchi

(p. 175),

loro famiglie

i

i

re



V, 118, 255;



ma

V, 520-1

;

re di

i



singoli eroi

spartani

(p. 178),

Opere, V, 356, 359;

monarchia assoluta

la

i

sopra

Roma

tutti al

e di Sparta

non furon mo-

i

(ivi),

V, 255;



il

carattere aristocra-

Tarquinì e le analogie tra i consoli il « popolo » V, 357, 520 sgg.

— V, 520; — ;

la primitivo fu composto di soli patrizi (ivi), primitiva fu soltanto « signorile » (ivi), V, 357, 520; tria

»

primitiva soltanto

«

— fece

forma originaria Bodin (pp. 174-5),

la

veri monarchi primitivi furono nello

(ivi),

tico della rivoluzione contro

romani o

»

popolo

erroneamente credere

;



;

res

pairum

»

(ivi), III,

399

« libertà »



;

la

«

pa-

IV, 94; V,

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

271

— nessuna partecipazione ebbe la plebe all'elezione dei re (ivi), — giuramento degli eroi greci d'esser nemici eterni — la crudeltà del patriziato romano condella plebe V, 121; tro la plebe (pp. 175-6), V, 361-3; — gli eroi ora n durissimi ancbo loro giuochi, faticoverso le loro famiglio (p. 177), V, 363-5; — — le loro guerre, atrocissime sissimi V, 286, V, 364; 299

;

V, 355-6

il

;

(ivi),

i

— — —

364;

364;

342;

(ivi),

(ivi),

le

schiavitù in cui tenevano

gli stranieri

»

culto

(p. 178),

V, 363 »

(ivi),

religioso



l'età

V, 253



;

;

— —



i

la-

gì' «

umane

le vittime

V, 251-3;

(ivi),

V, 262;



V,

V, 320,

imperì paterni cidell'oro fu tutta un « fanatismo



offerte

agli

storica del

l'origine

matrimoni

dei

V, 168;

(ivi), (ivi),

V, 341

(ivi),

;

popoli primitivi

delle sepolture

(ivi),

V, 243;



ciclopi primitivi furono, insieme,

i

sapienti (in divinazione) e sacerdoti

re,

(ivi),

(ivi),

l'inospitalità delle nazioni primitive (ivi), V, 80;

di superstizione

dèi dai

severissime

vinti,

eran da loro considerati nemici

dronecci e corseggi eroici clopici

i

III,

(ivi),

302



;

le

prime

sedi degli eroi furon le alture dei monti presso le fontane perenni



i V, 258; primi matrimoni, aqua et igni (pp. 178-9), V, il che avevan del lecito gli uomini primivero concetto 259;

(ivi),

tivi



(p. 179),



V, 250;

tardi

quei primi

aggruppamenti umani



scesero alle pianure e poi alle marine

(ivi), V, 128; più tardi ancora navigarono e dedussero colonie (ivi), IV, 151 sgg. V, le gentes maiores e le gentes minores (ivi), V, 132 308 le famiglie primitive furon composte, non di soli figliuoli, ma anche ;





;

;

di famoli (ivi), V, 277;

ossia di deboli rifugiatisi presso

e che, coltivando V, 279; e nexi * (pp. 179-80), V, 282;

(ivi), «





donde



il

principio eterno dei feudi

terre

lo

(ivi),

anche da quel che Tacito {Germania,

mani

(ivi),

V, 283;



i

figli e

stinguevano soltanto pel

nome

i

tinamenti dei famoli fecero alleare la città la

eroica

(ivi),

V, 299

prima plebe senza né

testamenti litico d'

(ivi),

imperio

mizi curiati

(ivi), III,

V, 281;

i

della

;



;

344-5

V, 307-8, 332;

(p.

180),

V, 281

;

14) dice dei famoli dei Ger-



i

frequenti

si di-

ammu-

patres tra loro, da che sorse quale i famoli costituirono

diritti politici,

Y, 809-10

(ivi),



»

famoli, di fronte al pater,

(ivi),

detti

— — V, 119, 311 sgg.; provato

clientes

«

forti

i

dei padri, furon

né matrimoni solenni, né

quali ultimi avevan carattere po-

i

;

— —

esclusione dei plebei dai coi

re primitivi furon conduttori

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

272

dei patrizi nella resistenza contro

feudi nobili armati e

feudi

i

famoli

i

V, 299-300;

(ivi),



rustici (p. 181), V, 312;

la



i

vera



il dominio bonitario, proprietà (ivi), IV, 83-4; ed eminente perché nelle requiritario (ivi), IV, 103; V, 312-3; pubbliche eroiche i patrizi si guardassero dall'arricchire le plebi

della

origine



e fossero rattenutissimi dal venire nelle repubbliche eroiche

vate (pp. 181-2), V, 122;

alle

mancavan



donde

guerre

leggi por punire

la necessità

V, 121;

(ivi),



le offese pri-

dei duelli e delle

— duelli famosi: Menelao e Paride, — posteriormente s'ebbero giudizi per V, 484 V, 485; — scrupolosissimamento interpetrate

rappresaglie (p. 182), V, 482;

Orazì

Curiazì

e

(ivi),

forinole verbali

come per

(ivi),

es. la « lex



;

horrendi carminis

»

di

Roma

primitiva

(ivi),

qual religio verhorum, ritenuta anche nel diritto romano degli ultimi tempi della repubblica (ivi), V, 508 porse ristrettisargomento a più commedie di Plauto (ivi), V, 486; V, 240, 485;

la





simo ora

primitivo diritto privato, che ignorava

il

sensuali (pp. 182-3), V, 293-4;



il

i

;

contratti con-

simbolismo dei contratti

e

delle procedure di tempi più civili deriva dalla materialità e dalla

violenza dei contratti e procedure dei tempi primitivi (p. 183), come, per es.: nelle finzioni della forza nei riti matrimoniali, V,

246; nella mancipazione, nell'usucapione, nelle rivendicazioni, V, 526-8; nelle tante maschere portate in piazza quante eran le persone, V, 528-9; nell'Eredità finta

domina

delle robe ereditarie, V,

— l'antica giurisprudenza insomma fu tutta poetica (pp. 183-4), 529; V, 530; — in versi adoni infatti vanno a terminare parecchio leggi che i fanciulli romani delle Dodici Tavole (p. 184), V, 224; a corno le cretosi memoria, quei leggi di Minosse (ivi), imparavano



V, 225

cone rioso

»

egizia rio

i

225;

;

— poetiche del pari le leggi degli egizi, di Licurgo, di Dra— diritto romano antico fu un poema seV, 225; 347; IV, 225; V, 531; — la poesia ebraica, araba, — in verso consegnarono loro prime stoV, 221 «

il

(ivi),

(ivi), III,

(ivi),



il

giambico

le

;

persiani,

i

chinesi,

i

germani

e gli americani (pp. 184-5), V,

verso eroico (prima spondaico, poi dattilico) e il verso i numeri poetici eran frequenV, 114-5, 222-3;



(p. 185),

tissimi noi primi prosatori (ivi), V, 219;

giata la tragedia e poi,

quale fosse

il

«

corpo

per »

imitazione, la



in giambi fu verseg-

commedia

(ivi),

V, 460;

dei linguaggi primitivi (ivi), IV, 225;

— —

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE episodi e

gli

la

perché

parlare contorto

il

greca

lingua

V, 101, 220-1;


e



IV, 225-6; V, 219

(p. 186),

francese sian ricche

la

lingua tedesca e

la



l'esigenza d'una

di

— ;

dittonghi

scoperte mara-

le

vigliose a cui darebbe luogo lo studiarne le origini

V, 226-7;

273

(ivi),

IV, 226;

teogonia naturale e la genesi dei



Giove o il Cielo (ivi), IV, 255-70; V, 175; Giunone (pp. 186-7), V, 246 sgg.; Diana V, 227 sgg.; Apollo (ivi), V, 265 sgg.; Vulcano, (p. 187), V, 261 sgg.; Marte (ivi), V, 286 sgg. Saturno, Cibele (ivi), V, 274 sgg. dodici dèi maggiori



(ivi),









Venere

(ivi),

V, 291 sgg.;

Marte

e di

il





V, 295 sgg.; Tantalo, Issione, Sisifo (ivi), Ercole che lotta con Anteo (ivi), V, 324-5; Minerva 181),

(p.



;

Venere celeste e Venere plebea (ivi), duplice significato anche dei miti di Vulcano

V, 289 sgg.;



;





V, 298-9; Mercurio (ivi), V, 316 sgg.; Nettuno (ivi), (ivi), V, 304 sgg.; Minosse (ivi), V, 338 V, 339 sgg. gli argonauti, la guerra





;



;

ritorno

il

troiana,





di Ulisse,

e

Europa

il



il

toro,

Minotauro

(ivi),

Zoroastro (ivi), V, 61-2, V, 339; Perseo, Teseo (ivi), V, 340; 63 i due Mercuri Trismegisti (ivi), V, 67 sgg., 71 Orfeo 194 Confucio 72 (ivi), V, 58, (ivi), V, sgg. Esopo (pp. 187-8),



;



;



V, 192-3; s SS-'j



;

Dracone

(p. 188),

Roma

sette re di

*

;



— Solone V, 188 — decemvirato e 190-1;

V, 191-2;

(ivi),

V,



(ivi),

le

il

(ivi), V, 191; Scienza nuova seconda, ediz. Nicolini, Platone introdusse nel mito di Giove l'idea pp. 1093-1141; dell'etere (ivi), Opere, IV, 192 V, 249 altri filosofi in Minerva,

Dodici Tavole





;

;

che esce dal capo di Giove, veggon descritta la sapienza divina altri ancora, nel caos e nell'orco, la confusione V, 304;



(ivi),

dei semi universali della natura

(ivi),

IV, 191;



cosa fossoro in-



vece per gli uomini primitivi il caos e l'orco (p. 189), V, 369; a che cosa corrispondessero per essi i quattro elementi del mondo (ivi),



V, 371;

del

compagine



V, 372 sgg.; l'inferno

(ivi),

nomia poetica

90VV, XVI. sta che

come corpo

come

il

(ivi),

(ivi),

— come — l'astro-

V, 383;

la

terra

la cronologia poetica (pp. 189-



filosofia

(p. 183),

sussistere, la



la

A Omero

La



astronomico

il

dell'anima

come

comunemente

B. Croce,

cielo

interne

V, 391 sgg.;

V, 386;

394 sgg.;



essi concepissero l'essere e e tutte le funzioni

geografìa poetica

(ivi),

(p.

V, 389;

190),

V, 403 sgg.

non potè appartenere quella sapienza ripogli si suole

attribuire (p. 191), V, 422;

di Giambattista Vico.



18

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

274

quale stravagante filosofo

424;

V, 425



e quale stolto ordinacaso egli sarebbe stato (ivi), V,, quali sconcezze egli fa dire e compiere a Giove, Minerva,

tore della



civiltà

Marte, Giunone Achille e

donano

1

(ivi),

greca in

1



V, 423-4;

(ivi),

;

tal

quali contumelie



Agamennone! (ivi), V, 424; cadaveri dei nemici a cani e corvi

i

ubbriacano (pp. 191-2), V, 425



scambiano



si (ivi), V, 423 dimostrano di cortissimo in-

si

;

si

omerici abban-

gli eroi

;



tendimento, come oggi i contadini (p. 192), V, 380-1 per un nonnulla passan dal riso al pianto, dalla calma alla - collera be;

stiale (ivi), V,

381; 360-1

-

;

426;



carattere di



le

son

passione e irriflessione

tutti

(ivi),

V,

Achille (pp. 192-4), V, 359-61, 381, 360, 426,

comparazioni omeriche hanno per oggetto belve e ali costumi (p. 194), V, 425; degli eroi ome-

tre cose

selvagge

rici o le

«



favole da vecchiarella

»

dell'Odissea



V, 427; lo stile truculento d'Omero (ivi), V, 425; nei poemi omerici vi sono incoerenze di costumi (p. 195), Y, 429-32, 452; incoerenze (ivi),





di allusioni geografiche (ivi),



V, 428;

giacché l'Iliade trabalza



all'oriente della Grecia, l'Odissea all'occidente (ivi), V, 448;

in-



coerenze di linguaggio (ivi), V, 448; come sorse la strana opinione (alla quale, fino al 1725, aveva acceduto lo stesso Vico: cfr. 279; IV, 198; VI, 38) che Omero fosse andato raccogliendo suo linguaggio dalle varie popolazioni greche (ivi), V, 429 VI, nessuna fede meritano le vite di Omero dello pseudo Ero42; Ili, il

;



doto e dello pseudo Plutarco di Grecia

V, 427 sgg., 448; (p. l'

196), V, 449;

Iliade,

— —e

V, 449;

(ivi),

s'ignora la patria e

tempo non

lo si afferma, ciò

Omero

V, 448;

(ivi), (ivi),



metà

»

che

poemi omerici sieno due grandi

carattere poetico

Grecia antichissima tante (ivi), V, 451;

riche

(ivi),

(ivi),



si

«



'ivi),

V, 449-50;

(ivi),

V, 455;

spiegano

IV, 185; V, 113,437;

stumi, l'Omero

(pp. 195-6),

la scrittura le tre

giovane

»

e



le





«



per

per la

se infatti si pensa

tesori dei

se a

non

iscrizioni

V, 448;

Vico sospettò che Omero fosse

queste ragioni

i

ma

V, 445-448;

tutte

un

maggior lume

visse

ostante, povero e cieco

eroiche allegate dal Voss sono imposture il

del

dice perfino che da giovane componesse

si

da vecchio l'Odissea

esisteva ai tempi di



in cui

il

costumi della

un popolo

intero

poe-

stravaganze delle favole

ome-

si

l'Omero

spiegano le varietà dei co« vecchio », il vario luogo



LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE assegnato a Omero, la varietà dei

di nascita



V, 451-2;

Omero pertanto deve



dei poeti greci (p. 197), V, 452; tere poetico di

275

dialetti, ecc. (pp. 196-7),

essere sperduto dentro la folla

come un

e considerato

uomini greci in quanto narravan cantando

caratle loro



cosi le sue pretese sconcezze e inverisimiglianze diventano acconcezze e necessità (ivi), V, 450 egli è storie (ivi), V, 450;



;



ha primo documento della primitiva identità di storia e poesia (ivi), V, e la conferma che prima d'Ecateo Milesio la storia dei 444; stato

storico della gentilità (ivi), V, 454;

il

in lui si

il



greci fu scritta da poeti

ben raccontata una 445;





V, 445;

(ivi),

nell'

da aedo

Vico propende per due principali autori-poeti

il



448, 452; di favole

»

«

omero

(ivi),

»

significa per lui

V, 445

redazione pisistratea



;

ha

Odissea di chi

storia si dice averla narrata

(ivi),

V,

(ivi),

V,

compositore e legatore

«

quel che egli dice dei rapsodi e della « nisi ita V, 445-6 scepe dor-

(p. 198),



;

Homerus » (p. 199), III, 235; — appunto perché non filosofo, Omero fu poeta grandissimo (p. 200), — ebbe memoria vigorosa, fantasia robusta, ingegno V, 443, 453 mitaret,

nunquam bonus

sublime

(ivi),



fuisset

;

i caratteri eroici si seppero fingere solle sue comparazioni sono incomV, 435, 442; la sua locusue sentenze, sublimi (ivi), V, 442;

tanto da lui parabili;



V, 453;



(ivi),

le



zione è piena d'evidenza e di

splendore

non

ma

delicato

grande

(ivi),

V, 441

;



di tutti gli altri poeti (ivi), V, 434, 453;

Molo

tastorie del

di Napoli (pp. 200-1),

Vico sull'età di Esiodo



V, 78;

le

tre

tragedia greca

nuova

(p. 195),

gedia e l'eroismo

«

lirica



il

il



«

il

V, 447;



(ivi),

padre





;

i

can-

Esopo

V, 457-8;

(ivi),



commedia antica

la



e principe

congetture del

e di

(ivi),

sua

la

V, 442

poeti ciclici e

i

greca

V, 434, 456-60;

galante



V, 380-1; creonte (ivi), IV, 178 (p. 202),

;



(p. 201), V, 81, 446-7;

epoche della

(pp. 201-2), ivi

egli è



V, 453;

(ivi),

favella è tutta per somiglianze, immagini, paragoni

la

e

precetto d'Aristotele sugli eroi di tra»

foggiato

dai

poeti

pastoreccio galante

»

di

di

tempi

Mosco

e

tardi

Ana-

perché nella letteratura greca e romana furon serbati con tanto rigore i confini tra la poesia e la prosa (ivi), VI, 46;

456;





i «

i

;

poeti salì della primitiva letteratura latina (ivi), V,

frantumi

»

degli inni saliari (p.

Andronico, Nevio, Ennio

(ivi),

V, 226;



203), V, 224; i



Livio

romani perderon

di

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

276 veduta

calogo ebrei

Lucrezio

Ego sum

«

163;—

sum

qui

»



Virgilio

XVII.

— lo

IV, 25;



per natura » (ivi), Nel De antiquissima

filosofi

Roma

parallelo tra

(ivi),

IV, 145; V, 131;

(p. 198), «

;



VI, 138;

(ivi),

294; IV,

(p. 204),. Ili,

detto

il

V, 100-1

(ivi),

(ivi),

V,

Orazio (pp. 203-4), la poesia fa la lingua primitiva anche della nazione



V, 458; ebraica

eroica

storia



388; IV, 200;

e

degli dèi e conservarono in favella volgare

la loro storia

soltanto la loro

detto

il

Mosè

e

— carattere

Omero, del de-

Teofrasto

di

sugli

265; IV, 187; V, 131. Vico aveva dato alla storia

III,. il

sfondo di un'antichissima cultura italica proveniente in séguito ritenne andall'Egitto (pp. 207-8), II, 59-60, 142-3; cora Pitagora cultore d'italica sapienza (p. 208), II, 144 III, 309;

di





;

ma

abbandonò definitivamente

poi

romani da

derivazione degli

la tesi della

professando d'avere errato sull'esempio del Cratilo platonico (ivi), IV, 228; per lui con la suo punto storia di Roma non comincia il mondo (ivi), IV, 27

istituti

istituti stranieri,





;

di

partenza è

Romolo

di

l'asilo

IV, 249-50; V, 86-7, 102, e

(ivi),





niente colonia troiana (ivi), V, 416; la leggenda passim; della venuta di Enea in Italia è il frutto dell'incrocio della boria



preferibile l'ipogreca e della boria romana (pp. 208-9), V, 416; tesi che i romani in tempi antichissimi avessero distrutto una co-

lonia greca nel

(ivi),

fu

V, 355-8;



ridiche

ma

Roma

il

V, 355-8



473;

è

velli, cosi

;

— la

la

vaga

adduce Polibio

furon

signorile

«

smo



clavis historice

il

periodo

aristocrazia



la

li-

rivoluzione



i

nobili

la

sparsi

(p. 210),

i

si

474;

che

la

ripone nella

romani ebbero giovane

fondava



magnanimità della plebe

tutti è Plutarco,



(ivi), III,

patrizi furono forti nel custodire

dine e la religione su cui i

»



riferisce a istituti

la

474; V, 510;

V, 102;

romance universa?

che della grandezza romana 474; V, 510; sbaglia anche il Machia-

inferiore a

(ivi), III,

(ivi),

quando



di

simboli di istituzioni giu-

V, 325-8;

(ivi),

spiegazione

(ivi), III,

quando

V, 510;

fortuna

;

ma

censo di Servio Tullio fu pianta di

come quando ne arreca quale causa (ivi),

V, 410-1

monarchia

di

Tarquinì obbe carattere aristocratico, non popolare (pp.

i

209-10)*, III,

re di

i

bertà non popolare,

contro

(p. 209),

periodo non

— V, 190-1;

(ivi),

Lazio

lido del

Roma

regio a

(ivi),

V, 122;

disprezzano una religione nativa,

è

il



l'eroi-

loro or-

giacché,

gran segno

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE che una nazione vada a perdersi

(ivi),



V, 277;

gnanima



condizioni sociali

l'impero romano

giurecon-

i

secondo

leggi

ma-

la plebe fu

nel volere religione, auspici e diritti civili, e

sulti sapienti nell'interpetrar le antiche

277

le

mutate

(ivi), V, 122; ingrandi e durò perché restò sempre fermo sui suoi principi (pp. 210-1), V,



509;

gare tra patrizi e plebei nelle guerre

le

s'

(p. 211),

V, 122;



norme applicarono i romani cosi nelle lotte interne tra patrizi e plebei, come nella conquista del mondo (ivi), IV, 148-51 come la plebe ottenesse il dominio bonitario, poi il V, 344; quattro

;



quiritario e con questo la legge delle Dodici Tavole (ivi), IV, 110-2; con V, 86-7; Scienza nuota seconda, ediz. Nicolini, pp. 1133-7; questa la plebe conquistò il diritto scritto o cessò l'arcano onde i



colsero

desideri

i

ma

dice Livio,

la

leggi

della

con



V, 123;

(ivi),

le

avvolgevano

patrizi

la

(ivi),

Opere, V, 123;

plebe non

ritrosia

con

la



i

patrizi ac-

condiscendenza che

che narra Dionigi

d'Alicarnasso

leggenda dei tre commissari inviati ad

Atene

Roma

quella che fu poi la legge delle Dodici Tavole venne creduta da Livio e Dionigi (p. 212), Se. nuo. sec, ed. cit.,

per riportare a

pp. 1119-22; 124-5



;



ma

ignorata da Polibio

non creduta da Cicerone

e

nuo. sec, ed.

cit.,



(ivi),

Opere, VI, 146-7; V,

481

(ivi), III,

V, 126-7

;

Se.

;

come mai all'ancor barbara Roma fama di Solone? (ivi), Opere, IV,

pp. 1125-7;

sarebbe potuta giungere la come i romani avrebbero potuto aver notizia cosi esatta circa la qualità delle leggi ateniesi? (ivi), IV, 67; eran possi-

"66;





bili allora

sec, ed.

ambascerie tra greci e romani? (ivi), IV, 67; Se. nuo. come mai .si trovava proprio a Roma Er1095;



cit., p.

modoro per tradurre ed.

cit.,

le

pp. 1095, 1097;

tanta latina purità? p. 1125;

doro?



(ivi),

impostura Italia,

67-8;

(ivi),

come

egli

Opere,

avrebbe

Opere, IV, 67; Se. nuo. sec, ed. siffatta

la

(ivi),

.Se.

nuo. sec, con

fatto a tradurle

IV, 67; Se. nuo. sec, ed.

che dire della falsissima lettera

impostura -Se.

leggi portato di Grecia?



la

cit.,

di Eraclito a Erniocit.,

venuta

pp. 1095-6; d'



Ermodoro in

impostura sua statua nel Comizio (pp. 212-3), Opere, IV,

lettera,

nuo. sec, ed.

cit.,

pp. 1097-1110;

Dodici Tavole è una boria di

dotti,

che



l'origine ateniese delle

le fecero

da diversi popoli (p. 213); Se. nuo. sec, lo simiglianze, che esse presentano con

ed.

cit.,

provenire via via pp. 1122-1140;

le leggi ateniesi,



spartane

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

278

e di altri popoli, son

da attribuire

uniforme delle nazioni

al corso

Opere, V, 69; Sé* mio. sec, ed.

(ivi),



pp. 1101-5;

cit.,

come

spieghi la disposizione decemvirale sul lusso dei funerali Opere, V, 191; Se. nuo. sec, ed.

zione decemvirale divenne un carattere poetico 70; V, 191; Se. nuo.

sec., ed.



1140;

p.

cit.,



1106-8, 1140;

cit.,

ma

la



pp. 1117-8; Opere, V, 85;

legge origi-

connubi e 310, 495-6

la ;



Lex



Ptetelia (p. 215), V, 91;



V, 331;

(ivi),

V, 125;



come

dalla



i

(ivi),

V, 499, 501

democratica

(ivi),

V, 502;

istituti della

proprietà (pp. 216-7), V, 327-8, 493-4;

dure giudiziarie 534;



(p. 217),



le

guerre



«

monarchie

spontanea della

alle

V, 523;



»

(ivi),

(pp. 318-9), V,

V, 505;





men

crudeli di-

V, 475-6

62, 401;



;



l'origine

la favoleg-

(pp. 219-20), V, 125-6, 513-5; Scienza

della patria potestà (p. 221), V, 501;



V,





le

pene

nell' interpetrazione

si



gentilizia,

mercé

l'incre-

— — l'indebolimento

(p. 220), Opere, V, 503

;

l'alleviamento della schia-

addolcirono ancora

delle

nuova

sotto l'impero si sciolsero

l'istituzione dei tre peculi (pp. 220-1), V, 503-4;

;

(ivi),

tendenza delle democrazie

sempre più i rigidi vincoli della famiglia mento dei fedecommessi e dei testamenti

522-3

»

negli Stati ariconquiste (ivi), V, 524; contrario degli Stati popolari, l' interesse

monarchia

legge regia

(ivi),

nelle proce-

caussce



seconda, ediz. Nicolini, pp. 1145-53;

vitù



si

stocratici, per pubblico è preposto alle utilità private

<

nelle

(pp. 217-8), V, 507-8;

(p. 218),

altro, al

giata

guerre

giunse alYcequum bonum (ivi), V, da pene severissime a pene miti (ivi), V, 521-2; le

leggi si moltiplicarono

vennero

le

dell'epoca

si giungesse a quella dell'epoca analoghi mutamenti accaduti negli

V, 531-2;

dal certo delle leggi

134, 534-5;

e delle

;



senatoconsulto

romana

famiglia



il

Gracchi e

aristocratica



;

riforma di Fabio Massimo

la

dominio sovrano del senato e

il

successive

le

Publilia (pp. 214-5), V, 89-91

ultimee necessìtatis (pp. 215-6), V, 91-2; civili (p. 216),

dell'antico

la lotta pei

;



V, 33-4, 325-S;

(p. 214),

concessioni fatte alla plebe e la

Lex



V, 100

(ivi),

rogazione canulea (pp. 213-4), IV, 54-5, 123; V, 85, quando fosse effettivamente promulgato il cosi detto

censo di Servio Tullio

la

e fiera (ivi),

un gran testimonio

è

Lazio

diritto naturale delle genti del

legisla-

Opere, IV,

(ivi),

naria delle Dodici Tavole, rozza, inumana, crudele ivi,

la

si

(ivi),

leggi

prese

il

(p. 213),

V,

sopravvento

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE



l'equità naturale (ivi), V, 508;

Caracalla a tutto

cittadinanza fu concessa da

la

mondo romano

il

279

V, 523;

(ivi),



dai singoli

il



passò all'Editto perpetuo (p. 222), V, 523 diritto naturale delle genti, insomma, cede il posto al diritto na-

editti dei pretori si

turalo dello nazioni

;

(ivi),



V, 505;

dopo lungo svol-

e si ritorna,

gimento, a quell'uno ch'ora delle monarchie familiari dei primi padri

con

rinità,



V, 524-5;

(ivi),

la «

possibile è ormai

barbarie della riflessione

por ripassare a una nuova ed

imbarbarirsi

soltanto

e ricadere

»

una nuova

in

barbarie

eroica

fe-

V,

(ivi),

570-1.



XVIII. La barbarie seconda o ricorsa riusci* al Vico più oscura della barbai'ie prima (p. 224), V, 33, 536-7, 550; il nessun risalto dato dal Vico al cristianesimo (p. 225), V, 537; ri-







risorsorgono gruppi di case sui monti (pp. 225-6), V, 259; rigono, con le chiese e i conventi, gli asili (p. 226), V, 540; la feudalità medievale ò un diritto sorgono i feudi (ivi), V, 556





;

— — (pp. 226-7), V, 555-6; — 227), V, 542, 544-5;

antichissimo rinnovellato con l'ultima barbarie

non

vile

ma

eroica è la materia dei feudi

ritorna la divisione il

feudo è offettivamente, come vien tradotto dai feudisti,

tela

»

V, 543;

(ivi),

del medioevo i

famoli (p.

e

eroi

tra

IV, 101

(ivi),

(ivi),



tempi

primi e



«

1' 547, medievale

gli

opera

«

«

gli

uomini

militateti



»

e



(ivi),

ligi

»

romana

i

«

soci

*

e

di

«

i

V, 554



;

il

(ivi),

Roma

antica e

V, 537;

armate

»

V, 537-8;



V, »

i

feudi

;

— gli

:

— —

le

cause discettate in questi

Sacro Real Consiglio napoletano

carattere religioso dei feudatari (ivi),

dei

medievali e dei tempi moderni Svezia, Daniil senato di Romolo e i parla-

marca, Polonia (p. 228), V, 555; menti medievali (ivi), V, 552-3; (ivi),

»

militare servitium

soggetti a maggiore sovranità medievali (pp. 227-8), V, 547 Stati aristocratici



tradu-

nexi

«

secondi

tempi il

personali

foudisti

i



;

clien-

«

V, 546;

(ivi),

che

V, 545

dei

»

feudi

i

kmet polacchi

V, 546-7;

(ivi),

beneficia

V, 542;

(ivi),



V, 545;

feudi rustici medievali

cono eccellentemente

Romolo

le clientele di

;

Ugo Capeto

del

medioevo



le

e

schiavitù

i

«

(ivi),

V, 554-5;

— e dei re V, 540; — le 537 228-9), V,

(ivi),

(pp.

pura

;

et

pia

eroiche ricorse

bella (ivi),



medievali «

religioni

ricorsi (p. 229),

»

V, 539-40;



la

caccia alle reliquie di santi e l'obbligo nei popoli vinti di riscat-

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE

280 tar le

campane



V, 538;

(ivi),

i

medievali

livelli

beni allodiali e

i



(pp. 229-30), V, 551-2, 327-8;

le

enfiteusi,



V, 548;

(p. 230),

beni feudali

i

censi, le

i

l'esclusione

precarie,

delle

donne



la crulegge salica (ivi), V, 498, 552; deltà delle pene medievali (pp. 230-1), V, 522; ma nemmeno nel medioevo c'erano leggi e procedure pei torti privati (p. 231),

dalle successioni e la



V, 553



;

483, 539;

Regno corsi

diritto »

stiti

V, 539



V, 508-9

(ivi),

feudale



V, 549;

(ivi),

i

e



ladronecci e

i

l'oblio nell'alto



corseggi eroici

i

la

medioevo del

165;



i

«

nudi

patti

diritto giusti-

di

presa

Weinsberg

tempi mutoli o analfabetici

»

e

a

;

letterato » (ivi), V, 231

«



;



le

non eran messe

in

(p. 232),

V, 231-2;

ché

«

«

excellens in arte

letterato

»

significhi

non

chierico

»

(ivi),

V, 231

debet inori

anche

erudito

«

»

;

(ivi),

»

scriveva

si

perciò equivaleva

tuttavia molti vescovi

firmare se non col segno di croce

norma

«







latino (ivi), VI, 37;

III di

(pp. 231-2), V, 488;

lingue italiana, francese, spagnuola soltanto da pochi ecclesiastici V, 539

iscritto (ivi),

il

patti ve-

«

i

su Corrado

l'aneddoto leggendario

e tedesca

un barbaro

ri-

tutto a base di consuetudini fu invece

;

III,

(ivi),

Hohensthaufen ritornarono

;

;

— nel medioevo fu incostantissima la fortuna dei

V, 520;

(ivi),

nianeo

duelli tra

di Napoli (ivi), V, 550

(ivi),

regni

i

purgazioni canoniche » e le rappresaglie (ivi), V, i baroni per questioni allodiali, specie nel

«

le



(ivi),



non sapevan origine

V, 234; Y, 234 ;

— —

della

perl'

im-



la portanza nel medioevo delle imprese gentilizie (ivi), V, 539; prosa dei padri della Chiesa è piena di numeri poetici (ivi), V,

— perché non ebbero poemi religiosi cristiani VI, — romanzieri medievali credettero di narrare storie vere 45-6; — la storia di Turpino sopravvisse in Francia (p. 233), V, 438-9; — Guglielmo Pugliese e quasi poema omerico 225), V, 101 — Guntero furono V, 226, 438; poeti primi scrittori vol— nei cavalieri erin Provenza gari Italia, Francia, VI, 37; — ranti ricorse la virtù puntigliosa degli eroi omerici V, 361; 222

si

;

(ivi),

i

(p.

;

i

(ivi),

(ivi),

Cola di Rienzo i

«

molli clivi

di

enorme

si

dipingevan

paragone

(ivi), »

(ivi), III,

statura, allo le

(ivi),



quel che parevano al Vico fanciullo i 270; paladini medievali eran finti

V, 425;

stesso



modo che

immagini degli

tra gl'ingegni

umani

e

di

eccedente grandezza

esseri celesti i

terreni

(ivi),

V, 438;

incolti (pp. 233-4



,

il

VI,



43;

LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE

281



perché

Dante, Petrarca, Boccaccio

Dante chiamasse

suo poema rallelo tra V Inferno e V Iliade, (ivi),

VI, 38;

(ivi), III,

Dante



il

il

« il

linguaggio di

(p. 234), ivi;

commedia

»

VI, 39-40;



(ivi),

V, 439;

Purgatorio e Paradiso e

Omero

e

il

279; IV, 198-9; VI, 38.42; V, 429;

(p. 235),

V, 425;

se Dante



linguaggio di Dante



la

«

divinità

non avesse saputo

44;



il

di



maggior poeta (ivi), IV, 200; debba commentare la Divina Commedia (ivi), VI,

teatro inglese



»

di sco-

lastica e di latino, sarebbe riuscito

in qual guisa si

pa-

V Odissea

(ivi),

VI, 38;



i

poeti

slesiani (p. 236),

polemica del Vico contro il Bodin a proposito delil mutamento l'origine della monarchia francese (ivi), V, 556; il ridell'ossequio al barone neWobsequium principis, V, 544; la dei moderni diritto e civiltà giustinianeo tempi sorgere del V, 226;

la





(pp. 236-7), V, 557-8.

XIX. le



Per questo capitolo

prime pagine

VI,

3-6), al

si

vedano

il

De studiorum

dell'autobiografia e le lettere

De Vitry

(VI, 7-10) e al Solla (VI, 10-7).

alla sapienza, Opere. V, 153.

ratione,

all'Esperti {Opere,

Per l'accenno

APPENDICE

Intorno alla vita e al carattere

AiJla

trasfigurazione rettorico-leggendaria,

inizi e nel fervore del

poeti, dei

filosofi,

che negli

Risorgimento nazionale, compi dei di quasi tutti gli uomini più o meno rapsi

presentativi della storia trioti, liberali, ribelli, o

l'altare, si tentò

Vico *

di G. B.

italiana,

atteggiandoli

come pa-

almeno frementi, contro

per un momento

il

trono e

di sottomettere anche,

con

bacchetta magica, Giambattista Vico. E si tra disse, l'altro, che il Vico, consapevole della grave scossa che il suo pensiero dava alle tradizionali credenze religiose,

lieve

tocco

di

e messo in guardia da amici,

*

Poiché

il

si

era industriato a cingere di

lavoro precedente è rigorosamente ristretto all'analisi non dà alcun cenno della vita e del carattere

della filosofia vichiana e

personale del Vico, non riuscirà sgradito trovare in appendice la conferenza, che su quest'ultimo argomento io tenni alla Società napoletana di storia patria

il

14 aprile 1909, e che,

nella Voce di Firenze (a.

moria, che

il

I,

Vico nacque in Napoli

dice nell'autobiografia), e mori

cono tutti

i

messa in

iscritto, fu poi inserita

biografi): cfr. nella

il



Aggiungo, per me28 giugno 1668 (non 1670, com'egli 23 gennaio 1744 (non il 20, come di-

n. 43, 7 ottobre 1909). il

nuova edizione

del V Autobiografia, car-

teggio e -poevie varie (Bari, Laterza, 1911), pp. 101, 123, 124.

APPENDICE

286

modo che

tenebre la Scienza nuova, in

solo

i

intendi-

fini

Ma

potessero scorgere dove andasse a parare.

tori

sta leggenda, che corse soprattutto

tra

i

que-

napole-

patrioti

non potè reggere a lungo, lume del buon senso e Cataldo

tani dei primi dell'Ottocento,

nonché

alla critica, al

;

ne fece giustizia l È certo, nel riguardo oggettivo, che le dottrine del Vico recavano implicita una critica cosi della trascendenza criIannelli, fin dal 1817,

.

stiana e della teologia come della storia del cristianesimo. Potrà darsi, nel riguardo soggettivo, che il Vico, durante

sua giovinezza (della quale sappiamo ben poco), fosse travagliato da dubbi religiosi. Oltre che nelle sue letture,

la

poteva trovare tentazioni a questi dubbi nella società i quali non erano rari i « li-

egli

dei giovani suoi coetanei, tra bertini di

», o,

allora,

come anche «

gli

si

epicurei

trovano chiamati nelle scritture

»

e

«

ateisti

»

2 .

In una lettera

del 1720 al padre Giacchi, egli dice che in Napoli

davano

di

ed errori

lui « fin

e

»,

come accade,

«

dalla sua prima giovinezza e debolezze nella

questi,

fissi

criteri

eterni

memoria, diventavano,

per giudicare tutto

e compito che per avventura altri faccia di poi

i

ricor-

si

il

» 3.

bello

Quali

veda, per tutta la questione, Croce, Bibliografìa vichiana,

Si

pp. 91-5. 2

Nei Giornali del Confuorto

napol.,

XX.

C. 22, voi. Ili,

f.

(rass. nella Bibl. della

Ili), sotto l'agosto 1692:

Società stor. «

Sono state

carcerate nelle carceri di San Domenico del tribunale del Sant'Officio

alcune persone civili, tra quali il dottor Giacinto di Cristofaro, figlio del dottor Bernardo; e molti altri sono scampati via, quali seguitano

volendo che l'anima morisse col corpo >. noto matematico e giureconsulto napoletano, pel veda F. Amodeo, Vita matematica napoletana, parte III (Napoli,

la setta degli epicurei o ateisti, Il

De

Cristofaro è

il

quale si Giannini, 1905), pp. 31-44, e fu amico del Vico. Altre notizie intorno agli

«

epicurei

»

di

Napoli di quel tempo, in Carducci, Opere,

pp. 235-6. 3

Lettera del 12 ottobre 1720.

voi. II,

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

287

erano mai codesti errori e debolezze ?



De

uno, anzi la Sinopsi

universi iurte tino principio

che ne dava il

il

E quando

usci

il

« le prime voci » avverse, che erano tinte da una simulata pietà »

programma,

Vico senti levarsi,

contro

et fine

«

;

quali egli trovò scudo e conforto nella religione cioè nell'assenso del Giacchi, « primo lume del

le

stessa,

severo e più santo ordine de' religiosi » l Ma come delle accuse che su questo punto gli si facevano non ci .

pili

resta notizia particolare, cosi dei dubbi religiosi, che po-

terono travagliarlo, non si ha nemmeno la generica certezza. Tutti gli scritti del Vico mostrano che nel suo animo si assideva grave, salda, immota, come colonna adamantina, la religione cattolica salda e forte cosi da non essere nep:

pure

in piccola parte intaccata dalla critica,

che egli inau-

gurava, dei miti. Né soltanto in tutte le esteriori dimostrazioni il Vico fu cattolico irreprensibile, e sottomise sempre ogni parola che mettesse in istampa alla doppia cene privata, degli amici ecclesiastici, e fra

sura, pubblica

zimarre sacerdotali e cocolle fratesche, più ancora che fra toghe di giuristi, menò la sua vita filosofica e letteraria;



ma

scrupolo d'intermettere il Grozio, non sembrandogli dicevole che un cat2 ed ebbe cosi tolico commentasse un autore protestante egli giunse perfino allo

commento

al

;

delicato punto d'onore cattolico da la

polemica circa

i

non accettare nemmeno

suoi sentimenti religiosi

:

«

Questa

dif-

(diceva ai critici del Giornale de' letterati), come quella che mi fate sull'immortalità dell'anima, dove par

ficoltà

che premiate la

mano con ben

sette argomenti, se

non mi

fusser fatte da voi, io giudicherei che andassero più alta-

mente a penetrare

in

parte la quale, quantunque

i

Ivi.

-

Autob., ed. cit., p. 39.

si

pro-

APPENDICE

288

tegga e sostenga con la vita e coi costumi, pure s'offende con la stessa difesa. Ma trattiamo le cose! » \. Il suo cattolicesimo

mostra scevro

si

di materialità e superstizioni,

nel costume del

specie a Napoli dove in ogni avvenimento della vita privata e pubblica interveniva attore e direttore san Gennaro era cattolicesimo cosi generali

tempo, e

:

di

animo

contro

sunse

non

le

mente

e di

non

e

alta,

credenze popolari e

le parti di

censore;



di

volgo.

Ma neppure

le superstizioni

pago

di

il

Vico as-

non parlarne, come

parla delle debolezze di persone e d'istituzioni che sono oggetto della nostra reverenza. si

ii

Disposizione d'animo analoga per più rispetti a quella verso la religione ebbe il Vico verso la vita politica e sociale.

Non

era

nulla

in,

lui

dello

spirito

combattivo da

apòstolo, propagandista, agitatore e congiurato, che fu di

Rinascenza; in ispecie di quel Bruno Campanella, che egli (benché, e forse perché, napoletano) non nomina mai. Certo, il suo tempo e il suo

alcuni

filosofi

della

e di quel

paese non furono luogo e tempo di rivolgimenti e rivoluzioni contrasti che suscitano grandi azioni

e di quegli ardenti

e passioni politiche. Pure, vi (il

francese e l'austriaco), e

si si

agitarono partiti politici un certo desiderio

profilò

d'indipendenza nazionale, e sorsero uomini che dettero l'opera e la vita a questi fini, e furono perseguitati e

andarono profughi;

tempo

1

come

Le

al

più

cose,

alto

cioè,

non

e,

segnatamente, giungeva in

punto

le

la

lotta

dello

Stato

obiezioni religiose, che a lui

quel contro la

suonavano

offesa personale (Risposta al Giornale de' letterati, in Orazioni ecc.,

ed. G-entile-Nicolini, pp. 266-7).

VITA E CARATTERE DEL VICO

I.

Chiesa, e di Napoli contro

come

del quale

sempre

di

Roma, con Pietro Giannone, movimento il Vico tacque

tutto quel

parve non

e

289

nemmeno

essersi

accorto.

La vita

politica stava alta sopra il suo capo, come il cielo e le stelle; ed egli non si protese mai nel vano sforzo di attin-

gerla.

Come

le

controversie religiose, cosi quelle politiche

e sociali furono

uomo

limite della sua attività.

il

apolitico. Di che non

gionarlo

di

mite, e

una

può

si

fargli

Era veramente colpa né accail suo li-

uomo ha

perché ogni esclude l'altra, un lavoro esclude gli

fiacchezza, lotta

altri lavori.

Non che

egli si ritraesse da ogni contatto con la porappresentanti di essa. Purtroppo, dovette corteggiare assai di frequente e l'una e gli altri, con istorie, orazioni, versi ed epigrafi, latini e italiani; i quali litica e coi

basterebbero da

soli

a ricostruire la serie delle

vicende

cui andò- soggetta Napoli dalla fine del secolo decimosettimo alla metà del decimottavo il viceregno spagnuolo, la :

congiura e rivoluzione zione e

il

striaca,

il

il

regno

tentata

dagli

autonomisti, la rea-

rassodato viccrcgno spagnuolo, la conquista au-

viceregno austriaco, Carlo Borbone....

di

bisogni conversevole

»

',

la

Ma

riconquista spagnuola e egli,

e professore di

«

molto pei suoi

eloquenza nella

regia università, doveva fornire i componimenti letterari, richiesti dalle solennità del giorno; cosi come il drappiere

lavorava, per le medesime occasioni, le frange, e lo stuccatore le volute e gli svolazzi. E quali frange e quali svolazzi

!

Perdurava

la

moda

letteraria secentesco-spagnuola;

e 'ciò basta per gran parte a spiegare quel che nelle lodi profuse dal Vico ci sembra, ed è, iperbolico e barocco. Del

suo animo indifferente e innocente può dare esempio quel

1

In Autob., ecc.. ed.

B. Crock,

La

filosofia,

cit.,

p.

142.

di Giambattista Vico.

19

290

APPENDICE

luogo dell'autobiografia, dove, dopo aver fatto ricordo del

Panegyricus Philippo V inscriptus, da lui composto per ordine dell'ultimo viceré spagnuolo duca di Ascalona, continua, come se niente fosse, col riattacco di un semplice « appresso » Appresso, ricevutosi questo reame al dominio austriaco, dal signor conte Wirrigo di Daun, allora governatore delle armi cesaree in questo regno, ebbe l'or-

«

:

dine

comporre le iscrizioni pei funerali espiatori di 1 cioè dei due ribelli Giuseppe Capece e Carlo di Sangro contro Filippo V, che il governo precedente aveva messi »

di

;

a morte, qualche anno prima, nella repressione della congiura di Macchia, dal Vico narrata, veridicamente bensì

ma

con ossequio

al

governo

costituito, nel

De parthenopea

coniuratione.

Ma non

c'è, nel Vico, bassezza;

deve

se

e,

dirsi,

in

retore e panegirista, non può dirsi adulatore. L'adulatore, l'uomo senza coscienza, vilipende e

quei suoi

scritti,

calunnia gli avversari degli uomini da pisce

i

adulati, o col-

lui

vinti; e questo è bassezza. Il Vico,

conoscendo chi

il

quale, pur

napoletano, che aveva inviato agli Ada lipslensìa la noterella contumeliosa contro di lui, e fremendo d'ira, e potendo facilmente rofosse

l'

italiano,

anzi

il

vinarlo (perché quella noterella era anticattolica), generosamente non volle mai svelare quel nome 2 presta, si, i suoi ,

servigi di professore d'eloquenza, interessi

dei suoi

lodati

ma non

traffica

con

gli

padroni. Della Vita di Antonio

Carafa, composta per commissione, e col provento della quale maritò una figliuola, dice che la lavorò « temprata di onore del

giustizia che

subietto, di si

riverenza verso

dee aver per la verità

i

Autob., ed. cit., p. 56.

2

Lettera del 4 dicembre 1729; in Autob.,

3

Autob., ed. cit., p. 38.

» 3.

i

principi e di

E, per tornare

ecc., ed. cit.. pp.

20910.

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

291

caso sopraricordato del Capece e del Sangro, quando nel De parthenopea conluratione egli narra la morte di al

quei due nemici della parte trionfante, mostra anche allora, in taluni particolari, il suo animo gentile; e del Ca-

non

pece, che

volle arrendersi ai soldati spagnuoli, scrive

ostentali s pectus

*

ned eamque

infestis

armis

efflagitans,

inexoratus occubuit, fortissimum mortis genus si causa cohonestasset »; e pel Sangro, riferita la voce della grazia fat-

de

da Luigi XIV e giunta troppo tardi, aggiunge: « unmaior damnati, qui iam poenas persolverat, misera-

no

*

tagli

l .

Senza dubbio, non poteva essergli, e non gli era, nascosto che la più parte degli individui da lui lodati valeva

A leggere i suoi scritti panegiristici parrebbe che Napoli avesse allora una nobiltà splendida di virtù, di

ben poco.

cultura, di dottrina; eppure, informando

che

gli

aveva chiesto notizie circa

in Napoli,

il

il

padre De Vitry

condizioni degli studi Vico non celava la realtà: « i nobili sono adle

dormentati da' piaceri della vita allegra

» 2.

Un

suo motto

ma sempre

satirico circa

quella nobiltà, spesso pezzente la fame in casa pur di sfogcocchi e altre gale, ci è stato serin con pubblico giare bato dal suo scolaro Antonio Genovesi 3 A proposito del fastosa e capace di soffrire

.

Laurenzano formulava la teoria che gli nobili » non possono essere se non eccellenti *

letterato

duca

scrittori

«

di

;

eppure, tra le sue carte io ho trovato libro di quel signore, riscritto

1

XIX, 2 3

P

.

Opp., ed. Ferrari, 377 sgg.

In Autob., ecc., ed. Diceva che molti

I,

da cima a fondo dallo stesso

191.

tiravano

le

carrozze colle budella

121). 1

In Autob., ecc., ed.

manoscritto di un

pp. 367, 368; e cfr. B. Croce, in Critica,

cit., p. «

il

cit.,

pp. 215-6.

»

!

(ivi,

APPENDICE

292

Vico K Contradizioni

e transazioni

da pover'uomo, schiac-

ciato dalla miseria e divenuto riguardoso e timido; tanto

che riesce

difficile

determinare fino a qual punto egli am-

mirasse a parole e per compiacenza, e fin a qual altro il suo sentimento d' inferiorità sociale si mutasse in effettiva

ammirazione per coloro che avevano e ricchezze e dignità e tutto quello che a lui mancava, e che stavano cosi in alto, ed erano i « signori ». in

Perché, com'è risaputo, le sue condizioni economiche furono sempre tristissime. Figliuolo di un libraiuccio di Napoli, fu dapprima costretto a recarsi

come precettore

domestico in un borgo selvaggio del Cilento; poi, tornato a Napoli, tentò invano di ottenere il posto di segretario della città, e, avuta per concorso nel 1699 la cattedra di rettorica,

rimase per trentasei anni in quell'ufficio con lo di cento ducati (lire 425). Invano tentò,

stipendio annuo

nel 1723, di passare a cattedra di fosse sfortuna, fosse

inabilità («

maggiore importanza:

uomo

di

poco spirito

in-

torno alle cose che riguardano l'utilità », si riconosceva esso stesso) 2 dove rinunziare a ogni avanzamento univer,

Era

dunque, ad aiutarsi un po' coi lavori letterari del genere- detto di sopra, e più ancora con le lezioni private; e non solamente (oltre quella nella pubsitario.

costretto,

blica università)

scendeva

teneva scuola a casa sua,

le altrui scale

giovinetti, o addirittura

famiglia: la

moglie era analfabeta, senza di curare

donne analfabete, incapacissima

i

Bibl. vidi., pp. 27-S.

2

Antob., ed.

cit.,

p. 24.

ma

saliva e

come insegnante di grammatica a a fanciulli. Non fu fortunato nella le

virtù

le

più piccole

delle

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

293

faccende domestiche; cosicché il marito doveva farne le parti. Dei figliuoli, una femmina gli mori dopo lunga ma-

dopo quei lunghi dispendi che inacerbiscono le malattie dei poveri un figliuolo maschio gli die grandi

lattia, e

;

dolori ed egli

fu

costretto a invocare

l'intervento della

per chiuderlo in una casa di correzione. La sua irrazionale e sublime tenerezza paterna fu tanta, in questa occasione, che al vedere dalla finestra gli uffiziali di polizia

polizia,

da

lui

figliuolo sciagurato •

i

richiesti,

quali venivano a portar via

il

ed amato, corse a costui gridandogli

Figlio mio, salvati!

»

:

},

Ebbe, invero, animo affettuosissimo

:

il

che

si

può

ri-

trarre, fra l'altro, dall'orazione piena di nobiltà e di dol-

cezza che compose per la morte della sua amica donna •Angela Cimini, dagli accenti di pietà e di sdegno che ha nella Scienza la storia, o

nuova per

per

le plebi

oppresse, di cui investiga

Priamo

le dolenti figure di

e di Polissena,

da certi sparsi segni quella dignità (la XL) dove

di cui risente la poesia; e perfino

per es., in

sti-

ricome, corda che le streghe, per solennizzare le loro stregonerie, « uccidono spietatamente e fanno in brani amabilissimi

listici,

innocenti bambini

e tutto

»,

si

turba,

in

modo

inop-

portuno ma significante, per la sorte di quei piccini, che adorna nella commossa fantasia di superlativa amabilità! I

maggiori conforti domestici

Luisa, colta e poetessa, e

gli

dal

vennero dalla

figliuolo

figliuola

Gennaro, che

lo

supplì e poi gli successe nella cattedra. Quando, nell'elogio della contessa d'Althann, accenna sarcasticamente ai filosofi

o «

sotto

che ragionano passeggiando per gli ameni giardini i portici dipinti, non nauseati né afflitti dalle

mogli che infantano

1

»

e dai

«

figliuoli

Villakosa, nelle aggiunte alVAuloò.

che nei morbi

(ed. cit., p. 79).

APPENDICE

294

si sente che parla per diretta esperienza languiscono » e che lo pungono ricordi angosciosi della propria vita l

,

familiare.

Accade molto spesso, specie ai giorni nostri, di osservare gli uomini di qualche ingegno emanciparsi da questo o quello dei più umili doveri; e tanto più bisogna ammirare quest'uomo di genio, che invece li accettò tutti e (per adoperare una parola che il Flaubert disse di sé medesimo), pensando da semidio, visse

costantemente da bor-

ghese, anzi da popolano. Egli aveva preso l'abitudine di leggere, scrivere, meditare e comporre i suoi lavori « ragionando con amici e tra lo strepito de' suoi figliuoli » ~.

La vano

salute ebbe

«

sempre malferma

mastro Tisicuzzo

» 3

:

gli

;

amici

lo

chiama-

debole assai da giovane, stra-

da ulceri alla gola, da dolori alle cosce' gambe. Insomma, quel riposo, quell'ozio, quella tranquillità, che altri filosofi goderono per tutta la loro vita, ziato in vecchiaia

e alle

mancò sempre.

o per lunghi tratti di questa, al Vico

dovette fare da Marta e da Maddalena le necessità pratiche

memente con gnatagli

fin

sue e dei suoi

;

:

Egli

travagliandosi per

travagliandosi insie-

adempiere alla missione assedalla nascita e dare forma concreta al mondo sé stesso, per

spirituale che gli

si

agitava dentro.

IV

Non

c'è bisogno, dunque, di foggiare o desiderare

un

Vico eroe, cercandolo nella vita religiosa, sociale e politica, quando il Vico eroe ci sta innanzi, ed è appunto questo: l'eroe della vita filosofica.

1

Opp., ed. Ferrari, VI, p. 235.

2

Autob., ed. cit., p. SS.

3

In Autob. y ed.

cit,, p. 120.

E

stato notato

da

altri

I.

che

VITA E CARATTERE DEL VICO

ebbe carissima

egli

vati di essa (« eroismo

la »,

«

«

parola eroico

eroe

»

295 e tutti

», ecc.); e

i

deri-

ne fece con-

tinuo uso e svariatissime applicazioni. L'eroismo era, per lui, la forza vergine e strapotente, che appare negli inizi e riappare nei ricorsi della storia. Questa forza egli doveva sentire in sé medesimo, nel lavorare per la verità e nel-

abbattendo ostacoli d'ogni sorta, nuove vie alla

l'aprire,

scienza. Per questa forza, superate le giovanili incertezze,

smarrimenti, gli avvilimenti, che talvolta lo fecero cadere in un cupo pessimismo individuale e cosmico (come si vede dalla canzone Affetti d'un disperato), potè sollevarsi gli

alla sicura professione di

De

nel

metodo

nostri temporis studiorum

scientifico,

che enunciò

ratione, e al suo

primo

tentativo di applicazione filosofico-storica, rappresentato dal

De antiquissima italorum

sapientia', e da questo, poi, dissuo stesso pensiero e ritessendo col resto una nuova tela, giungere al De uno universi iuris

facendo in parte

il

uno

e *alla Scienza

nuova

dopo venticinque anni (egli diceva delle scoperte contenute in questa) di continova ed aspra meditazione ». principio

et fine

:

«

L'opera, menata a termine da quel povero maestro di

grammatica e rettorica, da quel pedagogo che un satirico contemporaneo raffigura « stralunato e smunto, con la ferula in mano » ', da quel tormentato paterfamilias, stupisce

quasi, spaventa: tanta

e,

vi è condensata.

È

somma

di energia

un'opera di reazione

e di

mentale

rivoluzione

insieme reazione al presente per riattaccarsi alla tradizione dell'antichità e del rinascimento; rivoluzione contro il presente e il passato per fondare quell'avvenire, che si :

chiamerà

poi, cronologicamente, secolo decimonono. Nel campo della scienza, l'umile popolano diventava

i

Ivi,

p. 120.

APPENDICE

296

da signori

che egli falsamente lodava nelle misere scritture dei superbi cavalieri e dei pomposi mitrati del suo tempo, era veramente il suo. aristocratico; e quello

«

stile

»

l

,

Egli aborriva la letteratura galante e socievole, che cominciava a diffondersi dalla Francia in Italia e negli altri

paesi d'Europa,

i

«

libri

per

le

dame

» 2.

Ma non meno

rifuggiva da quella maniera di trattazioni che si chiamano ora « manuali », e in cui si espongono per filo e per segno definizioni elementari e cose già da altri accertate: libri

che possono giovare soltanto ai giovani 3 ai quali per altro il Vico già abbastanza si sacrificava nella cerchia della ,

scuola perché dovesse poi sacrificar loro anche qualcosa della propria inviolabile vita scientifica. In questa mirava

ad altro pubblico che a giovinetti, cavalieri e dame: quando suo primo pensiero, la sua prima « pratica » Come riceverebbero le cose da lui meditate un Pla-

scriveva,

era

«

:

il

un Varrone, un Quinto Muzio Scevola?

tone,

conda

»;

e la se-

Come

riceverà queste cose la posterità » *. Dei innanzi agli occhi, esclusivamente, aveva contemporanei, la

di

:

«

Repubblica letteraria, l'Ordine dei dotti, le Accademie Europa; un pubblico, a cui non bisognava ripetere ciò-

che già era stato trovato e detto nel corso della storia delle scienze e che esso aveva bene a mente, ma porgere soltanto pensieri che fossero reale avanzamento del sapere:

non

libri

ma « piccioli libricciuoli, tutti pieni Un pubblico ideale, insomma, che in-

voluminosi,

di cose proprie

» 5.

egli confondeva talvolta con quello dei dotti professione e dei critici da riviste letterarie; donde,.

genuamente di

1

2

3

la Autob., ed. In Autob., ed.

216.

cit.,

p.

cit.,

p. 186.

Ordz., ecc., ed. cit., p. 215.

4

Scienza nuooa, ed. Nicolini, p. 51.

5

Oraz., ed. cit., p. 51.

I.

poi, le

VITA E CARATTERE DEL VICO

frequenti sue delusioni.

metafisica,

sembrava a

particolare efficacia,

libri

I

297

materia

brevi, in

che avessero (come infatti hanno) acconciamente paragonata alle medilui

che brievemente propongono pochi punti », le quali fanno molto più profitto nelle cose dello spirito cristiano che non « le prediche più eloquenti e più spietazioni sacre,

«

gate da facondissimi predicatori

»

[ .

Per quest'amore

brevità, fu restio dall'aggravare di blica

troppi repubche già non regge sotto il peso lasciò orazioni, stampò per dovere il De ratione, ed

letteraria,

inedite le

alla

libri la

;

2 ebbe, infine, a manifestare più volte il desiderio che, di tutte le sue opere, sola gli sopravvivesse la Scienza nuova,

la

quale conteneva condensate e perfezionate tutte

le

sue

indagini precedenti. All'aristocrazia dell'ideale

si

concezione della vita scientifica

accompagnavano il

nella sua

più nobile decoro e la

più profonda lealtà. Dalle sue polemiche si potrebbe ricavare un intero catechismo circa il modo in cui si debbono

condurre le dispute letterarie. Bisogna (egli dice) non mirare a vincere nella disputa, ma a vincere nella verità;

onde voleva che quelle si svolgessero « con sedatissima maniera di ragionare », perché « chi ha potenza non minaccia e chi ha ragione non ingiuria » variate tutt'al più da piacevoli motti, « i quali diano a divedere gli animi de' ;

ragionatori esser placidi e tranquilli, non perturbati e com». Agli avversari, che movevano obiezioni vaghe, faceva notare « Il giudizio è in termini troppo generali

mossi

:

:

e gli

non

uomini gravi non hanno mai le particolari e

fatte ».

1

2

di risposta

deguato se

determinate opposizioni, che loro sono

Ai medesimi, quando

«

raffinato

nella lettera a Celestino Galiani del 18

novembre

si

appellavano

al

Oraz., ed. cit., p. 253.

Tra

le altre,

1725 (Autob., ed.

cit., p.

170-1), e

il

cui autografo è presso di me.

APPENDICE

298

buon gusto del

quale ha sbandito, ecc. ecc. », Questa è invero una grande opposizione, perché opposizione non è; perché, ritirandosi gli avversari al tribunale del proprio giudizio, con quel dire di

'

il

secolo,

rispondeva sdegnoso:

«

codesto che tu dici non ho idea

',

da avversari diven-

Alle autorità non intendeva appoggiarsi, disprezzava; dovendo l'autorità « farci considerati a investigare le cagioni che mai potessero gli autori, e massimamente gravissimi, indurre a questo o a quello

gono giudici

ma neppure

».

le

opinare ». E, accusato di avere commesso il medesimo peccato di Aristotele attribuendo errori ai filosofi per poterli

con agevolezza confutare, protestava dignitosamente: « Io mi contento del mio poco sapere ingenuo, che essere comparato di mal costume ad un gran filosofo ». Della sua equanimità può dare esempio lo splendido elogio che egli fa di Cartesio, contro

il

quale pure era rivolto tutto

lo

sforzo maggiore del suo pensiero. La sua lealtà è attestata dal pronto riconoscere i propri errori: « Confesso (dice, in un punto, ai critici del Giornale dei letterati) che la mia » l.



già questo (scrive nella seconda Scienza nuova) dee sembrare fasto a taluni che noi divisione è viziosa

«

non contenti de' vantaggiosi giudizi da

tali

uomini dati

alle

disapproviamo e ne facciamo rifiuto; è perché questo argomento della somma venerazione e stima che noi facciamo di tali uomini anzi che no. Imperciocché nostre opere, dopo

i

le

rozzi ed orgogliosi scrittori sostengono le loro opere anche le giuste accuse e ragionevoli ammende d'altrui

contro altri,

;

che per avventura sono di cuor picciolo, s'empiono

de' favorevoli giudizi dati alle loro, e per quelli stessi non più s'avanzano a perfezionarle; ma a noi le lodi degli uo-

mini grandi hanno ingrandito l'animo di correggere, sup-

1

Si

vedano

pass, le Risposte, in Oraz., ecc., ed. cit.

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

forma

ed anco in miglior

plire

stra

»

di

299

cangiar questa

no-

'.

Vita scientifica proba, come di serio ricercatore del vero vita sentimentale commossa e rapita, come di chi :

giunga a faccia a faccia col vero a lungo bramato e cercato, ed esulti di poterlo annunziare agli uomini. Di qui la sua alta poesia, che è non già nei versi, ma nelle prose, e,

segnatamente, nella Scienza nuova. « Il Vico è poeta il Tommaseo): dal fumo dà luce, dalle metafisiche

(scrive

astrazioni trae imagini vive:

gionando, dipinge; e per- le

ma

gia,

vola; onde in

che in odi assai

lirico

maginazioni

le

raccontando, ragiona

e,

ra-

cime de' pensieri non passeg-

un suo periodo sovente è più estro »2 Certo, fossero anche tutte im.

sue dottrine, quella nascita che egli descrive

della società, quella rappresentazione delle età primitive e delle lotte in cui

si travagliano e assurgono, splenderebbe sue gigantesche figure, con le sue robuste passioni, col divino immanente in quegli aspri petti, come un mirabile poema; e il De Sanctis vide infatti nella

ognora, con

le

l'andamento di un poema, quasi di una nuova Divina commedia. E, come Dante sublime, fu anche più di Dante severo; e se le labbra del ghibellin fuggiasco pur si mossero talvolta * un poco a riso », il Vico leva veramente innanzi alla storia un volto « che giammai non rise ». Del resto, egli che ha avuto tante censure pel suo stile, non era scrittore volgare; anzi, studioso della buona forma e della toscanità 3 non meno che sotScienza nuova

,

tile

estimatore,

1

2

al

Scienza nuova, -ed.

G. B. Vico

cit.,

latini

4 .

p. 10.

La storia civile nella letteraria, un giudizio sul Vico scrittore, ivi,

e il suo secolo (nel voi.:

Torino, Loescher, 1872), pp. 9-10.

del Capasso, di vocaboli

dire

p.

Più ampiamente

104; cfr. ora,

il

Nicolini, nella introd. alla sua ediz.

della Scienza nuova. 3

Autob., ed. cit., pp. 10-11

4

In Autob., ed.

cit.,

:

p. 120.

cfr.

Opp., ed. Ferrari, VI, 45, 140.

APPENDICE

300

Ma componeva male

suoi libri, perché la sua mente non padroneggiava tutta la materia filosofica e storica, che aveva accumulata scriveva confusamente, perché con i

;

dèmone donde, le sproporzioni nelle varie parti dell'opera, nelle singole pagine, nei singoli periodi. Rende talora immagine di quella botfurore e

tiglia

di

come

in

cui parla

preda a un

il

:

poeta, piena d'acqua e

capovolta che vorrebbe uscire, tanto via angusta, « che a goccia a

di botto, nella quale l'umore, s'affretta e intrica

per la goccia fuori esce a fatica ». A fatica o a fiotti, disordinatamente. Un'idea che egli sta enunciando, gliene richia-

ma

un fatto, e il in una volta,

un'altra, e questa

egli vuol dire tutto

un

fatto e

altro fatto;

ed

perciò le parentesi si

aprono nelle parentesd, con ritmo spesso vorticoso. Ma quei suoi periodi disordinati, come erano materiati di pensieri originali, cosi sono tutti contesti di

role scultorie, di espressioni

frasi possenti, di pa-

commosse, d'immagini

pitto-

resche. Egli scrive male, se cosi piace dire; ma di quello « scriver male », del quale i grandi scrittori portano con sé

il

segreto.

L'eroismo

filosofico

del Vico

non

si

affermò

soltanto

nella lotta interiore con sé stesso per l'elaborazione della scienza,

ma

fu sottomesso

posizione mentale, da e, sotto

lui

ad

altre e

più dure prove.

raggiunta, avversa

al

La

presente

specie di reazione, vòlta all'avvenire, lo condan-

nava necessariamente all'incomprensione. È codesta, senza dubbio, la sorte di tutti gli uomini di genio: incompresi intimamente, anche quando la fortuna sociale sembra secondarli ed

essi

sollevano entusiasmi

e trovano in

folla

motto che, secondo la leggenda, lo Hegel avrebbe pronunziato sul letto di morte (« uno solo scolari e ripetitori. 11

I.

de' miei scolari

VITA E CARATTERE DEL VICO

mi ha

inteso, e questi

301

mi ha frainteso

»),

esprime a meraviglia tale necessità storica: chi è perfettamente inteso nel suo tempo, muore col suo tempo. Pure, di rado o non mai la sproporzione tra il proprio pensiero

incomprensione dei contemporanei fu cosi grande come nel caso del Vico. Se altre cagioni d'infelicità non l'aves-

e la

sero tormentato, sarebbe bastata quest' una.

laude

»,

che

è

poi

Il

«

desio di

animi non volgari desio di ve-

negli

dere compartecipato, assentito e universalizzato negli altri spiriti ciò che a essi sembra vero e buono, rimase sempre

un « van desio ». Tanto pid l'incomprensione e l'indifferenza lo angosciavano, in quanto, com'è facile supporre, aveva piena colui

per

scienza, dell' importanza delle proprie scoperte. Egli sapeva

che

la

Provvidenza

sima; sapeva di esser tria, e in

aveva

gli

conseguenza

«

affidato

nato per

dell'Italia,

una missione

altis-

della sua pa-

la gloria

perché quivi nato, e non

Allorché mandò fuori come di avere dato fuoco a nuova, gli pareva una mina, e ne aspettava da un momento all'altro lo scoppio e il fragore. Non ne segui nulla: la gente non gliene onde egli scriveva a un amico, dopo qualche parlava giorno: « In questa città si io fo conto di averla mandata in Marrocco, esso riusci letterato

» u.

la Scienza

;

e sfuggo tutti i luoghi celebri per non abbattermi in coloro a' quali l'ho mandata, e, se per necessità

al deserto

;

sfuggita li saluto: nel quale atto non né pure un riscontro di averla ricevuta, mi confermano l'opinione che io l'abbia mandata al deserto » 2 egli addivenga, di

dandomi

essi

.

Egli aveva creduto, addirittura, a un effetto rapido e immediato; e sperato di trovare gli animi pronti e gl'intelletti

1

2

aperti a

ricevere e

a

fecondare

i

suoi pensieri,

In Aulob., ed. cit., p. 48. Lettera al Giacchi, 25 nov. 1725, in Anteo., ed.

cit., p.

175.

APPENDICE

302

nientemeno che tra

i

suoi contemporanei e conoscenti di

occupati a comporre e mandare a memoria prediche verbose, tra i verseggiatori che rimavano sonettuzzi, tra gli avvocati che scrivevano allegazioni!

Napoli

tra

:

frati

i

Trovò, invece, moltissimi scettici e indifferenti, e non pochi irrisori. Già il libro sul Diritto universale, quando

comparve, venne generalmente « ripreso per oscuretto », come c'informa il Metastasio l e fu poco letto e avventatamente censurato per le stravaganze che la lettura disat;

tenta e a salti faceva trovarvi in ogni punto 2 Il padre Paoli, cui l'autore ne aveva donato copia, vi scrisse sopra un .

distico celiando sull'incomprensibilità dell'opera

3 .

Peggio

per la Scienza nuova: si sa che Nicola Capasso (che pure era dotto uomo e bene affetto verso il Vico), provatosi fu

a leggerla, credè di avere smarrito ogni scintilla d'intenbuffoneggiando, eorse a farsi tastare il polso dal medico Cirillo *. Un erudito senese, nel riferire le impres-

dimento,

una sua

sioni di

suo

e,

visita al Vico e della

lettura di qualche

privo di criterio e secnobile napoletano, interrogato a Venezia dal Finetti circa quel che si pensasse a Napoli del Vico, disse lo definì stravagante,

scritto,

catore

Un

5

.

un certo tempo costui era passato per uomo davma che dipoi, per le strane sue opinioni, aveva

che, per

vero dotto, acquistato

fama

Scienza nuova? l'altro),

i

2 3

di

squilibrato.

», insiste

il

«

E quando

Finetti.

«

era già diventato affatto pazzo!

Ivi,

p.

die fuori

» 6. I

maldicenti

*

In Autob., ed.

Lettera di G. N. Bandiera del 1726, ed. dal Nicolini

P

cit., p, 143.

113.

5

Critica,

lo

118.

Latterà al Giacchi del 12 ottobre 1720, in Aniob., ed. Ivi, p.

la

Oh, allora (rispose

XV

cit.,

p. 119: cfr. p. 76.

(1917), pp. 295-97.

In Autob.,

p.

119.

e

ristamp.

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

303

colpivano perfino nella modesta professione da cui traeva il sostentamento, dicendolo « buono ad insegnare a' giovani

dopo aver fatto tutto il corso de' loro studi, cioè quando erano stati da essi già resi appagati del lor sapere » o, più insidiosamente, che egli era adatto non a insegnare, ;

ma

a dar buon indirizzo ad essi maestri

«

»

'

;

e, cioè, ri-

sua superiorità soltanto per farsene un arda gomento danneggiarlo nella già cosi stentata sua vita

conoscevano

la

pratica. vi



generale indifferenza e alla

alla

malignità dei critici potevano formare e lodatori,

che anche

al

leggerezza o alla compenso gli amici

Vico non mancarono.

Come

sareb-

bero potuti mancargli, se egli ne faceva una trepida ed attenta cultura artificiale? Si veda, per es., in qual modo col-

cappuccino padre Giacchi. Lodava di costui le « il divinissimo ammirabili opere », ingegno », « la rara

tivasse «

il

sublimità delle meravigliose e divine idee ». Gli annunziava aver dato a leggere ai letterati della città l'epistola elo-

di

giativa ricevuta da •*

sublime

il

lui,

torno del

e che tutti ne

concepire

(eppure egli proprio, iscrizioni che il Giacchi compo-

rifaceva in latino d'oro le

neva

un

latino fratesco

avevano ammirato

»

2

Gli comunicava, altra volta, un Giacchi avevano destato invidia ed erano state prese da taluni per adulazioni. Eguali fatiche spendeva per propiziarsi l'arcivescovo di Bari, Muzio di Gaeta, un vanitoso, tutto pieno del proprio merito (negli Elogi del Gimma fa perfino lodare la sua avvenenza), e che non sa-

che

in

!)

.

le lodi di

peva parlare se non 1

2

Autob.,

1.

un panegirico

di sé stesso, autore di

e.

Furono pubblicate da me

di ììtftvo in Sscondo nappi, alla

in Napoli nobiliss.,

BUA. deh., pp.

XIII

70-2.

(190-J),

f.

I,

e

APPENDICE

304

papa Benedetto XIII, pel quale, lodato e rilodato dal si saziava mai, e provocava, anzi chiedeva espres-

di

Vico, non

samente, nuove

E

lodi.

della linfa desiderata:

«

Vico a

il

inaffiarlo

pazientemente

maravigliosa opera di V. S.

la

I. »;

il suo dire da signore »; le digressioni demosteniche »; l'eloquenza, che fu la favella filosofica, con la quale parlarono gli antichi accademici greci, tra i latini Cicerone,

«

e

«

tra

«

ritirato

poi

niun

gl'italiani

cato Francesco in

gli

che V.

fosse tra

egli

intendimento, che

S.

»!

I.

All'avvo-

era stato scolaro e

che

provincia, insinuava

nuova aspettava che d'alto

altro

Solla, che

volessero

si

era

sua Scienza

la

pochissimi forniti riceverla con mente i

pregiudizi circa i principi dell'umanità sgombra Erano artifizi ingenui, fanciullaggini pietose, con le quali di tutti

l

i

.

procurava di dare un'illusoria soddisfazione al suo bisogno di riconoscimento e di lode, e un calmante ai suoi nervi eccitati.

Ma anche

modo raccoglieva

a questo

veri. Nelle lettere del Giacchi,

costui avesse intesa

almeno

le

di Gaeta, «

una

non

frutti assai po-

che provi che

è parola

sola delle dottrine vichiane o che

avesse considerate con serio interesse. Monsignor dopo molti giri eli frasi, gli confessa di avere

più ammirate che intese

le

opere di

lui

2

certamente, ad ammirare occupato la propria prosa. Il Solla, nel quale il Vico sembrava riporre tante speranze, giudicava l'orazione per la morte

non

le

aveva neppur

->

e,

;

lette, tutto

donna Angela Cimini cosa superiore a tutte le altre opere dell'autore e alla stessa Scienza nuova. Un simile incauto complimento rivolgeva al Vico un altro ammidi

ratore,

pur caldo e affettuoso, l'Esteban

che o banali

gli

i

In Autob., ed.

«

Ivi, p. 251.

3

Ivi, pp.

195-6.

3 .

Lodi generi-

giungevano talvolta (ma più spesso per-

cit.,

p. 202.

I.

darà vano,

VITA E CARATTERE DEL VICO

ostinati, la

trascuranza e

305

silenzio), in

il

ricam-

bio di alcuno dei tanti esemplari delle proprie opere, che

inviava non solamente di

Roma,

ma

di Napoli,

ai letterati

Padova, anzi

di Pisa, di

di

Germania,

a quelli

di Olanda,

1 Egli d'Inghilterra: ne mandò, perfino, a Isacco Newton ottenne, tutt'al più, di farsi considerare erudito tra centi.

naia di eraditi e letterato tra migliaia di letterati: dotto uomo, insomma; ma niente altro.

Senza dubbio, tra

i

Vico ebbe, tra

il

giovani, schietti ammiratori.

i

modesti, tra gli oscuri,

Di costoro era

sacro, Gherardo de Angelis; poi il frate Nicola Concina Solla ed Esteban

oratore

;

altri pochi.

Ma, se

il

il

poeta,

già ricordati

di

Padova

;

e

loro affetto era grande, la loro intel-

Anche

ligenza era scarsa.

i

il

Concilia confessava, in

mezzo

non intendere troppo entusiasmi, bene: « Oh quanti fecondissimi e sublimissimi lumi vi sono Cosi avessi io talento da farne uso e da comper entro

#1 fervore

dei suoi

di

!

fondo ed il mirabile artificio, che panni alquanto di ravvisare! » *. Il miglior ufficio, che codesti amici potessero adempiere, era di lenire con parole buone, se non con intima corrispondenza di pensieri, l'animo esa-

prendere

il

Esteban, concludendo la lettera nella quale procura di rimediare a quel che gli era

cerbato del Vico. Cosi faceva

l'

scappato dalla penna a proposito dell'orazione per la Cimini, e ripeteva frasi che aveva dovuto cogliere sulla

bocca del maestro:

«

Vivete sicuro che la Provvidenza,

per canali da V. S. non immaginati, farà sorgere a V. S. una fonte perenne di glorie immortali » \ Il gesuita pa!

dre Domenico Lodovico (autore del distico, che si legge sotto il ritratto del Vico), ricevuta la seconda Scienza

1

Autob., ed.

-

In Autob., ed. cit., p. 231.

3

Ivi, p. 205.

B. CitOCE,

La

cit.,

filosofìa

p. 55.

di Giambattista Vico.

20

APPENDICE

306

nuova, mandò all'autore, con pratico senno, un po' di vino della cantina e un po' di pane del forno della casa gesui'

Nunziatella, con una graziosa letterina nella quale lo pregava di accettare « codeste cosucce, comeché della

tica

semplici,

quando né pure

il

offerte de' rustici pastorelli

bambino Gesù

E

».

gli

rifiuta le rozze

suggeriva di aggiungere

nella simbolica dipintura che precede l'opera, accanto all'al-

un piccolo nano in atteggiamento di chi ammirando ammuta come il montanaro di Dante, scrivendovi sotto « con significante dieresi » il nome: Lodo-vico *. Tra i tanti fabeto,

!

giovani della sua scuola, erano alcuni, tutti pieni della dottrina di lui, pronti a difendere il maestro a spada tratta *-T ma si sa che cosa valgano codesti entusiasmi di giovani.

Se quegli scolari avessero penetrato davvero le dottrine o qualche parte delle dottrine vicinane, se ne sarebbero

vedute

le

tracce nella letteratura e nella cultura della geal Vico e, invece, non ne fu nulla o

nerazione che segui quasi.

;

Appena qualche sentenza, qualche affermazione

sto-

rica, qualche concetto isolato e superficialmente inteso fu ripetuto a Venezia dal Conti, a Padova dal Concina, in Ispagna da Ignazio Luzàn (il quale aveva dimorato a Na-

poli negli anni della pubblicazione della Scienza

nuova)

e qualche cosa di più nella patria dell'autore, dal vesi e particolarmente da GÌ' invidi,

i

leggieri,

i

\

Geno-

Ferdinando Galiani. pettegoli,

i

calunniatori, gl'inin-

eccitavano nel Vico scoppi di collera violenta. Di questo suo peccato si confessa nell'autobiografia, dicendo che « con maniera troppo risentita inveiva contro o gli telligenti

errori d' ingegno o di dottrina o suoi emuli, che

i

In Autob., ed.

2

Ivi, p. 121.

3

Ivi, p. 122.

mal costume dei

doveva con cristiana

cit.,

pp. 218-4.

carità, e

letterati

da vero

fi-

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

losofo, o dissimulare o compatirgli »

peccato non

l

Ma, in fondo, quel Dante, vi trovava

.

di

al

307

pari gli spiaceva: qualche bellezza. L'orazione per la Cimini contiene una specie d'inno alla collera, alla « collera eroica », « che negli animi generosi co' suoi bollori turbando

confondendo ogni mal nata

riflessione della

e dall'imo

mente, da cui

nasce la razza vile della fraude, dell'inganno, della menzogna, fa ella gli eroi aperti, veritieri e sandoli della verità,

arma

li

scrivere

nello

si

e

si,

interes-

campioni della ragione

forti » 2.

incontro ai torti ed alle offese

Benché

fidi,

«

guardasse

a tutto potere

»

dal cadere in quella passione 3 la collera si sente tumultuare mal repressa nelle lettere private, in tutte quelle punte contro i « dotti cattivi », che « amano più l'erudi,

zione che la verità è

«

memoria

tutto

versazione

poi,

era,

nel 1736,

Quando,

»,

contro

comune

il

uomini che

degli

e fantasia », e via dicendo. Nella con-

a

quel

che

sembra, mordacissimo.

Damiano Romano pubblicò un

tro la tesi vichiana relativa alle dodici tavole,

conta

il

Romano medesimo), sebbene

coi titoli di

«

dottissimo

»

e di

«

il

libro con-

.Vico (rac-

vi fosse stato trattato » e con ogni addentò in maniera

celeberrimo

altra dimostrazione di reverenza,

«

ci

che fu di ribrezzo e di orrore a chiunque vi », vedendo egli di malissima voglia che

sente

si

trovò pre-

«

un garzone

Ma agli scoppi di ricadute nella più profonda tristezza. In un sonetto, egli si dice oppresso da quel fato « che l'ingiusto odio altrui creò sovente », onde si era np-

come

noi

collera

i

si

si

fusse con lui cimentato

alternavano

le

Ivi, P p. 96, 120-1.

2

Opp-ì eJ. Ferrari, VI, p. 254.

2

Autob., ed. cit., p. 76.

*

In Autob., pp. 120-1.

» *.

APPENDICE

308

umano

partato dal consorzio

Da

si

quel torpore

a vivere solo con sé stesso.

riscoteva, talvolta, per qualche istante:

Poi ricaggio in me stesso, e da mie gravi cure sospinto a tornar là dov'era, di me, non per mia colpa, ho da dolermi 1 .

VII

in

Eppure, fra tanti tormenti e contrarietà e delusioni, tristezza che veniva frequente a rico-

mezzo a questa

il Vico provò una delle più alte dell'uomo: quel « vivere di meditazione scevra e pura di passione, che allora senza la compagnia tumultuosa e grave del corpo vive veramente l'uomo solo.... »;

prirlo dei suoi neri veli, felicità

quella vita di sicuro possesso, perché

«

medesimata con

presta e presente, che gli dimostra

l'anima, sempre essere fisso nell'Eterno che tutti ziante nell'infinito si

il

colma

di

che tutte

le

il

suo

tempi misura, e spa-

i

cose comprende; e

finite

una eterna immensa

gioia,

non

in

certi

luoghi invidiosamente né in certi tempi avaramente ristretta, ma che senza uggia di emulazione, senza tema di

scemamento, per ciò unicamente in esso

si

potrebbe comunicata

se ella fosse tuttavia a più e più

lui accrescere

umane menti

2

Della verità raggiunta non dubitò mai, pur continuando sempre a elaborarla: sopra il sistema presentato nel libro del Diritto universale la sua mente e diffusa

»

.

3 riposava sodisfatta » che dolori aveva cosi acerbamente

(egli dice) «

.

Le

fatiche, e gli stessi

erano cari, perché attraverso di essi era pervenuto alle sue scoperte sofferti, gli

:

1

In Autob., ed.

2

Opp., ed. Ferrari, p.

3

Lettera al Giacchi del 12 luglio 1720, in Autob., ed.

cit.. p. 325. 2»i7.

cit., p. 188.

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

309

« Benedico ben venticinque anni da me spesi nella meditazione di siffatto argomento, ed in mezzo le avversità della mia fortuna e le remore che mi facevano gli esempli infelici degl'ingegni, che han tentato delle nuove e gravi disco-

verte....

»*.

Come poteva non benedire

quelle fatiche e

quei dolori e quelle avversità, se ogni qual volta

si

solle-

vava dal tumulto passionale dell'uomo empirico e dalle lotte dell'uomo pratico, la sua mente gli mostrava la necessità ineluttabile e di quanto egli aveva operato e di quanto aveva sofferto, e l'ima e l'altra necessità strette in

modo tra loro da formarne una sola e indivisibile? La sua stessa dottrina filosofica gli porgeva dunque

la

medicina del male, e promoveva nel suo animo la catarsi liberatrice: quella dottrina che aveva per centro l'idea

immanente

della Provvidenza

necessità storica.

o,

come

si

disse poi, della

Sia pur sempre lodata la Provvidenza, che quando agl'infermi occhi mortali sembra ella tutta severa giustizia, allora più che mai è impiegata in una

somma

benignità!

«

Perché da questa opera

aver vestito un nuovo

uomo

io

mi sento

provo rintuzzati quegli stimoli di più lamentarmi della mia avversa fortuna, e di più inveire contro alla corrotta moda delle lettere che mi e

ha fatto tal'avversa fortuna; perché questa moda, questa fortuna mi hanno avvalorato e assistito a lavorare que-

Anzi (non sarà per avventura egli vero, ma mi piacerebbe che fosse vero), quest'opera mi ha informato st'opera.

un certo spirito eroico, per lo quale non più mi perturba alcun timore della morte e sperimento l'animo non più curante di parlare degli emoli. Finalmente, mi ha di

fermato come sopra un'alta adamantina ròcca

i

p.

Lettera

178.

al

il

giudizio

card. Corsini del 15 dicembre 1725, in Autob., ed.

cit.,

APPENDICE

310 di Dio,

quale fa giustizia alle opere d'ingegno con

il

stima dei saggi

»,

uomini cioè

degli

di

altissimo

la

inten-

dimento, di erudizione tutta propria, generosi e magnanimi, « intenti a conferire opere immortali nel comune delle lettere », che » l.

simi

sità di tutto ciò

deva nella metteva

«

sempre

La Provvidenza che

vita, e,

e

da per tutto furono pochis-

mostrava, dunque, la necesera accaduto e ancora gli accagli

gli

inculcandogli la rassegnazione, gli pro-

la Gloria.

Vili

Cosi l'uomo collerico diventava perfino tollerante: di quella tolleranza, di quella indulgenza superiore che non è da confondere- col volgare tollerantismo. L'Università, nella quale

aveva sperato fare avanzamento

aveva rivolto il pensiero nel comporre non aveva voluto sapere di lui ed egli ;

le si

prime opere, era tutto riti-

rato in sé stesso a meditare, la Scienza nuova.

ceva con sorriso in cui

si

e verso cui

Dunque

(di-

sente ancora alcunché di amaro),

questa mia opera io la debbo all'Università, che, riputandomi immeritevole della cattedra e non volendomi « oc-

cupato a trattar paragrafi tarla:

«

»,

mi ha dato

l'agio

di

medi-

Un avergliene più grado fiorentino Sostegni, in un sonetto a lui indiriz-

posso

di questo? »

io

2

.

amico, zato, usciva in parole di biasimo contro la città di Napoli, che aveva tenuto in poco conto il suo gran figlio. E il il

Vico, nella risposta, giustifica con nobili parole la patria,

dura con lui perché molto da lui aspettala e molto aveva voluto ottenerne:

1

In Autob., ed.

2

Lettera al Giacchi del 25 novembre 1725, in Autob.. ed.

p. 134.

cit.,

pp. 120-1. cit.,

VITA E CARATTERE DEL VICO

I.

311

Severa madre non vezzeggia in seno figlio, che ne fia poscia oscura e vile; ma grave in viso ancor l'ode e rimira l

.

Da questa condizione di spirito nacque Y Autobiografia-. opera che è stata mal giudicata e del tutto fraintesa dal Ferrari, il quale vi biasima il teleologismo dominante e mancanza

una spiegazione « psicologica » della vita del Vico *. Come se il Vico medesimo non avesse 3 E che cosa professato che l'aveva scritta « da filosofo » significa scrivere da filosofo la vita di un filosofo, se non vi

lamenta

la

di

!

.

intendere l'oggettiva necessità del suo pensiero e scor-

gerne gli addentellati anche dove all'autore, nel momento che lo pensò, non apparivano del tutto chiari? 11 Vico «

meditò nelle cagioni cosi naturali come morali, e nelda

l'occasioni della fortuna; meditò nelle sue ch'ebbe fin

fanciullo o inclinazioni o avversioni più ad altre spezie di studi che ad altre; meditò nell'opportunitadi o nelle tra-

versie onde fece o ritardò

i

suoi progressi

meditò, final-

;

mente, in certi suoi sforzi di alcuni suoi sensi

diritti,

i

quali poi avevangli a fruttare le riflessioni, sulle quali lavorò l'ultima sua opera della Scienza nuova, la qual appruovasse tale e non altra aver dovuto essere la sua vita letteraria

»

4 .

L' Autobiografia del

Vico

è,

insomma,

l'applicazione della Scienza nuova alla biografìa dell'autore, alla storia della propria vita individuale

;

e

metodo ne

il

è,

quanto originale, altrettanto giusto e vero. Che poi il Vico riuscisse solo in parte nel suo assunto, e, cioè, non potesse fare la critica e la storia di sé

1

In Autob., ed.

cit.,

IV

p. 825.

-

Nell'introd. al

3

Autob., ed. cit., p. 62. L. e.

1

voi. delle Opere.

stesso

come sono

in

312

APPENDICE

grado di farla saranno quelli



insistere.

i

critici e gli

storici

odierni, e altrimenti

troppo ovvio perché vi si debba L' Autobiografia termina anch'essa-con una befuturi, è

nedizione alle avversità, un riconoscimento della Provvidenza e una certezza di fama e di gloria.

IX

Negli ultimi anni di sua vita il Vico, aggravato dalla dalle domestiche cure e dalle malattie, « ri-

vecchiaia,

nunziò

affatto agli studi

Da

la

tremante

» l.

man

cade

e de' pensier s'è chiuso

esclamava

due

in

versi, pieni

il

il

mio

stile

mio tesauro

-,

lacrime, di un

di

sonetto

per una possibile ristampa, le e alla seconda correzioni Scienza nuova, e le inaggiunte nel definitivo manoscritto corporò dell'opera; pensò per del

1735.

Preparò

un momento

allora,

mettere a stampa l'operetta De cequilibrio corporis animantìs, composta molti anni prima e che andò 3 poi smarrita adempiè ancora a qualche obbligo di uffizio, di

;

come, nel 1738, all'orazione per bone.

Ma

già nel 1736 o nel 1737

le il

nozze di re Carlo Borfigliuolo

aveva comin-

ciato a sostituirlo nella scuola, e nel gennaio 1741 riceveva

definitivamente la cattedra dalla quale il padre si ritirava *. il Vico tra i suoi, come un vecchio soldato exacta

Viveva

nel ricordo delle battaglie combattute, nella coscienza del dovere compiuto. Il buon figliuolo gli faceva, militici,

'

2

Autob., ed. cit., p. 75.

In Autob., ed.

mondo de 3 -i

cit.,

p.

326 (sonetto del 1735 per

le

nozze di Rai-

Sangro).

Autob., ed. cit., 75: cfr. Bibl. vich., pp. 38-9, Sec. tuppL, p. 6.

In Aidob.y ed.

cit.,

p. 123.

I.

VITA E CARATTERE DEL VICO

313

ogni giorno, qualche ora di lettura dei classici latini da lui più amati e studiati un tempo. E, in questo suo tra-

monto, gli fu risparmiato, almeno, il tormento dei tormenti: quello che straziò negli ultimi anni di vita un filosofo tanto di lui più fortunato, Emanuele Kant, ansioso di dare séguito e compimento al suo sistema filosofico e consumantesi

in

una

sterile lotta coi pensieri

che

gli sfug-

che non più gli obbedivano. Il Vico givano aveva detto tutto ciò che doveva dire, e conobbe da sé e le parole

quale grande storico di sé stesso, il momento in cui la Provvidenza aveva terminato in lui l'opera sua, chiudeva il tesoro dei pensieri che gli aveva cosi largastesso,

mente aperto per la

penna.

tanti anni e gli

comandava

di

deporre

II

La fortuna del Vico

L

narrazione delle vicende alle quali andò soggetta la fama del Vico non dev'essere sostituita o frammischiata la

e giudizio del pensiero vichiano, perdendo storia della filosofia propriamente detta o turbandola con la storia della cultura 1 Ma anche

all'esposizione di vista la

.

quando poi passi a questa seconda storia, bisogna guarun altro darsi da genere di errore: dalla pretesa di giungere a determinare, mercé quella narrazione, se l'opera si

del Vico fosse o no culturalmente utile, e di utilità le

si

debbano riconoscere.

di significato e la corrispondente

quanti gradi

indagine è priva misurazione impossibile & Siffatta

eseguire perché (se ben si consideri) un unico discepolo può valere le decine e le centinaia, un effetto solo pro;

dottosi dopo secoli

compensare un'efficacia ritardata per

un oblio immeritato riuscire altrettanto memorabile e ammonitivo quanto una fama meritatissima, e una medesecoli,

*

i principali risultati delle ricerche da me esposte nella Bibliografia vichiana e nei due Supplementi (efr, in questo volume, p. 342), ai quali lavori

Restringo in breve

fatte sull'argomento

annessi

ed

rimando per maggiori particolari che qui i

Si

si

affermano.

veda sopra,

pp. 249-50.

e

per la documentazione delle cose

APPENDICE

316

sima verità, scoperta due volte in modo indipendente, da questa stessa duplicazione e apparente superfluità ricevere il crisma della sua ineluttabile necessità. L'opera del

come Vico

è concluso di solito) fu del tutto inutile,

perché apparsa fuori tempo ossia troppo presto, e rimasta sconosciuta (si

o giunta a notizia

quando non poteva insegnare più

E, col dire ciò,

è blasfemato contro la storia, la quale

si

nulla.

non ammette nulla d'inutile ed

e sempre, in ogni sua parte,

opera (avrebbe detto

della

il

Vico)

cui ampie utilità non è lecito umane, corte di una spanna.

Ebbe

il

«

Provvidenza

»,

alle

applicare piccole misure

Vico rinomanza, lettori, intenditori e seguaci decimottavo? Si è risposto, con pari

nel corso del secolo

no e

risolutezza,

si

;

e,

a provare la risposta affermativa,

si

sono andati raccogliendo con molta diligenza i ricordi che del nome e delle dottrine del Vico si trovano sparsi negli scritti di quel secolo, accumulando sospetti e indizi su tracce inconfessate delle sue idee, che italiani

libri

non di

si

Ma un

stranieri.

scorgerebbero in pensatore come il Vico si

può dire propriamente conosciuto se non quando

lui sia

lo spirito

cati a

e

stato còlto il pensiero fondamentale e risentito animatore. Ora la maggior parte dei fatti arre-

documento

dell'opera sua concernono

dell'efficacia

dottrine particolari, che, avulse dal complesso, furono accettate o contestate né più né altro critico

suo.

Tale è

meno

di quelle di qualsiasi

ed erudito o dicitore di paradossi del tempo il

caso,

in

primo luogo, della teoria circa

l'origine della legge delle dodici tavole, discussa nella po-

lemica che

si

agitò fra Bernardo Tanucci e Guido Grandi

dal 1728 al 1731, oppugnata nel 1736 da

accolta in Francia nel 1735 dal

Damiano Romano, e rammentata nel

Bonamy

1750 dal Terrasson; delle nuove interpretazioni storiche circa

i

primi tempi di Roma, ricordate dallo Chaslellux,

guite e svolte dal

Duni

e,

se-

attraverso costui, sfruttate dal

FORTUNA DEL VICO

II.

317

Da Bignon; delle ipotesi sulla preistoria e sulle origini dell'umanità, adoperate e alterate dal Boulanger in Francia e da Mario Pagano in Italia; dei concetti storici e politici, e di quelli sulla poesia il

presso

il

Galiani,

Questione

e sul

Pagano,

che

linguaggio il

Cesarotti e qualche altro.

sostanziale era quella del

pili

trovano

si

metodo

di stu-

diare e giudicare le istituzioni politiche e le leggi; per la qual parte il Montesquieu fu messo a paragone col Vico

e accusato di essersi valso largamente della Scienza nuova senza citarla. È ormai accertato che nel 1728 Antonio Conti in

Venezia consigliò

il

futuro autore dell'Esprit des lois comprare a Napoli

al

risulta dai diari di quest'ultimo) di

(come

libro del Vico: consiglio che fu

certamente messo

in atto

recò a Napoli l'anno dopo, perquando Montesquieu ché un esemplare della Scienza nuova, nell'edizione del si

il

serba

si

1725,

ancora

nella

biblioteca

del castello de la

Ma ingegno

troppo diverso rispetto al Vico, e troppo

meno profondo, era

quello dello scrittore francese, da trarre

Bròde.

nutrimento da un'opera come la Scienza nuova; e i vestigi d' imitazione, che si è creduto di scorgere nell'Esprit des lois, sono assai contestabili e, in ogni caso, di scarsa vitale

importanza. Deve

mente mento

dirsi,

per altro, che

il

merito

general-

attribuito al Montesquieu, di avere introdotto l'ele-

prendendo per tal modo (come poi scrisse lo Hegel) la legislazione, quale momento dipendente di una totalità in rapporto a tutte le altre determinazioni che forstorico nel diritto positivo,

a considerare

mano

al

Come cosi

il

veramente



un popolo o di un'epoca; questo ordine cosi di tempo come di eccellenza, spetta •

Vico. il

Montesquieu per

Wolf per

la questione

sersi giovato tacitamente il

filosofica

carattere di

il

inerito, in

invece

in guisa

la

scienza della legislazione,

omerica, fu sospettato di es-

delle speculazioni vicinane.

Wolf, quando nel 1795 die fuori

i

Ma

Prolegomena ad Home-

318

APPENDICE

rum, ignorava, almeno direttamente, la Scienza nuova, che non conobbe se non di nome nel 1801 e di fatto l'anno dopo, pel dono che di quel libro gli fece il Cesarotti. È da noi concetti del Vico circa il carattere bar-

tare per altro che

mancanza di riposta sapienza nell'epos omerico erano (forse per opera del Galiani) divulgati nel 1765 dalla barico e la

Gazette Uttéraire de l'Europe del Suard e dell' Arnaud e, meglio ancora, che la Scienza nuova era conosciuta e ado;

perata dal filologo e archeologo danese Zoega (il quale la cita in un suo saggio' su Omero, composto nel 1788 seb-

bene pubblicato assai più tardi); e che con lo Zoega teneva carteggio lo Heyne, il quale accusò poi il Wolf di avere attinto alle sue

legomena

lezioni per la teoria presentata nei Pro-

in verità, sin dal 1790 manifestava l'idea di

(e,

una genesi graduale quelle teorie già

si

morie del Merian.

dei

poemi omerici);

profilavano nel I concetti

Wood

e,

infine,

e in alcune

vichiani con o senza

il

che me-

nome

dunque penetrati in qualche misura nell'ambiente filologico tedesco e il Wolf ne ebbe indubdel loro autore erano

;

biamente un certo sentore indiretto. E, in ogni caso, resta sempre, anche qui, il fatto riconosciuto da tutti co-

hanno studiato la questione che la teoria omerica, cosi come si trova esposta dal Wolf, dovrebbe dirsi non wolfiana ma vichiana, perché tale è veramente in quasi loro che

:

suoi tratti fondamentali. Del resto,

il Wolf, filologo di anch'esso pensatore assai gran lunga superiore ideali era in d'intendere le motivazioni non minore, grado dottrina che avevano condotto il suo predecessore a quella

tutti

i

al

Vico

ma

intorno a

Omero; com'è chiaro

perficiale,

che nel 1807 vi scrisse intorno.

Certamente a Napoli, nel molti

secolo

decimottavo,

fu

in

una confusa coscienza

chiana stesse

dall'articolo, alquanto su-

;

ma

non

della grandezza dell'opera viin che propriamente questa grandezza consi-

si

sapeva determinare, perché facevano ancora

II.

FORTUNA DEL VICO

319

e la preparazione adeguate. E fuori Germania in particolare, dove questa preparazione c'era, o almeno ce n'era assai di più, l'opera del difetto l'esperienza

d'Italia, e in

Vico rimase generalmente sconosciuta, in parte per il dierano caduti sin dalla fine del seicento i

scredito in cui

libri italiani, in

parte per

offriva agli stranieri. le

mani

caso

si

di

uomini

divertisse

Quando

atti a

a

le difficoltà

la

che

lo stile del

Vico

Scienza nuova capitò tra

comprenderla, sembra come se

impedirne loro

la

seria

lettura

il

e

Lo Hamann si procurò la Scienza nuova da Firenze nel 1777, in un tempo in cui si occupava di economia e di fisiocrazia, immaginando che vi si trattassero tali

l'intelligenza.

materie; e rimase deluso quando, nella scorsa che le dette, avvide di avere innanzi una selva di ricerche filologiche,

si

per giunta con scarsa acribia.

eseguite

11

Goethe l'ebbe a

Napoli, nel 1787, con grandi raccomandazioni, dal Filangieri e la portò seco in Germania e nel 1792 la prestava al Jacobi; ma solo per una felice combinazione, piuttosto che per una vera conoscenza o per un chiaro intuito, avvicinò il nome del Vico a quello dello Hamann. Lo Herder

(che anch'esso conobbe l'opera del Vico non forse nel 1777 mercé l'accenno fattogliene dallo Hamann nel loro carteggio,

ma

piuttosto nel suo viaggio d'Italia nel 1789),

ne discorse nel

1797 in termini affatto generici e senza avvertire nessuno dei molteplici rapporti che al Vico lo

stringevano, in ispecie nelle dottrine sul linguaggio e sulla poesia. I

la

soli

che nel secolo decimottavo veramente penetrassero e, pur senza volerlo,

tendenza fondamentale del Vico

ne riconoscessero

la genuina grandezza, furono (a nuova conferma della salda contestura spirituale del cattolicesi-

mo) gli avversari cattolici, che egli, allora, ebbe numero: il Romano, il Lami, il Rogadei, e sopra Finetti. Videro costoro che

il

Vico, nonostante

i

in

buon

tutti,

il

suoi fermi

APPENDICE

320 propositi di

Provvidenza stiana, e di

non

lo

ortodossia

religiosa, coltivava

un' idea

della

difforme da quella della teologia crifaceva continua menzione a parole, ma

affatto

Dio

lasciava poi operare effettivamente,

come Dio

— che

per-

distaccava con taglio cosi netto storia profana e storia sacra da giungere a una dottrina 'affatto naturale e umana delle origini della civiltà (mercé sonale, nella storia;

quelle della religione (mercé il timore, il pudore e l'universale fantastico), laddove la dottrina tradizionale cattolica ammetteva una certa comunicazione lo stato ferino) e di

tra la storia sacra e la profana, e nella religione e civiltà

pagana riconosceva il lievito operante di una qualche noche, tizia, sia pur vaga, della primitiva verità rivelata;



pure protestando di accogliere e rafforzare l'autorità della che la Bibbia, egli la minava e scrollava in molti punti;



sua critica

alla

tradizione storica profana, condotta con

di ribellione al passato,

poteva aprire l'adito superbo a dannosissimi abusi, perché istigava ad applicare il medesimo spirito e metodo alla storia sacra, come fece poi spirito

l Un'invettiva, insomma, nella quale erano Boulanger indicate tutte le parti che dovevano diaccuratamente già

il

.

poi entrare a comporre il grandioso elogio che il secolo decimonono avrebbe indirizzato al Vico. Nacque per tal modo tra gli

autore;

uomini di

di chiesa

una certa diffidenza verso questo tempo

che, tra l'altro, fu effetto più tardi, al

della restaurazione, la polemica antivichiana del

vescovo

Colangelo, preceduta da un giudizio del regio censore Lorenzo Giustiniani, che diceva la Scienza nuova: un « libro il

quale diede luogo a segnare un'epoca molto infelice in

Europa

1

La

».

il Vico porse materia a un libro più oltre in questo volume, p. 339.

critica dei cattolici contro

assai istruttivo del

Labanca:

cfr.

II.

FORTUNA DEL VICO

321

Quasi a contrasto, tra

i giovani che in Napoli, sulla secolo deci mot tavo, coltivavano con ardore gli

del

line

studi sociali e politici e

imminente rivoluzione, rato

come

si il

accingevano all'opera attiva della Vico cominciò a essere conside-

scrittore anticlericale e anticattolico, e sorse la

leggenda (ricordata in altra parte di questo volume ') che il Vico avesse di proposito e per accorgimento reso oscuro il suo libro per salvarsi dalla censura ecclesiastica. Quei giovani presero a leggere e a vantare la Scienza nuova; disegnarono di ristamparla, perché era divenuta rara, con

opere dell'autore e con gli scritti inediti; prepararono lavori espositivi e critici sul sistema filosofico e sto-

le altre

rico del Vico; taluno, come il Pagano, si provò a rielaborarlo mescolandolo con le idee del sensismo francese,

e

tal

altro,

come

il

non ne fu

Filangieri,

benché molto

lo

ammi-

dai sogni

del più roseo rifortedesco Gerning, che capitò a Napoli, notò questo fervore di studi intorno al Vico e augurò una rasse,

mismo;

nel 1797

distolto

il

traduzione o almeno un estratto tedesco della Scienza nuova.

E quando

caduta della repubblica napoletana del 1799 spinse quei giovani (quelli, tra essi, che scamparono dalle la

stragi e dai

patiboli

della

reazione borbonica) agli

nell'Italia superiore e specialmente in

del Vico ebbe

i

suoi primi ardenti

Lombardia,

al

esili

fama

apostoli e missionari.

Vincenzo Cuoco, Francesco Lomonaco, Francesco altri patrioti meridionali fecero

la

Salii

e

conoscere la Scienza nuova

Monti, che ne toccò nella sua

di Pavia del 1803

;

a

Ugo

prolusione universitaria Foscolo, che ne accolse parec-

chi pensieri nel carme dei Sepolcri e nei saggi di critica; ad Alessandro Manzoni, che doveva poi istituire nel Discorso sulla storia longobarda un celebre raffronto tra il

Vico e

1

Si

il

Muratori; e ad

veda sopra,

B. Cuoce, La

filoso/la

altri

minori.

Il

Cuoco informò

pp. 285-6.

di Giamhaltisia Vico.

81

322

APPENDICE

intorno al Vico Histoire esule,

il

il

Degérando, che allora lavorava

di Giulio Michelet; coli

alla

sua

comparée sgstèmes philosophiques; un altro De Angelis, metteva la Scienza nuova tra le mani des

il

Salti

discorreva del Vico negli arti-

Revue encyclopèdique

della

scritti in francese.

e

in

volumi ed opuscoli

Anche per suggerimento

di quei napoMilano ristampata la Scienza nuova; e altre edizioni e raccolte di opere minori vicinane non letani, fu nel 1801 a

tardarono a comparire. Per tali vicende, e in quel pridecennio del secolo decimonono, il Vico, da reputa-

mo

zione quasi esclusivamente municipale e napoletana, per-

venne a reputazione nazionale e italiana. Senonché, conforme alle loro personali disposizioni e tendenze del tempo,

alle

mento che siero, fu

di

i

il

primo

e principale

ammaestra-

patrioti .studiosi del Vico trassero dal suo pen-

politico o di filosofia

politica

;

e cioè, la

quel giacobinismo e di quel filogallismo che

fatto cosi cattiva

siero del

Vico

li

critica

avevano

prova negli avvenimenti del 1799. Il penguidò a concetti più concreti, e generò

un'opera di capitale importanza, il Saggio storico sulla rivoluzione, napoletana (1800) di Vincenzo Cuoco. Similmente, alcuni decenni dopo,

Ballanche, nei suoi JEssais de palingénesie sociale (1827), scriveva che il Vico, se fosse stato noto in Francia nel secolo decimottavo, avrebbe esercitato il

un'azione moderatrice e benefica sulle rivoluzioni sociali

che seguirono.

Un

altro

particolare aspetto

del Vico, la

riforma ch'egli aveva iniziata della metodologia storica e della scienza sociale a servigio della storia, fu avvertito e lumeggiato

Sulla natura

umane

dall'archeologo Cataldo Iannelli nel libro: scienza delle cosa e delle storie

e necessità della

Foscolo principalmente, e coloro che da presero ispirazione, fecero penetrare nella critica e storia letteraria qualcosa delle concezioni vichiane sulla in(1818). Il

lui

terpetrazione storica della poesia.

II.

FORTUNA DEL VICO

323

Invece, in Germania, il Jacobi, che aveva letto il De
scorgendo e additando lìn dal 1811, nel suo libro Uéber den gottlichen Bingen und ihrer Offenbafilosofico vicinano,

tra

ning, lo stretto rapporto

sione del vero col fatto, si

il

conver-

principio della

e la teoria kantiana

che non

intendere

se non perfettamente concepire di grado costruire; dalla quale un sol conduceva poi (egli notava) al sistema dell'idenLa medesima cosa riconobbe il Baader, che trovava e

possa

ciò che si è in passo tità.

sistema la conferma e

fondamento del prinbuona traduzione della Scienza nuova, pubblicata nel 1822 dal Weber, non sembra avesse fortuna; né del Vico sembra che conoscesse nulla lo in questo

cipio enunciato

dal Vico.

Ma

il

la

Hegel, che tante affinità sostanziali e formali

(in ispecie

nella

Fenomenologia) ha col pensatore napoletano e al quale doveva essere rimproverata la mania triadica, come già il cattolico Finetti aveva rimproverato il Vico di star sempre «

sulla regola del

trine

filologiche

Bockh

tre ».

tedesche

e di tanti altri



i

riscontri

delle

nuove dot-

del

Niebuhr, del Miiller, del con quelle vicinane furono volen-

messi in luce; e caratteristico è l'atteggiamento del Niebuhr, il quale, conoscesse o no l'opera del Vico quando tieri

pubblicò la prima edizione della sua Eomische Geschichte, conobbe senza dubbio dipoi per comunicazione che gliene

la

lece

il

Savigny e per

l'articolo

di confronto:

Vico

und

Niebuhr, pubblicato nel 1816 dallo svizzero Orelli; eppure

continuò a tacerne per non si sa quale dispregio o dispetto, nel che fu imitato poco lodevolmente dal Mommsen. In Francia, la divulgazione del pensiero del Vico si dovette al Michelet, che ne tradusse le opere e che ancora negli ultimi suoi anni chiamava l'Italia: « cette seconde mère et nourrice qui, jeune, m'allatta de Virgile, et, mar, me nourrit de Vico, puissants cprdiaux qui tant de fois ont renou-

324 vele

APPENDICE

mon

scrisse

cceur

che

».

E

il

Michelet, per

il

primo

o tra

i

primi,

Vico non era stato inteso nel secolo decimot-

il

tavo, perché parlava al decimonono. Fecero corona al Michelet,, oltre

minier, lo

il

Ballanche

già,

Chateaubriand,

isfuggirono

che

il

i

il

rapporti tra

Jouffroy, il Ler(a parecchi dei quali non "Vico e quella filosofia tedesca ricordato,

il

Cousin

il

Cousin per l'appunto divulgava allora in Francia),

e più tardi

1 Cournot

il

Laurent,

il

e moltissimi

Vacherot,

De Ferron, il Franck, ammirò il Vico Au-

il

altri: lesse e

guste Comte, che nel 1844 ne scriveva allo Stuart Mill, e

Leone Gambetta ideava, da giovane, una storia generale del commercio condotta sullo schema vichiano dei « ricorsi » La popolarità ottenuta per qualche tempo perfino

!

in

Francia dal nome del Vico fu tanta che vi

si

accenna

scherzosamente in più luoghi dei romanzi del Balzac e nel Bouvard et Pécuchet del Flaubert. Ma l'efficacia di un pensiero di quella qualità

duratura

non poteva essere né profonda né

nel tenace intellettualismo e spiritualismo fran-

che essa raggiunse è forse da cercare nelle teorie del Fustel de Coulanges sulla città

cese. Il più cospicuo risultato

antica e sull'origine della feudalità. Ma, per tornare all'Italia, se qui le aspirazioni al risorgimento nazionale, che portavano a rivendicare e celebrare tutte le glorie italiane, innalzarono

il

nome

del Vico col-

locandolo quasi a lato di quello di Dante, il simultaneo risorgimento filosofico, nel districarsi dal sensismo e materialismo del secolo decimottavo,

non poteva non

fare capo

all'ultimo grande filosofo idealista italiano e giovarsi del suo pensiero e valersi della sua autorità. Del Vico si raccolsero allora le opere complete e zioni dei singoli trattati.

E

si

poiché nel

moltiplicarono

moto

le edi-

politico del Ri-

seguirono e in parte s'intrecciarono due correnti, la neoguelfa e la radicale e il simile accadde in quello filosofico con le due tendenze idealjstico-cattolica e idea-

sorgimento

si

;

II.

325

rosminiano-giobertiana e bruniano-hege-

listico-razionale,

liana;

FORTUNA DEL VICO

Vico, cattolico e insieme libero filosofo,

il

com'è

assai bene,

facile intendere, alle

si

prestava opposte simpatie e

due scuole. Si vennero cosi formando due immagini diverse, entrambe storicamente giustificate, benché una lo ritraesse piuttosto quale

alle opposte interpetrazioni delle

di lai

egli volle essere e l'altra quale effettualmente fu. Il cattolici liberali era soprattutto il

platonico,

lista dei

il

il

mistico del Dio inconoscibile,

prologhi

sofo schiettamente

restante Europa,

tìgli

da contrapporre a

della Riforma;

il

tradiziona-

il

perciò anche

al Diritto universale, e

italiano

Vico dei

Vico dei punti metafisici, filo-

quelli della

Vico dei razionalisti,

invece, l'audace ed eretico scopritore della Scienza nuova, e perciò filosofo europeo da mettere nella compagnia di Cartesio e Spinoza, di Kant e di Hegel. La prima imma-

può vedere nei

si

gine

Tommaseo

e di altri

menticare quelli

di

pinse

presso

forse

Vico dei cattolici.

i'

filosoft

tra

un nobile

rico Cenni, che, meglio il

Rosmini, del Gioberti, del

libri del

molti,

i

quali

scrittore dì

tutti,

non bisogna

di-

napoletano, Enamorosamente di-

La seconda immagine

e critici, che dal 1840 in poi

si

si

ritrova

educarono

alla scuola dell'idealismo

germanico; e segnatamente in Bertrando Spaventa e in Francesco de Sanctis, che cominciarono a vedere con chiarezza le relazioni tra il Vico e il pensiero europeo anteriore e posteriore, e a convertire i semplici accenni e le vaghe impressioni di altri su tal proposito in interpetrazioni scientifiche e in giudizi determinati. E che gl'interpetri e critici del secondo indirizzo cogliessero nel segno e quelli cattolico-liberali o cattolicoidealisti si soffermassero in una posizione insostenibile,

riproducendo nella loro irresolutezza solutezza e l'incoerenza tra

l'altro,

liberali

ma

dalla

medesima

e

incoerenza l'irre-

del Vico, era provato,

diffidenza e ostilità che cattolici

pia coerenti (come lo spagnuolo

meno

Giacomo

Bai-

APPENDICE

326

mes) seguitarono a dimostrare tenacemente verso l'autore della Scienza nuova.

Non

piccola efficacia esercitò

italiana del

il

Vico nella storiografia

medesimo periodo, concorrendo a formare un

più verace senso storico e spesso rischiarando le questioni che si dibattevano, come quella della condizione delle popo-

romane sotto i Longobardi, a proposito della quale Manzoni richiamò la vichiana « libertà signorile » *. E suo pensiero dominò gli studi di giurisprudenza, special-

lazioni il il

mente

nell'Italia meridionale; e,

sebbene non producesse

in

questo campo grandi frutti scientifici, conferi a quei giuristi un'elevatezza e larghezza di criteri e una concretezza di giudizi, che rimasero dipoi un ricordo e un desiderio.

Dopo

il

1870, con la decadenza della filosofia in Italia

e fuori, lo studio del

rantennio non

opere di lui.

si

senti

Vico decadde; e per oltre un qua-

neppure

il

bisogno di ristampare

La monografia del Cantoni, che

le

è del 1867,

nonostante alcune parti pregevoli, mostra già chiarissimi i segni della decadenza, perché tutta fondata sul concetto che

Vico è tanto migliore quanto meno è metafisico e più psicologo e storico; né ciò è detto in relazione all' intrinseca debolezza che il Cantoni gli addebita in cose di filoil

sofia,

ma

pel sottinteso convincimento, che è nel critico,

della vanità di ogni metafisica, solo nelle

teste

immaginose

buona a suscitare entusiasmi e confusionarie degli italiani

del mezzogiorno. Al grande idealista della Scienza nuova fu riserbato perfino l'obbrobrio degli omaggi dei positivisti;

i

quali, nella loro meravigliosa ignoranza che è quasi

innocenza, non dubitavano e non dubitano di allegare a

conferma della loro professione

1

Si

di fede

veda sul largo influsso vichiano

Storia della storiografìa italiana nel secolo dei nomi.

XIX

in

metodica

il

detto:

quel periodo la mia

(Bari, 1921): cfr. l'indice

II.

« veruni fatto,

FORTUNA DEL VICO

327

ipsum factum »; e cioè, a senso loro, il vero è il che si vede e si tocca o che si crede

fatto bruto,

il

di vedere e toccare. Scarsi gli scritti che recarono qualche serio contributo alla conoscenza di punti particolari delle

sue dottrine. L' interesse pel Vico si è ravvivato solamente nell'ultimo decennio col generale ravvivarsi degli studi filosofici. I

due migliori lavori generali intorno al Vico, comsi debbono al cattotedesco Carlo Werner (1881), che ne espose con grande

parsi sullo scorcio del secolo passato, lico

diligenza le dottrine filosofiche e storiche, giudicandole col criterio del teismo speculativo (svoltosi sotto l'influsso del

Baader

seconda

quale è senza dubbio assai più favorevole dello psicologismo del e all'inglese RoCantoni alla comprensione del Vico; berto Flint (1884), che scrisse per la raccolta dei Plrìlosoe della

filosofia schellinghiana),

il



phicol classics una breve monografia sullo stesso argomento, esatta nei particolari e, se non profonda, guidata da lim-

pido buon senso. E di recente, mentre il Sorel in Francia la fecondità di alcune dottrine del Vico e spe-

ha mostrato

cialmente di quella dei ricorsi, tentandone applicazioni alla storia del cristianesimo primitivo e alla teoria del movi-

mento proletario odierno, in Germania dal Biese e dal Mauthner ne sono stati richiamati in onore i concetti sulla metafora e sul linguaggio. Nondimeno, il Vico non ha ottenuto

il

posto che gli

spetta nei libri dedicati alla storia della filosofia

nei quali



moderna;

o sia quello dello Hoffding o l'altro, che gli

è tanto superiore, del Windelband, o qualunque altro voglia,



il

filosofo italiano,

tutto sotto silenzio,

sia

si

passato del

appena viene ricordato come colui che

Bossuet e prima dello Herder, tentato

avrebbe, dopo dubbia scienza della il

quando non

«

Filosofia della storia ».

la

Questa poca considerazione nasce in parte dalla scarsa conoscenza di

APPENDICE

328

quel che fu realmente di

Vico, la cui molteplice energia gnoseologo, di teorico dell'etica, dell'estetica, del di-

ritto,

della

nome

di

il

rimane come seppellita

religione

filosofo della storia ».

«

è effetto del contraccolpo

dalla storia

politica

e

che

dalla

sotto quel Ma, per un'altra parte,

la storia della filosofia risente

storia

della cultura;

onde

i

pensatori, la cui fortuna sociale segui quella non felice dei popoli e degli stati ai quali appartennero, o che per altre

cause e incidenti non operarono abbastanza largaciviltà europea, sono sacrificati ad altri, di

mente nella

gran lunga meno importanti sotto l'aspetto

filosofico,

ma

più efficaci o più noti come esponenti di vita sociale e rappresentanti d'indirizzi di cultura; e dove si terrebbe impossibile ignorare, a mo' d'esempio, il Paley o il D'Holbach o il Mendelssohn, sembra naturale ignorare un Giambattista Vico, che pure è, in mezzo a costoro, gigante tra

pigmei.

Il

che quanto sia storicamente ingiusto è dimo-

strato, in tesi teorica, dalla distinzione, su cui insistiamo,,

tra storia

della filosofia

e storia

della cultura;

e,

nel

caso particolare del Vico, da tutto il nostro lavoro, dal quale appare evidente la lacuna che la trascuranza dell'opera di lui lascia aperta nella storia generale del pensiero europeo ai principi del secolo decimottavo.

Ili

Cenni bibliografici

I

Opere del Vico

I. .1 più antico scritto del Vico, che ci sia pervenuto, canzone Affetti di un disperato, composta di certo prima che l'autore raggiungesse il venticinquesimo anno, a Vatolla nel Cilento (dove si trattenne per circa un novennio come pedagogo in casa Rocca), e stampata con la è

la

data di Venezia, Gonzatti, 1693. Seguirono versi e orazioni di carattere quasi meramente rettorico. Il

carattere filosofico

si

accentua nelle

sei orazioni

che

Vico lesse nell'università di Napoli dal 1699* al 1707 e che, non messe a stampa da lui, furono poi ritrovate e il

pubblicate dal Galasso (Napoli, Morano, 1869). In queste orazioni, sebbene si mostrino alcune tendenze della sua

mente, c'è ancora la filosofia tradizionale, non senza qualche traccia di cartesianismo. L'opposizione al cartesianismo, e insieme la professione metodica del Vico, si affer-

mano perla prima

volta nell'orazione perla solenne inau-

gurazione degli studi dell'anno 1708, intitolata:

De

nostri

temporis studiorum rat ione, pubblicata dall'autore stesso

330

APPENDICE

l'anno dopo (Napoli, Mosca, 1709). Un lungo cscurso (§§ 1215) contiene uno schizzo della storia della giurisprudenza romana, primo saggio degli studi storici che condussero

più tardi al Diritto universale e alle due Scienze nuove. L'anno seguente apparve la prima costruzione filosofica e

storica

del Vico:

pientia ex linguai

latiìice

il

De antiquissima

italorum

originibus emenda, o meglio

il

sa-

solo

primo libro (Napoli, Mosca, 1710); gli altri due non furono mai pubblicati, ma di quel che dovessero contenere può dare idea ciò che se ne dice nell' Autobiografìa. Oltre la gnoseologia (nella prima forma) e la metafisica del Vico (da lui mantenuta poi sempre salda), il De antiquissima tenta di ritrarre la prima volta la sapienza primitiva o un caso particolare di quella sapienza (l'italica); quantunque, come si è già detto nel testo del nostro lavoro, il tentativo sia fondato

per

sull'idea che quella sapienza fosse filosofica, e condotto col criterio della trasmissione delle civiltà dal Vico poi rifiutato,

come

rifiutò l'opinione tradizionale, ivi

ancora accolta,

dell'origine ateniese della legge delle dodici tavole. Inaccettabile è

che

il

giudizio del Cantoni (G. B. Vico, p. 38) antiquissima formi « una strana anomalia nella

dunque

De

il

storia del pensiero del Vico, essendo contrario a

tutta la

sua vita scientifica, alle sue tende'nze, ai principi e al metodo che quasi universalmente applicò poi nelle sue ricerche storiche

»*,

ed è vero l'opposto, che esso ò

del futuro svolgimento, senza del

tendere

il

pensiero

— posteriore.

quale è

come ad alcune

primo anello

impossibile in-

Le censure, che

nale de' letterati d'Italia (1711, tomi alla tesi storica

il

V

e Vili)

il

Gior-

mosse

cosi

delle tesi filosofiche del

De

antiquissima, dettero origine a due importanti Risposte del Vico (Napoli, Mosca, 1711 e 1712), nelle quali le sue idee gnoseologiche e metafisiche sono difese e schiarite. Alla parte non più messa in istampa del De antiquissima si rian-

nodavano

le

meditazioni di

filosofia della

medicina, dalle

CENNI BIBLIOGRAFICI

III.

3?>1

Vico trasse un opuscolo: De (Equilibrio corporis animantis, che molti anni dipoi pensava di pubblicare e che è

quali

il

-andato

perduto

onde

;

di quelle,

come

delle

sue specula-

zioni di fisica (che dovevano costituire il Liber physicus), non si sa altro se non ciò che egli stesso dice nell'autobiografia.

Tralasciando quali

il

per commissione, dei

gli scritti rettorici e

più esteso è

il

(Napoli, Mosca, 171 G),

i

De

rebus gestis Anton ii Campitevi nuovi frutti del suo pensiero (che

andò concentrando sui problemi morali e storici), prima accennati in una prolusione del 1719 della quale il sommario è nell'autobiografia, furono condensati dal Vico, in si

italiano, nel 1.720, in

pagine

fitte

un programma a stampa

a due colonne, noto sotto

il

nome

di

quattro

di Sinopsi

del diritto universale, e svolti nell'ampia trattazione: De universi iuris uno principio et fine uno liber units (Napoli, Mosca, 1720), compiuta l'anno dopo dal Liber alter qui est de constantia iurisprudentis, e accresciuta nel 1722 dalle

Kotce in dioos libros, ecc., che rappresentano

avanzamento

un

ulteriore

suole designare nel suo complesso, seguendo l'esempio dello stesso autore, col nome di Diritto universale.

Questo

(ivi)

libro,

presenterebbe giudizio non

il

;

la

quale opera

si

secondo

il

culmine

dell'attività scientifica del Vico:

meno

Cantoni (op.

inaccettabile del

(Opp., V, 10-11) rifiutò

il

cit.

,

p. 243), rap-

precedente. L'autore

Diritto universale, perché gli pa-

reva che vi perdurassero il pregiudizio e « scendere » dalla mente di Platone e degli

la

pretesa di a

altri filosofi

quelle degli uomini primitivi, onde in esso avrebbe errato

«in alquante materie »• ma bozzo della Scienza nuova sulla poesia vi sono

anche a ragione, « abqual è veramente. Le idee

lo disse »,

ancora perplesse, Omero non

vi è an-

cora un mito, i canoni mitologici sono meno unitari di quel che divennero poi, per l'origine delle XII tavole si affaccia

APPENDICE

332

un'ipotesi ibrida, la teoria dei ricorsi vi è appena debolmente adombrata, e insomma cosi la storia ideale eterna

come la gnoseologia, sulla quale essa si fonda, sono ancora immature. L'opera è rifusa nelle posteriori, salvo ciò che riguarda la generale filosofia etica e giuridica (che non è molto originale) e salvo alcuni svolgimenti storici che nelle opere posteriori ricompaiono solo in accenno.

È

andato perduto

divisa in due trine

libri,

manoscritto di

il

in cui

per via negativa

«

»,

mente polemico. In modo cisa,

le

ritrovano

comune natura principi di

i

positivo, invece, e in

nei Principi

espose

torno alla

un'opera italiana, Vico esponeva le sue dotossia con metodo prevalenteil

forma con-

una Scienza nuova

di

delle

nazioni, per

la quale

in-



naturale

altro sistema del diritto

Mosca, 1725), che sono coKOsciuti con denominazione (anche questa proveniente dall'autore

delle genti (Napoli, la

Prima scienza nuova. Nello stesso anno in cui pubblicò

medesimo)

di

nuova, cioè nel studi:

Vita

1725,

il

Vico narrò

la la

Prima storia

scienza dei suoi

G. B. V. scritta da sé medesimo, che fu

di

inserita nella Raccolta di opuscoli scientifici e filologici del

Calogerà (Venezia, Zani, 1728, voi. I, pp. 145-256). Dei minori scritti di questo periodo sono notevoli altresì le in morte della contessa di Althann (1724) e marchesana della Petrella Angiola Cimini (1727); il

due orazioni della

volumetto Vici vindicice (Napoli, Mosca, 1729), contenente

una

difesa di carattere personale (con un'importante digres-

sione teorica sul «riso») contro una maligna noterella inserita negli Acta lipsiensia del 1727 intorno alla Scienza

nuova; e alcune lettere bellissime gioli, all'Esperti, al

la

sua opera e

De Vitry

al Giacchi, al

Degli An-

e al Solla, sul contrasto tra

condizioni degli studi a quel tempo. scienza nuova il Vico pensò di aggiungere le

Alla Prima una lunga serie

di Annotazioni

(effettivamente poi scritte

III.

ma

333

CENNI BIBLIOGRAFICI

andate disperse) in una ristampa che se ne preparava a il 1728 e il 1730. Ma poiché questa non ebbe

Venezia tra più effetto se

e,

non

d'altro canto, quel libro

non proprio per

le

lo

soddisfaceva

materie (egli dice), per l'ordine terisolse a dare un'esposizione affatto

nuto (Opp.,'V, 11), si nuova delle sue dottrine nei

una Scienza nuova d'intorno

de' principi di

libri

Cinque

comune natura

alla

delle na-

questa seconda impressione con più propia maniera condotti e di molto accresciuti (Napoli, Mosca, 1730),

zioni, in

formano

che

Cantoni

una

la

Seconda scienza nuova. Quantunque

il

consideri quest'opera come degenerazione del pensiero del Vico, essa è risultato necessario e la forma perfetta a cui

(op. cit., pp. 238-9)

senile

invece

il

mettono capo

tentativi

i

ed è

precedenti;

De antiquissima

libro

il

che,

con l'autobiografia, basta a fornire tutto l'essenziale per la conoscenza del pensiero di lai. Nel Diritto universale e nella Prima scienza nuova insieme col

e

può spigolare soltanto qualche particolare dipoi tralasciato; ma, pel resto, vi compaiono le medesime dottrine della Seconda scienza nuova in un modo meno profondo

si

e

meno

sicuro,

e,

meno

certamente,

vichiano.

Il

con-

fronto particolare tra queste tre opere fu eseguito con diligenza nei sommarietti apposti dal Ferrari alle sue edizioni della Prima e della Seconda scienza nuova e moltis;

simi altri riscontri e più particolareggiati possono vedersi ora nella edizione della Scienza nuova, curata dal Nicolini.

Anche

alla redazione

mutarne l'ordine tra

1731 e

il

il

del 1730

e la sostanza,

V., senza quasi

il

più

andò facendo, negli anni

1736 circa, molte

variazioni

e

aggiunte,

che poi incorporò per gran parte nel testo in un manoscritto definitivo, sul quale fu condotta l'edizione dei Principi di

una Scienza nuova d'intorno

poli,

alla

comune natura

morte del V. (Nanella stamperia muziana, 1714). Sono serbati nella

delle nazioni, uscita

sei

mesi dopo

la

334

APPENDICE

Biblioteca nazionale di Napoli gli autografi cosi di questo manoscritto come di due altri anteriori di aggiunte e correzioni, dai quali trassero alcuni

Giordano (Napoli, 1818) e ora tutti lini

per

Dopo

i

la

la

brani rimasti inediti

il

Del Giudice (Napoli, 1862), e brani inediti e le varianti ha estratto il Nicoil

sua edizione.

Seconda scienza miova,

sime cose: notevoli, tra

il

Vico scrisse pochisDe mente heroica

esse, l'orazione

(Napoli, 1732), l'aggiunta all'autobiografia (1731) e alcuni sonetti, nei quali, sebbene composti (come quasi tutti i suoi versi) per occasione e

là,

una

fecero due raccolte,

una

commissione, risuona, qua e

nota personale. II

Ristampe, raccolte e traduzioni

Degli

scritti

minori del Vico

si

delle sole Latince orationes, a cura di F. Daniele (Napoli, 1766), e l'altra, ricca di cose inedite ma non esente da

raffazzonature dell'editore, degli Opuscoli italiani e latini, in quattro volumi, a cura di C. A.

larosa (Napoli, 1818-1823).

Il

de Rosa marchese di Vil-

Villarosa ebbe

avanzava delle carte del Vico dal

tutto ciò che

figliuolo di costui,

Gen-

naro; e i preziosi autografi si serbano ancora a Napoli in casa dei miei cari amici ingegneri Tommaso e Vincenzo,

de Rosa

di Villarosa.

Delle Opere complete la prima, e si può dire unica edizione perché riprodotta in tutte le altre, è quella di Giuseppe Ferrari in sei volumi (Milano, Classici italiani, 1835-7),

ristampata con qualche miglion*nento nel 1852-54. Le Opere a cura di N. M. Corcia (Napoli, tipografia della Si-

due voli.), sono, invece, una scelta; e le Opere a cura di F. Preclari (Milano, Bravetta, 1835) si arrestano al primo e disordinato volume. Incompleta e disordinata è billa, 1834,

CENNI BIBLIOGRAFICI

III.

anche l'edizione

335

di Napoli, Iovene, 1840-41, che segue l'edi-

ma pur contiene qualche bazzecola inedita. Materialmente condotta sulla ferrariana, e poco corretta, zione del Ferrari,

è l'edizione napoletana delle Opere la tipografia dei Classici

tore

in otto

Morano)

(i

primi volumi presso

italiani, e gli

volumi (III, 1858,

altri

presso l'edi-

III, 1861,

IV, 1859,

V-VI, 1860, VII, 1865, Vili, 1869); la quale, per altro, e la più completa di tutte, essendovi unite la Sinopsi, le Istituzioni oratorie e le Orazioni latine edite dal Galasso (che

vennero fuori dopo l'edizioAe Ferrari); vi sono aggiunte anche versioni italiane del De ratione, del De antiquissima e del Diritto universale, a cura dell'avv. F. S. Scritti inediti o sparsi del V.,

non compresi

Pomodoro. in

nessuna

edizioni, sono raccolti nel Croce, Bibliografìa vichiana e Primo e Secondo supplemento, e Nuove ricerche, di tali

§2;

un opuscolo di B. Donati: si veda più oltre. edizione critica della Seconda scienza nuova è stata

e in

Una

pubblicata nella Collana dei classici della filosofia moderna da B. Croce e G. Gentile (Bari, Laterza, 1911-16,

diretta

È

Fausto Nicolini, che si e valso per essa degli autografi ed ha arricchito l'edizione Ferrari, che conteneva solo i brani soppressi di quella del 1730, voli. 3).

di tutti

i

dovuta

al

d. r

brani delle redazioni intermedie fino al testo del

1744; ha, inoltre, riscontrato

le citazioni

vichiane e recato

luoghi degli autori classici e moderni ai quali

in nota

i

riferiva

il

V.

;

additati

i

si

molti errori d'erudizione, procu-

rando sempre che fosse possibile di mostrarne schiariti

i

la genesi; punti oscuri col riferimento alle altre opere del finalmente, ha riformato (secondo un desiderio

Vico; e, più volte espresso anche da autorevoli letterati come il Tommaseo) l'ortografia e la punteggiatura. Dell'edizione ferrariana sono riprodotti in questa del Nicolini, ma algli utili sommarietti-. In un'ampia intro-

quanto ritoccati, duzione si studia

il

Vico scrittore e

si

da notizia delle sue-

336

APPENDICE

cessive redazioni e rimanipolazioni

due escursi mostrano come teoria omerica e

vole; e le ricerche

minuto indice

della Scienza nuova',

Vico giunse via via alla sua all'altra analoga sulla Legge delle XII Tanei

tre

il

volumi sono agevolate da un

analitico.

Lo stesso Nicolini, col Croce una nuova edizione delle Opere

e

col

Gentile, attende a

complete, che farà parte

della raccolta degli Scrittori a" Italia del

Laterza e

il

cui

disegno e indice particolareggiato si può leggere nel Croce, Secondo supplemento alla Bibliografia vichiqna (pp. 102-113). Di questa edizione sono stati pubblicati il voi. I {Le orazioni inaugurali,

il

De

italo rum sapientia e le

polemiche, a

cura del Gentile e del Nicolini, 1914), e il voi. V {L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie, a cura del Croce, 1911). Le opere latine del V. sono state più volte tradotte in italiano: il De antiquissima da un anonimo, che forse fu Vincenzo Monti (1816), e poi dal Sarchi (1870); il primo libro del Diritto universale dal Corcia (1839), dall'Amante (1841), dal Giani (1855) e dal Sarchi libri,

nonché

il

De

ratione e

il

(1866), e tutti

i

due

De

antiquissima, come si Seconda scienza nuova fu

è già detto, dal Pomodoro. La tradotta in francese, ma molto abbreviata, da Giulio Michelet (col titolo: Principes de la philosophie de l'histoire, Paris, Renouard, 1827, e più volte ristampata), e di nuovo,

completa, da un anonimo che si designa come « l'auteur de l'Essai sur la formation du dogme catkolique » e che fu la principessa di

Renouard,

1844).

Belgioioso

Completa anche,

è la traduzione tedesca di

W.

Cristina Trivulzi

(Paris,

ottime note, (Leipzig, Brock-

e fornita di

Weber

E.

suggerimenti e aiuti ebbe da Gaspare inglese, si ha solo la versione del libro su

haus, 1822), che Orelli.

In

Omero, condotta nell'opera

di

II.

sulla

francese del

Michelet

e

inserita

Nelson Coleridge, Introduction

study of the greek classic poets (3.

a

ediz.,

to

the

London, Murray,

1846). Il

337

CENNI BIBLIOGRAFICI

III.

Michelet tradusse alcune delle operette minori si accompagnano alla Scienza nuova nell'edi-

del V., che

zione CEuvres choisies de V. (Paris,

Hachette, 1835, e in

ristampe). Del primo libro del Diritto universale si ha un compendio in tedesco di K. H. Miiller, primo volumetto di

una

serie

non

proseguita di Kleine

Schriften del V.

(Neubrandeburg, Brùnslow, 1854).

Ili



A

Biografia dkl Vico

supplemento dell'autobiografia,

come continuazione degli Opuscoli, voi.

di I

il

Villarosa raccolse

anni della vita del Vico, e

le notizie degli ultimi

scritto

quello

nella

le

mise

sua edizione

(1818).

Questo supplemento, e tutto ciò che di poi è venuto fuori di documenti o di ricordi di contemporanei intorno al V., si trovano raccolti nel quinto volume della nuova edizione, annunziata di sopra intitolato: L'autobiografia,

il

(p. 303),

delle opere del V.,

carteggio e le

poesie varie, a

cura di B. Croce (Bari, Laterza, 1911). Posteriormente, alcune aggiunte, in Croce, Nuove ricerche, § 1, e Nuove curiosità storiche (Napoli, Ricciardi, 1922), pp. 123 52, e nel

volumetto del Donati.

IV Letteratura intorno al Vico

Le

monografie intorno al Vico, che possano con frutto (quella del Ferrari, pur cosi benemerito editore, La mente del V., è degna di essere tre

sole

ancora essere

lette

pietosamente dimenticata), sono B. Croce,

La

filosofìa

:

di Giambattista Vico.

22

APPENDICE

338

Carlo Cantoni, G. B.

1.

V., studi critici e

comparativi

(Torino, Civelli, 1867). Cfr. per alcune riserve A. Faggi, in Rivista filosofica italiana, voi. IX, 1906, pp. 593-606, e

G. Gentile, in Critica, voi. V, 1907, pp. 197-201. 2. Karl Werner, G. B. V. als Philosoph und gelehrter Forscher (Wien, Braumùller, 1881). Cfr. Zeitschrift far Phi-

und philos. Kritik, voi. LXXII, 1883, pp. 139-152. Robert Flint, V. (Edinburgh a. London, 1884). Tra-

losophie 3.

duzione italiana

veda

Si

ciò

di F. Finocchietti (Firenze,

che intorno a esse

si

1888).

è detto

di

sopra,

pp. 326-7. Dei lavori hi'cvi di carattere generale hanno singolare

pregio 1.

alle

:

B. Spaventa, G. B. V., in Prolusione e introduzione

lezioni di filosofia (Napoli, Vitale,

opera ristampata col

titolo:

La

pp. 83-102: filosofia italiana nelle sue 1862),

relazioni con la filosofia europea, a cura di G. Gentile (Bari, si veda a pp. 111-135 di questa ristampa. de Sanctis, Storia della letteratura italiana (Na-

Laterza, 1908); 2.

poli,

F.

Morano, 1870; molte ristampe),

3. F. Fiorentino, Lettere sopra la

voi. II, pp. 342-362. '

Scienza nuova

'

(Fi-

renze, 1865); ristampate in Scritti vari (Napoli, Morano, 1871), pp. 161-211. 4.

E. Cauer, G. B. V.

und

seine Stellung zur

modernen

Wissenscìiaft (nel Deutsclies Museum, diretto da R. Prutz e W. Woelfsohn, Leipzig, Hinrichs, a. I, 1851, voi. I,

pp. 249-265). Per la trattazione più o sono da tenere presenti

meno

larga di parti speciali

:

1.

F. A.

Wolf, G.

B. V. iiber den

Homer

(nel

der Alterthumsicissenschaft, Berlino, 1807, voi.

II,

Museum pp. 555-

570). 2.

sches

J.

K. von Orelli, V. und Nìebuhr (nello Scìnceizeridi Aarau, voi. I, p. 184 segg.).

Museum

III.

C. Iannelli,

3.

CENNI BIBLIOGRAFICI

Sulla natura

delle cose e delle storie

umane

e

839

necessità

della scienza

(Napoli, Porcelli, 1818, e Mi-

lano, Fontana, 1832).

una

Exierico Amari, Critica di

4.

scienza della legisla-

zione comparata (Genova, Istituto dei sordomuti, 1857). Cfr. intorno a questo libro K. Werner, E. A. in seinem Verhàltniss

zu G. B. V. (Wien, 1880; dai Sitzung sberi elite der

phil.-histor. voi.

Classe della

Accademia imperiale

di

Vienna,

XCVI).

F. Acri, Teoria del V. intorno alle idee o paradimmi Abbozzo di una teoria delle idee, Palermo, Lao, 1870; e con modificazioni nel volume Vidcbimus in cenigmate, 5.

(in

:

Bologna, Mareggiani, 1907, pp. 287-313). E. Cenni, esposizione della metafisica del V., a pp. 109182 del volume nel quale nessuno la cercherebbe, perché 6.

il

titolo

suona: Considerazioni sull'Italia ad occasione del

traforo del Gottardo (Firenze,

E. .Bouvy,

7.

De

Cellini,

1884).

V. Cartesii adversario (Paris, Hachette,

1889). 8. E. Bouvy, La critique dantesque au dix-huitième de: Dante et V. (Paris, Leroux, 1892). 9.

rigi,

sie-

G. Sorel, Etude sur V. (nel Devenir social, di Pa1896); e si veda, altresì, dello stesso au-

voi. II,

tore: Le système historique de

Renan

(Paris, Jacques, 1905),

passim. 10. B.

Labanca, G. B. V.

poli, Pierro, 11.

e

i

suoi critici cattolici (Na-

1898).

G. Rossi, V. nei tempi di V. (nella Rivista

italiana, voi. II,

filosofica

1899, pp. 294-319, e seconda parte, ivi,

voi.

X, 1907, pp. 602-G34). Maugain, Etude sur revolution intellectuelle de l'Italie de 16ò7 à 1750 environ (Paris, Hachette, 1909). 12. G.

13. G. Finsler, Homer in der Neuzeit Goethe (Leipzig, Teubner, 1912).

von Dante

bis

APPENDICE

340

Studi vichianì

G. Gentile,

14.

1915). Contiene, tra l'altro,

Lo svolgimento Giorn. stor. d.

Principato,

della filosofia di G. B. V., pp. 15-143.

Nicolini, Ferdinando

15. P.

(Messina,

un'importante monografia su

leti.

Hai.,

Galloni

1918, voi.

e

LXXI.

G. B. V.,

in



Divagazioni omeriche (Firenze, Ariani, 1919). 0. v. Gemmingen, Vico, Hamann und Herder, Inau-

16. Id., 17.

gural-dissertation (Bona-Leipzig, Noske, 1918). 18. A. Scrocca, G. B. V. nella critica di B. Croce (Napoli, Giannini, s. a., ma 1919), dal punto di vista cattolico.

Benvenuto Donati, Autografi

19.

e

documenti vichiani

note per la storia del pensiero del

inediti o dispersi,

V*.

(Bologna, Zanichelli, 1921). 20. Circa i miei lavori precedenti sul V., si avverta che la materia del capitolo sulla dottrina estetica vichiana, 5

(Bari, Laterza, 1922), cap. V, pp. 249-

265, è rielaborata in

forma più matura nel capitolo IV della

B. Croce, Estetica

presente monografia; VI,

pp.

1908,

lo scritto sull'Etica del V. (in Critica,

71-77) è

rifuso nei capp.

Lineamenti di

quello sui

storia, letteraria

VI- Vili; e cosi in G. B, V.

(ivi,

pp. 460-80), nei capp. XVI e XVIII gli altri scritti sparsi hanno, in genere, interesse solamente erudito, filologico o ;

polemico.

— Posteriormente alla

ho pubblicato:

1.

prima ed. di questo libro, Le fonti della gnoseologia vichiana (in

Atti d. Acc. Pontan., voi. sullo Hegel 2.

La

e altri scritti

XLII

;

ristamp. nel voi. Saggio

di storia della filosofia, Bari, 1913);

dottrina del riso e dell'ironia in G. B. V., ristamp.,

ivi; 3. Il Vico e la critica omerica, ristamp., ivi; 4.

cesco

Bianchini

tiche (Bari,

e

Fran-

G. B. Vico, ristamp. in Conversazioni

1918), II, 101-109;

5.

cri-

Il Vico e Gius. Ferrari,

124-30. Dell'influsso del V. sugli studi italiani nel corso del secolo decimonono ho trattato ampiamente nella ivi,

II,

Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono (Bari,

III.

341

CENNI BIBLIOGRAFICI

1921). Sulla posiziono del V. nella storia della critica dantesca, v.

La

poesia di Dante

a (3.

ed., Bari, 1922), pp. 173-4,

179-80.

Del resto, tutta

la letteratura

vichiana (con estratti dei

libri, opuscoli e articoli più rari e

come

tutte le più

minute notizie

con documenti

inediti),

sulle edizioni degli scritti

si trovano raccolte nelle tre memorie, alle quali più volte si è fatto riferimento: B. Croce, Bibliografìa vichiana contenente nella parte I il catalogo delle edizioni, traduzioni e manoscritti delle opere di G. B. V. ; nella

del V.,

parte li, quello dei giudizi e lavori storico-critici intorno al V. sino all'anno corrente; nella parte III, lettere inedite del V. e al V., rie

documenti

e altri scritti inediti

o rari, e va-

appendici illustrative (Napoli, 1904; estratto dagli Atti

dell'Accademia

pontaniana l di Napoli,

pp. xn-127, in 4.°);

Supplemento

voi.

XXXIV,

di

alla Bibliografia vichiana

1907; estr. dagli Atti cit., voi. XXXVII, di pp. 34, in 4.°), e Secondo supplemento (ivi, 1911, estr. dagli Atti cit., (ivi,

— riunite

anche tutte e tre in volume col titolo Bibliografia ciciliana, raccolta di tre memorie presentate all' Accademia pontaniana di Napoli nel 1903, 1907 e 1910, con appendice di F. Nicolini (Bari, Laterza, 1911). Continuazione di queste memorie

XL,

voi.

un

di pp. 116, in 4.°);

sol

:

le Nuove ricerche sulla vita e le opere del V. e sul vìchismo, in Critica, voli. XV-XIX, 1917-21. Si veda anche Per la biografia di G. B. V., ivi, XIX, pp. 371-87 (e ora

sono

in

Nuove

123-52).

curiosità

storiche, Napoli,

Ricciardi, 1922,

pp.

INDICE DEI NOMI

Attico Tito Pomponio, 89. Attilio Regolo, 176.

A bramo,

Aubignac

152.

Achille, 102, 130, 191, 192-4, 195, 199, 238. Acilio Glabrione, 203. Acquaviva M., 143. Acri F., 339.

Adamo,

178, 191, 192, 193.

Agide, 176. Agostino (s.), 169. Alcinoo, 192, 195. Alessandro, 94, 130, 137, 221.

Amante E., 336. Amari E., 339. Anacreonte,

202..

Anfitrione (iscrizione

di),

196.

Angelis (de) A., 322. Angelis (de) Gh., 305, 332. Annibale, 165. Anteo, 187. Apollo, 102, 168, 187. Arcbiloco, 185. Ariosto, 233. Aristarco, 195. Aristide, 92, 130, 204. Aristotele. 15, 25, 35, 48, 51, 53, 70, 94, 97, 145, 175, 182, 202, 298. Arnaud, 241. Ascalona (duca d'), 290.

Atlante, 164.

198, 199.

Baader, 323, 327. Bachhofen, 256.

53.

Adriano, 222.

Agamennone,

(d'),

Augusto, 204^ 219-20.

Bacone

F., 15, 25, 33, 35, 64, 76, 115, 162, 163. Ballancbe, 322, 324. Balmes, 325. Balzac O., 324. Balzo (del) A., 241. Bandiera G. N., 302. Banier, 64, 71. Bartoli D., 132. Bartolo da Sassoferrato, 231. Baumgarten, 48. Bayle P., 80, 89, 161, 246. Beroso, 164. Bianchini F., 340. Biese A., 327. Bignon (du), 317. Boccaccio, 63, 136, 171, 234. Bochart S., 64, 208. Bockh A., 323. Bodin, 174, 228. Boiardo, 233. Bonamy, 316. Bossuet, 120, 154, 327. Boulanger, 317, 320.

344

Bouvy

INDICE DEI NOMI E., 339.

Corneille, 244.

Boyle R.. 143. Brenno, 80, 82.

Cornewal Lewis, 256. Corrado III, imperatola, 232.

Briseide, 191, 193. Bruno Giordano, 288.

Costantino, 221. Cournot, 324. Cousin, 324. Criseide, 191. Cristofaro (di) G., 286.

Bruto Giunio, 176, 179, 209, 210.

Croce Caligola, 130. Calipso, 195. Galogerà, 332.

Campanella

T., 96, 98, 128, 288.

Cantoni C, 326, 327, 330, 331, 333,

B., 335, 336, 337, 340-1. Cuiacio, 226, 227. Cuoco V., 135, 321, 322. Curiazì, 182. Curio, 176. Curzio, 176.

337.

Capasso N., 299, 302. Capece G., 290, 291. Capeto (Ugo), 228-29. Caracalla, 221.

Cardano, 4. Carlo di Borbone, 289.

Cameade,

80. 81.

Cartesio, 1-3,

5, 6, 7, 8, 9, 10, 12,

13

Dafne, 168. Dale fvan) A., 71. Daniele F., 334. Dante, 155, 156, 234-6, 256, 299 r 306, 307, 324, 341. (conte di), 290. Decio, 176. Dogérando, 322.

Daun

14, 15, 18, 19, 26, 27, 32, 81, 142, .144, 244, 251, 298, 325. Castelvetro, 53. Cauer E., 338. Cenni E., 325, 339.

Diana, 167, 168, 177, 187, 191. Diodoro, 163, 212.

Cerere, 167. Cesare, 130, 137.

Diomede, 191. Dione siracusano, 212,

Cesarotti, 317, 318. Chastellux, 316.

Dionigi d'Alicarnasso, 211, 212.

Chateaubriand, 171, 324. Cherea, 168. Cibele, 187.

Cicerone, 75, 89, 163, 184, 202, 212, 244. Ciclici (poeti), 200. Cimini Angela, 293. Ciucio Alimento, 209. Circe, 195. Cirillo N., 302. Cola di Rienzo, 233.

Colangelo

Comte

F., 320.

A., 324. Concina N., 305, 306. Confucio, 187. Conti A., 306, 317. Conti N., 63. Corcia N. M., 334, 336.

Deschamps

S., 93.

237.

Domiziano, 130. Donati B., 335. 337, 340. Dracone, 184, 188. Dubois (cardin.), 245. Dugald Stewart, 251. Duni, 316.

E Ecateo milesio, 197. Elena, 193. Eliano, 184. Elingio Ingevaldo, 53.

Endimione, 168. Enea, 208. Ennio, 203. Epicurei, 99.

Epicuro, 84, 103, 142.

INDICE DEI NOMI

345

Gemmingen von

Eraclito, 212. Ercole, 66, 67, 168, 187. Erodoto, 75, 166, 195, 197. Ermodoro, 212, 213. Esiodo, 201. Esopo, 70, 187, 201. Esperti, 332. Esteban F., 304, 305.

O., 340.

Genovesi A., 291, 306. Gentile G., 336, 338, 339.

Gerning, 321. Giacchi B., 286, 287, 303-4, 332. Giamblico, 51. Giani C, 336.

Giannone

P., 124, 289. Giansenisti, 99. Gimma, 303. Giobbe, 184. Gioberti, 325. Giordano A., 334. Giordano L., 173.

Ettore, 192, 193. Europa, 187.

Eusebio, 184. Ezechiele, 94.

Giove, 55, 65, 69, 71, 88, 102, 120, 152, 167, 168, 169, 186, 187, 188, 189, 191. Girolamo (san), 184.

Fabio Massimo, 214, 215. Fabio Pittore, 209. Fabrizio, 176. Faggi A., 337. Faramondo, 171.

Ferrari

G.,

311,

Giudice (del) G., 334. Giuliano Salvio, 222. Giunone, 168, 186, 191. 333,

334,

337,

340.

Ferron

(du), 324. Fichte, 253. Ficino M., 4, 143. Filangieri, 319, 321. Filippo V, 290. Finetti, 302, 319, 323. Finsler, 339. Fiorentino F., 338. Flaubert, 294, 324. Flint R., 327, 338.

Fontenelle, 71, 161. Foscolo, 178, 321, 322. Fdzio, 246. Francie A., 324. Fustel de Coulanges, 256, 324.

Giuseppe ebreo, 95, 184. Giustiniani L., 320. Giustiniano, 100, 220. Giustino, 177. Goethe, viii, 319. Gorgia, 185. Gracchi, 216. Grandi, 316. Gravina, 31.

Grimm,

256.

Gronovio, 163. Grozio, 22, 31, 32, 47, 76, 77, 78, 84, 89, 90, 91, 94, 95, 99, 100, 103, 108, 163, 236, 287.

Guglielmo pugliese, 233. Guntcro, 233.

H

G Hamann,

252, 319.

Gaeta (di) M., 303, 304. Galasso A., 329.

Hegel, 251, 252, 253, 254, 300, 317,

Galeno, 51. Galiani F, 306, 317, 318.

Herder, 150, 252, 319, 327.

Galileo, 10, 13, 15, 143, 146. Gambetta L., 324. Ganimede, 168. Garofalo P., 340. Gassendi, 143.

323, 325.

Heyne, 252, Hobbes, 80,

256, 318. 81, 89, 103, 253.

Hòffding H., 327. Hoffmann, 246.

Hoffmannswaldau, 236. Holbach (d'), 328.

INDICE DEI NOMI

346

Huet D. (Uezio), Humboldt, 252.

Hume

64.

Livio Tito, 165, 169, 211. Locke, 80, 81, 83, 143, 253.

Lodovico (padre), 305.

D., 252.

Lobenstein, 236.

Lomonaco

F., 321.

Longino, 196, 203. Lucio Emilio Regillo, 203. Iannelli

C, 286,

322, 338.

Lucrezio, 142, 203.

Idantura, 51.

Luigi XIV, 291.

Ifigenia, 178. Ippocoonte (iscrizione d'), 196. Iside, 184.

Luzàn

I.,

306.

M

Issione, 187.

Macchia (congiura di), 290. Machiavelli, 35, 80, 82, 103, 128, 210, 223.

Jacobi, 251, 319, 323. Jouffroy, 324.

K

Malebranche, 8, 32, 81, 145, 244. Mallinkrot B., 53. Manlio capitolino, 176. Manlio l'imperioso, 176. Manzoni, 321, 396»

Marino G. Kant, 251, 252, 253, 313, 325.

Marx C,

256. 157. Maugain G., 339. Mauthner P., 327. Mazzoni L, 143. Medea, 235. Menandro, 201. Mendelssohn, 328. Menelao, 182, 193.

Maffei

Labanca

B., 320, 339.

Lambert, 256.

Lami

G., 319.

Laomedonte

(iscrizione di), 196.

Lattanzio, 95. Laurent, 324.

Laurenzano (duca di), 291. Lazio W., 53. Lebrun, 173. Ledere G. (Clericus), 64. Leda, 168.

Legge canuleia, 214. Legge delle dodici tavole, 211-2. Legge petelia, 215. Legge publilia, 215. Legge regia di Triboniano, 219.

B., 236.

Marte, 168, 187, 191. S.,

Mercuri Trismegisti

(i

Mercurio, 193.

Mercurio gotico, Merian, 318.

.

53.

Merlino, 171. Metastasio, 244, 302. Michelet, 150, 322, 323, 324, 336.

Minosse, 184, 187. Minotauro, 187.

Mommsen,

256, 323.

Leibniz, 31, 32, 61, 145, 146, 257. Lelio, 92. Lerminier, 324.

Montesquieu, 317. Monti V., 321, 336.

Licambe, 185.

Mosco, 202. Mosè, 95, 152, 204-5.

Licurgo, 184. Lipsio G., 184. Livio Andronico, 203.

due), 164,

187.

Moreri, 246.

Miiller K. O., 252, 256, 323, 337. Muratori, 82, 157, 321.

INDICE DEI NOMI Pitagora, 12, 94,

N Nettuno, 167, 187. Nevio, 203. Nicole

165,

188,

208,

212.

Nelson Coleridge, 336. Nerone, 130.

Newton,

Ì47

146, 305.

P., 81.

Nicolini F., 157, 299, 335, 336, 340, -341. Niebuhr, 256, 323. Nietzsche F., 256. Nifo A., 143.

333,

334,

Pitagorici, 237. Platone, 16, 35, 47, 51, 53, 65, 70, 76, 103, 104, 108, 109, 121, 128, 164, 173, 188, 204, 208, 296, 331. Plauto, 3, 182. Plinio, 213. Plutarco, 9.1. 177, 195, 203, 210. Polibio, 92, 128, 208, 210, 212. Polissena, 194, 293. Pomodoro F. S., 335, 336.

Pomponio,

83.

Porsenna, 176.

Noè, 152. Pompilio, 94, 188, 195.

Numa

Portoreale, 241. Predari, 334.

Priamo, 193, 194, 293.

Oldendorpio, 226. Olivieri A., 339. Omero, 39, 65, 155, 156, 169, 191205, 234-5, 256, 257, 331. Orazi, 182, 201. Orazio Fiacco, 185, 204. OrelH, 323, 336, 338. Orfeo, 164, 187. Origene, 184. Orlando, 170, 233. .

Proclo, 14. Publilio Filone, 156, 215. Puffendorf, 47, 77, 89. 90,

91,

94, 95.

R Racine, 244.

Ricardo: v. Deschamps. Rinaldi o cantastorie, 200.

Rodigino Celio, 203. Rogadei G. D., 319.

Romano

D., 307, 316, 319.

Romolo, 104, 129, 169, 188, 203, 208, 227, 228. (de) C. A. vedi Villarosa. Rosmini, 325. Rossi G., 339.

Rosa

Pagano

M., 317, 321.

Pais

E., 256. Pallavicino, 81.

Paoli (padre), 302. Paolo veneto, 242. Paride, 182. Pascal, 81. Patrizzi F., 53, 143. Patroclo, 192.

Penelope, 195. Perseo, 187. Petrarca, 156, 234.

Saint-Evremond, 161. Salfl, 321, 322.

Sanchez F.

(il Brocense), 4, 47, 53. Sanctis (de) F., 256, 299, 325, 338.

Sangro Sangro

(di) O, 290, 291. (di) R., 312.

Piccolomini A., 143. Pico della Mirandola, 14c Pindaro, 201, 204.

Sarchi, 336.

Pirro, 176, 208. Pisistrato, 198.

Scaligero. 47, 53, 157.

Saturno, 167, 187, 213. Savignv, 256, 323.

Scevola (Q. Muzio), 176, 296.

348

INDICE DEI NOMI

Schelling-, 252.

Schopenhauer, 254.

Schopp G., 47. Schwarz J., 90. Scipione Africano, 92, 130, 137. Scipione Nasica, 215. Scoto (Duns). 16, 61.» Scrocca A., 340. Selden G., 47, 77, 94, 154. Seneca, 163. Senofonte, 165. Servio Tullio, 188, 209, 214. Shakespeare, 235, 244.

A., 171, 256. Tiberio, 14, 130. Tomasio C, 77, 101, 253. Tommaseo N., 299, 325, 335.

Thierry

Tommaso

d'Aquino, 28. Trabalza C, 340. Triboniano, 219, 236. Trivulzi Cristina, principessa di Belgioioso,

3.36.

Trova C, 256. Tucidide, 165. Tulio Ostilio, 188.

Turpino, 233.

Siila, 218.

Simone

il

giusto, 94.

Sisifo, 187.

Socrate, 27, 70, 76, 92, 201. Solla F., 304, 305, 322. Solone, 156, 188, 212. Sorel G., 225, 256, 327, 339. Sostegni, 310. Spaventa B., 141, 325, 338.

Spinoza. 26, 80, 81, 89, 103, 143, 205, 325.

Steuco A., 143. Stobeo, 246. Stoici, 99, 120.

Strabone, 197. Stuart Mill, 324. Suida, 246.

Vacherot, 324. Valletta G., 245.

Varrone, 169, 203, 212, 217, 296. Venere, 168, 169, 187, 191. Vico Gennaro, 293, 334. Vico Luisa, 293. Villarosa, 334, 337. Virgilio, 203. Visconti, 171. (de), padre, 291, 332. (Vossio), 64, 196. Vulcano, 167, 187.

Vitry

Voss

W Weber W.

Tacito, 76, 103, 104, 151, 177, 180, 184, 219. Tantalo, 187. Tanucci B., 316. Tarquinio Prisco, 188. Tarquinio Superbo, 52, 175, 209. Teofrasto, 204. Terenzio, 168. Terrasson, 316. Tesauro E., 54. Teseo, 187.

E., 323, 336.

Werner, 141, 327, 338, 339. Windelband, 4 n., 327.

Wolf F., 256, Wood, 318.

Zeno

317-8, 338.

A., 157.

Zenone, 143, 145. Zoega, 318. Zoroastro, 164, 187.

INDICE

Avvertenza I.

II.

III.

IV.

La prima forma della gnoseologia vichiana La seconda forma della gnoseologia vichiana La struttura interna della Scienza nuova La forma fantastica del conoscere (La poesia

VI.

»

1

21

...»

37

.

.

e »

45

e la religione)

»

63

coscienza morale

»

75

»

87

linguaggio)

La forma semifantastica

La

del conoscere

(Il

mito

VII. Morale e religione VIII. Morale e diritto

La storicità del X. La Provvidenza

IX.

XI. XII.

diritto

I ricorsi

La

vii

»

.

il

V.

pag.

metafisica

XIII. Passaggio alla storiografia.

— Carattere

la

storia

del

tempo oscuro

crazie

105

>

115

»

127

•>

139

»

149

e

favoloso

XV. Le società eroiche XVI. Omero e la poesia XVII. La storia di Roma

97

»

generale

della storiografia vichiana

XIV. Nuovi canoni per

>

primitiva e la formazione delle

»

161

>

173

»

191

»

207

demo-

350

INDICE

XVIII. La barbarie ritornata o

XIX.

Il

Vico contro

XX. Conclusione.

l'



il

Medioevo

Il

Vico e

lo

del Vico

...

I.

II.

III.

del Vico

Cenni bibliografici

Indice dei nomi

»

249

»

259

:

Intorno alla vita e al carattere di G. B. Vico

La fortuna

239

adoprati o richiamati nel corso del-

l'esposizione

Appendice

»

svolgimento poste-

riore del pensiero filosofico e storico

Luoghi

pag. 223

indirizzo di cultura dei suoi tempi

.

.

*

285

»

315

»

329

>

343

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