Loading documents preview...
SCRITTI DI
STORIA LETTERARIA E POLITICA
BENEDETTO CROCE
SAGGI SULLA
LETTERATURA ITALIANA DEL SEICENTO
BARI GIUS.
LATERZA & FIGLI
TIPOGRABl-KDITOKl-IJBRAI
1911
PROPRIETÀ LETTERARIA A
Stampato
NORMA DELLE VIGENTI LEGGI
in Trani, col tipi della Ditta Tipografica Editrice
Vecchi e C.
ALL AMICO
CORRADO
RICCI
COME AD AMOROSO RICERCATORE DEL SEICENTO ITALIANO
PREFAZIONE
Ripetere che
letteratura italiana del Seicento è
la
ancora un territorio ignoto o mal noto, può
sem-
o una frase quando quell'affermazione importi disconoscimento dei non pochi e accubrare, secondo
generica e
rati lavori
casi,
i
che
sono avuti
si
si
nuova
luce.
letteratura; ge-
vuole manifestare
insoddisfazione per ciò che
invocare
di
non intendendosi disconoscere
merito di quei lavori,
pria
linora
É ovvio che
di
storico, di ogni fatto, di ogni scrittore,
pre asserire, senza
mane
pericolo di
infiniti
blemi, che un periodo, un
il
si
può sem-
errare, che
fatto o
moto
degli spiriti
li
le
uno
pro-
è fatto, o
problemi e aspetti
scitano di continuo, secondo
Per
si
la
ogni periodo
mal noto, non essendo mai
ignoto
esaurire tutti gli
in cui
anni in
ultimi
negli
anche intorno a quel secolo
Italia
neralità vana, quando, il
o un'ingiustizia
vana. Ingiustizia,
esso
ri-
possibile di
pro-
scrittore su-
nuove relazioni
ideali
viene via via collocando.
altro, se quell'affermazione viene ripetuta pel
Seicento
come non
misura) per
si
suole
(o,
altri periodi della
almeno, non nella stessa nostra storia letteraria,
PREFAZIONE
VII!
la
modo
più
riodo
si
ai
meao consapevol-
cagione è iieiravvertire più o
mente che
caso del Seicento
al
Contro
stretto.
essa
applica in
si
la letteratura
quel pe-
di
ebbe, sulla fine del secolo decimosettimo e
primi del decimottavo, una reazione violenta, para-
gonabile, direi quasi, alle repressioni medievali esercitate contro
eretici
gii
moderne contro zione
e
le
jacqueries, o a quelle
comunardi. La critica della rea-
antisecentistica
massa, demoli il
i
sommarie esecuzioni
fece
sale e vi eresse colonne, d'infamia!
di ricordare
giudizi
*i
in
case dei nemici, sparse sul terreno
le
Non ho bisogno
Crescimbeni, del Gravina,
del
dello Zeno, del Muratori: ossia di coloro che furono, tutt'
insieme, capi della reazione e storici dei loro vinti
nemici; anzi, primi delineatori di una storia della teratura e poesia italiana, nella quale a collocare in bieca luce
adoperarono
si
secolo che
li
aveva pre-
Parlare della letteratura del Seicento
ceduti. di
il
una
follia, di
una
pestilenza, di
let-
come
una decadenza,
divenne costante. « In quel tempo (scriveva Niccolò
Amenta), cioè tra
la fine del
diciassettesimo
cipio
del
nella
latina
secolo,
l'attaccamento, la
costume,
e,
e nella
il
prin-
toscana
poesia, cominciò a sprezzarsi in
la proprietà, dell'idioma, la tichi,
decimosesto e
e
Italia...
maniera del dire degli an-
naturalezza,
l'imitazione,
per conseguente, tutta l'arte ed ogni
il
re-
gola per bene ed ornatamente poetare » \ Gli arcadi,
comparare
nel
1
Prefaz. alle
negia, 1703).
sé
Rime
stessi ai
e pi-ose
di
loro
padri
e avoli, gioi-
monsignor Scipione Pasquale (Vi-
PREFAZIONE
vano come
uomini
benigno.
sorridere
quali
ai
tornato
era
cielo
il
a
Apo-
'^esclamava
secolo
Felice
«
IX
stolo Zeno, nel 1698, a proposito dei versi del Baruf-
dopo un principio
che,
faldi),
con un cosi bel fine
i
del Seicento,
nei
scritti
si
racconto
al
propagò
un argomento,
libri
i
maggior numero
è
di
il
capitolo
al
seguente esor-
lieta
e
superba...
fra' poeti di
questo
quelli, le cui
poesie
Purtroppo, dobbiara confessare che or non
storia
della tutti
cui par che l'Italia
di
debba anzi andar vergognosa che
possono aver altr'uso che di servir di pascolo
fiamme o
alle
in
premette
'[uale
il
sulla poesia italiana di quel secolo
dio: « Eccoci a
il
emenda
tempi seguenti: a cominciare dalla grande
opera del Tiraboschi.
secolo
infelice,
suoi errori! »'.
Questa intonazione, data letteraria
cosi
anche
alle tignuole o d'esser destinate
a più ignobile uffizio.
Ma dovrò
modo
reo gusto fece allora all'Italia,
la
piaga, che
il
io
col far
menzione
ella fu
inondata ed oppressa? Né
a farlo, né,
di
tanti
ove pure
od applauso da' or condannati...
»^ E
quali
poetastri, dei io
l'avessi, potrei
lettori di
dunque dimenticati
essi
inutili
rinnovare in certo
ho
il
coraggio
sperarne
lode
questa storia. Si giaccian
fra quelle polveri, a cui son
dall'opera del Tiraboschi sal-
tando alle recentissime, e propriamente alle due speriali •'
al
1
storie letterarie del Seicento
Belloni, troveremo che le
dovute
al
Morsolin
prime parole del Mor-
Lettera riferita dal Negri, Vita di Apostolo Zeno (Yenezia, 1816],
pp. 447-8. 2
Storia della letteratura italiana, voi. Vili, parte III,
e.
'ò.
PREFAZIONE
X solin sono:
Nominanza non buona ha
«
per ciò che
sé,
si
alla letteratura, quel pe-
riferisce
tempo, ecc. »'; e che
riodo di
lasciato di
Belloni, tanto
il
più
largo ed equo, nel prendere a discorrere della lirica secentesca, pur
sente
mi limiterò a pochi
il
cenni,
vecchio e dimenticato lare che forse vi
si
bisogno di dichiarare: « Io e,
scotendo
da qualche seco-
libricciuolo la polvere
posò sopra dal di della pubbli-
cazione, e che d'ora innanzi vi ricadrà lenta e grave forse per sempre,* richiamerò
alcuno
(e
i
della turba dei marinisti »
E
a brevi istanti di
pochi basteranno a far conoscere
vita più)
i
".
vero che non sempre, né da
tutti,
si
continuò
a gettare gridi di scandalo, a borbottare scongiuri, a ritrarsi con pudico orrore, al cadi. Nel secolo
decimonono
modo
dei critici ar-
in particolare,
dopo tante
vicende di ogni sorta, sociali e letterarie, che
face-
vano apparire quell'epoca ben morta e lontana, al
Seicento e alla sua
curioso,
scherzoso, ironico;
prese più volentieri, di fronte cultura, l'atteggiamento effetto, e,
per
per una parte, del buon l'altra, di
gurata verso
senso francesizzante
una certa tolleranza che
la
storia.
si
Decisivo
spetto, l'esempio del Manzoni, sposi, seppe sorridere dei
il
fu,
si
era inau-
per questo
ri-
quale, nei Promessi
sentimenti, delle abitudini
mentali, dei costumi propri del tempo ch'egli ritrae-
va;
e,
nell'introduzione
a quel
argutamente comentò un pezzo
1
B. MoRSOLiN,
2
A. Belloni,
U
romanzo, parodiò e di
prosa secentesca.
Seicento (Milano, V^allardi, 1880), p. 1.
Il Seicento
(Milano, Vallardi, 1899),
p.
81,
•
Quasi
tutti
i
XI
più recenti lavori critici sugli scrittori
del Seicento sono tico
PREFAZIONE
manzoniano.
della passionalità
come
Ma
ricalcati su quel
la superiorità
commossa, non
cri-
ironica, al
pari
è atta a fare scor-
gere se non qualche lato solamente dei si
saggio
ai quali
fatti
rivolge lo sguardo. Per narrare la storia, è neces-
sario piegarsi
essa
verso di
e
ascoltarla con
bene-
volenza e indulgenza. Certo, accenni di benevolenza
apologie fese
sono state informate
moveva
quali la
ma
ai
concetti
le di-
medesimi dai
l'accusa. In altri termini, concedendosi
profonda corruttela
cava
pertìuo, speciali
e,
non sono mancate;
del Seicento
quella
di
mostrare come non
letteratura,
cer-
si
ne
fos-
sero stati allora attinti o penetrati tino all'osso.
La
di
cosa non era spiriti
difficile,
indipendenti
via senza altresì
scrittori
se
si
trovano
la
propria
perché in ogni epoca
che sanno percorrere attrarre dalla
moda;
timidi e fiacchi che, incapaci di
i
corrente,
paura.
lasciarsi
tutti gli
ne tengono lontani
Ma, presentando
e
e
guardinghi
storia a questo
la
sono
vi
dominare
la
per
modo,
si
viene a confondere l'episodio con l'azione principale,
o
si
dà
rilievo a individui e
meramente negativo; onde letteraria del Seicento
deboli è stato deboli. « Io
opere che hanno pregio
è accaduto che nella storia
luogo dei
il
forti o
dei
meno
spesso usurpato dai deboli o dai più
mi
studierò
di
mostrare (continuava
il
Tiraboschi nella pagina citata di sopra) che, benché quasi tutta l'Italia andasse follemente perduta dietro a quel falso lume, che
mero però
di
tanto e tanti sedusse,
coloro che non
si
il
nu-
lasciarono travolgere
PREFAZIONE
Xn
non
dalla corrente,
come da
scarso,
fu si
molti
si
crede, e che anche nel secolo decimosettimo non fu del tutto priva l'Italia di leggiadri ed eleganti poeti
Corretti
languidi
e
Orazio e di Pindaro, frigidi dicitori per
tal
modo,
il
».
imitatori di
petrarchisti, noiosi
ebbero,
di celie,
lasciapassare e l'approvazione, e figuelecti nel paradiso della
rarono da pauci
storia let-
teraria. Col medesimo criterio furono condotte le antologie, nelle quali il Seicento è sempre rappresen-
non secentisti
scrittori «
tato dagli
delle opere loro nelle quali
teggiarono
» e si
i
»,
secentisti
o
dai
non
attennero alla tradizione.
« seicen-
E giacché
più di codesti « innocenti » furono toscani,
i
luoghi
con-
si
tinuò ad attribuire per quel secolo alla Toscana monia spirituale che, allora per l'appunto, essa veniva l'ege-
perdendo, cosi nella poesia e nel pensiero politico
come
nelle arti figurative.
Del resto,
le difese
sono, in istoria, pericolose non
meno delle accuse, perché inducono anch'esse all'unilateralità e al sofisma e a smarrire la visione diretta, piena e concreta del tento,
che lasciano
del Seicento.
È
Di qui
fatto.
il
dubbio e
lo scon-
parecchie apologie tentate finora
le
stato detto, p.
e.,
più volte e da molti progredì,
che, in quel tempo, la letteratura italiana
perché si arricchì di nuovi generi, quali il poema eroicomico e il dramma musicale. Ma che cosa im-
portano
i
nuovi generi, quando, sotto quelle categorie
dei retori,
non
c'è
il
nuovo pensiero
ma? È stato aff"ermato che l'umanesimo
e anticipò
che somiglianza
si
il
nota
il
e la
nuova
for-
secentismo reagì contro
romanticismo. Ma, se qualtra
i
due periodi
letterari,
PREFAZIONE
XTII
specie in una certa predilezione pel pittoresco, c'è poi
comune
sostanzialmente nulla di
pom-
tra resteriorità
posa del secentismo e T interiorità travagliata del
manticismo? La ribellione entrambi
significato in
escogitò, e ria
periodi?
i
legame storico diretto
alle regole
tra
E, sopratutto, c'è il
cioè,
e,
novità ^
Ma chiamare bisogno
indagine delle leggi naturali
sforzo di parer di
nuovo da
E non sono
altre difese, per
Seicento
non
fu
quali
fin
lo sterile
le
provare che
il
o
accuse
e
le
di
meno
che, in
quanto
religioso
o
del seguente?
storico
difese,
considerarlo nella sua oggettività,
umana
come
nell'impianto tutte
cerca
si
meno dotto del secolo precedente e Anche rispetto a questo periodo
della storia
novità cosi
di libertà e
meno morale
farla finita con le
di libertà e
giocare alquanto sulle pa-
è
sbagliate
le
me-
nuove senza aver nulla
dire cose
non
dire,
la
del naturalismo
generò dal bisogno
si
la seria
role?
Salti
Belloni ha ripetuto e rafforzato, la teo-
il
che l'origine del secentismo letterario ebbe
galileiano
ro-
lo stesso
due? Ancora:
i
desima radice dell'antiaristotelismo e
di
ebbe
bisogna
mettersi
e
a
come un periodo tale,
non potette
essere privo di qualche valore positivo. Periodo di
decadenza, sia pure; il
ma
importa non dimenticare che
concetto di decadenza è affatto empirico e relativo:
una deca-
se qualcosa decade, qualche altra nasce:
denza totale e assoluta è un assurdo
1
Hislolre
Littéraire
d' lini le
F. Salpi son collaborateur, voi.
los'ico.
par P. L. Ctinguenk,
XIV
,^
continuée par
Paris, 1835), pp. 4-50; e cfr. Bel-
loni, op. cit., pp. 465-6; e dello stesso: Vita e lettp.ratura Seicento (Napoli, Pironti, 1906), p. 53.
deW Italia
dei-
PREFAZIONE
^jy
Di ciò ebbe un barlume
il
Settembrini,
quale
il
poema
Adone del Marino, il intese l'importanza deW rappresenta una parte della vita della voluttà, che « mtranon la parte migliore »^; e italiana,
vide
sebbene
pittura, la scultura rapporti della poesia con la
i
pagine
Seicento, dedicando alcune e l'architettura del Certosa di San Martino della sua trattazione alla
in
di pittura, scultura e Napoli, splendido monumento ancora, e, cioè, assai decorazione secentesca^. Meglio Sanctis presentò il periodo più profondamente, il De
premessa, ma una conmarinesco come non già. una svolgimento che seguenza: una conseguenza dello via italiano dal Boccaccio aveva percorso lo spirito al Tasso. via fino all'Ariosto e si
era
esaurita
ed
La vecchia
esagerava sé
letteratura
medesima; ma,
in
esagerazioni, restava quell'esaurimento e tra queste vivo: la sensualità, esalata non pertanto qualcosa di e dolcitulanguori, voluttà, galanterie in tenerezze,
la parola,
dini-
onde
cato',
cedeva
e
il
posto
scioglieva nella
si
perduta ogni serietà di signifisuono, allo spettacolo e al puro
musicai De Sanctis non
investigò la let-
Se la critica del particolarmente come gli teratura del Seicento cosi da nostra storia letteraria, se altri momenti della gusto per tali indagini, ciò il essa non fu promosso che dall'insufficiente conoscenza provenne, in parte, più andi quel secolo; ma si aveva dei libri allora
1
2 3
283-4. li (Napoli, 1868), pp. Lezioni di letleralura italiana, cit., pp. 405-14. 3.» ediz., pp. i^-^dl. Storia della letteratura italiana,
Op.
[
PREFAZIONE
che
XV
(lall'essere lo spirito italiano, allora,
tutto occu-
pato in problemi di maggioro importanza; e fors'an-
che da una certa ritrosia che
uomini del Risor-
gli
gimento dovevano provare innanzi a un'epoca nella quale
schiava non fremente,
l'Italia,
si
avvolse nel-
l'ozio e nella voluttà.
Queste cause sono state via via rimosse negli timi decenni;
perché, rispetto
compiuti lavori sugli
ul-
all'urgenza, essendosi
secoli, le forze disponibili
altri
si
sono potute rivolgere a quel periodo dispregiato;
di
nuovo materiale
e poesie e
drammi
letterario e
romanzi
si
adunato non poco,
è
e novelle e libercoli di
varia qualità sono stati frugati e rimessi in luce:
il
libro del Belloni (dimenticato e fatto rarissimo quello
del Salfi
'),
offre
ora in bell'ordine
i
risultati raggiunti
un decennio addietro. E, quanto
fino a
zione degli spiriti,
il
alla disposi-
decadentismo europeo dell'ultimo
trentennio, al quale l'Italia
ha dato la voce più poha messo in grado di
tente, Gabriele d'Annunzio, ci
sentire con
maggiore
facilità la poesia e l'arte in ge-
nere del Seicento.
Senonché, a questi vantaggi che avuto
gli
epigoni hanno
De Sanctis, costituisce contrappeso e ostacolo un grave inconveniente, sul quale non è necessario che io mi fermi, avendo esso fornito il motivo
1
(nella
di fronte al
ad
altri
miei scritti: T indebolimento del pensiero
Sul quale ebbe
sua Rassegna
il
merito di richiamare l'attenzione E. Pèecopo
critica della letler. italiana, III, pp. 76-7 n.)\ e, ve-
ramente, sarebbe opportuno farne una ristampa, perché opera assai pregevole, fondata su diretta e larghissima conoscenza dei libri del
tempo.
PREFAZIONE
,^yi
filosofico, estetico e critico.
più grande di
fatti
e di esperienze
varsi meglio di queste e intendere i
un
Disporre di
numero
significa gio-
non
meglio
criteri interpetrativi difettano o restano
quelli, se
sempre
vec-
sul Seicento venuti chi, arbitrari e angusti. Gli studi tutti poco confuori negli ultimi decenni sono quasi
perché non affrontano il problema artistico Il Salfi vero e proprio, e divagano in cose estranee. materialmente, della che, ottant'anni addietro, sapeva,
clusivi,
letteratura secentesca quanto
non se ne più vecchi di quelli che o più che
sappia ora, non aveva criteri giorni nostri; si adoperano ancora ai
e,
di certo,
era
dal-
usciti assai più ingegnoso dei critici posteriori, eccezioni Rare l'indirizzo erudito e positivistico.
si
il possono additare; tra le quali, in prima linea, Sulla Damiani: bro del compianto Guglielmo Felice che, artista poesia del Marino '; lavoro di un giovane decapoesia della e amatore e studioso
li-
esso stesso
dente greca e romana % guidato Sanctis, seppe lare osservazioni
dalla
luce del
De
eccellenti
sull'opera
estetici, se
ha turbato
del poeta dell'Adone.
L'infiacchimento dei
ci'iterì
letteraria, intutta la nostra più recente storiografìa dell'arte e storia generando altresì la confusione tra
storia della cultura, tra storia della
poesia e
sociale e morale, ha peggio imperversato
1
in
storia
quella
Torino, Clausen, 1899.
come ignoto l'opuscolo, intimaL'nìlimo poeta pagano (Napoli, Marino: sul lavoro mente connesso col critico su Nonno e bei saggi Trani, 1902), contenente un ottimo studio 2
Dello stesso Damiani è rimasto
di versione dei Dionisiaci.
PREFAZIONE Seicento, perché qui
(lei
fenomeno
(letto «
ressamento e
trovava
si
del secentismo
modo
cultura che attirava in
XVII
»,
natui'a
e
cattiva poesia. Ora, giova ha,
che
stica, la
il
e
tendenze
le
la
sua
propria
sociali
il
introducono
Settecento ebbe
razionalistica e astrattistica; la
smancerie e
le
le
prima metà
nebulosità romanti-
seconda metà dello stesso secolo,
le
esagera-
zioni e grossolanità naturalistiche. Intendere
generino codeste
mode
cosa importante;
ma
è quel
rispetto all'attività arti-
è,
peso della passività. Cosi
dell'Ottocento,
che;
letteratura, la
alla
pura arte ab extra;
moda
la storia della
tenere presente che ogni
sempre cattivo gusto; perché
abitudini
le
nella
rispetto è
sembrato
è
e la storia della poesia
scambiata con
è stata, in altri termini,
moda, che
di
delle cause del secen-
tismo, ossia del cattivo gusto;
epoca
cosi
problema mas-
il
simo della storia letteraria del Seicento quello della
il
cioè un fatto
particolarissimo T inte-
Cosicché,
la curiosità.
iVoiite
di
come
si
dovere dello storico, ed è
è
non costituisce
poesia e dell'arte. Le quali
si
la
della
storia
svolgono, invece,
ora
come resistenza contro la moda, ora come dominio sopra di essa; ora rompendo la moda e passandovi attraverso, ora facendosene materia e trasfigurandola
idealmente. Distinguere tra della cultura
e,
teratura del Seicento è indispensabile, se non rie,
confuse tra loro,
E
storia dell'arte e
storia
nel caso nostro, tra storia della let-
la storia del
si
e si
sto ria del secentismo, vuole che entrambe
le sto-
ostacolino a vicenda.
secentismo in quanto fatto
di cul-
tura è stata guasta, a sua volta, dalla considerazione
PREFAZIONE
XVIII
troppo astrattamente letteraria; laddove, per ben intenderla, conviene considerarla piuttosto dal punto di vista sociale,
come un
aspetto della vita cortigiana, in
relazione al cerimoniale che questa coltivava e ai giuochi nei quali
si
dilettava;
e, in
particolare, della vita
cortigiana d'Italia del tempo dell'umanesimo;
staccando
le
il
quale,
forme espressive dal contenuto, induceva staccate
a elaborarle cosi
perciò,
e,
a
sforzarle
ed
esagerarle. Certamente, quel genere di arte artificiosa
s'incontra anche in altri tempi e paesi sura, in ogni
tismo
'
certa mi-
e luogo; ma, indagandosi
il
secen-
dal punto di vista storico, conviene coglierlo
forma individuale,
nella sua si
tempo
e, in
e,
perciò, quale
appunto
ebbe nei secoli dal decimoquinto al decimosettimo.
Certamente, anche in questo periodo, quella disposi-
ma
zione di spirito non fu soltanto italiana; si
può chiamare per antonomasia,
dominava il
sia
italiana
perché
l'Italia
allora la cultura, e sia perché, nel Seicento,
cattivo gusto improntò la vita
mente che non facesse dove, incontrando più
di quelle
italiana più
degli
altri
gagliarde forze di
forte-
popoli
;
resistenza
(morali in Francia, religiose e mistiche in Germania, politiche
in
popolare e
il
Inghilterra, nella
fatto
1
Spagna l'epos
realismo), rimase più circoscritto o più
superficiale. Certamente,
un
stessa
semplice
(e
il
secentismo non può dirsi
quale fatto è mai semplice?), e non
Chiedo venia delle sconcordanze cronologiche che nascono dal-
l'uso della parola
«secentismo
•
in significato ideale; nel quale,
altra volta ho notato {Prohlemi di Estetica, p. 341
sarebbe quella di
•
concettismo
•
n.),
come
più opportuna
PREFAZIONE
XIX
può essere spiegato mercé una causa unica o una
se-
cause astrattamente enunciate: bisoiina esporlo
rie di
in tutti
i
ciò, al più,
ma
metamorfosi;
suoi intrecci, incidenti e
conferma ancora una volta che
storia
la
positivisticamente condotta è impotente a raggiungere
complessa
la
la servitù
realtà.
politica,
petrarchismo,
la
Tutte
le
cause finora arrecate: spagnolismo,
gesuitismo, lo
il
poesia pastorale, la smania
il
no-
di
causa an-
vità, e, perfino, se si vuole, la cosi detta «
tropologica » onde alcuni individui possono esser denati \ sono vere e
secentisti
finiti
reali;
ma
accennano a
fatti
riescono false, nella forma nella
tutte poi
quale vengono presentate. La vera e compiuta causa è
fatto stesso, esposto
il
geneticamente
in tutti
i
par-
ticolari.
Checché
pensi
si
secentismo (intorno più che non
si
circa al
il
problema culturale
quale, forse,
ormai assai
sa
si
del
creda, e importa sopratutto liberarsi
dai pregiudizi delle
vane domande),
il
problema della
storia della letteratura e del pensiero italiano nel Sei-
cento è affatto diverso. Qui,
mettere in cioè, quel lia
rilievo,
non
produsse
in quel secolo, nel
Una
che, iniziata
l'attività; e,
veda
S.
campo
sia, l'Ita-
del pensiero
la scienza esatta della
nel Cinquecento, fu portata
Vento Palmeri,
natura
al più alto
L'essenza del secentismo ossia la corru-
zione nella lirica italiana d'ogni secolo (Sciacca, p. 180.
ma
parte di questa produzione è univer-
salmente riconosciuta:
Si
come dicevamo, bisogna
passività,
che di positivo, molto o poco che
e dell'arte.
t
la
tip.
Guadagna,
1907),
PREFAZIONE
^X
scuola ^•mdo nel secolo seguente dal Galilei e dalla ciò che pur si venne di lui. Ma non altrettanto noto è l'atpreparando nel campo delle scienze morali, con
conoscenza, tenzione data alle forme alogiche della alla fantasia, e alle
forme amorali della pratica,
alla
nel mondo; ragion di stato e all'arte di fare fortuna storico. In nonché con la critica e con lo scetticismo il Machiavelli: quel tempo, per un verso, fu continuato fllosoflca, ma, per l'altro, fu preparata quell'esplosione
che
si
chiamò
la
Sciensa nuova.
E neppure
nel
campo
secolo, che ha al politico fu al tutto infecondo un Pietro Giannone. suo capo Paolo Sarpi e vide nascere architettoniche e figurative appena da poco
Nelle arti
e il barocco trova chi lo ama e lo studia; erudramma musicale va passando dalle mani degli fare nel quelle degli esteti. Più assai resta da
tempo diti
il
a
poesia sendella lettei-atura e della poesia. La o tentò di svolsuale e impressionistica, che si svolse
campo
gersi dalla corruttela
dell'umanismo; quella arguta,
corrutingegnosa e autoironizzante, che sorse dalla musicale; gli accenni tera del petrarchismo; la poesia certo crudo realismo, che di quella grottesca e un dell'arte e manifestò sopratutto nella commedia (come sul Gozzi che non fu senza effetto sul Goldoni
si
il
mondo
Basile);
fiabesco, evocato per la
prosa di
allora,
primo dal secentista
che non
segui
sempre,
e suole affermare, la tradizione boccaccesca perioi spesso cinquecentesca, ma predilesse assai e risenti l'influsso detti brevi, sentenziosi e pungenti,
come
si
precipuamente
di
Seneca e
di
Tacito, e'preparò l'agile
tendenze e gruppi prosa moderna; -- queste e altre
PREFAZIONE
XXI
ancora da esplorare largamente e a
di fatti restano
fondo.
Compiuto
il
quale esame,
i
prospettiva della sto-
quel secolo sarà, forse, assai da
ria letteraria di
tare, ricacciando
Cesarini,
la
indietro
Chiabrera,
i
Filicaia e altrettali, per dare
i
il
mu-
Ciampoli,
i
conveniente
rilievo ai marinisti e agli scrittori di libri capricciosi.
Bisogna
ricostituire,
quale
risulta
mente
0,
piacque
a
noi,
la prospettiva
storica
che consideriamo spassionata-
almeno, con passione più larga; e non quale quali gli odierni storici
ai critici arcadi, dai
l'hanno accettata
Ma
insomma,
in eredità.
(sarà bene aggiungere),
quella letteratura
il
smesso nel parlare
vezzo della irrisione, nonché
di
l'al-
tro del puerile scandalizzamento, bisognerà evitare di
cadere in certe esagerazioni, alle quali na, che nelle arti figurative
rocco, potrebbe
si
la
moda
odier-
viene rivolgendo al ba-
non diiHcilmente sedurre. La
lettera-
tura del Seicento non è produzione di decadenza nel
significato assoluto che abbiamo cato;
ma
sopra criti-
empirico e relativo, letteratura di decadenza. Non solo
certo,
significato
in
accenna sovente più
ma
di
anche
in quel
di quel
è,
di
essa
che effettivamente dia;
che accenna e
un'arte e una letteratura priva di
in
quel che dà, è
sentimento
etico,
opperò, sotto apparenze lussureggianti, assai ristretta e povera. Chi dalle produzioni più splendide di quell'arte
passi
a una figura giottesca o a
una terzina
dantesca, avverte
tutta la differenza; e c'è caso che
paragone
(dal quale è prudente, senza dubbio,
in quel
che
il
critico
si
guardi) l'arte e la letteratura del Sei-
PREFAZIONE
XXII
cento
trasmutino
si
suoi occhi,
ai
come Alcina
agli
occhi di Ruggiero, poi ch'ebbe infilato al dito l'anello
insomma,
dissipatore di ogni magica fattura. Bisogna,
considerare,
anche
si,
la
produzione secentistica con
simpatia, renderle giustizia, godere quel tanto di bello
che
ma
proprio;
le è
non gonfiarla, dandole un'im-
portanza che non ha, e facendola oggetto zione
Ecco sommariamente il
programma
viso,
sono da
e provvisoriamente delineato
I
istituire ancora, e
da proseguire, sulla
Ma
del
presente volume
1890 e
il
1900, e
vecchi
e qualch'altro di venti anni,
disegno, che mi
appena II
un
esso non
è,
in-
saggi.
di
composti per varie occasioni nel decennio tra
quali,
il
programma
il
mio av-
degli studi e ricerche, che, a
letteratura italiana del Seicento. tanto,
una devo-
di
un culto fanatico che, a dir vero, non merita.
di
vi
primo
è
si
di questi saggi è
opere
non possono svolgere un
maturato
rispondono qua e
po' scolasticamente
italiane,
perciò qualcuno di dieci
là,
in
mente più
come per
e
tardi
sulle
il
bibliografìa, opere
dialettali, fonti, valore letterario, for-
terzo
relazioni
e
una monografia, condotta
(biografia,
tuna, influsso, ecc.), intorno a Giambattista Basile.
secondo e
;
accidente.
si
Il
riannodano a certe mie indagini
tra l'Italia e la
Spagna;
e,
in
parte,
sono di pura erudizione, in parte rientrano, più propriamente, nella storia della cultura. rattere
hanno
il
nuovo avviamento maschere italiane,
Il
medesimo ca-
quarto saggio, che tenta di dare alla questione circa l'origine delle
e
il
quinto, che ricostruisce la sa-
tira fatta dei napoletani nella
commedia.
Il
sesto è
una
recensione, che riempie o addita lacune nell'opera del
PREFAZIONE
Cesareo su Salvator Rosa; e filo
di
un
letterato
il
XXIII
settimo un rapido pro-
compose
seceutesco, che
la
più
ampia e vivace descrizione della città di Napoli. Io
li
raccolgo in questo volume (dopo avervi introdotto non
poche aggiunte e correzioni»,
sia
perché serbano an-
cora qualche interesse, non essendo stati distrutti dagli studi posteriori
e sia perché, sto,
neppure
si
può dire che
trebbero essere
fanno che
argomenti che trattano;
sui vari
sebbene non coloriscano
piuttosto
il
disegno espo-
onde po-
gli contrastino;
tacciati
non
quel che
di
quel che fanno.
di
Al programma, invece, rispondono, su per giù, pagine collocate in fondo
al
le
volume, che servono come
ad annunziare un'antologia, che ho messo insieme, dei Lirici marinisti, per la raccolta degli Scrittoì'i d'Italia ,
ìmimiix
m
quest'anno d^I mio tiuon amico Laterza.
E, per quel che riguarda la storia delle scienze rali, al
programma rispondono
mo-
altresì le ricerche, sui
concetti estetici e sui libri di politica e ragion di stato del Seicento, delle quali
miei volumi estendere,
lìlosofìci.
ho dato qualche saggio
Mi propongo
quando ne avrò
il
tempo,
di
nei
continuare ed
siffatte
indagini
sulla vita spirituale di quel secolo; se altri, con forze
più fresche, non vorrà precedermi e compiere,
mi auguro, in vece mia, un non senza attrattiva.
lavoro, che
come
mi sembra.
Napoli, marzo 1910.
B. C.
GIAMBATTISTA BASILE E IL
«
CUNTO DE
LI
CUNTI
»
Introduzione a una ristampa del soltanto
il
C'unto de
primo volume (Napoli,
1891).
li
curiti,
della quale usci
Vita e opere italiane del Basile
Gì'iambattista quelli che
cento, ricco concetti,
modo
Basile fu un letterato e verseggiatore, di
formavano, a Napoli, nel primo quarto del Seimusicali
solito
adempiendo
Giambattista Marino, luccicanti
corteo a
allora
forme,
di
dei
come nei
letterati,
maestro.
il
servigi
Visse
di
delle
ni
corti,
svariati incarichi militari e amministrativi, e
onde molta parte della sua opera in lingua italiana ebbe semplice carattere occasionale ed encomiastico. Né si può dire che, nella restante, superasse mai
altresì
il
in
poetici
;
livello della mediocrità,
drammi, poemi
giacché
e poemetti,
teratura di quel tempo.
Ma
il
i
si
limitò a ripresentare,
motivi consueti della
let-
Basile, per sua e nostra for-
tuna, variò talora le sue fatiche di grave poeta in lingua aulica con giocose escursioni tale
;
e
venne componendo
nella poesia e prosa dialet-
libercoli
di
egloghe
napoletane, che erano, per lui, levamina mentis, e
e novelle
non
fece
a tempo o non curò di pubblicare, e ai quali, documenti insigni per noi d'arte e di demopsicologia, egli deve, ora, tutta la sua
fama.
E deve anche
all'interessamento, che
quei componimenti dialettali suscitano nel nostro spirito, il
desiderio che ora
particolarità
della
si
prova
di
conoscere e ricercare
sua vita, e di esaminare
la stessa
le
sua
4
GIAMBATTISTA BASILE E
IL «
CUNTO DE LI CUNTI
opera in lingua italiana, che per
era scopo principale,
lui
meno
e per noi è semplice sfondo e contrasto all'altra,
ma
giata dal suo autore,
Nacque
il
di
»
pre-
gran lunga più geniale \
Basile in Napoli
(e,
forse, più
precisamente,
nel villaggio di Posilipo), intorno al 1575, da famiglia civile
ma non
agiata; ed ebbe parecchi fratelli e sorelle,
maschi e femmine, presero come
tutti,
spinsero variamente innanzi, ac-
uffìzi e delle corti e vi si
quistando stima e importanza* sociale.
pagno lio
di scuola, e legato poi
Cesare Cortese
^,
quali
i
lui la carriera degli
Da bambino,
fu
com-
sempre d'amicizia, con Giu-
destinato a diventare quasi
padre
il
della letteratura dialettale napoletana e fratello d'arte del
nostro poeta.
In un brano autobiografico di una sua favola marittima il
Basile ricorda
come
l'ambizione letteraria,
sentisse scaldare a
e,
augello palustre
«
coi più bei cigni al paro
porsi
«
deva
di
messo
si
in
trovare
»,
tentasse di
Senonché, quando cre-
».
onde
;
si
risolse a fuggire
rive », e a cercare fortuna altrove
i
tratto dal-
benevolenza e aiuto in patria,
non cale
Intorno al Basile,
si
ha un acuto
«
vide
si
le
ingrate
di
Vittorio
*.
e
arguto studio
Imbkiani, Il gran Basile (nel Giornale napoletano, 1875, voli. I-II) quale, per altro, la parte biografica è insufficiente, e
aggiungere anche intorno napoletana in genere, e i
al
allo
non poco
svolgimento della letteratura
Cunto de
li
^,
un
cunti e alla
;
vi è
nel
da
dialettale-
fortuna di
esso, in
specie. -
Cortese, Viaggio di Parnaso, IV, 40.
3
Le avventurose disavventure,
Mantova, *
Cfr.
1613,
a. Ili, s.
5 (mi attengo alla terza ediz..
che ha parecchie varianti).
anche Ode,
ed. 1827, p. 36.
1.
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
5
Triste abbandonare la patria: tristissimo per chi, il
tutto
da
suo essere. Sono eco forse dei sentimenti provati
il
lui quelli
che
esprimere a uno degli eroi delle sue
fa
come
fiabe, costretto,
lui,
a lasciare Napoli. Cienzo, a ca-
vallo, s'avvia fuori la città; e, uscito fuori Porta
dere
chili,
Napole mio! Chi sa
ìnautune de zuccaro
prete so de
e finestre
manna
ncuorpo,
de pizze sfogliate?
lano alla fantasia
Pendino,
Loggia
la
dini dei Gelsi,
il
».
e
mitra de pasta
da
reale,
trave de cannam.ele,
li
E, in quell'istante, gli
Tié-
«
:
se v' aggio
le
ve-
dove porte
si affol-
luoghi più ricchi, deliziosi e voluttuosi
i
di Napoli: Porto,
l'Olmo,
Capuana,
esclamando con tenera malinconia
indietro,
si volg-e
nete, ca te lasso, bello
le
come
Basile, nel suolo e nei costumi della patria ha profondato
la piazza
Genova,
di
Pertuso,
il
i
Larga, la piazza del-
Lanzieri, Forcella,
Lavinaro,
il
i
Mercato e
giarla ri-
dente spiaggia di Ghiaia \ Basile
Il
percorse quasi tutta l'Italia;
e,
dopo questo
non sappiamo quanti anni durasse, si fermò, finalmente, in una città, che, per più rispetti, gli
pellegrinaggio, che
ricordava
la
sua: Venezia". Lei celebra più volte nei suoi
versi: nel Ciinto de
li
cunti, nominatala per incidente, s'in-
fiamma a quel nome,
e la dice
«
schiecco de la Talia, re-
de vertoluse, libro maggiore de
cietto
e de la
A
natura
Venezia,
le
maraveglie dell'arte
» ^.
si
arrolò soldato ai servigi della Serenissima.
Ci ha descritto egli stesso quell'atto iniziale della vita militare di allora.
buro;
gli
Ecco inalberata un'insegna: batte
arrolatori
un banco, un pugno illuso va di corsa a
1
C'unto de
2
Avvent. disavv.,
3
C'unto de
li curiti.
li
1.
curiti,
il
tam-
hanno messo in mostra, sparso sopra lampanti monete d'oro. E il povero
di
iscriversi
I,
7.
e.
IV,
9.
:
GIAMBATTISTA BASILE E
b
CUNTO DE
IL «
LI
CDNTI
»
Tirato pe la canna
Da
quatto iettarielle,
Spase ncoppa na banca.
Concluso
contratto,
il
veste a nuovo, cinge la spada,
si
sguazza per taverne e postriboli. Gli amici
dove vada; ed guerra
!
egli risponde allegro:
gli
domandano
Alla guerra, alla
^
reggimento, in cui entrò
Il
Candia, posto
di
—
avanzato
antemurale della Cristianità
Basile, fu inviato all'isola
il
Venezia contro
di
Turchi,
i
nella cui città capitale
i
Veneziani mantenevano circa duemila uomini di presidio
^.
«
»;
Erano colà molte famiglie, venute
in vari tempi dalla
Do-
minante: Malipieri, Mocenigo, Morosini, Pisani, Sagredi,
e,
più ragguardevole di tutte, la famiglia Cornare^, presso le
giovane soldato-poeta trovò benigna accoglienza;
quali
il
onde
egli scrive,
dia,
«
alludendo a quel soggiorno, che, in Can-
quasi in tranquillo porto ricoverossi
Protettore del Basile
fu,
»
*.
segnatamente, Andrea Cornare,
autore di una Hìstoria candiana,
il
quale aveva fondato in
Candia un'accademia degli Stravaganti, recante per impresa un cane fuor di strada e letterato, poeta e
carmi
e,
quel
«
1
Nell'egloga La coppella.
EoMANiN, Storia docum. di
L. DA Linda, Descrizioni Ode, ed.
cit.,
Op.
p. 36.
^
Quadrio, Storia
6
Basile,
pp. 39-40; sul
Et per invia
oro ai versi
altrui
ai »
Il
iiniv.
^.
^.
Era
propri Il
Ba-
nome
di
Venezia, VI, pp. 498-9, VII, pp. 355 sgg.
;
(Venezia, 1660), pp. 493-6.
pp. 37-8.
3 *
(Mantova,
:
mecenate, che largiva gloria
eh' è più,
2
cit.,
motto
dal Cornare tra gli Stravaganti col
ascritto
sile,
il
e
ragione d'ogni poesia,
I,
p. 61.
Teagene (Roma, 1637), V, 45. Sugli Stravaganti, Ode,
Cornare e
1613), p. 53.
il
fratello di lui, Vincenzo, Madriali et ode
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
I.
Pigro
«
»,
lesse in quell'accademici molte composizioni, e
sempre
fregiò poi
si
7
di quel
titolo,
della sua gioventù e della sua
a lui caro pei ricordi
prima buona fortuna. Tra
molte poesie composte in Candia, è un madrigale per
le
una
«
bellissima ebrea
quale
si
»
,
che dovè toccargli
il
cuore, e alla
volgeva con affettuosa premura di ammiratore e
di cattolico, esortandola al battesimo
:
Entra nel sacro fonte, Leggiadra donna, ed uscirai più
Come Cosi
mar
sorge dal
bella,
lucida stella.
l'alma eguale
fla
A
la beltà del viso,
E
gareggiar potrai col paradiso
^.
Sulla fine del 1606, in conseguenza della lotta tra e
i
Veneziani,
il
re di
Spagna dava ordine
al
il
papa
conte di Fuen-
un esercito ai confini, se Venezia non La Repubblica cominciò gli armamenti e mise in ordine una grande flotta, nominandone capo Giovanni Bembo, il quale assunse il comando nel febbraio del 1607. Intanto, Enrico IV si adoperava a riconciliare i Veneziani tes di raccogliere
cedeva.
col
papa, desideroso che essi volgessero
tro gli Il
di
Spagnuoli
Basile
guerra:
si
armi con-
trovò nel bel mezzo di questi apparecchi
sospinto dall'impetuosa Fortuna dentro alle
«
tempeste delle armi d'altro
le loro
^.
»,
mentre
che d'ira e di morte
l'Italia si
«
era sozzopra, né
ragionava, e l'intrepido
Leone empiea di tremendi ruggiti l'Adria e il Tirreno ». E, « premendogli nel vivo del cuore che tante armate schiere la tranquillità dell'Europa rendessero
inquieta
»,
torbida ed
compose un'ode per persuadere, nientemeno,
l'una e l'altra parte a
1
Madriali
"
MoRosiNi,
et ode,
I,
«
sospender l'ire
»:
p. 45.
Istorie veneziane
(Venezia, 1720},
III,
pp. 367-9, 371-2.
GIAMBATTISTA BASILE E
O
Sien dolci paci
IL «
CUNTO DE
LI
CUNTI
»
l'ire,
Gli odi pietà, celeste ardor gli sdegni,
Puro
affetto l'ardire
Ed
umiltà ne l'alterezza regni. Sian l'armi caducei, plettri le squille,
E ne
Ma il
Bembo
il
amor
l'orror di morte
sfavillio
portò la sua flotta a Corfù, dove gli giunse
rinforzo di venti navi di Candia, quattordici delle quali
armate a spese dei nobili veneziani
una
di esse fu
navigò lungo
imbarcato
il
e candiotti
pacifista poeta.
La
coste dell'Epiro, perlustrò
le
il
per parecchi mesi, rese sicura tutta quella zona della Repubblica, e
quando spagnuoli Al capitano odi
e
sopra
Mar Jonio ai sudditi
sopravvenire dell'autunno,
e turchi presero
di essa
benignità con
sciolse al
si
;
flotta riunita
i
quartieri d' inverno
^.
Basile rivolse, per gratitudine della
il
quale era stato trattato, una delle solite
la
'•'.
II
Dopo avere partecipato a questa impresa navale, Basile lasciò Candia;
il
percorsi vari luoghi della Grecia
e,
e delle isole, fece ritorno, nel 1608, a Napoli: '^
(~y^ /
l
Turno
1
errori,
può dir felice Quando ei può riposar nel patrio
Pivi si
(juasi straniero,
d^\ lungo
'2
Chi i^rovato ha gli affanni Di lungo navigar, di lunghi
]>rr<'u-!-in,ii-r
',
fatto
cit.,
3
Ode, pp. 44-6.
^
Avveìiturose disavv.,
•'
Ivi.
frattempo, anche nella sua
pp. 393, 401-2.
I.
e.
^.
diverso d'abito e di costumi
^la, nel
Ode, pp. 41-3.
MoEosiNi, op.
lido
VITA E OPERK ITALIANE DEL BASILE
I.
famiglia
Una
accadute grandi novità.
eiiiiio
9
sorella di lui,
Andreana o Adriana, moglie di un gentiluomo calabrese Muzio Barone, rivelatasi eccellente cantatrice, era stata, insieme col marito, accolta nella corte di Luigi Carafa, principe di Stigliano
da una schiera la
voce
La
'.
sorella illustre e potente, attorniata
ammiratori, che ne celebravano a gara
di
celestiale, l'arte del canto, la
bellezza, la
somma
onestà, stese le ali sul povero e oscuro poeta.
quale cominciò a svolgere in Napoli quell'attività
Il
che,
letteraria,
prima gioventù, non aveva incon-
nella
trato favore; e pubblicò, nel 1608, tre canti: Il
di
San
le
lodi dell'antico
tese
(il
Pietro del Tansillo), che
compagno
compose
il
in
comparve
in pubblico con
di scuola, Giulio Cesare Cor-
Pastor Sebeto), e del cognato ^Muzio Barone
Ardente). Altre
tenio
un breve poemetto
pianto della Vergine (imitazione delle Lagrime
encomiastiche e
poesie
(il
Par-
cortigiane
Basile per le nozze di Cosimo dei Medici, sopra
invito del Cortese; per l'ingresso di Carlo Spinelli con la
sposa Giovanna di Capua nel loro feudo di Cariati (dove egli
li
accompagnò)
in e
un volumetto
di
monotone odi
settenari
;
e pel
primo parto della principessa
Xel 1609, raccolse la sua produzione giovanile
di Cariati-.
Madriali
et
Ode: stentati madrigalucci
di contenuto adulatorio, in endecasillabi e
alternati, tutte conteste di luoghi
lava, col tono
pria sorella
medesimo
degli altri
comuni. Adu-
corteggiatori, la pro-
:
Di Sebeto a le sponde Siede Ninfa canora, le cui note
Rendon tranquille Dan moto ai sassi
*
Ademollo, La
Carafa, 2
cfr.
Napoli
bella
l'onde, e fan le fere immote...
Adriana (Città
nobiliss.,
X, pp.
Ode, pp. 49, 50-3, 54-6, 57-9.
49-53.
di Castello,
1?:JSS],
cap.
I.
Sul
GIAMBATTISTA BASILE E
10 Anzi,
le
dedicava
che comincia:
«
CUNTO DE
LI
CUNTI
»
con una prosa complimentosa,
Ecco, sorella amatissima, ch'io paleso
«
mondo sotto
la raccolta
IL
il
vostro celebre nome
veri componimenti,
i
al
questi miei po-
quali, nati fra l'inquiete turbolenze
hanno ben di mestiere che sien vostro favore rasserenati.... ». E non senza ragione assumeva questo atteggiamento di
della professione militare,
dal
protetto. Circa quel tempo,
il
duca
di
Mantova, Vincenzo
Gonzaga, appassionatissimo dell'arte musicale, fu preso da
grande brama
di attrarre alla
propria corte l'Adriana, e
iniziò trattative a questo scopo, sul principio del 1610, per
L'Adriana mise subito per condizioni, che essa, per proprio decoro, venisse chiamata a Mantova con lettera della duchessa Eleonora, e che il duca
mezzo del suo agente
desse impiego
in Napoli.
in sua casa tanto a
«
quanto a Giambattista
rito,
Muzio Barone suo ma-
suo fratello,
quali sono
li
persone dell'abilità che detto signor Paolo [l'agente del duca] farà relazione a S. A., e che procureranno, per
persone loro, di esser degni creati
Nel maggio,
delli creati di S.
avviò verso Mantova un'intera
si
di Basile e di
Barone:
«
rella [Vittoria
o Tolta]
e
che sono quattro
;
il
la
A.
le
^
»
carovana
signora Adriana con una so-
cognata, e
marito, con
un
un suo
figliuoletto,
fratello di lei [Lelio]
un creato, che in tutto sono sette: viene ancora, per accompagnarla sino a Mantova e poi passarsene in Spagna, un altro suo fratello [Francesco], dottore, con un creato ». e
Partirono (dice l'agente ducale) e
veramente
«
io
«
con pianto
di molti
vengono sono persone virtuose da guadagnarsi il pane che mangeranno » -. tutti
questi che
1
Doc. in Ademollo, op.
'
Op.
cit.,
p. 117.
»
;
spero che S. A. resterà gustata, perché
cit.,
pp. 89-90.
e buone,
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
I.
11
Giambattista, per allora, rimase in Napoli; e fece eco
dopo essersi adoperati a impedire quella par-
ai molti, che,
Mantova aveva strappata una rivincita come è detto nelche ha per titolo: Rapimento di Vir-
tenza, piang-evano la preda, che a Napoli. Preda, che era l
'epigramma
di lui,
gilio vendicato
;
:
Tolse al Mincio
il
Sebeto
Candido augel canoro. Per cui crebbe a le stelle il verde alloro; Toglie al Sebeto il Mincio Leggiadra cantatrice, Ond'era il lido suo chiaro e felice: Gloriosa vendetta, al
mondo
sola.
Se perde un cigno, una sirena invola ^
Egli restava, forse sostituendo
principe di Stigliano
cognato, nella corte del
il
e a questo signore dedicava, nel luglio
;
Le avventurose disavventure, un luogo delizioso di Posilipo, nella
del 1610, la favola marittima: la cui
scena
si
villa detta la
finge in
Sirena
nente per l'appunto
(poi, ai
palazzo di Dognanna), apparte-
Carafa di Stagliano-.
È una
delle so-
favole marittime, col solito rapimento dei Turchi, che
lite
serve a confondere lo stato civile dei personaggi, coi
innamoramenti che sbagliano
il
soliti
proprio oggetto, con la so-
lita donna che va pel mondo in abito maschile, coi luoghi comuni del pastore o pescatore che non ama, dell'età aurea,
dei lamenti contro
menti e matrimoni
capricci della fortuna, e coi riconosci-
i
finali.
e svolta in versi fluidi e
Pure, la favola è disegnata bene, armoniosi, che preannunziano
fase in cui la poesia italiana
cederà
La ninfa Tirrena
cosi
si
lamenta
il
:
1
Teatro delie glorie della signora Adriana Basile, p. 131.
2
Si
veda intorno a
pp. 177-185.
esso
la
posto alla musica.
M. Schifa,
in Napoli nobiliss., I (189*2),
GIAMBATTISTA BASILE E
12
IL
«
CUNTO DE
LI CUNTI »
che sembianza avete
"Voi,
De l'idol mio crudele, Che si gelato ha il core Che non sente giammai fiamma d'amore, Ruscelletti di neve,
Che non date rimedio al mio gran foco? Ma voi, come il mio Glauco, Sordi correte, e ne portate insieme I
miei lamenti e
Deh!
I fonti de'
Onde
onde
al
mare.
miei lumi,
crescete e vi cangiate in fiumi.
Deh! I
le vostre
almeno, acque amorose,
riditeli
almeno, aure pietose,
riditeli
miei sospiri ardenti,
Onde
crescete e vi cangiate in venti.
Mercé questo componimento drammatico, che parve, com'era, assai superiore ai lavori precedenti di sile
venne acquistando fama
raria napoletana Oziosi, che
il
e fu tra
;
marchese
i
italiani e
grandi signori ^
il
importanza nella vita
e
Ba-
lette-
fondatori dell'accademia degli
di Villa,
Giambattista Manso,
nel 1611, e alla quale intervennero letterati
lui,
il
spagnuoli (tra cui
Non accadeva
istituì
viceré conte di Lemos,
Quevedo), e molti
il
cosa pubblica o privata di
qualche importanza, festiva o lugubre, che non inducesse al
canto la musa del Basile. Nel 1612, dava fuori un vo-
lume di Egloghe amorose a lugubri, e un piccolo dramma per musica in cinque atti: Venere addolorata. Da Napoli, partecipava
alle
vicende della corte
di
Mantova, scrivendo
odi e madrigali per matrimoni e morti dei personàggi di
quella casa ducale
-.
Finalmente, negli ultimi del 1612, gere colà
1
i
suoi,
che vi godevano
MiNiERi Riccio, Accad.
fiorite
si
dispose a raggiun-
lieta fortuna.
Adriana,
in Napoli (in Arch. stor. nap.,
p. 148 sgg.). 2
Eaccolti nella seconda parte
dell' eJiz. di
Mantova,
1613.
V,
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
I.
carica di stipendi e di doni, era stata investita del
infatti,
feudo di Piancerreto nel IMonferrato
figliuolo di lei, Ca-
il
;
aveva ricevuto l'ordine dei Santi Maurizio
millo,
13
Lazzaro
e
;
era stato mandato a governare, successiva-
Lelio Basile
mente, varie città del ducato; anche Francesco sembra ottenesse un impiego ^ Giambattista trovò moribondo, o morto
da poco, Francesco Gonzaga, succeduto da qualche mese a Vincenzo, e
visitare l'altro,
quale successe poi, nel dicembre di quel-
al
l'anno stesso,
il
sorella nel feudo
la
Mantova
di
ammirò,
di Piancerreto,
nel giardino di quel luogo,
dono del duca
Ferdinando. Recatosi a
fratello cardinale
^
tra
Narciso di Michelangelo,
conobbe una nuova sua
e
;
il
potina, nata a Mantova, che aveva preso
il
nome
ni-
della du-
chessa, ed era destinata a continuare e superare la glo-
materna
ria
nell'arte del canto
:
Eleonora Barone
duca Ferdinando mostrò subito poeta il 13 marzo 1613, lo annoverò Il
:
familiari e
curiali
il
Basile valesse
et
Musaruìn sUidiis
«
suoi
^ ;
»,
peratore Massimiliano
tra
suo i
^.
favore
quanto
litterarum, philosophicis
facendo uso del privilegio dell'imII,
nominava
il
poeta
«
milìtem sive
equitem auratuyn, ac sacri Lateranensis palatii, anlceque ac imperialis concistorii comitem
»,
«;
et ubilihet
terrarum
L'amico del cuore,
il
—
con l'annessa facoltà di
creare notai e giudici ordinari in tutto
Impero,
pel
gentiluomini,
6 aprile, considerato
il
humanarum
in
il
il
Sacro
Romano
» ^.
Cortese, aveva allora per
le
mani
poema in dialetto napoletano Viaggio di Parnaso. esso immaginò che, essendosi addormentato sul monte
il
suo
E
in
:
veda
Si
2
Ode, p. 113.
la
delle glorie, pp. 5-6.
dedica del Teatro
1
"
Ademollo, op.
^
Doc. in Ademollo, op.
5
Arch. di Mantova, Liher
cit.,
pp. 191-2. cit.,
pp. 199-200.
decret.,
n. 54,
f.
30
b.
GIAMBATTISTA BASILE E IL
14
«
CUNTO DE
LI CUNTI
»
Parnaso, sognasse una donna alata, splendida più dell'argento, la quale, suonando la tromba, intonava:
«
Chi fu mai
da Battro a Tile Famoso più del Cavalier Basile?
Da
O
»
chisso ha schiacce matto ogni scrittore.
sia toscano o grieco o sia latino;
Chisto ha no
Quanto
stile,
lo sole fa
che l'ha fatto nore, luongo cammino ;
Isso se fa la via co lo valore
A
La
la grolla, e
ne schiatta
lo destino;
Ca, mo, è d'Apollo,
commo
E
Muse apparo
le
vo bene de
le
amico fu grande
gioia del tenero
frate, caro, ^.
:
Dire non saperria quanto sentiette
audenno nommenare a chillo. amico me facette
Piacere,
Che
la fortuna
Da che
apprende che
Svegliatosi,
Mantova, Basile
il
leva a la scola, peccerillo! è
quale reca a Febo
giunto
^.
un ambasciatore
la notizia,
di
che la virtù del
:
Co granne nore suo, l'ha
Lo
titolo
fatto avere
de conte e cavaliere
;
vengono indette e celebrate in Parnaso ^. Non manca l'elogio pel duca Ferdinando, del quale si ammirava nella stanza di Apollo un magnifico ritratto onde solenni
feste
:
Chisso ne' era depinto cossi bivo
Che quase lo vedive freccecare; Tenea la vorza fatta commo a crivo. Che no uce potè réiere denare;
^
Viaggio di Parnaso, IV, 38-9.
2
Op.
cit.,
IV, ott. ult.
2
Op.
cit.,
ce.
V
e VI.
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
I.
Da La
lo
quale piglia oie sostiento e civo
vertute, che stea già pe crepare.
Le vide appiede mille vertuluse, Che le puoie nnuosso ai^pennere
E
E
15
isso a chi
le fuse
;
dà sfuorge, a chi tornise,
tutte fa partire conzolate.
mo
Ora cammina
ss'autre paise,
Se truove tanta liberalitate! ^
A
Mantova,
Basile fece, nel 1613, un'edizione completa
il
delle poesie fin allora
da
lui pubblicate,
aggiungendovi una
seconda parte di madrigali e odi, dedicata
al
—
Gonzaga.
Ma, trascorso qualche mese, forse per cagione di salute,
si
nuovo a Napoli. Non, di certo, per dissapori Gonzaga che, anzi, scoppiata la guerra col Pie-
ridusse di sorti coi
:
monte per Napoli,
il
Monferrato, egli scriveva da
la successione del
giugno 1613,
1.°
duca, dolente che,
al
portunità della presente guerra togliesse « si largo
che
casa
»,
la
sua indisposizione
di soddisfare in parte
»
doveva, e di mostrare a pieno quanto fosse
gli
sideroso di spargere
gli
a quel «
de-
proprio sangue in servigio della sua
il
Nel dicembre, scriveva ancora per rendere grazie
»,
nuovi favori
dei
campo
nell'op-
«
largiti
Nel 1615,
sorella Vittoria^.
alla
soddisfacendo la richiesta del Gonzaga, inviava a Mantova l'altra
anche virtuosa
sorella, Margherita,
quale fu subito dal duca dotata e maritata
di
musica,
la
^.
IH
A ebbe
Napoli,
il
uffici di
Basile
Regno. Nel 1615,
1
Op.
2
Queste
nella 3
mia
cit.,
riprese
il
servigio
delle
corti,
ed
governatore regio o feudale nei comuni del si
trovava,
come
tale,
a Montemarano, in
V, 10-1.
lettere, e le altre citate
ediz. del C'unto de
Ademollo, op.
cit.,
li
più innanzi, furono edite da
cunti, I, pp.
pp. 210-1.
xxxix-XL, cxcvi
ix.
me
GIAMBATTISTA BASILE E
16
IL
«
CUNTO DE
LI CUNTI
»
provincia d'Avellino ^ Nel 1617, era in Zuncoli, al séguito
marchese
del
Cecco di Loffredo, capitano
di Trevico,
uomini d'armi.
di
durante questi anni, in lavori
Si occupò,
Rime del Bembo (1616-7) e del Casa (1617), e aggiungendovi un volume di Osservazioni (1618), che era una sorta di vocabogrammaticali e
lario
lìlologici,
delle
adoperate da quei due poeti
delle voci e frasi
deve anche a
curando edizioni
lui (1617)
Galeazzo di Tarsia, rimaste a lungo inedite. Queste
me, come anche
;
prima stampa delle JRime
la
la terza parte dei
vennero dal Basile dedicate
Madriali
et
si
di
ulti-
Ode (1617),
al Loffredo.
Passò, l'anno seguente, a
un nuovo padrone,
al
prin-
cipe d'Avellino, Marino Caracciolo: continui passaggi, che ci
provano come
della vita
campo
e^li avesse largo
di fare esperienza
cortig-iana e di conoscerne a fondo le miserie.,
Sventurato (dice in una sua egloga) colui
E
che pe na pezza vecchia, per sorchiare vroda a no teniello,
Co na panella sedeticcia
Venne
Non
e' è
la libertà,
vita più instabile e piena di affanni
Mo se vede tenuto Mparma de mano e mo
Mo Mo Mo
caro a lo patrone e pezzente,
;
:
puosto nzeffunno,
mo
nzavuorrio,
ricco,
mo
arronchiato e sicco.
tutte le proprie forze per farsi merito
fatiche perse
No No
mo
grasso e luoug-o,
Può bene spendere e onore
e tosta,
che tanto costa.
boffone,
;
gli
na
viene preferito no Ganemede,
spia,
cuoiero cotecone
;
O
puro, uno che facce Casa a doi porte, o n'ommo co doi facce-.
1
2
Lettera da Montemarauo del 14 marzo 1615 al duca di Mantova. Egloga La coppella: si veda anche Cunto de li curiti, III, 7, 9, ecc.
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
I.
Per fortuna,
il
principe d'Avellino, gran cancelliere e
più gran signore che fusse in Regno
« il
»,
era
ed amatore dei virtuosi, a segno tale che sino Giambattista Bergazzano, fu
biere,
corte, si passava
tempo
il
scherate, commedie,
da
lui
destinato, nel
nella quale città
17
poeta
»
«
virtuoso
il
suo bar-
^ Nella sua
in continue giostre, tornei,
balli e piacevoli veglie
^.
Il
ma-
Basile fu
1619, a governatore di Avellino^;
componeva
e
dedicava
al
principe un
idil-
L'Aretusa, che può offrire saggio del migliore suo poe-
lio:
tare.
È
un'imitazione degli
idillii
del ^Marino (attinti, a loro
Nonno e a Claudiano) ma ha movimento e colore. Nell'ultima parte, volta, a
;
che insegue l'amata Aretusa
feo,
tratti si
non privi
di
descrive cosi Al-
:
Alleo, per quello stesso
Precipizio mortai, sospinse l'acqua,
E
per
le
interne viscere ed occulte
De la terra, e per sotto il mar spumante, La segue ovunque vada. Né già potea per tante Caligini d'orrori
Smarrir di
Né
lei la
sospirosa luce;
già potea per tante
Sentir
men
umide
vie
calde l'amorose fiamme;
Che mal può l'Oceano D'impetuoso amor spegner l'arsura. Alfìn la sbigottita.
Entro
al
più cupo seno
Della terra, s'accorge D'.un' occulta apertura, che penetra
Sin dove siede la città del foco
Per
cui, ratto
;
scendendo,
S'invola agli occhi del sagace amante.
1
BuccA, Aggiunta (ms. Bibl. Naz. di Napoli, X, B,
novembre
1630.
2
Ode, pp. 11-15.
3
Ode, p. 216.
66), sotto
il
4
18
GIAMBATTISTA BASILE E IL
«
ODNTO DE
1 LI CUNTI
di cieco timor ferza inaudita!
Non
rompe
mira, per fuggir, ch'ella già
Del liquido elemento
Le innate leggi eterne, Che il suo contrario aborra;
E va
nel cerchio ardente a portar l'onde
De
l'infernal Oocito.
La
famiglia d'Inferno
Stupida a mirar prende
non più visto fonte, fa il nuovo portento Sospender fra quell'alme ogni tormento.
Il
E
Non si pascon gli augelli, Non si volgon le ruote. Non si conduce il sasso a l'alto monte, Né col cribo si trae l'acqua dal fonte. Il
Da
regnator de la penosa Dite, torvi rai spirando arida luce,
Intende d'Aretusa Che r abbia spinto
al
-
tenebroso regno.
E, di suoi gravi affanni Pietoso, forse avria dato a quell'acque
Incendioso albergo Ma, per non porre Ospite
si
;
al
suo cocente nido
nemica,
L'insegna, ov'elia
il
varco
Trovi, onde sorga a riveder le stelle.
Ove Peloro scovre
il
mar
Tirreno,
Mille aperture ha la Trinacria riva.
Per cui respira
Una Il
foco ond'arde
il
centro.
signor d'Acheronte ad Aretusa,
Per cui
E
il
di queste addita
fa di
ove non tace nuovo umor bagnate risoi'ge
il
vento
;
e molli
Di Sicania le piagge. Di tema ancor gelante, ancor tremante. Qui ferma il corso, e qui piange in eterno, Mai sempre umido il ciglio, D'Ismin la morte e '1 suo perpetuo esigilo.
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
I.
Tornato a Xapoli, l'anno seguente uiizio Caracciolo,
il
19
Basile dedicava a Do-
marchese di Bella, cadetto della stessa amante; storia di un napoletano, che,
famiglia, Il guerriero
in un periodo di tregua non corrisposto, si uccide, trafiggendosi sumorto amante anche la donna crudele, punta
andato alla guerra di Lombardia, s'innamora, bito
dopo
e,
sul
da rimorso
presa da tardivo amore. Nel 1621, fondatasi
e
a Xapoli un'altra accademia, detta degli Incauti, vi
appartenne
terra
di
da
Xel 1621-2
le
lor
Imaginì
più
alti
di
;
Basile
Xel 1624,
^.
dame napoletane
belle
ri-
propri nomi in tanti anagrammi. rebus e la sciarada sono elevati
il
onori letterari.
una dama, che, per suo adulare
il
recò governatore regio nella
più
delle
In questo volumetto, ai
si
Lagolibero (Lagonegro) in Basilicata
pubblicava tratta
'.
Basile prendeva
Il
vaghezza,
utile o
poniamo, quello di Dorotea
Campolattaro
(e
amante
di
il
nome
Capua, marchesa
duca diOssuna);
del viceré
di
convenisse
gli
e,
volgendo e rivolgendo
le lettere di questo nome, ne cavava una frase anagrammatica: « Hai d'amor scettro e palma », sulla quale costruiva il madrigale:
Nulla beltà risplende,
Ove
tu
pompa
altera
Fai de la tua bellezza alma guerriera;
Né già di te più degna Ne l'amoroso ciel trionfa Che
tu sol, chiara
Hai d'amor scettro
E
e
regna;
ed alma, e
palma.
medesimo eseguiva per ben settantun© nomi
il
per trentacinque di
altri
di
dame
e
personaggi; e di altrettali lavori,
d'insigne stupidità, disseminava
le
raccolte poetiche e fre-
^
iliMERi Kiccio, Accadem. di Napoli,
-
Provvisione del viceré Cardinal Zapata, del
(Arch. di Stato di Napoli, Collaterale
1.
e,
527-8.
IV',
Officiar., voi.
18
XIV,
giugno 1621 f.
128
b.).
20
GIAMBATTISTA BASILE E IL
giava
i
amici
libri degli
LI CUNTI
come ne dava,
e,
;
CUNTO DE
«
»
ne
cosi
rice-
veva, perché, appunto nel combinare anagrammi, spesero
gran parte del loro tempo
letterati del Seicento. Spetta-
i
colo di offesa dignità del carattere e del pensiero
innanzi
al
quale
è mossi a disgusto e invasi
si
Nel frontespizio delle Imaglni,
prima volta come
compongono
il
«
umano,
tristezza.
compare per
la
luno dei villaggi che
»
paesello di Morrone, in provincia di Caserta);
avendo trasportato
forse
terra da lui acquistata. «
Basile
il
conte di Toronc
da
conte di Castelrampa
suo titolo di conte sopra una
il
Nel 1626,
ma
» ';
si
denomina, invece,
ripigliò, dipoi,
il
titolo di
conte di Torone, a cui rimase fedele.
Due
ritorni
memorabili> di il
venutavi per poco,
fini col
anni
;
venne a morirvi.
con un'ode,
restarvi stabilmente per
«
tra
pregi sino
salutò
il
nove con
suo maestro
per concorrere (scrive) coH'universale lodi, e
al cielo di lui,
sua patria sovra
della
Basile
Il
applauso delle sue meritate i
cittadini vide, circa
e quello di Giambattista Marino, che, accolto
"
trionfo,
tare
suoi
ritorno dell'Adriana Basile, la quale,
quel tempo, Napoli:
le
stelle,
per obligazione di por-
che portato ha
le glorie
per rendersi
eziandio
e
grato con pochi versi a chi con tanti parti del suo divino
ingegno ha
Anche al
la
sua propria sorella altamente celebrato
nel Teagene, al quale
Marino un'ottava:
Ma
chi dirà di
te,
Mai'iu, gli onori,
Cui Permesso apparecchia eterni allori? Quante d'inchiostro verserai tu stille. Tanti fien di dolcezza ampi torrenti
Ogni solco
di
;
penna a mille a mille
Fior di gloria aprirà
->.
andava lavorando, consacra
lieti
1
Lettera del 24 novembre 1626.
2
Ademollo,
op. cit., pp. 289-323.
e ridenti.
I.
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
Una de
amorose alme
le
Sparse in tue carte, Potrà infiammar; da
le
faville,
più voglie algenti
le
tue note altere
Apprenderan nuove armonie Il
21
nuovo protettore, ch'ebbero
le sfere
egli e
i
^ suoi, fu
il
duca
d'Alba, don Antonio Alvarez di Toledo, viceré di Napoli dal 1622 al 1629. Dal duca d'Alba gli fu afiidato, nel 1626, il
governo
di
Aversa
^
a lui dedicò la raccolta di cin-
:
quanta delle sue Ode, stampata nel 1627. In quel tempo, contribuì largamente alle feste o Apparati, che
solevano
si
celebrare pel San Giovanni, con composizioni poetiche liane, latine e spagnuole. Anzi, in
spagnuolo fatto mettere insieme dal duca d'Alba sto
donato poi all'Adriana,
altre, sette poesie sile
leggono, a capo
e
da que-
di tutte le
spagnuole per musica, composte dal Ba-
Xel 1630, per
^.
si
ita-
un canzoniere manoscritto
la
venuta
di
Maria d'Austria, sorella
del re
Filippo IV, che andava sposa all'arciduca Ferdi-
nando,
i
cavalieri napoletani fecero rappresentare nel Pa-
lazzo reale,
il
17 ottobre,
una mascherata: Monte di ParLombardo,
naso, con parole del Basile e musica di Giacinto la
quale è da considerare come uno dei primi saggi, che
si
ebbero in Xapoli, di drammi musicali \ IV
L'ultima corte, alla quale
il
Basile appartenne, fu quella
del duca di Acerenza, Galeazzo Pinelli, letterato
demico degli Oziosi.
Basile,
Il
come
si
e
acca-
è detto, lavorava,
1
Teagetie,
V,
2
Nomina
in data 28 dicembre 1626, Arch. di Stato di Napoli, Of-
ficior.
Collat., voi.
66-7.
XXII,
f.
86
t.
3
Si
vedano, in fine a questo studio, Illustrazioni
*
Si
vedano Bucca, Aggiunta, ms.
Il forastiero (Napoli, 1634), p.
poli, 1891^, pp. 107-11.
cit.,
e
documenti, III.
17 ottobre 1630-, Capaccio,
959; e cfr. Croce, Teatri di Napoli ;Na-
GIAMBATTISTA BASILE E
22
IL
CUNTO DE
«
da qualche tempo, a un gran poema,
LI
CUNTI
»
Il Teagene; versifica-
raento della Storia etiopica di Eliodoro, che narra le traver-
una coppia
romanzo greco, tradotto dal Glinci nel 1556 e più volte ristampato, godeva molta popolarità; ed Ettore Pignatelli, anche lui degli Oziosi, ne aveva tratto, nel 1627, una tragedia: la Carlchia. Il Basile, nel suo sie di
di
amanti.
Il
lavoro, seguiva servilmente la traduzione del Glinci, ridu-
cendo
il
fissato
il
racconto alla forma
poema
Canto
E
'1
Che
convenzionale, in cui
come appare già
eroico,
l'eroe, d'Achille inclito
seme
dalla
si
germe,
erme
trasse errando in parti ignote ed
non vide
in valor
il
Molti affanni soffrirò: in
Meroe
Cinser di bianche bende
il
questo poema,
al
e mecenati, passati e futuri,
duca
e bella;
alfine
nobil crine.
canto quinto, descrivendo
d'Apollo in Delfo, dove erano
al
,
ferme,
ciel piix
Coppia non ebbe amor più fida
In
immagini
le il
il
di tutti
tempio i
poeti
Basile dedicava un'ottava
Acerenza \ suo nuovo padrone e mandato governatore nella terra
di
1631, fu
:
di Perseo, l'alta donzella.
Fortuna, a lor lunga stagion ribella:
Alme
era
prima ottava
dal quale, nel di
Giugliano,
presso Napoli.
Luttuoso inverno quello del 1631-2, che terribile eruzione,
secolare
onde
il
Vesuvio
si
Con vomero
E
il
seme
di foco, alto stupore.
terreno,
degli incendi accolto al seno
Vi sparge, e
E
il
'1
riga di fervente
umore
quindi, a fecondarlo, in rapid'
oi'e,
Di cenere ben ampio il rende pieno; Onde, quanto circonda il mar Tirreno,
Mèsse raccoglie Teagene, V, 49.
di
apri con la
riscosse dal suo sonno
:
Mostruoso arator solca
1
si
profondo orrore.
;
I.
VITA E OPERE ITALIANE DEL BASILE
23
Ma, se danno iiroduce a noi mortali Cotanto aspro Vesevo, ond'ogni loco Arde, né scampo
ei
trova in mezzo al verno
Pur raccoglier ne giova, Dal cener sparso
e dal versato foco,
Membranza de
Morte
la
Cosi seicenteg-giò e moralizzò netti,
che
gli
vennero
ispirati
;
in tanti mali,
e dell'Inferno.
il
Basile in
uno dei
da quell'avvenimento, e che
furono, forse, gli ultimi versi che egli componesse. (scrive
un
cronista), erano
tre so-
appena terminati
«
Perché
flagelli del-
i
quando il giusto Dio, scorgendo che non erano ancora emendati [i napoletani], volle darli altra sorta di
l'incendio,
gastigo, poiché
insorse
un male
di
canna
[«
gola
»],
cosi
crudele e contagioso che parve peste, del quale in pochi di
morsero
infinite genti ». E, tra queste, molti
cospicui; e
«
tuttavia ne
van morendo
per
di
personaggi
di, e
ne sono
morti di subito don Giovanni d'Aquino, principe di Pietrapulcina, e
di
Giovan Battista Basile, dei primi poeti
questo tempo,
assai celebre Il
»
e
Giovan Girolamo
mori improvvisamente, nel luogo del
suo governo, in Giugliano, et
Tomaso, medico
^
Basile, infatti,
cramentis
di
il
«
sine sa-
venne
sepolto,
23 febbraio 1032,
sine electione sepultura'
»
;
e
con grande pompa, nella chiesa di Santa Sofia di Giugliano, dove, fino a non molti anni addietro, sotto
il
pergamo,
la
tomba
La sorella Adriana, che mora in Roma, prese cura
di lui
lasciò
si
vedeva ancora,
'.
Napoli per fermare
di pubblicare colà, nel 1637,
«l'ultimo parto dell'ingegno di suo fratello»,
1
BuccA, Aggiunta, ms.
cit.,
di-
il
Teagene,
febbraio 1632.
documento, tratto dal libro dei defunti della parrocchia di S. Anna di Giugliano, fu pubblicato da L. Molinako dkl Chiaro, nel Giambattista Basile, Archivio di letteratura popolare, a. II, n. B, 15 marzo 2
1884.
II
GIAMBATTISTA BASILE E
24
IL «
CUNTO DE
dedicandolo, secondo l'intenzione di
Un
tonio Barberini.
nanzi
al libro,
al
manipolo di poeti loda,
poema, l'autore,
»
cardinale Anal
solito, in-
la sorella dell'autore, le
questa, e segnatamente la bellezza e
il
canto
Eleonora Barone. Caterina Barone, altra nipote
di
Giam-
tagliuole di di
il
lui,
LI CUNTI
battista, dice in
un sonetto:
Deli, potess'io col tuo i^regiato stile
Scrivere, e coi tuoi lauri ornarmi
Del mio materno sangue alma
E, in fronte al volume, c'è
il
il
crine,
g-entile!
ritratto del Basile, inciso
da
Nicola Perrey, da una pittura o disegno di Giambattista Caracciolo. tare,
che
ci
Una
simpatica e maschia figura in abito mili-
presenta in
tutta la
sua dignità
il
cavalier
Giovan Battista Basile, conte di Torone e gentiluomo di S. A. di Mantova, uno dei « felici ingegni » del secolo.
II
La letteratura del dl\letto napoletano E le opere DL4LETTALI DEL BASILE
.1 I.
Basile, cortig-iano e poeta toscano, splendeva in piena
ma
luce agli occhi dei contemporanei:
restava l'altra manifestazione di al volto la
battutis
>?,
lui,
maschera anag-rammatica
quasi
nell'ombra
nella quale, adattata di
«
Gian Alesio Ab-
e smessa la gravità consueta, invece di rimare
odi e madrigali, egli
componeva
bizzarrie in dialetto na-
poletano.
La
letteratura del
dialetto
napoletano
decimosettimo. restino la
Non
monumenti
favella
del
:
in tutta la sua schiettezza,
popolo napoletano fu messa in
Boccaccio, se è autentica,
come sembra,
a Francesco dei Bardi, che va sotto de Parise; e nel dialetto
mente
in quello della gente cólta,
1
Tre
il
iscritto
dal
la lettera di
lui
nome
di Jannetto
napoletano, benché più propria-
del latino curiale, dall'altra posti, nel
può dire che
tempo precedente, non
già che, del dialettali
si
decenni del secolo
nascesse, per l'appunto, in quei primi
del
e Quattrocento,
i
«
imbevuto da una parte » S furono com-
toscano
poemetti del Reglmen sa-
E. PÉRCOPO, I bagni di PozzucH (SapoVi, Furcbheim, 18S7), pp. 40-3.
GIAMBATTISTA BASILE E
2(.;
nifatis, dei
LI CUNTI
»
di Caio, e, ancora,
Ricordi di Loise de Rosa.
i
non
dialetto ibrido appare,
stesso
CUNTO DE
Bmjni di Pozzuoli, del Libro
Cronaca di Partenope e
la
IL «
Lo
ammini-
solo negli atti
ma
anche nella maggior
parte delle opere letterarie di quel
tempo, poemi, crona-
della corte
strativi
aragonese,
poche che rappre-
che e trattati, fatta eccezione di quelle
sentano
toscanesimo. Più genuinamente dia-
rifiorire del
il
lettale esso fu nelle farse, di cui
dette
cavaiole
«
sono ben note quelle cosi
».
Intorno alla metà del secolo seguente,
come era già caduto
letano,
anche dagli
spari
cosi
atti
il
dall'uso degli
Ma
pubblici ^
dialetto naposcrittori
c(»Iti,
seguitò a
esso
esplicarsi nelle farse e nei c,anti del popolo, celebri, questi ultimi, «
tutta
in
villanelle, sorse allora di arte;
del
e
niello
uno
E, tra
forma musicale, come i
poeti di canzoni e di
qualcuno che tentò forme più ampie di cui ci
rimane
diminutivo napoletano
nel
(Bernardino)
»
» ^.
in particolare,
nome,
solo
nella loro
Italia
napoletane
villanelle
;
il
di
il
«
ricordo Velardi-
quale fu autore di una serie di
Stanze, che descrivono e rimpiangono malinconicamente
buon tempo
antico, e finiscono col grido
il
:
quanno fuste, Napole, corona? Quanno regnava casa d'Aragona;
Sai
nonché
di
alcune ottave e di una Farza de
stata inedita fino ai giorni nostri
li
massare, re-
•''.
Senonché, è da porre non piccolo divario tra l'uso popolare o spontaneo del dialetto e
1
Galiani, Del
il
rifacimento artistico
dialetto napoletano (2." ed.,
Napoli, Porcelli, 1789),
pp. 119-20. 2
Htor.
Si
veda B. Cai'asso, Sulla poesia popolare napoletana
(in
Arch.
nap., voi. Vili, pp. 316-81). 3 Si
veda
la
mia memoria:
Velardiniello e la sua Inedita farsa na-
poletana (in Atti deWAccad. Pontaniana, voi.
XL,
1910).
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
II.
esso
(li
caso
per opera di poeti
particolare
del
E
culti.
dove
teatro,
il
senza
'Z^
fermarci
sul
napoletano,
dialetto
Lorae quelli di altre parti d' Italia, e anche le lingue straniere, furono
introdotti, nel
carattorir«tica
comica
il
Cinquecento, per ragioni di
rifacimento artistico del parlare
napoletano prese grande estensione nei primi del Seicento pel concorso di varie cagioni. Principale tra queste la ri-
cerca spasmodica di novità, che agitava
gli spiriti in
quel
tempo. Perché, s'ingannerebbe non poco chi credesse che i
letterati d'allora
si
volgessero al popolo e alla sua
fa-
per brama di semplicità e di verità. Quantunque
vella
del
semplice e del vero avessero gran bisogno, l'amore
per
il
dialetto, piuttosto
loro
malattia.
tava
il
nuovo,
che medicina, era sintomo della
Il
dialetto, per quegli scrittori, rappresen-
il
bizzarro, lo stravagante, lo spiritoso
gione, altresì, per la quale la letteratura dialettale
si
;
ra-
pre-
sentò con carattere prevalentemente burlesco.
Tuttavia, appunto perché burlesca, quella
ebbe doti
di semplicità e verità,
temporanea letteratura aulica
in
che mancavano lingua
<
i
costrizione e tensione, in cui d'ordinario
si
(tanto per seicenteggiare anche noi) frivoli, quali
li
mutò
dalla
trovavano; e
fece seri facendoli
effettivamente erano.
a dirittura in poeti teneri e passionali;
possibile avvicinarsi del tutto
L'at-
>.
letterati
Né bisogna
discono.scere che, qualche volta, sebbene di rado, li
alla con-
toscana
teggiamento giocoso dello spirito liberò
seriamente
produzione
impunemente
diak-tto
il
non essendo
alle ftescho e
chiare acque dello spirito popolare.
Un'altra cagione assai importante, che concorse in quel
tempo
al
fiorire
della
regionale o municipale.
letteratura dialettale,
La
fu
d'in«lolc
letteratura italiana, di
pmvo-
nienza toscana, aveva sempre qualcosa di esotico, poli
come
letteraria,
Per partecipare
in altre parti d'Italia.
conveniva rinnegare
il
liiìiruaL-'L'-i"
alia
v,t
i
api-reso da
GIAMBATTISTA BASILE E
28
IL
CUNTO DE
«
bambini, e imparare, nella scuola e sui
Eppure, Napoli era una grande centro
Stato, e
di
vita
LI CUNTI
libri,
il «
»
toscano
».
città, capitale di
un grande
costumi
originali.
intensa
e
di
voce?
la propria
Perché non doveva far sentire anch'essa
perché doveva sempre tradurla in quella di un'altra regione italiana? Forse che la sua lingua era meno efficace toscana? o gl'ingegni napoletani cosi deboli da
di quella
non poter fare nulla
non mettendosi
plausibile se
di
al-
l'imitazione toscana?
II
Quest'ultimo motivo è specialmente evidente in colui,
che fu lio
padre della nuova letteratura
il
dialettale, in Giu-
Cesare Cortese.
Come
già
abbiamo accennato, una salda amicizia legò
per tutta la vita tra questi
riuscire
il
Cortese col Basile:
cosi salda e viva,
due massimi poeti del dialetto napoletano, da
commovente. Se
il
Cortese celebrava, nel suo Viag-
gio di Parnaso^ le onorificenze ottenute dal Basile a
Man-
tova, e ricordava che colui, che era giunto ormai cosi in alto, gli era stato fatto
andava da bambino
amico dalla fortuna
alla scuola
^
—
fin
da quando
Basile, di ricambio,
il
nell'introduzione a una delle sue odi, rendeva all'altro
questo
solenne
onorato amico
riconoscimento:
«
dell'autore, che le
più 11 più caro, il sacre e sante leggi
dell'amicizia serbar sapesse, fu Giulio Cesare Cortese; ... il quale, con maraviglia di chi '1 conobbe, mostrò la grandezza dell'ingegno nella picciolezza del corpo, chezza della virtù nella povertà della fortuna, e talità del
merito nella brevità della vita
veda sopra, pp.
»
l'
la ric-
immor-
-.
18-15.
1
Si
"
Ode, p. 57. Nel Teagene (V, 68):
Fortuna Come prodigo avrà Febo
e le
«
Il
Cortese, a cui
Muse
>
fia
scarsa
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
II.
La
29
come uno dei punti, che a me sembrano
vita di lui fu randagia, avventurosa, stentata, Basile. In
quella del
più poetici, del sopra ricordato Viaggio di Parnaso \ egli sorride umoristicamente di sé stesso, che sciato sfug'g-irc di
mano
è
si
sempre
ogni bene materiale, correndo die-
palazzi incantati del sogno. Ma, se questo è
tro ai
gnificato generale della sua vita,
ignoti;
e,
la-
con non poca
fatica, a
i
il
si-
particolari di essa sono
me
ò riuscito raccogliere
alcuni dati, che offro qui con la speranza che serviranno
come punti
di partenza per ulteriori ricerche.
dovè nascere intorno rava in legge
-.
al
—
1575, perché nel 1597
Cortese
II
si
addotto-
Sulla fine del 1599, ottenne dal viceré conte
di Lemos, per un anno, l'ufficio di assessore in Trani, che non potè occupare immediatamente, onde chiese in grazia
che
l'effetto della
concessione cominciasse dal 13 gennaio
dell'anno seguente^. e,
di là, in
Sembra
Toscana ^
Il
che, poi, andasse in Ispagna,
comentatore
di
un poema
di lui,
mise
ai ser-
dice che, nel fiore della gioventù,
lo Zito,
si
granduca Ferdinando dei Medici (1587-1609), e che, in quella corte, fu amato da tutti e assai stimato dal A suo padrone, tanto che era chiamato il « beniamino» vigi del
"".
Firenze
per
strana
(cosa
fervido e quasi
cosi
esclusivo
amatore del dialetto napoletano) venne annoverato tra
veda
canto VII, e
1
Si
2
Cfr. Illustr. e doc,
il
1.
Il
cfr. in
questo volume
documento
il
saggio
della laurea fu
voi.
XXII, 3
neW Università
5
Nuova
d''
illustri
Antologia,
JS7-J,
pp. 951-2).
Arch. di Stato di Napoli: Segreteria vicereale, 0/Jìciorum del
Collaterale, voi. Vili (1599-1601), ^
di Napoli (in
II.
pubblicato
dal Settembrini, Le carte della scuola di Salerno e gli autografi napoletani laureati
gli
f.
27
b.
Viaggio di Parnaso, VII, 36.
Comento
pp. 195-6.
e difesa della
Vaiasseide, nella Collez. Porcelli, voi. Ili,
GIAMBATTISTA BASILE E IL
30
accademici della Crusca^; di
Pastore Sebeto
«
A
».
«
CUNTO DE
titolo al
le
il
»
Cortese comin-
un suo
Vaiasseide, è diretto alle
sdamine sciorentine)
CUNTI
quale aggiunse l'altro
Firenze, forse,
ciò a poetare in napoletano, perché
in fronte alla
LI
sonetto, posto
dame
fiorentine {A
:
ste dammecelle quarche pacchiano, O ca so' nato fuorze ad Antegnano, Che me fanno ogne ghiuorno guattarelle. Ca songo segnorazze e ca so belle. Non sanno ca io so napolitano? Quanno le dico: « vasove le namano », A che serve sona le ciaramelle? Aggio strutto na coppola pe loro,
Aggio paura ca
Se penzano ca
E
so'
faccio leverenzie co la pala;
Ed
sempe co
esse
lo risariello.
Stongo co no golio, che me ne moro, De vedere una, che pe me se cala; Ma chili priesto avarraggio lo scartiello.
com'è
Allude,
dame
chiaro,
fiorentine, che
razioni
amorose.
quelle,
se è vero
al
vano corteggiare
suo
rispondevano col riso
Ma ciò
peggio
gli
che narra
vergogna giacché
e
per isfogo
stampò
1
Io
la
di
Mazzoni,
cagione per
queir infelice
Vaiasseide, la cui
si
Zito si
la
;
ossia,
trasse
quale
che
il
poeta, tra
il
Cortese, tornato a Napoli,
fregia innanzi al Pianto della Vergine del Ba-
quale ha fatto per
me
(1608).
Ma
l'amico Guido
ricerche all'Accademia della Cru-
non ha trovato alcun ricordo del Cortese come accademico. "
Op.
cit.,
pp. 195-8.
alle
uno scarpino
amore fiorentino, scrisse e prima edizione sarebbe del
Tempio eremitano dello Staibano il
sue dichia-
avrebbe abbandonato Firenze'. E,
aggiunge che
Di questo titolo
sile, e al
sca,
disgusto,
lo Zito
belle
avrebbe risposto una di
sue calde proteste e richieste, colei e glielo gittò sul capo;
alle
le
II.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
bisognerebbe concludere che,
1604 \
31
quell'anno, egli
in
avesse già lasciato la corte medicea. Tuttavia, cosi nella
causa della partenza da Firenze come nella pretesa intenzione della Vaiasseide, sembra di fiutare un'invenzione
scherzosa dello Zito
e la stessa data del 1604, come quella prima edizione del poemetto, non va esente da dubbi -,
della
;
Certamente, nel 1606,
il
Cortese era di nuovo in Napoli,
perché ebbe dal viceré conte di Benavente
l'ufticio di go-
vernatore della terra di Lagolibero o Lagonegro in Basilicata
^
terra destinata, per quel che sembra, a essere retta
:
da poeti, giacché, come ne era governatore
relazioni con la corte
si
veduto
è
•>,
qualche anno dopo,
Basile \ Mantenne, tuttavia,
il
medicea
e,
;
nel 1608, invitava
amico a concorrere con qualche componimento colta per le
buone il
alla
nozze del principe ereditario Cosimo
^.
suo rac-
Nel
poco dopo, dimorava ancora in Napoli, protetto
1610, o
dal secondo
conte di
Lemos
viceré, e poi
dal
fratello di
che rimase luogotenente del Regno alla partenza del
lui,
1
Op.
2
Di questa edizione non
cit.,
p. 239.
KANA, Notizie biografiche
esiste più
alcun esemplare;
e
il
Marto-
e bibliografiche degli scrittori del dialetto napole-
tano (Napoli, 1874), p. 152, che ne parla
come
se
ne avesse veduto qual-
cuno, non ne dà la descrizione, e trae tutto quel che dice dalle edizioni posteriori.
La prima,
di cui esista
di Napoli, nella stamperia di
ancora qualche copia, è l'edizione
Tarquinio Longo, 1615;
avviso donde risulta che, non appena del suo poema, questo veniva
suo nome; onde egli
si
il
la
quale ha un
Cortese componeva un canto
stampato senza suo permesso
era risoluto a stampare
il
e
senza
poema intero
il
e col
proprio nome. Precedentemente, dunque, vi erano dovute essere sol-
tanto edizioni parziali, di singoli canti. 3
Archivio di Stato
Collaterale, voi. *
Si
^>
Si
XI
veda sopra, veda sopra,
di Napoli, Segreteria vicereale, Officiorum del
(1606-1608), p. 19. p. 9.
f.
4.
GIAMBATTISTA BASILE E
32
CUNTO DE
IL «
CUNTI
LI
»
conte K Fondatasi, nel 1612, l'accademia dei Sileni nel chiostro di
San Pietro a Maiella,
egli ne fece parte
scriveva la prefazione al Viaggio di Parnaso
Ma mori
altre opere.
qualche anno dopo;
era già morto nel 1627 altro, se
sona
Jl Cortese, di
sizioni, che,
», e
»
,
gloriava dell'esser suo
si
respingeva gaiamente
per questa parte,
sebele (egli dice) che
certamente,
Né, per ora, saprei aggiungere
Pastor Sebeto
«
prometteva
che egli era di piccolissima statura^.
poeta napoletano
^^
e,
Nel 1621,
^.
e
particolare, concernente la sua per-
non questo
iìsica; e, cioè,
"*.
^,
movevano.
gli si
«
oppo-
le
Non
quarche travo rutto non strida,
e
quarche strenga rotta non se metta ndozzana, decenno: quaiino niccà
da
povere Muscie so deventate de
le
citianno niccà la
1
2
fontana de Ptiorto
è
lo
pos-
è
'
che
Da
Lavinaroì
Ippocrenef
'
» ^.
Ma
Viaggio di Parnaso, VII, B9.
MiNiERi
lo stesso
E.ICCIO,
Accademie di Napoli,
e,
1.
p. 59.
Erroneamente,
erudito mette tra gli Svegliati (accademia che
fiori
circa
il
Giulio Cesare Cortese detto l'Attonito (1. e, p. 605); e doveva dire Giulio Cortese, letterato napoletano della generazione precedente, autore, fra l'altro, di un volume di Rime e prose (Napoli, 1592). 2 Viaggio di Parnaso, poema di Giulio Cesare Cortese, dedicato all'illustriss. sig. Don Diego di Mendoza (In Venetia, per Nicolò Mi1586)
serini, 1621):
Leile
adonca
sto chilleto;
.
.
.
adoì^atelo e giistalelo
fi
che
da Mantova, dove è ghiuta ad arrecoyliere conciette pe fareve n^autra composta co P acito de grieco de Napole ». Il viaggio, di cui qui si parla, a Smirne e a Mantova, era, com'è chiaro, non già un viaggio materiale, ma metaforico e, cioè, lo studio di Omero la
musa mia tome da Smirna
e
;
e di Virgilio. *
Di
lui,
come
già morto, parla
il
Basile nel luogo citato delle
Ode, p. 57. 5
Basile,
1.
e.
;
e cfr. Viaggio di Parnaso,
I,
20, 25.
[A questo mio
schizzo biografico non aggiunge proprio nulla la tesi di laurea di Attilio Feuolla, Giulio
Cesare Cortese, poeta napolitano del secolo
XVII
(Napoli, tip. della E. Università, 1907), la quale contiene, per altro,
una
giudiziosa esposizione delle opere del C.]. 6
Prefaz. al
Viaggio di Parnaso.
II.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
a costoro rispondeva al
modo
stesso che, in quel suo viag-
gio al Parnaso, ai poeti ivi raccolti,
vano di vedere tra loro
«
i
quali
quanta vote a
Cose hanno
Con
scrivo
io
:
;
se so nzeccate,
fatto lustre
come
commo
argientol
parlo; padronissimi voi di fare quel
che meglio vi talenti Siano tutte
E
»
non ho che vedere {no nce aggio che spar-
voialtri,
tire):
me
maraviglia-
si
n'omnio de Puorto
Le Muse vanno dove so chiammate, Ca no stanno co buie co lo strommiento
E
33
li
:
vuostre e quinci e unquanco
Vostre e V astro e cotillo e fotella.
manco De tante isce bellezze na stizzella. Tanta patacche avesse ad ogne banco. Quanta aggio io vuce a Napole mia bella; Vuce chiantute, de la maglia vecchia. Ch'io pe me, tanto, non ne voglio
Ch'hanno gran forza ed enchieno l'aurecchia. Difesa cosi vivace e giusta che qualcuno, spassionato e
spregiudicato,
tra
toscani,
poeti
i
Francesco Borni, non
può tenersi dal mirarlo con simpatia ed esclamare ha ragion, quest'uomicino
!
»
^
—
:
«
Egli
Xello stesso poemetto,
fingendosi la recita di una commedia, s'introduce un Pulcinella,
che mette in canzonatura
i
toscaneggianti
affettati,
applaudito da Apollo-. Il
come 1615,
primo parto della musa napoletana del Cortese si
Vaiasseide, pubblicata
è accennato, la
ma
già a
spizzico
negli
1
Viaggio di Parnaso,
2
Op.
cit.,
V, 21-9:
I,
cfr.
tato, pp. 236 sgg., e p. 58.
intera nel
anni precedenti,
quale, al dire dello Zito, nel it)28
si
fu.
e
della
contavano già sedici
22, 25.
Vaiasseide,
I,
S-9; e lo Zito,
cemento
ci-
GIAMBATTISTA BASILE E
34
IL
Sono cinque canti
edizioni \
«
CUNTO DE
LI CUNTI
»
ottava rima, descriventi
in
scene d'amori, gelosie, feste e matrimoni del popolino napoletano in
una
scuciti alquanto
;
serie di episodi,
nome
savo,
di
ma,
un bravo, o
«
e risolventisi
compenso, semplici
in
vivaci. Segui, nel
pitture
e ricchi di
come composizione 1619,
smargiasso
»,
di
forma
Micco Pas-
il
come
allora
si
diceva, la cui vita e quelle di altri suoi pari s'inquadrano nel racconto di un'impresa contro la quale,
fuorusciti di Abruzzo,
i
storicamente, trova riscontro nella spedizione di
Carlo Spinelli contro
le
bande
Marco Sciarra, accaduta
di
Meno
nei tempi della prima gioventù del Cortese.
cagione della loro generale intonazione seria,
forse, a
romanzetto in prosa: Li t/nvtigliuse amure de Ciullo favola
e la
«
posellechesca
»,
paiono qua e là ammanierati Cortese, in
felici
il
^.
il
Viaggio di Parnaso più volte
qualche tratto, l'umoristico e
il
Perna,
La Posa, che quarto poema
intitolata
Invece,
e
apdel
raggiunge,
citato,
romantico.
il
Nel 1621, un libraio napoletano, Fabrizio de Fusco, «
poiché
le
opere del signor Giulio Cesare Cortese, a giuintendenti, nel genere
dizio di tutti gli
rare che sino a questo tempo
cesso
(e,
cioè, le
», le altre, «
forniva 3.
i
titoli:
La
cagna.
8.
»,
più
racco-
aveva con-
l'autore gli
«
commune
a
1.
Lo
colascione. 2.
La
serena
rota delli canee.
Lo molino a Mento.
9.
signorie vo-
diletto delle
che sono a penna
Posilepo rofjìano. 4.
schiaccata. 6.
vedute
le
cinque che abbiamo ricordate), e promet-
teva di stampare, stre
siano
si
glieva insieme tutte quelle che
sono
loro
La
»,
delle quali, intanto,
Lo regno de npazzuta.
7.
La
5.
la huscia.
Partenoj^e
repubhreca de cuc-
ciarantola. 10. L'arcadia
1
Op.
2
Delle opere del Cortese discorse acconciamente G-iuseppe Ferrari,
cit.,
p. 239.
nei suoi articoli
mondes:
si
veda
De voi.
la littérature jpopulaire en Italie, nella
XXI
(1840), pp. 509-11.
Revue des deux
II.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETAXO
sconquassata. 11, L'ospitale
Lo nove
ncantato. 13.
È un
de
35
pazze. 12. Lo Cerriglio Lo miinno ammascarato *.
li
falluto. 14.
catalogo cosi lung-o da far pensare che contenesse
molte opere, di cui l'autore aveva in mente non più che il semplice titolo o il disegno generale. Comunque, di queste quattordici opere manoscritte
solamente
:
Lo
dtjpo, e,
per
poemetto
il
venne pubblicato alcuni anni quel che sembra, postumo ^. Cerriglio ncantato
ITI
L'esempio del Cortese fu seguito subito da parecchi, e,
prima
in
linea, dall'amicissimo Basile;
il
quale appare
per la prima volta in qualità di scrittore dialettale nell'edizione della Vaiasseide, fatta nel 1615 sione,
Gian Alesio Abbattutis
«
argomenti in ottave
gli
al
Questo importante catalogo
1
é
non solamente
scrisse
»
poema
e
In quell'occa-
^.
una graziosissima
let-
rimasto ignoto a tutti coloro che
hanno scritto del dialetto napoletano e del Cortese i quali sembra che non abbiano veduto la rarissima raccolta del 1621, benché qualcuno Opere burlesche in lingua nala citi vagamente. Eccone il frontespizio ;
:
poletana di Giulio Cesaee Cortese, cioè la Vaiasseide, Li iravagliuse ani-
Micco Passavo namniorato, Viaggio de Parnaso, La Rosa favola Domenico di Ferrante Maccarano, 1621, ad
mure,
drarnatica (In Napoli, per ist.
di Fabritio de Fusco).
Velli
ha
ÌIartorasa, op.
ho innanzi una
sul frontespizio:
—
Sviato
»
zone
un
e
dedica
|del
De Fusco
al
signor G. B.
la data del 15 settembre 1621.
2 II
Io ne
La
.
finora, e
«
cit.,
p. 156,
dato in luce per l'Accademico napoletano, detto lo si ha del Cortese una bella can-
Oltre le opere ricordate,
sonetto, esistenti in
da
ne conosce un'edizione del 1628.
di Xapoli, per Camillo iCavallo, 1645, che reca
me
una rara stampa, rimasta sconosciuta
riprodotti in lllustraz.
e
doc, IV.
Cesare Cortese, Il Pastor Sebeto, a compiuta perfettione ridotta, con gli argomenti et alcune prose di Gian Alesio Abbattutis, dedicata al potentiss. Re de' Venti (In Na3
La
poli, nella
Vaiasseide
Poema
di Giulio
stamperia di Tarquinio Longo, 1615).
GIAMBATTISTA BASILE E
oG
A
tera in prosa
che ad
glio lui e
de
lo re
IL
CUNTO DE
LI CUNTI
»
vioiti (al quale, spiegava,
li
ranno dedicate
altri,
ma
Cortese, disgraziati;,
il
«
anche una serie
me-
come
le fatiche dei poeti,
di lettere
scherzose in prosa e in verso ^ Nella prima di queste lettere, che è in versi sdruccioli, e
ha
data del dicembre 1614, Gian Alesio risponde a un
la
notar Cola Maria Zara, e
tendeva feo «
»,
a
muto
lo
la data del
1610
lostrissimo
messer Uneco
»
La seconda, firmata
un'opera.
fargli, di
con
e
ringrazia della dedica, che in-
lo
^,
è
magnifico
e
Comm^a
zione di prendere moglie, e a cui egli dà
e
martorio
lo
Smorfia
Anche
».
chiamato
viene
e intitolata:
»
la terza, in
mio
frate
«
del 1614,
sembrano
1
La
«
a
lo
inten-
consiglio di pre-
un
prosa, a
che
tale
quarta, firmata
la
rivolte
si
Vipiglia la firma « lo Chiafeo
126:
cit., p.
Martorana, la
op. cit., p. 15B sgg.);
dichiarazione del frontespizio,
il
ma
anche smentito dalla prefazione, che il Basile mise alle sue Mìise dove accenna che ama raccogliere voci e frasi napoletane comme facette lo medesemo autore n'autro scampolo a chelle lettere, che
napoletane,
jecero se
»,
paternità di queste lettere è stata attribuita da parecchi al
che non solamente conti-asta con
«
lo
«
settemo geneto de messere, zoè fraterno carnale.
Cortese (Galiani, op.
è
e
carnale l'
Uneco shiammegg tante che pò muse », entrambe con la data al medesimo personaggio della
le
seconda. La quinta, in cui è diretta
fidate
all'
«
rom,pere no bicchiere co
»,
il
Chia-
E lo shiore, lo spanto
Cecca, che de Napole,
«
:
lo
e diretta
un amico, che aveva manifestato
;
scegliere Cecca
«
anche in versi
cammarata
:
co la Vaiasseide, dalle quale,
n'ha pigliata V accoppatura
».
comme robba propria,
L'errore fu riconosciuto dall' Imbriani,
op. cit., pp. 38-40, e dal Eocco, nel Giambattista Basile, a. -
Veramente,
«
mille e seiciento e zero co no chille'o
petrato a rigore, darebbe 1601. Ma, nel 1601, poli e
ben lungi
da! fare
il
poeta dialettale:
il
e,
»
VI ;
(1888), n. 2.
il
che, inter-
Basile era lungi da Nadel resto,
il
1610 della
più larga interpetrazione (giustificata dal metro, che richiedeva
lo
sdrucciolo in fine) ravvicina la data a quella delle altre lettere del
gruppo.
II.
lo
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
chiù stretto parente, che stace a Cosenza
»
(a
dunque, del Basile?); e accompag-na l'invio in lode di Cecca, della quale lo scrittore
morato, narrando un sogno e
g-li
auspici
di
37
un Iratello, un sonetto
professa inna-
si
che trae da
felici,
esso pel suo amore. Basile
Il
si
presenta, in queste lettere, con un carattere
proprio, affatto diverso da quello del Cortese \ che gli era stato sprone
ed esempio. Laddove questi tende
zione realistica e adopera in
genere uno
Basile sfoga furiosamente nel
dialetto
alla descri-
sobrio,
stile
il
suo gusto secen-
il
tesco e la sua intemperanza stilistica. Per ogni qualifica,
getta sul volto al lettore venti aggettivi; di ogni oggetto
che nomina, esibisce venti varietà. Doveva aver messo, di certo,
uno studio particolare nel raccogliere
e le frasi dell' infima plebe
i
vocaboli
e quei suoi versi e prose
;
sem-
brano, talvolta, pagine di vocabolario ideologico, ravvivate
brama
dalla
mostra tutta
di spiegare in
la lussureggiante
ricchezza della patria favella.
Le
lettere di
Gian Alesio sono come
stiti
delle molte composizioni, che
loro
i
quella
i
frammenti super-
dovevano scambiarsi
cultori del dialetto napoletano negli anni in cui sorse
moda;
e vi s'incontrano molteplici allusioni, che è
impresa quasi disperata intendere. Chi era solo potev^a toccare sile
valeva come
tese?
tra
E
chi era lo
il
bicchiere con
fratello carnale
«
Zara? Ma
è
le
»?
1'
«
unico
»,
che
Muse, e che pel Ba-
Un
fratello, o
il
Cor-
da notare specialmente che
alcune di quelle allusioni gettano una luce, sebbene scialba e incerta, sopra tali di allora.
uno dei più
Mi
si
conceda
problema incidentale, perché
belli e
di
importanti
libri dialet-
fermarmi anche su questo
la storia della letteratura dia-
Tanto diverso che il Galiani, il quale, come si è detto, le attribuiva al Cortese, non poteva non notare che in esse costui avrebbe 1
«
intieramente imitato
il
Basile
>
(op. cit., p. 126).
GIAMBATTISTA BASILE E IL
38 lettale
«
CUNTO DE
napoletana non è stata ancora
fatta, e
possibile procedere oltre, senza orientare sta regione inesplorata, o dare, per lo alle ricerche,
Nel 1646,
anche
LI CCNTI
a
»
me non
meno, l'avviamento
che bisognerà ancora compiere. il
Camillo Cavallo (che ristampò
tipografo
opere del Basile e del Cortese) stampava,
le
Tommaso
instanza di
è
lettore in que-
il
Morello
»,
un
libretto:
a taccone de Felippo Sgruttendio de Scafato. dedicare l'opera a Gennaro Moscettola, la
Il
De
«
ad
la tiorba
Morello, nel
diceva
«
parto
un ingegno che, fra' i primi, nelle delizie di Pindo cam». Dunque, sembra certo che l'autore vivesse an-
di
peggia
cora in quell'anno ^ Tuttavia, molte allusioni di quel canzoniere richiamano a personaggi, che erano famosi in Napoli trent'anni prima; p. e,, al dottor Chiaiese,
di
cie
buffone, che
Ossuna la il
che fu burlescamente cantato dal Cortese
e
-,
una celebrità popolare, una speai tempi del viceré duca di
fioriva
^.
E
donna, elogiata dal poeta, è una Cecca; quella Cecca, cui
nome abbiamo
già incontrato nelle lettere scherzose
del Basile recanti la data del 1614, viglia e
il
come
il
fiore, la
martirio di Napoli, e della quale
si
mara-
dice, per
l'appunto, in quelle lettere:
E
museca taccone na teorbia) ashevolire meza Napole.
cbisse te faranno po' na
(Ca portano a
Da
l'are
Si potrebbe, a dir vero,
formare
da queste
poesie del Cortese, l'autore della
1
Ma
frasi e dalle
nou mi sembra
altresì la
congettura che,
dei tutto certo che quell'edizione fosse la
prima. Ragioni di non crederla tale addusse già I'Imbriani, nelle
il-
lustrazioni alla PosUecheata del Sarnelli (Napoli, 1885), p. 222. 2
Notizie storiche in Croce, Teatri di Napoli, pp. 99-100.
"
Micco Passaro, IV, 19 sgg.
26 sgg. Si dica
il
medesimo
.
V,
di Pezillo,
1
Sgg.
;
Viaggio di Parnaso, IV,
Compà lunno,
e di altri parecchi.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
II.
39
Tiorba a taccone avesse, molti anni dopo, attinta l'ispirazione e la materia;
ma
nessuno scherza su
fatti
scherzo per a
indubitabile che
si
prima grande
può
Ma
che erano oggetto di
composizioni della Tiorba
le
almeno per buona parte, nel tempo
a taccone nacquero,
della
cosa è poco probabile, perché
e persone,
generazione di trent'anni innanzi. Cosicché,
la
me sembra
la
fioritura della
poesia napoletana, che
fissare intorno al 1615.
chi era lo Sgruttendio? Chi era codesto poeta, che, la triade dei
insieme col Basile e col Cortese, costituisce
primi e maggiori poeti dialettali napoletani? Su questo
punto regna ancora
il
mistero
da Scafati
dio
è
»
invano, per dissiparlo, ho
e
;
tentato finora svariate indagini.
L.
nome
Filippo Sgrutten-
«
da considerare pseudonimo
solo è reso probabile
dalla
;
il
che non
ignoranza in cui siamo
un
tempo cosi chiamato, ma comprovato dalla ricerca, eseguita dal Minieri
a di-
letterato napoletano di quel
rittura è
di
Riccio e rinnovata da me, nei
«
fuochi
»
o censimenti di
non s'incontra nessuna famiglia di cognome Sgruttendio. Messa da banda la cervellotica ipotesi che il pseudonimo celi il letterato Francesco Balzano ', mi si era ripresentata alla mente l'altra, che fu già sostenuta Scafati,
nei quali
dal Minieri Riccio, e, cioè, che quel canzoniere fosse opera del Cortese; e
venisse dal
mi pareva che un nuovo
e forte
argomento
che, tra le opere del Cortese, inedite nel
fiitto
1G21, è segnato Lo colascione: nome di strumento musicale, sinonimo di tiorba a taccone, e usato promiscuamente con l'altro nel canzoniere dello Sgruttendio '. Al quale argo-
Si
1
veda Pietro Balzano, Di Filippo SgruUendio
(in Atti dell' Accad.
finitivo dal "
263
:
Si «
Martorana,
veda
la Tiorba
sto calascione
e delle
Pontaniana, voi. Ili, 1855): confutato in
>
.
op.
cit.,
p.
sue poesie
modo
de-
380 sgg.
a taccone (nella
C'ollez.
Porcelli, voi.
l,,
pp. 144,
GIAMBATTISTA BASILE E IL
40
mento
Ma
aggiungeva
si
in cui
sile,
CUNTO DE LI CUNTI
«
presunzione che
la
le lettere del
che non paiono sormontabili, vengono a tale
difficoltà,
Cortese e delle sue opere
come ancora vivente
eguale
il
si
parla qua e là
capitalissima, dall'affer-
e,
;
mazione dell'editore del 1646, Tiorba
Ba-
parla di Cecca, fossero dirette al Cortese.
si
attribuzione dal canzoniere stesso, in cui del
»
dava l'autore della Lascio, dunque,
in quell'anno.
l'enimma a un Edipo più fortunato, o più acuto,
di
me.
Pel nostro scopo, basta, intanto, avere stabilito che, al
tempo
Cortese e del Basile e del primo fiorire della
del
letteratura da essi promossa, fu composto
che reca
nome
il
dello Sgruttendio;
il
bel canzoniere,
il
quale, non solamente
satiriche è giocose, con quadri vivacis-
è ricco di poesie
simi di feste e balli e altri costumi napoletani, ma, nella
sua maggior parte, nei sonetti in laude di Cecca, ha interesse critico, quale felicissima caricatura dei canzonieri
amorosi secentistici. Tutti magini,
le frasi, le
movenze
parodiati nei sonetti
Se
».
tempo;
:
«
quello
», «
»),
si
-,
troveranno sonetti coi
«
»
(o
ricamata a
«
Bella guercia
»,
«
E
lo
tricchetraccara »,
paiola
»,
«
tare »,
«
A
A
»,
«
«
A
la bella
guattara
tavernara
la bella pedocchiosa »,
1
Seconda edizione, Boma,
2
Sesta edizione, Napoli, 1632.
1626.
»,
«
«
A
», « ^4
A
d'oro
la
»,
«
ti-
Bella »
«
A
o
Bella
Bella librala
Sgruttendio, dal canto suo:
la bella
», «
stelle
Bella serva
Brutto amante di donna bella
e consimili.
ed
fine, irte
Bella donna con macchie rosse nel volto
azzurra
muta
Chiome d'argento
Marcello Giovanetti*, o di Gian
di
donna con veste rossa «
im-
dei periodi e delle strofe, sono
«
:
Francesco Maia Materdona toli
le
apre a caso un canzoniere italiano di quel
si
p. e.
motivi allora prediletti,
dello Sgruttendio, rientranti nel ge-
nere di quello del Berni attorte
i
»,
la bella
la bella trip-
bella
iettaran-
la bella shiaccata »;
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
II.
e via discorrendo.
Ogni conoscitore della
secentesca
lirica
gusterà la finezza di parodie come la seguente
Pabaggio fea
:
isso
E LO SORECE SCAPPATO A LO MASTKILLO DE CeCCA
La
sciorta
mia
gliist'a chili'
'.
e toia, o sorecillo,
Tutt'è na cosa, e
Tu
41
simmo duie pacchiane;
addore de
casillo,
Io a Cecca, che de st'arma è caso e pane;
Tu fai zio- zio, ed io sospiro e strillo; Tu muzzeche ssi fìerre ed io sti mane; Tu zumpe, io sàuto comm'a gatta o cane; Io senza libertà, tu a sso mastrillo.
A
te sbatte lo pietto, a
me
lo core;
Tu morte aspiette, ed io non spero Tu chino de paura, io de dolore. Nchesto sgarrammo, ed
Una morte da Cecca
composizioni
Altre
ca tu avarraie
saporita;
non se sazia male
Io n' aggio ciento, e
portanza,
è,
vita;
dialettali,
sebbene di minore
vennero, allora, elaborando da
si
Nel 1628, un Domenico Basile pubblicava quel Pastor
fido,
nelle chiese
da
per
e
La
i
2
3 <
uffìciòlo »
defenzione de
traduzione di
la
li
e
;
lo
annunziava
sproposeto,
di
La
avere pronti
casa de l'Igno-
poeti napoletane contro Bocca-
Giulio Cesare Capaccio nnanze ad Apollo
stesso anno,
detto
che
il
il
im-
altri scrittori.
(come dice Salvator Rosa) serviva
stampe: Lo dottore a
le
ranzia,
Uni
«
-.
commediante
e letterato
Tardacino, accademico Risoluto
^.
In quello
Bartolomeo Zito, ',
scriveva
il
già
•. . Paragone tra lui e il topo incappato alla tagliuola di Cecca Corda I, son. 50. Martorana, op. cit., pp. 23-4. queSi veda intorno a lui Croce, Teatri di Napoli, pp. 65-7, e, in
sto volume,
il
saggio su Pulcinella.
GIAMBATTISTA BASILE E
42
IL «
CUNTO DE
ricordato cemento e la difesa della
LI CUNTI
Vaiasseide
»
contro
le
censure degli accademici Scatenati. E, senza indugiare sulle altre opericciuole allora pubblicate la
\ menzioneremo ancora
traduzione del libro quarto deìV Eneide, dovuta a Fran-
cesco Bernaudo
-.
Nella Tiorba dello Sgruttendio, per imitare anche quella parte, costante nei
canzonieri del tempo, che è costituita
dallo scambio di sonetti tra l'autore e
i
cina di poeti, che
si
denominano
amuna quindi-
suoi amici e
miratori, sono inserite proposte e risposte di
Sraenchia accademico
lo
Cestone, lo Spechiechia accademico Sciaurato, lo Catarchio
accademico Sparnocchia,
lo
Sbozza accademico Marfuso,
e
Minieri Riccio costruì, con questi nomi, un'ac-
cosi via.
Il
cademia
reale, di storica esistenza, e
vide in ciascuno di quei personaggi
immaginari
e quel carteggio poetico
un individuo reale
Ma
^.
che costoro siano
uno scherzo, a me non
pare dubbio; tanto più che, se accennassero a un'accade-
mia realmente
bisognerebbe, conformemente
alle
regole dei nomi accademici, postulare, per ciascuno di
essi,
esistita,
un'accademia differente, e quindici accademie per quindici nomi: una dei Cestoni, una degli Sciaurati, una degli Spar nocchia, una dei Marfusi, e cosi via
cademia, per dir
cosi,
dialetto, la quale finora
1
Per
le
quali
si
*.
Ma, se non un'ac-
legalmente costituita, di cultori del
non
è
documentata, c'era
allora.
veda, passim, l'opera del Martorana.
Un lungo sonetto caudato dialettale di Orazio Cataneo, amico del Basile, è stato pubblicato da A. BoRZELLi, 0. C, nota (Napoli, tip. Ruggiano, 1894). Per un altro -
Napoli, 1640, per Secondino Roncagliolo.
del Capaccio,
si
vedano in questo volume
3
Accademie di Napoli,
•
Nomi accademici
1.
Illustrazioni e documenti, IV.
e, pp. 585-6.
scherzosi dello stesso genere
si
leggono in-
nanzi alla Vaiasseide, in alcuni versi che sonofquasi certamente, dello stesso Cortese.
II.
LA LETTERATURA DEL DL\LETTO NAPOLETANO
di certo,
in
48
Napoli un'effettiva e spontanea accademia, di
cui venivano a fare
parte tutti coloro, che
nuovo genere poetico
davano
si
al
e linguistico.
IV
Basile, oltre le lettere di cui
Il
netti che sono
perduti
^,
si
si
è discorso e certi so-
era dato a scrivere due vaste
opere: una corona di egloghe dal titolo: Le e
un novelliere,
sul disegno delle
Muse
Decamerone, composto di cinquanta lìabe
A
cunti.
Lo cunto
:
de
lì
doveva già attendere nel 1615, parte di essi veniva letta tra amici
questi lavori
poco dopo; nelle
napolitane,
raccolte orientali e del
e, forse,
accademie napoletane.
Un
indizio di ciò
mi pare
o o di
trovare nel fatto che una nota operetta di Francisco de
Quevedo,
scritta nel 1626,
aveva per
titolo:
Cuento de
ìos
cnentos donde se leen jiintas las vidgaridades rusticas, que
aun dnran en nuestra hahla, harridas de la conversacion, e contiene una serie di parole e frasi spagnuole volgari, al fine di biasimarle e di additarle
parlatori eleganti del Basile tolo,
-.
Fine, senza dubbio, opposto a quello
ma donde
;
perché fossero evitate dai
potè desumere
il
Quevedo quel
che era ben appropriato alla raccolta
poletano, e cosi sforzato per
il
ti-
di fiabe del na-
suo catalogo di
frasi
spa-
Quevedo passò parecchio tempo
gnuole? Si ricordi che
il
Napoli tra
1620, e che egli appartenne all'ac-
il
1616 e
cademia degli Oziosi
il
^\
dove potè incontrarsi
1
Vi allude nella lettera IV.
-
Su questa
operetta,
si
col Basile e
veda E. Mérimée, Essai sur
la vie et les
ceuvres de Francisco de Quevedo 'Paris, Picard, 1886), pp. 93-4,
Fu
pubblicata la prima volta nel 1629,
e,
3 II
cit.,
ci
autor del Cuento de
A. Lagreles.
Quevedo scriveva anche versi in come il Basile in ispagnuolo.
p. 344),
3538-40.
in quello stesso anno, usci
a Huesca la Venganza de la lengua espafìola cantra cuentos di J.
a
italiano (cfr. Méiumée, up.
GIAMBATTISTA BASILE E
44
avere notizia dell'opera di
lui
suo
nel
r idea
del titolo
Cunto de per
la
e
;
LI CUNTI
»
apparirà probabile che
napoletana, che questi racco-
dal tesoro della fraseologia
glieva
DE
IL « C'UNTO
cunti,
li
venisse
gli
suggerita
sua raccoltina spagnuola, cosi
di-
versamente intonata.
Comunque,
il
tese, si risolse a
Le Muse napolitane. Motivo tenza),
dopo
Basile, solamente
mediocrità delle
la
cose napoletane, venute a luce nel frattempo.
rora
cortesi ana,
animi,
gli
il
si
Dopo
l'au-
levava ormai, raggiante, a rallegrare
sole basiliano,
che
scosto tra le nuvole ^ Ma, se
allora si era tenuto. na-
fin il
Basile mettesse in atto
suo proposito, e in quale anno, non
prima edizione, che
:
(come è detto nell'avver-
di ciò
vuoto lasciato dal Cortese, e
il
morte del Cor-
la
pubblicare una delle sue opere dialettali
ci sia stata
politane ha la data del 1635
si
può
dire,
perché
il
la
conservata, delle Muse uà-
^.
Le Muse napolitane contengono nove
cosi dette
eglo-
ghe, ciascuna delle quali prende titolo da una delle nove sorelle dell'Elicona, recando, per altro, signilìcativo. Clio, overo
«
1
Si
l^
lo Sole,
lo
le
...
un
Smargiasse, che è
Aurora, che semmenai tante shiure de
a spaluorcio, a
li
non avite 7'ayione de trivoliare
che de benepraceto suio ha voluto stare
nuvole de lo respetto, pe compassione de
li
sottotitolo più la
prima, mette
concietle napolitane,
e farne sciabacco;
pe
fV
...
èiuta
mentre
a mo ncaforchiato dinto
lamiente vuostre e pe levareve
nzavuorio che v^/ianno causate certe freddure napoletane scinte dapò la
morte de
lo
Cortese a la stampa, se contenta che
lampetiello de la luce soia
a scompetare
da
aie
nnante esca qualche
la perdeta fatta... >.
Le Muse
najyolitane, Egloghe di Gian Alesio Abbattutis (In 'Na.Domenico Maccarano, 1635: volumetto di pp. 10 11111.-132). Nella maggior parte degli esemplari, che ne avanzano, il 3 del 1635 non si vede; tanto che si è sospettato che fosse un 2; ma nell'esem2
poli,
per
plare, che
si
serba nella Bibl. Nazionale di Torino,
il
3 è chiaramente
impresso. Tuttavia, è assai probabile che a questa edizione del 1635
precedesse qualche altra, fatta in vita dell'autore.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
II.
in iscena
dano
due popolani,
i
quali litigano, minacciano,
in fine, per intromissione di
e,
45
un
terzo,
si
si
sfi-
Tcippaciano.
La seconda, Euterpe orerò la Cortisciana, rappresenta un giovane scortator, che un vecchio tenta indarno di distogliere i
da quella razza
costumi. In Talia o
inesperto
le
di lo
donne, dipingendogliene
vivo
al
un tale descrive a un vedono e i diletti che si
Cerriglio,
maraviglie che
si
godono nella celebre osteria napoletana di quel nome, cantata altresì dal Cortese in un poema. In Melpovìene overo le
Fonnacchere, due donne del popolo, due demoni scate-
vengono alle beffe, ai danni e all'onte, con profluvio d'immaginose contumelie. Tersicore overo la Zita è dedicata alla festa di un matrimonio popolano. Erato overo lo giovane nzoraturo è una serie di consigli, dati da un saggio nati,
vecchio intorno alla scelta della moglie. Polinnia overo
lo
nnammorato è scritta in beffa di un vecchio, che si accinge a sposare una fanciulla. Urania overo lo Sfnorgio narra di un tale che, col mutare vestito e collo sfoggiare
vìecchio
lusso e ricchezze, acquista subito la considerazione e l'adu-
lazione della gente. L'ultima, Caliope overo la Museca, pa-
ragona
la
musica moderna con l'antica musica popolare.
Queste egloghe hanno, come fine didascalico:
ma
sono, al
si
tempo
vede, concetto etico e stesso, tutte fiorite di
scene assai vivaci di costumi napoletani, che testimoniano
lunga e attenta osservazione. L'eloquenza dei dialoganti è quella secentesca, e vi riappare l'intento
prime composizioni del Basile: diente
»,
vuole stringere insieme
lare napoletano, che servirà pe
de Napole
»\ Abbonda,
briani ha chiamato
Avvertenza Op.
il
cit.,
«
quale, « tutte
<^
le
medesimo forme de
sinonimia scherzosa
citata.
lo
par-
consei-va de la bella antichità l'
Im-
la quale,
per
perciò, anche qui, ciò
voi. II, pp. 455-6.
delle
sotto varie azze-
» ':
che
CUNTO DE
46
GIAMBATTISTA BASILE E
altro,
non è più, come nelle Lettere, opera quasi
larista, si
ma
si
IL
«
LI CUNTI di
»
vocabo-
eleva all'arte. I due sposi dell'egloga quinta
fanno tra loro carezze e
si
bisbigliano parole tenere
:
E, datole no vase a pezzechillo,
Secoteia e
le dice:
Tu sì lo capo mastro De le pintate cose! Tu si quatto dell'arte De le cianciose e belle! Tu sì l'accoppatura De li frutte amoruse! ». «
E
una lunga
cosi via, per
Fa de Torce
La
infilzata; alla quale la sposina:
la contegnosa, lo
musso
e vota la faccella,
facce rossolella
lusto
comm'a
doi spalle di vattente,
E
co certe squasille
E
gruognole, da farete morire,
E
co na voce ciauciosella dice:
Lazzame zzare, ca lo dico a mamma, Che puozz' essere, lazzame, te dico! «
Uh comme Non
sfrontato, tiene mente; vregogne nanze a gente!
si
fare ze
».
Parimente, la notizia delle vecchie canzoni e strumenti musicali napoletani è animata a questo
nona
modo
:
Titta mio,
Proprio
pe
te dire
commo
la sento,
Sse canzune de musece de notte,
De poete moderne, Non toccano a lo bivo. bello tiempo antico,
O
canzune massicce, parole chiantute,
O conciette a doi sòie, O museca de truono, Mo tu non siente mai cosa
de buono.
nell'egloga
II.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
E
dove so sporchiate
Chelle che componeva
Giallonardo dell'Arpa,
Che ne ncavavEt Arfeo; Dove se consei-vava, Dece comma a lo mele,
La mammoria de Napole
ientile?
Dov' è luto lo nomme Vuostro, dove la famma,
O
villanelle mei napoletane? Ca mo cantate tutti ntoscanese, Coll'airo a scherechesse,
Contrarie de la bella antichetate,
Che sempre cose nove hanno mentate.
E
peo de
li
stromiente
De musece moderne, L'arceleiuto, l'arcesordellina
L'arceteorba e l'arcebordelletto, L' arcechitarra e l'arpa a tre reistre,
Che malannaggia tanta menziune. Sia benedetta l'arma a
Ca mpesero na
li
Spartani,
cetola
Perché se ne' era aggiunta n'autra corda Ca mo, fuorze, farla le pennericolo
Lo mprimmo e' ha guastato Lo calascione, re de li stromiente, Co tante corde e tante, C'ha perduto lo nomme e se pò Quanto mutato, ohimè, da chello Yalea chiù lo consierto
De Lo
lo
tiempo passato.
pettene e la carta,
L'ossa miezo a le deta, Lo crocrò che parlava.
Lo bello zuco-zuco. La cocchiara sbattuta Co
la tagliero e co lo pegnatiello,
Lo vottafuoco Che te ne ive
co lo siscariello, nsiécolo....
dire
ch'era.
;
47
GIAMBATTISTA BASILE E IL
48
CUNTO DE
«
LI CUNTI
Muse napolitane il Basile pensava di non molto, l'opera maggiore. Lo cunto de
Certamente,
alle
far seguire, tra
perché, nell'avvertenza, dice che
li citnti;
»
primmo
pe
«
relanzo ve refunne st'Ecroghe ». Ma fu còlto dalla morte, prima che potesse eseguire il suo disegno e la sorella Adriana, mentre dallo scrittoio di lui prendeva, per pub;
Roma
in bella forma, il pomposo abbandonava il manoscritto delle novelle napoletane ad altri, che doveva farne più modesta, anzi povera, edizione. Fu quest'altro un Salvatore Scarano, che, come sappiamo dallo Zito, era un libraio na-
solennemente a
blicarlo
e
noioso
poema
del Teagene,
poletano, appassionato di cose dialettali
dava
^;
il
prima giornata del Cunto de
fuori la
quale, nel 1634, li
cunti, dedi-
candola a Galeazzo Pinelli, duca dell'Acerenza, l'ultimo protettore (come ci è noto) del Basile «
Vengo (scriveva
^.
Scarano nella dedica) a comparire
lo
avanti di V. E. ed a dedicarle per ora la prima giornata del Pentamerone overo conto de' conti del
Gio. Battista
gerà il
la
grandezza
di
signor cavaliero
lingua napoletana, in cui
Basile in
un ingegno
scor-
si
com'era
cosi pellegrino,
suo, in ordinar quelle favole con tanti scherzi, con tante
sentenze e con tanti stravaganti modi, che son certo che
doveranno arrecare grandissimo loro che le leggeranno, e
fama
1
Difesa della Vaiasseide, op.
-
Lo
Gian 1634 I
del 3
C'unto
I
de
li
cunti
cit.,
overo
\
\
diletto
ed allegrezza a co-
e gloria a lui che l'ha
Lo
p. 1S5.
tì'attenemiento de'
Ahbattutis
Con licenza
de' superiori (di pp. 8 inn.-160;.
gennaio 1634.
l'unico esemplare
è,
\
Peccerille de
In Napoli, Appresso Ottavio
Alessio (sic)
|
— Edizione
com-
|
Beltrano,
La dedica ha
la
data
sconosciuta ai bibliografi, della quale
o era, nella Biblioteca nazionale di Torino.
LA LETTERATURA DEL DIALETTO NAPOLETANO
II.
Donde
49
vede anche come subito apparisse, accanto a quello di Cunto de li cuntl, l'altro titolo, che poi poste
»,
si
divenne più consueto perché più breve e richiamante
Lo Scarano continua,
Basile o dall'editore.
stesso
rando
Pinelli che
il
non
è
poco faticoso
«
una sentenza
riferisce
assicu-
comporre
il
mili cose, e che abbiano da dilettare e piacere
uopo
titoli
non sappiamo se foggiato dallo
celebri, di Pentamerone,
(al
»
di Pico della Mirandola)
si-
qual e,
:
dopo avere dato ragione della dedica come conforme
di
certo all'intenzione ultima del defunto autore, conclude
che
prendendo animo, manderà appresso
forse,
«
giornate che seguono
l'altre
in luce
».
L'opera, che veniva cosi pubblicata postuma, non era del tutto pronta per la stampa,
gligenze di forma, che vi
s'
come
è provato dalle
ne-
incontrano, e da talune strane
giornata se-
inavvertenze \ Seguirono, nello stesso anno,
la
conda, dedicata anche
senza dedica;
tra
1634 e
il
ma
rano,
il
al Pinelli, e la terza,
1635, la quarta, dedicata non più dallo Sca-
da un Giovanni Antonio Farina
stelnuovo, Giuseppe quinta, dedicata, dal
medesimo Farina,
a
barone di Ca-
al
de Rossi e Bavoso;
e,
nel
1636,
la
don Felice de Gen-
naro, maestro in sacra teologia e consultore del Sant'Uf-.
ficio
1
«
P.
e.,
del racconto;
in poi,
ora
.
novella seconda della seconda giornata è intitolata:
la
Verde prato
senza che di questo
>, il
chiamato
.
Pippo «
Nardeaniello
•
Cagliuso »,
nome
della novella
ora
«
>
:
si
quarta
dia ragione nel corso
da un certo punto
è,
l'eroe della novella settima è detto
Antoniello
•:
ora
Mase Aniello
•
»: e
cosi via. 2
La
«
lornata
seconda
»,
in Xapoli, appresso
1634 (di pp. 6 inn.-106, dedica del 20 aprile); la
«
Napoli, per Lazzaro Scoriggio, 1634 (di pp. 126): la ivi, 1634,
ma
con un aggiunto frontespizio
dedica del 20 luglio); la
.
iornata quinta
»,
Ottavio Beltrano, iornata «
terza
»,
iornata quarta
in .,
del 1635 'di pp. 8 inn.-152:
in Xapoli, appresso Ottavio
GIAMBATTISTA BASILE E IL
50 Il
«
CUNTO DE
LI CUNTI
libro incontrò subito grandissimo favore
velle (dice l'editore
Farina) furono
«
:
»
queste no-
con tanto applauso
mondo per
le maniere dei lumi e degli artinuovo genere, che saranno, si come fici poetici e per lo io credo, immortali ». Per intanto, essendo esauriti i due primi volumetti, il Farina ne fece fare una ristampa, de-
ricevute dal
dicando fonso
il
primo
di essi al
cugino del Basile,
Daniele agostiniano, e
il
il
secondo a un
padre Al-
amico del
defunto poeta, Fulv^io Casaburo K
Beltrano, 1636 (di pp. 96: dedica 20 luglio). In alcuni esemplari
questo volumetto,
si
leggono, dojjo la dedica,
i
due sonetti
di
e la canzone,
di cui in Illustr. e doc, IV. 1
La prima giornata
in Napoli,
per Ottavio Beltrano, 1637 (di
pp. 167, dedica 2 gennaio]; la seconda, ivi (di pp. 8 inn.-108, dedica 1 luglio).
Ili
Il
L
.1
CUNTO DE
«
Cunto de
li
LI
CUNTI
cunti
è
COME OPERA LETTERARLV
»
un
libro
di fiabe, e, cioè, di
quei racconti tradizionali, nei quali prendono parte esseri
sovrumani ed extraumani della mitologia popolare orchi, animali parlanti, vegetali e minerali virtù, e via
origine di
dicendo. Questa sorta di
:
fate,
prodigiosa
di
racconti, sulla
cui
sono proposte molteplici teorie, è stata oggetto
si
accurate investigazioni per opera della filologia del se-
colo
decimonono. Nei tempi anteriori,
furono quasi
essi
soltanto materia di diletto e di trattenimento pei bambini,
che, allora
come
solo lo scienziato
anche, vi
Tra
i
si
ora,
avidamente
disdegnava
li
ascoltavano;
di appressarvisi,
ma
e
non
di rado,
appressò l'artista colto.
primi, anzi, in certo senso,
il
primo
vi volgesse l'attenzione, fu, per l'appunto,
Certamente, fiabe
si
il
di costoro,
che
nostro Basile.
trovano sparse anche nei novellieri e
poeti anteriori, nel Pecorone, nell'opera del Sercambi, nel
Mambriano
da Ferrara, nelle favole del Morlino. Più ancora, nel Cinquecento, Giovan Francesco Straparola da Caravaggio, da fiabe e facezie popolari tolse la materia
di
del Cieco
molte novelle delle sue Piacevoli
notti (1550)
^;
tanto che,
per questo rispetto, può considerarsi precursore del nostro.
1
Si
vedano
pp. 111-151,
XVI,
gli
studi del
pp. 218-283.
Bua
nel Giorn. sto?:
ci.
leti,
ital.,
XV,
GIAMBATTISTA BASILE E
52
Ma, nelle pagine
di questi
CUNTO DE
IL «
CUNTI
LI
»
sono regola-
scrittori, le fiabe
rizzate e svisate; talvolta, atteggiate a novelle cittadine e
quanto era possibile, del maraviglioso
sfrondate,
sempre, esposte nello liani. Il
sero
i
stile
quasi
;
tradizionale dei novellieri ita-
che accade altresì allo Straparola, del quale
scris-
modo
solito
Grimm
:
« si
sforzò di narrare secondo
il
non seppe fare risonare una nuova corda » \ un paio di volte lo Straparola, quasi avvertendo il bisogno di una nuova forma, fece ricorso al dialetto'. Si può dire che, con quei novellieri, le fiabe entrarono, si, nel campo della letteratura, ma di nascosto, inosservate, ca-W e prestabilito e
Solo
niuftate con le vesti degli epigoni boccacceschi. Col (Ir
_sf(jg;o-i.iuilo
t.
parlandone
Qual era
mava
la
u tta,
l'
.ia..-,p£).mfìfL^delJ.!ÌPi ni agin az io
o
^i;^)le^cQ.JiJQo^laggio^,
sentimento onde
le fiabe
il
'
Basile investiva e ani-
gorico e morale, simboli d'idee.
nascere, p.
ne può nascere
altresì
gica, sospirante verso la fanciullezza.
Heine, nel guardare, viaggiando
il
casucce verdi e bianche, tutte
e visi di fanciulle),
si
vecchia nonna
vi
dite storie
» ^.
alle
più di-
racconto
e., il
alle-
conte pMlosophique, nel quale diventano
il
E
possono dare origine
Ne può
verse opere d'arte.
la
n e popolare e
materia tradizionale? Giacché, considerate come
materia grezza,
le
«
una
Ah
!
lirica nostal-
(diceva Enrico
Tirolo, lungi sui monti fiori,
immagini
deve stare pur bene
deve raccontare
le
lì
di
santi
dentro, e
più recon-
Questo sentimento di tenerezza è espresso
La J' y prendrais un
Si Peau d'àne m'était
nei versi famosi del
Fontaiiie:
conte
plaisir extréme »; e attraversò lo
spirito giocoso di
*
cfr.
{
^"
ingenuo
il
Ounto
aperto e rumoroso,
ingresso
fecero
invece,
cìoìt!.
li
Carlo Gozzi,
Kinder und Hausmclrchen
Imbriani, op. 2
Bua,
3
Reisehilder,
cit.,
e.
ediz.,
quale, a proposito del-
Gottinga, 1856),
II, p. 446.
in Giorn. stor., I,
(S.'^
il
«
12.
XVIII, pp.
£375-6.
III, p. 291;
,
III.
IL «
V Amore
CUKTO DE
delle
tre
LI C'UNTI
COME OPERA LETTERARIA
»
melarance'.
«
io
confesso
5o
(scriveva) che
me medesimo, sentendo l'animo a forza umiliato a godere di quelle immagini fanciullesche, e mi rimettevano nel tempo della mia infanzia » ^ Ma il Basile non era né un intellettualista né un romanrideva di
ico e, il
era,
;
come abbiamo veduto, un
letterato del Seicento,
nelle cose del popolo, lo attiravano, sopratutto, lo strano, goffo e l'assurdo, motivi per lui di
^.££Xj3Ìzzarria, p orse ascolto ai
f-
comico
cuìdi eh
.v
.
spiritoso
« /
_chie pe trattfìiiemiento de vecc^jùlM.^:.G. per bizzarria.
la
sua bocca parla
•itorno su sé stesso,
il
•^,.\.-.,:
in quelle fantasie, cosicché
a ripeterli, ora obliandosi
popolo medesimo; ora, con
facendone
la
».
'i':' .
per
rapido
caricatura e la parodia.
fSentimenti, che paiono contradittori e sono armonici, perché
rispondono a una speciale condizione psicologica.
Il
Basile
non narra del tutto seriamente, perché quella materia per lui non è seria; e neppure con continuato scherzo, che sarebbe riuscito insipido
;
ma
zione. Nei
«
trattenemiente
»
lenare, a ogni istante, tra le novellatrici,
/
si
diverte a rappresentare
d'animo popolare, venando
stato
del
lo
di scherzo la rappresenta-
Cunto de
li
cuati
si
vede ba-
facce grinzose delle vecchiarde
volto arguto e ridente del cavalier Basile.
il
Cosi accade che, pur non essendo egli un trascrittore
moderna,
alla
le fiabe
intonazione popolare;
serbino presso di e,
lui la loro schietta
insieme, presentino molteplici ele-
menti, propri del tempo e della personalità dell'autore.
Tra
i
quali, è
da mettere, anzitutto,
suo libro; onde
ì
cinquanta favole
e le
la
cornice stessa del
un cunto più vasto, compongono in un Fentamerone,
cunti sono chiusi in si
riscontro al Decamerone. '
C'era una volta un re, che aveva una figliuola a nome Zoza, la quale, per certa strana malinconia, non rideva
1
Fiabe, ed.
Masi (Bologna,
1885', I, p. 27.
GIAMBATTISTA BASILE E
54
giammai. Indarno medi; fintanto
il
clie,
IL
«
C'UNTO
DE
LI CUNTI
padre aveva tentato
i
un giorno, ordinò che
»
più diversi
ri-
una
aprisse
si
zampillante fontana d'olio, innanzi al palazzo reale, spe-
rando che
la
cosa avrebbe prodotto tale fuga e confusione
fra gli astanti e
passanti, da
i
dente ridicolo, atto a scuotere
qualche inci-
far nascere
precordi della ma-
gli inerti
linconica iìgliuola. Alla fontana venne una
vecchierella,
un orciuolo ed era quasi a capo della sua fatica, quando un ragazzetto, paggio di corte, con un sassolino ben diretto, fracassò l'orciuolo e ne sparse a terra il contenuto. La vecchia proruppe in un fiume di contumelie; ma il ragazzo le la
quale con una spugna
si
mise a riempire di
olio
;
rispose per le rime, e cosi furente la rese con le sue acumi-
nate parole, che essa, nella stizza, non sapendo altro, fece contro
che in
il
ragazzo un atto sconcio, sollevando
la principessa,
una grande
riso,
risata. Inviperita, la
e scagliò alla principessa
potesse trovare
gonna:
la
al
che era alla finestra, scoppiò, finalmente, vecchia
la
si
rivolse a quel
maledizione
requie, fintanto che non
:
sposasse
che non il
prin-
cipe di Camporotondo. Zoza, spinta dalla forza della maledizione,
si
mise subito in viaggio verso Camporotondo; dove,
giunta, trovò che zione, giaceva
il
principe, per effetto altresì di maledi-
addormentato
in
una tomba,
sulla quale era
posata un'anfora con una scritta dichiarante che la donna
che avesse riempita l'anfora di lagrime, avrebbe ridestato il
La principessa si premendo gli occhi
principe e l'avrebbe fatto suo marito.
mise subito all'opera lacrimatoria; al pianto,
e,
aveva quasi ripiena tutta l'anfora, quando, stanca,
fu sovrappresa dal sonno. In quel frattempo,
che era stata a spiare, venne fuori, fora, e,
si
una schiava,
recò in
mano
l'an-
con poche lagrimette, che vi aggiunse, l'ebbe colmata;
subito,
il
principe
sunta liberatrice
si
levò dalla tomba, abbracciò la pre-
tra grandi feste, la fece sua sposa.
La
povera Zoza, frodata delle sue fatiche, fu costretta a
ri-
e,
III.
IL
«
CUNTO DE
LI CUNTI
»
COME OPERA LETTERARL\
55
correre all'uso di tre oggetti prodigiosi, che tre fate
le
avevano dato nel viaggio; l'ultimo dei quali era una bamvenuta
bola, che,
in
possesso della schiava,
le suscitò in
seno una violenta brama di ascoltare cunti. Talché cipe, per appagarla, le
chiamò a raccolta
più valenti novellatrici del regno;
il
prin-
dieci vecchie, tra
per cinque
le quali,
un cuuto. Ma l'ultimo giorno Zoza, che si era sostituita a una delle vecchie, narrò in cambio la propria storia dolorosa; e, per tal modo, svelata al principe la verità, svergognata e messa a morte la giorni, raccontarono ciascuna
schiava usurpatrice, essa potè raggiungere finalmente osto,
che aveva meritato,
Ciascuna delle cinque giornate zione di vari giuochi, coi quali la
n' introduzione
morale e
alla fine della giornata,
si
si
tro,
e
con
la solita
formano quattro
l'infelicità
coppella
il
luogo delle canzoni
satire morali in
(|uat-
dialogo, ritraenti,
ricchezza d'immaginazione e di fraseologia,
delle
(donde
varie il
umane, saggiate
condizioni
titolo
La
coppella);
guadagno
{L<^i
la
doppia e
alla
falsità
dell'adula-
tenta, la tintura); l'avi-
{La vorpara, l'uncino); e la noia, alla
quale mettono capo necessariamente
O
preceduto da
un proverbio;
maldicenza, conculcatrice dei buoni,
dita del
{La
descri-
due persone della corte del prin-
zione, esaltatrice dei malvagi
'
è
ciinto
la
s'intrattiene
leggono nel Decamerone. Queste egloghe sono
che
della
apre con
chiude con
cipe recitano un'egloga, che tiene
/
si
compagnia
prime ore del mattino; ogni
nelle
il
di sposa e di regina.
tutti
i
piaceri
umani
stufa).
II
Altri elementi burleschi (ripetiamo qui la parola, adope-
rata dal Sainte-Beuve per le tìabe del Perrault, nelle quali
anche s'introducono elementi non popolari,
e, cioò, l'indi-
GIAMBATTISTA BASILE E
56
vidualità di
IL «
CUNTO DE
LI CUNTI
»
un francese e letterato del secolo di Luigi XIV M, la data dell 'operai Consistono essi nei ricami
segnano come fJ e
\
nelle frange,
messi in bocca
onde sono capricciosamente ornati alle vecchie; esercizi tecnici, -ne j
BasilCj prosatore dialettale,
y
chiamava
in aiuto
canti,
i
quali
il
Basile, let-
il
\
terato aulico. Metafore stravaganti, equivoci e giochetti di
\
parole, allusioni, enumerazioni, sinonimie scherzose,
-"''^ \
cedono e s'intrecciano senza posa. fate, orchi,
si
suc-
personaggi delle fiabe,
1
re, principi, fanciulle, giovinetti,
per quanto
si
I
e
chiamino modestamente Zezolle, Vastolle, Renzolle, Petrosi-
} I
nelle, Cienzo, Nardaniello, Milluccio,
Canneloro, hanno fatto
un corso regolare di letteratura secentesca hanno letto ,^y Adone e si compiacciono assai nei Madriali et ode del noIJstro Basile. « Chi sa, marito mio (dice Ceccuzza al marito, che le ha riferito, tutto spaventato, che una grande lucerj
tutti
;
tola fatata gli
presso di
sé),
ha chiesto una delle loro
de re,
lo
le
miserie nostre?
nore mio ha fatto
che ha scoperto
pite ca, per far
vergogne meie
per tenerla
chi sa, marito mio, si sta lacerici sarrà a doie
code pe la casa nostra? Chi sa fine de
figliuole,
la
le
inare; già sapite ca,
(I,
se sta lacerta 8).
«
certa
la
è
Già sapite ca
luna
la
corna (dice ai suoi consiglieri
gravidanza della
scrivere
m'ha
»
figliuola); già sa-
croneche, ovver corneche,
provisto
il
delle
figliama de m,ateria de ccda-
pe carrecareme
la
fronte, s'/ia fatto
carrecare lo ventre; perzò, deziteme, consigliateme! Io sarria
de pensiero de farete figliare l'arma
mala razza:
io
primma
doglie de la moì-te che
li
dolure de
lo
partoro;
crapiccio che primmct sporchiasse de sto sporchici e (I,
10),
^
de partorire na
sarria d'omore de farete sentire
semmenta
»
(I,
3).
munno
primma
io
che facesse
E, quando, in un'altra fiaba
un'orrida e decrepita vecchia mostra al
Causeries
du hindi (Paris, Garnier,
anche A. Barine, nella Revue
le
sarria de
s.
d.),
des deux moudes, 1
re,
V, pp. 272-3:
dicembre
attra-
si
1890.
veda
IL
III.
«
CUNTO DE
ver^o un buco, succhiciue:
«
il
LI C'UNTI
»
COME OPERA LETTERARIA
suo dito, reso bello e
Non fu
dito
(dice la
tuto, che le
smafaraie
core!
lo
e
'
Fu
saglioccola 'ì
voglie soie;
riello
e
',
'
che dico
miccio 'i
•
spruoccolo
Fu
suoie; anze, cura de fico
',
'
dico
l'esca
sagliocca
il
re,
Onde
al-
d'ammore
;
pe
la
il
ri-
si
:
arcuccio de le docezze, o repertorio de privelegie
d'affanno,
».
infiammato d'amore,
volge con ciueste invocazioni e spasimi
li
zorfa-
pensiere
li
vecchia, di cui non aveva scorto altro che
bianco e morbido dito,
de
•
,
le
deside-
li '
de
'
che le cacciale fora lo frato
de V affetto amoruso co no sfonnerio de sospire! l'invisibile
sa-
spruoccolo
'
spina sotto la coda de
ieietelle,
ma
spruoccolo,
Ma che
fu miccio infocato pe la monezione de
Ma
rie suoie.
spruoccolo appon-
allommato pe
zorfariello
un
novellatrice, con
Non fu
glioccola, che le ntonaie lo caruso!
continuo
liscio dal
ma
vertiginoso crescendo ammirativo),
57
le
gioie, o registro
quale cosa so deventato funnaco
magazzeno d'angosce, doana de tormiento;
è possibele
che vuoglie mostrarete cossi ncotenuta e tosta che non t'aggie da
movere a lo
li
lamiente miele? Deh, core mio bello, s'hai mostrato pe
pertuso la coda, stienne
mo
de contiente; s'hai mostrato
mostrame ancora
le
sso
musso
e
facimmo na
lo cannolicchio, o
carnumme, scuopreme
pellegrino e lassale pascere de sto core
!
ss'
maro de
ielatina
bellezza,
nocchie de farcone
Chi sequestra
lo tresoro
de sta bella facce drinto no cacaturo? Chi fa fare la quarantana a ssa bella mercanzia drinto a no cafuorchio? Chi tene presone la
potenzia d'ammore drinto a sso mantrullo? Levate de sso fuosso;
scàpola de ssa stalla; iesce da sso pertuso: sàuta, maruzza, e dà la
mano
re, e
a Cola, e spienneme pe quanto vaglio! Sai puro ca songo
non so quarche
cetrullo, e
pozzo fare e sfare.
na squaltrina,
Ma
chillo ce-
quale ha
cato fauzo, figlio de no
sciancato e
bera autoretate sopra
sciettre, vole che io te sia suggeco e che
te
li-
cerca pe grazia chello che porria scervecchiarene pe propio
arbitrio
co
li
lo
;
e saccio ancora,
le sbraviate, se
comme
disse chillo, ca co
ndorca Tenere.
li
carizze,
non
GIAMBATTISTA BASILE E
58
IL
«
CUNTO DE
LI
CUNTI
»
Lo sfoggio d'ingegnosità potrebbe essere documentato una diversa dall'altra,
dalle parecchie diecine di metafore,
con
le quali, nel
corso del libro, sono designate le ore del
prime
giorno. Scorrendo soltanto le
alcune
pagine, ecco
descrizioni dell'alba: .... la matina, qiiauno la notte fa iettare
lo
banno
dall'aucielle
a chi avesse visto na morra d'ombre negre sperdute, che se farrà uo
buono veveraggio
(Xtrocluzz.).
.... appunto quanno lo sole ha puosto sella pe correre poste, scetato
.... a rare
le strate
....
da
le cornette
spuntare de
lo
de
la stella
Diana, che sceta l'arba ad apa-
pe dove ha da spassiare
Io sole {ivi}.
viecchio suio, tutto arenella rossa, a la fenestra d'oriente
.... nnanze che visita de
li
lo sole
comme
scesse
(I,
lo sole, sfrattano lo i^aiese....
(I,
(I,
2).
.... sommiero
le
li
sbirre
4).
.... subeto che l'aucielle gTidaro:
Ed eccone due
lo
1).
a protariiiedeco a fare la
shiure, che stanno malate e languede
.... la matina, quanno l'ombre de la notte, secotate da
de
le solite
galli (ivi).
li
matina, quanno esce l'Aurora a iettare l'aurinale de
la
le
—
viva
lo sole! (I, 5).
dell'annottare: ventiquattro ore, quanno comenzavano pe
poteche de Cinzia ad allommarese .... essenno già l'ora che la
le locernelle (I,
Luna voleva
ghiste e veniste e lo luoco te perdiste
(I,
le
1).
iocare co lo Sole a
3).
III
Chi legga per
rammenti
il
la
prima volta
colpito dalla somiglianza, che scrittori.
il
Cunto de
li
cunti, e
gran libro del Pantagruel, non può non essere
Come
il
Basile,
il
corre
tra lo
stile
dei
due
Rabelais assunse, a materia della
propria opera, una tradizione popolare;
e,
come
il
Basile, la
narrò con intonazione semipopolare, mescolandovi giuochi, riflessioni,
digressioni e allusioni di ogni sorta. Egli dedi-
IH. IL «
cava
CTNTO DE
LI
CUNTI
»
COME OPERA LETTERARIA
59
suo libro ai heuvers tres illustres; e sembra, in ve-
il
rità, nella
nomo
condizione di un
di grandi doti mentali,
che, dopo copiose libazioni, abbandoni le redini a tutte le
ma
sue più varie forze. In questo agitarsi, scomposto sente,
dell'intelletto,
l'immaginazione, a
furia,
fantasia,
profondi
e
giuochi
pos-
memoria,
della
Rabelais mette fuori,
il
pensieri
da erudito
della
tutt'
parole,
di
del-
insieme e ricordi
mostruose da interessare
e novelle prodigiose e
e spaventare bambini, descrizioni finissime e strampalerie
senza significato. Il
Basile è tanto
meno
della
ricco di contenuto intellettuale,
quanto dista un letterato italiano
di fronte al Rabelais, di
Ma
decadenza da un dotto del rinascimento.
procedimenti letterari di entrambi c'è
affinità:
tra
i
tema po-
il
polare è ricamato, in molti punti, presso entrambi, in
modo
abbondano le lunghe enuscherzose, e si hanno effetti stilistici
identico; nell'uno e nell'altro,
merazioni enfatiche o spesso assai simili.
Felice Liebrecht è andato di là da questa osservazione, e il
ha sostenuto, a
dirittura, che
Rabelais e fedelmente lo seguisse
Leggendo ripetutamente nella persuasione che il
Basile tenesse presente
il
modo
il
:
Rabelais legli dicei, sono venuto
il
modo più
Basile abbia imitato nel
di esprimersi di quello scrittore; cosicché l'ipotesi,
fatta nella
zione di
mia traduzione del Cunto de
un luogo
cunti, circa
li
del Rabelais nel particolare di
acquista maggiore probabilità.
stupefacente conformità tra
i
La mia
una
affermazione
si
esatto
me
da
una imitafiaba (V, 1)
fonda sulla
due autori per quel che concerne
lo
casuale;
e,
poiché un'ampia dimostrazione prenderebbe troppo spazio, mi
li-
stile
e
l'espressione, e che
non può essere
miterò ad accennare ad alcuni punti. piace neir enumerare,
Funo accanto
stessa specie; cosi, uccelli
IV, 8); piante Basile
(II, oì;
(I,
13), e il
I,
Il
al
tutto
Rabelais, p.
37), e
parimente
il
com-
si
Basile
Basile (H, 5); utensili
parole ingiuriose
e.,
all'altro, oggetti vari di
^I,
25
,
e
il
(I,
una
(II,
5,
51), e
il
Basile (Xtrodn::.,
GIAMBATTISTA BASILE E
60
giuochi
I,
1,
(I,
56), e
«
3);
(1,22), e
Basile
il
(III, 10).
après nvoir hien joué.
Basile
10):
(II,
LI
CUNTI
»
Basile (princ. giorn. II e IV}; vesti
il
sinonimi:
Inoltre:
scisse,
passe
et
il
Rabelais
beluté ternps
»,
(I,
22):
ecc.; e
il
conim' a sacco scosuto, se norcava, canna-
che.
«
DE
IL « C'UNTO
riava, ciancolava, ngorfeta, gliotteva, decacava, scervecchiava, piu-
arravogliava,
siava,
sniorfei'a «
Sera
manno
ed
»;
Rabelais
il
corbiné, tronipé et affine
beline',
pettenava,
schianava,
scrofoniava,
arresidiava
»,
IV, nuovo
(I.
e
il
Basile
(I,
sbatteva,
prologo): 1):
«
stini-
de cecare, nzavorrarc, ngannare, mbrogliare e
facile cosa
dare a vedere ceste pe lanterne a no maialone, marrone, maccarane, vervecone, nsemprecoìie il
Rabelais
talon,
le
e):
(1.
Au
«
che
I,
52); e
ecc.
il
le
Basile
Ancora: rime incidentali:
un chascun la
d'eux eut
gros fronde au croupion (I,
6):
«
les
mules
mole toux au poulmoti,
spampanate,
»,
aie le
ecc. (e cosi an-
sterliccate,
impallnc-
zagarelle, canipafielle e scartapelle, tutte sìiiure, adure,
tutte
cose e rose
»,
cancre au menton,
petit
ratarrhe au gavion,
cate,
soir,
»,
ecc.
Di codesti esempi
recare se non pochi
ma
;
è dato
io
non posso, come ho
detto,
aumentarli di molto, tenendo pre-
sente l'abbondanza di proverbi, comuni a entrambi gli scrittori.
Che
se poi
qualcuno
voglia persuadere dell'imitazione che
si
Basile ha fatto, confronti
il
nono capitolo del quarto
libro del
tagruel con l'introduzione nella quinta giornata del
cunti: e la cosa gli risulterà nel
Questa
tesi del
modo più
Cinque
in proposito,
non
del Rabelais
e Seicento. Il Guerrini.
riusci a trovare se
fugacissimo, all'opera di e
Cunto de
li
chiaro^.
Liebrecht incontra una prima difficoltà
nella pochissima conoscenza, che Italia nel
il
Pan-
lui, nelle
si
ebbe
in
che fece ricerche
non un
solo accenno,
Facezie del Della Torre:
Martinozzi, che ne pescò qualche altro, riafferma tut-
il
tavia le conclusioni
1
negative del Guerrini ^
E nemmeno
In una nota alla traduzione tedesca del Dunlop, Geschichte der
Prosadichtungen (Berlino, 1851), pp. 517-8. 2
p.
O. GuEKRiNi, Rabelais in Italia (in Brandelli,
53 sgg.);
Gr.
stello, 1885), p.
Martinozzi, 29 sgg.
IL
Eoma,
1883, III,
Pantagruel di F. Rabelais (Città di Ca-
III.
IL
CUNTO DE
«
risulta che
LI CUNTI
»
COME OPERA LETTERARIA
GÌ
Basile conoscesse la lingua francese e avesse
il
qualche pratica di quella letteratura.
Né due
riescono convincenti,
come
Liebrecht crede,
il
le
imitazioni, concrete e flagranti, da lui additate.
sole
Nel primo trattenimento della giornata prima,
narra di
si
una papara fatata e di un principe, il quale appartatosi in un vicolo « a scarrecare lo ventre..., non trovannose carta a la saccocciola sco, se
pe
papara, accisa de
stoiarese, vista chella
ne servette pe pezza
narrata dallo Straparola
una papara, l'oggetto poavola (bambola)
'.
».
La medesima novella
quale, per altro, invece di
nel
;
di cui si serve
E una
fri-
era stata
fial)a
Pitré e intitolata per l'appunto
principe, era una
il
raccolta
siciliana,
La pupidda,
dal
che è in tutto
simile a quella del Basile, ha anch'essa, invece
della
pa-
bambola -. Come mai il Basile pensò a sostituire bambola con la papera? Il Liebrecht-^ rimanda al noto
pera, la la
Gargantua. intorno
capitolo quattordicesimo
del
vention d'un torcliecìd
dove
«
n' y
qu'il
a
pourveu qu'on
lui
»,
torchecid
tei
Henne sa
che sarebbe venuta
al
si
giunge
alla conclusione:
que d'un oison
téte
dumeti-,
bien
jambes
entre les
all' « in-
»,
ecc.; dal
Basile l'idea della sostituzione. Ma,
lasciando stare che la somiglianza tra l'uso che
una papera morta nel
che
Basile, e quello
si
si
fa di
esalta
come
ottimo di un uccello qualsiasi vivo e caldo nel Rabelais, è assai vaga, a
me
pare che dal raccostamento
cavare piuttosto la conseguenza che Rabelais
;
si
debba
Basile ignorasse
il
perché niente nel luogo citato ricorda
la
il
lunga
dissertazione del Rabelais, e lo scrittore napoletano è in-
V, 2:
Rua, luogo
XVI,
p. 243.
1
Piacevoli
2
Fiabe, novelle, ecc., voi. IV, n. 288, pp. 242-7: cfr. anche
notti,
cfr.
cit.,
I,
n. 25,
pp. 221-G. 3
Si
veda
più oltre;,
II,
la trad. p.
tedesca del Cunto de
260: e Duslop-Liebrecht,
li 1.
cunli [di e.
cui parleremo
GIAMBATTISTA BASILE E IL
02
«
CUNTO DE
consapevole della fonte di scherzi, che
duto
lo
scambio tra
somiglianza
(come suppose
—
dire,
bambola
la
due parole
delle
Grimm
il
pipata e papara
dialettali
non saprei
dal Liebrecht,
fatto
principio della giornata quinta, dove
il
acca-
sia
papera, se per la
la
o per altra cagione,
^),
confronto,
L'altro
e
»
francese aveva
da quel particolare. Come poi
scaturire
fatto
il
LI CDNTI
è
tra
Basile descrive
il
un
passatempo, che consisteva nel proporre a ciascuna delle
donne un giuoco: dicere
subeto ca no
a Vornore tagruel,
»
;
e
il
cui
in
ìa
le
piace, e la causa perché
si
descrivono
«
libro
m'ha da
non
le
dace
quarto del Pan-
etranges alliances
les
dove approda Pantagruel,
e si
»,
ridice
serie di botte e risposte, scambiate tra gli abi-
una lunga
come:
tanti del paese;
mon
une sienne
autre appelloit
«
elle
le
une omelaicte
ma
une sienne
simili.
Vun appelloit mon noìnnioit oeuf,' et d'ceufz. De mesmes un
en parellle alliance,
homelaicte,
estoient cdliés cornine
», e
nono del
capitolo
dell'isola Ennaisin,
fagot
quale, senza pensarence,
«
Anche qui
trippe,
elle
Vappelloit
san
l'affermata imitazione è assai
dubbia.
Restano
i
puri procedimenti artistici; ma, in verità, gli
tempo solevano ricalcare la sir immagine; non già investirsi dello spirito di un autore straniero e tradurlo in nuove forme, in modo che esso si senta dappertutto e non si possa cogliere in nessun particolare. Comunque, lo stile del Basile non è un imitatori letterari di quel
tuazione,
il
pensiero,
fatto tanto strano che, per ispiegarselo,
del paese e del del Seicento
tempo
di lui.
letterario e del
occorra uscire fuori
Esso è un frutto spontaneo
temperamento meridionale
;
spontaneo, come fu spontaneo in Giordano Bruno, a proposito del quale, altresì,
si
almanaccò
di un'imitazione dal
Rabelais. Percorrendo le opere del Basile in ordine crono-
i
Kiìider und Hausmiirchen, III, p. 291.
CUXTO DE
IL «
III.
LI C'UNTI
prima
logico, e, cioè,
Cunto de
li
artistico,
che cerca
cunti.
la
somma
«
il
felicità
»
allo
sicuro. «
Basile
Il
nel
procedimenti
i
anche che
sto
Muse
poi le
svolgersi di
e
in
63
fine
Liebrecht riconosce che
modo più
artistici del
avesse
dell'imitazione
letto è,
Rabelais
;
ma
Rabelais)
appunto,
e, il
{auf das
felice »
il
il
un ingegno
propria via, tenta, progredisce,
Basile avrebbe imitato glilckìichste)
COME OPERA LETTERARIA
le Lettere,
assiste
si
cammina
finalmente,
»
(po-
quella
prova della
la
non-imitazione.
IV
Un'opera a due facce, che pure ne costituiscono una de
ingenuo-maliziosa, quale è
serio-barlesca,
sola,
non era
cunti,
li
facile
sile
aveva
mente
«
il
Ba-
scrivere un
dialettale che servisse di testo di lingua na-
a
impresa
tanta
talenti ».
i
Ferdinando
la intese
voluto gareggiare col Boccaccio e
Decamerone poletana,
Non
quale, osservato che, disgraziatamente,
il
Cunto
che fosse intesa e rettamente
giudicata dalla vecchia critica. Galiani;
il
«
filosofia e di felicità
(dice)
mancavangli intera-
Privo in tutto e di genio elevato e di
d'invenzione e di ricchezza di cogni-
a poter immaginare o adornare novelle graziose o
zioni
interessanti o tragiche o lepide o morali, altro
non seppe
pensare che d'accozzare racconti delle Fate e dell'Orco cosi insipidi, mostruosi e sconci
che
gli stessi arabi,
datori di questo depravatissimo gusto, siti
di
^ Ciò vuol dire (come notò Galiani, cercando nel Cunto de li cunti
avergli immaginati
l'Imbriani
2)
che
la filosofia dei
deluso, e
il
si
»
Contes philosojjhiqucs del Voltaire, restava
non indovinava l'elemento giocoso
Del
dialetto napoletano, pp. 121-2.
Op.
cit.,
II,
fon-
sarebbero arros-
p. 435.
di quel libro.
GIAMBATTISTA BASILE E
64
IL
CUNTO DE
«
LI CUNTI »
Alla parte giocosa dette, invece, soverchia importanza
un arguto avversario il
Cuìito de
li
quell'opera un secentista
sfacciato,
valore, editore
di
letterato
Casa e del Tarsia (dice
e
modo
Ma
gusto. le
i
:
annotatore del Bembo, del
metafore allora correnti un'efficace lezione
scherzoso,
e
buon
di
chi conosce le opere italiane del Basile sa che
metafore secentesche egli
rio; e che, nel
zava con
Basile fu in
il
sta lo pperché
nce
Serio), egli volle, d'accordo col
il
Cortese, deridere le bizzarre
porgere, in
Luigi Serio, riducendo
del Galiani,
cunti a satira letteraria. Se
le
Cunto de
armi
le
metteva in pratica
cunti, scherzava,
li
sul se-
ma
si,
scher-
che soleva adoperare nella sua
stesse,
vita letteraria.
Più acuto è
come
i
il
giudizio di Giuseppe Ferrari,
personaggi del Basile,
des aventures où
«
constamment
s'engagent, gardent
ils
quale nota
il
quelle que soit la hizarrerie cette
simpllcìté, entrai nent avec cette force qui n'appartieni qu'atix
traditions iwpulaires gicien et altresì
duits
le
che
.
C'est
le
premier créateur de gli
peuple qui cette
episodi fiabeschi
toìijours à des proportions
grand ma-
sono, presso di
et
».
lui,
et altérés
triviales,
ne sais quelle atmospMre de cuisine taisie
est le
fantasmagorie...
Nota «
ré-
par je
de ménage: la fan-
napolitaine au lieu d'emhellìr, d' idéaliser l'univers^
l'a enlaidi
à dessein; pour en développer la
jyeuplé de monstres
scriveva che
il
»
Basile
un popolo vivace,
".
«
—
vltalité, elle l'a
Meglio ancora, Jacopo
ha raccontato secondo
spiritoso e scherzoso, con
lusioni a usi e costumi, e
anche
alla
storia
il
Grimm gusto di
continue
al-
antica e alla
mitologia, la cui conoscenza, specialmente tra gl'italiani, è
abbastanza diffusa
e.
;
sicché
i
Lo Veniacchio,
2
lievue des deux moìides, 1840,
riesposta
a
suo
il
lo
'
stile è
proprio l'antitesi
Dialetto napoletano
4.
XXI,
pp. 507-S.
'
(Napoli, 17S0j,
III.
IL «
di quello
CUNTO DE
calmo
CUNTI
LI
COME OPERA LETTERARIA
»
e semplice delle tìabe
È
tedesche.
65
straor-
dinariamente ricco di espressioni metaforiche, proverbiali quali ha grande
e spiritose, delle
non
più sono calzantissime:
costume del paese,
è
provvista e che per
rado
di
libera, sfacciata, senza
lo
secondo
la parola,
veli,
conseguenza, spiacevole alla nostra delicatezza moderna;
non
tuttavia,
può dire
si
di
come
lui,
il
per
e,
...
Straparola,
dello
Ha anche una certa piena e sovrabbondiscorso; ... ma si tratta del gusto, proprio delle
che sia immorale.
danza
di
popolazioni meridionali, di cercare sempre nuove espressull'oggetto del discorso; non già di po-
sioni e insistere
vertà mentale, che
si
cerchi coprire. E, giacché la folla dei
paragoni è esagerata, di i
solito,
per arguzia e gioco, anche
più strani e ridicoli di essi non riescono punto assurdi
»
^
Qualche anno dopo, nel 1846, preludendo alla traduzione del Liebrecht, dopo avere riconosciuta la superiorità del Basile sullo Straparola, soggiunge:
una certa tìabe reca le il
familiarità, la diletto
«
grande.
Come sono
svariate espressioni, con le quali for dell'alba e
il
Quando
vi
si
forma davvero attraente
acquisti
di queste
inesauribili,
p.
e.,
dipinge ogni volta
si
tramontare del sole! Queste espressioni
potranno essere giudicate fuori di luogo quasi sempre ingegnose,
e,
ma
;
appariranno
prese in sé stesse, esatte. In
graziose e svariate immagini
si
ritrae
rumorio
il
e
mor-
I
I
morio
dei ruscelli, la profonda oscurità delle selve,
tare degli
uccelli: in
cepiscono le più
lievi
mezzo
alla
pompa
voci della natura.
orientale, Il
come
nelle
schiette fiabe di tutti
narrazione giunge semplici
ma
al
i
popoli,
Op.
per-
e anche quando la
punto importante, compaiono rime
inimitabili, che
cit.. Ili,
si
...
fermano l'attenzione del nar-
ratore e, insieme, dell'uditore. Cosi in Peruonto:
1
can-
discorso corre
ricco di paragoni, giuochi di parole, proverbi; qui,
il
pp. 291-2.
'
Damme
GIAMBATTISTA BASILE E IL
66
passe '
'
e
Si vuoi che
fico
Chiave ncinto
me
Spoglia a
Ma poche
CENTO DE
lo dico
te
;
E Martino drinto E Vieste a te '
e
d'ingegno
il
artistico, a intendere
^.
«
ha saputo dare
non
solo,
Nel Basile
Basile
il
ma
adorna-
(egli scrisse),
forma adatta a questi
la
imprimere a questa
suggello della personalità propria. Chiunque ha stu-
comprenderà quanto
diato per poco la letteratura popolare, sia diffìcile
ad eseguire una
tal cosa.
di tutto ciò eh' è popolare, è quel lo
per conformità di
atte,
racconti impersonali e nel contempo
forma
:
'.
»
tore e inventore di strane fiabe
»
Cenerentola:
nella
e
';
Vittorio Imbriani, raccoglitore
tutto è indovinato:
LI CUNTI
e nella Schiavottella
'
persone erano cosi
temperamento
come
«
L'incanto particolare
non
so che d'epico, che
pervade, e di tipico: la mancanza d'individuazione; e
quell'incanto
appunto sparisce appena uno
a ritoccare quelle fantasie.... Ebbene,
porsi
noi vuol
di il
Basile ha
saputo conciliare due cose, che parrebbe impossibile ciliare, sopratutto nello stile: personalità spiccata,
il
con-
ed im-
personalità popolare. C'è la voce del popolo nel suo libro, e c'è
il
letterato seicentista con tutti
difetti, dei quali
a far
ultimi
questo, gli
Seicento e l'aver dialetto gli
un tempo;
giovò
sembra
suoi
farsi beffe egli stesso.
Ed,
moltissimo e l'aver
adoperato
il
nel
napoletano. Quel
dialetto
dà un non so che d'ingenuo e di beSìirdo ad sembra contenere ironia implicita » ^.
mossi
stati
lingua del Basile. Che imitasse
il
1
Prefazione alla traduz. del Liebrecht, [Si
veda ora
sul!'
Imbriani
pp. 437-452]. cit.,
pp. 446-8.
il
al
periodare e alla
Boccaccio, è una esage-
2
Op.
vissuto
e
Parecchi appunti sono
3
suoi pregi ed
i
i
I,
pp. vii-viii.
mio saggio in
Critica,
III (1905},
III.
IL «
CUNTO DE
razione del Galiani
quantunque
;
egli
affastella le
67
vero che, a cagione
sia
non doveva, tendere
e
Senonché,
lare.
COME OPERA LETTERARIA
già da noi determinato
del carattere
non poteva,
LI C'UNTI »
del
alla
in
frasi
deficienti nella coesione e nell'armonia.
suo novellare,
semplicità popo-
A
lunghi periodi, ragione,
Lie-
il
hrecht notava che, in quel periodare, è sovrabbondanza stucchevole di costruzioni participiali, che
sono appiccicate anziché legate,
con
la
medesima parola
e,
per
proposizioni
le
che cominciano sovente
lo più,
con un
«
ma
che, perciò, esso difetta di rotondità e di varietà ^ della prosa basiliana è, spesso,
maggiore
trascurato: vi
si
»
;
e,
ritmo
Il
desidera
rilievo e distacco, e quei riposi che la fantasia
di un fatto e vuol sentire nell'andamento del racconto. Assai meglio scriveva, per questo riguardo, un seguace del Basile, che, nella seconda metà di quel secolo, compose un libro di fiabe, Pompeo Sarnelli.
vede nello svolgersi
L' Imbriani diceva che in
i
difetti del
periodare sparirebbero
massima parte con una buona interpunzione,
a quella negletta o cervellotica delle vecchie
a questo modo,
si
può
sostituita
stampe
ma,
;
solamente attenuarli alquanto, senza
speranza di eliminarli, perché intrinseci alla struttura del periodo. Giova ricordare, piuttosto, che l'opera del Basile
venne pubblicata postuma, dato l'ultima
mano
Circa la lingua, cesco Oliva, in
e
che l'autore non vi aveva
-.
il
Galiani (preceduto in ciò da Fran-
una sua incompleta ma importante Gram-
matica della lingua napoletana, che dicava che
il
Basile
contezza di tutte
abbia
«
le voci, dei
la
si
più
serba inedita incredibile e
proverbi, de' modi di dire e
delle espressioni strane e bizzarre, usate dal volgo
1
Trad.
2
Si
3
Ms. Bibl. Nazionale di Napoli, XIII, H, 56;
cit., II,
veda sopra,
giu-
^)
minuta
>
;
pp. 322-3. p. 49. si
veda
p. 4J.
ma
GIAMBATTISTA BASILE E IL
G8 che,
CUNTO DE
LI CONTI
per isfoggiare questa ricchezza, accumuli
le
parole
«
impiega
egli le
».
Infatti,
role toscane che egli
«
è
grande
numero
il
ha forzate e contorte
alla
è poi a vedere lo studio e la fatica che fa a
quelle voci, pure
e sostituirvi o le più rancide o le
più laide dell'infima plebe, solo perché
lingua generale italiana
all'uso
fatte
di rendere
il
prime pagine del Cunto
le
esempì
trovare
scostano dalla
si
^
»
Certamente, basta svolgere cunti per
non usar mai
che in gran copia abbiamo ed
italiane,
ugualmente adoperiamo,
li
delle pa-
pronunzia
quantunque da noi non mai adoperate. Incredibile
nostra,
de
»
onde avviene che, spessissimo, collochi fuor luogo parole e frasi, che non hanno quel senso in cui
e le frasi, di
«
dialettale. Il Basile
dialetto napoletano
di
codeste
modificazioni
aveva la preoccupazione più napoletano di quel
che effettivamente sia; epperò, bandi molte forme, che esso
ha comuni con
la lingua, e
a vocaboli pretti italiani mise
strane desinenze. Inoltre, la ricerca dell'effetto comico lo
condusse a scegliere tutte
le frasi del
giativo, burlesco o goffo, e a usarle di fraseologia seria e
vecchie
(nell'
normale; onde,
introduzione)
ncuorpo
s'ha schiaffato
:
«
popolo di uso dispre-
come
se avessero valore
p. e.,
Tadeo dirà
alle
Devo scusare raoglierema se
st'omore 'ìnalenconeco de sentire
dare Tnbrocca a io sfiolo della cogliere miezo le voglie soie, sarrite o ciuco iorne che starrà a se arrecar e
cunte; e,perzò, se ve piace de
prencepessa mia contente,
la
pe
panza
sii
»;
e
de
quatto
e cosi via.
Ancora: pei bisogni del suo
stile e
delle sue caricature dovette foggiare molti vocaboli, special-
mente
astratti,
che non esistono nella loquela popolare;
e,
d'altra parte, gli piacque serbare certe forme auliche (p. e., gli articoli lo, la,
dono
1
alla
li,
le,
invece di o
tendenza di elevare
il
Del dialetto napoletano, pp. 123-4:
{u),
a,
i),
che rispon-
dialetto verso la lingua.
cfr. p. 25.
III.
IL
;
CUNTO DE
Lasciando ad
li
COME OPERA LETTERARIA
»
grammaticale e
l'esame
altri
basta qui formolare
Cunto de
LI CUNTI
come conclusione che
cunti l'anche se
la
69
lessicale,
lingua del
tenga conto della diversità,
si
che essa, come vecchia di tre secoli, deve naturalmente presentare
odierno) sembra, nella sua
rispetto al dialetto
generale fisionomia, piuttosto che a un linguaggio storica-
mente il
uno
parlato, arieggiare a
maccheronico o
ragioni artistiche.
giudicarla da
che assunsero
il
Il
quei linguaggi, dagli
di visra
grammatici
poletano. Se nella sintassi
e
si
i
legislatori del dialetto na-
può censurare
un narratore semplice
e veristico,
la
mancanza
bisogna rispet-
il
quale era, non
ma
un grottesco o
tare, invece, lo spirito stesso del Basile,
un umorista.
per
indurre a
diverso da quello
affatto
di gusto e di lima, nel materiale linguistico
già
come
artisti e
che, per l'appunto, deve
un punto i
di
fìdenziano, creati
IV
Fortuna del
A..Ha
«
Cunto de
li cunti
prima edizione del Cunto de
li
»
cunti, della quale
data notizia di sopra, segui, nel 1644, la seconda, de-
si è
dicata al signor Felice Basile,
e,
nel 1645, la terza, dedi-
cata al padre Daniele K
Xel 1674, l'editore Antonio Bulifon, un francese che aveva messo bottega in Napoli, « vedendo (come egli dice) che veniva sommamente desiderato questo altrettanto ar-
guto quanto giocoso Pentamerone del vivace e bizzarro
ingegno del cavalier Giovan Battista Basile «
ridotto alla vera lezione, per
nascesse
Pompeo
».
mezzo
»,
delle
Sarnelli, poi vescovo di Bisceglie, e allora corret-
mentava
la
Il
Sarnelli a ragione la-
grave scorrettezza dell'ultima stampa,
poneva, in quanto all'ortografia, di attenersi ;
ei ri-
Curatore dell'edizione fu un abate pugliese,
tore nella stamperia del Bulifon-.
prima
procurò che,
stampe
ma
e si pro-
alla edizione
volle poi francamente correggere molte forme,
1 Tutte e due, Xapoli, per Camillo Cavallo: una a istanza di Salvatore Eispolo, l'altra di Gio. Antonio Farina. In questa, il Farina
« è si fattamente gradita dall'universo, che sono forzato a darla in luce in questa terza impressione >.
dice che T opera del Basile
2
Cfr. Celano,
Avanzi
delle poste (Napoli, 1676-81'. pp.
318 sgg.
GIAMBATTISTA BASILE E IL
72
CDNTO DE
«
LI CUNTI
»
non parevano schiettamente napoletane nel quale lavoro talvolta colse nel segno, tal'altra errò gravemente o fraintese, sempre si condusse con arbitrio. Per altro, se che a
lui
:
alcune parole e frasi sue a quelle del Basile, non
sostituì
né aggiunse nulla
tolse
curiosa interpolazione (che
credo unica)
io
al
una
salvo
di sostanziale al testo;
trattenimento
quinto della giornata prima, dove, alle parole del Basile «
arrevato all'acqua de Sarno
ste altre:
shiummo
chillo bello
«
miglia antica de
l'opera prese per la prima
Pentamerone
di
;
ha dato nomme a
volta sul
nel 1679 e a Napoli nel 1697
Anche
'.
frontespizio
le
la fa-
Sarnelli, titola
il
quale titolo fu ristampata a
col
'
e'
Sarnelli »! Nell'edizione del
li
:
Sarnelli fa seguire que-
il
»,
Roma
Muse napolitane
ebbero altre cinque ristampe nel corso del secolo decimosettimo
^.
Queste ristampe, e altre probabilmente ora introvabili e ignote,
bretto,
il
lettori e
i
de
comprovano quel che
Cunto de
del
II
cunti:
quale è per
le
il
Nicodemi
dice, nel 1683,
galantissimo ed amenissimo
«
mani
di
tutti »
li-
\ E, insieme coi
ammiratori, l'opera del Basile trovò anche, assai
Pentamerone del Cavalier Giovan Battista Basile, overo
cunte,
li
li
Trattefiemiento de
vamente ristampato
li
peccerilte di
e co tutte le
Gian Alesio
Cunto
lo
Abbattutis,
No-
zeremonie corrietto. All'IUustriss. ecc.
Pietro Emilio Guaschi, Dottor delle leggi e degnissimo eletto del Popolo della fedelissima Città di Napoli (in Napoli, ad istanza di
An-
tonio Bulifon, Librare, all'insegna della Sirena, 1674: di pp. 633, più 12 inn. al princ. e 3 in fine). 2
Roma,
1679, nella
stamperia di Bartolomeo Lupardi, dedicata
al
signor Giuseppe Spada; Napoli,
V.
Passano, Novellieri 2
p.
13); ivi,
Torino, 1878,
ivi.
I,
pp. 43-8).
ivi,
1647 (v.
Mar-
per G. F. Paci, 1669, ad istanza di Francesco Mas-
Domenico Antonio Parrino
Massaro, 1678; *
L. Muzio, 1697 (per questa ediz.,
Napoli, Cavallo, 1643, ad istanza del Rispolo;
TORANA, saro e
M.
italiani in prosa',
librari; ivi,
ad istanza
di
Francesco
Mollo, 1693.
Addizioni alla Biblioteca del Tojypi (Napoli, 1683),
p.
111.
FORTUNA DEL
IV.
CUXTO DE
«
come accade
presto, imitatori,
CUXTI
LI
73
^
che hanno proprio
ai libri
e spiccato carattere.
Tra
lettori e gli
i
ammiratori era
bizzarro di Salvator Rosa,
sue satire imitò
il
il
napoletano spirito
il
quale, non solamente nelle
fare del Basile e, in più punti, alcuni
ma
tratti delle
egloghe del Cunto de
sto libro a
Firenze; tanto che anche nelle satire del Men-
zini
si
li
cunti,
divulgò que-
ritrovano imitazioni dalle egloghe napoletane
quando Lorenzo Lippi prese a scrivere
è risaputo che,
Malmantile riacquistato,
grandissimi
«
tore napoletano gii fu fornito
cunti overo
li
al
modo
«
il
»;
e che dal
libro intitolato
Trattenim tento de
peccerille,
li
poema
suo
dodici
167G,
una
finalità
» -.
composto
vagamente
Xel Malmantile (pubblicato postumo nel
anni dopo
morte dell'autore),
la
analoga a quella che aveva avuto
mostrare
cioè,
pit-
Lo cunto
di parlar napolitano, dal quale trasse alcune bel-
lissime novelle, e, messele in rima, ne adornò il
il
furono gli stimoli
che ebbe a ciò fare da Salvator Rosa...
de
Ed
i.
la
si
il
osserva
Basile;
e,
ricchezza del parlare volgare fiorentino.
Ma, laddove questa tendenza nel Cunto de
minata e superata dalla foga
mane dominante; donde
artistica,
frigidità
la
li
cunti è do-
nel Malmantile
di
ri-
quel poema, che
pare scritto pel solo scopo di essere aggravato, come fu poi, dalle
note lessicali di Paolo Minucci.
Potrebbe sembrare strano che
il
Lippi, per le fiabe che
introdusse nel suo poema, avesse bisogno di ricorrere
popoli,
giù
le
1
Per
le
imitazioni del
Rosa
per quelle del Menzini, Belloxi, -
al
una ricchezza comune a tutti e, certamente, anche a quel tempo vivevano, su p( r medesime, a Firenze come a Napoli. Ma il Basile,
Basile; giacché esse sono
F. Baldixucci,
i
si
veda in questo volume, saggio VII;
li Seicento,
p.
226.
Vita di Lorenzo Lippi ^nell'ediz. del
Xapoli, Sarracino, 1854).
Malmantile,
GIAMBATTISTA BASILE E IL
74
«
DE
C'UNTO
LI C'UNTI
»
col rivolg-ere l'attenzione dei lettori su quelle fiabe e dare
una forma letteraria, nuove, e ne aveva rivelato
le
loro
Nessuno ha indicato le
aveva
apparire come
fatto
la fecondità artistica.
modo
finora, in
imitazioni del Lippi dal Cunto de
riducono principalmente a tre punti.
esatto e compiuto,
li
cunti, le quali
si
secondo cantare
Il
una versificazione della riuscendo una regina ad avere
del Malmantile è nient'altro che
Cerva fatata
— Non
(I, 9).
desiderati figliuoli,
i
un sapientone indicò al mangiare un cuore
rimedio, che era di farle
re marito
cucinato da una donzella. Subito, quella s'ingravida, lei, la
il
di dragone, e,
con
donzella cuciniera; e ne nascono due bambini,, che
crescono simiUssimi, Fonzo e Canneloro. L'odio della regina costringe Canneloro a spatriare; ma, nel partire, egli
insegna
suo quasi gemello
al
quel che avverrà di
modo
il
di conoscere
venga
una
giostra, di
alla quale
un
re,
mano
era posta premio la
si
Fonzo ha notizia del pericolo
della
un giorno,
e sposa costei. Senonché,
andando a caccia, prende a inseguire una cerva (che, invece, era un orco), la quale lo tira a sé e pisce.
sempre
bene, se incontri pericoli
se stia
a morte. Assistito dalla fortuna, Canneloro vince
o se
figliuola
lui,
fatata lo
ra-
in cui si trova l'amico,
mette in viaggio, uccide l'orco, e libera Canneloro.
Saggio della maniera, onde
il
Lippi verseggia la prosa del
Basile, può essere la pagina, nella quale
maravigliosi
del cuore di drago.
effetti
a cocmare a na bella dammeceUa.
La
cammara, non
lo
fummo
de
lo
na, che tutte
cossi
pr lesto mese a
vullo che, non sulo li
—
sta.
«
si
descrivono
Lo
re...
lo dette
quale, serratose a
fuoco
i
na
lo core e scette lo
bella coca deventaie pre-
mohele de la casa ntorzaro. E, ncapo de poche
iiiorne, fìgliattero; tanto che la
travacca fece no lettecciulo,
forziero fece no scrignetiello,
seggie facettero seggiolelle, la
tavola no tavolino, accossi bello
e lo
le
lo
cantaro fece no cantariello mpetenato,
ch'era no sapore
».
E
il
Lippi
(II,
16-17):
FORTUNA DEL
IV.
Ed
egli, loreso
il
CUNTO DE
«
LI C'UNTI
75
»
prelibato cuore,
Lo diede al cuoco: al qual, mentre lo Si fece una trippaccia, la maggiore Che ai dì dei nati mai veduta fosse. Le robe e masserizie, a quell'odore,
cosse,
Anch'elle diventaron tutte grosse;
E
in poco tempo a un'otta tutte quante Fecer d'accordo il pargoletto infante.
Allor vedesti partorire
Un
letto
il
tenero e vezzoso lettuccino
Di qua l'armadio fece uno
La La La
E
;
stii^etto;
un seggiolino; un bel buffetto;
seggiola di là tavola figliò cassa, il
un vago e picciol cassettino un canterello mandò fuore,
Che una bocchina avea
Composto
;
destro
tutto sapore.
di reminiscenze del
Canto de
li
cui/ ti è
il
rac-
conto che, nel quarto cantare (29-82), è messo in bocca a Psiche, venuta a cercare lo spo^^o in I\lalmantile
:
il
comin-
ciamento è tratto da un brano della novella quinta della seconda giornata; nella parte di mezzo, si trovano riscontri
con l'introduzione, con
terza,
anche con
e
la
la
novella quinta della giornata
quarta della prima;
dall'introdu-
zione, altresì, è tolta di peso la chiusa. Infine, la novella
di
Nardino
minazione de Lo cuorvo (IV,
non senza miscuglio
Come
poi
il
di
e Brunetto è e
9)
delle
una conta-
Tre cetre (V, 9);
nuovi particolari.
Lippi imiti
mostrato dalla descrizione
il
fare
dell'
«
del
uom
Basile,
piv^
essere
selvatico Magorto
»
(VII, 53-55), eco delle tante felicissime descrizioni basilianc di orchi
:
Ma io ti vuò dar adesso un'abbozzata, Qui presto presto, della sua figura; Ei nacque d'un folletto e d'una fata, A Fiesole, 'n una buca delle mura;
GIAMBATTISTA BASILE E
76
Ed
è si brutto poi
IL
«
CUNTO DE
LI CUNTI
»
che la brigata,
Solo al suo nome, crepa di j)aura.
Oh
A
questo
far
è
il
mangiar
Oltre eh'
ei
caso a por fra
i
nocentini,
pappa a quei bambini pute come una carogna, la
!
Ed è più nero della mezzanotte. Ha il ceffo d'orso e il collo di cicogna, Ed una pancia come una gran botte Va sui balestri ed ha bocca di fogna, Da dar ripiego a un tin di mele cotte; ;
Zanne ha di porco e naso di civetta, Che piscia in bocca e del continuo getta. Gli copron gli ossi
Ed ha Gli
uomini mangia
Per
lui si fa
La
E
peli delle ciglia.
fa,
;
quando alcun ne piglia. quel giorno un Berlingaccio, e,
Con ogni pappalecco Ch'ei
i
cert'ugna lunghe mezzo braccio
e gozzoviglia;
prima, col sangue
il
suo migliaccio.
carne assetta in vari e buon bocconi della pelle ne fa maccheroni.
Mag-g-iore fu l'efficacia che tori napoletani.
Essendo stato
avendone
dialetto e
fissato
il
il
Basile esercitò sugli scrit-
egli quasi
il
lessico e la
Dante
di
questo
fraseologia per
non è maraviglia se gli scrittori, che seguirono, mostrano di avere studiato piuttosto le opere di l'uso
lui
che
*
-
letterario,
Non
vivo linguaggio del popolo ^
il
Ciò
osservava anche I'Oliva, nella sua Grammatica inedita:
essendovi altri
più accreditati e migliori scrittori che gli
avvisati Cortese e Basile, sono essi in cotanta riputazione giunti che
a taluno sembra temerità dare gliere
il
un
passo fuori le di loro pedate in isce-
soggetto delli componimenti e servirsi della lingua; perché
stimano errore l'allontanarsi dalle persone, azzioni
approvano cosa che in
e parole plebee,
né
non sia; quasi che tutta la lingua fosse nei di loro libri, che sono due purtroppo piccoli rispetto alla vastità di quella; e non veggono, o veder non vogliono, che una menoma parte delle voci e delle maniere non contengono del parlare di quella... (ms.
cit.,
p.
12).
quelli
IV.
Uno
solo,
FORTUNA DEL per aìtro,
prese a narrare
sile, e
peo Sarnelli,
gramma
si
«
DE
C'UNTO
LI
CUNTI
77
!
attenne allo stesso genere del Ba-
ciinti:
il
suo editore del 1674, Pom-
quale, dieci anni dopo, pubblicò, con l'ana-
il
di Masillo
Reppone,
la Posilecheata
«
'.
be mil-
>?/
lanta valentuommene (diceva nella prefazione) hanno scritto,
dopò
lo
Gianna-
Cortese, vierze napoletane, nesciuno, dopo
lesio Ahhattutis,
silecheata
ha
scritto
cunfe
».
II
volumetto della Po-
doveva essere come l'avanguardia
di
un
libro
più grande (no libro gruosso).
La cornice
di quella fiabe è.
come appare
dal titolo,
il
racconto di una scampagnata a Posilipo, dove Masillo Rep-
pone
si
reca a passare una giornata nella villa di un amico.
La giornata culmina in un gran pranzo, rallegrato dalla compagnia e cooperazione del dottor Marchionno, ghiottone e buongustaio di prima forza, il quale divora da solo tre quarti del pranzo, chiacchierando indiavolatamente, senza
un istante; mettendo fuori, a ogni cibo che giunge un proverbio, un motto, un'erudizione e chiedendo, con la più amena sfocciataggine, ora una cosa ora arrestarsi
in tavola,
:
un'altra, nella certezza di fare cosa grata all'amico e nell'alta
coscienza della sua riputazione di ghiottone da man-
tenere.
Dopo
il
pranzo, vengono cinque donne del popolo,
ciascuna delle quali narra una novella.
Le cinque novelle non hanno
riscontro, nei temi, con
quelle del Basile: e presentano, inoltre, la novità di costituire, nel loro
insieme, una sorta di mitologia di alcuni
più famosi e popolari monumenti di Xapoli, quali
dei
Gigante di Palazzo,
il
detta Testa di Xapoli, nelli,
Nettuno i
di
Fontana Medina,
Quattro del Molo
anche novellando, non dimenticava
e di
altri
:
il
la cosi il
Sar-
essere autore
In Napoli, presso Giuseppe Eoselli, 16-S4, a spese di Antonio BuQuesta edizione fu ristampata, con largo corredo d'illustrazioni, da Vittorio Imbriani (Napoli, Morano. 1885). 1
lifon.
GIAMBATTISTA BASILE E
78 di
IL «
CUNTO DE
LI CUNTI
»
una Guida di Napoli. Nella forma narrativa, introdumovimenti stilistici, scherzi e giochetti, egli segue,
zioni,
con imitazione intelligente ed elegante,
il
Basile, superan-
dolo, forse, in facilità e correttezza.
II
si fecero non poche almeno quattro, riproducendel Sarnelli ^ E ne comparve
Nella prima metà del Settecento, edizioni del Cunto de
sempre in esse
dosi
allora, nel
1713, la
dialetto, dal
cunti,
li
il
testo
prima traduzione, che fu da
napoletano
al
bolognese:
dialetto a
traduttrici,
Madda-
lena e Teresa Manfredi (sorelle del celebre Eustachio), e le loro
amiche Teresa
e
Angiola Zanotti (sorelle dei non
meno celebri Giampietro e Francesco)-, che l'intitolarono: La chiaqlira dia banzola o per dir mii fol divers tradOtt dal parlar napuUtan
in leingua hulgncisa
^.
In questa traduzione, sono soppresse
que giornate, fiabe,
i
le divisioni in cin-
introduzioni alle giornate e alle singole
le
quattro intermezzi o egloghe; l'introduzione è ab-
breviata, e alle quarantanove novelle segue la cinquante-
sima come conclusione. Sono spariti zoli,
1
quali
coi
Nel 1714
il
Basile vestiva a festa le fiabe; p.
e nel 1722, per
zio; nel 1749, per la
M. L. Muzio
:
nel 1728, per
segna anche un'edizione del 1747
op. cit.,
le
Gennaro Mu-
e
Basile, II (1884), n. 3. Il
un'altra
s.
a.
Anche
le
p.
23), e, nel
1747, per
Passano
Muse napo-
furono ristampate nel 1703 e nel 1719, per G. Musitano
Martorana,
e.,
stamperia Muziana. Sono descritte da L. Moli-
NARO DEL Chiaro, nel Giambattista litane
altresì molti dei fron-
D. Langiano
(si
e
veda
D. Vi-
venzio. 2
Quadrio, op.
cit.,
I,
p. 210: e
cfr.
Faxtuzzi, Notizie degli
(Bologna, 1781-9), V, pp. 201-2. L'edizione di Bologna, 1713, è segnata dal Passano, op.
scrit-
tori bolognesi 3
pp. 46-7:
il
Fantuzzi conosce quella del 1742.
cit.,
FORTUNA DEL
IV.
CONTO DE
«
LI CUNTI
»
79
descrizioni dell'alba, del tramonto, della notte e discorsi
quello
dell'originale
\ Ma, anche
date, restano belle; e quel che
hanno acquistato per
IJaltro,
il
Gnorri ni) a
e
divenne
il
fis^sare « le
codice del bel parlare bolognese, e
Non merita
le
medesime
del 1754 \ che,
1
rassà
An
"
nemmeno
n''
politan, e
non
nelle
ristampa età,
forme
non este-
lodi l'anonimo traduttore ita-
solo
tolse
le
egloghe e intere
l'
gli avvìi pars pu-
an'' i è
però una somma fedeltà
in Ila traduzione,
aver catta di pruverhi in hulgnes, ch^avvn V istess significai di na-
pò mi
i
n ho miss di
eh dseva qui; pari, aneli
pr
misti,
eh fors ben n vrati brisa dir quel
assri multissm cos eh'
pò eumpost
alla piz, e quesC ara cavsà,
più
Chi lizrà V napolilan, vdrà aneh,
secchi.
eh''
dutta brisa, e quest perché gli in digression lassar senza eh'
s'
Pentameròn
d^
Zvan' Aléssi
in zeinqu giornat, e
18:-39,
mi
n' intendeva, e
P sinn armas,
in za e
eh' ai in
ai ho stima, eh'
s'
possn tra-
>
1872. L'ed. del 1839 è intitolata: .1/
(sic) Basile, osia
ha molte varietà
zinquantà fol dette da dis donne
sulle precedenti, perché, riveduta
sull'originale, le novelle vi sono state ridivise in cinque giornate,
aggiunte di passi tralasciati, vi
oltre
là,
di' ai dia, robba, che ìi^è tra-
eh''
guasta la sostanza dia fola
Nel 1742, 1777, 1813,
2
si
grazi, eh' gli an in ila sa lingua nattiral; e se ben eh la so-
stanza dia fola è l'istessa,
pari pr
(scrisse
» ^.
poss negar (è detto nell'avvertenza) eh'
quel,
cZ'
semplici
agili,
regole e l'ortografia del dialetto,
ed ortografiche del dialetto
liano
cosi abbreviate e sfron-
per quanto conti un secolo e più di
e,
lunghi
hanno perduto per un verso,
diventando più
mostra di essere invecchiata, riori
i
più rapido di
stile
L'opera fu ristampata più volte-, e servi
e popolari.
ancora,
uno
in generale, si serba
e,
;
si
leggono anche
le
e,
quattro
egloghe, esposte in prosa. vita e le opere di Giulio Cesare Croce (Bologna, 1879), pp. 134-5. Conto dei conti, trattenimento dei fanciulli, trasportato dalla napoletana all'italiana favella ed adornato di bellissime figure (in Napoli, si vendono {sic) nella libreria di Cristoforo Migliaccio, 1754): cit. 3
La
^
Il
dal Passano. Secondo I'Imbriani {XII conti j)omiglianesi, Napoli, 1876, p. 24),
questa deve essere una seconda edizione. Fu ristampato nel Passano, del Molinauo e del
1769, 1784 e 1863 (v. le bibliografie del
PlTRÉ).
GIAMBATTISTA BASILE E
80
compendiò
nov^elle^, e
personaggi e spropositi del quale
ma
^ ;
le altre e
particolari
;
DE
mutò
non
LI CUNTI
perfino
»
nomi
i
città di
il
dei
molti
solo introdusse
adoperò costantemente un goffissimo
può dare esempio
Eravi nella silla, la
altri
IL « C'UNTO
stile,
principio della prima novella:
Diserta una donjia dabbene chiamata Dru-
un figlio maschio madrg perciò ne stava
quale, oltre a sei figlie femmine, avea
tanto sciocco e scimunito, che la povera
scontentissima; né v'era g'iorno che non l'avvertiva, ora correg-
gendolo dolcemente, ed ora
al
dolce delle correzioni vi mescolava
l'asprezza delle invettive, od anche, se v'era di bisogno, delle bastonate
con tutto ciò non furono queste cose bastanti a far
;
Rodimonte
fosse riavuto della sua
si
dappocaggine; per
cosa,
vedendo Drusilla non essèrvi speranza che suo
duto
si
fosse dalla sua sciocchezza (quasiché
fosse stato in lui cagionato per colpa sua),
con un bastone
lo batté di
figlio
un giorno
maniera che poco
di
difetto
il
si
che
qual
la
ravve-
natura
fra gli altri
mancò a non rom-
vi
perle tutte le ossa...
mettendo da parte
]\Ia,
la goffaggine del traduttore, è certo
che, date le abitudini mentali di quel secolo, e la quantità e qualità di lingua di cui esso disponeva,
non c'era speranza
ben tradurre uno scrittore come
Basile, richiedente
di
il
di fantasia e ricchezza di vocabolario.
grande vivacità
prova potrebbe essere ritentata, con migliori speranze,
La ai
giorni nostri.
Tuttavia, nel Settecento,
ma
il
Basile incontrò ancora un'ani-
simpatica, alla quale potè narrare
i
suoi cunti: Carlo
Gozzi, che vi attinse per le fiabe drammatiche.
Il
terzo atto
deW Amoì-e
delle tre
avanza una
sorta di scenario, è tolto dalle Tre cetre {Y, 2);
e
una reminiscenza
1
2
Mancano .
Uorco
»
I,
è
isposa la figliuola
diviene
'
il
gatto
melarance, recitato nel 1761 e di cui
del
II, 3,
9,
Canto de
V,
4,
5,
6,
li
cunti
•>
»
;
e cosi via.
nota anche nel
sì
7, 8, 9.
sempre con « Orca » La galla cennerentola all'Orca! tradotto
ci
;
onde »,
il
re
dà in
che è femmina,
FORTUNA DEL
IV.
primo atto
di
C'UNTO
«
DE
LI CUNTI
81
»
l'espediente al quale ricorre
esso, e, cioè,
Truffaldino per indurre al riso
principe Tartaglia. Dalla
il
stessa opera è tolta la seconda fiaba. Il corvo, rappresentata altresì nel 1761
VAugel
è preso
^ Dall'imitatore del Basile, Sarnelli,
come
belverde'-. Il Gozzi,
non ebbe l'esclusiva intenzione
e più del Basile,
di riprodurre
favoleggiare
il
del popolo; anzi, fece servire quei suoi dramraatizzamenti
a
un complesso
la
polemiche
di dottrine e
pure contaminando,
ch'egli,
creazione popolare, non
in
e
Ma
letterarie.
mutò a fondo; onde
la
an-
misura assai più larga, il
sen-
timento popolare sopravvive nelle sue fiabe, ed è sorgente del fascino, che esse esercitarono sui romantici. I fini let-
(come disse
terari
furono
fini
De
il
transitori,
«
Sanctis), che i
quali
propose
si
della
ghese
»
;
commedia popolare il
:
pito dal
contenuto
popolo, avido
ma
Gozzi,
potevano dargli vinta
causa nella polemica e sul teatro, e che oggi sono
morta del suo lavoro
il
la parte
viva è
«
il
la
la
parte
concetto
commedia bormondo poetico, com'è conce-
in opposizione alla è
il
meraviglioso e del misterioso,
del
impressionabile, facile al riso e al pianto
» ^.
III
Fuori d'Italia,
Wieland,
il
primo che s'ispirasse
il
quale, da
alcuni estratti
al Basile fu
hliothèque des romans, desunse nel 1778 la materia di
racconto in versi, intitolato
che corrisponde Il
al
il
nella Bi-
pubblicati
un
Peruonte oder die Wilnsche,
Peruonto del Cunto de
li
cunti
(l,
3).
racconto, nelle due prime parti, segue a passo a passo
quello dell'autore napoletano, svolgendo in
1
Prefaz. del
Masi
all' ed.
cit.
delle
Fiabe di
modo C.
più largo
Gozzi,
I,
pp.
LXXVII Sgg.
Rua,
in Giorn.
2
Posilicheata, e. 3: cfr.
3
Storia della leder. Hai., II. p. 391.
si.
d.
leti.
Hai.,
XVI,
p. 238.
GIAMBATTISTA BASILE E
82
IL «
CUNTO DE
ma non
re di Salerno
manca
vi
la
aveva una
punta
un concetto morale. Un
di
figliuola bellissima, a
nome Va-
quantunque assai avvenente non pensava al matrimonio:
e corteg-
stola (sic), la quale,
giata,
»
L' intonazione è scher-
e particolareggiando le situazioni. zosa,
LI CUNTI
Flammen, Nach wahrer Salamanderart, Stets unversengt, eiskalt und felsenart. Blieb mitten in den
Intanto, un giorno, Peruonto, un giovinotto brutto, sciocco e goffo,
mandato dalla madre a fare legna, trova nel bosco dormono in pieno sole; e si dà a intrecciare loro corpi, coi rami degli alberi, una pergola om-
tre fate, che
sopra
i
brosa. Quelle, svegliatesi, visto l'atto gentile, conferiscono al
giovinotto la fatazione, per la quale ogni desiderio da
formato
lui le
tramuti subito in realtà. Peruonto, raccolte «
Oh, se questo
mette in
grande turba ridente
e schiamazzante, cavalca a quel
verso casa. Ma, nel passare innanzi stolla,
invece
fascio,
mi portasse a casa! ». Ed ecco il fascio moto come un cavallo; ed egli, seguito da una
portare,
di favsì si
si
sue legna, pensa tra sé:
al
modo
palazzo del re, Va-
che è alla finestra, esclama: Das lohnt
Um
sich
auch der Miih, dass eine ganze Stadt
einen solchen Barenhauter
So narrisch thutl Sein Pferd ist schlecht, und, doch, flir solchen Reiter, Den Wechselbang, den Unbold, noch so gut!
Peruonto, seccato,
le
augura che diventi gravida
partorisca due gemelli. Detto fatto Basile,
il
racconto dello sdegno del re
scopo di scoprire tra
danza. Scoperto Peruonto, in
una
al
1
di lui e
come
nel
vedere incinta
banchetti e delle
figliuola, e del parto, e dei
allo
;
e qui segue,
feste,
la
bandite
convitati l'autore della gravi-
egli,
per ordine del
botte, insieme con Vastolla e
i
re, è
due bambini,
messo e get-
FORTUNA DEL
IV.
«
CUNTO DE
mare. Nella botte, mentre
tato a
onde, comincia un dialogo tra e Vastolla, appreso dall'altro
LI
CUNTI
So
»
trovano alla mercé delle due coniugi involontari
si
i
;
mirabile dono, largitogli
il
dalle fate, gli suggerisce di augurare che la botte diventi
una barca;
che accade subito, e
il
Dipoi, Peruonto lizioso,
si
augura
un grandioso
di possedere
la
comitiva è salva.
approdare in un luogo de-
di
castello,
di diventare
bello; e, in ultimo, di essere provvisto di quell'intelletto,
che
gli
mancava. Colmi
di tutti cotesti doni:
Prinzessin (spricht Peruonto), ^vir haben
Der Wiiiische nun genug'. Der Feen Giitigkeit doch immer neue Gaben Expressen, ware Geize und Unbescheidenheit. Nichts ist nunmehr xins Noth als die Begaiigsamkeit; Ist gross;
Allein mit dieser
muss der Mensch
sich selbst begaben.
Lass durch Genuss ims nun verdienen was sich haben! Uns lieben, Vastola, und Alles um uns her Mit unseren Gllick erfreuen und beleben, Sei unser Loos Wàs kònnten "vrir noch mehr Uns wunschen, oder was die Feen uns geben? !
A
questo punto,
il
Wieland cessa dal seguire
quale conclude col far capitare sposi, onde,
con
lo
il
il
scambievole riconoscimento,
sce la pace e felicità di tutti.
La
Basile,
il
re padre al castello degli si stabili-
terza parte del" racconto
Wieland narra, invece, come, dopo alcune settimane, quella vita di piena e calma felicità cominciasse ad annoiare Vastolla. E, inducendo Peruonto a fare continuo uso del dono delle fate, ora si trasferisce con lui a Salerno per assistere a un festino del re, ora vanno a Napoli a menare del
gran fasto di
vita, ora a
cintoro, ora,
infine,
castello, e Vastolla
uno degli
invitati.
Venezia per
la solennità del
invitano una elegante società
Bu-
al loro
ne trae occasione per innamorarsi Allora, essa chiede a Peruonto che
di le
lasci fare un viaggio a Sorrento, fornita di una borsa piena di danaro e inesauribile. Peruonto acconsente; ma, rima-
GIAMBATTISTA BASILE E IL
84
«
CUNTO DE
Sto solo, si volge alle fate, supplicandole
riprendere
LI CUNTI
»
fervidamente di
loro dono:
il
Hòrt mich, ihr gute Feen, meinem bessern Sinn, So oft durcli Wiinschen mieli vergangen, Hort meinen letzten Wunsch! Nelimt AUes wieder hin
An denen
icb, trotz
Was
ioli
Und
setzt in
von euer Huld empfangen, diesem Augenblick Micb in den Stand, worin ich war, zuriick, Als icb zu wunscben angefangen!
Benigne,
accontentano;
le fate lo
stolla si ritrova
alla
corte
castello sparisce;
il
Va-
suo padre, come se niente
di
accaduto, e Peruonto, di nuovo, presso la vecchia
fosse
madre, a tagliare legna, solo restandogli, di
tutti
i
passati
beni, l'intelletto.
Wieland
Il
questo versi
:
(dice
racconto, «
Was
il
un suo
volle adombrare, in
espresso
dallo
Schiller nei
kein Verstand der Verstandigen sieht,
in Einfalt ehi kindlìch Il testo
critico)
concetto
GemilM
»
Das
ilbet
^
napoletano del Cunto de
li
minti ebbe un'ultima
e poco felice edizione, insieme con le altre opere del Ba-
a Napoli nel 1788, nella Collezione dei poemi in lingua
sile,
napoletana dell'editore Porcelli^. Pochi anni prima, agitata la polemica, della quale
Galiani e
Ma
il
il
Serio sul significato e
Galiani,
come non ne aveva
il
era il
valore di quell'opera.
inteso lo spirito artistico,
non ne riconobbe l'importanza
cosi
si
è già fatto cenno, tra
si
filologica e scientifica.
Spettava a uno dei padri della filologia e mitografia moderna, Jacopo Grimm, lumeggiare da questo lato l'opera Basile, che, per
del
come un semplice
i
KuRz,
2
Voli.
e
di secoli, era stata considerata
Wieland 's Werke XXI.
inti'od. ai
XX
un paio
libro di riso e di diletto.
(Lipsia,
s.
a.),
p. xxiii.
Il
CUNTO DE
«
LI CUNTI
»
E LA ^^OVELLISTICA COMPARATA
Ija
Storia della
novellistica
comparata,
e,
in partico-
lare, delle origini di essa, è stata tante volte esposta
da far
sembrare non opportuna una nuova esposizione, che sarebbe poi
una compilazione
'.
E
noto come dalle raccolte, messe
insieme in vari tempi da scrittori
italiani, francesi,
ghesi e tedeschi, per iscopo artistico o educativo, sasse, nel 1812, alla
und Hausmdrchen
prima raccolta
dei fratelli
scientitìca, coi
portosi
pas-
Kinder
Grimm.
volume di quest'opera fondamentale, pubblicato nel 1822, in una specie di rassegna retrospettiva dei libri di fiabe, il primo posto per importanza veOra, nel
terzo
niva assegnato
al
raccolta (dicevano
presso tutti
i
Cunto de i
Grimm),
li
cunti del
Basile.
«
Questa
tra quante ne sono state fatte
popoli, rimase per
un pezzo
la
migliore e
la
pili ricca. Non solamente la tradizione era, in quel tempo, più integra; ma l'autore possedeva altresì, insieme con
l'esatta
1
Si
conoscenza del
vedano
le
dialetto,
una capacità
affatto pro-
introduzioni del nostro valente Pitré alle Fiabe,
novelle e racconti popolari siciliani
(Palermo, 1875),
Novelle popolari toscane (Firenze, 1885).
I,
pp. xliii-lvi, e alle
GIAMBATTISTA BASILE E IL
86
CUNTO DE
«
LI CUNTI
»
pria nel raccogliere le fiabe ed entrare nel loro spirito.
contenuto è quasi senza lacune,
e
il
tòno,
almeno per
i
Il
na-
poletani, perfettamente indovinato.... Si può, dunque, con-
come fondamento
siderarla
quantunque nel
fatto
non
raccolte
altre
delle
perché,
;
essendo rimasta ignota
sia cosi,
non tradotta nemmeno in francese, letteratura popolare ben occupa quel
fuori del suo paese e
neir insieme
Due
posto.
nei loro
della
terzi delle fiabe,
tratti
non ha
Basile
che vi
si
leggono,
ritrovano,
si
tedesco, e ancora viventi.
essenziali, in
fatto alterazioni, e di
Il
rado ha introdotto ag-
giunte di qualche importanza; cosa che conferisce alla sua
opera un valore singolare
» ^.
In grazia di questa solenne raccomandazione,
il
libro del
penombra nella quale era rimasto come dialetto e in un dialetto dell'Italia meridio-
Basile, tolto alla
scrittura in
venne messo in piena luce e additato agli studiosi di mondo. E, dopo che alcuni cunti ne furono via via
nale, tutto
il
tradotti
dagli
stessi
Grimm
e
da
altri
^,
1846, Felice
nel
Liebrecht, a rendere universale l'uso di esso per
che
di novellistica
comparata, ne pubblicava una completa
traduzione tedesca in due volumi quale, Jacopo
Grimm,
^.
Nella prefazione della
ribadito e illustrato
il
suo precedente
giudizio sull'importanza del Basile, osservava: in tedesco liarità
mune 1
il
il
Pentamerone, che offre in tutta
Tradurre
«
la
sua pecu-
dialetto napoletano, cosi diverso dalla lingua co-
italiana,
Op.
le ricer-
bit.,
non
è
impresa da pigliare a gabbo. Se già
Ili, pp. 290-1.
Per queste sparse traduzioni, che vanno dal 1816 al 1845, di Jacopo Grimm, di O. L. B. Wolfif, del Von der Hagen, del Kletke, si veda la traduzione del Liebrecht, II, pp. 326-7. 2
3
Der Pentamerone oder das
tista Basile, aus
dem
recht, mit einer Vorrede 1846, voli. 2).
Mfirche.n aller Mciì'ehen
von Giambat-
Neapolitanischen iibertragen von Felix Lieb-
von Jacob Grimm (Breslau,
Max
u.
Komp.,
CENTO DE
V. «
LI CUXTI
E NOVELLISTICA COMPARATA
»
87
-'Itanto l'intendere bene tutte quelle immagini, comparazioni, giochetti, espressioni
molto seria: la
quando
d'amore, di rimprovero, di ma-
come poesia
ledizione, calde e vive
ditlicoltà
debba trasportarle
si
orientale, è faccenda
diventa di gran lunga maggiore
una lingua, che non ha
in
pieghevolezza sufficiente a rendere quello in tutti
i
moderna,
suoi ghirigori e le sue grazie. e
i
tempi nostri, sono troppo
e del
ampolloso
seri
da misurarsi
un Fischart, che disponeva
a simili imprese. Se
stume
stile
La nostra lingua del co-
vocabolario del secolo decimosesto,
fosse
si
trovato un simile libro tra mano, avrebbe potuto lasciare sfogo
libero
mercé
alla lingua, e,
le
indomite parole ed
espressioni di allora, che dicono senza rispetto alcuno l'onesto e
disonesto,
il
superare gliato
il
al
il
pulito e
pulito,
raggiungere e
traduttore (della cui profonda intelligenza
del
nessuno vorrà dubitare) di sopprimere tutto ciò che
testo
urterebbe un lettore odierno;
che
non
il
quadro originale. Da mia parte, avevo consi-
gli
pure rendendomi conto
e,
dovesse sembrare pericoloso rompere
compiutezza del suo lavoro, osservo frasi,
le
che
la fedeltà e
parole e
le
quali suonano a noi basse e triviali, quand'anche
rispondano alla lettera del
sono diventate per noi
testo,
più dure e rozze perché abbiamo concetti circa la decenza, e
un
'
afflitto
trattenimiento de peccerille
cuo a Napoli nel Seicento, non
mano
le
si
diversi ',
inno-
potrebbe dare più in
donne e ai nostri fanciulli » ^ Rimane sempre ammirevole l'opera eseguita dal Liebrecht, il quale affrontò e superò, quasi sempre felicemente, alle nostre
veramente enormi, che l'intelligenza di quel presenta a uno straniero. Difficoltà anche maggiori nel
le difificoltà
testo
i
Op.
cit.,
I,
pp. vi-vii.
controsservava a ragione che titolo pei
bambini, non
è
Al che, per « il
Cunio de
altro,
il
li curiti,
Liebrecht
,11, p.
nonostante
il
324)
sotto-
opera né per questi né pel basso popolo
».
GIAMBATTISTA BASILE E
88
mancanza
1846, per la
IL «
CUNTO DE
onde
il
»
un ampio vocabolario napoletano
di
aveva solamente quello che accompagna Porcelli);
CDNTI
LI
(si
la collezione del
Liebrecht dovè aiutarsi con
le
sue cogni-
zioni filologiche e con lo studio diretto degli altri scrittori
napoletani. Tuttavia, errò solamente in pochissimi punti, e,
quasi sempre, per colpa delle edizioni, che potè avere innanzi, non essendogli riuscito di vedere, delle antiche, se non
quella del Sarnelli, che gli parve,
come
è infatti, migliore
delle seguenti e, in ispecie, di quella del Porcelli.
nore è il
il
Né mi-
merito letterario della sua traduzione; avendo
Liebrecht
saputo trovare
equivalenti
alle
immaginose
espressioni del Basile; onde, nella sua prosa tedesca, ripalpita
il
testo
facondo e bizzarro prosatore meridionale. Appose
non molte note (memore
che notes are often
ma
della
necessari/^ hut
massima
al
Johnson
del
they are necessari/ evils),
talune preziose, astenendosi dai confronti con le altre
raccolte di fiabe; e aggiunse in appendice
un buon saggio
(II,
pp. 280-338)
sul dialetto e la letteratura napoletana.
Alla traduzione tedesca ne segui una inglesef scire curioso ricordare che, nel 1832,
Può
Walter Scott,
riu-
tratte-
nendosi a Napoli e frequentando la Biblioteca borbonica,
ebbe tra mano
il
libro del Basile e vi prese tanto interesse
da vagheggiare uno studio
1
Non può
dialect, for siich
tan ìegends edition of
—
sul
dialetto
napoletano K
Due
One work
in this
alludere ad altro con queste parole: it
is,
qui te in
my
«
me as a liistory of ancient neapoliway; and it proves to be a dumpy fat 12mo
was described
Mother Goose's Tales
ìvith
to
mi/ old friends Puss in Boots, Blue-
beard, and almost the lohole stock of this veri/ collection. If this be the originai of this charminy book,
it
is veri/ cui^ious,
for
it
shows the righi of Xa-
ples to the authorship, but there are French editions very early there are two dates, booth
which
—
whether French or Italian, 1
having claims
the other has
»
to
llie
am
napoletano,
—
aho;
—
for
of different
originai edition, each omitting some tales
(Journal of Sir
Walter
Scott, 1825-1832, from the
originai manuscript at Abbotsford (Edinburgh, p. 873): sul dialetto
uncertain
cfr. p. 875.
David Douglas,
1891,
V. «
CUXTO DE
LI
CUXTI
»
E NOVELLISTICA COMPARATA
89
anni dopo, alcune fiabe del Basile venivano tradotte nei Tales
and popular
fictions del
tenzione di J. E. Taylor:
il
Keightley, e attiravano
quale
l'at-
procurò l'originale
si
da Xapoli e prese a tradurlo, dapprima
col
sussidio
solo
Tasso napoletano di Gabriele Fasano, poi con aiuti
del
datigli dal poeta Gabriele Rossetti, esule in Inghilterra, e,
finalmente, con quello della eccellente traduzione tedesca. Il
Taylor, per altro, limitò l'opera sua a sole trenta fiabe,
desiderando che tutti.
Comparve
libro
il
la
potesse andare per le mani di
sua bella traduzione in un volume, ora
assai raro e ricercato,
adorno
shank ^
Il
lodò molto, nelle sue note
dove
parecchie aggiunte e correzioni alla propria
fa
duzione
-.
Liebrecht
la
Posteriormente,
si
di disegni di Giorgio Cruik-
è
al
tra-
avuta anche un'altra ver-
sione, o, meglio, riduzione tedesca di quaranta
Cuìito de
Dunlop,
del
fiabe
cunti^; e una, altresì, in lingua italiana, di
li
sole diciotto
*.
I
migliori lavori illustrativi del C'unto de
lì
cunti sono in Italia, oltre lo studio dell' Imbriani (che con-
cerne
piuttosto
l'aspetto
letterario),
le
raccolte
di
fiabe
popolari, messe insieme dallo stesso Imbriani, dal Pitré, e
1 The Pentamerone, or the Story of sfories, fun for the little ones by Giambattista Basile, Translated from the neapolitan by John Edward Taylor with illustrations by George Cruikshank London; David Bo^e,
and J. Cundall, Old Bond Street, 1843: in-16.o, pp. veduto, anni addietro, una copia nella Bodleiana di
86 Fleet Street: xvi-404).
Xe ho
Oxford: un'altra, nel British Museuiu, era segnata nel catalogo,
mancava 2
Geschichte der Proisadichtungen, pp. 515-8.
2
Der Pentamerone oder die Ermhlungen der Frauen
daus von Giambattista Basile.
Aus dem
des Prinzen Thtul-
Italienischen verdeutscht von
Paul Heichen ^Berlin, Neufeld u. Mehring, s. a., ma 1889). GiAx Alesio Abbattctis (Giambattista Basile), Fate -•
bambini, libera versione E. Mazzanti (Firenze, Paggi,
racconti per zioni di
ma
nella biblioteca.
i
di
benefiche,
G. L. Ferri, con illustra-
GIAMBATTISTA BASILE E
90
da
(dove
altri
IL
«
C'UNTO
DE
LI
CUNTI
leggono frequenti confronti con
si
»
le fiabe
del Basile), e le diligenti ricerche comparative intorno a
modo
temi novellistici, dovute in ispecial
al
Rua.
II
Basile raccolse le sue fiabe direttamente dal popolo,
Il
come
è attestato dalla fresca popolarità della loro
forma \
mai sarebbero potute essere le sue fonti letterarie? Con lo Straparola ha comuni soltanto alcune fiabe: Peruonto (I, 3) risponde alla novella prima della terza notte dello Straparola; Cagliuso (II, 4), alla prima delE, del resto, quali
l'undecima; Lilla
Li ciuco
e
Leila
riscontri, già notati
quinta della settima. Ai quali
Griram^, sarebbe da aggiungere
dal
alcun altro, come è quello tra
la
Berni (X,
e l'altra di Cesarino di
novella di Cienzo 3),
gli
spicca la lingua, della quale
contro un contadino, che
che, fatti
confronti,
i
e,
ucciso
Altri riscontri (I,
filiiim
perché
1
II
4) è la
si
si
la
conclusione dello
vede chiaro che
possono notare con
Ma un
*.
2
1,
e
Taylor
ma
Op.
Var-
De maire qum
racconto tanto popolare
Basile avrebbe dovuto desumerlo dal Morlino? e
il
(tratl. cit.,
p. x),
(senza che ce ne sia bisogno) che
Napoli,
:
il
^.
altri autori.
novella del Morlino (XLI)
custoditum reliquit
il
vale in séguito
si
Basile scriveva indipendentemente dallo Straparola
diello
7)
di essere stato lui l'uc-
rimane sempre salda
cisore. Tuttavia,
stesso critico
vantava
si
(I,
che libera una prin-
un mostro,
cipessa destinata a essere pasto di
mostro,
seconda della quinta;
(V,~ 1), alla
figlie (V, 7), alla
d'accordo col Keightley, congettura
il
Basile dovè raccoglierle,
non
solo a
a Venezia e a Creta, dove ebbe occasione di soggiornare.
cit., Ili, p.
291;
V, 5 del Basile in V, 3
Grimm,
*
H. MoRLiNi,
ma
si
corregga X,
1 dello
Straparola in XI,
7.
op. cit.. Ili, p.
291.
NovellcB, fabulcz, comcedia ^Parisiis, 1855), pp. 94-5.
V.
CUNTO DE
«
come avrebbe
LI
(II, 2)
neW Angitìa
contenuta
»
E NOVELLISTICA COMPARATA
fatto poi a riatteggiarlo in
laresco? Verdeprato
(Roma, 1550)
modo
CUNTI
di
:
«
cosi popo-
una novella
è del tutto simile a
Cortigiana de natura del cortigiano
M. A. Biondo, e che
dal Passano
modo
91
è riassunta a
questo
Narrasi come un gentiluomo, chia-
mato Pennaverde, per andare a ritrovare l'amata, passasse attraverso un tubo di cristallo: il quale, rotto ad arte dalla sorella della ganza, gli lacerava le carni in
durlo in
fin di vita,
l'amante cui
noto gran numero di versioni. Rosella
è
in
tanza)
alla
con-
racconto, anche questo, assai popolare e di
» ^;
sponde
e,
modo da
ed in qual maniera fosse salvato dal-
tutti
i
uno
particolari (salvo
novella
di
di
(III,
lieve
Mambriano
Filenia nel
(e.
9)
ri-
impor-
XXI);
qui, l'ipotesi dell'imitazione acquista qualche probabi-
lità, «
quando
si
osservi che la
mancanza
nella novella del
Cieco, e anche in quella del Basile, di alcuni tratti popo-
comuni a tutte le versioni, fa pensare a un rimaneggiamento operato dal poeta nella fiaba popolare » -. Checché sia di ciò (e, in verità, le conclusioni del Rua sembrano ragionevoli), è lecito sempre affermare con sicurezza che nel Canto de li cunti la corrente letteraria, se non proprio nulla, fu cosi esigua da potersi trascurare. Le variazioni, introdotte dal Basile nella tradizione, consistono, quasi soltanto, in ricami formali; e appena qua e là larissimi e
si
sorprende qualche particolare non popolare, come, nella
novella
ottava della quarta giornata,
Tempo
tura della Casa del
1
Passano, Novell,
2
Rua, Novelle
ital.
l'ingegnosa dipin-
^.
in prosa,
I,
p. 50.
del Mambriatio del Cieco
da Ferrara (Torino, Loe-
scher, 1888), pp. 88-9. 3
«
che non
menta
Ncoppa s^
la
ali ecorda
cima de chella vwntagna trovarrai no scassone de casa
da quanno fa fravecata:
le
mura songo
fracele, le porte carolate, li mobele stantive,
zomata
e destrutta.
Bacca
vide colonne
rotte,
e,
sesefe,
le
peda-
nsomma, ogni cosa con-
dalla statue spezzate, non
es-
GIAMBATTISTA BASILE E
92
IL
«
C'UNTO
DE
LI CUNTI »
Pochi dei trattenemientl del Basile non sono, propriamente, fiabe. Qualcuno è novella faceta, come Lo com-
pare si
(II,
in cui
10),
si
narra in qual
modo un brav'uomo un
risolva e riesca a scacciare dalla sua casa
(luì fratelli (IV, 2), storia della
uno ricco e
vizioso, e l'altro
come osserva cittadina
povero e virtuoso, è piuttosto,
Grimm, una novella morale. Alla novella
il
avvicinano altre narrazioni: Vardiello
si
un tesoro trovato da uno sciocco per
di
stessa
La
scioccheria;
innamora di donna e
un
sé
4),
di Belluccia,
6),
tentativi, la scopre^ per
(I,
della sua
effetto
serva d'aglie (III,
che, travestita da maschio,
dopo vari
intruso. Li
varia fortuna di due fratelli,
tale, che,
La
la sposa;
so-
perhia castecata (IV, 10), di un re che, disprezzato da una principessina,
vendica col giungere a possederla e a
si
durla in vita miserabile, ma, infine,
La
sapia (V,
bene applicato, trasforma del re,
il
uomo
in
perdona e
intelligente
quale la sposa per vendicarsene,
strazi, per riconciliarsi, in ultimo,
vella precedente. Tutti gli
altri
regno delle fate
:
istrane,
le
e degli orchi
sempre
la sposa;
una giovane donna, che, con uno
6), di
con
ri-
il
schiaffo figliuolo
le fa soffrire mille
come
lei,
nella no-
racconti appartengono al
avventure strane, o anche non
o intralciate o aiutate dall'opera di quegli
esseri straordinari.
Le fate, come notano i Grimm, sono gli esseri buoni orchi o le orche, quelli cattivi e malefici. Se entrambe queste categorie di esseri extraumani portano nomi di origine latina, corrispondono, per altro, e benefici, e gli
sennoce antro sano che
no serpe che sV
trasiita
dento
e
speziale,
se
n''
armxi sopra la porta quartiata, dove
mozzeca la coda, no ciervo, no cuorvo
e
na
ìice
vedarrai
Gomme
fenice.
drinto, vedarrai pe terra lime sorde, serre, fauce e potature, e
dento candarelle di dove
se leggeno:
autre città iute alV acito;
cerniere, co li
nomme
scritte cornine arvarelle
Corinto, Sagunto, Cartagine, Troia, le
quale conserva pe memo7'ia de
le
mprese
e
de
mille
soie...
»
V.
«
CUXTO DE
LI
CUNTI
»
E NOVELLISTICA COMPARATA
nel carattere, alla gìde o iceise
Frau
germanica.
Riese della mitologia
e
Mann
icìlder
al
93 o
laddove nelle fiabe
^la,
tedesche s'incontrano, sovente, figure cristiane, qui man-
cano del tutto angeli, demoni. Madonna ^ sono nominati
maligni
esseri
altri
vago, e non
demonio
Il
talvolta,
ma
in
e
modo
presentano mai con personalità spiccata-.
si
Oltre gli orchi e le fate, hanno parte nei racconti del Ba-
tempo, i mesi (IV, 8; V, 2); uomini dotati di facoltà prodigiose (I, 5; III, 8); animali fatati, come un asino che emette oro (I, 1), un dragone (I, 7), gatti (II, 4; III, 10), uno scarafaggio, un topo e un grillo (III, 5), uccelli (IV, 5) fate, orchi e principi, per capriccio o per destino trasformati in animali o in piante, in una lucertola (I, 8), in una cerva (I, 9), in una serpe (II, 5). in colombi (lY 5-, in una mortella (I, 2); oggetti forniti di strane virtù, come un'erba che fa risuscitare i morti (I, 7), un cuore di animale o una alcune personificazioni, come
sile
il
;
,
foglia di rose,
che fanno ingravidare
tovagliuoli, bastoni, anelli, datteri 1; I, 6),
il
effetti,
(li, 5;
ai quali è
II,
111,4: IV.
1:
maledizioni
2): infine,
arduo sottrarsi (Xtrod.;
L'elemento etico stributiva dei premi meriti,
9: II, 8), ghiande,
1: I,
grasso della volpe o di un orco, rimedio per ma-
mortali
lattie
(I,
(II,
è
il
solito
secondo
91.
III,
7;
meriti e
i
come
ricordi di
de-
i
ferocia di procedimenti o
certa assenza di scrupoli, che sono
di-
infallibilità
delle fiabe:
e delle pene,
non senza una certa
II,
di sicuri
una
una
so-
cietà lontana o primitiva.
1
Geimm, introd.
alla traduz. del Liebrecht,
I,
pp. x-xi: cfr. sulle
fate e gli orchi, Deutsche Mythologie* ;;Berlino, 1875-8;, 2
Si veda, p.
gare la norma a
va
.
lo
a causa cauda
cendo.
I,
pp. 340-3, 402.
dove la Gran Turchessa muore e va o jmche V aveva mezzato Varie . e il Gran Turco mastro .
e.. Ili, 9,
,
.
(inferno), e Kosella si fa
«
cristiana
.
:
e via di-
GIAMBATTISTA BASILE E
94
IL «
CUNTO DE
LI CUNTI
»
III
Canto de
Il
li
cunti serba versioni
tivamente, antiche
mune
di
molte
importanti
e, rela-
novelle tipiche, possesso co-
dei più vari popoli.
Parecchi dei suoi racconti appartengono
al
gruppo della
iiaba più famosa, e più ricca di storia, che è
fiaba di
la
nono della giornata prima narra di Luciella, la quale, recandosi ad attingere acqua, incontra uno schiavo, Psiche.
Il
che la invita a seguirla, facendole
le
più belle promesse;
attraverso una grotta, la conduce a un grandioso pa-
e,
lazzo sotterraneo, dov'è magnificamente accolta e servita.
La e
un letto, « tutto racamato de pente a lume spento, le si viene a coricare
sera, è adagiata in
d'oro
»,
nel quale,
a lato un essere sconosciuto. Alcuni giorni dopo, recatasi a rivedere la sua femiglia, dalle invide sorelle in
mente
accanto;
messo
pensiero di scoprire chi sia colui che le dorme
e,
insieme col consiglio di gettare via, fingendo
di berla, la le è
le è
il
bevanda
o sonnifero, che lo schiavo le porge,
dato un catenaccio, che, aperto, servirà a mettere fine
all'incanto. Luciella esegue tutto
appuntino, e scopre ac-
canto a sé un bellissimo giovane; ma, nell'aprire
il
cate-
naccio, le appare subito la visione di parecchie donne che
portano del
filato;
essa grida che la
e,
cadendo a una
di queste
raccolga; al che lo sposo
una matassa, si
sveglia,
si
adira, la fa rivestire dei vecchi cenci e la discaccia. Scacciata
Luciella erra pel mondo, fintanto che non capita al palagio di un re, dove è accolta per compassione da una damigella di corte e dove partorisce un bel bambino. Ma, di notte, mentre tutti dormono, entra nella stanza, a ora fissa, un giovane, che mormora al bambino alcune misteriose parole. La damigella ne dà avviso alla altresì dalle sorelle,
regina; la quale, postasi in agguato, sorprende
il
giovane,
T.
«
CUNTO DE
riconosce in lui sato,
con
pita da
sposa. si
LI CUNTI
»
E NOVELLISTICA COMPARATA
proprio figliuolo,
il
ciò, l'effetto della
lo
abbraccia
9Ó
e
;
ces-
maledizione onde era stata
col-
un'orca, lo riacquista per sempre; e Luciella lo
Anche
trattenimento quarto della quinta giornata
il
cercando
riferisce alla stessa fiaba: Parmetella,
sra-
di
dicare una pianta d'oro in un bosco, è introdotta in un'abitazione meravigliosa e ottiene un marito
misterioso, che
essa perde in pena della sua curiosità e riacquista dopo
grandi tormenti e grandi prove. Alcuni particolari tornano
anche 2,
3),
sposa
in altre fiabe; il
(li,
come
l'invidia delle due sorelle
giovane che, scoperto, fugge abbandonando 5);
e via
La non meno
(II,
la
dicendo ^
celebre Cenerentola (alla quale
il
Perrault
dette poi cittadinanza nel regno dell'arte) è rappresentata
da Zezolla
(I,
G),
che, dopo avere, per
della
istigazione
sua maestra, ucciso la madrigna e indotto
il
padre a spo-
nuova madona drigna e dalle sue aspre una pianticella, che le rende possibile di trasfigurarsi come le piace; onde, splendidamente abbigliata, va ai medesimi festini dove vanno le sorellastre, e innamora di sé un principe, il quale la segue e rintraccia, finalmente, per mezzo sare colei, è tenuta in non cale e maltrattata dalla figliuole.
di
un
chianiello, di
uno zoccoletto, che
Altri racconti fanno
tunato; che
è,
Ma un'amica
ora,
le
fata le
era caduto per via.
parte del ciclo dello sciocco for-
Antuono,
il
quale riceve da un orco
tre oggetti fatati, e, perdutili dapprima,
li
riacquista
(I, 1);
ora Peruonto, che riceve la fatazione del pronto adempimento di ogni suo desiderio (I, 3); ora Vardiello, che
manda a perdizione la tela della madre e trova in cambi«) un tesoro (I, 4); ora Xardiello, che, tre volte inviato dal 1 Per le versioni di questa favola, si veda l'introduzione del Menghini alla Pnclie di Francesco Bracciolini (Bologna, Romagnoli, 18S9;,
pp. xcni-cxxi.
GIAMBATTISTA BASILE E
96
IL
«
CUXTO DE
padre a mercatare, compra una volta
uno scarafaggio, fortuna
e la terza
un
ora Moscione,
(III, 5);
s'imbatte in quattro
grillo, il
Sole,
Luna
e
un
»
topo, un'altra
cagioni poi della sua
quale, scacciato dal padre,
persone diversamente virtuose, che
fanno guadagnare grandi ricchezze
gii
CUNTI
LI
Tedia (V,
i.
studiata dal
5) è stata
Grimm
in
relazione alla fiaba germanica di Dornroschen la quale, in ,
compendio, è questa: dici fate sono
«
invitate
Nasce una
figliuola a
un
re, e do-
innanzi a ciascuna è
alla festa, e
posto un piatto d'oro. Allorché undici hanno già pronun-
una tredicesima fata non innon trovando pronto il piatto d'oro, predice che la bambina morrebbe per la puntura di un fuso. Ma la dodicesima fata, che non ancora aveva parlato, miziato le loro fatagioni, entra
vitata; la quale,
tiga la maledizione nel senso che la giovinetta, per la pun-
tura del fuso, sarebbe caduta in anni.
Il
re vieta
i
fusi nel
un sonno da durare cento
suo reame;
ma
la fanciulla, a
quindici anni, facendo un'escursione, giunge a una torre in rovina, dove
punge mentano si
fino
il
mano al fuso, E con lei s'addor-
stende la
fila;
tutte le genti del castello, tutti gli animali, per-
fuoco nella cucina. Intorno
spineto cosi
Dopo
una vecchierella
cade in un profondo sonno.
e
folto
che
molti anni, arriva
nessuno il
al castello,
cresce uno
può passarvi attraverso.
liberatore
».
L'attinenza di que-
Grimm) col mito di Brunilde è evidente. « Il nome medesimo Dornroschen richiama la spina, con la quale Odino punge la valchiria Brunilde e la immerge nel sonno. Chiusa nell'elmo e nella corazza, dorme la valchiria, in una stanza inaccessibile e circondata di fiamme, sul monte Hindar. Era riserbato a Sisrurd di trarre fuori
sta fiaba (dice
i
Per
le
il
versioni della novella dello sciocco, A. de Gubernatis,
Storia delle novelline lìopolarì (Milano, Hoepli, 188B), pp. 61-87, e Florilegio (ivi), pp. 139-156.
V.
CUXTO DE
«
CrNTI
LI
E NOVELLISTICA COMPARATA
»
la spina, e
destare e sposare Brunilde. Si noti che
di Hijrgfn,
imi datrix, con cui
ella è
intendere qui piuttosto nel senso di
come
le valchirie,
le
parche, filano
chiamata,
In Francia, Dorn-
roschen è la Belle au bois dorrnant, fiaba che
ma
al tocco di
un
figlio di re, gli
sé stessi,
bacchetta della fata. Dopo cento anni, giunge alberi gli fanno largo,
una bambina, Aurore,
gli partorisce
accosta alla
si
due anni con e
che
lei,
un bambino, Jour.
fiaba narra, in ultimo, le persecuzioni della vecchia re-
gina contro
i
due bimbi e come questi vengano
racconto del Basile, manca culla
hi
presentano soltanto
si
scena i
«
aresta
(lisca) di lino.
»
Xel
salvati.
delle fate: intorno alla
saccienU
e
nevine
pienti e gl'indovini, e predicono la morte per «
persone
le
addormentano non da
si
bella, s'inchina e la sveglia, e passa
La
apre an-
si
ch'essa con la scena del battesimo; senonché, del séguito e gli animali
nome
il
potrebbe
si
perché tutte
filatri.r, ».
97
La scena
delle fate
»,
mezzo si
i
di
sa-
una
trova, in-
vece, con altri particolari del racconto, in un'altra fiaba (II, 8),
dove
si
parla di sette fate, l'ultima delle quali, ac-
correndo per vedere
la
neonata,
si fa
male a un piede
infligge la maledizione che a sette anni
un pettine che e il
la
madre
le
lascerà nei capelli. Sole,
Talia continua press'a poco re,
morta
la figliuola
come
e le
debba morire per
Luna
nella versione francese:
a cagione della lisca che
le si è
conficcata nel dito, la colloca sopra un trono e abbandona
un altro re, che va a caccia in quei luoghi, inseguendo un suo falcone che si è posato sopra una delle il
palagio;
finestre del castello
mente,
e,
abbandonato, entra
Dopo nove mesi,
Talia,
due bimbi, che le fate le cercando essi il petto materno, lo
e trova Talia dor-
gode e riparte. sempre addormentata, partorisce appendono al petto; ma, un giorno,
invaghito della bellezza di
le
lei, la
prendono invece
succhiano, ne fanno uscire la lisca, e Talia
fiaba
si
chiude col ritorno del
re,
si
che promette
il
dito,
sveglia. di
La
venire a
GIAMBATTISTA BASILE E
98
ripigliare
contro di
due
essi,
Grimm,
il
lo
»
dal quale ho tolto, in parte espo-
questa e
falcone, che, volando, indica
il
egualmente nel Volsungara
perché
gurdo, quando sfugge
LI CUNTI
traducendo, l'analisi di
e in parte
;
OUNTO DE
Quel che mi sembra notevole in questa ver-
«
fiabe seguenti), è
stello
«
bambini, e coi vani tentativi della regina madre
i
sione (conclude
nendo
IL
avvicina
si
sparviere e
(e.
24),
delle il
ca-
a
Si-
luogo dove giace Brunilde,
al
situa sulla finestra della torre, e
si
Sigurdo, perseguitandolo, trova la valchiria dormente: in
questo punto, mili in
modo
due racconti, diversi nel
i
per Talia richiama quella, tra
Gudrun
Un
sonno della valchiria.
bel particolare è
del giorno e dagli
paganesimo
seri divini del
Altro riscontro con del
re di
le
Autamarina
tutto il
è
risveglio, pro-
germaniche
è nella fiaba
una giovane,
uccello, che è
una
fata,
La la
che
si
il
bambino esca dal carcere,
nella cucina del re e sia, poi, chiamato a corte.
mette amore;
ma
la
regina
lo
Il
gio-
quale
provvede a nutrirla e ne ha ogni altra cura. E, quando partorisce, fa
il
al
\
»
tradizioni
(IV, 5;, che, sforzata
un
protetta da
punto
i
l'aveva poi fatta murare in uno stretto carcere.
vane
si-
nomi dei bimbi, presi astri, sembrano tradire es-
dotto dagli inconsapevoli poppanti:
momenti
sono
Brunilde; e
e
sonno di Talia nel castello risponde di
dai
resto,
sorprendente. Anche la gelosia della regina
ella
capiti
re gli
odia istintivamente e persuade
il
re a imporgli compiti impossibili e a spedirlo a imprese
di
gran
periglio, dalle quali, sorretto dall'uccello-fata, esce
sempre incolume aria, e l'uccello grifi
;
gli
e con onore. li
fa fare di
re gli chiede tre castelli in
chiede che accechi una maga, che s'era impadro-
nita del suo regno, e
da una rondine
'
Il
cartone e trasportare da tre
Introd.
cit.,
;
I,
gli
l'uccello fa eseguire
l'accecamento
chiede che vada a uccidere un gran
pp. xii-xvi.
CUNTO DE
V. «
LI CUNTI
E NOVELLISTICA
^
dragone, fratello della regina, dall'uccello,
il
la
99
mercé un'erba fornita e ammazzato. Alla
e,
dragone viene assopito
morte del dragone, muore nosce
COMPARATA
madre, che
altresì la regina
;
re sposa, e l'uccello
il
bellissima donzella, che sposa
il
gio\'ane rico-
il
si
cangia in una
giovane. Quanto alla regina
madre, che, per venire risuscitata, dovrebbe essere bagnata nel sangue del dragone, essa rimane
ben morta. Questa
fiaba ha grandi somiglianze con la leggenda di Sigfrido.
nascita segreta,
il
basso servigio presso
È
germanico.
l'infanzia dell'eroe
La
«
cuoco, ricordano
il
da un uccello;
servito
particolare che ricorda quegli uccelli, di cui Sigfrido co-
nosce la lingua e che
lo
aiutano di cousigli. La regina
riscontra in Brunilde
adirata
si
è colui
che spinge Sigfrido
e,
insieme, in Reigen, che
alla lotta col
dragone.
Il
dra-
gone, anche nella leggenda di Sigfrido, è fratello della regina, e le vite dei due sono legate tra loro: la regina vuol essere bagnata nel sangue del dragone,
quello del cuore di Fafner
Cagliuso
4)
(II,
gatto stivalato;
ma
»
rappresenta il
come Reigen chiede
i.
la fiaba del
Chat
tratto degli stivali, che
botte,
o
appare nella
versione francese, non è essenziale. La più antica versione,
che
ci sia
serbata di questa fiaba, è nello Straparola (XI,
Una donna, venendo gliuoli
un
terzo una stito
i
« «
loro
albuvlo
»,
al
gatta soriana oggetti,
1).
a morte, lascia a! primo dei suoi
secondo una ».
I
campano
«
due primi, alla
meglio
panara
fi-
e
»,
al
col dare a prela
vita;
ma
il
cosa farsi della gatta, tocca-
non sa che Senonché l'animale era fatato, e diventa il protettore del giovane. Prende, una volta, una lepre e la porta al re come offerta del suo padrone; onde ha in cambio terzo, Costantino, tagli in retaggio.
commestibili e può
approvvigionare Costantino. Un'altra
volta, consiglia costui di gettarsi in
1
Kinder und Hausmàrchen,
un fiume presso
III, pp. 292-3.
il
pa-
GIAMBATTISTA BASILE E IL
100
«
CUNTO DE
lazzo reale, e poi grida all'aiuto;
gente accorsa per ordine del assalito e spogliato Il re,
»
facendo credere alla
e,
che
re,
LI CDNTI
giovane
il
sia
stato
da ladroni, ottiene vesti e ricchi doni.
venuto nella credenza che Costantino
sia
un gran
si-
gnore, gli dà la figliuola in isposa. Partono gli sposi, preceduti dalla gatta la
;
con abile stratagemma, induce
la quale,
gente dei luoghi, per dove passa la comitiva, a dire che
messer Costantino. Finalmente,
tutte quelle sono terre di
mena gemma,
a un bel castello, del quale, per lo stesso strata-
lo
che sia creduto padrone; e padrone effettivo
fa
giovane ne resta, essendo morto nel frattempo prietario.
Muore
sul trono.
—
poi anche
Nel Cagliuso, manca l'incidente della caduta
nel fiume, che è sostituito da
andata
un
promette
alla
imbalsamare,
finale: Cagliuso
il
gatta che, quando verrà a la
da una
invito del re e
palazzo reale. Diverso è anche
al
il
vero pro-
Costantino gli succede
re, e
il
il
morte, la farà
metterà in una gabbia d'oro e
la
terrà
sempre nella propria stanza. Ma, qualche giorno dopo, l'ingrato ordina di pren-
essendosi la gatta finta morta,
Onde
quella,
le spalle
e l'ab-
derla per un piede e gettarla dalla finestra. recitato
un solenne rimbrotto,
A
bandona. di
questa versione
gli
si
volge
avvicinano
altre, raccolte
recente, toscane, siciliane, abruzzesi'; in
tina^, è
mutato soltanto
grato
debita pena, cosicché, sparito
la
ritrova in
il
una cantina, con
la
il
una, fioren-
pagare all'in-
finale, facendosi
castello,
egli
si
sposa accanto e senza aver di
che mangiare. Nel racconto del Perrault,
il
gatto richiede al
suo padroncino un paio di stivali; calzato dei quali compie le
sue imprese, e
gli acquista, in
ultimo,
il
castello posse-
duto da un orco, che egli persuade a trasformarsi in topo e divora sùbito.
Il
Grimm
riferisce
una
fiaba norvegese^
i
PiTKÉ, Novelle popol. toscane, n. XII, La golpe,
2
Imbriani, Novellata fiorentina (Livorno, 1877), n.
X.
V.
CUNTO DE
«
nella quale
si
LI C'UNTI
trovano
i
»
E NOVELLISTICA COMPARATA
101
particolari cosi dei regali portati
nome del padrone come del viaggio attraverso le terre altrui. Anche in quella, la gatta s'introduce nel castello di in
uu
quando
Troll-, e,
il
Troll sopraggiunge, lo tiene a al levarsi
con chiacchiere, fintanto che,
del sole,
scoppia. Infine, la gatta chiede al padrone che testa.
Non
«
se no,
mail
sia
cavo
ti
la
Due si
dice costui. ».
Tagliami
Malvolentieri
fiabe: L'orza
ricongiungono
(II, 6)
e
le taglia la testa;
La Penta manomozza
al ciclo della
un
che. Nella prima,
re,
bellezza se
pari
ma
pretende sposarla; tato avuto
gli con-
non
costei, per
da una vecchia,
si
(III, 2),
Fanciulla dalle mani tron-
che ha promesso
alla
moglie mo-
rente di non prendere donna che non sia bella di
la
la testa;
mano \
propria
non trova
Troll
le tagli
una bellissima principessa, che
e la gatta diviene
cede
»,
occhi
gli
«
bada
il
come
lei,
propria figliuola e
la
mezzo
di
un legnetto
trasforma in orsa e
fa-
gli sfugge.
un re vedovo vuole sposare la sorella Penta; la quale, avendo saputo che il fratello si era specialmente invaghito delle mani di lei, se le fa tagliare e gliele manda in un bacile. Preso d'ira, il re ordina che Penta sia messa in una cassa impeciata e gettata a mare. La cassa è tirata Nella seconda,
alla riva
da alcuni marinai; senonché,
la
moglie
di essi, per gelosia della bellissima Penta, la di
nuovo
e rigettare nelle onde.
La
fii
di
uno
rinchiudere
raccoglie, infine,
il
re
conduce Penta alla sua corte, e, quando la regina muore, la sposa in seconde nozze. Penta, mentre il re è in viaggio, partorisce un bel bambino; e, man-
di Terraverde, che
marito per mezzo di un raessaggiero, questi capita proprio nella casa della malvagia moglie del marinaio, e, per nuova perfidia di colei, scambiate le let-
dandone l'avviso
al
tere che portava, perviene alla corte
i
Introd.
cit.,
pp. xvi-xxii.
il
folso
ordine del re
GIAMBATTISTA BASILE E
102 di
bruciare Penta e
da compassione,
si
il
IL
«
CUNTO DE
bambino.
LI C'UNTI »
consiglieri regi, tocchi
1
limitano a discacciarla. Raminga, essa
giunge, dopo molte traversie, alla casa di un mago, che la
un bando che chi poraccontare la più grande sventura,
prende a proteggere. Costui
tesse venirgli innanzi a
avrebbe avuto
gono insieme
in
premio una corona
re fratello e
il
fa
il
e
uno
scettro.
re marito di Penta,
il
Giunquale
aveva scoperto, intanto, l'inganno tessuto contro sé e la sposa innocente; e narrano le loro storie. Cosi Penta viene riconosciuta,
—
rito.
Il
e,
conciliatasi col fratello, se
ne torna col ma-
ciclo di questa tìaba (studiato, principalmente,
Puymaigre e ricco di francese la Manekine, nella romanzo nel
dal D'Ancona, dal Wesselofsky, dal
versioni e riscontri
Rappresentazione di Santa Uliva, nella Storia della re
di Dacia, nel Victorial del Dias
tre diramazioni.
La prima
fòglia del
de Games, ecc.), ha
di esse contiene
il
racconto del-
l'amore incestuoso, delle mani tagliate, del gettamento a
mare
e del
matrimonio
di
Penta, continuando poi con le
persecuzioni della madrigna o di altra donna.
La seconda
contiene soltanto la storia di queste persecuzioni, con molte varianti. Nella terza, è sparito
stuoso, e l'amputazione delle
verse
motivo dell'amore ince-
il
mani
è attribuita a cause di-
^
IV
Entreremo noi
in dissertazioni sull'origine di ciascuna
di queste fiabe, o, in genere, di tutte le fiabe, e sulle cagioni
della
comunanza
di esse presso vari popoli?
Rifaremo
la
storia delle teorie, mitiche, antropologiche e storiche, che si sono disputate il campo di queste indagini? Tale non
1
Si
veda per tutti
pp. 253-277.
De Puymaigre,
Folklore (Paris, Perrin, 1SS5),
V.
«
CUNTO DE
può essere giare
il
il
LI C'UNTI
»
E NOVELLISTICA COMPARATA 103
compito del nostro studio,
ristretto a
lumeg-
libro del Basile nella sua genesi e nel suo carattere
letterario, e a definire soltanto
come documento per
l'importanza che
la novellistica
gli spetta
comparata. Se tutte o
quasi le nostre fiabe provengano dall'India, o se ciascuna di esse abbia
il
suo particolare luogo d'origine; se tutte
quasi siano residui di miti naturalistici, o non piuttosto echi della vita primitiva e selvaggia del genere infine, se
ciascuna abbia
il
questioni, senza dubbio, assai attraenti,
sono essere agitate,
uno solo
(e sia
e
umano
suo particolare significato
ma
;
;
o,
sono
che non pos-
molto meno risolute, a proposito di
pure tra
i
più antichi e ragguardevoli) dei
molteplici documenti, che conviene interrogare per risolverle.
ILLUSTRAZIONI
DOCUMENTI
e
I
LSTOEXO ALLA BIOGRAFIA DEL BaSILE
Che
brano auto-
la patria del Basile fosse Napoli, risulta dal
biografico delle Avienturose disatienture (la cui scena è a Posilipo),
dove
è detto: « Saprai,
dunque, che in prima
In questa propria riva
chiaro giorno
al
».
io
gli occhi apersi
La
nascita a Giu-
gliano, affermata da F. S. Santoko {Scuola di canto fenno, Napoli,
1715, p. 92, tista
cit.
Basile, a.
da L. Molinaro del Chiaro nella rivista GiambatII,
n.
'ó),
e
da A. Basu-e, Memorie storiche della
terra di Giugliano (Napoli, 1800,
]).
voco, occasionato dal fatto che la
tomba
151), si
fonda sopra un equi-
vedeva nella
del Basile si
chiesa di Giugliano.
Vaghi
e contradittorì
allude all'età
sono
dell'autore. Io
1575 circa, considerando che
Cortese
t
il
B., in cui si
passi delle opere del
i
come data Basile fu compagno
ho
di
fissato
Viaggio di Parnaso, IV, 40), e che
il
di
Cortese
si
nascita
il
scuola del laureò nel
1597 (L. Settembeixi, in Xuova Antologia, 1874, voi. XXII, pp. 951-2), il che, supponendo che la laurea fosse ottenuta a ventun anno, ci
menerebbe
al 1576. Al
qual tempo
ci
conduce anche quel che si sa matrimonio il
intorno all'età dell'Adriana, che nel 1615 trattava di
un
figliuolo, sposatosi
poi nel 1619; donde parrebbe che essa
non potesse nascere molto dopo
il
1580:
perché nel 1625 dava ancora in luce
ma neppure
figliuoli
molto prima,
(Ademollo, op.
cit.,
pp. 207, 246, 291).
È
ignoto
il
nome
del padre del Basile
:
la
madre
si
chiamava
Cornelia Daniele; cugino era l'ecclesiastico Alfonso Daniele p. 203: cfr. la
dedica di G. A. Farina per
la 2."
{Od'',
edizione del Cunto
GIAMBATTISTA BASILE E
106 de
Napoli, 1G37). Delle
cuììti,
li
IL
tre
Margherita, come anche dei due
bondano
notizie nei
Francesco era
anche notizie
cugino
un
altro
è
celli, p.
come bisnonna
199),
per
e,
il
Qui
(op. cit., I,
una Chia-
del Basile,
ma
cunti, II, 1;
li
1600 e
del Basile avvennero
Da un madrigale
1608.
il
nomi, Cunto de
altri simili
vicentino Ludovico Aleardi, e da pici
Giuseppe. L'Imbbiani
forse, 6.
quello
fantastico: cfr. Sgedttendio, Tiorba a taccone (ed. Por-
Le peregrinazioni tra
e Francesco, ab-
Lelio
Teatro delle glorie, p.
Usciolo, fondandosi sul Cunto de
un nome
»
Adriana, Vittoria e
sorelle,
fratelli,
cfr.
:
fratello,
38-9) include nella parentela, rella
LI CUNTI
documenti pubblicati dall'Ademollo. Ma,
fratello
di
CUNTO DE
«
(accademia sorta circa
d'ogni poesia,
I,
il
un
li
9.
I, ;
forse,
per l'Armida, tragedia del
Accademici Olim-
altro
per
cfr.
Quadrio, Storia e ragione
1590:
gli
potrebbe supporre che egli
112), si
cunti,
prima del 1608
si
fermasse an-
che a Vicenza, prima del 1609, nel qual anno quei madrigali sono raccolti in «
volume. Nelle lettere napoletane del
aggio fatto
ma
sti
quatto pile a
la
Basile
legge:
si
guerra de Shiannena (Fiandra)
»
;
non avendosi
altra
composte dal Basile in Candia, ce n'è una per
l'ar-
forse si tratta di un'affermazione scherzosa,
notizia che egli guerreggiasse in Fiandra.
Tra
le odi
civescovo Luigi Grimani (Ode, pp. 47-8):
Grimani fu
il
civescovo nel 1604 (Moeosini, Istorie veneziane,
III, p.
eletto ar-
303; e cor-
reggi Gams, Series episcoporum, p. 401).
Forse tra
il
1G08 e
sile fece in Calabria,
legrine vestigia della dell'altra
veduto avea
lo Spinelli a Cariati.
1608 e
il
Magna »
Le
Grecia,
(Ode, p. 49);
come e,
Ba-
il
quando accompagnò
odi dirette a questo
non sono anteriori
trovano già raccolte nell'edizione
si
viaggio, che
meravigliose ruine
le
cioè,
luogo del Teagene (VIII, 48) I'Imeriam (op. il
un
1609 è da porre
trasportato dal desiderio di veder le pel-
«
del 1609,
cit.,
B. dovette visitare le ferriere dell'Atripalda;
I,
—
al
Da un
p. 53) ricava
che
che ebbe luogo,
il
probabilmente, quando fu governatore in provincia di Avellino.
Nei Giornali dello Zazzera (ms. cfr.
Arch. stor. italiano, IX, p. 534)
gio 1618:
«
Si dice che
il
Bibl. Soc. stor. napol.,
si
legge, sotto
nuovo principe
i
f.
175
b.:
primi di mag-
di Avellino
abbia fatto
li
cavalieri della chiave d'oro, con provvisione di ciuquantadue ducati
il
mese.
Il
capo di quelli
è
il
cavalier Basile, con
li
alabar-
ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI dieri il
».
Nella dedica
B. è detto:
sile,
«
al
107
Teatro delle glorie, in data 1 aprile 1628,
capitano di fanteria nel Reg-no di Napoli
».
Su Giambattista Caracciolo, al quale si deve il ritratto del Bacfr. De Dosu.nici, Vite (Napoli, 1843), IV, pp. 37-64, che lo fa
morire nel 1647, e A. Boezelli, Battistello Caracciolo, pittore (Napoli,
tip.
Ruggiano, 1893)
:
il
Basile ne cantò le lodi in un'ode
{Ode, pp. 160-3). L'incisione fu riprodottane gniti (Venezia, 1647),
accompagnata da una
Le
glorie degli Inco-
biografia, che
non ho
avuto occasione di ricordare, perché atfatto vuota. Cfr. anche la rivista Giambattista Basile, III, illustri del
al ritratto
si
aggiunge una notizia
giornale dialettale p. 58.
1,
3;
la
Biografìa
degli
uomini
regno di Napoli, edita da Nicola Gervasi (1813-20), dove
La ncunia
e
lo
scritta
da G. Boccanera;
martiello, di
e
Napoli (1868),
il
I,
II
BlBLIOGRAiriA DELLE OPERE ITALIANE DEL BaEILE
1. Il
De
Chioccaeelli,
Mem.
d. scritt. del
Mantova, per
gli
2.
pp. 303-5; D'Afflitto,
illustr. scri^for., I,
regno
di
Napoli,
II,
p.
prima volta mandata
in luce
68).
Ristampa
impressione;
Osanni, 1613, seconda
quale gli editori dicono che fa la
per Tarquinio Long^o, 1608
della Yergine, Napoli,
pianto
(cfr.
quasi nella fanciullezza
«
di
nella (sic)
».
Sonetto, innanzi ad Ambuogio Staibano,
Tempio eremitano, Na-
poli, 1608. 3.
Dei madriali uelli,
e;
1,
ode, Napoli, per
et
il
Roncagliolo, 1609 (Chiocca-
Toppi, Bibl. napol., p. 130).
mantovana del 161B. M. Maddalena
Costituì poi la prima parte della ristampa
Qui sono
le
d'Austria
odi per le nozze di Cosimo dei Medici con
(cfr.
Descrizione
delle
feste
reali
fatte nelle
nozze dei Ser.mi
Principi di Toscana ecc. Fii-enze, Giunti, 1608); per l'ingresso dello Spinelli in Cariati e per
parto della moglie di lui
il
;
per la sorella Adriana
;
per Giuseppe d'Acunto, giureconsulto e dilettante scultore; per Gio-
van Berardino Azzolino, pittore e scultore; per lo scultore Giulio Grazia; per la morte di Ferrando de Castro, conte di Scelves; un madrigale per Giambattista della Porta, e
un
altro per Orazio Comite,
accademico Intronato. 4.
Le
avvetiturose disavventure, favola maritima di
Basile
il
Pigro,
Accademico Stravagante
Gio. Battista
di Creta, in Napoli,
presso G. B. Gargano e Lorenzo Nuoci, 1611 (Chioccarelli,
La seconda
I.
e).
edizione è di Venezia, appresso Sebastiano Combi,
1612; e la terza di Mantova, per gli Osanni, 1613.
Tra
coloro, che
premettono
Cesare Cortese, che vi scrive
al
volume carmi
un epigramma;
il
elogiativi, è Giulio
quale, insieme coi
ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI due epigrammi composti per l'Adriana (Teatro è tra
5.
i
109
delle glorie,
pp. 131-2),
rari saggi di versi italiani del C.
Ottavio
Caputo, Relatiotie
della
pompa
funerale in
ìnorte
di
Margherita d'Austria, Napoli, 1612 (ricordata dal Misieei RicNotizie biogr. e
cio,
napol.
d. scriit.
bibl.
nel
fior,
XVJI.
s.
cui notni cominciano con la lettera B, Napoli, 1877,
i
13: cfr.
p.
T. Costo, Meinoriale, Napoli, 1639, p. 86). 11
B. contribui con tre sonetti, due
MiNiERi Eiccio,
Il
Albero
e
anagrammi
un madrigale.
e
e, ricorda anche del B. alcuni versi nel
genealogia della famiglia Scorza, Napoli, 1611, e
pompe
delle
1.
e solennità fatte
per
le
libro
Relatione
nozze del Cristianissimo Luigi
da francese in ispagnuolo
di Francia ecc., tradotta
una
XIII
re
da spagnuolo in
e
italiano, Napoli, 1612.
6.
Egloghe amorose
e lugubri,
Napoli, presso Gio. Domenico Ron-
caglielo, 1612 (Chioccauelli,
1.
Ristampa
e).
di
Mantova, 1613.
Dedicata a D. Marcello Fiioraariuo. 7.
Venere addolorata,
8.
Le opere poetiche
ivi (D'Afflitto,
e:
1.
cfr.
Croce, Teatri
d\
Napoli, p. 116). Ristampa di Mantova, 1613.
driali et
ode,
di
prima
Gio.
Battista Basile
il
Pigro,
cioè
Mn-
seconda parte, Venere addolorata, fa-
e
vola tragica, Egloghe amorose e lugubri, Avventurose disavventure, favola
marittima, Pianto della Vergine, poema sacro, in
Mantova, per Aurelio
e
Ludovico Osanni,
fratelli
stampatori
ducali, 1613.
Nella seconda parte dei Madriali cole poesie, il
composte fra
il
1609 e
il
et
ode, si
1613.
trovano raccolte
Tra
le quali,
le pic-
sono odi per
il matrimonio di Giorgio nuovo viceré conte di Le-
Georgio, tragedia di G. B. della Porta, per
de Mendoza con Livia Sanseverino, per
epigrammi
il
madrigali per signori napoletani
mos:
e odi,
e per
personaggi della corte ducale di Mantova.
9.
Rime
di
M. Pietro
e
Be-vibo
sioni purgate, aggiuntevi
degli errori di tutte le
e
spagnuoli
le altre
impres-
osservationi, le varietà dei
testi
Gio. e la tavola di tutte le desinenze delle rime, dal cavalier Battista Basile, nell'accademia degli Stravaganti di Creta e
GIAMBATTISTA BASILE E
110
Otiosì di Napoli
deg'li
la
10.
«
CUNTO DE
LI
CUNTI
»
Pigro, in Napoli, per Constantino Vi-
il
tale,
1616.
La
tavola delle desinenze
«
IL
»
ha un frontespizio particolare, con
data del 1617.
Rime
di
nali
e
M. Giovanni della Casa, riscontrate dal
ricorrette
cavalier
coi migliori origi-
Basile, ecc., ivi,
Gio. Battista
1617. 11.
Rime
di
Galeazzo
di
Tarsia nobile cosentino, raccolte dal ca-
valier Basile, dell'Accademia degli Otiosi. detto
il
Pigro,
ivi,
1617.
Prima
edizione delle rime del Tarsia, condotta con poca critica
e assai scorretta. Dedicata, in data di Zuncoli,
1
gennaio 1617, a Cecco
di Loffredo.
12. De'
madriali
delle ode,
et
Parte terza,
Dedica in data del 20 febbraio tro, odi pei pittori
di
Nocera
1617.
Di Loffredo. Contiene, tra
Stanzioni e Caracciolo, una per
dicatore e letterato fra
Duca
al
ivi,
Tommaso
Arch.
(cfr.
Carafa
star, ital.,
fl615), e
IX,
una per
e del
tino
et
l'esilio del
Casa con
vola delle desinenze delle rime e con la varietà dei
rime del Bembo
la ta-
testi nelle
di Gio. Battista Basile, cavaliere, conte pala-
gentilhuomo dell'Altezza
di
Mantova, nell'accademia
degli Stravaganti di Greti et degli Otiosi di Napoli ivi,
l'al-
morte del pre-
p. 227).
rime del Bembo
13. Osservationi intorno alle
la
il
Pigro,
1618.
Sono dedicate a Marco Scitico Altemps, arcivescovo e principe di Salspurg (Salzburg"!, al quale l'a.
ch'Ella
si
è
degnata
di fare a
14. L'Aretusa, idillio,
s.
La dedica a Marino primo gennaio 1619 15. Il guerriero
>
.
1.
mia
si
professa grato
casa, nella persona di
Caracciolo è
s.
per
mio
li
favori
fratello
»
a.
«
nella sua città di Avellino, a
L'opuscolo è rimasto sconosciuto
amante,
«
1.
a.
ai bibliografi.
IH
ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI Dedica a Comizio Caracciolo, da Napoli,
maggio
1
sti
due opuscoli
si
16.
L'Eradeide
di Gabriele Zixa.no, Venezia, per
trovano nella Biblioteca nazionale
Cfr. IsiBBiAjji, op.
cit.,
II.
pp. 213-4. Gli
«
il
—
1620.
Que-
di Napoli.
Deiichino, 1623.
argomenti
»
in ot-
tave sono del B. IT. lìnagini delle piv. belle
nomi
Dedica a T. F.
Spinelli,
gio 1624. In appendice:
18.
dame napoletane
ritratte dai lor
propri
in tanti anagrararni, Mantova, 1624.
Ode del cavalier
marchese
Anagrammi
«
di Fuscaldo,
Gio. Battista Basile, conte
tiluomo dell'Altezza di Mantova, ba, ecc., in Napoli, per Gio.
da Napoli,
1
mag-
fatti a diversi >.
di
Toroue
e gen-
duca d'Al-
all'illustriss. ecc.
Domenico Roncaglielo,
1G27.
Contiene, oltre quelle già i-accolte, odi pel ritorno del Marino in Napoli, pel cardinal Borghese, per Nicola Barbarigo e Mario Trevisano,
per Alvaro de Torres, per Muzio Barone, pel
duca
di
Acerenza, e per
p.
Alfonso Daniele, pel
altri.
dell'apparato di S. Giovanili fatto
19. Descrittione
dal fedelissimo
popolo napoletano, Napoli, 1626; altra simile Descrittione, del 1628; altra, del 1631. In queste e
alti-e
descrizioni di
poetiche del B. Per altre bazzecole,
«
apparati
»
sono composizioni
veda Minieri Riccio, op. cit., pp. 12-13. Il Mazzuchelli cita: Sacri sospiri, madrigali, Mantova, Osanni, 1630; che I'Imbriani (op. cit., II, p. 215) congettura non esser altro che i Madrigali spirituali, che si leggono dopo il Pianto della Vergine. 20.
si
Teatro delle glorie della signora Adriana Basile alla virtù lei
di
dalle cetre degli Anfioni di questo secolo fabricato. in Ve-
netia et ristampato in Napoli, 1628.
Per questo
voi., si
vedano
Imiìriani e
Ademollo, opp.
citt.
Vi sono
parecchie composizioni del B. 21.
Monte
di
Parnaso, mascherata
M. serenissima
di D.
Maria
presentata, in Napoli, 1630.
di
cavalieri
napoletani
"Un
d'Austria, reina d'Ungheria, rap-
GIAMBATTISTA BASILE E IL
112
sono del B.
I versi
Viaggio
LECCHiA,
CUNTO DE
«
CUNTI
LI
»
A. Fel-
Cfr., oltre gli scrittori citati nel testo,
Maestà della Regina di Bohemia
della
d'Ungheria
e
(Napoli, Roncagliolo, 1630), p. 56. 22.
Epitalamio alla
JSI.
Serenissima di D. Maria d'Austria,
Giorgi, segretario dell'eccmo conte di Conversano,
A 24.
Roma,
1632.
Gio.
Dome-
pp. 41-2, due sonetti del B.
Rime
ingegni napolitani, raccolte dal
d' illustri
nico Agresta, Venezia, per
25.
1630.
ivi,
nelV incendio del Vesuvio, fatta dal sig. Urbano
23. Scelta di poesie
il
compresi
ciannove sonetti del
B.,
Teagene, poema
cavalier
del
Ciera, 1633.
d.""
p. 117 a 136, di-
due segnati
i
Gio. Battista
Torone, AU'eminent.mo
conte di
Da
riv.mo
et
al n. 23.
Basile napoletano sig.re
il
sig.re
Barberino, in Roma, appresso Pietro Antonio
card. Antonio
Facciotti, l'anno 1G37.
La dedica
dell'Adriana ha la data di
permesso di stampa, 10 aprile 1635.
poema
I'Imbriani, op.
gene e (ìariclea italiano,
ma
è
del il
cit., II,
26.
Di
Roma,
veda
Si
10 marzo 1637.
sulle fonti di
pp. 416-28. Si noti, per altro, che
Montalbano,
ivi
menzionato, non è un
Tedgenes y Clariquea ó
PEREZ DE Montalvàn rado,
—
(1602-1638); cfr.
los hijos
il
Tea-
Barrerà y Lei-
p. 267.
tre
eelli,
commedie,
il
Fileno. l'Eugenio, e
1.
gV Innocenti
Per
le
il
assoluti,
Chiocca-
e.
Quattro lettere del B. nel Cunto de
28.
il
dramma
de la fortuna, di Juan
Catalogo del
composte dal B. e non messe in istampa, fa cenno
27.
Il
questo
li
ai
Gonzaga
cunti, ed. Croce,
opere dialettali,
le notizie
di
bibliografiche sono state date
via via nel eorso del nostro studio gula spaguuola,
si
Mantova sono pubblicate pp. sxxix-xl, cxcti-ix.
I,
;
per alcune poesie in
veda illustrazione seguente.
lin-
m Poesie spagxxole del Basile
Negli Atti deir Accademia Pontaniana
ed
1900), io detti notizia
estratti di
di
Napoli
(voi.
XXX,
un canzoniere italo-spagnuolo
del Seicento. Questo canzoniere fu scritto, a più riprese, da diverse
mani, tra d'Italia, e
il
1625 e
il
1635, j^arte in Napoli e parte in altri luoghi
principalmente in
mente da una raccolta di
Antonio Alvarez
(1622-1629).
Venne
Roma; ma
era costituito originaria-
di poesie spagnuole,
di
Toledo
messe insieme per uso
duca d'Alba e viceré
Napoli
di
dipoi in possesso dell'Adriana Basile, che v'in-
serì, e fece inserire, altre
composizioni, spagnuole e italiane, dirette
a lei e alle sue figliuole, ovvero adatte pel canto
o,
anche, di cui,
semplicemente, amasse serbare ricordo. Nella prima metà del secolo decimottavo, appartenne al ciolo; e ora è lo
duca
di
Martina Francesco Carac-
posseduto dal mio amico Vittorio Pironti,
il
quale
ritrovò nella casa della sua famigha, a Montoro, in provincia
di Avellino.
Ricco, com'è, nella parte spagnuola di 139 componimenti, dei quali
non molti (per quanto mi
fu dato vedere)
i
canzoniere prende posto importante accanto agli
già editi, questo altri,
che esistono
in Napoli, dello stesso periodo: accanto a quello di Mathias
Duque
de Estrada (illustrato dal Teza, dal Merimée, dal Miola, dal Bonilla e dal Mele), al
brancacciano
e agli altri minori,
del quale
ha dato notizia
che aspettano ancora chi
li
studi.
La
il
Micia
parte
,
ita-
liana altresì cifre versi inediti o dimenticati di buoni poeti di quel
tempo; e
io
ne
trassi
cinque poesie del Chiabrera, che pubblicai li, n. 1-2, gen-
nel Giornale storico e letterario della Liguria (voi.
naio-febbraio 1901).
GIAMBATTISTA BASILE E
114 Per
altro, l'interesse
cumenti
IL «
CUNTO DE
LI
CUNTI
»
principale di esso sta nel fornire nuovi do-
allo studio delle relazioni tra la poesia italiana e quella spa-
g'nuola del Seicento; studio nel quale sono da considerare e
non tanto
gì'
letteratura,
non solo
imprestiti di motivi e forme poetiche dall'una all'altra
quanto anche, e sopratutto,
somiglianze e differenze
le
due popoli.
nella fisionomia generale della produzione lirica dei
Alcune delle poesie spagnuole, contenute nella raccolta, feriscono alla società napoletana.
vanni Enriquez, marchese
Un Juan
Campi
di
Enriquez
si ri-
(forse, Gio-
reggente del Collaterale)
e
canta Chiaia, Mergellina e la collina di Posilipo; descrivendo le gite quotidiane, che faceva colà la società elegante, sia in cocchi
spiaggia,
sulla
sia
dame napoletane
En En che
gondole pel mare
in
celebrando
e
le
belle
tronos de ruedas ninfas, theatros de remos diosas;
chiama matadoras
egli
;
:
(sul
quale epiteto,
Napoli
di G. V. Imperiale, ed. Barrili, Atti
patria,
XXIX,
ci.
cfr.
il
Viaggio a
Soc. ligure ài storia
572 sgg.). Altre poesie sono dirette all'Adriana,
p.
che ebbe per elogiatori molti verseggiatori spagnuoli. Del resto, cosi per le poesie spagnuole appartenenti alla raccolta
del duca di Alba,
per
poesie italiane,
le
versi,
come per
che
Tra
i
si
possono consultare
ho dato nella mia
io
poeti spagnuoli, che
citata
e
le
tavole dei
un capitano Alonso de
gli
capi-
memoria.
hanno comxDosizioni nel volume
dimorarono a Napoli, sono da notare
lamediana
originaria
quelle aggiuntevi posteriormente, e
Argensolas,
il
e
che
conte di Vil-
Ortigosa. Ricordo, di passaggio,
che un altro militare spagnuolo, preside e capitano di guerra nella provincia di Terra di Bari, don Martin de Saavedra y Guzman, pubblicava, circa quel tempo, un volume nipe, a Trani, presso
il
Valerij, 1633 (cfr.
di liriche
Napoli
:
Ocios de Aga-
nobiliss., voi. VI,
1897, pp. 111-12). Libri spagnuoli di quel tempo, relativi a Napoli,
sono anche
Ndpoles por poles,
il
Principe avertido y declaracion de las epigramas de
la
vispera de
Scorigio,
(Madrid, 1632), e
1631) il
;
San Juan
El
Poema
del Martìnez de Hereeea (Na-
monte Vesuvio
di Juan
de Qoinones
heróico a la passada ocassion de la peste
de Ndpoles di SebastiÀn Luzano de Cordoba (Cosencia, Ruffo, 1657).
ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI
Ma vute
al
italiani,
duca d'Alba a noi interessano
del canzoniere del
ticolare le sette
poesie spagnuole, che vi
nostro Basile
il
;
115
si
quale prende posto, per esse, tra
che scrissero anche in lingua spagnuola.
relazione (oltre che col Quevedo,
in par-
leggono a capo, do-
IÌ
i
letterati
Basile fu in
come si è congetturato di sopra, un madrigale, loda quale Vir-
pp. 43-4), col Villamediana, che, in
Mecenate insieme {Macìriali
gilio e
Bartolomé e Lupercio Leonardo quali cucinò
i
nomi
e,
et ode,
parte
anagrammi {Anagrammi,
in
II, p.
con
18), e
col figlio di costui Gabriele, dei
pp. 25-7) ^
Le
sette
poesie spagnuole, riprodotte nella grafia originale, sono queste
:
1.
Desdichada Alma mia, dime que
Acabaras
Por tan
[haras?
la
vida? No, a
fiera
Una fiera adorar siempre queras? No mas! Segheras quien te offende? No mas Amaras una ingrata No mas Llamaras quien te mata? No mas!
Ahi, duelo eterno,
Ahi, duro engano,
Que no pueden
Huya huya
Huya huya Tigre
No, a
Mis desdichas
!
llorar solo entre dos ?
Ahi, Dios! mil fueutes, ahi
aste dano.
Enganada Alma mia,
Una
este infierno.
Afligidos mis ojos, no pudeys vos
!
!
infiel
fé!
omicida? No. a fé!
[Dios!, dirne,
ameré
Essalar
Derramar
con tanta fé?
Ahi
fé!
Consumeras tus dias? No, a
mi tormento, quo
siento, ahi Dios
!,
triste suerte,
Cerca
fé!
lo
ahi DiosI,
cei'ca es la
muerte.
2. Si Si,
mi
que
Vida, sois
De vos
si,
si,
A
si,
No
de mi querida.
sola bivo
No me agrada
[^o» ^°'
[no, no.
Mi
1
yguala otra ermosura. No,
amante,
otro sembiante. No,
No
tu vista ardieute y pura se
desseo
Vos soys sola
No
mudar tan
mi esperan^a,
temeis de mi mudanva. No, fuerte
[no, no.
podrà tiempo ni muerte. No, no, no.
Agli Argensolas sono dirette due lettere di Giulio Cesare Ca-
paccio {Epistola.^, Napoli, 1616,
p.
28 sgg.^.
GIAMBATTISTA BASILE E
116
Alba
Senor, quien
Mengua ya Pues en Son
las
mayores
obras de tu fama.
flores,
pompa
Alcofar derrama
del prado
Tu
;
Al Alva
Embidiosa
A
la tienes.
El Alba a labrar
Tu
A
el
suelo
el
hombre adormido
ti
los
la gloria
haze salva.
Alva y el sol pinta y dora Quanto bay debaxo del polo,
:
despiertas el
sentido
Ella es aurora d'Apolo,
levantarse en
el cielo.
Y
Sigue
el
a Celia mia,
sol
Aunque negra noche
escura
el sol
vuestra ermosura,
mi
Celia, dulce
Apolo
Viendo
Que
No
Que
Y
Alba
os pienca su ghia,
Callo en balde mis enojos,
Que
se
muda
es la
lengua hablan [los ojos.
En
el
yo digo
silencio
El mal que en
el
alma
Que
del secreto
Son
estos ojòs testigo
Soy yo
siento,
tormento
del callar
;
amigo
Quanto puedo mis
el
sol
que otra aurora
Le precorre su contento, llora,
de zelo su contento,
es
Pues
vida,
Aurora ^
Y* antes etc.
Luego aprieta su partida, el
es de ti el
Sin Consuelo perlas
Sea de tinieblas cenida,
Viendo
;
ruyssenores,
Si el
Y antes que salga el alva sale el dia.
O
Alba,
el
gracias y mil favores
Tu, de valor coronado,
Recuerda
»
Como una fior de manana; Mas tu virtud soberana Nunca en su cumbre oscurece.
El Alba cine sus sienes
De
LI CUNTl
El Alva apenas parece,
te llama,
tus resplandores,
efecto
CUNTO DE
IL «
el sol,
a vos intento.
sigue qual solia,
le
antes etc.
Que
muda
se
etc.
Obedecerte quisiera.
Mi triste murir callando; Mas estos ojos llorando, Declaran que por
Sabe
el
Quien
Que
se
ti
muera.
mundo, aunque no quiera,
se lleva
muda
mis despojos; etc.
enojos.
1 Per la venuta del duca di Alba come viceré a Napoli Vigente MoRAVEL, capitano di fanteria spagnuola, pubblicò: A la venida del Exc.mo Sr. Duque de Alba al gohierno deste lìeyno, en Napoles, 1623
(Gallardo, Ensayo,
III, p. 885j.
ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI
Xo
No duren mas
supe ya conocerte,
O
fuente de mi alegria,
Que
Si
no por desdicha mia
Le pena a mi
Quando yo vine a
Ya
te conozco, o
te conozco, o
Que en penas de
Ya
Ya
perdette.
mi
la
tus enojos,
mi
ofendi,
bida,
erra devida,
pagaron mis
La causa de tu
;
Que puede
cielo,
ojos.
disgusto,
sera bien justo
3^
Cumplir por mi
enfierno bivo.
te conozco, o
si te
Ahi, de mi llorado he tanto
mi bivo
Fuego, que tiemblo y velo
Ya
117
falta el llanto.
Acaben ya tus desdenes,
mi fuerte
Sostento, que soy cayda:
Acaben ya
Ya
te conozco, o
Antes que acabe en dolores
En
lo3
Tu Si
mi bida,
La Vida comò mis
bra^os de la muerte.
Confieso de
paz no huviera medida.
no tu guerra provara
Pero
el
Que
Que
Nunca su
Perdona està alma doliente:
desden eclisado.
rigores,
No hazeys que muera en dolores Mueva mi mal tu bondad, mi bida,
Si SQjs
mi alma,
Dadme,
o querida,
D'amor
la
Pues,
si
Tu
Filis,
le
niega.
De mis tormentos y danos, De mis mal logrados anos, Quando cansada estaràs? no mas, no mas
Filis,
Se duele
el
!
rio,
el
viento.
Del mal que siento:
palma.
Cruel sirena,
En darme
espera
piedad, piedad
gracia
Del dolor mio,
crueldad?
Cara
a quien s'arrepiente
el cielo
Se quexa
yo muera,
Que premio
:
Cara
piedad, piedad.
Filis,
Si soys
el oro.
Buelva, buelva a quien te ruega,
:
Cara
pecho;
el
fuego del mal echo
Ya conozco el bien passado. Ya que lloro el mal presente Ya desseo tu sol ardiente,
Acaben ya tus
bienes.
que adoro
De tu piedad prueve
no fuera empobrecida.
es de
ti
D'haver ofendido
:
Ni tu riqueca estimara, Si
tus rigores,
Cara !
Filis,
pena, no acabarasy
no mas, no mas?
118
GIAMBATTISTA BASILE E IL
CUNTO DE
de servirte deseo,
Si
Si
«
en adorarle m'empieo,
Porque desprecias mi Cara
Filis,
fé?
porqué porqué?
Que premio esquibo, Qua amargo fructo
De
ti
recibo,
Congoja y luto;
Pues
De
fiera
tali
Cara
muerte
quererte yo sufriré;
Filis,
porqué porqué?
LI C'UNTI
»
IV Poesie spaese di G. C. Cortese
Nella prima edizione, fatta nel 1636, della giornata quinta del
Cunto de nato
(si
li
cunti.
legge, in alcuni esemplari,
si
veda sopra
p.
Canzone de
da
Conziglio dato
50 n), \& seguente
come
lo Chiaiese
Decette a «
ad una persona che l'addemannaie qual
lo Chiaiese,
ommo
saputo Téccote no tornese, eie
e letterato
:
E dimme:
è buono l'essere nzorato? •• Bonissimo (diss'isso), a la bon'ora. Si tu non si' nzorato e tu te nzora « Aggio na gran paura (Io le decette) non desse de piatto A na mala ventura, Ed àuzate, se puoie, pò, da sso nietto: E di' eh' è pezza che se pò stracciare «
»
•
Ed
isso disse:
«
E
tu
non
te nzorare
».
« Se vao pe sti pentune, N'auzarraggio (diss'io) na spennazzoia, O farraggio a costiune E puosto ne sarraggio a na gaiola E nce vo bona agresta a scire fora! •• Ed isso me decette « E tu te nzora ;
:
«
Vorrà
accen-
Segsore Giulio Cesare Cortese.
i.o
vieglio nzorarese o sfare senza mogliere.
Che
si è
:
»
ire sforgi osa
che nge vorrà tutta la dote; Sarrà na schefenzosa, Che scariglia farrà chiù de na vota: Io me ntorzo e non pozzo comportare.... E tu non te nzorare Responnette isso:
(Diss'io),
•• ••
fosse
120
GIAMBATTISTA BASILE E «
CUNTO DE
IL «
LI CDNTI »
Starraggio sempre sulo puosto a no peritone,
(Io le decette), e
Insto
comm'a
cuculo,
Chiagnenno de menestra no voccone; Ca na mogliere te n'abbotta ogn'ora Diss'isso: «
Me
che iarranno pe
comme
».
la casa,
a coniglie;
Starraggio sempre maie drinto
Penzanno comme
Ed
».
Frate, adonca, e tu te nzora
farrà tanta figlie
(Io disse),
lusto
«
isso leprecaie:
l'aggio da «
No
te
la vrasa,
campare
nzorare
».
».
cado ammalato. na panata o no cx'istiero? * (Diss'io), e abbannonato So dall'amice comme a no sommiero. «
Ma,
me
Chi
se
fa
N'è meglio tanno, arrasso «
sia,
mora?
ch'io
S'è chesso (me respose), e tu te nzora «
-.
».
N'aggio granne appetito ma, s'have male cellevriello,
(Diss'io);
E me manna
a Gomito Chella che piglio, patre de l'agniello,
E
pò torno a Forcella ad abetare.... ». (diss'isso), e tu no te nzorare « Voglio proprio sapere (Diss'io), da te e' hai lietto lo Donato, «
Scumpe!
».
Dove m'aggio a tenere: Aggiome da nzorare o star squitato?
comme me resuorve, a la stess'ora, proveo de mogliere o de segnora » Disse Chiaiese tanno: « O ca pigile l'ammica o ca te nzui-e, Sempre baie quarche malanno. Ed baie cause de chianto e de dolure; E sto conziglio avere a mente puoie: Tutte so guaie, e piglia quale vuoie Ca,
Me
».
SCOMPETURA.
Ricompare qui un motivo
tradizionale, che era stato elaborato,
tra gli altri, dal Rabelais {Pantagruel. Ili, 9)
Giordano Bruno
{Il
di quest'ultima opera, data dallo la
nota a
p. 212.
e,
presso di noi, da
candelaio. V, 24). Si veda nella recente edizione
Ma
la
Spampanato
sconosciuta
(Bari, Laterza, 1909),
canzone del Cortese
è
tra
ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI le
più vivaci e belle
variazioni
museo
Xapolitana del vertimenti che pigliar moglie dici pagine,
tiene
1
\
|
seguente
col
Dottor Pugliese
dà
titolo
Dove
\
In Napoli
\
Istoria
:
si
Ridicolosii>sima
|
indendono
ad un giovane,
detto Dottore
il
\
(sic) gli
;
Parlale no iuorno a
infatti lo
d.,
(s.
la
e parafrasi in quarantaquattro
canzone del Cortese. Comincia,
av-
che desiderava
con licenza de' Superiori
con una rozza vignetta sul frontespizio)
una trasfusione
dottor
nella bi-
San Martino ho rinvenuto una rarissima
di
stampa del Seicento,
il
Aggiungo che
Chiaiese, ho già detto di sopra a p. 38. blioteca del
Chi fosse
tema.
del
ll'l
di do-
quale con-
ottave della
:
Dottor Pugliese,
Che utriusque iuris è dottorato: Per cortea me cercaie no tornese, Ca canoscette ca stea nnamorato Ed io li disse: « Te faccio le spese: Dimme si è buono ad essere nzorato :
Me
respose, decenno:
Si tu
non
si'
«
A
»
la buon'oi'a:
nzorato, e tu te nzora
>
Evidentemente, perdutasi memoria del dottor Chiaiese,
opportuno sostituirlo con un nome
si
trovò
diverso e di più facile interpe-
trazione.
due
Oltre la canzone,
si
proposta
al
sonetti,
leggono, nella stessa edizione del 1636,
Cortese e risposta di questo:
Tornatenne, Cortese,
Zo che de
le
e scaca priesto
vaiasse avisse scritto
Ca, se vedisse pe
;
na vota sdutto
Ste foretane, no starisse nsiesto. Ognuna addora cca de sottatiesto E non s'allorda quanno vace a mitto,
E
te danno no shiauro de zoffi-itto: Le tetelleca, e torna pe lo riesto. Prega no poco chessa Musa toia, Che te mmezza le crianze pesarise, Ca sarrai no poeta d'autro gusto: Autro grano avarrisse a la tremmoia, Autre strammuottole Nparnaso appise, Ca cca ne' è zuco e non fummo J'arrusto.
GIAMBATTISTA BASILE E
122
Passale
lo
IL «
CUNTO DE
LI CUNTI
tiempo, ch'io scriveva priesto:
Mo, frate, scacarrla quant'aggio scritto, Pe crepantlglla e pe bedere schitto Ca male fortuna no me leze a siesto. Stongo ielato, che nce vo no tlesto, Vedenno la vertù ch'è iuta a mitto: Ca manco na menestra de zofFritto Truove pe vierze penza mo lo riesto
A
ssi
E me
A me tria,
colano st'uocchie
pare che
il
il
1616
si
comme
:
arrusto.
primo sonetto non possa essere
Cesare Capaccio;
verso
•
vernoleia e canta a boglia toia, principe gran ne pesarise
Ashe panne a tagliare, e carape ngusto Ca io, perché è bacante la tremmoia. Lo colascione a no sammuco appise,
di Giulio
.
!
;
Tu
»
il
di altri
che
quale, dopo disgrazie sofferte in pa-
era recato presso
il
duca
di
Urbino France-
sco Maria Feltrio della Rovere, che era altresì signore di Pesaro, e restò colà fino intorno al 1623 (si rico-critiche
A
conferma
veda F. A.
degli storici napolitani, di
dallo Zito, che
ciò, si il
Soeia,
I,
sto-
p. 131).
legge nella difesa della Vaiasseide, fatta
Capaccio soleva raccontare che, quando egli
trovava ad Urbino, aio del principe ereditario,
poema
Memorie
Napoli, 1761, voi.
il
si
duca gustava diletto,
che
quasi ogni giorno ne voleva sentire cantare qualche ottava, e
pili
tanto
il
della
Vaiasseide, e ne
prendeva tanto
volte ne rimase maravigliato e stupito (op.
cit.,
p. 289).
II
DUE ILLUSTRAZIONI AL
VIAJE DEL PARNASO'» DEL CERVANTES
D&W Homenaje
à Menéndez y Pelayo en
el
ano vigésimo de su profesorado,
Estudios de erudición espanda (Madrid, V. Suarez, 1899), pp. 16.1-193.
voi. I,
Il Caporali, il
L'iinvenzione zie di Parnaso
Cervantes e Giulio Cesare Cortese
dei
Viaggi
ebbe, tra
Parnaso
in
Cinque
il
e
Noti-
e delle
Seicento, grande
fortuna nella letteratura italiana, la quale, in quel tempo,
dava ancora l'intonazione
moda
e la
Pareva un modo assai arguto
alle
europee.
altre
esporre concetti morali,
di
politici e letterari, elogi o satire di
persone e di cose. Chi
volesse rintracciare l'origine e seguire gli svolgimenti
di
quella invenzione, dovrebbe fare capo alla letteratura quattrocentesca, se
non anche spingersi alquanto più
per ridiscendere poi di questo e
i
al
principi del secolo seguente,
roso dei Viaggi di Parnaso in poesia
1
",
e
FASO, Ricerche letterarie fLivorno, 1897, (in Giorn. stor.
lett.
ital.,
XXVII,
e
«
trionfi
F.
279-299):
A. Belloni
.
di
Fof-
Marchesi
pp. 171-184)-, G. B.
pp. 78-93,:
;
gruppo numel'altro^ dei Rag-
Viaggi fantastici
Si vedano, intanto: F. Flami.m,
'
fine
il
nel voi. per Nozze Cian-Sappa Flandinet, pp.
poeti
in su
Cinquecento, raggiungere sulla
;ivi,
XXXI,
p. 377). 2 i
II
QcADKio menziona
[oltre quelli del Caporali e del
Cervantes)
Viaggi di Parnaso di Antonio Abbondanti di Imola 'Gazzette
pee di Parnaso, in terza rima. 1628), dell'Accademico di Niccolò Villani di Pisotia (1634) e di (ined. nella bibl.
pp. 561, 629).
Ambrosiana)
[Storia
e
memp-
Aideano, ossia
M. A. Virtuani
di
ragione di ogni poesia,
Piacenza
II,
parte
I,
DUE ILLUSTRAZIONI AL
126
«
VIAJE DEL PARNASO
»
guagli o Avvisi del Parnaso in prosa (massimo autore del
genere
il
Boccalini
'),
e seguirne le ultime manifestazioni,
Amenta
sul principio del Settecento, nelle opere di Niccola
e di altri ritardatari.
Nel qual tempo, fu
da nuove invenzioni, che servivano
me
ai
tolta
di seggio
medesimi scopi; co-
quella delle notizie dall'Asia e dei viaggiatori cinesi e
persiani, che ebbe la sua opera rappresentativa nelle Lettres
persanes del Montesquieu, Pure, niente di organico e vitale venne fuori dalle tante
composizioni, che presero a soggetto
il
Parnaso.
E
mondi immaginari hanno fecondità quando vivono nell'animo umano, sia per effetto ligione o di altra tradizione, sia come spontaneo è naturale. I
stibile
giare
la
cosa
estetica,
della ree irresi-
prodotto del nostro bisogno di foggiare e vagheg-
una
realtà superiore e diversa da quella che
abbiamo
innanzi nella vita quotidiana. Altrimente, non che ad ispirazioni serie,
non possono dare luogo neppure perché
allo spiritoso piacevoleggiare;
alla satira e
la satira e lo scherzo,
debbono rispondere a cose cui, non credendo noi, gli altri almeno credano, e le abbiano in qualche riverenza; tanto che interessino anche noi. Ma quale significato avevano per gli uomini di quel
per essere
tempo
efficaci,
e Apollo e le
Muse
Cavallo Pegaseo, e tutto
e il
il
Parnaso
l'Ippocrene e
e
il
resto? Quelle, che furono già
mitologie, erano diventate semplici metafore e forme di
metafore,
linguaggio. Pigliare sul serio le di
commozione
lirica o
era, proprio, trattare le
di
ombre come cosa
satireggiarvi intorno,
1
lo
Lope de Vega
doveva riuscire
salda. Scherzarvi di necessità
scrisse in prosa e in verso contro
elogiarono altri spagnuoli,
A. Farinelli, in Eevista
il
farne oggetto
rappresentazione drammatica,
Graciàn,
critica de hid.
imitazioni spagnuole dei Ragqucujlì,
y
cfr.
il
Quevedo,
liter.,
il il
Boccalini
una
:
de Mello:
gennaio 1896,
Antonio, Bibl. nova,
p. 43.
ma cfr.
Sa
II, p. 114.
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
I.
freddura. VeiTaiino ancora
momenti
storici
e
127
condizioni
com-
sociali e morali, in cui poeti e scrittori sospireranno
mossi
agli
splendidi Dei dell'Eliade, e Federico Schiller
comporrà Die Gotter Griechenlands, sofo-poeta Nietzsche ginosa.
Ma
i
e
il
recentissimo
suoi brani di prosa
codesti ritorni sentimentali
filo-
calda e imma-
non erano roba da
quei tempi. Tutt'al più, la materia mitologica poteva dare luogo, allora, a un umile prodotto artistico, a una parodia
appunto contro
letteraria, diretta
i
pedanti, che
vello.
com-
si
piacevano in quelle frigide invenzioni per manco
di cer-
Motivo tenue, e presto esaurito.
Senonché, pedanterie e freddure sono produzioni inevitabili
delle
letterature di
periodi di decadenza
;
tutti
i
tempi, e prevalenti nei
come accadde
in fatto delle figura-
quando
zioni del Parnaso, che furono coltivate e ammirate, la letteratura italiana scendeva la sua china.
Cervantes,
Il
quale non deve, di certo, all'ispira-
il
zione classica e italiana rario,
Sigismnnda e
il
la
Galatea,
il
lette-
Pérsiles
y
Viaje del Parnaso: ha indicato egli mede-
simo, più volte ^ a
meglio del suo bagaglio
il
perché sotto di essa scrisse
il
modello italiano, che
comporre quest'ultimo lavoro. Era, come
ponimento poetico, che
s'intitola
lo
aveva spinto
è noto,
similmente
com-
il
Viaggio
in
Parnaso, di Cesare Caporali, di Perugia.
Questo componimento è in terzine, diviso in due la
prima
un
altro
di vv. 295 e la
seconda
componimento, anche
titolato: Avvisi di
Parnaso.
prima volta nel 1582, con autore-. Che
1
il
Fu
altre
di vv. 532; e gli fa
in terzine, di
coda
vv. 505, in-
stampato, ch'io sappia,
Rime
la
piacevoli dello stesso
Cervantes potesse avere conosciuto
Nel principio del
parti,
in Italia
Viaje, e nelle Novelas ejemplares, jiretaz.
Pel testo, la vita dell'autore e la bibliografia, si veda l'ediz. Hime di Cesare Caporali perugino, diligentemente corrette colle os2
:
DUE ILLUSTRAZIONI AL
128 il
VIAJE DEL PARNASO
«
»
modo stesso Un ^quidam Caporal ita-
Caporali (1531-1601), è da escludere, già dal
ch'egli adopera nel
parlarne
De patria Perusino
liano,
ci
lo
(«
que entiendo
ecc.).
»,
È
da
notare, per altro, che, per curiosa combinazione, entrambi gli scrittori
respirarono durante qualche tempo, a cosi dire,
giacché
la stessa aria;
il
Cervantes fu cameriere in
presso Giulio Acquaviva dei
duchi di Atri, creato cardi-
nale nel 1570 e morto a ventotto anni nel 1574^; e porali servi
il
Roma
fratello di Giulio, Ottavio
il
Ca-
Acquaviva, creato
poi, nel 1591, cardinale, e nel 1605 arcivescovo di Napoli;
dal quale ottenne
due volte
lianova, feudi della famiglia
Ma,
se dal
componimento
Atri e di Giuil governo di Acquaviva negli Abruzzi. del Caporali
Cervantes tolse
il
l'idea e qualche particolare, nell'insieme egli fece opera assai diversa, cosi per
E
altresì
otto
diviso in
tes,
il
contenuto come per
per l'estensione; giacché capitoli, è
per
svolgimento.
lo
poemetto del Cervan-
il
lo
meno
volte più
sei
lungo di quello del suo predecessore italiano. Disperato della vita delle corti,
il
Caporali delibera di
recarsi in Grecia, per mettersi in qualsiasi iìcio
più umile uf-
presso Apollo. Compra, dunque, una mula e
si
avvia.
Dopo un viaggio per mare, giunge in Grecia, a pie della montagna di Parnaso. Vede qui una grande turba di poeti, che si adoperano a scalare il monte, e, non riuscendovi, consegnano le loro carte scritte a un personaggio, eh' è il Dispregio;
il
quale
le
adopera a
usi,
che
il
tacere è bello.
Nelle radici del monte, scorge la buca della civetta, di cui il
Firenzuola pianse
la
morte. Gli appare
servazioni di Carlo Caporali. In questa
i
t.
e la
si
sua vita
aggiungono (in
Perugia,
Stamperia Augusta di Mario Riginaldi).
Sui rapporti del Cervantes con l'Acquaviva,
rel-Fatio, C. que,
Capriccio, che
nuova edizione
molte altre rime inedite dello stesso poeta 1770, nella
il
et
Vili, n.
les
3,
cardinaux Acquaviva luglio-settembre 1906,
et
si
veda ora A. Mo-
Colonna (in BuUeiin hispani-
p.
247 sgg.).
I.
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
1l'9
da guida pe*' mostrargli il Cavallo Pegaseo. Esibendo commendatizia del cardinal Ferdinando dei Medici (e, una
gli fa
cioè, di lina famiglia, e
Parnaso),
feudi in
che possedeva a buon diritto terre il
poeta ha libera l'entrata. Attra-
un giardino tutto erbe e piante, che canarmonia alla quale si unisce in vario stile e metro tano anche la sua mula, emettendo suoni al modo stesso del diaversa, in prima,
;
tili
gli
E
dantesco di Malebolge.
volo
mani
suoni, le dita delle
e spondei, e, facendosi
rompono guanti
mezzo
al poeta, in
a quei
e dei piedi si trasformano in dat-
qua più lunghi e
là più corti,
La seconda parte
del poemetto
e scarpe.
s'apre con la descrizione della bellezza di quel giardino, e
con l'incontro di un nuovo personaggio allegorico,
cenza poetica.
Il
la
Li-
poeta entra in un gran palazzo, di cui
racconta l'edificazione e descrive
la struttura,
materiata di
versi, strofe e altri elementi e specie di poesia. Il vecchio
rimatore Bonaggiunta da Lucca
lo
conduce a
rifocillarsi
dove incontra parecchi poeti anmoderni. Aspettando di essere ammesso a contemi gran padri delle Muse tosche », va a passeggiare
nella cucina di Parnaso, tichi e
plare
«
nell'orto, che offre alla sua osservazione altre cose curiose.
Finalmente, lette
commendatizie,
le
tere guardare dal cortile il
Petrarca tiene
la sinistra.
missione. il
il
Intanto,
Il
mezzo. Dante si
concede
i
il
di po-
triumvirato famoso, nel quale la destra e
il
Boccaccio
delibera favorevolmente sulla sua am-
poeta vede uscire da una consulta
Guidiccioni,
creto contro
il
gli si
Sadoleto,
poeti, che
il
il
Bembo,
Della Casa; riferisce un de-
adulano
i
principi ignoranti
;
in-
troduce abilmente le lodi di qualche letterato, come del Barga, e quelle dei principi medicei, significati con le tre M: « Medici delle 31use Mecenati ». Ma, quando sta per acconciarsi stabilmente in Parnaso, nasce una comica avventura della sua mula col Cavallo Pegaseo; il quale è
animato, a un tratto, da quegli
stessi ardori, pei quali
Ro-
DUE ILLUSTRAZIONI AL
130
VIAJE DEL PARNASO
«
cinante doveva destare
le
cho (^-Jamds
Eocinante, que
tal crei de
casta y tan pacifico
poeta si
le
maraviglie e
comò yo
»).
le
La mula
fermarla;
corre dietro per
lo
e,
»
scandalo di San-
por persona
tenia si
dà
alla fuga;
il
correndo correndo,
trova fuori del Parnaso, dopo avere perduto, nella fuga,
le pianelle e gli stivali.
L'altro componimento. Avvisi di Parnaso, dà notizia di una guerra indetta da Apollo contro gli ignoranti, dell'elezione di Pietro Bembo a generale del mare, di una baruffa
successa tra
le
Prose e
i
Versi, e di altri fìnti avvenimenti,
che hanno carattere satirico contro le corti; quale, p. e., un matrimonio, che stava -per celebrarsi, tra la Corte e
don Vituperio.
Non
so
che alcuno abbia determinato con esattezza
luoghi del Caporali, che nel suo poemetto \ di Parnaso (e
Cervantes dovè tenere presenti pare che, appunto dagli Avvisi
non dal Viaggio),
guerra di Apollo contro il
il
A me
egli
cattivi
i
prendesse l'idea della
poeti, e degli
Dio mandava a raccogliere. Venendo
principio del poemetto
il
1
mula^ La Per altre
la
maggiore vivezza,
narrazione
fonti, si
veda
il
Fitzmaurice-Kelly, The
Juan de la Cueva (1585) (in Poèmes T. A. Wulf, Lund, Gleerup, 1887).
Sannio, di
2
I
ritratto
il
descrizione della galea, di Mercurio, tutta
life
de Cervantes Saavedra (London, 1892), pp. 219-50: cfr. anche
ed.
che
aiuti
ai particolari, nel
Cervantes riassume
del predecessore, e rifa, con
della
i
e acciò gl'interni
Pensier comunicar potessi seco,
da g'overni La qua], per quel ch'ella mi disse meco.
L' accapai da consigli e
;
Scese in Italia già con Carlo ottavo,
Con le bagaglio d' un trombetta greco. Avea una sella e finimento bravo, Era di coda lunga e vista corta, Nata di madre sarda e padre schiavo.
Viage de
inèdita de J. d.
languidi versi del Caporali sono questi: Comprai anco una mula,
of Miguel
il
l.
C,
I.
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
costrutta di versi, ebbe di
131
modello nel gìk ricordato Palazzo
il
Parnaso, che era fabbricato allo stesso modo:
Non
bugni era costrutta,
di rustici
Ma ben
in vece lor, s'io
non vaneggio,
D'amorosi terzin composta tutta. E quelle due canzoni d'un pareggio Perché la vita è breve, e la sorella Ch'incomincia: Gentil ynadonna, io veggio. :
Le servian per colonne; questa Sostenean l'architrave artifizioso
e quella
D'una sestina assai gentile e bella.... Con ordine pili breve e men noioso Facean poscia i sonetti il piedistallo. Componimento quadro e grazioso. In cima poi, con debito intervallo. Il
frontespizio tutto era composto
Di madrigali
e
canzoncin'a
ballo....
Altra somiglianza è nella descrizione del viaggio marittimo. e
Il
Caporali da Primaporta va a Roma, di
per mare a Napoli
là a Ostia,
:
Gaieta e Baia costeggiando varco,
E
di
Per
Pozzuol fin
calde e fetid' acque
le
che in grembo
Dico là dove
il
alle Sirene
',
sbarco
"^
;
furbo viver nacque.
Che con tanta creanza e gentilezza D'un mio tabarro molto si compiacque^: Gente a rubar fin dalla cuna avvezza.. Che, mentre sulle forche un se n'appicca.
Un
altro
ruba
al
boia una cavezza
*.
Passa, dipoi, innanzi a Stromboli e a Messina Corfii,
S.
Maura
e
Zante, giunge al golfo di Corinto.
por
—
bagni di Pozzuoli.
^
I celebri
2
Napoli.
3
Allude a un furto fattogli in Napoli, che
per disteso nelle note ^ed. *
e,
Aneddoto popolare.
cit.,
p. 389).
il
nipote Carlo racconta
DUE ILLUSTRAZIONI AL
132 Il
VIAJE DEL PARNASO
«
»
Cervantes, lasciata da parte Genova, e passata dipoi, la
costa romana, vede da lungi el aire
humo que
Del
el
:
condensado
Esti'ómbalo vomita,
De azufre y llamas y de Indi giung-e a Gaeta
orror formado
:
Vimonos en un punto en
Do
E
el paraje.
de Eneas piadoso
la nutriz
Hizo
'.
el forzoso
y ùltimo pasaje.
che gì 'ispira sentimenti ben diversi
di là a Napoli,
da quelli del Caporali
Yimos desde
:
alli
a poco el
Monte que encierra en
mas famoso
nuestro hemisfero,
si
Mas
gallardo a la vista y mas hermoso. Las cenizas de Titiro y Sincero Estàn en él, y puede ser por esto Nombrado eritre los montes por primero
1
Questo spostamento
nientemeno, prima
di
tazione poco accurata di ciò che dice
11
poeta
lo
chiama
cosi per le
il
poeta vede da lungi,
si
deve probabilmente a un'imi-
il
Caporali,
per altro, nel punto giusto del viaggio 2
che
di Stromboli,
giungere a Gaeta,
(I,
il
quale
prima,
tema
cfr.
tombe, che sono su quel
cini
E. Cocchia,
La tomba
(in Atti d. Accad. Pontan., voi.
La
e titolo
chiesa di S.
Maria
dei
due
del Parto
nobiliss., I, 1892, f. 5), e
XXIV).
Il
monte
C.
Man-
Posilipo dava
a uu libro dello spagnuolo Ceistóbal Suarez de Fi-
GUEROA, che per tanti anni visse a Napoli ción en los que
colle, di
di Virgilio (in Arch. stor. nap., voi.
tomba di lacobo Sannazaro (in Nap.
motivo
tombe
prediletto dei verseggiatori del Cinque e Seicento. Sulla
XIII, 1888): sulla seconda, B. Croce, e la
lo colloca,
vv. 61-9).
Virgilio e del Sannazaro: questo ravvicinamento delle poeti fu
"•
dura
Lazaro Scoriggio,
el
paseo, ded. al
1629).
è quella di Fr. Alvino,
La migliore La collina di
duca
{Posilijjo,
Ratos de conversa-
di Alcalà, en Nàpoles, por
descrizione della celebre collina Posilipo (Napoli, 1845).
I.
CAPORALI. CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
133
Luego se descubrió, donde echó el resto De su poder naturaleza amiga, De forma de otros muchos un compuesto. Yióse
De
À
la
pesadumbre
sin fatiga
la bella Parténope, sentada
mar, qua sus pies
la orlila del
De
castillos
y
liga,
torres coronada,
Por fuerte j por hermosa en igual gTado, Tenida, conocida y estimada ».
Ma nessuna
può
di
queste imitazioni, fette dal Cervantes,
dire, di certo, imitazione servile.
Viaje del Parnaso fu pubblicato nel 1614; e nel 1624
Il
ebbe una ristampa a Milano per opera di Giovan Battista Bidelo, che lo dedicava,
il
primo
di febbraio di quel-
don Antonio Rodriguez de Frechilla -. In per allora, non fu tradotto: e, solo nel secolo se-
l'anno, al signor italiano,
guente, Giambattista Conti ne volse alcuni brani in versi >ciolti
^.
anni dopo
Sette
1621, Giulio
tevolissimo
ottave:
1
Novo
puìiblicazione
la
del
Cervantes,
Cesare Cortese, metteva a stampa
poema
il
nel
suo. no-
in dialetto napoletano, in sette canti di
Viaggio di Parnaso^.
Allude
del mare.
al Castel S.
Carmine,
e del «
Caslelnovo
Elmo, che corona Napoli, e a quelli d^lTOvo, molte torri che cingevano la città dal lato Capuano, San Telmo que relucia » sono nomi-
e alle >/
nati nel romance di re Alfonso d'Aragona {Romane, general, ed. Duran, n. 1227;.
Embio pues a
2
V.
M.
el
Viaje del Parnaso, que hizo
famoso Miguel de Cervantes por sus gracias tan ster
que mi 3
e
Nel
Spagna
piuma
voi. VI, nel secolo
le
ensalze
iliistre
»
rimasto inedito, della sua Scelta:
XVIll:
el
que no tiene mene-
cfr.
V. Cia.n, Italia
G. B. Conti, ecc. (Torino, 1896}, pp. 336-8.
Viaggio di Parnasso di Giulio Cesake Cortese, dedicato all' Illustriss. Sig. Don Diego de Mendoza ^in Venetia, per Niccolò Misserini, 1621;. La ded., da Napoli, 7 settembre 1621, accompagnava una copia *
DUE ILLUSTRAZIONI AL
134 Il
dedicava
Cortese
«
VIAJE DEL PARNASO
»
sua opera a un don Diego de
la
Mendoza, ch'era anche poeta. Bisogna escludere che esso s'identifichi con quel capitano Diego de Mendoza de Barros, al
quale
si
trovano attribuiti alcuni
Flores de poetas ihcstres del 1605
componimenti nei
Certamente,
'.
Mendoza,
il
della dedica del Cortese, visse a Napoli, e fu tra tori,
fonda-
i
nel 1611, dell'Accademia ispano-italiana degli Oziosi,
sorta sotto gli auspici del conte di Lemos. Di lui
si
ha una
composizione nel volumetto delle Esequie della regina Margherita d'Austria
un sonetto
(Napoli, 1611);
Teatro delle glorie per Adriana
Basile (p. 78)
Mahso
sonetto in ispagnuolo al
ha un sonetto rivolto a un
Il
fatto
un viaggio
^ E, giacché don Diego
in
Ispagna (VII, 36);
poema, parecchie allusioni
dino di Apollo ragone,
a penna
il
»
;
cfr.
Il,
19,
venire in mente,
gli fa
passeggio del Prado e
» 3,
di
Manso Men-
è probabile che
i
e a cose
cfr. di sopra, in
spaglinole
(la ciaccona, le chiI,
40). Il
bel giar-
come termini
di pa-
giardini di Aranjuez:
«
intrinseco solamente vedere per domestico passatempo...
".
Pel Cortese,
questo volume, pp. 28-35.
Primera parte de
las flores
de poetas
y D. Francisco Rodiìiguez Makìn Ms. segn. XIII. C. 82, Tus
glorias,
ff.
ilustres
por D. Juan Quiuós
(Sevilla, 1896), pp. 368, 375.
218-9.
Comincia:
Manso, que explicar pretendo,
Cou desygaal estUo A mi
desseo,
Confuso admiro, y claraniente veo,
Quo vano 3
il
Havea pensato fra me stesso questo quinto Musa Napoletana di lasciarlo ad alcun amico più
dell'opera:
scherzo della mia
2
altro
personaggio della dedica cortesiana.
il
tarre alla spagnuola, ecc.
1
un
Cortese, nella sua faticosa ricerca di fortuna, aveva
ha, nel suo
»
e
«
dozza, figliuolo del Marchese della Valle costui sia proprio
;
legge in un manoscritto
si
della Biblioteca Nazionale di Napoli stesso,
italiano nel
efecto de imposible emprendo...
Poesie nomiche (Venezia, 1635), p. 101.
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
I.
Era lo Parco no bello giardino: Che Pardo, che Ranci uose de
Castiglia?.... (Il,
E
135
Ti.
mostra abbastanza bene informato di letteratura
si
spagnuola. Nella prefazione, accenna ai vanti che possono
addurre
Muse Spagnuole,
le
«
con l'autoretate de
lo
conte
de Salina [Villadrando de Sanniento], de Lope de Vega, de
VArziglla [Ercilla], de d'autre 'II,
Garzilasso^ de Voscano
[Boscan],
e
Anche un'altra volta, nel corso del suo poema nomina il Boscan. E, finalmente, parlando di un
».
16;,
convito dato da Apollo con imbandigione tutta di cose poetiche, ha questa ottava, contro la vecchia poesia
Cancloneros e in lode
Auzias March
delle
opere
dei
petrarcheggiante
del
:
Ecco n'oglia potrita a
la spagnola,
Fatta de stile antico castegliano,
Che
fece a chiù de quatto cannavola
Ma non piacette a chillo mantoano Ma de rape magnale na fella sola ^
i,
-
De
d'Usiasmarche
l'uorto
catalano,
seghediglie, romanze, endecce e retonniglie.
Lassanno l'elegie,
Grò se,
*
;
le
(V, 16).
Il
giudizio è quale solevano dare intorno
spagnuola
lirica
letterali italiani.
i
aggiungere che anche
il
Cortese
si
alla
vecchia
— Bisogna, finalmente, era
aggirato,
come
il
Cervantes, con fervore di speranze riuscite vane, intorno al
conte di
1
2
«
Che
Lemos
fé'
:
gola a molti
•
L'ambasciatore del duca
di
Mantov.i, venuto in Parnaso,
quale è parola nel poema. ^ ^
«
Mangiò
solo
Auzias March.
una
fetta di rape
>.
e del
DUE ILLUSTRAZIONI AL
136
A
De Lemos la Nmidia
De fareme Che
lo
VIAJE DEL PARNASO
me prommese
Tiempo,
e a lo
»
guerra
chillo conte, che fa
acquistare tanta terra
potesse fare a sto palese
Ecco se parte,
O
«
*
:
e sta speranza sferra.
Fortuna, contraria ad aute npresel
Lo frate puro ^ s'è de me scordato, Che m'avea de speranze nmottonato
^.
Nonostante tutte queste esteriori concordanze, che ren-
dono
assai probabile che
Cervantes
del
^,
•nell'opera sua;
egli
Cortese avesse tra
il
non
fa
menzione
mano
Viaje
poemetto
di questo
nella quale non è possibile
il
scoprire,
non
solo nel disegno e nella struttura generale, che sono diversissimi,
ma
neppure nei particolari, alcuna imitazione dal
poemetto spagnuolo. Cortese riconosce, invece, in certo modo, la sua
Il
fi-
liazione dal Caporali, che egli ricorda più volte, fingendo di averlo incontrato
sul Parnaso, e dal quale si fa prote-
una calda dichiarazione
stare
di amicizia
(I,
25, cfr. II, 6),
e guidare per la visita alla galleria di Apollo
anche dall'opera del Caporali,
appena
diversa:
allegoriche
terzine
moria, qua e
1
potrebbe
si
«
Che
là,
*
IV).
(e.
Ma,
profondamente
qualche
riscontro,
se mai, piuttosto che le
del perugino, essa richiama alla
potessi costruirmi
me-
il
al
mio
{palazzo in questo paese
quale
si
>
:
si
veda
allude.
Francesco de Castro, ambasciatore a Koma. che per tre volte
resse provvisoriamente "^
e,
è
certe descrizioni culinarie di Merlin Co-
più oltre, intorno al palazzo, 2
notare
accidentale, tra le due;
forse
sua
la
«
il
governo
Che mi aveva riempito
Si ricordi che
una imitazione
e cioè:
ha
»
Cortese è anche autore, come
di Eliodoro: leggendosi tra
naiDoletano, che
gkmunda,
il
di Napoli.
di speranze
le
il
sue opere
Cervantes, di
un romanzetto
titolo simile a quello dei Trabajos de Pérsiles
Li travagìiusi ammore de Ciullo
e
Perna.
y
Si-
I.
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
137
Richiama vagamente; perché, osservando meglio, an-
caio.
che in questi luoghi, l'ispirazione risulta personale e popolare.
Raffrontando sotto
rispetto artistico
il
i
di tutti
appare quello del primo.
riduce a qualche luogo cattivi poeti.
Per fare
Il
componimenti
tre
del Caporali, del Cervantes e del Cortese,
il
più scadente
pensiero è nullo:
si
comune contro le corti o contro poeti una satira contro le corti e i
i
avere, almeno per qualche istante, animo non da semplice cortigiano, e idee critiche sulla poesia, diverse da quelle correnti. Ma l'animo e il cervello sentiva egli stesso come umile del Caporali erano vuoti del tempo, bisognava
:
cortigiano ed era mediocre
Onde
poeta.
la
sua satira è
volgare, le sue frecciate sine khi; e non riesce a destare
neppure
interesse egli
in
qualche singolo punto. La forma, che
adopera, non ha nulla di individuale, ed è fiacca e derivazione di quella del Berni. Deve conside-
scolorita
rarsi triste
sintomo di decadenza che simili
cicalate, e
fi-
lastrocche, insulse e ineleganti, piacessero e trovassero diffusione,
ammirazione e imitazioni.
Se l'invenzione del Parnaso, per cipio,
difficilmente
si
le
ragioni dette a prin-
poteva prestare, a quei
un'opera d'arte seria o
satirica, ciò
tempi,
non impediva che
a il
poeta o scrittore, che l'adottava, potesse rifarsi della cattiva
adesione alla
moda dominante con la bellezza delle episodi. Non è raro il caso che l'onda
digressioni e degli poetica esca fuori impetuosa dallo stretto e disadatto canale, in cui
si
sunto a tema
musa
è voluto rinserrarla; e che ciò che
ispiratrice,
E, se in prosa,
il
si
si
principale, diventi, sotto la guida della
una cornice insignificante
ò as-
buona
e trascurabile.
Cervantes avesse scritto Ragguagli di Parnaso può, per cosi dire, giurare che tal fatto sarebbe
immancabilmente accaduto, e
la letteratura
spagnuola con-
terebbe altre pagine mirabili, simili a quelle di cui
si
ha
DUE ILLUSTRAZIONI AL
138
VIAJE DEL PARNASO
«
Ma
troppo breve saggio nella Adjunta al Parnaso ^
rompere
nel poemetto a
riesce
maglie della fredda allegoria
un'opera poetica?
e a creare
La
le
»
risposta
(nonostante
le
cervellotiche di
esaltazioni
qualcuno*), è stata già data concordemente dal gusto uni-
poema
versale e dalla sana critica. L'azione del nella guerra, che Apollo indice contro tato dai buoni,
mando
i
consiste
cattivi poeti, aiu-
che Mercurio, in un suo viaggio, viene chia-
a raccolta. Ma, poiché questi cattivi poeti non sono
(tranne che nel caso del sardo Lofrasso e di qualche altro)
individualmente nominati, e neanche ben caratterizzati per gruppi o espressi in personaggi
manca
rica
tipici,
tutta la parte sati-
perdendosi in generalità.
di efficacia,
I
lunghi
cataloghi elogiativi (che sono da paragonare a quei Trionfi di poeti e
Lodi di dame, usualissimi nella letteratura dal
trecento in poi, e di cui
si
il
un
Cerv\antes dette
sag-
altro
poco attraente, nel canto di Calliope della Galateo),
gio,
risolvono in
filze di
frasi
convenzionali, che sembrano
modo
nate dal bisogno di contornare in qualche
i
nomi
delle persone elogiate.
Per fortuna, accanto all'elemento satirico elogiativo, ve ne
ha un
altro, che, se
occupa
nell'opera, occupa la maggiore nel nostro
e
a quello
minor parte
animo
le
confes-
noi scorreremo
sempre
sioni autobiografiche dell'autore.
E
con mano impaziente
elaborale
le serie di
la
:
terzine, conte-
nenti la ingegnosa descrizione della galea di Mercurio, la visione della Vanagloria e quella della Poesia, e la muta-
zione fatta da Venere
*
«
Cervantes as poet
is
dei
Sanison
languidi
poeti
ivith his
immagine, conferma un antico giudizio
il
hair cut
in
»
.
zucche, e la
Con questa
Fitzmaurice-Kelly, op.
bella cit.,
p. 254. "
P.
e.,
del Bouterwecli
:
cfr. nel
dei giudizi finora dati intorno al
Fitzmaurice-Kelly,
Viaje.
1.
e, l'esame
I.
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
139
descrizione della battaglici e delle feste, per fermarci con
compiacimento
mezzo
addio,
terzine,
sulle
satirico, a
zione nel rivedere
il
nelle
quali
la
sua forte e gloriosa gioventù,
dove palpita
e.
:
fatata dei desi-
Apollo,
che, vedendolo
restare
È
sedere sulla cappa.
gliava di
motivi erano stati da
sti stessi
uno strumento
senza
hipócrìtas me-
qne hien hice
lo
l'umoristica osservazione,
tìnalmente,
suo carattere
il
De
contente ni satis/ice
Undres: nanamente Quise alahanzas de e,
sublimi: o
gì' ispira versi
deri della sua vecchiezza; o dove ci apre (p.
un
sua commo-
la
alla vista di Xapoli, isola
Jamas me
dj-i
mare, quel mare che, ricordandogli
ìk
«
poeta
il
Madrid; o esprime
risposta
in
seggio,
gli
*);
ad
consi-
vero, per altro, che quelui
più volte trattati con
assai più sensibile al suo tocco, con la sua
prosa semplice, vigorosa e arguta.
Per mia parte, non dubito
di affermare
che
poemetto
il
napoletano del Cortese, non solo vince di gran lunga quello
ma
del Caporali,
si
lascia
buon
indietro di un
tratto an-
che l'operetta minore del grandissimo spagnuolo.
Anche
dopo molte delusioni
mina a
una
fare
patite,
Berni e
discorsi e
il
per fuggire
visita al Parnaso. Vi
bene accolto da Apollo il
predecessori,
Cortese, a simiglianza dei suoi
il
e
le corti, si si
reca
deter-
infatti, ò
da alcuni poeti piacevoli come
Caporali, ha occasione d' intrattenersi in vari
di
assistere a vari
spettacoli;
ma
il
desiderio
della sua città natale lo tira con forza irresistibile, ed egli si
accommiata, fornito da Apollo
di
un utilissimo dono, che
per leggerezza perde, commutandolo con un altro più splendido, ma assai meno utile. Il poemetto non presenta stretta
connessione tra
le
singole parti, consta di elementi sva-
fraziona in una serie di episodi scherzosi, satirici e lirici, non tutti di egual valore, ma parecchi graziosi, e taluno veramente poetico. È un capriccio, e ha la riati, e si
forma del capriccio. Chi voglia intenderm- l'indole, deve
DUE ILLUSTRAZIONI AL
140
pensare (tenendo opera del
E
Heine.
il
periodo persino
»
romantico, come l'invenzione
Deutscliland dello
il
Parnaso diventa, in
del
componimento, per essere
il
dia-
d'intonazione popolare, mostra più spiccato quel
parodia letteraria, che
carattere di
come
VIAJE DEL PARNASO
debito conto delle differenze) a qualche
perché
esso, sopportabile, lettale e
«
si
è riconosciuto
solo motivo allora poeticnmente adoperabile di
il
quell'invenzione.
Analizzando sommariamente metto, ne
noteremo, anzitutto,
veramente
tale, e
porali.
È
vari ingredienti del poe-
i
il
concetto critico, ch'è
non già un luogo comune, come nel Ca-
noto che, in
mente del Cortese e poli una letteratura
per opera principal-
quegli anni,
amico
del suo
Basile, sorgeva in
Na-
dialettale, reazione dello spirito locale
del vecchio Regno, e dell'antica città greco-bizantina che
ne era divenuta capitale, contro
la poesia aulica e ufficiale
Toscana ^ Col suo poemetto, il l' ingresso in Parnaso
d'Italia, irradiantesi dalla
Cortese vuole giustificare e celebrare
aggiunge un si
e
A
poesia napoletana.
della
risolve, in sostanza, in
che
il
buon
siffatto
una vigorosa
«
un uomo
di
toscaneggiante e
»
il
contrasto di que-
'-;
in Par-
l'appoggio, che egli trova nel la
fredda commedia
le spiritose facezie della
recente maschera
;
paragone tra
il
seconde
Pulcinella, che tu
sii
la
l'alta
prima
Si veda, in questo voi.,
-
Porto,
il
delle quali
approvazione
benedetto!....
*
uno
;
maravigliano di vedere
si
napoletana del Pulcinella, le
difesa della libertà
barriere convenzionali.
concetto critico le liete accoglienze,
Porto
Borni e nel Caporali
condanna, e
le
dio Apollo fa al Cortese
sto coi poeti toscani, che
naso
si
perché quella giustificazione
indipendenza dell'arte contro
Rispondono a
interesse regionale
questo
altro, più largo,
saggio
I,
».
e. 2.
dei quartieri popolari di Napoli.
provoca
di Apollo:
«
la
O
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
I.
141
L'altro ingrediente consiste in un;! serie di scherzi e di novellette, in parte popolari, in
—
teraria.
Qiial è
non costa niente.
—
dele)? Quella che
non
risposte
parte di derivazione
migliore di tutti
il
Quale è cotta
è
la (e.
i
let-
vini? Quello che
bestia più cruda (cru-
A
II).
queste botte e
accompagnano (e. Y) le etimologie burlesche, bocca alle nove Muse, dei nomi delle monete: tal-
si
poste in
laroni, ducati, tornesi, patacche, carlini, doppie, e via di-
Un
cendo.
altro
motivo popolare, eh' è largamente svolto,
è l'esaltazione della ghiottoneria e dei cibi prelibati di Na-
La descrizione
poli.
del giardino di Apollo (e.
del palazzo delle fate
(e.
I)
e quella
VII) offrono qualcosa di simile
ai
Paesi di Cuccagna. Delle novellette, quella della moglie che tradisce
il
marito alla presenza e sotto
salendo sopra un albero di
gli occhi di questo,
fico (II, 30-41), è
popolare, e
fu gi;\ narrata dal Boccaccio (VII, 9). L'altra, dello spilorcio che, sul si
punto
godere una donna da
di
preoccupa del danno che può averne
lui corteggiata,
la
propria cappa,
donna, è anche narrata, con altre
e perde l'amore della
varianti, da parecchi novellieri. L'elogio delle corna, che
riempie tutto
il
canto quinto, aveva dato luogo a varie
composizioni durante
la
Paradoja de
il
los
Cinquecento; delle quali rioordorò cuernos di Gutierre de Cetina, edita
anno dall'amico Hazailas de la Rua, e il caloor del cuerno di Diego Hurtado de Mendoza.
or è qualche pitolo
En
Di minore interesse sono
che
il
i
simboli scherzosi della galhria,
poeta descrive nel canto quinto, e
Febo, con
le
il
proci-sso
varie decisioni sui vari casi che sono presen-
temi comuni nella Icttcratur.i tempo, benché qui rinnovati e rinfrescati alquanto. tati al
Ma
suo tribunale:
dal popolo
guaggio,
di
il
le facezie e
Cortese non toglieva solanu-ntf i
tratti
di costumi,
si
anche
il
i
<1«I
lin-
pro-
dotti dell'immaginazione, le fiabe e la popolare mitologia
delle fate e degli oggetti fatati. Egli era,
come
si
ì-
drtto,
DUE ILLUSTRAZIONI AL
142
ramico intimo
VIAJE DEL PARNASO
«
»
che nello stesso tempo nar-
di quel Basile,
rava pel primo in Europa (prima assai del francese Perrault),
con schiettezza di
stile,
Di questa predilezione per per
la
popolari.
le fiabe l'
immaginativa popolare
mitologia viva, è tutta colorita l'altra parte, che
e si
può discernere nel suo Viaggio di Parnaso, e che, come in quello del Cervantes, non è la meno attraente: la parte autobiografica. Anzi,
presentano
i
ritrassero
simile
:
potrebbe dire che qualcosa di simile
si
due uomini, quali
caratteri dei
nell'umorismo, nel
scherzoso onde narrano
modo
essi
stessi si
rassegnato e
contrarietà da essi sofferte, nella
le
consolazione che loro provicene dalla propria bonarietà e
mitezza d'animo e dal culto per biografica dell'opera del Cortese
la poesia.
si
La
parte auto-
ha, specialmente, nell'ul-
timo canto; nel quale egli racconta del dono, che Apollo dette nell'accommiatarlo dal Parnaso.
naso e
Ma
Apollo e
il
gli
Par-
pedantesco macchinario della mitolo-
l'artitìzioso e
gia letteraria sono qui, di fatto, aboliti. Ci troviamo nel
mondo, ben diverso, primo canto, per (I,
le
il
della
fiaba
popolare.
Come
già, nel
Cortese trasporta sul Parnaso l'asino, che
vie del ventre mette fuori
i
bei
poemi napoletani
27-8), fratello del notissimo asino che, nelle fiabe,
evacua
fiammanti monete d'oro; cosi immagina, ora, che Apollo doni un tovagliuolo incantato,
gli
sia, offre
il
quale, spiegato che
una mensa riccamente imbandita ^. Il dono che fanno, non già Apollo, ma, per l'appunto,
subito
è di quelli
le fate delle fiabe.
ché, per esso,
E
aveva
il
poeta poteva esserne contento, giac-
bell'e
provveduto
alle necessità
mate-
impunemente » — sembra che il Cortese voglia dire. E, dopo un po' ch'egli è partito di Parnaso, avendo incontrato un giovane che
riali
1
della sua vita.
II
curiti (I,
Ma
«
tovagliuolo e l'asino 1).
non
«
si
è poeti
cacaure
»
;
sono anche nel Canto de
li
CAPORALI, CERVANTES E GIULIO CESARE CORTESE
I.
143
possedeva un altro dono largito dalle fate (per gratitudine
impedimento posto all'uccisione
dell'
una
poi
un
fata), ossia
di
una
ceva sorgere a un tratto un palagio
namora, a mo' suo.
Ed
bambino,
di
lucertola, ch'era
coltello che, piantato in terra, fa-
e
stupendo, se ne in-
s'affretta
a cambiarlo col
eccolo soffrente di nuovo la fame, e fornito di un
oggetto prodigioso, che non
mondo, sperando struirvi sopra
È
ascolto ^
il
di
serve a nulla. Gira pel
gli
un pezzo
ottenere
di
ma
suo mirabile palagio;
terra,
nessuno
da cogli
dà
stato in Ispagna, è stato a Firenze, ha sperato
Lemos, nel
nel conte di
fratello di
don Francesco de
lui
Castro; sempre invano. Udite com'egli vaneggia:
—
un pezzo
di
terra verso
che bel castello vorrei farmi
—
Nel quale
Potessi almeno ]prendere a censo
Capodimonte
!
—
Oh
entrerebbe per un ponte! di
—
mura
E mi
—
Tutto intorno intorno
un
conte.
ma
in qual palazzo poi abiti?
son pazzo
« Si,
che mangi poi?
mi
mi
—
dette
sperto
—
»
—
—
Ad
stare
Alla gente che
ogni bene mi
questo coltello!
E
fa
fa uscire di cervello,
parire pazzo castello.
si
circonderei
»
Ne
—
« Si, Lo vendo, e mangio faccio un altro!.... Ohimè,
!
Questo pensiero mi pensiero
lo
accomoderei dentro, a far vita beata, come
ci
ma
—
—
è
lontano dalla Musa,
—
E
mi vede pensare sempre chiusa la porta:
Cosi accade
la sciorte
dice:
s
A
lo spetale,
-.
mia
Pe fare a quarche parte sto castiello Ma chesca tene ognuno eh' è pazzia,
E
—
o poveriello
;
1
>
(VII, 36).
Macaro
me
potesse cenzoare
Quarcosa nmiero de Capo de monte
Oh che
A
Questo
bello castiello vorria fare,
dove se trasesso pe no ponte!
!
al
mio
Maledetto chi
chi è sciocco
a
cerca miglior pane che di grano
Dovouca vao, tento
—
questo pensiero mi fa ap-
e
ine-
144
DUE ILLUSTRAZIONI AL
Con questa ben
«
VIAJE DEL PARNASO
d'immaginazione po-
riuscita fusione
polare e di lirica individuale chiude
suo Viaggio di Parnaso
E «
sue confessioni e
le
secentista napoletano Cortese.
il
Tutto de ntuorno
lo
vorria murare,
po' starence dintro corame a conte.
Che magne
Po' stale »?
po' »?
Ne
Lo venno.
faccio n'autro...
«
E
a che palazzo
Ohimè, so pazzo.
Sto penziero m'allarga da la Musa,
Chisto scire
me
fa de cellevriello,
E
chisto pe frenetico m'accusa
A
tutte ore
Ad
pensanno a
ogni bene m'è
Mannaggia chi me
sto castiello.
la porta chiusa; (leze sto cortiello!
Cossi va chi è catarchio ed è pacchiano
E
»
cerca meglio pane che de grano. (VII, 40-1).
il
II
Viaggio ideale del Cervantes a Napoli nel 1012
II1 Cervantes, quando compose il T7a/e aveva gli occhi, il desiderio e le speranze
Parnaso.
del
verso
rivolti
Napoli In questa città
Lemos, insieme con
gli
letteraria spagnuola
marchese
scambi tra
Fu
e
]\Ianso,
tempo, dal
l'accademia degli
due nazioni
promosse
e
adempiendo un disequando
;
sulla fine del secolo precedente,
illustrata già dal Pellicer, Ensayo de una hibliotheca de tra-
ductores espanoles ^Madrid, 1778)
203 sgg., 479; J.
;
M. Asensio, El
cfr.
Baurera, Cafdlogo, pp.
conde di Lemos
24, 128-9,
de Cervantes
j^i'oleclor
(Madrid, 1880); E. Cotarelo, El conde de Villamediana ^Madrid, e.
gora bramava
di seguire
netti,
che cominciano:
liricos
de Si
los siylos
veda
il
Lemos I,
se
si
lS8b;,
va v Napóles
»
il
(in Puetas
pp. 443, 457, cfr. 442\
D'Alessandro, Academùe ac Ociosorum Ulri III
Riccio, Cenno delle accad. (in Arch.
V, pp. 147-158;
;
stor.
per
le
C. Padiglione, Le leggi dell'accademia degli
Oziosi (Napoli, Giannini, 1878); e
Nazion. di Napoli.
in Napoli:
El conde mi senor
y XVII,
libro del
(1613); e cfr. Mikieki 2}rov. nap.,
«
XVI
il
Anche
Gónvedano due suoi so-
3; Croce, Teatri di Napoli (Napoli, 1891), pp. 88-93.
2
di
con un'intera colonia
fu fondata, in quel
due letterature
gno invano tentato
1
Qui
'.
letterati delle
i
le
Argensolas
Giambattista
di Villa,
Oziosi, che riunì gli
era recato, nel giugno 1610, in qua-
si
don Fedro Fernandez de Castro, conte
di viceré
lità
il
ms. citato, XIII. G. 82, della Bibl.
DUE ILLUSTRAZIONI AL
146
marchese
il
»
San Lucido, Ferrante Carafa, nel 1583, sotto di Ossuna (primo di questo nome, tra
di
governo del duca
il i
VIAJE DEL PARNASO
«
viceré di Napoli) aveva proposto l'istituzione di un'acca-
demia dei
Sereni Ardenti di Cristo e di Maria, dell'Au-
«
stria e dei Gironi
per
»,
si
mezzo mezzo
come
lettere
delle
armi
delle
unire (egli diceva) queste due
«
conformi in tutte
famosissime Esperie,
Per intendere
».
le
prima volta
la
loro azioni, col
unirono col
si
curioso titolo dell'ac-
il
cademia, disegnata dal San Lucido, bisogna sapere che Sereni e
Ardenti erano state
gli
le
Toledo per sospetto
nistiche, sciolte dal viceré Pietro di
conciliaboli ereticali e antispagnuoli
a ripristinare a Napoli quelle
poco come, circa fipìritìtali e
lo stesso
tempo,
del Cinquecento
erano
poco letterati; e
lo stesso
in
stati,
vollero correggere
vecchi nomi, press'
i
elaboravano
si
Boccacci morali. Del resto,
i
di
cosicché, nel pensare
;
societc'i, si
cattolicamente e spagnolescamente
i
ultime accademie uma-
i
Petrarca
viceré spagnuoli
i
genere, molto militari e
marchese
San Lucido racconta uno dei
di
che, essendosi recato con alcuni gentiluomini da
predecessori (del quale tace dergli
es
permesso
il
ascoltata
di
»
fondare un'
;
la richiesta,
so ^ ila, in séguito, le cose
anche
nome) «
dell'
domandò:
mutarono.
di frequente letterati spagnuoli
nel 1607, c'era Guillcn
navente ebbe
Ossuna, a chie-
accademia
quegli,
»,
Bien. ^ Qué onde quei bravi letterati restarono di sas-
gravemente
académia?
il
uflicio di
:
A
«
Napoli vennero
prima del Lemos,
de Castro, che dal conte di Begovernatore
della
terra di
Sci-
gliano in Calabria-; dopo del Lemos, col secondo duca di
1
Doc. in appendice al Guerra, Giomali, ed.
Montemaj'or, pp.
183-5. 2
1606-8,
Doc. nell'Arch. di Stato di Napoli, f.
99
B.
;
cfr.
Officior.
Mérimée, in Eevue hispanique,
Collaterale, voi. II, I (1894),
p.
84.
VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL
II.
Ossuna, vi sogg-iornò a lungo
Lemos,
si
Quevedo
il
stamparono anche a Napoli
'.
Al
1(>12
147
tempo
del
parecclii
notevoli
spagnuoli. Giircia de Barrionuevo pubblicò nel 1616
libri
un Panegirico
Lemos, in latino, in un gran volume, che è accompagnato dalle piante e vedute degli edilizi fatti del
costruire in Napoli da quel viceré; Fedro Ceron, un Tra-
tado de la musica theorica y practica, e il frate Damian Alvarez, una traduzione delle Lagrime di San Pietro del Tansillo, entrambi nel 1613; l'editore Roncagliolo,
y Fuenllana
Roseli
il
e,
in quello stesso anno, per
madrileno sergente maggiore Diego
Primera parte de varias aplicaciones
la
y transformaciones, las quales tirictan términos cortesanos, militar, y cosas de Estado, en prosa g verso, con nuevos hieroglificos y algunos punfos morales Innanzi al volume, si leggeva un sonetto del Cervantes all'iiutore.
practica
'-.
Non sembra,
per altro, che, in quell'anno 1612,
vantes fosse molto noto in
1
di
si
a scoprire
le
relazione con
Manriquez (Caterina,
nome
doveva portare
Ispagna
in
mila ducati, ricevendone
Roma
il Quevedo, per mezzo una cortigiana, giungesse
per informare
di
«
il
«
donativo
>
lui per tal ufficio
il
amante
poi
di
s.
I,
voi.
Filippo IV, e
Reginella »}; nel marzo 1617, di
un milione
IX, pp. 487-9,
505, 508).
il
e
Quevedo dugento-
ottomila; nell'aprile,
papa circa l'invio
di galeoni che
aveva fatto nel mare dei veneziani (Zazzera, Giornali, italiano,
monogra-
traggono dallo Zaz-
malie e stregonerie, macchinate contro l'Ossuna dalla
e figliuola
nota a Napoli col
a
si
narra a lungo come
un suo parente che aveva
madre
raccolte nella
lui, e
Mérimée, sono da aggiungere quelle che
zera; dove (ottobre 1616)
spagnuoli.
Italia, fuori dei circoli
Alle notizie già conosciute intorno a
fia del
Cer-
il
Un
si
recò
l'Ossuna
nell'^4rc/i. stor.
breve di Urbano Vili a
favore del Quevedo fu edito da F. Eyssenhardt, Mittheil. aus der StadtBibliothek zu Haviburg (voi. 2
Di questo
libro fa
I,
1884).
menzione Lope de Veoa
nelle novelle:
«
Don
Diego Roseli y Fuenllana, un caballero que se llamaca alfcrez de las partes de Espana, y que imprimió en Napoles un libro de Aplicacionea, que no deberia estar sin él niìigun hipocondriaco
»
DUE ILLUSTRAZIONI AL
148
Don
Della traduzione del
«
»
Lorenzo Franciosini,
Quijote, di
prima parte usci nel 1622,
la
VIAJE DEL PARNASO
seconda nel 1625; quella
la
dovuta a un francese, Guglielmo Alessandro
delle Novelas,
de Novilieri Clavelli, è del 1626, e dello stesso anno
la tra-
duzione del Pérsiles di Francesco Ellio: segui, l'anno dopo, un'altra versione delie novelle, di Donato Fontana (Milano, 1627).
La prima menzione
Don
italiana del
Quijote, a
me
nota, è quella del Tassoni nella Secchia rapita (scritta nel 1615,
ma
Culag-na,
pubblicata nel 1622), dove
noverando
i
Quel Don Chisotto in armi Principe
Generò
il
burlesco conte di
propri antenati, dice: sovrano.
si
deg'li erranti e degli eroi,
di straniera inclita
Don Flegetonte
il
bel,
madre
che fa mio padre. (IX, 72).
E, negli apparecchi del duello con Titta, fra coloro che
accompagnano
il
conte di Culagna recandogli
i
vari pezzi
dell'armatura, è anche chi porta
Il
il brando fino. brando famosissimo e perfetto
Di Don Chisotto (XI, 33).
Una menzione
esplicita
dell'eifetto
satirico
del
Don
Quijote s'incontra poi, a mia notizia, per la prima volta nei
dialoghi II forastiei'o
del
letterato
napoletano Giulio
Cesare Capaccio; dove, discorrendosi dell' importanza della storia e dei si
osserva:
«
«
signori che se la fan coi libri di cavalleria
È
leggono l'istoria maestra della vita, so che possa sapere
corse nel di ciò
mondo
un che non
in tanti
ma
l'aborriscono.
Cavaliero della
Non
sa le cose universali, oc-
eventi che soli ponno istruirci
che desideriamo. Basta che perdano
baie del
»
gran mancamento questo che, non solo non
Croce.
il
tempo con
le
Sia benedetto D. Chi-
VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL
II.
bciotte de la Mag'na, che (li
si. burla
cosi gentilmente
chi fu autore di quelle scritture!
Tornando
al
Viaje
il
'.
come abbiamo
del desiderio, che,
Cervantes, di
raggiungere Napoli per
Lemos. Quando,
sul vascello di Mercurio,
detto, riscaldava
vivere presso
»
Parnaso, anche quest'opera è
del
tutta piena e fremente
140
IGl'J
il
egli passa dinanzi alla bella Partenope,
si
è giù. udito con
quali accenti ne parli. [Mercurio lo invita allora a scendere
a terra per recare un'ambasciata ai il
fratelli
Argensolas; e
poeta prorompe in lamenti contro questi due amici, che
lo hanno dimenticato. Nel dare la battaglia, Apollo si vale come arme delle composizioni degli Argensolas. Ottenutasi la vittoria, nella
distribuzione dei premi, delle
rone
mas
tre, « de las
Ma
quell'aspirazione, che fu l'ultima della sua vita,
ceve più vivace espressione sulla Il
nove
co-
sono mandate a Partenope.
bellas >,
fine del
ri-
poema.
poeta immagina di cadere, per opera di Morfeo,
un profondo sonno. Quando intorno,
«
parecióme
»,
si
in
sveglia, e gira lo sguardo
egli dice:
Verme en medio de una ciudad famosa.
G. C. Capaccio,
1
Il forastiero,
del 1630), p. 279. [Con
nuove
dialogi (Napoli, 1634: la dedica è
ricerche, discorre
ampiamente
della For-
tuna del Cervantes in Italia nel Seicento Eugenio Mele, negli Studi di lologia
Don
moderna
Quijole
(II,
fi-
1909, pp. 229-255), in cui sono raccolti accenni al
da opere del bolognese Adriano Banchieri
(1627), di
Carlo
Dottori (1652), di Antonio Santacroce (1653), dell'Aprosio (1658\ e di altri. Una « breve e pallida imitazione • della novella del « Curioso indiscreto
»
notò nella Roccella espugnata
(1630), di
Francesco Bracciolini,
M. Barbi, Notizia della vita e delle opere di F. B. (Firenze, Sansoni, 1897, p. 127). Aggiungo altresì che, nel Seicento, si trova già, in Italia, il verbo
«
chisciotteggiare
»
:
Quando
Antonio Muscettola,
cfr.
Epistole familiari
Penso, e più volte a ripensar ritorno, noi, per pescar Monsurri insani, Chisciotteggiamrao a
(Napoli, Bulifon, 1678, p. 24):
tant' arbusti intorno
>].
.
DUE ILLUSTRAZIONI AL
150
Vince
lo
VIAJE DEL PARNASO
«
stupore, guarda e riguarda:
Y
mi mismo
dijenie à
:
«
No me engano
Està ciudad es Nàpoles la ilustre, Que yo pisé sus ruas mas de un ano
Questo bre 1572
e vi era
*,
per seguire don Tunisi
pagnia
ancora
di
'alino seguente, e di qui
l
Lope de Figueroa
i
;
^.
moti di quella repubblica, tornò a Napoli
1575, quando, imbarcatosi per la col fratello Rodrigo, in
mano
il
soccorso della
il
Goletta, ritornando nell'ottobre. Qui (salvo
lermo nel novembre*), rimase ancora
A
di
ma nel febbraio e marzo del Dopo un'escursione a Genova
24 agosto, col Figueroa, e ne riparti per
il
mosse
passò poi in Sai^degna con la com-
1574 era di nuovo in Napoli
per pacificare
il
26 otto-
il
Giovanni d'Austria nella spedizione
Da Palermo
-.
1572 e
il
Cervantes giunse a Napoli
il
:
».
soggiorno ebbe luogo tra
effettivo
sa che
1575. Si
»
una gita
fino al 20
a Pa-
settembre
Spagna, cadde, insieme
dei corsari.
prestare fede ad alcuni documenti, editi dal Conforti
^,
Cervantes sarebbe stato a Napoli già nel 1571 e avrebbe
avuto un piccolo impiego presso terale,
Ma, venuto
il
Regio Consiglio Colla-
in sospetto intorno a essi
ed essendomi
recato a verificarne gli originali nell'Archivio di Stato di Napoli, ho trovato che tre di essi riguardano
1
Navariiete, Vita de Cervantes (Madrid, 1819),
2
Si
veda VEpistola poetica
al
un
tal
Mi-
p. 294.
Vàzquez, segretario
di
Filippo
II
(ed. Cotarelo, p. 17). 2
Navarrete, op.
^
Perez Pastor, Doann.
^
Luigi Conforti, I napoletani a Lepanto, ricerche storiche (Napoli,
1886), e.
5.
La
cit.,
p. 295.
cervant,, nn. II, VII.
notizia del Conforti
la bataille de
Lépante (Parigi, 1888,
ritrova nel Fitzmaurice-Kelly,
si
Life of Cervantes, e nel Juriex de la
Gravière, La guerre de Chipre
II,
p. 217).
et
VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL 1G12 lól
II.
chele Cerdaiit, ch'era portatore di
con
mazza
mese;
lo stipendio di tre ducati al
del
e
Collaterale,
quarto un Ro-
il
drigo de Cervantes, che riceveva quattro ducati
al
mese
per ordine dato dal duca d'Alba e che non sembra fosse
l'omonimo
fratello del poeta
con qualche diligenza
Soggiungo che ho percorso
*.
volumi delle Cedole di
i
dell'Archivio di Xapoli dal 1571 nelle
lunghe serie
tesoreria
senza incontrare,
di soldati spagnuoli, quello, glo-
Michele Cervantes.
rioso, di
soggiorno d'Italia aveva lasciato molte tracce nella
11
memoria
del Cervantes. Ma, restringendomi a ciò che
ri-
nome
di
guarda Napoli, «
nomi
di
al 1575,
Xisida
»,
ricoi'derò nella Galatea
(1.
il
nativa di Xapoli, eh' è suggerito dalla vaga
ficata dai poeti napoletani
V
Quattro
del
e
Cinquecento; e
quello del vecchio e savio
e VI,
iso-
variamente personi-
letta presso Posilipo, tanto celebrata e
nei libri
II)
Telesio
«
»,
suggerito, per quel che sembra, dalla fama del filosofo co-
Don
sentino Bernardino
Telesio. Nel
del capraio
Napoli è detta
1
Me
«
51),
(I,
allieta
ho potuto rendere
il
pensiero 'scrive
memoria
alla
menti che attestano
mas
Conforti) che
di tanto scrittore,
rica
un
luglio 1572.
«
;/
lieve
mas
omaggio
«
(!). 11
3fi7
delle
primo
A M. de Cervantes
2 sono com. pag.si per sua prov.ne del mese di settembre 1571
Esso è tratto dal voi.
vi-
pubblicando docu-
valore e la nobiltà del suo animo
il
doc. è dal Conforti riferito cosi: tt.
il
Quijote, nel racconto
« la
•
,
d. 4
ecc.
Cedole di tesoreria, a. 1572, parte III.
giugno 1572: e dice invece: « A B.co de Cervantes d. 4 tt. 2 si sono comandati pagar per sua provvisione » ecc. Dal confronto col voi. 376, anno 1574, f. 625 risulta chiaro che si tratta di un « Rodof.
569,
,
rico o
Rodrigo
.
.
voi. cit.,
f.
519
b.,
240-1, 294; cfr. voi. 363, a. 1571,
f.
241
b.)
Negli altri docc. (che
voi. 365, a. 1572, parte II,
ff.
è scritto con adorabile chiarezza: riosità si
che nel voi. 372,
legge
il
compagnia
nome
di
un
a. «
1573
(f.
«
si
trovano nel
Michele Cerdant
471
b.),
••
Noto per cu-
e voi. 376, a. 1574 J. 589),
Giulio Cesare de Cervantes
•,
ch'era della
Trevico. dei cavalleggeri di Cecco Loffredo, marchese di
DUE ILLUSTRAZIONI AL
152
«
VIAJE DEL PARNASO
dosa ciudad que hahia en todo anche
(II,
17),
mundo
»
\ Ivi
s'incontra notizia della leggenda del Pe-
sce Niccolò, che
ma
universo
el
»
poeta potè trovare nei
il
libri del Mejia,
che probabilmente senti raccontare a Messina, donde
dove ha un monumento nel
è originaria, o a Napoli,
detto bassorilievo di Orione^. Si
quattro damigelle insaponarono la faccia dell'eroe Zina redonda pella de
pone per
la
jabón napolitano
altri,
il
(IV, 7, 13).
povero soldato in novelle,
La
Ma
Italia, si
i
de
enganos de
trovano specialmente nelle due
fuerza de la sangre, ed El licenciado Vidriera.
ndbale bien aquel: Ecco et salcicce, coìi otros se
los
los filos
ricordi della vita del poeta,
Nella prima, di Rodolfo, che va in Italia,
dados
tìo-
homhre acuchiUador,
«
cuya hacienda Vibrava en
su espada, en la agilidad de sus manos y en »
32); quel sa-
(II,
^.
bravaccio e-ruffiano,
irnpaciente, facinoroso,
HipóUta...
le
con
Nel Férsiles y Sigismunda è, personaggio di un Pirro, calabrese, cava-
rente, della città di Napoli tra gli
»
«
barba, eh' è antica industria, ancora oggi
liere d'industria,
cosi
rammenterà anche che
li
si
dice:
«
So-
buoni polastri, piccioni, presutti
nombres deste jaez, de quien
los sol-
acuerdan citando de aquellas partes vienen a
éstas,
y pasan por la estrecheza é incomodìdades de las ventas y mesones de Espaha ». Nella seconda, sono altri ricordi
1
«
Sancho 2
La Trinidad de Gaeta (II,
»
x'isuona più volte nelle esclamazioni di
22, 41).
Sulla leggenda di Niccolò Pesce e un'antica storia popolare spa-
gnuola,
si
veda un mio scritto nella rivista
Napoli
:
V,
nobiliss. (voi.
1896, fase. 5, 6, 9). 3
Nel Don Quijote
(II,
60) si parla di
mujer del Regente de la Vicaria de Ndpoles si
»
«
.
dona Gtijomar de
Un
QuifioneSf
reggente Quinones non
trova notato nel libro di N. Toppi, Catalogus cunctorum regentiimi
judicum Magnai Curici
Vicarici;
(Napoli, 1666);
ma,
forse,
il
cognome
dicato dal Cervantes era quello della famiglia della moglie.
et
in-
II.
VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL
Iti
12
153
delle osterie italiane \ e delle bellezze delle principali città d'Italia. Napoli vi è detta:
han
fodos cuantos la todo
mundo
el
visto,
«
ciiidad a su parecer, y al de
la
mejor de Europa, y aun de
».
Con questi
concordano
elogi,
le
due enfatiche terzine,
che seguono,- nel Viaje del Parnaso, a quella che abbiamo riferita di sopra:
De Italia gloria y aun del mundo lustre, Pues de cuantas ciudades él encierra, Ninguna puede haber que asi le ilustre; la paz, dura en la guerra, abundancia y la nobleza
Apacible en
Madre de
De
Ma
la
campos y agradable
eli'seos
poeta non riconosce, ora,
il
Che cosa
la
Sierra.
Napoli di una volta.
dunque, accaduto?
è,
Si
vaguidos no tengo de cabeza,
Paréceme que està mudada en parte De sitio, aunque en aumento de belleza. i Qué teatro es aquel. donde reparte Con él cuanto contiene de hermosura
La
Porque
el
suefio en
este es edificio
Que excede
a toda
Per fortuna, s'imbatte torio, «
«
y arte? mis palpebras dura, imaginado
gala, la grandeza, industria
Sin duda
mancebo en
Promontorio
»
humana compostura.
un amico,
in
di
gran soldado
dias, pero
nomo Promon». II
cognome
ma
di questo
esiste nell'Italia meridionale;
giovane soldato non ho potuto trovare alcun ricordo, benché abbia fatto in proposito parecchie ricerche. Del resto,
1
Nella trad.
ital.
sopra citata
(p.
19ó; si
può trovare una buona
rettificazione delle parole italiane, e dei vini italiani, che tes
mentova.
le altre cose,
Si «
veda anche la
il
Don
Qinjote
temerà de Sorrento
>
II,
49\ dove
si
il
Cervan-
ricorda, tra
DUE ILLUSTRAZIONI AL
154 le
«
VIAJE DEL PARNASO
»
sue relazioni col Cervantes costituiscono un piccolo enim-
ma, come appare da questa terzina
:
Llamóme padre, y yo llaméle liijo; Quedó con esto la verdad en punto, Que aqui puede llamarse punto fìjo ^ L'amico
fa
maraviglie nel ritrovarlo, vecchio, cosi
le
lontano dal proprio paese:
En mis
lioras tan frescas
Està tierra habité,
liijo
Con fuerzas mas briosas y Pero Digo,
A Ma
i
y tempranas
(le dije),
lozanas.
voluntad que a lodos rige, querer del cielo, me ha traido
la
el
parte que
me
alegra
mas que
loro discorsi sono interrotti
aflige.
suoni delle
dai
siche della festa, e Promontorio spiega di che cosa
Quella festa è un gran torneo, che
si
celebra in Napoli per
l'annunzio delle alleanze matrimoniali tra
Spagna
mu-
si tratti.
le
case reali di
e di Francia.
Di questa festa
aveva
Cervantes
il
notizia, com'egli
una relazione in prosa dovuta a uno spagnuolo, Juan de Oquina; e il Cotarelo, di recente, ne ha dato alcuni cenni, cavati da un manoscritto di un Miguel Diez de Aux'. Ma i cronisti e storici stesso
1
dice nei versi
Nella forma,
coi quali si
potrebbe trovare qui una reminiscenza dei versi,
si
chiude
seguenti, da
la
prima parte
Io pur verso la
del
cima
Viaggio del Caporali:
me
ne giva,
AUor che da una virgola fui giunto, Che mi giurò persona fuggitiva, E mi fé ritener da un piccol punto. 2
Cotarelo, op.
cit.,
pp. 40-1. Il ms. del Diez de
ded. al viceré duca d'Alba:
cfr.
Gallardo, Ensayo,
Aux
è del 1622,
II, p. 802.
II.
VIAGGIO IDEALE DEI. CERVANTES A NAPOLI NEL
l(;i2
155
napoletani del tempo ne sono pieni K E, quantunque a
non
sia stato possibile rinvenire lo scritto del
^che neanche
il
Gallardo conosce), ho trovato un opuscolo
che ne tiene ampiamente
italiano,
me De Oquina
il
luogo. L'opuscolo s'in-
titola: Descrittione del sontuoso torneo fatto nella fidelissimn città di
le
MDCXII,
Napoli l'anno
per allegrezza
altre feste
con la relazione di molte
delti regii
potentissime corone Spagna
accasamenti seguiti fra
Francia. In questa seconda
e
impressione augumentata di molte cose
e
corretta di diversi
Francesco Valentini anconitano,
errori, raccolta dal dottor
accademico Eccentrico, dedicata a donna Caterina de Sandoval contessa di Lemos, viceregina del regno di Napoli
porge
e ci
il
modo
di notare
;
due piccoli errori (uno dei
quali assai curioso) della descrizione, verseggiata dal Cer-
vantes.
La data
di quel torneo fu
13
il
maggio 1612.
soluto che con ogni solennità possibile
si
Fu
«
ri-
dovesse rappre-
sentare una barriera di i^icca e stocco alla sbarra sopra graciosissiina querela, eira suo luogo sarà registrata, con li
capitoli, della
quale volse essere mantenitore
signor
il
D. Gio. de Tassis conte di Villa Mediana, cavaliere spa-
gnuolo
il
più generoso che imaginar
oltre
ventiduemila ducati
alle altre notizie,
che
si
possa
Il
».
conte
questa occasione, come manteni-
di Villaraediana spese in
tore,
si
:
il
che è da aggiungere
hanno, della vita di
lui
galante e
fastosa. Il
mio dotto amico Cotarelo, nel suo
bel libro sul
17/-
lamediana, ha discorso degli anni che Giovanni de Tasis passò in Italia e a Napoli, dove appartenne altresì all'ac-
cademia degli Oziosi. Tra
1
Guerra, Giornali, pp. In Napoli, per
Grio.
carte di questa
accademia,
87-8: Capaccio, Forasliero, p. 351
Teatro dei viceré 'Napoli, 1875), "
le
I,
p. 415.
.Iacono Caiiino, 1612, di pp. 48.
;
Paukino,
DUE ILLUSTRAZIONI AL
156
«
VIAJE DEL PARNASO
»
legge un sonetto del Tasis, diretto a Giambattista Manso,
«i
Scusa di passione ostinata, che voglio
col titolo:
riferire,
perché fu poi stampato con molte varianti:
De enganniosas quimeras alimento La preteusioii de un fin de van deseo, Qua me obliga a seguir lo que no creo Y me haze creer lo que mas siento. No es capaz mi locura de escarmiento, Antes eu el estado en que me veo Vencida la racon del devaneo Cobra mi desatino nuevo aliente. Cerrados ya los ojos del discurso, Incapaz de la luz del desengauno, Solo la voluntad llevo por guia.
Y
la
misma que
desdicha
su curso,
Manso, hizo en la costumbre de està danno
Por honra tiene j a
que es porfia ^
Villamediana tolse seco quattro compagni, e insieme
Il
pubblicarono marzo, con «
Io
loro cartello, in ispagnuolo, in data del 4
il
condizioni e
le
i
premi del torneo, firmandosi:
Los cavalleros del Palacio encantado de Atlante de Carena
mano
17 aprile, fa posta
Il
Consisteva questa in un
«
al
monte
-».
teatro e alla macchina. altissimo, di palmi
ses-
santa e largo nella pianta palmi cinquanta, orrido e alpe-
sommità era il sontuoso palazzo d'Atlante forma e nell'istessa fattura che
nella cui
stre,
incantatore, nell'istessa
descrive nel suo Furioso, nel quale
l'Ariosto lo
Ms.
1
del
de
cit.,
48.
f.
Villamediana
(2.*
MDCXXXV,
vida esperanqa
y
pania
il
B.o dei Sonetos
desco
",
:
V. 12.
Por
dano.
amorosos, inclusi nelle Ohras
ya no
Eccone
le
principali varianti: v.
2.
v. 6. Antes de la itmion con que peleo
veo
C'en^ados pues los ojos y
inutil en el
vede-
impression, Madrid, por Maria de Quinones, ano
pp. 105-6). el
spensamente absorto V. 9.
È
si
costumbre
;
v. 8. Sino la ceguedad del vano
el
los
:
La
atre-
v. 7. 5;^intento
;
discurso] v. 11. -Bn los peligros hallo coni-
yerros hacen curso
:
v. 13.
Y la constancia
II.
VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL 161 2 157
vano selve
e
eaverne d'immensa grandezza
commessa
stata
».
L'opera era
dal Villamediana a Giulio Cesare Fontana,
Domenico
figliuolo del celebre
e successore di lui nella ca-
rica di architetto regio e ingegnere maggiore del di Napoli,
Lemos
il
quale diresse
molti edifici
i
Regno
elevare dal
fatti
nella città di Xapoli. Dieci anni dopo, nel 1622,
Fontana veniva chiamato
ad Aranjuez
diana per costruire
dove fu recitata
il
Ispagna dallo stesso Villame-
in
la macchina del teatro, Niquea del gentiluomo poeta,
la Gloria de
innamorato allora di quella regina Isabella,
zamento aveva celebrato
cui
il
fidan-
col torneo di Napoli ^
Il Cervantes nomina ed elogia i quattro mantenitori, compagni del Villamediana. Il primo di essi era lo stesso viceré, conte di Lemos. Il secondo, il duca di Nocera:
El duque de Xocera, luz j guia Del arte militar
Ho
consultato le due prime edizioni del
trambe è stampato proprio Ora, qui
si
ha un
cosi: « el
Vicije,
e in en-
duque de Nocera
dire se fosse fatto dal Cervantes, o dalla sua fonte,
Oquina. La relazione italiana chiaramente, che fu un di gentilissime maniere,
suo corpo anco
«
duca della Xocara
la
dice »
:
«
il
De
invece,
cavaliere
quale ha con la dispostezza del
il
congiunta
core, e la forza e
del Valentini
>•.
non saprei
curiosissimo scambio, che
la
generosità dell'animo e del
destrezza della
mano, talmente che
in ogni cavalleresca azione, e particolarmente nel torneare,
ha merito esquisito lamente scolo, si stinta,
1
il
nome
».
E, a togliere ogni
dubbio, non so-
è ripetuto più volte, ma, nello stesso opu-
nomina, anche più
volte,
che prese diversa parte
Sul Fontana in Ispagna,
si
(e
come persona non
di
affatto di-
mantenitore) nel
veda Cotarelo, op.
cit.,
pp. 112 sgg.
DUE ILLUSTRAZIONI AL
158
torneo,
il
duca
«
VIAJE DEL PARNASO
duca della Nocara
di Nocera. Ora,
»
(terra in
un gioviuno sjjortman, che non meritava punto di
Calabria) era un Donato Antonio
notto allegro,
essere chiamato, nientemeno,
Questo elogio poteva,
«
in certo
di
Loffredo
luz y guia del arte militar
modo, convenire
Nocera, Francesco Carafa, valente soldato;
avere comandato
la
^,
il
al
quale, dopo
Lombardia
cavalleria napoletana in
».
duca di e
nelle Fiandre, ed essere stato capitano generale dell'eser-
spagnuolo in Guipuzcoa
cito
gona,
fini
e gettato in prigione,
I,
e in
Catalogna
e viceré
d'Ara-
male, accusato e processato pel rovescio di Valls,
dove mori nel 1642-. Lo scambio,
1
Guerra,
•
Biografia in Filamoxdo,
pp. 256-70.
Giornali, p. 164.
Cfr.
Giornali, ed. cit.,
Il genio bellicoso della nobiltà napoletana,
anche Capecelatro, Annali, pp. pp. 484, 519. Al tempo del Lemos,
77, 153;
Zazzera,
egli fu costretto a
fuggire da Napoli per avere contratto matrimonio con la figliuola del
duca di Monteleone contro
ma
volontà del padre di
la
Ossuna
lei
e la proibizione
Guerra, p. 94, duca di Nocera fu anche degli Oziosi e scriveva versi spagnuoli. Nel mio opuscolo: La liuQua spagnuola in Italia (Roma, Loescher, 1895, p. B8), ho pubblicato del viceré;
fu poi carezzato assai dall'
e G. B. Basile,
Ode, Napoli, 1627, pp. 118-121).
un suo sonetto spagnuolo. Un f.
51), è
altro,
(cfr.
Il
anche diretto
al
questo: Temo, JlANSO, ea miiar mi atrevimieato,
Teme
la
Pierde
osada bazana
mi
flaca
la
calda
piuma en
Del sacro monte
el
animo,
la
el alieuto.
Ansi à sus faldas ya quedar
Y
si
;
suvida
la siento
;
en tus grandes alas escondida
Amparajja no buela y defendida,
Tendrà de Ycaro
el fin
mi pensamiento.
Dale brios que se onsalze en Elicona,
Y
que escriba
el
valor tan soberano
De aquella que idolatra el alma mia Que trocaré el temer en osadia, Sera el alto camino dulze y llano,
Y
quizà rao ornare, verde corona.
;
Manso
(ms.
cit.>
II.
VIAGGIO IDEALE DEL CERVANTES A NAPOLI NEL 1012 159
commesso
dal Cervantes, o dal
conosceva in Spagna nosciato
il
terzo
Il
De Oquina,
si
spie^^fa.
duca della Xocara? Ma era ben generale duca di Xocera. il
compagno
Villamediana fu
del
«
Chi co-
de Santelmo
fliei-te castellano ». Era costui lo spagnuolo Anto'ìio de Mendoza, del Consiglio di stato di S. M. e castellano della
el
Elmo
fortezza di S.
'.
L'ultimo giostratore è menzionato cosi: Es
Euea,
oti'o
el
Trovano
(Arrociolo que gana en ser valiente
Al que fue verdadero) por
Ma
Arrociolo
«
»
mano.
la
patente sbaglio di trascrizione, o
è
(che è più probabile) di stampa, per
Caracciolo
«
di antica e illustre famiglia patrizia napoletana.
che
tini fa sapere, infatti,
tratta di
si
«
», 11
nome Valen-
don Troiano Ca-
racciolo, cavaliere di agilissima vita, di meriti singulari e di
molta stima,
per
il
si
per
valore della sua persona e per
regnano in la parentesi
lui ».
nata
sua famiglia, come
la nobiltà della
le
regie maniere che
Onde
la lezione della terzina,
dcillo
scambio
modo
da rettificare a questo Es
C
col
togliendo
manoscritto, è
del
:
otre Enea, el
Trovano
Caracciolo, que gana en ser valiente
Al que fue verdadero, por
la
mano.
Queste osservazioni non saranno forse inutili a chi vorr;\ curare un'edizione annotata del Viaje del Parnasn -.
1
Lorenzo Salazar,
-
Per
Cantellani di S. Elmo, su
ilocum. ineJ.
Na-
pp. 13-14.
poli, 1895),
le edizz. e trailuzz.
che accompagna Top.
cfr. la Bibliografia
nella quale
anche
francese, inglese e olandese} del Viaje,
è
notato
un
tlemans Magazine del 1880, che
cit.
del FiTZMAL-iiicE-KELt.Y
articolo sul Viaje dei
Farnaw,
non ho potuto consultare.
;
nel Gen-
Ili
1
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO E IL GUSTO SPAGXUOLO
Dalla rivista Flegrea di Napoli,
a.
I,
1899. voi.
I,
fase. 2.
L
Seicento
.1
offre,
gran numero,
in
trattati, prontuari,
concetti predicabili, cioè di quei concetti clie oratori di quel tempo mettevano in opera. Ignoro
selve di i
sacri
se
termine
il
«
concetto predicabile
gergo dei predicatori, e quale ne
Ma
qui importa
soltanto
sia
viva ancora nel
»
significato odierno.
il
quello che esso aveva allora, e
che potrà essere prontamente chiarito col ricorrere ad
al-
cuni esempì.
Supponiamo che un predicatore avesse dovuto svolgere una delle seguenti quattro proposizioni, o temi di prediche:
1. «
Iddio fece nascere
Salvatore,
il
malizia era pervenuta all'estremo è
;
2.
più grave della parola contumeliosa
del è
»
mondo sono
afflizioni »
;
4.
«
li
«
quando L'umana Nessuna offesa
»
3.
;
«
motivo efficacissimo per indurre a penitenza
avrebbe potuto dimostrare
la
piaceri
I
pensiero della morte ».
—
Egli,
prima proposizione per via
speculativa, deducendo (parliamo sempre a mo' d'esempio) dal fatto della caduta la necessità della coincidenza tra
punto massimo della corruttela del genere umano e nuta
di Cristo
redentore;
che, descrivendo le vigilia della nascita la
tristi
di
ovvero giovarsi condizioni del
il
prove
il
ve-
stori-
antico alla
Gesù. Avrelibe potuto dimostrare
seconda con ottimi argomenti di
ché
di
mondo
la
bene maggiore dell'uomo
filosofia
morale; giac-
è l'onore, e le parole elio
offendono l'onore fanno più danno che non
le
offese m-l
164
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
I
corpo
La mobilità
nei beni.
delle passioni,
passo dalla voluttà alla noia e
al
il
dolore, gli
facile tra-
avrebbej'o
fornito osservazioni psicologiche per fondare la terza tesi.
E
modo onde le nostre azioni si colorano, o scolorano all'evocata immagine della morte, sarebbe stato il punto il
da approfondire per mostrare
la verità della
quarta.
Ma, se avesse adoperato questi o simili procedimenti, quel predicatore non avrebbe fatto, secondo le idee del
tempo, concetti predicabili.
correvano ragioni sode nere delle precedenti. croni dell'argomento è chiaro (scrive) che
Uno è,
A
formare
i
quali
che sembrassero
(o
fra
i
su questo punto, esplicito:
né un
un sacro
nale ragion teologica, né gliono
comunemente
Egli
«
testo letterale dell'Evangelo,
scrittore,
un
del ge-
principali trattatisti sin-
né una nuda istoria del Vecchio Testamento, né plice autorità di
non oc-
tali),
né una soda e
articolo
passar sotto
il
di
la
sem-
dottri-
San Tomaso,
nome
so-
di tai concetti,
meno una fìlosotìca sottilità, né una piana ed evidente ragion morale, né un esempio quantunque meraviglioso, né una profana erudizione quantunque curiosissima, si chiamerà concetto predicabile apfavoriti dal popolo. Molto
presso
il
popolo
Per ottenere lasciare
». il
da parte
dialettica, la
concetto predicabile,
scolastica, l'esame della
e osservazione delle cose
cambio
di
tutto
si
doveva, dunque,
la speculazione teologica e metafìsica, la
ciò,
umane;
e,
storia, l'esperienza
per dirla in breve, in
escogitare semplicemente un para-
gone. Ripigliando, dunque, il primo tema da noi enunciato, il predicatore si metteva a riflettere sulle « circostanze » di esso; e notava, per esempio, che Gesù nacque «
nel punto di mezzanotte del solstizio invernale, quando,
l'ombra notturna essendo giunta all'ultima lunghezza,
il
Sole dal tropico più remoto comincia a rivolgersi a noi ed,
allungando
il
giorno, raccorcia la notte
».
Ora, l'Ombra
E IL GUSTO SPAGNUOLO
notturna è
il
Sole
è
il
Messia, la
Luce
alla seg-uente
domanda
:
«
Perché Dio fece na-
suo caro Unigenito nel più crudo inverno?
il
è la
ecco impiantato un concetto predicabile, che
dava luogo scere
Peccato,
il
Ed
Grazia.
165
svolgimento consisteva nel chiarire
la «
difficolt;\
Lo
».
che
»,
cominciava con l'amplilìcare. Fingeva, perciò, un si lamentavano col
l'oratore
diseorsetto delle altre tre Stagioni, che
Signore per
ceva
la
tato
fiore
gato
il
di
».
A me
acciocché
tale gloria,
Jesse germogli quando, da
«
ma
Jam
hiems
».
me
Anzi a tutti
zefiri
il
(di-
profe-
soavi fu-
transiit, fiores apparneriint in terra
tocca (diceva l'Estate), acciocché
beni compaia quando
i
non più
il
ed
fiori
ricchi tesori di aurate messi sparge la terra, per
Adhuc inodicum,
potersi avverare: sioìtii!
dee
si
«
gelo e le nevi, spunta ogni fiore, per poter dire
donator di erbe,
preferenza data all'Inverno.
Primavera)
con verità: nostra
la
«
Anzi a
me
et
veniet
tempus
vies-
(soggiungeva, infine, l'Autunno';
un mondo nuovo e nuove creature, nasca nella fruttifera stagione istessa in cui l'uomo primo e il mondo fu creato, perché possa dir con ragione: Ecce, ego creo cvelos novos et terram novam v. acciocché, se nasce
Una
il
^Messia per fare
digressione astronomica acuiva ancora
la « ditficoltà
>
giorni mostrando come Dio, che poteva rendere eguali pure li volle fare disuguali secondo le stagioni i
e le notti,
:
profondo mistero.
La soluzione
della
Dio, nell'opera della creazione, tenne
difficoltà
era,
che
sempre d'occhio
la
futura redenzione; onde stabili la disuguaglianza dei giorni e delle notti per fare poi nascere
il
Salvatore in quel punto
della notte invernale, che fosse in simbolico accordo la
con
condizione morale del mondo. L'autorità di San Gre-
gorio Nisseno veniva chiamata a confermare l'interpetrazione.
Con
lo stesso
procedimento
dicabile del secondo tema:
«
si
formava
Nessuna
il
concetto pre-
oftesa è più
grave
166
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
1
delle
parole contumeliose
era, p. e.,
termine di comparazione
Il
miracolo di Gesù, che rese la favella
il
—
tolo. Difficoltà:
poco fare
».
Perché mai
le grazie, nello
snodare
la
ma ungendo
non
solo le pro-
quell'org'ano con la propria saliva?
— Soluzione — Perché Gesù
pensava, in quel punto, a ciò
:
che avrebbe egli medesimo sofferto per gli
mu-
lingua al mutolo ado-
però sforzi sopra l'ordinario, applicando prie mani,
al
Signore, cui costava cosi
il
contumelie che
le
sarebbero state lanciate dalle lingue dei suoi tormen-
tatori; e volle cosi
mostrare quanto reputasse grave
l'of-
fesa della contumelia. Interveniva, in ultimo, l'autorità di
ferrare e suggellare jl concetto, renden-
San Cipriano a
«
dolo venerabile
».
Al terzo tema:
«
i
piaceri del
mondo sono
afflizioni
»
che in
serviva da concetto predicabile la parola
«
ebraico signiflca egualmente
e « dolore ». Pel
alla
predicabile era
costituito
dal
lendo illuminare un cieco, (si
voluttà
domandava
gli il
salutifero?
mise
il
Da
fango sugli occhi.
lo copri di
».
E non bastava
una
sola saliva,
forse la
».
La
difficoltà si scioglieva col
cieco era figura del peccatore ostinato
es et in
concetto
il
nostro predicatore secentista)
non era escrementiva superfluità,
in Cristo
non c'è
»,
pol-
che avrebbe accecato un occhio più sano di quello
dell'aquila?
il
tannini
miracolo di Gesù, che, vo-
Gesù, per guarire l'occhio del cieco, tiglia, «
»
meditazione della morte,
quarto, intorno
Perché mai
«
altro rimedio se
pulverem
ciò
si
non
reverteris),
vede che
il
;
che
balsamo
considerare che
a ridurre
la polvere e
immagine
ma
«
il
il
quale
fango {Pulvis
della Morte,
concetto predicabile consisteva
neir inculcare una verità, mostrando come essa fosse sim-
un fatto o in una parola della un avvenimento della storia, in un fe-
bolicamente contenuta
Sacra Scrittura, in
nomeno eh' è
il
della
in
natura. Perciò,
il
trattatista
da noi
citato,
conte Emanuele Tesauro, autore del libro, a quei
E IL GUSTO SPAGNUOLO
tempi celebre, Il cannocchiale
167 lo detìniva en-
aristotelico'^,
un'arguzia leggiermente accennata dall'ingegno divino, leggiadramente svelata dall'ingegno humano, e rifermata con l'autorità di alcun sacro scrittore Perché, Dio (se si vuole dare faticamente:
«
>^
ascolto
e
Ancora
«
sti.
ar Tesauro) era
l'arguto
il
.
primo
il
motteggiando
favellatore,
angeli con vari motti e simboli concetti
».
maggiore dei concetti-
e
grande Iddio gode talora
catore svela l'arguzia,
umano
l'applauso
«
si
Ma,
«
il
e tem-
».
si para una « diffidovrebbe concludere che
questo punto, anche a noi
arguzia divina
realmente divino
;
si
fosse considerata
»
come qualcosa
e che quei predicatori e
viva parola, vedeva
il
il
loro pub-
dell'universo
blico fossero gente che in ogni parte la
suoi
abile predi-
mondo
al
suo proposito
Palla definizione citata
».
quella di
in
al
un
predicatore del-
al
come pellegrina merce mostrata
pestivamente appropriata
cili tà
di
divide (dice sempre
Tesauro) a Iddio dell'averla trovata e l'averla
poeta
il
uomini e agli
gli altissimi
iìgurati
E, quando l'ingegno
di fare
agli
udiva
gesto divino. Perpetuo incubo di
visione o d' illusione, che sarebbe stato altamente poetico.
Dal supporre simili condizioni
di
spirito, proprie dei
tempi primitivi e ingenui, nel raffinato Seicento,
non
solo tutto ciò che
autore, da
noi
sappiamo
citato,
il
di quel secolo,
ci distoglie
ma
lo stesso
quale distingue a più riprese
i
concetti predicabili dalle sode ragioni, la persuasione torica dalla scolastica, e vuole die di concetti predicabili
rct-
1
tioiie
II
Cannocchiale aristotelico o sia idea
dell' arguta et ingeniosa
che serve a tutta l'arte oratoria, lapidaria
et
eloctt-
simbolica, esaminala co'
Conte et Cavaliere Gran Croce D. Emanuele Tesauro patritio torinese (Quinta impressione, In Torino, MDGLXX, Per Bartolomeo Zanatta). Si veda il e. 3 e il Trattalo principi, del divino Aristotele del
de' concetti predicabili,
che
è inserito tra
i
ce. 9 e 10.
lf)8
si
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
I
debbano soltanto
predicatori e
quei «
«
loro
il
ravvicinamenti,
sode
ma
dlrlt:
prediche. Che, se
le
»
avessero
V
preso
in
ipse,
rebbe stato Dio. Onde dobbiamo concludere che
Tesauro,
il
guzia leggermente accennata dell'ingegno divino egli stesso, un'arguzia. Nei concetti predicabili «
confettato
»
un passo
»,
«
ar-
faceva,
tema era e ar-
sulla primitiva enun-
ciazione, senza che l'oratore percorresse
gimento dimostrativo, senza, che
il
:
con paragoni
ossia voltato e rivoltato
;
più
state
quel caso, sa-
nel chiamarli nella prima parte della sua definizione
zigogoli, senza che si facesse
i
serio
sul
sarebbero
ragioni
quali
di essi? i/^se
»
confettare
pubblico
un
qualsiasi svol-
richiamasse neanche
si
aìV Tpse dixit divino.
Come
modo
questo e
gl'intelletti
poteva muovere
predicazione poteva contentare
animi a sentimenti e propositi
gli
prima domanda
giosi? Alla notizie,
di
animi e rapirli nell'entusiasmo? Come
gli
che
si
hanno
si
del traviamento intellettuale del Sei-
cento, per cui l'ingegnoso e
secondo
la
reli-
risponde col rimandare alle
il
maraviglioso
(o
l'arguto,
parola del tempo) venivano considerati, non più
come elementi
d'arte,
ma come
a sé stessi.
fini
«
Divina
parto dall'ingegno, l'Argutezza, gran madre d'ogni inge-
gnoso concetto, chiarissimo lume dell'oratoria elocuzione, spirito vitale delle
condimento della
civil
telletto, vestigio della
fiume
si
e
poetica
morte pagine, piacevolissimo
conversazione, ultimo sforzo dell'inDivinità nell'animo umano.
Non
è
dolce di facondia che senza questa dolcezza in-
sulso e dispiacevole
Parnaso che dagli
non
ci
rassembri
orti di lei
Sono enfatiche parole dello
non stesso
si
;
non
si
vago
fior di
trapianti, ecc. ecc. ».
Tesauro, all'inizio del
suo trattato. In quanto aUa seconda domanda, sarebbe, di certo, precipitoso arguire dall'insipidezza di quelle prediche la
tepidezza della fede negli oratori e negli astanti. La
storia smentirebbe tale supposizione con gli
esempì dell'ar-
E IL GUSTO SPAGXUOLO dorè apostolico di molti tra conversioni operate tra
i
primi, e delle frequentissime
i
La psicologia ammonisce
secondi.
che non bisogna misurare
l'effetto di quelle
che fanno ora su noi, che
l'effetto
abitudini mentali ed estetiche,
le
169
leggiamo senz'avere
le
preoccupazioni e
preparazioni degli uomini di allora. Per vogliono altre
ci
specie
prediche dal-
le
le
animi nostri
gli
di sollecitazioni, o di solletichi:
per quelli del Seicento bastavano, forse,
E
foggia che abbiamo esposto.
quelle
arguzie, della
le
arguzie
facevano,
spesso, sgorgare torrenti di lagrime.
moda non
Alla
sottrae la parola di Dio. Ai tempi no-
si
ascoltiamo talora dal pulpito
stri,
dissertazioni sulla que-
sui mali del liberalismo
stione sociale,
a Napoli,
le
qualche anno
:
udì perfino un predicatore polemizzare contro
si
quella seminvenzione di alcuni etnologi, che era «
di
agitavano dal pulpito
economia, di finanza,
di
amministrazione, di po-
lui
il
po'
anche
Di simili
«
di
Luigi XVI, per
Se l'abbate Maurv
di religione, ci
prediche
come ricorda
motto
il
i
un furor
di
vide
Tanto più
» -.
quaresimale
il
parlato
avesse
di tutto
facevano, allora, anche
si
Bettinelli,
coi Montesquieu,
ci
avrebbe parlato
in
I
»
K
Italia,
quale allude a un padre Luc-
che in Venezia filosofava
chesi,
il
predicato, nel 1781, dal poi famoso abbate e
cardinale Maury:
un
cosi detto
si
».
polazione: è noto
innanzi a
il
Xel Settecento,
matriarcato
problemi
fa,
Puffendorft',
concorso che non
« i
si
in
un de' primi pergami
Barbeirac alla mano, con
può credere da
l'efficacia della
moda
si
ohi
noi
faceva sentire
nel Seicento, nel quale, per effetto della devozione larga-
mente
diffusa, le
prediche costituivano uno spettacolo, cui
tutti s'interessavano.
Le accademie lodavano
Sainte-Beuve, Causerie^ du
Saggio sull'eloquenza (in Opere
XXIII,
pp. 296-7.
pn-dica-
laudi, IV, p. 268.
1
2
1801), voi.
il
edite ed inedite, 2.a ediz.,
Venezia,
170
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
I
pubblicando raccolte
tore,
prose; la società ele-
di versi e
gante cercava nella quaresima un sostituto del carnevale
ordini
le rivalità tra gli
;
ai divertimenti
religiosi suscita-
vano, nel pubblico, partiti entusiastici. Di questi piene
cronache di quei tempi
le
pensare
al
Seicento senza
rivedere in
come
del Predicatore, nerovestito
come domenicano in
fatti
sono
può
del resto, chi
e,
;
ri-
la figura
fantasia
gesuita, o biancovestito
o col rozzo saio cappuccino, gesticolante
una chiesa barocca, innanzi a un
uditorio dai fastosi
abbigliamenti? Appartiene a quel piccolo numero d'imma-
dominanti e caratteristiche,
gini
in cui si
riassume e con-
centra per la nostra fantasia un'intera epoca storica \ Era
una predicazione
impossibile che
sensibilissima alla
moda
I trattatisti classificavano
concetti predicabili.
condo
le
mondana non
cosi
sottilmente le varie forme di
Tesauro ne distingueva
Il
fosse
ed estetica.
intellettuale
specie di metafore sulle quali
si
sette, se-
fondavano. Ve
n'erano perciò di proporzione, di attribuzione, di equivoco, di
P. e.:
il
concetto predicabile, di cui
sulle gioie terrene e
rola ebraica
1
laconismo
d'iperbole, di
ipotiposi,
il
tannini
«
Molte notizie intorno
di
e
dolore, formato per »,
opposizione.
è parlato di sopra,
si
mezzo
della pa-
era di equivoco; quello sul cieco
ai predicatori di
Napoli del ventennio 1660-
1680 nei Giornali del Fuidoro (ms. nella Bibl. Naz., segn. X. B. 13-19); cfr. I,
ff.
57-8, 280; II,
f.
9; III,
f.
126; VII,
Giuseppe, domenicano, di Venezia,
sima a Napoli, la
e,
quale aveva predicato
oltre, ed essendosi
volontà del Signore,
si
vide la barca
innanzi e sfilare finalmente indietro
che se ne tornò
racconta di
si
In que-
un padre la
quare-
nel partirsene per mare, giunto al capo di Posilipo,
barca non volle procedere
fidati alla
il
107, 115, 127.
£f.
st'ultimo luogo, sotto la data dell'aprile 1680,
al
convento di
S.
»,
«
egli e
i
marinai
af-
soavemente sfuggire
riportando a Napoli
il
padre,
Caterina a Formello, dove fu
visi-
tato a gara da devoti, ai quali distribuiva balsami e unguenti di mirabile efficacia.
I
E IL GUSTO SPAGXrOLO nato, d'ipotiposi; quello sulle
Una
buzione.
delle
ofiFese
171
della lingua, di attri-
forme più gradite era l'opposizione o
antitesi. I
predicatori poco inventivi trovavano concetti in ab-
bondanza, ricorrendo
nuo
stampavano
si
dotati
ai
e
numerosi repertori, che
ristampavano.
I
Santi
i
Padri e frugando
nella Catena mirea e nella Selva delle allegorie.
prediche non
solo,
meglio
predicatori
facevano un pregio d'inventarne sempre di nuovi,
si
arzigogolando sulla Scrittura e
le
di conti-
ma
si
una corona, un fuoco gli
allo stesso
di artifizio.
come accadde a
tema, una serie,
Fortuna
avvenimenti porgevano,
del paragone;
poi,
quando
un
cronista)
«
i
la
essi stessi, l'occasione
Xapoli, in una delle fre-
quenti minacce del Vesuvio, nella quaresima del cui (scrive
sovente
limitavano all'esposizione di un concetto
ne offrivano, intorno
natura o
E
predicatori
ItìSO,
in
hanno avuto mo-
tivo salutifero per le anime, con ricordare che
il
Vesuvio
predica con suoi muggiti per tenerci svegliati ad operar
bene
»
\
li
Una buona e
difetto,
Per
il
storia dell'oratoria séicra in Italia fa ancora
mancano
Quattrocento,
perfino monografie su singoli periodi. si
da Siena, Roberto da quecento,
1
il
è scritto
Lecce,
il
sparsamente su Bernardino
FciDORO, Giornali, ms.
cit.,
VII,
per
Savonarola*;
meglio ch'io conosca
f.
è
un capitolo
il
Cin-
del Dfjob,
115.
due primi si vedano O. Bacci, Le prediche volgari Ui S. Bernardino in Siena nel 1421 (in Confer. della Commiss, senese di si. patria, voi. I, Siena, 1895, pp. 77-139); F. Torraca, Fra Roberto da Lecce (m Studi di storia letteraria napoletana, Livorno, Vigo, IS&J, pp. 165-203\ [Si veda 2
Per
i
ora anche Luigi ÌIarexco, L'oratoria sacra italiana
vona,
tip. Ricci, 19001.
nel
Medio
evo, Sa-
17l'
I
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
nel saggio nnìV Inltufiso del Concilio di Trento sulle
lettere
artlK L'indirizzo alla predicazione, in quel secolo,
e sulle
fu dato, specialmente, dal piacentino Cornelio Musso (15111574), detto
vescovo
di
il
e lasciò
«
per essere stato per un trentennio
»
questa città, e dallo scolaro di lui e perfezio-
natore del suo 1594),
Bitonto
« il
stile,
divino
»
milanese Francesco Panigarola (1548-
il
Panigarola, che predicò in Italia e fuori
trattati dottrinali sulla sacra eloquenza. Bi-
anche
sogna menzionare, accanto a questi due,
Fiamma^. L'eloquenza
del
il
Seripando
Musso era grave, nutrita
e
il
di cose,
contesta di testi scritturali interpetrati pianamente, e di
argomentazioni
tìlosofiche. « 41
Panigarola (dice
il
Tesauro)
vi aggiunse la perizia nelle rettoriche, la grazia e la leg-
giadria da cavaliere lenti spiriti di
—
(
aveva avuto, da giovane,
padre Cristoforo
la
naturai facondia, e
le
sue prediche non
la
men
—
i
bol-
l'avvenenza, la facilità,
),
dolcezza della lingua, formando faticose,
ma
più eulte, più ordi-
Ancora ai pi'incipì del Seicento, questa manate e soavi niera di predicare aveva rappresentanti nel Castelficardo ».
e nel
Montolmo.
In questa predicazione, in complesso severa e scevra di
giuochi rettorici i
^,
sopravvennero (elemento rivoluzionario)
E
concetti predicabili. Il
fritto
scelto a
1
les
sbarcarono in Italia dalla Spagna. Tesauro, che abbiamo
ci è attestato dallo stesso
guida in
Ch. Dejob,
beaux-arts chez
questa poco
De P influence les
clu
nota regione
della nostra
Concile de Trente sur la littérature
peuples catholique^ (Paris, E. Thorin, 18S4),
e.
et
2,
pp. 109-144. 2
Musso
TiKABOSCHi, Storia della si
ha un Discorso
lett.
ital.,
VII,
1.
Ili, e. 6, §§
7-14.
Del
intorno aWartificio delle prediche (innanzi alle
sue Prediche, Venezia, 1557j. 3 II
Dejob mette, per
riture nel Panigarola (op.
altro, in rilievo cit.,
qualche tendenza
pp. 129-131).
alle
fio-
E IL GUSTO SPAGNUOLO letteratura.
Alcuni ingeg-ni spagnuoli
«
173 (egli scrive), natu-
ralmente arguti e nelle scolastiche dottrine
non
trovarono,
gran tempo,
è
perspicaci^;sinii,
questa novella maniera
d'insegnar dilettando e dilettare insegnando, per mezzo di
argomenti ingeniosi, detti vulgarmente concetti
questi
predicabili, che con mirabili e nuove Hessioni sopra la Scrittura Sacra e
sando
dottrine
le
nalzando
manna grandi,
piacciono nobili e
i
e metaforiche ri-
Santi
Padri, abbas-
capacità degl'idioti, ed in-
basse e piane alla sfera dei dotti, a guisa della
le
e
alla
difficili
i
e
ugualmente
pascono
plebei
i
i
piccoli
potrebbe domandare come mai questi giochetti
Si
tellettuali si
e
i
».
in-
formassero in Ispagna, che pure aveva avuto,
nella seconda
metà
Cinquecento,
del
la
calda e vigorosa
predicazione di Luis de Leon e di Luis de Granada. yb\
per
la
Spagna
eloquenza.
Non
manca una buona
altresì
è improbabile
argomentare nelle prediche
storia della sacra
che questo modo
fiorito di
fosse stato preparato e suscitato
in
Ispagna dalla letteratura poetica d'imitazione italiana;
e,
in tal caso, la pianta,
che fu trasportata poi
sarebbe da considerare come un
in Italia,
innesto italiano sul tronco
spagnuolo, e tornante, in certo modo,
al
suo paese di ori-
gine. L'influsso della poesia cortigiana è stato asserito, per
quel che riguarda della 1(5.83);
nuova il
piii
il
scuola,
il
famoso oratore sacro spagnuolo
padre Hortensio Paravicino (1580-
quale, per circa un ventennio, fu predicatore di
corte dei re Filippo III e Filippo IV. al
passaggio dalla Spagna in
la
nuova forma
j\Ia
basti qui colpire
Italia, ai principi del Seicento,
di predicazione, senza risalire, per ora. alla
preistoria di essa.
Anche
in
questo
che riguardano Napoli ebbe
lo
pcirte
velle merci (scrive
fatto,
come
in
spagnolismo e
generale in il
tutti gli altri
secentismo
importante, anzi dominante. il
italiano, ^
Lf no-
Tesauro), per cagion dfH'isiiann cnin-
174
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
1
mercio per terra
e
mare,
rono a Napoli; onde in fur chiamate
prediche
predicatori spagnuoli
si
da
tissimo,
lui sentito a
Roma, che predicando e
»,
maschio
è
il
perché femminile sua
letta;
formava
il
I
e
in quel linguaggio è la
comandare di queste
cama, egli
puritadi di lingua, seicento »
^.
Si
aggiunga
ne il
di libri teologici e ascetici spagnuoli, dei
e traduzioni italiane^.
concetti napoletani, o spagnuoli. trovarono
difficile e
al
dal Signore che dovesse levare
hanno moltissime edizioni
coglienza. Si sentiva
meno
ispagnuolo di genere
in
buon padre ogni mattina
gran commercio si
italiana-
«
zapato. egli ne4 suo italiano diceva lo scarpo;
paralitico faceva
quali
i
volendo esporre quella voce
«
calceamentum in volgare, perché
la
Già nel Cinquecento
sola.
la
facevano udire in varie parti d'Ita-
Panigarola narra l'aneddoto di uno di questi, valen-
il
mente, a suo parere
e
le of-
».
Napoli fu
la via di
conoscea,
le
e tosto trovaron spac-
che copiosamente ne fornirono
cio apresso a molti,
lia:
che non ancor
concetti napoletani;
ficine delle lor
Né
primieramente sbarca-
colà
di
Italia,
il
bisogno
di
un modo
di
lieta
ac-
predicazione
astruso di quello del Cinquecento; la se-
come
verità del quale produceva,
reazione, l'abuso delle
prediche buffonesche, con rappresentazioni mimiche e motti scurrili. Ora,
il
modo spagnuolo sembrava
promesso decoroso. Se anche non istruiva
vava
all'edificazione, ch'era
(ripetiamo
col
Tesauro)
«
^
U
il
fine
da raggiungere; giacclié differente è la rettorica
il
questa, essendo specolativa.
vero da vere ed intrinseche ragioni;
predica/ore di Francesco Pìnigarola,
scovo d'Asti (Venezia, 1609), nelle Questioni 2
un com-
molto
persuasione dalla scolastica; inferisce
offrire
gl'intelletti, gio-
ma
quella,
minore osservante, ve-
sulla favella, p. 7.
Ai predicatori spagnuoli accenna anche Sforza Pallavicino,
Arie della perfezione cristiana (ed. di Venezia, 1839),
1.
IV,
e.
4.
E IL GUSTO SPAGNUOLO
175
essendo pratica e morale, servirajssi di figurate ed ingcniose ed estrinseche ragioni, eziandio cavillose ed apparenti, fondate in metafore, in apologi, in curiose erudizioni,
La parola
e trarrà frutto dai fiori >.
ora
bevanda
«
cabili nella
»
predicatori,
i
di
Dio ora è
Tesauro riponeva
il
seconda categoria, tra
D'altra parte, «
e
:
«
cibo
concetti
i
»,
predi-
le bibite.
quali, con lo stile antico,
i
più sudavano predicando che se avesser corso per poste
un giorno intero », col nuovo faticavano assai meno. Da una sola predica del Bitonto, si potevano trarre dieci delle nuove. Il Montolmo, ch'era tra ì buoni seguaci della scuola del Bitonto,
mutò
stile
anche
appunto col Tesauro, su avea grandi obbligazioni gli
lui; e,
tale
discorrendo un giorno,
proposito, disse:
aveano insegnato a predicare con maggior
popolo, senza sudare
grande fornitrice
2>redicables.
«
Il
di
fabricarli
troppo necessario (scrive
il
di
il
discursos,
gegno
quei
libri
infi-
nudi e secchi, da vestirsi ed impinguarsi con
italiano ».
L'Antonio dà
il
Promptuarhnn conceptumn
predicare, e di i
le
al-
quali ricorderò
(1604) di Rafoel Sarmiento,
Conceptos espìritucdes di Alonso de Ledesma (1010), e
in-
catalogo di una quaran-
tina di trattati spagnuoli dell'arte del
ceptos predicables
è
predicalDÌle,
per trovarne
trettante raccolte di esempi e concetti; tra il
conceptos
proprio Marte oggidì non
Tesauro), essendone pieni tanti
basta ricorrere agl'indici di
ma
quali
i
diletto del
genere, cosi continuò a
asmitosy
volumi spagnuoli, che sopra qualunque tema
niti;
ch'egli
».
La Spagna, come introdusse essere
«
predicatori napoletani,
a'
Miscelaneas predicahles
i
i
Con-
(l(ill-:2;
di
la Silva comparationum (1011) del GonV Apparatus concionatorum (1014) di Fran-
Melchiorre Fuster, zales de Critana, cisco Labata,
i
Conceptos extravagantes qnc se ofrecen entrc
ano (1619) di Tonias Ramon, ticos
i
Conceptos prcdkabiles poli-
y morales a diferentes asuntos {UKtoj di Francisco de
176
I
Hontivei'os.
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
A
Venezia furono stampati, nel 1621,
appuntamenti, concetti
ispanici
quattro prediclìe delle domeniche
mo
Nuovi
i
pensieri nelle quaranta-
e
e feste
che corrono dal pri-
decembre cdV ultimo di febbraio, opera del Perez, ver-
sione italiana di Serafino Croce.
predicatori italiani, formati a tale scuola, sono legione.
I
Il
Tiraboschi ricorda, tra
gli altri,
domenicano
il
fra Nic-
colò Riccardi, genovese di patria, che fu allevato in Ispa-
gna ed era grandemente stimato da re Filippo III, e preil cappuccino fra Girolamo da Narni, dicò anche a Roma predicatore del Palazzo Apostolico ai tempi di Urbano Vili; ^
;
e
il
gesuita Luigi Giuglaris': Del Riccardi
si
racconta che,
per mostrarsi ingegnoso, solesse cominciar col pronunziare proposizioni che avevano alcunché di eretico, e venirle poi
riducendo
al
senso cattolico
che predicavano
^
rafa
il
Lepore,
ai suoi «
"'.
Il
Tesauro nomina, fra quelli
tempi in Torino,
cetti ». Celebri pei loro eccessi metaforici
Caminata ed Emanuele Orchi da Como
1
Era soprannominato
«
il
il
Zachia,
Ca-
il
giardini di argutezze e di con-
fioriti
Mostro
»
:
e
furono anche
il
^.
con tale nome
trova elo-
si
giato in parecchi canzonieri del tempo. 2
Gesù
Quaresimale del padre Luigi Giuglaris della compagnia di
(in Milano, appresso Lodovico Monza, 1669). 3
Tiraboschi, Vili,
^
Il
napoletano
1.
Ili, e. 5, §§ 9-12.
Tommaso
Carafa, domenicano, del quale
si
ha un
libro di Descrizioni vaghissime: ghirlanda di varie descrizioni cavate delle sue prediche, ecc. (Napoli, per Gio. Dora. 5
Dell'Orchi, scrive
il
Montanaro,
1636}.
Settembrini, Lez. di letteratura
ital., II, p.
376:
Nella prima predica comincia dal pavone e ve ne descrive la coda, poi parla del pomo, indi del giuoco del pallone, delle erbette del prato, «
della scienza di Tolomeo, di cole,
ad Alessandro,
al
Ticho Brahe, del Fracastoro, salta ad ErE dopo tutta
Bucefalo che somiglia al pergamo.
questa roba vi dà un avvertimento per ora F. Scolari, 1899].
Il
padre Orchi
e
i
la salute
dell'anima
»
.
[Si
barocchi 2^redicatori del Seicento,
veda
Como^
E
Le voci
GUSTO SPAGNXOLO
IL
non mancavano. Lo
dei critici
(dal quale, con^ quest'ultimo imprestito,
miato) esclamava che
notava che
« le
»,
finalmente si
stesso Tesammo prenderemo com-
troppo è troppo
il
biasimava coloro che
e
infilzati », Il
col dolce
tessono tutta
«
tal concetti
gesuita padre Casalicchio, nel suo libro L'utile
^ descrive satiricamente quei predicatori che, do-
vendo discorrere in luogo di
all'uditorio intorno alla brevità della vita,
formare un discorso pieno di sodezza ed
luogo di persuadere ch'essendo cosi breve
dobbiamo spendere
tutta la
i',e
vogliono adoprare per confetti
predica quasi un'incannata di ciambelle di
la
«
«
metafore
non per vivande
177
fezione, eglino, che
o:ran dicitori,
li
di proposito a farci la descrizione del flore.
E
di
per-
pongono
si
sapete
come
— Signori,
incomincia a dire quel famoso predicatore?:
in
nostra,
in esercizi di virtù e
stimano
si
la vita
se
noi parliamo della nostra fanciullezza, che altro ella è che
un
fiore? e
lezza
come
paragona
si
al
narciso, signori... 'e se poi, signori, la all'iride, chi sia tre, se
mentre che
no,
narciso, e
La
fanciulil
qui la descrizione del narciso). Che
gioventù nostra
che
fiore, ecc.
il
con ragione, mentre è
si
la
vogliamo paragonare
ci voglia con riigioue opporre? Men-
noi sapete, è egli l'arco celeste (e qui fa la descri-
zione dell'arco celeste)... ». Anche la Chiesa non risparmiava avvertimenti e rimproveri, specie nella seconda metà del secolo. Nel 1680, un cronista nota: « Quest'anno, in Xapoli,
forme
il
li
predicatori sono tutti evangelici e morali, con-
precetto del
Sommo
Pontefice vivente
La mala abitudine andò cessando quel secolo.
^
Il
Segneri, che fu tra
in Italia sul finire di
riformatori della sacra
Pubblicato nella seconda metà del Seicento:
un'edizione di Venezia, 1741. Cfr. cent. '
i
Flidoro, Giornali, ms.
cit.,
VII.
I, f.
» -.
decade 115.
ma I,
io
ne
\\'>
arg. VI.
a Kiat.
178
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
I
eloquenza, nelle sue prime prediche aveva anche lui incli-
nato
ai concetti e allo stile fiorito.
resti
ancora intinto di
Se ne
benché
lili^rò poi,
tempo ^
altri vizi del
III
concetti predicabili viziavano l'impianto stesso gene-
I
rale della predica;
che non toglie che
il
le altre
cattivo gusto letterario, derivanti tutte dalla
forme del
comune
radice
che era l'amore dell'ingegnosità, concorressero in quelle composizioni. Taluni esempì, tra
insigni e popolari,
pili
i
di
metafore strampalate provengono appunto dalle prediche.
Il
padre Casalicchio censurava
lar dotto
role strane e si
«
«
gelista Apelle
penitente
Scettro »,
san Luca,
1'
«
»,
»,
più di frequente,
può esaggerare l'esposizione
della
»,
esaggerare
«
dice
trama
»,
—
»
contro
il
»,
«
Evan-
sant'Ago-
g).
«
e
«
che
Qui
» si
i
predicatori
in
con vive ragioni
lusso, o contro la
mancata
giusti-
sono frasi che ricorrono con frequenza nelle
[Intorno ai predicatori del Seicento è stato pubblicato
1
par-
esagerare
«
con due
di Cristo";
esaggerano con esempì
di Scrittura
ecc.:
«
una didascalia del Tesauro, neldi una predica, al punto in cui
deve parlare dell'agonia
quest'anno
zia,
il
significato
il
aveva, nei linguaggio del tempo, la parola
si
e
san Girolamo), evia
dicendo. Mi pare poi opportuno notare
(o,
»
David,
re
il
Aquila africana
Porpora di Bettelemme
«
parlar culto
continue circonlocuzioni (onde
ricercate, le
chiamava
stino, la
il
dei predicatori, l'abuso delle metafore, le pa-
»
uno
spe-
ciale lavoro di Iìosa Arrigoni, Eloquenza sacra italiana del secolo XV'II,
Roma,
Desclée, Lefèvre e
C,
1906: cfr. a proposito di questo lavoro
Giuseppe Scopa, Necessità di uno
studio piti accurato
suW eloquenza
del Seicento, in Rivista abruzzese, luglio 1907, pp. 365-74]. 2
Cfr.
il
già citato Trattalo di concelti predicabili.
sacra
E
cronache del tempo ^ «
dare risalto
o
»
GUSTO SPAGNUOLO
IL
«
Esagerare
insomma, significava
»,
parlare con forza
«
Le forme argute erano bene
179
».
accette,
non solamente
al
pubblico erudito delle accademie ed elegante delle corti,
ma
turbe:
alle
quei predicatori concettisti e metaforeg-
gianti furono largamente popolari. Il
contrasto, che
si
pone
bosa delle classi colte e
mor-
di solito tra la raffinatezza
semplicità del popolo, ha d'uopo
la
di parecchie restrizioni. Il fatto è, che
i
paragoni bizzarri
colpiscono l'attenzione dell'ignorante, gli svolgimenti artificiosi
soddisfano
suo intelletto,
il
i
giuochi di parole
lo
seducono, la materializzazione delle idee nelle continuate
ed esagerate metafore dà a quelle una corpulenza e una tangibilità che
si
scambiano, non di rado, con l'evidenza.
Della qual cosa sono prova gli cmfos e
i
drammi
sacri spa-
gnuoli, che ebbero fortuna anche in Italia, e di cui vivono
parecchi rimasugli nelle tradizioni e costumanze popolari.
E
un'altra prova ne offrono
predicatori burleschi del
lussureggianti i meno La predicazione burlesca non
Seicento, che non sono tra cetti e di metafore.
di
con-
è,
cer-
tamente, cosa particolare di quel secolo: ha origini assai antiche, e Dante, ai suoi tempi, la bollò con ferrate terzine (PamrZ.,
anch'essa
il
XXIX,
una
delle sue
115-7). Nel Seicento, prese
colore di moda.
Tutti ricordano la figura del cappuccino, che Federico Schiller introduce nel suo ai soldati
Campo
di Wallenstein
,
in
stemmiano. Quale fiume
di paragoni, di
metafore e
di equi-
voci verbali gli esce di bocca! Egli inveisce contro dati,
che
si
i
sol-
Knuj als den Krieg > (più guerra), che amano più < den Oxeu
curano più
del boccale che della
1
mezzo
che giocano, rissano, bevono, donneggiano e be-
FciDORO, Giornali, ms.
«
iim den
cit.,
I,
f.
250 e passim.
180
I
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
den O.xenstini
als
(più
»
il
bue, che l'Oxenstierna,
dello statista svedese, che in di
bue
e descrive lo stato
»),
Romano Impero
del
tedesco significava
«
nome fronte
miserevole della Germania e
:
—
das rò mi se he Rei eh dass Gott erbarm! eh Arm; Der Rheinstrom ist woi'den zu einem Peinstrom, Die Klòster sind ausg-enommene Ne s ter, Die Bisthiimer sind verwandelt in Wiistthiimer, Die Abteien und die Stifter Sind nun Raubteien und Diebeslilfter. .
.
.
.
Solite jetzt heissen r orni s
Und
alle die gesegneten deutsehen Sind verkehrt worden in-Elender
Né risparmia il
.
.
.
.
suoi detti mordaci al Wallenstein, duca di
e,
quando, minacciato dai soldati che sentono
loro
capo, è costretto a ritirarsi innanzi al tu-
Friedland; offeso
i
Lander
multo, avventa cosi
gli
ultimi strali della sua eloquenza
:
So ein hochmiithiger Nebueadnezar, So ein Siindenvater und muffiger Ketzer, Làsst sich nennen den Wallenstein; Ja freilich ist er uns alien ein Stein Des Anstosses und Aergernisses,
Und
so lang der Kaiser diesen
Liìsst walten, so
È
Friedeland
wird nicht Fri ed' im Land!
risaputo cbe lo Schiller s'ispirò, nel foggiare questo
suo cappuccino, a un personaggio storico, celebre predicatore, scrittore ascetico popolare, satirico possente della se-
conda metà del Seicento: ad Abramo
di
Santa Clara (1644-
Vienna '. cosi: Can-
1709), agostiniano scalzo e predicatore di corte a
Tra
le
opere di costui ve ne ha una, intitolata
tina ben fornita in cui
1
Cfr. intorno a lui
lino, 1885), pp. 338-9.
le
anime
assetate possono ristorarsi
Scuerer, Gesch. der deutsehen Lilteratur (Ber-
E
una divina
con
gnuelo
IL
GUSTO SPAGNUOLO
181
benedizione. Mi pare evidente l'intiusso spa-
e italiano sul
suo
K
stile
Abramo
Ciò che per la Germania
Santa Clara,
di
fu-
rono, in certo modo, per la Friincia della prima metà del
Seicento
l'altro
meritò un'allusione del Boileau
seconda metà,
l'Italia, nella
André
agostiniano, padre
il
nell'.-iri
(1657),
di
che
e,
per
—
poétique\
douaenicano padre Fonta-
una ricca
narosa. Intorno all'uno e all'altro è sorta
genda popolare, non priva
—
aneddoti lubrici
leg-
Fontana-
(il
rosa ha dato argomento pertino a una novella del Casti);
ma
si
può stare
sicuri che
si
essendo facile veriticare che
appunto di leggenda, medesimi aneddoti, che si
tratta i
raccontano in Italia del padre Fontanarosa, in Francia dell'André
e,
forse, altrove di altri*.
narosa era nostro, meridionale: sati, di
valcò tutti
i
primi pulpiti
quelli di Xapoli,
avendo, tra
dice
l'altro,
1
predicato la quaresima Palazzo,
Spirito di
Domenico Maggiore per Alberto Magno *. Trovo anche che,
zione di
di Avellino),
un contemporaneo, « cad'Italia » ". « Cavalcò > anche »,
del 1664 nella chiesa di Santo
novembre
Fonta-
Il
chiamava Michele Avi-
si
Fontanarosa (paesello della provincia
predicatore famosissimo
e, «
raccontano
si
1670, in S.
e,
nel
la beatitica-
gennaio
nel
veda A. Farinelli, Spanien iind die spanUche LUteratur und Poene (Berlino, 1892;, pp. 56-7. Per l'André, il libro di P. Jacquinet, Dch prcdicateurs du X VII Si
ini
Lichte der deutschen Kritik 2
cle
avant Bomtel
(2.» ediz.,
Paris, lb85
pp. aOJ-311
,
del Fontanarosa, R. Giovagnoli, Legr/ende romane
;
»ii--
e per la lejfgenda
(Roma, Perino.
18y7),
pp. 90-144. 3
V. Caravelli, Chiacchiere
critiche (Firenze,
143-157. Il Caravelli parla, a p. 152, di
Martino
di S.
ritrae, invece,
VI, 1897, <
p.
di il
Napoli, e ritraente
padre Eocco
(cfr.
un
il
De
Loeacher,
Fontanarosa:
ma
cit.. II.
quel
pp.
Museo busto
la Ville, in Snpoli nohiliu.,
87>
Giornali del Fuidoro, ms.
18b.'i\
busto, esistente nel
f.
9: III,
f.
1-2»;.
182
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
I
del 1666, quindici banditi assaltarono e saccheggiarono la
suoi parenti
casa di alcuni «
si
ch'era forte ed animoso
oppose
non colsero
Ed
suoi ^
dei
vi accorse
per miracolo,
lui
eccolo, per
che
Tra
uccisero uno contatto
in
aneddoti popo-
n.egli
concernono.
lo
manoscritti della
i
ma
una volta almeno,
con banditi, com'è spesso presentato lari
padre,
il
con altre persone,
banditi, gli furono sparate contro sei archibu-
ai
giate che
Fontanarosa, e
in
;>,
nostra Biblioteca Nazionale è
un Quadragesimale del Padre Maestro Fontanarosa ^. Comprende trentacinque prediche, che cominciano ciascuna con un lungo e bizzarro paragone: la prima, col paragone tra i
il
Magi che recano
re
oro, incenso e mirra, ed
bambino
al
predicatore che viene a Napoli
di cenere
»
con presente e tributo
«
con paragoni tra una nave e
altre,
;
Ver-
la
pomposa nave..., spalmata e bella, a solcare l'inflnitanza del mare delle grazie, nave il di cui arsenale fu gine:
«
l'utero
Anna, fabbro
di
divina Provvidenza, sarti
la
una scacchiera
virtù, ecc. »: tra
ove impera un re monarca. Cristo, rex regum dominantiitm, e schierato esercito di rocchi, valli
sono
li
suo cane e
giacché
i
Op.
«
II,
f.
»
ca-
;
tra
lo
»
segue, e se per caso
soggiunge:
166. Il diarista
Di questo
dell'auditori delia provincia pigliò l'informazione e si pigliò
denari del suo accesso dal maestro
[il
fa.tto
uno
anche
troppo clemenza, publiche; per distribuitiva 2
S.
lo
la
che
il
Viceré stima
il
quale anche offende si
sdegna
communemente
Ms. segn. Vili.
A A.
il
governo
e
li
nobili
ti-
con
delle perfette re-
la giustizia
non
è
».
59, di ce. 235,
Domenico Maggiore. Fu già
al
Baronaggio
pubblico quando
a tutti
li
P. Maestro Fontanarosa), ch'ac-
cudisce al Viceré e non trova giustizia, perché ogni bandito tiene tolati per protettori, ed
il
qual cane descrive opere mirabili,
quale offlcioso servo
cit.,
dominus
et
alfieri e
diversi gradi ed ordini della Chiesa
la Carità, del
le
e la Chiesa, «scacchiera
proveniente dal convento di
descritto dal compianto Caravelli,
1.
e.
E IL GUSTO SPAGNUOLO vien
chirurgo amante, col tasto della
egli, fatto
ferito,
gua palpa
e lambisce la piaga, e col
l'unge e la risana
A
».
183 lin-
balsamo della saliva
darne un saggio un po' più largo,
recherò quasi per intero l'introduzione della predica dicesima sul testo
:
Ego vado
et
me
quceretis
tre-
in peccato
et
vestro moriemini'.
Ambisce
monda
talvolta
l'ingegnoso ragno
tranguggiarsi
di
e puzzolente mosca, né potendo impennarsi
il
l'im-
tergo a gion-
gere a chi per l'aria vola trae dal ventre la viscosa bava, tesse
con
brancata conocchia
la
opure
la tela
or
si
l'artificiose fila, intorce
li
stami, e spande
la rete in aria; or s'avanza, or s'arretra, or s'inalza,
sbassa, or
se distorce in
si
un
profonda nella lato,
ora
si
terra, or si libra
conduce in un
altro,
cielo, or
nel
ora
si fa
astro-
con l'osservare nell'oriente, ora nell'occidente, ora diventa
logo
matematico tirando circonferenze e a misurar
le fila in terra; e,
jpunti, or
mentre spande
geometra ch'ascende l'ordita tela,
ed im-
priggiona nella sua rete la mosca, la punge, la ferisce, l'uccide, la sbrana, la succhia, la divora.
venenoso
è
Ma, oh che ragno abominevole
Tempio, che, dal ventre della colpa vomitando
zolente bava della malizia, intesse le
fila,
jjeccatorum circumplexi sunt me, spande
intorce le funi,
e
puz-
la
fu>ì''s
le reti dell'iniquità, cndt't
in retiaculo eius peccoAor, or l'alza nel cielo della superbia, or si
profonda nel centro della sensualità, gira a torno, va a caccia delle
mosche
della vanità, in circuitu impii ainbulant;
ma
in fine ivi se
ne muore, disseccato dal vento, ove depredando cerca conservarsi in vita, tabescere feristi sicut araneam eiux: ego vado et qua-refis
me
et
in peccato vestro moriemini. Ego. ecco
ecco l'abbandonamento, quxretis del ragno,
desima
>'t
et
non
il
Signor offeso, vado,
incenictis, ecco
i
capogiri
in peccato vestro moriemitìi. ecco la morte nella
rete intessuta
da
lui
me-
....
Sbalordito egli stesso dei suoi paragoni, non sa astenersi dall'esclamare di volta in volta: « Oh, che tropi! oh, che figure!
oh, che
misteri profondi! oh, che
scosti! »; ovvero:
«
sacramenti na-
Oh, che figure! oh, che tropi! oh, che
metafore! oh, che enigmi! oh, che paradossi! oh, che tra-
184
PKEDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
I
slati
Sono anche degne
»
!
quali
si
tissima mia udienza
Minerva
terario di tuosi
A nato
ora
»,
lui,
ora
ora
»,
a cagione del suo
di quadri
fiorita
avere parago-
attribuisce di
si
Agostino
s.
Girolamo
s.
mordace,
stile
sua
la
lit-
nobilissima ecco (eco) di vir-
«
come all'André,
per
« fiori-
nobilissimo e fioritissimo
«
fioritissimo incontro d'eroi ».
per la sua carità,
»
fiori »
chiamandola ora
dottori della Chiesa latina,
i
cuori
«
»,
espressioni con le
di nota le
rivolg-e alla sua udienza,
s.
al
Ambrogio
eloquenza, e
al
Gregorio
s.
re dei
«
re di picche
al «
«
re di
al
re
«
per la sua semplicità prosaica. Vero o no,
»
Fontanarosa (come
il
vede dai saggi delle sue prediche au-
si
ben capace
tentiche) era
»
di siffatti arditi
ravvicinamenti e
traslati.
IV Contro
il
cattivo gusto delle prediche reagì, prima, la
Francia, la quale aveva avuto anch'essa conceptions théologiques e
ma
ch'ebbe presto
Segui,
un
le
Bossuet,
ì
le
sue raccolte di
sue pointes, venute d'Italia'; i
Bourdnloue,
Massillon.
i
po' più tardi, l'Italia, che, nella seconda
del Seicento ebbe
il
Girolamo Tornielli. Ma, più tardi di
seguente,
Spagna, dove
metà
Segneri, e nella prima metà del secolo tutte,
la
male era inveterato; e per curarlo, occorsero rimedi estremi. Non bastando gli ammonimenti gravi dei precettisti, sembrò necessario, circa la metà del Settecento, a di
un gesuita,
piglio
i
il
al
padre José Francisco de
all'arme del ridicolo. L'Isla
BoiLEAU, Art
cers attirées...
Et
le
2^oétique,- c. 1:
*
les poinfes...
ricordò
furetti
dodeur en chair en sema V Evangile
dicatori di stile ispano-italiano hien penser (ediz. ital.,
I,
si
veda
il
Isla,
dare
che,
con
de P Italie en nos ».
Contro
i
pre-
Bouhours, nella Manière de
pp. 17, 22-3, 41, 92).
E quell'arme,
il
IL
GUSTO SPAGNLOLO
185
gran Cervantes aveva liberato
il
suo paese
il
Cervantes,
morbo dei libri scrisse un romanzo
di cavalleria;
titolo: Historia
famoso predicador Fray Gerundio de
dal
Campazas, Il
del
imitando
e,
predicatori spagnuoli, col'
satirico sui
alias Zotes.
Fray Gerundio levò grande rumore
scandali, polemiche, proibizioni ^ fu pubblicato
ne nacquero
:
primo volume
Il
alla line di febbraio 1758:
il
molte traversie, sembra che fosse stampato per volta circa
il
1770.
Il
4 aprile 1758
al
prima
la
destò grande entusiasmo nel
libro
marchese Bernardo Tanucci; il
di esso
secondo, dopo
il
quale, scrivendo da Napoli
principe di Jaci,
paragonava
lo
Don
al
Quijofe, dicendo che l'impresa dell'autore era più ardita,
perché, se
cavalieri erranti potevano essere messi in
i
dicolo senza timore dell' Inquisizione,
desimo per
i
scriveva
duca
al
predicatori;
e,
sulla
non accadeva
informandolo che
di Montealegre,
maravigliandosi che dai
Xon
è
di quel
libro,
che
Si
veda
di
mio parere, giudicato a ragione
dal Me-
la Colección de varios escrilos crilicofi, poU'micos,
motivo de la Historia de
Isla
Bibl.
ci
la
y sntiricos eslampa ó con-ieron nianuscriios con
Fray Gerundio, pubbl. de autor,
espail.,
t.
XV
nelle Obras escogidas dei ,
pp.
l'argomento P. Gaodeau, Essai sur Fray Gerundio rigi,
ma,
scritte,
composizione, di proporzioni, di
en prosa y en verso, que se dieron
Padre de
valore letterario
il
ha pagine deliziosamente
difetti
sobrietà, ed ò, a
la re-
Fray Gerundio
-.
da questo luogo determinare
insieme, gravi
'
predicatori
i
il
spagnuoli fosse uscito un
frati
libro cosi grazioso contro
me-
dello stesso mese,
fine
gina di Xapoli leggeva con molto diletto e
il
ri-
257-102.
et le p.
Cfr. sul-
de Isla
Pa-
1890;. -
Questi estratti della corrispondenza del Tanucci (che si conserva Simancas e di Alcalà de Henares sono pubblicati da
negli archivi di
M. Danvila y Callado, Reinado 308, 363.
de Carlos III
Madrid,
l&t»2
,
I,
pp.
186
1
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO
nendez y Pelayo « algo mazorral y frailuno » ^ Come documento storico, presenta una copiosa e bizzarra raccolta dei più strani deliri dei predicatori secentisti, la cui razza
sopravviveva in Ispagna. Vi catura
le
in cui essi si
torie e
formavano;
titoli allegorici
i
si
trovano descritte in cari-
scuole di grammatica, di rettorica, di
filosofìa,
gli usi letterari circa le
dei libri
le ricette
;
per
dedicale
varie
occasioni di prediche (per la settimana santa, per funerali,
per elezione di vescovo, ecc.)
non che
latine,
modo
il
stancias (che sono le
«
;
l'arte di fornirsi di citazioni
cavare dal tema las circum-
di
circustanze
»
del nostro Tesauro);
e gli espedienti di stile, le circonlocuzioni, le furberie per
destare
l'attenzione.
frate Blas,
che
il
padre predicatore del convento,
Il
giovane Gerundio ha per modello e ora-
colo, professa la seguente teoria:
«
Il
fine
che deve pre-
figgersi ogni oratore, cristiano o no, è di piacere all'uditorio,
dare gusto a
tutti
ed entrare nelle grazie della gente
con l'abbondanza della dottrina, con
ai dotti,
dine delle citazioni, con l'erudizione;
con
gli
ai
la
le
equivoci; ai raffinati, con
fatterelli, incastrati tutti,
varietà e con la sceltezza del-
prudenti, con
e altisonante; al volgo,
a
la
infine, con
voce e coi gesti
:
la moltitu-
arguzie, coi giuochi e lo stile
pomposo, elevato
la popolaritù, coi proverbi, coi
con
con opportunità e detti con grazia; la ».
presenza, con la disinvoltura, con
Tutti
i
mezzi erano buoni. Cosi frate
Blas, per attirare l'attenzione dell'uditorio, predicando
giorno sul mistero della Trinità, cominciò:
«
un
Nego che
Dio sia uno in essenza e trino in persona »; e si fermò un poco. Gli ascoltatori cominciarono a guardarsi, scandalizzati e incerti; e, quando egli li vide presi all'amo,
1
Nella Historia de
pp. 414-17.
las ideas
estéticas
en
Espana, tomo
III,
voi. I,
E IL GUSTO SPAGNUOLO
prosegui: il
«
Cosi dice l'Ebionista,
Manicheo,
con
Socciniano;
il
la Scrittura, coi
si
Marcionista, l'Ariano,
il
io
Concili e coi
doveva fare (come
di .simile
ma
187
proverò Padri
loro
il
errore
Qualche cosa
».
è detto di soprai quel fra'
Niccolò Riccardi, celebre predicatore italiano del Seicento, di
cui
ci
parla
cominciò:
dendo
il
Tiraboschi. Un'altra volta,
l'uditorio:
salute vostra,
«
mia
Non
Blas
frate
Alla salute vostra, signori!
«
»;
e,
ri-
c'è da ridere (egli prosegui): alla
Gesù
e di tutti, discese dal cielo
Cristo
e s'incarnò nelle viscere di Maria: Propter nos homines et
propter nostram salutem descendit de est ».
—
Il
discepolo, fra Gerundio,
ma
del maestro,
lo
gli
altri
il
padre De
Isla,
gesuiti, riparò
in
accese tra letterati italiani e spagnuoli sulla si
è
degno
quando, scacciato Italia
\ essendosi
note polemiche
le
provenienza del cattivo gusto dalla Spagna
in Italia,
schierò tra coloro che difesero la purezza del gusto spa-
gnuolo e ne asserirono
l'
innocenza nel secentismo
no ^ Eppure, nessuno più efficacemente di in
incarnatus
et
supera.
Giova notare che insieme con
ccelis
non solamente
mostra
le
storture e le bruttezze di
della letteratura spagnuola, la
lui
italia-
aveva messo
un importante ramo
quale ebbe, por questo
ri-
spetto, sulla nostra, aperta efficacia.
1
Prese stanza in Bologna, dove mori
-
Si
veda
la
escogidas, p. xiii.
prefaz. di
P. F.
Monlau
il
1781.
alla cit.
ediz. delle
Obras
APPENDICE SECENTISMO E SPAGNOLISMO
La
teoria che
il «
secentismo
»
sts.
spagnolismo
;
»
fu dibattuta
nel secolo decimottavo, principalmente dal Bettinelli e dal Tiraboschi,
che affermavano, e dal Lampillas, che negava
gitata ai nostri
tempi dal D'Ovidio, dal
ed è stata
;
f'arinelii e
da
altri
ria-
non
pochi.
Per rendere fruttuosa
1"
indagine e
la discussione, è necessario,
positivistico
anzitutto, spogliare quella teoria di ogni involucro
naturalistico.
Si suole, infatti, darlo
tivo gusto letterario fu, nel Seicento,
prodotto da una causa, che era
con cui
l'Italia,
in
la
il
significato che
il
cat-
un effetto meccanicamente
cultura e letteratura spagnuola.
quel tempo, venne a stretti e molteplici con-
tatti.
Intesa a questo modo,
causa del cattivo gusto tori
la
fu,
tesi
i^rovoca
spaguuoli non erano capaci di produrre
de. Anzi, invertendo la teoria, si
avuto
l'Italia,
l'effetto
che
si
«
vita civile e let-
petrarchismo
il
spagnolismo
»
sarebbe da dire
può sempre provare che e,
anzi,
corruppe
il
l'altro.
un
«
corruttore e di
corrotto fu
Di qui.
italianismo
l'
».
un
e
genere,
e, in
sem-
dell'anima e della poesia spagnuola: onde
che, dove si asserisce l'esistenza di
simo
che
proten-
culto di forme letterarie raffinate, fu essa che corruppe la
plicità e popolarità
preteso
:
grande sulla Spagna, specialmente nel Quattro
Cinquecento, e avendo introdotto colà
si
l'antitesi
può perfino sostenere che, avendo
perla maggiore maturità della sua
teraria, efficacia
il
subito
invece, l'Italia stessa, e che gli scrit-
K
il
chiaro
corrotto,
corruttore di sé mede-
intermiuabilità e sterilità
APPENDICE
190 delle dispute
cento)
si
menti avvocateschi,
modo
Che
in proposito.
se poi (come accadde nel Sette-
mescoli nella disputa un po' di boria nazionale, gli argoi
sono preparati e quasi provocati dal
quali
stesso in cui è stata posta la questione,
sì
moltiplicheranno
in tal guisa, per opera dell'una e dell'altra parte contendente, da soffocare, col loro rigoglio, ogni
germe
di verità.
Spogliata da pregiudizi meccanistici e positivistici, la questione
non 1")
è più
se Io
se, tra
debba porre rare tra le
altresì lo
del
stabilito
che
ingegni italiani di allora
le
e
detto secentismo
cosi
spagnolismo;
condizioni, per cosi
rimanendo bene gl'
spagnolismo fu la causa del secentismo;
condizioni
le
e 2°)
Ise
pivi
dire,
ma
italiano si
esso sia da annove-
importanti.
E, cioè,
opere italiane furono prodotto de-
che l'Adone del Marino,
p.
e.,
è do-
vuto alla forma d'animo e di mente del Marino, e non già a una spinta estrinseca che l'introdusse nello spirito di lui;
pere
nella
se,
si
vuol sa-
materia che era innanzi allo spirito del Marino,
entrò anche la cultura e letteratura spagnuola, e in quale esten-
deve procedere, dunque, nello studio dello spagnolismo
sione. Si
con quel metodo stesso che
si
deve l'igorosamente osservare nello
studio di tutte le cosi dette fonti ^
Alla prima
domanda
spagnolismo
se lo
qualche misura,
fu, in
tra le condizioni della letteratura italiana del Seicento, la x'isposta
potendo venire in mente a nessuno
esce subito affermativa; non di
negare
il
ed era nota,
fatto evidente
che una letteratura spagnuola esisteva
alloi'a, agli italiani
;
così
come non
si
potrebbe escludere
da quelle condizioni nessun'altra delle letterature preesistenti
e
coesistenti, e direttamente o indirettamente note in Italia. Alla do-
manda lo
più particolare
spagnolismo fu tra
mente esso se
non con
si
(e
le
che è quella che veramente preme) se condizioni
importanti, e
determinasse e configurasse, non
della questione, a cominciare
Si
come propriapuò i-ispondere
dati di fatto precisi e istituendo ricerche particolari.
In ciò hanno peccato quasi tutti coloro che
1
si
veda per
la
dagli eruditi
questione metodica
Estetica (Bari, 1910), pp. 489-504.
il
si
sono occupati
del Settecento, fino a
mio volume: Problemi
di
SECENTISMO E SPAGNOLISMO dei giorni nostri
quelli linea,
ben pochi,
esclusi
;
Farinelli. Invece di
il
studiare la
e,
1*»1
tra essi, in
Spagna
prima
e l'Italia dei se-
coli
decimosesto e decimosettimo,
alle
caratteristiche della razza spagnuola, quale si è manifestata
è preferito discettare intorno
si
nei secoli; ovvero risalire all'antichità e proporre congetture sull'influsso che gli scrittori latini, nativi di Spagna, avrebbero avuto
decadenza letteraria romana. Ora,
sulla
sano notare, nei popoli,
certi
non negherò che
io
caratteri, su
traverso lunghi periodi, e che Seneca e Lucano, p. sero di siffatti caratteri e influissero
nemmeno paia che
dati di
i
due ordini
che
fatto,
Ma
si è in
insisto
perché
di questioni,
dente da quella dell'altro. Che dalla
Spagna
e.,
pos-
tesi,
at-
partecipas-
romani
scrittori
altri
pronunzierò disperata quest'ultima
pochi e assai incerti. i
su
si
per giù persistenti
;
e
quantunque mi
grado di addurre, siano ben
sulla
opportunità di distinguere
la soluzione dell'uno è indipenla
qualità dell'efficacia, spiegata
nel Seicento, rispondesse a certe sue disposizioni
antichissime, o che invece provenisse da cagioni recenti
;
che essa
rispondesse all'immutato carattere spagnuolo o a condizioni transitorie;
che fosse simile o dissimile da quella, che già essa spiegò
nel primo secolo dell'Impero sulla letteratura romana;
movere
un passo
tutto ciò
non
fa
la
questione proposta. Anzi, l'intralcia,
non
solo distraendo da essa e
impedendone l'approfondimento, ma
di
introducendovi quegli odiosi pregiudizi, che sono torno alle razze. Si lascino, dunque, un po' da parte
peregrinum
e l'influsso arabo,
naturale concettosità spagnuola; si
pregiudizi inil
pingue atque
Marco Porcio Latrone, Seneca, Marziale,
di Cicerone, e
Lucano, Quintiliano,
i
e,
che avrebbe rafforzato
giacché
si
la
parla di Seicento,
guardi, intanto, al Seicento.
Troppo scarse sono scenza e diffusione di giudizi
le osservazioni,
libri
che se ne dettero e
quindi, sullo imitazioni
finora raccolte, sulla cono-
spagnuoli nell'Italia di quei tempi, sui le
ammirazioni che suscitarono
che se ne tentarono.
o,
Manca ancora un
saldo fondamento bibliogfrafico, che dovrebbe essere un catalogo delle edizioni e traduzioni, fatte in Italia delle opere e
un
sj^agnuole;
altro, storico-biografico, sulle varie colonie letterarie spagnuolo
in Italia,
sulle
accademie italo-ispane, sulle compagnie comiche
spagnuole che venivano
in Italia, e via discorrendo. Tuttavia, qual-
APPENDICE
192 cosa
non
ultimi anni
negli
si è fatto
si
ed
;
da sperare che fra breve
è
parlerà più della questione circa
secentismo e
il
spa-
lo
gnolismo, perché essa sarà stata riassorbita nella precisa cono-
scenza dell'elemento spagnuolo che faceva parte della vita italiana nel secolo decimosettimo.
Per intanto, flusso
si
può considerare come accertato o indiziato l'insul dramma e, di quel tempo
spagnuolo sull'oratoria sacra
;
per esso, sulla commedia dell'arte e sul melodramma; sul romanzo; sulla lirica^;
e,
finalmente, sullo stile in genere. Quest'ultimo era
già avvertito da alcuni nel secolo precedente, cosi nell'uso delle metafoi'e continuate
Anche
credette
il
fu qualcuno che denunciò
Su imitazioni
il
il
il
^.
cattivo in-
Boccalini accennasse,
un suo Ragguaglio
Belloni, in
nice spagnuola che
1
in quello delle frasi cerimoniose
ci
Se mi pare dubbio che
flusso spagnuolo.
come
come
nel Seicento,
di Parnaso, alla ver-
Marino passò sul proprio petrarchismo
dal
Góngora
del
^,
è
Testi e del Tassoni, cfr. Fari-
par Espaàa y Portugal (Oviedo, 1899, pp. 36, 40-1 n.). Su alcune del Marino da Lope de Vega e dal Montemayor, Menghini, Vita e opere di G- B. Marino (pp. 124-6, 150, 168). Del resto, le imitazioni del Marino furono quasi tutte rivelate nelli, Apuntes sobre viajes
y
viageros
dagli stessi critici contemporanei, avversari e amici. Cfr.. p. le
canzone (Napoli, Passare, 1677), p. 161:
«E
circa
e.,
imitazioni dal Vega, Federigo Meninni,^^ ritratto del sonetto
fama che da Lope
della
e
Vega
di
Carpio portato avesse alcuni sonetti nella nostra lingua, e sono Simulacro divino; Che Tizio là; Siegue il vento ; Foggiò Fetonte; Ed ecco pur; :
Sovra vasi; Gire
e restarsi;
Parca d'amor; Contro
il
Esca porgea;
sole;
Tinta Varia; Se fra gli scogli; Mentre nel nido; Dite a la donna.
con quanta leggiadria
De Vega,
è nelle
Rime
e
di
miglioramento!
un marinista
Materdona, parte I, p. 46. 2 Si vedano le mie Ricerche 28-32, e la 3
Lingua spagnuola
Belloni, in Giorn.
tega dove Giambattista Marino de' quali
molto stretto, egli
il
accademico ozioso, del Maia
(Roma,
stor. d. lett. ital., I,
Ma, pure,
sonetto, tradotto dal
ispano-italiane (Napoli,
in Italia
Boccalini {Ragguagli di Parnaso,
gnuoli,
e
Un
».
84) è:
XXXI, •
1898), I, pp.
1895), pp. 42-52.
si
376
n.
Il
luogo del
trasferivano nella bot-
faceva lavorar
borzacchini spa-
Coppetta volendosi provare uno, perché
tal violenza
usò nel calzarlo che
lo
li
sgarrò
riusci »,
ecc.
SECENTISMO E SPAGNOLISMO che
certo, invece,
loqo (16-46-7),
il
Pallavicino, nel Trottato dello
non manca
gnuolo dei concetti
ma non
crine,
cia,
stile e del
mettere in guardia contro
di
e delle
din-
vizio spa-
il
metafore. L'eleganza (egli dice)
ma non
mette guernirsi Tabito, il
193
am- ^
«
insuperbirlo di perle: acconciarsi
inanellarlo con ricci
:
lavarsi col sapone la fac-
ma non dipingerla col minio prezioso
E, poiché Seneca era spagnuolo, parla
di lui
di
come
Spagna
di
un
«
».
gin-
netto spagnuolo >, che « sbatte il viaggiatore » e lo accusa di « profumare i suoi concetti con un'ambra di Spagna, che a ;
lungo andare offende stanca
'
la testa:
nel principio
diletta, nel
processo
^
Nel quale luogo non riesco a vedere se non l'allusione all'osceno capitolo del Marino Lo stivale, e propriamente a quei versi che dicono: «
Li spagnoli
cellenti
han
Yengon
di
pend. al Borzelli. 1
Ediz. di
in uso
i
borzacchini, Forse perché
Spagna ed Il cavalier
Modena,
i
cordami
fini
»
i
corami più
G. B. Marino. Napoli, 1898,
1S19. pp. 24. 51,
H"»9,
ec-
ecc. 'ristampato in ap-
I8ó.
p. 228).
IV
PULCINELLA E LE RELAZIONI
DELLA C0MMEDL4 DELL'ARTE CON LA COMMEDL\ POPOLARE RO.MANA
D&W Archivio storico per 668. tica,
Lo
ìe
jy'ovincie napoletane, voi.
scritto in appendice è
voi. II (1904), pp. yS2-9.
una
XXIII
(1898), pp. 605-
recensione, pubblicata nella Cri-
JL
che e
ulcinella
non
si
può
sono tentate di
si
nessuna
è restata.
complicazione
definire. Delle
nessuna è parsa soddisfacente
lui,
Ma
perché non
psicologica
molte definizioni,
del
può? Forse per
si
personaggio? Sarebbe,
un bel caso, ch'egli facesse anche questo
certo,
persone serie, di sfuggire guizzando a d'intelligenza.
Senonché
terminano caratteri
d'arte
critici
i
tutti
i
la
di
tiro alle
loro
sforzi
analizzano e de-
da
e situazioni artiNtiche cosi difficili,
non sembrare veramente probabile che poi vogliano confondersi e cedere
se
La ragione non appare
le
armi innanzi a Pulcinella.
di quella impossibilità è di solito, e
i
tentativi
molto semplice
si
sono
;
fatti e si
e, ri-
petono con frequenza, ciò accade appunto perché, assai spesso, alle cose semplici
non
si
bada. Pulcinella non de-
signa un determinato personaggio artistico;
ma una
col-
lezione di personaggi, legati tra loro soltanto da un nome, e, fino a un certo segno, da una mezza maschera
un camiciotto bianco, da un berrettone si chiamano
nera, da
Tali sono, del resto, tutti quelli che
mici.
Come
lezioni,
ciò
c'è
che
si
tipi co-
potrebbe definire con esattezza codeste col-
messe insieme i
a punta.
alla
buona? Volendo determinare ti])o hanno di coiìuine,
personaggi compresi nel
rischio
di
fare
tante e tante successive
eliminazioni
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
198
mano solamente (quando
che, alla fine, resta lu
nome «
un
o
un
resta)
vestito.
Pulcinella rappresenta
il
popolano sciocco ed ozioso
»,
una volta il De Sanctis ^ E le obiezioni si affollano pronte: Deve essere necessariamente « popolano »? La commedia (e, stavo per dire, la storia) non ci presenta Puldisse
—
E
cinelli e guerrieri e ministri e re ?
perché
«
sciocco
» ?
Pulcinella non è spesso un furbo, che conosce e adopera
molto bene
E perché
vita?
le arti della
vi sono Pulcinelli che lavorano, o,
insomma, non restano si
in ozio? E, infine,
e,
supponendo che .
potessero affermare tutte' queste caratteristiche, baste-
rebbero a definire Pulcinella e,
Non
ozioso »?
«
almeno, s'affaticano
con
la
?
Quale
la differenza tra esso
l'Arlecchino o lo Stenterello? Col
p. e.,
sciocchezza
«
e
»
con
1'
«
ozio
»,
«
si
popolano
»,
possono co-
struire personaggi svariatissirai.
Dove ficile
si
che
non
è provato e
altri riesca
;
è riuscito
onde lascio di
il
De
riferire
Sanctis, è dif-
ed esaminare
altre definizioni (tanto più che di alcune converrà toccare
nei séguito), tutte soggette alla
medesima
del resto, faccia da sé la prova:
ne escogiti rebbe che
critica. Ciascuno,
legga quelle definizioni,
non verrà mai a capo di nulla. Si dimedesimo De Sanctis avvertisse questa irra-
altre, e il
zionalità del problema, perché, se parlando in iscuola for-
molo quella definizione, toccando, alcuni mesi dopo,
*
Dal
«
Libro della scuola
>
lo
di Fra?icesco de Sanctis, 1872, pubbli-
cazione di F. Torraca (Roma, 18S5), pp. 25-9. I brani principali, relativi al Pulcinella, o rari, a
sono stati
riferiti in
De
Sanctis, Scritti vart inediti
cura di B. Croce (Napoli, Morano,
lavori, che furono letti alla scuola del
De
1898), II, pp. 196-7.
Tra
i
Sanctis intorno allo stesso
può
leg-
gere nella Nuova Antologia (agosto 1872), e in opuscolo (Napoli,
Mo-
tema, quello dell'ARCOLEO, Pulcinella dentro rano, 1897).
e
fuori di teatro, si
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
argomento
Stesso si
in
un suo
scritto
109
evitò di ripeterla, e
',
restrinse a considerazioni di metodo, notando gli errori
in cui
cade, quando, nel dare la definizione, o
si
iden-
si
Pulcinella con la comicità in generale, ovvero, par-
tifica
Pulcinella la figura o
ticolarizzando,
si
un altro o
un'altra cosa.
di
fa di
damentale e distintiva
raccomandava non disse.
Ma
quale fosse
Pulcinella
di
di cercare per
(il
una buona
Si potrebbe osservare che, se
nome
il
il
simliolo di
nota fon-
la
che giustamente definizione),
egli
di Pulcinella ab-
braccia una serie di personaggi svariati, ciò non toglie che tra questi
personaggi ve ne sia uno,
il
quale (per applicare
un detto che si attribuisce al famoso padre Rocco, ma che è un aneddoto assai più antico, narrato di vari predicatori popolari),
non
il
quale, fra tutti, è
si
e Palcinelli falsi;
più o
«
il
vero Pulcinella
meno
belli,
essi
ma
sono
tutti
figli
legittimi dell'arte;
legittimi. Si può, di certo, ricercare,
quei personaggi, se vi sia un sottogruppo, legato da
tra
alcune qualità distintive, accanto a personaggi
ad si
No,
».
ha questo diritto di distinguere tra Pulcinelli veri
altri
isolati
o
sottogruppi meno riccamente rappresentati. Ma,
badi, anche questo sottogruppo è definibile solo appros-
simativamente, e contiene, a sua volta, personaggi svariati, un si è formato ciascuno con propria fisonomia. P. e. :
sottogruppo di Palcinelli nelli
«
furbi »;
ma
«
sciocchi
»
e
un altro
quei Pulcinelli, sciocclii o
di Pulci-
furiti,
sf
somigliano per un lato, sono, nel resto, più o mcn<»
si
di-
può ricercare quale o quali di iiuci vari omonimi individui artistici abbiano avuto maggiore fortuna versi. Parimente,
si
e abbiano dato luogo a più
1
La
scuola
'h\
frequenti
Nuova Antolojta, agosto
Scritti vari, ed. cit.. II, 189-197).
ripr-tizioni e
1S72. e
ora
imita-
ristarap.
iu
200
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
zioni.
Si Otterrebbe a
ma
pulcinellesca;
questo
modo una
prevalenza o
la
neanche determinerebbero nulla
A me
sorta di statistica
prevalenze numeriche
le
sul
vero
«
»
Pulcinella K
sembra, dunque, che di Pulcinella in genere,
quanto carattere
nome,
che sia un
non
artistico,
del quale
si
si
in
possa dire altro se non
sono serviti prima
i
com-
mediografi e attori napoletani, e poi quelli di altre parti d'Italia e
anche
artistiche.
Di
alcune loro creazioni
di fuori Italia, per
solito,
questo personaggio ha avuto anche un
aspetto e un vestito
fissi
di frequente,
e,
;
ha indicato una
creazione di carattere comico, ossia un personaggio per sé stesso ridicolo.
Ogni altra determinazione non appartiene
ma
al
Pulcinella in generale,
le
quali lo studioso di letteratura deve ricercare e descri-
alle singole sue incarnazioni
;
vere, assegnando le circostanze tra cui nacquero, e, cioè,
facendone
Ma, se
la storia.
la fissità (in certi limiti) del
è poca cosa,
non bisogna credere che
La predilezione per buone ragioni. una propria
Il
e
non
vestito
il
simbolica,
e diretta
e del vestito
dette maschere, o tipi
le cosi
nome
nome
sia a dirittura nulla.
ma
s'
ha
fissi,
contengono
solo
impregnano
altresì
delle rappresentazioni artistiche nelle quali sono stati adoperati, e recano
con sé e
desta una fonte di sare, di
ma
che non
questa suggestione,
come
di Pulcinella, .pel passato)
cui non
si
si
si
sorriderà nel vedere una statuetta
usa esporne
(e si
usava anche più
commercio
;
e
si
sorriderà nel passare in-
nanzi a una villa dei contorni di Napoli, dove
'
Una
effetto
dai bottegai popolari di Napoli, quasi dio tu-
telare del loro
descrizione in
vero Pulcinella,
co-
deve abu-
può disprezzare. Appunto per
si
È
in sé sentimenti e fantasie.
effetti artistici, di
si
parola Pollecenella.
vei'si
può leggere
napoletani, che
si
ci si
offre
dà come quella del
nel Vocah, napol. del
D'Ambra, sotto
la
PULCINELLA E LA 'OMMEDL\ DELL' ARTE lo Spettacolo di
tario in
un terrazzino,
ha postato due batterie
mezzo
e
;
si
gusterà
la
sul quale
(al
bizzarro proprie-
cannoni con un Pulcinella
di
comicità della facezia di un ce-
lebre motteggiatore napoletano,
chele Viscusi
il
201
quarantottesco don Mi-
il
quale, nel tempo dei Borboni, lo scherzo
costò la prigionia), a quel venditore, che recava sopra
dodici piccole
tavoletta «
Quanto ne chiedi
di
figurine
di
una
gesso di Pulcinelli
questo Consiglio di ministri?
:
».
Sul medesimo effetto contano gli attori uell'annunziarsi e presentarsi sulla scena in ajoito e veste da. Pulcinella; e lo
raggiungono, perché sono accolti subito da riso e applausi.
Finanche allorché un attore
di
molto ingegno volle trasfor-
mare Pulcinella in un personaggio sentimentale, quel vestito e
quel
nome ebbero una
certa loro particolare efficacia,
rafforzando e complicando la commozione.
eppure piange
»,
sembravano
«
È
Pulcinella
dirsi gii spettatori.
«
O
;
mi-
umana, quanto sei grande: come penetri dappertutto, non t'arrestano la maschera e il vestito del buffone! ».
seria e
Chi poi la
si
letteratura
modo che
faccia a studiare, nel
pulcinellesca, e
si
fermi
sui
si
ò detto,
singoli perso-
naggi, anche qui incontrerà talvolta la difficoltà del non
per una ragione diversa da quella che abbiamo assegnata per il carattere del personaggio in gene-
poter definire;
rale.
ma
Quella letteratura
ranti e istrioni, che
contentatura.
si
Donde
è, in
gran parte, opera
mestie-
di
rivolgevano a un pubblico di l'incoerenza
nella
facile
rappresentazione
del personaggio, sia per l'incapacità degli artisti, sia per la
E
tendenza a soddisfare gusti
grossolani
del
pubblico.
moltissime commedie e farse presentano da una scena
all'altra,
dissimo
fe
e
spesso nella stessa scena, un Pulcinella intelligentissimo,
ridicolo
e
derisore,
stupi-
abile
e
tutto ciò a sbalzi, senza nessun prininetto, savio e matto cipio di unificazione artistica. Alcuni critici si sono studiati :
d'introdurre logica e armonia in questo miscuglio e hanno
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
202
mediazioni che rendano concepibile
voluto trovare
le
rattere. E, se
anche hanno detto talora cose
gnose,
sono sempre affaticati indarno
si
cercare
carattere
il
e
l'arte,
sono.
La rappresentazione,
serie
di
motti, di
atti
prendere e a produrre e
Pulcinella agisce
parti e nessuna
I
:
non
ca-
il
inge-
assai
è possibile
dove carattere e arte non
in quei casi, si risolve in
una
a
sor-
ridicoli, di l'effetto di
lazzi, destinati
una momentanea
da semplice buffone, che
fa
risata;
tutte
le
compiutamente.
Queste avvertenze occorre tenere presenti per lavorare
con frutto intorno dell'arte.
alle
maschere della commedia popolare
La trascuranza
di
esse
rende confusi, incon-
cludenti e arbitrari parecchi degli studi che
si
sono avuti
sull'argomento ^
i
P.
gliuolo
due
e.,
l'ampia opera, riccamente illustrata, di Maurice Sand
della
voli.),
grande romanzatrice), Masqiies
et
che lascia da desiderare non poco anche sotto
della ricerca e dell'erudizione.
(fi-
houffons (Paris, 1860, il
rispetto
L'inventore del Pulcinella
Nome, cognome, patrl\ e vestito del personaggio
X
teatrale, altre
nome
er Palcìnella, ossia per questo si
ha una fortuna, che non sui teatri.
Fu
per molte
ripete
si
maschere, anche di quelle importanti
primo l'introdusse
personaggio
di
:
si
conosce chi
costui Silvio Fiorillo, at-
tore napoletano, che recitò in Napoli e in altre città d'Italia
negli ultimi decenni del Cinquecento
Seicento, celebre segnatamente nella
spagnuolo
Lo sto
»,
sotto titolo di
«
primi del
nei
parte di
«
capitan ^latamoros
Scherillo, nel suo bel saggio
punto
e
si
-,
capitano >
'.
richiama per que-
Andrea Ferrucci neH'JWf lui è sfuggita una testimo-
alla testimonianza di
rappresentativa (1699);
ma
a
nianza assai più antica e autorevole, dalla quale è probabile che il Ferrucci traesse la sua. (Se l'avesse tratta da diversa fonte, tanto meglio, perché
invece
1
avremmo
in tal caso,
di una sola originaria, duo affermazioni
Aliìrecht Dieterich, Pulcinella, pompejanUche
rOmische Satyrspiele
Leipzig, Teubner, 1897;,
p.
257,
indipen-
Wamlbilder
unii
sembra confon-
dere Silvio Fiorillo col più celebre Tiberio Fiorilli, che recitò a Parigi col nome di « Scaramuzza • Ma non «^ accertato neppure che tra .
i
due 'benché entrambi napoletani) fosse relazione di parentela. 2 Pulcinella [\n La commedia delVarte in Italia, studi e profili, R<Miia.
Loescher, 1834).
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE
204 denti).
Quella testimonianza è data dal comico ferrarese
Pier Maria Cecchini, detto
Frittellino
«
»,
nei suoi Fruiti
moderne comedle, pubblicati a Padova nel 1628 In quest'opuscolo, il Cecchini, dopo avere discorso
'.
delle
«
parti
napoletane
speciale capitoletto a
cosa nuova o recente (cosi,
dei
(cioè,
»
Policinella
«
« Il
:
»,
delle
dedica uno
comici),
tipi
parlandone come di
tacer della parte di Policinella
complimentosamente, egli comincia) sarebbe un
gno
poco amore, e
di
se appresso di di
for-
indizio
lui
qualch'odio:
se-
il
quale
non potrebbe meno aver assistenza in petto, che al-
bergasse umanità, la quale di
natura è
amica
tanto
delle piacevolezze
».
po averne delineato
^^W
KW
soggiunge:
rattere,
E, doil
ca-
«
In-
ventor di questa stragofis-
sima parte fu
Capitan
il
Mattamoros, uomo
in altri
comici rispetti di una isqui-
Silvio Fiorillo
sita
bontà, posciaché
fare
il
capitano spagnuolo
non ha avuto chi
in abito di Capitan Matamoros.
Dal frontespizio della Lucilla costante.
zi,
e
per
forse
lo
avan-
pochi che
lo
agguaglino. Questo, per far
credere che anche
la
semplicità abbia loco d'albergare fra
napoletani, trovò questo
1
modo
Frutti delle moderne comedie
Cecchini, nobile ferrarese, tra sereniss.
granduca
di
et-
d' introdurla;
avisi a chi
le
che poi ha
il
recita
di
Piermaria
comici detto Frittellino, dedicati al
Toscana Ferdinando secondo
presso Guaresco Guareschi al Pozzo dipinto, 1628).
(in
Padova, ap-
l'inventore del pulcinella
I.
avuto
suo accrescimento dall' iiumitazione. e
il
in Francesco,
tanto gusto
qual non vuol
il
privar
205 l'
isquisitezza
sua
la
patria di
K
»
Per intendere a pieno
valore della testimonianza del
il
Cecchini, occorre notare non solo ch'egli era contempora-
neo del Fiorillo (ancora vivente, quando blicava
il
ma
suo opuscolo),
anni dal 1616
al
1618
che
Napoli per alcuni
recit<^ a
Anzi, l'opuscolo di
~.
Cecchini pub-
il
per buon.)
lui è,
parte, diretto a dare notizia dei personaggi comici napoletani, «
trascurando quasi del tutto quelli del resto d'Italia,
lombardi
come
»,
l'autore) io volli
con loro, si
«
mai avuto cagiono
(sic)
ebbi però sempre spinto
(che)
come ora
allora; giacché (dice
a quelli {agli attori) di Napoli far cono-
benché non ebbi
scere,
chiamavano
si
parnii di aver
campo
di
publicarli
In quel torno, erano venuti in voga
comiche
le
«
parti
o
»
«
Ma
Coviello, Pascariello.
nelle
napoletani »: Cola,
personaggi
falsificati
a cagione del
adoperato dialetto e dei gesti e azioni esagerati cercò di quali
li
noti
farli
aveva
loro aspetto
nel
visti
nella
loro
genuino
e
migliore,
d'origine,
patria
ni.ii
Ond'egli
'\
discor-
pp. 84-5.
1
Op.
2
Documenti pubblicati da me
cit.,
».
compagnie
questi, nel resto d' Italia, al dire
Cecchini, erano di solito
del
di recitar
di conoscerli,
(sic)
nei Teatri di Napoli {ì^apoh. Pierro,
1891), pp. 93-94.
In queste nostre parti di Lombardia si sono seminati diversi quali, per non esser napoletani, sono i ignudi di quell'azioni, le quali son proprie solo di chi è nato in quel 3
.
personaggi alla napoletana, paese; onde con
uno
all'ordine del dire riello
od altro;
il
espresso assassinio fatto alla lingua, ai modi e nome di Covello, Cola, Pasquail
riserbano solo cui
condimento par loro che
di vita, nefandità de balli,
obrobrio de gesti,
mano un uomo da consegnar
sia le
alle carceri, le quali
stigo le servono per stanza perpetua
>
un
tal
torciment..
quali cose tutte for-
per mediocre ca-
(op. cit., pp. 32-4).
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
206
rendo, in pari tempo, con lode di alcuni attori napoletani
Anche
la celebre serie d' incisioni del Callot,
'.
Balli di Sfes-
i
sanìa, ritrae in mag-gioranza personaggi comici napoletani,
come
nomi
risulta dai
un
gerito da
e
;
il
tema
stesso della serie fu sug-
ballo, popolare in Napoli a quei tempi, detto
la « Sfessania » o «
Quando, dunque,
Lucia
-.
»
Cecchini affermava che la parte di
il
Pulcinella
fu introdotta
quel ch'ei
si
da Silvio
sapeva
Fiorillo,
dicesse, perché discorreva di fatti
bene
contempo-
ranei, sopra diretta conoscenza del paese e degli attori nel
quale e tra
quali nacque
i
il
nuovo personaggio.
Determinare l'anno preciso dell'introduzione opera del Fiorillo, non
sulle scene per
1
Erano
essi
si
Ambrosio Bonuomo, che faceva
può.
il
di
esso
Sgombrando
Coviello. e Barto-
mio gusto, ognun di loro rappresenta il suo personaggio con quel verisimile, che forse non ha simile in tutta Italia ». Dello Zito dice anche: Questo medesim'uomo è studiosissimo di storie, ha qualche tintura di poesia, ed un cosi numeroso studio de libri volgari, che forse fuori di quello non vi sarà cosa buona, che anche nel suo non abbia avuto lomeo Zito, che faceva
il
Dottor Graziano:
«
i
quali, a
«
l'ingresso
quanto per Si
».
Sul
Le
121, 778.
9.0,
Bonuomo
egli fu tra
un dotto
e
e sullo Zito. cfr. Teatri di Napoli, pp. 65-8,
notizie sul secondo riescono tanto più interessanti in i
primi e miglicri scrittori dialettali di Napoli, noto
arguto comento
alla Vaiasseide del Cortese (Napoli, 1628).
veda sopra, in questo volume, pp. 2
La
Sfessania
è Sfessania
» )
( «
41-2.
Ma
quel ballo alla maltese,
è descritta cosi dal
di Napoli (Bibl. Naz., segn. XIII,
Del Tufo, e. 96),
ff.
a Napoli da noi detto
nel suo noto ms. Riti-atto
100-101:
«Move
in giro
le
man, natiche e piedi. Battendo e piede e man sempre ad un suono; Curva il petto sul ventre, e allor tu vedi Con grazia il ballator gir sempre a tuono; Porge in fòr l'anche, e vien dove ti siedi Con man, natiche e
cenno Con verità,
pie, pie,
cui gli altri sono Dietro a mirar, di che
natiche e man, con tutto
non molto evidente
e
il
senno
che fa rinascere
il
>
.
il
primier fa
Descrizione, in
desiderio di un'illu-
strazione degli antichi balli popolari italiani. Intorno alla Sfessania, cfr.
anche Canto de
li
curiti,
ed. Croce, voi.
I,
p. 7.
l'inventore del pulcinella
I.
il
terreno dallo
scenario
«
»
207
erroneamente
col Pulcinella,
attribuito in questi ultimi anni a Giambattista della Porta le
naso del Cortese (1621) e dei Balli di Sfessania è
Ma
1622) ^
il
medesimo anno una commedia
nel
Pulcinella appare in
(la
cui data
Cecchini (1628),
del
di Virgilio Verucci, e
nel 1632 in un'altra, allora messa a stampa e forse
tempo prima, eh 'è lavoro
posta parecchio
proclamato autore del
tipo,
personaggio
al
11
nome
«
Policinella
di
cinella
»
primo decennio del Seicento. Pulicinella
», «
e simili, e in quelle
«
»,
La connessione con
».
Polecenella
italiane di «
non pare dubbia; legame
tra
di Sfessania,
si
e,
»,
e quella
«
Pulle-
Pulcinella
toccherà più
si
ha a dirittura la forma
Un
dotto e gentile amico
una farsa popolare, che ancora Rogliano e in
altri
luoghi di
si
al Seicento,
sonaggio
comico
senso
il
Pulliciniello »,
«
«
-
testi
m' informa che
recita nel
mostra di
appare, accanto a
di
ol-
in
carnevale a
Calabria, e che nei perso-
naggi e nelle allusioni storiche
mente
e
immagine. Nei Balli
che rimane, per altro, singolare e senza riscontro nei napoletani.
»
nonostante
»,
a ogni modo, vivo era
nome
quel
«
pulcino
alcune irregolarità morfologiche di cui
del
an-
si
risalire l'introduzione del
appare, indifferentemente, nelle forme dialettali
Pulcinello
tre,
com-
di colui che è
Forse non
Fiorillo.
il
drebbe lungi dal vero, facendo
«
;
menzioni più antiche restano quelle del Viaggio del Par-
Pullicino
»,
«
risalire
Trastullo
ch'ò
vestito
certa-
», il
per-
come
il
maschera, dagli occhi tondi, dal naso adunco, sembra avere qualcosa di gallinaceo; e il medePulcinella.
Anche
la
simo è stato notato della voce, quale almeno sogliono modularla
1
i
burattinai nel ù\v parlare Pulcinella
M. Vachon, Jacques signor Vincenzo
2
II
3
E,ACioPPr,
pp. 181-189).
Per
C'allot (Paris,
^.
Librairie de l'Art,
s.
a.\
Parisio, di Rogliano.
la storia del
Pulcinella (in Arch. slor. nap.,
XIV,
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
208 Al
nome
aggiunge
si
un cognome, che
di solito
fissò
si
commedia che ci del Fiorillo, Pulcinella si annuncia come « Policide Gamaro de Tamaro Coccumato de Napole, ua-
poi in quello di
resta nella
sciuto a
Mca, nella
».
Ponteselece, figlio de
Sbignapriesto
»
Marco
Sfila e
de
Madama
con che non vogliamo asserire che, in
;
non
occasioni,
altre
Cetrulo
«
si
chiamasse
«
Cetrulo
»,
come vien
detto già negli Scenari del conte di Casamarciano, che apultimi decenni del Seicento. Del resto,
partengono
agli
cognome
Cetrulo
«
»
era
comune ad
mici, di quelli a noi noti anche
altri
personaggi co-
prima del Pulcinella:
un'operetta del bolognese Giulio Cesare Croce viello Cetrullo
s'intitola:
Cetrulli
Le insolenze
Spesso, anche, al
»
;
si
trova
«
in
Co-
una commedia del Seicento
e
'
il
di Pascarello Citrolo'-.
nome
cognome segue l'indicazione
e
della patria. Si è dato qualche peso al fatto che Pulcinella si
dica nativo di Acerra
Atella
»,
«
presso le vicinanze dell'antica
nota tendenziosamente
libro del quale è
:
si
il
Dieterich, nel suo recente
discorrerà più oltre.
un dato costante.
del Fiorillo, la patria è Ponteselice
già diventato
il
Ma neanche
Si è or ora visto che nella ^.
codesto
commedia
Acerra era, tuttavia,
paese proverbiale di Pulcinella, negli anni
in cui scriveva
il
Perrucci, ossia nella seconda metà del
Seicento.
1
Teatri di Napoli, p. 774.
Ne
è autore Melchior Eossi da Cori, e se ne legge il titolo negli annunzi che accompagnano La Vendemia, scherzo rustico di Manardo 2
Catosi (Eonciglione, 1675). 3
Ponteselice è un ponte sul
«
lagno
»
tra Napoli e Aversa.
Non
ha notizia che vi fosse un paesello abitato; ma forse vi era un gruppo di case. Il luogo conserva ancora questo nome. Si veda su « Ponte a selice » uno scritto di C. Malpjca, nel Poliorama pittoresco, si
a.
I,
voi. Il, p. 186.
I.
anche speciale rilievo
dato
Si è
morata
di Pulcinella si chiami,
dunque,
cino,
l'inventore del pulcinella
stampa che
e
l'innail
pul-
prima commedia a
la
sia finora nota, col Pulcinella, eh' è quella del
Verucci, presenta, infatti, rata di Pulcinella
ma
;
Colombina
tano, né
E
ebe
fatto
Colombina:
spesso,
colomba ^
la
al
209
servetta Colombina, innamo-
la
né è commedia
nome
è
di autore
né
napoletano,
napole-
quella
ser-
vetta parla
il
dialetto-. Xei Balli di Sfessanici, Pulliciniello
danza con
la
signora Lucrezia,
il
vecchio diminutivo napoletano, dà
appare
altre opere,
di Zeza). Nella
infatti
cui nome, tradotto in «
Zeza
»
;
e
moglie di Pulcinella
Zeza, in
(Canzone
maggior. parte delle antiche commedie,
amanti
di Pulcinella
parella
^.
le
chiamano Rosetta. Pimpinella, Pu-
si
Tutti questi nomi, cognomi e indicazioni di patria
ri-
spondono a una simbolica comunissima e a una satira popolare
simbolica tratta da ravvicinamenti con animali,
:
che ha di
e satira
grandi
città,
i
mira villaggi e paeselli prossimi
servabili di goffaggine.
Anche a Coviello
per cognome
»
la
parte di
«
Ciavola
Formicola
«
fa spesso cittadino di
1
RACioppr, op.
2
II
lomma
cit., p.
e
è dato, di solito,
(gazza), e Salvator Rosa recitava ».
Il
moderno Sciosciammocca
si
Marcianise.
ISI.
colombo » si dice nel dialetto napoletano: « padiminutivo: « palommella ». Il nome di Colombina è
femminile di
».
alle
cui abitatori appaiono al cittadino tipi os-
il
«
tanto poco napoletano che, in questo dialetto, è stata alterata in • culumbrina », nel significato di donna vana e civetta: « Chi io vedere a miigliera
'e
Giacchino Miez'o mare facenno a columbriiia...
'
(Croce,
Canti politici del popolo napoletano, p. lxi\ 3
Cornelio Lanci di Urbino scrisse, tra
pinella,
sibile vedere. «
Quadrio,
Urbino, 1588
Pulecenella
— Xel •
.
II,
P.
le
altre
I, p. 90;,
dialetto napoletano esiste
che è
«
Pulecenellessa
»
commedie, La Pim-
che non mi è stato pos-
anche un femminile
di
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE
210 Assai
meno noto
è l'aspetto
del
Pulcinella
fiorilliano.
Preziosa per la sua antichità sembrerebbe l'incisione del Callot \ nella quale il personaggio è per la prima volta figurato.
Mancano
alcuni
in essa
Punicinieno
e la signora Lucrezia.
Dai Balli di Sfessania di J. Callot
è di
forma conica; Pulcinella (oh stupore
pende
e gli
chino.
Il
camiciotto e
personaggi
1
II
una daga
al fianco
riormente usati; altri
(1622).
ed essenziali del costume di Pulcinella.
stanti
non
diventati poi co-
tratti,
ma
i
di legno
cappello
Il !)
come
ha
i
baffi,
all'Arlec-
calzoni sono simili a quelli poste-
comune a molti La mezza maschera ha
tale foggia di veste è
ritratti dal Callot.
DiETERicH, Pulcinella, pp. 252-3, dice che gl'impiegati del Mu« nonostante tutti gli sforzi e' le ricerche durate ore in-
seo di Napoli,
tere
>
,
non riuscirono
l'incisione del Callot.
quel giorno: a
me
a trovargli la collezione Firmiana, dove
Dovevano
è stato facile averla in cinque minuti.
cina Biblioteca Nazionale les
si
vede
serba
la stessa incisione nel
E
nella vi-
volume: Toutes
Jacques Callot (à Paris, chez Israel Silvestre, 1662). I Balli contengono ventiquattro quadretti con quarantanove figudanzanti: il primo rame, eh' è come un frontespizio, ne pre-
(XHvres de
di Sfessania
rine di
si
essere assai distratti gli impiegati, in
senta tre: tutti gli
altri,
due.
l'inventore del pulcinella
I.
il
becco adunco,
che
si
ma non
211
che fosse nera. Non credo
risulta
possano cavare da queir incisione conclusioni sicure,
giacché l'artista probabilmente
comiche da
lui osservate,
condusse, verso
si
le ligure
con qualche libertà. Dalla commedia del Verucci si sa soltanto che Pulcinella andava vestito poveramente, da straccione Ferrucci
descrive
lo
«
e
;
tutto
il
un
pezzo, sgarbato di persona, con
I'
adunco e lungo, sordido,
naso
_
melenso e sciocco in
^^ ^fe^^ ^*'
If-z-^^
^
tutti
i
ge-
con un sacco a guisa di
^tj
villano
Ho
'.
>
altre figure
cercato invano Pulcinella, quale
di
soleva presentarsi nei primi tempi.
Bisogna giungere
al
secolo
decimottav^o per trovare l'aspetto
a noi noto; p.
e,,
alla figura di
Pulcinella, che ci offre
boni
-,
derna PalcineUa
poco
in
théàtre italien
del Riccobonl.
ché non il
si
ticolare del
si
ha
mo-
vuol negare, ben-
risulti
documentato, che
Pulcinella fiorilliano recasse la
maschera nera tanto più che
Ricco-
.
Ma non
nei primi anni del Settecento. DaU'-ff'Stojz-e
il
diversa dalla
prova dell'antichità
e
il «
di
coppolone
un
^
;
altro par-
costume pulcinellesco. È noto che Pulcim-lla
1
De!'/arle rappresentativo, p. 341.
-'
Histoire
du
théàtre i'alien (Parigi, 1728-31), fig. 15.
maschera del Pulcinella
fiorilliano è nel
Museo
— Una
pretesa
Filangieri di Napoli
{Catalogo, p. 238). Sugli atteggiamenti del Pulcinella e delle altre
schere italiane nei balli, bellezza (trad. ital.,
si
vedano notizie neirHorjARXH, Anaìin
Livorno, 1761), p. 200.
ma-
Mia
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE
212
mano
viene spesso ritratto con un corno in
(contro la iet-
tatura? o simbolo di domestica abbondanza?;; e cosi
sta,
in plastica, a guardia di botte-
fn-v
ghe, specialmente di commestiquartieri
nei
bili,
Napoli
pubblico all'en-
Ora, in
curiosità.
e
il
baracche di giochi
trata delle \
di
e cosi, in carne e ossa,
;
suole invitare
?
popolari
un
poe-
metto bernesco, pubblicato nel 1636, dal titolo del
La
tabaccheide,
quale è autore un
abruz-
zese, Francesco Zucchi da
Mon-
teregale, discorrendosi delle varie
forme
PulcineUa col
«
corno
».
bacco,
DaU'opera del Rehfues, Gemàhìdf von Neapef (1808).
Ma
zine
pure, a dir
il
di tabacchiere
leggono
si
e di
da serbare
recipienti
altri
ta-
queste ter-
:
vero, trovo più bella
Esser l'invenziou tra l'altra (sic) rara Del galante buffon Pducenella. Questa credo sarà più accetta e cara Di tutte l'altre, ch'ora vanno a torno,
E
ch'ogniun cercarà d'averla a gara. Potrà far questa a tutte
Ma
qual
ti
credi,
L'invenzion che tanto lodo?
1
chi
La
tabbaccheide, scherzo estivo sopra
il
—
tra
Salvioni).
le
Poesie
dello
La dedica ha
e
data di Teramo, si
in dialetto napoletano all'autore.
coiino
^
Francesco Zuc-
con frontespizio par-
Zucchi, in Ascoli, la
firma dell'editore Papirio Cancrini, del quale
un madrigale
sia
È un
tabacco di
da Monteregale fstampata in primo posto,
ticolare, fìo
scorno;
l'altre
almo signor, che
1636, 1
appresso Maf-
giugno
16b6, e la
leggono un sonetto Il
e
passo citato è nel
I.
Perché
•<
l'inventore del pulcinella
invenzione
»
?
Forse Pulcinella
213 si
servi talora
un corno per tabacchiera; o il corno, che egli mano, faceva pensare all'autore che si potesse
sul teatro di
recava in
ridurlo a tabacchiera, a somiglianza dei cornetti nei quali si
serbava
la polvere
da sparo?
A
ciò
non saprei dare
ri-
ma che già il Pulcinella, nella prima metà del Seicento, facesse uso del corno, per uno o per altro scopo, con una o altra intenzione buffonesca, ci sem-
sposte soddisfacenti
bra che, da
e. 4, p.
85; e
;
qur-sti versi, risulti chiaro.
mi
è stato indicato dall'amico Luigi Kiccio.
chi fu autore anche di
drammi
e dell' Origine della famiglia
musicali:
Canfelma
e il
rico in versi (Napoli, E. Cicconio, 1653).
efr.
fiume
—
Lo Zuc-
Teatri di Xapoli, p. 136, Gizzo, disegno panegi-
11
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
1
La QUESTIONE dell'origine antica romana
C
notizie e
le
i
chiarimenti dati intorno all'attore che
introdu>ise sui teatri
il
nome
di Pulcinella, e intorno
personag-
allo stato civile e all'abbigliamento primitivo del gio,
non s'intendono,
stioni,
che
si
di certo, risolute tutte le altre qui-
sono fatte o
si
Riassumerò
di Pulcinella.
formolandole come segue
—
I.
In qual
modo
è
le
possono fare intorno all'origine più importanti in quattro capi,
:
da intendere che
il
Fiorillo fosse
(secondo l'espressione del Cecchini) inventore del Pulcinella? Questa espressione è usata in senso affatto rigoroso,
come per indicare che non
tipo? tore
»
in
potette,
il
il
Fiorillo escogitò lui
Fiorillo, essere
il
nome
chiamato
«
e
il
inven-
quanto elevò agli onori delle sue rappresentazioni, con
e fece valere
l'arte sua,
il
personaggio di Pulcinella,
ch'egli tolse a comici più volgari, a umili divertimenti di
una oscura tradizione Non potevano il nome, e forse in villaggio, a
stito,
e alcuni
teatrale
preesistente?
tutto o in parte
tratti del carattere, essere
anteriori,
il
ve-
come
distintivi appartenenti a personaggi comici, simili in parte
a quelli che rappresentò poi II.
—
Se
il
Fiorillo?
personaggio, o alcuni elementi di esso, sono
anteriori al Fiorillo, di^ limite
il
determinabile?
quanto sono
E non
anteriori? Si ha un
potrebbero quegli clementi
PULCINELLA E LA COMxMEDIA DELL'ARTE
216
risalire cill'antica
in
forma corrotta III.
—
commedia popolare romana, perpetuatasi e rozza
durante
il
Posto che a questa seconda
negativamente, e che
si
tenga fermo o
Medioevo?
domanda all'
si
risponda
invenzione totale
oa un'invenzione non molto da lui remota, e ammetta alcuna connessione tra il personaggio di Pulcinella e la commedia popolare romana, sorge una quedel Fiorillo
non
si
non proprio Pulcinella particolar-
stione più generale. Se
mente, non potè cosi detta
la
commedia
nuova commedia italiana (di cui la dell'arte e la commedia pulcinellesca
sono gruppi e sottogruppi) derivare, in parte, dalla com-
media popolare romana per trasmissione storica? In questa ipotesi, Pulcinella
si
riattaccherebbe bensi, anch'esso, alla
commedia popolare romana; ma indirettamente, per
la
me-
diazione dell'ambiente storico-letterario, di cui sarebbe o
più recente o rinnovato prodotto. IV.
—
E
si
ammetta
o no questa trasmissione storica,
non bisognerebbe sempre porre una relazione tra
la
com-
media popolare romana e la nuova italiana, in quanto prodotti del medesimo spirito etnico, di cui sarebbero effetti le
somiglianze tra
le
due commedie,
o,
almeno, molte
di codeste somiglianze?
Come il
si
vede, alcune delle indicate questioni superano
personaggio di Pulcinella, che vi è considerato come
caso particolare di un fatto generale; onde importa, tanto più, cercare di risolverle.
E dico subito che il dubbio, espresso in primo luogo, mi sembra affatto ragionevole. Cosi, un nostro contemporaneo non avrebbe nessuna titubanza ad affermare che il personaggio comico di Sciosciammocca è stato inventato dall'attore Scarpetta; eppure lo Scarpetta medesimo racconta, in un suo dimenticato libercolo ^, ch'egli fu coni
Don
Felice,
memorie
di
Eduardo Scarpetta
(Napoli, 1883), p. 103.
II.
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
I
217
assumere quel nome per aver rappresentato
dotto ad
prima volta con buon successo Sciosciammocca
in
»
personaggio
il
una vecchia
mera
farsaccia. E, oltre la
possibilità,
saremmo
nella cosa,
non tanto a cagione dell'aneddoto narrato
disposti a trovare qualche probabilitù
Galiani^, quanto per
di
rado,
fatto
il
ancora vivente
Pulcinelli,
il
Fiorillo;
quando un personaggio
anche
il
che non
si
giacché
«
sia
il
dallo
«
il
(pulcino) dà
»
femminile
«
Pulcinella ;
del
il
diminutivo
pullanchella
recato da
;
pulle-
«
non mai
»,
me
'),
«
pu-
ma
in-
più antica.
maraviglia non trovare menzionato
ma
altri scrittori
napoletani,
questo fatto non è argomento
solutivo, e, neppure, molto forte. In conclusione, se
dito scoprisse,
riferito
che parrebbero
forma diversa,
personaggio dal Del Tufo e da
anteriori al Cortese;
una volta
o l'altra,
Lo ScHEBiLLO ha avuto innanzi,
il
tli
nome
ri-
un eru-
teatrale di Pul-
quell'aneddoto, una tradu-
zione francese: l'origiBale italiano è nell'articolo Vocabolario
c'è,
esempio del secolo precedente, un Joan
1484,
Certo, desta qualche
1
E
introduce.
lo
una forma femminile
(esempio del Cinquecento,
»
dicare l'esistenza di una
il
», in
mentre, d'altra parte, troviamo cognomi ante-
Scherillo
Polcinella
che suole accadere
invenzione affatto indi-
trova nel vocabolario napoletano di quei tempi
»;
di
riori
Pulicinella
«
pullecino
ciniello », e licinella
nome
dal
del rapido moltiplicarsi dei
viduale e caratteristica dell'attore che poi,
la
di « Felicetto
«
Policinella
»,
del
napoletano, detto degli Accademici filopalridi, edito a Napoli
dal Porcelli nel 1789. 2
Scherillo, op.
Un mascheramento gnome
•
Italia; e
cit.,
pp.
68-9;
Croce, Teatri di Napoli,
di Pulcinella è anche, probabilmente,
il
p.
6b9
n.
noto co-
si trova in documenti dell'alta quondam domini Pulzinele a Carcerimenzionato in un documento padovano del 1294, fu
Polsinelli
».
un Bonifacio
bus de Verona », ricordato da me in
[Lo stesso nome figlio
•
Critica, II, p. 389 wj-
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL* ARTE
218
prima del
cinella
meno ancora mi parole
nelle
pullicino
«
non me ne maraviglierei ^
Fiorillo,
E
maraviglierei se accadesse d' imbattersi o
»
«
pulliciniello
usate
»,
come
denominazioni burlesche, se non propriamente teatrali
^.
Parimente, dell'ipotesi proposta in secondo luogo, non
mi sembra che
mera
possa negare la
si
Le
possibilità.
so-
pravvivenze dell'antichità classica sono tante; perché mai
non potrebbero essere Pulcinella,
di
stito
tra esse
nome
il
qualche particolare del ve-
di lui, e facezie e invenzioni
che entrano nelle rappresentazioni comiche di quel perso-
Ma
naggio?
1
sta
che tutte
fatto
il
le
somiglianze finora
DiETERiCH, Pulcinella, richiama V hislrio personatus, che appare
II
compagnia
lioiVAnLonius del Fontano, in egli stesso
del cantastorie
;
ma
riconosce
che quella menzione, se attesta l'esistenza di figure buffo-
nesche teatrali in Napoli nel secolo decimoquinto, non dice nulla di particolare intorno al Pulcinella. 2
[Ezio Levi, Francesco di Vannozzo
durante la seconda metà del secolo
XIV
e la
lirica nelle corti
lombarde
(Firenze, 1908), p. 308, crede di
trovare menzione di Pulcinella in una canzone dell'aretino Giovanni
de Bonis, che viveva in Lombardia nella seconda metà del Trecento: nella quale canzone, parlandosi della discesa dell'imperatore,
si
che l'aquila, prima
pulci-
«
stracciata
me sembra non
altro se
che «
sfor. d.
leti,
Pulcinella
metà
del
pulcinelli
»
piccoli pulcini
VII, p. 142.
tica,
<
ital.,
delle
—
Carceri ;
.
«
perseguendo
(in relazione
59-t)4),
(p.
217
e asserisce,
ricordato nei versi del
maschera
dice
di senno in ora in ora».
in quei versi,
con
non voglia 1'
«
Ma
significare
aquila»):
delinea m),
cfr. Cri-
una
biografìa di quel signor
vissuto in Verona nella seconda
senza provare, che era un ridicolo vol-
tafaccia politico, e che, perciò, diventato proverbiale, esso
alla
i
Vittorio Fainelh, Cki era Pulcinella? (in Giorn.
LIV, pp.
Dugento
ora verrà
E mutansi
nelli Perché voltan mantelli a
'.
De
di Silvio
Fiorillo.
cioè che niente vieta che
appunto
è
Bonis, ed assai i^vobabilmente dette origine
il
Riconfermando
nome comico
il
detto di sopra, e
di Pulcinella sia più antico
della sua apparizione e notorietà teatrale nella persona del Fiorillo, a
me non
pare che queste nuove congetture abbiano fatto progi-edire la
questione dal punto in cui
io la lasciai
or sono dodici anni].
II.
escogitate
si
I
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
spiegano agevolmente mercé
219
la
generazione
spontanea: così quelle dei simboli e nomi animaleschi e certe particolarità del vestiario (per la qiial parte
sono tanto più malsicuri
in
quanto regna incertezza circa
vestito dello stesso Pulcinella fiorilliano),
il
di
confronti
i
come
le altre,
relative ad alcuni tratti del carattere comico. Nel libro di
Alberto Dieterich, dedicato a Pulcinella, alle pitture mu-
pompeiane e
rali
ai
drammi
è trattata di proposito;
romani,
satirici
ma non
vi
a dimostrare la sopravvivenza classica; si
ha
la
la
questione
trova nulla che valga
si
anzi, in ultimo',
confessione dell'autore che riconosce non dimostra-
bile storicamente
commedia
antica.
il
nesso tra Pulcinella e
Anche
i
il
buffone della
pochi indizi, che egli riesce a
raccogliere a favore della sua
tesi,
non reggono
alla cri-
saChe Pulcinella riproduca l'antico osco rebbe congettura avventata, anche se quel vocabolo fosse (come non è) ben documentato, veramente osco, e significante veramente « gallo ». Circa i cognomi « Polcinella cicirnis,
tica.
o
Pulcinella
«
»,
dianzi citati,
il
osserva:
Dieterich
-
Il
essi è permesso concludere si è: che, se un soprannome poteva esser in uso, assai probabilmente era già congiunta col nome di quell'animale una determinata e sviluppata rappresentazione ». Certamente, ma non
meno che da
tal
già una rappresentazione di personaggio teatrale stesso che,
quando diciamo
di
un
tale
«
l'espressione non ci è suggerita né da trale,
al
modo
anima di pulcino >•, un personaggio tea-
né in particolare dal Pulcinella. Al Dieterich sem-
bra che vi siano tracce del «
;
maccheroni
»
e nel
nome
di
nome boccaccesco
Macco di <
nella parola
Buffidmacco >;
non indicherebbe la trasmissione del personaggio comico, ma di un semplice elemento verbale. il
che, se anche fosse,
1
Op.
cit.,
pp. 237-8.
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL" ARTE
220
Una «
sfugge alla discussione, è
sottigliezza, clie
Macco
un copista deìV Apologia il Dieterich medesimo sembra dare ma molta ne dà sicuramente a un secolo da
nome che
commedia
sannio
«
dell'arte
sannio
ma
»,
Giovanni
«
è
»,
sannio
«
il
diventato
»,
lo
zanni
«
»
della
al
»
;
De Amicis-.
prof.
il
valoroso archeologo anche que-
alla derivazione
Zanni
« il
com'è provato da fatto
;
L'unico
«
di
zanni
«
»
da
escogitata dalla filologia del secolo decimottavo,
nessuno più crede. o
non dare importanza
altro indizio:
Riccoboni e
il
dovere togliere
di
st'ultima illusione; «
tutto ciò
connessione riconosciuta da un pezzo
:
qual proposito cita
Duole
e
A
possa realmente seguire dall'antichità fino a
si
liano, è quello di
al
Apuleio ^
di
periodo greco, nell'osco, nel latino, e nell'ita-
nel
oggi,
parola
la
ritrovata nella correzione fatta nell'undecimo
>^,
nome
infiniti
» ^,
»
o
«
Gianni
»
,
o
Zuane
«
»
del servo sciocco bergamasco,
documenti;
i
quali escludono di
al che per altro sarebbe
dovuta ba-
stare la semplice considerazione fonetica e morfologica.
1
.
Secondo ìICaravelli. Chiacchiere
in alcuni paesi perfino
detto
'
muriuni
',
da moriones, come anche
commedia
dell'antica
».
nali, nel significato di
dal
«
morione
•
critiche (Firenze, 1889), pp. 78-9,
cappello pulcinellesco,
il
Ma
soldatesco.
aprendosi in Napoli
la
«
muriuni
una foggia
—
Il
»
dipinti
i
ma non
Pulcinelli). se
'
coppolone i
',
è
buffoni
di alcuni dialetti meridio-
Capasso mi comunica che, nel 1869, del
da questa chiesa, una cantina, nella quale
muri
il
chiamavano
di cappello, deriva, evidentemente,
nuova strada
figura di Maccus (come sui
si
Duomo, si
si
trovò, poco lungi
notò dipinta sul
delle taverne popolari si
Lo scavo fu annunziato
muro una
vedono ora
nella Gazzella di Napoli;
ne conserva notizia nell'Archivio del Museo, né allora
s'erano cominciate a pubblicare
le Notìzie degli
scavi,
come avvenne
dipoi per iniziativa del Fiorelli. 2
Op.
3
Si
veda ora per tutti D. Merlimi, Saggio di
il
Villano (Torino, Loescher, 1894), pp. 120 sgg. Cfr. Rasi, Comici
contro
cit.,
p. 236.
italiani, I, pp. 462-3.
Ho
innanzi una commedia
II
ricerche sulla salirà
Pantalone impazzito
II.
I
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
Cosicché, mi pare
dopo
tanti sforzi di
che, per questo secondo capo,
difficile
buona volontà,
si
riesca a trovare prove
nome
indizi circa la derivazione antica del
il
medesimo
rale quel che
si
il
è
caso particolare. Le rappre-
è detto del
sentazioni volgari del Medioevo rità; si
e dell'aspetto
da ripetere, press' a poco, terzo gruppo di questioni, estendendo al caso gene-
del Pulcinella.
per
E
221
e,
presentano grande oscu-
per quel che riguarda l'Italia meridionale, non
sa di esse a dirittura nulla. Certamente, qualche rimasu-
glio potè trascinarsi
nei secoli e
sboccare in fine (tenue
nuovo teatro italiano. Ma il non è documentato, e della stessa commedia popolare romana si hanno scarse e povere notizie. In ciò anche sembra convenire il Dietericli, il quale è
rivoletto dal lungo corso) nel fatto
portato di conseguenza a dare importanza principale alla
considerazione dell'elemento etnico. Egli, che pure
è
si
travagliato per suo conto a rintracciare la trasmissione storica, dice, in ultimo,
che
questione deve essere posta
la
diversamente da quel che hanno si
di «
tratta
di
fatto
i
dotti italiani
Francesco Righello mantovauo (Viterbo, »
e
Zanne
•
commedia, « Zanne > tare a questo proposito come manchi
nel corso della
è
1613;,
di
<
Zuane
base sicura
il
i
ni-
nella quale sono
servitore bergamasco
chiamato
non
storica (cosa
rintracciare la trasmissione
Coviello dottor napolitano
:
»
.
»
:
e,
Voglio no-
ravvicinamento,
tante volte fatto, dell'abito a scacchi dell'Arlecchino col viimus rrntuncultts (cfr.
anche Dieterich, op.
cit.,
p. 145).
L'abito antico dell'Arlec-
chino sembra fosse diverso di quello che poi prevalse, come dere dalle due tavole del Eiccoboni del Cecchini (op. cit.),
:
e
contemporaneo
adunque vorrebb' esser moderato,
il
si può vechiaramente dal seguente brano
alla trasformazione:
«
L'abito
quale s'è molto allontanato ed a
gran passi discostato dal convenevole, posciaché, invece
dei tacconi o
rattoppamenti (cose proprie del pover'uomo), portano quasi un recamo di concertate pezzette,
che
li
rappresentano morosi lascivi e non servi
ignoranti... Si che lo sconcerto
l'ingegno
'.
dell'abito par che indichi quello del-
222
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL ARTE
possibile),
ma
di affermare la
due letterature A-allo di secoli,
popolo. Per
somiglianza nelle opere delle
teatrali, distanti
ma
lui,
tra loro per lungo inter-
nate sullo stesso suolo e presso lo stesso
insomma, Napoli è
il
terreno proprio di
Pulcinella e di altrettali personaggi, e del genere di rap-
presentazioni teatrali nelle quali essi entrano: qui è pianta
indigena, altrove è esotica o a malapena acclimatata. Di
come
qui la processione dei Pulcinelli mosse nell'antichità, nei tempi moderni;
nuovo, nell'avvenire
A
e
qui moverà probabilmente
di
di
!
questa teoria è da fare un'obiezione preliminare: che
delle antiche atellane e della foJmlce satiricce
poco da potere stabilire
si
sa troppo
base stessa dell'indagine, la
la
somiglianza o l'identità di quelle commedie antiche con le
commedie
italiane delle maschere. Si possono notare, di
certo, somiglianze evidenti
Maccus caupo, Maccus
:
ci
virgo,
cui corrispondono a capello
i
sono
stati serbati
La
i
due,
tre,
i
i
quattro
ghiottornia e voracità degli antichi
buffoni è tratto che riappare in Pulcinella. tiche
titoli di
Maccus miles, Meteci gemini, moderni Pulcinella tavernaro.
Pulcinella sposa, Pulcinella capitano, Pulcinelli simili.
i
commedie erano
Anche
le
an-
spesso piene di avvenimenti mira-
colosi e di stregonerie; e, talvolta, si atteggiavano a paro-
die di opere letterarie K
— Ma, se conoscessimo quelle anti-
che produzioni, è assai probabile che scopriremmo, accanto a queste somiglianze (e forse ad altre,
meno
generiche),
molte e profonde differenze. In ogni modo, accertate che fossero
somiglianze
nelle loro
e
bisognerebbe
differenze,
cause; e qui pare che
troppo quando postula subito uno costante degli
effetti
il
Dieterich
spiegarle si
medesimi. Di questo fattore etnico
è assai abusato, e, col tirarlo in ballo, gli storici
1
Dieterich, op.
cit.,
affretti
spirito etnico, produttore
pp. 260 sgg.
si
si
sono
II.
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
I
risparmiati parecchie analisi, delle più
"JÌI^Ì
onde
difficili;
ò ve-
nuto ora in discredito. In realtà, pur non potendosi negare più o meno lunga di alcune qualità di temperamento, naturali o acquisite (ma sempre superabili e
la persistenza
contingenti, non necessarie o
derare come una forza tra scerne l'azione più o
fatali),
le forze,
meno grande,
queste sono da consie
non
se
non dove
può ricono-
si
tutte le
altre forze sono state dallo storico prese in esame.
cedere in altro modo, parenti.
E
si
questo esame non
questione, per la quale,
gli
può neppure tentare
si
come
dei fatti sui quali l'esame
Appoggiato
si
porge pronto
il
si
pro-
manca
una
in la
base
dovrebbe esercitare.
si
mentre da un
lato
criterio di spiegazione delle somiglianze,
un
circolo
un
e certezza di esse somiglianze, e
è veduto,
allo spirito etnico, che,
vale anche (con
A
foggiano spiegazioni soltanto ap-
po' vizioso) a dargli notizia il
Dieterich procede oltre,
mette a vagheggiare un'integrazione e restituzione
delle atellane e fabul/s satiricce col
commedie
pulcinellesche.
Quando
le
mezzo
delle
linee e
i
moderne
frammenti
una vecchia figura distrutta (egli dicci coinuna figura conservata, ò lecito concludere che anche il resto debba, nell'insieme, coincidere. superstiti di
cidono con
Non
le parti di
già che
si
possa pretendere di ricostruire
le
antiche
composizioni drammatiche nei singoli versi, nei singoli motivi,
nella peculiare successione delle scene
sibile solo
in rari casi),
ma
si
tratta di
(il
che sarà pos-
ricostruirle nella
drammatica, e rivedersele innanzi con uno Riconosco la fantasia scientificamente guidato.
loro essenza
sforzo di
—
legittimità in genere di (|ueste ricostruzioni congetturali,
che sono tanta parte della ricerca storica; e ammetto tresì
che,
nel caso
presente,
la
moderna commedia
alita-
liana dell'arte, e quella napoletana in ispecie, avrebbe un
certo diritto di
precedenza a essere tenuta presento.
la scarsezza dei
dati, serbati
dai
monumenti
Ma
figurativi e
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
224
campo
dalle opere letterarie, offre
cosi largo alle più sva-
lavoro, se è guidato
riate congetture e ricostruzioni, che
il
dalla critica, riesce assai magro,
se dalla libera
ginazione,
antiscientifico.
meglio questa
difficoltà, se
Il
e,
imma-
Dieterich avrebbe avvertito
non
si
fosse lasciato
dominare
di
soverchio dalla sua fede nello spirito etnico. Supposto que-
un rame, che stampi a grandi distanze di tempo le medesime incisioni (tutt'al più, tirate con diversi colori), è chiaro che, avendo innanzi
st'ultimo cosi costante da somigliare a
alcuni brandelli di un' incisione antica e la prova completa di
un' incisione più moderna,
mente
la
prima con
la
si
seconda.
possa ricostruire esatta-
Ma
prodotti storici non
i
sono tirature di una medesima stampa, o copie di uno stesso
quadro, o
cristalli dei quali,
dato
il
frammento,
si
ricostrui-
sca r intero. I brandelli restano brandelli, qua e là rattoppati alla meglio; e
L'altro dell'arte
aspetto
moderna
i
frammenti, poco più che frammenti.
della si
questione è
:
se
nella
commedia
ritrovino attitudini spirituali antichis-
sime delle popolazioni
italiane, manifestatesi già nella
media antica. Ma, sempre a cagione
com-
delle scarse notizie che
hanno intorno a questa, giova piuttosto, per rispondere alla domanda, interrogare con esame comparativo tutte le
si
altre
fonti,
senza andarsi a cacciare proprio nell'angolo
più buio della letteratura antica ^
Più dispiacevoli, perché risposte negative, che
1
II
insanabili,
sembrerebbero
sono stato costretto a dare
ravvicinamento della nuova commedia dell'arte con
tre
ai
la
le
com-
media popolare antica fu fatto già assai jaer tempo; p. e., dal Davanzati, • Oscum il quale, traducendo le parole degli Annali di Tacito (IV, 14): quondam ludicrum » con: « questi, già mattaccini », annotava: « O Zanni o Ciccantoni, che, come gli antichi Osci e Atellani, ancora oggi con goffissima lingua bergamasca o norcina, e con detti e gesti sporchi e novissimi, fanno arte del far ridere e corrompere la gioventù, e non sono da' cristiani, come allora da' gentili, cacciati via
>. ^
II.
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
I
primi gruppi di domande, concernenti
ma
etnica
225
l'efficacia
non già com-
storica (per trasmissione ininterrotta) delia
media popolare romana. Tuttavia, meglio considerando, si prende conforto, e sorge il pensiero che quell'ignoranza, in fondo,
non
è di
grave danno per l'intelligenza storica
commedia moderna. Posto anche che un tìlo di tradizione congiungesse la commedia dell'arte all'atellana,
della
quel
filo
manza
non potrebbe essere
di recite
Medioevo
il
villaggi o per le piazze
nei
zionali, fatte
rante
la
;
E
zia.
la costu-
delle
du-
città
continuazione ininterrotta di qualche
nome comico,
motivo, di qualche vestiario o di
non tenuissimo:
se
improvvisate o condotte su scenari tradi-
di
qualche particolare
mascheramento buffonesco,
nient'altro. Si ripensi a quel che
di
di
qualche face-
potevano essere
le
rappresentazioni istrioniche nella rozza vita feudale, o in
meschina
quella
bizantine
delle
dell'alto
andare a cercare lare italiana
piccole
città
Medioevo; e
in esse
si
marinaresche
vedrà
che non
italosi
può
l'origine della commedia popo-
moderna.
La medesima osservazione vale in particolare per la figura di Pulcinella. Poniamo che si scopra domani un documento medievale, la decisione di una sinodo episcopale, una carta giudiziaria, una cronaca, un ritmo satirico, eh»ci rechi un nome d'istrione o di buffone, che sia forma arcaica o latinizzata del
nome
«
Pulcinella
>.
O poniamo
che in una miniatura di codice o in qualche frammento di bizzarra scultura ornamentale di cattedrale', si ritrovi
una figura con la mezza maschera e il cappello conico Pulcinella. Quale sentimento ispirereblio una scoperta
di di
Anche nell'Italia meridionale vi ha esempi di queste sculture come i due gruppi osceni, di un uomo e di una scimmia, di e di una donna, costituenti le basi delle colonnine che scimmione uno J
bizzarre,
ornano
la
porta della cattedrale di Acerenza.
PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL* ARTE
226
A
questa fatta?
parlare schietto,
come erudito
me
ticolare, se quella scoperta la facess'io), a il
(e,
in par-
balzerebbe
cuore dalla gioia. Ma, dominato quel sentimento di gioia
che è connesso
buon senso
mera
valore di
al mestiere, procurerei
curiosità.
di
non smarrire
il
quella scoperta avrebbe
e di riconoscere che
Che cosa
nuovo,
di
infatti, se
ne
ricaverebbe? Che l'antichità ha lasciato molti detriti nella
Ma
lingua e nel costume? Sapevamcela!
non spiegherebbe
ciò, in
ogni caso,
non qualche particolarità secondaria,
se
qualche precedente materiale, dell'origine di Pulcinella e
della
nuova commedia italiana. Quel che preme conoscere commedia italiana moderna, e del Pulcinella, iion
sono
i
della
piccoli
l'una della
addentellati, per cosi
dell'altro, storia.
ma
la loro vita
dire, estrinseci, del-
piena e attiva, nella luce
che
Occorre, forse, ricordare
questa vita è
condizionata, in tutta la sua parte sostanziale, dalla civiltà del Rinascimento, dall'ambiente delle corti, dalla creazione
dei teatri stabili, dalle disposizioni spirituali e dai costumi d' Italia, e delle varie parti d' Italia, nei secoli e
decimoscttimo? Se
gli eruditi
decimosesto
potranno dare notizia più
completa delle rappresentazioni popolari medievali e dei resti della latinità
spiegazione della e
che
notano, tanto meglio;
vi si
commedia moderna
non nel Medioevo
è nei
Le
o nell'antichità.
tradizioni del
dioevo e dell'antichità serviranno a chiarire, p. il
personaggio prendesse piuttosto
nome
il
ma
la
tempi moderni,
di
e.,
]\Ie-
perché
Pulcinella
che un altro, piuttosto quella maschera che un'altra, o apjìarisse, nelle
tratti
manifestazioni più antiche, prima con alcuni
che non con alcuni altri. Cose anche hanno il loro interesse, ma secondario e riDire, come molti usano, che il germe era antico,
di
carattere
queste, che stretto.
e che
si
sviluppò subito che
è appunto
antichi
si
un semplice modo
sono propriamente
«
ebbero di
le
dire.
germi
»
;
condizioni adatte,
Né quei rimasugli né
il
fatto
storico
II.
PRECEDENTI DEL PULCINELLA
I
227
germe », ma anzi in quello e in tutte si chiamano « condizioni » *. Importanza anche minore ha la domanda formolata in
consiste nel solo le altre cose,
«
che
primo luogo. Sia pure che Silvio qualche parte
comincia
lui
il
Fiorillo trovasse
la serie delle creazioni
che presero quel nome.
I
comiche importanti,
predecessori del Fiorillo non
rarono l'attenzione o furono dimenticati vuol dire (salvo
ria,
il
;
il
atti-
che, nella sto-
caso, qui poco probabile, di disper-
distruzione di documenti) che erano trascurabili,
sione
perché non uscirono dal comune
— rillo
gih in
personaggio di Pulcinella; certo è che da
Xou
si
non spiegarono
e
sa nulla del Pulcinella
prima
ma, se qualcosa se ne potesse sapere,
;
ne sarebbe assai scarsa.
— Non
ma
italiana;
l'
importanza
sa nulla circa l'efficacia
si
commedia popolare romana
della
efficacia.
di Silvio Fio-
sulla
moderna commedia
quel che per avventura se ne potesse conoscere,
gioverebbe a illustrare soltanto particolari secondari.
—
È
un
impossibile, nello stato presente delle fonti, istituire
meno indagare le cause delle socommedia moderna italiana e la comme-
vero confronto, e molto miglianze, tra la dia popolare
romana;
la
questione della costanza etnica,
delle attitudini e consuetudini antiche persistenti nella vita
moderna,
italiana
vie e in altri
Ecco
si
campi
deve tentare di risolvere per altre di osservazione.
le conclusioni, alle quali
—
mi pare che
ci
fermare per ora, nella vessata questione intorno gini antiche del Pulcinella e della
1
II
Caravelli
commedia
V,
op. cit.,
quando, pur dichiarando
Seicento,
ammetteva una qualche tradizione
antica.
ma
Ma
la
278)
possa
alle ori-
dell'arte.
(op. cit., pp. 75-6) e il Xovati [in Giorn. slor. (f. notavano una certa contradizione nello Scherillo,
hit. ital,,
p.
si
il
Pulcinella nato ai principi del della
commedia popolare
contradizione dello Scherillo era forse piuttosto di tur-
che di sostanza, e sparisce nel modo in cui abbiamo ora chiarita e la quale non esclude la possibilità la tesi della « modernità
formolata
di rimasugli antichi.
•
,
Ili
Per la storia del Pulcinella
Jjasciando
la
preistoria, parliamo ora della storia
propriamente detta, ossia dei Pulcinelli che le
commedie per
sate,
ci
improvvi-
letterarie, per gli scenari di quelli
documenti
notizie e gli accenni serbatici in
le
sono noti per
varia sorta. Questa storia, pel Sei e Settecento, è stata
bravamente schizzata dallo tra
volta,
posso
alcune
farne
aggiunte
Scherillo, e io vi ho fatto, al-
Ma
i.
migliori
ora, specialmente per
Seicento, ossia, appunto, per In forza delle
di gi;\
il
osservazioni
d'insistere sulla definizione del
quel
copiose
più
e
che riguarda
il
periodo più antico. già «
esposte,
tipo
»,
non
ò
il
caso
qual tra nei suoi
grossolane classificazioni pratiche dei comici, Pulcinella era un « secondo zanni ^^, ossia una parte di sciocco e goffo. Dalle parole gifi riferite dal Cecchini, principi. Nelle
confrontate con ciò che scrisse poi doversi concludere che, tra
i
il
Perrucci, parrebbe
caratteri teatrali
napoletani
del primo Seicento, fossero bensì caratteri di vecchio. Cola e talora Pascariello, corrispondenti al Pantalone veneziano,
—
i Nel voi. sui Teatri di yajìoU. Che la storia del Pulcinella non debba intendere nel significato dello svolgimento progressivo, ossia della progressiva formazione di un carattere, è una mia vecchia osser-
si
vazione, che
il
DiETERKH
(op. clt., p. 257) accoglie.
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
230 e quelli
di
Brig-hella
;
servi
rispondente
Ma
il
Cecchini
la
si
»)
la
Silvio
il
Fiorillo
abhia
semplicità
inventasse
al
sciocco, cor-
loco
Policenella
«
confonde poi nel definirlo:
uomo ha
«
».
Questo gu-
introdotto una disciplinata goffaggine,
quale, al primo suo apparire, conviene che la malen-
conia se ne fugga, o almeno
per longo spazio di tempo
».
dicono nulla; tra.nne quella il
corrispondenti
dello
che perciò
anche
che
d'albergare fra napoletani
stosissimo
Ooviello,
carattere
il
all'Arlecchino; e
per for credere
(«
come
furbi,
ma mancasse
«
si
concentri e stia rilegata
Fin qui, sono parole che non disciplinata goffaggine », che
Cecchini, subito dopo, cerca di spiegare:
plinata goffaggine, poscia per passar
studio
i
ch'egli fa
«
Dissi disci-
uno assiduissimo
termini naturali, e mostrar un goffo
poco discosto da un puzzo, ed un pazzo che di soverchio si
vuol accostar ad un savio
».
Queste parole designereb-
bero un carattere contraddittorio e assurdo, se non paresindicare clie
sero piuttosto definire
il
il
Cecchini non riusci bene a
personaggio che aveva innanzi alla mente, o che
ne tenne presenti parecchi insieme, non riducibili a unico carattere
1
'.
Del resto,
lose >,
il
Cecchini riconosce l'assurdità delle
dicendo di queste:
«
Si
«
parte ridico-
sono inventate alcune parti ridico-
congiunte con l'inverosimile, ch'io non saprei trattar
lose tanto
i
suoi
non andassi con la penna spropositando anch'io. Orsù tocchiamle senza punto trattar di riforma, perché bisognerebbe dar principio dal cervello, il quale si vede esserli cosi cai-o come s'avessero ereditato ogn' un di loro quello di Aristotele; diciam adunque che sappiano che sono conosciuti, ben che i suoi mancamenti acciò
spropositi, se
tollerati
»
Covielli
Cfr.
.
«
anche
la critica
napoletani, che,
«
che fa
il
Ferrucci, op.
cit., p.
286, dei
dall'arguzia passando alla sciocchezza,
fanno un misto da non sopportarsi, perché o averanno da essere sempre arguti o sempre sciocchi; e, quando fanno da sciocchi, sono fuori della pai'te loro, ch'è di tirar l'intrigo con l'astuzia e con l'inganno
».
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
III.
Ferrucci, invece, non ritrae
Il
nella
nea
quale
lui
ma
esiste,
ne detta
nient 'altro che sciocco.
dare nella sciocchezza la
personaggio di Pulci-
il
condizioni;
le
personaggio quale vorrebbe che
il
«
I
231
cioè, deli-
fosse, sciocco e
Pulcinelli (egli
dice)
e fuggire l'arguzia ».
«
devono
Consistendo
parte in graziose sciocchezze di parole, di
detta
fatti,
può avere qualche cosa d'apparecchio v. g., amore ad un porco, ad un asino, e gli amanti agli animali, o cose simili, ma vili; come può dettare una naturale scioce travestimenti,...
con qualche similitudine breve, paragonando,
chezza, può avere qualche bisguizzo, o bisticcio grazioso e sciocco
qualche uscita, saluto ed altre cose ridicole,
;
sciocche ed umili...
rispondessero è
un
i
personaggi che
discorso.
altro
di sciocchezza
ma
^ Che poi a questa formola ideale
»
i
comici rappresentavano,
miscuglio incoerente di furberia
Il
era, anzi, cosi
che
fì'equente
il
e
Riccoboni
ne fu tratto a dire che nelle commedie napoletane i posti di Brighella e di Arlecchino erano occupati da due Pulcinelli,
1
il
Op.
2
ìtn
cit.,
pulcinella
ferito
le
«
fonrhe
et
anche da me
e dell'andata a
il
est
nevenf. qui est la capitale des Saninites, qu'on
hauteur d'une montagne
Ceux de
di
nella
méme. On moitié
et
paresseux, ignorants
Bergamo: ma
ri-
au
a
que
c'est
tire ces
de la
•
ville
Dam de Be-
deux caractères op-
dit que celle ville, qui est moitié sur la bas, produit les
hommes d'un carartèrc Ceux de la basse
la haute ville soni vifs et trèì actifi.
che questa spiegazione neventana,
recitava
di quest'attore,
173i;, pp. 318-9.
italien (voi. II, Paris,
R.) Vopinion commune
posés, quoique habillés de
ville soni
Roma
in Teatri di Napoli, p. 12L
du théàtre
pays (soggiunge
tout différent.
modo come
pp. 294-5. Si ricordi l'aneddoto del
Andrea Ciuccio
Hisloire
» '.
ì'antre stupide
è
et
presque slupides
». Il
Biccoboni non ignora
precisamente la stessa che
si
dà per
i
due zanni
preferisce di credere che l'origine vera sia quella be-
e antica, dai
sanni (Samniles), che
commedia napoletana come
nella
perpetuarono cosi
si
lombarda. In verità, bench»*
non abbiamo trocome derivante dal
talvolta Pulcinella sia detto oriundo di Benevento,
vato altra notizia della doppia forma del carattere
PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL ARTE
'2à'2
Escluso,
come
erroneamente
si
è già avvertito, lo scenario attribuito
Della Porta
al
zione letteraria del
',
la
più antica rappresenta-
Pulcinella (secondo la giusta osserva-
zione dello Scherillo) rimane quella del poemetto del Cortese,
Viaggio di Parnaso (1621). Nel quale s'immagina una commedia recitata in Parnaso, un Pulcinella prologo, mettendo in canzonatura i parlatori e
il
che, in
dica
il
La commedia
scrittori toscaneggianti.
prende
le parti
è toscana; e Apollo
dell'arguto personaggio vernacolo contro
i
noiosi comici toscani. Ciò risponde al concetto informatore
dell'opera del Cortese, rivendicazione dei diritti della poesia dialettale
contro l'esclusivismo della letteratura colta
onde sembra che
modo come
il
vi si presenta
un'invenzione individuale del poeta, che ne fece
fosse
portavoce della sua critica
;
dedurre da esso che
fatto)
e
il
non
si
può (come
La prima rappresentazione drammatica che sia nota
fin
simo
^.
del personag-
oggi (mi guardo bene dal dire che
doppio carattere della popolazione di quella
pugna
il
ha
altri
Pulcinella usuale d€i teatri
servisse, allora, alla caricatura del toscaneggiante
gio,
-;
Pulcinella
a tale spiegazione, laddove quella di
città, la cui topografia ri-
Bergamo
si
attaglia benis-
alla spiegazione del Brighella e dell'Arlecchino. 1
ma non commedie erudite: i autori delle commedie agli
Scenario tratto bensì da una commedia del Della Porta,
elaborato dal naturalista napoletano, scrittore di
comici solevano conservare
il
nome
degli
scenari ch'essi ricavavano da quelle, raffazzonandoli a lor modo. Si
vedano A. Valeri, Gli p.
10
n.
;
V. Hossi,
scenari inediti di Basilio Locatelli
Una commedia
nario (in Itend. Istituto lombardo, Milano, 1896) lett.
itah,
XXIX,
p. 214:
(Roma,
1894),
di G. B. della Porta e un nuovo sce;
Croce, in Giorn.
star. d.
onde sono da correggere Scherillo, op.
cit.,
pp. 117-134, e Croce, Teatri di Napoli, p. 79. 2
Si
3 II
veda più sopra in questo DiETERiCH
tati dallo Scherillo,
er
ist
mehr
(p.
voi., pp. 133-144.
252) fraintende
quando
scrive:
ein eleganter Liebhaber
»
«
i
brani dialettali del Cortese,
Ein
Spiilter ist er
ci-
da auch, aber
PER LA STORIA' DEL PULCINELLA
III.
non
se
si è
già notato, in
ne possa trovare qualche altra anteriore
una commedia,
233 '),
è,
come
intitolata la Colombina,
accademico Intrigato drammatico fecondo, giacché la Colombina fu la sua undecima commedia. Stampata a Foligno nel 1628, venne ristampata in séguito a Ronciglione, s. a. (ma intorno al 1680), con alcune mutazioni, dovute di certo al posteriore editore, e col titolo anche mutato: di Virgilio Verucci, dottore di legge, di
Roma,
e scrittore
Pulcinella amante di Colombina
non ho veduta, edizione della
Un'altra ristampa, che
-.
Bologna, 1683, è citata nella seconda
di
Drammaturgia
dell'Allacci
^.
1 Le commedie della fine del Cinquecento e del Seicento costituiscono un materiale non ancora largamente esplorato. Molte volte ho pensato che, avendo tempo e agio, converrebbe scorrere volume per
volume qualche grande tense di
Roma
collezione di esse (p.
e.,
quelle della Casana-
o della Nazionale di Firenze', con la certezza di tro-
vare cose assai curiose e interessanti per
la
storia della letteratura
non meno che per quella del costume. La Colombina, Comedia novamente data in
teatrale 2
luce dal sig. Vergi-
Lio Vekucci, dottor di legge e accademico Intrigato di
cata
molto
al
illust.
e
Roma,
dedi-
reverendiss. sig. abate Gio. Mario Eoscioli,
canonico lateranense (in Foligno, appresso Agostino Alterij, 162b;. E di pp. nn. 113. La dedica ha la data di Foligno, 20 maggio 1628. — Pulcinella amante di Colombina. Comedia nuova del sig. Ver-
un volumetto
Verccci
GiLio
(in
Eonciglione,
braio Francesco Leone.
manca
il
s.
La dedica
a.\
È un volumetto
è
di pp. 76. In
firmata dal
li-
questa ristampa
prologo che era messo in bocca a Pulcinello, Frittellino da Tombolino, Burattino da Buffetto: solite mutazioni
è sostituito
che si permettevano i rieditori delle commedie. Entrambi questi volumetti sono nella Bibl. Casanatense di Roma. — Lo Scheuiu.o, op. cit., pp. 15, 71, cita altresì
due commedie
di
Giovanni Briccio, intitolate
Colombina, e Pulcinella amante di Colombina;
certo
una
parte
II,
svista, proveniente forse dal fatto
pp. 229B0) parla, nella stessa
che
Allacci. Drammaturgia, ed. 1775,
ma
questa é di
Qcahrio
(voi. Ili,
pngina, del Briccio e dpi Ve-
rucci. 3
il
col. 653.
234
PULCINELLA E LA 'COMMEDIA DELL' ARTE
La commediola, personaggi: servo e
Magnitìco e
servo Burattino, Capitano e
il
Pulcinello, Virgilio e
Colombina.
servetta
la
in tre atti, presenta quattro coppie di il
servo Frittellino, Flaminia
il
ama
Flaminia,
tìglio di
Magnifico
Capitano
Il
quale è amante riamata di Virgilio,
la ;
e
commedia, passando attraverso le beflFe fatte al Capitano, termina nei matrimoni di Virgilio con Flaminia e la
con Colombina. Pulcinello
di Pulcinello
si
presenta sulla
scena gareggiando di vanterie col suo padrone, Racconta, tra
tano.
e le
come
a uno smarglassiello
mano
l'altro,
gamme,
tutto
nemico mio
^
il
Capi-
con imo reverso solo
«
a una botta
»
:
che
il
lo
gli
capo^
le
avvenne
per averlo còlto nel mentre colui, accovacciato a terra,
un bisogno naturale
soddisfaceva
unica
:
posizione
clie
possa spiegare l'amputazione con un colpo solo del capo, delle tratto
mani e delle gambe. Racconta anche che il suo ripende esposto nella latrina del Gran Turco, giac-
ché, soffrendo costui di stitichezza, consigliato di guardare
rava tanta paura da produrre
Dopo queste
tivi.
Oh
Col.
di essi
sei tu, Pulcinello?
quale
il
E
ispi-
rapidamente purga-
effetti
;
avevano
Colombina
batte alla
fa alla fine-
si
una scena d'amore:
ben, che bon vento
ti
mena da que-
bande?
ste
È
PuL.
ha luogo tra
gli
vanterie, Pulcinello
e simili
porta della signora Flaminia stra, e
medici
1
ritratto di Pulcinello,
il
vento de levante che m'ha gonjQate
vedere
traditora, che m' hai
te,
melo pure, no, te
o
dammene
donco quarela a
in lo
robbato
chillo
le
vele per venire a
lo
core.
Però, rénni-
tanto
polmone. Se
scambio
tribunale d'Amore, e te farragio fru-
stare.
Col.
Tu non
tu
1
mi
dici
burli
il
vero, tristaccio. Io,
!
Smargiasso, bravaccio.
si,
che
ti
voglio bene;
ma
III.
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
PcL. Anzi, dico la verità e tu dici la bugia.
me
che
contento di ciò che vói
vero quello che
dici,
reversa, pure che
me
Ma
come
dici tu,
perché, quanto anco fusse
;
contentaria che lo
me voHsse
sia
235
munno
lo
iesse alla
bene, e che la mia verità stesse
sotto a la tua buscia....
In un'altra scena, in
il
Capitano
fuga dal vecchio Magnifico i
Colombina
un mal
nire travestito
e Pulcinello
sono messi
che, al solito,
non
toglie
Anche
valorosi emettano canti di vittoria.
che entrambi fa
il
;
Capitano, persuadendolo a ve-
tiro al
da muratore
casa di Flaminia e som-
alla
ministrandogli busse, alcune delle quali toccano per iscambio al suo caro Pulcinello. Concluso
minia, la servetta dice alla padrona
Ma
né anche
io
il
matrimonio
di Fla-
:
voglio più dormir cosi sola: voglio trovarmi
un marito, se credesse farlo di stoppa. Se Pulcinello mi vòle, non voglio andar cercando
Ma
altro.
dubito messi (mi
si) sia
scorrocciato per le perticate aùte. Fdl. {che in questo è entrato) Te
Ile
rennerò dupplicate, traditora,
ladra, assassina, con licenzia della tua patrona!
Col.
Or
su,
perdonami, Pulcinello mio, perché non l'ho
fatto ap-
posta.
PuL. Se sta cosi, te perdono, pure che
Flam. Di questo te ne assicuro ch'ella
non
ti
io,
me
anzi che
vogli bene.
non passa mai giorno, sto pensando
nomini in casa mia, perché sempre
nel fatto tuo. Pdl. Oh, bene
Oh
mio! che s'aspetta?
che bella colombina, da
mettere a no spitone tra due polpette!
Flaminia nella
li
lascia soli, e
ha ttn'aiira scena d'amore,
quale Pulcinello interroga
parecchi particolari che
un antipasto, e lesso, e,
mento
si
gì'
la
sua
importano:
se sappia cuocere
futura
se sappia
un pezzo
di
intorno a
preparare
carne arrosto
finalmente, se sappia fare una frittata; svolgi-
di allusioni oscene,
Basti la conclusione
:
che non è necessario trascrivere.
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
236 PuL.
Mo
conosco ca tu
me
che però
mastra, e sàile fare de tutte
si'
casa, per vita toia, ca io ancora faggio
non vói
Col. Se
Ma
il
altro
personaggio
è
da dicere
appena abbozzato
commedia
mie
le
virtù.
si
non
e
vi
ha nesso
attribuiscono.
col Pulcinella, scritta
dall' intro-
duttore stesso del personaggio sui teatri, Silvio Fiorillo,
non delude del
tutto la nostra aspettativa. Il personaggio
ha, in essa, sufficiente determinatezza e vivacità artistica.
E
ghiottone, anzi vorace e insaziabile, spudorato, vigliacco,
e,
nel
tempo
stesso, burlone, insolente e furbo.
straccione
lier
» lo
chiama un suo amico
ed
;
«
Il
cava-
egli
si
sente,
sua svergognatezza, libero, lieto e sicuro. Anche
nella
i
suoi imbarazzi e terrori sono passeggieri e gli tolgono sol-
momenti il buon umore. La rarissima commedia del Fiorillo, quantunque catalogata nelle bibliografìe, non è stata ancora studiata da tanto per pochi
alcuno.
Ha
(Usfide e
prodezze di Policinella, e fu stampata a Milano
per
titolo
La
:
Lucilla costante con
le
ridicolose il
1632, dal suo autore, che ne segnò la dedica con la data del 29 ottobre di quell'anno figlia del
i.
La
tela è questa:
Lucilla,
vecchio Alberto, è amata dal capitan Matamoros
giovane Fulgenzio; Clarice, sorella del Matamoros,
e dal
è
amata
dall'altro
Alberto.
Il
capitano, Squarcialeone, e dal vecchio
ruffiano Volpone, eh' è
anche
lui,
per proprio
conto, cotto di Clarice, promette a ciascuno di costoro di
i
La
Lucilla costante con
le
ridicolose disfide e prodezze di Policinella
Comedia curiosa di Silvio Fiorillo detto il Capitan Matamoros, Comico acceso, affettionato e risoluto, dedicata all'illustriss. et eccellentiss. sig.
latesta,
il
;
che questo, andiamo!
tra le varie parti che gli
Invece, la
sorte
le
sento io ancora aguzzare l'appetito. Menarne in
signor
Duca
Stampatore E. C,
di Feria (in Milano, per Gio. Battista 1632).
Il
Ma-
volumetto è di pp. 8 innum., 175
num., più una bianca. Esiste nella Bibl. Braidense.
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
III.
amori
aiutarli nei loro e per
in contrasto.
compagno d'imbrogli
237
Volpone ha per amico
Pulcinella ^ E, lavorando
sieme d'astuzia, riescono ad attirare Lucilla
in-
casa di
in
Fulgenzio, dove essa s'induce a promettere amore
al gio-
vane. Ma, nel corso dell'azione, Pulcinella prende a schernire e ingiuriare sfida tra
i
due.
capitano Matamoros; onde nasce una
il
Il
duello tra Pulcinella e Matamoros riem-
pie l'ultimo atto. Cominciato l'assalto,
ragazzo Scaltrino,
il
ch'è d'intesa, tira un laccio, che ha passato, senza scorgere, tra terra, di
i
piedi del Matamoros, e fa
piombo. Pulcinella è proclamato vincitore
commedia termina Volpone,
imprese j
« Il
il
il
;
e la
coi soliti matrimoni.
ruffiano,
mettendo a parte
dice)
sue nobili
delle
indirettamente
pubblico, presenta
tutto (egli
farsi
cadere costui a
Pulcinella.
cerco di fare per poter vivere da
gentiluomo e non lavorare, e conforme l'occasione ne vo tutto gioioso e festevole con un mio amico, nominato Pulicenella, all'osteria;
me
e cosi, per
per
e
lui,
spendo
e
e quel che non ho, perché magazzenieri mi fanno quanta credenza io voglio. Pulicenella mi fa ridere, e io a lui, e cosi stiamo .diegramente fra di noi, lui detto il Cavalìcr Straccione, ed
spando quel che ho
tutti
"
gli
osti e bettolieri e
io «
il
gran Barone di Campo di
Siamo amicissimi vecchi,
e
l'osteria del Cerriglio di Napoli
fiore ».
Altrove conferma:
compagni »
-.
nello studio del-
Ma vediamolo
in azione.
Volpone, avendo bisogno del concorso dell'amico per servire il suo cliente Fulgenzio, batte alla porta di casa per chiamarlo: Pulcinella risponde, egli stesso, scherzosa-
1
II
Fiorillo usa indifferentemente
Nella mia esposizione, adopero
la
«
forma
Policinella
»
e
.
Pulicinella
..
italiana.
2 Celebre osteria di Napoli, intorno alla quale si veda una mia noterei la: Un'osteria famosa di Napoli e una parola della lingua spagnuola
(in
Napoli
nohiliss.,
XV,
1^>06,
pp. 159-1G0\
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
238
mente, di non essere in casa.
dialogo tra
Il
scoppiettio di motti e d'equivoci
due è uno
i
Pulcinella finge di frain-
:
tendere ogni parola, di tirarla a significato offensivo e di Richiesto
adontarsi.
cooperare a un imbroglio
di
(risponde subito), vor raggio de Capua, de Napole
Ricompare
e
imbrogliare,
d'Averza
tutte
li
:
SI
«
tavernare
».
un parapiglia che succede poco dopo,
in
per compiere un atto veramente monellesco o lazzaresco,
che è di schiacciare una vescica sul capo del Matamoros. PoL. {ridendo) Ha, ha, ha, ha
!
Aggio chiù famme che suouno
Oh
!
che brava vessicata è stata chella ch'aggio schiaffata ncapo a
Spagnuolo
chillo
!
VoL. Ecco qui Licaone converso in kipo PoL.
E
becco
VoL. Olà, messer Policenella, tu
me
PoL. Oh, se piatto de
!
lupo diventato n'aseno!
lo
ti
rassembri
mano
vedisse locare de
maccarune!
Ma
pre vita toia?
Ma
vorria che
m'hai
tu
si, si:
me
all'orso, goffo e destro!
no
e de diente ntuorno a visto.
No magno buono,
vedisse n'autra vota, a
le
spese
toie!
VoL. Di grazia,
ma
vederò
ti
giocar di piede sotto di tre
i)resto
legni.
PoL.
E
E non
VoL.
PoL.
E
Che
io
perzi
non
collera,
che
io
burlo teco.
burlo,
iamonce mò!
Chi ha tiempo
no aspetta
chi nevina
VoL. Ah, dunque, viene a
me
^
che
!
Ah, ah l'
!
E
la gallina!
àgiotege cogliuto
ci
ho còlto!
-
!
ho indovinata ?
Scherzo da fanciulli, ancora popolare. Nmocca, in bocca,
nare, indovinare.
Ti
è,
sai ched'è?
PoL. Merda nmocca a
2
all'o-
canzona de gallo e de capone.... gallo non
VoL. Uh, goffo! e credi che non lo sappia?
1
Andiamo
tu vói.
tiempo, disse la
ca
sarai
ne pare? no responno buono?
te
andar in
quando
steria,
gamme, quanno
a te da vraccia, de capo e de
io
squartato.
nevi-
III.
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
239
PoL. Ah, ah, te-a-ta, nevinata!
Non
VoL.
ti
vergogni di esser così disutile?
PoL. Se nce so
E
VoL.
io,
non
masche
ce so le
questo è peggio
Non
!
ti
^,
li
diente, né le
mole meie.
vergogni di andar mangiando per
piazze?
le
PoL. Sai perché
mangio pe
la
chiazza?
VoL. Perché?
famma:
PoL. Perché, là aggio
non
la casa e
chi sa
si
pò avai-aggio appetito pe
c'è che mangiare!....
Per porre in atto l'inganno, Pulcinella, fingendo sere stato preso di
come servo
Alberto e zia di Lucilla,
(Antonio
di es-
della signora Cassandra, sorella si
reca sotto
nome
di
Antuono
Cepolla a casa di Alberto, con un cestino di
^)
Avendolo Volpone presentato come suo amico, il vecchio Alberto lo manda in cucina a rifocillarsi. Ma, qualche ora dopo, Alberto torna sulla scena, esclamando limoni.
pien di spavento
«
:
Cipolla de la cucina
né di mangiare! per
i
».
Non ;
non si vede mai satollo né di bere E quando Volpone lo va a ricercare
comuni affari, con una lanterna
loro
lante,
posso discacciare quell'Antuono
lo
in
vede finalmente uscire, barcol-
mano
PoL. M' aggio pigliato sta lanterna,
e'
:
aggio buono trincato, e non
ce averria veduto per iremenne a la casa.... Oh,
buono
chillo vino verdisco d'Averza, chella
e chillo
grieco.
Me
comme
lagrema de
è stato
Somma
sento l'uocchie mpeccecate, npaglioccate,
scazzate pe lo suonno
VoL. Questo è Policinella
^.
;
voglio stare ad udire ciò che
si
ciarla
a sua posta.
Oh
PoL.
quanta
stelle
che stanno ncielo!
l'aggio ntesa: se ne
il
1
Ganasce.
2
Antuono
è,
E
dov'è la luna? Ah, ah,
sarà iuta a corcare co
.
sole e se gau-
nel dialetto napoletano, sant'Antonio abate: Antonio,
santo di Padova. 3
lo
Gli occhi incollati e cisposi pel sonno
•.
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
240
deno amorosamente. stelle
me
pe
Una, doie,
Oli,
quatto, ciuco,
tre,
quanta neh, quanta neh anchire
O
VoL.
me
che
potesse pigliare una de chelle
mettere a sto cappiello! Quanta ponn' essere?
la
!
pozzo contare
le
Uh, uh!
sette, otto, nove....
sei,
No
se ne porrla
;
no sacco.
'
che ignorantaccio, conta
le stelle
!
Policinella
!
ferma
là
!
PoL. (gridando) Ohimè, ialevenne, signure mariuole, ca n'aggio né
danare né feraiuolo VoL. Taci, non gridare
^.
Non mi
!
ben bevuto, che un uomo PoL.
Aggio vippeto buono
Vor,.
Solo son io; non
conosci che io son Volpone ? Hai
sembra uno squadrone?
ti
e ngorfuto meglio-'.
mi vedi? ed
hai
il
Bona
lume
sera,
si'
sulo?
in mano?....
Pulcinella recita con molta furberia la sua parte presso
ammalata
Lucilla, parlandole della zia
ha
e del desiderio che,
di rivederla, riuscendo cosi a trarla fuori di casa. Su-
bito fatto
colpo
il
La
«
:
(dice Pulcinella). Io, a
soreca è ncappata a lo masti-ilio
*
me ne vorria tornare magnarme lo riesto de e me ne vorria ire a ve-
lo vero,
ci /'cere
a la casa de la segnora Lucilla a cierte m,accariine, che ciggio lassato,
vere chillo grieco
piangendo
dando
e
De chesto famme e'n «
io ve
corre
torna alla cucina, e quando Lucilla, in
israanie,
maccarune !
»
questa canzone
1
Empire.
2
II
chiama
mo me
«
infame
ne vao a far collazione
rapisce a sua volta
dietro, gridando:
Più
s.
lo
»
:
do ragione (risponde), ca sempe songo 'n
appetito, e
Ma Matamoros gii
E
».
«
».
Lucilla. Pulcinella
Ah, spagnuolo, nemico
oltre, lo incontra, e gli
delli
canta sul viso
:
furto o la rapina dei ferraiuoli erano allora comunissimi, e
quasi l'operazione ordinaria dei ladri di strada. 3
e
Bevuto bene
e diluviato
^
Mastrillo, tagliuola.
^
È
meglio
»
probabile che tale espressione fosse popolare contro gli spa-
gnuoli, e copertamente significasse:
«
nemici dei napoletani
».
Altrove
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
III.
La Lo Lo
E
pecora, belanno. fa be-be: cavallo, anechianno, fa hi-hi: grillo, grisolanno, fa
gri-gri:
puorco, grugnanno, fa gru-gru;
lo
Lo
241
lucaro, veglianno, fa cu-cu:
Cantanno,
gallo fa clii-chi-richi;
il
Pigolanno,
il
pulcino fa pi-pi:
E, abbaianno, lo cane fa bu-bu.
La papera, stridenno, fa pa-pa; La voccola fa spisso ancor co-co: La gatta, maulanno, fa mià-mià: Lo cuorvo. crositanno, fa cro-cro;
E E
l'aseno, arraglianno, fa lii-ho: tu,
cantor di chiacchiere,
Dimmelo Qual
di'
mo,
priesto e chiaro, per tua
fé".
che convene a te ? vero, e no me lo negare,
è lo vierzo
Dimme
lo
Ch'aseno
si',
e l'aseno sai fare
M
Dopo un'ingiuria cosi sanguinosa, un duello è inevitaE Matamoros manda, per mezzo di Scaramuzza, car-
bile.
tello
di
sfida
al
suo insultatore. Questi è circondato da
varie persone, che lo consigliano,
armando. Ma soj)ra:
cevuto gere:
cartello,
il
«
la
paura
gli
pover'ommo me,
«
tu!
».
mandano che
Ma
a che soiìgo arreduttoJ
e
si
leggono
risolva
ravanelle ! •
Una
spagnuola:
«
amici,
gli
ftire.
«?
Va, lava
di-
Ri-
i
Xo
mammatn,
quali gli dosaccio
(egli
le scotelle,
»
filastrocca, quasi simile a questa, e
che doveva essere usuale
sui teatri, è riferita dal Perrccci, op. cit.. p. 349.
tore della parte doveva avere le
il
>.
medesimo personaggio, alludendo Ca si spa^nuolo mangia-
(atto IV, se. 18j, Pulcinella dice al alla miseria
di
vanno
che non sa leg-
egli
hi-bi, ho-ho, hu-bv... Trinità è
glielo
cosa
lo
prende, di tanto in tanto,
procura di leggerlo,
Ca-ca, co-co,
e j)eo si
confortano,
lo
una
speciale
voci animalesche, qui accennate.
E
evidente che
l'at-
virtuosità nel riprodurre
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
242
viene rispondendo), ca m'è scommiiosso
per vita vostra,
dareme
cosa, con
isso
tello di risposta,
E
si
:
«
Dille ancora ca
ma
spagnuolo,
de chille
e
tu (rivolgendosi
li
puorce a
orali, tra
car-
e
ca non è vera
marrane, descacciate de Spagna
"--y
messo Scaramuzza), tu va, mietteme
al
cetrule, cornuto, shruffapcqjpa ! »
li
il
quali è notevole
i
no truffapaga,
è
due avversari sono a fronte
I
manda
rianima e
e
rigurgitante di contumelie, allo spagnuolo.
aggiunge alcuni conienti
vi
questo
Vedile^
accomodare sta
e
d^accordio cinquanta carcacoppole
^ Ma, poi,
triciento secozzune »
cuorpo.
lo
accordare^
se io p)otissevo
:
^.
Pulcinella, armato, ha
un corteo di guatteri, che lo confortano di « robe da propri vanti. Si spartisce il mangiare ». Fanno ciascuno padrini li perquisiscono per sole, si misurano le spade, i
i
vedere se abbiano addosso qualche carta o fattura
moros dà
l'epitaftìo
manga morto
nello
per
:
Mata-
sua tomba, nel caso ch'egli
la
ri-
Pulcinella l'imita. Ma, an-
scontro;
che a questo punto, dopo essersi tant'oltre impegnato, un pensiero di onorevole accomodamento gli vello, e
non tarda ad aprirsene con uno
stanno presso ca
me
«
Vide tu, si
lo
puoi
cjuietare sto
contentar raggio, d'accordio, che
Busse
'
"
:
e
traversa di quelli
isso, co le
il
cer-
che
gli
spagnuolo ; inane soie
pugni.
Questa riserva conferma interamente quel che ho osservato e
congetturato altrove della prudenza che usavano sentare, innanzi a spagnuoli, Cfr. le
mie Ricerche
il
i
comici nel rappre-
personaggio del Capitano spagnuolo.
seconda (in Alti deWAccad.
ispano-italiane, serie
Pontaniana, voi. XXVIII), pp. 25-6. Aggiungerò qui
un aneddoto, che
dimenticai di richiamare: del pulcinella Giuseppe (ma forse Bartolo-
meo) Cavallucci, che a Pesaro fu bastonato a morte da alcuni spagnuoli per certi suoi
frizzi
contro
la loro
nazione
(cfr.
uffiziali
Teatri di
Na-
poli, p. 696 «.). 3
lare
Shruffapappa era, in quel tempo, anche soprannome di un popo-
musico
taccone dello
e poeta, del
quale
Sgruttendio.
si
leggono molte notizie nella Tiorba *
a.
111.
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
me vaga frustanno
proprie,
raggio capotommole
fane, huffettune
pe
tutte le chiazze
m' è venuta
Ma
lassa fare a me, pò!
me
ca
dia schiaf-
la cacarella, frate mio.';
corame venesse da te!
risolve a porsi in guardia; e già
gazzo Scaltrino, con
^,
quanto vo isso: puro che no me
e ccnice
faccia commafiere, ca
si
a cavallo a n'aseno pe tutta la
Capita, e che saiitarraggio, abbuffar raggio, e far-
Citate de
e
243
sua
la
>.
Pure,
sappiamo come
ra-
il
cordicella, gli procuri la vit-
toria.
degenera nella forsa
tinaie
Il
ma, nel
;
resto,
il
Pulci-
nella di Silvio Fiorillo ci sta innanzi coerente e vivo
me
e a
;
sembra uno dei più interessanti personaggi di questo
nome, che
Lo
ci
'.
presenti la letteratura teatrale
Scherillo dà notizia, nel suo
saggio, della
comme-
dia di Giulio Cesare Monti, // servo finto, pubblicata
due
Pulcinella è
anni dopo, nel 1634, a Viterbo, nella quale
un prestanome, toscaneggiante, pedante, amante disgraziato, e la parte di servo furbo è sostenuta
di
un sonetto del 1688,
da Pasquarello;
in cui Pulcinella è definito
tipo della minchioneria^; dell' intermezzo del
come
il
Malade ima-
ginaire del Molière, in cui Polichenelle figura un avaro che,
preso dai birri e messo tra
una dose
1
•
-
Il
Salterò,
anzi
al bivio,
trivio, di sceglif-rc
di pizzicotti o di V>astonate e
mi
il
gonfierò, farò capriole per tutte
pagamento
le
piazze
Fiorillo scrisse parecchie altre opere drammatiche:
pastorali
VAmor
nagloriosi, e
i
giusto, e
drammi
La
ghirlanda, la
cavati dairAriosto,
le
di
•
egloghe
commedia / tre capitani vaLa cortesia di Leone e di Rug-
VÀriodante tradito: notizie e saggi delle quali, in F. Bartoli, Nat. s'or. dei comici italiani, I, pp. 223-6 e Rasi, Comici italiani, I, pp.
giero, e
:
^21-7. Io gloriosi, e 3
ho potuto vedere soltanto La ghirlanda, I
La
cortesia di
Leone
e
tre
capitani vana-
di Ruggiero.
Un'osctira allusione di questo sonetto è rilevata dal Novati, in
Giorn. stor. d.
lett.
ital.,
rirla a soddisfazione.
V, p. 278;
ma
neanche a
me
è riuscito di chia-
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
244
una certa somma
di
danaro, assaggia
Si aggiunga, sotto la
medesima data
dia, sfuggita allo Scherillo, di
intitolata
riere
/ cinque
Ma
'^
tutti questi
somma
di
del 1634, la
danaro ^
comme-
Francesco Guerrini romano,
dove Pulcinella
carcerati,
poi le
pizzicotti,
i
bastonate, e finisce col pagare altresì la
fa
da carce-
sono miseri o spuri rimasugli della
vita del personaggio sui teatri.
da Pulcinella, come
Gli attori che rappresentavano è detto, il
si
moltiplicarono subito;
e,
si
mentre era ancora vivo
Fiorillo, recitava a Napoli, in quella parte, per notizia
un Francesco,
del Cecchini,
eh' è forse
Francesco o Cic-
il
cio Baldo, ricordato dal Ferrucci^. Chi sa se
o un altro attore recitò nella
commedia
il
medesimo
del Fiorillo, nella
quale l'autore facev^a, di certo, la parte del Matamoros? ^ Circa
il
compare il celebre Andrea Calcese, detto recò anche fuori Napoli, e mori nella pe1656. In un documento del 1646, dell'Archivio
1630,
Ciuccio, che
stilenza del
si
dello spedale degl'Incurabili, la licenza alla
compagnia
dei
legge:
si
«
Si
è
conceduta
commedianti comici
di reci-
tare nella stanza {teatro) di S. Bartolomeo, e capo di detta
compagnia
1
II
sia Policenella...
DiETERicH
(p. 253),
'".
»
Il
Ferrucci ricorda anche,
per un curioso errore, dice che
il
Mala.de
imaginaire fu recitato per la prima volta nel Palazzo Reale di Napoli, e nell'intermezzo fu introdotto 2
mano
il
1 cinque carcerati, Cornedia (in
Pulcinella.
nova
Macerata, M.DC. XXXIV,
si
Francesco Gtuerrini rovendono al Morion d'oro). —
del sig.
Sul frontespizio, è una figura che credo ritragga Burattino, altro interlocutore della commedia. pp. 332-3.
3
Op.
*
Nella lista degli attori della compagnia che recitava a
cit.,
nel 1614, sono segnati
i
due
Fiorillo, Silvio,
Giambattista, da Scaramuzza ciale, •''
che facesse Pulcinella
:
ma non
(cfr.
da Matamoros,
è segnato alcun
Rasi, Comici
Croce, Teatri di Napoli, pp. 128-9.
e
Genova il
figlio
attore spe-
italiani, I, p. 359).
III.
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
nella stessa parte,
un
^Mattia Barra: sulla fine del Seicento
andò a Parigi
(1685),
245
pulcinella Michelangelo Fracan-
il
zano. In quel tempo, a detta anche del Ferrucci, tanto
comico personaggio tutti
comune
era reso
si
il
che, nel carnevale,
solevano mascherarsi da Pulcinelli ^
Di questa voga teatrale,
cosi
ampiamente
attestata,
accadde, or sono due anni, di acquistare di scenari della fine del Seicento,
la
non
me non
restavano, per altro, documenti diretti, fintanto a
grande raccolta
appartenuta giù ad An-
nibale Sersale conte di Casamarciano, e messa insieme
(al-
meno, uno de' due volumi) dal comico Antonino Passante, detto Orazio
il
Calabrese
-.
In tutti quei centottantatré
scenari ha parte
il
Pulci-
nella, che nelle compagnie napoletane sostituiva l'Arlec-
chino. E,
quente di
il
come l'Arlecchino, anch'esso dava assai titolo alle commedie; onde si hanno gli
Policinella
dama
inamorato,
sbirro
golosa, Policenella ladro -spia
Policenella pazzo per forza, Tlivalità
scenari
Policenella
burlato,
Poìicinella
di fre-
e boia,
giudice
tra Policenella e
Co-
sposa.
amanti della propria padrona, Policenella sposo e Quattro Pollicenelli simili, Disgrazie di Policenella. Negli
viello
solo vediamo come servo o più frequenti), ma anche come fornaio, altri,
lo
monasteri,
^<
ortolano,
villano,
sbriscio, ladro, bandito,
uomo
(che sono
»
oste,
mercante,
i
casi
guardiano
pittore,
di
soldato,
di facoltri, padre, figlio adot-
Spesso egli ha per amante o per moglie Rosetta, e, non mai. Colombina. In talvolta, Pimpinella o Puparella
tivo.
;
questi scenari, Coviello fa talvolta la parte del napoletano,
gentiluomo o borghese, e Giangurgolo. quella del servo,
1
Ferrucci, op.
-
Questa raccolta
cit., si
Xapoli, alla quale lu da
p. 2yj.
trova ora ira
me
raccolta di scenari (in Giorn.
i
niss. della Bibl.
donata. Cfr. stor. d.
leU.
la
Hai.,
mia
Nazionale di
notizia:
XXIX,
i>p.
Una nuova 211-14;.
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
246
del padre, del carceriere, del bravo.
cuni
pezzi concertati
«
Per
i
—
Ci restano poi al-
propri del Pulcinella ^
»,
principi del Settecento, lo Scherillo passa in rivi-
sta gli scenari, pubblicati dal Bartoli, e la
È da aggiungere
Frisari del 1736. di
commedie
pulcinellesche, che
commedia
numerosissimo gruppo
il
Roma
recitavano a
si
del
nei
primi anni di quel secolo, di molte delle quali fu autore Carlo Sigismondo Capeci, e che sono state studiate da in altra occasione
senza arguzie e senza
monelleschi.
tiri
pio del Settecento sono le
commedie
Anche
del princi-
e parti pulcinellesche,
raccolte dal benedettino Placido Adriani di Lucca,
recitava egli dilettanti,
Lo
me
Pulcinella vi fa la parte dello sciocco,
-.
il
quale
stesso, in rappresentazioni di frati e di altri
da Pulcinella
^.
dopo avere discorso dei due
Scherillo,
«
contrasti
»,
che sono probabilmente della prima metà del secolo deei-
mottavo {Annucc/'a
e
Tolla e la
Canzone di Zeza), studia
particolarmente Pulcinella nel teatro del Cerlone. Forse, nei primi
drammi
di questo scrittore, recitò
Domenico Antonio
cinella
cesco Barese; tinche, verso
di Fiore il
Vincenzo Cammarano, detto
1
Perrucci, op.
gonando
l'
cit.,
innamorato al
p.
^,
e,
il
celebre pul-
nei seguenti, Fran-
1770, prese a fare quella parte
Giancola
«
295 sgg.
:
Prima
trottoletto, detto in
», il
Pulcinella che
uscita di PolicineUa
napoletano strumbolo
;
para-
Alla serva
:
Rimprovero alla serva. Altri in Croce, Teatri di Napoli, pp. 683-688.
commedie del Capeci e altre dello stesso periodo. Croce. aggiunga a quelle ivi menzionate: Pulcinella dalle spose, Homa, 1710 Bibl. Casanatense, Comm., voi. 458). 3 Ms. nella Bibl. comunale di Perugia. Contiene scenari, lazzi, 2
Sulle
Teatri, pp. 688-96. Si tre
prologhi, intermezzi e altri capricci col Pulcinella. Si veda intorno a esso la
mia notizia
slor. d.
leti,
i
ital.,
:
Un
XXXI,
repertorio della
commedia
dell'arte (in
Gìorn.
pp. 458-60).
Sul Di Fiore, molte notizie nei Teatri di Napoli, pp. 386-90,
452, 457.
i
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
III.
riempie di sé Il
decenni del secolo decimottavo
gii ultimi
Cerlone è passato come
ma,
forse,
247
il
non merita intero
l'elogio, sia
perché
Pulcinella aveva già una larga tradizione, sia perché
produttori e accrescitori della parte erano desimi, e
il
gli attori
e
lone,
Pulcinella
era piuttosto
(la specialità di lui
spettacoloso);
serio
ri-
me-
si
lo
il
stadio
istrionico,
da
(scritte
deliziosi, in ispecie,
nella rivolge alle servette
e
solo
afferma carattere concepito e
svolto con qualche coerenza. Per altro, nel Cerlone
vano scene assai belle
le
dramma
perché, anche nel Cer-
infine,
sia,
non supera
di rado e fuggevolmente
;
i
Celione metteva semplicemente in iscritto
loro invenzioni
scritte)
'.
perfezionatore artistico del Pul-
i
lui, o
da
si tru-
lui soltanto tra-
discorsi e motti che Pulci-
Carmosina e Smeraldina, espres-
amore sensuale, leggiero, sboccato, spudorato, alle quali fanno ottima eco le donne amanti, in tutto e per tutto degne di lui, che lo vagheggiano e vogliono a quel modo'.
sioni di
Del Pulcinella nelle parodie letterarie ho, anche altrove, recato uno dei
pili
vecchi esempì, riferendo
la
parodia, nien-
temeno, del Werther, rappresentata a Napoli nel 1707
\
—
Pulcinella dei burattini.
Uno studio speciale meriterebbe il È singolare che, in queste recite,
appaia di solito come
scellerato, a somiglianza del Polich inelle francese, che
uno
sa bastonare e
ammazzare
la
gente per un nonnulla, e senza
scrupoli, paure o smarrimenti.
Ma
il
piccolo assassino, dui
camiciotto bianco, dalla mezza mascheretta nera, dagli octondi
chietti
1
dalla
vocina
ftìlsa,
il
Pulcinellin.i
famoso Teatri di Xapoli, pp. 476 sgg. In Sicilia, a ricordo del GianPulcinella si ciiiama anche « Giancola • e Pulcinella e
attore, cola e
vispi,
e
:
il
.
BirrUluni
>
(nome
del cappello conico di Pulcinella), si dice,
« napoletano •. ScHERiLLO, Le innaiìiora'e di Pulcinella (in op.
talora, invece di 2
3 Teatri di Xapoli, p. 652.
cit.,
pp. 70-84).
PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL' ARTE
248
(Pidkcenelhizzo) che raccoglie sul suo capo tanti comici
anche in quella parte
cordi, lo
guardano con
la
fa ridere
tenerezza che
ri-
che
gli ascoltatori,
prova pei bimbi ca-
si
pricciosi.
Lo Schedilo arresta colo decimottavo
;
ma
il
la
sua trattazione alla fine del se-
commedia popolare
Pulcinella e la
napoletana del secolo decimonono costituiscono,
importante periodo di quella
Si
storia.
forse,
hanno ora
il
più
sull'ar-
gomento belle pagine del Di Giacomo nella sua Cronaca del San Carlino, e un acuto studio del Lauria; ma bisognerebbe ancora lavorarvi intorno. Nell'ultimo periodo del San Carlino, con l'attore Antonio Petito, Pulcinella si trasformò in tanti personaggi diversi; naggio
egoista, arguto,
non
perso-
onesto, generoso, tal-
goffo in amore, fine osservatore,
intelligente popolano: ecco (scrive cinella in
il
:
il
Di Giacomo)
Antonio Petito. La dichiarazione dei
l'uomo rianimava, tardi rana
perfino, in
e,
Buon marito, operaio
«
pur coraggioso, spiritoso, non servo, non maligno,
volta
non
serio.
ma
in
tempo,
fin la
il
Pul-
diritti del-
maschera acer-
palcoscenico del San Carlino aveva in Pulcinella
un uomo accessibile
alle passioni più varie e contrarie,
un
attore
che, di volta in volta, sapeva pigliar cosi diritta-
mente
la
gli
via
spettatori
recite del
tanto
del cuore da »
^.11 Lauria
San Carlino,
il
commovere mette
buffbnesco
nell'umoristico, e perfino
Del resto, già nel
nel
fino alle
in chiaro si
lagrime
come, nelle
mutasse
di tanto in
tenero e nel triste
Contrasto di Annuccia e
Inolia,
-.
Pulci-
un pover'uomo, tormentato a gara dalla madre e dalla moglie, il quale ha perso l'allegria; e, nella Canzone dì Zeza, è un onesto, sebbene timido popolano, che, nelr uscire di casa, fa calde raccomandazioni alla moglie
nella è
teatro S. Carlino (2. a ediz., Trani, 1895), pp. 52(>7.
1
Cronaca del
2
Pasquale Altavilla (in lìassegna nazionale di Firenze, 1897).
PER LA STORIA DEL PULCINELLA
III.
perché
attenta
stia
alla
ne
e
figliuola
Goethe rammentava recite napoletane
Il
quali
nelle
teatro
mostrando
l'attore,
domestici;
vigili
l'onore
col
Pulcinella,
-.
lontani presentimenti
Ma
con
come
ripigliandosi, poi,
da un brutto sogno
'.
scordare a un tratto
di
entrava a discorrere
spettatori,
e
di guai
249
moglie
la
se si scotesse
sono lampi fuggevoli
questi
e
trasformazioni che esso ebbe,
delle
in ultimo, col Petite.
-Morto
Pulcinella fu bandito dalle
Petito.
il
scene,
ri-
ducendosi a vita stentata nelle compagnie comiche di terzo e quart 'ordine e nei teatrini di via Foria,
compagnie napoletane
col Pulcinella
Qualcuna
delle
reca a recitare an-
si
che in altre parti d'Italia, specie a Roma, dove,
dal
fin
Andrea Ciuccio (e forse con altri prima di lui;, Pulcinella ha avuto sempre buone accoglienze. La fortuna del Pulcinella fuori d' Italia è nota soltanto Seicento, con
in parte.
Come
si è
di Polichinelle esso
particolare
1
2
già accennato,
ha dato
Analisi in Scherillo, op.
al
personaggio francese
cit.,
ma
semplice nome,
nemmeno
carattere e
del
il
del
nessun
vestiario
^.
Per
pp. 25-30.
Gespràche mit Eckermann (Leipzig, 1885,
III, p. 'iSM
:
ct'r.
Croce,
Teatri di Napoli, p. 637. 3
Sul Polichinelle, Saxd, op.
cit-,
I,
p. 139.
—
Nella piccola Espo-
sizione di arte teatrale fatta nel 1898 a Torino, e propriamente nella collezione del Rasi, era l'incisione di
un
Polichinelle:
«
A
Paria, chez
doppia gobba, con una graticola e le molle nelle mani, e. di sotto, i versi: « Si Polichinelle a grande mine, Armédeptncelle et de gril, Son cceur sQait hi-aìXì- le perii, Que Poh renconlre à la
Bonnart
cuisine ».
»
,
con
la
Altra propagine del Pulcinella napoletano fu
giacché, essendosi mutato, in Francia, dal
il
Pierrot;
commediante Domenico,
carattere di Arlecchino di sciocco in arguto,
•
qui s^appelait Jareton, voyant que la comédie italienne avoil perda ractère dUin vclet ignorant il
i'
celui
imagina de
le
comme
[aire revivre;
de Polichinelle
et
lui
donna
Véloit l'Arlequin
il
du temps de
méme
le
ca-
Trivelin,
composa Vhabit de Pierrof, qu' il
le
il
un gaginte de la comédie
(ira de
caractère, ou celui de l'Arlequin
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
250
quel che concerne
la
Germania, dal libro del Dieterich
si
ricava che, già nel 1649, comparvero a Norimberga Polllzenelle
italiani; nel 1657,
si
trova un
Pulcinella, Pietro
un
altro
a Berlino;
nel 1673, a Dresda, e cosi via ^ In Inghilterra
sembra che
Gisraondi, a Francoforte;
Pulcinella
Giacomo
nel
1672,
pervenisse dai burattini francesi, al tempo di in Ispagna il nome di Punch"-; come Palchinelo o Don Cristobal Pidchì-
II Stuart, e prese
passò dall'Italia,
A me non è dato approfondire queste ricerche, m,incandomi ora i necessari mozzi bibliografici. nelo.
ignorant, qui avoit
rot
•
c'es< Vliabit
manqué à
du
la coìnedie italienne
Polichinelle napolUain
»
;
di
modo che
à peine deguisé
=
il
Pier-
(Riccoboni,
op. cit., II, p. 320, e fig. 17).
271 sgg.
1
DiETEuicH, op.
2
Sul Punch inglese, notizie in Flògel-Ebei.i.ng, Geschichte des Gro-
cit.,
p.
tesk-Komischen (5.^ ediz., Leipzig, 1888), pp. liL 113, 413.
IV
Celebrità del Pulcinella Pulcinella simbolo del proletario napoletano
M
i
fermerò piuttosto sulle cagioni
Pulcinella, e per
rappresentazione o simbolo del lebrità
si
spiega, in gran parte,
che l'illustrarono,
comici;
i
resero celebre
la ricca e varia
letteratura teatrale di
maschera
e del vestit(ì,
meglio inventati ed espressivi c;imurtanieiiti
ancora, col fatto ch'esso sopravvisse alle altre
e,
antiche maschere, all'Arlecchino, al Brighella, lone, al Capitano, e, tino friva, nel
ì\ra
Alla fine del secolo decimottavo,
parti di
secondo
i
un
il
diversi capricci
sali,
«
Nel teatro, certe volte
un servo, di uti filosofo, o di commedie; nelle quali, sempre
delle
i
propri
nji>di.
fa
altri,
ch'<>
attejfgia-
buffonerie che diconsi lazzi, è assai grazi-jsa e dà a ridere
molto più di quel che Dottore bolognese d'Italia e
anche
G-aliani già indicava la pre-
sua parte con imitare
la
of-
commedia
signore, altre volte di
bene x-appresentata menti,
della
alla celebrità contribuì, certamente,
valenza del Pulcinella sulle altre maschei-e: le
Panta-
al
ad alcuni decenni addietro,
San Carlino, un esempio vivo
dell'arte K
1
il
come popolo napoletano. La ccmerce gli eccellenti attori
cui divenne centro, la grazia della
che sono tra
ciie
quali fu considerato di frequente
le
>
d'Europa
e
:
i
fa l'Arlecchino o
conchiude, che
si
moderni Pulcinelli
il
Brighella veneziano o
vedono ••
•
per tutti
i
il
teatri
•'>^9
PULCINELLA E LA COMMEDL\ DELL ARTE
la relazione in
cui
messo
fu
costumi
eoi
carattere
e col
del popolo napoletano.
Ciò accadde, a mio parere, nel Settecento, quando ven-
moda
nero in
viaggi in Italia, e
i
pubblicarono tanti
si
descrizione di questi viaggi, e tra le cose più cu-
libri di
furono messe in rilievo quelle di Napoli:
riose d'Italia
il
Vesuvio (risvegliatosi dal suo lungo sonno con l'eruzione del 1632), la plebe (resasi celebre, in tutta Europa, con la
sua rivoluzione del 1647 e col suo Masaniello), l'antica vita
campana
prima metà
(rivelatasi nella
Fu
scoperte di Pompei e d'Ercolano).
moltissimo
una
origine a
dettero
osservandosi a Napoli
ma
tri,
allora che
plebei napoletani, sui
sui
con
di quel secolo
«
lazzari
»,
le
scrisse
si i
serie di creazioni fantastiche
quali
K E,
Palcinella non solamente sui tea-
il
dappertutto, quale insegna di bottega (scolpito o
dipinto, talora uscente fuori da un mellone rosso aperto,
talora anche le lettere del
nome
di minutissimi Pulcinelli);
nei giocattoli, nei sillabari dei
bambini
(cui
sapere)
nei presepi, dove
;
aspergeva
di
dalla grotta del Eedentore
alcuni contatti tra
lano della realtà, se
il
soave licore
^;
e,
col fare del
avvenimenti del 1799, e
vaso del
non molto lungi
commedia
e
il
popo-
primo non saprei bene
9 V ideale del secondo.
la parte
Gli
che vi prese la plebe na-
resistendo gagliardamente all'esercito fran-
poletana,
sia
cese,
ferocemente
sia
formate
notandosi nel tempo stesso
Pulcinella della
si fini
gli orli del
era raffigurato
ritratto o la caricatura
il
del proprietario
zione, servirono
a
e
gaiamente infuriando nella rea-
rafforzare
la
curiosità e a confermare
la celebrità.
i
Cfr.
lissima, '
il
XIV
mio
articolo:
Varietà intorno ai lazzari,
neUa Napoli
nobi-
(1905), fase. 9, 11, 12.
Rehfues, Gemahlde von Neapel
'Zui'ich, 1808),
I,
pp. 154-164.
IV.
un
In
CELEBRITÀ DEL PULCINELLA
libriccino,
pubblicato
nel
1799
253
Germania
in
(Frankfurt und Leipzig-, 1799), col titolo: Neapel und die Lazaroni, Ehi charakterìstisches Gemcild
filr
Liehhaher der
vede una stampa, che ritrae V Armamento dei lazzaroni. Sfila una frotta di straccioni, dei quali uno Zeitgeschichte,
si
reca alta una bandiera con un teschio e la scritta: Eviva il
Santo Januario
tiene
nostro Generalissimo: altri porta sulle
il
statua del Santo,
spalle la
stretto
che,
fra le braccia
suonano vari strumenti.
un Pulcinella con un
«
il
quasi fosse san Dionigi,
proprio capo reciso
coltello insanguinato.
gerezza, crudeltà! Ecco
questa classe dì gente
i
I
;
altri
Allato (dice la spiegazione) balla
Devozione, leg-
tratti principali del carattere di »,
Pulcinella ha
Il
un
vestito a
scacchi da ricordare quello di Arlecchino, un cappello co-
nico
si,
ma non
pulcinellesco,
bevitore di birra;
i
una
faccia grassa e floscia da
pretesi lazzari ricordano, egualmente,
figure di villani tedeschi di
nach. Nonostante queste
Hans Holbein
iuiprecisioni
e
e di
Luca Cra-
ignoranze,
quel
disegno serve a dimostrare come l'immagine di Pulcinella fosse stata strettamente collegata con quelle dei lazzari e
della plebe napoletana.
Lasciando
davvero
i
sentazione
i
collegamenti di fantasia,
contatti del
tra
il
quali
popolo napoletano e
Pulcinella?
—
Un
sono la
poi
rappre-
contatto, estrinseco, è
medesimezza della lingua e dei costumi, nei quali l'uno e l'altro si muovono. Ma che sul teatro Pulcinella abbia mai rappresentato la caricatura del Napoletano, non ci è noto. Esso rappresentava invece un carattere genericamente umano: e, come tale, può ben servire a designare approssimativamente il tipo umano, che s'incondato
dalla
frequente in una determinata classe o popolo. Cosi, Pulcinella può spesso venire assunto, in una considerazione tra
extrartistica, quasi tipo del proletario, o, meglio, di quella
particolare sottoclasse del proletari-U"
.-ii'-
^i
oliiama
«
prò-
PULCINELLA E LA COMMEDLA DELL' ARTE
254
letariato cencioso
{Lumpenproletariat)
»
di quello dei paesi in cui
e più specialmente
;
popolo ha ingegno svegliato^
il
gaia natura e piccoli bisogni facilmente contentabili ^ Ecco
come
nella letteratura pulcinellesca
che riscontro con
Legame
e del lazzaro.
può trovare un qual-
si
la figura dell'infimo proletario
rappresentazione artistica essere don Rodrigo
il
al
;
modo
stesso che
si
può dire
tipo del signorotto italiano del Sei-
don Abbondio quello del clero secolare
cento,
napoletano
posto da noi, non contenuto nella
e fra' Cri-
stoforo quello degli ordini
monastici, e cosi via. Ciò sarà
ma non
ha che vedere, intrinsecamente^
o
non sarà vero;
con l'arte; perché, in arte, don Rodrigo, don Abbondio^ sono sé medesimi e non altri. Opportuna illustrazione di queste interpetrazioni
fra' Cristoforo,
può al
quel che
offrire
il
Goethe ha lasciato
Pulcinella. Osservatore
accurato
plebe di Napoli, egli indicò
i
ideali
scritto intorno
ed equilibrato della
temperamento e di Vide
tratti di
vita meridionali, che la distinguono dalle altre plebi.
anche a Napoli
Pulcinella, e fu colpito delle somiglianze
il
che presentava con l'immagine ch'egli s'era formato della plebe napoletana.
Il
Hanswurst per
e lo
placido, calmo, fino a
E
umoristico.
Pulcinella (scrisse nel suo Viaggio
maschera nazionale, quale l'Arlecchino è per
d' Italia) è la
Bergamo
«
il
Tirolo
è
:
un certo punto
un
tipo di servo
indifferente, pigro,
s'incontrano qui dappertutto bettolieri
tali
Oggi mi sono assai spassato col nostro servimandato a prendere carta e penna: nient'altro
e domestici.
tore: l'ho
i
È
noto l'epigramma, ispirato dai
buito al Giraud cinella e cit.,
I,
il
«
(o,
anche,
pp. 134, 139; e in
I,
1
giugno
pp. 102-3.
fatti
d'armi del 1821
Pulcinella malcontento ecc.
popolano
deux moiides, 1880),
:
il
*
.
Paragoni tra
e attriil
Pul-
borghese napoletano), in Sand, op.
Mercey, Le
théùtre en Italie (nella
1840, p. 836). Cfr. Taine,
Voy. en
Revue des
Italie (Paris>
IV.
CELEBRITÀ DEL FfLCINELLA
che questo. Ma. tra beria, ne è nata 1
H.
255
equivoci, indugi, buon
la più graziosa
umore
irebbe mettere con fortuna su qualsiasi teatro
lavorare alla seconda parte del Faust,
mente
le
e fur-
scenetta comica, che >
tornarono
gli
ridionale e sul Pulcinella.
coltà della vita
come
E
si
servi di quel
nome por
spassandosi di tutto.
come
nuovo, nella sua fantasia,
umano,
ri-
diffi-
scivolando, non prendendo niente sul
considerato dal Goethe di
in
osservazioni che aveva fatto sul proletariato me-
trarre quelle categorie di uomini, che passano sulle
serio,
si
Nel
'.
Pulcinella,
dopo essere stato
tipo sociale ed etnico, in
si
sciolse
un personaggio puramente
in cui le determinazioni locali
ed etniche sono cosa
sf^-condaria.
Quei versi del Goethe parevano descrizione
gliore
Pulcinella; e
di
al
De Sanctis
la
mi-
ritraggono, certo, mi-
rabilmente, in pochi tocchi, una figura viva e vera, pensata e -
hera,
immaginata dal poeta tedesco. data
avanzano tra ".
nel il
palazzo dell'Imperatore,
goffi) e
il
matto,
«
si,
il
i
dicono cosi, beffardamente: siete
i
matti,
Voi, curvi fatti
Sin da la culla;
Ma
noi che nulla
Portiam, noialtri
Siamo
gli scaltri
!
Perché
i
berretti
Nostri,
i
giubbetti,
I
in
ma-
Pulcinelli
taglialegne che
lavoro faticoso e utile, e a questi
Voi
nostri arnesi,
Son lievi pesi; Comodamente,
'
i
si
ttìppisch, fast Uippisch >.
pigliando la parola subito dopo
leggiano
— Nella festa
Italienische Reise (ed. Diintzer), p. 203.
sim-
rivolgen-
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL' ARTE
256
Senza
far niente,
Le piante Sempre in
snelle pianelle,
Corriamo a schiere Mercati e
fiere
;
L'un l'aUro guata Con spalancata Bocca, e diam fuori Strilli
E
sonori
;
cosi, sparsi
Tra l'accalcarsi Di genti a mille,
Al par d'anguille Insiem guizziamo, Sai tiam, scrosciamo. Se lode poi Ci vien da voi, O biasmo alcuno, È a noi tutt' uno ^
1
II.
a.
!
Questa fedele traduzione metrica dei versi del Goethe {Faust, I,
scena della
festa^, è stata
cortesemente fatta a mia richiesta
dall'amico prof. FRANCEsro Cimmino. tiene veri errori d' interpretazione.
La traduzione
del
Maffei con-
Conclusione
M.
.citi,
domandandosi
nitivamente morto, futuri destini,
o, se
sembrano
di
tico, al quale, sotto
e
maschere
due questioni distinte:
minore,
giore
davvero
quali saranno
e defii
suoi
Ma
sul teatro.
si
tratta
maschera, come abbiamo già
la
intrinsecamente un elemento estesotto un'altra, in
grado mag-
ricorrerà sempre. Determinare quando
come bisogni farne
la lode della
è
una forma o
si
è,
identificare tale questione con l'al-
tra intorno all'uso delle
accennato in principio,
se Pulcinella sia
morto non
buona
uso, è compito dell'artista, cui spetta
riuscita o
il
biasimo della cattiva.
Pulcinella, invece, ossia quella determinata e particolare maschera, è decaduto. Quali le cause della
Esso non rispondeva più
gusti
ai
delle
classi
decadenza? colte,
die
l'avevano già accolto, festeggiato e carezzato a lungo. Se la
maschera ripeteva vecchi motivi, infastidiva;
novità, dava fetti
di
luogo,
è
vero, in
contrasto; ma, in
né necessaria né opportuna.
comiche diverse, al Pulcinella. Si
o,
le
Si sentiva
arie
assume
l'attore Scarpetta nel
disse
Pulcinella dalle sue
1
il
Nel libro citato:
Don
belli ef-
complesso, non sembrava più il
bisogno di figure
almeno, rinnovate; donde
vedano
se tentava
qualche caso, a
da
piccolo
la
guerra
Goldoni, ohe
raccontare come egli ban-
commedie \
Felice,
memorie
di
Eduardo Scarpetta
(Napoli, 1883). Cfr. G. Alfano, L'ostracismo di Pulcinella
Najxili, IS?!'.
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
258
aggiunga a
Si
ciò che, per quella parte in cui
il
Pul-
ritraeva o sembrava ritrarre caratteri e costumi
cinella
popolari,
è fatto vivo nelle
si
misto di pudore, di rimorso, ipocrisia. Ridere,
classi
e,
se
si
un sentimento un po' di
colte
vuole, di
dimenticando che oggetto del riso sono
umani (poveri, ignoranti, corrotti, ma esseri umani), sembra cosa poco degna della moderna civiltà, « bassa voglia ». La storia ci dice le beffe, alle quali nel Medioevo esseri
erano esposti
i
plebei
ancora nel secolo decimosettimo, vi
:
erano vassalli che dovevano presentarsi ogni Natale innanzi d'Inghilterra a fare
al re et
unum bumhiduml
guente,
signori
i
unum
E, in quel
napoletani,
saltmn, unum, sufflatum secolo e in parte
come
quelli
di
avevano nelle loro case nani, gobbi
d' Italia,
parti
persone
al-
servivano da buffoni. Tutto ciò
mostruose, che
trimenti
e
del, se-
altre
era ingenuità, e per noi è barbarie. Intorno alla vita della
plebe napoletana, in luogo della faceta commedia di una volta, è sorta ora un'intera letteratura di liriche, novelle,
romanzi
drammi, che
e
umano, appena
la ritrae
con commosso sentimento
celato della voluta
calma
realistica dell'os-
servatore oggettivo ^ Perciò, Pulcinella scende
la
sua china. Chi sa che, a
poco a poco, discacciato perfino dai dine,
non
si
1
Un
precorrimento si
E
chi sa se, fra alcuni
non propriamente storico) di questa commedie dialettali napoletane, non
(ideale, se
può vedere
nelle
istrioniche, recitate per lo più
nel Settecento, e
anche nei
da dilettanti, che
libretti di
voi. sui Teatri di Napoli, passim,
VII, pp. 163-167.
si
scrissero a Napoli
opera buffa, del primo periodo.
sono parecchie notizie su tale ar-
gomento, che meriterebbe uno studio biliss.,
second'or-
perdutasi ogni altra memoria viva della letteratura
letteratura
Nel
di
ridurrà nei baracconi delle fiere e nei diver-
timenti carnevaleschi dei villaggi? secoli,
teatri
speciale. Cfr.
anche Napoli
no-
CONCLUSIONE
V.
259
pulcinellesca o essendo questa nota solamente agli eruditi di cose letterarie,
loco e la
non
un
non
attore
lo ritroverà nel
suo basso
riporterà sul teatro, facendogli riprendere
lo
strada già percorsa? Senonché, supposto pure che
nuova
la
fase somigliasse all'antica, questo apparente ritorno
sarebbe, in realtà, una storia affatto nuova, prodotto di nuove condizioni. Ora come ora, Pulcinella non sembra possa servire in arte se non a creazioni riflesse. Cosi noi che, come popolo, non produciamo più le grandi fantasie mitologiche, e come individui non siamo più bambini, godiamo nel vederci presentali
miti e
i
le
leggende del passato
e le
bambini. Questi argomenti di poesia sono special-
fiabe dei
mente
dall'arte
ri-
cari ai popoli germanici, e
anche in
sono
Italia
stati
non molto
nel periodo romantico, per imitazione
coltivati
né profondamente sentita del romanticismo germa-
felice
nico. In generale, presso di
noi
si
urtano contro
rea-
il
lismo e l'equilibrio dello spirito italiano. I
tre secoli di
di notevole
drammi
pulcinelleschi lasciano ben poco
drammi
opere letterarie. La massima parte dei Pulcinella, a stampa e manoscritti, sono o
nelle
col
assurde buffonerie o pallide tracce, ravvivate un tempo dall'attore improvvisatore.
Qua
disegnata; più spesso, scene
e là,
felici.
qualche figurina ben
Poteva ben sorgere nel
passato uno scrittore popolare che fosse
per la letteratura
merci)
pei canti degli aedi o
germanici, e
canti
Pulcinella fosse ai
il
posteri.
pulcinellesca
quel
che
Omero
redattore del Niehehuvjenlied pei
un dramma o un romanzo Pantagrud napoletano), di cui
scrivesse
(un Gargantua
popolare
legata
il
(tanto per espri-
e
centro e nel quale la sua figura restasse
Ma
quell'artista
non
sorso,
o.
ora.
<^
troppo tardi.
Un sere
surrogato erudito dell'opera mancata potrebbe
un
libro, in cui, dai
documenti lett^—-^
es-
"•'-
• 'i'"' '
PULCINELLA E LA COMMEDIA DELL'ARTE
260 dizione,
si
raccogliessero, e quasi
si
ricostituissero, le prin-
cipali manifestazioni artistiche del Pulcinella.
tale
L'impresa
da allettare un erudito, che abbia tatto delicato
artista.
E
è
di
queste nostre ricerche gli potrebbero servire da
indicazioni e prolegomeni.
APPENDICE ANCORA SULLA DERIVAZIONE DEI
TIPI COMICI ITALIANI
DALLA COMMEDIA POPOLARE ANTICA
L'opera del Reich sul ricerche, offre
mimo
frutto di dodici anni d'indefesse
^,
una copiosa raccolta
di notizie recondite e di rav-
vicinamenti ingegnosi, che gettano molta luce non ria civile
meno
sulla sto-
che su quella letteraria dell'antichità greco-romana.
Additerò alcuni punti, che mi paiono specialmente importanti.
mimo
capitolo secondo tratta del
Il
nell'opinione dell'antichità, e
passa a rassegna opinioni di grammatici, di satire
che
condanne
logici; le
filosofi e di poeti; le
mimografi facevano del cristianesimo e
i
i
mimi
cristo-
dei padri della Chiesa (vane, tanto che alcuni
elementi mimici penetrarono nello stesso culto cristiano, donde
mimodie i mimi e
nei canti ecclesiastici); le
mime;
il
modo onde venivano
le
considerati
la satira politica nei mirai; l'apologia del
mimo,
composta nel sesto secolo da Choricius. Non conosco quadro più completo dei costumi
ne ricava,
è,
per
altro,
rispetto, tra la civiltà
è
teatrali nell'antichità.
greco-romana e
una nuova pagina aggiunta
Reich prova che Aristotele
mimo, rimasta,
1
voi. I. p.
Mimus
(Berlin,
I,
e
la
nostra.
Il
capitolo
terzo
alla storia delle teorie letterario: i
peripatetici ebbero
poco avvertita. Anzi,
Hermann Reich, Der
Verstich:
des
finora,
L'impressione, che so
quella di una grande somiglianza, per questo
la
una
il
teoria del
considerazione del
MÌ7nus, ein litterar-entu'ickcìiinysgcschicfitlicìur
Theorie des Mimm-,
Weidmann, 1903\
p.
II,
Entwickelu>igiyes<:hkhtf
APPENDICE
262
mimo
prosastico di Sofrone dovè spingere lo stag'irita alla sua ge-
mimesi e mimo come genere commedia come il dramma satirico
niale teoria, che riponeva l'essenza della i:)oesia nella
non
metro.
nel
g'ià
letterario,
quale stava alla
il
Reich dimostra
alla tragedia. Il
nima e
trattazione intorno
premessa dal Bergk
modo sia
determinò
Aristotele
il
dell'ano-
la i^erfetta aristotelicità
commedia, che fu edita dal Cramer
alla
sua edizione
di Aristofane; e
spiega in
assai plausibile la distinzione, che ivi appare, di
una poe-
imitativa
una
e di
à[jii|jiY]xo5
alla
specie della
ùcpvjYYjxwi^
meramente metrica, quali
quella
pseudopoesia,
la
la
(suddivisa, quest'ultima, nelle due sotto-
e la natSsuuxvi
ìaxopiy.f;
dovendosi intendere per poesia non
ijlijjivjtì^,
e della
Q^scopTjt'.xy;).
In quella trattazione, o
riassunto interpretativo della Poetico., la vera poesia, l'imitativa,
xpaywSia,
cialmente notevoli e
drammatica
divide in narrativa e
si
xa)|j,qjd{a,
nonché
e
la
drammatica,
rapporti messi in rilievo tra l'etologia
i
peripatetica
caratterologia
la
;
(p. e.,
i
Caratteri di
nuova interpretazione tentata del canone
la
Sedigitus, nel quale,
come
poi,
in
Nel capitolo quarto, sono spe-
e aax'jpot.
\ì.I\ì.oi
;
di Volcacius
modo che
sono graduati, in
è noto,
mimica
Teofrasto)
fi-
nora era parso affatto capriccioso, dieci poeti comici romani, assegnandosi
il
primo posto a Cecilie
sesto a Terenzio:
in quel canone, la
Stazio,
Reich crede che
il
forza
studia l'efficacia del
mimica
mimo
sulla
o
il
vis
il
secondo a Plauto,
comica.
Il
capitolo quinto
forma dell'esposizione
filosofica
di Socrate {srurra atticus, lo
chiamava Zenone epicureo, come
corda Cicerone), e di Platone
:
mimo
filosofico.
l'
il
criterio di valutazione sia,
Eutidemo vi
è
ri-
come
considerato
Con questo capitolo, si chiude il primo libro, conmimo. Il secondo ha per argomento l'ipo-
sacrato alla teoria del tesi
mimica
fino ai
e le
linee
fondamentali della sua storia dagli
tempi moderni. Dopo avere esaminato
della ipotesi
mimica prima
e
logo
raccolte di detti e
Scaramuccia),
il
pulcinella turco,
dal
mimo mimo
del
fatti
dei
Philogelos, ana-
(e. 7)
del
mimo
turco e
Karagoz, ch'egli considera come derivanti
ellenico-bizantino e dal
nell'India
il
Capitan Spavento e degli
Reich j^assa a discorrere
del
svolgimento
dopo Filistioue (illustrando anche
la curiosa silloge di motti e di aneddoti comici, alle
lo
(e. 6)
inizi
(e.
8),
del
personaggio
mimo
comico
di
in Occidente durante
esso; il
Me-
ANX'ORA SULLA DERIVAZIONE dicevo
(e. 9),
e,
finalmente
(e. 10),
del
263
mimo e dei personaggi midramma pastoi'ale mo-
mici nell'opera dello Shakespeare, e del
derno come derivazione dal
mimo
alessandrini e romani.
I3oeti
bucolico di Teocrito e degli
Anche questo secondo
altri
libro è l'icco
di particolari nuovi e di considerazioni acute.
vede da
Si
ciò che, se
il
Reich avesse concepito
la
sua opera
come una serie di excursus e di Forschungen zur Geschichte des Mimus, ci sarebbe tutto da lodare e niente da obiettare al suo libro.
Ma
egli si è proposto di dare invece
gio di
(come dice
storia evoluzionistica letteraria
«
»
;
da questo gonfiamento della materia da
doppio difetto
:
il
un sag-
titolo)
da questo proposito,
e
un
studiata, deriva
lui
mimo
esagerazione nel valore attribuito al
;
arbi-
trarietà nel concepire alcuni punti della storia di esso.
Avendo notato che non
mimo
si
possiede ancora una vei'a storia del
e che era utile colmare questa lacuna
',
Reich ha comin-
il
ciato
con un paragone, che doveva trarlo in inganno. Tutti sanno
(egli
dice)
l'
imjjortanza, nella letteratura mondiale, del
classico, la cui linea di svolgimento
dramma
da Eschilo, Sofocle ed Euri-
pide, attraverso Seneca, Marlowe, Shakespeare, Corneille, Racine, Alfieri,
Ma
giunge
fino
allo
Schiller, al
non meno importante
Goethe e
è l'altra serie:
mico. Si tratta, nientedimeno, di studiare
realistica antica accanto a listica.
«
realistica
;
Gli inizi del e Sofrone,
ai
loro successori.
dramma
quella del la
storia
della
mi-
poesia
quella, già nota, della poesia idea-
mimo sono
primo poeta
propriamente
gli inizi dell'arte
d'arte del
mimo,
è
primo
il
co-
1 II Reich (pp. 6-10 n.) dà un elenco degli scritti generali, che si hanno sull'argomento; a cominciare dall'opei'a di Nicola Calliachus. professore di Padova, De ludis scmnicis mimorinn et lyantomimorum 1713 1.
fino ai giorni nostri.
Non vedo
ricordati due libri, che, per altro, io
stesso conosco solo indirettamente, per citazioni altrui: J. Weavoii, the mimes and panlomimes (Londra, 1728;, e I3ollan<ìek ve History
of
RiVERV, Reckercfm (Parigi, 1751).'
bro
II
parte
Un
della Storia II,
hisforiquei et criliques sur !es
e
ragione di ogni poesia di F. S.
Milano, 1754, pp. 179-251), dove
commedie mimiche
mimes
et Ica
pantomimes
ricordo meritava anche la Distinzione 111 ded
presso
i
greci,
i
si
Quadrio
tratta di
li-
(voi. Ili,
proposito delle
latini, gl'italiani e
i
francesi.
APPENDICE
264 sciente realista tra litica
tra
i
poeti greci
i
migliori e
»
la
decadenza della
civiltà antica; cosi si
il
nobile e mitico
idealismo e
dalla quale
mento i
ebbe una lunga lotta tra
l'ultimo usci, alfine, vincitore,
della
popolare e burlesco, «
Il
problemi del mimo, spunta
umano
problema
il
una
di
diminuito
mondo moderno,
nel
l'efficacia
»
della
suo fonda-
storia
(p. 35).
«
Dietro
genetica
La
trascu-
letteratura classica
perché, essendo stata ristretta quella lette-
ratura alla sola parte idealistica, col decadere
Ma
decaduta anch'essa.
il
(pp. 28-31).
»
del realismo letterario nell'antichità classica
mimo ha
quale manife-
universale e letteraria, avente
storia
nelle leggi dello svolgimento
ranza del
mimo, come pro-
l'idealismo, appare
pugnatore del realismo contro stazione
nella lotta po-
ultimi prevalsero, donde
realismo
il
come
E,
(p. 20).
peggiori, questi
i
«
dal
mimo
dell'
di Sofrone, di
idealismo, è
Teocrito e di
Eronda, dal romanzo mimico di Petronio e dalle novelle mimiche
un moderno
può ancora imparare
realista
»
(p. 38).
Tutto ciò mi sembra poco sostenibile e dimostra, forse, che Reich, se ha a lungo ricercato
i
testi
ha con pari insistenza meditato sul
per illustrare
il
il
mimo, non
significato dell' idealismo e del
realismo in letteratura. Altra volta, ho avuto occasione di chiarire
come
il
realismo sia una denominazione che può rendere servigi
nella storia letteraria solo
quando serva a indicare, come nome
riassuntivo, quella maturità dello spirito moderno, prodotta dallo
svolgimento del senso storico e dall'interesse pei problemi psico-
^ Sotto questo
logici e sociali
un
dire
vuole trovarne
rispetto,
grande importanza
fatto di
le fonti nella farsa e nella
la voglia di reagire e ripetere la
bacher (contro
chiamano
il
del realismo
fa,
i
«
non
la
commedia,
lasciarsi
trovando
mimo
1
Si
si
può
Reich
burlesca, viene
Krum-
e
molto
Critica,
meno
il
mimo,
è la fonte
cosi, assai idealistico.
sedurre dai ravvicinamenti che
il
Reich
dappertutto, nelle più diverse, e anche nelle
manifestazioni letterarie
veda
commedia
il
il
Né bisogna pili alte
Ma, allorché
parola del Kòrting' e del
moderno: realismo, diremo
il
realismo moderno
Reich lancia una protesta, pp. 48-9), che Tingeltangelpoesie » (poesia da caffè-concerto).
quali
mimo
— La tragedia,
il
storica.
I,
pp. 245-8.
:
nel dialogo socratico e platonico,
ANCORA SULLA DERIVAZIONE
dramma
nell'egloga e nel
dramma
pastorale, nei cantici
265 Chiesa, nel
della
dello Shakespeare, nel romanzo, e cosi via
^.
Si è già detto
che questi ravvicinamenti sono pregevoli, perché spargono luce su alcuni particolari.
Ma
essi
non provano nulla a favore
mimo,
del
potendosi eseguire analoghi ravvicinamenti col prendere per centro qualsiasi altra
produzione
dramma,
dell'epos nel
letteraria. Cosi si troverebbero tracce
commedia, nel romanzo, nella
nella
pittura,
Che
nella scultura, nella storia, nella filosofia, e via discorrendo.
cosa >iimostrano, dunque, gli elementi del mimo, che in
altre
manifestazioni
È
il
che già
le
sapeva.
si
bene mettere in luce quelli di
tali
legami che siano sfuggiti
considerazione;
ma
occorre
finora *
Soltanto questo: che tutte
letterarie?
spirituali si legano tra loro;
manifestazioni
osservano
si
all'attenta
mitologizzare
storia nella
il
rapporto che
letterario), e in
Conosco parecchi
si
evitare
è additato, e
l'errore di
trasformare la
esposizione delle gesta di una data opera
fantastica
un genere
(o di
»
libri
un catalogo
moderni,
il
cui
biblico di generazioni.
ordinamento
la
e
cui
prospettiva sono viziati da siffatto pregiudizio. L'oggetto, che fornisce
il
titolo al
libro
(nel
l'immaginazione dell'autore,
mento
storico.
ché (risponde l'Italia e la
Perché il
la
caso presente, il
dio o
il
T[}oesia
che Aristotele e
i
il
dramma
e
il
il
mimo come
la
diventa, per
tal
il
commedia
si
secondo volume dell'opera (che non più particolarmente
cato) dovrebbe trattare sulla letteratura
romanzo bucolico
dram-
non drammatica,
originaria
e,
il
vero.
rivela anche nelle
espressioni enfatiche, tra epiche e drammatiche, che
II
I
modo, semplicistica;
semplice, non è neppure
Questo concetto esagerato del proprio tema
1
«
principessa fatata
comica popolare; non seppero trovare
La spiegazione semplicistico, come non è ».
popolare.
la bella
suoi scolari indicarono ai commediografi
greci, allorché considerarono
(Urhomó(ìie)
divejita, nel-
Germania non ha avuto commedia? Per-
Francia: perfezionare
Dornróschen), la
la via
mimo),
Reich, p. 336) non ha saputo fare quel che fecero
maturgi tedeschi non seppero conquistare {dai:
il
diavolo di tutto lo svolgi-
è stato fin
il
Hcicli ndo-
oggi pubbli-
dell'efficacia
del
mimo
specialmente, sulla satira, sul
e biologico, sulle novelle e sulle lettere.
APPENDICE
20G
Roma
pera nel parlare del mimo. L' ipotesi mimica giunge a
:
«
di
sottomise anclie l'Occidente latino e dominò d'allora il teatro dell'intero mondo greco-romano fino alla sua caduta per opera dei germani e dei turchi » (p. 18). Non si parla cosi di un conquistatore, di un Alessandro o di un Napoleone ? — qui essa
Cadono
si
in
teatri
i
ma
Africa;
ecco
«
mimi ripensano
ricordano di essere stati giullari
E giullari e buffoni barbaro Medioevo e
questi. il
da giullari
Non pare
si
mutarono
e buffoni, e
consegnarono
lo
sima parte andò
—
«
simili
eroe,
potrei
esse nascono,
Ma E
noto
io
Non
il
come
si
mimo
il
di
la
di
di documenti. Il il
ormai
si
pensi dell'im-
a ogni modo, in linea di fatto, che
non
storica
può
si
loro
i
tipi
sfatata, dello
,nùìins centunculus
«
«
zanni
»
dal
dal
».
der schone
sonnio
«
Come?
(egli dice)
Traum fUr
»
e
anche
(pp. 44, 498: cfr.
»
:
biso-
bel sogno
il
uniner ausgetraumt....),
comici possano essere seguiti, nel loro nascere e nel
peregrinare
tempi? dei
nun
stabilire per
Dieterich, abbia dato ancora fede, in questo
Nessuna vera prova; ma:
also iciì'Mich
frasi
pena:
amore.
gna davvero rinunziare per sempre a sognare che
Di la
che viene riconosciuto altresì dal Reich;
libro, alla derivazione,
{ist
—
derivazione della commedia popolare
sta,
quantunque, seguendo
«
narrerebbe
si
qualche punto storicamente dubbio.
continuità
l'asserita o sospettata
la
restò in pa-
nemico?
antico e dall'atellana. Checché
dell'Arlecchino dal
nuovo
di
tono con cui
da eccesso
detto,
è
problema circa
tabella finale).
il
fu conqui-
d'origine in mas-
non emigrò,
solo
» (p. 14).
bambino,
ancora moltissime, se ne valesse
riferire
portanza di tale problema,
mancanza
questo
è
attori
fatale
Quando Bisanzio
che resta solo a sfidare
ho parlato anche
italiana dal
un
mimo mostrò
il
le vesti di
attraverso
nuovi tempi, dove
ai
nella sua patria
....
in rovina.
ecc. (p. 15).
un
mimo
ascoltare la storia romantica di
di
sua forza indistruttibile. Esso »,
riprendono
il
nuovo in mimi, ossia in
di
stato dai Turchi, e l'ellenismo
tria
alla loro antica origine »:
salvarono
«
trafugato da un fedel servitore,?
l'atto di
Germania, in Ispagna, in
Gallia, in
Italia, in i
Le due
mimi romani Macco delle
dall'antica
vie
tentate
Eliade, per
millenni, fino ai nostri
finora, quella di
ricercare le
nel Medioevo e quella di derivare atellane, sono
senza speranza;
ma
il
sorti
Pulcinella
ce
n'è una
J
A-NXORA SULLA DERIVAZIONE speranze
terza, ricca di
mondo
l'Oriente, al
267
ancora intentata. Bisogna volgersi
e
bizantino: ivi
al-
troverà la chiave della que-
si
stione (pp. 47-8).
E
opportuno, senza dubbio, e risjjonde
al
gran progresso
negli ultimi tempi dagli studi bizantini e al mutato
ha
moderna
la
storiografìa del posto di
indagare anche per questa parte trebbe destare stupore che
il
Bizanzio nella civiltà, di
mondo
bizantino. E, anzi, po-
Reich abbia confinato
il
fatto
concetto che
la
sua inda-
gine ai rapporti tra Venezia e Costantinopoli nel tempo seguito alla conquista
dimenticando che
turca di questa;
fu vigoroso, durante
tutto
Medioevo, nella
il
bizantinismo
il
nell'Italia
e
Sicilia
meridionale, e anche in quella Campania, che è patria riconosciuta di Pulcinella.
Ma
dall'ammettere l'opportunità di studi da condurre
campo bizantino ad affermare che
nel
derivazione
sia chiara la
commedia dell'arte italiana da Costantinopoli, cioè mimo bizantino, erede a sua volta del mimo elle-
della
dal
nico, corre gran Il
tratto.
Reich è molto risoluto nella sua affermazione.
(scrive nel
mondo
primo
bizantino
gamente
dove enuncia
capitolo,
si
cercate, che risolvono
:
il
loro
comune padre
del
mimo
si
ila
all'atellana; la seconda, al
la
non sono padre nel
Il
perso-
un turco
mimo
e figlio,
bizantino.
ma
!
Con
la
fratelli, e
caduta di
caso della immigrazione
il
prima volta esso aveva dato origine
il
coi
il
mimo
poveri resti
Medioevo,
li
bizantino, vedel
mimo
ru-
ravvivò, e ne nacque
dell'arte; la quale, prosecutrice delle glorie del
commedia
nel
Pulcinella dal Karagòz, o vi-
mimo romano);
attraverso
».
italiano somigliò tanto a
nuto da Costantinopoli, s'incontrò
mano,
In realtà
che ha stretta somiglianza
ripetè per la terza volta
greco in Italia
persistenti
«
tesi, p. 48),
dibattuto problema
diretta del
ceversa, è da escludere; essi
Costantinopoli,
il
è Karagtiz,
non mai un
Tuttavia, la derivazione
hanno
sua
trovano, a mio credere, le prove storiche, lun-
naggio della commedia turca
con Pulcinella
la
mimo
latino, sottomise col personaggio di Pulcinella tutto l'Occidente. Né senza ragione, proprio a Venezia, fiorirono i Goldoni e i Gozzi
(pp. 678-683).
Ma,
e le
prove di tutto ciò?
glio dei Dieci proibiva l'uso,
«
— o.
Il
29 dicembre 1508,
paucissimo tempore
»
il
Consi-
introdotto
APPENDICE
268
nei banchetti e nelle feste, di recitare
commedie
personatos sire mascheratos dicuntur
et
lasciva et inhonestissima
turpia,
acta
».
«
per
in qiiibus
utuntur inulta verba
E im moderno
et
scrittore
greco, Costantino Satha, scorge, in questa descrizione, proprio la
commedia
bizantina. Inoltre, le
commedie
del
Calmo
e del
Ruzante
j)ongono talvolta la scena in paese greco e hanno personaggi che
parlano
un
—
Sono prove codeste, che abbiano
si fa
a riconoscere in quelle frasi ge-
greco (pp. 679-81).
il
qualsiasi valore?
Come
neriche dell'ordinanza del Consiglio dei Dieci proprio
il
mimo
bi-
un edifizio storico? Quale argomento favorevole costituiscono mai le parti greche nella commedia italiana del Cinquecento, che ha anche parti spagnuole e tedesche e d'altre lingue e dialetti senza che perciò si debba supporre un zantino e ad architettarvi sopra
contatto con le letterature delle l'elative lingue e dialetti, essendo usati in esse
i
quello
rico, e
vari linguaggi per ragioni di colorito locale e sto-
greco messo in bocca, per l'appunto, alle milizie
greche della repubblica veneziana,
1
ai cosi detti
«
stradiotti
libro del Satha, loxopixov 5o7.i|n.ov ::epl toù S-sccxpou
II
{lO'jOLX-^S
Twv Bu^avx'.vwv,
Bsvsxia, 1878-9,
Le pagine,
due
r^xai
si
eìg
non mi pare che
voli.}
sulle quali
Biooifitìfr]
appoggia
il
»
^
y.a.l
?
z-qc,
xò xpvjxixòv -S-éaxpov (£v
sia noto ai nostri studiosi.
Reich, sono nel voi.
I,
pp. 403-420.
prima i^ubblica rappresentazione del nuovo teatro italiano fu la Calandrici, promossa nel 1518 in Roma dal papa grecofilo Leone X; ma che già innanzi, nel 1508, a Venezia venivano proibite le rappresentazioni disoneste e lascive; nelle quali il Satha non so come riesca a riconoscere, attraverso sempre il documento citato, Tidvxag xoùg xcpaxxTipag xtóv Bu^avxivwv [jiC[jicov. Mette poi in rilievo le parti in dialetto greco, che sono nelle commedie del Calmo,
Il
Satha nota che
del
la
Ruzante, del Giancarli. Assai curioso sarebbe stato
col
titolo:
netiis
da Sabio, 1529\
de Thott
e,
il
si
trova citato nel catalogo della biblioteca
fatto fare ricerche a
la biblioteca Thottiana),
quella pretesa silloge di
Ve-
Giovanantonio et
sull'autorità di esso, dal Panzer e dal Brunet.
avendone
libro, che,
Iwdierna grcecorum dialecto conscripke, qucz
publiee solent aliquando exhiberi (Vinegia, per
fratelli
tha,
C'omcedice
ebbe
la
Copenhagen (dove
si
Ma
il
Sa-
trova ora
delusione di venire a conoscere che
commedie greche era
nient' altro che
duzione neollenica della boccaccesca Teseide (pp.
416-19).
una
tra-
I
ANCORA SULLA DERIVAZIONE Certamente, affermare che
commedia popolare
della
l'orig'ine
269
italiana del secolo decimosesto è in Italia e nel secolo
non
sto,
mia
significa (ripeto la
non
cautela) che
nome
vare antecedenti e derivazioni di questo o quel
decimose-
possano
si
tro-
comico, di
alcune facezie e azioni comiche, di alcuni particolari della maschera e del vestito.
debbano
si
modo
È
ritrovare.
anzi ben naturale che questi antecedenti
E
inconfutabile, che
ticolari della
vano
maschera
Driesen
il il
nome
di
ha
'
«
messo
testé
Arlecchino
e del vestiario di quel
>
in chiaro, in
e alcuni par-
personaggio, deri-
che rnimus centuncuiusì) dal Medioevo francese. Ar-
altro
lecchino è Harlequiìi, Herleqidn, Hellequin
nome
:
un
di
diavolo,
conduttore di schiere di suoi pari, di Harlequins, dei quali
guono l'oi,
in cronache, poemi,
essi
qualche parentela
mediante
italiano,
drammi, fableaux
il
diavolo
«
e misteri
Alichino
che recitava a Parigi tra
improbabile che fosse, per l'appunto,
è
> il
di
bizzarro
1570 e
italiano,
personaggio comico italiano. zione che
il
^
Otto Dbiesen, Der Urspj^tng
(e
non
la
conoscenza di piazza,
meglio, impastò con esso un
tesi,
che
perché chi voglia averne le
ha dedicato
des Harlekin, ehi
il
Henier
*.
kult>irge»chichtli-
.
XXVI,
Nel FanfuUa della donienica,
in Svaghi critici 1
19<>J
1580
c'intratterremo sulla dimostra-
lo scritto
Problem [Berlin, Duncker. •
o,
Non
Driesen dà di questa sua
un riassunto potrà leggere
ch.eì
il
ha con
Un com-
bergamasco Alberto Ga-
il
compariva nelle buffonerie
diavolo, che
l'introdusse nel teatro
forse,
DanteX
nassa, additato dalla tradizione}, avendo fatto colà del
si se-
francese dal secolo undecime in
le tracce nella letteratura
Bari, Laterza, 1910},
j.p.
n. 12,
2<ì
marzo 1901:
e,
ora,
465-83. [Su la questione del-
Arlecchino e delle maschere in genere è ora tornato G. Jakfei. in scritto inserito nella Rivista d^ Italia, XIII, f. 5, maggi)
un pregevole
1910. Alle osservazioni che egli muove alla mia tesi non ho altre da rispondere se non che non mi è mai saltato in niente di negare cho ogni cosa abbia i suoi precedenti ma ho voluto oppormi ancora una ;
volta a quell'indirizzo di storia letteraria che, in
uno
nella curiosa illusione che
verso
come
disse Carlo
Marx
scritto giovanile parlando della scuola storica del diritto, vive
la foce
ma
verso
il
fiume scorra non in giù
la fonte].
ma
in su,
non
APPENDICE
270
E
col
Renier sono pienamente d'accordo nell'osservazione che Ar-
lecchino, per quanto francese e diavolo di
nariamente,
uno
«
zanni
di »
della
medievale francese letteraria
mera
nome
e,
almeno
origi-
maschera, resta pur sempre, nel suo svolgimento,
commedia è
italiana.
La connessione
quasi estrinseca
e,
col diavolo
per la storia artistico-
dell'Arlecchino, costituisce, in fondo, poco più di
curiosità.
una
IL TIPO
DEL NAPOLETANO
NELLA COxMMEDIA
DaWArcliivio 702-742.
storico
^ler
le
province ìiapoletane, voi.
XXIII
(1S98), pp.
I
s<)e
TOSCANI E LA SATIRA CONTRO
NAPOLETANI
I
nelle rappresentazioni del Pulcinella
si
possono
ri-
levare alcuni tratti da valere quale satira o ritratto dei napoletani,
e
propriamente della plebe
pili
Pulcinella, tuttavia cosi nelle
(come
si
come
intenzioni degli artisti
significato,
napoletana,
è visto nel saggio precedente),
non suole essere punto
nel
suo effettivo
ritratto,
caricatura u
satira dei napoletani e della plebe napoletana.
Ma una e
si
satira del popolo napoletano fu fatta sul teatro,
condensò
poletano
»,
in
uno speciale personaggio, detto
ch'ebbe lunga
Un'indagine ancora da condurre proverbiali,
elogiativi
potrebbe cominciare
è quella dei giudizi
dati
o satirici,
dall'antichità
rebbe Votiosa Neapolis, e
Na-
il
<^
e varia fortuna sulle scene.
altri giudizi
polazioni meridionali; anche se
si
sui
classica,
napoletani.
che
ci
8i
offri-
ed epiteli sulle po-
debba
resistere agli al-
lettamenti dei riscontri ritrovati nel Satijricon di Petronio, la cui poli.
scena è stata a più riprese assegnata e ritolta a Na-
Nell'alto
canti satirici
Medioevo contro
i
si
saranno avuti, di certo, molti e
napoletani, da parie dei beiieventaui,
salernitani e capuani, o dei sorrentini e amalfitani; e
poletani avranno ricambiato «
la
i
primi con
turpissima gente dei Bardi
suonano
gli echi
»
le ingiurie
i
(longobardi), di cui
nelle cronache e nei
documenti
na-
contri ri-
di quei
274
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
Un'ombra
tempi.
di satira dei sorrentini
tani è nel libello
contro
napole-
i
miracoli di S. Antonino;
dei
in cui
si
racconta che in uno scontro navale tra sorrentini e na-
una
poletani da
invocarono
saraceni dall'altra,
parte, e
Antonino
loro S.
il
e dei napoletani furono morti
apprese
poi
i
prima che
saraceni
i
perché
nessuno;
da un'apparizione miracolosa)
appena chiamato dai
sorrentini
i
napoletani S. Gennaro,
sette,
sorrentini
fossero vinti, e dei
e
(come
Antonino,
S.
accorse in fretta e furia sul
suoi,
teatro della battaglia; laddove S. Gennaro,
il
quale diceva
mosse con ogni agio, onde l'aiuto
messa
in
paradiso,
giunse
ai
suoi in ritardo e fu
si
meno
efficace e pieno'. Il
Rajna vorrebbe vedere, nella derivazione del nome di
Napoleone
«
»,
si
una forma medievale
con colorito dispregiativo e satirico
fatale
di « napoletano
»,
L'importanza della
^.
piccola città bizantina era, per altro, assai scarsa, e non
potè dare materia a una satira diffusa e notevole.
Con iscena
la
formazione dello stato normanno entrarono pugliesi
«
i
o
»
nomi s'intendevano come con quello di
«
settentrionale. Ma,
se
uomini del Regno
«
lombardi
»
le
non
1
et
Ex
ital., -
3
Stato
lette-
lo stesso
miraculis S. Antonini abbatis stirrentitii {in Script, rerum langob.
P. Kajna, L'etimologia t.
e la storia
lombardo
p. 835 sgg.
;
e
e
la
arcaica del nome
«
Napoleone
»
VII, pp. 89-116).
Sulla quale è da leggere Il
può dire
ed. Waitz), pp. 584-5.
(in Arck. stor. Hai., 1891,
VAxr,
si
come appartati ed ebbero effiche per commerci e attività di
pugliesi, che rimasero
come
^,
che avevano
formò una ricca
ratura di giudizi e di proverbi
cacia piuttosto
in
quali
popolazioni dell'Italia
intorno ai lombardi, si
i
coi
,
popolazioni dell'Italia meridionale,
le
tanta parte nella vita d'Europa,
per
»
il
dotto e importante articolo del No-
lumaca (in
ora in Attraverso
il
Giorn.
stor.
d.
letler.
ital..,
XXII,
Medioevo, Bari, 1905, pp. 11(5-151).
I.
cultura.
I
TOSCANI E LA SATIRA CONTRO
Onde
la satira dei
di quella dei pugliesi sono
I
NAPOLETANI
lombardi è europea; italiane.
275
le tracce
Ricorderò quel detto
di fra' Salimbene, nel comentare alcune parole che egli mette in bocca a Roberto Guiscardo sui siculi e gli appuli « Nota quod Robertus appellavìt pedes ligneos, patitos, idest :
zoppellos, quibus utebantur
homines cacarelli
et
dixit eos loqui, quia
Ke
UH
siculi et appuli: erant
enim
merdazoli, parvique valoris. In gutture
quando volunt
dicere: quid vis? dicitnt:
boli? Reputavit igitur eos homines viles
et
inermes
et
La pusillanimitas maestro Boncompagno ^ In
sine virtute et sine peritia artis pugna; ».
appulorum
si
questi giudizi tirici,
a
trova ricordata in
rientrano anche quei versi, elogiativi e sa-
intorno alle città della Puglia, che
Federico
II e sui quali
si
attribuiscono
sarebbe altresì da condurre qual-
che indagine.
Ma
la satira
più larga, e che poi prevalse, contro
i
na-
poletani, prese origine e nutrimento, a nostro credere, dai toscani, e specialmente dai fiorentini. Coi sovrani angioini, il
Regno
fu aperto e quasi
rentini, collegati
abbandonato
ai
mercanti
fio-
politicamente coi reali di Napoli, ban-
chieri di questi e concessionari di numerosi privilegi
merciali-. Venditori e compratori,
come sono
com-
stretti
da
reciproci interessi, cosi sono acuiti gli uni contro gli altri dal bisogno di esplorarsi e conoscersi a vicenda, per isfruttarsi a vicenda. Diverso, inoltre,
il
temperamento
delle
due
popolazioni; diverse le condizioni sociali quanto quelle di
una
città repubblicana,
della democrazia, e di
che doveva percorrere tutti gradi un regno tenacemente feudale, in
cui lo stesso patriziato cittadino
1
2
slor.
i
(con processo inverso a
SuTTEK, Magister Boncompogmis, pp. 122, 127. G. DE Blasiis, La dimora di Giovanni Boccaccio a Napoli
napoL, XVII, 1892).
(in
Arch.
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
276
quello di Firenze) veniva ag-g-iungendo ai suoi vanti nobiliari
vanti feudali.
i
I fiorentini
dovevano notare l'esube-
ranza di gesti e di parole, la tendenza sfoggiato, la gonfiatura e
fiorentini.
sco
Chi ha da far con tosco, non vuol esser
«
diceva
»,
poco buon gusto dei napole-
il
a loro volta, l'avarizia e la scaltrezza dei
questi,
tani:
al mag-niflco e allo
proverbio. Questa antitesi cosi di
il
di giudizi è stata investigata nelle opere del il
quale conosceva bene
che:
una
dialetto napo-
il
Forse allo stesso tempo risale
lettera.
Napoli è un paradiso abitato da diavoli
«
,
satira dì Gino
Boccaccio^;
cose di Napoli per esservi vis-
le
suto a lungo e cercò anche di contraffare letano in
da Pistoia,
lo-
come
fatti
il
» ^.
detto
il
È
nota la
quale insegnò nel 1330-1 nello
Studio di Napoli, chiamatovi da re Roberto, e ne parti l'anno dopo^, imprecando contro la
«
terra servile
».
—
Napoletani e fiorentini sono poi messi a fronte da Luigi Pulci (che venne a Napoli nel 1471), in al
magnifico Lorenzo e ritraente
letane
un sonetto
diretto
sue impressioni napo-
:
Sui toscani
1
le
coli del
napoletani nel Decameron
e
Gebhart, nella Rcvue
d.
si
veggano
gli
arti-
deux mondc.s, nov.-dic. 1895, e febbr.
1896. 2
Si
veda in Atanagi, Delle
nezia, 1601), p. 232,
marzo
una
lettere facete
lettera di
1589. L'opuscolo di Jon.
et j^ictceooli,
libro I (Ve-
Bernardino Daniele, da Napoli, 22
Ande. Buheuus, Proverbium Italorum:
Be.gnum neapolitanum paradism ed, ned a diabolis habitatum (Altdorfii, 1707, in-4.o), è citato nel PiTuii, Bibliografia, al n. 2509,
scenza indiretta. Cfr. a questo proposito la
«
ma
per cono-
N"ovella narrata dal Pio-
vano Arlotto sull'influenza che ha il clima di Napoli nell'umano organismo L'aria di Napoli opera bene in tutte le cose, e male negli '•
.
uomini, che nascono
tradimento
»
;
*
li
poco ingegno, maligni, cattivi, e pieni di
se fosse altrimenti, Napoli sarebbe
un
paradiso {Facezie
del Piovano Arlotto, ed. Baccini, Firenze, 1884, pp. 295-7). •"'
iiap.,
De
Blasiis, Cino di Pistoia
XI, pp. 139-150).
neW università di Napoli
(in Ardi. stor.
TOSCANI E LA ?ATIRA CONTRO
I
I.
Chi levassi
la foglia,
il
N.\P0LETAN1
1
maglio e
A
questi minchiattar napoletani,
O
traessi del seggio
"1
loco
capovani,
i
Parrebbon salamandre fuor del fuoco. « Imbiza, Ianni, lo ngegno allo ioco! Ch'ho già sentito meglio abbaiar cani! E tutti i gran mercianti son marrani, E tal signor che non sare' buon cuoco. * Che buogli dicer di Napoli ientile?
—
La
^
—
= ;
3
—
gentilezza sta nei canterelli
Rispondo presto,
277
parmi un bel porcile
e
!
Ah, questi fiorentin. gran ioctoncelli.
«
Ch'hanno tutti lo tratto s! sottile.' -. si pascon questi minchiattelli Se tu cerchi baccelli, Rispondon tutti, come gente pazza: Cosi
!
Gongoli vuoi accattar? Loco, alla chiazza!
«
Pulci deride
Il
ientile
,
goffo parlare
il
Nido
dei loro seggi di
'.
napok-tani.
Xé manca
Sonetti di
Matteo Franco
di
e
Napoli
di
accennare
un manoscritto
Carlo Dati dal marchese Filippo de Eossi, anno
2
9 in Che
bttogli del v.
Nel
V. 1
p. 9H.
r avverbio
di luogo
«
poletani: cfr. v. 17: V. 5.
—
V.
—
V.
5. Il
8.
costà il
»,
i
la
«
foglia
-
.
Il
•
loco
che ricorre di continuo in becca
maglio
«
Del seggio
Ho
mutato
buof/li.
mi sembra da spiegar
cosi
fo-
originale di
MDCCLIX,
rifatto l'interpunzione, corretto la disposizione tipografica, e
Que
-
alla con-
Luigi Pclci, etc, nuovamente
dati alla luce con la sua vera lezione da
il
vanti
i
eittfi,
del cibo prediletto dei napoletani, eh' è la
glia ^, ossia gli ortaggi".
i
«lei
Capuana, della loro
e
•
è forse
»
ai
è
na
giuoco del maglio?; cfr
il
Capovani, dal loro seggio quei di Capuana
Pulci riferisce alcune espressioni del dialetto napoletano
Questa significa: zione al giuoco
Metti
-
—
•.
V.
7.
(ficca,
fissa),
CTÌovanni, tutta la tua atten
Allude forse
già in quel tempo a Napoli, insultati col
molti spagnuoli, ch'erant
ai
nome
di
•
marrani
<
.
—
V.
'J
Che vuoi dire? • — Vv. 10-11. Allude forse all'uso di vuotare vasi immondi sulla spiaggia del mare: cfr. Napoli nobVit^ima, I, pp. 5-6. — Gongoli, ngonCostà, al mercato •. Vuoi comprar baccelli? V. 17. «
i
.
—
•
gole, fave ngongole », tridi,
sono
«
secondo
il
•
Vocabolario degli Accademici Filopa-
fave ancora dentro dei gusci
•
278
IL
TIPO DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
trosatira dei questi,
celli »
napoletani verso «
e'
hanno
conviene a mercanti
Ma,
fiorentini;
i
gran
«
iocton-
come
tutti lo tratto si sottile »,
si
i.
principi del secolo decimosesto, col rinìescolio
ai
prodotto in tutta Italia dalle guerre, con la parte che vi presero
i
napoletani al séguito di Spagna, l'osservazione e
la satira del carattere e dei
costumi napoletani divenne più
frequente e attenta, e prese
acquistava in quel tempo L'osservazione e la
posto
nella
letteratura, che
maggiore larghezza e varietà. satira avevano in gran parte il mela
desimo contenuto di quelle che sorsero contemporanea-
mente
sul conto degli spagnuoli
abbondano
i
confronti tra
come più
dosi sempre quello napoletano
Napulitani mancia-maccariuii
nare
i
due
parlari,
le
»
.
cfr.
Pitké, Prov.,
Ili, pp. 154-5:
Sarebbero da rintracciare ed esami-
copiose serie proverbiali di nazioni, di cui molte furono stu-
diate dal E.einsberg-Duringsfeld, dal Wright, vati, dal Gian, dal Rossi, dal Corazzini.
e,
presso di noi, dal Ne-
Una, lunghissima, tradotta in
latino, si legge in fine dei Monunientoriim Italice
di L.
anteponen-
forte ed espressivo, ed elogian-
rapido gesto indicatore del napoletano, che può riassumere
il
lunghi discorsi. Per alcuni provei-bì, <•
somiglianze
effetto delle
:
Napoletani e fiorentini ricorrono spesso insieme in aneddoti e
1
facezie popolari: e
dosi
-
ScHRADER (Helmaestadii,
libri
1592, S. 408-410), col titolo:
cuiusdam membrance de moribiis italorum,
nescio
tanien
quatuor,
Exemplum
an de hoc an de
prisco scEculo auctor loquatur. I napoletani vi sono detti splendidi, son-
tuosi nel vestire, frappatori, benigni nelle vendette, cordiali verso gli ospiti, valli,
si dice anche che amano i cavoli, i donne impertinenti. Al testo latino
animosi nel commercio; la
lingua toscana e
le
case-
guono alcuni versi italiani sulle più notevoli città d'Italia, che finiscono: « Le belle donne da Fano se dice, Ma Siena poi tra l'altre è più felice », noti già per altre stampe; e una serie di proverbi in dialetto napoletano. 2
Gfr. le
mie Ricerche
ispano-italiane, serie
seconda
(in Atti della
Accad. Pontan., voi. XXVIII, 1898). In una filastrocca popolare, ricor-
data dal Trissino:
«
Spagna,
di fuori bello e
politano, fuori d'oro e dentro
a
p. 343).
vano
»
(B-ossi,
dentro
la
magagna Na-
Lettere del
:
Calmo, nota
I
I.
TOSCANI E LA SATIRA CONTRO
di alcune qualità nel
temperamento nazionale
voli influssi, allora assai vivi.
della
La
dei
2('.t
due po-
nonché degli scambie-
poli e nelle loro condizioni sociali,
notare
NAPOLKTANI
I
satira
si
assommava
nel
millanteria a vuoto (delle ricchezze, del valore,
la
nobiltà), e l'amore
pompe
delle
e
cerimonie.
delle
Lineamenti propri dei napoletani non mancavano. La vanteria di nobiltà era specialmente quella dell'appartenere ai
seggi di Napoli, condizione che sembrava tenere del di-
vino;
si
aggiungevano
la
vanteria dell'ingegno e della dot-
trina, cose alle quali gli spagnuoli
non solevano pretendere,
e la loquacità, che non era punto spagnuola: per non dire poi del colorito particolare, che
dava talora
alla satira la
contraffazione del dialetto.
L'Aretino, nei Bagionamenti, cosi la Pippa:
sonno, o per
«
1
napoletani
dalla
fo
son
fatti
Nanna
istruire
per cacciar via
il
scorpacciata un di del mese, quando
tòme una
tu hai il tuo tempo nel cervello, o sendo sola ovvero accompagnata d'alcuno che non importa. Ti so dire che le frapperie vanno al cielo. Favella di eavalli'? essi gli hanno de' primi di Spagna. Di vestimenti? due o tre guardarobba. Danari, in chiocca; e tutte le belle del Regno gli moiono ^
dreto. E, cadendoti o
il
fazzoletto o
guanto,
il
lo
con le più galanti parabole, che s'udisser mai gio «
Capuano
Anche
» -.
quel baciar di mani,
Ch'ora
sospirar
è si proprio dei napoletani
Circa
i
titoli
di
lo
nol)iltà
si
forte alla
si >
spagnola.
•''.
legge nella Scolastica
l'Ariosto (III, 6): Bartolo.
Era piaciuta a un signor che dicevano Esser napolitano.
1
Vanterie.
2
Ragionanietili (ed. 1581), parte II, p. JO.
3
Capitolo del
letto (in
seg-
Mauro, in un capitolo, allude a
il
E
ricolgono
ne
Opere burlesche, ed. 1771,
I,
p. 278;.
del-
280
NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO DEI.
E
Frate.
Che signor
Ho ben
inteso,
Ch'a Ferrara
Come Il
verisimile
fusse, poich'era da Napoli!
che ve n'è
de' conti
;
pivi
questi contado, quei dominio.
Domenichi ha quest'aneddoto:
cavalieri
copia
e credo ch'abbiano,
napoletani
(si
come
«
Ragionavano alcuni
che l'uomo parla molto più volentieri de'
duca
dei suoi) della grandezza del
era anche
luomo;
il
avviene
più delle volte
il
d'altri
fatti
di Ferrara; fra
i
che
quali
signor Cesare Rosso da Sulmona, vero genti-
perché
al quale,
egli
aveva conchiuso che
'1
detto
signor duca era un grandissimo, fortunatissimo e ottimo principe, disse
un
di coloro:
che ne voglio fare io, che
—È
non
è
lo
vero, 'patrone
di sieggiof
»
mio;
^
Queste e altre debolezze dei napoletani notava uno spagnuolo, amico anzi entusiasta di
tore
ma
essi,
scrit-
Geronimo
Urrea, nel Dialogo de la verdadera honra militar (1566), nel quale esclama per bocca di Altamiranno
Domenichi, Scelta de
1
Il
in
Caro,
di
una sua
un
tale
^
:
motti, burle, facetie (Fiorenza, 1566), p. 237.
che esprimeva
i
suoi entusiasmi pel
lettera a questo, che ne era
<
—
Molza, dice,
gridatore alla napolitana
»
maggio 1538). Si veda anche intorno al carattere naFoglietta, De laudihus urbis Neapolis (in Opuscula nonnulla,
in data 18
(lett.
poletano
il
E,oma, 1574). Nelle istruzioni di Gaspare Varola all'ambasciatore spa-
gnuolo in Italia sui caratteri delle varie popolazioni d'Italia: ' Napolitanos, nobles, arrogaììtes, de honrado y cerimonioso irato; muestranse espanoles
'
(Picatoste, Los espanoles en llalia,
strazione storica,
si
I,
p. 158).
—
Quasi per
illu-
potrebbe ricordare l'aneddoto di don Placido di
Sangro, mandato ambasciatore col principe di Salerno a Carlo V, di cui l'imperatore dovè dire ch'era {Storia del Castaldo, 2
1.
Ili, ed.
buon
cavaliere,
Gravier,
ma
che hablaba rancho
107).
Trascrivo dalla ti-aduzione dell'Ulloa, Discorso del vero honore L' Urrea, n. 1513, soldato e poeta, è
militare (Venezia,
1569),
noto anche per
traduzioni spagnuole
cadia.
p.
le
f.
118.
AgW Orlando
furioso e dell'ir-
I.
—
O
TOSCANI E LA SATIRA CONTRO
1
Napoli, io
I
NAPOLETANI
ho gran compassione, percioché tu
ti
sei
1281
piena
di
nobile cavalleria, di leggiadrissimi giovani, gagliardi ed aggraziati e di svegliati
puntigli
dell'altro, in
quali impiegano le virtù e grazie
i
mostrò cattiva faccia, o se
gli
stimar troppo sé stessi e poco
vani, in
riguardare se colui
gli altri, in
questo passano
il
ed ingegno, come poli sarebbe lia
ingegni,
avute dalla natura in mormorare ne' loro consigli l'uno
loro
il
tempo
parlò con presunzione, ed in
che se esercitassero
;
gli esercitano
mondo,
fiore del
levò prima la berretta, o se
si
gli
non scriverebbono né
si
i
persone
le loro
Na-
cavalieri di questa terra,
e quelli delle altre
riderebbouo della
bande d'Itapun-
ociosità o
tigli napolitani.
^\:akco.
Molto vi doveva piacere Napoli, e bene vi trovavi in esso,
poi che tanta felicità
li
desiderate.
Altamibakko. Veramente io gli
desidero ogni bene, perché mi è
parsa la migliore, o una delle due migliori vedute. Qual città del
mondo
si
città
che
ho
io
troverà cosi piena di principi
grandi signori, di belle donne, di cavalieri ed eccellenti uo-
e
mini in tutte
le scienze
ed arti? dove vederete voi tante genti-
lezze e cose applicate all'uso
v'è primavera, mai non
né
dono
le rose,
in tutto
e
vanno per
ricca,
popolosa
tutte le regioni e
magnifica;
quella buona terra, dove
le
io
del
il
tempo
né mancano
né nel suo porto mancano diversità
frutti:
vengono
umano? Quivi
ascondino
si
di
fiori
che
navilì,
mondo, che
la ren-
son affezionatissimo a
genti di essa per lo più
sono
di
dolce tratto e amici di suoi amici, tanto che per amore del-
l'amico non vita, e a
zia
1
è
;
È
buona
onde
me
si
curano di perdere
la
robba e spesse volte
la
è toccata parte della lor gentilezza e vera amici-
io le
desidero accrescimento
e felicità
perpetua
*
da notare qui che il Casa, osservando che «ogni usaiizn non in ogni paese • prendeva in qualche parte le difese d^i na,
poletani, dicendo che:
•
forse quello che s'usa per
li
napolitani, la
uomini di gran legnaprgio e di baroni d'alto affare, non si confarebbe per avventura né ai lucchesi n«^ ai fiorentini: i quali per lo più sono mercanti o semplici gentiluomini,
città dei quali è
abbondevole
di
senz'aver fra loro né principi né marchesi né
bamne
alcuno, sicché le
282
IL TIPO
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
Tali descrizioni e satire
riferiscono tutte alla nobiltà
si
napoletana; ma, se alcuni particolari di esse son propri del tipo sociale del nobile, molti altri hanno, invece,
un
significato etnico o regionale.
Era, infatti, ovvio che
il
carattere del popolo napole-
tano in genere fosse osservato principalmente nella classe
come dominava nel Regno, cosi si metteva in mostra di fuori. Onde parecchi tratti particolari del nobile furono scambiati per tratti comuni a tutti i napolesociale che,
tani; come, in séguito, alcuni tratti di altre classi furono,
per la medesima confusione, attribuiti
al nobile, in
quanto
napoletano.
Ma si
tipo
comico, che sorse da queste osservazioni,
può dire un
tipo nazionale, determinato particolarmente
il
nella classe dei nobili, e, più particolarmente, nella sotto-
classe dei nobili
della capitale, patrizi cittadini che ave-
vano acquistato domini
maniere di Napoli signorili
e costumi feudali.
e
pompose, trasportate a Firenze, come
panni dei grandi messi indosso e
superflue
;
né più né meno come
i
modi
de' napoletani, e forse alla loro natura,
i
sarebbono soprabbondanti
al picciolo,
dei
fiorentini alla nobiltà
sarebbono miseri e
ristretti
>
[Galateo, ed. Sonzogno, pp. 34-5). Brutto segno questo simpatizzare coi
modi
fastosi della nobiltà napoletana:
segno
di
decadenza, di neofeu-
dalismo, di spagnolismo invadente. Si confronti, per contrasto, la fiera
pagina del Machiavelli, nei Discoìsi, contro e di altre parti d'Italia,
loro 230Ssessioni,
'
i
gentiluomini del Regno
che oziosamente vivono de' proventi delle
abbondantemente, senza avere alcnna cura o
vare o di alcuna altra necessaria fatica a vivere
uomini ....
al tutto
nemici d'ogni civiltà
della nobiltà napoletana e
messa Torquato Tasso.
.sono nell'orazione sto di
un confronto
>.
•
:
'
di colti-
generazioni di
— Un eloquente
elogio
di essa col popolo di Firenze,
in bocca a Bernardo, nel dial.
Del piacere
one-
II
Il personaggio del
Napoletano
nella commedia del secolo decimosesto
L
Aretino, che descrive nel
modo che
s'è visto
na-
i
poletani nei Ragionamenti, fa anche sbozzare dall' istrione, nel prologo del Marescalco (1533), la figura di
sinato d'amore
paragonandolo
»,
un
spagnuolo e
allo
assas-
«
na-
al
poletano; nella Talanta, mette in iscena un mìlcs f/loriosus col
nome
Tinca da Napoli
di capitan
Cortigiana (1534),
ci
e,
;
tano in commedia nel signor Parabolano
cerimonioso e vantatore. rido, gio,
Cerimonie
di
Napole-
nome),
il
in chiesa:
Io
« il
mi
pag-
manda giù un paternostro de la mano; e, nel pigliar l'acqua santa,
gli sta innanzi,
corona, che tiene in il
—
(si noti
in chiesa per ogni aveniaria che dice
quando che
finalmente, nella
dà un primo personaggio
prefato paggio
si
bascia
dito ed, intingendolo nell'ac-
il
qua santa, lo porge, con una spagnuolissima riverenza, a la punta del suo dito, con il quale il traditore si segna in fronte ». Cerimonie con una mezzana, madonna Alvigia, che
gli
dà notizie della sua bella:
ascoltarvi!
»,
esclama Parabolano.
risponde Alvigia.
Al che,
il
pazienza:
«
Faccio
suo servitore, «
il
il
In ginncchiMni voglio
<
K
•
debito
Rosso, gli
troppo, signor»-
mio
>,
ognuno queste vostre napolitanerie
egli.
suggerisce con im-
Levatevi suso che son oggimai ».
replica
».
in
fastidio a
Scena d'amore con
284 Camilla: il
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO «
Egli
(dice
»
uno degli intcìiocutori)
«
le
conta
suo amore con tanti giuradii e bascio le mani, ch'un
muccio appassionato Don Sancio
conterebbe con meno
lo
:
frappa a la napoletana, sospira alla spagnuola, ride a la senese e prega alla cortigiana napolitana, s'egli frappa Il
personaggio
si
»,
commedia
VAmor
costante
poletano
«
Ligdonio
pure
del
paese.
ossia
»,
il
na-
che dimora in Pisa dove ha
È uomo maturo,
crede irresistibile presso
si
quale assume,
dialetto
il
messer Ligdonio poeta Caraffi,
preso cittadinanza.
Rosso.
Alessandro
di
(1536), nella
per la prima volta ch'io sappia',
Vi è in essa un
il
determina anche più nettamente come
caricatura del Napoletano, nella
Piccolomini,
Esce dalla natura
«
».
osserva ironicamente
quarantott'anni;
di
donne,
le
e
vuole sposare
una Margherita, e ha buone speranze « perché, ancora che non sea ricco, ynanco sono povero, e son gentiluomo del seggio di Capuana, stimato e de virtude non bisogna dice:
rete
,'
già aggio comenzato a fare l'amor con essa, perché
saria hvono che si comenzasse ad innamorare
poletano
(dice
servo Panzana),
il
non potendo stare
sono,
aveva
ch'egli tello
»
fatte,
in
«
».
i
E
na-
Napoli per certe poltronerie
venne a stare
in Pisa con
un suo
ch'era a studio qua, e dipoi ci ha compra
preso
«
e già parecchi anni
privilegi di cittadin pisano
;
e
il
giorno
lo
fra-
casa e
spende
tutto in sonettucci e in baiarelle, salvo la mattina, la quale
1
A
proposito del dialetto napoletano nelle commedie, noterò che
n^WAltiìia di Anton Francesco Ranieri
stampa
del 1550} interloquisce
ho
(di cui
una napoletana,
sott'
Zizzella,
occhio una
mina) del bravo capitan Basilisco, che parla in dialetto, e
che viene in iscena cantando canzoni napoletane. Gli che sembra fossero sovente napoletani, parlano
vedano
D'Ambra,
medie
(si
se. 7).
Nelle PeUer/rine del Cecchi è
del
Il furto,
a.
V,
il
ri-
concubina {fem«
un paggio, zanaisaoli
»
dialetto nelle
com-
/ Bernardi,
a. II,
se. 9;
un cuoco napoletano.
NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 285
IL
ir.
consuma
tutta
cavarsi
in lavarsi, spelarsi, pettinarsi, perfumarsi,
capei canuti a uno a uno, tignersi
e'
la
barba, e
oggi far l'amore con questa e domani con quella sta
mai fermo
un proposito,
in
sempre poi
e
mescolar questa sua profumatura con che fantescaccia... sospira
sarebbe
più
la
»
Un' invenzione dia è
r incontro
spagnuola
Ay, senora,
:
mi fa morire,
mi raccomando
come
voi séte
alla vostra bellezza...
I
»
assai arguta e felice di questa
di
di qual-
vostra castronaggine, buacci, pasce-
alla
che voi sete
succidume
certi bei trattarelli,
«
vostra ingratitudinisifima
mi raccomando bietole,
alla
^ o che spiega
bella dell'altro Dio,
il
presenta altra volta in atto che
con qualche bel motto
«
me matais
que
»; e lo
non
;
riduce a
si
comme-
messer Ligdonio con un messer Roberto,
perugino, gentiluomo del principe di Salerno essere dimorato qualche
anno
;
il
quale, per
in Napoli, è diventato napo-
letano di costumi e carattere, quanto o più dell'altro. Infatti,
subito giunto a Pisa, osserva:
secca di gentildonne, gira di
vede una;
infine,
mi
ci
legasse....
se ne trovano, di donne!
E
due
i
RoB. Io
si
vantano a coro
so' stato in
Questa terra è molto
questo messer Consalvo ara pazienzia,
che non sarebbe possibile che giorni, se
«
volta di qua, e non se ne
là,
molte
io
Ohi
».
Xe ho
fornissi
ci
(gli
conquistate tante io!
—
:
città a'
miei giorui, e non m'è mai ac-
caduto questo (che mi accade qui): anzi non cato, eh' io
due
questi
dice Ligdonio) se
so'
prima scaval-
ho visto qualche bella donna, e con qualche imba-
sciata e presente n'ho
spiccati di
buon
favori: e molle
volti*
n'ho avuto l'intento mio. Panzana.
1
cfr.
O
povere donno!
Sulla popolarità in tutta Italia delle canzonette galanti spagnuole,
Croce, Ricerche ispano-if aliane,
I,
p.
10.
286
TIPO DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL
Lo credo; m'è intravenuto ancora a me
LiGD.
Signoria Vostra, se
le piace,
simile.
lo
Ma
la
da dov'è?
RoB. So' perugino, e al presente son gentiluomo del principe di
due anni in qua mi
Salerno, e da
so' stato
quando a Salerno
quando a Napoli.
e
Panzana. Al sangue di Dio, eh' io si
poco tempo
Oh
me
quanto
indovinavo
l'
!
Parvi che in
abbino insegnato benissimo quei signori na-
ha im]parato prima
politani? Gli LiQD.
gli
è bella
e'
costumi che la lingua!
stanza chillo Napoli
!
che songo de Napoli
ancora.
io
RoB. Bellissima, divinissima!
Amore continuamente con
Là
vi sta
io
ne saccio rennere ragione chiù
l'arco in ponto.
LiGD. Cussi
veramente;
è
e
che omo.
Non mettiam bocca
RoB.
so' stato
in assaissime
a Napoli, eh' è altre
il
fior del
mondo! Ma
per tutto trovo
città, e
io
donne
le
con molta larghezza, salvo che qui a Pisa. LiGD.
Non ne
site
molto informato, ca ancora qui hanno la mede-
sima natura, ed enee
(e vi è)
Saecio ben io quello che Panzana. Sa ben Il
lui, state
me
da darse no bellissimo tiempo. dico!
pure a udire
!....
napoletano Giovancarlo, dell'altra commedia del Pic-
(o, almeno, a lui attribuita), V Ortensio (1560), è come messer Ligdonio, e sa affattucchiare le donne. Che vuol dire, insomma (domanda il servo Scrocca), co-
colomini galante «
^
testo vostro attufaccliiare'?
marinar fora toì
».
«
Consiste (egli risponde) in
cierte spiritietti accisi de
nelV nocchie dell'innamorata toia
».
amore
dalli
nocchie
Come messer
Lig-
donio, è esperto d'ingegnose galanterie; e mostra al gio-
vane Leandro una medaglia, che ha della quale è innamorato
—
fatto fare
per
*
Affatturare.
dama
:
Chisto è no vosco, chesta è na sepe, chisti songo lazzi {per) pegliare l'annemale.
la
tisi
pede
NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 287
IL
II.
AsTosiF.LLo, servo. (Chisto è
Ora
Giovano.
io,
puosta, veneno
vocca
lo
no menchione!)
pe lecenzia poetica, tengo doi
leoni
mio core;
iettatome
e,
e ntuorno
ne' è
No
core devorato.
Amor, pecca
Iniustissimo
nell'uno
Ma
come
comme raro
si
messo
è
ricco e potente, che ha, oltre della
Leone da
Leoneda. chisto
:
alla
pigliano
'n
chisto è è lo
meio
»,
chillo e
dello
tante
Petrarca
lettere
songo
nell'altro.
Giovaucarlo
in
se
ce pienzare, ca lo vierso è buono, ca l'aggio
mesurato, e tuorna insto insto, «
mentre songo
nterra,
scritto:
mio core detorato. Che buo' dicere
lo
ca,
condizione
sociale,
«
in
rilievo
anche
il
signore
i
vantaggi personali, quelli
Xo
dubbetare (dice al servo
Scrocca, che dovrebbe aiutarlo in un intrigo d'amore), ca, mio,
collo favore
da dento para de forche
llhbereria
te
Senonché, richiedendogli Scrocca otto o dieci scudi, si
rannuvola
*.
egli
:
ScB. State molto
sopra di
voi.
Vi par forse malagevole l'avere a
dar denari?
me
Giovano. Malaggevole a
Scrocca, a chisso
pe cunto
delli
denaro? No ce pensare,
c'aggio spiso chiù scute che tu no hai pile a
;
sta varva, e puro iere
me
vennero pe via de Fiorenza cinco-
ciento delli scute, ca songo entro la cascia meia sotto sta chiave.
Anton. (No ce songo chiù de cince iule de na mala moneta!). Giovano. nelli
Ma
che
chello
me
innamoramenti miei
sienti a
me, non
ciare a perdere
quanto
me
me
ad autre
io
mo
pare
forte, à dicerete lo
soleno le ;
e
femmene
no borria co chisto accomen-
la reputazione meia.
Ma
pecche tu conosca
godere l'amore della sognerà
sia a caro l'avereme a
meia, pégliate chisti pe
vero, ò che
faro delli pre-
mmo.
Oh! questi non sono più che due scudi; per questi pochi ho paura che Baiocco non si vorrà mettere a si gran pericolo.
Sor.
Anton. (Dui scute? Mai chili uscio Giovano.
No aggio
chiù
collana, e valetenne fino a seie,
si
in gruosso!).
dinaro alla vorscia mo.
Ma
pégliate sta
pe dui autre para de scute, ca cosi saranno
commo m' hai
cercato.
288
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
Rimasto solo rimpiange
mme
vano pe
—
Non
No
le
cose dello
monuo
se
d'avere a centenara
e millanta
'n cbiste retrove
ma
No
sordato, ]Der
es-
va contanno treciento la reputazione. Io
Come
si
me songo
ni-
accuorto ca
dalie segnure è cagione ca,
ca se fanno loco a Siena, mai se sente autro ca fa
m'ha chiù
e biata chella ca
il
là, e
dico cierto ca io
io te
segnure Giovancarlo
dia,
mano, caccia na nomenata
prove per acquistare
n'essere io tenuta perzuona fa-vorita
lo
colla openione
dinare d'autre
colli
per avvantarme, che no fu mai mia costuma, né de
lo fo
sciuno delli mei;
«
spise poco m,nnco
governano
de migliara de docate.
sere tenuto bravo, va frappanno cca e
non
le
vasta-
sua teoria:
mercatante, pe fare la robba
e pe trovare chi ce fide lo suio nelle
ammazzamienti
la
Mme
«
mme
due scude, ca
Senonché, egli ha
».
vide ca
della gente?
sti
ped Antoniello a farence
e
de dui mise!
due scudi, dicendo:
i
mo
nc'è ahbesognato spennere
»,
'n
«
lo
segnure Giovancarlo dice
Scrocca
due
che Scrocca
è,
nella
è,
comme-
induce a vestirsi da pezzente
lo
per entrare in casa della donna amata; e tare indarno
;
vocca!
può immaginare, Giovancarlo
beffato.
:
»
ore, in cosi ridicolo
Io
lascia aspet-
camuffamento. E vero
a sua volta, deluso da lui;
perché, essen-
dosi recato nel frattempo in casa del Napoletano a rubargli i
cinquecento scudi che colui aveva detto di possedere:
«
Trovai (dice) che de' denari era vero come delle gentil-
donne, delle quali
due
vaselletti o
si
vanta.
due dozine
Non
c'era dentro altro se non
di stringhe, quattro saponette
e simil'altre frascherie, che tutt' insieme
quecento gino
è
il
piccioli,
non vaglion
con cin(]uecento cancheri che
mostaccio!....
gli
cin-
man-
».
La commedia di Giambattista Cini, La vedova (1569) ', la commedia dei dialetti, prendendo parte in essa, tra 1
La
vedova,
commedia
di
M. Giovambattista
Cini, rappresentata
a onore del serenissimo arciduca Carlo d'Austria nella venuta sua in Fiorenza l'anno
MDLXIX
(in Fiorenza, appresso
i
Giunti, 1569).
NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 289
IL
II.
un vecchio veneziano, un servo bergamasco, e un gentiluomo napoletano. Questi
gli altri,
soldato
siciliano
chiama
il
ui: si
signor Cola Francesco Vacantiello, di nobilissima
famiglia, secondo ch'egli afferma:
Quanto pò a nobele.
La casa mia Vacantiella Voglio che saccie
allo
Regno
per concessione De tutte, è tanno granne ed abbunnaute, Che non c'è né cittate, nen castiello, Nen casale, quasi, che non sia chienissimo ca,
Di Yacantielli ^
Al
egli
solito,
non cessa
Vonno pur
È
E
al
:
dicer Fiorenza, Fiorenza
lo fior dello
Con Che
di lodare la patria
munno;
vai chiù Napuli
chillo suio passeiar della sera
cientomilia Fiorenzo!
servo Seunuccio dice ancora:
Non
È
che Napoli
sai
Napoli gentile? t
Al che quegli, ricordando forse Luigi Pulci
La
:
gentilezza,
Disse un poeta, vien da' cantarelli!
E, anche al solito, vanta la le
propria potenza
sociale e
personali molteplici virtù:
Tu
vedi
:
io canto.
Io sono, io danzo...
Ma
in lui
letterarie.
assai spesso
1
Si
specialmente spiccate appaiono
Manifesta, tra gli
«
le
pretensioni
un giudizio, che ricorre
nelle dispute cinquecentesche sulla
noterà facilmente
della parola
altri,
vacantieUi
>.
il
lingua e
giuoco di parole, tratto dal si;:iulìcato
290
che
IL TIPO è
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
ancora vivo e accettato
raria toscana è meglio
;
cioè,
che
la lingua
lette-
conosciuta e adoperata dai napo-
non dai toscani
letani e dagli altri italiani, che
stessi:
E sai perché? Perché nui autri avimmo lo Boccaccio E
Petrarco per mastri
lo
Avite
O
le iiotricce o le
;
ma
vui
fantesche,
altra simil sorte di persone
Ignorante
È
fanatico delle canzonette musicali napoletane, delle
«
villanelle
e
non
si
che cominciavano allora ad ottenere fortuna;
»,
stanca di recitare quelle ch'egli viene compo-
nendo, a imitazione di Gian Leonardo dell'Arpa Io
La
'.
—
veggo
gloria tutta di Toscana avere
Abbandonato il proprio nido ed esserne Andata a stare a Napoli!
esclama ironicamente, e come per compiacerlo, uno degli interlocutori.
Cola Francisco trova
il
suo maggior nemico nel
liano Fiacavento, che gli è rivale in
a tutto potere
amore
:
Li napulitani Sunnii la maiur parti minzugnari Granni,
Chi
e,
tutti
li
comi
si
dici,
vonnu sempri
turnisi d' issu paranti
Ducati.
Questa sé
Mess. Marino.
Ma
va pur
A
la
ventate;
drio.
imitazion de chella tanto bolla
De Giaa Leonardo deU'Arpa, che dice Villanella crudel, mi fai morire, Con ss' nocchi e con sa bocca saporita Tu mi dai morie, ahimé, tu mi dai vita! :
e lo
sici-
scredita
II.
IL
NAPOLETANO NELLA COMMEDIA DEL CINQUECENTO 291
FiACAVENTo.
quando mi truvassi
leu,
Na
fig'ghia
La
sig-nura Curnelia, vurria a
cumu
bedda, galante,
eni
puntu
Dunarla a uu curiiutu caparrimi Napulitanu, manciafogghia, chi vane
Da pochi misi E consumandu Di mult'anni,
faconda lu Giorgiu, e ittandu la rendita
per
l'avissi
rifari
Li mali spisi picciuli a purtari
A
quarche strania massaria
Loru Napuli
giutili;
chiddu
di
undi dapoi
Di middi stenti s'avissi in poch'anni
A
muriri di sustu, senza punì
Putiri avir spiranza di vidirla
Mai chiù
!
quadro sembra troppo fosco
Il
al
bonario messer Ma-
Perché non potrebbe colui essere sul serio innamo-
rino.
rato della sua figliuola? E, in quanto a nobiltà e ricchezza, il
signor Cola Francisco è ricco e gentiluomo per davvero,
ha promesso di far venire
e gli
Calabria.
dalla altro
Fiacavento,
il
i
documenti dell'esser suo
non vuol sentir
siciliano,
:
Dunque, iddu
Donar mugghieri,
A
un strunzu
Ma
Mess. Marino.
E nun
ah, ahi
santu diavulu
e vui buliti
cum
d'asin calavrisi?
Sapiti ancora lu
Fiacavento.
Uh
è calabrisi?
Di Paliermu! ah, ah, ah!
reverenzia
E nuu
muttu? qual sèlo?
sapiti chi nostru Signori
Deu, quandu criau lu mundu, dissi
A
chisti disgraziati: Hurciitc,
Calabrorurn de stercore ttsinoruni
E
chi si dici de lu calavrisi:
Trista la casa chi ri sta In misi,
E Ci
si ci sta
duna
lu
l'annu.
mnlannu?
?
292
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
L'odio tra siciliani e calabresi era feroce.
due
si
Quando quei
scontrano, non v'ha contumelia che non
si
gittino
sui volti:
Cola Feanc. Oh,
te stai
loco? e ohe pienzi parlare,
con quarche pezziente
Sicilianello,
Pari tuo? Va, va, manciamaccaroni FiACAVENTO.
Doh, chl sia uccisa cui
Curuutu; ah? manciau ieu Tu, mangiafog'ghia
Ma, per
diriti
',
I
impinnazau,
ti
maecaruni
li
?
napulitanu,
tu,
megghiu,
calavrisi,
luda, imprennasumeri!
E continuano con questo
Ma ben
pre intelligibili. di
complimenti
con allusioni non sem-
stile, e
è intelligibile
seguente scambio
il
:
Vattindi a Riggio avanti,
FiACAVENTo.
Tu, calavrisi
Comu
;
e
non
senti
li
sonnu accunzati?
si
turchi
chi
vonno
Veniri n'autra vota a saturar!
Megghiu
li
vostre fìmmene
Cola Feanc.
Si,
!
che
Le vostre di Randazzp, siciliano. Non si purliccano ancora le mano Delli spagnuole, si
ben
le trattare
!
Cola Francisco, per altro, non è troppo maltrattato nel corso della commedia;
la
quale
si
risolve
suo discapito e vergogna. Gli sono resi
ormai ha tremila scudi pitagli.
È vero
mangiarsi
1
Si noti
in
non del
tutto a
suoi beni, sicché
di entrata; e ritrova la sorella ra-
che, in questa occasione, è costretto a
fretta e furia
che qui
letani vmngiafoglie
i
:
i
cfr.
siciliani
una
delle
ri-
sue maggiori van-
son detti mangiamaccheroni, e
Pitrk, Prov., Ili, p. 155.
i
napo-
II.
terie
:
poi gli
IL
NAPOLETANO NELLA COMMEDIA PEL CINQUECENTO
goduta quella donna appunto, che
di essersi, cioè, si
2M3
scopre sorella. Allo scandalo degli astanti, egli
confessa candidamente
Usammo
spisso allo paiese nuostro
No vocabbulo «
:
bello,
che
sòl elicere:
Vantate, sacco mio, se no te straccio
Io
Me
non ve songo per negar so avvantato
!
lo
vero
:
>.
._,
Ili
FlSSAMENTO DEL PERSONAGGIO
NELLA COMMEDIA DEL TARDO CINQUECENTO
L>ia
potenza inventiva e l'osservazione originale sca-
dono
nella seconda
grafi
cominciano a vivere sul patrimonio accumulato dai
loro predecessori.
insieme con tanti gemello,
i
Col
metà del Cinquecento
e
«
le
;
nelle
novelle del
«
il
e beffato ».
Fortini.
amando una
vanno sagittando del loro
li
Di
lui.
amore infocate
».
In punto di danari,
<
il
la
•
il
NapoII,
loro giuntato e con
benché prete,
le finestre le
Quelle donne
zonette a la napolitana ed a
suo
da quella
il
si
raccontano
Cupido
napolitani, che di continuo con
donne, talché da
le
fissò, il
giorn.
Cfr.
mere^trice,
passeggiare in giù ed in su facendo
siccome solgono fare tutti
si
commedie,
nelle
da più altre insieme con un giovane resta da galanterie,
commedio-
ed entrambi pare che persistes-
'
Ser Altubello napolitano,
gran scorno schernito
i
quali basti ora ricordare
medesimo carattere che mostrava
letano veniva introdotto
nov. 19:
e
personaggio del Napoletano
Il
altri, dei
Spagnuolo
lo
;
gli fecero
li
.... occhi
fanno cadere tutte cantare molte can-
spagniuola, facendoli fare mille pazie
».
napolitano non era però meglio né da più che
fussero li altri napolitani, ed anco non era di loro più liberalo, ma più misero che non è la napolitanaria miseria, insieme con la spagniuola e fiorentina avarizia, e, per fiorir meglio tale avarizia, v'era
si
la
pretesca strettezza
Novelle di
•.
Si
veda anche
Pietro Fortini, senese,
Firenze, 1888-90).
I,
la
nov. 13 della stessa giornata
Le giornate
delle novelle de' Novizi,
296
IL TIPO
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
sere sopratutto per la varietà e
diletto derivanti dall'uso
il
del dialetto e della lingua straniera.
Nei Torti amorosi di Cristoforo Castelletti (1581)^ s'incontra
il
signor Giovan Girolamo, nato in Francia,
allevato a Napoli e interamente di
l'altro,
avere quatto
fedecommesso,
cuno
»
onde
;
confiscasse
».
«
iDerché
la
madre
castelle, io, «
«
napoletani to
ma
Dice, tra
».
che sono per altro sotto
onne iuorno, accidea quarchar-
happe paura che
Scorge venire da lungi
no
la Vicaria
li
Lavinia,
la signora
della quale è innamorato:
— lo
Lassarne acconzare buono sta capjja e sta coppola. Dov'è
me
paggio colla scopetta mo, che
na leverenza
glio fare
scopetasse no poco?...
no saluto profumatissimo. A^aso
e
de chillo masto de legname, che fece
lo
maneco a
Le bomano
le
chilla zappa,
che zappao chillo terreno, dove fu seminato chillo seme, che ne
nacque
chillo lino, ca
lenzola,
dove dorma V.
Ma
ne fu S.
è accolto male,
Lavinia chiama gente;
rolamo
si
dice) di tere
dilegua, per
fatta
chilla tela, che se ne fecero le
!
e,
al
alle «fastidiose
insistenze di lui,
che prudentemente Giovan Gi-
non trovarsi
commettere qualche
in
tentazione (come
altro omicidio.
Il
suo carat-
rivela tutto nel dialogo col signor Orazio:
si
Gio. Gir. Chi è chillo? Oh, vaso la
mano de Vostra
Signoria, signor
Orazio mio. Or. Servitor di Vostra Signoria, signor Giovan Girolamo.
Come
sto
grazia sua?
io in
Gio. Gie.
O
prencejie meio, no
commannare
chili
e'
è
ommo
allo
monno che me pozza
che Vostra Segnoria. L'aggio in luoco de
patrone meio colennissimo.
1
sima
I
torti
amorosi, comedia di Chkistoforo Castelletti, alla illustris-
sig. la s. Clelia
Farnese de Cesarini, novamente posta in luce
(in Venezia, appresso Giov. Battista Sessa e fratelli, 1585.
è in data di
Roma,
1581).
La dedica
III.
FISSAMESTO DEL PERSONAGGIO NELLA COMMEDIA
297
Oe. Questo è troppo favore; basta bene ch'Ella mi tenga nel nu-
mero
de' servitori suoi. Vostra Signoria si copra.
Coprase Vostra Segnoria.
Gto. Gin.
e
Or.
Re mio,
Gio. Gir. lo
non
coprasi,
meco cerimonie.
usi
chisto no
fazzo pe fare
ma
ceremonie,
pe fare
debeto meio. Vostra .Segnoria se copra pe grazia.
Ok. Noi farò certo.
Fazzame
Gio. GiE.
gnure mio
sto
pongase
favore,
Pongase
la coppola, pongasela, se-
coppola, pe vita dello segnor Orazio.
la
Ob. Farò l'obedienza, poich'Elia
me
lo
commanda...
E, dopo questo prologo, comincia a raccontare le cor-
che
tesie
usano
gli
in
Roma
donne; vuole far sentire
chiama
vinia; creati,
tutti
i
maggiordomo,
è troppo
gentiluomini e
innumerevoli servitori, pàggi,
scalco, mastro di tinello, cacciatore,
non vengono; ma,
buono, e quelli ne
i
pede
uno regalatogli dal
quali
denante,
co
diana; no
se
crapio
ma non
»
;
zione, perché
na
stelletta
sco
il
ora
riesce mai di averli un principe gli chiede
gli
le
sue
alla
stalla,
bauzano do no stella
duca
il
baio la
a sua disposiin
ad andare
e lui,
il
chinea, ora una printlama-
di
per rendere servigio a
tutti,
medesimo gli accade per donando a questi e a quelli le
a piedi.
provviste di vino:
prestilo
scuro, ora un mar-
cocchio di velluto o quello foderato
quello di raso;
è costretto
«
nfronte, che pare la
chese quello storno, ora un conto cipessa
cavalli
viceré,
pò bedere la più bella cosa, fa santi corno no
pomato, ora un
leardo
giA, egli
abusano. Dice che a Xapoli
possiede quattro cuochi e venticinque fra
gentil-
le
sonetto da lui scritto per La-
il
suoi
compratore, che
ripostiere,
i
Il
bottiglie più rare della sua preziosa
Cfinlina, gli resta
da
bere vinello. Legge, infine, un'impresa composta per Lavinia, esaltando la
che, a
propria valentia nella
Napoli, tutti ricorrono a
può uscirgli dalle mani.
lui.
materia,
E Orazio,
a
tanto
stento,
298
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
Nel Furbo, altra commedia dello stesso Castelletti (1581) ^ abbiamo una situazione affatto nuova. Vi è a Roma un cavalier Giovan Tommaso Spanteca, napoletano, il quale, affettando
male
e di
gran signore, commette ogni sorta d'imbrogli
il
azioni,
gente per rubare. chi egli sia: è
penetrando travestito nelle case della
Ma
stato,
sappiamo, da certe sue confessioni,
nientemeno, a Napoli
no sommaro pc n'arruhho che
lerà
cannone
e
»,
legato alla
«
caria a fare zetobonls
A Roma
—
O
e
colonnella
mostra7-e
dello largo
buono
corno r hanno
l'atta
netta chilli compag'niuni
viecchio
zorrone
Bravi
!
testimoni de Montefarco
Griffio. 1584). -
f.
3
pò ne furo
Furbo comeJia
neroso signore
Ili,
e
il
di
!
Chello sbreognato de
quatto quarte
fatte
—
1
È
onesto
Ghristoforo Castelletti, all'illustre e ge-
signor Girolamo E.uis (in Venetia, per
Alessandro
Dalla dedicatoria appare che fu composta tre anni prima.
Mezzocannone, strada di Napoli: 1; sulla Colonna della
si
veda Gapasso, in
Vicaria, V. d'Auria, ivi,
I,
Compagnuni, malviventi. L'Ammirato, discorrendo
gio concesso nel 1451 da re Alfonso
una casa
!
songo nobele de quatto quarte;
io
de che manere ca so de quatto quarte
II
paesani e
^,
stimati cavalieri de
Montagna de Napole! Com' hanno saputo infrascare
chillo
patremo fu mpiso,
i
» 2.
parte di una vera associazione di malfattori:
fa
L'hanno dato a rentennere ca e
so-
della Vi-
natiche alti credituri
le
parienti miei, ch'alloggiano a l'Urzo e songo
sieggio de
frustato
«
fice alla strafa de Miezo-
di costui al
rusciti, scrive:
«
I
e di questa schiera
d'Aragona ad Auxia
Mercato potesse servire
quali erano compresi sotto
doveva essere
lo
Naj?.
tiobiliss.,
3.
f.
un
di
di Mila,
privile-
perché
d'asilo a sgherri e fuoil
nome
di
'
ruffiani
Scarabane Buffafuoco, a cui
il
',
mi-
sero Andreuccio s'abbattè (vedi Decameron). In luogo dei quali suc-
cedettero poscia coloro che furon detti
'
compagnoni
',
che con poca
lode dell'età passata regnarono infìno a' tempi dei nostri padri, con
tanta licenza che spesso porgevano sospetti a cavalieri cipali della città, per lo séguito
mile condizione
•
Giornali, pp. 66-7.
e signori prin-
che avevano di altri uomini di
si-
'Fara, nobili napoL, II, p. 338). Cfr. Giuliano Passaro,
FISSAMENTO DEL PERSONAGGIO NELLA COMMEDIA
111.
ca
le
fatto accussi
buono
Senouché, un lucsser Diomede,
Tommaso
vero e degno Giovan sue furfanterie,
debbeto.
quale è stato a Na-
il
il
gentiluomo, usurpatore del
finto
il
Spanteca. Cosi, scoperte
bastonato e minacciato di prigione
è preso,
altrui,
Diou.
lo
afferma di avere incontrato per la via di Toledo
poli,
le
ped uno, comme l'aggio
dia no veverag-gio de sette carrini
prommiso, poich' hanno
299
nome
:
Dimmi
Gio. GiK.
il nome tuo vero, eh' io ti vo' liberare. Lo nome meio è Col'Aniello Scannasoreee.
DioM. Di che luogo? Gio. GiE. Della Torre della Nunziata.
Alla fine, gli
cambiare
—
Me
si
perdona, e
il
colpevole fa promessa di
vita:
ne boglio tornare a
mio, e stareminue
Io paesiello
colli
guai miei a pescare a mare spuonnoli, ancini, patelle e cannolicdiventar
chi, e
omo da
bene.
Messer Diomede cava
—
Dice bene
Vengono da casa
il
la
morale da questi
fatti
proverbio che un tristo fa male a cento buoni.
del diavolo mille manigoldi, e dicono
de Napoli, e rubano e assassinano, e danno infamia
che ne sono inimicissimi. Per tutte vo' dir che in Napoli
non sieno
rubbano, come avione in tutte di
forastieri,
come
è quella;
lo
cittfi
'
sono dei
che sono napolitani, tristi.
l'altre città
ma
Non che
grandi, popoloso e piene
per quattro scalzi e vituperosi o persone che stimano
Il
'.
Castelletti scrisse
stampata
anche una commedia Le stravaganze di amore,
nel 1587 e ristampata nel 1613, nella quale ù un'altra fìf^ura di
napoletano, 7ìieisler,
a'
fra la plebe dolli stiaguratolli
non deono infamarsi centomila gentiluomini l'onore
:
cine
«
DamengeselUchafler (dice
Art Malvoglio
»
Furbo venne ristampato nel
il
Klein), Hausnarr und J/atuhof'
{Geschichle des 1.597,
Dramaa, IV,
1606, 1G13;
i
p.
b87 sgg.).
Il
Torti amorosi, nel 1596,
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
300
Alcuni anni dopo, introdotto
personaggio del Napoletano veniva
il
commedie di Giambattista della Porta. come in genere tntti i personaggi usati da
nelle
Poco originale,
ma
questo scrittore,
svolto
abilmente e con brio, è Pan-
nuorfo (Pandolfo) della commedia II inoro ^ Quantunque Oriana, figliuola di Omone, della quale è innamorato, non voglia sapere di
Pannuorfo è sicuro del
lui,
non dubita pur un momento che padre e acconsentire con
prove più evidenti,
i
rifiuti,
che non prende sul
tutte
Né
alle nozze.
gioia
serio.
Girolamo con Orazio); disprezza
la
(cfr. l'altra di
e
le
Omone
:
le
ingiurie; cose
La commedia sembra
ri-
vi è la scena dei
quella di Giovan
(cfr.
scena con l'innamorata, che
lo
Giovan Girolamo con Lavinia). Ma più compita del Porta
l'uso migliore del dialetto e l'arte
mettono qua
fanno specie
gli
gli scherni,
calcata sui Torti amorosi del Castelletti
complimenti e dei vanti con
figlia
fatto suo, e
non debbano
vivaci nel dialogo. Innanzi alle
là tocchi
ripulse di Oriana, Pannuorfo ride:
«
Di che
ridi, goffo? »,
—
esclama Oriana, sdegnandosi ancora più.
«
Rido,
c'iig-
gio venmito vruoccole! Rido, ca viiie vvlite abborlare com-
mìco,
e
lo
conosco a ssi nocchie resariellef
1612. Il Castelletti fu autore
anche
una favola
di
» ^.
pastorale, L'Amarilli
(Venezia, 1582, e ristampata nel 1587, 1597, 1600, 1606, 1620), e di spirituali (Venezia, Sessa,
cuni motivi
che
le
Rime
opere di lui fornirono
per la prima volta a Viterbo
composta prima
l'elenco delle l'
Si sa
del 1589, perché
commedie
non
si
inedite del Porta, che
il
1607.
Non
pare che
trova menzionata nelsi
legge nell'ediz. del-
Olimpia, appunto del 1589. Dovette essere composta, dunque, fra
1589 e
il
al-
al Molière.
Fu stampata
1
fosse
s. a.).
il
1607.
2 Ma alla fine Pannuorfo dà addirittura nell'assurdo, quando, avendo sentito che Oriana desidererebbe avere un pappagallo, promette e si camuffa d' Jnnia, granne quanto a n'ommo > di mandargliene uno da pappagallo, tutto coperto di penne, e si fa portare in gabbia e tirare su alla finestra dell'amata, nella ingenua speranza che viene ;
FISSAMENTO DEL PERSONAGGIO NELLA COMMEDL\
UT.
Altra manifestazione è
commedia
il
Gian Loise
o Gialoise
Tasso avesse inventato
il
personaggio del Napoletano in commedia
il
della
Gì' intrighi d'amore, attribuita a Torquato Tasso.
Anzi, alcuni hanno creduto che lui
oUl
è voluto trovare
una conferma che a
;
nel che
si
appartenesse quella
lui
commedia, osservandosi che il Tasso doveva, a causa delle sue lunghe dimore in Napoli, conoscere bene il dialetto '.
Ma
carattere era usuale presso
il
tempi; e
dialetto napoletano
il
non napoletani,
tori
si
perché
sia
commediografi
i
di quei
adoperava anche da ei'a
scrit-
agevole possedere
la
piccola provvista di frasi che servivano all'uopo, sia per-
ché assai probabilmente chiedevano, per
lia
i
commediografi d'altre parti d'Itaaiuto a persone di
le parti in dialetto,
Napoli. Gì' intrighi d'amore furono recitati nel 1598 a Caprarola, per cura degli
mano
dettero l'ultima
accademici di quella
al lavoro, lasciato,
manoscritto dal Tasso. Ma, anche se
vantata paternità
volesse credere alla
si
confesso di non
(e io
che
cittji,
com'essi dicono,
avere
la
dose di
fede a ciò necessaria), bisognerebbe sempre domandarsi se
per l'appunto ({uelle
la
comica
parte
di
Gian Loise non
accademici di Caprarola. Parimente,
gli
sia tra
aggiunte o sostituite nel rimaneggiamento fatto dain
una redazione
posteriore degl'Intrighi d'amore, al Napoletano è sostituito Siciliano.
il
I i
tratti del
soliti.
espressa in
na parola; io venesse, e
me »
cfr.
<
cavaliere di seggio
», o,
almeno, sta
una vecchia canzone napoletana, popolarissima appunto
a quei tempi:
che
carattere di (xian Loise sono, in generale,
Anch'egli è
Ma
«
ommo
meltis^e
Dio, che fonse ciaola, e
no che
me
che.
mcUisne a uà caiola!
volane •
relornasse CoirCera primiua, e
a na caiola!
;
e, te
A
trovasse sola;
neW.4 p pendice
•
Ma
Ri no
>.
E. GuiscABDi, Di T. Tasso gl'Intrighi d'amore
Solerti,
fsa fcne-fta a dirte
specialmente:
alle
Opere
renze, Lemonnier, 1892, pp. 179-189
.
in
.\apoli, 1889); e
proto di Tok«ìuato Tasso Fi-
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
IL TIPO
302
per diventarlo:
«
segnare Gian Loise Formecone, che sta
lo
d'ora in ora pe farese spedire la causa soia d'entrare in
Vanta anch'agli aderenze
sieggio ».
È
lindo, galante, attillato e
tutto
cialmente notare per
le
e amicizie in alto loco.
cerimonioso. Si fa spe-
conoscenze che possiede in materia
cavalleresca. Queste conoscenze gli valgono talvolta a coprire la naturale vigliaccheria; onde, p.
non avere dato «
animale
»,
la
«
la servetta
tale,
che l'aveva chiamato
nui antri napolitani, ca sapemo
non paterno,
gole delli duelli,
vanta con
mentita a un
perché
e., si giustifica di
le re-
E
se he volessimo, errare ».
si
Pasquina, alla cui virtù ha posto as-
sedio, di aver fatto fuggire
un centinaio
di spagnuoli alla
piazza dell'Olmo, con una sua abilissima mossa schermistica.
dia,
C'è
nn
in lui,
come
in ogni
napoletano della classe me-
pizzico dell'avvocato o paglietta:
Ed
«
io
lo saccio
molto bene (aggiunge nel dare un suo responso) per la longa pratica de
senza un politano
li
tribunali di Napoli
tale, »,
senza conoscerlo,
lo
chiama
scatta con la solita risposta:
litani
non songo mariuoli,
venite
ad abitare
con
Quando
».
lo sposare,
».
ma
«
alla «
....
sua pre-
mariuolo nali
veri napo-
vuie autre forestieri, che nce
Tuttavia, egli nobile, egli ricco, finisce
pur di ottenere una buona dote,
la servetta
Pasquina, corteggiata dapprima per puro capriccio consola col pensiero che
la viltà di
anzi egli renderà nobile la moglie:
«
;
e
si
quella non l'avvilirà,
avenno tanta nobeltade
che la pozzo dare a cambio ed a scambio;
e
poi in ogni modo
faraggio come fanno chiss'autri cavalieri, che s'abbassano
per accomodarse
».
IV Decadenza del personaggio
N<elle
commedie
gVIntrighl d'amore,
del Castelletti, del
sente già che
si
come
vecchiato e ripete sé stesso
come,
ai principi
Seicento,
del
il
i
vecchi.
Onde
commedie
tempo, specialmente di autori napoletani
di quel
fu introdotto
il
in-
spiega
si
Capaccio ne riprovasse
l'introduzione, divenuta costante nelle
:
erudite «
A
che
Napoletano, che gofifamente chiacchiera noi
suo dialetto, e cade nel plebeo offusca di spiacevole
nube
In quelle commedie,
personaggio goffo
1
Della Porta, ne-
personaggio è
il
E
^.
col suo sordido carattere,
la festività della
commedia?
rappresentava
esso
Teatri di Napoli, p. 81.
Il
lui
[Rarjr/.
»
'.
l'inevitabile
talora continuava a presentarsi
personaggio napoletano, da
Francesco Vacantiello
e,
come
Boccalini, invece, parla con lode del
designato col
di Parnaso,
I, r.
nome
24),
signor Cola
del
ch'è appunto quello
che porta nella Vedova del Cini. 2
noto,
Nella Tempesta dello Shakespeaue
due napoletani:
recite di
il
nome
com'è
E
e la patria di
personaggio buffo del Napoletano.
e spingale », è la
ricordata già dal smingole
IGIO?) sono introdotti,
buffone Trinculo e l'ubbriacone Stefano.
Trinculo fossero suggeriti o da comici girovaghi o da letture di commedie nelle quali appariva
probabile che
il
il
»
si
«
Tringole
e
mingale, chi accatta lazze
voce dei venditori di gingilli e ornamenti femminili,
Del Tufo,
nel
secolo
decimosest<j;
legge nello Sgruttendio (ed. Porcelli,
p.
•
òB
fra Irincole .
e
304
IL TIPO
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA frequentemente,
di seggio; più
gentiluomo
si
fondeva col
tipo del capitano vanaglorioso; qualche volta, esercitava
anche altre professioni o mestieri: dottore \ scrivano della
Gran Corte della Vicaria^, servitore, perfino ruffiano". Un esame delle commedie della prima metà del Seicento, che proseguirono il genere di quelle del Della Porta, mostrerebbe
Napoletano nel suo periodo
il
specialmente,
si
di
decadenza. E,
potrebbero guardare quelle dell'Isa, che
ebbero tanta voga, e tra esse
famosa Alvida, nella quale
la
comparisce un capitano Squacquera Spaccatraono, che con-
giunge
Capitano e del Napoletano. In
in sé le qualità del
commedia
un'altra
lombruoso,
dell'Isa,
stesso
lo
napoletano
il
chiama Co-
si
che è ricordato dal Cortese tra
gli
antenati del suo Micco Passaro; Colombruoso, che fu
U
spanto de
sviargiassune
a na commedia Isa
poeta,
»,
perla qual ragione:
».
Si
vedano anche
le
« lo
«
lo
mise
commedie
del Sorrentino, di Filippo Gaetani, di Alfonso Torello. Nel-
V Innocenti colpati, di Giulio Cesare Sorrentino, il capitan Miccantuono napoletano si afferma « capitanio, cavaliero e bel giovine » lo
:
capitano, è stato in Fiandra e ha fatto
niunno »; cavaliere, è
giovine,
«
«
de
meglio de Puorto »; bel
li
tante segnorazze se so
nnammorate de me,
la roina de Troia: tutto lo iuortio,
Uà: chesta na
Ma
il
Basile, delineavano
smargiasso
1
P.
e.,
il
cioè del bravo:
»,
commedia
nella
mmasciate da cca
chella no presiento...
con ben altra freschezza
tese e «
lettera,
il
trema
«
i
poeti
da
».
dialettali,
carattere
eh' e
il
popolare
Cordello
Cortese, segnatamente nel
del Righello,
Il
Pantalone impazzito,
cit.
di sopra. "
'^qW Impresa
3
^eW Aituta
rV
umore di Ottavio Glokizio
n^W Anckora
covo napoletano è
corlegiana
Cosmo, napoletano
di
e ruffiano.
di
G. G. Torelli
(1600).
—
Un
Colaia-
(1599).
G. C. Sourextino (1631) è introdotto
IV.
.
SUO
ora
DECADENZA DEL PERSONAGGIO Micco
ricordato
mmiezo Paorto
»),
e
Passavo
305
Micco Passaro
(«
nato
Basile, in alcuna delle sue egloghe.
il
Intorno alla metà del Seicento, la commedia regolare Porta cadde in disuso.
del
tipo
sul
nuovo alimento,
e lo trovò nei
pubblico cercava
Il
drammi spagnuoli,
e nelle
traduzioni e imitazioni italiane di essi. Anclie qui, soleva
comparire un personaggio buffo napoletano, che teneva posto del gracioso degli
originali
ma
spagnuoli:
il
era ben
diverso dall'antico tipo del Napoletano, non più un genti-
luomo ma un servo, che diceva scioccherie
e volgarità.
In questa classe di personaggi rientra Razzuilo, clie, fino
anno addietro, abbiam
a qualche la
notte di Natale, nella
Ferrucci. In Razzullo
vani
»
di tribunale
adombrava
si
(il
visto ancora sul
Nascita del
personaggio
teatro,
umanato
Verbo
la satira degli
«
del scri-
presentava, perciò,
si
vestito di nero) e della loro venalità \
Anche
Capitano cadde in disuso, per
il
dizioni della vita; e
il
Napoletano, che per
fondeva con esso, ne segui
sempre; pure,
si
tica
commedia
più
lo
si
con-
per
vide a un tratto, sul principio del Sette-
Di che cosa non sono capaci
Amenta,
mutate con-
E pareva morto
la sorte.
cento, ricomparire sul teatro, proprio
cola
le
i
pedanti
come uno
spettro.
E pedante
era Nic-
!
quale, essendosi proposto di esumare l'an-
il
regolare, per opporla alla voga dei
spagnuoli, nelle
drammi
sue sette commedie, modellate su quelle
del tardo Cinquecento, introdusse
eostantement»^
il
Napi^-
letano. Cosi, nella
Carlotta,
cardo, napoletano;
accompagnato sito;
nelle
stanza,
1
il
dal
il
il
capitan
Ac-
Ciccio Spavento,
detto
Pancetta, para-
.Michclangiolo
Ramaga.sso, che parla
Teatri di Napoli, pp. 158-1(53.
JMarcanlonio
cajjitano
Giuntina, don
famiglio Gianni
Gemelle,
capitan
c'è
nella
;
nella
italiano
Go-
facendo
306
IL
TIPO DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
da napoletano Serrecchia;
vecchio Minicaniello
il
Fante,
nella
nel Forca, c'è
;
Spanto;
Gialloise
Fonzo Somi-
nella
glianza, don Giannandrea Maramaldo.
E non sempre
senza abilità l'Amenta ripetette l'antica
come don Giannanfamiglio Buontempo le arti
invenzione. Ecco, nella Somiglianza,
drea Maramaldo racconta
al
ch'egli adopera per procacciarsi riputazione e importanza
Genova:
in
Aie sentuio, si
«
ch'io aggio fatto a lloro? zato a dicere:
bene,
cortesie
le
aggi'acciimmen-
a lagrazeia! Prencej^e Doreia, honni!
Tiirzi,
'
mme vvoie A li titolate
stammo buono f Conte, Duca mio, amam^moce ca siìnm.o poche Camerata, comanneme! Fratiello, schiavo! \ E a li cava-
Marchesiello, che se faf Prencepe mio,
non
c'è de cchéf
liere
nzenziglio:
Giovane
'
m.io, vi'
E, co na guancetella de facce, spalla,
te
e co
l'aggio fatte segnure!
Un'ombra
a che
te
pozzo servi
na mano ncoppa
a.
'..
la
».
medesima invenzione si vede in certi delle commedie del Livori, Pietrapumice nel Corsale, don Germano quali don Fabio nel Gianfecondo, e altri. Nella celebre compagnia drampersonaggi
della
gofifi
napoletani
matica, istruita dal Liveri stesso, la parte del Napoletano
per lungo tempo, affidata a un Domenico Vaccaro. In-
fu,
vece, nelle
commedie
del
anche per questa parte, tracce
delia vecchia
Goldoni alla
dal
realtà;
tradizione
(p.
e.,
tipo
e,
pur
nel
si
tornava,
fra
alcune
don Fazio del
Torquato Tasso o nel don Ottavio del Frappatore), balza-
vano pieni e
di vita
delizioso
il
don Marzio della Bottega
il
monello
del caffé,
napoletano de I pettegolezzi delle
donne ^ Un'ultima eco del tipo «
napoletani graziosi
'
1907).
A. FiouDELisi,
Il
»
di
si
ha finalmente nei cosi
detti
parecchie commedie del Cerlone,
Napoletano nel teatro del Goldoni (Napoli, Priore,
DECADENZA DEL PERSONAGGIO
IV.
come
il
barone
di
Longobuco
307
Gara fra
nella
l'amicizia
l'amore, don Prospero Battipaglia nella Virtil fra
barone di Trocchia neìVAmar da cavaliere o
il
Lo
stesso personaggio fa capolino nella
e
barbari,
i
la Doralice.
contemporanea opera
1.
buflPa
E
chi volgesse l'occhio alle recite delle
miche d'infimo ordine nei
compagnie
co-
teatri popolari o nelle città di
provincia, rivedrebbe, di tanto in tanto, tra altri rimasugli
un
archeologici,
gofiFo
personaggio napoletano, aftatto ignaro
della lunga tradizione letteraria, della quale
successione
1
ha raccolto
la
'.
Per questo periodo,
si
vedano notizie
in Cuoce, Teatri di Napoli,
pp. 80-1, 102-8, 104-5, 135, 188, 155, 157, 158, 163, 204, 519. -
Nella letteratura colta, la caricatura del Napoletano
moderni, del tutto sparita per più ragioni, tra
prima linea
il
movimento unitario
Nel teatro
italiano.
nei tempi
è,
quali è da porre in
le
istrionico, è ri-
comparsa, anche in questo secolo, in una forma rinnovata, come nella farsa
fiorentina
di
messo in compagnia
Don Stenterello aergente Tiapoletano, bravo pauroso, di un bravo sul serio, « ufficiale piemontese ». Se
ne veda l'analisi nel Meecey, Le tkédtre en mondes,
marzo
1
1840, pp. 830-2}.
On
rence on ne se fait pas fante de charger tains auraient bon jeu
non sapremmo
s^ ils
Italie [nella,
voit (scrive le caractè^re
il
napolUain :
voulaient renvoyer la balle
se dell'antico strazio del
Revue des deiix
Mercey)
anx
qu''à Floles
napoli-
florentins •.
E
Napoletano in commedia, o dei
più recenti fatti storici del 1798-9, fossero reminiscenza quelle parole ironiche:
«
un brave napolitain
»,
che Carlo Filangieri raccolse sulle
labbra del generale còrso Franceschi, donde ne venne
quale
il
il
duello, nel
Franceschi fu ucciso. [Ferdinando Mautini, quando
volta fu pubblicato questo saggio, mi scrisse: dite circa
le
«
A
la
prima
confermare ciò che
cagioni della sparizione del tipo comico napoletano ag-
giungerò che, nel 1867, Fabio Uccelli fece rappresentare a Firenze una sua commedia: I rettili, fra i cui personaggi era un tal IMarco Bruto Fontanella, napoletano e deputato; né il
tipo
mal disegnato;
d'altro e fece calare
All'estero
si
il
ma
la
per cagione sua
sipario a
metà
commedia era il
cattiva,
ni"-
pubblico non volle saper
della recita
•].
fecero notare pel passato gli avventurieri napoletani
e tipo di essi è quel
marchese della Petina di casa Confalone, incon-
;
308
IL TIPO
DEL NAPOLETANO NELLA COMMEDIA
trato dal Casanova a Londra, del quale
trovano anche notizie nelle
si
corrispondenze diplomatiche dell'abate Galiani e del marchese Caracciolo; e l'ultimo diceva, ch'era di coloro, la
nazione
».
E
queste
d'Italia dettero luogo
all'
<
*
che andavano screditando
categorie di avventurieri d'altre parti
e simili
italien
»
commedie
delle
Ma,
francesi.
canto alla mala fama sparsa da costoro, che abusavano di
ac-
titoli legit-
timi o usavano d'illegittimi, se ne incontra un'altra diversa, del co-
raggio feroce dei napoletani, sorta sia a cagione dei plebei della voluzione di Masaniello, sia pei fatti del brigantaggio. Di ciò
si
ri-
sente
Marat, che voleva non so bene se cento o
l'eco in certe parole del
dugento napoletani, armati
pugnale, per dare facile compimento
di
alla rivoluzione francese.
Anche oggi
il
carattere del popolo meridionale continua a occu-
jiare le fantasie degli altri italiani; e, se il
non
fosse,
come
è detto,
si
forte e delicato sentimento unitario delle classi colte, che rifugge
pur dal toccare
Uno
ne vedrebbero manifestazioni anche
certi tasti, se
let-
ha potuto fare quello che non hanno osato gli scrittori italiani, mettendo in un l'omanzo il tipo del meridionale: Emilio Zola, nel suo Home. Il personaggio dello Zola non è tolto terarie.
scrittore francese
dalle classi aristocratiche, che sono sparite, si bene dalla borghesia,
politicante e affaristica. sto, quelle
del
Ma
la
satira
settentrionale, del
scano) bisogna ora
cercarla,
non
del
meridionale (come, del re-
piemontese, del milanese, del tonelle
opere
letterarie,
scorsi, negli aneddoti, nei proverbi, nel folklore della
ma
nuova
nei
Italia.
di-
xVPPENDICE DEL MEZZOGIORNO
DI ALCUNI ALTRI TIPI REGIONALI
NELLA COMMEDIA
Sotto
l'aspetto
letterario,
personaggio del Napoletano ha
il
qualche valore solamente nelle commedie del primo Cinquecento. Ivi si
risponde a
fatti,
da noi
come nei
con la
Ma
innanzi a
artistico,
accompagnato
e
storico. Alla psicologia
soverchiato dei popoli,
(che era uno dei compiti che il
hanno perso
il
con-
vita.
l'interesse
sorta, è
e vi
séguito, è copia, per lo piti guasta, mec-
ricordati. In
canizzata, esagerata, eseguita da scrittori che tatto
;
motti^satirici
personaggi del Piccolomiui e del
e negli schizzi dell'Aretino, e nei
Cini,
tempo
contrasti, impressioni e idee del
sente qualcosa di originale e di fresco,
1860, dettero
il
si
manifestazioni
dall'interesse
classi, dello
delle
proposero quei
di
questa
sociologico o iDrofessioni
filosofi che, circa
motto d'ordine della Yólhciysi/rhologie), un ricco
materiale, per quanto sposso alterato dalla immaginazione o dalla
mescolanza sono
dati,
di
sentimenti e passioni, offre la letteratura. Già
anche in
Italia,
su materiale letterario
(p.
e.,
Cortigiana nel Cinqueconto)
;
quelli del
ma
Graf sul l'cdtmtr e sulla
converrebbe proseguirli, esten-
derli e abbracciarli in un'opera complessiva. le
personificazioni e le caricature
non mancano, per pure
mancano
altro, d'interesse coDie
di storica efficacia,
fattori storici (come
Anche dove
di salda
i
giudizi,
base nei
fatti,
sintomo storico, e nep-
occorrendo considerarlo sotto l'aspetto di di recente ò stata studiata perfino l'Astro-
logia! \X
1
si
parecchi saggi di codesti studi, condotti
^e\V Historisches Jahrburh del Pastor.
APPENDICE
310 Per
un rapido cenno
cousiderazioni, darò qui
tali
alcuni
di
personaggi della letteratura drammatica, che sono satira
di altre
popolazioni del Mezzogiorno d'Italia.
Di questi personaggi, tana, è
il
durante
il
il
La
Di esso discorse
secolo seguente.
necessario tornarvi sopra
cui
più antico, nella drammatica napole-
Cavaiuolo, che s'incontra sulla fine del Quattrocento e
satira
Cavaiuolo rientra nella categoria di
del
gratificano a vicenda
si
Torraca, e non è
il
*.
i
paesi vicini
e, infatti,
;
a Napoli, ebbe origine e vita a Salerno, e salernitano fu glitore e redattore
Braca tani
^.
«
Un
accenno
pusillanimi
letteratura contro
della
»,
alla satira
*,
è
messo
•'.
In una com-
in rilievo l'atteggiamento dei
cittadini della capitale verso quelli delle città di provincia
gentiluomo vai tu dicendo? (esclama un napoletano). esser egli gentiluomo se non è napoletano, «
O
g"ran
bontà di cavalieri moderni
non può essere gentiluomo,
tano,
non
è di seggio
banco, e chi «
».
«
E
sa, nella
Ben pare che
sei
se loro
non
racco-
il
Vincenzo
dei salernitani contro gli amalfi-
novelle di Masuccio
è nelle
media del Carbone (1559)
cavaiuoli,
i
al detto
è di
ma
beneventano?
Dunque, se non
!
Che
«
:
Come può
vostro?
».
«
«
No
».
«
No, perché
seggio, sarà di scanno o di
patria vi sono di seggie ancora!
poco prattico alla cavaglieria;
Sapete che canzone
Napoletani, larghi di bocca e
Torraca, Studi di
i
».
è napole-
taci
si
».
non
su,
».
E
canta nel mio i^aese?
».
entrar in dozena, che questo non è pasto per la tua bocca! nella stessa scena:
di
qu.elle
piuttosto che
stretti
di
mano,
conte
i
storia letteraria napoletana (Livorno, 1884).
pi-
Ag-
giunte in Croce, Teatri di Napoli, pp. 27-32, 41-2. Nel Giuditio di Paris in egloga 2JCistorale tradotto da Donato Porfido Bruno di Venosa (in Naappresso Gio. Battista Sottile, 1602), è la parte di Simone cavoto,
poli,
pastore sciocco. 2
Ettore Mauro, Un umorista
e gli scritti
del Seicento
:
Vincenzo Braca.
La
3
Novellino, ed. Settembrini, p. 416.
*
Gli amorosi inganni di Niccolò Carbone (in Napoli, 1559),
se. 2:
parlano Patricio, gentiluomo napoletano, e
Patricio.
vita
(Salerno, tip. Nazionale, 1901).
Cx'icca,
a.
II,
ragazzo di
DI ALCUNI ALTRI TIPI REGIONALI anatelli
Ma, per
*.
napoletani, anche
i
meglio del nobile delle campagne Dei
NEL MEZZOGIORNO
popolano
il
di
311
Napoli valeva
*.
comici provinciali è da ricordare in primo luogo
tipi
La Calabria
il
sempre bersaglio di satire mordaci Si narra che Alfonso d'Aragona dicesse che, se egli non avesse avuto nessun altro regno, nessnn'altra terra da governare se non la CaCalabrese.
fu
•*.
avrebbe preferito mandare
labria,
al diavolo
mestiere di re e vi-
il
vere da privato, per non tollerare la stoltezza di quella gente, che
uomo aveva
di
habent
schei'zosamente, che di
«
{quam illorum qui
soltanto la figura
Enea
prcpteì' fìguro.m ineptias tollerare).
nihil hominis
Silvio soggiungeva,
primogeniti dei re di Napoli pigliano
i
duchi di Calabria
»,
titolo
appunto perché, quando hanno imparato
a governare la Calabria, sono in grado di governare qualsiasi altro
paese
difficile
A
*.
questa riputazione politica
bizzarra accusa storica: che, cioè,
i
Annibale contro
stati
Cfr. PiTRÉ, Proverbi, III, p. 155:
i
manu
di
itriltu
>.
Un
E
sonacampane
Accireperucchie '
romani, fossero
i
«
di villa e
Napulitanu largu di vacca '
e
Xapuìitane, MangiapcUane,
,
pp. 477-SO:
un napolitano le
genti
vedranno uomini non pur
si
«
»
In tutta Terra di Lavoro fanno
biltà che
aggiunse una
condannati a prestar ser-
altro proverbio dice:
Costo, Fuggilozio (Venezia, 1600
sima tra un nobile
si
Bruzì, per essersi alleati con
del
si
«
Contesa graziosis-
popolo
>.
Comincia:
gran professione
di no-
murate,
di città e di terre
ma
punto del nobile, talmente che non Io cederebbono a casa d'Austria ». Sono note, anche pel Napoletano, alcune filastrocche popolari di proverbi sui paesi vicini. Quella, già indi casali smantellati star sul
dicata di sopra
mincia:
»
p.
278
n.},
che è nell'opera dello Sciirader. e che co-
Castellani Caetani Belle
femmine son de Mola,
ecc.
•
è in
parte ancora viva. Forse a una simile enumerazione appartenevano i
versi
e
Resina
:
QucUtro sono
«
•
:
coi saraceni, e delle 3
e
i
li
luoghi della Saracino
Una minuta
<
Portici,
Cremano,
la
Torre
bande saracene accampate
I,
in quei luoghi.
analisi delle cause dei pregiudizi contro la Calabria
calabresi è nel Bartels,
gen, 1787,
:
ricordo dell'alleanza di Napoli, alla fine del nono secolo,
firiefe alter
Kalabrien unii Sicilien ;Gottin-
pp. 7-10).
Panormita, De
del Piccolomini.
diclis el
facti*
Alphomi
regis,
lib. I,
S 'àO, e
nota
312
APPEiNDICE da schiavi, o perciò anche da carnefici,
vizi
magistrati romani
ai
nelle province; e che, quindi, calabresi fossero stati
Cristo
'.
Per queste
per altre ragioni, che ora
e
calabrese è ritratto in
modo
carnefici di
i
ci
sfuggono,
il
anche nella letteratura spa-
sinistro
gnuola. Nel romanzo del Cervantes, Pérsiles y Sigismunda, è fatto
calabrese un Pirro, cattivo soggetto, rufìan, hombre acuchillador.
In un auto di Lope de Vega, Giuda è simboleggiato in un cabal-
un altro, si dice di un Vizio, che era « en ìiurtar modo De vivir un calabrés » ^. Nella commedia dell'arte, il calabrese si determinò nel perso-
lero calabrés] e, in
lìonras y en
naggio
metà
Giangurgolo, che a noi non risulta più antico della
di
del Seicento. Era, di
un
solito,
carattere di bravaccio
spesso faceva altre parti, restandogli
calabrese, e gli accenni a costumi del suo
paese. Portava
il
cap-
aggiungeva
al
naso
pello a punta, calabrese o brigantesco, e gli si
un lungo naso
naturale
Per questa
1
taccia,
toriim Christi, dissertatio
il
PoLiDCKi, Bruta
mentis
et
e
^.
vedano J. M. Perrimezzi, De natione (Roma, 1727); [p. Giovanki Polidori], De
si
:
domini quinam fuerint
toribus Christi
e
di cartone
et
calumnia de
tortor-
undegentium extiterini CNapoìi, 1731;;
irtlatis
Jenu Christo
Domino
nostro tor-
morte vindicati, che può leggersi in appendice al Barbio,
Koma,
ontiquitafe et situ Caìahrice (ed. Aceto, cio, Scrittori napoletani del p. 47,
ma
;
la sola qualità del favellare
ricorda
s.
manoscritto
il
17B7).
—
Il
De
Minieri Ric-
XVII, i cui nomi cominciano con la lettera A, di un anonimo, In calabros invecliva. Si
noti che calabrese fu fatto dalla tradizione l'uccisore di Ferruccio,
il
napoletano Fabrizio Marramaldo. -
Degli
Ricavo
Al dinero poetas
di
es
Diego de la Cidca
(nella
ristampa di Sevilla, 1896,
Un
calabrés
Pitias leal y grato,
».
Sand, op.
Y por
Occhi sanguigni
«
ciAN {Criticon, parte 3 II
A. Restori,
di Lope de Vega Carpio (Parma, 1898), p. xv. Nell'ode
"
ilustres,
amigo que stol
ciò dalla dotta e bella prolusione del prof.
Aufos
^
I,
cit.,
e.
»
Primera parte de p.
55):
li le
«
las flores
hace el Irato
attribuiva
de
Cudl muestra a su
ai
Del apó-
calabresi
il
Gra-
7).
ha una figura di Giangurgolo, cui appone, non
si
Ma, d'altra parte, non si può ritardarne secolo decimottavo, come nell'aneddoto riferito dal Rasi
sa perché, la data del 1625. l'apparizione al
[Comici
italiani,
I,
pp. 78-82), secondo
il
quale
il
personaggio sarebbe
DI ALCUNI ALTRI TIPI REGIONALI
NKL MEZZOGIORNO
Altro carattere teatrale era quello dello
313
studente calabrese
«
Nella Canzone di Zeza, don Nicola, calabrese, amoregg'ia con figliuola di Pulcinella,
>.
la
quale, tornando a casa, lo sorjjrende e lo
il
bastona. Quello va via di corsa:
Mo
te
ne
Ma
esclama Pulcinella.
lo
fuiuto,
si'
Pacchesicco
'
frustato!
studente è andato a prendere
il
cacafocu
(schioppo), e Pulcinella è costretto a chiedergli perdono e a con-
commedia
cedergli la figliuola in isposa. In una inedita
Lo Vommaro, che
intitolata
tignano nel 1742 lacera, che
una vecchia viene
-,
va rattoppando
dialettale,
fu recitata nella villeggiatura di
An-
una camicia
in iscena con
:
si è cammisa c-hessa da poterse acconcia! Che buò dà punte? E ncienzo a li Uiuorte! Ma io so n'asena che mme vao peglianno sti pensiere. Xce ll'aggio ditto a chillo malaureio de stodente calavrese: e Chesta non serve chiù, cca nce vò la nova » E isso, ncocciuso, sempe me dice: Passatici nu filu.' Che buò passa filo, ca non ci abbostano doie matasse! Te', che
Uh,
Non
iostizial
Vedite
ce n'è petacce.
•
.
-
.
roinal
sorto
.
.
.
Nne
voglio fa vute de servi a tale razza:
come caricatura
(iei
gentiluomini spagnuoli che
.
.
mn
si
c'è da
fa.
rifugiarono
quando questa pas^ò sotto il dominio di casa Savoia. Il Easi stesso riproduce una figura di Giangurgolo del 16fe8, tolta dal frontespizio della commedia del P)pehno, Disperarsi per la spein Calabria dalla Sicilia,
ranza ^Napoli, Mollo, 1G8Ó).
Il
Eiccoboxi, op.
cit..
fig.
de Giavfjvrgolo ca'abrois (riprodotto anche nel Rasi,
gurgolo parla
la
donna
12, e.}.
ha VHabit Del Gian-
Pekrucci, ed esso ha parte negli scenari del conte di
il
Casamarciano.
1.
E
notevole lo scenario
in questione finisce
La
moglie
con l'appigliarsi
gurgolo, pessimo soggetto, che
la
al
ielle
ili
manti, in cui
peggio, sposando Gian-
riduce alla miseria pei suoi debiti
vecchi e pei nuovi che accumula col gioco. Sul dialetto calabrese nelle
commedie, il
cfr.
Croce, Teatri di Napoli, pp. 82,
Pulcinella di Silvio Fiorillo parlava 1
ir>l.
calabrese
Secondo •
il
Qi;ai>hio,
(!).
Studente. L'origine della parola dovrebbe essere si'-"'"
storiella 2
«
che narra
il
Galiani, nel
Teatri di Napoli,
p.
-JSy.
Vor. nap.,
ad verb.
'
"
.
APPENDICE
314 Le
bene.
siente
de l'oro:
fra
cola! Gnuritata tene
Lo studente
«
pataccuni!
li
>
.
Don Petra, Don Climenti, Don GianE non hanno vrenzola de cammisa! ^.
come studente badi don Vitantonio
fu talvolta rappresentato anche
rese; e parlante questo dialetto, e sotto
nome
il
Patacca, compariva con l'attore Francesco Banci nelle recite di dilettanti
Ma
che
facevano a Napoli nel secolo passato
si
principalmente
terra di Bari fornì
la
^.
tipo
il
del vecchio
provinciale, ricco, avaro, inesperto dei costumi della capitale, che recite del
nelle
Anche
il
biscegliese
siciliano fu
il
San Carlino ebbe
teatro di
crazio Cucuzziello,
secolo decimosesto,
come
messo presto si
nome
il
di
don Pan-
^.
in
commedia, ossia già nel
può vedere da un accenno del Min-
turno nella sua Arte poetica (1564), e dal j)ersonaggio di Fiaca-
vento nella Vedova del Cini (1569). Francesco Andreini rappresentava, tra le altre parti, quella del Dottore siciliano
1
se. 4, -
''.
Manoscritto della Biblioteca di San Martino. Si veda atto
III,
pp. 91-2.
dialetto studentesco calabrese è nel
Il
Cardone.
—
Pei fatti del 1799,
reazione. Nel 1848
si
i
Tedeum
dei Calabresi del
calabresi divennero rappresentanti di
ebbe l'opposta vicenda,
e
cappello calabrese
il
fu simbolo di liberalismo. Si cantava in quei tempi dalla plebe sanfedista (quanto diversamente
v'ha fraruta?
nazione
Sand, op.
^ Il
al
A
'i
da mezzo secolo prima!):
cit., II, p. 35,
dice che
il
San Carlino da tempo immemorabile,
data del 1680.
Ma
è,
Malesia, chi
Calavrese!... >.
invece, noto che
il
Biscegliese e
si
rappresentava
ne dà una figura con
1810 dall'attore' Giuseppe Tavassi. Tuttavia, è da ricordare che Rucci, op. cit., p. 294, dice che sul teatro si faceva «
sato;
La si
veda nel PrrRÉ, Fiabe, il
III, n. 155, pp.
siciliano è di
il
Peu-
caricatura dei »
satira popolare fra napoletani e siciliani appartiene
polare dei due ladri, di cui il
la
quaratini (cittadini di Corato), leccesi, apruzzesi e simili ^
la
personaggio fu introdotto nel
al pas-
159-164, la novella po-
gran lunga il più abile, e la maggiore vicinanza,
napoletano opera da sciocco. Più vivace, per
è la
guerra satirica tra calabresi e
spicuo esempio
il
siciliani, della
quale è antico e co-
contrasto di Cola Francisco e Fiacavento.
VI
SALVATOR ROSA
Recensione inserita nel Giornale voi.
XXI,
storico della letteratura
italiana, 1893,
pp. 127-150.
i
L' uomo,
il
pittore,
il
poeta
»
intitolava
Carducci
il
uno dei paragrafi del suo saggio su Salvator Rosa, premesso all'edizione del Barbèra (1860) delle Rime e lettere,
E veramente
e più volte dipoi ristampato.
Salvator Rosa
merita di essere studiato sotto questo triplice aspetto, per
quanto l'uomo, che ora siamo venuti a conoscere, non più
quel
mezzo
dalla
della signora pittore,
eroe
certo
patriottico
tra
fantasia del
De Dominici
Morgan. Allo studio del
come
poeta, ha consacrato
sia
romantico, uscito
e
mezzo da quella Rosa, come uomo, come e
ora
un'opera
il
Cosa-
reo \ la più ampia che sia stata mai scritta sull'argomento.
Necessaria preparazione di un simile studio erano una larga
ricerca
delle
opere
dell'opera nei quali
biografica,
letterarie
pittorica
oggi
si
un'edizione
del
di
lui,
Rosa,
con
critica
un catalogo
e
illustrata
descrittivo
l'indicazione dei
trova sparsa. Sopra queste
luoghi
fondamenta
soltanto potevano elevarsi lo studio psicologico dell'uomo e la
determinazione del posto
e del significato
che spetta
al letterato e all'artista.
1 Salvator Ro3a, Poesie e lettere edite ed inedite, pubblicate criticamente e precedute dalla vita dell'autore, rifatta su uuovi documenti, per cura di G. A. Cesareo Napoli, tip. della r. Università, 139-2 due :
volumi).
SALVATOR ROSA
318
La pubblicazione
del C. abbraccia
insieme questi
preparazione e di costruzione, recando a
vari lavori di
ciascuno d'essi buoni contributi
nessuno
pierne
tutt'
ma
;
non riesce a com-
qualcuno, anzi, sfiora
definitivamente, e
appena. Io, utili
dopo avere reso omaggio
risultati
da
alle fatiche del C. e agli
raggiunti, entro in
lui
materia, esami-
nando capo per capo il suo libro rispetto ai desiderata che ho accennati, e mostrando quel che egli ha eseguito, e quello che ancora resta da eseguire.
movendo
E, prima di tutto, C.
si
è trovato innanzi
che sono
il
Passeri,
il
biografo
Anche
Pascoli, dei
quali
come
il
De Dominici, che aggiunse non poco
all'opera dei tre primi
specialmente, la spiritosa e for-
e,
tunata invenzione della parte che alla rivoluzione
il
a ragione qualifica
Balclinucci e
il
egli riconosce l'autorità \
impostore
dalla ricerca biografica,
tre più antichi biografi del Eosa,
i
Rosa avrebbe presa
il
napoletana del 1647-8. Senonché, a questo
proposito, avrei desiderato che
il
C. avesse mostrato
mag-
De Dominici;
quale
giore coscienza circa l'impostura del
il
non inventò solamente quei particolari biografici del Rosa, ma, si può dire, un'intera storia dell'arte napoletana, che trovò tutti credenti per oltre un secolo, e serba ancora i suoi fedeli, benché sia stata sfatata negli ultimi cinquanta anni per opera dello Schulz, del Catalani, del Faraglia, del Frizzoni e di altri
rattere dell'opera del
E, d'altra parte, dichiarato
"^
De Dominici,
il
C.
avrebbe
fatto
il
ca-
bene
a non servirsene mai (e invece se ne serve qualche volta);
1
Dell'opera del Pascoli
una, anteriore, di 2
Roma,
L'intera questione
il
C. conosce l'ediz. del 1736;
ma
ce n'è
1780.
De Dominici
è stata
da me riassunta ed espo-
sta in
due
articoli intitolati II falsario, nella Napoli nobilissima, voi. I
(1892;,
nn.
8-9.
SALVATOR ROSA
319
non più discuterla (come invece fa spesso), perché tempo perso. Il piacevole libro della Morgan per la parte biografica non porge nessuna notizia nuova, e solo
anzi, a è
esagera
le
invenzioni del
De Dominici;
opera l'au-
la cui
non conobbe neppure direttamente,
trice
si
bene per quel
tanto solamente che ne passò nella vita del Rosa
«
tratta
da quelle che ne scrissero Filippo Baldinucci, Giambattista
Leone
Passeri,
Pascoli,
Bernardo de Dominici ed
premessa a varie edizioni delle satire
altri
•»,
e
fatte nel secolo de-
cimottavo ^ Oltre che col sussidio di queste e di qualche altra fonte a
stampa,
C.
il
si è
accinto alla nuova biografia con un mate-
riale manoscritto,
monio
e la
lettere di
formato da alcuni documenti sul matri-
morte del Rosa,
Maffei, le quali
due
da un grosso manipolo
tutte, all' infuori di tre, si
grafe nella biblioteca dei di
e
indirizzate a Giulio. Giovanni
lui,
e
di Messina, e di alcuni carteggi
105
serbano auto-
iiarchesi Ferraioli di
lettere inedite dirette all'abate
di
Ludovico
Roma; più
don Antonio Ruffo
contemporanei
diretti
al
medesimo, e concernenti cose d'arte. Del Rosa erano giù a
stampa venti per
lettere all'amico G. B. Ricciardi
prima volta dal Bottari,
la
aggiunse
traduzione inglese), e dal
la
pubblicate
Morgan (che vi Gamba, nell'edizione
e poi dalla
della Vita del Baldinucci (Venezia, tip. di Alvisopoli, 1830,
pp. 161-200), e nell'edizione del Carducci.
stampa. Tardi egli
si
è accorto che
Il
C. ora le ri-
anche delle 105
lettere
una piccola scelta era stata pubblicata nd 1878 a Firenze in un opuscolo per nozze *. ai
^[affei
1
Ne ho
II
C.
si
serve della traduzione francese del libro della Morgan.
eh V' intitolato cosi: The Uf^ ami Rosa by Lady Mougan, in two volumes (Paris, Gali-
sott' occhio l'originale inglese,
times of Salvator
gnani, 1824, xvi-286; vm-286). 2
Lettere inedite di Salvator Rosa, per
Barbèra, 1878).
Il
C. le ricorda a
stampa
nozze Banchi-Brin (Firenze, finita
II,
p.
133),
avendone
SALVATOR ROSA
320
Più grave omissione
è l'avere ignorato
che
il
carteg^gio
autografo col Ricciardi, dal quale furono tratte lettere del Bottari, editi
ed
si
venti
venne inserendo l'Ademollo, nel suo vosecolo XVII, rimasto sfortunata-
inediti,
lume / teatri di Roma nel mente sconosciuto al C. ^ I si
le
conserva ancora, e che brani di esso,
brani, pul:>blicati dall'Ademollo,
riferiscono agli spettacoli teatrali di
Roma,
e portano le
date del 1652 e 1653, del maggio e giugno 1654, del 20
novembre dell '8
1660, del 5 febbraio 1661, del 26 gennaio 1666,
gennaio 1667, del 15 settembre 1668.
queste lettere, di
A
proposito di
compianto Ademollo scrive in una nota
il
averne avuto comunicazione dal cav, Filippo Mariotti
di Firenze
Avendone
~.
fatto ricerca a
mia
volta, ho saputo
che dalle carte del Mariotti, ora nella Biblioteca Nazionale
che
di Firenze, risalta
il
Mariotti
le
copiò appunto
carteggio Ricciardi, posseduto da Aurelio Gotti
brani
oflFerti
Storia
dei
dall'Ademollo,
altri
egli
^.
dal
Oltre
i
produce nella sua
(ms. della detta biblioteca), e, propria-
teatri
mente, due brani, uno
in
data 12 febbraio 1650, e l'altro
14 gennaio 1652; e una lettera intera, in data 19 maggio 1668, riferisce tra
i
documenti. Nella Biblioteca Nazionale
avuto cognizione per mezzo della pubblicazione del Toci intorno al Ricciardi, anche da lui troppo tardi conosciuta. Dalla stessa avrebbe potuto trarre altresì l'indicazione delle lettere inedite del Hicciardi, conservate presso
il
cav. Niccolò Maflfei di Volterra, e di altre dello il marchese Campori di non poche notizie assai im-
stesso conservate presso Aurelio Gotti e presso
Modena,
nelle quali ultime
portanti alla vita del Rosa 1
Roma, Pasqualucci,
si
»
conteno^ono
«
{Rime òur/esche di G. B. Micciardi,
18SS;
si
vedano
le
p. xxxi).
pp. 66, 93, 95, 96, 106,
139, 140. 2 II
Maiiotti (da non confondere
coli'
omonimo traduttore
di
De-
mostene) era segretario dell'Istituto tecnico di Firenze, ed è morto
qualche anno 3
fa.
Sarebbero passate quindi nell'autografoteca Campori
l'Estense di
Modena.
e di là nel-
SALVATOR ROSA
321
di Firenze, inoltre, tra alcuni manoscritti del Ricciardi,
trovano, secondo
le
mi
notizie che
si
comunicano, due altre
si
Rosa ^ Che le 105 lettere ai MaflFei abbiano grande importanza, aggiungano cose sostanziali alla biografia del Rosa, non
lettere del
e
oserei dire: le venti lettere edite già dal Bottari restano,
pur sempre,
anche
più
le
curiose del
nuove sono
le
Ma,
carteggio.
che
tutt'altro
cialmente a dare un'impressione
pili
di
certo,
servono spe-
e
inutili,
viva e diretta del
Rosa, qual egli era nella vita ordinaria. Tuttavia, o per la scarsa importanza del materiale nuovo o per altre cagioni, la biografia che ricostruisce
aggiunge a quello che sapevamo dalle che contengono
fie,
E, circa
il
modo
dotta, se sono in
21
essa alcune
data della nascita, luglio 1615, e
tre antiche biograalla vita del Rosa.
nel quale la ricostruzione del C. è con-
piute, altri particolari la
meglio intorno
il
C. poco
il
indagini
C,
il
tra
—
Per
Pa>seri che la mette al
il
Baldinucci che
il
com-
felicemente
non soddisfano interamente. la
mette
20 giu-
al
gno, propende pel primo, quantunque non possa scegliere
con sicurezza tra notizie, quali
sturzo,
il
le
due
l'amicizia
e
;
del
non
ò
gran male
Rosa
suo frequentare col padre
col la
—
*.
Alcune
pittore Marzio
casa
un
di
tal
Ma-
don An-
gelo Pepe, intendente di pittura e di musica, e l'avere studiato col pittore Aniello Falcone, e le inimicizie con Micco
Cominciano:
1
sciai scritto
«
Una
Questa mattina
il
Fabbrini...
»
:
e
«
decina di lettere del Rosa, in cui
villa di Strozzavolpe, fu acquistata dal dr.
divenne proprietario della detta
villa.
Ieri sera la-
si
parla della
A. Bizzarri, quando questi
Sono tutte pubblicate nell'opu-
scolo nuziale, edito dal Barbèra. -
«
Nella nota,
libro dei
tezzati
»
un
piccolo
morti del 1615
»,
trascorso
di
penna dove
che deve essere, invece,
il
si •
parla del
libro dei bat-
SALVATOR ROSA
322
Spadaro
e con altri pittori napoletani
',
non dovevano
es-
sere accolte nel testo, perché unica fonte di esse è appunto
De Dominici, che
la biografia del
Non
postura.
risulta
(I,
p. 8)
il
C. stesso dichiara im-
da nessun luogo che
disgustasse di Napoli, perché non gli nelle
«
il
nopolio e riuscivano a procurarsi
parentele e patrimoni vistosi
».
volevano avere
mo-
il
di nobiltà, illustri
titoli
Queste leghe
e associazioni,
ch'io sappia, non esistevano a Napoli; quantunque
ci fosse
c'è ancora (e c'è dappertutto) quella che da noi
dice camorra, altrove chiesuola, o il
come
altro
si
si
Né
voglia.
Rosa ne parla nel brano della satira La Babilonia, che
C. cita subito dopo,
associazioni
alle
si
leghe ed associazioni di pittori, gelosi dei loro pri-
vilegi e dei loro diritti, che dell'arte
come
Rosa
riusciva di entrare
familiari
della costituzione
strazione
tane che
(I, p. 9)
dove
della
politica del
il
seggi, ossia
ai
nobiltà, ch'erano la base
Regno.
avrebbero meritato
Rosa mentova a
il
si
accenna solo
—
Una breve
le tre
titolo d'onore,
i
illu-
famiglie napole-
Cantelmi,
Ter-
i
racusi (ossia Caracciolo, marchesi di Torrecuso, dei quali
tempo
a quel
fioriva
Andrea, che prese parte gloriosa
svariate fazioni della guerra dei Trent'anni e
capo
truppe
le
Avalos.
—
Ed
è
spagnuole e italiane
un
nici la notizia dei
ritorno da forse
Roma
ancor
si
in
alle
comandò
Ispagna),
po' ingenuo, accettata dal
e
in gli
De Domi-
quadri dipinti dal Rosa nel suo primo
a Napoli, soggiungere
(I,
pp. 13-14),
«
che
ritrovano in casa de' Mataluni, dei principi
d'Avellino, e dei duchi Gaetano d'Aragona di Laurenza-
no
»,
quando
è noto che la più parte di
queste famiglie
sono estinte o decadute.
Una
notizia più particolare
(I,
p. 15) si
sarebbe desiderata
del gubbiense poeta Antonio Abati, l'autore delle Frasche-
che fu amico del Rosa in gioventù, e
rie,
1
Voi.
I,
pp. 6-7, 13-14, 16, e altrove.
al
quale appar-
SALVATOR ROSA
un
tiene
curioso ragguaglio inedito (forse del 1640) intorno
alla pittura di lui, clic
C,
il
troppo tardi, perché nel
ha dovuto ricevere non ne parla, e lo stampa
al solito,
testo
—
secondo volume, dove resta non adoperato.
alla fine del
A
323
Roma
proposito del ritorno del Rosa a
nel 1689,
C,
il
ripetendo una enumerazione fatta già da biografi ontecedenti, parla degli artisti che in quell'anno vi ossia,
della scuola dei fratelli Caracci,
«
Guido Reni, l'Albani, francese,
Poussin,
il
fiamminga,
nomi, senza dubbio,
Guercino,
Vouet
il
Rubens
il
il
e
ma
il
e Claudio »
Domenichino,
il
Lanfranco;
il
Van Dyck
di :
—
famoso nella vita del Rosa per
bel
la
tento,
come
Tuttavia
mazzetto di
Circa quell'anno 1639, bizzarra reclame colla
quale egli die principio alla sua celebrità, altri,
C. sta con-
il
a riferire la narrazione del Passeri.
poteva ricordare, almeno in nota,
si
della
Lorena; della
che, in realtà, sono cosparsi lungo
parecchi anni di quel periodo.
già
trovavano;
si
il
garbato
studio su Salvator Eosa nel personaggio di Formica, inse-
Nuova
nella
rito
nuove,
romani
ma
dal
antologia
anche l'opera dell'Ademollo
',
signor G.
]\fartuccì
' ;
e
quale non aggiunge notizie
la
trasporta nell'ambiente dei divertimenti teatrali
di quegli anni; per
non dire che, anche
in nota,
avrei voluto vedere ricordata la novella dello Iloffmnnn su
questo tema.
Rosa faceva
Il
Pascariello Formica, e l'altro di Coviello
il
personaggio napoletano
(come sappiamo dal Lippi)
di
aneli»'
Patacca; e a questo proposito, occorre
notare come tanto Pascariello quanto Coviello ricevessero talvolta, nella
dosi
il
primo,
viello Ciavola.
Toscana,
la
commedia p.
—
e.,
dell'arte, altri
cognomi, intitolan-
Pascariello Rettola, e
Si noti che la
quale, nel
testo,
Nuova
I teatri di Roma, pp. 36-9.
secondo Co-
è data come accaduta
antologia, IG ottobre 1885, pp. 641-658.
1
2
il
partenza del Rosa per
la
alla
SALVATOR ROSA
324 fine del 1G39 (I, p. 24),
guente, come
deve riportarsi
alla fine dell'anno se-
C. stesso avverte nell'appendice
il
(I,
pp. 401-
403) sulla base di documenti, pubblicati da Adolfo Venturi;
uno dei quali occorreva anche dell'ambasciatore estense a dice che
Rosa era
il
riferire, tratto
Roma
fuggito a Firenze per salvarsi dalle
«
persecuzioni dei suoi nemici
primo
C. intorno
il
ne accerta
il
di Firenze.
da una lettera
del 27 aprile 1641, che
alla
»
^
—
Molte notizie dà pel
Lucrezia, concubina del Rosa, e
vero nome, Lucrezia Paolino del fu Silvestro
— Del
diletto dal Rosa,
Cunto de
del Basile, libro pre-
li curiti
che fu intermediario della conoscenza che
ne ebbe e della imitazione che ne fece
Lippi nel Mal-
il
mantile, il C, se fosse giunto in tempo a vedere la mia edizione e lo studio premessovi, avrebbe potuto parlare con più esattezza ma, in ogni caso, gli bastava un semplice sguardo all'opera del Basile, per non dire che « il Basile assimila, fa sangue del suo sangue l'antica novella ;
di Luigi XI, altro
»
(I, p.
Basile è il
Poggio o
di
37);
di
Margherita di Navarra od
che è grave errore, giacché l'opera del
il
una raccolta
di fiabe.
Rosa ebbe stabile dimora
in
— Dal 1649 Roma
fino alla morte,
^
e le faccende sue in
;
questo periodo
ci
sono minutamente rivelate dal carteggio
coi Maffei, che-
il
C.
pone a profitto nella biografia. Ma, a
proposito delle relazioni tra stata fortuna che
edizione del Toci Ricciardi'^',
1
che
il
:
gli
il
Rosa
e
il
Ricciardi, sarebbe
C. avesse conosciuto in
Rime
tempo
la
nota
burlesche edite ed inedite di G. B.
avrebbe dato modo d'illustrare conve-
Adolfo Ventuui, La
r.
galleria estense
iti
Modena (Modena, To-
schi, 1882), p. 221. -
Cosi,
(II, 20) 3
esattamente nella biografia,
p.
Con prefazione
e
ma
la
lettera relativa
note di Ettore Toci (Livorno, Vigo, 1881); bel-
lissima edizione tipograficamente parlando. in fine
57:
ha, per evidente errore di stampa, la data del febbraio 1648.
(II,
p.
13B).
Il
C. la cita vina sola volta,
SALVATOR ROSA nientemente quelito amico del del Rosa
C, come ho
il
Andrea
di S.
— Intorno
detto, è in
gic'i
matrimonio e
l'atto di
Roj^a.
325
morte,
l'atto di
tratti dall'archivio
è la definitiva distruzione della
leggenda, narrata dal De Dominici, circa
be preso
il
Rosa
morte
alla
aggiungere
di
Roma.
delle Fratte in
Precipuo merito del C.
grado
la
parte che avreb-
Ma anche
alla rivoluzione di ^lasaniello.
su
questo punto occorre fare qualche avvertenza. Noto, an-
due piccole inesattezze: a
zitutto,
pescivendolo d'Amalfi, Masaniello
simo
p. 47, l'espressione
fede di nascita è stata più volte stampata) che
(la
Masaniello era napoletano e
«
d'Amalfi
vero che presso Amalfi mostrano
(è
ma
anche
al castello
di Montecristo!).
nici
E
d' If
a p.
mostra
si
4!.',
suo cognome
il
prigione del conte
la
'affermazione che
l
gnuola inferociva peggio di prima
De Dominici
»
la casa di Masaniello,
pubblicò l'opera sua, quando
«
fu publjlicata nel
»
la ;
1742,
De Domi-
il
dominazione spa-
laddove l'opera del
quando
domina-
la
zione spagnuola era finita da trentacinque anni e sotto
il
« il
:
laddove ora è notis-
»,
paterno governo del buon re Carlo
di
si
viveva
Borbone. Ma,
principalmente, bisogna avvertire che la leggenda dcdominiciana era
caduta
gi<\
discredilo insieme con tutto
in
resto dell'opera del falsario; e circa la famosa
della Morte »,
composta
«
contro
di pittori e diretta
gli
spa-
gnuoli, che Salvator Rosa avrebbe formata in Napoli, notizia decisiva, tratta dai
doro, che
Faraglia
'
il
e
C.
stampa a
riferita
esistette realmente,
1
p.
286 8
"^aW Archivio
una
«
per
le
cit.,
IX
gii'i
compagnia di
provincie
«.
Op.
era stata
indicata dal
integralmente dal De Blasiis*.
ma composta
storico
la
Giornali manoscritti del Fui-
p. 55,
poi
Apparisce da essa che
il
compagnia
(1884), pp. 153-4.
Morte
della
m.il.indrini
napoletane, n.
••
»
din-tta
\'IIÌ
SALVATOR ROSA
326 coutro
viceré e gli spagnuoli, quando la rivoluzione di
il
Masaniello era stata già del tutto sedata,
con
d'Oliate; e fu distrutta
tempo
al
del conte
carcerazioni e supplizi,
ese-
guiti nel 1651.
C, con
Il
ha
l'aiuto dell'inedito carteggio,
ogni possibilità di credenza nel racconto del
Secondo
la serie
«
durante
1647, lad-
fino a tutto
settembre del 1646, e vi
nel gennaio 1647
si
let-
mosse dalla Toscana
dimostra ch'ei non
il
il
consecutiva e non interrotta delle sue
tere ai Maffei
vata una
ormai
quale, infatti, Salvator Rosa, recatosi a Napoli
il
sulla fine del 1646, vi sarebbe restato
dove
tolto
De Dominici.
si
trovava ancora
Di quest'anno 1647 è anche conser-
».
lettera di lui,
da Firenze, con
la
data del 26
settembre. Del resto, nessuno dei primi biografi accenna,
neppure lontanamente, zionario
;
alla attività del
Rosa come rivolu-
ed egli medesimo, alludendo nella satira
dasse a quei
da lontano
fatti
La guerra
ne discorre come chi guar-
alla rivoluzione di Masaniello,
*.
Nonostante queste e altre osservazioncelle che potrei biografia del
C. contiene,
fare,
la
utili
cose; ed è peccato
come ho
detto, molte
che una certa fretta
e
l'incom-
pleta informazione bibliografica, cause della più parte degli
che
errori notati (la si
prima
si riflette
anche nell'esposizione,
vorrebbe meglio disposta ed equilibrata), abbiano
impedito che questa biografia riuscisse una compiuta
ri-
costruzione critica della vita del Rosa, attinta da tutte le fonti esistenti.
Senti
come cangiato ha
il
mio Sebeto
In Bistri beUicosi le zampegne,
Né più
si
volge
al
mar
tranquillo e cheto...
Mira l'alto ardimento, ancorché inerme!
Quante ingiustizie in un
Un
vile,
un
scalzo,
un
sol
giorno opprime
pescatore,
un verme!
(La guerra, vv.
55-57,
64-'
SALVATOR ROSA
327
II
biografìa
Alla
nuova edizione cure
il
s'accompagna, nel primo volume, una
delle satire e delle poesie del Rosa. Molte
ha speso intorno a questo
C.
intendendo a dare
testo,
(come dice) « o la lezione cortamente voluta dall'autore, o, dove manca l'autografo, la lezione più prossima » (I, p. 12G). Di quattro satire (la Musica, la Poesia, V Invidia, la Babiha ritrovato
lonia) egli
gli autografi, esistenti
quale a
Roma
presso gli eredi Rosa, e quale a Napoli. Per la Pittura e la il
Guerra,
si
un codice dell'Angelica confronto per le prime quattro
è giovato di
quale, fatto
il
(n. 2032),
satire, si
rivela più. prossimo alla lezione degli autografi.
Della settima satira esistono due autograti, l'uno posse-
duto anche dagli eredi Rosa, e
Ma con poca
nell'archivio municipale di Napoli. il
come
C. parla ripetutamente di essa
vertenza che vi premette
(p.
pervenuto di recente
l'altro
363),
comincia:
questa satira, ignota fin qui, ecc.
» ;
esattezza
inedita, e nell'av«
11
testo di
giacché egli stesso
conosce, e cita in una noterella a p. 22, l'edizione, che
ne dette in
fin
dal 187G
un opuscolo,
in
Napoli
b'ilippn
l'illustre
Palizzi
tirato a sole 110 copie, col titolo: {Salva-
tor Rosa Abbozzi di poesie; e 1^76 Cac. De Angelis e figlio |
in
fine
tipografi
nota:
la
di S.
Napoli
M.
il
AV
I
Porta Medina alla Pignasecca, 44. L'edizione
d'Italia
ri-
I
produce appunto l'autografo ora esistente municipale,
romeo
di
e, allora,
Milano; e
rendone quasi tutte Gli
di proprietà del conte Gilherlo Bor-
lo
riproduce nella sua
integrit;'i,
il
codice
dell'Angelica
sono
fondamento dell'edizione. Nelle note, sono
legate le varianti delle due edizioni a stampa, dalle
derivano
rife-
le varianti.
autografi, dunque, e
stati presi a
nell'Archivio
tutte le altre:
quella con
la
falsa
data di
re-
(juaii .\ni-
SALVATOR ROSA
328
sterdam, presso Severo Protomastix
mente del 1695, come con
che fu fatta
e l'altra del 1781,
penna cano
».
Le due
a.,
(s.
ma
probabil-
argomenti sostiene «
il
C.
i),
su di un ottimo testo a
satire, date sul codice dell'Angelica, re-
talora anche accettate
le varianti,
codice vaticano
giusti
un
nel testo, di
8880).
(n.
Questo faticoso lavoro è stato compiuto dal C. con molta diligenza, per quanto ho potuto io stesso
vedere ch'egli non ha, con esso, mantenuta vera-
è facile
mente
Ma
riscontrare.
la
promessa d'un'edizione critica delle
c'è alcuna garanzia che gli autografi e
i
Non
Satire.
manoscritti, as-
sunti a fondamento dell'edizione, serbino la lezione defini-
tivamente voluta dall'autore rezza
il
C. parla
;
e,
con troppa sicu-
forse,
varianti e delle
delle
aggiunte, che
si
leggono nelle stampe come derivanti, tutt'al più, da una redazione anteriore a quella da
lui riprodotta.
teriore? Talvolta, sarà cosi: p.
e.,
prima mi pare, in fine si
in genere, più corretto della
un buon numero
Perché an-
l'autografo della satira
di terzine,
stampa, e reca
che nella stampa non
trovano. Ma, per contrario, l'autografo della satira V In-
vìdia, oltre a
generale una lezione inferiore a
offrire in
quella delle stampe, ha in meno, rispetto a queste, tre terzine da V. 247 in poi, un'altra terzina vv. 670-2, indispensabile
anche per
le
altre sette in fine
rime, quattro terzine dopo
dopo
il
verso 996.
E
il
verso 946,
queste aggiunte
sono talmente rispondenti alla letteraria intemperanza dell'autore, che io quasi
oserei
affermare che la lezione più
copiosa debba essere quella definitivamente voluta da
1
Cfr. voi.
I,
pp. 404-5.
Il
Nicodemo, nelle sue Addizioni
al
lui.
Toppi
(Napoli, 1683, pp. 222-3), reca alcune notizie intorno a Salvator Rosa, « comeché di esso le composizioni non sieno date alle stampe, veggono nientedimeno manoscritte per le mani di molti, e il signor Antonio Magliabechi dice d'averne diverse ».
e dice: si
SALVATOR ROSA autografi, ancora
Gli
329
C,
dal
esistenti e ritrovati
pos-
sono essere di certo nn validissimo aiuto alla formazione di un'edizione critica; zione.
Il
modo
solo
ma
per sé
stessi
non danno quest'edi-
di averla è di lavorare su tutte le va-
rianti degli autografi, dei manoscritti e delle stampe, cer-
cando
un
di stabilire
mancanza
in
testo critico delle satire, da valere,
di meglio,
come
definitivo,
gione della scelta, e riferendo portanza. Per ora,
il
del
testo
dando
nota ra-
in
varianti di maggiore im-
le
C. è
ancora qualcosa
di
provvisorio, quantunque con la pubblicazione degli autografi e col diligente
base a chi voglia compiere l'opera.
lida
per l'ortografia, che
altresì
porga una
spoglio delle varianti
il
E provvisorio
ha voluto conservare
C.
tegralmente conforme all'originale, in tutta
la
ò
in-
sua barba-
scrupolo del quale non veggo
secentistica;
rie
so-
la
giusti-
un testo dei bassi
ficazione, trattandosi in questo caso di
tempi, quando le particolarità ortografiche sono notissime
per tanti documenti e presentano un interesse minimo, as-
solutamente impari alla guerra che fonno agli occhi «hi lettore.
Le
satire del
Salvini, messe
Amsterdam
Rosa furono
illustrate
a stampa la prima volta nell'edizione di Delle
(Firenze), 1770.
note
gliendo, correggendo e aggiungendo, nella sua edizione; e scelte, più o
compagnano
con ampie noie dal
altre edizioni,
come
del
valse
si
meno
Salvini, sceil
fcdiei, di
Carducci note ac-
quella stampata a Milano
Sonzogno nel 1879 e curata dal Costóro. Per l'indole della jiubblicazione del C, che si dirige agli eruditi, intendo bene ch'egli non abbia tenuto neces-
dal
sario le
ristampare
le
note del
numerosissime- allusioni
riche, delle
che a
me
quali
fa
Salvini, o rifarlr, spiegando
mitologiche, geografiche e slo-
sfoggio
il
«Rosa.
Tuttavia,
confesso
sarebbe sembrata nfcessaria una qualche
strazione a quei versi, che
contengono richiami a
illu-
fatti
e
SALVATOR ROSA
330
costumi del tempo: dell'erudito
e
che
competenza
proprio di
eh' è
fatica,
annotatori
gli
hanno per
precedenti
gran parte trascurata. Dichiaro satira
La
il
mio pensiero con qualche esempio. Nella
poesia, vv. 775-780,
dice
si
:
Miserie in ver da piagnere a siguozzi;
Ch'ai par de' banchi ornai de' saltimbanchi,
Vanta
dove
Ma
il
pergamo ancora
il
Salvini annota:
«
i
sca tozzi;
suoi
ignoranti
cioè, ecclesiastici
».
Scatozza era un tipo napoletano della commedia del-
l'arte,
intorno
nel mio
al
volume
articoletto del
quale varie notizie stt
/
trovano raccolte
si
come anche in un un poeta secentista napole-
teatri 'di Napoli,
Rocco ^ Dice
tano, Antonio Muscettola, in
una sua
Come veggiam nel largo Con qualche sgualdrinuzza
epistola:
del Castello,
infranciosata,
Cantar Scatozza ed atteggiar Covi e Ilo. Il
largo del Castello (ora piazza Municipio) era, appunto,
il
regno degli
istrioni e dei saltimbanchi.
La
Nella satira terza, i
pittura,
enumerandosi
soggetti vili e bassi, che molti pittori del
trattare,
si
menzionano
fra questi
(vv. 235-46)
tempo solevano
:
Niregnacche, Bracon, Trentapagnotte
dei quali
Bracone, che doveva essere una specie di pa-
gliaccio, è noto per la
de
li
cunti del Basile
menzione che
(«
Cortese e dello Sgruttendio.
del
satira, vv. 788-9
i
se
ne trova nel Cunto
Vracone che sàuta
»),
:
B. Choce, l teatri di Nàpoli, pp. 95, 96, 142, 779; E.
Giambattinta Basile, archivio di letteratura popolare, p. 64.
e nelle poesie
Parimente, nella stessa
a.
VI
Eocco nel (1888), n. 8,
SALVATOR ROSA non
e
Che faccin ^
Lucia
»
non
basta
li
Lucia con
la
sfessania;
(come dice un annotatore)
è
Siracusa
tire di
la
331
ma,
»,
Lucia, mar-
«
un
al pari della « sfessania »,
ballo
popolare, che ebbe un tempo molta voga e formò soggetto
una
di
bella incisione del Callot, e di versi del Del Tufo,
del Cortese, del Basile e dello Sgruttendio ^ Questi riscontri,
nei ricordi di costumi e di persone, con le opere degli
segnatamente del Basile,
dialettali napoletani, e
scrittori
non sono senza importanza, per
La parola « chiafeo », che come nella satira IV, v, 289
Ma il
perché hau de' chiaffei
Speciale
trovate,
conda.
Il
i
pidocchi
Sembran cioè,
11
«
legno
vv. 2(;5-6:
«
Fin
Ofr. la
mia
veda in questo 2
la »,
»,
i
molti
le
dell'
cui rime
si
che
è
espressione
»,
amata sua
-j
leggono
del
20B
»
in
un
ricordata
C'unto
nri
Dio fu da taluno Cliiamata
forse allude al Bracciolini,
ediz.
dei
^.
croce di
voi., p.
versi
d'argento in selva d'oro;
2121)
(n.
melenso
«
disse:
»,
l'ère
santo
legno santo
1
il
un poeta Narducci,
ms. casanatense
o
»
Rosa allude nella satira se-
ha ritrovato chi fu colui che
C.
«cantando
sciocco
meriterebbero
quali
ai
«
è, infatti,
ciltri.
illustrazione
tempo,
poeti del
il
man
le
Carducci già sospettò che fosse dialettale; ed
usato dal Basile e da
volta,
:
buon vocabolo napoletano per
e,
ciò che dirò in séguito.
Rosa usa più d'una
il
de
fi
cuntl,
(.-lu'
dà priu-
voi. J. p. 7, n. 18; e si
n.
[Nell'antologia del Guaccimansi, Raccolta di sonetti d'autori divern
ed eccellenti dell'età nostra (Ravenna, l*i23\
si
legge
il
ton Maria Narducci: Bella pidocckiosa, che comincia: d'avorio in bosco d'oro Le
l'ère
erranti cmde
si
sonetto di An•
Sembran
ricca siete... >]
fere
SALVATOR ROSA
332
cipio alla Croce riacquistata:
Sento trarmi a cantar del
«
sacro legno, Dove il figlio di Dio morte sofferse... non occorre ricordare che il legno santo {guaiacum nale)
s'adoperava per
la
cura della
Proverbiali sono ancora
a preparar metalli palla
mondo
il
»
sifìlide.
due versi:
i
e
(v. 630);
«
Sudate, o fuochi,
Ai bronzi tuoi serve
«
che
trova anche stampato
si
Ardete, o fuochi, a preparar metalli... condo non saprei dire a chi appartenga^.
1
«
Cosi in
di
636); intorno al primo dei quali, eh'
» (v.
dell'Achillini, bisogna sapere cosi:
»; e offici-
una stampa
»
^
del sonetto, in foglio volante, eh' è
Il se-
fra le
«
carte che appartennero al cardinale Sforza Pallavicino, ora conservate alla
bibl. Casanatense,
M. A. Canini,
sez.
Candelotti, 1880,
X, IV, 42
»
sonettiere italiano, raccolto
{Il
V, secentisti, cent.
I
II (sola
e
[Per altro, che la lezione
p. 71).
«
da
pubbl.), Torino,
Sudate, ecc.
»
sia
quella voluta dall'autore, risulta non solo dal trovarsi nella raccolta
ma
delle sue rime,
in cera focus ». Il
come
«
dall'annessa parafrasi latina, dove
sudate
»
una
era
si
dice:
<
sudet
calcolata stranezza del filosofo
può desumere da questa lettera dell'altro poeta-fial marchese di Villa, G. B. Manso: « Non ho fatto mala metafora, come V. S. illustrissima dice, se ho dato il sudare al fuoco. Eccomi alla difesa, se pur difesa è necessaria dove non è colpa. Il poeta è libero d'abbracciar in filosofia quelle opinioni, Achillini,
si
losofo, Griuseppe Battista, diretta
che più
gli piacciono e
conosce egli più confacevoli all'espressione del
suo pensiero, senza badar punto servirsi delle false, che
in cattedra. e secco,
Ma
E
pur
altri
alle
meno
più o
probabili.
abbiano detto, perché
vero che chi difende con Aristotile che
non può dargli
effetto di sudare.
E
chi sostiene col Telesio che sia caldo e
il
egli
Anzi può non legge
fuoco sia caldo
cosi sarà vizioso traslato.
umido può
dir eh' e' sudi
senza nota di biasimo, anzi con vantaggio di lode. Questa ultima dottrina è piaciuta a
me;
e
mi basterebbe l'animo
di farla
comparir vera,
se mestier fosse di pigliar la divisa del filosofante e lasciar quella del
poeta. '
Ha, dunque, un sonetto dell'età dell'oro assai bene cantato: » (Battista, Lettere, opera pofoco in fabricar mai spade
Non sudò
'
stuma, Bologna, 1678, pp. 89-90)]. 2 [Del resto, frasi che arieggiano quel verso s'incontrano quenti nei canzonieri del Seicento:
p.
e.,
in
fre-
un sonetto per uno che
SALVATOR ROSA
E
di chi
sono questi
stalla di stelle » (v. 276) rag-gi
il
no in
«
versi?:
altri ;
collo all'ombre » (vv. 278-9) ^?
baccalà
chiamandolo
»,
Biada d'eternità,
«
boia che tagli
«
'
333
il
«
E
Con
la
scure dei
chi converti Nettu-
dio salato
» ?
(vv. 2G3-4).
Declamando contro le produzioni sporche e oscene, il Rosa menziona « di Curzio la sordida Morneide » (o « Moneide »), che i comentatori non sanno dire che cosa sia ^. Invece, lusioni
i
seguenti (764-5) contengono più
versi
facili
al-
:
Quei che, premendo di Saffone i calli, Scrivono la Vendemmia e la Merdeide; trattandosi del Vendemmiatoì-e del Tansillo, e dell'opuscolo attribuito a
La
Tommaso
Stigliani e che porta questo titolo
:
merdeide, stanze in lode degli stronzi della real villa di
Madrid
Nicola Bobadilla
del signor
coda alla Mari-
(in
neide e Murtoleide, Spira, 1621). Soltanto di quel Saffone
(che
le
varianti leggono saffare, zaffare, zaffate) non
tendo l'allusione
giocava alla palla:
«
Scoter godeva in quella palla
il
mondo
Zazzaroni, Giardino di poesie (Verona, Merlo, 1641), parte 1
in-
*.
»
II,
:
Paolo
p. 32].
[Questo è di Giuseppe Salomoni, Rime (Bologna, appresso
gli
eredi del Bozza, 1647), p. 415, nel sonetto: Stato umano, nel quale Dio,
guidando l'uomo come un cavaliere fin
sue voglie ancelle
E
corre seco
il
al
cavallo: «Se poi gli scopre al
ciel, gli
dà
pietoso,
Biada d'eter-
nità, stalle di stelle •]. 2
si
[Intorno a questa metafora, già derisa dal Tassoni e dallo Strada,
veda Belloni, 3
sareo \Giorn. il
Il Seicento, p. 87].
[E un'opera dell'umanista Lancino Curzio,
Pèrcopo,
si
stor. d.
lelt.
ital.,
XXII,
p.
186); o,
come sospetta il Cecome mi suggerisce
allude a qualcuna delie oscene composizioni del fioren-
tino Curzio da Marignolle (1563-1(3(36)?: a proposito delle quali introd. alle
Rime
varie di Curzio
si
veda
da Makionolle, raccolte da C. Arlia
(Bologna, Pvomagnoli, 1885)]. *
[Che
si
alluda a Saffo, come
passato anche a
me
per la mente
;
il
C. vuole, potrà ben essere ed era
ma mi
parve da scartare sia por
la
SALVATOR ROSA
334
Meritano altresì illustrazione, per i
luoghi delle satire dove
«
virtù
(I, i
e « virtuosi
»
»,
si
la storia del
costume,
ricordano l'uso delle parole
applicate al canto e alle cantatrici
donne romane (103-105), cominciò la voga (205-207, 301,
100-102), l'arte del canto delle
castrati, dei quali allora
mode
oOo, ecc.), l'introduzione delle l'uso dei guardinfanti (439-41),
mento
allora
della famiglia
i
francesi (IV, 105-6),
nani, necessario compi-
signorile
(385-399);
nonché,
nella satira sesta (172 sgg.), l'importantissima descrizione satirica della nobiltà napoletana, che si potrebbe confron-
con
tare, per contrasto,
che
Lodi della nobiltà napoletana,
testo delle altre poesie
dell'edizione del
quello
altri
tempo.
libri del Il
le
trovano nel Forestiero del Capaccio e in tanti
si
del
Rosa
differisce
poco da
Carducci, salvoché fu ricollazio-
nato col testo di alcune di esse, serbatoci dal Burney, e
con qualche codice: inoltre, furono aggiunti un sonetto ine-
dubbia autenticità (pp. 138-9). primo volume (pp. 404, 407), si dà
dito (p. 141) e un'ode di
In un'appendice
al
abbastanza
un saggio
di bibliografia delle poesie del Rosa,
pieno;
quale tuttavia possono farsi alcune giunterelle,
al
come quella
dell'edizione del Rosa eh' è nella Raccolta dei
poeti satirici italiani (Torino, 1853, II, pp. 301-489), e l'edi-
zione di Milano, Sonzogno, 1879,
e, infine,
questa, che
non
so se sia edizione del testo originale o traduzione tedesca S. Rosa,
:
Die Dichtkunst, mit einer Biographie des Kunstlers
(Gottingen, 1785, hg. von Fiorillo). Il
quale,
secondo volume contiene l'epistolario del Rosa. Del
come
scrittore di prosa, ossia di lettere familiari,
discorse già la Morgan, che dichiarava che anche in questo
forma insueta del nome,
sia per
lo
strano ravvicinamento tra
tismo passionale di Saffo e l'oscenità del Vendemmiatore o della Merdeide],
l'ero-
la sudiceria
SALVATOR ROSA aveva superato
egli
and
english U'hich
suo secolo:
il
Therc
«
manner of
nafitral in his
can only he estimated
with the
335
hi/
ivretched prose-style
those
of
tliat
/.s
a soinethin;/
expressing liimself,
acquainted
are
ìcho
day in
comparing his cpistolary correspondance with
Italy, or hy the letters e.v-
tant of Nicholas Poussin, Lanfranco, Domenichino,
E non
può negare che qualcosa
si
di vero
eie. »
',
questo
sia in
elogio. A ogni modo, le lettere del Rosa costituiscono, come abbiamo già osservato, un curioso documento biografico. So-
lamente (li
potrebbe discutere se francasse davvero
si
spesa
la
pubblicarle tutte, quando forse bastava (per giusto os-
sequio verso quella virtù della sobrietà, che un erudito deve
possedere se vuole essere sopportato) spogliarle accurata-
mente per
biografia e
la
formata l'ortografia.
Come
si
le
giA
saranno
lettori
ne abbia scovato
come me,
forse, gli
autografi
contenti che
cordare, qua e
là,
cipali, delle quali
ri-
C.
il
le
quali
le
non
!
Circa l'opera pittorica del Rosa,
in
avvertenze,
fatte
leggono più agevolmente
ripubblicate sull'edizione del Bottari, per
lettere i
dare un saggio delle più note-
ogni caso, avrei, per
voli. In
il
C.
si
restringe a
ri-
nel corso della biografia, le opere prin-
parlano
gli antichi Inografi, e a
relazione con notizie contenute nelle lettere;
lascia quasi del tutto di
darne
la descrizione, alla
metterle
ma
tra-
quale
la
^lorgan aveva pur rivolto qualche cura. La ]\Iorgan stessa
secondo volume della sua opera (pp. 2(>9-28«») un catalogo delle opere del Rosa, « cìiie/ìy formed frani thr collation of di/ferent avtlioritios », il quale < can he consìaggiunse
dered
al
only
logo, che tutte,
as
a groiindicork for
comprende,
in
nel 1824, a signori
f>itnri>
inr/niry
inglesi
;
e, in
secondo luogo,
opere esistenti nelle collezioni, pubbliche e private,
1
Op.
cit.,
II,
p. 161.
Cata-
».
prima, 113 pitture, apparlcnciiti
W
di Pio-
336
SALVATOR ROSA
trobur^o, Bruxelles,
Parlgù,
renze, Genova, Napoli,
Kiel,
acqueforti (etchings) del Rosa
^
e, in
(engravings), sia delle opere di
secondo
Eoma,
Dusseldorf,
Segue un catalogo
Milano.
lui,
Fi-
delle
ultimo, delle incisioni sia di quelle
eseguite
sua maniera.
la
Tutto ciò è soltanto un fondamento, come stessa riconosceva,
raccolta di
per
un'ulteriore ricerca;
la Morgan una prima
da sottomettere ad attenta revisione.
notizie,
Salvator Rosa ebbe scolari e imitatori (Fidenza, Magnasco, ecc.), le cui
Un
opere
scambiavano talvolta con
si
le
sue
^.
catalogo critico dovrebbe indicare:
Le opere che, per documenti e testimonianze anticome di Salvator Rosa, e dove esse ora si
1"
che, risultino
trovino. Tali, per esempio,
il
Tizio,
dipinto a
Roma
nel
1638, e ora nella galleria Corsini; la Congiura di Catilìna del 1663, ora a palazzo Pitti (ripetizione in casa Martelli); la
grande Battaglia, dipinta nel 1652 per monsignor Corsini,
e che ora è
di
Louvre
al
344);
(n.
V Apparizione dell'ombra
Samuele a Sanile, dipinta nel 1669, che
museo
stesso
(n. 343); la
Liberazione dei santi
miano, dipinta nel 1669 per Fiorentini a
Roma, dove
si
la chiesa di
vede ancora;
serba nello
si
Cosma
e
Da-
San Giovanni dei il
Purgatorio, ora
nella galleria di Brera; e via dicendo. 2°
Le opere,
scritti,
ma
delle quali ci resta notizia nei
che sono ora perdute, o delle quali s'ignora
luogo dove presentemente
V Umana
pio,
documenti
fragilità, o
il
si
trovino.
il
mo' d'esem-
Cosi, a
famoso Sasso, che pare esistesse
ancora a Napoli nel Settecento.
<
Delle acqueforti del
Bosa dà anche un catalogo
il
Baktsch nel-
l'opera Le peintre gravew, riprodotto nell'edizione della Vita di S. E. del Baldinucci, a 2
al
Intorno
al
cura del Gamba, pp. 155160. primo,
cfr.
Morgan,
op. cit., II, p. 153 h.; e intorno
secondo, Lanzi, Storia pittorica (Milano, 1831), pp. 390, 479.
SALVATOR ROSA
Le opere, finalmente, che
3"
possono attribuin-
si
nome
Rosa, o che siano firmate col suo
buone congetture
o che per
3:-57
al
e monogi'amnia,
risultino sue.
Lavoro, senza dubbio, arido e non
ma
facile,
indispen-
sabile, che
dovrebbe essere accompagnato da accurate de-
scrizioni ^
Il
non l'ha compiuto,
C.
e,
per essere giusti,
non pare che abbia avuto neppure l'intenzione Non
1
tezza
è qui
luogo, e
il
non ho l'agio d'indicare con qualche
ma
solo
mi
permesso
sia
gativi) alcuni appunti, presi
n. 342,
il
da cataloghi
U Angelo
lery di Londra,
il
e
n. 84,
Tobia] e
oltre
e il boscaiuolo, e
Prado di Madrid, n. 356, Vista del dubbia autenticità). Nell'Alte Pinakotek
con figure. Al lerno (di
Gli uomini di Gedeone che n. 1244, Paesaggio.
e 34-1 già indi-
345, Paesaggio. Alla National Gal-
il
Mercurio
m'è capitato
di musei, che
numeri 343
i
al
punti interro-
di copiare (con sottintesi
Al museo del Louvre,
di visitare.
ste/lo,
esat-
quadri che, nei principali musei d'Europa, sono attribuiti
i
Rosa;
cati,
di tentarlo.
si dissetano,
il
n. 1206, t'aesnggio
golfo e città di Sadi
Monaco,
n. 1242,
n. 1243, Costa rocciosa con un ca-
Nel Belvedere
di
Vienna,
piano, 3.* sala,
l.o
n. 36, S. Guglielmo nel deserto, nn. 56-59, Battaglie; 7.^ sala, n. 38, Guer-
riero che
s^
appoggia alla spada; pianterreno, 4." sala, n.
Weber
taglia di cavalleria. Nella Gralleria
Abele (cfr. Arch. stor. deWarte, 1891,
zione
91).
Bernard, n. 133, Paesaggio (firmato
Paesaggio (firmato col di
p.
musei
nome
intero). Tralascio gli
pelli, si
marchese
il
stiglione,
appunti da cataloghi
italiani; e solo voglio notare che di molte opere del
private di Napoli, presso
esistenti anni sono nelle collezioni
tangelo,
80, Granile bat-
Amburgo, L^uccitiune tli Nel Museo di Lione, collecol monogramma), n. 37,
di
il
di Sitizano,
principe d'Angri,
il
duca
il
Casarano,
di
principe del Cassaro,
trova menzione in Napoli
e sue
la il
Ri'sn, il
San-
famiglia Po-
marchese Cap-
vicinanze (Napoli, 1845),
guida
pubblicata in occasione del congresso degli scienziati, voi. 11, pp. 324, 325, 328, 330, 331, .332, 336. Una nota manoscritta all'esemplare dell'opera della
Morgan, del quale mi servo, avverte:
•
/.«
Morgnn,
with his usuai uncorrectness, omits noticing the magm/ìrent pictun/ of S. R. in possession
of the prince Stigliano Colonna
•.
Nel Museo civico Filan-
da poco fondato, n. 1491, Le vedette. Sullo opere attribuite al Rosa, che apparvero nell'esposizione retrospettiva napoletana dnlgieri,
l'anno 1876,
cfr. C.
T. Dalbono, Ritorni suWnrte antica napoletana (Na-
poli, tip. dei classici italiani,
1878), pp. 56-60.
SALVATOR ROSA
338
III
Ma, passando dai lavori puramente preparatori
alla trat-
tazione vera e propria di quel che fu Salvator Rosa nella
questo dobbiamo riporre la princi-
vita e nelle opere, in
esaminiamo.
Il
nale della biografìa, intitolato Salvator Uosa
(I,
pale
lacuna
sembra povero
che
lavoro
del
di
capitolo
fi-
pp. 108-122),
contenuto, perfino in confronto alla breve
caratteristica del Rosa, che forma l'ultimo paragrafo dello scritto citato del Carducci.
Incerto, poco elaborato è
il
mocome quella a
giudizio sul carattere
rale del Rosa, che oscilla tra osservazioni
Siamo schietti: Salvator Rosa ebbe ingegno meraviglioso, ma non molto cuore; ebbe più viva ove
p. 70,
si
dice:
«
che diritto
e volulìile la fantasia
E non
egli
apostoli,
i
profondo
e
sicuramente era della
ribelli e gli eroi », e la
stoffa,
il
onde
conclusione
sentimento.
fanno
si
finale,
dopo aver lodato con gran calore l'elevatezza morale Salvatore,
il
C. afferma:
secolo, vivendo,
«
da meritare
grande e bizzarro napoletano
e
la
che
gli
fece
servitù presso
».
Ne
di
sempre disdegnare i
stare
«
accanto
i
principi; l'affetto
legami delle corti vivace verso i
ma non
memoria
»;
gli
parenti:
poca carità del natio loco, tanto che Napoli era per odioso oggetto della sua
al
nota, con altri, l'animo
amici, non accompagnato da eguale affetto verso la
di
Io credo che pochi uomini di quel
dipingendo e scrivendo, mostrassero tanta
severa onestà d' ideali
libero,
gli
dove,
lui
l'indole impetuosa^
tenace; e cosi via.
Certamente, come ho già osservato
in principio, la
parte
più attraente della figura di Salvator Rosa ò sparita, da
che è stata sfatata patriottica, foggiata
Morgan.
«
la
leggenda guerresco-rivoluzionario-
dal
De Dominici ed elaborata
I vas infuenced in
my
dalla
prefere7ice (scrive quest'ul-
SALVATOR ROSA tima nella prefazione della sua opera)
339 rnoì-e
hy the peculiar
man, than the ej^traordhiary merits of the I estimed stili more highly the qualities of the ita-
character of the artist
lian patriot, who, stepping holdly in advance of a degraded in
age, siood
the
foreground of his times,
like
one of his
and graceful fìgures, ichen ali around him iras timid mannerism and grovelling suhserviency ». Il patriotta
orcn spirited
Rosa, stava, secondo arti.st,
and
lei. «
between Michael Angelo, the patriot
Filicaia, the poef
of liberty
>
!
E
tale interpreta-
zione storica veniva, in qualche modo, messa in relazione
contemporaneo movimento liberale italiano, al quale Morgan partecipava con tutta l'anima. Il che appare anche più chiaramente da un altro luogo (II, pp. 177-8) col la
:
«
His politicai oplnions,
to the
his philosophy, his taste, ali belongs
present times, as they icere splendid exceptions
tameness,
ignorance
ichich he flourished;
to the
and literary degradation of those in and did he now live to illustrate Italy
and her troubled daivn of regeneration icith his powerful and brilliant talents, it may he presumed that the cause which led him to abandon the painted galleries of Rome for the murky toiver of Masaniello, icould stili more have directed his pendi and guided his pen in favour of that liberty, uliicli, like a pure and persecuted religioìi, has been miraculously preserved by some few tcarm and zealous worshippers, even in a regina ichere every institute has long been, and stili is, armed against
its
existence.
Tutto ciò è sfumato; parte
il
ma
valore dell'artista')
» '.
la figura di
Salvator Rosa (da
rimane pur sempre caratterid'ingegno
stica e simpatica, cosi per le svariate attitudini
che
egli
1
ebbe, come per alcune disposizioni d'animo, di
Giova ricordare, a proposito
della concezione patriottica che si
ebbe del Rosa, un saggio di Luigi la Vista renze, 1863, pp. 274-281).
(in
Memorie
e
tcrUU, Fi-
SALVATOR ROSA
340
La sua
certo non comuni.
poranei tra
gli
ma non
;
è
versatilità maravigliò contemveramente un'apparizione rara, specie
paesi
nei
artisti e
i
meridionali:
egli
pittore, egli
poeta, egli autore e attore di drammi, egli macchinista e
decoratore teatrale, egli compositore di musica e suonatore di più strumenti. Della
primo, e ne dette saggi,
seguendo
musica
musica di Salvator Rosa discorse il
Burney, e dipoi
la
Burney, riprodusse anche due
il
di lui
e sento dire che tra
' ;
Morgan, che,
arie, parole e
breve ne tratterà di
proposito un noto maestro napoletano, mettendone in mostra
alcune curiose particolarità tecniche
-.
Nessuno penserà a fare di Salvator Rosa un austero di virtù, uno di quegli uomini alla Kant, pei quali
seguace
la vita è
compito morale. Era una natura ricca ed esube-
rante, pronta agli scatti e all'entusiasmo; entusiasmo e vi-
vacità che metteva d'ordinario in cose alte e nobili, è provato dalle satire, dalle lettere, e
Insiste sopra
delle quali
i
gusti suoi
non
E
del
si
da tutta
la
come
sua vita.
semplici e modesti, con parole
può disconoscere
mio genio ogni cura
la sincerità: e diletto
Seguir l'orme dei pochi; e solo studio Che mi si legga in volto il cor ch'ho in petto.
La
Bah.. 259-61.
La state all' ombra e il pigro verno al Tra modesti disii, l'anno mi vede Finger per gloria e poetar per gioco. La Op.
[Nicola d'Arienzo,
cista e lo stile
f.
il
Ili,
quale, infatti, pubblicò poi, nella Rivista mu-
un
articolo, col
monadico da camera.
facsimile di
Rosa musi-
per notare che la
Giacomo nel suo: Piedigrotta Rosa senza fondamento alcuno, vecchia stampa, nel quale è presentata, è una scherS. di
for-ever (Napoli, 1901), è attribuita al il
titolo: Salvator
— Colgo l'occasione
canzonetta Michelammà, inserita da che
130-2.
cit., II, 226-7.
1
2
sicale italiana, a. I,
e
più.,
foco,
zosa invenzione dello stesso Di Giacomol.
SALVATOR ROSA E quando
Un
il
341
sonno agli occhi miei s'attacca,
dolce oblio, santo Morfeo, mi presta...
La
mus.. 361-2.
Cosi, scorrendo la sua vita per sentieri tranquilli, s«'nza
complicazioni che, mettendo gli uomini a grandi
quelle
prove,
rendono nobili o
li
eroi o malvagi, egli poteva,
vili,
con animo scevro, guardare
faccende del mondo, e
alle
scaldarsi di entusiasmo pel bene, d'indignazione pel male.
Contro
principi del suo tempo, e
i
loro
i
nella frase
mal go-
vizi e
verno, inveiva con efficacia di sentimento, che
si
mostra
:
Quel popolo eh' a voi giurò la fede Per le vie seminudo ed a migliaia, Mendicando la vita, andar si vede; E pur gettate l'oro...
La
Han
E
lo
le
gabelle omai sino
i
mi<s., 376-9.
postriboli;
spolpato mondo, ancorché oppresso,
Per sollevarsi un
po',
sprezza
La
patiboli.
i
fjwrra, 73-5.
E, in vece d'un castrato ingordo e Tenete un rusignol che nulla chiede, E forse i canti suoi son inni a Dio!
mus., 373-5.
L'I
Sincero ò l'oscenitA,
suo sdegno contro
il
la
mollezza, la corruttela,
che a una tempra sana
e
virile
ripugnavano vivamente. Le sue parole nei fatti, perché
pochi; e se gli è alla
le
come
la
sua
trovano riscontro
Salvator Rosa fu -pittore castigato come
sue satire sono piene di
maniera
non avevano
rio,
di
«luei santi
frasi
grossolane,
e di quei predicatori
peli sulla lingua; onde non
si
che
vede chiara
la
ragione per la quale furono messe all'Indice.
Non
voglio negare che a questi sentimenti
sinceri
mescolasse qualche cosa di esagerato, di teatrale,
la
si
fan-
SALVATOR ROSA
342
faronnade meridionale;
ma
l'uomo
una strana mescolanza
ò
bugia e spesso d'illusione interna; e
di verità e di
la parte
dell'esagerazione non distrugge quella delia sincerità. Affettuoso, insieme, ed esagerato
si
gli amici, circa le quali le lettere
nianze. Rimprovera uno di
essi,
mostra nelle relazioni con
porgono curiose testimo-
perché, essendo un altro e
comune amico infermo, non ne abbia domandato notizia, dando prova di poca sollecitudine « Per amor di Dio, Giulio mio caro, non siate freddo in siffatte dimostrazioni :
d'affetto, a ciò l'amico
conosca che la generosità nel vo-
sempre viva
stro core è
e
ben radicata, e che da voi
agli
v'è qualche differenza. Basta, è una gran fortuna in un core come il nostro l'incontrarsi in occasioni di beneficare. Però non mancate di farlo con mostrarne zelo straaltri
ordinario i
Ad
^
»
suoi danari,
continuamente
altri offre
quando ne ha:
«
la
sua opera e
In ogni caso, Ricciardi mio,
son qui per voi, e vi giuro che, mentre avrò un giulio, sarà
mezzo vostro
alla
disgrazia. Adesso ne incachiamo
però state allegro e ridete in faccia
:
Cresi e
i
i
Cecili;
tanto basta, essendo in anima e in corpo tutto vostro
E «
allo
stesso,
per una briga che aveva
Vedi, Ricciardi
:
se la
nostra contesa
materie letterarie, facilmente
ti
avuto con
e
» ^.
lui
:
restringesse in
si
cederei; ma, trattandosi di
volermi tacciare di poco grato e d'uomo d'animo misurato nella corrispondenza,
ti
mostrerò sempre
i
denti, se
non
per morderti, almeno per difendermi, e mi sarà facilissimo il
provarti
il
nosciuto, se
Come l'affetto
poi
contrario, essendo oggimai bastantemente co-
non da si
voi, dal resto di tutto
il
mondo
» ^.
conciliassero l'austerità della sua morale e
vivissimo per
gli
amici con
la
sua vita domestica.
1
Lett. a Giulio Maffei, 24 die. 1651 (voi.
II,
•
Lett. a G. B. E.icciarcU, 17 agosto 1652
(II,
3
Allo stesso, 4 giugno 1664
(II,
p. 123).
p. 90). p.
97).
SALVATOR ROSA e,
343
specialmente, con la durezza di cuore, da
verso
tìgli
i
che
gli
lui
mostrata
partoriva la signora Lucrezia, e
clic
(non dissimile in questo da Giangiacomo Koiisseau) mandò quasi tutti
ai trovatelli,
è diftìcile dire.
Ma
può, forse,
si
sciogliere la difficolti^, attribuendo questa parte riprovevole
della sua vita e del suo carattere, più che ad altro, a
una
certa rozzezza di costumi solita a quei tempi e nelhi vita
bohémienne degli la
artisti.
La
mancanza
stessa
pudore con
di
quale parla della sua donna e del destino dei suoi
è, fino
tìgli,
a un certo punto, la sua scusa.
IV Di Salvator Rosa come artista, 117) che
anteponeva
il
(I,
pp.
112-
disegno e ammirava
colore al
il
C. nota
i
veneziani e Paolo Veronese. Nei pittori voleva erudizione e scienza; non tollerava in breve,
ripete
un
i
le
nudità e
A
suoi principi di arte.
bel
paragone del Lanzi
paesista, e gli altri
circa quel tempo,
due grandi il
Lorenese
le
oscenità. Questi,
proposito delle opero,
Rosa come
tra Salvator
paesisti e
die vissero
in
Roma,
Poussin (che erronea-
il
mente il C. chiama « Nicola », essendo invece « Gaspare » '). Ben caratterizzato, del resto, d Rosa cosi nel paesaggio, come nelle battaglie e
il
paesista
il
fare del
nei ()uadri
di figura.
Sarebbe stato opportuno, cogliere
fama
i
giudizi dati
di lui,
movendo
un'opera come questa,
dalle pagine
poraneo Antonio Abati
'
in
sul Rosa, e tentare
".
Roma
il
Voi. II, pp. 119-155.
riferisce
U'A'd,
dal suo maestro e cognato Nicola Poussin. 2
rai--
dell.i
ammirative del contem-
La Morgan
Gaspare Doughet, nato a
la storia
fu
i-tt'
i
giu
SALVATOR ROSA
344
Giosuè Reynolds e del De Non Milizia,
al
qualche lode come paesista, Egli
in bestia.
storia.
si
trascura quello del
deva saperne più
e
una
Merita
«
lode lo faceva andare
tal
credeva glorioso nel gran genere della
E come aveva da
diare né l'antico, né
la
ma
^;
molto originale e individuale:
solito
il
esserlo senza aver voluto
moderno, né
di tutti
mai
stu-
natura? Egli cre-
la
maestri suoi antecessori. Tutta
i
sua scienza era in bizzarrie e
in capricci.
E un
barbaro
che stupefa colla sua fierezza. Qualche cosa di agresto do-
mina sempre
qualche parte delle sue opere. Non aveva
in
modello che sé stesso: avanti ad uno specchio
altro
si
met-
teva nelle attitudini che avea da rappresentare. Per dare sveltezza alle sue figure, le faceva gigantesche; Si piccava
di correzione, fuoco.
della
e,
invece
maggior prestezza,
un quadro in un giorno; e allora ne giubilava; doveva rattristarsi, se avesse avuto il senso co-
fino a fare e allora
mune. Bisbetico condotta
civile....
in
pari
pittura, del
bisbetico nella sua
» ".
Temperato ed esatto è quello del Lanzi, che istituisce, come si è detto, un paragone tra il Rosa, Claudio e il Poussin: il primo d^ quali « ammirò la natura in convulsione e nell'aspetto più terribile e
Poussin
il
«
pomposa
secondo
», il «
».
il
che
facesse
si
fosco e
il
una massima
il
zione conserva nelle marine. gradito
per
la
1
Op.
'
Milizia, Dizionario delle
p. 160.
cit., II,
per
di ritrarli
men vago
descrizione dei paesaggi del Rosa
è
nelle grandi storie
naturale del caposcuola, cosi nei paesi par
piuttosto di scerre in essi
nuovo
la ritrasse ridente »,
come
pote, per cosi dire, del Caravaggio,
imitò
«
Scolar dello Spagnoletto e ni-
E
:
».
lo
più senza scelta
Segue una vivace
Simil gusto a propor-
«
tuttavia
il
suo
stile affatto
sua stessa orridezza, non altra-
pp. 157-8. belle arti del
disegno (Bassano, 1797), II,
SALVATOR ROSA
345
niente di quel che piaccia al palato l'austero nei vini.
poco contribuiscono a farlo accetto ha inseriti quasiché
Né
piccole figurine de'
quei soldati specialmente, ch'egli
de' marinai, e
pastori,
le
in tutti
paesi; criticato
i
gic'i
dai suoi
emoli, perché ripeteva continuamente le stesse idee, e quasi
copiava sé
Dopo
stesso....
'.
»
essere stato in grande voga nella prima mola de)
secolo decimonono, specialmente in Inghilterra, tanto che la
sua opera passò, per gran parte, nelle collezioni inglesi
(voga connessa col predominio del romanticismo e aiutata dall'aureola
aggiunta
timi tempi la
mostra
gli si
Inghilterra,
fama
Fainters, parla
agony of lohich
and
ning
»,
della
the loicest
«
della
critica d'arte in
delle
thief-bred
«
caricaturi/
and bru-
and
biitcìicrcd
hriital ferocità
and
least palliated
examples are
uhich none bvt a
of Salvator Rosa,
battles
tltose
seboni
massimo
Ruskin, che, in vari punti della sua cek-V»re
of Salvator
talities
Rosa è andata declinando. Avverso
del
pontefice
il
il
Modem
opera
che storici e romanzieri avevano
fantastica
alla reale della figura del loro autore), negli ul-
man
ba-
could bave conceived witìiout sicke-
» -.
Lo
studio
più acuto e completo, ch'io conosca finora,
un
dell'arte di Salvator Rosa, fu tatto da Antonio Tari in
suo saggio pubblicato
colto in un
la
ma
cisamente quando,
prima
volta,
credo tra
volume postumo
nel
il
non saprei dire pre1850 e ISGO. e
188G ^
Movendo da
giusta determinazione del periodo artistico
Rosa,
come quello
in
racun.i
cui visse
il
nel quale, disseccate le f«»nti di vt-ra ispi-
razione, la semplicità e la grandiosità, aspirazioni di due
l-p.
1
Lanzi, Storia pittorica, ed.
!
J.
RusKiN, 3/odempa/w/era
112-b, 208, 327 3
Saggi di
:
parte
critica di
II,
cit.,
pp. 20G-8.
(4.* ediz.,
Londra,
1"'"
-' "
•
—
••
'
p. 91.
Antonio Taki Trani, Vecchi,
ibbt,.,
yy. Ji^ X'T
SALVATOR ROSA
346
scuole opposte, erano entrambe
artificiali,
Tari riconnette
il
u questa condizione di cose l'arte del Rosa. Dotato di vero genio pittorico, pili
Rosa
il
«
salvò
si
dal
comune
naufragio,
per istintiva aderenza alle immutabili forme del bello,
che per alcuna metodica elezione di esso. E' rasentò dell'errore, e tanto
accostò a quello
si
le sirti
ricercato acu-
stile
leato in certa guisa, che dipoi prevalse tra noi, che, po-
trebbesi asserire, nelle sue opere più apparentemente irreprensibili, scorgesi
già l'embrione del Giordano, siccome,
un secolo innanzi,
sotto
concetti del
fungo del Marino
il
incompleta educazione artistica,
poca correttezza dei nudi,
«
la
delle carnagioni,
una parola,
in
Ebbe
».
che è da attribuire
al
la pallidezza
sempre rimproverate;
stategli
dei
alla -tuberosità
Tasso scorgesi a vegetare
la spropor-
zione perenne che fu in lui tra la grandezza delle idee e
l'impacciata esecuzione ritano sono
i
quadri
forma largo compenso storica. Tuttavia,
pregiati
dove
Rosa è principalmente
il
marine
vedute, come
i
e dei paesi.
ordinari:
paesisti
schiera, sol
quanto me-
di
pochi
ai
difetti
tecnici
rappresentazione viva dell'azione
la
battaglie, delle
comune
Meno
».
storici,
il
pittore delle
Paesista,
non dipinse
il
quando non copia
Rosa le
esce dalla
«
apparenze,
ma
divina l'anima della natura; simile a quel giovane greco
che ritraeva
sua bella assai meglio de' suoi
rivali, solo
perché ritraevala innamorata, siccome eragli
incontrato
di vederla
».
subordinando
cando
le
la
Introdusse la
prima
figura nel paesaggio,
la
al
secondo o all'inverso,
due rappresentazioni
:
«
collocando
non già
ma il
unifi-
centro
dell'interesse fuori del quadro, in un'idea che in sé rac-
colga
i
rapporti dell'universo con l'uomo, e di questo con
quello, dell'azione e sia
con
moti diversi ed eguali zione,
la
come una diagonale il
paragone tra
».
la
scena dell'azione, e viceversa, artistica in cui Il
Tari
rifa,
si
risolvano due
con molta penetra-
maniera del Rosa, come paesista,
SALVATOR ROSA e quella
Lorena;
di Claudio di
;U7
dh una giusta spiega-
e
zione psicologica della monotonia di argomenti, della quale il
Rosa soleva essere accusato, rispetto
alla varietà sceno-
grafica del Lorenese, grande raccoglitore ed espositore di
cose belle.
Ma
lo studio del Tari,
non basta a soddisfare sull'arte di Salvatore.
tunque si
fatti
il
E
degno del
che
filosofo
lo
dettava,
un lavoro completo
desiderio di
troppo brevi e incidentali, quan-
con sicura mano, sono
gli
accenni
che
critici
leggono intorno a questa nel Cicerone del Burckhardt
'.
In generale, l'arte italiana della cosi detta decadenza non è
argomento prediletto degli studiosi moderni, storia di essa, nel
suo complesso,
albi
migliore trattazione
la
sempre quella del Lanzi; senza parlare
resta
e intorno
delle poche
succose pagine dell'opera ora citata del Burckhardt
'.
ma
Biso-
gnerebbe studiare con acutezza le derivazioni dell'arte del Rosa; la genesi del paesaggio moderno, che, cominciato nella scuola bolognese,
mano
si
svolse nell'ambiente artistico ro-
piima metà del Seicento,
della
tutto indipendente dal
in
modo
quasi del
contemporaneo svolgersi dello
genere nella pittura olandese;
stesso
la connessione dell'arte del
Rosa con quella dei suoi contemporanei, coi quali aveva qualche affinità, come il Tempesta, pittore di marine, e Michelangelo delle Battaglie
ebbe
di
sua sulla pittura seguente;
Augusto,
Giovanni
il
Montanini,
il
i
al
Borgognone;
il
e
suoi scolari, quali i
l'art antique et
l'i-llicacia il
ligliuolo
suoi iniilatori,
Magnasco,
cavalier Fidenza, che
Le Cicerone, guide de
ciò ch'egli
individuale;
Torregiani;
Grisoltì, Alessantlro
giù giù fino
1
e
propriamente originale
e fu
l'
quegli
de l'art moderne
che più
Italie.
valgo della trad. francese, testé pubblicata, del secondo vuluiip'
Firmin Didot, *
1892;, pp. 790, 79.S, 803, 817, 819, 8-20, »J-1.
Cfr. pp. 779 Sfjg.,
La
peinture moderne.
(jUJiii
inglese Cook,
!'
Mi
SALVATOR ROSA
848
davviciuo imitò
cio
Rosa nelle buono come nelle cattive
il
E ne verrebbe
fuori un bel libro, che io mi piacimmaginare accompagnato da quelle numerose ri-
qualità. d'
produzioni fototipiche ed eliotipiche, che odierni rendono
mezzi tecnici
i
facili.
Né, infine, contenta la rapida trattazione (pp. 118-121) il C. consacra al Rosa, poeta. Le satire sono state, su
che
per giù,
modo
Seicento, giudicate da tutti allo stesso
dal
fin
Severo giudizio ne pro-
e con sufficiente esattezza.
nunzia
Quadrio:
il
a molte altre interiori,
;
ma
«
Sono
perché ancor
giudizio unilaterale, quel
che
Pallavicino
citata edizione
e
ne dissero, il
ai
Baldinucci
il
Giusti e
il
Carducci.
nulla a questo giudizio comune,
ha stimato che
fosse
«
il
di dette
tempi
e,
Il
C.
stessi
confronta, su
per giù, con quel che ne hanno detto, in migliore
tempi recenti,
bellezze
son barbare...
stile
\ Ma, lasciando da parte questo
satire è dalla Chiesa vietata
»
il
la
di lega inferiore
mancano molte
lor
lingua e
di
Bisogna anche avvertire che
dell'autore,
ma
sei (satire),
non pure perclié
stile, in
non aggiunge
ripeto, esatto. Egli
non
caso di fare un'analisi particola-
reggiata delle satire di Salvator Rosa
» (p.
119); che era,
invece, appunto quello che ci voleva, per uscire finalmente dalle generali.
Circa
afferma
:
i
«
modelli che
La
il
Rosa potè avere coll'occhio,
satira di Salvator
da quella dell'Ariosto, vale a
il
C.
Rosa procede direttamente
dire, eh' è fatta sul
modello
latino principalmente d'Orazio ». Ma, lasciando stare l'Ariosto
gan
che non c'entra, :
i
«
WWì more
Quadrio, Storia
io
affermerei più volentieri colla Mor-
of Juvenal tlian Horace (though he imita-
e
ragione d^ogni poesia,
II,
parte
I,
pp. 547-8.
SALVATOR ROSA
349
ted both) in the character of his genius, he occasionally
ili-
much of
ìiir,
splay s, loith coarse7iess »
strength
tlie *.
of the
fonner, too
Del resto, queste imitazioni lontane e gene-
riche della satira italiana dalla latina, sono cosa ovvia,
da non fermarcisi troppo
avrebbe avuto un confronto delle
su.
molto
Maggiore interesse
satire del
Rosa con quelle
degli altri satirici contemporanei o di poco posteriori, quali l'Abati, utilità
il
Soldani,
il
.Manzini.
l'Adimari.
Ma
grande
di
sarebbe riuscito, sopratutto, un confronto con
quattro satire napoletane o egloghe, contenute nel de
cunti, e con le
li
Muse napolitane
le
Citìito
del Basile.
Sappiamo già che il Rosa predilegeva queste opere, e abbiamo visto come vari nomi di persone e di cose, ricordati dal Basile, si ritrovino nelle sue satire. Ma, qua e là, si
sorprende a dirittura l'imitazione. Cosi,
zione dei
poeti, ftìtta
dal Rosa
p. e., la descri-
{La poesia, vv. 289-312):
Che per parer filosofi e saputi. Se ne van per le strade unti o bisunti. Stracciati, sciatti, sudici e barbuti
quella del Basile, noll'ogloga
ecc., ecc., ricorda
pella
;
:
Va comme
a spiretato.
Stentato e nsallanuto
Pensanno a li conciette, Che mpasta nfantasia, E va parlanno sulo pe la via, Trovanno vuco nove, a mille a mille: «
Torregyianli pupille.
Liquido sormontar di fiori e fronde, Funebri e stridule onde. Animati piropi Di lubrica speranza; Oh che dismisurata oltracotanza! -.
1
Op.
cit.,
II,
p.
169.
La
cop-
SALVATOR ROSA
350
La descrizione Dà
A
del Basile finisce
:
le fatiche soie
chi
mai
le
dà zubba
;
Cossi la vita sfragne,
Canta pe gloria
E
Rosa
il
pe miseria chiagne
e
'.
(vv. 109-114):
Superate
fama, e poi
la
l'oblio,
Che voi non manderete il grano a frangere Se non prendete Cerere per Clio. Il
vostro stato è troppo da compiangere,
Mentre
vi
mira ognun, cigni dispersi,
Cantar per gloria Qualche colore
toglie
per miseria piangere.
e
dalla
altresì
medesima egloga
del
Basile, nella vigorosa descrizione del mercenario {La guerra,
vv. 202-210):
Par che andando Con paludati arnesi
a
pugnar vada
e
in cuccagna.
fogge vaghe,
Sicario de la Francia e de la Spagna! Sol per portarne poi
mercé
di piaghe,
Corre cieco a sborzar senza cagione
Contante
E
il
il
sangue
a credito di
paghe.
Basile avea descritto l'allegria di chi va ad arrolarsi
soldato di ventura:
Se veste a la lodeca. Se mette la scioscella, E te i)are na mula de percaccio, Co lo pennacchio e lo passacavallol Si n'amico le dice: « Adove iammo?
Responne allegramente, Né tocca pede nterra: «
'
Cfr. la
A
la guerra, a la
mia
ediz.,
I,
p.
guerra!
164.
».
»,
SALVATOR ROSA
E
più in
1;\:
L'è sempre lo pericolo a E lo premio da rasso;
l'efficacia del Basile sul
pochi riscontri e a quegli
sliianche,
li
Le ferite ncontante, E le paghe ncredenza...
Ma
351
'.
Rosa non che
altri
notare; essa investe la concezione e
che
sempre
tiene
si
potrebbero ancora
il
maniera
non
sulle generali,
La
lo stile delle satire.
loquacità, la passione per la sinonimia, stessa cosa in cento guise, quella
restringe a (juesti
si
si
una
dire e ridire di predica
morale
so fino a qual
vengano a Salvator Rosa dal suo temperamento,
punto
e fino a
qual
altro dalla lettura e dalla familiarità con le opere del Basile.
Delle satire del Rosa, la prima tratta della Musica; ed
eccone
contenenza:
la
Questi asini sono
i
Il
mondo
musici, che pure tutti
Non s'intende biasimare si
ricordano, anzi,
la
musica odierna
i
la
musica come arte; della qunh'
antichi e gloriosi (58-81)
fasti
è soltanto arte di
profanano
i
perbia dei musici (238-285)
— Musici che — Su(280-309) — Si
le
loro voci (184-237j
—
I
castrati
— Si esortano (352-408) — Cosa ben
Stati (MO-?jóì)
azioni
alte
non
il
—
— Favori che loro
lodano quei principi e popoli, che scacciarono gli
Ma
principi (106-183,i
sacri tempi con
i
—
corruzione (82-L32)
Viltà dei musici e loro oscenità (133-102;
accordano indegnamente
— — ricercano (37-57)
è pieno d'asini (vv. 1-36)
i
i
musici da-
i»rincipi a svegliarsi pili
degna
di
essi
ad
che
culto della lasciva musica. Discorso di Antigono ad
Alessandro principi
—
(409-585i
del
suo
Applicazione
del
rimjimvrro
tempo; Nerone, corrotto dalla
—
ni
musica
Applicazione dell'esempio di Nerone. Corruttela dei tempi. E ci vogliono rimedi, non musica (1)49-785).
(586-648)
1
Cfr. la
mia
ediz.,
I.
pp. 144-145.
SALVATOR ROSA
352
La seconda
volge alla Poesia, e comincia col parafra-
si
sare Giovenale intorno ai poeti del tempo antico (vv. 1-21)
—
Parimente, l'autore è mosso dalle colpe dei poeti del pro-
— Colpe
tempo (22-51)
prio
morali e letterarie: adulazioni,
lascivie; iperboli, ampollosità (52-84)
—
La poesia non dh
pane: miseria dei poeti. Favola del corvo e della volpe
— Metafore (250-279) — Descrizione (85-249)
grandi
pensare a
—
(280-315)
nomi
cose,
Soggetti
produrre
col
riscosse
— Plagi
da poeti sciocchi (385-405)
— Lodi
ingiuste di poeti antichi: Dante,
Tacopone; e pedanteria boccaccesca e petrar-
Burchiello,
—
chesca (463-501)
mandare
alle
Pretesti
stampe
tono in fronte ai loro
libri.
tivi all'edizioni delle
—
le
che sogliono addurre opere loro, e
titoli
Accompagnamenti
i
poeti
che met-
di versi elogia-
— Professori ignoranti — Indicazioni
opere (502-519)
Dediche e adulazioni (556-660)
di alti argomenti, ai quali
—
scioccherie
meschini cantati dai poeti;
—
dei poeti (406-462)
(520-555)
poeti
assumono (316-342) Se la virtù è sbanroggie, anche i poeti hanno avvilita la poesia
— Lodi
(343-384)
735)
e
vili
dei
che, sotto pretesto di
del poeta, finisce
strani che
dita dalle
nel
ed esagerazioni
i-idicole
osceni (736-783)
— Vana
solo la poesia lasciva.
i
poeti dovrebbero rivolgersi (661-
per contrario, soggetti lascivi ed
trattano,
Essi
scusa che la loro vita sia casta e
Aneddoto del trombetta. Corruttela
mossa dai poeti (784-831)
—
Scopo vero della poesia. Cose
—
empie, scritte da poeti (832-867)
Esortazione
ai
poeti
(868-934).
La contro
terza i
fantasma esso i
concerne
vizi del in
Pittura.
—
gli
Stava per scrivere
comparve innanzi un
donna (vv. 1-33) Quella donna lo esorta a
figura di
(34-66) —
—
Descrizione di
lasciare
da parte
vizi generali, e a parlare, invece, dell'arte propria, della
pittura (67-114) di
la
tempo, quando
parlare
dei
—
D'allora in poi, desiderio irrefrenabile
pittori.
Sua propria
vita
:
è
spassionato e
SALVATOR ROSA sincero (115-141;
Ma
—
Numero grande
353 di pittori (142-153;
—
pochi che non siano ignoranti (154-210). Pittori in Roma:
enorme quantità tori: pittori di
«
di quadri che
bestie
che
la pittura
—
mondo
il
I principi, col
alla povertà;
ritnigga pezzenti (211-306)
—
mal
loro
ed è giusto peg-
I pittori
giorano, quando cominciano a venire in credito
:
non
stu-
donne antiche, che donne moderne (207-351). Su-
diano più: inferiorità verso
erano anche
di pit-
pittori di soggetti tenui e vili,
»,
prediletti dai principi e signori.
governo, hanno ridotto
producono. Gruppi
gli antichi:
—
pittrici, e
perbia dei pittori. Aneddoto di Cimabue, di Michelangelo Giudizio universale. Tratti superbi di pittori antichi.
e del
Titoli e
«
croci
»,
tui'pe di scultori,
onde
si
fregiano
i
pittori (352-453)
raccontata da una bertuccia che
— Vita si
mise
— Loro sudicerie e vizi; l'invidia; truffe e inganni; libidini (454-681) — Pitture lascive; anche in soggetti sacri (682-825) — Poca osservanza giosa da parte dei pittori (826-843) — Conclusione: odioso all'arte presso
un
pittore.
reli-
il
mestiere del critico
Le
perciò, fa punto (844-865).
;
tre satire seguenti
sono in dialogo. La quarta. La
guerra, è tra l'autore e Timone, che
templare
vizi del secolo.
i
perché essa solo
Il
il
primo evoca a con-
titolo della satira è
improprio,
in piccola parte (178-372j tratta dei mali
della guerra, estendendosi nel resto su ogni sorta di vizi.
La quinta sogno
è fra l'autore e l'Invidia, che appare a lui in
respinge dal tempio dell'immortalità, pn-sso
e lo
cui soglia s'era fermato. Comincia !"ogazione dell'autore e stessa, 'li
«
il
una descrizione che l'Invidia fa di > '. La parte sostanziai*-
tratta da vari autori
essa è la difesa del Rosa e delle opere di
1
Cosi
una
postilla in
:
«
ab Alexandre
•
lui
contro
margine dell'autografo. Si noti, ;i « Alessan'lro ab Alendro
proposito, che la postilla al v. 160:
leggere
la
dialogo con una inter-
gli
.[u.-^u»,
è
da
SALVATOR ROSA
354
invidiosi; e contiene
assalti deg-li
poi un'esposizione
am-
^ La sesta, primo dei quali
pia e violenta dei danni che produce l'Invidia
La
Babiloìiia, è fra Tirreno ed Ergasto,
lamenta l'avversità della
che
rappresenta l'autore,
il
for-
tuna, e racconta la propria vita disgraziata, specie nei suoi primi anni, in Partenope. Ergasto è, invece, nato in Babelle
(Roma), dove
una lunga declama-
Roma. non fu stampata se non ai tempi doveva servire come di conclusione alle altre sei.
zione contro
La
dimora. Segue
l'altro i
vizi di
satira settima, che
nostri,
L'autore, conservando
il
servito nella precedente,
nome
di Tirreno, del quale s'era
duole con sé medesimo (dice
« si
nel sommarietto) del poco frutto cavato dalle sue tante invettive contro de' vizi; esagera l'impossibilità dell'im-
presa mediante l'ostinazione dei malfattori; e, fastedito, risolve abandonare affatto il mestiere dello scrivere come cosa inutile e in braccio
mini
de
pericolosa, la quiete,
di
darsi
lontano da
in
tutto
le
cita
e per e dagli
tutto
uo-
».
Chi
si
reca innanzi questo contenuto delle sette satire
(che ho riassunto più largamente per le tre prime speciali, lo e rapidamente per le altre d'indole più generale) non trova, di certo, molto notevole per originalità d'idee e di argomenti. Sono prediche morali e, insomma, luoghi co-
dove l'autore parla di sé stesso o del proprio mestiere, come allorché censura vivamente depittori che presceglievano soggetti vili; o, anche, dove
muni: salvo qua e
là,
i
scrive l'oppressione del popolo, che rese necessaria la rivolta del 1647. La poca determinatezza dei concetti si tradisce anche in certi luoghi caratteristici; p.
1
Satira insieme e apologia bizzarra
Sarà quest'opra...
Questi versi, con
altri,
mancano
nell'autografo.
e.,
nella satira
SALVATOR ROSA della Poesia (vv. 52-54:), dove
caso un verso petrarchesco
il
355 applica al proprio
poetcì
:
No, che tacer non voM
Ma
poi,
dubbioso
muova il parlar, rimango in forse: Tanto ho da dir che incominciar non oso! Donde
Il
io
questa impressione: che
lettore ha, sovente, proprio
il
poeta non sappia donde cominciare. Confuso, disordinato, illogico, salta
ridice;
da una cosa a un'altra diversissima, dice
e
pensiero sembra poco formato ed elaborato.
il
manca mai
Quello che non lenza, la loquacità,
costitutive
al
Rosa ò
la foga, la vio-
temperamento.
del suo
Il
migliore coraento alle satire è quel passo del Baldinucci, che ci
descrive l'autore in atto di recitarle. Par di udire la sua
voce gridante e vedere terzine, che quasi
Per Dio,
Me non
non
il
si
suo gesticolare vivace in certe
possono leggere con tono calmo:
poeti, io vo' sonare a festa!
lusinga ambizion di gloria;
Violenza mora! mi sprona e desta!
Lo
spirito
certe
sboccato e grossolano, e molto napoletano, di
altre, era di
quello pel quale
spettatori, esclamava:
«
egli,
Siente chesso, vi'
;
volgendosi agli
auza
Parla della corte e del favore che godevano
i
l'uoccftief
>.
musici:
Ma mi par troppo gran contradizioue Ch'abbia sorte con lei solo il castrato, S'ha fortuna con lei solo il e Le (poco diversamente,
vv.
625-7).
yniis..
Apostrofa
34G-8.
il
critico
scante del Tasso: Se infarinato
sei, vatti
a far friggere!
La
poesia, 399.
cru-
SALVATOR ROSA
356 E, di nuovo, contro
i
cruscanti
E mentre vanno I toscani
mugnai
:
di parole in busca,
legislatori
Li trattano da porci con
la cruscai
La
E come sile in
si
sente
il
quelle lunghe
compatriota e l'ammiratore del Bafilze di terzine, nelle
quali uno stesso
sempre nuovi modi! Di-
concetto è voltato e rivoltato in
che espongono
scorrendo dei
pittori,
mogli, non
soddisfarà nel dire
si
poesia, 490-2.
i
ritratti delle
proprie
:
Quel della moglie -sua forma il ritratto, E le di lei bellezze orna ed addobba: Cosi due mercanzie spaccia ad un tratto
;
ma
continuerà: Che, se
Almen
il
quadro non
è
da guardarobba,
palesa che, per farsi amici.
Se non ha buon penneflo, ha buona robba.
E
ancora;
Ohi questi può vantar gli astri felici, Che, spesso, per ornare un quadro solo. Fabbricate a
Né
lui
son cento cornici!
basta: Poiché è ben noto allo scaltrito stuolo.
Che chi la copia fuor d'esporre ha in Vuol dir che dà l'originale a nolo...
La
E
uso,
pittura, 739-50.
via di questo passo. Il
Tari, nello scritto citato, porta
delle satire
:
«
Di proposito non
ci
un severo giudizio
parve
di occuparci delle
bel rime, e massime delle satire. Esse non sono, da qualche nullamente luogo in fuora, che una compagine d'epigrammi
SALVATOR ROSA
357
poetici per sé, né rendati tali da effusioni,
pochissimo poetiche
E
».
gio tra filosofico e immaginoso
che che un
uomo
sol
:
«
Insomma, ammesso an-
artistica, bastare
alla
con una specie
di
fruizione di due muse,
il
e,
che a noi sembra in verità a concepire
cevamo,
difficile
pure
;
di-
se ciò fosse possibile, e si potesse essere vero pit-
un tempo. Salvator Rosa non
tore e vero poeta a
»^
l'uno
la satira,
solito linguag-
possa, con uguale successo, attendere
a due diverse imitazioni a una volta,
bigamia
come
soggiunge col suo
ma
Giudizio severo,
aggiunga che
non sono pochi,
bei luoghi
i
anche giusto:
fu quel-
che
solo
si
e che le satire
hanno non sono, certamente, prodotto di un
del Rosa, paragonate con quelle dei contemporanei,
doti pregevolissime di vivacità e di freschezza
poesia grande e schietta,
ingegno e
Le
se
un'indole fuori dell'ordinario.
di
poche poesie possono confrontarsi con quelle
altre
del Ricciardi, del Redi, secentisti
e,
;
e, in
generale, del gruppo di poeti
toscani. Colpisce, per la
efficacia e
la sobrietà
metro adattissimo, quella dov'è descritta
del
tocco, pel
una
strega, che
si
mette all'opera dei suoi incanti.
Il
La-
mento è assai svelto e pieno di grazia, e ha versi di mo-
vimento tutto moderno Credete la
versi e quadri
il
mondo
è bello,
più sana cosa,
In questi tempi,
Le parafrasi di
Rosa
al vostro
Che senza
E
:
di
è
'1
non aver cervello
!
Giobbe (che appartengono
a
un genere
moralizzazioni allora in voga) hanno pure, qua
brani che rivelano
Che importa Tanto
1
Saggi di
è
per
critica,
mano non volgare
la
che buono o rio tu sia? che per altrui tonante.
al ciel te
dell'artista:
pp. 506-7.
e
là,
SALVATOR ROSA
358
Gl'inni de l'elefante Cinzia, e del cane ode
il
latrar molesto;
Né da qnel né da questo Non si stima onorata e non s'offende, Ed egualmente ad ambedue
Tornando lui
al
C,
risplende.
dirò, per concludere, che
rappresenta, senza dubbio,
una somma
il^
libro di
notevole di
voro, spesa nell'illustrazione
Rosa: è ricco di documenti e di notizie importanti, parti, la trattazione è
molte
la-
della vita e delle opere del
ben
riuscita.
Ma
vi
si
e,
in
deside-
rano un miglior metodo, un, senso più vivo delle questioni che importano allo studioso, una preparazione più larga,
una ricerca più esauriente \ Causa forse, come si è accennato, la fretta,
e
di
questi difetti è,
quale
della
si
scor-
o-ono molte tracce nel corso dell'opera: anche nella forma dell'esposizione, non in tutto degna di un artista quale il
che siamo venuti notando, non debbono impedirci di tributare sinceramente al C. le lodi che merita per quello che ha fatto, che non è poco ^
C.
Ma
i
difetti
proposito della preparazione, confesso che in un'opera di erutradiscono dito, e diretta a eruditi, mi sanno male alcune frasi, che una cognizione incompleta e occasionale delle condizioni generali di 1
A
quel tempo. Cosi, a
p.
IH, quando vien nominato
Pallavicino, è curiosa la '
lodato,
come buono,
tro Giordani
»
!
cui le satire del
se
qualifica
non
il
C. crede
il
cardinale Sforza
di
doverne dare:
perfetto scrittore di prosa, anche da Pie-
Cosi, a p. 404, la
Uosa
che
domanda:
sono dedicate in tutte
.
Chi fu quel Settano a edizioni? Fu monsi-
le
gnor Ludovico Sergardi », ecc., è quas'i una scortesia verso i lettori, si scopei quali il Settano non può essere un ignoto, un poetucolo che pra e citi per la prima volta. Cosi, a p. 108, il C. sente il bisogno di converdire di Cristina di Svezia: . quella Cristina di Svezia, la cui '1 conto suo >, ecc. sione diede origine a più d'una diceria scandalosa su 2 Aggiungo ora, in fine di questa recensione, la notizia dei due articoli del
Renier
sul Eosa, a proposito dell'opera del
C,
nella Gaz-
SALVATOR ROSA zetta letteraria^ an.
XVI, nn.
49-50, 3
359 dicembre
e 10
molte osservazioni critiche sul carattere, l'arte e [ristampati ora in Svaghi
critici
la
1892, contenenti
poesia del
Rosa
Xon
Bari, 1910', pp. 93-116.
è
il
caso
di dare notizia della letteratura posteriore intorno al Rosa, che
si
può
;
trovare raccolta nel Manuale del D'Ancona-Bacci, seconda edizione, e nel Supplemento. Basti ricordare la recente e importante monografia di
Leandro Ozzola, Vita e documenti
con poesie
per la quale
cfr.
e opere di Salvator
inediti
Critica, VII, pp. 380-8, e
o precisate alcune delle notizie date di del Rosa].
Uosa, pittore, poeta,
incisore,
Strassburg, Heitz, 1909, con tavole,
dove
si
troveranno corrette
sopra circa
le lettere
inedite
VII
UN DESCRITTORE
DI NAPOLI
CARLO CELANO
Dalla rivista Napoli nobilissima,
a. II (1893),
pp. 65-70.
n e
hi legge
libro di
il
Carlo Celano, Notìzie del
bello,
dell'antico e del curioso della città di Napoli, sente, a ogni
pagina, l'accento commosso dell'innamorato. tanto in quell'inno a Napoli, con cui
E non
sol-
libro s'apre, e nel
il
quale appare, senza dubbio, qualche vezzo secentesco.
Celano vi esalta cessi
la
situazione della cittA.
mano
con larga
dalla natura,
i
i
doni a
Dice che
virla.
«
la
primavera altro non
fiori
creditrice
dell'autunno, matura
fichi,
che per
mancamento
turare
».
lo
Dice ancora che:
perché non molto di Pozzuoli renti,
che
li
si
«
il
fa sentire,
e...
luoghi
del sole lasciò qut^llo di
i
ma-
calore è qui modestissimo,
ed
il
fuoco del Vesuvio e
di
non per merito
danneggiarla.
questo, a onor
ì\fa
dei nostri napoletani,
nostro padre e protettore san fJennaro... 'li
sentire che
stanno dintorno, dimostrandoseli rive-
non ardi mai
del vero,
fa
alcuni
in
le
pronti a ser-
d'arancio, di rose e di gigli;
fotta
Il
con-
quattro clementi e
altrettante stagioni che stanno tutti insieme
soavissimi odori di
lei
>•.
ma
Lodu
del caro il
jìopolo
Napoli, docile, affettuoso, sincero, amante dei forestieri,
ingegnoso e atto a qualsiasi lavoro.
Non
soltanto,
in
queste
frasi
cntusiasliche ed
anche, e sopratutto, nei molti inmti nei quali sentimento si fa vivo, quasi senza che l'autoi-
enfatiche; il
ma
dunque,
UN DESCRITTORE
364
DI
NAPOLI
avveda. Cosi, per dirne una, discorrendo di certe basi an-
marmo
tiche di
eli
'erano una volta presso la chiesa della
Rotonda a capo del vico Mezzocannone, rotte per opera di alcuni
e
vano dato a credere che dovesse trovarsi soro, egli
soggiunge:
«
che poi furono
vig-liacchi impostori »,
«
Ed
che ave-
sotto
li
essendo in quei tempi
un
te-
io
ra-
gazzo, che andava alle scuole dei padri gesuiti, passando
per questo luogo e vedendo una simile sciocchezza, quasi
mi caddero
lagrime, perché mio padre
le
di
buona me-
moria detto mi aveva che queste due basi erano una bellissima
La
memoria
della nostra città
fantasia, semplificando
'.
idealizzando,
e
vagheggiare con compiacimento
»
la figura di
si
ferma a
questo vecchio
canonico, innamorato della propria città natale con quel-
non ha
l'intensità di passione che è propria di chi
menti amato. tista,
E sembra
ciocche di capelli che
due
folti
prete secen-
una sua tela, non dal don Abbondio manzoniano: « due folte
quale Luca Giordano
molto dissimile
rivederlo, questo
di
altri-
sopraccigli,
gli
due
lo ritrasse in
scappavano fuori dalla papalina, folti
baffi,
un
folto
pizzo, tutti
canuti e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, che pote-
vano assomigliarsi a cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo al chiaro di luna ». E l'andiamo immaginando, quale lo descrive un contemporaneo, premuroso accompagnatore dei
forestieri
«
di distinzione »,
che capita-
monumenti della città (accompagnò qualche illustre, come il Mabillon, che parla di lui nell'Iter itaUcum); mosso a fare un libro intorno alle bellezze, antichità e curiosità di Napoli, quando udì una volta, in Duomo, alcuni oltramontani dichiarare che in Napoli, oltre il mare e il cielo, non c'era altro da vedere; frugatore vano a Napoli, a
visitare
i
instancabile di archivi e di biblioteche;
1
Celano, ed. Chiarini,
III, p. 612.
e,
vecchio a ses-
CARLO CELANO santaquattro anni, aflfaticantesi a
365 calar tra
«
i
pozzi per
rinvenire l'acque antiche di Napoli.... e a calare nelle no-
famose catacombe
stre
Ma
'.
»
Carlo Celano non fu solamente l'innamorato di Naaltre cose: canonico di S. Restituta, e ado-
poli; fu tante
non sempre graditi; comme-
perato in
uffici ecclesiastici,
diografo;
scrittore satirico e oggetto egli stesso di satire.
Anzi,
il
suo amore per Napoli restò inedito, fino a quando
pubblicò
sue Notizie^
le
settantacinque
anni,
il
che ebbe luogo nel 1092,
un anno prima
temporanei quasi ignorarono
in lui
della morte.
ai suoi I
con-
descrittore di Napoli,
il
che noi ora conosciamo unicamente.
.
Nacque
Caduto
gale.
e,
Napoli
a
egli
giugno 1642
il
I
ItllT;
laureò in legge nel
si
per qualche tempo, attese alla pratica
in
sospetto di avere composti) non
messo
scritto per la rivoluzione del 1647, fu
donde venne poi
in
le-
so quah* |)rigione,
liberato per l'intercessione del r<^gg»'nti'
del Consiglio collaterale,
Giacomo Capece Galeota*. Supe-
rato questo pericolo, volle entrare nollo stato ecclesiastico;
studiò teologia e appartenne alla congregazione delle missioni apostoliche di Napoli. Dal cardinak' Innico Caracciolo
ebbe
canonicato, e fu anche, una volta, subcollettore
il
apostolico. Mori
>
Cosi in
innanzi '
3
dicembre
una prefazione
di
169;{,
vecchio di 76 anni
^.
Francesco Antonio Sabatino d'.Vnfura,
primo volume delia prima edizione ciò allude in una poesia stampata n.-!
,1092) dello Soticie. s
v.luni.'
l-'-Ii
delle poste (Napoli, 1681).
F. A. SoRiA, Memorie sloricocritichc dryh storvi
nap.rruini
>.•
Altre notizie nel volume di G. Capone e S. Mauasu. poeta satirico del XVII secolo (Salerno, lovane, IVJ2\ pp. 68-9.
poli, 1781, voi. I).
Un
ló
al
A
Avanzi
il
UN DESCRITTORE DI NAPOLI
366
La principale al
pel
teatro,
letteraria
attività
del Celano fu rivolta
quale compose moltissimi drammi. Soleva
pubblicarli col pseudonimo di
Ettore Calcolona
«
»
e ve-
;
nivano recitati con predilezione dalle compagnie comiche di quel tempo, e ristampati frequentemente cosi in Na-
come fuori. Ne ho innanzi un
poli
bel mucchio, e trascrivo alcuni titoli:
Negli sdegni gli amori
dispone
il
coronata
—
Nelle cautele
Cielo overo la forza del sangue
—
danni
i
—
La
Sopra V ingannator cade V inganno
—
Come
sofferenza
—
Non
è
— Con borasche in porto overo la zingarella di Madrid — Dall'amore l'ardire — Gli disonori — che onorano osia la molinarella — L'infanta villana
padre essendo
Proteggere
male
—
re
le
—
V inimico
Gli
effetti
—
trionfa morendo
Il vero
consigliere del
La
suo proprio
—
Chi
— L'ardito
ver-
cortesia
overo gli eccessi della
forza della fedeltà
gognoso; e via leggendo \
Questi drammi sono imitazioni e rifacimenti, e, spesso, quasi traduzioni, dallo spagnuolo. Sarà facile formarsene idea,
immaginando un dramma
di
Lope de Vega o
del
Calderon, spogliato dell'armoniosa veste dei versi e ridotto a prosa secentistica italiana; col personaggio del gracioso sostituito
da un napoletano
dialogo, reso
goffo, parlante
dialetto;
il
col
pesantissimo da lungherie, o procedente a
singulti, e, spesso
rime baciate, che
si
chiamavano
allora
Ecco, a mo' d'esempio, l'ultimo pezzo
due innamorati
due versetti a
spesso, terminante con
di
le
«
chiusette
un dialogo
».
tra
:
A. Sempre costante P.
i
Sempre
fedele
Edizioni del Troyse, del Eaillard, del Muzio e di
stampe perfino
del 1731.
altri,
con
ri-
CARLO CELANO A.
Tu mi
vedrai, o bella!
mi vedrai!
P. Cavalier,
A. P.
E E
sempi'e questo cuore
quest'anima mia
A. Venerar
Nel dramma: Con de
Madrid
di
rella
Solis), la
e la zingara
sempre
al tuo pie
borasche
le
(eh 'è
saprà
ti
Reverente
P.
3G7
La
starà
!
porto overo la zinga-
i)i
Madrid di Antonio un accampamento di zingari:
gitanilla de
scena è posta in Preziosa ne è
il
personaj.'-gio principale,
pt-l
amore il cavaliere don Alvaro de Leyva si fa zingaro. Accadono mille accidenti strani, fintanto che non si scopre che Preziosa è figliuola di don Ferdinando, governatore di Murcia. Accompagna don Alvaro il suo servitore napocui
letano, a
nome
gini, e
rende zingaro per non separarsi dal padrone.
si
finale è dato Lampisa.
Gioiello, che dice mille
anche da una Dalle pene
Maldokato. Che
chiusetta
»
gli altri
(come allora
drammi
si
rivolse
tutti,
che ebbero gran-
Celano e
il
chiamavano
si
d'imitazione spagnuola)
opere
sue
le
drammi
i
spettacolosi,
quando
particolare,
in
in tutti campi la reazione contro il secentismo, fiori, Andrea Belvedere, noto pittore di frutti
cominciò l'abate
Il
:
conforto
dissima fortuna; tantoché contro regali
>•
borasche ancor guidano in porto!
le
Di questo genere,
il
«
goftìssime goffag-
i
»'
»•
gran dilettante di teatro
'.
Oltre le opere drammatiche,
due volumi
intitolati:
il
Celano mise
Degli acanzi
pubblicato nel 1076 e dedicato
al
delle
duca
di
in
posti-,
istampa il
primo
SaniAugclo don
Giacomo Capece Galeota, e il secondo, n»d 1681, dedicato al duca di Girifalco don Fabrizio Caracciolo; entrambi coi tipi del
1
Bulifon.
CaocE, /
teatri di Napoli, p. 2iS2.
UN DESCRITTORE DI NAPOLI
368
Uua
lettera dell'autore al suo collega in
letteratura e
canonicato, Lorenzo Crasso, spiega l'invenzione: carissimo, essendomi stato
vendono
il
che nel
dell'anno
fin
si
che rimangono nelle poste, non so dire
le lettere
se la curiosità o
detto
Amico
«
desiderio di passare
il
tempo fecero che
ne comperassi una quantità; ed apertele, ne ho trovate
io
lette ».
che
alcune
esse
fra
mio genio paiono degne d'esser
al
Invenzione non priva di vaghezza,
e basti ricordare
il
Corriere svaligiato di
ma non
nuova;
Ferrante Palla-
vicino.
come
Alle lettere, che discorrono di soggetti svariati, dei censori alla
moda,
del vestire alla
moda,
della vanità
degli alchimisti, delle feste e luminarie, dei buffoni di casa, e
anche
l'
numero
mescolati un buon
via, sono
Parnaso
sul
genere
Amenta doveva
secondo volume. Altri quattro volumi
rava;
ma non
è troppo
Ragguagli di
imitare nei suoi freddi Rapporti',
e di ragguagli, lettere e alquante poesie è il
di
famosi del Boccalini, che poi
di quei
composto il
altresì
Celano prepa-
da lamentare che non giungesse a
metterli alle stampe ^
Alla critica e alla satira
sun 'attitudine. in
I
il
buon Celano non aveva
due volumi sono pieni
cattiva prosa, che solo
qua
e là
di
acquistano interesse
pei particolari di costumi che ci conservano
Qualche frase contro
^.
medici del tempo, per
i
la
quale
venne a prendere partito pei galenisti o medici
egli
l'antica, nella
polemica che allora divideva
dica, e, direi, la città di Napoli, in
nes-
scempiaggini
la classe
al-
me-
due campi nemici, fu
forse la causa principale dei tre capitoli satirici scritti con-
1
Che
li
preparasse, dice
il
Sahatino d'Anfoka nella prefazione
sopra ricordata. 2
XIV,
Sugli
Avanzi
pp. 58-61.
delle
poste, si
veda
il
Salfi, Hist.
litlér.
d'Italie,
CARLO CELANO tre
il
369
Celano dal poeta Giulio Acciani, e
intitolati: II ha-
huasso. Il
povero Celano vi è tartassato nei modi più diversi.
Nel primo capitolo,
si
un
fri
mostruoso del suo
ritratto
aspetto fisico e della sua sordidezza; descrivendolo
Duomo
in
si
cavava dal capo traeva un
sudicia zimarra,
la berretta, si
grande sputo
Tedeum, facendo partorire, per le
donne che riempivano in ispecie,
ste,
Vuol
A
dice
si
spavento
lo
la chiesa. Degli
quando
discigneva
la
intonava
il
e
di quel canto,
Avanzi
delle
po-
:
far la scimia
con
le
sue proposte
Traian Boccalin, qualche carota
Mandando da Parnaso per
Ma
le poste.
fredda, secca e d'ogni spirto vuota;
Né un
Sarnelli
tal
Dedicarlo
al
^
a vergogna
si
reca
reggente Galeota,
Ove par che dia l'alma a una botteca, Quando loda di savio quel signore, Chiamandolo: animata biblioteca!
-.
Altre opere del Celano, ch'io sappia, non
stampe;
alle
ma
Peste, e altri parla di
simo, col titolo:
si
trovano
l'Acciani menziona un libro di lui sulla
De
un
trattato che preparava, eruditis-
templis^.
TI
Come
Guida di Napoli fu pubblicata 1692, un anno prima della morte dell'autore. Venne fuori col titolo: Notizie del bello, dell'alitici e si
è detto, la
curioso della città di Napoli per
1
al
Pompeo
Sarnelli
aveva scritta
i
la
2
del
signori forastieri, divise
dedica
volume. 3
ik-I
Capone-Marano, op. cit., pp. 211-25G. II Sabatino d'Anfora nel 1. e.
al
Galeota, premessa
UN DESCRITTORE DI NAPOLI
370
stampate da Giacomo Raillard, adorne papa Innocenzo XII, na-
in dieci volametti,
di piante e vedute, e dedicate al
poletano di casa Pignatclli.
prime parole della dedica: « Non piedi di vostra Santità si dovevano con-
Bisogna leggere
ad
che
altri
a'
le
secrare queste notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli; essendoché Vostra Santità è la
gioia più bella, più antica la
nostra patria
più curiosa che adorna
e
».
di rado che scrittori abitualmente preten-
Accade non
siosi, artificiosi, rettorici,
a
un
tratto,
quando scrivono
di
cosa che stia loro a cuore davvero, mutino carattere e Celano, scritstile e paiano tutt'altri. E ciò è accaduto al tore artificioso e goffo nei drammi, negli Avanzi delle poste e nelle altre opere di letteraria pretesa; tizie
della sua
Da
simo trecentista.
trecentista,
in queste
e,
No-
un candidisintendiamo, è non già la
città, trasformatosi
quasi in
lingua, intinta di
dialetto e di spagnolismo, e spesso im-
propria o incerta;
ma
sua grammatica. Il Celano conduce ditandogliene
rezza, là,
e anche, se
si
vuole, la
le
curiosità, e fornendogli le
storiche, tutto
con un garbo, una chia-
e
una premura, che riescono piacevolissime. Qua
interrompe
mento
stile,
forestiere in giro per Napoli, ad-
il
bellezze
le
notizie
relative
suo
il
le
descrizioni
sue
con aneddoti. Eccolo,
o
p.
con effusioni e.,
che
si
e
senti-
di
estasia in-
Croce di pozzo ch'era nel monastero grandezza Lucca, il cui vaso « è meravigliosissimo per la fatto, che e per la struttura: basta dire che da ch'è stato della
nanzi a un
un sarà quarant'anni, non v'è entrata acqua nuova, né per tanta la per bisogno, di altro secolo si stima che ne avrà copia che ne tiene, e gliore
giunge:
non «
se
cosi
limpida e purificata, che mi-
ne può assaggiare nel mondo
Benedetto
sia
».
E
sog-
chi edificare lo fece col disegno,
CARLO CELANO modello ed assistenza del nostro sco Picchiatti!
'Mi
regalo
ingegnere France-
'.
»
Altrove, discorrendo della strada di sant'Antonio Abate,
chiama, napoletancscamente, di sant'Antuono, facendo
la
notare che per poli
il
sant'Antonio
«
Padova,
santo di
»
s'intende invece a Na-
topograficamente,
e,
la
chiesa di
sant'Antonio a Posillipo. Al quale proposito racconta: Ora vedano come la
prima volta
strapazzavano che:
«
i
si fa
concetto delie nazioni! Essendo andato
Roma, un romano odiava
in
forastieri.
Ed
interrogando:
«
i
napolitani, perché
In che?
avendo interrogato un arfiggiano dove era
>,
mi rispose
la
chiesa di
mi mandò sopra Posillipo, e dopo di una gran fatica mi fece perdere una giornata » E soggiungendoli « Quale chiesa « di sant'Antonio domandava? » Di Vienna », mi replicò. sant'Antonio,
.
:
—
Allora
io
soggiunsi:
Figliuol mio, vivi ingannato: l'arteggiano
«
non t'ingannò. Se tu avessi ti
detto dov'è la strada di sant'Antuono,
sarebbe stato detto dove ella era; ma, dicendo di sant'Antonio,
sempre s'intende dal volgo per quello da Padova
A
proposito della grotta degli
i'
vi
cordella lo
Sportiglioni
Poggio-
a
un briccone d'oste napoleche aveva fatto fare un buco a uno dei lati di essa aveva accomodato un campanello; e « con secreta
reale, racconta l'aneddoto
tano,
> ^.
grotte
il
di
faceva sonare da fuori, pubblicando che dentro
si
dava
il
segno delle ore canoniche. Vi concor-
reva gran popolo per osservare se era vero,
e,
con questo,
smaltiva gran roba dell'osteria; da un bello umore fu
ogli
^coverto l'inganno e l'autore ne fu mortificato
Presso la piazza del
Mercato s'indicavano
>
certi archi
d'una costruzione abbandonata, ch'orano chiamati dale di Cola di Fiore ». Il Colano spiega:
1
Op.
cit.. Ili,
2
Op.
cit.,
V,
p.
4aL
3
Op.
cit.,
V,
p.
467.
p. 277,
•''.
1'
«
ospe-
UN DESCRITTORE DI NAPOLI
372
Essendo questo Cola un uomo ricco, ma pio e da bene, fondò quivi un ospedale a proprie spese per i poveri infermi, e servir li faceva con ogni carità e diligenza. In un giorno, trovandosi Cola nella Pietra del Pesce, trovò un miserabile scarpinello, che, a concorrenza, si comprò un pesce per tre carlini. Interrogò lo scarpinello: « perché lo comprava? » Rispose: « per mangiarmelo » — « E quando stai infermo (soggiunse Cola) come fai? « Ecco vicino (replicò l'altro) l'ospedale di Cola di Fiore ». Il buon uomo,
—
>
—
1
a queste risposte, riflettendo che la carità che faceva dava motivo
gente bassa di crapulare e di non pensare a quello che ac-
alla
cader
le
poteva, con
un modo stravagante dismise l'ospedale ed
attese ad altre opere di pietà
'.
Per quest' intonazioue animata, per l'accento individuale, pel caldo sentimento d'affetto che vi scorre dentro, le
Notizie del Celano costituiscono
un
libro e
non un cataGuide
logo, e sono affatto diverse dalle altre aride e fredde
di Napoli, venute poi.
Né e
piccolo ne è ricerche,
dirette
il
valore storico.
Il
Celano fece molte
prima d'accingersi a scrivere l'opera
sua.
Prima
di lui,
avevano pubblicato brevi descrizioni
di
Napoli e delle antichità e monumenti di essa, Benedetto di Falco, nelle Aìitichità di Napoli (15.89); Luigi nella
Origine
e
nobiltà di Napoli (1569),
Contarini,
e Giulio
Cesare
Capaccio, nella Historia neapolitana e nel Forastiero (1630);
per non parlare degli
scritti del Loffredo, del
del Sorgente, e di quelli restati inediti
Fabio Giordano). Inoltre, sacra, era stata
illustrata
le
chiese di
(p.
De
Magistris,
e.,
l'opera di
Napoli, la
Napoli
molto accuratamente nel 1560
da Pietro de Stefano, e nel 1628 da Cesare d' Eugenio. Ma una descrizione della città, ampia, precisa e pratica,
1
mancava. Solo
Op.
cit.,
nel 1685, pochi anni
IV, p. 197.
prima del Celano,
CARLO CELANO Pouipeo Sarnelli
Guida
mise fuori
sua
la
breve,
ma
garbata,
dei forestieri K
Celano, abbaiidonuudo
Il
373
come
metodi poco comodi dei pre-
i
cedenti descrittori, conduce
forestiere di strada in istra-
il
se realmente l'accompagnasse;
metodo adottato sempre dalle migliori guide. 11 punto di partenza ò il palazzo del Nunzio a Toledo: « supponendosi che abbian sempre da principiare dalle posate ° o alloggiamenti de' da,
poi
-ignori forastieri, che stanno nei vichi dirimpetto la
ziatura apostolica
Nun-
».
L'intero giro è compiuto in dieci giornate. Nella prima, visitata
la cattedrale, si
di Carbonara, di
va
percorrono
Santa Sofia;
e, poi,
vie dei Tribunali,
le
Somma
per
Piazza,
Santi Apostoli e al palazzo arcivescovile; di
ai
là,
si
per
Porta San Gennaro, a Sant'Aniello e a Santa Maria di Co-
prendendo per Porta Reale e
stantinopoli. Nella seconda,
percorrono
Porr 'Alba,
si
pienza;
per
e,
Somma
vie di Costantinopoli, della Sa-
le
Piazza e San Lorenzo,
Purt'Alba. Nella terza, visitati (.'.liesa
di Monteoliveto, si percolare la via di
giore, tino al
Sedile di Nido, e di
Librai e Forcella, -.
torna a
là,
la
Trinità .Mag-
per San Biagio dei
giunge a Porta Nolana. Nella quarta,
scende per Santa Maria
di
Nuova, Mezzocannone, Seggio
la
Porto, Seggio di Portauova e Piazza della Sellarla, tino
Piazza del Merctt'^v i-'ide
alla
1
1
si
si
palazzo Maddaluni e
il
si
torna per Sant' Eligio,
Nella più volte citata prefazione del Sauati.no u'Ankoka alla si legge che costui aveva cominciato appuna
rima edizione del Celano,
a raccogliere
i
materiali della sua opera, quando, « mostrandoli ad un
suo amico,
gli
furono rubbati, e
prima che
se
ne accorgesse
uuale 2
come
fu, di certo,
vide inalzata, bench*^ imperfetta,
la
Si
allude alla Gui/la del Sarnelli,
un tempo, amico
Posada spagn., albergo, poi, in
».
si
del
diceva a quei tempi di
tempi di francesismo,
si
il
Celano?
disse e
si
s[)a;.'iioIisiii'>,
dice //"'
DI NAPOLI
UN DESCRITTORE
374
Rua Francesca,
la
Loggia, San Pietro Martire lino a Piazza
dell'Olmo. Nella quinta, girando per San
Tommaso
e l'Ospe-
si visita Castelnuovo, il Molo, la Darsena; indi si Lucia, a Castel dell'Uovo, a Pizzofalcone, e, scenSanta va a dendo per Santa Maria degli Angeli, al Palazzo reale e,
daletto,
di là, a Toledo. Nella sesta si
ghi, salendo
per la
San Martino,
e
dei
e
Gesù
e
i
bor-
Monti a Sant'Elmo e a
scendendo per Antignano
Cesarea
per la
indi,
Trinità
cominciano a visitare e
il
Vomero, e
Maria, a Porta Medina.
San Gennaro dei Poveri, Borgo dei Vergini, Montagnola, e, per Foria, si torna a Toledo. Nella ottava, da Porta Capuana, per la via nuova di
Nella settima,
Poggioreale
al
si
va
alla Sanità,
borgo Sant'Antonio Abate e
ai
Cappuccini
vecchi, tornando a Porta Capuana. Nella nona, dal Palazzo vecchio si percorrono la via, borgo e riviera di Ghiaia fino
a Mergellina e Posilipo. Nella decima, finalmente, si visita facendo di là un'escuril borgo di Santa Maria di Loreto, sione
ai
Per teria,
casali vicini la
il
e al
monte
di
Somma.
descrizione e illustrazione di questa vasta
Celano
si
valse,
non
solo
dei
topografi
ma-
e anti-
quari che l'avevano preceduto, e, in ispecie, per le chiese, delle opere di Pietro de Stefano e di Cesare d'Engenio, ma di buon numero di storici e cronisti napoletani, parte E, quel che più importa, frugò negli archivi: nell'archivio arcivescovile, in quelli del Capitolo di di Santa Restituta, dei Santi Apostoli, di San Severino, editi e parte inediti.
San Marcellino, di San Sebastiano, di San Domenico, di San Gregorio Armeno, della Zecca, della città di Napoli, negli archivi parrocchiali, in quelli di molti notai, nell'altro dei processi del Sacro Regio Consiglio '. Né trascurò di rac-
1
Si
2^otizie.
veda
l'elenco,
che è a capo soltanto della prima edizione delle
CARLO CELANO cogliere le tradizioni
orali,
-^,70
hanno anch'esse
che
la
loro
particolare importanza. Il
Celano non
fu,
dunque, un compilatore,
ma un
ricercatore, di quelli che osservano direttamente
rono
alle
fonti
e
vero ricor-
prima mano. Certamente, non sempre s'accompagna sufficiente non l'abbandona quasi mai il buon senso,
di
alla diligenza della ricerca in lui
senso critico;
ma
che in molti casi tiene
il posto dell'altro. Le attribuzioni e giudizi di cose d'arte gli furono suggeriti (come c'informa il Soria) dall'amico Luca Giordano. Con che non si i
vuol affermare che abbiano gran valore, perché gli artisti (e specie gli artisti di quel tempo) non si dimostrano le persone più adatte a indagare criticamente l'arte e a giudicarla
con larghezza.
opinioni di un
Ma
sono, a ogni
Luca Giordano,
e,
come
tali,
modo, giudizi
e
presentano pur
sempre qualche interesse.
Ili
L'opera del Celano è stata più volte ristampala, e sempre con aggiunte e modificazioni per adattarla ai tempi. Nell'edizione del 1724, l'adattamento fu compiuto da Francesco Porcelli, segretario del Regio Consiglio; in quella del 1758-9, da Domenico PuUo, giureconsulto K Numerose
aggiunte contiene la nuova edizione del 1792, stami)ata da Salvatore Palermo.
La più recente
e la migliore ò quella
cinque grossi volumi, pubblicati dal 18óG al ISCO, per cura del cav. Giovan Battista Chiarini (personaggio ohe mi è noto soltanto per quest'edizione del Celano); il (|uale in
ebbe
la
buona idea
di
ristampare integralmente
il
testo
originale del 1692 in carattere più grosso, e in carattere mi-
'
Soria,
I.
e.
UN DESCRITTORE DI NAPOLI
o76
nuto fece un'infinità d'aggiunte, compendiandovi, e spesso addirittura trascrivendovi, quasi tutta la letteratura posteriore circa la topografia e
monumenti
i
di Napoli,
Questa letteratura ha, per verità, scarso valore. Se
come abbiamo mostrato,
Celano,
è
un ricercatore,
i
il
suc-
cessori di lui fecero poco più che compilare dalla sua opera,
con
le
aggiunte relative
cadute nell'aspetto della il
Sigismondi,
il
alle
mutazioni posteriormente ac-
città.
Tali
il
Parrino,
bra e Dalbono. Solo di tanto in tanto, qualche
diligente
monumenti
il
Bulifon,
Galanti, per non dire degli ultimi, si
D'Am-
vide comparire
lavoro particolare sulla topografia e
i
di Napoli, specialmente per opera di Scipione
Volpicella.
Ma e con di
colui che ha ripreso la
amore pari
al suo,
ma
buona tradizione del Celano
con erudizione
e senso critico
gran lunga superiori, ha impresso nuovo impulso
studi sulla topografia di Napoli, è stato
passo.
Il
quale, se non ha elaborato
agli
Bartolommeo Ca-
una completa
descri-
zione storica di Napoli (che nessuno meglio di lui poteva dare),
ha pubblicato tuttavia una
serie di monografie, che
gettano viva luce sui punti più importanti e controversi dell'argomento, e ha compiuto una magistrale illustrazione della Pianta di Napoli nel secolo XI.
vili
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ NELLA LIRICA DEL SEICENTO
Jja parola rata tra
«
marinista
fu coniata o, almeno, adope-
»
primi dall'antimarinista
i
Tommaso
Stigliani;
quale intendeva con essa, come dichiara, non gih cui piacciono
compreso in
le tal
del Marino
scritture
numero
in
ma
parte le sue prime rime),
ed alcuni
frivoli
quanto
(che
<
anch'io sarei
piacermi in
al
il
coloro
gran
alcuni vani poetastri
solo
pedanti e lor discepoli,
i
t|uali
sono tanto
parzialmente appassionati di ogni sua sillaba, che giun-
gono le
al
segno da non istimare alcun altro e d'addossarsi
brighe di
lui
per loro proprie
i>
^ Xoi
qui in significato diverso e più largo;
gnare quei poeti che
e,
la
cioè,
prendiamo per desi-
mossero, su per giù, nell'ambito
si
stesso dell'ispirazione mariniana; o che lui proclamassero
maestro e guida, o che e in
si
modo indipendente,
dicendosi di diverso
mente,
ma
in
da considerare
indirizzo, e tali
particolari il
formassero contemporaneamente
o che, perfino, gli
secondari.
medesimo
si
opponessero,
essendo forse Marinista
Stigliani; per
real-
ò, perciò,
quanto
si
iniet-
tasse di parodiare la poesia dei marinisti, e per bocca del
suo amico Balducci^ facesse dichiarare che
1
Brano inedito
riferito in F.
la via
da
lui
Santoro, Del cavalier Stigliani (Na-
poli, tip. sannitica, 1908), pp. 44-5 n. 2
Prefazione
al Canzoniere dello
Stigliani
(Roma
e Venezia, 1625).
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
380
vera
hi
«
seguita,
via....
altro
non
è
clie l'unir la
e l'affetto del Petrarca colla vivezza dell'arguzie e colla varietà dei soggetti
Veramente, se
i
purità
moderne
>.
marinisti occupassero, rispetto al
rino, la posizione stessa di tutti
i
Ma-
seguaci, imitatori e
ri-
non metterebbe conto petitori verso gli volumi, ne fori ricercasse ne che lo storico della poesia uomini
di genio,
masse antologie, procurasse
di
determinarne
i
caratteri
;
e
basterebbe, tutt'al più, trattarli come manifestazioni e documeiiti della storia della cultura o dell'incultura che si voglia dire.
Ma
né
Marino fu un genio, né
il
i
marinisti
frazionamento, la cor-
rappresentarono l'indebolimento, il ruttela dell'opera di lui. Il poeta napoletano (che appare, in quasi tutta la sua opera, retore verboso e non poco più che altro, l'indicatore di una via, o di più vie, solo in parte percorse da lui; nelle quali non sarebbe forse arrischiato affermare che i suoi seguaci si
pedante)
fu,
spinsero più oltre e raggiunsero alcuni resultati, artistici
che egli solo talvolta e parzialmente ebbe a toccare. Egli seppe accendere e disfrenare gli animi dei giovani amanti di poesia, come pochi seppero in ogni
e
non
artistici,
tempo; e suscitò in
nuovo campo
essi
artistico
il
convincimento che c'era un
da percorrere,
e
li
rese disdegnosi,
anzi insolenti contro la vecchia arte e contro coloro che vi
si
attenevano.
Diceva uno
v/
di codesti giovani, fanatizzati
da
lui
^
:
«
Mi
fanno ridere quelle buon anime di Parnaso, che s'appalesano e si chiaman devote riveritrici dell'antica purità, la quale ai nostri tempi non è altro che mellonaggine, chia-
mando
1
alcuni pura ancora la lingua di quel secolo
che
PiEK FuANCESCO Mixozzi, Impazienze d'amore, saggio poetico deMuse (Firenze, Landini, 1638): si vegga la lunga lettera
dicato alle
dedicatoria.
_J
NELLA LIRICA DEL SEICENTO balbettava. Si studiano di lare scorgere tesa
sodezza nelle
sciapite
che non avranno lunga vita essi riti,
le
non
sale di
il
scienziati,
osando di dire
opere del Marino. Avendo
l'ingegno o melanconico o grosso, disprezzano le sottigliezze,
perché mostran
o
in-
composizioni, dovendosi
loro
chiamare piuttosto scimuniti che
381
di
gli spi-
non intenderle,
perché non l'intendono, o perché non sannoda lor medesimi inventarle; avendo gl'infelici vile e povero l'inten-
dimento, aborriscono
le
moderni concetti
».
dei
non
delle
foggia
ma
«
m'innamora non
l'aspetto giovanile
lettare ».
E
se
il
volto
di
quali
quale non è zati
e nella
vecchia
della
che sono
nnticiiit;"i,
tine delle
Il
stolti coloro
tempere delle penne aguzzate per
la
prendeva, sopratutto, coi
non
si
«
casisti
«
come esemplare
'jui
la
formata all'usanza de' moderni palagi, innal-
dichiarava:
bassa
«
Io
mi contento più
imitazione
ma
nel
tosto
di
ardenti,
E anche
naufragare
pelago dell'onde
che di star sicuro in questa casa,
la
marine
quale ad ogni modo,
'ssendo pur troppo vecchia, non può non eliiamarsi ».
>,
testudini senza cuore, non poeti
con fabbriche non ardite, come dicono,
scante
i
di-
la poesia
partono mai d;iiraniata lor casa,
di metafore d'aggiunti, d'iperboli, d'allegorie ».
con non
stessa
le
Giovanni della Casa: i
oltre);
dell'usanza moderna.
cioè con quelli che inculcavano
coloro,
ricami più preziosi
i
m'invaghisco delle giovani,
diletto; quindi è
il
quali biasimano
Io
(aggiungeva più
vecchie
composizioni è
bellezze ed
Tutt'al
più,
era
disposto
a
sacro quel cadente tempio delle muse,
mava, ad adorarne da lungi
«
e,
se tanto
si
mine
».
le bellissime
ca-
come
considerare
bra-
Le due tendenze, che erano particolarmente accentuate nel Marino l'è non occorre dire che non si formarono in lui per la prima volta, e che avevano una lunga e antica storia nella poesia italiana e una, più prossima, nella poesia
del Tasso), sono entramlie ricordate nelle frasi entusiasti-
^
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
382
che del giovane marinista, che nella folla
come
nostra guida.
ci
è piaciuto
La prima
chiamava « laMarino usava fare almeno oscenitcà ». « Il primo as-
^ denza che diremo sensuale, e allora sciva
distinguendosi,
»,
a parole, la
«
lascivia
come
il
dall' «
»
trascegliere
di esse è la ten-
si
saggio della poetica melodia che porgo al pubblico (scriveva il giovane marinista), è condito con l'ambrosia de'
che non potrà in qualche parte non essere aggradevole. Né s'abbia chi lo accusi di soverchia lascivia; impercioché non parlo che con modestia; e, poi, formariansi
baci,
si
querele contro tutta la poetica schiera. Oggigiorno la fama de' cigni più celebrati non par che voli gloriosa se
le
le penne svelte dalle ali d'Amore ». La setendenza è quella che diremo ingegnosa, e allora chiamava « concettosa », essendo in uso, in quel tempo,
non prende
^ conda si
perfino
il
verbo
«
concettizzare
»
'.
« Il
mio
stile
(scrive
ancora il nostro testimone) sembrerà forse ad alcuni soverchiamente festoso, dicendo che '1 troppo cibo del mèle
genera nausea, e che '1 cielo è ornato, non fabricato di si dee) stelle. Rispondo che '1 vizio (se però vizio chiamar insieme ed non è di un solo, ma di tutti i più moderni
Neppure il bisticcio gli era quando è congionto con qualche
più rinomati compositori sgradito:
«
Il bisticcio,
».
non è scherzo semplice di parola, si loda dagli autori di buona lega; ma esser dee non mendicato e non troppo frequente. Vuol esser come il neo, il quale, se è spirito e
unico
in volto di
bella donna, lo rende
che non avverrebbe se tutta quanta piena
la
più grazioso; faccia
il
ne fusse
».
Ora, di queste due tendenze la prima poteva essere artisticamente feconda, la seconda no.
1
Si
trova, p.
tacchi, 1662),
I,
e.,
p. 13.
in
Quando
in
un'epoca
Bernardo Morando, Opere (Piacenza, Ba-
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
383
Storica ogni altra sorta di sentimento ò debole, e rimane viva solamente la sensualità, e cioè la passionalità rudi-
mentale e quasi animale, è evidente che questa appunto costituisce la materia della poesia e dell'arte per quell'epoca. L'Italia- si trovava allora, per cause ben note, in tale
con-
né poteva
dizione;
produrre
un'arte
diversa se non in
quanto diversamente sentisse. E diversamente sentiva alcuni
spiriti
solitari,
p.
diversamente, in quei casi,
e. si
in
Tommaso Campanella,
in
esprimeva; tanto che
e
rude
la
poesia campanelliana sorge quasi severa ombra dantesca accanto all'effemminata marinesca, della quale è contemporanea e compaesana. Ma il grosso della corrente, come
appariva non solo nella poesia
menava
degli spiriti ste,
ma
in
tutte le
altre arti,
sensualismo; e di questa condizione generale
al
il
Marino e
i
applaudite, legittime.
marinisti furono
A
le
voci richie-
non può toccare
noi
il
com-
pito di deplorare che cosi tosse, giacche quella materia offriva alla poesia
come una
si
necessità storica.
L'ingegnosità, invece, direttamente consideratji, non poteva essere arte, perché consisteva in un atto pratico, nella
finzione
gioco, nato
di
un pensiero
un sentimento,
e di
e coltivato negli ozi della vita cortigiana
cademica,
e diretto
l'intelletto
senza veramente esercitarlo
ad ammazzare
il
tempo
in
un
t-
ac-
col solleticare
e nutrirlo nella
cerca e osservazione del vero. Essa era, dunque, un
ri-
vuoto
teoretico; laddove la contemplazione della sensuali! A, per povera che fosse (comparativamente parlando), si presen-
tava pur sempre
come qualcosa
di
pieno e di significativo.
II
Che il
l'effettiva
ispirazione
del .M.uinn
centro di gravitazione delle
loro
< dei
marinisti,
anime, fosse
il
sen-
sualismo, abbiamo sentito confessare dal marinista da noi
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
384
potrebbe documentare con altre citazioni. Ma nell'idillio La nessuna varrebbe quella del Marino stesso, due amanti iscena in mettono bruna pastorella, dove si citato, e si
che sfogliano
il
volume
della Lira, e l'uno dice all'altra:
Lungo fora e soverchio Del commesso volume ad una ad una le carte;
Tutte volger
Ecco l'indice qui che a parte a
parte,
Registrati per capi, I
soggetti racconta.
Passiamo
i
carmi gravi,
cui loda gli eroi, prega gli dèi, di morte i trofei piangendo canta.
Con
E Veniamo
ai pili soavi.
In cui con dolce vena D'amor vezzose e molli
Le tenerezze
e le delizie esprime...
senza pensarci, il Marino assegna il metutti i canzonieri del todo in cui conviene leggere quasi di solito in rime ripartiti Seicento; nei quali, per quanto
Senza
A-olerlo e
via discorrendo, amorose, lugubri, eroiche, morali, sacre, e esse principalmente. Le solo le rime amorose contano, o in modo afrime lugubri ed eroiche sono rimerie eseguite e mercede; commissione per spesso, fatto meccanico e, assai sociale o ipocrisia da imposte le rime sacre e morali erano accostarsi induceva ad dallo stesso calcolo superstizioso che ma tra quelle amoindulgenze; le pigliare a e ai sacramenti del poeta dell'animo schietti movimenti rose s'incontrano i
immagini a cui dava tutto il più serio interessamento che moltissimi, del quale fosse capace \ Che cosa importa
e le
1
<
È
per tale la corruttela degli studi poetici, o
meglio dire de'
non si risente la Musa, poeti istessi, che ad ispiegare soggetti sacri Pare che oggidì non non armonizza la cetra, non fiorisce l'ingegno si
che dai sospiri degli trovino spiriti più vivaci al comporre di quelli
NELLA LIRICA DEL SEICENTO se
non
netti,
tutti,
poeti di alloia introducano, tra gli altri so-
i
uno che contiene
mai innamorati nella finti?
Vera o
385
finta
la protesta,
che
vita reale, e che
non
essi
si
erano
loro amori erano
i
che fosse a sua volta questa dichiara-
zione, serv^e a confermare, tutt'al più, che
la fantasia
di
quei poeti era assediata da inimatjini d'amore, anche quando la loro vita si
svolgeva pacatamente o freddamente come
di austeri ecclesiastici o di gravi letterati.
Nell'amore di questi poeti, è sparita ogni traccia duale di concezione stilnovistica o platonica;
gono accenni mentale
che sarà poi
di quella
romantica. Contro
o
si
resi-
scor-
concezione senti-
la
l'amor
né
platonico,
protesta
esplicitamente Scipione Errico:
Ceda
al tatto la vista, al
Perché tocca e non mira
E
labbro
lume;
il
guatar, T affisar vada in disparte,
Il
il
cieco
nume
'.
Tiberio Sbarra: Noi tal foco non arda, e sia da noi Lontana pur si cieca via d'amare,
E
tutte le sue glorie e pregi suoi;
Ma
rischiarino
i
sensi ora due chiare
Luci ridenti, or dolci note, e poi Vezzosi baci o cose altre
Ciro di Pers è dei pochi che e
adora
nella
specialnK.-nte
sua
n<-i
donna
sonetti
il
in
si
pii\
care.
ricordino del platonisnjo;
raggio eui la
della
beltA
di
Dio,
descrive sfiorita dagli
anni.
amori profani
e dal fiato delle
(B. MoKANiJO, Poesie sacre e
trombe guerriere sogliono derivare
morati, Piacenza,
l''>«ì-2,
in
Opp., IH,
•
p|'
157 sgg.). 1
1
Si
vela per tutte
le
citazioni e
i:colta dei Lirici viarinisti (Bari,
le
allusioni,
Laterza, 1910).
che seguono,
la
mia
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
386
che un amore, dunque, in genere, affatto voluttuoso,
È
quell'oscenità giotocca assai spesso l'oscenità; e non già che ha un'oscenità ma viale della tradizione boccaccesca,
un amqualcosa di peccaminoso. Si avverte di essere in di una biente cattolico, tra gente che soffre gli scrupoli alle sole religione superficialmente professata e pur dà sfogo dei qualcuno legga Chi l'animo. passioni che le scaldino chiavedere può Fona, romanzi e novelle di Francesco ramente questo contrasto. La Messalina del Fona comin'
cia con un'esortazione:
Accostatevi,
«
La
gite. Venite, caste matrone....
non fugquesto volto può
pulcelle,
vista di
apparirà più mostrarvi quanto sia deforme l'impudicizia; caste delle »; ma lo in confronto, la limpidezza bella,
più vivaci colori a descrivere .la belcol suo sentilezza e i costumi di Messalina, accarezzandoli tutta la piena qualità è stessa della mento. Di descrizioni
scrittore profonde
i
Galleria delle donne celebri'' del delle
«
lubriche
»
come
delle
<^
medesimo caste
-^
scrittore, cosi
e delle «sante »;
emana dalle quel tempo. Né mancano del
impressione voluttuosa
e, in verità, la stessa
opere di arte figurativa di tutto nella letteratura,
come abbondano
nella pittura, certe
verso tendenze, che potrebbero dirsi sadistiche, i
tormenti,
gli
spettacoli crudeli.
sangue
La
«
«
E nuotano
amori in
dice Marcello Giovanetti, descrivendo
mezzo al la donna desiderata, che »,
sangue,
il
gli
cortigiana frustata
assiste a »
è
un'esecuzione capitale.
uno dei temi
lirici
trattati
dal Brida parecchi, dal Giovanetti, dal Maia-Materdona,
gnole-Sale
^.
i
Venezia, 1627.
2
Ne ho
3
Pel Maia,
p. 20;
per
innanzi l'edizione di Venezia, Zatta, 1663. (6.a ediz., Napoli, 1632), parte si vedano le Rime
gli altri
due,
la
I,
mia antologia.
I
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
Un amore
di
questa sorta non
387
può avere una
spirituale molto complicata; e, infatti, essa
descrizioni di abbracci, di baci e di
si
storia
esaurisce in
Tanto
altre voluttjt.
più s'insiste sulla celebrazione delle bellezze della donna
amata, e su
pagnano chiari il
;
neo,
con
mani;
la
bocca;
e,
specialmente,
le
Gli occhi
lei. il
seno
;
la
situazioni, che
si
biondeggia o intreccia
che
si
bagna
di neve,
si
addormenta si
la
:
il
in aperta
con
alla tor-
l'olivo nel giorno delle
altresì nelle sue varie condizioni sociali
la serva, la
mendicante, la pellegrina,
tigiana, l'attrice di
commedia
cam-
diverte a scagliare palle
suo bambino, che canta, che dico
torna di chiesa
donna
capelli;
i
che danza, che va in maschera, che gioca
che
Appare
lago; che
ancora: la donna che
che culla
zioni,
un
in
;
nella lirica entrano
rado vi erano adombrate
abbiglia; che
cia,
E
di
si
o
pozzetta nelle guance
prima
che
E
neri o azzurri
chiome bionde o nere, sono og-
le
getto di osservazione ed esaltazione.
pagna.
che accom-
tutti gl'incidenti esterni e materiali
le relazioni
la
:
la
ora-
lo
palme.
signora,
schiava.
cor-
la
o di tragedia, la cantante, la
ballerina, la ricamatrice, la legatrice di libri, la maestra delle operaie, la raccoglitrice di castagne, la villanella, la
pastorella; e via dicendo. di
Appare
rado fanciulla, nell'età ingenua
nell'estate
degli
anni;
talvolta,
tempo, tal'altra cedente a
vano sue
coi
lisci
più varie
e con
altri
essi,
nelle sue varie otA, e virginale; quasi
resistente tal'altra
artifizi.
nr-Ile
danni del
combattente, in-
Appare,
in
fini-,
nelle
cieca, zoppa, gobba,
deformazioni fisiche:
muta, balbuziente; e
ai
ma
sempre
sue infermità: epilettica, còlta/
da svenimento, bruciata dalla febbre.
Guardiamo più da vicino queste
scenette, che
abbiamo
accennate di volo, e altre simili a queste. Il Sempronio, rappresenta vezzosamente la sua amata, che ha com-
p. e.,
lavanda delle chiome e le ha intrecciate con un bianco panno, quasi turbante, per lasciarle asciugare:
piuto
la
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
388
Sembra Eurilla gentil vaga turchetta, Quanto barbara pm, tanto più bella!... o
lascia cadere
quando
capelli sulla fronte si che le co-
i
prano gli occhi: Cari lacci de l'alma amati e
Ch'a ciocca a ciocca in su
E
lascivi e sottili e serpentelli
Con
solchi d'or le vive nevi arate;
Oh
quanto, oh quanto ben lievi scherzate
Su due 11
stelle
d'amor,
torti in anelli!...
Maia-Materdona coglie tutto che fa
trionfo
il
femminile
al
lungo e difficile abbigliamento; nel presen-
termine di un tarsi
belli,
la fronte errate,
donna agli sguardi medesima:
la
mondo, pienamente
del
soddisfatta di sé
Ad un tempo Apre Bagna
del ciel
E
di
col sol
madonna desta
d'un volto
nanfe
i
i
gemin' astri,
teneri alabastri
serici al bel fianco arnesi appresta.
Lo speglio adatta e de l'inculta testa Ara il crin sciolto con eburnei rastri. L'accoglie e intreccia con argentei nastri E di mille narcisi indi il tempesta.
Increspa
A E
il
più minuto a ferreo
stile,
l'orecchie sospende aurate anella, fa di perle al collo e d'or monile.
sua reggia, e si favella « Or chi da Battro a Tile Vide cosa già mai di me più beila? ».
Esce
alfìn di
Ne' suoi silenzi
di
:
Le vesti multicolori, con le quali la sua donna sempre nuove apparenze, ispiravano un canto
cedonio
si
copre
al
Ma-
:
Que' tuo' vaghi colori.
Onde
vai tanto altera.
Variando or
lo
bende ed ora
i
manti...
i
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
Fontanella contribuisce all'abbigliamento, mandando
11 lìti
389
5;ua
amata
dono un paio
in
di guanti e rivolgendosi
a essi teneramente: Vestite quel purissimo candore,
Con quei viluppi Prendete
i
lacci
di meonie sete ad emular d'amore.
Oh quanto ag"li occhi miei grati sarete, Se quella man che m'imprigiona il core Per mia vendetta in prigionia stringete! ]\Ia
lo
poeta guarda con occhio avido
stesso
nube d'odorosa che cela •
Preziosa
tela,
petto di
il
lei;
e
d'Olanda
prega Amore che
juando a un tratto un amico colpo
al
di
la
«
Ijianca
alma testura la
»,
sollevi;
vento viene incontro
suo desiderio:
Ed
ecco già che, spiritoso e lento,
le sue molli piume, Quel che mi nega Amor, mi dona il vento!
Col ventilar de
Xon meno è la giovane
attraente che nelle sue vesti lussureggianti
donna del medesimo poeta,
la
quale culla
suo bambino cantando: Tremola navicella un
di
movea
Quella che del mio cor regge la chiave, E spirando col canto aura soave
Per l'onda de l'oblio lieta scorrea. Ubbidia la quiete al moto grave Che con impeto lento il pie facea, E l'agitata e pargoletta nave In braccio a Pasitea lieta correa. Placida nube e graziosa intanto
Chiuse
al fanciullo
Ch'umido
si
vedea
il
delicato ciglio,
di molle pianto.
un bel vel aureo o vermiglio sonno apporta Citerea col canto, Dentro cuna di rose al nudo figlio. Cosi, dentro
Il
i
il
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
390
L'amore è
è ritratto in tutti
l'innamorato die non
quando
la parola,
si
suoi minuti incidenti. Questi
i
coraggio e cui muore in bocca
Iia
accinge a fare
la
sua dichiarazione:
E come spesso il mar con ondo piene Romper le mete sue par che si miri, Sol poi spuma e rimbomba in su l'arene; Cosi tentan passare
Spuma
i
ma
confine del cor,
Il
miei martiri
fuor sol viene
suono
di pianto e
di sospiri.
Questo è l'amore che deve contentarsi di sguardi: Parlo con
Con
gli
gli
S'abbraccian
E Questa è
bacian la
occhi
occhi ancora gli
tuoi begli occhi, e spesso
a' i
tuoi begli occhi ascolto;
occhi nostri in dolce amplesso,
gli occhi nostri
il
nostro volto...
vecchia che porta l'imbasciate e delude l'aspet-
tativa dell'amante:
Alor che immerso in tenebrosi errori Aspetto un Sol vie più del sole adorno,
Veggio apparir Seccarsi
E
ì
la
vecchia nunzia e intoi'no
prati e raddoppiar gli orrori...
quest'altra è la bella damigella di compagnia:
O
de
la
Che
fai
terrena a
Luna mia seguace le
stella,
celesti oltraggio,
Anzi, o splendor che sei d'un Sol messaggio.
D'amoroso orizzonte alba
Lo Zazzaroni
le
amava
novella...
tutte e due, l'ancella e la padrona:
Per doppio incendio mio m'offre Fortuna, Entro un albergo sol, serva e signora D'egual beltà; se non eh' a questa indora Natura il capo, e a quella il crin imbruna.
L'una rassembra
O
il
sol, l'altra la
luna,
questa l'alba appar, quella l'aurora...
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
Un
tale,
che segue per via
ombre che
loro rispettive
si
Del corpo mio, che
la
391
donna amata, scorge
le
abbracciano sul selciato: di lontan Bii
moro,
Veggo per opra del gran lume errante L'ombra felice a la superba avante Usurparsi
Un
il
mio gaudio,
il
mio
ristoro...
altro è costretto a contentarsi di
La
tocco
e,
rileggendo
una
lettera
:
dolci accenti,
i
Con gli occhi entro quel nero asciutto umore Bevo la medicina ai miei tormenti.
La casa dell'amata è continuamente circuita, ora per ispiare quando ella vi è dentro, ora per rivisitarla durante la lontananza di lei. A quelle mute mura domanda il Paoli: Dite:
—
Legge
mai
ella
meste
le
carte.
In cui scrivo l'ardor che chiudo in petto?
Vedeste mai per solitaria via Venir notturno amante, armato e
A
trionfar de la guerriera
solo,
mia?
Ah, voi tacete! ed io che per lung'uso So quanto piaccia altrui l'esser secreto, Voi, fidi secretar!, or non accuso.
Un
altro sente la sua
nella casa vicina
donna che canta
di là dal
muro,
:
Angelica mia voce, indarno ormai a le tue gorghe argine fassi. Che già, mentre scoccando al ciel le vai. Di dolcissima gioia il sen mi jjassi...
Un muro
Ma
giuro bene anch'io che, se
Coi canti a violar tu Coi baci vo' sforzar
rirlo
:
al
porte
tue porte.
un dolore
petto di lui
ti
mie mura.
io le
Scipione Gaetano accusa
amante accosta
le
il
al
petto, e la
proprio seno
sua
per gua-
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
392
Quel vago sen, che di sua mano Amore Tutto cosparse di ligustri e rose,
Sul petto mio Glori leggiadra pose Per sanarmi di fuor lieve dolore... II
Sempronio
che è assai più
paragone
fa
alta,
si
di statura
che egli non
con
la
sua donna,
giunge
le
al
volto:
Giunsi a baciare, idolo mio terreno, Se non gli amati fior del tuo bel volto, I dolci frutti
Una
almen del tuo bel senol
situazione curiosa, e certo suggerita dalla realtà, è
quella di chi fa
il
maestro
di alfabeto alla bella ignorante
donna, della quale è innamoralo senza corrispondenza: Ridice ella inesperta ogni mio detto,
Ma
tace scaltra
a'
miei sospiri ardenti...
Fingo in lei tardo ingegno, e, minacciante, Tocco sul volto suo le chiome bionde. Maestro ardito e rispettoso amante.
Se questa è gi;ite.
La
la
«
scolara
»,
seguono
le
operaie corieg-
filatrice di seta:
China
il
Sottilissimi
sen, fili
nuda
il
braccio, accesa
il
volto,
Egle traea
Da
ricchi vermi, ove bollendo ardea Breve laghetto in cavo rame accolto...
La dipanatricc:
Un
girevole ordigno oggi volgea
Filli, di
bianco stame intorno avvolto,
Che d'ampio cerchio Quanto scemava l'un
La maestra
in picciol globo accolto l'altro crescea...
delle fanciulle: Stuol di varie fanciulle in giro accolte
Davanti a la mia Clori un di sedea, Ed ella molte in tesser tele e molte In far trapunti ad instruir prendea;
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
393
Là de
le fila all'arcolaio avvolte bianco e picciol globo altra facea;
Un
Qua con
annodate or
la seta, or
sciolte,
Preziose orditure altra tessea...
La lavandaia: Su quel margo mirai donna, anzi Succinta in veste,
Ch'assisa in curvo pin, fra
Gl'immondi panni
C'è anche hi
i
puri argenti,
al flumicel tergea...
pellegrina
«
dea,
crin disciolto ai venti,
il
»,
la
donna non
sa
si
donde ve-
nuta, l'avventuriera o la girovaga:
Vestendo a
N'andrem
O
quella che
si
gnola morescata
te simil logore spoglie,
uniti, o pellegrina errante...
sa bene ->
donde venga:
la
Chi vuol veder pur come alletti e laccio ogn'alma in questa nostra
Un La
E La
«
«
meretrice spa-
:
tiri
etadi-,
grazia di costei, l'alma beltade,
'1
soave parlar contempli e ammiri...
cortigiana fru.slata
>
del Brignole-Sale è ritratta nel
suo atteggiamento di dolore e vergogna:
La man che ne Con duro
lo dita
ha
le
quadrello
laccio al curvo tergo ò avvolta.
L'onta a celar, ch'ò nello guance accolta, il confuso crin riroa procella...;
Spande e,
a
temperarne
foggino essi
il
il
tornn-nto, s'invocano gli Anidri percln*
flagell'\
<-ii.-
<1..\ !•.
.•-<.!•-•
1" ,,1
in,.
-i
del supplizio:
Verso
i
giardin di Cijiro
Vezzosetti Amorini,
ali
al voi scioglioto,
odorose;
Dolci viole, morbidette rose.
Con
la tenera
man
quivi cogliete.
innn'iitM
394
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ Tra mille
Che
o mille quelle sol scegliete
nelle foglie appariran pietose...
Quindi un flagel ne
laddove
il
fate...
Giovanetti osserva
galeggiare verso
la
i
colpi e le ferite, per madri-
cortigiana similmente castigata:
E mentre in lei da man nocente e Tempesta di percosse aspra piovea,
ria
Quanti gigli sugli omeri abbattea Quella tempesta, tante rose apria; e per farla infine celebrare dalle
bella martire
E
le
d'amore
innamorate genti come
« la
».
malattie delle donne? Basterà ricordare una delle
molte descrizioni di
salassi, fatta dal
Prese medica man Ove inferma languia
E
Fontanella:
serico laccio. la bella Irena,
quel molle annodò candido braccio.
Che nel
d'Amor l'alme
reiino
Ai zampillar
Mancò
incatena.
di quel sorgente rivo
poco a poco, Tinse un bianco pallor l'ostro nativo...
La
la bella, e dolce, a
civetteria della
donna
è analizzata cosi
da Scipione
Gaetano:
Or arde, or gola: e l'ardor suo comparte Prodiga a mille amanti in mille ardori, Quasi raggio di sol ch'in rai si parte. Fa mill'alme d'un' alma; in mille cori Cangia, infida, un cor solo; ahi, con qual'arte Un amor si divide in tanti amori?
Lo
Stigliani descrive
una
bella,
che
gli
getta un fiore dal
balcone, nascondendosi:
E
gittommi in
ritrarsi
un
fior
In atto che fu studio e parve
dal seno
errore...,
NELLA LIRICA DEL SEICENTO e quella che,
nel giuoco di
l'orecchio:
Ardisci!
aveva
«
»,
una
veglia,
e lascia
395
mormora
gli
spegnere
torcia
la
al-
che
mano:
in
Poi, di terger fìngendo
Nella forbice argentea
il il
lume acceso, seppellio.
Ratto un tacito bacio allor cols'io, Consigliato dall'ombra e audace reso; Si che prima ubbidito ebbi che inteso Quel che dir volse ii mio dolce desio; Che, rallumato il già morto splendore,
La Il
rividi più lieta...
Kovetti preme
Tu
piede alla donna sotto
il
chiedi quel ch'io vogiio
Quando
a
mensa
taior
ti
premo
il
piede?
Ah, che negli occhi ogni tuo sguardo
Sorvoliamo sulle scene dei godimenti. inesauribili,
tavola:
la
specialmente,
I
il
vede!..
marinisti sono
sull'esempio del
maestro, nel
tema dei baci: si ricordi la canzone dei Bacie l'idillio La bruna pastorella. Tutte le forme e modi dei baci sono descritte e celebrate, con una casistica appassionata. K non
solo
i
baci,
ma
altresì
i
morsi
:
Famelica d'amor, l'amato volto Al suo caro Filen Lidia mordea,
E
sovra
il
volto stesso indi piovea
Di baci un nembo affettuoso e folto. Ed ei, che a lei sedendo in braccia accolto, Or baci or morsi ai labbri suoi roniloa, Cosi con voce languida dicen Ver' la bocca bellissima rivolto... E,
come
gli
occhi
i
baci, cosi celebrano in cento
modi
Ir
:
In quell'azzurro
Rassembra
il
sol
il
lascivir
d'un guardo
ne l'onda azzurra e pura;
cliionic e
*^
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
390 dice
il
Bruni, con evidente reminiscenza degli occhi della
tassesca
Armida (la Venere genitrice di Lo stesso Bruni ha un inno
marinisti).
A
voi giro
mio
il
cor,
volgo
tutte le
donne
alle Belle
dei
chiome:
lo stile,
Pi'eziosi legami,
Nembi
d'oro
sottile,
Auree nubi, aurei Il
stami...
Giovanetti canta quelle nere: Chiome, qualor disciolte in foschi errori la fronte vi miro in giù cadenti...
Da Il
Sempronio iperbolizza intorno a una chioma rossa: Tutta amor, tutta scherzo e tutta gioco, Il
suo vermiglio crin Lidia sciogliea,
E uu
diluvio di
fiamme a poco a poco
Sovra l'anima mia piover Il
riso
ha ben
sdolcinate e
altri
facea...
cantori che non
il
Chiabrera nelle sue
Bisogna leggere l'inno
artificiose canzonette.
del Saloraoni: Tu, dolcemente uscendo
Fuor degl'interni Quasi da fosco
E
dolce
un
calli,
ciel
chiaro baleno,
uscio aprendo
Di perle e di coralli M'apri soavemente il coro Gli amanti, talvolta, celebrano S'io miro la S'io
d'amor
mia
il
e
il
seno...
loro affetto concorde:
mi mira; d'amor favella.
ninfa, ella
parlo, essa
S'io rido e scherzo, e scherza e ride anch' ella
Piange
al
mio pianto,
Ella tutta in
me
ai miei sospir sospira...
vive, io tutto in lei;
Io spiro col suo spirto, ella col mio, E,
s'
a
lei
do
tre baci, ella a
me
sei.
NELLA LIRICA DEL SEICENTO Tal'altra,
baci
i
Oh
mescolano con
si
307
le liti:
Dio, che dolci guerre ed aspre pnci
Ebbi con Filli! E, l'una e l'altro sordo Già da le strida, in qualche bacio ingordo Punto facean le nostre lingue audaci... Tal'altra, la bugia viene ad avvelenare l'amore.
cedonio rimprovera in
la
sua amata delle bugie che
Il
Ma-
gli dice,
questo elegante sonetto: Se
Le
'1
petto ha cristallino e mostra fòre
viscere più interne e più celate,
Se nudo è sempre e nulla asconde Amore, Chi fa bugiarda voi, che tanto amate ? Quanto con bocca angelica dettate Scrivo in diamante e serbo in mezzo al core O divina bellezza, or non vogliate Il tempio in cui v'adoro empir d'errore! Acciò che l'alma a voi devota, ed usa A dar incensi al vostro altare adorno,
Che miracoli
tanti or di voi crede,
Non abbandoni
E da
il
un
vostro culto
giorno,
fallaci oracoli delusa,
Perda a
l'idolo suo l'antica fede.
La donna appare una Con immoto In
:
ti
volta preoccupata e chiuda in sé: stai ciglio severo.
te raccolta e nel bel
velo ascosa:
mio dal tuo pensiero. Penso a che pensi, o bella mia pensosa... Ond'io, nascendo
il
Alcuni quadri sono assai delicati come gliani
:
La primavera, dove un
un canto tenerissimo
la
quella volse '1
due dello
il
Sti-
rustico amatore saluta con
sua bella, che esce quasi
tiuio tocco allo spettacolo del
E E
i
mondo viso,
premiò d'un sorriso;
in festa:
a «l.irc l'ul-
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
398
lo stesso e l'altro, Il chiarimento, in cui
con
fica
scitata
amante
si
giusti-
sua bella di una gelosia involontariamente su-
la
:
Cosi parlava l'amator selvaggio,
Quand' ella, alquanto accoltosi la vesta, Ridendo, segui oltre il suo viaggio
Con l'urna
in testa.
Ili
Ma
sensualità non
la
si
aggira soltanto intorno
donna. L'intera natura assume un l'aria,
il
mare,
selve,
le
i
laghi
aspetto amoroso.
sono tutti
alla
Il sole,
sorrisi,
lan-
Ninfa tiberina del Marino, umida sponda del Tevere, ora scherza
guori, carezze, lascivie. Nella la
donna sull'erbosa
ora siede, tendendo
il
piede all'onda che s'avanza e ritrae: d'amor l'onda amorosa.
E, perch'arda
Nudo
le
porge
ai molli baci
il
piede.
terrazzo La donna del Maia-Materdona, spiegando sul scompartita sua casa i bei volumi d'oro della chioma il
gran cappello
di
paglia,
dopo
il
della sotto
lavacro d'imbiondi-
mento, ad asciugarli al sole e ai venti: Questi col
soffio e
que' co' raggi ardenti
Beono, accesi d'amor, l'umor eh' è in loro.
Giovanetti solleva con la candida mano i lembi lago solitario: della veste, per bagnare il bel pie nel
La
Filli del
E
l'onda, ch'era
immota
e taciturna.
Con garrula allegrezza al sen
le balza!
O dorme: Presso un bel rio che de la sponda erbosa, Umido amante, iva baciando i fiori...
NELLA LIRICA DEL SEICENTO L'Achillini ha descrizioni dosi e lascivi », di
pinge e vagheggia
giardini
di
399 ricoveri
«
fron-
una selvetta clie sé stessa nel Ren di un bosco che s'inchina e verdeg«
»,
gia offrendo riposo al pastorello.:
E
l'ombre mie
Tesse col sole
Xel Preti è di
ti
ricama
seggio.
il
un tacito paesaggio alpestre bagna nel ruscello:
la visione di
una ninfa, che
si
e
giurerei che quella rupe amante
I'
È È
la giovinetta foglia
e
di lei fatta di pianto
;
e quella fonte viva
amoroso onda
stillante.
L'Errico descrive con colori caldissimi una
lieta
giornata
estiva: L'aura, che del ballar nobil maestra
Dolce
E
commuove
a vaghe danze
move
seco ora a sinistra, or
Con lunghi
giri
i
i
fiori,
a destra
lascivetti odori
;
dona or toglie, e accorta Di natura comparte almi tesori, L'aura,
De
E
la
'1
e'
verde femiglia è spirto e
ciel
e destra
or
vita,
ridente a vagheggiarla invita.
Nel mare soleggiato
si
bagna una schiera
di
donne
:
Ed in un s'inargenta e in un s'indora Con spume il mar, con sciolte chiome e bionde, E gemiti d'amor mandan talora, Da le tenere palme aperte, l'onde... Posilipo e altri luoghi
ameni sono
descritti
galanteria: il Tirreno bocca de l'onde
Grazioso
Con
la
il
pie
ti
baci;
In quest'acque vivaci Ove danzano ognor ninfe e tritoni,
Ove
fiori li dai,
perle
ti
doni.
con colori
di
400
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
Ma, quel eh 'è notevole,
eontemplazione sensuale
la
si al-
larga talvolta in amore degli spettacoli e degli oggetti naturali
;
e
anche qui
torica,
si
può osservare
che creò allora
con l'arte
la relazione
pit-
paesaggio. Sopratutto, quei poeti
il
furono attirati dall'acqua e dai suoi svariati giuochi; era nel tempo che ornò di fontane fastosissime tutte d'Italia. Descrissero fontane e cascatene, fra
Stigliani,
il
Giovanetti,
Maia,
il
il
altri,
lo
Fontanella, periìno
il
sacro e morale rimatore Matteo Barberino,
Urbano
Vili. Questi ritrae con esattezza
Qui dove sorge Arresta
si
le città
il
gli
futuro papa
un po' fredda
:
volubil onda,
la
passi, o pellegrino, e intento
i
In mille guise
il
bel liquido argento
Mira cader del fonte in su la sponda. S'erge altronde l'umor ch'in copia abbonda, In stille altronde piove; indi non lento Vibrasi in giuso, e quindi in un
momento
Sale e in sé torna, ond'è che in sé s'asconda.
E
mentre or poggia, or cade, o in sé
Talor
spande, or sé
si
Sì d'un in altro
moto
medesmo
si rota,
flede,
trasforma,
si
Che, benché nel cristal mobile immota
Sua sembianza abbia Gh'ognor
Ma
si
il
fonte, l'occhio crede
cangi in varia e nuova forma.
in altri l'acqua vive tutta la propria vita.
netti, se
ne ode
il
Nel Giova-
fragore:
Fùr veduti a la fin da cento bocche Cento fiumi versar gonfi serpenti, E con tal precipizio avvien che fiocche Il
bel diluvio di que' molli argenti.
Che sembra udir da
le
superbe rocche
sonoro ulular de' bronzi ardenti. Ai lieti auguri, al plauso de le linfe.
Il
Eco rispose Il
e risero le ninfe.
Fontanella celebra un ruscello, che in seno
una lacera pietra esce tremante
»
e
al
prato
«
da
s'incorona d'erbe e
NELLA LIRICA DEL SEICENTO di fiori,
ed
è
sempre
4(tl
canto degli uccelli;
allietato dal
si
che dovrebbe dirsi Org'ano de la selva e non ruscello
Celebra
che un amico ha costruito nella sua
la fontaiiina,
casa, descrivendo
il
!
fiume Scbeto, che passa per
Napoli, ne alimenta le fontane, rallegra
la cittji di
bosco del
il
pa-
lazzo reale, finché:
Giunge
al tetto onoi-ato,
Del mio caro Nardillo,
E da piombo
foralo
Prigioniero vagante esce tranquillo,
E
con tremula fuga e dolce suono
Fa
di specchi cadenti
Accanto agli spettacoli dell'arsura.
trono.
acqua, sono quelli del calore e
di
descrizioni possono
Siffatte
rando, nello Zito
un regio
vedersi
anche qui, specialmente,
e,
nel
^fo-
Fonta-
nel
nella:
Cento bocche
Domandando
la terra
pietà,
E
da l'armi del sol Mostra le piaghe al
Son de
E
la terra
i
apre anelante,
venendo meno; trafitta
fior
il
seno,
focosa amante.
ciel,
bocche funeste,
sospiri gli odor, lingue le frondi,
Che per
tante
ammorzar vampe
Pregan che sopra
lor,
celeste
prodiga, inondi.
Tragico il bosco; e '1 monto orrido e solo Funestato ha di polve il crine e il manto...
Per aver nel calor rifugio ahjuanto. Querulo piangoria l'almo ui*ignuo!o; Ma gli manca la voce e muore il pianto.
Piacevano, oltre quelle leggiadre e carezzevoli, sioni violente; i
ma.
in
!<•
intiT
veritA, quei poeti riccrcAVan
più vari aspetti della natura:
il
vent".
la
tenip'
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
402 notte, la luna,
pagna aprica.
la
cam-
un sonetto una
fiera
verno, insieme con la primavera e
il
Il
D'Aquino descrive
in
tempesta: E, fra diluvi e fra tempeste tante,
Con
E il
di
gli infocati
fra le nevi
il
lampi
giel si mesce, fiammeggiante;
il
cielo è
Giovanetti, l'inondazione del Tronto;
Diana
in
il
Rovetti,
il
lago
Nemi:
Placidi sempre in te scherzano
Di greggi ondose Fatto speco
Ma
le tue ninfe
ai pastor,
i
venti,
appaghi,
specchio agli armenti.
quel recinto d'arboscelli vaghi,
Teatro illustre de' tuoi chiari argenti,
Vuol Il
dir che la corona hai tu dei laghi.
Cusano tenta
di
rendere
la
strana impressione di una mu-
sica notturna:
Tu, che fra
profonde
le caligini
Spiri armonia, de la profonda notte
Le dolci pose dolcemente rotte, Che del fiume leteo stillano l'onde. Ben sembri chi di Lete in su le sponde. Fra l'ombre già de le tartaree grotte, Per tifarne le bellezze ivi condotte Sciolse dal mesto cor note gioconde. Ecco arresta
la
Luna
il
moto eterno
;
Stupisce forse, perché un simil canto
Fra Il
Fontanella
campagna
gli orrori ascoltò del
ci
dà
la
nero Averno.
visione di
un convento
:
Poggio dal piano a l'erta, ad ora ad or toccar le stelle Su le cime de' monti altere e belle. Pendo nel mio piacer dubbio ed incerto, E dico, asceso in si sublime loco: « D'arrivar sopra il ciel mi resta poco ».
E parmi
in
piena
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
403
Ivi, mentre respiro Fra due valli mi fermo ombrose e cupe. Ove si sporge fuor diserta rupe SorgQf tempio devoto al elei rimiro, Aula sacra di Dio, ch'infonde al petto, Riverenza, stupor, tema e diletto.
Santo e romito stuolo,
C'ha
di cenere sparsa ispide vesti.
Spira qui con silenzio aure celesti.
Ricco di povertà, solingo e
Ha
d'irsute ritorte
Scalzo
il
il
pie, rozzo
solo,
fianco avvolto,
manto
il
magro
e
il
volto.
Insieme con questi aspetti del paesaggio, entrano nella poesia descrizioni di piante e di animali:
Sopra trono
il
melograno, che
:
di frondi
Regge popol minuto, Di vermigli granelli orbi giocondi...; il
garofano, che sdegna la plebe dei
supremi balconi da mani mare, dove sorge tura
»,
che
il
il
di
corallo,
donna; «
di
fiori
e ha cultura nei
le collinette fiurite del
magico sangue alma
nuotatore schianta,
noi trarlo fuori
e.
l'acqua, rimane dubbii» s'è pietra o pianta; la i>erla
mellino;
il
;
fat-
dell'er-
pappagallo: Mira come ha leggiadro
il
curvo rostro,
Come liscia la piuma e terso il vello; Ha manto di smeraldo e bocca d'ostro,
E il
pavone,
cinto
>,
ridice taior quant'io favello...
il
Il
il
quah-
d'un
pennuto gemmaio
;i(l(inin
apre l'occhiuta coda alia vista di una bella
donna
e :
suo occhiuto spiegò cielo rotante;
cavallo, di cui la gente s'affolla ad aniniir.irc
Tuona
il
nitrito e la ferrata
zampa
Sparge delle" faville i lampi intorno, E pur selce non tocca, orma non stampa...:
h-
^•o^^^e:
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
404 il
montone, sul cui capo è stata posta una ghirlanda:
E
perch'ella è tropp'alta,
Erge
La la
il
grifo e s'affanna e par
che gira intorno
farfalla,
che
tenti
stessa fronte sua giunger co' denti;
lume:
al
Dell'aure agli urti inestinguibil face
In cavo vetro imprigionata splende;
La
cui luce a goder veloce stende
Semplicetta farfalla
Ma
di quel
lume
Quel fragil muro
ai
volo audace.
il
rai,
i
per cui
si sface,
suoi desii contende;
Pur, vaga de l'ardor'che
'1
cor le accende.
Vola, riede, s'aggira e non ha pace...; la cicala:
O
rauca,
Stridola,
De
la
si,
ma rara, ma cara.
si,
dea biondeggiante
Messaggera volante,
De
la stagion
più fruttuosa e calda.
Canora insieme
e strepitosa aralda.
Sembri una tromba agreste Che richiami e che déste Del rustico guerriero Il braccio adusto e nero, A far col ferro suo torto ed acuto Strage nel biondo esercito granuto...
Vi entrano altresì descrizioni di oggetti l'orologio,
il
pallone, la galea;
e
artificiali,
come
quella delle girandole,
che fanno coi loro scherzi di faoco riscontro agli scherzi
d'acqua delle fontane. E,
come
la
donna amata
che abbiamo accennato, sono
ritratti gli
tatrice:
cosi,
è
ritratta nelle
con
la
varie fogge
medesima
vivacità,
atteggiamenti di uomini e donne. La can-
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
E
quasi un rio corrente,
Qui mormorar appena,
Là gemer altamente Tu l'odi in nota piena; Qui gir quieta
e placida l'ammiri,
Là gorgogliar con tortuosi Né nuda spada in mano
giri.
Di snello schermidore Girò mai per lo vano
Con
E
si
si
presto splendore,
ratta e si lieve e si veloce,
Quanto
La
la bella e delicata voce...
saltatrice
China a un tempo
Con
E
posando
Poi
il
ginocchio e l'aurea testa
bell'atto soave, la
danza ergesi grave;
spicca in un salto agile e desta,
si
Che leggiero nel voi s'erge tant'alto Che dubbioso non sai s'è volo o salto. Ya, con breve ed armonico intervallo Regolato da l'arte, Or da la manca or da la dritta parte. Fugge e rompe la fuga in mezzo al ballo,
E La
ne r ordine suo mutando gioco, credi in uno ed è in un altro loco.
La danzatrice
di corda:
Corre Clorinda in sui ritorti lini Qual per l'aereo vie stella cadente, E formano un meandro aureo lucente. Agitati dall'auro,
i
suoi bei
crini...
La ricamatrice; Su
la rosa gentile,
Ch'animata Il
di fuor le ride in bocca,
bell'ago sottile
Pensosetta talor leggiadra incocca; Ed in quell'atto insidiosa e vaga, Sagittaria d'amor, gli animi impiaga.
405
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
406
Talor, col puro deute, Per aggiunger un fil, l'altro recide; E, qual Parca innocente, Lo stame ancor de la mia vita incide...
La donna bratta La
A
e ingioiellata, quasi
onde
perla,
nuova Gabiina:
bocca orba notteggia,
la
l'orecchia plebea quasi per scherno
Pende, ed intorno al nero collo albeggia.,.
La
vecchiaia, nelle parole
di
un poeta novantenne,
Gio-
vanni Canale:
L'uom
ch'ai volto ha le rughe, al crin la neve,
Incurvato dagli anni è reso un gioco;
Trema
nel pie, che
Da un
leg'no aitato, e
passo ha lento e breve,
'1
non mai giunge
al loco.
L'offende lo spirar d'un' aria lieve,
E
nel più estivo ardore a grado
ha
il
foco;
parlar gli è noia greve,
Il tacer, il
Poco intende e '1 suo dir è inteso poco. Nel suo freddo rigor l'ira l'accende, Ogni lungo ijiacer l'infastidisce; Nulla gli piace e ad ogni cosa attende...
IV Questo realismo, degli spettacoli '^ alla pittura del
per meglio dire, la rappresentazione
o,
tristi
o grotteschi,
tempo; e comune
neppure era sconosciuto altresì alle
tive e alla letteratura era l'attrattiva per logici.
un
Abbondarono,
intero
recente antologia \
1
infatti,
volume dette il
arti
figura-
soggetti mito-
gl'idilli mitologici, dei quali
Marino. Opportunamente,
in
una
sonetto del Marino: TrasfoTmazione
Eugenia Levi, Lirica
renze, 1909), pp. 346-7,
il
i
italiana
nel Cinquecento e nel
Seicento (Fi-
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
407
Dafne in lauro viene illustrato dal marmo del Bernini. Sembra di vedere atteggiamenti di gruppi scultori, nell'idillio dello stesso Marino: Europa: di
Sbigottita, tremante e già pentita D'aver sé stessa al mentitor creduta, Di quel celeste adultero fugace La giovane gentile il tergo preme.
Con
la sinistra
mano
,
corno attiensi,
al
L'altra stende alla groppa e talor anco
De
gonna alza
la lubrica
e raccorcia
dover la rugiadosa falda; Talor per non cader, per non bagnarsi. L'ignuda piante in sé ristretta accoglie... Oltre
il
Sullo Stesso argomento ha un sonetto Rapita Europa,
Che passeggia le Col diadema real
E
Fra divino
altro
Non
nuotator cornuto.
di
gemme
adorno
loquace e muto,
ch'altrui fa ingiuria e scorno:
temer, dea terrena; attienti al corno, in
me, duro ed acuto
».
rapimento mitologico, dipinto da Guido Reni,
cosi tradotto in
E I
Lo
:
sfere intorno intorno
e ferin,
lei,
Che spuntar vedi
Un
Bruni
di fìanunelle lucide intessuto.
Sì parla a «
il
il
duo versi da un poeta
:
discioglie la vergine rapita
gridi al ciel, le trecce all'aura invano...
Zito ritrae gli amori della
Era
Luna con Hndimiono:
la notte e in florida collina
Endimione; magione
Gli occhi avea dati al sonno
Lo scorge Degli astri
Suo
dalla splendida la
bellissima regina...
gel natio trasforma in foco
Amore.
è
408
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ E, per continuare nei paragoni, ricordano ritratti
del
tempo certe descrizioni di giovani, di guerrieri, di stratori, che hanno tutti qualcosa di effemminato nella
giobel-
lezza e negli atteggiamenti. L'ideale virile oscillava tra
il
Rinaldo tassesco e l'Adone mariniano; come per l'appunto si
trova in un
sonetto
Canale,
del
Ascanio Pignatelli, scrive
il
quale, lodando un
:
Che, di Marte e d'Adon chiaro campione, S'hai d'Amore e di Marte
il
Tu
l'Adone.
saresti
Rinaldo
il
e tu
il
E
né
lo
«
bel volto
»
spesso l'Alpe
di lui
fai,
Mentre rosseggian
le
Imitar gentilmente
il
dimentica nell 'elogiare
11
te sol
di Savoia,
sangue involto.
di
sue bianche brine, tuo bel volto
il
;
suo amico e poeta Arrigoni: il
capo avvolto,
darà di sacro alloro.
l'altra, di raggi,
hai nel bel volto.
Maia-Materdona descrive cosi un giocatore
y
non
:
L'alta corona, end' egli ha
Febo a Perché
vanto,
il
Tommaso
L' Errico, cantando le vittorie di
dimentica
pregio e
di pallone
:
Ignudo il petto alabastrino e bello. Se non quanto il copriva un lino adorno, Per temprar con bel gioco il lungo giorno Formava Ascanio mio nobil duello. Battea con picciol globo i sassi, e quello Scacciava al salto, e s'a lui fea ritorno, Correa, lo dibattea,
lo
fea d'intorno
Girar, volar, quasi fugato augello...
Infine, le figure di santi sono proprio le
quadri sacri del tempo. Maggior campo
medesime dei
alle
descrizioni
ti/
lascive
sotto
pretesto
dalla Maddalena.
Il
devoto è
offerto,
com'è naturale,
Pona, nella sua Galleria,
la ritrae nel-
NELLA LIRICA DEL SEICENTO l'ebbrezza di una vita tutta amori:
401*
E Maddalena,
x
^guar-
dinga nel primo incontro e tremante nel commettersi
al
peccato, licenziosa poi addivenne in maniera che in faccia al
sole
non
vergognava
si
peccare. Ella era
di
spettacolo di Gerusalemme, la cui
Magdalo, come concorrono
Prezzo non allettava il
non
diletto e
andando
il
i
proprio inerito, mentre
gran torma
»
\
si
vedeva seguita
santa peccatrice ispirava di solito: portata di terra in cielo Quel biondo
da
il
motivo
che
lirico
la
lusinga amorosa, tras-
la
:
criu, ch'in dolci
Fregiò di perle, or fra
le
nodi accolto
brine e
'1
gelo
omeri porta ispido, incolto: armata di verace zelo,
gli
cosi,
Serena il core e nubiloso il Se già l'alme rapia, rapisce la
Maddalena
si
dea della mitologia, da Citerea Prima
e inchinata
Battista ne fa piangere la moriu
Il
dell'amante Filocrate. Nel Paoli, ò
Nel Fontanella,
ratto anzi,
nella moltitudine degli amanti, misurava
il
E
libere.
alle fiere
Né più travagliava l'animo mondo risapeisse suoi falli: clié
si
Sovra
lo
che s'era fatto Dio
la ricca giovine,
l'utile.
nelle lascivie che festosa
mercatanti
i
fatta
gioventù concorreva a
tra lussi in
volto, il
Cielo.
trasforma da una in
in altra
Diana:
maestà seduta
Mille ricche vedca cortine intorno;
Or mira entro selvaggio ermo soggiorno Con frondosi ricami edra intessuta... Ov'era Citerea, sembra Diana. In un sonetto del Sempronio, ò mostrata ai piedi di
che sono
1
Ed.
i
piedi,
cit.,
non già
pp. 150-1.
di
un Dio,
ma
di
un
br-l
(tcsiì.
giovati'
:
^v4
^c^
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
410
Oggi a
x-'
Piego
X
Non
si
e
divino.
il
il
le
piante tue candide e belle,
sen, gli occhi abbasso, inchino
viso...
il
provava alcuna ripugnanza nel mescolare
Le
il
profano
vite dei santi, scritte in istile secentesco,
ne sono documento. L'Achillini, componendo un sonetto per
una donna già da lui posseduta e che si era resa monaca, non trovava di meglio da dire se non che il cuore di lei
:
se a' miei desir nulla contese,
Or nulla ancora
suo Fattor contende;
al
parificando sé e Dio nel godimento della
Almeno
il
medesima donna!
Quirini canta non senza ironia una principessa
dopo vita
italiana, che,
Oh
amori, era entrata in monistero:
di
di mentita fé perfido zelo!
Chiude
i leggiadri angelici sembianti Entro ruvidi panni e rozzo velo; Per far. Circe d'amor, con novi incanti, Inamorar di sue bellezze il cielo.
Sazia del fasto de' terreni amanti.
S'incontrano anche, nei versi dei santi isterici, nell'estasi d'amore, sisi
lirici
del Seicento,
i
come san Francesco d'As-
:
Godea, rapito
al ciel,
Francesco, acceso
E Da
il
languido amante,
cor d'ardente zelo,
parea, sospiroso ed anelante. le
rupi d'Alvernia alzarsi al
E, da canto, gli sorge
solito angelo,
il
a un amorino mitologico
cielo...
che somiglia assai
:
Quando in mezzo al rigor, fra l'ombra e Cherubin luminoso e sfavillante. Che stampa in lui come in purgato velo L'immagine di Dio viva e spirante...
il
gelo,
Quest'altra scena è degna del Domenichino o del Ribera: la
morte del beato Giovanni
di Dio:
1
NELLA LIRICA DEL SEICENTO Angoscioso, anelante, in rozzo
Su l'estrema agonia Giovanni Sostenendo la croce in mezzo
411
letto.
accolto, al inetto,
Sta con gli occhi e con l'alma in Dio rivolto; E, mentre fuor del tramortito aspetto il freddo sudor da morte sciolto, Trova Maria, che con amico affetto
Piove
Li sostiene la fronte e asciuga
Soave
C'è un brano
sua morte
è di
volto.
il
e dolce l'ora...
una lettera di Claudio Achillini, ch'i? stato citato talvolta come esempio di goffaggine secentesca; ^ e a me sembra significativo di questo carattere pittorico, assunto dalla letteratura del tempo. Vi si descrive un predi
dicatore cappuccino,
quale
il
«
predica Cristo crocetisso
con tanta energia e con tanta pietà,
e
riprende con lant<>v
ardimento e con tanta forza che tutto l'uditorio ogni mattina a termini di mortale agonia l'Achillini)
«
è
cosi
*.
macilento, confitto
si
riduce
Egli (scrive e
sepolta
si vede dentro a' e non si ode che una larva agitata che sgrida, un capuccio clie atterrisce, uiì mantello vocale, un acceso fuoco che scintilla fuori delle ceneri, una nuvola bigia che tuona spaventi, una penitenza spirante, un sacco di querele che riversa addosso peccatori > i. E confesso clie a me questo l)rano vuol
panni, che a pena
si
vede, anzi non
i
parere non solamente signitìcativo,
Quel che poi
si
è
chiamato
il
ma
bello.
pittoresco romantico com-
pare già nel Seicento. Continuando a sfogliare le pagine del Pona, c'imbattiamo in periodi, che potrebberi stare in
un romanzo, di
Giove:
<
p. e., del
Guerrazzi. Leda ascolta
Parca Leda
la
combattuta dalla vioh-nza
*
Rime
e
le
lusinghe.^
sommit;\ di un giovane pino,
di du«' venti,
eh'oi-.'i
prose ^ed. di Venezia, 1662}, pp. 299-8UL
la
iiiry^aii"
-^
412
.SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
a questa or a quella parte, mentre re
ma
temea
straniero,
ramide
appunto dove
lo
un punto
dell'arco:
destinava l'occhio e la mano. Ma, nel
dirle.... ».
tridate, sente nelle sue viscere
Se ne rallegrò e bella
fosse
gli fisse in volto del
mezza ridente, quasi lo provocasse ad applauLa fida Ipsicratea, avvelenatasi insieme con Mi-
cavaliere,
«
Semi-
«
lumi dal segno, Semiramide
i
preda ad amante
in
e confidava ».
Lo strale al par del fendendo l'aria, va e s'imprime là
nella gara
tira
vento veloce e lieve, girare
in
—
\
»
i
primi
ma come
rise;
del veleno:
effetti
riderebbe la Morte, se
Nelle InstahiUtà dell' ingegno
del Bri-
gnole-Sale-, libro di giuochi, canti e novelle, le quattro
donne che fanno parte dell'allegra brigata, sono figure nuove rispetto alle descrizioni femminili dei secoli anteriori. Cla-
ha una
rice
languidezza di moti
«
»
;
nel suo volto
«
perfettis-
simo, benché non tondo, gli occhi erano sparsi d'una scura
modestia, proteggevan si
che suoi
labra una bianchissima egualità
le
brosa ventura, ed ella sapeva di tempre formarli che
il
aveva uno
rando
«
e,
»,
«
».
spirito
».
candida, tutta tenera: tenera di maniere.
ma
occhi, rideale ori sopra
Oltre
1
2
i
Ed.
i
amazonio
Non
L'Aurilla
«
potevi
piacevo-
»
;
«
comandava mi-
era tutta cara, tutta
Il
membra,
mirarla senza rimembrar
riso in lei era
proprio,
non
della persona. Rideanle begli azzurri negli
bel latte sopra le guance, ridevanle
capelli, ridevale bel brio
pp. 16, 62, 142.
Bologna, per Monti e Zenero, 1635.
begli
per ogni parte....
tanti versi dedicati a descrivere
cit.,
la
Felicita, invece, butterata dal
tenera d'anni, tenera di
gelsomini foderati di rose. della bocca,
meravigliose
quasi soldato d'esperienza, portava in volto
minutissime cicatrici
V
si
contegno respirava nel vezzo,
lezza adulava la gravità vaiuolo,
;
bastavan per far candida qualunque tene-
risi
».
opere d'arte nei
NELLA LIRICA DKL SEICENTO canzonieri del Seicento, in prosa; e
si
lianno
413
pittoresche
descrizioni
Brignole-Sale offre quella di un quadro del
il
Sarzana, la Rete di Vulcano, dove
vede
si
pieno
il
affia-
tamento tra parola e pennello, che gareggiano tra loro lussurie
in
^
Altre corde, fuori di queste sensuali, non vibrano, o vi-
brano debolmente, negli notato, di religione
si
scrittori
di allora. Se,
scrive molto,
come
si
è
sente ben poco: la
si
un divenire, ma un divenuto, un ricordo nella memoria, che fa pensare alla necessità di atti religione
di
non
è più
contrizione e propiziazione.
vanno
oltre
gemito e
il
Il
dolore e
spavento
lo
qualche espressione di sentimento
tìsico.
E
che
etico,
la
morte non^'
raro trovai'e stia alla pari,
per energia, con l'espressione del godimento sensuale. Del
Marino appena
si
può citare qualche passo (ma solamente
qualche passo) della canzone per del
sonetto
per
la
morte della madre o
decapitato. Nello
l'amico
qualche accento di nobile orgoglio per sacrata all'arte, e di gli
conceda
di
Stigliani, c'è
la propria vita con-
commossa invocazione perché Iddio
dar termine
ria. NelI'AchilIini, nel
al lavoro dal
quale spera
Battista e in qualche
altro
la glosi
sen-
tono accenti di amore per la semplice vita dei campi, e di spregio per le ambizioni
teneramente a un amico air università di
mondane.
Il
Sempronio ricorda
tempi della loro gaia gioventù
i
Bologna. In parecchi, e sopra
tutti
in
Giuseppe Battista, vi hanno poesie morali, che sono per
non direttamente dalle situazioni e commozioni della vita; onde tengono della poesia dottrinale e sentenziosa. E non sono rari altro piuttosto ispirate dalla filosofia che
i
poeti che presentano
donne
del tipo direttamente opposto
a quello della Clarina del Berchet, e cioè che distolgono gli
uomini dalla guerra,
1
Op.
cit.,
pp. 223-7,
col
dir loro
('(.ino
.miH.i
dolio
414
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
Zito
:
«
Li miei baci sien trombe, agone
come quella
gio ancora, al
di
marito che va in guerra contro
rai nel
corna
»:
tuo
trionfo
—
il
letto
»
;
o,
peg-
Lorenzo Casaburi, minacciante turchi:
i
porte-
«
ottomana ambo le non sono rari, si trovano,
altero Della luna
pensieri
se questi
per altro, di tanto in tanto, anche parole robuste di amor patrio, specie tra
i
poeti genovesi
poeta-guerriero, che a lungo
e
i
veneti, e in quel
navigò e combattette sulle
galee di Malta, Ciro di Pers: Deh, turbi ornai questo
vii ozio
Straniero Marte, e sia beato
Ma anche
i
politici e patrioti
con sentenze generali
e,
;
del
il
indegno
danno
facilmente
I
si
esprimevano
resto, qui è proprio
di ripetere che l'eccezione, se mai,
conferma
il
caso
la regola.
V ^
La regola
è
quella visione sensuale, che abbiamo ab-
bozzata prendendone piccoli brani
che
ci
gli
elementi dai vari poeti; e già dai occorso
è
riferire,
si
sarà
come assai sovente, in quella cerchia, si toccasse Lo Stigliani, il Macedonio, il Della Valle, il Paoli, vanetti, il Sempronio, il Salomoni, il Quirini hanno e
canzoni
quasi
perfette.
veduto l'arte. il
Gio-
sonetti
Girolamo Fontanella, rimasto
ignoto finora, menzionato solo da qualche bibliografo e da
nessun critico e storico
;
il
Fontanella, un poeta di Reggio
Emilia, che visse in Napoli; se fosse corretto e sobrio quanto è fresco e vivace, sarebbe
il
e superiore d'assai allo stesso
più notevole tra
natura e degli oggetti naturali. lirici
Ma
del Seicento di rado giungono,
negligenza da mestieranti,
ma
i
marinisti
Marino come cantore della alla perfezione
non
solo per
vera
i
una certa
sopratutto perché quell'arte
I
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
415
verme
sensuale, e potente in siffatta ispirazione, ha un
ro-
^
ditore: l'ingegnosità.
modo
L' ingegnosità danneggia in duplice zioni dei marinisti, attaccando ora
nismo
— Xei
di esse.
composi-
le
particolari ora l'orga-
i
particolari introduce
una fraseologia
pedantesca e vuota, che raffredda nel bel mezzo dei più caldi colori
e questo è
;
è,
quando, offre
un
svolgimento, che dà un'apparenza di compiutezza
al-
sostituendosi folso
minor male. Maggiore
il
allo
svolgimento intimo del tema,
rimane vuota. Due esempì basteranno a chiarire questo doppio danno, che si osserva in molte com-
l'opera, la quale
posizioni poetiche di allora, ricche di tratti belli o splen-
didamente a
iniziantisi.
un angolo
II
Bruni esprime cosi che fu già
di giardino,
il
la
sua visita
luogo dei suoi amori:
Sotto l'ombre di quelle edre tenaci,
Che l'olmo han con più viti avvolto e cinto, La mia vita al mio cor temprò le faci, Con lei seno con sen, qual'edra, avvinto;
dove offende l'opacità del giuoco «
vita
e del
»
«
temprar
semplici tocchi con cui e
i
due amanti
si
core
», in
«
viti
»
e
confronto coi
rappresenta l'aspetto delle piante
tra
stretti
di parola tra
le faci al
loro,
«
seno con seno
".
Con-
tinua:
Di due guance godei l'ostro non fìnto. Qui dov'aprono i fior gli ostri veraci; S'udì confuso almeno, ov'or distinto
È La
il
suon de l'aure,
il
mormorio
de' baci.
sola impressione poetica, che è quella del silenzio,
ri-
pieno ora solo dal movimento dell'aura, e rotto un tempo dal «
mormorio
guance
guance
:^
»
e
dei i
«
baci, fiori
»,
guastata dal paragone tra
è
e gli « ostri veraci
è bella per
le
anzi tra r« ostro non finto delle
immediatezza,
e
»
dei fiori.
può
La prima
dirsi perfetta:
terzina
>/
416
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
Rimembro ancor cou amorosa arsura guardo e '1 riso altrui, molle e lascivo, Nel tremolo seren de l'aria pura.
Il
Ma
la
seconda termina
il
sonetto con un concettino
Lasso, e mentre son
De Il
vedovo
io
e
:
privo
d'amore, al cor figura
le gioie
fugace mio ben fugace un
L'altro esempio, che mostra
il
rivo.
penetrare più addentro di
questo verme roditore, può essere offerto dal sonetto del
Fontanella su san Francesco d'Assisi; sonetto del quale
abbiamo recato
di
Ma
sopra
(p.
410) le due efficaci
quartine
ha avuto innanzi quella scena, senza che essa abbia suggerito cosa alcuna al suo animo; descrittive.
il
poeta
onde continua straccamente nelle terzine: Ben
del
sommo
Pittor mostra
i
disegni
Chi, per l'uomo salvar, mostrò nel
mondo
Tanti esempì di vita illustri e degni.
Dovuto a lui fu tanto onor giocondo Dovea portar de la salute i segni Chi fu de l'uomo
il
:
Redentor secondo.
Senza dubbio, l'ingegnosità può diventare elemento
V
di
poesia; ma, perché tale diventi, deve essere assorbita, ossia ci
superata e negata nella sua particolare esistenza.
fermeremo
sul
caso, ben
gata direttamente, mercé la parodia, come fece nei suoi
Amori
giocosi,
e,
Non
ovvio, in cui essa venga ne-
meglio assai,
il
lo Stigliani
poeta dialettale
napoletano Filippo Sgruttendio nella sua Tiorba a taccone
Ma noteremo
quello in cui l'ingegnosità è
'.
come avvivata,
allietata e ironizzata dalla disposizione gioiosa dell'animo; il
che accade sopratutto nel colloquio d'amore, dove l'iper-
bole, l'equivoco,
1
Si
il
gioco di parole stanno al loro posto.
veda in questo
voi., pp. 38-41.
La
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
417
galanteria è tutta un tessuto d' ingegnosità, che sono espressioni schiette di sentimento in
quanto vengono pronunziat*:>
leggermente, senza pretesa d'ingannare nessuno, col solo fine di
solleticare
tatrice, la
amabilmente
l'ascoltatore, anzi
l'ascol-
quale intende quelle parole, non nel loro signi-
ma nell'altro che assumono come simbolo un sentimento vivace. Per questa ragione, i canti po-
ficato materiale,
di
polari
d'amore riboccano d'ingegnosità
Anche
nei
lirici
e sottigliezze.
marinisti ciò accade, e nessuno potn^
prendere scandalo dell'accumulamento di metafore con cui loda la pozzetta delle guance, nel sonetto del Giovanetti:
si
campo alpino, mezzo ai fiori volto almo e divino;
Direi valle di gigli in
Direi cave di nevi in
Quelle fosse sul
o
il
neo, in quello del Bruni:
Con
Come
si
bel neo, cred'io,
voUer
gli
Amori,
in Menfì solea fabro ingegnoso,
Segnar nel bel tuo volto i propri ardori, Qual con strano carattere amoroso: e nell'altro dello Zazzaroni: Sotto la guancia, ove rosseggia il fiore, Vezzoso splende in compagnia del riso: Atomo sembra in quel sembiante assiso Per far centro di gloria al dio d'amore.
Sorse in quel
cielo, e seco
alba novella
In due luci spuntò, quand'ei defunto
Al doppio o
i
capelli
sol languia, picciola stella...
biondi che
sonetto dell'Achillini Tra
i
La mia
si
spargono
sul
petto ignudi >,
:
due mammelle Giunon veggio destare
vivi scogli de le
bella
Dal suo crinito Prodighe d'oro
ciel
piogge e procelle.
e di salute avare...
n.-l
^
418
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
Nessuno biasimerà
Cusano celebra
O O
la sottigliezza
tre belle
belle parche al
mio stame
vitale,
separato Gerion d'amore,
mio core
tridente gentil che nel
Puoi con il
galante, con cui Biagio
donne:
tre
punte aprir piaga immortale...
gioco di parole dello stesso poeta nel sonetto sulla sua
donna che va a Roma {Roma- Amor)
E Roma,
dolcemente arsa
:
baleno
al
Di tua beltà cosi leggiadra e pura,
Quel che porta nel nome avrà nel seno.
Nessuno troverà nifesta la
godere
brama
artiticioso
il
modo
in cui
il
Salomoni ma-
di sentire centuplicate le forze
per meglio
:
Bramo
in
Argo novello esser
rivolto,
Di farmi un Briareo sarei contento, '1 volto de la Fama aver nel volto; Per mirar te con cento lumi intento, Per serbar te con cento braccia accolto, Per poterti baciar con bocche cento
E
I
Che
è proprio
l'andamento
di
un canto popolare. E a un
canto popolare a dirittura sembra far eco Giuseppe Battista in
uno dei sonetti
sul suo soggiorno in villa:
Dall'isola di Circe usciva
E
quanto allor per
Di questo
mondo
le
il
sole,
sue vie toccava
in su la bassa mole,
Fatto novello Mida, egli dorava.
Alla greggia lanosa intanto Iole 1 velli
E
canutissimi tosava,
di calte la fronte e di viole
Alla plebe tosata indi fregiava.
Cantò fra
le
fatiche e disse:
«
Oh
fiori,
Allegrezza degli alberi ramosi!
Oh
poeti del bosco, augei canori!...
».
NELLA LIRICA DEL SEICENTO Poi,
miraudomi, tacque. Ed
419
io risposi:
Oh cibo delle orecchie, inni sonori! Oh degli occhi armonia, sguardi amorosi!... «
».
Cosi anche le litanie, in cui uno stesso oggetto è defi-
modi più vari, con ingegnosi paragoni, diventano artistiche, quando hanno codesta intonazione leggiera nito nei
come,
di accenti, culla le saette
vaga del
riso, cella d'odori,
;
fabbra
arco che ha
di avorio, cancello di coralli e perle, fresca rosa
animata, porta
gemmata
grazie, teatro
dove giostra
— litania, che
termina, quasi a chiedere
mane
—
Fontanella alla bocca:
p. e., nell'ode del
del palagio d'amore, chiostro delle la
lingua, eccetera eccetera;
prezzo dell'im-
il
sforzo compiuto nell'escogltare tanti e cosi bizzarri
paragoni
metafore
e
:
Or ch'in rime ho
La
tua gloria e
tessuto
tuo vanto.
'1
Bocca bella e gentil, baciami intanto Sia premio il bacio al mio cantar dovuto La mercede a la bocca e '1 premio tocca. !
Che
lodò,
che cantò
te,
;
bella bocca.
Questo avvivamento artistico dell'ingegnosità accade assai spesso nella poesia e prosa
"^e tiene conto, non
verso di essa, ingiusto. del
tici
Il
di
Bouhours, che fu tra
essa poteva piacere intesa in
burlesco, e considerata si
e chi
;
non
primi
i
cri-
concettismo, osservava di una poesia del Saint-
Amand, che che
Seicento
del
riesce a sentire quell'arte e diventa,
come uno
di
'luoi
portano nelle mascherate e nei
modo comico
festini
e
diamanti
falsi
e
'
;
il
Saift
un sonetto del Marino, lodato dal Giuratori < Jc ne pas qu'il ait pa trouver quelque mf'rite daus ce son- w :
congois
à ìnoins qu'il ne
net,
1
l'ait
Manière de bien penser
nelle Considerazioni dell' Orsi
considéré
dam
.ci
kulick
(Modena,
camme une
-t
fr^/n'
^1<'JÌ.
1735^, I, p. 12.
plaisante-
,
u.ii. iiul.,
420
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
rie épigrnìnìnatique »
matici hanno anche
tenda
V Ma,
farli
^ Falsi diamanti e scherzi epigram-
quando non
s'in-
passare per diamanti buoni e per detti
seri.
il
loro uso artistico,
questa forma, l'ingegnosità non è diversa dalla
in
sensualità, con la quale
me
abbraccia o
si
accompag^na co-
si
pompa
ancella, concorrendo alla sua
sfoggiante.
VI Salvo quest'uso galante, che può riuscire grazioso, l'ingegnosità, per sé
come
considerata, rimane,
stessa
detto, cosa estranea
si
all'arte; e, anzi, allorché viene
è
pre-
sentata con pretesa di seria espressione artistica, è la nega-
zione dell'arte, è bruttezza repugnante. Può bene
grave
farsi
care con lo sforzo di tutto e d' indurlo a zioni".
zione
poeta
il
in volto, inarcar le ciglia, gonfiar le gote, ceril
suo essere d' imporsi
commoversi con
Non vi riesce, perché solo commuove, solo il cuore
al lettore
più ingegnose combina-
le
ciò che nasce
da commo-
parla al cuore;
combinazioni ingegnose sono prodotto
e
quelle
freddo artificio
di
pratico.
Francesco Balducci non intende certamente scherzare protomartire
col
santo
Pio
Stefano.
cristiano,
durre un sentimento di ammirazione per
primo sparse
il
ha l'animo vuoto, il
particolare del
Stefano della
Le la
«
:
la
e,
lapidazione
via di
Hist.
la
fede
di
vuol
di ;
e, »,
che scagliavano
Cristo.
Ma
sui>plizio
d' Italie,
egli
onde fu ucciso santo
nella stessa memoria, le frasi e della i
«
porta del paradiso
carnefici
di santo
XIV,
p.
».
Stefano e
salvazione, quelle pietre e la ideale porta
litt.
in-
giovinetto che
cambio, trova nella sua memoria
in
modo
via di salvazione
pietre,
1
sangue per
il
del
154.
Il
NELLA LIRICA DEL SEICENTO paradiso,
escludono nella commossa fantasia, non avendo
si
akun intimo
nesso.
Ma
Balducci,
il
che ne scatti una scintilla:
tre e la via di salvazione
Il
non
clic
violentemente
dire, le afferra e le fa urtare altre, si
\2l
l'
lia
le
altro «la
une con
le
ingegnositA. Le pie-'
:
Perché l'umano pie mai non travie, mal noto camin selciar s'è visto
De
le tue pietre; e
quindi
al
gran conquisto
Dirizzar l'orme poi l'anime pie.
Le pietre
e la porta del paradiso Oli
:
quanto agli empi onde ne cadi auciso, nemica mano
Stefan, dèi tu; se la
T'apre, a colpi di pietre,
Giuseppe Salomoiii, che vede tenero complimento col
un
icca
sua donna, assisi sul-
la
mangiare fragole, forma graziosamente
e intenta a
l'erba
paradiso!
il
paragone
tra
le
fnijr-'le
e la
:
cagion de
bui.ca, alta
Quanto somigli Di cui pascer
il
le
mie
faci,
cibo delicato,
te stessa or
ti
compinci!
De le fraghe hai l'odor ned dolce fiato, De le fraghe il sapor ne' cari baci. Do le fraghe l'odor sul labbro amato!
Ma
Salomoni non su cesa dire intorno a
Io st<'sso
prende a lodare Dio e lo
ò
in
provvidenza
un
altro
premia, e venendogli
cavaliere
nel
un raffronto
fra
il
in
Dio e è nel
il
'1
e,
i
suoi
il
mondo un
e lo punisce
medesimo
cavalli,
corridore umano,
cavalior che l'ammaestra è Dio, si
the
ricordando che
educa
cavalier*-
Che, se talvolta egli
Co
lo
mento che
domarci e guidare
Luomo E
sonetto;
l'uomo e
e j^uida
IMi»,
fa restio.
pie lo spinge in corso e con la mano.
fa
il
siiilijlisce
422
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
E
se taìor, precipitoso, insano,
S'avventa ove 'l trasporta il suo desio, Con duro fren, che di sua mano ordio, Dal mortai precipizio il tien lontano. E, se superbo calcitra e sdegnoso, Stancandolo per strade alpestri e felle Nel maneggio si fa pili rigoroso. Se poi gli scorge alfin sue voglie ancelle,
E
corre seco al
ciel, gli dà, pietoso,
Biade d'eternità, E, al pari
stalle di stelle.
Salomon!, Giuseppe Artale, per lodare
del
la
salvazione del buon ladrone, non sa ricordarsi se non del
mestiere che costui faceva
Rapace
:
corporeo velo
l'altro, e dal
è
un
Pria che l'anima uscisse, egli ad
Ruba a
un sospiro
costui con
Certo, anche in argomenti sacri
tratto
cielo.
il
può aver luogo
lo
stile
concettoso ed essere assorbito nel sentimento totale che spira dentro l'opera. Di ciò
hanno esempì, per non
si
letteratura
nell'antica
altro,
ma
cristiana;
dir
osserva-
tale
zione conferma soltanto l'erroneità di quei modi di critica
pretendono
che
studiare e valutare lo stile in astratto,
staccandolo dall'insieme cui appartiene
i
Per questa via
a quella dei I
è
si
'.
Il
sentimento re-
potuto ravvicinare la letteratura secentistica
23adri della Chiesa,
che
offre
una somiglianza
superficiale.
mistici sono pieni di forme, che, staccate dal complesso
e
private
della loro anima, potrebbero entrare negli erbari degli studiosi di stilistica secentesca.
E può
perfino accadere che le forme delle due cosi di-
verse specie di prodotti siano imitate
questo diventino identiche o simili. sciuto di questi fatti letterari, tico e
il
barocco,
dei gotici
duomi
Si veda, circa
il
come di
Intorno alla facciata del
condo,
duomo
il
disegno di
ha
une
dalle altre, senza che per
curioso riscontro e poco cono-
coi tentativi di alleanza tra
in certi disegni di rifacimento delle
Milano
primo,
si
le
Un
il
il
go-
facciate
e di Napoli, nel Seicento e nel Settecento.
disegno di Francesco Castelli, in C. Romussi,
duomo
di Milano (Milano, 1903)', e circa
Tommaso
Senese, in A. Miola,
di Napoli (Napoli, 1905), p. 12.
La
il
se-
facciala del
NE[.LA LIRICA DEL SEICENTO ligio-so,
42.'ì
che può tollerare e adoperare perfino l'arguzia senza
perdere della sua forza, non era del Seicento, di
codesti poeti
ma
non da esuberanza, Di roba, come dt'll'Artale sono
non
soltanto
che,
ma anche
abbondano tali,
pieni
canzonieri del Seicento; e
rime sacre, lugubri, morali
siflFatti
amorose; delle
e
in
difetto
meno
accidente. Tali
sonetti e canzoni concernenti la
che
quelle
in situazioni più o
fortuna o di
eroi-
che vorrebbero essere sentimen-
tragiche;
donna vagheggiata
ed
quali buona parte
frigidissimi giuochi. In ispecio, essi
poesie
nelle
i
Salomoni e
Baldueci, del
del
zeppi
in quelle
dolorose o
tura, di
da povertù.
sonetti
i
nelle
è costituita da
almeno,
o,
del Seicento, nei quali l'arguzia nasceva
collocano
la
strane, di na-
sono, p.
e.,
tutti
i
donna che abbia (jualche di art(.% come
Raro è che ciò jtrenda forma
fisico.
nel madrigale del
Maia-Materdona su una bella muta:
Quando mi baci, allora, Muta bocca amorosa. Muta bocca odorosa. Intendo
la
cagion perché tu taci
Nascesti solo a mormorar coi
odi
Ijuftbneria,
:
l)aci;
come per la donna tartagliantt* deirAl)riani, come per la donna balbuziente delquale, quando apre la l)0cca a parlare:
e di scherzo gentile, l'Errico, nella
la
favella
Tra' labri apimnta e abbandonar non vuole
Di coralli d'Amor porta
si
bella!
come dicevamo, sono neppure galanti o comiche. K Di
solito,
si
tratta,
menti d'immagini risponde l'ispirazione;
come,
messa sopra una
p.
e.,
il
di
freddura, die non
ai
cercati
ravvicina-
cercato strano ogg<'tto del-
san
Maeuto che celebra
balena, in un sonetto
del
cedri intagliati variami-nte in un giardino,
<
Battista, o
la i
rustiche fre-
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
424
nesie, sogni fioriti, Deliri vegetabili odorosi
Lubrano. Sembra che quei
vadano
in traccia
poeti, per
in
»,
meglio secenteggiare,
una natura, che, già per
di
uno del
sé stessa,
secenteggi.
Non
può negare che anche quegli
si
(quando non siano a dirittura quasi costantemente
donna
e
i
il
ingegnosi
sforzi
com'è
sciocchi
di scrittori
Murtola coi suoi paragoni tra
la
pesci, e tanti altri ancora, forse peggiori di lui)
destino qualche piacere o ammirazione. nerci da questo
Non possiamo
sentimento nel leggere,
aste-
e.,
il
sonetto
del Salomoni su Dio guidatore di cavalli-anime.
E
con un
misto di piacere chio
e di
ammirazione
le iscrizioni latine,
io soglio
p.
scorrere con l'oc-
che erano incise, o
veggono an-
si
cora incise, su tanti monumenti di Napoli, lavorati nel Seicento; nelle quali l'ingegnosità trovava innanzi a sé
doppia barriera dello
bravamente
Studi, che
conte di
il
per
la contessa di
traductos.
collinette: ex
due
Lemos
fa
Il
Ecco
e ffossum.
ungula sapientice
:
mulieres Inspana^ ah hara ad
conte marito congiunge con un ponte due
monte regio pons
torri nel porto di
Baia
:
ortìis est regitis
apre una fontana presso
il
simili ac ftuìnina.
;
fa costruire
geminas hinc atque
forcipis ipsius in ore sinus turres excitabat.
fulmina
l'edifizio degli
sorgere dov'era già la caval-
Monterey, che apre un monastero
convertite spagnuole
le
aram
tutte e due.
iam fahìda: equina
lerizza: vera
fontem. Ecco
epigrafico e della lingua latina,
stile
e le saltava
Il
ìxinc
forte di Castelnuovo:
La regina
essere
mento
al
principio del
comune
più largamente nota. Si ai posteri,
ertimpiud
di quelle iscrizioni,
di Portici; ed è
si
vede
degna
di
svolge come un ammoni-
ed è fragorosissima:
agitur — — Advortite —
instar
conte di Oliate
che fu fatta per l'eruzione del Vesuvio del 1631,
ancora
la
«
Posteri posteri
—
vestra res
Dies facem prcèfcrt diei nudius peren-
dino
Vicies ab satu solis ni fàbulatur histo-
ria
— arsii
Vescevus
— immani semper clade licesitantium —
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
425
incertos occupet monco — Utennn gerit movs — bitumine alumine ferro snlphure auro aryento — nitro (iqiiarum fontibus graveni — ocyus iynescct pelago— que influente pariet sed ante parturit — concutitur concu-
Xe posthac
Jiic
seriiis
solum — fumigai coruscat fìammigerat — quatit aerem — horrendum immugit boat tonai arcet fìnibns accolas — Emititque
— lam iam enititur erumpit mixtum igne — prcecipiti ruit seramqiie fugam prai-
grandum licei cum evomit
—
verta
la-
ille lapsii
Si
corripis
clamantem lapiderà nulla mora /"»
—
Ecco
sticamente?
prodotti
per Usti
est
Speme
larern
sapis audi
Si
speme sarcinulas
—
».
rimane, dunque, tra
Si
quei
aduni
— la
è affatto
stupiti e sollazzati
questione. simile
Il
arti-
danno
che
piacere
quello dei
a
ma
;
tunamboli
e
v
non ha nulla di comune con l'arte, che riempie l'animo d'immagini care. E nessuno vorn\ ne-
prestigiatori, e ci
gare che, tra simi
i
verseggiatori del Seicento, fossero abilis-
giocolieri, eruditi, acuti, padroni
verso;
anzi, che
anche quelli
della lingua e del
essi, forniti di
di
ijualche
spirito poetico, avessero, naturale o acc|uisita, rabilltà del
giocoliere.
Come
il
ballo ora è arte, e
cioè espressione
menti, ora semplice gioco e dimenio di
gambe
cosi l'ingegnositii secentesca ora è fusa nell'arte
di
senti-
e braccia;
come ade-
guata espressione della voluttà e della galanteria, ora sta
da
sola. In generale, via via
secolo,
sità prevale, e poli,
che
l'ispirazione voluttuosa
tra
il
si
si
procede innanzi in quel
va perdendo e l'ingegno-
A
Na-
secentismo
d«'l
diventa sempre più sofistica e arida.
16G0 e
il
16'JO, si
sviluppò un
secentismo, che è stato poco avvertito e meriterebbe una notizia un po' larga. Se ne parla da alcuni, dipoi convertiti, come dal poeta satirico Giulio Acciani, il quale, riferendosi a quei tempi e
vinezza, dice:
agli entusiasmi
della sua gio-
•
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
42G
nostro capitano era Battista,
11
Luogotenente il cavalier d'Artale, Contro cui qual valor fia che resista? e
menziona
maggiori rappresentanti
dei
altri
stranissima letteratura, quale
quella
di
padre Giacomo Lubrano,
il
predicatore e poeta latino e italiano ^ Anche Giambattista si trovò, giovinetto, in mezzo a questo movimento; spampinava (come scrive nell'autobiografìa) nelle ma-
Vico e
«
più
niere
non
del
corrotte
poetare moderno,
diletta che coi trascorsi e col falso
una
presa
gno
di
Egli aveva
».
poesia per un
opere d'argutezza,
in
.falso
sorta
tal
che con
esercizio
altro
ap-
«
d'inge-
quale unicamente diletta col
la
messo in comparsa stravagante, che sorprende
dritta espettazione
degli uditori
;
come farebbe
onde,
la
di-
spiacenza alle gravi e severe, cosi cagiona diletto alle menti
ancor deboli giovanili il
padre Lubrano,
«
».
Suo consigliere
era, per l'appunto,
gesuita d'infinita erudizione e ciedito
a que' tempi dell'eloquenza sacra quasi da per tutto corrotta
»
;
al
quale, recandosi
dizio se esso
aveva
dogli all'emenda
piacque
al
un giorno per riportarne giunella poesia,
profittato
una canzone sopra
la
e
sottoponen-
rosa, questa
«
si
padre, per altro generoso e gentile, che in età
grave d'anni, ed in
somma
riputazione salito di
grande
orator sacro, ad un giovanetto che non aveva mai inanzi
veduto, non ebbe ritegno di recitare vicendevolmente un
suo
idillio fatto Il
Battista
sopra
lo stesso
traeva ispirazione in ispecial
i
soggetto
»
-.
aveva maggiore senso poetico degli
Capone-Marano, Un poeta
modo, come
satirico del
si
XVII secolo:
è
altri,
detto,
e
da
Giulio Acciani
(Salerno, Jovane, 1892), pp. 121-H; cfr. 133, 263. 2
Lubrano si Paolo Brinaci© [Iacopo LoEosa caduca •.
Vico, in Opp., ed. Ferrari, IV, p. 331. L'idillio del
legge infatti tra
le
Scintille poetiche
di
brano] (Napoli, Muzi, 1690), pp. 295-6:
I
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
una certa l'agoni
da
filosofia stoiCc\,
suoi sonetti
i
Il
i
nudo
il
i
colori splen-
e ferreo scheletro della
Marino descriveva l'inseguimento
Stanca, anelante a
pa-
suoi quadri mitologici con
può osservare come
denti siano caduti e rimanga concettosità.
Pure, chi
lui professala.
d'amore o
quelli dei predecessori,
427
di
Dafne:
paterna riva,
la
Qual suol cervetta affaticata in caccia, Correa piangendo e con smarrita faccia
La vergine
E
ritrosa e fuggitiva...
Apollo, nel raggiungerla:
Vede il bel pie radice e vede (ahi fato!) Che rozza scorza vaghi membri asconde, i
E
l'ombra verdeggiar del crine aurato.
Nel sonetto del Battista sullo stesso argomento, tutto freddo
è
:
Indi, ch'altro non può, soltanto ottiene D'imprimer baci su la scorza acerba. Quante il fiume vicino involve areno. Esclama abbandonato in grembo all'orba: « Dafne la sua durezza ancor mantiene, L'amarezza di jjrima ancor risorba! ».
E
la
medesima osservazione
si
può
fai'c,
paragonando
i
so-
netti del Fontanella su scene e oggetti naturali eon quelli
mandorlo o sull'acqua. Ma l'Artale era quasi un matto: un siciliano datosi al mestiere delle armi, grande spadaccino, capace di >jos(<'del Battista sul
nere un duello contro otto cavalieri, noto per
sue
le
prese militari in Lfvante e in Europa, e chiamain
mania der 1
Descrive in alcune ottave
mostra
da
lui
blutgieriyc Ritter,
alla
sua donna
la testa,
il
il
cavalier sanguinario
suo gran d nello,
e, in
in •.
im-
CwvBasti
un sonetto,
che serbava in sua casa, di un turco,
ammazzato: Questo che morto ancora il elei disfida Orrido teschio di terribil trace...
''
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
428
dire che sono suoi quei tre versi su Maria Miiddalena che
asciuga
i
piedi di
Gesù con
le
chiome:
r
un Tago e son due non lùmirò natura:
Ch'il crin s'è
Prodigio
Bagnar versi che
esempio
^
senza conoscerne o almeno senza
hanno
l'autore, e tanti
sempre senza sapere da chi fossero voluttuosa figura di Maddalena, cosi
amata non ispirava ormai più Occhi, bocca, pie, Bella, fra noi
riferito dietro di lui, stati foggiati.
Intesse
O
il
mano
e
san debellar
mani, o
amori;
amate
come
bocca (oh Dio!),
mia
ci
l'ingegnosità regna senza rivali. In loro seguaci,
non meno che nel
contenuto teologico,
fede.
mio!
Lubrano non
nel
cori.
i
luci, o
ferite al petto
sono più immagini:
entrambi
Battista,
filosofico e
:
chiome aurate,
gli
Voi, voi, cinque nemici a la
Date cinque
la
donna
altro che sottigliezze incolori
crin per catenarne
crin, pie,
Come
la bellezza della
Canti, balli, ardi, atteggi, e reti
di
lumi,
i
coi Soli e rasciugar coi fiumi;
stravaganza
menzionarne
Nell'Artale
Soli
Muratori, crediamo pel primo, addusse quale
il
di
tal
poi,
e
nei
abbondano poesie
morale: verseggiamenti
acuti di astratti pensieri.
Di fronte a quest'ultima forma dell'ingegnosità marinesca, non solo s'intende,
Questo do'
ix'aci
Drizzò, pronto di
ma
riesce perfino bene accetta
e capitano e guida,
man, d'ingegno audace,
Ferrata scala, e perché ed arda e uccida Portò ai muri sovente e ferro e face.
Poggiava
ed io sul collo invitto Tal percossa avventai, che '1 busto forte Senza capo restò, fra i morti ascritto. i
Perfetta poesia
^
I,
alfine,
pp. 359-61.
i
NELLA LIRICA DEL SEICENTO e gradevole la reazione arcadica;
anche
4:'29
se
si
manifesti in
opere insipide o poco sapide. La insipidezza, che parla
modo
tono basso e in
semplice, è
meno
cor.
insopportabile del-
l'insipidezza pretensiosa e rumorosa. Pure, se l'Arcadia, con le teorie e
con
esempì, combatté l'ingegnosità e
gli
il
con-
cettismo compiendo opera negativa e di valore meramente scolastico, nella sua
produzione positiva
si
riattaccò (se non
c'inganniamo) all'aspetto sensuale del marinismo. Le pastorellerie, cali,
i
l'amore tenero e galante,
canzonette musi-
le
«
sonetti descrittivi, mitologici e storici, coltivati dai
marinisti, sono continuati dagli arcadi.
amava
Pietro Metastasio
assai
Xon senza ragione
Marino IO
il
nelle ueiie 1 imiiava e l'imitava
marinesca si rirrova K La concezione mari 2Ì rococò, resa |)iù 1 in quella arcadica, come il barocco nel tenue, più aggraziata e gentile. Come sarebbe potuta spa- f sue prime composizioni.
rire
davvero?
Un
gagliardo e nuovo sentimento non
era formato in Italia, e non
formò
si
sin oltre la
metà
si
dvl
secolo decimottavo. Continuava la disposizione frivola degli
debole fede religiosa e politica,
spiriti, la
interessamento al
marinismo,
filosofico.
ma
Non
fu
il
supertìciale
l'Arcadia che
mise
fine
quel moto spirituale che, ucciflendo l'ar-
tìglio il padre e, cioè, il marinismo. marinismo rappresenta l'assenza del sentimento v
cadismo, uccise col
Poiché
il
etico, esso
non spari davvero
sentimento, col Parini
tempra
e
se
con
non
col risorgere di questo
l'Alfieri, e
con
gli
di
altri
affine.
Vii
Ma
discorrere ora del marinismo, senza far alcun cenno
delle relazioni che esso offre
col
decadentismo poetico
artistico degli ultimi decenni, e in particolare col
zianismo, non
si
«'
dannun-
può: tacendone, parrebbe quasi che
si
vo-
430
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ
una legittima cu-
lesse lasciare, di proposito, insoddisfatta
Tanto più
riosità.
quente, e
clie
il
paragone è stato
D'Annunzio ravvicinato
il
istituito di fre-
Marino, e l'opera
al
sua e dei suoi a quella del peggiore secentismo.
Veramente, solito, è
il
ravvicinamento, come è stato condotto di
poco sostenibile; perché
si
ha l'occhio
proverbiale delle ingegnosità e dei concetti
al
secentismo
(al
secentismo
che culminò nei Lubrano e negli Artale), e questo non trova, o, di certo, non è
il
tratto prominente,
nel
si
deca-
dentismo moderno e nel D'Annunzio, cosi poco addestrato nelle distinzioni logiche e scolastiche, nelle quali quei centisti
Se
si
se-
erano esperti. vuole rendere
il
paragone, almeno in parte, vero,
bisogna guardare, invece, all'aspetto sensuale della poesia del Marino, e, sopratutto, a quella,
cosi
poco conosciuta
finora, de' suoi prossimi seguaci. Nell'una e nell'altra pro-
duzione artistica, l'elemento etico è assente: l'una si
dedica,
perciò,
e l'altra
esplorazione e celebrazione della
alla
donna
e degli spettacoli naturali. Dalla rassegna, che ab-
biamo
fatto di sopra, dei
motivi della lirica mariniana, la
somiglianza risulta evidente, e non altre parole
\
I
Nove
cieli
degli eroi (compresi fra questi
donne per
lo
cielo, i
fontane e
i
un
del mare, della terra
santi); e la Galleria delle
Fona ricorda i sonetti c'è perfino, come si è
illustri del
quei poeti
tutti
aggiungere
del Fontanella, p. e., sono
secentesco volume di Laudi del e
occorre
delle Adultere. In visto,
quell'amore
giuochi d'acqua, che formano una predi-
lezione del D'Annunzio.
A
questo riscontro
gnare
altri
secondari,
sostanziale
ma non
sarebbero da accompa-
privi di significato, perché
sorgono dalla qualità superficiale e splendente
1
Si confronti
il
mio saggio
1-28, 85-110, in ispecie le
sul
D'Annunzio, in
ultime pagine.
e,
diremmo.
Critica, II (1904),
NELLA LIRICA DEL SEICENTO sono
flecorativa, di quelle poesie; quali
raccolte
semplice titolo di
come
titoli
i
di
cui le
non più contente del Rime, che ancor si usava nel secolo pre-
Seicento
del
431
fregiano,
si
D'Annunzio non è stato contento dei titoli Nuove poesie. Alla Lira del Marino seguirono le Tre Grazie e le Veneri del Bruni, I nove cieli del Fontanella, La selva poetica del Sempronio, il Mormorio di Elicona del Roretti, V Armonia del Cusano, Vezzi d'Erato del Quirini, la Benda di Cupido del Michicle, le Stille d'Ipcedente,
il
semplici di Poesie e
i
pocrene del Bissari, Sirene di Pietro
Giardino poetico dello Zazzaroni,
il
Casaburi,
le
Quattro stagioni di Lorenzo
Casaburi, le Scintille poetiche del Lubrano, Gaudiosi, e via discorrendo;
le
VArpa
poetica del
spesso ingegnosi e sem-
titoli
pre risonanti e pomposi. Quelle raccolte sembrano, nel loro stesso frontespizio, avvertire che è inutile cercare in esse
l'intimità, l'aflFetto profondo, la
commozione contenuta.
Altro riscontro secondario, e pur fondato su motivi essenziali, è nello sfruttamento
come
il
ranea; onde
come
che
Marino e
il
il
napoletano
poeta
l'odierno abruzzese, fu
di un'accurata visita
di tre
segno
di
doganale pei
suoi fecero,
i
D'Annunzio, della letteratura antica
e
secoli
contempoaddietro,
velenose accuse e
furti
portava ad-
che
dosso: indagini che continuarono per un pezzo e recarono le
più strane
sorprese.
Il
Marino
fu costretto
perfino
a
dare una teoria dell'imitazione e del plagio, nella lettera a Claudio Achillini che precede la
argomento tornava
il
suo
Sampogna;
amico Onorato
prefazione alla terza parte della Lira. degli avversari,
ma
anche
estimatori, s'incontrano il
Meninni indicava
Marino', e
1
Si
il
quelli
dei
solo nei
suoi
nella libri
fautori
ed
osservazioni sulle sue fonti: cosi
le fonti
Battista
in
Non
e sullo stesso
Claretti,
spagnuole di molti sonetti del
ringraziava
veda in questo volume,
p.
192
n.
Baldassarre Pisani di
^
432
SENSUALISMO E INGEGNOSITÀ comunicatcì
avergli
una
bella
«
preda
»,
Dìsputa amorosa del Marino era trasportata dei Colloquia di
accusato dal
lo
stesso
avere rubato
di
Non pochi
Britonio-. sito sulla
Erasmo ^ Ma
Cicinelli
(oltre
il
che
cioè,
e,
di pianta
era
Battista
alcuni
la
da uno poi
sonetti al
Marino) scrissero dì propo-
questione del plagio, e dei limiti tra cui l'imi-
tazione e
erano lecite^.
l'appropriazione
Né
ciò è
tutto
un mero accidente. 11 poeta di scarsa intimità si fa di ogni cosa un oggetto di diletto, e si esprime nelle più varie forme, perché la sua personalità è poco profonda.
Il
medesimo fatto si osserva allora nell'arte, in pittori come Luca Giordano, che imita i più vari pittori. Infine, nei marinisti come nel D'Annunzio, è dato osservare il vano sforzo di superare la cerchia strettamente sensuale, col all'allegoria, e
ricorrere che il
secondo
ai
primi facevano all'arguzia e
i
«
gesti
»
e agli accenni e
«
sim-
che dovrebbero essere gravi di un significato su-
boli », perioi'c.
Noi non diremo che queste e altre somiglianze, che possono stabilire tra
due movimenti
i
artistici,
tilmente osservate; perché è chiaro che esse hanno lità di tutti
i
attenti a certi
1
l'uti-
procedimenti comparativi, in quanto rendono caratteri, che,
senza quelle comparazioni,
Lettere (Bolof^na, 1678), pp. 96-8.
2 Gr.
Cicinelli, Censura del x)oetare moderno (Napoli, Passeri, 1672:,
pp. 156-61. Cfr. F. Meninni, Furti svelati nelle poesie meliche
grammi 3
si
siano inu-
di Giuseppe Battista
Senza menzionare
(s.
1.
scritti
e negli epi-
a.).
noti (come quel che
dice
il
Bartoi.i
ricorderemo I'Aprosio, La grillaia (col nome di Scipio Glareano, Napoli, 1663), grillo VII, pp. 64-95; F. Meninsi, Il ritratto del sonetto (Napoli, Passeri, 1677), e. 56, pp. 329-42: « Se il furto sia
noWUomo
di
lettere),
lecito a chi scrive poesie
»
.
Il
Lubrìno {Suaviludia vimarum ad Sebethi un epigramma: « Poetis licei ex anti-
ripam, Napoli, Raillard, 1690) ha quis furare
>
NELLA LIRICA DEL SEICENTO
non
modo
si
scorgerebbero, spiccato.
Ma
o,
almeno, non
conviene
insistere
433
vedrebbero
si
sul
limite
di
in tali
comparazioni, che offrono soltanto alcuni caratteri generici e
non attingono mai
quelli
propri e individuali dei
fatti,
degli individui, delle epoche.
Perché, nonostante
marinismo, e
il
le
somiglianze,
dannunzianismo
è
soltanto l'elemento artificioso, che l'altro, è, i
come
si
il
si
il
il
nota nell'uno e nel-
è accennato, diverso,
sembra tanto
è
dannunzianismo. Non perché diversi sono
presupposti di cultura delle due epoche;
sensualità, che
marinismo
ma
perfino la
simile, è diversa. In quella dan-
nunziana, com'è chiaro, vibrano inconsapevolmente tutte le
esperienze spirituali dei tre secoli, che sono
dai giorni del Marino ai nostri.
Fine.
trascorsi
INDICE DEI XOMr'>
Abati A., 322, 343. Abbattutis G. A. vedi Basile G. B., 25, 35, 36, 37.
Abramo
di Santa Clara, 180. 423. Accademici della Crusca, 30; Incauti, 19, 43 Oziosi, 21, 43, 145, 155; Risoluti, 41; Sileni, 32; Scatenati, 42; Stravaganti, G. Acciani G., 425. Achiliini C, 332, 399, 410, 411, 413, 417. Acquaviva G., 128.
Abriani
P.,
;
Acquaviva O., 128. Ademollo A., 320, 323. Adriani P., 246. Alba (duca d'), 21, 11;{, 118. Aleardi L., 106. Alvarez di Toledo vedi Alba. Alvarez D., 147.
Ambra Ambra
F., 284. (d')
R., 200.
Ameuta N., viu, Ammirato Scip.,
126, 305, ;{68. 298.
André, 181.
Arcoleo G., 198. Argensolas, 114, 149; vedi Leonardo. Aretino P., 279, 283, 309. Arienzo (d'j Nic, 340. Ariosto, 279, 348. Aristotele, 261-2. Artale G., 422, 427, 428, 430. Avisati M. vedi Fontanarosa.
Baldinucci
F., 348, 355.
Baldo F., 244. Balducci F., 379, 420, 421, 423. Balzano F., 39. Barberini Malico, 4U0.
Barese F.. 246. Barone Camillo, 13. Barone Caterina, 24. Barone Eleonora, 13, 2-1. Barone Muzio, 9, JO. Barra .Mattia, 245. Barrionuovd (dei (i., NT. Basile Adriana, 9, IO, 11, 106.
Antonio N., 175.
48, 105, Basilo iJoinonico, 41. Basile Felice, 71.
Aquino
Basile Francesco,
13,
20, 21, 23,
Annunzio (d)
G., 402.
Questo indice dei nomi più rilevanti Vincenzo Spampanato.
(*)
prof.
(d')
G., xv, 430-43H.
è stato
IO,
12, 1
l;{. 1.'J.
U»6.
compilato dall'amico
INDICE DEI NOMI
436
Basile Gian Battista, 3-9, 10, 1131, 35-37,
38,
39,
40, 43-59, 61-69, 71-82, 83, 92, 103, 105, 107, 115-118, 140. 304, 331, Opere italiane: 349, 356. 24,
28,
—
Aretusa, 77; Avventuì'ose disavventure, 11; Egloghe amoGuerriero rose e lugubri, 12 amante. 19; Imagini delle più ;
belle
dame napoletane
ritratte
da lor propri nomi in tanti anagrammi, 19; Madriali et ude, 9 Monte di Parnaso, 21 Ode. 21 Osservazioni. 16 Pianto della Vergine, 9; Rapimento ;
;
;
;
di Virgilio vendicato, 11; Teagene, 20, 22; Venere addolorata. 12; vedi 108-112. Opere napoletane: A lo re de li viente. 80; Lettere. 36, 63; L?f runto de li cunti, 43, 51, 58, 63, 68, 71, 81, 84, 85, 92, 324, 330, 349, 350, 351 Muse napoletane, 43, Poesie spagnuole: 44, 48, 63. 115-118.
Boscan
J., 135. Bottari, 335. Bouhours, 419. Braca V,, 310.
Bracciolini F., 149, 331, 332. Brignole-Sale A. G., 386, 392, 412, 413. Brinaci o P. vedi Lubrano. Britonio G., 432. Bruni A., 396, 407, 415, 416, 417, 431. Bruno Giordano, 62, 120.
Bulifon A., 71.
Burkhardt J., 347. Burney C., 334, 340.
—
;
—
Lelio, 10, 13, 106. Margherita. 15, 106. Vittoria, 10, 15, 106. Battista G., 332, 409, 413, 418, 426, 427, 428, 431, 432. Belloni A., ix, x, xt. Belvedere A., 367.
Bembo Bembo
G., 7-8. P.,
16, 64.
Bergazzano G. B., 17. Bernardino da Siena, Bernaudo F., 42. Berni
171.
F., 33, 40, 137.
Bettinelli S., 169, 189. Bidelo G. B., 133. Biondo M. A., 91. Bissari P. P., 431. Bitonto vedi Musso C. Blasiis (de) G.. 325.
Boccaccio, 25, 63, 66, 276. Boccalini T., 126, 192, 303, 368, 369.
Boncompagno,
Bonuomo
275.
A., 206.
Boileau, 181.
206, 210, 331. 176. Cammarano V. detto Giancola,
Callot
J.,
Caminata QaadreJ, 246.
Campanella
Giuseppe, 106.
Basile Basile Basile Basile
Gaetano S., 391, 394. Calcese A., 16, 30, 249.
T., 383.
Canale G., 408. Capaccio G. C, 115, 122, 148, 303, 304, 342, 372.
Capasso B., 26, 220, 303, 376. Capeci C. S., 246. Caporali C, 127-144.
Capua (di) Dorotea, 19. Caracciolo G. B., 24, 107. Caracciolo M., 16, 17. Caracciolo T., 15!>. Carafa F., duca di Nocera, 157, 158.
Carafa 9,
L.,
principe di Stigliano,
11.
Caravelli V., 181, 220, 227.
Carbone
N., 310.
Carducci G., 328, 331, 334, 348. Casa (della) G., 64, 281, 282, 387.
Casaburi Casaburi
L., 414, 423, 431. P., 431.
Casalicchio C, 177, 178. Castelficardo (padre), 172. Castelletti C, 296, 298. 301, 303. Castelli F., 422.
_l
43"
INDICE DEI NOMI Castro (de) Guillen, 146. Castro (de) F., 136. Castro (de) P. F., 12, 134, 135,
Curzio da Marignolle, 333.
Cusano
B., 402, 418, 431.
145.
Cataneo
D
0., 47.
Cavallucci G., 242. Cecchi G. M., 284. Cecchini Pier Maria detto Frittellino, 204, 205, 206,207, 221, 229, 230, 244.
C, 361-376. Sue opere
Celano
varie, 366-369; Guida di Nopr.Ii. 363, 369,370. 371, 373, 375. Cerlone F., 246, 247, 306. Ceron P., 147. Cervantes M., 127-144, 145, 150, 151, 159. Cesareo G. A., 315-60. Cesarini V., xxi. Cetina (de) Gutierre, 141. Chiabrera G., xxi, 113. 396. Chiaiese (dottor), 38, 120, 122.
Ciampoli
Damiani G.
F., xvi.
Daniele A., 50, 71, 105. Davanzati B., 224. Dejob C, 171, 172. Dias de Gamos, 102. Dieterich A., 208, 218, 219, 220, 221, 222.
Aux
Diez de
Domenichi
Miguel, 154.
L., 280.
Dominici (de)
B., 318, 322, 325,
326, 338.
Driesen
Dunlop
O., 269. J., 60, 61, 89.
E
G.. xxi.
Cieco da Ferrara, 51, 91. Cini G. B., 288.
EUio Frane, 148. Engenio (d') C, 372, 374. Erasmo, 432.
Gino da Pistoia, 276. Ciuccio A. vedi Calcese.
Ercilla (de) A., 135. Errico S., 385, 399, 408, 423.
Cicinelli G., 432.
Claretti Onorato, 431.
Claudiano, 17. Contorti L., 150-1. Contarini L., 372.
Cornare
F
A., 9.
Cortese G. C,
4,
9,
13, 28-35, 36,
37, 38, 39, 40-44. 45, 105, 119-
127-144,
122,
217,
232,
304, di
FaJnelli V., 218. Falco (di) B., 372. Falcone A., 321. Faraglia N., 325. 50.
330,331.— Opere: Viogyio
Farina G. A., 49,
Parnaso, 13, 28, 32, 133, 232; Micco (^erriglio incantato. 35
Farinelli A., 189, 191.
Fasano
Passavo, 34; Poesie sparse, 119122 Travogliuse amure de Giul-
Ferolla A., 33. Ferrari G., 34, 64. Ferri G. L., 89.
;
;
io
e
Penìa. 34; Vai"sseidi\ 30,
Fiamma
31.
Costo
Crasso L., 368. Crescimbeni, viu. Critana (de) Gonzales, Croce G. C, 208. G..
173.
89.
(di) Dom. Ani., 246. Fiorillo Silvio, 203,205, 20«i, 215, 227, 236, 243, 244. Fiscbart, 87. Fontaine (la), 52.
Fiore
Cotarelo E., 154, 155.
Curzio L., 333.
G.,
Filicaia V., xxi.
T., 311.
Cruikshank
G., 89.
17">.
Fontana Fontana
D., 149. <'
''
'
'7
438
INDICE DEI NOMI
Pontanarosa (padre), 181, 18^. Fontanella
G., 389, 390, 394, 400,
401, 402, 403, 404, 405, 409, 414, 415, 419, 427, 430, 431. Fortini P., 296. Fracanzauo M., 245. Franciosini L., 148. Frisar! D., 246. Fuster M., 175.
Hontiveros (de) F., 176. Hurtado de Mendoza D., 141.
laffei G., 269.
Imbriani V.,
4, 38, 43, 52, 63, 66,
67, 89, 106.
Isa F., 304. Isla (de) J. F., 184-5.
G Gaetano
K
F., 304.
Galiani F., 26. 36, 37, 63, 64, 67,
Keightley, 89.
68, 84, 92, 217, 251, 313. Galilei, XX.
Gallardo Gaudiosi
B., 155. T., 431.
Giacomo (di) Giannone P., Giordano Giordano
,Labata F., 175. 248, 340.
S.,
xx.
F., 372.
L., 364, 875, 432.
Giovanetti M., 40, 386, 396, 398, 400, 402, 414, 416. Giraud, 254. P., 256.
Giuglaris L., 176. Giusti, 348.
Glinci L., 22. Glorizio O., 304.
Goldoni, XX, 306. (de) L., 145, 192. Eleonora, 10.
Ferdinando, lo, 15. Francesco, 13. Vincenzo, 10, 13.
XX, 52, 80, 81. (de) L., 173. Gravina, viu.
Grimm
J., 62, 64,
84-86, 90, 92, 96,
100.
vedi Castro.
(de) L., 173.
Leonardo Bartolomé, 115. Leonardo Gabriele, 115. Leonardo Lupercio, 115. Lepore (padre), 176. Levi E., 218.
Liveri (di) barone, 306. Loffredo F., 372. Loffredo D. A., duca della Nocara, 158-9.
Lombardi G., 21. Lorena (di) Claudio
o Lorenese,
343.
Lubrano
G., 424,
426,
428,
431, 432.
M
H
Mabillon, 364.
Heichen P., 89. Heine E., 52, 140. E. T. A.
F., 59, 63, 65, 67, 86, 87, 88, 89. Lippi L., 73, 75, 324, 326.
Lucia (ballo), 206, 331. Lucchesi (padre), 169.
Guerrini O., 60, 79. Guerrini F., 244.
Hoffmann
175.
Liebrecht
Goethe W., 247, 254-6.
Góngora Gonzaga Gonzaga Gonzaga Gonzaga Gozzi C, Granada
Ledesma (de) A., Lemos (de) conte Leon
Girolamo da Narni, 176.
Gismondo
Lampillas S., 189. Lanci C., 209. Lanzi L., 343, 344. Lauria A., 248.
323.
Macedonio M., 397, 414. Machiavelli, xx, 282. Maffei (fratelli), 319, 324.
430,
INDICE DEI NOMI
Maia Materdona G.
F., 40, 386,
388, 398, 400, 408.
Manfredi Maddalena, 78. Manfredi Teresa, 78. Manriquez Caterina, 147.
Manso March
x.
Minucci
Marignollo vedi Curzio. Marinismo, in Lirira del Seicento, 377 sgg. sue tendenze, 381 sgg., e come si giudicò, 379 sgg. ;
B., 3, 17, 20, 190, 192, Opere 379, 380, 429, 430, 432. sue citate Lo. bruna lìastorella.
—
:
disputa amorosa, 432 La lira, 384, 431 La ninfa tiberina, 398; La sampofina, 431 Im trasformazione di Dafne.
384
Lo,
;
P.,
73.
Molière, 243, 300.
21.
Marino G.
(de) Barros, 134. (de) D., 33, 134, 111. F., 192, 431-2.
Metastasio P., 429. Michiele P., 431. Minieri Riccio C, 32, 39, 42. Minozzi P. F., 380 sgg.
A., 135.
Maria d'Austria,
Mendoza Mendoza Meninni
G. B., 13, 145, 156.
Manzoni,
439
;
;
;
Montesquieu, 126. Monti G. C, 243.
Montolmo (padre), 172, Morando B., 384, 385. Morgan (lady), 334, 335,
336, 337, 338, 339, 340, 343, 344, 348, 349.
Merlino G., 51, Morsolin B., ix,
90. x.
Muratori, vui, 428.
Murtola G,, 424. Muscettola A., 149, 330.
Musso C,
406, 407, 427.
175.
172, 175.
Martinozzi G., 60.
Martorana P., 31. Martucci G., 323.
N
Masaniello, 252, 325. Maschere e personaggi: Broxone, 330; il Calabrese. 311; il Capitan Matamoros, 203, 204 Catozza, 330; il Cavaiuolo, 310; Cola, 205; Colombina. 209; Co;
viello.
205, o Coviello datola,
209 e 330, o Coviello Patacca. 330; Gianfjurgolo, 312; il Napoletano, 284; don Pancrazio Cucuziello, 315; Pascariello, 205, o Pascariello Formica, 323, o Pascariello Pettola, 323; Pierrot, 249; Policinella Cetrtdo, 208; Razzullo, 305; Sciosciammocca, 209; lo Studente calabrese, 313; il Trastullo, 207; Zanni. 220; Zeza, 209.
Masi
Napoli: archi dello spedale di Cola di Fiore, 371, 372; archivi, 374; borghi, 373, 374; chiese, 373, 374, 422 suoi de;
scrittori, 372, 373: grotta dogli Sportiglioni, 371 iscrizioni la;
tine, 424,
425;
r>'di
Maschero
personaggi; strade Sant'Antonio Abate e Sant'Antonio di Padova, 371 etc. Narducci A. M., 334. e
Nicodcmo
L., 228.
Nonno,
xvi,
Novati
F., 227.
17.
Novellieri (de) Clavolli G., 14R.
O
E., 81.
Masuccio, 310.
Masturzo M., 321.
Oliva
Mauro
Oquina
G., 279.
Maurj' Tabate), 169. Medici (di) F., 29, 129.
Mele
E., 149.
Menendez y Pelago M., Mendoza (de) A., 153.
186.
F., 67, 76.
(de) Juan, 154, 155, Orchi E.", 176. Ortigosa (do) A., 114. Ossuna ((li) duca, 146. Ovidio (d) F., 189. Ozzola L., 359.
157.
INDICE DEI NOMI
440
Renier
R., 359.
Reppone Masillo vedi Palizzi F., 327. Pallavicino Sforza, 193, 348. Panigarola F., 172, 174. Paoli P. F., 891, 404, 414. Paolino Lucrezia, 324. Paravicino O., 173, Passante A., 245. Passeri G., 323.
Pércopo E., XV, 25. Perez de Montalvàn
J.,
112.
Ferrucci A., 203. Pars (di) C, 385, 414. Ferrucci A., 203, 211, 229, 244. Petite A., 248. Petronio, 273. Piccolomini A., 284, 286, 309. Pinelli G., 21, 48, 49. Pitré G., 17, 61, 84, 89. Polcinella J., 217. Fona F., 386, 408, 409, 411, 412, 430. Porta (della) G. B.. 109, 232, 300, 303, 305. Preti G., 399. Promontorio, 153-4. Pulci L., 276, 277, 289. Pulcinella, 197-260; vedi Napoli e
Maschere
e
personaggi.
Pulcinella delle Carceri, 219, 220.
Puymaigre
357.
Righello F., 221, 304. Roberto da Lecce, 171.
Rosa (de) L., 26. Rosa Salvatore, 318-359. Opere letterarie
sgg.
Peri'ault, 55, 95.
(de), 102.
Saruelli.
Riccardi N., 176, 187. Ricciardi G. B., 319, 320, 324, 342,
354; 353;
:
:
poesia, 327, 330, 349, 350, 352, 355; L'invidia, 327, 328, 353; La pittura, 327, 330, '331, 352, 353 La satira settima, 327 sgg., 354); poesie, 327, 334; epistolario, 334, 335. Opere pittoriche, 335, 336, 337. ;
Roseli y Fuenllana D., 147. Rossetti G., 89. Rovetti G. A., 395, 402, 431.
Rua
G., 51, 52, 81, 91.
Ruffo A., 319.
S Saavedra y Guzman M.,
114.
Saiute-Beuve, 55, Saia F., xui, XV, 419. Salimbene, 275. Saliuas (di) conte, 135.
Salomoui
Q Quadrio F.
348.
S.,
Quevedo (de) F., 43, 115, Quinones (de) G., 152.
147.
Quirini L., 410, 414, 431.
R
G., 396, 414, 418, 421, 422, 423. Salvini A. M,, 328. Sanctis (de) F., xiii, 81, 198. Sand M., 312, 313, 314. Sarmiento R., 175. Sarnclli P., 67, 71, 72, 77, 78, 81, 373.
Sarpi P,, XX.
Rabelais, 58, 59, 60, 61, 63, 121.
Satha C, 268. Savonarola G., 171. Sbarra T,, 385.
Ramon
Scarpetta E., 216, 257.
T., 175.
Ranieri A. Redi, 357.
F., 284.
Reich H., 261-70. Reni G., 407.
354
satire (348 sgg.,
La Babilonia. 322, 327, La guerra, 326, 327, 350, La musica. 327, 351; Ln
Scherillo M., 202, 232, 246. Schiller F., 84, 127, 179. Scott Walter, 88.
Segneri
P., 177, 184.
INDICE DEI NOMI
Sempronio G.
L., 387, 392,
409,
410, 414, 431. Senese T., 422.
Sercambi
441
Torre (della) Tufo (del) G.
F., 60.
B., 217, 331.
G., 51.
U
Serio L., 64, 84.
Seripando
G., 172. Sersale A., conte di
Casamarcia-
no, 245.
Uccelli F., 307. rrrea G., 280.
Settembrini L., 29, 17G. Sfessania (ballo) vedi Lucia. Sgruttendio Filippo, 38, 39, 40, 42, lOG, 330, 417.
Shakespeare, 303. Solis (de) A., 367. Sorgente M. A., 372. Sorrentino G. C, 304. Spadaro Micco, 321.
Staibano A., 30. Stefano (de) P., 372, 374. Stigliani T., 333, 379, 394, 397, 400, 413, 414, 415. Straparola G. F.. 51. 61, 65, 90, 99.
Valentini F., 1.^5. Valle (della) F., 414.
Vega
Lopo, 126,
127,
135,
Villandrado de Sarmieuto
vedi
(de) 192, 366.
Velardiniello, 26. Verucci Y., 211, 233. Vico G. B., XX, 426. Salinas.
Vista (la) L., 339. Volcacius Sedigitus, 262. Voltaire, 63.
T
Vouet, 323.
W
Tansillo L., 333.
Tanucci
B.,
185.
Tari A., 345, 246. 347, 356, 357. Tarsia (di) Galeazzo, 16, 64. Tassis (de) .1., conte di Villamediana, 114, 115, 155, 157, 159.
Tasso T., 301, 381, 396. Tassoni A., 148, 192 Taylor J. E., 89. Telesio B., 151.
Tesauro
E., 168, 170, 172, 173, 174, 175, 17G, 177, 178, 186. Tiraboschi, ix, xi, xii, 176, 189. Torelli G. C, 304. Torello A., 304. Tornielli G., 184. Torraca F., 198, 310.
Wieland, 81-84.
Z Zacbia (padre), 176. Zauotti Angela, 78. Zanetti Teresa, 78. Zazzaroni T., 290, 416,
4.31.
Zeno
A., viii, ix. Zinario G., 111.
Zito B., 29. 407, 414.
Zucchi
:!0,
F., 212.
31,
33.
41.
122
INDICE
Prefazione
pag.
Giambattista Basile e
I.
I.
il
«
Conto de
ccntì
».
napoletano e
le
li
Vita e opere italiane del Basile
n. La letteratura del
dialetto
opere
25
dialettali del Basile
m.
Il
«
Cunto de
IV. Fortuna del V.
Il
«
li
li
cunti
Illustrazioni e I.
II.
III.
»
Cunto de
«
Cunto de
canti
»
come opera li
cunti
letteraria
71
»
e la novellistica
documenti
comparata
85
....
105
:
Intorno alla biografia del Basile
Bibliografia delle opere italiane del Basile
108
Poesie spagnuole del Basile
1
....
IV. Poesie sparse di G. C. Cortese II.
Due
5!
.
illustrazioni al
«
Viaje del
Parnaso
>
1;:
119
dkl Cek-
TANTES. I.
IT.
III. I
Cervantes e Giulio Cesare Cortese
125
Viaggio ideale del Cervantes a Napoli nel 1612
Ufi
GUSTO SPACNUOLO
161
Il
Caporali,
il
PREDICATORI ITALIANI DEL SEICENTO E
Appendice: Secentismo
e
IL
spagnolismo
.
.
.
189
IV. Pulcinella e le relazioni della co»l«bdia dki.l'akte ros LA COMMEDIA POPOLARE ROMANA
.....
195
^ y^
INDICE
444
pag. 197
Introduzione I.
e vestito del
IL
Nome, cognome,
L' inventore del Pulcinella.
I
patria
personaggio
precedenti del Pulcinella.
La questione
gine antica romana III.
Per
la storia del Pulcinella
Pulcinella.
IV. Celebrità del
Pulcinella simbolo
proletario napoletano
:
Ancora
sulla derivazione
203
»
215
»
229
»
251
»
257
•>
261
»
273
»
283
»
295
»
303
»
309
»
315
»
361
»
377
»
435
del
V. Conclusione
Appendice
>
dell'ori-
dei
tipi
comici italiani dalla commedia popolare antica
V. Il tipo I.
IL
I II
ubi,
Napolktano nella Y;ommedia.
toscani e la satira contro
i
napoletani
....
personaggio del Napoletano nella commedia del secolo decimosesto del personaggio nella
HI. Fissamente
commedia
del
tardo Cinquecento
IV. Decadenza
del personaggio
Appendice
:
Di alcuni
altri
tipi
regionali del
Mezzogiorno nella commedia VI. Salvator Rosa VII.
Un
DE3CRITTOEE DI Napoli
1
Carlo Cblano
....
Vili. Sensualismo e ingegnosità nella libica del Seicento Indice dei nomi
3409
.
:
1995