56832389 Benedetto Croce Saggi Sulla Letteratura Italiana Del Seicento

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SCRITTI DI

STORIA LETTERARIA E POLITICA

BENEDETTO CROCE

SAGGI SULLA

LETTERATURA ITALIANA DEL SEICENTO

BARI GIUS.

LATERZA & FIGLI

TIPOGRABl-KDITOKl-IJBRAI

1911

PROPRIETÀ LETTERARIA A

Stampato

NORMA DELLE VIGENTI LEGGI

in Trani, col tipi della Ditta Tipografica Editrice

Vecchi e C.

ALL AMICO

CORRADO

RICCI

COME AD AMOROSO RICERCATORE DEL SEICENTO ITALIANO

PREFAZIONE

Ripetere che

letteratura italiana del Seicento è

la

ancora un territorio ignoto o mal noto, può

sem-

o una frase quando quell'affermazione importi disconoscimento dei non pochi e accubrare, secondo

generica e

rati lavori

casi,

i

che

sono avuti

si

si

nuova

luce.

letteratura; ge-

vuole manifestare

insoddisfazione per ciò che

invocare

di

non intendendosi disconoscere

merito di quei lavori,

pria

linora

É ovvio che

di

storico, di ogni fatto, di ogni scrittore,

pre asserire, senza

mane

pericolo di

infiniti

blemi, che un periodo, un

il

si

può sem-

errare, che

fatto o

moto

degli spiriti

li

le

uno

pro-

è fatto, o

problemi e aspetti

scitano di continuo, secondo

Per

si

la

ogni periodo

mal noto, non essendo mai

ignoto

esaurire tutti gli

in cui

anni in

ultimi

negli

anche intorno a quel secolo

Italia

neralità vana, quando, il

o un'ingiustizia

vana. Ingiustizia,

esso

ri-

possibile di

pro-

scrittore su-

nuove relazioni

ideali

viene via via collocando.

altro, se quell'affermazione viene ripetuta pel

Seicento

come non

misura) per

si

suole

(o,

altri periodi della

almeno, non nella stessa nostra storia letteraria,

PREFAZIONE

VII!

la

modo

più

riodo

si

ai

meao consapevol-

cagione è iieiravvertire più o

mente che

caso del Seicento

al

Contro

stretto.

essa

applica in

si

la letteratura

quel pe-

di

ebbe, sulla fine del secolo decimosettimo e

primi del decimottavo, una reazione violenta, para-

gonabile, direi quasi, alle repressioni medievali esercitate contro

eretici

gii

moderne contro zione

e

le

jacqueries, o a quelle

comunardi. La critica della rea-

antisecentistica

massa, demoli il

i

sommarie esecuzioni

fece

sale e vi eresse colonne, d'infamia!

di ricordare

giudizi

*i

in

case dei nemici, sparse sul terreno

le

Non ho bisogno

Crescimbeni, del Gravina,

del

dello Zeno, del Muratori: ossia di coloro che furono, tutt'

insieme, capi della reazione e storici dei loro vinti

nemici; anzi, primi delineatori di una storia della teratura e poesia italiana, nella quale a collocare in bieca luce

adoperarono

si

secolo che

li

aveva pre-

Parlare della letteratura del Seicento

ceduti. di

il

una

follia, di

una

pestilenza, di

let-

come

una decadenza,

divenne costante. « In quel tempo (scriveva Niccolò

Amenta), cioè tra

la fine del

diciassettesimo

cipio

del

nella

latina

secolo,

l'attaccamento, la

costume,

e,

e nella

il

prin-

toscana

poesia, cominciò a sprezzarsi in

la proprietà, dell'idioma, la tichi,

decimosesto e

e

Italia...

maniera del dire degli an-

naturalezza,

l'imitazione,

per conseguente, tutta l'arte ed ogni

il

re-

gola per bene ed ornatamente poetare » \ Gli arcadi,

comparare

nel

1

Prefaz. alle

negia, 1703).



Rime

stessi ai

e pi-ose

di

loro

padri

e avoli, gioi-

monsignor Scipione Pasquale (Vi-

PREFAZIONE

vano come

uomini

benigno.

sorridere

quali

ai

tornato

era

cielo

il

a

Apo-

'^esclamava

secolo

Felice

«

IX

stolo Zeno, nel 1698, a proposito dei versi del Baruf-

dopo un principio

che,

faldi),

con un cosi bel fine

i

del Seicento,

nei

scritti

si

racconto

al

propagò

un argomento,

libri

i

maggior numero

è

di

il

capitolo

al

seguente esor-

lieta

e

superba...

fra' poeti di

questo

quelli, le cui

poesie

Purtroppo, dobbiara confessare che or non

storia

della tutti

cui par che l'Italia

di

debba anzi andar vergognosa che

possono aver altr'uso che di servir di pascolo

fiamme o

alle

in

premette

'[uale

il

sulla poesia italiana di quel secolo

dio: « Eccoci a

il

emenda

tempi seguenti: a cominciare dalla grande

opera del Tiraboschi.

secolo

infelice,

suoi errori! »'.

Questa intonazione, data letteraria

cosi

anche

alle tignuole o d'esser destinate

a più ignobile uffizio.

Ma dovrò

modo

reo gusto fece allora all'Italia,

la

piaga, che

il

io

col far

menzione

ella fu

inondata ed oppressa? Né

a farlo, né,

di

tanti

ove pure

od applauso da' or condannati...

»^ E

quali

poetastri, dei io

l'avessi, potrei

lettori di

dunque dimenticati

essi

inutili

rinnovare in certo

ho

il

coraggio

sperarne

lode

questa storia. Si giaccian

fra quelle polveri, a cui son

dall'opera del Tiraboschi sal-

tando alle recentissime, e propriamente alle due speriali •'

al

1

storie letterarie del Seicento

Belloni, troveremo che le

dovute

al

Morsolin

prime parole del Mor-

Lettera riferita dal Negri, Vita di Apostolo Zeno (Yenezia, 1816],

pp. 447-8. 2

Storia della letteratura italiana, voi. Vili, parte III,

e.

'ò.

PREFAZIONE

X solin sono:

Nominanza non buona ha

«

per ciò che

sé,

si

alla letteratura, quel pe-

riferisce

tempo, ecc. »'; e che

riodo di

lasciato di

Belloni, tanto

il

più

largo ed equo, nel prendere a discorrere della lirica secentesca, pur

sente

mi limiterò a pochi

il

cenni,

vecchio e dimenticato lare che forse vi

si

bisogno di dichiarare: « Io e,

scotendo

da qualche seco-

libricciuolo la polvere

posò sopra dal di della pubbli-

cazione, e che d'ora innanzi vi ricadrà lenta e grave forse per sempre,* richiamerò

alcuno

(e

i

della turba dei marinisti »

E

a brevi istanti di

pochi basteranno a far conoscere

vita più)

i

".

vero che non sempre, né da

tutti,

si

continuò

a gettare gridi di scandalo, a borbottare scongiuri, a ritrarsi con pudico orrore, al cadi. Nel secolo

decimonono

modo

dei critici ar-

in particolare,

dopo tante

vicende di ogni sorta, sociali e letterarie, che

face-

vano apparire quell'epoca ben morta e lontana, al

Seicento e alla sua

curioso,

scherzoso, ironico;

prese più volentieri, di fronte cultura, l'atteggiamento effetto, e,

per

per una parte, del buon l'altra, di

gurata verso

senso francesizzante

una certa tolleranza che

la

storia.

si

Decisivo

spetto, l'esempio del Manzoni, sposi, seppe sorridere dei

il

fu,

si

era inau-

per questo

ri-

quale, nei Promessi

sentimenti, delle abitudini

mentali, dei costumi propri del tempo ch'egli ritrae-

va;

e,

nell'introduzione

a quel

argutamente comentò un pezzo

1

B. MoRSOLiN,

2

A. Belloni,

U

romanzo, parodiò e di

prosa secentesca.

Seicento (Milano, V^allardi, 1880), p. 1.

Il Seicento

(Milano, Vallardi, 1899),

p.

81,



Quasi

tutti

i

XI

più recenti lavori critici sugli scrittori

del Seicento sono tico

PREFAZIONE

manzoniano.

della passionalità

come

Ma

ricalcati su quel

la superiorità

commossa, non

cri-

ironica, al

pari

è atta a fare scor-

gere se non qualche lato solamente dei si

saggio

ai quali

fatti

rivolge lo sguardo. Per narrare la storia, è neces-

sario piegarsi

essa

verso di

e

ascoltarla con

bene-

volenza e indulgenza. Certo, accenni di benevolenza

apologie fese

sono state informate

moveva

quali la

ma

ai

concetti

le di-

medesimi dai

l'accusa. In altri termini, concedendosi

profonda corruttela

cava

pertìuo, speciali

e,

non sono mancate;

del Seicento

quella

di

mostrare come non

letteratura,

cer-

si

ne

fos-

sero stati allora attinti o penetrati tino all'osso.

La

di

cosa non era spiriti

difficile,

indipendenti

via senza altresì

scrittori

se

si

trovano

la

propria

perché in ogni epoca

che sanno percorrere attrarre dalla

moda;

timidi e fiacchi che, incapaci di

i

corrente,

paura.

lasciarsi

tutti gli

ne tengono lontani

Ma, presentando

e

e

guardinghi

storia a questo

la

sono

vi

dominare

la

per

modo,

si

viene a confondere l'episodio con l'azione principale,

o

si



rilievo a individui e

meramente negativo; onde letteraria del Seicento

deboli è stato deboli. « Io

opere che hanno pregio

è accaduto che nella storia

luogo dei

il

forti o

dei

meno

spesso usurpato dai deboli o dai più

mi

studierò

di

mostrare (continuava

il

Tiraboschi nella pagina citata di sopra) che, benché quasi tutta l'Italia andasse follemente perduta dietro a quel falso lume, che

mero però

di

tanto e tanti sedusse,

coloro che non

si

il

nu-

lasciarono travolgere

PREFAZIONE

Xn

non

dalla corrente,

come da

scarso,

fu si

molti

si

crede, e che anche nel secolo decimosettimo non fu del tutto priva l'Italia di leggiadri ed eleganti poeti

Corretti

languidi

e

Orazio e di Pindaro, frigidi dicitori per

tal

modo,

il

».

imitatori di

petrarchisti, noiosi

ebbero,

di celie,

lasciapassare e l'approvazione, e figuelecti nel paradiso della

rarono da pauci

storia let-

teraria. Col medesimo criterio furono condotte le antologie, nelle quali il Seicento è sempre rappresen-

non secentisti

scrittori «

tato dagli

delle opere loro nelle quali

teggiarono

» e si

i

»,

secentisti

o

dai

non

attennero alla tradizione.

« seicen-

E giacché

più di codesti « innocenti » furono toscani,

i

luoghi

con-

si

tinuò ad attribuire per quel secolo alla Toscana monia spirituale che, allora per l'appunto, essa veniva l'ege-

perdendo, cosi nella poesia e nel pensiero politico

come

nelle arti figurative.

Del resto,

le difese

sono, in istoria, pericolose non

meno delle accuse, perché inducono anch'esse all'unilateralità e al sofisma e a smarrire la visione diretta, piena e concreta del tento,

che lasciano

del Seicento.

È

Di qui

fatto.

il

dubbio e

lo scon-

parecchie apologie tentate finora

le

stato detto, p.

e.,

più volte e da molti progredì,

che, in quel tempo, la letteratura italiana

perché si arricchì di nuovi generi, quali il poema eroicomico e il dramma musicale. Ma che cosa im-

portano

i

nuovi generi, quando, sotto quelle categorie

dei retori,

non

c'è

il

nuovo pensiero

ma? È stato aff"ermato che l'umanesimo

e anticipò

che somiglianza

si

il

nota

il

e la

nuova

for-

secentismo reagì contro

romanticismo. Ma, se qualtra

i

due periodi

letterari,

PREFAZIONE

XTII

specie in una certa predilezione pel pittoresco, c'è poi

comune

sostanzialmente nulla di

pom-

tra resteriorità

posa del secentismo e T interiorità travagliata del

manticismo? La ribellione entrambi

significato in

escogitò, e ria

periodi?

i

legame storico diretto

alle regole

tra

E, sopratutto, c'è il

cioè,

e,

novità ^

Ma chiamare bisogno

indagine delle leggi naturali

sforzo di parer di

nuovo da

E non sono

altre difese, per

Seicento

non

fu

quali

fin

lo sterile

le

provare che

il

o

accuse

e

le

di

meno

che, in

quanto

religioso

o

del seguente?

storico

difese,

considerarlo nella sua oggettività,

umana

come

nell'impianto tutte

cerca

si

meno dotto del secolo precedente e Anche rispetto a questo periodo

della storia

novità cosi

di libertà e

meno morale

farla finita con le

di libertà e

giocare alquanto sulle pa-

è

sbagliate

le

me-

nuove senza aver nulla

dire cose

non

dire,

la

del naturalismo

generò dal bisogno

si

la seria

role?

Salti

Belloni ha ripetuto e rafforzato, la teo-

il

che l'origine del secentismo letterario ebbe

galileiano

ro-

lo stesso

due? Ancora:

i

desima radice dell'antiaristotelismo e

di

ebbe

bisogna

mettersi

e

a

come un periodo tale,

non potette

essere privo di qualche valore positivo. Periodo di

decadenza, sia pure; il

ma

importa non dimenticare che

concetto di decadenza è affatto empirico e relativo:

una deca-

se qualcosa decade, qualche altra nasce:

denza totale e assoluta è un assurdo

1

Hislolre

Littéraire

d' lini le

F. Salpi son collaborateur, voi.

los'ico.

par P. L. Ctinguenk,

XIV

,^

continuée par

Paris, 1835), pp. 4-50; e cfr. Bel-

loni, op. cit., pp. 465-6; e dello stesso: Vita e lettp.ratura Seicento (Napoli, Pironti, 1906), p. 53.

deW Italia

dei-

PREFAZIONE

^jy

Di ciò ebbe un barlume

il

Settembrini,

quale

il

poema

Adone del Marino, il intese l'importanza deW rappresenta una parte della vita della voluttà, che « mtranon la parte migliore »^; e italiana,

vide

sebbene

pittura, la scultura rapporti della poesia con la

i

pagine

Seicento, dedicando alcune e l'architettura del Certosa di San Martino della sua trattazione alla

in

di pittura, scultura e Napoli, splendido monumento ancora, e, cioè, assai decorazione secentesca^. Meglio Sanctis presentò il periodo più profondamente, il De

premessa, ma una conmarinesco come non già. una svolgimento che seguenza: una conseguenza dello via italiano dal Boccaccio aveva percorso lo spirito al Tasso. via fino all'Ariosto e si

era

esaurita

ed

La vecchia

esagerava sé

letteratura

medesima; ma,

in

esagerazioni, restava quell'esaurimento e tra queste vivo: la sensualità, esalata non pertanto qualcosa di e dolcitulanguori, voluttà, galanterie in tenerezze,

la parola,

dini-

onde

cato',

cedeva

e

il

posto

scioglieva nella

si

perduta ogni serietà di signifisuono, allo spettacolo e al puro

musicai De Sanctis non

investigò la let-

Se la critica del particolarmente come gli teratura del Seicento cosi da nostra storia letteraria, se altri momenti della gusto per tali indagini, ciò il essa non fu promosso che dall'insufficiente conoscenza provenne, in parte, più andi quel secolo; ma si aveva dei libri allora

1

2 3

283-4. li (Napoli, 1868), pp. Lezioni di letleralura italiana, cit., pp. 405-14. 3.» ediz., pp. i^-^dl. Storia della letteratura italiana,

Op.

[

PREFAZIONE

che

XV

(lall'essere lo spirito italiano, allora,

tutto occu-

pato in problemi di maggioro importanza; e fors'an-

che da una certa ritrosia che

uomini del Risor-

gli

gimento dovevano provare innanzi a un'epoca nella quale

schiava non fremente,

l'Italia,

si

avvolse nel-

l'ozio e nella voluttà.

Queste cause sono state via via rimosse negli timi decenni;

perché, rispetto

compiuti lavori sugli

ul-

all'urgenza, essendosi

secoli, le forze disponibili

altri

si

sono potute rivolgere a quel periodo dispregiato;

di

nuovo materiale

e poesie e

drammi

letterario e

romanzi

si

adunato non poco,

è

e novelle e libercoli di

varia qualità sono stati frugati e rimessi in luce:

il

libro del Belloni (dimenticato e fatto rarissimo quello

del Salfi

'),

offre

ora in bell'ordine

i

risultati raggiunti

un decennio addietro. E, quanto

fino a

zione degli spiriti,

il

alla disposi-

decadentismo europeo dell'ultimo

trentennio, al quale l'Italia

ha dato la voce più poha messo in grado di

tente, Gabriele d'Annunzio, ci

sentire con

maggiore

facilità la poesia e l'arte in ge-

nere del Seicento.

Senonché, a questi vantaggi che avuto

gli

epigoni hanno

De Sanctis, costituisce contrappeso e ostacolo un grave inconveniente, sul quale non è necessario che io mi fermi, avendo esso fornito il motivo

1

(nella

di fronte al

ad

altri

miei scritti: T indebolimento del pensiero

Sul quale ebbe

sua Rassegna

il

merito di richiamare l'attenzione E. Pèecopo

critica della letler. italiana, III, pp. 76-7 n.)\ e, ve-

ramente, sarebbe opportuno farne una ristampa, perché opera assai pregevole, fondata su diretta e larghissima conoscenza dei libri del

tempo.

PREFAZIONE

,^yi

filosofico, estetico e critico.

più grande di

fatti

e di esperienze

varsi meglio di queste e intendere i

un

Disporre di

numero

significa gio-

non

meglio

criteri interpetrativi difettano o restano

quelli, se

sempre

vec-

sul Seicento venuti chi, arbitrari e angusti. Gli studi tutti poco confuori negli ultimi decenni sono quasi

perché non affrontano il problema artistico Il Salfi vero e proprio, e divagano in cose estranee. materialmente, della che, ottant'anni addietro, sapeva,

clusivi,

letteratura secentesca quanto

non se ne più vecchi di quelli che o più che

sappia ora, non aveva criteri giorni nostri; si adoperano ancora ai

e,

di certo,

era

dal-

usciti assai più ingegnoso dei critici posteriori, eccezioni Rare l'indirizzo erudito e positivistico.

si

il possono additare; tra le quali, in prima linea, Sulla Damiani: bro del compianto Guglielmo Felice che, artista poesia del Marino '; lavoro di un giovane decapoesia della e amatore e studioso

li-

esso stesso

dente greca e romana % guidato Sanctis, seppe lare osservazioni

dalla

luce del

De

eccellenti

sull'opera

estetici, se

ha turbato

del poeta dell'Adone.

L'infiacchimento dei

ci'iterì

letteraria, intutta la nostra più recente storiografìa dell'arte e storia generando altresì la confusione tra

storia della cultura, tra storia della

poesia e

sociale e morale, ha peggio imperversato

1

in

storia

quella

Torino, Clausen, 1899.

come ignoto l'opuscolo, intimaL'nìlimo poeta pagano (Napoli, Marino: sul lavoro mente connesso col critico su Nonno e bei saggi Trani, 1902), contenente un ottimo studio 2

Dello stesso Damiani è rimasto

di versione dei Dionisiaci.

PREFAZIONE Seicento, perché qui

(lei

fenomeno

(letto «

ressamento e

trovava

si

del secentismo

modo

cultura che attirava in

XVII

»,

natui'a

e

cattiva poesia. Ora, giova ha,

che

stica, la

il

e

tendenze

le

la

sua

propria

sociali

il

introducono

Settecento ebbe

razionalistica e astrattistica; la

smancerie e

le

le

prima metà

nebulosità romanti-

seconda metà dello stesso secolo,

le

esagera-

zioni e grossolanità naturalistiche. Intendere

generino codeste

mode

cosa importante;

ma

è quel

rispetto all'attività arti-

è,

peso della passività. Cosi

dell'Ottocento,

che;

letteratura, la

alla

pura arte ab extra;

moda

la storia della

tenere presente che ogni

sempre cattivo gusto; perché

abitudini

le

nella

rispetto è

sembrato

è

e la storia della poesia

scambiata con

è stata, in altri termini,

moda, che

di

delle cause del secen-

tismo, ossia del cattivo gusto;

epoca

cosi

problema mas-

il

simo della storia letteraria del Seicento quello della

il

cioè un fatto

particolarissimo T inte-

Cosicché,

la curiosità.

iVoiite

di

come

si

dovere dello storico, ed è

è

non costituisce

poesia e dell'arte. Le quali

si

la

della

storia

svolgono, invece,

ora

come resistenza contro la moda, ora come dominio sopra di essa; ora rompendo la moda e passandovi attraverso, ora facendosene materia e trasfigurandola

idealmente. Distinguere tra della cultura

e,

teratura del Seicento è indispensabile, se non rie,

confuse tra loro,

E

storia dell'arte e

storia

nel caso nostro, tra storia della let-

la storia del

si

e si

sto ria del secentismo, vuole che entrambe

le sto-

ostacolino a vicenda.

secentismo in quanto fatto

di cul-

tura è stata guasta, a sua volta, dalla considerazione

PREFAZIONE

XVIII

troppo astrattamente letteraria; laddove, per ben intenderla, conviene considerarla piuttosto dal punto di vista sociale,

come un

aspetto della vita cortigiana, in

relazione al cerimoniale che questa coltivava e ai giuochi nei quali

si

dilettava;

e, in

particolare, della vita

cortigiana d'Italia del tempo dell'umanesimo;

staccando

le

il

quale,

forme espressive dal contenuto, induceva staccate

a elaborarle cosi

perciò,

e,

a

sforzarle

ed

esagerarle. Certamente, quel genere di arte artificiosa

s'incontra anche in altri tempi e paesi sura, in ogni

tismo

'

certa mi-

e luogo; ma, indagandosi

il

secen-

dal punto di vista storico, conviene coglierlo

forma individuale,

nella sua si

tempo

e, in

e,

perciò, quale

appunto

ebbe nei secoli dal decimoquinto al decimosettimo.

Certamente, anche in questo periodo, quella disposi-

ma

zione di spirito non fu soltanto italiana; si

può chiamare per antonomasia,

dominava il

sia

italiana

perché

l'Italia

allora la cultura, e sia perché, nel Seicento,

cattivo gusto improntò la vita

mente che non facesse dove, incontrando più

di quelle

italiana più

degli

altri

gagliarde forze di

forte-

popoli

;

resistenza

(morali in Francia, religiose e mistiche in Germania, politiche

in

popolare e

il

Inghilterra, nella

fatto

1

Spagna l'epos

realismo), rimase più circoscritto o più

superficiale. Certamente,

un

stessa

semplice

(e

il

secentismo non può dirsi

quale fatto è mai semplice?), e non

Chiedo venia delle sconcordanze cronologiche che nascono dal-

l'uso della parola

«secentismo



in significato ideale; nel quale,

altra volta ho notato {Prohlemi di Estetica, p. 341

sarebbe quella di



concettismo



n.),

come

più opportuna

PREFAZIONE

XIX

può essere spiegato mercé una causa unica o una

se-

cause astrattamente enunciate: bisoiina esporlo

rie di

in tutti

i

ciò, al più,

ma

metamorfosi;

suoi intrecci, incidenti e

conferma ancora una volta che

storia

la

positivisticamente condotta è impotente a raggiungere

complessa

la

la servitù

realtà.

politica,

petrarchismo,

la

Tutte

le

cause finora arrecate: spagnolismo,

gesuitismo, lo

il

poesia pastorale, la smania

il

no-

di

causa an-

vità, e, perfino, se si vuole, la cosi detta «

tropologica » onde alcuni individui possono esser denati \ sono vere e

secentisti

finiti

reali;

ma

accennano a

fatti

riescono false, nella forma nella

tutte poi

quale vengono presentate. La vera e compiuta causa è

fatto stesso, esposto

il

geneticamente

in tutti

i

par-

ticolari.

Checché

pensi

si

secentismo (intorno più che non

si

circa al

il

problema culturale

quale, forse,

ormai assai

sa

si

del

creda, e importa sopratutto liberarsi

dai pregiudizi delle

vane domande),

il

problema della

storia della letteratura e del pensiero italiano nel Sei-

cento è affatto diverso. Qui,

mettere in cioè, quel lia

rilievo,

non

produsse

in quel secolo, nel

Una

che, iniziata

l'attività; e,

veda

S.

campo

sia, l'Ita-

del pensiero

la scienza esatta della

nel Cinquecento, fu portata

Vento Palmeri,

natura

al più alto

L'essenza del secentismo ossia la corru-

zione nella lirica italiana d'ogni secolo (Sciacca, p. 180.

ma

parte di questa produzione è univer-

salmente riconosciuta:

Si

come dicevamo, bisogna

passività,

che di positivo, molto o poco che

e dell'arte.

t

la

tip.

Guadagna,

1907),

PREFAZIONE

^X

scuola ^•mdo nel secolo seguente dal Galilei e dalla ciò che pur si venne di lui. Ma non altrettanto noto è l'atpreparando nel campo delle scienze morali, con

conoscenza, tenzione data alle forme alogiche della alla fantasia, e alle

forme amorali della pratica,

alla

nel mondo; ragion di stato e all'arte di fare fortuna storico. In nonché con la critica e con lo scetticismo il Machiavelli: quel tempo, per un verso, fu continuato fllosoflca, ma, per l'altro, fu preparata quell'esplosione

che

si

chiamò

la

Sciensa nuova.

E neppure

nel

campo

secolo, che ha al politico fu al tutto infecondo un Pietro Giannone. suo capo Paolo Sarpi e vide nascere architettoniche e figurative appena da poco

Nelle arti

e il barocco trova chi lo ama e lo studia; erudramma musicale va passando dalle mani degli fare nel quelle degli esteti. Più assai resta da

tempo diti

il

a

poesia sendella lettei-atura e della poesia. La o tentò di svolsuale e impressionistica, che si svolse

campo

gersi dalla corruttela

dell'umanismo; quella arguta,

corrutingegnosa e autoironizzante, che sorse dalla musicale; gli accenni tera del petrarchismo; la poesia certo crudo realismo, che di quella grottesca e un dell'arte e manifestò sopratutto nella commedia (come sul Gozzi che non fu senza effetto sul Goldoni

si

il

mondo

Basile);

fiabesco, evocato per la

prosa di

allora,

primo dal secentista

che non

segui

sempre,

e suole affermare, la tradizione boccaccesca perioi spesso cinquecentesca, ma predilesse assai e risenti l'influsso detti brevi, sentenziosi e pungenti,

come

si

precipuamente

di

Seneca e

di

Tacito, e'preparò l'agile

tendenze e gruppi prosa moderna; -- queste e altre

PREFAZIONE

XXI

ancora da esplorare largamente e a

di fatti restano

fondo.

Compiuto

il

quale esame,

i

prospettiva della sto-

quel secolo sarà, forse, assai da

ria letteraria di

tare, ricacciando

Cesarini,

la

indietro

Chiabrera,

i

Filicaia e altrettali, per dare

i

il

mu-

Ciampoli,

i

conveniente

rilievo ai marinisti e agli scrittori di libri capricciosi.

Bisogna

ricostituire,

quale

risulta

mente

0,

piacque

a

noi,

la prospettiva

storica

che consideriamo spassionata-

almeno, con passione più larga; e non quale quali gli odierni storici

ai critici arcadi, dai

l'hanno accettata

Ma

insomma,

in eredità.

(sarà bene aggiungere),

quella letteratura

il

smesso nel parlare

vezzo della irrisione, nonché

di

l'al-

tro del puerile scandalizzamento, bisognerà evitare di

cadere in certe esagerazioni, alle quali na, che nelle arti figurative

rocco, potrebbe

si

la

moda

odier-

viene rivolgendo al ba-

non diiHcilmente sedurre. La

lettera-

tura del Seicento non è produzione di decadenza nel

significato assoluto che abbiamo cato;

ma

sopra criti-

empirico e relativo, letteratura di decadenza. Non solo

certo,

significato

in

accenna sovente più

ma

di

anche

in quel

di quel

è,

di

essa

che effettivamente dia;

che accenna e

un'arte e una letteratura priva di

in

quel che dà, è

sentimento

etico,

opperò, sotto apparenze lussureggianti, assai ristretta e povera. Chi dalle produzioni più splendide di quell'arte

passi

a una figura giottesca o a

una terzina

dantesca, avverte

tutta la differenza; e c'è caso che

paragone

(dal quale è prudente, senza dubbio,

in quel

che

il

critico

si

guardi) l'arte e la letteratura del Sei-

PREFAZIONE

XXII

cento

trasmutino

si

suoi occhi,

ai

come Alcina

agli

occhi di Ruggiero, poi ch'ebbe infilato al dito l'anello

insomma,

dissipatore di ogni magica fattura. Bisogna,

considerare,

anche

si,

la

produzione secentistica con

simpatia, renderle giustizia, godere quel tanto di bello

che

ma

proprio;

le è

non gonfiarla, dandole un'im-

portanza che non ha, e facendola oggetto zione

Ecco sommariamente il

programma

viso,

sono da

e provvisoriamente delineato

I

istituire ancora, e

da proseguire, sulla

Ma

del

presente volume

1890 e

il

1900, e

vecchi

e qualch'altro di venti anni,

disegno, che mi

appena II

un

esso non

è,

in-

saggi.

di

composti per varie occasioni nel decennio tra

quali,

il

programma

il

mio av-

degli studi e ricerche, che, a

letteratura italiana del Seicento. tanto,

una devo-

di

un culto fanatico che, a dir vero, non merita.

di

vi

primo

è

si

di questi saggi è

opere

non possono svolgere un

maturato

rispondono qua e

po' scolasticamente

italiane,

perciò qualcuno di dieci

là,

in

mente più

come per

e

tardi

sulle

il

bibliografìa, opere

dialettali, fonti, valore letterario, for-

terzo

relazioni

e

una monografia, condotta

(biografia,

tuna, influsso, ecc.), intorno a Giambattista Basile.

secondo e

;

accidente.

si

Il

riannodano a certe mie indagini

tra l'Italia e la

Spagna;

e,

in

parte,

sono di pura erudizione, in parte rientrano, più propriamente, nella storia della cultura. rattere

hanno

il

nuovo avviamento maschere italiane,

Il

medesimo ca-

quarto saggio, che tenta di dare alla questione circa l'origine delle

e

il

quinto, che ricostruisce la sa-

tira fatta dei napoletani nella

commedia.

Il

sesto è

una

recensione, che riempie o addita lacune nell'opera del

PREFAZIONE

Cesareo su Salvator Rosa; e filo

di

un

letterato

il

XXIII

settimo un rapido pro-

compose

seceutesco, che

la

più

ampia e vivace descrizione della città di Napoli. Io

li

raccolgo in questo volume (dopo avervi introdotto non

poche aggiunte e correzioni»,

sia

perché serbano an-

cora qualche interesse, non essendo stati distrutti dagli studi posteriori

e sia perché, sto,

neppure

si

può dire che

trebbero essere

fanno che

argomenti che trattano;

sui vari

sebbene non coloriscano

piuttosto

il

disegno espo-

onde po-

gli contrastino;

tacciati

non

quel che

di

quel che fanno.

di

Al programma, invece, rispondono, su per giù, pagine collocate in fondo

al

le

volume, che servono come

ad annunziare un'antologia, che ho messo insieme, dei Lirici marinisti, per la raccolta degli Scrittoì'i d'Italia ,

ìmimiix

m

quest'anno d^I mio tiuon amico Laterza.

E, per quel che riguarda la storia delle scienze rali, al

programma rispondono

mo-

altresì le ricerche, sui

concetti estetici e sui libri di politica e ragion di stato del Seicento, delle quali

miei volumi estendere,

lìlosofìci.

ho dato qualche saggio

Mi propongo

quando ne avrò

il

tempo,

di

nei

continuare ed

siffatte

indagini

sulla vita spirituale di quel secolo; se altri, con forze

più fresche, non vorrà precedermi e compiere,

mi auguro, in vece mia, un non senza attrattiva.

lavoro, che

come

mi sembra.

Napoli, marzo 1910.

B. C.

GIAMBATTISTA BASILE E IL

«

CUNTO DE

LI

CUNTI

»

Introduzione a una ristampa del soltanto

il

C'unto de

primo volume (Napoli,

1891).

li

curiti,

della quale usci

Vita e opere italiane del Basile

Gì'iambattista quelli che

cento, ricco concetti,

modo

Basile fu un letterato e verseggiatore, di

formavano, a Napoli, nel primo quarto del Seimusicali

solito

adempiendo

Giambattista Marino, luccicanti

corteo a

allora

forme,

di

dei

come nei

letterati,

maestro.

il

servigi

Visse

di

delle

ni

corti,

svariati incarichi militari e amministrativi, e

onde molta parte della sua opera in lingua italiana ebbe semplice carattere occasionale ed encomiastico. Né si può dire che, nella restante, superasse mai

altresì

il

in

poetici

;

livello della mediocrità,

drammi, poemi

giacché

e poemetti,

teratura di quel tempo.

Ma

il

i

si

limitò a ripresentare,

motivi consueti della

let-

Basile, per sua e nostra for-

tuna, variò talora le sue fatiche di grave poeta in lingua aulica con giocose escursioni tale

;

e

venne componendo

nella poesia e prosa dialet-

libercoli

di

egloghe

napoletane, che erano, per lui, levamina mentis, e

e novelle

non

fece

a tempo o non curò di pubblicare, e ai quali, documenti insigni per noi d'arte e di demopsicologia, egli deve, ora, tutta la sua

fama.

E deve anche

all'interessamento, che

quei componimenti dialettali suscitano nel nostro spirito, il

desiderio che ora

particolarità

della

si

prova

di

conoscere e ricercare

sua vita, e di esaminare

la stessa

le

sua

4

GIAMBATTISTA BASILE E

IL «

CUNTO DE LI CUNTI

opera in lingua italiana, che per

era scopo principale,

lui

meno

e per noi è semplice sfondo e contrasto all'altra,

ma

giata dal suo autore,

Nacque

il

di

»

pre-

gran lunga più geniale \

Basile in Napoli

(e,

forse, più

precisamente,

nel villaggio di Posilipo), intorno al 1575, da famiglia civile

ma non

agiata; ed ebbe parecchi fratelli e sorelle,

maschi e femmine, presero come

tutti,

spinsero variamente innanzi, ac-

uffìzi e delle corti e vi si

quistando stima e importanza* sociale.

pagno lio

di scuola, e legato poi

Cesare Cortese

^,

quali

i

lui la carriera degli

Da bambino,

fu

com-

sempre d'amicizia, con Giu-

destinato a diventare quasi

padre

il

della letteratura dialettale napoletana e fratello d'arte del

nostro poeta.

In un brano autobiografico di una sua favola marittima il

Basile ricorda

come

l'ambizione letteraria,

sentisse scaldare a

e,

augello palustre

«

coi più bei cigni al paro

porsi

«

deva

di

messo

si

in

trovare

»,

tentasse di

Senonché, quando cre-

».

onde

;

si

risolse a fuggire

rive », e a cercare fortuna altrove

i

tratto dal-

benevolenza e aiuto in patria,

non cale

Intorno al Basile,

si

ha un acuto

«

vide

si

le

ingrate

di

Vittorio

*.

e

arguto studio

Imbkiani, Il gran Basile (nel Giornale napoletano, 1875, voli. I-II) quale, per altro, la parte biografica è insufficiente, e

aggiungere anche intorno napoletana in genere, e i

al

allo

non poco

svolgimento della letteratura

Cunto de

li

^,

un

cunti e alla

;

vi è

nel

da

dialettale-

fortuna di

esso, in

specie. -

Cortese, Viaggio di Parnaso, IV, 40.

3

Le avventurose disavventure,

Mantova, *

Cfr.

1613,

a. Ili, s.

5 (mi attengo alla terza ediz..

che ha parecchie varianti).

anche Ode,

ed. 1827, p. 36.

1.

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

5

Triste abbandonare la patria: tristissimo per chi, il

tutto

da

suo essere. Sono eco forse dei sentimenti provati

il

lui quelli

che

esprimere a uno degli eroi delle sue

fa

come

fiabe, costretto,

lui,

a lasciare Napoli. Cienzo, a ca-

vallo, s'avvia fuori la città; e, uscito fuori Porta

dere

chili,

Napole mio! Chi sa

ìnautune de zuccaro

prete so de

e finestre

manna

ncuorpo,

de pizze sfogliate?

lano alla fantasia

Pendino,

Loggia

la

dini dei Gelsi,

il

».

e

mitra de pasta

da

reale,

trave de cannam.ele,

li

E, in quell'istante, gli

Tié-

«

:

se v' aggio

le

ve-

dove porte

si affol-

luoghi più ricchi, deliziosi e voluttuosi

i

di Napoli: Porto,

l'Olmo,

Capuana,

esclamando con tenera malinconia

indietro,

si volg-e

nete, ca te lasso, bello

le

come

Basile, nel suolo e nei costumi della patria ha profondato

la piazza

Genova,

di

Pertuso,

il

i

Larga, la piazza del-

Lanzieri, Forcella,

Lavinaro,

il

i

Mercato e

giarla ri-

dente spiaggia di Ghiaia \ Basile

Il

percorse quasi tutta l'Italia;

e,

dopo questo

non sappiamo quanti anni durasse, si fermò, finalmente, in una città, che, per più rispetti, gli

pellegrinaggio, che

ricordava

la

sua: Venezia". Lei celebra più volte nei suoi

versi: nel Ciinto de

li

cunti, nominatala per incidente, s'in-

fiamma a quel nome,

e la dice

«

schiecco de la Talia, re-

de vertoluse, libro maggiore de

cietto

e de la

A

natura

Venezia,

le

maraveglie dell'arte

» ^.

si

arrolò soldato ai servigi della Serenissima.

Ci ha descritto egli stesso quell'atto iniziale della vita militare di allora.

buro;

gli

Ecco inalberata un'insegna: batte

arrolatori

un banco, un pugno illuso va di corsa a

1

C'unto de

2

Avvent. disavv.,

3

C'unto de

li curiti.

li

1.

curiti,

il

tam-

hanno messo in mostra, sparso sopra lampanti monete d'oro. E il povero

di

iscriversi

I,

7.

e.

IV,

9.

:

GIAMBATTISTA BASILE E

b

CUNTO DE

IL «

LI

CDNTI

»

Tirato pe la canna

Da

quatto iettarielle,

Spase ncoppa na banca.

Concluso

contratto,

il

veste a nuovo, cinge la spada,

si

sguazza per taverne e postriboli. Gli amici

dove vada; ed guerra

!

egli risponde allegro:

gli

domandano

Alla guerra, alla

^

reggimento, in cui entrò

Il

Candia, posto

di



avanzato

antemurale della Cristianità

Basile, fu inviato all'isola

il

Venezia contro

di

Turchi,

i

nella cui città capitale

i

Veneziani mantenevano circa duemila uomini di presidio

^.

«

»;

Erano colà molte famiglie, venute

in vari tempi dalla

Do-

minante: Malipieri, Mocenigo, Morosini, Pisani, Sagredi,

e,

più ragguardevole di tutte, la famiglia Cornare^, presso le

giovane soldato-poeta trovò benigna accoglienza;

quali

il

onde

egli scrive,

dia,

«

alludendo a quel soggiorno, che, in Can-

quasi in tranquillo porto ricoverossi

Protettore del Basile

fu,

»

*.

segnatamente, Andrea Cornare,

autore di una Hìstoria candiana,

il

quale aveva fondato in

Candia un'accademia degli Stravaganti, recante per impresa un cane fuor di strada e letterato, poeta e

carmi

e,

quel

«

1

Nell'egloga La coppella.

EoMANiN, Storia docum. di

L. DA Linda, Descrizioni Ode, ed.

cit.,

Op.

p. 36.

^

Quadrio, Storia

6

Basile,

pp. 39-40; sul

Et per invia

oro ai versi

altrui

ai »

Il

iiniv.

^.

^.

Era

propri Il

Ba-

nome

di

Venezia, VI, pp. 498-9, VII, pp. 355 sgg.

;

(Venezia, 1660), pp. 493-6.

pp. 37-8.

3 *

(Mantova,

:

mecenate, che largiva gloria

eh' è più,

2

cit.,

motto

dal Cornare tra gli Stravaganti col

ascritto

sile,

il

e

ragione d'ogni poesia,

I,

p. 61.

Teagene (Roma, 1637), V, 45. Sugli Stravaganti, Ode,

Cornare e

1613), p. 53.

il

fratello di lui, Vincenzo, Madriali et ode

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

I.

Pigro

«

»,

lesse in quell'accademici molte composizioni, e

sempre

fregiò poi

si

7

di quel

titolo,

della sua gioventù e della sua

a lui caro pei ricordi

prima buona fortuna. Tra

molte poesie composte in Candia, è un madrigale per

le

una

«

bellissima ebrea

quale

si

»

,

che dovè toccargli

il

cuore, e alla

volgeva con affettuosa premura di ammiratore e

di cattolico, esortandola al battesimo

:

Entra nel sacro fonte, Leggiadra donna, ed uscirai più

Come Cosi

mar

sorge dal

bella,

lucida stella.

l'alma eguale

fla

A

la beltà del viso,

E

gareggiar potrai col paradiso

^.

Sulla fine del 1606, in conseguenza della lotta tra e

i

Veneziani,

il

re di

Spagna dava ordine

al

il

papa

conte di Fuen-

un esercito ai confini, se Venezia non La Repubblica cominciò gli armamenti e mise in ordine una grande flotta, nominandone capo Giovanni Bembo, il quale assunse il comando nel febbraio del 1607. Intanto, Enrico IV si adoperava a riconciliare i Veneziani tes di raccogliere

cedeva.

col

papa, desideroso che essi volgessero

tro gli Il

di

Spagnuoli

Basile

guerra:

si

armi con-

trovò nel bel mezzo di questi apparecchi

sospinto dall'impetuosa Fortuna dentro alle

«

tempeste delle armi d'altro

le loro

^.

»,

mentre

che d'ira e di morte

l'Italia si

«

era sozzopra, né

ragionava, e l'intrepido

Leone empiea di tremendi ruggiti l'Adria e il Tirreno ». E, « premendogli nel vivo del cuore che tante armate schiere la tranquillità dell'Europa rendessero

inquieta

»,

torbida ed

compose un'ode per persuadere, nientemeno,

l'una e l'altra parte a

1

Madriali

"

MoRosiNi,

et ode,

I,

«

sospender l'ire

»:

p. 45.

Istorie veneziane

(Venezia, 1720},

III,

pp. 367-9, 371-2.

GIAMBATTISTA BASILE E

O

Sien dolci paci

IL «

CUNTO DE

LI

CUNTI

»

l'ire,

Gli odi pietà, celeste ardor gli sdegni,

Puro

affetto l'ardire

Ed

umiltà ne l'alterezza regni. Sian l'armi caducei, plettri le squille,

E ne

Ma il

Bembo

il

amor

l'orror di morte

sfavillio

portò la sua flotta a Corfù, dove gli giunse

rinforzo di venti navi di Candia, quattordici delle quali

armate a spese dei nobili veneziani

una

di esse fu

navigò lungo

imbarcato

il

e candiotti

pacifista poeta.

La

coste dell'Epiro, perlustrò

le

il

per parecchi mesi, rese sicura tutta quella zona della Repubblica, e

quando spagnuoli Al capitano odi

e

sopra

Mar Jonio ai sudditi

sopravvenire dell'autunno,

e turchi presero

di essa

benignità con

sciolse al

si

;

flotta riunita

i

quartieri d' inverno

^.

Basile rivolse, per gratitudine della

il

quale era stato trattato, una delle solite

la

'•'.

II

Dopo avere partecipato a questa impresa navale, Basile lasciò Candia;

il

percorsi vari luoghi della Grecia

e,

e delle isole, fece ritorno, nel 1608, a Napoli: '^

(~y^ /

l

Turno

1

errori,

può dir felice Quando ei può riposar nel patrio

Pivi si

(juasi straniero,

d^\ lungo

'2

Chi i^rovato ha gli affanni Di lungo navigar, di lunghi

]>rr<'u-!-in,ii-r

',

fatto

cit.,

3

Ode, pp. 44-6.

^

Avveìiturose disavv.,

•'

Ivi.

frattempo, anche nella sua

pp. 393, 401-2.

I.

e.

^.

diverso d'abito e di costumi

^la, nel

Ode, pp. 41-3.

MoEosiNi, op.

lido

VITA E OPERK ITALIANE DEL BASILE

I.

famiglia

Una

accadute grandi novità.

eiiiiio

9

sorella di lui,

Andreana o Adriana, moglie di un gentiluomo calabrese Muzio Barone, rivelatasi eccellente cantatrice, era stata, insieme col marito, accolta nella corte di Luigi Carafa, principe di Stigliano

da una schiera la

voce

La

'.

sorella illustre e potente, attorniata

ammiratori, che ne celebravano a gara

di

celestiale, l'arte del canto, la

bellezza, la

somma

onestà, stese le ali sul povero e oscuro poeta.

quale cominciò a svolgere in Napoli quell'attività

Il

che,

letteraria,

prima gioventù, non aveva incon-

nella

trato favore; e pubblicò, nel 1608, tre canti: Il

di

San

le

lodi dell'antico

tese

(il

Pietro del Tansillo), che

compagno

compose

il

in

comparve

in pubblico con

di scuola, Giulio Cesare Cor-

Pastor Sebeto), e del cognato ^Muzio Barone

Ardente). Altre

tenio

un breve poemetto

pianto della Vergine (imitazione delle Lagrime

encomiastiche e

poesie

(il

Par-

cortigiane

Basile per le nozze di Cosimo dei Medici, sopra

invito del Cortese; per l'ingresso di Carlo Spinelli con la

sposa Giovanna di Capua nel loro feudo di Cariati (dove egli

li

accompagnò)

in e

un volumetto

di

monotone odi

settenari

;

e pel

primo parto della principessa

Xel 1609, raccolse la sua produzione giovanile

di Cariati-.

Madriali

et

Ode: stentati madrigalucci

di contenuto adulatorio, in endecasillabi e

alternati, tutte conteste di luoghi

lava, col tono

pria sorella

medesimo

degli altri

comuni. Adu-

corteggiatori, la pro-

:

Di Sebeto a le sponde Siede Ninfa canora, le cui note

Rendon tranquille Dan moto ai sassi

*

Ademollo, La

Carafa, 2

cfr.

Napoli

bella

l'onde, e fan le fere immote...

Adriana (Città

nobiliss.,

X, pp.

Ode, pp. 49, 50-3, 54-6, 57-9.

49-53.

di Castello,

1?:JSS],

cap.

I.

Sul

GIAMBATTISTA BASILE E

10 Anzi,

le

dedicava

che comincia:

«

CUNTO DE

LI

CUNTI

»

con una prosa complimentosa,

Ecco, sorella amatissima, ch'io paleso

«

mondo sotto

la raccolta

IL

il

vostro celebre nome

veri componimenti,

i

al

questi miei po-

quali, nati fra l'inquiete turbolenze

hanno ben di mestiere che sien vostro favore rasserenati.... ». E non senza ragione assumeva questo atteggiamento di

della professione militare,

dal

protetto. Circa quel tempo,

il

duca

di

Mantova, Vincenzo

Gonzaga, appassionatissimo dell'arte musicale, fu preso da

grande brama

di attrarre alla

propria corte l'Adriana, e

iniziò trattative a questo scopo, sul principio del 1610, per

L'Adriana mise subito per condizioni, che essa, per proprio decoro, venisse chiamata a Mantova con lettera della duchessa Eleonora, e che il duca

mezzo del suo agente

desse impiego

in Napoli.

in sua casa tanto a

«

quanto a Giambattista

rito,

Muzio Barone suo ma-

suo fratello,

quali sono

li

persone dell'abilità che detto signor Paolo [l'agente del duca] farà relazione a S. A., e che procureranno, per

persone loro, di esser degni creati

Nel maggio,

delli creati di S.

avviò verso Mantova un'intera

si

di Basile e di

Barone:

«

rella [Vittoria

o Tolta]

e

che sono quattro

;

il

la

A.

le

^

»

carovana

signora Adriana con una so-

cognata, e

marito, con

un

un suo

figliuoletto,

fratello di lei [Lelio]

un creato, che in tutto sono sette: viene ancora, per accompagnarla sino a Mantova e poi passarsene in Spagna, un altro suo fratello [Francesco], dottore, con un creato ». e

Partirono (dice l'agente ducale) e

veramente

«

io

«

con pianto

di molti

vengono sono persone virtuose da guadagnarsi il pane che mangeranno » -. tutti

questi che

1

Doc. in Ademollo, op.

'

Op.

cit.,

p. 117.

»

;

spero che S. A. resterà gustata, perché

cit.,

pp. 89-90.

e buone,

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

I.

11

Giambattista, per allora, rimase in Napoli; e fece eco

dopo essersi adoperati a impedire quella par-

ai molti, che,

Mantova aveva strappata una rivincita come è detto nelche ha per titolo: Rapimento di Vir-

tenza, piang-evano la preda, che a Napoli. Preda, che era l

'epigramma

di lui,

gilio vendicato

;

:

Tolse al Mincio

il

Sebeto

Candido augel canoro. Per cui crebbe a le stelle il verde alloro; Toglie al Sebeto il Mincio Leggiadra cantatrice, Ond'era il lido suo chiaro e felice: Gloriosa vendetta, al

mondo

sola.

Se perde un cigno, una sirena invola ^

Egli restava, forse sostituendo

principe di Stigliano

cognato, nella corte del

il

e a questo signore dedicava, nel luglio

;

Le avventurose disavventure, un luogo delizioso di Posilipo, nella

del 1610, la favola marittima: la cui

scena

si

villa detta la

finge in

Sirena

nente per l'appunto

(poi, ai

palazzo di Dognanna), apparte-

Carafa di Stagliano-.

È una

delle so-

favole marittime, col solito rapimento dei Turchi, che

lite

serve a confondere lo stato civile dei personaggi, coi

innamoramenti che sbagliano

il

soliti

proprio oggetto, con la so-

lita donna che va pel mondo in abito maschile, coi luoghi comuni del pastore o pescatore che non ama, dell'età aurea,

dei lamenti contro

menti e matrimoni

capricci della fortuna, e coi riconosci-

i

finali.

e svolta in versi fluidi e

Pure, la favola è disegnata bene, armoniosi, che preannunziano

fase in cui la poesia italiana

cederà

La ninfa Tirrena

cosi

si

lamenta

il

:

1

Teatro delie glorie della signora Adriana Basile, p. 131.

2

Si

veda intorno a

pp. 177-185.

esso

la

posto alla musica.

M. Schifa,

in Napoli nobiliss., I (189*2),

GIAMBATTISTA BASILE E

12

IL

«

CUNTO DE

LI CUNTI »

che sembianza avete

"Voi,

De l'idol mio crudele, Che si gelato ha il core Che non sente giammai fiamma d'amore, Ruscelletti di neve,

Che non date rimedio al mio gran foco? Ma voi, come il mio Glauco, Sordi correte, e ne portate insieme I

miei lamenti e

Deh!

I fonti de'

Onde

onde

al

mare.

miei lumi,

crescete e vi cangiate in fiumi.

Deh! I

le vostre

almeno, acque amorose,

riditeli

almeno, aure pietose,

riditeli

miei sospiri ardenti,

Onde

crescete e vi cangiate in venti.

Mercé questo componimento drammatico, che parve, com'era, assai superiore ai lavori precedenti di sile

venne acquistando fama

raria napoletana Oziosi, che

il

e fu tra

;

marchese

i

italiani e

grandi signori ^

il

importanza nella vita

e

Ba-

lette-

fondatori dell'accademia degli

di Villa,

Giambattista Manso,

nel 1611, e alla quale intervennero letterati

lui,

il

spagnuoli (tra cui

Non accadeva

istituì

viceré conte di Lemos,

Quevedo), e molti

il

cosa pubblica o privata di

qualche importanza, festiva o lugubre, che non inducesse al

canto la musa del Basile. Nel 1612, dava fuori un vo-

lume di Egloghe amorose a lugubri, e un piccolo dramma per musica in cinque atti: Venere addolorata. Da Napoli, partecipava

alle

vicende della corte

di

Mantova, scrivendo

odi e madrigali per matrimoni e morti dei personàggi di

quella casa ducale

-.

Finalmente, negli ultimi del 1612, gere colà

1

i

suoi,

che vi godevano

MiNiERi Riccio, Accad.

fiorite

si

dispose a raggiun-

lieta fortuna.

Adriana,

in Napoli (in Arch. stor. nap.,

p. 148 sgg.). 2

Eaccolti nella seconda parte

dell' eJiz. di

Mantova,

1613.

V,

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

I.

carica di stipendi e di doni, era stata investita del

infatti,

feudo di Piancerreto nel IMonferrato

figliuolo di lei, Ca-

il

;

aveva ricevuto l'ordine dei Santi Maurizio

millo,

13

Lazzaro

e

;

era stato mandato a governare, successiva-

Lelio Basile

mente, varie città del ducato; anche Francesco sembra ottenesse un impiego ^ Giambattista trovò moribondo, o morto

da poco, Francesco Gonzaga, succeduto da qualche mese a Vincenzo, e

visitare l'altro,

quale successe poi, nel dicembre di quel-

al

l'anno stesso,

il

sorella nel feudo

la

Mantova

di

ammirò,

di Piancerreto,

nel giardino di quel luogo,

dono del duca

Ferdinando. Recatosi a

fratello cardinale

^

tra

Narciso di Michelangelo,

conobbe una nuova sua

e

;

il

potina, nata a Mantova, che aveva preso

il

nome

ni-

della du-

chessa, ed era destinata a continuare e superare la glo-

materna

ria

nell'arte del canto

:

Eleonora Barone

duca Ferdinando mostrò subito poeta il 13 marzo 1613, lo annoverò Il

:

familiari e

curiali

il

Basile valesse

et

Musaruìn sUidiis

«

suoi

^ ;

»,

peratore Massimiliano

tra

suo i

^.

favore

quanto

litterarum, philosophicis

facendo uso del privilegio dell'imII,

nominava

il

poeta

«

milìtem sive

equitem auratuyn, ac sacri Lateranensis palatii, anlceque ac imperialis concistorii comitem

»,

«;

et ubilihet

terrarum

L'amico del cuore,

il



con l'annessa facoltà di

creare notai e giudici ordinari in tutto

Impero,

pel

gentiluomini,

6 aprile, considerato

il

humanarum

in

il

il

Sacro

Romano

» ^.

Cortese, aveva allora per

le

mani

poema in dialetto napoletano Viaggio di Parnaso. esso immaginò che, essendosi addormentato sul monte

il

suo

E

in

:

veda

Si

2

Ode, p. 113.

la

delle glorie, pp. 5-6.

dedica del Teatro

1

"

Ademollo, op.

^

Doc. in Ademollo, op.

5

Arch. di Mantova, Liher

cit.,

pp. 191-2. cit.,

pp. 199-200.

decret.,

n. 54,

f.

30

b.

GIAMBATTISTA BASILE E IL

14

«

CUNTO DE

LI CUNTI

»

Parnaso, sognasse una donna alata, splendida più dell'argento, la quale, suonando la tromba, intonava:

«

Chi fu mai

da Battro a Tile Famoso più del Cavalier Basile?

Da

O

»

chisso ha schiacce matto ogni scrittore.

sia toscano o grieco o sia latino;

Chisto ha no

Quanto

stile,

lo sole fa

che l'ha fatto nore, luongo cammino ;

Isso se fa la via co lo valore

A

La

la grolla, e

ne schiatta

lo destino;

Ca, mo, è d'Apollo,

commo

E

Muse apparo

le

vo bene de

le

amico fu grande

gioia del tenero

frate, caro, ^.

:

Dire non saperria quanto sentiette

audenno nommenare a chillo. amico me facette

Piacere,

Che

la fortuna

Da che

apprende che

Svegliatosi,

Mantova, Basile

il

leva a la scola, peccerillo! è

quale reca a Febo

giunto

^.

un ambasciatore

la notizia,

di

che la virtù del

:

Co granne nore suo, l'ha

Lo

titolo

fatto avere

de conte e cavaliere

;

vengono indette e celebrate in Parnaso ^. Non manca l'elogio pel duca Ferdinando, del quale si ammirava nella stanza di Apollo un magnifico ritratto onde solenni

feste

:

Chisso ne' era depinto cossi bivo

Che quase lo vedive freccecare; Tenea la vorza fatta commo a crivo. Che no uce potè réiere denare;

^

Viaggio di Parnaso, IV, 38-9.

2

Op.

cit.,

IV, ott. ult.

2

Op.

cit.,

ce.

V

e VI.

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

I.

Da La

lo

quale piglia oie sostiento e civo

vertute, che stea già pe crepare.

Le vide appiede mille vertuluse, Che le puoie nnuosso ai^pennere

E

E

15

isso a chi

le fuse

;

dà sfuorge, a chi tornise,

tutte fa partire conzolate.

mo

Ora cammina

ss'autre paise,

Se truove tanta liberalitate! ^

A

Mantova,

Basile fece, nel 1613, un'edizione completa

il

delle poesie fin allora

da

lui pubblicate,

aggiungendovi una

seconda parte di madrigali e odi, dedicata

al



Gonzaga.

Ma, trascorso qualche mese, forse per cagione di salute,

si

nuovo a Napoli. Non, di certo, per dissapori Gonzaga che, anzi, scoppiata la guerra col Pie-

ridusse di sorti coi

:

monte per Napoli,

il

Monferrato, egli scriveva da

la successione del

giugno 1613,

1.°

duca, dolente che,

al

portunità della presente guerra togliesse « si largo

che

casa

»,

la

sua indisposizione

di soddisfare in parte

»

doveva, e di mostrare a pieno quanto fosse

gli

sideroso di spargere

gli

a quel «

de-

proprio sangue in servigio della sua

il

Nel dicembre, scriveva ancora per rendere grazie

»,

nuovi favori

dei

campo

nell'op-

«

largiti

Nel 1615,

sorella Vittoria^.

alla

soddisfacendo la richiesta del Gonzaga, inviava a Mantova l'altra

anche virtuosa

sorella, Margherita,

quale fu subito dal duca dotata e maritata

di

musica,

la

^.

IH

A ebbe

Napoli,

il

uffici di

Basile

Regno. Nel 1615,

1

Op.

2

Queste

nella 3

mia

cit.,

riprese

il

servigio

delle

corti,

ed

governatore regio o feudale nei comuni del si

trovava,

come

tale,

a Montemarano, in

V, 10-1.

lettere, e le altre citate

ediz. del C'unto de

Ademollo, op.

cit.,

li

più innanzi, furono edite da

cunti, I, pp.

pp. 210-1.

xxxix-XL, cxcvi

ix.

me

GIAMBATTISTA BASILE E

16

IL

«

CUNTO DE

LI CUNTI

»

provincia d'Avellino ^ Nel 1617, era in Zuncoli, al séguito

marchese

del

Cecco di Loffredo, capitano

di Trevico,

uomini d'armi.

di

durante questi anni, in lavori

Si occupò,

Rime del Bembo (1616-7) e del Casa (1617), e aggiungendovi un volume di Osservazioni (1618), che era una sorta di vocabogrammaticali e

lario

lìlologici,

delle

adoperate da quei due poeti

delle voci e frasi

deve anche a

curando edizioni

lui (1617)

Galeazzo di Tarsia, rimaste a lungo inedite. Queste

me, come anche

;

prima stampa delle JRime

la

la terza parte dei

vennero dal Basile dedicate

Madriali

et

si

di

ulti-

Ode (1617),

al Loffredo.

Passò, l'anno seguente, a

un nuovo padrone,

al

prin-

cipe d'Avellino, Marino Caracciolo: continui passaggi, che ci

provano come

della vita

campo

e^li avesse largo

di fare esperienza

cortig-iana e di conoscerne a fondo le miserie.,

Sventurato (dice in una sua egloga) colui

E

che pe na pezza vecchia, per sorchiare vroda a no teniello,

Co na panella sedeticcia

Venne

Non

e' è

la libertà,

vita più instabile e piena di affanni

Mo se vede tenuto Mparma de mano e mo

Mo Mo Mo

caro a lo patrone e pezzente,

;

:

puosto nzeffunno,

mo

nzavuorrio,

ricco,

mo

arronchiato e sicco.

tutte le proprie forze per farsi merito

fatiche perse

No No

mo

grasso e luoug-o,

Può bene spendere e onore

e tosta,

che tanto costa.

boffone,

;

gli

na

viene preferito no Ganemede,

spia,

cuoiero cotecone

;

O

puro, uno che facce Casa a doi porte, o n'ommo co doi facce-.

1

2

Lettera da Montemarauo del 14 marzo 1615 al duca di Mantova. Egloga La coppella: si veda anche Cunto de li curiti, III, 7, 9, ecc.

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

I.

Per fortuna,

il

principe d'Avellino, gran cancelliere e

più gran signore che fusse in Regno

« il

»,

era

ed amatore dei virtuosi, a segno tale che sino Giambattista Bergazzano, fu

biere,

corte, si passava

tempo

il

scherate, commedie,

da

lui

destinato, nel

nella quale città

17

poeta

»

«

virtuoso

il

suo bar-

^ Nella sua

in continue giostre, tornei,

balli e piacevoli veglie

^.

Il

ma-

Basile fu

1619, a governatore di Avellino^;

componeva

e

dedicava

al

principe un

idil-

L'Aretusa, che può offrire saggio del migliore suo poe-

lio:

tare.

È

un'imitazione degli

idillii

del ^Marino (attinti, a loro

Nonno e a Claudiano) ma ha movimento e colore. Nell'ultima parte, volta, a

;

che insegue l'amata Aretusa

feo,

tratti si

non privi

di

descrive cosi Al-

:

Alleo, per quello stesso

Precipizio mortai, sospinse l'acqua,

E

per

le

interne viscere ed occulte

De la terra, e per sotto il mar spumante, La segue ovunque vada. Né già potea per tante Caligini d'orrori

Smarrir di



lei la

sospirosa luce;

già potea per tante

Sentir

men

umide

vie

calde l'amorose fiamme;

Che mal può l'Oceano D'impetuoso amor spegner l'arsura. Alfìn la sbigottita.

Entro

al

più cupo seno

Della terra, s'accorge D'.un' occulta apertura, che penetra

Sin dove siede la città del foco

Per

cui, ratto

;

scendendo,

S'invola agli occhi del sagace amante.

1

BuccA, Aggiunta (ms. Bibl. Naz. di Napoli, X, B,

novembre

1630.

2

Ode, pp. 11-15.

3

Ode, p. 216.

66), sotto

il

4

18

GIAMBATTISTA BASILE E IL

«

ODNTO DE

1 LI CUNTI

di cieco timor ferza inaudita!

Non

rompe

mira, per fuggir, ch'ella già

Del liquido elemento

Le innate leggi eterne, Che il suo contrario aborra;

E va

nel cerchio ardente a portar l'onde

De

l'infernal Oocito.

La

famiglia d'Inferno

Stupida a mirar prende

non più visto fonte, fa il nuovo portento Sospender fra quell'alme ogni tormento.

Il

E

Non si pascon gli augelli, Non si volgon le ruote. Non si conduce il sasso a l'alto monte, Né col cribo si trae l'acqua dal fonte. Il

Da

regnator de la penosa Dite, torvi rai spirando arida luce,

Intende d'Aretusa Che r abbia spinto

al

-

tenebroso regno.

E, di suoi gravi affanni Pietoso, forse avria dato a quell'acque

Incendioso albergo Ma, per non porre Ospite

si

;

al

suo cocente nido

nemica,

L'insegna, ov'elia

il

varco

Trovi, onde sorga a riveder le stelle.

Ove Peloro scovre

il

mar

Tirreno,

Mille aperture ha la Trinacria riva.

Per cui respira

Una Il

foco ond'arde

il

centro.

signor d'Acheronte ad Aretusa,

Per cui

E

il

di queste addita

fa di

ove non tace nuovo umor bagnate risoi'ge

il

vento

;

e molli

Di Sicania le piagge. Di tema ancor gelante, ancor tremante. Qui ferma il corso, e qui piange in eterno, Mai sempre umido il ciglio, D'Ismin la morte e '1 suo perpetuo esigilo.

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

I.

Tornato a Xapoli, l'anno seguente uiizio Caracciolo,

il

19

Basile dedicava a Do-

marchese di Bella, cadetto della stessa amante; storia di un napoletano, che,

famiglia, Il guerriero

in un periodo di tregua non corrisposto, si uccide, trafiggendosi sumorto amante anche la donna crudele, punta

andato alla guerra di Lombardia, s'innamora, bito

dopo

e,

sul

da rimorso

presa da tardivo amore. Nel 1621, fondatasi

e

a Xapoli un'altra accademia, detta degli Incauti, vi

appartenne

terra

di

da

Xel 1621-2

le

lor

Imaginì

più

alti

di

;

Basile

Xel 1624,

^.

dame napoletane

belle

ri-

propri nomi in tanti anagrammi. rebus e la sciarada sono elevati

il

onori letterari.

una dama, che, per suo adulare

il

recò governatore regio nella

più

delle

In questo volumetto, ai

si

Lagolibero (Lagonegro) in Basilicata

pubblicava tratta

'.

Basile prendeva

Il

vaghezza,

utile o

poniamo, quello di Dorotea

Campolattaro

(e

amante

di

il

nome

Capua, marchesa

duca diOssuna);

del viceré

di

convenisse

gli

e,

volgendo e rivolgendo

le lettere di questo nome, ne cavava una frase anagrammatica: « Hai d'amor scettro e palma », sulla quale costruiva il madrigale:

Nulla beltà risplende,

Ove

tu

pompa

altera

Fai de la tua bellezza alma guerriera;

Né già di te più degna Ne l'amoroso ciel trionfa Che

tu sol, chiara

Hai d'amor scettro

E

e

regna;

ed alma, e

palma.

medesimo eseguiva per ben settantun© nomi

il

per trentacinque di

altri

di

dame

e

personaggi; e di altrettali lavori,

d'insigne stupidità, disseminava

le

raccolte poetiche e fre-

^

iliMERi Kiccio, Accadem. di Napoli,

-

Provvisione del viceré Cardinal Zapata, del

(Arch. di Stato di Napoli, Collaterale

1.

e,

527-8.

IV',

Officiar., voi.

18

XIV,

giugno 1621 f.

128

b.).

20

GIAMBATTISTA BASILE E IL

giava

i

amici

libri degli

LI CUNTI

come ne dava,

e,

;

CUNTO DE

«

»

ne

cosi

rice-

veva, perché, appunto nel combinare anagrammi, spesero

gran parte del loro tempo

letterati del Seicento. Spetta-

i

colo di offesa dignità del carattere e del pensiero

innanzi

al

quale

è mossi a disgusto e invasi

si

Nel frontespizio delle Imaglni,

prima volta come

compongono

il

«

umano,

tristezza.

compare per

la

luno dei villaggi che

»

paesello di Morrone, in provincia di Caserta);

avendo trasportato

forse

terra da lui acquistata. «

Basile

il

conte di Toronc

da

conte di Castelrampa

suo titolo di conte sopra una

il

Nel 1626,

ma

» ';

si

denomina, invece,

ripigliò, dipoi,

il

titolo di

conte di Torone, a cui rimase fedele.

Due

ritorni

memorabili> di il

venutavi per poco,

fini col

anni

;

venne a morirvi.

con un'ode,

restarvi stabilmente per

«

tra

pregi sino

salutò

il

nove con

suo maestro

per concorrere (scrive) coH'universale lodi, e

al cielo di lui,

sua patria sovra

della

Basile

Il

applauso delle sue meritate i

cittadini vide, circa

e quello di Giambattista Marino, che, accolto

"

trionfo,

tare

suoi

ritorno dell'Adriana Basile, la quale,

quel tempo, Napoli:

le

stelle,

per obligazione di por-

che portato ha

le glorie

per rendersi

eziandio

e

grato con pochi versi a chi con tanti parti del suo divino

ingegno ha

Anche al

la

sua propria sorella altamente celebrato

nel Teagene, al quale

Marino un'ottava:

Ma

chi dirà di

te,

Mai'iu, gli onori,

Cui Permesso apparecchia eterni allori? Quante d'inchiostro verserai tu stille. Tanti fien di dolcezza ampi torrenti

Ogni solco

di

;

penna a mille a mille

Fior di gloria aprirà

->.

andava lavorando, consacra

lieti

1

Lettera del 24 novembre 1626.

2

Ademollo,

op. cit., pp. 289-323.

e ridenti.

I.

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

Una de

amorose alme

le

Sparse in tue carte, Potrà infiammar; da

le

faville,

più voglie algenti

le

tue note altere

Apprenderan nuove armonie Il

21

nuovo protettore, ch'ebbero

le sfere

egli e

i

^ suoi, fu

il

duca

d'Alba, don Antonio Alvarez di Toledo, viceré di Napoli dal 1622 al 1629. Dal duca d'Alba gli fu afiidato, nel 1626, il

governo

di

Aversa

^

a lui dedicò la raccolta di cin-

:

quanta delle sue Ode, stampata nel 1627. In quel tempo, contribuì largamente alle feste o Apparati, che

solevano

si

celebrare pel San Giovanni, con composizioni poetiche liane, latine e spagnuole. Anzi, in

spagnuolo fatto mettere insieme dal duca d'Alba sto

donato poi all'Adriana,

altre, sette poesie sile

leggono, a capo

e

da que-

di tutte le

spagnuole per musica, composte dal Ba-

Xel 1630, per

^.

si

ita-

un canzoniere manoscritto

la

venuta

di

Maria d'Austria, sorella

del re

Filippo IV, che andava sposa all'arciduca Ferdi-

nando,

i

cavalieri napoletani fecero rappresentare nel Pa-

lazzo reale,

il

17 ottobre,

una mascherata: Monte di ParLombardo,

naso, con parole del Basile e musica di Giacinto la

quale è da considerare come uno dei primi saggi, che

si

ebbero in Xapoli, di drammi musicali \ IV

L'ultima corte, alla quale

il

Basile appartenne, fu quella

del duca di Acerenza, Galeazzo Pinelli, letterato

demico degli Oziosi.

Basile,

Il

come

si

e

acca-

è detto, lavorava,

1

Teagetie,

V,

2

Nomina

in data 28 dicembre 1626, Arch. di Stato di Napoli, Of-

ficior.

Collat., voi.

66-7.

XXII,

f.

86

t.

3

Si

vedano, in fine a questo studio, Illustrazioni

*

Si

vedano Bucca, Aggiunta, ms.

Il forastiero (Napoli, 1634), p.

poli, 1891^, pp. 107-11.

cit.,

e

documenti, III.

17 ottobre 1630-, Capaccio,

959; e cfr. Croce, Teatri di Napoli ;Na-

GIAMBATTISTA BASILE E

22

IL

CUNTO DE

«

da qualche tempo, a un gran poema,

LI

CUNTI

»

Il Teagene; versifica-

raento della Storia etiopica di Eliodoro, che narra le traver-

una coppia

romanzo greco, tradotto dal Glinci nel 1556 e più volte ristampato, godeva molta popolarità; ed Ettore Pignatelli, anche lui degli Oziosi, ne aveva tratto, nel 1627, una tragedia: la Carlchia. Il Basile, nel suo sie di

di

amanti.

Il

lavoro, seguiva servilmente la traduzione del Glinci, ridu-

cendo

il

fissato

il

racconto alla forma

poema

Canto

E

'1

Che

convenzionale, in cui

come appare già

eroico,

l'eroe, d'Achille inclito

seme

dalla

si

germe,

erme

trasse errando in parti ignote ed

non vide

in valor

il

Molti affanni soffrirò: in

Meroe

Cinser di bianche bende

il

questo poema,

al

e mecenati, passati e futuri,

duca

e bella;

alfine

nobil crine.

canto quinto, descrivendo

d'Apollo in Delfo, dove erano

al

,

ferme,

ciel piix

Coppia non ebbe amor più fida

In

immagini

le il

il

di tutti

tempio i

poeti

Basile dedicava un'ottava

Acerenza \ suo nuovo padrone e mandato governatore nella terra

di

1631, fu

:

di Perseo, l'alta donzella.

Fortuna, a lor lunga stagion ribella:

Alme

era

prima ottava

dal quale, nel di

Giugliano,

presso Napoli.

Luttuoso inverno quello del 1631-2, che terribile eruzione,

secolare

onde

il

Vesuvio

si

Con vomero

E

il

seme

di foco, alto stupore.

terreno,

degli incendi accolto al seno

Vi sparge, e

E

il

'1

riga di fervente

umore

quindi, a fecondarlo, in rapid'

oi'e,

Di cenere ben ampio il rende pieno; Onde, quanto circonda il mar Tirreno,

Mèsse raccoglie Teagene, V, 49.

di

apri con la

riscosse dal suo sonno

:

Mostruoso arator solca

1

si

profondo orrore.

;

I.

VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE

23

Ma, se danno iiroduce a noi mortali Cotanto aspro Vesevo, ond'ogni loco Arde, né scampo

ei

trova in mezzo al verno

Pur raccoglier ne giova, Dal cener sparso

e dal versato foco,

Membranza de

Morte

la

Cosi seicenteg-giò e moralizzò netti,

che

gli

vennero

ispirati

;

in tanti mali,

e dell'Inferno.

il

Basile in

uno dei

da quell'avvenimento, e che

furono, forse, gli ultimi versi che egli componesse. (scrive

un

cronista), erano

tre so-

appena terminati

«

Perché

flagelli del-

i

quando il giusto Dio, scorgendo che non erano ancora emendati [i napoletani], volle darli altra sorta di

l'incendio,

gastigo, poiché

insorse

un male

di

canna



gola

»],

cosi

crudele e contagioso che parve peste, del quale in pochi di

morsero

infinite genti ». E, tra queste, molti

cospicui; e

«

tuttavia ne

van morendo

per

di

personaggi

di, e

ne sono

morti di subito don Giovanni d'Aquino, principe di Pietrapulcina, e

di

Giovan Battista Basile, dei primi poeti

questo tempo,

assai celebre Il

»

e

Giovan Girolamo

mori improvvisamente, nel luogo del

suo governo, in Giugliano, et

Tomaso, medico

^

Basile, infatti,

cramentis

di

il

«

sine sa-

venne

sepolto,

23 febbraio 1032,

sine electione sepultura'

»

;

e

con grande pompa, nella chiesa di Santa Sofia di Giugliano, dove, fino a non molti anni addietro, sotto

il

pergamo,

la

tomba

La sorella Adriana, che mora in Roma, prese cura

di lui

lasciò

si

vedeva ancora,

'.

Napoli per fermare

di pubblicare colà, nel 1637,

«l'ultimo parto dell'ingegno di suo fratello»,

1

BuccA, Aggiunta, ms.

cit.,

di-

il

Teagene,

febbraio 1632.

documento, tratto dal libro dei defunti della parrocchia di S. Anna di Giugliano, fu pubblicato da L. Molinako dkl Chiaro, nel Giambattista Basile, Archivio di letteratura popolare, a. II, n. B, 15 marzo 2

1884.

II

GIAMBATTISTA BASILE E

24

IL «

CUNTO DE

dedicandolo, secondo l'intenzione di

Un

tonio Barberini.

nanzi

al libro,

al

manipolo di poeti loda,

poema, l'autore,

»

cardinale Anal

solito, in-

la sorella dell'autore, le

questa, e segnatamente la bellezza e

il

canto

Eleonora Barone. Caterina Barone, altra nipote

di

Giam-

tagliuole di di

il

lui,

LI CUNTI

battista, dice in

un sonetto:

Deli, potess'io col tuo i^regiato stile

Scrivere, e coi tuoi lauri ornarmi

Del mio materno sangue alma

E, in fronte al volume, c'è

il

il

crine,

g-entile!

ritratto del Basile, inciso

da

Nicola Perrey, da una pittura o disegno di Giambattista Caracciolo. tare,

che

ci

Una

simpatica e maschia figura in abito mili-

presenta in

tutta la

sua dignità

il

cavalier

Giovan Battista Basile, conte di Torone e gentiluomo di S. A. di Mantova, uno dei « felici ingegni » del secolo.

II

La letteratura del dl\letto napoletano E le opere DL4LETTALI DEL BASILE

.1 I.

Basile, cortig-iano e poeta toscano, splendeva in piena

ma

luce agli occhi dei contemporanei:

restava l'altra manifestazione di al volto la

battutis

>?,

lui,

maschera anag-rammatica

quasi

nell'ombra

nella quale, adattata di

«

Gian Alesio Ab-

e smessa la gravità consueta, invece di rimare

odi e madrigali, egli

componeva

bizzarrie in dialetto na-

poletano.

La

letteratura del

dialetto

napoletano

decimosettimo. restino la

Non

monumenti

favella

del

:

in tutta la sua schiettezza,

popolo napoletano fu messa in

Boccaccio, se è autentica,

come sembra,

a Francesco dei Bardi, che va sotto de Parise; e nel dialetto

mente

in quello della gente cólta,

1

Tre

il

iscritto

dal

la lettera di

lui

nome

di Jannetto

napoletano, benché più propria-

del latino curiale, dall'altra posti, nel

può dire che

tempo precedente, non

già che, del dialettali

si

decenni del secolo

nascesse, per l'appunto, in quei primi

del

e Quattrocento,

i

«

imbevuto da una parte » S furono com-

toscano

poemetti del Reglmen sa-

E. PÉRCOPO, I bagni di PozzucH (SapoVi, Furcbheim, 18S7), pp. 40-3.

GIAMBATTISTA BASILE E

2(.;

nifatis, dei

LI CUNTI

»

di Caio, e, ancora,

Ricordi di Loise de Rosa.

i

non

dialetto ibrido appare,

stesso

CUNTO DE

Bmjni di Pozzuoli, del Libro

Cronaca di Partenope e

la

IL «

Lo

ammini-

solo negli atti

ma

anche nella maggior

parte delle opere letterarie di quel

tempo, poemi, crona-

della corte

strativi

aragonese,

poche che rappre-

che e trattati, fatta eccezione di quelle

sentano

toscanesimo. Più genuinamente dia-

rifiorire del

il

lettale esso fu nelle farse, di cui

dette

cavaiole

«

sono ben note quelle cosi

».

Intorno alla metà del secolo seguente,

come era già caduto

letano,

anche dagli

spari

cosi

atti

il

dall'uso degli

Ma

pubblici ^

dialetto naposcrittori

c(»Iti,

seguitò a

esso

esplicarsi nelle farse e nei c,anti del popolo, celebri, questi ultimi, «

tutta

in

villanelle, sorse allora di arte;

del

e

niello

uno

E, tra

forma musicale, come i

poeti di canzoni e di

qualcuno che tentò forme più ampie di cui ci

rimane

diminutivo napoletano

nel

(Bernardino)

»

» ^.

in particolare,

nome,

solo

nella loro

Italia

napoletane

villanelle

;

il

di

il

«

ricordo Velardi-

quale fu autore di una serie di

Stanze, che descrivono e rimpiangono malinconicamente

buon tempo

antico, e finiscono col grido

il

:

quanno fuste, Napole, corona? Quanno regnava casa d'Aragona;

Sai

nonché

di

alcune ottave e di una Farza de

stata inedita fino ai giorni nostri

li

massare, re-

•''.

Senonché, è da porre non piccolo divario tra l'uso popolare o spontaneo del dialetto e

1

Galiani, Del

il

rifacimento artistico

dialetto napoletano (2." ed.,

Napoli, Porcelli, 1789),

pp. 119-20. 2

Htor.

Si

veda B. Cai'asso, Sulla poesia popolare napoletana

(in

Arch.

nap., voi. Vili, pp. 316-81). 3 Si

veda

la

mia memoria:

Velardiniello e la sua Inedita farsa na-

poletana (in Atti deWAccad. Pontaniana, voi.

XL,

1910).

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

II.

esso

(li

caso

per opera di poeti

particolare

del

E

culti.

dove

teatro,

il

senza

'Z^

fermarci

sul

napoletano,

dialetto

Lorae quelli di altre parti d' Italia, e anche le lingue straniere, furono

introdotti, nel

carattorir«tica

comica

il

Cinquecento, per ragioni di

rifacimento artistico del parlare

napoletano prese grande estensione nei primi del Seicento pel concorso di varie cagioni. Principale tra queste la ri-

cerca spasmodica di novità, che agitava

gli spiriti in

quel

tempo. Perché, s'ingannerebbe non poco chi credesse che i

letterati d'allora

si

volgessero al popolo e alla sua

fa-

per brama di semplicità e di verità. Quantunque

vella

del

semplice e del vero avessero gran bisogno, l'amore

per

il

dialetto, piuttosto

loro

malattia.

tava

il

nuovo,

che medicina, era sintomo della

Il

dialetto, per quegli scrittori, rappresen-

il

bizzarro, lo stravagante, lo spiritoso

gione, altresì, per la quale la letteratura dialettale

si

;

ra-

pre-

sentò con carattere prevalentemente burlesco.

Tuttavia, appunto perché burlesca, quella

ebbe doti

di semplicità e verità,

temporanea letteratura aulica

in

che mancavano lingua

<

i

costrizione e tensione, in cui d'ordinario

si

(tanto per seicenteggiare anche noi) frivoli, quali

li

mutò

dalla

trovavano; e

fece seri facendoli

effettivamente erano.

a dirittura in poeti teneri e passionali;

possibile avvicinarsi del tutto

L'at-

>.

letterati

Né bisogna

discono.scere che, qualche volta, sebbene di rado, li

alla con-

toscana

teggiamento giocoso dello spirito liberò

seriamente

produzione

impunemente

diak-tto

il

non essendo

alle ftescho e

chiare acque dello spirito popolare.

Un'altra cagione assai importante, che concorse in quel

tempo

al

fiorire

della

regionale o municipale.

letteratura dialettale,

La

fu

d'in«lolc

letteratura italiana, di

pmvo-

nienza toscana, aveva sempre qualcosa di esotico, poli

come

letteraria,

Per partecipare

in altre parti d'Italia.

conveniva rinnegare

il

liiìiruaL-'L'-i"

alia

v,t

i

api-reso da

GIAMBATTISTA BASILE E

28

IL

CUNTO DE

«

bambini, e imparare, nella scuola e sui

Eppure, Napoli era una grande centro

Stato, e

di

vita

LI CUNTI

libri,

il «

»

toscano

».

città, capitale di

un grande

costumi

originali.

intensa

e

di

voce?

la propria

Perché non doveva far sentire anch'essa

perché doveva sempre tradurla in quella di un'altra regione italiana? Forse che la sua lingua era meno efficace toscana? o gl'ingegni napoletani cosi deboli da

di quella

non poter fare nulla

non mettendosi

plausibile se

di

al-

l'imitazione toscana?

II

Quest'ultimo motivo è specialmente evidente in colui,

che fu lio

padre della nuova letteratura

il

dialettale, in Giu-

Cesare Cortese.

Come

già

abbiamo accennato, una salda amicizia legò

per tutta la vita tra questi

riuscire

il

Cortese col Basile:

cosi salda e viva,

due massimi poeti del dialetto napoletano, da

commovente. Se

il

Cortese celebrava, nel suo Viag-

gio di Parnaso^ le onorificenze ottenute dal Basile a

Man-

tova, e ricordava che colui, che era giunto ormai cosi in alto, gli era stato fatto

andava da bambino

amico dalla fortuna

alla scuola

^



fin

da quando

Basile, di ricambio,

il

nell'introduzione a una delle sue odi, rendeva all'altro

questo

solenne

onorato amico

riconoscimento:

«

dell'autore, che le

più 11 più caro, il sacre e sante leggi

dell'amicizia serbar sapesse, fu Giulio Cesare Cortese; ... il quale, con maraviglia di chi '1 conobbe, mostrò la grandezza dell'ingegno nella picciolezza del corpo, chezza della virtù nella povertà della fortuna, e talità del

merito nella brevità della vita

veda sopra, pp.

»

l'

la ric-

immor-

-.

18-15.

1

Si

"

Ode, p. 57. Nel Teagene (V, 68):

Fortuna Come prodigo avrà Febo

e le

«

Il

Cortese, a cui

Muse

>

fia

scarsa

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

II.

La

29

come uno dei punti, che a me sembrano

vita di lui fu randagia, avventurosa, stentata, Basile. In

quella del

più poetici, del sopra ricordato Viaggio di Parnaso \ egli sorride umoristicamente di sé stesso, che sciato sfug'g-irc di

mano

è

si

sempre

ogni bene materiale, correndo die-

palazzi incantati del sogno. Ma, se questo è

tro ai

gnificato generale della sua vita,

ignoti;

e,

la-

con non poca

fatica, a

i

il

si-

particolari di essa sono

me

ò riuscito raccogliere

alcuni dati, che offro qui con la speranza che serviranno

come punti

di partenza per ulteriori ricerche.

dovè nascere intorno rava in legge

-.

al



1575, perché nel 1597

Cortese

II

si

addotto-

Sulla fine del 1599, ottenne dal viceré conte

di Lemos, per un anno, l'ufficio di assessore in Trani, che non potè occupare immediatamente, onde chiese in grazia

che

l'effetto della

concessione cominciasse dal 13 gennaio

dell'anno seguente^. e,

di là, in

Sembra

Toscana ^

Il

che, poi, andasse in Ispagna,

comentatore

di

un poema

di lui,

mise

ai ser-

dice che, nel fiore della gioventù,

lo Zito,

si

granduca Ferdinando dei Medici (1587-1609), e che, in quella corte, fu amato da tutti e assai stimato dal A suo padrone, tanto che era chiamato il « beniamino» vigi del

"".

Firenze

per

strana

(cosa

fervido e quasi

cosi

esclusivo

amatore del dialetto napoletano) venne annoverato tra

veda

canto VII, e

1

Si

2

Cfr. Illustr. e doc,

il

1.

Il

cfr. in

questo volume

documento

il

saggio

della laurea fu

voi.

XXII, 3

neW Università

5

Nuova

d''

illustri

Antologia,

JS7-J,

pp. 951-2).

Arch. di Stato di Napoli: Segreteria vicereale, 0/Jìciorum del

Collaterale, voi. Vili (1599-1601), ^

di Napoli (in

II.

pubblicato

dal Settembrini, Le carte della scuola di Salerno e gli autografi napoletani laureati

gli

f.

27

b.

Viaggio di Parnaso, VII, 36.

Comento

pp. 195-6.

e difesa della

Vaiasseide, nella Collez. Porcelli, voi. Ili,

GIAMBATTISTA BASILE E IL

30

accademici della Crusca^; di

Pastore Sebeto

«

A

».

«

CUNTO DE

titolo al

le

il

»

Cortese comin-

un suo

Vaiasseide, è diretto alle

sdamine sciorentine)

CUNTI

quale aggiunse l'altro

Firenze, forse,

ciò a poetare in napoletano, perché

in fronte alla

LI

sonetto, posto

dame

fiorentine {A

:

ste dammecelle quarche pacchiano, O ca so' nato fuorze ad Antegnano, Che me fanno ogne ghiuorno guattarelle. Ca songo segnorazze e ca so belle. Non sanno ca io so napolitano? Quanno le dico: « vasove le namano », A che serve sona le ciaramelle? Aggio strutto na coppola pe loro,

Aggio paura ca

Se penzano ca

E

so'

faccio leverenzie co la pala;

Ed

sempe co

esse

lo risariello.

Stongo co no golio, che me ne moro, De vedere una, che pe me se cala; Ma chili priesto avarraggio lo scartiello.

com'è

Allude,

dame

chiaro,

fiorentine, che

razioni

amorose.

quelle,

se è vero

al

vano corteggiare

suo

rispondevano col riso

Ma ciò

peggio

gli

che narra

vergogna giacché

e

per isfogo

stampò

1

Io

la

di

Mazzoni,

cagione per

queir infelice

Vaiasseide, la cui

si

Zito si

la

;

ossia,

trasse

quale

che

il

poeta, tra

il

Cortese, tornato a Napoli,

fregia innanzi al Pianto della Vergine del Ba-

quale ha fatto per

me

(1608).

Ma

l'amico Guido

ricerche all'Accademia della Cru-

non ha trovato alcun ricordo del Cortese come accademico. "

Op.

cit.,

pp. 195-8.

alle

uno scarpino

amore fiorentino, scrisse e prima edizione sarebbe del

Tempio eremitano dello Staibano il

sue dichia-

avrebbe abbandonato Firenze'. E,

aggiunge che

Di questo titolo

sile, e al

sca,

disgusto,

lo Zito

belle

avrebbe risposto una di

sue calde proteste e richieste, colei e glielo gittò sul capo;

alle

le

II.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

bisognerebbe concludere che,

1604 \

31

quell'anno, egli

in

avesse già lasciato la corte medicea. Tuttavia, cosi nella

causa della partenza da Firenze come nella pretesa intenzione della Vaiasseide, sembra di fiutare un'invenzione

scherzosa dello Zito

e la stessa data del 1604, come quella prima edizione del poemetto, non va esente da dubbi -,

della

;

Certamente, nel 1606,

il

Cortese era di nuovo in Napoli,

perché ebbe dal viceré conte di Benavente

l'ufticio di go-

vernatore della terra di Lagolibero o Lagonegro in Basilicata

^

terra destinata, per quel che sembra, a essere retta

:

da poeti, giacché, come ne era governatore

relazioni con la corte

si

veduto

è

•>,

qualche anno dopo,

Basile \ Mantenne, tuttavia,

il

medicea

e,

;

nel 1608, invitava

amico a concorrere con qualche componimento colta per le

buone il

alla

nozze del principe ereditario Cosimo

^.

suo rac-

Nel

poco dopo, dimorava ancora in Napoli, protetto

1610, o

dal secondo

conte di

Lemos

viceré, e poi

dal

fratello di

che rimase luogotenente del Regno alla partenza del

lui,

1

Op.

2

Di questa edizione non

cit.,

p. 239.

KANA, Notizie biografiche

esiste più

alcun esemplare;

e

il

Marto-

e bibliografiche degli scrittori del dialetto napole-

tano (Napoli, 1874), p. 152, che ne parla

come

se

ne avesse veduto qual-

cuno, non ne dà la descrizione, e trae tutto quel che dice dalle edizioni posteriori.

La prima,

di cui esista

di Napoli, nella stamperia di

ancora qualche copia, è l'edizione

Tarquinio Longo, 1615;

avviso donde risulta che, non appena del suo poema, questo veniva

suo nome; onde egli

si

il

la

quale ha un

Cortese componeva un canto

stampato senza suo permesso

era risoluto a stampare

il

e

senza

poema intero

il

e col

proprio nome. Precedentemente, dunque, vi erano dovute essere sol-

tanto edizioni parziali, di singoli canti. 3

Archivio di Stato

Collaterale, voi. *

Si

^>

Si

XI

veda sopra, veda sopra,

di Napoli, Segreteria vicereale, Officiorum del

(1606-1608), p. 19. p. 9.

f.

4.

GIAMBATTISTA BASILE E

32

CUNTO DE

IL «

CUNTI

LI

»

conte K Fondatasi, nel 1612, l'accademia dei Sileni nel chiostro di

San Pietro a Maiella,

egli ne fece parte

scriveva la prefazione al Viaggio di Parnaso

Ma mori

altre opere.

qualche anno dopo;

era già morto nel 1627 altro, se

sona

Jl Cortese, di

sizioni, che,

», e

»

,

gloriava dell'esser suo

si

respingeva gaiamente

per questa parte,

sebele (egli dice) che

certamente,

Né, per ora, saprei aggiungere

Pastor Sebeto

«

prometteva

che egli era di piccolissima statura^.

poeta napoletano

^^

e,

Nel 1621,

^.

e

particolare, concernente la sua per-

non questo

iìsica; e, cioè,

"*.

^,

movevano.

gli si

«

oppo-

le

Non

quarche travo rutto non strida,

e

quarche strenga rotta non se metta ndozzana, decenno: quaiino niccà

da

povere Muscie so deventate de

le

citianno niccà la

1

2

fontana de Ptiorto

è

lo

pos-

è

'

che

Da

Lavinaroì

Ippocrenef

'

» ^.

Ma

Viaggio di Parnaso, VII, B9.

MiNiERi

lo stesso

E.ICCIO,

Accademie di Napoli,

e,

1.

p. 59.

Erroneamente,

erudito mette tra gli Svegliati (accademia che

fiori

circa

il

Giulio Cesare Cortese detto l'Attonito (1. e, p. 605); e doveva dire Giulio Cortese, letterato napoletano della generazione precedente, autore, fra l'altro, di un volume di Rime e prose (Napoli, 1592). 2 Viaggio di Parnaso, poema di Giulio Cesare Cortese, dedicato all'illustriss. sig. Don Diego di Mendoza (In Venetia, per Nicolò Mi1586)

serini, 1621):

Leile

adonca

sto chilleto;

.

.

.

adoì^atelo e giistalelo

fi

che

da Mantova, dove è ghiuta ad arrecoyliere conciette pe fareve n^autra composta co P acito de grieco de Napole ». Il viaggio, di cui qui si parla, a Smirne e a Mantova, era, com'è chiaro, non già un viaggio materiale, ma metaforico e, cioè, lo studio di Omero la

musa mia tome da Smirna

e

;

e di Virgilio. *

Di

lui,

come

già morto, parla

il

Basile nel luogo citato delle

Ode, p. 57. 5

Basile,

1.

e.

;

e cfr. Viaggio di Parnaso,

I,

20, 25.

[A questo mio

schizzo biografico non aggiunge proprio nulla la tesi di laurea di Attilio Feuolla, Giulio

Cesare Cortese, poeta napolitano del secolo

XVII

(Napoli, tip. della E. Università, 1907), la quale contiene, per altro,

una

giudiziosa esposizione delle opere del C.]. 6

Prefaz. al

Viaggio di Parnaso.

II.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

a costoro rispondeva al

modo

stesso che, in quel suo viag-

gio al Parnaso, ai poeti ivi raccolti,

vano di vedere tra loro

«

i

quali

quanta vote a

Cose hanno

Con

scrivo

io

:

;

se so nzeccate,

fatto lustre

come

commo

argientol

parlo; padronissimi voi di fare quel

che meglio vi talenti Siano tutte

E

»

non ho che vedere {no nce aggio che spar-

voialtri,

tire):

me

maraviglia-

si

n'omnio de Puorto

Le Muse vanno dove so chiammate, Ca no stanno co buie co lo strommiento

E

33

li

:

vuostre e quinci e unquanco

Vostre e V astro e cotillo e fotella.

manco De tante isce bellezze na stizzella. Tanta patacche avesse ad ogne banco. Quanta aggio io vuce a Napole mia bella; Vuce chiantute, de la maglia vecchia. Ch'io pe me, tanto, non ne voglio

Ch'hanno gran forza ed enchieno l'aurecchia. Difesa cosi vivace e giusta che qualcuno, spassionato e

spregiudicato,

tra

toscani,

poeti

i

Francesco Borni, non

può tenersi dal mirarlo con simpatia ed esclamare ha ragion, quest'uomicino

!

»

^



:

«

Egli

Xello stesso poemetto,

fingendosi la recita di una commedia, s'introduce un Pulcinella,

che mette in canzonatura

i

toscaneggianti

affettati,

applaudito da Apollo-. Il

come 1615,

primo parto della musa napoletana del Cortese si

Vaiasseide, pubblicata

è accennato, la

ma

già a

spizzico

negli

1

Viaggio di Parnaso,

2

Op.

cit.,

V, 21-9:

I,

cfr.

tato, pp. 236 sgg., e p. 58.

intera nel

anni precedenti,

quale, al dire dello Zito, nel it)28

si

fu.

e

della

contavano già sedici

22, 25.

Vaiasseide,

I,

S-9; e lo Zito,

cemento

ci-

GIAMBATTISTA BASILE E

34

IL

Sono cinque canti

edizioni \

«

CUNTO DE

LI CUNTI

»

ottava rima, descriventi

in

scene d'amori, gelosie, feste e matrimoni del popolino napoletano in

una

scuciti alquanto

;

serie di episodi,

nome

savo,

di

ma,

un bravo, o

«

e risolventisi

compenso, semplici

in

vivaci. Segui, nel

pitture

e ricchi di

come composizione 1619,

smargiasso

»,

di

forma

Micco Pas-

il

come

allora

si

diceva, la cui vita e quelle di altri suoi pari s'inquadrano nel racconto di un'impresa contro la quale,

fuorusciti di Abruzzo,

i

storicamente, trova riscontro nella spedizione di

Carlo Spinelli contro

le

bande

Marco Sciarra, accaduta

di

Meno

nei tempi della prima gioventù del Cortese.

cagione della loro generale intonazione seria,

forse, a

romanzetto in prosa: Li t/nvtigliuse amure de Ciullo favola

e la

«

posellechesca

»,

paiono qua e là ammanierati Cortese, in

felici

il

^.

il

Viaggio di Parnaso più volte

qualche tratto, l'umoristico e

il

Perna,

La Posa, che quarto poema

intitolata

Invece,

e

apdel

raggiunge,

citato,

romantico.

il

Nel 1621, un libraio napoletano, Fabrizio de Fusco, «

poiché

le

opere del signor Giulio Cesare Cortese, a giuintendenti, nel genere

dizio di tutti gli

rare che sino a questo tempo

cesso

(e,

cioè, le

», le altre, «

forniva 3.

i

titoli:

La

cagna.

8.

»,

più

racco-

aveva con-

l'autore gli

«

commune

a

1.

Lo

colascione. 2.

La

serena

rota delli canee.

Lo molino a Mento.

9.

signorie vo-

diletto delle

che sono a penna

Posilepo rofjìano. 4.

schiaccata. 6.

vedute

le

cinque che abbiamo ricordate), e promet-

teva di stampare, stre

siano

si

glieva insieme tutte quelle che

sono

loro

La

»,

delle quali, intanto,

Lo regno de npazzuta.

7.

La

5.

la huscia.

Partenoj^e

repubhreca de cuc-

ciarantola. 10. L'arcadia

1

Op.

2

Delle opere del Cortese discorse acconciamente G-iuseppe Ferrari,

cit.,

p. 239.

nei suoi articoli

mondes:

si

veda

De voi.

la littérature jpopulaire en Italie, nella

XXI

(1840), pp. 509-11.

Revue des deux

II.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETAXO

sconquassata. 11, L'ospitale

Lo nove

ncantato. 13.

È un

de

35

pazze. 12. Lo Cerriglio Lo miinno ammascarato *.

li

falluto. 14.

catalogo cosi lung-o da far pensare che contenesse

molte opere, di cui l'autore aveva in mente non più che il semplice titolo o il disegno generale. Comunque, di queste quattordici opere manoscritte

solamente

:

Lo

dtjpo, e,

per

poemetto

il

venne pubblicato alcuni anni quel che sembra, postumo ^. Cerriglio ncantato

ITI

L'esempio del Cortese fu seguito subito da parecchi, e,

prima

in

linea, dall'amicissimo Basile;

il

quale appare

per la prima volta in qualità di scrittore dialettale nell'edizione della Vaiasseide, fatta nel 1615 sione,

Gian Alesio Abbattutis

«

argomenti in ottave

gli

al

Questo importante catalogo

1

é

non solamente

scrisse

»

poema

e

In quell'occa-

^.

una graziosissima

let-

rimasto ignoto a tutti coloro che

hanno scritto del dialetto napoletano e del Cortese i quali sembra che non abbiano veduto la rarissima raccolta del 1621, benché qualcuno Opere burlesche in lingua nala citi vagamente. Eccone il frontespizio ;

:

poletana di Giulio Cesaee Cortese, cioè la Vaiasseide, Li iravagliuse ani-

Micco Passavo namniorato, Viaggio de Parnaso, La Rosa favola Domenico di Ferrante Maccarano, 1621, ad

mure,

drarnatica (In Napoli, per ist.

di Fabritio de Fusco).

Velli

ha

ÌIartorasa, op.

ho innanzi una

sul frontespizio:



Sviato

»

zone

un

e

dedica

|del

De Fusco

al

signor G. B.

la data del 15 settembre 1621.

2 II

Io ne

La

.

finora, e

«

cit.,

p. 156,

dato in luce per l'Accademico napoletano, detto lo si ha del Cortese una bella can-

Oltre le opere ricordate,

sonetto, esistenti in

da

ne conosce un'edizione del 1628.

di Xapoli, per Camillo iCavallo, 1645, che reca

me

una rara stampa, rimasta sconosciuta

riprodotti in lllustraz.

e

doc, IV.

Cesare Cortese, Il Pastor Sebeto, a compiuta perfettione ridotta, con gli argomenti et alcune prose di Gian Alesio Abbattutis, dedicata al potentiss. Re de' Venti (In Na3

La

poli, nella

Vaiasseide

Poema

di Giulio

stamperia di Tarquinio Longo, 1615).

GIAMBATTISTA BASILE E

oG

A

tera in prosa

che ad

glio lui e

de

lo re

IL

CUNTO DE

LI CUNTI

»

vioiti (al quale, spiegava,

li

ranno dedicate

altri,

ma

Cortese, disgraziati;,

il

«

anche una serie

me-

come

le fatiche dei poeti,

di lettere

scherzose in prosa e in verso ^ Nella prima di queste lettere, che è in versi sdruccioli, e

ha

data del dicembre 1614, Gian Alesio risponde a un

la

notar Cola Maria Zara, e

tendeva feo «

»,

a

muto

lo

la data del

1610

lostrissimo

messer Uneco

»

La seconda, firmata

un'opera.

fargli, di

con

e

ringrazia della dedica, che in-

lo

^,

è

magnifico

e

Comm^a

zione di prendere moglie, e a cui egli dà

e

martorio

lo

Smorfia

Anche

».

chiamato

viene

e intitolata:

»

la terza, in

mio

frate

«

del 1614,

sembrano

1

La

«

a

lo

inten-

consiglio di pre-

un

prosa, a

che

tale

quarta, firmata

la

rivolte

si

Vipiglia la firma « lo Chiafeo

126:

cit., p.

Martorana, la

op. cit., p. 15B sgg.);

dichiarazione del frontespizio,

il

ma

anche smentito dalla prefazione, che il Basile mise alle sue Mìise dove accenna che ama raccogliere voci e frasi napoletane comme facette lo medesemo autore n'autro scampolo a chelle lettere, che

napoletane,

jecero se

»,

paternità di queste lettere è stata attribuita da parecchi al

che non solamente conti-asta con

«

lo

«

settemo geneto de messere, zoè fraterno carnale.

Cortese (Galiani, op.

è

e

carnale l'

Uneco shiammegg tante che pò muse », entrambe con la data al medesimo personaggio della

le

seconda. La quinta, in cui è diretta

fidate

all'

«

rom,pere no bicchiere co

»,

il

Chia-

E lo shiore, lo spanto

Cecca, che de Napole,

«

:

lo

e diretta

un amico, che aveva manifestato

;

scegliere Cecca

«

anche in versi

cammarata

:

co la Vaiasseide, dalle quale,

n'ha pigliata V accoppatura

».

comme robba propria,

L'errore fu riconosciuto dall' Imbriani,

op. cit., pp. 38-40, e dal Eocco, nel Giambattista Basile, a. -

Veramente,

«

mille e seiciento e zero co no chille'o

petrato a rigore, darebbe 1601. Ma, nel 1601, poli e

ben lungi

da! fare

il

poeta dialettale:

il

e,

»

VI ;

(1888), n. 2.

il

che, inter-

Basile era lungi da Nadel resto,

il

1610 della

più larga interpetrazione (giustificata dal metro, che richiedeva

lo

sdrucciolo in fine) ravvicina la data a quella delle altre lettere del

gruppo.

II.

lo

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

chiù stretto parente, che stace a Cosenza

»

(a

dunque, del Basile?); e accompag-na l'invio in lode di Cecca, della quale lo scrittore

morato, narrando un sogno e

g-li

auspici

di

37

un Iratello, un sonetto

professa inna-

si

che trae da

felici,

esso pel suo amore. Basile

Il

si

presenta, in queste lettere, con un carattere

proprio, affatto diverso da quello del Cortese \ che gli era stato sprone

ed esempio. Laddove questi tende

zione realistica e adopera in

genere uno

Basile sfoga furiosamente nel

dialetto

alla descri-

sobrio,

stile

il

suo gusto secen-

il

tesco e la sua intemperanza stilistica. Per ogni qualifica,

getta sul volto al lettore venti aggettivi; di ogni oggetto

che nomina, esibisce venti varietà. Doveva aver messo, di certo,

uno studio particolare nel raccogliere

e le frasi dell' infima plebe

i

vocaboli

e quei suoi versi e prose

;

sem-

brano, talvolta, pagine di vocabolario ideologico, ravvivate

brama

dalla

mostra tutta

di spiegare in

la lussureggiante

ricchezza della patria favella.

Le

lettere di

Gian Alesio sono come

stiti

delle molte composizioni, che

loro

i

quella

i

frammenti super-

dovevano scambiarsi

cultori del dialetto napoletano negli anni in cui sorse

moda;

e vi s'incontrano molteplici allusioni, che è

impresa quasi disperata intendere. Chi era solo potev^a toccare sile

valeva come

tese?

tra

E

chi era lo

il

bicchiere con

fratello carnale

«

Zara? Ma

è

le

»?

1'

«

unico

»,

che

Muse, e che pel Ba-

Un

fratello, o

il

Cor-

da notare specialmente che

alcune di quelle allusioni gettano una luce, sebbene scialba e incerta, sopra tali di allora.

uno dei più

Mi

si

conceda

problema incidentale, perché

belli e

di

importanti

libri dialet-

fermarmi anche su questo

la storia della letteratura dia-

Tanto diverso che il Galiani, il quale, come si è detto, le attribuiva al Cortese, non poteva non notare che in esse costui avrebbe 1

«

intieramente imitato

il

Basile

>

(op. cit., p. 126).

GIAMBATTISTA BASILE E IL

38 lettale

«

CUNTO DE

napoletana non è stata ancora

fatta, e

possibile procedere oltre, senza orientare sta regione inesplorata, o dare, per lo alle ricerche,

Nel 1646,

anche

LI CCNTI

a

»

me non

meno, l'avviamento

che bisognerà ancora compiere. il

Camillo Cavallo (che ristampò

tipografo

opere del Basile e del Cortese) stampava,

le

Tommaso

instanza di

è

lettore in que-

il

Morello

»,

un

libretto:

a taccone de Felippo Sgruttendio de Scafato. dedicare l'opera a Gennaro Moscettola, la

Il

De

«

ad

la tiorba

Morello, nel

diceva

«

parto

un ingegno che, fra' i primi, nelle delizie di Pindo cam». Dunque, sembra certo che l'autore vivesse an-

di

peggia

cora in quell'anno ^ Tuttavia, molte allusioni di quel canzoniere richiamano a personaggi, che erano famosi in Napoli trent'anni prima; p. e,, al dottor Chiaiese,

di

cie

buffone, che

Ossuna la il

che fu burlescamente cantato dal Cortese

e

-,

una celebrità popolare, una speai tempi del viceré duca di

fioriva

^.

E

donna, elogiata dal poeta, è una Cecca; quella Cecca, cui

nome abbiamo

già incontrato nelle lettere scherzose

del Basile recanti la data del 1614, viglia e

il

come

il

fiore, la

martirio di Napoli, e della quale

si

mara-

dice, per

l'appunto, in quelle lettere:

E

museca taccone na teorbia) ashevolire meza Napole.

cbisse te faranno po' na

(Ca portano a

Da

l'are

Si potrebbe, a dir vero,

formare

da queste

poesie del Cortese, l'autore della

1

Ma

frasi e dalle

nou mi sembra

altresì la

congettura che,

dei tutto certo che quell'edizione fosse la

prima. Ragioni di non crederla tale addusse già I'Imbriani, nelle

il-

lustrazioni alla PosUecheata del Sarnelli (Napoli, 1885), p. 222. 2

Notizie storiche in Croce, Teatri di Napoli, pp. 99-100.

"

Micco Passaro, IV, 19 sgg.

26 sgg. Si dica

il

medesimo

.

V,

di Pezillo,

1

Sgg.

;

Viaggio di Parnaso, IV,

Compà lunno,

e di altri parecchi.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

II.

39

Tiorba a taccone avesse, molti anni dopo, attinta l'ispirazione e la materia;

ma

nessuno scherza su

fatti

scherzo per a

indubitabile che

si

prima grande

può

Ma

che erano oggetto di

composizioni della Tiorba

le

almeno per buona parte, nel tempo

a taccone nacquero,

della

cosa è poco probabile, perché

e persone,

generazione di trent'anni innanzi. Cosicché,

la

me sembra

la

fioritura della

poesia napoletana, che

fissare intorno al 1615.

chi era lo Sgruttendio? Chi era codesto poeta, che, la triade dei

insieme col Basile e col Cortese, costituisce

primi e maggiori poeti dialettali napoletani? Su questo

punto regna ancora

il

mistero

da Scafati

dio

è

»

invano, per dissiparlo, ho

e

;

tentato finora svariate indagini.

L.

nome

Filippo Sgrutten-

«

da considerare pseudonimo

solo è reso probabile

dalla

;

il

che non

ignoranza in cui siamo

un

tempo cosi chiamato, ma comprovato dalla ricerca, eseguita dal Minieri

a di-

letterato napoletano di quel

rittura è

di

Riccio e rinnovata da me, nei

«

fuochi

»

o censimenti di

non s'incontra nessuna famiglia di cognome Sgruttendio. Messa da banda la cervellotica ipotesi che il pseudonimo celi il letterato Francesco Balzano ', mi si era ripresentata alla mente l'altra, che fu già sostenuta Scafati,

nei quali

dal Minieri Riccio, e, cioè, che quel canzoniere fosse opera del Cortese; e

venisse dal

mi pareva che un nuovo

e forte

argomento

che, tra le opere del Cortese, inedite nel

fiitto

1G21, è segnato Lo colascione: nome di strumento musicale, sinonimo di tiorba a taccone, e usato promiscuamente con l'altro nel canzoniere dello Sgruttendio '. Al quale argo-

Si

1

veda Pietro Balzano, Di Filippo SgruUendio

(in Atti dell' Accad.

finitivo dal "

263

:

Si «

Martorana,

veda

la Tiorba

sto calascione

e delle

Pontaniana, voi. Ili, 1855): confutato in

>

.

op.

cit.,

p.

sue poesie

modo

de-

380 sgg.

a taccone (nella

C'ollez.

Porcelli, voi.

l,,

pp. 144,

GIAMBATTISTA BASILE E IL

40

mento

Ma

aggiungeva

si

in cui

sile,

CUNTO DE LI CUNTI

«

presunzione che

la

le lettere del

che non paiono sormontabili, vengono a tale

difficoltà,

Cortese e delle sue opere

come ancora vivente

eguale

il

si

parla qua e là

capitalissima, dall'affer-

e,

;

mazione dell'editore del 1646, Tiorba

Ba-

parla di Cecca, fossero dirette al Cortese.

si

attribuzione dal canzoniere stesso, in cui del

»

dava l'autore della Lascio, dunque,

in quell'anno.

l'enimma a un Edipo più fortunato, o più acuto,

di

me.

Pel nostro scopo, basta, intanto, avere stabilito che, al

tempo

Cortese e del Basile e del primo fiorire della

del

letteratura da essi promossa, fu composto

che reca

nome

il

dello Sgruttendio;

il

bel canzoniere,

il

quale, non solamente

satiriche è giocose, con quadri vivacis-

è ricco di poesie

simi di feste e balli e altri costumi napoletani, ma, nella

sua maggior parte, nei sonetti in laude di Cecca, ha interesse critico, quale felicissima caricatura dei canzonieri

amorosi secentistici. Tutti magini,

le frasi, le

movenze

parodiati nei sonetti

Se

».

tempo;

:

«

quello

», «

»),

si

-,

troveranno sonetti coi

«

»

(o

ricamata a

«

Bella guercia

»,

«

E

lo

tricchetraccara »,

paiola

»,

«

tare »,

«

A

A

»,

«

«

A

la bella

guattara

tavernara

la bella pedocchiosa »,

1

Seconda edizione, Boma,

2

Sesta edizione, Napoli, 1632.

1626.

»,

«

«

A

», « ^4

A

d'oro

la

»,

«

ti-

Bella »

«

A

o

Bella

Bella librala

Sgruttendio, dal canto suo:

la bella

», «

stelle

Bella serva

Brutto amante di donna bella

e consimili.

ed

fine, irte

Bella donna con macchie rosse nel volto

azzurra

muta

Chiome d'argento

Marcello Giovanetti*, o di Gian

di

donna con veste rossa «

im-

dei periodi e delle strofe, sono

«

:

Francesco Maia Materdona toli

le

apre a caso un canzoniere italiano di quel

si

p. e.

motivi allora prediletti,

dello Sgruttendio, rientranti nel ge-

nere di quello del Berni attorte

i

»,

la bella

la bella trip-

bella

iettaran-

la bella shiaccata »;

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

II.

e via discorrendo.

Ogni conoscitore della

secentesca

lirica

gusterà la finezza di parodie come la seguente

Pabaggio fea

:

isso

E LO SORECE SCAPPATO A LO MASTKILLO DE CeCCA

La

sciorta

mia

gliist'a chili'

'.

e toia, o sorecillo,

Tutt'è na cosa, e

Tu

41

simmo duie pacchiane;

addore de

casillo,

Io a Cecca, che de st'arma è caso e pane;

Tu fai zio- zio, ed io sospiro e strillo; Tu muzzeche ssi fìerre ed io sti mane; Tu zumpe, io sàuto comm'a gatta o cane; Io senza libertà, tu a sso mastrillo.

A

te sbatte lo pietto, a

me

lo core;

Tu morte aspiette, ed io non spero Tu chino de paura, io de dolore. Nchesto sgarrammo, ed

Una morte da Cecca

composizioni

Altre

ca tu avarraie

saporita;

non se sazia male

Io n' aggio ciento, e

portanza,

è,

vita;

dialettali,

sebbene di minore

vennero, allora, elaborando da

si

Nel 1628, un Domenico Basile pubblicava quel Pastor

fido,

nelle chiese

da

per

e

La

i

2

3 <

uffìciòlo »

defenzione de

traduzione di

la

li

e

;

lo

annunziava

sproposeto,

di

La

avere pronti

casa de l'Igno-

poeti napoletane contro Bocca-

Giulio Cesare Capaccio nnanze ad Apollo

stesso anno,

detto

che

il

il

im-

altri scrittori.

(come dice Salvator Rosa) serviva

stampe: Lo dottore a

le

ranzia,

Uni

«

-.

commediante

e letterato

Tardacino, accademico Risoluto

^.

In quello

Bartolomeo Zito, ',

scriveva

il

già

•. . Paragone tra lui e il topo incappato alla tagliuola di Cecca Corda I, son. 50. Martorana, op. cit., pp. 23-4. queSi veda intorno a lui Croce, Teatri di Napoli, pp. 65-7, e, in

sto volume,

il

saggio su Pulcinella.

GIAMBATTISTA BASILE E

42

IL «

CUNTO DE

ricordato cemento e la difesa della

LI CUNTI

Vaiasseide

»

contro

le

censure degli accademici Scatenati. E, senza indugiare sulle altre opericciuole allora pubblicate la

\ menzioneremo ancora

traduzione del libro quarto deìV Eneide, dovuta a Fran-

cesco Bernaudo

-.

Nella Tiorba dello Sgruttendio, per imitare anche quella parte, costante nei

canzonieri del tempo, che è costituita

dallo scambio di sonetti tra l'autore e

i

cina di poeti, che

si

denominano

amuna quindi-

suoi amici e

miratori, sono inserite proposte e risposte di

Sraenchia accademico

lo

Cestone, lo Spechiechia accademico Sciaurato, lo Catarchio

accademico Sparnocchia,

lo

Sbozza accademico Marfuso,

e

Minieri Riccio costruì, con questi nomi, un'ac-

cosi via.

Il

cademia

reale, di storica esistenza, e

vide in ciascuno di quei personaggi

immaginari

e quel carteggio poetico

un individuo reale

Ma

^.

che costoro siano

uno scherzo, a me non

pare dubbio; tanto più che, se accennassero a un'accade-

mia realmente

bisognerebbe, conformemente

alle

regole dei nomi accademici, postulare, per ciascuno di

essi,

esistita,

un'accademia differente, e quindici accademie per quindici nomi: una dei Cestoni, una degli Sciaurati, una degli Spar nocchia, una dei Marfusi, e cosi via

cademia, per dir

cosi,

dialetto, la quale finora

1

Per

le

quali

si

*.

Ma, se non un'ac-

legalmente costituita, di cultori del

non

è

documentata, c'era

allora.

veda, passim, l'opera del Martorana.

Un lungo sonetto caudato dialettale di Orazio Cataneo, amico del Basile, è stato pubblicato da A. BoRZELLi, 0. C, nota (Napoli, tip. Ruggiano, 1894). Per un altro -

Napoli, 1640, per Secondino Roncagliolo.

del Capaccio,

si

vedano in questo volume

3

Accademie di Napoli,



Nomi accademici

1.

Illustrazioni e documenti, IV.

e, pp. 585-6.

scherzosi dello stesso genere

si

leggono in-

nanzi alla Vaiasseide, in alcuni versi che sonofquasi certamente, dello stesso Cortese.

II.

LA LETTERATURA DEL DL\LETTO NAPOLETANO

di certo,

in

48

Napoli un'effettiva e spontanea accademia, di

cui venivano a fare

parte tutti coloro, che

nuovo genere poetico

davano

si

al

e linguistico.

IV

Basile, oltre le lettere di cui

Il

netti che sono

perduti

^,

si

si

è discorso e certi so-

era dato a scrivere due vaste

opere: una corona di egloghe dal titolo: Le e

un novelliere,

sul disegno delle

Muse

Decamerone, composto di cinquanta lìabe

A

cunti.

Lo cunto

:

de



doveva già attendere nel 1615, parte di essi veniva letta tra amici

questi lavori

poco dopo; nelle

napolitane,

raccolte orientali e del

e, forse,

accademie napoletane.

Un

indizio di ciò

mi pare

o o di

trovare nel fatto che una nota operetta di Francisco de

Quevedo,

scritta nel 1626,

aveva per

titolo:

Cuento de

ìos

cnentos donde se leen jiintas las vidgaridades rusticas, que

aun dnran en nuestra hahla, harridas de la conversacion, e contiene una serie di parole e frasi spagnuole volgari, al fine di biasimarle e di additarle

parlatori eleganti del Basile tolo,

-.

Fine, senza dubbio, opposto a quello

ma donde

;

perché fossero evitate dai

potè desumere

il

Quevedo quel

che era ben appropriato alla raccolta

poletano, e cosi sforzato per

il

ti-

di fiabe del na-

suo catalogo di

frasi

spa-

Quevedo passò parecchio tempo

gnuole? Si ricordi che

il

Napoli tra

1620, e che egli appartenne all'ac-

il

1616 e

cademia degli Oziosi

il

^\

dove potè incontrarsi

1

Vi allude nella lettera IV.

-

Su questa

operetta,

si

col Basile e

veda E. Mérimée, Essai sur

la vie et les

ceuvres de Francisco de Quevedo 'Paris, Picard, 1886), pp. 93-4,

Fu

pubblicata la prima volta nel 1629,

e,

3 II

cit.,

ci

autor del Cuento de

A. Lagreles.

Quevedo scriveva anche versi in come il Basile in ispagnuolo.

p. 344),

3538-40.

in quello stesso anno, usci

a Huesca la Venganza de la lengua espafìola cantra cuentos di J.

a

italiano (cfr. Méiumée, up.

GIAMBATTISTA BASILE E

44

avere notizia dell'opera di

lui

suo

nel

r idea

del titolo

Cunto de per

la

e

;

LI CUNTI

»

apparirà probabile che

napoletana, che questi racco-

dal tesoro della fraseologia

glieva

DE

IL « C'UNTO

cunti,

li

venisse

gli

suggerita

sua raccoltina spagnuola, cosi

di-

versamente intonata.

Comunque,

il

tese, si risolse a

Le Muse napolitane. Motivo tenza),

dopo

Basile, solamente

mediocrità delle

la

cose napoletane, venute a luce nel frattempo.

rora

cortesi ana,

animi,

gli

il

si

Dopo

l'au-

levava ormai, raggiante, a rallegrare

sole basiliano,

che

scosto tra le nuvole ^ Ma, se

allora si era tenuto. na-

fin il

Basile mettesse in atto

suo proposito, e in quale anno, non

prima edizione, che

:

(come è detto nell'avver-

di ciò

vuoto lasciato dal Cortese, e

il

morte del Cor-

la

pubblicare una delle sue opere dialettali

ci sia stata

politane ha la data del 1635

si

può

dire,

perché

il

la

conservata, delle Muse uà-

^.

Le Muse napolitane contengono nove

cosi dette

eglo-

ghe, ciascuna delle quali prende titolo da una delle nove sorelle dell'Elicona, recando, per altro, signilìcativo. Clio, overo

«

1

Si

l^

lo Sole,

lo

le

...

un

Smargiasse, che è

Aurora, che semmenai tante shiure de

a spaluorcio, a

li

non avite 7'ayione de trivoliare

che de benepraceto suio ha voluto stare

nuvole de lo respetto, pe compassione de

li

sottotitolo più la

prima, mette

concietle napolitane,

e farne sciabacco;

pe

fV

...

èiuta

mentre

a mo ncaforchiato dinto

lamiente vuostre e pe levareve

nzavuorio che v^/ianno causate certe freddure napoletane scinte dapò la

morte de

lo

Cortese a la stampa, se contenta che

lampetiello de la luce soia

a scompetare

da

aie

nnante esca qualche

la perdeta fatta... >.

Le Muse

najyolitane, Egloghe di Gian Alesio Abbattutis (In 'Na.Domenico Maccarano, 1635: volumetto di pp. 10 11111.-132). Nella maggior parte degli esemplari, che ne avanzano, il 3 del 1635 non si vede; tanto che si è sospettato che fosse un 2; ma nell'esem2

poli,

per

plare, che

si

serba nella Bibl. Nazionale di Torino,

il

3 è chiaramente

impresso. Tuttavia, è assai probabile che a questa edizione del 1635

precedesse qualche altra, fatta in vita dell'autore.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

II.

in iscena

dano

due popolani,

i

quali litigano, minacciano,

in fine, per intromissione di

e,

45

un

terzo,

si

si

sfi-

Tcippaciano.

La seconda, Euterpe orerò la Cortisciana, rappresenta un giovane scortator, che un vecchio tenta indarno di distogliere i

da quella razza

costumi. In Talia o

inesperto

le

di lo

donne, dipingendogliene

vivo

al

un tale descrive a un vedono e i diletti che si

Cerriglio,

maraviglie che

si

godono nella celebre osteria napoletana di quel nome, cantata altresì dal Cortese in un poema. In Melpovìene overo le

Fonnacchere, due donne del popolo, due demoni scate-

vengono alle beffe, ai danni e all'onte, con profluvio d'immaginose contumelie. Tersicore overo la Zita è dedicata alla festa di un matrimonio popolano. Erato overo lo giovane nzoraturo è una serie di consigli, dati da un saggio nati,

vecchio intorno alla scelta della moglie. Polinnia overo

lo

nnammorato è scritta in beffa di un vecchio, che si accinge a sposare una fanciulla. Urania overo lo Sfnorgio narra di un tale che, col mutare vestito e collo sfoggiare

vìecchio

lusso e ricchezze, acquista subito la considerazione e l'adu-

lazione della gente. L'ultima, Caliope overo la Museca, pa-

ragona

la

musica moderna con l'antica musica popolare.

Queste egloghe hanno, come fine didascalico:

ma

sono, al

si

tempo

vede, concetto etico e stesso, tutte fiorite di

scene assai vivaci di costumi napoletani, che testimoniano

lunga e attenta osservazione. L'eloquenza dei dialoganti è quella secentesca, e vi riappare l'intento

prime composizioni del Basile: diente

»,

vuole stringere insieme

lare napoletano, che servirà pe

de Napole

»\ Abbonda,

briani ha chiamato

Avvertenza Op.

il

cit.,

«

quale, « tutte

<^

le

medesimo forme de

sinonimia scherzosa

citata.

lo

par-

consei-va de la bella antichità l'

Im-

la quale,

per

perciò, anche qui, ciò

voi. II, pp. 455-6.

delle

sotto varie azze-

» ':

che

CUNTO DE

46

GIAMBATTISTA BASILE E

altro,

non è più, come nelle Lettere, opera quasi

larista, si

ma

si

IL

«

LI CUNTI di

»

vocabo-

eleva all'arte. I due sposi dell'egloga quinta

fanno tra loro carezze e

si

bisbigliano parole tenere

:

E, datole no vase a pezzechillo,

Secoteia e

le dice:

Tu sì lo capo mastro De le pintate cose! Tu si quatto dell'arte De le cianciose e belle! Tu sì l'accoppatura De li frutte amoruse! ». «

E

una lunga

cosi via, per

Fa de Torce

La

infilzata; alla quale la sposina:

la contegnosa, lo

musso

e vota la faccella,

facce rossolella

lusto

comm'a

doi spalle di vattente,

E

co certe squasille

E

gruognole, da farete morire,

E

co na voce ciauciosella dice:

Lazzame zzare, ca lo dico a mamma, Che puozz' essere, lazzame, te dico! «

Uh comme Non

sfrontato, tiene mente; vregogne nanze a gente!

si

fare ze

».

Parimente, la notizia delle vecchie canzoni e strumenti musicali napoletani è animata a questo

nona

modo

:

Titta mio,

Proprio

pe

te dire

commo

la sento,

Sse canzune de musece de notte,

De poete moderne, Non toccano a lo bivo. bello tiempo antico,

O

canzune massicce, parole chiantute,

O conciette a doi sòie, O museca de truono, Mo tu non siente mai cosa

de buono.

nell'egloga

II.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

E

dove so sporchiate

Chelle che componeva

Giallonardo dell'Arpa,

Che ne ncavavEt Arfeo; Dove se consei-vava, Dece comma a lo mele,

La mammoria de Napole

ientile?

Dov' è luto lo nomme Vuostro, dove la famma,

O

villanelle mei napoletane? Ca mo cantate tutti ntoscanese, Coll'airo a scherechesse,

Contrarie de la bella antichetate,

Che sempre cose nove hanno mentate.

E

peo de

li

stromiente

De musece moderne, L'arceleiuto, l'arcesordellina

L'arceteorba e l'arcebordelletto, L' arcechitarra e l'arpa a tre reistre,

Che malannaggia tanta menziune. Sia benedetta l'arma a

Ca mpesero na

li

Spartani,

cetola

Perché se ne' era aggiunta n'autra corda Ca mo, fuorze, farla le pennericolo

Lo mprimmo e' ha guastato Lo calascione, re de li stromiente, Co tante corde e tante, C'ha perduto lo nomme e se pò Quanto mutato, ohimè, da chello Yalea chiù lo consierto

De Lo

lo

tiempo passato.

pettene e la carta,

L'ossa miezo a le deta, Lo crocrò che parlava.

Lo bello zuco-zuco. La cocchiara sbattuta Co

la tagliero e co lo pegnatiello,

Lo vottafuoco Che te ne ive

co lo siscariello, nsiécolo....

dire

ch'era.

;

47

GIAMBATTISTA BASILE E IL

48

CUNTO DE

«

LI CUNTI

Muse napolitane il Basile pensava di non molto, l'opera maggiore. Lo cunto de

Certamente,

alle

far seguire, tra

perché, nell'avvertenza, dice che

li citnti;

»

primmo

pe

«

relanzo ve refunne st'Ecroghe ». Ma fu còlto dalla morte, prima che potesse eseguire il suo disegno e la sorella Adriana, mentre dallo scrittoio di lui prendeva, per pub;

Roma

in bella forma, il pomposo abbandonava il manoscritto delle novelle napoletane ad altri, che doveva farne più modesta, anzi povera, edizione. Fu quest'altro un Salvatore Scarano, che, come sappiamo dallo Zito, era un libraio na-

solennemente a

blicarlo

e

noioso

poema

del Teagene,

poletano, appassionato di cose dialettali

dava

^;

il

prima giornata del Cunto de

fuori la

quale, nel 1634, li

cunti, dedi-

candola a Galeazzo Pinelli, duca dell'Acerenza, l'ultimo protettore (come ci è noto) del Basile «

Vengo (scriveva

^.

Scarano nella dedica) a comparire

lo

avanti di V. E. ed a dedicarle per ora la prima giornata del Pentamerone overo conto de' conti del

Gio. Battista

gerà il

la

grandezza

di

signor cavaliero

lingua napoletana, in cui

Basile in

un ingegno

scor-

si

com'era

cosi pellegrino,

suo, in ordinar quelle favole con tanti scherzi, con tante

sentenze e con tanti stravaganti modi, che son certo che

doveranno arrecare grandissimo loro che le leggeranno, e

fama

1

Difesa della Vaiasseide, op.

-

Lo

Gian 1634 I

del 3

C'unto

I

de

li

cunti

cit.,

overo

\

\

diletto

ed allegrezza a co-

e gloria a lui che l'ha

Lo

p. 1S5.

tì'attenemiento de'

Ahbattutis

Con licenza

de' superiori (di pp. 8 inn.-160;.

gennaio 1634.

l'unico esemplare

è,

\

Peccerille de

In Napoli, Appresso Ottavio

Alessio (sic)

|

— Edizione

com-

|

Beltrano,

La dedica ha

la

data

sconosciuta ai bibliografi, della quale

o era, nella Biblioteca nazionale di Torino.

LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO

II.

Donde

49

vede anche come subito apparisse, accanto a quello di Cunto de li cuntl, l'altro titolo, che poi poste

»,

si

divenne più consueto perché più breve e richiamante

Lo Scarano continua,

Basile o dall'editore.

stesso

rando

Pinelli che

il

non

è

poco faticoso

«

una sentenza

riferisce

assicu-

comporre

il

mili cose, e che abbiano da dilettare e piacere

uopo

titoli

non sappiamo se foggiato dallo

celebri, di Pentamerone,

(al

»

di Pico della Mirandola)

si-

qual e,

:

dopo avere dato ragione della dedica come conforme

di

certo all'intenzione ultima del defunto autore, conclude

che

prendendo animo, manderà appresso

forse,

«

giornate che seguono

l'altre

in luce

».

L'opera, che veniva cosi pubblicata postuma, non era del tutto pronta per la stampa,

gligenze di forma, che vi

s'

come

è provato dalle

ne-

incontrano, e da talune strane

giornata se-

inavvertenze \ Seguirono, nello stesso anno,

la

conda, dedicata anche

senza dedica;

tra

1634 e

il

ma

rano,

il

al Pinelli, e la terza,

1635, la quarta, dedicata non più dallo Sca-

da un Giovanni Antonio Farina

stelnuovo, Giuseppe quinta, dedicata, dal

medesimo Farina,

a

barone di Ca-

al

de Rossi e Bavoso;

e,

nel

1636,

la

don Felice de Gen-

naro, maestro in sacra teologia e consultore del Sant'Uf-.

ficio

1

«

P.

e.,

del racconto;

in poi,

ora

.

novella seconda della seconda giornata è intitolata:

la

Verde prato

senza che di questo

>, il

chiamato

.

Pippo «

Nardeaniello



Cagliuso »,

nome

della novella

ora

«

>

:

si

quarta

dia ragione nel corso

da un certo punto

è,

l'eroe della novella settima è detto

Antoniello

•:

ora

Mase Aniello



»: e

cosi via. 2

La

«

lornata

seconda

»,

in Xapoli, appresso

1634 (di pp. 6 inn.-106, dedica del 20 aprile); la

«

Napoli, per Lazzaro Scoriggio, 1634 (di pp. 126): la ivi, 1634,

ma

con un aggiunto frontespizio

dedica del 20 luglio); la

.

iornata quinta

»,

Ottavio Beltrano, iornata «

terza

»,

iornata quarta

in .,

del 1635 'di pp. 8 inn.-152:

in Xapoli, appresso Ottavio

GIAMBATTISTA BASILE E IL

50 Il

«

CUNTO DE

LI CUNTI

libro incontrò subito grandissimo favore

velle (dice l'editore

Farina) furono

«

:

»

queste no-

con tanto applauso

mondo per

le maniere dei lumi e degli artinuovo genere, che saranno, si come fici poetici e per lo io credo, immortali ». Per intanto, essendo esauriti i due primi volumetti, il Farina ne fece fare una ristampa, de-

ricevute dal

dicando fonso

il

primo

di essi al

cugino del Basile,

Daniele agostiniano, e

il

il

secondo a un

padre Al-

amico del

defunto poeta, Fulv^io Casaburo K

Beltrano, 1636 (di pp. 96: dedica 20 luglio). In alcuni esemplari

questo volumetto,

si

leggono, dojjo la dedica,

i

due sonetti

di

e la canzone,

di cui in Illustr. e doc, IV. 1

La prima giornata

in Napoli,

per Ottavio Beltrano, 1637 (di

pp. 167, dedica 2 gennaio]; la seconda, ivi (di pp. 8 inn.-108, dedica 1 luglio).

Ili

Il

L

.1

CUNTO DE

«

Cunto de

li

LI

CUNTI

cunti

è

COME OPERA LETTERARLV

»

un

libro

di fiabe, e, cioè, di

quei racconti tradizionali, nei quali prendono parte esseri

sovrumani ed extraumani della mitologia popolare orchi, animali parlanti, vegetali e minerali virtù, e via

origine di

dicendo. Questa sorta di

:

fate,

prodigiosa

di

racconti, sulla

cui

sono proposte molteplici teorie, è stata oggetto

si

accurate investigazioni per opera della filologia del se-

colo

decimonono. Nei tempi anteriori,

furono quasi

essi

soltanto materia di diletto e di trattenimento pei bambini,

che, allora

come

solo lo scienziato

anche, vi

Tra

i

si

ora,

avidamente

disdegnava

li

ascoltavano;

di appressarvisi,

ma

e

non

di rado,

appressò l'artista colto.

primi, anzi, in certo senso,

il

primo

vi volgesse l'attenzione, fu, per l'appunto,

Certamente, fiabe

si

il

di costoro,

che

nostro Basile.

trovano sparse anche nei novellieri e

poeti anteriori, nel Pecorone, nell'opera del Sercambi, nel

Mambriano

da Ferrara, nelle favole del Morlino. Più ancora, nel Cinquecento, Giovan Francesco Straparola da Caravaggio, da fiabe e facezie popolari tolse la materia

di

del Cieco

molte novelle delle sue Piacevoli

notti (1550)

^;

tanto che,

per questo rispetto, può considerarsi precursore del nostro.

1

Si

vedano

pp. 111-151,

XVI,

gli

studi del

pp. 218-283.

Bua

nel Giorn. sto?:

ci.

leti,

ital.,

XV,

GIAMBATTISTA BASILE E

52

Ma, nelle pagine

di questi

CUNTO DE

IL «

CUNTI

LI

»

sono regola-

scrittori, le fiabe

rizzate e svisate; talvolta, atteggiate a novelle cittadine e

quanto era possibile, del maraviglioso

sfrondate,

sempre, esposte nello liani. Il

sero

i

stile

quasi

;

tradizionale dei novellieri ita-

che accade altresì allo Straparola, del quale

scris-

modo

solito

Grimm

:

« si

sforzò di narrare secondo

il

non seppe fare risonare una nuova corda » \ un paio di volte lo Straparola, quasi avvertendo il bisogno di una nuova forma, fece ricorso al dialetto'. Si può dire che, con quei novellieri, le fiabe entrarono, si, nel campo della letteratura, ma di nascosto, inosservate, ca-W e prestabilito e

Solo

niuftate con le vesti degli epigoni boccacceschi. Col (Ir

_sf(jg;o-i.iuilo

t.

parlandone

Qual era

mava

la

u tta,

l'

.ia..-,p£).mfìfL^delJ.!ÌPi ni agin az io

o

^i;^)le^cQ.JiJQo^laggio^,

sentimento onde

le fiabe

il

'

Basile investiva e ani-

gorico e morale, simboli d'idee.

nascere, p.

ne può nascere

altresì

gica, sospirante verso la fanciullezza.

Heine, nel guardare, viaggiando

il

casucce verdi e bianche, tutte

e visi di fanciulle),

si

vecchia nonna

vi

dite storie

» ^.

alle

più di-

racconto

e., il

alle-

conte pMlosophique, nel quale diventano

il

E

possono dare origine

Ne può

verse opere d'arte.

la

n e popolare e

materia tradizionale? Giacché, considerate come

materia grezza,

le

«

una

Ah

!

lirica nostal-

(diceva Enrico

Tirolo, lungi sui monti fiori,

immagini

deve stare pur bene

deve raccontare

le



di

santi

dentro, e

più recon-

Questo sentimento di tenerezza è espresso

La J' y prendrais un

Si Peau d'àne m'était

nei versi famosi del

Fontaiiie:

conte

plaisir extréme »; e attraversò lo

spirito giocoso di

*

cfr.

{

^"

ingenuo

il

Ounto

aperto e rumoroso,

ingresso

fecero

invece,

cìoìt!.

li

Carlo Gozzi,

Kinder und Hausmclrchen

Imbriani, op. 2

Bua,

3

Reisehilder,

cit.,

e.

ediz.,

quale, a proposito del-

Gottinga, 1856),

II, p. 446.

in Giorn. stor., I,

(S.'^

il

«

12.

XVIII, pp.

£375-6.

III, p. 291;

,

III.

IL «

V Amore

CUKTO DE

delle

tre

LI C'UNTI

COME OPERA LETTERARIA

»

melarance'.

«

io

confesso

5o

(scriveva) che

me medesimo, sentendo l'animo a forza umiliato a godere di quelle immagini fanciullesche, e mi rimettevano nel tempo della mia infanzia » ^ Ma il Basile non era né un intellettualista né un romanrideva di

ico e, il

era,

;

come abbiamo veduto, un

letterato del Seicento,

nelle cose del popolo, lo attiravano, sopratutto, lo strano, goffo e l'assurdo, motivi per lui di

^.££Xj3Ìzzarria, p orse ascolto ai

f-

comico

cuìdi eh

.v

.

spiritoso

« /

_chie pe trattfìiiemiento de vecc^jùlM.^:.G. per bizzarria.

la

sua bocca parla

•itorno su sé stesso,

il

•^,.\.-.,:

in quelle fantasie, cosicché

a ripeterli, ora obliandosi

popolo medesimo; ora, con

facendone

la

».

'i':' .

per

rapido

caricatura e la parodia.

fSentimenti, che paiono contradittori e sono armonici, perché

rispondono a una speciale condizione psicologica.

Il

Basile

non narra del tutto seriamente, perché quella materia per lui non è seria; e neppure con continuato scherzo, che sarebbe riuscito insipido

;

ma

zione. Nei

«

trattenemiente

»

lenare, a ogni istante, tra le novellatrici,

/

si

diverte a rappresentare

d'animo popolare, venando

stato

del

lo

di scherzo la rappresenta-

Cunto de

li

cuati

si

vede ba-

facce grinzose delle vecchiarde

volto arguto e ridente del cavalier Basile.

il

Cosi accade che, pur non essendo egli un trascrittore

moderna,

alla

le fiabe

intonazione popolare;

serbino presso di e,

lui la loro schietta

insieme, presentino molteplici ele-

menti, propri del tempo e della personalità dell'autore.

Tra

i

quali, è

da mettere, anzitutto,

suo libro; onde

ì

cinquanta favole

e le

la

cornice stessa del

un cunto più vasto, compongono in un Fentamerone,

cunti sono chiusi in si

riscontro al Decamerone. '

C'era una volta un re, che aveva una figliuola a nome Zoza, la quale, per certa strana malinconia, non rideva

1

Fiabe, ed.

Masi (Bologna,

1885', I, p. 27.

GIAMBATTISTA BASILE E

54

giammai. Indarno medi; fintanto

il

clie,

IL

«

C'UNTO

DE

LI CUNTI

padre aveva tentato

i

un giorno, ordinò che

»

più diversi

ri-

una

aprisse

si

zampillante fontana d'olio, innanzi al palazzo reale, spe-

rando che

la

cosa avrebbe prodotto tale fuga e confusione

fra gli astanti e

passanti, da

i

dente ridicolo, atto a scuotere

qualche inci-

far nascere

precordi della ma-

gli inerti

linconica iìgliuola. Alla fontana venne una

vecchierella,

un orciuolo ed era quasi a capo della sua fatica, quando un ragazzetto, paggio di corte, con un sassolino ben diretto, fracassò l'orciuolo e ne sparse a terra il contenuto. La vecchia proruppe in un fiume di contumelie; ma il ragazzo le la

quale con una spugna

si

mise a riempire di

olio

;

rispose per le rime, e cosi furente la rese con le sue acumi-

nate parole, che essa, nella stizza, non sapendo altro, fece contro

che in

il

ragazzo un atto sconcio, sollevando

la principessa,

una grande

riso,

risata. Inviperita, la

e scagliò alla principessa

potesse trovare

gonna:

la

al

che era alla finestra, scoppiò, finalmente, vecchia

la

si

rivolse a quel

maledizione

requie, fintanto che non

:

sposasse

che non il

prin-

cipe di Camporotondo. Zoza, spinta dalla forza della maledizione,

si

mise subito in viaggio verso Camporotondo; dove,

giunta, trovò che zione, giaceva

il

principe, per effetto altresì di maledi-

addormentato

in

una tomba,

sulla quale era

posata un'anfora con una scritta dichiarante che la donna

che avesse riempita l'anfora di lagrime, avrebbe ridestato il

La principessa si premendo gli occhi

principe e l'avrebbe fatto suo marito.

mise subito all'opera lacrimatoria; al pianto,

e,

aveva quasi ripiena tutta l'anfora, quando, stanca,

fu sovrappresa dal sonno. In quel frattempo,

che era stata a spiare, venne fuori, fora, e,

si

una schiava,

recò in

mano

l'an-

con poche lagrimette, che vi aggiunse, l'ebbe colmata;

subito,

il

principe

sunta liberatrice

si

levò dalla tomba, abbracciò la pre-

tra grandi feste, la fece sua sposa.

La

povera Zoza, frodata delle sue fatiche, fu costretta a

ri-

e,

III.

IL

«

CUNTO DE

LI CUNTI

»

COME OPERA LETTERARL\

55

correre all'uso di tre oggetti prodigiosi, che tre fate

le

avevano dato nel viaggio; l'ultimo dei quali era una bamvenuta

bola, che,

in

possesso della schiava,

le suscitò in

seno una violenta brama di ascoltare cunti. Talché cipe, per appagarla, le

chiamò a raccolta

più valenti novellatrici del regno;

il

prin-

dieci vecchie, tra

per cinque

le quali,

un cuuto. Ma l'ultimo giorno Zoza, che si era sostituita a una delle vecchie, narrò in cambio la propria storia dolorosa; e, per tal modo, svelata al principe la verità, svergognata e messa a morte la giorni, raccontarono ciascuna

schiava usurpatrice, essa potè raggiungere finalmente osto,

che aveva meritato,

Ciascuna delle cinque giornate zione di vari giuochi, coi quali la

n' introduzione

morale e

alla fine della giornata,

si

si

tro,

e

con

la solita

formano quattro

l'infelicità

coppella

il

luogo delle canzoni

satire morali in

(|uat-

dialogo, ritraenti,

ricchezza d'immaginazione e di fraseologia,

delle

(donde

varie il

umane, saggiate

condizioni

titolo

La

coppella);

guadagno

{L<^i

la

doppia e

alla

falsità

dell'adula-

tenta, la tintura); l'avi-

{La vorpara, l'uncino); e la noia, alla

quale mettono capo necessariamente

O

preceduto da

un proverbio;

maldicenza, conculcatrice dei buoni,

dita del

{La

descri-

due persone della corte del prin-

zione, esaltatrice dei malvagi

'

è

ciinto

la

s'intrattiene

leggono nel Decamerone. Queste egloghe sono

che

della

apre con

chiude con

cipe recitano un'egloga, che tiene

/

si

compagnia

prime ore del mattino; ogni

nelle

il

di sposa e di regina.

tutti

i

piaceri

umani

stufa).

II

Altri elementi burleschi (ripetiamo qui la parola, adope-

rata dal Sainte-Beuve per le tìabe del Perrault, nelle quali

anche s'introducono elementi non popolari,

e, cioò, l'indi-

GIAMBATTISTA BASILE E

56

vidualità di

IL «

CUNTO DE

LI CUNTI

»

un francese e letterato del secolo di Luigi XIV M, la data dell 'operai Consistono essi nei ricami

segnano come fJ e

\

nelle frange,

messi in bocca

onde sono capricciosamente ornati alle vecchie; esercizi tecnici, -ne j

BasilCj prosatore dialettale,

y

chiamava

in aiuto

canti,

i

quali

il

Basile, let-

il

\

terato aulico. Metafore stravaganti, equivoci e giochetti di

\

parole, allusioni, enumerazioni, sinonimie scherzose,

-"''^ \

cedono e s'intrecciano senza posa. fate, orchi,

si

suc-

personaggi delle fiabe,

1

re, principi, fanciulle, giovinetti,

per quanto

si

I

e

chiamino modestamente Zezolle, Vastolle, Renzolle, Petrosi-

} I

nelle, Cienzo, Nardaniello, Milluccio,

Canneloro, hanno fatto

un corso regolare di letteratura secentesca hanno letto ,^y Adone e si compiacciono assai nei Madriali et ode del noIJstro Basile. « Chi sa, marito mio (dice Ceccuzza al marito, che le ha riferito, tutto spaventato, che una grande lucerj

tutti

;

tola fatata gli

presso di

sé),

ha chiesto una delle loro

de re,

lo

le

miserie nostre?

nore mio ha fatto

che ha scoperto

pite ca, per far

vergogne meie

per tenerla

chi sa, marito mio, si sta lacerici sarrà a doie

code pe la casa nostra? Chi sa fine de

figliuole,

la

le

inare; già sapite ca,

(I,

se sta lacerta 8).

«

certa

la

è

Già sapite ca

luna

la

corna (dice ai suoi consiglieri

gravidanza della

scrivere

m'ha

»

figliuola); già sa-

croneche, ovver corneche,

provisto

il

delle

figliama de m,ateria de ccda-

pe carrecareme

la

fronte, s'/ia fatto

carrecare lo ventre; perzò, deziteme, consigliateme! Io sarria

de pensiero de farete figliare l'arma

mala razza:

io

primma

doglie de la moì-te che

li

dolure de

lo

partoro;

crapiccio che primmct sporchiasse de sto sporchici e (I,

10),

^

de partorire na

sarria d'omore de farete sentire

semmenta

»

(I,

3).

munno

primma

io

che facesse

E, quando, in un'altra fiaba

un'orrida e decrepita vecchia mostra al

Causeries

du hindi (Paris, Garnier,

anche A. Barine, nella Revue

le

sarria de

s.

d.),

des deux moudes, 1

re,

V, pp. 272-3:

dicembre

attra-

si

1890.

veda

IL

III.

«

CUNTO DE

ver^o un buco, succhiciue:

«

il

LI C'UNTI

»

COME OPERA LETTERARIA

suo dito, reso bello e

Non fu

dito

(dice la

tuto, che le

smafaraie

core!

lo

e

'

Fu

saglioccola 'ì

voglie soie;

riello

e

',

'

che dico

miccio 'i



spruoccolo

Fu

suoie; anze, cura de fico

',

'

dico

l'esca

sagliocca

il

re,

Onde

al-

d'ammore

;

pe

la

il

ri-

si

:

arcuccio de le docezze, o repertorio de privelegie

d'affanno,

».

infiammato d'amore,

volge con ciueste invocazioni e spasimi

li

zorfa-

pensiere

li

vecchia, di cui non aveva scorto altro che

bianco e morbido dito,

de



,

le

deside-

li '

de

'

che le cacciale fora lo frato

de V affetto amoruso co no sfonnerio de sospire! l'invisibile

sa-

spruoccolo

'

spina sotto la coda de

ieietelle,

ma

spruoccolo,

Ma che

fu miccio infocato pe la monezione de

Ma

rie suoie.

spruoccolo appon-

allommato pe

zorfariello

un

novellatrice, con

Non fu

glioccola, che le ntonaie lo caruso!

continuo

liscio dal

ma

vertiginoso crescendo ammirativo),

57

le

gioie, o registro

quale cosa so deventato funnaco

magazzeno d'angosce, doana de tormiento;

è possibele

che vuoglie mostrarete cossi ncotenuta e tosta che non t'aggie da

movere a lo

li

lamiente miele? Deh, core mio bello, s'hai mostrato pe

pertuso la coda, stienne

mo

de contiente; s'hai mostrato

mostrame ancora

le

sso

musso

e

facimmo na

lo cannolicchio, o

carnumme, scuopreme

pellegrino e lassale pascere de sto core

!

ss'

maro de

ielatina

bellezza,

nocchie de farcone

Chi sequestra

lo tresoro

de sta bella facce drinto no cacaturo? Chi fa fare la quarantana a ssa bella mercanzia drinto a no cafuorchio? Chi tene presone la

potenzia d'ammore drinto a sso mantrullo? Levate de sso fuosso;

scàpola de ssa stalla; iesce da sso pertuso: sàuta, maruzza, e dà la

mano

re, e

a Cola, e spienneme pe quanto vaglio! Sai puro ca songo

non so quarche

cetrullo, e

pozzo fare e sfare.

na squaltrina,

Ma

chillo ce-

quale ha

cato fauzo, figlio de no

sciancato e

bera autoretate sopra

sciettre, vole che io te sia suggeco e che

te

li-

cerca pe grazia chello che porria scervecchiarene pe propio

arbitrio

co

li

lo

;

e saccio ancora,

le sbraviate, se

comme

disse chillo, ca co

ndorca Tenere.

li

carizze,

non

GIAMBATTISTA BASILE E

58

IL

«

CUNTO DE

LI

CUNTI

»

Lo sfoggio d'ingegnosità potrebbe essere documentato una diversa dall'altra,

dalle parecchie diecine di metafore,

con

le quali, nel

corso del libro, sono designate le ore del

prime

giorno. Scorrendo soltanto le

alcune

pagine, ecco

descrizioni dell'alba: .... la matina, qiiauno la notte fa iettare

lo

banno

dall'aucielle

a chi avesse visto na morra d'ombre negre sperdute, che se farrà uo

buono veveraggio

(Xtrocluzz.).

.... appunto quanno lo sole ha puosto sella pe correre poste, scetato

.... a rare

le strate

....

da

le cornette

spuntare de

lo

de

la stella

Diana, che sceta l'arba ad apa-

pe dove ha da spassiare

Io sole {ivi}.

viecchio suio, tutto arenella rossa, a la fenestra d'oriente

.... nnanze che visita de

li

lo sole

comme

scesse

(I,

lo sole, sfrattano lo i^aiese....

(I,

(I,

2).

.... sommiero

le

li

sbirre

4).

.... subeto che l'aucielle gTidaro:

Ed eccone due

lo

1).

a protariiiedeco a fare la

shiure, che stanno malate e languede

.... la matina, quanno l'ombre de la notte, secotate da

de

le solite

galli (ivi).

li

matina, quanno esce l'Aurora a iettare l'aurinale de

la

le



viva

lo sole! (I, 5).

dell'annottare: ventiquattro ore, quanno comenzavano pe

poteche de Cinzia ad allommarese .... essenno già l'ora che la

le locernelle (I,

Luna voleva

ghiste e veniste e lo luoco te perdiste

(I,

le

1).

iocare co lo Sole a

3).

III

Chi legga per

rammenti

il

la

prima volta

colpito dalla somiglianza, che scrittori.

il

Cunto de

li

cunti, e

gran libro del Pantagruel, non può non essere

Come

il

Basile,

il

corre

tra lo

stile

dei

due

Rabelais assunse, a materia della

propria opera, una tradizione popolare;

e,

come

il

Basile, la

narrò con intonazione semipopolare, mescolandovi giuochi, riflessioni,

digressioni e allusioni di ogni sorta. Egli dedi-

IH. IL «

cava

CTNTO DE

LI

CUNTI

»

COME OPERA LETTERARIA

59

suo libro ai heuvers tres illustres; e sembra, in ve-

il

rità, nella

nomo

condizione di un

di grandi doti mentali,

che, dopo copiose libazioni, abbandoni le redini a tutte le

ma

sue più varie forze. In questo agitarsi, scomposto sente,

dell'intelletto,

l'immaginazione, a

furia,

fantasia,

profondi

e

giuochi

pos-

memoria,

della

Rabelais mette fuori,

il

pensieri

da erudito

della

tutt'

parole,

di

del-

insieme e ricordi

mostruose da interessare

e novelle prodigiose e

e spaventare bambini, descrizioni finissime e strampalerie

senza significato. Il

Basile è tanto

meno

della

ricco di contenuto intellettuale,

quanto dista un letterato italiano

di fronte al Rabelais, di

Ma

decadenza da un dotto del rinascimento.

procedimenti letterari di entrambi c'è

affinità:

tra

i

tema po-

il

polare è ricamato, in molti punti, presso entrambi, in

modo

abbondano le lunghe enuscherzose, e si hanno effetti stilistici

identico; nell'uno e nell'altro,

merazioni enfatiche o spesso assai simili.

Felice Liebrecht è andato di là da questa osservazione, e il

ha sostenuto, a

dirittura, che

Rabelais e fedelmente lo seguisse

Leggendo ripetutamente nella persuasione che il

Basile tenesse presente

il

modo

il

:

Rabelais legli dicei, sono venuto

il

modo più

Basile abbia imitato nel

di esprimersi di quello scrittore; cosicché l'ipotesi,

fatta nella

zione di

mia traduzione del Cunto de

un luogo

cunti, circa

li

del Rabelais nel particolare di

acquista maggiore probabilità.

stupefacente conformità tra

i

La mia

una

affermazione

si

esatto

me

da

una imitafiaba (V, 1)

fonda sulla

due autori per quel che concerne

lo

casuale;

e,

poiché un'ampia dimostrazione prenderebbe troppo spazio, mi

li-

stile

e

l'espressione, e che

non può essere

miterò ad accennare ad alcuni punti. piace neir enumerare,

Funo accanto

stessa specie; cosi, uccelli

IV, 8); piante Basile

(II, oì;

(I,

13), e il

I,

Il

al

tutto

Rabelais, p.

37), e

parimente

il

com-

si

Basile

Basile (H, 5); utensili

parole ingiuriose

e.,

all'altro, oggetti vari di

^I,

25

,

e

il

(I,

una

(II,

5,

51), e

il

Basile (Xtrodn::.,

GIAMBATTISTA BASILE E

60

giuochi

I,

1,

(I,

56), e

«

3);

(1,22), e

Basile

il

(III, 10).

après nvoir hien joué.

Basile

10):

(II,

LI

CUNTI

»

Basile (princ. giorn. II e IV}; vesti

il

sinonimi:

Inoltre:

scisse,

passe

et

il

Rabelais

beluté ternps

»,

(I,

22):

ecc.; e

il

conim' a sacco scosuto, se norcava, canna-

che.

«

DE

IL « C'UNTO

riava, ciancolava, ngorfeta, gliotteva, decacava, scervecchiava, piu-

arravogliava,

siava,

sniorfei'a «

Sera

manno

ed

»;

Rabelais

il

corbiné, tronipé et affine

beline',

pettenava,

schianava,

scrofoniava,

arresidiava

»,

IV, nuovo

(I.

e

il

Basile

(I,

sbatteva,

prologo): 1):

«

stini-

de cecare, nzavorrarc, ngannare, mbrogliare e

facile cosa

dare a vedere ceste pe lanterne a no maialone, marrone, maccarane, vervecone, nsemprecoìie il

Rabelais

talon,

le

e):

(1.

Au

«

che

I,

52); e

ecc.

il

le

Basile

Ancora: rime incidentali:

un chascun la

d'eux eut

gros fronde au croupion (I,

6):

«

les

mules

mole toux au poulmoti,

spampanate,

»,

aie le

ecc. (e cosi an-

sterliccate,

impallnc-

zagarelle, canipafielle e scartapelle, tutte sìiiure, adure,

tutte

cose e rose

»,

cancre au menton,

petit

ratarrhe au gavion,

cate,

soir,

»,

ecc.

Di codesti esempi

recare se non pochi

ma

;

è dato

io

non posso, come ho

detto,

aumentarli di molto, tenendo pre-

sente l'abbondanza di proverbi, comuni a entrambi gli scrittori.

Che

se poi

qualcuno

voglia persuadere dell'imitazione che

si

Basile ha fatto, confronti

il

nono capitolo del quarto

libro del

tagruel con l'introduzione nella quinta giornata del

cunti: e la cosa gli risulterà nel

Questa

tesi del

modo più

Cinque

in proposito,

non

del Rabelais

e Seicento. Il Guerrini.

riusci a trovare se

fugacissimo, all'opera di e

Cunto de

li

chiaro^.

Liebrecht incontra una prima difficoltà

nella pochissima conoscenza, che Italia nel

il

Pan-

lui, nelle

si

ebbe

in

che fece ricerche

non un

solo accenno,

Facezie del Della Torre:

Martinozzi, che ne pescò qualche altro, riafferma tut-

il

tavia le conclusioni

1

negative del Guerrini ^

E nemmeno

In una nota alla traduzione tedesca del Dunlop, Geschichte der

Prosadichtungen (Berlino, 1851), pp. 517-8. 2

p.

O. GuEKRiNi, Rabelais in Italia (in Brandelli,

53 sgg.);

Gr.

stello, 1885), p.

Martinozzi, 29 sgg.

IL

Eoma,

1883, III,

Pantagruel di F. Rabelais (Città di Ca-

III.

IL

CUNTO DE

«

risulta che

LI CUNTI

»

COME OPERA LETTERARIA



Basile conoscesse la lingua francese e avesse

il

qualche pratica di quella letteratura.

Né due

riescono convincenti,

come

Liebrecht crede,

il

le

imitazioni, concrete e flagranti, da lui additate.

sole

Nel primo trattenimento della giornata prima,

narra di

si

una papara fatata e di un principe, il quale appartatosi in un vicolo « a scarrecare lo ventre..., non trovannose carta a la saccocciola sco, se

pe

papara, accisa de

stoiarese, vista chella

ne servette pe pezza

narrata dallo Straparola

una papara, l'oggetto poavola (bambola)

'.

».

La medesima novella

quale, per altro, invece di

nel

;

di cui si serve

E una

fri-

era stata

fial)a

Pitré e intitolata per l'appunto

principe, era una

il

raccolta

siciliana,

La pupidda,

dal

che è in tutto

simile a quella del Basile, ha anch'essa, invece

della

pa-

bambola -. Come mai il Basile pensò a sostituire bambola con la papera? Il Liebrecht-^ rimanda al noto

pera, la la

Gargantua. intorno

capitolo quattordicesimo

del

vention d'un torcliecìd

dove

«

n' y

qu'il

a

pourveu qu'on

lui

»,

torchecid

tei

Henne sa

che sarebbe venuta

al

si

giunge

alla conclusione:

que d'un oison

téte

dumeti-,

bien

jambes

entre les

all' « in-

»,

ecc.; dal

Basile l'idea della sostituzione. Ma,

lasciando stare che la somiglianza tra l'uso che

una papera morta nel

che

Basile, e quello

si

si

fa di

esalta

come

ottimo di un uccello qualsiasi vivo e caldo nel Rabelais, è assai vaga, a

me

pare che dal raccostamento

cavare piuttosto la conseguenza che Rabelais

;

si

debba

Basile ignorasse

il

perché niente nel luogo citato ricorda

la

il

lunga

dissertazione del Rabelais, e lo scrittore napoletano è in-

V, 2:

Rua, luogo

XVI,

p. 243.

1

Piacevoli

2

Fiabe, novelle, ecc., voi. IV, n. 288, pp. 242-7: cfr. anche

notti,

cfr.

cit.,

I,

n. 25,

pp. 221-G. 3

Si

veda

più oltre;,

II,

la trad. p.

tedesca del Cunto de

260: e Duslop-Liebrecht,

li 1.

cunli [di e.

cui parleremo

GIAMBATTISTA BASILE E IL

02

«

CUNTO DE

consapevole della fonte di scherzi, che

duto

lo

scambio tra

somiglianza

(come suppose



dire,

bambola

la

due parole

delle

Grimm

il

pipata e papara

dialettali

non saprei

dal Liebrecht,

fatto

principio della giornata quinta, dove

il

acca-

sia

papera, se per la

la

o per altra cagione,

^),

confronto,

L'altro

e

»

francese aveva

da quel particolare. Come poi

scaturire

fatto

il

LI CDNTI

è

tra

Basile descrive

il

un

passatempo, che consisteva nel proporre a ciascuna delle

donne un giuoco: dicere

subeto ca no

a Vornore tagruel,

»

;

e

il

cui

in

ìa

le

piace, e la causa perché

si

descrivono

«

libro

m'ha da

non

le

dace

quarto del Pan-

etranges alliances

les

dove approda Pantagruel,

e si

»,

ridice

serie di botte e risposte, scambiate tra gli abi-

una lunga

come:

tanti del paese;

mon

une sienne

autre appelloit

«

elle

le

une omelaicte

ma

une sienne

simili.

Vun appelloit mon noìnnioit oeuf,' et d'ceufz. De mesmes un

en parellle alliance,

homelaicte,

estoient cdliés cornine

», e

nono del

capitolo

dell'isola Ennaisin,

fagot

quale, senza pensarence,

«

Anche qui

trippe,

elle

Vappelloit

san

l'affermata imitazione è assai

dubbia.

Restano

i

puri procedimenti artistici; ma, in verità, gli

tempo solevano ricalcare la sir immagine; non già investirsi dello spirito di un autore straniero e tradurlo in nuove forme, in modo che esso si senta dappertutto e non si possa cogliere in nessun particolare. Comunque, lo stile del Basile non è un imitatori letterari di quel

tuazione,

il

pensiero,

fatto tanto strano che, per ispiegarselo,

del paese e del del Seicento

tempo

di lui.

letterario e del

occorra uscire fuori

Esso è un frutto spontaneo

temperamento meridionale

;

spontaneo, come fu spontaneo in Giordano Bruno, a proposito del quale, altresì,

si

almanaccò

di un'imitazione dal

Rabelais. Percorrendo le opere del Basile in ordine crono-

i

Kiìider und Hausmiirchen, III, p. 291.

CUXTO DE

IL «

III.

LI C'UNTI

prima

logico, e, cioè,

Cunto de

li

artistico,

che cerca

cunti.

la

somma

«

il

felicità

»

allo

sicuro. «

Basile

Il

nel

procedimenti

i

anche che

sto

Muse

poi le

svolgersi di

e

in

63

fine

Liebrecht riconosce che

modo più

artistici del

avesse

dell'imitazione

letto è,

Rabelais

;

ma

Rabelais)

appunto,

e, il

{auf das

felice »

il

il

un ingegno

propria via, tenta, progredisce,

Basile avrebbe imitato glilckìichste)

COME OPERA LETTERARIA

le Lettere,

assiste

si

cammina

finalmente,

»

(po-

quella

prova della

la

non-imitazione.

IV

Un'opera a due facce, che pure ne costituiscono una de

ingenuo-maliziosa, quale è

serio-barlesca,

sola,

non era

cunti,

li

facile

sile

aveva

mente

«

il

Ba-

scrivere un

dialettale che servisse di testo di lingua na-

a

impresa

tanta

talenti ».

i

Ferdinando

la intese

voluto gareggiare col Boccaccio e

Decamerone poletana,

Non

quale, osservato che, disgraziatamente,

il

Cunto

che fosse intesa e rettamente

giudicata dalla vecchia critica. Galiani;

il

«

filosofia e di felicità

(dice)

mancavangli intera-

Privo in tutto e di genio elevato e di

d'invenzione e di ricchezza di cogni-

a poter immaginare o adornare novelle graziose o

zioni

interessanti o tragiche o lepide o morali, altro

non seppe

pensare che d'accozzare racconti delle Fate e dell'Orco cosi insipidi, mostruosi e sconci

che

gli stessi arabi,

datori di questo depravatissimo gusto, siti

di

^ Ciò vuol dire (come notò Galiani, cercando nel Cunto de li cunti

avergli immaginati

l'Imbriani

2)

che

la filosofia dei

deluso, e

il

si

»

Contes philosojjhiqucs del Voltaire, restava

non indovinava l'elemento giocoso

Del

dialetto napoletano, pp. 121-2.

Op.

cit.,

II,

fon-

sarebbero arros-

p. 435.

di quel libro.

GIAMBATTISTA BASILE E

64

IL

CUNTO DE

«

LI CUNTI »

Alla parte giocosa dette, invece, soverchia importanza

un arguto avversario il

Cuìito de

li

quell'opera un secentista

sfacciato,

valore, editore

di

letterato

Casa e del Tarsia (dice

e

modo

Ma

gusto. le

i

:

annotatore del Bembo, del

metafore allora correnti un'efficace lezione

scherzoso,

e

buon

di

chi conosce le opere italiane del Basile sa che

metafore secentesche egli

rio; e che, nel

zava con

Basile fu in

il

sta lo pperché

nce

Serio), egli volle, d'accordo col

il

Cortese, deridere le bizzarre

porgere, in

Luigi Serio, riducendo

del Galiani,

cunti a satira letteraria. Se

le

Cunto de

armi

le

metteva in pratica

cunti, scherzava,

li

sul se-

ma

si,

scher-

che soleva adoperare nella sua

stesse,

vita letteraria.

Più acuto è

come

i

il

giudizio di Giuseppe Ferrari,

personaggi del Basile,

des aventures où

«

constamment

s'engagent, gardent

ils

quale nota

il

quelle que soit la hizarrerie cette

simpllcìté, entrai nent avec cette force qui n'appartieni qu'atix

traditions iwpulaires gicien et altresì

duits

le

che

.

C'est

le

premier créateur de gli

peuple qui cette

episodi fiabeschi

toìijours à des proportions

grand ma-

sono, presso di

et

».

lui,

et altérés

triviales,

ne sais quelle atmospMre de cuisine taisie

est le

fantasmagorie...

Nota «

ré-

par je

de ménage: la fan-

napolitaine au lieu d'emhellìr, d' idéaliser l'univers^

l'a enlaidi

à dessein; pour en développer la

jyeuplé de monstres

scriveva che

il

»

Basile

un popolo vivace,

".

«



vltalité, elle l'a

Meglio ancora, Jacopo

ha raccontato secondo

spiritoso e scherzoso, con

lusioni a usi e costumi, e

anche

alla

storia

il

Grimm gusto di

continue

al-

antica e alla

mitologia, la cui conoscenza, specialmente tra gl'italiani, è

abbastanza diffusa

e.

;

sicché

i

Lo Veniacchio,

2

lievue des deux moìides, 1840,

riesposta

a

suo

il

lo

'

stile è

proprio l'antitesi

Dialetto napoletano

4.

XXI,

pp. 507-S.

'

(Napoli, 17S0j,

III.

IL «

di quello

CUNTO DE

calmo

CUNTI

LI

COME OPERA LETTERARIA

»

e semplice delle tìabe

È

tedesche.

65

straor-

dinariamente ricco di espressioni metaforiche, proverbiali quali ha grande

e spiritose, delle

non

più sono calzantissime:

costume del paese,

è

provvista e che per

rado

di

libera, sfacciata, senza

lo

secondo

la parola,

veli,

conseguenza, spiacevole alla nostra delicatezza moderna;

non

tuttavia,

può dire

si

di

come

lui,

il

per

e,

...

Straparola,

dello

Ha anche una certa piena e sovrabbondiscorso; ... ma si tratta del gusto, proprio delle

che sia immorale.

danza

di

popolazioni meridionali, di cercare sempre nuove espressull'oggetto del discorso; non già di po-

sioni e insistere

vertà mentale, che

si

cerchi coprire. E, giacché la folla dei

paragoni è esagerata, di i

solito,

per arguzia e gioco, anche

più strani e ridicoli di essi non riescono punto assurdi

»

^

Qualche anno dopo, nel 1846, preludendo alla traduzione del Liebrecht, dopo avere riconosciuta la superiorità del Basile sullo Straparola, soggiunge:

una certa tìabe reca le il

familiarità, la diletto

«

grande.

Come sono

svariate espressioni, con le quali for dell'alba e

il

Quando

vi

si

forma davvero attraente

acquisti

di queste

inesauribili,

p.

e.,

dipinge ogni volta

si

tramontare del sole! Queste espressioni

potranno essere giudicate fuori di luogo quasi sempre ingegnose,

e,

ma

;

appariranno

prese in sé stesse, esatte. In

graziose e svariate immagini

si

ritrae

rumorio

il

e

mor-

I

I

morio

dei ruscelli, la profonda oscurità delle selve,

tare degli

uccelli: in

cepiscono le più

lievi

mezzo

alla

pompa

voci della natura.

orientale, Il

come

nelle

schiette fiabe di tutti

narrazione giunge semplici

ma

al

i

popoli,

Op.

per-

e anche quando la

punto importante, compaiono rime

inimitabili, che

cit.. Ili,

si

...

fermano l'attenzione del nar-

ratore e, insieme, dell'uditore. Cosi in Peruonto:

1

can-

discorso corre

ricco di paragoni, giuochi di parole, proverbi; qui,

il

pp. 291-2.

'

Damme

GIAMBATTISTA BASILE E IL

66

passe '

'

e

Si vuoi che

fico

Chiave ncinto

me

Spoglia a

Ma poche

CENTO DE

lo dico

te

;

E Martino drinto E Vieste a te '

e

d'ingegno

il

artistico, a intendere

^.

«

ha saputo dare

non

solo,

Nel Basile

Basile

il

ma

adorna-

(egli scrisse),

forma adatta a questi

la

imprimere a questa

suggello della personalità propria. Chiunque ha stu-

comprenderà quanto

diato per poco la letteratura popolare, sia diffìcile

ad eseguire una

tal cosa.

di tutto ciò eh' è popolare, è quel lo

per conformità di

atte,

racconti impersonali e nel contempo

forma

:

'.

»

tore e inventore di strane fiabe

»

Cenerentola:

nella

e

';

Vittorio Imbriani, raccoglitore

tutto è indovinato:

LI CUNTI

e nella Schiavottella

'

persone erano cosi

temperamento

come

«

L'incanto particolare

non

so che d'epico, che

pervade, e di tipico: la mancanza d'individuazione; e

quell'incanto

appunto sparisce appena uno

a ritoccare quelle fantasie.... Ebbene,

porsi

noi vuol

di il

Basile ha

saputo conciliare due cose, che parrebbe impossibile ciliare, sopratutto nello stile: personalità spiccata,

il

con-

ed im-

personalità popolare. C'è la voce del popolo nel suo libro, e c'è

il

letterato seicentista con tutti

difetti, dei quali

a far

ultimi

questo, gli

Seicento e l'aver dialetto gli

un tempo;

giovò

sembra

suoi

farsi beffe egli stesso.

Ed,

moltissimo e l'aver

adoperato

il

nel

napoletano. Quel

dialetto

dà un non so che d'ingenuo e di beSìirdo ad sembra contenere ironia implicita » ^.

mossi

stati

lingua del Basile. Che imitasse

il

1

Prefazione alla traduz. del Liebrecht, [Si

veda ora

sul!'

Imbriani

pp. 437-452]. cit.,

pp. 446-8.

il

al

periodare e alla

Boccaccio, è una esage-

2

Op.

vissuto

e

Parecchi appunti sono

3

suoi pregi ed

i

i

I,

pp. vii-viii.

mio saggio in

Critica,

III (1905},

III.

IL «

CUNTO DE

razione del Galiani

quantunque

;

egli

affastella le

67

vero che, a cagione

sia

non doveva, tendere

e

Senonché,

lare.

COME OPERA LETTERARIA

già da noi determinato

del carattere

non poteva,

LI C'UNTI »

del

alla

in

frasi

deficienti nella coesione e nell'armonia.

suo novellare,

semplicità popo-

A

lunghi periodi, ragione,

Lie-

il

hrecht notava che, in quel periodare, è sovrabbondanza stucchevole di costruzioni participiali, che

sono appiccicate anziché legate,

con

la

medesima parola

e,

per

proposizioni

le

che cominciano sovente

lo più,

con un

«

ma

che, perciò, esso difetta di rotondità e di varietà ^ della prosa basiliana è, spesso,

maggiore

trascurato: vi

si

»

;

e,

ritmo

Il

desidera

rilievo e distacco, e quei riposi che la fantasia

di un fatto e vuol sentire nell'andamento del racconto. Assai meglio scriveva, per questo riguardo, un seguace del Basile, che, nella seconda metà di quel secolo, compose un libro di fiabe, Pompeo Sarnelli.

vede nello svolgersi

L' Imbriani diceva che in

i

difetti del

periodare sparirebbero

massima parte con una buona interpunzione,

a quella negletta o cervellotica delle vecchie

a questo modo,

si

può

sostituita

stampe

ma,

;

solamente attenuarli alquanto, senza

speranza di eliminarli, perché intrinseci alla struttura del periodo. Giova ricordare, piuttosto, che l'opera del Basile

venne pubblicata postuma, dato l'ultima

mano

Circa la lingua, cesco Oliva, in

e

che l'autore non vi aveva

-.

il

Galiani (preceduto in ciò da Fran-

una sua incompleta ma importante Gram-

matica della lingua napoletana, che dicava che

il

Basile

contezza di tutte

abbia

«

le voci, dei

la

si

più

serba inedita incredibile e

proverbi, de' modi di dire e

delle espressioni strane e bizzarre, usate dal volgo

1

Trad.

2

Si

3

Ms. Bibl. Nazionale di Napoli, XIII, H, 56;

cit., II,

veda sopra,

giu-

^)

minuta

>

;

pp. 322-3. p. 49. si

veda

p. 4J.

ma

GIAMBATTISTA BASILE E IL

G8 che,

CUNTO DE

LI CONTI

per isfoggiare questa ricchezza, accumuli

le

parole

«

impiega

egli le

».

Infatti,

role toscane che egli

«

è

grande

numero

il

ha forzate e contorte

alla

è poi a vedere lo studio e la fatica che fa a

quelle voci, pure

e sostituirvi o le più rancide o le

più laide dell'infima plebe, solo perché

lingua generale italiana

all'uso

fatte

di rendere

il

prime pagine del Cunto

le

esempì

trovare

scostano dalla

si

^

»

Certamente, basta svolgere cunti per

non usar mai

che in gran copia abbiamo ed

italiane,

ugualmente adoperiamo,

li

delle pa-

pronunzia

quantunque da noi non mai adoperate. Incredibile

nostra,

de

»

onde avviene che, spessissimo, collochi fuor luogo parole e frasi, che non hanno quel senso in cui

e le frasi, di

«

dialettale. Il Basile

dialetto napoletano

di

codeste

modificazioni

aveva la preoccupazione più napoletano di quel

che effettivamente sia; epperò, bandi molte forme, che esso

ha comuni con

la lingua, e

a vocaboli pretti italiani mise

strane desinenze. Inoltre, la ricerca dell'effetto comico lo

condusse a scegliere tutte

le frasi del

giativo, burlesco o goffo, e a usarle di fraseologia seria e

vecchie

(nell'

normale; onde,

introduzione)

ncuorpo

s'ha schiaffato

:

«

popolo di uso dispre-

come

se avessero valore

p. e.,

Tadeo dirà

alle

Devo scusare raoglierema se

st'omore 'ìnalenconeco de sentire

dare Tnbrocca a io sfiolo della cogliere miezo le voglie soie, sarrite o ciuco iorne che starrà a se arrecar e

cunte; e,perzò, se ve piace de

prencepessa mia contente,

la

pe

panza

sii

»;

e

de

quatto

e cosi via.

Ancora: pei bisogni del suo

stile e

delle sue caricature dovette foggiare molti vocaboli, special-

mente

astratti,

che non esistono nella loquela popolare;

e,

d'altra parte, gli piacque serbare certe forme auliche (p. e., gli articoli lo, la,

dono

1

alla

li,

le,

invece di o

tendenza di elevare

il

Del dialetto napoletano, pp. 123-4:

{u),

a,

i),

che rispon-

dialetto verso la lingua.

cfr. p. 25.

III.

IL

;

CUNTO DE

Lasciando ad

li

COME OPERA LETTERARIA

»

grammaticale e

l'esame

altri

basta qui formolare

Cunto de

LI CUNTI

come conclusione che

cunti l'anche se

la

69

lessicale,

lingua del

tenga conto della diversità,

si

che essa, come vecchia di tre secoli, deve naturalmente presentare

odierno) sembra, nella sua

rispetto al dialetto

generale fisionomia, piuttosto che a un linguaggio storica-

mente il

uno

parlato, arieggiare a

maccheronico o

ragioni artistiche.

giudicarla da

che assunsero

il

Il

quei linguaggi, dagli

di visra

grammatici

poletano. Se nella sintassi

e

si

i

legislatori del dialetto na-

può censurare

un narratore semplice

e veristico,

la

mancanza

bisogna rispet-

il

quale era, non

ma

un grottesco o

tare, invece, lo spirito stesso del Basile,

un umorista.

per

indurre a

diverso da quello

affatto

di gusto e di lima, nel materiale linguistico

già

come

artisti e

che, per l'appunto, deve

un punto i

di

fìdenziano, creati

IV

Fortuna del

A..Ha

«

Cunto de

li cunti

prima edizione del Cunto de

li

»

cunti, della quale

data notizia di sopra, segui, nel 1644, la seconda, de-

si è

dicata al signor Felice Basile,

e,

nel 1645, la terza, dedi-

cata al padre Daniele K

Xel 1674, l'editore Antonio Bulifon, un francese che aveva messo bottega in Napoli, « vedendo (come egli dice) che veniva sommamente desiderato questo altrettanto ar-

guto quanto giocoso Pentamerone del vivace e bizzarro

ingegno del cavalier Giovan Battista Basile «

ridotto alla vera lezione, per

nascesse

Pompeo

».

mezzo

»,

delle

Sarnelli, poi vescovo di Bisceglie, e allora corret-

mentava

la

Il

Sarnelli a ragione la-

grave scorrettezza dell'ultima stampa,

poneva, in quanto all'ortografia, di attenersi ;

ei ri-

Curatore dell'edizione fu un abate pugliese,

tore nella stamperia del Bulifon-.

prima

procurò che,

stampe

ma

e si pro-

alla edizione

volle poi francamente correggere molte forme,

1 Tutte e due, Xapoli, per Camillo Cavallo: una a istanza di Salvatore Eispolo, l'altra di Gio. Antonio Farina. In questa, il Farina

« è si fattamente gradita dall'universo, che sono forzato a darla in luce in questa terza impressione >.

dice che T opera del Basile

2

Cfr. Celano,

Avanzi

delle poste (Napoli, 1676-81'. pp.

318 sgg.

GIAMBATTISTA BASILE E IL

72

CDNTO DE

«

LI CUNTI

»

non parevano schiettamente napoletane nel quale lavoro talvolta colse nel segno, tal'altra errò gravemente o fraintese, sempre si condusse con arbitrio. Per altro, se che a

lui

:

alcune parole e frasi sue a quelle del Basile, non

sostituì

né aggiunse nulla

tolse

curiosa interpolazione (che

credo unica)

io

al

una

salvo

di sostanziale al testo;

trattenimento

quinto della giornata prima, dove, alle parole del Basile «

arrevato all'acqua de Sarno

ste altre:

shiummo

chillo bello

«

miglia antica de

l'opera prese per la prima

Pentamerone

di

;

ha dato nomme a

volta sul

nel 1679 e a Napoli nel 1697

Anche

'.

frontespizio

le

la fa-

Sarnelli, titola

il

quale titolo fu ristampata a

col

'

e'

Sarnelli »! Nell'edizione del

li

:

Sarnelli fa seguire que-

il

»,

Roma

Muse napolitane

ebbero altre cinque ristampe nel corso del secolo decimosettimo

^.

Queste ristampe, e altre probabilmente ora introvabili e ignote,

bretto,

il

lettori e

i

de

comprovano quel che

Cunto de

del

II

cunti:

quale è per

le

il

Nicodemi

dice, nel 1683,

galantissimo ed amenissimo

«

mani

di

tutti »

li-

\ E, insieme coi

ammiratori, l'opera del Basile trovò anche, assai

Pentamerone del Cavalier Giovan Battista Basile, overo

cunte,

li

li

Trattefiemiento de

vamente ristampato

li

peccerilte di

e co tutte le

Gian Alesio

Cunto

lo

Abbattutis,

No-

zeremonie corrietto. All'IUustriss. ecc.

Pietro Emilio Guaschi, Dottor delle leggi e degnissimo eletto del Popolo della fedelissima Città di Napoli (in Napoli, ad istanza di

An-

tonio Bulifon, Librare, all'insegna della Sirena, 1674: di pp. 633, più 12 inn. al princ. e 3 in fine). 2

Roma,

1679, nella

stamperia di Bartolomeo Lupardi, dedicata

al

signor Giuseppe Spada; Napoli,

V.

Passano, Novellieri 2

p.

13); ivi,

Torino, 1878,

ivi.

I,

pp. 43-8).

ivi,

1647 (v.

Mar-

per G. F. Paci, 1669, ad istanza di Francesco Mas-

Domenico Antonio Parrino

Massaro, 1678; *

L. Muzio, 1697 (per questa ediz.,

Napoli, Cavallo, 1643, ad istanza del Rispolo;

TORANA, saro e

M.

italiani in prosa',

librari; ivi,

ad istanza

di

Francesco

Mollo, 1693.

Addizioni alla Biblioteca del Tojypi (Napoli, 1683),

p.

111.

FORTUNA DEL

IV.

CUXTO DE

«

come accade

presto, imitatori,

CUXTI

LI

73

^

che hanno proprio

ai libri

e spiccato carattere.

Tra

lettori e gli

i

ammiratori era

bizzarro di Salvator Rosa,

sue satire imitò

il

il

napoletano spirito

il

quale, non solamente nelle

fare del Basile e, in più punti, alcuni

ma

tratti delle

egloghe del Cunto de

sto libro a

Firenze; tanto che anche nelle satire del Men-

zini

si

li

cunti,

divulgò que-

ritrovano imitazioni dalle egloghe napoletane

quando Lorenzo Lippi prese a scrivere

è risaputo che,

Malmantile riacquistato,

grandissimi

«

tore napoletano gii fu fornito

cunti overo

li

al

modo

«

il

»;

e che dal

libro intitolato

Trattenim tento de

peccerille,

li

poema

suo

dodici

167G,

una

finalità

» -.

composto

vagamente

Xel Malmantile (pubblicato postumo nel

anni dopo

morte dell'autore),

la

analoga a quella che aveva avuto

mostrare

cioè,

pit-

Lo cunto

di parlar napolitano, dal quale trasse alcune bel-

lissime novelle, e, messele in rima, ne adornò il

il

furono gli stimoli

che ebbe a ciò fare da Salvator Rosa...

de

Ed

i.

la

si

il

osserva

Basile;

e,

ricchezza del parlare volgare fiorentino.

Ma, laddove questa tendenza nel Cunto de

minata e superata dalla foga

mane dominante; donde

artistica,

frigidità

la

li

cunti è do-

nel Malmantile

di

ri-

quel poema, che

pare scritto pel solo scopo di essere aggravato, come fu poi, dalle

note lessicali di Paolo Minucci.

Potrebbe sembrare strano che

il

Lippi, per le fiabe che

introdusse nel suo poema, avesse bisogno di ricorrere

popoli,

giù

le

1

Per

le

imitazioni del

Rosa

per quelle del Menzini, Belloxi, -

al

una ricchezza comune a tutti e, certamente, anche a quel tempo vivevano, su p( r medesime, a Firenze come a Napoli. Ma il Basile,

Basile; giacché esse sono

F. Baldixucci,

i

si

veda in questo volume, saggio VII;

li Seicento,

p.

226.

Vita di Lorenzo Lippi ^nell'ediz. del

Xapoli, Sarracino, 1854).

Malmantile,

GIAMBATTISTA BASILE E IL

74

«

DE

C'UNTO

LI C'UNTI

»

col rivolg-ere l'attenzione dei lettori su quelle fiabe e dare

una forma letteraria, nuove, e ne aveva rivelato

le

loro

Nessuno ha indicato le

aveva

apparire come

fatto

la fecondità artistica.

modo

finora, in

imitazioni del Lippi dal Cunto de

riducono principalmente a tre punti.

esatto e compiuto,

li

cunti, le quali

si

secondo cantare

Il

una versificazione della riuscendo una regina ad avere

del Malmantile è nient'altro che

Cerva fatata

— Non

(I, 9).

desiderati figliuoli,

i

un sapientone indicò al mangiare un cuore

rimedio, che era di farle

re marito

cucinato da una donzella. Subito, quella s'ingravida, lei, la

il

di dragone, e,

con

donzella cuciniera; e ne nascono due bambini,, che

crescono simiUssimi, Fonzo e Canneloro. L'odio della regina costringe Canneloro a spatriare; ma, nel partire, egli

insegna

suo quasi gemello

al

quel che avverrà di

modo

il

di conoscere

venga

una

giostra, di

alla quale

un

re,

mano

era posta premio la

si

Fonzo ha notizia del pericolo

della

un giorno,

e sposa costei. Senonché,

andando a caccia, prende a inseguire una cerva (che, invece, era un orco), la quale lo tira a sé e pisce.

sempre

bene, se incontri pericoli

se stia

a morte. Assistito dalla fortuna, Canneloro vince

o se

figliuola

lui,

fatata lo

ra-

in cui si trova l'amico,

mette in viaggio, uccide l'orco, e libera Canneloro.

Saggio della maniera, onde

il

Lippi verseggia la prosa del

Basile, può essere la pagina, nella quale

maravigliosi

del cuore di drago.

effetti

a cocmare a na bella dammeceUa.

La

cammara, non

lo

fummo

de

lo

na, che tutte

cossi

pr lesto mese a

vullo che, non sulo li



sta.

«

si

descrivono

Lo

re...

lo dette

quale, serratose a

fuoco

i

na

lo core e scette lo

bella coca deventaie pre-

mohele de la casa ntorzaro. E, ncapo de poche

iiiorne, fìgliattero; tanto che la

travacca fece no lettecciulo,

forziero fece no scrignetiello,

seggie facettero seggiolelle, la

tavola no tavolino, accossi bello

e lo

le

lo

cantaro fece no cantariello mpetenato,

ch'era no sapore

».

E

il

Lippi

(II,

16-17):

FORTUNA DEL

IV.

Ed

egli, loreso

il

CUNTO DE

«

LI C'UNTI

75

»

prelibato cuore,

Lo diede al cuoco: al qual, mentre lo Si fece una trippaccia, la maggiore Che ai dì dei nati mai veduta fosse. Le robe e masserizie, a quell'odore,

cosse,

Anch'elle diventaron tutte grosse;

E

in poco tempo a un'otta tutte quante Fecer d'accordo il pargoletto infante.

Allor vedesti partorire

Un

letto

il

tenero e vezzoso lettuccino

Di qua l'armadio fece uno

La La La

E

;

stii^etto;

un seggiolino; un bel buffetto;

seggiola di là tavola figliò cassa, il

un vago e picciol cassettino un canterello mandò fuore,

Che una bocchina avea

Composto

;

destro

tutto sapore.

di reminiscenze del

Canto de

li

cui/ ti è

il

rac-

conto che, nel quarto cantare (29-82), è messo in bocca a Psiche, venuta a cercare lo spo^^o in I\lalmantile

:

il

comin-

ciamento è tratto da un brano della novella quinta della seconda giornata; nella parte di mezzo, si trovano riscontri

con l'introduzione, con

terza,

anche con

e

la

la

novella quinta della giornata

quarta della prima;

dall'introdu-

zione, altresì, è tolta di peso la chiusa. Infine, la novella

di

Nardino

minazione de Lo cuorvo (IV,

non senza miscuglio

Come

poi

il

di

e Brunetto è e

9)

delle

una conta-

Tre cetre (V, 9);

nuovi particolari.

Lippi imiti

mostrato dalla descrizione

il

fare

dell'

«

del

uom

Basile,

piv^

essere

selvatico Magorto

»

(VII, 53-55), eco delle tante felicissime descrizioni basilianc di orchi

:

Ma io ti vuò dar adesso un'abbozzata, Qui presto presto, della sua figura; Ei nacque d'un folletto e d'una fata, A Fiesole, 'n una buca delle mura;

GIAMBATTISTA BASILE E

76

Ed

è si brutto poi

IL

«

CUNTO DE

LI CUNTI

»

che la brigata,

Solo al suo nome, crepa di j)aura.

Oh

A

questo

far

è

il

mangiar

Oltre eh'

ei

caso a por fra

i

nocentini,

pappa a quei bambini pute come una carogna, la

!

Ed è più nero della mezzanotte. Ha il ceffo d'orso e il collo di cicogna, Ed una pancia come una gran botte Va sui balestri ed ha bocca di fogna, Da dar ripiego a un tin di mele cotte; ;

Zanne ha di porco e naso di civetta, Che piscia in bocca e del continuo getta. Gli copron gli ossi

Ed ha Gli

uomini mangia

Per

lui si fa

La

E

peli delle ciglia.

fa,

;

quando alcun ne piglia. quel giorno un Berlingaccio, e,

Con ogni pappalecco Ch'ei

i

cert'ugna lunghe mezzo braccio

e gozzoviglia;

prima, col sangue

il

suo migliaccio.

carne assetta in vari e buon bocconi della pelle ne fa maccheroni.

Mag-g-iore fu l'efficacia che tori napoletani.

Essendo stato

avendone

dialetto e

fissato

il

il

Basile esercitò sugli scrit-

egli quasi

il

lessico e la

Dante

di

questo

fraseologia per

non è maraviglia se gli scrittori, che seguirono, mostrano di avere studiato piuttosto le opere di l'uso

lui

che

*

-

letterario,

Non

vivo linguaggio del popolo ^

il

Ciò

osservava anche I'Oliva, nella sua Grammatica inedita:

essendovi altri

più accreditati e migliori scrittori che gli

avvisati Cortese e Basile, sono essi in cotanta riputazione giunti che

a taluno sembra temerità dare gliere

il

un

passo fuori le di loro pedate in isce-

soggetto delli componimenti e servirsi della lingua; perché

stimano errore l'allontanarsi dalle persone, azzioni

approvano cosa che in

e parole plebee,



non sia; quasi che tutta la lingua fosse nei di loro libri, che sono due purtroppo piccoli rispetto alla vastità di quella; e non veggono, o veder non vogliono, che una menoma parte delle voci e delle maniere non contengono del parlare di quella... (ms.

cit.,

p.

12).

quelli

IV.

Uno

solo,

FORTUNA DEL per aìtro,

prese a narrare

sile, e

peo Sarnelli,

gramma

si

«

DE

C'UNTO

LI

CUNTI

77

!

attenne allo stesso genere del Ba-

ciinti:

il

suo editore del 1674, Pom-

quale, dieci anni dopo, pubblicò, con l'ana-

il

di Masillo

Reppone,

la Posilecheata

«

'.

be mil-

>?/

lanta valentuommene (diceva nella prefazione) hanno scritto,

dopò

lo

Gianna-

Cortese, vierze napoletane, nesciuno, dopo

lesio Ahhattutis,

silecheata

ha

scritto

cunfe

».

II

volumetto della Po-

doveva essere come l'avanguardia

di

un

libro

più grande (no libro gruosso).

La cornice

di quella fiabe è.

come appare

dal titolo,

il

racconto di una scampagnata a Posilipo, dove Masillo Rep-

pone

si

reca a passare una giornata nella villa di un amico.

La giornata culmina in un gran pranzo, rallegrato dalla compagnia e cooperazione del dottor Marchionno, ghiottone e buongustaio di prima forza, il quale divora da solo tre quarti del pranzo, chiacchierando indiavolatamente, senza

un istante; mettendo fuori, a ogni cibo che giunge un proverbio, un motto, un'erudizione e chiedendo, con la più amena sfocciataggine, ora una cosa ora arrestarsi

in tavola,

:

un'altra, nella certezza di fare cosa grata all'amico e nell'alta

coscienza della sua riputazione di ghiottone da man-

tenere.

Dopo

il

pranzo, vengono cinque donne del popolo,

ciascuna delle quali narra una novella.

Le cinque novelle non hanno

riscontro, nei temi, con

quelle del Basile: e presentano, inoltre, la novità di costituire, nel loro

insieme, una sorta di mitologia di alcuni

più famosi e popolari monumenti di Xapoli, quali

dei

Gigante di Palazzo,

il

detta Testa di Xapoli, nelli,

Nettuno i

di

Fontana Medina,

Quattro del Molo

anche novellando, non dimenticava

e di

altri

:

il

la cosi il

Sar-

essere autore

In Napoli, presso Giuseppe Eoselli, 16-S4, a spese di Antonio BuQuesta edizione fu ristampata, con largo corredo d'illustrazioni, da Vittorio Imbriani (Napoli, Morano. 1885). 1

lifon.

GIAMBATTISTA BASILE E

78 di

IL «

CUNTO DE

LI CUNTI

»

una Guida di Napoli. Nella forma narrativa, introdumovimenti stilistici, scherzi e giochetti, egli segue,

zioni,

con imitazione intelligente ed elegante,

il

Basile, superan-

dolo, forse, in facilità e correttezza.

II

si fecero non poche almeno quattro, riproducendel Sarnelli ^ E ne comparve

Nella prima metà del Settecento, edizioni del Cunto de

sempre in esse

dosi

allora, nel

1713, la

dialetto, dal

cunti,

li

il

testo

prima traduzione, che fu da

napoletano

al

bolognese:

dialetto a

traduttrici,

Madda-

lena e Teresa Manfredi (sorelle del celebre Eustachio), e le loro

amiche Teresa

e

Angiola Zanotti (sorelle dei non

meno celebri Giampietro e Francesco)-, che l'intitolarono: La chiaqlira dia banzola o per dir mii fol divers tradOtt dal parlar napuUtan

in leingua hulgncisa

^.

In questa traduzione, sono soppresse

que giornate, fiabe,

i

le divisioni in cin-

introduzioni alle giornate e alle singole

le

quattro intermezzi o egloghe; l'introduzione è ab-

breviata, e alle quarantanove novelle segue la cinquante-

sima come conclusione. Sono spariti zoli,

1

quali

coi

Nel 1714

il

Basile vestiva a festa le fiabe; p.

e nel 1722, per

zio; nel 1749, per la

M. L. Muzio

:

nel 1728, per

segna anche un'edizione del 1747

op. cit.,

le

Gennaro Mu-

e

Basile, II (1884), n. 3. Il

un'altra

s.

a.

Anche

le

p.

23), e, nel

1747, per

Passano

Muse napo-

furono ristampate nel 1703 e nel 1719, per G. Musitano

Martorana,

e.,

stamperia Muziana. Sono descritte da L. Moli-

NARO DEL Chiaro, nel Giambattista litane

altresì molti dei fron-

D. Langiano

(si

e

veda

D. Vi-

venzio. 2

Quadrio, op.

cit.,

I,

p. 210: e

cfr.

Faxtuzzi, Notizie degli

(Bologna, 1781-9), V, pp. 201-2. L'edizione di Bologna, 1713, è segnata dal Passano, op.

scrit-

tori bolognesi 3

pp. 46-7:

il

Fantuzzi conosce quella del 1742.

cit.,

FORTUNA DEL

IV.

CONTO DE

«

LI CUNTI

»

79

descrizioni dell'alba, del tramonto, della notte e discorsi

quello

dell'originale

\ Ma, anche

date, restano belle; e quel che

hanno acquistato per

IJaltro,

il

Gnorri ni) a

e

divenne

il

fis^sare « le

codice del bel parlare bolognese, e

Non merita

le

medesime

del 1754 \ che,

1

rassà

An

"

nemmeno

n''

politan, e

non

nelle

ristampa età,

forme

non este-

lodi l'anonimo traduttore ita-

solo

tolse

le

egloghe e intere

l'

gli avvìi pars pu-

an'' i è

però una somma fedeltà

in Ila traduzione,

aver catta di pruverhi in hulgnes, ch^avvn V istess significai di na-

pò mi

i

n ho miss di

eh dseva qui; pari, aneli

pr

misti,

eh fors ben n vrati brisa dir quel

assri multissm cos eh'

pò eumpost

alla piz, e quesC ara cavsà,

più

Chi lizrà V napolilan, vdrà aneh,

secchi.

eh''

dutta brisa, e quest perché gli in digression lassar senza eh'

s'

Pentameròn

d^

Zvan' Aléssi

in zeinqu giornat, e

18:-39,

mi

n' intendeva, e

P sinn armas,

in za e

eh' ai in

ai ho stima, eh'

s'

possn tra-

>

1872. L'ed. del 1839 è intitolata: .1/

(sic) Basile, osia

ha molte varietà

zinquantà fol dette da dis donne

sulle precedenti, perché, riveduta

sull'originale, le novelle vi sono state ridivise in cinque giornate,

aggiunte di passi tralasciati, vi

oltre

là,

di' ai dia, robba, che ìi^è tra-

eh''

guasta la sostanza dia fola

Nel 1742, 1777, 1813,

2

si

grazi, eh' gli an in ila sa lingua nattiral; e se ben eh la so-

stanza dia fola è l'istessa,

pari pr

(scrisse

» ^.

poss negar (è detto nell'avvertenza) eh'

quel,

cZ'

semplici

agili,

regole e l'ortografia del dialetto,

ed ortografiche del dialetto

liano

cosi abbreviate e sfron-

per quanto conti un secolo e più di

e,

lunghi

hanno perduto per un verso,

diventando più

mostra di essere invecchiata, riori

i

più rapido di

stile

L'opera fu ristampata più volte-, e servi

e popolari.

ancora,

uno

in generale, si serba

e,

;

si

leggono anche

le

e,

quattro

egloghe, esposte in prosa. vita e le opere di Giulio Cesare Croce (Bologna, 1879), pp. 134-5. Conto dei conti, trattenimento dei fanciulli, trasportato dalla napoletana all'italiana favella ed adornato di bellissime figure (in Napoli, si vendono {sic) nella libreria di Cristoforo Migliaccio, 1754): cit. 3

La

^

Il

dal Passano. Secondo I'Imbriani {XII conti j)omiglianesi, Napoli, 1876, p. 24),

questa deve essere una seconda edizione. Fu ristampato nel Passano, del Molinauo e del

1769, 1784 e 1863 (v. le bibliografie del

PlTRÉ).

GIAMBATTISTA BASILE E

80

compendiò

nov^elle^, e

personaggi e spropositi del quale

ma

^ ;

le altre e

particolari

;

DE

mutò

non

LI CUNTI

perfino

»

nomi

i

città di

il

dei

molti

solo introdusse

adoperò costantemente un goffissimo

può dare esempio

Eravi nella silla, la

altri

IL « C'UNTO

stile,

principio della prima novella:

Diserta una donjia dabbene chiamata Dru-

un figlio maschio madrg perciò ne stava

quale, oltre a sei figlie femmine, avea

tanto sciocco e scimunito, che la povera

scontentissima; né v'era g'iorno che non l'avvertiva, ora correg-

gendolo dolcemente, ed ora

al

dolce delle correzioni vi mescolava

l'asprezza delle invettive, od anche, se v'era di bisogno, delle bastonate

con tutto ciò non furono queste cose bastanti a far

;

Rodimonte

fosse riavuto della sua

si

dappocaggine; per

cosa,

vedendo Drusilla non essèrvi speranza che suo

duto

si

fosse dalla sua sciocchezza (quasiché

fosse stato in lui cagionato per colpa sua),

con un bastone

lo batté di

figlio

un giorno

maniera che poco

di

difetto

il

si

che

qual

la

ravve-

natura

fra gli altri

mancò a non rom-

vi

perle tutte le ossa...

mettendo da parte

]\Ia,

la goffaggine del traduttore, è certo

che, date le abitudini mentali di quel secolo, e la quantità e qualità di lingua di cui esso disponeva,

non c'era speranza

ben tradurre uno scrittore come

Basile, richiedente

di

il

di fantasia e ricchezza di vocabolario.

grande vivacità

prova potrebbe essere ritentata, con migliori speranze,

La ai

giorni nostri.

Tuttavia, nel Settecento,

ma

il

Basile incontrò ancora un'ani-

simpatica, alla quale potè narrare

i

suoi cunti: Carlo

Gozzi, che vi attinse per le fiabe drammatiche.

Il

terzo atto

deW Amoì-e

delle tre

avanza una

sorta di scenario, è tolto dalle Tre cetre {Y, 2);

e

una reminiscenza

1

2

Mancano .

Uorco

»

I,

è

isposa la figliuola

diviene

'

il

gatto

melarance, recitato nel 1761 e di cui

del

II, 3,

9,

Canto de

V,

4,

5,

6,

li

cunti

•>

»

;

e cosi via.

nota anche nel



7, 8, 9.

sempre con « Orca » La galla cennerentola all'Orca! tradotto

ci

;

onde »,

il

re

dà in

che è femmina,

FORTUNA DEL

IV.

primo atto

di

C'UNTO

«

DE

LI CUNTI

81

»

l'espediente al quale ricorre

esso, e, cioè,

Truffaldino per indurre al riso

principe Tartaglia. Dalla

il

stessa opera è tolta la seconda fiaba. Il corvo, rappresentata altresì nel 1761

VAugel

è preso

^ Dall'imitatore del Basile, Sarnelli,

come

belverde'-. Il Gozzi,

non ebbe l'esclusiva intenzione

e più del Basile,

di riprodurre

favoleggiare

il

del popolo; anzi, fece servire quei suoi dramraatizzamenti

a

un complesso

la

polemiche

di dottrine e

pure contaminando,

ch'egli,

creazione popolare, non

in

e

Ma

letterarie.

mutò a fondo; onde

la

an-

misura assai più larga, il

sen-

timento popolare sopravvive nelle sue fiabe, ed è sorgente del fascino, che esse esercitarono sui romantici. I fini let-

(come disse

terari

furono

fini

De

il

transitori,

«

Sanctis), che i

quali

propose

si

della

ghese

»

;

commedia popolare il

:

pito dal

contenuto

popolo, avido

ma

Gozzi,

potevano dargli vinta

causa nella polemica e sul teatro, e che oggi sono

morta del suo lavoro

il

la parte

viva è

«

il

la

la

parte

concetto

commedia bormondo poetico, com'è conce-

in opposizione alla è

il

meraviglioso e del misterioso,

del

impressionabile, facile al riso e al pianto

» ^.

III

Fuori d'Italia,

Wieland,

il

primo che s'ispirasse

il

quale, da

alcuni estratti

al Basile fu

hliothèque des romans, desunse nel 1778 la materia di

racconto in versi, intitolato

che corrisponde Il

al

il

nella Bi-

pubblicati

un

Peruonte oder die Wilnsche,

Peruonto del Cunto de

li

cunti

(l,

3).

racconto, nelle due prime parti, segue a passo a passo

quello dell'autore napoletano, svolgendo in

1

Prefaz. del

Masi

all' ed.

cit.

delle

Fiabe di

modo C.

più largo

Gozzi,

I,

pp.

LXXVII Sgg.

Rua,

in Giorn.

2

Posilicheata, e. 3: cfr.

3

Storia della leder. Hai., II. p. 391.

si.

d.

leti.

Hai.,

XVI,

p. 238.

GIAMBATTISTA BASILE E

82

IL «

CUNTO DE

ma non

re di Salerno

manca

vi

la

aveva una

punta

un concetto morale. Un

di

figliuola bellissima, a

nome Va-

quantunque assai avvenente non pensava al matrimonio:

e corteg-

stola (sic), la quale,

giata,

»

L' intonazione è scher-

e particolareggiando le situazioni. zosa,

LI CUNTI

Flammen, Nach wahrer Salamanderart, Stets unversengt, eiskalt und felsenart. Blieb mitten in den

Intanto, un giorno, Peruonto, un giovinotto brutto, sciocco e goffo,

mandato dalla madre a fare legna, trova nel bosco dormono in pieno sole; e si dà a intrecciare loro corpi, coi rami degli alberi, una pergola om-

tre fate, che

sopra

i

brosa. Quelle, svegliatesi, visto l'atto gentile, conferiscono al

giovinotto la fatazione, per la quale ogni desiderio da

formato

lui le

tramuti subito in realtà. Peruonto, raccolte «

Oh, se questo

mette in

grande turba ridente

e schiamazzante, cavalca a quel

verso casa. Ma, nel passare innanzi stolla,

invece

fascio,

mi portasse a casa! ». Ed ecco il fascio moto come un cavallo; ed egli, seguito da una

portare,

di favsì si

si

sue legna, pensa tra sé:

al

modo

palazzo del re, Va-

che è alla finestra, esclama: Das lohnt

Um

sich

auch der Miih, dass eine ganze Stadt

einen solchen Barenhauter

So narrisch thutl Sein Pferd ist schlecht, und, doch, flir solchen Reiter, Den Wechselbang, den Unbold, noch so gut!

Peruonto, seccato,

le

augura che diventi gravida

partorisca due gemelli. Detto fatto Basile,

il

racconto dello sdegno del re

scopo di scoprire tra

danza. Scoperto Peruonto, in

una

al

1

di lui e

come

nel

vedere incinta

banchetti e delle

figliuola, e del parto, e dei

allo

;

e qui segue,

feste,

la

bandite

convitati l'autore della gravi-

egli,

per ordine del

botte, insieme con Vastolla e

i

re, è

due bambini,

messo e get-

FORTUNA DEL

IV.

«

CUNTO DE

mare. Nella botte, mentre

tato a

onde, comincia un dialogo tra e Vastolla, appreso dall'altro

LI

CUNTI

So

»

trovano alla mercé delle due coniugi involontari

si

i

;

mirabile dono, largitogli

il

dalle fate, gli suggerisce di augurare che la botte diventi

una barca;

che accade subito, e

il

Dipoi, Peruonto lizioso,

si

augura

un grandioso

di possedere

la

comitiva è salva.

approdare in un luogo de-

di

castello,

di diventare

bello; e, in ultimo, di essere provvisto di quell'intelletto,

che

gli

mancava. Colmi

di tutti cotesti doni:

Prinzessin (spricht Peruonto), ^vir haben

Der Wiiiische nun genug'. Der Feen Giitigkeit doch immer neue Gaben Expressen, ware Geize und Unbescheidenheit. Nichts ist nunmehr xins Noth als die Begaiigsamkeit; Ist gross;

Allein mit dieser

muss der Mensch

sich selbst begaben.

Lass durch Genuss ims nun verdienen was sich haben! Uns lieben, Vastola, und Alles um uns her Mit unseren Gllick erfreuen und beleben, Sei unser Loos Wàs kònnten "vrir noch mehr Uns wunschen, oder was die Feen uns geben? !

A

questo punto,

il

Wieland cessa dal seguire

quale conclude col far capitare sposi, onde,

con

lo

il

il

scambievole riconoscimento,

sce la pace e felicità di tutti.

La

Basile,

il

re padre al castello degli si stabili-

terza parte del" racconto

Wieland narra, invece, come, dopo alcune settimane, quella vita di piena e calma felicità cominciasse ad annoiare Vastolla. E, inducendo Peruonto a fare continuo uso del dono delle fate, ora si trasferisce con lui a Salerno per assistere a un festino del re, ora vanno a Napoli a menare del

gran fasto di

vita, ora a

cintoro, ora,

infine,

castello, e Vastolla

uno degli

invitati.

Venezia per

la solennità del

invitano una elegante società

Bu-

al loro

ne trae occasione per innamorarsi Allora, essa chiede a Peruonto che

di le

lasci fare un viaggio a Sorrento, fornita di una borsa piena di danaro e inesauribile. Peruonto acconsente; ma, rima-

GIAMBATTISTA BASILE E IL

84

«

CUNTO DE

Sto solo, si volge alle fate, supplicandole

riprendere

LI CUNTI

»

fervidamente di

loro dono:

il

Hòrt mich, ihr gute Feen, meinem bessern Sinn, So oft durcli Wiinschen mieli vergangen, Hort meinen letzten Wunsch! Nelimt AUes wieder hin

An denen

icb, trotz

Was

ioli

Und

setzt in

von euer Huld empfangen, diesem Augenblick Micb in den Stand, worin ich war, zuriick, Als icb zu wunscben angefangen!

Benigne,

accontentano;

le fate lo

stolla si ritrova

alla

corte

castello sparisce;

il

Va-

suo padre, come se niente

di

accaduto, e Peruonto, di nuovo, presso la vecchia

fosse

madre, a tagliare legna, solo restandogli, di

tutti

i

passati

beni, l'intelletto.

Wieland

Il

questo versi

:

(dice

racconto, «

Was

il

un suo

volle adombrare, in

espresso

dallo

Schiller nei

kein Verstand der Verstandigen sieht,

in Einfalt ehi kindlìch Il testo

critico)

concetto

GemilM

»

Das

ilbet

^

napoletano del Cunto de

li

minti ebbe un'ultima

e poco felice edizione, insieme con le altre opere del Ba-

a Napoli nel 1788, nella Collezione dei poemi in lingua

sile,

napoletana dell'editore Porcelli^. Pochi anni prima, agitata la polemica, della quale

Galiani e

Ma

il

il

Serio sul significato e

Galiani,

come non ne aveva

il

era il

valore di quell'opera.

inteso lo spirito artistico,

non ne riconobbe l'importanza

cosi

si

è già fatto cenno, tra

si

filologica e scientifica.

Spettava a uno dei padri della filologia e mitografia moderna, Jacopo Grimm, lumeggiare da questo lato l'opera Basile, che, per

del

come un semplice

i

KuRz,

2

Voli.

e

di secoli, era stata considerata

Wieland 's Werke XXI.

inti'od. ai

XX

un paio

libro di riso e di diletto.

(Lipsia,

s.

a.),

p. xxiii.

Il

CUNTO DE

«

LI CUNTI

»

E LA ^^OVELLISTICA COMPARATA

Ija

Storia della

novellistica

comparata,

e,

in partico-

lare, delle origini di essa, è stata tante volte esposta

da far

sembrare non opportuna una nuova esposizione, che sarebbe poi

una compilazione

'.

E

noto come dalle raccolte, messe

insieme in vari tempi da scrittori

italiani, francesi,

ghesi e tedeschi, per iscopo artistico o educativo, sasse, nel 1812, alla

und Hausmdrchen

prima raccolta

dei fratelli

scientitìca, coi

portosi

pas-

Kinder

Grimm.

volume di quest'opera fondamentale, pubblicato nel 1822, in una specie di rassegna retrospettiva dei libri di fiabe, il primo posto per importanza veOra, nel

terzo

niva assegnato

al

raccolta (dicevano

presso tutti

i

Cunto de i

Grimm),

li

cunti del

Basile.

«

Questa

tra quante ne sono state fatte

popoli, rimase per

un pezzo

la

migliore e

la

pili ricca. Non solamente la tradizione era, in quel tempo, più integra; ma l'autore possedeva altresì, insieme con

l'esatta

1

Si

conoscenza del

vedano

le

dialetto,

una capacità

affatto pro-

introduzioni del nostro valente Pitré alle Fiabe,

novelle e racconti popolari siciliani

(Palermo, 1875),

Novelle popolari toscane (Firenze, 1885).

I,

pp. xliii-lvi, e alle

GIAMBATTISTA BASILE E IL

86

CUNTO DE

«

LI CUNTI

»

pria nel raccogliere le fiabe ed entrare nel loro spirito.

contenuto è quasi senza lacune,

e

il

tòno,

almeno per

i

Il

na-

poletani, perfettamente indovinato.... Si può, dunque, con-

come fondamento

siderarla

quantunque nel

fatto

non

raccolte

altre

delle

perché,

;

essendo rimasta ignota

sia cosi,

non tradotta nemmeno in francese, letteratura popolare ben occupa quel

fuori del suo paese e

neir insieme

Due

posto.

nei loro

della

terzi delle fiabe,

tratti

non ha

Basile

che vi

si

leggono,

ritrovano,

si

tedesco, e ancora viventi.

essenziali, in

fatto alterazioni, e di

Il

rado ha introdotto ag-

giunte di qualche importanza; cosa che conferisce alla sua

opera un valore singolare

» ^.

In grazia di questa solenne raccomandazione,

il

libro del

penombra nella quale era rimasto come dialetto e in un dialetto dell'Italia meridio-

Basile, tolto alla

scrittura in

venne messo in piena luce e additato agli studiosi di mondo. E, dopo che alcuni cunti ne furono via via

nale, tutto

il

tradotti

dagli

stessi

Grimm

e

da

altri

^,

1846, Felice

nel

Liebrecht, a rendere universale l'uso di esso per

che

di novellistica

comparata, ne pubblicava una completa

traduzione tedesca in due volumi quale, Jacopo

Grimm,

^.

Nella prefazione della

ribadito e illustrato

il

suo precedente

giudizio sull'importanza del Basile, osservava: in tedesco liarità

mune 1

il

il

Pentamerone, che offre in tutta

Tradurre

«

la

sua pecu-

dialetto napoletano, cosi diverso dalla lingua co-

italiana,

Op.

le ricer-

bit.,

non

è

impresa da pigliare a gabbo. Se già

Ili, pp. 290-1.

Per queste sparse traduzioni, che vanno dal 1816 al 1845, di Jacopo Grimm, di O. L. B. Wolfif, del Von der Hagen, del Kletke, si veda la traduzione del Liebrecht, II, pp. 326-7. 2

3

Der Pentamerone oder das

tista Basile, aus

dem

recht, mit einer Vorrede 1846, voli. 2).

Mfirche.n aller Mciì'ehen

von Giambat-

Neapolitanischen iibertragen von Felix Lieb-

von Jacob Grimm (Breslau,

Max

u.

Komp.,

CENTO DE

V. «

LI CUXTI

E NOVELLISTICA COMPARATA

»

87

-'Itanto l'intendere bene tutte quelle immagini, comparazioni, giochetti, espressioni

molto seria: la

quando

d'amore, di rimprovero, di ma-

come poesia

ledizione, calde e vive

ditlicoltà

debba trasportarle

si

orientale, è faccenda

diventa di gran lunga maggiore

una lingua, che non ha

in

pieghevolezza sufficiente a rendere quello in tutti

i

moderna,

suoi ghirigori e le sue grazie. e

i

tempi nostri, sono troppo

e del

ampolloso

seri

da misurarsi

un Fischart, che disponeva

a simili imprese. Se

stume

stile

La nostra lingua del co-

vocabolario del secolo decimosesto,

fosse

si

trovato un simile libro tra mano, avrebbe potuto lasciare sfogo

libero

mercé

alla lingua, e,

le

indomite parole ed

espressioni di allora, che dicono senza rispetto alcuno l'onesto e

disonesto,

il

superare gliato

il

al

il

pulito e

pulito,

raggiungere e

traduttore (della cui profonda intelligenza

del

nessuno vorrà dubitare) di sopprimere tutto ciò che

testo

urterebbe un lettore odierno;

che

non

il

quadro originale. Da mia parte, avevo consi-

gli

pure rendendomi conto

e,

dovesse sembrare pericoloso rompere

compiutezza del suo lavoro, osservo frasi,

le

che

la fedeltà e

parole e

le

quali suonano a noi basse e triviali, quand'anche

rispondano alla lettera del

sono diventate per noi

testo,

più dure e rozze perché abbiamo concetti circa la decenza, e

un

'

afflitto

trattenimiento de peccerille

cuo a Napoli nel Seicento, non

mano

le

si

diversi ',

inno-

potrebbe dare più in

donne e ai nostri fanciulli » ^ Rimane sempre ammirevole l'opera eseguita dal Liebrecht, il quale affrontò e superò, quasi sempre felicemente, alle nostre

veramente enormi, che l'intelligenza di quel presenta a uno straniero. Difficoltà anche maggiori nel

le difificoltà

testo

i

Op.

cit.,

I,

pp. vi-vii.

controsservava a ragione che titolo pei

bambini, non

è

Al che, per « il

Cunio de

altro,

il

li curiti,

Liebrecht

,11, p.

nonostante

il

324)

sotto-

opera né per questi né pel basso popolo

».

GIAMBATTISTA BASILE E

88

mancanza

1846, per la

IL «

CUNTO DE

onde

il

»

un ampio vocabolario napoletano

di

aveva solamente quello che accompagna Porcelli);

CDNTI

LI

(si

la collezione del

Liebrecht dovè aiutarsi con

le

sue cogni-

zioni filologiche e con lo studio diretto degli altri scrittori

napoletani. Tuttavia, errò solamente in pochissimi punti, e,

quasi sempre, per colpa delle edizioni, che potè avere innanzi, non essendogli riuscito di vedere, delle antiche, se non

quella del Sarnelli, che gli parve,

come

è infatti, migliore

delle seguenti e, in ispecie, di quella del Porcelli.

nore è il

il

Né mi-

merito letterario della sua traduzione; avendo

Liebrecht

saputo trovare

equivalenti

alle

immaginose

espressioni del Basile; onde, nella sua prosa tedesca, ripalpita

il

testo

facondo e bizzarro prosatore meridionale. Appose

non molte note (memore

che notes are often

ma

della

necessari/^ hut

massima

al

Johnson

del

they are necessari/ evils),

talune preziose, astenendosi dai confronti con le altre

raccolte di fiabe; e aggiunse in appendice

un buon saggio

(II,

pp. 280-338)

sul dialetto e la letteratura napoletana.

Alla traduzione tedesca ne segui una inglesef scire curioso ricordare che, nel 1832,

Può

Walter Scott,

riu-

tratte-

nendosi a Napoli e frequentando la Biblioteca borbonica,

ebbe tra mano

il

libro del Basile e vi prese tanto interesse

da vagheggiare uno studio

1

Non può

dialect, for siich

tan ìegends edition of



sul

dialetto

napoletano K

Due

One work

in this

alludere ad altro con queste parole: it

is,

qui te in

my

«

me as a liistory of ancient neapoliway; and it proves to be a dumpy fat 12mo

was described

Mother Goose's Tales

ìvith

to

mi/ old friends Puss in Boots, Blue-

beard, and almost the lohole stock of this veri/ collection. If this be the originai of this charminy book,

it

is veri/ cui^ious,

for

it

shows the righi of Xa-

ples to the authorship, but there are French editions very early there are two dates, booth

which



whether French or Italian, 1

having claims

the other has

»

to

llie

am

napoletano,



aho;



for

of different

originai edition, each omitting some tales

(Journal of Sir

Walter

Scott, 1825-1832, from the

originai manuscript at Abbotsford (Edinburgh, p. 873): sul dialetto

uncertain

cfr. p. 875.

David Douglas,

1891,

V. «

CUXTO DE

LI

CUXTI

»

E NOVELLISTICA COMPARATA

89

anni dopo, alcune fiabe del Basile venivano tradotte nei Tales

and popular

fictions del

tenzione di J. E. Taylor:

il

Keightley, e attiravano

quale

l'at-

procurò l'originale

si

da Xapoli e prese a tradurlo, dapprima

col

sussidio

solo

Tasso napoletano di Gabriele Fasano, poi con aiuti

del

datigli dal poeta Gabriele Rossetti, esule in Inghilterra, e,

finalmente, con quello della eccellente traduzione tedesca. Il

Taylor, per altro, limitò l'opera sua a sole trenta fiabe,

desiderando che tutti.

Comparve

libro

il

la

potesse andare per le mani di

sua bella traduzione in un volume, ora

assai raro e ricercato,

adorno

shank ^

Il

lodò molto, nelle sue note

dove

parecchie aggiunte e correzioni alla propria

fa

duzione

-.

Liebrecht

la

Posteriormente,

si

di disegni di Giorgio Cruik-

è

al

tra-

avuta anche un'altra ver-

sione, o, meglio, riduzione tedesca di quaranta

Cuìito de

Dunlop,

del

fiabe

cunti^; e una, altresì, in lingua italiana, di

li

sole diciotto

*.

I

migliori lavori illustrativi del C'unto de



cunti sono in Italia, oltre lo studio dell' Imbriani (che con-

cerne

piuttosto

l'aspetto

letterario),

le

raccolte

di

fiabe

popolari, messe insieme dallo stesso Imbriani, dal Pitré, e

1 The Pentamerone, or the Story of sfories, fun for the little ones by Giambattista Basile, Translated from the neapolitan by John Edward Taylor with illustrations by George Cruikshank London; David Bo^e,

and J. Cundall, Old Bond Street, 1843: in-16.o, pp. veduto, anni addietro, una copia nella Bodleiana di

86 Fleet Street: xvi-404).

Xe ho

Oxford: un'altra, nel British Museuiu, era segnata nel catalogo,

mancava 2

Geschichte der Proisadichtungen, pp. 515-8.

2

Der Pentamerone oder die Ermhlungen der Frauen

daus von Giambattista Basile.

Aus dem

des Prinzen Thtul-

Italienischen verdeutscht von

Paul Heichen ^Berlin, Neufeld u. Mehring, s. a., ma 1889). GiAx Alesio Abbattctis (Giambattista Basile), Fate -•

bambini, libera versione E. Mazzanti (Firenze, Paggi,

racconti per zioni di

ma

nella biblioteca.

i

di

benefiche,

G. L. Ferri, con illustra-

GIAMBATTISTA BASILE E

90

da

(dove

altri

IL

«

C'UNTO

DE

LI

CUNTI

leggono frequenti confronti con

si

»

le fiabe

del Basile), e le diligenti ricerche comparative intorno a

modo

temi novellistici, dovute in ispecial

al

Rua.

II

Basile raccolse le sue fiabe direttamente dal popolo,

Il

come

è attestato dalla fresca popolarità della loro

forma \

mai sarebbero potute essere le sue fonti letterarie? Con lo Straparola ha comuni soltanto alcune fiabe: Peruonto (I, 3) risponde alla novella prima della terza notte dello Straparola; Cagliuso (II, 4), alla prima delE, del resto, quali

l'undecima; Lilla

Li ciuco

e

Leila

riscontri, già notati

quinta della settima. Ai quali

Griram^, sarebbe da aggiungere

dal

alcun altro, come è quello tra

la

Berni (X,

e l'altra di Cesarino di

novella di Cienzo 3),

gli

spicca la lingua, della quale

contro un contadino, che

che, fatti

confronti,

i

e,

ucciso

Altri riscontri (I,

filiiim

perché

1

II

4) è la

si

si

la

conclusione dello

vede chiaro che

possono notare con

Ma un

*.

2

1,

e

Taylor

ma

Op.

Var-

De maire qum

racconto tanto popolare

Basile avrebbe dovuto desumerlo dal Morlino? e

il

(tratl. cit.,

p. x),

(senza che ce ne sia bisogno) che

Napoli,

:

il

^.

altri autori.

novella del Morlino (XLI)

custoditum reliquit

il

vale in séguito

si

Basile scriveva indipendentemente dallo Straparola

diello

7)

di essere stato lui l'uc-

rimane sempre salda

cisore. Tuttavia,

stesso critico

vantava

si

(I,

che libera una prin-

un mostro,

cipessa destinata a essere pasto di

mostro,

seconda della quinta;

(V,~ 1), alla

figlie (V, 7), alla

d'accordo col Keightley, congettura

il

Basile dovè raccoglierle,

non

solo a

a Venezia e a Creta, dove ebbe occasione di soggiornare.

cit., Ili, p.

291;

V, 5 del Basile in V, 3

Grimm,

*

H. MoRLiNi,

ma

si

corregga X,

1 dello

Straparola in XI,

7.

op. cit.. Ili, p.

291.

NovellcB, fabulcz, comcedia ^Parisiis, 1855), pp. 94-5.

V.

CUNTO DE

«

come avrebbe

LI

(II, 2)

neW Angitìa

contenuta

»

E NOVELLISTICA COMPARATA

fatto poi a riatteggiarlo in

laresco? Verdeprato

(Roma, 1550)

modo

CUNTI

di

:

«

cosi popo-

una novella

è del tutto simile a

Cortigiana de natura del cortigiano

M. A. Biondo, e che

dal Passano

modo

91

è riassunta a

questo

Narrasi come un gentiluomo, chia-

mato Pennaverde, per andare a ritrovare l'amata, passasse attraverso un tubo di cristallo: il quale, rotto ad arte dalla sorella della ganza, gli lacerava le carni in

durlo in

fin di vita,

l'amante cui

noto gran numero di versioni. Rosella

è

in

tanza)

alla

con-

racconto, anche questo, assai popolare e di

» ^;

sponde

e,

modo da

ed in qual maniera fosse salvato dal-

tutti

i

uno

particolari (salvo

novella

di

di

(III,

lieve

Mambriano

Filenia nel

(e.

9)

ri-

impor-

XXI);

qui, l'ipotesi dell'imitazione acquista qualche probabi-

lità, «

quando

si

osservi che la

mancanza

nella novella del

Cieco, e anche in quella del Basile, di alcuni tratti popo-

comuni a tutte le versioni, fa pensare a un rimaneggiamento operato dal poeta nella fiaba popolare » -. Checché sia di ciò (e, in verità, le conclusioni del Rua sembrano ragionevoli), è lecito sempre affermare con sicurezza che nel Canto de li cunti la corrente letteraria, se non proprio nulla, fu cosi esigua da potersi trascurare. Le variazioni, introdotte dal Basile nella tradizione, consistono, quasi soltanto, in ricami formali; e appena qua e là larissimi e

si

sorprende qualche particolare non popolare, come, nella

novella

ottava della quarta giornata,

Tempo

tura della Casa del

1

Passano, Novell,

2

Rua, Novelle

ital.

l'ingegnosa dipin-

^.

in prosa,

I,

p. 50.

del Mambriatio del Cieco

da Ferrara (Torino, Loe-

scher, 1888), pp. 88-9. 3

«

che non

menta

Ncoppa s^

la

ali ecorda

cima de chella vwntagna trovarrai no scassone de casa

da quanno fa fravecata:

le

mura songo

fracele, le porte carolate, li mobele stantive,

zomata

e destrutta.

Bacca

vide colonne

rotte,

e,

sesefe,

le

peda-

nsomma, ogni cosa con-

dalla statue spezzate, non

es-

GIAMBATTISTA BASILE E

92

IL

«

C'UNTO

DE

LI CUNTI »

Pochi dei trattenemientl del Basile non sono, propriamente, fiabe. Qualcuno è novella faceta, come Lo com-

pare si

(II,

in cui

10),

si

narra in qual

modo un brav'uomo un

risolva e riesca a scacciare dalla sua casa

(luì fratelli (IV, 2), storia della

uno ricco e

vizioso, e l'altro

come osserva cittadina

povero e virtuoso, è piuttosto,

Grimm, una novella morale. Alla novella

il

avvicinano altre narrazioni: Vardiello

si

un tesoro trovato da uno sciocco per

di

stessa

La

scioccheria;

innamora di donna e

un



4),

di Belluccia,

6),

tentativi, la scopre^ per

(I,

della sua

effetto

serva d'aglie (III,

che, travestita da maschio,

dopo vari

intruso. Li

varia fortuna di due fratelli,

tale, che,

La

la sposa;

so-

perhia castecata (IV, 10), di un re che, disprezzato da una principessina,

vendica col giungere a possederla e a

si

durla in vita miserabile, ma, infine,

La

sapia (V,

bene applicato, trasforma del re,

il

uomo

in

perdona e

intelligente

quale la sposa per vendicarsene,

strazi, per riconciliarsi, in ultimo,

vella precedente. Tutti gli

altri

regno delle fate

:

istrane,

le

e degli orchi

sempre

la sposa;

una giovane donna, che, con uno

6), di

con

ri-

il

schiaffo figliuolo

le fa soffrire mille

come

lei,

nella no-

racconti appartengono al

avventure strane, o anche non

o intralciate o aiutate dall'opera di quegli

esseri straordinari.

Le fate, come notano i Grimm, sono gli esseri buoni orchi o le orche, quelli cattivi e malefici. Se entrambe queste categorie di esseri extraumani portano nomi di origine latina, corrispondono, per altro, e benefici, e gli

sennoce antro sano che

no serpe che sV

trasiita

dento

e

speziale,

se

n''

armxi sopra la porta quartiata, dove

mozzeca la coda, no ciervo, no cuorvo

e

na

ìice

vedarrai

Gomme

fenice.

drinto, vedarrai pe terra lime sorde, serre, fauce e potature, e

dento candarelle di dove

se leggeno:

autre città iute alV acito;

cerniere, co li

nomme

scritte cornine arvarelle

Corinto, Sagunto, Cartagine, Troia, le

quale conserva pe memo7'ia de

le

mprese

e

de

mille

soie...

»

V.

«

CUXTO DE

LI

CUNTI

»

E NOVELLISTICA COMPARATA

nel carattere, alla gìde o iceise

Frau

germanica.

Riese della mitologia

e

Mann

icìlder

al

93 o

laddove nelle fiabe

^la,

tedesche s'incontrano, sovente, figure cristiane, qui man-

cano del tutto angeli, demoni. Madonna ^ sono nominati

maligni

esseri

altri

vago, e non

demonio

Il

talvolta,

ma

in

e

modo

presentano mai con personalità spiccata-.

si

Oltre gli orchi e le fate, hanno parte nei racconti del Ba-

tempo, i mesi (IV, 8; V, 2); uomini dotati di facoltà prodigiose (I, 5; III, 8); animali fatati, come un asino che emette oro (I, 1), un dragone (I, 7), gatti (II, 4; III, 10), uno scarafaggio, un topo e un grillo (III, 5), uccelli (IV, 5) fate, orchi e principi, per capriccio o per destino trasformati in animali o in piante, in una lucertola (I, 8), in una cerva (I, 9), in una serpe (II, 5). in colombi (lY 5-, in una mortella (I, 2); oggetti forniti di strane virtù, come un'erba che fa risuscitare i morti (I, 7), un cuore di animale o una alcune personificazioni, come

sile

il

;

,

foglia di rose,

che fanno ingravidare

tovagliuoli, bastoni, anelli, datteri 1; I, 6),

il

effetti,

(li, 5;

ai quali è

II,

111,4: IV.

1:

maledizioni

2): infine,

arduo sottrarsi (Xtrod.;

L'elemento etico stributiva dei premi meriti,

9: II, 8), ghiande,

1: I,

grasso della volpe o di un orco, rimedio per ma-

mortali

lattie

(I,

(II,

è

il

solito

secondo

91.

III,

7;

meriti e

i

come

ricordi di

de-

i

ferocia di procedimenti o

certa assenza di scrupoli, che sono

di-

infallibilità

delle fiabe:

e delle pene,

non senza una certa

II,

di sicuri

una

una

so-

cietà lontana o primitiva.

1

Geimm, introd.

alla traduz. del Liebrecht,

I,

pp. x-xi: cfr. sulle

fate e gli orchi, Deutsche Mythologie* ;;Berlino, 1875-8;, 2

Si veda, p.

gare la norma a

va

.

lo

a causa cauda

cendo.

I,

pp. 340-3, 402.

dove la Gran Turchessa muore e va o jmche V aveva mezzato Varie . e il Gran Turco mastro .

e.. Ili, 9,

,

.

(inferno), e Kosella si fa

«

cristiana

.

:

e via di-

GIAMBATTISTA BASILE E

94

IL «

CUNTO DE

LI CUNTI

»

III

Canto de

Il

li

cunti serba versioni

tivamente, antiche

mune

di

molte

importanti

e, rela-

novelle tipiche, possesso co-

dei più vari popoli.

Parecchi dei suoi racconti appartengono

al

gruppo della

iiaba più famosa, e più ricca di storia, che è

fiaba di

la

nono della giornata prima narra di Luciella, la quale, recandosi ad attingere acqua, incontra uno schiavo, Psiche.

Il

che la invita a seguirla, facendole

le

più belle promesse;

attraverso una grotta, la conduce a un grandioso pa-

e,

lazzo sotterraneo, dov'è magnificamente accolta e servita.

La e

un letto, « tutto racamato de pente a lume spento, le si viene a coricare

sera, è adagiata in

d'oro

»,

nel quale,

a lato un essere sconosciuto. Alcuni giorni dopo, recatasi a rivedere la sua femiglia, dalle invide sorelle in

mente

accanto;

messo

pensiero di scoprire chi sia colui che le dorme

e,

insieme col consiglio di gettare via, fingendo

di berla, la le è

le è

il

bevanda

o sonnifero, che lo schiavo le porge,

dato un catenaccio, che, aperto, servirà a mettere fine

all'incanto. Luciella esegue tutto

appuntino, e scopre ac-

canto a sé un bellissimo giovane; ma, nell'aprire

il

cate-

naccio, le appare subito la visione di parecchie donne che

portano del

filato;

essa grida che la

e,

cadendo a una

di queste

raccolga; al che lo sposo

una matassa, si

sveglia,

si

adira, la fa rivestire dei vecchi cenci e la discaccia. Scacciata

Luciella erra pel mondo, fintanto che non capita al palagio di un re, dove è accolta per compassione da una damigella di corte e dove partorisce un bel bambino. Ma, di notte, mentre tutti dormono, entra nella stanza, a ora fissa, un giovane, che mormora al bambino alcune misteriose parole. La damigella ne dà avviso alla altresì dalle sorelle,

regina; la quale, postasi in agguato, sorprende

il

giovane,

T.

«

CUNTO DE

riconosce in lui sato,

con

pita da

sposa. si

LI CUNTI

»

E NOVELLISTICA COMPARATA

proprio figliuolo,

il

ciò, l'effetto della

lo

abbraccia



e

;

ces-

maledizione onde era stata

col-

un'orca, lo riacquista per sempre; e Luciella lo

Anche

trattenimento quarto della quinta giornata

il

cercando

riferisce alla stessa fiaba: Parmetella,

sra-

di

dicare una pianta d'oro in un bosco, è introdotta in un'abitazione meravigliosa e ottiene un marito

misterioso, che

essa perde in pena della sua curiosità e riacquista dopo

grandi tormenti e grandi prove. Alcuni particolari tornano

anche 2,

3),

sposa

in altre fiabe; il

(li,

come

l'invidia delle due sorelle

giovane che, scoperto, fugge abbandonando 5);

e via

La non meno

(II,

la

dicendo ^

celebre Cenerentola (alla quale

il

Perrault

dette poi cittadinanza nel regno dell'arte) è rappresentata

da Zezolla

(I,

G),

che, dopo avere, per

della

istigazione

sua maestra, ucciso la madrigna e indotto

il

padre a spo-

nuova madona drigna e dalle sue aspre una pianticella, che le rende possibile di trasfigurarsi come le piace; onde, splendidamente abbigliata, va ai medesimi festini dove vanno le sorellastre, e innamora di sé un principe, il quale la segue e rintraccia, finalmente, per mezzo sare colei, è tenuta in non cale e maltrattata dalla figliuole.

di

un

chianiello, di

uno zoccoletto, che

Altri racconti fanno

tunato; che

è,

Ma un'amica

ora,

le

fata le

era caduto per via.

parte del ciclo dello sciocco for-

Antuono,

il

quale riceve da un orco

tre oggetti fatati, e, perdutili dapprima,

li

riacquista

(I, 1);

ora Peruonto, che riceve la fatazione del pronto adempimento di ogni suo desiderio (I, 3); ora Vardiello, che

manda a perdizione la tela della madre e trova in cambi«) un tesoro (I, 4); ora Xardiello, che, tre volte inviato dal 1 Per le versioni di questa favola, si veda l'introduzione del Menghini alla Pnclie di Francesco Bracciolini (Bologna, Romagnoli, 18S9;,

pp. xcni-cxxi.

GIAMBATTISTA BASILE E

96

IL

«

CUXTO DE

padre a mercatare, compra una volta

uno scarafaggio, fortuna

e la terza

un

ora Moscione,

(III, 5);

s'imbatte in quattro

grillo, il

Sole,

Luna

e

un

»

topo, un'altra

cagioni poi della sua

quale, scacciato dal padre,

persone diversamente virtuose, che

fanno guadagnare grandi ricchezze

gii

CUNTI

LI

Tedia (V,

i.

studiata dal

5) è stata

Grimm

in

relazione alla fiaba germanica di Dornroschen la quale, in ,

compendio, è questa: dici fate sono

«

invitate

Nasce una

figliuola a

un

re, e do-

innanzi a ciascuna è

alla festa, e

posto un piatto d'oro. Allorché undici hanno già pronun-

una tredicesima fata non innon trovando pronto il piatto d'oro, predice che la bambina morrebbe per la puntura di un fuso. Ma la dodicesima fata, che non ancora aveva parlato, miziato le loro fatagioni, entra

vitata; la quale,

tiga la maledizione nel senso che la giovinetta, per la pun-

tura del fuso, sarebbe caduta in anni.

Il

re vieta

i

fusi nel

un sonno da durare cento

suo reame;

ma

la fanciulla, a

quindici anni, facendo un'escursione, giunge a una torre in rovina, dove

punge mentano si

fino

il

mano al fuso, E con lei s'addor-

stende la

fila;

tutte le genti del castello, tutti gli animali, per-

fuoco nella cucina. Intorno

spineto cosi

Dopo

una vecchierella

cade in un profondo sonno.

e

folto

che

molti anni, arriva

nessuno il

al castello,

cresce uno

può passarvi attraverso.

liberatore

».

L'attinenza di que-

Grimm) col mito di Brunilde è evidente. « Il nome medesimo Dornroschen richiama la spina, con la quale Odino punge la valchiria Brunilde e la immerge nel sonno. Chiusa nell'elmo e nella corazza, dorme la valchiria, in una stanza inaccessibile e circondata di fiamme, sul monte Hindar. Era riserbato a Sisrurd di trarre fuori

sta fiaba (dice

i

Per

le

il

versioni della novella dello sciocco, A. de Gubernatis,

Storia delle novelline lìopolarì (Milano, Hoepli, 188B), pp. 61-87, e Florilegio (ivi), pp. 139-156.

V.

CUXTO DE

«

CrNTI

LI

E NOVELLISTICA COMPARATA

»

la spina, e

destare e sposare Brunilde. Si noti che

di Hijrgfn,

imi datrix, con cui

ella è

intendere qui piuttosto nel senso di

come

le valchirie,

le

parche, filano

chiamata,

In Francia, Dorn-

roschen è la Belle au bois dorrnant, fiaba che

ma

al tocco di

un

figlio di re, gli

sé stessi,

bacchetta della fata. Dopo cento anni, giunge alberi gli fanno largo,

una bambina, Aurore,

gli partorisce

accosta alla

si

due anni con e

che

lei,

un bambino, Jour.

fiaba narra, in ultimo, le persecuzioni della vecchia re-

gina contro

i

due bimbi e come questi vengano

racconto del Basile, manca culla

hi

presentano soltanto

si

scena i

«

aresta

(lisca) di lino.

»

Xel

salvati.

delle fate: intorno alla

saccienU

e

nevine

pienti e gl'indovini, e predicono la morte per «

persone

le

addormentano non da

si

bella, s'inchina e la sveglia, e passa

La

apre an-

si

ch'essa con la scena del battesimo; senonché, del séguito e gli animali

nome

il

potrebbe

si

perché tutte

filatri.r, ».

97

La scena

delle fate

»,

mezzo si

i

di

sa-

una

trova, in-

vece, con altri particolari del racconto, in un'altra fiaba (II, 8),

dove

si

parla di sette fate, l'ultima delle quali, ac-

correndo per vedere

la

neonata,

si fa

male a un piede

infligge la maledizione che a sette anni

un pettine che e il

la

madre

le

lascerà nei capelli. Sole,

Talia continua press'a poco re,

morta

la figliuola

come

e le

debba morire per

Luna

nella versione francese:

a cagione della lisca che

le si è

conficcata nel dito, la colloca sopra un trono e abbandona

un altro re, che va a caccia in quei luoghi, inseguendo un suo falcone che si è posato sopra una delle il

palagio;

finestre del castello

mente,

e,

abbandonato, entra

Dopo nove mesi,

Talia,

due bimbi, che le fate le cercando essi il petto materno, lo

e trova Talia dor-

gode e riparte. sempre addormentata, partorisce appendono al petto; ma, un giorno,

invaghito della bellezza di

le

lei, la

prendono invece

succhiano, ne fanno uscire la lisca, e Talia

fiaba

si

chiude col ritorno del

re,

si

che promette

il

dito,

sveglia. di

La

venire a

GIAMBATTISTA BASILE E

98

ripigliare

contro di

due

essi,

Grimm,

il

lo

»

dal quale ho tolto, in parte espo-

questa e

falcone, che, volando, indica

il

egualmente nel Volsungara

perché

gurdo, quando sfugge

LI CUNTI

traducendo, l'analisi di

e in parte

;

OUNTO DE

Quel che mi sembra notevole in questa ver-

«

fiabe seguenti), è

stello

«

bambini, e coi vani tentativi della regina madre

i

sione (conclude

nendo

IL

avvicina

si

sparviere e

(e.

24),

delle il

ca-

a

Si-

luogo dove giace Brunilde,

al

situa sulla finestra della torre, e

si

Sigurdo, perseguitandolo, trova la valchiria dormente: in

questo punto, mili in

modo

due racconti, diversi nel

i

per Talia richiama quella, tra

Gudrun

Un

sonno della valchiria.

bel particolare è

del giorno e dagli

paganesimo

seri divini del

Altro riscontro con del

re di

le

Autamarina

tutto il

è

risveglio, pro-

germaniche

è nella fiaba

una giovane,

uccello, che è

una

fata,

La la

che

si

il

bambino esca dal carcere,

nella cucina del re e sia, poi, chiamato a corte.

mette amore;

ma

la

regina

lo

Il

gio-

quale

provvede a nutrirla e ne ha ogni altra cura. E, quando partorisce, fa

il

al

\

»

tradizioni

(IV, 5;, che, sforzata

un

protetta da

punto

i

l'aveva poi fatta murare in uno stretto carcere.

vane

si-

nomi dei bimbi, presi astri, sembrano tradire es-

dotto dagli inconsapevoli poppanti:

momenti

sono

Brunilde; e

e

sonno di Talia nel castello risponde di

dai

resto,

sorprendente. Anche la gelosia della regina

ella

capiti

re gli

odia istintivamente e persuade

il

re a imporgli compiti impossibili e a spedirlo a imprese

di

gran

periglio, dalle quali, sorretto dall'uccello-fata, esce

sempre incolume aria, e l'uccello grifi

;

gli

e con onore. li

fa fare di

re gli chiede tre castelli in

chiede che accechi una maga, che s'era impadro-

nita del suo regno, e

da una rondine

'

Il

cartone e trasportare da tre

Introd.

cit.,

;

I,

gli

l'uccello fa eseguire

l'accecamento

chiede che vada a uccidere un gran

pp. xii-xvi.

CUNTO DE

V. «

LI CUNTI

E NOVELLISTICA

^

dragone, fratello della regina, dall'uccello,

il

la

99

mercé un'erba fornita e ammazzato. Alla

e,

dragone viene assopito

morte del dragone, muore nosce

COMPARATA

madre, che

altresì la regina

;

re sposa, e l'uccello

il

bellissima donzella, che sposa

il

gio\'ane rico-

il

si

cangia in una

giovane. Quanto alla regina

madre, che, per venire risuscitata, dovrebbe essere bagnata nel sangue del dragone, essa rimane

ben morta. Questa

fiaba ha grandi somiglianze con la leggenda di Sigfrido.

nascita segreta,

il

basso servigio presso

È

germanico.

l'infanzia dell'eroe

La

«

cuoco, ricordano

il

da un uccello;

servito

particolare che ricorda quegli uccelli, di cui Sigfrido co-

nosce la lingua e che

lo

aiutano di cousigli. La regina

riscontra in Brunilde

adirata

si

è colui

che spinge Sigfrido

e,

insieme, in Reigen, che

alla lotta col

dragone.

Il

dra-

gone, anche nella leggenda di Sigfrido, è fratello della regina, e le vite dei due sono legate tra loro: la regina vuol essere bagnata nel sangue del dragone,

quello del cuore di Fafner

Cagliuso

4)

(II,

gatto stivalato;

ma

»

rappresenta il

come Reigen chiede

i.

la fiaba del

Chat

tratto degli stivali, che

botte,

o

appare nella

versione francese, non è essenziale. La più antica versione,

che

ci sia

serbata di questa fiaba, è nello Straparola (XI,

Una donna, venendo gliuoli

un

terzo una stito

i

« «

loro

albuvlo

»,

al

gatta soriana oggetti,

1).

a morte, lascia a! primo dei suoi

secondo una ».

I

campano

«

due primi, alla

meglio

panara

fi-

e

»,

al

col dare a prela

vita;

ma

il

cosa farsi della gatta, tocca-

non sa che Senonché l'animale era fatato, e diventa il protettore del giovane. Prende, una volta, una lepre e la porta al re come offerta del suo padrone; onde ha in cambio terzo, Costantino, tagli in retaggio.

commestibili e può

approvvigionare Costantino. Un'altra

volta, consiglia costui di gettarsi in

1

Kinder und Hausmàrchen,

un fiume presso

III, pp. 292-3.

il

pa-

GIAMBATTISTA BASILE E IL

100

«

CUNTO DE

lazzo reale, e poi grida all'aiuto;

gente accorsa per ordine del assalito e spogliato Il re,

»

facendo credere alla

e,

che

re,

LI CDNTI

giovane

il

sia

stato

da ladroni, ottiene vesti e ricchi doni.

venuto nella credenza che Costantino

sia

un gran

si-

gnore, gli dà la figliuola in isposa. Partono gli sposi, preceduti dalla gatta la

;

con abile stratagemma, induce

la quale,

gente dei luoghi, per dove passa la comitiva, a dire che

messer Costantino. Finalmente,

tutte quelle sono terre di

mena gemma,

a un bel castello, del quale, per lo stesso strata-

lo

che sia creduto padrone; e padrone effettivo

fa

giovane ne resta, essendo morto nel frattempo prietario.

Muore

sul trono.



poi anche

Nel Cagliuso, manca l'incidente della caduta

nel fiume, che è sostituito da

andata

un

promette

alla

imbalsamare,

finale: Cagliuso

il

gatta che, quando verrà a la

da una

invito del re e

palazzo reale. Diverso è anche

al

il

vero pro-

Costantino gli succede

re, e

il

il

morte, la farà

metterà in una gabbia d'oro e

la

terrà

sempre nella propria stanza. Ma, qualche giorno dopo, l'ingrato ordina di pren-

essendosi la gatta finta morta,

Onde

quella,

le spalle

e l'ab-

derla per un piede e gettarla dalla finestra. recitato

un solenne rimbrotto,

A

bandona. di

questa versione

gli

si

volge

avvicinano

altre, raccolte

recente, toscane, siciliane, abruzzesi'; in

tina^, è

mutato soltanto

grato

debita pena, cosicché, sparito

la

ritrova in

il

una cantina, con

la

il

una, fioren-

pagare all'in-

finale, facendosi

castello,

egli

si

sposa accanto e senza aver di

che mangiare. Nel racconto del Perrault,

il

gatto richiede al

suo padroncino un paio di stivali; calzato dei quali compie le

sue imprese, e

gli acquista, in

ultimo,

il

castello posse-

duto da un orco, che egli persuade a trasformarsi in topo e divora sùbito.

Il

Grimm

riferisce

una

fiaba norvegese^

i

PiTKÉ, Novelle popol. toscane, n. XII, La golpe,

2

Imbriani, Novellata fiorentina (Livorno, 1877), n.

X.

V.

CUNTO DE

«

nella quale

si

LI C'UNTI

trovano

i

»

E NOVELLISTICA COMPARATA

101

particolari cosi dei regali portati

nome del padrone come del viaggio attraverso le terre altrui. Anche in quella, la gatta s'introduce nel castello di in

uu

quando

Troll-, e,

il

Troll sopraggiunge, lo tiene a al levarsi

con chiacchiere, fintanto che,

del sole,

scoppia. Infine, la gatta chiede al padrone che testa.

Non

«

se no,

mail

sia

cavo

ti

la

Due si

dice costui. ».

Tagliami

Malvolentieri

fiabe: L'orza

ricongiungono

(II, 6)

e

le taglia la testa;

La Penta manomozza

al ciclo della

un

che. Nella prima,

re,

bellezza se

pari

ma

pretende sposarla; tato avuto

gli con-

non

costei, per

da una vecchia,

si

(III, 2),

Fanciulla dalle mani tron-

che ha promesso

alla

moglie mo-

rente di non prendere donna che non sia bella di

la

la testa;

mano \

propria

non trova

Troll

le tagli

una bellissima principessa, che

e la gatta diviene

cede

»,

occhi

gli

«

bada

il

come

lei,

propria figliuola e

la

mezzo

di

un legnetto

trasforma in orsa e

fa-

gli sfugge.

un re vedovo vuole sposare la sorella Penta; la quale, avendo saputo che il fratello si era specialmente invaghito delle mani di lei, se le fa tagliare e gliele manda in un bacile. Preso d'ira, il re ordina che Penta sia messa in una cassa impeciata e gettata a mare. La cassa è tirata Nella seconda,

alla riva

da alcuni marinai; senonché,

la

moglie

di essi, per gelosia della bellissima Penta, la di

nuovo

e rigettare nelle onde.

La

fii

di

uno

rinchiudere

raccoglie, infine,

il

re

conduce Penta alla sua corte, e, quando la regina muore, la sposa in seconde nozze. Penta, mentre il re è in viaggio, partorisce un bel bambino; e, man-

di Terraverde, che

marito per mezzo di un raessaggiero, questi capita proprio nella casa della malvagia moglie del marinaio, e, per nuova perfidia di colei, scambiate le let-

dandone l'avviso

al

tere che portava, perviene alla corte

i

Introd.

cit.,

pp. xvi-xxii.

il

folso

ordine del re

GIAMBATTISTA BASILE E

102 di

bruciare Penta e

da compassione,

si

il

IL

«

CUNTO DE

bambino.

LI C'UNTI »

consiglieri regi, tocchi

1

limitano a discacciarla. Raminga, essa

giunge, dopo molte traversie, alla casa di un mago, che la

un bando che chi poraccontare la più grande sventura,

prende a proteggere. Costui

tesse venirgli innanzi a

avrebbe avuto

gono insieme

in

premio una corona

re fratello e

il

fa

il

e

uno

scettro.

re marito di Penta,

il

Giunquale

aveva scoperto, intanto, l'inganno tessuto contro sé e la sposa innocente; e narrano le loro storie. Cosi Penta viene riconosciuta,



rito.

Il

e,

conciliatasi col fratello, se

ne torna col ma-

ciclo di questa tìaba (studiato, principalmente,

Puymaigre e ricco di francese la Manekine, nella romanzo nel

dal D'Ancona, dal Wesselofsky, dal

versioni e riscontri

Rappresentazione di Santa Uliva, nella Storia della re

di Dacia, nel Victorial del Dias

tre diramazioni.

La prima

fòglia del

de Games, ecc.), ha

di esse contiene

il

racconto del-

l'amore incestuoso, delle mani tagliate, del gettamento a

mare

e del

matrimonio

di

Penta, continuando poi con le

persecuzioni della madrigna o di altra donna.

La seconda

contiene soltanto la storia di queste persecuzioni, con molte varianti. Nella terza, è sparito

stuoso, e l'amputazione delle

verse

motivo dell'amore ince-

il

mani

è attribuita a cause di-

^

IV

Entreremo noi

in dissertazioni sull'origine di ciascuna

di queste fiabe, o, in genere, di tutte le fiabe, e sulle cagioni

della

comunanza

di esse presso vari popoli?

Rifaremo

la

storia delle teorie, mitiche, antropologiche e storiche, che si sono disputate il campo di queste indagini? Tale non

1

Si

veda per tutti

pp. 253-277.

De Puymaigre,

Folklore (Paris, Perrin, 1SS5),

V.

«

CUNTO DE

può essere giare

il

il

LI C'UNTI

»

E NOVELLISTICA COMPARATA 103

compito del nostro studio,

ristretto a

lumeg-

libro del Basile nella sua genesi e nel suo carattere

letterario, e a definire soltanto

come documento per

l'importanza che

la novellistica

gli spetta

comparata. Se tutte o

quasi le nostre fiabe provengano dall'India, o se ciascuna di esse abbia

il

suo particolare luogo d'origine; se tutte

quasi siano residui di miti naturalistici, o non piuttosto echi della vita primitiva e selvaggia del genere infine, se

ciascuna abbia

il

questioni, senza dubbio, assai attraenti,

sono essere agitate,

uno solo

(e sia

e

umano

suo particolare significato

ma

;

;

o,

sono

che non pos-

molto meno risolute, a proposito di

pure tra

i

più antichi e ragguardevoli) dei

molteplici documenti, che conviene interrogare per risolverle.

ILLUSTRAZIONI

DOCUMENTI

e

I

LSTOEXO ALLA BIOGRAFIA DEL BaSILE

Che

brano auto-

la patria del Basile fosse Napoli, risulta dal

biografico delle Avienturose disatienture (la cui scena è a Posilipo),

dove

è detto: « Saprai,

dunque, che in prima

In questa propria riva

chiaro giorno

al

».

io

gli occhi apersi

La

nascita a Giu-

gliano, affermata da F. S. Santoko {Scuola di canto fenno, Napoli,

1715, p. 92, tista

cit.

Basile, a.

da L. Molinaro del Chiaro nella rivista GiambatII,

n.

'ó),

e

da A. Basu-e, Memorie storiche della

terra di Giugliano (Napoli, 1800,

]).

voco, occasionato dal fatto che la

tomba

151), si

fonda sopra un equi-

vedeva nella

del Basile si

chiesa di Giugliano.

Vaghi

e contradittorì

allude all'età

sono

dell'autore. Io

1575 circa, considerando che

Cortese

t

il

B., in cui si

passi delle opere del

i

come data Basile fu compagno

ho

di

fissato

Viaggio di Parnaso, IV, 40), e che

il

di

Cortese

si

nascita

il

scuola del laureò nel

1597 (L. Settembeixi, in Xuova Antologia, 1874, voi. XXII, pp. 951-2), il che, supponendo che la laurea fosse ottenuta a ventun anno, ci

menerebbe

al 1576. Al

qual tempo

ci

conduce anche quel che si sa matrimonio il

intorno all'età dell'Adriana, che nel 1615 trattava di

un

figliuolo, sposatosi

poi nel 1619; donde parrebbe che essa

non potesse nascere molto dopo

il

1580:

perché nel 1625 dava ancora in luce

ma neppure

figliuoli

molto prima,

(Ademollo, op.

cit.,

pp. 207, 246, 291).

È

ignoto

il

nome

del padre del Basile

:

la

madre

si

chiamava

Cornelia Daniele; cugino era l'ecclesiastico Alfonso Daniele p. 203: cfr. la

dedica di G. A. Farina per

la 2."

{Od'',

edizione del Cunto

GIAMBATTISTA BASILE E

106 de

Napoli, 1G37). Delle

cuììti,

li

IL

tre

Margherita, come anche dei due

bondano

notizie nei

Francesco era

anche notizie

cugino

un

altro

è

celli, p.

come bisnonna

199),

per

e,

il

Qui

(op. cit., I,

una Chia-

del Basile,

ma

cunti, II, 1;

li

1600 e

del Basile avvennero

Da un madrigale

1608.

il

nomi, Cunto de

altri simili

vicentino Ludovico Aleardi, e da pici

Giuseppe. L'Imbbiani

forse, 6.

quello

fantastico: cfr. Sgedttendio, Tiorba a taccone (ed. Por-

Le peregrinazioni tra

e Francesco, ab-

Lelio

Teatro delle glorie, p.

Usciolo, fondandosi sul Cunto de

un nome

»

Adriana, Vittoria e

sorelle,

fratelli,

cfr.

:

fratello,

38-9) include nella parentela, rella

LI CUNTI

documenti pubblicati dall'Ademollo. Ma,

fratello

di

CUNTO DE

«

(accademia sorta circa

d'ogni poesia,

I,

il

un

li

9.

I, ;

forse,

per l'Armida, tragedia del

Accademici Olim-

altro

per

cfr.

Quadrio, Storia e ragione

1590:

gli

potrebbe supporre che egli

112), si

cunti,

prima del 1608

si

fermasse an-

che a Vicenza, prima del 1609, nel qual anno quei madrigali sono raccolti in «

volume. Nelle lettere napoletane del

aggio fatto

ma

sti

quatto pile a

la

Basile

legge:

si

guerra de Shiannena (Fiandra)

»

;

non avendosi

altra

composte dal Basile in Candia, ce n'è una per

l'ar-

forse si tratta di un'affermazione scherzosa,

notizia che egli guerreggiasse in Fiandra.

Tra

le odi

civescovo Luigi Grimani (Ode, pp. 47-8):

Grimani fu

il

civescovo nel 1604 (Moeosini, Istorie veneziane,

III, p.

eletto ar-

303; e cor-

reggi Gams, Series episcoporum, p. 401).

Forse tra

il

1G08 e

sile fece in Calabria,

legrine vestigia della dell'altra

veduto avea

lo Spinelli a Cariati.

1608 e

il

Magna »

Le

Grecia,

(Ode, p. 49);

come e,

Ba-

il

quando accompagnò

odi dirette a questo

non sono anteriori

trovano già raccolte nell'edizione

si

viaggio, che

meravigliose ruine

le

cioè,

luogo del Teagene (VIII, 48) I'Imeriam (op. il

un

1609 è da porre

trasportato dal desiderio di veder le pel-

«

del 1609,

cit.,

B. dovette visitare le ferriere dell'Atripalda;

I,



al

Da un

p. 53) ricava

che

che ebbe luogo,

il

probabilmente, quando fu governatore in provincia di Avellino.

Nei Giornali dello Zazzera (ms. cfr.

Arch. stor. italiano, IX, p. 534)

gio 1618:

«

Si dice che

il

Bibl. Soc. stor. napol.,

si

legge, sotto

nuovo principe

i

f.

175

b.:

primi di mag-

di Avellino

abbia fatto

li

cavalieri della chiave d'oro, con provvisione di ciuquantadue ducati

il

mese.

Il

capo di quelli

è

il

cavalier Basile, con

li

alabar-

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI dieri il

».

Nella dedica

B. è detto:

sile,

«

al

107

Teatro delle glorie, in data 1 aprile 1628,

capitano di fanteria nel Reg-no di Napoli

».

Su Giambattista Caracciolo, al quale si deve il ritratto del Bacfr. De Dosu.nici, Vite (Napoli, 1843), IV, pp. 37-64, che lo fa

morire nel 1647, e A. Boezelli, Battistello Caracciolo, pittore (Napoli,

tip.

Ruggiano, 1893)

:

il

Basile ne cantò le lodi in un'ode

{Ode, pp. 160-3). L'incisione fu riprodottane gniti (Venezia, 1647),

accompagnata da una

Le

glorie degli Inco-

biografia, che

non ho

avuto occasione di ricordare, perché atfatto vuota. Cfr. anche la rivista Giambattista Basile, III, illustri del

al ritratto

si

aggiunge una notizia

giornale dialettale p. 58.

1,

3;

la

Biografìa

degli

uomini

regno di Napoli, edita da Nicola Gervasi (1813-20), dove

La ncunia

e

lo

scritta

da G. Boccanera;

martiello, di

e

Napoli (1868),

il

I,

II

BlBLIOGRAiriA DELLE OPERE ITALIANE DEL BaEILE

1. Il

De

Chioccaeelli,

Mem.

d. scritt. del

Mantova, per

gli

2.

pp. 303-5; D'Afflitto,

illustr. scri^for., I,

regno

di

Napoli,

II,

p.

prima volta mandata

in luce

68).

Ristampa

impressione;

Osanni, 1613, seconda

quale gli editori dicono che fa la

per Tarquinio Long^o, 1608

della Yergine, Napoli,

pianto

(cfr.

quasi nella fanciullezza

«

di

nella (sic)

».

Sonetto, innanzi ad Ambuogio Staibano,

Tempio eremitano, Na-

poli, 1608. 3.

Dei madriali uelli,

e;

1,

ode, Napoli, per

et

il

Roncagliolo, 1609 (Chiocca-

Toppi, Bibl. napol., p. 130).

mantovana del 161B. M. Maddalena

Costituì poi la prima parte della ristampa

Qui sono

le

d'Austria

odi per le nozze di Cosimo dei Medici con

(cfr.

Descrizione

delle

feste

reali

fatte nelle

nozze dei Ser.mi

Principi di Toscana ecc. Fii-enze, Giunti, 1608); per l'ingresso dello Spinelli in Cariati e per

parto della moglie di lui

il

;

per la sorella Adriana

;

per Giuseppe d'Acunto, giureconsulto e dilettante scultore; per Gio-

van Berardino Azzolino, pittore e scultore; per lo scultore Giulio Grazia; per la morte di Ferrando de Castro, conte di Scelves; un madrigale per Giambattista della Porta, e

un

altro per Orazio Comite,

accademico Intronato. 4.

Le

avvetiturose disavventure, favola maritima di

Basile

il

Pigro,

Accademico Stravagante

Gio. Battista

di Creta, in Napoli,

presso G. B. Gargano e Lorenzo Nuoci, 1611 (Chioccarelli,

La seconda

I.

e).

edizione è di Venezia, appresso Sebastiano Combi,

1612; e la terza di Mantova, per gli Osanni, 1613.

Tra

coloro, che

premettono

Cesare Cortese, che vi scrive

al

volume carmi

un epigramma;

il

elogiativi, è Giulio

quale, insieme coi

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI due epigrammi composti per l'Adriana (Teatro è tra

5.

i

109

delle glorie,

pp. 131-2),

rari saggi di versi italiani del C.

Ottavio

Caputo, Relatiotie

della

pompa

funerale in

ìnorte

di

Margherita d'Austria, Napoli, 1612 (ricordata dal Misieei RicNotizie biogr. e

cio,

napol.

d. scriit.

bibl.

nel

fior,

XVJI.

s.

cui notni cominciano con la lettera B, Napoli, 1877,

i

13: cfr.

p.

T. Costo, Meinoriale, Napoli, 1639, p. 86). 11

B. contribui con tre sonetti, due

MiNiERi Eiccio,

Il

Albero

e

anagrammi

un madrigale.

e

e, ricorda anche del B. alcuni versi nel

genealogia della famiglia Scorza, Napoli, 1611, e

pompe

delle

1.

e solennità fatte

per

le

libro

Relatione

nozze del Cristianissimo Luigi

da francese in ispagnuolo

di Francia ecc., tradotta

una

XIII

re

da spagnuolo in

e

italiano, Napoli, 1612.

6.

Egloghe amorose

e lugubri,

Napoli, presso Gio. Domenico Ron-

caglielo, 1612 (Chioccauelli,

1.

Ristampa

e).

di

Mantova, 1613.

Dedicata a D. Marcello Fiioraariuo. 7.

Venere addolorata,

8.

Le opere poetiche

ivi (D'Afflitto,

e:

1.

cfr.

Croce, Teatri

d\

Napoli, p. 116). Ristampa di Mantova, 1613.

driali et

ode,

di

prima

Gio.

Battista Basile

il

Pigro,

cioè

Mn-

seconda parte, Venere addolorata, fa-

e

vola tragica, Egloghe amorose e lugubri, Avventurose disavventure, favola

marittima, Pianto della Vergine, poema sacro, in

Mantova, per Aurelio

e

Ludovico Osanni,

fratelli

stampatori

ducali, 1613.

Nella seconda parte dei Madriali cole poesie, il

composte fra

il

1609 e

il

et

ode, si

1613.

trovano raccolte

Tra

le quali,

le pic-

sono odi per

il matrimonio di Giorgio nuovo viceré conte di Le-

Georgio, tragedia di G. B. della Porta, per

de Mendoza con Livia Sanseverino, per

epigrammi

il

madrigali per signori napoletani

mos:

e odi,

e per

personaggi della corte ducale di Mantova.

9.

Rime

di

M. Pietro

e

Be-vibo

sioni purgate, aggiuntevi

degli errori di tutte le

e

spagnuoli

le altre

impres-

osservationi, le varietà dei

testi

Gio. e la tavola di tutte le desinenze delle rime, dal cavalier Battista Basile, nell'accademia degli Stravaganti di Creta e

GIAMBATTISTA BASILE E

110

Otiosì di Napoli

deg'li

la

10.

«

CUNTO DE

LI

CUNTI

»

Pigro, in Napoli, per Constantino Vi-

il

tale,

1616.

La

tavola delle desinenze

«

IL

»

ha un frontespizio particolare, con

data del 1617.

Rime

di

nali

e

M. Giovanni della Casa, riscontrate dal

ricorrette

cavalier

coi migliori origi-

Basile, ecc., ivi,

Gio. Battista

1617. 11.

Rime

di

Galeazzo

di

Tarsia nobile cosentino, raccolte dal ca-

valier Basile, dell'Accademia degli Otiosi. detto

il

Pigro,

ivi,

1617.

Prima

edizione delle rime del Tarsia, condotta con poca critica

e assai scorretta. Dedicata, in data di Zuncoli,

1

gennaio 1617, a Cecco

di Loffredo.

12. De'

madriali

delle ode,

et

Parte terza,

Dedica in data del 20 febbraio tro, odi pei pittori

di

Nocera

1617.

Di Loffredo. Contiene, tra

Stanzioni e Caracciolo, una per

dicatore e letterato fra

Duca

al

ivi,

Tommaso

Arch.

(cfr.

Carafa

star, ital.,

fl615), e

IX,

una per

e del

tino

et

l'esilio del

Casa con

vola delle desinenze delle rime e con la varietà dei

rime del Bembo

la ta-

testi nelle

di Gio. Battista Basile, cavaliere, conte pala-

gentilhuomo dell'Altezza

di

Mantova, nell'accademia

degli Stravaganti di Greti et degli Otiosi di Napoli ivi,

l'al-

morte del pre-

p. 227).

rime del Bembo

13. Osservationi intorno alle

la

il

Pigro,

1618.

Sono dedicate a Marco Scitico Altemps, arcivescovo e principe di Salspurg (Salzburg"!, al quale l'a.

ch'Ella

si

è

degnata

di fare a

14. L'Aretusa, idillio,

s.

La dedica a Marino primo gennaio 1619 15. Il guerriero

>

.

1.

mia

si

professa grato

casa, nella persona di

Caracciolo è

s.

per

mio

li

favori

fratello

»

a.

«

nella sua città di Avellino, a

L'opuscolo è rimasto sconosciuto

amante,

«

1.

a.

ai bibliografi.

IH

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI Dedica a Comizio Caracciolo, da Napoli,

maggio

1

sti

due opuscoli

si

16.

L'Eradeide

di Gabriele Zixa.no, Venezia, per

trovano nella Biblioteca nazionale

Cfr. IsiBBiAjji, op.

cit.,

II.

pp. 213-4. Gli

«

il



1620.

Que-

di Napoli.

Deiichino, 1623.

argomenti

»

in ot-

tave sono del B. IT. lìnagini delle piv. belle

nomi

Dedica a T. F.

Spinelli,

gio 1624. In appendice:

18.

dame napoletane

ritratte dai lor

propri

in tanti anagrararni, Mantova, 1624.

Ode del cavalier

marchese

Anagrammi

«

di Fuscaldo,

Gio. Battista Basile, conte

tiluomo dell'Altezza di Mantova, ba, ecc., in Napoli, per Gio.

da Napoli,

1

mag-

fatti a diversi >.

di

Toroue

e gen-

duca d'Al-

all'illustriss. ecc.

Domenico Roncaglielo,

1G27.

Contiene, oltre quelle già i-accolte, odi pel ritorno del Marino in Napoli, pel cardinal Borghese, per Nicola Barbarigo e Mario Trevisano,

per Alvaro de Torres, per Muzio Barone, pel

duca

di

Acerenza, e per

p.

Alfonso Daniele, pel

altri.

dell'apparato di S. Giovanili fatto

19. Descrittione

dal fedelissimo

popolo napoletano, Napoli, 1626; altra simile Descrittione, del 1628; altra, del 1631. In queste e

alti-e

descrizioni di

poetiche del B. Per altre bazzecole,

«

apparati

»

sono composizioni

veda Minieri Riccio, op. cit., pp. 12-13. Il Mazzuchelli cita: Sacri sospiri, madrigali, Mantova, Osanni, 1630; che I'Imbriani (op. cit., II, p. 215) congettura non esser altro che i Madrigali spirituali, che si leggono dopo il Pianto della Vergine. 20.

si

Teatro delle glorie della signora Adriana Basile alla virtù lei

di

dalle cetre degli Anfioni di questo secolo fabricato. in Ve-

netia et ristampato in Napoli, 1628.

Per questo

voi., si

vedano

Imiìriani e

Ademollo, opp.

citt.

Vi sono

parecchie composizioni del B. 21.

Monte

di

Parnaso, mascherata

M. serenissima

di D.

Maria

presentata, in Napoli, 1630.

di

cavalieri

napoletani

"Un

d'Austria, reina d'Ungheria, rap-

GIAMBATTISTA BASILE E IL

112

sono del B.

I versi

Viaggio

LECCHiA,

CUNTO DE

«

CUNTI

LI

»

A. Fel-

Cfr., oltre gli scrittori citati nel testo,

Maestà della Regina di Bohemia

della

d'Ungheria

e

(Napoli, Roncagliolo, 1630), p. 56. 22.

Epitalamio alla

JSI.

Serenissima di D. Maria d'Austria,

Giorgi, segretario dell'eccmo conte di Conversano,

A 24.

Roma,

1632.

Gio.

Dome-

pp. 41-2, due sonetti del B.

Rime

ingegni napolitani, raccolte dal

d' illustri

nico Agresta, Venezia, per

25.

1630.

ivi,

nelV incendio del Vesuvio, fatta dal sig. Urbano

23. Scelta di poesie

il

compresi

ciannove sonetti del

B.,

Teagene, poema

cavalier

del

Ciera, 1633.

d.""

p. 117 a 136, di-

due segnati

i

Gio. Battista

Torone, AU'eminent.mo

conte di

Da

riv.mo

et

al n. 23.

Basile napoletano sig.re

il

sig.re

Barberino, in Roma, appresso Pietro Antonio

card. Antonio

Facciotti, l'anno 1G37.

La dedica

dell'Adriana ha la data di

permesso di stampa, 10 aprile 1635.

poema

I'Imbriani, op.

gene e (ìariclea italiano,

ma

è

del il

cit., II,

26.

Di

Roma,

veda

Si

10 marzo 1637.

sulle fonti di

pp. 416-28. Si noti, per altro, che

Montalbano,

ivi

menzionato, non è un

Tedgenes y Clariquea ó

PEREZ DE Montalvàn rado,



(1602-1638); cfr.

los hijos

il

Tea-

Barrerà y Lei-

p. 267.

tre

eelli,

commedie,

il

Fileno. l'Eugenio, e

1.

gV Innocenti

Per

le

il

assoluti,

Chiocca-

e.

Quattro lettere del B. nel Cunto de

28.

il

dramma

de la fortuna, di Juan

Catalogo del

composte dal B. e non messe in istampa, fa cenno

27.

Il

questo

li

ai

Gonzaga

cunti, ed. Croce,

opere dialettali,

le notizie

di

bibliografiche sono state date

via via nel eorso del nostro studio gula spaguuola,

si

Mantova sono pubblicate pp. sxxix-xl, cxcti-ix.

I,

;

per alcune poesie in

veda illustrazione seguente.

lin-

m Poesie spagxxole del Basile

Negli Atti deir Accademia Pontaniana

ed

1900), io detti notizia

estratti di

di

Napoli

(voi.

XXX,

un canzoniere italo-spagnuolo

del Seicento. Questo canzoniere fu scritto, a più riprese, da diverse

mani, tra d'Italia, e

il

1625 e

il

1635, j^arte in Napoli e parte in altri luoghi

principalmente in

mente da una raccolta di

Antonio Alvarez

(1622-1629).

Venne

Roma; ma

era costituito originaria-

di poesie spagnuole,

di

Toledo

messe insieme per uso

duca d'Alba e viceré

Napoli

di

dipoi in possesso dell'Adriana Basile, che v'in-

serì, e fece inserire, altre

composizioni, spagnuole e italiane, dirette

a lei e alle sue figliuole, ovvero adatte pel canto

o,

anche, di cui,

semplicemente, amasse serbare ricordo. Nella prima metà del secolo decimottavo, appartenne al ciolo; e ora è lo

duca

di

Martina Francesco Carac-

posseduto dal mio amico Vittorio Pironti,

il

quale

ritrovò nella casa della sua famigha, a Montoro, in provincia

di Avellino.

Ricco, com'è, nella parte spagnuola di 139 componimenti, dei quali

non molti (per quanto mi

fu dato vedere)

i

canzoniere prende posto importante accanto agli

già editi, questo altri,

che esistono

in Napoli, dello stesso periodo: accanto a quello di Mathias

Duque

de Estrada (illustrato dal Teza, dal Merimée, dal Miola, dal Bonilla e dal Mele), al

brancacciano

e agli altri minori,

del quale

ha dato notizia

che aspettano ancora chi

li

studi.

La

il

Micia

parte

,

ita-

liana altresì cifre versi inediti o dimenticati di buoni poeti di quel

tempo; e

io

ne

trassi

cinque poesie del Chiabrera, che pubblicai li, n. 1-2, gen-

nel Giornale storico e letterario della Liguria (voi.

naio-febbraio 1901).

GIAMBATTISTA BASILE E

114 Per

altro, l'interesse

cumenti

IL «

CUNTO DE

LI

CUNTI

»

principale di esso sta nel fornire nuovi do-

allo studio delle relazioni tra la poesia italiana e quella spa-

g'nuola del Seicento; studio nel quale sono da considerare e

non tanto

gì'

letteratura,

non solo

imprestiti di motivi e forme poetiche dall'una all'altra

quanto anche, e sopratutto,

somiglianze e differenze

le

due popoli.

nella fisionomia generale della produzione lirica dei

Alcune delle poesie spagnuole, contenute nella raccolta, feriscono alla società napoletana.

vanni Enriquez, marchese

Un Juan

Campi

di

Enriquez

si ri-

(forse, Gio-

reggente del Collaterale)

e

canta Chiaia, Mergellina e la collina di Posilipo; descrivendo le gite quotidiane, che faceva colà la società elegante, sia in cocchi

spiaggia,

sulla

sia

dame napoletane

En En che

gondole pel mare

in

celebrando

e

le

belle

tronos de ruedas ninfas, theatros de remos diosas;

chiama matadoras

egli

;

:

(sul

quale epiteto,

Napoli

di G. V. Imperiale, ed. Barrili, Atti

patria,

XXIX,

ci.

cfr.

il

Viaggio a

Soc. ligure ài storia

572 sgg.). Altre poesie sono dirette all'Adriana,

p.

che ebbe per elogiatori molti verseggiatori spagnuoli. Del resto, cosi per le poesie spagnuole appartenenti alla raccolta

del duca di Alba,

per

poesie italiane,

le

versi,

come per

che

Tra

i

si

possono consultare

ho dato nella mia

io

poeti spagnuoli, che

citata

e

le

tavole dei

un capitano Alonso de

gli

capi-

memoria.

hanno comxDosizioni nel volume

dimorarono a Napoli, sono da notare

lamediana

originaria

quelle aggiuntevi posteriormente, e

Argensolas,

il

e

che

conte di Vil-

Ortigosa. Ricordo, di passaggio,

che un altro militare spagnuolo, preside e capitano di guerra nella provincia di Terra di Bari, don Martin de Saavedra y Guzman, pubblicava, circa quel tempo, un volume nipe, a Trani, presso

il

Valerij, 1633 (cfr.

di liriche

Napoli

:

Ocios de Aga-

nobiliss., voi. VI,

1897, pp. 111-12). Libri spagnuoli di quel tempo, relativi a Napoli,

sono anche

Ndpoles por poles,

il

Principe avertido y declaracion de las epigramas de

la

vispera de

Scorigio,

(Madrid, 1632), e

1631) il

;

San Juan

El

Poema

del Martìnez de Hereeea (Na-

monte Vesuvio

di Juan

de Qoinones

heróico a la passada ocassion de la peste

de Ndpoles di SebastiÀn Luzano de Cordoba (Cosencia, Ruffo, 1657).

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI

Ma vute

al

italiani,

duca d'Alba a noi interessano

del canzoniere del

ticolare le sette

poesie spagnuole, che vi

nostro Basile

il

;

115

si

quale prende posto, per esse, tra

che scrissero anche in lingua spagnuola.

relazione (oltre che col Quevedo,

in par-

leggono a capo, do-



i

letterati

Basile fu in

come si è congetturato di sopra, un madrigale, loda quale Vir-

pp. 43-4), col Villamediana, che, in

Mecenate insieme {Macìriali

gilio e

Bartolomé e Lupercio Leonardo quali cucinò

i

nomi

e,

et ode,

parte

anagrammi {Anagrammi,

in

II, p.

con

18), e

col figlio di costui Gabriele, dei

pp. 25-7) ^

Le

sette

poesie spagnuole, riprodotte nella grafia originale, sono queste

:

1.

Desdichada Alma mia, dime que

Acabaras

Por tan

[haras?

la

vida? No, a

fiera

Una fiera adorar siempre queras? No mas! Segheras quien te offende? No mas Amaras una ingrata No mas Llamaras quien te mata? No mas!

Ahi, duelo eterno,

Ahi, duro engano,

Que no pueden

Huya huya

Huya huya Tigre

No, a

Mis desdichas

!

llorar solo entre dos ?

Ahi, Dios! mil fueutes, ahi

aste dano.

Enganada Alma mia,

Una

este infierno.

Afligidos mis ojos, no pudeys vos

!

!

infiel

fé!

omicida? No. a fé!

[Dios!, dirne,

ameré

Essalar

Derramar

con tanta fé?

Ahi

fé!

Consumeras tus dias? No, a

mi tormento, quo

siento, ahi Dios

!,

triste suerte,

Cerca

fé!

lo

ahi DiosI,

cei'ca es la

muerte.

2. Si Si,

mi

que

Vida, sois

De vos

si,

si,

A

si,

No

de mi querida.

sola bivo

No me agrada

[^o» ^°'

[no, no.

Mi

1

yguala otra ermosura. No,

amante,

otro sembiante. No,

No

tu vista ardieute y pura se

desseo

Vos soys sola

No

mudar tan

mi esperan^a,

temeis de mi mudanva. No, fuerte

[no, no.

podrà tiempo ni muerte. No, no, no.

Agli Argensolas sono dirette due lettere di Giulio Cesare Ca-

paccio {Epistola.^, Napoli, 1616,

p.

28 sgg.^.

GIAMBATTISTA BASILE E

116

Alba

Senor, quien

Mengua ya Pues en Son

las

mayores

obras de tu fama.

flores,

pompa

Alcofar derrama

del prado

Tu

;

Al Alva

Embidiosa

A

la tienes.

El Alba a labrar

Tu

A

el

suelo

el

hombre adormido

ti

los

la gloria

haze salva.

Alva y el sol pinta y dora Quanto bay debaxo del polo,

:

despiertas el

sentido

Ella es aurora d'Apolo,

levantarse en

el cielo.

Y

Sigue

el

a Celia mia,

sol

Aunque negra noche

escura

el sol

vuestra ermosura,

mi

Celia, dulce

Apolo

Viendo

Que

No

Que

Y

Alba

os pienca su ghia,

Callo en balde mis enojos,

Que

se

muda

es la

lengua hablan [los ojos.

En

el

yo digo

silencio

El mal que en

el

alma

Que

del secreto

Son

estos ojòs testigo

Soy yo

siento,

tormento

del callar

;

amigo

Quanto puedo mis

el

sol

que otra aurora

Le precorre su contento, llora,

de zelo su contento,

es

Pues

vida,

Aurora ^

Y* antes etc.

Luego aprieta su partida, el

es de ti el

Sin Consuelo perlas

Sea de tinieblas cenida,

Viendo

;

ruyssenores,

Si el

Y antes que salga el alva sale el dia.

O

Alba,

el

gracias y mil favores

Tu, de valor coronado,

Recuerda

»

Como una fior de manana; Mas tu virtud soberana Nunca en su cumbre oscurece.

El Alba cine sus sienes

De

LI CUNTl

El Alva apenas parece,

te llama,

tus resplandores,

efecto

CUNTO DE

IL «

el sol,

a vos intento.

sigue qual solia,

le

antes etc.

Que

muda

se

etc.

Obedecerte quisiera.

Mi triste murir callando; Mas estos ojos llorando, Declaran que por

Sabe

el

Quien

Que

se

ti

muera.

mundo, aunque no quiera,

se lleva

muda

mis despojos; etc.

enojos.

1 Per la venuta del duca di Alba come viceré a Napoli Vigente MoRAVEL, capitano di fanteria spagnuola, pubblicò: A la venida del Exc.mo Sr. Duque de Alba al gohierno deste lìeyno, en Napoles, 1623

(Gallardo, Ensayo,

III, p. 885j.

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI

Xo

No duren mas

supe ya conocerte,

O

fuente de mi alegria,

Que

Si

no por desdicha mia

Le pena a mi

Quando yo vine a

Ya

te conozco, o

te conozco, o

Que en penas de

Ya

Ya

perdette.

mi

la

tus enojos,

mi

ofendi,

bida,

erra devida,

pagaron mis

La causa de tu

;

Que puede

cielo,

ojos.

disgusto,

sera bien justo

3^

Cumplir por mi

enfierno bivo.

te conozco, o

si te

Ahi, de mi llorado he tanto

mi bivo

Fuego, que tiemblo y velo

Ya

117

falta el llanto.

Acaben ya tus desdenes,

mi fuerte

Sostento, que soy cayda:

Acaben ya

Ya

te conozco, o

Antes que acabe en dolores

En

lo3

Tu Si

mi bida,

La Vida comò mis

bra^os de la muerte.

Confieso de

paz no huviera medida.

no tu guerra provara

Pero

el

Que

Que

Nunca su

Perdona està alma doliente:

desden eclisado.

rigores,

No hazeys que muera en dolores Mueva mi mal tu bondad, mi bida,

Si SQjs

mi alma,

Dadme,

o querida,

D'amor

la

Pues,

si

Tu

Filis,

le

niega.

De mis tormentos y danos, De mis mal logrados anos, Quando cansada estaràs? no mas, no mas

Filis,

Se duele

el

!

rio,

el

viento.

Del mal que siento:

palma.

Cruel sirena,

En darme

espera

piedad, piedad

gracia

Del dolor mio,

crueldad?

Cara

a quien s'arrepiente

el cielo

Se quexa

yo muera,

Que premio

:

Cara

piedad, piedad.

Filis,

Si soys

el oro.

Buelva, buelva a quien te ruega,

:

Cara

pecho;

el

fuego del mal echo

Ya conozco el bien passado. Ya que lloro el mal presente Ya desseo tu sol ardiente,

Acaben ya tus

bienes.

que adoro

De tu piedad prueve

no fuera empobrecida.

es de

ti

D'haver ofendido

:

Ni tu riqueca estimara, Si

tus rigores,

Cara !

Filis,

pena, no acabarasy

no mas, no mas?

118

GIAMBATTISTA BASILE E IL

CUNTO DE

de servirte deseo,

Si

Si

«

en adorarle m'empieo,

Porque desprecias mi Cara

Filis,

fé?

porqué porqué?

Que premio esquibo, Qua amargo fructo

De

ti

recibo,

Congoja y luto;

Pues

De

fiera

tali

Cara

muerte

quererte yo sufriré;

Filis,

porqué porqué?

LI C'UNTI

»

IV Poesie spaese di G. C. Cortese

Nella prima edizione, fatta nel 1636, della giornata quinta del

Cunto de nato

(si

li

cunti.

legge, in alcuni esemplari,

si

veda sopra

p.

Canzone de

da

Conziglio dato

50 n), \& seguente

come

lo Chiaiese

Decette a «

ad una persona che l'addemannaie qual

lo Chiaiese,

ommo

saputo Téccote no tornese, eie

e letterato

:

E dimme:

è buono l'essere nzorato? •• Bonissimo (diss'isso), a la bon'ora. Si tu non si' nzorato e tu te nzora « Aggio na gran paura (Io le decette) non desse de piatto A na mala ventura, Ed àuzate, se puoie, pò, da sso nietto: E di' eh' è pezza che se pò stracciare «

»



Ed

isso disse:

«

E

tu

non

te nzorare

».

« Se vao pe sti pentune, N'auzarraggio (diss'io) na spennazzoia, O farraggio a costiune E puosto ne sarraggio a na gaiola E nce vo bona agresta a scire fora! •• Ed isso me decette « E tu te nzora ;

:

«

Vorrà

accen-

Segsore Giulio Cesare Cortese.

i.o

vieglio nzorarese o sfare senza mogliere.

Che

si è

:

»

ire sforgi osa

che nge vorrà tutta la dote; Sarrà na schefenzosa, Che scariglia farrà chiù de na vota: Io me ntorzo e non pozzo comportare.... E tu non te nzorare Responnette isso:

(Diss'io),

•• ••

fosse

120

GIAMBATTISTA BASILE E «

CUNTO DE

IL «

LI CDNTI »

Starraggio sempre sulo puosto a no peritone,

(Io le decette), e

Insto

comm'a

cuculo,

Chiagnenno de menestra no voccone; Ca na mogliere te n'abbotta ogn'ora Diss'isso: «

Me

che iarranno pe

comme

».

la casa,

a coniglie;

Starraggio sempre maie drinto

Penzanno comme

Ed

».

Frate, adonca, e tu te nzora

farrà tanta figlie

(Io disse),

lusto

«

isso leprecaie:

l'aggio da «

No

te

la vrasa,

campare

nzorare

».

».

cado ammalato. na panata o no cx'istiero? * (Diss'io), e abbannonato So dall'amice comme a no sommiero. «

Ma,

me

Chi

se

fa

N'è meglio tanno, arrasso «

sia,

mora?

ch'io

S'è chesso (me respose), e tu te nzora «

-.

».

N'aggio granne appetito ma, s'have male cellevriello,

(Diss'io);

E me manna

a Gomito Chella che piglio, patre de l'agniello,

E

pò torno a Forcella ad abetare.... ». (diss'isso), e tu no te nzorare « Voglio proprio sapere (Diss'io), da te e' hai lietto lo Donato, «

Scumpe!

».

Dove m'aggio a tenere: Aggiome da nzorare o star squitato?

comme me resuorve, a la stess'ora, proveo de mogliere o de segnora » Disse Chiaiese tanno: « O ca pigile l'ammica o ca te nzui-e, Sempre baie quarche malanno. Ed baie cause de chianto e de dolure; E sto conziglio avere a mente puoie: Tutte so guaie, e piglia quale vuoie Ca,

Me

».

SCOMPETURA.

Ricompare qui un motivo

tradizionale, che era stato elaborato,

tra gli altri, dal Rabelais {Pantagruel. Ili, 9)

Giordano Bruno

{Il

di quest'ultima opera, data dallo la

nota a

p. 212.

e,

presso di noi, da

candelaio. V, 24). Si veda nella recente edizione

Ma

la

Spampanato

sconosciuta

(Bari, Laterza, 1909),

canzone del Cortese

è

tra

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI le

più vivaci e belle

variazioni

museo

Xapolitana del vertimenti che pigliar moglie dici pagine,

tiene

1

\

|

seguente

col

Dottor Pugliese



titolo

Dove

\

In Napoli

\

Istoria

:

si

Ridicolosii>sima

|

indendono

ad un giovane,

detto Dottore

il

\

(sic) gli

;

Parlale no iuorno a

infatti lo

d.,

(s.

la

e parafrasi in quarantaquattro

canzone del Cortese. Comincia,

av-

che desiderava

con licenza de' Superiori

con una rozza vignetta sul frontespizio)

una trasfusione

dottor

nella bi-

San Martino ho rinvenuto una rarissima

di

stampa del Seicento,

il

Aggiungo che

Chiaiese, ho già detto di sopra a p. 38. blioteca del

Chi fosse

tema.

del

ll'l

di do-

quale con-

ottave della

:

Dottor Pugliese,

Che utriusque iuris è dottorato: Per cortea me cercaie no tornese, Ca canoscette ca stea nnamorato Ed io li disse: « Te faccio le spese: Dimme si è buono ad essere nzorato :

Me

respose, decenno:

Si tu

non

si'

«

A

»

la buon'oi'a:

nzorato, e tu te nzora

>

Evidentemente, perdutasi memoria del dottor Chiaiese,

opportuno sostituirlo con un nome

si

trovò

diverso e di più facile interpe-

trazione.

due

Oltre la canzone,

si

proposta

al

sonetti,

leggono, nella stessa edizione del 1636,

Cortese e risposta di questo:

Tornatenne, Cortese,

Zo che de

le

e scaca priesto

vaiasse avisse scritto

Ca, se vedisse pe

;

na vota sdutto

Ste foretane, no starisse nsiesto. Ognuna addora cca de sottatiesto E non s'allorda quanno vace a mitto,

E

te danno no shiauro de zoffi-itto: Le tetelleca, e torna pe lo riesto. Prega no poco chessa Musa toia, Che te mmezza le crianze pesarise, Ca sarrai no poeta d'autro gusto: Autro grano avarrisse a la tremmoia, Autre strammuottole Nparnaso appise, Ca cca ne' è zuco e non fummo J'arrusto.

GIAMBATTISTA BASILE E

122

Passale

lo

IL «

CUNTO DE

LI CUNTI

tiempo, ch'io scriveva priesto:

Mo, frate, scacarrla quant'aggio scritto, Pe crepantlglla e pe bedere schitto Ca male fortuna no me leze a siesto. Stongo ielato, che nce vo no tlesto, Vedenno la vertù ch'è iuta a mitto: Ca manco na menestra de zofFritto Truove pe vierze penza mo lo riesto

A

ssi

E me

A me tria,

colano st'uocchie

pare che

il

il

1616

si

comme

:

arrusto.

primo sonetto non possa essere

Cesare Capaccio;

verso



vernoleia e canta a boglia toia, principe gran ne pesarise

Ashe panne a tagliare, e carape ngusto Ca io, perché è bacante la tremmoia. Lo colascione a no sammuco appise,

di Giulio

.

!

;

Tu

»

il

di altri

che

quale, dopo disgrazie sofferte in pa-

era recato presso

il

duca

di

Urbino France-

sco Maria Feltrio della Rovere, che era altresì signore di Pesaro, e restò colà fino intorno al 1623 (si rico-critiche

A

conferma

veda F. A.

degli storici napolitani, di

dallo Zito, che

ciò, si il

Soeia,

I,

sto-

p. 131).

legge nella difesa della Vaiasseide, fatta

Capaccio soleva raccontare che, quando egli

trovava ad Urbino, aio del principe ereditario,

poema

Memorie

Napoli, 1761, voi.

il

si

duca gustava diletto,

che

quasi ogni giorno ne voleva sentire cantare qualche ottava, e

pili

tanto

il

della

Vaiasseide, e ne

prendeva tanto

volte ne rimase maravigliato e stupito (op.

cit.,

p. 289).

II

DUE ILLUSTRAZIONI AL

VIAJE DEL PARNASO'» DEL CERVANTES

D&W Homenaje

à Menéndez y Pelayo en

el

ano vigésimo de su profesorado,

Estudios de erudición espanda (Madrid, V. Suarez, 1899), pp. 16.1-193.

voi. I,

Il Caporali, il

L'iinvenzione zie di Parnaso

Cervantes e Giulio Cesare Cortese

dei

Viaggi

ebbe, tra

Parnaso

in

Cinque

il

e

Noti-

e delle

Seicento, grande

fortuna nella letteratura italiana, la quale, in quel tempo,

dava ancora l'intonazione

moda

e la

Pareva un modo assai arguto

alle

europee.

altre

esporre concetti morali,

di

politici e letterari, elogi o satire di

persone e di cose. Chi

volesse rintracciare l'origine e seguire gli svolgimenti

di

quella invenzione, dovrebbe fare capo alla letteratura quattrocentesca, se

non anche spingersi alquanto più

per ridiscendere poi di questo e

i

al

principi del secolo seguente,

roso dei Viaggi di Parnaso in poesia

1

",

e

FASO, Ricerche letterarie fLivorno, 1897, (in Giorn. stor.

lett.

ital.,

XXVII,

e

«

trionfi

F.

279-299):

A. Belloni

.

di

Fof-

Marchesi

pp. 171-184)-, G. B.

pp. 78-93,:

;

gruppo numel'altro^ dei Rag-

Viaggi fantastici

Si vedano, intanto: F. Flami.m,

'

fine

il

nel voi. per Nozze Cian-Sappa Flandinet, pp.

poeti

in su

Cinquecento, raggiungere sulla

;ivi,

XXXI,

p. 377). 2 i

II

QcADKio menziona

[oltre quelli del Caporali e del

Cervantes)

Viaggi di Parnaso di Antonio Abbondanti di Imola 'Gazzette

pee di Parnaso, in terza rima. 1628), dell'Accademico di Niccolò Villani di Pisotia (1634) e di (ined. nella bibl.

pp. 561, 629).

Ambrosiana)

[Storia

e

memp-

Aideano, ossia

M. A. Virtuani

di

ragione di ogni poesia,

Piacenza

II,

parte

I,

DUE ILLUSTRAZIONI AL

126

«

VIAJE DEL PARNASO

»

guagli o Avvisi del Parnaso in prosa (massimo autore del

genere

il

Boccalini

'),

e seguirne le ultime manifestazioni,

Amenta

sul principio del Settecento, nelle opere di Niccola

e di altri ritardatari.

Nel qual tempo, fu

da nuove invenzioni, che servivano

me

ai

tolta

di seggio

medesimi scopi; co-

quella delle notizie dall'Asia e dei viaggiatori cinesi e

persiani, che ebbe la sua opera rappresentativa nelle Lettres

persanes del Montesquieu, Pure, niente di organico e vitale venne fuori dalle tante

composizioni, che presero a soggetto

il

Parnaso.

E

mondi immaginari hanno fecondità quando vivono nell'animo umano, sia per effetto ligione o di altra tradizione, sia come spontaneo è naturale. I

stibile

giare

la

cosa

estetica,

della ree irresi-

prodotto del nostro bisogno di foggiare e vagheg-

una

realtà superiore e diversa da quella che

abbiamo

innanzi nella vita quotidiana. Altrimente, non che ad ispirazioni serie,

non possono dare luogo neppure perché

allo spiritoso piacevoleggiare;

alla satira e

la satira e lo scherzo,

debbono rispondere a cose cui, non credendo noi, gli altri almeno credano, e le abbiano in qualche riverenza; tanto che interessino anche noi. Ma quale significato avevano per gli uomini di quel

per essere

tempo

efficaci,

e Apollo e le

Muse

Cavallo Pegaseo, e tutto

e il

il

Parnaso

l'Ippocrene e

e

il

resto? Quelle, che furono già

mitologie, erano diventate semplici metafore e forme di

metafore,

linguaggio. Pigliare sul serio le di

commozione

lirica o

era, proprio, trattare le

di

ombre come cosa

satireggiarvi intorno,

1

lo

Lope de Vega

doveva riuscire

salda. Scherzarvi di necessità

scrisse in prosa e in verso contro

elogiarono altri spagnuoli,

A. Farinelli, in Eevista

il

farne oggetto

rappresentazione drammatica,

Graciàn,

critica de hid.

imitazioni spagnuole dei Ragqucujlì,

y

cfr.

il

Quevedo,

liter.,

il il

Boccalini

una

:

de Mello:

gennaio 1896,

Antonio, Bibl. nova,

p. 43.

ma cfr.

Sa

II, p. 114.

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

I.

freddura. VeiTaiino ancora

momenti

storici

e

127

condizioni

com-

sociali e morali, in cui poeti e scrittori sospireranno

mossi

agli

splendidi Dei dell'Eliade, e Federico Schiller

comporrà Die Gotter Griechenlands, sofo-poeta Nietzsche ginosa.

Ma

i

e

il

recentissimo

suoi brani di prosa

codesti ritorni sentimentali

filo-

calda e imma-

non erano roba da

quei tempi. Tutt'al più, la materia mitologica poteva dare luogo, allora, a un umile prodotto artistico, a una parodia

appunto contro

letteraria, diretta

i

pedanti, che

vello.

com-

si

piacevano in quelle frigide invenzioni per manco

di cer-

Motivo tenue, e presto esaurito.

Senonché, pedanterie e freddure sono produzioni inevitabili

delle

letterature di

periodi di decadenza

;

tutti

i

tempi, e prevalenti nei

come accadde

in fatto delle figura-

quando

zioni del Parnaso, che furono coltivate e ammirate, la letteratura italiana scendeva la sua china.

Cervantes,

Il

quale non deve, di certo, all'ispira-

il

zione classica e italiana rario,

Sigismnnda e

il

la

Galatea,

il

lette-

Pérsiles

y

Viaje del Parnaso: ha indicato egli mede-

simo, più volte ^ a

meglio del suo bagaglio

il

perché sotto di essa scrisse

il

modello italiano, che

comporre quest'ultimo lavoro. Era, come

ponimento poetico, che

s'intitola

lo

aveva spinto

è noto,

similmente

com-

il

Viaggio

in

Parnaso, di Cesare Caporali, di Perugia.

Questo componimento è in terzine, diviso in due la

prima

un

altro

di vv. 295 e la

seconda

componimento, anche

titolato: Avvisi di

Parnaso.

prima volta nel 1582, con autore-. Che

1

il

Fu

altre

di vv. 532; e gli fa

in terzine, di

coda

vv. 505, in-

stampato, ch'io sappia,

Rime

la

piacevoli dello stesso

Cervantes potesse avere conosciuto

Nel principio del

parti,

in Italia

Viaje, e nelle Novelas ejemplares, jiretaz.

Pel testo, la vita dell'autore e la bibliografia, si veda l'ediz. Hime di Cesare Caporali perugino, diligentemente corrette colle os2

:

DUE ILLUSTRAZIONI AL

128 il

VIAJE DEL PARNASO

«

»

modo stesso Un ^quidam Caporal ita-

Caporali (1531-1601), è da escludere, già dal

ch'egli adopera nel

parlarne

De patria Perusino

liano,

ci

lo



que entiendo

ecc.).

»,

È

da

notare, per altro, che, per curiosa combinazione, entrambi gli scrittori

respirarono durante qualche tempo, a cosi dire,

giacché

la stessa aria;

il

Cervantes fu cameriere in

presso Giulio Acquaviva dei

duchi di Atri, creato cardi-

nale nel 1570 e morto a ventotto anni nel 1574^; e porali servi

il

Roma

fratello di Giulio, Ottavio

il

Ca-

Acquaviva, creato

poi, nel 1591, cardinale, e nel 1605 arcivescovo di Napoli;

dal quale ottenne

due volte

lianova, feudi della famiglia

Ma,

se dal

componimento

Atri e di Giuil governo di Acquaviva negli Abruzzi. del Caporali

Cervantes tolse

il

l'idea e qualche particolare, nell'insieme egli fece opera assai diversa, cosi per

E

altresì

otto

diviso in

tes,

il

contenuto come per

per l'estensione; giacché capitoli, è

per

svolgimento.

lo

poemetto del Cervan-

il

lo

meno

volte più

sei

lungo di quello del suo predecessore italiano. Disperato della vita delle corti,

il

Caporali delibera di

recarsi in Grecia, per mettersi in qualsiasi iìcio

più umile uf-

presso Apollo. Compra, dunque, una mula e

si

avvia.

Dopo un viaggio per mare, giunge in Grecia, a pie della montagna di Parnaso. Vede qui una grande turba di poeti, che si adoperano a scalare il monte, e, non riuscendovi, consegnano le loro carte scritte a un personaggio, eh' è il Dispregio;

il

quale

le

adopera a

usi,

che

il

tacere è bello.

Nelle radici del monte, scorge la buca della civetta, di cui il

Firenzuola pianse

la

morte. Gli appare

servazioni di Carlo Caporali. In questa

i

t.

e la

si

sua vita

aggiungono (in

Perugia,

Stamperia Augusta di Mario Riginaldi).

Sui rapporti del Cervantes con l'Acquaviva,

rel-Fatio, C. que,

Capriccio, che

nuova edizione

molte altre rime inedite dello stesso poeta 1770, nella

il

et

Vili, n.

les

3,

cardinaux Acquaviva luglio-settembre 1906,

et

si

veda ora A. Mo-

Colonna (in BuUeiin hispani-

p.

247 sgg.).

I.

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

1l'9

da guida pe*' mostrargli il Cavallo Pegaseo. Esibendo commendatizia del cardinal Ferdinando dei Medici (e, una

gli fa

cioè, di lina famiglia, e

Parnaso),

feudi in

che possedeva a buon diritto terre il

poeta ha libera l'entrata. Attra-

un giardino tutto erbe e piante, che canarmonia alla quale si unisce in vario stile e metro tano anche la sua mula, emettendo suoni al modo stesso del diaversa, in prima,

;

tili

gli

E

dantesco di Malebolge.

volo

mani

suoni, le dita delle

e spondei, e, facendosi

rompono guanti

mezzo

al poeta, in

a quei

e dei piedi si trasformano in dat-

qua più lunghi e

là più corti,

La seconda parte

del poemetto

e scarpe.

s'apre con la descrizione della bellezza di quel giardino, e

con l'incontro di un nuovo personaggio allegorico,

cenza poetica.

Il

la

Li-

poeta entra in un gran palazzo, di cui

racconta l'edificazione e descrive

la struttura,

materiata di

versi, strofe e altri elementi e specie di poesia. Il vecchio

rimatore Bonaggiunta da Lucca

lo

conduce a

rifocillarsi

dove incontra parecchi poeti anmoderni. Aspettando di essere ammesso a contemi gran padri delle Muse tosche », va a passeggiare

nella cucina di Parnaso, tichi e

plare

«

nell'orto, che offre alla sua osservazione altre cose curiose.

Finalmente, lette

commendatizie,

le

tere guardare dal cortile il

Petrarca tiene

la sinistra.

missione. il

il

Intanto,

Il

mezzo. Dante si

concede

i

il

di po-

triumvirato famoso, nel quale la destra e

il

Boccaccio

delibera favorevolmente sulla sua am-

poeta vede uscire da una consulta

Guidiccioni,

creto contro

il

gli si

Sadoleto,

poeti, che

il

il

Bembo,

Della Casa; riferisce un de-

adulano

i

principi ignoranti

;

in-

troduce abilmente le lodi di qualche letterato, come del Barga, e quelle dei principi medicei, significati con le tre M: « Medici delle 31use Mecenati ». Ma, quando sta per acconciarsi stabilmente in Parnaso, nasce una comica avventura della sua mula col Cavallo Pegaseo; il quale è

animato, a un tratto, da quegli

stessi ardori, pei quali

Ro-

DUE ILLUSTRAZIONI AL

130

VIAJE DEL PARNASO

«

cinante doveva destare

le

cho (^-Jamds

Eocinante, que

tal crei de

casta y tan pacifico

poeta si

le

maraviglie e

comò yo

»).

le

La mula

fermarla;

corre dietro per

lo

e,

»

scandalo di San-

por persona

tenia si



alla fuga;

il

correndo correndo,

trova fuori del Parnaso, dopo avere perduto, nella fuga,

le pianelle e gli stivali.

L'altro componimento. Avvisi di Parnaso, dà notizia di una guerra indetta da Apollo contro gli ignoranti, dell'elezione di Pietro Bembo a generale del mare, di una baruffa

successa tra

le

Prose e

i

Versi, e di altri fìnti avvenimenti,

che hanno carattere satirico contro le corti; quale, p. e., un matrimonio, che stava -per celebrarsi, tra la Corte e

don Vituperio.

Non

so

che alcuno abbia determinato con esattezza

luoghi del Caporali, che nel suo poemetto \ di Parnaso (e

Cervantes dovè tenere presenti pare che, appunto dagli Avvisi

non dal Viaggio),

guerra di Apollo contro il

il

A me

egli

cattivi

i

prendesse l'idea della

poeti, e degli

Dio mandava a raccogliere. Venendo

principio del poemetto

il

1

mula^ La Per altre

la

maggiore vivezza,

narrazione

fonti, si

veda

il

Fitzmaurice-Kelly, The

Juan de la Cueva (1585) (in Poèmes T. A. Wulf, Lund, Gleerup, 1887).

Sannio, di

2

I

ritratto

il

descrizione della galea, di Mercurio, tutta

life

de Cervantes Saavedra (London, 1892), pp. 219-50: cfr. anche

ed.

che

aiuti

ai particolari, nel

Cervantes riassume

del predecessore, e rifa, con

della

i

e acciò gl'interni

Pensier comunicar potessi seco,

da g'overni La qua], per quel ch'ella mi disse meco.

L' accapai da consigli e

;

Scese in Italia già con Carlo ottavo,

Con le bagaglio d' un trombetta greco. Avea una sella e finimento bravo, Era di coda lunga e vista corta, Nata di madre sarda e padre schiavo.

Viage de

inèdita de J. d.

languidi versi del Caporali sono questi: Comprai anco una mula,

of Miguel

il

l.

C,

I.

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

costrutta di versi, ebbe di

131

modello nel gìk ricordato Palazzo

il

Parnaso, che era fabbricato allo stesso modo:

Non

bugni era costrutta,

di rustici

Ma ben

in vece lor, s'io

non vaneggio,

D'amorosi terzin composta tutta. E quelle due canzoni d'un pareggio Perché la vita è breve, e la sorella Ch'incomincia: Gentil ynadonna, io veggio. :

Le servian per colonne; questa Sostenean l'architrave artifizioso

e quella

D'una sestina assai gentile e bella.... Con ordine pili breve e men noioso Facean poscia i sonetti il piedistallo. Componimento quadro e grazioso. In cima poi, con debito intervallo. Il

frontespizio tutto era composto

Di madrigali

e

canzoncin'a

ballo....

Altra somiglianza è nella descrizione del viaggio marittimo. e

Il

Caporali da Primaporta va a Roma, di

per mare a Napoli

là a Ostia,

:

Gaieta e Baia costeggiando varco,

E

di

Per

Pozzuol fin

calde e fetid' acque

le

che in grembo

Dico là dove

il

alle Sirene

',

sbarco

"^

;

furbo viver nacque.

Che con tanta creanza e gentilezza D'un mio tabarro molto si compiacque^: Gente a rubar fin dalla cuna avvezza.. Che, mentre sulle forche un se n'appicca.

Un

altro

ruba

al

boia una cavezza

*.

Passa, dipoi, innanzi a Stromboli e a Messina Corfii,

S.

Maura

e

Zante, giunge al golfo di Corinto.

por



bagni di Pozzuoli.

^

I celebri

2

Napoli.

3

Allude a un furto fattogli in Napoli, che

per disteso nelle note ^ed. *

e,

Aneddoto popolare.

cit.,

p. 389).

il

nipote Carlo racconta

DUE ILLUSTRAZIONI AL

132 Il

VIAJE DEL PARNASO

«

»

Cervantes, lasciata da parte Genova, e passata dipoi, la

costa romana, vede da lungi el aire

humo que

Del

el

:

condensado

Esti'ómbalo vomita,

De azufre y llamas y de Indi giung-e a Gaeta

orror formado

:

Vimonos en un punto en

Do

E

el paraje.

de Eneas piadoso

la nutriz

Hizo

'.

el forzoso

y ùltimo pasaje.

che gì 'ispira sentimenti ben diversi

di là a Napoli,

da quelli del Caporali

Yimos desde

:

alli

a poco el

Monte que encierra en

mas famoso

nuestro hemisfero,

si

Mas

gallardo a la vista y mas hermoso. Las cenizas de Titiro y Sincero Estàn en él, y puede ser por esto Nombrado eritre los montes por primero

1

Questo spostamento

nientemeno, prima

di

tazione poco accurata di ciò che dice

11

poeta

lo

chiama

cosi per le

il

poeta vede da lungi,

si

deve probabilmente a un'imi-

il

Caporali,

per altro, nel punto giusto del viaggio 2

che

di Stromboli,

giungere a Gaeta,

(I,

il

quale

prima,

tema

cfr.

tombe, che sono su quel

cini

E. Cocchia,

La tomba

(in Atti d. Accad. Pontan., voi.

La

e titolo

chiesa di S.

Maria

dei

due

del Parto

nobiliss., I, 1892, f. 5), e

XXIV).

Il

monte

C.

Man-

Posilipo dava

a uu libro dello spagnuolo Ceistóbal Suarez de Fi-

GUEROA, che per tanti anni visse a Napoli ción en los que

colle, di

di Virgilio (in Arch. stor. nap., voi.

tomba di lacobo Sannazaro (in Nap.

motivo

tombe

prediletto dei verseggiatori del Cinque e Seicento. Sulla

XIII, 1888): sulla seconda, B. Croce, e la

lo colloca,

vv. 61-9).

Virgilio e del Sannazaro: questo ravvicinamento delle poeti fu

"•

dura

Lazaro Scoriggio,

el

paseo, ded. al

1629).

è quella di Fr. Alvino,

La migliore La collina di

duca

{Posilijjo,

Ratos de conversa-

di Alcalà, en Nàpoles, por

descrizione della celebre collina Posilipo (Napoli, 1845).

I.

CAPORALI. CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

133

Luego se descubrió, donde echó el resto De su poder naturaleza amiga, De forma de otros muchos un compuesto. Yióse

De

À

la

pesadumbre

sin fatiga

la bella Parténope, sentada

mar, qua sus pies

la orlila del

De

castillos

y

liga,

torres coronada,

Por fuerte j por hermosa en igual gTado, Tenida, conocida y estimada ».

Ma nessuna
può

di

queste imitazioni, fette dal Cervantes,

dire, di certo, imitazione servile.

Viaje del Parnaso fu pubblicato nel 1614; e nel 1624

Il

ebbe una ristampa a Milano per opera di Giovan Battista Bidelo, che lo dedicava,

il

primo

di febbraio di quel-

don Antonio Rodriguez de Frechilla -. In per allora, non fu tradotto: e, solo nel secolo se-

l'anno, al signor italiano,

guente, Giambattista Conti ne volse alcuni brani in versi >ciolti

^.

anni dopo

Sette

1621, Giulio

tevolissimo

ottave:

1

Novo

puìiblicazione

la

del

Cervantes,

Cesare Cortese, metteva a stampa

poema

il

nel

suo. no-

in dialetto napoletano, in sette canti di

Viaggio di Parnaso^.

Allude

del mare.

al Castel S.

Carmine,

e del «

Caslelnovo

Elmo, che corona Napoli, e a quelli d^lTOvo, molte torri che cingevano la città dal lato Capuano, San Telmo que relucia » sono nomi-

e alle >/

nati nel romance di re Alfonso d'Aragona {Romane, general, ed. Duran, n. 1227;.

Embio pues a

2

V.

M.

el

Viaje del Parnaso, que hizo

famoso Miguel de Cervantes por sus gracias tan ster

que mi 3

e

Nel

Spagna

piuma

voi. VI, nel secolo

le

ensalze

iliistre

»

rimasto inedito, della sua Scelta:

XVIll:

el

que no tiene mene-

cfr.

V. Cia.n, Italia

G. B. Conti, ecc. (Torino, 1896}, pp. 336-8.

Viaggio di Parnasso di Giulio Cesake Cortese, dedicato all' Illustriss. Sig. Don Diego de Mendoza ^in Venetia, per Niccolò Misserini, 1621;. La ded., da Napoli, 7 settembre 1621, accompagnava una copia *

DUE ILLUSTRAZIONI AL

134 Il

dedicava

Cortese

«

VIAJE DEL PARNASO

»

sua opera a un don Diego de

la

Mendoza, ch'era anche poeta. Bisogna escludere che esso s'identifichi con quel capitano Diego de Mendoza de Barros, al

quale

si

trovano attribuiti alcuni

Flores de poetas ihcstres del 1605

componimenti nei

Certamente,

'.

Mendoza,

il

della dedica del Cortese, visse a Napoli, e fu tra tori,

fonda-

i

nel 1611, dell'Accademia ispano-italiana degli Oziosi,

sorta sotto gli auspici del conte di Lemos. Di lui

si

ha una

composizione nel volumetto delle Esequie della regina Margherita d'Austria

un sonetto

(Napoli, 1611);

Teatro delle glorie per Adriana

Basile (p. 78)

Mahso

sonetto in ispagnuolo al

ha un sonetto rivolto a un

Il

fatto

un viaggio

^ E, giacché don Diego

in

Ispagna (VII, 36);

poema, parecchie allusioni

dino di Apollo ragone,

a penna

il

»

;

cfr.

Il,

19,

venire in mente,

gli fa

passeggio del Prado e

» 3,

di

Manso Men-

è probabile che

i

e a cose

cfr. di sopra, in

spaglinole

(la ciaccona, le chiI,

40). Il

bel giar-

come termini

di pa-

giardini di Aranjuez:

«

intrinseco solamente vedere per domestico passatempo...

".

Pel Cortese,

questo volume, pp. 28-35.

Primera parte de

las flores

de poetas

y D. Francisco Rodiìiguez Makìn Ms. segn. XIII. C. 82, Tus

glorias,

ff.

ilustres

por D. Juan Quiuós

(Sevilla, 1896), pp. 368, 375.

218-9.

Comincia:

Manso, que explicar pretendo,

Cou desygaal estUo A mi

desseo,

Confuso admiro, y claraniente veo,

Quo vano 3

il

Havea pensato fra me stesso questo quinto Musa Napoletana di lasciarlo ad alcun amico più

dell'opera:

scherzo della mia

2

altro

personaggio della dedica cortesiana.

il

tarre alla spagnuola, ecc.

1

un

Cortese, nella sua faticosa ricerca di fortuna, aveva

ha, nel suo

»

e

«

dozza, figliuolo del Marchese della Valle costui sia proprio

;

legge in un manoscritto

si

della Biblioteca Nazionale di Napoli stesso,

italiano nel

efecto de imposible emprendo...

Poesie nomiche (Venezia, 1635), p. 101.

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

I.

Era lo Parco no bello giardino: Che Pardo, che Ranci uose de

Castiglia?.... (Il,

E

135

Ti.

mostra abbastanza bene informato di letteratura

si

spagnuola. Nella prefazione, accenna ai vanti che possono

addurre

Muse Spagnuole,

le

«

con l'autoretate de

lo

conte

de Salina [Villadrando de Sanniento], de Lope de Vega, de

VArziglla [Ercilla], de d'autre 'II,

Garzilasso^ de Voscano

[Boscan],

e

Anche un'altra volta, nel corso del suo poema nomina il Boscan. E, finalmente, parlando di un

».

16;,

convito dato da Apollo con imbandigione tutta di cose poetiche, ha questa ottava, contro la vecchia poesia

Cancloneros e in lode

Auzias March

delle

opere

dei

petrarcheggiante

del

:

Ecco n'oglia potrita a

la spagnola,

Fatta de stile antico castegliano,

Che

fece a chiù de quatto cannavola

Ma non piacette a chillo mantoano Ma de rape magnale na fella sola ^

i,

-

De

d'Usiasmarche

l'uorto

catalano,

seghediglie, romanze, endecce e retonniglie.

Lassanno l'elegie,

Grò se,

*

;

le

(V, 16).

Il

giudizio è quale solevano dare intorno

spagnuola

lirica

letterali italiani.

i

aggiungere che anche

il

Cortese

si

alla

vecchia

— Bisogna, finalmente, era

aggirato,

come

il

Cervantes, con fervore di speranze riuscite vane, intorno al

conte di

1

2

«

Che

Lemos

fé'

:

gola a molti



L'ambasciatore del duca

di

Mantov.i, venuto in Parnaso,

quale è parola nel poema. ^ ^

«

Mangiò

solo

Auzias March.

una

fetta di rape

>.

e del

DUE ILLUSTRAZIONI AL

136

A

De Lemos la Nmidia

De fareme Che

lo

VIAJE DEL PARNASO

me prommese

Tiempo,

e a lo

»

guerra

chillo conte, che fa

acquistare tanta terra

potesse fare a sto palese

Ecco se parte,

O

«

*

:

e sta speranza sferra.

Fortuna, contraria ad aute npresel

Lo frate puro ^ s'è de me scordato, Che m'avea de speranze nmottonato

^.

Nonostante tutte queste esteriori concordanze, che ren-

dono

assai probabile che

Cervantes

del

^,

•nell'opera sua;

egli

Cortese avesse tra

il

non

fa

menzione

mano

Viaje

poemetto

di questo

nella quale non è possibile

il

scoprire,

non

solo nel disegno e nella struttura generale, che sono diversissimi,

ma

neppure nei particolari, alcuna imitazione dal

poemetto spagnuolo. Cortese riconosce, invece, in certo modo, la sua

Il

fi-

liazione dal Caporali, che egli ricorda più volte, fingendo di averlo incontrato

sul Parnaso, e dal quale si fa prote-

una calda dichiarazione

stare

di amicizia

(I,

25, cfr. II, 6),

e guidare per la visita alla galleria di Apollo

anche dall'opera del Caporali,

appena

diversa:

allegoriche

terzine

moria, qua e

1

potrebbe

si

«

Che

là,

*

IV).

(e.

Ma,

profondamente

qualche

riscontro,

se mai, piuttosto che le

del perugino, essa richiama alla

potessi costruirmi

me-

il

al

mio

{palazzo in questo paese

quale

si

>

:

si

veda

allude.

Francesco de Castro, ambasciatore a Koma. che per tre volte

resse provvisoriamente "^

e,

è

certe descrizioni culinarie di Merlin Co-

più oltre, intorno al palazzo, 2

notare

accidentale, tra le due;

forse

sua

la

«

il

governo

Che mi aveva riempito

Si ricordi che

una imitazione

e cioè:

ha

»

Cortese è anche autore, come

di Eliodoro: leggendosi tra

naiDoletano, che

gkmunda,

il

di Napoli.

di speranze

le

il

sue opere

Cervantes, di

un romanzetto

titolo simile a quello dei Trabajos de Pérsiles

Li travagìiusi ammore de Ciullo

e

Perna.

y

Si-

I.

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

137

Richiama vagamente; perché, osservando meglio, an-

caio.

che in questi luoghi, l'ispirazione risulta personale e popolare.

Raffrontando sotto

rispetto artistico

il

i

di tutti

appare quello del primo.

riduce a qualche luogo cattivi poeti.

Per fare

Il

componimenti

tre

del Caporali, del Cervantes e del Cortese,

il

più scadente

pensiero è nullo:

si

comune contro le corti o contro poeti una satira contro le corti e i

i

avere, almeno per qualche istante, animo non da semplice cortigiano, e idee critiche sulla poesia, diverse da quelle correnti. Ma l'animo e il cervello sentiva egli stesso come umile del Caporali erano vuoti del tempo, bisognava

:

cortigiano ed era mediocre

Onde

poeta.

la

sua satira è

volgare, le sue frecciate sine khi; e non riesce a destare

neppure

interesse egli

in

qualche singolo punto. La forma, che

adopera, non ha nulla di individuale, ed è fiacca e derivazione di quella del Berni. Deve conside-

scolorita

rarsi triste

sintomo di decadenza che simili

cicalate, e

fi-

lastrocche, insulse e ineleganti, piacessero e trovassero diffusione,

ammirazione e imitazioni.

Se l'invenzione del Parnaso, per cipio,

difficilmente

si

le

ragioni dette a prin-

poteva prestare, a quei

un'opera d'arte seria o

satirica, ciò

tempi,

non impediva che

a il

poeta o scrittore, che l'adottava, potesse rifarsi della cattiva

adesione alla

moda dominante con la bellezza delle episodi. Non è raro il caso che l'onda

digressioni e degli poetica esca fuori impetuosa dallo stretto e disadatto canale, in cui

si

sunto a tema

musa

è voluto rinserrarla; e che ciò che

ispiratrice,

E, se in prosa,

il

si

si

principale, diventi, sotto la guida della

una cornice insignificante

ò as-

buona

e trascurabile.

Cervantes avesse scritto Ragguagli di Parnaso può, per cosi dire, giurare che tal fatto sarebbe

immancabilmente accaduto, e

la letteratura

spagnuola con-

terebbe altre pagine mirabili, simili a quelle di cui

si

ha

DUE ILLUSTRAZIONI AL

138

VIAJE DEL PARNASO

«

Ma

troppo breve saggio nella Adjunta al Parnaso ^

rompere

nel poemetto a

riesce

maglie della fredda allegoria

un'opera poetica?

e a creare

La

le

»

risposta

(nonostante

le

cervellotiche di

esaltazioni

qualcuno*), è stata già data concordemente dal gusto uni-

poema

versale e dalla sana critica. L'azione del nella guerra, che Apollo indice contro tato dai buoni,

mando

i

consiste

cattivi poeti, aiu-

che Mercurio, in un suo viaggio, viene chia-

a raccolta. Ma, poiché questi cattivi poeti non sono

(tranne che nel caso del sardo Lofrasso e di qualche altro)

individualmente nominati, e neanche ben caratterizzati per gruppi o espressi in personaggi

manca

rica

tipici,

tutta la parte sati-

perdendosi in generalità.

di efficacia,

I

lunghi

cataloghi elogiativi (che sono da paragonare a quei Trionfi di poeti e

Lodi di dame, usualissimi nella letteratura dal

trecento in poi, e di cui

si

il

un

Cerv\antes dette

sag-

altro

poco attraente, nel canto di Calliope della Galateo),

gio,

risolvono in

filze di

frasi

convenzionali, che sembrano

modo

nate dal bisogno di contornare in qualche

i

nomi

delle persone elogiate.

Per fortuna, accanto all'elemento satirico elogiativo, ve ne

ha un

altro, che, se

occupa

nell'opera, occupa la maggiore nel nostro

e

a quello

minor parte

animo

le

confes-

noi scorreremo

sempre

sioni autobiografiche dell'autore.

E

con mano impaziente

elaborale

le serie di

la

:

terzine, conte-

nenti la ingegnosa descrizione della galea di Mercurio, la visione della Vanagloria e quella della Poesia, e la muta-

zione fatta da Venere

*

«

Cervantes as poet

is

dei

Sanison

languidi

poeti

ivith his

immagine, conferma un antico giudizio

il

hair cut

in

»

.

zucche, e la

Con questa

Fitzmaurice-Kelly, op.

bella cit.,

p. 254. "

P.

e.,

del Bouterwecli

:

cfr. nel

dei giudizi finora dati intorno al

Fitzmaurice-Kelly,

Viaje.

1.

e, l'esame

I.

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

139

descrizione della battaglici e delle feste, per fermarci con

compiacimento

mezzo

addio,

terzine,

sulle

satirico, a

zione nel rivedere

il

nelle

quali

la

sua forte e gloriosa gioventù,

dove palpita

e.

:

fatata dei desi-

Apollo,

che, vedendolo

restare

È

sedere sulla cappa.

gliava di

motivi erano stati da

sti stessi

uno strumento

senza

hipócrìtas me-

qne hien hice

lo

l'umoristica osservazione,

tìnalmente,

suo carattere

il

De

contente ni satis/ice

Undres: nanamente Quise alahanzas de e,

sublimi: o

gì' ispira versi

deri della sua vecchiezza; o dove ci apre (p.

un

sua commo-

la

alla vista di Xapoli, isola

Jamas me

dj-i

mare, quel mare che, ricordandogli

ìk

«

poeta

il

Madrid; o esprime

risposta

in

seggio,

gli

*);

ad

consi-

vero, per altro, che quelui

più volte trattati con

assai più sensibile al suo tocco, con la sua

prosa semplice, vigorosa e arguta.

Per mia parte, non dubito

di affermare

che

poemetto

il

napoletano del Cortese, non solo vince di gran lunga quello

ma

del Caporali,

si

lascia

buon

indietro di un

tratto an-

che l'operetta minore del grandissimo spagnuolo.

Anche

dopo molte delusioni

mina a

una

fare

patite,

Berni e

discorsi e

il

per fuggire

visita al Parnaso. Vi

bene accolto da Apollo il

predecessori,

Cortese, a simiglianza dei suoi

il

e

le corti, si si

reca

deter-

infatti, ò

da alcuni poeti piacevoli come

Caporali, ha occasione d' intrattenersi in vari

di

assistere a vari

spettacoli;

ma

il

desiderio

della sua città natale lo tira con forza irresistibile, ed egli si

accommiata, fornito da Apollo

di

un utilissimo dono, che

per leggerezza perde, commutandolo con un altro più splendido, ma assai meno utile. Il poemetto non presenta stretta

connessione tra

le

singole parti, consta di elementi sva-

fraziona in una serie di episodi scherzosi, satirici e lirici, non tutti di egual valore, ma parecchi graziosi, e taluno veramente poetico. È un capriccio, e ha la riati, e si

forma del capriccio. Chi voglia intenderm- l'indole, deve

DUE ILLUSTRAZIONI AL

140

pensare (tenendo opera del

E

Heine.

il

periodo persino

»

romantico, come l'invenzione

Deutscliland dello

il

Parnaso diventa, in

del

componimento, per essere

il

dia-

d'intonazione popolare, mostra più spiccato quel

parodia letteraria, che

carattere di

come

VIAJE DEL PARNASO

debito conto delle differenze) a qualche

perché

esso, sopportabile, lettale e

«

si

è riconosciuto

solo motivo allora poeticnmente adoperabile di

il

quell'invenzione.

Analizzando sommariamente metto, ne

noteremo, anzitutto,

veramente

tale, e

porali.

È

vari ingredienti del poe-

i

il

concetto critico, ch'è

non già un luogo comune, come nel Ca-

noto che, in

mente del Cortese e poli una letteratura

per opera principal-

quegli anni,

amico

del suo

Basile, sorgeva in

Na-

dialettale, reazione dello spirito locale

del vecchio Regno, e dell'antica città greco-bizantina che

ne era divenuta capitale, contro

la poesia aulica e ufficiale

Toscana ^ Col suo poemetto, il l' ingresso in Parnaso

d'Italia, irradiantesi dalla

Cortese vuole giustificare e celebrare

aggiunge un si

e

A

poesia napoletana.

della

risolve, in sostanza, in

che

il

buon

siffatto

una vigorosa

«

un uomo

di

toscaneggiante e

»

il

contrasto di que-

'-;

in Par-

l'appoggio, che egli trova nel la

fredda commedia

le spiritose facezie della

recente maschera

;

paragone tra

il

seconde

Pulcinella, che tu

sii

la

l'alta

prima

Si veda, in questo voi.,

-

Porto,

il

delle quali

approvazione

benedetto!....

*

uno

;

maravigliano di vedere

si

napoletana del Pulcinella, le

difesa della libertà

barriere convenzionali.

concetto critico le liete accoglienze,

Porto

Borni e nel Caporali

condanna, e

le

dio Apollo fa al Cortese

sto coi poeti toscani, che

naso

si

perché quella giustificazione

indipendenza dell'arte contro

Rispondono a

interesse regionale

questo

altro, più largo,

saggio

I,

».

e. 2.

dei quartieri popolari di Napoli.

provoca

di Apollo:

«

la

O

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

I.

141

L'altro ingrediente consiste in un;! serie di scherzi e di novellette, in parte popolari, in



teraria.

Qiial è

non costa niente.



dele)? Quella che

non

risposte

parte di derivazione

migliore di tutti

il

Quale è cotta

è

la (e.

i

let-

vini? Quello che

bestia più cruda (cru-

A

II).

queste botte e

accompagnano (e. Y) le etimologie burlesche, bocca alle nove Muse, dei nomi delle monete: tal-

si

poste in

laroni, ducati, tornesi, patacche, carlini, doppie, e via di-

Un

cendo.

altro

motivo popolare, eh' è largamente svolto,

è l'esaltazione della ghiottoneria e dei cibi prelibati di Na-

La descrizione

poli.

del giardino di Apollo (e.

del palazzo delle fate

(e.

I)

e quella

VII) offrono qualcosa di simile

ai

Paesi di Cuccagna. Delle novellette, quella della moglie che tradisce

il

marito alla presenza e sotto

salendo sopra un albero di

gli occhi di questo,

fico (II, 30-41), è

popolare, e

fu gi;\ narrata dal Boccaccio (VII, 9). L'altra, dello spilorcio che, sul si

punto

godere una donna da

di

preoccupa del danno che può averne

lui corteggiata,

la

propria cappa,

donna, è anche narrata, con altre

e perde l'amore della

varianti, da parecchi novellieri. L'elogio delle corna, che

riempie tutto

il

canto quinto, aveva dato luogo a varie

composizioni durante
la

Paradoja de

il

los

Cinquecento; delle quali rioordorò cuernos di Gutierre de Cetina, edita

anno dall'amico Hazailas de la Rua, e il caloor del cuerno di Diego Hurtado de Mendoza.

or è qualche pitolo

En

Di minore interesse sono

che

il

i

simboli scherzosi della galhria,

poeta descrive nel canto quinto, e

Febo, con

le

il

proci-sso

varie decisioni sui vari casi che sono presen-

temi comuni nella Icttcratur.i tempo, benché qui rinnovati e rinfrescati alquanto. tati al

Ma

suo tribunale:

dal popolo

guaggio,

di

il

le facezie e

Cortese non toglieva solanu-ntf i

tratti

di costumi,

si

anche

il

i

<1«I

lin-

pro-

dotti dell'immaginazione, le fiabe e la popolare mitologia

delle fate e degli oggetti fatati. Egli era,

come

si

ì-

drtto,

DUE ILLUSTRAZIONI AL

142

ramico intimo

VIAJE DEL PARNASO

«

»

che nello stesso tempo nar-

di quel Basile,

rava pel primo in Europa (prima assai del francese Perrault),

con schiettezza di

stile,

Di questa predilezione per per

la

popolari.

le fiabe l'

immaginativa popolare

mitologia viva, è tutta colorita l'altra parte, che

e si

può discernere nel suo Viaggio di Parnaso, e che, come in quello del Cervantes, non è la meno attraente: la parte autobiografica. Anzi,

presentano

i

ritrassero

simile

:

potrebbe dire che qualcosa di simile

si

due uomini, quali

caratteri dei

nell'umorismo, nel

scherzoso onde narrano

modo

essi

stessi si

rassegnato e

contrarietà da essi sofferte, nella

le

consolazione che loro provicene dalla propria bonarietà e

mitezza d'animo e dal culto per biografica dell'opera del Cortese

la poesia.

si

La

parte auto-

ha, specialmente, nell'ul-

timo canto; nel quale egli racconta del dono, che Apollo dette nell'accommiatarlo dal Parnaso.

naso e

Ma

Apollo e

il

gli

Par-

pedantesco macchinario della mitolo-

l'artitìzioso e

gia letteraria sono qui, di fatto, aboliti. Ci troviamo nel

mondo, ben diverso, primo canto, per (I,

le

il

della

fiaba

popolare.

Come

già, nel

Cortese trasporta sul Parnaso l'asino, che

vie del ventre mette fuori

i

bei

poemi napoletani

27-8), fratello del notissimo asino che, nelle fiabe,

evacua

fiammanti monete d'oro; cosi immagina, ora, che Apollo doni un tovagliuolo incantato,

gli

sia, offre

il

quale, spiegato che

una mensa riccamente imbandita ^. Il dono che fanno, non già Apollo, ma, per l'appunto,

subito

è di quelli

le fate delle fiabe.

ché, per esso,

E

aveva

il

poeta poteva esserne contento, giac-

bell'e

provveduto

alle necessità

mate-

impunemente » — sembra che il Cortese voglia dire. E, dopo un po' ch'egli è partito di Parnaso, avendo incontrato un giovane che

riali

1

della sua vita.

II

curiti (I,

Ma

«

tovagliuolo e l'asino 1).

non

«

si

è poeti

cacaure

»

;

sono anche nel Canto de

li

CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE

I.

143

possedeva un altro dono largito dalle fate (per gratitudine

impedimento posto all'uccisione

dell'

una

poi

un

fata), ossia

di

una

ceva sorgere a un tratto un palagio

namora, a mo' suo.

Ed

bambino,

di

lucertola, ch'era

coltello che, piantato in terra, fa-

e

stupendo, se ne in-

s'affretta

a cambiarlo col

eccolo soffrente di nuovo la fame, e fornito di un

oggetto prodigioso, che non

mondo, sperando struirvi sopra

È

ascolto ^

il

di

serve a nulla. Gira pel

gli

un pezzo

ottenere

di

ma

suo mirabile palagio;

terra,

nessuno

da cogli



stato in Ispagna, è stato a Firenze, ha sperato

Lemos, nel

nel conte di

fratello di

don Francesco de

lui

Castro; sempre invano. Udite com'egli vaneggia:



un pezzo

di

terra verso

che bel castello vorrei farmi



Nel quale

Potessi almeno ]prendere a censo

Capodimonte

!



Oh

entrerebbe per un ponte! di



mura

E mi



Tutto intorno intorno

un

conte.

ma

in qual palazzo poi abiti?

son pazzo

« Si,

che mangi poi?

mi

mi



dette

sperto



»





Ad

stare

Alla gente che

ogni bene mi

questo coltello!

E

fa

fa uscire di cervello,

parire pazzo castello.

si

circonderei

»

Ne



« Si, Lo vendo, e mangio faccio un altro!.... Ohimè,

!

Questo pensiero mi pensiero

lo

accomoderei dentro, a far vita beata, come

ci

ma





è

lontano dalla Musa,



E

mi vede pensare sempre chiusa la porta:

Cosi accade

la sciorte

dice:

s

A

lo spetale,

-.

mia

Pe fare a quarche parte sto castiello Ma chesca tene ognuno eh' è pazzia,

E



o poveriello

;

1

>

(VII, 36).

Macaro

me

potesse cenzoare

Quarcosa nmiero de Capo de monte

Oh che

A

Questo

bello castiello vorria fare,

dove se trasesso pe no ponte!

!

al

mio

Maledetto chi

chi è sciocco

a

cerca miglior pane che di grano

Dovouca vao, tento



questo pensiero mi fa ap-

e

ine-

144

DUE ILLUSTRAZIONI AL

Con questa ben

«

VIAJE DEL PARNASO

d'immaginazione po-

riuscita fusione

polare e di lirica individuale chiude

suo Viaggio di Parnaso

E «

sue confessioni e

le

secentista napoletano Cortese.

il

Tutto de ntuorno

lo

vorria murare,

po' starence dintro corame a conte.

Che magne

Po' stale »?

po' »?

Ne

Lo venno.

faccio n'autro...

«

E

a che palazzo

Ohimè, so pazzo.

Sto penziero m'allarga da la Musa,

Chisto scire

me

fa de cellevriello,

E

chisto pe frenetico m'accusa

A

tutte ore

Ad

pensanno a

ogni bene m'è

Mannaggia chi me

sto castiello.

la porta chiusa; (leze sto cortiello!

Cossi va chi è catarchio ed è pacchiano

E

»

cerca meglio pane che de grano. (VII, 40-1).

il

II

Viaggio ideale del Cervantes a Napoli nel 1012

II1 Cervantes, quando compose il T7a/e aveva gli occhi, il desiderio e le speranze

Parnaso.

del

verso

rivolti

Napoli In questa città

Lemos, insieme con

gli

letteraria spagnuola

marchese

scambi tra

Fu

e

]\Ianso,

tempo, dal

l'accademia degli

due nazioni

promosse

e

adempiendo un disequando

;

sulla fine del secolo precedente,

illustrata già dal Pellicer, Ensayo de una hibliotheca de tra-

ductores espanoles ^Madrid, 1778)

203 sgg., 479; J.

;

M. Asensio, El

cfr.

Baurera, Cafdlogo, pp.

conde di Lemos

24, 128-9,

de Cervantes

j^i'oleclor

(Madrid, 1880); E. Cotarelo, El conde de Villamediana ^Madrid, e.

gora bramava

di seguire

netti,

che cominciano:

liricos

de Si

los siylos

veda

il

Lemos I,

se

si

lS8b;,

va v Napóles

»

il

(in Puetas

pp. 443, 457, cfr. 442\

D'Alessandro, Academùe ac Ociosorum Ulri III

Riccio, Cenno delle accad. (in Arch.

V, pp. 147-158;

;

stor.

per

le

C. Padiglione, Le leggi dell'accademia degli

Oziosi (Napoli, Giannini, 1878); e

Nazion. di Napoli.

in Napoli:

El conde mi senor

y XVII,

libro del

(1613); e cfr. Mikieki 2}rov. nap.,

«

XVI

il

Anche

Gónvedano due suoi so-

3; Croce, Teatri di Napoli (Napoli, 1891), pp. 88-93.

2

di

con un'intera colonia

fu fondata, in quel

due letterature

gno invano tentato

1

Qui

'.

letterati delle

i

le

Argensolas

Giambattista

di Villa,

Oziosi, che riunì gli

era recato, nel giugno 1610, in qua-

si

don Fedro Fernandez de Castro, conte

di viceré

lità

il

ms. citato, XIII. G. 82, della Bibl.

DUE ILLUSTRAZIONI AL

146

marchese

il

»

San Lucido, Ferrante Carafa, nel 1583, sotto di Ossuna (primo di questo nome, tra

di

governo del duca

il i

VIAJE DEL PARNASO

«

viceré di Napoli) aveva proposto l'istituzione di un'acca-

demia dei

Sereni Ardenti di Cristo e di Maria, dell'Au-

«

stria e dei Gironi

per

»,

si

mezzo mezzo

come

lettere

delle

armi

delle

unire (egli diceva) queste due

«

conformi in tutte

famosissime Esperie,

Per intendere

».

le

prima volta

la

loro azioni, col

unirono col

si

curioso titolo dell'ac-

il

cademia, disegnata dal San Lucido, bisogna sapere che Sereni e

Ardenti erano state

gli

le

Toledo per sospetto

nistiche, sciolte dal viceré Pietro di

conciliaboli ereticali e antispagnuoli

a ripristinare a Napoli quelle

poco come, circa fipìritìtali e

lo stesso

tempo,

del Cinquecento

erano

poco letterati; e

lo stesso

in

stati,

vollero correggere

vecchi nomi, press'

i

elaboravano

si

Boccacci morali. Del resto,

i

di

cosicché, nel pensare

;

societc'i, si

cattolicamente e spagnolescamente

i

ultime accademie uma-

i

Petrarca

viceré spagnuoli

i

genere, molto militari e

marchese

San Lucido racconta uno dei

di

che, essendosi recato con alcuni gentiluomini da

predecessori (del quale tace dergli

es

permesso

il

ascoltata

di

»

fondare un'

;

la richiesta,

so ^ ila, in séguito, le cose

anche

nome) «

dell'

domandò:

mutarono.

di frequente letterati spagnuoli

nel 1607, c'era Guillcn

navente ebbe

Ossuna, a chie-

accademia

quegli,

»,

Bien. ^ Qué onde quei bravi letterati restarono di sas-

gravemente

académia?

il

uflicio di

:

A

«

Napoli vennero

prima del Lemos,

de Castro, che dal conte di Begovernatore

della

terra di

Sci-

gliano in Calabria-; dopo del Lemos, col secondo duca di

1

Doc. in appendice al Guerra, Giomali, ed.

Montemaj'or, pp.

183-5. 2

1606-8,

Doc. nell'Arch. di Stato di Napoli, f.

99

B.

;

cfr.

Officior.

Mérimée, in Eevue hispanique,

Collaterale, voi. II, I (1894),

p.

84.

VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL

II.

Ossuna, vi sogg-iornò a lungo

Lemos,

si

Quevedo

il

stamparono anche a Napoli

'.

Al

1(>12

147

tempo

del

parecclii

notevoli

spagnuoli. Giircia de Barrionuevo pubblicò nel 1616

libri

un Panegirico

Lemos, in latino, in un gran volume, che è accompagnato dalle piante e vedute degli edilizi fatti del

costruire in Napoli da quel viceré; Fedro Ceron, un Tra-

tado de la musica theorica y practica, e il frate Damian Alvarez, una traduzione delle Lagrime di San Pietro del Tansillo, entrambi nel 1613; l'editore Roncagliolo,

y Fuenllana

Roseli

il

e,

in quello stesso anno, per

madrileno sergente maggiore Diego

Primera parte de varias aplicaciones

la

y transformaciones, las quales tirictan términos cortesanos, militar, y cosas de Estado, en prosa g verso, con nuevos hieroglificos y algunos punfos morales Innanzi al volume, si leggeva un sonetto del Cervantes all'iiutore.

practica

'-.

Non sembra,

per altro, che, in quell'anno 1612,

vantes fosse molto noto in

1

di

si

a scoprire

le

relazione con

Manriquez (Caterina,

nome

doveva portare

Ispagna

in

mila ducati, ricevendone

Roma

il Quevedo, per mezzo una cortigiana, giungesse

per informare

di

«

il

«

donativo

>

lui per tal ufficio

il

amante

poi

di

s.

I,

voi.

Filippo IV, e

Reginella »}; nel marzo 1617, di

un milione

IX, pp. 487-9,

505, 508).

il

e

Quevedo dugento-

ottomila; nell'aprile,

papa circa l'invio

di galeoni che

aveva fatto nel mare dei veneziani (Zazzera, Giornali, italiano,

monogra-

traggono dallo Zaz-

malie e stregonerie, macchinate contro l'Ossuna dalla

e figliuola

nota a Napoli col

a

si

narra a lungo come

un suo parente che aveva

madre

raccolte nella

lui, e

Mérimée, sono da aggiungere quelle che

zera; dove (ottobre 1616)

spagnuoli.

Italia, fuori dei circoli

Alle notizie già conosciute intorno a

fia del

Cer-

il

Un

si

recò

l'Ossuna

nell'^4rc/i. stor.

breve di Urbano Vili a

favore del Quevedo fu edito da F. Eyssenhardt, Mittheil. aus der StadtBibliothek zu Haviburg (voi. 2

Di questo

libro fa

I,

1884).

menzione Lope de Veoa

nelle novelle:

«

Don

Diego Roseli y Fuenllana, un caballero que se llamaca alfcrez de las partes de Espana, y que imprimió en Napoles un libro de Aplicacionea, que no deberia estar sin él niìigun hipocondriaco

»

DUE ILLUSTRAZIONI AL

148

Don

Della traduzione del

«

»

Lorenzo Franciosini,

Quijote, di

prima parte usci nel 1622,

la

VIAJE DEL PARNASO

seconda nel 1625; quella

la

dovuta a un francese, Guglielmo Alessandro

delle Novelas,

de Novilieri Clavelli, è del 1626, e dello stesso anno

la tra-

duzione del Pérsiles di Francesco Ellio: segui, l'anno dopo, un'altra versione delie novelle, di Donato Fontana (Milano, 1627).

La prima menzione

Don

italiana del

Quijote, a

me

nota, è quella del Tassoni nella Secchia rapita (scritta nel 1615,

ma

Culag-na,

pubblicata nel 1622), dove

noverando

i

Quel Don Chisotto in armi Principe

Generò

il

burlesco conte di

propri antenati, dice: sovrano.

si

deg'li erranti e degli eroi,

di straniera inclita

Don Flegetonte

il

bel,

madre

che fa mio padre. (IX, 72).

E, negli apparecchi del duello con Titta, fra coloro che

accompagnano

il

conte di Culagna recandogli

i

vari pezzi

dell'armatura, è anche chi porta

Il

il brando fino. brando famosissimo e perfetto

Di Don Chisotto (XI, 33).

Una menzione

esplicita

dell'eifetto

satirico

del

Don

Quijote s'incontra poi, a mia notizia, per la prima volta nei

dialoghi II forastiei'o

del

letterato

napoletano Giulio

Cesare Capaccio; dove, discorrendosi dell' importanza della storia e dei si

osserva:

«

«

signori che se la fan coi libri di cavalleria

È

leggono l'istoria maestra della vita, so che possa sapere

corse nel di ciò

mondo

un che non

in tanti

ma

l'aborriscono.

Cavaliero della

Non

sa le cose universali, oc-

eventi che soli ponno istruirci

che desideriamo. Basta che perdano

baie del

»

gran mancamento questo che, non solo non

Croce.

il

tempo con

le

Sia benedetto D. Chi-

VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL

II.

bciotte de la Mag'na, che (li

si. burla

cosi gentilmente

chi fu autore di quelle scritture!

Tornando

al

Viaje

il

'.

come abbiamo

del desiderio, che,

Cervantes, di

raggiungere Napoli per

Lemos. Quando,

sul vascello di Mercurio,

detto, riscaldava

vivere presso

»

Parnaso, anche quest'opera è

del

tutta piena e fremente

140

IGl'J

il

egli passa dinanzi alla bella Partenope,

si

è giù. udito con

quali accenti ne parli. [Mercurio lo invita allora a scendere

a terra per recare un'ambasciata ai il

fratelli

Argensolas; e

poeta prorompe in lamenti contro questi due amici, che

lo hanno dimenticato. Nel dare la battaglia, Apollo si vale come arme delle composizioni degli Argensolas. Ottenutasi la vittoria, nella

distribuzione dei premi, delle

rone

mas

tre, « de las

Ma

quell'aspirazione, che fu l'ultima della sua vita,

ceve più vivace espressione sulla Il

nove

co-

sono mandate a Partenope.

bellas >,

fine del

ri-

poema.

poeta immagina di cadere, per opera di Morfeo,

un profondo sonno. Quando intorno,

«

parecióme

»,

si

in

sveglia, e gira lo sguardo

egli dice:

Verme en medio de una ciudad famosa.

G. C. Capaccio,

1

Il forastiero,

del 1630), p. 279. [Con

nuove

dialogi (Napoli, 1634: la dedica è

ricerche, discorre

ampiamente

della For-

tuna del Cervantes in Italia nel Seicento Eugenio Mele, negli Studi di lologia

Don

moderna

Quijole

(II,

fi-

1909, pp. 229-255), in cui sono raccolti accenni al

da opere del bolognese Adriano Banchieri

(1627), di

Carlo

Dottori (1652), di Antonio Santacroce (1653), dell'Aprosio (1658\ e di altri. Una « breve e pallida imitazione • della novella del « Curioso indiscreto

»

notò nella Roccella espugnata

(1630), di

Francesco Bracciolini,

M. Barbi, Notizia della vita e delle opere di F. B. (Firenze, Sansoni, 1897, p. 127). Aggiungo altresì che, nel Seicento, si trova già, in Italia, il verbo

«

chisciotteggiare

»

:

Quando

Antonio Muscettola,

cfr.

Epistole familiari

Penso, e più volte a ripensar ritorno, noi, per pescar Monsurri insani, Chisciotteggiamrao a

(Napoli, Bulifon, 1678, p. 24):

tant' arbusti intorno

>].

.

DUE ILLUSTRAZIONI AL

150

Vince

lo

VIAJE DEL PARNASO

«

stupore, guarda e riguarda:

Y

mi mismo

dijenie à

:

«

No me engano

Està ciudad es Nàpoles la ilustre, Que yo pisé sus ruas mas de un ano

Questo bre 1572

e vi era

*,

per seguire don Tunisi

pagnia

ancora

di

'alino seguente, e di qui

l

Lope de Figueroa

i

;

^.

moti di quella repubblica, tornò a Napoli

1575, quando, imbarcatosi per la col fratello Rodrigo, in

mano

il

soccorso della

il

Goletta, ritornando nell'ottobre. Qui (salvo

lermo nel novembre*), rimase ancora

A

di

ma nel febbraio e marzo del Dopo un'escursione a Genova

24 agosto, col Figueroa, e ne riparti per

il

mosse

passò poi in Sai^degna con la com-

1574 era di nuovo in Napoli

per pacificare

il

26 otto-

il

Giovanni d'Austria nella spedizione

Da Palermo

-.

1572 e

il

Cervantes giunse a Napoli

il

:

».

soggiorno ebbe luogo tra

effettivo

sa che

1575. Si

»

una gita

fino al 20

a Pa-

settembre

Spagna, cadde, insieme

dei corsari.

prestare fede ad alcuni documenti, editi dal Conforti

^,

Cervantes sarebbe stato a Napoli già nel 1571 e avrebbe

avuto un piccolo impiego presso terale,

Ma, venuto

il

Regio Consiglio Colla-

in sospetto intorno a essi

ed essendomi

recato a verificarne gli originali nell'Archivio di Stato di Napoli, ho trovato che tre di essi riguardano

1

Navariiete, Vita de Cervantes (Madrid, 1819),

2

Si

veda VEpistola poetica

al

un

tal

Mi-

p. 294.

Vàzquez, segretario

di

Filippo

II

(ed. Cotarelo, p. 17). 2

Navarrete, op.

^

Perez Pastor, Doann.

^

Luigi Conforti, I napoletani a Lepanto, ricerche storiche (Napoli,

1886), e.

5.

La

cit.,

p. 295.

cervant,, nn. II, VII.

notizia del Conforti

la bataille de

Lépante (Parigi, 1888,

ritrova nel Fitzmaurice-Kelly,

si

Life of Cervantes, e nel Juriex de la

Gravière, La guerre de Chipre

II,

p. 217).

et

VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL 1G12 lól

II.

chele Cerdaiit, ch'era portatore di

con

mazza

mese;

lo stipendio di tre ducati al

del

e

Collaterale,

quarto un Ro-

il

drigo de Cervantes, che riceveva quattro ducati

al

mese

per ordine dato dal duca d'Alba e che non sembra fosse

l'omonimo

fratello del poeta

con qualche diligenza

Soggiungo che ho percorso

*.

volumi delle Cedole di

i

dell'Archivio di Xapoli dal 1571 nelle

lunghe serie

tesoreria

senza incontrare,

di soldati spagnuoli, quello, glo-

Michele Cervantes.

rioso, di

soggiorno d'Italia aveva lasciato molte tracce nella

11

memoria

del Cervantes. Ma, restringendomi a ciò che

ri-

nome

di

guarda Napoli, «

nomi

di

al 1575,

Xisida

»,

ricoi'derò nella Galatea

(1.

il

nativa di Xapoli, eh' è suggerito dalla vaga

ficata dai poeti napoletani

V

Quattro

del

e

Cinquecento; e

quello del vecchio e savio

e VI,

iso-

variamente personi-

letta presso Posilipo, tanto celebrata e

nei libri

II)

Telesio

«

»,

suggerito, per quel che sembra, dalla fama del filosofo co-

Don

sentino Bernardino

Telesio. Nel

del capraio

Napoli è detta

1

Me

«

51),

(I,

allieta

ho potuto rendere

il

pensiero 'scrive

memoria

alla

menti che attestano

mas

Conforti) che

di tanto scrittore,

rica

un

luglio 1572.

«

;/

lieve

mas

omaggio

«

(!). 11

3fi7

delle

primo

A M. de Cervantes

2 sono com. pag.si per sua prov.ne del mese di settembre 1571

Esso è tratto dal voi.

vi-

pubblicando docu-

valore e la nobiltà del suo animo

il

doc. è dal Conforti riferito cosi: tt.

il

Quijote, nel racconto

« la



,

d. 4

ecc.

Cedole di tesoreria, a. 1572, parte III.

giugno 1572: e dice invece: « A B.co de Cervantes d. 4 tt. 2 si sono comandati pagar per sua provvisione » ecc. Dal confronto col voi. 376, anno 1574, f. 625 risulta chiaro che si tratta di un « Rodof.

569,

,

rico o

Rodrigo

.

.

voi. cit.,

f.

519

b.,

240-1, 294; cfr. voi. 363, a. 1571,

f.

241

b.)

Negli altri docc. (che

voi. 365, a. 1572, parte II,

ff.

è scritto con adorabile chiarezza: riosità si

che nel voi. 372,

legge

il

compagnia

nome

di

un

a. «

1573

(f.

«

si

trovano nel

Michele Cerdant

471

b.),

••

Noto per cu-

e voi. 376, a. 1574 J. 589),

Giulio Cesare de Cervantes

•,

ch'era della

Trevico. dei cavalleggeri di Cecco Loffredo, marchese di

DUE ILLUSTRAZIONI AL

152

«

VIAJE DEL PARNASO

dosa ciudad que hahia en todo anche

(II,

17),

mundo

»

\ Ivi

s'incontra notizia della leggenda del Pe-

sce Niccolò, che

ma

universo

el

»

poeta potè trovare nei

il

libri del Mejia,

che probabilmente senti raccontare a Messina, donde

dove ha un monumento nel

è originaria, o a Napoli,

detto bassorilievo di Orione^. Si

quattro damigelle insaponarono la faccia dell'eroe Zina redonda pella de

pone per

la

jabón napolitano

altri,

il

(IV, 7, 13).

povero soldato in novelle,

La

Ma

Italia, si

i

de

enganos de

trovano specialmente nelle due

fuerza de la sangre, ed El licenciado Vidriera.

ndbale bien aquel: Ecco et salcicce, coìi otros se

los

los filos

ricordi della vita del poeta,

Nella prima, di Rodolfo, che va in Italia,

dados

tìo-

homhre acuchiUador,

«

cuya hacienda Vibrava en

su espada, en la agilidad de sus manos y en »

32); quel sa-

(II,

^.

bravaccio e-ruffiano,

irnpaciente, facinoroso,

HipóUta...

le

con

Nel Férsiles y Sigismunda è, personaggio di un Pirro, calabrese, cava-

rente, della città di Napoli tra gli

»

«

barba, eh' è antica industria, ancora oggi

liere d'industria,

cosi

rammenterà anche che

li

si

dice:

«

So-

buoni polastri, piccioni, presutti

nombres deste jaez, de quien

los sol-

acuerdan citando de aquellas partes vienen a

éstas,

y pasan por la estrecheza é incomodìdades de las ventas y mesones de Espaha ». Nella seconda, sono altri ricordi

1

«

Sancho 2

La Trinidad de Gaeta (II,

»

x'isuona più volte nelle esclamazioni di

22, 41).

Sulla leggenda di Niccolò Pesce e un'antica storia popolare spa-

gnuola,

si

veda un mio scritto nella rivista

Napoli

:

V,

nobiliss. (voi.

1896, fase. 5, 6, 9). 3

Nel Don Quijote

(II,

60) si parla di

mujer del Regente de la Vicaria de Ndpoles si

»

«

.

dona Gtijomar de

Un

QuifioneSf

reggente Quinones non

trova notato nel libro di N. Toppi, Catalogus cunctorum regentiimi

judicum Magnai Curici

Vicarici;

(Napoli, 1666);

ma,

forse,

il

cognome

dicato dal Cervantes era quello della famiglia della moglie.

et

in-

II.

VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL

Iti

12

153

delle osterie italiane \ e delle bellezze delle principali città d'Italia. Napoli vi è detta:

han

fodos cuantos la todo

mundo

el

visto,

«

ciiidad a su parecer, y al de

la

mejor de Europa, y aun de

».

Con questi

concordano

elogi,

le

due enfatiche terzine,

che seguono,- nel Viaje del Parnaso, a quella che abbiamo riferita di sopra:

De Italia gloria y aun del mundo lustre, Pues de cuantas ciudades él encierra, Ninguna puede haber que asi le ilustre; la paz, dura en la guerra, abundancia y la nobleza

Apacible en

Madre de

De

Ma

la

campos y agradable

eli'seos

poeta non riconosce, ora,

il

Che cosa

la

Sierra.

Napoli di una volta.

dunque, accaduto?

è,

Si

vaguidos no tengo de cabeza,

Paréceme que està mudada en parte De sitio, aunque en aumento de belleza. i Qué teatro es aquel. donde reparte Con él cuanto contiene de hermosura

La

Porque

el

suefio en

este es edificio

Que excede

a toda

Per fortuna, s'imbatte torio, «

«

y arte? mis palpebras dura, imaginado

gala, la grandeza, industria

Sin duda

mancebo en

Promontorio

»

humana compostura.

un amico,

in

di

gran soldado

dias, pero

nomo Promon». II

cognome

ma

di questo

esiste nell'Italia meridionale;

giovane soldato non ho potuto trovare alcun ricordo, benché abbia fatto in proposito parecchie ricerche. Del resto,

1

Nella trad.

ital.

sopra citata

(p.

19ó; si

può trovare una buona

rettificazione delle parole italiane, e dei vini italiani, che tes

mentova.

le altre cose,

Si «

veda anche la

il

Don

Qinjote

temerà de Sorrento

>

II,

49\ dove

si

il

Cervan-

ricorda, tra

DUE ILLUSTRAZIONI AL

154 le

«

VIAJE DEL PARNASO

»

sue relazioni col Cervantes costituiscono un piccolo enim-

ma, come appare da questa terzina

:

Llamóme padre, y yo llaméle liijo; Quedó con esto la verdad en punto, Que aqui puede llamarse punto fìjo ^ L'amico

fa

maraviglie nel ritrovarlo, vecchio, cosi

le

lontano dal proprio paese:

En mis

lioras tan frescas

Està tierra habité,

liijo

Con fuerzas mas briosas y Pero Digo,

A Ma

i

y tempranas

(le dije),

lozanas.

voluntad que a lodos rige, querer del cielo, me ha traido

la

el

parte que

me

alegra

mas que

loro discorsi sono interrotti

aflige.

suoni delle

dai

siche della festa, e Promontorio spiega di che cosa

Quella festa è un gran torneo, che

si

celebra in Napoli per

l'annunzio delle alleanze matrimoniali tra

Spagna

mu-

si tratti.

le

case reali di

e di Francia.

Di questa festa

aveva

Cervantes

il

notizia, com'egli

una relazione in prosa dovuta a uno spagnuolo, Juan de Oquina; e il Cotarelo, di recente, ne ha dato alcuni cenni, cavati da un manoscritto di un Miguel Diez de Aux'. Ma i cronisti e storici stesso

1

dice nei versi

Nella forma,

coi quali si

potrebbe trovare qui una reminiscenza dei versi,

si

chiude

seguenti, da

la

prima parte

Io pur verso la

del

cima

Viaggio del Caporali:

me

ne giva,

AUor che da una virgola fui giunto, Che mi giurò persona fuggitiva, E mi fé ritener da un piccol punto. 2

Cotarelo, op.

cit.,

pp. 40-1. Il ms. del Diez de

ded. al viceré duca d'Alba:

cfr.

Gallardo, Ensayo,

Aux

è del 1622,

II, p. 802.

II.

VIAGGIO IDEALE DEI. CERVANTES A NAPOLI NEL

l(;i2

155

napoletani del tempo ne sono pieni K E, quantunque a

non

sia stato possibile rinvenire lo scritto del

^che neanche

il

Gallardo conosce), ho trovato un opuscolo

che ne tiene ampiamente

italiano,

me De Oquina

il

luogo. L'opuscolo s'in-

titola: Descrittione del sontuoso torneo fatto nella fidelissimn città di

le

MDCXII,

Napoli l'anno

per allegrezza

altre feste

con la relazione di molte

delti regii

potentissime corone Spagna

accasamenti seguiti fra

Francia. In questa seconda

e

impressione augumentata di molte cose

e

corretta di diversi

Francesco Valentini anconitano,

errori, raccolta dal dottor

accademico Eccentrico, dedicata a donna Caterina de Sandoval contessa di Lemos, viceregina del regno di Napoli

porge

e ci

il

modo

di notare

;

due piccoli errori (uno dei

quali assai curioso) della descrizione, verseggiata dal Cer-

vantes.

La data

di quel torneo fu

13

il

maggio 1612.

soluto che con ogni solennità possibile

si

Fu

«

ri-

dovesse rappre-

sentare una barriera di i^icca e stocco alla sbarra sopra graciosissiina querela, eira suo luogo sarà registrata, con li

capitoli, della

quale volse essere mantenitore

signor

il

D. Gio. de Tassis conte di Villa Mediana, cavaliere spa-

gnuolo

il

più generoso che imaginar

oltre

ventiduemila ducati

alle altre notizie,

che

si

possa

Il

».

conte

questa occasione, come manteni-

di Villaraediana spese in

tore,

si

:

il

che è da aggiungere

hanno, della vita di

lui

galante e

fastosa. Il

mio dotto amico Cotarelo, nel suo

bel libro sul

17/-

lamediana, ha discorso degli anni che Giovanni de Tasis passò in Italia e a Napoli, dove appartenne altresì all'ac-

cademia degli Oziosi. Tra

1

Guerra, Giornali, pp. In Napoli, per

Grio.

carte di questa

accademia,

87-8: Capaccio, Forasliero, p. 351

Teatro dei viceré 'Napoli, 1875), "

le

I,

p. 415.

.Iacono Caiiino, 1612, di pp. 48.

;

Paukino,

DUE ILLUSTRAZIONI AL

156

«

VIAJE DEL PARNASO

»

legge un sonetto del Tasis, diretto a Giambattista Manso,

«i

Scusa di passione ostinata, che voglio

col titolo:

riferire,

perché fu poi stampato con molte varianti:

De enganniosas quimeras alimento La preteusioii de un fin de van deseo, Qua me obliga a seguir lo que no creo Y me haze creer lo que mas siento. No es capaz mi locura de escarmiento, Antes eu el estado en que me veo Vencida la racon del devaneo Cobra mi desatino nuevo aliente. Cerrados ya los ojos del discurso, Incapaz de la luz del desengauno, Solo la voluntad llevo por guia.

Y

la

misma que

desdicha

su curso,

Manso, hizo en la costumbre de està danno

Por honra tiene j a

que es porfia ^

Villamediana tolse seco quattro compagni, e insieme

Il

pubblicarono marzo, con «

Io

loro cartello, in ispagnuolo, in data del 4

il

condizioni e

le

i

premi del torneo, firmandosi:

Los cavalleros del Palacio encantado de Atlante de Carena

mano

17 aprile, fa posta

Il

Consisteva questa in un

«

al

monte

-».

teatro e alla macchina. altissimo, di palmi

ses-

santa e largo nella pianta palmi cinquanta, orrido e alpe-

sommità era il sontuoso palazzo d'Atlante forma e nell'istessa fattura che

nella cui

stre,

incantatore, nell'istessa

descrive nel suo Furioso, nel quale

l'Ariosto lo

Ms.

1

del

de

cit.,

48.

f.

Villamediana

(2.*

MDCXXXV,

vida esperanqa

y

pania

il

B.o dei Sonetos

desco

",

:

V. 12.

Por

dano.

amorosos, inclusi nelle Ohras

ya no

Eccone

le

principali varianti: v.

2.

v. 6. Antes de la itmion con que peleo

veo

C'en^ados pues los ojos y

inutil en el

vede-

impression, Madrid, por Maria de Quinones, ano

pp. 105-6). el

spensamente absorto V. 9.

È

si

costumbre

;

v. 8. Sino la ceguedad del vano

el

los

:

La

atre-

v. 7. 5;^intento

;

discurso] v. 11. -Bn los peligros hallo coni-

yerros hacen curso

:

v. 13.

Y la constancia

II.

VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL 161 2 157

vano selve

e

eaverne d'immensa grandezza

commessa

stata

».

L'opera era

dal Villamediana a Giulio Cesare Fontana,

Domenico

figliuolo del celebre

e successore di lui nella ca-

rica di architetto regio e ingegnere maggiore del di Napoli,

Lemos

il

quale diresse

molti edifici

i

Regno

elevare dal

fatti

nella città di Xapoli. Dieci anni dopo, nel 1622,

Fontana veniva chiamato

ad Aranjuez

diana per costruire

dove fu recitata

il

Ispagna dallo stesso Villame-

in

la macchina del teatro, Niquea del gentiluomo poeta,

la Gloria de

innamorato allora di quella regina Isabella,

zamento aveva celebrato

cui

il

fidan-

col torneo di Napoli ^

Il Cervantes nomina ed elogia i quattro mantenitori, compagni del Villamediana. Il primo di essi era lo stesso viceré, conte di Lemos. Il secondo, il duca di Nocera:

El duque de Xocera, luz j guia Del arte militar

Ho

consultato le due prime edizioni del

trambe è stampato proprio Ora, qui

si

ha un

cosi: « el

Vicije,

e in en-

duque de Nocera

dire se fosse fatto dal Cervantes, o dalla sua fonte,

Oquina. La relazione italiana chiaramente, che fu un di gentilissime maniere,

suo corpo anco

«

duca della Xocara

la

dice »

:

«

il

De

invece,

cavaliere

quale ha con la dispostezza del

il

congiunta

core, e la forza e

del Valentini

>•.

non saprei

curiosissimo scambio, che

la

generosità dell'animo e del

destrezza della

mano, talmente che

in ogni cavalleresca azione, e particolarmente nel torneare,

ha merito esquisito lamente scolo, si stinta,

1

il

nome

».

E, a togliere ogni

dubbio, non so-

è ripetuto più volte, ma, nello stesso opu-

nomina, anche più

volte,

che prese diversa parte

Sul Fontana in Ispagna,

si

(e

come persona non

di

affatto di-

mantenitore) nel

veda Cotarelo, op.

cit.,

pp. 112 sgg.

DUE ILLUSTRAZIONI AL

158

torneo,

il

duca

«

VIAJE DEL PARNASO

duca della Nocara

di Nocera. Ora,

»

(terra in

un gioviuno sjjortman, che non meritava punto di

Calabria) era un Donato Antonio

notto allegro,

essere chiamato, nientemeno,

Questo elogio poteva,

«

in certo

di

Loffredo

luz y guia del arte militar

modo, convenire

Nocera, Francesco Carafa, valente soldato;

avere comandato

la

^,

il

al

quale, dopo

Lombardia

cavalleria napoletana in

».

duca di e

nelle Fiandre, ed essere stato capitano generale dell'eser-

spagnuolo in Guipuzcoa

cito

gona,

fini

e gettato in prigione,

I,

e in

Catalogna

e viceré

d'Ara-

male, accusato e processato pel rovescio di Valls,

dove mori nel 1642-. Lo scambio,

1

Guerra,



Biografia in Filamoxdo,

pp. 256-70.

Giornali, p. 164.

Cfr.

Giornali, ed. cit.,

Il genio bellicoso della nobiltà napoletana,

anche Capecelatro, Annali, pp. pp. 484, 519. Al tempo del Lemos,

77, 153;

Zazzera,

egli fu costretto a

fuggire da Napoli per avere contratto matrimonio con la figliuola del

duca di Monteleone contro

ma

volontà del padre di

la

Ossuna

lei

e la proibizione

Guerra, p. 94, duca di Nocera fu anche degli Oziosi e scriveva versi spagnuoli. Nel mio opuscolo: La liuQua spagnuola in Italia (Roma, Loescher, 1895, p. B8), ho pubblicato del viceré;

fu poi carezzato assai dall'

e G. B. Basile,

Ode, Napoli, 1627, pp. 118-121).

un suo sonetto spagnuolo. Un f.

51), è

altro,

(cfr.

Il

anche diretto

al

questo: Temo, JlANSO, ea miiar mi atrevimieato,

Teme

la

Pierde

osada bazana

mi

flaca

la

calda

piuma en

Del sacro monte

el

animo,

la

el alieuto.

Ansi à sus faldas ya quedar

Y

si

;

suvida

la siento

;

en tus grandes alas escondida

Amparajja no buela y defendida,

Tendrà de Ycaro

el fin

mi pensamiento.

Dale brios que se onsalze en Elicona,

Y

que escriba

el

valor tan soberano

De aquella que idolatra el alma mia Que trocaré el temer en osadia, Sera el alto camino dulze y llano,

Y

quizà rao ornare, verde corona.

;

Manso

(ms.

cit.>

II.

VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL 1012 159

commesso

dal Cervantes, o dal

conosceva in Spagna nosciato

il

terzo

Il

De Oquina,

si

spie^^fa.

duca della Xocara? Ma era ben generale duca di Xocera. il

compagno

Villamediana fu

del

«

Chi co-

de Santelmo

fliei-te castellano ». Era costui lo spagnuolo Anto'ìio de Mendoza, del Consiglio di stato di S. M. e castellano della

el

Elmo

fortezza di S.

'.

L'ultimo giostratore è menzionato cosi: Es

Euea,

oti'o

el

Trovano

(Arrociolo que gana en ser valiente

Al que fue verdadero) por

Ma

Arrociolo

«

»

mano.

la

patente sbaglio di trascrizione, o

è

(che è più probabile) di stampa, per

Caracciolo

«

di antica e illustre famiglia patrizia napoletana.

che

tini fa sapere, infatti,

tratta di

si

«

», 11

nome Valen-

don Troiano Ca-

racciolo, cavaliere di agilissima vita, di meriti singulari e di

molta stima,

per

il

si

per

valore della sua persona e per

regnano in la parentesi

lui ».

nata

sua famiglia, come

la nobiltà della

le

regie maniere che

Onde

la lezione della terzina,

dcillo

scambio

modo

da rettificare a questo Es

C

col

togliendo

manoscritto, è

del

:

otre Enea, el

Trovano

Caracciolo, que gana en ser valiente

Al que fue verdadero, por

la

mano.

Queste osservazioni non saranno forse inutili a chi vorr;\ curare un'edizione annotata del Viaje del Parnasn -.

1

Lorenzo Salazar,

-

Per

Cantellani di S. Elmo, su

ilocum. ineJ.

Na-

pp. 13-14.

poli, 1895),

le edizz. e trailuzz.

che accompagna Top.

cfr. la Bibliografia

nella quale

anche

francese, inglese e olandese} del Viaje,

è

notato

un

tlemans Magazine del 1880, che

cit.

del FiTZMAL-iiicE-KELt.Y

articolo sul Viaje dei

Farnaw,

non ho potuto consultare.

;

nel Gen-

Ili

1

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO E IL GUSTO SPAGXUOLO

Dalla rivista Flegrea di Napoli,

a.

I,

1899. voi.

I,

fase. 2.

L

Seicento

.1

offre,

gran numero,

in

trattati, prontuari,

concetti predicabili, cioè di quei concetti clie oratori di quel tempo mettevano in opera. Ignoro

selve di i

sacri

se

termine

il

«

concetto predicabile

gergo dei predicatori, e quale ne

Ma

qui importa

soltanto

sia

viva ancora nel

»

significato odierno.

il

quello che esso aveva allora, e

che potrà essere prontamente chiarito col ricorrere ad

al-

cuni esempì.

Supponiamo che un predicatore avesse dovuto svolgere una delle seguenti quattro proposizioni, o temi di prediche:

1. «

Iddio fece nascere

Salvatore,

il

malizia era pervenuta all'estremo è

;

2.

più grave della parola contumeliosa

del è

»

mondo sono

afflizioni »

;

4.

«

li

«

quando L'umana Nessuna offesa

»

3.

;

«

motivo efficacissimo per indurre a penitenza

avrebbe potuto dimostrare

la

piaceri

I

pensiero della morte ».



Egli,

prima proposizione per via

speculativa, deducendo (parliamo sempre a mo' d'esempio) dal fatto della caduta la necessità della coincidenza tra

punto massimo della corruttela del genere umano e nuta

di Cristo

redentore;

che, descrivendo le vigilia della nascita la

tristi

di

ovvero giovarsi condizioni del

il

prove

il

ve-

stori-

antico alla

Gesù. Avrelibe potuto dimostrare

seconda con ottimi argomenti di

ché

di

mondo

la

bene maggiore dell'uomo

filosofia

morale; giac-

è l'onore, e le parole elio

offendono l'onore fanno più danno che non

le

offese m-l

164

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

I

corpo

La mobilità

nei beni.

delle passioni,

passo dalla voluttà alla noia e

al

il

dolore, gli

facile tra-

avrebbej'o

fornito osservazioni psicologiche per fondare la terza tesi.

E

modo onde le nostre azioni si colorano, o scolorano all'evocata immagine della morte, sarebbe stato il punto il

da approfondire per mostrare

la verità della

quarta.

Ma, se avesse adoperato questi o simili procedimenti, quel predicatore non avrebbe fatto, secondo le idee del

tempo, concetti predicabili.

correvano ragioni sode nere delle precedenti. croni dell'argomento è chiaro (scrive) che

Uno è,

A

formare

i

quali

che sembrassero

(o

fra

i

su questo punto, esplicito:

né un

un sacro

nale ragion teologica, né gliono

comunemente

Egli

«

testo letterale dell'Evangelo,

scrittore,

un

del ge-

principali trattatisti sin-

né una nuda istoria del Vecchio Testamento, né plice autorità di

non oc-

tali),

né una soda e

articolo

passar sotto

il

di

la

sem-

dottri-

San Tomaso,

nome

so-

di tai concetti,

meno una fìlosotìca sottilità, né una piana ed evidente ragion morale, né un esempio quantunque meraviglioso, né una profana erudizione quantunque curiosissima, si chiamerà concetto predicabile apfavoriti dal popolo. Molto

presso

il

popolo

Per ottenere lasciare

». il

da parte

dialettica, la

concetto predicabile,

scolastica, l'esame della

e osservazione delle cose

cambio

di

tutto

si

doveva, dunque,

la speculazione teologica e metafìsica, la

ciò,

umane;

e,

storia, l'esperienza

per dirla in breve, in

escogitare semplicemente un para-

gone. Ripigliando, dunque, il primo tema da noi enunciato, il predicatore si metteva a riflettere sulle « circostanze » di esso; e notava, per esempio, che Gesù nacque «

nel punto di mezzanotte del solstizio invernale, quando,

l'ombra notturna essendo giunta all'ultima lunghezza,

il

Sole dal tropico più remoto comincia a rivolgersi a noi ed,

allungando

il

giorno, raccorcia la notte

».

Ora, l'Ombra

E IL GUSTO SPAGNUOLO

notturna è

il

Sole

è

il

Messia, la

Luce

alla seg-uente

domanda

:

«

Perché Dio fece na-

suo caro Unigenito nel più crudo inverno?

il

è la

ecco impiantato un concetto predicabile, che

dava luogo scere

Peccato,

il

Ed

Grazia.

165

svolgimento consisteva nel chiarire

la «

difficolt;\

Lo

».

che

»,

cominciava con l'amplilìcare. Fingeva, perciò, un si lamentavano col

l'oratore

diseorsetto delle altre tre Stagioni, che

Signore per

ceva

la

tato

fiore

gato

il

di

».

A me

acciocché

tale gloria,

Jesse germogli quando, da

«

ma

Jam

hiems

».

me

Anzi a tutti

zefiri

il

(di-

profe-

soavi fu-

transiit, fiores apparneriint in terra

tocca (diceva l'Estate), acciocché

beni compaia quando

i

non più

il

ed

fiori

ricchi tesori di aurate messi sparge la terra, per

Adhuc inodicum,

potersi avverare: sioìtii!

dee

si

«

gelo e le nevi, spunta ogni fiore, per poter dire

donator di erbe,

preferenza data all'Inverno.

Primavera)

con verità: nostra

la

«

Anzi a

me

et

veniet

tempus

vies-

(soggiungeva, infine, l'Autunno';

un mondo nuovo e nuove creature, nasca nella fruttifera stagione istessa in cui l'uomo primo e il mondo fu creato, perché possa dir con ragione: Ecce, ego creo cvelos novos et terram novam v. acciocché, se nasce

Una

il

^Messia per fare

digressione astronomica acuiva ancora

la « ditficoltà

>

giorni mostrando come Dio, che poteva rendere eguali pure li volle fare disuguali secondo le stagioni i

e le notti,

:

profondo mistero.

La soluzione

della

Dio, nell'opera della creazione, tenne

difficoltà

era,

che

sempre d'occhio

la

futura redenzione; onde stabili la disuguaglianza dei giorni e delle notti per fare poi nascere

il

Salvatore in quel punto

della notte invernale, che fosse in simbolico accordo la

con

condizione morale del mondo. L'autorità di San Gre-

gorio Nisseno veniva chiamata a confermare l'interpetrazione.

Con

lo stesso

procedimento

dicabile del secondo tema:

«

si

formava

Nessuna

il

concetto pre-

oftesa è più

grave

166

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

1

delle

parole contumeliose

era, p. e.,

termine di comparazione

Il

miracolo di Gesù, che rese la favella

il



tolo. Difficoltà:

poco fare

».

Perché mai

le grazie, nello

snodare

la

ma ungendo

non

solo le pro-

quell'org'ano con la propria saliva?

— Soluzione — Perché Gesù

pensava, in quel punto, a ciò

:

che avrebbe egli medesimo sofferto per gli

mu-

lingua al mutolo ado-

però sforzi sopra l'ordinario, applicando prie mani,

al

Signore, cui costava cosi

il

contumelie che

le

sarebbero state lanciate dalle lingue dei suoi tormen-

tatori; e volle cosi

mostrare quanto reputasse grave

l'of-

fesa della contumelia. Interveniva, in ultimo, l'autorità di

ferrare e suggellare jl concetto, renden-

San Cipriano a

«

dolo venerabile

».

Al terzo tema:

«

i

piaceri del

mondo sono

afflizioni

»

che in

serviva da concetto predicabile la parola

«

ebraico signiflca egualmente

e « dolore ». Pel

alla

predicabile era

costituito

dal

lendo illuminare un cieco, (si

voluttà

domandava

gli il

salutifero?

mise

il

Da

fango sugli occhi.

lo copri di

».

E non bastava

una

sola saliva,

forse la

».

La

difficoltà si scioglieva col

cieco era figura del peccatore ostinato

es et in

concetto

il

nostro predicatore secentista)

non era escrementiva superfluità,

in Cristo

non c'è

»,

pol-

che avrebbe accecato un occhio più sano di quello

dell'aquila?

il

tannini

miracolo di Gesù, che, vo-

Gesù, per guarire l'occhio del cieco, tiglia, «

»

meditazione della morte,

quarto, intorno

Perché mai

«

altro rimedio se

pulverem

ciò

si

non

reverteris),

vede che

il

;

che

balsamo

considerare che

a ridurre

la polvere e

immagine

ma

«

il

il

quale

fango {Pulvis

della Morte,

concetto predicabile consisteva

neir inculcare una verità, mostrando come essa fosse sim-

un fatto o in una parola della un avvenimento della storia, in un fe-

bolicamente contenuta

Sacra Scrittura, in

nomeno eh' è

il

della

in

natura. Perciò,

il

trattatista

da noi

citato,

conte Emanuele Tesauro, autore del libro, a quei

E IL GUSTO SPAGNUOLO

tempi celebre, Il cannocchiale

167 lo detìniva en-

aristotelico'^,

un'arguzia leggiermente accennata dall'ingegno divino, leggiadramente svelata dall'ingegno humano, e rifermata con l'autorità di alcun sacro scrittore Perché, Dio (se si vuole dare faticamente:

«

>^

ascolto

e

Ancora

«

sti.

ar Tesauro) era

l'arguto

il

.

primo

il

motteggiando

favellatore,

angeli con vari motti e simboli concetti

».

maggiore dei concetti-

e

grande Iddio gode talora

catore svela l'arguzia,

umano

l'applauso

«

si

Ma,

«

il

e tem-

».

si para una « diffidovrebbe concludere che

questo punto, anche a noi

arguzia divina

realmente divino

;

si

fosse considerata

»

come qualcosa

e che quei predicatori e

viva parola, vedeva

il

il

loro pub-

dell'universo

blico fossero gente che in ogni parte la

suoi

abile predi-

mondo

al

suo proposito

Palla definizione citata

».

quella di

in

al

un

predicatore del-

al

come pellegrina merce mostrata

pestivamente appropriata

cili tà

di

divide (dice sempre

Tesauro) a Iddio dell'averla trovata e l'averla

poeta

il

uomini e agli

gli altissimi

iìgurati

E, quando l'ingegno

di fare

agli

udiva

gesto divino. Perpetuo incubo di

visione o d' illusione, che sarebbe stato altamente poetico.

Dal supporre simili condizioni

di

spirito, proprie dei

tempi primitivi e ingenui, nel raffinato Seicento,

non

solo tutto ciò che

autore, da

noi

sappiamo

citato,

il

di quel secolo,

ci distoglie

ma

lo stesso

quale distingue a più riprese

i

concetti predicabili dalle sode ragioni, la persuasione torica dalla scolastica, e vuole die di concetti predicabili

rct-

1

tioiie

II

Cannocchiale aristotelico o sia idea

dell' arguta et ingeniosa

che serve a tutta l'arte oratoria, lapidaria

et

eloctt-

simbolica, esaminala co'

Conte et Cavaliere Gran Croce D. Emanuele Tesauro patritio torinese (Quinta impressione, In Torino, MDGLXX, Per Bartolomeo Zanatta). Si veda il e. 3 e il Trattalo principi, del divino Aristotele del

de' concetti predicabili,

che

è inserito tra

i

ce. 9 e 10.

lf)8

si

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

I

debbano soltanto

predicatori e

quei «

«

loro

il

ravvicinamenti,

sode

ma

dlrlt:

prediche. Che, se

le

»

avessero

V

preso

in

ipse,

rebbe stato Dio. Onde dobbiamo concludere che

Tesauro,

il

guzia leggermente accennata dell'ingegno divino egli stesso, un'arguzia. Nei concetti predicabili «

confettato

»

un passo

»,

«

ar-

faceva,

tema era e ar-

sulla primitiva enun-

ciazione, senza che l'oratore percorresse

gimento dimostrativo, senza, che

il

:

con paragoni

ossia voltato e rivoltato

;

più

state

quel caso, sa-

nel chiamarli nella prima parte della sua definizione

zigogoli, senza che si facesse

i

serio

sul

sarebbero

ragioni

quali

di essi? i/^se

»

confettare

pubblico

un

qualsiasi svol-

richiamasse neanche

si

aìV Tpse dixit divino.

Come

modo

questo e

gl'intelletti

poteva muovere

predicazione poteva contentare

animi a sentimenti e propositi

gli

prima domanda

giosi? Alla notizie,

di

animi e rapirli nell'entusiasmo? Come

gli

che

si

hanno

si

del traviamento intellettuale del Sei-

cento, per cui l'ingegnoso e

secondo

la

reli-

risponde col rimandare alle

il

maraviglioso

(o

l'arguto,

parola del tempo) venivano considerati, non più

come elementi

d'arte,

ma come

a sé stessi.

fini

«

Divina

parto dall'ingegno, l'Argutezza, gran madre d'ogni inge-

gnoso concetto, chiarissimo lume dell'oratoria elocuzione, spirito vitale delle

condimento della

civil

telletto, vestigio della

fiume

si

e

poetica

morte pagine, piacevolissimo

conversazione, ultimo sforzo dell'inDivinità nell'animo umano.

Non

è

dolce di facondia che senza questa dolcezza in-

sulso e dispiacevole

Parnaso che dagli

non

ci

rassembri

orti di lei

Sono enfatiche parole dello

non stesso

si

;

non

si

vago

fior di

trapianti, ecc. ecc. ».

Tesauro, all'inizio del

suo trattato. In quanto aUa seconda domanda, sarebbe, di certo, precipitoso arguire dall'insipidezza di quelle prediche la

tepidezza della fede negli oratori e negli astanti. La

storia smentirebbe tale supposizione con gli

esempì dell'ar-

E IL GUSTO SPAGXUOLO dorè apostolico di molti tra conversioni operate tra

i

primi, e delle frequentissime

i

La psicologia ammonisce

secondi.

che non bisogna misurare

l'effetto di quelle

che fanno ora su noi, che

l'effetto

abitudini mentali ed estetiche,

le

169

leggiamo senz'avere

le

preoccupazioni e

preparazioni degli uomini di allora. Per vogliono altre

ci

specie

prediche dal-

le

le

animi nostri

gli

di sollecitazioni, o di solletichi:

per quelli del Seicento bastavano, forse,

E

foggia che abbiamo esposto.

quelle

arguzie, della

le

arguzie

facevano,

spesso, sgorgare torrenti di lagrime.

moda non

Alla

sottrae la parola di Dio. Ai tempi no-

si

ascoltiamo talora dal pulpito

stri,

dissertazioni sulla que-

sui mali del liberalismo

stione sociale,

a Napoli,

le

qualche anno

:

udì perfino un predicatore polemizzare contro

si

quella seminvenzione di alcuni etnologi, che era «

di

agitavano dal pulpito

economia, di finanza,

di

amministrazione, di po-

lui

il

po'

anche

Di simili

«

di

Luigi XVI, per

Se l'abbate Maurv

di religione, ci

prediche

come ricorda

motto

il

i

un furor

di

vide

Tanto più

» -.

quaresimale

il

parlato

avesse

di tutto

facevano, allora, anche

si

Bettinelli,

coi Montesquieu,

ci

avrebbe parlato

in

I

»

K

Italia,

quale allude a un padre Luc-

che in Venezia filosofava

chesi,

il

predicato, nel 1781, dal poi famoso abbate e

cardinale Maury:

un

cosi detto

si

».

polazione: è noto

innanzi a

il

Xel Settecento,

matriarcato

problemi

fa,

Puffendorft',

concorso che non

« i

si

in

un de' primi pergami

Barbeirac alla mano, con

può credere da

l'efficacia della

moda

si

ohi

noi

faceva sentire

nel Seicento, nel quale, per effetto della devozione larga-

mente

diffusa, le

prediche costituivano uno spettacolo, cui

tutti s'interessavano.

Le accademie lodavano

Sainte-Beuve, Causerie^ du

Saggio sull'eloquenza (in Opere

XXIII,

pp. 296-7.

pn-dica-

laudi, IV, p. 268.

1

2

1801), voi.

il

edite ed inedite, 2.a ediz.,

Venezia,

170

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

I

pubblicando raccolte

tore,

prose; la società ele-

di versi e

gante cercava nella quaresima un sostituto del carnevale

ordini

le rivalità tra gli

;

ai divertimenti

religiosi suscita-

vano, nel pubblico, partiti entusiastici. Di questi piene

cronache di quei tempi

le

pensare

al

Seicento senza

rivedere in

come

del Predicatore, nerovestito

come domenicano in

fatti

sono

può

del resto, chi

e,

;

ri-

la figura

fantasia

gesuita, o biancovestito

o col rozzo saio cappuccino, gesticolante

una chiesa barocca, innanzi a un

uditorio dai fastosi

abbigliamenti? Appartiene a quel piccolo numero d'imma-

dominanti e caratteristiche,

gini

in cui si

riassume e con-

centra per la nostra fantasia un'intera epoca storica \ Era

una predicazione

impossibile che

sensibilissima alla

moda

I trattatisti classificavano

concetti predicabili.

condo

le

mondana non

cosi

sottilmente le varie forme di

Tesauro ne distingueva

Il

fosse

ed estetica.

intellettuale

specie di metafore sulle quali

si

sette, se-

fondavano. Ve

n'erano perciò di proporzione, di attribuzione, di equivoco, di

P. e.:

il

concetto predicabile, di cui

sulle gioie terrene e

rola ebraica

1

laconismo

d'iperbole, di

ipotiposi,

il

tannini

«

Molte notizie intorno

di

e

dolore, formato per »,

opposizione.

è parlato di sopra,

si

mezzo

della pa-

era di equivoco; quello sul cieco

ai predicatori di

Napoli del ventennio 1660-

1680 nei Giornali del Fuidoro (ms. nella Bibl. Naz., segn. X. B. 13-19); cfr. I,

ff.

57-8, 280; II,

f.

9; III,

f.

126; VII,

Giuseppe, domenicano, di Venezia,

sima a Napoli, la

e,

quale aveva predicato

oltre, ed essendosi

volontà del Signore,

si

vide la barca

innanzi e sfilare finalmente indietro

che se ne tornò

racconta di

si

In que-

un padre la

quare-

nel partirsene per mare, giunto al capo di Posilipo,

barca non volle procedere

fidati alla

il

107, 115, 127.

£f.

st'ultimo luogo, sotto la data dell'aprile 1680,

al

convento di

S.

»,

«

egli e

i

marinai

af-

soavemente sfuggire

riportando a Napoli

il

padre,

Caterina a Formello, dove fu

visi-

tato a gara da devoti, ai quali distribuiva balsami e unguenti di mirabile efficacia.

I

E IL GUSTO SPAGXrOLO nato, d'ipotiposi; quello sulle

Una

buzione.

delle

ofiFese

171

della lingua, di attri-

forme più gradite era l'opposizione o

antitesi. I

predicatori poco inventivi trovavano concetti in ab-

bondanza, ricorrendo

nuo

stampavano

si

dotati

ai

e

numerosi repertori, che

ristampavano.

I

Santi

i

Padri e frugando

nella Catena mirea e nella Selva delle allegorie.

prediche non

solo,

meglio

predicatori

facevano un pregio d'inventarne sempre di nuovi,

si

arzigogolando sulla Scrittura e

le

di conti-

ma

si

una corona, un fuoco gli

allo stesso

di artifizio.

come accadde a

tema, una serie,

Fortuna

avvenimenti porgevano,

del paragone;

poi,

quando

un

cronista)

«

i

la

essi stessi, l'occasione

Xapoli, in una delle fre-

quenti minacce del Vesuvio, nella quaresima del cui (scrive

sovente

limitavano all'esposizione di un concetto

ne offrivano, intorno

natura o

E

predicatori

ItìSO,

in

hanno avuto mo-

tivo salutifero per le anime, con ricordare che

il

Vesuvio

predica con suoi muggiti per tenerci svegliati ad operar

bene

»

\

li

Una buona e

difetto,

Per

il

storia dell'oratoria séicra in Italia fa ancora

mancano

Quattrocento,

perfino monografie su singoli periodi. si

da Siena, Roberto da quecento,

1

il

è scritto

Lecce,

il

sparsamente su Bernardino

FciDORO, Giornali, ms.

cit.,

VII,

per

Savonarola*;

meglio ch'io conosca

f.

è

un capitolo

il

Cin-

del Dfjob,

115.

due primi si vedano O. Bacci, Le prediche volgari Ui S. Bernardino in Siena nel 1421 (in Confer. della Commiss, senese di si. patria, voi. I, Siena, 1895, pp. 77-139); F. Torraca, Fra Roberto da Lecce (m Studi di storia letteraria napoletana, Livorno, Vigo, IS&J, pp. 165-203\ [Si veda 2

Per

i

ora anche Luigi ÌIarexco, L'oratoria sacra italiana

vona,

tip. Ricci, 19001.

nel

Medio

evo, Sa-

17l'

I

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

nel saggio nnìV Inltufiso del Concilio di Trento sulle

lettere

artlK L'indirizzo alla predicazione, in quel secolo,

e sulle

fu dato, specialmente, dal piacentino Cornelio Musso (15111574), detto

vescovo

di

il

e lasciò

«

per essere stato per un trentennio

»

questa città, e dallo scolaro di lui e perfezio-

natore del suo 1594),

Bitonto

« il

stile,

divino

»

milanese Francesco Panigarola (1548-

il

Panigarola, che predicò in Italia e fuori

trattati dottrinali sulla sacra eloquenza. Bi-

anche

sogna menzionare, accanto a questi due,

Fiamma^. L'eloquenza

del

il

Seripando

Musso era grave, nutrita

e

il

di cose,

contesta di testi scritturali interpetrati pianamente, e di

argomentazioni

tìlosofiche. « 41

Panigarola (dice

il

Tesauro)

vi aggiunse la perizia nelle rettoriche, la grazia e la leg-

giadria da cavaliere lenti spiriti di



(

aveva avuto, da giovane,

padre Cristoforo

la

naturai facondia, e

le

sue prediche non

la

men



i

bol-

l'avvenenza, la facilità,

),

dolcezza della lingua, formando faticose,

ma

più eulte, più ordi-

Ancora ai pi'incipì del Seicento, questa manate e soavi niera di predicare aveva rappresentanti nel Castelficardo ».

e nel

Montolmo.

In questa predicazione, in complesso severa e scevra di

giuochi rettorici i

^,

sopravvennero (elemento rivoluzionario)

E

concetti predicabili. Il

fritto

scelto a

1

les

sbarcarono in Italia dalla Spagna. Tesauro, che abbiamo

ci è attestato dallo stesso

guida in

Ch. Dejob,

beaux-arts chez

questa poco

De P influence les

clu

nota regione

della nostra

Concile de Trente sur la littérature

peuples catholique^ (Paris, E. Thorin, 18S4),

e.

et

2,

pp. 109-144. 2

Musso

TiKABOSCHi, Storia della si

ha un Discorso

lett.

ital.,

VII,

1.

Ili, e. 6, §§

7-14.

Del

intorno aWartificio delle prediche (innanzi alle

sue Prediche, Venezia, 1557j. 3 II

Dejob mette, per

riture nel Panigarola (op.

altro, in rilievo cit.,

qualche tendenza

pp. 129-131).

alle

fio-

E IL GUSTO SPAGNUOLO letteratura.

Alcuni ingeg-ni spagnuoli

«

173 (egli scrive), natu-

ralmente arguti e nelle scolastiche dottrine

non

trovarono,

gran tempo,

è

perspicaci^;sinii,

questa novella maniera

d'insegnar dilettando e dilettare insegnando, per mezzo di

argomenti ingeniosi, detti vulgarmente concetti

questi

predicabili, che con mirabili e nuove Hessioni sopra la Scrittura Sacra e

sando

dottrine

le

nalzando

manna grandi,

piacciono nobili e

i

e metaforiche ri-

Santi

Padri, abbas-

capacità degl'idioti, ed in-

basse e piane alla sfera dei dotti, a guisa della

le

e

alla

difficili

i

e

ugualmente

pascono

plebei

i

i

piccoli

potrebbe domandare come mai questi giochetti

Si

tellettuali si

e

i

».

in-

formassero in Ispagna, che pure aveva avuto,

nella seconda

metà

Cinquecento,

del

la

calda e vigorosa

predicazione di Luis de Leon e di Luis de Granada. yb\

per

la

Spagna

eloquenza.

Non

manca una buona

altresì

è improbabile

argomentare nelle prediche

storia della sacra

che questo modo

fiorito di

fosse stato preparato e suscitato

in

Ispagna dalla letteratura poetica d'imitazione italiana;

e,

in tal caso, la pianta,

che fu trasportata poi

sarebbe da considerare come un

in Italia,

innesto italiano sul tronco

spagnuolo, e tornante, in certo modo,

al

suo paese di ori-

gine. L'influsso della poesia cortigiana è stato asserito, per

quel che riguarda della 1(5.83);

nuova il

piii

il

scuola,

il

famoso oratore sacro spagnuolo

padre Hortensio Paravicino (1580-

quale, per circa un ventennio, fu predicatore di

corte dei re Filippo III e Filippo IV. al

passaggio dalla Spagna in

la

nuova forma

j\Ia

basti qui colpire

Italia, ai principi del Seicento,

di predicazione, senza risalire, per ora. alla

preistoria di essa.

Anche

in

questo

che riguardano Napoli ebbe

lo

pcirte

velle merci (scrive

fatto,

come

in

spagnolismo e

generale in il

tutti gli altri

secentismo

importante, anzi dominante. il

italiano, ^

Lf no-

Tesauro), per cagion dfH'isiiann cnin-

174

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

1

mercio per terra

e

mare,

rono a Napoli; onde in fur chiamate

prediche

predicatori spagnuoli

si

da

tissimo,

lui sentito a

Roma, che predicando e

»,

maschio

è

il

perché femminile sua

letta;

formava

il

I

e

in quel linguaggio è la

comandare di queste

cama, egli

puritadi di lingua, seicento »

^.

Si

aggiunga

ne il

di libri teologici e ascetici spagnuoli, dei

e traduzioni italiane^.

concetti napoletani, o spagnuoli. trovarono

difficile e

al

dal Signore che dovesse levare

hanno moltissime edizioni

coglienza. Si sentiva

meno

ispagnuolo di genere

in

buon padre ogni mattina

gran commercio si

italiana-

«

zapato. egli ne4 suo italiano diceva lo scarpo;

paralitico faceva

quali

i

volendo esporre quella voce

«

calceamentum in volgare, perché

la

Già nel Cinquecento

sola.

la

facevano udire in varie parti d'Ita-

Panigarola narra l'aneddoto di uno di questi, valen-

il

mente, a suo parere

e

le of-

».

Napoli fu

la via di

conoscea,

le

e tosto trovaron spac-

che copiosamente ne fornirono

cio apresso a molti,

lia:

che non ancor

concetti napoletani;

ficine delle lor



primieramente sbarca-

colà

di

Italia,

il

bisogno

di

un modo

di

lieta

ac-

predicazione

astruso di quello del Cinquecento; la se-

come

verità del quale produceva,

reazione, l'abuso delle

prediche buffonesche, con rappresentazioni mimiche e motti scurrili. Ora,

il

modo spagnuolo sembrava

promesso decoroso. Se anche non istruiva

vava

all'edificazione, ch'era

(ripetiamo

col

Tesauro)

«

^

U

il

fine

da raggiungere; giacclié differente è la rettorica

il

questa, essendo specolativa.

vero da vere ed intrinseche ragioni;

predica/ore di Francesco Pìnigarola,

scovo d'Asti (Venezia, 1609), nelle Questioni 2

un com-

molto

persuasione dalla scolastica; inferisce

offrire

gl'intelletti, gio-

ma

quella,

minore osservante, ve-

sulla favella, p. 7.

Ai predicatori spagnuoli accenna anche Sforza Pallavicino,

Arie della perfezione cristiana (ed. di Venezia, 1839),

1.

IV,

e.

4.

E IL GUSTO SPAGNUOLO

175

essendo pratica e morale, servirajssi di figurate ed ingcniose ed estrinseche ragioni, eziandio cavillose ed apparenti, fondate in metafore, in apologi, in curiose erudizioni,

La parola

e trarrà frutto dai fiori >.

ora

bevanda

«

cabili nella

»

predicatori,

i

di

Dio ora è

Tesauro riponeva

il

seconda categoria, tra

D'altra parte, «

e

:

«

cibo

concetti

i

»,

predi-

le bibite.

quali, con lo stile antico,

i

più sudavano predicando che se avesser corso per poste

un giorno intero », col nuovo faticavano assai meno. Da una sola predica del Bitonto, si potevano trarre dieci delle nuove. Il Montolmo, ch'era tra ì buoni seguaci della scuola del Bitonto,

mutò

stile

anche

appunto col Tesauro, su avea grandi obbligazioni gli

lui; e,

tale

discorrendo un giorno,

proposito, disse:

aveano insegnato a predicare con maggior

popolo, senza sudare

grande fornitrice

2>redicables.

«

Il

di

fabricarli

troppo necessario (scrive

il

di

il

discursos,

gegno

quei

libri

infi-

nudi e secchi, da vestirsi ed impinguarsi con

italiano ».

L'Antonio dà

il

Promptuarhnn conceptumn

predicare, e di i

le

al-

quali ricorderò

(1604) di Rafoel Sarmiento,

Conceptos espìritucdes di Alonso de Ledesma (1010), e

in-

catalogo di una quaran-

tina di trattati spagnuoli dell'arte del

ceptos predicables

è

predicalDÌle,

per trovarne

trettante raccolte di esempi e concetti; tra il

conceptos

proprio Marte oggidì non

Tesauro), essendone pieni tanti

basta ricorrere agl'indici di

ma

quali

i

diletto del

genere, cosi continuò a

asmitosy

volumi spagnuoli, che sopra qualunque tema

niti;

ch'egli

».

La Spagna, come introdusse essere

«

predicatori napoletani,

a'

Miscelaneas predicahles

i

i

Con-

(l(ill-:2;

di

la Silva comparationum (1011) del GonV Apparatus concionatorum (1014) di Fran-

Melchiorre Fuster, zales de Critana, cisco Labata,

i

Conceptos extravagantes qnc se ofrecen entrc

ano (1619) di Tonias Ramon, ticos

i

Conceptos prcdkabiles poli-

y morales a diferentes asuntos {UKtoj di Francisco de

176

I

Hontivei'os.

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

A

Venezia furono stampati, nel 1621,

appuntamenti, concetti

ispanici

quattro prediclìe delle domeniche

mo

Nuovi

i

pensieri nelle quaranta-

e

e feste

che corrono dal pri-

decembre cdV ultimo di febbraio, opera del Perez, ver-

sione italiana di Serafino Croce.

predicatori italiani, formati a tale scuola, sono legione.

I

Il

Tiraboschi ricorda, tra

gli altri,

domenicano

il

fra Nic-

colò Riccardi, genovese di patria, che fu allevato in Ispa-

gna ed era grandemente stimato da re Filippo III, e preil cappuccino fra Girolamo da Narni, dicò anche a Roma predicatore del Palazzo Apostolico ai tempi di Urbano Vili; ^

;

e

il

gesuita Luigi Giuglaris': Del Riccardi

si

racconta che,

per mostrarsi ingegnoso, solesse cominciar col pronunziare proposizioni che avevano alcunché di eretico, e venirle poi

riducendo

al

senso cattolico

che predicavano

^

rafa

il

Lepore,

ai suoi «

"'.

Il

Tesauro nomina, fra quelli

tempi in Torino,

cetti ». Celebri pei loro eccessi metaforici

Caminata ed Emanuele Orchi da Como

1

Era soprannominato

«

il

il

Zachia,

Ca-

il

giardini di argutezze e di con-

fioriti

Mostro

»

:

e

furono anche

il

^.

con tale nome

trova elo-

si

giato in parecchi canzonieri del tempo. 2

Gesù

Quaresimale del padre Luigi Giuglaris della compagnia di

(in Milano, appresso Lodovico Monza, 1669). 3

Tiraboschi, Vili,

^

Il

napoletano

1.

Ili, e. 5, §§ 9-12.

Tommaso

Carafa, domenicano, del quale

si

ha un

libro di Descrizioni vaghissime: ghirlanda di varie descrizioni cavate delle sue prediche, ecc. (Napoli, per Gio. Dora. 5

Dell'Orchi, scrive

il

Montanaro,

1636}.

Settembrini, Lez. di letteratura

ital., II, p.

376:

Nella prima predica comincia dal pavone e ve ne descrive la coda, poi parla del pomo, indi del giuoco del pallone, delle erbette del prato, «

della scienza di Tolomeo, di cole,

ad Alessandro,

al

Ticho Brahe, del Fracastoro, salta ad ErE dopo tutta

Bucefalo che somiglia al pergamo.

questa roba vi dà un avvertimento per ora F. Scolari, 1899].

Il

padre Orchi

e

i

la salute

dell'anima

»

.

[Si

barocchi 2^redicatori del Seicento,

veda

Como^

E

Le voci

GUSTO SPAGNXOLO

IL

non mancavano. Lo

dei critici

(dal quale, con^ quest'ultimo imprestito,

miato) esclamava che

notava che

« le

»,

finalmente si

stesso Tesammo prenderemo com-

troppo è troppo

il

biasimava coloro che

e

infilzati », Il

col dolce

tessono tutta

«

tal concetti

gesuita padre Casalicchio, nel suo libro L'utile

^ descrive satiricamente quei predicatori che, do-

vendo discorrere in luogo di

all'uditorio intorno alla brevità della vita,

formare un discorso pieno di sodezza ed

luogo di persuadere ch'essendo cosi breve

dobbiamo spendere

tutta la

i',e

vogliono adoprare per confetti

predica quasi un'incannata di ciambelle di

la

«

«

metafore

non per vivande

177

fezione, eglino, che

o:ran dicitori,

li

di proposito a farci la descrizione del flore.

E

di

per-

pongono

si

sapete

come

— Signori,

incomincia a dire quel famoso predicatore?:

in

nostra,

in esercizi di virtù e

stimano

si

la vita

se

noi parliamo della nostra fanciullezza, che altro ella è che

un

fiore? e

lezza

come

paragona

si

al

narciso, signori... 'e se poi, signori, la all'iride, chi sia tre, se

mentre che

no,

narciso, e

La

fanciulil

qui la descrizione del narciso). Che

gioventù nostra

che

fiore, ecc.

il

con ragione, mentre è

si

la

vogliamo paragonare

ci voglia con riigioue opporre? Men-

noi sapete, è egli l'arco celeste (e qui fa la descri-

zione dell'arco celeste)... ». Anche la Chiesa non risparmiava avvertimenti e rimproveri, specie nella seconda metà del secolo. Nel 1680, un cronista nota: « Quest'anno, in Xapoli,

forme

il

li

predicatori sono tutti evangelici e morali, con-

precetto del

Sommo

Pontefice vivente

La mala abitudine andò cessando quel secolo.

^

Il

Segneri, che fu tra

in Italia sul finire di

riformatori della sacra

Pubblicato nella seconda metà del Seicento:

un'edizione di Venezia, 1741. Cfr. cent. '

i

Flidoro, Giornali, ms.

cit.,

VII.

I, f.

» -.

decade 115.

ma I,

io

ne

\\'>

arg. VI.

a Kiat.

178

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

I

eloquenza, nelle sue prime prediche aveva anche lui incli-

nato

ai concetti e allo stile fiorito.

resti

ancora intinto di

Se ne

benché

lili^rò poi,

tempo ^

altri vizi del

III

concetti predicabili viziavano l'impianto stesso gene-

I

rale della predica;

che non toglie che

il

le altre

cattivo gusto letterario, derivanti tutte dalla

forme del

comune

radice

che era l'amore dell'ingegnosità, concorressero in quelle composizioni. Taluni esempì, tra

insigni e popolari,

pili

i

di

metafore strampalate provengono appunto dalle prediche.

Il

padre Casalicchio censurava

lar dotto

role strane e si

«

«

gelista Apelle

penitente

Scettro »,

san Luca,

1'

«

»,

»,

più di frequente,

può esaggerare l'esposizione

della

»,

esaggerare

«

dice

trama

»,



»

contro

il

»,

«

Evan-

sant'Ago-

g).

«

e

«

che

Qui

» si

i

predicatori

in

con vive ragioni

lusso, o contro la

mancata

giusti-

sono frasi che ricorrono con frequenza nelle

[Intorno ai predicatori del Seicento è stato pubblicato

1

par-

esagerare

«

con due

di Cristo";

esaggerano con esempì

di Scrittura

ecc.:

«

una didascalia del Tesauro, neldi una predica, al punto in cui

deve parlare dell'agonia

quest'anno

zia,

il

significato

il

aveva, nei linguaggio del tempo, la parola

si

e

san Girolamo), evia

dicendo. Mi pare poi opportuno notare

(o,

»

David,

re

il

Aquila africana

Porpora di Bettelemme

«

parlar culto

continue circonlocuzioni (onde

ricercate, le

chiamava

stino, la

il

dei predicatori, l'abuso delle metafore, le pa-

»

uno

spe-

ciale lavoro di Iìosa Arrigoni, Eloquenza sacra italiana del secolo XV'II,

Roma,

Desclée, Lefèvre e

C,

1906: cfr. a proposito di questo lavoro

Giuseppe Scopa, Necessità di uno

studio piti accurato

suW eloquenza

del Seicento, in Rivista abruzzese, luglio 1907, pp. 365-74]. 2

Cfr.

il

già citato Trattalo di concelti predicabili.

sacra

E

cronache del tempo ^ «

dare risalto

o

»

GUSTO SPAGNUOLO

IL

«

Esagerare

insomma, significava

»,

parlare con forza

«

Le forme argute erano bene

179

».

accette,

non solamente

al

pubblico erudito delle accademie ed elegante delle corti,

ma

turbe:

alle

quei predicatori concettisti e metaforeg-

gianti furono largamente popolari. Il

contrasto, che

si

pone

bosa delle classi colte e

mor-

di solito tra la raffinatezza

semplicità del popolo, ha d'uopo

la

di parecchie restrizioni. Il fatto è, che

i

paragoni bizzarri

colpiscono l'attenzione dell'ignorante, gli svolgimenti artificiosi

soddisfano

suo intelletto,

il

i

giuochi di parole

lo

seducono, la materializzazione delle idee nelle continuate

ed esagerate metafore dà a quelle una corpulenza e una tangibilità che

si

scambiano, non di rado, con l'evidenza.

Della qual cosa sono prova gli cmfos e

i

drammi

sacri spa-

gnuoli, che ebbero fortuna anche in Italia, e di cui vivono

parecchi rimasugli nelle tradizioni e costumanze popolari.

E

un'altra prova ne offrono

predicatori burleschi del

lussureggianti i meno La predicazione burlesca non

Seicento, che non sono tra cetti e di metafore.

di

con-

è,

cer-

tamente, cosa particolare di quel secolo: ha origini assai antiche, e Dante, ai suoi tempi, la bollò con ferrate terzine (PamrZ.,

anch'essa

il

XXIX,

una

delle sue

115-7). Nel Seicento, prese

colore di moda.

Tutti ricordano la figura del cappuccino, che Federico Schiller introduce nel suo ai soldati

Campo

di Wallenstein

,

in

stemmiano. Quale fiume

di paragoni, di

metafore e

di equi-

voci verbali gli esce di bocca! Egli inveisce contro dati,

che

si

i

sol-

Knuj als den Krieg > (più guerra), che amano più < den Oxeu

curano più

del boccale che della

1

mezzo

che giocano, rissano, bevono, donneggiano e be-

FciDORO, Giornali, ms.

«

iim den

cit.,

I,

f.

250 e passim.

180

I

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

den O.xenstini

als

(più

»

il

bue, che l'Oxenstierna,

dello statista svedese, che in di

bue

e descrive lo stato

»),

Romano Impero

del

tedesco significava

«

nome fronte

miserevole della Germania e

:



das rò mi se he Rei eh dass Gott erbarm! eh Arm; Der Rheinstrom ist woi'den zu einem Peinstrom, Die Klòster sind ausg-enommene Ne s ter, Die Bisthiimer sind verwandelt in Wiistthiimer, Die Abteien und die Stifter Sind nun Raubteien und Diebeslilfter. .

.

.

.

Solite jetzt heissen r orni s

Und

alle die gesegneten deutsehen Sind verkehrt worden in-Elender

Né risparmia il

.

.

.

.

suoi detti mordaci al Wallenstein, duca di

e,

quando, minacciato dai soldati che sentono

loro

capo, è costretto a ritirarsi innanzi al tu-

Friedland; offeso

i

Lander

multo, avventa cosi

gli

ultimi strali della sua eloquenza

:

So ein hochmiithiger Nebueadnezar, So ein Siindenvater und muffiger Ketzer, Làsst sich nennen den Wallenstein; Ja freilich ist er uns alien ein Stein Des Anstosses und Aergernisses,

Und

so lang der Kaiser diesen

Liìsst walten, so

È

Friedeland

wird nicht Fri ed' im Land!

risaputo cbe lo Schiller s'ispirò, nel foggiare questo

suo cappuccino, a un personaggio storico, celebre predicatore, scrittore ascetico popolare, satirico possente della se-

conda metà del Seicento: ad Abramo

di

Santa Clara (1644-

Vienna '. cosi: Can-

1709), agostiniano scalzo e predicatore di corte a

Tra

le

opere di costui ve ne ha una, intitolata

tina ben fornita in cui

1

Cfr. intorno a lui

lino, 1885), pp. 338-9.

le

anime

assetate possono ristorarsi

Scuerer, Gesch. der deutsehen Lilteratur (Ber-

E

una divina

con

gnuelo

IL

GUSTO SPAGNUOLO

181

benedizione. Mi pare evidente l'intiusso spa-

e italiano sul

suo

K

stile

Abramo

Ciò che per la Germania

Santa Clara,

di

fu-

rono, in certo modo, per la Friincia della prima metà del

Seicento

l'altro

meritò un'allusione del Boileau

seconda metà,

l'Italia, nella

André

agostiniano, padre

il

nell'.-iri

(1657),

di

che

e,

per



poétique\

douaenicano padre Fonta-

una ricca

narosa. Intorno all'uno e all'altro è sorta

genda popolare, non priva



aneddoti lubrici

leg-

Fontana-

(il

rosa ha dato argomento pertino a una novella del Casti);

ma

si

può stare

sicuri che

si

essendo facile veriticare che

appunto di leggenda, medesimi aneddoti, che si

tratta i

raccontano in Italia del padre Fontanarosa, in Francia dell'André

e,

forse, altrove di altri*.

narosa era nostro, meridionale: sati, di

valcò tutti

i

primi pulpiti

quelli di Xapoli,

avendo, tra

dice

l'altro,

1

predicato la quaresima Palazzo,

Spirito di

Domenico Maggiore per Alberto Magno *. Trovo anche che,

zione di

di Avellino),

un contemporaneo, « cad'Italia » ". « Cavalcò > anche »,

del 1664 nella chiesa di Santo

novembre

Fonta-

Il

chiamava Michele Avi-

si

Fontanarosa (paesello della provincia

predicatore famosissimo

e, «

raccontano

si

1670, in S.

e,

nel

la beatitica-

gennaio

nel

veda A. Farinelli, Spanien iind die spanUche LUteratur und Poene (Berlino, 1892;, pp. 56-7. Per l'André, il libro di P. Jacquinet, Dch prcdicateurs du X VII Si

ini

Lichte der deutschen Kritik 2

cle

avant Bomtel

(2.» ediz.,

Paris, lb85

pp. aOJ-311

,

del Fontanarosa, R. Giovagnoli, Legr/ende romane

;

»ii--

e per la lejfgenda

(Roma, Perino.

18y7),

pp. 90-144. 3

V. Caravelli, Chiacchiere

critiche (Firenze,

143-157. Il Caravelli parla, a p. 152, di

Martino

di S.

ritrae, invece,

VI, 1897, <

p.

di il

Napoli, e ritraente

padre Eocco

(cfr.

un

il

De

Loeacher,

Fontanarosa:

ma

cit.. II.

quel

pp.

Museo busto

la Ville, in Snpoli nohiliu.,

87>

Giornali del Fuidoro, ms.

18b.'i\

busto, esistente nel

f.

9: III,

f.

1-2»;.

182

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

I

del 1666, quindici banditi assaltarono e saccheggiarono la

suoi parenti

casa di alcuni «

si

ch'era forte ed animoso

oppose

non colsero

Ed

suoi ^

dei

vi accorse

per miracolo,

lui

eccolo, per

che

Tra

uccisero uno contatto

in

aneddoti popo-

n.egli

concernono.

lo

manoscritti della

i

ma

una volta almeno,

con banditi, com'è spesso presentato lari

padre,

il

con altre persone,

banditi, gli furono sparate contro sei archibu-

ai

giate che

Fontanarosa, e

in

;>,

nostra Biblioteca Nazionale è

un Quadragesimale del Padre Maestro Fontanarosa ^. Comprende trentacinque prediche, che cominciano ciascuna con un lungo e bizzarro paragone: la prima, col paragone tra i

il

Magi che recano

re

oro, incenso e mirra, ed

bambino

al

predicatore che viene a Napoli

di cenere

»

con presente e tributo

«

con paragoni tra una nave e

altre,

;

Ver-

la

pomposa nave..., spalmata e bella, a solcare l'inflnitanza del mare delle grazie, nave il di cui arsenale fu gine:

«

l'utero

Anna, fabbro

di

divina Provvidenza, sarti

la

una scacchiera

virtù, ecc. »: tra

ove impera un re monarca. Cristo, rex regum dominantiitm, e schierato esercito di rocchi, valli

sono

li

suo cane e

giacché

i

Op.

«

II,

f.

»

ca-

;

tra

lo

»

segue, e se per caso

soggiunge:

166. Il diarista

Di questo

dell'auditori delia provincia pigliò l'informazione e si pigliò

denari del suo accesso dal maestro

[il

fa.tto

uno

anche

troppo clemenza, publiche; per distribuitiva 2

S.

lo

la

che

il

Viceré stima

il

quale anche offende si

sdegna

communemente

Ms. segn. Vili.

A A.

il

governo

e

li

nobili

ti-

con

delle perfette re-

la giustizia

non

è

».

59, di ce. 235,

Domenico Maggiore. Fu già

al

Baronaggio

pubblico quando

a tutti

li

P. Maestro Fontanarosa), ch'ac-

cudisce al Viceré e non trova giustizia, perché ogni bandito tiene tolati per protettori, ed

il

qual cane descrive opere mirabili,

quale offlcioso servo

cit.,

dominus

et

alfieri e

diversi gradi ed ordini della Chiesa

la Carità, del

le

e la Chiesa, «scacchiera

proveniente dal convento di

descritto dal compianto Caravelli,

1.

e.

E IL GUSTO SPAGNUOLO vien

chirurgo amante, col tasto della

egli, fatto

ferito,

gua palpa

e lambisce la piaga, e col

l'unge e la risana

A

».

183 lin-

balsamo della saliva

darne un saggio un po' più largo,

recherò quasi per intero l'introduzione della predica dicesima sul testo

:

Ego vado

et

me

quceretis

tre-

in peccato

et

vestro moriemini'.

Ambisce

monda

talvolta

l'ingegnoso ragno

tranguggiarsi

di

e puzzolente mosca, né potendo impennarsi

il

l'im-

tergo a gion-

gere a chi per l'aria vola trae dal ventre la viscosa bava, tesse

con

brancata conocchia

la

opure

la tela

or

si

l'artificiose fila, intorce

li

stami, e spande

la rete in aria; or s'avanza, or s'arretra, or s'inalza,

sbassa, or

se distorce in

si

un

profonda nella lato,

ora

si

terra, or si libra

conduce in un

altro,

cielo, or

nel

ora

si fa

astro-

con l'osservare nell'oriente, ora nell'occidente, ora diventa

logo

matematico tirando circonferenze e a misurar

le fila in terra; e,

jpunti, or

mentre spande

geometra ch'ascende l'ordita tela,

ed im-

priggiona nella sua rete la mosca, la punge, la ferisce, l'uccide, la sbrana, la succhia, la divora.

venenoso

è

Ma, oh che ragno abominevole

Tempio, che, dal ventre della colpa vomitando

zolente bava della malizia, intesse le

fila,

jjeccatorum circumplexi sunt me, spande

intorce le funi,

e

puz-

la

fu>ì''s

le reti dell'iniquità, cndt't

in retiaculo eius peccoAor, or l'alza nel cielo della superbia, or si

profonda nel centro della sensualità, gira a torno, va a caccia delle

mosche

della vanità, in circuitu impii ainbulant;

ma

in fine ivi se

ne muore, disseccato dal vento, ove depredando cerca conservarsi in vita, tabescere feristi sicut araneam eiux: ego vado et qua-refis

me

et

in peccato vestro moriemini. Ego. ecco

ecco l'abbandonamento, quxretis del ragno,

desima

>'t

et

non

il

Signor offeso, vado,

incenictis, ecco

i

capogiri

in peccato vestro moriemitìi. ecco la morte nella

rete intessuta

da

lui

me-

....

Sbalordito egli stesso dei suoi paragoni, non sa astenersi dall'esclamare di volta in volta: « Oh, che tropi! oh, che figure!

oh, che

misteri profondi! oh, che

scosti! »; ovvero:

«

sacramenti na-

Oh, che figure! oh, che tropi! oh, che

metafore! oh, che enigmi! oh, che paradossi! oh, che tra-

184

PKEDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

I

slati

Sono anche degne

»

!

quali

si

tissima mia udienza

Minerva

terario di tuosi

A nato

ora

»,

lui,

ora

ora

»,

a cagione del suo

di quadri

fiorita

avere parago-

attribuisce di

si

Agostino

s.

Girolamo

s.

mordace,

stile

sua

la

lit-

nobilissima ecco (eco) di vir-

«

come all'André,

per

« fiori-

nobilissimo e fioritissimo

«

fioritissimo incontro d'eroi ».

per la sua carità,

»

fiori »

chiamandola ora

dottori della Chiesa latina,

i

cuori

«

»,

espressioni con le

di nota le

rivolg-e alla sua udienza,

s.

al

Ambrogio

eloquenza, e

al

Gregorio

s.

re dei

«

re di picche

al «

«

re di

al

re

«

per la sua semplicità prosaica. Vero o no,

»

Fontanarosa (come

il

vede dai saggi delle sue prediche au-

si

ben capace

tentiche) era

»

di siffatti arditi

ravvicinamenti e

traslati.

IV Contro

il

cattivo gusto delle prediche reagì, prima, la

Francia, la quale aveva avuto anch'essa conceptions théologiques e

ma

ch'ebbe presto

Segui,

un

le

Bossuet,

ì

le

sue raccolte di

sue pointes, venute d'Italia'; i

Bourdnloue,

Massillon.

i

po' più tardi, l'Italia, che, nella seconda

del Seicento ebbe

il

Girolamo Tornielli. Ma, più tardi di

seguente,

Spagna, dove

metà

Segneri, e nella prima metà del secolo tutte,

la

male era inveterato; e per curarlo, occorsero rimedi estremi. Non bastando gli ammonimenti gravi dei precettisti, sembrò necessario, circa la metà del Settecento, a di

un gesuita,

piglio

i

il

al

padre José Francisco de

all'arme del ridicolo. L'Isla

BoiLEAU, Art

cers attirées...

Et

le

2^oétique,- c. 1:

*

les poinfes...

ricordò

furetti

dodeur en chair en sema V Evangile

dicatori di stile ispano-italiano hien penser (ediz. ital.,

I,

si

veda

il

Isla,

dare

che,

con

de P Italie en nos ».

Contro

i

pre-

Bouhours, nella Manière de

pp. 17, 22-3, 41, 92).

E quell'arme,

il

IL

GUSTO SPAGNLOLO

185

gran Cervantes aveva liberato

il

suo paese

il

Cervantes,

morbo dei libri scrisse un romanzo

di cavalleria;

titolo: Historia

famoso predicador Fray Gerundio de

dal

Campazas, Il

del

imitando

e,

predicatori spagnuoli, col'

satirico sui

alias Zotes.

Fray Gerundio levò grande rumore

scandali, polemiche, proibizioni ^ fu pubblicato

ne nacquero

:

primo volume

Il

alla line di febbraio 1758:

il

molte traversie, sembra che fosse stampato per volta circa

il

1770.

Il

4 aprile 1758

al

prima

la

destò grande entusiasmo nel

libro

marchese Bernardo Tanucci; il

di esso

secondo, dopo

il

quale, scrivendo da Napoli

principe di Jaci,

paragonava

lo

Don

al

Quijofe, dicendo che l'impresa dell'autore era più ardita,

perché, se

cavalieri erranti potevano essere messi in

i

dicolo senza timore dell' Inquisizione,

desimo per

i

scriveva

duca

al

predicatori;

e,

sulla

non accadeva

informandolo che

di Montealegre,

maravigliandosi che dai

Xon

è

di quel

libro,

che

Si

veda

di

mio parere, giudicato a ragione

dal Me-

la Colección de varios escrilos crilicofi, poU'micos,

motivo de la Historia de

Isla

Bibl.

ci

la

y sntiricos eslampa ó con-ieron nianuscriios con

Fray Gerundio, pubbl. de autor,

espail.,

t.

XV

nelle Obras escogidas dei ,

pp.

l'argomento P. Gaodeau, Essai sur Fray Gerundio rigi,

ma,

scritte,

composizione, di proporzioni, di

en prosa y en verso, que se dieron

Padre de

valore letterario

il

ha pagine deliziosamente

difetti

sobrietà, ed ò, a

la re-

Fray Gerundio

-.

da questo luogo determinare

insieme, gravi

'

predicatori

i

il

spagnuoli fosse uscito un

frati

libro cosi grazioso contro

me-

dello stesso mese,

fine

gina di Xapoli leggeva con molto diletto e

il

ri-

257-102.

et le p.

Cfr. sul-

de Isla

Pa-

1890;. -

Questi estratti della corrispondenza del Tanucci (che si conserva Simancas e di Alcalà de Henares sono pubblicati da

negli archivi di

M. Danvila y Callado, Reinado 308, 363.

de Carlos III

Madrid,

l&t»2

,

I,

pp.

186

1

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO

nendez y Pelayo « algo mazorral y frailuno » ^ Come documento storico, presenta una copiosa e bizzarra raccolta dei più strani deliri dei predicatori secentisti, la cui razza

sopravviveva in Ispagna. Vi catura

le

in cui essi si

torie e

formavano;

titoli allegorici

i

si

trovano descritte in cari-

scuole di grammatica, di rettorica, di

filosofìa,

gli usi letterari circa le

dei libri

le ricette

;

per

dedicale

varie

occasioni di prediche (per la settimana santa, per funerali,

per elezione di vescovo, ecc.)

non che

latine,

modo

il

stancias (che sono le

«

;

l'arte di fornirsi di citazioni

cavare dal tema las circum-

di

circustanze

»

del nostro Tesauro);

e gli espedienti di stile, le circonlocuzioni, le furberie per

destare

l'attenzione.

frate Blas,

che

il

padre predicatore del convento,

Il

giovane Gerundio ha per modello e ora-

colo, professa la seguente teoria:

«

Il

fine

che deve pre-

figgersi ogni oratore, cristiano o no, è di piacere all'uditorio,

dare gusto a

tutti

ed entrare nelle grazie della gente

con l'abbondanza della dottrina, con

ai dotti,

dine delle citazioni, con l'erudizione;

con

gli

ai

la

le

equivoci; ai raffinati, con

fatterelli, incastrati tutti,

varietà e con la sceltezza del-

prudenti, con

e altisonante; al volgo,

a

la

infine, con

voce e coi gesti

:

la moltitu-

arguzie, coi giuochi e lo stile

pomposo, elevato

la popolaritù, coi proverbi, coi

con

con opportunità e detti con grazia; la ».

presenza, con la disinvoltura, con

Tutti

i

mezzi erano buoni. Cosi frate

Blas, per attirare l'attenzione dell'uditorio, predicando

giorno sul mistero della Trinità, cominciò:

«

un

Nego che

Dio sia uno in essenza e trino in persona »; e si fermò un poco. Gli ascoltatori cominciarono a guardarsi, scandalizzati e incerti; e, quando egli li vide presi all'amo,

1

Nella Historia de

pp. 414-17.

las ideas

estéticas

en

Espana, tomo

III,

voi. I,

E IL GUSTO SPAGNUOLO

prosegui: il

«

Cosi dice l'Ebionista,

Manicheo,

con

Socciniano;

il

la Scrittura, coi

si

Marcionista, l'Ariano,

il

io

Concili e coi

doveva fare (come

di .simile

ma

187

proverò Padri

loro

il

errore

Qualche cosa

».

è detto di soprai quel fra'

Niccolò Riccardi, celebre predicatore italiano del Seicento, di

cui

ci

parla

cominciò:

dendo

il

Tiraboschi. Un'altra volta,

l'uditorio:

salute vostra,

«

mia

Non

Blas

frate

Alla salute vostra, signori!

«

»;

e,

ri-

c'è da ridere (egli prosegui): alla

Gesù

e di tutti, discese dal cielo

Cristo

e s'incarnò nelle viscere di Maria: Propter nos homines et

propter nostram salutem descendit de est ».



Il

discepolo, fra Gerundio,

ma

del maestro,

lo

gli

altri

il

padre De

Isla,

gesuiti, riparò

in

accese tra letterati italiani e spagnuoli sulla si

è

degno

quando, scacciato Italia

\ essendosi

note polemiche

le

provenienza del cattivo gusto dalla Spagna

in Italia,

schierò tra coloro che difesero la purezza del gusto spa-

gnuolo e ne asserirono

l'

innocenza nel secentismo

no ^ Eppure, nessuno più efficacemente di in

incarnatus

et

supera.

Giova notare che insieme con

ccelis

non solamente

mostra

le

storture e le bruttezze di

della letteratura spagnuola, la

lui

italia-

aveva messo

un importante ramo

quale ebbe, por questo

ri-

spetto, sulla nostra, aperta efficacia.

1

Prese stanza in Bologna, dove mori

-

Si

veda

la

escogidas, p. xiii.

prefaz. di

P. F.

Monlau

il

1781.

alla cit.

ediz. delle

Obras

APPENDICE SECENTISMO E SPAGNOLISMO

La

teoria che

il «

secentismo

»

sts.

spagnolismo

;

»

fu dibattuta

nel secolo decimottavo, principalmente dal Bettinelli e dal Tiraboschi,

che affermavano, e dal Lampillas, che negava

gitata ai nostri

tempi dal D'Ovidio, dal

ed è stata

;

f'arinelii e

da

altri

ria-

non

pochi.

Per rendere fruttuosa

1"

indagine e

la discussione, è necessario,

positivistico

anzitutto, spogliare quella teoria di ogni involucro

naturalistico.

Si suole, infatti, darlo

tivo gusto letterario fu, nel Seicento,

prodotto da una causa, che era

con cui

l'Italia,

in

la

il

significato che

il

cat-

un effetto meccanicamente

cultura e letteratura spagnuola.

quel tempo, venne a stretti e molteplici con-

tatti.

Intesa a questo modo,

causa del cattivo gusto tori

la

fu,

tesi

i^rovoca

spaguuoli non erano capaci di produrre

de. Anzi, invertendo la teoria, si

avuto

l'Italia,

l'effetto

che

si

«

vita civile e let-

petrarchismo

il

spagnolismo

»

sarebbe da dire

può sempre provare che e,

anzi,

corruppe

il

l'altro.

un

«

corruttore e di

corrotto fu

Di qui.

italianismo

l'

».

un

e

genere,

e, in

sem-

dell'anima e della poesia spagnuola: onde

che, dove si asserisce l'esistenza di

simo

che

proten-

culto di forme letterarie raffinate, fu essa che corruppe la

plicità e popolarità

preteso

:

grande sulla Spagna, specialmente nel Quattro

Cinquecento, e avendo introdotto colà

si

l'antitesi

può perfino sostenere che, avendo

perla maggiore maturità della sua

teraria, efficacia

il

subito

invece, l'Italia stessa, e che gli scrit-

K

il

chiaro

corrotto,

corruttore di sé mede-

intermiuabilità e sterilità

APPENDICE

190 delle dispute

cento)

si

menti avvocateschi,

modo

Che

in proposito.

se poi (come accadde nel Sette-

mescoli nella disputa un po' di boria nazionale, gli argoi

sono preparati e quasi provocati dal

quali

stesso in cui è stata posta la questione,



moltiplicheranno

in tal guisa, per opera dell'una e dell'altra parte contendente, da soffocare, col loro rigoglio, ogni

germe

di verità.

Spogliata da pregiudizi meccanistici e positivistici, la questione

non 1")

è più

se Io

se, tra

debba porre rare tra le

altresì lo

del

stabilito

che

ingegni italiani di allora

le

e

detto secentismo

cosi

spagnolismo;

condizioni, per cosi

rimanendo bene gl'

spagnolismo fu la causa del secentismo;

condizioni

le

e 2°)

Ise

pivi

dire,

ma

italiano si

esso sia da annove-

importanti.

E, cioè,

opere italiane furono prodotto de-

che l'Adone del Marino,

p.

e.,

è do-

vuto alla forma d'animo e di mente del Marino, e non già a una spinta estrinseca che l'introdusse nello spirito di lui;

pere

nella

se,

si

vuol sa-

materia che era innanzi allo spirito del Marino,

entrò anche la cultura e letteratura spagnuola, e in quale esten-

deve procedere, dunque, nello studio dello spagnolismo

sione. Si

con quel metodo stesso che

si

deve l'igorosamente osservare nello

studio di tutte le cosi dette fonti ^

Alla prima

domanda

spagnolismo

se lo

qualche misura,

fu, in

tra le condizioni della letteratura italiana del Seicento, la x'isposta

potendo venire in mente a nessuno

esce subito affermativa; non di

negare

il

ed era nota,

fatto evidente

che una letteratura spagnuola esisteva

alloi'a, agli italiani

;

così

come non

si

potrebbe escludere

da quelle condizioni nessun'altra delle letterature preesistenti

e

coesistenti, e direttamente o indirettamente note in Italia. Alla do-

manda lo

più particolare

spagnolismo fu tra

mente esso se

non con

si

(e

le

che è quella che veramente preme) se condizioni

importanti, e

determinasse e configurasse, non

della questione, a cominciare

Si

come propriapuò i-ispondere

dati di fatto precisi e istituendo ricerche particolari.

In ciò hanno peccato quasi tutti coloro che

1

si

veda per

la

dagli eruditi

questione metodica

Estetica (Bari, 1910), pp. 489-504.

il

si

sono occupati

del Settecento, fino a

mio volume: Problemi

di

SECENTISMO E SPAGNOLISMO dei giorni nostri

quelli linea,

ben pochi,

esclusi

;

Farinelli. Invece di

il

studiare la

e,

1*»1

tra essi, in

Spagna

prima

e l'Italia dei se-

coli

decimosesto e decimosettimo,

alle

caratteristiche della razza spagnuola, quale si è manifestata

è preferito discettare intorno

si

nei secoli; ovvero risalire all'antichità e proporre congetture sull'influsso che gli scrittori latini, nativi di Spagna, avrebbero avuto

decadenza letteraria romana. Ora,

sulla

sano notare, nei popoli,

certi

non negherò che

io

caratteri, su

traverso lunghi periodi, e che Seneca e Lucano, p. sero di siffatti caratteri e influissero

nemmeno paia che

dati di

i

due ordini

che

fatto,

Ma

si è in

insisto

perché

di questioni,

dente da quella dell'altro. Che dalla

Spagna

e.,

pos-

tesi,

at-

partecipas-

romani

scrittori

altri

pronunzierò disperata quest'ultima

pochi e assai incerti. i

su

si

per giù persistenti

;

e

quantunque mi

grado di addurre, siano ben

sulla

opportunità di distinguere

la soluzione dell'uno è indipenla

qualità dell'efficacia, spiegata

nel Seicento, rispondesse a certe sue disposizioni

antichissime, o che invece provenisse da cagioni recenti

;

che essa

rispondesse all'immutato carattere spagnuolo o a condizioni transitorie;

che fosse simile o dissimile da quella, che già essa spiegò

nel primo secolo dell'Impero sulla letteratura romana;

movere

un passo

tutto ciò

non

fa

la

questione proposta. Anzi, l'intralcia,

non

solo distraendo da essa e

impedendone l'approfondimento, ma

di

introducendovi quegli odiosi pregiudizi, che sono torno alle razze. Si lascino, dunque, un po' da parte

peregrinum

e l'influsso arabo,

naturale concettosità spagnuola; si

pregiudizi inil

pingue atque

Marco Porcio Latrone, Seneca, Marziale,

di Cicerone, e

Lucano, Quintiliano,

i

e,

che avrebbe rafforzato

giacché

si

la

parla di Seicento,

guardi, intanto, al Seicento.

Troppo scarse sono scenza e diffusione di giudizi

le osservazioni,

libri

che se ne dettero e

quindi, sullo imitazioni

finora raccolte, sulla cono-

spagnuoli nell'Italia di quei tempi, sui le

ammirazioni che suscitarono

che se ne tentarono.

o,

Manca ancora un

saldo fondamento bibliogfrafico, che dovrebbe essere un catalogo delle edizioni e traduzioni, fatte in Italia delle opere e

un

sj^agnuole;

altro, storico-biografico, sulle varie colonie letterarie spagnuolo

in Italia,

sulle

accademie italo-ispane, sulle compagnie comiche

spagnuole che venivano

in Italia, e via discorrendo. Tuttavia, qual-

APPENDICE

192 cosa

non

ultimi anni

negli

si è fatto

si

ed

;

da sperare che fra breve

è

parlerà più della questione circa

secentismo e

il

spa-

lo

gnolismo, perché essa sarà stata riassorbita nella precisa cono-

scenza dell'elemento spagnuolo che faceva parte della vita italiana nel secolo decimosettimo.

Per intanto, flusso

si

può considerare come accertato o indiziato l'insul dramma e, di quel tempo

spagnuolo sull'oratoria sacra

;

per esso, sulla commedia dell'arte e sul melodramma; sul romanzo; sulla lirica^;

e,

finalmente, sullo stile in genere. Quest'ultimo era

già avvertito da alcuni nel secolo precedente, cosi nell'uso delle metafoi'e continuate

Anche

credette

il

fu qualcuno che denunciò

Su imitazioni

il

il

il

^.

cattivo in-

Boccalini accennasse,

un suo Ragguaglio

Belloni, in

nice spagnuola che

1

in quello delle frasi cerimoniose

ci

Se mi pare dubbio che

flusso spagnuolo.

come

come

nel Seicento,

di Parnaso, alla ver-

Marino passò sul proprio petrarchismo

dal

Góngora

del

^,

è

Testi e del Tassoni, cfr. Fari-

par Espaàa y Portugal (Oviedo, 1899, pp. 36, 40-1 n.). Su alcune del Marino da Lope de Vega e dal Montemayor, Menghini, Vita e opere di G- B. Marino (pp. 124-6, 150, 168). Del resto, le imitazioni del Marino furono quasi tutte rivelate nelli, Apuntes sobre viajes

y

viageros

dagli stessi critici contemporanei, avversari e amici. Cfr.. p. le

canzone (Napoli, Passare, 1677), p. 161:

«E

circa

e.,

imitazioni dal Vega, Federigo Meninni,^^ ritratto del sonetto

fama che da Lope

della

e

Vega

di

Carpio portato avesse alcuni sonetti nella nostra lingua, e sono Simulacro divino; Che Tizio là; Siegue il vento ; Foggiò Fetonte; Ed ecco pur; :

Sovra vasi; Gire

e restarsi;

Parca d'amor; Contro

il

Esca porgea;

sole;

Tinta Varia; Se fra gli scogli; Mentre nel nido; Dite a la donna.

con quanta leggiadria

De Vega,

è nelle

Rime

e

di

miglioramento!

un marinista

Materdona, parte I, p. 46. 2 Si vedano le mie Ricerche 28-32, e la 3

Lingua spagnuola

Belloni, in Giorn.

tega dove Giambattista Marino de' quali

molto stretto, egli

il

accademico ozioso, del Maia

(Roma,

stor. d. lett. ital., I,

Ma, pure,

sonetto, tradotto dal

ispano-italiane (Napoli,

in Italia

Boccalini {Ragguagli di Parnaso,

gnuoli,

e

Un

».

84) è:

XXXI, •

1898), I, pp.

1895), pp. 42-52.

si

376

n.

Il

luogo del

trasferivano nella bot-

faceva lavorar

borzacchini spa-

Coppetta volendosi provare uno, perché

tal violenza

usò nel calzarlo che

lo

li

sgarrò

riusci »,

ecc.

SECENTISMO E SPAGNOLISMO che

certo, invece,

loqo (16-46-7),

il

Pallavicino, nel Trottato dello

non manca

gnuolo dei concetti

ma non

crine,

cia,

stile e del

mettere in guardia contro

di

e delle

din-

vizio spa-

il

metafore. L'eleganza (egli dice)

ma non

mette guernirsi Tabito, il

193

am- ^

«

insuperbirlo di perle: acconciarsi

inanellarlo con ricci

:

lavarsi col sapone la fac-

ma non dipingerla col minio prezioso

E, poiché Seneca era spagnuolo, parla

di lui

di

come

Spagna

di

un

«

».

gin-

netto spagnuolo >, che « sbatte il viaggiatore » e lo accusa di « profumare i suoi concetti con un'ambra di Spagna, che a ;

lungo andare offende stanca

'

la testa:

nel principio

diletta, nel

processo

^

Nel quale luogo non riesco a vedere se non l'allusione all'osceno capitolo del Marino Lo stivale, e propriamente a quei versi che dicono: «

Li spagnoli

cellenti

han

Yengon

di

pend. al Borzelli. 1

Ediz. di

in uso

i

borzacchini, Forse perché

Spagna ed Il cavalier

Modena,

i

cordami

fini

»

i

corami più

G. B. Marino. Napoli, 1898,

1S19. pp. 24. 51,

H"»9,

ec-

ecc. 'ristampato in ap-

I8ó.

p. 228).

IV

PULCINELLA E LE RELAZIONI

DELLA C0MMEDL4 DELL'ARTE CON LA COMMEDL\ POPOLARE RO.MANA

D&W Archivio storico per 668. tica,

Lo

ìe

jy'ovincie napoletane, voi.

scritto in appendice è

voi. II (1904), pp. yS2-9.

una

XXIII

(1898), pp. 605-

recensione, pubblicata nella Cri-

JL

che e

ulcinella

non

si

può

sono tentate di

si

nessuna

è restata.

complicazione

definire. Delle

nessuna è parsa soddisfacente

lui,

Ma

perché non

psicologica

molte definizioni,

del

può? Forse per

si

personaggio? Sarebbe,

un bel caso, ch'egli facesse anche questo

certo,

persone serie, di sfuggire guizzando a d'intelligenza.

Senonché

terminano caratteri

d'arte

critici

i

tutti

i

la

di

tiro alle

loro

sforzi

analizzano e de-

da

e situazioni artiNtiche cosi difficili,

non sembrare veramente probabile che poi vogliano confondersi e cedere

se

La ragione non appare

le

armi innanzi a Pulcinella.

di quella impossibilità è di solito, e

i

tentativi

molto semplice

si

sono

;

fatti e si

e, ri-

petono con frequenza, ciò accade appunto perché, assai spesso, alle cose semplici

non

si

bada. Pulcinella non de-

signa un determinato personaggio artistico;

ma una

col-

lezione di personaggi, legati tra loro soltanto da un nome, e, fino a un certo segno, da una mezza maschera

un camiciotto bianco, da un berrettone si chiamano

nera, da

Tali sono, del resto, tutti quelli che

mici.

Come

lezioni,

ciò

c'è

che

si

tipi co-

potrebbe definire con esattezza codeste col-

messe insieme i

a punta.

alla

buona? Volendo determinare ti])o hanno di coiìuine,

personaggi compresi nel

rischio

di

fare

tante e tante successive

eliminazioni

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

198

mano solamente (quando

che, alla fine, resta lu

nome «

un

o

un

resta)

vestito.

Pulcinella rappresenta

il

popolano sciocco ed ozioso

»,

una volta il De Sanctis ^ E le obiezioni si affollano pronte: Deve essere necessariamente « popolano »? La commedia (e, stavo per dire, la storia) non ci presenta Puldisse



E

cinelli e guerrieri e ministri e re ?

perché

«

sciocco

» ?

Pulcinella non è spesso un furbo, che conosce e adopera

molto bene

E perché

vita?

le arti della

vi sono Pulcinelli che lavorano, o,

insomma, non restano si

in ozio? E, infine,

e,

supponendo che .

potessero affermare tutte' queste caratteristiche, baste-

rebbero a definire Pulcinella e,

Non

ozioso »?

«

almeno, s'affaticano

con

la

?

Quale

la differenza tra esso

l'Arlecchino o lo Stenterello? Col

p. e.,

sciocchezza

«

e

»

con

1'

«

ozio

»,

«

si

popolano

»,

possono co-

struire personaggi svariatissirai.

Dove ficile

si

che

non

è provato e

altri riesca

;

è riuscito

onde lascio di

il

De

riferire

Sanctis, è dif-

ed esaminare

altre definizioni (tanto più che di alcune converrà toccare

nei séguito), tutte soggette alla

medesima

del resto, faccia da sé la prova:

ne escogiti rebbe che

critica. Ciascuno,

legga quelle definizioni,

non verrà mai a capo di nulla. Si dimedesimo De Sanctis avvertisse questa irra-

altre, e il

zionalità del problema, perché, se parlando in iscuola for-

molo quella definizione, toccando, alcuni mesi dopo,

*

Dal

«

Libro della scuola

>

lo

di Fra?icesco de Sanctis, 1872, pubbli-

cazione di F. Torraca (Roma, 18S5), pp. 25-9. I brani principali, relativi al Pulcinella, o rari, a

sono stati

riferiti in

De

Sanctis, Scritti vart inediti

cura di B. Croce (Napoli, Morano,

lavori, che furono letti alla scuola del

De

1898), II, pp. 196-7.

Tra

i

Sanctis intorno allo stesso

può

leg-

gere nella Nuova Antologia (agosto 1872), e in opuscolo (Napoli,

Mo-

tema, quello dell'ARCOLEO, Pulcinella dentro rano, 1897).

e

fuori di teatro, si

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

argomento

Stesso si

in

un suo

scritto

109

evitò di ripeterla, e

',

restrinse a considerazioni di metodo, notando gli errori

in cui

cade, quando, nel dare la definizione, o

si

iden-

si

Pulcinella con la comicità in generale, ovvero, par-

tifica

Pulcinella la figura o

ticolarizzando,

si

un altro o

un'altra cosa.

di

fa di

damentale e distintiva

raccomandava non disse.

Ma

quale fosse

Pulcinella

di

di cercare per

(il

una buona

Si potrebbe osservare che, se

nome

il

il

simliolo di

nota fon-

la

che giustamente definizione),

egli

di Pulcinella ab-

braccia una serie di personaggi svariati, ciò non toglie che tra questi

personaggi ve ne sia uno,

il

quale (per applicare

un detto che si attribuisce al famoso padre Rocco, ma che è un aneddoto assai più antico, narrato di vari predicatori popolari),

non

il

quale, fra tutti, è

si

e Palcinelli falsi;

più o

«

il

vero Pulcinella

meno

belli,

essi

ma

sono

tutti

figli

legittimi dell'arte;

legittimi. Si può, di certo, ricercare,

quei personaggi, se vi sia un sottogruppo, legato da

tra

alcune qualità distintive, accanto a personaggi

ad si

No,

».

ha questo diritto di distinguere tra Pulcinelli veri

altri

isolati

o

sottogruppi meno riccamente rappresentati. Ma,

badi, anche questo sottogruppo è definibile solo appros-

simativamente, e contiene, a sua volta, personaggi svariati, un si è formato ciascuno con propria fisonomia. P. e. :

sottogruppo di Palcinelli nelli

«

furbi »;

ma

«

sciocchi

»

e

un altro

quei Pulcinelli, sciocclii o

di Pulci-

furiti,

sf

somigliano per un lato, sono, nel resto, più o mcn<»

si

di-

può ricercare quale o quali di iiuci vari omonimi individui artistici abbiano avuto maggiore fortuna versi. Parimente,

si

e abbiano dato luogo a più

1

La

scuola

'h\

frequenti

Nuova Antolojta, agosto

Scritti vari, ed. cit.. II, 189-197).

ripr-tizioni e

1S72. e

ora

imita-

ristarap.

iu

200

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

zioni.

Si Otterrebbe a

ma

pulcinellesca;

questo

modo una

prevalenza o

la

neanche determinerebbero nulla

A me

sorta di statistica

prevalenze numeriche

le

sul

vero

«

»

Pulcinella K

sembra, dunque, che di Pulcinella in genere,

quanto carattere

nome,

che sia un

non

artistico,

del quale

si

si

in

possa dire altro se non

sono serviti prima

i

com-

mediografi e attori napoletani, e poi quelli di altre parti d'Italia e

anche

artistiche.

Di

alcune loro creazioni

di fuori Italia, per

solito,

questo personaggio ha avuto anche un

aspetto e un vestito

fissi

di frequente,

e,

;

ha indicato una

creazione di carattere comico, ossia un personaggio per sé stesso ridicolo.

Ogni altra determinazione non appartiene

ma

al

Pulcinella in generale,

le

quali lo studioso di letteratura deve ricercare e descri-

alle singole sue incarnazioni

;

vere, assegnando le circostanze tra cui nacquero, e, cioè,

facendone

Ma, se

la storia.

la fissità (in certi limiti) del

è poca cosa,

non bisogna credere che

La predilezione per buone ragioni. una propria

Il

e

non

vestito

il

simbolica,

e diretta

e del vestito

dette maschere, o tipi

le cosi

nome

nome

sia a dirittura nulla.

ma

s'

ha

fissi,

contengono

solo

impregnano

altresì

delle rappresentazioni artistiche nelle quali sono stati adoperati, e recano

con sé e

desta una fonte di sare, di

ma

che non

questa suggestione,

come

di Pulcinella, .pel passato)

cui non

si

si

si

sorriderà nel vedere una statuetta

usa esporne

(e si

usava anche più

commercio

;

e

si

sorriderà nel passare in-

nanzi a una villa dei contorni di Napoli, dove

'

Una

effetto

dai bottegai popolari di Napoli, quasi dio tu-

telare del loro

descrizione in

vero Pulcinella,

co-

deve abu-

può disprezzare. Appunto per

si

È

in sé sentimenti e fantasie.

effetti artistici, di

si

parola Pollecenella.

vei'si

può leggere

napoletani, che

si

ci si

offre

dà come quella del

nel Vocah, napol. del

D'Ambra, sotto

la

PULCINELLA E LA 'OMMEDL\ DELL' ARTE lo Spettacolo di

tario in

un terrazzino,

ha postato due batterie

mezzo

e

;

si

gusterà

la

sul quale

(al

bizzarro proprie-

cannoni con un Pulcinella

di

comicità della facezia di un ce-

lebre motteggiatore napoletano,

chele Viscusi

il

201

quarantottesco don Mi-

il

quale, nel tempo dei Borboni, lo scherzo

costò la prigionia), a quel venditore, che recava sopra

dodici piccole

tavoletta «

Quanto ne chiedi

di

figurine

di

una

gesso di Pulcinelli

questo Consiglio di ministri?

:

».

Sul medesimo effetto contano gli attori uell'annunziarsi e presentarsi sulla scena in ajoito e veste da. Pulcinella; e lo

raggiungono, perché sono accolti subito da riso e applausi.

Finanche allorché un attore

di

molto ingegno volle trasfor-

mare Pulcinella in un personaggio sentimentale, quel vestito e

quel

nome ebbero una

certa loro particolare efficacia,

rafforzando e complicando la commozione.

eppure piange

»,

sembravano

«

È

Pulcinella

dirsi gii spettatori.

«

O

;

mi-

umana, quanto sei grande: come penetri dappertutto, non t'arrestano la maschera e il vestito del buffone! ».

seria e

Chi poi la

si

letteratura

modo che

faccia a studiare, nel

pulcinellesca, e

si

fermi

sui

si

ò detto,

singoli perso-

naggi, anche qui incontrerà talvolta la difficoltà del non

per una ragione diversa da quella che abbiamo assegnata per il carattere del personaggio in gene-

poter definire;

rale.

ma

Quella letteratura

ranti e istrioni, che

contentatura.

si

Donde

è, in

gran parte, opera

mestie-

di

rivolgevano a un pubblico di l'incoerenza

nella

facile

rappresentazione

del personaggio, sia per l'incapacità degli artisti, sia per la

E

tendenza a soddisfare gusti

grossolani

del

pubblico.

moltissime commedie e farse presentano da una scena

all'altra,

dissimo

fe

e

spesso nella stessa scena, un Pulcinella intelligentissimo,

ridicolo

e

derisore,

stupi-

abile

e

tutto ciò a sbalzi, senza nessun prininetto, savio e matto cipio di unificazione artistica. Alcuni critici si sono studiati :

d'introdurre logica e armonia in questo miscuglio e hanno

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

202

mediazioni che rendano concepibile

voluto trovare

le

rattere. E, se

anche hanno detto talora cose

gnose,

sono sempre affaticati indarno

si

cercare

carattere

il

e

l'arte,

sono.

La rappresentazione,

serie

di

motti, di

atti

prendere e a produrre e

Pulcinella agisce

parti e nessuna

I

:

non

ca-

il

inge-

assai

è possibile

dove carattere e arte non

in quei casi, si risolve in

una

a

sor-

ridicoli, di l'effetto di

lazzi, destinati

una momentanea

da semplice buffone, che

fa

risata;

tutte

le

compiutamente.

Queste avvertenze occorre tenere presenti per lavorare

con frutto intorno dell'arte.

alle

maschere della commedia popolare

La trascuranza

di

esse

rende confusi, incon-

cludenti e arbitrari parecchi degli studi che

si

sono avuti

sull'argomento ^

i

P.

gliuolo

due

e.,

l'ampia opera, riccamente illustrata, di Maurice Sand

della

voli.),

grande romanzatrice), Masqiies

et

che lascia da desiderare non poco anche sotto

della ricerca e dell'erudizione.

(fi-

houffons (Paris, 1860, il

rispetto

L'inventore del Pulcinella

Nome, cognome, patrl\ e vestito del personaggio

X

teatrale, altre

nome

er Palcìnella, ossia per questo si

ha una fortuna, che non sui teatri.

Fu

per molte

ripete

si

maschere, anche di quelle importanti

primo l'introdusse

personaggio

di

:

si

conosce chi

costui Silvio Fiorillo, at-

tore napoletano, che recitò in Napoli e in altre città d'Italia

negli ultimi decenni del Cinquecento

Seicento, celebre segnatamente nella

spagnuolo

Lo sto

»,

sotto titolo di

«

primi del

nei

parte di

«

capitan ^latamoros

Scherillo, nel suo bel saggio

punto

e

si

-,

capitano >

'.

richiama per que-

Andrea Ferrucci neH'JWf lui è sfuggita una testimo-

alla testimonianza di

rappresentativa (1699);

ma

a

nianza assai più antica e autorevole, dalla quale è probabile che il Ferrucci traesse la sua. (Se l'avesse tratta da diversa fonte, tanto meglio, perché

invece

1

avremmo

in tal caso,

di una sola originaria, duo affermazioni

Aliìrecht Dieterich, Pulcinella, pompejanUche

rOmische Satyrspiele

Leipzig, Teubner, 1897;,

p.

257,

indipen-

Wamlbilder

unii

sembra confon-

dere Silvio Fiorillo col più celebre Tiberio Fiorilli, che recitò a Parigi col nome di « Scaramuzza • Ma non «^ accertato neppure che tra .

i

due 'benché entrambi napoletani) fosse relazione di parentela. 2 Pulcinella [\n La commedia delVarte in Italia, studi e profili, R<Miia.

Loescher, 1834).

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE

204 denti).

Quella testimonianza è data dal comico ferrarese

Pier Maria Cecchini, detto

Frittellino

«

»,

nei suoi Fruiti

moderne comedle, pubblicati a Padova nel 1628 In quest'opuscolo, il Cecchini, dopo avere discorso

'.

delle

«

parti

napoletane

speciale capitoletto a

cosa nuova o recente (cosi,

dei

(cioè,

»

Policinella

«

« Il

:

»,

delle

dedica uno

comici),

tipi

parlandone come di

tacer della parte di Policinella

complimentosamente, egli comincia) sarebbe un

gno

poco amore, e

di

se appresso di di

for-

indizio

lui

qualch'odio:

se-

il

quale

non potrebbe meno aver assistenza in petto, che al-

bergasse umanità, la quale di

natura è

amica

tanto

delle piacevolezze

».

po averne delineato

^^W

KW

soggiunge:

rattere,

E, doil

ca-

«

In-

ventor di questa stragofis-

sima parte fu

Capitan

il

Mattamoros, uomo

in altri

comici rispetti di una isqui-

Silvio Fiorillo

sita

bontà, posciaché

fare

il

capitano spagnuolo

non ha avuto chi

in abito di Capitan Matamoros.

Dal frontespizio della Lucilla costante.

zi,

e

per

forse

lo

avan-

pochi che

lo

agguaglino. Questo, per far

credere che anche

la

semplicità abbia loco d'albergare fra

napoletani, trovò questo

1

modo

Frutti delle moderne comedie

Cecchini, nobile ferrarese, tra sereniss.

granduca

di

et-

d' introdurla;

avisi a chi

le

che poi ha

il

recita

di

Piermaria

comici detto Frittellino, dedicati al

Toscana Ferdinando secondo

presso Guaresco Guareschi al Pozzo dipinto, 1628).

(in

Padova, ap-

l'inventore del pulcinella

I.

avuto

suo accrescimento dall' iiumitazione. e

il

in Francesco,

tanto gusto

qual non vuol

il

privar

205 l'

isquisitezza

sua

la

patria di

K

»

Per intendere a pieno

valore della testimonianza del

il

Cecchini, occorre notare non solo ch'egli era contempora-

neo del Fiorillo (ancora vivente, quando blicava

il

ma

suo opuscolo),

anni dal 1616

al

1618

che

Napoli per alcuni

recit<^ a

Anzi, l'opuscolo di

~.

Cecchini pub-

il

per buon.)

lui è,

parte, diretto a dare notizia dei personaggi comici napoletani, «

trascurando quasi del tutto quelli del resto d'Italia,

lombardi

come

»,

l'autore) io volli

con loro, si

«

mai avuto cagiono

(sic)

ebbi però sempre spinto

(che)

come ora

allora; giacché (dice

a quelli {agli attori) di Napoli far cono-

benché non ebbi

scere,

chiamavano

si

parnii di aver

campo

di

publicarli

In quel torno, erano venuti in voga

comiche

le

«

parti

o

»

«

Ma

Coviello, Pascariello.

nelle

napoletani »: Cola,

personaggi

falsificati

a cagione del

adoperato dialetto e dei gesti e azioni esagerati cercò di quali

li

noti

farli

aveva

loro aspetto

nel

visti

nella

loro

genuino

e

migliore,

d'origine,

patria

ni.ii

Ond'egli

'\

discor-

pp. 84-5.

1

Op.

2

Documenti pubblicati da me

cit.,

».

compagnie

questi, nel resto d' Italia, al dire

Cecchini, erano di solito

del

di recitar

di conoscerli,

(sic)

nei Teatri di Napoli {ì^apoh. Pierro,

1891), pp. 93-94.

In queste nostre parti di Lombardia si sono seminati diversi quali, per non esser napoletani, sono i ignudi di quell'azioni, le quali son proprie solo di chi è nato in quel 3

.

personaggi alla napoletana, paese; onde con

uno

all'ordine del dire riello

od altro;

il

espresso assassinio fatto alla lingua, ai modi e nome di Covello, Cola, Pasquail

riserbano solo cui

condimento par loro che

di vita, nefandità de balli,

obrobrio de gesti,

mano un uomo da consegnar

sia le

alle carceri, le quali

stigo le servono per stanza perpetua

>

un

tal

torciment..

quali cose tutte for-

per mediocre ca-

(op. cit., pp. 32-4).

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

206

rendo, in pari tempo, con lode di alcuni attori napoletani

Anche

la celebre serie d' incisioni del Callot,

'.

Balli di Sfes-

i

sanìa, ritrae in mag-gioranza personaggi comici napoletani,

come

nomi

risulta dai

un

gerito da

e

;

il

tema

stesso della serie fu sug-

ballo, popolare in Napoli a quei tempi, detto

la « Sfessania » o «

Quando, dunque,

Lucia

-.

»

Cecchini affermava che la parte di

il

Pulcinella

fu introdotta

quel ch'ei

si

da Silvio

sapeva

Fiorillo,

dicesse, perché discorreva di fatti

bene

contempo-

ranei, sopra diretta conoscenza del paese e degli attori nel

quale e tra

quali nacque

i

il

nuovo personaggio.

Determinare l'anno preciso dell'introduzione opera del Fiorillo, non

sulle scene per

1

Erano

essi

si

Ambrosio Bonuomo, che faceva

può.

il

di

esso

Sgombrando

Coviello. e Barto-

mio gusto, ognun di loro rappresenta il suo personaggio con quel verisimile, che forse non ha simile in tutta Italia ». Dello Zito dice anche: Questo medesim'uomo è studiosissimo di storie, ha qualche tintura di poesia, ed un cosi numeroso studio de libri volgari, che forse fuori di quello non vi sarà cosa buona, che anche nel suo non abbia avuto lomeo Zito, che faceva

il

Dottor Graziano:

«

i

quali, a

«

l'ingresso

quanto per Si

».

Sul

Le

121, 778.

9.0,

Bonuomo

egli fu tra

un dotto

e

e sullo Zito. cfr. Teatri di Napoli, pp. 65-8,

notizie sul secondo riescono tanto più interessanti in i

primi e miglicri scrittori dialettali di Napoli, noto

arguto comento

alla Vaiasseide del Cortese (Napoli, 1628).

veda sopra, in questo volume, pp. 2

La

Sfessania

è Sfessania

» )

( «

41-2.

Ma

quel ballo alla maltese,

è descritta cosi dal

di Napoli (Bibl. Naz., segn. XIII,

Del Tufo, e. 96),

ff.

a Napoli da noi detto

nel suo noto ms. Riti-atto

100-101:

«Move

in giro

le

man, natiche e piedi. Battendo e piede e man sempre ad un suono; Curva il petto sul ventre, e allor tu vedi Con grazia il ballator gir sempre a tuono; Porge in fòr l'anche, e vien dove ti siedi Con man, natiche e

cenno Con verità,

pie, pie,

cui gli altri sono Dietro a mirar, di che

natiche e man, con tutto

non molto evidente

e

il

senno

che fa rinascere

il

>

.

il

primier fa

Descrizione, in

desiderio di un'illu-

strazione degli antichi balli popolari italiani. Intorno alla Sfessania, cfr.

anche Canto de

li

curiti,

ed. Croce, voi.

I,

p. 7.

l'inventore del pulcinella

I.

il

terreno dallo

scenario

«

»

207

erroneamente

col Pulcinella,

attribuito in questi ultimi anni a Giambattista della Porta le

naso del Cortese (1621) e dei Balli di Sfessania è

Ma

1622) ^

il

medesimo anno una commedia

nel

Pulcinella appare in

(la

cui data

Cecchini (1628),

del

di Virgilio Verucci, e

nel 1632 in un'altra, allora messa a stampa e forse

tempo prima, eh 'è lavoro

posta parecchio

proclamato autore del

tipo,

personaggio

al

11

nome

«

Policinella

di

cinella

»

primo decennio del Seicento. Pulicinella

», «

e simili, e in quelle

«

»,

La connessione con

».

Polecenella

italiane di «

non pare dubbia; legame

tra

di Sfessania,

si

e,

»,

e quella

«

Pulle-

Pulcinella

toccherà più

si

ha a dirittura la forma

Un

dotto e gentile amico

una farsa popolare, che ancora Rogliano e in

altri

luoghi di

si

al Seicento,

sonaggio

comico

senso

il

Pulliciniello »,

«

«

-

testi

m' informa che

recita nel

mostra di

appare, accanto a

di

ol-

in

carnevale a

Calabria, e che nei perso-

naggi e nelle allusioni storiche

mente

e

immagine. Nei Balli

che rimane, per altro, singolare e senza riscontro nei napoletani.

»

nonostante

»,

a ogni modo, vivo era

nome

quel

«

pulcino

alcune irregolarità morfologiche di cui

del

an-

si

risalire l'introduzione del

appare, indifferentemente, nelle forme dialettali

Pulcinello

tre,

com-

di colui che è

Forse non

Fiorillo.

il

drebbe lungi dal vero, facendo

«

;

menzioni più antiche restano quelle del Viaggio del Par-

Pullicino

»,

«

risalire

Trastullo

ch'ò

vestito

certa-

», il

per-

come

il

maschera, dagli occhi tondi, dal naso adunco, sembra avere qualcosa di gallinaceo; e il medePulcinella.

Anche

la

simo è stato notato della voce, quale almeno sogliono modularla

1

i

burattinai nel ù\v parlare Pulcinella

M. Vachon, Jacques signor Vincenzo

2

II

3

E,ACioPPr,

pp. 181-189).

Per

C'allot (Paris,

^.

Librairie de l'Art,

s.

a.\

Parisio, di Rogliano.

la storia del

Pulcinella (in Arch. slor. nap.,

XIV,

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

208 Al

nome

aggiunge

si

un cognome, che

di solito

fissò

si

commedia che ci del Fiorillo, Pulcinella si annuncia come « Policide Gamaro de Tamaro Coccumato de Napole, ua-

poi in quello di

resta nella

sciuto a

Mca, nella

».

Ponteselece, figlio de

Sbignapriesto

»

Marco

Sfila e

de

Madama

con che non vogliamo asserire che, in

;

non

occasioni,

altre

Cetrulo

«

si

chiamasse

«

Cetrulo

»,

come vien

detto già negli Scenari del conte di Casamarciano, che apultimi decenni del Seicento. Del resto,

partengono

agli

cognome

Cetrulo

«

»

era

comune ad

mici, di quelli a noi noti anche

altri

personaggi co-

prima del Pulcinella:

un'operetta del bolognese Giulio Cesare Croce viello Cetrullo

s'intitola:

Cetrulli

Le insolenze

Spesso, anche, al

»

;

si

trova

«

in

Co-

una commedia del Seicento

e

'

il

di Pascarello Citrolo'-.

nome

cognome segue l'indicazione

e

della patria. Si è dato qualche peso al fatto che Pulcinella si

dica nativo di Acerra

Atella

»,

«

presso le vicinanze dell'antica

nota tendenziosamente

libro del quale è

:

si

il

Dieterich, nel suo recente

discorrerà più oltre.

un dato costante.

del Fiorillo, la patria è Ponteselice

già diventato

il

Ma neanche

Si è or ora visto che nella ^.

codesto

commedia

Acerra era, tuttavia,

paese proverbiale di Pulcinella, negli anni

in cui scriveva

il

Perrucci, ossia nella seconda metà del

Seicento.

1

Teatri di Napoli, p. 774.

Ne

è autore Melchior Eossi da Cori, e se ne legge il titolo negli annunzi che accompagnano La Vendemia, scherzo rustico di Manardo 2

Catosi (Eonciglione, 1675). 3

Ponteselice è un ponte sul

«

lagno

»

tra Napoli e Aversa.

Non

ha notizia che vi fosse un paesello abitato; ma forse vi era un gruppo di case. Il luogo conserva ancora questo nome. Si veda su « Ponte a selice » uno scritto di C. Malpjca, nel Poliorama pittoresco, si

a.

I,

voi. Il, p. 186.

I.

anche speciale rilievo

dato

Si è

morata

di Pulcinella si chiami,

dunque,

cino,

l'inventore del pulcinella

stampa che

e

l'innail

pul-

prima commedia a

la

sia finora nota, col Pulcinella, eh' è quella del

Verucci, presenta, infatti, rata di Pulcinella

ma

;

Colombina

tano, né

E

ebe

fatto

Colombina:

spesso,

colomba ^

la

al

209

servetta Colombina, innamo-

la

né è commedia

nome

è

di autore



napoletano,

napole-

quella

ser-

vetta parla

il

dialetto-. Xei Balli di Sfessanici, Pulliciniello

danza con

la

signora Lucrezia,

il

vecchio diminutivo napoletano, dà

appare

altre opere,

di Zeza). Nella

infatti

cui nome, tradotto in «

Zeza

»

;

e

moglie di Pulcinella

Zeza, in

(Canzone

maggior. parte delle antiche commedie,

amanti

di Pulcinella

parella

^.

le

chiamano Rosetta. Pimpinella, Pu-

si

Tutti questi nomi, cognomi e indicazioni di patria

ri-

spondono a una simbolica comunissima e a una satira popolare

simbolica tratta da ravvicinamenti con animali,

:

che ha di

e satira

grandi

città,

i

mira villaggi e paeselli prossimi

servabili di goffaggine.

Anche a Coviello

per cognome

»

la

parte di

«

Ciavola

Formicola

«

fa spesso cittadino di

1

RACioppr, op.

2

II

lomma

cit., p.

e

è dato, di solito,

(gazza), e Salvator Rosa recitava ».

Il

moderno Sciosciammocca

si

Marcianise.

ISI.

colombo » si dice nel dialetto napoletano: « padiminutivo: « palommella ». Il nome di Colombina è

femminile di

».

alle

cui abitatori appaiono al cittadino tipi os-

il

«

tanto poco napoletano che, in questo dialetto, è stata alterata in • culumbrina », nel significato di donna vana e civetta: « Chi io vedere a miigliera

'e

Giacchino Miez'o mare facenno a columbriiia...

'

(Croce,

Canti politici del popolo napoletano, p. lxi\ 3

Cornelio Lanci di Urbino scrisse, tra

pinella,

sibile vedere. «

Quadrio,

Urbino, 1588

Pulecenella

— Xel •

.

II,

P.

le

altre

I, p. 90;,

dialetto napoletano esiste

che è

«

Pulecenellessa

»

commedie, La Pim-

che non mi è stato pos-

anche un femminile

di

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE

210 Assai

meno noto

è l'aspetto

del

Pulcinella

fiorilliano.

Preziosa per la sua antichità sembrerebbe l'incisione del Callot \ nella quale il personaggio è per la prima volta figurato.

Mancano

alcuni

in essa

Punicinieno

e la signora Lucrezia.

Dai Balli di Sfessania di J. Callot

è di

forma conica; Pulcinella (oh stupore

pende

e gli

chino.

Il

camiciotto e

personaggi

1

II

una daga

al fianco

riormente usati; altri

(1622).

ed essenziali del costume di Pulcinella.

stanti

non

diventati poi co-

tratti,

ma

i

di legno

cappello

Il !)

come

ha

i

baffi,

all'Arlec-

calzoni sono simili a quelli poste-

comune a molti La mezza maschera ha

tale foggia di veste è

ritratti dal Callot.

DiETERicH, Pulcinella, pp. 252-3, dice che gl'impiegati del Mu« nonostante tutti gli sforzi e' le ricerche durate ore in-

seo di Napoli,

tere

>

,

non riuscirono

l'incisione del Callot.

quel giorno: a

me

a trovargli la collezione Firmiana, dove

Dovevano

è stato facile averla in cinque minuti.

cina Biblioteca Nazionale les

si

vede

serba

la stessa incisione nel

E

nella vi-

volume: Toutes

Jacques Callot (à Paris, chez Israel Silvestre, 1662). I Balli contengono ventiquattro quadretti con quarantanove figudanzanti: il primo rame, eh' è come un frontespizio, ne pre-

(XHvres de

di Sfessania

rine di

si

essere assai distratti gli impiegati, in

senta tre: tutti gli

altri,

due.

l'inventore del pulcinella

I.

il

becco adunco,

che

si

ma non

211

che fosse nera. Non credo

risulta

possano cavare da queir incisione conclusioni sicure,

giacché l'artista probabilmente

comiche da

lui osservate,

condusse, verso

si

le ligure

con qualche libertà. Dalla commedia del Verucci si sa soltanto che Pulcinella andava vestito poveramente, da straccione Ferrucci

descrive

lo

«

e

;

tutto

il

un

pezzo, sgarbato di persona, con

I'

adunco e lungo, sordido,

naso

_

melenso e sciocco in

^^ ^fe^^ ^*'

If-z-^^

^

tutti

i

ge-

con un sacco a guisa di

^tj

villano

Ho

'.

>

altre figure

cercato invano Pulcinella, quale

di

soleva presentarsi nei primi tempi.

Bisogna giungere

al

secolo

decimottav^o per trovare l'aspetto

a noi noto; p.

e,,

alla figura di

Pulcinella, che ci offre

boni

-,

derna PalcineUa

poco

in

théàtre italien

del Riccobonl.

ché non il

si

ticolare del

si

ha

mo-

vuol negare, ben-

risulti

documentato, che

Pulcinella fiorilliano recasse la

maschera nera tanto più che

Ricco-

.

Ma non

nei primi anni del Settecento. DaU'-ff'Stojz-e

il

diversa dalla

prova dell'antichità

e

il «

di

coppolone

un

^

;

altro par-

costume pulcinellesco. È noto che Pulcim-lla

1

De!'/arle rappresentativo, p. 341.

-'

Histoire

du

théàtre i'alien (Parigi, 1728-31), fig. 15.

maschera del Pulcinella

fiorilliano è nel

Museo

— Una

pretesa

Filangieri di Napoli

{Catalogo, p. 238). Sugli atteggiamenti del Pulcinella e delle altre

schere italiane nei balli, bellezza (trad. ital.,

si

vedano notizie neirHorjARXH, Anaìin

Livorno, 1761), p. 200.

ma-

Mia

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE

212

mano

viene spesso ritratto con un corno in

(contro la iet-

tatura? o simbolo di domestica abbondanza?;; e cosi

sta,

in plastica, a guardia di botte-

fn-v

ghe, specialmente di commestiquartieri

nei

bili,

Napoli

pubblico all'en-

Ora, in

curiosità.

e

il

baracche di giochi

trata delle \

di

e cosi, in carne e ossa,

;

suole invitare

?

popolari

un

poe-

metto bernesco, pubblicato nel 1636, dal titolo del

La

tabaccheide,

quale è autore un

abruz-

zese, Francesco Zucchi da

Mon-

teregale, discorrendosi delle varie

forme

PulcineUa col

«

corno

».

bacco,

DaU'opera del Rehfues, Gemàhìdf von Neapef (1808).

Ma

zine

pure, a dir

il

di tabacchiere

leggono

si

e di

da serbare

recipienti

altri

ta-

queste ter-

:

vero, trovo più bella

Esser l'invenziou tra l'altra (sic) rara Del galante buffon Pducenella. Questa credo sarà più accetta e cara Di tutte l'altre, ch'ora vanno a torno,

E

ch'ogniun cercarà d'averla a gara. Potrà far questa a tutte

Ma

qual

ti

credi,

L'invenzion che tanto lodo?

1

chi

La

tabbaccheide, scherzo estivo sopra

il



tra

Salvioni).

le

Poesie

dello

La dedica ha

e

data di Teramo, si

in dialetto napoletano all'autore.

coiino

^

Francesco Zuc-

con frontespizio par-

Zucchi, in Ascoli, la

firma dell'editore Papirio Cancrini, del quale

un madrigale

sia

È un

tabacco di

da Monteregale fstampata in primo posto,

ticolare, fìo

scorno;

l'altre

almo signor, che

1636, 1

appresso Maf-

giugno

16b6, e la

leggono un sonetto Il

e

passo citato è nel

I.

Perché

•<

l'inventore del pulcinella

invenzione

»

?

Forse Pulcinella

213 si

servi talora

un corno per tabacchiera; o il corno, che egli mano, faceva pensare all'autore che si potesse

sul teatro di

recava in

ridurlo a tabacchiera, a somiglianza dei cornetti nei quali si

serbava

la polvere

da sparo?

A

ciò

non saprei dare

ri-

ma che già il Pulcinella, nella prima metà del Seicento, facesse uso del corno, per uno o per altro scopo, con una o altra intenzione buffonesca, ci sem-

sposte soddisfacenti

bra che, da

e. 4, p.

85; e

;

qur-sti versi, risulti chiaro.

mi

è stato indicato dall'amico Luigi Kiccio.

chi fu autore anche di

drammi

e dell' Origine della famiglia

musicali:

Canfelma

e il

rico in versi (Napoli, E. Cicconio, 1653).

efr.

fiume



Lo Zuc-

Teatri di Xapoli, p. 136, Gizzo, disegno panegi-

11

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

1

La QUESTIONE dell'origine antica romana

C
notizie e

le

i

chiarimenti dati intorno all'attore che

introdu>ise sui teatri

il

nome

di Pulcinella, e intorno

personag-

allo stato civile e all'abbigliamento primitivo del gio,

non s'intendono,

stioni,

che

si

di certo, risolute tutte le altre qui-

sono fatte o

si

Riassumerò

di Pulcinella.

formolandole come segue



I.

In qual

modo

è

le

possono fare intorno all'origine più importanti in quattro capi,

:

da intendere che

il

Fiorillo fosse

(secondo l'espressione del Cecchini) inventore del Pulcinella? Questa espressione è usata in senso affatto rigoroso,

come per indicare che non

tipo? tore

»

in

potette,

il

il

Fiorillo escogitò lui

Fiorillo, essere

il

nome

chiamato

«

e

il

inven-

quanto elevò agli onori delle sue rappresentazioni, con

e fece valere

l'arte sua,

il

personaggio di Pulcinella,

ch'egli tolse a comici più volgari, a umili divertimenti di

una oscura tradizione Non potevano il nome, e forse in villaggio, a

stito,

e alcuni

teatrale

preesistente?

tutto o in parte

tratti del carattere, essere

anteriori,

il

ve-

come

distintivi appartenenti a personaggi comici, simili in parte

a quelli che rappresentò poi II.



Se

il

Fiorillo?

personaggio, o alcuni elementi di esso, sono

anteriori al Fiorillo, di^ limite

il

determinabile?

quanto sono

E non

anteriori? Si ha un

potrebbero quegli clementi

PULCINELLA E LA COMxMEDIA DELL'ARTE

216

risalire cill'antica

in

forma corrotta III.



commedia popolare romana, perpetuatasi e rozza

durante

il

Posto che a questa seconda

negativamente, e che

si

tenga fermo o

Medioevo?

domanda all'

si

risponda

invenzione totale

oa un'invenzione non molto da lui remota, e ammetta alcuna connessione tra il personaggio di Pulcinella e la commedia popolare romana, sorge una quedel Fiorillo

non

si

non proprio Pulcinella particolar-

stione più generale. Se

mente, non potè cosi detta

la

commedia

nuova commedia italiana (di cui la dell'arte e la commedia pulcinellesca

sono gruppi e sottogruppi) derivare, in parte, dalla com-

media popolare romana per trasmissione storica? In questa ipotesi, Pulcinella

si

riattaccherebbe bensi, anch'esso, alla

commedia popolare romana; ma indirettamente, per

la

me-

diazione dell'ambiente storico-letterario, di cui sarebbe o

più recente o rinnovato prodotto. IV.



E

si

ammetta

o no questa trasmissione storica,

non bisognerebbe sempre porre una relazione tra

la

com-

media popolare romana e la nuova italiana, in quanto prodotti del medesimo spirito etnico, di cui sarebbero effetti le

somiglianze tra

le

due commedie,

o,

almeno, molte

di codeste somiglianze?

Come il

si

vede, alcune delle indicate questioni superano

personaggio di Pulcinella, che vi è considerato come

caso particolare di un fatto generale; onde importa, tanto più, cercare di risolverle.

E dico subito che il dubbio, espresso in primo luogo, mi sembra affatto ragionevole. Cosi, un nostro contemporaneo non avrebbe nessuna titubanza ad affermare che il personaggio comico di Sciosciammocca è stato inventato dall'attore Scarpetta; eppure lo Scarpetta medesimo racconta, in un suo dimenticato libercolo ^, ch'egli fu coni

Don

Felice,

memorie

di

Eduardo Scarpetta

(Napoli, 1883), p. 103.

II.

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

I

217

assumere quel nome per aver rappresentato

dotto ad

prima volta con buon successo Sciosciammocca

in

»

personaggio

il

una vecchia

mera

farsaccia. E, oltre la

possibilità,

saremmo

nella cosa,

non tanto a cagione dell'aneddoto narrato

disposti a trovare qualche probabilitù

Galiani^, quanto per

di

rado,

fatto

il

ancora vivente

Pulcinelli,

il

Fiorillo;

quando un personaggio

anche

il

che non

si

giacché

«

sia

il

dallo

«

il

(pulcino) dà

»

femminile

«

Pulcinella ;

del

il

diminutivo

pullanchella

recato da

;

pulle-

«

non mai

»,

me

'),

«

pu-

ma

in-

più antica.

maraviglia non trovare menzionato

ma

altri scrittori

napoletani,

questo fatto non è argomento

solutivo, e, neppure, molto forte. In conclusione, se

dito scoprisse,

riferito

che parrebbero

forma diversa,

personaggio dal Del Tufo e da

anteriori al Cortese;

una volta

o l'altra,

Lo ScHEBiLLO ha avuto innanzi,

il

tli

nome

ri-

un eru-

teatrale di Pul-

quell'aneddoto, una tradu-

zione francese: l'origiBale italiano è nell'articolo Vocabolario

c'è,

esempio del secolo precedente, un Joan

1484,

Certo, desta qualche

1

E

introduce.

lo

una forma femminile

(esempio del Cinquecento,

»

dicare l'esistenza di una

il

», in

mentre, d'altra parte, troviamo cognomi ante-

Scherillo

Polcinella

che suole accadere

invenzione affatto indi-

trova nel vocabolario napoletano di quei tempi

»;

di

riori

Pulicinella

«

pullecino

ciniello », e licinella

nome

dal

del rapido moltiplicarsi dei

viduale e caratteristica dell'attore che poi,

la

di « Felicetto

«

Policinella

»,

del

napoletano, detto degli Accademici filopalridi, edito a Napoli

dal Porcelli nel 1789. 2

Scherillo, op.

Un mascheramento gnome



Italia; e

cit.,

pp.

68-9;

Croce, Teatri di Napoli,

di Pulcinella è anche, probabilmente,

il

p.

6b9

n.

noto co-

si trova in documenti dell'alta quondam domini Pulzinele a Carcerimenzionato in un documento padovano del 1294, fu

Polsinelli

».

un Bonifacio

bus de Verona », ricordato da me in

[Lo stesso nome figlio



Critica, II, p. 389 wj-

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL* ARTE

218

prima del

cinella

meno ancora mi parole

nelle

pullicino

«

non me ne maraviglierei ^

Fiorillo,

E

maraviglierei se accadesse d' imbattersi o

»

«

pulliciniello

usate

»,

come

denominazioni burlesche, se non propriamente teatrali

^.

Parimente, dell'ipotesi proposta in secondo luogo, non

mi sembra che

mera

possa negare la

si

Le

possibilità.

so-

pravvivenze dell'antichità classica sono tante; perché mai

non potrebbero essere Pulcinella,

di

stito

tra esse

nome

il

qualche particolare del ve-

di lui, e facezie e invenzioni

che entrano nelle rappresentazioni comiche di quel perso-

Ma

naggio?

1

sta

che tutte

fatto

il

le

somiglianze finora

DiETERiCH, Pulcinella, richiama V hislrio personatus, che appare

II

compagnia

lioiVAnLonius del Fontano, in egli stesso

del cantastorie

;

ma

riconosce

che quella menzione, se attesta l'esistenza di figure buffo-

nesche teatrali in Napoli nel secolo decimoquinto, non dice nulla di particolare intorno al Pulcinella. 2

[Ezio Levi, Francesco di Vannozzo

durante la seconda metà del secolo

XIV

e la

lirica nelle corti

lombarde

(Firenze, 1908), p. 308, crede di

trovare menzione di Pulcinella in una canzone dell'aretino Giovanni

de Bonis, che viveva in Lombardia nella seconda metà del Trecento: nella quale canzone, parlandosi della discesa dell'imperatore,

si

che l'aquila, prima

pulci-

«

stracciata

me sembra non

altro se

che «

sfor. d.

leti,

Pulcinella

metà

del

pulcinelli

»

piccoli pulcini

VII, p. 142.

tica,

<

ital.,

delle



Carceri ;

.

«

perseguendo

(in relazione

59-t)4),

(p.

217

e asserisce,

ricordato nei versi del

maschera

dice

di senno in ora in ora».

in quei versi,

con

non voglia 1'

«

Ma

significare

aquila»):

delinea m),

cfr. Cri-

una

biografìa di quel signor

vissuto in Verona nella seconda

senza provare, che era un ridicolo vol-

tafaccia politico, e che, perciò, diventato proverbiale, esso

alla

i

Vittorio Fainelh, Cki era Pulcinella? (in Giorn.

LIV, pp.

Dugento

ora verrà

E mutansi

nelli Perché voltan mantelli a

'.

De

di Silvio

Fiorillo.

cioè che niente vieta che

appunto

è

Bonis, ed assai i^vobabilmente dette origine

il

Riconfermando

nome comico

il

detto di sopra, e

di Pulcinella sia più antico

della sua apparizione e notorietà teatrale nella persona del Fiorillo, a

me non

pare che queste nuove congetture abbiano fatto progi-edire la

questione dal punto in cui

io la lasciai

or sono dodici anni].

II.

escogitate

si

I

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

spiegano agevolmente mercé

219

la

generazione

spontanea: così quelle dei simboli e nomi animaleschi e certe particolarità del vestiario (per la qiial parte

sono tanto più malsicuri

in

quanto regna incertezza circa

vestito dello stesso Pulcinella fiorilliano),

il

di

confronti

i

come

le altre,

relative ad alcuni tratti del carattere comico. Nel libro di

Alberto Dieterich, dedicato a Pulcinella, alle pitture mu-

pompeiane e

rali

ai

drammi

è trattata di proposito;

romani,

satirici

ma non

vi

a dimostrare la sopravvivenza classica; si

ha

la

la

questione

trova nulla che valga

si

anzi, in ultimo',

confessione dell'autore che riconosce non dimostra-

bile storicamente

commedia

antica.

il

nesso tra Pulcinella e

Anche

i

il

buffone della

pochi indizi, che egli riesce a

raccogliere a favore della sua

tesi,

non reggono

alla cri-

saChe Pulcinella riproduca l'antico osco rebbe congettura avventata, anche se quel vocabolo fosse (come non è) ben documentato, veramente osco, e significante veramente « gallo ». Circa i cognomi « Polcinella cicirnis,

tica.

o

Pulcinella

«

»,

dianzi citati,

il

osserva:

Dieterich

-

Il

essi è permesso concludere si è: che, se un soprannome poteva esser in uso, assai probabilmente era già congiunta col nome di quell'animale una determinata e sviluppata rappresentazione ». Certamente, ma non

meno che da

tal

già una rappresentazione di personaggio teatrale stesso che,

quando diciamo

di

un

tale

«

l'espressione non ci è suggerita né da trale,

al

modo

anima di pulcino >•, un personaggio tea-

né in particolare dal Pulcinella. Al Dieterich sem-

bra che vi siano tracce del «

;

maccheroni

»

e nel

nome

di

nome boccaccesco

Macco di <

nella parola

Buffidmacco >;

non indicherebbe la trasmissione del personaggio comico, ma di un semplice elemento verbale. il

che, se anche fosse,

1

Op.

cit.,

pp. 237-8.

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL" ARTE

220

Una «

sfugge alla discussione, è

sottigliezza, clie

Macco

un copista deìV Apologia il Dieterich medesimo sembra dare ma molta ne dà sicuramente a un secolo da

nome che

commedia

sannio

«

dell'arte

sannio

ma

»,

Giovanni

«

è

»,

sannio

«

il

diventato

»,

lo

zanni

«

»

della

al

»

;

De Amicis-.

prof.

il

valoroso archeologo anche que-

alla derivazione

Zanni

« il

com'è provato da fatto

;

L'unico

«

di

zanni

«

»

da

escogitata dalla filologia del secolo decimottavo,

nessuno più crede. o

non dare importanza

altro indizio:

Riccoboni e

il

dovere togliere

di

st'ultima illusione; «

tutto ciò

connessione riconosciuta da un pezzo

:

qual proposito cita

Duole

e

A

possa realmente seguire dall'antichità fino a

si

liano, è quello di

al

Apuleio ^

di

periodo greco, nell'osco, nel latino, e nell'ita-

nel

oggi,

parola

la

ritrovata nella correzione fatta nell'undecimo

>^,

nome

infiniti

» ^,

»

o

«

Gianni

»

,

o

Zuane

«

»

del servo sciocco bergamasco,

documenti;

i

quali escludono di

al che per altro sarebbe

dovuta ba-

stare la semplice considerazione fonetica e morfologica.

1

.

Secondo ìICaravelli. Chiacchiere

in alcuni paesi perfino

detto

'

muriuni

',

da moriones, come anche

commedia

dell'antica

».

nali, nel significato di

dal

«

morione



critiche (Firenze, 1889), pp. 78-9,

cappello pulcinellesco,

il

Ma

soldatesco.

aprendosi in Napoli

la

«

muriuni

una foggia



Il

»

dipinti

i

ma non

Pulcinelli). se

'

coppolone i

',

è

buffoni

di alcuni dialetti meridio-

Capasso mi comunica che, nel 1869, del

da questa chiesa, una cantina, nella quale

muri

il

chiamavano

di cappello, deriva, evidentemente,

nuova strada

figura di Maccus (come sui

si

Duomo, si

si

trovò, poco lungi

notò dipinta sul

delle taverne popolari si

Lo scavo fu annunziato

muro una

vedono ora

nella Gazzella di Napoli;

ne conserva notizia nell'Archivio del Museo, né allora

s'erano cominciate a pubblicare

le Notìzie degli

scavi,

come avvenne

dipoi per iniziativa del Fiorelli. 2

Op.

3

Si

veda ora per tutti D. Merlimi, Saggio di

il

Villano (Torino, Loescher, 1894), pp. 120 sgg. Cfr. Rasi, Comici

contro

cit.,

p. 236.

italiani, I, pp. 462-3.

Ho

innanzi una commedia

II

ricerche sulla salirà

Pantalone impazzito

II.

I

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

Cosicché, mi pare

dopo

tanti sforzi di

che, per questo secondo capo,

difficile

buona volontà,

si

riesca a trovare prove

nome

indizi circa la derivazione antica del

il

medesimo

rale quel che

si

il

è

caso particolare. Le rappre-

è detto del

sentazioni volgari del Medioevo rità; si

e dell'aspetto

da ripetere, press' a poco, terzo gruppo di questioni, estendendo al caso gene-

del Pulcinella.

per

E

221

e,

presentano grande oscu-

per quel che riguarda l'Italia meridionale, non

sa di esse a dirittura nulla. Certamente, qualche rimasu-

glio potè trascinarsi

nei secoli e

sboccare in fine (tenue

nuovo teatro italiano. Ma il non è documentato, e della stessa commedia popolare romana si hanno scarse e povere notizie. In ciò anche sembra convenire il Dietericli, il quale è

rivoletto dal lungo corso) nel fatto

portato di conseguenza a dare importanza principale alla

considerazione dell'elemento etnico. Egli, che pure

è

si

travagliato per suo conto a rintracciare la trasmissione storica, dice, in ultimo,

che

questione deve essere posta

la

diversamente da quel che hanno si

di «

tratta

di

fatto

i

dotti italiani

Francesco Righello mantovauo (Viterbo, »

e

Zanne



commedia, « Zanne > tare a questo proposito come manchi

nel corso della

è

1613;,

di

<

Zuane

base sicura

il

i

ni-

nella quale sono

servitore bergamasco

chiamato

non

storica (cosa

rintracciare la trasmissione

Coviello dottor napolitano

:

»

.

»

:

e,

Voglio no-

ravvicinamento,

tante volte fatto, dell'abito a scacchi dell'Arlecchino col viimus rrntuncultts (cfr.

anche Dieterich, op.

cit.,

p. 145).

L'abito antico dell'Arlec-

chino sembra fosse diverso di quello che poi prevalse, come dere dalle due tavole del Eiccoboni del Cecchini (op. cit.),

:

e

contemporaneo

adunque vorrebb' esser moderato,

il

si può vechiaramente dal seguente brano

alla trasformazione:

«

L'abito

quale s'è molto allontanato ed a

gran passi discostato dal convenevole, posciaché, invece

dei tacconi o

rattoppamenti (cose proprie del pover'uomo), portano quasi un recamo di concertate pezzette,

che

li

rappresentano morosi lascivi e non servi

ignoranti... Si che lo sconcerto

l'ingegno

'.

dell'abito par che indichi quello del-

222

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE

possibile),

ma

di affermare la

due letterature A-allo di secoli,

popolo. Per

somiglianza nelle opere delle

teatrali, distanti

ma

lui,

tra loro per lungo inter-

nate sullo stesso suolo e presso lo stesso

insomma, Napoli è

il

terreno proprio di

Pulcinella e di altrettali personaggi, e del genere di rap-

presentazioni teatrali nelle quali essi entrano: qui è pianta

indigena, altrove è esotica o a malapena acclimatata. Di

come

qui la processione dei Pulcinelli mosse nell'antichità, nei tempi moderni;

nuovo, nell'avvenire

A

e

qui moverà probabilmente

di

di

!

questa teoria è da fare un'obiezione preliminare: che

delle antiche atellane e della foJmlce satiricce

poco da potere stabilire

si

sa troppo

base stessa dell'indagine, la

la

somiglianza o l'identità di quelle commedie antiche con le

commedie

italiane delle maschere. Si possono notare, di

certo, somiglianze evidenti

Maccus caupo, Maccus

:

ci

virgo,

cui corrispondono a capello

i

sono

stati serbati

La

i

due,

tre,

i

i

quattro

ghiottornia e voracità degli antichi

buffoni è tratto che riappare in Pulcinella. tiche

titoli di

Maccus miles, Meteci gemini, moderni Pulcinella tavernaro.

Pulcinella sposa, Pulcinella capitano, Pulcinelli simili.

i

commedie erano

Anche

le

an-

spesso piene di avvenimenti mira-

colosi e di stregonerie; e, talvolta, si atteggiavano a paro-

die di opere letterarie K

— Ma, se conoscessimo quelle anti-

che produzioni, è assai probabile che scopriremmo, accanto a queste somiglianze (e forse ad altre,

meno

generiche),

molte e profonde differenze. In ogni modo, accertate che fossero

somiglianze

nelle loro

e

bisognerebbe

differenze,

cause; e qui pare che

troppo quando postula subito uno costante degli

effetti

il

Dieterich

spiegarle si

medesimi. Di questo fattore etnico

è assai abusato, e, col tirarlo in ballo, gli storici

1

Dieterich, op.

cit.,

affretti

spirito etnico, produttore

pp. 260 sgg.

si

si

sono

II.

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

I

risparmiati parecchie analisi, delle più

"JÌI^Ì

onde

difficili;

ò ve-

nuto ora in discredito. In realtà, pur non potendosi negare più o meno lunga di alcune qualità di temperamento, naturali o acquisite (ma sempre superabili e

la persistenza

contingenti, non necessarie o

derare come una forza tra scerne l'azione più o

fatali),

le forze,

meno grande,

queste sono da consie

non

se

non dove

può ricono-

si

tutte le

altre forze sono state dallo storico prese in esame.

cedere in altro modo, parenti.

E

si

questo esame non

questione, per la quale,

gli

può neppure tentare

si

come

dei fatti sui quali l'esame

Appoggiato

si

porge pronto

il

si

pro-

manca

una

in la

base

dovrebbe esercitare.

si

mentre da un

lato

criterio di spiegazione delle somiglianze,

un

circolo

un

e certezza di esse somiglianze, e

è veduto,

allo spirito etnico, che,

vale anche (con

A

foggiano spiegazioni soltanto ap-

po' vizioso) a dargli notizia il

Dieterich procede oltre,

mette a vagheggiare un'integrazione e restituzione

delle atellane e fabul/s satiricce col

commedie

pulcinellesche.

Quando

le

mezzo

delle

linee e

i

moderne

frammenti

una vecchia figura distrutta (egli dicci coinuna figura conservata, ò lecito concludere che anche il resto debba, nell'insieme, coincidere. superstiti di

cidono con

Non

le parti di

già che

si

possa pretendere di ricostruire

le

antiche

composizioni drammatiche nei singoli versi, nei singoli motivi,

nella peculiare successione delle scene

sibile solo

in rari casi),

ma

si

tratta di

(il

che sarà pos-

ricostruirle nella

drammatica, e rivedersele innanzi con uno Riconosco la fantasia scientificamente guidato.

loro essenza

sforzo di



legittimità in genere di (|ueste ricostruzioni congetturali,

che sono tanta parte della ricerca storica; e ammetto tresì

che,

nel caso

presente,

la

moderna commedia

alita-

liana dell'arte, e quella napoletana in ispecie, avrebbe un

certo diritto di

precedenza a essere tenuta presento.

la scarsezza dei

dati, serbati

dai

monumenti

Ma

figurativi e

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

224

campo

dalle opere letterarie, offre

cosi largo alle più sva-

lavoro, se è guidato

riate congetture e ricostruzioni, che

il

dalla critica, riesce assai magro,

se dalla libera

ginazione,

antiscientifico.

meglio questa

difficoltà, se

Il

e,

imma-

Dieterich avrebbe avvertito

non

si

fosse lasciato

dominare

di

soverchio dalla sua fede nello spirito etnico. Supposto que-

un rame, che stampi a grandi distanze di tempo le medesime incisioni (tutt'al più, tirate con diversi colori), è chiaro che, avendo innanzi

st'ultimo cosi costante da somigliare a

alcuni brandelli di un' incisione antica e la prova completa di

un' incisione più moderna,

mente

la

prima con

la

si

seconda.

possa ricostruire esatta-

Ma

prodotti storici non

i

sono tirature di una medesima stampa, o copie di uno stesso

quadro, o

cristalli dei quali,

dato

il

frammento,

si

ricostrui-

sca r intero. I brandelli restano brandelli, qua e là rattoppati alla meglio; e

L'altro dell'arte

aspetto

moderna

i

frammenti, poco più che frammenti.

della si

questione è

:

se

nella

commedia

ritrovino attitudini spirituali antichis-

sime delle popolazioni

italiane, manifestatesi già nella

media antica. Ma, sempre a cagione

com-

delle scarse notizie che

hanno intorno a questa, giova piuttosto, per rispondere alla domanda, interrogare con esame comparativo tutte le

si

altre

fonti,

senza andarsi a cacciare proprio nell'angolo

più buio della letteratura antica ^

Più dispiacevoli, perché risposte negative, che

1

II

insanabili,

sembrerebbero

sono stato costretto a dare

ravvicinamento della nuova commedia dell'arte con

tre

ai

la

le

com-

media popolare antica fu fatto già assai jaer tempo; p. e., dal Davanzati, • Oscum il quale, traducendo le parole degli Annali di Tacito (IV, 14): quondam ludicrum » con: « questi, già mattaccini », annotava: « O Zanni o Ciccantoni, che, come gli antichi Osci e Atellani, ancora oggi con goffissima lingua bergamasca o norcina, e con detti e gesti sporchi e novissimi, fanno arte del far ridere e corrompere la gioventù, e non sono da' cristiani, come allora da' gentili, cacciati via

>. ^

II.

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

I

primi gruppi di domande, concernenti

ma

etnica

225

l'efficacia

non già com-

storica (per trasmissione ininterrotta) delia

media popolare romana. Tuttavia, meglio considerando, si prende conforto, e sorge il pensiero che quell'ignoranza, in fondo,

non

è di

grave danno per l'intelligenza storica

commedia moderna. Posto anche che un tìlo di tradizione congiungesse la commedia dell'arte all'atellana,

della

quel

filo

manza

non potrebbe essere

di recite

Medioevo

il

villaggi o per le piazze

nei

zionali, fatte

rante

la

;

E

zia.

la costu-

delle

du-

città

continuazione ininterrotta di qualche

nome comico,

motivo, di qualche vestiario o di

non tenuissimo:

se

improvvisate o condotte su scenari tradi-

di

qualche particolare

mascheramento buffonesco,

nient'altro. Si ripensi a quel che

di

di

qualche face-

potevano essere

le

rappresentazioni istrioniche nella rozza vita feudale, o in

meschina

quella

bizantine

delle

dell'alto

andare a cercare lare italiana

piccole

città

Medioevo; e

in esse

si

marinaresche

vedrà

che non

italosi

può

l'origine della commedia popo-

moderna.

La medesima osservazione vale in particolare per la figura di Pulcinella. Poniamo che si scopra domani un documento medievale, la decisione di una sinodo episcopale, una carta giudiziaria, una cronaca, un ritmo satirico, eh»ci rechi un nome d'istrione o di buffone, che sia forma arcaica o latinizzata del

nome

«

Pulcinella

>.

O poniamo

che in una miniatura di codice o in qualche frammento di bizzarra scultura ornamentale di cattedrale', si ritrovi

una figura con la mezza maschera e il cappello conico Pulcinella. Quale sentimento ispirereblio una scoperta

di di

Anche nell'Italia meridionale vi ha esempi di queste sculture come i due gruppi osceni, di un uomo e di una scimmia, di e di una donna, costituenti le basi delle colonnine che scimmione uno J

bizzarre,

ornano

la

porta della cattedrale di Acerenza.

PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL* ARTE

226

A

questa fatta?

parlare schietto,

come erudito

me

ticolare, se quella scoperta la facess'io), a il

(e,

in par-

balzerebbe

cuore dalla gioia. Ma, dominato quel sentimento di gioia

che è connesso

buon senso

mera

valore di

al mestiere, procurerei

curiosità.

di

non smarrire

il

quella scoperta avrebbe

e di riconoscere che

Che cosa

nuovo,

di

infatti, se

ne

ricaverebbe? Che l'antichità ha lasciato molti detriti nella

Ma

lingua e nel costume? Sapevamcela!

non spiegherebbe

ciò, in

ogni caso,

non qualche particolarità secondaria,

se

qualche precedente materiale, dell'origine di Pulcinella e

della

nuova commedia italiana. Quel che preme conoscere commedia italiana moderna, e del Pulcinella, iion

sono

i

della

piccoli

l'una della

addentellati, per cosi

dell'altro, storia.

ma

la loro vita

dire, estrinseci, del-

piena e attiva, nella luce

che

Occorre, forse, ricordare

questa vita è

condizionata, in tutta la sua parte sostanziale, dalla civiltà del Rinascimento, dall'ambiente delle corti, dalla creazione

dei teatri stabili, dalle disposizioni spirituali e dai costumi d' Italia, e delle varie parti d' Italia, nei secoli e

decimoscttimo? Se

gli eruditi

decimosesto

potranno dare notizia più

completa delle rappresentazioni popolari medievali e dei resti della latinità

spiegazione della e

che

notano, tanto meglio;

vi si

commedia moderna

non nel Medioevo

è nei

Le

o nell'antichità.

tradizioni del

dioevo e dell'antichità serviranno a chiarire, p. il

personaggio prendesse piuttosto

nome

il

ma

la

tempi moderni,

di

e.,

]\Ie-

perché

Pulcinella

che un altro, piuttosto quella maschera che un'altra, o apjìarisse, nelle

tratti

manifestazioni più antiche, prima con alcuni

che non con alcuni altri. Cose anche hanno il loro interesse, ma secondario e riDire, come molti usano, che il germe era antico,

di

carattere

queste, che stretto.

e che

si

sviluppò subito che

è appunto

antichi

si

un semplice modo

sono propriamente

«

ebbero di

le

dire.

germi

»

;

condizioni adatte,

Né quei rimasugli né

il

fatto

storico

II.

PRECEDENTI DEL PULCINELLA

I

227

germe », ma anzi in quello e in tutte si chiamano « condizioni » *. Importanza anche minore ha la domanda formolata in

consiste nel solo le altre cose,

«

che

primo luogo. Sia pure che Silvio qualche parte

comincia

lui

il

Fiorillo trovasse

la serie delle creazioni

che presero quel nome.

I

comiche importanti,

predecessori del Fiorillo non

rarono l'attenzione o furono dimenticati vuol dire (salvo

ria,

il

;

il

atti-

che, nella sto-

caso, qui poco probabile, di disper-

distruzione di documenti) che erano trascurabili,

sione

perché non uscirono dal comune

— rillo

gih in

personaggio di Pulcinella; certo è che da

Xou

si

non spiegarono

e

sa nulla del Pulcinella

prima

ma, se qualcosa se ne potesse sapere,

;

ne sarebbe assai scarsa.

— Non

ma

italiana;

l'

importanza

sa nulla circa l'efficacia

si

commedia popolare romana

della

efficacia.

di Silvio Fio-

sulla

moderna commedia

quel che per avventura se ne potesse conoscere,

gioverebbe a illustrare soltanto particolari secondari.



È

un

impossibile, nello stato presente delle fonti, istituire

meno indagare le cause delle socommedia moderna italiana e la comme-

vero confronto, e molto miglianze, tra la dia popolare

romana;

la

questione della costanza etnica,

delle attitudini e consuetudini antiche persistenti nella vita

moderna,

italiana

vie e in altri

Ecco

si

campi

deve tentare di risolvere per altre di osservazione.

le conclusioni, alle quali



mi pare che

ci

fermare per ora, nella vessata questione intorno gini antiche del Pulcinella e della

1

II

Caravelli

commedia

V,

op. cit.,

quando, pur dichiarando

Seicento,

ammetteva una qualche tradizione

antica.

ma

Ma

la

278)

possa

alle ori-

dell'arte.

(op. cit., pp. 75-6) e il Xovati [in Giorn. slor. (f. notavano una certa contradizione nello Scherillo,

hit. ital,,

p.

si

il

Pulcinella nato ai principi del della

commedia popolare

contradizione dello Scherillo era forse piuttosto di tur-

che di sostanza, e sparisce nel modo in cui abbiamo ora chiarita e la quale non esclude la possibilità la tesi della « modernità

formolata

di rimasugli antichi.



,

Ili

Per la storia del Pulcinella

Jjasciando

la

preistoria, parliamo ora della storia

propriamente detta, ossia dei Pulcinelli che le

commedie per

sate,

ci

improvvi-

letterarie, per gli scenari di quelli

documenti

notizie e gli accenni serbatici in

le

sono noti per

varia sorta. Questa storia, pel Sei e Settecento, è stata

bravamente schizzata dallo tra

volta,

posso

alcune

farne

aggiunte

Scherillo, e io vi ho fatto, al-

Ma

i.

migliori

ora, specialmente per

Seicento, ossia, appunto, per In forza delle

di gi;\

il

osservazioni

d'insistere sulla definizione del

quel

copiose

più

e

che riguarda

il

periodo più antico. già «

esposte,

tipo

»,

non

ò

il

caso

qual tra nei suoi

grossolane classificazioni pratiche dei comici, Pulcinella era un « secondo zanni ^^, ossia una parte di sciocco e goffo. Dalle parole gifi riferite dal Cecchini, principi. Nelle

confrontate con ciò che scrisse poi doversi concludere che, tra

i

il

Perrucci, parrebbe

caratteri teatrali

napoletani

del primo Seicento, fossero bensì caratteri di vecchio. Cola e talora Pascariello, corrispondenti al Pantalone veneziano,



i Nel voi. sui Teatri di yajìoU. Che la storia del Pulcinella non debba intendere nel significato dello svolgimento progressivo, ossia della progressiva formazione di un carattere, è una mia vecchia osser-

si

vazione, che

il

DiETERKH

(op. clt., p. 257) accoglie.

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

230 e quelli

di

Brig-hella

;

servi

rispondente

Ma

il

Cecchini

la

si

»)

la

Silvio

il

Fiorillo

abhia

semplicità

inventasse

al

sciocco, cor-

loco

Policenella

«

confonde poi nel definirlo:

uomo ha

«

».

Questo gu-

introdotto una disciplinata goffaggine,

quale, al primo suo apparire, conviene che la malen-

conia se ne fugga, o almeno

per longo spazio di tempo

».

dicono nulla; tra.nne quella il

corrispondenti

dello

che perciò

anche

che

d'albergare fra napoletani

stosissimo

Ooviello,

carattere

il

all'Arlecchino; e

per for credere



come

furbi,

ma mancasse

«

si

concentri e stia rilegata

Fin qui, sono parole che non disciplinata goffaggine », che

Cecchini, subito dopo, cerca di spiegare:

plinata goffaggine, poscia per passar

studio

i

ch'egli fa

«

Dissi disci-

uno assiduissimo

termini naturali, e mostrar un goffo

poco discosto da un puzzo, ed un pazzo che di soverchio si

vuol accostar ad un savio

».

Queste parole designereb-

bero un carattere contraddittorio e assurdo, se non paresindicare clie

sero piuttosto definire

il

il

Cecchini non riusci bene a

personaggio che aveva innanzi alla mente, o che

ne tenne presenti parecchi insieme, non riducibili a unico carattere

1

'.

Del resto,

lose >,

il

Cecchini riconosce l'assurdità delle

dicendo di queste:

«

Si

«

parte ridico-

sono inventate alcune parti ridico-

congiunte con l'inverosimile, ch'io non saprei trattar

lose tanto

i

suoi

non andassi con la penna spropositando anch'io. Orsù tocchiamle senza punto trattar di riforma, perché bisognerebbe dar principio dal cervello, il quale si vede esserli cosi cai-o come s'avessero ereditato ogn' un di loro quello di Aristotele; diciam adunque che sappiano che sono conosciuti, ben che i suoi mancamenti acciò

spropositi, se

tollerati

»

Covielli

Cfr.

.

«

anche

la critica

napoletani, che,

«

che fa

il

Ferrucci, op.

cit., p.

286, dei

dall'arguzia passando alla sciocchezza,

fanno un misto da non sopportarsi, perché o averanno da essere sempre arguti o sempre sciocchi; e, quando fanno da sciocchi, sono fuori della pai'te loro, ch'è di tirar l'intrigo con l'astuzia e con l'inganno

».

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

III.

Ferrucci, invece, non ritrae

Il

nella

nea

quale

lui

ma

esiste,

ne detta

nient 'altro che sciocco.

dare nella sciocchezza la

personaggio di Pulci-

il

condizioni;

le

personaggio quale vorrebbe che

il

«

I

231

cioè, deli-

fosse, sciocco e

Pulcinelli (egli

dice)

e fuggire l'arguzia ».

«

devono

Consistendo

parte in graziose sciocchezze di parole, di

detta

fatti,

può avere qualche cosa d'apparecchio v. g., amore ad un porco, ad un asino, e gli amanti agli animali, o cose simili, ma vili; come può dettare una naturale scioce travestimenti,...

con qualche similitudine breve, paragonando,

chezza, può avere qualche bisguizzo, o bisticcio grazioso e sciocco

qualche uscita, saluto ed altre cose ridicole,

;

sciocche ed umili...

rispondessero è

un

i

personaggi che

discorso.

altro

di sciocchezza

ma

^ Che poi a questa formola ideale

»

i

comici rappresentavano,

miscuglio incoerente di furberia

Il

era, anzi, cosi

che

fì'equente

il

e

Riccoboni

ne fu tratto a dire che nelle commedie napoletane i posti di Brighella e di Arlecchino erano occupati da due Pulcinelli,

1

il

Op.

2

ìtn

cit.,

pulcinella

ferito

le

«

fonrhe

et

anche da me

e dell'andata a

il

est

nevenf. qui est la capitale des Saninites, qu'on

hauteur d'une montagne

Ceux de

di

nella

méme. On moitié

et

paresseux, ignorants

Bergamo: ma

ri-

au

a

que

c'est

tire ces

de la



ville

Dam de Be-

deux caractères op-

dit que celle ville, qui est moitié sur la bas, produit les

hommes d'un carartèrc Ceux de la basse

la haute ville soni vifs et trèì actifi.

che questa spiegazione neventana,

recitava

di quest'attore,

173i;, pp. 318-9.

italien (voi. II, Paris,

R.) Vopinion commune

posés, quoique habillés de

ville soni

Roma

in Teatri di Napoli, p. 12L

du théàtre

pays (soggiunge

tout différent.

modo come

pp. 294-5. Si ricordi l'aneddoto del

Andrea Ciuccio

Hisloire

» '.

ì'antre stupide

è

et

presque slupides

». Il

Biccoboni non ignora

precisamente la stessa che

si

dà per

i

due zanni

preferisce di credere che l'origine vera sia quella be-

e antica, dai

sanni (Samniles), che

commedia napoletana come

nella

perpetuarono cosi

si

lombarda. In verità, bench»*

non abbiamo trocome derivante dal

talvolta Pulcinella sia detto oriundo di Benevento,

vato altra notizia della doppia forma del carattere

PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL ARTE

'2à'2

Escluso,

come

erroneamente

si

è già avvertito, lo scenario attribuito

Della Porta

al

zione letteraria del

',

la

più antica rappresenta-

Pulcinella (secondo la giusta osserva-

zione dello Scherillo) rimane quella del poemetto del Cortese,

Viaggio di Parnaso (1621). Nel quale s'immagina una commedia recitata in Parnaso, un Pulcinella prologo, mettendo in canzonatura i parlatori e

il

che, in

dica

il

La commedia

scrittori toscaneggianti.

prende

le parti

è toscana; e Apollo

dell'arguto personaggio vernacolo contro

i

noiosi comici toscani. Ciò risponde al concetto informatore

dell'opera del Cortese, rivendicazione dei diritti della poesia dialettale

contro l'esclusivismo della letteratura colta

onde sembra che

modo come

il

vi si presenta

un'invenzione individuale del poeta, che ne fece

fosse

portavoce della sua critica

;

dedurre da esso che

fatto)

e

il

non

si

può (come

La prima rappresentazione drammatica che sia nota

fin

simo

^.

del personag-

oggi (mi guardo bene dal dire che

doppio carattere della popolazione di quella

pugna

il

ha

altri

Pulcinella usuale d€i teatri

servisse, allora, alla caricatura del toscaneggiante

gio,

-;

Pulcinella

a tale spiegazione, laddove quella di

città, la cui topografia ri-

Bergamo

si

attaglia benis-

alla spiegazione del Brighella e dell'Arlecchino. 1

ma non commedie erudite: i autori delle commedie agli

Scenario tratto bensì da una commedia del Della Porta,

elaborato dal naturalista napoletano, scrittore di

comici solevano conservare

il

nome

degli

scenari ch'essi ricavavano da quelle, raffazzonandoli a lor modo. Si

vedano A. Valeri, Gli p.

10

n.

;

V. Hossi,

scenari inediti di Basilio Locatelli

Una commedia

nario (in Itend. Istituto lombardo, Milano, 1896) lett.

itah,

XXIX,

p. 214:

(Roma,

1894),

di G. B. della Porta e un nuovo sce;

Croce, in Giorn.

star. d.

onde sono da correggere Scherillo, op.

cit.,

pp. 117-134, e Croce, Teatri di Napoli, p. 79. 2

Si

3 II

veda più sopra in questo DiETERiCH

tati dallo Scherillo,

er

ist

mehr

(p.

voi., pp. 133-144.

252) fraintende

quando

scrive:

ein eleganter Liebhaber

»

«

i

brani dialettali del Cortese,

Ein

Spiilter ist er

ci-

da auch, aber

PER LA STORIA' DEL PULCINELLA

III.

non

se

si è

già notato, in

ne possa trovare qualche altra anteriore

una commedia,

233 '),

è,

come

intitolata la Colombina,

accademico Intrigato drammatico fecondo, giacché la Colombina fu la sua undecima commedia. Stampata a Foligno nel 1628, venne ristampata in séguito a Ronciglione, s. a. (ma intorno al 1680), con alcune mutazioni, dovute di certo al posteriore editore, e col titolo anche mutato: di Virgilio Verucci, dottore di legge, di

Roma,

e scrittore

Pulcinella amante di Colombina

non ho veduta, edizione della

Un'altra ristampa, che

-.

Bologna, 1683, è citata nella seconda

di

Drammaturgia

dell'Allacci

^.

1 Le commedie della fine del Cinquecento e del Seicento costituiscono un materiale non ancora largamente esplorato. Molte volte ho pensato che, avendo tempo e agio, converrebbe scorrere volume per

volume qualche grande tense di

Roma

collezione di esse (p.

e.,

quelle della Casana-

o della Nazionale di Firenze', con la certezza di tro-

vare cose assai curiose e interessanti per

la

storia della letteratura

non meno che per quella del costume. La Colombina, Comedia novamente data in

teatrale 2

luce dal sig. Vergi-

Lio Vekucci, dottor di legge e accademico Intrigato di

cata

molto

al

illust.

e

Roma,

dedi-

reverendiss. sig. abate Gio. Mario Eoscioli,

canonico lateranense (in Foligno, appresso Agostino Alterij, 162b;. E di pp. nn. 113. La dedica ha la data di Foligno, 20 maggio 1628. — Pulcinella amante di Colombina. Comedia nuova del sig. Ver-

un volumetto

Verccci

GiLio

(in

Eonciglione,

braio Francesco Leone.

manca

il

s.

La dedica

a.\

È un volumetto

è

di pp. 76. In

firmata dal

li-

questa ristampa

prologo che era messo in bocca a Pulcinello, Frittellino da Tombolino, Burattino da Buffetto: solite mutazioni

è sostituito

che si permettevano i rieditori delle commedie. Entrambi questi volumetti sono nella Bibl. Casanatense di Roma. — Lo Scheuiu.o, op. cit., pp. 15, 71, cita altresì

due commedie

di

Giovanni Briccio, intitolate

Colombina, e Pulcinella amante di Colombina;

certo

una

parte

II,

svista, proveniente forse dal fatto

pp. 229B0) parla, nella stessa

che

Allacci. Drammaturgia, ed. 1775,

ma

questa é di

Qcahrio

(voi. Ili,

pngina, del Briccio e dpi Ve-

rucci. 3

il

col. 653.

234

PULCINELLA E LA 'COMMEDIA DELL' ARTE

La commediola, personaggi: servo e

Magnitìco e

servo Burattino, Capitano e

il

Pulcinello, Virgilio e

Colombina.

servetta

la

in tre atti, presenta quattro coppie di il

servo Frittellino, Flaminia

il

ama

Flaminia,

tìglio di

Magnifico

Capitano

Il

quale è amante riamata di Virgilio,

la ;

e

commedia, passando attraverso le beflFe fatte al Capitano, termina nei matrimoni di Virgilio con Flaminia e la

con Colombina. Pulcinello

di Pulcinello

si

presenta sulla

scena gareggiando di vanterie col suo padrone, Racconta, tra

tano.

e le

come

a uno smarglassiello


mano

l'altro,

gamme,

tutto

nemico mio

^

il

Capi-

con imo reverso solo

«

a una botta

»

:

che

il

lo

gli

capo^

le

avvenne

per averlo còlto nel mentre colui, accovacciato a terra,

un bisogno naturale

soddisfaceva

unica

:

posizione

clie

possa spiegare l'amputazione con un colpo solo del capo, delle tratto

mani e delle gambe. Racconta anche che il suo ripende esposto nella latrina del Gran Turco, giac-

ché, soffrendo costui di stitichezza, consigliato di guardare

rava tanta paura da produrre

Dopo queste

tivi.

Oh

Col.

di essi

sei tu, Pulcinello?

quale

il

E

ispi-

rapidamente purga-

effetti

;

avevano

Colombina

batte alla

fa alla fine-

si

una scena d'amore:

ben, che bon vento

ti

mena da que-

bande?

ste

È

PuL.

ha luogo tra

gli

vanterie, Pulcinello

e simili

porta della signora Flaminia stra, e

medici

1

ritratto di Pulcinello,

il

vento de levante che m'ha gonjQate

vedere

traditora, che m' hai

te,

melo pure, no, te

o

dammene

donco quarela a

in lo

robbato

chillo

le

vele per venire a

lo

core.

Però, rénni-

tanto

polmone. Se

scambio

tribunale d'Amore, e te farragio fru-

stare.

Col.

Tu non

tu

1

mi

dici

burli

il

vero, tristaccio. Io,

!

Smargiasso, bravaccio.

si,

che

ti

voglio bene;

ma

III.

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

PcL. Anzi, dico la verità e tu dici la bugia.

me

che

contento di ciò che vói

vero quello che

dici,

reversa, pure che

me

Ma

come

dici tu,

perché, quanto anco fusse

;

contentaria che lo

me voHsse

sia

235

munno

lo

iesse alla

bene, e che la mia verità stesse

sotto a la tua buscia....

In un'altra scena, in

il

Capitano

fuga dal vecchio Magnifico i

Colombina

un mal

nire travestito

e Pulcinello

sono messi

che, al solito,

non

toglie

Anche

valorosi emettano canti di vittoria.

che entrambi fa

il

;

Capitano, persuadendolo a ve-

tiro al

da muratore

casa di Flaminia e som-

alla

ministrandogli busse, alcune delle quali toccano per iscambio al suo caro Pulcinello. Concluso

minia, la servetta dice alla padrona

Ma

né anche

io

il

matrimonio

di Fla-

:

voglio più dormir cosi sola: voglio trovarmi

un marito, se credesse farlo di stoppa. Se Pulcinello mi vòle, non voglio andar cercando

Ma

altro.

dubito messi (mi

si) sia

scorrocciato per le perticate aùte. Fdl. {che in questo è entrato) Te

Ile

rennerò dupplicate, traditora,

ladra, assassina, con licenzia della tua patrona!

Col.

Or

su,

perdonami, Pulcinello mio, perché non l'ho

fatto ap-

posta.

PuL. Se sta cosi, te perdono, pure che

Flam. Di questo te ne assicuro ch'ella

non

ti

io,

me

anzi che

vogli bene.

non passa mai giorno, sto pensando

nomini in casa mia, perché sempre

nel fatto tuo. Pdl. Oh, bene

Oh

mio! che s'aspetta?

che bella colombina, da

mettere a no spitone tra due polpette!

Flaminia nella

li

lascia soli, e

ha ttn'aiira scena d'amore,

quale Pulcinello interroga

parecchi particolari che

un antipasto, e lesso, e,

mento

si

gì'

la

sua

importano:

se sappia cuocere

futura

se sappia

un pezzo

di

intorno a

preparare

carne arrosto

finalmente, se sappia fare una frittata; svolgi-

di allusioni oscene,

Basti la conclusione

:

che non è necessario trascrivere.

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

236 PuL.

Mo

conosco ca tu

me

che però

mastra, e sàile fare de tutte

si'

casa, per vita toia, ca io ancora faggio

non vói

Col. Se

Ma

il

altro

personaggio

è

da dicere

appena abbozzato

commedia

mie

le

virtù.

si

non

e

vi

ha nesso

attribuiscono.

col Pulcinella, scritta

dall' intro-

duttore stesso del personaggio sui teatri, Silvio Fiorillo,

non delude del

tutto la nostra aspettativa. Il personaggio

ha, in essa, sufficiente determinatezza e vivacità artistica.

E

ghiottone, anzi vorace e insaziabile, spudorato, vigliacco,

e,

nel

tempo

stesso, burlone, insolente e furbo.

straccione

lier

» lo

chiama un suo amico

ed

;

«

Il

cava-

egli

si

sente,

sua svergognatezza, libero, lieto e sicuro. Anche

nella

i

suoi imbarazzi e terrori sono passeggieri e gli tolgono sol-

momenti il buon umore. La rarissima commedia del Fiorillo, quantunque catalogata nelle bibliografìe, non è stata ancora studiata da tanto per pochi

alcuno.

Ha

(Usfide e

prodezze di Policinella, e fu stampata a Milano

per

titolo

La

:

Lucilla costante con

le

ridicolose il

1632, dal suo autore, che ne segnò la dedica con la data del 29 ottobre di quell'anno figlia del

i.

La

tela è questa:

Lucilla,

vecchio Alberto, è amata dal capitan Matamoros

giovane Fulgenzio; Clarice, sorella del Matamoros,

e dal

è

amata

dall'altro

Alberto.

Il

capitano, Squarcialeone, e dal vecchio

ruffiano Volpone, eh' è

anche

lui,

per proprio

conto, cotto di Clarice, promette a ciascuno di costoro di

i

La

Lucilla costante con

le

ridicolose disfide e prodezze di Policinella

Comedia curiosa di Silvio Fiorillo detto il Capitan Matamoros, Comico acceso, affettionato e risoluto, dedicata all'illustriss. et eccellentiss. sig.

latesta,

il

;

che questo, andiamo!

tra le varie parti che gli

Invece, la

sorte

le

sento io ancora aguzzare l'appetito. Menarne in

signor

Duca

Stampatore E. C,

di Feria (in Milano, per Gio. Battista 1632).

Il

Ma-

volumetto è di pp. 8 innum., 175

num., più una bianca. Esiste nella Bibl. Braidense.

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

III.

amori

aiutarli nei loro e per

in contrasto.

compagno d'imbrogli

237

Volpone ha per amico

Pulcinella ^ E, lavorando

sieme d'astuzia, riescono ad attirare Lucilla

in-

casa di

in

Fulgenzio, dove essa s'induce a promettere amore

al gio-

vane. Ma, nel corso dell'azione, Pulcinella prende a schernire e ingiuriare sfida tra

i

due.

capitano Matamoros; onde nasce una

il

Il

duello tra Pulcinella e Matamoros riem-

pie l'ultimo atto. Cominciato l'assalto,

ragazzo Scaltrino,

il

ch'è d'intesa, tira un laccio, che ha passato, senza scorgere, tra terra, di

i

piedi del Matamoros, e fa

piombo. Pulcinella è proclamato vincitore

commedia termina Volpone,

imprese j

« Il

il

il

;

e la

coi soliti matrimoni.

ruffiano,

mettendo a parte

dice)

sue nobili

delle

indirettamente

pubblico, presenta

tutto (egli

farsi

cadere costui a

Pulcinella.

cerco di fare per poter vivere da

gentiluomo e non lavorare, e conforme l'occasione ne vo tutto gioioso e festevole con un mio amico, nominato Pulicenella, all'osteria;

me

e cosi, per

per

e

lui,

spendo

e

e quel che non ho, perché magazzenieri mi fanno quanta credenza io voglio. Pulicenella mi fa ridere, e io a lui, e cosi stiamo .diegramente fra di noi, lui detto il Cavalìcr Straccione, ed

spando quel che ho

tutti

"

gli

osti e bettolieri e

io «

il

gran Barone di Campo di

Siamo amicissimi vecchi,

e

l'osteria del Cerriglio di Napoli

fiore ».

Altrove conferma:

compagni »

-.

nello studio del-

Ma vediamolo

in azione.

Volpone, avendo bisogno del concorso dell'amico per servire il suo cliente Fulgenzio, batte alla porta di casa per chiamarlo: Pulcinella risponde, egli stesso, scherzosa-

1

II

Fiorillo usa indifferentemente

Nella mia esposizione, adopero

la

«

forma

Policinella

»

e

.

Pulicinella

..

italiana.

2 Celebre osteria di Napoli, intorno alla quale si veda una mia noterei la: Un'osteria famosa di Napoli e una parola della lingua spagnuola

(in

Napoli

nohiliss.,

XV,

1^>06,

pp. 159-1G0\

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

238

mente, di non essere in casa.

dialogo tra

Il

scoppiettio di motti e d'equivoci

due è uno

i

Pulcinella finge di frain-

:

tendere ogni parola, di tirarla a significato offensivo e di Richiesto

adontarsi.

cooperare a un imbroglio

di

(risponde subito), vor raggio de Capua, de Napole

Ricompare

e

imbrogliare,

d'Averza

tutte

li

:

SI

«

tavernare

».

un parapiglia che succede poco dopo,

in

per compiere un atto veramente monellesco o lazzaresco,

che è di schiacciare una vescica sul capo del Matamoros. PoL. {ridendo) Ha, ha, ha, ha

!

Aggio chiù famme che suouno

Oh

!

che brava vessicata è stata chella ch'aggio schiaffata ncapo a

Spagnuolo

chillo

!

VoL. Ecco qui Licaone converso in kipo PoL.

E

becco

VoL. Olà, messer Policenella, tu

me

PoL. Oh, se piatto de

!

lupo diventato n'aseno!

lo

ti

rassembri

mano

vedisse locare de

maccarune!

Ma

pre vita toia?

Ma

vorria che

m'hai

tu

si, si:

me

all'orso, goffo e destro!

no

e de diente ntuorno a visto.

No magno buono,

vedisse n'autra vota, a

le

spese

toie!

VoL. Di grazia,

ma

vederò

ti

giocar di piede sotto di tre

i)resto

legni.

PoL.

E

E non

VoL.

PoL.

E

Che

io

perzi

non

collera,

che

io

burlo teco.

burlo,

iamonce mò!

Chi ha tiempo

no aspetta

chi nevina

VoL. Ah, dunque, viene a

me

^

che

!

Ah, ah l'

!

E

la gallina!

àgiotege cogliuto

ci

ho còlto!

-

!

ho indovinata ?

Scherzo da fanciulli, ancora popolare. Nmocca, in bocca,

nare, indovinare.

Ti

è,

sai ched'è?

PoL. Merda nmocca a

2

all'o-

canzona de gallo e de capone.... gallo non

VoL. Uh, goffo! e credi che non lo sappia?

1

Andiamo

tu vói.

tiempo, disse la

ca

sarai

ne pare? no responno buono?

te

andar in

quando

steria,

gamme, quanno

a te da vraccia, de capo e de

io

squartato.

nevi-

III.

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

239

PoL. Ah, ah, te-a-ta, nevinata!

Non

VoL.

ti

vergogni di esser così disutile?

PoL. Se nce so

E

VoL.

io,

non

masche

ce so le

questo è peggio

Non

!

ti

^,

li

diente, né le

mole meie.

vergogni di andar mangiando per

piazze?

le

PoL. Sai perché

mangio pe

la

chiazza?

VoL. Perché?

famma:

PoL. Perché, là aggio

non

la casa e

chi sa

si

pò avai-aggio appetito pe

c'è che mangiare!....

Per porre in atto l'inganno, Pulcinella, fingendo sere stato preso di

come servo

Alberto e zia di Lucilla,

(Antonio

di es-

della signora Cassandra, sorella si

reca sotto

nome

di

Antuono

Cepolla a casa di Alberto, con un cestino di

^)

Avendolo Volpone presentato come suo amico, il vecchio Alberto lo manda in cucina a rifocillarsi. Ma, qualche ora dopo, Alberto torna sulla scena, esclamando limoni.

pien di spavento

«

:

Cipolla de la cucina

né di mangiare! per

i

».

Non ;

non si vede mai satollo né di bere E quando Volpone lo va a ricercare

comuni affari, con una lanterna

loro

lante,

posso discacciare quell'Antuono

lo

in

vede finalmente uscire, barcol-

mano

PoL. M' aggio pigliato sta lanterna,

e'

:

aggio buono trincato, e non

ce averria veduto per iremenne a la casa.... Oh,

buono

chillo vino verdisco d'Averza, chella

e chillo

grieco.

Me

comme

lagrema de

è stato

Somma

sento l'uocchie mpeccecate, npaglioccate,

scazzate pe lo suonno

VoL. Questo è Policinella

^.

;

voglio stare ad udire ciò che

si

ciarla

a sua posta.

Oh

PoL.

quanta

stelle

che stanno ncielo!

l'aggio ntesa: se ne

il

1

Ganasce.

2

Antuono

è,

E

dov'è la luna? Ah, ah,

sarà iuta a corcare co

.

sole e se gau-

nel dialetto napoletano, sant'Antonio abate: Antonio,

santo di Padova. 3

lo

Gli occhi incollati e cisposi pel sonno

•.

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

240

deno amorosamente. stelle

me

pe

Una, doie,

Oli,

quatto, ciuco,

tre,

quanta neh, quanta neh anchire

O

VoL.

me

che

potesse pigliare una de chelle

mettere a sto cappiello! Quanta ponn' essere?

la

!

pozzo contare

le

Uh, uh!

sette, otto, nove....

sei,

No

se ne porrla

;

no sacco.

'

che ignorantaccio, conta

le stelle

!

Policinella

!

ferma



!

PoL. (gridando) Ohimè, ialevenne, signure mariuole, ca n'aggio né

danare né feraiuolo VoL. Taci, non gridare

^.

Non mi

!

ben bevuto, che un uomo PoL.

Aggio vippeto buono

Vor,.

Solo son io; non

conosci che io son Volpone ? Hai

sembra uno squadrone?

ti

e ngorfuto meglio-'.

mi vedi? ed

hai

il

Bona

lume

sera,

si'

sulo?

in mano?....

Pulcinella recita con molta furberia la sua parte presso

ammalata

Lucilla, parlandole della zia

ha

e del desiderio che,

di rivederla, riuscendo cosi a trarla fuori di casa. Su-

bito fatto

colpo

il

La

«

:

(dice Pulcinella). Io, a

soreca è ncappata a lo masti-ilio

*

me ne vorria tornare magnarme lo riesto de e me ne vorria ire a ve-

lo vero,

ci /'cere

a la casa de la segnora Lucilla a cierte m,accariine, che ciggio lassato,

vere chillo grieco

piangendo

dando

e

De chesto famme e'n «

io ve

corre

torna alla cucina, e quando Lucilla, in

israanie,

maccarune !

»

questa canzone

1

Empire.

2

II

chiama

mo me

«

infame

ne vao a far collazione

rapisce a sua volta

dietro, gridando:

Più

s.

lo

»

:

do ragione (risponde), ca sempe songo 'n

appetito, e

Ma Matamoros gii

E

».

«

».

Lucilla. Pulcinella

Ah, spagnuolo, nemico

oltre, lo incontra, e gli

delli

canta sul viso

:

furto o la rapina dei ferraiuoli erano allora comunissimi, e

quasi l'operazione ordinaria dei ladri di strada. 3

e

Bevuto bene

e diluviato

^

Mastrillo, tagliuola.

^

È

meglio

»

probabile che tale espressione fosse popolare contro gli spa-

gnuoli, e copertamente significasse:

«

nemici dei napoletani

».

Altrove

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

III.

La Lo Lo

E

pecora, belanno. fa be-be: cavallo, anechianno, fa hi-hi: grillo, grisolanno, fa

gri-gri:

puorco, grugnanno, fa gru-gru;

lo

Lo

241

lucaro, veglianno, fa cu-cu:

Cantanno,

gallo fa clii-chi-richi;

il

Pigolanno,

il

pulcino fa pi-pi:

E, abbaianno, lo cane fa bu-bu.

La papera, stridenno, fa pa-pa; La voccola fa spisso ancor co-co: La gatta, maulanno, fa mià-mià: Lo cuorvo. crositanno, fa cro-cro;

E E

l'aseno, arraglianno, fa lii-ho: tu,

cantor di chiacchiere,

Dimmelo Qual

di'

mo,

priesto e chiaro, per tua

fé".

che convene a te ? vero, e no me lo negare,

è lo vierzo

Dimme

lo

Ch'aseno

si',

e l'aseno sai fare

M

Dopo un'ingiuria cosi sanguinosa, un duello è inevitaE Matamoros manda, per mezzo di Scaramuzza, car-

bile.

tello

di

sfida

al

suo insultatore. Questi è circondato da

varie persone, che lo consigliano,

armando. Ma soj)ra:

cevuto gere:

cartello,

il

«

la

paura

gli

pover'ommo me,

«

tu!

».

mandano che

Ma

a che soiìgo arreduttoJ

e

si

leggono

risolva

ravanelle ! •

Una

spagnuola:

«

amici,

gli

ftire.

«?

Va, lava

di-

Ri-

i

Xo

mammatn,

quali gli dosaccio

(egli

le scotelle,

»

filastrocca, quasi simile a questa, e

che doveva essere usuale

sui teatri, è riferita dal Perrccci, op. cit.. p. 349.

tore della parte doveva avere le

il

>.

medesimo personaggio, alludendo Ca si spa^nuolo mangia-

(atto IV, se. 18j, Pulcinella dice al alla miseria

di

vanno

che non sa leg-

egli

hi-bi, ho-ho, hu-bv... Trinità è

glielo

cosa

lo

prende, di tanto in tanto,

procura di leggerlo,

Ca-ca, co-co,

e j)eo si

confortano,

lo

una

speciale

voci animalesche, qui accennate.

E

evidente che

l'at-

virtuosità nel riprodurre

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

242

viene rispondendo), ca m'è scommiiosso

per vita vostra,

dareme

cosa, con

isso

tello di risposta,

E

si

:

«

Dille ancora ca

ma

spagnuolo,

de chille

e

tu (rivolgendosi

li

puorce a

orali, tra

car-

e

ca non è vera

marrane, descacciate de Spagna

"--y

messo Scaramuzza), tu va, mietteme

al

cetrule, cornuto, shruffapcqjpa ! »

li

il

quali è notevole

i

no truffapaga,

è

due avversari sono a fronte

I

manda

rianima e

e

rigurgitante di contumelie, allo spagnuolo.

aggiunge alcuni conienti

vi

questo

Vedile^

accomodare sta

e

d^accordio cinquanta carcacoppole

^ Ma, poi,

triciento secozzune »

cuorpo.

lo

accordare^

se io p)otissevo

:

^.

Pulcinella, armato, ha

un corteo di guatteri, che lo confortano di « robe da propri vanti. Si spartisce il mangiare ». Fanno ciascuno padrini li perquisiscono per sole, si misurano le spade, i

i

vedere se abbiano addosso qualche carta o fattura

moros dà

l'epitaftìo

manga morto

nello

per

:

Mata-

sua tomba, nel caso ch'egli

la

ri-

Pulcinella l'imita. Ma, an-

scontro;

che a questo punto, dopo essersi tant'oltre impegnato, un pensiero di onorevole accomodamento gli vello, e

non tarda ad aprirsene con uno

stanno presso ca

me

«

Vide tu, si

lo

puoi

cjuietare sto

contentar raggio, d'accordio, che

Busse

'

"

:

e

traversa di quelli

isso, co le

il

cer-

che

gli

spagnuolo ; inane soie

pugni.

Questa riserva conferma interamente quel che ho osservato e

congetturato altrove della prudenza che usavano sentare, innanzi a spagnuoli, Cfr. le

mie Ricerche

il

i

comici nel rappre-

personaggio del Capitano spagnuolo.

seconda (in Alti deWAccad.

ispano-italiane, serie

Pontaniana, voi. XXVIII), pp. 25-6. Aggiungerò qui

un aneddoto, che

dimenticai di richiamare: del pulcinella Giuseppe (ma forse Bartolo-

meo) Cavallucci, che a Pesaro fu bastonato a morte da alcuni spagnuoli per certi suoi

frizzi

contro

la loro

nazione

(cfr.

uffiziali

Teatri di

Na-

poli, p. 696 «.). 3

lare

Shruffapappa era, in quel tempo, anche soprannome di un popo-

musico

taccone dello

e poeta, del

quale

Sgruttendio.

si

leggono molte notizie nella Tiorba *

a.

111.

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

me vaga frustanno

proprie,

raggio capotommole

fane, huffettune

pe

tutte le chiazze

m' è venuta

Ma

lassa fare a me, pò!

me

ca

dia schiaf-

la cacarella, frate mio.';

corame venesse da te!

risolve a porsi in guardia; e già

gazzo Scaltrino, con

^,

quanto vo isso: puro che no me

e ccnice

faccia commafiere, ca

si

a cavallo a n'aseno pe tutta la

Capita, e che saiitarraggio, abbuffar raggio, e far-

Citate de

e

243

sua

la

>.

Pure,

sappiamo come

ra-

il

cordicella, gli procuri la vit-

toria.

degenera nella forsa

tinaie

Il

ma, nel

;

resto,

il

Pulci-

nella di Silvio Fiorillo ci sta innanzi coerente e vivo

me

e a

;

sembra uno dei più interessanti personaggi di questo

nome, che

Lo

ci

'.

presenti la letteratura teatrale

Scherillo dà notizia, nel suo

saggio, della

comme-

dia di Giulio Cesare Monti, // servo finto, pubblicata

due

Pulcinella è

anni dopo, nel 1634, a Viterbo, nella quale

un prestanome, toscaneggiante, pedante, amante disgraziato, e la parte di servo furbo è sostenuta

di

un sonetto del 1688,

da Pasquarello;

in cui Pulcinella è definito

tipo della minchioneria^; dell' intermezzo del

come

il

Malade ima-

ginaire del Molière, in cui Polichenelle figura un avaro che,

preso dai birri e messo tra

una dose

1



-

Il

Salterò,

anzi

al bivio,

trivio, di sceglif-rc

di pizzicotti o di V>astonate e

mi

il

gonfierò, farò capriole per tutte

pagamento

le

piazze

Fiorillo scrisse parecchie altre opere drammatiche:

pastorali

VAmor

nagloriosi, e

i

giusto, e

drammi

La

ghirlanda, la

cavati dairAriosto,

le

di



egloghe

commedia / tre capitani vaLa cortesia di Leone e di Rug-

VÀriodante tradito: notizie e saggi delle quali, in F. Bartoli, Nat. s'or. dei comici italiani, I, pp. 223-6 e Rasi, Comici italiani, I, pp.

giero, e

:

^21-7. Io gloriosi, e 3

ho potuto vedere soltanto La ghirlanda, I

La

cortesia di

Leone

e

tre

capitani vana-

di Ruggiero.

Un'osctira allusione di questo sonetto è rilevata dal Novati, in

Giorn. stor. d.

lett.

ital.,

rirla a soddisfazione.

V, p. 278;

ma

neanche a

me

è riuscito di chia-

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

244

una certa somma

di

danaro, assaggia

Si aggiunga, sotto la

medesima data

dia, sfuggita allo Scherillo, di

intitolata

riere

/ cinque

Ma

'^

tutti questi

somma

di

del 1634, la

danaro ^

comme-

Francesco Guerrini romano,

dove Pulcinella

carcerati,

poi le

pizzicotti,

i

bastonate, e finisce col pagare altresì la

fa

da carce-

sono miseri o spuri rimasugli della

vita del personaggio sui teatri.

da Pulcinella, come

Gli attori che rappresentavano è detto, il

si

moltiplicarono subito;

e,

si

mentre era ancora vivo

Fiorillo, recitava a Napoli, in quella parte, per notizia

un Francesco,

del Cecchini,

eh' è forse

Francesco o Cic-

il

cio Baldo, ricordato dal Ferrucci^. Chi sa se

o un altro attore recitò nella

commedia

il

medesimo

del Fiorillo, nella

quale l'autore facev^a, di certo, la parte del Matamoros? ^ Circa

il

compare il celebre Andrea Calcese, detto recò anche fuori Napoli, e mori nella pe1656. In un documento del 1646, dell'Archivio

1630,

Ciuccio, che

stilenza del

si

dello spedale degl'Incurabili, la licenza alla

compagnia

dei

legge:

si

«

Si

è

conceduta

commedianti comici

di reci-

tare nella stanza {teatro) di S. Bartolomeo, e capo di detta

compagnia

1

II

sia Policenella...

DiETERicH

(p. 253),

'".

»

Il

Ferrucci ricorda anche,

per un curioso errore, dice che

il

Mala.de

imaginaire fu recitato per la prima volta nel Palazzo Reale di Napoli, e nell'intermezzo fu introdotto 2

mano

il

1 cinque carcerati, Cornedia (in

Pulcinella.

nova

Macerata, M.DC. XXXIV,

si

Francesco Gtuerrini rovendono al Morion d'oro). —

del sig.

Sul frontespizio, è una figura che credo ritragga Burattino, altro interlocutore della commedia. pp. 332-3.

3

Op.

*

Nella lista degli attori della compagnia che recitava a

cit.,

nel 1614, sono segnati

i

due

Fiorillo, Silvio,

Giambattista, da Scaramuzza ciale, •''

che facesse Pulcinella

:

ma non

(cfr.

da Matamoros,

è segnato alcun

Rasi, Comici

Croce, Teatri di Napoli, pp. 128-9.

e

Genova il

figlio

attore spe-

italiani, I, p. 359).

III.

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

nella stessa parte,

un

^Mattia Barra: sulla fine del Seicento

andò a Parigi

(1685),

245

pulcinella Michelangelo Fracan-

il

zano. In quel tempo, a detta anche del Ferrucci, tanto

comico personaggio tutti

comune

era reso

si

il

che, nel carnevale,

solevano mascherarsi da Pulcinelli ^

Di questa voga teatrale,

cosi

ampiamente

attestata,

accadde, or sono due anni, di acquistare di scenari della fine del Seicento,

la

non

me non

restavano, per altro, documenti diretti, fintanto a

grande raccolta

appartenuta giù ad An-

nibale Sersale conte di Casamarciano, e messa insieme

(al-

meno, uno de' due volumi) dal comico Antonino Passante, detto Orazio

il

Calabrese

-.

In tutti quei centottantatré

scenari ha parte

il

Pulci-

nella, che nelle compagnie napoletane sostituiva l'Arlec-

chino. E,

quente di

il

come l'Arlecchino, anch'esso dava assai titolo alle commedie; onde si hanno gli

Policinella

dama

inamorato,

sbirro

golosa, Policenella ladro -spia

Policenella pazzo per forza, Tlivalità

scenari

Policenella

burlato,

Poìicinella

di fre-

e boia,

giudice

tra Policenella e

Co-

sposa.

amanti della propria padrona, Policenella sposo e Quattro Pollicenelli simili, Disgrazie di Policenella. Negli

viello

solo vediamo come servo o più frequenti), ma anche come fornaio, altri,

lo

monasteri,

^<

ortolano,

villano,

sbriscio, ladro, bandito,

uomo

(che sono

»

oste,

mercante,

i

casi

guardiano

pittore,

di

soldato,

di facoltri, padre, figlio adot-

Spesso egli ha per amante o per moglie Rosetta, e, non mai. Colombina. In talvolta, Pimpinella o Puparella

tivo.

;

questi scenari, Coviello fa talvolta la parte del napoletano,

gentiluomo o borghese, e Giangurgolo. quella del servo,

1

Ferrucci, op.

-

Questa raccolta

cit., si

Xapoli, alla quale lu da

p. 2yj.

trova ora ira

me

raccolta di scenari (in Giorn.

i

niss. della Bibl.

donata. Cfr. stor. d.

leU.

la

Hai.,

mia

Nazionale di

notizia:

XXIX,

i>p.

Una nuova 211-14;.

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

246

del padre, del carceriere, del bravo.

cuni

pezzi concertati

«

Per

i



Ci restano poi al-

propri del Pulcinella ^

»,

principi del Settecento, lo Scherillo passa in rivi-

sta gli scenari, pubblicati dal Bartoli, e la

È da aggiungere

Frisari del 1736. di

commedie

pulcinellesche, che

commedia

numerosissimo gruppo

il

Roma

recitavano a

si

del

nei

primi anni di quel secolo, di molte delle quali fu autore Carlo Sigismondo Capeci, e che sono state studiate da in altra occasione

senza arguzie e senza

monelleschi.

tiri

pio del Settecento sono le

commedie

Anche

del princi-

e parti pulcinellesche,

raccolte dal benedettino Placido Adriani di Lucca,

recitava egli dilettanti,

Lo

me

Pulcinella vi fa la parte dello sciocco,

-.

il

quale

stesso, in rappresentazioni di frati e di altri

da Pulcinella

^.

dopo avere discorso dei due

Scherillo,

«

contrasti

»,

che sono probabilmente della prima metà del secolo deei-

mottavo {Annucc/'a

e

Tolla e la

Canzone di Zeza), studia

particolarmente Pulcinella nel teatro del Cerlone. Forse, nei primi

drammi

di questo scrittore, recitò

Domenico Antonio

cinella

cesco Barese; tinche, verso

di Fiore il

Vincenzo Cammarano, detto

1

Perrucci, op.

gonando

l'

cit.,

innamorato al

p.

^,

e,

il

celebre pul-

nei seguenti, Fran-

1770, prese a fare quella parte

Giancola

«

295 sgg.

:

Prima

trottoletto, detto in

», il

Pulcinella che

uscita di PolicineUa

napoletano strumbolo

;

para-

Alla serva

:

Rimprovero alla serva. Altri in Croce, Teatri di Napoli, pp. 683-688.

commedie del Capeci e altre dello stesso periodo. Croce. aggiunga a quelle ivi menzionate: Pulcinella dalle spose, Homa, 1710 Bibl. Casanatense, Comm., voi. 458). 3 Ms. nella Bibl. comunale di Perugia. Contiene scenari, lazzi, 2

Sulle

Teatri, pp. 688-96. Si tre

prologhi, intermezzi e altri capricci col Pulcinella. Si veda intorno a esso la

mia notizia

slor. d.

leti,

i

ital.,

:

Un

XXXI,

repertorio della

commedia

dell'arte (in

Gìorn.

pp. 458-60).

Sul Di Fiore, molte notizie nei Teatri di Napoli, pp. 386-90,

452, 457.

i

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

III.

riempie di sé Il

decenni del secolo decimottavo

gii ultimi

Cerlone è passato come

ma,


forse,

247

il

non merita intero

l'elogio, sia

perché

Pulcinella aveva già una larga tradizione, sia perché

produttori e accrescitori della parte erano desimi, e

il

gli attori

e

lone,

Pulcinella

era piuttosto

(la specialità di lui

spettacoloso);

serio

ri-

me-

si

lo

il

stadio

istrionico,

da

(scritte

deliziosi, in ispecie,

nella rivolge alle servette

e

solo

afferma carattere concepito e

svolto con qualche coerenza. Per altro, nel Cerlone

vano scene assai belle

le

dramma

perché, anche nel Cer-

infine,

sia,

non supera

di rado e fuggevolmente

;

i

Celione metteva semplicemente in iscritto

loro invenzioni

scritte)

'.

perfezionatore artistico del Pul-

i

lui, o

da

si tru-

lui soltanto tra-

discorsi e motti che Pulci-

Carmosina e Smeraldina, espres-

amore sensuale, leggiero, sboccato, spudorato, alle quali fanno ottima eco le donne amanti, in tutto e per tutto degne di lui, che lo vagheggiano e vogliono a quel modo'.

sioni di

Del Pulcinella nelle parodie letterarie ho, anche altrove, recato uno dei

pili

vecchi esempì, riferendo

la

parodia, nien-

temeno, del Werther, rappresentata a Napoli nel 1707

\



Pulcinella dei burattini.

Uno studio speciale meriterebbe il È singolare che, in queste recite,

appaia di solito come

scellerato, a somiglianza del Polich inelle francese, che

uno

sa bastonare e

ammazzare

la

gente per un nonnulla, e senza

scrupoli, paure o smarrimenti.

Ma

il

piccolo assassino, dui

camiciotto bianco, dalla mezza mascheretta nera, dagli octondi

chietti

1

dalla

vocina

ftìlsa,

il

Pulcinellin.i

famoso Teatri di Xapoli, pp. 476 sgg. In Sicilia, a ricordo del GianPulcinella si ciiiama anche « Giancola • e Pulcinella e

attore, cola e

vispi,

e

:

il

.

BirrUluni

>

(nome

del cappello conico di Pulcinella), si dice,

« napoletano •. ScHERiLLO, Le innaiìiora'e di Pulcinella (in op.

talora, invece di 2

3 Teatri di Xapoli, p. 652.

cit.,

pp. 70-84).

PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL' ARTE

248

(Pidkcenelhizzo) che raccoglie sul suo capo tanti comici

anche in quella parte

cordi, lo

guardano con

la

fa ridere

tenerezza che

ri-

che

gli ascoltatori,

prova pei bimbi ca-

si

pricciosi.

Lo Schedilo arresta colo decimottavo

;

ma

il

la

sua trattazione alla fine del se-

commedia popolare

Pulcinella e la

napoletana del secolo decimonono costituiscono,

importante periodo di quella

Si

storia.

forse,

hanno ora

il

più

sull'ar-

gomento belle pagine del Di Giacomo nella sua Cronaca del San Carlino, e un acuto studio del Lauria; ma bisognerebbe ancora lavorarvi intorno. Nell'ultimo periodo del San Carlino, con l'attore Antonio Petito, Pulcinella si trasformò in tanti personaggi diversi; naggio

egoista, arguto,

non

perso-

onesto, generoso, tal-

goffo in amore, fine osservatore,

intelligente popolano: ecco (scrive cinella in

il

:

il

Di Giacomo)

Antonio Petito. La dichiarazione dei

l'uomo rianimava, tardi rana

perfino, in

e,

Buon marito, operaio

«

pur coraggioso, spiritoso, non servo, non maligno,

volta

non

serio.

ma

in

tempo,

fin la

il

Pul-

diritti del-

maschera acer-

palcoscenico del San Carlino aveva in Pulcinella

un uomo accessibile

alle passioni più varie e contrarie,

un

attore

che, di volta in volta, sapeva pigliar cosi diritta-

mente

la

gli

via

spettatori

recite del

tanto

del cuore da »

^.11 Lauria

San Carlino,

il

commovere mette

buffbnesco

nell'umoristico, e perfino

Del resto, già nel

nel

fino alle

in chiaro si

lagrime

come, nelle

mutasse

di tanto in

tenero e nel triste

Contrasto di Annuccia e

Inolia,

-.

Pulci-

un pover'uomo, tormentato a gara dalla madre e dalla moglie, il quale ha perso l'allegria; e, nella Canzone dì Zeza, è un onesto, sebbene timido popolano, che, nelr uscire di casa, fa calde raccomandazioni alla moglie

nella è

teatro S. Carlino (2. a ediz., Trani, 1895), pp. 52(>7.

1

Cronaca del

2

Pasquale Altavilla (in lìassegna nazionale di Firenze, 1897).

PER LA STORIA DEL PULCINELLA

III.

perché

attenta

stia

alla

ne

e

figliuola

Goethe rammentava recite napoletane

Il

quali

nelle

teatro

mostrando

l'attore,

domestici;

vigili

l'onore

col

Pulcinella,

-.

lontani presentimenti

Ma

con

come

ripigliandosi, poi,

da un brutto sogno

'.

scordare a un tratto

di

entrava a discorrere

spettatori,

e

di guai

249

moglie

la

se si scotesse

sono lampi fuggevoli

questi

e

trasformazioni che esso ebbe,

delle

in ultimo, col Petite.

-Morto

Pulcinella fu bandito dalle

Petito.

il

scene,

ri-

ducendosi a vita stentata nelle compagnie comiche di terzo e quart 'ordine e nei teatrini di via Foria,

compagnie napoletane

col Pulcinella

Qualcuna

delle

reca a recitare an-

si

che in altre parti d'Italia, specie a Roma, dove,

dal

fin

Andrea Ciuccio (e forse con altri prima di lui;, Pulcinella ha avuto sempre buone accoglienze. La fortuna del Pulcinella fuori d' Italia è nota soltanto Seicento, con

in parte.

Come

si è

di Polichinelle esso

particolare

1

2

già accennato,

ha dato

Analisi in Scherillo, op.

al

personaggio francese

cit.,

ma

semplice nome,

nemmeno

carattere e

del

il

del

nessun

vestiario

^.

Per

pp. 25-30.

Gespràche mit Eckermann (Leipzig, 1885,

III, p. 'iSM

:

ct'r.

Croce,

Teatri di Napoli, p. 637. 3

Sul Polichinelle, Saxd, op.

cit-,

I,

p. 139.



Nella piccola Espo-

sizione di arte teatrale fatta nel 1898 a Torino, e propriamente nella collezione del Rasi, era l'incisione di

un

Polichinelle:

«

A

Paria, chez

doppia gobba, con una graticola e le molle nelle mani, e. di sotto, i versi: « Si Polichinelle a grande mine, Armédeptncelle et de gril, Son cceur sQait hi-aìXì- le perii, Que Poh renconlre à la

Bonnart

cuisine ».

»

,

con

la

Altra propagine del Pulcinella napoletano fu

giacché, essendosi mutato, in Francia, dal

il

Pierrot;

commediante Domenico,

carattere di Arlecchino di sciocco in arguto,



qui s^appelait Jareton, voyant que la comédie italienne avoil perda ractère dUin vclet ignorant il

i'

celui

imagina de

le

comme

[aire revivre;

de Polichinelle

et

lui

donna

Véloit l'Arlequin

il

du temps de

méme

le

ca-

Trivelin,

composa Vhabit de Pierrof, qu' il

le

il

un gaginte de la comédie

(ira de

caractère, ou celui de l'Arlequin

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

250

quel che concerne

la

Germania, dal libro del Dieterich

si

ricava che, già nel 1649, comparvero a Norimberga Polllzenelle

italiani; nel 1657,

si

trova un

Pulcinella, Pietro

un

altro

a Berlino;

nel 1673, a Dresda, e cosi via ^ In Inghilterra

sembra che

Gisraondi, a Francoforte;

Pulcinella

Giacomo

nel

1672,

pervenisse dai burattini francesi, al tempo di in Ispagna il nome di Punch"-; come Palchinelo o Don Cristobal Pidchì-

II Stuart, e prese

passò dall'Italia,

A me non è dato approfondire queste ricerche, m,incandomi ora i necessari mozzi bibliografici. nelo.

ignorant, qui avoit

rot



c'es< Vliabit

manqué à

du

la coìnedie italienne

Polichinelle napolUain

»

;

di

modo che

à peine deguisé

=

il

Pier-

(Riccoboni,

op. cit., II, p. 320, e fig. 17).

271 sgg.

1

DiETEuicH, op.

2

Sul Punch inglese, notizie in Flògel-Ebei.i.ng, Geschichte des Gro-

cit.,

p.

tesk-Komischen (5.^ ediz., Leipzig, 1888), pp. liL 113, 413.

IV

Celebrità del Pulcinella Pulcinella simbolo del proletario napoletano

M

i

fermerò piuttosto sulle cagioni

Pulcinella, e per

rappresentazione o simbolo del lebrità

si

spiega, in gran parte,

che l'illustrarono,

comici;

i

resero celebre

la ricca e varia

letteratura teatrale di

maschera

e del vestit(ì,

meglio inventati ed espressivi c;imurtanieiiti

ancora, col fatto ch'esso sopravvisse alle altre

e,

antiche maschere, all'Arlecchino, al Brighella, lone, al Capitano, e, tino friva, nel

ì\ra

Alla fine del secolo decimottavo,

parti di

secondo

i

un

il

diversi capricci

sali,

«

Nel teatro, certe volte

un servo, di uti filosofo, o di commedie; nelle quali, sempre

delle

i

propri

nji>di.

fa

altri,

ch'<>

attejfgia-

buffonerie che diconsi lazzi, è assai grazi-jsa e dà a ridere

molto più di quel che Dottore bolognese d'Italia e

anche

G-aliani già indicava la pre-

sua parte con imitare

la

of-

commedia

signore, altre volte di

bene x-appresentata menti,

della

alla celebrità contribuì, certamente,

valenza del Pulcinella sulle altre maschei-e: le

Panta-

al

ad alcuni decenni addietro,

San Carlino, un esempio vivo

dell'arte K

1

il

come popolo napoletano. La ccmerce gli eccellenti attori

cui divenne centro, la grazia della

che sono tra

ciie

quali fu considerato di frequente

le

>

d'Europa

e

:

i

fa l'Arlecchino o

conchiude, che

si

moderni Pulcinelli

il

Brighella veneziano o

vedono ••



per tutti

i

il

teatri

•'>^9

PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL ARTE

la relazione in

cui

messo

fu

costumi

eoi

carattere

e col

del popolo napoletano.

Ciò accadde, a mio parere, nel Settecento, quando ven-

moda

nero in

viaggi in Italia, e

i

pubblicarono tanti

si

descrizione di questi viaggi, e tra le cose più cu-

libri di

furono messe in rilievo quelle di Napoli:

riose d'Italia

il

Vesuvio (risvegliatosi dal suo lungo sonno con l'eruzione del 1632), la plebe (resasi celebre, in tutta Europa, con la

sua rivoluzione del 1647 e col suo Masaniello), l'antica vita

campana

prima metà

(rivelatasi nella

Fu

scoperte di Pompei e d'Ercolano).

moltissimo

una

origine a

dettero

osservandosi a Napoli

ma

tri,

allora che

plebei napoletani, sui

sui

con

di quel secolo

«

lazzari

»,

le

scrisse

si i

serie di creazioni fantastiche

quali

K E,

Palcinella non solamente sui tea-

il

dappertutto, quale insegna di bottega (scolpito o

dipinto, talora uscente fuori da un mellone rosso aperto,

talora anche le lettere del

nome

di minutissimi Pulcinelli);

nei giocattoli, nei sillabari dei

bambini

(cui

sapere)

nei presepi, dove

;

aspergeva

di

dalla grotta del Eedentore

alcuni contatti tra

lano della realtà, se

il

soave licore

^;

e,

col fare del

avvenimenti del 1799, e

vaso del

non molto lungi

commedia

e

il

popo-

primo non saprei bene

9 V ideale del secondo.

la parte

Gli

che vi prese la plebe na-

resistendo gagliardamente all'esercito fran-

poletana,

sia

cese,

ferocemente

sia

formate

notandosi nel tempo stesso

Pulcinella della

si fini

gli orli del

era raffigurato

ritratto o la caricatura

il

del proprietario

zione, servirono

a

e

gaiamente infuriando nella rea-

rafforzare

la

curiosità e a confermare

la celebrità.

i

Cfr.

lissima, '

il

XIV

mio

articolo:

Varietà intorno ai lazzari,

neUa Napoli

nobi-

(1905), fase. 9, 11, 12.

Rehfues, Gemahlde von Neapel

'Zui'ich, 1808),

I,

pp. 154-164.

IV.

un

In

CELEBRITÀ DEL PULCINELLA

libriccino,

pubblicato

nel

1799

253

Germania

in

(Frankfurt und Leipzig-, 1799), col titolo: Neapel und die Lazaroni, Ehi charakterìstisches Gemcild

filr

Liehhaher der

vede una stampa, che ritrae V Armamento dei lazzaroni. Sfila una frotta di straccioni, dei quali uno Zeitgeschichte,

si

reca alta una bandiera con un teschio e la scritta: Eviva il

Santo Januario

tiene

nostro Generalissimo: altri porta sulle

il

statua del Santo,

spalle la

stretto

che,

fra le braccia

suonano vari strumenti.

un Pulcinella con un

«

il

quasi fosse san Dionigi,

proprio capo reciso

coltello insanguinato.

gerezza, crudeltà! Ecco

questa classe dì gente

i

I

;

altri

Allato (dice la spiegazione) balla

Devozione, leg-

tratti principali del carattere di »,

Pulcinella ha

Il

un

vestito a

scacchi da ricordare quello di Arlecchino, un cappello co-

nico

si,

ma non

pulcinellesco,

bevitore di birra;

i

una

faccia grassa e floscia da

pretesi lazzari ricordano, egualmente,

figure di villani tedeschi di

nach. Nonostante queste

Hans Holbein

iuiprecisioni

e

e di

Luca Cra-

ignoranze,

quel

disegno serve a dimostrare come l'immagine di Pulcinella fosse stata strettamente collegata con quelle dei lazzari e

della plebe napoletana.

Lasciando

davvero

i

sentazione

i

collegamenti di fantasia,

contatti del

tra

il

quali

popolo napoletano e

Pulcinella?



Un

sono la

poi

rappre-

contatto, estrinseco, è

medesimezza della lingua e dei costumi, nei quali l'uno e l'altro si muovono. Ma che sul teatro Pulcinella abbia mai rappresentato la caricatura del Napoletano, non ci è noto. Esso rappresentava invece un carattere genericamente umano: e, come tale, può ben servire a designare approssimativamente il tipo umano, che s'incondato

dalla

frequente in una determinata classe o popolo. Cosi, Pulcinella può spesso venire assunto, in una considerazione tra

extrartistica, quasi tipo del proletario, o, meglio, di quella

particolare sottoclasse del proletari-U"

.-ii'-

^i

oliiama

«

prò-

PULCINELLA E LA COMMEDLA DELL' ARTE

254

letariato cencioso

{Lumpenproletariat)

»

di quello dei paesi in cui

e più specialmente

;

popolo ha ingegno svegliato^

il

gaia natura e piccoli bisogni facilmente contentabili ^ Ecco

come

nella letteratura pulcinellesca

che riscontro con

Legame

e del lazzaro.

può trovare un qual-

si

la figura dell'infimo proletario

rappresentazione artistica essere don Rodrigo

il

al

;

modo

stesso che

si

può dire

tipo del signorotto italiano del Sei-

don Abbondio quello del clero secolare

cento,

napoletano

posto da noi, non contenuto nella

e fra' Cri-

stoforo quello degli ordini

monastici, e cosi via. Ciò sarà

ma non

ha che vedere, intrinsecamente^

o

non sarà vero;

con l'arte; perché, in arte, don Rodrigo, don Abbondio^ sono sé medesimi e non altri. Opportuna illustrazione di queste interpetrazioni

fra' Cristoforo,

può al

quel che

offrire

il

Goethe ha lasciato

Pulcinella. Osservatore

accurato

plebe di Napoli, egli indicò

i

ideali

scritto intorno

ed equilibrato della

temperamento e di Vide

tratti di

vita meridionali, che la distinguono dalle altre plebi.

anche a Napoli

Pulcinella, e fu colpito delle somiglianze

il

che presentava con l'immagine ch'egli s'era formato della plebe napoletana.

Il

Hanswurst per

e lo

placido, calmo, fino a

E

umoristico.

Pulcinella (scrisse nel suo Viaggio

maschera nazionale, quale l'Arlecchino è per

d' Italia) è la

Bergamo

«

il

Tirolo

è

:

un certo punto

un

tipo di servo

indifferente, pigro,

s'incontrano qui dappertutto bettolieri

tali

Oggi mi sono assai spassato col nostro servimandato a prendere carta e penna: nient'altro

e domestici.

tore: l'ho

i

È

noto l'epigramma, ispirato dai

buito al Giraud cinella e cit.,

I,

il

«

(o,

anche,

pp. 134, 139; e in

I,

1

giugno

pp. 102-3.

fatti

d'armi del 1821

Pulcinella malcontento ecc.

popolano

deux moiides, 1880),

:

il

*

.

Paragoni tra

e attriil

Pul-

borghese napoletano), in Sand, op.

Mercey, Le

théùtre en Italie (nella

1840, p. 836). Cfr. Taine,

Voy. en

Revue des

Italie (Paris>

IV.

CELEBRITÀ DEL FfLCINELLA

che questo. Ma. tra beria, ne è nata 1

H.

255

equivoci, indugi, buon

la più graziosa

umore

irebbe mettere con fortuna su qualsiasi teatro

lavorare alla seconda parte del Faust,

mente

le

e fur-

scenetta comica, che >

tornarono

gli

ridionale e sul Pulcinella.

coltà della vita

come

E

si

servi di quel

nome por

spassandosi di tutto.

come

nuovo, nella sua fantasia,

umano,

ri-

diffi-

scivolando, non prendendo niente sul

considerato dal Goethe di

in

osservazioni che aveva fatto sul proletariato me-

trarre quelle categorie di uomini, che passano sulle

serio,

si

Nel

'.

Pulcinella,

dopo essere stato

tipo sociale ed etnico, in

si

sciolse

un personaggio puramente

in cui le determinazioni locali

ed etniche sono cosa

sf^-condaria.

Quei versi del Goethe parevano descrizione

gliore

Pulcinella; e

di

al

De Sanctis

la

mi-

ritraggono, certo, mi-

rabilmente, in pochi tocchi, una figura viva e vera, pensata e -

hera,

immaginata dal poeta tedesco. data

avanzano tra ".

nel il

palazzo dell'Imperatore,

goffi) e

il

matto,

«

si,

il

i

dicono cosi, beffardamente: siete

i

matti,

Voi, curvi fatti

Sin da la culla;

Ma

noi che nulla

Portiam, noialtri

Siamo

gli scaltri

!

Perché

i

berretti

Nostri,

i

giubbetti,

I

in

ma-

Pulcinelli

taglialegne che

lavoro faticoso e utile, e a questi

Voi

nostri arnesi,

Son lievi pesi; Comodamente,

'

i

si

ttìppisch, fast Uippisch >.

pigliando la parola subito dopo

leggiano

— Nella festa

Italienische Reise (ed. Diintzer), p. 203.

sim-

rivolgen-

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE

256

Senza

far niente,

Le piante Sempre in

snelle pianelle,

Corriamo a schiere Mercati e

fiere

;

L'un l'aUro guata Con spalancata Bocca, e diam fuori Strilli

E

sonori

;

cosi, sparsi

Tra l'accalcarsi Di genti a mille,

Al par d'anguille Insiem guizziamo, Sai tiam, scrosciamo. Se lode poi Ci vien da voi, O biasmo alcuno, È a noi tutt' uno ^

1

II.

a.

!

Questa fedele traduzione metrica dei versi del Goethe {Faust, I,

scena della

festa^, è stata

cortesemente fatta a mia richiesta

dall'amico prof. FRANCEsro Cimmino. tiene veri errori d' interpretazione.

La traduzione

del

Maffei con-

Conclusione

M.

.citi,

domandandosi

nitivamente morto, futuri destini,

o, se

sembrano

di

tico, al quale, sotto

e

maschere

due questioni distinte:

minore,

giore

davvero

quali saranno

e defii

suoi

Ma

sul teatro.

si

tratta

maschera, come abbiamo già

la

intrinsecamente un elemento estesotto un'altra, in

grado mag-

ricorrerà sempre. Determinare quando

come bisogni farne

la lode della

è

una forma o

si

è,

identificare tale questione con l'al-

tra intorno all'uso delle

accennato in principio,

se Pulcinella sia

morto non

buona

uso, è compito dell'artista, cui spetta

riuscita o

il

biasimo della cattiva.

Pulcinella, invece, ossia quella determinata e particolare maschera, è decaduto. Quali le cause della

Esso non rispondeva più

gusti

ai

delle

classi

decadenza? colte,

die

l'avevano già accolto, festeggiato e carezzato a lungo. Se la

maschera ripeteva vecchi motivi, infastidiva;

novità, dava fetti

di

luogo,

è

vero, in

contrasto; ma, in

né necessaria né opportuna.

comiche diverse, al Pulcinella. Si

o,

le

Si sentiva

arie

assume

l'attore Scarpetta nel

disse

Pulcinella dalle sue

1

il

Nel libro citato:

Don

belli ef-

complesso, non sembrava più il

bisogno di figure

almeno, rinnovate; donde

vedano

se tentava

qualche caso, a

da

piccolo

la

guerra

Goldoni, ohe

raccontare come egli ban-

commedie \

Felice,

memorie

di

Eduardo Scarpetta

(Napoli, 1883). Cfr. G. Alfano, L'ostracismo di Pulcinella

Najxili, IS?!'.

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

258

aggiunga a

Si

ciò che, per quella parte in cui

il

Pul-

ritraeva o sembrava ritrarre caratteri e costumi

cinella

popolari,

è fatto vivo nelle

si

misto di pudore, di rimorso, ipocrisia. Ridere,

classi

e,

se

si

un sentimento un po' di

colte

vuole, di

dimenticando che oggetto del riso sono

umani (poveri, ignoranti, corrotti, ma esseri umani), sembra cosa poco degna della moderna civiltà, « bassa voglia ». La storia ci dice le beffe, alle quali nel Medioevo esseri

erano esposti

i

plebei

ancora nel secolo decimosettimo, vi

:

erano vassalli che dovevano presentarsi ogni Natale innanzi d'Inghilterra a fare

al re et

unum bumhiduml

guente,

signori

i

unum

E, in quel

napoletani,

saltmn, unum, sufflatum secolo e in parte

come

quelli

di

avevano nelle loro case nani, gobbi

d' Italia,

parti

persone

al-

servivano da buffoni. Tutto ciò

mostruose, che

trimenti

e

del, se-

altre

era ingenuità, e per noi è barbarie. Intorno alla vita della

plebe napoletana, in luogo della faceta commedia di una volta, è sorta ora un'intera letteratura di liriche, novelle,

romanzi

drammi, che

e

umano, appena

la ritrae

con commosso sentimento

celato della voluta

calma

realistica dell'os-

servatore oggettivo ^ Perciò, Pulcinella scende

la

sua china. Chi sa che, a

poco a poco, discacciato perfino dai dine,

non

si

1

Un

precorrimento si

E

chi sa se, fra alcuni

non propriamente storico) di questa commedie dialettali napoletane, non

(ideale, se

può vedere

nelle

istrioniche, recitate per lo più

nel Settecento, e

anche nei

da dilettanti, che

libretti di

voi. sui Teatri di Napoli, passim,

VII, pp. 163-167.

si

scrissero a Napoli

opera buffa, del primo periodo.

sono parecchie notizie su tale ar-

gomento, che meriterebbe uno studio biliss.,

second'or-

perdutasi ogni altra memoria viva della letteratura

letteratura

Nel

di

ridurrà nei baracconi delle fiere e nei diver-

timenti carnevaleschi dei villaggi? secoli,

teatri

speciale. Cfr.

anche Napoli

no-

CONCLUSIONE

V.

259

pulcinellesca o essendo questa nota solamente agli eruditi di cose letterarie,

loco e la

non

un

non

attore

lo ritroverà nel

suo basso

riporterà sul teatro, facendogli riprendere

lo

strada già percorsa? Senonché, supposto pure che

nuova

la

fase somigliasse all'antica, questo apparente ritorno

sarebbe, in realtà, una storia affatto nuova, prodotto di nuove condizioni. Ora come ora, Pulcinella non sembra possa servire in arte se non a creazioni riflesse. Cosi noi che, come popolo, non produciamo più le grandi fantasie mitologiche, e come individui non siamo più bambini, godiamo nel vederci presentali

miti e

i

le

leggende del passato

e le

bambini. Questi argomenti di poesia sono special-

fiabe dei

mente

dall'arte

ri-

cari ai popoli germanici, e

anche in

sono

Italia

stati

non molto

nel periodo romantico, per imitazione

coltivati

né profondamente sentita del romanticismo germa-

felice

nico. In generale, presso di

noi

si

urtano contro

rea-

il

lismo e l'equilibrio dello spirito italiano. I

tre secoli di

di notevole

drammi

pulcinelleschi lasciano ben poco

drammi

opere letterarie. La massima parte dei Pulcinella, a stampa e manoscritti, sono o

nelle

col

assurde buffonerie o pallide tracce, ravvivate un tempo dall'attore improvvisatore.

Qua

disegnata; più spesso, scene

e là,

felici.

qualche figurina ben

Poteva ben sorgere nel

passato uno scrittore popolare che fosse

per la letteratura

merci)

pei canti degli aedi o

germanici, e

canti

Pulcinella fosse ai

il

posteri.

pulcinellesca

quel

che

Omero

redattore del Niehehuvjenlied pei

un dramma o un romanzo Pantagrud napoletano), di cui

scrivesse

(un Gargantua

popolare

legata

il

(tanto per espri-

e

centro e nel quale la sua figura restasse

Ma

quell'artista

non

sorso,

o.

ora.

<^

troppo tardi.

Un sere

surrogato erudito dell'opera mancata potrebbe

un

libro, in cui, dai

documenti lett^—-^

es-

"•'-

• 'i'"' '

PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE

260 dizione,

si

raccogliessero, e quasi

si

ricostituissero, le prin-

cipali manifestazioni artistiche del Pulcinella.

tale

L'impresa

da allettare un erudito, che abbia tatto delicato

artista.

E

è

di

queste nostre ricerche gli potrebbero servire da

indicazioni e prolegomeni.

APPENDICE ANCORA SULLA DERIVAZIONE DEI

TIPI COMICI ITALIANI

DALLA COMMEDIA POPOLARE ANTICA

L'opera del Reich sul ricerche, offre

mimo

frutto di dodici anni d'indefesse

^,

una copiosa raccolta

di notizie recondite e di rav-

vicinamenti ingegnosi, che gettano molta luce non ria civile

meno

sulla sto-

che su quella letteraria dell'antichità greco-romana.

Additerò alcuni punti, che mi paiono specialmente importanti.

mimo

capitolo secondo tratta del

Il

nell'opinione dell'antichità, e

passa a rassegna opinioni di grammatici, di satire

che

condanne

logici; le

filosofi e di poeti; le

mimografi facevano del cristianesimo e

i

i

mimi

cristo-

dei padri della Chiesa (vane, tanto che alcuni

elementi mimici penetrarono nello stesso culto cristiano, donde

mimodie i mimi e

nei canti ecclesiastici); le

mime;

il

modo onde venivano

le

considerati

la satira politica nei mirai; l'apologia del

mimo,

composta nel sesto secolo da Choricius. Non conosco quadro più completo dei costumi

ne ricava,

è,

per

altro,

rispetto, tra la civiltà

è

teatrali nell'antichità.

greco-romana e

una nuova pagina aggiunta

Reich prova che Aristotele

mimo, rimasta,

1

voi. I. p.

Mimus

(Berlin,

I,

e

la

nostra.

Il

capitolo

terzo

alla storia delle teorie letterario: i

peripatetici ebbero

poco avvertita. Anzi,

Hermann Reich, Der

Verstich:

des

finora,

L'impressione, che so

quella di una grande somiglianza, per questo

la

una

il

teoria del

considerazione del

MÌ7nus, ein litterar-entu'ickcìiinysgcschicfitlicìur

Theorie des Mimm-,

Weidmann, 1903\

p.

II,

Entwickelu>igiyes<:hkhtf

APPENDICE

262

mimo

prosastico di Sofrone dovè spingere lo stag'irita alla sua ge-

mimesi e mimo come genere commedia come il dramma satirico

niale teoria, che riponeva l'essenza della i:)oesia nella

non

metro.

nel

g'ià

letterario,

quale stava alla

il

Reich dimostra

alla tragedia. Il

nima e

trattazione intorno

premessa dal Bergk

modo sia

determinò

Aristotele

il

dell'ano-

la i^erfetta aristotelicità

commedia, che fu edita dal Cramer

alla

sua edizione

di Aristofane; e

spiega in

assai plausibile la distinzione, che ivi appare, di

una poe-

imitativa

una

e di

à[jii|jiY]xo5

alla

specie della

ùcpvjYYjxwi^

meramente metrica, quali

quella

pseudopoesia,

la

la

(suddivisa, quest'ultima, nelle due sotto-

e la natSsuuxvi

ìaxopiy.f;

dovendosi intendere per poesia non

ijlijjivjtì^,

e della

Q^scopTjt'.xy;).

In quella trattazione, o

riassunto interpretativo della Poetico., la vera poesia, l'imitativa,

xpaywSia,

cialmente notevoli e

drammatica

divide in narrativa e

si

xa)|j,qjd{a,

nonché

e

la

drammatica,

rapporti messi in rilievo tra l'etologia

i

peripatetica

caratterologia

la

;

(p. e.,

i

Caratteri di

nuova interpretazione tentata del canone

la

Sedigitus, nel quale,

come

poi,

in

Nel capitolo quarto, sono spe-

e aax'jpot.

\ì.I\ì.oi

;

di Volcacius

modo che

sono graduati, in

è noto,

mimica

Teofrasto)

fi-

nora era parso affatto capriccioso, dieci poeti comici romani, assegnandosi

il

primo posto a Cecilie

sesto a Terenzio:

in quel canone, la

Stazio,

Reich crede che

il

forza

studia l'efficacia del

mimica

mimo

sulla

o

il

vis

il

secondo a Plauto,

comica.

Il

capitolo quinto

forma dell'esposizione

filosofica

di Socrate {srurra atticus, lo

chiamava Zenone epicureo, come

corda Cicerone), e di Platone

:

mimo

filosofico.

l'

il

criterio di valutazione sia,

Eutidemo vi

è

ri-

come

considerato

Con questo capitolo, si chiude il primo libro, conmimo. Il secondo ha per argomento l'ipo-

sacrato alla teoria del tesi

mimica

fino ai

e le

linee

fondamentali della sua storia dagli

tempi moderni. Dopo avere esaminato

della ipotesi

mimica prima

e

logo

raccolte di detti e

Scaramuccia),

il

pulcinella turco,

dal

mimo mimo

del

fatti

dei

Philogelos, ana-

(e. 7)

del

mimo

turco e

Karagoz, ch'egli considera come derivanti

ellenico-bizantino e dal

nell'India

il

Capitan Spavento e degli

Reich j^assa a discorrere

del

svolgimento

dopo Filistioue (illustrando anche

la curiosa silloge di motti e di aneddoti comici, alle

lo

(e. 6)

inizi

(e.

8),

del

personaggio

mimo

comico

di

in Occidente durante

esso; il

Me-

ANX'ORA SULLA DERIVAZIONE dicevo

(e. 9),

e,

finalmente

(e. 10),

del

263

mimo e dei personaggi midramma pastoi'ale mo-

mici nell'opera dello Shakespeare, e del

derno come derivazione dal

mimo

alessandrini e romani.

I3oeti

bucolico di Teocrito e degli

Anche questo secondo

altri

libro è l'icco

di particolari nuovi e di considerazioni acute.

vede da

Si

ciò che, se

il

Reich avesse concepito

la

sua opera

come una serie di excursus e di Forschungen zur Geschichte des Mimus, ci sarebbe tutto da lodare e niente da obiettare al suo libro.

Ma

egli si è proposto di dare invece

gio di

(come dice

storia evoluzionistica letteraria

«

»

;

da questo gonfiamento della materia da

doppio difetto

:

il

un sag-

titolo)

da questo proposito,

e

un

studiata, deriva

lui

mimo

esagerazione nel valore attribuito al

;

arbi-

trarietà nel concepire alcuni punti della storia di esso.

Avendo notato che non

mimo

si

possiede ancora una vei'a storia del

e che era utile colmare questa lacuna

',

Reich ha comin-

il

ciato

con un paragone, che doveva trarlo in inganno. Tutti sanno

(egli

dice)

l'

imjjortanza, nella letteratura mondiale, del

classico, la cui linea di svolgimento

dramma

da Eschilo, Sofocle ed Euri-

pide, attraverso Seneca, Marlowe, Shakespeare, Corneille, Racine, Alfieri,

Ma

giunge

fino

allo

Schiller, al

non meno importante

Goethe e

è l'altra serie:

mico. Si tratta, nientedimeno, di studiare

realistica antica accanto a listica.

«

realistica

;

Gli inizi del e Sofrone,

ai

loro successori.

dramma

quella del la

storia

della

mi-

poesia

quella, già nota, della poesia idea-

mimo sono

primo poeta

propriamente

gli inizi dell'arte

d'arte del

mimo,

è

primo

il

co-

1 II Reich (pp. 6-10 n.) dà un elenco degli scritti generali, che si hanno sull'argomento; a cominciare dall'opei'a di Nicola Calliachus. professore di Padova, De ludis scmnicis mimorinn et lyantomimorum 1713 1.

fino ai giorni nostri.

Non vedo

ricordati due libri, che, per altro, io

stesso conosco solo indirettamente, per citazioni altrui: J. Weavoii, the mimes and panlomimes (Londra, 1728;, e I3ollan<ìek ve History

of

RiVERV, Reckercfm (Parigi, 1751).'

bro

II

parte

Un

della Storia II,

hisforiquei et criliques sur !es

e

ragione di ogni poesia di F. S.

Milano, 1754, pp. 179-251), dove

commedie mimiche

mimes

et Ica

pantomimes

ricordo meritava anche la Distinzione 111 ded

presso

i

greci,

i

si

Quadrio

tratta di

li-

(voi. Ili,

proposito delle

latini, gl'italiani e

i

francesi.

APPENDICE

264 sciente realista tra litica

tra

i

poeti greci

i

migliori e

»

la

decadenza della

civiltà antica; cosi si

il

nobile e mitico

idealismo e

dalla quale

mento i

ebbe una lunga lotta tra

l'ultimo usci, alfine, vincitore,

della

popolare e burlesco, «

Il

problemi del mimo, spunta

umano

problema

il

una

di

diminuito

mondo moderno,

nel

l'efficacia

»

della

suo fonda-

storia

(p. 35).

«

Dietro

genetica

La

trascu-

letteratura classica

perché, essendo stata ristretta quella lette-

ratura alla sola parte idealistica, col decadere

Ma

decaduta anch'essa.

il

(pp. 28-31).

»

del realismo letterario nell'antichità classica

mimo ha

quale manife-

universale e letteraria, avente

storia

nelle leggi dello svolgimento

ranza del

mimo, come pro-

l'idealismo, appare

pugnatore del realismo contro stazione

nella lotta po-

ultimi prevalsero, donde

realismo

il

come

E,

(p. 20).

peggiori, questi

i

«

dal

mimo

dell'

di Sofrone, di

idealismo, è

Teocrito e di

Eronda, dal romanzo mimico di Petronio e dalle novelle mimiche

un moderno

può ancora imparare

realista

»

(p. 38).

Tutto ciò mi sembra poco sostenibile e dimostra, forse, che Reich, se ha a lungo ricercato

i

testi

ha con pari insistenza meditato sul

per illustrare

il

il

mimo, non

significato dell' idealismo e del

realismo in letteratura. Altra volta, ho avuto occasione di chiarire

come

il

realismo sia una denominazione che può rendere servigi

nella storia letteraria solo

quando serva a indicare, come nome

riassuntivo, quella maturità dello spirito moderno, prodotta dallo

svolgimento del senso storico e dall'interesse pei problemi psico-

^ Sotto questo

logici e sociali

un

dire

vuole trovarne

rispetto,

grande importanza

fatto di

le fonti nella farsa e nella

la voglia di reagire e ripetere la

bacher (contro

chiamano

il

del realismo

fa,

i

«

non

la

commedia,

lasciarsi

trovando

mimo

1

Si

si

può

Reich

burlesca, viene

Krum-

e

molto

Critica,

meno

il

mimo,

è la fonte

cosi, assai idealistico.

sedurre dai ravvicinamenti che

il

Reich

dappertutto, nelle più diverse, e anche nelle

manifestazioni letterarie

veda

commedia

il

il

Né bisogna pili alte

Ma, allorché

parola del Kòrting' e del

moderno: realismo, diremo

il

realismo moderno

Reich lancia una protesta, pp. 48-9), che Tingeltangelpoesie » (poesia da caffè-concerto).

quali

mimo

— La tragedia,

il

storica.

I,

pp. 245-8.

:

nel dialogo socratico e platonico,

ANCORA SULLA DERIVAZIONE

dramma

nell'egloga e nel

dramma

pastorale, nei cantici

265 Chiesa, nel

della

dello Shakespeare, nel romanzo, e cosi via

^.

Si è già detto

che questi ravvicinamenti sono pregevoli, perché spargono luce su alcuni particolari.

Ma

essi

non provano nulla a favore

mimo,

del

potendosi eseguire analoghi ravvicinamenti col prendere per centro qualsiasi altra

produzione

dramma,

dell'epos nel

letteraria. Cosi si troverebbero tracce

commedia, nel romanzo, nella

nella

pittura,

Che

nella scultura, nella storia, nella filosofia, e via discorrendo.

cosa >iimostrano, dunque, gli elementi del mimo, che in

altre

manifestazioni

È

il

che già

le

sapeva.

si

bene mettere in luce quelli di

tali

legami che siano sfuggiti

considerazione;

ma

occorre

finora *

Soltanto questo: che tutte

letterarie?

spirituali si legano tra loro;

manifestazioni

osservano

si

all'attenta

mitologizzare

storia nella

il

rapporto che

letterario), e in

Conosco parecchi

si

evitare

è additato, e

l'errore di

trasformare la

esposizione delle gesta di una data opera

fantastica

un genere

(o di

»

libri

un catalogo

moderni,

il

cui

biblico di generazioni.

ordinamento

la

e

cui

prospettiva sono viziati da siffatto pregiudizio. L'oggetto, che fornisce

il

titolo al

libro

(nel

l'immaginazione dell'autore,

mento

storico.

ché (risponde l'Italia e la

Perché il

la

caso presente, il

dio o

il

T[}oesia

che Aristotele e

i

il

dramma

e

il

il

mimo come

la

diventa, per

tal

il

commedia

si

secondo volume dell'opera (che non più particolarmente

cato) dovrebbe trattare sulla letteratura

romanzo bucolico

dram-

non drammatica,

originaria

e,

il

vero.

rivela anche nelle

espressioni enfatiche, tra epiche e drammatiche, che

II

I

modo, semplicistica;

semplice, non è neppure

Questo concetto esagerato del proprio tema

1

«

principessa fatata

comica popolare; non seppero trovare

La spiegazione semplicistico, come non è ».

popolare.

la bella

suoi scolari indicarono ai commediografi

greci, allorché considerarono

(Urhomó(ìie)

divejita, nel-

Germania non ha avuto commedia? Per-

Francia: perfezionare

Dornróschen), la

la via

mimo),

Reich, p. 336) non ha saputo fare quel che fecero

maturgi tedeschi non seppero conquistare {dai:

il

diavolo di tutto lo svolgi-

è stato fin

il

Hcicli ndo-

oggi pubbli-

dell'efficacia

del

mimo

specialmente, sulla satira, sul

e biologico, sulle novelle e sulle lettere.

APPENDICE

20G

Roma

pera nel parlare del mimo. L' ipotesi mimica giunge a

:

«

di

sottomise anclie l'Occidente latino e dominò d'allora il teatro dell'intero mondo greco-romano fino alla sua caduta per opera dei germani e dei turchi » (p. 18). Non si parla cosi di un conquistatore, di un Alessandro o di un Napoleone ? — qui essa

Cadono

si

in

teatri

i

ma

Africa;

ecco

«

mimi ripensano

ricordano di essere stati giullari

E giullari e buffoni barbaro Medioevo e

questi. il

da giullari

Non pare

si

mutarono

e buffoni, e

consegnarono

lo

sima parte andò



«

simili

eroe,

potrei

esse nascono,

Ma E

noto

io

Non

il

come

si

mimo

il

di

la

di

di documenti. Il il

ormai

si

pensi dell'im-

a ogni modo, in linea di fatto, che

non

storica

può

si

loro

i

tipi

sfatata, dello

,nùìins centunculus

«

«

zanni

»

dal

dal

».

der schone

sonnio

«

Come?

(egli dice)

Traum fUr

»

e

anche

(pp. 44, 498: cfr.

»

:

biso-

bel sogno

il

uniner ausgetraumt....),

comici possano essere seguiti, nel loro nascere e nel

peregrinare

tempi? dei

nun

stabilire per

Dieterich, abbia dato ancora fede, in questo

Nessuna vera prova; ma:

also iciì'Mich

frasi

pena:

amore.

gna davvero rinunziare per sempre a sognare che

Di la

che viene riconosciuto altresì dal Reich;

libro, alla derivazione,

{ist



derivazione della commedia popolare

sta,

quantunque, seguendo

«

narrerebbe

si

qualche punto storicamente dubbio.

continuità

l'asserita o sospettata

la

restò in pa-

nemico?

antico e dall'atellana. Checché

dell'Arlecchino dal

nuovo

di

tono con cui

da eccesso

detto,

è

problema circa

tabella finale).

il

fu conqui-

d'origine in mas-

non emigrò,

solo

» (p. 14).

bambino,

ancora moltissime, se ne valesse

riferire

portanza di tale problema,

mancanza

questo

è

attori

fatale

Quando Bisanzio

che resta solo a sfidare

ho parlato anche

italiana dal

un

mimo mostrò

il

le vesti di

attraverso

nuovi tempi, dove

ai

nella sua patria

....

in rovina.

ecc. (p. 15).

un

mimo

ascoltare la storia romantica di

di

sua forza indistruttibile. Esso »,

riprendono

il

nuovo in mimi, ossia in

di

stato dai Turchi, e l'ellenismo

tria

alla loro antica origine »:

salvarono

«

trafugato da un fedel servitore,?

l'atto di

Germania, in Ispagna, in

Gallia, in

Italia, in i

Le due

mimi romani Macco delle

dall'antica

vie

tentate

Eliade, per

millenni, fino ai nostri

finora, quella di

ricercare le

nel Medioevo e quella di derivare atellane, sono

senza speranza;

ma

il

sorti

Pulcinella

ce

n'è una

J

A-NXORA SULLA DERIVAZIONE speranze

terza, ricca di

mondo

l'Oriente, al

267

ancora intentata. Bisogna volgersi

e

bizantino: ivi

al-

troverà la chiave della que-

si

stione (pp. 47-8).

E

opportuno, senza dubbio, e risjjonde

al

gran progresso

negli ultimi tempi dagli studi bizantini e al mutato

ha

moderna

la

storiografìa del posto di

indagare anche per questa parte trebbe destare stupore che

il

Bizanzio nella civiltà, di

mondo

bizantino. E, anzi, po-

Reich abbia confinato

il

fatto

concetto che

la

sua inda-

gine ai rapporti tra Venezia e Costantinopoli nel tempo seguito alla conquista

dimenticando che

turca di questa;

fu vigoroso, durante

tutto

Medioevo, nella

il

bizantinismo

il

nell'Italia

e

Sicilia

meridionale, e anche in quella Campania, che è patria riconosciuta di Pulcinella.

Ma

dall'ammettere l'opportunità di studi da condurre

campo bizantino ad affermare che

nel

derivazione

sia chiara la

commedia dell'arte italiana da Costantinopoli, cioè mimo bizantino, erede a sua volta del mimo elle-

della

dal

nico, corre gran Il

tratto.

Reich è molto risoluto nella sua affermazione.

(scrive nel

mondo

primo

bizantino

gamente

dove enuncia

capitolo,

si

cercate, che risolvono

:

il

loro

comune padre

del

mimo

si

ila

all'atellana; la seconda, al

la

non sono padre nel

Il

perso-

un turco

mimo

e figlio,

bizantino.

ma

!

Con

la

fratelli, e

caduta di

caso della immigrazione

il

prima volta esso aveva dato origine

il

coi

il

mimo

poveri resti

Medioevo,

li

bizantino, vedel

mimo

ru-

ravvivò, e ne nacque

dell'arte; la quale, prosecutrice delle glorie del

commedia

nel

Pulcinella dal Karagòz, o vi-

mimo romano);

attraverso

».

italiano somigliò tanto a

nuto da Costantinopoli, s'incontrò

mano,

In realtà

che ha stretta somiglianza

ripetè per la terza volta

greco in Italia

persistenti

«

tesi, p. 48),

dibattuto problema

diretta del

ceversa, è da escludere; essi

Costantinopoli,

il

è Karagtiz,

non mai un

Tuttavia, la derivazione

hanno

sua

trovano, a mio credere, le prove storiche, lun-

naggio della commedia turca

con Pulcinella

la

mimo

latino, sottomise col personaggio di Pulcinella tutto l'Occidente. Né senza ragione, proprio a Venezia, fiorirono i Goldoni e i Gozzi

(pp. 678-683).

Ma,

e le

prove di tutto ciò?

glio dei Dieci proibiva l'uso,

«

— o.

Il

29 dicembre 1508,

paucissimo tempore

»

il

Consi-

introdotto

APPENDICE

268

nei banchetti e nelle feste, di recitare

commedie

personatos sire mascheratos dicuntur

et

lasciva et inhonestissima

turpia,

acta

».

«

per

in qiiibus

utuntur inulta verba

E im moderno

et

scrittore

greco, Costantino Satha, scorge, in questa descrizione, proprio la

commedia

bizantina. Inoltre, le

commedie

del

Calmo

e del

Ruzante

j)ongono talvolta la scena in paese greco e hanno personaggi che

parlano

un



Sono prove codeste, che abbiano

si fa

a riconoscere in quelle frasi ge-

greco (pp. 679-81).

il

qualsiasi valore?

Come

neriche dell'ordinanza del Consiglio dei Dieci proprio

il

mimo

bi-

un edifizio storico? Quale argomento favorevole costituiscono mai le parti greche nella commedia italiana del Cinquecento, che ha anche parti spagnuole e tedesche e d'altre lingue e dialetti senza che perciò si debba supporre un zantino e ad architettarvi sopra

contatto con le letterature delle l'elative lingue e dialetti, essendo usati in esse

i

quello

rico, e

vari linguaggi per ragioni di colorito locale e sto-

greco messo in bocca, per l'appunto, alle milizie

greche della repubblica veneziana,

1

ai cosi detti

«

stradiotti

libro del Satha, loxopixov 5o7.i|n.ov ::epl toù S-sccxpou

II

{lO'jOLX-^S

Twv Bu^avx'.vwv,

Bsvsxia, 1878-9,

Le pagine,

due

r^xai

si

eìg

non mi pare che

voli.}

sulle quali

Biooifitìfr]

appoggia

il

»

^

y.a.l

?

z-qc,

xò xpvjxixòv -S-éaxpov (£v

sia noto ai nostri studiosi.

Reich, sono nel voi.

I,

pp. 403-420.

prima i^ubblica rappresentazione del nuovo teatro italiano fu la Calandrici, promossa nel 1518 in Roma dal papa grecofilo Leone X; ma che già innanzi, nel 1508, a Venezia venivano proibite le rappresentazioni disoneste e lascive; nelle quali il Satha non so come riesca a riconoscere, attraverso sempre il documento citato, Tidvxag xoùg xcpaxxTipag xtóv Bu^avxivwv [jiC[jicov. Mette poi in rilievo le parti in dialetto greco, che sono nelle commedie del Calmo,

Il

Satha nota che

del

la

Ruzante, del Giancarli. Assai curioso sarebbe stato

col

titolo:

netiis

da Sabio, 1529\

de Thott

e,

il

si

trova citato nel catalogo della biblioteca

fatto fare ricerche a

la biblioteca Thottiana),

quella pretesa silloge di

Ve-

Giovanantonio et

sull'autorità di esso, dal Panzer e dal Brunet.

avendone

libro, che,

Iwdierna grcecorum dialecto conscripke, qucz

publiee solent aliquando exhiberi (Vinegia, per

fratelli

tha,

C'omcedice

ebbe

la

Copenhagen (dove

si

Ma

il

Sa-

trova ora

delusione di venire a conoscere che

commedie greche era

nient' altro che

duzione neollenica della boccaccesca Teseide (pp.

416-19).

una

tra-

I

ANCORA SULLA DERIVAZIONE Certamente, affermare che

commedia popolare

della

l'orig'ine

269

italiana del secolo decimosesto è in Italia e nel secolo

non

sto,

mia

significa (ripeto la

non

cautela) che

nome

vare antecedenti e derivazioni di questo o quel

decimose-

possano

si

tro-

comico, di

alcune facezie e azioni comiche, di alcuni particolari della maschera e del vestito.

debbano

si

modo

È

ritrovare.

anzi ben naturale che questi antecedenti

E

inconfutabile, che

ticolari della

vano

maschera

Driesen

il il

nome

di

ha

'

«

messo

testé

Arlecchino

e del vestiario di quel

>

in chiaro, in

e alcuni par-

personaggio, deri-

che rnimus centuncuiusì) dal Medioevo francese. Ar-

altro

lecchino è Harlequiìi, Herleqidn, Hellequin

nome

:

un

di

diavolo,

conduttore di schiere di suoi pari, di Harlequins, dei quali

guono l'oi,

in cronache, poemi,

essi

qualche parentela

mediante

italiano,

drammi, fableaux

il

diavolo

«

e misteri

Alichino

che recitava a Parigi tra

improbabile che fosse, per l'appunto,

è

> il

di

bizzarro

1570 e

italiano,

personaggio comico italiano. zione che

il

^

Otto Dbiesen, Der Urspj^tng

(e

non

la

conoscenza di piazza,

meglio, impastò con esso un

tesi,

che

perché chi voglia averne le

ha dedicato

des Harlekin, ehi

il

Henier

*.

kult>irge»chichtli-

.

XXVI,

Nel FanfuUa della donienica,

in Svaghi critici 1

19<>J

1580

c'intratterremo sulla dimostra-

lo scritto

Problem [Berlin, Duncker. •

o,

Non

Driesen dà di questa sua

un riassunto potrà leggere

ch.eì

il

ha con

Un com-

bergamasco Alberto Ga-

il

compariva nelle buffonerie

diavolo, che

l'introdusse nel teatro

forse,

DanteX

nassa, additato dalla tradizione}, avendo fatto colà del

si se-

francese dal secolo undecime in

le tracce nella letteratura

Bari, Laterza, 1910},

j.p.

n. 12,

2<ì

marzo 1901:

e,

ora,

465-83. [Su la questione del-

Arlecchino e delle maschere in genere è ora tornato G. Jakfei. in scritto inserito nella Rivista d^ Italia, XIII, f. 5, maggi)

un pregevole

1910. Alle osservazioni che egli muove alla mia tesi non ho altre da rispondere se non che non mi è mai saltato in niente di negare cho ogni cosa abbia i suoi precedenti ma ho voluto oppormi ancora una ;

volta a quell'indirizzo di storia letteraria che, in

uno

nella curiosa illusione che

verso

come

disse Carlo

Marx

scritto giovanile parlando della scuola storica del diritto, vive

la foce

ma

verso

il

fiume scorra non in giù

la fonte].

ma

in su,

non

APPENDICE

270

E

col

Renier sono pienamente d'accordo nell'osservazione che Ar-

lecchino, per quanto francese e diavolo di

nariamente,

uno

«

zanni

di »

della

medievale francese letteraria

mera

nome

e,

almeno

origi-

maschera, resta pur sempre, nel suo svolgimento,

commedia è

italiana.

La connessione

quasi estrinseca

e,

col diavolo

per la storia artistico-

dell'Arlecchino, costituisce, in fondo, poco più di

curiosità.

una

IL TIPO

DEL NAPOLETANO

NELLA COxMMEDIA

DaWArcliivio 702-742.

storico

^ler

le

province ìiapoletane, voi.

XXIII

(1S98), pp.

I

s<)e

TOSCANI E LA SATIRA CONTRO

NAPOLETANI

I

nelle rappresentazioni del Pulcinella

si

possono

ri-

levare alcuni tratti da valere quale satira o ritratto dei napoletani,

e

propriamente della plebe

pili

Pulcinella, tuttavia cosi nelle

(come

si

come

intenzioni degli artisti

significato,

napoletana,

è visto nel saggio precedente),

non suole essere punto

nel

suo effettivo

ritratto,

caricatura u

satira dei napoletani e della plebe napoletana.

Ma una e

si

satira del popolo napoletano fu fatta sul teatro,

condensò

poletano

»,

in

uno speciale personaggio, detto

ch'ebbe lunga

Un'indagine ancora da condurre proverbiali,

elogiativi

potrebbe cominciare

è quella dei giudizi

dati

o satirici,

dall'antichità

rebbe Votiosa Neapolis, e

Na-

il

<^

e varia fortuna sulle scene.

altri giudizi

polazioni meridionali; anche se

si

sui

classica,

napoletani.

che

ci

8i

offri-

ed epiteli sulle po-

debba

resistere agli al-

lettamenti dei riscontri ritrovati nel Satijricon di Petronio, la cui poli.

scena è stata a più riprese assegnata e ritolta a Na-

Nell'alto

canti satirici

Medioevo contro

i

si

saranno avuti, di certo, molti e

napoletani, da parie dei beiieventaui,

salernitani e capuani, o dei sorrentini e amalfitani; e

poletani avranno ricambiato «

la

i

primi con

turpissima gente dei Bardi

suonano

gli echi

»

le ingiurie

i

(longobardi), di cui

nelle cronache e nei

documenti

na-

contri ri-

di quei

274

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

Un'ombra

tempi.

di satira dei sorrentini

tani è nel libello

contro

napole-

i

miracoli di S. Antonino;

dei

in cui

si

racconta che in uno scontro navale tra sorrentini e na-

una

poletani da

invocarono

saraceni dall'altra,

parte, e

Antonino

loro S.

il

e dei napoletani furono morti

apprese

poi

i

prima che

saraceni

i

perché

nessuno;

da un'apparizione miracolosa)

appena chiamato dai

sorrentini

i

napoletani S. Gennaro,

sette,

sorrentini

fossero vinti, e dei

e

(come

Antonino,

S.

accorse in fretta e furia sul

suoi,

teatro della battaglia; laddove S. Gennaro,

il

quale diceva

mosse con ogni agio, onde l'aiuto

messa

in

paradiso,

giunse

ai

suoi in ritardo e fu

si

meno

efficace e pieno'. Il

Rajna vorrebbe vedere, nella derivazione del nome di

Napoleone

«

»,

si

una forma medievale

con colorito dispregiativo e satirico

fatale

di « napoletano

»,

L'importanza della

^.

piccola città bizantina era, per altro, assai scarsa, e non

potè dare materia a una satira diffusa e notevole.

Con iscena

la

formazione dello stato normanno entrarono pugliesi

«

i

o

»

nomi s'intendevano come con quello di

«

settentrionale. Ma,

se

uomini del Regno

«

lombardi

»

le

non

1

et

Ex

ital., -

3

Stato

lette-

lo stesso

miraculis S. Antonini abbatis stirrentitii {in Script, rerum langob.

P. Kajna, L'etimologia t.

e la storia

lombardo

p. 835 sgg.

;

e

e

la

arcaica del nome

«

Napoleone

»

VII, pp. 89-116).

Sulla quale è da leggere Il

può dire

ed. Waitz), pp. 584-5.

(in Arck. stor. Hai., 1891,

VAxr,

si

come appartati ed ebbero effiche per commerci e attività di

pugliesi, che rimasero

come

^,

che avevano

formò una ricca

ratura di giudizi e di proverbi

cacia piuttosto

in

quali

popolazioni dell'Italia

intorno ai lombardi, si

i

coi

,

popolazioni dell'Italia meridionale,

le

tanta parte nella vita d'Europa,

per

»

il

dotto e importante articolo del No-

lumaca (in

ora in Attraverso

il

Giorn.

stor.

d.

letler.

ital..,

XXII,

Medioevo, Bari, 1905, pp. 11(5-151).

I.

cultura.

I

TOSCANI E LA SATIRA CONTRO

Onde

la satira dei

di quella dei pugliesi sono

I

NAPOLETANI

lombardi è europea; italiane.

275

le tracce

Ricorderò quel detto

di fra' Salimbene, nel comentare alcune parole che egli mette in bocca a Roberto Guiscardo sui siculi e gli appuli « Nota quod Robertus appellavìt pedes ligneos, patitos, idest :

zoppellos, quibus utebantur

homines cacarelli

et

dixit eos loqui, quia

Ke

UH

siculi et appuli: erant

enim

merdazoli, parvique valoris. In gutture

quando volunt

dicere: quid vis? dicitnt:

boli? Reputavit igitur eos homines viles

et

inermes

et

La pusillanimitas maestro Boncompagno ^ In

sine virtute et sine peritia artis pugna; ».

appulorum

si

questi giudizi tirici,

a

trova ricordata in

rientrano anche quei versi, elogiativi e sa-

intorno alle città della Puglia, che

Federico

II e sui quali

si

attribuiscono

sarebbe altresì da condurre qual-

che indagine.

Ma

la satira

più larga, e che poi prevalse, contro

i

na-

poletani, prese origine e nutrimento, a nostro credere, dai toscani, e specialmente dai fiorentini. Coi sovrani angioini, il

Regno

fu aperto e quasi

rentini, collegati

abbandonato

ai

mercanti

fio-

politicamente coi reali di Napoli, ban-

chieri di questi e concessionari di numerosi privilegi

merciali-. Venditori e compratori,

come sono

com-

stretti

da

reciproci interessi, cosi sono acuiti gli uni contro gli altri dal bisogno di esplorarsi e conoscersi a vicenda, per isfruttarsi a vicenda. Diverso, inoltre,

il

temperamento

delle

due

popolazioni; diverse le condizioni sociali quanto quelle di

una

città repubblicana,

della democrazia, e di

che doveva percorrere tutti gradi un regno tenacemente feudale, in

cui lo stesso patriziato cittadino

1

2

slor.

i

(con processo inverso a

SuTTEK, Magister Boncompogmis, pp. 122, 127. G. DE Blasiis, La dimora di Giovanni Boccaccio a Napoli

napoL, XVII, 1892).

(in

Arch.

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

276

quello di Firenze) veniva ag-g-iungendo ai suoi vanti nobiliari

vanti feudali.

i

I fiorentini

dovevano notare l'esube-

ranza di gesti e di parole, la tendenza sfoggiato, la gonfiatura e

fiorentini.

sco

Chi ha da far con tosco, non vuol esser

«

diceva

»,

poco buon gusto dei napole-

il

a loro volta, l'avarizia e la scaltrezza dei

questi,

tani:

al mag-niflco e allo

proverbio. Questa antitesi cosi di

il

di giudizi è stata investigata nelle opere del il

quale conosceva bene

che:

una

dialetto napo-

il

Forse allo stesso tempo risale

lettera.

Napoli è un paradiso abitato da diavoli

«

,

satira dì Gino

Boccaccio^;

cose di Napoli per esservi vis-

le

suto a lungo e cercò anche di contraffare letano in

da Pistoia,

lo-

come

fatti

il

» ^.

detto

il

È

nota la

quale insegnò nel 1330-1 nello

Studio di Napoli, chiamatovi da re Roberto, e ne parti l'anno dopo^, imprecando contro la

«

terra servile

».



Napoletani e fiorentini sono poi messi a fronte da Luigi Pulci (che venne a Napoli nel 1471), in al

magnifico Lorenzo e ritraente

letane

un sonetto

diretto

sue impressioni napo-

:

Sui toscani

1

le

coli del

napoletani nel Decameron

e

Gebhart, nella Rcvue

d.

si

veggano

gli

arti-

deux mondc.s, nov.-dic. 1895, e febbr.

1896. 2

Si

veda in Atanagi, Delle

nezia, 1601), p. 232,

marzo

una

lettere facete

lettera di

1589. L'opuscolo di Jon.

et j^ictceooli,

libro I (Ve-

Bernardino Daniele, da Napoli, 22

Ande. Buheuus, Proverbium Italorum:

Be.gnum neapolitanum paradism ed, ned a diabolis habitatum (Altdorfii, 1707, in-4.o), è citato nel PiTuii, Bibliografia, al n. 2509,

scenza indiretta. Cfr. a questo proposito la

«

ma

per cono-

N"ovella narrata dal Pio-

vano Arlotto sull'influenza che ha il clima di Napoli nell'umano organismo L'aria di Napoli opera bene in tutte le cose, e male negli '•

.

uomini, che nascono

tradimento

»

;

*

li

poco ingegno, maligni, cattivi, e pieni di

se fosse altrimenti, Napoli sarebbe

un

paradiso {Facezie

del Piovano Arlotto, ed. Baccini, Firenze, 1884, pp. 295-7). •"'

iiap.,

De

Blasiis, Cino di Pistoia

XI, pp. 139-150).

neW università di Napoli

(in Ardi. stor.

TOSCANI E LA ?ATIRA CONTRO

I

I.

Chi levassi

la foglia,

il

N.\P0LETAN1

1

maglio e

A

questi minchiattar napoletani,

O

traessi del seggio

"1

loco

capovani,

i

Parrebbon salamandre fuor del fuoco. « Imbiza, Ianni, lo ngegno allo ioco! Ch'ho già sentito meglio abbaiar cani! E tutti i gran mercianti son marrani, E tal signor che non sare' buon cuoco. * Che buogli dicer di Napoli ientile?



La

^



= ;

3



gentilezza sta nei canterelli

Rispondo presto,

277

parmi un bel porcile

e

!

Ah, questi fiorentin. gran ioctoncelli.

«

Ch'hanno tutti lo tratto s! sottile.' -. si pascon questi minchiattelli Se tu cerchi baccelli, Rispondon tutti, come gente pazza: Cosi

!

Gongoli vuoi accattar? Loco, alla chiazza!

«

Pulci deride

Il

ientile

,

goffo parlare

il

Nido

dei loro seggi di

'.

napok-tani.

Xé manca

Sonetti di

Matteo Franco

di

e

Napoli

di

accennare

un manoscritto

Carlo Dati dal marchese Filippo de Eossi, anno

2

9 in Che

bttogli del v.

Nel

V. 1

p. 9H.

r avverbio

di luogo

«

poletani: cfr. v. 17: V. 5.



V.



V.

5. Il

8.

costà il

»,

i

la

«

foglia

-

.

Il



loco

che ricorre di continuo in becca

maglio

«

Del seggio

Ho

mutato

buof/li.

mi sembra da spiegar

cosi

fo-

originale di

MDCCLIX,

rifatto l'interpunzione, corretto la disposizione tipografica, e

Que

-

alla con-

Luigi Pclci, etc, nuovamente

dati alla luce con la sua vera lezione da

il

vanti

i

eittfi,

del cibo prediletto dei napoletani, eh' è la

glia ^, ossia gli ortaggi".

i

«lei

Capuana, della loro

e



è forse

»

ai

è

na

giuoco del maglio?; cfr

il

Capovani, dal loro seggio quei di Capuana

Pulci riferisce alcune espressioni del dialetto napoletano

Questa significa: zione al giuoco

Metti

-



•.

V.

7.

(ficca,

fissa),

CTÌovanni, tutta la tua atten

Allude forse

già in quel tempo a Napoli, insultati col

molti spagnuoli, ch'erant

ai

nome

di



marrani

<

.



V.

'J

Che vuoi dire? • — Vv. 10-11. Allude forse all'uso di vuotare vasi immondi sulla spiaggia del mare: cfr. Napoli nobVit^ima, I, pp. 5-6. — Gongoli, ngonCostà, al mercato •. Vuoi comprar baccelli? V. 17. «

i

.





gole, fave ngongole », tridi,

sono

«

secondo

il



Vocabolario degli Accademici Filopa-

fave ancora dentro dei gusci



278

IL

TIPO DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

trosatira dei questi,

celli »

napoletani verso «

e'

hanno

conviene a mercanti

Ma,

fiorentini;

i

gran

«

iocton-

come

tutti lo tratto si sottile »,

si

i.

principi del secolo decimosesto, col rinìescolio

ai

prodotto in tutta Italia dalle guerre, con la parte che vi presero

i

napoletani al séguito di Spagna, l'osservazione e

la satira del carattere e dei

costumi napoletani divenne più

frequente e attenta, e prese

acquistava in quel tempo L'osservazione e la

posto

nella

letteratura, che

maggiore larghezza e varietà. satira avevano in gran parte il mela

desimo contenuto di quelle che sorsero contemporanea-

mente

sul conto degli spagnuoli

abbondano

i

confronti tra

come più

dosi sempre quello napoletano

Napulitani mancia-maccariuii

nare

i

due

parlari,

le

»

.

cfr.

Pitké, Prov.,

Ili, pp. 154-5:

Sarebbero da rintracciare ed esami-

copiose serie proverbiali di nazioni, di cui molte furono stu-

diate dal E.einsberg-Duringsfeld, dal Wright, vati, dal Gian, dal Rossi, dal Corazzini.

e,

presso di noi, dal Ne-

Una, lunghissima, tradotta in

latino, si legge in fine dei Monunientoriim Italice

di L.

anteponen-

forte ed espressivo, ed elogian-

rapido gesto indicatore del napoletano, che può riassumere

il

lunghi discorsi. Per alcuni provei-bì, <•

somiglianze

effetto delle

:

Napoletani e fiorentini ricorrono spesso insieme in aneddoti e

1

facezie popolari: e

dosi

-

ScHRADER (Helmaestadii,

libri

1592, S. 408-410), col titolo:

cuiusdam membrance de moribiis italorum,

nescio

tanien

quatuor,

Exemplum

an de hoc an de

prisco scEculo auctor loquatur. I napoletani vi sono detti splendidi, son-

tuosi nel vestire, frappatori, benigni nelle vendette, cordiali verso gli ospiti, valli,

si dice anche che amano i cavoli, i donne impertinenti. Al testo latino

animosi nel commercio; la

lingua toscana e

le

case-

guono alcuni versi italiani sulle più notevoli città d'Italia, che finiscono: « Le belle donne da Fano se dice, Ma Siena poi tra l'altre è più felice », noti già per altre stampe; e una serie di proverbi in dialetto napoletano. 2

Gfr. le

mie Ricerche

ispano-italiane, serie

seconda

(in Atti della

Accad. Pontan., voi. XXVIII, 1898). In una filastrocca popolare, ricor-

data dal Trissino:

«

Spagna,

di fuori bello e

politano, fuori d'oro e dentro

a

p. 343).

vano

»

(B-ossi,

dentro

la

magagna Na-

Lettere del

:

Calmo, nota

I

I.

TOSCANI E LA SATIRA CONTRO

di alcune qualità nel

temperamento nazionale

voli influssi, allora assai vivi.

della

La

dei

2('.t

due po-

nonché degli scambie-

poli e nelle loro condizioni sociali,

notare

NAPOLKTANI

I

satira

si

assommava

nel

millanteria a vuoto (delle ricchezze, del valore,

la

nobiltà), e l'amore

pompe

delle

e

cerimonie.

delle

Lineamenti propri dei napoletani non mancavano. La vanteria di nobiltà era specialmente quella dell'appartenere ai

seggi di Napoli, condizione che sembrava tenere del di-

vino;

si

aggiungevano

la

vanteria dell'ingegno e della dot-

trina, cose alle quali gli spagnuoli

non solevano pretendere,

e la loquacità, che non era punto spagnuola: per non dire poi del colorito particolare, che

dava talora

alla satira la

contraffazione del dialetto.

L'Aretino, nei Bagionamenti, cosi la Pippa:

sonno, o per

«

1

napoletani

dalla

fo

son

fatti

Nanna

istruire

per cacciar via

il

scorpacciata un di del mese, quando

tòme una

tu hai il tuo tempo nel cervello, o sendo sola ovvero accompagnata d'alcuno che non importa. Ti so dire che le frapperie vanno al cielo. Favella di eavalli'? essi gli hanno de' primi di Spagna. Di vestimenti? due o tre guardarobba. Danari, in chiocca; e tutte le belle del Regno gli moiono ^

dreto. E, cadendoti o

il

fazzoletto o

guanto,

il

lo

con le più galanti parabole, che s'udisser mai gio «

Capuano

Anche

» -.

quel baciar di mani,

Ch'ora

sospirar

è si proprio dei napoletani

Circa

i

titoli

di

lo

nol)iltà

si

forte alla

si >

spagnola.

•''.

legge nella Scolastica

l'Ariosto (III, 6): Bartolo.

Era piaciuta a un signor che dicevano Esser napolitano.

1

Vanterie.

2

Ragionanietili (ed. 1581), parte II, p. JO.

3

Capitolo del

letto (in

seg-

Mauro, in un capitolo, allude a

il

E

ricolgono

ne

Opere burlesche, ed. 1771,

I,

p. 278;.

del-

280

NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO DEI.

E

Frate.

Che signor

Ho ben

inteso,

Ch'a Ferrara

Come Il

verisimile

fusse, poich'era da Napoli!

che ve n'è

de' conti

;

pivi

questi contado, quei dominio.

Domenichi ha quest'aneddoto:

cavalieri

copia

e credo ch'abbiano,

napoletani

(si

come

«

Ragionavano alcuni

che l'uomo parla molto più volentieri de'

duca

dei suoi) della grandezza del

era anche

luomo;

il

avviene

più delle volte

il

d'altri

fatti

di Ferrara; fra

i

che

quali

signor Cesare Rosso da Sulmona, vero genti-

perché

al quale,

egli

aveva conchiuso che

'1

detto

signor duca era un grandissimo, fortunatissimo e ottimo principe, disse

un

di coloro:

che ne voglio fare io, che

—È

non

è

lo

vero, 'patrone

di sieggiof

»

mio;

^

Queste e altre debolezze dei napoletani notava uno spagnuolo, amico anzi entusiasta di

tore

ma

essi,

scrit-

Geronimo

Urrea, nel Dialogo de la verdadera honra militar (1566), nel quale esclama per bocca di Altamiranno

Domenichi, Scelta de

1

Il

in

Caro,

di

una sua

un

tale

^

:

motti, burle, facetie (Fiorenza, 1566), p. 237.

che esprimeva

i

suoi entusiasmi pel

lettera a questo, che ne era

<



Molza, dice,

gridatore alla napolitana

»

maggio 1538). Si veda anche intorno al carattere naFoglietta, De laudihus urbis Neapolis (in Opuscula nonnulla,

in data 18

(lett.

poletano

il

E,oma, 1574). Nelle istruzioni di Gaspare Varola all'ambasciatore spa-

gnuolo in Italia sui caratteri delle varie popolazioni d'Italia: ' Napolitanos, nobles, arrogaììtes, de honrado y cerimonioso irato; muestranse espanoles

'

(Picatoste, Los espanoles en llalia,

strazione storica,

si

I,

p. 158).



Quasi per

illu-

potrebbe ricordare l'aneddoto di don Placido di

Sangro, mandato ambasciatore col principe di Salerno a Carlo V, di cui l'imperatore dovè dire ch'era {Storia del Castaldo, 2

1.

Ili, ed.

buon

cavaliere,

Gravier,

ma

che hablaba rancho

107).

Trascrivo dalla ti-aduzione dell'Ulloa, Discorso del vero honore L' Urrea, n. 1513, soldato e poeta, è

militare (Venezia,

1569),

noto anche per

traduzioni spagnuole

cadia.

p.

le

f.

118.

AgW Orlando

furioso e dell'ir-

I.



O

TOSCANI E LA SATIRA CONTRO

1

Napoli, io

I

NAPOLETANI

ho gran compassione, percioché tu

ti

sei

1281

piena

di

nobile cavalleria, di leggiadrissimi giovani, gagliardi ed aggraziati e di svegliati

puntigli

dell'altro, in

quali impiegano le virtù e grazie

i

mostrò cattiva faccia, o se

gli

stimar troppo sé stessi e poco

vani, in

riguardare se colui

gli altri, in

questo passano

il

ed ingegno, come poli sarebbe lia

ingegni,

avute dalla natura in mormorare ne' loro consigli l'uno

loro

il

tempo

parlò con presunzione, ed in

che se esercitassero

;

gli esercitano

mondo,

fiore del

levò prima la berretta, o se

si

gli

non scriverebbono né

si

i

persone

le loro

Na-

cavalieri di questa terra,

e quelli delle altre

riderebbouo della

bande d'Itapun-

ociosità o

tigli napolitani.

^\:akco.

Molto vi doveva piacere Napoli, e bene vi trovavi in esso,

poi che tanta felicità

li

desiderate.

Altamibakko. Veramente io gli

desidero ogni bene, perché mi è

parsa la migliore, o una delle due migliori vedute. Qual città del

mondo

si

città

che

ho

io

troverà cosi piena di principi

grandi signori, di belle donne, di cavalieri ed eccellenti uo-

e

mini in tutte

le scienze

ed arti? dove vederete voi tante genti-

lezze e cose applicate all'uso

v'è primavera, mai non



dono

le rose,

in tutto

e

vanno per

ricca,

popolosa

tutte le regioni e

magnifica;

quella buona terra, dove

le

io

del

il

tempo

né mancano

né nel suo porto mancano diversità

frutti:

vengono

umano? Quivi

ascondino

si

di

fiori

che

navilì,

mondo, che

la ren-

son affezionatissimo a

genti di essa per lo più

sono

di

dolce tratto e amici di suoi amici, tanto che per amore del-

l'amico non vita, e a

zia

1

è

;

È

buona

onde

me

si

curano di perdere

la

robba e spesse volte

la

è toccata parte della lor gentilezza e vera amici-

io le

desidero accrescimento

e felicità

perpetua

*

da notare qui che il Casa, osservando che «ogni usaiizn non in ogni paese • prendeva in qualche parte le difese d^i na,

poletani, dicendo che:



forse quello che s'usa per

li

napolitani, la

uomini di gran legnaprgio e di baroni d'alto affare, non si confarebbe per avventura né ai lucchesi n«^ ai fiorentini: i quali per lo più sono mercanti o semplici gentiluomini,

città dei quali è

abbondevole

di

senz'aver fra loro né principi né marchesi né

bamne

alcuno, sicché le

282

IL TIPO

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

Tali descrizioni e satire

riferiscono tutte alla nobiltà

si

napoletana; ma, se alcuni particolari di esse son propri del tipo sociale del nobile, molti altri hanno, invece,

un

significato etnico o regionale.

Era, infatti, ovvio che

il

carattere del popolo napole-

tano in genere fosse osservato principalmente nella classe

come dominava nel Regno, cosi si metteva in mostra di fuori. Onde parecchi tratti particolari del nobile furono scambiati per tratti comuni a tutti i napolesociale che,

tani; come, in séguito, alcuni tratti di altre classi furono,

per la medesima confusione, attribuiti

al nobile, in

quanto

napoletano.

Ma si

tipo

comico, che sorse da queste osservazioni,

può dire un

tipo nazionale, determinato particolarmente

il

nella classe dei nobili, e, più particolarmente, nella sotto-

classe dei nobili

della capitale, patrizi cittadini che ave-

vano acquistato domini

maniere di Napoli signorili

e costumi feudali.

e

pompose, trasportate a Firenze, come

panni dei grandi messi indosso e

superflue

;

né più né meno come

i

modi

de' napoletani, e forse alla loro natura,

i

sarebbono soprabbondanti

al picciolo,

dei

fiorentini alla nobiltà

sarebbono miseri e

ristretti

>

[Galateo, ed. Sonzogno, pp. 34-5). Brutto segno questo simpatizzare coi

modi

fastosi della nobiltà napoletana:

segno

di

decadenza, di neofeu-

dalismo, di spagnolismo invadente. Si confronti, per contrasto, la fiera

pagina del Machiavelli, nei Discoìsi, contro e di altre parti d'Italia,

loro 230Ssessioni,

'

i

gentiluomini del Regno

che oziosamente vivono de' proventi delle

abbondantemente, senza avere alcnna cura o

vare o di alcuna altra necessaria fatica a vivere

uomini ....

al tutto

nemici d'ogni civiltà

della nobiltà napoletana e

messa Torquato Tasso.

.sono nell'orazione sto di

un confronto

>.



:

'

di colti-

generazioni di

— Un eloquente

elogio

di essa col popolo di Firenze,

in bocca a Bernardo, nel dial.

Del piacere

one-

II

Il personaggio del

Napoletano

nella commedia del secolo decimosesto

L

Aretino, che descrive nel

modo che

s'è visto

na-

i

poletani nei Ragionamenti, fa anche sbozzare dall' istrione, nel prologo del Marescalco (1533), la figura di

sinato d'amore

paragonandolo

»,

un

spagnuolo e

allo

assas-

«

na-

al

poletano; nella Talanta, mette in iscena un mìlcs f/loriosus col

nome

Tinca da Napoli

di capitan

Cortigiana (1534),

ci

e,

;

tano in commedia nel signor Parabolano

cerimonioso e vantatore. rido, gio,

Cerimonie

di

Napole-

nome),

il

in chiesa:

Io

« il

mi

pag-

manda giù un paternostro de la mano; e, nel pigliar l'acqua santa,

gli sta innanzi,

corona, che tiene in il



(si noti

in chiesa per ogni aveniaria che dice

quando che

finalmente, nella

dà un primo personaggio

prefato paggio

si

bascia

dito ed, intingendolo nell'ac-

il

qua santa, lo porge, con una spagnuolissima riverenza, a la punta del suo dito, con il quale il traditore si segna in fronte ». Cerimonie con una mezzana, madonna Alvigia, che

gli

dà notizie della sua bella:

ascoltarvi!

»,

esclama Parabolano.

risponde Alvigia.

Al che,

il

pazienza:

«

Faccio

suo servitore, «

il

il

In ginncchiMni voglio

<

K



debito

Rosso, gli

troppo, signor»-

mio

>,

ognuno queste vostre napolitanerie

egli.

suggerisce con im-

Levatevi suso che son oggimai ».

replica

».

in

fastidio a

Scena d'amore con

284 Camilla: il

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO «

Egli

(dice

»

uno degli intcìiocutori)

«

le

conta

suo amore con tanti giuradii e bascio le mani, ch'un

muccio appassionato Don Sancio

conterebbe con meno

lo

:

frappa a la napoletana, sospira alla spagnuola, ride a la senese e prega alla cortigiana napolitana, s'egli frappa Il

personaggio

si

»,

commedia

VAmor

costante

poletano

«

Ligdonio

pure

del

paese.

ossia

»,

il

na-

che dimora in Pisa dove ha

È uomo maturo,

crede irresistibile presso

si

quale assume,

dialetto

il

messer Ligdonio poeta Caraffi,

preso cittadinanza.

Rosso.

Alessandro

di

(1536), nella

per la prima volta ch'io sappia',

Vi è in essa un

il

determina anche più nettamente come

caricatura del Napoletano, nella

Piccolomini,

Esce dalla natura

«

».

osserva ironicamente

quarantott'anni;

di

donne,

le

e

vuole sposare

una Margherita, e ha buone speranze « perché, ancora che non sea ricco, ynanco sono povero, e son gentiluomo del seggio di Capuana, stimato e de virtude non bisogna dice:

rete

,'

già aggio comenzato a fare l'amor con essa, perché

saria hvono che si comenzasse ad innamorare

poletano

(dice

servo Panzana),

il

non potendo stare

sono,

aveva

ch'egli tello

»

fatte,

in

«

».

i

E

na-

Napoli per certe poltronerie

venne a stare

in Pisa con

un suo

ch'era a studio qua, e dipoi ci ha compra

preso

«

e già parecchi anni

privilegi di cittadin pisano

;

e

il

giorno

lo

fra-

casa e

spende

tutto in sonettucci e in baiarelle, salvo la mattina, la quale

1

A

proposito del dialetto napoletano nelle commedie, noterò che

n^WAltiìia di Anton Francesco Ranieri

stampa

del 1550} interloquisce

ho

(di cui

una napoletana,

sott'

Zizzella,

occhio una

mina) del bravo capitan Basilisco, che parla in dialetto, e

che viene in iscena cantando canzoni napoletane. Gli che sembra fossero sovente napoletani, parlano

vedano

D'Ambra,

medie

(si

se. 7).

Nelle PeUer/rine del Cecchi è

del

Il furto,

a.

V,

il

ri-

concubina {fem«

un paggio, zanaisaoli

»

dialetto nelle

com-

/ Bernardi,

a. II,

se. 9;

un cuoco napoletano.

NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 285

IL

ir.

consuma

tutta

cavarsi

in lavarsi, spelarsi, pettinarsi, perfumarsi,

capei canuti a uno a uno, tignersi

e'

la

barba, e

oggi far l'amore con questa e domani con quella sta

mai fermo

un proposito,

in

sempre poi

e

mescolar questa sua profumatura con che fantescaccia... sospira

sarebbe

più

la

»

Un' invenzione dia è

r incontro

spagnuola

Ay, senora,

:

mi fa morire,

mi raccomando

come

voi séte

alla vostra bellezza...

I

»

assai arguta e felice di questa

di

di qual-

vostra castronaggine, buacci, pasce-

alla

che voi sete

succidume

certi bei trattarelli,

«

vostra ingratitudinisifima

mi raccomando bietole,

alla

^ o che spiega

bella dell'altro Dio,

il

presenta altra volta in atto che

con qualche bel motto

«

me matais

que

»; e lo

non

;

riduce a

si

comme-

messer Ligdonio con un messer Roberto,

perugino, gentiluomo del principe di Salerno essere dimorato qualche

anno

;

il

quale, per

in Napoli, è diventato napo-

letano di costumi e carattere, quanto o più dell'altro. Infatti,

subito giunto a Pisa, osserva:

secca di gentildonne, gira di

vede una;

infine,

mi

ci

legasse....

se ne trovano, di donne!

E

due

i

RoB. Io

si

vantano a coro

so' stato in

Questa terra è molto

questo messer Consalvo ara pazienzia,

che non sarebbe possibile che giorni, se

«

volta di qua, e non se ne

là,

molte

io

Ohi

».

Xe ho

fornissi

ci

(gli

conquistate tante io!



:

città a'

miei giorui, e non m'è mai ac-

caduto questo (che mi accade qui): anzi non cato, eh' io

due

questi

dice Ligdonio) se

so'

prima scaval-

ho visto qualche bella donna, e con qualche imba-

sciata e presente n'ho

spiccati di

buon

favori: e molle

volti*

n'ho avuto l'intento mio. Panzana.

1

cfr.

O

povere donno!

Sulla popolarità in tutta Italia delle canzonette galanti spagnuole,

Croce, Ricerche ispano-if aliane,

I,

p.

10.

286

TIPO DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL

Lo credo; m'è intravenuto ancora a me

LiGD.

Signoria Vostra, se

le piace,

simile.

lo

Ma

la

da dov'è?

RoB. So' perugino, e al presente son gentiluomo del principe di

due anni in qua mi

Salerno, e da

so' stato

quando a Salerno

quando a Napoli.

e

Panzana. Al sangue di Dio, eh' io si

poco tempo

Oh

me

quanto

indovinavo

l'

!

Parvi che in

abbino insegnato benissimo quei signori na-

ha im]parato prima

politani? Gli LiQD.

gli

è bella

e'

costumi che la lingua!

stanza chillo Napoli

!

che songo de Napoli

ancora.

io

RoB. Bellissima, divinissima!

Amore continuamente con



vi sta

io

ne saccio rennere ragione chiù

l'arco in ponto.

LiGD. Cussi

veramente;

è

e

che omo.

Non mettiam bocca

RoB.

so' stato

in assaissime

a Napoli, eh' è altre

il

fior del

mondo! Ma

per tutto trovo

città, e

io

donne

le

con molta larghezza, salvo che qui a Pisa. LiGD.

Non ne

site

molto informato, ca ancora qui hanno la mede-

sima natura, ed enee

(e vi è)

Saecio ben io quello che Panzana. Sa ben Il

lui, state

me

da darse no bellissimo tiempo. dico!

pure a udire

!....

napoletano Giovancarlo, dell'altra commedia del Pic-

(o, almeno, a lui attribuita), V Ortensio (1560), è come messer Ligdonio, e sa affattucchiare le donne. Che vuol dire, insomma (domanda il servo Scrocca), co-

colomini galante «

^

testo vostro attufaccliiare'?

marinar fora toì

».

«

Consiste (egli risponde) in

cierte spiritietti accisi de

nelV nocchie dell'innamorata toia

».

amore

dalli

nocchie

Come messer

Lig-

donio, è esperto d'ingegnose galanterie; e mostra al gio-

vane Leandro una medaglia, che ha della quale è innamorato



fatto fare

per

*

Affatturare.

dama

:

Chisto è no vosco, chesta è na sepe, chisti songo lazzi {per) pegliare l'annemale.

la

tisi

pede

NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 287

IL

II.

AsTosiF.LLo, servo. (Chisto è

Ora

Giovano.

io,

puosta, veneno

vocca

lo

no menchione!)

pe lecenzia poetica, tengo doi

leoni

mio core;

iettatome

e,

e ntuorno

ne' è

No

core devorato.

Amor, pecca

Iniustissimo

nell'uno

Ma

come

comme raro

si

messo

è

ricco e potente, che ha, oltre della

Leone da

Leoneda. chisto

:

alla

pigliano

'n

chisto è è lo

meio

»,

chillo e

dello

tante

Petrarca

lettere

songo

nell'altro.

Giovaucarlo

in

se

ce pienzare, ca lo vierso è buono, ca l'aggio

mesurato, e tuorna insto insto, «

mentre songo

nterra,

scritto:

mio core detorato. Che buo' dicere

lo

ca,

condizione

sociale,

«

in

rilievo

anche

il

signore

i

vantaggi personali, quelli

Xo

dubbetare (dice al servo

Scrocca, che dovrebbe aiutarlo in un intrigo d'amore), ca, mio,

collo favore

da dento para de forche

llhbereria

te

Senonché, richiedendogli Scrocca otto o dieci scudi, si

rannuvola

*.

egli

:

ScB. State molto

sopra di

voi.

Vi par forse malagevole l'avere a

dar denari?

me

Giovano. Malaggevole a

Scrocca, a chisso

pe cunto

delli

denaro? No ce pensare,

c'aggio spiso chiù scute che tu no hai pile a

;

sta varva, e puro iere

me

vennero pe via de Fiorenza cinco-

ciento delli scute, ca songo entro la cascia meia sotto sta chiave.

Anton. (No ce songo chiù de cince iule de na mala moneta!). Giovano. nelli

Ma

che

chello

me

innamoramenti miei

sienti a

me, non

ciare a perdere

quanto

me

me

ad autre

io

mo

pare

forte, à dicerete lo

soleno le ;

e

femmene

no borria co chisto accomen-

la reputazione meia.

Ma

pecche tu conosca

godere l'amore della sognerà

sia a caro l'avereme a

meia, pégliate chisti pe

vero, ò che

faro delli pre-

mmo.

Oh! questi non sono più che due scudi; per questi pochi ho paura che Baiocco non si vorrà mettere a si gran pericolo.

Sor.

Anton. (Dui scute? Mai chili uscio Giovano.

No aggio

chiù

collana, e valetenne fino a seie,

si

in gruosso!).

dinaro alla vorscia mo.

Ma

pégliate sta

pe dui autre para de scute, ca cosi saranno

commo m' hai

cercato.

288

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

Rimasto solo rimpiange

mme

vano pe



Non

No

le

cose dello

monuo

se

d'avere a centenara

e millanta

'n cbiste retrove

ma

No

sordato, ]Der

es-

va contanno treciento la reputazione. Io

Come

si

me songo

ni-

accuorto ca

dalie segnure è cagione ca,

ca se fanno loco a Siena, mai se sente autro ca fa

m'ha chiù

e biata chella ca

il

là, e

dico cierto ca io

io te

segnure Giovancarlo

dia,

mano, caccia na nomenata

prove per acquistare

n'essere io tenuta perzuona fa-vorita

lo

colla openione

dinare d'autre

colli

per avvantarme, che no fu mai mia costuma, né de

lo fo

sciuno delli mei;

«

spise poco m,nnco

governano

de migliara de docate.

sere tenuto bravo, va frappanno cca e

non

le

vasta-

sua teoria:

mercatante, pe fare la robba

e pe trovare chi ce fide lo suio nelle

ammazzamienti

la

Mme

«

mme

due scude, ca

Senonché, egli ha

».

vide ca

della gente?

sti

ped Antoniello a farence

e

de dui mise!

due scudi, dicendo:

i

mo

nc'è ahbesognato spennere

»,

'n

«

lo

segnure Giovancarlo dice

Scrocca

due

che Scrocca

è,

nella

è,

comme-

induce a vestirsi da pezzente

lo

per entrare in casa della donna amata; e tare indarno

;

vocca!

può immaginare, Giovancarlo

beffato.

:

»

ore, in cosi ridicolo

Io

lascia aspet-

camuffamento. E vero

a sua volta, deluso da lui;

perché, essen-

dosi recato nel frattempo in casa del Napoletano a rubargli i

cinquecento scudi che colui aveva detto di possedere:

«

Trovai (dice) che de' denari era vero come delle gentil-

donne, delle quali

due

vaselletti o

si

vanta.

due dozine

Non

c'era dentro altro se non

di stringhe, quattro saponette

e simil'altre frascherie, che tutt' insieme

quecento gino

è

il

piccioli,

non vaglion

con cin(]uecento cancheri che

mostaccio!....

gli

cin-

man-

».

La commedia di Giambattista Cini, La vedova (1569) ', la commedia dei dialetti, prendendo parte in essa, tra 1

La

vedova,

commedia

di

M. Giovambattista

Cini, rappresentata

a onore del serenissimo arciduca Carlo d'Austria nella venuta sua in Fiorenza l'anno

MDLXIX

(in Fiorenza, appresso

i

Giunti, 1569).

NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 289

IL

II.

un vecchio veneziano, un servo bergamasco, e un gentiluomo napoletano. Questi

gli altri,

soldato

siciliano

chiama

il

ui: si

signor Cola Francesco Vacantiello, di nobilissima

famiglia, secondo ch'egli afferma:

Quanto pò a nobele.

La casa mia Vacantiella Voglio che saccie

allo

Regno

per concessione De tutte, è tanno granne ed abbunnaute, Che non c'è né cittate, nen castiello, Nen casale, quasi, che non sia chienissimo ca,

Di Yacantielli ^

Al

egli

solito,

non cessa

Vonno pur

È

E

al

:

dicer Fiorenza, Fiorenza

lo fior dello

Con Che

di lodare la patria

munno;

vai chiù Napuli

chillo suio passeiar della sera

cientomilia Fiorenzo!

servo Seunuccio dice ancora:

Non

È

che Napoli

sai

Napoli gentile? t

Al che quegli, ricordando forse Luigi Pulci

La

:

gentilezza,

Disse un poeta, vien da' cantarelli!

E, anche al solito, vanta la le

propria potenza

sociale e

personali molteplici virtù:

Tu

vedi

:

io canto.

Io sono, io danzo...

Ma

in lui

letterarie.

assai spesso

1

Si

specialmente spiccate appaiono

Manifesta, tra gli

«

le

pretensioni

un giudizio, che ricorre

nelle dispute cinquecentesche sulla

noterà facilmente

della parola

altri,

vacantieUi

>.

il

lingua e

giuoco di parole, tratto dal si;:iulìcato

290

che

IL TIPO è

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

ancora vivo e accettato

raria toscana è meglio

;

cioè,

che

la lingua

lette-

conosciuta e adoperata dai napo-

non dai toscani

letani e dagli altri italiani, che

stessi:

E sai perché? Perché nui autri avimmo lo Boccaccio E

Petrarco per mastri

lo

Avite

O

le iiotricce o le

;

ma

vui

fantesche,

altra simil sorte di persone

Ignorante

È

fanatico delle canzonette musicali napoletane, delle

«

villanelle

e

non

si

che cominciavano allora ad ottenere fortuna;

»,

stanca di recitare quelle ch'egli viene compo-

nendo, a imitazione di Gian Leonardo dell'Arpa Io

La

'.



veggo

gloria tutta di Toscana avere

Abbandonato il proprio nido ed esserne Andata a stare a Napoli!

esclama ironicamente, e come per compiacerlo, uno degli interlocutori.

Cola Francisco trova

il

suo maggior nemico nel

liano Fiacavento, che gli è rivale in

a tutto potere

amore

:

Li napulitani Sunnii la maiur parti minzugnari Granni,

Chi

e,

tutti

li

comi

si

dici,

vonnu sempri

turnisi d' issu paranti

Ducati.

Questa sé

Mess. Marino.

Ma

va pur

A

la

ventate;

drio.

imitazion de chella tanto bolla

De Giaa Leonardo deU'Arpa, che dice Villanella crudel, mi fai morire, Con ss' nocchi e con sa bocca saporita Tu mi dai morie, ahimé, tu mi dai vita! :

e lo

sici-

scredita

II.

IL

NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 291

FiACAVENTo.

quando mi truvassi

leu,

Na

fig'ghia

La

sig-nura Curnelia, vurria a

cumu

bedda, galante,

eni

puntu

Dunarla a uu curiiutu caparrimi Napulitanu, manciafogghia, chi vane

Da pochi misi E consumandu Di mult'anni,

faconda lu Giorgiu, e ittandu la rendita

per

l'avissi

rifari

Li mali spisi picciuli a purtari

A

quarche strania massaria

Loru Napuli

giutili;

chiddu

di

undi dapoi

Di middi stenti s'avissi in poch'anni

A

muriri di sustu, senza punì

Putiri avir spiranza di vidirla

Mai chiù

!

quadro sembra troppo fosco

Il

al

bonario messer Ma-

Perché non potrebbe colui essere sul serio innamo-

rino.

rato della sua figliuola? E, in quanto a nobiltà e ricchezza, il

signor Cola Francisco è ricco e gentiluomo per davvero,

ha promesso di far venire

e gli

Calabria.

dalla altro

Fiacavento,

il

i

documenti dell'esser suo

non vuol sentir

siciliano,

:

Dunque, iddu

Donar mugghieri,

A

un strunzu

Ma

Mess. Marino.

E nun

ah, ahi

santu diavulu

e vui buliti

cum

d'asin calavrisi?

Sapiti ancora lu

Fiacavento.

Uh

è calabrisi?

Di Paliermu! ah, ah, ah!

reverenzia

E nuu

muttu? qual sèlo?

sapiti chi nostru Signori

Deu, quandu criau lu mundu, dissi

A

chisti disgraziati: Hurciitc,

Calabrorurn de stercore ttsinoruni

E

chi si dici de lu calavrisi:

Trista la casa chi ri sta In misi,

E Ci

si ci sta

duna

lu

l'annu.

mnlannu?

?

292

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

L'odio tra siciliani e calabresi era feroce.

due

si

Quando quei

scontrano, non v'ha contumelia che non

si

gittino

sui volti:

Cola Feanc. Oh,

te stai

loco? e ohe pienzi parlare,

con quarche pezziente

Sicilianello,

Pari tuo? Va, va, manciamaccaroni FiACAVENTO.

Doh, chl sia uccisa cui

Curuutu; ah? manciau ieu Tu, mangiafog'ghia

Ma, per

diriti

',

I

impinnazau,

ti

maecaruni

li

?

napulitanu,

tu,

megghiu,

calavrisi,

luda, imprennasumeri!

E continuano con questo

Ma ben

pre intelligibili. di

complimenti

con allusioni non sem-

stile, e

è intelligibile

seguente scambio

il

:

Vattindi a Riggio avanti,

FiACAVENTo.

Tu, calavrisi

Comu

;

e

non

senti

li

sonnu accunzati?

si

turchi

chi

vonno

Veniri n'autra vota a saturar!

Megghiu

li

vostre fìmmene

Cola Feanc.

Si,

!

che

Le vostre di Randazzp, siciliano. Non si purliccano ancora le mano Delli spagnuole, si

ben

le trattare

!

Cola Francisco, per altro, non è troppo maltrattato nel corso della commedia;

la

quale

si

risolve

suo discapito e vergogna. Gli sono resi

ormai ha tremila scudi pitagli.

È vero

mangiarsi

1

Si noti

in

non del

tutto a

suoi beni, sicché

di entrata; e ritrova la sorella ra-

che, in questa occasione, è costretto a

fretta e furia

che qui

letani vmngiafoglie

i

:

i

cfr.

siciliani

una

delle

ri-

sue maggiori van-

son detti mangiamaccheroni, e

Pitrk, Prov., Ili, p. 155.

i

napo-

II.

terie

:

poi gli

IL

NAPOLETANO NELLA COMMEDIA PEL CINQUECENTO

goduta quella donna appunto, che

di essersi, cioè, si

2M3

scopre sorella. Allo scandalo degli astanti, egli

confessa candidamente

Usammo

spisso allo paiese nuostro

No vocabbulo «

:

bello,

che

sòl elicere:

Vantate, sacco mio, se no te straccio

Io

Me

non ve songo per negar so avvantato

!

lo

vero

:

>.

._,

Ili

FlSSAMENTO DEL PERSONAGGIO

NELLA COMMEDIA DEL TARDO CINQUECENTO

L>ia

potenza inventiva e l'osservazione originale sca-

dono

nella seconda

grafi

cominciano a vivere sul patrimonio accumulato dai

loro predecessori.

insieme con tanti gemello,

i

Col

metà del Cinquecento

e

«

le

;

nelle

novelle del

«

il

e beffato ».

Fortini.

amando una

vanno sagittando del loro

li

Di

lui.

amore infocate

».

In punto di danari,

<

il

la



il

NapoII,

loro giuntato e con

benché prete,

le finestre le

Quelle donne

zonette a la napolitana ed a

suo

da quella

il

si

raccontano

Cupido

napolitani, che di continuo con

donne, talché da

le

fissò, il

giorn.

Cfr.

mere^trice,

passeggiare in giù ed in su facendo

siccome solgono fare tutti

si

commedie,

nelle

da più altre insieme con un giovane resta da galanterie,

commedio-

ed entrambi pare che persistes-

'

Ser Altubello napolitano,

gran scorno schernito

i

quali basti ora ricordare

medesimo carattere che mostrava

letano veniva introdotto

nov. 19:

e

personaggio del Napoletano

Il

altri, dei

Spagnuolo

lo

;

gli fecero

li

.... occhi

fanno cadere tutte cantare molte can-

spagniuola, facendoli fare mille pazie

».

napolitano non era però meglio né da più che

fussero li altri napolitani, ed anco non era di loro più liberalo, ma più misero che non è la napolitanaria miseria, insieme con la spagniuola e fiorentina avarizia, e, per fiorir meglio tale avarizia, v'era

si

la

pretesca strettezza

Novelle di

•.

Si

veda anche

Pietro Fortini, senese,

Firenze, 1888-90).

I,

la

nov. 13 della stessa giornata

Le giornate

delle novelle de' Novizi,

296

IL TIPO

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

sere sopratutto per la varietà e

diletto derivanti dall'uso

il

del dialetto e della lingua straniera.

Nei Torti amorosi di Cristoforo Castelletti (1581)^ s'incontra

il

signor Giovan Girolamo, nato in Francia,

allevato a Napoli e interamente di

l'altro,

avere quatto

fedecommesso,

cuno

»

onde

;

confiscasse

».

«

iDerché

la

madre

castelle, io, «

«

napoletani to

ma

Dice, tra

».

che sono per altro sotto

onne iuorno, accidea quarchar-

happe paura che

Scorge venire da lungi

no

la Vicaria

li

Lavinia,

la signora

della quale è innamorato:

— lo

Lassarne acconzare buono sta capjja e sta coppola. Dov'è

me

paggio colla scopetta mo, che

na leverenza

glio fare

scopetasse no poco?...

no saluto profumatissimo. A^aso

e

de chillo masto de legname, che fece

lo

maneco a

Le bomano

le

chilla zappa,

che zappao chillo terreno, dove fu seminato chillo seme, che ne

nacque

chillo lino, ca

lenzola,

dove dorma V.

Ma

ne fu S.

è accolto male,

Lavinia chiama gente;

rolamo

si

dice) di tere

dilegua, per

fatta

chilla tela, che se ne fecero le

!

e,

al

alle «fastidiose

insistenze di lui,

che prudentemente Giovan Gi-

non trovarsi

commettere qualche

in

tentazione (come

altro omicidio.

Il

suo carat-

rivela tutto nel dialogo col signor Orazio:

si

Gio. Gir. Chi è chillo? Oh, vaso la

mano de Vostra

Signoria, signor

Orazio mio. Or. Servitor di Vostra Signoria, signor Giovan Girolamo.

Come

sto

grazia sua?

io in

Gio. Gie.

O

prencejie meio, no

commannare

chili

e'

è

ommo

allo

monno che me pozza

che Vostra Segnoria. L'aggio in luoco de

patrone meio colennissimo.

1

sima

I

torti

amorosi, comedia di Chkistoforo Castelletti, alla illustris-

sig. la s. Clelia

Farnese de Cesarini, novamente posta in luce

(in Venezia, appresso Giov. Battista Sessa e fratelli, 1585.

è in data di

Roma,

1581).

La dedica

III.

FISSAMESTO DEL PERSONAGGIO NELLA COMMEDIA

297

Oe. Questo è troppo favore; basta bene ch'Ella mi tenga nel nu-

mero

de' servitori suoi. Vostra Signoria si copra.

Coprase Vostra Segnoria.

Gto. Gin.

e

Or.

Re mio,

Gio. Gir. lo

non

coprasi,

meco cerimonie.

usi

chisto no

fazzo pe fare

ma

ceremonie,

pe fare

debeto meio. Vostra .Segnoria se copra pe grazia.

Ok. Noi farò certo.

Fazzame

Gio. GiE.

gnure mio

sto

pongase

favore,

Pongase

la coppola, pongasela, se-

coppola, pe vita dello segnor Orazio.

la

Ob. Farò l'obedienza, poich'Elia

me

lo

commanda...

E, dopo questo prologo, comincia a raccontare le cor-

che

tesie

usano

gli

in

Roma

donne; vuole far sentire

chiama

vinia; creati,

tutti

i

maggiordomo,

è troppo

gentiluomini e

innumerevoli servitori, pàggi,

scalco, mastro di tinello, cacciatore,

non vengono; ma,

buono, e quelli ne

i

pede

uno regalatogli dal

quali

denante,

co

diana; no

se

crapio

ma non

»

;

zione, perché

na

stelletta

sco

il

ora

riesce mai di averli un principe gli chiede

gli

le

sue

alla

stalla,

bauzano do no stella

duca

il

baio la

a sua disposiin

ad andare

e lui,

il

chinea, ora una printlama-

di

per rendere servigio a

tutti,

medesimo gli accade per donando a questi e a quelli le

a piedi.

provviste di vino:

prestilo

scuro, ora un mar-

cocchio di velluto o quello foderato

quello di raso;

è costretto

«

nfronte, che pare la

chese quello storno, ora un conto cipessa

cavalli

viceré,

pò bedere la più bella cosa, fa santi corno no

pomato, ora un

leardo

giA, egli

abusano. Dice che a Xapoli

possiede quattro cuochi e venticinque fra

gentil-

le

sonetto da lui scritto per La-

il

suoi

compratore, che

ripostiere,

i

Il

bottiglie più rare della sua preziosa

Cfinlina, gli resta

da

bere vinello. Legge, infine, un'impresa composta per Lavinia, esaltando la

che, a

propria valentia nella

Napoli, tutti ricorrono a

può uscirgli dalle mani.

lui.

materia,

E Orazio,

a

tanto

stento,

298

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

Nel Furbo, altra commedia dello stesso Castelletti (1581) ^ abbiamo una situazione affatto nuova. Vi è a Roma un cavalier Giovan Tommaso Spanteca, napoletano, il quale, affettando

male

e di

gran signore, commette ogni sorta d'imbrogli

il

azioni,

gente per rubare. chi egli sia: è

penetrando travestito nelle case della

Ma

stato,

sappiamo, da certe sue confessioni,

nientemeno, a Napoli

no sommaro pc n'arruhho che

lerà

cannone

e

»,

legato alla

«

caria a fare zetobonls

A Roma



O

e

colonnella

mostra7-e

dello largo

buono

corno r hanno

l'atta

netta chilli compag'niuni

viecchio

zorrone

Bravi

!

testimoni de Montefarco

Griffio. 1584). -

f.

3

pò ne furo

Furbo comeJia

neroso signore

Ili,

e

il

di

!

Chello sbreognato de

quatto quarte

fatte



1

È

onesto

Ghristoforo Castelletti, all'illustre e ge-

signor Girolamo E.uis (in Venetia, per

Alessandro

Dalla dedicatoria appare che fu composta tre anni prima.

Mezzocannone, strada di Napoli: 1; sulla Colonna della

si

veda Gapasso, in

Vicaria, V. d'Auria, ivi,

I,

Compagnuni, malviventi. L'Ammirato, discorrendo

gio concesso nel 1451 da re Alfonso

una casa

!

songo nobele de quatto quarte;

io

de che manere ca so de quatto quarte

II

paesani e

^,

stimati cavalieri de

Montagna de Napole! Com' hanno saputo infrascare

chillo

patremo fu mpiso,

i

» 2.

parte di una vera associazione di malfattori:

fa

L'hanno dato a rentennere ca e

so-

della Vi-

natiche alti credituri

le

parienti miei, ch'alloggiano a l'Urzo e songo

sieggio de

frustato

«

fice alla strafa de Miezo-

di costui al

rusciti, scrive:

«

I

e di questa schiera

d'Aragona ad Auxia

Mercato potesse servire

quali erano compresi sotto

doveva essere

lo

Naj?.

tiobiliss.,

3.

f.

un

di

di Mila,

privile-

perché

d'asilo a sgherri e fuoil

nome

di

'

ruffiani

Scarabane Buffafuoco, a cui

il

',

mi-

sero Andreuccio s'abbattè (vedi Decameron). In luogo dei quali suc-

cedettero poscia coloro che furon detti

'

compagnoni

',

che con poca

lode dell'età passata regnarono infìno a' tempi dei nostri padri, con

tanta licenza che spesso porgevano sospetti a cavalieri cipali della città, per lo séguito

mile condizione



Giornali, pp. 66-7.

e signori prin-

che avevano di altri uomini di

si-

'Fara, nobili napoL, II, p. 338). Cfr. Giuliano Passaro,

FISSAMENTO DEL PERSONAGGIO NELLA COMMEDIA

111.

ca

le

fatto accussi

buono

Senouché, un lucsser Diomede,

Tommaso

vero e degno Giovan sue furfanterie,

debbeto.

quale è stato a Na-

il

il

gentiluomo, usurpatore del

finto

il

Spanteca. Cosi, scoperte

bastonato e minacciato di prigione

è preso,

altrui,

Diou.

lo

afferma di avere incontrato per la via di Toledo

poli,

le

ped uno, comme l'aggio

dia no veverag-gio de sette carrini

prommiso, poich' hanno

299

nome

:

Dimmi

Gio. GiK.

il nome tuo vero, eh' io ti vo' liberare. Lo nome meio è Col'Aniello Scannasoreee.

DioM. Di che luogo? Gio. GiE. Della Torre della Nunziata.

Alla fine, gli

cambiare



Me

si

perdona, e

il

colpevole fa promessa di

vita:

ne boglio tornare a

mio, e stareminue

Io paesiello

colli

guai miei a pescare a mare spuonnoli, ancini, patelle e cannolicdiventar

chi, e

omo da

bene.

Messer Diomede cava



Dice bene

Vengono da casa

il

la

morale da questi

fatti

proverbio che un tristo fa male a cento buoni.

del diavolo mille manigoldi, e dicono

de Napoli, e rubano e assassinano, e danno infamia

che ne sono inimicissimi. Per tutte vo' dir che in Napoli

non sieno

rubbano, come avione in tutte di

forastieri,

come

è quella;

lo

cittfi

'

sono dei

che sono napolitani, tristi.

l'altre città

ma

Non che

grandi, popoloso e piene

per quattro scalzi e vituperosi o persone che stimano

Il

'.

Castelletti scrisse

stampata

anche una commedia Le stravaganze di amore,

nel 1587 e ristampata nel 1613, nella quale ù un'altra fìf^ura di

napoletano, 7ìieisler,

a'

fra la plebe dolli stiaguratolli

non deono infamarsi centomila gentiluomini l'onore

:

cine

«

DamengeselUchafler (dice

Art Malvoglio

»

Furbo venne ristampato nel

il

Klein), Hausnarr und J/atuhof'

{Geschichle des 1.597,

Dramaa, IV,

1606, 1G13;

i

p.

b87 sgg.).

Il

Torti amorosi, nel 1596,

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

300

Alcuni anni dopo, introdotto

personaggio del Napoletano veniva

il

commedie di Giambattista della Porta. come in genere tntti i personaggi usati da

nelle

Poco originale,

ma

questo scrittore,

svolto

abilmente e con brio, è Pan-

nuorfo (Pandolfo) della commedia II inoro ^ Quantunque Oriana, figliuola di Omone, della quale è innamorato, non voglia sapere di

Pannuorfo è sicuro del

lui,

non dubita pur un momento che padre e acconsentire con

prove più evidenti,

i

rifiuti,

che non prende sul

tutte



alle nozze.

gioia

serio.

Girolamo con Orazio); disprezza

la

(cfr. l'altra di

e

le

Omone

:

le

ingiurie; cose

La commedia sembra

ri-

vi è la scena dei

quella di Giovan

(cfr.

scena con l'innamorata, che

lo

Giovan Girolamo con Lavinia). Ma più compita del Porta

l'uso migliore del dialetto e l'arte

mettono qua

fanno specie

gli

gli scherni,

calcata sui Torti amorosi del Castelletti

complimenti e dei vanti con

figlia

fatto suo, e

non debbano

vivaci nel dialogo. Innanzi alle

là tocchi

ripulse di Oriana, Pannuorfo ride:

«

Di che

ridi, goffo? »,



esclama Oriana, sdegnandosi ancora più.

«

Rido,

c'iig-

gio venmito vruoccole! Rido, ca viiie vvlite abborlare com-

mìco,

e

lo

conosco a ssi nocchie resariellef

1612. Il Castelletti fu autore

anche

una favola

di

» ^.

pastorale, L'Amarilli

(Venezia, 1582, e ristampata nel 1587, 1597, 1600, 1606, 1620), e di spirituali (Venezia, Sessa,

cuni motivi

che

le

Rime

opere di lui fornirono

per la prima volta a Viterbo

composta prima

l'elenco delle l'

Si sa

del 1589, perché

commedie

non

si

inedite del Porta, che

il

1607.

Non

pare che

trova menzionata nelsi

legge nell'ediz. del-

Olimpia, appunto del 1589. Dovette essere composta, dunque, fra

1589 e

il

al-

al Molière.

Fu stampata

1

fosse

s. a.).

il

1607.

2 Ma alla fine Pannuorfo dà addirittura nell'assurdo, quando, avendo sentito che Oriana desidererebbe avere un pappagallo, promette e si camuffa d' Jnnia, granne quanto a n'ommo > di mandargliene uno da pappagallo, tutto coperto di penne, e si fa portare in gabbia e tirare su alla finestra dell'amata, nella ingenua speranza che viene ;

FISSAMENTO DEL PERSONAGGIO NELLA COMMEDL\

UT.

Altra manifestazione è

commedia

il

Gian Loise

o Gialoise

Tasso avesse inventato

il

personaggio del Napoletano in commedia

il

della

Gì' intrighi d'amore, attribuita a Torquato Tasso.

Anzi, alcuni hanno creduto che lui

oUl

è voluto trovare

una conferma che a

;

nel che

si

appartenesse quella

lui

commedia, osservandosi che il Tasso doveva, a causa delle sue lunghe dimore in Napoli, conoscere bene il dialetto '.

Ma

carattere era usuale presso

il

tempi; e

dialetto napoletano

il

non napoletani,

tori

si

perché

sia

commediografi

i

di quei

adoperava anche da ei'a

scrit-

agevole possedere

la

piccola provvista di frasi che servivano all'uopo, sia per-

ché assai probabilmente chiedevano, per

lia

i

commediografi d'altre parti d'Itaaiuto a persone di

le parti in dialetto,

Napoli. Gì' intrighi d'amore furono recitati nel 1598 a Caprarola, per cura degli

mano

dettero l'ultima

accademici di quella

al lavoro, lasciato,

manoscritto dal Tasso. Ma, anche se

vantata paternità

volesse credere alla

si

confesso di non

(e io

che

cittji,

com'essi dicono,

avere

la

dose di

fede a ciò necessaria), bisognerebbe sempre domandarsi se

per l'appunto ({uelle

la

comica

parte

di

Gian Loise non

accademici di Caprarola. Parimente,

gli

sia tra

aggiunte o sostituite nel rimaneggiamento fatto dain

una redazione

posteriore degl'Intrighi d'amore, al Napoletano è sostituito Siciliano.

il

I i

tratti del

soliti.

espressa in

na parola; io venesse, e

me »

cfr.

<

cavaliere di seggio

», o,

almeno, sta

una vecchia canzone napoletana, popolarissima appunto

a quei tempi:

che

carattere di (xian Loise sono, in generale,

Anch'egli è

Ma

«

ommo

meltis^e

Dio, che fonse ciaola, e

no che

me

che.

mcUisne a uà caiola!

volane •

relornasse CoirCera primiua, e

a na caiola!

;

e, te

A

trovasse sola;

neW.4 p pendice



Ma

Ri no

>.

E. GuiscABDi, Di T. Tasso gl'Intrighi d'amore

Solerti,

fsa fcne-fta a dirte

specialmente:

alle

Opere

renze, Lemonnier, 1892, pp. 179-189

.

in

.\apoli, 1889); e

proto di Tok«ìuato Tasso Fi-

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

IL TIPO

302

per diventarlo:

«

segnare Gian Loise Formecone, che sta

lo

d'ora in ora pe farese spedire la causa soia d'entrare in

Vanta anch'agli aderenze

sieggio ».

È

lindo, galante, attillato e

tutto

cialmente notare per

le

e amicizie in alto loco.

cerimonioso. Si fa spe-

conoscenze che possiede in materia

cavalleresca. Queste conoscenze gli valgono talvolta a coprire la naturale vigliaccheria; onde, p.

non avere dato «

animale

»,

la

«

la servetta

tale,

che l'aveva chiamato

nui antri napolitani, ca sapemo

non paterno,

gole delli duelli,

vanta con

mentita a un

perché

e., si giustifica di

le re-

E

se he volessimo, errare ».

si

Pasquina, alla cui virtù ha posto as-

sedio, di aver fatto fuggire

un centinaio

di spagnuoli alla

piazza dell'Olmo, con una sua abilissima mossa schermistica.

dia,

C'è

nn

in lui,

come

in ogni

napoletano della classe me-

pizzico dell'avvocato o paglietta:

Ed

«

io

lo saccio

molto bene (aggiunge nel dare un suo responso) per la longa pratica de

senza un politano

li

tribunali di Napoli

tale, »,

senza conoscerlo,

lo

chiama

scatta con la solita risposta:

litani

non songo mariuoli,

venite

ad abitare

con

Quando

».

lo sposare,

».

ma

«

alla «

....

sua pre-

mariuolo nali

veri napo-

vuie autre forestieri, che nce

Tuttavia, egli nobile, egli ricco, finisce

pur di ottenere una buona dote,

la servetta

Pasquina, corteggiata dapprima per puro capriccio consola col pensiero che

la viltà di

anzi egli renderà nobile la moglie:

«

;

e

si

quella non l'avvilirà,

avenno tanta nobeltade

che la pozzo dare a cambio ed a scambio;

e

poi in ogni modo

faraggio come fanno chiss'autri cavalieri, che s'abbassano

per accomodarse

».

IV Decadenza del personaggio

N<elle

commedie

gVIntrighl d'amore,

del Castelletti, del

sente già che

si

come

vecchiato e ripete sé stesso

come,

ai principi

Seicento,

del

il

i

vecchi.

Onde

commedie

tempo, specialmente di autori napoletani

di quel

fu introdotto

il

in-

spiega

si

Capaccio ne riprovasse

l'introduzione, divenuta costante nelle

:

erudite «

A

che

Napoletano, che gofifamente chiacchiera noi

suo dialetto, e cade nel plebeo offusca di spiacevole

nube

In quelle commedie,

personaggio goffo

1

Della Porta, ne-

personaggio è

il

E

^.

col suo sordido carattere,

la festività della

commedia?

rappresentava

esso

Teatri di Napoli, p. 81.

Il

lui

[Rarjr/.

»

'.

l'inevitabile

talora continuava a presentarsi

personaggio napoletano, da

Francesco Vacantiello

e,

come

Boccalini, invece, parla con lode del

designato col

di Parnaso,

I, r.

nome

24),

signor Cola

del

ch'è appunto quello

che porta nella Vedova del Cini. 2

noto,

Nella Tempesta dello Shakespeaue

due napoletani:

recite di

il

nome

com'è

E

e la patria di

personaggio buffo del Napoletano.

e spingale », è la

ricordata già dal smingole

IGIO?) sono introdotti,

buffone Trinculo e l'ubbriacone Stefano.

Trinculo fossero suggeriti o da comici girovaghi o da letture di commedie nelle quali appariva

probabile che

il

il

»

si

«

Tringole

e

mingale, chi accatta lazze

voce dei venditori di gingilli e ornamenti femminili,

Del Tufo,

nel

secolo

decimosest<j;

legge nello Sgruttendio (ed. Porcelli,

p.



òB

fra Irincole .

e

304

IL TIPO

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA frequentemente,

di seggio; più

gentiluomo

si

fondeva col

tipo del capitano vanaglorioso; qualche volta, esercitava

anche altre professioni o mestieri: dottore \ scrivano della

Gran Corte della Vicaria^, servitore, perfino ruffiano". Un esame delle commedie della prima metà del Seicento, che proseguirono il genere di quelle del Della Porta, mostrerebbe

Napoletano nel suo periodo

il

specialmente,

si

di

decadenza. E,

potrebbero guardare quelle dell'Isa, che

ebbero tanta voga, e tra esse

famosa Alvida, nella quale

la

comparisce un capitano Squacquera Spaccatraono, che con-

giunge

Capitano e del Napoletano. In

in sé le qualità del

commedia

un'altra

lombruoso,

dell'Isa,

stesso

lo

napoletano

il

chiama Co-

si

che è ricordato dal Cortese tra

gli

antenati del suo Micco Passaro; Colombruoso, che fu

U

spanto de

sviargiassune

a na commedia Isa

poeta,

»,

perla qual ragione:

».

Si

vedano anche

le

« lo

«

lo

mise

commedie

del Sorrentino, di Filippo Gaetani, di Alfonso Torello. Nel-

V Innocenti colpati, di Giulio Cesare Sorrentino, il capitan Miccantuono napoletano si afferma « capitanio, cavaliero e bel giovine » lo

:

capitano, è stato in Fiandra e ha fatto

niunno »; cavaliere, è

giovine,

«

«

de

meglio de Puorto »; bel

li

tante segnorazze se so

nnammorate de me,

la roina de Troia: tutto lo iuortio,

Uà: chesta na

Ma

il

Basile, delineavano

smargiasso

1

P.

e.,

il

cioè del bravo:

»,

commedia

nella

mmasciate da cca

chella no presiento...

con ben altra freschezza

tese e «

lettera,

il

trema

«

i

poeti

da

».

dialettali,

carattere

eh' e

il

popolare

Cordello

Cortese, segnatamente nel

del Righello,

Il

Pantalone impazzito,

cit.

di sopra. "

'^qW Impresa

3

^eW Aituta

rV

umore di Ottavio Glokizio

n^W Anckora

covo napoletano è

corlegiana

Cosmo, napoletano

di

e ruffiano.

di

G. G. Torelli

(1600).



Un

Colaia-

(1599).

G. C. Sourextino (1631) è introdotto

IV.

.

SUO

ora

DECADENZA DEL PERSONAGGIO Micco

ricordato

mmiezo Paorto

»),

e

Passavo

305

Micco Passaro



nato

Basile, in alcuna delle sue egloghe.

il

Intorno alla metà del Seicento, la commedia regolare Porta cadde in disuso.

del

tipo

sul

nuovo alimento,

e lo trovò nei

pubblico cercava

Il

drammi spagnuoli,

e nelle

traduzioni e imitazioni italiane di essi. Anclie qui, soleva

comparire un personaggio buffo napoletano, che teneva posto del gracioso degli

originali

ma

spagnuoli:

il

era ben

diverso dall'antico tipo del Napoletano, non più un genti-

luomo ma un servo, che diceva scioccherie

e volgarità.

In questa classe di personaggi rientra Razzuilo, clie, fino

anno addietro, abbiam

a qualche la

notte di Natale, nella

Ferrucci. In Razzullo

vani

»

di tribunale

adombrava

si

(il

visto ancora sul

Nascita del

personaggio

teatro,

umanato

Verbo

la satira degli

«

del scri-

presentava, perciò,

si

vestito di nero) e della loro venalità \

Anche

Capitano cadde in disuso, per

il

dizioni della vita; e

il

Napoletano, che per

fondeva con esso, ne segui

sempre; pure,

si

tica

commedia

più

lo

si

con-

per

vide a un tratto, sul principio del Sette-

Di che cosa non sono capaci

Amenta,

mutate con-

E pareva morto

la sorte.

cento, ricomparire sul teatro, proprio

cola

le

i

pedanti

come uno

spettro.

E pedante

era Nic-

!

quale, essendosi proposto di esumare l'an-

il

regolare, per opporla alla voga dei

spagnuoli, nelle

drammi

sue sette commedie, modellate su quelle

del tardo Cinquecento, introdusse

eostantement»^

il

Napi^-

letano. Cosi, nella

Carlotta,

cardo, napoletano;

accompagnato sito;

nelle

stanza,

1

il

dal

il

il

capitan

Ac-

Ciccio Spavento,

detto

Pancetta, para-

.Michclangiolo

Ramaga.sso, che parla

Teatri di Napoli, pp. 158-1(53.

JMarcanlonio

cajjitano

Giuntina, don

famiglio Gianni

Gemelle,

capitan

c'è

nella

;

nella

italiano

Go-

facendo

306

IL

TIPO DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

da napoletano Serrecchia;

vecchio Minicaniello

il

Fante,

nella

nel Forca, c'è

;

Spanto;

Gialloise

Fonzo Somi-

nella

glianza, don Giannandrea Maramaldo.

E non sempre

senza abilità l'Amenta ripetette l'antica

come don Giannanfamiglio Buontempo le arti

invenzione. Ecco, nella Somiglianza,

drea Maramaldo racconta

al

ch'egli adopera per procacciarsi riputazione e importanza

Genova:

in

Aie sentuio, si

«

ch'io aggio fatto a lloro? zato a dicere:

bene,

cortesie

le

aggi'acciimmen-

a lagrazeia! Prencej^e Doreia, honni!

Tiirzi,

'

mme vvoie A li titolate

stammo buono f Conte, Duca mio, amam^moce ca siìnm.o poche Camerata, comanneme! Fratiello, schiavo! \ E a li cava-

Marchesiello, che se faf Prencepe mio,

non

c'è de cchéf

liere

nzenziglio:

Giovane

'

m.io, vi'

E, co na guancetella de facce, spalla,

te

e co

l'aggio fatte segnure!

Un'ombra

a che

te

pozzo servi

na mano ncoppa

a.

'..

la

».

medesima invenzione si vede in certi delle commedie del Livori, Pietrapumice nel Corsale, don Germano quali don Fabio nel Gianfecondo, e altri. Nella celebre compagnia drampersonaggi

della

gofifi

napoletani

matica, istruita dal Liveri stesso, la parte del Napoletano

per lungo tempo, affidata a un Domenico Vaccaro. In-

fu,

vece, nelle

commedie

del

anche per questa parte, tracce

delia vecchia

Goldoni alla

dal

realtà;

tradizione

(p.

e.,

tipo

e,

pur

nel

si

tornava,

fra

alcune

don Fazio del

Torquato Tasso o nel don Ottavio del Frappatore), balza-

vano pieni e

di vita

delizioso

il

don Marzio della Bottega

il

monello

del caffé,

napoletano de I pettegolezzi delle

donne ^ Un'ultima eco del tipo «

napoletani graziosi

'

1907).

A. FiouDELisi,

Il

»

di

si

ha finalmente nei cosi

detti

parecchie commedie del Cerlone,

Napoletano nel teatro del Goldoni (Napoli, Priore,

DECADENZA DEL PERSONAGGIO

IV.

come

il

barone

di

Longobuco

307

Gara fra

nella

l'amicizia

l'amore, don Prospero Battipaglia nella Virtil fra

barone di Trocchia neìVAmar da cavaliere o

il

Lo

stesso personaggio fa capolino nella

e

barbari,

i

la Doralice.

contemporanea opera

1.

buflPa

E

chi volgesse l'occhio alle recite delle

miche d'infimo ordine nei

compagnie

co-

teatri popolari o nelle città di

provincia, rivedrebbe, di tanto in tanto, tra altri rimasugli

un

archeologici,

gofiFo

personaggio napoletano, aftatto ignaro

della lunga tradizione letteraria, della quale

successione

1

ha raccolto

la

'.

Per questo periodo,

si

vedano notizie

in Cuoce, Teatri di Napoli,

pp. 80-1, 102-8, 104-5, 135, 188, 155, 157, 158, 163, 204, 519. -

Nella letteratura colta, la caricatura del Napoletano

moderni, del tutto sparita per più ragioni, tra

prima linea

il

movimento unitario

Nel teatro

italiano.

nei tempi

è,

quali è da porre in

le

istrionico, è ri-

comparsa, anche in questo secolo, in una forma rinnovata, come nella farsa

fiorentina

di

messo in compagnia

Don Stenterello aergente Tiapoletano, bravo pauroso, di un bravo sul serio, « ufficiale piemontese ». Se

ne veda l'analisi nel Meecey, Le tkédtre en mondes,

marzo

1

1840, pp. 830-2}.

On

rence on ne se fait pas fante de charger tains auraient bon jeu

non sapremmo

s^ ils

Italie [nella,

voit (scrive le caractè^re

il

napolUain :

voulaient renvoyer la balle

se dell'antico strazio del

Revue des deiix

Mercey)

anx

qu''à Floles

napoli-

florentins •.

E

Napoletano in commedia, o dei

più recenti fatti storici del 1798-9, fossero reminiscenza quelle parole ironiche:

«

un brave napolitain

»,

che Carlo Filangieri raccolse sulle

labbra del generale còrso Franceschi, donde ne venne

quale

il

il

duello, nel

Franceschi fu ucciso. [Ferdinando Mautini, quando

volta fu pubblicato questo saggio, mi scrisse: dite circa

le

«

A

la

prima

confermare ciò che

cagioni della sparizione del tipo comico napoletano ag-

giungerò che, nel 1867, Fabio Uccelli fece rappresentare a Firenze una sua commedia: I rettili, fra i cui personaggi era un tal IMarco Bruto Fontanella, napoletano e deputato; né il

tipo

mal disegnato;

d'altro e fece calare

All'estero

si

il

ma

la

per cagione sua

sipario a

metà

commedia era il

cattiva,

ni"-

pubblico non volle saper

della recita

•].

fecero notare pel passato gli avventurieri napoletani

e tipo di essi è quel

marchese della Petina di casa Confalone, incon-

;

308

IL TIPO

DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA

trato dal Casanova a Londra, del quale

trovano anche notizie nelle

si

corrispondenze diplomatiche dell'abate Galiani e del marchese Caracciolo; e l'ultimo diceva, ch'era di coloro, la

nazione

».

E

queste

d'Italia dettero luogo

all'

<

*

che andavano screditando

categorie di avventurieri d'altre parti

e simili

italien

»

commedie

delle

Ma,

francesi.

canto alla mala fama sparsa da costoro, che abusavano di

ac-

titoli legit-

timi o usavano d'illegittimi, se ne incontra un'altra diversa, del co-

raggio feroce dei napoletani, sorta sia a cagione dei plebei della voluzione di Masaniello, sia pei fatti del brigantaggio. Di ciò

si

ri-

sente

Marat, che voleva non so bene se cento o

l'eco in certe parole del

dugento napoletani, armati

pugnale, per dare facile compimento

di

alla rivoluzione francese.

Anche oggi

il

carattere del popolo meridionale continua a occu-

jiare le fantasie degli altri italiani; e, se il

non

fosse,

come

è detto,

si

forte e delicato sentimento unitario delle classi colte, che rifugge

pur dal toccare

Uno

ne vedrebbero manifestazioni anche

certi tasti, se

let-

ha potuto fare quello che non hanno osato gli scrittori italiani, mettendo in un l'omanzo il tipo del meridionale: Emilio Zola, nel suo Home. Il personaggio dello Zola non è tolto terarie.

scrittore francese

dalle classi aristocratiche, che sono sparite, si bene dalla borghesia,

politicante e affaristica. sto, quelle

del

Ma

la

satira

settentrionale, del

scano) bisogna ora

cercarla,

non

del

meridionale (come, del re-

piemontese, del milanese, del tonelle

opere

letterarie,

scorsi, negli aneddoti, nei proverbi, nel folklore della

ma

nuova

nei

Italia.

di-

xVPPENDICE DEL MEZZOGIORNO

DI ALCUNI ALTRI TIPI REGIONALI

NELLA COMMEDIA

Sotto

l'aspetto

letterario,

personaggio del Napoletano ha

il

qualche valore solamente nelle commedie del primo Cinquecento. Ivi si

risponde a

fatti,

da noi

come nei

con la

Ma

innanzi a

artistico,

accompagnato

e

storico. Alla psicologia

soverchiato dei popoli,

(che era uno dei compiti che il

hanno perso

il

con-

vita.

l'interesse

sorta, è

e vi

séguito, è copia, per lo piti guasta, mec-

ricordati. In

canizzata, esagerata, eseguita da scrittori che tatto

;

motti^satirici

personaggi del Piccolomiui e del

e negli schizzi dell'Aretino, e nei

Cini,

tempo

contrasti, impressioni e idee del

sente qualcosa di originale e di fresco,

1860, dettero

il

si

manifestazioni

dall'interesse

classi, dello

delle

proposero quei

di

questa

sociologico o iDrofessioni

filosofi che, circa

motto d'ordine della Yólhciysi/rhologie), un ricco

materiale, per quanto sposso alterato dalla immaginazione o dalla

mescolanza sono

dati,

di

sentimenti e passioni, offre la letteratura. Già

anche in

Italia,

su materiale letterario

(p.

e.,

Cortigiana nel Cinqueconto)

;

quelli del

ma

Graf sul l'cdtmtr e sulla

converrebbe proseguirli, esten-

derli e abbracciarli in un'opera complessiva. le

personificazioni e le caricature

non mancano, per pure

mancano

altro, d'interesse coDie

di storica efficacia,

fattori storici (come

Anche dove

di salda

i

giudizi,

base nei

fatti,

sintomo storico, e nep-

occorrendo considerarlo sotto l'aspetto di di recente ò stata studiata perfino l'Astro-

logia! \X

1

si

parecchi saggi di codesti studi, condotti

^e\V Historisches Jahrburh del Pastor.

APPENDICE

310 Per

un rapido cenno

cousiderazioni, darò qui

tali

alcuni

di

personaggi della letteratura drammatica, che sono satira

di altre

popolazioni del Mezzogiorno d'Italia.

Di questi personaggi, tana, è

il

durante

il

il

La

Di esso discorse

secolo seguente.

necessario tornarvi sopra

cui

più antico, nella drammatica napole-

Cavaiuolo, che s'incontra sulla fine del Quattrocento e

satira

Cavaiuolo rientra nella categoria di

del

gratificano a vicenda

si

Torraca, e non è

il

*.

i

paesi vicini

e, infatti,

;

a Napoli, ebbe origine e vita a Salerno, e salernitano fu glitore e redattore

Braca tani

^.

«

Un

accenno

pusillanimi

letteratura contro

della

»,

alla satira

*,

è

messo

•'.

In una com-

in rilievo l'atteggiamento dei

cittadini della capitale verso quelli delle città di provincia

gentiluomo vai tu dicendo? (esclama un napoletano). esser egli gentiluomo se non è napoletano, «

O

g"ran

bontà di cavalieri moderni

non può essere gentiluomo,

tano,

non

è di seggio

banco, e chi «

».

«

E

sa, nella

Ben pare che

sei

se loro

non

racco-

il

Vincenzo

dei salernitani contro gli amalfi-

novelle di Masuccio

è nelle

media del Carbone (1559)

cavaiuoli,

i

al detto

è di

ma

beneventano?

Dunque, se non

!

Che

«

:

Come può

vostro?

».

«

«

No

».

«

No, perché

seggio, sarà di scanno o di

patria vi sono di seggie ancora!

poco prattico alla cavaglieria;

Sapete che canzone

Napoletani, larghi di bocca e

Torraca, Studi di

i

».

è napole-

taci

si

».

non

su,

».

E

canta nel mio i^aese?

».

entrar in dozena, che questo non è pasto per la tua bocca! nella stessa scena:

di

qu.elle

piuttosto che

stretti

di

mano,

conte

i

storia letteraria napoletana (Livorno, 1884).

pi-

Ag-

giunte in Croce, Teatri di Napoli, pp. 27-32, 41-2. Nel Giuditio di Paris in egloga 2JCistorale tradotto da Donato Porfido Bruno di Venosa (in Naappresso Gio. Battista Sottile, 1602), è la parte di Simone cavoto,

poli,

pastore sciocco. 2

Ettore Mauro, Un umorista

e gli scritti

del Seicento

:

Vincenzo Braca.

La

3

Novellino, ed. Settembrini, p. 416.

*

Gli amorosi inganni di Niccolò Carbone (in Napoli, 1559),

se. 2:

parlano Patricio, gentiluomo napoletano, e

Patricio.

vita

(Salerno, tip. Nazionale, 1901).

Cx'icca,

a.

II,

ragazzo di

DI ALCUNI ALTRI TIPI REGIONALI anatelli

Ma, per

*.

napoletani, anche

i

meglio del nobile delle campagne Dei

NEL MEZZOGIORNO

popolano

il

di

311

Napoli valeva

*.

comici provinciali è da ricordare in primo luogo

tipi

La Calabria

il

sempre bersaglio di satire mordaci Si narra che Alfonso d'Aragona dicesse che, se egli non avesse avuto nessun altro regno, nessnn'altra terra da governare se non la CaCalabrese.

fu

•*.

avrebbe preferito mandare

labria,

al diavolo

mestiere di re e vi-

il

vere da privato, per non tollerare la stoltezza di quella gente, che

uomo aveva

di

habent

schei'zosamente, che di

«

{quam illorum qui

soltanto la figura

Enea

prcpteì' fìguro.m ineptias tollerare).

nihil hominis

Silvio soggiungeva,

primogeniti dei re di Napoli pigliano

i

duchi di Calabria

»,

titolo

appunto perché, quando hanno imparato

a governare la Calabria, sono in grado di governare qualsiasi altro

paese

difficile

A

*.

questa riputazione politica

bizzarra accusa storica: che, cioè,

i

Annibale contro

stati

Cfr. PiTRÉ, Proverbi, III, p. 155:

i

manu

di

itriltu

>.

Un

E

sonacampane

Accireperucchie '

romani, fossero

i

«

di villa e

Napulitanu largu di vacca '

e

Xapuìitane, MangiapcUane,

,

pp. 477-SO:

un napolitano le

genti

vedranno uomini non pur

si

«

»

In tutta Terra di Lavoro fanno

biltà che

aggiunse una

condannati a prestar ser-

altro proverbio dice:

Costo, Fuggilozio (Venezia, 1600

sima tra un nobile

si

Bruzì, per essersi alleati con

del

si

«

Contesa graziosis-

popolo

>.

Comincia:

gran professione

di no-

murate,

di città e di terre

ma

punto del nobile, talmente che non Io cederebbono a casa d'Austria ». Sono note, anche pel Napoletano, alcune filastrocche popolari di proverbi sui paesi vicini. Quella, già indi casali smantellati star sul

dicata di sopra

mincia:

»

p.

278

n.},

che è nell'opera dello Sciirader. e che co-

Castellani Caetani Belle

femmine son de Mola,

ecc.



è in

parte ancora viva. Forse a una simile enumerazione appartenevano i

versi

e

Resina

:

QucUtro sono

«



:

coi saraceni, e delle 3

e

i

li

luoghi della Saracino

Una minuta

<

Portici,

Cremano,

la

Torre

bande saracene accampate

I,

in quei luoghi.

analisi delle cause dei pregiudizi contro la Calabria

calabresi è nel Bartels,

gen, 1787,

:

ricordo dell'alleanza di Napoli, alla fine del nono secolo,

firiefe alter

Kalabrien unii Sicilien ;Gottin-

pp. 7-10).

Panormita, De

del Piccolomini.

diclis el

facti*

Alphomi

regis,

lib. I,

S 'àO, e

nota

312

APPEiNDICE da schiavi, o perciò anche da carnefici,

vizi

magistrati romani

ai

nelle province; e che, quindi, calabresi fossero stati

Cristo

'.

Per queste

per altre ragioni, che ora

e

calabrese è ritratto in

modo

carnefici di

i

ci

sfuggono,

il

anche nella letteratura spa-

sinistro

gnuola. Nel romanzo del Cervantes, Pérsiles y Sigismunda, è fatto

calabrese un Pirro, cattivo soggetto, rufìan, hombre acuchillador.

In un auto di Lope de Vega, Giuda è simboleggiato in un cabal-

un altro, si dice di un Vizio, che era « en ìiurtar modo De vivir un calabrés » ^. Nella commedia dell'arte, il calabrese si determinò nel perso-

lero calabrés] e, in

lìonras y en

naggio

metà

Giangurgolo, che a noi non risulta più antico della

di

del Seicento. Era, di

un

solito,

carattere di bravaccio

spesso faceva altre parti, restandogli

calabrese, e gli accenni a costumi del suo

paese. Portava

il

cap-

aggiungeva

al

naso

pello a punta, calabrese o brigantesco, e gli si

un lungo naso

naturale

Per questa

1

taccia,

toriim Christi, dissertatio

il

PoLiDCKi, Bruta

mentis

et

e

^.

vedano J. M. Perrimezzi, De natione (Roma, 1727); [p. Giovanki Polidori], De

si

:

domini quinam fuerint

toribus Christi

e

di cartone

et

calumnia de

tortor-

undegentium extiterini CNapoìi, 1731;;

irtlatis

Jenu Christo

Domino

nostro tor-

morte vindicati, che può leggersi in appendice al Barbio,

Koma,

ontiquitafe et situ Caìahrice (ed. Aceto, cio, Scrittori napoletani del p. 47,

ma

;

la sola qualità del favellare

ricorda

s.

manoscritto

il

17B7).



Il

De

Minieri Ric-

XVII, i cui nomi cominciano con la lettera A, di un anonimo, In calabros invecliva. Si

noti che calabrese fu fatto dalla tradizione l'uccisore di Ferruccio,

il

napoletano Fabrizio Marramaldo. -

Degli

Ricavo

Al dinero poetas

di

es

Diego de la Cidca

(nella

ristampa di Sevilla, 1896,

Un

calabrés

Pitias leal y grato,

».

Sand, op.

Y por

Occhi sanguigni

«

ciAN {Criticon, parte 3 II

A. Restori,

di Lope de Vega Carpio (Parma, 1898), p. xv. Nell'ode

"

ilustres,

amigo que stol

ciò dalla dotta e bella prolusione del prof.

Aufos

^

I,

cit.,

e.

»

Primera parte de p.

55):

li le

«

las flores

hace el Irato

attribuiva

de

Cudl muestra a su

ai

Del apó-

calabresi

il

Gra-

7).

ha una figura di Giangurgolo, cui appone, non

si

Ma, d'altra parte, non si può ritardarne secolo decimottavo, come nell'aneddoto riferito dal Rasi

sa perché, la data del 1625. l'apparizione al

[Comici

italiani,

I,

pp. 78-82), secondo

il

quale

il

personaggio sarebbe

DI ALCUNI ALTRI TIPI REGIONALI

NKL MEZZOGIORNO

Altro carattere teatrale era quello dello

313

studente calabrese

«

Nella Canzone di Zeza, don Nicola, calabrese, amoregg'ia con figliuola di Pulcinella,

>.

la

quale, tornando a casa, lo sorjjrende e lo

il

bastona. Quello va via di corsa:

Mo

te

ne

Ma

esclama Pulcinella.

lo

fuiuto,

si'

Pacchesicco

'

frustato!

studente è andato a prendere

il

cacafocu

(schioppo), e Pulcinella è costretto a chiedergli perdono e a con-

commedia

cedergli la figliuola in isposa. In una inedita

Lo Vommaro, che

intitolata

tignano nel 1742 lacera, che

una vecchia viene

-,

va rattoppando

dialettale,

fu recitata nella villeggiatura di

An-

una camicia

in iscena con

:

si è cammisa c-hessa da poterse acconcia! Che buò dà punte? E ncienzo a li Uiuorte! Ma io so n'asena che mme vao peglianno sti pensiere. Xce ll'aggio ditto a chillo malaureio de stodente calavrese: e Chesta non serve chiù, cca nce vò la nova » E isso, ncocciuso, sempe me dice: Passatici nu filu.' Che buò passa filo, ca non ci abbostano doie matasse! Te', che

Uh,

Non

iostizial

Vedite

ce n'è petacce.



.

-

.

roinal

sorto

.

.

.

Nne

voglio fa vute de servi a tale razza:

come caricatura

(iei

gentiluomini spagnuoli che

.

.

mn

si

c'è da

fa.

rifugiarono

quando questa pas^ò sotto il dominio di casa Savoia. Il Easi stesso riproduce una figura di Giangurgolo del 16fe8, tolta dal frontespizio della commedia del P)pehno, Disperarsi per la spein Calabria dalla Sicilia,

ranza ^Napoli, Mollo, 1G8Ó).

Il

Eiccoboxi, op.

cit..

fig.

de Giavfjvrgolo ca'abrois (riprodotto anche nel Rasi,

gurgolo parla

la

donna

12, e.}.

ha VHabit Del Gian-

Pekrucci, ed esso ha parte negli scenari del conte di

il

Casamarciano.

1.

E

notevole lo scenario

in questione finisce

La

moglie

con l'appigliarsi

gurgolo, pessimo soggetto, che

la

al

ielle

ili

manti, in cui

peggio, sposando Gian-

riduce alla miseria pei suoi debiti

vecchi e pei nuovi che accumula col gioco. Sul dialetto calabrese nelle

commedie, il

cfr.

Croce, Teatri di Napoli, pp. 82,

Pulcinella di Silvio Fiorillo parlava 1

ir>l.

calabrese

Secondo •

il

Qi;ai>hio,

(!).

Studente. L'origine della parola dovrebbe essere si'-"'"

storiella 2

«

che narra

il

Galiani, nel

Teatri di Napoli,

p.

-JSy.

Vor. nap.,

ad verb.

'

"

.

APPENDICE

314 Le

bene.

siente

de l'oro:

fra

cola! Gnuritata tene

Lo studente

«

pataccuni!

li

>

.

Don Petra, Don Climenti, Don GianE non hanno vrenzola de cammisa! ^.

come studente badi don Vitantonio

fu talvolta rappresentato anche

rese; e parlante questo dialetto, e sotto

nome

il

Patacca, compariva con l'attore Francesco Banci nelle recite di dilettanti

Ma

che

facevano a Napoli nel secolo passato

si

principalmente

terra di Bari fornì

la

^.

tipo

il

del vecchio

provinciale, ricco, avaro, inesperto dei costumi della capitale, che recite del

nelle

Anche

il

biscegliese

siciliano fu

il

San Carlino ebbe

teatro di

crazio Cucuzziello,

secolo decimosesto,

come

messo presto si

nome

il

di

don Pan-

^.

in

commedia, ossia già nel

può vedere da un accenno del Min-

turno nella sua Arte poetica (1564), e dal j)ersonaggio di Fiaca-

vento nella Vedova del Cini (1569). Francesco Andreini rappresentava, tra le altre parti, quella del Dottore siciliano

1

se. 4, -

''.

Manoscritto della Biblioteca di San Martino. Si veda atto

III,

pp. 91-2.

dialetto studentesco calabrese è nel

Il

Cardone.



Pei fatti del 1799,

reazione. Nel 1848

si

i

Tedeum

dei Calabresi del

calabresi divennero rappresentanti di

ebbe l'opposta vicenda,

e

cappello calabrese

il

fu simbolo di liberalismo. Si cantava in quei tempi dalla plebe sanfedista (quanto diversamente

v'ha fraruta?

nazione

Sand, op.

^ Il

al

A

'i

da mezzo secolo prima!):

cit., II, p. 35,

dice che

il

San Carlino da tempo immemorabile,

data del 1680.

Ma

è,

Malesia, chi

Calavrese!... >.

invece, noto che

il

Biscegliese e

si

rappresentava

ne dà una figura con

1810 dall'attore' Giuseppe Tavassi. Tuttavia, è da ricordare che Rucci, op. cit., p. 294, dice che sul teatro si faceva «

sato;

La si

veda nel PrrRÉ, Fiabe, il

III, n. 155, pp.

siciliano è di

il

Peu-

caricatura dei »

satira popolare fra napoletani e siciliani appartiene

polare dei due ladri, di cui il

la

quaratini (cittadini di Corato), leccesi, apruzzesi e simili ^

la

personaggio fu introdotto nel

al pas-

159-164, la novella po-

gran lunga il più abile, e la maggiore vicinanza,

napoletano opera da sciocco. Più vivace, per

è la

guerra satirica tra calabresi e

spicuo esempio

il

siciliani, della

quale è antico e co-

contrasto di Cola Francisco e Fiacavento.

VI

SALVATOR ROSA

Recensione inserita nel Giornale voi.

XXI,

storico della letteratura

italiana, 1893,

pp. 127-150.

i

L' uomo,

il

pittore,

il

poeta

»

intitolava

Carducci

il

uno dei paragrafi del suo saggio su Salvator Rosa, premesso all'edizione del Barbèra (1860) delle Rime e lettere,

E veramente

e più volte dipoi ristampato.

Salvator Rosa

merita di essere studiato sotto questo triplice aspetto, per

quanto l'uomo, che ora siamo venuti a conoscere, non più

quel

mezzo

dalla

della signora pittore,

eroe

certo

patriottico

tra

fantasia del

De Dominici

Morgan. Allo studio del

come

poeta, ha consacrato

sia

romantico, uscito

e

mezzo da quella Rosa, come uomo, come e

ora

un'opera

il

Cosa-

reo \ la più ampia che sia stata mai scritta sull'argomento.

Necessaria preparazione di un simile studio erano una larga

ricerca

delle

opere

dell'opera nei quali

biografica,

letterarie

pittorica

oggi

si

un'edizione

del

di

lui,

Rosa,

con

critica

un catalogo

e

illustrata

descrittivo

l'indicazione dei

trova sparsa. Sopra queste

luoghi

fondamenta

soltanto potevano elevarsi lo studio psicologico dell'uomo e la

determinazione del posto

e del significato

che spetta

al letterato e all'artista.

1 Salvator Ro3a, Poesie e lettere edite ed inedite, pubblicate criticamente e precedute dalla vita dell'autore, rifatta su uuovi documenti, per cura di G. A. Cesareo Napoli, tip. della r. Università, 139-2 due :

volumi).

SALVATOR ROSA

318

La pubblicazione

del C. abbraccia

insieme questi

preparazione e di costruzione, recando a

vari lavori di

ciascuno d'essi buoni contributi

nessuno

pierne

tutt'

ma

;

non riesce a com-

qualcuno, anzi, sfiora

definitivamente, e

appena. Io, utili

dopo avere reso omaggio

risultati

da

alle fatiche del C. e agli

raggiunti, entro in

lui

materia, esami-

nando capo per capo il suo libro rispetto ai desiderata che ho accennati, e mostrando quel che egli ha eseguito, e quello che ancora resta da eseguire.

movendo

E, prima di tutto, C.

si

è trovato innanzi

che sono

il

Passeri,

il

biografo

Anche

Pascoli, dei

quali

come

il

De Dominici, che aggiunse non poco

all'opera dei tre primi

specialmente, la spiritosa e for-

e,

tunata invenzione della parte che alla rivoluzione

il

a ragione qualifica

Balclinucci e

il

egli riconosce l'autorità \

impostore

dalla ricerca biografica,

tre più antichi biografi del Eosa,

i

Rosa avrebbe presa

il

napoletana del 1647-8. Senonché, a questo

proposito, avrei desiderato che

il

C. avesse mostrato

mag-

De Dominici;

quale

giore coscienza circa l'impostura del

il

non inventò solamente quei particolari biografici del Rosa, ma, si può dire, un'intera storia dell'arte napoletana, che trovò tutti credenti per oltre un secolo, e serba ancora i suoi fedeli, benché sia stata sfatata negli ultimi cinquanta anni per opera dello Schulz, del Catalani, del Faraglia, del Frizzoni e di altri

rattere dell'opera del

E, d'altra parte, dichiarato

"^

De Dominici,

il

C.

avrebbe

fatto

il

ca-

bene

a non servirsene mai (e invece se ne serve qualche volta);

1

Dell'opera del Pascoli

una, anteriore, di 2

Roma,

L'intera questione

il

C. conosce l'ediz. del 1736;

ma

ce n'è

1780.

De Dominici

è stata

da me riassunta ed espo-

sta in

due

articoli intitolati II falsario, nella Napoli nobilissima, voi. I

(1892;,

nn.

8-9.

SALVATOR ROSA

319

non più discuterla (come invece fa spesso), perché tempo perso. Il piacevole libro della Morgan per la parte biografica non porge nessuna notizia nuova, e solo

anzi, a è

esagera

le

invenzioni del

De Dominici;

opera l'au-

la cui

non conobbe neppure direttamente,

trice

si

bene per quel

tanto solamente che ne passò nella vita del Rosa

«

tratta

da quelle che ne scrissero Filippo Baldinucci, Giambattista

Leone

Passeri,

Pascoli,

Bernardo de Dominici ed

premessa a varie edizioni delle satire

altri

•»,

e

fatte nel secolo de-

cimottavo ^ Oltre che col sussidio di queste e di qualche altra fonte a

stampa,

C.

il

si è

accinto alla nuova biografia con un mate-

riale manoscritto,

monio

e la

lettere di

formato da alcuni documenti sul matri-

morte del Rosa,

Maffei, le quali

due

da un grosso manipolo

tutte, all' infuori di tre, si

grafe nella biblioteca dei di

e

indirizzate a Giulio. Giovanni

lui,

e

di Messina, e di alcuni carteggi

105

serbano auto-

iiarchesi Ferraioli di

lettere inedite dirette all'abate

di

Ludovico

Roma; più

don Antonio Ruffo

contemporanei

diretti

al

medesimo, e concernenti cose d'arte. Del Rosa erano giù a

stampa venti per

lettere all'amico G. B. Ricciardi

prima volta dal Bottari,

la

aggiunse

traduzione inglese), e dal

la

pubblicate

Morgan (che vi Gamba, nell'edizione

e poi dalla

della Vita del Baldinucci (Venezia, tip. di Alvisopoli, 1830,

pp. 161-200), e nell'edizione del Carducci.

stampa. Tardi egli

si

è accorto che

Il

C. ora le ri-

anche delle 105

lettere

una piccola scelta era stata pubblicata nd 1878 a Firenze in un opuscolo per nozze *. ai

^[affei

1

Ne ho

II

C.

si

serve della traduzione francese del libro della Morgan.

eh V' intitolato cosi: The Uf^ ami Rosa by Lady Mougan, in two volumes (Paris, Gali-

sott' occhio l'originale inglese,

times of Salvator

gnani, 1824, xvi-286; vm-286). 2

Lettere inedite di Salvator Rosa, per

Barbèra, 1878).

Il

C. le ricorda a

stampa

nozze Banchi-Brin (Firenze, finita

II,

p.

133),

avendone

SALVATOR ROSA

320

Più grave omissione

è l'avere ignorato

che

il

carteg^gio

autografo col Ricciardi, dal quale furono tratte lettere del Bottari, editi

ed

si

venti

venne inserendo l'Ademollo, nel suo vosecolo XVII, rimasto sfortunata-

inediti,

lume / teatri di Roma nel mente sconosciuto al C. ^ I si

le

conserva ancora, e che brani di esso,

brani, pul:>blicati dall'Ademollo,

riferiscono agli spettacoli teatrali di

Roma,

e portano le

date del 1652 e 1653, del maggio e giugno 1654, del 20

novembre dell '8

1660, del 5 febbraio 1661, del 26 gennaio 1666,

gennaio 1667, del 15 settembre 1668.

queste lettere, di

A

proposito di

compianto Ademollo scrive in una nota

il

averne avuto comunicazione dal cav, Filippo Mariotti

di Firenze

Avendone

~.

fatto ricerca a

mia

volta, ho saputo

che dalle carte del Mariotti, ora nella Biblioteca Nazionale

che

di Firenze, risalta

il

Mariotti

le

copiò appunto

carteggio Ricciardi, posseduto da Aurelio Gotti

brani

oflFerti

Storia

dei

dall'Ademollo,

altri

egli

^.

dal

Oltre

i

produce nella sua

(ms. della detta biblioteca), e, propria-

teatri

mente, due brani, uno

in

data 12 febbraio 1650, e l'altro

14 gennaio 1652; e una lettera intera, in data 19 maggio 1668, riferisce tra

i

documenti. Nella Biblioteca Nazionale

avuto cognizione per mezzo della pubblicazione del Toci intorno al Ricciardi, anche da lui troppo tardi conosciuta. Dalla stessa avrebbe potuto trarre altresì l'indicazione delle lettere inedite del Hicciardi, conservate presso

il

cav. Niccolò Maflfei di Volterra, e di altre dello il marchese Campori di non poche notizie assai im-

stesso conservate presso Aurelio Gotti e presso

Modena,

nelle quali ultime

portanti alla vita del Rosa 1

Roma, Pasqualucci,

si

»

conteno^ono

«

{Rime òur/esche di G. B. Micciardi,

18SS;

si

vedano

le

p. xxxi).

pp. 66, 93, 95, 96, 106,

139, 140. 2 II

Maiiotti (da non confondere

coli'

omonimo traduttore

di

De-

mostene) era segretario dell'Istituto tecnico di Firenze, ed è morto

qualche anno 3

fa.

Sarebbero passate quindi nell'autografoteca Campori

l'Estense di

Modena.

e di là nel-

SALVATOR ROSA

321

di Firenze, inoltre, tra alcuni manoscritti del Ricciardi,

trovano, secondo

le

mi

notizie che

si

comunicano, due altre

si

Rosa ^ Che le 105 lettere ai MaflFei abbiano grande importanza, aggiungano cose sostanziali alla biografia del Rosa, non

lettere del

e

oserei dire: le venti lettere edite già dal Bottari restano,

pur sempre,

anche

più

le

curiose del

nuove sono

le

Ma,

carteggio.

che

tutt'altro

cialmente a dare un'impressione

pili

di

certo,

servono spe-

e

inutili,

viva e diretta del

Rosa, qual egli era nella vita ordinaria. Tuttavia, o per la scarsa importanza del materiale nuovo o per altre cagioni, la biografia che ricostruisce

aggiunge a quello che sapevamo dalle che contengono

fie,

E, circa

il

modo

dotta, se sono in

21

essa alcune

data della nascita, luglio 1615, e

tre antiche biograalla vita del Rosa.

nel quale la ricostruzione del C. è con-

piute, altri particolari la

meglio intorno

il

C. poco

il

indagini

C,

il

tra



Per

Pa>seri che la mette al

il

Baldinucci che

il

com-

felicemente

non soddisfano interamente. la

mette

20 giu-

al

gno, propende pel primo, quantunque non possa scegliere

con sicurezza tra notizie, quali

sturzo,

il

le

due

l'amicizia

e

;

del

non

ò

gran male

Rosa

suo frequentare col padre

col la



*.

Alcune

pittore Marzio

casa

un

di

tal

Ma-

don An-

gelo Pepe, intendente di pittura e di musica, e l'avere studiato col pittore Aniello Falcone, e le inimicizie con Micco

Cominciano:

1

sciai scritto

«

Una

Questa mattina

il

Fabbrini...

»

:

e

«

decina di lettere del Rosa, in cui

villa di Strozzavolpe, fu acquistata dal dr.

divenne proprietario della detta

villa.

Ieri sera la-

si

parla della

A. Bizzarri, quando questi

Sono tutte pubblicate nell'opu-

scolo nuziale, edito dal Barbèra. -

«

Nella nota,

libro dei

tezzati

»

un

piccolo

morti del 1615

»,

trascorso

di

penna dove

che deve essere, invece,

il

si •

parla del

libro dei bat-

SALVATOR ROSA

322

Spadaro

e con altri pittori napoletani

',

non dovevano

es-

sere accolte nel testo, perché unica fonte di esse è appunto

De Dominici, che

la biografia del

Non

postura.

risulta

(I,

p. 8)

il

C. stesso dichiara im-

da nessun luogo che

disgustasse di Napoli, perché non gli nelle

«

il

nopolio e riuscivano a procurarsi

parentele e patrimoni vistosi

».

volevano avere

mo-

il

di nobiltà, illustri

titoli

Queste leghe

e associazioni,

ch'io sappia, non esistevano a Napoli; quantunque

ci fosse

c'è ancora (e c'è dappertutto) quella che da noi

dice camorra, altrove chiesuola, o il

come

altro

si

si



voglia.

Rosa ne parla nel brano della satira La Babilonia, che

C. cita subito dopo,

associazioni

alle

si

leghe ed associazioni di pittori, gelosi dei loro pri-

vilegi e dei loro diritti, che dell'arte

come

Rosa

riusciva di entrare

familiari

della costituzione

strazione

tane che

(I, p. 9)

dove

della

politica del

il

seggi, ossia

ai

nobiltà, ch'erano la base

Regno.

avrebbero meritato

Rosa mentova a

il

si

accenna solo



Una breve

le tre

titolo d'onore,

i

illu-

famiglie napole-

Cantelmi,

Ter-

i

racusi (ossia Caracciolo, marchesi di Torrecuso, dei quali

tempo

a quel

fioriva

Andrea, che prese parte gloriosa

svariate fazioni della guerra dei Trent'anni e

capo

truppe

le

Avalos.



Ed

è

spagnuole e italiane

un

nici la notizia dei

ritorno da forse

Roma

ancor

si

in

alle

comandò

Ispagna),

po' ingenuo, accettata dal

e

in gli

De Domi-

quadri dipinti dal Rosa nel suo primo

a Napoli, soggiungere

(I,

pp. 13-14),

«

che

ritrovano in casa de' Mataluni, dei principi

d'Avellino, e dei duchi Gaetano d'Aragona di Laurenza-

no

»,

quando

è noto che la più parte di

queste famiglie

sono estinte o decadute.

Una

notizia più particolare

(I,

p. 15) si

sarebbe desiderata

del gubbiense poeta Antonio Abati, l'autore delle Frasche-

che fu amico del Rosa in gioventù, e

rie,

1

Voi.

I,

pp. 6-7, 13-14, 16, e altrove.

al

quale appar-

SALVATOR ROSA

un

tiene

curioso ragguaglio inedito (forse del 1640) intorno

alla pittura di lui, clic

C,

il

troppo tardi, perché nel

ha dovuto ricevere non ne parla, e lo stampa

al solito,

testo



secondo volume, dove resta non adoperato.

alla fine del

A

323

Roma

proposito del ritorno del Rosa a

nel 1689,

C,

il

ripetendo una enumerazione fatta già da biografi ontecedenti, parla degli artisti che in quell'anno vi ossia,

della scuola dei fratelli Caracci,

«

Guido Reni, l'Albani, francese,

Poussin,

il

fiamminga,

nomi, senza dubbio,

Guercino,

Vouet

il

Rubens

il

il

e

ma

il

e Claudio »

Domenichino,

il

Lanfranco;

il

Van Dyck

di :



famoso nella vita del Rosa per

bel

la

tento,

come

Tuttavia

mazzetto di

Circa quell'anno 1639, bizzarra reclame colla

quale egli die principio alla sua celebrità, altri,

C. sta con-

il

a riferire la narrazione del Passeri.

poteva ricordare, almeno in nota,

si

della

Lorena; della

che, in realtà, sono cosparsi lungo

parecchi anni di quel periodo.

già

trovavano;

si

il

garbato

studio su Salvator Eosa nel personaggio di Formica, inse-

Nuova

nella

rito

nuove,

romani

ma

dal

antologia

anche l'opera dell'Ademollo

',

signor G.

]\fartuccì

' ;

e

quale non aggiunge notizie

la

trasporta nell'ambiente dei divertimenti teatrali

di quegli anni; per

non dire che, anche

in nota,

avrei voluto vedere ricordata la novella dello Iloffmnnn su

questo tema.

Rosa faceva

Il

Pascariello Formica, e l'altro di Coviello

il

personaggio napoletano

(come sappiamo dal Lippi)

di

aneli»'

Patacca; e a questo proposito, occorre

notare come tanto Pascariello quanto Coviello ricevessero talvolta, nella

dosi

il

primo,

viello Ciavola.

Toscana,

la

commedia p.



e.,

dell'arte, altri

cognomi, intitolan-

Pascariello Rettola, e

Si noti che la

quale, nel

testo,

Nuova

I teatri di Roma, pp. 36-9.

secondo Co-

è data come accaduta

antologia, IG ottobre 1885, pp. 641-658.

1

2

il

partenza del Rosa per

la

alla

SALVATOR ROSA

324 fine del 1G39 (I, p. 24),

guente, come

deve riportarsi

alla fine dell'anno se-

C. stesso avverte nell'appendice

il

(I,

pp. 401-

403) sulla base di documenti, pubblicati da Adolfo Venturi;

uno dei quali occorreva anche dell'ambasciatore estense a dice che

Rosa era

il

riferire, tratto

Roma

fuggito a Firenze per salvarsi dalle

«

persecuzioni dei suoi nemici

primo

C. intorno

il

ne accerta

il

di Firenze.

da una lettera

del 27 aprile 1641, che

alla

»

^



Molte notizie dà pel

Lucrezia, concubina del Rosa, e

vero nome, Lucrezia Paolino del fu Silvestro

— Del

diletto dal Rosa,

Cunto de

del Basile, libro pre-

li curiti

che fu intermediario della conoscenza che

ne ebbe e della imitazione che ne fece

Lippi nel Mal-

il

mantile, il C, se fosse giunto in tempo a vedere la mia edizione e lo studio premessovi, avrebbe potuto parlare con più esattezza ma, in ogni caso, gli bastava un semplice sguardo all'opera del Basile, per non dire che « il Basile assimila, fa sangue del suo sangue l'antica novella ;

di Luigi XI, altro

»

(I, p.

Basile è il

Poggio o

di

37);

di

Margherita di Navarra od

che è grave errore, giacché l'opera del

il

una raccolta

di fiabe.

Rosa ebbe stabile dimora

in

— Dal 1649 Roma

fino alla morte,

^

e le faccende sue in

;

questo periodo

ci

sono minutamente rivelate dal carteggio

coi Maffei, che-

il

C.

pone a profitto nella biografia. Ma, a

proposito delle relazioni tra stata fortuna che

edizione del Toci Ricciardi'^',

1

che

il

:

gli

il

Rosa

e

il

Ricciardi, sarebbe

C. avesse conosciuto in

Rime

tempo

la

nota

burlesche edite ed inedite di G. B.

avrebbe dato modo d'illustrare conve-

Adolfo Ventuui, La

r.

galleria estense

iti

Modena (Modena, To-

schi, 1882), p. 221. -

Cosi,

(II, 20) 3

esattamente nella biografia,

p.

Con prefazione

e

ma

la

lettera relativa

note di Ettore Toci (Livorno, Vigo, 1881); bel-

lissima edizione tipograficamente parlando. in fine

57:

ha, per evidente errore di stampa, la data del febbraio 1648.

(II,

p.

13B).

Il

C. la cita vina sola volta,

SALVATOR ROSA nientemente quelito amico del del Rosa

C, come ho

il

Andrea

di S.

— Intorno

detto, è in

gic'i

matrimonio e

l'atto di

Roj^a.

325

morte,

l'atto di

tratti dall'archivio

è la definitiva distruzione della

leggenda, narrata dal De Dominici, circa

be preso

il

Rosa

morte

alla

aggiungere

di

Roma.

delle Fratte in

Precipuo merito del C.

grado

la

parte che avreb-

Ma anche

alla rivoluzione di ^lasaniello.

su

questo punto occorre fare qualche avvertenza. Noto, an-

due piccole inesattezze: a

zitutto,

pescivendolo d'Amalfi, Masaniello

simo

p. 47, l'espressione

fede di nascita è stata più volte stampata) che

(la

Masaniello era napoletano e

«

d'Amalfi

vero che presso Amalfi mostrano



ma

anche

al castello

di Montecristo!).

nici

E

d' If

a p.

mostra

si

4!.',

suo cognome

il

prigione del conte

la

'affermazione che

l

gnuola inferociva peggio di prima

De Dominici

»

la casa di Masaniello,

pubblicò l'opera sua, quando

«

fu publjlicata nel

»

la ;

1742,

De Domi-

il

dominazione spa-

laddove l'opera del

quando

domina-

la

zione spagnuola era finita da trentacinque anni e sotto

il

« il

:

laddove ora è notis-

»,

paterno governo del buon re Carlo

di

si

viveva

Borbone. Ma,

principalmente, bisogna avvertire che la leggenda dcdominiciana era

caduta

gi<\

discredilo insieme con tutto

in

resto dell'opera del falsario; e circa la famosa

della Morte »,

composta

«

contro

di pittori e diretta

gli

spa-

gnuoli, che Salvator Rosa avrebbe formata in Napoli, notizia decisiva, tratta dai

doro, che

Faraglia

'

il

e

C.

stampa a

riferita

esistette realmente,

1

p.

286 8

"^aW Archivio

una

«

per

le

cit.,

IX

gii'i

compagnia di

provincie

«.

Op.

era stata

indicata dal

integralmente dal De Blasiis*.

ma composta

storico

la

Giornali manoscritti del Fui-

p. 55,

poi

Apparisce da essa che

il

compagnia

(1884), pp. 153-4.

Morte

della

m.il.indrini

napoletane, n.

••

»

din-tta

\'IIÌ

SALVATOR ROSA

326 coutro

viceré e gli spagnuoli, quando la rivoluzione di

il

Masaniello era stata già del tutto sedata,

con

d'Oliate; e fu distrutta

tempo

al

del conte

carcerazioni e supplizi,

ese-

guiti nel 1651.

C, con

Il

ha

l'aiuto dell'inedito carteggio,

ogni possibilità di credenza nel racconto del

Secondo

la serie

«

durante

1647, lad-

fino a tutto

settembre del 1646, e vi

nel gennaio 1647

si

let-

mosse dalla Toscana

dimostra ch'ei non

il

il

consecutiva e non interrotta delle sue

tere ai Maffei

vata una

ormai

quale, infatti, Salvator Rosa, recatosi a Napoli

il

sulla fine del 1646, vi sarebbe restato

dove

tolto

De Dominici.

si

trovava ancora

Di quest'anno 1647 è anche conser-

».

lettera di lui,

da Firenze, con

la

data del 26

settembre. Del resto, nessuno dei primi biografi accenna,

neppure lontanamente, zionario

;

alla attività del

Rosa come rivolu-

ed egli medesimo, alludendo nella satira

dasse a quei

da lontano

fatti

La guerra

ne discorre come chi guar-

alla rivoluzione di Masaniello,

*.

Nonostante queste e altre osservazioncelle che potrei biografia del

C. contiene,

fare,

la

utili

cose; ed è peccato

come ho

detto, molte

che una certa fretta

e

l'incom-

pleta informazione bibliografica, cause della più parte degli

che

errori notati (la si

prima

si riflette

anche nell'esposizione,

vorrebbe meglio disposta ed equilibrata), abbiano

impedito che questa biografia riuscisse una compiuta

ri-

costruzione critica della vita del Rosa, attinta da tutte le fonti esistenti.

Senti

come cangiato ha

il

mio Sebeto

In Bistri beUicosi le zampegne,

Né più

si

volge

al

mar

tranquillo e cheto...

Mira l'alto ardimento, ancorché inerme!

Quante ingiustizie in un

Un

vile,

un

scalzo,

un

sol

giorno opprime

pescatore,

un verme!

(La guerra, vv.

55-57,

64-'

SALVATOR ROSA

327

II

biografìa

Alla

nuova edizione cure

il

s'accompagna, nel primo volume, una

delle satire e delle poesie del Rosa. Molte

ha speso intorno a questo

C.

intendendo a dare

testo,

(come dice) « o la lezione cortamente voluta dall'autore, o, dove manca l'autografo, la lezione più prossima » (I, p. 12G). Di quattro satire (la Musica, la Poesia, V Invidia, la Babiha ritrovato

lonia) egli

gli autografi, esistenti

quale a

Roma

presso gli eredi Rosa, e quale a Napoli. Per la Pittura e la il

Guerra,

si

un codice dell'Angelica confronto per le prime quattro

è giovato di

quale, fatto

il

(n. 2032),

satire, si

rivela più. prossimo alla lezione degli autografi.

Della settima satira esistono due autograti, l'uno posse-

duto anche dagli eredi Rosa, e

Ma con poca

nell'archivio municipale di Napoli. il

come

C. parla ripetutamente di essa

vertenza che vi premette

(p.

pervenuto di recente

l'altro

363),

comincia:

questa satira, ignota fin qui, ecc.

» ;

esattezza

inedita, e nell'av«

11

testo di

giacché egli stesso

conosce, e cita in una noterella a p. 22, l'edizione, che

ne dette in

fin

dal 187G

un opuscolo,

in

Napoli

b'ilippn

l'illustre

Palizzi

tirato a sole 110 copie, col titolo: {Salva-

tor Rosa Abbozzi di poesie; e 1^76 Cac. De Angelis e figlio |

in

fine

tipografi

nota:

la

di S.

Napoli

M.

il

AV

I

Porta Medina alla Pignasecca, 44. L'edizione

d'Italia

ri-

I

produce appunto l'autografo ora esistente municipale,

romeo

di

e, allora,

Milano; e

rendone quasi tutte Gli

di proprietà del conte Gilherlo Bor-

lo

riproduce nella sua

integrit;'i,

il

codice

dell'Angelica

sono

fondamento dell'edizione. Nelle note, sono

legate le varianti delle due edizioni a stampa, dalle

derivano

rife-

le varianti.

autografi, dunque, e

stati presi a

nell'Archivio

tutte le altre:

quella con

la

falsa

data di

re-

(juaii .\ni-

SALVATOR ROSA

328

sterdam, presso Severo Protomastix

mente del 1695, come con

che fu fatta

e l'altra del 1781,

penna cano

».

Le due

a.,

(s.

ma

probabil-

argomenti sostiene «

il

C.

i),

su di un ottimo testo a

satire, date sul codice dell'Angelica, re-

talora anche accettate

le varianti,

codice vaticano

giusti

un

nel testo, di

8880).

(n.

Questo faticoso lavoro è stato compiuto dal C. con molta diligenza, per quanto ho potuto io stesso

vedere ch'egli non ha, con esso, mantenuta vera-

è facile

mente

Ma

riscontrare.

la

promessa d'un'edizione critica delle

c'è alcuna garanzia che gli autografi e

i

Non

Satire.

manoscritti, as-

sunti a fondamento dell'edizione, serbino la lezione defini-

tivamente voluta dall'autore rezza

il

C. parla

;

e,

con troppa sicu-

forse,

varianti e delle

delle

aggiunte, che

si

leggono nelle stampe come derivanti, tutt'al più, da una redazione anteriore a quella da

lui riprodotta.

teriore? Talvolta, sarà cosi: p.

e.,

prima mi pare, in fine si

in genere, più corretto della

un buon numero

Perché an-

l'autografo della satira

di terzine,

stampa, e reca

che nella stampa non

trovano. Ma, per contrario, l'autografo della satira V In-

vìdia, oltre a

generale una lezione inferiore a

offrire in

quella delle stampe, ha in meno, rispetto a queste, tre terzine da V. 247 in poi, un'altra terzina vv. 670-2, indispensabile

anche per

le

altre sette in fine

rime, quattro terzine dopo

dopo

il

verso 996.

E

il

verso 946,

queste aggiunte

sono talmente rispondenti alla letteraria intemperanza dell'autore, che io quasi

oserei

affermare che la lezione più

copiosa debba essere quella definitivamente voluta da

1

Cfr. voi.

I,

pp. 404-5.

Il

Nicodemo, nelle sue Addizioni

al

lui.

Toppi

(Napoli, 1683, pp. 222-3), reca alcune notizie intorno a Salvator Rosa, « comeché di esso le composizioni non sieno date alle stampe, veggono nientedimeno manoscritte per le mani di molti, e il signor Antonio Magliabechi dice d'averne diverse ».

e dice: si

SALVATOR ROSA autografi, ancora

Gli

329

C,

dal

esistenti e ritrovati

pos-

sono essere di certo nn validissimo aiuto alla formazione di un'edizione critica; zione.

Il

modo

solo

ma

per sé

stessi

non danno quest'edi-

di averla è di lavorare su tutte le va-

rianti degli autografi, dei manoscritti e delle stampe, cer-

cando

un

di stabilire

mancanza

in

testo critico delle satire, da valere,

di meglio,

come

definitivo,

gione della scelta, e riferendo portanza. Per ora,

il

del

testo

dando

nota ra-

in

varianti di maggiore im-

le

C. è

ancora qualcosa

di

provvisorio, quantunque con la pubblicazione degli autografi e col diligente

base a chi voglia compiere l'opera.

lida

per l'ortografia, che

altresì

porga una

spoglio delle varianti

il

E provvisorio

ha voluto conservare

C.

tegralmente conforme all'originale, in tutta

la

ò

in-

sua barba-

scrupolo del quale non veggo

secentistica;

rie

so-

la

giusti-

un testo dei bassi

ficazione, trattandosi in questo caso di

tempi, quando le particolarità ortografiche sono notissime

per tanti documenti e presentano un interesse minimo, as-

solutamente impari alla guerra che fonno agli occhi «hi lettore.

Le

satire del

Salvini, messe

Amsterdam

Rosa furono

illustrate

a stampa la prima volta nell'edizione di Delle

(Firenze), 1770.

note

gliendo, correggendo e aggiungendo, nella sua edizione; e scelte, più o

compagnano

con ampie noie dal

altre edizioni,

come

del

valse

si

meno

Salvini, sceil

fcdiei, di

Carducci note ac-

quella stampata a Milano

Sonzogno nel 1879 e curata dal Costóro. Per l'indole della jiubblicazione del C, che si dirige agli eruditi, intendo bene ch'egli non abbia tenuto neces-

dal

sario le

ristampare

le

note del

numerosissime- allusioni

riche, delle

che a

me

quali

fa

Salvini, o rifarlr, spiegando

mitologiche, geografiche e slo-

sfoggio

il

«Rosa.

Tuttavia,

confesso

sarebbe sembrata nfcessaria una qualche

strazione a quei versi, che

contengono richiami a

illu-

fatti

e

SALVATOR ROSA

330

costumi del tempo: dell'erudito

e

che

competenza

proprio di

eh' è

fatica,

annotatori

gli

hanno per

precedenti

gran parte trascurata. Dichiaro satira

La

il

mio pensiero con qualche esempio. Nella

poesia, vv. 775-780,

dice

si

:

Miserie in ver da piagnere a siguozzi;

Ch'ai par de' banchi ornai de' saltimbanchi,

Vanta

dove

Ma

il

pergamo ancora

il

Salvini annota:

«

i

sca tozzi;

suoi

ignoranti

cioè, ecclesiastici

».

Scatozza era un tipo napoletano della commedia del-

l'arte,

intorno

nel mio

al

volume

articoletto del

quale varie notizie stt

/

trovano raccolte

si

come anche in un un poeta secentista napole-

teatri 'di Napoli,

Rocco ^ Dice

tano, Antonio Muscettola, in

una sua

Come veggiam nel largo Con qualche sgualdrinuzza

epistola:

del Castello,

infranciosata,

Cantar Scatozza ed atteggiar Covi e Ilo. Il

largo del Castello (ora piazza Municipio) era, appunto,

il

regno degli

istrioni e dei saltimbanchi.

La

Nella satira terza, i

pittura,

enumerandosi

soggetti vili e bassi, che molti pittori del

trattare,

si

menzionano

fra questi

(vv. 235-46)

tempo solevano

:

Niregnacche, Bracon, Trentapagnotte

dei quali

Bracone, che doveva essere una specie di pa-

gliaccio, è noto per la

de

li

cunti del Basile

menzione che



Cortese e dello Sgruttendio.

del

satira, vv. 788-9

i

se

ne trova nel Cunto

Vracone che sàuta

»),

:

B. Choce, l teatri di Nàpoli, pp. 95, 96, 142, 779; E.

Giambattinta Basile, archivio di letteratura popolare, p. 64.

e nelle poesie

Parimente, nella stessa

a.

VI

Eocco nel (1888), n. 8,

SALVATOR ROSA non

e

Che faccin ^

Lucia

»

non

basta

li

Lucia con

la

sfessania;

(come dice un annotatore)

è

Siracusa

tire di

la

331

ma,

»,

Lucia, mar-

«

un

al pari della « sfessania »,

ballo

popolare, che ebbe un tempo molta voga e formò soggetto

una

di

bella incisione del Callot, e di versi del Del Tufo,

del Cortese, del Basile e dello Sgruttendio ^ Questi riscontri,

nei ricordi di costumi e di persone, con le opere degli

segnatamente del Basile,

dialettali napoletani, e

scrittori

non sono senza importanza, per

La parola « chiafeo », che come nella satira IV, v, 289

Ma il

perché hau de' chiaffei

Speciale

trovate,

conda.

Il

i

pidocchi

Sembran cioè,

11

«

legno

vv. 2(;5-6:

«

Fin

Ofr. la

mia

veda in questo 2

la »,

»,

i

molti

le

dell'

cui rime

si

che

è

espressione

»,

amata sua

-j

leggono

del

20B

»

in

un

ricordata

C'unto

nri

Dio fu da taluno Cliiamata

forse allude al Bracciolini,

ediz.

dei

^.

croce di

voi., p.

versi

d'argento in selva d'oro;

2121)

(n.

melenso

«

disse:

»,

l'ère

santo

legno santo

1

il

un poeta Narducci,

ms. casanatense

o

»

Rosa allude nella satira se-

ha ritrovato chi fu colui che

C.

«cantando

sciocco

meriterebbero

quali

ai

«

è, infatti,

ciltri.

illustrazione

tempo,

poeti del

il

man

le

Carducci già sospettò che fosse dialettale; ed

usato dal Basile e da

volta,

:

buon vocabolo napoletano per

e,

ciò che dirò in séguito.

Rosa usa più d'una

il

de

fi

cuntl,

(.-lu'

dà priu-

voi. J. p. 7, n. 18; e si

n.

[Nell'antologia del Guaccimansi, Raccolta di sonetti d'autori divern

ed eccellenti dell'età nostra (Ravenna, l*i23\

si

legge

il

ton Maria Narducci: Bella pidocckiosa, che comincia: d'avorio in bosco d'oro Le

l'ère

erranti cmde

si

sonetto di An•

Sembran

ricca siete... >]

fere

SALVATOR ROSA

332

cipio alla Croce riacquistata:

Sento trarmi a cantar del

«

sacro legno, Dove il figlio di Dio morte sofferse... non occorre ricordare che il legno santo {guaiacum nale)

s'adoperava per

la

cura della

Proverbiali sono ancora

a preparar metalli palla

mondo

il

»

sifìlide.

due versi:

i

e

(v. 630);

«

Sudate, o fuochi,

Ai bronzi tuoi serve

«

che

trova anche stampato

si

Ardete, o fuochi, a preparar metalli... condo non saprei dire a chi appartenga^.

1

«

Cosi in

di

636); intorno al primo dei quali, eh'

» (v.

dell'Achillini, bisogna sapere cosi:

»; e offici-

una stampa

»

^

del sonetto, in foglio volante, eh' è

Il se-

fra le

«

carte che appartennero al cardinale Sforza Pallavicino, ora conservate alla

bibl. Casanatense,

M. A. Canini,

sez.

Candelotti, 1880,

X, IV, 42

»

sonettiere italiano, raccolto

{Il

V, secentisti, cent.

I

II (sola

e

[Per altro, che la lezione

p. 71).

«

da

pubbl.), Torino,

Sudate, ecc.

»

sia

quella voluta dall'autore, risulta non solo dal trovarsi nella raccolta

ma

delle sue rime,

in cera focus ». Il

come

«

dall'annessa parafrasi latina, dove

sudate

»

una

era

si

dice:

<

sudet

calcolata stranezza del filosofo

può desumere da questa lettera dell'altro poeta-fial marchese di Villa, G. B. Manso: « Non ho fatto mala metafora, come V. S. illustrissima dice, se ho dato il sudare al fuoco. Eccomi alla difesa, se pur difesa è necessaria dove non è colpa. Il poeta è libero d'abbracciar in filosofia quelle opinioni, Achillini,

si

losofo, Griuseppe Battista, diretta

che più

gli piacciono e

conosce egli più confacevoli all'espressione del

suo pensiero, senza badar punto servirsi delle false, che

in cattedra. e secco,

Ma

E

pur

altri

alle

meno

più o

probabili.

abbiano detto, perché

vero che chi difende con Aristotile che

non può dargli

effetto di sudare.

E

chi sostiene col Telesio che sia caldo e

il

egli

Anzi può non legge

fuoco sia caldo

cosi sarà vizioso traslato.

umido può

dir eh' e' sudi

senza nota di biasimo, anzi con vantaggio di lode. Questa ultima dottrina è piaciuta a

me;

e

mi basterebbe l'animo

di farla

comparir vera,

se mestier fosse di pigliar la divisa del filosofante e lasciar quella del

poeta. '

Ha, dunque, un sonetto dell'età dell'oro assai bene cantato: » (Battista, Lettere, opera pofoco in fabricar mai spade

Non sudò

'

stuma, Bologna, 1678, pp. 89-90)]. 2 [Del resto, frasi che arieggiano quel verso s'incontrano quenti nei canzonieri del Seicento:

p.

e.,

in

fre-

un sonetto per uno che

SALVATOR ROSA

E

di chi

sono questi

stalla di stelle » (v. 276) rag-gi

il

no in

«

versi?:

altri ;

collo all'ombre » (vv. 278-9) ^?

baccalà

chiamandolo

»,

Biada d'eternità,

«

boia che tagli

«

'

333

il

«

E

Con

la

scure dei

chi converti Nettu-

dio salato

» ?

(vv. 2G3-4).

Declamando contro le produzioni sporche e oscene, il Rosa menziona « di Curzio la sordida Morneide » (o « Moneide »), che i comentatori non sanno dire che cosa sia ^. Invece, lusioni

i

seguenti (764-5) contengono più

versi

facili

al-

:

Quei che, premendo di Saffone i calli, Scrivono la Vendemmia e la Merdeide; trattandosi del Vendemmiatoì-e del Tansillo, e dell'opuscolo attribuito a

La

Tommaso

Stigliani e che porta questo titolo

:

merdeide, stanze in lode degli stronzi della real villa di

Madrid

Nicola Bobadilla

del signor

coda alla Mari-

(in

neide e Murtoleide, Spira, 1621). Soltanto di quel Saffone

(che

le

varianti leggono saffare, zaffare, zaffate) non

tendo l'allusione

giocava alla palla:

«

Scoter godeva in quella palla

il

mondo

Zazzaroni, Giardino di poesie (Verona, Merlo, 1641), parte 1

in-

*.

»

II,

:

Paolo

p. 32].

[Questo è di Giuseppe Salomoni, Rime (Bologna, appresso

gli

eredi del Bozza, 1647), p. 415, nel sonetto: Stato umano, nel quale Dio,

guidando l'uomo come un cavaliere fin

sue voglie ancelle

E

corre seco

il

al

cavallo: «Se poi gli scopre al

ciel, gli



pietoso,

Biada d'eter-

nità, stalle di stelle •]. 2

si

[Intorno a questa metafora, già derisa dal Tassoni e dallo Strada,

veda Belloni, 3

sareo \Giorn. il

Il Seicento, p. 87].

[E un'opera dell'umanista Lancino Curzio,

Pèrcopo,

si

stor. d.

lelt.

ital.,

XXII,

p.

186); o,

come sospetta il Cecome mi suggerisce

allude a qualcuna delie oscene composizioni del fioren-

tino Curzio da Marignolle (1563-1(3(36)?: a proposito delle quali introd. alle

Rime

varie di Curzio

si

veda

da Makionolle, raccolte da C. Arlia

(Bologna, Pvomagnoli, 1885)]. *

[Che

si

alluda a Saffo, come

passato anche a

me

per la mente

;

il

C. vuole, potrà ben essere ed era

ma mi

parve da scartare sia por

la

SALVATOR ROSA

334

Meritano altresì illustrazione, per i

luoghi delle satire dove

«

virtù

(I, i

e « virtuosi

»

»,

si

la storia del

costume,

ricordano l'uso delle parole

applicate al canto e alle cantatrici

donne romane (103-105), cominciò la voga (205-207, 301,

100-102), l'arte del canto delle

castrati, dei quali allora

mode

oOo, ecc.), l'introduzione delle l'uso dei guardinfanti (439-41),

mento

allora

della famiglia

i

francesi (IV, 105-6),

nani, necessario compi-

signorile

(385-399);

nonché,

nella satira sesta (172 sgg.), l'importantissima descrizione satirica della nobiltà napoletana, che si potrebbe confron-

con

tare, per contrasto,

che

Lodi della nobiltà napoletana,

testo delle altre poesie

dell'edizione del

quello

altri

tempo.

libri del Il

le

trovano nel Forestiero del Capaccio e in tanti

si

del

Rosa

differisce

poco da

Carducci, salvoché fu ricollazio-

nato col testo di alcune di esse, serbatoci dal Burney, e

con qualche codice: inoltre, furono aggiunti un sonetto ine-

dubbia autenticità (pp. 138-9). primo volume (pp. 404, 407), si dà

dito (p. 141) e un'ode di

In un'appendice

al

abbastanza

un saggio

di bibliografia delle poesie del Rosa,

pieno;

quale tuttavia possono farsi alcune giunterelle,

al

come quella

dell'edizione del Rosa eh' è nella Raccolta dei

poeti satirici italiani (Torino, 1853, II, pp. 301-489), e l'edi-

zione di Milano, Sonzogno, 1879,

e, infine,

questa, che

non

so se sia edizione del testo originale o traduzione tedesca S. Rosa,

:

Die Dichtkunst, mit einer Biographie des Kunstlers

(Gottingen, 1785, hg. von Fiorillo). Il

quale,

secondo volume contiene l'epistolario del Rosa. Del

come

scrittore di prosa, ossia di lettere familiari,

discorse già la Morgan, che dichiarava che anche in questo

forma insueta del nome,

sia per

lo

strano ravvicinamento tra

tismo passionale di Saffo e l'oscenità del Vendemmiatore o della Merdeide],

l'ero-

la sudiceria

SALVATOR ROSA aveva superato

egli

and

english U'hich

suo secolo:

il

Therc

«

manner of

nafitral in his

can only he estimated

with the

335

hi/

ivretched prose-style

those

of

tliat

/.s

a soinethin;/

expressing liimself,

acquainted

are

ìcho

day in

comparing his cpistolary correspondance with

Italy, or hy the letters e.v-

tant of Nicholas Poussin, Lanfranco, Domenichino,

E non

può negare che qualcosa

si

di vero

eie. »

',

questo

sia in

elogio. A ogni modo, le lettere del Rosa costituiscono, come abbiamo già osservato, un curioso documento biografico. So-

lamente (li

potrebbe discutere se francasse davvero

si

spesa

la

pubblicarle tutte, quando forse bastava (per giusto os-

sequio verso quella virtù della sobrietà, che un erudito deve

possedere se vuole essere sopportato) spogliarle accurata-

mente per

biografia e

la

formata l'ortografia.

Come

si

le

giA

saranno

lettori

ne abbia scovato

come me,

forse, gli

autografi

contenti che

cordare, qua e

là,

cipali, delle quali

ri-

C.

il

le

quali

le

non

!

Circa l'opera pittorica del Rosa,

in

avvertenze,

fatte

leggono più agevolmente

ripubblicate sull'edizione del Bottari, per

lettere i

dare un saggio delle più note-

ogni caso, avrei, per

voli. In

il

C.

si

restringe a

ri-

nel corso della biografia, le opere prin-

parlano

gli antichi Inografi, e a

relazione con notizie contenute nelle lettere;

lascia quasi del tutto di

darne

la descrizione, alla

metterle

ma

tra-

quale

la

^lorgan aveva pur rivolto qualche cura. La ]\Iorgan stessa

secondo volume della sua opera (pp. 2(>9-28«») un catalogo delle opere del Rosa, « cìiie/ìy formed frani thr collation of di/ferent avtlioritios », il quale < can he consìaggiunse

dered

al

only

logo, che tutte,

as

a groiindicork for

comprende,

in

nel 1824, a signori

f>itnri>

inr/niry

inglesi

;

e, in

secondo luogo,

opere esistenti nelle collezioni, pubbliche e private,

1

Op.

cit.,

II,

p. 161.

Cata-

».

prima, 113 pitture, apparlcnciiti

W

di Pio-

336

SALVATOR ROSA

trobur^o, Bruxelles,

Parlgù,

renze, Genova, Napoli,

Kiel,

acqueforti (etchings) del Rosa

^

e, in

(engravings), sia delle opere di

secondo

Eoma,

Dusseldorf,

Segue un catalogo

Milano.

lui,

Fi-

delle

ultimo, delle incisioni sia di quelle

eseguite

sua maniera.

la

Tutto ciò è soltanto un fondamento, come stessa riconosceva,

raccolta di

per

un'ulteriore ricerca;

la Morgan una prima

da sottomettere ad attenta revisione.

notizie,

Salvator Rosa ebbe scolari e imitatori (Fidenza, Magnasco, ecc.), le cui

Un

opere

scambiavano talvolta con

si

le

sue

^.

catalogo critico dovrebbe indicare:

Le opere che, per documenti e testimonianze anticome di Salvator Rosa, e dove esse ora si

1"

che, risultino

trovino. Tali, per esempio,

il

Tizio,

dipinto a

Roma

nel

1638, e ora nella galleria Corsini; la Congiura di Catilìna del 1663, ora a palazzo Pitti (ripetizione in casa Martelli); la

grande Battaglia, dipinta nel 1652 per monsignor Corsini,

e che ora è

di

Louvre

al

344);

(n.

V Apparizione dell'ombra

Samuele a Sanile, dipinta nel 1669, che

museo

stesso

(n. 343); la

Liberazione dei santi

miano, dipinta nel 1669 per Fiorentini a

Roma, dove

si

la chiesa di

vede ancora;

serba nello

si

Cosma

e

Da-

San Giovanni dei il

Purgatorio, ora

nella galleria di Brera; e via dicendo. 2°

Le opere,

scritti,

ma

delle quali ci resta notizia nei

che sono ora perdute, o delle quali s'ignora

luogo dove presentemente

V Umana

pio,

documenti

fragilità, o

il

si

trovino.

il

mo' d'esem-

Cosi, a

famoso Sasso, che pare esistesse

ancora a Napoli nel Settecento.

<

Delle acqueforti del

Bosa dà anche un catalogo

il

Baktsch nel-

l'opera Le peintre gravew, riprodotto nell'edizione della Vita di S. E. del Baldinucci, a 2

al

Intorno

al

cura del Gamba, pp. 155160. primo,

cfr.

Morgan,

op. cit., II, p. 153 h.; e intorno

secondo, Lanzi, Storia pittorica (Milano, 1831), pp. 390, 479.

SALVATOR ROSA

Le opere, finalmente, che

3"

possono attribuin-

si

nome

Rosa, o che siano firmate col suo

buone congetture

o che per

3:-57

al

e monogi'amnia,

risultino sue.

Lavoro, senza dubbio, arido e non

ma

facile,

indispen-

sabile, che

dovrebbe essere accompagnato da accurate de-

scrizioni ^

Il

non l'ha compiuto,

C.

e,

per essere giusti,

non pare che abbia avuto neppure l'intenzione Non

1

tezza

è qui

luogo, e

il

non ho l'agio d'indicare con qualche

ma

solo

mi

permesso

sia

gativi) alcuni appunti, presi

n. 342,

il

da cataloghi

U Angelo

lery di Londra,

il

e

n. 84,

Tobia] e

oltre

e il boscaiuolo, e

Prado di Madrid, n. 356, Vista del dubbia autenticità). Nell'Alte Pinakotek

con figure. Al lerno (di

Gli uomini di Gedeone che n. 1244, Paesaggio.

e 34-1 già indi-

345, Paesaggio. Alla National Gal-

il

Mercurio

m'è capitato

di musei, che

numeri 343

i

al

punti interro-

di copiare (con sottintesi

Al museo del Louvre,

di visitare.

ste/lo,

esat-

quadri che, nei principali musei d'Europa, sono attribuiti

i

Rosa;

cati,

di tentarlo.

si dissetano,

il

n. 1206, t'aesnggio

golfo e città di Sadi

Monaco,

n. 1242,

n. 1243, Costa rocciosa con un ca-

Nel Belvedere

di

Vienna,

piano, 3.* sala,

l.o

n. 36, S. Guglielmo nel deserto, nn. 56-59, Battaglie; 7.^ sala, n. 38, Guer-

riero che

s^

appoggia alla spada; pianterreno, 4." sala, n.

Weber

taglia di cavalleria. Nella Gralleria

Abele (cfr. Arch. stor. deWarte, 1891,

zione

91).

Bernard, n. 133, Paesaggio (firmato

Paesaggio (firmato col di

p.

musei

nome

intero). Tralascio gli

pelli, si

marchese

il

stiglione,

appunti da cataloghi

italiani; e solo voglio notare che di molte opere del

private di Napoli, presso

esistenti anni sono nelle collezioni

tangelo,

80, Granile bat-

Amburgo, L^uccitiune tli Nel Museo di Lione, collecol monogramma), n. 37,

di

il

di Sitizano,

principe d'Angri,

il

duca

il

Casarano,

di

principe del Cassaro,

trova menzione in Napoli

e sue

la il

Ri'sn, il

San-

famiglia Po-

marchese Cap-

vicinanze (Napoli, 1845),

guida

pubblicata in occasione del congresso degli scienziati, voi. 11, pp. 324, 325, 328, 330, 331, .332, 336. Una nota manoscritta all'esemplare dell'opera della

Morgan, del quale mi servo, avverte:



/.«
Morgnn,

with his usuai uncorrectness, omits noticing the magm/ìrent pictun/ of S. R. in possession

of the prince Stigliano Colonna

•.

Nel Museo civico Filan-

da poco fondato, n. 1491, Le vedette. Sullo opere attribuite al Rosa, che apparvero nell'esposizione retrospettiva napoletana dnlgieri,

l'anno 1876,

cfr. C.

T. Dalbono, Ritorni suWnrte antica napoletana (Na-

poli, tip. dei classici italiani,

1878), pp. 56-60.

SALVATOR ROSA

338

III

Ma, passando dai lavori puramente preparatori

alla trat-

tazione vera e propria di quel che fu Salvator Rosa nella

questo dobbiamo riporre la princi-

vita e nelle opere, in

esaminiamo.

Il

nale della biografìa, intitolato Salvator Uosa

(I,

pale

lacuna

sembra povero

che

lavoro

del

di

capitolo

fi-

pp. 108-122),

contenuto, perfino in confronto alla breve

caratteristica del Rosa, che forma l'ultimo paragrafo dello scritto citato del Carducci.

Incerto, poco elaborato è

il

mocome quella a

giudizio sul carattere

rale del Rosa, che oscilla tra osservazioni

Siamo schietti: Salvator Rosa ebbe ingegno meraviglioso, ma non molto cuore; ebbe più viva ove

p. 70,

si

dice:

«

che diritto

e volulìile la fantasia

E non

egli

apostoli,

i

profondo

e

sicuramente era della

ribelli e gli eroi », e la

stoffa,

il

onde

conclusione

sentimento.

fanno

si

finale,

dopo aver lodato con gran calore l'elevatezza morale Salvatore,

il

C. afferma:

secolo, vivendo,

«

da meritare

grande e bizzarro napoletano

e

la

che

gli

fece

servitù presso

».

Ne

di

sempre disdegnare i

stare

«

accanto

i

principi; l'affetto

legami delle corti vivace verso i

ma non

memoria

»;

gli

parenti:

poca carità del natio loco, tanto che Napoli era per odioso oggetto della sua

al

nota, con altri, l'animo

amici, non accompagnato da eguale affetto verso la

di

Io credo che pochi uomini di quel

dipingendo e scrivendo, mostrassero tanta

severa onestà d' ideali

libero,

gli

dove,

lui

l'indole impetuosa^

tenace; e cosi via.

Certamente, come ho già osservato

in principio, la

parte

più attraente della figura di Salvator Rosa ò sparita, da

che è stata sfatata patriottica, foggiata

Morgan.

«

la

leggenda guerresco-rivoluzionario-

dal

De Dominici ed elaborata

I vas infuenced in

my

dalla

prefere7ice (scrive quest'ul-

SALVATOR ROSA tima nella prefazione della sua opera)

339 rnoì-e

hy the peculiar

man, than the ej^traordhiary merits of the I estimed stili more highly the qualities of the ita-

character of the artist

lian patriot, who, stepping holdly in advance of a degraded in

age, siood

the

foreground of his times,

like

one of his

and graceful fìgures, ichen ali around him iras timid mannerism and grovelling suhserviency ». Il patriotta

orcn spirited

Rosa, stava, secondo arti.st,

and

lei. «

between Michael Angelo, the patriot

Filicaia, the poef

of liberty

>

!

E

tale interpreta-

zione storica veniva, in qualche modo, messa in relazione

contemporaneo movimento liberale italiano, al quale Morgan partecipava con tutta l'anima. Il che appare anche più chiaramente da un altro luogo (II, pp. 177-8) col la

:

«

His politicai oplnions,

to the

his philosophy, his taste, ali belongs

present times, as they icere splendid exceptions

tameness,

ignorance

ichich he flourished;

to the

and literary degradation of those in and did he now live to illustrate Italy

and her troubled daivn of regeneration icith his powerful and brilliant talents, it may he presumed that the cause which led him to abandon the painted galleries of Rome for the murky toiver of Masaniello, icould stili more have directed his pendi and guided his pen in favour of that liberty, uliicli, like a pure and persecuted religioìi, has been miraculously preserved by some few tcarm and zealous worshippers, even in a regina ichere every institute has long been, and stili is, armed against

its

existence.

Tutto ciò è sfumato; parte

il

ma

valore dell'artista')

» '.

la figura di

Salvator Rosa (da

rimane pur sempre caratterid'ingegno

stica e simpatica, cosi per le svariate attitudini

che

egli

1

ebbe, come per alcune disposizioni d'animo, di

Giova ricordare, a proposito

della concezione patriottica che si

ebbe del Rosa, un saggio di Luigi la Vista renze, 1863, pp. 274-281).

(in

Memorie

e

tcrUU, Fi-

SALVATOR ROSA

340

La sua

certo non comuni.

poranei tra

gli

ma non

;

è

versatilità maravigliò contemveramente un'apparizione rara, specie

paesi

nei

artisti e

i

meridionali:

egli

pittore, egli

poeta, egli autore e attore di drammi, egli macchinista e

decoratore teatrale, egli compositore di musica e suonatore di più strumenti. Della

primo, e ne dette saggi,

seguendo

musica

musica di Salvator Rosa discorse il

Burney, e dipoi

la

Burney, riprodusse anche due

il

di lui

e sento dire che tra

' ;

Morgan, che,

arie, parole e

breve ne tratterà di

proposito un noto maestro napoletano, mettendone in mostra

alcune curiose particolarità tecniche

-.

Nessuno penserà a fare di Salvator Rosa un austero di virtù, uno di quegli uomini alla Kant, pei quali

seguace

la vita è

compito morale. Era una natura ricca ed esube-

rante, pronta agli scatti e all'entusiasmo; entusiasmo e vi-

vacità che metteva d'ordinario in cose alte e nobili, è provato dalle satire, dalle lettere, e

Insiste sopra

delle quali

i

gusti suoi

non

E

del

si

da tutta

la

come

sua vita.

semplici e modesti, con parole

può disconoscere

mio genio ogni cura

la sincerità: e diletto

Seguir l'orme dei pochi; e solo studio Che mi si legga in volto il cor ch'ho in petto.

La

Bah.. 259-61.

La state all' ombra e il pigro verno al Tra modesti disii, l'anno mi vede Finger per gloria e poetar per gioco. La Op.

[Nicola d'Arienzo,

cista e lo stile

f.

il

Ili,

quale, infatti, pubblicò poi, nella Rivista mu-

un

articolo, col

monadico da camera.

facsimile di

Rosa musi-

per notare che la

Giacomo nel suo: Piedigrotta Rosa senza fondamento alcuno, vecchia stampa, nel quale è presentata, è una scherS. di

for-ever (Napoli, 1901), è attribuita al il

titolo: Salvator

— Colgo l'occasione

canzonetta Michelammà, inserita da che

130-2.

cit., II, 226-7.

1

2

sicale italiana, a. I,

e

più.,

foco,

zosa invenzione dello stesso Di Giacomol.

SALVATOR ROSA E quando

Un

il

341

sonno agli occhi miei s'attacca,

dolce oblio, santo Morfeo, mi presta...

La

mus.. 361-2.

Cosi, scorrendo la sua vita per sentieri tranquilli, s«'nza

complicazioni che, mettendo gli uomini a grandi

quelle

prove,

rendono nobili o

li

eroi o malvagi, egli poteva,

vili,

con animo scevro, guardare

faccende del mondo, e

alle

scaldarsi di entusiasmo pel bene, d'indignazione pel male.

Contro

principi del suo tempo, e

i

loro

i

nella frase

mal go-

vizi e

verno, inveiva con efficacia di sentimento, che

si

mostra

:

Quel popolo eh' a voi giurò la fede Per le vie seminudo ed a migliaia, Mendicando la vita, andar si vede; E pur gettate l'oro...

La

Han

E

lo

le

gabelle omai sino

i

mi<s., 376-9.

postriboli;

spolpato mondo, ancorché oppresso,

Per sollevarsi un

po',

sprezza

La

patiboli.

i

fjwrra, 73-5.

E, in vece d'un castrato ingordo e Tenete un rusignol che nulla chiede, E forse i canti suoi son inni a Dio!

mus., 373-5.

L'I

Sincero ò l'oscenitA,

suo sdegno contro

il

la

mollezza, la corruttela,

che a una tempra sana

e

virile

ripugnavano vivamente. Le sue parole nei fatti, perché

pochi; e se gli è alla

le

come

la

sua

trovano riscontro

Salvator Rosa fu -pittore castigato come

sue satire sono piene di

maniera

non avevano

rio,

di

«luei santi

frasi

grossolane,

e di quei predicatori

peli sulla lingua; onde non

si

che

vede chiara

la

ragione per la quale furono messe all'Indice.

Non

voglio negare che a questi sentimenti

sinceri

mescolasse qualche cosa di esagerato, di teatrale,

la

si

fan-

SALVATOR ROSA

342

faronnade meridionale;

ma

l'uomo

una strana mescolanza

ò

bugia e spesso d'illusione interna; e

di verità e di

la parte

dell'esagerazione non distrugge quella delia sincerità. Affettuoso, insieme, ed esagerato

si

gli amici, circa le quali le lettere

nianze. Rimprovera uno di

essi,

mostra nelle relazioni con

porgono curiose testimo-

perché, essendo un altro e

comune amico infermo, non ne abbia domandato notizia, dando prova di poca sollecitudine « Per amor di Dio, Giulio mio caro, non siate freddo in siffatte dimostrazioni :

d'affetto, a ciò l'amico

conosca che la generosità nel vo-

sempre viva

stro core è

e

ben radicata, e che da voi

agli

v'è qualche differenza. Basta, è una gran fortuna in un core come il nostro l'incontrarsi in occasioni di beneficare. Però non mancate di farlo con mostrarne zelo straaltri

ordinario i

Ad

^

»

suoi danari,

continuamente

altri offre

quando ne ha:

«

la

sua opera e

In ogni caso, Ricciardi mio,

son qui per voi, e vi giuro che, mentre avrò un giulio, sarà

mezzo vostro

alla

disgrazia. Adesso ne incachiamo

però state allegro e ridete in faccia

:

Cresi e

i

i

Cecili;

tanto basta, essendo in anima e in corpo tutto vostro

E «

allo

stesso,

per una briga che aveva

Vedi, Ricciardi

:

se la

nostra contesa

materie letterarie, facilmente

ti

avuto con

e

» ^.

lui

:

restringesse in

si

cederei; ma, trattandosi di

volermi tacciare di poco grato e d'uomo d'animo misurato nella corrispondenza,

ti

mostrerò sempre

i

denti, se

non

per morderti, almeno per difendermi, e mi sarà facilissimo il

provarti

il

nosciuto, se

Come l'affetto

poi

contrario, essendo oggimai bastantemente co-

non da si

voi, dal resto di tutto

il

mondo

» ^.

conciliassero l'austerità della sua morale e

vivissimo per

gli

amici con

la

sua vita domestica.

1

Lett. a Giulio Maffei, 24 die. 1651 (voi.

II,



Lett. a G. B. E.icciarcU, 17 agosto 1652

(II,

3

Allo stesso, 4 giugno 1664

(II,

p. 123).

p. 90). p.

97).

SALVATOR ROSA e,

343

specialmente, con la durezza di cuore, da

verso

tìgli

i

che

gli

lui

mostrata

partoriva la signora Lucrezia, e

clic

(non dissimile in questo da Giangiacomo Koiisseau) mandò quasi tutti

ai trovatelli,

è diftìcile dire.

Ma

può, forse,

si

sciogliere la difficolti^, attribuendo questa parte riprovevole

della sua vita e del suo carattere, più che ad altro, a

una

certa rozzezza di costumi solita a quei tempi e nelhi vita

bohémienne degli la

artisti.

La

mancanza

stessa

pudore con

di

quale parla della sua donna e del destino dei suoi

è, fino

tìgli,

a un certo punto, la sua scusa.

IV Di Salvator Rosa come artista, 117) che

anteponeva

il

(I,

pp.

112-

disegno e ammirava

colore al

il

C. nota

i

veneziani e Paolo Veronese. Nei pittori voleva erudizione e scienza; non tollerava in breve,

ripete

un

i

le

nudità e

A

suoi principi di arte.

bel

paragone del Lanzi

paesista, e gli altri

circa quel tempo,

due grandi il

Lorenese

le

oscenità. Questi,

proposito delle opero,

Rosa come

tra Salvator

paesisti e

die vissero

in

Roma,

Poussin (che erronea-

il

mente il C. chiama « Nicola », essendo invece « Gaspare » '). Ben caratterizzato, del resto, d Rosa cosi nel paesaggio, come nelle battaglie e

il

paesista

il

fare del

nei ()uadri

di figura.

Sarebbe stato opportuno, cogliere

fama

i

giudizi dati

di lui,

movendo

un'opera come questa,

dalle pagine

poraneo Antonio Abati

'

in

sul Rosa, e tentare

".

Roma

il

Voi. II, pp. 119-155.

riferisce

U'A'd,

dal suo maestro e cognato Nicola Poussin. 2

rai--

dell.i

ammirative del contem-

La Morgan

Gaspare Doughet, nato a

la storia

fu

i-tt'

i

giu
SALVATOR ROSA

344

Giosuè Reynolds e del De Non Milizia,

al

qualche lode come paesista, Egli

in bestia.

storia.

si

trascura quello del

deva saperne più

e

una

Merita

«

lode lo faceva andare

tal

credeva glorioso nel gran genere della

E come aveva da

diare né l'antico, né

la

ma

^;

molto originale e individuale:

solito

il

esserlo senza aver voluto

moderno, né

di tutti

mai

stu-

natura? Egli cre-

la

maestri suoi antecessori. Tutta

i

sua scienza era in bizzarrie e

in capricci.

E un

barbaro

che stupefa colla sua fierezza. Qualche cosa di agresto do-

mina sempre

qualche parte delle sue opere. Non aveva

in

modello che sé stesso: avanti ad uno specchio

altro

si

met-

teva nelle attitudini che avea da rappresentare. Per dare sveltezza alle sue figure, le faceva gigantesche; Si piccava

di correzione, fuoco.

della

e,

invece

maggior prestezza,

un quadro in un giorno; e allora ne giubilava; doveva rattristarsi, se avesse avuto il senso co-

fino a fare e allora

mune. Bisbetico condotta

civile....

in

pari

pittura, del

bisbetico nella sua

» ".

Temperato ed esatto è quello del Lanzi, che istituisce, come si è detto, un paragone tra il Rosa, Claudio e il Poussin: il primo d^ quali « ammirò la natura in convulsione e nell'aspetto più terribile e

Poussin

il

«

pomposa

secondo

», il «

».

il

che

facesse

si

fosco e

il

una massima

il

zione conserva nelle marine. gradito

per

la

1

Op.

'

Milizia, Dizionario delle

p. 160.

cit., II,

per

di ritrarli

men vago

descrizione dei paesaggi del Rosa

è

nelle grandi storie

naturale del caposcuola, cosi nei paesi par

piuttosto di scerre in essi

nuovo

la ritrasse ridente »,

come

pote, per cosi dire, del Caravaggio,

imitò

«

Scolar dello Spagnoletto e ni-

E

:

».

lo

più senza scelta

Segue una vivace

Simil gusto a propor-

«

tuttavia

il

suo

stile affatto

sua stessa orridezza, non altra-

pp. 157-8. belle arti del

disegno (Bassano, 1797), II,

SALVATOR ROSA

345

niente di quel che piaccia al palato l'austero nei vini.

poco contribuiscono a farlo accetto ha inseriti quasiché



piccole figurine de'

quei soldati specialmente, ch'egli

de' marinai, e

pastori,

le

in tutti

paesi; criticato

i

gic'i

dai suoi

emoli, perché ripeteva continuamente le stesse idee, e quasi

copiava sé

Dopo

stesso....

'.

»

essere stato in grande voga nella prima mola de)

secolo decimonono, specialmente in Inghilterra, tanto che la

sua opera passò, per gran parte, nelle collezioni inglesi

(voga connessa col predominio del romanticismo e aiutata dall'aureola

aggiunta

timi tempi la

mostra

gli si

Inghilterra,

fama

Fainters, parla

agony of lohich

and

ning

»,

della

the loicest

«

della

critica d'arte in

delle

thief-bred

«

caricaturi/

and bru-

and

biitcìicrcd

hriital ferocità

and

least palliated

examples are

uhich none bvt a

of Salvator Rosa,

battles

tltose

seboni

massimo

Ruskin, che, in vari punti della sua cek-V»re

of Salvator

talities

Rosa è andata declinando. Avverso

del

pontefice

il

il

Modem

opera

che storici e romanzieri avevano

fantastica

alla reale della figura del loro autore), negli ul-

man

ba-

could bave conceived witìiout sicke-

» -.

Lo

studio

più acuto e completo, ch'io conosca finora,

un

dell'arte di Salvator Rosa, fu tatto da Antonio Tari in

suo saggio pubblicato

colto in un

la

ma

cisamente quando,

prima

volta,

credo tra

volume postumo

nel

il

non saprei dire pre1850 e ISGO. e

188G ^

Movendo da

giusta determinazione del periodo artistico

Rosa,

come quello

in

racun.i

cui visse

il

nel quale, disseccate le f«»nti di vt-ra ispi-

razione, la semplicità e la grandiosità, aspirazioni di due

l-p.

1

Lanzi, Storia pittorica, ed.

!

J.

RusKiN, 3/odempa/w/era

112-b, 208, 327 3

Saggi di

:

parte

critica di

II,

cit.,

pp. 20G-8.

(4.* ediz.,

Londra,

1"'"

-' "





••

'

p. 91.

Antonio Taki Trani, Vecchi,

ibbt,.,

yy. Ji^ X'T

SALVATOR ROSA

346

scuole opposte, erano entrambe

artificiali,

Tari riconnette

il

u questa condizione di cose l'arte del Rosa. Dotato di vero genio pittorico, pili

Rosa

il

«

salvò

si

dal

comune

naufragio,

per istintiva aderenza alle immutabili forme del bello,

che per alcuna metodica elezione di esso. E' rasentò dell'errore, e tanto

accostò a quello

si

le sirti

ricercato acu-

stile

leato in certa guisa, che dipoi prevalse tra noi, che, po-

trebbesi asserire, nelle sue opere più apparentemente irreprensibili, scorgesi

già l'embrione del Giordano, siccome,

un secolo innanzi,

sotto

concetti del

fungo del Marino

il

incompleta educazione artistica,

poca correttezza dei nudi,

«

la

delle carnagioni,

una parola,

in

Ebbe

».

che è da attribuire

al

la pallidezza

sempre rimproverate;

stategli

dei

alla -tuberosità

Tasso scorgesi a vegetare

la spropor-

zione perenne che fu in lui tra la grandezza delle idee e

l'impacciata esecuzione ritano sono

i

quadri

forma largo compenso storica. Tuttavia,

pregiati

dove

Rosa è principalmente

il

marine

vedute, come

i

e dei paesi.

ordinari:

paesisti

schiera, sol

quanto me-

di

pochi

ai

difetti

tecnici

rappresentazione viva dell'azione

la

battaglie, delle

comune

Meno

».

storici,

il

pittore delle

Paesista,

non dipinse

il

quando non copia

Rosa le

esce dalla

«

apparenze,

ma

divina l'anima della natura; simile a quel giovane greco

che ritraeva

sua bella assai meglio de' suoi

rivali, solo

perché ritraevala innamorata, siccome eragli

incontrato

di vederla

».

subordinando

cando

le

la

Introdusse la

prima

figura nel paesaggio,

la

al

secondo o all'inverso,

due rappresentazioni

:

«

collocando

non già

ma il

unifi-

centro

dell'interesse fuori del quadro, in un'idea che in sé rac-

colga

i

rapporti dell'universo con l'uomo, e di questo con

quello, dell'azione e sia

con

moti diversi ed eguali zione,

la

come una diagonale il

paragone tra

».

la

scena dell'azione, e viceversa, artistica in cui Il

Tari

rifa,

si

risolvano due

con molta penetra-

maniera del Rosa, come paesista,

SALVATOR ROSA e quella

Lorena;

di Claudio di

;U7

dh una giusta spiega-

e

zione psicologica della monotonia di argomenti, della quale il

Rosa soleva essere accusato, rispetto

alla varietà sceno-

grafica del Lorenese, grande raccoglitore ed espositore di

cose belle.

Ma

lo studio del Tari,

non basta a soddisfare sull'arte di Salvatore.

tunque si

fatti

il

E

degno del

che

filosofo

lo

dettava,

un lavoro completo

desiderio di

troppo brevi e incidentali, quan-

con sicura mano, sono

gli

accenni

che

critici

leggono intorno a questa nel Cicerone del Burckhardt

'.

In generale, l'arte italiana della cosi detta decadenza non è

argomento prediletto degli studiosi moderni, storia di essa, nel

suo complesso,

albi

migliore trattazione

la

sempre quella del Lanzi; senza parlare

resta

e intorno

delle poche

succose pagine dell'opera ora citata del Burckhardt

'.

ma

Biso-

gnerebbe studiare con acutezza le derivazioni dell'arte del Rosa; la genesi del paesaggio moderno, che, cominciato nella scuola bolognese,

mano

si

svolse nell'ambiente artistico ro-

piima metà del Seicento,

della

tutto indipendente dal

in

modo

quasi del

contemporaneo svolgersi dello

genere nella pittura olandese;

stesso

la connessione dell'arte del

Rosa con quella dei suoi contemporanei, coi quali aveva qualche affinità, come il Tempesta, pittore di marine, e Michelangelo delle Battaglie

ebbe

di

sua sulla pittura seguente;

Augusto,

Giovanni

il

Montanini,

il

i

al

Borgognone;

il

e

suoi scolari, quali i

l'art antique et

l'i-llicacia il

ligliuolo

suoi iniilatori,

Magnasco,

cavalier Fidenza, che

Le Cicerone, guide de

ciò ch'egli

individuale;

Torregiani;

Grisoltì, Alessantlro

giù giù fino

1

e

propriamente originale

e fu

l'

quegli

de l'art moderne
che più

Italie.

valgo della trad. francese, testé pubblicata, del secondo vuluiip'

Firmin Didot, *

1892;, pp. 790, 79.S, 803, 817, 819, 8-20, »J-1.

Cfr. pp. 779 Sfjg.,

La

peinture moderne.

(jUJiii

inglese Cook,

!'

Mi

SALVATOR ROSA

848

davviciuo imitò

cio

Rosa nelle buono come nelle cattive

il

E ne verrebbe

fuori un bel libro, che io mi piacimmaginare accompagnato da quelle numerose ri-

qualità. d'

produzioni fototipiche ed eliotipiche, che odierni rendono

mezzi tecnici

i

facili.

Né, infine, contenta la rapida trattazione (pp. 118-121) il C. consacra al Rosa, poeta. Le satire sono state, su

che

per giù,

modo

Seicento, giudicate da tutti allo stesso

dal

fin

Severo giudizio ne pro-

e con sufficiente esattezza.

nunzia

Quadrio:

il

a molte altre interiori,

;

ma

«

Sono

perché ancor

giudizio unilaterale, quel

che

Pallavicino

citata edizione

e

ne dissero, il

ai

Baldinucci

il

Giusti e

il

Carducci.

nulla a questo giudizio comune,

ha stimato che

fosse

«

il

di dette

tempi

e,

Il

C.

stessi

confronta, su

per giù, con quel che ne hanno detto, in migliore

tempi recenti,

bellezze

son barbare...

stile

\ Ma, lasciando da parte questo

satire è dalla Chiesa vietata

»

il

la

di lega inferiore

mancano molte

lor

lingua e

di

Bisogna anche avvertire che

dell'autore,

ma

sei (satire),

non pure perclié

stile, in

non aggiunge

ripeto, esatto. Egli

non

caso di fare un'analisi particola-

reggiata delle satire di Salvator Rosa

» (p.

119); che era,

invece, appunto quello che ci voleva, per uscire finalmente dalle generali.

Circa

afferma

:

i

«

modelli che

La

il

Rosa potè avere coll'occhio,

satira di Salvator

da quella dell'Ariosto, vale a

il

C.

Rosa procede direttamente

dire, eh' è fatta sul

modello

latino principalmente d'Orazio ». Ma, lasciando stare l'Ariosto

gan

che non c'entra, :

i

«

WWì more

Quadrio, Storia

io

affermerei più volentieri colla Mor-

of Juvenal tlian Horace (though he imita-

e

ragione d^ogni poesia,

II,

parte

I,

pp. 547-8.

SALVATOR ROSA

349

ted both) in the character of his genius, he occasionally

ili-

much of

ìiir,

splay s, loith coarse7iess »

strength

tlie *.

of the

fonner, too

Del resto, queste imitazioni lontane e gene-

riche della satira italiana dalla latina, sono cosa ovvia,

da non fermarcisi troppo

avrebbe avuto un confronto delle

su.

molto

Maggiore interesse

satire del

Rosa con quelle

degli altri satirici contemporanei o di poco posteriori, quali l'Abati, utilità

il

Soldani,

il

.Manzini.

l'Adimari.

Ma

grande

di

sarebbe riuscito, sopratutto, un confronto con

quattro satire napoletane o egloghe, contenute nel de

cunti, e con le

li

Muse napolitane

le

Citìito

del Basile.

Sappiamo già che il Rosa predilegeva queste opere, e abbiamo visto come vari nomi di persone e di cose, ricordati dal Basile, si ritrovino nelle sue satire. Ma, qua e là, si

sorprende a dirittura l'imitazione. Cosi,

zione dei

poeti, ftìtta

dal Rosa

p. e., la descri-

{La poesia, vv. 289-312):

Che per parer filosofi e saputi. Se ne van per le strade unti o bisunti. Stracciati, sciatti, sudici e barbuti

quella del Basile, noll'ogloga

ecc., ecc., ricorda

pella

;

:

Va comme

a spiretato.

Stentato e nsallanuto

Pensanno a li conciette, Che mpasta nfantasia, E va parlanno sulo pe la via, Trovanno vuco nove, a mille a mille: «

Torregyianli pupille.

Liquido sormontar di fiori e fronde, Funebri e stridule onde. Animati piropi Di lubrica speranza; Oh che dismisurata oltracotanza! -.

1

Op.

cit.,

II,

p.

169.

La

cop-

SALVATOR ROSA

350

La descrizione Dà

A

del Basile finisce

:

le fatiche soie

chi

mai

le

dà zubba

;

Cossi la vita sfragne,

Canta pe gloria

E

Rosa

il

pe miseria chiagne

e

'.

(vv. 109-114):

Superate

fama, e poi

la

l'oblio,

Che voi non manderete il grano a frangere Se non prendete Cerere per Clio. Il

vostro stato è troppo da compiangere,

Mentre

vi

mira ognun, cigni dispersi,

Cantar per gloria Qualche colore

toglie

per miseria piangere.

e

dalla

altresì

medesima egloga

del

Basile, nella vigorosa descrizione del mercenario {La guerra,

vv. 202-210):

Par che andando Con paludati arnesi

a

pugnar vada

e

in cuccagna.

fogge vaghe,

Sicario de la Francia e de la Spagna! Sol per portarne poi

mercé

di piaghe,

Corre cieco a sborzar senza cagione

Contante

E

il

il

sangue

a credito di

paghe.

Basile avea descritto l'allegria di chi va ad arrolarsi

soldato di ventura:

Se veste a la lodeca. Se mette la scioscella, E te i)are na mula de percaccio, Co lo pennacchio e lo passacavallol Si n'amico le dice: « Adove iammo?

Responne allegramente, Né tocca pede nterra: «

'

Cfr. la

A

la guerra, a la

mia

ediz.,

I,

p.

guerra!

164.

».

»,

SALVATOR ROSA

E

più in

1;\:

L'è sempre lo pericolo a E lo premio da rasso;

l'efficacia del Basile sul

pochi riscontri e a quegli

sliianche,

li

Le ferite ncontante, E le paghe ncredenza...

Ma

351

'.

Rosa non che

altri

notare; essa investe la concezione e

che

sempre

tiene

si

potrebbero ancora

il

maniera

non

sulle generali,

La

lo stile delle satire.

loquacità, la passione per la sinonimia, stessa cosa in cento guise, quella

restringe a (juesti

si

si

una

dire e ridire di predica

morale

so fino a qual

vengano a Salvator Rosa dal suo temperamento,

punto

e fino a

qual

altro dalla lettura e dalla familiarità con le opere del Basile.

Delle satire del Rosa, la prima tratta della Musica; ed

eccone

contenenza:

la

Questi asini sono

i

Il

mondo

musici, che pure tutti

Non s'intende biasimare si

ricordano, anzi,

la

musica odierna

i

la

musica come arte; della qunh'

antichi e gloriosi (58-81)

fasti

è soltanto arte di

profanano

i

perbia dei musici (238-285)

— Musici che — Su(280-309) — Si

le

loro voci (184-237j



I

castrati

— Si esortano (352-408) — Cosa ben

Stati (MO-?jóì)

azioni

alte

non

il



— Favori che loro

lodano quei principi e popoli, che scacciarono gli

Ma

principi (106-183,i

sacri tempi con

i



corruzione (82-L32)

Viltà dei musici e loro oscenità (133-102;

accordano indegnamente

— — ricercano (37-57)

è pieno d'asini (vv. 1-36)

i

i

musici da-

i»rincipi a svegliarsi pili

degna

di

essi

ad

che

culto della lasciva musica. Discorso di Antigono ad

Alessandro principi



(409-585i

del

suo

Applicazione

del

rimjimvrro

tempo; Nerone, corrotto dalla



ni

musica

Applicazione dell'esempio di Nerone. Corruttela dei tempi. E ci vogliono rimedi, non musica (1)49-785).

(586-648)

1

Cfr. la

mia

ediz.,

I.

pp. 144-145.

SALVATOR ROSA

352

La seconda

volge alla Poesia, e comincia col parafra-

si

sare Giovenale intorno ai poeti del tempo antico (vv. 1-21)



Parimente, l'autore è mosso dalle colpe dei poeti del pro-

— Colpe

tempo (22-51)

prio

morali e letterarie: adulazioni,

lascivie; iperboli, ampollosità (52-84)



La poesia non dh

pane: miseria dei poeti. Favola del corvo e della volpe

— Metafore (250-279) — Descrizione (85-249)

grandi

pensare a



(280-315)

nomi

cose,

Soggetti

produrre

col

riscosse

— Plagi

da poeti sciocchi (385-405)

— Lodi

ingiuste di poeti antichi: Dante,

Tacopone; e pedanteria boccaccesca e petrar-

Burchiello,



chesca (463-501)

mandare

alle

Pretesti

stampe

tono in fronte ai loro

libri.

tivi all'edizioni delle



le

che sogliono addurre opere loro, e

titoli

Accompagnamenti

i

poeti

che met-

di versi elogia-

— Professori ignoranti — Indicazioni

opere (502-519)

Dediche e adulazioni (556-660)

di alti argomenti, ai quali



scioccherie

meschini cantati dai poeti;



dei poeti (406-462)

(520-555)

poeti

assumono (316-342) Se la virtù è sbanroggie, anche i poeti hanno avvilita la poesia

— Lodi

(343-384)

735)

e

vili

dei

che, sotto pretesto di

del poeta, finisce

strani che

dita dalle

nel

ed esagerazioni

i-idicole

osceni (736-783)

— Vana

solo la poesia lasciva.

i

poeti dovrebbero rivolgersi (661-

per contrario, soggetti lascivi ed

trattano,

Essi

scusa che la loro vita sia casta e

Aneddoto del trombetta. Corruttela

mossa dai poeti (784-831)



Scopo vero della poesia. Cose



empie, scritte da poeti (832-867)

Esortazione

ai

poeti

(868-934).

La contro

terza i

fantasma esso i

concerne

vizi del in

Pittura.



gli

Stava per scrivere

comparve innanzi un

donna (vv. 1-33) Quella donna lo esorta a

figura di

(34-66) —



Descrizione di

lasciare

da parte

vizi generali, e a parlare, invece, dell'arte propria, della

pittura (67-114) di

la

tempo, quando

parlare

dei



D'allora in poi, desiderio irrefrenabile

pittori.

Sua propria

vita

:

è

spassionato e

SALVATOR ROSA sincero (115-141;

Ma



Numero grande

353 di pittori (142-153;



pochi che non siano ignoranti (154-210). Pittori in Roma:

enorme quantità tori: pittori di

«

di quadri che

bestie

che

la pittura



mondo

il

I principi, col

alla povertà;

ritnigga pezzenti (211-306)



mal

loro

ed è giusto peg-

I pittori

giorano, quando cominciano a venire in credito

:

non

stu-

donne antiche, che donne moderne (207-351). Su-

diano più: inferiorità verso

erano anche

di pit-

pittori di soggetti tenui e vili,

»,

prediletti dai principi e signori.

governo, hanno ridotto

producono. Gruppi

gli antichi:



pittrici, e

perbia dei pittori. Aneddoto di Cimabue, di Michelangelo Giudizio universale. Tratti superbi di pittori antichi.

e del

Titoli e

«

croci

»,

tui'pe di scultori,

onde

si

fregiano

i

pittori (352-453)

raccontata da una bertuccia che

— Vita si

mise

— Loro sudicerie e vizi; l'invidia; truffe e inganni; libidini (454-681) — Pitture lascive; anche in soggetti sacri (682-825) — Poca osservanza giosa da parte dei pittori (826-843) — Conclusione: odioso all'arte presso

un

pittore.

reli-

il

mestiere del critico

Le

perciò, fa punto (844-865).

;

tre satire seguenti

sono in dialogo. La quarta. La

guerra, è tra l'autore e Timone, che

templare

vizi del secolo.

i

perché essa solo

Il

il

primo evoca a con-

titolo della satira è

improprio,

in piccola parte (178-372j tratta dei mali

della guerra, estendendosi nel resto su ogni sorta di vizi.

La quinta sogno

è fra l'autore e l'Invidia, che appare a lui in

respinge dal tempio dell'immortalità, pn-sso

e lo

cui soglia s'era fermato. Comincia !"ogazione dell'autore e stessa, 'li

«

il

una descrizione che l'Invidia fa di > '. La parte sostanziai*-

tratta da vari autori

essa è la difesa del Rosa e delle opere di

1

Cosi

una

postilla in

:

«

ab Alexandre



lui

contro

margine dell'autografo. Si noti, ;i « Alessan'lro ab Alendro

proposito, che la postilla al v. 160:

leggere

la

dialogo con una inter-

gli

.[u.-^u»,

è

da

SALVATOR ROSA

354

invidiosi; e contiene

assalti deg-li

poi un'esposizione

am-

^ La sesta, primo dei quali

pia e violenta dei danni che produce l'Invidia

La

Babiloìiia, è fra Tirreno ed Ergasto,

lamenta l'avversità della

che

rappresenta l'autore,

il

for-

tuna, e racconta la propria vita disgraziata, specie nei suoi primi anni, in Partenope. Ergasto è, invece, nato in Babelle

(Roma), dove

una lunga declama-

Roma. non fu stampata se non ai tempi doveva servire come di conclusione alle altre sei.

zione contro

La

dimora. Segue

l'altro i

vizi di

satira settima, che

nostri,

L'autore, conservando

il

servito nella precedente,

nome

di Tirreno, del quale s'era

duole con sé medesimo (dice

« si

nel sommarietto) del poco frutto cavato dalle sue tante invettive contro de' vizi; esagera l'impossibilità dell'im-

presa mediante l'ostinazione dei malfattori; e, fastedito, risolve abandonare affatto il mestiere dello scrivere come cosa inutile e in braccio

mini

de

pericolosa, la quiete,

di

darsi

lontano da

in

tutto

le

cita

e per e dagli

tutto

uo-

».

Chi

si

reca innanzi questo contenuto delle sette satire

(che ho riassunto più largamente per le tre prime speciali, lo e rapidamente per le altre d'indole più generale) non trova, di certo, molto notevole per originalità d'idee e di argomenti. Sono prediche morali e, insomma, luoghi co-

dove l'autore parla di sé stesso o del proprio mestiere, come allorché censura vivamente depittori che presceglievano soggetti vili; o, anche, dove

muni: salvo qua e

là,

i

scrive l'oppressione del popolo, che rese necessaria la rivolta del 1647. La poca determinatezza dei concetti si tradisce anche in certi luoghi caratteristici; p.

1

Satira insieme e apologia bizzarra

Sarà quest'opra...

Questi versi, con

altri,

mancano

nell'autografo.

e.,

nella satira

SALVATOR ROSA della Poesia (vv. 52-54:), dove

caso un verso petrarchesco

il

355 applica al proprio

poetcì

:

No, che tacer non voM

Ma

poi,

dubbioso

muova il parlar, rimango in forse: Tanto ho da dir che incominciar non oso! Donde

Il

io

questa impressione: che

lettore ha, sovente, proprio

il

poeta non sappia donde cominciare. Confuso, disordinato, illogico, salta

ridice;

da una cosa a un'altra diversissima, dice

e

pensiero sembra poco formato ed elaborato.

il

manca mai

Quello che non lenza, la loquacità,

costitutive

al

Rosa ò

la foga, la vio-

temperamento.

del suo

Il

migliore coraento alle satire è quel passo del Baldinucci, che ci

descrive l'autore in atto di recitarle. Par di udire la sua

voce gridante e vedere terzine, che quasi

Per Dio,

Me non

non

il

si

suo gesticolare vivace in certe

possono leggere con tono calmo:

poeti, io vo' sonare a festa!

lusinga ambizion di gloria;

Violenza mora! mi sprona e desta!

Lo

spirito

certe

sboccato e grossolano, e molto napoletano, di

altre, era di

quello pel quale

spettatori, esclamava:

«

egli,

Siente chesso, vi'

;

volgendosi agli

auza

Parla della corte e del favore che godevano

i

l'uoccftief

>.

musici:

Ma mi par troppo gran contradizioue Ch'abbia sorte con lei solo il castrato, S'ha fortuna con lei solo il e Le (poco diversamente,

vv.

625-7).

yniis..

Apostrofa

34G-8.

il

critico

scante del Tasso: Se infarinato

sei, vatti

a far friggere!

La

poesia, 399.

cru-

SALVATOR ROSA

356 E, di nuovo, contro

i

cruscanti

E mentre vanno I toscani

mugnai

:

di parole in busca,

legislatori

Li trattano da porci con

la cruscai

La

E come sile in

si

sente

il

quelle lunghe

compatriota e l'ammiratore del Bafilze di terzine, nelle

quali uno stesso

sempre nuovi modi! Di-

concetto è voltato e rivoltato in

che espongono

scorrendo dei

pittori,

mogli, non

soddisfarà nel dire

si

poesia, 490-2.

i

ritratti delle

proprie

:

Quel della moglie -sua forma il ritratto, E le di lei bellezze orna ed addobba: Cosi due mercanzie spaccia ad un tratto

;

ma

continuerà: Che, se

Almen

il

quadro non

è

da guardarobba,

palesa che, per farsi amici.

Se non ha buon penneflo, ha buona robba.

E

ancora;

Ohi questi può vantar gli astri felici, Che, spesso, per ornare un quadro solo. Fabbricate a



lui

son cento cornici!

basta: Poiché è ben noto allo scaltrito stuolo.

Che chi la copia fuor d'esporre ha in Vuol dir che dà l'originale a nolo...

La

E

uso,

pittura, 739-50.

via di questo passo. Il

Tari, nello scritto citato, porta

delle satire

:

«

Di proposito non

ci

un severo giudizio

parve

di occuparci delle

bel rime, e massime delle satire. Esse non sono, da qualche nullamente luogo in fuora, che una compagine d'epigrammi

SALVATOR ROSA

357

poetici per sé, né rendati tali da effusioni,

pochissimo poetiche

E

».

gio tra filosofico e immaginoso

che che un

uomo

sol

:

«

Insomma, ammesso an-

artistica, bastare

alla

con una specie

di

fruizione di due muse,

il

e,

che a noi sembra in verità a concepire

cevamo,

difficile

pure

;

di-

se ciò fosse possibile, e si potesse essere vero pit-

un tempo. Salvator Rosa non

tore e vero poeta a

»^

l'uno

la satira,

solito linguag-

possa, con uguale successo, attendere

a due diverse imitazioni a una volta,

bigamia

come

soggiunge col suo

ma

Giudizio severo,

aggiunga che

non sono pochi,

bei luoghi

i

anche giusto:

fu quel-

che

solo

si

e che le satire

hanno non sono, certamente, prodotto di un

del Rosa, paragonate con quelle dei contemporanei,

doti pregevolissime di vivacità e di freschezza

poesia grande e schietta,

ingegno e

Le

se

un'indole fuori dell'ordinario.

di

poche poesie possono confrontarsi con quelle

altre

del Ricciardi, del Redi, secentisti

e,

;

e, in

generale, del gruppo di poeti

toscani. Colpisce, per la

efficacia e

la sobrietà

metro adattissimo, quella dov'è descritta

del

tocco, pel

una

strega, che

si

mette all'opera dei suoi incanti.

Il

La-

mento è assai svelto e pieno di grazia, e ha versi di mo-

vimento tutto moderno Credete la

versi e quadri

il

mondo

è bello,

più sana cosa,

In questi tempi,

Le parafrasi di

Rosa

al vostro

Che senza

E

:

di

è

'1

non aver cervello

!

Giobbe (che appartengono

a

un genere

moralizzazioni allora in voga) hanno pure, qua

brani che rivelano

Che importa Tanto

1

Saggi di

è

per

critica,

mano non volgare

la

che buono o rio tu sia? che per altrui tonante.

al ciel te

dell'artista:

pp. 506-7.

e

là,

SALVATOR ROSA

358

Gl'inni de l'elefante Cinzia, e del cane ode

il

latrar molesto;

Né da qnel né da questo Non si stima onorata e non s'offende, Ed egualmente ad ambedue

Tornando lui

al

C,

risplende.

dirò, per concludere, che

rappresenta, senza dubbio,

una somma

il^

libro di

notevole di

voro, spesa nell'illustrazione

Rosa: è ricco di documenti e di notizie importanti, parti, la trattazione è

molte

la-

della vita e delle opere del

ben

riuscita.

Ma

vi

si

e,

in

deside-

rano un miglior metodo, un, senso più vivo delle questioni che importano allo studioso, una preparazione più larga,

una ricerca più esauriente \ Causa forse, come si è accennato, la fretta,

e

di

questi difetti è,

quale

della

si

scor-

o-ono molte tracce nel corso dell'opera: anche nella forma dell'esposizione, non in tutto degna di un artista quale il

che siamo venuti notando, non debbono impedirci di tributare sinceramente al C. le lodi che merita per quello che ha fatto, che non è poco ^

C.

Ma

i

difetti

proposito della preparazione, confesso che in un'opera di erutradiscono dito, e diretta a eruditi, mi sanno male alcune frasi, che una cognizione incompleta e occasionale delle condizioni generali di 1

A

quel tempo. Cosi, a

p.

IH, quando vien nominato

Pallavicino, è curiosa la '

lodato,

come buono,

tro Giordani

»

!

cui le satire del

se

qualifica

non

il

C. crede

il

cardinale Sforza

di

doverne dare:

perfetto scrittore di prosa, anche da Pie-

Cosi, a p. 404, la

Uosa

che

domanda:

sono dedicate in tutte

.

Chi fu quel Settano a edizioni? Fu monsi-

le

gnor Ludovico Sergardi », ecc., è quas'i una scortesia verso i lettori, si scopei quali il Settano non può essere un ignoto, un poetucolo che pra e citi per la prima volta. Cosi, a p. 108, il C. sente il bisogno di converdire di Cristina di Svezia: . quella Cristina di Svezia, la cui '1 conto suo >, ecc. sione diede origine a più d'una diceria scandalosa su 2 Aggiungo ora, in fine di questa recensione, la notizia dei due articoli del

Renier

sul Eosa, a proposito dell'opera del

C,

nella Gaz-

SALVATOR ROSA zetta letteraria^ an.

XVI, nn.

49-50, 3

359 dicembre

e 10

molte osservazioni critiche sul carattere, l'arte e [ristampati ora in Svaghi

critici

la

1892, contenenti

poesia del

Rosa

Xon

Bari, 1910', pp. 93-116.

è

il

caso

di dare notizia della letteratura posteriore intorno al Rosa, che

si

può

;

trovare raccolta nel Manuale del D'Ancona-Bacci, seconda edizione, e nel Supplemento. Basti ricordare la recente e importante monografia di

Leandro Ozzola, Vita e documenti

con poesie

per la quale

cfr.

e opere di Salvator

inediti

Critica, VII, pp. 380-8, e

o precisate alcune delle notizie date di del Rosa].

Uosa, pittore, poeta,

incisore,

Strassburg, Heitz, 1909, con tavole,

dove

si

troveranno corrette

sopra circa

le lettere

inedite

VII

UN DESCRITTORE

DI NAPOLI

CARLO CELANO

Dalla rivista Napoli nobilissima,

a. II (1893),

pp. 65-70.

n e

hi legge

libro di

il

Carlo Celano, Notìzie del

bello,

dell'antico e del curioso della città di Napoli, sente, a ogni

pagina, l'accento commosso dell'innamorato. tanto in quell'inno a Napoli, con cui

E non

sol-

libro s'apre, e nel

il

quale appare, senza dubbio, qualche vezzo secentesco.

Celano vi esalta cessi

la

situazione della cittA.

mano

con larga

dalla natura,

i

i

doni a

Dice che

virla.

«

la

primavera altro non

fiori

creditrice

dell'autunno, matura

fichi,

che per

mancamento

turare

».

lo

Dice ancora che:

perché non molto di Pozzuoli renti,

che

li

si

«

il

fa sentire,

e...

luoghi

del sole lasciò qut^llo di

i

ma-

calore è qui modestissimo,

ed

il

fuoco del Vesuvio e

di

non per merito

danneggiarla.

questo, a onor

ì\fa

dei nostri napoletani,

nostro padre e protettore san fJennaro... 'li

sentire che

stanno dintorno, dimostrandoseli rive-

non ardi mai

del vero,

fa

alcuni

in

le

pronti a ser-

d'arancio, di rose e di gigli;

fotta

Il

con-

quattro clementi e

altrettante stagioni che stanno tutti insieme

soavissimi odori di

lei

>•.

ma

Lodu

del caro il

jìopolo

Napoli, docile, affettuoso, sincero, amante dei forestieri,

ingegnoso e atto a qualsiasi lavoro.

Non

soltanto,

in

queste

frasi

cntusiasliche ed

anche, e sopratutto, nei molti inmti nei quali sentimento si fa vivo, quasi senza che l'autoi-

enfatiche; il

ma

dunque,

UN DESCRITTORE

364

DI

NAPOLI

avveda. Cosi, per dirne una, discorrendo di certe basi an-

marmo

tiche di

eli

'erano una volta presso la chiesa della

Rotonda a capo del vico Mezzocannone, rotte per opera di alcuni

e

vano dato a credere che dovesse trovarsi soro, egli

soggiunge:

«

che poi furono

vig-liacchi impostori »,

«

Ed

che ave-

sotto

li

essendo in quei tempi

un

te-

io

ra-

gazzo, che andava alle scuole dei padri gesuiti, passando

per questo luogo e vedendo una simile sciocchezza, quasi

mi caddero

lagrime, perché mio padre

le

di

buona me-

moria detto mi aveva che queste due basi erano una bellissima

La

memoria

della nostra città

fantasia, semplificando

'.

idealizzando,

e

vagheggiare con compiacimento

»

la figura di

si

ferma a

questo vecchio

canonico, innamorato della propria città natale con quel-

non ha

l'intensità di passione che è propria di chi

menti amato. tista,

E sembra

ciocche di capelli che

due

folti

prete secen-

una sua tela, non dal don Abbondio manzoniano: « due folte

quale Luca Giordano

molto dissimile

rivederlo, questo

di

altri-

sopraccigli,

gli

due

lo ritrasse in

scappavano fuori dalla papalina, folti

baffi,

un

folto

pizzo, tutti

canuti e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, che pote-

vano assomigliarsi a cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo al chiaro di luna ». E l'andiamo immaginando, quale lo descrive un contemporaneo, premuroso accompagnatore dei

forestieri

«

di distinzione »,

che capita-

monumenti della città (accompagnò qualche illustre, come il Mabillon, che parla di lui nell'Iter itaUcum); mosso a fare un libro intorno alle bellezze, antichità e curiosità di Napoli, quando udì una volta, in Duomo, alcuni oltramontani dichiarare che in Napoli, oltre il mare e il cielo, non c'era altro da vedere; frugatore vano a Napoli, a

visitare

i

instancabile di archivi e di biblioteche;

1

Celano, ed. Chiarini,

III, p. 612.

e,

vecchio a ses-

CARLO CELANO santaquattro anni, aflfaticantesi a

365 calar tra

«

i

pozzi per

rinvenire l'acque antiche di Napoli.... e a calare nelle no-

famose catacombe

stre

Ma

'.

»

Carlo Celano non fu solamente l'innamorato di Naaltre cose: canonico di S. Restituta, e ado-

poli; fu tante

non sempre graditi; comme-

perato in

uffici ecclesiastici,

diografo;

scrittore satirico e oggetto egli stesso di satire.

Anzi,

il

suo amore per Napoli restò inedito, fino a quando

pubblicò

sue Notizie^

le

settantacinque

anni,

il

che ebbe luogo nel 1092,

un anno prima

temporanei quasi ignorarono

in lui

della morte.

ai suoi I

con-

descrittore di Napoli,

il

che noi ora conosciamo unicamente.

.

Nacque

Caduto

gale.

e,

Napoli

a

egli

giugno 1642

il

I

ItllT;

laureò in legge nel

si

per qualche tempo, attese alla pratica

in

sospetto di avere composti) non

messo

scritto per la rivoluzione del 1647, fu

donde venne poi

in

le-

so quah* |)rigione,

liberato per l'intercessione del r<^gg»'nti'

del Consiglio collaterale,

Giacomo Capece Galeota*. Supe-

rato questo pericolo, volle entrare nollo stato ecclesiastico;

studiò teologia e appartenne alla congregazione delle missioni apostoliche di Napoli. Dal cardinak' Innico Caracciolo

ebbe

canonicato, e fu anche, una volta, subcollettore

il

apostolico. Mori

>

Cosi in

innanzi '

3

dicembre

una prefazione

di

169;{,

vecchio di 76 anni

^.

Francesco Antonio Sabatino d'.Vnfura,

primo volume delia prima edizione ciò allude in una poesia stampata n.-!

,1092) dello Soticie. s
v.luni.'

l-'-Ii

delle poste (Napoli, 1681).

F. A. SoRiA, Memorie sloricocritichc dryh storvi

nap.rruini

>.•

Altre notizie nel volume di G. Capone e S. Mauasu. poeta satirico del XVII secolo (Salerno, lovane, IVJ2\ pp. 68-9.

poli, 1781, voi. I).

Un



al

A

Avanzi

il

UN DESCRITTORE DI NAPOLI

366

La principale al

pel

teatro,

letteraria

attività

del Celano fu rivolta

quale compose moltissimi drammi. Soleva

pubblicarli col pseudonimo di

Ettore Calcolona

«

»

e ve-

;

nivano recitati con predilezione dalle compagnie comiche di quel tempo, e ristampati frequentemente cosi in Na-

come fuori. Ne ho innanzi un

poli

bel mucchio, e trascrivo alcuni titoli:

Negli sdegni gli amori

dispone

il

coronata



Nelle cautele

Cielo overo la forza del sangue



danni

i



La

Sopra V ingannator cade V inganno



Come

sofferenza



Non

è

— Con borasche in porto overo la zingarella di Madrid — Dall'amore l'ardire — Gli disonori — che onorano osia la molinarella — L'infanta villana

padre essendo

Proteggere

male



re

le



V inimico

Gli

effetti



trionfa morendo

Il vero

consigliere del

La

suo proprio



Chi

— L'ardito

ver-

cortesia

overo gli eccessi della

forza della fedeltà

gognoso; e via leggendo \

Questi drammi sono imitazioni e rifacimenti, e, spesso, quasi traduzioni, dallo spagnuolo. Sarà facile formarsene idea,

immaginando un dramma

di

Lope de Vega o

del

Calderon, spogliato dell'armoniosa veste dei versi e ridotto a prosa secentistica italiana; col personaggio del gracioso sostituito

da un napoletano

dialogo, reso

goffo, parlante

dialetto;

il

col

pesantissimo da lungherie, o procedente a

singulti, e, spesso

rime baciate, che

si

chiamavano

allora

Ecco, a mo' d'esempio, l'ultimo pezzo

due innamorati

due versetti a

spesso, terminante con

di

le

«

chiusette

un dialogo

».

tra

:

A. Sempre costante P.

i

Sempre

fedele

Edizioni del Troyse, del Eaillard, del Muzio e di

stampe perfino

del 1731.

altri,

con

ri-

CARLO CELANO A.

Tu mi

vedrai, o bella!

mi vedrai!

P. Cavalier,

A. P.

E E

sempi'e questo cuore

quest'anima mia

A. Venerar

Nel dramma: Con de

Madrid

di

rella

Solis), la

e la zingara

sempre

al tuo pie

borasche

le

(eh 'è

saprà

ti

Reverente

P.

3G7

La

starà

!

porto overo la zinga-

i)i

Madrid di Antonio un accampamento di zingari:

gitanilla de

scena è posta in Preziosa ne è

il

personaj.'-gio principale,

pt-l

amore il cavaliere don Alvaro de Leyva si fa zingaro. Accadono mille accidenti strani, fintanto che non si scopre che Preziosa è figliuola di don Ferdinando, governatore di Murcia. Accompagna don Alvaro il suo servitore napocui

letano, a

nome

gini, e

rende zingaro per non separarsi dal padrone.

si

finale è dato Lampisa.

Gioiello, che dice mille

anche da una Dalle pene

Maldokato. Che

chiusetta

»

gli altri

(come allora

drammi

si

rivolse

tutti,

che ebbero gran-

Celano e

il

chiamavano

si

d'imitazione spagnuola)

opere

sue

le

drammi

i

spettacolosi,

quando

particolare,

in

in tutti campi la reazione contro il secentismo, fiori, Andrea Belvedere, noto pittore di frutti

cominciò l'abate

Il

:

conforto

dissima fortuna; tantoché contro regali

>•

borasche ancor guidano in porto!

le

Di questo genere,

il

«

goftìssime goffag-

i

»'

»•

gran dilettante di teatro

'.

Oltre le opere drammatiche,

due volumi

intitolati:

il

Celano mise

Degli acanzi

pubblicato nel 1076 e dedicato

al

delle

duca

di

in

posti-,

istampa il

primo

SaniAugclo don

Giacomo Capece Galeota, e il secondo, n»d 1681, dedicato al duca di Girifalco don Fabrizio Caracciolo; entrambi coi tipi del

1

Bulifon.

CaocE, /

teatri di Napoli, p. 2iS2.

UN DESCRITTORE DI NAPOLI

368

Uua

lettera dell'autore al suo collega in

letteratura e

canonicato, Lorenzo Crasso, spiega l'invenzione: carissimo, essendomi stato

vendono

il

che nel

dell'anno

fin

si

che rimangono nelle poste, non so dire

le lettere

se la curiosità o

detto

Amico

«

desiderio di passare

il

tempo fecero che

ne comperassi una quantità; ed apertele, ne ho trovate

io

lette ».

che

alcune

esse

fra

mio genio paiono degne d'esser

al

Invenzione non priva di vaghezza,

e basti ricordare

il

Corriere svaligiato di

ma non

nuova;

Ferrante Palla-

vicino.

come

Alle lettere, che discorrono di soggetti svariati, dei censori alla

moda,

del vestire alla

moda,

della vanità

degli alchimisti, delle feste e luminarie, dei buffoni di casa, e

anche

l'

numero

mescolati un buon

via, sono

Parnaso

sul

genere

Amenta doveva

secondo volume. Altri quattro volumi

rava;

ma non

è troppo

Ragguagli di

imitare nei suoi freddi Rapporti',

e di ragguagli, lettere e alquante poesie è il

di

famosi del Boccalini, che poi

di quei

composto il

altresì

Celano prepa-

da lamentare che non giungesse a

metterli alle stampe ^

Alla critica e alla satira

sun 'attitudine. in

I

il

buon Celano non aveva

due volumi sono pieni

cattiva prosa, che solo

qua

e là

di

acquistano interesse

pei particolari di costumi che ci conservano

Qualche frase contro

^.

medici del tempo, per

i

la

quale

venne a prendere partito pei galenisti o medici

egli

l'antica, nella

polemica che allora divideva

dica, e, direi, la città di Napoli, in

nes-

scempiaggini

la classe

al-

me-

due campi nemici, fu

forse la causa principale dei tre capitoli satirici scritti con-

1

Che

li

preparasse, dice

il

Sahatino d'Anfoka nella prefazione

sopra ricordata. 2

XIV,

Sugli

Avanzi

pp. 58-61.

delle

poste, si

veda

il

Salfi, Hist.

litlér.

d'Italie,

CARLO CELANO tre

il

369

Celano dal poeta Giulio Acciani, e

intitolati: II ha-

huasso. Il

povero Celano vi è tartassato nei modi più diversi.

Nel primo capitolo,

si

un

fri

mostruoso del suo

ritratto

aspetto fisico e della sua sordidezza; descrivendolo

Duomo

in

si

cavava dal capo traeva un

sudicia zimarra,

la berretta, si

grande sputo

Tedeum, facendo partorire, per le

donne che riempivano in ispecie,

ste,

Vuol

A

dice

si

spavento

lo

la chiesa. Degli

quando

discigneva

la

intonava

il

e

di quel canto,

Avanzi

delle

po-

:

far la scimia

con

le

sue proposte

Traian Boccalin, qualche carota

Mandando da Parnaso per

Ma

le poste.

fredda, secca e d'ogni spirto vuota;

Né un

Sarnelli

tal

Dedicarlo

al

^

a vergogna

si

reca

reggente Galeota,

Ove par che dia l'alma a una botteca, Quando loda di savio quel signore, Chiamandolo: animata biblioteca!

-.

Altre opere del Celano, ch'io sappia, non

stampe;

alle

ma

Peste, e altri parla di

simo, col titolo:

si

trovano

l'Acciani menziona un libro di lui sulla

De

un

trattato che preparava, eruditis-

templis^.

TI

Come

Guida di Napoli fu pubblicata 1692, un anno prima della morte dell'autore. Venne fuori col titolo: Notizie del bello, dell'alitici e si

è detto, la

curioso della città di Napoli per

1

al

Pompeo

Sarnelli

aveva scritta

i

la

2

del

signori forastieri, divise

dedica

volume. 3

ik-I

Capone-Marano, op. cit., pp. 211-25G. II Sabatino d'Anfora nel 1. e.

al

Galeota, premessa

UN DESCRITTORE DI NAPOLI

370

stampate da Giacomo Raillard, adorne papa Innocenzo XII, na-

in dieci volametti,

di piante e vedute, e dedicate al

poletano di casa Pignatclli.

prime parole della dedica: « Non piedi di vostra Santità si dovevano con-

Bisogna leggere

ad

che

altri

a'

le

secrare queste notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli; essendoché Vostra Santità è la

gioia più bella, più antica la

nostra patria

più curiosa che adorna

e

».

di rado che scrittori abitualmente preten-

Accade non

siosi, artificiosi, rettorici,

a

un

tratto,

quando scrivono

di

cosa che stia loro a cuore davvero, mutino carattere e Celano, scritstile e paiano tutt'altri. E ciò è accaduto al tore artificioso e goffo nei drammi, negli Avanzi delle poste e nelle altre opere di letteraria pretesa; tizie

della sua

Da

simo trecentista.

trecentista,

in queste

e,

No-

un candidisintendiamo, è non già la

città, trasformatosi

quasi in

lingua, intinta di

dialetto e di spagnolismo, e spesso im-

propria o incerta;

ma

sua grammatica. Il Celano conduce ditandogliene

rezza, là,

e anche, se

si

vuole, la

le

curiosità, e fornendogli le

storiche, tutto

con un garbo, una chia-

e

una premura, che riescono piacevolissime. Qua

interrompe

mento

stile,

forestiere in giro per Napoli, ad-

il

bellezze

le

notizie

relative

suo

il

le

descrizioni

sue

con aneddoti. Eccolo,

o

p.

con effusioni e.,

che

si

e

senti-

di

estasia in-

Croce di pozzo ch'era nel monastero grandezza Lucca, il cui vaso « è meravigliosissimo per la fatto, che e per la struttura: basta dire che da ch'è stato della

nanzi a un

un sarà quarant'anni, non v'è entrata acqua nuova, né per tanta la per bisogno, di altro secolo si stima che ne avrà copia che ne tiene, e gliore

giunge:

non «

se

cosi

limpida e purificata, che mi-

ne può assaggiare nel mondo

Benedetto

sia

».

E

sog-

chi edificare lo fece col disegno,

CARLO CELANO modello ed assistenza del nostro sco Picchiatti!

'Mi

regalo

ingegnere France-

'.

»

Altrove, discorrendo della strada di sant'Antonio Abate,

chiama, napoletancscamente, di sant'Antuono, facendo

la

notare che per poli

il

sant'Antonio

«

Padova,

santo di

»

s'intende invece a Na-

topograficamente,

e,

la

chiesa di

sant'Antonio a Posillipo. Al quale proposito racconta: Ora vedano come la

prima volta

strapazzavano che:

«

i

si fa

concetto delie nazioni! Essendo andato

Roma, un romano odiava

in

forastieri.

Ed

interrogando:

«

i

napolitani, perché

In che?

avendo interrogato un arfiggiano dove era

>,

mi rispose

la

chiesa di

mi mandò sopra Posillipo, e dopo di una gran fatica mi fece perdere una giornata » E soggiungendoli « Quale chiesa « di sant'Antonio domandava? » Di Vienna », mi replicò. sant'Antonio,

.

:



Allora

io

soggiunsi:

Figliuol mio, vivi ingannato: l'arteggiano

«

non t'ingannò. Se tu avessi ti

detto dov'è la strada di sant'Antuono,

sarebbe stato detto dove ella era; ma, dicendo di sant'Antonio,

sempre s'intende dal volgo per quello da Padova

A

proposito della grotta degli

i'

vi

cordella lo

Sportiglioni

Poggio-

a

un briccone d'oste napoleche aveva fatto fare un buco a uno dei lati di essa aveva accomodato un campanello; e « con secreta

reale, racconta l'aneddoto

tano,

> ^.

grotte

il

di

faceva sonare da fuori, pubblicando che dentro

si

dava

il

segno delle ore canoniche. Vi concor-

reva gran popolo per osservare se era vero,

e,

con questo,

smaltiva gran roba dell'osteria; da un bello umore fu

ogli

^coverto l'inganno e l'autore ne fu mortificato

Presso la piazza del

Mercato s'indicavano

>

certi archi

d'una costruzione abbandonata, ch'orano chiamati dale di Cola di Fiore ». Il Colano spiega:

1

Op.

cit.. Ili,

2

Op.

cit.,

V,

p.

4aL

3

Op.

cit.,

V,

p.

467.

p. 277,

•''.

1'

«

ospe-

UN DESCRITTORE DI NAPOLI

372

Essendo questo Cola un uomo ricco, ma pio e da bene, fondò quivi un ospedale a proprie spese per i poveri infermi, e servir li faceva con ogni carità e diligenza. In un giorno, trovandosi Cola nella Pietra del Pesce, trovò un miserabile scarpinello, che, a concorrenza, si comprò un pesce per tre carlini. Interrogò lo scarpinello: « perché lo comprava? » Rispose: « per mangiarmelo » — « E quando stai infermo (soggiunse Cola) come fai? « Ecco vicino (replicò l'altro) l'ospedale di Cola di Fiore ». Il buon uomo,



>



1

a queste risposte, riflettendo che la carità che faceva dava motivo

gente bassa di crapulare e di non pensare a quello che ac-

alla

cader

le

poteva, con

un modo stravagante dismise l'ospedale ed

attese ad altre opere di pietà

'.

Per quest' intonazioue animata, per l'accento individuale, pel caldo sentimento d'affetto che vi scorre dentro, le

Notizie del Celano costituiscono

un

libro e

non un cataGuide

logo, e sono affatto diverse dalle altre aride e fredde

di Napoli, venute poi.

Né e

piccolo ne è ricerche,

dirette

il

valore storico.

Il

Celano fece molte

prima d'accingersi a scrivere l'opera

sua.

Prima

di lui,

avevano pubblicato brevi descrizioni

di

Napoli e delle antichità e monumenti di essa, Benedetto di Falco, nelle Aìitichità di Napoli (15.89); Luigi nella

Origine

e

nobiltà di Napoli (1569),

Contarini,

e Giulio

Cesare

Capaccio, nella Historia neapolitana e nel Forastiero (1630);

per non parlare degli

scritti del Loffredo, del

del Sorgente, e di quelli restati inediti

Fabio Giordano). Inoltre, sacra, era stata

illustrata

le

chiese di

(p.

De

Magistris,

e.,

l'opera di

Napoli, la

Napoli

molto accuratamente nel 1560

da Pietro de Stefano, e nel 1628 da Cesare d' Eugenio. Ma una descrizione della città, ampia, precisa e pratica,

1

mancava. Solo

Op.

cit.,

nel 1685, pochi anni

IV, p. 197.

prima del Celano,

CARLO CELANO Pouipeo Sarnelli

Guida

mise fuori

sua

la

breve,

ma

garbata,

dei forestieri K

Celano, abbaiidonuudo

Il

373

come

metodi poco comodi dei pre-

i

cedenti descrittori, conduce

forestiere di strada in istra-

il

se realmente l'accompagnasse;

metodo adottato sempre dalle migliori guide. 11 punto di partenza ò il palazzo del Nunzio a Toledo: « supponendosi che abbian sempre da principiare dalle posate ° o alloggiamenti de' da,

poi

-ignori forastieri, che stanno nei vichi dirimpetto la

ziatura apostolica

Nun-

».

L'intero giro è compiuto in dieci giornate. Nella prima, visitata

la cattedrale, si

di Carbonara, di

va

percorrono

Santa Sofia;

e, poi,

vie dei Tribunali,

le

Somma

per

Piazza,

Santi Apostoli e al palazzo arcivescovile; di

ai

là,

si

per

Porta San Gennaro, a Sant'Aniello e a Santa Maria di Co-

prendendo per Porta Reale e

stantinopoli. Nella seconda,

percorrono

Porr 'Alba,

si

pienza;

per

e,

Somma

vie di Costantinopoli, della Sa-

le

Piazza e San Lorenzo,

Purt'Alba. Nella terza, visitati (.'.liesa

di Monteoliveto, si percolare la via di

giore, tino al

Sedile di Nido, e di

Librai e Forcella, -.

torna a

là,

la

Trinità .Mag-

per San Biagio dei

giunge a Porta Nolana. Nella quarta,

scende per Santa Maria

di

Nuova, Mezzocannone, Seggio

la

Porto, Seggio di Portauova e Piazza della Sellarla, tino

Piazza del Merctt'^v i-'ide

alla

1

1

si

si

palazzo Maddaluni e

il

si

torna per Sant' Eligio,

Nella più volte citata prefazione del Sauati.no u'Ankoka alla si legge che costui aveva cominciato appuna

rima edizione del Celano,

a raccogliere

i

materiali della sua opera, quando, « mostrandoli ad un

suo amico,

gli

furono rubbati, e

prima che

se

ne accorgesse

uuale 2

come

fu, di certo,

vide inalzata, bench*^ imperfetta,

la

Si

allude alla Gui/la del Sarnelli,

un tempo, amico

Posada spagn., albergo, poi, in

».

si

del

diceva a quei tempi di

tempi di francesismo,

si

il

Celano?

disse e

si

s[)a;.'iioIisiii'>,

dice //"'

DI NAPOLI

UN DESCRITTORE

374

Rua Francesca,

la

Loggia, San Pietro Martire lino a Piazza

dell'Olmo. Nella quinta, girando per San

Tommaso

e l'Ospe-

si visita Castelnuovo, il Molo, la Darsena; indi si Lucia, a Castel dell'Uovo, a Pizzofalcone, e, scenSanta va a dendo per Santa Maria degli Angeli, al Palazzo reale e,

daletto,

di là, a Toledo. Nella sesta si

ghi, salendo

per la

San Martino,

e

dei

e

Gesù

e

i

bor-

Monti a Sant'Elmo e a

scendendo per Antignano

Cesarea

per la

indi,

Trinità

cominciano a visitare e

il

Vomero, e

Maria, a Porta Medina.

San Gennaro dei Poveri, Borgo dei Vergini, Montagnola, e, per Foria, si torna a Toledo. Nella ottava, da Porta Capuana, per la via nuova di

Nella settima,

Poggioreale

al

si

va

alla Sanità,

borgo Sant'Antonio Abate e

ai

Cappuccini

vecchi, tornando a Porta Capuana. Nella nona, dal Palazzo vecchio si percorrono la via, borgo e riviera di Ghiaia fino

a Mergellina e Posilipo. Nella decima, finalmente, si visita facendo di là un'escuril borgo di Santa Maria di Loreto, sione

ai

Per teria,

casali vicini la

il

e al

monte

di

Somma.

descrizione e illustrazione di questa vasta

Celano

si

valse,

non

solo

dei

topografi

ma-

e anti-

quari che l'avevano preceduto, e, in ispecie, per le chiese, delle opere di Pietro de Stefano e di Cesare d'Engenio, ma di buon numero di storici e cronisti napoletani, parte E, quel che più importa, frugò negli archivi: nell'archivio arcivescovile, in quelli del Capitolo di di Santa Restituta, dei Santi Apostoli, di San Severino, editi e parte inediti.

San Marcellino, di San Sebastiano, di San Domenico, di San Gregorio Armeno, della Zecca, della città di Napoli, negli archivi parrocchiali, in quelli di molti notai, nell'altro dei processi del Sacro Regio Consiglio '. Né trascurò di rac-

1

Si

2^otizie.

veda

l'elenco,

che è a capo soltanto della prima edizione delle

CARLO CELANO cogliere le tradizioni

orali,

-^,70

hanno anch'esse

che

la

loro

particolare importanza. Il

Celano non

fu,

dunque, un compilatore,

ma un

ricercatore, di quelli che osservano direttamente

rono

alle

fonti

e

vero ricor-

prima mano. Certamente, non sempre s'accompagna sufficiente non l'abbandona quasi mai il buon senso,

di

alla diligenza della ricerca in lui

senso critico;

ma

che in molti casi tiene

il posto dell'altro. Le attribuzioni e giudizi di cose d'arte gli furono suggeriti (come c'informa il Soria) dall'amico Luca Giordano. Con che non si i

vuol affermare che abbiano gran valore, perché gli artisti (e specie gli artisti di quel tempo) non si dimostrano le persone più adatte a indagare criticamente l'arte e a giudicarla

con larghezza.

opinioni di un

Ma

sono, a ogni

Luca Giordano,

e,

come

tali,

modo, giudizi

e

presentano pur

sempre qualche interesse.

Ili

L'opera del Celano è stata più volte ristampala, e sempre con aggiunte e modificazioni per adattarla ai tempi. Nell'edizione del 1724, l'adattamento fu compiuto da Francesco Porcelli, segretario del Regio Consiglio; in quella del 1758-9, da Domenico PuUo, giureconsulto K Numerose

aggiunte contiene la nuova edizione del 1792, stami)ata da Salvatore Palermo.

La più recente

e la migliore ò quella

cinque grossi volumi, pubblicati dal 18óG al ISCO, per cura del cav. Giovan Battista Chiarini (personaggio ohe mi è noto soltanto per quest'edizione del Celano); il (|uale in

ebbe

la

buona idea

di

ristampare integralmente

il

testo

originale del 1692 in carattere più grosso, e in carattere mi-

'

Soria,

I.

e.

UN DESCRITTORE DI NAPOLI

o76

nuto fece un'infinità d'aggiunte, compendiandovi, e spesso addirittura trascrivendovi, quasi tutta la letteratura posteriore circa la topografia e

monumenti

i

di Napoli,

Questa letteratura ha, per verità, scarso valore. Se

come abbiamo mostrato,

Celano,

è

un ricercatore,

i

il

suc-

cessori di lui fecero poco più che compilare dalla sua opera,

con

le

aggiunte relative

cadute nell'aspetto della il

Sigismondi,

il

alle

mutazioni posteriormente ac-

città.

Tali

il

Parrino,

bra e Dalbono. Solo di tanto in tanto, qualche

diligente

monumenti

il

Bulifon,

Galanti, per non dire degli ultimi, si

D'Am-

vide comparire

lavoro particolare sulla topografia e

i

di Napoli, specialmente per opera di Scipione

Volpicella.

Ma e con di

colui che ha ripreso la

amore pari

al suo,

ma

buona tradizione del Celano

con erudizione

e senso critico

gran lunga superiori, ha impresso nuovo impulso

studi sulla topografia di Napoli, è stato

passo.

Il

quale, se non ha elaborato

agli

Bartolommeo Ca-

una completa

descri-

zione storica di Napoli (che nessuno meglio di lui poteva dare),

ha pubblicato tuttavia una

serie di monografie, che

gettano viva luce sui punti più importanti e controversi dell'argomento, e ha compiuto una magistrale illustrazione della Pianta di Napoli nel secolo XI.

vili

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ NELLA LIRICA DEL SEICENTO

Jja parola rata tra

«

marinista

fu coniata o, almeno, adope-

»

primi dall'antimarinista

i

Tommaso

Stigliani;

quale intendeva con essa, come dichiara, non gih cui piacciono

compreso in

le tal

del Marino

scritture

numero

in

ma

parte le sue prime rime),

ed alcuni

frivoli

quanto

(che

<

anch'io sarei

piacermi in

al

il

coloro

gran

alcuni vani poetastri

solo

pedanti e lor discepoli,

i

t|uali

sono tanto

parzialmente appassionati di ogni sua sillaba, che giun-

gono le

al

segno da non istimare alcun altro e d'addossarsi

brighe di

lui

per loro proprie

i>

^ Xoi

qui in significato diverso e più largo;

gnare quei poeti che

e,

la

cioè,

prendiamo per desi-

mossero, su per giù, nell'ambito

si

stesso dell'ispirazione mariniana; o che lui proclamassero

maestro e guida, o che e in

si

modo indipendente,

dicendosi di diverso

mente,

ma

in

da considerare

indirizzo, e tali

particolari il

formassero contemporaneamente

o che, perfino, gli

secondari.

medesimo

si

opponessero,

essendo forse Marinista

Stigliani; per

real-

ò, perciò,

quanto

si

iniet-

tasse di parodiare la poesia dei marinisti, e per bocca del

suo amico Balducci^ facesse dichiarare che

1

Brano inedito

riferito in F.

la via

da

lui

Santoro, Del cavalier Stigliani (Na-

poli, tip. sannitica, 1908), pp. 44-5 n. 2

Prefazione

al Canzoniere dello

Stigliani

(Roma

e Venezia, 1625).

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

380

vera

hi

«

seguita,

via....

altro

non

è

clie l'unir la

e l'affetto del Petrarca colla vivezza dell'arguzie e colla varietà dei soggetti

Veramente, se

i

purità

moderne

>.

marinisti occupassero, rispetto al

rino, la posizione stessa di tutti

i

Ma-

seguaci, imitatori e

ri-

non metterebbe conto petitori verso gli volumi, ne fori ricercasse ne che lo storico della poesia uomini

di genio,

masse antologie, procurasse

di

determinarne

i

caratteri

;

e

basterebbe, tutt'al più, trattarli come manifestazioni e documeiiti della storia della cultura o dell'incultura che si voglia dire.

Ma



Marino fu un genio, né

il

i

marinisti

frazionamento, la cor-

rappresentarono l'indebolimento, il ruttela dell'opera di lui. Il poeta napoletano (che appare, in quasi tutta la sua opera, retore verboso e non poco più che altro, l'indicatore di una via, o di più vie, solo in parte percorse da lui; nelle quali non sarebbe forse arrischiato affermare che i suoi seguaci si

pedante)

fu,

spinsero più oltre e raggiunsero alcuni resultati, artistici

che egli solo talvolta e parzialmente ebbe a toccare. Egli seppe accendere e disfrenare gli animi dei giovani amanti di poesia, come pochi seppero in ogni

e

non

artistici,

tempo; e suscitò in

nuovo campo

essi

artistico

il

convincimento che c'era un

da percorrere,

e

li

rese disdegnosi,

anzi insolenti contro la vecchia arte e contro coloro che vi

si

attenevano.

Diceva uno

v/

di codesti giovani, fanatizzati

da

lui

^

:

«

Mi

fanno ridere quelle buon anime di Parnaso, che s'appalesano e si chiaman devote riveritrici dell'antica purità, la quale ai nostri tempi non è altro che mellonaggine, chia-

mando

1

alcuni pura ancora la lingua di quel secolo

che

PiEK FuANCESCO Mixozzi, Impazienze d'amore, saggio poetico deMuse (Firenze, Landini, 1638): si vegga la lunga lettera

dicato alle

dedicatoria.

_J

NELLA LIRICA DEL SEICENTO balbettava. Si studiano di lare scorgere tesa

sodezza nelle

sciapite

che non avranno lunga vita essi riti,

le

non

sale di

il

scienziati,

osando di dire

opere del Marino. Avendo

l'ingegno o melanconico o grosso, disprezzano le sottigliezze,

perché mostran

o

in-

composizioni, dovendosi

loro

chiamare piuttosto scimuniti che

381

di

gli spi-

non intenderle,

perché non l'intendono, o perché non sannoda lor medesimi inventarle; avendo gl'infelici vile e povero l'inten-

dimento, aborriscono

le

moderni concetti

».

dei

non

delle

foggia

ma

«

m'innamora non

l'aspetto giovanile

lettare ».

E

se

il

volto

di

quali

quale non è zati

e nella

vecchia

della

che sono

nnticiiit;"i,

tine delle

Il

stolti coloro

tempere delle penne aguzzate per

la

prendeva, sopratutto, coi

non

si

«

casisti

«

come esemplare

'jui

la

formata all'usanza de' moderni palagi, innal-

dichiarava:

bassa

«

Io

mi contento più

imitazione

ma

nel

tosto

di

ardenti,

E anche

naufragare

pelago dell'onde

che di star sicuro in questa casa,

la

marine

quale ad ogni modo,

'ssendo pur troppo vecchia, non può non eliiamarsi ».

>,

testudini senza cuore, non poeti

con fabbriche non ardite, come dicono,

scante

i

di-

la poesia

partono mai d;iiraniata lor casa,

di metafore d'aggiunti, d'iperboli, d'allegorie ».

con non

stessa

le

Giovanni della Casa: i

oltre);

dell'usanza moderna.

cioè con quelli che inculcavano

coloro,

ricami più preziosi

i

m'invaghisco delle giovani,

diletto; quindi è

il

quali biasimano

Io

(aggiungeva più

vecchie

composizioni è

bellezze ed

Tutt'al

più,

era

disposto

a

sacro quel cadente tempio delle muse,

mava, ad adorarne da lungi

«

e,

se tanto

si

mine

».

le bellissime

ca-

come

considerare

bra-

Le due tendenze, che erano particolarmente accentuate nel Marino l'è non occorre dire che non si formarono in lui per la prima volta, e che avevano una lunga e antica storia nella poesia italiana e una, più prossima, nella poesia

del Tasso), sono entramlie ricordate nelle frasi entusiasti-

^

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

382

che del giovane marinista, che nella folla

come

nostra guida.

ci

è piaciuto

La prima

chiamava « laMarino usava fare almeno oscenitcà ». « Il primo as-

^ denza che diremo sensuale, e allora sciva

distinguendosi,

»,

a parole, la

«

lascivia

come

il

dall' «

»

trascegliere

di esse è la ten-

si

saggio della poetica melodia che porgo al pubblico (scriveva il giovane marinista), è condito con l'ambrosia de'

che non potrà in qualche parte non essere aggradevole. Né s'abbia chi lo accusi di soverchia lascivia; impercioché non parlo che con modestia; e, poi, formariansi

baci,

si

querele contro tutta la poetica schiera. Oggigiorno la fama de' cigni più celebrati non par che voli gloriosa se

le

le penne svelte dalle ali d'Amore ». La setendenza è quella che diremo ingegnosa, e allora chiamava « concettosa », essendo in uso, in quel tempo,

non prende

^ conda si

perfino

il

verbo

«

concettizzare

»

'.

« Il

mio

stile

(scrive

ancora il nostro testimone) sembrerà forse ad alcuni soverchiamente festoso, dicendo che '1 troppo cibo del mèle

genera nausea, e che '1 cielo è ornato, non fabricato di si dee) stelle. Rispondo che '1 vizio (se però vizio chiamar insieme ed non è di un solo, ma di tutti i più moderni

Neppure il bisticcio gli era quando è congionto con qualche

più rinomati compositori sgradito:

«

Il bisticcio,

».

non è scherzo semplice di parola, si loda dagli autori di buona lega; ma esser dee non mendicato e non troppo frequente. Vuol esser come il neo, il quale, se è spirito e

unico

in volto di

bella donna, lo rende

che non avverrebbe se tutta quanta piena

la

più grazioso; faccia

il

ne fusse

».

Ora, di queste due tendenze la prima poteva essere artisticamente feconda, la seconda no.

1

Si

trova, p.

tacchi, 1662),

I,

e.,

p. 13.

in

Quando

in

un'epoca

Bernardo Morando, Opere (Piacenza, Ba-

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

383

Storica ogni altra sorta di sentimento ò debole, e rimane viva solamente la sensualità, e cioè la passionalità rudi-

mentale e quasi animale, è evidente che questa appunto costituisce la materia della poesia e dell'arte per quell'epoca. L'Italia- si trovava allora, per cause ben note, in tale

con-

né poteva

dizione;

produrre

un'arte

diversa se non in

quanto diversamente sentisse. E diversamente sentiva alcuni

spiriti

solitari,

p.

diversamente, in quei casi,

e. si

in

Tommaso Campanella,

in

esprimeva; tanto che

e

rude

la

poesia campanelliana sorge quasi severa ombra dantesca accanto all'effemminata marinesca, della quale è contemporanea e compaesana. Ma il grosso della corrente, come

appariva non solo nella poesia

menava

degli spiriti ste,

ma

in

tutte le

altre arti,

sensualismo; e di questa condizione generale

al

il

Marino e

i

applaudite, legittime.

marinisti furono

A

le

voci richie-

non può toccare

noi

il

com-

pito di deplorare che cosi tosse, giacche quella materia offriva alla poesia

come una

si

necessità storica.

L'ingegnosità, invece, direttamente consideratji, non poteva essere arte, perché consisteva in un atto pratico, nella

finzione

gioco, nato

di

un pensiero

un sentimento,

e di

e coltivato negli ozi della vita cortigiana

cademica,

e diretto

l'intelletto

senza veramente esercitarlo

ad ammazzare

il

tempo

in

un

t-

ac-

col solleticare

e nutrirlo nella

cerca e osservazione del vero. Essa era, dunque, un

ri-

vuoto

teoretico; laddove la contemplazione della sensuali! A, per povera che fosse (comparativamente parlando), si presen-

tava pur sempre

come qualcosa

di

pieno e di significativo.

II

Che il

l'effettiva

ispirazione

del .M.uinn

centro di gravitazione delle

loro

< dei

marinisti,

anime, fosse

il

sen-

sualismo, abbiamo sentito confessare dal marinista da noi

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

384

potrebbe documentare con altre citazioni. Ma nell'idillio La nessuna varrebbe quella del Marino stesso, due amanti iscena in mettono bruna pastorella, dove si citato, e si

che sfogliano

il

volume

della Lira, e l'uno dice all'altra:

Lungo fora e soverchio Del commesso volume ad una ad una le carte;

Tutte volger

Ecco l'indice qui che a parte a

parte,

Registrati per capi, I

soggetti racconta.

Passiamo

i

carmi gravi,

cui loda gli eroi, prega gli dèi, di morte i trofei piangendo canta.

Con

E Veniamo

ai pili soavi.

In cui con dolce vena D'amor vezzose e molli

Le tenerezze

e le delizie esprime...

senza pensarci, il Marino assegna il metutti i canzonieri del todo in cui conviene leggere quasi di solito in rime ripartiti Seicento; nei quali, per quanto

Senza

A-olerlo e

via discorrendo, amorose, lugubri, eroiche, morali, sacre, e esse principalmente. Le solo le rime amorose contano, o in modo afrime lugubri ed eroiche sono rimerie eseguite e mercede; commissione per spesso, fatto meccanico e, assai sociale o ipocrisia da imposte le rime sacre e morali erano accostarsi induceva ad dallo stesso calcolo superstizioso che ma tra quelle amoindulgenze; le pigliare a e ai sacramenti del poeta dell'animo schietti movimenti rose s'incontrano i

immagini a cui dava tutto il più serio interessamento che moltissimi, del quale fosse capace \ Che cosa importa

e le

1

<

È

per tale la corruttela degli studi poetici, o

meglio dire de'

non si risente la Musa, poeti istessi, che ad ispiegare soggetti sacri Pare che oggidì non non armonizza la cetra, non fiorisce l'ingegno si

che dai sospiri degli trovino spiriti più vivaci al comporre di quelli

NELLA LIRICA DEL SEICENTO se

non

netti,

tutti,

poeti di alloia introducano, tra gli altri so-

i

uno che contiene

mai innamorati nella finti?

Vera o

385

finta

la protesta,

che

vita reale, e che

non

essi

si

erano

loro amori erano

i

che fosse a sua volta questa dichiara-

zione, serv^e a confermare, tutt'al più, che

la fantasia

di

quei poeti era assediata da inimatjini d'amore, anche quando la loro vita si

svolgeva pacatamente o freddamente come

di austeri ecclesiastici o di gravi letterati.

Nell'amore di questi poeti, è sparita ogni traccia duale di concezione stilnovistica o platonica;

gono accenni mentale

che sarà poi

di quella

romantica. Contro

o

si

resi-

scor-

concezione senti-

la

l'amor



platonico,

protesta

esplicitamente Scipione Errico:

Ceda

al tatto la vista, al

Perché tocca e non mira

E

labbro

lume;

il

guatar, T affisar vada in disparte,

Il

il

cieco

nume

'.

Tiberio Sbarra: Noi tal foco non arda, e sia da noi Lontana pur si cieca via d'amare,

E

tutte le sue glorie e pregi suoi;

Ma

rischiarino

i

sensi ora due chiare

Luci ridenti, or dolci note, e poi Vezzosi baci o cose altre

Ciro di Pers è dei pochi che e

adora

nella

specialnK.-nte

sua

n<-i

donna

sonetti

il

in

si

pii\

care.

ricordino del platonisnjo;

raggio eui la

della

beltA

di

Dio,

descrive sfiorita dagli

anni.

amori profani

e dal fiato delle

(B. MoKANiJO, Poesie sacre e

trombe guerriere sogliono derivare

morati, Piacenza,

l''>«ì-2,

in

Opp., IH,



p|'

157 sgg.). 1

1

Si

vela per tutte

le

citazioni e

i:colta dei Lirici viarinisti (Bari,

le

allusioni,

Laterza, 1910).

che seguono,

la

mia

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

386

che un amore, dunque, in genere, affatto voluttuoso,

È

quell'oscenità giotocca assai spesso l'oscenità; e non già che ha un'oscenità ma viale della tradizione boccaccesca,

un amqualcosa di peccaminoso. Si avverte di essere in di una biente cattolico, tra gente che soffre gli scrupoli alle sole religione superficialmente professata e pur dà sfogo dei qualcuno legga Chi l'animo. passioni che le scaldino chiavedere può Fona, romanzi e novelle di Francesco ramente questo contrasto. La Messalina del Fona comin'

cia con un'esortazione:

Accostatevi,

«

La

gite. Venite, caste matrone....

non fugquesto volto può

pulcelle,

vista di

apparirà più mostrarvi quanto sia deforme l'impudicizia; caste delle »; ma lo in confronto, la limpidezza bella,

più vivaci colori a descrivere .la belcol suo sentilezza e i costumi di Messalina, accarezzandoli tutta la piena qualità è stessa della mento. Di descrizioni

scrittore profonde

i

Galleria delle donne celebri'' del delle

«

lubriche

»

come

delle

<^

medesimo caste

-^

scrittore, cosi

e delle «sante »;

emana dalle quel tempo. Né mancano del

impressione voluttuosa

e, in verità, la stessa

opere di arte figurativa di tutto nella letteratura,

come abbondano

nella pittura, certe

verso tendenze, che potrebbero dirsi sadistiche, i

tormenti,

gli

spettacoli crudeli.

sangue

La

«

«

E nuotano

amori in

dice Marcello Giovanetti, descrivendo

mezzo al la donna desiderata, che »,

sangue,

il

gli

cortigiana frustata

assiste a »

è

un'esecuzione capitale.

uno dei temi

lirici

trattati

dal Brida parecchi, dal Giovanetti, dal Maia-Materdona,

gnole-Sale

^.

i

Venezia, 1627.

2

Ne ho

3

Pel Maia,

p. 20;

per

innanzi l'edizione di Venezia, Zatta, 1663. (6.a ediz., Napoli, 1632), parte si vedano le Rime

gli altri

due,

la

I,

mia antologia.

I

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

Un amore

di

questa sorta non

387

può avere una

spirituale molto complicata; e, infatti, essa

descrizioni di abbracci, di baci e di

si

storia

esaurisce in

Tanto

altre voluttjt.

più s'insiste sulla celebrazione delle bellezze della donna

amata, e su

pagnano chiari il

;

neo,

con

mani;

la

bocca;

e,

specialmente,

le

Gli occhi

lei. il

seno

;

la

situazioni, che

si

biondeggia o intreccia

che

si

bagna

di neve,

si

addormenta si

la

:

il

in aperta

con

alla tor-

l'olivo nel giorno delle

altresì nelle sue varie condizioni sociali

la serva, la

mendicante, la pellegrina,

tigiana, l'attrice di

commedia

cam-

diverte a scagliare palle

suo bambino, che canta, che dico

torna di chiesa

donna

capelli;

i

che danza, che va in maschera, che gioca

che

Appare

lago; che

ancora: la donna che

che culla

zioni,

un

in

;

nella lirica entrano

rado vi erano adombrate

abbiglia; che

cia,

E

di

si

o

pozzetta nelle guance

prima

che

E

neri o azzurri

chiome bionde o nere, sono og-

le

getto di osservazione ed esaltazione.

pagna.

che accom-

tutti gl'incidenti esterni e materiali

le relazioni

la

:

la

ora-

lo

palme.

signora,

schiava.

cor-

la

o di tragedia, la cantante, la

ballerina, la ricamatrice, la legatrice di libri, la maestra delle operaie, la raccoglitrice di castagne, la villanella, la

pastorella; e via dicendo. di

Appare

rado fanciulla, nell'età ingenua

nell'estate

degli

anni;

talvolta,

tempo, tal'altra cedente a

vano sue

coi

lisci

più varie

e con

altri

essi,

nelle sue varie otA, e virginale; quasi

resistente tal'altra

artifizi.

nr-Ile

danni del

combattente, in-

Appare,

in

fini-,

nelle

cieca, zoppa, gobba,

deformazioni fisiche:

muta, balbuziente; e

ai

ma

sempre

sue infermità: epilettica, còlta/

da svenimento, bruciata dalla febbre.

Guardiamo più da vicino queste

scenette, che

abbiamo

accennate di volo, e altre simili a queste. Il Sempronio, rappresenta vezzosamente la sua amata, che ha com-

p. e.,

lavanda delle chiome e le ha intrecciate con un bianco panno, quasi turbante, per lasciarle asciugare:

piuto

la

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

388

Sembra Eurilla gentil vaga turchetta, Quanto barbara pm, tanto più bella!... o

lascia cadere

quando

capelli sulla fronte si che le co-

i

prano gli occhi: Cari lacci de l'alma amati e

Ch'a ciocca a ciocca in su

E

lascivi e sottili e serpentelli

Con

solchi d'or le vive nevi arate;

Oh

quanto, oh quanto ben lievi scherzate

Su due 11

stelle

d'amor,

torti in anelli!...

Maia-Materdona coglie tutto che fa

trionfo

il

femminile

al

lungo e difficile abbigliamento; nel presen-

termine di un tarsi

belli,

la fronte errate,

donna agli sguardi medesima:

la

mondo, pienamente

del

soddisfatta di sé

Ad un tempo Apre Bagna

del ciel

E

di

col sol

madonna desta

d'un volto

nanfe

i

i

gemin' astri,

teneri alabastri

serici al bel fianco arnesi appresta.

Lo speglio adatta e de l'inculta testa Ara il crin sciolto con eburnei rastri. L'accoglie e intreccia con argentei nastri E di mille narcisi indi il tempesta.

Increspa

A E

il

più minuto a ferreo

stile,

l'orecchie sospende aurate anella, fa di perle al collo e d'or monile.

sua reggia, e si favella « Or chi da Battro a Tile Vide cosa già mai di me più beila? ».

Esce

alfìn di

Ne' suoi silenzi

di

:

Le vesti multicolori, con le quali la sua donna sempre nuove apparenze, ispiravano un canto

cedonio

si

copre

al

Ma-

:

Que' tuo' vaghi colori.

Onde

vai tanto altera.

Variando or

lo

bende ed ora

i

manti...

i

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

Fontanella contribuisce all'abbigliamento, mandando

11 lìti

389

5;ua

amata

dono un paio

in

di guanti e rivolgendosi

a essi teneramente: Vestite quel purissimo candore,

Con quei viluppi Prendete

i

lacci

di meonie sete ad emular d'amore.

Oh quanto ag"li occhi miei grati sarete, Se quella man che m'imprigiona il core Per mia vendetta in prigionia stringete! ]\Ia

lo

poeta guarda con occhio avido

stesso

nube d'odorosa che cela •

Preziosa

tela,

petto di

il

lei;

e

d'Olanda

prega Amore che

juando a un tratto un amico colpo

al

di

la

«

Ijianca

alma testura la

»,

sollevi;

vento viene incontro

suo desiderio:

Ed

ecco già che, spiritoso e lento,

le sue molli piume, Quel che mi nega Amor, mi dona il vento!

Col ventilar de

Xon meno è la giovane

attraente che nelle sue vesti lussureggianti

donna del medesimo poeta,

la

quale culla

suo bambino cantando: Tremola navicella un

di

movea

Quella che del mio cor regge la chiave, E spirando col canto aura soave

Per l'onda de l'oblio lieta scorrea. Ubbidia la quiete al moto grave Che con impeto lento il pie facea, E l'agitata e pargoletta nave In braccio a Pasitea lieta correa. Placida nube e graziosa intanto

Chiuse

al fanciullo

Ch'umido

si

vedea

il

delicato ciglio,

di molle pianto.

un bel vel aureo o vermiglio sonno apporta Citerea col canto, Dentro cuna di rose al nudo figlio. Cosi, dentro

Il

i

il

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

390

L'amore è

è ritratto in tutti

l'innamorato die non

quando

la parola,

si

suoi minuti incidenti. Questi

i

coraggio e cui muore in bocca

Iia

accinge a fare

la

sua dichiarazione:

E come spesso il mar con ondo piene Romper le mete sue par che si miri, Sol poi spuma e rimbomba in su l'arene; Cosi tentan passare

Spuma

i

ma

confine del cor,

Il

miei martiri

fuor sol viene

suono

di pianto e

di sospiri.

Questo è l'amore che deve contentarsi di sguardi: Parlo con

Con

gli

gli

S'abbraccian

E Questa è

bacian la

occhi

occhi ancora gli

tuoi begli occhi, e spesso

a' i

tuoi begli occhi ascolto;

occhi nostri in dolce amplesso,

gli occhi nostri

il

nostro volto...

vecchia che porta l'imbasciate e delude l'aspet-

tativa dell'amante:

Alor che immerso in tenebrosi errori Aspetto un Sol vie più del sole adorno,

Veggio apparir Seccarsi

E

ì

la

vecchia nunzia e intoi'no

prati e raddoppiar gli orrori...

quest'altra è la bella damigella di compagnia:

O

de

la

Che

fai

terrena a

Luna mia seguace le

stella,

celesti oltraggio,

Anzi, o splendor che sei d'un Sol messaggio.

D'amoroso orizzonte alba

Lo Zazzaroni

le

amava

novella...

tutte e due, l'ancella e la padrona:

Per doppio incendio mio m'offre Fortuna, Entro un albergo sol, serva e signora D'egual beltà; se non eh' a questa indora Natura il capo, e a quella il crin imbruna.

L'una rassembra

O

il

sol, l'altra la

luna,

questa l'alba appar, quella l'aurora...

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

Un

tale,

che segue per via

ombre che

loro rispettive

si

Del corpo mio, che

la

391

donna amata, scorge

le

abbracciano sul selciato: di lontan Bii

moro,

Veggo per opra del gran lume errante L'ombra felice a la superba avante Usurparsi

Un

il

mio gaudio,

il

mio

ristoro...

altro è costretto a contentarsi di

La

tocco

e,

rileggendo

una

lettera

:

dolci accenti,

i

Con gli occhi entro quel nero asciutto umore Bevo la medicina ai miei tormenti.

La casa dell'amata è continuamente circuita, ora per ispiare quando ella vi è dentro, ora per rivisitarla durante la lontananza di lei. A quelle mute mura domanda il Paoli: Dite:



Legge

mai

ella

meste

le

carte.

In cui scrivo l'ardor che chiudo in petto?

Vedeste mai per solitaria via Venir notturno amante, armato e

A

trionfar de la guerriera

solo,

mia?

Ah, voi tacete! ed io che per lung'uso So quanto piaccia altrui l'esser secreto, Voi, fidi secretar!, or non accuso.

Un

altro sente la sua

nella casa vicina

donna che canta

di là dal

muro,

:

Angelica mia voce, indarno ormai a le tue gorghe argine fassi. Che già, mentre scoccando al ciel le vai. Di dolcissima gioia il sen mi jjassi...

Un muro

Ma

giuro bene anch'io che, se

Coi canti a violar tu Coi baci vo' sforzar

rirlo

:

al

porte

tue porte.

un dolore

petto di lui

ti

mie mura.

io le

Scipione Gaetano accusa

amante accosta

le

il

al

petto, e la

proprio seno

sua

per gua-

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

392

Quel vago sen, che di sua mano Amore Tutto cosparse di ligustri e rose,

Sul petto mio Glori leggiadra pose Per sanarmi di fuor lieve dolore... II

Sempronio

che è assai più

paragone

fa

alta,

si

di statura

che egli non

con

la

sua donna,

giunge

le

al

volto:

Giunsi a baciare, idolo mio terreno, Se non gli amati fior del tuo bel volto, I dolci frutti

Una

almen del tuo bel senol

situazione curiosa, e certo suggerita dalla realtà, è

quella di chi fa

il

maestro

di alfabeto alla bella ignorante

donna, della quale è innamoralo senza corrispondenza: Ridice ella inesperta ogni mio detto,

Ma

tace scaltra

a'

miei sospiri ardenti...

Fingo in lei tardo ingegno, e, minacciante, Tocco sul volto suo le chiome bionde. Maestro ardito e rispettoso amante.

Se questa è gi;ite.

La

la

«

scolara

»,

seguono

le

operaie corieg-

filatrice di seta:

China

il

Sottilissimi

sen, fili

nuda

il

braccio, accesa

il

volto,

Egle traea

Da

ricchi vermi, ove bollendo ardea Breve laghetto in cavo rame accolto...

La dipanatricc:

Un

girevole ordigno oggi volgea

Filli, di

bianco stame intorno avvolto,

Che d'ampio cerchio Quanto scemava l'un

La maestra

in picciol globo accolto l'altro crescea...

delle fanciulle: Stuol di varie fanciulle in giro accolte

Davanti a la mia Clori un di sedea, Ed ella molte in tesser tele e molte In far trapunti ad instruir prendea;

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

393

Là de

le fila all'arcolaio avvolte bianco e picciol globo altra facea;

Un

Qua con

annodate or

la seta, or

sciolte,

Preziose orditure altra tessea...

La lavandaia: Su quel margo mirai donna, anzi Succinta in veste,

Ch'assisa in curvo pin, fra

Gl'immondi panni

C'è anche hi

i

puri argenti,

al flumicel tergea...

pellegrina

«

dea,

crin disciolto ai venti,

il

»,

la

donna non

sa

si

donde ve-

nuta, l'avventuriera o la girovaga:

Vestendo a

N'andrem

O

quella che

si

gnola morescata

te simil logore spoglie,

uniti, o pellegrina errante...

sa bene ->

donde venga:

la

Chi vuol veder pur come alletti e laccio ogn'alma in questa nostra

Un La

E La

«

«

meretrice spa-

:

tiri

etadi-,

grazia di costei, l'alma beltade,

'1

soave parlar contempli e ammiri...

cortigiana fru.slata

>

del Brignole-Sale è ritratta nel

suo atteggiamento di dolore e vergogna:

La man che ne Con duro

lo dita

ha

le

quadrello

laccio al curvo tergo ò avvolta.

L'onta a celar, ch'ò nello guance accolta, il confuso crin riroa procella...;

Spande e,

a

temperarne

foggino essi

il

il

tornn-nto, s'invocano gli Anidri percln*

flagell'\

<-ii.-

<1..\ !•.

.•-<.!•-•

1" ,,1

in,.

-i

del supplizio:

Verso

i

giardin di Cijiro

Vezzosetti Amorini,

ali

al voi scioglioto,

odorose;

Dolci viole, morbidette rose.

Con

la tenera

man

quivi cogliete.

innn'iitM

394

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ Tra mille

Che

o mille quelle sol scegliete

nelle foglie appariran pietose...

Quindi un flagel ne

laddove

il

fate...

Giovanetti osserva

galeggiare verso

la

i

colpi e le ferite, per madri-

cortigiana similmente castigata:

E mentre in lei da man nocente e Tempesta di percosse aspra piovea,

ria

Quanti gigli sugli omeri abbattea Quella tempesta, tante rose apria; e per farla infine celebrare dalle

bella martire

E

le

d'amore

innamorate genti come

« la

».

malattie delle donne? Basterà ricordare una delle

molte descrizioni di

salassi, fatta dal

Prese medica man Ove inferma languia

E

Fontanella:

serico laccio. la bella Irena,

quel molle annodò candido braccio.

Che nel

d'Amor l'alme

reiino

Ai zampillar

Mancò

incatena.

di quel sorgente rivo

poco a poco, Tinse un bianco pallor l'ostro nativo...

La

la bella, e dolce, a

civetteria della

donna

è analizzata cosi

da Scipione

Gaetano:

Or arde, or gola: e l'ardor suo comparte Prodiga a mille amanti in mille ardori, Quasi raggio di sol ch'in rai si parte. Fa mill'alme d'un' alma; in mille cori Cangia, infida, un cor solo; ahi, con qual'arte Un amor si divide in tanti amori?

Lo

Stigliani descrive

una

bella,

che

gli

getta un fiore dal

balcone, nascondendosi:

E

gittommi in

ritrarsi

un

fior

In atto che fu studio e parve

dal seno

errore...,

NELLA LIRICA DEL SEICENTO e quella che,

nel giuoco di

l'orecchio:

Ardisci!

aveva

«

»,

una

veglia,

e lascia

395

mormora

gli

spegnere

torcia

la

al-

che

mano:

in

Poi, di terger fìngendo

Nella forbice argentea

il il

lume acceso, seppellio.

Ratto un tacito bacio allor cols'io, Consigliato dall'ombra e audace reso; Si che prima ubbidito ebbi che inteso Quel che dir volse ii mio dolce desio; Che, rallumato il già morto splendore,

La Il

rividi più lieta...

Kovetti preme

Tu

piede alla donna sotto

il

chiedi quel ch'io vogiio

Quando

a

mensa

taior

ti

premo

il

piede?

Ah, che negli occhi ogni tuo sguardo

Sorvoliamo sulle scene dei godimenti. inesauribili,

tavola:

la

specialmente,

I

il

vede!..

marinisti sono

sull'esempio del

maestro, nel

tema dei baci: si ricordi la canzone dei Bacie l'idillio La bruna pastorella. Tutte le forme e modi dei baci sono descritte e celebrate, con una casistica appassionata. K non

solo

i

baci,

ma

altresì

i

morsi

:

Famelica d'amor, l'amato volto Al suo caro Filen Lidia mordea,

E

sovra

il

volto stesso indi piovea

Di baci un nembo affettuoso e folto. Ed ei, che a lei sedendo in braccia accolto, Or baci or morsi ai labbri suoi roniloa, Cosi con voce languida dicen Ver' la bocca bellissima rivolto... E,

come

gli

occhi

i

baci, cosi celebrano in cento

modi

Ir

:

In quell'azzurro

Rassembra

il

sol

il

lascivir

d'un guardo

ne l'onda azzurra e pura;

cliionic e

*^

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

390 dice

il

Bruni, con evidente reminiscenza degli occhi della

tassesca

Armida (la Venere genitrice di Lo stesso Bruni ha un inno

marinisti).

A

voi giro

mio

il

cor,

volgo

tutte le

donne

alle Belle

dei

chiome:

lo stile,

Pi'eziosi legami,

Nembi

d'oro

sottile,

Auree nubi, aurei Il

stami...

Giovanetti canta quelle nere: Chiome, qualor disciolte in foschi errori la fronte vi miro in giù cadenti...

Da Il

Sempronio iperbolizza intorno a una chioma rossa: Tutta amor, tutta scherzo e tutta gioco, Il

suo vermiglio crin Lidia sciogliea,

E uu

diluvio di

fiamme a poco a poco

Sovra l'anima mia piover Il

riso

ha ben

sdolcinate e

altri

facea...

cantori che non

il

Chiabrera nelle sue

Bisogna leggere l'inno

artificiose canzonette.

del Saloraoni: Tu, dolcemente uscendo

Fuor degl'interni Quasi da fosco

E

dolce

un

calli,

ciel

chiaro baleno,

uscio aprendo

Di perle e di coralli M'apri soavemente il coro Gli amanti, talvolta, celebrano S'io miro la S'io

d'amor

mia

il

e

il

seno...

loro affetto concorde:

mi mira; d'amor favella.

ninfa, ella

parlo, essa

S'io rido e scherzo, e scherza e ride anch' ella

Piange

al

mio pianto,

Ella tutta in

me

ai miei sospir sospira...

vive, io tutto in lei;

Io spiro col suo spirto, ella col mio, E,

s'

a

lei

do

tre baci, ella a

me

sei.

NELLA LIRICA DEL SEICENTO Tal'altra,

baci

i

Oh

mescolano con

si

307

le liti:

Dio, che dolci guerre ed aspre pnci

Ebbi con Filli! E, l'una e l'altro sordo Già da le strida, in qualche bacio ingordo Punto facean le nostre lingue audaci... Tal'altra, la bugia viene ad avvelenare l'amore.

cedonio rimprovera in

la

sua amata delle bugie che

Il

Ma-

gli dice,

questo elegante sonetto: Se

Le

'1

petto ha cristallino e mostra fòre

viscere più interne e più celate,

Se nudo è sempre e nulla asconde Amore, Chi fa bugiarda voi, che tanto amate ? Quanto con bocca angelica dettate Scrivo in diamante e serbo in mezzo al core O divina bellezza, or non vogliate Il tempio in cui v'adoro empir d'errore! Acciò che l'alma a voi devota, ed usa A dar incensi al vostro altare adorno,

Che miracoli

tanti or di voi crede,

Non abbandoni

E da

il

un

vostro culto

giorno,

fallaci oracoli delusa,

Perda a

l'idolo suo l'antica fede.

La donna appare una Con immoto In

:

ti

volta preoccupata e chiuda in sé: stai ciglio severo.

te raccolta e nel bel

velo ascosa:

mio dal tuo pensiero. Penso a che pensi, o bella mia pensosa... Ond'io, nascendo

il

Alcuni quadri sono assai delicati come gliani

:

La primavera, dove un

un canto tenerissimo

la

quella volse '1

due dello

il

Sti-

rustico amatore saluta con

sua bella, che esce quasi

tiuio tocco allo spettacolo del

E E

i

mondo viso,

premiò d'un sorriso;

in festa:

a «l.irc l'ul-

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

398

lo stesso e l'altro, Il chiarimento, in cui

con

fica

scitata

amante

si

giusti-

sua bella di una gelosia involontariamente su-

la

:

Cosi parlava l'amator selvaggio,

Quand' ella, alquanto accoltosi la vesta, Ridendo, segui oltre il suo viaggio

Con l'urna

in testa.

Ili

Ma

sensualità non

la

si

aggira soltanto intorno

donna. L'intera natura assume un l'aria,

il

mare,

selve,

le

i

laghi

aspetto amoroso.

sono tutti

alla

Il sole,

sorrisi,

lan-

Ninfa tiberina del Marino, umida sponda del Tevere, ora scherza

guori, carezze, lascivie. Nella la

donna sull'erbosa

ora siede, tendendo

il

piede all'onda che s'avanza e ritrae: d'amor l'onda amorosa.

E, perch'arda

Nudo

le

porge

ai molli baci

il

piede.

terrazzo La donna del Maia-Materdona, spiegando sul scompartita sua casa i bei volumi d'oro della chioma il

gran cappello

di

paglia,

dopo

il

della sotto

lavacro d'imbiondi-

mento, ad asciugarli al sole e ai venti: Questi col

soffio e

que' co' raggi ardenti

Beono, accesi d'amor, l'umor eh' è in loro.

Giovanetti solleva con la candida mano i lembi lago solitario: della veste, per bagnare il bel pie nel

La

Filli del

E

l'onda, ch'era

immota

e taciturna.

Con garrula allegrezza al sen

le balza!

O dorme: Presso un bel rio che de la sponda erbosa, Umido amante, iva baciando i fiori...

NELLA LIRICA DEL SEICENTO L'Achillini ha descrizioni dosi e lascivi », di

pinge e vagheggia

giardini

di

399 ricoveri

«

fron-

una selvetta clie sé stessa nel Ren di un bosco che s'inchina e verdeg«

»,

gia offrendo riposo al pastorello.:

E

l'ombre mie

Tesse col sole

Xel Preti è di

ti

ricama

seggio.

il

un tacito paesaggio alpestre bagna nel ruscello:

la visione di

una ninfa, che

si

e

giurerei che quella rupe amante

I'

È È

la giovinetta foglia

e

di lei fatta di pianto

;

e quella fonte viva

amoroso onda

stillante.

L'Errico descrive con colori caldissimi una

lieta

giornata

estiva: L'aura, che del ballar nobil maestra

Dolce

E

commuove

a vaghe danze

move

seco ora a sinistra, or

Con lunghi

giri

i

i

fiori,

a destra

lascivetti odori

;

dona or toglie, e accorta Di natura comparte almi tesori, L'aura,

De

E

la

'1

e'

verde femiglia è spirto e

ciel

e destra

or

vita,

ridente a vagheggiarla invita.

Nel mare soleggiato

si

bagna una schiera

di

donne

:

Ed in un s'inargenta e in un s'indora Con spume il mar, con sciolte chiome e bionde, E gemiti d'amor mandan talora, Da le tenere palme aperte, l'onde... Posilipo e altri luoghi

ameni sono

descritti

galanteria: il Tirreno bocca de l'onde

Grazioso

Con

la

il

pie

ti

baci;

In quest'acque vivaci Ove danzano ognor ninfe e tritoni,

Ove

fiori li dai,

perle

ti

doni.

con colori

di

400

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

Ma, quel eh 'è notevole,

eontemplazione sensuale

la

si al-

larga talvolta in amore degli spettacoli e degli oggetti naturali

;

e

anche qui

torica,

si

può osservare

che creò allora

con l'arte

la relazione

pit-

paesaggio. Sopratutto, quei poeti

il

furono attirati dall'acqua e dai suoi svariati giuochi; era nel tempo che ornò di fontane fastosissime tutte d'Italia. Descrissero fontane e cascatene, fra

Stigliani,

il

Giovanetti,

Maia,

il

il

altri,

lo

Fontanella, periìno

il

sacro e morale rimatore Matteo Barberino,

Urbano

Vili. Questi ritrae con esattezza

Qui dove sorge Arresta

si

le città

il

gli

futuro papa

un po' fredda

:

volubil onda,

la

passi, o pellegrino, e intento

i

In mille guise

il

bel liquido argento

Mira cader del fonte in su la sponda. S'erge altronde l'umor ch'in copia abbonda, In stille altronde piove; indi non lento Vibrasi in giuso, e quindi in un

momento

Sale e in sé torna, ond'è che in sé s'asconda.

E

mentre or poggia, or cade, o in sé

Talor

spande, or sé

si

Sì d'un in altro

moto

medesmo

si rota,

flede,

trasforma,

si

Che, benché nel cristal mobile immota

Sua sembianza abbia Gh'ognor

Ma

si

il

fonte, l'occhio crede

cangi in varia e nuova forma.

in altri l'acqua vive tutta la propria vita.

netti, se

ne ode

il

Nel Giova-

fragore:

Fùr veduti a la fin da cento bocche Cento fiumi versar gonfi serpenti, E con tal precipizio avvien che fiocche Il

bel diluvio di que' molli argenti.

Che sembra udir da

le

superbe rocche

sonoro ulular de' bronzi ardenti. Ai lieti auguri, al plauso de le linfe.

Il

Eco rispose Il

e risero le ninfe.

Fontanella celebra un ruscello, che in seno

una lacera pietra esce tremante

»

e

al

prato

«

da

s'incorona d'erbe e

NELLA LIRICA DEL SEICENTO di fiori,

ed

è

sempre

4(tl

canto degli uccelli;

allietato dal

si

che dovrebbe dirsi Org'ano de la selva e non ruscello

Celebra

che un amico ha costruito nella sua

la fontaiiina,

casa, descrivendo

il

!

fiume Scbeto, che passa per

Napoli, ne alimenta le fontane, rallegra

la cittji di

bosco del

il

pa-

lazzo reale, finché:

Giunge

al tetto onoi-ato,

Del mio caro Nardillo,

E da piombo

foralo

Prigioniero vagante esce tranquillo,

E

con tremula fuga e dolce suono

Fa

di specchi cadenti

Accanto agli spettacoli dell'arsura.

trono.

acqua, sono quelli del calore e

di

descrizioni possono

Siffatte

rando, nello Zito

un regio

vedersi

anche qui, specialmente,

e,

nel

^fo-

Fonta-

nel

nella:

Cento bocche

Domandando

la terra

pietà,

E

da l'armi del sol Mostra le piaghe al

Son de

E

la terra

i

apre anelante,

venendo meno; trafitta

fior

il

seno,

focosa amante.

ciel,

bocche funeste,

sospiri gli odor, lingue le frondi,

Che per

tante

ammorzar vampe

Pregan che sopra

lor,

celeste

prodiga, inondi.

Tragico il bosco; e '1 monto orrido e solo Funestato ha di polve il crine e il manto...

Per aver nel calor rifugio ahjuanto. Querulo piangoria l'almo ui*ignuo!o; Ma gli manca la voce e muore il pianto.

Piacevano, oltre quelle leggiadre e carezzevoli, sioni violente; i

ma.

in

!<•

intiT

veritA, quei poeti riccrcAVan

più vari aspetti della natura:

il

vent".

la

tenip'

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

402 notte, la luna,

pagna aprica.

la

cam-

un sonetto una

fiera

verno, insieme con la primavera e

il

Il

D'Aquino descrive

in

tempesta: E, fra diluvi e fra tempeste tante,

Con

E il

di

gli infocati

fra le nevi

il

lampi

giel si mesce, fiammeggiante;

il

cielo è

Giovanetti, l'inondazione del Tronto;

Diana

in

il

Rovetti,

il

lago

Nemi:

Placidi sempre in te scherzano

Di greggi ondose Fatto speco

Ma

le tue ninfe

ai pastor,

i

venti,

appaghi,

specchio agli armenti.

quel recinto d'arboscelli vaghi,

Teatro illustre de' tuoi chiari argenti,

Vuol Il

dir che la corona hai tu dei laghi.

Cusano tenta

di

rendere

la

strana impressione di una mu-

sica notturna:

Tu, che fra

profonde

le caligini

Spiri armonia, de la profonda notte

Le dolci pose dolcemente rotte, Che del fiume leteo stillano l'onde. Ben sembri chi di Lete in su le sponde. Fra l'ombre già de le tartaree grotte, Per tifarne le bellezze ivi condotte Sciolse dal mesto cor note gioconde. Ecco arresta

la

Luna

il

moto eterno

;

Stupisce forse, perché un simil canto

Fra Il

Fontanella

campagna

gli orrori ascoltò del

ci



la

nero Averno.

visione di

un convento

:

Poggio dal piano a l'erta, ad ora ad or toccar le stelle Su le cime de' monti altere e belle. Pendo nel mio piacer dubbio ed incerto, E dico, asceso in si sublime loco: « D'arrivar sopra il ciel mi resta poco ».

E parmi

in

piena

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

403

Ivi, mentre respiro Fra due valli mi fermo ombrose e cupe. Ove si sporge fuor diserta rupe SorgQf tempio devoto al elei rimiro, Aula sacra di Dio, ch'infonde al petto, Riverenza, stupor, tema e diletto.

Santo e romito stuolo,

C'ha

di cenere sparsa ispide vesti.

Spira qui con silenzio aure celesti.

Ricco di povertà, solingo e

Ha

d'irsute ritorte

Scalzo

il

il

pie, rozzo

solo,

fianco avvolto,

manto

il

magro

e

il

volto.

Insieme con questi aspetti del paesaggio, entrano nella poesia descrizioni di piante e di animali:

Sopra trono

il

melograno, che

:

di frondi

Regge popol minuto, Di vermigli granelli orbi giocondi...; il

garofano, che sdegna la plebe dei

supremi balconi da mani mare, dove sorge tura

»,

che

il

il

di

corallo,

donna; «

di

fiori

e ha cultura nei

le collinette fiurite del

magico sangue alma

nuotatore schianta,

noi trarlo fuori

e.

l'acqua, rimane dubbii» s'è pietra o pianta; la i>erla

mellino;

il

;

fat-

dell'er-

pappagallo: Mira come ha leggiadro

il

curvo rostro,

Come liscia la piuma e terso il vello; Ha manto di smeraldo e bocca d'ostro,

E il

pavone,

cinto

>,

ridice taior quant'io favello...

il

Il

il

quah-

d'un

pennuto gemmaio

;i(l(inin

apre l'occhiuta coda alia vista di una bella

donna

e :

suo occhiuto spiegò cielo rotante;

cavallo, di cui la gente s'affolla ad aniniir.irc

Tuona

il

nitrito e la ferrata

zampa

Sparge delle" faville i lampi intorno, E pur selce non tocca, orma non stampa...:

h-

^•o^^^e:

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

404 il

montone, sul cui capo è stata posta una ghirlanda:

E

perch'ella è tropp'alta,

Erge

La la

il

grifo e s'affanna e par

che gira intorno

farfalla,

che

tenti

stessa fronte sua giunger co' denti;

lume:

al

Dell'aure agli urti inestinguibil face

In cavo vetro imprigionata splende;

La

cui luce a goder veloce stende

Semplicetta farfalla

Ma

di quel

lume

Quel fragil muro

ai

volo audace.

il

rai,

i

per cui

si sface,

suoi desii contende;

Pur, vaga de l'ardor'che

'1

cor le accende.

Vola, riede, s'aggira e non ha pace...; la cicala:

O

rauca,

Stridola,

De

la

si,

ma rara, ma cara.

si,

dea biondeggiante

Messaggera volante,

De

la stagion

più fruttuosa e calda.

Canora insieme

e strepitosa aralda.

Sembri una tromba agreste Che richiami e che déste Del rustico guerriero Il braccio adusto e nero, A far col ferro suo torto ed acuto Strage nel biondo esercito granuto...

Vi entrano altresì descrizioni di oggetti l'orologio,

il

pallone, la galea;

e

artificiali,

come

quella delle girandole,

che fanno coi loro scherzi di faoco riscontro agli scherzi

d'acqua delle fontane. E,

come

la

donna amata

che abbiamo accennato, sono

ritratti gli

tatrice:

cosi,

è

ritratta nelle

con

la

varie fogge

medesima

vivacità,

atteggiamenti di uomini e donne. La can-

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

E

quasi un rio corrente,

Qui mormorar appena,

Là gemer altamente Tu l'odi in nota piena; Qui gir quieta

e placida l'ammiri,

Là gorgogliar con tortuosi Né nuda spada in mano

giri.

Di snello schermidore Girò mai per lo vano

Con

E

si

si

presto splendore,

ratta e si lieve e si veloce,

Quanto

La

la bella e delicata voce...

saltatrice

China a un tempo

Con

E

posando

Poi

il

ginocchio e l'aurea testa

bell'atto soave, la

danza ergesi grave;

spicca in un salto agile e desta,

si

Che leggiero nel voi s'erge tant'alto Che dubbioso non sai s'è volo o salto. Ya, con breve ed armonico intervallo Regolato da l'arte, Or da la manca or da la dritta parte. Fugge e rompe la fuga in mezzo al ballo,

E La

ne r ordine suo mutando gioco, credi in uno ed è in un altro loco.

La danzatrice

di corda:

Corre Clorinda in sui ritorti lini Qual per l'aereo vie stella cadente, E formano un meandro aureo lucente. Agitati dall'auro,

i

suoi bei

crini...

La ricamatrice; Su

la rosa gentile,

Ch'animata Il

di fuor le ride in bocca,

bell'ago sottile

Pensosetta talor leggiadra incocca; Ed in quell'atto insidiosa e vaga, Sagittaria d'amor, gli animi impiaga.

405

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

406

Talor, col puro deute, Per aggiunger un fil, l'altro recide; E, qual Parca innocente, Lo stame ancor de la mia vita incide...

La donna bratta La

A

e ingioiellata, quasi

onde

perla,

nuova Gabiina:

bocca orba notteggia,

la

l'orecchia plebea quasi per scherno

Pende, ed intorno al nero collo albeggia.,.

La

vecchiaia, nelle parole

di

un poeta novantenne,

Gio-

vanni Canale:

L'uom

ch'ai volto ha le rughe, al crin la neve,

Incurvato dagli anni è reso un gioco;

Trema

nel pie, che

Da un

leg'no aitato, e

passo ha lento e breve,

'1

non mai giunge

al loco.

L'offende lo spirar d'un' aria lieve,

E

nel più estivo ardore a grado

ha

il

foco;

parlar gli è noia greve,

Il tacer, il

Poco intende e '1 suo dir è inteso poco. Nel suo freddo rigor l'ira l'accende, Ogni lungo ijiacer l'infastidisce; Nulla gli piace e ad ogni cosa attende...

IV Questo realismo, degli spettacoli '^ alla pittura del

per meglio dire, la rappresentazione

o,

tristi

o grotteschi,

tempo; e comune

neppure era sconosciuto altresì alle

tive e alla letteratura era l'attrattiva per logici.

un

Abbondarono,

intero

recente antologia \

1

infatti,

volume dette il

arti

figura-

soggetti mito-

gl'idilli mitologici, dei quali

Marino. Opportunamente,

in

una

sonetto del Marino: TrasfoTmazione

Eugenia Levi, Lirica

renze, 1909), pp. 346-7,

il

i

italiana

nel Cinquecento e nel

Seicento (Fi-

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

407

Dafne in lauro viene illustrato dal marmo del Bernini. Sembra di vedere atteggiamenti di gruppi scultori, nell'idillio dello stesso Marino: Europa: di

Sbigottita, tremante e già pentita D'aver sé stessa al mentitor creduta, Di quel celeste adultero fugace La giovane gentile il tergo preme.

Con

la sinistra

mano

,

corno attiensi,

al

L'altra stende alla groppa e talor anco

De

gonna alza

la lubrica

e raccorcia

dover la rugiadosa falda; Talor per non cader, per non bagnarsi. L'ignuda piante in sé ristretta accoglie... Oltre

il

Sullo Stesso argomento ha un sonetto Rapita Europa,

Che passeggia le Col diadema real

E

Fra divino

altro

Non

nuotator cornuto.

di

gemme

adorno

loquace e muto,

ch'altrui fa ingiuria e scorno:

temer, dea terrena; attienti al corno, in

me, duro ed acuto

».

rapimento mitologico, dipinto da Guido Reni,

cosi tradotto in

E I

Lo

:

sfere intorno intorno

e ferin,

lei,

Che spuntar vedi

Un

Bruni

di fìanunelle lucide intessuto.

Sì parla a «

il

il

duo versi da un poeta

:

discioglie la vergine rapita

gridi al ciel, le trecce all'aura invano...

Zito ritrae gli amori della

Era

Luna con Hndimiono:

la notte e in florida collina

Endimione; magione

Gli occhi avea dati al sonno

Lo scorge Degli astri

Suo

dalla splendida la

bellissima regina...

gel natio trasforma in foco

Amore.

è

408

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ E, per continuare nei paragoni, ricordano ritratti

del

tempo certe descrizioni di giovani, di guerrieri, di stratori, che hanno tutti qualcosa di effemminato nella

giobel-

lezza e negli atteggiamenti. L'ideale virile oscillava tra

il

Rinaldo tassesco e l'Adone mariniano; come per l'appunto si

trova in un

sonetto

Canale,

del

Ascanio Pignatelli, scrive

il

quale, lodando un

:

Che, di Marte e d'Adon chiaro campione, S'hai d'Amore e di Marte

il

Tu

l'Adone.

saresti

Rinaldo

il

e tu

il

E



lo

«

bel volto

»

spesso l'Alpe

di lui

fai,

Mentre rosseggian

le

Imitar gentilmente

il

dimentica nell 'elogiare

11

te sol

di Savoia,

sangue involto.

di

sue bianche brine, tuo bel volto

il

;

suo amico e poeta Arrigoni: il

capo avvolto,

darà di sacro alloro.

l'altra, di raggi,

hai nel bel volto.

Maia-Materdona descrive cosi un giocatore

y

non

:

L'alta corona, end' egli ha

Febo a Perché

vanto,

il

Tommaso

L' Errico, cantando le vittorie di

dimentica

pregio e

di pallone

:

Ignudo il petto alabastrino e bello. Se non quanto il copriva un lino adorno, Per temprar con bel gioco il lungo giorno Formava Ascanio mio nobil duello. Battea con picciol globo i sassi, e quello Scacciava al salto, e s'a lui fea ritorno, Correa, lo dibattea,

lo

fea d'intorno

Girar, volar, quasi fugato augello...

Infine, le figure di santi sono proprio le

quadri sacri del tempo. Maggior campo

medesime dei

alle

descrizioni

ti/

lascive

sotto

pretesto

dalla Maddalena.

Il

devoto è

offerto,

com'è naturale,

Pona, nella sua Galleria,

la ritrae nel-

NELLA LIRICA DEL SEICENTO l'ebbrezza di una vita tutta amori:

401*

E Maddalena,

x

^guar-

dinga nel primo incontro e tremante nel commettersi

al

peccato, licenziosa poi addivenne in maniera che in faccia al

sole

non

vergognava

si

peccare. Ella era

di

spettacolo di Gerusalemme, la cui

Magdalo, come concorrono

Prezzo non allettava il

non

diletto e

andando

il

i

proprio inerito, mentre

gran torma

»

\

si

vedeva seguita

santa peccatrice ispirava di solito: portata di terra in cielo Quel biondo

da

il

motivo

che

lirico

la

lusinga amorosa, tras-

la

:

criu, ch'in dolci

Fregiò di perle, or fra

le

nodi accolto

brine e

'1

gelo

omeri porta ispido, incolto: armata di verace zelo,

gli

cosi,

Serena il core e nubiloso il Se già l'alme rapia, rapisce la

Maddalena

si

dea della mitologia, da Citerea Prima

e inchinata

Battista ne fa piangere la moriu

Il

dell'amante Filocrate. Nel Paoli, ò

Nel Fontanella,

ratto anzi,

nella moltitudine degli amanti, misurava

il

E

libere.

alle fiere

Né più travagliava l'animo mondo risapeisse suoi falli: clié

si

Sovra

lo

che s'era fatto Dio

la ricca giovine,

l'utile.

nelle lascivie che festosa

mercatanti

i

fatta

gioventù concorreva a

tra lussi in

volto, il

Cielo.

trasforma da una in

in altra

Diana:

maestà seduta

Mille ricche vedca cortine intorno;

Or mira entro selvaggio ermo soggiorno Con frondosi ricami edra intessuta... Ov'era Citerea, sembra Diana. In un sonetto del Sempronio, ò mostrata ai piedi di

che sono

1

Ed.

i

piedi,

cit.,

non già

pp. 150-1.

di

un Dio,

ma

di

un

br-l

(tcsiì.

giovati'

:

^v4

^c^

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

410

Oggi a

x-'

Piego

X

Non

si

e

divino.

il

il

le

piante tue candide e belle,

sen, gli occhi abbasso, inchino

viso...

il

provava alcuna ripugnanza nel mescolare

Le

il

profano

vite dei santi, scritte in istile secentesco,

ne sono documento. L'Achillini, componendo un sonetto per

una donna già da lui posseduta e che si era resa monaca, non trovava di meglio da dire se non che il cuore di lei

:

se a' miei desir nulla contese,

Or nulla ancora

suo Fattor contende;

al

parificando sé e Dio nel godimento della

Almeno

il

medesima donna!

Quirini canta non senza ironia una principessa

dopo vita

italiana, che,

Oh

amori, era entrata in monistero:

di

di mentita fé perfido zelo!

Chiude

i leggiadri angelici sembianti Entro ruvidi panni e rozzo velo; Per far. Circe d'amor, con novi incanti, Inamorar di sue bellezze il cielo.

Sazia del fasto de' terreni amanti.

S'incontrano anche, nei versi dei santi isterici, nell'estasi d'amore, sisi

lirici

del Seicento,

i

come san Francesco d'As-

:

Godea, rapito

al ciel,

Francesco, acceso

E Da

il

languido amante,

cor d'ardente zelo,

parea, sospiroso ed anelante. le

rupi d'Alvernia alzarsi al

E, da canto, gli sorge

solito angelo,

il

a un amorino mitologico

cielo...

che somiglia assai

:

Quando in mezzo al rigor, fra l'ombra e Cherubin luminoso e sfavillante. Che stampa in lui come in purgato velo L'immagine di Dio viva e spirante...

il

gelo,

Quest'altra scena è degna del Domenichino o del Ribera: la

morte del beato Giovanni

di Dio:

1

NELLA LIRICA DEL SEICENTO Angoscioso, anelante, in rozzo

Su l'estrema agonia Giovanni Sostenendo la croce in mezzo

411

letto.

accolto, al inetto,

Sta con gli occhi e con l'alma in Dio rivolto; E, mentre fuor del tramortito aspetto il freddo sudor da morte sciolto, Trova Maria, che con amico affetto

Piove

Li sostiene la fronte e asciuga

Soave

C'è un brano

sua morte

è di

volto.

il

e dolce l'ora...

una lettera di Claudio Achillini, ch'i? stato citato talvolta come esempio di goffaggine secentesca; ^ e a me sembra significativo di questo carattere pittorico, assunto dalla letteratura del tempo. Vi si descrive un predi

dicatore cappuccino,

quale

il

«

predica Cristo crocetisso

con tanta energia e con tanta pietà,

e

riprende con lant<>v

ardimento e con tanta forza che tutto l'uditorio ogni mattina a termini di mortale agonia l'Achillini)

«

è

cosi

*.

macilento, confitto

si

riduce

Egli (scrive e

sepolta

si vede dentro a' e non si ode che una larva agitata che sgrida, un capuccio clie atterrisce, uiì mantello vocale, un acceso fuoco che scintilla fuori delle ceneri, una nuvola bigia che tuona spaventi, una penitenza spirante, un sacco di querele che riversa addosso peccatori > i. E confesso clie a me questo l)rano vuol

panni, che a pena

si

vede, anzi non

i

parere non solamente signitìcativo,

Quel che poi

si

è

chiamato

il

ma

bello.

pittoresco romantico com-

pare già nel Seicento. Continuando a sfogliare le pagine del Pona, c'imbattiamo in periodi, che potrebberi stare in

un romanzo, di

Giove:

<

p. e., del

Guerrazzi. Leda ascolta

Parca Leda

la

combattuta dalla vioh-nza

*

Rime

e

le

lusinghe.^

sommit;\ di un giovane pino,

di du«' venti,

eh'oi-.'i

prose ^ed. di Venezia, 1662}, pp. 299-8UL

la

iiiry^aii"

-^

412

.SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

a questa or a quella parte, mentre re

ma

temea

straniero,

ramide

appunto dove

lo

un punto

dell'arco:

destinava l'occhio e la mano. Ma, nel

dirle.... ».

tridate, sente nelle sue viscere

Se ne rallegrò e bella

fosse

gli fisse in volto del

mezza ridente, quasi lo provocasse ad applauLa fida Ipsicratea, avvelenatasi insieme con Mi-

cavaliere,

«

Semi-

«

lumi dal segno, Semiramide

i

preda ad amante

in

e confidava ».

Lo strale al par del fendendo l'aria, va e s'imprime là

nella gara

tira

vento veloce e lieve, girare

in



\

»

i

primi

ma come

rise;

del veleno:

effetti

riderebbe la Morte, se

Nelle InstahiUtà dell' ingegno

del Bri-

gnole-Sale-, libro di giuochi, canti e novelle, le quattro

donne che fanno parte dell'allegra brigata, sono figure nuove rispetto alle descrizioni femminili dei secoli anteriori. Cla-

ha una

rice

languidezza di moti

«

»

;

nel suo volto

«

perfettis-

simo, benché non tondo, gli occhi erano sparsi d'una scura

modestia, proteggevan si

che suoi

labra una bianchissima egualità

le

brosa ventura, ed ella sapeva di tempre formarli che

il

aveva uno

rando

«

e,

»,

«

».

spirito

».

candida, tutta tenera: tenera di maniere.

ma

occhi, rideale ori sopra

Oltre

1

2

i

Ed.

i

amazonio

Non

L'Aurilla

«

potevi

piacevo-

»

;

«

comandava mi-

era tutta cara, tutta

Il

membra,

mirarla senza rimembrar

riso in lei era

proprio,

non

della persona. Rideanle begli azzurri negli

bel latte sopra le guance, ridevanle

capelli, ridevale bel brio

pp. 16, 62, 142.

Bologna, per Monti e Zenero, 1635.

begli

per ogni parte....

tanti versi dedicati a descrivere

cit.,

la

Felicita, invece, butterata dal

tenera d'anni, tenera di

gelsomini foderati di rose. della bocca,

meravigliose

quasi soldato d'esperienza, portava in volto

minutissime cicatrici

V

si

contegno respirava nel vezzo,

lezza adulava la gravità vaiuolo,

;

bastavan per far candida qualunque tene-

risi

».

opere d'arte nei

NELLA LIRICA DKL SEICENTO canzonieri del Seicento, in prosa; e

si

lianno

413

pittoresche

descrizioni

Brignole-Sale offre quella di un quadro del

il

Sarzana, la Rete di Vulcano, dove

vede

si

pieno

il

affia-

tamento tra parola e pennello, che gareggiano tra loro lussurie

in

^

Altre corde, fuori di queste sensuali, non vibrano, o vi-

brano debolmente, negli notato, di religione

si

scrittori

di allora. Se,

scrive molto,

come

si

è

sente ben poco: la

si

un divenire, ma un divenuto, un ricordo nella memoria, che fa pensare alla necessità di atti religione

di

non

è più

contrizione e propiziazione.

vanno

oltre

gemito e

il

Il

dolore e

spavento

lo

qualche espressione di sentimento

tìsico.

E

che

etico,

la

morte non^'

raro trovai'e stia alla pari,

per energia, con l'espressione del godimento sensuale. Del

Marino appena

si

può citare qualche passo (ma solamente

qualche passo) della canzone per del

sonetto

per

la

morte della madre o

decapitato. Nello

l'amico

qualche accento di nobile orgoglio per sacrata all'arte, e di gli

conceda

di

Stigliani, c'è

la propria vita con-

commossa invocazione perché Iddio

dar termine

ria. NelI'AchilIini, nel

al lavoro dal

quale spera

Battista e in qualche

altro

la glosi

sen-

tono accenti di amore per la semplice vita dei campi, e di spregio per le ambizioni

teneramente a un amico air università di

mondane.

Il

Sempronio ricorda

tempi della loro gaia gioventù

i

Bologna. In parecchi, e sopra

tutti

in

Giuseppe Battista, vi hanno poesie morali, che sono per

non direttamente dalle situazioni e commozioni della vita; onde tengono della poesia dottrinale e sentenziosa. E non sono rari altro piuttosto ispirate dalla filosofia che

i

poeti che presentano

donne

del tipo direttamente opposto

a quello della Clarina del Berchet, e cioè che distolgono gli

uomini dalla guerra,

1

Op.

cit.,

pp. 223-7,

col

dir loro

('(.ino

.miH.i

dolio

414

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

Zito

:

«

Li miei baci sien trombe, agone

come quella

gio ancora, al

di

marito che va in guerra contro

rai nel

corna

»:

tuo

trionfo



il

letto

»

;

o,

peg-

Lorenzo Casaburi, minacciante turchi:

i

porte-

«

ottomana ambo le non sono rari, si trovano,

altero Della luna

pensieri

se questi

per altro, di tanto in tanto, anche parole robuste di amor patrio, specie tra

i

poeti genovesi

poeta-guerriero, che a lungo

e

i

veneti, e in quel

navigò e combattette sulle

galee di Malta, Ciro di Pers: Deh, turbi ornai questo

vii ozio

Straniero Marte, e sia beato

Ma anche

i

politici e patrioti

con sentenze generali

e,

;

del

il

indegno

danno

facilmente

I

si

esprimevano

resto, qui è proprio

di ripetere che l'eccezione, se mai,

conferma

il

caso

la regola.

V ^

La regola

è

quella visione sensuale, che abbiamo ab-

bozzata prendendone piccoli brani

che

ci

gli

elementi dai vari poeti; e già dai occorso

è

riferire,

si

sarà

come assai sovente, in quella cerchia, si toccasse Lo Stigliani, il Macedonio, il Della Valle, il Paoli, vanetti, il Sempronio, il Salomoni, il Quirini hanno e

canzoni

quasi

perfette.

veduto l'arte. il

Gio-

sonetti

Girolamo Fontanella, rimasto

ignoto finora, menzionato solo da qualche bibliografo e da

nessun critico e storico

;

il

Fontanella, un poeta di Reggio

Emilia, che visse in Napoli; se fosse corretto e sobrio quanto è fresco e vivace, sarebbe

il

e superiore d'assai allo stesso

più notevole tra

natura e degli oggetti naturali. lirici

Ma

del Seicento di rado giungono,

negligenza da mestieranti,

ma

i

marinisti

Marino come cantore della alla perfezione

non

solo per

vera

i

una certa

sopratutto perché quell'arte

I

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

415

verme

sensuale, e potente in siffatta ispirazione, ha un

ro-

^

ditore: l'ingegnosità.

modo

L' ingegnosità danneggia in duplice zioni dei marinisti, attaccando ora

nismo

— Xei

di esse.

composi-

le

particolari ora l'orga-

i

particolari introduce

una fraseologia

pedantesca e vuota, che raffredda nel bel mezzo dei più caldi colori

e questo è

;

è,

quando, offre

un

svolgimento, che dà un'apparenza di compiutezza

al-

sostituendosi folso

minor male. Maggiore

il

allo

svolgimento intimo del tema,

rimane vuota. Due esempì basteranno a chiarire questo doppio danno, che si osserva in molte com-

l'opera, la quale

posizioni poetiche di allora, ricche di tratti belli o splen-

didamente a

iniziantisi.

un angolo

II

Bruni esprime cosi che fu già

di giardino,

il

la

sua visita

luogo dei suoi amori:

Sotto l'ombre di quelle edre tenaci,

Che l'olmo han con più viti avvolto e cinto, La mia vita al mio cor temprò le faci, Con lei seno con sen, qual'edra, avvinto;

dove offende l'opacità del giuoco «

vita

e del

»

«

temprar

semplici tocchi con cui e

i

due amanti

si

core

», in

«

viti

»

e

confronto coi

rappresenta l'aspetto delle piante

tra

stretti

di parola tra

le faci al

loro,

«

seno con seno

".

Con-

tinua:

Di due guance godei l'ostro non fìnto. Qui dov'aprono i fior gli ostri veraci; S'udì confuso almeno, ov'or distinto

È La

il

suon de l'aure,

il

mormorio

de' baci.

sola impressione poetica, che è quella del silenzio,

ri-

pieno ora solo dal movimento dell'aura, e rotto un tempo dal «

mormorio

guance

guance

:^

»

e

dei i

«

baci, fiori

»,

guastata dal paragone tra

è

e gli « ostri veraci

è bella per

le

anzi tra r« ostro non finto delle

immediatezza,

e

»

dei fiori.

può

La prima

dirsi perfetta:

terzina

>/

416

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

Rimembro ancor cou amorosa arsura guardo e '1 riso altrui, molle e lascivo, Nel tremolo seren de l'aria pura.

Il

Ma

la

seconda termina

il

sonetto con un concettino

Lasso, e mentre son

De Il

vedovo

io

e

:

privo

d'amore, al cor figura

le gioie

fugace mio ben fugace un

L'altro esempio, che mostra

il

rivo.

penetrare più addentro di

questo verme roditore, può essere offerto dal sonetto del

Fontanella su san Francesco d'Assisi; sonetto del quale

abbiamo recato

di

Ma

sopra

(p.

410) le due efficaci

quartine

ha avuto innanzi quella scena, senza che essa abbia suggerito cosa alcuna al suo animo; descrittive.

il

poeta

onde continua straccamente nelle terzine: Ben

del

sommo

Pittor mostra

i

disegni

Chi, per l'uomo salvar, mostrò nel

mondo

Tanti esempì di vita illustri e degni.

Dovuto a lui fu tanto onor giocondo Dovea portar de la salute i segni Chi fu de l'uomo

il

:

Redentor secondo.

Senza dubbio, l'ingegnosità può diventare elemento

V

di

poesia; ma, perché tale diventi, deve essere assorbita, ossia ci

superata e negata nella sua particolare esistenza.

fermeremo

sul

caso, ben

gata direttamente, mercé la parodia, come fece nei suoi

Amori

giocosi,

e,

Non

ovvio, in cui essa venga ne-

meglio assai,

il

lo Stigliani

poeta dialettale

napoletano Filippo Sgruttendio nella sua Tiorba a taccone

Ma noteremo

quello in cui l'ingegnosità è

'.

come avvivata,

allietata e ironizzata dalla disposizione gioiosa dell'animo; il

che accade sopratutto nel colloquio d'amore, dove l'iper-

bole, l'equivoco,

1

Si

il

gioco di parole stanno al loro posto.

veda in questo

voi., pp. 38-41.

La

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

417

galanteria è tutta un tessuto d' ingegnosità, che sono espressioni schiette di sentimento in

quanto vengono pronunziat*:>

leggermente, senza pretesa d'ingannare nessuno, col solo fine di

solleticare

tatrice, la

amabilmente

l'ascoltatore, anzi

l'ascol-

quale intende quelle parole, non nel loro signi-

ma nell'altro che assumono come simbolo un sentimento vivace. Per questa ragione, i canti po-

ficato materiale,

di

polari

d'amore riboccano d'ingegnosità

Anche

nei

lirici

e sottigliezze.

marinisti ciò accade, e nessuno potn^

prendere scandalo dell'accumulamento di metafore con cui loda la pozzetta delle guance, nel sonetto del Giovanetti:

si

campo alpino, mezzo ai fiori volto almo e divino;

Direi valle di gigli in

Direi cave di nevi in

Quelle fosse sul

o

il

neo, in quello del Bruni:

Con

Come

si

bel neo, cred'io,

voUer

gli

Amori,

in Menfì solea fabro ingegnoso,

Segnar nel bel tuo volto i propri ardori, Qual con strano carattere amoroso: e nell'altro dello Zazzaroni: Sotto la guancia, ove rosseggia il fiore, Vezzoso splende in compagnia del riso: Atomo sembra in quel sembiante assiso Per far centro di gloria al dio d'amore.

Sorse in quel

cielo, e seco

alba novella

In due luci spuntò, quand'ei defunto

Al doppio o

i

capelli

sol languia, picciola stella...

biondi che

sonetto dell'Achillini Tra

i

La mia

si

spargono

sul

petto ignudi >,

:

due mammelle Giunon veggio destare

vivi scogli de le

bella

Dal suo crinito Prodighe d'oro

ciel

piogge e procelle.

e di salute avare...

n.-l

^

418

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

Nessuno biasimerà

Cusano celebra

O O

la sottigliezza

tre belle

belle parche al

mio stame

vitale,

separato Gerion d'amore,

mio core

tridente gentil che nel

Puoi con il

galante, con cui Biagio

donne:

tre

punte aprir piaga immortale...

gioco di parole dello stesso poeta nel sonetto sulla sua

donna che va a Roma {Roma- Amor)

E Roma,

dolcemente arsa

:

baleno

al

Di tua beltà cosi leggiadra e pura,

Quel che porta nel nome avrà nel seno.

Nessuno troverà nifesta la

godere

brama

artiticioso

il

modo

in cui

il

Salomoni ma-

di sentire centuplicate le forze

per meglio

:

Bramo

in

Argo novello esser

rivolto,

Di farmi un Briareo sarei contento, '1 volto de la Fama aver nel volto; Per mirar te con cento lumi intento, Per serbar te con cento braccia accolto, Per poterti baciar con bocche cento

E

I

Che

è proprio

l'andamento

di

un canto popolare. E a un

canto popolare a dirittura sembra far eco Giuseppe Battista in

uno dei sonetti

sul suo soggiorno in villa:

Dall'isola di Circe usciva

E

quanto allor per

Di questo

mondo

le

il

sole,

sue vie toccava

in su la bassa mole,

Fatto novello Mida, egli dorava.

Alla greggia lanosa intanto Iole 1 velli

E

canutissimi tosava,

di calte la fronte e di viole

Alla plebe tosata indi fregiava.

Cantò fra

le

fatiche e disse:

«

Oh

fiori,

Allegrezza degli alberi ramosi!

Oh

poeti del bosco, augei canori!...

».

NELLA LIRICA DEL SEICENTO Poi,

miraudomi, tacque. Ed

419

io risposi:

Oh cibo delle orecchie, inni sonori! Oh degli occhi armonia, sguardi amorosi!... «

».

Cosi anche le litanie, in cui uno stesso oggetto è defi-

modi più vari, con ingegnosi paragoni, diventano artistiche, quando hanno codesta intonazione leggiera nito nei

come,

di accenti, culla le saette

vaga del

riso, cella d'odori,

;

fabbra

arco che ha

di avorio, cancello di coralli e perle, fresca rosa

animata, porta

gemmata

grazie, teatro

dove giostra

— litania, che

termina, quasi a chiedere

mane



Fontanella alla bocca:

p. e., nell'ode del

del palagio d'amore, chiostro delle la

lingua, eccetera eccetera;

prezzo dell'im-

il

sforzo compiuto nell'escogltare tanti e cosi bizzarri

paragoni

metafore

e

:

Or ch'in rime ho

La

tua gloria e

tessuto

tuo vanto.

'1

Bocca bella e gentil, baciami intanto Sia premio il bacio al mio cantar dovuto La mercede a la bocca e '1 premio tocca. !

Che

lodò,

che cantò

te,

;

bella bocca.

Questo avvivamento artistico dell'ingegnosità accade assai spesso nella poesia e prosa

"^e tiene conto, non

verso di essa, ingiusto. del

tici

Il

di

Bouhours, che fu tra

essa poteva piacere intesa in

burlesco, e considerata si

e chi

;

non

primi

i

cri-

concettismo, osservava di una poesia del Saint-

Amand, che che

Seicento

del

riesce a sentire quell'arte e diventa,

come uno

di

'luoi

portano nelle mascherate e nei

modo comico

festini

e

diamanti

falsi

e

'

;

il

Saift

un sonetto del Marino, lodato dal Giuratori < Jc ne pas qu'il ait pa trouver quelque mf'rite daus ce son- w :

congois

à ìnoins qu'il ne

net,

1

l'ait

Manière de bien penser

nelle Considerazioni dell' Orsi

considéré

dam

.ci

kulick

(Modena,

camme une

-t

fr^/n'

^1<'JÌ.

1735^, I, p. 12.

plaisante-

,

u.ii. iiul.,

420

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

rie épigrnìnìnatique »

matici hanno anche

tenda

V Ma,

farli

^ Falsi diamanti e scherzi epigram-

quando non

s'in-

passare per diamanti buoni e per detti

seri.

il

loro uso artistico,

questa forma, l'ingegnosità non è diversa dalla

in

sensualità, con la quale

me

abbraccia o

si

accompag^na co-

si

pompa

ancella, concorrendo alla sua

sfoggiante.

VI Salvo quest'uso galante, che può riuscire grazioso, l'ingegnosità, per sé

come

considerata, rimane,

stessa

detto, cosa estranea

si

all'arte; e, anzi, allorché viene

è

pre-

sentata con pretesa di seria espressione artistica, è la nega-

zione dell'arte, è bruttezza repugnante. Può bene

grave

farsi

care con lo sforzo di tutto e d' indurlo a zioni".

zione

poeta

il

in volto, inarcar le ciglia, gonfiar le gote, ceril

suo essere d' imporsi

commoversi con

Non vi riesce, perché solo commuove, solo il cuore

al lettore

più ingegnose combina-

le

ciò che nasce

da commo-

parla al cuore;

combinazioni ingegnose sono prodotto

e

quelle

freddo artificio

di

pratico.

Francesco Balducci non intende certamente scherzare protomartire

col

santo

Pio

Stefano.

cristiano,

durre un sentimento di ammirazione per

primo sparse

il

ha l'animo vuoto, il

particolare del

Stefano della

Le la

«

:

la

e,

lapidazione

via di

Hist.

la

fede

di

vuol

di ;

e, »,

che scagliavano

Cristo.

Ma

sui>plizio

d' Italie,

egli

onde fu ucciso santo

nella stessa memoria, le frasi e della i

«

porta del paradiso

carnefici

di santo

XIV,

p.

».

Stefano e

salvazione, quelle pietre e la ideale porta

litt.

in-

giovinetto che

cambio, trova nella sua memoria

in

modo

via di salvazione

pietre,

1

sangue per

il

del

154.

Il

NELLA LIRICA DEL SEICENTO paradiso,

escludono nella commossa fantasia, non avendo

si

akun intimo

nesso.

Ma

Balducci,

il

che ne scatti una scintilla:

tre e la via di salvazione

Il

non

clic

violentemente

dire, le afferra e le fa urtare altre, si

\2l

l'

lia

le

altro «la

une con

le

ingegnositA. Le pie-'

:

Perché l'umano pie mai non travie, mal noto camin selciar s'è visto

De

le tue pietre; e

quindi

al

gran conquisto

Dirizzar l'orme poi l'anime pie.

Le pietre

e la porta del paradiso Oli

:

quanto agli empi onde ne cadi auciso, nemica mano

Stefan, dèi tu; se la

T'apre, a colpi di pietre,

Giuseppe Salomoiii, che vede tenero complimento col

un

icca

sua donna, assisi sul-

la

mangiare fragole, forma graziosamente

e intenta a

l'erba

paradiso!

il

paragone

tra

le

fnijr-'le

e la

:

cagion de

bui.ca, alta

Quanto somigli Di cui pascer

il

le

mie

faci,

cibo delicato,

te stessa or

ti

compinci!

De le fraghe hai l'odor ned dolce fiato, De le fraghe il sapor ne' cari baci. Do le fraghe l'odor sul labbro amato!

Ma

Salomoni non su cesa dire intorno a

Io st<'sso

prende a lodare Dio e lo

ò

in

provvidenza

un

altro

premia, e venendogli

cavaliere

nel

un raffronto

fra

il

in

Dio e è nel

il

'1

e,

i

suoi

il

mondo un

e lo punisce

medesimo

cavalli,

corridore umano,

cavalior che l'ammaestra è Dio, si

the

ricordando che

educa

cavalier*-

Che, se talvolta egli

Co

lo

mento che

domarci e guidare

Luomo E

sonetto;

l'uomo e

e j^uida

IMi»,

fa restio.

pie lo spinge in corso e con la mano.

fa

il

siiilijlisce

422

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

E

se taìor, precipitoso, insano,

S'avventa ove 'l trasporta il suo desio, Con duro fren, che di sua mano ordio, Dal mortai precipizio il tien lontano. E, se superbo calcitra e sdegnoso, Stancandolo per strade alpestri e felle Nel maneggio si fa pili rigoroso. Se poi gli scorge alfin sue voglie ancelle,

E

corre seco al

ciel, gli dà, pietoso,

Biade d'eternità, E, al pari

stalle di stelle.

Salomon!, Giuseppe Artale, per lodare

del

la

salvazione del buon ladrone, non sa ricordarsi se non del

mestiere che costui faceva

Rapace

:

corporeo velo

l'altro, e dal

è

un

Pria che l'anima uscisse, egli ad

Ruba a

un sospiro

costui con

Certo, anche in argomenti sacri

tratto

cielo.

il

può aver luogo

lo

stile

concettoso ed essere assorbito nel sentimento totale che spira dentro l'opera. Di ciò

hanno esempì, per non

si

letteratura

nell'antica

altro,

ma

cristiana;

dir

osserva-

tale

zione conferma soltanto l'erroneità di quei modi di critica

pretendono

che

studiare e valutare lo stile in astratto,

staccandolo dall'insieme cui appartiene

i

Per questa via

a quella dei I

è

si

'.

Il

sentimento re-

potuto ravvicinare la letteratura secentistica

23adri della Chiesa,

che

offre

una somiglianza

superficiale.

mistici sono pieni di forme, che, staccate dal complesso

e

private

della loro anima, potrebbero entrare negli erbari degli studiosi di stilistica secentesca.

E può

perfino accadere che le forme delle due cosi di-

verse specie di prodotti siano imitate

questo diventino identiche o simili. sciuto di questi fatti letterari, tico e

il

barocco,

dei gotici

duomi

Si veda, circa

il

come di

Intorno alla facciata del

condo,

duomo

il

disegno di

ha

une

dalle altre, senza che per

curioso riscontro e poco cono-

coi tentativi di alleanza tra

in certi disegni di rifacimento delle

Milano

primo,

si

le

Un

il

il

go-

facciate

e di Napoli, nel Seicento e nel Settecento.

disegno di Francesco Castelli, in C. Romussi,

duomo

di Milano (Milano, 1903)', e circa

Tommaso

Senese, in A. Miola,

di Napoli (Napoli, 1905), p. 12.

La

il

se-

facciala del

NE[.LA LIRICA DEL SEICENTO ligio-so,

42.'ì

che può tollerare e adoperare perfino l'arguzia senza

perdere della sua forza, non era del Seicento, di

codesti poeti

ma

non da esuberanza, Di roba, come dt'll'Artale sono

non

soltanto

che,

ma anche

abbondano tali,

pieni

canzonieri del Seicento; e

rime sacre, lugubri, morali

siflFatti

amorose; delle

e

in

difetto

meno

accidente. Tali

sonetti e canzoni concernenti la

che

quelle

in situazioni più o

fortuna o di

eroi-

che vorrebbero essere sentimen-

tragiche;

donna vagheggiata

ed

quali buona parte

frigidissimi giuochi. In ispecio, essi

poesie

nelle

i

Salomoni e

Baldueci, del

del

zeppi

in quelle

dolorose o

tura, di

da povertù.

sonetti

i

nelle

è costituita da

almeno,

o,

del Seicento, nei quali l'arguzia nasceva

collocano

la

strane, di na-

sono, p.

e.,

tutti

i

donna che abbia (jualche di art(.% come

Raro è che ciò jtrenda forma

fisico.

nel madrigale del

Maia-Materdona su una bella muta:

Quando mi baci, allora, Muta bocca amorosa. Muta bocca odorosa. Intendo

la

cagion perché tu taci

Nascesti solo a mormorar coi

odi

Ijuftbneria,

:

l)aci;

come per la donna tartagliantt* deirAl)riani, come per la donna balbuziente delquale, quando apre la l)0cca a parlare:

e di scherzo gentile, l'Errico, nella

la

favella

Tra' labri apimnta e abbandonar non vuole

Di coralli d'Amor porta

si

bella!

come dicevamo, sono neppure galanti o comiche. K Di

solito,

si

tratta,

menti d'immagini risponde l'ispirazione;

come,

messa sopra una

p.

e.,

il

di

freddura, die non

ai

cercati

ravvicina-

cercato strano ogg<'tto del-

san

Maeuto che celebra

balena, in un sonetto

del

cedri intagliati variami-nte in un giardino,

<

Battista, o

la i

rustiche fre-

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

424

nesie, sogni fioriti, Deliri vegetabili odorosi

Lubrano. Sembra che quei

vadano

in traccia

poeti, per

in

»,

meglio secenteggiare,

una natura, che, già per

di

uno del

sé stessa,

secenteggi.

Non

può negare che anche quegli

si

(quando non siano a dirittura quasi costantemente

donna

e

i

il

ingegnosi

sforzi

com'è

sciocchi

di scrittori

Murtola coi suoi paragoni tra

la

pesci, e tanti altri ancora, forse peggiori di lui)

destino qualche piacere o ammirazione. nerci da questo

Non possiamo

sentimento nel leggere,

aste-

e.,

il

sonetto

del Salomoni su Dio guidatore di cavalli-anime.

E

con un

misto di piacere chio

e di

ammirazione

le iscrizioni latine,

io soglio

p.

scorrere con l'oc-

che erano incise, o

veggono an-

si

cora incise, su tanti monumenti di Napoli, lavorati nel Seicento; nelle quali l'ingegnosità trovava innanzi a sé

doppia barriera dello

bravamente

Studi, che

conte di

il

per

la contessa di

traductos.

collinette: ex

due

Lemos

fa

Il

Ecco

e ffossum.

ungula sapientice

:

mulieres Inspana^ ah hara ad

conte marito congiunge con un ponte due

monte regio pons

torri nel porto di

Baia

:

ortìis est regitis

apre una fontana presso

il

simili ac ftuìnina.

;

fa costruire

geminas hinc atque

forcipis ipsius in ore sinus turres excitabat.

fulmina

l'edifizio degli

sorgere dov'era già la caval-

Monterey, che apre un monastero

convertite spagnuole

le

aram

tutte e due.

iam fahìda: equina

lerizza: vera

fontem. Ecco

epigrafico e della lingua latina,

stile

e le saltava

Il

ìxinc

forte di Castelnuovo:

La regina

essere

mento

al

principio del

comune

più largamente nota. Si ai posteri,

ertimpiud

di quelle iscrizioni,

di Portici; ed è

si

vede

degna

di

svolge come un ammoni-

ed è fragorosissima:

agitur — — Advortite —

instar

conte di Oliate

che fu fatta per l'eruzione del Vesuvio del 1631,

ancora

la

«

Posteri posteri



vestra res

Dies facem prcèfcrt diei nudius peren-

dino

Vicies ab satu solis ni fàbulatur histo-

ria

— arsii

Vescevus

— immani semper clade licesitantium —

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

425

incertos occupet monco — Utennn gerit movs — bitumine alumine ferro snlphure auro aryento — nitro (iqiiarum fontibus graveni — ocyus iynescct pelago— que influente pariet sed ante parturit — concutitur concu-

Xe posthac

Jiic

seriiis

solum — fumigai coruscat fìammigerat — quatit aerem — horrendum immugit boat tonai arcet fìnibns accolas — Emititque

— lam iam enititur erumpit mixtum igne — prcecipiti ruit seramqiie fugam prai-

grandum licei cum evomit



verta

la-

ille lapsii

Si

corripis

clamantem lapiderà nulla mora /"»


Ecco

sticamente?

prodotti

per Usti

est

Speme

larern

sapis audi

Si

speme sarcinulas



».

rimane, dunque, tra

Si

quei

aduni

— la

è affatto

stupiti e sollazzati

questione. simile

Il

arti-

danno

che

piacere

quello dei

a

ma

;

tunamboli

e

v

non ha nulla di comune con l'arte, che riempie l'animo d'immagini care. E nessuno vorn\ ne-

prestigiatori, e ci

gare che, tra simi

i

verseggiatori del Seicento, fossero abilis-

giocolieri, eruditi, acuti, padroni

verso;

anzi, che

anche quelli

della lingua e del

essi, forniti di

di

ijualche

spirito poetico, avessero, naturale o acc|uisita, rabilltà del

giocoliere.

Come

il

ballo ora è arte, e

cioè espressione

menti, ora semplice gioco e dimenio di

gambe

cosi l'ingegnositii secentesca ora è fusa nell'arte

di

senti-

e braccia;

come ade-

guata espressione della voluttà e della galanteria, ora sta

da

sola. In generale, via via

secolo,

sità prevale, e poli,

che

l'ispirazione voluttuosa

tra

il

si

si

procede innanzi in quel

va perdendo e l'ingegno-

A

Na-

secentismo

d«'l

diventa sempre più sofistica e arida.

16G0 e

il

16'JO, si

sviluppò un

secentismo, che è stato poco avvertito e meriterebbe una notizia un po' larga. Se ne parla da alcuni, dipoi convertiti, come dal poeta satirico Giulio Acciani, il quale, riferendosi a quei tempi e

vinezza, dice:

agli entusiasmi

della sua gio-



SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

42G

nostro capitano era Battista,

11

Luogotenente il cavalier d'Artale, Contro cui qual valor fia che resista? e

menziona

maggiori rappresentanti

dei

altri

stranissima letteratura, quale

quella

di

padre Giacomo Lubrano,

il

predicatore e poeta latino e italiano ^ Anche Giambattista si trovò, giovinetto, in mezzo a questo movimento; spampinava (come scrive nell'autobiografìa) nelle ma-

Vico e

«

più

niere

non

del

corrotte

poetare moderno,

diletta che coi trascorsi e col falso

una

presa

gno

di

Egli aveva

».

poesia per un

opere d'argutezza,

in

.falso

sorta

tal

che con

esercizio

altro

ap-

«

d'inge-

quale unicamente diletta col

la

messo in comparsa stravagante, che sorprende

dritta espettazione

degli uditori

;

come farebbe

onde,

la

di-

spiacenza alle gravi e severe, cosi cagiona diletto alle menti

ancor deboli giovanili il

padre Lubrano,

«

».

Suo consigliere

era, per l'appunto,

gesuita d'infinita erudizione e ciedito

a que' tempi dell'eloquenza sacra quasi da per tutto corrotta

»

;

al

quale, recandosi

dizio se esso

aveva

dogli all'emenda

piacque

al

un giorno per riportarne giunella poesia,

profittato

una canzone sopra

la

e

sottoponen-

rosa, questa

«

si

padre, per altro generoso e gentile, che in età

grave d'anni, ed in

somma

riputazione salito di

grande

orator sacro, ad un giovanetto che non aveva mai inanzi

veduto, non ebbe ritegno di recitare vicendevolmente un

suo

idillio fatto Il

Battista

sopra

lo stesso

traeva ispirazione in ispecial

i

soggetto

»

-.

aveva maggiore senso poetico degli

Capone-Marano, Un poeta

modo, come

satirico del

si

XVII secolo:

è

altri,

detto,

e

da

Giulio Acciani

(Salerno, Jovane, 1892), pp. 121-H; cfr. 133, 263. 2

Lubrano si Paolo Brinaci© [Iacopo LoEosa caduca •.

Vico, in Opp., ed. Ferrari, IV, p. 331. L'idillio del

legge infatti tra

le

Scintille poetiche

di

brano] (Napoli, Muzi, 1690), pp. 295-6:

I

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

una certa l'agoni

da

filosofia stoiCc\,

suoi sonetti

i

Il

i

nudo

il

i

colori splen-

e ferreo scheletro della

Marino descriveva l'inseguimento

Stanca, anelante a

pa-

suoi quadri mitologici con

può osservare come

denti siano caduti e rimanga concettosità.

Pure, chi

lui professala.

d'amore o

quelli dei predecessori,

427

di

Dafne:

paterna riva,

la

Qual suol cervetta affaticata in caccia, Correa piangendo e con smarrita faccia

La vergine

E

ritrosa e fuggitiva...

Apollo, nel raggiungerla:

Vede il bel pie radice e vede (ahi fato!) Che rozza scorza vaghi membri asconde, i

E

l'ombra verdeggiar del crine aurato.

Nel sonetto del Battista sullo stesso argomento, tutto freddo

è

:

Indi, ch'altro non può, soltanto ottiene D'imprimer baci su la scorza acerba. Quante il fiume vicino involve areno. Esclama abbandonato in grembo all'orba: « Dafne la sua durezza ancor mantiene, L'amarezza di jjrima ancor risorba! ».

E

la

medesima osservazione

si

può

fai'c,

paragonando

i

so-

netti del Fontanella su scene e oggetti naturali eon quelli

mandorlo o sull'acqua. Ma l'Artale era quasi un matto: un siciliano datosi al mestiere delle armi, grande spadaccino, capace di >jos(<'del Battista sul

nere un duello contro otto cavalieri, noto per

sue

le

prese militari in Lfvante e in Europa, e chiamain

mania der 1

Descrive in alcune ottave

mostra

da

lui

blutgieriyc Ritter,

alla

sua donna

la testa,

il

il

cavalier sanguinario

suo gran d nello,

e, in

in •.

im-

CwvBasti

un sonetto,

che serbava in sua casa, di un turco,

ammazzato: Questo che morto ancora il elei disfida Orrido teschio di terribil trace...

''

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

428

dire che sono suoi quei tre versi su Maria Miiddalena che

asciuga

i

piedi di

Gesù con

le

chiome:

r

un Tago e son due non lùmirò natura:

Ch'il crin s'è

Prodigio

Bagnar versi che

esempio

^

senza conoscerne o almeno senza

hanno

l'autore, e tanti

sempre senza sapere da chi fossero voluttuosa figura di Maddalena, cosi

amata non ispirava ormai più Occhi, bocca, pie, Bella, fra noi

riferito dietro di lui, stati foggiati.

Intesse

O

il

mano

e

san debellar

mani, o

amori;

amate

come

bocca (oh Dio!),

mia

ci

l'ingegnosità regna senza rivali. In loro seguaci,

non meno che nel

contenuto teologico,

fede.

mio!

Lubrano non

nel

cori.

i

luci, o

ferite al petto

sono più immagini:

entrambi

Battista,

filosofico e

:

chiome aurate,

gli

Voi, voi, cinque nemici a la

Date cinque

la

donna

altro che sottigliezze incolori

crin per catenarne

crin, pie,

Come

la bellezza della

Canti, balli, ardi, atteggi, e reti

di

lumi,

i

coi Soli e rasciugar coi fiumi;

stravaganza

menzionarne

Nell'Artale

Soli

Muratori, crediamo pel primo, addusse quale

il

di

tal

poi,

e

nei

abbondano poesie

morale: verseggiamenti

acuti di astratti pensieri.

Di fronte a quest'ultima forma dell'ingegnosità marinesca, non solo s'intende,

Questo do'

ix'aci

Drizzò, pronto di

ma

riesce perfino bene accetta

e capitano e guida,

man, d'ingegno audace,

Ferrata scala, e perché ed arda e uccida Portò ai muri sovente e ferro e face.

Poggiava

ed io sul collo invitto Tal percossa avventai, che '1 busto forte Senza capo restò, fra i morti ascritto. i

Perfetta poesia

^

I,

alfine,

pp. 359-61.

i

NELLA LIRICA DEL SEICENTO e gradevole la reazione arcadica;

anche

4:'29

se

si

manifesti in

opere insipide o poco sapide. La insipidezza, che parla

modo

tono basso e in

semplice, è

meno

cor.

insopportabile del-

l'insipidezza pretensiosa e rumorosa. Pure, se l'Arcadia, con le teorie e

con

esempì, combatté l'ingegnosità e

gli

il

con-

cettismo compiendo opera negativa e di valore meramente scolastico, nella sua

produzione positiva

si

riattaccò (se non

c'inganniamo) all'aspetto sensuale del marinismo. Le pastorellerie, cali,

i

l'amore tenero e galante,

canzonette musi-

le

«

sonetti descrittivi, mitologici e storici, coltivati dai

marinisti, sono continuati dagli arcadi.

amava

Pietro Metastasio

assai

Xon senza ragione

Marino IO

il

nelle ueiie 1 imiiava e l'imitava

marinesca si rirrova K La concezione mari 2Ì rococò, resa |)iù 1 in quella arcadica, come il barocco nel tenue, più aggraziata e gentile. Come sarebbe potuta spa- f sue prime composizioni.

rire

davvero?

Un

gagliardo e nuovo sentimento non

era formato in Italia, e non

formò

si

sin oltre la

metà

si

dvl

secolo decimottavo. Continuava la disposizione frivola degli

debole fede religiosa e politica,

spiriti, la

interessamento al

marinismo,

filosofico.

ma

Non

fu

il

supertìciale

l'Arcadia che

mise

fine

quel moto spirituale che, ucciflendo l'ar-

tìglio il padre e, cioè, il marinismo. marinismo rappresenta l'assenza del sentimento v

cadismo, uccise col

Poiché

il

etico, esso

non spari davvero

sentimento, col Parini

tempra

e

se

con

non

col risorgere di questo

l'Alfieri, e

con

gli

di

altri

affine.

Vii

Ma

discorrere ora del marinismo, senza far alcun cenno

delle relazioni che esso offre

col

decadentismo poetico

artistico degli ultimi decenni, e in particolare col

zianismo, non

si

«'

dannun-

può: tacendone, parrebbe quasi che

si

vo-

430

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ

una legittima cu-

lesse lasciare, di proposito, insoddisfatta

Tanto più

riosità.

quente, e

clie

il

paragone è stato

D'Annunzio ravvicinato

il

istituito di fre-

Marino, e l'opera

al

sua e dei suoi a quella del peggiore secentismo.

Veramente, solito, è

il

ravvicinamento, come è stato condotto di

poco sostenibile; perché

si

ha l'occhio

proverbiale delle ingegnosità e dei concetti

al

secentismo

(al

secentismo

che culminò nei Lubrano e negli Artale), e questo non trova, o, di certo, non è

il

tratto prominente,

nel

si

deca-

dentismo moderno e nel D'Annunzio, cosi poco addestrato nelle distinzioni logiche e scolastiche, nelle quali quei centisti

Se

si

se-

erano esperti. vuole rendere

il

paragone, almeno in parte, vero,

bisogna guardare, invece, all'aspetto sensuale della poesia del Marino, e, sopratutto, a quella,

cosi

poco conosciuta

finora, de' suoi prossimi seguaci. Nell'una e nell'altra pro-

duzione artistica, l'elemento etico è assente: l'una si

dedica,

perciò,

e l'altra

esplorazione e celebrazione della

alla

donna

e degli spettacoli naturali. Dalla rassegna, che ab-

biamo

fatto di sopra, dei

motivi della lirica mariniana, la

somiglianza risulta evidente, e non altre parole

\

I

Nove

cieli

degli eroi (compresi fra questi

donne per

lo

cielo, i

fontane e

i

un

del mare, della terra

santi); e la Galleria delle

Fona ricorda i sonetti c'è perfino, come si è

illustri del

quei poeti

tutti

aggiungere

del Fontanella, p. e., sono

secentesco volume di Laudi del e

occorre

delle Adultere. In visto,

quell'amore

giuochi d'acqua, che formano una predi-

lezione del D'Annunzio.

A

questo riscontro

gnare

altri

secondari,

sostanziale

ma non

sarebbero da accompa-

privi di significato, perché

sorgono dalla qualità superficiale e splendente

1

Si confronti

il

mio saggio

1-28, 85-110, in ispecie le

sul

D'Annunzio, in

ultime pagine.

e,

diremmo.

Critica, II (1904),

NELLA LIRICA DEL SEICENTO sono

flecorativa, di quelle poesie; quali

raccolte

semplice titolo di

come

titoli

i

di

cui le

non più contente del Rime, che ancor si usava nel secolo pre-

Seicento

del

431

fregiano,

si

D'Annunzio non è stato contento dei titoli Nuove poesie. Alla Lira del Marino seguirono le Tre Grazie e le Veneri del Bruni, I nove cieli del Fontanella, La selva poetica del Sempronio, il Mormorio di Elicona del Roretti, V Armonia del Cusano, Vezzi d'Erato del Quirini, la Benda di Cupido del Michicle, le Stille d'Ipcedente,

il

semplici di Poesie e

i

pocrene del Bissari, Sirene di Pietro

Giardino poetico dello Zazzaroni,

il

Casaburi,

le

Quattro stagioni di Lorenzo

Casaburi, le Scintille poetiche del Lubrano, Gaudiosi, e via discorrendo;

le

VArpa

poetica del

spesso ingegnosi e sem-

titoli

pre risonanti e pomposi. Quelle raccolte sembrano, nel loro stesso frontespizio, avvertire che è inutile cercare in esse

l'intimità, l'aflFetto profondo, la

commozione contenuta.

Altro riscontro secondario, e pur fondato su motivi essenziali, è nello sfruttamento

come

il

ranea; onde

come

che

Marino e

il

il

napoletano

poeta

l'odierno abruzzese, fu

di un'accurata visita

di tre

segno

di

doganale pei

suoi fecero,

i

D'Annunzio, della letteratura antica

e

secoli

contempoaddietro,

velenose accuse e

furti

portava ad-

che

dosso: indagini che continuarono per un pezzo e recarono le

più strane

sorprese.

Il

Marino

fu costretto

perfino

a

dare una teoria dell'imitazione e del plagio, nella lettera a Claudio Achillini che precede la

argomento tornava

il

suo

Sampogna;

amico Onorato

prefazione alla terza parte della Lira. degli avversari,

ma

anche

estimatori, s'incontrano il

Meninni indicava

Marino', e

1

Si

il

quelli

dei

solo nei

suoi

nella libri

fautori

ed

osservazioni sulle sue fonti: cosi

le fonti

Battista

in

Non

e sullo stesso

Claretti,

spagnuole di molti sonetti del

ringraziava

veda in questo volume,

p.

192

n.

Baldassarre Pisani di

^

432

SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ comunicatcì

avergli

una

bella

«

preda

»,

Dìsputa amorosa del Marino era trasportata dei Colloquia di

accusato dal

lo

stesso

avere rubato

di

Non pochi

Britonio-. sito sulla

Erasmo ^ Ma

Cicinelli

(oltre

il

che

cioè,

e,

di pianta

era

Battista

alcuni

la

da uno poi

sonetti al

Marino) scrissero dì propo-

questione del plagio, e dei limiti tra cui l'imi-

tazione e

erano lecite^.

l'appropriazione



ciò è

tutto

un mero accidente. 11 poeta di scarsa intimità si fa di ogni cosa un oggetto di diletto, e si esprime nelle più varie forme, perché la sua personalità è poco profonda.

Il

medesimo fatto si osserva allora nell'arte, in pittori come Luca Giordano, che imita i più vari pittori. Infine, nei marinisti come nel D'Annunzio, è dato osservare il vano sforzo di superare la cerchia strettamente sensuale, col all'allegoria, e

ricorrere che il

secondo

ai

primi facevano all'arguzia e

i

«

gesti

»

e agli accenni e

«

sim-

che dovrebbero essere gravi di un significato su-

boli », perioi'c.

Noi non diremo che queste e altre somiglianze, che possono stabilire tra

due movimenti

i

artistici,

tilmente osservate; perché è chiaro che esse hanno lità di tutti

i

attenti a certi

1

l'uti-

procedimenti comparativi, in quanto rendono caratteri, che,

senza quelle comparazioni,

Lettere (Bolof^na, 1678), pp. 96-8.

2 Gr.

Cicinelli, Censura del x)oetare moderno (Napoli, Passeri, 1672:,

pp. 156-61. Cfr. F. Meninni, Furti svelati nelle poesie meliche

grammi 3

si

siano inu-

di Giuseppe Battista

Senza menzionare

(s.

1.

scritti

e negli epi-

a.).

noti (come quel che

dice

il

Bartoi.i

ricorderemo I'Aprosio, La grillaia (col nome di Scipio Glareano, Napoli, 1663), grillo VII, pp. 64-95; F. Meninsi, Il ritratto del sonetto (Napoli, Passeri, 1677), e. 56, pp. 329-42: « Se il furto sia

noWUomo

di

lettere),

lecito a chi scrive poesie

»

.

Il

Lubrìno {Suaviludia vimarum ad Sebethi un epigramma: « Poetis licei ex anti-

ripam, Napoli, Raillard, 1690) ha quis furare

>

NELLA LIRICA DEL SEICENTO

non

modo

si

scorgerebbero, spiccato.

Ma

o,

almeno, non

conviene

insistere

433

vedrebbero

si

sul

limite

di

in tali

comparazioni, che offrono soltanto alcuni caratteri generici e

non attingono mai

quelli

propri e individuali dei

fatti,

degli individui, delle epoche.

Perché, nonostante

marinismo, e

il

le

somiglianze,

dannunzianismo

è

soltanto l'elemento artificioso, che l'altro, è, i

come

si

il

si

il

il

nota nell'uno e nel-

è accennato, diverso,

sembra tanto

è

dannunzianismo. Non perché diversi sono

presupposti di cultura delle due epoche;

sensualità, che

marinismo

ma

perfino la

simile, è diversa. In quella dan-

nunziana, com'è chiaro, vibrano inconsapevolmente tutte le

esperienze spirituali dei tre secoli, che sono

dai giorni del Marino ai nostri.

Fine.

trascorsi

INDICE DEI XOMr'>

Abati A., 322, 343. Abbattutis G. A. vedi Basile G. B., 25, 35, 36, 37.

Abramo

di Santa Clara, 180. 423. Accademici della Crusca, 30; Incauti, 19, 43 Oziosi, 21, 43, 145, 155; Risoluti, 41; Sileni, 32; Scatenati, 42; Stravaganti, G. Acciani G., 425. Achiliini C, 332, 399, 410, 411, 413, 417. Acquaviva G., 128.

Abriani

P.,

;

Acquaviva O., 128. Ademollo A., 320, 323. Adriani P., 246. Alba (duca d'), 21, 11;{, 118. Aleardi L., 106. Alvarez di Toledo vedi Alba. Alvarez D., 147.

Ambra Ambra

F., 284. (d')

R., 200.

Ameuta N., viu, Ammirato Scip.,

126, 305, ;{68. 298.

André, 181.

Arcoleo G., 198. Argensolas, 114, 149; vedi Leonardo. Aretino P., 279, 283, 309. Arienzo (d'j Nic, 340. Ariosto, 279, 348. Aristotele, 261-2. Artale G., 422, 427, 428, 430. Avisati M. vedi Fontanarosa.

Baldinucci

F., 348, 355.

Baldo F., 244. Balducci F., 379, 420, 421, 423. Balzano F., 39. Barberini Malico, 4U0.

Barese F.. 246. Barone Camillo, 13. Barone Caterina, 24. Barone Eleonora, 13, 2-1. Barone Muzio, 9, JO. Barra .Mattia, 245. Barrionuovd (dei (i., NT. Basile Adriana, 9, IO, 11, 106.

Antonio N., 175.

48, 105, Basilo iJoinonico, 41. Basile Felice, 71.

Aquino

Basile Francesco,

13,

20, 21, 23,

Annunzio (d)

G., 402.

Questo indice dei nomi più rilevanti Vincenzo Spampanato.

(*)

prof.

(d')

G., xv, 430-43H.

è stato

IO,

12, 1

l;{. 1.'J.

U»6.

compilato dall'amico

INDICE DEI NOMI

436

Basile Gian Battista, 3-9, 10, 1131, 35-37,

38,

39,

40, 43-59, 61-69, 71-82, 83, 92, 103, 105, 107, 115-118, 140. 304, 331, Opere italiane: 349, 356. 24,

28,



Aretusa, 77; Avventuì'ose disavventure, 11; Egloghe amoGuerriero rose e lugubri, 12 amante. 19; Imagini delle più ;

belle

dame napoletane

ritratte

da lor propri nomi in tanti anagrammi, 19; Madriali et ude, 9 Monte di Parnaso, 21 Ode. 21 Osservazioni. 16 Pianto della Vergine, 9; Rapimento ;

;

;

;

di Virgilio vendicato, 11; Teagene, 20, 22; Venere addolorata. 12; vedi 108-112. Opere napoletane: A lo re de li viente. 80; Lettere. 36, 63; L?f runto de li cunti, 43, 51, 58, 63, 68, 71, 81, 84, 85, 92, 324, 330, 349, 350, 351 Muse napoletane, 43, Poesie spagnuole: 44, 48, 63. 115-118.

Boscan

J., 135. Bottari, 335. Bouhours, 419. Braca V,, 310.

Bracciolini F., 149, 331, 332. Brignole-Sale A. G., 386, 392, 412, 413. Brinaci o P. vedi Lubrano. Britonio G., 432. Bruni A., 396, 407, 415, 416, 417, 431. Bruno Giordano, 62, 120.

Bulifon A., 71.

Burkhardt J., 347. Burney C., 334, 340.



;



Lelio, 10, 13, 106. Margherita. 15, 106. Vittoria, 10, 15, 106. Battista G., 332, 409, 413, 418, 426, 427, 428, 431, 432. Belloni A., ix, x, xt. Belvedere A., 367.

Bembo Bembo

G., 7-8. P.,

16, 64.

Bergazzano G. B., 17. Bernardino da Siena, Bernaudo F., 42. Berni

171.

F., 33, 40, 137.

Bettinelli S., 169, 189. Bidelo G. B., 133. Biondo M. A., 91. Bissari P. P., 431. Bitonto vedi Musso C. Blasiis (de) G.. 325.

Boccaccio, 25, 63, 66, 276. Boccalini T., 126, 192, 303, 368, 369.

Boncompagno,

Bonuomo

275.

A., 206.

Boileau, 181.

206, 210, 331. 176. Cammarano V. detto Giancola,

Callot

J.,

Caminata QaadreJ, 246.

Campanella

Giuseppe, 106.

Basile Basile Basile Basile

Gaetano S., 391, 394. Calcese A., 16, 30, 249.

T., 383.

Canale G., 408. Capaccio G. C, 115, 122, 148, 303, 304, 342, 372.

Capasso B., 26, 220, 303, 376. Capeci C. S., 246. Caporali C, 127-144.

Capua (di) Dorotea, 19. Caracciolo G. B., 24, 107. Caracciolo M., 16, 17. Caracciolo T., 15!>. Carafa F., duca di Nocera, 157, 158.

Carafa 9,

L.,

principe di Stigliano,

11.

Caravelli V., 181, 220, 227.

Carbone

N., 310.

Carducci G., 328, 331, 334, 348. Casa (della) G., 64, 281, 282, 387.

Casaburi Casaburi

L., 414, 423, 431. P., 431.

Casalicchio C, 177, 178. Castelficardo (padre), 172. Castelletti C, 296, 298. 301, 303. Castelli F., 422.

_l

43"

INDICE DEI NOMI Castro (de) Guillen, 146. Castro (de) F., 136. Castro (de) P. F., 12, 134, 135,

Curzio da Marignolle, 333.

Cusano

B., 402, 418, 431.

145.

Cataneo

D

0., 47.

Cavallucci G., 242. Cecchi G. M., 284. Cecchini Pier Maria detto Frittellino, 204, 205, 206,207, 221, 229, 230, 244.

C, 361-376. Sue opere

Celano

varie, 366-369; Guida di Nopr.Ii. 363, 369,370. 371, 373, 375. Cerlone F., 246, 247, 306. Ceron P., 147. Cervantes M., 127-144, 145, 150, 151, 159. Cesareo G. A., 315-60. Cesarini V., xxi. Cetina (de) Gutierre, 141. Chiabrera G., xxi, 113. 396. Chiaiese (dottor), 38, 120, 122.

Ciampoli

Damiani G.

F., xvi.

Daniele A., 50, 71, 105. Davanzati B., 224. Dejob C, 171, 172. Dias de Gamos, 102. Dieterich A., 208, 218, 219, 220, 221, 222.

Aux

Diez de

Domenichi

Miguel, 154.

L., 280.

Dominici (de)

B., 318, 322, 325,

326, 338.

Driesen

Dunlop

O., 269. J., 60, 61, 89.

E

G.. xxi.

Cieco da Ferrara, 51, 91. Cini G. B., 288.

EUio Frane, 148. Engenio (d') C, 372, 374. Erasmo, 432.

Gino da Pistoia, 276. Ciuccio A. vedi Calcese.

Ercilla (de) A., 135. Errico S., 385, 399, 408, 423.

Cicinelli G., 432.

Claretti Onorato, 431.

Claudiano, 17. Contorti L., 150-1. Contarini L., 372.

Cornare

F

A., 9.

Cortese G. C,

4,

9,

13, 28-35, 36,

37, 38, 39, 40-44. 45, 105, 119-

127-144,

122,

217,

232,

304, di

FaJnelli V., 218. Falco (di) B., 372. Falcone A., 321. Faraglia N., 325. 50.

330,331.— Opere: Viogyio

Farina G. A., 49,

Parnaso, 13, 28, 32, 133, 232; Micco (^erriglio incantato. 35

Farinelli A., 189, 191.

Fasano

Passavo, 34; Poesie sparse, 119122 Travogliuse amure de Giul-

Ferolla A., 33. Ferrari G., 34, 64. Ferri G. L., 89.

;

;

io

e

Penìa. 34; Vai"sseidi\ 30,

Fiamma

31.

Costo

Crasso L., 368. Crescimbeni, viu. Critana (de) Gonzales, Croce G. C, 208. G..

173.

89.

(di) Dom. Ani., 246. Fiorillo Silvio, 203,205, 20«i, 215, 227, 236, 243, 244. Fiscbart, 87. Fontaine (la), 52.

Fiore

Cotarelo E., 154, 155.

Curzio L., 333.

G.,

Filicaia V., xxi.

T., 311.

Cruikshank

G., 89.

17">.

Fontana Fontana

D., 149. <'

''

'

'7

438

INDICE DEI NOMI

Pontanarosa (padre), 181, 18^. Fontanella

G., 389, 390, 394, 400,

401, 402, 403, 404, 405, 409, 414, 415, 419, 427, 430, 431. Fortini P., 296. Fracanzauo M., 245. Franciosini L., 148. Frisar! D., 246. Fuster M., 175.

Hontiveros (de) F., 176. Hurtado de Mendoza D., 141.

laffei G., 269.

Imbriani V.,

4, 38, 43, 52, 63, 66,

67, 89, 106.

Isa F., 304. Isla (de) J. F., 184-5.

G Gaetano

K

F., 304.

Galiani F., 26. 36, 37, 63, 64, 67,

Keightley, 89.

68, 84, 92, 217, 251, 313. Galilei, XX.

Gallardo Gaudiosi

B., 155. T., 431.

Giacomo (di) Giannone P., Giordano Giordano

,Labata F., 175. 248, 340.

S.,

xx.

F., 372.

L., 364, 875, 432.

Giovanetti M., 40, 386, 396, 398, 400, 402, 414, 416. Giraud, 254. P., 256.

Giuglaris L., 176. Giusti, 348.

Glinci L., 22. Glorizio O., 304.

Goldoni, XX, 306. (de) L., 145, 192. Eleonora, 10.

Ferdinando, lo, 15. Francesco, 13. Vincenzo, 10, 13.

XX, 52, 80, 81. (de) L., 173. Gravina, viu.

Grimm

J., 62, 64,

84-86, 90, 92, 96,

100.

vedi Castro.

(de) L., 173.

Leonardo Bartolomé, 115. Leonardo Gabriele, 115. Leonardo Lupercio, 115. Lepore (padre), 176. Levi E., 218.

Liveri (di) barone, 306. Loffredo F., 372. Loffredo D. A., duca della Nocara, 158-9.

Lombardi G., 21. Lorena (di) Claudio

o Lorenese,

343.

Lubrano

G., 424,

426,

428,

431, 432.

M

H

Mabillon, 364.

Heichen P., 89. Heine E., 52, 140. E. T. A.

F., 59, 63, 65, 67, 86, 87, 88, 89. Lippi L., 73, 75, 324, 326.

Lucia (ballo), 206, 331. Lucchesi (padre), 169.

Guerrini O., 60, 79. Guerrini F., 244.

Hoffmann

175.

Liebrecht

Goethe W., 247, 254-6.

Góngora Gonzaga Gonzaga Gonzaga Gonzaga Gozzi C, Granada

Ledesma (de) A., Lemos (de) conte Leon

Girolamo da Narni, 176.

Gismondo

Lampillas S., 189. Lanci C., 209. Lanzi L., 343, 344. Lauria A., 248.

323.

Macedonio M., 397, 414. Machiavelli, xx, 282. Maffei (fratelli), 319, 324.

430,

INDICE DEI NOMI

Maia Materdona G.

F., 40, 386,

388, 398, 400, 408.

Manfredi Maddalena, 78. Manfredi Teresa, 78. Manriquez Caterina, 147.

Manso March

x.

Minucci

Marignollo vedi Curzio. Marinismo, in Lirira del Seicento, 377 sgg. sue tendenze, 381 sgg., e come si giudicò, 379 sgg. ;

B., 3, 17, 20, 190, 192, Opere 379, 380, 429, 430, 432. sue citate Lo. bruna lìastorella.



:

disputa amorosa, 432 La lira, 384, 431 La ninfa tiberina, 398; La sampofina, 431 Im trasformazione di Dafne.

384

Lo,

;

P.,

73.

Molière, 243, 300.

21.

Marino G.

(de) Barros, 134. (de) D., 33, 134, 111. F., 192, 431-2.

Metastasio P., 429. Michiele P., 431. Minieri Riccio C, 32, 39, 42. Minozzi P. F., 380 sgg.

A., 135.

Maria d'Austria,

Mendoza Mendoza Meninni

G. B., 13, 145, 156.

Manzoni,

439

;

;

;

Montesquieu, 126. Monti G. C, 243.

Montolmo (padre), 172, Morando B., 384, 385. Morgan (lady), 334, 335,

336, 337, 338, 339, 340, 343, 344, 348, 349.

Merlino G., 51, Morsolin B., ix,

90. x.

Muratori, vui, 428.

Murtola G,, 424. Muscettola A., 149, 330.

Musso C,

406, 407, 427.

175.

172, 175.

Martinozzi G., 60.

Martorana P., 31. Martucci G., 323.

N

Masaniello, 252, 325. Maschere e personaggi: Broxone, 330; il Calabrese. 311; il Capitan Matamoros, 203, 204 Catozza, 330; il Cavaiuolo, 310; Cola, 205; Colombina. 209; Co;

viello.

205, o Coviello datola,

209 e 330, o Coviello Patacca. 330; Gianfjurgolo, 312; il Napoletano, 284; don Pancrazio Cucuziello, 315; Pascariello, 205, o Pascariello Formica, 323, o Pascariello Pettola, 323; Pierrot, 249; Policinella Cetrtdo, 208; Razzullo, 305; Sciosciammocca, 209; lo Studente calabrese, 313; il Trastullo, 207; Zanni. 220; Zeza, 209.

Masi

Napoli: archi dello spedale di Cola di Fiore, 371, 372; archivi, 374; borghi, 373, 374; chiese, 373, 374, 422 suoi de;

scrittori, 372, 373: grotta dogli Sportiglioni, 371 iscrizioni la;

tine, 424,

425;

r>'di

Maschero

personaggi; strade Sant'Antonio Abate e Sant'Antonio di Padova, 371 etc. Narducci A. M., 334. e

Nicodcmo

L., 228.

Nonno,

xvi,

Novati

F., 227.

17.

Novellieri (de) Clavolli G., 14R.

O

E., 81.

Masuccio, 310.

Masturzo M., 321.

Oliva

Mauro

Oquina

G., 279.

Maurj' Tabate), 169. Medici (di) F., 29, 129.

Mele

E., 149.

Menendez y Pelago M., Mendoza (de) A., 153.

186.

F., 67, 76.

(de) Juan, 154, 155, Orchi E.", 176. Ortigosa (do) A., 114. Ossuna ((li) duca, 146. Ovidio (d) F., 189. Ozzola L., 359.

157.

INDICE DEI NOMI

440

Renier

R., 359.

Reppone Masillo vedi Palizzi F., 327. Pallavicino Sforza, 193, 348. Panigarola F., 172, 174. Paoli P. F., 891, 404, 414. Paolino Lucrezia, 324. Paravicino O., 173, Passante A., 245. Passeri G., 323.

Pércopo E., XV, 25. Perez de Montalvàn

J.,

112.

Ferrucci A., 203. Pars (di) C, 385, 414. Ferrucci A., 203, 211, 229, 244. Petite A., 248. Petronio, 273. Piccolomini A., 284, 286, 309. Pinelli G., 21, 48, 49. Pitré G., 17, 61, 84, 89. Polcinella J., 217. Fona F., 386, 408, 409, 411, 412, 430. Porta (della) G. B.. 109, 232, 300, 303, 305. Preti G., 399. Promontorio, 153-4. Pulci L., 276, 277, 289. Pulcinella, 197-260; vedi Napoli e

Maschere

e

personaggi.

Pulcinella delle Carceri, 219, 220.

Puymaigre

357.

Righello F., 221, 304. Roberto da Lecce, 171.

Rosa (de) L., 26. Rosa Salvatore, 318-359. Opere letterarie

sgg.

Peri'ault, 55, 95.

(de), 102.

Saruelli.

Riccardi N., 176, 187. Ricciardi G. B., 319, 320, 324, 342,

354; 353;

:

:

poesia, 327, 330, 349, 350, 352, 355; L'invidia, 327, 328, 353; La pittura, 327, 330, '331, 352, 353 La satira settima, 327 sgg., 354); poesie, 327, 334; epistolario, 334, 335. Opere pittoriche, 335, 336, 337. ;

Roseli y Fuenllana D., 147. Rossetti G., 89. Rovetti G. A., 395, 402, 431.

Rua

G., 51, 52, 81, 91.

Ruffo A., 319.

S Saavedra y Guzman M.,

114.

Saiute-Beuve, 55, Saia F., xui, XV, 419. Salimbene, 275. Saliuas (di) conte, 135.

Salomoui

Q Quadrio F.

348.

S.,

Quevedo (de) F., 43, 115, Quinones (de) G., 152.

147.

Quirini L., 410, 414, 431.

R

G., 396, 414, 418, 421, 422, 423. Salvini A. M,, 328. Sanctis (de) F., xiii, 81, 198. Sand M., 312, 313, 314. Sarmiento R., 175. Sarnclli P., 67, 71, 72, 77, 78, 81, 373.

Sarpi P,, XX.

Rabelais, 58, 59, 60, 61, 63, 121.

Satha C, 268. Savonarola G., 171. Sbarra T,, 385.

Ramon

Scarpetta E., 216, 257.

T., 175.

Ranieri A. Redi, 357.

F., 284.

Reich H., 261-70. Reni G., 407.

354

satire (348 sgg.,

La Babilonia. 322, 327, La guerra, 326, 327, 350, La musica. 327, 351; Ln

Scherillo M., 202, 232, 246. Schiller F., 84, 127, 179. Scott Walter, 88.

Segneri

P., 177, 184.

INDICE DEI NOMI

Sempronio G.

L., 387, 392,

409,

410, 414, 431. Senese T., 422.

Sercambi

441

Torre (della) Tufo (del) G.

F., 60.

B., 217, 331.

G., 51.

U

Serio L., 64, 84.

Seripando

G., 172. Sersale A., conte di

Casamarcia-

no, 245.

Uccelli F., 307. rrrea G., 280.

Settembrini L., 29, 17G. Sfessania (ballo) vedi Lucia. Sgruttendio Filippo, 38, 39, 40, 42, lOG, 330, 417.

Shakespeare, 303. Solis (de) A., 367. Sorgente M. A., 372. Sorrentino G. C, 304. Spadaro Micco, 321.

Staibano A., 30. Stefano (de) P., 372, 374. Stigliani T., 333, 379, 394, 397, 400, 413, 414, 415. Straparola G. F.. 51. 61, 65, 90, 99.

Valentini F., 1.^5. Valle (della) F., 414.

Vega

Lopo, 126,

127,

135,

Villandrado de Sarmieuto

vedi

(de) 192, 366.

Velardiniello, 26. Verucci Y., 211, 233. Vico G. B., XX, 426. Salinas.

Vista (la) L., 339. Volcacius Sedigitus, 262. Voltaire, 63.

T

Vouet, 323.

W

Tansillo L., 333.

Tanucci

B.,

185.

Tari A., 345, 246. 347, 356, 357. Tarsia (di) Galeazzo, 16, 64. Tassis (de) .1., conte di Villamediana, 114, 115, 155, 157, 159.

Tasso T., 301, 381, 396. Tassoni A., 148, 192 Taylor J. E., 89. Telesio B., 151.

Tesauro

E., 168, 170, 172, 173, 174, 175, 17G, 177, 178, 186. Tiraboschi, ix, xi, xii, 176, 189. Torelli G. C, 304. Torello A., 304. Tornielli G., 184. Torraca F., 198, 310.

Wieland, 81-84.

Z Zacbia (padre), 176. Zauotti Angela, 78. Zanetti Teresa, 78. Zazzaroni T., 290, 416,

4.31.

Zeno

A., viii, ix. Zinario G., 111.

Zito B., 29. 407, 414.

Zucchi

:!0,

F., 212.

31,

33.

41.

122

INDICE

Prefazione

pag.

Giambattista Basile e

I.

I.

il

«

Conto de

ccntì

».

napoletano e

le

li

Vita e opere italiane del Basile

n. La letteratura del

dialetto

opere

25

dialettali del Basile

m.

Il

«

Cunto de

IV. Fortuna del V.

Il

«

li

li

cunti

Illustrazioni e I.

II.

III.

»

Cunto de

«

Cunto de

canti

»

come opera li

cunti

letteraria

71

»

e la novellistica

documenti

comparata

85

....

105

:

Intorno alla biografia del Basile

Bibliografia delle opere italiane del Basile

108

Poesie spagnuole del Basile

1

....

IV. Poesie sparse di G. C. Cortese II.

Due

5!

.

illustrazioni al

«

Viaje del

Parnaso

>

1;:

119

dkl Cek-

TANTES. I.

IT.

III. I

Cervantes e Giulio Cesare Cortese

125

Viaggio ideale del Cervantes a Napoli nel 1612

Ufi

GUSTO SPACNUOLO

161

Il

Caporali,

il

PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO E

Appendice: Secentismo

e

IL

spagnolismo

.

.

.

189

IV. Pulcinella e le relazioni della co»l«bdia dki.l'akte ros LA COMMEDIA POPOLARE ROMANA

.....

195

^ y^

INDICE

444

pag. 197

Introduzione I.

e vestito del

IL

Nome, cognome,

L' inventore del Pulcinella.

I

patria

personaggio

precedenti del Pulcinella.

La questione

gine antica romana III.

Per

la storia del Pulcinella

Pulcinella.

IV. Celebrità del

Pulcinella simbolo

proletario napoletano

:

Ancora

sulla derivazione

203

»

215

»

229

»

251

»

257

•>

261

»

273

»

283

»

295

»

303

»

309

»

315

»

361

»

377

»

435

del

V. Conclusione

Appendice

>

dell'ori-

dei

tipi

comici italiani dalla commedia popolare antica

V. Il tipo I.

IL

I II

ubi,

Napolktano nella Y;ommedia.

toscani e la satira contro

i

napoletani

....

personaggio del Napoletano nella commedia del secolo decimosesto del personaggio nella

HI. Fissamente

commedia

del

tardo Cinquecento

IV. Decadenza

del personaggio

Appendice

:

Di alcuni

altri

tipi

regionali del

Mezzogiorno nella commedia VI. Salvator Rosa VII.

Un

DE3CRITTOEE DI Napoli

1

Carlo Cblano

....

Vili. Sensualismo e ingegnosità nella libica del Seicento Indice dei nomi

3409

.

:

1995

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