OAK ST. HDSF
THE UNIVERSITY OF ILLINOIS LIBRARY
195 VGGYcZ
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L161— H41
SAGGI FILOSOFICI ii
VICO
BENEDETTO CROCE
LA FILOSOFIA DI
GIAMBATTISTA VICO Seconda edizione riveduta
BARI GIUS.
LATERZA & FIGLI
TI l'OQ KAFI-KDITOBI-LIHK AI
1922
PROPRIETÀ LETTERARIA A NORMA DELLE VIGENTI LEGGI
Stampato in Trani, coi
tipi dolla Ditta Tipografica Editrice
Vecchi e C.
ifs-
V4GV X
GUGLIELMO WINDELBAND
743018
AVVERTENZA
Per quali ragioni a me una nuova esposizione della
sia
sembrata necessaria
filosofia
del Vico, potrà
agevolmente desumersi dai cenni sulla fortuna sto scrittore e dalle notizie bibliografiche, che
gono
nella seconda
e
terza
appendice del
di
que-
si
leg-
presente
volume.
Qui occorre avvertire soltanto che la mia esposizione non vuol essere un riassunto libro per libro e parte per parte degli scritti del Vico;
pone
la
conoscenza
vuol eccitare
il
di
questi scritti
e,
e,
lettore a procacciarsela
anzi, presup-
ove manchi, per meglio
seguire, e per riscontrare, le interpetrazioni e
che
gli
vengono da me
giudizi
offerti.
Su questo presupposto, pur valendomi (specialmente nei
i
capitoli
relativi
alla
assai spesso
storiografia)
non ho creduto opportuno virgoleggiarle (salvo dove mi piacesse dare
delle parole testuali dell'autore,
risalto alla precisa espressione originale), perché, aven-
dole di solito combinate da brani sparsi nei più vari luoghi e ora abbreviate ora allargate e sempre fram-
AVVERTENZA
Vili
mischiate liberamente con parole e frasi mie di commento, il continuo virgoleggiarle sarebbe stato un mettere in mostra, con più di
rovescio del
fastidio
che
di
utilità,
il
mio ricamo, che ciascuno potrà osservare
quando ne abbia voglia, col sussidio dei rimandi che ho messi in fondo al libro. Desideroso di attestare, per quanto mi era possi-
da
sé,
ogni particolare del mio lavoro, la reverenza deve al gran nome del Vico, mi sono studiato di essere breve, di quella brevità che egli conside-
bile, in
che
si
rava quasi suggello di libri scientifici ben meditati. Al qual uopo ho sacrificato anche le discussioni coi singoli interpetri,
contentandomi
Del resto, parte delle
sembrano
frutti
di semplici accenni.
interpetrazioni
qui esposte
mi
maturi delle indagini e controversie
che costituiscono
la
migliore letteratura vichiana; e
tutta quell'altra parte, che è
mia personale, e
l'idea
mio libro, difenderò a suo tempo, i dissenzienti e contro caso, gli obiettanti, diretto che nel corso dell'esposizione non
stessa generale del se sarà
nel
il
modo
ho stimato libro
avrà
cendere
le
di adoperare.
Perché
io
spero che questo
l'effetto non già di spegnere ma di racdiscussioni intorno alla filosofia del Vico:
questo Altvater, come lo chiamò il Goethe, che è fortuna per un popolo possedere, e al quale bisognerà sempre fare capo per sentire italianamente
di
la
moderna
filosofìa,
pur pensandola cosmopoliti-
camente.
La dedica
del
mio lavoro
(oltre
a essere omaggio
a uno dei maggiori maestri odierni della storia della filosofia) vuol esprimere l'augurio e la speranza che
AVVERTENZA
IX
venga presto riempita, in tale storia, quale ho richiamato l'attenzione più
mente
alla fine della
la lacuna, sulla
volte, e special-
seconda delle appendici di questo
volume. Raiano (Aquila), settembre 1910.
L'augurio espresso nelle ultime linee della precedente avvertenza ebbe compimento, e non solo il Windelband die luogo alla filosofia del Vico nella quinta edizione della sua Storia della filosofìa moderna (Leipzig,
1911,
I,
597-98),
ma
il
mio
fu
libro
subito tra-
dotto in inglese e in francese, e altre versioni se ne
preparavano, e fiorivano
quando
la
indagini e
guerra sopravvenne
ripresa di studi e la fuori d'Italia.
Non
si
e là richiamati per
delle cose; e
li
i
discussioni,
concetti vichiani non fossero
dominare
richiamò, tra gli
col pensiero altri, lo
delband, nell'ultimo suo scritto, che fu di
le
a
sospendere quella divulgazione dell'opera vichiana per altro che, durante la guerra
e in relazione ad essa,
qua
le
il
stesso
una
corso
Win-
« lezione
guerra » sulla Filosofia della storia. Questa nuova edizione contiene piccole correzioni,
schiarimenti e aggiunte, ed è messa al corrente nella parte bibliografica. La tavola dei rinvìi ai testi vichiani è stata resa più precisa, e in ciò, revisione generale, ho Nicolini,
come
nella
avuto l'amichevole aiuto del
benemerito editore della Scienza nuova.
Circa la concezione e
il
metodo
del libro
non ho
alcun cangiamento da introdurre né pentimento da
X
AVVERTENZA
manifestare
:
ma
la facile
sebbene da più parti mi sia stata rivolta superflcialissima critica, che l'interpre-
del Vico vi sia
tazione
tutta compenetrata dal
non
proprio pensiero filosofico, e perciò tiva
».
In verità, chi voglia conoscere davvero
deve leggere e meditare
i
libri del
indispensabile, e questa è la
mio
sia « oggetil
Vico
Vico; e questo è
sola oggettività possi-
bile:
non
altri
ne faccia, e che non potrebbe riuscire se non
la cosiddetta « esposizione oggettiva »
che
lavoro estrinseco e materiale. L'esposizione, invece, storica e critica di un filosofo ha una diversa e più oggettività, ed è necessariamente il dialogo tra un'antico e un nuovo pensiero, nel quale solamente
alta
pensiero viene inteso e compreso. E tale è, o procura di essere, il mio libro. Che cosa avrei potuto intendere io del Vico, se non mi fossi travagliato su problemi strettamente congiunti ai suoi o derivanti l'antico
da quelli suoi? Per questa ragione anche non posso dare importanza all'opposizione che mi è venuta da egregi scrittori cattolici,
i
quali
è
naturale che vedano
con occhi diversi dai miei. Ciò che, per
mi sembra
logico, è
il
le
altro,
loro sforzo di ridurre
il
cose
non Vico
a pensatore ortodosso; nel quale sforzo urtano inevitabilmente in due gravi difficoltà. In primo luogo essi vengono a trovarsi di fronte all' impossibilità di
spiegare perché mai
il
Vico, che, a loro giudizio, non
avrebbe fatto altro che ripetere o rinfrescare i concetti della tradizione filosofica cattolica, sia sembrato e sembri tanto originale e rivoluzionario, e sia andato tanto a genio ai pensatori moderni.
E
parimente, in
AVVERTENZA
XI
secondo luogo, si tolgono il modo di spiegareT avversione che per lui provarono gli scrittori cattolici del suo secolo e taluno insigne del secolo seguente, co-
me, per
es.,
Cesare Balbo, che
scienza cristiana.
E questo
riguardoso come credo scrittori essi,
lo senti
estraneo alla
aver detto, perché, sempre stato verso gli
basti
d'esser
non perciò polemizzerei mai con cosa tanto poco utile, quanto utile per me, tirare innanzi per la mia via.
cattolici,
stimando
e doveroso
è,
la
Napoli, 27 dicembre 1921.
B. C.
La prima forma della gnoseologia vichiana
JJa prima forma della dottrina del Vico sulla conoscenza si presenta come diretta critica e antitesi del pensiero cartesiano, che
da oltre mezzo secolo dava l'indirizzo
europeo ed era destinato a dominare ancora per un secolo le mepti e gli animi. Cartesio aveva collocato f ideale della scienza perfetta generale
allo spirito
nella geometria, sul modello della quale intese a riformare
del sapere. E poiché il metodo geometrico perviene mercé l'analisi a verità intuitive, e da queste muove dipoi per ottenere con deduzione sin-
la filosofia e ogni altra parte
tetica
sempre più complesse affermazioni,
la filosofia,
per procedere con rigore di scienza, doveva, a mente di Cartesio, cercare anch'essa il fermo punto d'appoggio in una verità primitiva e intuitiva, dalla quale deducesse tutte le sue ulteriori affermazioni, teologiche, metafisiche, fisiche e morali. L'evidenza, la percezione o idea chiara e distinta era, dunque, criterio supremo; e l'inferenza imme-
diata, l'intuitiva connessione del pensiero
con l'essere, del
prima verità
e la base per la
cogito col
smn, porgeva
la
Con la percezione chiara e distinta, e col dubbio metodico che conduceva al cogito, Cartesio si argomentava
scienza.
B. Croce,
La
filosofia
di Giambattista Vico.
1
FILOSOFIA DEL VICO
2 di sconfiggere
per ciò stesso,
una volta per sempre lo scetticismo. Ma, tutto quel sapere non ancora ridotto o non chiara e distinta e a deduzione
riducibile a percezione
geometrica, perdeva ai suoi occhi valore e importanza. Tale la storia, che si fonda sulle testimonianze; l'osservazione naturalistica, non ancora matematizzata pratica e l'eloquenza, che
scenza del cuore
umano
fantastiche. Piuttosto che rituali
;
la
saggezza valgono dell'empirica conola poesia, che offre immagini ;
si
un sapere, codesti prodotti
erano per Cartesio illusioni e torbide visioni
spi-
idee
:
confuse, destinate o a farsi chiare e distinte e perciò a svestire la loro anteriore forma d'esistenza, o a trascinare
un'esistenza miserabile, indegna dell'attenzione del filosofo. La luce solare del metodo matematico rendeva superflue
fiammelle che sono di guida nelle tenebre e proiettano sovente ombre ingannatrici. Ora il Vico non si restringe e non si attarda, come altri
le
avversari di Cartesio, a prendere scandalo per
guenze
del
metodo soggettivo, pericoloso
a disputare scolasticamente se sillogismo, e
se
come
il
cogito
sillogismo sia
o
le
conse-
alla religione;
sia o
non
no difettoso
;
o
un
sia
o a
protestare con l'offeso buon senso contro il disprezzo cartesiano verso la storia, l'oratoria e la poesia. Egli va diritto
al
cuore della questione,
da Cartesio per denza; e dove tutto rosa,
al
criterio stesso stabilito
la verità scientifica, al principio dell'eviil
filosofo francese
stimava di aver fornito
quanto si potesse richiedere per la scienza più rigoil Vico osserva che, posta l'esigenza alla quale s'in-
tendeva soddisfare, in realtà, col metodo raccomandato, otteneva ben poco o addirittura nulla.
si
Vico) è codesta dell'idea chiara e distinta! Ch'io pensi quel ch'io penso è, si, cosa induBella scienza (dice
bitabile,
il
ma non mi ha
scientifica.
Ogni
punto
l'aria
di
idea, per erronea che
una proposizione sia,
può apparire
I.
3
non perché a me appaia tale, acquista virtù scienza. Che « se si pensa, si è anche », era cosa nota
evidente; di
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
e,
persino al Sosia di Plauto, che esprimeva questa sua persuasione quasi con le stesse parole della filosofia cartesiana « sed quom cogito, equidem certo sum ». Ma lo scettico re:
plicherà sempre ai Sosì e ai Cartesì, che egli non dubita di pensare; professerà anzi asseverantemente che quel che
a lui sembra scorgere è certo, e lo sosterrà con ogni sorta di cavilli; e che non dubita di essere, anzi cura di
—
mercé
per non agcose altri provenienti dalle giungere gli opinioni. Ma, nell'affermare cosi, sosterrà insieme che la esser bene,
ai
la sospensione dell'assenso,
fastidì
delle
certezza del suo pensare e del suo essere è coscienza e non scienza; ed è coscienza volgare. Tanto poco la
chiara e distinta percezione è scienza, che da quando, per viene adoperata nella fisica,
effetto del cartesianismo, essa
conoscenza delle cose naturali non è divenuta punto più sicura. Cartesio ha spiccato un salto per sollevarsi dalla la
coscienza volgare alla scienza ed è ricaduto di piombo in quella coscienza, senza raggiungere la scienza agognata. Ma in che cosa la verità scientifica consiste, poiché cer;
tamente non consiste nella coscienza immediata? In che differisce dalla semplice coscienza? Qual è il criterio, o, in altri termini, quale la condizione che rende possibile la scienza? Con la chiarezza e con la
la scienza
non si muove un sol passo con l'affermazione un primo vero non si risolve il problema, che non è già circa un primo vero, ma circa la forma* che la verità distinzione
;
di
deve avere perché possa essere riconosciuta verità scientifica,
ossia verità vera.
Vico risponde a questa domanda, e giustifica la sua accusa d' insufficienza al criterio cartesiano, col ricorrere 11
a una proposizione che, a bella prima, potrebbe dirsi ovvia e tradizionale. Tradizionale non in conseguenza della
FILOSOFIA DEL VICO
4
storica con la quale
tesi
stesso poi
ebbe a
il
Vico l'accompagna e che egli che quella proposizione ri-
rifiutare, cioè
salga a un'antichissima sapienza italica; ma nel senso che comune e quasi intrinseca al pensiero cristiano.
essa era
Nulla di più familiare, infatti, a un cristiano, il quale recita ogni giorno il suo credo in un Dio onnipotente, onnisciente e creatore del cielo e della terra, dell'affermazione
che solo Dio
può avere scienza piena delle cose, ne è l'autore.
perché egli solo
Il
primo vero (ripete
il
Vico) è in Dio, perché Dio è il primo fattore; ed è vero perché egli è fattore delle cose tutte, esattissimo
infinito
perché rappresenta a
lui gli
elementi cosi esterni come in-
terni delle cose, le quali egli contiene tutte in sé. Questa
medesima proposizione circolava quanto sembra, presso
nelle
scuole,
specie,
scotisti e occamisti, e, nel
a
rinasci-
mento, Marsilio Ficino l'asseriva nella Theologia platonica, dicendo che la natura, opera divina, produce le sue cose con vive ragioni dall'intrinseco, come la mente del geosue figure; e il Cardano ripeteva che tale è la vera scienza, la scienza divina, quaì res facit, e che di essa tra le umane rende immagine
metra dall'intrinseco fabbrica
la sola
le
nel Quod nihil non può « perfecte cognoscere nec Deus creare potuisset nec creata
e lo scettico Sanchez,
geometria;
scltur (1581), ricordava che
quis quaì non creavit, regere quce
non
perfecte prcecognovisset ; ipse ergo, solus sa-
pientia, cognitio, intellectus perfectus,
nia sapit, omnia cognoscit, omnia est et in
1
Si
omnibus, omniaque ipse sunt
veda per
le
origini
il
omnia
intelligit, et
mio saggio: Le
(cfr.
»
il
Windelband, Gesch.
l .
Ma
il
fonti della gnoseologia
Sul concetto del
Opera medica, ed. di Tolosse Tectosagum, 1636,
chiamò l'attenzione p. 23.
quia ipse
in ipso
vicliiana (cit. nell'append. bibliografica), pp. 243-58.
Sanchez
omomnia
penetrai,
p. 110) ri-
d. neuer. Philosophie 3
,
I,
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
I.
Vico non
dendo
restringe ad affermazioni incidentali
si
pel
5
primo
la
e,
inten-
fecondità del concetto espresso in quella
proposizione, dall'elogio dell' infinita potenza e sapienza di Dio e dal raffronto con quella limitata dell'uomo ricavò, contro Cartesio, il principio gnoseologico universale, che la il
condizione per conoscere un-a cosa è il farla, e il fatto stesso: « verum ipsum factum ». Non altro che codesto si vuol dire (egli chiarisce), quando
vero è
afferma che la scienza è
«
» pei- ccnisas scire
perché la cagione è quel che per produrre l'effetto non ha bisogno di cosa estranea, è il genere o modo di una cosa conosi
,
:
scere la cagione è saper mandare ad effetto la cosa, provare dalla causa è farla. In altri termini, è rifare idealmente quel che si è fatto e si fa praticamente. La cogni-
zione e l'operazione debbono convertirsi tra loro, come in Dio intelletto e volontà si convertono e fanno tutt'uno.
Senonché, stabilito nella connessione fatto
della
l'ideale
realtà) conosciuta la natura vera
del
vero e del
l'ideale è la vera
scienza, e (poiché della
scienza, la
prima conseguenza che da questo riconoscimento deve trarsi è quella stessa che ne traevano i platonici e gli scettici del Rinascimento, l'impossibilità della scienza per l'uomo. Se Dio ha creato le cose, Dio solo le conosce per cause, egli solo ne conosce i generi o modi, ed egli solo ne ha la scienza. Forse che l'uomo ha esso creato
creato la propria
All'uomo non è data la
mondo? ha
esso
la
scienza,
ma
la sola
coscienza, non si può fanno. La verità di
quale per l'appunto volge sulle cose di cui
dimostrare
come
vrebbe
genere o forma onde
il
coscienza è sto
il
anima?
il
lato
umano
del
sapere divino, e sta a quepiuttosto che verità, do-
la superficie al solido
dirsi
certezza.
A
Dio
si
:
l'
ìntelligere,
all'uomo
il
solo
cogitare, pensare, l'andare raccogliendo gli elementi delle senza cose, poterli mai raccogliere tutti. A Dio il vero diil
FILOSOFIA DEL VICO
6
mostrativo; all'uomo le notizie non dimostrate e non scientifiche, ma o certe per segni indubitati o probabili per forza di buoni raziocini o verisimili pel sussidio di potenti
congetture. Il
non è scienza, ma non guarda bene dal chiamare
certo, la verità di coscienza,
perciò è il falso. E il Vico false le dottrine di Cartesio
si
egli vuole soltanto
:
degradarle
da verità compiute a verità frammentarie, da scienza a coscienza. Tatt'altro che falso è
il
cogito ergo
sum:
il
tro-
varsi finanche sulla bocca del Sosia plautino è argomento rigettarlo, anzi per accettarlo, ma come verità di semplice coscienza. Il pensare, non essendo causa del mio essere, non induce scienza del mio essere; se l'inducesse,
non per
essendo l'uomo (secondo che i cartesiani ammettono) mente e corpo, il pensiero sarebbe causa del corpo; il che ci av-
volgerebbe tra tutte
le
spine e gli sterpi delle dispute circa
mente sul corpo e del corpo sulla mente. Il cogito è, dunque, un mero segno o indizio del mio essere: nient'altro. L'idea chiara e distinta non può dare criterio, non pure delle altre cose ma della mente medesima, perché la mente in quel suo conoscersi non si fa, e, poiché non si fa, ignora il genere o modo onde si conosce. Ma l'azione della
l'idea chiara e distinta spirito dell'uomo, e,
preziosissima.
mato
Anche per
fra le scienze
è
quel che solo è concesso allo
come unica ricchezza il
Vico
umane, che
ch'egli abbia,
la metafisica
serba
tutte derivano
da
il
lei;
pri-
ma
laddove per Cartesio essa può procedere con sicuro metodo di dimostrazione pari a quello geometrico, pel Vico
deve contentarsi del probabile, non essendo scienza per cause
ma
di
cause.
E
del
probabile
si
contentò ai suoi
bei tempi, nella Grecia antica e nell' Italia del Rinascimento; e
quando
volle
abbandonare
sta dei fumi di quel
navi
»,
il
probabile e
detto fastoso
:
«
si
empi
la te-
sapientem nihil opi-
cominciò a turbarsi e a decadere. L'esistenza di
I.
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
7
Dio è certa, ma non è scientificamente dimostrabile, e ogni tentativo di dimostrazione è da considerare documento
non tanto
di pietà
dimostrare Dio,
quanto piuttosto d'empietà, perché, per farlo: l'uomo dovrebbe diven-
dovremmo
tare creatore di Dio. Parimente bisogna ritenere vero tutto
quello che ci è stato rivelato da Dio,
modo
in qual
sia
ma non domandare non potremo mai
vero, che è ciò che
comprendere. Sulla verità rivelata e sulla coscienza di Dio si
appoggiano
le
ma
il
di verità
non
;
scienze
umane
e vi trovano la loro
fondamento stesso è verità
norma
di coscienza e
di scienza.
Come
il
Vico abbassa
e coltivava, la
geva
risolleva le
le
scienze che Cartesio predili-
metafisica, la teologia, la fisica, cosi
forme di sapere che Cartesio aveva abbassate
la storia, l'osservazione naturalistica, la
:
cognizione empi-
rica circa l'uomo e la società, l'eloquenza e la poesia. 0,
per meglio dire, non ha bisogno di sollevarle per rivendidimostrato che le superbe verità della filosofia condotta con metodo geometrico si riducono anch'esse a niencarle
:
che probabilità e asserzioni aventi valore di seniplice coscienza, la vendetta delle altre forme del sapere è, t'altro
nell'atto stesso, bella e compiuta, perché tutte si ritrovano ormai adeguate alla medesima altezza o bassezza che si dica. L'idea di una scienza umana perfetta, che respinga
indegna di questo nome perché fondata non
da
sé un'altra
sul
ragionamento
ma
sull'autorità, è chiarita illusoria. L'au-
torità delle proprie e delle altrui osservazioni e credenze,
l'opinione generale, la tradizione, la coscienza del genere
umano, vengono restaurate
nell'ufficio
che hanno sempre
avuto e che ebbero nello stesso Cartesio
;
il
quale (come
suole accadere) disprezzò quel che egli possedeva in gran copia e di cui si era potentemente giovato, e, uomo dottissimo, screditò la dottrina e l'erudizione,
nutrito può darsi
il
come
chi
si
è
lusso di parlare con disdegno del cibo
FILOSOFIA DEL VICO
8
che è già sangue nelle sue vene. La polemica di Cartesio contro l'autorità si era provata, per alcuni rispetti, benefica,
avendo scosso
troppo vile servitù di star sempre che non regni altro che il proprio in-
la
Ma
sopra l'autorità.
si pretenda rifare da cima a fondo sapere sulla propria individuale coscienza, che si giunga
dividuale giudizio, che il
(come fece
Malebranche) ad augurare perfino di vedere filosofi e poeti antichi e di tornare alla nu-
il
bruciati tutti dità di
i
Adamo;
una
è
follia o,
meno, un eccesso,
lo
per
dal quale conviene rifuggire nel giusto mezzo. E il giusto è di seguire il proprio giudizio, ma con qualche ri-
mezzo
guardo all'autorità; di congiungere insieme, cattolicamente, la fede con la critica circoscritta dalla fede e giovevole alla fede stessa
:
in
modo conforme
di
mera probabilità che ha
in
modo avverso si
quale par che
il
divina regola delle cose
un gruppo
queste, secondo
modo
un posto
suoi predecessori
i
privilegiato
cartesiane al
;
vale a dire, non
vera e propria scienza, non nella cernella verità: le discipline matematiche. Sono
di coscienza,
ma
ma
delle scienze
Vico riconosca, come
del Rinascimento,
in
si fa
devono credere.
C'è, per altro,
tezza,
sapere o la scienza umana,
all'indirizzo della Riforma, pel quale lo
spirito interno di ciascuno
che
il
al carattere indelebile
di
lui, le
sole conoscenze possedute dall'uomo
del tutto identico a quello del sapere divino, e
cioè perfetto
e
dimostrativo.
aveva creduto, per
effetto
E non
già,
come
Cartesio
del loro carattere di evidenza.
L'evidenza, usata nelle cose fisiche e nelle agibili, non dà
una verità della stessa forza che nelle matematiche. Né le matematiche sono per sé evidenti con quale chiara e di:
potrebbe concepire che la linea consti di che non hanno parti? Ma il punto impartibile, che punti non si può concepire nelle cose reali, si può, invece, de-
stinta idea
si
finire; e col definire certi nomi, l'uomo
si
crea
gli eie-
I.
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
9
menti delle matematiche, coi postulati li porta all'infinito, con gli assiomi stabilisce certe verità eterne, e con questi infiniti e con questa eternità disponendo i loro elementi, egli fa il
vero che insegna. La
nasce, dunque, non dal
criterio
dall'altro enunciato dal Vico;
moltiplica, prende
il
punto
cartesiano,
ma
».
:
«
appunto
ma
non dall'evidenza,
conversione del conoscere col fare stramus, quia verum facimus
forza delle matematiche
dalla
mathematica demon-
L'uomo prende l'uno
e lo disegna; e crea
i
e lo
numeri
e le grandezze che egli conosce perfettamente perché opera sua.
Le matematiche sono scienze operative,
nei loro problemi, si
ma
e
non
solo
negli stessi teoremi, che volgarmente
stimano cosa di mera contemplazione. Per tal ragione anche scienze che dimostrano per cause, contra-
esse sono
riamente tematiche
opinione volgare che esclude dalle maconcetto di causa sono, anzi, le sole, tra le
all'altra il
;
scienze umane, che davvero provino per cause.
procedere provengono
le loro
Da
Verità meravigliose
;
questo e tutto
l'arcano del metodo geometrico consiste nel definire prima le voci, e cioè fare i concetti coi quali si abbia a ragionare; poi stabilire alcune massime comuni, nelle quali colui col
quale si ragiona convenga; finalmente, se bisogna, domandare cosa che per natura si possa concedere affine di poter dedurre i ragionamenti, i quali senza una qualche posizione non verrebbero a capo e con questi principi da verità pili semplici dimostrate procedere fil filo alle più composte, e le composte non affermare se prima non si esa;
minino una per una le parti che le compongono. Si direbbe che il Vico sia circa il valore delle matematiche affatto
d'accordo con Cartesio, dal quale
differisca
soltanto nella fondazione di quel valore. E, posto chela sua fondazione debba considerarsi più profonda, tanto più
ne verrebbe rafforzato ed esaltato l'ideale matematico, prefisso alla scienza da quello. Se l'unica conoscenza perfetta
FILOSOFIA DEL VICO
10
lo spirito umano raggiunga è quella matematica, è chiaro che sopra essa bisogna sorreggersi e alla stregua
che
modellare o giudicare le altre. Il Vico, insomma, sarebbe mosso per dare torto a Cartesio e gli avrebbe procurato una migliore ragione che quegli non sospettava. di essa
si
Ma, quantunque cosi sembri a prima vista (e cosi abbia pensato qualche interpetre), osservando meglio si scorge che
la
gran perfezione che
il
alle
matema-
la sicurezza
che egli
Vico attribuisce
tiche è più apparente che reale
;
che
vanta di quel procedere, è, per sua medesima confessione, acquistata a spese della realtà; e che, insomma, l'accento della teoria
non cade tanto
verità
sulla
pline quanto sulla loro arbitrarietà.
E
di quelle disciin questo risalto
dato al carattere di arbitrarietà egli differisce non solo dai ricordati filosofi del Rinascimento, ma anche da Galileo e dalla sua scuola
L'uomo
*.
infatti (egli dice),
andando attorno a
investi-
gare la natura delle cose, e accorgendosi finalmente di non poterla in niun modo conseguire, perché non ha dentro di sé gli elementi
onde sono composte,
e,
anzi,
li
ha
tutti
fuori di sé, è condotto via via a volgere a profitto questo
vizio della sua mente; e con l'astrazione (non, s'intende, con l'astrazione sulle cose materiali, perché il stesso
Vico non assegna origine empirica alle matematiche, ma con l'astrazione che si esercita sugli enti metafisici) si foggia due cose, « duo sibi confingit » il punto da disegnare, :
l'unità da moltiplicare. Entrambi finzioni (utrumque ftctum), perché il punto disegnato non è più punto e l'uno moltiplicato non è più uno. Indi, da quelle finzioni, di proe
prio arbitrio (proprio iure) assume di procedere all'infinito, sicché le linee si possano condurre nell'immenso,
1
Vico
veda sulla storia della gnoseologia mio saggio cit., pp. 258-67.
Si il
delle
matematiche
fino al
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
I.
l'uno moltiplicare per struisce per suo uso
l'
innumerabile.
un mondo
abbraccia tutto dentro di sé col
A
questo
modo
forme e numeri, che
coegli
e col prolungare, col tagliare,
con l'aggiungere, togliere e compu-
le linee,
comporre
;
di
11
opere e conosce infiniti veri. Non cose e definisce nomi; non può attingere gli elementi reali e si contenta di elementi immaginari, dai quali sorgono idee che non ammettono alcuna controtare
i
numeri,
può definire
fa infinite
le
versia. Simile a Dio,
«
ad Del instar
>,
da nessun sostrato
materiale, e quasi dal niente, crea punto, linea, superficie: il
punto che è posto come quello che non ha parti
linea
come
l'escurso
;
la
del
punto, ossia la lunghezza priva di larghezza e di profondità; la superficie, come l'incontro di due linee diverse in uno stesso punto, cioè la lun-
ghezza e la larghezza senza la profondità. Cosi le matematiche purgano il vizio della scienza umana, di avere sempre le cose fuori di sé e di non aver essa fatto ciò che vuole conoscere. Quelle fanno ciò che conoscono, hanno in sé medesime i loro elementi e si configurano, perciò, a
somiglianza perfetta della scienza divina {sdentici divince similes evadunt).
A chi legge queste e altrettali descrizioni e celebrazioni vichiane del procedere matematico, par d'avvertire come un'ombra
d'ironia, se
non proprio intenzionale, certamente La fulgida verità delle mate-
risultante dalle cose stesse.
matiche nasce, dunque, dalla disperazione della verità; loro formidabile potenza dalla riconosciuta impotenza!
la
La
somiglianza dell'uomo matematico con Dio non è troppo diversa da quella del contraffattore di un'opera col suo autore: ciò che Dio ò nell'universo della realtà, l'uomo nell'universo delle grandezze e dei numeri, ma queuniverso è popolato di astrazioni e finzioni. La divinità conferita all'uomo è, quasi, divinità da burla.
è, si,
sto
Per
effetto della diversa genesi
che
il
Vico assegna alle
FILOSOFIA DEL yiCO
12
matematiche, anche la loro efficacia viene assai
Le matematiche non stanno
più,
come per
ristretta.
Cartesio, al
sommo
del sapere umano, scienze aristocratiche, destinate a redimere e a governare le scienze subalterne ma oc;
cupano una cerchia, per quanto singolare, altrettanto ben circoscritta, fuori della quale se mai esse si provano a uscire, pèrdono, d'un subito, ogni loro mirabile virtù. Il potere delle matematiche incontra ostacoli a parte ante e a parte post: nel loro fondamento e in quel che a loro volta sono in grado di fondare. Nel loro fondamento,
perché se creano i loro elementi, cioè le finzioni iniziali, non creano la stoffa in cui queste sono ritagliate, e che a esse, non meno che alle altre scienze umane, è fornita dalla
non potendo dar loro il proprio sogdà certe ne getto, immagini. Dalla metafisica la geometria metafisica, la quale,
toglie il punto per disegnarlo (cioè, per annullarlo come punto); e l'aritmetica l'uno per moltiplicai'lo (cioè, per di-
struggerlo come uno). E poiché la verità metafisica, per quanto certa appaia alla coscienza, non è dimostrabile, le matematiche, in ultima analisi, riposano anch'esse sull'autorità e sul
probabile. Ciò
basta a svelare la fallacia di
ogni trattazione matematica che si tenti dalla Metafisica. Vico sembra ammettere una specie di circolo tra geo-
Il
metria e metafisica, la prima delle quali riceverebbe il suo vero dalla seconda e, ricevutolo, lo rifonderebbe nella stessa
metafisica,
umana con
confermando reciprocamente
la divina.
contestabile e
si
Ma
la scienza
questo concetto (che è più che e con-
può dichiarare senz'altro incoerente
tradittorio) richiama, in ogni caso, l'uso metafisico, o piut-
tosto simbolico e poetico che della
matematica fecero Pi-
tagora e altri filosofi antichi e del Rinascimento, e nulla da vedere con
modo
una
filosofia trattata
La geometria
non ha
matematicamente
sarebbe, a giudizio del Vico, l'unica ipotesi per la quale dalla metafisica sia dato
al
dei cartesiani.
I.
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
passare alla fisica;
una
tesi,
critica,
ma
rimarrebbe in
probabilità, qualcosa di
tra
l'
immaginazione e
mane sempre la secondo il modo
metafisica di
e,
il
13
tale accezione un'ipo-
mezzo tra
la fede e la
ragionamento, quale
ri-
in genere, la scienza
umana, questa prima forma
vedere del Vico in
della sua gnoseologia.
Come non fondano
la metafisica dalla
quale anzi deri-
vano, cosi le matematiche non sono neppure in grado di fondare le altre scienze, che pure seguono a esse nell'ordine di derivazione. Tutte
le
materie, diverse dai numeri
e dalle misure, sono affatto incapaci di
La
fisica
non è dimostrabile;
cose fisiche,
faremmo
le
(sì
metodo geometrico.
potessimo dimostrare le physica demonstrare possemus, se
faceremus); ma non le facciamo e perciò non possiamo darne dimostrazione. L'introduzione del metodo matema-
non ha giovato a questa disciplina, che fece scoperte grandi senza quel metodo, e nessuna né grande né piccola ha fatta mercé di esso. La fisica moderna somitico nella fisica
glia, in verità,
mente arredata la suppellettile,
a una casa che gli antenati hanno riccae di cui gli eredi non hanno accresciuto
ma
divertono solamente a cangiarla di
si
posto e a disporla in
modi nuovi. È necessario perciò
re-
staurare e sostenere, in fisica, l'indirizzo sperimentale contro
quello
matematico: l'indirizzo inglese contro quello
il
cauto uso che delle matematiche fecero Galileo
francese,
e la sua scuola contro l'incauto e arrogante dei cartesiani.
A
si proibisce l'insegnamento della matematica: cotal metodo non procede se non prima definiti i nomi, fermati gli assiomi e convenute le domande;
ragione in Inghilterra
fisica
ma
in fisica si
hanno a
convenzione che non
definire cose e
sia contrastata,
non nomi, non vi ha né
si
può domandare
cosa alcuna alla ritrosa natura. Onde, nel migliore dei casi, quel metodo si risolve in un puro e innocuo verbalismo: si
espongono
le
osservazioni fìsiche con la dicitura:
«
per
la
de-
FILOSOFIA DEL VICO
14 finizione
e
si
IV», «per
conclude con
il
postulato II», « per l'assioma III», abbreviature: « Q. e. d. » ma
le solenni
;
svolge nessuna forza dimostrativa e la mente resta tutta la libertà di opinare che possedeva innanzi in dipoi di udire tali metodi strepitosi. Il Vico non sa astenersi, a
non
si
proposito, da paragoni
tal
(egli dice),
quando
farsi sentire, e,
appunto come
satirici.
Il
metodo geometrico
è nel suo legittimo dominio, opera senza
ove
fa
segno è che non opera: l'uomo timido grida e non fe-
strepito,
negli assalti
l'uomo d'animo fermato tace e fa colpi mortali.
risce,
ancora:
il
E
vantatore del metodo geometrico in cose in cui
quel metodo non trae necessità di consentire, quando pronuncia: « questo è assioma » o « questo è dimostrato », è simile al pittore che a immagini informi, le quali per sé
questo è uomo », questo è satiro », « questo è leone », e via discorrendo. Onde accade che col medesimo metodo geometrico Proclo dimostri i principi della fisica aristotelica, Cartesio i suoi,
non
possano riconoscere, scriva sotto:
si
«
«
non
certamente diversi; eppure furono due geometri, dei quali non si può dire che non sapessero usare il metodo. Quel che bisognerebbe, se mai, introdurre nella se
fisica
tutti opposti,
sarebbe non
trica;
ma
il
metodo
ma
questa è proprio ciò
Meno ancora
la
dimostrazione geome-
che non è dato introdurvi.
è possibile nelle altre scienze via via più cor-
pulente e più concrete: meno che in ogni altra, nelle scienze morali. E perciò, non potendosi usare la cosa, in
cambio
si
abusa tanto del nome; e, come il titolo di « siun tempo da Tiberio perché troppo su-
gnore
», rifiutato
perbo,
si
dà ora a ogni vilissimo uomo,
mostrazione
tamente
»,
false,
cosi quello di « di-
applicato a ragioni probabili e talora aper-
ha sminuito
la
venerazione che
si
deve
alla
verità.
Per
le
matematiche
sostituzione dei metodi
stesse
il
Vico scorge pericoli nella
analitici ai geometrici o sintetici.
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
I.
E
15
dubita che la nuova meccanica sia frutto davvero del-
l'analisi, la
ventiva,
e,
quale attutisce l'ingegno, ossia la facoltà inrisultato {opere), è oscura nella via
certa nel
metodo sintetico è tum opere tura opera certissimo. L'analisi adduce le sue ragioni aspettando se per caso si diano le equazioni che cerca, e sembra un'arte d'indovinare, o una macchina piuttosto che un pensiero. Per analoghe considerazioni il Vico non teneva in alcun pregio le topiche più o meno meccaniche e le arti lulliane e kircheriane dell'invenzione e della memoria. La simpatia per lo sperimentalismo che, come si è visto, laddove
(opera),
stacca
il
Vico dall'indirizzo francese e cartesiano e
il
av-
lo
vicina piuttosto a quello italiano e inglese, a Galileo e al
Bacone,
lo
rende altresì nemico dell'aristotelismo e dello
scolasticismo. Esortando egli a cercare
particolari e a va-
i
metodo induttivo; affermando che il genere umano era stato arricchito di innumerevoli verità dalla tìsica, la lersi del
quale,
mercé
macchine e
fuoco, le
il
gli
strumenti,
fatta operatrice di cose simili a peculiari
era
si
opere della na-
raccomandando la propria metafisica come tale che serve bene {anclllantem) alla fisica sperimentale; non può non riconoscere ben meritato il discredito in cui era catura;
duta
E
troppo (egli diceva) universale. rimproverava l'introduzione delle forme
la fisica aristotelica,
se a Cartesio
fisiche nella metafisica, e
con ciò
tendenza verso
la
da
terialismo, Aristotele e gli scolastici sono poi sati dell'errore opposto, cioè di
forme metafisiche nella il
sillogismo e
il
sorite
fisica.
il
lui
ma-
accu-
aver voluto introdurre
Come Bacone,
non producano nulla
ripetano ciò che è già contenuto nelle
le
egli stima che
di
nuovo e
premesse; e mette
molteplici danni che gli universali aristotelici cagionano in tutte le parti del sapere nella giurisprudenza,
in chiaro
i
:
in cui le vuote
generalità
nella medicina, che
soffocano
il
senno legislativo;
bada piuttosto a tenere
in piedi
i
si-
FILOSOFIA DEL VICO
16
stemi che a sanare
gl'infermi; nella vita pratica, nella di abusatori universali sono derisi- col nome di quale gli « uomini tematici ». Dagli universali derivano le .omoni-
mie o equivoci, cause d'ogni sorta verso
di errori. Alla diffidenza
qui nel senso di concetti generisponde nel Vico (com'era stato caso fre-
gli universali, intesi
rali o astratti,
quente presso
gli antiaristotelici
della
tazione delle idee platoniche, delle
come
anche
Rinascenza)
forme
l'esal-
metafisiche, o,
chiama, dei generi, modelli eterni degli oggetti e infiniti per perfezione. Nominalista nelle matematiche, sospettoso del nominalismo in tutti gli altri egli
campi del sapere,
le
il
Vico asserisce la realtà delle forme o
come
da giovane fosse attratto da questa dottrina, insegnatagli da un suo maestro che era delle idee, e narra
fin
scotista e perciò seguace di quella tra le filosofie scolasti-
che che più si approssimava alla platonica. Considerata nella sua interezza, la prima gnoseologia del
Vico non è
intellettualistica,
non
mente speculativa; ma contiene che
si
compongono
in certo
modo
è sensistica e
non è vera-
tutte tre queste tendenze
tra loro,
non
col sottomet-
gerarchicamente a una tra esse, ma col sottomettersi tutte alla riconosciuta incompiutezza della scienza umana. Il tersi
suo intento sarebbe di fronteggiare, con un sol movimento tattico, dominatici e scettici, contro i primi negando che si possa sapere tutto e contro i secondi che non si possa sapere cosa alcuna; ma riesce invece a un'affermazione di scetti-
non manca neppure qualdivino è sapere unitario, quello sapere è la frammentazione dell'unità; Dio sa tutte le cose
i> cismo o agnosticismo, nella quale '
che tratto mistico.
umano
Il
perché contiene in sé tutte l'uomo si studia ;
scienza
umana
è
gli di
una sorta
eviene dividendo l'uomo telletto e volontà, e dal
elementi dai quali le compone conoscerle col ridurle in pezzi. La di
anatomia delle opere di natura,
in corpo e
corpo
anima, e l'anima in
astrae la figura e
il
in-
moto, e da
I.
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
17
questi l'ente e l'uno; onde la metafisica contempla l'ente, l'aritmetica l'uno e la sua moltiplicazione, la geometria la
moto dell'ambito,
figura e le sue misure, la meccanica il la fisica il moto del centro, la medicina la ragione, la
morale
la volontà.
corpo, la logica accade di questa ana-
Ma
il
tomia come di quella del corpo umano, circa la quale i più acuti fisiologi dubitano se per effetto della morte e della stessa dissezione sia più possibile
struttura
e
uso delle
indagare
il
vero
sito,
parti. L'ente, l'unità, la figura,
il
il corpo, l'intelletto, la volontà sono altro in Dio, nel quale fanno uno, altro nell'uomo in cui restano divisi in Dio vivono, nell'uomo periscono. La percezione chiara
moto,
:
e distinta, nonché prova di forza, è prova di debolezza dell'intendimento umano. Le forme fisiche appaiono evidenti fintanto che fisiche:
il
«
non
si
cogito ergo
mettono
sum
»
al
paragone delle metaquando l'uomo
è certissimo,
considera sé stesso, creatura finita, ma addentrandosi in Dio, che è l'unico e vero ente, egli conosce veramente non essere: con l'estensione e le sue tre misure crediamo di stabilire verità eterne,
ma
mus
le
stillatici »,
Dio: eterno della parte,
e
si
vede
ci
perché
nel fatto
«
ccelum ipsum peti-
eterne verità sono solamente in
sembra l'assioma che
il
tutto è
maggiore
ma, risalendo ai principi, si scorge che è falso che tanta virtù di estensione è nel punto del
cerchio quanto in tutta la circonferenza. Perciò (conclude Vico) « in metafisica colui avrà profittato che nella meditazione di questa scienza avrà sé stesso perduto ». il
Giudicare (come pur talora è stato fatto) che in queste proposizioni il Vico sia nient'altro che un platonico o un seguace della tradizionale
filosofia cristiana, e
conseguenza qualsiasi importanza
alla
negare per sua prima gnoseo-
logia, significherebbe attenersi a quell'erroneo tica e di storia filosofica
modo
di cri-
alle conclusioni
quale, guardando generali di un sistema, ne trascura il contenuto particolare,
B. Croce,
La
filosofia
il
di Giambattista Vico.
%
FILOSOFIA DEL VICO
18
che solo
gli
dà
la
vera fisonomia. S'intende bene che ogni
filosofo è sempre, nelle sue conclusioni finali, o
agnostico o mistico o materialista o spiritualista, e via dicendo ossia ;
rientra in qualcuna delle perpetue categorie nelle quali si aggira il pensiero e la ricerca filosofica. Ma presentare in
questo il
modo
unilaterale
filosofi
i
giova soltanto a favorire
pregiudizio che la storia del pensiero ripeta di continuo, da un errore ad un
sterilmente, sé medesima, passando
abbandonando l'errore vecchio per il nuovo, che sarebbe anch'esso un vecchio rifatto o ritinto giovane. poi Il platonismo, agnosticismo o misticismo del Vico è somaltro e
mamente non
solo
poranea,
originale perché
non sono
ma
lo
tutto contesto di dottrine
inferiori al livello della filosofia
che
contem-
sorpassano d'assai.
La prima di queste dottrine è la teoria del conoscere come conversione del vero col fatto, sostituita al tautologico criterio della percezione chiara e distinta.
Quan-
Vico quella conversione rappresenti un ideale inconseguibile dall' uomo, non pertanto con essa viene
tunque per
il
esattamente determinata la condizione e la natura della
4
conoscenza, l'identità del pensiero e dell'essere, senza la quale il conoscere è inconcepibile. La seconda è la svelata
natura delle matematiche,
singolari per la loro origine
tra le altre conoscenze
ammirevoli
ma
inette
umane, rigorose perché a dominare e a trasformare
sapere umano. La terza dicazione del della
mondo
arbitrarie, il
restante
dottrina, finalmente, è la riven-
dell'intuizione, dell'esperienza, di quelle forme tutte
probabilità, dell'autorità,
che l'intellettualismo ignorava o negava. In questi punti l'agnostico, il platonico, il mistico Vico non era né agnostico né mistico né platonico, e compieva un triplice progresso sopra Cartesio, che, sotto tutti e tre questi aspetti, veniva da lui definitivamente criticato.
Dove, invece, Cartesio sopravanzava ancora
il
Vico era,
I.
PRIMA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
19
per l'appunto, in quel dornmatismo di cui il Vico non voleva a niun conto sapere. Riuscisse o no, Cartesio tentava una scienza scienza; e
umana
perfetta, dedotta dall'interna co-
Vico, giudicando troppo superbo il filosofo francese e disperando del tentativo, asseriva invece la il
trascendenza della verità, si appoggiava alla rivelazione e si restringeva a dare una metafisica « humana imbecillitale
dignam». La sua era una gnoseologia dell'umiltà, come quella di Cartesio della superbia. Ora, il Vico non poteva progredire anche per questo verso se non ismettendo almeno una parte della sua umiltà e acquistando qualcosa della superbia di Cartesio; introducendo nel suo spirito cattolico
un po'
del lievito di quello spirito protestante che gli sem-
brava cosi pericoloso; provandosi a* concepire una filosofia alquanto meno degna dell'umana debolezza e tanto più
degna dell'uomo, che è debole è Dio.
E
e forte insieme, è
questo progresso è manifesto nella
siva del suo pensiero.
uomo ed
forma succes-
II
La seconda forma della gnoseologia vichiana
L
volontà di credere, fortissima nel Vico, e la comdedizione del suo animo al cattolicismo del suo tempo pleta e del suo paese, lo legavano saldamente alla gnoseologia la.
e metafisica platonico-cristiana; la quale, coli psicologici,
per questi osta-
non poteva sviluppare nella mente "di
lui le
contradizioni di cui era pregna. L'idea di Dio lo domava e lo sorreggeva insieme; ed egli non aveva l'audacia né
bisogno d'investigare a fondo quale valore sia da attribuire alla rivelazione, o se sia concepibile un Dio sentiva
il
fuori del
mondo,
in qualche si
che
il
modo
come l'uomo possa affermare Dio senza dimostrarlo e perciò crearlo lui. Per far
o
Vico aprisse e in parte percorresse una nuova avrebbe condotto lo spirito umano al supera-
via, la quale
mento bile
della concezione platonico-cristiana, era indispensa-
che
la
Provvidenza (per servirci
fin
da ora di un con-
cetto vichiano, che verrà illustrato più oltre) adoperasse
verso di lui un inganno, e con lungo e tortuoso giro lo menasse all'imboccatura della nuova via, non lasciandogli sospettare dove questa avrebbe messo capo. Gli scritti, nei quali seologia,
il
De
il
Vico espose la sua prima gno-
ratione studiorum,
lorum sapientia, e
le
il
De antiquissìma
ita-
polemiche relative, appartengono
al
FILOSOFIA DEL VICO
22
quadriennio 1708-1712. Nel decennio che segui, il Vico fu tratto a darsi sempre più alle ricerche sulla storia del diritto e della civiltà.
Lesse Grozio per prepararsi a scri-
vere la vita di Antonio Carafa, e
s'ingolfò nei
dibattiti
sul diritto naturale; intensificò gli studi sul diritto
e sulla scienza del di
una cattedra
diritto in genere,
romano
per rendersi degno
di giurisprudenza nella università napole-
tana; ripensò alle origini delle lingue, delle religioni, degli Stati,
nel
tesi storiche
poco soddisfatto delle
De
da
lui sostenute
antiquissima, e forse anche intimamente scosso da
qualche critica che coglieva giusto, fattagli da un recensente del Giornale dei letterati', l'insegnare rettorica, che era
il
suo mestiere, gli porgeva continua occasione a me-
ditare sulla natura e la storia della poesia e delle forme
non è
del linguaggio. Cosicché, se
esatto dire che
il
Vico
nuovo orientamento, culminante nella seconda' Scienza nuova, mercé un processo non filosofico fu condotto al suo
ma
filologico (essendo chiaro
non può nascere fico),
se
è indubitabile
nuovo pensiero
gli
che un orientamento
filosofico
non da un processo egualmente che
il
furono
filoso-
materiale e lo stimolo pel suo offerti dagli studi filologici.
Attraverso i quali egli ebbe -a fare un'esperienza solenne: cioè, che quella materia di studio non poteva essere e non era elaborata dal suo pensiero senza l'ajuto di
che gli si ripresentavano in ogni parte della storia da lui presa a meditare. Un tempo gli era sembrato che le scienze morali, ragguagliate al metodo matematico, occupassero, quanto a sicurezza, l'in-
certi principi necessari,
fimo posto. Ora, nella quotidiana familiarità con quelle scienze, gli si veniva scoprendo il contrario: niente di più sicuro del fondamento delle scienze morali.
E
quella loro sicurezza non era la semplice evidenza cartesiana", nella quale l'oggetto, per intrinseco che si dica,
rimane estrinseco;
ma
era una sicurezza davvero intrinseca,
II.
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
23
intrinsecamente ottenuta. Nel ripiegarsi con la mente sui il Vico sentiva di appropriarsi meglio qual-
fatti della storia,
cosa che già
apparteneva, di rientrare in possesso di propri beni. Egli ricostruiva la storia dell'uomo; e che cosa era la storia dell'uomo se non un prodotto dell'uomo stesso?
Chi
gli
storia se
fa la
non
la
fa
l'uomo, con le sue idee, i la sua volontà, la sua
suoi sentimenti, le sue passioni,
azione?
E
stesso che
lo spirito si
umano, che
fa la storia,
non
è quello
adopera a pensarla e a conoscerla? La verità
dei principi generatori della storia nasce, dunque, non dalla forza dell'idea chiara e distinta, ma dalla connessione indissolubile del soggetto con l'oggetto della conoscenza.
che importava che la scoperta che piva, la verità che egli ora riconosceva Il
il
Vico ora com-
alle
scienze
mo-
era la visione di un nuovo nesso del principio gnoseologico già da lai formolato nel periodo precedente della rali,
sua speculazione, ossia del criterio della verità riposto nella conversione del vero col fatto. La ragione da lui addotta, per
la
umano,
quale l'uomo può avere perfetta scienza del mondo è per l'appunto che il mondo umano l'ha fatto l'uo-
mo stesso; e « ove avvenga che chi fa le cose esso stesso le narri, ivi non può essere più certa l'istoria ». Con questo riattacco alla precedente teoria l'affermazione circa la possibilità delle scienze morali
non prese,
soggettivamente, nello spirito del Vico l'importanza e non portò le conseguenze di una rivoluzione, che gli sconvolgesse da cima a fondo l'assetto delle sue idee e lo costringesse a procurarne uno affatto nuovo. Quell'affermazione
parve a
da una parte, una conferma della sua vecchia un esempio aggiunto agli altri che aveva già recati
lui,
dottrina,
di scienza perfetta (scienza divina dell'universo e scienza
umana del
del
mondo matematico);
e dall'altra, un'estensione
cui limiti (perché certi limiti sus-
campo conoscitivo, sistevano sempre) aveva tracciati dapprima in i
modo troppo
X
FILOSOFIA DEL VICO
24
Prima, aveva circoscritto una breve sfera luminosa mezzo a un vasto campo buio o fiocamente illuminato; ora, la sfera luminosa si ampliava di un tanto, e di altrettanto scemava la zona tenebrosa. Ampliamento che non stretto.
in
gettava punto in conflitto con
lo
sembrava
le
sue convinzioni
reli-
La non forse la libertà, responsabilità* e religione insegna consapevolezza che l'uomo ha dei propri atti e fatti? Il Vico non senti dunque il bisogno di scrivere un nuovo libro metafisico, perché gli sembrò che bastasse aggiungere una postilla al già scritto e ritoccare alquanto le sue precedenti affermazioni. La sua nuova gnoseologia, tenendo giose, e, anzi,
fermo
il
criterio generale della verità contrapposto al cri-
terio cartesiano
—e
— divideva sce, nel
favorirle ed esserne favorito.
le
cioè,
che solo chi
mondo umano;
fa le cose le cono-
mondo
cose tutte nel
e osservando che
della natura e
il
mondo
della na-
tura è stato fatto da Dio e perciò Dio solo ne ha la scienza,
restringeva l'agnosticismo solamente al mondo fisico, e dichiarava, per contrario, che del mondo umano, come fatto dall'uomo, l'uomo ha la scienza. Elevava cosi
conoscenze, dapprima meramente indiziarie e probabili, circa le cose dell'uomo al grado di scienza perfetle
ta;
ed esprimeva maraviglia che
tanto
impegno
i
filosofi
si
studino con
mondo mondo umano
di conseguire la scienza
del
natu-
o cirale, chiuso all'uomo, e trascurino il vile o delle nazioni (come anche lo chiamava), del quale è possibile conseguire
vava
la
cagione nella facilità
e seppellita nel corpo,
Di questo erramento troche la mente umana, immersa
scienza.
prova a sentire
e nello sforzo e fatica che le
le
cose del corpo,
costa d'intendere sé mede-
sima: come l'occhio corporale vede tutti gli oggetti fuori di sé e, per vedere sé stesso, ha bisogno dello specchio. In ogni altra parte, le sue idee restavano immutate. Di là dal
mondo umano,
il
mondo
soprannaturale, inaccessi-
II.
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
25
il mondo naturale, che era in certo senso anch'esso soprannaturale; di là dalla scienza perfetta che l'uomo può avere di sé stesso, la metafisica platonico-cri-
bile all'uomo, e
stiana, adatta alla debolezza, che
ad
affliggere l'uomo.
Le
continuava pur sempre
discipline naturali venivano con-
sempre come semiscienze; una formazione astratta, validissima
siderate
forza innanzi degli stoici,
il
le
matematiche come
nell'astratto, priva di
al reale. Il sillogismo di Aristotele,
il
sorite
metodo geometrico dèi cartesiani erano peramore
seguitati dallo stesso odio di prima, e con lo stesso
celebrata l'induzione che il Verulamio, « gran filosofo insieme e politico », commendava e illustrava nel suo Organo, e che gl'inglesi adoperavano con gran frutto della
sperimentale
filosofia.
Un ravvedimento
circa l'applicabilità del metodo geometrico potrebbe sembrare la frequente asserzione del Vico che la scienza delle cose umane sia da lui costruita con
uno
«
stretto
metodo geometrico
».
Ma, anche a lasciar
la struttura della Scienza nuova è proprio l'opposto di quella geometrica, è un fatto che, nel tempo stesso e negli stessi libri, "egli non cessa di mettere in guardia
andare che
metodo matematico nelle cose fisiche e ove non sono figure di linee o di numeri quale
contro l'uso del morali,
il
«
non porta necessità, spesso invece di dimostrare il vero può dare apparenza di dimostrazione al falso » onde il preteso ravvedimento sarebbe una palmare contradizione, se non gli si potesse dare un significato che ristabilisce o
;
interamente la coerenza nelle idee del Vico.
Un
signifi-
cato assai sémplice, perché, riconosciuta ormai alle scienze morali non meno che alla geometria la potenza di convertire il vero col fatto, esse potevano e dovevano svolgersi con metodo analogo a quello sintetico della geometria, () con cui da vero si passa a immediato vero, e seguire il *
mondo umano
dai suoi inizi ideali nei suoi progressi fino
FILOSOFIA DEL VICO
26
non doveva sperare di poter intendere le loro dottrine per salti, ma doveva percorrerle per gradi da capo a piedi, senza recalcitrare alle conclusioni inaspettate che ne uscissero, come non alla sua perfezione, sicché lo studioso
si
geometria, e attendendo solsaldezza del nesso tra premesse e
recalcitra a quelle della
tanto a esaminare
la
Era, dunque, codesto un metodo chiamato geometrico per analogia o per sineddoche, ma in effetti intrinsecamente speculativo, da non confondere con l'ap-
conseguenze.
plicazione della matematica alle cose morali, quale ne avevano dati esempì i cartesiani e lo Spinoza.
Né
si
può concedere senza riserve
il
giudizio di alcuni
Vico in realtà, con l'ammettere una scienza dell'uomo da investigarsi nelle modificazioni stesse
interpetri
che
:
il
mente umana, si ravvicinasse e facesse seguace Cartesio; al qual uopo si suole addurre anche l'altra
della
chiarazione di
convenisse
né
lui,
che, per pensare la sua Scienza nuova,
ridursi a
né
filosofi
mondo
«
filologi
».
di di-
uno
stato di
somma
ignoranza, come
né libro alcuno fossero mai Vico con
Certamente, gnoseologia entra anche lui il
la
nuova forma
stati al
della sua
nel soggettivismo della filosofia moderna inaugurato da Cartesio (anzi, vi era già entrato, in certo modo, con la sua dottrina attivistica
come rifacimento
della verità gnificato
del
tutto
generico può
siano. Pure, se a Cartesio
ché
ma
dirsi,
e,
in questo si-
anche
rimane ancora
lui,
carte-
inferiore, per-
suo soggettivismo è principio non della scienza tutta di quella sola del mondo umano, per un altro verso si il
pone rità
del fatto);
di sopra al filosofo francese, in quanto, per meditata nel mondo umano non è statica
lui, la
ma
ve-
dina-
mica, non è trovata ma prodotta, è scienza e non coscienza. Per quel che concerne poi l'esortazione a far conto
come
se
non vi fossero mai stati libri al mondo né plaessa non importa altro se non che
citi di filosofi e di filologi,
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
II.
27
bisogni spogliarsi di ogni pregiudizio, di ogni comune invecchiata anticipazione, di ogni corpulenza proveniente da fantasia o da memoria, per ridursi
tendimento, informe
di
«
in istato di
puro inogni forma particolare », com'è
indispensabile per la scoperta e l'apprendimento di ogni nuova verità e tanto poco qui l'esortazione ha il significato cartesiano e malebranchiano di un rifiuto della erudizione ;
e
dell'autorità,
che,
per
non
dir
altro,
nel
medesimo
luogo al quale di sopra si è alluso, si trova avvertito che la Scienza nuova « suppone una grande e varia cosi dottrina
», dalle quali prende le verità come valersene da termini per fare le sue
come erudizione
già conosciute per proposizioni.
Nella nuova sua gnoseologia il Vico, insomma, diventa non già più cartesiano ma sempre più vicinano, sempre più lui. Cartesio non pare gli servisse neppure come tra-
mite attraverso cui giungere alla persuasione della possibilità di costruire con la mente la scienza della mente. Il tramite vero
fu
il
criterio
messo a contatto con
le
stesso vichiano
osservazioni
della verità,
che l'autore venne
facendo nel corso dei suoi studi storici. Che se sero cercare precedenti,
nella storia
della
si
voles-
filosofia,
alla
seconda forma della gnoseologia del Vico, bisognerebbe, circa la divisione dei due mondi di realtà e delle due sfere di conoscenza, e circa la preferenza manifestata per le in-
dagini morali rispetto alle naturali, correre col pensiero alla posizione assunta da Socrate verso i fisiologi del suo
tempo,
al
sentimento di religioso mistero onde il filosofo innanzi al mondo della natura e si ri-
attico arretrava
volgeva a indagare
la
conformazione dell'animo umano. E,
circa la maggiore trasparenza delle scienze morali in quanto concernono cose che l'uomo stesso ha prodotto, si potrebbe
richiamare la partizione aristotelica delle scienze in fisiche, che considerano il movimento estrinseco all'uomo,
FILOSOFIA DEL VICO
28
e in pratiche e poietiche, che considerano le cose prodotte
La
dall'uomo. scuole; e «
ordo qnem
dell'attività
facit ». il
distinzione era passata nella filosofia delle
Tommaso d'Aquino
Ma
parla
ratio considerai sed
umana come
«
non
della
natura come
facit », e del
mondo
ordo quem ratio considerando
queste riferenze non sono indicate dal Vico,
quale pure assai
compiaceva nel fare omaggio dei filosofi e, ammesso anche che
si
propri pensieri agli antichi
;
avessero qualche efficacia sopra di lui, è certo che tra esse e la dottrina vichiana sulla conoscibilità del mondo umano corre distanza non minore che tra la proposizione dell'onniscienza di Dio creatore e il principio gnoseologico che
seppe ricavarne. Di questo principio, la dottrina vichiana sulle scienze
egli
morali è né più né meno che la prima legittima applie inesattamente il suo autore (come di solito,
cazione;
ebbe a presentarla quale semplice estensione delle applicazioni già date, un secondo caso aggiunto a quello già contemplato delle scienze matematiche. poi, gl'interpetri)
Nel caso delle scienze matematiche, il principio della conversione del vero col fatto veniva applicato solo in
apparenza. Originale vera
la
falsa la
e vero, quel principio; originale e
matematiche; del tutto artificiale e connessione delle due verità. Mancava (se non
teoria
delle
c'inganniamo) un effettivo rapporto tra il concetto di Dio che crea il mondo, e, perché lo crea, lo conosce; e quello di colui che costruisce arbitrariamente un mondo di astrazioni e, nel fare ciò,
non conosce nulla o conosce soltanto
(quando non è più geometra o aritmetico quando scrive non gli Elementi di Euclide ma
De
ma le
filosofo,
pagine di
che egli procede arbimatematiche foggiano i concetti a libito, se producono finzioni e non verità, esse, a dir vero, non sono scienze né conoscenze di sorta, e non
gnoseologia del trariamente. Se
antiquissima)
le discipline
II.
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
c'è possibilità di porle a riscontro con
29
la scienza divina,
che è scienza della reale realtà. Nelle matematiche (diceva contenendo dentro di sé un immagiil Vico) « l'uomo,
nato mondo di linee e di numeri, opera talmente in quello con l'astrazione, come Dio nell'universo con la realtà ». Il
ma
riscontro può riuscire brillante,
risplende, forse, di
luce piuttosto metaforica che logica. Nelle scienze morali, invece, il riscontro è tanto logico,
che deve
qualitativamente,
il
medesimo
pensiero divino conosce il titativamente più ristretto, al
mondo
qui crea
il
è,
del divino, e al pari del
mondo umano
della natura. Nel
;
sebbene, quan-
come quello, campo umano, non più espe-
non
si
estenda,
non più
finzioni, non più falsificazioni concretezza del conoscere. L'uomo maggiore mondo umano, lo crea trasformandosi nelle cose
dienti di debolezza, si
umano
dirsi senz'altro coincidenza. Il sapere
:
è nella
sua creazione, ripercorre a rifa id ealmente e perciò conosce con scienza. Questo è davvero un mondo, e
civili; e, col pensarlo, ricrea la
vie già percorse,
vera e piena
l
l'uomo è per davvero
il
Dio di questo mondo.
Ci sembra, dunque, incontrastabile che solamente l'applicazione del verum- factum, quale si effettua nella Scienza
nuova, risponda al criterio stabilito; e che l'altra che ne era stata anteriormente tentata per le matematiche, importante per altri rispetti e validissima a liberare gli spidal pregiudizio matematico, non si possa considerare
riti
vera e propria applicazione. E, forse,
il
Vico ebbe talvolta
qualche sentore della differenza tra le due applicazioni, la propria e la metaforica, che per solito confuse come iden-
La scienza del mondo umano (egli dice) appunto come la geometria che, mentre sopra
«
tiche.
menti
il
costruisce o
'1
contempla, essa stessa
i
si
procede suoi elefaccia
il
delle grandezze; ma con tanto più di realità quanta più ne hanno gli ordini d' intorno alle faccende
mondo
X
FILOSOFIA DEL VICO
30 degli uomini, che o figure
».
cendeva a
E un
non ne hanno altro
indizio
punti, linee, superficie
della coscienza che
si
ac-
avere per la prima volta, nella umano, ritrovata una conoscenza
tratti in lui di
dottrina circa
il
mondo
vera e propria (non una mera finzione di conoscenza), potrebbe vedersi nell'uso assai più convinto, più caldo ed entusiastico che egli fa, in questo caso, dell'epiteto
vino
» ;
ironico,
«
di-
ben diverso da quello freddo, se non propriamente dell' « ad Dei instar » nel De antiquissima. Le
prove della Scienza nuova (dice più d'una volta, con rapimento) « sono d'una spezie divina, e debbono, o leggitore, arrecarti un di v in piacere, perocché in Dio il conoscere e
fare è una medesima cosa! La conversione del vero col
il
non* poteva
».
fatto nelle scienze morali
non ripercuotersi nella trattazione del certo uno dei parecchi significati, e forse il prin-
ossia (secondo cipale, che
il
Vico attribuisce a questa parola) delle co-
gnizioni storiche al
commune
(del peculiare, certuni, contrapposto
o veruni);
il
che forma
della seconda gnoseologia logia, quelle cognizioni si
l'altro tratto
vichiana.
importante Nella prima gnoseo-
erano legittimate e protette, come
è visto, col parificarle a ogni altra sorta di conoscenze
tutte
egualmente deboli o egualmente
forti,
perché tutte
fondate sulla probabilità e sull'autorità, sia dell'individuo (autopsia) sia del genere umano. Ma, redenta dall'autorità e dalla probabilità la
conoscenza dello spirito umano e delle
sue leggi, le cognizioni storiche, quantunque di loro natura fondate sempre in qualche modo sull'autorità, venivano rischiarate di nuova luce. Il certo doveva entrare in un nuovo rapporto, perché aveva ormai di fronte non un altro certo, ossia una semplice conoscenza probabile circa lo spirito umano, ma un vero, una conoscenza filosofica.
Questo rapporto è chiamato di filosofia e filologia,
la
altresì dal
Vico
il
rapporto
prima delle quali versa circa
II.
«
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
necessaria naturai
»
osserva l'autorità onde viene la coscienza del certo.
L'una considera (avrebbe detto «
contempla la ragione onde viene seconda circa « piatita fiumani ar-
e
la scienza del vero, la bitrii » e
31
l'universale, l'altra
vérités de fait ».
tutto, presso
il
l'una
l'individuale,
Leibniz) le « vérités de raison », l'altra le Distinzione che non è mantenuta dapper-
il
Vico, nella
medesima nettezza
tanto che a
;
volte l'autorità contrapposta alla ragione diventa, secondo lui, parte della ragione stessa, o si confonde con la conoscenza dell'arbitrio umano, contrapposta a quella della vo-
ma
lontà razionale;
E
di cui è per altro chiarissimo
«
» il
senso
il
Vico non intende solamente
per filologia generale. lo studio delle parole e della loro storia, ma, poiché alle parole sono annesse le idee delle cose, anzitutto la storia delle
cose; onde
i
filologi
debbono trattare
alleanze, viaggi, commerci, di
attenga
somma
(nel
vita
letterature,
dell'uomo nel mondo.
significato
esatto) abbraccia
ma
di guerre, paci,
e monete,
leggi
che
cronologia, e di ogni altra cosa
di geografia e di alla
costumi,
vichiano,
non solamente
La
che è poi
la storia delle
si
filologia inil
significato
lingue o delle
quella altresì delle idee e dei
fatti,
della
filosofia e della politica.
Certamente, la filologia, le verità di fatto, il certo non sempre erano stati brutalmente maltrattati come dai cartesiani.
Il
Grozio aveva dato esempio di vastissima erudi-
zione storica, messa a servigio delle sue dottrine sul diritto naturale. Il Gravina, contemporaneo e connazionale del Vico, richiedeva
come necessarie
la « ratiocinandi ars »,
la « notitia
temporum
».
ma E
il
al giurisperito
non
solo
la « latince linguai peritia » e
Leibniz, or ora ricordato, rias-
l'importanza dell'erudizione contro i cartesiani e padroneggiava da gran signore i più svariati aneddoti stoseriva
che profondeva a piene mani nei suoi libri. Ma notava che filosofia e filologia rimanevano tuttavia,
rici,
il
Vico
ai suoi
FILOSOFIA DEL VICO
32
tempi, estranee l'una all'altra, tutto presso
greci e
i
i
come erano
romani:
oratori, filosofi e poeti, che
il
state quasi del
tanti luoghi di storici, Grozio accumulava, costituimedesimo il Vico avrebbe giui
vano un puro ornamento e il dicato forse (se ne avesse avuto conoscenza e ce ne avesse comunicato il suo giudizio) del largo uso che il Leibniz ;
faceva della storia. Leggendo i libri dei filologi, egli protal senso di vuoto e di fastidio per l'affastellamento
vava un
inintelligente delle notizie storiche, che era tratto quasi a
dare ragione
(e
dovè darla per qualche tempo incondiziona-
tamente) a Cartesio e al Malebranche nel loro odio contro l'erudizione. Senonché (pensò dipoi), quei due filosofi, in
cambio
di sprezzare l'erudizione, avrebbero
tosto indagare se
non
lologia ai principi della filosofia; e
invece di arrecare
i
fatti
a
di
pompa
i
a scienza:
ceco
il
fi-
filologi, da parte loro, erudizione, debbono ini
dustriarsi di elaborarli a fini di scienza.
da ridurre
dovuto piut-
fosse stato possibile richiamare la
La filologia
è
pensiero del Vico circa
rapporti del certo col vero, della filologia con la filosofia. Che cosa vuol dire ridurre la filologia, o la storia, che
è lo stesso, a scienza o a filosofia?
non è
ma
non perché
possibile,
A
tratti
si
anzi perché quelle sono omogenee
trinsecamente
filosofia;
rigore, la riduzione di :
cose eterogenee, la storia è già in-
non è possibile proferire
la
più pic-
cola proposizione storica senza plasmarla col pensiero, cioè,
con
Ma
la filosofia.
poiché questo presupposto filosofico della filologia allora non era avvertito (come non fu molto spesso neppure nei tempi seguenti), e facilmente veniva
negato; poiché
i
dal
come sappiamo,
più,
ristocratica filosofia
geometrica,
profanum vulgus
ceva prima
il
dei
casi
Vico stesso) una
o concepivano un'a-
disdegnosa e aborrente storici, ovvero (come fa-
filosofia e
una
storia egual-
mente poco rigorose e meramente opinabili; tato
il
suo punto di vista
filosofico,
raggiunta
il
la
Vico,
mu-
coscienza
II.
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
33
del metodo speculativo nella scienza dell'uomo, inteso più
profondamente lo spirito umano, doveva scorgere quanto ci fosse da riformare nella storiografia corrente, sentire bisogno di una più perfetta filologia come conseguenza e in termini gnoseologici con formola del richiamare alla filosofia esprimerlo quella il
della sua più perfetta filosofia,
la filologia, « ut hcec posterior, ut
prioris sit conDoveva, in altre parole, togliere la storia dalla
».
sequentìa
par
est,
sua condizione d'inferiorità, dalla servitù al capriccio, alla vanità, al moralismo, alla precettistica o ad altri fini estrinriconoscerle
seci, e
sario
complemento
filosofia si
il
fine
proprio e intrinseco di neces-
del vero universale. In pari tempo, la
sarebbe riempita di storia, affiatata con la storia;
e da questo affiatamento avrebbe acquistato maggiore larghezza e un senso più vivo della realtà concreta da spiegare. Tale, senza dubbio, è uno dei significati che ha la formola vichiana del congiungimento di filosofia e filologia e della riduzione della filologia a scienza.
Ma non meno formola,
il
è fuori dubbio che, nel pronunziare quella
Vico voleva qualcosa di più
deva qualcosa
d'altro.
e,
di solito, inten-
Questo qualcos'altro può, nel modo
più diretto, essere chiarito dall'appello che egli fa al Ba-
metodo di filosofare più accertato »: metodo espresso nel titolo del libro baconiano: Cogitata et visa, e che il Vico si proponeva di « trasportare dalle naturali alle cone e
al
suo
«
umane
cose civili». Esigeva, insomma, la costruzione di una storia tipica delle società umane (cogitare), da riscontrare poi nei fatti (videre), accertando coi fatti la costruzione ideale e avverando con la costruzione ideale i fatti, confermando la ragione con l'autorità e l'autorità con la ragione; di una scienza che fosse insieme filosofia dell'umanità e storia universale delle nazioni. Ora questa costruzione che egli esigeva, questo qualcosa di mezzo tra il
cogitare e
B. Croce,
La
il
videre, tra
filosofìa
il
pensiero e l'esperienza, questo
di Giambattista Vico.
3
FILOSOFIA DEL VICO
34
misto dei due processi, è intrinsecamente diverso dalla unita, di
filosofia e filologia
in
quanto interpetrazione
filosofica
dei dati di fatto. Questa interpetrazione è la storia vivente l'altra
non
è
né
filosofia
né
storia,
;
ma una scienza em-
pirica dell'uomo e delle società, materiata di schemi che non sono le extratemporali categorie filosofiche e neppure
individuali fatti storici (benché senza categorie
gì'
fi-
non potrebbero mai costruirsi) una scienza empirica, e perciò né esatta né vera, ma solosofiche e senza fatti storici
:
lamente approssimativa e probabile, e soggetta a verificazione e rettificazione da parte cosi della filosofia come della storia.
Sarebbe impossibile determinare quale di codesti due significati della filologia ridotta a storia sia quello proprio
del Vico, perché nel suo pensiero si trovano tutti e due ; o quale prevalga, perché effettivamente prevale ora l'uno ora l'altro, quantunque il secondo, quello empirico, sia più di frequente formolato. Anzi si potrebbe dire che, quando
Vico intitolava Scienza pale dei significati che si
riferiva
nuova
la
sua opera,
dava a questo
il
princi-
titolo « invidioso »,
appunto a quella scienza empirica:
alla scienza
cioè che fosse insieme filosofia e storia dell'umanità,
alla
leggi eterne sopra le quali corrono i fatti di tutte le nazioni nei loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini. Il Vico, in realtà, non unificò mai (e non
storia ideale delle
poteva)
i
due diversi
significati, e
quale, appunto perché
non era
ne serbò
distinta chiaramente, pren-
deva apparenza d'identità. Di qui zione di entrambe le tendenze che
la si
parziale
metodo
metodo speculativo,
il
altri
Vico profesche il suo
fosse, nell'idea e nell'attuazione, empirico, indut-
tivo e psicologico
stema
il
giustifica-
sono manifestate tra
gl'interpetri, dei quali alcuni vogliono che
sasse e adoperasse
la duplicità, la
di
filosofia
;
gli
uni che egli mirasse a dare un sigli altri che si propo-
dell'umanità,
II.
SECONDA FORMA DELLA GNOSEOLOGIA
35
nesse una sociologia o una demopsicologia. Unilaterali entrambi, ma i secondi più dei primi, perché se in verità nel Vico c'è del Bacone e c'è del Platone, dell'empirista e del filosofo, quando poi si colga il carattere del suo
nell'intimo del
ingegno, quando
si
e
suoi dissidi e al suo
si
si
partecipi
ai
penetri
deve riconoscere che
era della stoffa di
il
suo spirito,
magnanimo
sforzo,
Vico, checché volesse e credesse,
un Platone
non
—
un Bacone; che è mezzo parla immaginato da e
di
Bacone stesso del quale egli e che la Scienza lui, è un Bacone alquanto platonizzato nuova gli pareva, in fondo, cosi nuova non perché fosse un'empìrica costruzione baconiana (nel quale caso niente il
;
di più vecchio, e di
i
bastando ricordare
Discorsi del Machiavelli),
una nuova
filosofia,
la
parte, attraverso tutta la
ma
—
la Politica di Aristotele
perché era tutta pregna quale, infatti, irrompe da ogni sua empiria.
Ili
La struttura interna della
JUa poca chiarezza logia,
l'
circa
indistinzione dei
il
scienza nuova
rapporto di
due modi
filosofia e filo-
affatto diversi
di con-
riduzione della filologia a scienza, sono consecepire e guenza cagione insieme dell'oscurità che regna nella « Scienza nuova » Col quale nome intendiamo tutto quel la
.
complesso di ricerche e dottrine che il Vico venne mettendo fuori dal 1720 al 1730, anzi al 1744, e che, elaborato tre opere del
precipuamente nelle
uno
De uno
universi iuris
principio prima seconda Scienza nuova, ha nella redazione definitiva di quest'ultima la sua forma et fine
e della
e
più sviluppata e matura, alla quale principalmente giova riferirsi.
La Scienza nuova,
in
modo conforme
al vario
signifi-
cato dei termini e del rapporto tra filosofia e filologia, consta di tre ordini di ricerche: filosofiche, storiche ed empiriche; e contiene tutt' insieme rito,
una storia
(o
gruppo
di
una filosofia dello spistorie), e una scienza
sociale. Alla prima appartengono
le
idee, enunciate
in
alcuni assiomi o dignità e sparse altresì nel corso dell'opera, sulla fantasia, sull'universale fantastico, sull'intelletto e l'universale logico, sul mito, sulla religione, sul giudizio morale, sulla forza e il diritto, sul certo e il vero, sulle
FILOSOFIA DEL VICO
88
passioni, sulla provvidenza, e tutte le altre determinazioni
concernenti dello
il
corso o sviluppo necessario della mente ossia
umano. Alla seconda,
spirito
ossia alla storia, l'ab-
una
bozzo storia universale delle razze primitive dopo il diluvio e dell'origine delle varie civiltà; la caratteristica di
della società barbarica o eroica antica in Grecia e specialin Roma sotto l'aspetto della religione, del costume, del diritto, del linguaggio, della costituzione politica; l'in-
mente
dagine sulla poesia primitiva, che si esemplifica poi più largamente con la determinazione della genesi e del carattere
poemi omerici
dei
;
la storia delle lotte sociali tra patriziato
e plebe e dell'origine della democrazia, studiata anch'essa
principalmente in
Roma
;
la caratteristica della barbarie ri-
corsa, ossia del medioevo, anch'esso
studiato in
tutti gli
aspetti della vita e raffrontato con le società barbariche pri-
scienza
mitive. Finalmente,
alla
tentativo di stabilire
un corso uniforme
empirica
si
richiama
il
nelle nazioni, con-
cernente la successione cosi delle forme politiche come delle altre e correlative manifestazioni teoretiche e pratiche della vita, e
tanti tipi che
i
ziato, della
il
Vico viene delineando del patri-
plebe, del feudalesimo, della patria potestà e
della famiglia, del diritto simbolico, del linguaggio metaforico, della scrittura geroglifica, e via discorrendo.
Ora
se questi tre ordini di ricerche e dottrine
fossero
logicamente distinti nella niente del Vico e solo letterariamente mescolati e compressi in un medesimo libro,
stati
questo sarebbe potuto riuscire disordinato, sproporzionato, disarmonico, e perciò faticoso a chi
ma non veramente oscuro. può
dirsi
che
la Scienza
si faccia a leggerlo, del resto, in linea di fatto, Né,
nuova, almeno la seconda ossia il Vico offri del suo pensiero,
l'esposizione definitiva che difetti di
L'opera
un disegno generale, abbastanza ben concepito. il primo dei quali dovrebbe
è divisa in cinque libri,
raccogliere
i
principi generali, cioè la filosofia;
il
secon-
III.
do, oltre
STRUTTURA INTERNA DELLA SCIENZA NUOVA
un breve cenno
39
sulla storia universale antichis-
sima, descrivere la vita delle società barbariche, e ad esso formare appendice il terzo sulla discoverta del vero Omero,
e cioè sul più cospicuo esempio della poesia barbarica; il quarto, delineare la scienza empirica del corso che fanno quinto esemplificare il ricorso col caso parE tuttavia, a dispetto di questa bella la seconda Scienza nuova, com'è la più ricca architettura, e compiuta, cosi è la più oscura tra le opere del Vico. Se, le
nazioni
;
e
il
ticolare del medioevo.
d'altra parte,
il
Vico, pur avendo ben chiare in mente le
sue idee, adoperasse una terminologia insueta o una forma troppo concisa di esposizione e troppo piena di allusioni e d'inespressi presupposti, sarebbe senza dubbio uno scrit-
ma, neppure in questa ipotesi, oscuro. La neanche risponde alla realtà, giacché il Vico
tore difficile,
quale ipotesi
è assai parco di termini scolastici e predilige le espressioni vive e popolari; è scrittore robusto ma non laconico, e spesso si compiace di ripetere le sue idee ferman dovisi sopra a
più riprese e con molta insistenza; emette in tavola tutte le sue carte, cioè tutto il materiale erudito dal quale gli
sono state suggerite le dottrine. Né, infine, si è detto molto quando si è detto che al Vico mancava piena coscienza delle sue scoperte; perché questa coscienza
più o
meno
in
tutti
mai piena. L'oscurità,
i
la
pensatori e in nessuno
manca
può essere
vera oscurità, quella che
si
avverte
che a volte avvertiva egli stesso senza riuscir mai a trovarne la causa, non è superficiale e non nanel Vico, e
sce da cagioni estrinseche o accidentali,
mente
in
oscurità d'idee,
certi nessi e
nella sostituzione con
mento arbitrario che perciò
ma
consiste vera-
nella deficiente intelligenza di nessi
fallaci, nell'ele-
introduce nel pensiero, o, per dirla nel modo più semplice, in veri e propri errori. Si potrebbe riscrivere la Scienza nuova rifacendone l'ordine e mutandone o schiarendone la terminologia (chi scrive" ha s'
FILOSOFIA DEL VICO
40
per suo conto questa prova), e l'oscurità persisterebbe, anzi si accrescerebbe, perché in siffatta traduzione fatto
perdendo
l'opera,
quella torbida
ma
forma originale, perderebbe altresì possente efficacia che può tenere luogo la
talvolta della chiarezza e che, lo spirito del lettore e
dove non illumina, scuote
propaga l'onda del pensiero quasi
per vibrazioni simpatetiche.
Che cagione
dell'oscurità, ossia dell'errore
o degli erindistinzione o confusione già notata nella sua gnoseologia circa il rapporto tra filosofìa, storia rori
del Vico, sia
l'
e scienza empirica, e sussistente
non meno nel suo
effettivo
pensiero intorno ai problemi dello' spirito e della storia umana, risulta dall'osservare come filosofia, storia e scienza
empirica
si
nell'altra
convertano a volta a volta presso di
e,
l'una
lui
danneggiandosi a vicenda, producano quelle
perplessità, equivoci, esagerazioni e temerità, che sogliono
La filosofia dello spicome scienza empirica ora come storia; scienza empirica ora come filosofia ora come storia e la
turbare
il
lettore della Scienza nuova.
rito si atteggia ora la
;
proposizione storica acquista l'universalità del principio filosofico o la generalità dello schema empirico. Per esempio, la filosofia dell'umanità assume di determinare le for-
me, categorie o momenti ideali dello spirito nella loro successione necessaria, e bene merita per tal rispetto il titolo o la definizione di storia ideale eterna sulla quale corrono nel tempo le storie particolari, non potendosi concepire nessun frammento, per piccolo che sia, di storia reale,
dove non operi quella storia ideale. Ma poiché storia ideale anche pel Vico la determinazione empirica dell'ordine in
è
cui
si
succedono
le
forme delle
civiltà, degli stati, dei lin-
stili, delle poesie, accade che egli concepisca empirica come identica alla serie ideale e fornita delle virtù di questa; onde la pronunzia tale che debba
guaggi, degli la serie
sempre esattamente riscontrarsi nei
fatti, « fosse
anco che
STRUTTURA INTERNA DELLA SCIENZA NUOVA
III.
nell'eternità nascessero di
tempo
tempo mondi
in
41
infiniti *;
che è apertamente falso, non essendovi alcuna ragione che si ripetano in perpetuo (col « dovette, deve e dovrà ») il
le
empiriche aristocrazie di Grecia o di Roma, e
le civiltà
sorgano o decadano per l'appunto come sorsero o decaddero quelle antiche. E nel medesimo atto di questo assolutizzamento del corso empirico, il corso ideale si vela di
un'ombra empirica, perché, reso identico
all'altro, riceve
temporalizza, da eterno ed extratemporale che era nella concezione iniziale. Si dica il
carattere empirico dell'altro, e
il
medesimo
delle singole
si
forme dello
spirito, le quali,
come
ed extratemporali, sono tutte e sempre in ogni singolo fatto; ma il Vico, confondendole coi fatti reali e concreti che la scienza empirica fissa nei suoi schemi, viene, ideali
subito dopo averle proposte, ad abbuiarle nella loro ideale forma e distinzione. È vero che il momento della forza
non
e quello della
giustizia;
ma
il
tipo empirico della
società barbarica fondata sulla forza, appunto perché è
una
determinazione rappresentativa e approssimativa, e si riferisce a uno stato di cose concreto e totale, non contiene solamente forza,
si
anche giustizia;
e
quando quel momento come iden-
ideale e quel tipo sono scambiati fra loro e presi
da una parte il concetto filosofico della forza s'intorbida di quello di giustizia e, facendosi ibrido e contradittici,
torio
e
si
incoerente,
sforma, dall'altra
il
tipo
empirico
della società barbarica viene esagerato e di troppo irrigidito. si
La confusione dell'elemento
può
dire manifesta nella
«
filosofico e dell'empirico
dignità
»
che definisce
la na-
non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascono lo cose»; dove appaiono messi insieme le guise e i tempi, tura
delle
cose:
«
la genesi ideale e la
simo che
la storia
Natura di cose
altro
genesi empirica. Similmente, è veris-
debba procedere d'accordo con
la filo-
FILOSOFIA DEL VICO
42 e
sofìa,
che quello che è filosoficamente ripugnante non giammai storicamente accaduto ma, poiché
possa essere
per
il
egli,
è
dove
il
documento
schema
cumenti
come
manca
della scienza empirica, s'illude di
dissipi le dubbiezze, risolve
dice,
«
lecito.
e,
aver fatto
ri-
il
dubbio col prenderli, leggi », cioè sem-
Ma
il
che, in via d'ipotesi, è cer-
queir ipotesi »,
invece, pel Vico,
una
riscontro coi
che
è,
sicché
il
fatti,
pure raccomanda per conferma, dovrebbe essere su-
perfluo; o, se
i
fatti
nel riscontro risultassero contrari,
dovrebbe essere dei
dell'ipotesi, affermata fica.
verità,
gli fornisce lo
in conformità delle
verità meditata in idea
torto
filosofia
«
egli
tamente
egli
sicuro
tuttavia
della
vuoto con la congettura che
pre dello schema empirico; «
nessuna
e perciò
anche, trovandosi innanzi prove metafisiche ». attendere che la scoperta ài altri doanziché dubbi,
corso a fatti
il
gli
sente
si
applicabile,
riempiendo
a
;
la filosofia è indistinta dalla scienza empirica,
Vico
Di qui
la
fatti,
come
cioè dell'apparenza,
il
non mai
verità indubbia perché filoso-
tendenza, che è nel Vico, a
come
fare,
si
dice, violenza ai fatti.
Bastino questi esempì a indicare
il
vizio intimo di strut-
tura che è nella Scienza nuova, e a" porre uno dei capisaldi della nostra esposizione e della nostra critica del
pensiero vichiano, nel corso delle quali molti ci si faranno spontaneamente innanzi e anche
altri i
esempì
già dati sa-
ranno meglio schiariti. Ma un altro caposaldo che bisogna bene stabilire è che quel vizio è il vizio di un organismo sommamente robusto, e che gli ordini di ricerche che ven-
gono dal Vico confusi sono
costituiti
di straordinaria novità, verità e il
vizio
medesimo che s'incontra
gegni assai originali e inventivi,
da
effettive
ricerche
importanza. E, insomma, di i
frequente presso gl'inquali di rado portano a
perfezione nei particolari le loro scoperte; laddove gl'ingegni meno inventivi sogliono essere più. esatti e conse-
III.
STRUTTURA INTERNA DELLA SCIENZA NUOVA
guenti. Profondità e con pari vigore; e
43
acume non sempre vanno insieme e molto il Vico, quantunque non fosse
acuto, era sempre molto profondo. Luce e tenebre, verità ed errore che
alternano e in-
si
crociano quasi a ogni punto della Scienza nuova, sono diversamente appresi secondo le diverse anime dei lettori e
eminenti com'è questo del Vico, si possono scorgere in modo più netto tali diversità. Vi sono anime restie e diffidenti, pronte a notare ogni più piccola critici; anzi, in
casi
contradizione, inesorabili nell'esigere
mazione, vigorose nel
maneggiare
le
prove di ogni afferdilemmi
le tenaglie dei
che stritolano senza pietà un povero grand'uomo. Per costoro l'opera del Vico (e molte altre della stessa qualità) è
un
libro chiuso; e, tutt'al più, offrirà
loro
l'argomento
per una di quelle cosi dette « demolizioni », che essi compiono con grande facilità e gusto, sebbene con scarso successo, perché l'uomo da essi ucciso, dopo morto, suole restare più vivo di prima.
Ma
vi
sono altre anime, che
prima parola che vada diritta al loro cuore, al primo raggio di verità che lampeggi ai loro occhi, si aprono tutte con desiderio, si abbandonano con fiducia, s'inebriano d'entusiasmo, non vogliono sapere di difetti, non scorgono alla
difficoltà, o le difficoltà
ficano
nel
modo più
appianano subito e
i
difetti giusti-
quando per caso scrivono, le loro scritture si configurano come « apologie ». E per costoro è da temere che la Scienza nuova sia un libro troppo aperto. Certamente, se fra questi due atteggiamenti opposti non ce ne fosse un terzo, se bisognasse risolversi di necessità per l'uno o per l'altro, sarebbe da preferire il peccato del troppo vivo amore a quello della semplice,
e,
gelida indifferenza, la troppa fede, che pur lascia cogliere qualche aspetto del vero, alla nessuna fede che non ne
Ma un terzo atteggiamento è possied è doveroso pel critico: quello di non perdere mai
lascia vedere alcuno. bile,
FILOSOFIA DEL VICO
44 di vista la
giungere
luce,
ma
allo spirito
di
non dimenticare
passando oltre
le oscurità;
ma
la lettera,
di
di
non
trascurare la lettera, anzi di ritornarvi di continuo, pro-
curando di mantenersi interpetre libero amante fervido ma non cieco. I
due capisaldi
stabiliti,
riconosciuti propri della
confusione perciò
o
la
il
ma
non
fantasioso,
vizio e la virtù che si sono
mente del Vico,
la
sua geniale
sua genialità confusionaria,
impongono
come generale canone ermeneutico
di
andare
separando per via d'analisi la schietta filosofia che è in lui dall'empiria e dalla storia con le quali è commista e quasi incorporata (e altresì queste da quella), e di notare via via gli effetti e le cause della commistione. Le scorie non
possono essere considerate inesistenti, congiunte come sono all'oro nello
stato
di
natura,
ma non debbono
impedire
di riconoscere e purificare l'oro; o, fuori di metafora, la
storia dev'essere storia senza dubbio,
è intelligente.
ma
tale
non è
se
non
IV
La forma fantastica del conoscere (La poesia e
D."elle
forme dello spirito
nuova, principalmente, e quelle tutt'
il
Vico studiò, nella Scienza
potrebbe dire esclusivamente, individualizzanti, che egli designava
o
inferiori
insieme col
tico la
il linguaggio)
nome
fantasia, nello
di
si
«
certo »:
spirito
—
nello spirito teore-
la
pratico
forza o arbitrio,
e nella scienza empirica corrispondente alla filosofia dello spirito, la civiltà
barbarica o sapienza poetica, la cui in-
vestigazione costituisce il
(come
egli stesso dice) « quasi tutto
».
corpo dell'opera Perché e come egli prendesse cosi forte interesse a co-
deste forme inferiori e alle società primitive e storie bar-
bariche che
le
rappresentavano, è anche qui, nell'aspetto il Vico ebbe a condurre
estrinseco, spiegato dagli studi che sul diritto
romano
tradizione
umanistica
e sui tropi e le figure
ancora viva
allora rinvigorito per le
in
rettoriche, dalla Italia,
scienze archeologiche,
dal
culto
dalla cu-
riosità
che spingeva a indagare l'antichissima civiltà
liana,
e
via
enumerando.
Ma
altri
ita-
non pochi, nel suo
tempo e nel suo stesso paese, trattarono le medesime materie senza punto acquistare la predilezione e la penetrazione
del
fantastico, dell'ingenuo,
del
violento:
cose
FILOSOFIA DEL VICO
46 delle quali
lo
stesso Vico possedeva la predilezione,
ma
penetrazione, quando compose il De antila ragione piena di queir interessamento Sicché quissima. si vede quando si consideri l'origine del Vico filosofo e si
non ancora
la
tenga presente spirito
me
il
carattere della sua mente, antitetica allo
cartesiano. Il cartesianismo, tatto rivolto alle for-
universalizzanti e astrattive, trascurava le individua-
lizzanti; e tanto più
come da un
il
Vico doveva essere attirato da esse
cartesianismo rifuggiva con orrore dalla selva selvaggia della storia; e il Vico s'internava mistero.
Il
bramoso
in quella parte appunto della storia, nella quale, per cosi dire, è più forte il sentore della storicità: nella storia che è più lontana e diversa dalla psicologia delle età colte. tutti
cartesianismo generalizzava questa psicologia a tempi e a tutti i popoli, e il Vico era portato a in-
Il i
dagare nelle loro profonde differenze e opposizioni
i
modi
di sentire e di pensare delle varie età.
Lo
sforzo grande che bisognava fare, e che egli stesso
per riprendere, attraverso l'intellettualismo moderno, la coscienza della psicologia primitiva, è espresso dal Vico, fece,
dove parla delle « aspre difficultà ricerca di ben venti anni », per
umane nature
nostre
le
ci
», «
che
gli
era costata
« la
discendere da queste
ingentilite a quelle
affatto
è affatto negato
fiere
ed
e sola-
immani, quali d'imaginare mente a gran pena ci è permesso d'intendere »; o, poco ora che diversamente, quando insiste sull'impossibilità le menti umane sono troppo ritirate dai sensi perfino
—
il
presso
volgo, adusate ai tanti vocaboli astratti, assotti-
gliate con l'arte dello scrivere, quasi spiritualizzate dalla
pratica
dei
numeri
—
di
entrare nella vasta immagina« le menti dei quali di nulla
tiva dei primi uomini, erano astratte, di nulla assottigliate, di nulla spiritua-
anzi tutte profondate nei sensi, tutte rintuzzate passioni, tutte seppellite nei corpi », e di formare
lizzate,
dalle
LA POESIA E
IV.
natura simpatetica ». E quello sforzo, trionfante, che aveva dovuto compiere, era
l'idea, per es., della
ma
doloroso
«
un'altra delle ragioni per
va
le
quali egli sentiva
sua Scienza. Di questa
la
»
47
LINGUAGGIO
IL
come
«
nuo-
infatti, ossia della ricerca
forma ideale e sull'epoca storica del certo, mancò
sulla
(egli dice) tutta la greca filosofìa. Platone l'aveva tentata invano nel Cratilo, perché gli era rimasta ignota la lingua
dei primi legislatori, dei poeti eroi, tratto in inganno dalle
emendate
forinole
e
ammodernate che
le leggi erano venute
rivestendo via via in Atene. In un errore analogo erano caduti tra i moderni Giulio Cesare Scaligero, Francesco
Sanchez
gue
coi
e
Gaspare Schopp, che presero a spiegare
principi della logica, e
della
sorta tanti secoli dopo le lingue.
E
le lin-
logica aristotelica,
Grozio, il Selden, il Pufendorf e gli altri scrittori del diritto naturale meditarono anch'essi sulla natura umana ingentilita dalla religione e dalle leggi, sicché ritrassero
dalla
metà
in giù; ossia
si
il
il
corso storico cominciando
fermarono sull'intelletto e igno-
rarono la fantasia, sulla volontà moralmente disciplinata e trascurarono la selvaggia passione. Egli stesso, il Vico,
prendere a indagare l'antichissima sapienza italiana aveva dato segno del suo interessamento per quel problema, si era, per altro, sviato nella ricerca, seguendo le orme se col
dell'autore del Cratilo.
Sotto l'aspetto filosofico, la Scienza nuova, per questa preponderanza che vi ha l'indagine delle forme individualizzanti e in ispecie della fantasia (la
popoli come dice
dottrina dei primi
poeti e del loro pensare per caratteri poetici «
la
chiave maestra
» dell'opera),
si potrebbe non troppo paradossalmente definire una filosofia dello spirito con particolare riguardo alla filosofia
è,
il
Vico,
della fantasia, cioè all'Estetica. L' Estetica è da considerare veramente una scoperta del Vico: sia pure con le riserve onde s'intendono sempre
48
FILOSOFIA.
circondate tutte tori, e
né
le
desse
il
determinazioni di scoperte e di scopri-
le
quantunque
DEL VICO
egli
nome
non
la trattasse in
un
libro speciale,
fortunato col quale doveva battezzarla,
qualche decennio più tardi, il Baumgarten. Del resto, giova notare che nella terminologia della Scienza nuova s'incontra un nome simile ad alcuno degli equivalenti che il
Baumgarten passava
in rassegna per l'Estetica: quello di
Logica poetica. Ma,
in fondo,
il
nome importa
poco, e
che il Vico espose una importa idea della poesia, che era a quei tempi, e doveva rimanere per un pezzo ancora, un'ardita e rivoluzionaria novità. Perla cosa; e la cosa è
assai
sisteva allora la vecchia idea praticistica o pedagogica, che dalla tarda
antichità, attraverso
il
Medioevo,
si
era tra-
radicata nel Rinascimento, della poesia come piantata ingegnoso rivestimento popolare di sublimi concetti filosofici e teologici; e, accanto a questa, sebbene in grado mie
come prodotto o strumento concezioni avevano alterato Queste
nore, l'altra che la considerava di
svago
perfino
il
e di voluttà.
senso originale del trattato aristotelico della Poe-
tica, nel quale venivano introdotte e poi lette come se effettivamente Aristotele le avesse pensate e scritte. Né il carte-
le rettificò, ma piuttosto (com'era da aspettare, data sua generale tendenza) attenuò e annullò l'oggetto medesimo di quelle definizioni, come cosa di nessuno o di tra-
sianismo la
scurabile valore. In
un tempo
in cui
si
cercava di ridurre
a forma matematica la metafisica e l'etica, in cui
spregiava l'intuizione del concreto, letteratura e
si
si
di-
escogitavano una
una poesia atte a diffondere la scienza nel mondo, s'iniziavano tentativi per foggiare
volgo o nel bel lingue
artificiali
viventi, e perfino
logiche più perfette di quelle storiche e si
teneva possibile di stabilire regole per
comporre arie musicali senza essere musicisti e poemi senza essere poeti; in codesto ambiente distratto, gelido, ne-
—
mico, beffardo, solo un miracolo sembra potesse risvegliare
IV.
LA POESIA E IL LINGUAGGIO
49
una diversa e opposta coscienza, una coscienza calda e veemente di quel che sia veramente la poesia e della sua originale funzione; e questo miracolo fa compiuto dallo spirito tormentato, agitato e scrutatore di Giambattista Vico. Il
come
tutt' insieme le tre dottrine della poesia, esornatrice e mediatrice di verità intellettuali, come
quale criticò
cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza danno far di meno. La poesia non è
sapienza riposta, non presuppone la logica intellettuale, non contiene filosofemi: i filosofi, che ritrovano que-
hanno ficcato dentro essi stessi, senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio di piacere, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile che, senza di essa, non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente
ste cose nella poesia,
ve
le
umana. L'uomo, prima
di essere in grado di formare uniforma fantasmi; prima di riflettere con mente pura, versali, avverte con animo perturbato e commosso; prima di artidi parlare in prosa, parla in versi; termini tecnici, metaforeggia, e il suo prima adoperare metafore è tanto parlare per proprio quanto quello che si dice « proprio ». La poesia, non che essere una maniera
colare, canta;
prima
di
di divulgare la metafisica, è distinta e opposta alla meta-
l'una purga la mentp dai sensi, l'altra ve la im-
fìsica:
merge
e rovescia dentro; l'una è tanto più perfetta
quanto
più s'innalza agli universali, l'altra quanto più si appropria ai particolari; l'una infievolisce la fantasia, l'altra la richiede robusta; quella ci rito corpo, questa
si
ammonisce
di
non
fare dello spi-
diletta di dare corpo allo
spirito; le
sentenze poetiche sono composte di sensi e passioni, quelle filosofiche di riflessioni, che, usate nella poesia, la
falsa e fredda:
stesso
uomo
Poeti e
fu insieme
filosofi
B. Croce,
La
non mai,
grande
possono dirsi
filosofia
rendono
in tutta la distesa dei tempi,
gli
metafisico e
uni
di Giambatlista Vico.
il
uno
grande poeta.
senso, gli altri l'intel-
4
FILOSOFIA DEL VICO
50
letto dell'umanità; e in tale significato è il
detto delle scuole che
non
sia nel senso ».
«
da ritenere vero
niente è nell'intelletto che prima
Senza
il
senso,
non
si
dà
intelletto;
senza poesia, non si dà filosofia né civiltà alcuna. Quasi più miracoloso di questa concezione della poesia è che il Vico intravedesse la qualità genuina del linguag-
meno agitato antica e nuova, fino a quel soleva, a volta a volta, o confon-
gio: problema non meglio risoluto e assai e investigato
tempo.
Il
dalla
linguaggio
filosofia si
derlo con la logicità o abbassarlo a semplice segno estrinseco e convenzionale o, per disperazione, dichiararlo di origine divina.
Il
Vico intese che l'origine divina era, in
questo caso, un rifugio da pigri, e che il linguaggio non è né logicità né arbitrio, e, al pari della poesia, non è prodotto né di sapienza riposta né di placito o convenzione. Il
linguaggio sorge
naturalmente:
nella
prima forma muti », ossia
con atti uomini si spiegarono per cenni, e « con corpi aventi naturali rapporti alle idee che volevano significare », ossia per oggetti simbolici. Ma, di esso, gli
«
linguaggi articolati e per le lingue volgari, « con troppo di buona fede », cioè con iscarso accorgimento, è stato ricevuto da tutti i filologi che essi significhino a
anche per
i
placito; laddove, per le anzidette origini, dovettero significare naturalmente, e ogni parola volgare cominciare cer-
tamente da un singolo individuo di una nazione e provenire dal linguaggio primitivo per cenni e per oggetti. Nel
come nelle altre lingue, si osserva che quasi tutte voci sono formate per proprietà naturali o per trasporti e il maggior corpo delle lingue tutte, presso tutte le nalatino,
le
zioni, è costituito dalla metafora.
;
La diversa opinione
de-
riva dall'ignoranza dei grammatici, i quali, abbattutisi in gran numero di vocaboli che offrono idee confuse e indistinte, non sapendone le origini onde furono un tempo luminose e distinte, escogitarono, per darsi pace, la dottrina
LA POESIA E
IV.
IL
51
LINGUAGGIO
della convenzione, e vi trassero Aristotele e Galeno, doli contro Platone e Giamblico.
La grave
suole mettere innanzi contro l'origine
arman-
difficoltà,
che
si
naturale del lin-
guaggio e in favore della convenzione, la diversità delle lingue volgari secondo i popoli, si scioglie col considerare che
i
popoli, per la
costumi, guardarono
diversità dei
medesime
le
climi,
temperamenti
e
utilità o necessità della
vita sotto aspetti diversi, e perciò
produssero lingue diverse; com'è comprovato altresì dai proverbi, che sono massime di vita umana sostanzialmente identiche, eppure spiegate in tanti diversi modi quante sono state e sono le nazioni. Singolarmente importante è poi l'insistenza onde il
Vico professa di avere ritrovato
lingue
«
nei principi della poesia »:
vere origini delle con che viene, per una le
parte, riasserita l'origine spontanea e fantastica del linguag-
non per esplicito, certo per implicito, tende a sopprimere la dualità di poesia e linguaggio. Nei quali principi della poesia il Vico ritrova non so-
gio, e dall'altra, se si
lamente l'origine delle lingue, ma anche quella delle lettere o scritture, dichiarando errore di grammatici la separazione fatta tra le due origini, che sono congiunte per natura e che come tutt'una cosa si presentano nella lingua primitiva mutola, per cenni -e per oggetti. La sapienza riposta e la convenzione non hanno luogo neppure qui: i geroglifici non furono un ritrovato di filosofi per nascondervi
dentro
i
misteri delle loro grandi idee,
necessità di tutti
i
primi popoli
fabetiche nacquero tra
i
;
ma comuni
e naturali
e solamente le scritture al-
popoli già inciviliti per effetto di
libera convenzione. In altri termini,
il
Vico viene a
di-
modo confuso, nelle cosi dette scritture quella parte che è propriamente scrittura e perciò convenzione, dall'altra che è invece diretta espressione, stinguere, sia pure in
e perciò linguaggio, favola, poesia, pittura. Caratteristica
di queste scritture espressive o linguaggi è l'inseparabilità
FILOSOFIA DEL VICO
52
del contenuto dalla forma; la loro ragione poetica è tutta
qui: che la favola e l'espressione siano cioè
una metafora comune
ai
una cosa
stessa,
poeti e ai pittori, sicché
mutolo senza espressione verbale possa dipingerla.
Il
un
Vico
arreca in esempio di esse alcuni aneddoti tradizionali, come
cinque « parole reali » (la ranocchia, il topo, l'uccello, dente d'aratro e l'arco da saettare), che Idantura, re degli Sciti, mandò in risposta a Dario che gli aveva inti-
le il
mato guerra;
re Tar-
e l'apologo degli alti papaveri che
quinio svolse innanzi agli occhi dell'ambasciatore tìglio Sesto
circa
il
modo
di
domare Gabì:
—
di suo
procedi-
menti espressivi non diversi da costumanze che si osservano ancora presso popolazioni selvagge e presso i volghi;
—
e poi, altresì, le imprese,
medaglie e monete.
Una
le
bandiere, gli emblemi delle
frivola
favoletta,
che rimpiccio-
calunnia l'ufficio vero delle imprese, narra come inventate nei tornei di Germania, qual covenissero esse stume di galanteria, dai garzoni che gareggiavano per melisce e
ritare l'amore
delle
nobili donzelle.
Ma
le
imprese, nel
Medioevo, furono cosa seria, come a dire la scrittura geroglifica di quell'età: un parlare muto, che suppliva la povertà dei parlari convenuti o delle scritture alfabetiche; e solamente più tardi, nei tempi colti, diventarono gioco e diletto, si convertirono in imprese galanti ed erudite, le quali bisogna animare coi motti, perché, ora, hanno significazioni solamente analoghe, laddove quelle primitive e naturali erano mutole e tuttavia parlavano senza bisogno d'interpetri. In questa schietta naturalità perdurano nei
tempi colti alcune di tali forme espressive; per es., le insegne o bandiere, che sono una certa lingua armata, con
come prive di favella, si fanno intendere tra loro nei maggiori affari del diritto naturale delle genti, nelle guerre, alleanze e commerci.
la quale le nazioni,
Cosi, al
lume
del
concetto estetico pensato dal Vico,
IV.
LA POESIA E
IL
LINGUAGGIO
53
poesia, parole, metafore, scritture, simboli figurati,
rischiara di lampi e dà guizzi
di
tutto
vita: cose
grandi e cose piccole, l'epos e l'araldica. La dottrina delle forme
si
fantastiche riceve delle idee
;
alle scuole
un avviamento nuovo
affatto nella storia
perché se il Vico si oppone coi suoi concetti del suo tempo e specie alla cartesiana, nem-
meno poi annoda e ripiglia altra scuola o tradizione più o meno remota. Egli stesso sente la propria opposizione come non contro una scuola particolare, ma contro tutte quelle che, nei secoli, avevano formolato dottrine sull'ardiretta
gomento. Circa la poesia dice che egli « rovescia » tutto ciò che se ne era pensato da Platone e poi da Aristotele via via fino ai recenti Patrizzi, Scaligero e Castel vetro, quali
si
ferirle »
perderono in inezie tali (il
«
che fa vergogna
i
fin ri-
Patrizzi faceva nascere la poesia dai canti degli
uccelli e dal sibilo dei venti!). Circa le lingue,
il
suo inten-
dimento non era rimasto soddisfatto né da Platone né dai
moderni Wolfango Lazio, Scaligero tere, rifiutata l'origine divina
e Sanchez. Circa le let-
che era sostenuta dal Mal-
linkrot e da Ingevaldo Elingio, o (che valeva il medesimo) interpetratala a suo modo, dà saggio per iscandalo delle
vane opinioni,
incerte, leggiere, sconce, boriose e ridevoli,
facevano provenire dai Goti e per essi da Adamo e dalla personale comunicazione di Dio, o più direttamente dal paradiso terrestre, o da un gotico Mercurio inventore.
che
le
Circa
le
i tanti che ne avenon ne avevano inteso nulla, e, solo indovinando, lasciavano trapelare un seniore della
imprese, infine, osserva che
vano composto per caso e
trattati,
verità col chiamarle cile
«
eroiche
».
In realtà, sarebbe
diffi-
assegnare veri e propri precedenti ai concetti estetici
vichiani, e tutt'al più
si
potrebbero ritrovarne vaghe sug-
gestioni in certe sparse sentenze che egli raccoglie; qual-
che stimolo più prossimo nelle dispute secentesche sulle differenze tra intelletto e ingegno, ragione e immaginativa,
FILOSOFIA DEL VICO
54
1
dialettica e rettorica estrinseci,
di quel
con
le
come
tempo
e
;
qualche riscontro di particolari
nei ravvicinamenti fatti da qualche retore
(il
Tesauro) delle arguzie rettoriche parlate
arguzie figurate.
Senonché quei concetti, nati da cosi possente getto di originalità, non appena dai loro lineamenti generali si passi determinazioni particolari, dall'idea o ispirazione
alle
effettivi, si
ori-
vedono come turbarsi,
ginaria agli svolgimenti ondeggiare, barcollare. Lasciamo da parte le varie successive opinioni che
il
Vico tenne, e che
si
legano
al
processo
storico del suo spirito, sulla poesia, sulla lingua o sulla
— dalle tafora, dal
orazioni accademiche e poi dal
De antiquissima
De
ancora da queseconda Scienza nuova:
al Diritto universale, e
sto alla prima, e dalla
prima
alla
me-
ratione e
—
indagine che potrebbe porgere argomento a un'apposita dissertazione e che non entra nel quadro della nostra esposi-
Ma, anche nella forma ultima del suo pensiero estecoesistono dottrine contradittorie. Egli non sta pago a tico, dire, come ha detto, che la forma poetica è la prima operazione della mente, che essa è costituita da sensi di passione, zione.
è tutta fantastica, priva di concetti e di riflessioni;
giungerà che
la poesia,
diversamente dalla
ma
ag-
rappresenta il vero nella sua idea ottima, e compie perciò quella giustizia e attribuisce quel premio e quella pena che spetta a ciascuno e che non sempre si ottiene nella storia, storia,
dominata sovente dal capriccio, dalla necessità e dalla fortuna. Dirà ancora che la poesia ha per suo fine l'anima-
zione dell'inanimato, essendo
più sublime lavoro di essa indirizzato a dare vita e senso alle cose insensate. Dirà
che
la poesia
è altro
che imitazione,
e che
i
fan-
quali valgono assai nell' imitare, sono poeti, e che popoli primitivi, fanciulli del genere umano, furono in-
ciulli, i
non
il
1
i
Si veda
il
capo
3.o della parte storica della
mia
Estetica.
IV.
55
LA POESIA E IL LINGUAGGIO
ha per propria macom'è impossibile che i l'impossibile credibile,
sieme sublimi poeti. Dirà che teria
la poesia
corpi siano menti e pure fu creduto che il cielo tonante fosse Giove, onde i poeti non si esercitarono in altro mag-
giormente che nel cantare i prodigi compiuti dalle maghe per opera d'incantesimi. Dirà che la poesia è nata da inopia, ossia che è un effetto d'infermità dello spirito; perché l'uomo rozzo e di debole cervello, non potendo soddisfare
il
bisogno che prova del generale e dell'univeri generi fantastici, gli uni-
sale, foggia a sostituzione
versali o caratteri poetici; e che, per conseguenza, vero dei poeti e
il
vero dei
astratto e quello rivestito
filosofi
sono
il
lo
stesso, questo d'immagini, questo una meta-
ragionata e quello una metafisica sentita e immagiall'intendimento popolaresco. Parimente
fisica
nata, confacente
da
inopia, cioè
nato
il
dall'incapacità ad articolare, sarebbe i muti e gli scilinguati escono in
canto, e perciò
suoni che sono canti; e dall'incapacità a significare le cose in modo proprio, le metafore. Dirà, infine, che lo scopo della poesia è
d'insegnare al volgo l'operare virtuosaIn questi detti sono accennati i più diversi concetti sulla poesia, alcuni conciliabili con la dottrina mente.
—
fondamentale, ma proposti senza mediazione e perciò effettivamente non conciliati; altri, affatto inconciliabili. Il
Vico potrebbe essere, a volta a volta, sul fondamento di singoli testi, presentato
come
sostenitore dell'estetica
mo-
astratta e
ralistica, pedagogica, tipeggiante, mitologica, animistica, e via discorrendo. E se non ricasca nelle vecchie teorie che egli aborriva, e se non si dissipa tra gli er-
rori nuovi che precorreva, si deve al fatto che su tutte quelle varietà e incoerenze sormonta costante il pensiero che la poesia è la prima forma della mente, ante-
riore
all'
ziocini.
intelletto e libera da riflessione e ra-
FILOSOFIA DEL VICO
56
Come non seppe, valendosi del suo principio capitale, sceverare e accorciare gli altri che circa la natura della poesia esistevano nella tradizione scientifica o erano stati da lui escogitati, cosi non riusci a liberarsi dalla tirannia delle classificazioni empiriche, vecchie e nuove. In cambio, si
sforzò di filosofarle, e tentò di dedurre serialmente le di-
verse forme della poesia, epica lirica drammatica; del verso e del
del parlare metro, spondaico giambico prosastico metonimia sineddoche ironia; delle parti figurato, metafora ;
del discorso, onomatopee interiezioni pronomi particelle nomi verbi, modi e tempi del verbo (al qual proposito richiama perfino un caso di afasia da lui osservato in Napoli in persona di « un uomo onesto tócco da grave apoplessia, il quale mentova nomi e si è dimenticato affatto de' verbi ») r -
delle
scritture, geroglifiche
simboliche alfabetiche;
delle
lingue secondo la loro crescente complessità, che va dalle parole monosillabiche alle composte e dalla prevalenza di vocali e dittonghi alla prevalenza delle consonanti. In questi tentativi disseminò dappertutto interpetrazioni nuove e parzialmente vere di fatti particolari; e non poteva, a sistemazione scientifica.
ma non giunse, E neppure vide
chiaro nella relazione della poesia con le altre arti, che talora unificò con quella,
camente identiche pittura
come quando considera e poesia, e viene
intrinse-
notando ana-
logie tra la poesia e la pittura del Medioevo;
e, tal'altra,
stranamente separò, come quando pretende che la delicatezza delle arti sia frutto delle filosofie e che delicatissime siano pittura, scultura, fonderia e intaglio, perché debbono astrarre le superficie dai corpi che imitano.
Queste incoerenze ed errori, che abbiamo passati in rapida rassegna, se in parte derivano da scarsa capacità di distinzione e di elaborazione, per un'altra e maggiore parte
si
riportano più
direttamente al già chiarito vizio
fondamentale che è nella strattura della Scienza nuova
^
IV.
LA POESIA E
IL
LINGUAGGIO
57
e qui, propriamente, allo scambio fatto dal Vico tra
il
con-
forma poetica dello spirito e il concetto empirico della forma barbarica della civiltà,. « Talché (egli stesso dichiara) questa prima età del mondo si cetto filosofico della
può dire con verità tutta occupata d'intorno alla prima operazione della mente ». Ma la prima età del mondo, essendo costituita da uomini in carne ed ossa e non da categorie filosofiche, non potè essere occupata intorno a
una sola si
operazione della mente. Quest'una poteva, come
suol dire,
(e la
prevalere
parola stessa scopre
tere quantitativo e approssimativo del concetto); le altre
dovevano essere
in atto insieme con
il
ma
carattutte
lei, la fantasia
e l'intelletto, la percezione e l'astrazione, la volontà e la
moralità,
il
cantare e
il
numerare.
A
evidenza
siffatta
il
Vico non poteva sottrarsi, epperò in quella fase di civiltà introdusse non solo il poeta, ma anche il teologo, il fisico, l'astronomo, gislatore
;
il
paterfamilias
senonché
,
il
guerriero, il politico, il lecostoro volle consi-
le attività di tutti
derare e chiamare poetiche, con metafora tratta dall'asserita prevalenza della
forma fantastica dello
spirito, e
il
complesso di esse sapienza poetica. Il carattere metaforico della denominazione è accusato, o balza agli occhi, in alcuni luoghi caratteristici; le arti
meccaniche,
come dove
le « arti », ossia
produttrici pratiche di oggetti per gli
usi della vita, sono definite « poesie in certo
modo
reali »,
romano, per l'abbondanza delle formolo cerimonie onde si riveste, è detto « poema drammatico
e l'antico diritto e
serio
».
Ma
le
metafore sono pericolose, quando, come nel
caso della Scienza nuova, trovano terreno favorevole alla loro conversione in concetti; e, infatti, l'età storica, barbarica, metaforeggiata
a
trasformarsi,
presso
come sapienza il
poetica,
non tardò
Vico, nell'età ideale
della poe-
sia, conferendo a quest'ultima tutte le proprie attribuzioni. Colà erano teologi, e la poesia fu considerata dal
FILOSOFIA DEL VICO
58
Vico come
sebbene fantastica; educatori, e fu fatta educatrice, sebbene di volgo; sapienti di cose fisiche, e fu fatta sapienza, sebbene di fisica immaginaria. E poiteologia,
ché quei barbari non potevano non pensare per concetti, rozzi che questi fossero e involti nelle immagini,
smi della poesia, individuati, singolarizzati, essa sempre corpulente,
si
le
i
fanta-
sentenze di
falsificarono in universali fanta-
che sarebbero qualcosa di mezzo tra l'intuizione, che è individualizzante, e il concetto, che universalizza la poestici,
:
sia, che doveva rappresentare il senso, lo schietto senso, rappresentò invece il senso già intellettualizzato, e il detto
che niente acquistò
il
schiarito, o
si
trova nell'intelletto che non sia già nel senso, che l'intelletto è il senso stesso,
significato il
senso l'intelletto stesso, confuso; onde non
ebbe più bisogno dell'aggiunta cautela: « nìsi intellectus ipse •». Per converso, la civiltà barbarica divenne come si
una mitologia
o
allegoria
della
ideale
età poetica;
e
i
primi popoli furono trasformati in moltitudini di « sublimi poeti » come poeti furono fatti (nella ontogenesi corri;
spondente a tale filogenesi) perfino
i
fanciulli. Il concetto
dell'universale fantastico come anteriore
all'universale
ragionato concentra in sé la duplice contradizione della dottrina; perché all'elemento fantastico dovrebbe essere con-
giunto in quella formazione mentale l'elemento dell'universalità, il quale, per sé preso, sarebbe poi un vero e proprio universale, ragionato e
non
fantastico:
donde una
petitio
principii, per la quale la genesi degli universali ragionati,
che dovrebbe essere spiegata, viene presupposta. E, d'altro canto, se l'universale fantastico s' interpetrasse come purificato dell'elemento universale e logico, cioè come mero fantasma, la coerenza si ristabilirebbe certamente nella dottrina
ma la sapienza poetica o civiltà barbarica verrebbe mutilata di una parte essenziale del suo organismo, perché estetica
;
privata di ogni sorta di concetti,
e,
per dir
cosi, disossata.
LA POESIA E
IV.
IL
59
LINGUAGGIO
Per risolvere la contradizione conveniva dissociare poesia e sapienza poetica; del che, in verità, s'incontra qual-
che accenno presso
il Vico. Egli confessa talvolta, quasi involontariamente, la non corrispondenza tra la categoria filosofica e il tipo sociale, e per quest'ultimo è costretto a
ricorrere ai
cade di
«
press'a poco
per
dire,
es.,
assai poco ragione
»,
e ai
«
più o
meno
Gli ac-
».
uomini primitivi erano
«
nulla o
e tutti robustissima fantasia »,
«
quasi
che
gli
corpo e quasi niuna riflessione » ovvero, dopo avere distinte con filosofiche pretese tre lingue degli dèi, degli tutti
;
eroi e degli uomini, osserverà che
«
la
lingua degli dèi fu
quasi tutta muta pochissimo articolata; eroi mescolata egualmente di articolata
la lingua degli
lingua degli uomini quasi tutta articolata e
pochissimo
e
muta
».
La
favella poetica
e
alla sapienza poetica
tempo
istorico o
il
«
la
(ammette ancora) sopravvive
scorre civile,
per lungo tratto dentro il (dice con magnifica
come
i
lenza del corso
dismettere della
muta;
grandi rapidi fiumi si spargono molto denmare e serbano dolci l'acque portatevi con la vio-
immagine) tro
età
e di
il
».
Anche
nei
tempi moderni non
parlare fantastico, e « per ispiegare
mente pura
han da soccorrere
ci
i
parlari
i
può
si
lavori poetici
per trasporti de' sensi ». La poesia non sembra che sia finita con la fine della barbarie, perché pur nei tempi civili
sorgono poeti; e
che quelli della prima epoca fosi nuovi tali si facciano per come il Vico vuole, con lo
sero fantastici per natura, e arte ed industria ossia,
—
sforzarsi di
perdere memoria delle parole proprie,
di
pur-
riempirsi la mente di pregiudizi fanciulleschi o volgari, di rimettere la mente in ceppi co-
garsi delle
filosofie,
di
stringendosi, tra l'altro, all'uso della rima, zioni, del resto facilmente confutabili,
a sminuire
l'importanza
poesia è di tutti
i
del
fatto
si
— queste restri-
affaticano invano
riconosciuto:
che
la
tempi, e non di quello solo barbarico; è
FILOSOFIA DEL VICO
60
una categoria ideale e non un zioni anzidette, ricordati,
come
fatto storico.
la rarità e la
provano che
il
Ma
le restri-
timidezza degli accenni
Vico non era in grado di eseguire
dissociazione tra poesia e sapienza poetica, impeditone ibridismo del concetto e del metodo stesso della Scienza
la
dall'
nuova. Se, per altro, l'idea della poesia come pura fantasia, nonostante tutte le confusioni e incoerenze nelle quali si
avvolge, non fosse rimasta salda nel fondo del pensiero del Vico, e non avesse operato, per cosi dire, nel sottosuolo della Scienza nuova, non sarebbe agevole, né forse possibile, intendere la concezione capitale
sua
che domina la
che è strettamente legata con concezione dello spirito come svi-
filosofia dello spirito, e
quell'idea. Diciamo, la
luppo,
o,
per adoperare la terminologia propria del Vico, o spiegamento: concezione la quale, pur
come corso
senza espressa contrapposizione, superava quella ordinaria, limitantesi quasi esclusivamente a enumerare e classificare
La dottrina degli universali fantacome spontanee formazioni mentali, universali rozzi ma forniti di un motivo di vero, era certamente bastevole come strumento per debellare l'empirica teoria che faceva le facoltà dello spirito. stici
le civiltà da un'alta e ragionata saggezza ordinaopera personale di Dio o di uomini sapienti, sorti non si sa come e piovuti non si sa donde. Il Vico poneva
sorgere trice,
chiaro
il
l'origine
dilemma della
delle
due e non più guise
civiltà: o
nella
riflessione
di
di spiegare
uomini sa-
pienti, ovvero in un certo senso e istinto umano di uomini bestioni; e si risolveva per la seconda ipotesi, per « bestioni » che via via si erano fatti uomini i cioè per ;
pensiero che
evolve dall'universale fantastico a quello l'assetto sociale che procede via via dalla ragionato, per forza all'equità. Ma era quella concezione bastevole per fonil
si
dare la storia ideale o
filosofia
dello
spirito? Nella
fi-
IV.
LA POESIA E IL LINGUAGGIO
losofia dello spirito, essa
di simile, se
61
sarebbe tradotta in qualcosa
si
non d'identico,
alla dottrina che,
del cartesianismo e anche di
una certa
per
effetto
quale rinascita che ebbe la scolastica di Duns Scotus, correva ai tempi del Vico, e secondo cui la vita dello spirito si esplicava nei gradi successivi del concetto oscuro, confuso, chiaro tal
com'è noto, fece argomento di il Leibniz, speciale studio le percezioni oscure e confuse, le « petltes perceptions ». Dottrina nel suo intrinseco intellettualistica, e distinto:
perché
i
concetti,
confusi
e
che
oscuri
fossero,
erano
impotente perciò a dare ragione,
concetti; e
pur sempre nonché della poesia, neppure delio sviluppo spirituale, che non può intendersi, nella sua dialettica quando sia costituito di differenze meramente quantitative, le quali, in realtà, non sono differenze ma identità e perciò immobilità; e, infatti,
tutto quell'indirizzo fa, insieme, antieste-
tico e statico, privo di
di
una vera dottrina
una vera dottrina
dello sviluppo.
Il
della fantasia e
pensiero del Vico
ò,
invece, avverso all'intellettualismo, simpatico alla fantasia, tutto dinamico ed evolutivo; lo spirito è, per lui, un eterno dramma; e, poiché il dramma vuole tesi e antitesi, la
sua
filosofia
della
mente
è impiantata sull'antinomia,
cioè sulla reale distinzione e opposizione di fantasia e pensiero, poesia e metafisica, forza ralità,
ed equità, passione e mo-
per quanto egli sembri talvolta, per
note, disconoscerla
le
ragioni già
quanto venga talvolta a ingarbugliarla con indagini e dottrine empiriche e con o,
piuttosto, per
determinazioni storiche.
La forma semifantasticà del conoscere mito e la religione)
(Il
A,.nche
Vico sul mito, se è non meno
la dottrina del
originale e profonda di quella circa la poesia, non è del tutto limpida, perché le relazioni tra poesia e mito sono cosi strette che
l'ombra gettata sull'una deve necessaria-
mente stendersi
in
qualche modo
Proseguendo a indagare,
sull'altro.
come abbiamo
fatto sin qui
faremo sempre nel séguito, lo stato delle cognizioni ai tempi del Vico secondo le varie discipline e problemi che egli prese a trattare, ricorderemo in breve, circa gli studi
e
sulla mitologia,
lamente
come
tra
il
Cinque e
il
Seicento non so-
mettessero insieme grandi compilazioni letterarie di miti (delle quali già aveva dato esempio, nel Trecento,
il
si
due teorie non ignote del le
ma
venissero dottamente propugnate esplicative già note all'antichità classica e
Boccaccio),
tutto al
Medioevo
:
la teoria del
mito come
allegoria di verità filosofiche (morali, politiche evia discor-
come storia di personaggi effetavvenimenti accaduti, adornate dal-
rendo), e quella del mito
tivamente
esistiti e di
l'immaginazione che divinizzava L'allegorismo ispirava, tra
gli
eroi
l'altre, l'opera di
(evemerismo). Natale Conti,
MythologicB sive explanationis fabularum libri decerti (1568)
FILOSOFIA DEL VICO
64
De sapientia veterum
(1609) del Bacone dove, per altro, era sistema quel proposto non senza qualche dubbio e con la espressa cautela che, se anche non valesse come interpee
il
;
trazione storica, avrebbe potuto sempre mantenere
valore di moralizzazione
aut res ipsas).
Il
il
suo
antiqultatem illustrabimus neoevemerismo era rappresentato autore(aut
volmente da Giovanni Ledere (Clericus), l'erudito ginevrino-olandese verso cui tanta reverenza e gratitudine ebbe Vico per aver degnato di attenzione il suo Diritto universale, e del quale fece epoca, in materia mitoa professare
il
logica, l'edizione della Teogonia esiodea;
lo segui tra gli del Les autore libro: Banier, fables expllquèes par l'histoire (1735). Un terzo sistema, anch'esso non senza qualaltri
il
che precedente antico, derivava
dagli egiziani o dagli ebrei, ovvero dall'opera di sin-
lari,
quando non
goli filosofi e poeti inventori; e,
in
miti da popoli partico-
i
una pura
alcuni o di tutti
i
risolveva
trasmessi dall'antichità o non
miti
riportava alla rivelazione divina, è la teoria
si
e semplice ipotesi storica sulla formazione di
che
il
si
chiaro che implicava
ma un
mito sia non già una forma eterna,
contingente prodotto dello spirito, il quale, com'è nato una volta, cosi possa morire o sia già morto. Il
Vico
scuola,
si
oppone risolutamente
all'allegorismo
storica; e ricorda,
e
alla
il
prima e della
alla terza
derivazione
trattato baconiano dal
meditare
sull'argomento,
che vero
» e per più ingegnoso considerante i miti come storie sacre alte-
ch'egli giudicava
l'altra scuola,
dottrina
perla prima,
quale aveva tratto incentivo a
ma
alla
«
;
particolare dai greci, il De theologla gentili (1642) del Vossio, la Demonstratio evangelica (1679) di. Daniele Huet, e il Phaleg et Canaan del rate e corrotte dai
Bochart.
I
gentili
miti o favole
e
in
non contengono sapienza
riposta,
cioè concetti ragionati, avvolti consapevolmente nel velo della favola; e perciò
non sono allegorie. L'allegoria im-
V. IL
porta che
MITO E LA RELIGIONE
una
abbia, da
si
il
parte,
65
concetto o significato, due cose l'artifizio
dall'altra la favola o involucro, e tra le
che
momenti,
-quella teoria,
forma •a
;
ma
i
e
i
non
miti
neppure
in
si
un
possono scindere
significato e
loro significati sono univoci.
i
gnificante:
Ma
insieme.
le fa stare
in questi tre
Importa
un
si-
altresì,
contenuto, non creda alla creatori dei miti dettero ingenua e piena fede
che chi crede
e fintasi, per es., la
quelle loro creazioni;
divina, la più
di
grande
al
quante mai se ne
prima favola
finsero in
ap-
presso, Giove re e padre degli dèi e degli uomini in atto di fulminante, essi stessi che se lo finsero lo credettero, e con ispaventose religioni lo temerono, riverirono e osservarono. Il mito, insomma, non è favola ma storia, quale possono formarsela gli spiriti primitivi, e da questi è seve-
ramente tenuta come racconto
di cose reali. I filosofi che
sorsero posteriormente, servendosi dei miti per esporre in allegorico le loro dottrine, ovvero illudendosi di ri-
modo
trovarvele per quel senso di riverenza che si porta all'antichità tanto più venerabile quanto più oscura, ovvero sti-
mando comodo
di giovarsi di
fini politici,
e
—
cosi
stesso, platonizzando
tale
espediente per
Platone omerizzando
Omero;
—
e,
i
loro
nel tratto
miti favole, intrinsecamente non sono.
resero
i
quali in origine non erano e Onde è da dire che filosofi e mitologi furono piuttosto essi i poeti che immaginarono tante strane cose sulle favole,
laddove
i
poeti o creatori primitivi furono
i
e intesero narrare cose vere dei loro tempi.
veri mitologi
— Per la me-
desima ragione, ossia per essere i miti parte essenziale della sapienza poetica o barbarica, e come tale spontanei tempi e luoghi, non si può attribuirli a un singolo popolo che li avrebbe inventati e dal quale si sarebbero trasmessi agli altri, quasi ritrovato particolare di in tutti
i
uomini particolari od oggetto
di rivelazione.
Codesta dottrina, superante
B. Croce,
La
filosofìa
l
di Giambattista Vico.
'allegorìe mò e
lo storici-
5
FILOSOFIA DEL VICO
66 srao, è
un
compi
delle
tualismo,
il
come forme
altro aspetto della
rivendicazione che
forme conoscitive alogiche contro
il
Vico
intellet-
col presentarle ora ora come prodotti accidentali o do-
le
quale
l'
negava appunto
artificiali
vuti a cause soprannaturali.
Né sembra
accettabile l'opi-
nione che aggrega il Vico all'indirizzo neoevemeristico, da lui in verità non combattuto espressamente e verso il quale presenta anche, se si vuole, alcune superficiali somiglianze, ma insieme con le somiglianze questa radicale diversità: che per lui le favole non sono alterazioni di storie reali
né
si
riferiscono
di
necessità a individui reali,
ma
sono
intrinsecamente verità storica, nella forma che la verità storica suol prendere nelle menti primitive.
Altra più precisa determinazione circa la natura del mito il Vico non dà né poteva, appunto perché essendo in concetto stesso della poesia, egli non era i limiti tra le due forme. Parlò, in gegrado di e di mito come di cose distinte, ma non nere, poesia fermò la distinzione. Eppure, il Vico si era bene imbattuto lui
ondeggiante
in
il
di segnare
nel concetto che porge quel criterio distintivo, e l'aveva enunciato; senonché, in cambio di valersene per la dottrina del mito, ne aveva fatto una o alcune delle sue parecchie definizioni della poesia.
Quel carattere poetico, quell'u-
niversale fantastico che, introdotto nell'estetica come principio esplicativo della poesia, dà origine a tante insuperabili difficoltà, è invece, per l'appunto, la definizione del mito, e come tale fornisce alla scienza della mitologia il vero principio che le bisogna. Se il concetto del compiere grandi fatiche pel comune vantaggio non si sa staccare dall'immagine di un uomo particolare che abbia di quelle fatiche, quel concetto diventa mito, per es., di Ercole; ed Ercole è insieme un individuo che fa azioni individuali e uccide l'idra di Lerna e il leone
compiuto alcuna^ il
nemeo
o lava le stalle di Augia, ed è
un concetto; come
V. IL il
è,
MITO E LA RELIGIONE
67
concetto dell'operosità utile e gloriosa è un concetto ed insieme, Ercole: è un universale e un fantasma: un uni-
versale fantastico.
Anche quel sublime
lavoro.,
che
il
Vico diceva proprio
della poesia, di dare vita alle cose inanimate, spetta
non
ma al mito. Il quale, incorporando immagini, ed essendo le immagini sempre qualcosa d'individuale, viene ad atteggiarli come esseri viventi. Cosi gli uomini primitivi, che non conoscevano la propriamente i
concetti
alla poesia
in
cagione del fulmine e perciò non ne possedevano la definizione fisica, erano tratti, miteggiando, a concepire il cielo
come un vasto corpo animato, che medesimi quando erano in preda
—
a somiglianza di essi
alle
passioni, urlando, brontolando, fremendo, lesse dire
qualche cosa.
E
del
loro violentissime
—
parlasse e vo-
mito e non della poesia si «inopia», nella debolezza
deve riconoscere l'origine nell' della mente e nella sua inadeguazione
ai
problemi che
vuole risolvere, nella incapacità a pensare per universali ragionati e a esprimersi con termini propri, onde sorgono gli universali
fantastici e le
metonimie e
le
sineddoche e
ogni sorta di metafore. Le contradizioni, notate da noi nell'universale fantastico e che lo rendono inadatto a fondare
stanno perfettamente a posto nella dotquale è, per l'appunto, questa contradi-
la dottrina estetica,
trina del mito;
il
zione: un concetto che vuol essere
gine
immagine
e
un'imma-
che vuol essere concetto, e perciò un'inopia, anzi
un'impotenza potente, un contrasto e una transizione spirituale, dove il nero non è ancora e il bianco muore. Infine, sapienza poetica, cioè la teologia, fisica, cosmografia, geografia, astronomia e tutto il complesso delle restanti la
idee e credenze dei popoli primitivi, esposte dal Vico, erano effettivamente mito e non, come egli dice, poesia, per la
buona ragione loro storie;
e
stesso adduce che quelle erano le poesia è poesia e non istoria, neppure
ch'egli la
FILOSOFIA DEL VICO
68 più o
meno
fantasticata. Poesia,
sentimenti e
i
poemi omerici
in
quanto
umane
aspirazioni della grecità; storia, gli stessi poemi omerici, in quanto erano cantati e ascoltati come racconti di fatti realmente accaduti
esprimevano
i
le
:
due forme di prodotti rialmente
spirituali
raccogliersi in
una
sembrano mateopera, non per ciò
che, se
stessa
s'identificano.
Tutto questo il Vico vede e non vede, o, meglio, ora intravede e ora travede e perciò non si può dire che riesca a determinare veramente la distinzione e a risolvere
blema dei rapporti
tra mito e poesia.
e ancora assai dibattuto se cioè
mito sia
il
volte che
i
modo
potrebbe credersi, in-
non già
miti contengono sensi storici, e
si
pro-
netto; perché egli ripete molte
sofici, dei popoli primitivi;
bene attenzione,
il
altro importante
problema della scienza mitologica,
filosofia o storia,
vece, da lui risoluto in
Un
scorge che
ma,
in realtà,
egli,
nonché
ove
filo-
faccia
si
risolverlo,
non
se lo propone neppure. I sensi storici, che il Vico assevera, sono contrapposti non propriamente ai sensi filosofici in ge-
nere,
ma
«
ai sensi mistici di altissima filosofia » e ai « sensi
analogi», che i mitologi da lui criticati vi ritrovavano; cioè, da una parte ripetono la critica all'allegorismo e, dall'altra,
combattono quel cattivo modo d'interpetrazione moderni ai popoli an-
storica che trasferisce idee e costumi
La sua
teoria
si
concilia,
quella che avvicina
il
mito alla
tichi.
a dir vero, alla pari con filosofia, e con l'altra che
ammette entrambi speculativa, che li ammette altresì
l'avvicina alla storia; con l'eclettica che gli elementi, e
entrambi sé
ma
con la
perla ragione che
medesime come nel mito,
filosofia e storia,
cosi
costituiscono, in fondo,
in
una
cosa sola e indivisibile.
Come « inopia », il mito deve essere umana — che agogna naturalmente di ella
superato.
La mente
unirsi a Dio
donde
viene, cioè al vero Uno, e che non potendo per la
V. IL
MITO E LA RELIGIONE
69
esuberante natura sensuale dell'uomo primitivo esercitare facoltà, sepolta sotto i loro sensi troppo vigorosi, di astrarre dai subietti le proprietà e le forme universali, si
la
unità immaginarie, i generi fantastici o i miti, nel suo successivo spiegarsi o esplicarsi risolve via via
era finta
— i
le
generi fantastici in generi intelligibili, gli universali poein ragionati, e si libera dai miti. L'errore del mito
tici
passa cosi nella verità della filosofia. Il Vico conosce e adopera un concetto dell'errore, dell'errore propriamente detto, nascente dalla volontà e non dal pensiero, il quale quanto a sé non erra mai (mens enim semper a vero urgetur quia nunquam aspectu amittere possumus Deum) dell'errore che ;
consiste in vuote parole arbitrariamente combinate (verbo,
autem scepissime
veri vini voluntate
mentem
immo
deserunt,
nienti
mentientis eludimi oc
vim faciunt
et
Dea
obsistunt);
insomma, che, per adoperare la sua efficace descrizione, si ha quando gli uomini « mentre con la bocca dicono, non hanno nulla in lor mente, perocché la lor mente è dentro il falso, che è nulla ». Ma sa anche che dell'errore,
non è mai del tutto errore, appunto perché, non potendosi dare idee false e consistendo il falso soltanto nella sconcia combinazione delle idee, in esso è sempre il l'errore
vero, e ogni favola ha qualche « motivo di verità ». Perciò, lungi dal disprezzare le favole, ne riconosce il valore quasi
embrione del sapere riposto o della
di
filosofia
che
si
svol-
gerà poi. I poeti (ossia, nel nuovo significato che assume nel Vico questa parola, i creatori dei miti) sono il senso (cioè, nel nuovo significato, la filosofia rudimentale e imperfetta); e
i
filosofi
losofia più
di
Dio
tasia
sono l'intelletto dell'umanità (vale a dire, la ficompiuta, che nasce dalla precedente). L'idea
evolve a poco a poco dal Dio, che colpi la fanisolato, al Dio delle famiglie, divi parenDio della classe sociale o della patria, divi patrii,
si
dell'uomo
tum, al Dio delle nazioni, fino a quel Dio
al
«
che a
tutti è
Giove
»,
FILOSOFIA DEL VICO
70 al
Dio dell'umanità. Le favole destarono Platone a inten-
dere
le tre
pene divine, che
gli
uomini, possono
non
dèi solamente, e
infliggere: l'oblio, l'infamia e
il
gli
rimorso;
passaggio per V Inferno gli suggerì il concetto della via purgativa onde l'anima si purifica dalle passioni, e l'aril
rivo agli Elisi quello della via unitiva onde la
mente va
ad unirsi a Dio per mezzo della contemplazione delle eterne cose divine. Dalle somiglianze e metafore dei poeti Esopo trasse gli esempì e gli apologi con cui dette i suoi avvisi ;
e dall'esempio, che le
menti rozze,
si
fonda sopra un caso solo e soddisfa svolge l'induzione, che si vale di più si
casi simili, quale l'insegnò Socrate con la dialettica, e suc-
cessivamente
il
sillogismo, che Aristotele scoperse e che
non regge senza un universale. Le etimologie delle parole svelano le verità intraviste dai primi uomini e deposte nel loro linguaggio; per es., ciò che i filosofi moderni con gravi ragioni hanno dimostrato, che i sensi fanno essi le qualità
chiamate
«
sensibili
» ,
è già
cere » della lingua latina,
rato
«
faccia
»
l'odore.
Il
adombrato nella parola
«
olfa-
che implica il pensiero che l'odoVico attribuisce tanta importanza
a questa connessione tra universali poetici e universali ragionati, tra mito e filosofia, da essere tratto ad affermare
che
le
sentenze dei
filosofi, le
quali non trovino precedente
e riscontro -nella sapienza poetica e volgare, debbano essere errate. Anzi, è questo un altro significato che egli
assegna talvolta al rapporto tra filosofia e filologia di una conferma reciproca tra sapienza volgare e sapienza riposta, conciliate entrambe nell'idea di una filosofia perenne :
dell'umanità.
Con filosofia
la teoria del il
mito e del rapporto di esso con la tutt' insieme, la sua teoria della
Vico ha dato,
tra religione e filosofia. Due a pensieri circolano, questo proposito, per entro la Scienza nuova: l'uno, che la religione nasca, nella fase della debo-
religione
e del
rapporto
V. IL
MITO E LA RELIGIONE
71
bisogno mentale di dare pace d'intendere in qualche modo le cose
lczza e dell'incultura, dal alla
curiosità
e
della natura e dell'uomo (di spiegare, per es.,
il
fulmine);
—
l'altro, s'ingeneri negli animi pel terrore di colui che minaccia fulminando. E si potrebbero chia-
che
mare
le
la religione
due
pratica
teoretica e dell'origine poiché, conformemente alle
teorie, dell'origine
della
e
religione; dottrine del Vico, l'uomo è nient'altro che intelletto e vo-
come, fuori di queste due origini, la religione non possa averne altre. Ora, lasciando da parte la lontà, è chiaro
religione nel significato pratico (della quale si discorrerà più innanzi), la religione nel significato teoretico che cosa è altro se non l'universale fantastico, l'animismo poetico,
A
il
mito?
la
divinazione,
essa
si il
lega quell'istituto che il Vico chiama complesso dei metodi coi quali si racco-
glieva e interpetrava la lingua di Giove, le parole reali, i segni e cenni del Dio, finto nell' universale fantastico e
creato dall'immaginazione animatrice. E come dal mito procede la scienza e la filosofia, cosi, parimente, dalla di-
vinazione la conoscenza delle ragioni e cause, la previsione filosofica e scientifica. Il Vico, a questo modo, si liberava dal pregiudizio che cominciava a prevalere al suo tempo (si ricordino la storia degli oracoli antichi del Van Dale, resa popolare dal Fon-
tenelle, e
il
libro già citato del
Banier), e tanta efficacia
ebbe per un secolo ancora, delle religioni come « impostura d'altrui », quando erano invece (egli dice) nate da «
propria credulità
artificiale dei miti,
religioni.
turale
Ma come
». Colui che non ammetteva l'origine non poteva ammetterla neppure delle
egli rifiutava altresì l'origine
o rivelata dai miti, cosi nello stesso
ziava né più né
meno che
l'origine naturale, anzi
delle religioni; e, quel che più specialmente è la
sopranna-
atto pronun-
riponeva in una forma inadeguata dello
umana,
da notare,
spirito, nella
FILOSOFIA DEL VICO
72
forma semifantastica, che è il mito. Né bisogna fare casoqualche suo breve detto incidentale, che sembra in contrasto con questa teoria; come là dove dice che la religione
di
precede non solo
le filosofie
ma
il
linguaggio stesso,
la coscienza di qualcosa di
suppone
comune
il
quale
tra gli uomini:
equivoci derivanti dalla solita perplessità metodica e da abito di poca chiarezza. L'identificazione della religione coL mito, e l'origine
umana
temente espressa,
ma
delle religioni,
è essenziale a tutto
non il
solo è insisten-
sistema del Vico.
Origine umana, che non esclude, nelle parole di lui, un diverso concetto di religione: la religione rivelata, e perciò di
origine soprannaturale. Egli, infatti, pone sempre, la teologia poetica, che è mitologia, e la
da un canto,
teologia naturale, che è metafisica
o
filosofia;
e,
dal-
teologia rivelata. Ma quest'ultimo concetto è ammesso da lui, non perché si leghi ai precedenti e tutti l'altro, la
derivino da un principio comune, si bene semplicemente il Vico afferma gli uni e afferma l'altro. L'origine
perché
umana,
la teologia poetica, di cui è séguito la teologia
me-
tafisica, è quella che vale
per l'umanità gentilesca, ossia l'umanità fatta eccezione del popolo ebreo che intera, per è privilegiato dalla rivelazione. Per quali motivi il Vico serbasse questo dualismo, e sopra quali contradizioni pun-
genti fosse a cagione di esso costretto ad adagiarsi, anche
questo si vedrà più oltre, e a suo luogo. Ma appunto perché quel dualismo rimase in lui senza mediazione, noi
dobbiamo, esponendo il suo pensiero, tenere fermo ciascuno dei due termini del dualismo, e, per ora, l'origine
meramente umana:
la religione
quale prodotto del
bisogno teoretico dell'uomo giacente in condizioni di relativa povertà mentale. Concetto che indiretti
ha rapporti solamente
con quello bruniano della religione come cosa ne-
cessaria alla moltitudine rozza e poco sviluppata, e con quello campanelliano della religione naturale o perpetua,
V. IL
eterna
filosofia
MITO E LA RELIGIONE
73
razionale coincidente col cristianesimo spo-
gliato dai suoi abusi; e che ha rari e deboli riscontri negli scrittori del tempo, i quali, anche quando vi accennano di passaggio, l'intendono in
modo
tano senza nessuna coerenza con tono sulla religione in quanto
superficiale e lo presenle altre
ignoranza
loro idee
:
bat-
e trascurano la
sapienza di quella ignoranza, la religione come verità.
VI
La coscienza morale
JLie altre
dottrine del
Vico di ragion teoretica, cioè e matemati-
di logica della filosofia, delle scienze fisiche
che e delle discipline storiche, sono state già esposte nell
'esporre la sua gnoseologia, e
primi
perché
scritti,
nella
si
desumono quasi
Scienza nuova
la
tutte dai
fase
della
appare, più che altro, come un limite della ricerca. Soltanto giova notare che il Vico tocca «
mente
tutta spiegata
»
il problema del rapporto tra poesia e storia, ma, sempre a causa dell' indistinzione tra filosofia e scienza sociale, non gli riesce di risolverlo pienamente. Sotto un aspetto, sembra a lui che la storia sia anteriore alla poe-
altresì
perché questa, dice, presuppone la realtà e contiene una «imitazione di più»; sotto un altro aspetto, che la
sia,
poesia costituisca la forma prima, perché presso primitivi la loro storia è la loro poesia e
sono
i
poeti.
A
tico, intrinseco alla storia;
storia, osserva
i
popoli storici
primi ogni modo, egli insiste sull'elemento poee di Erodoto,
che non solo
più parte di favole,
ma
« lo
i
i
libri
padre della greca di lui sono ripieni la
stile ritiene
moltissimo dell'o-
merico, nella qual possessione si sono mantenuti tutti gli storici che sono venuti appresso, i quali usano una frase
mezza tra la poetica e la volgare »: « verba ferme poStarum come ripete altrove facendo suo un detto di Cicerone.
»,
FILOSOFIA DEL VICO
76
Né fra
trovano svolti particolarmente nel Vico
si
tutto egli suggerisca
di Dio
;
il
onde
rapporti
e volontà,
intelletto e volontà coincidono,
magine
i
benché dapperche come in Dio pensiero generale
teoria e pratica, intelletto
la
similmente nell'uomo, im-
mente o
spirito
non
è divisa in
un
pensiero e in una volontà, in un pensiero che proceda per un verso e in una volontà che proceda per un altro, ma
pensiero e volontà si compenetrano e formano un tutto concezione assai superiore a quella della filosofìa del solo suo tempo, cioè del leibnizianismo, in cui persisteva il con:
cetto dell'arbitrio divino, e perciò dell'irrazionalità.
Un
al-
suo e singolare pensiero importerebbe invece, per chi concluda frettolosamente, la precedenza della pratica sulla tro
teoria
;
concetti
perché
il
Vico dice che
mercé l'esperienza
leggi nelle quali gli uomini
i
filosofi
pervengono
si
accordano come in qualcosa
di universale, e che Socrate e Platone, per es.,
gono
la
democrazia e
i
ai loro-
delle istituzioni sociali e delle
tribunali ateniesi.
Ma
presupponquesta suc-
cessione delle religioni che generano le repubbliche, delle
repubbliche che generano le leggi, delle leggi che generano che egli chiama « una particella della
le idee filosofiche, e
storia della filosofia narrata filosoficamente
teoria d'importanza non filosofica
Per quel che concerne
ma
».
è,
appunto,
sociologica.
le dottrine
di
ragion pratica,
delle quali ora entriamo a trattare, potrebbe parere che il
Vico, diversamente che in quelle di ragion teoretica,
non
suo tempo, ma anzi si ricolleghi proprio a un movimento del suo tempo: alla scuola del diritto naturale. Il capo della scuola, l'iniziasia in recisa opposizione alle idee del
tore del movimento,
dei suoi
quattro
Ugo
Grozio, era da lui chiamato uno
autori, insieme con Platone, in cui trovava
appagata la sua brama di una Bacone che gli aveva fatto sorgere
filosofia
in
idealistica,
mente l'idea
di
col
una
scienza positiva e storica delle società, e con Tacito, che-
VI.
LA COSCIENZA MORALE
vedremo più innanzi qual dette di averne ottenuto.
petuamente
77
servizio gli rese o
E
Vico cre-
il
insieme col Grozio ricorda per-
gli altri principali autori del diritto naturale,
Pufendorf, trascurando gl'innumerevoli loro che considera, piuttosto che autori di scienza, semseguaci, « adornatori » del sistema groziano. plici il
Selden e
Il
il
ricollegamento, in un certo senso, è evidente e conma anche è indubi-
fessato e professato dallo stesso Vico
;
che egli non aderì semplicemente a quella scuola, « neppure la continuò al modo di chi serbi i concetti getabile
nerali e direttivi, e svolga o corregga i particolari. La continuò solamente in significato dialettico, cioè in quanto ne ebbe a contrastare le tesi capitali o ad accoglierle cangian-
dole profondamente. luzioni ferse
diritto naturale gli offerse
Il
ma problemi,
ben determinati,
e di questi altri,
anche se alcuni
non
so-
gli of-
e più gravi, suscitò solamente
problemi dunque o non risoluti o neppure Vico si propose e in parte risolse. Gli aspetti e le tendenze del diritto naturale erano molteplici, e conviene preliminarmente distinguerli ed enu-
nel suo spirito
veduti, che
:
il
merarli. In primo luogo, in quella scuola, presa nel suo e nei suoi tratti essenziali, si esprimeva il pro-
complesso
gresso sociale, onde l'Europa, uscendo dal feudalesimo e dalle guerre di religione, si dava una nuova coscienza, spiccatamente borghese e laica di essa fu quasi
l'altro,
«
«
ricordi che la formazione
si
alla nascita dell'anticleri-
contemporanea
cale e borghese istituto della
voleva dire, tra
:
massoneria
».
non soprannaturale
«Naturale
ostilità o indifferenza di fronte al
soprannaturale e alle
tuzioni che lo
e
ai
conflitti
rappresentavano a caso il Grozio fu arminiano
ingenerava. Non
dorf ebbe
liti
con teologi;
il
Tomasio
è
»
»; e, quindi,
sociali ;
il
isti-
che
Pufen-
rammentato
tra
i
promotori della libertà di coscienza. Le proteste di reverenza verso la religione e verso la chiesa, che con molta
FILOSOFIA DEL VICO
78
abbondanza quei
solevano
pubblicisti
nei
inserire
loro
ne sono come soffusi da un velo di pietà), (i quali erano cautele da politici, che procurano di minare il ne-
scritti
mico senza
lasciarsi scorgere, di ferire coprendosi. Cautela
lodata, per es., nel Grozio da (l'autore della
che celebra
il
dentice », quasi Messia
rale
»
dalla servitù al
forza
di tutta la
uno dei seguaci della scuola
Pauco plenior iuris naturalis historia, 1719), maestro come « instrumentum divince provi-
e
venuto a redimere «
super naturale
di tutta l'abilità
»,
il
«
lumen natu-
e fornito perciò*
occorrenti; talché, caute versabatur
esperto delle persecuzioni scolastiche, « ne maius bilem adversus prudentiam naturalem
et
rationalem
ex latebris productam tara minis irritaret », e procedendo a separare le leggi umane dalle divine, non prendeva di fronte la scuola teologica con l'attaccarne gli errori fondamentali, anzi perfino la lodava nei prolegomeni dell'opera « Naturale » significava altresì ciò che è comune agli individui delle varie nazioni e stati onde, sotto l'aspetto
sua.
;
un ottimo motto d'ordine per riunire in speranze e lotte comuni la borghesia dei vari:
pratico, forniva certi desideri,
paesi. I trattati del diritto naturale furono, nel secolo deci-
mosettimo e nel seguente, per nifesto dei comunisti e
il
grido
la borghesia, quel :
«
do, unitevi », tentarono di essere
che
Proletari di tutto
Mamon-
il
il
perla classe operaia nel
decimonono. In quanto quella scuola e quella pubblicistica erano mamoto pratico, l'interesse filosofico vi aveva
nifestazione di un
parte subordinata e ufficio sussidiario. Per questa ragione,
secondo luogo, le trattazioni del diritto naturale, filosoficamente considerate, non si levano di solito sopra un in
chiaro
e
I principi, sui
popolare empirismo.
appoggiano, non sono approfonditi estrinsecamente unificati;
i
e assai spesso
quali
si
neppure
concetti, che adoperano, sono
piuttosto rappresentazioni generali
;
la
forma della
tratta-
VI.
LA COSCIENZA MORALE
79
zione è solo apparentemente sistematica. Qualcuno di quegli procurava di collegare le sue dottrine giusnatura-
scrittori
con
listicbe
la
filosofia platonica,
stoica o cartesiana, ri-
saliva ad assiomi logici e metafisici,
duzione e del metodo
matematico.
si
giovava della de-
Ma
tutto codesto era
accostamento e non fusione, adornamento e non ravvivamento; e, tutt'al più, valeva come prova di diligenza e di serietà d'intenzioni.
La tisti
per altro, implicita più o
filosofia,
sero a elaborarlo speculativamente, rito del
tempo, del quale
ci
si
meno
nei tratta-
che preaccordava con lo spi-
del diritto naturale ed esplicita nei
sono noti
i
filosofi
caratteri generali.
Cosicché terzo aspetto del giusnaturalismo fu, in etica, o l'utilitarismo, ora più o meno larvato ora apertamente dichiarato, e a volta a volta ragionato con tosto
matematizzante o
piuttosto
filosofia piut-
sensistica,
di
tendenze
materialistiche o di tendenze razionalistiche; ovvero (che
medesimo) un astratto e intellettualistico moralismo, che minacciava di precipitare a ogni istante è quasi
il
nell'utilitarismo. Dal quale intellettualismo e utilitarismo,
combinati con l'impronta pratica e rivoluzionaria di quel moto spirituale, che era rivolto piuttosto a un semplicistico diritto
mente
da far trionfare che non a riconoscere quello realsvoltosi nella storia e ricco di tante forme e vicen-
de, derivava
il
quarto carattere di esso, cioè la mancanza
l'antistoricismo della scuola, la quale stabiliva l'astratto ideale di una natura umana fuori della di senso storico,
storia
umana
o
non fusa e vivente
in questa.
Infine, borghese, anticlericale, utilitario o materialistico
com'era,
il
giusnaturalismo aveva un quinto e importante trascendenza e la tendenza a
carattere, l'avversione alla
una concezione immanentistica dell'uomo cietà. Carattere
nalmente,
poco
ma non
esplicato
pertanto
e
poco
e della
facilmente riconoscibile
complesso dei concetti di quella scuola.
so-
ragionato dottrinel
'
80
FILOSOFIA DEL VICO
Ora, l'ispirazione del Vico era genuinamente ed esclusivamente teoretica, punto pratica o riformistica; alta-
mente speculativo il suo metodo, e disdegnoso dell'empirismo; idealistico, e perciò antimaterialistico e antiutilitaristico,
suo spirito;
il
la
sua gnoseologia anelante al concreto, Per conseguenza, la sua dot-
al certo, e però storicizzante.
trina della ragion pratica, pure
prendendo
le
mosse dal
giusnaturalismo, doveva uscire diversa, anzi contraria a questo, in tutti i primi quattro caratteri da noi enunciati. E se in qualcosa coincideva (non nella via per pervenirvi,
ma
nel
risultamento), era appunto dove meno l'autore nel carattere immanentistico e areligioso.
avrebbe voluto
Ma
poiché
:
nostro proprio tema non è già la critica naturale ebbe nel pensiero il diritto
il
e modificazione che
del Vico,
si
bene questo pensiero
il filo
stesso,
sarà opportuno,
della esposizione, seguire ordine alquanto
ripigliando diverso da quello tenuto nel ricapitolare
i
vari caratteri
del giusnaturalismo, e cominciare dal vedere l'opposizione
Vico all'utilitarismo
del
scuola, e
la
dottrina
dichiarato o larvato
che egli
svolse
sul
di
quella
principio del-
l'etica.
due principali rappresentanti dell'utilitarismo nel secolo decimosettimo, che il Vico ha sempre innanzi agli occhi, sono l'Hobbes e lo Spinoza; ma ricorda insieme con essi il Locke e il Bayle e, del secolo precedente, il MaI
chiavelli e, risalendo all'antichità, gli stoici col loro concetto del fato, gli epicurei con quello
del caso,
Cameade
col suo scetticismo, e perfino l'inconsapevole dottrina che
è contenuta nel motto
«
Vce victis
capo dei Galli invasori di sforzo
una
magnanimo
teoria che
le
Roma.
»,
Brenno o Hobbes ammirava lo
attribuito al
Dell'
nel cercare di accrescere la filosofia di
era mancata nei bei tempi della Grecia,
cioè della teoria dell'uomo considerato in tutta la società del
genere umano;
ma
diceva infelice l'evento,
fallito
il
ten-
LA COSCIENZA MORALE
VI.
tativo, che
81
(come anche quello del Locke) nel fatto risultava L'Hobbes non si era accorto
assai prossimo all'epicureo.
che
egli
non
sarebbe potuto neppure proporre il suo naturale dell'umanità, se il motivo
si
del diritto
problema non gliene
fosse stato fornito per l'appunto dalla religione
comanda verso
cristiana, la quale
nonché
tutto
il
genere umano,
Agli stoici invece, al loro fato e al loro determinismo onde furono incapaci a ragiola giustizia, la carità.
nare adeguatamente di repubblica e di leggi, a codesti « spinosisti dell'antichità », si collegava idealmente lo Spinoza, del cui utilitarismo, diverso di spiriti tanto dal lo-
ckiano quanto
non sensu de
dall'
hobbesiano (perché
lo
Spinoza
la singolarità.
strinse lo Spinoza a ragionare di repubblica in
elevato,
«
«
mente,
rerum diiudìcat
»), non isfuggiva al Vico che debba dirsi, esso coMa, per singolare
veris
come
di
una società che
sia di
modo poco
mercadanti
».
Quelle dottrine utilitarie, calunniose dell'umana natura, parvero al Vico proprie di uomini disperati, che per la loro viltà non ebbero mai parte nello stato, o per la loro superbia si stimarono tenuti bassi e non promossi agli onori dei quali per la loro boria si credevano degni; e anil povero Spinoza, il quale, non avendo, niuna ebreo, perché repubblica, mosso da livore, si sarebbe dato a escogitare una metafisica « da rovinare tutte le re-
noverò tra costoro
mondo
pubbliche del
».
Severo è
il
suo giudizio sulle con-
dizioni dell'etica ai suoi tempi, che era quale poteva essere sulla
base di una metafisica meccanica e materialistica,
senza lume di
finalità. Cartesio fu affatto
sterile in quel cose che poche campo, perché sparsamente ne lasciò scritte non compongono dottrina e il suo trattato delle Pasle
sioni serve piuttosto alla
mente
sterili
il
medicina che
Malebranche
e
Pascal, solitaria eccezione, sono italiani,
B. Croce,
il
La
Pallavicino
filosofìa
offri
il
alla
Nicole, e
morale; simili
Pensieri
del
pur lumi sparsi ». Degli appena un abbozzo di etica nel «
di Giambattista Vico.
6
FILOSOFIA DEL VICO
82
suo trattato Del bene, e
il
Muratori, nella sua Filosofia
mo-
rale, fece
prova assai infelice. L' utilità non è principio esplicativo della moralità,, perché proviene dalla parte corporale dell'uomo e, per provenienza, è caugevole, laddove la moralità, l' honestas, è eterna. Derivare la moralità dall'utilità è scamtale
•
biare l'occasione con la causa, fermarsi alla superfìcie non spiegare per nulla i fatti. Nessuno dei vari modi
e
nei quali la
il
principio utilitario viene atteggiato dai
frode o impostura,
delle differenziazioni,
frode poteva
la
il
forza,
cioè dell'organismo sociale. Quale e trarre in inganno i supposti
mai sedurre
primi semplici e parchi posseditori di campi,
vano
affatto
ricchi, bati,
i
del grave
i
quali vive-
contenti della sorte loro? Quale forza, se
pretesi usurpatori, erano pochi, e
molti?
filosofi,
bisogno, rende conto
Codeste spiegazioni
problema.
Quei
forti,
i
i
poveri,
sono giochetti,
i
deru-
indegni
quei potenti erano, in
realtà, potenti d'altro che di sola forza; tanto che
si
fa-
cevano protettori dei deboli e oppugnatori delle tendenze distruttive e antisociali: la loro legge era,
si,
di forza,
ma
a natura prcestantiori dlctata » cosa che ben era lecito ignorare al barbaro Brenno, ma non a uomini filosofi. La «
,
forza creatrice e organizzatrice delle prime repubbliche fa tutta umanità generosa, alla quale si debbono ri-
chiamare sempre gli Stati, quantunque acquistati con l'impostura e con la forza, perché reggano e si conservino;
conformemente origini,
ma
al detto del Machiavelli di richiamarli alle
con l'intesa che
le origini
nella clemenza e nella giustizia.
profonde
si
trovano
Gli uomini sono tenuti
insieme da qualcosa di più saldo dell'utilità. Società d'uomini non può incominciare e durare senza fede scambievole; senza che altri riposino sopra le altrui promesse e
acquetino alle altrui asseverazioni di fatti occulti. Si può forse ottenere questa fede col rigore delle leggi penali si
LA COSCIENZA MORALE
VI.
contro la
menzogna? Ma
le leggi
83
sono prodotto della so-
cietà, e, perché sorga società, è necessaria quella fede scambievole. Si dirà, come dice il Locke, che si tratta di un processo psicologico, pel quale gli uomini via via si
avvezzano a credere quando
altri loro
dica e prometta di
narrare la verità? Ma, in questo caso, quegli uomini già intendono l'idea di un vero, che basti rivelare per obbli-
gare altrui a doverlo credere senza niun documento e
umano
;
principio psicologico dell'abitudine è oltrepassato. La causa vera della società umana non è, dunque, l'uti-
il
quale favorisce soltanto, come occasione, l'azione della causa, e fa si che gli uomini, per natura sociale dela
lità,
boli e indigenti, e divisi dal vizio di origine, si
celebrare la loro natura sociale,
secondo
Cose,
che non muta;
circostanze
fatti,
e di qui
traggano a
rebus ipsis dictantibus
pomponiana, che
la forinola
dilezione.
«
il
mutano
l'illusione
»,
Vico ripete con pre-
degli
nella moralità
che
utilitaristi,
guardano dall'esterno e si tengono alle apparenze e vedono il mutamento e non la costanza. L'omicidio è vietato ma ;
dà a colui
quale, minacciato nella non altrimenti salvarsi, uccide l'ingiusto vita, potendo non mutevolezza del criterio morale aggressore, importa
l'approvazione che
si
il
circa l'omicidio, perché, in quelle particolari circostanze,
non
si
che
l'
ma
tratta, in realtà, di omicidio,
di
pena capitale
ingiustamente aggredito, trovandosi in solitudine, infligge quasi per tacita delegazione sociale. Il furto è vietato;
ma
colui che, per
un pane, non viola
la
tenersi
moralità,
in vita,
prende altrui
perché esercita un
di-
fondato sull'equobono. La sola filosofia che porti con sé una vera etica sem-
ritto
bra
al
Vico
la platonica, risalente a
sico, l'idea eterna che educe
da
un principio metafi-
sé
e crea la materia;
laddove l'etica aristotelica è fondata sopra
che conduce a un principio
fisico, alla
una metafisica
materia, dalla quale
FILOSOFIA DEL VICO
84 si
educono
laio
forme particolari facendo
le
che lavori
di
Dio un vasel-
cose fuori di sé. L'etica dei giureconsulti
le
romani abbonda, senza dubbio, di splendidi aforismi, ma non è altro che una semplice arte di equità, insegnata con innumerabili minuti precetti di giusto naturale, che quelli indagavano dentro le ragioni delle leggi e la volontà del
non può considerarsi come filosofia morale, dove fa d'uopo procedere da pochissime verità eterne, stabilite in metafìsica da una giustizia ideale. Per ragioni analoghe il Vico non poteva appagarsi del Grozio e degli allegislatore; epperò
tri
giusnaturalisti
sima, cioè che
i
;
circa
i
quali nota in genere cosa veris-
grossi volumi recano,
loro
si,
titoli
ma-
ma poi non contengono nulla più di ciò che è volgarmente risaputo. Se si pesano i principi del Grozio con gnifici,
la bilancia esatta della critica, risultano tutti piuttosto pro-
babili e verisimili che necessari e invitti. Nella questione
punto giusto, non distinguendo l'occasione dalla causa; né « inchioda », ossia non definisce, l'antichissima disputa se il diritto sia in natura o dell'utilità
il
Grozio non coglie
il
solo nelle opinioni degli uomini, nella quale filosofi e teo-
logi ancora
contendono con
curo; propone l'ipotesi «
semplicioni », poiché quei suoi
ma «
si
lo scettico
Cameade
e
con Epi-
degli uomini primitivi che siano
dimentica affatto di ragionarla. E », accortisi dei danni della
semplicioni
vengono alla vita comune, e questa determinazione è loro dettata dall'utilità, il Grozio scivola anche lui, senza avvedersene, nell'utilitarismo e nell'episolitudine bestiale,
cureismo.
Ma il Vico, invece, alla domanda se il diritto sia per natura o per convenzione risponde con la solenne « dignità » « Le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano :
né vi durano
».
Alla
domanda donde nasca
la società
ri-
sponde richiamando il senso umano, la coscienza, il bisogno che ha l'uomo di salvarsi dal nemico interno che gli
LA COSCIENZA MORALE
VI.
85
rode il petto. L'origine è certamente nel timore, ma nel timore di sé stesso, non della violenza altrui; è nel rimorso che punge, nel pudore che tingendo di rosso il volto dei primi uomini fa risplendere per la prima volta la
moralità sulla terra.
Dal pudore nascono tutte
le
virtù,
l'onore, la frugalità, la probità, la fede nelle promesse, la
verità nelle parole, l'astensione
dall'altrui,
Celebrando la società, l'uomo celebra
la
la
pudicizia.
natura umana.
Il pudore o coscienza morale, tradotto nella corrispondente scienza empirica, dà il senso comune degli uomini d'intorno alle umane necessità o utilità, che
è la fonte del
diritto
naturale delle
genti.
Questo senso
un giudizio senza alcuna ri(dice flessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione e da tutto il genere umano. Giudizio senza riflessione non è veramente giudizio, dal quale la riflessione è inseparabile; non è giudizio anche perché sentito e non pensato. Ma non è neppure quello
comune
il
Vico) è
che poi si disse « sentimento », termine vago, ignoto al Vico non meno che alla filosofia tradizionale. È piuttosto
un atteggiamento pratico dividui viventi
in
che, simile a un di presso negl' incondizioni simili, produce i simili co-
stumi dei vari gruppi sociali, da quelli di una classe particolare a quelli dell'intera umanità. Atteggiamento affatto
spontaneo (e, anche per questo definito privo di riflessione), onde i costumi si generano dall'interno e non dall'esterno, e sono simili senza che siano copiati gli uni dagli altri
senza prendere esempio l'una nazione dall'altra »). Attraverso quel senso comune la coscienza morale s'incor-
(«
pora in compatti e resistenti istituti; ed esso accerta è di sua natura incertissimo.
l'umano arbitrio, che
VII
Morale e religione
M.
.a il timore interno, il pudore, la coscienza morale è svegliata negli uomini dalla religione: il timore è timore di Dio, il pudore è vergogna innanzi a lui. Gli uomini pri-
mitivi errano per la terra solitari, selvaggi, feroci, senza lingue articolate, senza concubiti certi, in preda alle loro disordinate violentissime passioni; piuttosto che uomini, «
bestioni
».
Chi
li
Donde verrà
frenerà?
il
soccorso che
vicenda? Non possono inuomini sapienti, che non si sa donde o come s'introdurrebbero in mezzo a loro; non può salvarli l'intervento di Dio: Dio si è ritirato nel suo popolo eletto loro impedisca di distruggersi a
dirizzarli
e non ha nessun commercio con la restante umanità, con l'umanità gentilesca. Ma quei « bestioni » son pur uomini: Dio, nell'abbandonarli, ha lasciato nel fondo del loro cuore
una
favilla dell'esser suo.
Ecco:
il
cielo fulmina,
i
bestioni
fermano, temono; si accende in loro la confusa stupiscono, idea di qualcosa che li supera, di una divinità. Ed essi pensi
sano, o piuttosto immaginano, un primo Dio, un Cielo o un Giove fulminante; e a quel Dio si rivolgono per placarlo
o per invocarlo a soccorso. corritore
Ma
debbono conformare
tento: umiliarsi alla divinità,
per placarlo e averlo socpropria vita a questo in-
la
domare
l'orgoglio e la fie-
FILOSOFIA DEL VICO
SO
rezza, astenersi da certi atti, compierne altri. Dal pensiero della divinità riceve forza
dunque
il
conato
ossia la li-
bertà, che è propria della volontà umana, di tenere in freno i moti impressi alla mente dal corpo per acquetarli o per dare loro altra direzione. E con questi atti di do-
con la libertà, è nata insieme la motimore di Dio ha posto il fondamento alla
minio sopra sé ralità:
il
stesso,
umana. La terra si copre di are; le grotte dei suoi monti, dove il maschio trascina ora la femmina, vergognoso dei concubiti innanzi al volto del Cielo o di Dio, assistono ai vita
primi
riti
della terra corpi.
proteggono le prime famiglie; il grembo apre ad accogliere il pio deposito dei morti
nuziali, si
Le prime
religioso,
e fondamentali istituzioni etiche
matrimoni, sepolture
—
—
culto
sono sorte.
Questa potenza etica- e sociale dell' idea di Dio si riafferma nel corso della storia posteriore perché, quando i ;
popoli sono infieriti con le armi, e nessun potere hanno più sopra di loro le umane leggi, l'unico mezzo di ridurli .è la
religione. Si riafferma nello svolgimento individuale
della vita
umana:
menti insegnare
ai
fanciulli, infatti,
la pietà
non
si
altri-
può
che col timore di qualche divi-
nità; e, nella disperazione di tutti
i
soccorsi della natura,
l'uomo desidera un essere superiore che lo salvi, e questo essere è Dio. Tutte le nazioni credono in una divinità provvidente: popoli che vivano in società senza alcuna coscienza di Dio, per es., in alcuni luoghi del Brasile, in Cafra, nelle Antille, sono novelle di viaggiatori, che pro-
curano smaltimento Se è cosi
con mostruosi ragguagli. certamente), nessuna dottrina è
ai loro libri
(e cosi
è
più stolta di quella che pretende concepire morale e civiltà senza religione. Come delle cose fisiche non si può avere certa scienza senza la guida delle verità astratte fornite dalle matematiche, delle
cose morali non
si
può
senza la scorta delle verità astratte metafisiche, e perciò
VII.
MORALE E RELIGIONE
89
senza l'idea di Dio. Quando si spegne o si oscura la coscienza religiosa, insieme si spegne e si oscura il concetto di
società
e
di
stato.
Ebrei, cristiani, gentili e
maomet-
tani ebbero quel concetto, perché tutti credettero in qual-
che divinità, sia come mente infinita libera, sia come più mente e di corpo, sia come un unico Dio,
dèi composti di
mente gli
infinita libera in
corpo
infinito.
epicurei, che attribuivano a Dio
corpo fato.
il
caso;
né
gli
stoici,
che
lo
Ma non fecero
E ottimamente Cicerone diceva ad
non potere
con
lo
ebbero
corpo e col
solo
il
soggetto al
Attico, epicureo,
ragionamento intorno alle leggi, se prima non gli concedesse che vi sia provvidenza divina. L'Hobbes, che rinnovava l'epicureismo, e lo Spidi
istituire
lui
noza, rinnovatore dello stoicismo, si è visto che non intesero nulla di quel che siano società e stato. Tra gli empì
uomini primitivi, brutti,
irsuti,
squallidi, rabbuffati, do-
vrebbero andarsi a disperdere quei dotti dalla « sfumata letteratura », e a capo di essi Pietro Bayle, che sostengono che senza religione possa vivere, e viva di
fatto,
umana
società.
La manchevolezza argomento della
nell'
idea di Dio è altresì
critica che
il
Vico
muove
a
il
due
principale di coloro
che egli altamente onorava come « principi » del diritto naturale,. al Grozio e al Pufendorf. Né l'uno né l'altro (egli
primo e proprio principio la provviGrozio non già che propriamente la neghi, ma, « per lo stesso grande affetto che porta alla verità », per meglio assodare la necessità razionale dell'umana società, ne vuol prescindere, e professa che il suo sistema dice) statuisce per
denza divina.
Il
regga, tolta anche ogni cognizione di Dio; onde il Vico socinianismo, perché pone la naturale inno-
lo taccia di
cenza in una semplicità di natura umana. Peggio il Pufendorf, il quale addirittura sembra sconoscere la provvidenza e comincia con
un'ipotesi scandalosa ed epicurea, suppo-
FILOSOFIA DEL VICO
90
nendo 1' uomo gettato in questo mondo senza niun aiuto e cura di Dio (senza neppure quella scintilla chiusa in petto, che si dilaterà in fiamma morale); della qual cosa essendo stato
(dallo Schwartz), cercò
ripreso
una particolare dissertazione giunse a scorgere
di giustificarsi
(l' Apologia del 1686),
con
ma non
principio vero che solo rende possi-
il
bile spiegare la società.
Ora perché mai, essendoci note tutte codeste energiche affermazioni e polemiche del Vico sulla condizionalità reabbiamo asserito che il solo punto in veramente d'accordo col Grozio, col Pu-
ligiosa della morale,
cui egli
si
trovi
fendorf, e in genere con la scuola del diritto naturale, è la
concezione affatto immanente dell'etica?
ben dai
si
Vico non
il
osservi,
giusnaturalisti
al
—
Perché, se
metodo tenuto
oppone che anzi anch'egli costruisce
;
scienza della società
umana
si
prescindendo, come
il
la
sua
Grozio,
da ogni idea di Dio, e, come il Pufendorf, ponendo l'uomo senza aiuto e cura di Dio, cioè prescindendo dalla religione rivelata e dal Dio di essa. Come per quei due, materia della sua
prannaturale, eletto,
il
indagine è
il
diritto
il
diritto naturale e
non
il
so-
non quello del popolo che sorge spontaneo nelle caverne e non
diritto delle genti e
quello che scende giù dal Sinai. L'opposizione del Vico (da lui esposta con la consueta confusione e oscurità) si
aggira non sopra codeste affermazioni, ma sul concetto stesso di religione. La religione, insomma, della quale egli parla,
lavano,
il
non è
la
Grozio e
medesima il
di cui parlavano, o
non par-
Pufendorf.
Religione, come già sappiamo, vale per il Vico non già rivelazione ma concezione della realtà; o che si affermi,
come
nei tempi della
mente
tutta spiegata, in
forma di
metafisica intelligibile, e mova dal pensiero di Dio per schiarire la logica nei suoi raziocini e discendere a pur-
gare
il
cuore dell'uomo con la morale; o che
si
affacci,
MORALE E RELIGIONE
VII.
91
come
nei primordi dell'umanità, in forma di metafisica poetica. Dalla religione rivelata, quando si ricerchi il fonda-
ma in qual si può ben prescindere che è tutda naturale, quella religione potrebbe t'una cosa con la coscienza della verità? Plutarco, descrivendo le primitive religioni spaventevoli, pone in problema se, invece di venerare cosi empiamente gli dèi, non samento
modo
della
morale,
;
si
rebbe stato meglio che non fosse esistita religione alcuna; ma egli dimentica che da quelle fiere superstizioni si svolsero luminose civiltà e sull'ateismo
non crebbe mai
nulla.
Senza una religione, mite o feroce, ragionata o immaginosa, che dia l'idea più o meno determinata e più o meno elevata di qualcosa che superi gl'individui e in cui gli individui tutti
si
raccolgano, mancherebbe alla volontà mo-
rale l'oggetto del suo volere.
E
quello che abbiamo disecondo significato, pratico o etico, della
a questo punto
stinto
parola
come «
il
religione
»
vendica e giustifica gli
dèi»;
o,
si
chiarisce
nel Vico. Nel qual significato egli ridetto degli empì che « il timore fece
il
anche, addita la radice della religione nel deuomini hanno di vivere eternamente, mossi
siderio che gli
da un senso comune loro mente.
La
d' immortalità nascosto nel
religione
è,
fondo della
in questo secondo significato,
un
fatto pratico ossia la moralità stessa, era la verità stessa.
come nel primo
Intesa dunque la religione dal Vico o (nel primo significato) come condizione o (nel secondo) come sinonimo della moralità, è chiaro che, col censurare
il
"Grozio e
il
Pufen-
dorf per la loro trascuranza di questo importantissimo concetto, egli non faceva altro in sostanza che ribadire la
moralismo e
critica all'insipido
quei due pensatori.
E
pel
tre volte ricorso all'efficace
gione. Perché se
alla
al
larvato utilitarismo di
medesimo
fine
ebbe anche
strumento del concetto di
filosofìa
attribuì
talora
al-
reli-
l'ufficio
di
FILOSOFIA DEL VICO
92
genere umano sollevando e reggendo l'uomo caduto, tal'altra giudicò che essa sia piuttosto adatta a ragionare, e che le massime ragionate dai filosofi intorno alla il
giovare
morale servano solamente all'eloquenza per accendere i sensi a compiere i doveri della virtù, laddove solo la religione è efficace a far virtuosamente operare. Nella scienza empirica, poi, che corrisponde a questa parte della filosofia
dello spirito,
religione (o
prima
il
Vico, mutate in due epoche storiche la poetica) e la filosofia, fatto della
metafisica
carattere dell'epoca
il
barbarica e della seconda
quello dell'epoca civile, è ovvio che dovesse sostenere, come sostenne, che sola fondatrice di ogni civiltà e della stessa filosofia è
religione, e rigettare
la
il
detto (che egli,
non
senza ritoccarlo, attribuiva a Polibio) che, se ci fossero al mondo filosofi, non farebbero uopo religioni. Come potrebfilosofi (egli obietta), se prima non sorgano le repubbliche ossia le civiltà? e come le repubbliche potrebbero sorgere, senza l'opera delle religioni? Quel detto si
bero sorgere
deve dunque invertire: senza religione, nessuna filosofia. la religione, fa la provvidenza divina, che addimesticò
Fu i
figliuoli dei
Polifemi e via via
Aristidi e dei Sperati, dei
Anche
il
per
ridusse all'umanità degli
concetto dello stato ferino, che nei libri dei
giusnaturalisti serviva lico, sia
li
Lelì e degli Scipioni Africani.
da
ipotesi e
isvolgere la trattazione
da espediente didasca-
indipendentemente dalla
teologia mistica senza sollevare troppi scandali, sia per in-
sinuare
le
loro
teorie
utilitaristiche, nel
Vico ricompare
nuovo contenuto. Cattolico di pure inavendo dato tenzioni, pace al suo animo col separare la rivelata da quella umana, egli è in grado di assureligione mere lo stato ferino come vera e propria realtà. Verità con nuovo
ufficio è
ideale, in quanto rappresenta nella dialettica della co-
un momento necessario per la genesi della momento premorale); realtà storica ed empi-
scienza pratica
moralità
(il
VII.
rica,
MORALE E RELIGIONE
come approssimativa condizione
riodi di anarchia e fermentazione
della civiltà o
seguono
93
»
di fatto in quei pe-
che precedono
il
sorgere
alle crisi di queste. I giusnaturali-
facevano ossequio, ora più ora meno, alla dottrina tradizionale della chiesa, cioè che l'umanità gentilesca, nella
sti
dispersione seguita alla confusione babelica, avesse portato seco un residuo di religione rivelata, un vago ricordo del vero Dio, donde l'origine della vita sociale e degli dèi
e bugiardi,
falsi
ragione
come
barlume del Dio vero e per questa veniva proposto nel loro sistema ;
lo « stato ferino »
astratto e irreale.
Il
Vico eseguiva sul serio
la distin-
zione tra ebrei e gentili, e concepiva lo stato ferino come privo di ogni aiuto che provenisse dall'anteriore rivelazione: uno stato nel quale l'uomo era, per cosi dire, da solo a solo con le proprie sconvolte e turbolente passioni.
Stato
di
fatto
senza moralità,
ma
(diversamente che
nell'ipotesi
utilitaria) tutto
dal quale
esce col farsi esplicito di questo implicito.
si
esce
si
naturalmente
e
pregno
di esigenze
non già per
morali, e
effetto della
Ma
grazia
divina: la vera grazia divina è la stessa natura umana, a cui partecipano i gentili al pari degli ebrei, tutti irraggiati nel volto da un lume divino. L'uomo ha libero arbitrio, ma debole, di fare delle pase nel suo travaglio verso la virtù è aiutato naturale da Dio con la provvidenza. Di certo,
sioni virtù; in il
modo
Vico non intende disconoscere l'efficacia altresì della di-
retta e personale
grazia divina; ma,
col suo solito
me-
todo, la separa dalla provvidenza naturale, che sola gì' im-
porta e sola considera. A lui piacque sempre, per quel che concerneva le controversie sulla grazia, di tenersi lontano dai due estremi, tipicamente rappresentati, secondo
pelagianismo e dal calvinismo; e fin
lui,
dal
da giovane, studiando
opere del Ricardo (il gesuita Stefano Deschamps), teologo della Sorbona, ne accettò la dimostrazione circa l'ecle
FILOSOFIA DEL VICO
94
cellenza della dottrina agostiniana, appunto perché media tra quegli estremi. Siffatta temperata dottrina gli sembrava
propria (diceva) per meditare un principio di diritto naturale delle genti, che
diritto ro-
mano
nel
spiegasse l'origine del ogni altro gentilesco, e per tenersi stesso in accordo con la religione cattolica. Era concedere che vi sia una nazione privilegiata, e di
tempo
disposto a l'ebrea; e
che l'uomo cristiano, nella lotta contro le passioni, sia più. forte del non cristiano, perché, dove non giunge la grazia naturale, può essere soccorso dalla soprannaturale. Ma, infine,
il
miracolo è
miracolo, e
la
Scienza nuova non è
scienza di miracoli.
Che al
non
tale
terzo dei
tre
sia, «
è confermato dalla critica del Vico
principi
vanni Selden, celebre poi, autore del
nam
De
ai
»
del
suoi
diritto
naturale, a Gio-
tempi quanto dimenticato
iure naturali
et
gentium iuxta
discipli-
hebrceoì'um (1640). Diversamente dal Grozio (e avver-
sario di lui
anche in
anzi sublimava l'efficacia sibilità
Selden non negava della religione, né concepiva pos-
altre questioni),
il
alcuna di vita morale e civile per
fuori della rivelazione.
La
quale, fatta
il genere umano, da Dio al popolo
ebreo, da questo sarebbe passata ai gentili per molteplici vie di trasmissione: Pitagora, per es., avrebbe avuto per
maestro Ezechiele
;
Aristotele, al
tempo
in Asia, si sarebbe stretto
di Alessandro
della spedizione in amicizia con
giusto; a Numa Pompilio sarebbe giunta qualche notizia della Bibbia e dei profeti. C'era di che soddisfare
Simone
il
ogni animo di credente, che
si
ritraesse timoroso dai libri
degli altri giusnaturalisti avvertendone le tendenze eterodosse. Ma il Vico non vuol sapere di codesto sistema ultrareligioso.
Pufendorf
Se la
Grozio prescindeva dalla provvidenza e il sconosceva, il Selden aveva il torto (egli dice)
il
supporla, di farne cioè un deus ex machina, senza spiegarla con V intrinseca natura della mente umana. Contrario di
MORALE E RELIGIONE
VII.
alla filosofia, quel sistema
95
non era meno contrario
alla storia
quale anche per gli ebrei ammette in certo modo un diritto non rivelato ma naturale, e solamente perché sacra, la
essi
ne persero coscienza nel tempo della schiavitù d'Egitto, diretta di Dio con la legge data a
fa intervenire l'opera
Mosé;
—
e
non era conforme,
nell'asserita trasfusione di
cognizioni e leggi dagli ebrei nei gentili, a quel che dice
Flavio Giuseppe degli ebrei, sempre restii a qualsiasi contatto con popoli stranieri, e a quel che il Vico supponeva fosse detto anche a questo proposito da Lattanzio, come in
genere era privo di qualsiasi più elementare sussidio di documenti. Cosicché la conclusione del Vico è sempre la medesima: gli ebrei si giovarono altresì di un aiuto straordi-
nario del vero Dio,
ma
le restanti
nazioni s'incivilirono
per opera dei soli lumi ordinari della provvidenza. Se poi il Vico interpetrasse esattamente il Grozio e il Pufendorf ed esattamente ne riferisse le parole, è queper noi di lieve peso, perché non tanto modo nel quale il Vico espose e giudicò gli
sito
e'
importa
il
altri filosofi,
idee che egli sostenne pur attraverso i suoi fraintendimenti storici, che, a dir vero, non sono pochi. Tut-
quanto
le
tavia, sarà
bene indicare di volo, circa
possono incontrarsi su questo punto,
la
le
difficoltà
che
soluzione che a
noi sembra plausibile. Senza dubbio, chi, dopo aver letto le
censure del Vico, apra il De iure belli et pacis e vi trovi il Grozio include espressamente fra i suoi tre principi
che
fondamentali, accanto alla ragione e alla socialità, la volontà divina, e che quel suo prescindere da Dio suona poco più di una semplice frase enfatica a significare la forza della avrebbero efficacia « etiamsi
socialità e della ragione (le quali
daremus non umane,
«
esse
Deum » o summo
sine
quod Pufendorf e
che Dio non
si
curi delle cose
scelere davi nequit >);
—
chi
apra più solenne rifiuto dell'ipotesi groziana, empia ed assurda, e la dichiarazione che le il
vi legga
il
FILOSOFIA DEL VICO
96
leggi naturali resterebbero sospese in aria, prive di forza, senza la volontà di un Dio legislatore può essere tratto ;
a tacciar
il
—
Vico di poca diligenza o di strana puntiglioche muove a questi suoi prede-
sità ortodossa nella critica
Ma il Vico, in verità, non sapeva che cosa farsi di un Dio messo accanto alle altre fonti della moralità, o messovi disopra come una superflua fonte della fonte; cessori.
che cercava Dio nel cuore dell'uomo, sentiva e scorgeva l'abisso che lo separava da coloro che non l'avevano più nel cuore e appena, per abito o per prudenza, lo serbaegli,
vano nelle parole. Più sottilmente si potrebbe domandare perché mai, se il Vico era d'accordo coi giusnaturalisti nel prescindere dalla rivelazione, e se egli, anziché rigettare, approfondiva la loro superficiale dottrina immanentistica, si atteggiasse
a loro risoluto avversario e facesse la
voce grossa e insistesse presso prelati e pontefici nell'attribuirsi il vanto di aver esso pel primo formato un si-
stema del
diritto naturale, diverso
da quello dei
tre autori
protestanti e adatto alla chiesa romana. L' ipotesi che operasse cosi per politica cautela la proporremmo, se, invece di lui,
avessimo innanzi, per
ma
furbo frate, un
es.,
un appassionato
e
Tommaso Campanella; ma
magnanimo la
candida
personalità del Vico la esclude affatto, e solo si può concedere che, poco chiaro com'era sempre nelle sue idee, questa
adagiasse alquanto nella poca chiarezza e, trasportato dalla sua calda fede, alimentasse le sue illusioni, fino volta
si
a idoleggiarsi dentro di sé con la veste di defensor ecclesia nell'atto stesso che soppiantava la religione della chiesa
con quella dell'umanità.
Vili
Morale e diritto
D<"opo
che tanto lume di originalità è rifalso ai nostri occhi, non ci* riesce possibile fermare lo sguardo su quelle dottrine e classificazioni etiche che il Vico attinse alla filosofìa tradizionale e mise soprattutto nel primo libro del Diritto universale', quantunque esse per l'appunto riescano assai care a non pochi lettori e siano divenute quasi
popolari per
Ohe Dio
le
continue citazioni che ne sono state
sia «posse, nosse, velie infinitum
nosse, velie finitura
pubblica o Stato infra
quod tendit ad
sia
nemini reddere rationem
come
e
»,
—
» ;
Dio, e poiché
debba
fatte.
e l'uomo «.posse,
in finitimi
di
immàgine
nil super ius habet »,
se,
»
che «
la re-
omnia
uni Deo, prceterea Dio inerisce
«
la libertà di
alla sua eterna ragione, cosi lo Stato liberamente ubbidisca alla legge
da esso stesso
stabilita
—
;
che
comandando
litates dirigat et excequet »,
delle repubbliche quasi architetta alle
la giustizia
«
uti-
nella costruzione
due
giustizie parti-
commutativa e distributiva, due fabre divine che misurano le utilità con le due misure eterne, aritmetica e
colari
geometrica, est
ìustum
oltre che
sicché
quum
«
eligis
quod »;
poco originali,
ci
bene possano adornarsi dei B. Croce,
La
filosofìa
est
—
cequum cum
metiris,
queste e altrettali
idem
sentenze,
sembrano o fallaci o vuote, sebnomi ora di Aristotele ora del
di Giambattista Vico.
7
FILOSOFIA DEL VICO
98
Campanella ora
di altri filosofi antichi o del
Einascimento,
Se, per dirne una, la giustizia consistesse in misurazioni, una filosofia della giustizia non farebbe d'uopo, dovendo
bastare le scienze del calcolo e della misura.
Il
Vico me-
desimo, in un punto, svela involontariamente e ingenuamente il circolo vizioso di quella metafora scambiata per concetto, tra loro
dicendo che
egualmente
gli
uomini debbono
le utilità,
giusta differenza ove si tratta per serbar l'egualità ».
comunicare
«
solamente serbata una e questa stessa
di meriti,
Meglio che queste viete forinole, gioverebbe andare raccogliendo le frequenti e acute osservazioni di psicologia
morale che istile
riso,
trovano sparse nei suoi scritti, espresse in lapidario; o ricordare la sua poco nota teoria sul si
che egli faceva nascere dall'aspettazione delusa e dalla mente e che perciò negava cosi all'ani-
debolezza della
male come all'uomo perfetto, considerando l'uomo che ride come un satiro o fauno, medio tra la 'bestia e l'uomo.
—
Ma, astenendoci da questa raccolta che è estranea al nostro intento, noteremo piuttosto che, anche nelle sopra -
menzionate comuni distinzioni e
un qualche merito; nel tempo stesso che
classificazioni,
di
il
Vico ha
riconoscere,
per l'appunto, propone, il necessario confondersi e identificarsi di tutte o di molte tra quelle distinzioni. Cosi,
distinte le
due
cioè, le
giustizie, le tre virtù e
col dichiarare che
codeste dualità,
i
tre diritti, finisce
trinità
e molteplicità
fanno tutt'uno.
E
tutt'uno fanno per lui anche giustizia e virtù, giacché quella forza del vero o ragione umana, che è virtù in
quanto pugna con la cupidità, la medesima è giustizia in quanto dirige e agguaglia le utilità. Il che vuol dire che almeno nella esposizione sistematica il Vico non distinse, del Diritto universale, il diritto dalla morale: distinzione che, in verità, ebbe poco rilievo nel giusnaturalismo e ap-
MORALE E DIRITTO
Vili.
pena è adombrata (per e di
un meno
es.
nel Grozio)
,
99
come
quella di un più
di moralità. Affatto moralistica, e dedotta dal
concetto etico di rimorso, è altresì la dottrina vichiana della pena, la quale, inflitta dalle
che
leggi,
non sarebbe per
supplemento sociale alla coscienza individuale nel caso in cui non si purga da sé per mezzo del
lui altro
il
rimorso e della pena interiore.
Ma
il
problema del rapporto tra
presso
pili,
dalla
il
morale quanto
diritto e
Vico, è assente dalla formolazione teorica e
trattazione
sistematica, tanto
osservazioni particolari e circola,
Scienza nuova.
Né poteva
si
più è presente nelle
può
dire, in tutta la
essere altrimenti, atteso che quel
rapporto rimanda alla distinzione tra la volontà morale e forme di volontà inferiori o anteriori; e noi sappiamo
le
che
il
Vico era da tutte
le
sue tendenze portato a profon-
darsi dentro la regione inferiore e oscura dello spirito, cosi
conoscitiva
come
come
pratica, cosi della fantasia
dell'ar-
bitrio e della passione.
se
Delle passioni avverti sempre la somma importanza; e il darsi loro in preda, e se giu-
non poteva approvare
dicò sempre la morale epicurea una morale « da sfaccendati chiusi nei loro orticelli », non approvava nemmeno le
morali troppo austere, come quella degli
altra via riusciva anch'essa a
morale da
stoici,
che per
« solitari »
non
e
da uomini viventi in repubblica. Lo stoicismo predica, si, un giusto eterno e immutabile e vuole l'onestà norma delle azioni
umane; ma convelle
la
natura umana,
la
disumana,
l'annienta e la induce alla disperazione pretendendola affatto insensata alle passioni, sconoscendo le utilità e necessità di natura corporea, inculcando quella
massima
«
più
dura che ferro», che i peccati siano tutti eguali e che tanto pecchi colui che batte uno schiavo quanto chi uccide il padre. Anche il giansenismo gli dovè suscitare nell'animo gli stessi
dubbi, se lamenta che
«
in odio della probabile,
FILOSOFIA DEL VICO
100
Francia
in
s'irrigidisca
ma
losofi solitari,
morale». Non
la cristiana
i
fi-
quelli politici bisogna seguire, e princi-
palmente i platonici, i quali riconoscono che si debbono, non già sradicare, ma moderare le umane passioni e farne
umane
virtù. Cosi dalla ferocia, dall'avarizia, dall'ambii tre vizi che corrono attraverso tutto il
zione, che sono
Provvidenza trae
la
genere umano,
merca-
la milizia, la
tanzia e la corte, ossia la fortezza, l'opulenza e la sapienza delle repubbliche: di quei tre grandi vizi, che distrugge-
rebbero l'umana generazione sulla terra, plasma
la civile
felicità.
Anche circa le sono né buone né tali
utilità
il
Vico osserva che
ex
«
se »
non
nenue turpes neque honestce »), diventando solamente nel loro rapporto con la coscienza
morale
(« sed
cattive
earum
(«
incequalitas
est
tarpitudo, cequalitas
sua scienza empirica, propugna •»). Nella Grozio un ius naturale prius, al quale si riferi-
aittem honestas
contro
il
scono la tutela della propria vita e la procreazione ed educazione della prole, e lo ravvicina aH'&St&popev degli stoici. Che esso non abbia autorità morale è provato da ciò, che il
diritto
che
succede nell'ordine genetico,
gli
turale posterius (da Giustiniano definito ratio inter
omnes homines
pevceque custoditur
constituit
et
:
«
il
ius na-
quod naturalis
apud omnes
gentes
è prius iure, vince nel conflitto tra
»)
due e segna quello anteriore della nota d'immutabilità. Ora, sebbene questo diritto naturale primo sia esemplificato e definito in modo soltanto empirico, che cosa mai esso è, in abbozzo, se non il mero diritto, il diritto non i
ancora eticizzato?
Ma dove il
diritto
più propriamente
come
distinto dalla
si
annida, presso il Vico, concetto del
morale è nel
certo: parola questa usata da lui in molteplici significati, non bene sceverati né messi in armonia né dedotti l'uno dall'altro,
benché
tutti
un
po' confusamente
si
raccolgano
MORALE E DIRITTO
Vili.
come abbiamo
sotto
visto,
flessa.
Il
quello
della
generale
forma
forma
quanto distinta dalla
in
spontanea dello spirito
101
ri-
certo, nella sua accezione pratica, vuol dire, tra
opposizione al vero della volontà, ed è, insomma, la forza di fronte all'equità e alla giustizia, l'autorità di
l'altro,
mera volontà di fronte alla volontà morale. Tale distinzione nasce piuttosto nella nostra mente, che non sia nelle parole del Vico; il quale distingue e non distingue, e, affermato, per es., che « certuni ab auctofronte alla ragione, la
ritate est, veruni «
auctoritas
cum
a ratione ratione
»,
subito dopo afferma altresì che
omnino pugnare non
potest, nani ita
leges essent, sed monstra legum ». Tuttavia, per effetto di questa trattazione del certo, la Scienza nuova gli parve
non
che contenesse una filosofia «
è
(soggiungeva) dicono i morali teologi
quale
giustizia esterna, che
E, cioè, connetteva
».
la
dell'autorità;
fonte della
il
il
concetto
del certo con la distinzione e la terminologia dell'esterno e dell'interno, già in uso nella
morale scolastica, e che,
adoperate circa quel tempo da Cristiano Tomasio, senza troppo merito filosofico di costui erano destinate a dare
avviamento all'indagine
filosofica dei
rapporti tra diritto
e morale.
ma
Altro
che
è quel
gum con «
:
la
il
chiama
lettera che
dura
ma,
affine significato del
si
in contrasto
formula
leggi,
con
tuttavia
ha
la
la
:
della legge in quanto /legge, la quale, de-
un vero contenuto
etico, serba
pur sempre
valore che le viene dall'imperio della volontà. delle
leggi (scrive
il
Vico)
e
«
Il
lo dir lor
il
certo
un'oscure zza della ra-
gione unicamente sostenuta dall'autorità, che le sperimentare dure nel praticarle e Siam necessitati carle per
le-
ragione e sua peculiare efficacia sed certa; durum,sed scriptum est ». E, insom-
valore
stituita di
certo pratico nel Vico
lettera delle
può stare
morale, e lex,
la
certo, che in buon
ci
fa
prati-
latino significa
FILOSOFIA DEL VICO
102
particolarizzato,
come
o,
scuole
le
dicono,
indivi-
Vico intravvede in qualche modo perfino carattere individuale, che è all'origine di ogni legge.
duato
».
Il
il
Il
« legibus, non exemplis iudicandum » è precetto relativamente tardo: le prime leggi furono, per l'appunto, « exem-
pla
»,
reali
esempì
esemplari. Dagli
castighi
quelli ragionati, dei quali si valsero e si
e la rettorica; intelligibili, si
e,
quando poi furono
derivarono
valgono la logica
intesi gli
universali
riconobbe che la legge dovesse avere carat-
tere di universalità.
La
società primitiva che
giuridico, quasi
il
il
Vico ritrae,
è,
nel suo aspetto
mito del diritto mero ossia della forza
Un tempo furono uomini di sformate forze di ed altrettanto stupidi d' intendimento, i quali stimacorpo vano divina ogni forza superiore alla loro umana (e quepratica.
sto era
il
non
loro diritto); e gli dèi
altro che esseri più
quali erano costretti a piegarsi, pur fremendo, coPolifemo, che se ne avesse avuto la facoltà avrebbe
forti, ai
me
combattuto col medesimo Giove, o come Achille, che ad Apollo diceva che, se le sue forze fossero pari, non si sgo-
menterebbe
di venire a tenzone
con
Provvidenza che codesti uomini
lui.
feroci,
Fu
consiglio della
non addomesticati
dall'impero della ragione, temessero almeno la divinità della forza, e da essa estimassero la ragione. E su ciò si
fonda
il
della
principio
guerra. Ma
giustizia
esterna della
mito dell'età della forza non può avere il rigore del concetto filosofico e perciò quei forti sono dal Vico, per un altro verso, considerati come eticamente il
;
«
i
migliori:
il
loro diritto
meno
è
nonché,
il
lo
fortissimi
non
è
il
il
il
il
vero
affermato
certo nel vero postula sottinteso.
e « optimi
vero,
puro certo: è stesso
»
termini identici;
»,
diritto razionale, «
ex certo e
ma nem-
mixtum
».
Sedel
predominio miscuglio concetto del puro certo, dal Vico
MORALE E DIRITTO
Vili.
103
Vico rimprovera il Grozio e gli altri giusnaavere cominciato la storia dalla metà in giù,
Quando
il
turalisti di
il periodo precedente, il rimprovero, per ciò che si attiene alla filosofìa della pratica, si traduce in quello di avere dimenticato il momento ideale della forza per guardare unicamente alla giustizia, al-
dalle età civili, e trascurato
l'equità e alla moralità.
sce l'altra ossia dell'
Hobbes
e,
la
prima
prima
cora, di Epicuro,
i
momento
Il «
metà
»,
della forza, che costitui-
fu invece
il
campo chiuso
di lui, del Machiavelli, e,
prima an-
quali trattarono di esso solo, «con empietà
verso Dio, con iscandalo verso i principi e con ingiustizia le nazioni ». Donde è agevole ricavare che la confu-
verso
tazione che
il
Vico
fa degli utilitaristi e teorici della forza,
tempo, riconoscimento e accettazione della esiche essi rappresentavano e che avevano il solo torto genza di svolgere in modo unilaterale e astratto il suo « stato fe-
è, in pari
:
hobbesiano, con la diffesomiglia per più rispetti renza che da questo l'umanità si salva mercé la riconosciuta rino
»
all'
utilità, e dal vichiano
giosa
e
si
morale. Pure
il
salva mercé la
coscienza
reli-
Vico non professò, per questa
parte, nessuna gratitudine all' Hobbes e allo Spinoza, al Machiavelli o a Epicuro, perché gli parve di avere trovato in un autore classico tutto il materiale e lo stimolo che gli giovava, tutto il contrappeso di cui la filosofia platonica aveva bisogno. L'autore fu uno dei suoi quattro, e
quello appunto di cui si è avvertito di sopra che restava a noi ancora da vedere l'uso che il Vico ne fece: Tacito. Il quale, a suo dire, con mente metafisica incomparabile con-
templa l'uomo qual
quale dev'essere; universale
si
è,
e
laddove
Platone
come Platone con
diffonde in
Tacito discende a tutti
tutte i
le
parti
lo
contempla
quella scienza
dell'onestà,
consigli dell'utilità,
cosi
ac-
ciocché tra gl'infiniti irregolari eventi della milizia e della fortuna l'uomo sapiente di pratica si conduca bene. Al
FILOSOFIA DEL VICO
104
congiungimento nel suo storico
romano
gere, nel
Seicento)
(interpetrato da
modo consueto il
Vico
una propria idea masse
spirito del
presso
attribuì
lui, i
l'essere
della storia
filosofo
come
politici
«
riuscito
eterna,
«
greco e dello
è agevole scortacitiani » del
ad abbozzare
onde se ne
for-
sapiente insieme di sapienza riposta, qual è quel di Platone, e di sapienza volgare, qual è quel di Tacito >. il
Da
Tacito, insomma, egli avrebbe ricevuto la spinta al suo gran lavoro, che fu di rendere concreto l'ideale, e
d'inserire (come diceva, adattando un detto ciceroniano) repubblica di Platone nella feccia di Romolo.
la
IX La
G
/ome
lo spirito
storicità del diritto
conoscitivo passa dal sentire senza avanimo perturbato e commosso e
vertire all'avvertire con indi al riflettere
con mente pura; ferinità
spirito volitivo passa dalla
cosi, al
analogamente, lo e da
certo pratico
questo al vero. Nella correlativa scienza empirica
il passaggio è press 'a poco quello dallo stato ferino all'eroico o barbarico e dall'eroico al civile. Tutte le manifestazioni
della
vita si
conformano a questi
tre spezie di nature, tre spezie diritti e
tre
di
tipi
sociali:
costumi, tre
donde
spezie di
quindi di repubbliche, tre spezie di lingue e di
scritture, tre spezie di autorità, di ragioni, di giudizi, tre sètte di tempi.
Per quanto
il
contradittorio nel determinare
Vico sia confuso e talvolta i
particolari delle varie cor-
suo pensiero generale è chiaro. Dove la ririspondenze, flessione è scarsa e la fantasia gagliarda, sono anche gail
gliarde le passioni, violenti i costumi, aristocratici ossia feudali gli stati, sottoposte alla rigida autorità paterna le famiglie, dure le leggi, simbolici i procedimenti dei negozi giuridici, metaforici
Per contrario, dove dilegua o
si
i
la riflessione
riempie di
passioni regolate,
i
linguaggi, geroglifiche le scritture.
filosofia,
i
predomina, la poesia costumi si fanno miti,
popoli assumono
i
governi,
i
si
le
componenti
FILOSOFIA DEL VICO
106
delle famiglie sono anzitutto cittadini dello stato, le leggi si
di equità, le procedure si semplificano, i sfrondano di metafore, le scritture diventano
compenetrano si
linguaggi
Forme miste,
alfabetiche.
samente alcuni
quali le vagheggiano artificio-
sarebbero mostri; e sebbene si osservino forme mescolate naturalmente, ossia ritenenti il politici,
vezzo delle primiere, ciascuna forma per la sua unità si sforza sempre, quanto più può, di scacciare dal suo subbietto tutte le proprietà di altre forme.
Quale dei vari e porge
il
a fondamento degli altri per giudicarli? o quale è il criterio e
tipi sociali sta
criterio
misura per giudicarli tutti quanti? Una siffatta domanda, per il Vico, non ha senso. Ciascuno di quei tipi ha la prola
pria misura in sé stesso. I governi (egli dice) debbono essere conformi alla natura degli uomini governati la scuola dei principi è la morale dei popoli. Si può inorridire innanzi alla guerra, al diritto del più forte, alla riduzione :
dei vinti a schiavi, cioè a cose che ripugnano ai nostri costumi ingentiliti ma la società, che si esplicava con quei costumi, era necessaria e perciò buona. La divinità ;
della forza,
come
compieva
Vengono
ragione.
è detto
si
l'ufficio del
di
tutta spiegata; e gli forza,
ma
che è
la
di
sopra, teneva
il
posto e
non ancora possibile impero della
poi i tempi della ragione umana uomini non si stimano più secondo la
riconoscono eguali nella natura ragionevole, propria ed eterna natura umana. Altri tempi, altri costumi, e buoni non meno, ma non più, dei primi. si
Tanto varrebbe domandare vari tipi sociali, quanto se
si
età della vita individuale, la
la
misura comune di questi la vera
domandasse quale sia misura comune della
fanciul-
lezza, della giovinezza, della virilità, della vecchiaia. Pa-
ragone che, per l'appunto,
Come
i
fanciulli
il
Vico stesso mette innanzi.
tutto scelgono secondo
comportano con violenza,
gli
il
capriccio
e
si
adolescenti vigoreggiano per
IX.
LA STORICITÀ DEL DIRITTO
la fantasia, gli adulti
e
guidano
cose con più pura ragione
le
vecchi con solida prudenza
i
107
cosi al
;
convenne
crescere dapprima in isfrenata libertà, poi ritrovare
comodi della vita con l'ingegno
cessari, utili e
fantasia (che fu
il
secolo dei poeti);
e,
in-
genere umano,
fermo, solitario e indigentissimo nelle sue origini,
e
i
ne-
con
la
infine, coltivare la
sapienza con la ragione (che fu il secolo dei filosofi). Parimente, il diritto naturale nacque dapprima con leggi, per libidine e di
cosi dire, di giusta
con alcune favole
rivestito
giusta violenza; poi fu
di
infine, si giusta ragione affermò apertamente nella sua schietta ragione e generosa ;
verità.
Con
modo
siffatto
e costumi,
di considerare e giudicare stati, leggi
Vico respingeva un'altra delle dottrine o delle
il
giusnaturalismo: quell'astrattismo e che abbiamo ricordato a suo luogo, e antistoricismo, del quale era conseguenza la concezione di un diritto napretese capitali del
positivo, e perciò una sorta di codice eterno, una legislazione perfetta, non attuata ancora pienamente ma da attuare, i cui lineamenti turale, che
stia di
sopra
al diritto
traspaiono con molta nitidezza nelle opere dei giusnaturaattraverso il tenue velame dottrinale e filosofico. Co-
listi
dice eterno, che era poi, nella sua parte effettuale, un codice contingente e transitorio, o almeno la proposta di un
codice conforme alle tendenze riformistiche e rivoluzionarie di quegli scrittori, piuttosto Il
Vico
si
che
filosofi,
pubblicisti.
spaccia del codice ideale eterno senza averne
l'aria: prontissimo, anzi, a riconoscere
che
il
«
ius naturale
philosophorum ò eterno nella sua idea e severissimamente stabilito « ad rationis mternee libellam ». Ma dall'eternità »
concessagli a parole e per ossequio alla vecchia filosofia qua e là egli risentiva
scolastica e tradizionale, della quale
passa a negargli di fatto l'eternità e il carattere soprastorico, perché, invece di metterlo sopra e fuori la l'efficacia,
FILOSOFIA DEL VICO
108
che
storia, lo colloca al posto Il diritto
gli spetta,
dentro la storia.
della violenza o eroico, cangiatosi nel diritto in-
giunge via via a un certo termine di chiarezza, al quale per la sua perfezione altro non rimane che alcuna setta di filosofi lo compia e fermi con massime ragionate civilito,
sull'idea di
un giusto eterno;
e questo
raziocinamento e
il « ius naturale philosophorum », estrema forma dello svolgimento storico del diritto e non già regola perpetua di esso: risultamento, non misura. Di qui l'accusa
sistemazione è
del Vico al Grozio che, per avere scambiato
il
«
ius naturale
philosophorum », il diritto composto di massime ragionate da moralisti e teologi e in parte da giuristi, col « ius naturale gentium » (nella terminologia groziana per avere :
scambiato
il
naturale con una forma
diritto
arbitrario o positivo), i
fraintese
di
diritto
giureconsulti romani, quali intendevano parlare solamente di questo secondo,
e perciò propose correzioni e
i
mosse loro censure
cui colpi
i
vanno a cadere nel vuoto. Il
codice eterno, considerato intrinsecamente, è un'utoprima e maggiore delle utopie fu la Re-
pia; e poiché la
pubblica platonica, conviene, per meglio determinare punto di cui si tratta, osservare il comportamento del Vico rispetto alla costruzione politica platonica. A dare
il
ascolto alle sue parole, la stata
un
Repubblica platonica sarebbe avrebbe
altro dei tanti incentivi e modelli che egli
avuti a concepire la Scienza nuova. Dallo studio di Platone incominciò a destarsi in lui, senz'avvertirlo, « il pen-
un dritto ideale eterno che celebrasuna città uni ve r sale nell'idea o disegno della
siero di meditare sesi in
providenza, sopra le
repubbliche di
la
tutti
quale idea son pure fondate tutte i tempi, di tutte le nazioni: che era
quella repubblica ideale, che in conseguenza della sua metafisica divina doveva meditar Platone ». Doveva, ma non lo potè fare «
per
l'
ignoranza
», in
cui egli era,
«
del
primo
IX.
uomo caduto
LA STORICITÀ DEL DIRITTO
109
stato
ferino e della
cioè
» ;
dell'originario
sapienza, che gli successe, affatto poetica o volgare ignoranza in cui fu mantenuto per un errore comune delle menti :
umane che misurano da
sé le nature
non ben conosciute
d'altrui, di guisa che egli innalzò le barbare e rozze ori-
gini dell'umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte, e sapientissimi di tal sa-
pienza riposta immaginò quei primi uomini che furono invece, nella realtà, « bestioni tutti stupore e ferocia ». In
cambio
di quest'errore erudito Platone, in
conseguenza
di
meditare sulla repubblica eterna e sulle leggi del giusto eterno con le quali la Provvidenza ordinò il mondo delle nazioni e
bisogne comuni del genere reggono sul comune senso di tutta
governa con
lo
umano onde
esse
si
le
l'umana generazione, « meditò in una repubblica ideale ed in un pur ideale giusto », col quale le nazioni non si conducono punto. E, anzi, se mai, dovrebbero discostarsenc e purgarsene, perché tra quelle determinazioni di repubblica perfetta se ne trovano alcune disoneste e da aborrire,
com'è
la
comunanza
donne. Cosicché,
delle
il
Vico accettava da Platone l'idea di una repubblica eterna, sconvolgendola da cima a fondo con la soggiunta riserva
:
che
platonica,
vera repubblica
la
ma
eterna
corso storico in tutti
il
i
non è
l'astratta
suoi vari e succes-
modi, dai bestioni non esclusi a Platone compreso. Di codesta, che è la « generis Immani respublica », la « magna sivi
generis
humani
tende studiare
civitas », la «
«
respublica universa
», egli in-
formarti, ordines, societates, negotia, leges,
peccata, pcvnas et scientiam in ea tractandi iuris », e come tutte queste cose si venissero svolgendo « a suis usque pri-
mis
human itatis
originibus, divina providentia
moderante,
moribus gentium ac proinde auctoritate », cioè < per varia ntilitatum et necessitatum fiumana rum rudimenta, sioe adeo per ipsarum sponte rerum oblatas occasiones
».
La
«
gran
FILOSOFIA DEL VICO
110
governata da Dio che la Storia. dunque,
città delle nazioni fondata e t'altro,
Negando
il
»
è nien-
fissamento del codice e la delineazione della
società modello, non
vuole, per altro, dichiarare impos-
si
una pratica della scienza concepita dal Vico, cioè, nuova considerata sotto il triplice aspetto
sibile
della Scienza
di storia ideale, storia tipica e storia storica.
ha
Ogni verità
la sua pratica, ossia le sue
un modo
sare in
o in
conseguenze pratiche; e penun altro la natura e lo svolgimento
dell'umanità importa condursi, praticamente, nell'un modo o nell'altro. Chi, per es., crede alla docile innocenza dei popoli
andrà verso quelli
selvatici,
col viso
sorridente,
bocca piena di buone parole, recando in mano l'abbici e il catechismo dei diritti e doveri; chi crede invece con
la
ai « bestioni » vichiani,
severi
che «
i
e, forse, il
adotterà procedimenti alquanto più
ferro e
il
fuoco. Chi pensa,
costumi valgano più delle leggi costumi non si cangino d'un tratto «
i
»,
e,
ma
come
il
Vico,
insieme, che
per gradi *e in
al facile legiferare e non nuovo l'umanità sopra un modello soggettivo. Codesta pratica, a ogni modo, non è più teoria, ma azione; e quando si vuole ridurla a teoria, o si fa un miscuglio mostruoso di determinazioni necessa-
lungo tempo
»,
non sarà incline
s'illuderà di potere plasmare a
determinazioni contingenti, o, nello scansare tale errore e sforzarsi di raggiungere una forma rigorosamente dottrinale della pratica, si riottiene né più né meno che rie e di
la teoria scientifica stessa, dalla Il
Vico ebbe
il
quale la pratica derivava.
pensiero di far seguire alla sua Scienza
nuova una Pratica della Scienza nuova;
e anzi nella
prima redazione italiana dell'opera proponeva due « pratiche »: 1.° una nuova arte critica, da servire di fiaccola per distinguere il vero nella storia oscura e favolosa 2.° un'arte come diagnostica, per determinare i gradi ;
di necessità o utilità delle cose
umane,
e,
come ultima con-
IX.
LA STORICITÀ DEL DIRITTO
seguenza, ottenere bitati
modo
il
conoscere per segni induArte critica e diagnostica
di
nazioni.
delle
stato
lo
che, chi ben consideri, confluivano in gliore conoscenza che, mercé
era
conseguire circa
da.to
111
i
una
sola: nella mi-
principi stabiliti dal Vico,
la vita
passata e presente delle
nazioni.
Tale concetto è ripetuto e schiarito in
medesimo
altri
luoghi del
scienze, discipline e arti fin oggi svolte
Vico) concernono oggetti particolari;
il
(dice
Le
libro.
la
Scienza
nuova, che investiga i principi stessi dai quali escono tutte le discipline, è invece al caso di stabilir l'àxji^ o stato di i gradi e gli estremi per come ogni altra cosa l'umanità, quali deve correre e cosicché si apprendono mortale, terminare; mercé quella scienza le pratiche come una nazione, sor-
perfezione dell'intero complesso, e
i
quali e dentro
i
gendo, possa pervenire allo stato perfetto, e come, decaesso, possa sollevarvisi di nuovo. Lo stato di
dendo da
perfezione consisterebbe nel fermarsi
massime
cosi dimostrate
le
nazioni in certe
per ragioni costanti
come
prati-
cate coi costumi umani, nelle quali la ragione riposta dei filosofi desse la mano e sorreggesse la sapienza volgare delle nazioni, e in cotal guisa convenissero
accademie con
delle
filosofi,
vine e
cioè, e gli
umane
tutti
uomini
i
sapienti
delle
i
più riputati
repubbliche
(i
di stato), e la scienza delle di-
cose civili ossia della religione e delle leggi,
quali sono una teologia e una morale comandata che acquista per abiti, fosse assistita dalla scienza delle divine e delle umane cose naturali, che sono una teologia e le
si
una morale ragionata, trarsi
fuori di
si
che- s'acquista coi raziocini; talché
fatte
massime sarebbe
il
vero errore o
divagamento, non di uomo ma di fiera. La pratica della Scienza nuova, dunque, come si vede chiaro dal program-
ma
non era altro che il riassunto o il della scienza stessa, della quale metteva duplicato cosi
tracciato,
FILOSOFIA DEL VICO
112 in
risalto
i
due elementi
capitali
e quella riflessa, il certo e conto di entrambi.
il
:
la
sapienza spontanea
vero, e la necessità di tener
una delle elaborazioni che il Vico fece nuova (quella del 1731), ricompare il di e la una pratica di essa scienza, come pensiero parola suona il titolo di uno speciale paragrafo conclusivo, che Anni dopo,
in
della seconda Scienza
proponeva di aggiungere all'opera. « Tutta quest'opera (cosi cominciava quel paragrafo) è stata finora raegli si
gionata come una mera scienza contemplativa d'intorno alla comune natura delle nazioni però sembra per questo :
istesso
mancare
di soccorrere alla
prudenza umana onde
ella si adoperi perché le nazioni, le quali vanno a cadere, o non ruinino affatto o non s'affrettino alla loro mina; ed
in
conseguenza mancare nella pratica, qual dee essere che si ravvolgono d'intorno a materie
di tutte le scienze
dipendono dall'umano arbitrio, che tutte si chiamano attive ». Or bene: in che mai consisterà codesta
le quali
« Cotal pratica ne può essere data facilmente da essa contemplazione del corso che fanno le
pratica?
qual avvertiti
nazioni, dalla (gli
uomini
di stato) e
i
sapienti
delle repubbliche
loro principi, potranno con buoni
i
ordini, leggi ed esempli richiamar
i popoli alla loro àx;iyj o sia stato perfetto ». In altri termini: uomo avvisato, mezzo salvato la contemplazione è la sola pratica che la ;
Scienza nuova possa dare; l'altra metà della salvazione
dipende non già dall'avvisante cioè dal pensiero, ma dall'avvisato, cioè dal fare. Al Vico non viene neppure in mente di porsi a determinare « gli ordini, le leggi e gli esempli
tempo
»,
che faccia d'uopo adottare in questo o quel perché codesta non sarebbe impresa da
e luogo,
filosofo;
come
infatti
riconosce esso stesso
chiaramente, col dire: dar noi da filosofi, ella
« si
La
subito
dopo,
pratica, la qual ne possiamo
può chiudere dentro dell'ac-
IX.
cade mi e
»
;
LA STORICITÀ DEL DIRITTO
113
eh 'è quanto dire nel puro campo della scienza
e della cultura. Sarebbe, di certo, temerario pretendere di conoscere con sicurezza le ragioni per le quali il Vico, come aveva omesso nella prima edizione della seconda Scienza nuova circa
le dichiarazioni
pratica che erano nella prima,
la
tralasciò nel manoscritto dell'ultima libro
per
lo
anche
il
capitoletto
sulla
meno congetturare che
la
edizione dello
Pratica.
una che o non
pratica, non si
la
La
il
dava, e finiva
quale, prometcol
confessare
poteva dare o era stata già data con la teo-
ria stessa.
B. Croce,
sarà lecito
ragione principale fosse
nell'avvertita vacuità di quel capitoletto,
tendo
Ma
stesso
filosofia
di Giambattista Vico.
La Provvidenza
LLia vera que
il
e unica realtà del
loro corso
;
e
il
mondo
delle nazioni è dun-
principio che governa
il
corso delle
nazioni è la Provvidenza. Sotto questo aspetto la Scienza
nuova si può definire una Teologia civile ragionata della provvidenza divina. Tra le discipline storiche era segnata dal Bacone una « historia Nemeseos ». Ciò che il Bacone enunciava come poco più che nudo titolo, il Vico formolo come effettivo problema e svolse come teoria. I filosofi, secondo lui, quando non avevano addirittura disconosciuto
come
materialisti e fatalisti la Provvidenza, l'ave-
vano considerata solamente sull'ordine delle cose naturali (epperò chiamavano
«
teologia naturale
confermando quell'attributo
di
la
»
metafisica),
Dio con l'ordine
fisico
che
osserva nei moti dei corpi, per es. delle kfere e degli elementi, e con la cagione finale osservata sopra le altre misi
nori cose naturali. Importava, invece, ragionare la Provvidenza « sull'economia delle cose civili ».
Taluno dei primi interpetri ebbe a notare (e l'osservazione è stata rinnovata in séguito non poche volte) che il
Vico adoperò promiscuamente la parola
«
provvidenza
in significato soggettivo e in significato oggettivo
:
ora
»
come
persuasione che hanno gli uomini di una divinità provvi-
FILOSOFIA DEL VICO
116
dente
che regga
i
loro
destini,
stessa di questa provvidenza.
un medesimo vocabolo
zione di
ed ora come
La duplice
o
l'efficacia
triplice acce-
nella terminologia vichiana
non
è cosa che, a questo punto, ci possa più stupire, perché già più volte finora ci siamo dovuti industriare a sciogliere le sue omonimie o a unificare le sue sinonimie. E perciò
ammettiamo subito che uno denza
>
presso
dei
significati di
«
provvi-
Vico può essere, anzi è per l'appunto,
il
quello della persuasione circa la provvidenza, ossia l'idea
che l'uomo ha di Dio, dapprima nella forma del mito,
di-
pura e ragionata della filosofia. Le antiche nazioni gentili (egli dice) « incominciarono la sapienza poetica metafisica di contemplare Dio per l'attributo della poi in quella
sua provvidenza », sulla quale furono fondati gli auspici e la divinazione. Senza di essa, dunque, non si forma nell'uomo la sapienza, che è coscienza dell'infinito; non sorge la moralità, eh' è
che governa
le
timore e riverenza del potere superiore
cose umane.
Ma
la
provvidenza, in tale
si-
già fatto
non dà luogo a nuovo discorso, dopo di quello da noi a proposito cosi del mito come dei rap-
porti tra
morale e religione.
gnificato,
Passando, dunque, senz'altro, alla Provvidenza nel secondo significato, ossia al suo vero e proprio concetto, ci sembra opportuno prescindere per qualche istante dal Vico e fornire alcuni schiarimenti dottrinali.
È comune
osservazione che altro è produrre un fatto, il fatto prodotto. La conoscenza di ciò che
altro conoscere
realmente un fatto
è,
si
ottiene talora, nella vita dell' in-
dividuo, dopo parecchi anni, nella vita dell'umanità dopo
parecchi secoli. Coloro medesimi che sono i diretti agenti di un fatto, non ne hanno di solito la conoscenza o l'hanno assai imperfetta e fallace; tanto che sono passate in
pro-
illusioni, che, come si dice, accompagnano l'attività degli uomini. Il poeta crede di cantare la purità verbio
le
X.
LA PROVVIDENZA
ed effettivamente canta
la lascivia
;
forza e canta la debolezza; crede di
117
crede di cantare la essere
terribilmente
pessimista ed è fanciullescamente ottimista; crede di essere Satana ed è un brav'uomo inoffensivo. Non meno
s'ingannano i filosofi; e dei loro inganni non dovremo, in verità, andar lontano a cercare esempì, perché tanti e tanti ce ne viene porgendo proprio il filosofo che stiamo studiando: uno di coloro che maggiormente s'illusero sulle reali tendenze dei propri pensieri. E s'inganna l'uomo politico che, assai
tare per credendo
la
libertà,
di lot-
semplice aiutatore di reazione, o a ribellarsi e serve
è
di servire alla reazione, incita
alla libertà.
perché
spesso, credendo e professando
E
via discorrendo.
gl'individui e
i
Illusioni spiegabilissime, nel fervore del produrre o popoli,
appena uscenti da quel fervore, possono forse esprimere loro stato d'animo, ma non farne quella critica che è
il
il racconto storico; onde, quando non si rassegnano a tacere e ad aspettare, narrano di sé stessi storie fantastiche, verità e poesia commiste. Anzi, in questa dimostrata dif-
ficoltà
di
conoscere l'agire
nell'agire
è
uno dei motivi
raccomandazione a parlare il meno possibile medesimi, e della diffidenza che si prova per le au-
della saggia di sé
tobiografie e
libri
i
vuole, importanti,
di
ma
memorie, curiosi e anche, se si che non porgono mai la schietta
verità storica dei fatti narrati.
Le opere umane
ci
giungono, per
lo
storico
superficiale
raccontare come
le
si
tal
modo, avvolte
sollevano dagl'individui. E ferma all'involucro e prende a
nei fumi delle illusioni che
si
cose siano andate, facendosi portavoce
A
questo modo la storia della poesia si viene conformando come il racconto delle intenzioni, delle di quelle illusioni.
opinioni, dei fini del poeta o di quelli che gli attribuirono i
suoi contemporanei; la storia della filosofia,
dotica dei sentimenti, delle bizze, e dei
fini
come
l'aned-
pratici dei
fi-
FILOSOFIA DEL VICO
118 losofi;
come un
quella politica,
interessi, di pettegolezzi,
di
tessuto d'intrighi, dibassi
miserie.
più cauto o diverso ingegno storico rie,
il
primo atto ch'egli compie
si
Ma non appena un avvicina a quelle sto-
è di soffiare sulla nebbia,
spazzare via gl'individui e le loro illusioni e guardare direttamente le cose, quali si sono prodotte nella loro successione oggettiva e nella loro origine sopraindividuale. La storia vera e reale emerge allora di là dagl'individui, come
un'opera che
si
compia dietro
le loro spalle:
opera di una
forza diversa dagl'individui agenti: Fato, Caso, Fortuna, Dio. Gl'individui, che prima erano tutto e riempivano la
scena coi loro gesti o coi loro gridi, ora, in questa seconda guisa di storia, sono meno che nulla, e i loro atti e gridi, destituiti di seria efficacia, destano riso o pietà. Si atterriti
il
Fato che
li
domina,
si
guarda
stupisce alle strane com-
binazioni del Caso e ai capricci della Fortuna, si adorano disegni imperscrutabili della Provvidenza divina. Di co-
i
deste forze gl'individui appaiono a volta a volta l'inerte materiale, i leggieri giocattoli, i ciechi strumenti.
Senonché una più profonda considerazione va oltre anche questa seconda veduta della storia. La pietà che sembrano destare gl'individui, la comicità che suscitano, in effetti non è meritata da essi ma dalle loro immaginazioni, o, piuttosto,
da coloro che
le
è fatta dalle opere e
ma
scambiano per verità. La non dalle immaginazioni
storia reale e illusioni;
opere sono poi compiute dagl'individui, non certamente in quanto sognanti, ma, appunto, in quanto opele
ranti;
non nella frivolezza del loro opinare,
razione del genio,
nel sacro furore del
ma
nell'ispi-
vero, nel
santo
entusiasmo dell'eroismo. Fato, Caso, Fortuna, Dio sono spiegazioni che hanno tutto il medesimo difetto, che è di separare l'individuo dal suo prodotto, via,
come
si
argomentano,
il
e,
invece di cacciare
capriccio o l'arbitrio indivi-
duale dalla storia, inconsapevolmente lo rafforzano e lo
LA PROVVIDENZA
X.
119
moltiplicano. Capriccioso è il cieco Fato, il Caso stravagante, il tirannico Dio; epperò il Fato passa nel Caso e in il
Dio,
Caso
in
Fato e Dio, e Dio
si
converte nell'uno e
nell'altro, tutti eguali e tutt'uno.
L'idea, che supera e corregge tanto la visione individualistica della storia quanto quella sopraindividualistica,
è
La
idea della razionalità della storia.
l'
gl' individui
;
ma
l'individualità è
la
storia è fatta da-
concretezza stessa
dell'universale, e ogni azione individuale, appunto perché
individuale, è sopraindividuale. Non vi è né l' individuo né l'universale come due cose distinte, ma l'unico corso storico, i
cui aspetti astratti sono l'individualità priva di univer-
e l'uuiversalità priva d'individualità. Quest'unico corso storico è coerente nelle sue molteplici determinazioni, salità
al
modo
di
un'opera d'arte che è varia e una insieme e si abbraccia coll'altra, ogni tono
nella quale ogni parola
di colore
si
riferisce agli altri tutti, ogni
linea
si
lega a
ogni altra linea. A tale patto solamente è dato intendere la storia, che altrimenti resterebbe inintelligibile, come inintelligibili restano
un discorso senza
incoerente azione da
folle.
La
ma
storia
significato e
una
dunque non
di quella necessità
bertà che non è caso.
è opera né del Fato né del Caso, che non è fatalità e di quella li-
E
poiché la veduta religiosa che la
Dio ha, sulle altre, il vantaggio e il merito d'introdurre una causa della storia che non sia né
storia sia opera di
né caso, e perciò neppure
fato
ma
pili
propriamente causa
efficienza creativa e spirito intelligente e libero, è na-
turale che, per atto di gratitudine verso questa veduta più alta, tratti
non meno che per opportunità
di linguaggio, si sia
a dare alla razionalità della storia
il
nome
di
Dio
che tutto regge e governa, o della Provvidenza divina. A denominarla cosi, purgando in pari tempo la denominazione delle sue scorie mitiche, per le quali Dio e la sua
FILOSOFIA DEL VICO
120
corrompevano di nuovo in un fato o in un caso. Onde la Provvidenza nella storia ha, in quest'ultima sua forma logica, il duplice valore di una critica delle provvidenza
si
illusioni individuali, allorché piena e sola realtà
della
si
storia, e di
trascendenza del divino. E
presentano come la una critica della
può dire che nel punto
si
collocati e si collochino sempre, anche senza fare professione di espliingegni naturalmente forniti di quella
di vista di essa si siano
come per
istinto, cioè
cita teoria, tutti gì'
particolare attitudine che
Se ora, nel tornare
al
si
chiama senso storico. ricerchiamo quale solu-
Vico,
zione egli desse al problema della forza che muove la storia, e quale contenuto preciso avesse in lui il concetto della provvidenza nel significato oggettivo, è agevole
an-
Provvidenza
tra-
zitutto escludere che la sua fosse quella
scendente e miracolosa, che aveva formato il tema dell'eloquente Discours del Bossuet. Agevole, sia perché egli in tutta la
sua
la
filosofia
non
fa
mai
che ridurre
il
e qui
all'
della terminologia della scuola) per
perché sopra questo punto c'è, petri consenso generale.
o,
altro
innumeri volte ripete che immanente, sua provvidenza opera per vie naturali o (valendosi
trascendente
Non meno come talora
si
cause seconde; può
sia
dire, fra gl'inter-
insistente è la sua critica del fato e del caso, tripartisce, della fortuna, del fato e del caso.
Egli avverte anche che la dottrina del fato si aggira in vizioso, perché la serie eterna delle cagioni,
un circolo con
quale esso tiene cinto e legato il mondo, pende Giove e Giove è insieme soggetto al fato; onde c'è rischio che gli stoici restino avvolti in quella la
dall'arbitrio di
«
catena di Giove
»,
con
la
quale vogliono trascinare le
cose umane. Quei tre concetti, ai quali corrispondono le
opportunità se di quelle
se
si
tratta di cose desiderate, le
che avvengono oltre
la
occasioni
speranza, e gli
acci-
X.
denti
LA PROVVIDENZA
121
se di quelle che si presentano oltre l'opinione, sono
distinzioni più che altro dell'apprendimento soggettivo, per-
ché oggettivamente pertengono a un'unica legge, la quale potrebbe chiamarsi altresì « fortuna », ove con Platone si riconosca per signora delle cose umane l'opportunità; e tutte tre sono le manifestazioni e le vie della Provvidenza
che è intelligenza, libertà, necessità. Quello che
divina, fece
il
mondo
delle nazioni
«
fu
pur Mente, perché
'1
fe-
cero gli uomini con intelligenza; non fu Fato, perché '1 fecero con elezione; non Caso, perché con perpetuità, sempre cosi facendo, escono nelle medesime cose ». Il Vico lumeggia nei modi più immaginosi quella commedia degli equivoci, che sono le illusioni circa i fini delle azioni che si compiono. Gli uomini credettero di salvarsi
dalle
minacce del
cielo fulminante col portare via le fem-
mine
nelle grotte per isfogare la libidine bestiale fuori sguardo di Dio; e, nel tenerle ferme colà dentro, fondarono i primi concubiti pudici e le prime società; cioè i matrimoni e le famiglie. Si fortificarono in luoghi adatti
dello
col fine di difendere sé stessi e le loro famiglie; e, in realtà,
con quel
nomade,
fortificarsi in certi luoghi, al
dei campi. sità dalla
divagamento I
ferino, e
ponevano fine alla vita imparavano la cultura
deboli e sregolati, ridotti alle estreme neces-
fame e dalle vicendevoli uccisioni, per campare
chiedere riparo in quelle terre fortificate facendosi famoli degli eroi; e cosi, senza sliperlo, vennero
la vita corsero a
ad ampliare le famiglie da famiglie di soli miglie anche di famoli e da queste a stati
figliuoli
a
aristocratici
fa-
e
feudali. Gli aristocratici, feudatari o patrizi, credettero di
difendere e perpetuare il loro dominio quiritario sulle terre con l'usare la più stretta rigidità verso i famoli o plebi
che
le
lavoravano;
ma
a questo
modo
indussero
i
famoli,
per loro difesa, a unirsi tra loro, svegliarono in essi la coscienza della propria forza, da plebe ne fecero uomini,
FILOSOFIA DEL VICO
122
e quanto più fieramente
i
si
patrizi
sforzarono di mantenersi
stimarono patrizi e
tanto più efficacemente concorsero a distruggere lo stato patrizio e a creare quello democratico. Cosi (dice il Vico) il mondo delle nazioni esce * da una mente spesso diversa ed alle volte tutta
si
tali,
sempre superiore ad
contraria e
essi fini particoavevan proposti; de' quali fini ristretti fatti mezzi per servire a fini più ampi, gli ha sempre adoperati per conservare l'umana generazione in que-
lari ch'essi uomini
si
sta terra ».
Ma
già da talune di queste parole del Vico
ritrarre
come
bhe
egli
coscienti
tendeva talvolta a concepire
dei
propri
fini
utilitari
e
si
potrebbe gli uomini
incoscienti di
che condurrebbe logicamente a spiegare la vita sociale con esclusivi principi utilitari, e la moralità quelli morali.
Il
come un qualcosa e perciò di
di accidentale rispetto alla volontà
non veramente morale
:
umana
una formazione
estrin-
seca più o meno potente a tenere insieme gli uomini, o l'opera nascosta di una Provvidenza extramondana. L'uti-
una pagina nella quale sua corrotta natura, essendo
litarismo s'insinua soprattutto in è detto che l'uomo, per la
tiranneggiato dall'amor proprio pel quale segue principalla propria utilità e vuole tutto l'utile per sé e niuna
mente
parte pel
compagno
non può porre
e
in conato le passioni
per indirizzarle a giustizia, nello stato bestiale
mente
ama
sola-
sua salvezza; presa moglie e generati figliuoli, ama la sua salvezza con la salvezza della famiglia; venuto a vita civile, ama la sua salvezza con la salvezza della città; distesi gl'imperi sopra più popoli, ama la sua salvezza con la salvezza della nala
zione; unite merci, il
ama
nazioni in guerre, paci, alleanze e comsua salvezza con la salvezza di tutto
le
la
genere umano;
e
«
in tutte queste
principalmente l'utilità propria
».
Per
circostanze la
ama
qual ragione,
X. «
non da
che dalla Provvedenza divina deve essere
altri
tenuto dentro
tali
gliare, la civile e
ordini,
meno
123
LA PROVVIDENZA
ordini a celebrare con giustizia la fami-
finalmente l'umana società; per gli quali
non potendo l'uomo conseguire
ciò
che vuole,
al-
voglia conseguire ciò che dee dell'utilità, eh' è quel
che dicesi giusto ». La pubblica virtù romana (scrive altrove) « non fu altro che un buon uso che la Provvedenza faceva di si gravi, laidi e fieri vizi privati, perché si conservassero le città ne' tempi che le menti degli uomini, essendo particolarissime, non potevano naturalmente intendere
ben comune
».
come sappiamo, è affafto repudel Vico, fondata sulla coconcezione etica gnante e perciò queste sue afferscienza morale o sul pudore Senonché
l'utilitarismo,
alla
;
che inconsapevolmente vi condurrebbero, non possono spiegarsi se non come effetto del turbamento che
mazioni,
talora produceva in lui la sopravvivenza del concetto trascendente e teologico circa la Provvidenza, e anche della
poca chiarezza di pensiero, per la quale non gli riusciva ben distinto il concetto delle illusioni indivi-
di tenere
duali da quello dei fini individuali e sostituiva talvolta
il
secondo dove avrebbe dovuto trattare solamente del primo.. Se la provvidenza divina, 1' « unità della religione d'una divinità provedente
e dà vita
al
può starsene
mondo al
»,
è
«
l'unità dello spirito che informa
questa religiosità non inconsapevole' indirizzamento
delle nazioni
pensiero dell'
»,
dei fini individuali a effetti universali,
ma deve
esplicarsi
dar vita e vigore ai fini universali direttamente, e l'uomo sarà tutt' insieme utilitario e morale, oche s'illuda
nel
di essere
morale dov'è
utilitario o di esser utilitario
dov'è
effettivamente morale.
A
ogni modo, e nonostante queste oscillazioni o piut-
tosto confusioni, concepire
i
degli universali e le illusioni
particolari come veicolo come accompagnanti e eoo-
fini
FILOSOFIA DEL VICO
124
con l'azione importa concepire dialetticamente il moto della storia e superare il problema del male. peranti
Nel Vico, questo problema ha, infatti, pochissimo rilievo, tanto in lui dominava l'idea che la Provvidenza governi tutto; e perciò quel che si chiama male, non solo gli si
mostrava voluto dagli uomini sotto sembianza
sum sub mur),
veri specie,
ma doveva
una forma
mala sub bonorum
di
bene
(fal-
simulaci* ìs amplecti-
logicamente svelarglisi come esso stesso bene era la barba-
di bene, a quella guisa che
rica forza costitutrice della
società. In qualche raro
prima
luogo dei suoi primi scritti nel quale gli accade di accennare a tali questioni, il Vico nota che noi altri uomini, a causa della nostra iniquità onde « nosmetipsos, non hanc
rerum universitatem trariano stimiamo male,
spectamus «
>, le
quce tamen, quia in
mune conferunt, bona sunt ». La concezione della storia diventa oggettiva,
cose
che
ci
con-
mundi com-
nel Vico veramente
affrancata dall'arbitrio divino,
ma non meno
cause e delle spiegazioni aneddotiche e acquista coscienza del suo fine intrinseco, che è d'intendere il nesso dei fatti, la logica degli avveni-
dall'impero delle piccole ;
menti, di essere rifacimento razionale di un fatto razionale. Gli studi storici, a quei tempi, non erano tanto danneg-
primo errore (che anzi la concezione teologica, fin dagli inizi del Rinascimento italiano, poteva considerarsi decaduta), quanto da quella forma di storia che apgiati dal
punto allora venne prendendo nome di prammatica, e che restringendosi all'aspetto personale degli avvenimenti e non raggiungendo per questa via la piena realtà storica, cercava di darsi calore e vita mercé le riflessioni e gli
ammaestramenti
Un monumento
politici e morali.
di storia
sorgeva nella stessa patria del Vico, contem-
prammatica poraneamente
alla Scienza
di Napoli
Pietro
di
nuova
Giannone,
:
il
la Storia civile del regno
quale
era
veramente
X.
LA PROVVIDENZA
125
l'uomo del suo paese e del suo tempo e scrisse un gran libro di polemica e anche, per certi rispetti, di storia, tale che,
con
la
sua altezza, dà
modo
di
maggiore altezza dell'opera vichiana. Ben
ma
segnare la tanto altro che astuzie
di papi, vescovi e abati, e semplicità di duchi e imperatori,
avrebbe saputo scoprire lui
per
filo
e per segno
il
Vico, se avesse dovuto narrare
le origini
della proprietà e della
potenza ecclesiastica nel Medioevo. E ben altro, come vedremo, egli scopri realmente nella storia, tutte le volte
che prese a indagarne qualche parte.
XI RICORSI
I
L
Lio spirito, percorsi i suoi stadi di progresso, e dalla sensazione innalzatosi successivamente all'universale fantastico e poi a quello intelligibile, dalla violenza all'equità,
non può,
conformità della sua eterna natura, se non suo corso, ricadere nella violenza e nel
in
il
ripercorrere
senso, e di là riprendere
il
moto ascensivo,
iniziare
il
ri-
corso.
È
codesto
ma non
è
il
il
significato filosofico del
modo
«
ricorso
»
vichiano,
preciso in cui lo si trova espresso negli
dove l'eterno circolo viene quasi esclusivamente considerato nelle storie dei popoli, come ricorso delle cose umane civili. La civiltà va a terminare nella scritti del Vico,
«
», peggiore della prima barbache era di una fierezza generosa, laddove
barbarie della riflessione
rie del senso,
l'altra è vile, insidiosa e traditrice; e perciò è necessario
che quella malnata sottigliezza d'ingegni maliziosi vada a irrugginire dentro lunghi secoli di una nuova barbarie del senso. Tuttavia, dai fatti storici e dallo
logico bisogna estrarre e depurare
corso
»,
non
schema
concetto del
socio«
ri-
per rendersi conto dell'assolutezza ed Vico gli attribuisce, ma anche per giustifirappresentazione storica e la legge sociologica che
eternità che
care la
il
solo
il
FILOSOFIA DEL VICO
128 si
fondano sopra di esso e da esso principalmente attin-
gono la loro forza. Le leggi di corsi e
ricorsi,
che erano state
stabilite dai
da quelli italiani del Rinascimento, fondavano certamente anch'esse sopra qualche filosofia,
filosofi e politici greci e si
ma
assai superficiale
;
onde assumevano a loro obietto
le
estrinseche e vuote forme politiche, delle quali procura-
vano
determinare
successione sopra dati di esperienza o su vaghi raziocini. Ma il Vico ha per suo obietto le forme di
la
che abbracciano in sé
di cultura,
della vita, l'economia e
scienza e
il
fonte, che è
secondo
tutti
;
e,
ritmo delle elementari forme dello
il
rito. Per questo, tutta l'erudizione che
vicinare
ricorsi vichiani alle
i
libio, del Machiavelli o del
mente
atteggiamenti
gli
diritto, la religione e l'arte, la
riportandole alla loro intima umano, ne stabilisce la successione
linguaggio lo spirito
il
teorie
di
spi-
è spesa per rav-
si
Platone o di Po-
Campanella, riesce mediocreil Vico (il quale, come sap-
inutile: tanto più che
piamo, pure fraintendendo spesso i suoi predecessori, non si può dire che volesse celarli, anzi, dove gli pareva scorgere riscontri e consensi, se ne pompeggiava) non senti il bisogno di ricordarle o vi accennò con poca stima. L'àvay.óxXtoats di Polibio, la
sua economia della natura se-
cangiano e tramutano e al medesimo è sembrata quasi un'anticipapunto gli zione della storia ideale eterna pure il Vico mette Poli-
condo
la
si
quale stati
ritornano,
;
bio insieme con gli altri, invitando «
quanto [poco]
i
filosofi
i
lettori
a considerare
abbiano con iscienza meditato sui
principi dei civili governi, e quanto [poco] con verità, Polibio abbia ragionato sulle loro mutazioni ». Il Campanella
connetteva
i
suoi circoli storici con leggi
astrologiche
;
e
come concepisce la catastrofe che inizia « il ricorso Quando l'astuzia e malignità umana è venuta dove la può venire, conviene di necessità che il mondo
il
Machiavelli ecco :
XI.
•si
purghi per uno
zione, oltre quelli
129
RICORSI
dei tre
umani
delle
modi
fame e inonda-
[peste,
nuove
religioni e linguaggi],
uomini, essendo divenuti pochi e battuti,
acciocché
gli
vano più
comodamente
precedente
I
al
quale
il
e divengano migliori ».
Vico quasi
l'antichissima tradizione
si
'vi-
solo
riferirsi, è
di
gloria
Il
successione delle
egiziana sulla
tre età degli dèi, degli eroi e degli uomini, che interpetra in guisa tutta sua e riempie di contenuto affatto nuovo.
che è nel fondo, conferisce forza alla teoria sociologica vichiana dei ricorsi, il materiale storico col quale è, per cosi dire, impastata, v'introduce qualche de-
Se
la filosofìa,
Vico ebbe pratica e predilezione particolare per specialmente giuridica di Roma, donde mossero
bolezza.
Il
la storia le
sue indagini e alla quale
si
dedicò per più anni; e que-
perché da lui meglio ricercata, sia per
sta storia, sia
la
sua stessa complessità, grandiosità e durata, fini per parergli la storia tipica o normale, da servire di misura tutte
le altre, e gli
confuse
si
Roma
corso e ricorso.
con
stessa
la
gli offriva l'asilo di
Romolo, cioè
passaggio dallo stato ferino all'ordinamento
monarchiche dapprima solo
del
legge
politico
il
;
le
apparenza, e poi neppure nell'apparenza; la democrazia, uscente dalla lotta contro l'aristocrazia e terminante nell'effettiva mo-
.aristocrazie,
narchia, cioè nella forma di qui,
pili
in
perfetta della vita civile; e
per processo degenerativo, la barbarie della
rifles-
sione ossia della civiltà, che è incomparabilmente peggiore della
prima e generosa barbarie, e, conseguenza di essa, una seconda condizione di di vagamento ferino, e la nuova barbarie, la nuova gioventù, il Medioevo. La storia di Roma, a mala pena generalizzata e integrata qua e là con quella della Grecia,
che formolano
prima sentono avvertiscono
B. Cuoce,
La
le il
il
si
scorge nelle
leggi della
degnità
»
vicinane
dinamica sociale. Gli uomini
necessario, dipoi
badano
comodo, più innanzi
filosofìa
«
di Giambattista Vico.
si
all'utile,
appresso
dilettano del
pia-
1>
FILOSOFIA DEL VICO
130
dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrapazzar le sostanze. Ci vogliono prima uomini cere, quindi
immani
si
e goffi
come
i
Polifemi, affinché l'uomo ubbidisca
all'uomo nello stato delle famiglie, e per disporlo a ubbidire alla legge nello stato futuro delle città. Ci vogliono i
magnanimi
e gli orgogliosi
come
gli Achilli,
determinati
a non cedere ai loro pari, affinché sulle famiglie
si
costi-
tuiscano le repubbliche di forma aristocratica. Quindi si richiedono i valorosi e giusti, quali gli Aristidi e gli Scipioni Africani, per aprire la strada alla libertà popolare.
Più innanzi, personaggi appariscenti con grandi immagini accompagnata da grandi vizi, che presso il volgo»
di virtù
fanno strepito di vera gloria, quali gli Alessandri e sari, per introdurre le monarchie. Più oltre ancora, i riflessivi,
i
quali
Tiberi, per istabilirle e sfacciati, quali
furiosi, dissoluti
i
;
e,
i
Ce-
tristi
finalmente,
i
Neroni,
i
Caligola,
i
Domiziani, per rovesciarle.
Per effetto di questo assottigliamento della storia romana a storia tipica, e insieme della corpulenza che la storia tipica acquista nella storia di Roma, la ìegge vichiana dei ricorsi
è
talché se
da eccezioni, assai più frequenti e
tutta rotta
gravi che
le il
medesime leggi empiriche non comportino j suo schema empirico fosse tutt'uno, come a
sembrò, con
legge ideale dello spirito, parrebbe quasi ironia l'affermata costanza di esso nell'eternità e nei mondi
lui
infiniti.
non
Il
la
disegnato corso delle cose
fecero, nell'antichità, Cartagine,
umane Capua
e
(egli
scrive)
Numanzia^
che minacciarono di disputare a Roma l'imperché i cartaginesi furono prevenuti pero del mondo dalla nativa acutezza africana, che più aguzzarono nei le tre città
;
commerci marittimi
;
dall'abbondanza della
i
capuani dalla mollezza del cielo e
Campagna felice; i numantini, perché nel loro primo furore dell'eroismo furono oppressi dalla potenza romana, comandata da uno Scipione Africano, vin-
XI.
citore di
I
131
RICORSI
Cartagine, e assistita dalle forze del mondo.
E
dall'antichità saltando ai tempi moderni, gli americani cor-
rerebbero ora
il
corso
delle cose
umane,
se
non fossero
scoperti dagli europei; Polonia e Inghilterra persistono stati aristocratici (tale stimava il Vico l'Inghilterra,
stati
perché, non
come
la Francia,
monarchia
verranno a perfettissime monarchie, se delle cose
umane
allo stato
ferino, se si apri
ma percorso naturale
assoluta), il
non sarà loro impedito da cagioni straordinarie. Neppur il Medioevo poteva considerarsi, secondo la mente del Vico, come un vero e proprio ritorno civili
con
lo
stabilimento della re-
ligione del vero Dio, del cristianesimo; né, a ogni
modo,
quel ritorno alla ferinità e alla barbarie sembra che sia la sola via che si offra alle nazioni, giunte alla loro che le nazioni corrotte tbqiVj, al loro culmine. C'è l'altra
perdano l'indipendenza e vengano sotto il dominio di Né, infine, la decadenza è inevitabile, se uomini di stato e filosofi, lavorando concordi, possono ser-
altre migliori.
bare la perfezione raggiunta e raffrenare la dissoluzione minacciante, e se difatti (come egli nota) le poche repubbliche aristocratiche che sopravvivevano ai suoi tempi quali residui del Medioevo (per es., Venezia), riuscivano a conservarsi con arti di « sopraffina sapienza ». I suoi propri
una compiuta umanità tutte le nazioni. Pochi sembra sparsa, per oggi, (egli dice) il mondo dei popoli, e quelli anmonarchi reggono grandi cora barbari o durano per la perdurante sapienza volgare di religioni fantastiche e fiere, o insiememente per effetto del temperamento naturale dei vari popoli. Le nazioni, infatti, soggette allo czar di Moscovia sono di mente pigra quelle del chan di Tartaria, genti molli i popoli sui quali regnano il negus di Etiopia e i re di Fez e di Matempi
il
Vico giudica di alta civiltà
:
;
;
rocco, deboli e parchi. Nella zona temperata
celebra un'umanità eroica, somigliante
alla
il
Giappone
romana
dei
FILOSOFIA DEL VICO
132
tempi delle guerre cartaginesi, fieri nelle armi, con una lingua che arieggia la latina (qui il Vico fraintendeva il ragguaglio di un missionario gesuita), con una religione feroce di dèi orribili tutti carichi d'armi infeste (e qui
esagerava alquanto un passo del Bartoli) i cinesi, invece, con una religione mansueta, coltivano le lettere e sono umanissimi; umani ed esercitanti le arti della pace, i popoli del gran Mogol; i persiani e i turchi mescolano ;
alla
mollezza dell'Asia la rozza dottrina della loro
reli-
ispecie temperano l'orgoglio con la col fasto, con la liberalità e con la gratitumagnificenza,
gione, e
turchi in
i
dine. Umanissima per eccellenza l'Europa, composta in grandi monarchie e dove dappertutto si professa la religione cristiana, la quale insegna un'idea di Dio infinita-
mente pura e perfetta e comanda la carità verso tutto il genere umano. Il Vico ferma l'occhio sulle confederazioni dei cantoni svizzeri e delle provincie unite di Olanda (che leghe etolie ed achee), e sul corpo dell'Impero germanico, sistema di città libere e di principi gli
ricordano
le
un grande stato forma ultima degli
sovrani, che gli sembra quasi saggio di aristocratico, stati civili,
il
più perfetto di tutti, si può intenderne altra superiore,
perché non
la prima, l'aristocrazia dei patrizi, re sovrani nelle loro famiglie e uniti in ordini regnanti nelle prime città, ma riproducendola non più barbarica, anzi
riproducendo essa
sommamente
L'Europa sfolgora dappertutto di tanta abbonda di tutti i beni i quali possono l'umana vita non meno pei piaceri della mente e civile.
-umanità, che vi felicitare
si
dell'animo che per gli agi del corpo
;
e tutto ciò per virtù
della religione cristiana che insegna verità sublimi, servita dalle più
dotte filosofie
dei
gentili e dalle
tre
maggiori
lingue del mondo, l'ebraica, la greca e la latina, e riu-
nente per la
tal
modo
la
sapienza comandata con la ragionata,
più scelta dottrina dei filosofi con la più colta erudizione
XI.
I
133
RICORSI
somma civiltà, garantita dal cristianesimo, sarebbe andata o stava per andare incontro a un nuovo stato ferino? È diffìcile conoscere quel che veramente il Vico pensasse in proposito. C'è, tra i suoi versi, dei filologi. Codesta
una canzone cupamente pessimistica ma è una effusione giovanile e, a ogni modo, piuttosto che a decadenza sociale, accenna addirittura a un'imminente fine del mondo. ;
Nelle sue lettere,
un
si fa
quadro delle condizioni
triste
ma non
spinge lo sguardo fuori la vita sociale e a considerare campo ristretto, politica. D'altra parte, nell'ultimo suo scritto filosofico, nel De mente heroica, volgendosi a quelli che dicevano tutto degli studi ai suoi tempi
;
si
di quel
essere ormai perfetto e
affermava che «
Mundus
non presentarsi nient'altro da
fare,
era nel maggior fervore di progresso: iuvenescit adhuc; nani septingentis non ultra ab si
quorum tamen quadringentos barbaries percurquot nova inventa? quot novee artesf qnot novee scientice exeogitatee?... ». Ma si potrebbe osservare che il De mente
hinc annis, rit,
heroica è un'orazione accademica, e che forse per questo
Vico vi fece tacere
i
suoi dubbi o
i
il
suoi intimi convinci-
come adattare nella previsione di una imminente decadenza il sorgere di quel fatto provvidenziale che era la Scienza nuova, la quale illuminava la vita delle menti. In ogni caso,
nazioni e ne rendeva possibile la diagnosi e la cura? Tutto sommato, è probabile che il pensiero del Vico circa le sorti della società a lui
contemporanea
sia difficile
tanto a co-
un pensiero determinato su quel mancava, essendo il suo animo tratto in qua
gliere perché, in verità,
punto a lui da diverse e opposte tendenze e agitato fra timori
e in là
e speranze.
Se non
fosse
stata
turbata
dallo
schema
della storia
empirica dei ricorsi non sarebbe stata costretta ad accogliere tante e tanto gravi eccezioni, né si
romana,
la teoria
sarebbe impigliata in cosi angosciose perplessità, e avrebbe
FILOSOFIA DEL VICO
134
agevolmente allogato le osservazioni storiche dell'auinsomma, si sarebbe presentata con tratti più seme plici generali. Essa sarebbe consistita sopratutto nella pili
tore, e,
determinazione e illustrazione del nesso tra epoche di prevalenza fantastica ed epoche di prevalenza intellettiva, tra spontanee e riflesse, onde dalle prime escono le seconde per potenziamento e dalle seconde, attraverso la
degenerazione e la decomposizione, storia politica mostra di continuo crazie che, da forti che erano, e
cedono all'urto
rozze
di
ma moralmente
classi
si
si
torna alle prime.
fanno
meno
vili e spregevoli,
affinate
o addirittura
più energiche, fintanto che queste,
diventate a loro volta raffinate, raggiunta la più alta ritura delle idee
La
lo spettacolo di aristo-
storiche di cui portavano
il
fio-
germe, en-
trano in un periodo di decadenza e di fermentazione, dal quale esce una nuova classe dominatrice, giovanilmente barbara. E la storia della filosofia mostra periodi positivistici e
filosofiche
periodi speculativi, l'irrigidirsi delle soluzioni nelle dottrine scolastiche e nei dommi, il ri-
torno alla
mera osservazione
del fatto
singolo, e
il
rina-
scente processo speculativo. E la storia letteraria ci parla anch'essa di periodi realistici e idealistici, romantici e classicisti,
di corruttela classica che è alessandrinismo e deca-
dentismo, e di barbarie romantica che da questo risorge. Ecco altrettanti casi di veri e propri ricorsi vie hi ani.
Ma
poiché la natura dello spirito, messa a fondamento di
è fuori del tempo ossia è in ogni istante del non tempo, bisogna esagerare la distinzione dei periodi; e, se quella legge deve avere una certa rigidezza, deve per altro serbare anche una certa elasticità. Non bisogna mai
questi cicli,
dimenticare che in ogni epoca, per aristocratica o democratica, romantica o classica, positiva o speculativa che si dica, anzi in ogni individuo e in ogni fatto, è dato notare
momenti
aristocratici e
democratici,
romantici e
classici,
XI.
positivi e speculativi,
e
I
135
RICORSI
che quelle
'distinzioni
su grande
scala sono quantitative e di comodo: il che non deve portarci né a sostenere quella legge a tutti i rischi, cadendo nell'artificiosità, i
servigi che
gli
né a combatterla a oltranza, ricusando schemi generali e approssimativi sogliono
rendere. Perciò,
non'
e'
è
stridenti
mana
quando
sia
cosi intesa
bisogno d'introdurre in eccezioni che
il
e
corretta,
essa
modellamento
quelle sulla
non
grosse
e ro-
storia
e sulla sua catastrofe finale faceva necessarie,
accuse mosse
solo
ma
le
Vico di troppa uniformità si dileguano. Vincenzo Cuoco, uno dei primi che presero a studiare con intelligenza l'opera del Vico, notava, a proposito e contro al
i ricorsi, che « la natura non si rassomiglia mai a sé stessa, ed è l'uomo che per comporre. le sue osservazioni forma le classi e i nomi ». Verissima sentenza, ma che si volesse ricorsi applicare a questo caso, non varrebbe solo contro i
vichiani, ma contro ogni sorta di scienza umana di carattere empirico. Altri rimprovera al Vico di avere trascurato ordini di cause che hanno importanza grande nella storia, per es. il
clima, le disposizioni naturali delle razze e dei popoli,
avvenimenti straordinari. Ma, lasciando stare che il Vico fece menzione più volte di tutte queste cose mettendo in gli
rapporto i caratteri dei popoli e i climi con le forme e vicende degli Stati e ricordando avvenimenti e circostanze
che affrettano
il
corso naturale ossia ordinario delle na-
zioni (come, tra l'altro, nel discorrere della storia greca) il
vero è che egli
non doveva tenerne conto,
o
;
non
poteva indugiarvisi, perché il suo assunto concerneva le uniformità e non le differenze, o certe uniformità e non certe altre, che rispetto alle prime diventavano differenze trascurabili. Allo stesso modo (e il paragone è calzante ed è più che un paragone) chi si faccia a notare i caratteri generali delle varie età della vita, della infanzia, della fan-
FILOSOFIA DEL VICO
186
ciullezza, dell'adolescenza e via dicendo, trascurerà di no-
tare gli acceleramenti o ritardi di sviluppo secondo
climi o le varie razze
il
vari
i
veri
e
Vico abbia negato
la
di
gruppo che
o
addebiti,
vari
i
Nel medesimo
accidenti.
inopportuni insieme, rientra comunicabilità e compenetra-
zione reciproca delle civiltà col sostenere insistentemente
che la civiltà nacque separatamente presso sapere
nulla gli uni
degli
altri
i
popoli senza
e perciò senza prendere
esempio reciproco. Il quale addebito è stato controbattuto osservando che il Vico non manca di ricordare casi di ef-
un popolo
ficacia di
sull'altro
e di
trasmissione delle ci-
viltà e dei loro prodotti (per es., della scrittura
alfabetica
dai caldei ai fenici e da questi agli egiziani), e che, a ogni la sua legge è non empirica ma filosofica e si ri-
modo,
ferisce alla
spontaneità
umano. appunto l'aspetto em-
produttrice dello
Senonché, ciò che è in discussione è
spirito
non quello filosofico della legge e la risposta giusta sembra a noi, come si è già accennato, che il Vico non potesse e non dovesse tenere conto delle altre circopirico e
;
stanze, al
modo
nello studiare le
stesso (per
varie
manifestazioni del
ripigliare
fasi
della
l'esempio) che chi
vita descrive
le
prime
fantasticare
bisogno sessuale nel
vago o in altri fatti consimili della pubertà, non tiene conto dell'iniziazione all'amore che gli adolescenti meno esperti possono ricevere
dai
piti esperti,
ricerca concerna
non
le
le leggi
fisiologiche
leggi
quando l'assunto
sociali
della
dell'imitazione
dello sviluppo organico.
E
colui
ma che
affermasse che pur senza iniziazione e ammaliziamento
bisogno
sessuale
si
risveglia
egualmente
e
si
il
procaccia
soddisfazione, riaffermerebbe, senza dubbio, nient'altro che l'incontrastabile verità di un'antichissima novellina orien-
Boccaccio inseri nel Decamerone, ma pronunzierebbe insieme il più esatto riscontro alla famosa e tanto
tale
che
il
contrastata dignità vichiana.
XI. I
Né
i
ricorsi vichiani si
si
spesso
è
al
creduto,
opporrebbero,
se,
137
RICORSI
oppongono
di necessità,
come
concetto di progresso sociale. Si
invece di essere semplicemente uniformi,
fossero identici, in conformità dell'idea, che
si
è affacciata
nell'antichità e nei giorni nostri- a qualche cervello strava-
gante, dell'eterno ritorno delle cose singole e individuali. Il ripercorso del corso, il circolo eterno dello spirito, può e deve (sebbene il Vico non lo dica) pensarsi non solo diverso nel moto uniforme, ma continuamente arricchentesi e crescente su sé stesso, in guisa che la nuova epoca del senso sia in realtà arricchita di tutto l'intelletto, di tutto lo
e cosi la nuova epoca della mente spiegata. La barbarie ritor-
svolgimento precedente,
fantasia o quella della il
nata,
barbarie
Medioevo, fu per tanti rispetti uniforme all'antica ma non per ciò deve considerarsi identica se con;
tenne in sé
il
cristianesimo che compendiò e superò
il
pen-
siero antico.
Tutt'altra questione è se nel Vico sia esplicito e rilevato il concetto di progresso. 11 Vico non nega il progresso, vi fa anche,
quando parla
delle condizioni dei suoi tempi,
ma non
qualche accenno come a una realtà ne ha il concetto, e molto meno
gli
sua
del processo
filosofia, se
procura
l'alta visione
di
fatto;
dà
rilievo.
La
dello
spirito ubbidiente alla sua propria legge, ritiene tuttavia,
da questa mancanza di coscienza circa
il progressivo arricchimento del reale, qualcosa di desolato e di triste. Il carattere individuale degli uomini e degli avvenimenti ò,
nel Vico, obliterato:
tanto
una
come
individui e avvenimenti stanno sol-
casi particolari di
fase della civiltà
;
un aspetto
e perciò,
dello spirito o di
sempre, Aristide con Sci-
mai Aristide come Aricome e Alessandro e Cesare come stide, Scipione Scipione, Alessandro e come Cesare. Progresso importa ufficio pripione, Alessandro con Cesare, non
vilegiato di
ciascun fatto, di ciascun individuo,
ciascuno
FILOSOFIA DEL VICO
138
mettendo
la propria nota,
storia, e ciascuno
insostituibile,
rispondente
con
nel
poema
maggior voce
della
al
suo
predecessore.
Ma
la
ragione per la quale
al
Vico doveva fare difetto
l'idea di progresso e la sua ricerca storica unilaterale,
non
si
doveva riuscire
può scorgere bene se non quando
dato uno sguardo alla sua metafisica.
si
sia
XII
La metafisica
_L il
er
Vico
«
metafisica
della
realtà
»
intendiamo
tutta e
la
non del
concezione che ebbe solo
mondo umano;
e includiamo nel significato della parola anche l'eventuale conclusione negativa che affermi l' inconoscibilità o la imperfetta conoscibilità di
quella suprema
una o più
in cui le altre
si
sfere
del
reale, o di
riuniscono.
Il Vico per l'appunto (come ci è noto dalla seconda forma, che è poi l'ultima, della sua gnoseologia) segnò una profonda linea divisoria tra mondo umano e mondo natu-
rale:
e
il
il primo trasparente all'uomo perché fatto dall'uomo, secondo opaco, perché Dio, che l'ha fatto, egli ne ha
la scienza.
E
la
sua concezione della realtà totale e ul-
tima, la metafisica da lui esposta tutt' insieme con la sua prima gnoseologia, ritiene il solo valore, che questa le con-
probabile ma inverificabile congettura, la compie nella certezza della teologia rivelata. Essa
cede, di una
quale
si
rimane perciò senza possibile congiungimento con la Scienza nuova, che procede con metodo sicuro di verità e prescinde affatto dalla rivelazione. Il Vico non la rifiutò mai ne ;
discorre nella sua autobiografia che è del 1725, contemporanea alla prima Scienza nuova; la ricorda con compia-
cimento nel 1737, cioè sette anni dopo
la
seconda Scienza
FILOSOFIA DEL VICO
140
nuova, quando la sua vita scientifica era (ed egli stesso Ma, sebbene non la rifiu-
cosi la considerava) terminata. '
tenne sempre come appartata in -un angolo della
tasse, la
sua mente.
Sembrerebbe che, assodato questo punto, non vesse essere,
circa la
d'importanza
filosofica.
metafisica
vichiana, altro
Pure, non è cosi.
poiché ogni parte della
E
in
ci
do-
da dire
primo luogo,
implica le altre e dalla trattazione di una delle cosi dette scienze filosofiche par-
può sempre desumere
ticolari si
cercar
legittimo
di
il
carattere del tutto, è
scrutando
determinare,
metafisica vi è implicita,
nuova, quale
filosofico quella
plemento
filosofia
scienza
la
Scienza
ossia quale
com-
logicamente sopporta e
richiede.
Ora
la
Scienza nuova, che affermava la conoscibilità cose
piena delle
come
in
una
umane,
psicologia,
e
ma
non già nella
loro superficie
nell'intima loro
natura; la
Scienza nuova, che raggiungeva di là dagl'individui la conoscenza della Mente che informa il mondo ed è Provvi-
denza;
quella
Scienza, che
con divino piacere contem-
plava l'eterno circolo dello Spinto: innalzata che tale altezza
tendeva necessariamente
tutta la realtà,
della
si
era
a
all'interpetrazione di
natura e di Dio
come Mente. Che
questa tendenza fosse oggettiva, della Scienza nuova, e non soggettiva,
del Vico,
nel
quale
quella scienza,
per cosi
era pensata, è quasi superfluo avvertire di nuovo. Il Vico, come persona, non solo non la favori, ma anzi la compresse e represse con tanta energia che non ne lasciò dire, si
apparire traccia nei suoi libri. Di nessuna dottrina filosoebbe tanto terrore, e contro nessuna polemizzò con tanta frequenza, quanto contro il panteismo e forse profica
;
prio questa preoccupazione polemica è la sola traccia, sebbene affatto involontaria, che si possa notare nei suoi scritti, della
tendenza che egli doveva sentire in
sé.
Egli
LA METAFISICA
XII.
141
era e voleva restare cristiano e cattolico: la trascendenza, il Dio personale, la sostanzialità dell'anima, per quanto la
sua scienza non vi conducesse, erano bisogni irrefrenabili della sua coscienza. Ma ciò, come permetteva al Vico di reprimere soltanto, e non di sopprimere, la logica e intrinseca tendenza del suo pensiero, cosi dà a noi facoltà di riconoscerla nella cosa stessa.
E
a ragione un critico
(lo Spaventa) ebbe ad affermare che nel Vico si affacci l'esigenza di una nuova metafisica; e un altro,
italiano
tedesco e cattolico, defini
il
sistema di lui un
teismo. Più arrischiato sarebbe italiano, spingersi a dire
delle
che
il
Vico progredì sul concetto
due sostanze cartesiane e dei due
monade
e della stessa
attributi spinoziani
leibniziana, sorpassando
lismo e l'armonia prestabilita col distinguere videnze,
i
che uno di
due
attributi,
la
natura e
lo
essi sia scala all'altro, e col
di unione e la derivazione del contrario
o sviluppo; onde
la
semipan-
forse, col ricordato critico
natura sarebbe
il
le
il
paralle-
due prov-
spirito, in
concepire
il
modo punto
come spiegamento
fenomeno
e la base
presupposto che lo spirito fa a sé stesso per essere veramente spirito, vera unità. Perché, potendosi dubitare che la distinzione dei due attributi o delle due provvidenze, la naturale e l'umana, sia ben fonpropria dello spirito,
il
data e ineluttabile conseguenza del concepire la sostanza come spirito e come mente, non si può dedurre il passaggio evolutivo dall'una all'altra come tendenza implicita nel concetto vichiano della mente. Per questa seconda e
tendenza occorrono, insomma, prove particodocumentarie, che si hanno bensì ma insufficienti e
particolare lari e
malsicure, e
non nel sistema
della
Scienza nuova,
ma
piuttosto in quello che cronologicamente lo precedette. Perché anche la metafisica che il Vico delineò nella pri-
ma
fase del suo pensiero non è (com'è sembrato a parecchi e può sembrare a prima vista) priva di ogni significato e
FILOSOFIA DEL VICO
142
importanza. Essa dimostra la medesima avversione contro il materialismo e il medesimo amore per V idealismo che
anima
le
La
meditazioni della Scienza nuova.
filosofia di
Epicuro, che prende a suo principio il corpo già formato e diviso in parti multiformi ultime, composte d'altre parti
che per difetto di vuoto interposto
sembrava a
lui
una
filosofia
si
fingono indivisibili, le menti rozze
da soddisfare
e con quanto vedeva spiegate da quel filosofo (ossia nel poema di Lucrezio) le forme della natura corporea, con altrettanto o riso o compatimento lo vedeva tratto dalla dura
dei fanciulli e le deboli delle donnicciuole;
diletto
necessità a perdersi in mille inezie e sciocchezze per ispiegare le guise della mente. Di « falsa posizione », non meno il
dell'epicurea,
Vico accusava
anch'essa ha per principio
da quella
di
Epicuro
in ciò
la
tìsica
cartesiana, che
corpo già formato, diversa che l'una ferma la divisibilità
il
del corpo negli atomi, l'altra fa
suoi tre elementi divi-
i
l'una pone il moto nel vano, l'altra nel a formare i suoi infiniti mondi da comincia l'una pieno; una casuale declinazione di atomi dal moto in giù del prosibili all'infinito;
prio loro peso e gravità;
l'altra,
i
suoi
indefiniti vortici
da un impeto impresso a un pezzo di materia inerte e quindi non divisa ancora, che col moto impresso si divide in quadrelli e impedita dalla sua
mole mette
in necessità
movere in moto retto, e, non potendo per suo pieno, incomincia, divisa nei suoi quadrelli, a moversi circa il centro di ciascun quadrello. Cosi se Epicuro di sforzarsi a
il
commetteva
mondo
Caso, Cartesio lo assoggettava al Fato; e invano, per salvarsi dal materialismo, egli sovrappose alla sua fisica una metafisica alla maniera platonica,
con cui l'altra
il
al
studiò di stabilire due sostanze, una distesa e intelligente, e di far luogo a un agente immatesi
perché queste due parti non erano congruenti nel sistema, richiedendo la sua fìsica meccanica una metafisica
riale,
XII.
LA METAFISICA
143
come
l'epicurea, che stabilisce un sol genere di sostanza corporea operante. Per simili o analoghe ragioni, il Vico filosofie del
le
respingeva
Gassendi, dello Spinoza e del
Locke; e le fisiche di altri autori, quella per es. di Roberto Boyle, gli parevano profittevoli per la medicina e per la spargirica, inutili per la filosofia. Di Galileo giudicava che
avesse mirato la fisica con occhio di gran geometra, ma non con tutto il lume della metafisica. Le sue simpatie si
che erano insieme geometri, e perciò alla fisica pitagorica o timaica, secondo la quale il mondo consta di numeri alla metafisica platonica che dalla forma ai
volgevano
filosofi
;
della nostra mente, senz'alcuna ipotesi, stabilisce per principio di tutte le cose l'idea eterna sulla scienza e coscienza
che abbiamo di certe eterne verità che sono nella nostra
mente
che non possiamo sconoscere o rinnegare;
e
dottrina, che metafisici
;
egli
i
i
Nifo,
i
i
Ficino,
Mazzoni,
i
stoico, dei
alla
punti
del Rinascimento italiano,
e, infine, alla filosofia
quando risplendevano Steuco,
Zenone
attribuiva a
i
Pico della Mirandola, gli
Piccolomini, gli Acquaviva e
Patrizzi. Il
concetto fondamentale della sua cosmologia era dato
dai punti metafisici, nei quali trovava applicazione
il
rio-
matematica sulla metafisica, da lui amperamento messo come procedere analogico costruttivo. Al modo stesso della
che dal punto geometrico nasce la linea e la superficie, e punto che viene definito non aver parti dà la dimostra-
il
zione che le linee altrimenti incommensurabili
si
tagliano
non più
eguali nei loro punti; cosi è lecito postulare punti
ma
geometrici
metafisici,
Tra Dio, che
i
quali,
non
estesi,
generino
corpo, che è moto, s'interpone mediatore il punto metafisico, il cui attributo è il conato, ossia l' indefinita virtù e sforzo dell'universo
l'estensione.
a
mandar
è quiete, e
il
fuori e sostenere le cose particolari tutte. L'esi-
stenza del corpo
non
è altro che
un'indefinita* virtù di
FILOSOFIA DEL VICO
144
mantenerlo disteso,
la quale sta egualmente sotto cose diquantunque disuguali, ed è insieme indefinita virtù di muovere che sta sotto ai moti quanto si voglia disuguali. Sotto un granello di arena vi ha tal cosa che, dividendosi quel corpicello, dà e sostiene un' infinita estensione
stese
e grandezza; sicché la mole dell'universo tutto, nel corpo del granello, se non è in atto, è bene in potenza e in virtù.
Questo sforzo dell'universo, che è sotto ogni piccolissimo corpicciuolo, non è né l'estensione del corpicciuolo né l'estensione dell'universo; è la di ogni corpolenza, agita e
mente
muove
lare determinazione della realtà rità fondamentale. Il
tempo
si
si
di Dio, la quale,
pura
tutto.
Ogni particoaccorda con questa veil
divide, l'eternità è nell'in-
diviso; perturbazioni dell'animo diminuiscono e crescole cose no, la tranquillità d'animo non conosce gradi le
;
estese
si
corrompono,
le
inestese constano nell'indivisibi-
corpo tollera divisione, la mente non la tollera; le opportunità sono nel punto, i casi in ogni parte; la scienza lità;
non
il
si
divide, l'opinione genera le sètte; la virtù
né più in qua né più in
là, il
non
vizio spazia dappertutto
sta ;
il
retto è uno, le cose
prave innumerevoli; in ogni genere di l'ottimo viene collocato nell'indivisibile. cose, insomma, La sostanza in genere, che sta sotto e sostiene le cose, si
divide
nelle
due specie
della
sostanza
distesa, che e
quella che sostiene ugualmente estensioni disuguali, e della sostanza cogitante, che sostiene ugualmente pensieri disuguali; e siccome una parte dell'estensione è divisa dalma indivisa nella sostanza del corpo, cosi una parte
l'altra
della cogitazione,
cioè a dire
un determinato pensiero,
è
divisa dall'altra ed è indivisa nella sostanza dell'anima.
Proprio dell'anima è fatto ai corpi
;
il
conato, ossia la libertà, negata af-
e Cartesio, che cominciava la sua fisica dal
conato dei corpi, la incominciava veramente da poeta e ricadeva nelle concezioni antropomorfiche dei popoli primi-
XII.
tivi.
Quelli che
i
LA METAFISICA
145
meccanici dicono conati, forme, potenze,
sono moti insensibili dei corpi, coi quali essi o s'appressano, come voleva la meccanica antica, ai loro centri di gravità, o, secondo le teorie della meccanica nuova, s'allontanano dai loro centri del moto. E, al pari del conato,
e inconcepibile nei corpi la comunicazione del moto, concedere la quale tanto varrebbe quanto concedere la compenetrazione dei corpi, non essendo altro il moto che il corpo che si muove la percossa data a una palla è sol:
tanto occasione perché lo sforzo dell' universo, il quale era si debole nella palla da far sembrare che essa si mantenesse quieta,
si
spieghi di più e cosi
ci
dia apparenza di
più sensibile moto. Coi cartesiani, per altro, e
in
ispecie
Vico s'accordava circa l'origine delle inclinando alla concezione che Dio le crei in noi volta idee, per volta; coi cartesiani altresì teneva che i bruti fossero
col Malebranche,
macchine
;
e
il
con tutta
la filosofia del
suo tempo ricono-
sceva la soggettività delle qualità sensibili. Lasciando queste ultime dottrine, alle quali
Vico ac-
il
cenna appena e che non gli sono proprie, tutta sua veramente è quella fondamentale dei punti metafisici giacché ;
l'attribuzione di
essa a
un
fantastico
persona erano fusi e confusi l'eleate e
Zenone, nella cui lo stoico
(secondo
un errore comune nella letteratura filosofica del tempo), non può ingannare nessuno, e non ingannò il medesimo Vico che, messo alle strette, spiegò come fosse stato condotto a interpetrare a quel modo ciò che di Zenone riferisce Aristotele e concluse che, se
quella dottrina non
si
voleva ricevere come zenoniana, la si prendesse per sua propria e non assistita da nomi grandi. Né, d'altro canto,
può riportarla alla monadologia leibniziana, che è dubbio se fosse nota al Vico, che il Vico a ogni modo non si
mentova (laddove pur mentova, con parole renza,
il
B. Cuoce,
Leibniz), e
La
filosofia
con
la
di
alta reve-
quale la somiglianza è molto
di Giambattista Vico.
IO
FILOSOFIA DEL VICO
146
vaga, perché
i
punti metafisici non sono monadi. Se mai, può affermare che avesse sopra di essa
efficacia si
qualche
newtoniana (che allora si cominciava a divulgare in Italia anche per opera di taluni amici la scoperta leibniziana e
personali del Vico) del calcolo infinitesimale
;
cui
i
ter-
mini d'infiniti massimi, minori, maggiori e via dicendo stravolgerebbero l'umano intendimento, perché
(egli dice)
l'infinito è schivo di ogni moltiplicazione e
non soccorresse una metafìsica
se
la
gli attuali distesi e attuali
sotto tutti
comparazione, quale stabilisca che
movimenti
sia
una
virtù o potenza di estensione e di moto sempre uguale a sé stessa, cioè infinita. E più giustamente ancora è stato
indagato
confluire
il
nella concezione vichiana delle cor-
renti platoniche (del platonismo della Rinascenza) e galileiane, particolarmente di queste ultime;
non ne diminuisce
il
che, per altro,
l'originalità.
Originalità, senza dubbio, di
un pensare fantasticheg-
giante e arbitrario, che per tal ragione rimase senza pos-
svolgimento e senza efficacia diretta sulla reconcezione del Vico. Al recensente del Giornale
sibilità di
stante dei
letterati,
che chiamava quella metafisica un abbozzo,
un aborto, come aborto, compiuto.
l'autore rispondeva che era affatto compiuta:
invero, piuttostq che un abbozzo,
E
e,
nella Scienza nuova, oltre qualche richiamo alla negata
attribuzione del conato ai corpi, c'è un solo fuggevole
ma
curioso tentativo di connessione con una metafìsica geomeed è là trica o aritmetica sul tipo di quella ora delineata ;
dove
si
afferma che sull'ordine delle cose
e composte
astratte e
si
corpulente conviene l'ordine dei numeri, che sono cose
purissime, e
si
cominciano dall'uno con ai
pochi con
civili
osserva che, infatti, le
le aristocrazie,
monarchie
i
familiari,
governi
passano
s'inoltrano ai molti e tutti
repubbliche democratiche, e finalmente ritornano all'uno nelle monarchie civili (assolute), sicché l'umanità nelle
XII.
LA METAFISICA
147
corre sempre dall'uno all'uno, dall'assolutismo del paterfamilias a quello del monarca illuminato.
Ma
se si
può
e
si
deve negar valore
alla
cosmologia
cui si avvichiana; e manifeste furono notate dai critici del sono volge tempo; è anche innegabile il carattere che essa ha di dinamise
smo,
le
contradizioni e
in opposizione al
oscurità in
le
meccanicismo della
poranea. L'escogitazione dei
filosofìa
contem-
punti metafisici, nella quale
Dio appare il gran geometra che conoscendo fa e facendo conosce le cose dell'universo, è come il simbolo della ne-
Un Vico
cessità di risolvere la natura in termini idealistici.
un Vico agnostico, perfino un Vico immaginoso inventore di romanzi cosmologici e tìsici, si trova qua e là; ma un Vico materialista non si trova in nessuna teologizzante,
parte dell'opera sua.
Anche questa non ardita metafisica destò sospetto di panteismo, benché l'autore insistesse nella dottrina teologica *che il fare di Dio si converte « ab intra» col generato e « ab extra » col fatto, e che perciò
il
mondo
è creato in
tempo; che l'anima umana,
la quale, specchio della divina, pensa l'infinito e l'eterno, non è terminata da corpo e quindi neppure da tempo, e perciò è immortale e che in ;
qual modo
nelle cose finite, ciò, se
l'infinito sia disceso
anche Dio l'insegnasse, non
si
potrebbe
intendere dal-
l'uomo. Comunque, egli stimò necessario chiudere
le
ri-
sposte ai suoi critici col raccogliere le proposizioni che dimostravano il suo ortodossismo, e ribadire che « essendo
Dio altrimente sostanza e altrimente gion d'essere o l'essenza essendo le
le creature, e
la ra-
propria della sostanza,
sostanze create, anche in quanto all'essenza, sono diverse
e distinte dalla sostanza di Dio
La trascendenza limitava di
la
».
mente del Vico
raggiungere l'unità del reale, gì'
dendogli che la conoscenza
veramente completa
di
e,
impe-
impediva anquel
mondo
FILOSOFIA DEL VICO
148
umano,
ch'egli
aveva
cipio, rischiarato. il
cosi potentemente, con opposto prin-
Ed ecco
ora perché
progresso, non poteva averne
osservato che
il il
Vico, senza negare
concetto. E
stato
concetto di progresso è estraneo al cattolicismo e prende origine dalla riforma protestante, e che il
perciò il cattolico Vico doveva inibirselo. Ma altresì il concetto della provvidenza immanente è inconciliabile col tuttavia il Vico lo pensò profondamente. che vuol dire che non l'impulso gli mancava, ma piuttosto la possibilità di andar oltre un certo segno, dove la cattolicismo, e Il
sua fede sarebbe stata messa a troppo aperto sbaraglio. Il progresso, dedotto dalla provvidenza immanente e introdotto nella Scienza nuova, avrebbe accentuato la diffe-
renza nell'uniformità, il sorgere del nuovo a ogni istante, avrebbe il perpetuo arricchimento del corso a ogni ricorso ;
cangiato la storia, da un rassegnato percorrere e ripercorrere il solco tracciato da Dio sotto l'occhio di Dio, in un dramma che ha in sé la propria ragion d'essere; avrebbe trascinato nelle sue spire l'intero cosmo e reso reale il pensiero dei mondi infiniti. Il Vico, all'affacciarsi di questa visione, arretra pauroso, si
è sostituito in lui dal credente.
ferma ostinato,
e
il
filosofo
xnr Passaggio alla storiografia
Carattere generale della storiografia vichiana
D,'alle
cose precedentemente discorse è chiaro che la
parte storica della Scienza nuova non poteva configurarsi
come una
storia del genere
umano, nella quale
ai
popoli e
agl'individui fosse riconosciuto l'ufficio proprio e singolare
che ciascuno di
A
tal
uopo
avvenimenti.
essi esercitò nel corso degli
Vico avrebbe dovuto chiudere
il
di pensiero, che in
il
suo sistema
un punto rimaneva spezzato
e aperto concezione religiosa e innalzare la sua divinità provvidente a divinità progrediente, determinando i corsi e i
alla
;
come
ritmo interno del progresso. Ovvero, per raggiungere nella storia, in senso diametralmente opposto, la visione dell'individualità, doveva abbandonare la sua ricorsi
il
germinale filosofia idealistica, togliere la divisione tra provvidenza ordinaria e straordinaria, darsi totalmente in braccio alla fede e alla tradizione religiosa, e tracciare la storia dell'
umanità
metteva
primo
sul disegno
d' intravvedere.
partito,
lui ricostruita
come
che Dio aveva rivelato o per-
Come
filosofo, al
credente, egli repugnava al
secondo; onde
non poteva essere,
e
non
fu,
la storia
da
storia uni-
versale. Per conseguenza, non fu neppure quello che si chiama filosofia della storia, se a questa denominazione si rida
FILOSOFIA DEL VICO
150 il
significato originario di
che abbia l'occhio
una
«
storia
universale
»
(cioè
maggiori e più nascoste iuncturce
alle
rerum) « narrata filosoficamente » (vale a dire, più filosoficamente che non si solesse dai cronisti, dagli aneddotisti e dagli storiografi cortigiani, politici e nazionali).
La con-
troversia se al Vico o allo Herder spetti di aver fondato la filosofia della storia,
dovrebbe francamente risolversi a
fa-
vore dello Herder, perché l'opera di costui ha quell'andamento di « storia universale » che manca alla Scienza
nuova; sebbene, d'altro canto, sia agevole trovare allo Herder precursori in buon numero, a cominciare dai profeti ebraici e dallo schema delle quattro monarchie, che rimase non solo nel Medioevo derni
lo
schema costruttivo
ma
ben
oltre nei
tempi mo-
della storia universale.
Né
sarà
fuori luogo soggiungere che la cosi detta filosofia della storia in
quanto storia universale non costituisce una speciale
scienza filosofica o una storia nettamente distinguibile da altre forme di storia (salvo che, per ismania di renderla
autonoma, non se ne faccia
una Herder si o di
filosofia
il
mostro di una storia astratta
storicizzata);
attribuisce
il
e
quando
al
Vico o allo
vanto di avere creato con
sofia della storia una
nuova scienza,
si
la filo-
rivolge loro
un complimento
di dubbia lega: il quale, per ciò che in concerne il Vico, è stato cagione che non si particolare il valore' vero dall'opera sua. Infatti, la « Scienza scorgesse
nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni », intesa come l'equivoca scienza della filosofia della storia (Philosophie de l'histoire
intitolò
il
Michelet la sua riduzione
dell'opera vichiana), non ha lasciato vedere la Scienza nuova come nuova filosofia dello spirito e iniziale metafisica della mente.
francese
Il dissidio che era, nella sua concezione generale, tra scienza e credenza, riappare, nella storiografia del Vico, come divisione e opposizione tra storia degli ebrei e
XIII.
CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA
151
storia delle genti, tra storia sacra e storia profana. La storia ebraica non andò soggetta alle leggi delle altre, ebbe
un corso
tutto proprio,
colari, cioè
si
spiega con principi affatto partidi Dio. La Scienza nuova,
con l'azione diretta
che nella sua parte filosofica non ne dava i principi esplicativi, non avrebbe dunque dovuto trattarne altrimenti nella sua parte storica. E tale sarebbe stato, forse, il desi-
Ma
derio del Vico.
al
desiderio
si opponeva (senza parlare era di premunirsi della taccia di empietà, che non sarebbe mancata) il suo scrupolo di uomo di fede e di buona fede, che lo spingeva a cercare una
del bisogno in cui egli
qualche armonia tra
le
due
storie, le quali,
per quanto
vise egli le ponesse (ricordando in proposito che
di-
anche un
autore gentile, Tacito, chiamava gli ebrei « uomini inso>), entrambe si erano svolte sulla terra e avevano
cievoli
avuto reciproche relazioni, non foss'altro che all'origine dell'umanità e nella sua palingenesi per opera del cristianesimo. Accadde che
il
Vico
il
quale voleva e doveva, per il racconto della
l'indirizzo stesso della sua mente, evitare
storia universale, e attenersi insieme ai soli problemi filo-
soficamente e filologicamente trattabili, non potesse esimersi dal rompere talvolta il suo proposito, e dal tentare
un qualche congiungimento tempo una qualche apologia gomenti
tra le
due
storie, e in
pari
della storia sacra con gli ar-
forniti dalla scienza e dalla storia profana.
parte più infelice ma altamente significante dell'opera sua. Egli era costretto ad ammettere, in contrasto a tutte le sue scoperte, con istrazio di tutta la sua
E
questa
mente, che bare intatte della
la
avevano goduto il privilegio di sermemorie fino dal principio del mondo,
gli ebrei le loro
qual cosa
le altre
nazioni
si
vantavano a vuoto, e
che perciò l'origine e successione certa della storia universale dovesse domandarsi alla storia sacra. E l'esigenza di connettere
i
suoi concetti circa le civiltà primitive con
FILOSOFIA DEL VICO
152
con l'anno che
la cronologia biblica,
creazione
alla
del
mondo, con
si
soleva assegnare del diluvio
la tradizione
universale e con quella dei giganti, di trovare (com'egli dice) « la perpetuità della storia sacra con la profana », lo portò a immaginare le cose più stravaganti. Imperver-
dunque nell'anno 1656
sato
dalla
creazione
diluvio, e
il
Noè, mentre gli ebrei iniziano o prosestoria con Abramo e gli altri patriarla loro sacra guono e con le chi, poi leggi date da Dio a Mosè, tutti i restanti separatisi
i
figli di
i camiti e giapetici, i primi più tardi e per minor tempo, i secondi e i terzi più presto e per tempo più lungo, caddero nello stato ferino ed errarono per la terra, be-
semiti e
stioni stupidi e feroci.
E laddove
gli
ebrei, sottomessi al
governo teocratico, severamente educati e praticanti le abluzioni, rimasero di giusta statura, i componenti delle né morale né
altre razze, senza disciplina
gendosi
nitrici
sali
fisica,
travol-
fango, nello sterco e nell'urina e assorbendo
nel
come
(cosi
di sterco e di urina la terra
s'in-
grassa e diventa
feconda) crebbero in corpi mostruosi e giganteschi. Cento anni pei semiti e dugento per le altre due razze durò lo stato ferino; fino a quando la terra, che era rimasta a lungo inzuppata dall'umidore del diluvio universale, asciugandosi mandò fuori esalazioni secche o materie
ignite
in
aria a ingenerare
come già sappiamo, che è Giove,
si
coscienza di
la
e
con
i
fulmini. Coi
la mitologia del cielo
fulmini,
fulminante
sveglia nei bestioni la coscienza di Dio e sé,
onde diventano uomini. Si apre
cosi
l'età degli dèi, che socialmente è quella delle monarchie familiari dove il padre è re e sacerdote e nel corso della si viene costituendo il sistema delle deità maggiori, giganti mercé le spaventose religioni e l'educazione
quale e
i
domestica che
mento
doma
spirituale, e
la loro
mercé
alla giusta corporatura
carne e sviluppa in essi
le
l'ele-
lavande, degradano via via
quale hanno
gli
uomini che
s'
in-
XIII.
CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA
153
—
Tale,
contrailo agli inizi della susseguente
età eroica.
indicata per sommi capi, è la bizzarra costruzione, fatta dal Vico, dei cominciamenti della storia umana sulla terra,
messi in armonia coi racconti della storia sacra; e di essa si sarebbe riso o sorriso meno, se si fosse guardato al
dramma che
vi è sotto, alla tormentosa coscienza del cre-
dente che, lottando col pensatore, cerca rifugio in quelle stravaganze. Con le quali, a ogni modo, il Vico valicava sopra una serie di sassi vacillanti esalazioni
(il
diluvio,
i
giganti, le
secche) la fiumana della tradizione religiosa e il terreno sodo della storia critica, dove sco-
raggiungeva
priva altresì
il
primo appoggio della sua filosofia dello È da osservare inoltre che il rapporto
spirito, la ferinità.
con
storia
la
ebraica
—
la
sola
che a
lui
s'
imponesse
come storia vera e propria, cioè come un unicum, sebbene in modo miracoloso, affatto individuato gli suggerì i
—
rari
accenni
gnare
che
s'
ai vari popoli
incontrano nei suoi
uno speciale
scritti
ufficio o
ad asse-
missione; onde
gli parve talvolta che gli ebrei rappresentassero la mens, i
caldei la ratio e
giapetici la pliantasia.
i
Parallelamente a questa storia fantastica dei cominciamenti del genere umano sulla terra, corrono i tentativi di apologetica biblica.
Il
Vico non tralascia
di arrecare
che dovrebbero profanamente confermare
i
prove
racconti della
storia sacra. Conferma, per es., del diluvio e dei giganti sa-
rebbero il
i
simiglianti racconti dei greci e di altri popoli;
—
governo teocratico, del quale nessuna storia profana ha
notizia precisa e oscuramente vi alludono favole,
si
e dopo
il
i
poeti nelle loro
riscontrerebbe nel governo degli ebrei innanzi diluvio gli ebrei avrebbero ignorato la divi;
—
nazione, perché vivevano in diretti rapporti col vero Dio, laddove i caldei ebbero la magia o divinazione secondo i
moti degli astri e
i
popoli di
Europa quella per
auspici.
Si sente in tutto ciò, senza dubbio, qualcosa di voluto,
un
FILOSOFIA DEL VICO
154
voler vedere o un voler non vedere, un darsi sulla voce,
un
eccitarsi alla persuasione;
come
è consueto, del resto,
in molti credenti colti e scientificamente
scriverà perfino delle
una
educati.
volta, nell'esporre la genesi
forme grammaticali e nell'asserire che
i
Vico
Il
storica
verbi comin-
ciarono dagli imperativi e cioè dai comandi monosillabici che i padri davano a mogli, figliuoli e famoli (es, sta, i, da, fac ecc.), che da ciò si ricava un'indiretta dimostrazione della verità del cristianesimo, perché in ebraico la terza
persona singola e maschile del perfetto è rappresentata dalla nuda radice senza alcun segno flessivo prova evi:
dente che
i patriarchi dovettero dare gli ordini nelle loro famiglie a nome di un sol Dio (Deus dixit). Questo, a suo parere, era « un fulmine da atterrare tutti gli scrittori
che hanno oppinato gli ebrei essere stati una colonia uscita da Egitto, quando, dall' incominciar a formarsi, la lingua ebraica ebbe incominciamento da un solo Dio mini, a dir vero, che invece di fulminare
i
».
Sono
ful-
miscredenti,
illuminano la povertà degli argomenti sui quali l'apologetica si appoggia anche in un uomo come il Vico; e, oggettivamente considerando, la divisione introdotta per iscru-
polo religioso tra storia sacra e storia profana, col conse-
guente trattamento critico di questa e dommatico di quella, e con le conseguenti strane ipotesi e difese, faceva e fa pensare irresistibilmente che il sottrarsi della storia sacra alla
scienza
umana provenga non dall'impotenza
della
ma dall'impotenza della storia sacra, cioè, dall'impotenza a serbarsi inalterata nella scienza; sicché di rado uno scrupolo religioso fu di tanto pericolo alla scienza umana,
causa della religione. Ma il Vico aveva troppo genuino e rigoroso senso scientifico
da mettersi a
Selden o
il
Bossuet;
fare, e
per giunta a contraggenio,
onde l'armonizzamento con
il
la storia
sacra o l'apologetica rimangono in lui episodi, dai quali
CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA
XIII.
si
può prescindere.
E
155
poiché, d'altra parte, gli era vietato
di profanare del tutto la filosofia e la storia, e di rappre-
sentare
il
movimento storico complessivo in base al criterio non gli restava se non guardare i fatti dalche la sua filosofia gli concedeva libero:
del progresso, l'aspetto
quello dei corsi e ricorsi, dell'eterno processo e delle eterne fasi dello spirito. Qui era la sua forza, qui poteva
riconoscere
il
carattere
se
specifico,
non
propriamente
quello individuale, di leggi, costumi, poesie, favole, d'intere formazioni sociali e culturali che erano state fraintese dalla storiografia fino ai suoi tempi.
anziché narrare la storia,
egli,
E
per questa ragione
doveva restringersi a met-
tere in luce gli aspetti comuni di certi gruppi di fatti, appartenenti a tempi e nazioni varie. Nella Scienza nuova
ha (egli dice) « tutta spiegata la storia, non già particolare ed in tempo delle leggi e dei fatti de' romani e de' greci, ma sull'identità in sostanza d'in-
si
tendere
e
diversità dei modi lor di spiegarsi
».
arrecheranno (dice ancora in altra occasione) i fatti a modo di esempli perché s'intendano in ragion di prin«
Si
imperocché « vedere avverati i principi nella quasi innumerabile folla delle conseguenze, egli si dee aspettare da altre opere che da noi o già se ne son date fuori o già
cipi
»
,
sono alla mano per uscire
come sappiamo,
in quella
alla luce delle
Scienza
si
stampe ». Ossia, ha da una parte una
una descrittiva empirica, storicamente esemplificata, nella quale i romani non stanno come romani, ma in ciò che hanno di comune coi greci o mafilosofia e dall'altra
gari coi giapponesi la storia di Roma sotto i re o ai primi tempi della repubblica spiega le sue affinità con quella dei ;
primi secoli del Medioevo; e
ma come
Omero non
sta
come Omero,
esempio della poesia primitiva e, attraverso i abbraccia il suo fratello, Dante. Forza e
secoli, ritrova e
limite insieme, perché la storia
non consiste
di certo, essen-
FILOSOFIA DEL VICO
156
ma senza la percezione somiglianze come si giungerebbe a fissare le differenze? Dante non è Omero, i baroni non sono i « patres » r l'ateniese Solone non è il romano Publilio Filone, il feuzialmente, in queste somiglianze
;
delle
dalismo dell'età carolingia e in genere medievale non è la costituzione sociale delle età primitive di Grecia e di Roma;
ma
certamente, per taluni rispetti, Dante è più vicino a al Petrarca, i baroni della prima epoca
Omero che non
più prossimi ai « patres » che non alla posteriore nobiltà di corte, Solone somiglia più a un tribuno o a un dittatore romano che a qualche altro dei sette savi coi quali suole
andare congiunto, il feudalismo medievale si rischiara col ravvicinamento alle società fondate sull'economia agraria. Notare queste somiglianze significa negare o rigettare indietro altre più superficiali e aprire la via alla conoscenza dell' individualità, si
indicando la regione approssimativa dove Il Vico, piuttosto che narrare e
trova la verità piena.
rappresentare, classifica; ma c'è classificazione e classificazione: quella che si fa a servigio di un pensiero superficiale e quella che si fa a servigio di un pensiero profondo.
E
la parte storica della Scienza nuova è una grande sostituzione di classificazioni superficiali con classificazioni pro-
fonde.
In questo àmbito, dov'è la forza della storiografia vichiana, le deficienze e gli errori provengono non dal dì fuori dei limiti
tracciati,
quei limiti stessi.
È
ma
stato
da cagioni operanti dentro
allegato, in discolpa del Vico,
che gran parte dei suoi errori sono da attribuire riali
scarsi
e
insufficienti
dei
storico
i
materiali
brama
di studio, e nel
non può essere questione
mate-
quali egli disponeva;
scarsi e insufficienti rispetto alla nostra
sono, sempre,
ai
ma
di sapere
giudicare uno
di ciò, si del
modo cauto
o incauto nel quale egli adopera i materiali di cui dispone. Ancora è stato detto che il Vico ebbe i difetti del suo tempo;
CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA
XIII.
e
si
quale
dimenticato
è
si
qui
che egli nasceva nel secolo nel
era svolta la criticissima filologia di Giuseppe Sca-
ligero e di tutta la scuola olandese, e Che suoi
ranei furono in Italia lo Zeno,
vero è che
la
minazioni la
Maffei e
il
forma mentale da noi
come turbava turbava
157
della
pura trattazione
la
scienza
ricerca
giù,
Il
descritta, del Vico,
filosofica
con
empirica e dei dati
storica
contempo-
Muratori.
il
le
deter-
storici,
col miscuglio della
cosi
filosofia e
della scienza empirica. 11 Vico era in uno stato come di ebrezza: confondendo categorie e fatti, si sentiva molto spesso sicuro a priori di quel che i fatti gli avrebbero detto e
non
li
lasciava parlare e subito metteva loro in bocca la
sua risposta.
Una
frequente illusione
gli
faceva ravvisare
non ne avevano alcuno; gli mutava combinazione in certezza gli faceva leggere ogni ipotetica negli autori, invece delle parole esistenti, altre non mai scritte e ch'egli medesimo senz'accorgersene aveva interapporti tra cose che
;
riormente
pronunziate e proiettate negli scritti altrui.. L'esattezza gli era impossibile, e in quella sua eccitazione ed esaltazione di spirito, quasi la disprezzava; perché, infatti, dieci, venti, cento errori particolari che cosa avreb-
bero
tolto
genza
»
alla
verità sostanziale? L'esattezza, la
(egli dice)
«
«
dili-
dee perdersi nel lavorare d'intorno
ad argomenti e' hanno della grandezza, perocché ella è una minuta e, perché minuta, anco tarda virtù. ». Etimologie immaginose, interpetrazioni mitologiche arrischiate e infondate, scambi di nomi e tempi, esagerazioni di fatti, citazioni fallaci s'incontrano a ogni passo nelle sue pagine
e molte se ne possono vedere notate nella della seconda Scienza nuova, curata dal
bella
Nicolini, e qual-
cuna ne noteremo via via anche noi a mo'
ma
edizione
di
saggio,
continuo sulla voce, e qualche volta rettificando tacitamente le sue citazioni. Sicché,
guardandoci dal dargli
come parlando
di
della sua filosofia
abbiamo osservato che
il
FILOSOFIA DEL VICO
158
Vico non era ingegno acuto, cosi, parlando della sua stodobbiamo ora dire che egli non era ingegno critico. Ma come, negandogli colà l'acume in piccolo, gli riografia,
riconoscevamo quell'acume in grande che e la profondità, cosi anche qui dobbiamo aggiungere che, se il Vico mancava di senso critico in piccolo, abbondava di quello in
grande. Negligente,
ticolari; circospetto, ziali;
scopre
il
nei par-
cervellotico, affastellato
nei punti essen-
logico, penetrativo
talora
fianco, e
tutta
la
persona
ai colpi
meschino e meccanico erudito, e intimidisce ed è atto a ispirare reverenza a ogni critico e storico, per del
pili
grande che
sia.
E
se
spaziando sempre negli universali e non die
tutto preso dalle sue geniali scoperte, molte volte
tempo
tempo e non
ài
die agio e
campo
alla
sua forza in-
dagatrice e osservatrice di spiegarsi, e invece di storia inventò miti e intessé romanzi dove poi lasciò che quella ;
forza liberamente
si
spiegasse,
della storia cose mirabili,
compi anche nel campo
come c'industrieremo
di venire
mostrando nei capitoli che seguono.
Ma
passare a rassegna
chiane* per confrontarle,
le
interpetrazioni
come da molti
storiche vi-
è fatto ed è co-
si
mune
vezzo, con quelle della storiografia odierna e lodarle o censurarle di conseguenza, sarebbe poco concludente; perché, dove c'è accordo tra
i
due termini del confronto,
l'ac-
cordo potrebbe essere fortuito, e, dove c'ò divergenza, la dottrina recente potrebbe essere pur tuttavia svolgimento o
conseguenza del tentativo antico, e, a ogni modo, lo stato odierno delle cognizioni storiche non porge in niun caso una 9 misura assoluta. E, d'altra parte, sarebbe fuori luogo (oltreché superiore alle nostre forze) ripigliare tutti i problemi il Vico trattò e toccò per esaminare quel che' di vero o di falso fosse nelle sue conclusioni, perché tanto varrebbe
che
scrivere stri
una terza Scienza nuova, meglio conforme
tempi.
A
noi spetta indicare soltanto
i
ai
no-
principali prò-
XIII.
CARATTERE DELLA STORIOGRAFIA VICHIANA
159
blemi storici che egli si propose, riassumere le soluzioni che ne diede, e avere l'occhio sempre allo stato della ai tempi nostri ma ai tempi suoi, per determinare quali progressi si debbano al Vico nella sto-
scienza non già
ria degli studi storici.
XIV Nuovi canoni PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO E FAVOLOSO
L
.1
me
periodo storiografico, che precedette
un pezzo erano cronache del mondo » e
scorsi da «
il
Vico, fu, co-
s'è detto, tutt'altro che di credulità e di acrisia. Trai
si
tempi
in cui si
compilavano
le
accoglieva ogni favola e ogni
più grossolana falsificazione come storia: i semi sparsi da alcuni umanisti avevano portato i loro frutti negli eruditi italiani, nella scuola giuridica francese, nella già ricordata
scaligeriana, in tutti
grandi cronologi, epigrafisti, archeoche ordinarono nel secolo deci-
i
logi, topografi e geografi,
mosettimo la
prime e
colossali raccolte critiche di fonti per
dell'antichità. Anzi, nel
storia
andavano correggendo
lologi
todi
le
e
sfatavano
fondeva, per ticismo, o
e
tempo
stesso
perfezionando
i
che loro
imposture e riempivano lacune,
si
i
fi-
medif-
effetto della filosofia intellettualistica, lo scet-
pirronismo
storico
come anche era chiamato,
col Bayle, col Fontenelle, col Saint-Evremond e altri molti,
precursori di quella polemica contro la verità e l'utilità della storia, che doveva diventare cosi vivace nel secolo
seguente.
Quest'ultimo indirizzo era, piuttosto che critico, ipercritico,
B. Ckocjo,
mettendo capo La
filosofia
alla distruzione della storia in ge-
di Giambattista Vico.
11
FILOSOFIA DEL VICO
162
nere; e poiché lo scetticismo storico rivesti assai spesso il carattere di paradosso a uso della società elegante e dei
sua efficacia sul progresso degli studi fu asa provocare vigorose reazioni una delle quali fu rappresentante il Vico) a favore
belli spiriti, la
sai scarsa, o, tutt'al più, valse (di
della
tradizione
e
dell'autorità.
Giova invece notare
le
deficienze del primo e seriamente scientifico indirizzo dei e antiquari:
filologi
i
quali restituivano
testi,
svelavano
falsificazioni, ricostruivano serie di sovrani e di magistrati,
raddrizzavano
cronologia, contestavano perfino alcune la mentalità consueta dei puri eru-
la
leggende; ma, sia per
per l'ambiente generale della cultura di vivendo quel secolo, pur sempre a contatto dell'antico e del primitivo, non sentivano punto, e non facevano senditi e filologi, sia
tire, l'antico e
il
primitivo. Fortissimi nei particolari, erano
deboli nelle cose essenziali. si
geniali
Anche quando alcuno
dei più
accorgeva, per es., dell'importanza dei canti po-
tempi in cui mancava o era rarissimo l'uso della scrittura, da queste e simili osservazioni non riceveva tale scossa da esserne spinto polari,
mezzo
di trasmissione storica in
a rinnovare da cima a fondo la sua concezione della vita
come accadde invece al Vico, il quale, quasi a un tempo, intese la forma filosofica del certo e i due primitiva,
periodi di vita spirituale e sociale, che le corrispondevano il periodo oscuro e quello favoloso.
nella storia reale:
Anch'egli moveva da una sorta di scetticismo, scetticismo concernente i pregiudizi dei dotti e delle nazioni circa l'indole e
una
i
fatti dell'antichità
;.
e statuiva, nel
com-
degnità », che paiono ispiBacone, di cui offrono come l'analogo nel campo della ricerca storica. Il Vico metteva in guardia in primo luogo contro le magnifiche opinioni che si erano avute fino ai suoi tempi intorno alla lontanissi-
batterli,
serie di canoni o
«
rati agli « idola » del
ma
e
sconosciuta antichità: ingenua
illusione
di
cui
XIV. CANONI
trovava
PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO
la sorgente in ciò
che l'uomo, allorché
si
163
rovescia
nell'ignoranza, fa di sé regola dell'universo (e qui
vicina l'analogia col Bacone, perché glia per l'appunto alla classe degli
mente
«
tale
è più enunciato somi-
idola tribus
»
in cui la
fa di sé regola delle cose, ex analogia hominis,
non
ex analogia universi). Sopra la medesima osservazione si fonda il detto che « fama crescit eundo », e il tacitiano :
«
omne ignotum prò magnifico
terpetrare
un trasporto
per dine degli antichi
nemico
».
Donde
il
vezzo d' in-
costumi antichi con l'aspettazione di trovarli
i
simili o migliori di quelli «
est
di guerra;
moderni e
civili.
Cosi Cicerone,
ammirava la mansueturomani, che chiamavano « ospite » il
di fantasia »
non avvedendosi che
la cosa
stava pro-
prio al rovescio e che gli ospiti erano « hostes », stranieri e nemici. Parimente Seneca, per provare che convenga
usare umanità verso gli schiavi, ricordava che i padroni erano detti in antico « padri di famiglia » quasi che i :
patresfamilias » non fossero stati disumanissimi, nonché contro gli schiavi e famoli, contro i medesimi loro figliuoli, «
adeguati ai famoli. E per lo stesso pregiudizio il Grozio (che veramente il Vico scambia qui col suo esegeta Gronovio e di costui fraintende le parole), volendo dimostrare la
mitezza degli antichi germani, recava un gran numero con
di leggi barbariche, nelle quali l'omicidio era punito la
multa
di
pochi danari: documento, per contrario, di tenuto a vile il sangue dei poveri vassalli
quanto
fosse
rustici,
che erano per l'appunto
gli «
homìnes
»,
di
cui
parlavano quelle leggi. In secondo luogo, ammoniva di non prestare fede alla boria delle nazioni, che (come avrebbe osservato Dio-
—
doro siculo) tutte sia greche sia barbare caldei, sciti, si vantarono di avere, ciascuna prima delle egizi, cinesi
—
altre,
bate
fondata l'umanità, ritrovati le loro
memorie
i
comodi della vita
fin dalle origini
del
e ser-
mondo. Ciascuna
FILOSOFIA DEL VICO
164
non avendo per molte migliaia d'anni avuto comle altre onde potesse accomunare le notizie, buio della sua cronologia, simile a un uomo che, nel fu, dormendo in una stanza piccolissima, nell'errore delle tedi esse,
mercio con
nebre la crede certamente molto maggiore di quanto con le mani la toccherà poi. Chi prenda quei sognati vanti per notizie sicure, si trova nell'imbarazzo di scegliere fra tante nazioni e tante memorie, tutte, con pari fondamento, offrentisi a gara come primitive.
Con
la
boria
nazioni
delle
il
Vico metteva la boria
quali ciò che essi sanno vogliono che sia antico quanto il mondo; e perciò si compiacciono nell' immaginare una inarrivabile riposta sapienza degli antichi,
dei dotti,
i
che coincide poi per l'appunto, mirabilmente, con le opinioni professate da ciascuno di quei dotti e da essi ammantate di antichità per
zione. In tale errore
imporne pili solennemente l'accettacadde non solo Platone, specialmente
nelle ricerche del Cratilo,
chi
e
ma
quasi tutti gli storici, anti-
moderni: vi era caduto
lo stesso
Vico (che potè,
dunque, studiarlo assai bene in sé medesimo), quando nel De antiquissima aveva creduto di trovare nelle etimologie dei vocaboli latini le prove di una metafisica italiana perfettamente concorde con quella sua propria della conver-
sione tra
«
verum
»
e
«
factum
»
e dei punti
metafisici.
Ai quali tre pregiudizi, e più strettamente alla boria dei dotti, va di séguito il quarto che ora si chiamerebbe delle « fonti » o degli « influssi di cultura », e che il Vico .sarcasticamente designava come quello della successione delle scuole per le nazioni. Secondo tale dottrina, Zoroastro, per es.,
avrebbe
istruito
Beroso per
la Cal-
dea, Beroso a sua volta Mercurio Trismegisto per l'Egitto, Mercurio Atlante legislatore dell'Etiopia, Atlante Orfeo
missionario della Tracia, e finalmente Orfeo avrebbe fer-
mato
la
sua scuola in Grecia. Lunghi viaggi, e agevoli,
XIV. CANONI
PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO
1G5
in verità, a quelle
prime nazioni che, appena uscite dallo vivevano appollaiate sulle montagne in siti
stato selvaggio,
poco accessibili, sconosciute
alle loro
medesime confinanti!
E
questi lunghi viaggi avrebbero, avuto per oggetto di diffondere invenzioni, che ciascuna nazione poteva fare senz'altro da sé, e che se poi, conosciutisi tra loro i popoli
per guerre e trattati, si ritrovarono simili, fu perché contenevano un motivo comune di vero e nascevano dalle me-
desime necessità umane. C'era bisogno di supporre l'efficacia del diritto ateniese o di quello mosaico sul romano,
come usavano
i
«
pareggiatori
»
delle
del diritto comparato, per ispiegare
diritto, riconosciuto in Palestina, in
il
o
leggi
come
trattatisti
fosse formato
si
Atene
e in
Roma,
ladro di notte? C'era bisogno che Pitagora andasse diffondendo la dottrina della trasmigrazione delle di
uccidere
anime, che Restava rati
come
il
si
ritrova perfino in India?
pregiudizio circa gli storici antichi consideinformatissimi dei tempi primitivi, i quali, inil
vece, nel racconto delle
i
quanto o meno Vico leggeva, o la confessione che
origini, seppero
posteri. Per la storia greca, credeva di leggere, in Tucidide meglio di
noi
il
greci, fino alla generazione a questo storico precedente,
non conoscevano nulla della propria antichità; e osservava altresì che gli storici greci solo al tempo di Senofonte cominciarono ad avere qualche notizia precisa delle cose persiane. La storia romana si soleva principiarla da
Roma; ma con Roma certamente non nacque
il
mondo,
la
quale fu una città nuova fondata in mezzo a un gran numero di minuti popoli più antichi nel Lazio e per Roma stessa Tito Livio dichiara di non entrare mallevadore della ;
verità dei fatti concernenti
i primi secoli di quella storia, seconda guerra cartaginese, di cui è. in grado di scrivere con più verità, ingenuamente confessa di non sapere da qual parte Annibale fece il suo
e a proposito della
FILOSOFIA DEL VICO
166
memorabile passaggio appennine. Tanto
grande
e
eozie o
dalle
in gli
dalle Alpi
Italia, se
storici antichi
erano
bene informati!
si
Per questi e altrettali motivi di scetticismo, tutto quanto narrava dei greci fino al tempo di Erodoto e dei romani seconda guerra cartaginese parve
fino alla
incertissimo:
un
territorio quasi res nullius,
al
Vico tutto
ove
si
poteva
entrare col diritto del primo occupante. Egli vi entrava armato dei canoni positivi che nascevano accanto, anzi dal
grembo
di
negativi, che
quelli
abbiamo
riferiti.
Perché,
Vico
negava fede agli storici lontani dai tempi e dei fatti che raccontavano, se screditava le vanteluoghi se
il
svelava
rie nazionali, se
le illusioni e le
non rimaneva pago per
dotti,
struzione
badava a
;
ciarlatanerie dei
a quest'opera di die al posto del vecchio e malfido cacciato via
sostituire
giore
resistenza,
quali
era dato
il
cioè
altro
nuovo di migliore qualità e di magun complesso di metodi mercé i
procacciarsi
nuovi documenti con
lo
studiare meglio quelli già posseduti. Ogni avanzamento nelle conoscenze storiche non si effettua, in verità, in altra guisa che con questo ritorno dal racconto ricevuto al
documento
sottostante, col quale solamente è dato con-
fermare, rettificare e arricchire Il
il
racconto.
primo metodo che il Vico addita, la prima fonte che conoscenza delle società antichissime,
egli schiude per la
è l'etimologia delle lingue, che si soleva esercitare ai suoi tempi in modo affatto arbitrario, col raffrontare i suoni di
qualche sillaba o lettera, e cercare altre superficiali somiglianze, inferendone la derivazione di un vocabolo da una lingua
Ma
o
dall'altra, dal
latino, dal
greco o dall'ebraico.
affinché l'etimologizzare sia fruttuoso, bisogna
non
di-
lingue sono i testimoni più gravi dei popoli, che si celebrarono antichi costumi degli al tempo in cui si formarono esse lingue e illuminare per-
menticare che
le
;
PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO
XIV. CANONI
le lingue. Cosi le nel bel mezzo di 1'
«
lingue coi costumi e i costumi con etimologie dei vocaboli astratti ci portano le
perpetuamente,
ciò,
una
per
intelligere »,
167
società affatto contadinesca, perché
es.,
richiama
il
«
»
legere
«
frutti dei
o raccogliere disserere
«
campi (donde legumina »); », lo e la delle espressioni inmaggior parte spargere semenze; i
torno a cose inanimate
e dalle sue « -«
bocca
»
e
parti
si
il
umani
»
«
sensi e passioni,
labbro
come
per orlo di vaso, avanti e dietro, e simili. Il Vico per
per ogni apertura,
fronte e spalle
umano
svelano trasporti dal corpo
dagli
»
vagheggiò un etimologico comune a tutte le lingue native, composto di radici monosillabiche e in gran parte onomatopeiche;
un
altro delle voci di origine straniera, introdotte
dopo che
le
nazioni
universale, per
come
la
si
furono conosciute tra loro; un terzo,
scienza del diritto delle genti, dal quale
guardati con diversi aspetti dalle varie nazioni, avessero ricevuto diversi vocaboli; e, infine, un dizionario di voci mentali, comuni
apparisse
a le
tutte le
gli stessi
uomini,
fatti o cose,
nazioni, che, spiegando
sostanze
e le
modificazioni
uniformi circa
le idee
diverse che le nazioni eb-
bero nel pensare intorno alle stesse necessità umane o lità comuni a tutte, secondo la diversità dei loro cieli,
nature
e
costumi, narrasse le origini
utisiti,
delle diverse
lingue vocali, che tutte convengono in una lingua ideale
comune.
La seconda
fonte, schiusa dal Vico, è l'interpetrazione
dei miti o favole, che, conforme alla sua dottrina, non
erano allegorie, invenzioni
o
imposture,
ina
la
stessa dei popoli primitivi. Nel Diritto universale
distinse quattro sensi pei quali gli dèi passarono:
scienza il
Vico
dapprima
significando cose naturali, Giove il cielo, Diana le acque perenni, Dite o Plutone la terra inferiore, Nettuno il mare,
e cosi via; poi, cose umane naturali, per es. Vulcano il fuoco, Cerere il frumento, Saturno i seminati; in terzo
FILOSOFIA DEL VICO
163 fatti
luogo, cielo,
sociali;
fintanto
furono assunti agli
in
che,
astri, e le
vennero divise dalle divine.
Ma
ultimo, salirono al
cose terrene e
nelle
umane
due Scienze nuove
mise in rilievo quasi esclusivamente il terzo significato, quello sociale, che diventò per lui l'originario; perché (sembra che egli pensasse) le prime nazioni erano troppo intente a sé stesse, troppo
immerse nella loro dura
da speculare astraendo dalle cose
ficile vita,
e dif-
sociali.
Cosi
nei miti egli trovò riflesse le istituzioni, le scoperte, le divisioni sociali, le lotte di
Anche
classe,
i
viaggi, le
guerre, dei
pei tempi abbastanza progrediti
il popoli primitivi. Vico fu alieno dalle interpetrazioni naturalistiche o filosofiche; e il « Conosci te stesso », attribuito all'antico savio,
parve nient'altro che un monito alla plebe ateniese perché conoscesse le proprie forze, trasportato dipoi a sensi gli
questa ermeneutica sociale, un altro principio assai importante egli stabilisce: vale a dire che i significati galanti, lubrici e osceni delle favole fumetafisici e morali. Oltre
rono
tutti
trarono
i
intrusi in tempi tardi e corrotti, che interpecostumi antichi sui propri o presero a giustifi-
care le proprie lascivie con l'immaginare che gli dèi ne avessero dato l'esempio. Onde si ebbero Giove adultero,
Giunone nemica a morte della virtù degli Ercoli, la casta Diana che sollecita gli abbracciamenti degli addormentati Endimioni, Apollo che infesta fino alla morte le pudiche donzelle, Marte che come se non bastasse commettere adulli trasporta fin dentro il mare con Venere, peggio ancora, gli amori di Giove con Ganimede e dello stesso Giove trasformato in cigno con Leda: dipinture atte
teri in terra e,
a sciogliere il freno al vizio, come per l'appunto accadde nel giovinetto Cherea dell'Eunuco di Terenzio. Ma nella loro
forma
e
significato
originari le favole furono
tutte
severe e austere, degne di fondatori di nazioni; e, per es., Apollo che insegue Dafne alludeva agl'indovini o àuspici
XIV. CANONI
PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO
169
delle nozze, che perseguitavano per le selve le donne ancora in preda ai concubiti vagabondi e nefarì; Venere, che si copre le vergogna col cesto, era simbolo pudico di
matrimoni solenni;
gli
Giove, non erano da nozze certe
eroi, figliuoli di
frutti degli adulteri,
ma
gli eroi nati
già e solenni, celebrate con la volontà di Giove che i
lava negli auspici.
Omnia
mundis:
i
intenda
mundis
et
rive-
si
immunda im-
picchi delle montagne non potevano da alcove e postriboli. produrre immagini Oltre queste due ricche fonti delle lingue e dei miti, il Vico ne menziona e adopera una terza, che chiama dei le
selve e
grandi frantumi dell'antichità bate da storici e da poeti: per <
delle
tre
età degli
gua degli dèi
»
(ossia,
come
Omero postilla
ser-
tradizione egiziana
uomini; quei
degli
attribuisce alla il
nomi che
tichissimi); quegli elenchi di
memorie
cioè delle
eroi e
dèi, degli
quattro o cinque vocaboli che
»,
es., la
« lin-
Vico, di eroi ansi
trovano in san-
t'Agostino e il Vico con altri attribuiva a Varrone e che si riferivano ciascuno ad altrettante bisogne della vita na-
economica e
turale, morale, di
Romolo, che Livio definisce
silìum
»,
primi tempi il luco vetus urbes condentium con-
civile dei «
;
e alcuni altri pochi aurei detti, « luoghi d'oro
di scrittori antichi.
Frantumi finora
alla
inutili
»,
scienza,
perché erano giaciuti squallidi, tronchi e slogati, ma che, tersi, composti e allogati, arrecano grandi lumi. Né (quan-
tunque poco il Vico se ne valga e non vi ha troppa pratica) trascura
menti architettonici o
tempo
storico
i
scultori,
si
veda
fondo
in
che
monudichiarando che come del egli di notare
documenti più accertati sono
le
«
i
pubbli-
che medaglie » ossia le monete, cosi per il periodo favoloso e oscuro sono da tenere in luogo di esse « alcuni vestigi
restati
in
marmi
»,
che provano
gli
antichi co-
stumi: quali le piramidi egiziane descritte di geroglifici e altri frantumi di antichità, che si trovano da per tutto,
FILOSOFIA DEL VICO
170
con
siffatti
caratteri di corpi scolpiti.
È degno
di nota poi
come
gli accada perfino di dare esempio di ragionamenti fondati sopra osservazioni di tecnica e conducenti a con-
clusioni di preistoria;
come
là
dove dice che una prima
età del genere umano è contrassegnata dal mangiare carni arrosto, cibo il più schietto e semplice di tutti perché non
ha bisogno d'altro che della brace; e una seconda dalle carni lesse, che, oltre del fuoco, hanno bisogno
età,
del-
l'acqua, del caldaio e del tripode.
Metodo potente d'indagine perii Vico è zione, istituita tra gli svolgimenti di cui
la
compara-
si
ha notizia
più intera e quelli noti imperfettamente o frammentaria-
mente, donde la ricostruzione analogica dei secondi in base ai primi: dimodoché, per es., il principio dell'eroismo, scoperto a evidenza dentro la storia romana, giova a spiegare
la storia favolosa dei greci, a supplire la
gli egizi e a dare luce alle
zioni antiche.
un popolo
tronca de-
nascoste di tutte le altre na-
Senza negare il fatto delle trasmissioni da il Vico ne satireggiava l'abuso e ne
all'altro,
attenuava l'importanza per
le società primitive, facendo valere in cambio quello degli svolgimenti spontanei e adoperandosi a ricostruirli col metodo comparativo. Il quale
intendeva in modo assai largo, cioè come da esercitare con materiale raccolto dai più vari paesi e tempi. Per egli
come
fulminante suggerisse ai primi uoricorda che gl'indigeni d'America, dio, udirono lo quando prima strepito e videro le stragi delle armi da fuoco in mano agli spagnuoli, credettero che coispiegare
*il
cielo
mini l'idea di un
i rapsodi dei poemi omerici gli richiacantastorie che sul molo di Napoli recitano
storo
fossero dèi;
mano
in
mente
i
poemi di Oliando e dei paladini le trasformazioni o metamorfosi cantate dai poeti antichi ravvicina alle fiabe
i
;
e delle fate che ancora le madri narrano per trattenimento ai figliuoletti bambini, o alle favole che nei
dell'orco
XIV. CANONI
PER LA STORIA DEL TEMPO OSCURO
tempi del Medioevo
padre
erano sparse del mago Merlino;
si
la
focolare è condotta da lui fino alle costu-
del
mitologia
manze
171
del ceppo che in Firenze, ai tempi del Boccaccio, di famiglia
il
accendeva a capodanno sul focolare dando
incenso e spargendo vino, e di quello che la plebe napoletana brucia la sera di Natale, nonché all'uso che vigeva
regno di Napoli di numerare
altresì nel «
le famiglie per e tutti altri Pitone serpente serpenti migli sono messi a riscontro perfino con la biscia « che i
fuochi
tici
»
il
;
milanesi accampa
de Picardie
»,
dei Visconti;
»
i
geroglifici coi « rébtis
che erano in uso nel settentrione della Francia.
Riuscirebbe vano
cercare,
nella
anteriore o
filologia
contemporanea, cospicui precedenti complesso di questi canoni, negativi e positivi, che il Vico stabiliva per la al
storia del
intrinseci
tempo oscuro e favoloso a tutto
il
pensiero
;
perché
filosofico
essi
di
sono troppo
lui
da potere
#ver avuto altra origine fuori di questo pensiero stesso. I rudi frammenti delle antiche leggi e costumanze e forinole romane, i poemi omerici, i vocaboli della lingua la-
—
tina guardati con occhio sgombro cioè con quella potenza che ha l'uomo di genio di vedere le cose diretta-
mente,
—
una mente tutta disposta ad apvera indole, doverono suscitare nello
elaborati da
percepirli nella loro
spirito del Vico, rispetto
mente colorita desima rivolta
alla
dotta
ma
incolore o
storiografia del proprio tempo, quella e rivoluzione, che
gliata nello spirito
un secolo dopo
falsa-
me-
fu sve-
di
Agostino Thierry dalle pagine di poetica prosa dello Chateaubriand, ritraenti i Franchi e Faramondo coi loro gesti incomposti, con le loro rozze e atroci armi, coi loro gridi terribili e con le loro cantilene
da
barbari.
XV Le società eroiche
A,.ppunto
come
i
Franchi apparivano, nei compendi di
•storia patria pei collegi
Francia, dispogliati di dotti a sapienti
gesuitici e per le altre scuole tutti
i
loro tratti
di
caratteristici, ri-
monarchi, a pie regine e a guerrieri de-
voti della Chiesa; cosi la storia antica e primitiva,
mercé
ingenue idee dei letterati, si era venuta di luccicanti e falsi colori, press'a poco dei medetingendo simi coi quali allora i Lebrun o i Luca Giordano solevano la rettorica e le
i loro pomposi e teatrali quadri storici. Re che studiavano saggi provvedimenti per giovare ai popoli e insieme non far mancare alle loro corti lo splendore che
colorire
irradia
vano
una
nobiltà, re filosofi, di quelli che ave-
fatto sospirare Platone verso
regnavano o
a
fiorente
i
tempi in cui
i
i
filosofi
ré filosofavano; leali e prodi capitani, pronti
sacrificarsi per la
comune
felicità
;
uomini
di stato
che
compievano a bella posta viaggi d'istruzione per riportare da lontano le leggi più ragionevoli ai loro concittadini -aspettanti
;
buoni padri di famiglia, eccellenti madri, gio-
vinetti arditi e obbedienti, fanciulle innamorate e pudiche,
personificazione ciascuna di qualche virtù, anzi di tutte le virtù radunate, modelli di umana perfezione; queste le
—
figure che, rese sacre dalla
veneranda antichità, riempi-
FILOSOFIA DEL VICO
174
vano
libri e
i
e
greca
le
fantasie. Questi
romana;
gli
eroi della storia
e questa fastosa decorazione di cartone
dipinto o dorato bisognava stracciare e spazzar via per procedere a ritrovare, nel più intimo fondo dei ricordi del
genere umano,
i
veri eroi, della realtà non del palcoscenico:
ratura, della vita e
e
non
della lette-
gli eroi ignoranti,
duri verso le loro famiglie, spietati verso le plebi, avidi, usurai e, pur tuttavia, anzi superstiziosi, feroci,
per effetto di questi cioè
eroi,
stessi loro aspri
atteggiamenti d'animo,
virtuosi di quella virtù che nei tempi primi-
come era
tivi,
egoisti,
sola possibile, sola era necessaria: la virtù
della forza, della disciplina, della
cupa e intransigente re-
ligiosità.
La
falsificazione dell'eroe primitivo nell'uomo saggio e
virtuoso dei tempi colti
si
assommava, per quel che
si at-
tiene alla storia politica, nel fraintendimento delle tre parole capitali che
compendiano la costituzione dello stato: popolo, libertà. Per il fraintendimento della prima credeva che la forma originaria dello stato fosse la mo-
re, si
narchia assoluta sul tipo del regno di Francia, la monarchia illuminata che si appoggia sulle forze popolari e tiene sottomessi
i grandi, la quale è, invece, prodotto tardo, anzi ultimo, della storia. In siffatto errore si era impigliato Giovanni Bodin, verso cui il Vico polemizza di preferenza.
Ma
il
Bodin, più acuto degli
altri trattatisti di politica, si
avvolgeva in contradizioni, perché, quantunque entrato nel comune errore, pure, osservando nella sognata libertà
romana antica
gli effetti di repubblica aristocratica, punsuo sistema col distinguere tra stato e governo, e affermare che Roma, ai suoi primi tempi, -fu popolare di
tellò
il
ma
governò aristocraticamente; e poiché neppure questo puntello bastava a sostenere il gran peso dei fatti, fini col confessare che quella repubblica fu aristocratica
stato
di
si
governo e
di stato, contradicendo cosi a
tutta la prò-
XV. LE SOCIETÀ EROiCHE
175
pria dottrina sulla necessaria successione degli stati. Il i re di quei primi tempi non erano, a Roma,
vero è che
monarchi, come non furono a Sparta né altrove. Re monarchi, ma dì un tipo speciale, soggetti non ad altri che
nome di spaventose religioni col mezzo d'immanissime pene, furono i padri o patrizi o eroi solo al tempo delle monarchie familiari, quando ciascuna famia Dio, imperanti in
glia viveva
da
sé.
Sorto
il
primo
stato, alleatisi cioè
i
vari
patres familias eroi e costituito per tal modo un orcio, quello patrizio, i loro re non erano altri che uno o più di
medesimi, semplici magistrati dell'ordine. Tantoché Roma, dopo avere in forza di una rivoluzione affatto ariessi
stocratica scacciato
e serbò
i
i
Tarquinì, non mutò punto di stato
re nei due consoli, che erano
due re
aristocratici, ai quali
testate
diminutum
».
Lo
nihil
«
stesso
«
reges
annui
;
»,
quicquam de regia poi due re
carattere ebbero
di Sparta, sottomessi al pari dei consoli al sindacato e che
potevano essere dannati a morte dagli efori. Come falsamente vennero creduti monarchici, falsamente altresì quegli stati furono spacciati per popolari. Il popolo, del quale a proposito di essi
si
parla,
non
solo
non
coincideva con la plebe, ma non la comprendeva in sé « popolo » era il solo ordine patrizio, e « libertà » la :
libertà signorile; la « patria » perché veramente « res patrum », in-
sola libertà dei patrizi, la
ben era detta teresse dei
cosi,
soli
padri.
È
ridicolo
pensare che la plebe,
caterva di vilissimi giornalieri trattati come schiavi, fosse fornita del diritto di eleggere si
il
re, la cui elezione
riserbassero di approvare nel senato.
padri
i
Le relazioni
poi tra padri e plebe consistevano di ben altro che di pacifica
convivenza, scambievole fiducia e concorde cooperazione. Gli eroi, secondo una notizia che il Vico attribuisce ad Aristotele, prestavano solenne
nemici della plebe
:
ecco
il
giuramento di essere eterni
loro spirito democratico
!
E
la
FILOSOFIA DEL VICO
176 «
romana virtù
»,
che
offre tanti e tanti
esempì gloriosi,
verso la plebe. Bruto, che consacra con due suoi figliuoli la sua casa alla libertà; Sce-
nessuno ne
che
offre di pietà
punire del fuoco la sua destra, atterrisce Porsenna; Manlio l'imperioso, che per un felice peccato di disciplina militare fa mozzare la testa al suo figliuolo
vola,
col
reduce da una vittoria;
Curzì, che
i
cavallo nella fossa fatale
;
la salvezza dei loro eserciti
;
i
gettano armati a
si
Deci, che
i
si
Fabrizì e
i
consacrano per Curi, che rifiu-
some d'oro dei sanniti e i regni di Pirro; gli Attili Regoli, che vanno a certa morte per serbare la santità romana dei giuramenti; che cosa fecero a prò della non se plebe, sempre più angariarla nelle guerre, sempre più profondamente sommergerla nel mare delle usure, sempre più seppellirla nelle prigioni private dei nobili, dove i plebei erano battuti a spalle nude a guisa di vilissimi tano
le
—
schiavi ? sciato
E
guai a colui tra
scorgere
la
gli aristocratici
più piccola
voglia
di
che avesse alleviare
la-
quei
Era subito accusato ribelle e traditore e messo a morte; come accadde in Roma a Manlio capitolino, che
mali!
aveva salvato
Campidoglio dall'incendio dei Galli e che pur tuttavia, per le sue simpatie democratiche, fu fatto precipitare dal monte Tarpeo; e accadde in Isparta (la città
degli eroi di Grecia,
mondo) colà,
il
il
al
magnanimo
come Roma
re Agide,
il
fu degli
eroi del
Manlio capitolino di
quale, perché aveva tentato di sgravare la povera
plebe lacedemone con una legge di conto nuovo e di sollevarla con un'altra testamentaria, fu dagli efori fatto strozzare.
La celebrata
appressa con
le
nella giustizia e
romana » sbalordisce chi vi si idee moderne di una virtù consistente nella benevolenza verso il genere umano. «
virtù
Quale virtù dove fu tanta superbia? quale moderazione dove tanta avarizia? quale mansuetudine dove tanta fierezza? quale giustizia dove tanta inegualità?
XV. LE SOCIETÀ EROICHE
modo che
Allo stesso
devano
verso
eroi
177
verso la plebe, durissimi proce-
proprie famiglie. L'educazione dei fanciulli era severa, aspra, crudele: gli spartani, al fine di avvezzarli a non temere dolori e morte, battevano gli
le
nel tempio di Diana
i loro figliuoli fino all'anima, talché sovente, convulsi dal dolore, cadevano morti sotto le bac-
chette dei padri. In Grecia come in Roma era permesso di uccidere gl'innocenti bambini di fresco nati, diversamente dai tempi moderni nei quali le delizie di che si cir-
condano
i
figliuoli
fanciulli
formano
la
delicatezza della
natura umana. Le mogli erano comperate con le doti eroiche (donde il costume, che rimase per solennità in Roma, dei matrimoni
« coiimptione et far re », di cui il simile viene narrato da Tacito degli antichi Germani e si deve stimare che fosse di tutti i popoli barbari) ed erano tenute per ;
sola necessità di natura, a uso di fare figliuoli,
come schiave
sto, trattate
:
il
che
si
e,
del re-
vede ancora in molte
parti del vecchio e quasi dappertutto nel nuovo mondo. Gli acquisti dei figliuoli, i risparmi delle mogli andavano
a esclusivo profitto dei loro padri e mariti. Rispondevano a siffatta costituzione politica e familiare gli abiti di vita, ignari di lussi, lautezze ed agi. I giuochi erano faticosi, come lotta e corsa, per fermare le forze e gli animi; o pericolosi, come giostre e cacce di fiere,
per adusare
al
disprezzo
delle
ferite e della
morte. Le
conducevano come guerre di religione, e perciò tutte atrocissime. Conseguenza di esse le schiavitù eroiche, nelle quali i vinti erano tenuti uomini senza Dio, onde con
guerre
si
la libertà civile
nieri erano
considerati
sommamente e Plutarco
perdevano anche quella naturale. Gli nemici
:
le
prime nazioni furono
Brigantaggio e corseggio, ammessi; veramente, Giustino) dice che gli eroi si
inospitali.
(o,
recavano a grande onore e si riputavano con l'esser chiamati « ladroni ».
B. Cuoce, La
stra-
filosofia
di Giambattista Vico.
in
pregio d'armi
12
FILOSOFIA DEL VICO
178
Era, insomma, una società uscente immediatamente da
come sappiamo, fu la crisi dello Usciva dalla preistoria, come si direbbe mo-
quell'età degli dèi che, stato ferino.
dernamente, ed entrava per
la
prima volta nella
storia,
ritenendo assai degli anteriori costumi, di quelli che il Vico (pensando ai solitari Polifemi delle grotte) chiamava «
Usciva dall'età dell'oro, dal-
».
imperi paterni ciclopici
l'età dell'innocenza, tanto mansueta, benigna, discreta,, comportevole e doverosa, come vogliono i dotti e i poeti, e che in realtà fu tutto un « fanatismo di superstizione »,
agitata dal continuo terrore della divinità, alla quale per placamento offriva vittime umane (di che si hanno tracce i
presso
fenici, gli
riche, e presso
con
la
i
sciti,
romani
i
germani, i popoli delle Ameche li sostituirono più tardi
stessi,
cerimonia del gittare fantocci di giunco nel Tevere) : i propri figliuoli, come ne serba ri-
sacrificavano perfino
cordo, tra l'altro,
il
sacrificio
che Agamennone offerse
d'Ifi-
genia. Ma in quella età degli dèi, attraverso e per opera di questa crudele superstizione, si fondarono le grandi istituzioni
umane:
il
culto religioso con
matrimoni,
le
la
divinazione per
sepolture. Nozze, tribunali ed
auspici,
i
are, e
togliere all'etere maligno e alle fiere
il
estinti, « diero alle
umane belve
esser pietose
i
»,
corpi degli
come
disse
Foscolo nei Sepolcri, verseggiando per l'appunto la poi prosa del Vico. Quei « ciclopi », che adunavano e conil
fondevano in sé
gli uffici del re,- del sapiente (sapiente in
divinazione) e del sacerdote, avevano posto dapprima le loro sedi sulle alture dei monti, in luoghi d'aria ventilata siti naturalmente forti, presso alle fontane perenni, dove erano nidi di aquile e di avoltoi (gli uccelli, dai quali furono tratti gli auspici). Donde l'im-
e perciò sana, in
portanza dell'acqua e del fuoco, diventati simboli della famiglia; e « aqua et igni » si strinsero i primi matrimoni, tra coloro che avevano l'acqua e il fuoco comuni, cioè ap-
XV. LE SOCIETÀ EROICHE
179
partenevano alla stessa famiglia, sicché dovettero cominciare tra fratelli e sorelle. Età fortemente morale, codesta dei ciclopi sebbene non quale la finsero dipoi i poeti effeminati che licesse ciò che piacesse, perché a quegli uomini, « storditi ad ogni gusto di nauseante riflessione »' ;
può anche oggi vedere da chi osservi il costume non piaceva se non ciò che era lecito, e non era lecito se non ciò che giovava. Erano giusti, (come
si
dei contadini),
della selvatica giustizia verso
ché avevano smesso e
magnanimi, come
il
loro dio; temperanti, per-
il
concubito ferino
;
forti,
industriosi
di necessità in quelle difficili e rischiose
condizioni di vita. Solo più tardi quei primi aggruppamenti si estesero alle pianure, che cominciarono a colti-
umani
vare; e da mediterranei che erano in origine, via via scesero alle marine, e navigarono e dedussero colonie.
Le «
le
famiglie,
«
genti
»
erano dunque prima
delle
città», e le città furono costituite dalle genti, collegate
in ordine, dalle
come vennero
«
gentes maiores
»
o
«
case nobili antiche
poi chiamate per distinguerle
dalle
»,
altre
accolte in séguito nell'ordine (per es., ai tempi di Giunio Bruto, per riempire i vuoti del senato romano dopo la
cacciata dei re), le quali si chiamarono invece « gentes minores ». Ma quelle genti o famiglie avevano in sé un elemento di differenziazione e di lotta. Le famiglie non erano
composte (come, pel solito errore di dare a vocaboli antichi significati moderni, si è generalmente creduto) dalle sole mogli e figliuoli, ma altresì dai fa moli, da coloro
meno
perduranti più a lungo nel divagamento ferino, finalmente, come le fiere talvolta, o pel gran freddo che,
forti e
o inseguite dai cacciatori, per campar la vita si riparano luoghi abitati,, avevano chiesto rifugio presso i più forti, nelle ròcche dei padri. Essi, in cambio della rice-
in
vuta protezione, lavoravano le terre dei padri, alle quali furono come affissi e annodati, onde si appellarono anche
FILOSOFIA DEL VICO
180 « «
nexi
ma
di
seguirono e servirono,
1^
»*,
clientes »
.
La
umano
si
dissero
perciò
consorzio, dopo quella naturale del matrimo-
nio; e costituì
il
consorzio feudale, che a torto si è creduto barbari, cioè del Medioevo,
alcuni tempi
di
particolare
e
società dei famoli coi padri fu la seconda for-
giacché esistette in tutte principio dei feudi
mondo. Come
eroiche e fu l'eterno
le società
onde nacquero tutte
le
repubbliche
al
Tacito dice parlando dei Germani, a questi
famoli e clienti
«
suum principem
et
defendere
tueri,
sua
quoque fortla facta glorice eius adsignare, prcecipuum iuramentum erat » che è una delle proprietà più spiccanti dei :
feudi. Del
resto,
non tanto
i
figli
degli eroi
si
distingue-
vano dai famoli quanto piuttosto visi confondevano: si distinguevano nel nome, « liberi », ma si confondevano nella eguale comune obbedienza e nella mancanza di propria personalità.
La contro
in cui si
necessità, i
trovarono
famoli che sovente
all'alleanza dei padri tra
i
padri di garantirsi
ammutinavano, die origine
si
all'ordine patrizio
loro,
e alla
Della quale città i famoli formarono la diritti di cittadini, perché tali essi non senza prima plebe, né di matrimoni erano, solenni, perché gli auspici stavano
città eroica.
solo presso
avevano
i
padri, né di testamenti, perché
i
e serbarono carattere politico d'imperio.
perciò esclusi dai comizi curiati, che si dri sotto le
testamenti
Ed erano
tenevano dai pa-
armi e che restarono dipoi per trattare
sacre; sotto
quale aspetto
il
si
guardavano
le cose
in quei primi
tempi dappertutto (in Roma, come nell'Egitto o nella Germania) anche le cose profane. I re dei patrizi, che ab-
biamo detto magistrati ticolarmente,
da opporre
Ma
i
ai
gli eroi
dine con la
dell'ordine, furono quindi, più par-
loro conduttori e
capitani nella resistenza
famoli o plebei.
non provvidero
sola
resistenza,
alla
stabilità del loro or-
fatta di forza; e
come
essi,
XV. LE SOCIETÀ EROICHE
181
sovrani nelle loro famiglie, quando si assoggettarono alla maggiore sovranità dell'ordine formarono una specie di
feudi nobili o armati, cosi per tenere contenti in qualche modo
i
famoli
all'obbedienza,
concessero
pur
loro,
senza accoglierli nella cittadinanza, una specie di feudo rustico. L'origine della proprietà appare in tal modo tutta diversa da quella leggiadramente poetica, secondo la quale gli uomini, ornati dalle virtù del secolo d'oro quando la giu-
dimorava
stizia
sulla terra,
prevedendo
rebbero potuti nascere dalla comunione, stati benigni arbitri nel tracciare
cando che ad di
ad
«
che può
domini,
ad
altri
abbondanti «
filoso-
che fanno nascere
— La concessione dei
prima legge agraria,
feudi ru-
distinse
i
tre
bonitario o dei soli frutti concesso dai patrizi
il
ai plebei,
dirsi la
altri
ai sapienti, e infine
rei politici »,
la proprietà dalla violenza. stici,
ad
altresì dall'origine
una volontaria sottomissione
da quella, escogitata da
sarebbero
tutte fertili,
altri affatto assetate,
acque perenni!; e diversa
fica » di
disordini che sa-
confini dei campi, cer-
non toccassero terre
altri
tutte infeconde,
i
i
essi stessi
il
quiritario
o
nobile
conservato
con
le
armi
presso i padri, e l'eminente, che spettava all'ordine tutto, cioè a tutto lo Stato patrizio. E perché nella ricchezza
era riposta la forza dell'ordine, le repubbliche eroiche, per serbare la ricchezza presso i nobili, si guardavano a tutto potere dall'arricchire le plebi, e nelle guerre (ecco la ra-
gione politica della vinti le sole
armi
rilasciavano loro
e, il
medesima ragione,
clemenza romana ») toglievano ai imponendo un tributo comportevole, dominio bonitario delle terre. Per la «
i
patrizi erano rattenutissimi di venire
alle guerre, nelle quali la
riva e
si
Anche
moltitudine dei plebei
si
agguer-
faceva pericolosa. le leggi solo
pur ritenendone
lentamente
si
staccarono dalla forza,
in ogni lor parte l'impronta e
Nelle repubbliche eroiche (afferma
il
il
ricordo.
Vico, anzi fa affermare
FILOSOFIA DEL VICO
182
da
Aristotele)
offese e
non v'erano dapprima leggi da punire
ammendare
torti
i
privati;
onde,
mancando
le le
leggi giudiziarie, ne veniva la necessità dei duelli e delle
rappresaglie, che perpetuavano le costumanze dell'età dell'innocenza o età degli dèi. La poesia e la storia ci descrivono alcuni di questi duelli, che erano giudizi armati, come quello di Menelao e Paride sotto le mura di
Troia e quello degli Orazì e Curiazì tra Roma ed Alba. Consiglio della provvidenza divina, acciocché tra genti barbare e di cortissimo raziocinio, che non intendevano ragione, da guerre non si seminassero guerre, e il torto e il
qualche modo discriminati dal credere di avere propizi o avversi gli dèi, secondo la vittoria o la diritto fossero in
sconfitta.
Ai giudizi armati si accompagnarono e seguirono giumezzo di formole verbali, le quali per l'abito reli-
dizi per
si adoperavano con iscrupolo sommo di a non alterarle pur d' una lettera {rebadando osservanza,
gioso degli animi
verborum). Orazio, che, per l'uccisione della sorella incorse nella legge « horrendi carminis », non potè essere ligio
assoluto
dai decemviri,
il
benché
'assolse (dice Livio) «
lo tenessero
innocente; e admiratione virtutis magis
popolo qiiam iure causce ». Anche piti tardi il diritto romano ritenne tanto di questi scrupoli di parole che esso appunto l
porse argomento a più commedie di Plauto, nelle quali i lenoni sono raggirati dai giovani innamorati, che li fanno trovare rei in qualche forinola di legge. Il diritto privato rispondeva pienamente alla costituzione economica di quelle società, che era del tutto naturale, ristretta alle cose necessarie della vita, senza uso di
danaro poi
si
;
e però
il
diritto
non conosceva
i
contratti
che
dissero compiersi col solo consenso. Tutte le obbli-
gazioni
si
assicuravano con
furono permutazioni,
le
la
mano,
locazioni
le
prime compere
di case consistevano in
XV. LE SOCIETÀ EROICHE
censi di suoli
183
da fabbricare, le locazioni dei terreni in i mandati erano ignoti.
enfiteusi, le società e
La materialità
dei primi contratti e la violenza dei primi via temperate, e diventarono simbofurono via processi liche. Come le finzioni della forza nei riti matrimoniali
rammentava la forza vera onde i prime femmine dentro le grotte;
giganti strascinavano le
cosi, egualmente, le cerimonie della mancipazione, dell'usucapione, della rivendicazione erano state dapprima atti realmente eseguiti. La
mancipazione si compieva, come si è detto, con vera mano ossia con forza effettiva (per es., nella occupazione, prima i domini); l'usucapione si celebrava col continuo ingombramento dei corpi sopra esse cose possedute; le rivendicazioni furono duelli, e le « condictiones », rappre-
fonte di tutti
saglie private. Divennero poi cerimonie o favole: la mancipazione, tradizione civile con atti e parole solenni (si
quis ita
nexum
faciet
mancipiumque,
uti lingua nuncupassit
ius esto)] l'usucapione, possesso che
con l'animo
;
le rappresaglie,
si finge ritenersi azioni personali con la so-
lennità di denunziarle o intimarle al
debitore. Si porta-
rono in piazza tante maschere quante erano •e
sotto la persona o
nascondevano
tutti
i
maschera
di
un padre
figliuoli e tutti
i
le
persone,
di famiglia si
servi della casa. In-
vece delle forme astratte, che ancora mancavano, si ebbero forme corporee animate: l'Eredità, per es., fu finta domina delle robe ereditarie e
in
ogni particolare cosa ereditata
fu ravvisata tutta intera; l'idea del
diritto indivisibile si
materializzava nella gleba o zolla di terra, che si presentava al giudice con la forinola « hunc fundum ». Quell'antica
giurisprudenza era tutta poetica: fingeva fatti non fatti, i non fatti fatti, nati i non nati ancora, morti i viventi, i i
morti vivi. nelle loro eredità giacenti. Introdusse tante vane
maschere senza soggetto (iura imaginaria), ragioni favoleggiate da fantasia; e le forinole, con le quali parlavano
FILOSOFIA DEL VICO
184 le leggi,
le loro circoscritte
per
role si dissero se
bene vi
si
«
carmina
rifletta,
». I
misure di
tali e
tante pa-
frammenti delle dodici tavole,
vanno
nella più parte dei loro capi
a terminare in versi adoni, che sono ultimi ritagli di versi eroici; e Cicerone per imitazione iniziò un paragrafo del De legibus col verso: « Ad Divos adeunto caste, pietatem adhibento
vare che delle
Nello stesso Cicerone
».
dodici
tavole
medesimo trovava
il
Vico riusciva a tro-
romani andavano cantando
fanciulli
i
«
tamquam
n ecessar htm
le
leggi
Carmen
il
»;
in Eliano a proposito dei fanciulli cre-
Minosse; e in altri autori, che le leggi secondo una tradizione, erano « poemi della dea egiziane, Iside », e che in versi o in prosa ritmiche furono formo-
tesi e delle leggi di
late quelle
ateniesi.
che Licurgo diede agli spartani e Bracone agli
Tutto
diritto
il
romano antico
fu
un
«
serioso
Vico dice altrove) « poèma quoddam poema », dramaticum romano rum », che si rappresentava dai romani o (come
il
nel fòro; e l'antica giurisprudenza, una severa poesia. Questa atmosfera poetica delle società eroiche, e questo atteggiarsi metrico dei loro linguaggi, trovano conferma in
molte testimonianze e documenti, in osservazioni e congetture di dotti, in ragguagli di viaggiatori e missionari. Gli ebraisti sono divisi d'opinione intorno all'essere composta la poesia ebraica di metri o di ritmi; ma Flavio Giuseppe, Origene, Eusebio (diceva
il
Vico, facendo sua un'af-
fermazione di san Girolamo) stanno a favore dei metri, e lo stesso san Girolamo vuole tessuta in verso eroico gran parte del Libro di Giobbe. Gli arabi, ignoranti di lettere,
conservarono
la
propria
poemi nazionali, Ano vincie orientali egizi
le
al
lingua con
tempo
in
tenere a
dell'impero greco. In versi
memorie
dei
defunti
;
memoria
i
cui inondarono le Proscrissero
gli
in versi
consegnarono le cinesi; inversi altresì (se-
prime, loro storie i persiani e i condo Tacito) i germani e (secondo afferma Giusto Lipsio)
XV. LE SOCIETÀ EROICHE
185
gli americani; e poiché, delle due ultime nazioni, la prima non fu conosciuta se non assai tardi dai romani e la seconda dagli europei solo alla fine del secolo decimoquinto, si ha forte argomento di congetturare il medesimo per
tutte le altre nazioni barbare, antiche e
primo verso, che
Il
ma
presso gli assiri,
i
si
moderne.
ritrova non solo presso
i
greci
fenici e gli egizi, fu quello eroico;
e per la tardezza delle menti e per la difficoltà della pro-
nunzia dovè nascere dapprima spondaico (onde non lasciò poi
mai nell'ultima sede
dosi più spedite le
spondeo), e solo di poi, facenmenti e le lingue, ammise il dattilo. In lo
séguito ancora, spedendosi lingue e nienti vieppiù, nacque il verso giambico (di piede presto, come dice Orazio), il di tutti alla prosa; tanto che i primi propiù somigliante satori, anteriori
a
Gorgia, usarono numeri quasi
poetici
ossia giambi, e di frequente la prosa scivola in questi. In
giambo fu verseggiata la tragedia, alla quale quel verso convenne per natura, perché nato per isfogare la collera di Archiloco si
(come
narra che l'avesse ritrovato per
isfo-
gare la sua contro Licambe); e se del giambo si valse poi la commedia, fu per una « vana osservazione d'esem-
anche plo
e
»
non perché
fosse connaturato
esso le
come
alla
tragedia.
Oltre che per
il
metro,
i
primi linguaggi di quelle so-
cietà erano poetici perché tutto di metafore attuose,
denti, di fetti o
il
loro corpo
d'immagini vive,
si
componeva
di somiglianze evi-
comparazioni acconce, di espressioni per
perle cagioni, per
le parti o
gli ef-
per gl'interi, di ellissi
o parlari difettosi, di pleonasmi o parlari soverchi, di ono-
matopeie o imitazioni di voci a suono, di accorciamenti, di parole congiunte, di circonlocuzioni minute, di aggiunti
individuati, di contorsioni
modi le
sintattiche e di
episodi. Tutti
da coloro che ignoravano voci proprie o che nel parlare con altrui mancavano di di farsi intendere, trovati
FILOSOFIA DEL VICO
186 voci intese da degli
ambe
le parti. Gli episodi infatti
scegliere delle cose ciò che a essi ciò che
non appartiene
torto è naturale
al
di spiegarsi tutto,
come
si
spettosi che proferiscono i
i
tra-
bisogna né tralasciare il parlare con-
loro proposito
effetto di chi
sono propri
non sanno
ignoranti e delle donnicciuole, che
;
non sappia o
sia impedito osservare può negli irati e dicasi retto e obliquo e tacciono
verbi. Persino le singole parole di quei linguaggi recano,
nella
loro
onde sorse
abbondanza il
parlare;
di
dittonghi, traccia
nelle lingue greca e francese, le quali
mente
e
del
cantare
e cosi ricche di dittonghi rimasero
immaturamente
passarono rapida-
dall'età spontanea alla riflessa.
Un
tesoro di forme eroiche deve offrire la lingua tedesca, con
sua ricchezza di voci composte che cosi felicemente traducono quelle greche e con la sua sintassi tanto più raggirata della latina quanto la latina è più della greca. Se la
i
dotti di essa lingua (ripete più volte
con bramosia sibile)
il
il
Vico, guardando
territorio della germanistica a lui inacces-
attenderanno a trovarne
le origini
mercé
i
principi
della Scienza nuova, vi faranno certamente discoperte
ma-
ravigliose.
Poetica
o,
per dir meglio, mitica fu altresì, presso quelle mondo, e poetiche le storie che
società, la concezione del
narrarono di sé medesime, e cioè delle loro origini e delle loro lotte e vicende;
anzi,
come
si
è visto, le loro poeti-
che concezioni di storia sociale precedono
le
loro conce-
zioni cosmologiche, fisiche e psicologiche. Applicando
flessibilmente questo criterio,
il
Vico svolse
la
in-
sua teogo-
nia naturale, sorta naturalmente nelle fantasie a certe occasioni di umane necessità e utilità: la genesi dei dodici dèi maggiori, ossia di quelli che
le
genti maggiori
fìnsero e in gran parte portarono seco allorché fondarono le città.
fulmini,
Giove o il
il Cielo fu, col suo parlare per cenni di datore delle prime leggi familiari; Giunone sim-
187
XV. LE SOCIETÀ EROICHE
nozze; Diana, la castità dei connubi; Apollo, la luce civile; Vulcano, Saturno e Cibele, rispettivamente il fuoco appiccato alle selve per diradarle, la seminagione le
boleggiò
e
la cultura delle terre; Marte,
avis et focis »; Venere, la
nere
«
celeste
buirono
»
sorse accanto
combattere eroico
«
prò
una "Venere plebea, cui
si attri-
colombe, non già per significare svisceratezze
le
amorose,
ma
aquile; e
un duplice
perché
«
degenere*
famoli, alle cui
»,
uccelli vili a petto delle
significato, patrizio e plebeo, fu dato e a Marte. Nelle dodici deità maggiori
parimente a Vulcano cominciarono a riflettersi coi
il
bellezza civile. Alla quale Ve-
tempestose relazioni dei padri lotte e sofferenze alludono i miti di le
Tantalo, d'Issione e di Sisifo. Ercole (le cui dodici fatiche sono storie poetiche di dodici diverse età) in quanto lotta con Anteo è carattere dei nobili delle città eroiche,
come Anteo nelle
e
prime
dei famoli ammutinati che città poste sulle alture
vengono ricondotti
(Anteo sollevato in aria),
vinti e annodati alla terra, e cioè costretti al lavoro ser-
vile.
La
nascita della decima divinità, Minerva, esprime
l'infiacchimento o diminuzione del potere eroico, perché Vulcano plebeo (i famoli ammutinati) con una scure (stru-
mento
di
bonitario ai plebei e dri.
L'ultima delle
tempo
il capo a Giove. comunicazione del dominio
chi esercita arti servili) fende
Mercurio rappresenta invece il
la
mantenimento del quiritario
dodici
divinità,
ai
pa-
Nettuno, sorge nel
della discesa delle genti alle marine, e le favole di
Minosse, degli argonauti, della guerra troiana, del ritorno Europa e del toro, del Minotauro, di Perseo, di Teseo, ricordano le colonie e i corseggi. di Ulisse, di
Il mitologizzamento della storia prosegue anche dopo fondazione della città. E, se non dèi propriamente, caratteri poetici sono quelli dei fondatori della civiltà, di
!a
Zoroastro o dei due Mercuri Trismegisti, di Orfeo o di Confucio. Esopo è carattere dei soci o famoli degli eroi, e
'FILOSOFIA DEL VICO
188
perciò fu detto brutto ossia privo di bellezza civile (honestas)', e dalla favola esopica della società leonina traspare a maraviglia la realtà del consorzio degli eroi coi famoli, messi a parte delle fatiche
non
Dracone, del quale
altro
si
ma non
poi delle prede.
sa dalle storie
greche se
non che impose leggi severissime, simboleggia la crudeltà degli eroi verso i famoli. Solone o fu un capoparte della plebe di Atene o, addirittura, un'idea degli stessi plebei considerati sotto
ateniesi,
zioni. Pitagora e
i
nonché
pitagorici,
formarono setta politica di
delle
l'aspetto
«
nobili
»,
i
loro
rivendica-
sublimi
di
quali,
filosofi,
avendo
at-
tentato di ridurre le loro repubbliche da popolari in aristocratiche, furono tutti tagliati a pezzi. Caratteri poetici
sono, nella storia romana, Romolo, al quale tribuite tutte le leggi intorno agli ordini;
vennero
Numa,
quelle intorno alle cose sacre e alle divine cerimonie Ostilio, delle
leggi e ordinamenti di
at-
autore di ;
Tulio
disciplina militare;
Servio Tullio, del censo (che, contrariamente alla verità
venne supposto fondamento di repubblica popoladdove fu di aristocratica); Tarquinio Prisco, delle lare, insegne e divise; perfino il decemvirato e le dodici tavole storica,
(intorno alle
Vico scrisse una speciale disserta-
il
quali
zione) diventarono caratteri poetici, perché a questi avve-
nimenti e personaggi furono riportate moltissime delle leggi posteriori agguagliatrici della libertà. Cosi,
vole
e,
prima che
prendessero a elaborare le fasotto l'illusione d'interpetrarle, effettivamente ne i
filosofi
—
e Platone, per es., introducesse in Giove l'idea del suo etere che scorre e penetra tutto, e altri
creassero di nuove,
in
Minerva che nasce dal capo
di
Giove vedessero
raffi-
gurata l'idea eterna di Dio generata in esso Dio, a contrasto delle idee negli uomini che sono prodotte da Dio, o nel
Caos e nell'Orco natura e
la
la
confusione dei semi universali della
prima materia delle cose,
—
i
poeti teologi vi
189
XV. LE SOCIETÀ. EROICHE
avevano espresso
le loro idee,
fisiche, nudrite tutte di casi
poco o niente metafisiche e e politici. Il Caos dei
umani
poeti teologi era la confusione dei semi umani nello stato dell'infame comunione delle donne: confuso perché senz'or-
dine di umanità, oscuro perché senza luce civile. L'Orco, mostro informe, divorava ogni cosa, perché gli uomini in quella comunione non avevano forme d'uomini ed erano assorbiti dal
nulla,
non lasciando, per l'incertezza elementi del
prole, nulla di sé. I quattro
mondo
della
rispon-
quattro elementi della vita sociale: l'aria dove fulminava Giove, l'acqua delle fonti perenni, il fuoco onde
devano
ai
furono bruciate, e la terra dove si esercita il lavoro umano. L' essere e il sussistere erano concepiti il
le selve
primo come il « mangiare » (ancora i contadini, per dire che l'ammalato è in vita, dicono che « mangia »!), e il secondo come
lo
corpo era ridotta
«
stare sui
talloni ».
ai solidi e ai liquidi,
La compagine
del
l'anima all'aria, la
generazione al « conclpere » o « concapere », ossia prendere d'ogni intorno i corpi vicini, vincerne la resistenza e adeguarli e conformarli alla propria natura; e tutte le
operazioni interne dell'anima,
al
capo, al petto e al cuore.
vita di quelle società, Anguste, perché erano le idee cosmografiche. Il primo cielo non fu messo più in su delle alture dei monti, dove i giganti videro ristrette alla
scoppiare
i
non fu più profondo di un poco venne ampliato e profon-
fulmini; l'inferno
fosso, e soltanto a poco a
valli, come opposte al cielo, ossia alle cime dei monti; la terra s'identificava coi confini dei campi col-
dato nelle
Col progresso dei tempi il cielo, oggetto di contemplazione per trarne auguri, si alzò più in su, e con esso più in su gli dèi e gli eroi, i quali furono affissi ai pianeti tivati.
e alle costellazioni,
e
si
ebbe cosi l'astronomia poetica.
Poetica del pari era la cronologia primitiva, nella quale gli anni erano noverati con le raccolte del frumento, come
FILOSOFIA DEL VICO
190
Post aliquot, mea regna, videns miràbor aristasmessis erat virgiliani, e anche l'uso odierno dei contadini toscani, che, invece di « tre anni », dicono
mostrano
e
il
il
tertia
abbiamo tre volte mietuto ». La conoscenza geografica non si estendeva di là dal paese abitato da ciascuna na«
zione: che è la ragione per la quale
i
portandosi
popoli,
in terre straniere e lontane, dettero alle
nuove
città e ai
nuovi monti, colli, stretti, isole e promontori i medesimi nomi, che avevano quelli della loro patria d'origine. L'Asia o l'India fu dapprima, pei greci, la parte orientale della Grecia stessa; l'Europa o l'Esperia, quella occidentale; la il
Tracia o la Scizia, la settentrionale; la Mauritania (donde Vico faceva derivare il nome di Morea), la meridionale.
Ma noi non esporremo altri particolari (e moltissimi ne abbiamo già tralasciati), perché non è nelle particolari determinazioni il pregio del quadro che il Vico dipinge dell'età eroica. Etimologie,
successione cronologica delle
interpetrazioni mitiche, genesi e deità', genesi e successione
delle
forme fonetiche, metriche o
contestabili
una per una,
damenti eruditi alquanto
stilistiche, tutte
o quasi
tutte
sono
poggiano su fon-
ma, dal loro complesso,
fragili,
sprigiona una verità che va oltre le particolari affermazioni. Il loro complesso è il possente sforzo di rievocare una forma di società e di umanità vivente senza dubsi
bio nei ricordi. e nei bile
del
ancora qua e
là
monumenti sopravanzati, frammentariamente
mondo moderno, ma che per come sepolta
del Vico, era stata
gini estranee, di paradigmi
d'ogni sorta, genuini.
secoli,
sotto
un cumulo d'imma-
convenzionali,
che impedivano
di
riconosci-
alcune parti e ancora ai tempi in
scorgerne
di i
pregiudizi lineamenti
XVI Omero e la poesia primitiva
D«'ella non
gli
società eroica fu poeta
Omero
scienze e arti più sublimi, che
antichi avevano
mune cora
e se tale egli fa,
potè appartenere quella profonda saggezza, quella
somma
squisita ed elevata moralità, quella le
;
immaginato
dei letterati e critici
i
filosofi e gli
di lui, e che
del
perizia in tutte scrittori
l'opinione
co-
secolo decimosettimo
an-
gli attribuiva.
sarebbe stato Omero, se fosse stato filosofo; quale stolto ordinatore della greca civiltà, se avesse inteso a ordinare civiltà! Il suo Giove adduce
Quale stravagante
filosofo
per misura della riverenza che sua Minerva, non contenta d'avere bisognava a terra stesa Venere, percuote Marte con un sasso, Marte a sua volta la chiama mosca sfacciata, Giunone strappa il la forza, la forza brutale,
avergli; la
rompe sulla schiena; un semferisce Venere e Marte. Gli eroi mortale, Diomede, plice Achille e Agamennone si scagliano l'un l'altro contumelie, quali ora appena userebbero i servi nelle commedie, diturcasso a Diana e glielo
cendosi
«
occhi di cane
»
e
«
cuore di cervo
» ;
e conten-
dono nel modo più rozzo per le Briseidi e per le Criseidi. Fieri di costumi, abbandonano i cadaveri dei nemici al pasto dei cani e corvi
;
intemperanti nel godere,
si
ubbria-
FILOSOFIA DEL VICO
192 cano. Altezza spirituale
si
d'intelletto,
d'animo, equilibrio
gentilezza
cercherebbero indarno in
sentimenti. Quegli eroi
si
tutti
i
loro
atti
e
dimostrano, invece, di cortissimo
intendimento, di vastissima fantasia, di violentissime passioni, zotici, crudi, aspri, fieri, orgogliosi, diffidenti e osti-
nati
nei
propositi
e,
al
stesso, mobilissimi a ogni
tempo
presenti innanzi. Anche qui il riscontro più calzante può essere offerto dalla psicologia dei contadini; i quali, come giornalmente si osserva, a ogni
nuovo oggetto che
loro
si
motivo
di ragione che loro si dica, si rimettono, ma, perché deboli di raziocinio, lasciando subito sfuggire il concetto che li aveva persuasi, tornano facilmente al primo
proposito. Parimente gli eroi omerici talora, al primo detto che si odono opporre, si acquetano; tal'altra, nel bollore della collera, si
rimembrando a un
dileguano in amarissimi
tratto
pianti; o,
cosa lagrimevole,
mentre sono
afflitti
da somma angoscia, presentandosi loro innanzi cosa lieta (come a Ulisse la cena di Alcinoo) si dimenticano affatto di guai e tutti si sciolgono in allegria; o, infine, mentre stanno riposati e quieti, a un'innocente parola altrui che loro non vada all'umore montano in si cieca collera da minacciare presente atroce morte a chi la profferì. Anche le virtù che sono loro proprie in sommo grado, quel loro animo aperto, risentito, magnanimo e generoso, reca impresso il medesimo carattere di passionalità e d'irriflessione. L'eroe degli eroi, Achille, colui che porta seco i fati di Troia, per (la
con
una privata
quale, per grave che fosse, la
da Agamennone non era giusto vendicare
offesa
fattagli
rovina della patria e di tutta
la nazione),
si
com-
piace che vadano in perdizione tutti i greci, battuti miseramente da Ettore. Né si risolve a recar loro soccorso se
non per dare soddisfacimento a un suo privato dolore, di avere Ettore ucciso il suo Patroclo. E almeno foss'egli venuto in quell'estremo sdegno per passione d'amore e per
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
XVI.
Ma
gelosia!
la Briseicle toltagli
per
da Agamennone,
da empirne
per la quale
fa tanto fracasso
e porgere
materia perpetua all'Ilìade,
la
stra, in tutto
il
193
la terra e
il
—
e
cielo
— Achille non mo-
corso del poema, pur un
menomo
senso di
amorosi come più piccolo segno Menelao, che per Elena rapitagli muove Grecia tutta contro Troia, ma non mai si tormenta di gelosia perché Paride se la goda. Privo di ogni senso di umanità, Achille a affetti
di questi
;
non dà
il
Ettore che vuole patteggiare con lui la sepoltura se nell'abbattimento l'uccida, nulla riflettendo all'egualità del
grado, nulla o
i
morte che
alla
tutti
agguaglia,
feroce
ri-
uomini patteggiarono coi leoni, Quando e ebbero uniformità di voleri? »; e lupi gli agnelli
sponde:
«
inai gli
(soggiunge), « se t'avrò ucciso, ti trascinerò nudo legato al mio cocchio per tre giorni d'intorno alle mura di Troia » (come realmente poi fece); e, finalmente: « ti «
anzi
»
darò a mangiare
pur
ai
miei cani di caccia
fatto, se l'infelice padre
lui a riscattarne
il
».
Priamo non
cadavere. Ma, anche
E
questo avrebbe
fosse
venuto da
in quell'incontro
sommamente pietoso (continua il Vico, rifacendo alquanto a suo modo il testo omerico), ricevuto Priamo nella sua tenda, il
quale di notte, con la scorta di Mercurio, era passato
mezzo al campo dei greci, e ammessolo a cenar seco, per un sol detto che all'infelice vecchio cade involontariamente di bocca lamentando la perdita di si vatutto
solo per
loroso figliuolo, dimentico delle santissime leggi dell'ospitalità,
non rattenuto dalla fede onde Priamo
lui affidato,
di
un
nulla
commosso
dalle
tal re, nulla dalla pietà di
un
si
era tutto a
molte e gravi miserie
padre, nulla dalla venerazione di un tanto vecchio, nulla riflettendo alla fortuna comune della quale non vi ha cosa che pili vaglia a muotal
vere compatimento, montato in una collera bestiale gì' intuona sopra che « gli vuol mozzare la testa » Della Bri!
seicle toltagli
B. Ckoce,
La
nemmeno morto
filosofia
si
di Giambattista Vico.
placa, se l'infelice bellis-
i:>
FILOSOFIA DEL VICO
194
sima real donzella Polissena, della rovinata casa del poc'anzi ricco e potente Priamo, divenuta misera schiava, non gli
venga
sacrificata
sepolcro e le sue ceneri assetate di
sul
vendetta non bevano l'ultima goccia di quel sangue innocente. E giù. nell'inferno Achille, domandato da Ulisse
come
vi stia volentieri, risponde che « vorrebbe essere
vilissimo schiavo,
ma
vivo
con l'aggiunto perpetuo
»
che Omero, canta
(àjiójAwv),
virtù eroica.
della
un
Un
siffatto
esempio che pone tutta la ragione nella punta della lancia, può altrimenti intendere se non come un uomo or-
eroe, si
goglioso, la
!
— Questo è l'eroe
d' « irreprensibile
ai popoli greci in
non
»
il
quale ora
mosca per innanzi
si
direbbe che non
alla
si
faccia passare
punta del naso.
più grandi caratteri di Omero sono tanto sconvenostra natura civile, le comparazioni delle quali egli si vale hanno a lor materia belve e altre cose da fanselvagge. E se per i costumi che rappresenta
Se
i
nevoli
alla
—
ciulli per la leggerezza delle menti, da femmine per la robustezza della fantasia, da violentissimi giovani per il
fervido bollore della collera,
—
per le favole degne di vecchierella che intrattenga bimbi ond'è piena l'Odissea,. non si può attribuire a Omero nessuna sapienza riposta j e
quel suo cotanto riuscire nelle fiere comparazioni non è certamente da ingegno addimesticato e incivilito da alcuna filosofia. Né da animo che sia umanato e impietosito da filosofia stile,
potrebbe nascere quella truculenza e fierezza. di si descrivono tante e si varie e sanguinose bat-
onde
taglie, tante e si diverse e tutte in istravaganti guise
cru-
delissime specie di ammazzamenti, che particolarmente formano la sublimità dell'Ilìade.
Ma gli
chi fu,
in
realtà,
antichi scrittori, che
Omero? Che cosa
si
cosa di
trae dai
suoi
lui
dicono
poemi?
A
leggere l'Iliade e l'Odissea senza pregiudizi, a ogni passo ci si
avventano
agli occhi e ci offendono
stravaganze e in-
XVI.
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
195
coerenze. Incoerenze di costumi, che trasportano or di qua or di là a tempi lontanissimi tra loro: da una parte si
vede Achille, l'eroe della forza; dall'altra, Ulisse, l'eroe della saggezza; da una parte, la crudezza, la villania, la i
ferocia, l'atrocità; dall'altra, di Calipso,
piaceri di Circe,
i
tempi dei proci, che
una
nelopi; da
tentano
i
lussi di
Alcinoo, le delizie
canti delle sirene,
anzi assediano
parte, costumi rustici
le
i
passa-
caste Pe-
e ruvidi, dall'altra
giuochi, vesti magnifiche, cibi squisiti e arti d'intagliare in bassorilievo e fondere in metalli da una parte, rigida società eroica, dall'altra, perfino, accenni a libertà popolari. ;
Questi costumi cosi delicati mal si convengono con gli altri tanto selvaggi e fieri, che nello stesso tempo si nar-
rano dei medesimi eroi, particolarmente nell'Iliade. Messi insieme tutti a un tempo, riescono incompossibili: dai costumi dell'età troiana del si
tempo
di
Numa;
si
sbalza senza transizione a quelli
è costretti a pensare che
ne placidi s coè'ant inmitia », due poemi furono per più età
«
talché, i
da più mani lavorati e condotti. Incoerenze di allusioni geografiche, che anch'esse trabalzano in ambienti fisici e
diversi e lontani:
settentrione
;
l'Iliade all'oriente
l'Odissea,
all'occidente,
della Grecia, verso verso mezzodì. In-
coerenze di linguaggio, sconcezze di favellari, che permangono nonostante l'emendazione di Aristarco, e per la quale si sono proposte le più strane teorie, come quella
che Omero sarebbe andato raccogliendo
da
il
suo linguaggio
tutte le varie popolazioni greche.
Dai poemi passando alle tradizioni circa il loro autore, nessuna fede meritano le vite di Omero scritte da Erodoto (o
da chi
altri
ne
sia l'autore) e
da Plutarco (dallo pseudo
Plutarco). Intorno a Omero mancano mentari: proprio dove dagli antichi
che fu buio.
il
maggior lume
Non
si
sa di
di Grecia,
Omero né
il
siamo
tempo
notizie
le si
tratta
più eledi questo
lasciati affatto al
in
cui visse né
il
FILOSOFIA DEL VICO
196
luogo di nascita ciascuno dei popoli di Grecia lo rivendicava suo cittadino. Si narra bensì ch'egli fosse povero e :
ma
cieco;
codeste sono di quelle minute particolarità che
mettono sospetto, come muove a riso ciò che dice Longino che Omero da giovane componesse l' Iliade e da vecchio l'Odissea. Mirabile che
uomo
faccende di un
conoscessero queste private del quale s' ignoravano poi due cose si
tempo e il luogo E la critica deve domandarsi, anzitutto, come mai fosse possibile che un sol uomo componesse due cosi lunghi poemi, in un'età nella quale da nulla:
il
!
non esisteva ancora
una
la scrittura;
giacché
le
tre iscrizioni
d'Ippocoonte e la terza con troppo buona fede parla il Vossio, sono imposture, simili alle tante che sogliono eseeroiche, di
di Anfitrione, l'altra
Laomedonte,
guire
delle quali
falsificatori di
i
Per
tutte
medaglie antiche.
queste considerazioni sorse
nel Vico
il
so-
Omero non fosse, per lo meno in tutto e per tutto, un personaggio reale, ma anch'esso « per la meta » uno di quei caratteri poetici ai quali si erano riportate nel-
spetto che
lunghe serie di azioni, opere e avvenimenti. Se prova a pensare che i poemi omerici non siano l'invenzione di un individuo, ma due grandi tesori dei l'antichità
infatti ci si
costumi della Grecia antichissima, che contengono del diritto naturale e dell'età eroica delle genti
la storia
greche che a uno o due poeti singoli si pensa a un popolo intero poetante; invece che a due opere di getto, a ;
se invece
una poesia popolare
svoltasi per secoli
:
tutto si rischiara e
riaccorda. Si spiegano le stravaganze delle favole, perché la composizione dell' Iliade e dell'Odissea appartiene alla si
terza età di quelle, vere e severe presso i poeti teologi, alterate e corrotte presso gli eroici, e ricevute cosi corrotte nei due poemi. Si spiegano le varietà dei costumi, richia-
manti
le-
giovane
e
varie età della composizione; e altresì l'Omero l'Omero vecchio, simbolo del più antico e del
XVI.
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
197
più recente tempo della Grecia primitiva. Si spiega la valuoghi di nascita e di morte, assegnati al loro autore, e le varietà dei suoi linguaggi, perché vari furono
rietà dei
popoli che produssero quei canti. Si spiega, infine, perché ogni popolo greco volle Omero suo concittadino, per la ragione cioè che essi popoli per l'appunto furono que-
i
st'Omero; e perché fosse detto cieco e mendico, perché tali erano di solito i cantori che giravano per le fiere recitando le storie. Bisogna dunque che Omero, perché sia inteso nella sua verità,
venga sperduto dentro come un'idea
la folla o carat-
dei greci popoli eroico di uomini greci in quanto narravano cantando le loro storie. Cosi quelle che sono sconcezze e. ine considerato
tere
verisimiglianze nell'Omero finora creduto, diventano nell'Omero qui ritrovato tutte convenevolezze e necessità. E,
aggiunge una sfolgorantissima lode d'essere stato il primo storico a noi pervenuto dell'intera Grecia. In Omero si ha il documento della primitiva ideninnanzi tutto,
gli si
tità di storia e poesia,
una conferma
e
di quel
che
il
Vico
credeva di leggere in Strabone, cioè che prima di Erodoto, anzi prima di Ecateo milesio, la storia dei popoli di Grecia fu scritta dai loro poeti. Nell'Odissea, volendosi lodare al-
cuno per avere ben narrata una storia, raccontata da musico e da cantore ».
si
dice
«
averla
feconde congetture istiIl Vico non si perde in poco tuendo indagini più particolari circa il modo di elaborazione dei poemi omerici. Propende tuttavia,
come
s'è visto,
per due principali autori poeti, l'uno per l'Iliade, nativo dell'oriente di Grecia, verso settentrione, l'altro per YOdissea, nativo dell'occidente verso mezzodì; e il nome «
Omero
»
intende come di compositore e legatore di facanto, a causa del significato puramente
vole. Ma, d'altro
nome, non è da escludere, due Omeri fossero, a loro
ideale che per lui ha quel
forse,
l'interpetrazione che
volta,
i
FILOSOFIA DEL VICO
198
due correnti poetiche e due gruppi di popoli o di cantori popolari. Le persone storiche, che egli si trova innanzi, sono i rapsodi, uomini volgari che paratamente, chi uno chi altro, andavano recitando i canti d'Omero nelle fiere e nelle feste per le città
greche. Lunga età corse dalla primitiva composizione fino ai Pisistratidi, i quali fecero dividere e disporre i canti omerici nei due gruppi delY Iliade e dell'Odissea (donde si deduce quanto innanzi stati una confusa congerie di cose), e ordinarono che d'indi in poi fossero cantati dai rapsodi nelle
dovessero essere
feste panatenaiche.
Comunque, non è di certo in questa risoluzione materialmente intesa dell'individuo Omero in un mito o carattere poetico l'importanza (come, forse, non è la verità) della teoria vichiana. Dalle incoerenze ch'egli non pel primo notava, e
non sempre con esattezza
(la qual cosa, essendo poco rilievo, agevole compensare osservazioni inesatte con le molte altre esatte da lui tra-
per altro, è di le
non c'era rigoroso passaggio logico all'affermazione della non esistenza di un Omero individuo, princi-
lasciate),
pale autore di
uno
o di entrambi
renze" valevano a dimostrare che
il
i
poemi. Quelle incoe-
poeta o
i
poeti lavora-
rono sopra una ricca materia tradizionale, della provenienza più varia per luoghi e per tempi, e non tanto disposta a strati secondo la provenienza (che era a un dipresso
l'fpotesi
piuttosto in tutti
messa innanzi dal D'Aubignac), quanto i
suoi strati mescolata e sconvolta.
o molti poeti, ovvero molti poeti e loro canti, o
una società
un abile
Uno
collettore dei
queste e altrettali ipotesi si potevano proporre (come si sono proposte di poi) con pari diritto, e sostenere (come sono state sodi abili collettori;
stenute) con argomentazioni parimente valide e parimente difettose perché non documentabili. Ma nel fondo di quella
risoluzione di
Omero
in
un carattere poetico (come analo-
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
XVI.
in altre simili risoluzioni fatte o tentate dal Vico)
gamente era
la
199
laboriosa genesi storica at-
scoperta della lunga e
traverso cui era passata la
materia
in questo senso, ben potevano
di quei
poemi, che,
prodotto di collaborazione dell'intero popolo greco. La sostituzione a Omero di un popolo di Omeri fu, anche questa volta, la mitologia tessuta dal Vico sulla propria scoperta: mitologia che dirsi
Parimente l'ana-
Vico svolge del costume dei poemi omerici, oltre che non del tutto nuova, può ben essere, ed è veralisi
che
il
mente, non solo qua e Ih mista di qualche inesattezza, ma, Ciò nonostante, quel-
in genere, esagerata e unilaterale. l'analisi,
nuove vie
progresso e apriva tro
modo
si
alla
poteva abbattere
il
critica.
E
in
immenso qual
al-
fantoccio del-
resistente
signore e buon principe,
l'eroe omerico ingentilito, gran
esempio imitabile
un
rappresentava
nell'insieme,
presa
di virtù civili, militari e private, se
non
scagliandogli contro quell'Achille contadinesco, tutto passioni elementari, violento, testardo, irriflessivo, pronto al-
l'impeto generoso
Né minore
ma non meno
progresso
-artistica della poesia
il
Vico
omerica
:
allo
sfogamento bestiale?
fa
compiere all'intelligenza ed ò qui anzi la sua mag-
giore originalità. La riconosciuta mancanza di buona e ragionata filosofia nel poeta Omero sarebbe stata per ogni altro critico di quel
tempo
(ed era infatti pel D'Aubignac)
l'enunciazione di un grave biasimo; ma in bocca al Vico, e in conseguenza delle sue nuove idee estetiche, suonava si scorgevano in Omero a*l lume deli inducevano critici della scuola neol'intellettualismo,
lode. Gli errori, che
classica,
«
omerofili
»
ardenti, a ripetere volentieri l'ora-
quandoque bonus donnitat Homerus ». Mail Vico, * se cosi spesso non avesse dormicchiato, Omero non sarebbe stato cosi buon poeta » (« nisi ita ziano:
«
tutt'all'opposto
:
!
scepe
dormitaret,
nunquam
bonus
fuisset
Homerus!
»):
FILOSOFIA DEL VICO
200
appunto perché simo.
filosofo
non
fu,
Ebbe memoria vigorosa,
sublime
onde né
;
filosofie
Omero
fu
fantasia
poeta grandis-
robusta, ingegno
né arti poetiche e critiche, le un altro poeta che
quali vennero appresso, poterono fare
per corti spazi gli tenesse dietro. Caratteri eroici si seppero fingere solamente dà lui; le sue comparazioni sono incomparabili; le sue sentenze s'innalzano, insino al cielo sublimi, e sono individuate in coloro che le sentono, prodotte in forza di un'accesa fantasia; la sua locuzione,
piena d'evidenza e di splendore; la sua favella, tutta per somiglianze, immagini, paragoni, priva di quelle idee di generi e di specie che definiscono intellettivamente le cose.. Egli non è delicato ma grande, perché la delicatezza è una piccola virtd e la grandezza naturalmente disprezza le cose piccole: anzi (diceva il Vico con uno dei suoi magni-
paragoni tante volte ripetuto di poi), a quel modo che un grande rovinoso torrente non può far di meno di por-
fici
tare seco torbide l'acque e rotolare sassi e tronchi con la violenza del corso, cosi in Omero si trovano sovente detti di cose vili. Ma il torrente corre impetuoso e superbo con tutte
le scorie
che trascina seco;
e
Omero, nonostante
le
sue rozzezze, e in parte a cagione di esse, è pur sempre padre e il principe di tutti gli altri poeti. La rinnovazione della critica omerica portava implicita
il
in sé la rinnovazione di tutta la
Ma
il
storia
letteraria
Vico fa solo pochi accenni ad non era uno specialista (ignorava
storia: egli
non
scrisse «da specialista, e troppe volte,
solvere col documento e col pensiero
poneva,
antica.
altri punti di questa
li
risolse
era sempre in lui poeti ciclici
con
i
il
greco),
non potendo
problemi che
si
ri-
pro-
immaginazione, la quale per altro tutta solcata da lampi di verità. Cosi i l'
non saranno
stati
denominati a questo
modo
dal circolo di genti volgari in mezzo al quale (simili ai « Rinaldi » o cantastorie, che il Vico vedeva sul molo di
XVI.
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
201
Napoli) declamavano i poemi, e quel circolo non avrà nulla da vedere col « vilem patulumque orbem » oraziano ma ;
che
fossero poco diversi dai cantastorie,
essi
non
male
è
osservato. Cosi non e il caso d'indugiarsi sulle sue congetture circa l'età di Esiodo o di Esopo, né si prenderanno alla lettera le
epoche che egli stabilisce della
tre
inni religiosi, canti funerari per eroi morti,
melica o
«
arie per
rebbe Pindaro, che della Grecia,
cantarono
;
musica fiori
ammirata
pure, è qui
»,
lirica
:
e, infine, lirica
nella quale ultima rientre-
nei tempi della virtù
«
pomposa
»
dove tali poeti divario tra la lirica
nei giuochi olimpici
ben avvertito
il
primitiva e quella affinata e dotta. Della tragedia il Vico pone l'origine nel ditirambo o satira drammatica (di cui nessun esempio si era serbato) e in costumanze villeresche
che ravvicina a quelle che erano vive ancora ai suoi giorni nella Campania durante la stagione della vendemmia e ;
ne nota
le relazioni
con
quando già era spento affiatandosi con
la
l'epos.
lo
La tragedia nacque
spirito eroico,
poesia
omerica,
e
si
rozza,
perfezionò
ispirandosi ai perso-
naggi di questa e rifuggendo da caratteri di nuova invenzione. Strettamente imparentata con la tragedia fu la
com-
media antica, derivata anch'essa da un coro e serbante
la
sua impronta arcaica in quel porre sulla scena personaggi viventi e fatti reali. Un profondo rivolgimento di spirito segnò, invece, la
commedia nuova, dove
la filosofia fece
sentire direttamente la propria efficacia. Ai generi stici
fanta-
erano succeduti gl'intelligibili e ragionati; e Monan-
nuova commedia, vissuti ai tempi umanissimi della Grecia, presero i generi intelligibili dei costumi umani e li portarono in ritratti nelle loro comdro e
gli altri poeti della
medie, sulle
rono perciò
ma
si
quali
filosofia socratica.
I
sente
che è passato
personaggi della il
soffio della
fu-
e non pili personaggi pubblici coro è un pubblico che ragiona
finti di getto,
privati; e, poiché
il
nuova commedia
FILOSOFIA DEL VICO
202 e di
non altro che di cose pubbliche,
non potè più avere luogo
coro. Si
il
quel tempo, a introdurre nella poesia eroi
moralmente
Aristotele,
perfetti.
in quella
commedia
cominciarono, circa eroi
ottimi, gli
memore
della forte
gli
individuazione dei caratteri omerici, ancora alzava in precetto d'arte poetica che gli eroi di tragedia non siano né ottimi
né
si
pessimi,
Ma
bene mescolati
grandi virtù e
di
grandi poeti tempi foggiarono un « eroismo di virtù dell'idea costruita dai fi», giovandosi losofi: un eroismo che può chiamarsi, perfino, « galante ». vizi.
dei
i
Essi o finsero perciò
tardi
nuove
favole
di
pianta, o le favole,
nate dapprima gravi e severe quali convenivano a fondatori di nazioni, effeminarono piegandole all'effeminarsi dei costumi. Galante è altresì
«
il
pastoreccio
»
dei
bucolici
marci di amore greci, dei Mosco e degli Anacreonte, delicatissimo ». Un'osservazione generale intorno alla let«
teratura greca
e
romana
è che
in
esse furono con tanto
confini della poesia e della
rigore guardati reciprocamente prosa che nessun antico scrisse orazioni e poemi insieme i
(unica eccezione forse, i cattivi versi, ridettila poemata, di Cicerone); il che il Vico tentava di spiegare coi costumi
democratici che costringevano
samente lontani dal culto
maginosi, poco intelligibili
mento all'agevole Della
gli oratori a tenersi studio-
modi d'espressione
di
popolo e
al
romana
il
im-
perciò d'impedi-
e piena notizia delle cause
letteratura
alti e
da giudicare.
Vico non discorre con
la
larghezza usata per la greca, la quale gli porgeva docu-
menti ben più primitivi. Intravvide, per di essa, qualcosa di
altro, negli inizi
alla letteratura greca:
primi primi autori della lingua latina furono i Sali, poeti sacri; e ciò convenevolmente ai principi dell'umanità delle nazioni, le quali nei primi tempi, che furono religiosi, non poeti e
analogo
i
i
dovettero altro lodare che gli dèi. E al modo stesso che quelle più antiche memorie a noi giunte della lingua latina,
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
XVI.
ossia
i
eroico, fatori
203
saliari, hanno un'aria di verso medesimo metro si sente nelle memorie dei trionromani, come nel « Duello magno dirimendo, regibus
frantumi degl'inni
il
subigendis
»
di
Lucio Emilio Regillo, e nel
maxlmas
prosternit
legiones
«
Fundit, fugat,
Anche come Livio An-
di Acilio Glabrione.
»
primi poeti romani cantarono storie vere, dronico (diceva il Vico, seguendo un errore di Celio Rodigino) la Romanide, contenente gli annali degli antichi roi
mani, e Nevio e poi Ennio persone diversamente dai greci,
camminarono con
i
guerre cartaginesi; e
le
reali e
sparlava di
per
romani,
la satira
più notorie. Senonché,
lo i
quali nei loro costumi
giusto passo, non fecero rapido e brusco
passaggio dalla barbarie alla delicatezza, epperò perderono
veduta
affatto di
ma
la loro storia degli dèi (che
Varrone chia-
tempo oscuro » dei romani), e conservarono quindi in favella volgare solamente la storia eroica, che si stende «
da Romolo
fino alle leggi Publilia e Petelia.
La
letteratura
romana, nei suoi maggiori monumenti, è opera di poeti colti, quale fu Virgilio, che il Vico ammira per la profonda scienza delle antichità eroiche, ma di cui dice (in contrasto con la critica neoclassica e, come a lui pareva, in accordo col sentimento di Plutarco e di Longino) che, in
quanto a forza poetica, non si può metterlo neppure a conOmero. Di Lucrezio giudica che portò in lin-
fronto con
gua
nuova materia poetiche introduzioni e d' una
latina, e per dippiù in versi, un'affatto
greca, ma, a riserva delle o altra digressione (come quella della delicata inimitabile descrizione della tenera giovenca che ha perduto la madre, e
quella, incomparabile
nel
genere grande, ove de-
scrive la pestilenza di Atene), del rimanente tratta le materie fisiche con istile niente diverso da quello con cui si
sarebbero insegnate in una scuola latina di filosofia naturale: laddove Virgilio, nella Georg ica, tratta dell'arte villereccia
«
poeticamente
».
Poesia colta e riflessa è altresì
FILOSOFIA DEL VICO
204
ii quale, come Pindaro nei tempi pomposi della le sue odi in quelli più « sfoggiosi » di lavorò Grecia,
in Orazio,
cioè ai tempi di Augusto.
Roma,
Una
letteratura che gli avrebbe offerto elementi pre-
studio della poesia primitiva, sarebbe stata quella biblica; e il Vico muove in verità qualche passo
ziosi
per
lo
per avvicinarlesi, quando nota che la poesia fu la lingua primitiva di tutte le nazioni, «anche dell'ebrea »; che la lingua ebraica omnis poetica
est
parabolis ac similitudinibus
non fece nessun uso della sapienza ridei sacerdoti posta egiziani » e tessè la sua storia « con parlari che hanno molto di conformità con quelli di Omero, e
referto,; e
spesso
li
che Mosè
«
vince nella sublimità dell'espressione
».
Ma
subito
ne discosta, quasi un istinto lo avverta che gli poteva accadere di trattare il Pentateuco come l' Iliade e Mosè come
se
Omero. Onde con cui Dio
si
accade di estasiarsi innanzi a quel motto descrive a Mosè: « Ego sum qui sum », che è
gli
una profondità metafisica (egli dice) raggiunta dai greci appena con» Platone, il quale concepì Dio come xb 8v, e ignodi
rata fino a tempi tardissimi dai latini; tanto che la voce « ens » non è latina pura ma della bassa latinità. Ovvero insiste i
perché
greci
un
si
osservi che nei tempi nei quali correva tra
diritto naturale tutto superstizione e fierezza, Id-
dio dette al suo popolo circa
i
dogmi
una legge
della divinità e
si
«
si
ripiena di dignità
ricolma di umanità circa
pratiche della giustizia, che neppure negli umanissimi tempi della Grecia l' intesero i Platoni o la praticarono gli
le
»: una legge « i cui sommi dieci capi contengono un giusto eterno ed universale sull'idea ottima dell'umana natura schiarita, che formano per abiti un tal sapiente che difficilmente per raziocini potrebbono le massime delle migliori filosofìe; onde Teofrasto chiamò gli ebrei filosofi per natura». La « volontà di credere » sarebbe qui tanto
Aristidi
più efficacemente operante, e tanto più manifesta,
se,
come
OMERO E LA POESIA PRIMITIVA
XVI. il
sospettiamo,
Vico aveva letto
politicus del reprobo Spinoza;
gano « «
le «
pietatem
sublimes cogìtationes » ;
admodum
si
sostiene che
»,
Tractatus
il
dove
205 theologico-
ai profeti ebrei
si
riconoscendo loro
non insegnarono
se
ne-
la sola
non cose
simplices qace ab unoquoque facile percipi po-
terant, atque has eo stilo adornavisse iisque rationibus con-
firmavisse quibus
nem
erga
Deum
maxime
multitudinis animus ad devotio-
movevi posset
rivelate da Dio a
Mosè
«
»;
singularis hebraiorum imperli
»;
e,
sparsi accenni fatti da altri critici,
dicate indagini sul
testo della
la diversità di autori dei
si
nihil aliud
afferma che fuissent
quam
andando ben s'
le leggi
tura
oltre gli
istituiscono spregiu-
Bibbia e sull'autenticità e
libri del
Pentateuco. Si direbbe
quasi che dalla critica biblica dello Spinoza il Vico avesse avuto incentivo alla sua della formazione e dello spirito dei poemi omerici, e che, passato per tal modo dalla storia sacra alla profana, da Mosè a Omero, si fosse poi ostinato a non ripassare a niun patto da Omero a Mosè, dalla storia
profana alla sacra.
XVII La storia
di
Roma
e la formazione delle democrazie
L
in società eroiea, nel periodo di fresca origine e di vigore nel quale l'abbiamo descritta, contiene e comprime in sé energicamente, e ne fa suo proprio sostegno, l'ele-
mento
Ma
di opposizione,
i
famoli o clienti o vassalli: la plebe.
questo elemento riesce a poco a poco a distaccarsi, a
contrapporsi, a lottare apertamente e ininterrottamente, in modo da sconvolgere via via quella vecchia società e dare
forma a una nuova, nella quale esso stesso
vita e
si
risolve:
democratica, repubblica popolare. Il Vico intende anche questo processo come uniforme in tutti i ma poiché le sue riferenze ad altre storie, che popoli la società
la
;
non siano quella pena
fa qualche
di Roma, mancano o sono vaghissime (apaccenno all'origine della democrazia ate-
niese), la descrizione
di
gine della Scienza nuova,
come ora
si
Quel che
quel processo diventa, nelle pa-
un brano
della storia
direbbe, della storia sociale di il
Vico potè congetturare circa
e la primitiva civiltà d'Italia,
romana,
o,
Roma. le
popolazioni
non ha molta importanza,
perché in questo campo, piuttosto archeologico ed etnografico che storico, egli non condusse studi particolari. Nel
De antiquissima italorum
sapientia aveva dato all'origine
FILOSOFIA DEL VICO
208
Roma
di
lo
sfondo di un'antichissima cultura
sarebbero appropriata in
si
modo conforme
an-
italica,
teriore alla greca e proveniente dall'Egitto, che
romani
i
all'indole loro,
rigettando cioè i presupposti teorici e prendendo i risultati pratici (dagli etruschi la tragica religione e l'arte di schierare in battaglia,
come
poi dagli ateniesi e dagli spartani
serbando per tal modo l'ignoranza e la feroonde sarebbe cia; provenuto che essi parlassero lingua di filosofi senza essere filosofi. In séguito, il Vico ritenne an-
le leggi), e
cora per qualche tempo l'anteriorità e l'indipendenza della pili antica civiltà italica rispetto alla greca, e considerò Pitagora, piuttosto che fondatore, cultore d'italica sapienza;
ma anche questa tesi
in ultimo,
sembra,
come definitivamente abbandonò quella
da
lui
abbandonata,
circa l'origine della
religione, della lingua, dei costumi e delle leggi di
Roma
da imitazioni
avere
«
stalliere,
per questa parte errato
Tra non
ingenuamente professando
»
sull'esempio del Cratilo platonico.
quali condizioni propriamente sa dire
;
certo
è
per
Roma
è l'asilo di
i
al
Enea
di
De Segrais
i
tanto il
«
di
partenza che egli
divaganti e ne fanno i loro famoli. Vico conosce la Lettre del Bo-
ne accetta
le
conclusioni, confermanti storici antichi.
Per
lui,
troiana è una favola, nata dall'incrocio di due borie » nazionali quella dei greci, che fecero
rumore
:
della guerra di
loro Enea, allorché di
Roma
Troia e intrusero in
niera lo ricevettero
non molto dopo
;
i
Roma
presero a narrare la storia,
e quella dei romani, che per vantare
se
di
un
il
dubbi già manifestati da alcuni
diverse
Vico
(1663) contro la leggenda della venuta
in Italia, e
l'origine
il
storia è per altro
la
Romolo, cioè le famiglie dei padri che
accolgono nel loro seno Niente colonia troiana; chart
nascesse,
con
storia
che, se
lui
Roma non comincia il mondo, quella nuovo cominciamento. Il punto assume
di
famosa origine
stra-
dunque, che non potè formarsi tempi della guerra con Pirro (all'in-
favola,
XVII.
LA STORIA
DI
ROMA
209
circa a quelli di Fabio Pittore e Cincio Alimento), quando i romani cominciarono a dilettarsi delle cose greche. Piuttosto, a spiegare i nomi e i miti greci misti al racconto della primitiva storia di
Roma,
e l'alfabeto
romano tanto
simile a quello greco antico, egli sarebbe incline all'ipotesi che i romani avessero, nei loro primi tempi, vinta e distrutta nel lido del Lazio alcuna colonia greca (rimasta poi sepolta nelle tenebre dell'antichità), e, con l'accoglierne in Roma come rifuggiti e soci gli abitatori, si fossero im-
bevuti di non poche tradizioni e costumanze elleniche. Neppure s'indugia il Vico sugl'incidenti storici del periodo regio anzi, in ciò è una delle principali differenze tra la sua critica e quella che era cominciata a esercitarsi, ;
o
si
esercitò poco
.storia
romana.
Il
dopo di lui, intorno ai primi secoli della Vico non mira a porre in luogo di aned-
doti leggendari aneddoti storici, ma a intendere la sostanza delle istituzioni e i modi del loro cangiamento. Due idee
direttive (come
si
è visto) egli
ha circa
il
periodo regio
:
questo non fu periodo di monarchia ma di aristocrazia, e che sia da interpetrare conforme al tipo della i'una, che
società eroica o della repubblica dei padri;
nomi
dei re stiano
come
simboli o
«
l'altra,
caratteri poetici
istituzioni di quella società, e talvolta anche, per
nismo
», si
raccolgano sotto di essi
dei secoli susseguenti.
Come anche
«
»
che
i
delle
anacro-
avvenimenti e riforme si
è avuto occasione di
accennare, l'ordinamento di Servio Tullio non era, a giudizio del Vico, da fraintendere, al modo che fecero i romani in tempi ché fu in
seriori,
quale pianta della libertà popolare, per-
pianta della libertà signorile, per la quale i patrizi concessero ai plebei il dominio bonitario dei campi con l'obbligo di pagar loro, e cioè ai singoli patrizi, il effetto
censo e di servirli a proprie spese nelle guerre. E Giunio Bruto, discacciando i Tarquinì e surrogando il re con duo •consoli o re aristocratici annuali, restituì la
B. Ckoce,
La
filosofìa
di Giambattista Vico.
repubblica rolt
FILOSOFIA DEL VICO
210
raana ai suoi principi, ossia riordinò la libertà dei signori dai loro tiranni, non già la libertà del popolo dai signori. L'oppressione che i patrizi esercitarono sulla plebe dopo la loro reintegrazione
che
compiuta da Giunio Bruto,
essi suscitarono e la resistenza
la lotta
che spiegarono, furono
l'anima del nuovo svolgimento, e contengono il segreto della grandezza di Roma, la « clavis historice romance universce ». Polibio offerse di questa grandezza una spiegazione troppo vaga col riporla nella virtù o nella religione dei patrizi e narrò piuttosto
fatti di essa
i
gioni. Il Machiavelli
anche
virtù che non le loro ca-
una volta
è censurato dal Vico,
causa della grandezza romana a sparsi istituti romani civili e militari senza scoprire la fonte di quegl' istituti, cioè la natura di quella società; e un'altra,
perché
riferi la
perché ne arrecò una causa parziale,
la
magnanimità
della
plebe. Plutarco gli sembra inferiore a tutti, perché, invidioso della virtù e sapienza romana, attribuì quella gran-
dezza alla fortuna. Ma, in verità, le altre città del
i
romani
si
sottomisero
Lazio, poi l'Italia e in ultimo
inondo, perché ebbero giovane l'eroismo, quando tra gli altri popoli del Lazio cominciava a invecchiare. Per quel vigore giovanile, i patrizi furono forti nel custodire il loro ordine e la religione su cui
si
fondava e che
lo
il
garantiva
(i
no-
com-
osserva il Vico, cosi, sempre dappertutto, portano verso la religione nativa, e quando prendono a disprezzarla è gran segno che una nazione vada a pere
bili,
dersi); la plebe fu
magnanima
nel volere comunicati a sé
la religione, gli auspici e tutte le ragioni civili
consulti, infine, furono
si
sapienti
;
nell'interpetrare
i
giuree
con-
le antiche leggi fil filo ai nuovi casi che chiedevano essere regolati, e si studiarono a tutto lor potere che quanto meno e con tardi passi si estendessero le pa-
durre di
role di
quelle. Per
tal
cagione
romano cotanto s'ingrandì
e
principalmente l'impero
durò, perché nelle sue vi-
XVII.
LA STORIA DI ROMA
cende politiche procurò cipi. Alle gare tra gli
fermo sopra
i
deve
la
di stare
ordini
si
211
altresì
suoi prin-
prodezza
guerra, perché i nobili naturalmente si consacravano per la salvezza della loro patria, con la quale avevano in
salvi tutti gli onori civili dentro
il
loro ordine, e
i plebei dimostrarsi meritecompievano segnalatissime imprese per voli degli onori dei nobili. E quando i romani stesero le
conquiste e spiegarono le vittorie sul mondo intero, essi fecero uso di quattro norme, che già avevano praticato coi plebei dentro in
clientele
le
provincie feroci ridussero
colonie,
alle
dominio bonitario dei campi, dominio quiritario, ai municipi o
rono il
Roma: perché mandandovi
il
girono
lo
trattamento
stesso
di
mansuete
rilascia-
all'Italia città
permisero benemerite lar-
parificazione che
aveva
ottenuto, in ultimo, la plebe. I risultati delle
era in questione
il
prime lotte, nelle quali, secondo il Vico, dominio bonitario dei campi (riconosciuto
già nella costituzione serviana, ma ritolto dai nobili pei debiti dei censi non soddisfatti), condussero al tribunato, e, per la richiesta che facevano i plebei del dominio qui-
legge delle dodici tavole, che accolse quella conquista plebea. Ma la legge delle dodici tavole fu, insieme, la conquista del diritto scritto, la cessazione ritario, alla
dell'arcano onde
i patrizi avvolgevano le leggi, che essi soli conoscevano, intendevano e interpetravano, e perciò amministravano a loro arbitrio. A questa divulgazione e fissamente del diritto scritto i patrizi non poterono bona-
riamente accondiscendere con quel « desiderici plebis non aspernari », che dice Livio; ma piuttosto vi dovettero
repugnare con quella ritrosia di cui narra Dionigi d'Alicarnasso, espressa dal « mores patrio» servandos, leges ferri non oportere
La della
».
storiografia
legge delle
posteriore adornò di favole l'origine dodici tavole; e raccontò, tra l'altro,
FILOSOFIA DEL VICO
212 della missione che la
per riportarne
da Dionigi, travaglio
si
i
decemviri avrebbero inviato ad Atene
nuova legge
:
cosa affermata da Livio e
ma
ignorata da Polibio e che il Vico con gran sforzava di dimostrare non creduta da Varrone
da Cicerone. Come mai nella natura selvaggia e ritirata delle prime nazioni, tra le quali non potè formarsi comue
nicazione di lingue se non dopo sorte le occasioni di guerre, alleanze e commerci, si sarebbe da oltremare, dalla lontana Attica, tragittata in Roma la fama della sapienza di So-
lone?
Come
i
romani di quei tempi avrebbero avuto nodelle leggi ateniesi da
tizia tanto esatta circa la qualità
stimarle proporzionate a sedare le contese accese tra i loro plebei e i loro nobili? Quali ambascerie potevano cori greci e quei romani che, ancora parecchi anni dopo, erano maltrattati come sconosciuti dai greci di Taranto? E che cosa dire poi di quegli ambasciatori che
rere allora tra
se
ne tornarono da Atene con
le
leggi greche nelle valigie
senza conoscere che cosa per l'appunto contenessero, talché se per caso non si fosse trovato in Roma lo scolaro di Eraclito, Ermodoro, bandito dalla sua patria, i romani non avrebbero saputo che farsi di quel chiuso e inattingibile tesoro? Ed Ermodoro come fece mai a tradurle con tanta
latina purità che Diodoro siculo giudica
non odorare nulla
affatto di grecismo, in guisa cosi perfetta
che nessuno
tore latino seppe più in nessun
durre dal greco?
Come
tempo
rivesti idee
scrit-
raggiungere nel tra-
greche con voci latine
tanto proprie (per es., auctoritas), che i greci affermano non esservi in lingua greca termini corrispondenti per ispiegarle? Ma la lettera di Eraclito a Ermodoro dovette essere
mandata per quelle
stesse poste, per le quali Pita-
gora aveva fatto i suoi lontanissimi viaggi per il mondo, e, insomma, è da ritenere un'impostura bella e buona; impostura la venuta stessa di Ermodoro in Italia, che non mai un cittadino della libera e possente Efeso si sarebbe
'
LA STORIA DI ROMA
XVII.
213
recato, per trovar conforto all'esilio, nella barbarica a
tutti
ignota fuori dei contini
del Lazio
Roma,
impostura statua di Erinodoro, che Plinio narra vedersi ancora suoi tempi nel
vedono
modo
Comizio, nel
la grotta della Sibilla e
;
la ai
in cui ora a Napoli si
tomba
la
di Virgilio; e,
insomma, tutta la favola della origine ateniese di quelle leggi è una boria di dotti, che prima le fecero provenire da altri popoli del Lazio (per esodagli equicoli); poi dalle città greche d'Italia, poi da Sparta, e finalmente da Atene, sul qual nome, per la fama dei filosofi ateniesi, si fermarono soddisfatti. Di certo le leggi delle dodici ta-
vole presentano somiglianze non solo con
ma anche con quelle ma la ragione di ciò è
o spartane,
le leggi ateniesi
di altri popoli e
con
le
nell'uniforme corso delle mosaiche; nazioni. Di certo, ai decemviri furono nell'antichità attribuite leggi con evidenti tracce greche, come quella che proibisce
il
lusso greco dei
perché, come
meno che
i
funerali
;
ma
questo accadde
non
è notato, la legislazione decemvirale,
si
nomi
dei
poetico», e a essa
singoli
re,
divenne un
«
carattere
rapportarono tutte le leggi che dipoi libertà e che si scrissero in pubblici mosi
agguagliarono la numenti. Ma la legge originaria delle dodici tavole, tanto incivile, rozza, inumana, crudele e fiera,.tanto poco conveniente al
tempo
in cui
Atene sfoggiava
di
cultura, è
un
gran testimonio dell'antico diritto naturale delle genti del Lazio, dei costumi che si erano cominciati a celebrare colà fin
dall'età di Saturno.
Ottenuto
il
scritta, la lotta
cui
si
perse
il
dominio
•
dei
campi e la \cgge ricominciò pel diritto dei connubi: lotta di vero significato e sulla quale gli stessi sto-
rici antichi scrissero
quiritario
cose assurde,
fosse impiantata sulla richiesta dei
immaginando che plebei
(i
essa
quali erano
poco più che miseri e vilissimi schiavi) di potersi liberamente imparentare coi nobili. In tal guisa la storia romana
FILOSOFIA DEL VICO
214
diventa assai più incredibile della favolosa dei greci, perché di questa non si sa che cosa abbia voluto dire, ma quella si oppone a tutto l'ordine dei desideri umani, presentando una plebe che prima aspira alla nobiltà, poi agli onori e magistrature, e in ultimo alla ricchezza; laddove
uomini prima desiderano ricchezze, poi uffici di stato, e Senonché la plebe romana non bramava
gli
in ultimo nobiltà.
non
ma
connubio, acni patribus »,
«
già
«
connubio,
patrum
»;
d'imparentarsi (cosa che non avrebbe ardito pretendere e che in fondo non le premeva), ma il diritto di contrarre nozze solenni, come le contrae-
vano
coi
diritto
il
nobili.
i
Perché, senza
le
nobili
nozze solenni, senza
gli
auspici, plebei non potevano esercitare in effetto il diritto quiritario dei campi, e non potevano tramandarlo ai loro i
congiunti, essendo privi di suità, di agnazione e di genti-
La
insomma, né più né quella della cittadinanza; e fu soddisfatta con la rogazione Canuleia.
lità.
richiesta dei connubi valeva,
meno che
la quale,
Dopo
i
plebei avanzarono la richiesta delle
di ragion pubblica; e prima ne riportarono imperì coi consolati, e finalmente i sacerdozi e i ponteficati, e con questi insieme la scienza delle leggi. -In tal
dipendenze gì'
modo
la
Tullio,
cangiò in pianta di libertà popolare e il censo, pagava ai patrizi, fu pagato invece all'erario, che
che
si
pianta di libertà signorile, tracciata da Servio
si
;
somministrava concernente dal Vico
con
la
«
il
ai plebei le spese nelle guerre. La difficoltà cosiddetto censo di Servio Tullio fu detta
la più aspra
sua meditazione sulle cose romane
»,
quale riusci a risolvere l'anacronismo del censo ser-
viano e a riportare
la
riforma
al
tempo
di
Fabio Massimo.
potestà di comandare le leggi, perché le leggi precedenti, Orazia e Ortensia, non avevano dato ai plebisciti forza di obbligare il popolo
I tribuni
tutto se
procedettero a chiedere
non nei due
la
casi particolari, a cagion dei quali la
XVII.
215
era ritirata una volta sull'Aventino e un'altra sul
si
plebe
LA STORIA DI ROMA
Gianicolo. Questa nuova conquista, che stabili la superiorità della plebe e mutò la repubblica da aristocratica in
popolare, fu la legge Publilia, ordinata dal dittatore Pu-
per la quale i plebisciti «>omnes quivìtes teL'autorità del senato ne venne ristretta, perché
blilio Filone,
nerent
».
laddove, precedentemente, di quel che liberato i padri si facevano « auctores
popolo aveva deora i padri erano
il
»,
popolo, che approvava le leggi secondo la forinola proposta dal senato, o le antiquava, cioè diessi « autori
al
»
chiarava di non volere novità. La plebe ottenne, inoltre, non comunicata, la censura.
l'ultima magistratura ancora
La legge
Petelia, che segui pochi anni dopo, cancellò l'ul-
timo vestigio di legame feudale, il nesso (nexus), che reni plebei, per causa di debiti, vassalli ligi dei nobili
deva
costringeva sovente a lavorare tutta vate prigioni di costoro.
la vita nelle pri-
-e li
Quando Fabio Massimo
divisione
alla
tra patriziato e
plebe, coi corrispondenti comizi curiati e tributi, ebbe sostituita la divisione
secondo
i
patrimoni dei cittadini,
ri-
partiti nelle tre classi di senatori, cavalieri e plebei, l'or-
dine dei nobili venne a sparire affatto, e « senatore » e cavaliere » non furono più sinonimi di « patrizio », né « plebeo » d' « ignobile ». Ma al senato rimase il dominio
«
sovrano sopra nel
sato
timi o delle
«
i
romano imperio, che era già pasmercé i cosi detti senatoconsulti ul-
fondi del
popolo;
e,
ultimce necessitatis
armi
finché la
»,
romana
lo
mantenne con
fu repubblica
la
forza
e popolare quante volte il popolo tentò di disporne, tante il senato armò i consoli, i quali dichiararono ribelli e uccisero i tribuni della plebe che avevano promosso quei tentativi. Il ;
spiega con una ragione di feudi sovrani soggetti a maggiore sovranità, come al Vico pareva confermato dal
che
si
detto di Scipione Nasica nell'armare
il
popolo contro Ti-
FILOSOFIA DEL VICO
216
« Qui rempublicam salvam velit, consulem con le leggi la porta degli onori alla Aperta sequatur moltitudine che comanda nelle repubbliche popolari, non
berio Gracco
:
».
restava altro in tempo di pace che contendere di potenza,
non con le leggi ma con le armi; e mercé atti di potenza comandare leggi per arricchire, quali furono le agrarie dei Gracchi, onde provennero in pari tempo guerre civili in casa e ingiuste fuori.
Tutta
la società, col trionfo della
zione dello stato da aristocratico in
plebe e con la mutapopolare,
muta
fiso-
nomia. Muta, in primo luogo, la flsonomia della famiglia: nella quale, durante l'impero del patriziato, per serbare le ricchezze dentro l'ordine, solo tardi furono ammesse le successioni
testamentarie e facilmente
vano annullati
;
che
;
le
testamenti veni-
aveva
il fi-
una non erano è da dubitare legittimazioni permesse donne succedessero. Ma nella società democratica,
gliuolo emancipato; l'emancipazione
pena
i
dalla successione paterna era escluso
le
l'effetto di
;
poiché la plebe pone tutta la sua ricchezza, tutta la sua forza e potenza nella moltitudine dei figliuoli, si comincia a sentire la tenerezza del sangue, e i pretori ne considerano i diritti e prendono a fargli ragione con le « honorum possessiones » e a sanare coi loro rimedi i vizi o i difetti dei testamenti, agevolando cosi la divulgazione delle ric-
chezze, che sole sono ammirate presso il
il
significato degli istituti della proprietà:
volgo. il
—
Muta
dominio civile
non è più di ragion pubblica e si disperde per tutti i domini privati dei cittadini, che formano ora la città popolare; il dominio ottimo non è più quello fortissimo, non infievolito
da niun peso reale, neppure pubblico, e signisia libero da ogni peso pri-
semplicemente quello che vato il quiritario non è più fica
:
il
dominio di cui
il
nobile
era signore feudale e che .doveva venire a difendere nel caso che ne fosse decaduto il cliente o plebeo, ma è di-
LA STORIA DI ROMA
XVII.
217
ventato dominio civile privato, assistito da rivendicazioni, diversamente dal bonitario che si mantiene col solo possesso.
—
Le forme dei
di forinole
solenni, di atti simbolici, sono
razionalizzate: della
processi, cosi frondose di finzioni,
mente del
semplificate e
comincia a far uso dell'intelletto, ossia i cittadini si conformano in legislatore^ e
si
un'idea di comune ragionevole utilità, intesa come spirituale di sua natura. Le caussce, che prima erano forinole cautelate di proprie e precise parole, diventano affari o negozi, che si solennizzano coi patti convenuti e, nei trasferimenti di dominio, con la tradizione naturale e sola;
mente nei
contratti che
si
dicono compiersi con
le
parole,
nei contratti verbali, cioè nelle stipulazioni, le cautele caussce >, nell'antica
«
mangono
ri-
proprietà di questo ter-
certo delle leggi, essendosi la ragione umana spiegata tutta, mette capo nel vero delle idee, determinate con la ragione delle circostanze dei fatti, che è « una for-
mine. Cosi
il
inola informe di ogni
forma particolare
come dice Varrone), che a guisa tutte le ultime
corpi
»
di luce
(formula naturai, informa di sé, in
minutissime parti della superficie loro,
opachi dei
fatti
sopra
i
ella
quali
è
i
diffusa. Nelle
repubbliche popolari regna Ycequum bonum, l'equità naturale. Le crudelissime pene, che si usavano nel tempo
—
delle
monarchie familiari
delle
dodici tavole
e delle società eroiche (le leggi
condannavano a essere bruciati
coloro che avevano dato pitati
fuoco alle biade altrui,
giù dalla rupe Tarpea
in brani
ì
debitori
falliti),
i
falsi
vengono
testimoni, fatti
sostituite
vivi
precivivi
da pene be-
nigne, perché la moltitudine, che è composta di deboli, è di sua natura incline a compassione. Le leggi, che erano
—
nelle aristocrazie poche, ferme e religiosamente osservate, si
moltiplicano nelle democrazie e
si fanno cangevoli e serbarono l'aristocrazia, dicescrivevano molte leggi, ma le poche
flessibili.
Gli spartani, che
vano che
in
Atene
si
FILOSOFIA DEL VICO
218
che erano in Isparta si osservavano la plebe romana, a guisa dell'ateniese, comandava tuttodì leggi singolari, e invano Siila, capoparte dei nobili, cercò di ripararvi al:
quanto con si
le
«
questioni perpetue
moltiplicarono di nuovo.
—
Le
»,
perché, dopo di
stesse
lui,
guerre, crudelis-
sime nelle repubbliche aristocratiche, che distruggevano le città conquistate e riducevano i vinti in gruppi di giornalieri sparsi per le citori,
gliendo
campagne a
ai vinti
il
diritto delle genti eroiche, lasciano loro
quello naturale delle genti
perché
coltivare a prò dei vin-
mitigano nelle repubbliche popolari, le quali, to-
si
umane. Gl'imperi
si
dilatano,
assai più delle ari-
le
repubbliche popolari valgono stocratiche per le conquiste, e più ancora vi
valgono
le
monarchie. in questo generale umanarsi dei costumi, scesapienza di governo, la virtù politica. Gli antichi e, avendo patrizi facevano duramente rispettare le leggi
Eppure,
ma
la
;
privatamente ciascuno gran parte della pubblica utilità, a questo grande interesse particolare, che veniva loro conservato dalla repubblica, posponevano gl'interessi privati minori,
e
perciò
magnanimamente difendevano
dello stato e saggiamente consigliavano
il
bene
intorno ad esso.
Per contrario, negli stati popolari, e perché i cittadini comandano il bene pubblico che si ripartisce loro in minutissime parti quanti sono essi
i
che compon-
cittadini
per le cagioni che producono siffatta gono forma di stati, che sono affetto d'agi, tenerezza di figliuoli, amore di donna e desiderio di vita, gli uomini sono poril
popolo, e
che promuovono le loro private utilità, e perciò all'equobono, che è ciò solo di cui le moltitudini sono capaci. tati
ad attendere
A
cotal
alle
ultime circostanze dei
punto balza spontanea, perché
di
monarchia:
lunga mano
quella mogli ordinari scrittori di politica facevano venir
e resa
preparata narchia che
fatti
necessaria,
la
XVII.
fuori, senza
LA STORIA DI ROMA
precorso di tante e
il
bono condizionarla,
di
un
si
219
varie cagioni che deb-
tratto, al bel principio della sto-
ria umana, « cosi come (dice il Vico) nasce, piovendo l'està, una ranocchia ». E molto meno sorse artificialmente, per effetto della favoleggiata
dell' «
ignorante greTriboniano, con la quale popolo romano si sarebbe spogliato del suo sovrano e libero imperio per conferirlo a Ottavio Augusto. La legge, che le die' vita, fu
cuzzo
legge regia
»
il
una legge naturale, concepita con questa utilità
dano
forinola di eterna
che poiché nelle repubbliche popolari tutti guarloro privati interessi ai quali fanno servire le pub-
:
ai
bliche armi in eccidio della propria nazione, per impedire che le nazioni vadano in rovina debba sorgere un solo,
come «
tra
cuncta
accepit
i
romani Augusto
(«
qui
»j
come
scrive Tacito,
nomine principia su ^ imperium che con la forza delle armi richiami
beììis civililms fessa
>•>);
a sé tutte
un le
solo,
cure pubbliche e lasci
ai soggetti l'attendere
alle loro cose private o a quel tanto delle cose
pubbliche che viene loro permesso, e si circondi di pochi sapienti di stato per consultare con l'equità civile nei gabinetti circa i pubblici affari. Quel solo è invocato alla pari da
da plebei: dai nobili, che dopo essere stati abbassottomessi al governo plebeo, abbandonata l'antica
nobili e sati e
aristocratica volontà d'impero, non pensano se non ad avere salva almeno la vita comoda; e dai plebei, che dopo avere sperimentato l'anarchia o la sfrenata demagogia (della
quale non si dà tirannide peggiore, essendo tanti i tiranni quanti sono gli audaci e dissoluti delle città), fatti accorti dai propri mali, chiedono pace e protezione.
La monarchia
è,
dunque, una nuova forma del governo
popolare. Perché un potente diventi sovrano, è necessario
che
il
popolo parteggi per
polarmente, agguagliare
lui,
tutti
i
ed
egli
deve governare po-
soggetti, umiliare
i
grandi
per tenere libera e sicura la moltitudine dalla loro oppres-
FILOSOFIA DEL VICO
220 sione,
mantenere
popolo soddisfatto e contento circa
il
sostentamento che
gli
bisogna per la vita e circa
della libertà naturale, e
il
gli usi
adoprare un ben ponderato
si-
stema
di concessioni e privilegi o a interi ordini (nel qua!
caso
chiamano
si
ticolari,
«
privilegi di libertà »), o a persone par-
promovendo
fuori d'ordine
uomini di merito straor-
dinario e di virtù eccezionali.
Nella monarchia, che è governo « umano » al pari della democrazia, prosegue e s' intensifica quel processo di umanamente o ingentilimento dei costumi e delle leggi, che le
repubbliche popolari avevano iniziato. Si sciolgono sempre i rigidi vincoli della famiglia paterna e gentilizia. Gl'imperatori, ai quali faceva ombra lo splendore della nobiltà, si diedero a promuovere le ragioni della natura
più
umana, comune a
nobili e a plebei e Augusto attese a fedeco in coi messi, quali nei tempi innanzi, proteggere mercé la puntualità degli eredi gravati, i beni erano pas;
i
sati agi' incapaci di eredità, e
li
trasformò in necessità di
ragione, costringendo gli eredi a mandarli ad effetto. Successe una folla di senatoconsulti, coi quali i cognati entra-
rono nell'ordine degli agnati
;
finché Giustiniano tolse le
differenze tra legati e fedecommessi, confuse la quarta falcidia e trebellianica, distinse poco
e
adeguò
«
ab intestato
i
testamenti dai codicilli
», in tutto e per tutto, gli agnati
i cognati. Tanto le leggi romane ultime si profusero in favorire i testamenti che, laddove anticamente per ogni
e
leggiero motivo essi erano invalidati, poi si dovettero interpetrare nel modo che meglio conduceva a mantenerli
Caduto affatto il diritto « ciclopico », che i padri avevano esercitato sulle persone dei figliuoli, andò cadendo altresì quello economico sugli acquisti dei figliuoli onde
saldi.
;
gl'imperatori introdussero prima attrarre
i
giovani
alla
il
guerra, poi
peculio castrense per il
quasicastrense
per
invitarli alla milizia palatina, e finalmente, per tenere con-
LA STORIA DI ROMA
XVII.
221
quelli che non erano né soldati né letterati, il peculio avventizio. Tolsero l'effetto della patria potestà alle
tenti
adozioni, le quali non
si
contennero
difficili
arrogazioni,
un sui
pater familias stà d'un estraneo ,
sottometta alla patria pote-
si
iiiris,
emancipazioni quali be-
le
per subsequens matritutto il vigore delle nozze solenni. L' « impero nome superbo che sembrava scemare la maestà
nefizi e dettero alle legittimazioni
monium
»
paterno
»,
nella
;
reputarono
;
ristrette
approvarono universalmente alquanto perché è difficile che un
cerchia di pochi congiunti le
più
<;
imperiale, fu mutato nell'altro di « patria potestà ». L'umanitarismo della monarchia si estese anche a quella parte dell'antica famiglia che erano gli schiavi, ratori
raffrenata la crudeltà dei
per favorirli, ampliate negli
avendo
se
non
ai
impe-
effetti e ristrette nelle solen-
nità le manomissioni; e la cittadinanza, che
dava
gì'
signori verso di essi e,
prima non
si
grandi stranieri benemeriti del popolo ro-
mano, fu concessa a ognuno che, anche di padre schiavo, purché di madre libera o affranchila, nascesse in Roma. Le pene si addolcirono ancora, e i monarchi si adornarono •del
Le parole delle leggi largamente interpetrate mercé l'equità
grazioso titolo di
furono sempre
pili
«
clementi
».
può dire che Costantino cancellasse affatto le forinole, quando stabili che ogni motivo particolare di equità faceva mancare le leggi. Si giunse all'estremo op-
naturale, e
si
« privilegia ne irrogante » delle dodici tavole e privilegi erano tutte le eccezioni fatte alle leggi e det-
posto del
;
tate dal particolare
dalle goli
tutto
comuni
merito dei
disposizioni.
La
mondo romano una
prio dei grandi monarchi di
che
li
traeva fuori
restrizione dei diritti ai sin-
popoli fu via via abolita il
fatti,
:
sotto Caracalla
si
fece di
Roma, perché è voto profare una città sola di tutto il
sola
mondo, secondo il pensiero che Alessandro Magno espresse dicendo che tutto il mondo era per lui una città, della
FILOSOFIA DEL VICO
222
quale la sua falange formava la ròcca. Dagli editti pretori lato
si
dei
passò, sotto Adriano, all'editto perpetuo compi-
da Salvio Giuliano
e
composto quasi tutto di
editti
provinciali.
Con cede
il
la
monarchia,
il
posto al diritto
diritto naturale delle genti naturale delle nazioni; onde
quella forma politica, sociale e giuridica è la più conveniente all'umana natura della più spiegata ragione. Con essa (come si è avuto occasione di accennare) si raggiunge da capo, dopo lungo svolgimento, quell'uno, che era delle monarchie familiari dei primi padri e il corso delle na;
zioni
si
deve considerare
oltre jaon è possibile
:
affatto
compiuto. Andare più
possibile è soltanto, in quella
somma
delicatezza dell'umanità ingentilita, corrompersi, imbarbarirsi con la « barbarie della riflessione », e ricadere in una sorta di
nuova
barbarie.
ferinità,
per ripassare dipoi a nuova eroica
XVIII
La barbarie ritornata
Dì
tali ricorsi
'i
un caso
il
o il Medioevo
Vico non studia e non addita se non
periodo di storia europea che, appunto ai suoi tempi, si era cominciato a più particolarmente delimitare dagli storici e a denominare (benché il Vico non lo solo
:
il
denomini ancora
cosi)
il
«
Medioevo
».
Che quello fosse periodo, decadenza e di barbarie, non era di certo un pensiero che giungesse nuovo alla codi
perché, specie dal tempo dell'umanesimo, si era distacco e l'orrore verso quei secoli « mediai, et latinitatis », nei quali si trascurarono e dispersero infima
scienza; sentito
i
il
tesori delle letterature classiche, e
rono o
si
spensero
affatto.
E
i
buoni studi langui-
più viva e piena questa co-
scienza, generale nell'Europa colta, era in Italia, la quale
non poteva dimenticare che, quel periodo
medioevo
la fortuna, la
s'
iniziò in
potenza e la civiltà, per lei
fu la fine dell'alma
nome romano
se per altri popoli
Roma,
il
anzi l'avvilimento del
e sorgente sopr'esso l'orgoglio vandalico, vi-
sigotico e langobardico, la devastazione delle ricche città, la distruzione dei maestosi monumenti, che ancora mostravano dappertutto, nei loro ruderi, la lamentabile ruina. Il Machiavelli aveva dato principio alle sue storie con la con-
citata descrizione,
che
tutti
conoscono, del cangiamento
to-
FILOSOFIA DEL VICO
224
tale, seguito alla caduta dell'Impero d'occidente. Ma passare a rassegna le rovine o raccogliere le antichità medie-
non significava ancora penetrare nell'intimo spirito tempo cosi come notare le differenze e le deficienze d'un uomo rispetto a un altro non vuol dire intenvali
di quel
dere Il
;
quell'uomo e neppure quello dell'altro.
lo spirito di
Vico inaugura
l'
costituzione
della
intelligenza dello spirito medievale, cioè sociale
mentale,
e
culturale
di
quel-
l'età.
pur viveva in una parte d' Italia dove molte erano, nonché i documenti, le persistenze del medioevo, confessa che quei tempi della barbarie seconda gli erano Egli, che
riusciti assai più oscuri dei tempi della barbarie prima, dai quali anzi aveva tratto luce per comprendere l'altra. E l'aveva compresa nell'atto stesso che l'aveva cosi bat-
tezzata:
«
barbarie seconda
»
o
«
ritornata
»
o
«
ricorsa »,
considerandola come esempio della legge ideale che egli
aveva
stabilita
generale, di vita e
dei ricorsi.
11
medioevo
gli
apparve, in
come un ripresentarsi di condizioni primitive un conseguente riprodursi del processo sociale
che da queste si svolge. Pensiero quanto originale altrettanto ricco di verità, al quale sarebbe fuori luogo opporre
che
il
Vico scopre
viduali
del
i
caratteri generici e
medioevo
l'appunto era
il
non
i
tratti indi-
perché noi sappiamo che tale per suo problema, la ricerca dei caratteri ge;
nerici ossia delle uniformità, e che egli schivava la storia
propriamente detta per non essere condotto al bivio tra la scienza e la fede, tra la concezione affatto immanente della storia e perciò escludente rivelazione e miracolo, e quella
zione scientifica.
come miracolosa, ribelle alla trattaAnche ai giorni nostri (la cosa è degna
di essere notata)
abbiamo veduto risorgere codesto tenta-
affatto trascendente e,
rendere comportabili tra loro religione e storia, col prescindere dall'aspetto individuale degli avvenimenti tivo
di
LA BARBARIE RITORNATA
XVIII.
e ridurre
la storia
225
a storia d'istituzioni e di uniformità
1 .
In questa posizione, che il problema prende nel Vico, si trova anche la ragione del fatto, che è parso assai strano in
un
nessun risalto da
cattolico, del
lui
dato al cri-
stianesimo, nel quale egli s'incontra proprio all'aprirsi del medioevo e di cui si spaccia in poche parole col dire: che Dio, avendo per vie
sovrumane con
rità della religione cristiana
Roma
tro la potenza di
schiarita e ferma la ve-
la virtù dei
martiri con-
e con la dottrina dei
padri e coi miracoli contro la vana sapienza greca, e dovendo sorgere nazioni armate da combattere in ogni parte la divinità del
permise che
suo autore,
nascesse nuovo ordine di uma-
nità tra le nazioni, perché la vera religione
secondo
lita
il
si
fosse stabi-
corso naturale delle cose umane.
Appaghiamoci dunque delle somiglianze che il Vico viene notando tra la società medievale e quella dei primi secoli di Grecia e di Roma, e non prendiamo scandalo nepsue esemplificazioni e documentaIl suo pensiero storico sostanziale (come già sappiamo) è tanto gagliardo che passa attraverso gli errori, o a essi vive in mezzo senza
pure se molto spesso
le
zioni riescano fallaci e immaginarie.
esserne consunto.
racconto o
il
— Ecco
(per rifare, riordinandolo, il suo suo quadro), ecco nel medioevo risorgere dap-
pertutto gruppi di case sui monti, e sopra il caseggiato appollaiarsi le ròcche, come già nell'età divina dei « ci» perché altro modo di scampo non v'era per le misere genti, battute dalla violenza dei barbari invasori e dalle lotte intestine. Le città più antiche, sorte nei tempi
clopi
;
di mezzo, e quasi tutte le capitali dei popoli, sono, infatti,
poste sulle alture; le
gl'italiani
nuove signorie che
i
Si
vedano
zioni critiche,
B. Ceoc^,
La
I,
(a
allora
proposito di
si
un
chiamano
«
castella
»
tutte
formarono; e perciò anche,
libro del Sorel) le
mie Conversa-
810-22.
filosofìa
di Giambattista Vico.
15
FILOSOFIA DEL VICO
226 nobili
i
forse,
laddove stanti,
dissero
plebei, che
i
«
si
«
summo
abitavano
imo, obscuro loco nati
»
le
o
«
valli e
Ecco
».
illustri loco nati »,
pianure sotto-
riaprirsi gli as ili r
specialmente presso i signori ecclesiastici, che in tanta ferocia di vita erano più mansueti e gli oppressi e gli spau;
riti
portarsi presso costoro e porre sé stessi e
i
loro patri-
moni sotto la loro protezione. Perciò nella Germania, che dovette essere più fiera che le altre parti d'Europa, restarono quasi più sovrani ecclesiastici, vescovi e abati, che non
Un
esempio di queste formazioni politiche era, nel regno di Napoli, la badia di San Lorenzo secolari.
A versa,
illustre
quale s'incorporò quella di San Lorenzo che nella Campania, nel Sannio, nella Puglia Capua, e nell'antica Calabria, dal fiume Volturno fino al mare picdi
di
alla
e
colo di Taranto, governava centodieci chiese o direttamente
o per abati e monaci a lei soggetti, e di quasi tutti quei luoghi gli abati di San Lorenzo erano signori o baroni. E poiché nei luoghi erti e riposti si edificavano piccole chie-
per celebrarvi la messa e per compiere gli altri di pietà, quelle diventarono naturali asili dei popoli,
sicciuole uffizi
che vi vennero fabbricando attorno
i
loro
abituri
:
che è
ragione per cui dappertutto in Europa tante città, terre e castella s'incontrano con nomi di santi e le chiese sono la
i
monumenti più
antichi di quei tempi.
Ed
ecco, per con-
seguenza, in tutta l'Europa, non già formarsi per la prima volta ma tornare al mondo la feudalità, che si vaneggia uscita dalle scintille dell'incendio che i barbari dettero al
romano (come sostengono l'Oldendorpio e tanti giuristi), quando invece il diritto romano esso nacque diritto
altri
dalle
prima barbarie del Lazio, e la feudalità medievale non fu diritto nuovo delle genti di Europa, ma un diritto antichissimo, rinnovellato con scintille dei feudi celebrati nella
l'ultima barbarie. Altro che
del Vico, la chiamava
il
«
materia vile
»
Cuiacio) quella dei
(come,
al
dire
feudi, che è
LA BARBARIE RITORNATA
XVIII.
227
invece tutta eroica e degna di essere adornata della più E perché mai colta e riposta erudizione greca e romana !
di natura le più belle giurisprudenza romana (con le quali lo stesso Cuiacio mitiga la barbarie della dottrina feudale)
se
non per questa sostanziale identità della
espressioni
riescono tanto acconce, che non più,
ad
Ritornò dunque nel medioevo »
o
uomini
»,
eroi e famoli, tra « viri
mano ancora
gli
e
homines
«
si
potrebbe desiderare di
esprimere le proprietà e gli attributi dei feudi ?
«
semplici »
patres
,
o
«
«
i
fondamentale divisione tra
baroni «
»
(«
viri », in
come erano
»,
o
»
patroni
la
«
«
padroni
varones
»,
ben più
di un'abile sostituzione linguistica,
ginano,
E
e,
in
»
chia-
vassalli, tra
i
e servi. I feudisti
che traducono
feudum
» si
lingua spagnuola)
detti
eruditi,
«
—
«
clientela »,
fanno
come s'imma-
senza saperlo, definiscono storicamente il feudo. medioevo dovettero essere personali,
primi feudi del
i
come che
prime clientele osservava ancora
le
si
di
Romolo: forma
ai
tempi del Vico nei regni del « kmet »
di vassallaggio
settentrione, e specialmente in Polonia, dove gli
erano una specie di schiavi che quei « palatini » (o voievoda) spesso mettevano come poste dei loro giuochi, per-
dendone droni.
famiglie che passavano cosi a nuovi pa-
le intere
Vennero poi
i
feudi rustici,
sistenti in terre incolte
che
i
di specie reale, con-
vincitori assegnavano ai po-
poli vinti per sostentamento, ritenendo essi le terre colte,
e
traducevano (con un'altra eleganza latina con non minore verità storica) « beneficia ». Gli antichi
«
nexi
e che
feudisti
i
furono
»
i
nuovi uomini
«
»
ligi
dovevano riconoscere amici e nemici
o
«
legati
tutti gli
mici del loro signore e che prestavano quella che in si
disse
«
opera militaris
litare servitium ». Il
»
e nel
medioevo
legame feudale
si
si
»,
che
amici e ne-
Roma
ridisse « mi-
estese a più larghi
rapporti politici; e come già i re vinti diventavano alleati e soci di Roma e « servabant maiestatem populi romani »,
FILOSOFIA DEL VICO
228 cosi i
si
ebbero feudi sovrani soggetti a maggiori sovranità,
rappresentanti delle quali, grandi re e signori di grandi
regni e numerose provincie, presero titolo di
Le repubbliche
risorsero
aristocratiche,
«
se
maestà
non
«
».
di
costituzione, per lo meno governo », quanto a effettivo potere politico: il che veniva confessato dai politici e fra gli altri dal Bodin, il stato », per «
forma esterna
di
di
quale del suo regno di Francia giunse a dire che, durante le
due linee merovingia
E
cratico di stato.
e carolingia, fu addirittura aristo-
aristocratici si serbarono fino al secolo
decimosesto, viventi testimoni del passato, zia e di
Danimarca,
e si
serbava ancora,
i
regni di Sve-
tempi del Vico,
ai
ricordata. I primi pubblici parlamenti di
la Polonia, già
Europa dovettero essere composti, come
il
senato di Ro-
molo, dagli anziani della nobiltà, dai « seniores » (donde « signori »); ed erano corti armate, come gli antichi comizi curiati, di baroni ossia di pari. In quei parlamenti si diritti o successioni o
discettavano cause feudali intorno a
devoluzioni di feudi per cagioni di fellonia o di caducazione; le quali cause, confermate più volte con cature, fecero
le
quei parlamenti sembrava di Napoli, al cui
Real Maestà
»,
tali
giudi-
consuetudini feudali. Un'ombra al
presidente
come
Vico si
di
Sacro Regio Consiglio dava il titolo di « Sacra
ai consiglieri
il
il
nome
di
«
milites »,
e dalle sue sentenze non v'era appellazione ad altro giudice, ma solamente richiamo al medesimo tribunale.
Governi aristocratici, e tutti avvolti da un nimbo o da una nube religiosa; tantoché non solo i vescovi e gli abati erano, come si è visto, assai spesso feudatari, ma i feudatari e
sovrani
si coprivano d' insegne religiose, e i re dappertutto, per difendere la religione cristiana quale sono protettori, vestirono le dalmatiche dei i
cattolici
della
diaconi, consacrarono le loro persone
reali
(onde
real maestà ») e presero dignità ecclesiastiche,
«
sacra
come Ugo
LA BARBARIE RITORNATA
XVIII.
229
Capeto che s'intitolava conte e abate di Parigi; e duchi e abati, o conti e abati, s'intitolavano comunemente, come appare dalle antichissime scritture, i principi di Francia. Quei primi re cristiani fondarono religioni armate, con le quali difesero
il
cattolicesimo contro ariani, saraceni e altri i « pura et pia bella » dei
Ritornarono con verità
infedeli.
un orbe, che
popoli eroici: la croce sopra
tutte le potenze
cristiane sostengono sulle loro corone, ricorda le croci spie-
gate in campo nelle guerre sante, nelle crociate. Ritornarono le schiavitù eroiche, che durarono molto a lungo tra le nazioni cristiane, perché, considerandosi le guerre giudizi di Dio,
i
biano col «
divina
i
fossero ab-
vinti
tenevano nientemeno che bestie cani
«
»
i
turchi, e questi
li
nome di «porci »). Gli antichi toglievano humana omnia »; e i barbari nuovi,
et
le città,
cupare
li
chiamano
cristiani
credevano che
vincitori
i
bandonati da Dio e
e portar via
i
non ad
altro
(cosi
ricamai vinti
nell'oc-
attendevano che a ricercare
depositi o reliquie di santi (che
i
popoli in
tempi sotterravano e nascondevano con ogni diligenza), onde in quei tempi avvennero quasi tutte le trasquei
lazioni dei corpi vestigio che
i
santi.
Di
popoli vinti
vittoriosi tutte le
campane
Analoghe somiglianze
si
delle città prese.
ravvisano nell'ordinamento giu-
La somma
ridico della proprietà.
diritto feudale è quella dei beni
diali.
Ma
tissimo,
infievolito
pubblico: erano stati la
i
divisione
delle
cose in
feudali e dei beni alloorigine di un diritto for-
da niun peso straniero, neppure
beni direttamente acquistati e conqui-
dai patrizi o baroni, laddove
i
feudali
importavano
laudazione del signore, dal quale erano stati concessi.
Gli allodiali «
erano in
gli allodiali
non
costumi è restato come
siffatti
debbano riscattare dai generali
rispondevano dunque
ex iure optimo
quando,
in
»,
e
i
feudali
al
al
dominio quiritario, e solamente
bonitario
;
tempi più tardi, nella nuova Europa, come già
FILOSOFIA DEL VICO
230 in
Roma
allodiali
antica,
si
formò un nuovo censo ed erario,
furono sottomessi
ai pesi
denominazione dispregiativa fuso », in contrasto coi feudali,
di
la
«
e gli
pubblici, potè nascere essi
come
beni
«
beni della lancia
».
del Cosi,
a mo' di esempio, le provincie che di poi s' incorporarono nel regno di Francia, erano state un tempo signorie so-
vrane, soggette feudalmente al re di quel regno, nelle quali principi sovrani avevano i loro beni (allodiali), liberi di
i
ogni pubblico peso; ma, poiché per successione, ribellione o decadenza vennero a far parte del regno, quei beni fu-
rono sottoposti ai dazi e tributi e il dominio « ex iure optimo » si confuse col dominio privato non feudale, soggetto a quei pesi, e gli allodi nel significato nobile divennero una cosa sola con gli allodi nel significato volgare. I feudisti degli ultimi tempi smarrirono il valore della distin-
zione originaria, come i giuristi romani ultimi non avevano inteso il significato del dominio « ex iure optimo ». Al dominio feudale si collegavano le enfiteusi, onde il laudemio restò a significare egualmente ciò che il vassallo
paga «
al
signore e l'enfiteuticario al padrone diretto; », che erano le antiche clientele; i « censi
commende
per effetto dei quali nobili (e
si
era tenuti a servire nelle guerre
censuanti, o gli
«
»
e
«
le », i
», ri-
angari perangarì produssero gli « assidui » romani); le « precarie », che dovettero essere dapprima le terre date dai signori alle i
preghiere dei poveri; i « livelli » o permutazioni di beni stabili, che in quell'economia agricola tenevano luogo dei commerci mancanti. L'esclusione delle donne dalle successioni, ch'era dell'antichissimo diritto
nuovo nella
comune
«
legge salica
Germania
» ,
romano,
si
celebrò di
in origine (congettura
il
Vico)
prime barbare nazioni di Europa, e poi restata in vigore solamente nella Francia e nella Savoia. I
alla
castighi
e
a tutte
erano crudeli e
la
le altre
pena
di
morte
si
disse
LA BARBARIE RITORNATA
XVIII.
«
pena ordinaria
».
Ma neppure
nel
231
medioevo c'erano vere
leggi e procedimenti penali pei torti privati: gli ammazzamenti dei plebei o accadevano per fatto dei loro padroni
medesimi, che niuno poteva accusare; o per fatto d'altri, e come di servi altrui si rifaceva al padrone il danno, secondo ancora si costumava nella Polonia, nella Lituania, nella Danimarca, nella Svezia e nella Norvegia. Col di
nome
purgazioni canoniche (non riconosciute per altro dai si celebravano in tutta Europa certe specie
«
»
sacri canoni)
giudizi divini o duelli
di
tempi di Bartolo, vi Nei giudizi intorno agli alrappresaglie. lodi i signori se la vedevano tra loro con le armi e nel reame di Napoli, ancora ai tempi del Vico, i baroni non
ebbero vigore
;
fino ai
e,
le
;
coi giudizi civili fatti
dentro
dove
la forza
tresì
i
'i
ma
loro
con duelli vendicavano
feudi
da
altri
baroni. In
gli
attentati
una
società
imperava, qual maraviglia che tornassero alladronecci eroici, e che il titolo di « corsaro » o
« pirata »
Né
divenisse titolo di signoria?
mai, come
al-
lora, fu tanto varia e incostante la fortuna dei regni. Il diritto
romano
giustinianeo, tutto penetrato dall'idea cadde in oblio. In Francia e in
di equità, fu rifiutato e
Ispagna era gravemente punito chi osasse allegarlo nelle cause; e certamente in Italia si recavano a vergogna i nobili di regolare i loro affari con le leggi romane e professavano di vivere secondo quella langobardica, laddove i plebei, che più tardi si disavvezzano dagli antichi costumi, praticavano alcuni diritti romani in forza di consuetudini.
E
in consuetudini piuttosto
ritti
mole rigide e cosi detti tali
che in leggi consistevano
allora vigenti, nei quali ripresero
«
le
nudi
cerimonie solenni e »
da quelli
«
vestiti
importanza si »,
distinsero
i
di-
le fori
patti
cioè sussidiati
da
Della reverenza per le forinole esempio la leggenda (al tempo del Vico
forinole e cerimonie.
può valere come
creduta fatto storico)
di
quel che intervenne all'imperatore
FILOSOFIA DEL VICO
232
Corrado
III
fomentato
il
allorché prese Weinsberga, città che aveva suo competitore nell'impero e che egli con-
dannò allo sterminio, dando legge che fossero salve le sole donne con quanto potessero trasportare addosso. Ma quelle donne uscirono dalla condannata città, cariche dei loro figliuoli, mariti e padri
e l'imperatore, che stava alla porta,
;
a capo dell'esercito, pronto con le spade sguainate e con le lance in resta a vendicare la collera sua spaventosa, vide e sofferse che passassero salvi tutti, per rispetto alla forinola letterale della legge da lui decretata.
Erano tempi analfabetici, il che sua immagine che tornarono allora
Vico esprime con la
il i
linguaggi
«
mutoli
»-
Le lingue volgari, italiana, francese, spageroglifici gnuola e tedesca, non erano messe in iscritto, e solo si scriveva da pochi ecclesiastici un barbarico- latino, onde o
«
«
chierico
».
»
significò
«
uomo
dotto
»
;
ma
tra gli stessi sa-
cerdoti regnava tanta ignoranza che si vedono scritture firmate da vescovi col segno della croce, perché non sa-
pevano scrivere neppure i propri nomi. Per si sezza una legge inglese disponeva che un reo
fatta scar-
di morte, che sapesse di lettere, come eccellente in arte non fosse messo a morte; e « letterato », come « chierico », si stese
a significare l'erudito. Di qui l'importanza e il largo uso che ebbero le imprese gentilizie per accertare i domini
sopra case, sepolcri, campi e armenti, delle quali tante si osservano ancora sugli edifizì di quei tempi. Con la barbarie tornò altresì il predominio del verso sulla
prosa.
medesimo
si
Le prose
padri della chiesa latina (e il dica di quelli della greca) sono piene di nudei
meri poetici, talché sembrano cantilene. La prima lirica nuova fu religiosa; e se non si ebbero propriamente poemi religiosi cristiani, fu
perché
le
cose della nostra
teologia
superano ogni senso e ogni immaginazione e spossano di troppo
la facoltà poetica.
Poesia e storia
si
riconfusero;
i
LA BARBARIE RITORNATA
XVIII.
233
romanzieri, che furono i poeti eroici dei tempi barbari onde poi tornati, credettero di narrare storie vere ;
.
riil
Boiardo e l'Ariosto presero i soggetti dei loro poemi dalla storia di Turpino, vescovo di Parigi. E quando, per effetto della famosa scuola parigina e della sottilissima teologia scolastica, la lingua francese passò di colpo dalla
come
neità alla riflessione,
mero cosi
dittonghi
i
storia di
la
poema omerico.
pur
De
gestis
riempiendosi
di
Turpino sopravvisse
Gli stessi facitori dei
cantarono altro che
termini
in
i
Provenza
come
e
in
in Italia e
pugliese nel Guniero nel Carmen
i
duellisti
gli uffizi altieri e le
E
gestis.
poeti
non meno che
Risorse la virtù puntigliosa,
Francia.
quella di Achille, nella quale
.riponevano
non
in latino
poemi
scrittori del volgare in Italia
primi
astratti,
Francia quasi
in
heroicum de rebus a Frederico Barbarossa furono
nu-
come Guglielmo
storie,
normannorum
sponta-
essa lingua serbò in gran
tutta
donde uscirono
la
loro
morale
le
leggi superbe, soddisfazioni vendicative dei cavalieri ;
Non sembra
proprio un personaggio omerico dalla rapida commozione quel Cola erranti, cantate
di
dai
romanzieri.
Rienzo, che (come
mentova
si
legge
l'infelice stato di tutti
nella vita
Roma, in
io
come
lui),
dirottissimi pianti?
ragiona, prorompono bole fantastica era ancora una condizione rito,
di
mentre
esso e coloro coi
nei fanciulli; perché (scrive
il
comune Vico)
«
quali
L'iperdi
spi-
sovente
mi ricordo, quando vado a passeggio, che molli clivi si svolgono innanzi agli occhi, parevano a me bami
che mi
bino altissime montagne e dirupate ». Cosi, nel medioevo, gli Orlandi e gli altri paladini erano finti di enorme statura; e le di
immagini degli
Cristo, della
Vergine,
esseri divini, del si
Padre eterno,
dipingevano e scolpivano di
eccedente grandezza.
Ma
gl'ingegni umani sono a guisa dei terreni i quali per lunghi secoli incolti, se una volta si riducono a col-
FILOSOFIA DEL VICO
234
danno nel bel principio fratti maravigliosi in perfezione, grandezza e abbondanza. Epperò al tempo della
tura,
spirante barbarie d'Italia, dopo quattro secoli dei più crudeli e tempestosi,
nacque Dante, l'Omero della ritornata
barbarie; come, poco stante, fiori la poesia delicata del. Petrarca e la prosa leggiadra e graziosa del Boccaccio: esempì tutti e tre incomparabili. E per la natura già definita della barbarie,
naturalmente veritiera, aperta,
fida,
generosa e magnanima, Dante espose in comparsa persone reali e rappresentò fatti reali dei trapassati e il suo poe;
ma
commedia » in ricordo dell'antica commedia che teneva il medesimo procedere. Nel qual poema greca, sembrano avere corrispondenza cosi Y Iliade come l'Odissea: chiamò
«
prima, nell'Inferno, dove Dante impiegò il suo collerico ingegno e tutto il grande della sua fantasia nel narrare la
tante ire implacabili e nel rimembrare di spietatissimi tormenti,
atroci di
un gran numero
degno riscontro alle tante forme
morte descritte da Omero
(le
quali
descrizioni,
che ora destano pietà, agli uditori contemporanei cagio-
—
la seconda, cioè l'Odissea, navano, invece, piacere); che celebra l'eroica pazienza di Ulisse, trova rispondenza nel Purgatorio, spettacolo di pene tormentose sofferte con
dove si gode infinita una somma pace dell'animo. E un'altra somiDante con Omero è nella fisionomia della lingua
inalterabile pazienza, e nel Paradiso, gioia con
glianza di
da
lui
adoperata, cosi varia che
è opinato che egli l'avesse
quella dei suoi poemi, da tutti i diadella sua nazione: opinione dei dotti del secolo deci-
raccolta, letti
si
come Omero
mosesto, la quale non regge aHa critica, perché è indubitabile
che,
quando Dante
li
usò,
essere comuni in Firenze, né vita stata letti
ad andarli raccogliendo
mancavano
gli scrittori.
glianza che egli ha con
quei parlari dovevano gli sarebbe ba-
d'uomo
tempi in cui dei vari diaMa la più sostanziale somiin
Omero
è nella
sublimità poetica.
XVIII.
LA BARBARIE RITORNATA
Dante è un divino poeta che
235
alle fantasie delicate
mo-
derne sembra incolto e ruvido, e agli orecchi ammorbiditi da musiche effemminate suona un'armonia soventi volte in-
ma non
soave;
badano a
Omero,
cosi agli
uomini
dilettarsi di fiori,
di gusto austero,
che non
acconcezze e amenità. E, come la sua sapienza riposta, ma
grande non per
egli è
sua vigorosa fantasia. Certo, Dante fu dottissimo in divinità; ma in ciò, piuttosto che la sua forza, è la sua la
per
debolezza. Se Dante non avesse saputo né di scolastica né di latino, sarebbe riuscito
anche maggior poeta, e forse
la
lingua toscana avrebbe avuto (come non ebbe la latina) un poeta da contrapporre in tutto e per tutto a Omero. Il
modo acconcio
di
commentarlo
è di dare notizie delle cose,
mentovati dal poeta, di spiegare i sentie tralasciare « ogni morale e molto più scien-
o persone
fatti
menti
di lui,
ziata allegoria
».
Colui che scriveva questa pagina di critica dantesca, e rivendicava Dante dopo secoli di gusto antidantesco (o dan•
tesco-grammaticale e dantesco-scolastico), e lo rivendicava proprio negli anni della fioritura arcadica cosi ritrosa e
avversa a Dante, avrebbe meritato d'incontrarsi col genio di Guglielmo Shakespeare, che forse egli solo, a quei tempi, era in grado d' intendere nella sua possanza poetica. Ma in Italia,
come
in generale fuori d'Inghilterra, dello Sha-
kespeare allora non si conosceva nulla e appena ne giunal Vico una tarda e vaga notizia, cioè che gl'in;
geva
glesi,
non ammolliti dalla delicatezza del
secolo,
non
si
dilettavano di tragedie che non avessero dell'atroce, appunto come il primo gusto del teatro gl'eco fu delle nefa-
cene di Tieste e dell'empie stragi compiute da Medea su fratelli e figliuoli. La tendenza verso la poesia e la letrie
teratura germanica rimase nel Vico, come sappiamo, un sospiro: non gli era possibile scorgerne i precisi e particolari
lineamenti per quanto appuntasse colà lo sguardo, e
FILOSOFIA DEL VICO
236
una volta che fu per
vi accennò, sopra notizie di seconda mano, affermare che, nella nazione tedesca, particolar-
mente nella
Slesia provincia tutta di contadini,
naturalmente poeti
andando
«
nascono
cerca di poesia cioè, ingenua e popolare, gli accadde di abbracciare, senz'avvedersene, i rappresentanti della scuola slesiana, gli Hoffmannswaldau e i Lohenstein, imitatori tedeschi del suo »
;
in
compaesano cavalier Marino! Ma questo è un aneddoto, non ad altro che a confermare con nuovo esempio gli
atto
scherzi che faceva al Vico la sua accesa immaginazione. Come si uscisse dalla seconda barbarie e dalla costitu-
zione feudale, il Vico non dice; e sembra non aver fermato la sua attenzione sul movimento comunale, che tante analogie gli avrebbe offerto con le lotte della plebe romana e col formarsi dell'antica democrazia. Schernisce,
per altro, anche qui, coloro che facevano sorgere le monarchie moderne, per es., la francese, di punto in bianco, con una sorta di legge di Triboniano, per la quale (dice ironicamente)
paladini di Francia
i
della loro potenza, conferendola nei tingia.
si
sarebbero spogliati
re
della
linea cape-
Nota anche che, essendosi sparso e quindi disperso
potere dei baroni per effetto delle guerre civili nelle quali dovevano dipendere dai popoli, fu facile raccoglierla nei re monarchi, mutandosi cosi l'ossequio dei vassalli al
il
nell' « obsequium principis ». Ma speciale importanza egli dà al risorgere della giurisprudenza romana (di questo « diritto naturale delle genti di Europa », come lo
barone
aveva chiamato versità d' Italia
il
;
Grozio) con gli studi aperti nelle uni-
onde
l'equità naturale,
i
si
appresero di nuovo i principi delgì' ignobili furono adeguati
nobili e
ragion civile come già sono nella natura umana, l'arcano delle leggi usci di mano ai feudatari, dei quali nella
modo venne sempre più fiaccata la giunse al governo umano delle repubbliche per
tal
potenza; e
si
libere e delle
XVIII.
LA BARBARIE RITORNATA
237
La già ricorsa società eroica aveva contrario ricorso; e, nella civiltà dei tempi nuovi, era impossibile richiamarla in vita, come vani riu-
perfettissime monarchie.
ormai
sofferto
scirono
i
tentativi di restaurazione aristocratica che fecero
nell'antichità plebei,
il
i
pitagorici e
Dione siracusano. Gli uomini
una volta che
coi nobili, non
si sono riconosciuti di egual natura sopportano più di restare inferiori a essi
E le pochissime repubbliche aristocrache e là avanzavano in Europa, dovevano adotiche, qua molte sollecite cure e accorti e saggi provvediperare
nella vita civile.
menti per tenere a freno governate.
e
contente
le
moltitudini da esse
XIX Il Vico contro l'indirizzo di cultura dei suoi tempi
Gì'iunto, che erano Vico
nel contemplare suoi, di
i
il
corso della storia, ai tempi,
umanità sparsa su tutte
le nazioni,
il
una rapida descrizione del mondo contemporaneo, non soddisfatto, incerto o prudente. Come non era alla Scienza nuova per diretto impulso di problemi
fa
e tace, se salito
(almeno nel significato che hanno d'ordinario quecontemplazioni della Scienza nuova
politici
ste parole), cosi dalle
non discese presenta
alla vita
attiva,
ovvia a un
piti
neppure nella forma che
uomo
si
di pensiero, del libro e del-
l'opuscolo che critichi leggi e istituti o proponga riforme. « pratica » della
Anche quando, per poco, concepì una sua Scienza
che
l ,
non pensò che questa pratica, per
gli spettava, potesse aggirarsi altrove
accademie
La
che
«
la
parte dentro le
».
pratica
«
dentro
le
accademie
»,
ossia nel
campo
della
per altro, pratica anch'essa e politica; e non di certo tra le meno importanti. E uno storico o un filosofo cultura,
è,
non può astenersene mai del o
meno
tutto, se anche l'accentui più fortemente, la svolga con maggiore o minore am-
piezza.
1
Si
veda sopra, cap. IX, pp.
110-13.
FILOSOFIA DEL VICO
240 II
Vico v'insistè e
la svolse
ampiamente;
anzi, la sua
prima affermazione nella vita scientifica fu appunto l'esame dei metodi moderni di studio e di educazione, comparati con quelli degli antichi esame il quale (dopo saggi e tentennamenti nelle prime orazioni) prese corpo nella prolusione universitaria del 1708, De nostri temporis studiorum :
ratione. Negli anni che seguirono, tutt' intento a lavorare alla
Scienza nuova, non dette altre pubbliche manifesta-
zioni del suo malcontento verso l'indirizzo che prevaleva
negli studi; si
ma
con tanto maggiore frequenza e vivacità
espresse sul proposito nelle lettere private e nelle con-
versazioni, né volle tralasciar di ricordare quel ch'egli ne
pensasse nell'autobiografia. Non fa d'uopo dunque ricavare il suo atteggiamento polemico dai sottintesi e dagli incisi
medesimo in più ocmutò gì' incisi in pro-
della sua opera capitale, perché egli
casioni rese
espliciti
i
sottintesi e
posizioni principali.
Quella polemica si mosse in due campi attigui, che rispondono al duplice aspetto della Scienza nuova, come filosofia dello spirito e come scienza generalizzante. Sotto
il
primo aspetto,
il
Vico aveva fatto valere
i
diritti
della fantasia, dell'universale fantastico, del probabile, del certo, dell'esperienza, dell'autorità, e quindi della poesia,
della religione, della storia, dell'osservazione naturalistica,
dell'erudizione, della tradizione.
disegnato uno schema
rito, cosi nella storia del
individuale, messa da lui della storia. Perciò
il
Sotto
il
secondo, aveva
dello svolgimento naturale dello spi-
genere umano come nella vita a continuo riscontro con le fasi
suo esame doveva volgersi di ne-
per una parte, alle disposizioni spirituali del suo tempo e, per l'altra, al modo in cui s'intendeva e s'impartiva allora l'educazione dei fanciulli e giovinetti. Nelcessità,
l'uno e nell'altro campo, il Vico avvertiva le medesime deficienze, ed era offeso da quel medesimo arido intellettua-
XIX. IL VICO
CONTRO
I
SUOI TEMPI
241
lismo che aveva reso inintelligibile il processo della mente, e mutilato e falsato la verità della storia umana.
Ai
fanciulli,
usciti dalle scuole di
appena
grammatica,
soleva infliggere un'istruzione di logica, adoperando, secondo le predilezioni dei maestri, ora la logica scolastica,
si
ora e più
di
frequente quella (in sostanza anch'essa aristoche era stata elaborata dall'Arnaud e
telica e scolastica),
diceva « logica di Portoreale », tutta ripiena di severissimi giudizi intorno a materie riposte di scienze superiori e lontane dal comune senso volgare, tutta infarcita di si
esempì tratti da tali scienze. I fanciulli avrebbero dovuto, mercé quella disciplina, farsi d'un tratto critici e purgare la mente non solo del falso, ma perfino delle opinioni vequando, in verità,
risimili e probabili;
vano purgare, perché
la loro
di niente si
pote-
mente era ancora sgombra
o
scarsamente fornita, e nessuna critica potevano esercitare, per mancanza di materia criticabile avrebbero dovuto es:
sere condotti a ben giudicare innanzi di ben apprendere, contro il corso naturale delle idee, che prima si apprende, poi
si
giudica e finalmente
che gli spiriti a quel secchi nello spiegarsi giudicare d'ogni cosa
modo e,
ragiona. Il risultato era educati diventavano aridi e si
senza far mai nulla, pretendevano
restavano tutta la vita affilatissimi
;
nella maniera di pensare e inabili a ogni grande lavoro critici,
per cosi dire,
ma
sterili.
rezza e arroganza nei giudizi,
quanto
civile, la
sul
quale
si
solo
legge-
ma
tica della vita, nel trattare che si
eloquenza
Donde non
:
incapacità nella prausa con gli uomini, nella
fonda non tanto sulla critica
verisimile e deve ottenere
il
suo
effetto, col
dire cose opportune, penetrando la psicologia dell' interlocutore e 'regolandosi in modo conforme. Della prematura
educazione logico-critica il Vico aveva fatto esso medesimo dannosa esperienza; quando, a lui fanciullo, il gesuita
Del Balzo, che fu tra
B. Croce,
La
filosofia
i
suoi primi maestri, mise in
di Giambattista Vico.
mano 16
FILOSOFIA DEL VICO
242
l'opera del sommolista Paolo veneto; e l'ingegno, ancora
debole da reggere a quella specie di logica crisippea, poco mancò non vi si perdesse, tanto che, per disperazione fatto disertore degli studi,
ne divagò un anno e mezzo. Mi-
gliore ricordo
serbava, invece, perfino delle capestrerie poetiche giovanili, alla scuola dei pili sfrenati marinisti napoletani: divertimento (egli dice) poco meno che necessario per gl'ingegni
dei giovani, assottigliati di troppo e
irrigiditi nello studio delle metafisiche in quegli anni per
l'appunto in cui l'ingegno, per l'infocato vigore dell'età, deve dare in trascorsi perché non si assideri e dissecchi affatto.
Quell'età,
che è
la
barbarie dell'intelletto,
cosi vigorosa di fantasia e (per gli stretti rapporti che sono tra queste trita
due
facoltà) di
ed esercitata con
memoria, richiede
di essere
nu-
la lettura dei poeti, storici e oratori,
e con l'apprendimento delle lingue. L'arte che vi si deve insegnare non è la critica ma la topica, la vera arte del-
ingegno, ossia della facoltà d'inventare; per la quale i vengono apparecchiando la materia per giudicare bene dipoi, perché non si giudica bene se non si è conol'
fanciulli
sciuto
il
tutto della cosa e la topica fa ritrovare per cia-
scuna cosa tutto ciò che
vi è dentro.
Per
tal
seguendo il corso stesso della natura, e filosofi e ben parlanti.
vinetti,
Un
modo, i giosi formano
correttivo, certamente, è indispensabile
rante fantasia;
ma
non deve cercarsi
tosto nella geometria lineare, che è in qualche
pittura, e invigorisce la
memoria
col
all'esube-
nella logica, si piut-
modo una
gran numero dei suoi
elementi, ingentilisce la fantasia con le sue delicate figure e fa spedito l'ingegno nel doverle correre tutte e fra tutte raccogliere
quelle
che fanno
al
caso
per dimostrare la
grandezza domandata. Senonché, anche per la geometria ogni frutto veniva guasto dal metodo favorito nelle scuole di allora, che era l'algebraico; il quale, non meno della
XIX. IL VICO
CONTRO
logica scolastica, assidera tutto
SCOI TEMPI
I
243
più rigoglioso delle in-
il
doli giovanili, loro accieca la fantasia, spossa la
memoria,
l'ingegno, rallenta l'intendimento, danneggiando per queste quattro vie le arti belle, la conoscenza delle lingue e delle storie, le invenzioni e la prudenza. infingardisce
Pili
particolarmente, l'algebra affligge
esso con quel,
metodo non vede
se
non
l'ingegno, perché ciò soltanto che gli
sta innanzi ai piedi; sbalordisce la
vato
il
memoria, perché, ritrosecondo segno, non bada più al primo abbacina ;
perché non immagina affatto nulla; distrugge l'intendimento, perché professa* d' indovinare. I giovani che
la fantasia,
vi
hanno speso molto tempo, messi poi a trattare gli affari sommo rammarico e pentimento
della vita civile, con loro vi
si
meno
ritrovano
utilità e
atti.
non facesse niuno
apprendere per poco tempo e servirsene solo
Onde, perché recasse alcuna si dovrebbe
di si gravi danni,
alla fine del corso
matematico
come mezzo abbreviativo. L'abito
del ra-
gionare si forma assai meglio con l'analitica metafìsica, che in ogni questione prende il vero nell'infinito dell'ente, e pei generi della sostanza viene ciò
che
non è per
la cosa
tutte
gradatamente rimovendo le specie, finché
giunge
all'ultima differenza costituente l'essenza della cosa che
si
desidera sapere. Tutta l'educazione soffriva dell'eccesso di matematica
come se i giovani dovessero un mondo umano, composto
e del difetto di concretezza; e
dalle
accademie uscire
in
linee, numeri e specie algebraiche, si riempiva loro il capo dei magnifici vocaboli di « dimostrazioni », di « verità dimostrate », di « evidenze », e si condannava la re-
di
gola del verisimile, della quale non hanno altra più sicura i politici nei loro consigli, i capitani nelle loro imprese, gli giudici nel giudicarle, i memalati del corpo, i morali teologi nel cu-
oratori nel trattare le cause, dici nel curare
i
i
rare quelli delle coscienze, e sopra la quale tutto
il
mondo
FILOSOFIA DEL VICO
244
acqueta e riposa in tutte le liti e controversie, in tutti provvedimenti, in tutte le elezioni, che tutte si determinano con l'unanimità o maggioranza dei voti. Si presi i
parava una generazione vuota e prosuntuosa, saccente e non sapiente, razionatrice e povera di verità. Quale l'educazione che somministravano,
tali
erano
gli
l'ambiente generale di cultura. La quei metodi analitici « assideravano »
stessi educatori, ossia
poesia era morta
:
una volta la parola che il Vico ripete con frequenza come bene espressiva) « tutto il generoso della miglior poesia ». E veramente non mai come in quella prima metà del settecento 1' Europa fu cosi vasto deserto poetico: l'Italia si era ridotta al melodramma metastasiano la Francia non aveva dato successori ai Cor(giova adoperare ancora
;
Ispagna, esaurita l'ultima grande manifestazione dello spirito nazionale, che fu il dramma, cominciavano l'imitazione francese e il razionalismo; l'Inneille
e ai Raeine; in
sembrava dimentica affatto di aver dato i natali Shakespeare, e la Germania si trascinava anch'essa dietro l'imitazione neoclassica. E non solo non nasceva ghilterra allo
nuova e
poesia,
ma non
Malebranche,
il
le facoltà
i
se
ne desiderava. Seguendo Cartesio professavano di ammortire tutte
filosofi
dell'anima che provengono dal senso, e speciald'immaginare, che detestavano come ma-
mente
la facoltà
dre di
tutti gli errori. I poeti
erano da
essi
condannati col
pretesto che narrassero « favole »: come se quelle favole non fossero le eterne proprietà degli animi umani, che i filosofi politici, economici e morali ragionano e i
falso
poeti presentano in vivi ritratti.
Sull'autorità degli stessi cartesiani, lo studio delle lin-
gue formava oggetto di disprezzo non aveva detto Renato che sapere di latino non è sapere più di quello che sapeva :
la
fante di Cicerone?
La severa conoscenza
del
latino e
del greco era finita con gli scrittori- del cinque e seicento;
CONTRO
XIX. IL VICO il
culto delle
lingue orientali
era
si
stanti; lavori sulla giurisprudenza
La famosa
cora solo in Olanda.
SUOI TEMPI
I
245
ristretto nei
romana
si
prote-
facevano an-
biblioteca napoletana del
Valletta, ricca delle più belle edizioni latine e greche, fa
ma
per
metà del suo primitivo valore, tanto era
sca-
generosamente comprata dai padri dell'Oratorio,
meno
della
la richiesta di quei libri. In Francia la biblioteca del cardinal Dubois non trovò un unico compratore e andò
duta
dispersa nella vendita spicciola. I principi non amavano più il bel latino d'oro; e a nessuno di essi cadde in pensiero di far conservare all'eternità da penna eccellente latina
un avvenimento
cosi
come
strepitoso
la
guerra di
successione di Spagna, paragonabile per la sua complessità
seconda cartaginese. si vantavano i metodi nuovi, ma niuno avrebbe indicare le cose nuove, che si erano ritrovate per potuto loro mezzo. Forinole nuove e cose vecchie; e, in compenso, solo alla
Assai
vane lusinghe di poter giungere in brevissimo tempo e con pochissima fatica a saper tutto. La dottrina civile e politica era trascurata tica; l'esperienza,
secolo
per la
tìsica,
la tìsica
poco esercitata;
precedente,
quasi
affatto
per la matemainventivo del
lo spirito
Lo
spento.
conseguenza del metodo cartesiano, invadeva
scetticismo, il
campo
del
sapere.
Continuava il
in
quel tempo, per tutta Europa, lingua francese: lingua la quale, di-
altresì
predominio della
versamente dall'italiana, è ribelle
alla poesia e all'eloVico) nei vocaboli di sostanza, e, poiché la sostanza è cosa brutale e immobile e non patisce
quenza
;
ricca (diceva
il
comparazioni, incapace amplificare
e
di
dare colore
d'ingrandire, restia alle
alle
sentenze, di
inversioni, sterile
che periodi, posseggono loro metrica ha versi superiori
di metafore. I francesi, piuttosto
membri
di periodi;
né
la
ai cosi detti alessandrini,
che sono
distrofi e
più inerti e
FILOSOFIA DEL VICO
246
tenui degli elegiaci né le loro parole patiscono altri accenti che non siano quelli delle due ultime sillabe. Impo;
tente al sublime, la lingua francese al
piccolo, e per la già notata
sostanza, ossia di in
per altro, attissima
è,
abbondanza
di vocaboli di
termini astratti, al genere didascalico
luogo dell'eloquenza, offre
Degnamente,
l'esprit.
critica e l'analisi erano nate in
Francia e
si
la
:
nuova
rivestivano di
quella lingua.
La
sola ricchezza, che in tanta povertà ogni giorno
si
accresceva, erano i ristretti, le biblioteche, i dizionari delle scienze, come quelli che portavano i nomi del Bayle, dello Hoffmann, del Moreri maniera d'apprendere la più scioperata e casuale che si potesse mai inven:
tare. Il genio del secolo era più
vago
di esporre in
compen-
dio quanto altri seppe che di profondarsi per passare più
innanzi.
Sembra cosa impossibile; eppure
si
compilarono,
provava da tutti un mercato e si stimavano
perfino, dizionari di matematiche. Si
gran desiderio di scienza a vii buoni i soli libri spiegati e facili, che
;
prestavano a forragionamento per passatempo con le dame, condannando, col dirli inintelligibili, tutti quegli altri che richiedevano nel lettore varia e copiosa erudizione e lo
mar
si
oggetto di
al
costringevano
tormento del molto
riflettere
e
combinare.
Quei dizionari e ristretti suscitavano nel Vico di altri
simili
lessici e le biblioteche dei
E
il
ricordo
lavori della decadenza greca, le ecloghe,
tutta la cultura
i
Suidi, degli Stobei e dei Fozì.
contemporanea
gli
sembrava che rinno-
caso della sapienza greca e andasse a spirare in metafisiche inutili o dannose alla civiltà, e in matematiche
vasse
il
grandezze che non sopportano riga e compasso e non hanno nessuna applicazione. Come altri savi uomini del suo paese, egli viveva persuaso che occupate in
considerare
se la provvidenza divina, per vie,
non
una
delle sue infinite secrete
la invigorisse e rinfrancasse, la
repubblica delle
CONTRO
XIX. IL VICO
I
SUOI TEMPI
247
correva rapidamente verso la fine. Dove era più, sapiente, il vero sapiente, che il Vico aveva in-
lettere
il
allora,
contrato nella storia, dapprima nella figura barbarica del poeta teologo e poi in quella civile e razionale del filosofo
greco e del giurisprudente romano, e che vagheggiava modernamente nel maestro di eloquenza (e si direbbe nella sua propria persona), come chiamato a dare unità, vita ed efficacia a tutto
il
La sapienza,
sapere?
questa o quella conoscenza o
ma
è la facoltà
quale
somma
che comanda a tutte
apprendono
si
la
tutte
le
infatti,
non
è
delle conoscenze;
le discipline e dalla
scienze e tutte le arti
che
E
poiché l'uomo è mente e animo, compongono intelletto e volontà, essa deve compiere all'uomo entrambe queste parti e la seconda come conseguenza della prima: l'umanità.
deve insegnare
la
a sommo bene
le
cognizione delle divine cose per condurre cose umane. Il sapiente è l'uomo nella
sua totalità e centralità, 1' uomo intero. Altissimo ideale, senza dubbio, come giuste tutte alle
le critiche
al
metodo
tendenze spirituali del tempo suo.
e mirabili verità che il
mosse
di
perfettamente educazione e
Eppure, fra tante
lasciavano addietro di lungo tratto secolo decimottavo, si sente nel Vico, pedagogista e cri-
tico,
si
qualcosa di retrivo. Si sente che egli, esclusivamente delle sorti della grande e severa scienza e fisso
sollecito
l'occhio nella forma più compiuta dell'umanità,
deva
il
non inten-
valore rivoluzionario di quello scetticismo e razio-
nalismo e di quella ribellione al passato, che erano necesguerra contro re, nobili e preti di quei
sari strumenti di
;
che dovevano mettere capo all'Enciclopedia; di quella scienza popolare, che preludeva al giornalismo di quei libercoli per dame e per eleganti conristretti e dizionari,
;
versazioni, che
avrebbero alimentato
decimottavo e temprati Si sente in lui,
i
salotti
del secolo
radicalismo giacobino. come nel suo sistema qui filosofico, il catgli spiriti al
FILOSOFIA DEL VICO
248
che è avvinghiato
tolico
al filosofo,
il
pessimista cristiano
sul dialettico dell' immanenza. Egli non sa scorprogresso nei suoi avversari, e perciò non li ricono-
che grava gere
il
ma gradini da a dovuto e che stesso avrebbe lui, giungere egli salire per intendere e posseder meglio sé stesso. Il suo atteggiamento polemico verso la cultura del tempo compie e
sce quali veramente erano, a lui inferiori salire per
conferma sieme dei
l'analisi,
che
difetti della
si
è data di sopra, delle virtù e in-
sua
filosofia.
XX CONCLUSIONE Vico e lo svolgimento posteriore
Il
del pensiero filosofico e storico
Si)i aspetterebbe invano che noi, qui al termine della nostra esposizione, aggiungessimo un giudizio, e, come si suol dire, una « valutazione » dell'opera del Vico. Se il giunon
dizio
si
è già ottenuto
stessa, coincidente
come
risultante dall'esposizione
con essa; se storia e
critica
non hanno
colpa sarà stata o nostra o del lettore a ogni modo, in questo punto non rime-
tutt'uno; la
fatto
poco attento
e,
diabile con aggiunte che sarebbero appiccicature e con ripetizioni che sarebbero ridondanze.
Confessiamo anche di non nutrire simpatia per quei che si usa mettere come conclusione dei lavori
capitoli, critici
intorno ai
filosofi e
che contengono
fortuna delle loro idee. Giacché se prese in modo estrinseco, nei loro effetti tura, quella rassegna, ticolare losofia
1
Si
importanza
}t
la «
storia della
idee
sociali
»
sono
e di cul-
sebbene non priva di certa sua parrimane estranea alla storia della fi-
propriamente detta;
veda Appendice,
le
II.
—
se invece sono intese
come
FILOSOFIA DEL VICO
250
vere e vive idee
filosofiche,
confluisce né più né
il
racconto della loro fortuna
meno che con non
la storia della filosofia
e' è
ragione di far seguire alla trattazione di uno piuttosto che di altro filosofo singolo. Condursi diversamente è effetto del pregiudizio che le idee posteriore, la
quale
siano qualcosa di solido o di preziose che di cui sia
si
cristallizzato, quasi
tramandino da una generazione
sempre
possibile riconoscere
l'
gemme
all'altra e
inalterata forma
e fulgore nei nuovi diademi che esse compongono e sulle nuove fronti che vengono a costellare. Ma le idee, effetti-
vamente, non sono altro che l'infaticabile pensiero umano, e tramandarle davvero vale trasformarle. Pure, è un fatto che
non abbia
nessuno ha scritto sul Vico che
bisogno di spingere lo sguardo ai tempi notare somiglianze e analogie delle dottrine di lui con quelle che seguirono cinquant'anni o un secolo sentito
il
posteriori e
dopo. E, quel eh' è più, anche noi, nonostante la confesi professati criteri metodici, proviamo ora
sata antipatia e
medesimo bisogno. Perché? Perché il Vico ai suoi tempi passò per uno stravagante e rimase un solitario; perché lo svolgimento successivo del pensiero avvenne quasi tutto il
fuori della sua diretta efficacia; perché
sufficientemente
ancora
il
in
alcuni
anche oggi, noto non ha avuto
circoli ristretti,
posto che merita nella storia generale del pen-
quale mezzo si offre più semplice per mostrare la rispondenza delle sue dottrine, vere o false che fossero, siero. Ora,
a profonde
esigenze spirituali, che
ricordare le idee e
ì
tentativi simili, riapparsi
da dare
la
fisonomia
sofia e di storia?
E
al
fluo, si
dopo che noi abbiamo esapensiero di lai, questo richiamo
se anche,
minato nell'intrinseco ai fatti
più tardi cosi copiosi e intensi lavoro di un secolo intero di filo-
il
che seguirono possa sembrare un espediente superconcederà, per lo meno che, posto che la nostra
come ogni
altra orazione
debba avere
il
suo compimento
XX. IL VICO E LO SVOLGIMENTO POSTERIORE rettorico,
nessuna perorazione
si
presenta più spontanea
un rapido cenno
di quella che consista in
251
della filosofia e
della filologia posteriori, lumeggiate nelle loro attinenze col pensiero vicinano.
metodo che
Si potrebbe anzi, col
barie seconda in
confronto
storia ulteriore del pensiero
con
come
egli
la
tenne per la bar-
presentare la un ricorso delle idee
prima,
del Vico. Ricorsero, in primo luogo, la critica di lui al sapere immediato di Cartesio e il suo criterio della conver-
sione del vero col fatto, nel moto speculativo che andò dal
Kant
allo
Hegel
e che
culminò nella
tesi
dell'identità del
fatto, del pensiero con l'essere. Ricorse la sua unità di filosofia e filologia nella rivendicazione della storia contro lo scetticismo e l' intellettualismo del secolo de-
vero col
cimottavo,
figlio del
cartesianismo;
nella sintesi a priori
kantiana, che riconciliò ideale e reale, categoria ed esperienza; e nella filosofia storica dello Hegel, in cui lo stori-
cismo del secolo decimonono toccò
il più alto punto. Quell'unione di filosofia e filologia, che fu talvolta in lui unione violenta e commistione di metodi, ricorse anche in questa
sua forma errata nella scuola hegeliana; talché siffatto indirizzo mentale potrebbe prendere a giusto titolo il nonfc di « vichismo ». Ricorse la limitazione che egli aveva tentata del valore delle
e
la
matematiche
e
delle scienze
esatte,
sua critica della concezione matematica e naturali-
stica della filosofia,
nismo spinoziano e astratto; e, perle
nella
in quella dello
matematiche
gald Stewart e da
altri)
non
ma
è nei postulati
critica
del
Jacobi
al
Hegel contro
determi-
l'intelletto
in particolare, fu (dal
messo in chiaro che
nelle definizioni, e le
«
Du-
la loro forza ftctiones », di
cui egli parlava, sono rientrate nella terminologia odierna dei gnoseologi di quelle discipline. La logica poetica o la
scienza della fantasia divenne l'Estetica, cosi ansiosamente filosofi, letterati e artisti tedeschi nel corso
indagata dai
FILOSOFIA DEL VICO
252
Kant faceva compiere un come concetto condottrina leibniziana), e un altro gran passo
del settecento e alla quale
gran passo con fuso (che era la
il
la critica dell'intuizione
Hegel, i quali, collocando l'arte tra le pure forme dello spirito, si riavvicinarono al Vico. E il romanticismo (specie tedesco, ma anche pili o meno quella lo Schelling e lo
degli altri paesi), in quanto
si
espresse in forinole teoriche,
fu vichiano, perché celebrazione della fantasia
come
ori-
ginale potenza creatrice. Ricorsero le sue dottrine sul lin-
guaggio, interpetrato non più intellettualisticamente quale sistema artificioso di segni, ma come libera e poetica creazione dello spirito dallo Herder e dallo Humboldt.
La
dot-
dopo che ebbe abbandola teoria della frode, riconobbe cor religione è un processo naturale, corri-
trina della religione e del mito,
nato l'allegorismo e Hume che la
David
spondente agl'inizi della vita umana, tutti passione e immaginazione; con lo Heyne, che il mito è un « sermo symbolicus »,
non prodotto da arbitrio
ma
da bisogno e po-
sermonis egestas », la quale rerum iam tum notarum s imi litud Ines » vertà, dalla
«
Muller, che è impossibile intendere
il
si ;
esprime «per con Ottofredo
mito senza rientrare
nell'intimo dell'anima umana, dove se ne scorge la necessità e
la
spontaneità.
come qualcosa
me
La
non fu più guardata nemico verso la filosofia, co-
religione
di estraneo o di
come inganno di gente furba alle spalle di gente semplice, ma, come il Vico voleva, quale filosofia stoltezza
o
rudimentale, onde tanto si trova nella metafisica ragionata quanto era già in qualche modo nella metafisica poetica o religiosa. Similmente, poesia e storia non furono più te-
nute disgiunte o contrapposte perché si combattessero a vicenda e come già uno dei grandi ispiratori della nuova ;
letteratura
tedesca, lo
Hamann
(per
tanti rispetti simile
Vico nelle tendenze, benché impari nella potenza mentale), aveva ammonito e preveduto dicendo: « se la nostra al
XX. IL VICO E LO SVOLGIMENTO POSTERIORE
poesia non vale, anche la nostra storia
Faraone
delle vacche di storiografìa
del
sècolo
»,
un
farà più
si
253
magra
poesia ravvivò la la quale da incolore
alito di
decimonono,
ridivenne pittoresca, da fredda che era acquistò calore e vita. La critica all'.utilitarismo degli Hobbes e dei Locke, e l'affermazione della coscienza morale come spontaneo pudore e giudizio senza alcuna riflessione, si ripresentò, bene
armata, nella Critica della ragion pratica; e la polemica contro l'atomismo sociale e il conseguente contrattualismo, nella Filosofia del diritto hegeliana. La libertà di coscienza e l'indifferentismo religioso, professati e inculcati dai pubblicisti del seicento,
come dottrina filosofica; e Hegel, come già al Vico,
fu negata
un popolo senza Dio sembrò
allo
introvabile nella storia ed esistente solo nelle panzane dei
narratori
di
viaggi
nuando l'opera
in
paesi
o poco noti. ContiVico non aveva po-
ignoti
della Riforma, che
il
tuto conoscere né esattamente giudicare, la filosofia idealigermanica intese non già a strappare dalla vita la
stica
religione,
ma
ad
affinarla,
ligione alla filosofia stessa.
dando valore Il
certo,
Vico distingueva dal vero del dal
ditazioni
Tomasio
diritto,
Kant
e
spirituale di re-
duro certo, che il formò tema di me-
Fichte, e
al
da costoro
che cercarono, se anche non trovarono,
ai recentissimi
criterio
al
il
distintivo tra le
due forme, e
tutti o
il
quasi tutti « forza »
mostrarono viva coscienza di ciò che chiamarono o
«
coazione
»
e che era stato
come
obliato nella vecchia,
La scuola storivoluzionammo e al riforsecolo decimottavo, doveva ripigliare
superficiale e rettorica dottrina moralistica. diritto, reazione al
rica del
mismo
astratto
del
l'altra
polemica del Vico contro
nismo
di
una repubblica
il
ideale o
platonismo o di
un
il
grozia-
diritto naturale,
fuori e sopra la storia e misura della storia, e riconoscere
col Vico che di
un popolo
il
diritto è corrispettivo all'intera vita sociale
in
un dato momento
storico e giudicabile solo
.
FILOSOFIA DEL VICO
254
in relazione a questa, e vivo e plastico e in continua
come
mu-
linguaggio. Finalmente, la Provvidenza vila razionalità e oggettività della storia, che cioè chiana, osserva logica diversa da quella che le viene attribuita tazione
il
immaginazioni e illusioni, prese un nome non mutò carattere, nell'astuzia della
dalle individuali
più prosaico, ma ragione, formolata dallo Hegel velloticamente ritradotta nella
;
e fu spiritosamente e cer-
popolare
astuzia della
specie Schopenhauer, e, poco spiritosamente sebbene assai psicologicamente, nella cosi detta legge wundtiana dell'eterogenesi dei fini. dello
Sono, come
vede, quasi tutte
si
filosofia idealistica
del
le
idee capitali della
secolo decimonono, che
si
possono
considerare ricorsi di dottrine vicinane. Quasi tutte, perché ve n' ha poi qualcuna della quale nel Vico si trova il precorrimento ma l'esigenza, non l'addentellato ma lacuna da riempire; e per questa parte si ha non pili il
non la
ricorso
ma
il
progresso
del secolo
decimonono sopra
lui, e dal coro gli sorgono contro voci discordanti di
di
amdue
monimento o di rimprovero. La distinzione vichiana dei mondi dello spirito e della natura, a entrambi i quali era applicabile
vero e
il
fatto,
ché quel
criterio
ma
mondo
scibile, e al
al
gnoseologico
della conversione tra
primo applicabile dall'uomo stesso per-
è opera dell'uomo, e perciò da lui cono-
secondo da Dio creatore, e perciò inconoscibile
nuova filosofia che, più vichiana del Vico, dell'uomo semidio fece Dio, sollevò la mente umana a spirito universale o Idea, e la natura spi-
all'uomo, non fu accettata dalla
come prodotto anch'essa dello spitentò d' intendere rito, speculativamente nella « Filosofia della natura ». Distrutto per tal modo questo residuo di ritualizzò e idealizzò e,
trascendenza, rifulse
non aveva scorto,
il
e che
concetto di progresso che i
cartesiani e
i
il
Vico
loro seguaci del se-
colo decimottavo, nella loro maniera superficialmente ra-
XX. IL VICO E LO SVOLGLMENTO POSTERIORE zionalistica,
avevano pure
255
qualche modo intravisto e
in
affermato.
Ma a questo mancato riscontro fa compenso quello pienissimo tra le « discoperte » storiche vicinane e la critica e storiografia del secolo decimonono. Riscontro, anzitutto, nei canoni metodici nella scepsi circa i racconti degli :
documenti
storici antichi, nella superiorità riconosci uta ai
monumenti guaggi come e
narrazioni, nell' indagamento dei lintesori dei concetti e dei costumi primitivi,
sulle
nell' interpetrazione sociale dei miti, nell'
importanza data comunicazioni
agli svolgimenti spontanei sulle estrinseche
delle civiltà, nell'avvertenza di
non interpetrare la psicomoderna; e via discor-
logia primitiva con la psicologia
rendo. Riscontro nelle soluzioni effettive dei problemi storici, perché furono riaffermati il carattere arcaico e barbarico delle civiltà primitive greca e romana, e l'indole aristocratica e feudale delle loro costituzioni politiche; il
come un
cerimoniale dell'antica giurisprudenza riapparve
ad azioni guerresche; il travestimento degli eroi romani in eroi democratici ebbe termine coi giacobini francesi e coi loro imitatori in Italia e
poema drammatico,
altrove;
Omero
quanto più rude
fu ;
allusivo
considerato
poeta
tanto
Roma venne
la storia di
prattutto sulla base del diritto romano, e
i
grande
più.
ricostruita so-
nomi
dei sette
re apparvero simboli di istituzioni e le origini tradizionali di Roma tarde invenzioni greche o condotte sui modelli greci; la sostanza di quella storia fa riposta nella lotta economica e giuridica di patriziato e plebe, e la plebe de-
rivala dai famoli o clienti
;
pel primo aveva rischiarata
la lotta di classe,
di
che
il
Vico
cruda luce, fu accolta come
criterio di larga applicazione alla storia di tutti
i
per l'intelligenza dei maggiori rivolgimenti sociali;
tempi e il
Me-
dioevo, segnatamente durante la restaurazione seguita
periodo napoleonico, attrasse
gli
animi e
le
al
menti, vagheg-
FILOSOFIA DEL VICO
256
giato e sospirato come il contrapposto della società razionalistica e borghese e inteso, perciò, come il periodo religioso, aristocratico e poetico che
come
cosi la
che
il
il
Vico aveva scoperto,
dell'Europa moderna. L'Italia ritrovò del suo Dante, e quella critica dantesca, grandezza Vico aveva iniziata, il De Sanctis portò innanzi:
l'età giovanile
come il Niebuhr e il Mommsen maturarono la storiografia romana di lui il Wolf e posteriori critici di Omero (pari
;
ticolarmente Ottofredo Miiller), la teoria omerica; il Cornerai Lewis, il Pais e il Lambert, l'altra e analoga sua teoria circa la legge delle dodici Tavole; lo ler,
il
Heyne,
il
Miil-
l' interpetrazione dei miti; il Grimm e desiderato di una ricostruzione della vita
Bachhofen,
altri filologi,
il
il Savigny e la primitiva per mezzo delle etimologie scuola storica, lo studio degli svolgimenti spontanei del diritto, con preferenza data alle consuetudini sulle leggi e ;
i
il
codici
;
Troya
il
Thierry e
Fustel de Coulanges in
il
Francia,
una legione di dotti in Germania, medioevo e del feudalismo; il Marx e
in Italia e
concezione del
Sorel, l'idea della lotta di delle società per
mezzo
classe e
dei
di ritorni a stati
la il
ringiovanimenti
d'animo primitivi
e a ricorsi di barbarie; perfino il superuomo del Nietzsche rinnovò, in qualche modo, l'eroe vichiano. Sono alcuni nomi soltanto, che ricordiamo alla rinfusa e un po' a caso, perché a ricordarli
tutti e
ciascuno a suo luogo
si
dovrebbe scrivere l'intera storia del pensiero europeo nella sua fase più moderna: una storia che non è ancora chiusa, sebbene abbia avuto, sotto nome di
positivismo », una parentesi di parziale ritorno all'astrattismo e materialismo del secolo decimottavo, che essa, invece, sembra ora chiusa «
fermamente. Questi molteplici ricorsi dell'opera di un individuo nell'opera di pili generazioni, questo riscontro tra un individuo e un secolo, giustificano una definizione immaginosa
257
XX. IL VICO E LO SVOLGIMENTO POSTERIORE
può dare del Vico, desumendola dallo svolgimento posteriore: che egli fu né più né meno che il secolo de-
che
si
cimonono compendio
in
Definizione che può valere
germe.
dottrine di lui, e contribuire a far intendere gli spetta nella storia
come
ricostruzione ed esposizione delle
della nostra
della
filosofia
il
posto che
moderna. Egli
è
da
veramente accanto a quel Leibniz, al quale è da collocarvelo non perché so-
collocare stato
spesso paragonato
migli
al
Leibniz, come
quest'intento
si
:
è creduto
si
provano
o
falsi
o
(i
paragoni
superficiali),
istituiti
ma,
a
anzi,
perché non gli somiglia punto e gli è quasi opposto. Il Leibniz è il potenziamento del cartesianismo: intellettualista, nonostante le piccole percezioni e la conoscenza conil dinamismo, che è forse più nel suo effettivo pensiero; che immaginazione la sua immensa erudizione storica; nonostante antistorico,
fusa; meccanista, nonostante nella sua
chiuso a ogni coscienza di quel che sia il linguaggio, nonostante che del linguaggio si occupasse fervidamente durante tutta la vita; antidialettico, nonostante la tentata spiegazione del male nell'universo. Rispetto all'idealismo posteriore, la filosofia leibniziana sta come l'espressione più perfetta della vecchia metafisica, che doveva essere superata; quella del Vico, come l'abbozzo della nuova me-
che doveva essere svolto e determinato. L'uno
tafisica,
suo secolo, che
si
intorno e ne proe sonoramente la voce; l'altro, a un pagò rapidamente secolo avvenire ed ebbe intorno a sé il deserto e il silenrivolse
zio.
al
Ma
la
folla
o
il
gli si
affollò
deserto non aggiungono o
tolgono
nulla al carattere intrinseco di un pensiero.
B. Cuoce,
La
filosofìa
di Giambattista Vico.
17
Luoghi del Vico adoprati o richiamati nel corso dell' esposizione
—
I.
Por questo capitolo
si
vedano
De antiquissima italorum sapientia, de' letterati
allo
e
»
la
spirito della
VI, 5.
le
il
De studiorum
due Risposte
al
ratione,
il
Giornale
<
prima parte dell' Autobiografia. Per l'accenno Riforma (p. 8), Opere, ediz. Ferrari seconda,
—
(p. 22),
Genesi del nuovo orientamento gnoseologico del Vico la certezza della storia Opere, ediz. cit., IV, 366 sgg.
(p. 23),
V, 147;
II.
IV, 33
;
—
V, 136-7
;
;
il
mondo
-**
«
nuova
ridursi a
intendimento nato
mondo umano
(p. 24),
;
—
e suo vero significato (pp. 25-6), V, 51
— significato del detto che per pensare la Scienza
99; V, 51;
convenga
il
metodo cartesiano, indul'asserito « metodo geometrico »
sillogismo, sorite,
zione baconiana (p. 25), V, 239 della Scienza
—
della natura e
mondo
»
uno
stato di
somma
ignoranza
(pp. 26-7), IV, 33; V, 136, 50, 51;
di linee e di
numeri
»
»
—
e 1' «
«
;
VI,
nuova
di
puro
immagi-
della matematica e la realtà
— in 118, 160;
qual guisa la scienza del mondo umano la « divinità » delle proceda come la geometria (pp. 29-30), V, 147 della Scienza nuova la ivi filosofia e la filologia (pp. prove (p. 30), (p.
29);
II,
;
30-1), III, 200;
—
;
—
—
l'autorità e la ragione (p. 31), V, 171 sgg.;
filologia studia non solo le parole
ma
anche
le
— la
cose
(ivi), V, 115, filooggetto amplissimo della filologia, IV, 27; V, 98; sofia e filologia ancora estranee l'una all'altra ai tempi del Vico l'erudizione di Grozio non è intrinseca al (pp. 31-2), IV, 20 sgg.;
149;
—
—
—
suo argomento
(p. 32),
IV, 19;
—
il
disprezzo di Cartesio e del Male-
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
260
branche contro l'erudizione
232;
(ivi), III,
— la necessità di
logia è necessaria il
«
(ivi),
— l'esigenza V, 103;
umane
(ivi),
V, 149-50, 174; IV, 20, 248;
invidioso
—
;
—
il
titolo
V, 562.
(p. 34),
—
V, 99 (degn. XIV) vichiane (p. 42), IV, 81 (p. 41),
;
«
—
d'una storia tipica
Vari significati della « storia ideale eterna » vichiana la « degnità » sulla « natura delle cose 40-1), Opere, V, 147
III. (p.
nuova
della Scienza
»
la filo-
conseguenza della filosofìa (p. 33), III, 200;
metodo baconiano
delle società
ridurre
—
la filologia a scienza (ivi), III, 233; IV, 307; V, 98, 174;
>
—
;
—
in conformità delle leggi
in idea
IV. »
tica
»
certo
«
Il
fatti
da
e ritenuti
»
«
lui
IV, 73; V, 91, 148-50.
(ivi),
—
i
prove metafisiche » dubbi sono asseriti dal Vico
le cosi dette
costituisce
»
(p. 45),
Opere, V, 97
quasi tutto
«
il
—
la
verità meditate
«
sapienza poe-
della seconda Scienza
»
corpo
—
;
«
le « aspre difficultà » per discendere dalle V, 44 nature nostre ingentilite a quelle degli uomini primitivi e l'idea una della « natura simpatetica » (p. 46-7), IV, 36 V, 141, 166
nuova
(ivi),
;
;
delle ragioni perché
«
nuova
»
la
errori di Platone, Giulio Cesare Scaligero,
spare Schopp (ivi), III, 232-3 IV, 194, 228 Selden e Puffendorf (ivi), IV, 20 V, 175 ;
;
;
rore
commesso da
lui
—
—
;
Scienza del Vico
(p. 47),
V, 42;
—
Francesco Sanchez, Ga-
— —
;
il
gli errori di Grozio,
Vico confessa
medesimo nel De antiquissima
(ivi),
l'er-
IV, 194,
228 la sapienza poetica è la « chiave maestra » della seconda la « Logica poetica » (p. 48), V, 179 Scienza nuova (ivi), V, 42 ;
—
;
;
la sapienza riposta fu intrusa nella poesia dai la poesia è passim, e cfr. per es. IV, 191-3;
—
tura
»
e la
220, 237;
mosso
e,
«
—
il
linguaggio
«
(ivi),
improprio
(ivi),
muti
»
(ivi),
—
;
—
linguaggio
il
V, 186;
—
»
«
la poesia
proprio
la poesia e la
»
me-
—
dell'umanità (pp. 49-50), V, 152;
losofi l'intelletto atti
—
V, 115
nessuno fu insieme gran metafisico i poeti sono il senso, i fiIV, 200; V, 441;
tafìsica (ivi), IV, 199-200;
«
IV, V,
necessità di na-
di articolare, canta (ivi), V, 112, 114;
prima
e gran poeta
«
prima operazione della mente umana » (p. 49), V, l'uomo, prima di riflettere, avverte con animo com-
è anteriore alla prosa
e
filosofi, III,
—
V, 197, 466;
—
le
—
il
linguaggio
lingue articolate non
per le origini delle sono per convenzione (pp. 50-1), V, 209-10; lingue furon trovate dal Vico nei principi della poesia (p. 51), V, (p. 50),
—
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
—
194-218, 466-7;
una
medesima
e
—
della scrittura (ivi), V, 198;
è
del
l'origine
261
linguaggio e
identità tra favola (poetica) ed espressione (p. 52), IV, 205; »
parole reali
«
cinque
d'
—
geroglifici (ivi), V, 201, 249;
i
Idantura
—
V, 82, 201-2
(ivi),
le
alti
g-li
;
—
—
analoghi propapaveri troncati dal re Tarquinio (ivi), V, 202; cedimenti espressivi presso popolazioni selvagge e i volghi (ivi), V, 202-3
—
;
—
la
favoletta
«
»
sull'origine
— le improse primitive furon
IV, 206; le
imprese, bandiere, medaglie, monete
le
16; V, 230-1;
mutole
«
insegne e bandiere sono una sorta di
— le
IV, 211-2;
da quella del Vico
rovesciate
<
canti degli uccelli
111,
—
275;
V, 195-7; (ivi),
le teorie di
boriose
«
opinioni
(p. 53),
sibilo
«
il
—
idea ottima
(ivi),
—
V, 230-1
(ivi),
lingua armata
»
;
(ivi),
polemica contro
(p. 54),
—
la
»
—
i
del Patrizzi (ivi),
—
i
»
(ivi),
IV, 194;
non
—
saggio di
sull'origine della scrittura (ivi),
imprese eroiche vero nella sua
delle
trattatisti
poesia rappresenta
—
IV, 224;
IV, 163
IV, 163; V, 169;
dei venti
Platone, Lazio, Scaligero, Sanchez sull'ori-
e « ridevoli
»
IV, 202; V, 230;
nimato
e
»
lingue sono insoddisfacenti
g'ine delle
«
»
IV, 202-
(ivi),
imprese
teorie di Platone, Aristotele, ecc. sulla poesia son
«
»
delle
ha per
il
fine l'animazione dell' ina-
è altro che imitazione (pp. 54-5),
V, materia l'impossibile credibile (p. 55), è nata da inopia (ivi), III, 271-2; III, 272; IV, 165; V, 168-9; identità del vero dei filosofi e del vero dei poeti V, 220, 442-3; (ivi),
112, 238;
(ivi),
— ha per propria
V, 164;
V, 220-1
—
V, 456 sgg. figurato
217;
— — da
—
inopia nacquero
il
canto e
V, 164;
(ivi), ;
(ivi),
—
—
V, 182 sgg.;
— delle
— un caso d'afasia — identità intrinseca
—
(ivi),
(ivi),
V, 222;
le delicatezze
—
—
parti del discorso (ivi), V, 213
osservato dal Vico a Napoli tra pittura e
delle
(p. 56),
del parlare
poesia
arti (belle)
(ivi),
(ivi),
VI, 40;
(ivi), III,
son frutto delle
V,
—
270; V, filosofie
prima età del mondo fu tutta occupata intorno le arti (mecprima operazione della mente (p. 57), V, 237;
(ivi),
alla
metafore
diverse forme della poesia
del verso e del metro
analogie tra la poesia e la pittura medievali
438;
le
scopo della poesia è insegnare al volgo l'operare vir-
;
tuosamente
s =g'-j
;
V, 55;
la
—
caniche) sono poesie in certo
romano
è
un
«
IV, 225; V, 531;
—
la
diritto
modo
reali (ivi), V, 112, 288;
poema drammatico serioso
»
(ivi), III,
—
il
347;
poesia è considerata dal Vico come teolo-
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
262
—
come educatrice di volgo già fantastica (pp. 57-8), V, 162 sgg. 253 come fìsica (p. 58), V, sgg.; immaginaria (ivi), V, 369 sgg.; i furon tutti di sublimi popoli primitivi poeti (p. 58), V, 107, 443; ;
—
poeti sono pel Vico perfino
— —
fanciulli (ivi), V, 112
i
primitivi eran nulla o assai poco ragione
— la
187;
—
V, 212;
— il
(p. 59),
uomini
— quasi
;
poeti primitivi furon fantastici per natura, quelli di epo-
i
che incivilite son
come
gli
V, 379
lingua degli dèi fu quasi tutta muta T immagine dei « grandi rapidi fiumi » (ivi), V,
tutto corpo (ivi), V, 440; (ivi),
—
;
per industria
tali
Vico ponesse
il
—
274; VI, 37;
(ivi), III,
problema dell'origine della
civiltà (p. 60),
IV, 24.
—
V.
Il
De sapientia veterum
—
Opere, IV, 360, 365;
(p. 64),
di
Bacone
De
il
è più ingegnoso che vero
Voss
theologia gentili del
(ivi),
— la Demonstratio evangelica Huet e Phaleg Chanaan del Bochart V, 80; — miti non contengono sapienza — hanno significati univoci 65), IV, 169; riposta V, 169; — mito di Giove fu effettivamente creduto dagli V, 43, 111-2; IV, 21; V, 171
dell'
;
et
il
i
(ivi),
(p.
(ivi),
il
uomini primitivi
(ivi),
—
V, 166;
i
miti sono storia vera foggiata
—
da
la sapienza riposta spiriti primitivi (ivi), IV, 74; V, 18, 109; fu intrusa in essi soltanto in tempi colti (ivi), IV, 191-3; né poi
—
vennero trasmessi da un popolo
—
il mito V, 80, 81; il mito del Cielo (p. 67), IV, 164: d'Ercole (pp. 66-7), IV, 167; il Vico asserisce, si, che i miti contengono i sensi storici, V, 248 ma proprianon filosofici, dei popoli primitivi (p. 68), V, 43
all'altro (ivi),
—
—
;
—
;
mente
egli vuol contrapporre
altissima filosofia nei miti
(ivi),
»
e ai sensi
—
V, 169;
sensi storici ai
i
«
come
analogi
la
l'errore
(p.
69), III,
110;
—
96; V, 166
II,
in tempi colti
dai miti
si liberi
definizione vichiana del-
— ;
e del
falso
(ivi),
IV,
ogni favola ha un motivo di vero
(ivi),
IV, 169; V, 110;
miti sono embrione del sapere riposto
(ivi),
V, 420;
169; i
—
intrusi
»,
mente umana
(pp. 68-9), IV, 172; V, 186, 411, 220;
sensi mistici di
«
tori dei miti (« poeti
teologi
»)
letto dell'umanità (ivi), V, 421;
l'idea di Dio
furono
—
come
(pp. 69-70), IV, 50-1;
divine e delle vie
—
il
senso,
si sia i
i
—
filosofi
i
—
crea-
l'intel-
svolta storicamente
concetti
delle
tre
pene
furono ispirati a Platone donde derivino gli esempì esopici,
purgativa e unitiva
dalle favole (p. 70), V, 387;
l'induzione socratica e
il
—
sillogismo aristotelico
(ivi),
V, 192;
—
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE l'etimologia di
V, 165, 168;
De
«
—
—
;
De
il
(ivi),
sofìa e
(p.
linguaggio
;
— due
pensieri circolano
tra religione e filosofìa (pp. 70-1),
divinazione
—
V, 168;
71),
(p.
oraculis ethnicorum del van Dale
—
V, 108;
— 155;
il
—
il
(ivi),
precedo la
la religione
IV, 193-4;
72),
rale e rivolata (p. 72), V,
da Dio
V, 379
ma
sono nate non da impostura d'altrui
le religioni
da propria credulità il
(ivi),
della
l'origine
origine idolatria? e
V, 171
»
olfacere
nuova sui rapporti
nella Scienza
263
filo-
teologia poetica, natu-
popolo ebraico fu privilegiato
più giù le citazioni al cap. XIII. Poesia e storia (p. 75), Opere, V, 437, 109, 441; insistenza del Vico nel notare che l'elemento poetico è intrinseco (ivi): cfr.
—
VI.
alla storia (ivi),
—
—
lo stile di Erodoto V, 109, 110, 444; VI, 15; detto di Cicerone (ivi), IV, 400; le istituzioni
(ivi),
—
V, 18;
sociali e la
—
il
filosofia (p. 76),
—
V, 532, 534;
«
i
quattro auttori
»
del Vico (pp. 76-7): Platone e Tacito, IV, 351; Bacone, IV, 351-2;
—
Grozio, IV, 366-7;
l'insistente polemica del Vico contro Grozio,
Selden, Puffendorf e gli
«
adornatori
»
del sistema groziano (pp.
76-7), III, passim, spec. 11-2; IV,
V, passim, spec.
Hobbes, Spinoza, Bayle, Machiavelli,
(p. 80):
340; V, 49; epicurei e gallico, III, 57; l'
Hobbes
—
il
gli
«
polemica contro
fallimento dello
spinosisti i
Cartesio,
IV, 14;
stoici,
(pp. 80-1), V, 106;
Spinoza e
81-2):
—
175-7;
6,
»
—
e del
il
«
III,
12; Locke, IV,
tee victis »
sforzo
Locke
trattatisti di etica dal
IV, 343;
«
dell'antichità
del
brenno
magnanimo
(p.
(ivi),
Cinquo
»
V, 138, 49; al
del-
— —
81), VI, 5;
lo
la
Settecento (pp.
Malebranche e Pascal, VI, 127; Nicolo,
Pallavicini e Muratori, VI, 98;
—
passim, spec. 16-20, 307-8, 391; la polemica contro gli utilitaristi
—
e Yhonestas (p. 82), III,
l'utilità
—
la frodo e la forza
la fede nelle (ivi), IV, 87; III, 57; base della e relativa contro il Locke promesse società, polemica l'utilità è causa non occasione, (pp. 82-3), IV, 39-40; (p. 83), III,
30;
ò
—
30;
—
il
detto di
Pomponio
(ivi), III,
l'omicidio per legittima difesa e
il
fame
l'etica platonica e l'etica aristotelica (pp. 83-4),
—
dei giureconsulti romani (p. 84), IV, 334; libri dei
IV, 35
;
giusnaturalisti
—
i
— — HI, 31;
30; IV, passim; V, passim;
furto per
non corrispondono
(ivi),
IV, 334-5; i
titoli
al loro
—
l'etica
magnifici dei
contenuto
(ivi),
principi di Grozio pesati con la bilancia della critica
non appariscono necessari
(ivi), III,
12;
—
Grozio e la questione
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
264
— Grozio e la disputa se vi sia diritto — Grozio non dimostrò la sua ipotesi sui 97; — e fu epicureista senz'avvedersene 43 IV,
dell'utilità (ivi), III, 30;
natura
in «
IV, 17;
(ivi),
stato naturale
pudore son il
«
V,
(ivi),
semplicioni
»
—
(ivi),
»
la
«
;
»
degnità
vicbiana sulle
cose fuori del loro
«
(pp. 84-5), V, 97 (degn. Vili)
—
;
rimorso e
il
fonti di tutte le virtù (p. 85), III, 234 sgg.; IV, 49-50;
senso comune degli uomini d'intorno alle umane necessità genti (ivi), V, 98 (degn. XI e XII)
è fonte del diritto delle
costumi son generati
umano
l'arbitrio
—
VII.
dall' interno,
(ivi),
dall'esterno
V, 98. fulminante fa immaginare
V, 142, 172-3;
umana
non
le
—
passioni
i
bestioni
«
ai
»
pri-
(ivi),
V, 242; —
il «
—
conato
»
timore di Dio è fondamento della
il
IV, 291; V, 242-3, 250;
mezzo per ridurre
solo
V,
Opere, V, 165-8, 106, 142;
(p. 87),
—
l'origine del culto re-
ligioso, dei matrimoni, delle sepolture (ivi), V, 137:
è
(ivi),
è incertissimo (ivi),
Il cielo
per placarla essi raffrenano (p. 88),
»
— — 131; ;
una divinità corrucciata
mitivi
vita
il
—
infieriti
con
—
la religione
armi
le
popoli (ivi), V, insegnata ai fanciulli mediante il timor di Dio l'uomo disperato desidera un essere superiore (ivi), V, 242; cbe lo salvi (ivi), V, 142; tutte le nazioni credono in una diil
—
106;
i
la pietà è
—
—
vinità provvidente
di viaggiatori
(ivi),
(ivi),
V, 138;
V, 137;
—
cose morali (pp. 88-9), IV, 17; si
spegne
il
—
popoli senza Dio sono novelle
parallelo
(ivi),
cose fisicbe e le
le
spenta la coscienza religiosa, il conconcetto di società e stato (p. 89), III, 387 ;
cetto della divinità presso gli ebrei,
mettani
tra
—
V, 138;
—
i
cristiani,
i
—
gentili e
gli epicurei e gli stoici e
il
mao-
i
detto di Ci-
—
l'Hobbes e lo Spinoza cerone a Tito Pomponio Attico (ivi), ivi; e la loro inintelligenza del vero concetto di società e stato (ivi),
—
IV, 320; V, 106, 136, 138;
mata letteratura
Pietro
—
»
Bayle
e
i
dotti
della
«
sfu-
polemica contro Grozio
(ivi), (ivi), V, 290; contro Puffendorf (pp. 89-90), IV, 18; IV, 17; V, 176; IV, 43; la religione vale come concezione della realtà, o che V, 176 si affermi come metafìsica intelligibile (p. 90), V, 153-4, 241-2 ;
—
—
—
;
o che
come metafisica poetica
V, 163;
—
la
spaventosità delle religioni primitive e polemica relativa contro Plutarco (ivi), il vero significato del detto che « il timore fece gli V, 253; (p.
91),
—
dèi
»
(ivi),
V, 108;
— un
senso comune d'immortalità è nascosto
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE nella
mente degli uomini
—
ma
tal'altra la
filosofia,
—
V, 242
compito della filosofìa è l'uomo caduto (pp. 91-2), V, 96, 154; secondo lui, è adatta piuttosto a ra-
eia moralo
gionare
(p. 92),
pratica,
giova all'eloquenza
;
ridusse
la religione
V, 108;
—
142;
—
come come il
«
i
Vico concepisse
il
arbitrio
libero
—
V, 490;
all'umanità
»
stato ferino
«
ca-
religione
V, 106, 137-8, 534;
(ivi),
lo
la
civili (ivi),
Polifemi
dei
figliuoli
più che alla
filosofi,
tempi
i
Vico a Polibio
detto attribuito dal
dei
573-4;
V,
(ivi),
ratterizza l'epoca barbarica, la filosofìa il
—
IV, 9;
(ivi),
Vico, sollevare
pel
talora,
265
V, 97;
»
(ivi),
V,
(p. 93),
—
— —
quale posizione assumesse nelle controversie sulla grazia (pp. 93-4), IV, 332-3 la grazia naturale e la soprannaturalo (p. 92), V, 97 la po-
lemica contro
Selden (pp.
il
le restanti nazioni, e
(ivi),
92-3), IV, 17
V, 176
;
;
—
;
—
—
gli ebrei e
;
diverso aiuto loro prestato rispettivamente
il
dalla provvidenza (p. 95), V, 131, e
cfr.
citazioni
le
più giù
al
cap. XIII.
—
Vili. v.
Dio
Dio è
»
finiium
(ivi), III,
posse, nosse. velie infinitum
«
97),
(p.
70-1
;
Opere,
—
22;
III, 21,
—
l'uomo
p.
ri.
definizione della giustizia
di
egualità e sua distinzione in commutativa e distributiva
28; IV, 334;
—
l'egualità e
del Vico sul riso
simo virtù
(ivi), III,
43-6;
—
(ivi),
IV, 14;
«
la
—
40;
28*
—
meriti (p. 98), IV, 46
IV, 309-13
(ivi),
le distinzioni tra le
(ivi), III, 46, 27,
i
due
solitari » e
i
il
il
giustizie, lo tre virtù e
IV, 335;
né buono né cattive
il
—
«
teoria
tre diritti
(p. 99), III,
e degli
giansenismo (pp. 99-100), VI, 5;
filosofi
i
per la dottrina vichiana della pena (ivi),
(ivi), III,
la
anche giustizia e
lui
—
i
stoici filosofi
politici », e l'eccellenza della dottrina dei
platonici sulle passioni (p. 100), V, 96, 97;
j.
—
;
di
Vico annulla egli mede-
tutt'uno fanno
morale degli epicurei
—
—
;
«
immagine come rettrice
»,
lo Stato è
—
—
le utilità
non sono
naturale prius e il n. posterius, e polemica relativa contro Grozio (ivi), III, 49-52; la Scienza certo, il vero, l'autorità, la ragiono (p. 101), III, 53; (ivi), III,
30;
—
filosofia
lettera
(ivi),
leggi
— »
la
(ivi),
V, 240-1; (ivi),
ius
—
nuova contiene, pel Vico, una 171;
il
—
dell'autorità (ivi), V, 148,
—
il « certo delle 53; furono V, 133; prime leggi exempla (p. 102), il diritto primitivo fu concepito come forza materiale
IV, 45, 46;
delle
—
—
i
«
leggi
III,
le
fortissimi
»,
per
altro,
erano anche etica-
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
266
mente «
gli « optimi ex vero mixlum »
»,
III,
(ivi), III,
han cominciato
naturalisti
— loro diritto era — male Qrozio e gli altri il
63;
65,
87;
certo
il
metà
la storia dell'umanità dalla
giusin giù
—
IV, 20, 18; V, 175; polemica contro Hobbes, Machiaed Epicuro (ivi), IV, 171; il quarto « aultoro » del Vico: Tacito, e come da Tacito e da Platone egli fosse indotto a medi(p. 103),
—
velli
una
tare
storia
di Platone e la
feccia
»
di
Romolo
«
la
»
repubblica
V, 96. Il sentire senz'avvertire, l'avvertire con animo commosso, IX. tutte le riflettere con mente pura (p. 105), Opere, V, 112;
—
il
—
eterna (pp. 103-4), IV, 351; «
104),
(p.
—
manifestazioni della vita dell'umanità sociali del
«
ferino
»
(divino), del
«
si
corrispondono nei
barbarico
»
tro tipi
(eroico) e del
«
ci-,
(umano) (pp. 105-6), V, 462-3; IV, 44, o cfr. passim tutto il le forme miste vaghegquarto libro della seconda Scienza nuova; i giate da taluni politici son mostri (p. 106), Opere, V, 511; govile
»
—
—
verni debbono esser conformi alla natura degli uomini governati la scuola dei principi è la
morale dei popoli
(ivi),
—
;
IV, 73; V, 117;
Scienza nuova seconda, ediz. Nicolini, p. 1158; la necessità e d'una società sulla bontà fondata conseguente primitiva guerra e sul diritto del più forte (ivi), Opere, IV, 46
;
—
l'eguale necessità
e bontà del tipo di società fiorente nei tempi della ragione tutta spiegata (ivi), IV, 4(5; V, 466;
—
le
umana
varie età della vita in-
—
dividuale e quello della vita delle nazioni (pp. 106-7), III, 192-3; il tu* naturale philosophorum è ammesso dal Vico a parole (p. 107), III,
—
88;
ma
negato nel
fatto,
allorché egli
ritto eroico convertito in quello ingentilito e
contro Grozio (pp. 107-8), IV, 18; V, il
lo identifica col
polemizza
—
al
di-
riguardo
analogamente, Vico confessa d'essere stato indotto dallo studio di Platone a
meditare un
«
diritto ideale eterno
fatto diritto egli nega, allorché
tone, perche
non tenne conto dei
»
148, 176;
(p. 108),
IV, 335;
polemizza contro «
il
—
ma
sif-
medesimo Pla-
bestioni tutti stupore e ferocia
»
una repubblica ideale onde le nazioni non si reggono la « generis humani respublica » punto » (pp. 108-9), IV, 15; ovvero la « gran città delle nazioni fondata e governata da Dio » i coè nient'altro che la Storia (pp. 109-10), III, 55; V, 571;
e meditò
«
—
—
stumi tiche
»
—
due
« prasvolgono gradualmente (p. 110), V, 117; nella Scienza Vico alla sua Scienza dal prima assegnate
si
le
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
267
—
nuova
il paragrafo sulla « pra(pp. 110-1), IV, 24-5, 13, 159-60; aggiunto in una redazione intermedia della seconda Scienza nuova e soppresso in quella definitiva (pp. 112-3), Scienza nuova
tica
»,
seconda, ediz. Nicolini, p. 1053 sgg.
—
X.
»
civili
La Provvidenza va
ragionata
economia delle coso
siili' «
—
Opere, V, 13, 143-4;
(p. 115),
la sapienza poetica è co-
minciata dalla contemplazione d'un Dio provvidente (p. 110), V, 168 insistente critica del Vico della fortuna, del fato e del
—
;
caso
107-8; III, 211-2, ecc.;
(p. 120), II,
di Giove
»
V, 172;
(ivi),
—
—
fu Mente, non Fato
umane
illusioni
IV, 34-5
;
Vico (pp.
circa
i
fini delle
V, 14, 333-5, 572
V, 143;
122-3),
(p. 123), V, 45-6
che dà vita
—
;
— ;
—
delle
(p. 21),
azioni che
il
mondo
—
V, 572; si
XI.
—
La
contro Polibio
cfr.
—
più giù
il
V, 463;
(ivi),
—
di
—
»
e
107.
Opere, V, 536,
(p. 127),
governo
problema
il
II,
polemica relativa
la tradizione egiziana sulle tre
uomini
(p. 127), IV, 251; V, 60, Vico trovava nella storia romana (ivi) :
XVII;
—
le
«
degnità
»
formolanti
dinamica sociale (pp. 129-30), V, 116-7 (dogn.
LXVI
LXVIII) — perché Cartagine, Capua e Numanzia non seguirono corso uniforme delle nazioni (pp. 130-1), V, 558; perché non ;
—
nemmeno
l'han seguito «
il
le citazioni al cap.
le leggi della
e
;
eroi e degli
quel che
;
forme
IV, 62
(p. 128),
età degli dèi, degli 105, 198
delle
di
provvidente è l'unità dello spirito
nazioni
barbarie della riflessione
«
— la successione
esempì
compiono (pp. 121-2), in una pagina del
l'utilitarismo
del male in uno dei primi scritti del Vico (p. 124),
570;
delle na-
cosa fosse la pubblica virtù romana
la divinità
mondo
al
occasioni e gli ac-
quello che fece
Caso
o
catena
stoici e la «
le opportunità, le
cidenti (pp. 120-1), III, 22; zioni
— gli
aristocratiche
»
gli
americani
(p. 131),
V, 561;
Inghilterra e Polonia diverranno
—
—
le
ancora
un giorno
per-
il medio evo s'apre con lo V, 559; stabilimento del cristianesimo (ivi), V, 537; le due vie offerte alle nazioni corrotte: il ritorno allo stato ferino e il dominio stra-
fettissime monarchie
niero
(ivi),
(ivi),
—
—
uomini di stato e filosofi, lavorando di conV, 570; contenore la dissoluzione d'una nazione (ivi), IV,
serva, posson 13;
— le poche
cimottavo 557-8;
si
— una
repubbliche aristocratiche persistenti nel secolo deconservano con arti di sopraffina sapienza (ivi), V, «
compiuta umanità
»
sembra
al
Vico che sia sparsa,
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
268
nei principi del secolo decimottavo, per tutte le nazioni (pp. 131-2), una canzone giovanile del Vico cupamente pessiV, 559-61; mistica (p. 133), VI, 317-21 [Affetti di un disperato); il triste quadro dato dal Vico della condizione degli studi ai suoi tempi
—
—
(
(ivi),
VI, 3-17, e
nescit
cfr.
più giù
ediz. Nicolini, pp. 348-55
—
climi, le
i
;
e simili son considerati talora dal
la scrittura
—
Mundus
né
iute-
nuota seconda, razze
delle
fattori storici (p. 135),
egli
alfabetica fu trasmessa dai
(p. 136), V, 206. Per questo capitolo, vedere
«
disposizioni
Vico come
Opere, III, 95, 266; IV, 73, 249-50;
che
—
XIX;
capitolo
127, e cfr. VI, 35; Scienza
ecc. (ivi), VI,
»,
il
manca
d'osservare
caldei ai fenici e da
questi agli egiziani
—
XII. capitolo
I,
—
XIII.
le
stesse fonti indicate pel
e cfr. Opere, VI, 105-6; V, 524-5.
Contrapposizione degli ebrei alle genti e della storia sacra a quella profana (pp. 146-7), Opere, III, ijassim, specialmente 206, 207,
262-5,
342; IV, passim, spec. 51, 74-5, 76-7, 91, 151-2, Tacito chiama spec. 113, 131, 148, 229;
—
182, 252; V, passim,
ebrei
gli
81
;
—
fin dal
103-4; III,
uomini insocievoli
«
»
(pp. 150
1),
IV, 17, e
principio del
— la
249-51
«
memorie
(p.
151), III, 303; IV, 23;
V,
perpetuità della storia sacra con la profana
IV, 253
;
mondo
;
—
80; V, 108-9, 157-61;
—
»
III,
60, 61,
(p. 148),
Vico dei
la bizzarra costruzione fatta dal
cominciamenti della storia umana (pp. 152-3),
V, 79-
cfr.
privilegio degli ebrei di serbare intatte le loro
il
249-61; IV, 75-
saggio dei tentativi viebiani di apologe-
tica biblica (pp. 153-4): 1.
prove del diluvio universale e
stenza dei giganti, III, 255-7; IV, 78-9, 289; V, 104-5; verno teocratico fu peculiare agli ebrei, III, 249, 362;
dell'esi2.
il
a
3.
goloro-
fu ignota la divinazione, III, 207; V, 104; 4. nei verbi ebraici la
terza persona singolare maschile del perfetto corrisponde alla ra-
—
dice, V, 217-8;
ria
«
»
di spiegarsi
tanto
(p. 155),
come esempì
nuova si ha tutta spiegata la stosostanza d'intendersi e diversità dei modi
nella Scienza
sull'identità in
V, 562
(ivi),
;
— —
i
IV, 38;
fatti,
in essa, si arrecano sol-
la diligenza è
minuta
e tarda
virtù (p. 157), Scienza nuova seconda, ediz. Nicolini, pp. 11-2.
XIV.
—
rovesciato crescit
Le magnifiche opinioni intorno nell'ignoranza fa di
eundo
»
« ;
sé
all'antichità;
regola dell'universo;
orane ujnotum prò magnifico
est »
l'uomo «
fama
(pp. 162-3),
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE Opere, V, 94-5 (degn. I);
Seneca
piccolissima
—
95-6;
—
;
l'errore
borioso
«
—
V, 58;
164),
(p.
la
«
boria dei dotti
commesso da
»
—
nelle ricerche del Cratilo (ivi), V, 114; riosi
commessi da
»
rioso
commesso
»
365
228,
;
—
di errori
esempì
V, 196-7
—
;
l'errore
e dei sognati viaggi, sopra
»
309; IV, 26; V, 63-4, 79;
—
—
(degn. XIII);
è
trasmissione delle anime IV, 29-30;
bo-
«
bo-
romano
—
(p. 165),
(ivi),
V,
diritto
IV, 97; Scienza nuova
la dottrina pitagorica della
ritrova perfino in
si
greci fino alla
non conoscevano
invenzioni
supporre un'efficacia del
inutile
ateniese o di quello mosaico sul
i
•<
popoli primitivi, perché occasionate
i
seconda, ediz. Nicolini, pp. 1101-3;
—
V, 63,
tutto di Pita-
le principali
privatamente in ciascuno dalle medesime necessità 98-9
(ivi),
dallo stesso Vico nel
riscontran simili presso
si
(ivi),
»
Platone, specialmente
De antiquissima (ivi), IV, ridicolezza dell' immaginata « successione delle
la
(ivi), III,
dotti
altri
scuole per le nazioni
gora
Vico a Cicerone,
errori attribuiti dal
—
V, 60, 95;
(ivi),
—
la « boria delle nazioni » (p. 163), V, 321 l'illusione dell'uomo al buio in una stanza
Grozio
e
269
India
(ivi),
Opere,
generazione precedente a Tucidide
—
solproprie antichità (ivi), IV, 28; V, 84; Senofonte ebbero notizia delle cose persiane
le
tanto ai tempi di
—
Roma fu città nuova fondata tra molti IV, 31; V, 85; antichi Livio non si fa mallevadore IV, 27; (ivi), popoli più
(ivi),
—
della storia
romana anteriore
IV, 28; V, 93;
—
la storia
alle
guerre cartaginesi (pp. 165-6), è, per la sua
greco-romana primitiva
—
le lingue sono i V, 93 testimoni più gravi degli antichi costumi dei popoli (ivi), V, 100
re»
incertezza, quasi
(degn. XVII) (p.
;
—
nullius
167),
etimologie di
le
IV, 201; V, 115-6;
167),
(p.
—
la
«
;
intelligere
»
maggior parte
e
«
disserere
»
dello espressioni
si svelano trasporti dal corpo umano « i tre V, 182-3; etimologici » e il « dizionario di voci mentali » vagheggiati dal Vico (ivi), IV, 236-7, 237-8, 239-41, 241-3
intorno a cose inanimate
—
(ivi),
e
cfr.
V, 211;
—
i
quattro sensi pei quali, nel Diritto universale,
—
Vico pensò fossero passati gli dèi (pp. 167-8), III, 451-2; il « » del motto te Conosci stesso IV, significato primitivo (p. 68), V, 189 come, quando e perché furono intrusi signi156, 229
il
;
—
;
ficati
osceni nei miti
vari:
1.
(ivi), III,
Giove, Giunone, ecc.
454; IV, 185; V, 74-5, 113; (ivi),
V, 73-4;
—
2.
—
esempì
Apollo e Dafne
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
270
—
(pp. 168-9), III, 452; IV, 185; V, 265;
—
V, 246; 245 i
—
;
IV, 244
grandi frantumi
«
V, 149
;
e
eroi
degli
;
—
nomi
chi di
uomini
degli
«
frantumi
149
—
Omero
;
carni arrosto e le
plirò
marmo
carni lesse
storie favolose
—
V, 447;
—
e
;
(ivi),
—
il
;
IV, 88-9
(ivi),
V, le
principio
romana serve a spiegare
—
;
o supi
cantastorie del Molo di Napoli
i
—
codesti
scienza
—
la
gli elen-
tutti
perché
—
V, 105;
(ivi),
alla
170), V, 430-1
(p.
—
metamorfosi cantate dai poeti antichi e
le
(p. 163),
(pp. 169-70), IV, 75
»
di altri popoli
poemi omerici
psodi dei
(p. 169),
IV, 183-4: V,
V, 105, 203;
Varrone
IV, 99; V, 102;
(ivi),
dell'eroismo scoperto nella storia le
(ivi),
restassero fino al Vico inutili
»
(ivi),
IV, 251; V, 60, 105, 198;
(ivi),
« vestigi restati in
i
»
») dell'antichità »
di dèi attribuiti dal Vico a
Romolo
luco di
rottami
(o «
Venere
cesto di
la tradizione egiziana delle tre età degli dèi,
lingua degli dèi ricordata da
il
3.
Giove
detti « figli di
4. gli eroi
le
ra-
(ivi) r
moderne
fiabe dell'orco e delle fate o le favole medievali su Merlino (p. 170-l) r
—
273;
III,
mitici e glifici
XV. Platone
mito del focolare
rebus de Picardie
i
(p.
biscione dei Visconti
il
e
il
—
I
171),
(ivi),
serpenti i
gero-
V, 202.
(ivi),
Opere, V, 117, 255;
a sacrificarsi per la comune
i
—
IV, 213; V, 270;
re primitivi furono immaginati
(p. 173),
—
V, 259-60;
—
felicità
es.
per
filosofi,
da
vagheggiati pronti i V, 359 pretesi
gli eroi, (ivi),
—
;
viaggi d'istruzione compiuti da uomini di stato per riportare in patria buone leggi (ivi)
cfr., per l'esempio delle Dodici Tavole, Vico insiste a preferenza, III, 476-81 Scienza nuova seil fraintendimento delle parole conda, ediz. Nicolini, 1061 sgg.
su cui
:
il
«
re », « libertà
»,
«
di
governo
(ivi),
V, 356, 515 sgg.; narchi
(p. 175),
loro famiglie
i
i
re
—
V, 118, 255;
—
ma
V, 520-1
;
re di
i
—
singoli eroi
spartani
(p. 178),
Opere, V, 356, 359;
monarchia assoluta
la
i
sopra
Roma
tutti al
e di Sparta
non furon mo-
i
(ivi),
V, 255;
—
il
carattere aristocra-
Tarquinì e le analogie tra i consoli il « popolo » V, 357, 520 sgg.
— V, 520; — ;
la primitivo fu composto di soli patrizi (ivi), primitiva fu soltanto « signorile » (ivi), V, 357, 520; tria
»
primitiva soltanto
«
— fece
forma originaria Bodin (pp. 174-5),
la
veri monarchi primitivi furono nello
(ivi),
tico della rivoluzione contro
romani o
»
popolo
erroneamente credere
;
—
;
res
pairum
»
(ivi), III,
399
« libertà »
—
;
la
«
pa-
IV, 94; V,
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
271
— nessuna partecipazione ebbe la plebe all'elezione dei re (ivi), — giuramento degli eroi greci d'esser nemici eterni — la crudeltà del patriziato romano condella plebe V, 121; tro la plebe (pp. 175-6), V, 361-3; — gli eroi ora n durissimi ancbo loro giuochi, faticoverso le loro famiglio (p. 177), V, 363-5; — — le loro guerre, atrocissime sissimi V, 286, V, 364; 299
;
V, 355-6
il
;
(ivi),
i
— — —
364;
364;
342;
(ivi),
(ivi),
le
schiavitù in cui tenevano
gli stranieri
»
culto
(p. 178),
V, 363 »
(ivi),
religioso
—
l'età
V, 253
—
;
;
— —
—
i
la-
gì' «
umane
le vittime
V, 251-3;
(ivi),
V, 262;
—
V,
V, 320,
imperì paterni cidell'oro fu tutta un « fanatismo
—
offerte
agli
storica del
l'origine
matrimoni
dei
V, 168;
(ivi), (ivi),
V, 341
(ivi),
;
popoli primitivi
delle sepolture
(ivi),
V, 243;
—
ciclopi primitivi furono, insieme,
i
sapienti (in divinazione) e sacerdoti
re,
(ivi),
(ivi),
l'inospitalità delle nazioni primitive (ivi), V, 80;
di superstizione
dèi dai
severissime
vinti,
eran da loro considerati nemici
dronecci e corseggi eroici clopici
i
III,
(ivi),
302
—
;
le
prime
sedi degli eroi furon le alture dei monti presso le fontane perenni
—
i V, 258; primi matrimoni, aqua et igni (pp. 178-9), V, il che avevan del lecito gli uomini primivero concetto 259;
(ivi),
tivi
—
(p. 179),
—
V, 250;
tardi
quei primi
aggruppamenti umani
—
scesero alle pianure e poi alle marine
(ivi), V, 128; più tardi ancora navigarono e dedussero colonie (ivi), IV, 151 sgg. V, le gentes maiores e le gentes minores (ivi), V, 132 308 le famiglie primitive furon composte, non di soli figliuoli, ma anche ;
—
—
;
;
di famoli (ivi), V, 277;
ossia di deboli rifugiatisi presso
e che, coltivando V, 279; e nexi * (pp. 179-80), V, 282;
(ivi), «
—
—
donde
—
il
principio eterno dei feudi
terre
lo
(ivi),
anche da quel che Tacito {Germania,
mani
(ivi),
V, 283;
—
i
figli e
stinguevano soltanto pel
nome
i
tinamenti dei famoli fecero alleare la città la
eroica
(ivi),
V, 299
prima plebe senza né
testamenti litico d'
(ivi),
imperio
mizi curiati
(ivi), III,
V, 281;
i
della
;
—
;
344-5
V, 307-8, 332;
(p.
180),
V, 281
;
14) dice dei famoli dei Ger-
—
i
frequenti
si di-
ammu-
patres tra loro, da che sorse quale i famoli costituirono
diritti politici,
Y, 809-10
(ivi),
—
»
famoli, di fronte al pater,
(ivi),
detti
— — V, 119, 311 sgg.; provato
clientes
«
forti
i
dei padri, furon
né matrimoni solenni, né
quali ultimi avevan carattere po-
i
;
— —
esclusione dei plebei dai coi
re primitivi furon conduttori
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
272
dei patrizi nella resistenza contro
feudi nobili armati e
feudi
i
famoli
i
V, 299-300;
(ivi),
—
rustici (p. 181), V, 312;
la
—
i
vera
—
il dominio bonitario, proprietà (ivi), IV, 83-4; ed eminente perché nelle requiritario (ivi), IV, 103; V, 312-3; pubbliche eroiche i patrizi si guardassero dall'arricchire le plebi
della
origine
—
e fossero rattenutissimi dal venire nelle repubbliche eroiche
vate (pp. 181-2), V, 122;
alle
mancavan
—
donde
guerre
leggi por punire
la necessità
V, 121;
(ivi),
—
le offese pri-
dei duelli e delle
— duelli famosi: Menelao e Paride, — posteriormente s'ebbero giudizi per V, 484 V, 485; — scrupolosissimamento interpetrate
rappresaglie (p. 182), V, 482;
Orazì
Curiazì
e
(ivi),
forinole verbali
come per
(ivi),
es. la « lex
—
;
horrendi carminis
»
di
Roma
primitiva
(ivi),
qual religio verhorum, ritenuta anche nel diritto romano degli ultimi tempi della repubblica (ivi), V, 508 porse ristrettisargomento a più commedie di Plauto (ivi), V, 486; V, 240, 485;
la
—
—
simo ora
primitivo diritto privato, che ignorava
il
sensuali (pp. 182-3), V, 293-4;
—
il
i
;
contratti con-
simbolismo dei contratti
e
delle procedure di tempi più civili deriva dalla materialità e dalla
violenza dei contratti e procedure dei tempi primitivi (p. 183), come, per es.: nelle finzioni della forza nei riti matrimoniali, V,
246; nella mancipazione, nell'usucapione, nelle rivendicazioni, V, 526-8; nelle tante maschere portate in piazza quante eran le persone, V, 528-9; nell'Eredità finta
domina
delle robe ereditarie, V,
— l'antica giurisprudenza insomma fu tutta poetica (pp. 183-4), 529; V, 530; — in versi adoni infatti vanno a terminare parecchio leggi che i fanciulli romani delle Dodici Tavole (p. 184), V, 224; a corno le cretosi memoria, quei leggi di Minosse (ivi), imparavano
—
V, 225
cone rioso
»
egizia rio
i
225;
;
— poetiche del pari le leggi degli egizi, di Licurgo, di Dra— diritto romano antico fu un poema seV, 225; 347; IV, 225; V, 531; — la poesia ebraica, araba, — in verso consegnarono loro prime stoV, 221 «
il
(ivi),
(ivi), III,
(ivi),
—
il
giambico
le
;
persiani,
i
chinesi,
i
germani
e gli americani (pp. 184-5), V,
verso eroico (prima spondaico, poi dattilico) e il verso i numeri poetici eran frequenV, 114-5, 222-3;
—
(p. 185),
tissimi noi primi prosatori (ivi), V, 219;
giata la tragedia e poi,
quale fosse
il
«
corpo
per »
imitazione, la
—
in giambi fu verseg-
commedia
(ivi),
V, 460;
dei linguaggi primitivi (ivi), IV, 225;
— —
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE episodi e
gli
la
perché
parlare contorto
il
greca
lingua
V, 101, 220-1;
e
—
IV, 225-6; V, 219
(p. 186),
francese sian ricche
la
lingua tedesca e
la
—
l'esigenza d'una
di
— ;
dittonghi
scoperte mara-
le
vigliose a cui darebbe luogo lo studiarne le origini
V, 226-7;
273
(ivi),
IV, 226;
teogonia naturale e la genesi dei
—
Giove o il Cielo (ivi), IV, 255-70; V, 175; Giunone (pp. 186-7), V, 246 sgg.; Diana V, 227 sgg.; Apollo (ivi), V, 265 sgg.; Vulcano, (p. 187), V, 261 sgg.; Marte (ivi), V, 286 sgg. Saturno, Cibele (ivi), V, 274 sgg. dodici dèi maggiori
—
(ivi),
—
—
—
—
Venere
(ivi),
V, 291 sgg.;
Marte
e di
il
—
—
V, 295 sgg.; Tantalo, Issione, Sisifo (ivi), Ercole che lotta con Anteo (ivi), V, 324-5; Minerva 181),
(p.
—
;
Venere celeste e Venere plebea (ivi), duplice significato anche dei miti di Vulcano
V, 289 sgg.;
—
;
—
—
V, 298-9; Mercurio (ivi), V, 316 sgg.; Nettuno (ivi), (ivi), V, 304 sgg.; Minosse (ivi), V, 338 V, 339 sgg. gli argonauti, la guerra
—
—
;
—
;
ritorno
il
troiana,
—
—
di Ulisse,
e
Europa
il
—
il
toro,
Minotauro
(ivi),
Zoroastro (ivi), V, 61-2, V, 339; Perseo, Teseo (ivi), V, 340; 63 i due Mercuri Trismegisti (ivi), V, 67 sgg., 71 Orfeo 194 Confucio 72 (ivi), V, 58, (ivi), V, sgg. Esopo (pp. 187-8),
—
;
—
;
—
V, 192-3; s SS-'j
—
;
Dracone
(p. 188),
Roma
sette re di
*
;
—
— Solone V, 188 — decemvirato e 190-1;
V, 191-2;
(ivi),
V,
—
(ivi),
le
il
(ivi), V, 191; Scienza nuova seconda, ediz. Nicolini, Platone introdusse nel mito di Giove l'idea pp. 1093-1141; dell'etere (ivi), Opere, IV, 192 V, 249 altri filosofi in Minerva,
Dodici Tavole
—
—
;
;
che esce dal capo di Giove, veggon descritta la sapienza divina altri ancora, nel caos e nell'orco, la confusione V, 304;
—
(ivi),
dei semi universali della natura
(ivi),
IV, 191;
—
cosa fossoro in-
—
vece per gli uomini primitivi il caos e l'orco (p. 189), V, 369; a che cosa corrispondessero per essi i quattro elementi del mondo (ivi),
—
V, 371;
del
compagine
—
V, 372 sgg.; l'inferno
(ivi),
nomia poetica
90VV, XVI. sta che
come corpo
come
il
(ivi),
(ivi),
— come — l'astro-
V, 383;
la
terra
la cronologia poetica (pp. 189-
—
filosofia
(p. 183),
sussistere, la
—
la
A Omero
La
—
astronomico
il
dell'anima
come
comunemente
B. Croce,
cielo
interne
V, 391 sgg.;
V, 386;
394 sgg.;
—
essi concepissero l'essere e e tutte le funzioni
geografìa poetica
(ivi),
(p.
V, 389;
190),
V, 403 sgg.
non potè appartenere quella sapienza ripogli si suole
attribuire (p. 191), V, 422;
di Giambattista Vico.
—
18
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
274
quale stravagante filosofo
424;
V, 425
—
e quale stolto ordinacaso egli sarebbe stato (ivi), V,, quali sconcezze egli fa dire e compiere a Giove, Minerva,
tore della
—
civiltà
Marte, Giunone Achille e
donano
1
(ivi),
greca in
1
—
V, 423-4;
(ivi),
;
tal
quali contumelie
—
Agamennone! (ivi), V, 424; cadaveri dei nemici a cani e corvi
i
ubbriacano (pp. 191-2), V, 425
—
scambiano
—
si (ivi), V, 423 dimostrano di cortissimo in-
si
;
si
omerici abban-
gli eroi
;
—
tendimento, come oggi i contadini (p. 192), V, 380-1 per un nonnulla passan dal riso al pianto, dalla calma alla - collera be;
stiale (ivi), V,
381; 360-1
-
;
426;
—
carattere di
—
le
son
passione e irriflessione
tutti
(ivi),
V,
Achille (pp. 192-4), V, 359-61, 381, 360, 426,
comparazioni omeriche hanno per oggetto belve e ali costumi (p. 194), V, 425; degli eroi ome-
tre cose
selvagge
rici o le
«
—
favole da vecchiarella
»
dell'Odissea
—
V, 427; lo stile truculento d'Omero (ivi), V, 425; nei poemi omerici vi sono incoerenze di costumi (p. 195), Y, 429-32, 452; incoerenze (ivi),
—
—
di allusioni geografiche (ivi),
—
V, 428;
giacché l'Iliade trabalza
—
all'oriente della Grecia, l'Odissea all'occidente (ivi), V, 448;
in-
—
coerenze di linguaggio (ivi), V, 448; come sorse la strana opinione (alla quale, fino al 1725, aveva acceduto lo stesso Vico: cfr. 279; IV, 198; VI, 38) che Omero fosse andato raccogliendo suo linguaggio dalle varie popolazioni greche (ivi), V, 429 VI, nessuna fede meritano le vite di Omero dello pseudo Ero42; Ili, il
;
—
doto e dello pseudo Plutarco di Grecia
V, 427 sgg., 448; (p. l'
196), V, 449;
Iliade,
— —e
V, 449;
(ivi),
s'ignora la patria e
tempo non
lo si afferma, ciò
Omero
V, 448;
(ivi), (ivi),
—
metà
»
che
poemi omerici sieno due grandi
carattere poetico
Grecia antichissima tante (ivi), V, 451;
riche
(ivi),
(ivi),
—
si
«
—
'ivi),
V, 449-50;
(ivi),
V, 455;
spiegano
IV, 185; V, 113,437;
stumi, l'Omero
(pp. 195-6),
la scrittura le tre
giovane
»
e
—
le
—
—
«
—
per
per la
se infatti si pensa
tesori dei
se a
non
iscrizioni
V, 448;
Vico sospettò che Omero fosse
queste ragioni
i
ma
V, 445-448;
tutte
un
maggior lume
visse
ostante, povero e cieco
eroiche allegate dal Voss sono imposture il
del
dice perfino che da giovane componesse
si
da vecchio l'Odissea
esisteva ai tempi di
—
in cui
il
costumi della
un popolo
intero
poe-
stravaganze delle favole
ome-
si
l'Omero
spiegano le varietà dei co« vecchio », il vario luogo
•
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE assegnato a Omero, la varietà dei
di nascita
—
V, 451-2;
Omero pertanto deve
—
dei poeti greci (p. 197), V, 452; tere poetico di
275
dialetti, ecc. (pp. 196-7),
essere sperduto dentro la folla
come un
e considerato
uomini greci in quanto narravan cantando
caratle loro
—
cosi le sue pretese sconcezze e inverisimiglianze diventano acconcezze e necessità (ivi), V, 450 egli è storie (ivi), V, 450;
—
;
—
ha primo documento della primitiva identità di storia e poesia (ivi), V, e la conferma che prima d'Ecateo Milesio la storia dei 444; stato
storico della gentilità (ivi), V, 454;
il
in lui si
il
—
greci fu scritta da poeti
ben raccontata una 445;
—
—
V, 445;
(ivi),
nell'
da aedo
Vico propende per due principali autori-poeti
il
—
448, 452; di favole
»
«
omero
(ivi),
»
significa per lui
V, 445
redazione pisistratea
—
;
ha
Odissea di chi
storia si dice averla narrata
(ivi),
V,
(ivi),
V,
compositore e legatore
«
quel che egli dice dei rapsodi e della « nisi ita V, 445-6 scepe dor-
(p. 198),
—
;
Homerus » (p. 199), III, 235; — appunto perché non filosofo, Omero fu poeta grandissimo (p. 200), — ebbe memoria vigorosa, fantasia robusta, ingegno V, 443, 453 mitaret,
nunquam bonus
sublime
(ivi),
•
fuisset
;
i caratteri eroici si seppero fingere solle sue comparazioni sono incomV, 435, 442; la sua locusue sentenze, sublimi (ivi), V, 442;
tanto da lui parabili;
—
V, 453;
—
(ivi),
le
—
zione è piena d'evidenza e di
splendore
non
ma
delicato
grande
(ivi),
V, 441
;
—
di tutti gli altri poeti (ivi), V, 434, 453;
Molo
tastorie del
di Napoli (pp. 200-1),
Vico sull'età di Esiodo
—
V, 78;
le
tre
tragedia greca
nuova
(p. 195),
gedia e l'eroismo
«
lirica
—
il
il
—
«
il
V, 447;
—
(ivi),
padre
—
—
;
i
can-
Esopo
V, 457-8;
(ivi),
—
commedia antica
la
—
e principe
congetture del
e di
(ivi),
sua
la
V, 442
poeti ciclici e
i
greca
V, 434, 456-60;
galante
—
V, 380-1; creonte (ivi), IV, 178 (p. 202),
;
—
(p. 201), V, 81, 446-7;
epoche della
(pp. 201-2), ivi
egli è
—
V, 453;
(ivi),
favella è tutta per somiglianze, immagini, paragoni
la
e
precetto d'Aristotele sugli eroi di tra»
foggiato
dai
poeti
pastoreccio galante
»
di
di
tempi
Mosco
e
tardi
Ana-
perché nella letteratura greca e romana furon serbati con tanto rigore i confini tra la poesia e la prosa (ivi), VI, 46;
456;
—
—
i «
i
;
poeti salì della primitiva letteratura latina (ivi), V,
frantumi
»
degli inni saliari (p.
Andronico, Nevio, Ennio
(ivi),
V, 226;
—
203), V, 224; i
—
Livio
romani perderon
di
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
276 veduta
calogo ebrei
Lucrezio
Ego sum
«
163;—
sum
qui
»
—
Virgilio
XVII.
— lo
IV, 25;
—
per natura » (ivi), Nel De antiquissima
filosofi
Roma
parallelo tra
(ivi),
IV, 145; V, 131;
(p. 198), «
;
—
VI, 138;
(ivi),
294; IV,
(p. 204),. Ili,
detto
il
V, 100-1
(ivi),
(ivi),
V,
Orazio (pp. 203-4), la poesia fa la lingua primitiva anche della nazione
—
V, 458; ebraica
eroica
storia
—
388; IV, 200;
e
degli dèi e conservarono in favella volgare
la loro storia
soltanto la loro
detto
il
Mosè
e
— carattere
Omero, del de-
Teofrasto
di
sugli
265; IV, 187; V, 131. Vico aveva dato alla storia
III,. il
sfondo di un'antichissima cultura italica proveniente in séguito ritenne andall'Egitto (pp. 207-8), II, 59-60, 142-3; cora Pitagora cultore d'italica sapienza (p. 208), II, 144 III, 309;
di
—
—
;
ma
abbandonò definitivamente
poi
romani da
derivazione degli
la tesi della
professando d'avere errato sull'esempio del Cratilo platonico (ivi), IV, 228; per lui con la suo punto storia di Roma non comincia il mondo (ivi), IV, 27
istituti
istituti stranieri,
—
—
;
di
partenza è
Romolo
di
l'asilo
IV, 249-50; V, 86-7, 102, e
(ivi),
—
—
niente colonia troiana (ivi), V, 416; la leggenda passim; della venuta di Enea in Italia è il frutto dell'incrocio della boria
—
preferibile l'ipogreca e della boria romana (pp. 208-9), V, 416; tesi che i romani in tempi antichissimi avessero distrutto una co-
lonia greca nel
(ivi),
fu
V, 355-8;
—
ridiche
ma
Roma
il
V, 355-8
—
473;
è
velli, cosi
;
— la
la
vaga
adduce Polibio
furon
signorile
«
smo
—
clavis historice
il
periodo
aristocrazia
—
la
li-
rivoluzione
—
i
nobili
la
sparsi
(p. 210),
i
si
474;
che
la
ripone nella
romani ebbero giovane
fondava
—
magnanimità della plebe
tutti è Plutarco,
—
(ivi), III,
patrizi furono forti nel custodire
dine e la religione su cui i
»
—
riferisce a istituti
la
474; V, 510;
V, 102;
romance universa?
che della grandezza romana 474; V, 510; sbaglia anche il Machia-
inferiore a
(ivi), III,
(ivi),
quando
—
di
simboli di istituzioni giu-
V, 325-8;
(ivi),
spiegazione
(ivi), III,
quando
V, 510;
fortuna
;
ma
censo di Servio Tullio fu pianta di
come quando ne arreca quale causa (ivi),
V, 410-1
monarchia
di
Tarquinì obbe carattere aristocratico, non popolare (pp.
i
209-10)*, III,
re di
i
bertà non popolare,
contro
(p. 209),
periodo non
— V, 190-1;
(ivi),
Lazio
lido del
Roma
regio a
(ivi),
V, 122;
disprezzano una religione nativa,
è
il
—
l'eroi-
loro or-
giacché,
gran segno
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE che una nazione vada a perdersi
(ivi),
—
V, 277;
gnanima
—
condizioni sociali
l'impero romano
giurecon-
i
secondo
leggi
ma-
la plebe fu
nel volere religione, auspici e diritti civili, e
sulti sapienti nell'interpetrar le antiche
277
le
mutate
(ivi), V, 122; ingrandi e durò perché restò sempre fermo sui suoi principi (pp. 210-1), V,
—
509;
gare tra patrizi e plebei nelle guerre
le
s'
(p. 211),
V, 122;
—
norme applicarono i romani cosi nelle lotte interne tra patrizi e plebei, come nella conquista del mondo (ivi), IV, 148-51 come la plebe ottenesse il dominio bonitario, poi il V, 344; quattro
;
—
quiritario e con questo la legge delle Dodici Tavole (ivi), IV, 110-2; con V, 86-7; Scienza nuota seconda, ediz. Nicolini, pp. 1133-7; questa la plebe conquistò il diritto scritto o cessò l'arcano onde i
—
colsero
desideri
i
ma
dice Livio,
la
leggi
della
con
—
V, 123;
(ivi),
le
avvolgevano
patrizi
la
(ivi),
Opere, V, 123;
plebe non
ritrosia
con
la
—
i
patrizi ac-
condiscendenza che
che narra Dionigi
d'Alicarnasso
leggenda dei tre commissari inviati ad
Atene
Roma
quella che fu poi la legge delle Dodici Tavole venne creduta da Livio e Dionigi (p. 212), Se. nuo. sec, ed. cit.,
per riportare a
pp. 1119-22; 124-5
—
;
—
ma
ignorata da Polibio
non creduta da Cicerone
e
nuo. sec, ed.
cit.,
—
(ivi),
Opere, VI, 146-7; V,
481
(ivi), III,
V, 126-7
;
Se.
;
come mai all'ancor barbara Roma fama di Solone? (ivi), Opere, IV,
pp. 1125-7;
sarebbe potuta giungere la come i romani avrebbero potuto aver notizia cosi esatta circa la qualità delle leggi ateniesi? (ivi), IV, 67; eran possi-
"66;
—
—
bili allora
sec, ed.
ambascerie tra greci e romani? (ivi), IV, 67; Se. nuo. come mai .si trovava proprio a Roma Er1095;
—
cit., p.
modoro per tradurre ed.
cit.,
le
pp. 1095, 1097;
tanta latina purità? p. 1125;
doro?
—
(ivi),
impostura Italia,
67-8;
(ivi),
come
egli
Opere,
avrebbe
Opere, IV, 67; Se. nuo. sec, ed. siffatta
la
(ivi),
.Se.
nuo. sec, con
fatto a tradurle
IV, 67; Se. nuo. sec, ed.
che dire della falsissima lettera
impostura -Se.
leggi portato di Grecia?
—
la
cit.,
di Eraclito a Erniocit.,
venuta
pp. 1095-6; d'
—
Ermodoro in
impostura sua statua nel Comizio (pp. 212-3), Opere, IV,
lettera,
nuo. sec, ed.
cit.,
pp. 1097-1110;
Dodici Tavole è una boria di
dotti,
che
—
l'origine ateniese delle
le fecero
da diversi popoli (p. 213); Se. nuo. sec, lo simiglianze, che esse presentano con
ed.
cit.,
provenire via via pp. 1122-1140;
le leggi ateniesi,
—
spartane
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
278
e di altri popoli, son
da attribuire
uniforme delle nazioni
al corso
Opere, V, 69; Sé* mio. sec, ed.
(ivi),
—
pp. 1101-5;
cit.,
come
spieghi la disposizione decemvirale sul lusso dei funerali Opere, V, 191; Se. nuo. sec, ed.
zione decemvirale divenne un carattere poetico 70; V, 191; Se. nuo.
sec., ed.
—
1140;
p.
cit.,
—
1106-8, 1140;
cit.,
ma
la
—
pp. 1117-8; Opere, V, 85;
legge origi-
connubi e 310, 495-6
la ;
—
Lex
—
Ptetelia (p. 215), V, 91;
—
V, 331;
(ivi),
V, 125;
—
come
dalla
—
i
(ivi),
V, 499, 501
democratica
(ivi),
V, 502;
istituti della
proprietà (pp. 216-7), V, 327-8, 493-4;
dure giudiziarie 534;
—
(p. 217),
—
le
guerre
—
«
monarchie
spontanea della
alle
V, 523;
—
»
(ivi),
(pp. 318-9), V,
V, 505;
—
—
men
crudeli di-
V, 475-6
62, 401;
—
;
—
l'origine
la favoleg-
(pp. 219-20), V, 125-6, 513-5; Scienza
della patria potestà (p. 221), V, 501;
—
V,
—
—
le
pene
nell' interpetrazione
si
—
gentilizia,
mercé
l'incre-
— — l'indebolimento
(p. 220), Opere, V, 503
;
l'alleviamento della schia-
addolcirono ancora
delle
nuova
sotto l'impero si sciolsero
l'istituzione dei tre peculi (pp. 220-1), V, 503-4;
;
(ivi),
tendenza delle democrazie
sempre più i rigidi vincoli della famiglia mento dei fedecommessi e dei testamenti
522-3
»
negli Stati ariconquiste (ivi), V, 524; contrario degli Stati popolari, l' interesse
monarchia
legge regia
(ivi),
nelle proce-
caussce
—
seconda, ediz. Nicolini, pp. 1145-53;
vitù
—
si
stocratici, per pubblico è preposto alle utilità private
<
nelle
(pp. 217-8), V, 507-8;
(p. 218),
altro, al
giata
guerre
giunse alYcequum bonum (ivi), V, da pene severissime a pene miti (ivi), V, 521-2; le
leggi si moltiplicarono
vennero
le
dell'epoca
si giungesse a quella dell'epoca analoghi mutamenti accaduti negli
V, 531-2;
dal certo delle leggi
134, 534-5;
e delle
;
—
senatoconsulto
romana
famiglia
—
il
Gracchi e
aristocratica
—
;
riforma di Fabio Massimo
la
dominio sovrano del senato e
il
successive
le
Publilia (pp. 214-5), V, 89-91
ultimee necessìtatis (pp. 215-6), V, 91-2; civili (p. 216),
dell'antico
la lotta pei
;
—
V, 33-4, 325-S;
(p. 214),
concessioni fatte alla plebe e la
Lex
—
V, 100
(ivi),
rogazione canulea (pp. 213-4), IV, 54-5, 123; V, 85, quando fosse effettivamente promulgato il cosi detto
censo di Servio Tullio
la
e fiera (ivi),
un gran testimonio
è
Lazio
diritto naturale delle genti del
legisla-
Opere, IV,
(ivi),
naria delle Dodici Tavole, rozza, inumana, crudele ivi,
la
si
(ivi),
leggi
prese
il
(p. 213),
V,
sopravvento
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
—
l'equità naturale (ivi), V, 508;
Caracalla a tutto
cittadinanza fu concessa da
la
mondo romano
il
279
V, 523;
(ivi),
—
dai singoli
il
—
passò all'Editto perpetuo (p. 222), V, 523 diritto naturale delle genti, insomma, cede il posto al diritto na-
editti dei pretori si
turalo dello nazioni
;
(ivi),
—
V, 505;
dopo lungo svol-
e si ritorna,
gimento, a quell'uno ch'ora delle monarchie familiari dei primi padri
con
rinità,
—
V, 524-5;
(ivi),
la «
possibile è ormai
barbarie della riflessione
por ripassare a una nuova ed
imbarbarirsi
soltanto
e ricadere
»
una nuova
in
barbarie
eroica
fe-
V,
(ivi),
570-1.
—
XVIII. La barbarie seconda o ricorsa riusci* al Vico più oscura della barbai'ie prima (p. 224), V, 33, 536-7, 550; il nessun risalto dato dal Vico al cristianesimo (p. 225), V, 537; ri-
—
—
—
risorsorgono gruppi di case sui monti (pp. 225-6), V, 259; rigono, con le chiese e i conventi, gli asili (p. 226), V, 540; la feudalità medievale ò un diritto sorgono i feudi (ivi), V, 556
—
—
;
— — (pp. 226-7), V, 555-6; — 227), V, 542, 544-5;
antichissimo rinnovellato con l'ultima barbarie
non
vile
ma
eroica è la materia dei feudi
ritorna la divisione il
feudo è offettivamente, come vien tradotto dai feudisti,
tela
»
V, 543;
(ivi),
del medioevo i
famoli (p.
e
eroi
tra
IV, 101
(ivi),
(ivi),
—
tempi
primi e
—
«
1' 547, medievale
gli
opera
«
«
gli
uomini
militateti
—
»
e
—
(ivi),
ligi
»
romana
i
«
soci
*
e
di
«
i
V, 554
—
;
il
(ivi),
Roma
antica e
V, 537;
armate
»
V, 537-8;
—
V, »
i
feudi
;
— gli
:
— —
le
cause discettate in questi
Sacro Real Consiglio napoletano
carattere religioso dei feudatari (ivi),
dei
medievali e dei tempi moderni Svezia, Daniil senato di Romolo e i parla-
marca, Polonia (p. 228), V, 555; menti medievali (ivi), V, 552-3; (ivi),
»
militare servitium
soggetti a maggiore sovranità medievali (pp. 227-8), V, 547 Stati aristocratici
—
tradu-
nexi
«
secondi
tempi il
personali
foudisti
i
—
;
clien-
«
V, 546;
(ivi),
che
V, 545
dei
»
feudi
i
kmet polacchi
V, 546-7;
(ivi),
beneficia
V, 542;
(ivi),
—
V, 545;
feudi rustici medievali
cono eccellentemente
Romolo
le clientele di
;
Ugo Capeto
del
medioevo
—
le
e
schiavitù
i
«
(ivi),
V, 554-5;
— e dei re V, 540; — le 537 228-9), V,
(ivi),
(pp.
pura
;
et
pia
eroiche ricorse
bella (ivi),
—
medievali «
religioni
ricorsi (p. 229),
»
V, 539-40;
—
la
caccia alle reliquie di santi e l'obbligo nei popoli vinti di riscat-
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL' ESPOSIZIONE
280 tar le
campane
—
V, 538;
(ivi),
i
medievali
livelli
beni allodiali e
i
—
(pp. 229-30), V, 551-2, 327-8;
le
enfiteusi,
—
V, 548;
(p. 230),
beni feudali
i
censi, le
i
l'esclusione
precarie,
delle
donne
—
la crulegge salica (ivi), V, 498, 552; deltà delle pene medievali (pp. 230-1), V, 522; ma nemmeno nel medioevo c'erano leggi e procedure pei torti privati (p. 231),
dalle successioni e la
—
V, 553
—
;
483, 539;
Regno corsi
diritto »
stiti
V, 539
—
V, 508-9
(ivi),
feudale
—
V, 549;
(ivi),
i
e
—
ladronecci e
i
l'oblio nell'alto
—
corseggi eroici
i
la
medioevo del
165;
—
i
«
nudi
patti
diritto giusti-
di
presa
Weinsberg
tempi mutoli o analfabetici
»
e
a
;
letterato » (ivi), V, 231
«
—
;
—
le
non eran messe
in
(p. 232),
V, 231-2;
ché
«
«
excellens in arte
letterato
»
significhi
non
chierico
»
(ivi),
V, 231
debet inori
anche
erudito
«
»
;
(ivi),
»
scriveva
si
perciò equivaleva
tuttavia molti vescovi
firmare se non col segno di croce
norma
«
—
—
—
latino (ivi), VI, 37;
III di
(pp. 231-2), V, 488;
lingue italiana, francese, spagnuola soltanto da pochi ecclesiastici V, 539
iscritto (ivi),
il
patti ve-
«
i
su Corrado
l'aneddoto leggendario
e tedesca
un barbaro
ri-
tutto a base di consuetudini fu invece
;
III,
(ivi),
Hohensthaufen ritornarono
;
;
— nel medioevo fu incostantissima la fortuna dei
V, 520;
(ivi),
nianeo
duelli tra
di Napoli (ivi), V, 550
(ivi),
regni
i
purgazioni canoniche » e le rappresaglie (ivi), V, i baroni per questioni allodiali, specie nel
«
le
—
(ivi),
—
non sapevan origine
V, 234; Y, 234 ;
— —
della
perl'
im-
—
la portanza nel medioevo delle imprese gentilizie (ivi), V, 539; prosa dei padri della Chiesa è piena di numeri poetici (ivi), V,
— perché non ebbero poemi religiosi cristiani VI, — romanzieri medievali credettero di narrare storie vere 45-6; — la storia di Turpino sopravvisse in Francia (p. 233), V, 438-9; — Guglielmo Pugliese e quasi poema omerico 225), V, 101 — Guntero furono V, 226, 438; poeti primi scrittori vol— nei cavalieri erin Provenza gari Italia, Francia, VI, 37; — ranti ricorse la virtù puntigliosa degli eroi omerici V, 361; 222
si
;
(ivi),
i
(p.
;
i
(ivi),
(ivi),
Cola di Rienzo i
«
molli clivi
di
enorme
si
dipingevan
paragone
(ivi), »
(ivi), III,
statura, allo le
(ivi),
—
quel che parevano al Vico fanciullo i 270; paladini medievali eran finti
V, 425;
stesso
—
modo che
immagini degli
tra gl'ingegni
umani
e
di
eccedente grandezza
esseri celesti i
terreni
(ivi),
V, 438;
incolti (pp. 233-4
—
,
il
VI,
—
43;
LUOGHI DEL VICO RICHIAMATI NELL'ESPOSIZIONE
281
—
perché
Dante, Petrarca, Boccaccio
Dante chiamasse
suo poema rallelo tra V Inferno e V Iliade, (ivi),
VI, 38;
(ivi), III,
Dante
—
il
il
« il
linguaggio di
(p. 234), ivi;
commedia
»
VI, 39-40;
—
(ivi),
V, 439;
Purgatorio e Paradiso e
Omero
e
il
279; IV, 198-9; VI, 38.42; V, 429;
(p. 235),
V, 425;
se Dante
—
linguaggio di Dante
—
la
«
divinità
non avesse saputo
44;
—
il
di
—
maggior poeta (ivi), IV, 200; debba commentare la Divina Commedia (ivi), VI,
teatro inglese
—
»
di sco-
lastica e di latino, sarebbe riuscito
in qual guisa si
pa-
V Odissea
(ivi),
VI, 38;
—
i
poeti
slesiani (p. 236),
polemica del Vico contro il Bodin a proposito delil mutamento l'origine della monarchia francese (ivi), V, 556; il ridell'ossequio al barone neWobsequium principis, V, 544; la dei moderni diritto e civiltà giustinianeo tempi sorgere del V, 226;
la
—
—
(pp. 236-7), V, 557-8.
XIX. le
—
Per questo capitolo
prime pagine
VI,
3-6), al
si
vedano
il
De studiorum
dell'autobiografia e le lettere
De Vitry
(VI, 7-10) e al Solla (VI, 10-7).
alla sapienza, Opere. V, 153.
ratione,
all'Esperti {Opere,
Per l'accenno
APPENDICE
Intorno alla vita e al carattere
AiJla
trasfigurazione rettorico-leggendaria,
inizi e nel fervore del
poeti, dei
filosofi,
che negli
Risorgimento nazionale, compi dei di quasi tutti gli uomini più o meno rapsi
presentativi della storia trioti, liberali, ribelli, o
l'altare, si tentò
Vico *
di G. B.
italiana,
atteggiandoli
come pa-
almeno frementi, contro
per un momento
il
trono e
di sottomettere anche,
con
bacchetta magica, Giambattista Vico. E si tra disse, l'altro, che il Vico, consapevole della grave scossa che il suo pensiero dava alle tradizionali credenze religiose,
lieve
tocco
di
e messo in guardia da amici,
*
Poiché
il
si
era industriato a cingere di
lavoro precedente è rigorosamente ristretto all'analisi non dà alcun cenno della vita e del carattere
della filosofia vichiana e
personale del Vico, non riuscirà sgradito trovare in appendice la conferenza, che su quest'ultimo argomento io tenni alla Società napoletana di storia patria
il
14 aprile 1909, e che,
nella Voce di Firenze (a.
moria, che
il
I,
Vico nacque in Napoli
dice nell'autobiografia), e mori
cono tutti
i
messa in
iscritto, fu poi inserita
biografi): cfr. nella
il
—
Aggiungo, per me28 giugno 1668 (non 1670, com'egli 23 gennaio 1744 (non il 20, come di-
n. 43, 7 ottobre 1909). il
nuova edizione
del V Autobiografia, car-
teggio e -poevie varie (Bari, Laterza, 1911), pp. 101, 123, 124.
APPENDICE
286
modo che
tenebre la Scienza nuova, in
solo
i
intendi-
fini
Ma
potessero scorgere dove andasse a parare.
tori
sta leggenda, che corse soprattutto
tra
i
que-
napole-
patrioti
non potè reggere a lungo, lume del buon senso e Cataldo
tani dei primi dell'Ottocento,
nonché
alla critica, al
;
ne fece giustizia l È certo, nel riguardo oggettivo, che le dottrine del Vico recavano implicita una critica cosi della trascendenza criIannelli, fin dal 1817,
.
stiana e della teologia come della storia del cristianesimo. Potrà darsi, nel riguardo soggettivo, che il Vico, durante
sua giovinezza (della quale sappiamo ben poco), fosse travagliato da dubbi religiosi. Oltre che nelle sue letture,
la
poteva trovare tentazioni a questi dubbi nella società i quali non erano rari i « li-
egli
dei giovani suoi coetanei, tra bertini di
», o,
allora,
come anche «
gli
si
epicurei
trovano chiamati nelle scritture
»
e
«
ateisti
»
2 .
In una lettera
del 1720 al padre Giacchi, egli dice che in Napoli
davano
di
ed errori
lui « fin
e
»,
come accade,
«
dalla sua prima giovinezza e debolezze nella
questi,
fissi
criteri
eterni
memoria, diventavano,
per giudicare tutto
e compito che per avventura altri faccia di poi
i
ricor-
si
il
» 3.
bello
Quali
veda, per tutta la questione, Croce, Bibliografìa vichiana,
Si
pp. 91-5. 2
Nei Giornali del Confuorto
napol.,
XX.
C. 22, voi. Ili,
f.
(rass. nella Bibl. della
Ili), sotto l'agosto 1692:
Società stor. «
Sono state
carcerate nelle carceri di San Domenico del tribunale del Sant'Officio
alcune persone civili, tra quali il dottor Giacinto di Cristofaro, figlio del dottor Bernardo; e molti altri sono scampati via, quali seguitano
volendo che l'anima morisse col corpo >. noto matematico e giureconsulto napoletano, pel veda F. Amodeo, Vita matematica napoletana, parte III (Napoli,
la setta degli epicurei o ateisti, Il
De
Cristofaro è
il
quale si Giannini, 1905), pp. 31-44, e fu amico del Vico. Altre notizie intorno agli
«
epicurei
»
di
Napoli di quel tempo, in Carducci, Opere,
pp. 235-6. 3
Lettera del 12 ottobre 1720.
voi. II,
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
287
erano mai codesti errori e debolezze ?
—
De
uno, anzi la Sinopsi
universi iurte tino principio
che ne dava il
il
E quando
usci
il
« le prime voci » avverse, che erano tinte da una simulata pietà »
programma,
Vico senti levarsi,
contro
et fine
«
;
quali egli trovò scudo e conforto nella religione cioè nell'assenso del Giacchi, « primo lume del
le
stessa,
severo e più santo ordine de' religiosi » l Ma come delle accuse che su questo punto gli si facevano non ci .
pili
resta notizia particolare, cosi dei dubbi religiosi, che po-
terono travagliarlo, non si ha nemmeno la generica certezza. Tutti gli scritti del Vico mostrano che nel suo animo si assideva grave, salda, immota, come colonna adamantina, la religione cattolica salda e forte cosi da non essere nep:
pure
in piccola parte intaccata dalla critica,
che egli inau-
gurava, dei miti. Né soltanto in tutte le esteriori dimostrazioni il Vico fu cattolico irreprensibile, e sottomise sempre ogni parola che mettesse in istampa alla doppia cene privata, degli amici ecclesiastici, e fra
sura, pubblica
zimarre sacerdotali e cocolle fratesche, più ancora che fra toghe di giuristi, menò la sua vita filosofica e letteraria;
—
ma
scrupolo d'intermettere il Grozio, non sembrandogli dicevole che un cat2 ed ebbe cosi tolico commentasse un autore protestante egli giunse perfino allo
commento
al
;
delicato punto d'onore cattolico da la
polemica circa
i
non accettare nemmeno
suoi sentimenti religiosi
:
«
Questa
dif-
(diceva ai critici del Giornale de' letterati), come quella che mi fate sull'immortalità dell'anima, dove par
ficoltà
che premiate la
mano con ben
sette argomenti, se
non mi
fusser fatte da voi, io giudicherei che andassero più alta-
mente a penetrare
in
parte la quale, quantunque
i
Ivi.
-
Autob., ed. cit., p. 39.
si
pro-
APPENDICE
288
tegga e sostenga con la vita e coi costumi, pure s'offende con la stessa difesa. Ma trattiamo le cose! » \. Il suo cattolicesimo
mostra scevro
si
di materialità e superstizioni,
nel costume del
specie a Napoli dove in ogni avvenimento della vita privata e pubblica interveniva attore e direttore san Gennaro era cattolicesimo cosi generali
tempo, e
:
di
animo
contro
sunse
non
le
mente
e di
non
e
alta,
credenze popolari e
le parti di
censore;
—
di
volgo.
Ma neppure
le superstizioni
pago
di
il
Vico as-
non parlarne, come
parla delle debolezze di persone e d'istituzioni che sono oggetto della nostra reverenza. si
ii
Disposizione d'animo analoga per più rispetti a quella verso la religione ebbe il Vico verso la vita politica e sociale.
Non
era
nulla
in,
lui
dello
spirito
combattivo da
apòstolo, propagandista, agitatore e congiurato, che fu di
Rinascenza; in ispecie di quel Bruno Campanella, che egli (benché, e forse perché, napoletano) non nomina mai. Certo, il suo tempo e il suo
alcuni
filosofi
della
e di quel
paese non furono luogo e tempo di rivolgimenti e rivoluzioni contrasti che suscitano grandi azioni
e di quegli ardenti
e passioni politiche. Pure, vi (il
francese e l'austriaco), e
si si
agitarono partiti politici un certo desiderio
profilò
d'indipendenza nazionale, e sorsero uomini che dettero l'opera e la vita a questi fini, e furono perseguitati e
andarono profughi;
tempo
1
come
Le
al
più
cose,
alto
cioè,
non
e,
segnatamente, giungeva in
punto
le
la
lotta
dello
Stato
obiezioni religiose, che a lui
quel contro la
suonavano
offesa personale (Risposta al Giornale de' letterati, in Orazioni ecc.,
ed. G-entile-Nicolini, pp. 266-7).
VITA E CARATTERE DEL VICO
I.
Chiesa, e di Napoli contro
come
del quale
sempre
di
Roma, con Pietro Giannone, movimento il Vico tacque
tutto quel
parve non
e
289
nemmeno
essersi
accorto.
La vita
politica stava alta sopra il suo capo, come il cielo e le stelle; ed egli non si protese mai nel vano sforzo di attin-
gerla.
Come
le
controversie religiose, cosi quelle politiche
e sociali furono
uomo
limite della sua attività.
il
apolitico. Di che non
gionarlo
di
mite, e
una
può
si
fargli
Era veramente colpa né accail suo li-
uomo ha
perché ogni esclude l'altra, un lavoro esclude gli
fiacchezza, lotta
altri lavori.
Non che
egli si ritraesse da ogni contatto con la porappresentanti di essa. Purtroppo, dovette corteggiare assai di frequente e l'una e gli altri, con istorie, orazioni, versi ed epigrafi, latini e italiani; i quali litica e coi
basterebbero da
soli
a ricostruire la serie delle
vicende
cui andò- soggetta Napoli dalla fine del secolo decimosettimo alla metà del decimottavo il viceregno spagnuolo, la :
congiura e rivoluzione zione e
il
striaca,
il
il
regno
tentata
dagli
autonomisti, la rea-
rassodato viccrcgno spagnuolo, la conquista au-
viceregno austriaco, Carlo Borbone....
di
bisogni conversevole
»
',
la
Ma
riconquista spagnuola e egli,
e professore di
«
molto pei suoi
eloquenza nella
regia università, doveva fornire i componimenti letterari, richiesti dalle solennità del giorno; cosi come il drappiere
lavorava, per le medesime occasioni, le frange, e lo stuccatore le volute e gli svolazzi. E quali frange e quali svolazzi
!
Perdurava
la
moda
letteraria secentesco-spagnuola;
e 'ciò basta per gran parte a spiegare quel che nelle lodi profuse dal Vico ci sembra, ed è, iperbolico e barocco. Del
suo animo indifferente e innocente può dare esempio quel
1
In Autob., ecc.. ed.
B. Crock,
La
filosofia,
cit.,
p.
142.
di Giambattista Vico.
19
290
APPENDICE
luogo dell'autobiografia, dove, dopo aver fatto ricordo del
Panegyricus Philippo V inscriptus, da lui composto per ordine dell'ultimo viceré spagnuolo duca di Ascalona, continua, come se niente fosse, col riattacco di un semplice « appresso » Appresso, ricevutosi questo reame al dominio austriaco, dal signor conte Wirrigo di Daun, allora governatore delle armi cesaree in questo regno, ebbe l'or-
«
:
dine
comporre le iscrizioni pei funerali espiatori di 1 cioè dei due ribelli Giuseppe Capece e Carlo di Sangro contro Filippo V, che il governo precedente aveva messi »
di
;
a morte, qualche anno prima, nella repressione della congiura di Macchia, dal Vico narrata, veridicamente bensì
ma
con ossequio
al
governo
costituito, nel
De parthenopea
coniuratione.
Ma non
c'è, nel Vico, bassezza;
deve
se
e,
dirsi,
in
retore e panegirista, non può dirsi adulatore. L'adulatore, l'uomo senza coscienza, vilipende e
quei suoi
scritti,
calunnia gli avversari degli uomini da pisce
i
adulati, o col-
lui
vinti; e questo è bassezza. Il Vico,
conoscendo chi
il
quale, pur
napoletano, che aveva inviato agli Ada lipslensìa la noterella contumeliosa contro di lui, e fremendo d'ira, e potendo facilmente rofosse
l'
italiano,
anzi
il
vinarlo (perché quella noterella era anticattolica), generosamente non volle mai svelare quel nome 2 presta, si, i suoi ,
servigi di professore d'eloquenza, interessi
dei suoi
lodati
ma non
traffica
con
gli
padroni. Della Vita di Antonio
Carafa, composta per commissione, e col provento della quale maritò una figliuola, dice che la lavorò « temprata di onore del
giustizia che
subietto, di si
riverenza verso
dee aver per la verità
i
Autob., ed. cit., p. 56.
2
Lettera del 4 dicembre 1729; in Autob.,
3
Autob., ed. cit., p. 38.
» 3.
i
principi e di
E, per tornare
ecc., ed. cit.. pp.
20910.
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
291
caso sopraricordato del Capece e del Sangro, quando nel De parthenopea conluratione egli narra la morte di al
quei due nemici della parte trionfante, mostra anche allora, in taluni particolari, il suo animo gentile; e del Ca-
non
pece, che
volle arrendersi ai soldati spagnuoli, scrive
ostentali s pectus
*
ned eamque
infestis
armis
efflagitans,
inexoratus occubuit, fortissimum mortis genus si causa cohonestasset »; e pel Sangro, riferita la voce della grazia fat-
de
da Luigi XIV e giunta troppo tardi, aggiunge: « unmaior damnati, qui iam poenas persolverat, misera-
no
*
tagli
l .
Senza dubbio, non poteva essergli, e non gli era, nascosto che la più parte degli individui da lui lodati valeva
A leggere i suoi scritti panegiristici parrebbe che Napoli avesse allora una nobiltà splendida di virtù, di
ben poco.
cultura, di dottrina; eppure, informando
che
gli
aveva chiesto notizie circa
in Napoli,
il
il
padre De Vitry
condizioni degli studi Vico non celava la realtà: « i nobili sono adle
dormentati da' piaceri della vita allegra
» 2.
Un
suo motto
ma sempre
satirico circa
quella nobiltà, spesso pezzente la fame in casa pur di sfogcocchi e altre gale, ci è stato serin con pubblico giare bato dal suo scolaro Antonio Genovesi 3 A proposito del fastosa e capace di soffrire
.
Laurenzano formulava la teoria che gli nobili » non possono essere se non eccellenti *
letterato
duca
scrittori
«
di
;
eppure, tra le sue carte io ho trovato libro di quel signore, riscritto
1
XIX, 2 3
P
.
Opp., ed. Ferrari, 377 sgg.
In Autob., ecc., ed. Diceva che molti
I,
da cima a fondo dallo stesso
191.
tiravano
le
carrozze colle budella
121). 1
In Autob., ecc., ed.
manoscritto di un
pp. 367, 368; e cfr. B. Croce, in Critica,
cit., p. «
il
cit.,
pp. 215-6.
»
!
(ivi,
APPENDICE
292
Vico K Contradizioni
e transazioni
da pover'uomo, schiac-
ciato dalla miseria e divenuto riguardoso e timido; tanto
che riesce
difficile
determinare fino a qual punto egli am-
mirasse a parole e per compiacenza, e fin a qual altro il suo sentimento d' inferiorità sociale si mutasse in effettiva
ammirazione per coloro che avevano e ricchezze e dignità e tutto quello che a lui mancava, e che stavano cosi in alto, ed erano i « signori ». in
Perché, com'è risaputo, le sue condizioni economiche furono sempre tristissime. Figliuolo di un libraiuccio di Napoli, fu dapprima costretto a recarsi
come precettore
domestico in un borgo selvaggio del Cilento; poi, tornato a Napoli, tentò invano di ottenere il posto di segretario della città, e, avuta per concorso nel 1699 la cattedra di rettorica,
rimase per trentasei anni in quell'ufficio con lo di cento ducati (lire 425). Invano tentò,
stipendio annuo
nel 1723, di passare a cattedra di fosse sfortuna, fosse
inabilità («
maggiore importanza:
uomo
di
poco spirito
in-
torno alle cose che riguardano l'utilità », si riconosceva esso stesso) 2 dove rinunziare a ogni avanzamento univer,
Era
dunque, ad aiutarsi un po' coi lavori letterari del genere- detto di sopra, e più ancora con le lezioni private; e non solamente (oltre quella nella pubsitario.
costretto,
blica università)
scendeva
teneva scuola a casa sua,
le altrui scale
giovinetti, o addirittura
famiglia: la
moglie era analfabeta, senza di curare
donne analfabete, incapacissima
i
Bibl. vidi., pp. 27-S.
2
Antob., ed.
cit.,
p. 24.
ma
saliva e
come insegnante di grammatica a a fanciulli. Non fu fortunato nella le
virtù
le
più piccole
delle
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
293
faccende domestiche; cosicché il marito doveva farne le parti. Dei figliuoli, una femmina gli mori dopo lunga ma-
dopo quei lunghi dispendi che inacerbiscono le malattie dei poveri un figliuolo maschio gli die grandi
lattia, e
;
dolori ed egli
fu
costretto a invocare
l'intervento della
per chiuderlo in una casa di correzione. La sua irrazionale e sublime tenerezza paterna fu tanta, in questa occasione, che al vedere dalla finestra gli uffiziali di polizia
polizia,
da
lui
figliuolo sciagurato •
i
richiesti,
quali venivano a portar via
il
ed amato, corse a costui gridandogli
Figlio mio, salvati!
»
:
},
Ebbe, invero, animo affettuosissimo
:
il
che
si
può
ri-
trarre, fra l'altro, dall'orazione piena di nobiltà e di dol-
cezza che compose per la morte della sua amica donna •Angela Cimini, dagli accenti di pietà e di sdegno che ha nella Scienza la storia, o
nuova per
per
le plebi
oppresse, di cui investiga
Priamo
le dolenti figure di
e di Polissena,
da certi sparsi segni quella dignità (la XL) dove
di cui risente la poesia; e perfino
per es., in
sti-
ricome, corda che le streghe, per solennizzare le loro stregonerie, « uccidono spietatamente e fanno in brani amabilissimi
listici,
innocenti bambini
e tutto
»,
si
turba,
in
modo
inop-
portuno ma significante, per la sorte di quei piccini, che adorna nella commossa fantasia di superlativa amabilità! I
maggiori conforti domestici
Luisa, colta e poetessa, e
gli
dal
vennero dalla
figliuolo
figliuola
Gennaro, che
lo
supplì e poi gli successe nella cattedra. Quando, nell'elogio della contessa d'Althann, accenna sarcasticamente ai filosofi
o «
sotto
che ragionano passeggiando per gli ameni giardini i portici dipinti, non nauseati né afflitti dalle
mogli che infantano
1
»
e dai
«
figliuoli
Villakosa, nelle aggiunte alVAuloò.
che nei morbi
(ed. cit., p. 79).
APPENDICE
294
si sente che parla per diretta esperienza languiscono » e che lo pungono ricordi angosciosi della propria vita l
,
familiare.
Accade molto spesso, specie ai giorni nostri, di osservare gli uomini di qualche ingegno emanciparsi da questo o quello dei più umili doveri; e tanto più bisogna ammirare quest'uomo di genio, che invece li accettò tutti e (per adoperare una parola che il Flaubert disse di sé medesimo), pensando da semidio, visse
costantemente da bor-
ghese, anzi da popolano. Egli aveva preso l'abitudine di leggere, scrivere, meditare e comporre i suoi lavori « ragionando con amici e tra lo strepito de' suoi figliuoli » ~.
La vano
salute ebbe
«
sempre malferma
mastro Tisicuzzo
» 3
:
gli
;
amici
lo
chiama-
debole assai da giovane, stra-
da ulceri alla gola, da dolori alle cosce' gambe. Insomma, quel riposo, quell'ozio, quella tranquillità, che altri filosofi goderono per tutta la loro vita, ziato in vecchiaia
e alle
mancò sempre.
o per lunghi tratti di questa, al Vico
dovette fare da Marta e da Maddalena le necessità pratiche
memente con gnatagli
fin
sue e dei suoi
;
:
Egli
travagliandosi per
travagliandosi insie-
adempiere alla missione assedalla nascita e dare forma concreta al mondo sé stesso, per
spirituale che gli
si
agitava dentro.
IV
Non
c'è bisogno, dunque, di foggiare o desiderare
un
Vico eroe, cercandolo nella vita religiosa, sociale e politica, quando il Vico eroe ci sta innanzi, ed è appunto questo: l'eroe della vita filosofica.
1
Opp., ed. Ferrari, VI, p. 235.
2
Autob., ed. cit., p. SS.
3
In Autob. y ed.
cit,, p. 120.
E
stato notato
da
altri
I.
che
VITA E CARATTERE DEL VICO
ebbe carissima
egli
vati di essa (« eroismo
la »,
«
«
parola eroico
eroe
»
295 e tutti
», ecc.); e
i
deri-
ne fece con-
tinuo uso e svariatissime applicazioni. L'eroismo era, per lui, la forza vergine e strapotente, che appare negli inizi e riappare nei ricorsi della storia. Questa forza egli doveva sentire in sé medesimo, nel lavorare per la verità e nel-
abbattendo ostacoli d'ogni sorta, nuove vie alla
l'aprire,
scienza. Per questa forza, superate le giovanili incertezze,
smarrimenti, gli avvilimenti, che talvolta lo fecero cadere in un cupo pessimismo individuale e cosmico (come si vede dalla canzone Affetti d'un disperato), potè sollevarsi gli
alla sicura professione di
De
nel
metodo
nostri temporis studiorum
scientifico,
che enunciò
ratione, e al suo
primo
tentativo di applicazione filosofico-storica, rappresentato dal
De antiquissima italorum
sapientia', e da questo, poi, dissuo stesso pensiero e ritessendo col resto una nuova tela, giungere al De uno universi iuris
facendo in parte
il
uno
e *alla Scienza
nuova
dopo venticinque anni (egli diceva delle scoperte contenute in questa) di continova ed aspra meditazione ». principio
et fine
:
«
L'opera, menata a termine da quel povero maestro di
grammatica e rettorica, da quel pedagogo che un satirico contemporaneo raffigura « stralunato e smunto, con la ferula in mano » ', da quel tormentato paterfamilias, stupisce
quasi, spaventa: tanta
e,
vi è condensata.
È
somma
di energia
un'opera di reazione
e di
mentale
rivoluzione
insieme reazione al presente per riattaccarsi alla tradizione dell'antichità e del rinascimento; rivoluzione contro il presente e il passato per fondare quell'avvenire, che si :
chiamerà
poi, cronologicamente, secolo decimonono. Nel campo della scienza, l'umile popolano diventava
i
Ivi,
p. 120.
APPENDICE
296
da signori
che egli falsamente lodava nelle misere scritture dei superbi cavalieri e dei pomposi mitrati del suo tempo, era veramente il suo. aristocratico; e quello
«
stile
»
l
,
Egli aborriva la letteratura galante e socievole, che cominciava a diffondersi dalla Francia in Italia e negli altri
paesi d'Europa,
i
«
libri
per
le
dame
» 2.
Ma non meno
rifuggiva da quella maniera di trattazioni che si chiamano ora « manuali », e in cui si espongono per filo e per segno definizioni elementari e cose già da altri accertate: libri
che possono giovare soltanto ai giovani 3 ai quali per altro il Vico già abbastanza si sacrificava nella cerchia della ,
scuola perché dovesse poi sacrificar loro anche qualcosa della propria inviolabile vita scientifica. In questa mirava
ad altro pubblico che a giovinetti, cavalieri e dame: quando suo primo pensiero, la sua prima « pratica » Come riceverebbero le cose da lui meditate un Pla-
scriveva,
era
«
:
il
un Varrone, un Quinto Muzio Scevola?
tone,
conda
»;
e la se-
Come
riceverà queste cose la posterità » *. Dei innanzi agli occhi, esclusivamente, aveva contemporanei, la
di
:
«
Repubblica letteraria, l'Ordine dei dotti, le Accademie Europa; un pubblico, a cui non bisognava ripetere ciò-
che già era stato trovato e detto nel corso della storia delle scienze e che esso aveva bene a mente, ma porgere soltanto pensieri che fossero reale avanzamento del sapere:
non
libri
ma « piccioli libricciuoli, tutti pieni Un pubblico ideale, insomma, che in-
voluminosi,
di cose proprie
» 5.
egli confondeva talvolta con quello dei dotti professione e dei critici da riviste letterarie; donde,.
genuamente di
1
2
3
la Autob., ed. In Autob., ed.
216.
cit.,
p.
cit.,
p. 186.
Ordz., ecc., ed. cit., p. 215.
4
Scienza nuooa, ed. Nicolini, p. 51.
5
Oraz., ed. cit., p. 51.
I.
poi, le
VITA E CARATTERE DEL VICO
frequenti sue delusioni.
metafisica,
sembrava a
particolare efficacia,
libri
I
297
materia
brevi, in
che avessero (come infatti hanno) acconciamente paragonata alle medilui
che brievemente propongono pochi punti », le quali fanno molto più profitto nelle cose dello spirito cristiano che non « le prediche più eloquenti e più spietazioni sacre,
«
gate da facondissimi predicatori
»
[ .
Per quest'amore
brevità, fu restio dall'aggravare di blica
troppi repubche già non regge sotto il peso lasciò orazioni, stampò per dovere il De ratione, ed
letteraria,
inedite le
alla
libri la
;
2 ebbe, infine, a manifestare più volte il desiderio che, di tutte le sue opere, sola gli sopravvivesse la Scienza nuova,
la
quale conteneva condensate e perfezionate tutte
le
sue
indagini precedenti. All'aristocrazia dell'ideale
si
concezione della vita scientifica
accompagnavano il
nella sua
più nobile decoro e la
più profonda lealtà. Dalle sue polemiche si potrebbe ricavare un intero catechismo circa il modo in cui si debbono
condurre le dispute letterarie. Bisogna (egli dice) non mirare a vincere nella disputa, ma a vincere nella verità;
onde voleva che quelle si svolgessero « con sedatissima maniera di ragionare », perché « chi ha potenza non minaccia e chi ha ragione non ingiuria » variate tutt'al più da piacevoli motti, « i quali diano a divedere gli animi de' ;
ragionatori esser placidi e tranquilli, non perturbati e com». Agli avversari, che movevano obiezioni vaghe, faceva notare « Il giudizio è in termini troppo generali
mossi
:
:
e gli
non
uomini gravi non hanno mai le particolari e
fatte ».
1
2
di risposta
deguato se
determinate opposizioni, che loro sono
Ai medesimi, quando
«
raffinato
nella lettera a Celestino Galiani del 18
novembre
si
appellavano
al
Oraz., ed. cit., p. 253.
Tra
le altre,
1725 (Autob., ed.
cit., p.
170-1), e
il
cui autografo è presso di me.
APPENDICE
298
buon gusto del
quale ha sbandito, ecc. ecc. », Questa è invero una grande opposizione, perché opposizione non è; perché, ritirandosi gli avversari al tribunale del proprio giudizio, con quel dire di
'
il
secolo,
rispondeva sdegnoso:
«
codesto che tu dici non ho idea
',
da avversari diven-
Alle autorità non intendeva appoggiarsi, disprezzava; dovendo l'autorità « farci considerati a investigare le cagioni che mai potessero gli autori, e massimamente gravissimi, indurre a questo o a quello
gono giudici
ma neppure
».
le
opinare ». E, accusato di avere commesso il medesimo peccato di Aristotele attribuendo errori ai filosofi per poterli
con agevolezza confutare, protestava dignitosamente: « Io mi contento del mio poco sapere ingenuo, che essere comparato di mal costume ad un gran filosofo ». Della sua equanimità può dare esempio lo splendido elogio che egli fa di Cartesio, contro
il
quale pure era rivolto tutto
lo
sforzo maggiore del suo pensiero. La sua lealtà è attestata dal pronto riconoscere i propri errori: « Confesso (dice, in un punto, ai critici del Giornale dei letterati) che la mia » l.
Né
già questo (scrive nella seconda Scienza nuova) dee sembrare fasto a taluni che noi divisione è viziosa
«
non contenti de' vantaggiosi giudizi da
tali
uomini dati
alle
disapproviamo e ne facciamo rifiuto; è perché questo argomento della somma venerazione e stima che noi facciamo di tali uomini anzi che no. Imperciocché nostre opere, dopo
i
le
rozzi ed orgogliosi scrittori sostengono le loro opere anche le giuste accuse e ragionevoli ammende d'altrui
contro altri,
;
che per avventura sono di cuor picciolo, s'empiono
de' favorevoli giudizi dati alle loro, e per quelli stessi non più s'avanzano a perfezionarle; ma a noi le lodi degli uo-
mini grandi hanno ingrandito l'animo di correggere, sup-
1
Si
vedano
pass, le Risposte, in Oraz., ecc., ed. cit.
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
forma
ed anco in miglior
plire
stra
»
di
299
cangiar questa
no-
'.
Vita scientifica proba, come di serio ricercatore del vero vita sentimentale commossa e rapita, come di chi :
giunga a faccia a faccia col vero a lungo bramato e cercato, ed esulti di poterlo annunziare agli uomini. Di qui la sua alta poesia, che è non già nei versi, ma nelle prose, e,
segnatamente, nella Scienza nuova. « Il Vico è poeta il Tommaseo): dal fumo dà luce, dalle metafisiche
(scrive
astrazioni trae imagini vive:
gionando, dipinge; e per- le
ma
gia,
vola; onde in
che in odi assai
lirico
maginazioni
le
raccontando, ragiona
e,
ra-
cime de' pensieri non passeg-
un suo periodo sovente è più estro »2 Certo, fossero anche tutte im.
sue dottrine, quella nascita che egli descrive
della società, quella rappresentazione delle età primitive e delle lotte in cui
si travagliano e assurgono, splenderebbe sue gigantesche figure, con le sue robuste passioni, col divino immanente in quegli aspri petti, come un mirabile poema; e il De Sanctis vide infatti nella
ognora, con
le
l'andamento di un poema, quasi di una nuova Divina commedia. E, come Dante sublime, fu anche più di Dante severo; e se le labbra del ghibellin fuggiasco pur si mossero talvolta * un poco a riso », il Vico leva veramente innanzi alla storia un volto « che giammai non rise ». Del resto, egli che ha avuto tante censure pel suo stile, non era scrittore volgare; anzi, studioso della buona forma e della toscanità 3 non meno che sotScienza nuova
,
tile
estimatore,
1
2
al
Scienza nuova, -ed.
G. B. Vico
cit.,
latini
4 .
p. 10.
La storia civile nella letteraria, un giudizio sul Vico scrittore, ivi,
e il suo secolo (nel voi.:
Torino, Loescher, 1872), pp. 9-10.
del Capasso, di vocaboli
dire
p.
Più ampiamente
104; cfr. ora,
il
Nicolini, nella introd. alla sua ediz.
della Scienza nuova. 3
Autob., ed. cit., pp. 10-11
4
In Autob., ed.
cit.,
:
p. 120.
cfr.
Opp., ed. Ferrari, VI, 45, 140.
APPENDICE
300
Ma componeva male
suoi libri, perché la sua mente non padroneggiava tutta la materia filosofica e storica, che aveva accumulata scriveva confusamente, perché con i
;
dèmone donde, le sproporzioni nelle varie parti dell'opera, nelle singole pagine, nei singoli periodi. Rende talora immagine di quella botfurore e
tiglia
di
come
in
cui parla
preda a un
il
:
poeta, piena d'acqua e
capovolta che vorrebbe uscire, tanto via angusta, « che a goccia a
di botto, nella quale l'umore, s'affretta e intrica
per la goccia fuori esce a fatica ». A fatica o a fiotti, disordinatamente. Un'idea che egli sta enunciando, gliene richia-
ma
un fatto, e il in una volta,
un'altra, e questa
egli vuol dire tutto
un
fatto e
altro fatto;
ed
perciò le parentesi si
aprono nelle parentesd, con ritmo spesso vorticoso. Ma quei suoi periodi disordinati, come erano materiati di pensieri originali, cosi sono tutti contesti di
role scultorie, di espressioni
frasi possenti, di pa-
commosse, d'immagini
pitto-
resche. Egli scrive male, se cosi piace dire; ma di quello « scriver male », del quale i grandi scrittori portano con sé
il
segreto.
L'eroismo
filosofico
del Vico
non
si
affermò
soltanto
nella lotta interiore con sé stesso per l'elaborazione della scienza,
ma
fu sottomesso
posizione mentale, da e, sotto
lui
ad
altre e
più dure prove.
raggiunta, avversa
al
La
presente
specie di reazione, vòlta all'avvenire, lo condan-
nava necessariamente all'incomprensione. È codesta, senza dubbio, la sorte di tutti gli uomini di genio: incompresi intimamente, anche quando la fortuna sociale sembra secondarli ed
essi
sollevano entusiasmi
e trovano in
folla
motto che, secondo la leggenda, lo Hegel avrebbe pronunziato sul letto di morte (« uno solo scolari e ripetitori. 11
I.
de' miei scolari
VITA E CARATTERE DEL VICO
mi ha
inteso, e questi
301
mi ha frainteso
»),
esprime a meraviglia tale necessità storica: chi è perfettamente inteso nel suo tempo, muore col suo tempo. Pure, di rado o non mai la sproporzione tra il proprio pensiero
incomprensione dei contemporanei fu cosi grande come nel caso del Vico. Se altre cagioni d'infelicità non l'aves-
e la
sero tormentato, sarebbe bastata quest' una.
laude
»,
che
è
poi
Il
«
desio di
animi non volgari desio di ve-
negli
dere compartecipato, assentito e universalizzato negli altri spiriti ciò che a essi sembra vero e buono, rimase sempre
un « van desio ». Tanto pid l'incomprensione e l'indifferenza lo angosciavano, in quanto, com'è facile supporre, aveva piena colui
per
scienza, dell' importanza delle proprie scoperte. Egli sapeva
che
la
Provvidenza
sima; sapeva di esser tria, e in
aveva
gli
conseguenza
«
affidato
nato per
dell'Italia,
una missione
altis-
della sua pa-
la gloria
perché quivi nato, e non
Allorché mandò fuori come di avere dato fuoco a nuova, gli pareva una mina, e ne aspettava da un momento all'altro lo scoppio e il fragore. Non ne segui nulla: la gente non gliene onde egli scriveva a un amico, dopo qualche parlava giorno: « In questa città si io fo conto di averla mandata in Marrocco, esso riusci letterato
» u.
la Scienza
;
e sfuggo tutti i luoghi celebri per non abbattermi in coloro a' quali l'ho mandata, e, se per necessità
al deserto
;
sfuggita li saluto: nel quale atto non né pure un riscontro di averla ricevuta, mi confermano l'opinione che io l'abbia mandata al deserto » 2 egli addivenga, di
dandomi
essi
.
Egli aveva creduto, addirittura, a un effetto rapido e immediato; e sperato di trovare gli animi pronti e gl'intelletti
1
2
aperti a
ricevere e
a
fecondare
i
suoi pensieri,
In Aulob., ed. cit., p. 48. Lettera al Giacchi, 25 nov. 1725, in Anteo., ed.
cit., p.
175.
APPENDICE
302
nientemeno che tra
i
suoi contemporanei e conoscenti di
occupati a comporre e mandare a memoria prediche verbose, tra i verseggiatori che rimavano sonettuzzi, tra gli avvocati che scrivevano allegazioni!
Napoli
tra
:
frati
i
Trovò, invece, moltissimi scettici e indifferenti, e non pochi irrisori. Già il libro sul Diritto universale, quando
comparve, venne generalmente « ripreso per oscuretto », come c'informa il Metastasio l e fu poco letto e avventatamente censurato per le stravaganze che la lettura disat;
tenta e a salti faceva trovarvi in ogni punto 2 Il padre Paoli, cui l'autore ne aveva donato copia, vi scrisse sopra un .
distico celiando sull'incomprensibilità dell'opera
3 .
Peggio
per la Scienza nuova: si sa che Nicola Capasso (che pure era dotto uomo e bene affetto verso il Vico), provatosi fu
a leggerla, credè di avere smarrito ogni scintilla d'intenbuffoneggiando, eorse a farsi tastare il polso dal medico Cirillo *. Un erudito senese, nel riferire le impres-
dimento,
una sua
sioni di
suo
e,
visita al Vico e della
lettura di qualche
privo di criterio e secnobile napoletano, interrogato a Venezia dal Finetti circa quel che si pensasse a Napoli del Vico, disse lo definì stravagante,
scritto,
catore
Un
5
.
un certo tempo costui era passato per uomo davma che dipoi, per le strane sue opinioni, aveva
che, per
vero dotto, acquistato
fama
Scienza nuova? l'altro),
i
2 3
di
squilibrato.
», insiste
il
«
E quando
Finetti.
«
era già diventato affatto pazzo!
Ivi,
p.
die fuori
» 6. I
maldicenti
*
In Autob., ed.
Lettera di G. N. Bandiera del 1726, ed. dal Nicolini
P
cit., p, 143.
113.
5
Critica,
lo
118.
Latterà al Giacchi del 12 ottobre 1720, in Aniob., ed. Ivi, p.
la
Oh, allora (rispose
XV
cit.,
p. 119: cfr. p. 76.
(1917), pp. 295-97.
In Autob.,
p.
119.
e
ristamp.
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
303
colpivano perfino nella modesta professione da cui traeva il sostentamento, dicendolo « buono ad insegnare a' giovani
dopo aver fatto tutto il corso de' loro studi, cioè quando erano stati da essi già resi appagati del lor sapere » o, più insidiosamente, che egli era adatto non a insegnare, ;
ma
a dar buon indirizzo ad essi maestri
«
»
'
;
e, cioè, ri-
sua superiorità soltanto per farsene un arda gomento danneggiarlo nella già cosi stentata sua vita
conoscevano
la
pratica. vi
Né
generale indifferenza e alla
alla
malignità dei critici potevano formare e lodatori,
che anche
al
leggerezza o alla compenso gli amici
Vico non mancarono.
Come
sareb-
bero potuti mancargli, se egli ne faceva una trepida ed attenta cultura artificiale? Si veda, per es., in qual modo col-
cappuccino padre Giacchi. Lodava di costui le « il divinissimo ammirabili opere », ingegno », « la rara
tivasse «
il
sublimità delle meravigliose e divine idee ». Gli annunziava aver dato a leggere ai letterati della città l'epistola elo-
di
giativa ricevuta da •*
sublime
il
lui,
torno del
e che tutti ne
concepire
(eppure egli proprio, iscrizioni che il Giacchi compo-
rifaceva in latino d'oro le
neva
un
latino fratesco
avevano ammirato
»
2
Gli comunicava, altra volta, un Giacchi avevano destato invidia ed erano state prese da taluni per adulazioni. Eguali fatiche spendeva per propiziarsi l'arcivescovo di Bari, Muzio di Gaeta, un vanitoso, tutto pieno del proprio merito (negli Elogi del Gimma fa perfino lodare la sua avvenenza), e che non sa-
che
in
!)
.
le lodi di
peva parlare se non 1
2
Autob.,
1.
un panegirico
di sé stesso, autore di
e.
Furono pubblicate da me
di ììtftvo in Sscondo nappi, alla
in Napoli nobiliss.,
BUA. deh., pp.
XIII
70-2.
(190-J),
f.
I,
e
APPENDICE
304
papa Benedetto XIII, pel quale, lodato e rilodato dal si saziava mai, e provocava, anzi chiedeva espres-
di
Vico, non
samente, nuove
E
lodi.
della linfa desiderata:
«
Vico a
il
inaffiarlo
pazientemente
maravigliosa opera di V. S.
la
I. »;
il suo dire da signore »; le digressioni demosteniche »; l'eloquenza, che fu la favella filosofica, con la quale parlarono gli antichi accademici greci, tra i latini Cicerone,
«
e
«
tra
«
ritirato
poi
niun
gl'italiani
cato Francesco in
gli
che V.
fosse tra
egli
intendimento, che
S.
»!
I.
All'avvo-
era stato scolaro e
che
provincia, insinuava
nuova aspettava che d'alto
altro
Solla, che
volessero
si
era
sua Scienza
la
pochissimi forniti riceverla con mente i
pregiudizi circa i principi dell'umanità sgombra Erano artifizi ingenui, fanciullaggini pietose, con le quali di tutti
l
i
.
procurava di dare un'illusoria soddisfazione al suo bisogno di riconoscimento e di lode, e un calmante ai suoi nervi eccitati.
Ma anche
modo raccoglieva
a questo
veri. Nelle lettere del Giacchi,
costui avesse intesa
almeno
le
di Gaeta, «
una
non
frutti assai po-
che provi che
è parola
sola delle dottrine vichiane o che
avesse considerate con serio interesse. Monsignor dopo molti giri eli frasi, gli confessa di avere
più ammirate che intese
le
opere di
lui
2
certamente, ad ammirare occupato la propria prosa. Il Solla, nel quale il Vico sembrava riporre tante speranze, giudicava l'orazione per la morte
non
le
aveva neppur
->
e,
;
lette, tutto
donna Angela Cimini cosa superiore a tutte le altre opere dell'autore e alla stessa Scienza nuova. Un simile incauto complimento rivolgeva al Vico un altro ammidi
ratore,
pur caldo e affettuoso, l'Esteban
che o banali
gli
i
In Autob., ed.
«
Ivi, p. 251.
3
Ivi, pp.
195-6.
3 .
Lodi generi-
giungevano talvolta (ma più spesso per-
cit.,
p. 202.
I.
darà vano,
VITA E CARATTERE DEL VICO
ostinati, la
trascuranza e
305
silenzio), in
il
ricam-
bio di alcuno dei tanti esemplari delle proprie opere, che
inviava non solamente di
Roma,
ma
di Napoli,
ai letterati
Padova, anzi
di Pisa, di
di
Germania,
a quelli
di Olanda,
1 Egli d'Inghilterra: ne mandò, perfino, a Isacco Newton ottenne, tutt'al più, di farsi considerare erudito tra centi.
naia di eraditi e letterato tra migliaia di letterati: dotto uomo, insomma; ma niente altro.
Senza dubbio, tra
i
Vico ebbe, tra
il
giovani, schietti ammiratori.
i
modesti, tra gli oscuri,
Di costoro era
sacro, Gherardo de Angelis; poi il frate Nicola Concina Solla ed Esteban
oratore
;
altri pochi.
Ma, se
il
il
poeta,
già ricordati
di
Padova
;
e
loro affetto era grande, la loro intel-
Anche
ligenza era scarsa.
i
il
Concilia confessava, in
mezzo
non intendere troppo entusiasmi, bene: « Oh quanti fecondissimi e sublimissimi lumi vi sono Cosi avessi io talento da farne uso e da comper entro
#1 fervore
dei suoi
di
!
fondo ed il mirabile artificio, che panni alquanto di ravvisare! » *. Il miglior ufficio, che codesti amici potessero adempiere, era di lenire con parole buone, se non con intima corrispondenza di pensieri, l'animo esa-
prendere
il
Esteban, concludendo la lettera nella quale procura di rimediare a quel che gli era
cerbato del Vico. Cosi faceva
l'
scappato dalla penna a proposito dell'orazione per la Cimini, e ripeteva frasi che aveva dovuto cogliere sulla
bocca del maestro:
«
Vivete sicuro che la Provvidenza,
per canali da V. S. non immaginati, farà sorgere a V. S. una fonte perenne di glorie immortali » \ Il gesuita pa!
dre Domenico Lodovico (autore del distico, che si legge sotto il ritratto del Vico), ricevuta la seconda Scienza
1
Autob., ed.
-
In Autob., ed. cit., p. 231.
3
Ivi, p. 205.
B. CitOCE,
La
cit.,
filosofìa
p. 55.
di Giambattista Vico.
20
APPENDICE
306
nuova, mandò all'autore, con pratico senno, un po' di vino della cantina e un po' di pane del forno della casa gesui'
Nunziatella, con una graziosa letterina nella quale lo pregava di accettare « codeste cosucce, comeché della
tica
semplici,
quando né pure
il
offerte de' rustici pastorelli
bambino Gesù
E
».
gli
rifiuta le rozze
suggeriva di aggiungere
nella simbolica dipintura che precede l'opera, accanto all'al-
un piccolo nano in atteggiamento di chi ammirando ammuta come il montanaro di Dante, scrivendovi sotto « con significante dieresi » il nome: Lodo-vico *. Tra i tanti fabeto,
!
giovani della sua scuola, erano alcuni, tutti pieni della dottrina di lui, pronti a difendere il maestro a spada tratta *-T ma si sa che cosa valgano codesti entusiasmi di giovani.
Se quegli scolari avessero penetrato davvero le dottrine o qualche parte delle dottrine vicinane, se ne sarebbero
vedute
le
tracce nella letteratura e nella cultura della geal Vico e, invece, non ne fu nulla o
nerazione che segui quasi.
;
Appena qualche sentenza, qualche affermazione
sto-
rica, qualche concetto isolato e superficialmente inteso fu ripetuto a Venezia dal Conti, a Padova dal Concina, in Ispagna da Ignazio Luzàn (il quale aveva dimorato a Na-
poli negli anni della pubblicazione della Scienza
nuova)
e qualche cosa di più nella patria dell'autore, dal vesi e particolarmente da GÌ' invidi,
i
leggieri,
i
\
Geno-
Ferdinando Galiani. pettegoli,
i
calunniatori, gl'inin-
eccitavano nel Vico scoppi di collera violenta. Di questo suo peccato si confessa nell'autobiografia, dicendo che « con maniera troppo risentita inveiva contro o gli telligenti
errori d' ingegno o di dottrina o suoi emuli, che
i
In Autob., ed.
2
Ivi, p. 121.
3
Ivi, p. 122.
mal costume dei
doveva con cristiana
cit.,
pp. 218-4.
carità, e
letterati
da vero
fi-
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
losofo, o dissimulare o compatirgli »
peccato non
l
Ma, in fondo, quel Dante, vi trovava
.
di
al
307
pari gli spiaceva: qualche bellezza. L'orazione per la Cimini contiene una specie d'inno alla collera, alla « collera eroica », « che negli animi generosi co' suoi bollori turbando
confondendo ogni mal nata
riflessione della
e dall'imo
mente, da cui
nasce la razza vile della fraude, dell'inganno, della menzogna, fa ella gli eroi aperti, veritieri e sandoli della verità,
arma
li
scrivere
nello
si
e
si,
interes-
campioni della ragione
forti » 2.
incontro ai torti ed alle offese
Benché
fidi,
«
guardasse
a tutto potere
»
dal cadere in quella passione 3 la collera si sente tumultuare mal repressa nelle lettere private, in tutte quelle punte contro i « dotti cattivi », che « amano più l'erudi,
zione che la verità è
«
memoria
tutto
versazione
poi,
era,
nel 1736,
Quando,
»,
contro
comune
il
uomini che
degli
e fantasia », e via dicendo. Nella con-
a
quel
che
sembra, mordacissimo.
Damiano Romano pubblicò un
tro la tesi vichiana relativa alle dodici tavole,
conta
il
Romano medesimo), sebbene
coi titoli di
«
dottissimo
»
e di
«
il
libro con-
.Vico (rac-
vi fosse stato trattato » e con ogni addentò in maniera
celeberrimo
altra dimostrazione di reverenza,
«
ci
che fu di ribrezzo e di orrore a chiunque vi », vedendo egli di malissima voglia che
sente
si
trovò pre-
«
un garzone
Ma agli scoppi di ricadute nella più profonda tristezza. In un sonetto, egli si dice oppresso da quel fato « che l'ingiusto odio altrui creò sovente », onde si era np-
come
noi
collera
i
si
si
fusse con lui cimentato
alternavano
le
Ivi, P p. 96, 120-1.
2
Opp-ì eJ. Ferrari, VI, p. 254.
2
Autob., ed. cit., p. 76.
*
In Autob., pp. 120-1.
» *.
APPENDICE
308
umano
partato dal consorzio
Da
si
quel torpore
a vivere solo con sé stesso.
riscoteva, talvolta, per qualche istante:
Poi ricaggio in me stesso, e da mie gravi cure sospinto a tornar là dov'era, di me, non per mia colpa, ho da dolermi 1 .
VII
in
Eppure, fra tanti tormenti e contrarietà e delusioni, tristezza che veniva frequente a rico-
mezzo a questa
il Vico provò una delle più alte dell'uomo: quel « vivere di meditazione scevra e pura di passione, che allora senza la compagnia tumultuosa e grave del corpo vive veramente l'uomo solo.... »;
prirlo dei suoi neri veli, felicità
quella vita di sicuro possesso, perché
«
medesimata con
presta e presente, che gli dimostra
l'anima, sempre essere fisso nell'Eterno che tutti ziante nell'infinito si
il
colma
di
che tutte
le
il
suo
tempi misura, e spa-
i
cose comprende; e
finite
una eterna immensa
gioia,
non
in
certi
luoghi invidiosamente né in certi tempi avaramente ristretta, ma che senza uggia di emulazione, senza tema di
scemamento, per ciò unicamente in esso
si
potrebbe comunicata
se ella fosse tuttavia a più e più
lui accrescere
umane menti
2
Della verità raggiunta non dubitò mai, pur continuando sempre a elaborarla: sopra il sistema presentato nel libro del Diritto universale la sua mente e diffusa
»
.
3 riposava sodisfatta » che dolori aveva cosi acerbamente
(egli dice) «
.
Le
fatiche, e gli stessi
erano cari, perché attraverso di essi era pervenuto alle sue scoperte sofferti, gli
:
1
In Autob., ed.
2
Opp., ed. Ferrari, p.
3
Lettera al Giacchi del 12 luglio 1720, in Autob., ed.
cit.. p. 325. 2»i7.
cit., p. 188.
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
309
« Benedico ben venticinque anni da me spesi nella meditazione di siffatto argomento, ed in mezzo le avversità della mia fortuna e le remore che mi facevano gli esempli infelici degl'ingegni, che han tentato delle nuove e gravi disco-
verte....
»*.
Come poteva non benedire
quelle fatiche e
quei dolori e quelle avversità, se ogni qual volta
si
solle-
vava dal tumulto passionale dell'uomo empirico e dalle lotte dell'uomo pratico, la sua mente gli mostrava la necessità ineluttabile e di quanto egli aveva operato e di quanto aveva sofferto, e l'ima e l'altra necessità strette in
modo tra loro da formarne una sola e indivisibile? La sua stessa dottrina filosofica gli porgeva dunque
la
medicina del male, e promoveva nel suo animo la catarsi liberatrice: quella dottrina che aveva per centro l'idea
immanente
della Provvidenza
necessità storica.
o,
come
si
disse poi, della
Sia pur sempre lodata la Provvidenza, che quando agl'infermi occhi mortali sembra ella tutta severa giustizia, allora più che mai è impiegata in una
somma
benignità!
«
Perché da questa opera
aver vestito un nuovo
uomo
io
mi sento
provo rintuzzati quegli stimoli di più lamentarmi della mia avversa fortuna, e di più inveire contro alla corrotta moda delle lettere che mi e
ha fatto tal'avversa fortuna; perché questa moda, questa fortuna mi hanno avvalorato e assistito a lavorare que-
Anzi (non sarà per avventura egli vero, ma mi piacerebbe che fosse vero), quest'opera mi ha informato st'opera.
un certo spirito eroico, per lo quale non più mi perturba alcun timore della morte e sperimento l'animo non più curante di parlare degli emoli. Finalmente, mi ha di
fermato come sopra un'alta adamantina ròcca
i
p.
Lettera
178.
al
il
giudizio
card. Corsini del 15 dicembre 1725, in Autob., ed.
cit.,
APPENDICE
310 di Dio,
quale fa giustizia alle opere d'ingegno con
il
stima dei saggi
»,
uomini cioè
degli
di
altissimo
la
inten-
dimento, di erudizione tutta propria, generosi e magnanimi, « intenti a conferire opere immortali nel comune delle lettere », che » l.
simi
sità di tutto ciò
deva nella metteva
«
sempre
La Provvidenza che
vita, e,
e
da per tutto furono pochis-
mostrava, dunque, la necesera accaduto e ancora gli accagli
gli
inculcandogli la rassegnazione, gli pro-
la Gloria.
Vili
Cosi l'uomo collerico diventava perfino tollerante: di quella tolleranza, di quella indulgenza superiore che non è da confondere- col volgare tollerantismo. L'Università, nella quale
aveva sperato fare avanzamento
aveva rivolto il pensiero nel comporre non aveva voluto sapere di lui ed egli ;
le si
prime opere, era tutto riti-
rato in sé stesso a meditare, la Scienza nuova.
ceva con sorriso in cui
si
e verso cui
Dunque
(di-
sente ancora alcunché di amaro),
questa mia opera io la debbo all'Università, che, riputandomi immeritevole della cattedra e non volendomi « oc-
cupato a trattar paragrafi tarla:
«
»,
mi ha dato
l'agio
di
medi-
Un avergliene più grado fiorentino Sostegni, in un sonetto a lui indiriz-
posso
di questo? »
io
2
.
amico, zato, usciva in parole di biasimo contro la città di Napoli, che aveva tenuto in poco conto il suo gran figlio. E il il
Vico, nella risposta, giustifica con nobili parole la patria,
dura con lui perché molto da lui aspettala e molto aveva voluto ottenerne:
1
In Autob., ed.
2
Lettera al Giacchi del 25 novembre 1725, in Autob.. ed.
p. 134.
cit.,
pp. 120-1. cit.,
VITA E CARATTERE DEL VICO
I.
311
Severa madre non vezzeggia in seno figlio, che ne fia poscia oscura e vile; ma grave in viso ancor l'ode e rimira l
.
Da questa condizione di spirito nacque Y Autobiografia-. opera che è stata mal giudicata e del tutto fraintesa dal Ferrari, il quale vi biasima il teleologismo dominante e mancanza
una spiegazione « psicologica » della vita del Vico *. Come se il Vico medesimo non avesse 3 E che cosa professato che l'aveva scritta « da filosofo » significa scrivere da filosofo la vita di un filosofo, se non vi
lamenta
la
di
!
.
intendere l'oggettiva necessità del suo pensiero e scor-
gerne gli addentellati anche dove all'autore, nel momento che lo pensò, non apparivano del tutto chiari? 11 Vico «
meditò nelle cagioni cosi naturali come morali, e nelda
l'occasioni della fortuna; meditò nelle sue ch'ebbe fin
fanciullo o inclinazioni o avversioni più ad altre spezie di studi che ad altre; meditò nell'opportunitadi o nelle tra-
versie onde fece o ritardò
i
suoi progressi
meditò, final-
;
mente, in certi suoi sforzi di alcuni suoi sensi
diritti,
i
quali poi avevangli a fruttare le riflessioni, sulle quali lavorò l'ultima sua opera della Scienza nuova, la qual appruovasse tale e non altra aver dovuto essere la sua vita letteraria
»
4 .
L' Autobiografia del
Vico
è,
insomma,
l'applicazione della Scienza nuova alla biografìa dell'autore, alla storia della propria vita individuale
;
e
metodo ne
il
è,
quanto originale, altrettanto giusto e vero. Che poi il Vico riuscisse solo in parte nel suo assunto, e, cioè, non potesse fare la critica e la storia di sé
1
In Autob., ed.
cit.,
IV
p. 825.
-
Nell'introd. al
3
Autob., ed. cit., p. 62. L. e.
1
voi. delle Opere.
stesso
come sono
in
312
APPENDICE
grado di farla saranno quelli
—
insistere.
i
critici e gli
storici
odierni, e altrimenti
troppo ovvio perché vi si debba L' Autobiografia termina anch'essa-con una befuturi, è
nedizione alle avversità, un riconoscimento della Provvidenza e una certezza di fama e di gloria.
IX
Negli ultimi anni di sua vita il Vico, aggravato dalla dalle domestiche cure e dalle malattie, « ri-
vecchiaia,
nunziò
affatto agli studi
Da
la
tremante
» l.
man
cade
e de' pensier s'è chiuso
esclamava
due
in
versi, pieni
il
il
mio
stile
mio tesauro
-,
lacrime, di un
di
sonetto
per una possibile ristampa, le e alla seconda correzioni Scienza nuova, e le inaggiunte nel definitivo manoscritto corporò dell'opera; pensò per del
1735.
Preparò
un momento
allora,
mettere a stampa l'operetta De cequilibrio corporis animantìs, composta molti anni prima e che andò 3 poi smarrita adempiè ancora a qualche obbligo di uffizio, di
;
come, nel 1738, all'orazione per bone.
Ma
già nel 1736 o nel 1737
le il
nozze di re Carlo Borfigliuolo
aveva comin-
ciato a sostituirlo nella scuola, e nel gennaio 1741 riceveva
definitivamente la cattedra dalla quale il padre si ritirava *. il Vico tra i suoi, come un vecchio soldato exacta
Viveva
nel ricordo delle battaglie combattute, nella coscienza del dovere compiuto. Il buon figliuolo gli faceva, militici,
'
2
Autob., ed. cit., p. 75.
In Autob., ed.
mondo de 3 -i
cit.,
p.
326 (sonetto del 1735 per
le
nozze di Rai-
Sangro).
Autob., ed. cit., 75: cfr. Bibl. vich., pp. 38-9, Sec. tuppL, p. 6.
In Aidob.y ed.
cit.,
p. 123.
I.
VITA E CARATTERE DEL VICO
313
ogni giorno, qualche ora di lettura dei classici latini da lui più amati e studiati un tempo. E, in questo suo tra-
monto, gli fu risparmiato, almeno, il tormento dei tormenti: quello che straziò negli ultimi anni di vita un filosofo tanto di lui più fortunato, Emanuele Kant, ansioso di dare séguito e compimento al suo sistema filosofico e consumantesi
in
una
sterile lotta coi pensieri
che
gli sfug-
che non più gli obbedivano. Il Vico givano aveva detto tutto ciò che doveva dire, e conobbe da sé e le parole
quale grande storico di sé stesso, il momento in cui la Provvidenza aveva terminato in lui l'opera sua, chiudeva il tesoro dei pensieri che gli aveva cosi largastesso,
mente aperto per la
penna.
tanti anni e gli
comandava
di
deporre
II
La fortuna del Vico
L
narrazione delle vicende alle quali andò soggetta la fama del Vico non dev'essere sostituita o frammischiata la
e giudizio del pensiero vichiano, perdendo storia della filosofia propriamente detta o turbandola con la storia della cultura 1 Ma anche
all'esposizione di vista la
.
quando poi passi a questa seconda storia, bisogna guarun altro darsi da genere di errore: dalla pretesa di giungere a determinare, mercé quella narrazione, se l'opera si
del Vico fosse o no culturalmente utile, e di utilità le
si
debbano riconoscere.
di significato e la corrispondente
quanti gradi
indagine è priva misurazione impossibile & Siffatta
eseguire perché (se ben si consideri) un unico discepolo può valere le decine e le centinaia, un effetto solo pro;
dottosi dopo secoli
compensare un'efficacia ritardata per
un oblio immeritato riuscire altrettanto memorabile e ammonitivo quanto una fama meritatissima, e una medesecoli,
*
i principali risultati delle ricerche da me esposte nella Bibliografia vichiana e nei due Supplementi (efr, in questo volume, p. 342), ai quali lavori
Restringo in breve
fatte sull'argomento
annessi
ed
rimando per maggiori particolari che qui i
Si
si
affermano.
veda sopra,
pp. 249-50.
e
per la documentazione delle cose
APPENDICE
316
sima verità, scoperta due volte in modo indipendente, da questa stessa duplicazione e apparente superfluità ricevere il crisma della sua ineluttabile necessità. L'opera del
come Vico
è concluso di solito) fu del tutto inutile,
perché apparsa fuori tempo ossia troppo presto, e rimasta sconosciuta (si
o giunta a notizia
quando non poteva insegnare più
E, col dire ciò,
è blasfemato contro la storia, la quale
si
nulla.
non ammette nulla d'inutile ed
e sempre, in ogni sua parte,
opera (avrebbe detto
della
il
Vico)
cui ampie utilità non è lecito umane, corte di una spanna.
Ebbe
il
«
Provvidenza
»,
alle
applicare piccole misure
Vico rinomanza, lettori, intenditori e seguaci decimottavo? Si è risposto, con pari
nel corso del secolo
no e
risolutezza,
si
;
e,
a provare la risposta affermativa,
si
sono andati raccogliendo con molta diligenza i ricordi che del nome e delle dottrine del Vico si trovano sparsi negli scritti di quel secolo, accumulando sospetti e indizi su tracce inconfessate delle sue idee, che italiani
libri
non di
si
Ma un
stranieri.
scorgerebbero in pensatore come il Vico si
può dire propriamente conosciuto se non quando
lui sia
lo spirito
cati a
e
stato còlto il pensiero fondamentale e risentito animatore. Ora la maggior parte dei fatti arre-
documento
dell'opera sua concernono
dell'efficacia
dottrine particolari, che, avulse dal complesso, furono accettate o contestate né più né altro critico
suo.
Tale è
meno
di quelle di qualsiasi
ed erudito o dicitore di paradossi del tempo il
caso,
in
primo luogo, della teoria circa
l'origine della legge delle dodici tavole, discussa nella po-
lemica che
si
agitò fra Bernardo Tanucci e Guido Grandi
dal 1728 al 1731, oppugnata nel 1736 da
accolta in Francia nel 1735 dal
Damiano Romano, e rammentata nel
Bonamy
1750 dal Terrasson; delle nuove interpretazioni storiche circa
i
primi tempi di Roma, ricordate dallo Chaslellux,
guite e svolte dal
Duni
e,
se-
attraverso costui, sfruttate dal
FORTUNA DEL VICO
II.
317
Da Bignon; delle ipotesi sulla preistoria e sulle origini dell'umanità, adoperate e alterate dal Boulanger in Francia e da Mario Pagano in Italia; dei concetti storici e politici, e di quelli sulla poesia il
presso
il
Galiani,
Questione
e sul
Pagano,
che
linguaggio il
Cesarotti e qualche altro.
sostanziale era quella del
pili
trovano
si
metodo
di stu-
diare e giudicare le istituzioni politiche e le leggi; per la qual parte il Montesquieu fu messo a paragone col Vico
e accusato di essersi valso largamente della Scienza nuova senza citarla. È ormai accertato che nel 1728 Antonio Conti in
Venezia consigliò
il
futuro autore dell'Esprit des lois comprare a Napoli
al
risulta dai diari di quest'ultimo) di
(come
libro del Vico: consiglio che fu
certamente messo
in atto
recò a Napoli l'anno dopo, perquando Montesquieu ché un esemplare della Scienza nuova, nell'edizione del si
il
serba
si
1725,
ancora
nella
biblioteca
del castello de la
Ma ingegno
troppo diverso rispetto al Vico, e troppo
meno profondo, era
quello dello scrittore francese, da trarre
Bròde.
nutrimento da un'opera come la Scienza nuova; e i vestigi d' imitazione, che si è creduto di scorgere nell'Esprit des lois, sono assai contestabili e, in ogni caso, di scarsa vitale
importanza. Deve
mente mento
dirsi,
per altro, che
il
merito
general-
attribuito al Montesquieu, di avere introdotto l'ele-
prendendo per tal modo (come poi scrisse lo Hegel) la legislazione, quale momento dipendente di una totalità in rapporto a tutte le altre determinazioni che forstorico nel diritto positivo,
a considerare
mano
al
Come cosi
il
veramente
—
un popolo o di un'epoca; questo ordine cosi di tempo come di eccellenza, spetta •
Vico. il
Montesquieu per
Wolf per
la questione
sersi giovato tacitamente il
filosofica
carattere di
il
inerito, in
invece
in guisa
la
scienza della legislazione,
omerica, fu sospettato di es-
delle speculazioni vicinane.
Wolf, quando nel 1795 die fuori
i
Ma
Prolegomena ad Home-
318
APPENDICE
rum, ignorava, almeno direttamente, la Scienza nuova, che non conobbe se non di nome nel 1801 e di fatto l'anno dopo, pel dono che di quel libro gli fece il Cesarotti. È da noi concetti del Vico circa il carattere bar-
tare per altro che
mancanza di riposta sapienza nell'epos omerico erano (forse per opera del Galiani) divulgati nel 1765 dalla barico e la
Gazette Uttéraire de l'Europe del Suard e dell' Arnaud e, meglio ancora, che la Scienza nuova era conosciuta e ado;
perata dal filologo e archeologo danese Zoega (il quale la cita in un suo saggio' su Omero, composto nel 1788 seb-
bene pubblicato assai più tardi); e che con lo Zoega teneva carteggio lo Heyne, il quale accusò poi il Wolf di avere attinto alle sue
legomena
lezioni per la teoria presentata nei Pro-
in verità, sin dal 1790 manifestava l'idea di
(e,
una genesi graduale quelle teorie già
si
morie del Merian.
dei
poemi omerici);
profilavano nel I concetti
Wood
e,
infine,
e in alcune
vichiani con o senza
il
che me-
nome
dunque penetrati in qualche misura nell'ambiente filologico tedesco e il Wolf ne ebbe indubdel loro autore erano
;
biamente un certo sentore indiretto. E, in ogni caso, resta sempre, anche qui, il fatto riconosciuto da tutti co-
hanno studiato la questione che la teoria omerica, cosi come si trova esposta dal Wolf, dovrebbe dirsi non wolfiana ma vichiana, perché tale è veramente in quasi loro che
:
suoi tratti fondamentali. Del resto,
il Wolf, filologo di anch'esso pensatore assai gran lunga superiore ideali era in d'intendere le motivazioni non minore, grado dottrina che avevano condotto il suo predecessore a quella
tutti
i
al
Vico
ma
intorno a
Omero; com'è chiaro
perficiale,
che nel 1807 vi scrisse intorno.
Certamente a Napoli, nel molti
secolo
decimottavo,
fu
in
una confusa coscienza
chiana stesse
dall'articolo, alquanto su-
;
ma
non
della grandezza dell'opera viin che propriamente questa grandezza consi-
si
sapeva determinare, perché facevano ancora
II.
FORTUNA DEL VICO
319
e la preparazione adeguate. E fuori Germania in particolare, dove questa preparazione c'era, o almeno ce n'era assai di più, l'opera del difetto l'esperienza
d'Italia, e in
Vico rimase generalmente sconosciuta, in parte per il dierano caduti sin dalla fine del seicento i
scredito in cui
libri italiani, in
parte per
offriva agli stranieri. le
mani
caso
si
di
uomini
divertisse
Quando
atti a
a
le difficoltà
la
che
lo stile del
Vico
Scienza nuova capitò tra
comprenderla, sembra come se
impedirne loro
la
seria
lettura
il
e
Lo Hamann si procurò la Scienza nuova da Firenze nel 1777, in un tempo in cui si occupava di economia e di fisiocrazia, immaginando che vi si trattassero tali
l'intelligenza.
materie; e rimase deluso quando, nella scorsa che le dette, avvide di avere innanzi una selva di ricerche filologiche,
si
per giunta con scarsa acribia.
eseguite
11
Goethe l'ebbe a
Napoli, nel 1787, con grandi raccomandazioni, dal Filangieri e la portò seco in Germania e nel 1792 la prestava al Jacobi; ma solo per una felice combinazione, piuttosto che per una vera conoscenza o per un chiaro intuito, avvicinò il nome del Vico a quello dello Hamann. Lo Herder
(che anch'esso conobbe l'opera del Vico non forse nel 1777 mercé l'accenno fattogliene dallo Hamann nel loro carteggio,
ma
piuttosto nel suo viaggio d'Italia nel 1789),
ne discorse nel
1797 in termini affatto generici e senza avvertire nessuno dei molteplici rapporti che al Vico lo
stringevano, in ispecie nelle dottrine sul linguaggio e sulla poesia. I
la
soli
che nel secolo decimottavo veramente penetrassero e, pur senza volerlo,
tendenza fondamentale del Vico
ne riconoscessero
la genuina grandezza, furono (a nuova conferma della salda contestura spirituale del cattolicesi-
mo) gli avversari cattolici, che egli, allora, ebbe numero: il Romano, il Lami, il Rogadei, e sopra Finetti. Videro costoro che
il
Vico, nonostante
i
in
buon
tutti,
il
suoi fermi
APPENDICE
320 propositi di
Provvidenza stiana, e di
non
lo
ortodossia
religiosa, coltivava
un' idea
della
difforme da quella della teologia crifaceva continua menzione a parole, ma
affatto
Dio
lasciava poi operare effettivamente,
come Dio
— che
per-
distaccava con taglio cosi netto storia profana e storia sacra da giungere a una dottrina 'affatto naturale e umana delle origini della civiltà (mercé sonale, nella storia;
quelle della religione (mercé il timore, il pudore e l'universale fantastico), laddove la dottrina tradizionale cattolica ammetteva una certa comunicazione lo stato ferino) e di
tra la storia sacra e la profana, e nella religione e civiltà
pagana riconosceva il lievito operante di una qualche noche, tizia, sia pur vaga, della primitiva verità rivelata;
—
pure protestando di accogliere e rafforzare l'autorità della che la Bibbia, egli la minava e scrollava in molti punti;
—
sua critica
alla
tradizione storica profana, condotta con
di ribellione al passato,
poteva aprire l'adito superbo a dannosissimi abusi, perché istigava ad applicare il medesimo spirito e metodo alla storia sacra, come fece poi spirito
l Un'invettiva, insomma, nella quale erano Boulanger indicate tutte le parti che dovevano diaccuratamente già
il
.
poi entrare a comporre il grandioso elogio che il secolo decimonono avrebbe indirizzato al Vico. Nacque per tal modo tra gli
autore;
uomini di
di chiesa
una certa diffidenza verso questo tempo
che, tra l'altro, fu effetto più tardi, al
della restaurazione, la polemica antivichiana del
vescovo
Colangelo, preceduta da un giudizio del regio censore Lorenzo Giustiniani, che diceva la Scienza nuova: un « libro il
quale diede luogo a segnare un'epoca molto infelice in
Europa
1
La
».
il Vico porse materia a un libro più oltre in questo volume, p. 339.
critica dei cattolici contro
assai istruttivo del
Labanca:
cfr.
II.
FORTUNA DEL VICO
321
Quasi a contrasto, tra
i giovani che in Napoli, sulla secolo deci mot tavo, coltivavano con ardore gli
del
line
studi sociali e politici e
imminente rivoluzione, rato
come
si il
accingevano all'opera attiva della Vico cominciò a essere conside-
scrittore anticlericale e anticattolico, e sorse la
leggenda (ricordata in altra parte di questo volume ') che il Vico avesse di proposito e per accorgimento reso oscuro il suo libro per salvarsi dalla censura ecclesiastica. Quei giovani presero a leggere e a vantare la Scienza nuova; disegnarono di ristamparla, perché era divenuta rara, con
opere dell'autore e con gli scritti inediti; prepararono lavori espositivi e critici sul sistema filosofico e sto-
le altre
rico del Vico; taluno, come il Pagano, si provò a rielaborarlo mescolandolo con le idee del sensismo francese,
e
tal
altro,
come
il
non ne fu
Filangieri,
benché molto
lo
ammi-
dai sogni
del più roseo rifortedesco Gerning, che capitò a Napoli, notò questo fervore di studi intorno al Vico e augurò una rasse,
mismo;
nel 1797
distolto
il
traduzione o almeno un estratto tedesco della Scienza nuova.
E quando
caduta della repubblica napoletana del 1799 spinse quei giovani (quelli, tra essi, che scamparono dalle la
stragi e dai
patiboli
della
reazione borbonica) agli
nell'Italia superiore e specialmente in
del Vico ebbe
i
suoi primi ardenti
Lombardia,
al
esili
fama
apostoli e missionari.
Vincenzo Cuoco, Francesco Lomonaco, Francesco altri patrioti meridionali fecero
la
Salii
e
conoscere la Scienza nuova
Monti, che ne toccò nella sua
di Pavia del 1803
;
a
Ugo
prolusione universitaria Foscolo, che ne accolse parec-
chi pensieri nel carme dei Sepolcri e nei saggi di critica; ad Alessandro Manzoni, che doveva poi istituire nel Discorso sulla storia longobarda un celebre raffronto tra il
Vico e
1
Si
il
Muratori; e ad
veda sopra,
B. Cuoce, La
filoso/la
altri
minori.
Il
Cuoco informò
pp. 285-6.
di Giamhaltisia Vico.
81
322
APPENDICE
intorno al Vico Histoire esule,
il
il
Degérando, che allora lavorava
di Giulio Michelet; coli
alla
sua
comparée sgstèmes philosophiques; un altro De Angelis, metteva la Scienza nuova tra le mani des
il
Salti
discorreva del Vico negli arti-
Revue encyclopèdique
della
scritti in francese.
e
in
volumi ed opuscoli
Anche per suggerimento
di quei napoMilano ristampata la Scienza nuova; e altre edizioni e raccolte di opere minori vicinane non letani, fu nel 1801 a
tardarono a comparire. Per tali vicende, e in quel pridecennio del secolo decimonono, il Vico, da reputa-
mo
zione quasi esclusivamente municipale e napoletana, per-
venne a reputazione nazionale e italiana. Senonché, conforme alle loro personali disposizioni e tendenze del tempo,
alle
mento che siero, fu
di
i
il
primo
e principale
ammaestra-
patrioti .studiosi del Vico trassero dal suo pen-
politico o di filosofia
politica
;
e cioè, la
quel giacobinismo e di quel filogallismo che
fatto cosi cattiva
siero del
Vico
li
critica
avevano
prova negli avvenimenti del 1799. Il penguidò a concetti più concreti, e generò
un'opera di capitale importanza, il Saggio storico sulla rivoluzione, napoletana (1800) di Vincenzo Cuoco. Similmente, alcuni decenni dopo,
Ballanche, nei suoi JEssais de palingénesie sociale (1827), scriveva che il Vico, se fosse stato noto in Francia nel secolo decimottavo, avrebbe esercitato il
un'azione moderatrice e benefica sulle rivoluzioni sociali
che seguirono.
Un
altro
particolare aspetto
del Vico, la
riforma ch'egli aveva iniziata della metodologia storica e della scienza sociale a servigio della storia, fu avvertito e lumeggiato
Sulla natura
umane
dall'archeologo Cataldo Iannelli nel libro: scienza delle cosa e delle storie
e necessità della
Foscolo principalmente, e coloro che da presero ispirazione, fecero penetrare nella critica e storia letteraria qualcosa delle concezioni vichiane sulla in(1818). Il
lui
terpetrazione storica della poesia.
II.
FORTUNA DEL VICO
323
Invece, in Germania, il Jacobi, che aveva letto il De
scorgendo e additando lìn dal 1811, nel suo libro Uéber den gottlichen Bingen und ihrer Offenbafilosofico vicinano,
tra
ning, lo stretto rapporto
sione del vero col fatto, si
il
conver-
principio della
e la teoria kantiana
che non
intendere
se non perfettamente concepire di grado costruire; dalla quale un sol conduceva poi (egli notava) al sistema dell'idenLa medesima cosa riconobbe il Baader, che trovava e
possa
ciò che si è in passo tità.
sistema la conferma e
fondamento del prinbuona traduzione della Scienza nuova, pubblicata nel 1822 dal Weber, non sembra avesse fortuna; né del Vico sembra che conoscesse nulla lo in questo
cipio enunciato
dal Vico.
Ma
il
la
Hegel, che tante affinità sostanziali e formali
(in ispecie
nella
Fenomenologia) ha col pensatore napoletano e al quale doveva essere rimproverata la mania triadica, come già il cattolico Finetti aveva rimproverato il Vico di star sempre «
sulla regola del
trine
filologiche
Bockh
tre ».
tedesche
e di tanti altri
Né
i
riscontri
delle
nuove dot-
del
Niebuhr, del Miiller, del con quelle vicinane furono volen-
messi in luce; e caratteristico è l'atteggiamento del Niebuhr, il quale, conoscesse o no l'opera del Vico quando tieri
pubblicò la prima edizione della sua Eomische Geschichte, conobbe senza dubbio dipoi per comunicazione che gliene
la
lece
il
Savigny e per
l'articolo
di confronto:
Vico
und
Niebuhr, pubblicato nel 1816 dallo svizzero Orelli; eppure
continuò a tacerne per non si sa quale dispregio o dispetto, nel che fu imitato poco lodevolmente dal Mommsen. In Francia, la divulgazione del pensiero del Vico si dovette al Michelet, che ne tradusse le opere e che ancora negli ultimi suoi anni chiamava l'Italia: « cette seconde mère et nourrice qui, jeune, m'allatta de Virgile, et, mar, me nourrit de Vico, puissants cprdiaux qui tant de fois ont renou-
324 vele
APPENDICE
mon
scrisse
cceur
che
».
E
il
Michelet, per
il
primo
o tra
i
primi,
Vico non era stato inteso nel secolo decimot-
il
tavo, perché parlava al decimonono. Fecero corona al Michelet,, oltre
minier, lo
il
Ballanche
già,
Chateaubriand,
isfuggirono
che
il
i
il
rapporti tra
Jouffroy, il Ler(a parecchi dei quali non "Vico e quella filosofia tedesca ricordato,
il
Cousin
il
Cousin per l'appunto divulgava allora in Francia),
e più tardi
1 Cournot
il
Laurent,
il
e moltissimi
Vacherot,
De Ferron, il Franck, ammirò il Vico Au-
il
altri: lesse e
guste Comte, che nel 1844 ne scriveva allo Stuart Mill, e
Leone Gambetta ideava, da giovane, una storia generale del commercio condotta sullo schema vichiano dei « ricorsi » La popolarità ottenuta per qualche tempo perfino
!
in
Francia dal nome del Vico fu tanta che vi
si
accenna
scherzosamente in più luoghi dei romanzi del Balzac e nel Bouvard et Pécuchet del Flaubert. Ma l'efficacia di un pensiero di quella qualità
duratura
non poteva essere né profonda né
nel tenace intellettualismo e spiritualismo fran-
che essa raggiunse è forse da cercare nelle teorie del Fustel de Coulanges sulla città
cese. Il più cospicuo risultato
antica e sull'origine della feudalità. Ma, per tornare all'Italia, se qui le aspirazioni al risorgimento nazionale, che portavano a rivendicare e celebrare tutte le glorie italiane, innalzarono
il
nome
del Vico col-
locandolo quasi a lato di quello di Dante, il simultaneo risorgimento filosofico, nel districarsi dal sensismo e materialismo del secolo decimottavo,
non poteva non
fare capo
all'ultimo grande filosofo idealista italiano e giovarsi del suo pensiero e valersi della sua autorità. Del Vico si raccolsero allora le opere complete e zioni dei singoli trattati.
E
si
poiché nel
moltiplicarono
moto
le edi-
politico del Ri-
seguirono e in parte s'intrecciarono due correnti, la neoguelfa e la radicale e il simile accadde in quello filosofico con le due tendenze idealjstico-cattolica e idea-
sorgimento
si
;
II.
325
rosminiano-giobertiana e bruniano-hege-
listico-razionale,
liana;
FORTUNA DEL VICO
Vico, cattolico e insieme libero filosofo,
il
com'è
assai bene,
facile intendere, alle
si
prestava opposte simpatie e
due scuole. Si vennero cosi formando due immagini diverse, entrambe storicamente giustificate, benché una lo ritraesse piuttosto quale
alle opposte interpetrazioni delle
di lai
egli volle essere e l'altra quale effettualmente fu. Il cattolici liberali era soprattutto il
platonico,
lista dei
il
il
mistico del Dio inconoscibile,
prologhi
sofo schiettamente
restante Europa,
tìgli
da contrapporre a
della Riforma;
il
tradiziona-
il
perciò anche
al Diritto universale, e
italiano
Vico dei
Vico dei punti metafisici, filo-
quelli della
Vico dei razionalisti,
invece, l'audace ed eretico scopritore della Scienza nuova, e perciò filosofo europeo da mettere nella compagnia di Cartesio e Spinoza, di Kant e di Hegel. La prima imma-
può vedere nei
si
gine
Tommaseo
e di altri
menticare quelli
di
pinse
presso
forse
Vico dei cattolici.
i'
filosoft
tra
un nobile
rico Cenni, che, meglio il
Rosmini, del Gioberti, del
libri del
molti,
i
quali
scrittore dì
tutti,
non bisogna
di-
napoletano, Enamorosamente di-
La seconda immagine
e critici, che dal 1840 in poi
si
si
ritrova
educarono
alla scuola dell'idealismo
germanico; e segnatamente in Bertrando Spaventa e in Francesco de Sanctis, che cominciarono a vedere con chiarezza le relazioni tra il Vico e il pensiero europeo anteriore e posteriore, e a convertire i semplici accenni e le vaghe impressioni di altri su tal proposito in interpetrazioni scientifiche e in giudizi determinati. E che gl'interpetri e critici del secondo indirizzo cogliessero nel segno e quelli cattolico-liberali o cattolicoidealisti si soffermassero in una posizione insostenibile,
riproducendo nella loro irresolutezza solutezza e l'incoerenza tra
l'altro,
liberali
ma
dalla
medesima
e
incoerenza l'irre-
del Vico, era provato,
diffidenza e ostilità che cattolici
pia coerenti (come lo spagnuolo
meno
Giacomo
Bai-
APPENDICE
326
mes) seguitarono a dimostrare tenacemente verso l'autore della Scienza nuova.
Non
piccola efficacia esercitò
italiana del
il
Vico nella storiografia
medesimo periodo, concorrendo a formare un
più verace senso storico e spesso rischiarando le questioni che si dibattevano, come quella della condizione delle popo-
romane sotto i Longobardi, a proposito della quale Manzoni richiamò la vichiana « libertà signorile » *. E suo pensiero dominò gli studi di giurisprudenza, special-
lazioni il il
mente
nell'Italia meridionale; e,
sebbene non producesse
in
questo campo grandi frutti scientifici, conferi a quei giuristi un'elevatezza e larghezza di criteri e una concretezza di giudizi, che rimasero dipoi un ricordo e un desiderio.
Dopo
il
1870, con la decadenza della filosofia in Italia
e fuori, lo studio del
rantennio non
opere di lui.
si
senti
Vico decadde; e per oltre un qua-
neppure
il
bisogno di ristampare
La monografia del Cantoni, che
le
è del 1867,
nonostante alcune parti pregevoli, mostra già chiarissimi i segni della decadenza, perché tutta fondata sul concetto che
Vico è tanto migliore quanto meno è metafisico e più psicologo e storico; né ciò è detto in relazione all' intrinseca debolezza che il Cantoni gli addebita in cose di filoil
sofia,
ma
pel sottinteso convincimento, che è nel critico,
della vanità di ogni metafisica, solo nelle
teste
immaginose
buona a suscitare entusiasmi e confusionarie degli italiani
del mezzogiorno. Al grande idealista della Scienza nuova fu riserbato perfino l'obbrobrio degli omaggi dei positivisti;
i
quali, nella loro meravigliosa ignoranza che è quasi
innocenza, non dubitavano e non dubitano di allegare a
conferma della loro professione
1
Si
di fede
veda sul largo influsso vichiano
Storia della storiografìa italiana nel secolo dei nomi.
XIX
in
metodica
il
detto:
quel periodo la mia
(Bari, 1921): cfr. l'indice
II.
« veruni fatto,
FORTUNA DEL VICO
327
ipsum factum »; e cioè, a senso loro, il vero è il che si vede e si tocca o che si crede
fatto bruto,
il
di vedere e toccare. Scarsi gli scritti che recarono qualche serio contributo alla conoscenza di punti particolari delle
sue dottrine. L' interesse pel Vico si è ravvivato solamente nell'ultimo decennio col generale ravvivarsi degli studi filosofici. I
due migliori lavori generali intorno al Vico, comsi debbono al cattotedesco Carlo Werner (1881), che ne espose con grande
parsi sullo scorcio del secolo passato, lico
diligenza le dottrine filosofiche e storiche, giudicandole col criterio del teismo speculativo (svoltosi sotto l'influsso del
Baader
seconda
quale è senza dubbio assai più favorevole dello psicologismo del e all'inglese RoCantoni alla comprensione del Vico; berto Flint (1884), che scrisse per la raccolta dei Plrìlosoe della
filosofia schellinghiana),
il
—
phicol classics una breve monografia sullo stesso argomento, esatta nei particolari e, se non profonda, guidata da lim-
pido buon senso. E di recente, mentre il Sorel in Francia la fecondità di alcune dottrine del Vico e spe-
ha mostrato
cialmente di quella dei ricorsi, tentandone applicazioni alla storia del cristianesimo primitivo e alla teoria del movi-
mento proletario odierno, in Germania dal Biese e dal Mauthner ne sono stati richiamati in onore i concetti sulla metafora e sul linguaggio. Nondimeno, il Vico non ha ottenuto
il
posto che gli
spetta nei libri dedicati alla storia della filosofia
nei quali
—
moderna;
o sia quello dello Hoffding o l'altro, che gli
è tanto superiore, del Windelband, o qualunque altro voglia,
—
il
filosofo italiano,
tutto sotto silenzio,
sia
si
passato del
appena viene ricordato come colui che
Bossuet e prima dello Herder, tentato
avrebbe, dopo dubbia scienza della il
quando non
«
Filosofia della storia ».
la
Questa poca considerazione nasce in parte dalla scarsa conoscenza di
APPENDICE
328
quel che fu realmente di
Vico, la cui molteplice energia gnoseologo, di teorico dell'etica, dell'estetica, del di-
ritto,
della
nome
di
il
rimane come seppellita
religione
filosofo della storia ».
«
è effetto del contraccolpo
dalla storia
politica
e
che
dalla
sotto quel Ma, per un'altra parte,
la storia della filosofia risente
storia
della cultura;
onde
i
pensatori, la cui fortuna sociale segui quella non felice dei popoli e degli stati ai quali appartennero, o che per altre
cause e incidenti non operarono abbastanza largaciviltà europea, sono sacrificati ad altri, di
mente nella
gran lunga meno importanti sotto l'aspetto
filosofico,
ma
più efficaci o più noti come esponenti di vita sociale e rappresentanti d'indirizzi di cultura; e dove si terrebbe impossibile ignorare, a mo' d'esempio, il Paley o il D'Holbach o il Mendelssohn, sembra naturale ignorare un Giambattista Vico, che pure è, in mezzo a costoro, gigante tra
pigmei.
Il
che quanto sia storicamente ingiusto è dimo-
strato, in tesi teorica, dalla distinzione, su cui insistiamo,,
tra storia
della filosofia
e storia
della cultura;
e,
nel
caso particolare del Vico, da tutto il nostro lavoro, dal quale appare evidente la lacuna che la trascuranza dell'opera di lui lascia aperta nella storia generale del pensiero europeo ai principi del secolo decimottavo.
Ili
Cenni bibliografici
I
Opere del Vico
I. .1 più antico scritto del Vico, che ci sia pervenuto, canzone Affetti di un disperato, composta di certo prima che l'autore raggiungesse il venticinquesimo anno, a Vatolla nel Cilento (dove si trattenne per circa un novennio come pedagogo in casa Rocca), e stampata con la è
la
data di Venezia, Gonzatti, 1693. Seguirono versi e orazioni di carattere quasi meramente rettorico. Il
carattere filosofico
si
accentua nelle
sei orazioni
che
Vico lesse nell'università di Napoli dal 1699* al 1707 e che, non messe a stampa da lui, furono poi ritrovate e il
pubblicate dal Galasso (Napoli, Morano, 1869). In queste orazioni, sebbene si mostrino alcune tendenze della sua
mente, c'è ancora la filosofia tradizionale, non senza qualche traccia di cartesianismo. L'opposizione al cartesianismo, e insieme la professione metodica del Vico, si affer-
mano perla prima
volta nell'orazione perla solenne inau-
gurazione degli studi dell'anno 1708, intitolata:
De
nostri
temporis studiorum rat ione, pubblicata dall'autore stesso
330
APPENDICE
l'anno dopo (Napoli, Mosca, 1709). Un lungo cscurso (§§ 1215) contiene uno schizzo della storia della giurisprudenza romana, primo saggio degli studi storici che condussero
più tardi al Diritto universale e alle due Scienze nuove. L'anno seguente apparve la prima costruzione filosofica e
storica
del Vico:
pientia ex linguai
latiìice
il
De antiquissima
italorum
originibus emenda, o meglio
il
sa-
solo
primo libro (Napoli, Mosca, 1710); gli altri due non furono mai pubblicati, ma di quel che dovessero contenere può dare idea ciò che se ne dice nell' Autobiografìa. Oltre la gnoseologia (nella prima forma) e la metafisica del Vico (da lui mantenuta poi sempre salda), il De antiquissima tenta di ritrarre la prima volta la sapienza primitiva o un caso particolare di quella sapienza (l'italica); quantunque, come si è già detto nel testo del nostro lavoro, il tentativo sia fondato
per
sull'idea che quella sapienza fosse filosofica, e condotto col criterio della trasmissione delle civiltà dal Vico poi rifiutato,
come
rifiutò l'opinione tradizionale, ivi
ancora accolta,
dell'origine ateniese della legge delle dodici tavole. Inaccettabile è
che
il
giudizio del Cantoni (G. B. Vico, p. 38) antiquissima formi « una strana anomalia nella
dunque
De
il
storia del pensiero del Vico, essendo contrario a
tutta la
sua vita scientifica, alle sue tende'nze, ai principi e al metodo che quasi universalmente applicò poi nelle sue ricerche storiche
»*,
ed è vero l'opposto, che esso ò
del futuro svolgimento, senza del
tendere
il
pensiero
— posteriore.
quale è
come ad alcune
primo anello
impossibile in-
Le censure, che
nale de' letterati d'Italia (1711, tomi alla tesi storica
il
V
e Vili)
il
Gior-
mosse
cosi
delle tesi filosofiche del
De
antiquissima, dettero origine a due importanti Risposte del Vico (Napoli, Mosca, 1711 e 1712), nelle quali le sue idee gnoseologiche e metafisiche sono difese e schiarite. Alla parte non più messa in istampa del De antiquissima si rian-
nodavano
le
meditazioni di
filosofia della
medicina, dalle
CENNI BIBLIOGRAFICI
III.
3?>1
Vico trasse un opuscolo: De (Equilibrio corporis animantis, che molti anni dipoi pensava di pubblicare e che è
quali
il
-andato
perduto
onde
;
di quelle,
come
delle
sue specula-
zioni di fisica (che dovevano costituire il Liber physicus), non si sa altro se non ciò che egli stesso dice nell'autobiografia.
Tralasciando quali
il
per commissione, dei
gli scritti rettorici e
più esteso è
il
(Napoli, Mosca, 171 G),
i
De
rebus gestis Anton ii Campitevi nuovi frutti del suo pensiero (che
andò concentrando sui problemi morali e storici), prima accennati in una prolusione del 1719 della quale il sommario è nell'autobiografia, furono condensati dal Vico, in si
italiano, nel 1.720, in
pagine
fitte
un programma a stampa
a due colonne, noto sotto
il
nome
di
quattro
di Sinopsi
del diritto universale, e svolti nell'ampia trattazione: De universi iuris uno principio et fine uno liber units (Napoli, Mosca, 1720), compiuta l'anno dopo dal Liber alter qui est de constantia iurisprudentis, e accresciuta nel 1722 dalle
Kotce in dioos libros, ecc., che rappresentano
avanzamento
un
ulteriore
suole designare nel suo complesso, seguendo l'esempio dello stesso autore, col nome di Diritto universale.
Questo
(ivi)
libro,
presenterebbe giudizio non
il
;
la
quale opera
si
secondo
il
culmine
dell'attività scientifica del Vico:
meno
Cantoni (op.
inaccettabile del
(Opp., V, 10-11) rifiutò
il
cit.
,
p. 243), rap-
precedente. L'autore
Diritto universale, perché gli pa-
reva che vi perdurassero il pregiudizio e « scendere » dalla mente di Platone e degli
la
pretesa di a
altri filosofi
quelle degli uomini primitivi, onde in esso avrebbe errato
«in alquante materie »• ma bozzo della Scienza nuova sulla poesia vi sono
anche a ragione, « abqual è veramente. Le idee
lo disse »,
ancora perplesse, Omero non
vi è an-
cora un mito, i canoni mitologici sono meno unitari di quel che divennero poi, per l'origine delle XII tavole si affaccia
APPENDICE
332
un'ipotesi ibrida, la teoria dei ricorsi vi è appena debolmente adombrata, e insomma cosi la storia ideale eterna
come la gnoseologia, sulla quale essa si fonda, sono ancora immature. L'opera è rifusa nelle posteriori, salvo ciò che riguarda la generale filosofia etica e giuridica (che non è molto originale) e salvo alcuni svolgimenti storici che nelle opere posteriori ricompaiono solo in accenno.
È
andato perduto
divisa in due trine
libri,
manoscritto di
il
in cui
per via negativa
«
»,
mente polemico. In modo cisa,
le
ritrovano
comune natura principi di
i
positivo, invece, e in
nei Principi
espose
torno alla
un'opera italiana, Vico esponeva le sue dotossia con metodo prevalenteil
forma con-
una Scienza nuova
di
delle
nazioni, per
la quale
in-
sì
naturale
altro sistema del diritto
Mosca, 1725), che sono coKOsciuti con denominazione (anche questa proveniente dall'autore
delle genti (Napoli, la
Prima scienza nuova. Nello stesso anno in cui pubblicò
medesimo)
di
nuova, cioè nel studi:
Vita
1725,
il
Vico narrò
la la
Prima storia
scienza dei suoi
G. B. V. scritta da sé medesimo, che fu
di
inserita nella Raccolta di opuscoli scientifici e filologici del
Calogerà (Venezia, Zani, 1728, voi. I, pp. 145-256). Dei minori scritti di questo periodo sono notevoli altresì le in morte della contessa di Althann (1724) e marchesana della Petrella Angiola Cimini (1727); il
due orazioni della
volumetto Vici vindicice (Napoli, Mosca, 1729), contenente
una
difesa di carattere personale (con un'importante digres-
sione teorica sul «riso») contro una maligna noterella inserita negli Acta lipsiensia del 1727 intorno alla Scienza
nuova; e alcune lettere bellissime gioli, all'Esperti, al
la
sua opera e
De Vitry
al Giacchi, al
Degli An-
e al Solla, sul contrasto tra
condizioni degli studi a quel tempo. scienza nuova il Vico pensò di aggiungere le
Alla Prima una lunga serie
di Annotazioni
(effettivamente poi scritte
III.
ma
333
CENNI BIBLIOGRAFICI
andate disperse) in una ristampa che se ne preparava a il 1728 e il 1730. Ma poiché questa non ebbe
Venezia tra più effetto se
e,
non
d'altro canto, quel libro
non proprio per
le
lo
soddisfaceva
materie (egli dice), per l'ordine terisolse a dare un'esposizione affatto
nuto (Opp.,'V, 11), si nuova delle sue dottrine nei
una Scienza nuova d'intorno
de' principi di
libri
Cinque
comune natura
alla
delle na-
questa seconda impressione con più propia maniera condotti e di molto accresciuti (Napoli, Mosca, 1730),
zioni, in
formano
che
Cantoni
una
la
Seconda scienza nuova. Quantunque
il
consideri quest'opera come degenerazione del pensiero del Vico, essa è risultato necessario e la forma perfetta a cui
(op. cit., pp. 238-9)
senile
invece
il
mettono capo
tentativi
i
ed è
precedenti;
De antiquissima
libro
il
che,
con l'autobiografia, basta a fornire tutto l'essenziale per la conoscenza del pensiero di lai. Nel Diritto universale e nella Prima scienza nuova insieme col
e
può spigolare soltanto qualche particolare dipoi tralasciato; ma, pel resto, vi compaiono le medesime dottrine della Seconda scienza nuova in un modo meno profondo
si
e
meno
sicuro,
e,
meno
certamente,
vichiano.
Il
con-
fronto particolare tra queste tre opere fu eseguito con diligenza nei sommarietti apposti dal Ferrari alle sue edizioni della Prima e della Seconda scienza nuova e moltis;
simi altri riscontri e più particolareggiati possono vedersi ora nella edizione della Scienza nuova, curata dal Nicolini.
Anche
alla redazione
mutarne l'ordine tra
1731 e
il
il
del 1730
e la sostanza,
V., senza quasi
il
più
andò facendo, negli anni
1736 circa, molte
variazioni
e
aggiunte,
che poi incorporò per gran parte nel testo in un manoscritto definitivo, sul quale fu condotta l'edizione dei Principi di
una Scienza nuova d'intorno
poli,
alla
comune natura
morte del V. (Nanella stamperia muziana, 1714). Sono serbati nella
delle nazioni, uscita
sei
mesi dopo
la
334
APPENDICE
Biblioteca nazionale di Napoli gli autografi cosi di questo manoscritto come di due altri anteriori di aggiunte e correzioni, dai quali trassero alcuni
Giordano (Napoli, 1818) e ora tutti lini
per
Dopo
i
la
la
brani rimasti inediti
il
Del Giudice (Napoli, 1862), e brani inediti e le varianti ha estratto il Nicoil
sua edizione.
Seconda scienza miova,
sime cose: notevoli, tra
il
Vico scrisse pochisDe mente heroica
esse, l'orazione
(Napoli, 1732), l'aggiunta all'autobiografia (1731) e alcuni sonetti, nei quali, sebbene composti (come quasi tutti i suoi versi) per occasione e
là,
una
fecero due raccolte,
una
commissione, risuona, qua e
nota personale. II
Ristampe, raccolte e traduzioni
Degli
scritti
minori del Vico
si
delle sole Latince orationes, a cura di F. Daniele (Napoli, 1766), e l'altra, ricca di cose inedite ma non esente da
raffazzonature dell'editore, degli Opuscoli italiani e latini, in quattro volumi, a cura di C. A.
larosa (Napoli, 1818-1823).
Il
de Rosa marchese di Vil-
Villarosa ebbe
avanzava delle carte del Vico dal
tutto ciò che
figliuolo di costui,
Gen-
naro; e i preziosi autografi si serbano ancora a Napoli in casa dei miei cari amici ingegneri Tommaso e Vincenzo,
de Rosa
di Villarosa.
Delle Opere complete la prima, e si può dire unica edizione perché riprodotta in tutte le altre, è quella di Giuseppe Ferrari in sei volumi (Milano, Classici italiani, 1835-7),
ristampata con qualche miglion*nento nel 1852-54. Le Opere a cura di N. M. Corcia (Napoli, tipografia della Si-
due voli.), sono, invece, una scelta; e le Opere a cura di F. Preclari (Milano, Bravetta, 1835) si arrestano al primo e disordinato volume. Incompleta e disordinata è billa, 1834,
CENNI BIBLIOGRAFICI
III.
anche l'edizione
335
di Napoli, Iovene, 1840-41, che segue l'edi-
ma pur contiene qualche bazzecola inedita. Materialmente condotta sulla ferrariana, e poco corretta, zione del Ferrari,
è l'edizione napoletana delle Opere la tipografia dei Classici
tore
in otto
Morano)
(i
primi volumi presso
italiani, e gli
volumi (III, 1858,
altri
presso l'edi-
III, 1861,
IV, 1859,
V-VI, 1860, VII, 1865, Vili, 1869); la quale, per altro, e la più completa di tutte, essendovi unite la Sinopsi, le Istituzioni oratorie e le Orazioni latine edite dal Galasso (che
vennero fuori dopo l'edizioAe Ferrari); vi sono aggiunte anche versioni italiane del De ratione, del De antiquissima e del Diritto universale, a cura dell'avv. F. S. Scritti inediti o sparsi del V.,
non compresi
Pomodoro. in
nessuna
edizioni, sono raccolti nel Croce, Bibliografìa vichiana e Primo e Secondo supplemento, e Nuove ricerche, di tali
§2;
un opuscolo di B. Donati: si veda più oltre. edizione critica della Seconda scienza nuova è stata
e in
Una
pubblicata nella Collana dei classici della filosofia moderna da B. Croce e G. Gentile (Bari, Laterza, 1911-16,
diretta
È
Fausto Nicolini, che si e valso per essa degli autografi ed ha arricchito l'edizione Ferrari, che conteneva solo i brani soppressi di quella del 1730, voli. 3).
di tutti
i
dovuta
al
d. r
brani delle redazioni intermedie fino al testo del
1744; ha, inoltre, riscontrato
le citazioni
vichiane e recato
luoghi degli autori classici e moderni ai quali
in nota
i
riferiva
il
V.
;
additati
i
si
molti errori d'erudizione, procu-
rando sempre che fosse possibile di mostrarne schiariti
i
la genesi; punti oscuri col riferimento alle altre opere del finalmente, ha riformato (secondo un desiderio
Vico; e, più volte espresso anche da autorevoli letterati come il Tommaseo) l'ortografia e la punteggiatura. Dell'edizione ferrariana sono riprodotti in questa del Nicolini, ma algli utili sommarietti-. In un'ampia intro-
quanto ritoccati, duzione si studia
il
Vico scrittore e
si
da notizia delle sue-
336
APPENDICE
cessive redazioni e rimanipolazioni
due escursi mostrano come teoria omerica e
vole; e le ricerche
minuto indice
della Scienza nuova',
Vico giunse via via alla sua all'altra analoga sulla Legge delle XII Tanei
tre
il
volumi sono agevolate da un
analitico.
Lo stesso Nicolini, col Croce una nuova edizione delle Opere
e
col
Gentile, attende a
complete, che farà parte
della raccolta degli Scrittori a" Italia del
Laterza e
il
cui
disegno e indice particolareggiato si può leggere nel Croce, Secondo supplemento alla Bibliografia vichiqna (pp. 102-113). Di questa edizione sono stati pubblicati il voi. I {Le orazioni inaugurali,
il
De
italo rum sapientia e le
polemiche, a
cura del Gentile e del Nicolini, 1914), e il voi. V {L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie, a cura del Croce, 1911). Le opere latine del V. sono state più volte tradotte in italiano: il De antiquissima da un anonimo, che forse fu Vincenzo Monti (1816), e poi dal Sarchi (1870); il primo libro del Diritto universale dal Corcia (1839), dall'Amante (1841), dal Giani (1855) e dal Sarchi libri,
nonché
il
De
ratione e
il
(1866), e tutti
i
due
De
antiquissima, come si Seconda scienza nuova fu
è già detto, dal Pomodoro. La tradotta in francese, ma molto abbreviata, da Giulio Michelet (col titolo: Principes de la philosophie de l'histoire, Paris, Renouard, 1827, e più volte ristampata), e di nuovo,
completa, da un anonimo che si designa come « l'auteur de l'Essai sur la formation du dogme catkolique » e che fu la principessa di
Renouard,
1844).
Belgioioso
Completa anche,
è la traduzione tedesca di
W.
Cristina Trivulzi
(Paris,
ottime note, (Leipzig, Brock-
e fornita di
Weber
E.
suggerimenti e aiuti ebbe da Gaspare inglese, si ha solo la versione del libro su
haus, 1822), che Orelli.
In
Omero, condotta nell'opera
di
II.
sulla
francese del
Michelet
e
inserita
Nelson Coleridge, Introduction
study of the greek classic poets (3.
a
ediz.,
to
the
London, Murray,
1846). Il
337
CENNI BIBLIOGRAFICI
III.
Michelet tradusse alcune delle operette minori si accompagnano alla Scienza nuova nell'edi-
del V., che
zione CEuvres choisies de V. (Paris,
Hachette, 1835, e in
ristampe). Del primo libro del Diritto universale si ha un compendio in tedesco di K. H. Miiller, primo volumetto di
una
serie
non
proseguita di Kleine
Schriften del V.
(Neubrandeburg, Brùnslow, 1854).
Ili
•
A
Biografia dkl Vico
supplemento dell'autobiografia,
come continuazione degli Opuscoli, voi.
di I
il
Villarosa raccolse
anni della vita del Vico, e
le notizie degli ultimi
scritto
quello
nella
le
mise
sua edizione
(1818).
Questo supplemento, e tutto ciò che di poi è venuto fuori di documenti o di ricordi di contemporanei intorno al V., si trovano raccolti nel quinto volume della nuova edizione, annunziata di sopra intitolato: L'autobiografia,
il
(p. 303),
delle opere del V.,
carteggio e le
poesie varie, a
cura di B. Croce (Bari, Laterza, 1911). Posteriormente, alcune aggiunte, in Croce, Nuove ricerche, § 1, e Nuove curiosità storiche (Napoli, Ricciardi, 1922), pp. 123 52, e nel
volumetto del Donati.
IV Letteratura intorno al Vico
Le
monografie intorno al Vico, che possano con frutto (quella del Ferrari, pur cosi benemerito editore, La mente del V., è degna di essere tre
sole
ancora essere
lette
pietosamente dimenticata), sono B. Croce,
La
filosofìa
:
di Giambattista Vico.
22
APPENDICE
338
Carlo Cantoni, G. B.
1.
V., studi critici e
comparativi
(Torino, Civelli, 1867). Cfr. per alcune riserve A. Faggi, in Rivista filosofica italiana, voi. IX, 1906, pp. 593-606, e
G. Gentile, in Critica, voi. V, 1907, pp. 197-201. 2. Karl Werner, G. B. V. als Philosoph und gelehrter Forscher (Wien, Braumùller, 1881). Cfr. Zeitschrift far Phi-
und philos. Kritik, voi. LXXII, 1883, pp. 139-152. Robert Flint, V. (Edinburgh a. London, 1884). Tra-
losophie 3.
duzione italiana
veda
Si
ciò
di F. Finocchietti (Firenze,
che intorno a esse
si
1888).
è detto
di
sopra,
pp. 326-7. Dei lavori hi'cvi di carattere generale hanno singolare
pregio 1.
alle
:
B. Spaventa, G. B. V., in Prolusione e introduzione
lezioni di filosofia (Napoli, Vitale,
opera ristampata col
titolo:
La
pp. 83-102: filosofia italiana nelle sue 1862),
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. Gentile (Bari, si veda a pp. 111-135 di questa ristampa. de Sanctis, Storia della letteratura italiana (Na-
Laterza, 1908); 2.
poli,
F.
Morano, 1870; molte ristampe),
3. F. Fiorentino, Lettere sopra la
voi. II, pp. 342-362. '
Scienza nuova
'
(Fi-
renze, 1865); ristampate in Scritti vari (Napoli, Morano, 1871), pp. 161-211. 4.
E. Cauer, G. B. V.
und
seine Stellung zur
modernen
Wissenscìiaft (nel Deutsclies Museum, diretto da R. Prutz e W. Woelfsohn, Leipzig, Hinrichs, a. I, 1851, voi. I,
pp. 249-265). Per la trattazione più o sono da tenere presenti
meno
larga di parti speciali
:
1.
F. A.
Wolf, G.
B. V. iiber den
Homer
(nel
der Alterthumsicissenschaft, Berlino, 1807, voi.
II,
Museum pp. 555-
570). 2.
sches
J.
K. von Orelli, V. und Nìebuhr (nello Scìnceizeridi Aarau, voi. I, p. 184 segg.).
Museum
III.
C. Iannelli,
3.
CENNI BIBLIOGRAFICI
Sulla natura
delle cose e delle storie
umane
e
839
necessità
della scienza
(Napoli, Porcelli, 1818, e Mi-
lano, Fontana, 1832).
una
Exierico Amari, Critica di
4.
scienza della legisla-
zione comparata (Genova, Istituto dei sordomuti, 1857). Cfr. intorno a questo libro K. Werner, E. A. in seinem Verhàltniss
zu G. B. V. (Wien, 1880; dai Sitzung sberi elite der
phil.-histor. voi.
Classe della
Accademia imperiale
di
Vienna,
XCVI).
F. Acri, Teoria del V. intorno alle idee o paradimmi Abbozzo di una teoria delle idee, Palermo, Lao, 1870; e con modificazioni nel volume Vidcbimus in cenigmate, 5.
(in
:
Bologna, Mareggiani, 1907, pp. 287-313). E. Cenni, esposizione della metafisica del V., a pp. 109182 del volume nel quale nessuno la cercherebbe, perché 6.
il
titolo
suona: Considerazioni sull'Italia ad occasione del
traforo del Gottardo (Firenze,
E. .Bouvy,
7.
De
Cellini,
1884).
V. Cartesii adversario (Paris, Hachette,
1889). 8. E. Bouvy, La critique dantesque au dix-huitième de: Dante et V. (Paris, Leroux, 1892). 9.
rigi,
sie-
G. Sorel, Etude sur V. (nel Devenir social, di Pa1896); e si veda, altresì, dello stesso au-
voi. II,
tore: Le système historique de
Renan
(Paris, Jacques, 1905),
passim. 10. B.
Labanca, G. B. V.
poli, Pierro, 11.
e
i
suoi critici cattolici (Na-
1898).
G. Rossi, V. nei tempi di V. (nella Rivista
italiana, voi. II,
filosofica
1899, pp. 294-319, e seconda parte, ivi,
voi.
X, 1907, pp. 602-G34). Maugain, Etude sur revolution intellectuelle de l'Italie de 16ò7 à 1750 environ (Paris, Hachette, 1909). 12. G.
13. G. Finsler, Homer in der Neuzeit Goethe (Leipzig, Teubner, 1912).
von Dante
bis
APPENDICE
340
Studi vichianì
G. Gentile,
14.
1915). Contiene, tra l'altro,
Lo svolgimento Giorn. stor. d.
Principato,
della filosofia di G. B. V., pp. 15-143.
Nicolini, Ferdinando
15. P.
(Messina,
un'importante monografia su
leti.
Hai.,
Galloni
1918, voi.
e
LXXI.
G. B. V.,
in
•
Divagazioni omeriche (Firenze, Ariani, 1919). 0. v. Gemmingen, Vico, Hamann und Herder, Inau-
16. Id., 17.
gural-dissertation (Bona-Leipzig, Noske, 1918). 18. A. Scrocca, G. B. V. nella critica di B. Croce (Napoli, Giannini, s. a., ma 1919), dal punto di vista cattolico.
Benvenuto Donati, Autografi
19.
e
documenti vichiani
note per la storia del pensiero del
inediti o dispersi,
V*.
(Bologna, Zanichelli, 1921). 20. Circa i miei lavori precedenti sul V., si avverta che la materia del capitolo sulla dottrina estetica vichiana, 5
(Bari, Laterza, 1922), cap. V, pp. 249-
265, è rielaborata in
forma più matura nel capitolo IV della
B. Croce, Estetica
presente monografia; VI,
pp.
1908,
lo scritto sull'Etica del V. (in Critica,
71-77) è
rifuso nei capp.
Lineamenti di
quello sui
storia, letteraria
VI- Vili; e cosi in G. B, V.
(ivi,
pp. 460-80), nei capp. XVI e XVIII gli altri scritti sparsi hanno, in genere, interesse solamente erudito, filologico o ;
polemico.
— Posteriormente alla
ho pubblicato:
1.
prima ed. di questo libro, Le fonti della gnoseologia vichiana (in
Atti d. Acc. Pontan., voi. sullo Hegel 2.
La
e altri scritti
XLII
;
ristamp. nel voi. Saggio
di storia della filosofia, Bari, 1913);
dottrina del riso e dell'ironia in G. B. V., ristamp.,
ivi; 3. Il Vico e la critica omerica, ristamp., ivi; 4.
cesco
Bianchini
tiche (Bari,
e
Fran-
G. B. Vico, ristamp. in Conversazioni
1918), II, 101-109;
5.
cri-
Il Vico e Gius. Ferrari,
124-30. Dell'influsso del V. sugli studi italiani nel corso del secolo decimonono ho trattato ampiamente nella ivi,
II,
Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono (Bari,
III.
341
CENNI BIBLIOGRAFICI
1921). Sulla posiziono del V. nella storia della critica dantesca, v.
La
poesia di Dante
a (3.
ed., Bari, 1922), pp. 173-4,
179-80.
Del resto, tutta
la letteratura
vichiana (con estratti dei
libri, opuscoli e articoli più rari e
come
tutte le più
minute notizie
con documenti
inediti),
sulle edizioni degli scritti
si trovano raccolte nelle tre memorie, alle quali più volte si è fatto riferimento: B. Croce, Bibliografìa vichiana contenente nella parte I il catalogo delle edizioni, traduzioni e manoscritti delle opere di G. B. V. ; nella
del V.,
parte li, quello dei giudizi e lavori storico-critici intorno al V. sino all'anno corrente; nella parte III, lettere inedite del V. e al V., rie
documenti
e altri scritti inediti
o rari, e va-
appendici illustrative (Napoli, 1904; estratto dagli Atti
dell'Accademia
pontaniana l di Napoli,
pp. xn-127, in 4.°);
Supplemento
voi.
XXXIV,
di
alla Bibliografia vichiana
1907; estr. dagli Atti cit., voi. XXXVII, di pp. 34, in 4.°), e Secondo supplemento (ivi, 1911, estr. dagli Atti cit., (ivi,
— riunite
anche tutte e tre in volume col titolo Bibliografia ciciliana, raccolta di tre memorie presentate all' Accademia pontaniana di Napoli nel 1903, 1907 e 1910, con appendice di F. Nicolini (Bari, Laterza, 1911). Continuazione di queste memorie
XL,
voi.
un
di pp. 116, in 4.°);
sol
:
le Nuove ricerche sulla vita e le opere del V. e sul vìchismo, in Critica, voli. XV-XIX, 1917-21. Si veda anche Per la biografia di G. B. V., ivi, XIX, pp. 371-87 (e ora
sono
in
Nuove
123-52).
curiosità
storiche, Napoli,
Ricciardi, 1922,
pp.
INDICE DEI NOMI
Attico Tito Pomponio, 89. Attilio Regolo, 176.
A bramo,
Aubignac
152.
Achille, 102, 130, 191, 192-4, 195, 199, 238. Acilio Glabrione, 203. Acquaviva M., 143. Acri F., 339.
Adamo,
178, 191, 192, 193.
Agide, 176. Agostino (s.), 169. Alcinoo, 192, 195. Alessandro, 94, 130, 137, 221.
Amante E., 336. Amari E., 339. Anacreonte,
202..
Anfitrione (iscrizione
di),
196.
Angelis (de) A., 322. Angelis (de) Gh., 305, 332. Annibale, 165. Anteo, 187. Apollo, 102, 168, 187. Arcbiloco, 185. Ariosto, 233. Aristarco, 195. Aristide, 92, 130, 204. Aristotele. 15, 25, 35, 48, 51, 53, 70, 94, 97, 145, 175, 182, 202, 298. Arnaud, 241. Ascalona (duca d'), 290.
Atlante, 164.
198, 199.
Baader, 323, 327. Bachhofen, 256.
53.
Adriano, 222.
Agamennone,
(d'),
Augusto, 204^ 219-20.
Bacone
F., 15, 25, 33, 35, 64, 76, 115, 162, 163. Ballancbe, 322, 324. Balmes, 325. Balzac O., 324. Balzo (del) A., 241. Bandiera G. N., 302. Banier, 64, 71. Bartoli D., 132. Bartolo da Sassoferrato, 231. Baumgarten, 48. Bayle P., 80, 89, 161, 246. Beroso, 164. Bianchini F., 340. Biese A., 327. Bignon (du), 317. Boccaccio, 63, 136, 171, 234. Bochart S., 64, 208. Bockh A., 323. Bodin, 174, 228. Boiardo, 233. Bonamy, 316. Bossuet, 120, 154, 327. Boulanger, 317, 320.
344
Bouvy
INDICE DEI NOMI E., 339.
Corneille, 244.
Boyle R.. 143. Brenno, 80, 82.
Cornewal Lewis, 256. Corrado III, imperatola, 232.
Briseide, 191, 193. Bruno Giordano, 288.
Costantino, 221. Cournot, 324. Cousin, 324. Criseide, 191. Cristofaro (di) G., 286.
Bruto Giunio, 176, 179, 209, 210.
Croce Caligola, 130. Calipso, 195. Galogerà, 332.
Campanella
T., 96, 98, 128, 288.
Cantoni C, 326, 327, 330, 331, 333,
B., 335, 336, 337, 340-1. Cuiacio, 226, 227. Cuoco V., 135, 321, 322. Curiazì, 182. Curio, 176. Curzio, 176.
337.
Capasso N., 299, 302. Capece G., 290, 291. Capeto (Ugo), 228-29. Caracalla, 221.
Cardano, 4. Carlo di Borbone, 289.
Cameade,
80. 81.
Cartesio, 1-3,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 12,
13
Dafne, 168. Dale fvan) A., 71. Daniele F., 334. Dante, 155, 156, 234-6, 256, 299 r 306, 307, 324, 341. (conte di), 290. Decio, 176. Dogérando, 322.
Daun
14, 15, 18, 19, 26, 27, 32, 81, 142, .144, 244, 251, 298, 325. Castelvetro, 53. Cauer E., 338. Cenni E., 325, 339.
Diana, 167, 168, 177, 187, 191. Diodoro, 163, 212.
Cerere, 167. Cesare, 130, 137.
Diomede, 191. Dione siracusano, 212,
Cesarotti, 317, 318. Chastellux, 316.
Dionigi d'Alicarnasso, 211, 212.
Chateaubriand, 171, 324. Cherea, 168. Cibele, 187.
Cicerone, 75, 89, 163, 184, 202, 212, 244. Ciclici (poeti), 200. Cimini Angela, 293. Ciucio Alimento, 209. Circe, 195. Cirillo N., 302. Cola di Rienzo, 233.
Colangelo
Comte
F., 320.
A., 324. Concina N., 305, 306. Confucio, 187. Conti A., 306, 317. Conti N., 63. Corcia N. M., 334, 336.
Deschamps
S., 93.
237.
Domiziano, 130. Donati B., 335. 337, 340. Dracone, 184, 188. Dubois (cardin.), 245. Dugald Stewart, 251. Duni, 316.
E Ecateo milesio, 197. Elena, 193. Eliano, 184. Elingio Ingevaldo, 53.
Endimione, 168. Enea, 208. Ennio, 203. Epicurei, 99.
Epicuro, 84, 103, 142.
INDICE DEI NOMI
345
Gemmingen von
Eraclito, 212. Ercole, 66, 67, 168, 187. Erodoto, 75, 166, 195, 197. Ermodoro, 212, 213. Esiodo, 201. Esopo, 70, 187, 201. Esperti, 332. Esteban F., 304, 305.
O., 340.
Genovesi A., 291, 306. Gentile G., 336, 338, 339.
Gerning, 321. Giacchi B., 286, 287, 303-4, 332. Giamblico, 51. Giani C, 336.
Giannone
P., 124, 289. Giansenisti, 99. Gimma, 303. Giobbe, 184. Gioberti, 325. Giordano A., 334. Giordano L., 173.
Ettore, 192, 193. Europa, 187.
Eusebio, 184. Ezechiele, 94.
Giove, 55, 65, 69, 71, 88, 102, 120, 152, 167, 168, 169, 186, 187, 188, 189, 191. Girolamo (san), 184.
Fabio Massimo, 214, 215. Fabio Pittore, 209. Fabrizio, 176. Faggi A., 337. Faramondo, 171.
Ferrari
G.,
311,
Giudice (del) G., 334. Giuliano Salvio, 222. Giunone, 168, 186, 191. 333,
334,
337,
340.
Ferron
(du), 324. Fichte, 253. Ficino M., 4, 143. Filangieri, 319, 321. Filippo V, 290. Finetti, 302, 319, 323. Finsler, 339. Fiorentino F., 338. Flaubert, 294, 324. Flint R., 327, 338.
Fontenelle, 71, 161. Foscolo, 178, 321, 322. Fdzio, 246. Francie A., 324. Fustel de Coulanges, 256, 324.
Giuseppe ebreo, 95, 184. Giustiniani L., 320. Giustiniano, 100, 220. Giustino, 177. Goethe, viii, 319. Gorgia, 185. Gracchi, 216. Grandi, 316. Gravina, 31.
Grimm,
256.
Gronovio, 163. Grozio, 22, 31, 32, 47, 76, 77, 78, 84, 89, 90, 91, 94, 95, 99, 100, 103, 108, 163, 236, 287.
Guglielmo pugliese, 233. Guntcro, 233.
H
G Hamann,
252, 319.
Gaeta (di) M., 303, 304. Galasso A., 329.
Hegel, 251, 252, 253, 254, 300, 317,
Galeno, 51. Galiani F, 306, 317, 318.
Herder, 150, 252, 319, 327.
Galileo, 10, 13, 15, 143, 146. Gambetta L., 324. Ganimede, 168. Garofalo P., 340. Gassendi, 143.
323, 325.
Heyne, 252, Hobbes, 80,
256, 318. 81, 89, 103, 253.
Hòffding H., 327. Hoffmann, 246.
Hoffmannswaldau, 236. Holbach (d'), 328.
INDICE DEI NOMI
346
Huet D. (Uezio), Humboldt, 252.
Hume
64.
Livio Tito, 165, 169, 211. Locke, 80, 81, 83, 143, 253.
Lodovico (padre), 305.
D., 252.
Lobenstein, 236.
Lomonaco
F., 321.
Longino, 196, 203. Lucio Emilio Regillo, 203. Iannelli
C, 286,
322, 338.
Lucrezio, 142, 203.
Idantura, 51.
Luigi XIV, 291.
Ifigenia, 178. Ippocoonte (iscrizione d'), 196. Iside, 184.
Luzàn
I.,
306.
M
Issione, 187.
Macchia (congiura di), 290. Machiavelli, 35, 80, 82, 103, 128, 210, 223.
Jacobi, 251, 319, 323. Jouffroy, 324.
K
Malebranche, 8, 32, 81, 145, 244. Mallinkrot B., 53. Manlio capitolino, 176. Manlio l'imperioso, 176. Manzoni, 321, 396»
Marino G. Kant, 251, 252, 253, 313, 325.
Marx C,
256. 157. Maugain G., 339. Mauthner P., 327. Mazzoni L, 143. Medea, 235. Menandro, 201. Mendelssohn, 328. Menelao, 182, 193.
Maffei
Labanca
B., 320, 339.
Lambert, 256.
Lami
G., 319.
Laomedonte
(iscrizione di), 196.
Lattanzio, 95. Laurent, 324.
Laurenzano (duca di), 291. Lazio W., 53. Lebrun, 173. Ledere G. (Clericus), 64. Leda, 168.
Legge canuleia, 214. Legge delle dodici tavole, 211-2. Legge petelia, 215. Legge publilia, 215. Legge regia di Triboniano, 219.
B., 236.
Marte, 168, 187, 191. S.,
Mercuri Trismegisti
(i
Mercurio, 193.
Mercurio gotico, Merian, 318.
.
53.
Merlino, 171. Metastasio, 244, 302. Michelet, 150, 322, 323, 324, 336.
Minosse, 184, 187. Minotauro, 187.
Mommsen,
256, 323.
Leibniz, 31, 32, 61, 145, 146, 257. Lelio, 92. Lerminier, 324.
Montesquieu, 317. Monti V., 321, 336.
Licambe, 185.
Mosco, 202. Mosè, 95, 152, 204-5.
Licurgo, 184. Lipsio G., 184. Livio Andronico, 203.
due), 164,
187.
Moreri, 246.
Miiller K. O., 252, 256, 323, 337. Muratori, 82, 157, 321.
INDICE DEI NOMI Pitagora, 12, 94,
N Nettuno, 167, 187. Nevio, 203. Nicole
165,
188,
208,
212.
Nelson Coleridge, 336. Nerone, 130.
Newton,
Ì47
146, 305.
P., 81.
Nicolini F., 157, 299, 335, 336, 340, -341. Niebuhr, 256, 323. Nietzsche F., 256. Nifo A., 143.
333,
334,
Pitagorici, 237. Platone, 16, 35, 47, 51, 53, 65, 70, 76, 103, 104, 108, 109, 121, 128, 164, 173, 188, 204, 208, 296, 331. Plauto, 3, 182. Plinio, 213. Plutarco, 9.1. 177, 195, 203, 210. Polibio, 92, 128, 208, 210, 212. Polissena, 194, 293. Pomodoro F. S., 335, 336.
Pomponio,
83.
Porsenna, 176.
Noè, 152. Pompilio, 94, 188, 195.
Numa
Portoreale, 241. Predari, 334.
Priamo, 193, 194, 293.
Oldendorpio, 226. Olivieri A., 339. Omero, 39, 65, 155, 156, 169, 191205, 234-5, 256, 257, 331. Orazi, 182, 201. Orazio Fiacco, 185, 204. OrelH, 323, 336, 338. Orfeo, 164, 187. Origene, 184. Orlando, 170, 233. .
Proclo, 14. Publilio Filone, 156, 215. Puffendorf, 47, 77, 89. 90,
91,
94, 95.
R Racine, 244.
Ricardo: v. Deschamps. Rinaldi o cantastorie, 200.
Rodigino Celio, 203. Rogadei G. D., 319.
Romano
D., 307, 316, 319.
Romolo, 104, 129, 169, 188, 203, 208, 227, 228. (de) C. A. vedi Villarosa. Rosmini, 325. Rossi G., 339.
Rosa
Pagano
M., 317, 321.
Pais
E., 256. Pallavicino, 81.
Paoli (padre), 302. Paolo veneto, 242. Paride, 182. Pascal, 81. Patrizzi F., 53, 143. Patroclo, 192.
Penelope, 195. Perseo, 187. Petrarca, 156, 234.
Saint-Evremond, 161. Salfl, 321, 322.
Sanchez F.
(il Brocense), 4, 47, 53. Sanctis (de) F., 256, 299, 325, 338.
Sangro Sangro
(di) O, 290, 291. (di) R., 312.
Piccolomini A., 143. Pico della Mirandola, 14c Pindaro, 201, 204.
Sarchi, 336.
Pirro, 176, 208. Pisistrato, 198.
Scaligero. 47, 53, 157.
Saturno, 167, 187, 213. Savignv, 256, 323.
Scevola (Q. Muzio), 176, 296.
348
INDICE DEI NOMI
Schelling-, 252.
Schopenhauer, 254.
Schopp G., 47. Schwarz J., 90. Scipione Africano, 92, 130, 137. Scipione Nasica, 215. Scoto (Duns). 16, 61.» Scrocca A., 340. Selden G., 47, 77, 94, 154. Seneca, 163. Senofonte, 165. Servio Tullio, 188, 209, 214. Shakespeare, 235, 244.
A., 171, 256. Tiberio, 14, 130. Tomasio C, 77, 101, 253. Tommaseo N., 299, 325, 335.
Thierry
Tommaso
d'Aquino, 28. Trabalza C, 340. Triboniano, 219, 236. Trivulzi Cristina, principessa di Belgioioso,
3.36.
Trova C, 256. Tucidide, 165. Tulio Ostilio, 188.
Turpino, 233.
Siila, 218.
Simone
il
giusto, 94.
Sisifo, 187.
Socrate, 27, 70, 76, 92, 201. Solla F., 304, 305, 322. Solone, 156, 188, 212. Sorel G., 225, 256, 327, 339. Sostegni, 310. Spaventa B., 141, 325, 338.
Spinoza. 26, 80, 81, 89, 103, 143, 205, 325.
Steuco A., 143. Stobeo, 246. Stoici, 99, 120.
Strabone, 197. Stuart Mill, 324. Suida, 246.
Vacherot, 324. Valletta G., 245.
Varrone, 169, 203, 212, 217, 296. Venere, 168, 169, 187, 191. Vico Gennaro, 293, 334. Vico Luisa, 293. Villarosa, 334, 337. Virgilio, 203. Visconti, 171. (de), padre, 291, 332. (Vossio), 64, 196. Vulcano, 167, 187.
Vitry
Voss
W Weber W.
Tacito, 76, 103, 104, 151, 177, 180, 184, 219. Tantalo, 187. Tanucci B., 316. Tarquinio Prisco, 188. Tarquinio Superbo, 52, 175, 209. Teofrasto, 204. Terenzio, 168. Terrasson, 316. Tesauro E., 54. Teseo, 187.
E., 323, 336.
Werner, 141, 327, 338, 339. Windelband, 4 n., 327.
Wolf F., 256, Wood, 318.
Zeno
317-8, 338.
A., 157.
Zenone, 143, 145. Zoega, 318. Zoroastro, 164, 187.
INDICE
Avvertenza I.
II.
III.
IV.
La prima forma della gnoseologia vichiana La seconda forma della gnoseologia vichiana La struttura interna della Scienza nuova La forma fantastica del conoscere (La poesia
VI.
»
1
21
...»
37
.
.
e »
45
e la religione)
»
63
coscienza morale
»
75
»
87
linguaggio)
La forma semifantastica
La
del conoscere
(Il
mito
VII. Morale e religione VIII. Morale e diritto
La storicità del X. La Provvidenza
IX.
XI. XII.
diritto
I ricorsi
La
vii
»
.
il
V.
pag.
metafisica
XIII. Passaggio alla storiografia.
— Carattere
la
storia
del
tempo oscuro
crazie
105
>
115
»
127
•>
139
»
149
e
favoloso
XV. Le società eroiche XVI. Omero e la poesia XVII. La storia di Roma
97
»
generale
della storiografia vichiana
XIV. Nuovi canoni per
>
primitiva e la formazione delle
»
161
>
173
»
191
»
207
demo-
350
INDICE
XVIII. La barbarie ritornata o
XIX.
Il
Vico contro
XX. Conclusione.
l'
—
il
Medioevo
Il
Vico e
lo
del Vico
...
I.
II.
III.
del Vico
Cenni bibliografici
Indice dei nomi
»
249
»
259
:
Intorno alla vita e al carattere di G. B. Vico
La fortuna
239
adoprati o richiamati nel corso del-
l'esposizione
Appendice
»
svolgimento poste-
riore del pensiero filosofico e storico
Luoghi
pag. 223
indirizzo di cultura dei suoi tempi
.
.
*
285
»
315
»
329
>
343