Alte Diluizione Studi Omeopatia

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FARMACOLOGIA DELLE ALTE DILUIZIONI BOOK · JANUARY 2005

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Available from: Paolo Bellavite Retrieved on: 30 September 2015

Nirmal C. Sukul, Anirban Sukul (Dipartimento di Zoologia, Visva-Bharati University, India)

FARMACOLOGIA DELLE ALTE DILUIZIONI Studi biochimici e fisici sul medicinale omeopatico

Traduzione italiana e presentazione a cura di Paolo Bellavite (Dipartimento di Scienze Morfologico-Biomediche, Università di Verona)

Salus Infirmorum

Titolo originale: ‘High Dilution Effects: Physical and Biochemical Basis’, edito da Kluwer Academic Publishers (Dordrecht, The Netherlands). Tradotto dalla prima edizione inglese, pubblicata nel 2004, a cura di Paolo Bellavite. Correzione testo a cura di Chiara Braghetto, impaginazione a cura di Giovanni Gava, revisione a cura di Roberto Gava.

L’Editore si assume la responsabilità della correttezza della traduzione: ogni parola è stata scrupolosamente controllata e studiata nei suoi possibili significati sia in lingua inglese sia italiana ed è stato scelto il termine che di volta in volta pareva più adatto. Dato però che “errare humanum est”, l’Editore ringrazia fin d’ora coloro che segnaleranno eventuali imperfezioni.

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale e parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.

© Copyright 2005 Salus Infirmorum snc Via Piovese, 181 35127 - Padova - Italia Tel. e Fax 049 - 7.55.44.6 Http://www.edizionisalus.it ISBN 88-86893-64-7 Salus Infirmorum è una Società Editoriale impegnata anche negli aiuti verso i poveri del Terzo Mondo: parte del guadagno viene devoluta per il conseguimento di tale scopo.

Nota dell’Editore Italiano La pubblicazione di questo libro in italiano si deve alla Prof.ssa Noemi Favero del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, che a suo tempo me ne parlò consigliandone la traduzione. Quindi, prima di tutto è a lei che deve andare il nostro ringraziamento. Oggi non è facile trovare docenti universitari con cuore e mente aperti a ciò che può sembrare contrario a quello che è tuttora il pensiero scientifico dominante, come è il caso dell’omeopatia. Il lavoro di Nirmal ed Anirban Sukul, che ho apprezzato per lo sforzo intellettuale fatto per cercare di dimostrare gli effetti “farmacodinamici” dei preparati omeopatici ad alta diluizione, non è stato sicuramente facile: organizzare, completare e pubblicare ricerche sperimentali con medicamenti omeopatici è molto difficile per carenza dei finanziamenti necessari, dato che la ricerca mondiale è nelle mani delle grandi multinazionali farmaceutiche, che sono economicamente disturbate da tutto ciò che parla di omeopatia. Il merito dei Sukul è duplice: oltre ad avere intrapreso molti studi sperimentali con rimedi omeopatici, studi documentati dall’ampia letteratura riportata anche alla fine di questa loro opera, sono riusciti a riassumerli nel presente volume permettendone la diffusione e una fattibile comprensione. Ciò non è poco, specie in questi giorni in cui l’omeopatia fa molto parlare di sé. È vero, oggi si parla tanto di omeopatia ma, strano a dirsi specie in ambito scientifico, troppo spesso ne parlano di più quelli che ne sanno di meno. È questa la nostra onestà intellettuale? È questa la nostra Scienza “moderna”? Fortunatamente, la potenza terapeutica del medicamento omeopatico è evidente sia a moltissimi pazienti sia ai loro medici e sappiamo tutti che la verità può essere nascosta o infangata, ma non può essere cancellata. Lo conferma la storia della stessa omeopatia, che da due secoli viene attaccata da ogni dove, ma che continua silenziosamente a progredire donando salute e serenità a coloro che ricorrono ad essa. Le prove scientifiche a favore dell’omeopatia sono già molte, ma oggi si arricchiscono anche di questo lavoro dei Sukul che dischiude molti segreti del mondo naturale anche ai non addetti ai lavori, portando luce e stupore a coloro che con animo aperto e indagatore gli si accostano. Alcuni passaggi, particolarmente nel capitolo 3, sono molto tecnici e potrebbero creare qualche difficoltà di comprensione a coloro che non hanno competenze di fisica quantistica. In questo caso, si consiglia al Lettore di leggere tali parti cogliendo il senso generale, anche senza soffermarsi sui dettagli specialistici. Rispetto al testo originale, alcuni punti sono stati sviluppati o chiariti con note a fondo

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NOTA DELL’EDITORE ITALIANO

pagina a cura dell’Editore e del Traduttore italiani. Nelle note sono stati talvolta anche condensati dei dettagli sperimentali, originariamente presenti nel testo ma non necessari per la comprensione del discorso fondamentale. Come ogni opera scientifica, il testo non è esente da imperfezioni di natura tecnica e probabilmente da errori, particolarmente nella parte che riguarda le prove chimico-fisiche. A questo proposito, segnalo che, per garantire la massima correttezza nell’informazione, il testo del capitolo 3 è stato sottoposto anche all’attenzione di un esperto di chimica (Prof. Giulio Jori, dell’Università di Padova), che ringrazio personalmente della disponibilità, il quale ha sollevato varie critiche al testo. Ciò ci ha consentito di eliminare una serie di errori e di revisionare profondamente il capitolo 3 rispetto alla prima versione inglese, con il consenso degli autori. In ogni caso, l’Editore e il Traduttore non avvallano ogni affermazione o interpretazione dei dati qui contenute, ma rimangono convinti del valore di quest’opera pionieristica, testimonianza di una ricerca tanto povera nei mezzi quanto, giustamente, ambiziosa negli obiettivi. Vorrei infine porgere un ringraziamento anche all’amico Paolo Bellavite, professore di Patologia Generale presso l’Università di Verona e traduttore di quest’opera, che da anni ha indirizzato i suoi interessi di ricerca, attraverso non pochi ostacoli, alle azioni farmacologiche e fisiopatologiche dei medicamenti omeopatici. La Presentazione da lui scritta arricchisce il volume con un’aggiornata rassegna delle questioni attualmente più dibattute in questo campo di frontiera della medicina. Come insegna Socrate, l’umiltà di fronte alla grandezza della natura è principio e garanzia di sapienza. Ed è sulla consapevolezza dei limiti di ogni umana conoscenza che dovrebbero fondarsi anche la Scienza e la Medicina. Padova, 28 novembre 2005 Dr. Roberto Gava

PRESENTAZIONE La scienza emergente dell’omeopatia A cura di Paolo Bellavite

L’opera ‘Farmacologia delle alte diluizioni’ rappresenta un originale contributo alla letteratura sulla questione omeopatica, di notevole interesse anche alla luce della crescente diffusione di questa disciplina nel mondo medico e del favore che riscontra presso il pubblico. Diffusione e favore che non sono – va detto subito – adeguatamente e proporzionatamente sostenuti dal supporto del mondo scientifico ed accademico. Spesso l’omeopatia è ridicolizzata utilizzando definizioni quali (testualmente): “acqua fresca”, “il nulla”, “un oltraggio alla ragione” e via dicendo. Tali opinioni sono espresse più che altro sulla base di un ragionamento alquanto semplicistico, fondato sul senso comune: “basse dosi, basso effetto, non dosi, no effetto”. Come se tutto in biologia dipendesse dalla quantità di materia, come se l’unica informazione fosse quella molecolare, come se l’unica ragione risiedesse nel pensiero “lineare”, che pure le scienze farmacologiche, immunologiche, biofisiche, neurologiche, per non parlare delle scienze dei sistemi dinamici, si sono lasciate alle spalle. Esistono molti pregiudizi nei confronti dell’omeopatia anche in alcuni importanti organismi istituzionali. Vedi ad esempio la mozione del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), secondo cui “il CNB è preoccupato della proposta di inserire le materie di insegnamento relative alle Medicine e alle pratiche non convenzionali nei corsi di laurea di Medicina, di Odontoiatria, di Farmacia, di Medicina Veterinaria, di Scienze Biologiche e di Chimica” (mozione del 24 aprile 2004) e la conclusione di un lavoro che si riferisce alla conferenza dei Presidenti dei corsi di laurea in Medicina (maggio 2004): “In sostanza, non è accettabile in alcun modo l’inserimento di insegnamenti di Medicine alternative e complementari nel corso di laurea in Medicina”1. Si tratta di posizioni che trascurano il semplice fatto che le medicine complementari (da altri chiamate anche “non convenzionali”), e tra queste soprattutto l’omeopatia, sono largamente utilizzate dalla popolazione e dai medici e quindi andrebbero più investigate e meglio conosciute. Sulla questione etica e legislativa è intervenuto anche il nostro gruppo con un lavoro pubblicato dalla rivista “Medicina e Morale”2, con un intervento presso la Conferenza Nazionale degli Ordini dei Medici dei Terni nel 20023 e con un’articolata risposta al documento del CNB4.

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Una delle accuse piùfrequentemente mosse all’omeopatia è di essere “irriducibile alle conoscenze scientifiche consolidate nella e dalla tradizione epistemologica occidentale” (CNB, 18 marzo 2005). Ma anche qui si cela un equivoco. Esiste infatti un criterio fondamentale che distingue la conoscenza scientifica da qualunque altra forma di sapere, criterio che consiste nell’uso del metodo sperimentale. Da questo punto di vista è chiaro che la scienza è fondamentalmente una e che non ha letteralmente senso pretendere di contrapporre alla scienza cosiddetta “ufficiale” un’altra scienza “alternativa”. Questo libro ne è un chiaro esempio, prima ed al di là della forza delle prove sperimentali: è noto che ogni scienza cresce col tempo e, spesso, con percorso accidentato. Va anche detto, per la precisione, che l’omeopatia ha avuto un’impronta sperimentale sin dall’inizio, rappresentando addirittura il primo esempio di ricerca sistematica degli effetti dei medicinali sull’uomo sano. A fronte dell’acceso dibattito presente nel mondo sanitario e spesso anche nei mass-media, che tocca persino il “diritto di esistenza” dei medicinali omeopatici, ben venga quindi un lavoro di sintesi e di rassegna sull’argomento più “spinoso” e paradossale: quello della possibile azione farmacologica di soluzioni diluite al punto da non contenere più molecole del principio attivo originale. Non si tratta di un’opera enciclopedica, quanto di un “reportage” dal banco di lavoro, principalmente volto a presentare organicamente i risultati del gruppo di ricerca indiano, per lo più sconosciuti al pubblico ma anche a gran parte degli “addetti ai lavori”, in quanto pubblicati su riviste molto specialistiche. Il lavoro dei Sukul e dei loro collaboratori è unico nel suo genere, perché spazia dalla biologia molecolare alla clinica, dalla fisica atomica alla tecnica farmaceutica, senza dimenticare di far riferimento ai principi tradizionali e classici enunciati dai primi Maestri dell’omeopatia. In questa vastità di orizzonti stanno insieme il pregio ed il limite: da una parte l’utilità di una visione d’insieme e una consequenzialità che esaltano l’importanza delle singole scoperte, finalizzandole alla valorizzazione dell’intera omeopatia, dall’altra la difficoltà di risultare totalmente convincenti nei dettagli, mancando talvolta il nesso tra il risultato descritto – chiaramente importante e spesso clamoroso – e una esaustiva presentazione del metodo seguito per conseguirlo. Questo limite è comunque inevitabile per un’opera come questa, che si rivolge ad un pubblico di non-specialisti. Oggi è possibile trattare l’omeopatia come una disciplina medica che ha una sua dignità, non solo storica ma anche biomedica e farmacologica, e quindi cominciare a comporre un mosaico di evidenze e di teorie coerenti, dalla figura affascinante e sempre più convincente. Il lavoro sperimentale dei Sukul, riportato in molte pubblicazioni scientifiche e compendiato in questo libro, fornisce molti tasselli a tale mosaico, perché aumenta notevolmente la mole di prove sperimentali in favore della realtà di un “effetto omeopatico”, evidenziabile in

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sistemi di laboratorio. Tuttavia, tale lavoro non si limita ad una serie di studi frammentati, piuttosto cerca di costruire una teoria più completa, integrando i dati nell’ambito di ipotesi fisiche e biochimiche di ampia portata. In questa presentazione cercherò di fornire un quadro degli studi scientifici e delle ipotesi correnti, senza riassumere né ripetere ciò che riferisce chiaramente ed ampiamente il testo dei Sukul, ma collocando tale contributo in un contesto di problematiche che riguardano l’omeopatia e presentando risultati di altri gruppi di ricerca, che tale testo spesso trascura in quanto orientato principalmente al lavoro dei nostri due Autori. In tal modo ci si potrà fare un’idea più completa dell’argomento e valutare meglio anche alcuni evidenti limiti dell’opera dei Sukul, con la consapevolezza delle difficoltà tecniche che sono di fronte a chiunque si approcci all’investigazione dell’omeopatia, come avviene in ogni campo di frontiera.

La ricerca clinica L’effettiva utilità clinica è il primo problema che si pone a chi si rivolge, con mente indagatrice e scevra da pregiudizi, all’omeopatia. Pare ovvio che, in assenza di qualsiasi prova attendibile della sua efficacia, sarebbe spreco di tempo e di energie addentrarsi nello studio del suo meccanismo d’azione. Il libro dei Sukul nella prima parte cerca di rispondere – positivamente – a tale domanda, portando alcune esperienze degli omeopati. Va detto con franchezza che le prove ivi riportate non corrispondono agli standard metodologici e qualitativi che oggi sono richiesti per la validazione dei farmaci. Sono quindi solo delle indicazioni, come dei suggerimenti, che indicano che l’omeopatia “potrebbe” essere efficace. Non è però né intenzione né scopo del libro quella di riportare una rassegna aggiornata sulla letteratura clinica in omeopatia. Gli omeopati hanno da sempre svolto ricerca clinica, se non altro per affinare le conoscenze degli effetti dei medicinali, cercando nella cura del malato la controprova delle proprietà di medicinali scoperte nei soggetti sani. La letteratura omeopatica è vastissima, ma è anche difficilmente accessibile sia perché fatta da una serie di osservazioni frammentarie, sia perché pubblicata per lo più su riviste oggi non più in corso di pubblicazione. La ricerca condotta con criteri moderni ha cominciato a svilupparsi negli anni ‘70-‘80 del secolo scorso ed oggi ha una discreta diffusione ed accessibilità, sebbene ad un livello incomparabilmente ridotto rispetto a quella sui farmaci ufficiali. L’omeopatia trova ostacoli nella relativa piccolezza del mercato (di dimensioni inferiori ad 1/100 di quello dei farmaci convenzionali), nella non brevettabilità della maggior parte dei medicinali omeopatici unitari, nella mancanza di interesse – o persino

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nella perdurante opposizione - da parte del mondo accademico e nella mancanza di cattedre universitarie. La ricerca clinica in omeopatia è complicata dal fatto che le dosi di medicinale sono bassissime o persino inesistenti sul piano molecolare, cosa che spesso preclude l’analisi farmacocinetica. Tuttavia, l’ostacolo più grosso nella ricerca clinica in omeopatia – soprattutto in quella classica - è di ordine metodologico: è molto probabile che pazienti con la stessa malattia, ma con diversa storia, diversa reattività vegetativa, diverso tipo costituzionale, diversa localizzazione dei sintomi, richiedano diverse prescrizioni. Un’altra ragione della scarsità di ricerca clinica in questo campo sta nel fatto che nel corso della sua bicentenaria storia, l’omeopatia si è differenziata in molti filoni, alcuni dei quali alquanto distanti dalla metodologia classica hahnemanniana, e le Scuole omeopatiche hanno sviluppato vari approcci clinici e varie farmacopee (es.: diluizioni decimali o centesimali, formulazioni singole o in complessi, alte o basse diluizioni), cosicché è difficile valutare l’efficacia senza scendere in dettagli metodologici complessi. La letteratura che viene passata in rassegna come “omeopatica” spesso non distingue tra tutte queste diverse possibilità. Gli studi clinici controllati (“trials”) condotti con criteri metodologici moderni sono entrati nell’uso in tempi relativamente recenti e consistono in qualche centinaio di pubblicazioni concernenti soprattutto le patologie dell’apparato vascolare e coagulazione, dell’apparato gastrointestinale, dell’apparato muscolo-scheletrico (inclusa la reumatologia), le patologie otorinolaringoiatriche e le sindromi influenzali, la chirurgia e l’anestesiologia, le patologie dermatologiche, quelle neurologiche, quelle ostetrico-ginecologiche e le allergie. In sintesi, si osserva che il trattamento omeopatico si è dimostrato efficace in molti studi clinici controllati, mentre altri studi hanno dato risultati negativi, indicando che l’omeopatia può essere trattata, dal punto di vista statistico, come altre forme di terapia. Alcuni Autori hanno messo in evidenza come la rigida applicazione del doppio cieco rischia di snaturare il metodo clinico dell’omeopatia, rendendo perciò la ricerca meno aderente a quella che è la reale pratica dell’omeopatia, che richiede un continuo “feedback” di informazioni dal paziente al medico curante. I problemi metodologici, perciò, non possono dirsi ancora risolti in modo definitivo. Le più recenti rassegne e meta-analisi, inclusa quella di un Gruppo di Studio istituito appositamente dalla Comunità Europea, indicano che nel loro insieme tutte le ricerche fin qui compiute sono a favore di un effetto terapeutico dell’omeopatia, statisticamente distinguibile da quello di un placebo. Anche seguendo i criteri di giudizio più rigorosi e “prudenti”, si deve concludere che la probabilità che i risultati positivi finora riportati siano dovuti ad un effetto placebo “generalizzato” o ad errori della ricerca è sicuramente trascurabile. Un

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recente lavoro di meta-analisi pubblicato dalla rivista The Lancet che, contrariamente ai precedenti, sosteneva la equivalenza di omeopatia con placebo5 è stato molto criticato perché ha preso in esame solo otto lavori, scelti in modo inappropriato6. Un generale ripensamento metodologico sui trials clinici è in corso nella letteratura. Vari Autori sostengono, con buone ragioni, che nelle terapie “complesse” (come omeopatia ed agopuntura) è scorretto e non ragionevole considerare come variabili indipendenti (cosa che fa il metodo classico in doppio cieco) gli effetti “specifici” del medicinale e quelli “aspecifici” legati alla conduzione della terapia ed alle aspettative del paziente7;8. un’adozione acritica del trial clinico in doppio cieco potrebbe portare a risultati falsamente negativi. È pur vero che la mole di lavori indiscutibilmente dimostrativi è comunque scarsa – anche perché sono moltissime le variabili nosologiche, metodologiche e farmacologiche in gioco - e che mancano studi di conferma da parte di gruppi indipendenti, cosa che rende difficile raggiungere conclusioni certe e fare raccomandazioni sull’efficacia del trattamento omeopatico in una specifica patologia. A questo scopo, sarebbe necessario che i principali trials clinici pubblicati finora venissero ripetuti. Anche il problema degli eventuali effetti avversi dell’omeopatia è stato già analizzato9-12. Gli Autori hanno concluso che i medicamenti omeopatici in alte diluizioni, prescritti da medici esperti, sono probabilmente sicuri e non provocano importanti reazioni avverse. Secondo alcuni Autori, in una discreta percentuale dei casi (circa un quarto) si verifica il cosiddetto “aggravamento omeopatico”, vale a dire un aumento dei sintomi o una comparsa di sintomi pregressi, dovuti ad una reazione terapeutica dello stesso organismo13, ma questa è controllabile se la terapia è seguita da medici esperti. Secondo altri14, che hanno esaminato la letteratura dei trial clinici, l’aggravamento omeopatico è un evento molto più raro di quanto comunemente si ritenga. Le ricerche cliniche finora disponibili sono sufficienti per sostenere che, se il paziente lo richiede, sia giustificabile un approccio omeopatico nella terapia di pazienti affetti da vari disturbi, sopra citati, particolarmente se tali condizioni cliniche non mostrano andamento velocemente progressivo. In ogni caso, il trattamento omeopatico non dovrebbe essere visto come “alternativo”, nel senso di “opposizione” a quello convenzionale, ma come un trattamento di primo livello, applicato con prudenza e razionalità, quando ne sussistano le indicazioni, almeno come ipotesi di lavoro. Soprattutto, ed è ciò che più conta per il problema enunciato all’inizio a questa trattazione della materia, dall’esame della letteratura si deve concludere che l’omeopatia non equivale al “placebo”, come molti oppositori sono troppo frettolosamente portati a dichiarare. Pertanto, gli studi sul meccanismo d’azione dell’omeopatia sono non solo utili ma necessari, al fine di dare dignità scienti-

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fica a questa disciplina, di precisarne natura e limiti e di sfruttarne le potenzialità sperimentali per far avanzare le conoscenze scientifiche sull’uso dei farmaci.

Il “Simile” Il “Principio dei Simili”, anche noto come “Principio di Similitudine” o semplicemente “il Simile”, costituisce un interessante esempio di come un’idea basilare atta ad orientare le scelte terapeutiche possa “affiorare” nella storia della Medicina in diversi Paesi ed in diversi contesti culturali. Nella sua forma più tradizionale, applicata dall’omeopatia ma risalente già ad Ippocrate, tale principio afferma che quando una sostanza è capace di indurre una serie di sintomi in un organismo sano, essa sarebbe anche in grado, in certe condizioni, di curare quegli stessi sintomi se applicata a bassa dose (“Similia Similibus Curentur”). Nelle sue versioni più scientificamente sviluppate, l’utilizzo del “simile” in ambito medico si collega alle pratiche della vaccinazione (prevalentemente a scopo preventivo) e della desensibilizzazione/induzione della tolleranza (prevalentemente a scopo terapeutico). Il principale contributo di Hahnemann “assimila” le manifestazioni delle malattie spontanee alle manifestazioni di quelle malattie “artificiali” che si possono provocare e studiare mediante sperimentazioni sui soggetti sani. I sintomi, se ben individuati e raccolti in modo ragionato, sono l’espressione esterna del disordine interno indotto dal medicinale. La sperimentazione sul sano - che mette in luce gli effetti cosiddetti “puri” dei farmaci in quanto non influenzati dall’effetto terapeutico - consente di definire l’effetto del medicinale in modo molto fine e dettagliato, comprendendo tutte le molteplici manifestazioni che una certa sostanza è in grado di produrre, a livello fisico e psicologico; la farmacologia viene così enormemente raffinata in qualità. Allargando lo studio a molte e svariate sostanze chimiche o biologiche, si amplia la farmacopea dal punto di vista quantitativo, riuscendo a definire centinaia di diversi quadri sintomatologici caratteristici di diversi medicinali. Quando i due versanti, le conoscenze derivanti dalla sperimentazione sul soggetto sano da una parte ed i sintomi del malato con la malattia naturale dall’altra, sono messi a confronto per la similitudine, si osserva che la “malattia” naturale è definita nel suo complesso con linguaggio e criteri analoghi a quelli che sono usati per definire gli effetti “puri” dei medicinali. Secondo il “simile” hahnemanniano, il malato si trova in una situazione fisiopatologica di disregolazione tale per cui i suoi sintomi sono l’espressione di una attivazione/inibizione di determinati sistemi omeodinamici coinvolti nella

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malattia. Pertanto, per andare a “toccare” farmacologicamente quegli stessi sistemi e regolarli in senso terapeutico, è plausibile che si possa usare quel medicinale che nel sano provoca gli stessi sintomi. A fronte di un simile trattamento, il malato risponde in modo che il disordine viene reversibilizzato avviando un processo di guarigione integrato su diversi livelli. Questo è il “cuore” dell’ipotesi di lavoro rappresentata dal metodo omeopatico, che non ha nulla di “magico” ma si fonda sulle regole dell’omeodinamica dei sistemi complessi. Infatti, per comprendere adeguatamente il possibile modo d’azione dell’omeopatia, è necessario inquadrare il problema all’interno di una concezione di patologia ad impostazione sistemica e dinamica, che trova molto sostegno nelle scoperte della scienza biomedica, pur non essendo (ancora) la veduta prevalente.15,16. La visione dinamica del processo patologico, cui è necessario riferirsi per collocare nella giusta posizione l’intervento medico, potrebbe essere così sintetizzata: la storia patobiografica dell’individuo, fatta di fattori predisponenti di tipo genetico e di incontri con i molteplici fattori patogeni, presenta continuamente fasi reattive, lontane dall’equilibrio, nelle reti omeodinamiche locali e sistemiche. L’evoluzione di tali processi reattivi, nella maggior parte dei casi, termina con il raggiungimento spontaneo (auto-organizzazione) di nuovi stati d’equilibrio, descrivibili come attrattori fisiologici. Tuttavia, quando il danno è molto grave e/o non è rapidamente riparato, il sistema continua ad allontanarsi dall’equilibrio e provoca ulteriori danni (malattia acuta), oppure si sposta in un nuovo attrattore (malattia cronica). In altre parole, la malattia “acuta” può guarire spontaneamente – anche se spesso a prezzo di marcati sintomi e di perdite di tessuto - perché appartiene allo stesso “bacino d’attrazione” della fase reattiva e dell’attrattore fisiologico, ma può costituire un momento critico in cui il sistema cambia il bacino di attrazione. La malattia cronica consiste sia in una forma di “adattamento”, cosicché il nuovo attrattore in sé è una forma di ordine con una certa stabilità energetica, sia in un “disordine” della gestione dell’energia, quindi delle comunicazioni e delle informazioni, un “blocco” del flusso informativo tra i nodi della rete locale e/o delle sue comunicazioni con le reti sistemiche. Essenzialmente per questi due motivi, la malattia cronica non può guarire da sola e, allo stesso tempo, è questo il punto in cui si può vedere un grande spazio per un intervento terapeutico basato sulla complessità dell’informazione sistemica (come quello omeopatico), piuttosto che per un intervento settoriale e meccanicistico (come quello allopatico). Il risultato terapeutico del metodo omeopatico ha quindi una sua plausibilità scientifica e fisiopatologia che risiede essenzialmente nel principio di azionereazione, evocato dallo stesso Hahnemann nei paragrafi 63 e 64 del suo libro Organon, dove egli torna sulla questione sostenendo che qualsiasi sostanza

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causa una certa alterazione nello stato di salute dell’essere umano per la sua azione primaria. A quest’azione primaria del medicamento, l’organismo oppone la sua forza di conservazione, chiamata azione secondaria o reazione, diretta a neutralizzare o compensare il disturbo arrecato dall’azione primaria. Il principio d’azione-reazione evocato è uno dei pilastri della fisiologia e della biochimica. Pertanto, non si capisce perché non dovrebbe essere valido anche in farmacologia. La ricerca delle basi scientifiche del principio di similitudine, almeno per quanto riguarda le sue applicazioni biologiche, può essere facilitata dalla formulazione di ipotesi di lavoro e modelli razionali. A questo proposito abbiamo proposto che questo principio, nella sua accezione fondamentale, possa essere ricondotto al principio della “inversione degli effetti”:17-19 stimoli farmacologici o di altra natura (es. regolazioni biofisiche o psicologiche) possono determinare su un sistema omeostatico complesso (cellula, organo, organismo) effetti inversi o paradossali (rispetto all’effetto previsto o atteso) qualora siano modificati o la dose dei farmaci stessi, o l’intensità e la durata dello stimolo (es.: apparente danno nel breve periodo, riattivazione e cura a tempi lunghi), o le modalità di preparazione e di somministrazione, o la sensibilità e suscettibilità dello stesso sistema trattato (es. stimolazione di una funzione nel sistema normale, inibizione o rallentamento nel sistema già attivato o stressato). Questa espressione del principio di similitudine può essere utilizzata come definizione operativa di un’ampia serie di fenomeni che vanno dal livello cellulare a quello clinico, fenomeni le cui basi comuni possono essere ritrovate nella versatile adattabilità dei sistemi fisiologici e biologici. Anche se con essa non si può ritenere di aver incluso tutti i problemi posti dall’utilizzo terapeutico del “simile”, si ritiene di poter gettare le basi per una comprensione dei suoi meccanismi fondamentali, che non sono né “omeopatici” né “convenzionali”, essendo iscritti nella natura degli esseri viventi e nel modo con cui essi rispondono ai trattamenti farmacologici.

La questione delle diluizioni/dinamizzazioni Poiché uno dei principali argomenti in discussione nella teoria omeopatica riguarda proprio la possibilità che esistano azioni farmacologiche in assenza di molecole, il tema delle alte diluizioni omeopatiche si collega ai temi di biofisica dell’acqua e di elettromagnetismo, già trattati da noi in altra sede19 e oggetto principale del lavoro che presentiamo.

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Affinché si possa accettare che il medicinale omeopatico ultra-diluito agisca con meccanismo biofisico, bisogna affrontare le seguenti due questioni fondamentali: a) Può un solvente, quale acqua o una soluzione idroalcolica, incorporare e mantenere qualche forma di ordine o organizzazione che sia veicolo di informazioni in assenza del soluto originario? In altre parole: esiste la famosa “memoria dell’acqua”? E se esiste, come eventualmente la si può spiegare? b) Ammettendo che ordine e informazione possano essere incorporate e mantenute nelle soluzioni altamente diluite, in quale modo possono interagire con il livello biologico? In altre parole: in che modo l’organismo legge e recepisce tali proprietà del rimedio omeopatico e le utilizza in senso regolativo? Alla prima questione rispondono soprattutto le ricerche di laboratorio, per la seconda è necessario integrare le conoscenze sul medicinale omeopatico con quelle sulla sensibilità biologica e le regolazioni sistemiche dell’organismo vivente. A nessuno può sfuggire che solo se tali domande avranno una risposta convincente, si potrà affermare l’esistenza di basi scientifiche dell’omeopatia delle alte diluizioni. Cercheremo di accennare alle sperimentazioni ed alle ipotesi proposte per spiegare il possibile effetto biologico di tali preparazioni, che sono sicuramente molto utili per integrare quelle proposte da questo libro dei Sukul. Negli ultimi anni vi sono stati molti tentativi di affrontare lo studio dei medicinali omeopatici con esperimenti fatti su colture cellulari e su piante, oppure su animali da esperimento. Il lavoro dei Sukul a questo proposito è molto significativo sia quantitativamente sia qualitativamente, ma non essendo un lavoro di rassegna non comprende molti altri interessanti studi, che per completezza noi quei citiamo in bibliografia20-39. Tra le varie scoperte derivanti dagli studi su animali, che sono riportate dai Sukul, ci pare importante sottolineare quelle che evidenziano un chiaro effetto del medicinale omeopatico sul sistema nervoso centrale. Tali osservazioni, in accordo anche con altri recenti studi su animali40 e sull’uomo41;42, indicherebbero che il rimedio agisce su sistemi di controllo “centrali” e quindi “sistemici” e non (solo) su singoli bersagli molecolari, cellulari o tessutali e ciò rafforzerebbe le vedute sistemiche dell’effetto omeopatico43-48. I principali studi di laboratorio riguardano cellule del sistema immunitario e del sangue. Uno dei campi dove i fenomeni di similitudine e di infinitesimalità sono stati maggiormente indagati è quello della regolazione dei basofili e delle mastcellule, che sono cellule fondamentali dell’infiammazione acuta.49-52. Due gruppi di ricercatori non sono riusciti a riprodurre l’effetto di alte diluizioni di IgE53,54. Tuttavia, secondo Benveniste, questi studi che apparentemente hanno

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sconfessato i suoi risultati erano soggetti ad alcuni errori metodologici e statistici55. L’inibizione della “degranulazione” dei basofili è stata ottenuta dal gruppo di Belon/Sainte-Laudy anche con alte diluizioni/dinamizzazioni della stessa istamina pura, cioè con diluizioni/dinamizzazioni omeopatiche. Questi risultati sono stati riprodotti molte volte nel corso di oltre dieci anni da diversi laboratori56-64 tranne che da uno65, che ha osservato un effetto della soluzione 10-22 moli/l ma non della soluzione 10-34 moli/l. Tale modello sperimentale è stato quindi molto fruttuoso e può ritenersi particolarmente consolidato e credibile, anche se, al pari di molte ricerche in questo campo, vi sono dei fattori metodologici e tecnici, ancora sfuggevoli che impediscono la riproducibilità completa del fenomeno in diversi laboratori. Vi sono anche altri filoni di ricerca, su leucociti, fibroblasti e cellule vegetali, ma non è questa la sede di una completa rassegna, riportata, almeno fino al 2002, su un nostro libro19 e comunque ormai reperibile per gli anni più recenti nella banche-dati internazionali. Alla luce delle prove cliniche, ma soprattutto di quelle biochimiche e biologiche, risulta quindi sempre più rafforzata la conclusione che l’effetto di soluzioni altamente diluite, sia reale, non quindi frutto di suggestione o di artefatti. Permangono indubbiamente delle controversie metodologiche e difficoltà nella replica dei risultati, ma non tali da cancellare la grande serie di evidenze in favore del “fenomeno omeopatico”. Anche per questo il lavoro sperimentale e le ipotesi esplicative proposte dai Sukul sono preziosi ed attuali, in quanto consentono di rivedere un’ampia porzione di tali problematiche in modo integrato e organizzato. Molti Autori si sono cimentati nel tentativo di formulare delle spiegazioni sulla natura fisico-chimica del medicinale omeopatico quando si entra nella fascia delle alte diluizioni. In estrema sintesi, la maggior parte delle vedute converge sull’idea che esista una informazione non-molecolare (o meglio “metamolecolare”) legata alla struttura del solvente (acqua o miscele di acqua ed alcol) e che questa possa interagire per risonanza con dei sistemi di regolazione biofisici operanti nell’organismo. Ogni livello della gerarchia organizzativa dell’organismo (molecolare, cellulare, organico, sistemico) possiede un caratteristico spettro di oscillazioni elettromagnetiche endogene originanti dai vari processi metabolici ed elettrofisiologici. Interazioni di risonanza intra-livello ed inter-livello devono avvenire per mantenere il funzionamento armonico, fornendo una correlazione tra i vari processi. La risonanza è una proprietà dei sistemi capaci di oscillare ad una determinata frequenza quando posti in relazione (ottica, acustica, meccanica) con altri sistemi aventi frequenze simili di oscillazione. Le frequenze risonanti stabiliscono un certo tipo di interazione tra oggetti che hanno lo stesso periodo (o multipli di esso - armoniche) cosicché il

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moto di un oggetto influenzerà quello dell’altro senza un contatto materiale e diretto. Lo studio dell’acqua costituisce un grosso capitolo della fisica. Nonostante le conoscenze su questa straordinaria sostanza siano ben lungi dall’essere complete, quanto attualmente si sa consente, quanto meno, di non poter escludere che essa funga da deposito e trasmettitore di informazioni biologicamente significative. Nel libro dei Sukul viene presentata un’ampia serie di prove sperimentali e di teorie fisiche a sostegno della possibilità che le molecole d’acqua e di etanolo, tipici solventi dei medicinali omeopatici, siano “connesse” in una specie di rete dinamica che possa codificare l’informazione necessaria ad attivare i processi biologici, probabilmente a livello della membrana cellulare. Il modello si riallaccia a precedenti lavori66-68 secondo i quali la “memoria dell’acqua” sarebbe basata sulla formazione di aggregati di molecole d’acqua in forma di “clatrati” o “cluster”. Si intende per clatrati, dal latino “clathrus” (= inferriata), delle formazioni cave che verrebbero ad assumere le molecole d’acqua con una disposizione a rete, ripiegata attorno ad una nicchia interna. La possibilità di formazione di cavità in liquidi è universalmente accettata. Nell’acqua, le molecole possono allinearsi in forme pentagonali o esagonali grazie a legami idrogeno. A loro volta, varie conformazioni poligonali possono costruire, in certe condizioni (agitazione o sonicazione del liquido), figure geometriche complesse, cave al loro interno69-71. Un certo numero di molecole del composto originale verrebbe circondato, una volta sciolto nell’acqua, da un maggior numero di molecole d’acqua che formano come un piccolo guscio, una nicchia. Una simile nicchia potrebbe avere stabilità anche se il composto originale viene espulso dalla nicchia stessa. Quindi, con continue diluizioni e succussioni, comincerebbero a formarsi clatrati vuoti all’interno, i quali a loro volta potrebbero divenire il nucleo per la formazione di altri clatrati, sempre con lo stesso schema originale. Il modello dei clatrati è interessante in quanto consentirebbe di spiegare come “aggregati” di molecole d’acqua possano divenire il mezzo di trasmissione dell’informazione. Tuttavia, bisogna ammettere che ancora non esiste una base fisica per spiegare la permanenza di tali aggregati, in forme definite, per un tempo sufficientemente lungo. L’ipotesi corrente è che si verifichino processi di auto-organizzazione (eventualmente “guidati” dal soluto) e che questi “aggregati” di molecole di acqua (o acqua ed etanolo) riescano a mantenere, anche in modo dinamico (vale a dire sciogliendosi, riformandosi e ri-organizzandosi) traccia della struttura originale. L’acqua, in altre parole, non va vista come un liquido “amorfo, ma come un sistema “intelligente”, vale a dire capace di autoorganizzazione e di modifiche adattative e dinamiche, secondo le condizioni fisiche (temperatura, elettromagnetismo, pressione, ecc.) e chimiche (presenza

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di soluti, legame a macromolecole strutturali, formazione di specie radicaliche, ecc.). A riprova delle difficoltà che i ricercatori incontrano in questo campo, va anche notato che le analisi spettroscopiche finora eseguite direttamente sui medicinali omeopatici (risonanza magnetica, fluorimetria, assorbimento della luce, ecc.), del tipo di quelle riportate nel capitolo 3 di questo libro, non sono di una forza dimostrativa tale da risultare del tutto convincenti e indiscutibili. Di fatto, come anche riportano gli stessi Sukul, altri autori con le stesse metodiche non sono stati in grado di evidenziare i segni di una “diversità fisica” delle soluzioni diluite e “dinamizzate”. Fondamentalmente, si torna anche qui alla questione della riproducibilità: se prove apparentemente simili (ma è impossibile ripetere esperimenti assolutamente identici nei particolari) forniscono risultati diversi, a quale si deve “credere”? Ma, così posta, la questione trascura il fatto che la scienza raramente fornisce certezze inconfutabili e perenni, essa piuttosto è il campo dell’osservazione del fenomeno nuovo, dell’ipotesi, dell’esperimento, della nuova teoria, la quale si consolida (o si indebolisce fino a sparire) solo col tempo. La questione è quindi ancora molto aperta a nuove ricerche e ci si approssima alla verità per piccoli passi. Un diverso approccio alla biofisica dell’acqua, e quindi dell’omeopatia, è stato seguito da un gruppo di fisici dell’Istituto di Fisica Nucleare milanese (E. Del Giudice, G. Preparata e collaboratori), il cui lavoro non è riportato nel testo dei Sukul, ma merita ugualmente di essere conosciuto. Gli Autori si riallacciano alle teorie dell’Elettrodinamica Quantistica (Quantum Electro-Dynamics: QED), che sono state pienamente stabilite sperimentalmente nel corso della seconda parte del XX secolo72;73. L’idea basilare di questa riconsiderazione della QED nella materia condensata, liquida e solida, è che insiemi macroscopici di identici sistemi microscopici al di sotto di una certa temperatura (temperatura critica) ed al di sopra di una particolare densità (densità critica) si comportano in un modo completamente diverso da un insieme di oggetti microscopici tenuti insieme da forze elettrostatiche di corto raggio d’azione, come ora viene universalmente ritenuto. Questi “regimi coerenti”, che sono stati chiamati “Stati Fondamentali Coerenti” (Coherent Ground State: CGS), sono la conseguenza rigorosa delle equazioni dinamiche della Teoria Quantistica dei Campi, come la QED, e danno un quadro completamente nuovo della materia condensata. Si dovrebbe notare che il livello incredibile di coerenza ed armonia tra materia e campo stabilito all’interno del dominio di coerenza dalle interazioni elettrodinamiche consente un modo completamente nuovo di interazione tra tale sistema collettivo ed i campi elettromagnetici esterni ed in particolare uno scambio efficiente di informazione basata sulle frequenze di oscillazione, tra i CGS di sistemi differenti. Gli Autori73-77 riferiscono di aver scoperto suggestive proprietà superconduttive dei “Domini di Coerenza” (CD) dell’acqua, tali da ren-

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derli sistemi capaci di immagazzinare informazione in forma di frequenze, diventando allora impermeabili agli effetti disorganizzanti della temperatura. Esistono evidenze che qualcosa di simile sia effettivamente operativo nella realtà fisica e biologica: è stato mostrato che l’irradiazione di una soluzione fisiologica con onde elettromagnetiche nel range delle microonde (non-termiche) modifica la capacità della soluzione di influenzare l’apertura e chiusura dei canali ionici di membrana. Anche dopo la fine del periodo di irradiazione, l’acqua mantiene le proprietà acquisite78-80. Ciò suggerisce che gli effetti dei campi elettromagnetici sulle strutture biologiche potrebbero essere mediati da modificazioni nella strutturazione del solvente (in questo caso l’acqua). Gli Autori citati parlano esplicitamente di un fenomeno di “memoria” elettromagnetica dell’acqua. Recentemente, altri risultati sperimentali, non riportati in questo libro, si sono aggiunti. Il gruppo di Vittorio Elia dell’università di Napoli ha condotto una notevole serie di analisi chimiche sulle diluizioni omeopatiche adoperando varie tecniche: calorimetria isoterma, pHmetria, conducibilità elettrica e misure di forza elettromotrice di celle galvaniche per la determinazione del coefficiente di attività di NaCl aggiunto81-85. Da questi studi si può affermare che esiste una differenza misurabile tra i parametri chimico-fisici relativi al solvente acqua ed alle diluizioni omeopatiche la cui composizione chimica è notoriamente quella dell’acqua pura. Le differenze sono permanenti nell’arco di due tre anni dalla preparazione, con una tendenza all’incremento nel tempo. Gli Autori attribuiscono tale differenziazione tra solvente e diluizioni omeopatiche alla formazione di aggregati molecolari di molecole di acqua che alterano la struttura sovramolecolare dell’acqua, innescate dal processo di dinamizzazione. In altre parole una diluizione omeopatica è rappresentabile come una soluzione acquosa il cui soluto è formato da molecole di solvente organizzate diversamente dal solvente di partenza. Questo nuovo soluto lo si potrebbe definire un “soluto fisico” per sottolineare la sua composizione chimica identica a quella dell’acqua, ma la cui diversa organizzazione molecolare lo porta a differenziarsi dal solvente. Lungi dall’aver chiarito o dimostrato inequivocabilmente la base fisica dell’omeopatia, ed ancora in attesa di una esaustiva dimostrazione sperimentale della loro validità, le teorie fisiche come quella dei “cluster” e dei “domini di coerenza” rendono quanto meno plausibile l’ipotesi che l’omeopatia delle alte diluizioni abbia una consistente base fisico-chimica. In tal senso, il libro dei Sukul fornisce ulteriore spessore a questa posizione, pur non fornendo certamente “la” spiegazione definitiva e indiscutibile del fenomeno.

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Prospettive La principale difficoltà dell’omeopatia, evidente quando utilizza medicinali in alte diluizioni, è costituita dal fatto che essa apparentemente contraddice il modello biomedico dominante, che è quello biochimico-molecolare. In una preparazione omeopatica, poche o nessuna molecola di medicinale sono presenti e quindi non si riesce a capire, con le conoscenze farmacologiche attuali, come una tale preparazione possa avere effetto. Tuttavia, sta emergendo dalle frontiere della scienza, soprattutto dalla fisica quantistica e da teorie e ricerche matematiche ancora non sistematizzate, una nuova visione della materia e della vita, più compatibile col possibile “modus operandi” dell’omeopatia. Gli organismi sono visti come sistemi dinamici altamente regolati e complessi, che mostrano una caratteristica meta-stabilità attorno a certi livelli omeostatici. Tale meta-stabilità è fatta da continue oscillazioni, ritmi, network, amplificazioni e cicli di retroazione. I sistemi viventi sono “sospesi” tra ordine e caos, partecipano di queste due fondamentali caratteristiche della materia e le sfruttano in modo finalisticamente orientato alla sopravvivenza. Ordine e caos si ritrovano a tutti i livelli dell’omeostasi, dalle molecole alla psiche e non si vede come tali nuove prospettive non possano avere un peso anche nei nuovi orientamenti della medicina. La teoria, la metodologia e la tecnologia della medicina sono sempre state strettamente connesse alle teorie scientifiche generali ed alle situazioni socio-economiche del tempo. L’omeopatia torna a rivivere nell’epoca attuale, che vede un vertiginoso aumento di conoscenze scientifiche accompagnate dalla consapevolezza di una sostanziale indeterminatezza del reale. Ciò non equivale, come molti sono portati a credere, al ricorso a paradigmi meta-fisici o esoterici per sfuggire all’angoscia del caos ed alla sfiducia nel sistema sanitario moderno. E’ invece più verosimile che buona parte del successo dell’omeopatia dipenda proprio dai suoi antichi presupposti, che sono insieme realistici nella teoria ed empirici nei contenuti. L’omeopatia rappresenta quindi un tentativo di approccio alla regolazione bio-energetica dell’organismo umano, utilizzando una interfaccia fisicobiochimica dovuta alla estrema sensibilità dei sistemi biologici a questo tipo di regolazioni. Il punto forte del metodo consiste nel fatto che si cerca di raggiungere il massimo grado di specificità dell’intervento regolatore esogeno. Come già precedentemente avanzato, le dosi efficaci sono tanto più basse quanto più specifico è uno stimolo e quanto più sensibile è il sistema in oggetto. Ammettendo che un’informazione sia contenuta in forma meta-molecolare nel rimedio omeopatico, tale informazione potrebbe agire in modo meta-molecolare anche sul sistema bioenergetico in oggetto.

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Un altro “segreto” dell’omeopatia è che essa si rivolge a tutto l’essere umano, prendendo in considerazione massima i sintomi di tipo psicologico e quelli peculiari di ogni individuo (individualizzazione). Facendo così, essa raggiunge un alto livello di specificità, perché è ormai noto a tutti che la risposta ai medicinali può variare in base alle caratteristiche dell’individuo stesso. La razionalità scientifica non solo non contrasta con l’omeopatia, ma la pone come una delle frontiere della farmacologia moderna. Per l’accettazione generale di questo principio, però, non basta qualche ipotesi sperimentale e qualche evidenza di farmacologia paradossale, serve un cambiamento più profondo nella considerazione della natura delle malattie. Se la visione prevalente rimane quella di un difetto locale o molecolare di qualche meccanismo organico, l’unico approccio è quello di cercare di modificare quel meccanismo (farmacologicamente, geneticamente, chirurgicamente,…). Se invece la malattia è vista come un disordine sottile, complesso, sistemico e dinamico (e questa è la natura della maggior parte delle malattie odierne e in ogni caso del disordine che sempre accompagna anche le malattie apparentemente “semplici” nel loro meccanismo prevalente), l’opzione di cercare una regolazione sottile, complessa, sistemica e dinamica sfruttando il principio del “simile” diviene una possibilità effettiva. Il “simile”, trasferito sul piano operativo mediante l’uso dell’analogia tra i sintomi del paziente e quelli patogenetici del medicinale, diviene un principio “euristico” vale adire un sistema per trovare il medicinale che, almeno in via ipotetica, potrebbe essere in grado di evocare risposte autoorganizzative teleonomiche in un sistema complesso quando non si possono controllare singolarmente i molteplici fattori patogenetici in gioco. Il ricorso a “principi” e “analogie” piuttosto che a “certezze matematiche” non è un salto nel buio, ma un modo ragionevole di affrontare l’incertezza che accompagna la scienza e l’arte della medicina. Si tratta di un percorso metodologicamente già tracciato, grazie al lavoro degli omeopati, che attende di essere consolidato e perfezionato. La farmacologia tradizionale punta alla modifica precisa e controllabile di un meccanismo, di un insieme cellulare, di un organo. Il metodo basato sul “simile”, invece, punta all’organizzazione dei sistemi complessi, dove ciò che conta è l’integrità del progetto, la teleonomia, la regolazione dinamica. Riduzionismo ed integrazione hanno ciascuno dei vantaggi e degli svantaggi, certamente nessun approccio può dirsi esaustivo e può pretendere di escludere l’utilità dell’altro. L’omeopatia deve rinunciare alle “certezze” del riduzionismo scientifico galileiano, ma ritrova la scienza a suo supporto nella teoria dei sistemi dinamici, insieme agli sviluppi della biofisica e degli studi clinici, che stanno dando un forte contributo alla rivalutazione dell’omeopatia come metodo terapeutico. Certamente, si prende coscienza anche della difficoltà di agire in un campo dove molte “certezze” vengono a mancare e per ora bisogna affi-

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darsi a “principi” dal valore orientativo e molto generale. Al letto del paziente, comunque, in questo modo l’intervento/missione del medico conserva una grande componente intuitiva e “artistica”, come in ogni disciplina medica,86 Il testo interesserà sicuramente i cultori di omeopatia, tra cui mi auguro contribuisca a far crescere la passione per la ricerca scientifica, che è altrettanto necessaria quanto una buona pratica clinica. Ma il testo merita di essere conosciuto anche da chi, utilizzando la medicina tradizionale, vuole ampliare i propri orizzonti attingendo a fonti documentate. È giunta l’ora che la medicina che si definisce scientifica cessi di considerare l’omeopatia con sufficienza, pregiudizio o persino disprezzo, per vederla finalmente nel ruolo di una disciplina sperimentale, con sue peculiari potenzialità nella cura delle malattie umane, veterinarie e probabilmente anche dell’ecosistema. Nonostante la sua antichità storica, l’omeopatia si ripresenta oggi come un campo emergente della medicina, che merita di essere più conosciuto nella didattica medica e soprattutto più sostenuto nella ricerca scientifica. Questo libro è un passo avanti verso una medicina unita ed integrata.

Prof. Paolo Bellavite

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60. Belon P, Cumps J, Ennis M, Mannaioni P F, Sainte-Laudy J, Roberfroid M, Wiegant F A C. Inhibition of human basophil degranulation by successive histamine dilutions: results of a European multi-centre trial. Inflamm Res 48: S17-S18; 1999. 61. Belon, P, Cumps J, Ennis M, Mannaioni P F, Roberfroid M, Sainte-Laud J, Wiegant F A. Histamine dilutions modulate basophil activation. Inflamm Res 53: 181-188; 2004. 62. Brown V, Ennis M. Flow-cytometric analysis of basophil activation: inhibition by histamine at conventional and homeopathic concentrations. Inflamm Res 50: S47-S48; 2001. 63. Lorenz I, Schneider E M, Stolz P, Brack A, Strube J. Influence of the diluent on the effect of highly diluted histamine on basophil activation. Homeopathy 92: 11-18; 2003. 64. Lorenz I, Schneider E M, Stolz P, Brack A, Strube J. Sensitive flow cytometric method to test basophil activation influenced by homeopathic histamine dilutions. Forsch Komplementarmed Klass Naturheilkd 10: 316-324; 2003. 65. Guggisberg A G, Baumgartner S M, Tschopp C M, Heusser P. Replication study concerning the effects of homeopathic dilutions of histamine on human basophil degranulation in vitro. Complement Ther Med 13: 91-100; 2005. 66. Smith C W, Choy R, Monro J A. Water-friend or foe? Lab Pract 34: 29-34; 1985. 67. Smith C W. Quanta and coherence effects in water and living systems. J Altern Complement Med 10: 69-78; 2004. 68. Anagnostatos G S. Small water clusters clathrates in the preparation process of homoeopathy. In Endler P C, Schulte J (eds): Ultra High Dilution, Dordrecht, Kluwer, pag. 121-128; 1994. 69. Gregory J K, Clary D C, Liu K, Brown M G, Saykally R J. The water dipole moment in water clusters. Science 275: 814-817; 1997. 70. Kratky K W. Homeopathy and structure of water: a physical model. Forsch Komplementarmed Klass Naturheilkd 11: 24-32; 2004. 71. Liu K, Brown M G, Carter C, Saykally R J, Gregory J K, Clary D C. Characterization of a cage form of the water hexamer. Nature 381: 501-503; 1996. 72. Preparata G. Quantum electrodynamic coherence in matter. Singapore, World Scientific, 1995. 73. Preparata, G. Regimi coerenti in Fisica e Biologia. Il problema della forma. Rivista di Biologia/Biology Forum 90: 434-436; 1997. 74. Arani R, Bono I, Del Giudice E, Preparata G. QED coherence and the thermodynamics of water. Int J Mod Phys B 9: 1813-1841; 1995. 75. Del Giudice E, Preparata G, Vitiello G. Water as a free electric dipole laser. Phys Rev Lett 61: 1085-1088; 1988. 76. Del Giudice E, Preparata G. Coherent dynamics in water as a possible explanation of biological membranes formation. J Biol Phys 20: 105-116; 1995. 77. Del Giudice E, Galimberti A, Gamberale L, Preparata G. Electrodynamical coherence in water. A possible origin of the tetrahedral coordination. Mod Phys Lett B 9: 953-961; 1995. 78. Fesenko E E, Gluvstein A Y. Changes in the state of water, induced by radiofrequency electromagnetic fields. FEBS Lett 367: 53-55; 1995. 79. Fesenko E E, Geletyuk V I, Kazachenko V N, Chemeris N K. Preliminary microwave irradiation of water solutions changes their channel-modifying activity. FEBS Lett 366: 49-52; 1995.

PRESENTAZIONE

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80. Fesenko E E, Popov V I, Novikov V V, Khutsian S S. Water structure formation by weak magnetic fields and xenon. Electron microscopic analysis. Biofizika 47: 389-394; 2002. 81. Elia V, Niccoli M. Thermodynamics of extremely diluted aqueous solutions. Ann.N.Y.Acad.Sci. 879: 241-248;1999. 82. Elia V, Niccoli M. New physico-chemical properties of water induced by mechanical treatments. A calorimetric study at 25°C. J.Thermal Anal.Calorim. 61: 527-537; 2000. 83. Elia V, Niccoli M. New physico-chemical properties of extremely diluted aqueous solutions. J.Thermal Anal.Calorim. 75: 815-836; 2004. 84. Elia V, Baiano S, Duro I, Napoli E, Niccoli M, Nonatelli L. Permanent physicochemical properties of extremely diluted aqueous solutions of homeopathic medicines. Homeopathy. 93: 144-150; 2004. 85. Elia V, Marchese M, Montanino M, Napoli E, Niccoli N, Nonatelli L, Ramaglia A. Hydrohysteretic phenomena of “extremely diluted solutions” induced by mechanical treatments. A calorimetric and conductometric study at 25 °C. Journal of Solution Chemistry 34: 947-960; 2005. 86. Braunwald E, Hauser S L, Fauci A S, Longo D L, Kasper D L, Jameson J L. The practice of medicine. In: Harrison’s Principles of Internal Medicine, 15th ed. pag. 1-5;New York, McGraw-Hill, 2001.

Dedicato al Dr. B. N. Chakravarty, che in lunghi anni di osservazioni cliniche ha esplorato l’immenso potenziale terapeutico dell’Omeopatia.

PREFAZIONE Al giorno d’oggi, il concetto di farmacologia è limitato all’interazione tra farmaci e biomolecole. Ogni interazione, che vada oltre le molecole o la specificità dell’interazione molecolare, nell’arena della scienza è considerata un mito. Poiché le alte diluizioni dei medicamenti che superano il numero di Avogadro non contengono molecole, si ritiene che tali diluizioni non possano causare alcuna attività su un sistema biologico. Eppure, gli effetti delle alte diluizioni sono divenuti esperienza comune dei medici omeopati e dei loro milioni di pazienti in tutto il mondo. Oltre alle evidenze cliniche, oggi esistono moltissime evidenze sperimentali che confermano che un’azione dei medicamenti sull’organismo che vada oltre le molecole è una grande realtà. Una sostanza lascia qualcosa, che potrebbe forse essere considerata come un’entità “ombra”, nella sua alta diluizione. Qual è la natura fisica di questa “ombra”? In che modo le “ombre” di sostanze diverse differiscono tra loro? Come agiscono su un organismo? È sempre necessario un organismo vivente per produrre un’azione, oppure tali medicinali in alte diluizioni si comportano esattamente come una sostanza chimica che reagisce con un’altra sostanza chimica? Questo libro esprime il tentativo di trovare risposta a tutte queste domande attraverso un approccio totalmente scientifico e basato sulle attuali conoscenze scientifiche. Medicamenti in diluizioni ultra-alte vengono usati nel sistema terapeutico conosciuto come omeopatia da circa 200 anni. Tale sistema declinò verso la metà del XX secolo per una marcata competizione con la farmacologia tradizionale, ma nelle ultime due decadi pare aver riguadagnato la popolarità di un tempo. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che i suoi medicinali sono ritenuti efficaci, sono relativamente poco costosi e sicuramente non invasivi rispetto ai farmaci convenzionali, avendo pochi effetti collaterali negativi. Rivelare i misteri di questo importante sistema terapeutico è una sfida non solo per il biologo ma anche per il fisico e per il chimico. Benché il business farmaceutico dei rimedi omeopatici ora non sia così lucrativo come quello dei farmaci tradizionali, la ricerca scientifica sull’omeopatia aprirà certamente nuove strade per il benessere dell’umanità. Il libro ha quattro capitoli, oltre all’introduzione.

PRESENTAZIONE

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Nel primo capitolo sono descritti i modi per preparare i rimedi omeopatici e per conservarli. Il secondo capitolo tratta delle evidenze cliniche ottenute a sostegno delle alte diluizioni negli esseri umani e inoltre vengono riportati alcuni esperimenti di laboratorio fatti su animali e su piante. Il terzo capitolo descrive le caratteristiche fisiche dei medicamenti in diluizioni ultra-alte, così come sono evidenziate mediante la risonanza magnetica nucleare, gli spettri all’infrarosso, gli spettri elettronici e di fluorescenza di alcune preparazioni “dinamizzate”. Poiché l’acqua è ritenuta essere capace di trattenere le informazioni delle molecole o delle particelle sciolte in alte diluizioni, vengono discusse la struttura e le dinamiche dell’acqua liquida, che è il principale mezzo di soluzione dei medicinali omeopatici. Nel quarto capitolo vengono discussi i possibili meccanismi d’azione delle alte diluizioni sui sistemi viventi, in termini di interazione molecolare fra l’acqua strutturata di una determinata soluzione ed il suo principale bersaglio molecolare in un organismo. Infine, viene discussa la possibilità che la strutturazione dell’acqua abbia avuto un importante ruolo nelle forme di vita primordiali durante la comparsa della vita su questa terra. Noi considereremmo il nostro lavoro come degno di essere compiuto se sviluppasse interesse negli scienziati e nei medici pratici al fine di incrementare una ricerca seria ed aprire la “scatola nera” dell’omeopatia all’esplorazione del suo vasto potenziale terapeutico. Ringraziamo gli studenti Palamita Sarkar, Souvik Ghosh, Ashis De e Sudeshna Ghosh per avere condotto tutte le ricerche sperimentali. Ringraziamo il Dr. B.N. Chakravarty per il suo supporto finanziario alle nostre ricerche più recenti ed il direttore del dipartimento di zoologia dell’Università di VisvaBaratti per aver messo a disposizione le necessarie strutture di laboratorio alla ricerca sperimentale sull’omeopatia. Santiniketan (West Bengal), settembre 2003 Prof. Nirmal C. Sukul Prof. Anirban Sukul

Capitolo 1

PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI Come si è detto nell’introduzione, in omeopatia sono utilizzate sostanze in alte diluizioni. Ad oggi sono stati preparati e vengono usati più di tremila medicamenti omeopatici.

1.1. Origine delle sostanze omeopatiche I rimedi omeopatici sono prodotti da sorgenti naturali come piante, animali, minerali, tessuti patologici umani, ecc., ma possono essere prodotti anche a partire da soluzioni alcoliche esposte alle radiazioni ionizzanti. I rimedi prodotti da sorgenti vegetali ed animali sono normalmente denominati secondo la nomenclatura binominale introdotta da Linneo (1753).

1.1.1. Materiali vegetali Le piante costituiscono più del 60% dei rimedi omeopatici. Possono essere utilizzate diverse parti delle piante, come radici, cortecce, gemme, foglie, fiori, frutti, semi. Le radici delle piante annuali sono raccolte nel momento in cui la pianta dà i frutti. In caso di piante perenni, le radici dovrebbero essere raccolte in primavera, quando la pianta stessa ha due o tre anni. Così ad esempio sono trattate Ipecacuanha e Bryonia (Cook, 1988). Le foglie pienamente sviluppate e sane sono raccolte in mattinata, prima della stagione della fioritura. Esempi sono Rhus toxicodendron e Ocimum sanctum. I fiori sono raccolti appena cominciano ad aprirsi, come ad esempio nel caso di Cina, ottenuta usando le sommità fiorite della pianta Artemisia cina. Le cortecce sono raccolte da piante giovani, come ad esempio nel caso di Cinchona (China officinalis).

PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI

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I bulbi sono germogli sotterranei modificati. Essi vengono raccolti quando sono pienamente cresciuti ed alcuni esempi sono i bulbi di Allium cepa, di Allium sativa e di Colchicum autumnale. Semi secchi sono la materia prima per Nux vomica e per Ignatia. Lycopodium è prodotto con le spore della pianta Lycopodium clavatum; Opium viene prodotto dal lattice delle capsule del papavero Papaver somniferum e Carbo vegetabilis dal carbone. Comunque, possono essere usate anche piante intere, come nel caso di Aconitum napellus, Calendula officinalis, Chamomilla, Phytolacca decandra (Cook, 1988).

1.1.2. Sostanze animali I prodotti animali costituiscono il 20% dei rimedi omeopatici e sono raccolti da animali interi o da loro parti. Apis mellifica è preparata dall’intero corpo dell’ape; Cantharis dalla polvere secca dell’insetto Cantharis vesicatoria; Sepia officinalis dalle ghiandole dell’inchiostro della seppia; Lachesis dal veleno del serpente detto “terrore dei boschi”; Tarentula hispanica da un velenoso ragno spagnolo (Cook, 1988). Lac caninum è preparato dal latte di cagna e Calcarea carbonica dal guscio di ostrica.

1.1.3. Minerali e sostanze chimiche I rimedi omeopatici sono prodotti da minerali come oro (Aurum metallicum), ferro (Ferrum metallicum), rame (Cuprum metallicum), argento (Argentum metallicum), zinco (Zincum metallicum). Alcuni rimedi sono preparati da composti inorganici, come cloruro di sodio (Natrum muriaticum), cloruro di mercurio (Mercurius corrosivus), carbonato di magnesio (Magnesia carbonica), ossido di arsenico (Arsenicum album), acido solforico (Sulphuricum acidum), solfuro di calcio (Hepar sulphuris calcareum), bicromato di potassio (Kali bichromicum). Altri rimedi sono preparati da composti organici, come acido picrico (Picricum acidum), acido acetico (Aceticum acidum), acido lattico (Lacticum acidum), nitroglicerina o nitrato di glicerolo (Glonoinum), zucchero di canna o saccarosio (Saccharum officinalis), glicerolo (Glycerinum), cloroformio (Chloroformium), stricnina (Strychninum), ecc. Altri ancora sono preparati da rocce (Hecla lava) o acqua di sorgente (Sanicula aqua).

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CAPITOLO 1

1.1.4. Altri materiali biologici I nosodi sono medicamenti prodotti da tessuti malati. Alcuni esempi sono: Tuberculinum, ottenuto da tessuti infettati con il bacillo tubercolare; Medorrhinum, ottenuto da secrezioni gonorroiche; Bacillinum, preparato a partire dal bacillo tubercolare; Psorinum, ottenuto da pustole della scabbia; ecc. I sarcodi sono invece preparati dagli estratti di organi freschi o di ghiandole, ottenuti da bovini, suini o ovini. Esempi sono: Pancreas, Polmone, Rene, ecc. I nosodi intestinali sono invece derivati da colture di batteri intestinali presenti nelle feci umane. Esempi sono Proteus, Bacillus N. 7, ecc.

1.2. Il proving dei farmaci Sin dall’inizio, le sostanze omeopatiche preparate a scopo medicinale furono testate su volontari umani sani secondo una particolare procedura detta “proving” (sperimentazione). Ad una persona viene richiesto di assumere un singolo medicinale e vengono registrati i sintomi prodotti nel corso del tempo. Secondo Hahnemann, come riportato nella traduzione inglese del suo libro, l’Organon della Medicina (VI edizione)1, l’idea del proving fu inizialmente di Albert von Haller. La dose iniziale della sostanza dipende dalle sue proprietà, perché in molti casi si usano sostanze che possono essere anche potenzialmente tossiche. La dose può essere gradualmente aumentata durante il proving e la somministrazione può durare da pochi giorni a varie settimane. Talvolta, durante la sperimentazione della sostanza pura non emergono i sintomi che sono indotti con le forme altamente diluite e dinamizzate della stessa sostanza. Per questo si preferisce dare ai volontari le forme dinamizzate (dette anche “potenziate”) delle sostanze, di solito la trentesima potenza (30ch), nella quantità di una dose al giorno a stomaco vuoto per vari giorni (discuteremo nei paragrafi successivi cosa si intende per dinamizzazioni e potenza in omeopatia). La quantità del medicinale potenziato può essere aumentata se produce un effetto molto modesto; infatti, sono possibili variazioni individuali in risposta ad una particolare sostanza data per un certo periodo. Per uniformare la raccolta dei dati, si somministra a molti volontari sani la stessa sostanza e sono raccolti tutti i sintomi che emergono. I sintomi dei medi-

1

Hahnemann S. Organon "Dell'Arte del Guarire". S.I.M.O.H. Scuola Italiana di Medicina Omeopatica Hahnemanniana, Roma, 1993.

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cinali omeopatici, raccolti adeguatamente in tal modo, costituiscono la base della Materia Medica Omeopatica. La veridicità dei dati e della Materia Medica è stata da alcuni messa in dubbio, ma le evidenze della moderna tossicologia e le esperienze di molti medici omeopati sono sostanzialmente in accordo con la Materia Medica omeopatica (Fisher, 1981; Sukul, 1997). Infatti, una ripetizione a posteriori del proving di Belladonna ha confermato i risultati di proving precedenti, con l’aggiunta di ulteriori sintomi (Bellows, 1906).2 Si dovrebbero comunque fare dei tentativi per verificare i sintomi in modo scientificamente aggiornato, usando tecniche e statistiche moderne. Ci sono tuttora molti problemi metodologici, ancora non completamente risolti, nel proving dei medicinali omeopatici. Ad esempio, gli sperimentatori potenziali potrebbero non essere tutti perfettamente in salute e le loro risposte ad un certo medicinale o ad una certa dose potrebbero pertanto essere diverse da quelle che ci sarebbero state se essi fossero stati in perfetta salute. Royal (1991) ha discusso i problemi nei protocolli del proving in un apposito lavoro. Alcuni recenti studi sui proving sono stati condotti in modo sistematico (Walach, 1997; Goodyear et al., 1998). Dantas e Fisher (1998) hanno revisionato i lavori dei proving ed hanno suggerito dei metodi per il miglioramento qualitativo di questo tipo di studi.

1.3. Preparazione delle tinture madri Per la preparazione dei rimedi omeopatici e delle loro diluizioni sono usati tre tipi di solventi o “eccipienti”: - etanolo in acqua (di solito etanolo al 90%), - acqua, - lattosio. Le materie prime vegetali ed i prodotti animali sono estratti a temperatura ambiente con etanolo in fase idroalcoolica. I sali minerali sono di solito sciolti in acqua distillata, in proporzioni di 1:9 o 1:99 in base alla loro tossicità. Ci sono nove classi di sostanze usate in omeopatia e, secondo la classe del medicinale, variano le proporzioni di materia prima e di solvente. In caso di 2

Negli ultimi decenni sono state fatte numerose risperimentazioni dei proving di due secoli fa e nella maggior parte dei casi esse hanno confermato i sintomi precedentemente raccolti e in molti casi lo sperimentatore ha anche usato le medesime espressioni.

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CAPITOLO 1

metalli, per la prima potenza omeopatica si usano i precipitati. Tutte le sostanze solubili in etanolo in fase idroalcoolica sono estratte con questo mezzo e la prima soluzione estratta è chiamata tintura madre. Molte tinture madri, particolarmente quelle di prodotti non tossici, vengono somministrate ai pazienti direttamente, quindi in dosi ponderali. Tuttavia, le dosi sono comunque molto piccole: 10 o 20 gocce in un po’ d’acqua. Questa parte dell’omeopatia è molto simile ad altri sistemi medici correnti (per esempio la fitoterapia). Le tinture madri sono indicate come TM o con il suffisso . La concentrazione alcolica finale delle tinture madri può essere del 33%, del 50% o dell’8090% (v/v)3, secondo il contenuto acquoso ed il materiale di partenza (Cook, 1988).

1.4. Dinamizzazione delle sostanze La particolarità dell’omeopatia sta nell’uso di diluizioni estremamente alte di sostanze che superano il numero di Avogadro. Tali diluizioni vengono preparate in modo specifico e sono chiamate “potenze”. Il procedimento di preparazione è chiamato dinamizzazione o potenziazione. Il processo di dinamizzazione fu elaborato nella quinta edizione dell’Organon e pubblicato sia nel 1833 sia in un successivo lavoro di Hahnemann, le Malattie Croniche,4 pubblicato nel 1828.

1.4.1. Diluizione e succussione Le tinture madri sono diluite mediante successivi passaggi. La tintura madre è mescolata con il suo mezzo diluente (di solito etanolo in fase idroalcoolica) in due proporzioni, 1:9 o 1:99 v/v. Le potenze omeopatiche preparate in proporzioni di 1:9 e 1:99 sono chiamate rispettivamente potenze decimali e centesimali. La scala centesimale fu introdotta da Hahnemann e la scala decimale da Costantino Hering, quando Hahnemann era ancora in vita. La tintura madre è diluita con etanolo al 90%, in una delle due dette proporzioni. Secondo la Farmacopea Omeopatica Americana, la tintura madre dovrebbe essere diluita in etanolo all’87% (Anonimo, 1920). La bottiglia è riempita fino a due terzi del suo volume con la sostanza diluita e poi viene chiusa e 3 4

v/v: volume/volume. Hahnemann S. Le Malattie Croniche. S.I.M.O.H. Scuola Italiana di Medicina Omeopatica Hahnemanniana, Roma, 1995.

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sbattuta fortemente dieci volte con colpi dall’alto verso il basso, esercitati con la forza del braccio. Questo processo di agitazione meccanica è chiamato succussione. Il medicamento preparato in questo modo viene detto “prima potenza”. Tutte le potenze successive sono preparate diluendo ulteriormente ciascuna potenza nella stessa proporzione usata inizialmente e dando alla miscela dieci colpi dall’alto verso il basso. Così la concentrazione di una sostanza nella prima potenza centesimale si riduce di cento volte (concentrazione 10-2). Le potenze centesimali in uso regolare nella clinica sono 4, 5, 7, 9, 15, 30, 200, 1000, 10000 o anche più alte5. Esse sono scritte in numeri semplici, o con numeri romani, con o senza il suffisso “ch”, come ad esempio Nux vomica 30 o 30ch. Le potenze decimali sono indicate dal suffisso “x”, come ad esempio Ferrum phosphoricum 3x o 6x. Normalmente, le potenze decimali più usate sono 1x, 2x, 3x, 6x e 12x. Il metodo di Hahnemann per diluire e dinamizzare le sostanze richiede tempo e un gran numero di contenitori. Un metodo più veloce e pratico, che fu introdotto da Korsakov nel 1832, richiede un singolo contenitore per la preparazione di alte potenze. Il contenitore è semplicemente svuotato e riempito con il mezzo diluente ad ogni passaggio per fare le successive diluizioni. Il contenitore, anche se svuotato dalla soluzione, contiene ancora aderente alle pareti una piccola quantità residua della potenza precedente, che viene quindi utilizzata per ulteriori diluizioni. La diluizione e la succussione possono essere fatte a mano o con una macchina. La preparazione manuale non può essere uniforme per ciò che riguarda la forza esercitata ogni volta che una fiala o bottiglia di laboratorio vengono succusse. Per la preparazione di alte potenze, come le CM (diluite 1:100 per 100.000 volte) e le MM (diluite 1:100 per un milione di volte), è necessaria una macchina. Hahnemann seguì anche la scala dodicesimale, che era in voga ai suoi tempi, per cui sceglieva preferenzialmente le potenze secondo i numeri 6, 12, 24, ecc. Potenze più alte, come 200ch, 1M, CM, introdotte successivamente, sono basate sul sistema metrico decimale. Oltre alle serie decimali e centesimali, preparate rispettivamente mediante diluizioni seriali di 1:10 e 1:100, esiste la serie millesimale che è basata su diluizioni seriali di 1:1000 e che è denotata dal suffisso M (Cook, 1988). Verso la fine della sua vita, Hahnemann introdusse un’altra nuova serie chiamata cinquantamillesimale o LM. Essa fu menzionata la prima volta nella 5

Queste sono le principali diluizioni, ma sono disponibili anche molte diluizioni intermedie, come la 3, 6, 12ch.

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CAPITOLO 1

sesta edizione dell’Organon. Qui la sostanza è triturata fino al livello di una 3ch con lattosio, quindi una parte su 100 di questa potenza è diluita con 500 parti di etanolo al 20%. Una parte di questa diluizione è a sua volta diluita 1:100 in soluzione idroalcolica e succussa 100 volte. Una goccia di questa è usata per bagnare 500 piccoli globuli di zucchero al fine di preparare la prima potenza chiamata 1LM. Un globulo di 1LM è mescolato con 100 parti di etanolo e la miscela è sua volta succussa 100 volte e una goccia di questa è usata per bagnare 500 piccoli globuli di zucchero per preparare la 2LM. In tal modo si possono preparare potenze fino alla 30LM.6 In ogni passaggio di diluizione si diminuisce la concentrazione della soluzione precedente di circa 50.000 volte.

1.4.2. La triturazione Le sostanze farmaceutiche solide e insolubili in un mezzo acquoso, o in miscele di etanolo ed acqua, sono inizialmente mescolate con un mezzo solido come il lattosio fino alla terza riduzione ponderale e poi sono mescolate in etanolo in fase idroalcoolica per le successive diluizioni. In questo caso, per la miscelazione iniziale con il lattosio, una parte in peso della sostanza è mescolata, in un mortaio di porcellana, con 33 parti in peso di lattosio. La mistura è triturata con il pestello di porcellana per sei minuti e quindi mescolata con una spatola per quattro minuti. Il processo è ripetuto ancora e quindi altre 33 parti in peso di lattosio sono aggiunte e mescolate alla mistura di partenza. Di nuovo, le altre 33 parti rimanenti di lattosio sono mescolate alla triturazione sin qui ottenuta. In questo modo si ottiene la prima potenza centesimale (1ch) della sostanza preparata con triturazione. La potenza successiva viene preparata aggiungendo una parte della potenza precedente a 33 parti in peso di lattosio e ripetendo poi come prima per altre due volte le aggiunte di lattosio (in questo modo si ottiene la 2ch). Nella scala decimale il metodo è lo stesso, cambiando solo le proporzioni di sostanze e lattosio (da 1:100 a 1:10). L’importanza della triturazione nel liberare le proprietà medicinali della sostanza sarà discussa nel capitolo 3.

1.4.3. Conversione delle potenze solide in potenze liquide Una parte in peso della terza potenza (3ch) di una sostanza preparata mediante triturazione in lattosio è disciolta in 50 parti in peso d’acqua distillata. Poi, 50 parti in peso di etanolo vengono aggiunte a tale miscela acquosa ed il tutto vie6

In realtà, oggi sono disponibili diluizioni fino alla 300LM.

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ne messo in un contenitore scelto in modo che venga riempito per due terzi del suo spazio complessivo. La provetta o la bottiglia, secondo il volume, è chiusa e sbattuta con 10 colpi dall’alto verso il basso. In questo modo si ottiene la quarta potenza centesimale (4ch). Le potenze successive sono preparate mescolando una parte in volume della quarta potenza con 99 parti in volume di etanolo 90% ed assoggettando la miscela a 10 succussioni. Nel caso delle potenze decimali, una parte in peso della sesta triturazione decimale (6x) di una sostanza è miscelata con 50 parti in peso d’acqua distillata in una provetta. Vengono quindi aggiunte 50 parti in peso di etanolo e la miscela è succussa dieci volte. Questa è la ottava potenza decimale della sostanza (8x). Una parte in peso di questa potenza è mescolata con nove parti in peso di etanolo 90% e la miscela è succussa dieci volte, così da produrre la nona potenza decimale della sostanza (9x). Tutte le successive potenze della scala decimale sono preparate nel medesimo modo. Tali metodi, usati dai farmacisti e dalle Case Farmaceutiche, sono descritti nella Farmacopea Omeopatica (Anonimo, 1920 e 1962). Le più recenti Farmacopee omeopatiche sono menzionate nella sezione che segue.

1.5. Conservazione dei rimedi e forme farmaceutiche I rimedi omeopatici sono disponibili in forme liquide e in globuli di saccarosio (Anonimo, 1962). I globuli sono preparati con zucchero di canna purificato, che dovrebbe essere bianco. Essi sono di diverse grandezze denotate da numeri che vanno da 8 a 80. Il numero che specifica una grandezza è determinato disponendo 10 globuli in fila a stretto contatto tra loro: la lunghezza, in mm, della linea costituita da 10 globuli fornisce il numero corrispettivo a quella grandezza dei globuli. Una provetta (o un vaso per maggiori quantità) è riempita fino a due terzi del suo spazio con i globuli di una certa grandezza. I globuli di zucchero vanno asciugati in un forno a 100 gradi per dieci ore prima di essere impregnati con la sostanza, allo scopo di rimuovere ogni umidità dai globuli. Alcune gocce di una potenza liquida sono versate nella provetta, giusto per inumidire tutti i globuli. Il contenitore dove i globuli vengono impregnati con la potenza liquida viene capovolto o sbattuto o rotolato, in modo che tutti i globuli siano uniformemente impregnati. Il coperchio del contenitore viene poi allentato e la fiala viene rovesciata in modo da svuotare l’eventuale eccesso di liquido. Dopo aver tenuto la fiala in posizione rovesciata per nove o dieci ore, essa viene raddrizzata. Le potenze liquide rimangono in fini screpolature dei globuli di lattosio.

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CAPITOLO 1

Nel primo volume del suo libro, le Malattie Croniche, Hahnemann consigliò di inumidire i globuli tenendoli a contatto con alcune gocce di una potenza liquida per un minuto in un vaso di porcellana. Il contenuto della provetta viene quindi versato su una carta da filtro asciutta, cosicché l’eccesso di liquido è assorbito ed i globuli si asciugano rapidamente. I globuli secchi sono quindi tenuti in una boccetta, in un luogo fresco e lontano dalla luce. Poiché l’etanolo è altamente volatile, le potenze liquide tendono a evaporare rapidamente. Si ritiene che i globuli impregnati da una sostanza preparata in questo modo mantengano le loro proprietà per molti anni. Le medicine omeopatiche dovrebbero essere tenute lontano dalla luce diretta del sole, da qualsiasi radiazione, da forti campi magnetici, da sostanze odorose volatili come la canfora. Le potenze liquide sono fornite in bottigliette di vetro ambrato, dotate di contagocce. Le procedure standard per la manifattura dei differenti rimedi omeopatici e la loro conservazione sono state descritte nelle Farmacopee omeopatiche. Ci sono varie Farmacopee omeopatiche: - la Farmacopea omeopatica indiana, seconda edizione del 1966 (Manager of publications, Ministry of Health, Governament of India), - la Farmacopea omeopatica americana, del 1976 (American Institute of Homeopathy, Washington DC), - la Farmacopea omeopatica britannica, seconda edizione del 1999 (British Association of Homeopathic Manufacturers), - la Farmacopea omeopatica tedesca, del 2001 (Deutescher Apothek Verlag, Balogh International Inc.), - la Farmacopea omeopatica europea, quarta edizione del 2002 (Directorate for the quality of medicines of the Council of Europe). La Federazione Internazionale Farmaceutica (FIP: The International Pharmaceutical Federation) (The Hague, Olanda) ha stabilito le linee-guida per la buona pratica farmaceutica in un apposito convegno svoltosi a Tokyo il 5 settembre 1993. Tali standard devono essere seguiti dalle Case Farmaceutiche e recepiti dalle Autorità governative. Le autorizzazioni alla produzione vengono rilasciate alle Case Farmaceutiche che adottano la buona pratica farmaceutica (GMP: Good Manufacturing Practices) e le buone pratiche di laboratorio (GLP: Good Laboratory Practices). Tutto il procedimento deve avere un apposito controllo di qualità. Non ci sono delle regole fisse concernenti la diluizione, la succussione e la triturazione. Di fatto, lo stesso Hahnemann propose diverse diluizioni e un diverso numero di colpi per preparare una potenza (Royal, 1991). L’agitazione mediante Vortex e la sonicazione al posto di un’agitazione manuale possono produrre potenze efficaci (Sukul, 1997). Noi abbiamo recentemente osservato

PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI

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che anche delle semplici diluizioni successive senza un’agitazione meccanica producono una potenza omeopatica ugualmente efficace (Sukul et al., 2001).

Sommario Le sostanze usate in omeopatia si ricavano da materie prime come piante, animali, minerali, parti malate dell’uomo o una soluzione idroalcolica irradiata. L’estratto etanolico di una sostanza (Tintura Madre) è mescolato con etanolo in fase idroalcoolica, solitamente al 90%, nella proporzione di 1:9 o 1:99 e la miscela è sbattuta con forti scosse dall’alto verso il basso per preparare rispettivamente la prima potenza decimale o centesimale. Le successive potenze sono preparate mediante ulteriori diluizioni seriali della prima potenza con etanolo in fase idroalcoolica e succussione della miscela stessa. Il metodo di Korsakov usa una singola provetta, che è svuotata e riempita nuovamente con etanolo in fase idroalcoolica durante il processo di dinamizzazione di una sostanza; il residuo lasciato nella fiala è usato per la successiva diluizione. Nelle potenze LM introdotte da Hahnemann, la diluizione è di 1:50.000. Nella serie millesimale, denotata con i suffisso M, la diluizione è di 1:1000. Le sostanze insolubili in etanolo in fase idroalcoolica o in acqua sono inizialmente miscelate con lattosio mediante triturazione fino alla terza potenza e poi diluite con etanolo in fase idroalcoolica per le successive dinamizzazioni. I globuli di saccarosio sono bagnati con i medicamenti liquidi e, una volta asciugati, vengono conservati in una boccetta chiusa. Agitazione con Vortex e sonicazione di una diluizione invece dell’agitazione manuale producono potenze ugualmente efficaci. Nelle nostre esperienze, successive diluizioni con mescolamento, ma senza ulteriore agitazione meccanica, producono potenze medicinali ancora efficaci. Le medicine omeopatiche sono prodotte secondo i metodi descritti nelle Farmacopee omeopatiche. Le Case Farmaceutiche omeopatiche devono adottare le pratiche di buona fabbricazione e di buon laboratorio (GMP e GLP) per garantire l’alta qualità dei loro prodotti.

Capitolo 2

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

I medici omeopati hanno da sempre osservato e segnalato effetti di sostanze dinamizzate, ma gran parte di queste osservazioni non furono riportate adeguatamente, almeno se si considerano i requisiti attuali della ricerca clinica. Esistono comunque alcuni lavori ben documentati. Le evidenze più forti e scientificamente convincenti della reale esistenza degli effetti delle alte diluizioni vengono dai risultati di esperimenti su animali e su piante. Alcune evidenze, sia cliniche che sperimentali, sono state riportate in un precedente libro (Sukul, 1997).

2.1. Evidenze cliniche In omeopatia non c’è un unico medicamento per una determinata malattia, perché i medicamenti vengono scelti sulla base dei sintomi dei pazienti in modo individualizzato. Da questo deriva la possibilità di raccogliere evidenze cliniche in supporto dell’omeopatia solo seguendo tali principi. Questi studi dimostrano che le malattie, qualunque sia il loro nome, possono essere curate o migliorate da medicine potenziate. Guardando alle evidenze da questo punto di vista, possiamo trovare certamente molte prove in favore dell’omeopatia. Nel descrivere la Materia Medica di alcune medicine omeopatiche, Nash (1913) presentò molti interessanti casi clinici guariti.7 Egli menzionò anche l’esatta potenza impiegata, il numero di volte che essa fu somministrata e in alcuni casi le caratteristiche patologiche dei suoi pazienti. Ghatak (1927), un famoso omeopata dei primi anni del 900, riportò in maniera accurata più di 17 casi di trattamenti. Per ogni caso riportò dettagliatamente e cronologicamente i cambiamenti dei sintomi avvenuti nei pazienti in risposta

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Nash E. B. La Testimonianza della Clinica. Edizioni Salus Infirmorum, Padova, 2003.

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al trattamento con appropriati rimedi. Di seguito riportiamo, a titolo esemplificativo, alcuni di questi casi.8 CASO CLINICO 1 - Tumore della cervice uterina in una paziente di 34 anni con tre figli. Non è detto se il tumore era benigno o maligno. Sintomi: dolore emorroidario; dolore pungente al basso ventre; sanguinamento e perdita di fluidi; aggravamento nella stagione piovosa e miglioramento con il calore; febbre ogni sera; perdita del senso del gusto; miglioramento dei dolori addominali con il calore; desiderio di suicidio all’aggravamento dei dolori addominali; desiderio di aria aperta; aggravamento dei dolori di notte; pus maleodorante nell’orecchio; frequenti vertigini, soprattutto nel piegare la testa verso il lato destro. Trattamento: Aurum metallicum 1000ch, poi Thuja occidentalis 1000ch, Aurum metallicum 10000ch, Aurum metallicum CM, Thuja occidentalis 1000ch. Il trattamento continuò per un periodo di circa nove mesi e la paziente si ristabilì da tutti i suoi sintomi. CASO CLINICO 2 - Maschio di 21 anni con leggera febbre remittente serale, violenti starnuti e raffreddore allergico. Al mattino ed alla sera, sensazione di freddo con desiderio di coprire l’intero corpo; avversione per il bagno; sensazione di corpo estraneo in gola; sensazione di bruciore in tutto il corpo durante la febbre, ma senza il desiderio di togliersi le coperte; bocca secca ma non sensazione di sete; storia di febbre malarica da cinque anni. Si sospettava trattarsi di leishmaniosi ma non fu mai posta diagnosi con test di laboratorio. Trattamento: Sabadilla 200ch, poi Sabadilla 1000ch ed Arsenicum iodatum 200ch. Il trattamento continuò per circa tre mesi con totale scomparsa dei sintomi. CASO CLINICO 3 - Maschio di 37 anni con fistola anale, già operato, ma con pus giallognolo fuoriuscente da un piccolo foro circondato da un’area dura, rilevata e bruciante. La malattia iniziò da un foruncolo dieci anni prima e dopo poco tempo molti foruncoli apparvero sulla schiena; dolore nella fistola che aumentava dopo la defecazione, sia con feci liquide che solide; paziente di natura molto irritabile; sudorazione maleodorante alle palme delle mani ed alle piante dei piedi; pollachiuria; non tollerava il freddo ma si sentiva male anche nella stagione calda. Trattamento: Nitricum acidum 200ch, poi Nitricum acidum 1000ch, Hepar sulphuris calcareum 200ch, Nitricum acidum 10M, Nitricum acidum 50M. Dopo questo trattamento, riportò bruciore alle palme delle mani ed alle piante dei piedi; fu quindi somministrato Sulphur 1000ch, poi Nitricum 8

Un altro libro molto utile sotto questo punto di vista è quello di Gunavante (“Il Meraviglioso potere dell’Omeopatia”), edito da questa stessa Casa Editrice, che riporta la descrizione dettagliata di ben 200 casi clinici difficili curati con i medicamenti omeopatici (molto spesso con un unico rimedio).

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acidum CM. Il trattamento continuò per un periodo di 14 mesi ed il paziente guarì completamente. CASO CLINICO 4 - Maschio di 36 anni con asma bronchiale cronica, sofferente da 12 anni. Durante la crisi asmatica stava seduto in posizione curva, sudava alla fronte e desiderava essere sventolato; espettorazione di muco denso la mattina, bruciore alle palme delle mani ed alla pianta dei piedi; stava meglio con applicazioni fredde; irritabilità; storia di eruzione pustolosa sulle mani e sulle ginocchia dovuta a scabbia; storia di emorroidi. Trattamento: Carbo vegetabilis 200ch, poi Sulphur 30ch, Sulphur 200ch, Carbo vegetabilis 500ch, Natrum sulphuricum 1000ch, Nitricum acidum 1000ch. Il trattamento continuò per sette mesi ed il paziente fu curato da tutti i suoi sintomi. Da tali descrizioni, appare evidente il modo di procedere dell’omeopata, anche se in tutti questi quattro casi, risalenti agli anni 1913-1922, la diagnosi era alquanto approssimativa ed il risultato del trattamento non fu riportato in modo adeguato e convincente. Inoltre, le relazioni su questi casi riferiscono che i pazienti avevano ricevuto trattamenti allopatici prima di intraprendere la cura omeopatica. Di solito, le malattie croniche richiedono più di un anno per essere curate con le medicine omeopatiche, mentre ci sono rapidi risultati quando vengono trattate le malattie acute. Nella mia pratica (NCS) di Medicina omeopatica, negli ultimi 35 anni ho osservato azioni molto rapide nel trattamento di casi acuti come attacchi di cefalea, diarree, sindromi influenzali, forti coliche, vomiti, vari tipi di dolori, crisi epilettiche, raffreddori, febbri, emottisi, ulcere cutanee dovute a traumi o ustioni, stomatiti, sanguinamenti emorroidari, ematurie dovute ad uretrite o cistite, tossi, vertigini, parotiti. In tutti questi casi ho notato, dopo trattamento con medicine dinamizzate, una risoluzione dei sintomi in un tempo molto breve, da pochi minuti a 7-8 giorni. Il Dr. B. N. Chakravarty, medico del Presidente dell’India e del Governatore del West Bengala, ha gentilmente fornito alcuni altri interessanti casi clinici che, sinteticamente riassunti di seguito, possono servire, sempre a titolo esemplificativo, per capire come viene utilizzata e cosa possa fare l’omeopatia.9 CASO CLINICO 1 - Donna giapponese di 28 anni con encefalite virale. Sintomi: incosciente da 19 giorni, emiplegia sinistra, movimenti convulsivi costanti sul 9

Forse non è superfluo precisare che gli attuali orientamenti della ricerca clinica ed epidemiologica rivalutano l’importanza delle serie di casi e persino di singoli casi clinici, se ben descritti, pur non consentendo tali studi di discriminare l’effetto del medicinale da quello di fattori terapeutici aspecifici e, talvolta, dalla guarigione legata al decorso naturale della malattia.

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lato destro del corpo e perdita di tutti i riflessi superficiali e profondi. Viene riferito che, prima dell’inizio di questa malattia, la paziente sognava regolarmente di essere assassinata da un gruppo di persone. In seguito ella sviluppò cefalea, febbre e stato soporoso. Trattamento: Lachesis 200ch, poi Lachesis 1M, per inalazione. La paziente recuperò in tre settimane (1987). CASO CLINICO 2 - Donna di 25 anni con ipoglicemia idiopatica spontanea. Sintomi: ricorrente shock ipoglicemico, glicemia 18-20 mg/100 ml durante l’episodio, ipertermia, fortissimo desiderio di dolci, sogni stravaganti. In precedenza ella aveva avuto ricorrenti tonsilliti e una dermatite trattate con antibiotici. Trattamento: Sulphur 30ch in due dosi. Migliorò in una settimana (1983). CASO CLINICO 3 - Ragazza di 14 anni affetta da epatite B. Sintomi: coma durante il quale giace in uno stato di rigidità, come un tronco di legno. Trattamento: Zincum metallicum 200ch per inalazione ogni tre ore. Si riprese completamente in un mese (1990). CASO CLINICO 4 - Ragazza di 15 anni con emorragia cerebrale per trauma cranico. Sintomi: coma, perdita dei riflessi superficiali e profondi, afasia; giace in uno stato di rigidità come se fosse un tronco di legno, con lieve tremolio ai piedi. Trattamento: Zincum metallicum 200ch dato in ripetute dosi per inalazione. La paziente guarì completamente in un anno (1994). CASO CLINICO 5 - Donna di 35 anni con infertilità primaria ed amenorrea secondaria, cessazione della funzione ovarica e fibroma uterino sulla parete posteriore alla giunzione tra terzo superiore ed i due terzi inferiori dell’utero. Sintomi: amenorrea da due anni, obesità, sudore alle palme delle mani ed alla pianta dei piedi, desiderio di uova, storia di mestruazioni irregolari. Trattamento: Calcarea carbonica 200ch ripetuta cinque volte e seguita da Thuja occidentalis 200ch ripetuta tre volte. La paziente guarì in due anni (1994). Tutti questi cinque casi clinici indicano chiaramente che le potenze omeopatiche possono curare o migliorare anche dei casi molto gravi in un tempo relativamente breve, purché la scelta del rimedio sia corretta. Si può notare che in questi casi c’è una precisa scelta di un rimedio singolo per una certa condizione clinica in presenza di particolari sintomi. Sono ora riportati, sempre a titolo esemplificativo, altri due casi di un medico omeopata (Dr. Rathin Chakravarty).

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CASO CLINICO 1 - Donna di 35 anni sofferente di fibroadenoma mammario bilaterale. Sintomi: mancanza di sete, persona molto emotiva e sensibile, tendenza ad accaldarsi facilmente. Trattamento: Pulsatilla 200ch, in quattro dosi, da prendere due volte al giorno. Il rimedio fu ripetuto dopo due mesi. La guarigione avvenne in tre mesi (2000). CASO CLINICO 2 - Donna di 25 anni sofferente di fibroma uterino. Sintomi: dolore addominale, dismenorrea, menorragia, nervosismo; le piace il latte ed ama viaggiare. Trattamento: Tuberculinum bovinum 200ch, dato in quattro dosi. La guarigione avvenne in due mesi (2002). Questi due casi mostrano che pazienti affetti da tumori benigni e trattati con i rimedi adatti possono effettivamente guarire in tempo relativamente breve. È ovvio che singoli case-report non sono dimostrativi sul piano clinicoepidemiologico e che per questo sono utili anche studi osservazionali più ampi e trial clinici condotti con metodologie adeguate. Per questo sono stati condotti degli studi controllati su un gran numero di pazienti trattati con rimedi omeopatici ed i risultati sono stati positivi in molte condizioni cliniche (Reilly et al., 1986; Ferley et al., 1989; Fisher et al., 1989). Una lista di riferimenti biografici sulla ricerca in omeopatia è stata compilata da Fisher (1991). Relazioni sulla ricerca omeopatica sono state pubblicate dalla ‘Foundation for Homeopathic Education & Research’ della California (USA) (1989 e 1990); esse contengono un breve sommario di importanti lavori sull’omeopatia. Kleijnen et al. (1991) hanno passato in rassegna 96 studi pubblicati su un totale di 107 studi clinici controllati, fatti con omeopatia. Secondo tali Autori, i metodi adottati in una notevole parte degli studi non erano sufficientemente corretti e, soprattutto, gli studi non erano stati riprodotti sufficientemente per poter trarre delle conclusioni definitive a sostegno dell’efficacia dell’omeopatia in singole malattie. Tuttavia, gli Autori ritengono che i risultati indicassero un trend positivo. Recenti studi di meta-analisi di trial clinici controllati fatti con i medicamenti omeopatici mostrano cumulativamente una differenza tra l’effetto riscontrato nei pazienti trattati col medicamento omeopatico e quello nei controlli trattati con placebo (Linde et al., 1997; Cucherat et al., 2000). È stata fatta un’inchiesta su 829 pazienti sofferenti di malattie croniche come eczema, artrite reumatoide, angina instabile, colite ulcerativa, psicosi maniacodepressiva, cirrosi biliare, asma, ecc. Di questi pazienti, il 61% mostrarono un consistente miglioramento dopo la terapia omeopatica (Sevar, 2000). In questi stessi casi, il trattamento convenzionale aveva fallito o l’effetto si era stabilizzato in modo insoddisfacente oppure si erano manifestati degli effetti avversi con i farmaci convenzionali.

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In un altro studio osservazionale, condotto in collaborazione tra 30 medici, è stata confrontata la terapia convenzionale con quella omeopatica (Riley et al., 2001): sono stati presi in considerazione gli obiettivi primari come la guarigione o un grosso miglioramento. I pazienti (456) sono stati osservati per: - malattie del tratto respiratorio superiore incluse le allergie, - malattie del tratto respiratorio inferiore incluse le allergie, - patologie otorinolaringoiatriche. I pazienti che hanno mostrato risposte positive costituivano l’82,6% nel gruppo trattato con omeopatia e 68% nel gruppo trattato con i farmaci convenzionali. I lavori finora pubblicati confermano la necessità che negli studi clinici si ponga in atto una corretta valutazione dell’efficacia dell’omeopatia. Per questo motivo si dovrebbero condurre degli studi controllati con placebo in modo adeguato, accompagnati da procedure diagnostiche moderne come le analisi del sangue, la diagnostica per immagini e test elettrofisiologici (ECG, EEG). Bisogna però tenere presente che i risultati degli studi clinici in omeopatia potrebbero essere influenzati da una marcata variabilità individuale, a causa della disposizione miasmatica dei soggetti. Inoltre, va anche considerato che l’efficacia della terapia omeopatica potrebbe non apparire evidente su grande scala per l’esistenza di blocchi miasmatici in alcuni individui. Discuteremo dei miasmi nel capitolo 4.

2.2. Evidenze su animali da esperimento Vari modelli animali sono stati usati per la dimostrazione dell’azione di medicine omeopatiche dinamizzate. Si partiva dal presupposto che, se questi medicamenti agiscono sull’uomo, devono agire anche sugli animali. Nella Medicina allopatica, per lo sviluppo di nuovi farmaci sono stati usati da molto tempo dei modelli animali, particolarmente ratti, topi, hamster, cavie, conigli e scimmie. Sono stati usati molti animali di laboratorio con patologie che servono da modello di malattie umane, come la leishmaniosi, la malaria, la tripanosomiasi, la filariasi, l’echinococcosi, ecc. Sono disponibili buoni modelli animali anche per altre malattie come cancro, iperglicemia, ipertensione arteriosa, epilessia, ecc. I modelli animali sono stati di grande aiuto per comprendere lo sviluppo delle malattie a livello tessutale, cellulare e molecolare. Essi servono anche per comprendere il meccanismo di assorbimento, distribuzione, trasformazione ed escrezione dei farmaci. Anche i dosaggi e le reazioni avverse dei farmaci sono

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di norma studiati su modelli animali prima della sperimentazione in campo umano. Molti rimedi tradizionali e popolari usati nell’uomo e negli animali per centinaia di anni sono stati recentemente testati su precisi modelli sperimentali in animali. In questo modo sono stati identificati i principi attivi di piante medicinali e di prodotti animali. Molti farmaci allopatici di uso corrente sono stati scoperti grazie a intensive ricerche e screening su modelli animali. Una volta che un composto ha superato i test animali, può essere sperimentato sull’uomo. Solo dopo l’esecuzione di studi preliminari eseguiti sull’uomo con effetto positivo, il farmaco può essere commercializzato per l’uso generale. In omeopatia, il sistema è esattamente opposto, cioè si è iniziato con la sperimentazione sull’uomo per passare solo in tempi più recenti a quella animale. Poiché i rimedi dinamizzati sono altamente diluiti e sono usati in dosi molto piccole, finora non sono state imposte particolare restrizioni all’uso umano dei medicamenti omeopatici. Di fatto, queste medicine sono state usate per malattie umane da 200 anni. Oggi, comunque, sono stati iniziati numerosi studi su animali per provare la loro efficacia e comprenderne il meccanismo d’azione.10

2.2.1. Effetti biologici su animali e uccelli Le medicine omeopatiche vengono usate da molto tempo per il trattamento di malattie degli animali domestici. Infatti, Caulophyllum, somministrato a maiali di allevamenti, ha prevenuto la morte precoce del feto (Dey, 1984). Microdosi di Arsenicum album hanno facilitato l’escrezione dello stesso metallo nelle urine e nelle feci di ratto (Cazin et al., 1987). Zincum metallicum 12x ha modulato il rilascio di istamina dalle mastcellule stimolate di ratto (Harisch e Kretschmer, 1988). Silicea 6ch e 10ch ha stimolato il rilascio di PAF (Platelet-Activating Factor) da macrofagi peritoneali di topo (Davenas et al., 1987). Piccole dosi di Interferone hanno mostrato un’attività immunomodulatrice su linfociti B e T del topo (Daurat et al., 1988). Alte diluizioni di sostanze endogene come la Timulina, un ormone estratto dal timo, e la Bursina, estratta dalla borsa di Fabrizio dell’uccello, hanno pro-

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È noto che molti sollevano obiezioni nei confronti delle pratiche di sperimentazione su animali. L’Editore ed il Traduttore rispettano tale sensibilità sul piano etico e concordano con la necessità di ridurre al minimo, nella ricerca biomedica, l’uso di modelli animali, limitandoli ai test indispensabili e insostituibili. Per quello che si può desumere dai lavori qui riportati, essi paiono eseguiti secondo i metodi convenzionali e le norme condivise di buona pratica di laboratorio.

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dotto immunomodulazione rispettivamente nel topo e nei polli borsectomizzati (Bastide e Boutard, 1998). Alte diluizioni di Silicea hanno accelerato la guarigione su modelli sperimentali di lesioni da perforazione dell’orecchio del topo (Oberbaum et al., 1998). Alte diluizioni di Caffeina e di Adenina hanno prevenuto gli effetti teratogeni indotti da alte dosi delle stesse sostanze somministrate in dosi ponderali nel topo (Taddei-Ferretti e Cotugno, 1998). Burlakova (1998) ha osservato effetti di alte diluizioni di varie sostanze biologicamente attive a livello di organismi, cellule e macromolecole su piante e su animali. L’Autore ha affermato che questi effetti non potevano essere dovuti ad alcuna sostanza contenuta in dosi ponderali nelle soluzioni usate. a) Modello di catalessi Nel nostro gruppo di ricerca abbiamo messo a punto un modello animale, senza pratiche di vivisezione, con cui siamo riusciti a dimostrare gli effetti biologici di medicinali dinamizzati come Agaricus muscarius, Graphites, Cannabis indica e Gelsemium alla 30a e 200a potenza (Sukul et al., 1986). Questi medicamenti hanno modificato significativamente la catalessi indotta nei ratti dalla restrizione del movimento. La catalessi è uno stato transitorio di immobilità in cui gli animali non riescono a correggere la loro postura a partire da una posizione anormale. Essa può essere indotta da una restrizione del movimento o da dei farmaci. È un fenomeno dovuto ad una funzione del sistema nervoso centrale che coinvolge molti sistemi di neurotrasmettitori (Sanberg, 1980, Hartgraves e Kelly, 1984; Klemm 1983, 1985; Sukul et al., 1988; Zarrindast e Habibi-Moini, 1991). Nel Repertorio omeopatico di Kent, sotto la rubrica “catalessi” sono elencati molti rimedi omeopatici (Kent, 1911). Noi abbiamo migliorato la tecnica per ottenere la catalessi ed abbiamo osservato che Agaricus muscarius dinamizzato può influenzare significativamente la catalessi nel topo albino, in cui è stata indotta da alcune manipolazioni dei neurotrasmettitori. In particolare, Agaricus muscarius 30ch ha soppresso la catalessi indotta dall’aloperidolo (5 mg/kg i.p.), antagonista dei recettori della dopamina (DA). Tuttavia, Agaricus muscarius ha favorito lo sviluppo della catalessi quando è stato somministrato insieme all’apomorfina (5 mg/kg), agonista della DA, ed alla bromocriptina, agonista dei recettori D2. Mentre l’apomorfina non produce catalessi da sola, la bromocriptina produce una leggera catalessi (Sukul e Klemm, 1988). Questo è un buon modello, ma si deve prestare molta attenzione a che gli animali non siano stressati prima di iniziare un esperimento. I risultati nel loro insieme, mostrano che le potenze omeopatiche possono interagire con i farmaci neurotrasmettitori.

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Efficacia dell’omeopatia per via orale Abbiamo inoltre osservato che Agaricus muscarius 30ch può reversibilizzare la catalessi da aloperidolo solo quando viene somministrato per via orale (Sukul, 1995). Agaricus muscarius 30ch ha anche soppresso la catalessi del topo indotta da agonisti adrenergici come la fenilefrina, un agonista alfa1 (2 mg/kg i.p.), e la clonidina, un agonista alfa2 (1 mg/kg i.p.). Anche in questi esperimenti, Agaricus muscarius si è rivelato efficace solo se somministrato per via orale e non per via intraperitoneale (Ghosh et al., 1997). Tali risultati suggeriscono che l’effetto delle potenze omeopatiche potrebbe essere mediato da recettori presenti sulla mucosa orale. Prove di dose-effetto ed efficacia della succussione Se Agaricus muscarius 30ch è ulteriormente diluito con etanolo 90% senza alcuna agitazione meccanica (dinamizzazione) può essere ugualmente efficace nel ridurre la catalessi da aloperidolo fino alla diluizione di 1:20.000. Diluizioni più alte come 1:40.000 e 1:50.000 non hanno prodotto alcun effetto anticatalettico. Tuttavia, la diluizione 1:50.000 poteva essere resa efficace dopo un trattamento con succussione, in questo caso prodotta mediante sonicazione. L’effetto anti-catalettico in questi esperimenti fu osservato quando Agaricus muscarius era somministrato o prima o immediatamente dopo l’aloperidolo (Sukul et al., 1996). Ciò mostra che c’è un limite di diluizione di una potenza omeopatica e che l’agitazione meccanica gioca un ruolo nel mantenere l’efficacia di un rimedio diluito. In un recente studio abbiamo osservato che anche la semplice diluizione seriale, con solo mescolamento della soluzione senza agitazione meccanica, potrebbe produrre una potenza omeopatica efficace, ma in quei casi la diluizione era al massimo di 1:100 in ciascun passaggio successivo. Passaggi seriali con diluizioni di volta in volta più alte richiedevano agitazione meccanica per essere efficaci. b) Modello del riflesso di raddrizzamento Oltre al modello della catalessi, abbiamo sviluppato altri modelli di valutazione degli effetti dei medicinali omeopatici in animali trattati con etanolo. Si sa che le persone ubriache camminano oscillando da una parte all’altra per la perdita dei riflessi di una normale postura. Mediante i riflessi di raddrizzamento, gli animali recuperano e mantengono la normale postura eretta operando una serie di risposte integrate soprattutto a livello del mesencefalo (Ganong, 1989). L’etanolo può indurre la perdita del riflesso di raddrizzamento nel topo, effetto che può essere misurato come tempo che l’animale trascorre come fosse addormentato (Draski et al., 1992; Reeve et al., 1992): per la perdita del riflesso

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di raddrizzamento dovuto all’ingestione di etanolo, gli animali, posti in posizione distesa, non si muovono ma stanno inerti, come se stessero dormendo. Nux vomica è un medicinale omeopatico tradizionalmente conosciuto come efficace per curare gli effetti dell’alcolismo (Kent, 1911; Boericke, 1927). Noi (Sukul et al., 1999) abbiamo osservato che Nux vomica 30ch, somministrata per via orale, riduce significativamente il tempo di sonno indotto dall’etanolo nel topo albino. I topi ricevevano per via intraperitoneale una soluzione al 25% di etanolo, nella quantità di 4 grammi per chilo di peso corporeo, sei ore dopo il trattamento con Nux vomica 30ch. Questo semplice modello può essere facilmente testato in qualsiasi laboratorio.

Etanolo in fase idroalcoolica come mezzo efficace Nel nostro laboratorio abbiamo preparato Nux vomica 30ch, partendo da un estratto etanolico dei semi di Strichnos Nux vomica L. Abbiamo usato il 90% di etanolo per preparare le successive diluizioni della tintura madre di Nux vomica. In questo caso, invece della succussione manuale abbiamo dinamizzato ciascuna diluizione per sonicazione a 20 kHz per 30 secondi. Oltre che con il 90% di etanolo, abbiamo preparato Nux vomica 30ch usando altri diluenti, come etanolo puro ed acqua pura. In questa serie di esperimenti, abbiamo osservato che il mezzo più efficace era etanolo in fase idroalcoolica, mentre né l’etanolo puro, né l’acqua pura erano in grado di produrre una potenza di Nux vomica efficace a dimostrare l’effetto anti-ipnotico nel topo albino (Sukul et al., 1999a). Questo esperimento mostra quindi che l’etanolo in fase idroalcoolica è il mezzo migliore per la preparazione di una efficace potenza omeopatica. Va comunque tenuto presente che, poiché le medicine dinamizzate erano stoccate nel laboratorio per almeno sei mesi prima di testarle su animali, è possibile che le preparazioni d’acqua pura possano avere perso la loro efficacia durante lo stoccaggio. Questo esperimento, perciò, dovrebbe essere confermato con altri modelli. Comunque, i risultati sono importanti in relazione alle ipotesi sulla base fisica di una potenza omeopatica. 2.2.2. Effetti biologici su anfibi Il rospo viene comunemente utilizzato come animale di laboratorio, soprattutto per esperimenti biologici e farmacologici. Noi abbiamo condotto degli esperimenti sul rospo, usato come un possibile modello animale per dimostrare gli effetti biologici delle potenze omeopatiche. a) Rospi giovani In una prima serie di esperimenti, giovani rospi (Bufo melanosticus) del peso di 0.03-0.22 g, venivano testati per la perdita del riflesso di raddrizzamento indot-

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to da etanolo in presenza o in assenza di Nux vomica 30ch. In questo caso, Nux vomica 30ch era preparata con etanolo 90%, etanolo puro, acqua pura o lattosio. Le preparazioni in lattosio erano fatte per triturazione. Soluzioni di controllo erano costituite dallo stesso solvente, diluito in 30 passaggi seriali, seguiti da sonicazione, però senza ovviamente usare la tintura madre di Nux vomica nel primo passaggio. I controlli per le potenze solide erano preparati con triturazione di lattosio senza la tintura madre di Nux vomica nel primo passaggio. I medicamenti o i rispettivi controlli erano diluiti con acqua distillata ed i piccoli rospi erano esposti a tale miscela in immersione per cinque minuti. Il trattamento era ripetuto due volte al giorno per tre giorni consecutivi. Il quarto giorno gli animali erano esposti ad una soluzione 209 mM di etanolo con immersione parziale. Ogni dieci minuti, gli animali erano momentaneamente rimossi dal bagno etanolico e posti in posizione supina su di una superficie piana ed asciutta. L’incapacità di recuperare la posizione nomale (dorso in alto) entro 60 secondi veniva considerata come perdita del riflesso di raddrizzamento. I risultati hanno mostrato che nei rospi trattati con Nux vomica 30ch, preparata con etanolo 90%, ci voleva un tempo significativamente più lungo prima che andasse perso il riflesso di raddrizzamento rispetto ai rospi trattati con la sola soluzione di controllo (Fig. 1). Nux vomica 30ch preparata con altri solventi non mostrò alcun effetto sullo stesso modello sperimentale, se confrontata con il controllo. Tali esperimenti mostrano nuovamente che l’etanolo in fase idroalcoolica è il solvente adatto per la preparazione di una potenza omeopatica (Sukul et al., 1997). È opportuno segnalare che anche in questo caso le potenze omeopatiche erano state stoccate per alcuni mesi prima di essere utilizzate per gli esperimenti. b) Rospi adulti Abbiamo fatto altri esperimenti usando rospi adulti della specie Bufo melanosticus trattati con Nux vomica 200ch e 1000ch per bocca (30 in ciascun gruppo). Sei ore dopo, gli animali ricevevano per via intraperitoneale un’iniezione di etanolo 25% alla dose di 8 g/kg di peso corporeo. Veniva quindi misurato il tempo durante il quale gli animali restavano come addormentati: un metodo già menzionato negli esperimenti sui topi. I rospi trattati con le potenze di Nux vomica (sia la 200ch sia la 1000ch) recuperavano il riflesso di raddrizzamento più velocemente di quelli dei gruppi di controllo.

CAPITOLO 2

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% degli anfibi che perdono il riflesso di raddrizzamento

Controllo

Nux vom 30

Tempo di esposizione in minuti

Fig. 1 - La perdita del riflesso di raddrizzamento durante l’anestesia con etanolo 209 mM è ridotta significativamente nei giovani rospi trattati con Nux vomica 30 ch preparata in etanolo 90% con sonicazione, rispetto ai controlli (p < 0.005, test X2). Controlli: (); trattati (). N = 60 in entrambi i gruppi (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et al.: Hydrated ethanol, the effective medium for a homeopathic potency as tested by a new toad model. Indian J. Landscape Syst. Ecol. Stud. 1997; 20:155).

Questo mostra che i rospi adulti possono servire come buoni modelli animali per dimostrare gli effetti biologici di una potenza omeopatica (Sukul et al., 2000b; Sukul et al., 2000c). Abbiamo anche dimostrato che Nux vomica dinamizzata ha significativi effetti anti-alcolici, sia sugli anfibi sia sui mammiferi.

2.2.3. Effetti sull’alcolismo cronico L’alcolismo cronico è un grande problema di salute in tutto il mondo e l’omeopatia ha alcuni rimedi efficaci per curare questa condizione. Noi abbiamo testato la Nux vomica, che è uno di questi rimedi, per valutare i suoi effetti anti-alcolici sui ratti.

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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a) Consumo di etanolo Alcuni ratti del ceppo Charles Foster erano lasciati nuotare in una bacinella di plastica con acqua profonda 20 centimetri. Essi nuotavano vivacemente, fermandosi di tanto in tanto. In ogni test veniva registrato il periodo di immobilizzazione in cui il ratto non nuotava ma sporgeva la testa sulla superficie dell’acqua. I ratti che erano caratterizzati da una motilità più elevata avevano periodi di immobilizzazione complessivamente inferiori a 130 secondi, mentre quelli meno attivi avevano periodi maggiori di 300 secondi. In questo modello, la durata dell’immobilizzazione è direttamente proporzionale ad uno stato simil-depressivo. In una popolazione casuale di ratti, il consumo di etanolo varia notevolmente; quindi, soltanto i ratti potenzialmente alcolisti furono utilizzati per questi esperimenti sul consumo di alcol. Si sa che sono i ratti meno attivi quelli più soggetti all’alcolismo (Paul et al., 1992). Questi ratti furono selezionati per dei test di consumo dell’etanolo. A questi ratti fu somministrata una bevanda al 20% di etanolo per dieci giorni, quindi veniva data loro la possibilità di bere sia etanolo 20% sia acqua, a scelta in due diverse bottiglie. I ratti erano quindi trattati oralmente con Nux vomica 30ch o Nux vomica 1000ch. Mentre Nux vomica 1000ch fu preparata mediante il solito processo di succussione, Nux vomica 30ch fu preparata con sonicazione. A un gruppo di ratti fu anche somministrata Nux vomica 30ch mediante la via intraperitoneale e un altro gruppo servì come controllo non trattato. Mentre Nux vomica 1000ch fu somministrata alla posologia di una dose al giorno, Nux vomica 30ch fu data alla posologia di una dose ogni 15 giorni. I trattamenti ed i test giornalieri del consumo di etanolo e d’acqua furono continuati per un mese. Sia Nux vomica 30ch sia Nux vomica 1000ch ridussero significativamente il consumo di etanolo rispetto ai ratti non trattati. Tuttavia, Nux vomica 30ch somministrata per via intraperitoneale non diede alcun effetto, rispetto al controllo. Nux vomica 30ch (orale) fu un po’ più efficace di Nux vomica 1000ch (Fig. 2).

CAPITOLO 2

% di ingestione di soluzione alcolica rispetto a acqua

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Controllo 2a dose

Nux vom 30s (i.p.) Nux vom 1000 (orale) Nux vom 30s (orale)

Giorni di osservazione

Fig. 2 - Effetti di Nux vomica dinamizzata sull’assunzione di etanolo in ratti albini. Nux vomica 30ch, preparata con sonicazione e somministrata per via orale una volta ogni 15 giorni, ha ridotto il consumo di etanolo. Nux vomica 1000ch, preparata con succussione e somministrata una volta al giorno, ha ugualmente ridotto il consumo di etanolo rispetto ai controlli. Nux vomica 30ch, preparata con sonicazione e data per via intraperitoneale (i.p.), non ha mostrato alcun significativo effetto rispetto ai controlli (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et al.: High dilution effects of Strychnos Nux vomica L on hypothalamic neurons and adrenergic nerve endings of alcoholic rats. In: High dilution effects on cells and integrated systems. C. Taddei Ferretti, P. Marotta [editors]. Copyright © 1998 by World Scientific Publishing Co Pte Ltd).

Questo esperimento potrebbe suggerire che la sonicazione sia un buon mezzo per dinamizzare i medicinali omeopatici e mostra ancora una volta che la via orale è una via efficace per l’azione di una potenza omeopatica. Probabilmente ci sono dei recettori orali che mediano l’azione della potenza omeopatica nell’organismo (Sukul et al., 1998).

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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In un altro esperimento abbiamo osservato che il consumo alcolico nei ratti è ridotto significativamente sia da Nux vomica 30ch sia da Nux vomica TM (Sukul et al., 2000a). b) Neuropatia alcolica È noto che l’alcolismo cronico può causare disfunzione del sistema nervoso autonomo e una neuropatia periferica. Nei pazienti con neuropatia alcolica è riportata una degenerazione del nervo vago e dei nervi simpatici. In un modello sperimentale su ratto (Ferreira et al., 1975), il consumo prolungato di rhum (contenente etanolo 40%) ha causato gravi lesioni degenerative nei plessi nervosi adrenergici delle valvole atrioventricolari. Noi abbiamo fatto un esperimento per vedere se Nux vomica 30ch, preparata con sonicazione, poteva curare la neuropatia alcolica periferica nei ratti. In questo esperimento, ai ratti veniva somministrata una dieta normale ma, per due mesi, essi potevano bere solo etanolo 20%. Di seguito, gli animali furono trattati con Nux vomica 30ch, una dose ogni 15 giorni per quattro mesi. Durante tutto il periodo di trattamento, i ratti erano tenuti in gabbie con la possibilità di bere da due bottiglie: una contenente etanolo 20% e l’altra contenente acqua potabile. Il consumo giornaliero di etanolo e d’acqua veniva registrato per ciascun ratto per tutto il periodo di sei mesi durante i quali è durato l’esperimento. Oltre ai gruppi di ratti trattati e non trattati con il rimedio omeopatico, ai quali veniva somministrato l’etanolo, c’era anche un gruppo senza etanolo. Dopo sei mesi, tutti i ratti sono stati sacrificati e sono state esaminate le loro valvole atrioventricolari per la presenza di cambiamenti degenerativi dei plessi nervosi adrenergici. Tali degenerazioni sono state riscontrate nei ratti a cui era stata somministrata la dieta alcolica e non erano stati trattati con il medicinale omeopatico. Il trattamento omeopatico, infatti, aveva ridotto il consumo di etanolo ed ha portato ad una notevole rigenerazione delle terminazioni nervose che precedentemente erano degenerate per la somministrazione di etanolo. Questo esperimento mostra che una potenza omeopatica può produrre dei miglioramenti sintomatologici e dei cambiamenti anatomici obiettivabili (Sukul et al., 1998).

2.2.4. Effetti su malattie infettive e parassitarie Oltre alle malattie dovute a disordini metabolici ed immunologici, a traumi o a sostanze tossiche, anche le malattie causate da parassiti o altri germi patogeni sono state trattate efficacemente con le medicine omeopatiche. È stato riportato che le epidemie di colera in Europa furono contrastate efficacemente dalla me-

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CAPITOLO 2

dicina omeopatica (Leary, 1994). In quel caso particolare, ci si riferiva alle grandi epidemie del 1854. Comunque, alcuni potrebbero obiettare che quei risultati potrebbero non essere del tutto attendibili, perché le moderne tecniche epidemiologiche a quel tempo non erano ancora disponibili e non furono condotti studi con adeguati controlli e con placebo. Per questo sono particolarmente utili e dimostrativi gli attuali esperimenti condotti su animali. In una clinica veterinaria tedesca, è stato testato Abrotanum 1x su 27 cani e 26 gatti affetti da nematodi intestinali ed i risultati sono stati positivi (Krause, 1993). Inoltre, alcuni rimedi omeopatici hanno mostrato effetti antivirali sulle malattie dell’embrione di pollo (Singh e Gupta, 1985). La trichinosi (o trichinellosi) è una malattia causata nell’uomo da un parassita nematode: la Trichinella spiralis. I parassiti adulti infettano anche ratti, topi, animali selvatici, maiali, ecc. L’infezione umana deriva soprattutto dall’alimentazione con carne di maiale poco cotta e contenente le cisti della Trichinella. Non ci sono rimedi efficaci per l’eliminazione della Trichinella spiralis dall’ospite; il tiabendazolo (3 g/die per cinque giorni) può ridurre alcuni sintomi, ma non eliminare le cisti dai muscoli (Webster, 1991). Noi abbiamo condotto un esperimento sul topo albino inoculato con Trichinella spiralis. I topi venivano anche trattati con idrocortisone, un immunosoppressore, per aumentare e diffondere l’infezione. Trenta giorni dopo l’inoculazione, i topi di un gruppo furono trattati con Cina 1M per tre giorni seguita da Calcarea fluorica CM. C’era un altro gruppo di animali in cui veniva dato, come secondo medicamento, Thuja occidentalis CM. Calcarea fluorica e Thuja occidentalis furono usate perché la trichinosi provoca delle cisti nei muscoli. Cina fu usata sin dall’inizio perché la causa che provoca la cisti è un parassita di forma rotonda. Le densità delle larve nei muscoli furono determinate nei giorni 10°, 17° e 24° dopo l’ultimo giorno di terapia, sacrificando 6 topi per ciascun gruppo. I controlli non trattati mostrarono un aumento della densità delle larve rispetto al periodo prima del trattamento di +14.79%. Le terapie ridussero significativamente le densità delle larve nei muscoli dei topi quando confrontati con i controlli (-40.97% e -62.62% rispettivamente per Cina+Calcarea fluorica e Cina+Thuja occidentalis). L’effetto terapeutico è stato attribuito alla reazione immunologica specifica ed aspecifica del topo, promossa dalla sostanza dinamizzata. Riteniamo che l’azione del rimedio omeopatico sia mediata dal sistema nervoso centrale che, a sua volta, attiva le risposte infiammatorie aspecifiche e generalizzate capaci di contrastare l’invasione del parassita. Poiché i rimedi erano somministrati per via orale, essi potrebbero aver agito mediante le vie afferenti dalla cavità orale alla corteccia, che passano attraverso il nucleo del tratto solitario ed il talamo. Nella corteccia, il messaggio potrebbe essere elaborato e trasformato in un segnale in uscita, che a sua volta può influenzare le funzioni del sistema immunitario, tra cui plausibilmente la citotossicità cellulo-mediata an-

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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ticorpo-dipendente (ADCC)11, la quale potrebbe distruggere, almeno parzialmente, la Trichinella spiralis. Vi sono molte evidenze che i meccanismi orali influenzano le risposte immunitarie e l’infiammazione (Barnes, 1994; Roitt et al., 1993; Libert, 2003; Wang et al., 2003). Anche il rilascio di istamina dalle mastcellule è influenzato dai neurotrasmettitori. I topi sani hanno mastcellule e basofili con IgE legate ai recettori di membrana. Il legame di antigeni a tali IgE attiva la degranulazione delle mastcellule, un fenomeno che gioca un ruolo importante nell’eliminazione degli elminti (Foreman, 1994). Questo potrebbe quindi essere il possibile meccanismo per cui i medicamenti dinamizzati riducono l’infezione da Trichinella spiralis nel topo (Sukul, 1997). Recentemente abbiamo riprodotto lo stesso lavoro con simili risultati. La Dirofilaria immitis è un nematode (microfilaria) capace di parassitare l’aorta dei cani. I cani infetti hanno la microfilaria nelle sangue ed il numero di parassiti può essere contato al microscopio. Poiché Cina è usata in generale per le infezioni da vermi, abbiamo provato questo rimedio per il trattamento della dirofilariasi canina. Cina è un rimedio omeopatico estratto dalle cime fiorite della pianta Artemisia nilagirica. Nei nostri studi abbiamo usato la tintura madre di Cina e le sue due potenze Cina 200ch e Cina 1000ch. Il trattamento dei cani (4 per ciascun gruppo) si è protratto per 30 giorni. La dose giornaliera di ciascuna potenza era di 0.1 ml per cane. Nel caso della tintura madre, essa fu lasciata evaporare ed il residuo somministrato oralmente alla concentrazione di 10 mg/kg/die per i primi 15 giorni e 20 mg/kg/die per i successivi 15 giorni. Le preparazioni di Cina TM, Cina 200ch e Cina 1000ch hanno ridotto la microfilariasi nei cani del 78.38%, 63.06% e 71.40% rispettivamente (Sukul et al., 1999b). Si sa che le larve di filaria causano immunosoppressione (Ottesen, 1980). È quindi possibile che Cina dinamizzata abbia rimosso tale immunosoppressione e indotto una vigorosa risposta immunitaria dell’ospite verso il parassita, fino ad eliminare la microfilaria dal sangue (Sukul et al., 1999). In un altro esperimento su cani microfilaremici, abbiamo dato Cina 30ch preparata con successive diluizioni e sonicazione (20 kHz per 30 secondi in ciascun passaggio). Il trattamento continuò per 30 giorni ed i cani furono seguiti per 120 giorni con test ogni 15 giorni. Si osservò una marcata riduzione della conta di microfilarie fino ad un massimo del 93% (Fig. 3) (Sukul et al., 2000).

11

ADCC: Antigen Dependent Cell mediated Cytotoxicity.

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CAPITOLO 2

% di cambiamento della densità di microfilarie

Controllo

Cina 30c Periodo di trattamento

Giorni di campionamento

Fig. 3 - Variazione della percentuale media di densità delle microfilarie nel sangue di cani non trattati (×) e trattati () per un periodo di 120 giorni. Cani (n = 4) infetti naturalmente con Dirofilaria immitis erano trattati con Cina 30ch: una dose al giorno per 30 giorni. Altri 4 cani servivano come controlli. La densità di microfilarie al giorno 0 è posta come standard. La barra orizzontale vicino all’asse delle ascisse indica il periodo di trattamento. Il sangue fu testato ogni 15 giorni (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et al.: Antifilarial effects of Artemisia nilagirica at an ultra high dilution on canine dirofilarialis. In: Waste Recycling and Resource Management in the Developing World. BB Jana, RD Banerjee, B Guterstam, J Heeb [editors]. Copyright © 2000 by University of Kalyani, India and International Engineering Society, Svizzera).

2.2.5. Studi elettrofisiologici Nei precedenti paragrafi abbiamo visto che gli effetti biologici dei rimedi omeopatici si manifestano dopo intervalli di tempo che possono variare da poche ore a diversi giorni. Secondo la nostra ipotesi, le potenze omeopatiche negli animali agiscono attraverso il sistema nervoso. Le informazioni farmacologiche sarebbero convogliate al cervello dalle afferenze orali sensitive, mentre gli effetti clinici sarebbero mediati dal sistema nervoso autonomo (Sukul, 1997).

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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Poiché le funzioni autonome sono controllate centralmente nell’ipotalamo, potremmo aspettarci dei cambiamenti nell’attività elettrica dei neuroni ipotalamici immediatamente dopo che un rimedio omeopatico venga posto sulla mucosa orale. Per verificare queste idee abbiamo effettuato una serie di esperimenti. a) Neuroni ipotalamici laterali del gatto In questo esperimento, nove gatti di entrambi i sessi furono anestetizzati con uretano e fissati su una tavola stereotassica. Scariche elettriche di singole unità nervose erano registrate con un elettrodo a tungsteno (1.5 micrometri di diametro, resistenza 2-3 m) dai neuroni ipotalamici laterali (LHA)12. Dopo una registrazione delle attività di fondo del neurone per 10 minuti, veniva applicata una soluzione di controllo ed era registrata l’attività neuronale per altri 10 minuti. Il medicamento veniva quindi somministrato per via orale e l’attività neuronale era registrata per altri 15-20 minuti, poi il medicamento veniva ripetuto ancora una volta e la registrazione protratta per lo stesso periodo. Abbiamo usato tre rimedi omeopatici: Arnica montana 30ch, Hypericum perforatum 200ch ed Arsenicum album 30ch. Arnica montana è un rimedio usato normalmente per i traumi, Hypericum perforatum per una ferita da arma appuntita che tocca i nervi ed Arsenicum album per alcuni effetti tossici dei farmaci. Infatti, gli animali usati nei test di laboratorio subivano traumi e ferite appuntite quando la calotta cranica era esposta agli elettrodi infissi nel cervello. Inoltre, gli animali erano anestetizzati, cosa che si potrebbe considerare come un effetto di tossicità farmacologica. I risultati sono riportati in Fig. 4. L’attività elettrica era registrata dai neuroni dell’area LHA del lato destro e sinistro negli animali, trattati con Arnica montana 30ch. Questo medicamento ha prodotto una significativa riduzione della frequenza di scarica di 5 neuroni. Tale effetto è durato da 1.5 a 7 minuti ed aveva un periodo di latenza che variava da 30 secondi a 60 minuti. In un neurone, la frequenza di scarica è aumentata entro 30 secondi dalla somministrazione del rimedio e l’effetto è durato tre minuti. Tre neuroni del lato sinistro ed un neurone del lato destro non hanno mostrato alcun cambiamento nella frequenza di scarica a seguito della somministrazione di Arnica montana 30ch.

12

LHA: Lateral Hypothalamic Area.

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CAPITOLO 2

Arnica 30

Impulsi/10 sec.

Iperico 200

Arsenico 30

Tempo (min)

Fig. 4 - Effetti inibitori di Arnica montana 30ch e Hypericum perforatum 200ch ed effetti eccitatori di Arsenicum album 30 sull’area ipotalamica laterale di neuroni di ratti. Le frecce indicano il tempo di applicazione dei rimedi omeopatici sulla lingua degli animali di laboratorio (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et al.: Neuronal activity in the lateral hypothalamus of the cat and the medial frontal cortex of the rat in response to homeopathic drugs. Indian Biologist 1991;23:19).

Hypericum perforatum 200ch ha prodotto un calo nella frequenza di scarica in quasi tutti i neuroni (eccetto uno) e gli effetti sono durati da 3 a 14 minuti con un periodo di latenza tra 10 secondi e 6 minuti. Arsenicum album 30ch ha prodotto un istantaneo aumento nella frequenza di scarica di 5 neuroni (latenza che andava da 1 secondo fino a 1 minuto), ma l’effetto era transitorio (da 50 secondi a 1 minuto). In un neurone tale rimedio ha prodotto un calo nella frequenza di scarica dopo la seconda applicazione, effetto che è durato per 30 secondi con una latenza di un minuto. Un neurone non ha risposto ad Arsenicum album 30ch (Sukul et al., 1991).

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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b) Neuroni corticali dell’area frontale media di ratto In ratti maschi albini fu inserito un microelettrodo di argento rivestito di vetro (diametro 3.5 micrometri, resistenza 1.5-2.5 m) nell’area frontale media. Tale elettrodo, montato su un micromanipolatore, fu fissato sulla superficie del cranio con resina acrilica, in modo che il micromanipolatore rimanesse disponibile per essere utilizzato. La registrazione elettrofisiologica, iniziata quattro giorni dopo l’operazione, cioè quando era finito l’effetto dell’anestesia ed il ratto si comportava normalmente, veniva continuata per diversi giorni. Dopo l’ultima sessione di registrazioni, l’animale veniva sacrificato ed il cervello era esaminato istologicamente. Con questo tipo di esperimento sì può evitare l’interferenza dell’anestesia sui test farmacologici e si può studiare il ratto da sveglio. Le soluzioni di controllo ed i medicamenti erano somministrati per via orale. Su questo modello, Arnica montana 30ch ha prodotto un abbassamento nella frequenza di scarica dei neuroni e l’effetto è durato per più di 20 minuti con una latenza che andava da 1.5 fino a 6 minuti. In un neurone la risposta è stata evidenziabile solo dopo la seconda applicazione del rimedio. Arnica montana 30ch ha prodotto un aumento nella frequenza di scarica in un solo neurone, con 1.5 minuti di latenza e con un effetto durato due minuti. Hypericum perforatum 200ch ha prodotto un calo nella frequenza di scarica in 5 neuroni e l’effetto è durato da 1.5 a 14 minuti con una latenza che andava da 1 secondo fino a 2 minuti. In due neuroni vi è stato un transitorio aumento della frequenza seguito dalla sua inibizione. In un solo neurone vi è stato un aumento nella frequenza di scarica entro 2 minuti dalla somministrazione del rimedio e l’effetto è durato 11 minuti. Arsenicum album 30ch ha prodotto un marcato aumento nella frequenza di scarica in tutti i neuroni entro 1 secondo e l’effetto è durato 20 secondi. In tutti i casi le soluzioni di controllo non hanno mostrato alcun cambiamento nella frequenza di scarica (Sukul et al., 1991). Negli esperimenti menzionati osserviamo che l’azione delle potenze omeopatiche inizia entro pochi secondi fino ad un massimo di pochi minuti dalla loro assunzione. Lo stesso rimedio può produrre effetti inibitori ed eccitatori in differenti neuroni. Alcuni neuroni possono anche essere totalmente non responsivi ad un medicamento. È evidente che i medicamenti omeopatici svolgono il loro effetto attraverso recettori orali. Sappiamo comunque che l’effetto terapeutico finale di una qualsiasi sostanza medicamentosa dipende ovviamente dalla interazione di differenti neuroni in differenti aree del cervello.

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CAPITOLO 2

c) Risposte neuronali ipotalamiche a Nux vomica in ratti alcolisti In un altro esperimento, abbiamo esaminato le risposte dei neuroni ipotalamici di ratti dopo l’assunzione di Nux vomica dinamizzata. I ratti usati nei test elettrofisiologici appartenevano al ceppo Charles Foster. Un gruppo di 15 ratti ha ricevuto come bevanda etanolo 20% nella quantità di 1.5 ml/kg di peso corporeo per 7 giorni. Essi ricevevano inoltre cibo ed acqua ad libitum. Allo scadere dei 7 giorni, era registrata l’attività neuronale nell’area ipotalamica laterale (LHA) di questi ratti, in risposta a etanolo 20%, acqua distillata, Nux vomica 200ch e Nux vomica 1000ch.13 Le soluzioni di rimedi omeopatici e quelle di controllo erano poste sulla lingua dei ratti e veniva registrato il cambiamento bioelettrico rispettivo. In 7 ratti era registrata l’attività totale di tipo elettrico nella LHA, mentre in altri 7 ratti era registrata l’attività di singoli neuroni della stessa area. Nel caso dell’attività totale, fu scelto di considerare una scarica di ampiezza prefissata e di registrare la sua frequenza per 20 secondi. Nel caso della misurazione di una singola unità neuronale, furono contati gli impulsi prodotti in 20 secondi. Dopo ciascun esperimento, il ratto era sacrificato e perfuso, attraverso il ventricolo sinistro del cuore, con una soluzione salina contenente formalina al 10%, cosicché il sito di registrazione poteva essere esaminato istologicamente. In questo modello sperimentale, Nux vomica 200ch e Nux vomica 1000ch hanno aumentato le attività neuronali nella LHA dei ratti alcolisti. Questo aumento di attività neuronale è stato più pronunciato con Nux vomica 1000ch rispetto alla Nux vomica 200ch. Acqua distillata ed etanolo 20% hanno ridotto l’attività neuronale nella LHA. Anche l’applicazione di Nux vomica in tintura madre ha ridotto l’attività bioelettrica. Tale effetto dei rimedi omeopatici era istantaneo, cioè si manifestava in pochi secondi e durava da alcuni secondi ad alcuni minuti (Paul et al., 1992; Sukul et al., 1998). In questo esperimento, i ratti erano stati condizionati nel senso che avevano ricevuto continuamente una bevanda contenente etanolo. Questo potrebbe essere il motivo per cui le risposte neuronali ai farmaci erano alquanto uniformi. Infatti, Nux vomica 200ch e 1000ch era sempre eccitatoria, mentre etanolo 20%, acqua e Nux vomica TM erano sempre inibitori (Fig. 5). È probabile che i

13

Dettagli nel testo originale: I ratti erano anestetizzati con paraldeide (1.28 mg/kg i.m.) e posti su una tavola stereotassica. Sul cranio veniva praticato un foro in corrispondenza della LHA con coordinate stereotassiche specifiche (Konig e Klippel, 1963) e veniva inserito un elettrodo d’argento rivestito in vetro (punta 0.5 mm, resistenza 0.002 ), fissato con resina acrilica alla superficie del cranio e connesso ad un oscilloscopio (L&T Gould) e ad un registratore con due canali (L&T) attraverso un preamplificatore (AK 100, Digitimer, UK), un amplificatore e un filtro (Digitimer). Le scariche di singole unità della LHA erano registrate per mezzo di un microelettrodo d’argento rivestito in vetro (punta 3.5 micrometri in diametro, resistenza 1.5-2.5 m).

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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neuroni di ratti alcolisti abbiano assunto uno stato fisiologico caratteristico e che per questo motivo rispondevano in modo univoco agli stessi farmaci. Si potrebbe speculare sul fatto che i neuroni, in uno stato di malattia, potrebbero andare incontro a cambiamenti specifici, cosicché divengono responsivi ad un appropriato rimedio in modo non casuale. Tali cambiamenti si potrebbero manifestare anche nei sintomi della malattia. Nei nostri ratti è stata indotta un’aumentata suscettibilità. Le risposte elettrofisiologiche sembrano costituire dei processi olistici. Altri Autori hanno osservato che uno stimolo applicato con medicinali omeopatici evoca una risposta amplificata osservabile sia da parte dell’elettrocardiogramma (ECG) che dell’elettroencefalogramma (EEG), sia nei ratti sia nell’uomo (Torres, 2003).14 d) Risposte neuronali ipotalamiche al Natrum muriaticum in ratti tenuti a dieta ipersalina Nel nostro laboratorio, abbiamo condotto un altro esperimento con dei ratti condizionati in un diverso modo e con rimedi appropriati. Ratti albini del ceppo Charles Foster erano tenuti in un regime dietetico contenente il 4% di sale (cloruro di sodio) per 7 giorni. Essi furono poi anestetizzati e posti su una tavola stereotassica. Un microelettrodo d’argento rivestito di vetro (punta 3.5 micrometri di diametro, resistenza 1.5-2.5 m) fu inserito nell’area ipotalamica laterale e connesso ad un oscilloscopio mediante pre-amplificatore e filtro. Dopo aver registrato l’attività elettrica neuronale per 5 minuti su un registratore a due canali, alcune gocce di Natrum muriaticum 30ch e Natrum muriaticum 200ch venivano versate sulla lingua dell’animale. Natrum muriaticum 30ch ha prodotto una riduzione della frequenza di scarica (-51.7% ± 12%, p<0.05) e l’effetto durava da 4 a 57 minuti in vari esperimenti. Una seconda applicazione di Natrum muriaticum 30ch ha prodotto una ulteriore riduzione di frequenza in tutti i sei esperimenti fatti.

14

Ancora più recentemente un effetto elettrofisiologico dei medicinali omeopatici sul SNC umano è stato documentato in studi clinici controllati con placebo dal gruppo di Iris Bell dell’Università dell’Arizona: Bell IR, Lewis DA, Lewis SE, Schwartz GE, Brooks AJ, Scott A, Baldwin CM. EEG alpha sensitization in individualized homeopathic treatment of fibromyalgia, Int J Neurosci 2004;114:1195-1220; Bell IR, Lewis DA, Schwartz GE, Lewis SE, Caspi O, Scott A, Brooks AJ, Baldwin CM. Electroencephalographic cordance patterns distinguish exceptional clinical responders with fibromyalgia to individualized homeopathic medicines, J Altern Complement Med 2004;10:285-299.

CAPITOLO 2

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Numero di impulsi/20 secondi

H2O

H2O

H2O Nux Ө Nux 200

Alcol 20% Nux 1000 Nux 200

Nux 200 Nux 1000

Tempo (secondi)

Fig. 5 - Tracciati che mostrano l’effetto eccitatore di Nux vomica 200ch e 1000ch e l’effetto inibitore d’acqua distillata (H2O), Nux vomica in tintura madre (Nux ) ed etanolo 20%, applicati per via orale, su neuroni dell’area ipotalamica laterale di ratti che avevano ricevuto come bevanda etanolo 20% nella dose di 15 ml/kg di peso corporeo nei precedenti 7 giorni. A e B: attività totale; C: attività di singola unità neuronale (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et al.: High dilution effects of Strychnos nux vomica L on hypothalamic neurons and adrenergic nerve endings of alcoholic rats. In: High dilution effects on cells and integrated systems. C. Taddei Ferretti, P. Marotta [editors]. Copyright © 1998 by World Scientific Publishing Co Pte Ltd).

Anche Natrum muriaticum 200ch ha prodotto un effetto inibitorio sui neuroni LHA (Sukul et al., 1992). La somministrazione di soluzioni di controllo non ha prodotto alcuna significativa variazione della frequenza di scarica. L’acqua distillata ha causato un effetto eccitatorio di circa il 160%. Nei ratti con dieta ipersalina aumentava la sete e l’ingestione d’acqua, in proporzione all’osmolalità del plasma, che è percepita dai recettori ipotalamici. L’acqua distillata, che calma la sete, ha mostrato avere un effetto eccitatorio sui neuroni dell’area LHA. Pertanto, si può ipotizzare che le vie afferenti del segnale prodotto dal rimedio dinamizzato e dall’acqua distillata siano le seguenti: dai recettori orali attraverso il nervo glossofaringeo ed il vago, poi il nucleo del tratto solitario, il lemnisco mediale del talamo e dal talamo all’ipotalamo. Infine, gli impulsi raggiungono la regione associativa della cor-

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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teccia, dove vengono elaborati i comportamenti adattativi dell’animale. Il rimedio Natrum muriaticum, preparato con il sale di salgemma, appare contrastare il disordine fisiopatologico indotto dall’eccessivo consumo di sale nella dieta. In un altro esperimento, abbiamo somministrato Natrum muriaticum 30ch, una dose al giorno per 18 giorni, a dei ratti albini e li abbiamo poi testati in modo da valutare l’effetto di Phosphorus, un rimedio tradizionalmente considerato antidoto di Natrum muriaticum (Boericke, 1927). Natrum muriaticum 30ch ha causato una riduzione del 47% della frequenza di scarica dei neuroni LHA dei ratti ed anche Phosphorus 200ch, applicato sulla lingua dei ratti pretrattati con Natrum muriaticum ed anestetizzati, ha causato una riduzione di scarica (-53%) dei medesimi neuroni. L’acqua distillata, anche in questo caso, ha prodotto un effetto eccitatorio (+83%) (Sinhababu et al., 1998). Con questo esperimento si è visto che i ratti trattati per 18 giorni con diluizioni omeopatiche di sale, si sono comportati come se fossero stati trattati con dieta ipersalina. Probabilmente entrambi i trattamenti producono una riorganizzazione, centrale e periferica, del sistema recettoriale del gusto, che diviene sensibile al trattamento con Natrum muriaticum dinamizzato. Gli esperimenti sono stati condotti sia nel nostro laboratorio (Visva-Bharati), sia nel laboratorio dell’Institute of Higher Nervous Activity dell’Università di Leningrado. e) Effetti sulla trasmissione sinaptica I risultati degli esperimenti elettrofisiologici indicano che i neuroni ipotalamici e corticali giocano un importante ruolo nel mediare l’azione terapeutica dei rimedi omeopatici dinamizzati. Se l’attività elettrica dei neuroni ipotalamici va incontro a cambiamenti dovuti all’applicazione di una potenza omeopatica, è probabile che anche la trasmissione sinaptica a livello dell’area ipotalamica laterale (LHA) vada incontro a qualche cambiamento. Quest’ultimo tipo di cambiamenti dovrebbe essere evidenziabile a livello dei neurotrasmettitori e dei loro metaboliti ipotalamici. Infatti, questi fenomeni sono stati osservati nell’esperimento che ora descriviamo. Abbiamo già notato che Agaricus muscarius dinamizzato influenza la catalessi nel topo. Si sa già che i neurotrasmettitori dopamina e serotonina sono coinvolti in tale fenomeno di catalessi. Perciò, abbiamo voluto studiare se una potenza di Agaricus muscarius altera i livelli di dopamina (DA) e serotonina (5-HT) o dei loro metaboliti nei topi. Questo esperimento è stato condotto nel laboratorio di neuroscienze e nel dipartimento di Medical Anatomy della Texas A & M University (USA). Agaricus muscarius 12ch è stato somministrato per via orale a 6 topi (di 3035 g) alla dose di 3.1 ml/kg. La stessa quantità di soluzione di controllo, costituita da etanolo 90%, è stata somministrata ad un altro gruppo di 6 topi. Sei ore

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CAPITOLO 2

dopo la somministrazione del rimedio o del controllo, tutti i topi sono poi stati sacrificati per decapitazione. Il cervello è stato rapidamente rimosso, tenuto in ghiaccio, e l’ipotalamo escisso per mezzo di un micromanipolatore, trasferito in una provetta da centrifuga, pesato e congelato a -70°C.

Gruppo animale Controlli: Media ± E.S. Agaricus muscarius: Media ± E.S. Valori T Df = 10

Dopamina (ng/g)

DOPAC (ng/g)

5-HT (ng/g)

5HIAA (ng/g)

DOPAC/DA 5HIAA/HT

318.9 26.4

125.2 4.5

902.4 49.4

747.8 52.5

0.410 0.043

0.840 0.074

445.1 56.6 -2.02

191.1 28.7 -2.27*

926.3 31.2 -0.41

902.8 28.2 -2.60*

0.431 0.027 -0.42

0.979 0.039 -1.67

Tab. 1 - Aumento significativo (p<0.05, t-test) di acido diidrossifenilacetico (DOPAC) e acido 5-idrossindolacetico (5-HIAA) nell’ipotalamo di topo a seguito del trattamento con Agaricus muscarius 12ch per via orale. Le concentrazioni di dopamina (DA) e di serotonina (5-HT), non sono cambiate significativamente. *: variazioni statisticamente significative (riprodotta, con il permesso dell’Autore, da Sc. Cult. 56:134-135;1990).

I valori dei campioni sono stati calcolati per il loro contenuto di amine/grammo di peso umido del cervello.15 Il gruppo trattato ha mostrato un aumento statisticamente significativo (p<0.05) in DOPAC e 5-HIAA, mentre non 15

Dettagli nel testo originale: la massa ipotalamica umida variava da 7 a 12 mg nei controlli e da 8.5 a 18 mg per il gruppo trattato. I livelli di dopamina (DA), serotonina (5-HT) e dei loro metaboliti acido diidrossifenilacetico (DOPAC) e acido 5-idrossindolacetico (5-HIAA) sono stati determinati mediante cromatografia HPLC, con un sensore elettrochimico. Immediatamente prima dei dosaggi, ciascun campione era sonicato in acido perclorico 0.16% contenente uno standard interno. Il campione era centrifugato due minuti a 13000xg ed i composti menzionati erano determinati iniettando il sopranatante dell’omogenato di cervello su una colonna di fase inversa C-18. Dopo l’eluizione delle amine con la fase mobile (0.0465 g Na2HPO4; 2.8 g acido citrico; 1.6 mg EDTA; 20 mg sodio octilsolfato in 900 ml d’acqua di distillata con 100 ml di metanolo), le medesime amine venivano quantificate con un elettrodo al carbone vetrificato con potenziale di +0.62 V. La colonna era riscaldata a 35°C; la velocità del flusso della fase mobile era di 0.8 ml/min. Le altezze dei picchi dei campioni di DA, DOPAC, 5-HT e 5-HIAA tessutali erano confrontati con l’altezza di picchi standard delle stesse sostanze, che erano state trattate e processate nello stesso modo. Lo standard interno era usato per tenere conto dei cambiamenti nell’estrazione e della sensibilità dei mezzi di rilevazione. Ciò fu fatto mediante confronto dell’altezza dei picchi del campione con quella degli standard e in presenza di una quantità nota del tracciante epinina. Gli standard non estratti erano anche usati per tenere conto di una eventuale perdita di amine durante l’estrazione.

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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vi è stato cambiamento significativo nei livelli dei neurotrasmettitori DA e 5HT (Tab. 1). Non sono stati osservati cambiamenti significativi nei rapporti DOPAC/DA e 5-HIAA/5HT (Sukul 1990). Questi risultati suggeriscono che, a seguito dell’assunzione orale di Agaricus muscarius dinamizzato, hanno luogo degli aumenti nella trasmissione dei neuroni dopaminergici e serotoninergici nell’ipotalamo. In sintesi, anche questi esperimenti indicano che l’ipotalamo gioca un importante ruolo nell’iniziare e mediare l’azione di una potenza omeopatica.

2.3. Evidenze sperimentali su piante Kolisko (1926; citato da Righetti, 1994), osservò un aumento di crescita germinativa dei semi che avevano ricevuto diluizioni omeopatiche di nitrato d’argento (Argentum nitricum). L’esperimento fu ripetuto da Pelikan e Hunger (1965; citato da Righetti, 1994) usando Argentum nitricum 8x e 19x. Pongratz ed Endler (1994) e Pongratz et al. (1998) hanno usato Argentum nitricum 24x, 25x e 26x per la germinazione di semi di grano confermando i risultati ottenuti dagli Autori precedenti. Parecchi effetti di rimedi omeopatici su piante sono stati riportati da altri Autori (Boiron e Zervouacki, 1962; Boiron e Mann, 1971; Auquière et al., 1981 e 1982; Jones e Jenkins, 1981 e 1983; Dutta, 1989; Bornoroni, 1992; Brizzi et al., 2000).

2.3.1. Effetti su parassiti e germi patogeni delle piante Come nel caso dell’uomo e degli animali, i rimedi omeopatici possono curare le malattie delle piante causate da parassiti ed altri patogeni. Arsenicum album 199ch e Kali iodatum 200ch hanno diminuito le malattie che fanno marcire i frutti del guava e del mango (Khanna e Chandra, 1977 e 1978). Questo lavoro, tuttavia, era viziato dal fatto di non avere adeguati controlli. Cina, Santonina e Filix, alla concentrazione di 1 ppm, hanno inibito parzialmente la schiusa delle uova del nematode Meloidogyne incognita che causa danni alle radici delle piante alimentari (Sen e Dasgupta, 1985). In questo esperimento furono usate le tinture madri dei farmaci. Meloidogyne incognita è un parassita ubiquitario dei vegetali. Esso attacca cereali, the, caffè, alberi da frutto, ecc., producendo un particolare tipo di nodosità lungo le radici delle piante. Poiché Cina è efficace contro i parassiti ne-

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CAPITOLO 2

matodi dell’uomo e degli animali, questo rimedio è stato scelto per il trattamento delle malattie delle piante causate dallo stesso tipo di parassiti.16 Piantine di Vigna unguiculata, cresciute in vaso, sono state inoculate con larve al secondo stadio di Meloidogyne incognita. Quattro giorni dopo l’inoculazione, uno dei gruppi di piante inoculato è stato trattato con uno spray di una soluzione di Cina 1000ch sulle foglie, una volta al giorno per dieci giorni. Il trattamento era somministrato in modo che tutte le foglie della pianta venissero completamente inumidite dalla soluzione. Un altro gruppo di piante, inoculato con lo stesso parassita, è stato trattato allo stesso modo con la soluzione di controllo. Tutte le piante venivano sradicate 30 giorni dopo l’inoculazione e venivano misurate la biomassa, il numero dei noduli sulle radici, la popolazione di nematodi all’interno delle radici ed il contenuto di proteine di queste ultime. Come si vede dalla Tab. 2, il trattamento con Cina 1000ch ha incrementato la crescita della pianta ed ha ridotto l’infestazione da nematodi in modo significativo. Questo esperimento è stato ripetuto due volte (Sukul e Sukul, 1999). I dati indicano che le soluzioni di rimedi omeopatici applicate sulle foglie delle piante infette non possiedono la capacità di uccidere i nematodi. Perciò, le potenze omeopatiche hanno probabilmente agito stimolando la risposta difensiva naturale delle piante che, invece, viene compromessa dall’infezione stessa. Le piante non hanno cellule immunocompetenti specializzate, ma tutte le cellule vegetali hanno comunque la capacità di riconoscere il self dal non-self. La conseguenza di questo riconoscimento molecolare in risposta ad uno stimolo locale viene trasmessa a tutta la pianta (Bowles, 1992). Ad esempio, si ritiene che delle proteine specificamente correlate alla patogenesi (proteine PR)17 si accumulino nelle piante di patata a seguito della invasione delle radici da parte di nematodi cistici (Hammond-Kosack et al., 1989). Una precedente inoculazione di piante di patata con Meloidogyne incognita può indurre la resistenza delle piante stesse ad una differente specie di parassita come il Meloidogyne halpla (Ogallo e McClure, 1995).

16

Dettagli nel testo originale: Cina è prodotta dall’estratto etanolico delle sommità fiorite della pianta Artemisia cina. Il rimedio Cina 1000ch e gli altri medicamenti omeopatici sono stati prodotti da C. Ringer di Calcutta secondo la Farmacopea omeopatica indiana (1966). I globuli di saccarosio, bagnati con la soluzione omeopatica in etanolo 90%, sono stati poi mescolati con l’acqua distillata nella proporzione di 7.2 mg di globuli/ml d’acqua. La soluzione di controllo è stata preparata nello stesso modo, a partire da globuli di saccarosio bagnati con etanolo 90% e poi sciolti in acqua distillata. 17 PR: pathogenesis-related.

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI Trattamen- Lunghez- Peso del Lunghezto delle za del germoglio za piantine germoglio (g) delle (cm) radici (cm) Non inoculate e non 250±9a 228±7a 32±4a trattate Inoculate e non tratta248±10a 230±8a 20±5b te Inoculate e trattate con 261±6b 243±6b 28±7a Cina 1000ch

Cecidi delle 18 radici

Nemato- Nematodi/2g di di/200g di radici terreno

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Peso delle radici (g)

Noduli delle radici

Proteine delle radici (mg/g)

15±2a

80±7a

26±1b

68±5b

403±16a

158±38a

424±20a

20±2c

98±6c

65±10b

478±27b

122±17b 13.6±0.2a

12.8±0.5a 6.2±0.3b

Tab. 2 - Aumento della crescita e diminuzione del nematode che provoca noduli sulle radici (Meloidogyne incognita) nelle piante di Vigna unguiculata trattate con spray fogliare di una soluzione acquosa di Cina 1000ch. I valori sono rappresentati dalla media ± E.S. dei risultati di 10 piante per ciascun gruppo. Le lettere “b” e “c” vicino ai numeri indicano una differenza significativa rispetto al corrispondente valore di controllo “a” (p<0.01) calcolata con il test ANOVA (riprodotta, con autorizzazione, da Environ. Ecol. 17:269-273;1999).

Sappiamo anche che l’acido salicilico aumenta in tutta la pianta dopo che solo una parte della stessa è colpita da un’infezione; a seguito di questo aumento di acido salicilico, vengono espresse le proteine PR (Malamy et al., 1990, citato da Jones, 1994). Infatti, si sa che l’acido salicilico o il suo analogo acido acetilsalicilico inducono una rapida espressione dei geni PR (Ward et al., 1991 citato da Jones, 1994). Da tutte queste considerazioni, risulta molto probabile che la Cina dinamizzata sia stata in grado di indurre una resistenza sistemica nelle piante e quindi di ridurre l’infezione dei nematodi che parassitano le radici. In accordo con questi nostri risultati, recentemente, Betti et al. (2003) hanno osservato che l’Arsenico triossido dinamizzato induce l’aumento di resistenza nelle piante di tabacco al virus del mosaico del tabacco (TMV).19 Se si potessero controllare le malattie delle piante con medicinali omeopatici, ciò non solo eliminerebbe il rischio della permanenza di residui pesticidi sulle piante alimentari, ma porterebbe anche ad una notevole riduzione dell’inquinamento ambientale dell’ecosistema agricolo. Per questo si dovrebbe sviluppare una nuova Materia Medica per le piante, provando i farmaci sulle piante e integrando le conoscenze di patologia vegetale con quelle degli studi tossicologici. 18

Il cecidio è una reazione delle piante ad uno stimolo determinato da un organismo estraneo, vegetale o animale, consistente in una deviazione morfologica dello sviluppo. 19 TMV: Tobacco Mosaic Virus.

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CAPITOLO 2

2.4. Evidenze da test in vitro Test su sistemi di laboratorio e in vitro sono stati condotti su organi isolati, colture cellulari e macromolecole come quelle proteiche. Alte diluizioni di Apis mellifica e di istamina hanno influenzato la degranulazione dei basofili umani (Poitevin et al., 1988). Alte diluizioni di anticorpi anti-IgE hanno dimostrato la capacità di stimolare la degranulazione dei basofili umani in vitro (Davenas et al., 1988). Questo lavoro del famoso gruppo di Benveniste, pubblicato sulla rivista Nature, generò notevoli controversie tra gli scienziati. Però, anche Belon et al. (1999) hanno dimostrato l’effetto inibitorio di alte diluizioni di istamina sulla degranulazione dei basofili umani. Alte diluizioni di farmaci hanno mostrato effetti positivi sui microsomi di fegato di ratto (Kretschmer e Harisch, 1990). Van Wijk e Wiegant (1998) hanno osservato che le cellule di epatoma di ratto, pre-trattate con uno shock termico o con arsenito di sodio o con cloruro di cadmio, hanno sviluppato un caratteristico schema di proteine da shock termico (Hsps).20 Quando le cellule sensibilizzate venivano esposte a dosi bassissime di ciascuno di questi tipi di stress, si sviluppava un gruppo di proteine “Hsps” caratteristico dello stressor. Questa è un’evidenza sperimentale della specificità del principio del simile. Cambar et al. (1998) hanno passato in rassegna i lavori dell’effetto protettivo di alte diluizioni di metalli pesanti sulla tossicità cellulare indotta da alte dosi degli stessi metalli. Cristea (1998) ha impiegato una tecnica farmacologica classica per valutare l’efficacia della Belladonna dinamizzata. Il principale alcaloide della tintura madre di Belladonna è l’atropina, che funge da antagonista del neurotrasmettitore acetilcolina (Ach). Alte diluizioni di Belladonna, fino alla 200a potenza, furono applicate al duodeno isolato di ratto inserito in un apposito bagno per organi. L’effetto delle potenze di Belladonna sul modello di ratto è stato bidirezionale e multifasico. Bastide e Boudard (1998) hanno riportato effetti immunomodulatori di alte diluizioni di sostanze endogene come timulina, bursina e citochine su topi e uccelli. Questi esperimenti furono condotti in vitro, in vivo ed ex vivo.

2.4.1. Esperimenti in vitro di Boyd ed altri esperimenti correlati Sono stati condotti esperimenti in vitro con un sistema che non coinvolge né cellule viventi, né tessuti, né organi. In questi casi, un rimedio omeopatico di20

Hsps: Heat shock proteins.

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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namizzato è considerato come una componente chimica che, nel catalizzare delle reazioni chimiche, dovrebbe differire dal suo solvente, sia che questo sia l’acqua o l’etanolo in fase idroalcoolica. Boyd (1941, 1942, 1946 e 1954) fu il primo a condurre questo tipo di test in vitro usando Mercurius (cloruro di mercurio). Egli preparò il medicinale omeopatico (Mercurius corrosivus 30ch) in acqua bidistillata e lo provò sull’attività della diastasi, che è una miscela di enzimi che digeriscono l’amido. Egli osservò che Mercurius corrosivus 30ch accelerava la velocità di idrolisi dell’amido da parte della diastasi. Egli condusse un gran numero di esperimenti confrontando ben 500 volte il rimedio con il controllo e la differenza risultò significativa al livello di p<0.001 (Boyd, 1954). Questi esperimenti furono condotti con grande cura. Noi abbiamo ripetuto ed esteso una parte degli esperimenti di Boyd usando tecniche moderne e strumenti più sensibili. Abbiamo usato due differenti potenze omeopatiche, precisamente Mercurius corrosivus 30ch e Mercurius iodatus 30ch (ioduro di mercurio), e le abbiamo preparate sia in acqua bidistillata sia nel solito mezzo costituito da etanolo 90%. Lo scopo dei nostri esperimenti era di vedere se gli ioni metallici o gli ioni alogeni potessero giocare diversi ruoli nel modificare l’attività enzimatica. Nello stesso tempo, abbiamo testato l’efficacia dei due diversi solventi: acqua ed etanolo in fase idroalcoolica. Nella tradizione omeopatica viene riportato che i medicamenti dinamizzati, preparati in etanolo in fase idroalcoolica, mantengono la loro attività per molto tempo. Pertanto, noi abbiamo voluto verificare se le preparazioni in pura acqua mantenevano la loro attività altrettanto a lungo che le preparazioni in etanolo. Per questo, abbiamo testato Mercurius corrosivus 30ch in preparazione acquosa di tre differenti età: una preparata da 4 giorni, una da un mese e una da 12 mesi (Tab. 3).21 Mercurius corrosivus 30ch in acqua, preparato 4 giorni prima e 1 mese prima della prova e quello preparato con etanolo 90%, hanno significativamente aumentato l’attività enzimatica (p<0.01, student t-test). Mercurius corrosivus 30ch invecchiato 12 mesi in preparazione acquosa non ha modificato l’attività enzimatica rispetto al suo controllo. Mercurius iodatus 30ch, sia in acqua sia in etanolo, ha aumentato l’attività enzimatica significativamente (p<0.01) rispetto al suo controllo. 21

Dettagli nel testo originale: l’idrolisi di una soluzione di amido da parte dell’α-amilasi è stata misurata mediante procedure biochimiche standardizzate (Bernfield, 1955). L’α-amilasi pancreatica scinde l’amido producendo soprattutto maltosio, un disaccaride dell’α-1-4glucosio (Nelson e Cox, 2000). Il maltosio, come prodotto di idrolisi, è stato quantificato in base ad una curva standard ottenuta grazie ad uno spettrofotometro Jasco (modello 530). Per ogni preparazione di medicinale sono stati fatti dieci test e così anche per il rispettivo controllo.

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CAPITOLO 2

Trattamento Mercurius iodatus 30ch in acqua (preparazione fresca) Mercurius corrosivus 30ch in acqua (preparazione di 4 giorni) Mercurius corrosivus 30ch in acqua (preparazione di 1 mese) Mercurius corrosivus 30ch in acqua (preparazione di 12 mesi) Mercurius corrosivus 30ch in etanolo 90% Mercurius iodatus 30ch in etanolo 90% Controllo I: enzima + substrato + acqua Controllo II: enzima + substrato + acqua (vecchia di 4 giorni) Controllo III: enzima + substrato + acqua (vecchia di 1 mese) Controllo IV: enzima + substrato + acqua (vecchia di 12 mesi) Controllo V: enzima + substrato + etanolo 90% 22 Controllo VI: enzima + substrato + Alcoholus 30ch

Maltosio rilasciato ± E.S. (µg) 386±7.5* 500±14* 430±9* 302±7 428±12* 302±10* 302±6 322±10 328±6 322±6 228±5 238±10

Tab. 3 - Effetto di diversi rimedi omeopatici e dei loro diluenti sulla idrolisi dell’amido da parte dell’α-amilasi a 27°C per 15 minuti; *: differenza significativa (p<0.01) rispetto il controllo (riprodotta, con autorizzazione, da Homeopathy 91:217-220; 2002. Copyright © di Elsevier).

È interessante notare che in questo studio in vitro anche la sola acqua ed il solo etanolo in fase idroalcoolica hanno modificato le attività enzimatiche quando confrontate con i controlli, ma mentre l’acqua ha aumentato l’attività enzimatica, l’etanolo in fase idroalcoolica l’ha ridotta (Sukul et al., 2002). I risultati dei test in vitro con organi isolati o colture cellulari suggeriscono che i medicamenti dinamizzati siano efficaci non solo sull’intero organismo, ma anche sulle sue parti isolate e perfino sulle cellule. I test in vitro con enzimi mostrano che i medicamenti dinamizzati possono agire su componenti chimici, senza alcuna mediazione da parte degli organismi viventi. Abbiamo visto che sia l’acqua sia l’etanolo in fase idroalcoolica possono servire come buoni solventi per la preparazione di medicamenti dinamizzati. Tuttavia, l’acqua non pare così efficace nel mantenimento dell’attività del rimedio per un tempo sufficientemente lungo, come si è visto nel caso del Mercurius 22

Alcoholus è il termine che designa il medicinale omeopatico preparato partendo dalla materia prima costituita da etanolo (alcol etilico). Là dove ci si riferisce semplicemente alla soluzione di alcool etilico, non diluito né dinamizzato, nella trattazione si usa il termine di “etanolo” (seguito dalla concentrazione v/v della soluzione in acqua).Questa prova (Controllo VI) sta ad indicare che la diluizione e dinamizzazione non modifica la attività rispetto al Controllo V.

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI

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corrosivus 30ch invecchiato 12 mesi. Anche Boyd (1954) aveva osservato che l’efficacia di Mercurius corrosivus 30ch preparato in acqua andava deteriorandosi col tempo. Ora dobbiamo anche commentare i risultati riguardanti gli ioni metallici e gli ioni alogeni nelle soluzioni di mercurio, che teoricamente potrebbero avere diversi ruoli nel modificare l’attività enzimatica. In soluzione acquosa, una molecola salina come HgCl2 (cloruro di mercurio) o HgI2 (ioduro di mercurio) viene dissociata in un catione (Hg2+) e un anione (Cl- o I-) circondati da una gran quantità di molecole d’acqua. Questa idratazione stabilizza gli ioni (Watanabe e Iwata, 1997). Solitamente, gli ioni mercurio inibiscono l’attività enzimatica legandosi a residui di cisteina, istidina e treonina (Muller e Saenger, 1993). Due residui essenziali per il legame del substrato nell’α-amilasi sono His-101 e His-299 (Quian et al., 1993).23 Nella forma dinamizzata, come nei nostri test con Mercurius corrosivus 30ch e Mercurius iodatus 30ch, il mercurio ha dimostrato un’attività promotrice sull’attività dell’α-amilasi. Sappiamo che gli ioni cloruro sono in grado di attivare l’α-amilasi, ma l’attività enzimatica non dipende strettamente dalla presenza di questo ione (Kabuto et al., 2000). I tre residui coinvolti nel legame del cloruro con l’enzima sono: Arg-337, Arg-195 e Asn-29824 (Quian et al., 1993). Nei nostri esperimenti, sia cloruro di mercurio 30ch (Mercurius corrosivus 30) che ioduro di mercurio 30ch (Mercurius iodatus 30) hanno aumentato l’attività enzimatica. Se lo iodio avesse giocato un ruolo indipendente, probabilmente i due sali avrebbero avuto effetti diversi, ma ciò non si è verificato. Pertanto, sembra che il composto nel suo insieme, piuttosto che i suoi ioni individuali, induca un’attività specifica ed il mezzo diluente stesso abbia un ruolo nell’acquisire e ritenere tale attività. In altre parole, la struttura del solvente, modificata dal sale di mercurio, appare in grado di alterare la struttura dell’enzima, cambiandone l’attività. È noto che la funzionalità delle molecole biologiche è fortemente influenzata dalle loro strutture tridimensionali, che sono primariamente determinate da interazioni non covalenti con ioni metallici, da interazioni con legami idrogeno e dalla solvatazione (Rodgers e Armentrout, 1997). In questo caso è probabile che le interazioni attraverso i legami idrogeno e la solvatazione da parte dell’acqua strutturata, caratteristica delle soluzioni di Mercurius corrosivus 30ch e Mercurius iodatus 30ch, abbiano alterato l’attività dell’α-amilasi (Sukul et al., 2002). I risultati mostrano nuovamente che le molecole d’acqua portano la specifica informazione introdotta dalle molecole del rimedio durante il processo di di23 24

His: aminoacido istidina. Arg: aminoacido arginina; Asn: aminoacido asparagina.

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CAPITOLO 2

namizzazione. Le molecole di etanolo, che hanno un’ampia parte non-polare della molecola, stabilizzano le specifiche strutture dell’acqua che sono state acquisite durante il processo di diluizioni seriali e di agitazione meccanica.

2.4.2. Esperimenti in vitro su eritrociti Basandoci su precedenti lavori pubblicati in letteratura, noi abbiamo ipotizzato che un importante bersaglio del medicinale omeopatico sia una proteina della membrana cellulare che permette il passaggio d’acqua, detta acquaporina (Sukul e Sukul, 2001). Le acquaporine si trovano in tutte le forme di vita e facilitano la permeabilità all’acqua attraverso le membrane biologiche. Ci sono diversi tipi di acquaporine (AQP): la più abbondante nei globuli rossi dei vertebrati è la AQP1. Discuteremo in dettaglio struttura e funzione delle acquaporine nel capitolo 4, in cui si vedrà anche la loro relazione con la salute e la malattia. Pertanto, l’ipotesi è che, se il principale obiettivo di una potenza omeopatica è l’acquaporina, quando il rimedio viene in contatto con la membrana cellulare potrebbe cambiare il flusso idrico transcellulare. Per testare questa ipotesi, abbiamo trattato dei globuli rossi di pesce (Clarius batracus) con cloruro di mercurio 30ch (Mercurius corrosivus 30ch) e con Nux vomica 30ch in due diversi esperimenti eseguiti in mezzo ipotonico. La soluzione di controllo era costituita da Alcoholus 30ch ed il mezzo diluente di tutte queste tre soluzioni consisteva in etanolo 90% ed acqua distillata 10%. Il mezzo ipotonico in cui le cellule erano incubate a 30°C per 30 minuti con o senza medicamenti era l’acqua distillata sterile.25 Le preparazioni di eritrociti sono considerati un buon modello per lo studio della diffusione dell'acqua in un sistema biologico. I test vennero fatti su eritrociti raccolti da due gruppi di pesci: uno aveva ricevuto un’iniezione intraperitoneale di etanolo nella quantità di 2g/kg di peso corporeo e l’altro senza alcuna iniezione di etanolo. In un altro esperimento, due gruppi di pesci erano separatamente pre-trattati in vivo con Alcoholus 30ch o Nux vomica 30ch e quindi veniva loro somministrata un’iniezione di etanolo alla concentrazione di 2g/kg di peso corporeo. I globuli rossi di questi pesci erano testati in vitro con le stesse potenze medicinali. 25

Dettagli nel testo originale: Ogni provetta ricevette 0,5 ml di sangue mescolato con 0,01 ml di una soluzione contenente il medicamento omeopatico o Alcoholus 30ch. A questa miscela venivano aggiunti 0,5 ml di acqua distillata e le provette furono tenute in un luogo scuro a temperatura ambiente per 30 minuti. Quindi, la proporzione di sangue e acqua è 1:1. Dopo il trattamento, i campioni di sangue erano centrifugati, il fluido sopranatante era rimosso ed i fondelli cellulari erano seccati in un incubatore a 90°C per 12 ore. Le differenze tra pesi secchi e pesi umidi dei fondelli cellulari fornivano il peso dell’acqua intracellulare dei globuli rossi.

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I nostri esperimenti hanno dimostrato che gli eritrociti prelevati dai pesci ai quali era stato iniettato l’etanolo avevano incluso più acqua di quelli dei pesci normali, indicando un aumento di permeabilità. La permeabilità in vitro all’acqua è stata significativamente aumentata con Mercurius corrosivus 30ch e Nux vomica 30ch rispetto agli eritrociti trattati con la soluzione di controllo. I globuli rossi ottenuti da pesci pre-trattati con Nux vomica 30ch hanno incluso più acqua nei trattamenti in vitro di quelli dei pesci pre-trattati con Alcoholus 30ch. Poiché le acquaporine sono responsabili principalmente del trasporto d’acqua attraverso la membrana citoplasmatica dei globuli rossi, si ipotizza che i medicamenti dinamizzati come Mercurius corrosivus 30ch e Nux vomica 30ch abbiano agito su queste proteine ed abbiano facilitato l’influsso d’acqua nella cellula (Sukul et al., 2003).

Sommario Le evidenze a sostegno della reale esistenza di effetti delle alte diluizioni omeopatiche ci vengono sia da studi clinici fatti da medici omeopati e scienziati, sia da risultati di esperimenti condotti in laboratorio. A differenza dei farmaci convenzionali, gli effetti terapeutici di un’alta potenza omeopatica dipendono non dall’eliminazione dei sintomi comuni di una particolare malattia, ma dalla cura della totalità e dell’individualità dei sintomi di un particolare paziente. Perciò, i trial clinici possono dare risultati positivi solo se l’obiettivo è quello di vedere se la totalità delle condizioni patologiche di un certo paziente, qualunque nome abbia la malattia che lo affligge, viene curata da una particolare alta diluizione omeopatica. Abbiamo mostrato che, in corso di terapie omeopatiche, le casistiche riportate da medici omeopati mostrano o la guarigione o significativi miglioramenti da malattie come tumori uterini, leishmaniosi, fistola anale, asma bronchiale, encefalite o epatite virale, emorragia cerebrale, aritmie cardiache, ecc. È possibile che, occasionalmente, il fallimento della cura omeopatica risulti da condizioni intrinseche del paziente che impediscono la totale guarigione, condizioni che gli omeopati chiamano miasmi. Medicamenti in elevate diluizioni sono stati usati in campo umano per due secoli e, più recentemente, sono state fatte sperimentazioni in modelli animali per confermare i loro effetti terapeutici e per studiare il loro modo d’azione. Queste elevate diluizioni hanno provocato effetti consistenti in animali quali gatti, ratti, topi, uccelli, anfibi e pesci. Il principio base delle sperimentazioni animali è quello di indurre artificialmente una malattia e testare su di essa appropriati rimedi. Alcuni modelli, come la catalessi ed il riflesso di raddrizza-

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CAPITOLO 2

mento, sono modelli che non implicano sacrificio di animali e che possono essere facilmente usati per testare di effetti biologici dei medicamenti dinamizzati. In sintesi, si è dimostrato che la Nux vomica dinamizzata ha ridotto significativamente l’introduzione di etanolo nei ratti ed ha reversibilizzato i cambiamenti degenerativi indotti dall’etanolo nei plessi nervosi adrenergici delle valvole atrioventricolari dei ratti. Cina dinamizzata, Calcarea fluorica e Thuja occidentalis hanno ridotto l’infezione da Trichinella spiralis nel topo albino. Cina dinamizzata ha anche ridotto l’infezione da Dirofilaria immitis nei cani. Le alte diluizioni non hanno ucciso i parassiti nematodi direttamente, ma hanno probabilmente avuto un effetto mediato dal sistema immunitario degli animali trattati. In esperimenti elettrofisiologici, Arnica montana, Hypericum perforatum e Arsenicum album somministrati sulla lingua hanno modificato la velocità di scarica dei neuroni ipotalamici laterali in gatti anestetizzati. Arnica montana 30ch, Hypericum perforatum 200ch e Arsenicum album 30ch, somministrati per via orale, hanno modificato la frequenza di scarica dei neuroni della corteccia frontale media di ratti svegli. Nux vomica dinamizzata ha aumentato l’attività dei neuroni ipotalamici laterali nei ratti alcolisti, mentre acqua distillata, Nux vomica tintura madre ed etanolo 20% l’hanno ridotta. Natrum muriaticum 30ch e 200ch, applicati sulla lingua di ratti albini tenuti a dieta ipersalina, hanno prodotto effetti inibitori sui neuroni ipotalamici laterali, mentre l’acqua distillata ha mostrato un effetto eccitatore sugli stessi neuroni. Phosphorus 200ch ha prodotto effetti inibitori sui neuroni ipotalamici di ratti che avevano ricevuto Natrum muriaticum 30ch, una dose al giorno per 18 giorni, mentre anche qui l’acqua distillata ha prodotto effetti eccitatori. Agaricus muscarius 12ch, somministrato per via orale al topo, ha aumentato i livelli di acido diidrossifenilacetico (metabolita della dopamina) e di acido 5idrossiindolacetico (metabolita della serotonina) nell’ipotalamo del topo, indicando che in questi casi si verifica un aumento della trasmissione nelle aree dopaminergiche e serotoninergiche del sistema nervoso. Tutti questi risultati indicano che i neuroni ipotalamici e corticali giocano un importante ruolo nel mediare l’azione terapeutica delle potenze omeopatiche. A livello fitoterapico, Arsenicum album 199ch e Kali iodatum 200ch hanno ridotto la degenerazione dei frutti del guava e del mango. Cina 1000ch, applicato con uno spray fogliare, ha ridotto la malattia parassitaria delle radici delle piante, causata da parassiti nematodi. Lo stesso rimedio ha aumentato la difesa naturale nelle piante ed ha quindi ridotto l’infezione da parassita. Sono stati osservati gli effetti delle alte diluizioni in test in vitro su organi isolati, colture cellulari e persino macromolecole proteiche. Cloruro di mercu-

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rio (Mercurius corrosivus) 30ch e ioduro di mercurio (Mercurius iodatus) 30ch hanno aumentato l’attività di un enzima idrolitico in vitro. Abbiamo anche dimostrato che l’efficacia delle alte diluizioni prodotte in acqua viene persa più velocemente di quella delle alte diluizioni prodotte in soluzione idroalcolica. Mercurius corrosivus 30ch e Nux vomica 30ch hanno alterato la permeabilità all’acqua degli eritrociti di pesce in vitro, indicando che l’influenza delle alte diluizioni potrebbe coinvolgere le proteine che fanno da canale all’acqua e che vengono denominate acquaporine.

Capitolo 3

STUDI ED IPOTESI SULLE BASI FISICOCHIMICHE Abbiamo già notato nel primo capitolo (sezione 4) che i medicinali omeopatici dinamizzati sono preparati in etanolo in fase idroalcoolica, di solito in etanolo 90%, e che in genere i medici omeopati li prescrivono dalla trentesima potenza in su.26 Abbiamo anche notato che queste potenze hanno effettivamente delle azioni cliniche, che ci sono evidenze di una efficacia su animali e piante e che ci sono anche differenze di efficacia tra le potenze preparate con diversi metodi. In particolare, abbiamo notato che anche le potenze preparate con acqua pura sono efficaci, benché siano meno stabili nel tempo. Veniamo ora ad esaminare le ipotesi sulla natura fisica dei medicinali dinamizzati. Il principio attivo è costituito da molecole del rimedio in questione o da qualcos’altro? Pare ovvio che quando una soluzione o sospensione di qualsiasi sostanza in un solvente è progressivamente diluita, la diluizione dovrebbe contenere sempre meno molecole del principio attivo presente all’inizio. La massa di una mole di una sostanza, ad esempio Natrum muriaticum, specificata dalla sua formula chimica (in questo caso NaCl), si ottiene sommando le masse in unità atomiche di tutti gli atomi che compongono la formula esprimendo il risultato (“peso molecolare”) in grammi. Una mole di una sostanza è la quantità in grammi che contiene un numero di molecole (o di altre strutture fondamentali) corrispondente al numero di Avogadro e precisamente 6.022 x 1023. Avogadro formulò la sua ipotesi nel 1812 e l’ipotesi fu confermata nel 1909 dal classico esperimento di Giambattista Perrin e successivamente da altri fisici (Alberty e Silbey, 1995; Vemulapalli, 1997). Perciò, Hahnemann, quando propose di utilizzare medicamenti altamente diluiti, non poteva sapere che le sue potenze medicinali effettivamente superavano in molti casi il numero di Avogadro.27 Ad esempio, se un rimedio è diluito successivamente con il solvente nella proporzione di 1:100 per 12 volte, cioè fino alla dodicesima potenza, la sua diluizione è di 1024 volte e la sua concentrazione (partendo da una soluzione 1 mole/litro) è di 10-24 moli/litro. Poiché il numero di Avogadro per qualsiasi sostanza è di 6.022 x 1023/moli, le potenze dalla 12a centesimale in poi, ottenute 26 27

In Francia e in Germania, in realtà, si usano prevalentemente le potenze inferiori alla 30ch. Perché la scoperta di Avogadro fu postuma a quella di Hahnemann.

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partendo da una mole di qualsiasi sostanza, non dovrebbero contenere più alcuna molecola del principio attivo. Se poi la diluizione è preparata, come spesso è il caso, da una quantità di sostanza inferiore ad una mole, il numero di diluizioni centesimali necessarie per arrivare alla virtuale assenza di molecole attive è ancora minore di 12. In sintesi, per la legge formulata da Avogadro, tutte le alte potenze di un medicinale omeopatico contengono solo le molecole del mezzo diluente, cioè acqua ed etanolo. Ci sono molte ipotesi ed esperimenti che hanno tentato di svelare i misteri delle basi fisiche dei medicamenti dinamizzati. Tutte le ipotesi sono basate sulle caratteristiche e sulle proprietà delle molecole del mezzo diluente. Questi lavori sono già stati precedentemente analizzati (Rubik, 1989; Jacobs e Moskowitz, 1996; Sukul, 1997). L’ipotesi prevalente, proposta già da Barnard (1965), sostiene che durante il processo di succussione si formerebbero dei polimeri che si pensa possano assumere configurazioni specifiche secondo la natura chimica della sostanza disciolta. Callinan (1986) ha proposto che l’energia vibrazionale delle molecole d’acqua venga molto aumentata, rispetto allo stato fondamentale, dalla succussione. Gli effetti cumulativi di questa energia potrebbero influenzare l’aggregazione di molecole d’acqua e portare a delle configurazioni di aggregati stabili, detti cluster o clatrati. Secondo Sharma (1984 e 1986), la risonanza dei doppietti di elettroni di non-legame nei gruppi -OH di diverse molecole del diluente contribuirebbe alle basi fisiche dei rimedi dinamizzati. Differenti mezzi di diluizione e di triturazione (acqua, etanolo, lattosio), usati nel dinamizzare i rimedi omeopatici, hanno in comune la presenza di gruppi -OH nelle loro molecole. Abbiamo detto che le molecole d’acqua possono formare, attorno alle molecole o alle particelle di un rimedio, dei cluster, detti anche clatrati (Wei et al., 1991). Anagnostatos et al. (1991 e 1993) hanno ipotizzato che le molecole di una sostanza poste al centro dei clatrati, rappresentati come dei gusci di molecole d’acqua, vengano rimosse per l’effetto della forza generata dalla succussione. I clatrati liberi (o vuoti) rimangono tali e vengono immediatamente circondati da molecole d’acqua. Con la succussione, anche le molecole della sostanza che sono state rimosse vengono circondate da molecole d’acqua e si generano nuovi clatrati. Tutte queste strutture formate da molecole d’acqua potrebbero portare il messaggio delle molecole di rimedio, anche quando queste ultime diminuiscono nel corso di successive diluizioni e succussioni. Oltre a queste teorie, sono stati condotti vari esperimenti sui mezzi di diluizione per scoprire le basi fisiche di un rimedio dinamizzato. Di seguito sono presentati i risultati ottenuti con analisi spettroscopiche di potenze omeopatiche.

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3.1. Spettroscopia RMN Prima di descrivere le applicazioni della Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) ai rimedi omeopatici, discutiamo brevemente i principi-base della spettroscopia RMN, premessa necessaria per comprendere il significato delle misure che vedremo effettuare. Questa spettroscopia è un potente strumento per indagare le caratteristiche strutturali delle molecole. Come la spettroscopia ultravioletta, visibile e infrarossa, la misura RMN valuta l’assorbimento di energie fisiche da parte della materia. I nuclei di alcuni isotopi possiedono uno spin, cioè un movimento di rotazione, ed il momento angolare totale dipende dallo spin nucleare, detto numero di spin o I. Il valore numerico di I, che è correlato alla massa atomica ed al numero atomico, può essere 0, 1/2, 1, ecc. Il solvente delle potenze omeopatiche è di solito acqua o una miscela d’acqua ed etanolo. Ovviamente il solvente (o mezzo) è fatto di molecole di idrogeno (protoni), ossigeno e carbonio. Il protone (H) ed il deuterio (2H) hanno un numero di spin di 1/2 e 1 rispettivamente. Il carbonio (12C) e l’ossigeno (16O) hanno I = 0 e sono non magnetici. Ciascun nucleo in cui il valore di I è maggiore di 0 ha un caratteristico momento magnetico. Poiché un nucleo atomico ha una carica elettrica associata, il nucleo rotante produce un campo magnetico con il suo asse che è in linea con l’asse dello spin. In un campione di H2O i momenti magnetici dei nuclei sono orientati in modo casuale. Se il campione è posto in un campo magnetico uniforme detto “Ho”, i nuclei tendono ad allinearsi lungo tale campo ma, poiché il nucleo è in rotazione, il suo asse non sarà perfettamente parallelo o antiparallelo al campo magnetico applicato. Quindi ci sarà un angolo di una certa grandezza fra l’asse dello spin ed il campo magnetico, col risultato di un movimento circolare dell’asse dello spin attorno ad Ho. Questo movimento del nucleo è chiamato precessione (Fig. 6). Il movimento di precessione è simile a quello di una trottola quando comincia a rallentare, il cui asse di rotazione produce una seconda rotazione, oltre a quella della trottola stessa, attorno al campo gravitazionale della terra. La frequenza del movimento precessione è la cosa più importante nella spettroscopia RMN. In termini di meccanica quantistica, il numero di spin I determina anche il numero di orientamenti che un nucleo può assumere in un campo magnetico uniforme esterno secondo la formula 2I+1. Poiché il protone ha un numero di spin I = 1/2, esso avrà in totale due livelli di energia (21/2+1 = 2); l’orientamento di livello più basso corrisponde allo stato in cui il momento magnetico nucleare è allineato in modo parallelo al campo magnetico esterno, mentre l’orientamento di maggiore energia corrisponde allo stato in cui il mo-

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CAPITOLO 3

mento magnetico nucleare è orientato in modo antiparallelo (opposto) al campo Ho. Tuttavia, le due popolazioni non sono in perfetto equilibrio, essendovi un lieve eccesso dei nuclei dello stato di energia inferiore. È possibile indurre delle transizioni da uno all’altro di questi orientamenti dei nuclei. Orbita di precessione

Nucleo rotante

Momento di dipolo nucleare magnetico ()

Fig. 6 - Movimento di precessione di un nucleo attorno ad un determinato campo magnetico applicato chiamato Ho.

La frequenza di precessione di un nucleo rotante è esattamente uguale alla frequenza della radiazione elettromagnetica necessaria a indurre la transizione da uno stato di spin nucleare ad un altro. La radiazione elettromagnetica è un campo elettrico oscillante nello spazio che si propaga alla velocità della luce. Essa ha un vettore elettrico E che è diretto lungo lo spostamento dell’onda. Il vettore elettrico ha un campo magnetico associato, che genera un vettore H, perpendicolare al vettore elettrico ed alla direzione di propagazione dell’onda. Nella tecnica RMN si applica un’energia elettromagnetica in modo che la sua componente magnetica H1 sia ad angolo retto rispetto all’asse del principale campo magnetico esterno Ho e ruoti insieme al protone. Quando la frequenza della componente magnetica rotante è uguale a quella del nucleo in precessione, essi entrano in risonanza e può avvenire un assorbimento di energia da parte del nucleo stesso. Poiché c’è un eccesso di nuclei con basso stato di energia, ciò dà luogo ad un assorbimento netto di energia nella regione di radiofrequenza applicata. Al punto di risonanza, l’assorbimento di energia raggiunge un

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massimo ed i nuclei in precessione sono spinti via dall’allineamento col campo magnetico e mandati nella direzione del piano orizzontale (Fig. 7).

Fig. 7 - Componente magnetica H1 dell’energia elettromagnetica applicata alla radiofrequenza in rotazione con il protone in precessione.

La componente magnetica generata su questo piano orizzontale è misurabile. Essa può essere prodotta tenendo costante Ho e cambiando la frequenza del generatore di onde elettromagnetiche che ha il suo asse ad angolo retto con il principale campo elettromagnetico Ho. Oppure, si tiene costante la frequenza dell’oscillatore e si varia Ho in un range molto preciso. Quando la popolazione di nuclei in basso stato di energia viene elevata allo stato di energia maggiore per l’assorbimento di energia esterna, l’intensità del segnale diminuisce fino a scomparire. Questo fenomeno, in cui la popolazione dei nuclei con i due stati diversi di spin si equivale, è conosciuto come saturazione. Tuttavia, esiste un meccanismo per cui i nuclei con lo stato di energia più alto possono rilasciare la loro energia all’ambiente circostante e ritornare allo stato di energia più basso. Questo meccanismo è chiamato rilassamento spin-lattice o longitudinale (T1) e indica il trasferimento di energia dal nucleo con lo stato di energia elevato verso il lattice. Il termine “lattice” si riferisce al-

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la rete di molecole circostanti (ad esempio farmaci e solvente o diluente), molecole che contengono anch’esse i nuclei in precessione. Tutte queste molecole hanno movimenti traslazionali, rotazionali e vibrazionali ed hanno proprietà magnetiche. Perciò, nel lattice molecolare esiste una grande varietà di piccoli campi elettromagnetici. Una particolare combinazione di questi piccoli campi magnetici, appropriatamente orientati nel lattice, può indurre ad una transizione da un alto ad un basso livello di energia e pertanto il rilassamento spin-lattice continua a mantenere un certo numero di nuclei nello stato di bassa energia, che è la condizione necessaria per l’osservazione del fenomeno RMN. Un altro tipo di rilassamento è conosciuto come rilassamento spin-spin o trasversale (T2) e coinvolge il trasferimento di energia da un nucleo ad un altro nucleo, senza una perdita netta di energia. Ciò provoca la dispersione di energia tra nuclei contigui, cosa che risulta in un allargamento della banda di assorbimento. Questo tipo di rilassamento non contribuisce al mantenimento di un eccesso di popolazione di nuclei in un livello basso di energia. L’ampiezza naturale di una linea spettroscopica è inversamente proporzionale alla durata dello stato eccitato. Perciò, linee di risonanza strette sono osservate negli stati di eccitazione prolungata, mentre linee più piatte sono osservate negli stati di eccitazione breve. Entrambi i tipi di rilassamento, spin-spin e spin-lattice, contribuiscono all’ampiezza della linea spettroscopica. La maggior parte dei solidi ed i liquidi viscosi mostrano dei rilassamenti spin-lattice molto lunghi e dei rilassamenti spin-spin molto corti. In caso di liquidi organici non viscosi e di sostanze in soluzione, le linee di risonanza sono appiattite e, quindi, i tempi di rilassamento sono corti. L’ampiezza di una linea spettroscopica è influenzata da altri due fattori. La presenza di molecole paramagnetiche, come l’ossigeno disciolto, causa una riduzione del T1 per la presenza di intensi campi magnetici associati con le componenti paramagnetiche del lattice. Dato che il momento magnetico dell’elettrone è circa mille volte più grande del momento magnetico del nucleo, i rilassamenti nucleari saranno rapidi, essendo dominati dagli elettroni spaiati dell’ossigeno. Perciò, se si vuole avere una misura precisa del tempo di rilassamento di un campione, esso deve essere degassato prima di ottenere uno spettro RMN. Non è noto se il processo di degassamento finisca col causare qualche modifica dell’efficacia di una potenza omeopatica in acqua o in etanolo in fase idroalcoolica, che sono i consueti mezzi diluenti dei rimedi omeopatici. Tuttavia, allo scopo di effettuare un confronto tra una potenza omeopatica ed il suo mezzo diluente, non è necessario degassare le soluzioni. Infatti, se il rimedio dinamizzato ed il mezzo usato come controllo sono stati preparati allo

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stesso modo e con lo stesso diluente, è probabile che le due preparazioni messe a confronto contengano la stessa quantità di ossigeno disciolto. I nuclei con i numeri di spin maggiore di 1/2, come il deuterio, hanno momenti elettrici quadripolari e brevi tempi di rilassamento spin-lattice. Le velocità di rilassamento R1 ed R2 sono espresse come reciproco dei tempi di rilassamento T1e T2, cioè come 1/T1 e 1/T2, rispettivamente. Nell’esperimento RMN, come si è detto, una popolazione di nuclei è spinta da un livello di energia ad un altro livello per l’applicazione di una radiazione elettromagnetica di appropriata frequenza. Questa è la fase di eccitazione. Alla sospensione della radiazione, i nuclei tornano all’equilibrio per il fenomeno del rilassamento spin-lattice, perché l’eccesso di energia passa dagli spin nucleari al lattice circostante sotto forma di calore. Il processo di rilassamento richiede campi magnetici che siano fluttuanti all’appropriata frequenza. I campi dominanti originano dai momenti magnetici dei protoni delle molecole che sono in movimento nella soluzione. Questa è l’interazione dipolo-dipolo. La velocità del rilassamento dipolo-dipolo dipende dalla frequenza e dalla forza dei campi magnetici fluttuanti. Tali campi magnetici, a loro volta, dipendono da tre fattori: 1 - la distanza tra i nuclei coinvolti, 2 - il tempo effettivo di correlazione, Tc del vettore che unisce i nuclei, 3 - la natura stessa dei nuclei. Tc è il tempo medio di rotazione o approssimativamente il reciproco della velocità di rotazione in soluzione della zona molecolare coinvolta (Sanders e Hunter, 1993). Per l’interazione di un’energia di radiofrequenza con il forte campo magnetico di un protone, dovrebbe apparire un solo picco di risonanza RMN, la cui area, misurata integrando la superficie, è proporzionale al numero di protoni che il picco rappresenta. Tuttavia, l’elaborazione degli spettri consente di evidenziare un’altra caratteristica della sostanza in esame, detta spostamento chimico (“chemical shift”) del picco. Il fenomeno è dovuto al fatto che il nucleo è schermato in qualche modo dalla sua nube elettronica, la cui densità varia secondo l’ambiente. Protoni in diversi ambienti sono schermati in diverso modo per la presenza di diverse nubi elettroniche circostanti. Il risultato è usualmente espresso come uno spostamento della frequenza di risonanza del protone, causato dalla nube elettronica circostante, e la posizione del segnale di un particolare protone è spesso espresso come lo spostamento chimico del protone stesso. Gli spostamenti chimici sono valutati usando un protone di un adatto composto, posto come riferimento. Il composto standard più comunemente usato a tale scopo è il tetrametilsilano (TMS), che è chimicamente inerte, magneticamente isotropico, volatile (evaporazione a 27°C) e solubile nella maggior parte

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dei solventi organici. In pratica, il TMS può essere usato come riferimento rispetto al quale si misura lo spostamento chimico: questa sostanza è tenuta in un capillare sigillato e immerso nel campione. Altre sostanze di riferimento per le soluzioni acquose sono il DSS, l’acetonitrile ed il diossano (Silverstein et al., 1981).

Fig. 8 – Formula di struttura del tetrametilsilano.

La posizione del segnale RMN del campione in oggetto di studio è registrata in Hertz (Hz), come differenza tra le posizioni del segnale osservato e del segnale di riferimento. L’intervallo di frequenza è di solito di 500 Hz. Quando gli spostamenti chimici del picco (designati come ) sono dati in Hz, si deve specificare la frequenza applicata. È possibile esprimere gli spostamenti chimici del picco RMN, indipendentemente dalla frequenza applicata, dividendo  per la frequenza applicata e moltiplicando per 106: il risultato viene quindi espresso in parti per milione (ppm). Nel sistema delta () si assegna il valore di zero al segnale di riferimento (TMS) e la posizione degli altri segnali è espressa in ppm di differenza. Un  di valore alto indica che il campo magnetico risultante attorno al protone è più basso. Un sistema alternativo tau () assegna un valore di 10 al segnale di riferimento (TMS) ed esprime il risultato come  = 10 -  Per spostamenti di picco ottenuti a campi magnetici maggiori del TMS ( =   = 10), i valori di  risultano con segno negativo mentre quelli di  hanno valori maggiori di 10. Nelle potenze omeopatiche, la formula del mezzo diluente, acqua o etanolo in fase idroalcoolica, è ben conosciuta. Di conseguenza, i rapporti di altezza dei picchi RMN possono essere convertiti nel numero di protoni che contribuiscono a ciascun picco.

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In qualsiasi tipo di spettro, UV, IR o RMN, i segnali (o bande) non sono strettamente lineari, ma hanno un’ampiezza definita e caratteristica. I fattori che influenzano l’ampiezza sono: a - fattori strumentali, b - fattori relativi all’ambiente in cui si trovano le molecole, c - fattori relativi alle stesse molecole (Dani, 1995). Il secondo gruppo di fattori (b) è quello più importante per l’omeopatia, mentre gli altri fattori (a e c) dovrebbero restare costanti quando una sostanza dinamizzata, ad esempio Nux vomica 30ch, è confrontata con il suo mezzo diluente (etanolo in fase idroalcoolica o acqua) nelle stesse condizioni sperimentali e con lo stesso strumento. I fattori ambientali (b), come la collisione fra molecole, reazioni di scambio e legami idrogeno, introducono leggeri cambiamenti nelle energie di transizione e queste appaiono sotto forma di allargamento del segnale. Tale allargamento può anche essere dovuto a fattori fisici legati al principio di indeterminazione di Heisenberg. Il principio stabilisce che c’è un minimo di incertezza nella stima di qualsiasi coppia di variabili fisiche, tra loro dipendenti e valutate simultaneamente. Nel nostro caso, le due variabili sono E (variazione di energia) e t (variazione della durata temporale dello stato eccitato). La durata del segnale RMN varia approssimativamente di grandezze attorno a 10-7 s: quanto più breve è la durata, tanto più ampio è il segnale. La durata del segnale è correlata alla velocità di rilassamento e quest’ultimo, a sua volta, è influenzato dai legami idrogeno, dal momento di dipolo e dalla suscettibilità magnetica del solvente usato.

3.1.1. Spettri RM delle potenze omeopatiche Dopo aver discusso i principi-base della spettroscopia RM, esaminiamo gli studi sulle potenze omeopatiche che sono stati fatti con questo metodo. I primi lavori di spettri RMN di potenze omeopatiche furono fatti da Smith e Boericke (1966 e 1968). I lavori di altri Autori (Demangeat et al., 1992; Abel et al., 2001; Milgrom et al., 2001) saranno menzionati in seguito. Nei nostri studi, abbiamo misurato il tempo di rilassamento spin-lattice (T1) in millisecondi (ms) del deuterio (2H), isotopo dell’idrogeno presente normalmente in Natura, in soluzioni di etanolo 90%, Alcoholus 30ch28 preparato senza succussione e diverse potenze di altri medicamenti, utilizzando uno spettrome28

Come riportato nella nota alla tabella 3 (capitolo2), mentre etanolo 90% è una normale soluzione idroalcolica al 90% di etanolo, Alcoholus 30ch è il medesimo etanolo preparato omeopaticamente e in particolare diluito e dinamizzato per 30 volte secondo il metodo centesimale. I medicamenti omeopatici hanno nomi latini.

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tro RMN AMX-400 funzionante alla frequenza di 61.4 MHz a 22°C. Le misure sono state fatte in molteplici esperimenti e in tempi diversi. Piuttosto che i protoni, abbiamo preferito scegliere i nuclei di deuterio per varie ragioni. Il deuterio (2H) è un nucleo quadripolare che ha un piccolo momento quadripolare di valore 1. Il rilassamento quadripolare dipende dall’interazione del momento elettrico quadripolare con un gradiente di campo elettrico. Poiché in questo caso il momento quadripolare del deuterio è piccolo, l’interazione è piccola ed il rilassamento è lento. Come tutti i nuclei quadripolari, il rilassamento del 2H è sensibile al c. Abbiamo già descritto il c, che consiste nel tempo medio di rotazione attorno al proprio asse o, approssimativamente, il reciproco della velocità di rotazione in soluzione delle componenti molecolari oggetto di studio. Le molecole che ci interessano in questo caso sono l’acqua (H2O) e l’etanolo (CH3CH2OH). I valori T1 dell’OH dell’acqua e di OH, CH2 e CH3 dell’etanolo sono stati misurati dagli spettri ed elaborati con un computer. Alcuni esempi di spettri di medicamenti dinamizzati sono riportati in Fig. 9. La componente idrossilica dell’etanolo (OH) ha il più alto spostamento chimico del picco (numero tra parentesi), seguita dall’idrossile dell’acqua (OH), dal metilene (CH2) e dai gruppi metilici (CH3) (Tab. 4). I quattro gruppi chimici dei diversi medicamenti testati e dei loro mezzi diluenti mostrano particolari variazioni nei loro spostamenti chimici del picco e nei loro valori di T1. In alcuni casi le variazioni sono molto piccole e quasi insignificanti, mentre in altri casi sono ampie. Le variazioni sono state osservate non solo in medicamenti diversi, ma anche in diverse potenze dello stesso medicamento. Ciò è particolarmente evidente nel caso di potenze di Cina e di Nux vomica (Tab. 4). Sia gli spostamenti chimici che i valori T1 di diversi medicamenti mostrano delle notevoli variazioni, con riferimento ai gruppi idrossilici dell’acqua e dell’etanolo.

BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI

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Etanolo 90%

Alcoholus 30 (non succusso)

Alcoholus 30 (succusso)

Nux vom 30 (non succusso)

Nux vom 30 (succusso)

Fig. 9. Alcuni spettri RM del 2H della soluzione di etanolo 90%, di Alcoholus 30ch (non succusso), di Alcoholus 30ch (succusso), di Nux vomica 30ch (non succussa), di Nux vomica 30ch (succussa), ottenuti con uno spettrometro RMN AMX-400, a 61.4 MHz a 22°C.

Entrambi i rilassamenti, spin-lattice e spin-spin, dipendono dalle velocità del movimento molecolare, poiché il rilassamento deriva dall’interazione dei campi magnetici fluttuanti dei nuclei nel lattice (Connors, 1987). Sempre in Tab. 4, si nota che i valori T1 sono più grandi nel CH2 e nel CH3 rispetto al gruppo idrossilico OH dell’acqua e dell’etanolo. Ciò indica che i gruppi idrossilici, che possiedono più siti di legame, sono più immobilizzati dal legame molecolare ed hanno dei tempi di rilassamento più corti.

Medicamento omeopatico Etanolo 90% Etanolo 90% (degassato)

Acqua OH 110.79 (4.95) 97.26 (5.9)

Etanolo OH CH2 106.90 846.48 (5.65) (3.93) 97.66 864.58 (6.64) (4.87)

CH3 822.57 (1.50) 751.95 (2.44)

90

CAPITOLO 3

Alcoholus 30ch (non succusso) Alcoholus 30ch Alcoholus 30ch (sonicato 5 min) Agaricus muscarius Ө Agaricus muscarius Ө (sonicato 5 min) Agaricus muscarius 200ch

122.82 (4.96) 87.53 (4.99) 115.50 (5.02) 221.94 117.94 (4.96) 101.09 (5.29)

Cantharis vesicatoria Ө Cantharis vesicatoria 200ch Cina Ө

Cina 200ch Cina 1000ch Cocculus indicus 30ch Iodium 29ch (irradiato con UV per 5 min) Kali nitricum 30ch (degassato) Kali nitricum 30ch (sonicato 30s) Mercurius corrosivus 30ch (degassato) Mercurius solubilis 200ch Naja tripudians 200ch Nux vomica Ө Nux vomica 30ch (non succussa) Nux vomica 30ch Nux vomica 30ch (sonicata 5 min) Nux vomica 200ch

65.61 (5.93) 102.50 (4.70) 86.77 (5.01) 107.71 (5.03) 113.86 (5.16) 97.88 (5.88) 87.25 (6.04) 97.31 (5.91) 139.22 (4.99) 99.02 (5.16) 112.23 (5.16) 68.54 (5.03) 119.58 (4.57) 123.38 (4.97) 102.67 (4.58)

124.41 (6.67) 108.23 (5.42) 106.66 (5.70) 104.69 (5.75) 93.75 (5.88) 101.72 (6.58) 89.76 (6.74) 91.88 (6.62) 106.28 (5.74) 91.94 (5.87) 93.05 (5.9) 109.63 (5.74) 109.83 (5.26) 111.82 (5.69) 93.33 (5.31) 128.24 (5.52)

Nux vomica 1000ch Phosphorus 32ch (sonicato 30s)

104.29 (5.67) 95.58 (5.99) 115.51 (5.52) 125.66 (5.35) 150.58 (5.54) 104.30 (5.28)

Agaricus muscarius 1000ch

Cina 32ch

74.87 (5.66) 100.20 (5.74) 109.03 (5.73)

98.54

83.34

935.69 (3.95) 969.44 (4.03) 857.89 (3.99) 894.35 847.33 (3.95) 916.39 (4.25) 860.68 (4.21) 954.24 (3.99) 942.04 (4.04) 883.45 (3.85) 1019.00 (4.98) 867.44 (3.67) 971.69 (3.98) 923.42 (4.01) 895.50 (4.12) 826.80 (4.83) 849.63 (4.98) 842.14 (4.85) 991.38 (4.01) 849.99 (4.12) 894.71 (4.12) 977.18 (4.01) 840.40 (8.50) 872.91 (3.96) 827.41 (3.56) 879.64 (3.95) 854.68

819.74 (1.53) 876.65 (1.59) 802.69 (1.56) 739.27 854.75 (1.52) 735.51 (1.82) 718.68 (1.78) 855.32 (1.56) 856.79 (1.63) 776.07 (1.92) 864.29 (2.55) 792.67 (1.24) 857.57 (1.55) 798.69 (1.58) 778.23 (1.68) 722.52 (2.39) 711.10 (2.53) 744.12 (2.39) 807.57 (1.59) 790.44 (1.70) 777.66 (1.68) 885.88 (1.59) 758.78 (1.07) 839.73 (1.52) 790.59 (1.13) 839.66 (1.53) 754.12

BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI Phosphorus 32ch (sonicato 30s, degassato) Santoninum 200ch Strychninum purum Ө Thuja occidentalis 30ch

(6.74) 88.48 (5.78) 94.77 (5.81) 101.66 (5.10) 69.95 (5.89)

(6.06) 87.09 (6.50) 95.15 (6.54) 99.12 (5.80) 81.46 (6.64)

(4.98) 807.67 (4.74) 994.95 (4.80) 845.06 (4.04) 844.46 (4.89)

91 (2.55) 734.57 (2.29) 752.21 (2.36) 819.41 (1.62) 778.20 (2.43)

Tab. 4 - Tempo di rilassamento spin-lattice (T1) del deuterio (2H) per quanto riguarda l’etanolo 90% e medicamenti omeopatici dinamizzati in etanolo 90%. Tra parentesi sono riportati gli spostamenti chimici in ppm. Le misure sono state effettuate con uno spettrometro RMN AMX-400, a 61.41 MHz e a 22°C. A parte il controllo con etanolo 90% che è stato messo all’inizio, i medicamenti omeopatici sono stati poi inseriti secondo l’ordine alfabetico. Sono riportate potenze omeopatiche preparate con sonicazione per 30 secondi o per cinque minuti, ad ogni passaggio di diluizione. Lo Iodium 29ch è stato preparato senza succussione, ma con irradiazione ultravioletta ad ogni passaggio di diluizione. Tutte le altre potenze omeopatiche sono state preparate con succussione manuale. Alcune potenze sono state degassate per 1 ora per rimuovere l’ossigeno disciolto. Tutti i medicamenti menzionati, incluse le tinture madri, erano in etanolo 90%.

I valori T1 sono inoltre correlati ai volumi molari delle sostanze. Le sostanze in cui i nuclei magnetici sono molto distanti, o hanno piccoli momenti magnetici, mostrano dei valori T1 più lunghi (Bovey, 1969). In soluzioni non-ideali come l’etanolo in fase idroalcoolica, le molecole di diversi tipi possono attrarsi o respingersi vicendevolmente più che nelle soluzioni composte da molecole dello stesso tipo. Inoltre, la miscelazione può sia aumentare che diminuire la distanza media fra le molecole, cosa che, a sua volta, cambia il volume molare complessivo rispetto alla somma dei volumi di tutte le componenti (Vemulapalli, 1997). Haseba et al. (1993) hanno osservato che l’etanolo sonicato è fisicamente più compatto e omogeneo rispetto all’etanolo non sonicato. Quindi, la sonicazione e la succussione dovrebbero alterare il volume molare di un rimedio dinamizzato portando ad un cambiamento nei valori T1. L’osservazione sperimentale di diversi valori T1 del nucleo di deuterio di diversi medicamenti e dei loro diluenti (etanolo 90%) (Tab. 4) potrebbe essere attribuita a questo fattore di cambiamenti di distanza fra le molecole. Per l’associazione tra molecole della stessa specie o di specie diverse, possono intervenire dei cambiamenti nella distanza tra molecole di farmaci e tra molecole del mezzo di diluizione. Nelle soluzioni da noi considerate, si formano associazioni tra molecole d’acqua e di etanolo per la formazione di legami

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CAPITOLO 3

idrogeno (O-HO). Questo tipo di associazione mediante legami idrogeno coinvolge un legame tra un numero relativamente ampio, ma non precisamente conosciuto, di singole molecole (vedi ad esempio la Fig. 10). Il fatto che l’atomo di ossigeno dell’acqua o dell’etanolo abbia due elettroni spaiati, rende possibile la formazione di due legami idrogeno con altri atomi di ossigeno della soluzione, oltre a due legami covalenti con atomi di idrogeno, i quali a loro volta potranno entrare in legame idrogeno con altri atomi di ossigeno. In totale, ogni molecola d’acqua può stabilire fino ad un massimo di 4 legami idrogeno con altre 4 molecole d’acqua vicine. La differenza dei valori T1 che si osserva nella stessa colonna in Tab. 4 può essere dovuta alle associazioni inter-molecolari di questo tipo. Abbiamo già ricordato il fatto che i valori T1 dipendono dalle velocità di movimento molecolare.

Etanolo

Acqua

Fig. 10. Legami covalenti () e legami idrogeno () in e tra molecole di etanolo ed acqua.

Haseba et al. (1993) hanno riportato che il movimento termico delle molecole d’acqua è maggiore nell’etanolo sonicato piuttosto che in quello non sonicato. Questi ricercatori hanno misurato i valori T1 del deuterio (2H) di molecole d’acqua (2HO2H/-O2H) in acqua pura e in soluzioni di etanolo in fase idroalcoolica. Ovviamente, il moto termico delle molecole d’acqua in medicamenti dinamizzati, preparato mediante succussione o sonicazione, può cambiare e quindi possono cambiare i valori di T1. Le molecole paramagnetiche come l’ossigeno disciolto riducono fortemente i valori T1 a causa dei grandi campi magnetici associati con la componente paramagnetiche delle lattice (Dyer, 1994). Questa potrebbe essere la ragione per cui in Tab. 4 si osservano dei valori di T1 ridotti nell’etanolo 90% degassato rispetto all’etanolo 90% normale in tre nuclei su 4 misurati (OH dell’acqua, OH e CH3 dell’etanolo). Il Phosphorus 32ch (degassato) e il Phosphorus 32ch normale mostrano un simile effetto di riduzione del T1 in tre nuclei su 4 misurati. Tuttavia, la situa-

BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI

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zione è inversa nel caso di Kali nitricum 30ch (degassato), che ha valori di T1 maggiori rispetto a Kali nitricum 30ch (sonicato, non degassato). Quindi, rimane dubbio il ruolo dell’ossigeno disciolto nell’alterare il parametro T1 in questi esperimenti. Inoltre, se è vero che l’ossigeno disciolto può essere considerato un fattore che potenzialmente altera le misure, va però detto che nel nostro caso si confrontano soluzioni di controllo e di rimedio che hanno teoricamente la stessa concentrazione di ossigeno. La Tab. 4 mostra differenze tra i medicamenti dinamizzati ed il loro mezzo diluente anche per ciò che concerne gli spostamenti chimici del picco RMN (valore tra parentesi), indicando l’esistenza di diversi effetti di schermatura della nube elettronica sui nuclei di deuterio. Nelle molecole lineari come l’etanolo, un importante contributo alla schermatura di un protone è l’effetto paramagnetico dovuto alla circolazione di elettroni attorno agli atomi di carbonio e ossigeno. Il grado di schermatura elettronica dipende chiaramente dalla densità elettronica attorno al protone: quanto più alta è la densità elettronica attorno al protone tanto maggiore è la schermatura e quindi il campo magnetico (alto valore di ) a cui il protone assorbe nell’indagine spettroscopica RMN (Dyer, 1994). I gruppi idrossilici dell’acqua e dell’etanolo partecipano sia all’auto-assemblaggio delle stesse molecole, sia all’associazione intermolecolare attraverso i legami idrogeno. I protoni nei legami idrogeno, particolarmente nell’auto-assemblamento, hanno mostrato una grande capacità di resistere alla schermatura dell’ambiente elettronico (Bovey, 1969). Pertanto, le differenze degli spostamenti di picco osservate confrontando i medicamenti dinamizzati con i loro mezzi di diluizione a riguardo del nucleo di deuterio, come riportato in Tab. 4, possono essere attribuite ai diversi tipi di associazione di auto-assemblaggio ed associazione inter-molecolare nell’acqua e nell’etanolo. La Tab. 4 mostra anche che alcune tinture madri, come Agaricus muscarius  (o TM), Cantharis vesicatoria , Cina , hanno tre picchi invece di quattro. In tutti questi casi, i picchi idrossilici (OH) dell’etanolo e dell’acqua si sono sovrapposti. La posizione precisa del segnale protonico nell’idrossile dipende dal tempo che il protone passa associato ad una data molecola di etanolo. In un dato periodo di tempo, lo stesso protone idrossilico può essere attaccato a diverse molecole di etanolo. La velocità di cambiamento chimico (trasferimento protonico) nell’etanolo puro è relativamente lenta, ma essa è notevolmente aumentata dalla presenza di sostanze di natura acida e/o basica. Nelle tinture madri, la presenza di varie sostanze di origine vegetale potrebbe aver causato tale aumento di scambi chimici e lo spostamento dei picchi, fino alla sovrapposizione con quelli dell’acqua. La sovrapposizione di due picchi idrossilici è stata osservata anche in medicamenti dinamizzati come Agaricus muscarius 1000ch, Cantharis vesicatoria 200ch e Nux vomica 1000ch (Tab. 4). Anche in questi casi si è prodotto un cambiamento fisico-chimico della soluzione che favorisce

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un rapido scambio chimico dei protoni fra due specie idrossiliche (d’acqua e/o etanolo), che alla fine si traduce in una singola linea di risonanza. Altri Autori hanno effettuato misure RMN su potenze omeopatiche. Demangeat et al. (1992) hanno riportato un aumento del tempo di rilassamento del protone (T1) a 4 MHz in alte diluizioni di soluzioni saline (NaCl 0.9%) di miscele di silice/lattosio, rispetto ad un controllo di sola soluzione salina. Abel et al. (2001) hanno ottenuto spettri 1H RMN e calcolato valori di T1 di potenze di Sulphur, da D4 a D30, e di Betula 30ch a 300 e 500 MHz e non hanno trovato differenze negli spettri e nei valori T1 fra le potenze omeopatiche ed i controlli. Milgrom et al. (2001) hanno studiato i tempi di rilassamento T2 spin-spin di Nitricum acidum dinamizzato e non dinamizzato e non hanno trovato differenze fra le diverse soluzioni nel T2.29

3.2. Spettroscopia all’infrarosso Iniziamo col presentare i principi base della spettroscopia all’infrarosso (IR) e poi discuteremo le sue applicazioni all’omeopatia. Una molecola è fatta di atomi dotati di movimento, cioè che non rimangono in posizioni fisse. In un modello didattico, gli atomi possono essere considerati come delle palline e le molecole come un assemblaggio di palline con diverse masse e con diverse direzioni di movimento, corrispondenti ai legami chimici della molecola stessa. Una molecola ruota nella sua interezza, ma anche i suoi legami interni vanno incontro a vibrazioni e si muovono pure gli elettroni. Ci sono due tipi fondamentali di vibrazioni nelle molecole: 1 - stiramento (stretching), in cui la distanza tra due atomi aumenta o diminuisce, ma gli atomi rimangono sullo stesso asse di legame e 2 - piegamento (bending, o deformazione) in cui la posizione degli atomi cambia rispetto all’originale asse di legame (Fig. 11).

29

Un altro tentativo di trovare delle caratteristiche modifiche negli spettri di potenze omeopatiche con RMN, pubblicato nel 2004, ha dato risultati negativi (Anick DJ. High sensitivity 1H-NMR spectroscopy of homeopathic remedies made in water. BMC Complement Altern Med. 2004;4:15).

BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI

Simmetrica

Vibrazioni di stiramento (stretching)

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Asimmetrica

Vibrazioni di piegamento (bending)

Fig. 11 - Le frecce rappresentano le vibrazioni di stiramento e di piegamento del legame O-H nelle molecole d’acqua.

Ciascuno di questi tipi di movimento è quantizzato, cioè la molecola può esistere solo in stati definiti che corrispondono a contenuti discreti di energia. Per esempio, una molecola in rotazione non può ruotare con qualsiasi velocità ed energia rotazionale, ma può avere solo certe velocità e certe energie. Lo stesso vale per le energie vibrazionali ed elettroniche. Pertanto, una certa serie di vibrazioni di stiramento e di piegamento possono avvenire solo a certe frequenze quantizzate. Quando una luce infrarossa della stessa frequenza vibrazionale intercetta una molecola, il quanto luminoso viene assorbito e l’energia e l’ampiezza di vibrazione di quella molecola aumentano. Quando la molecola ritorna dal suo stato eccitato allo stato fondamentale, l’energia assorbita è rilasciata come calore o come un altro quanto luminoso. Ogni tipo di radiazione elettromagnetica, come onde radio, luce ultravioletta, infrarossa, visibile ecc., ha una duplice natura di onda e di particella: la radiazione elettromagnetica può essere descritta come un’onda che si sposta simultaneamente nei campi elettrici e magnetici, oppure come una particella, chiamata quanto di luce o fotone. La radiazione è caratterizzata da una lunghezza d’onda () e da una frequenza (), che è definita come il numero di cicli completi per secondo (cps), espressi anche con l’unità di misura detta Hertz (Hz). Lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali:

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 = C/  dove C e  sono rispettivamente la velocità della luce e la lunghezza d’onda in centimetri. L’energia di un quanto di radiazione elettromagnetica è correlata direttamente con la sua frequenza. Tanto più alta è la frequenza della radiazione tanto maggiore sarà la sua energia, secondo la formula: E = h·  dove h è la costante di Planck. Le molecole assorbono la radiazione in “pacchetti” di energia ognuno dei quali è pari a: E = h   L’assorbimento avviene solo quando la radiazione fornisce esattamente il giusto “pacchetto” o quanto di energia che è in grado di modificare il livello di energia del composto colpito dalla radiazione. Ogni stato del composto è caratterizzato da uno o più numeri quantici e la differenza di energia tra questi stati (E) è correlata alla frequenza (della luce attraverso la costante di Planck (h). Una molecola può assorbire solo una certa particolare frequenza di radiazione, se esiste nella molecola un’energia di transizione di grandezza pari a: E = h

3.2.1. Spettri IR di potenze omeopatiche Come si è detto, la radiazione infrarossa causa eccitazioni vibrazionali delle molecole di un composto (E è 1-10 kcal.mole-1). Le frequenze vibrazionali di O-H e dei legami correlati sono sensibili all’interazione dell’idrogeno con un terzo atomo, interazione che si stabilisce quando si forma un legame idrogeno. Per questo, la spettroscopia infrarossa è un eccellente mezzo per evidenziare e studiare i legami idrogeno (Connors, 1987). Usando uno spettrofotometro all’infrarosso (Hitachi, modello 260-10) abbiamo ottenuto degli spettri di assorbimento dell’etanolo 90% e di alcuni rimedi omeopatici nell’intervallo di lunghezze d’onda da 2.5 micrometri (4000 cicli al cm) a 4 micrometri (2500 cicli al cm). La Fig. 12 mostra alcuni di questi spettri infrarossi in cui si vedono un’ampia banda di vibrazione da stiramento del gruppo OH e una banda relativamente stretta di vibrazione da stiramento del gruppo CH.

BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI

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Trasmittanza della luce (%)

Etanolo 90%

Nux vom 30 in etanolo 90% (non succusso)

Nux vom 30 in etanolo 90% (succusso)

Frequenza (n. di onde cm-1)

Fig. 12 - Spettri all’infrarosso (IR) di etanolo 90%, Nux vomica 30ch (non succussa) e Nux vomica 30ch (succussa) in etanolo 90%, ottenuti con uno spettrometro IR (Hitachi, modello 260-10). Lo spessore della cella di misura era 0.5 millimetri e la temperatura 20°C (riprodotta, con modifiche e autorizzazione, da Sukul et al.: Nux vomica 30 prepared with and without succussion shows antialcoholic effect on toads and distinctive molecular association. Br. Hom. J. 2001; 90: 79-85. Copyright © 2001 by Nature Publishing Group).

La Tab. 5 seguente riporta le lunghezze d’onda (in micrometri: μm) ed i numeri di onde per ogni cm (cioè il numero di onde complete, o cicli di onda, contenute in un cm di lunghezza)30 delle bande di assorbimento nell’infrarosso dell’etanolo 90% e di alcuni medicamenti dinamizzati. Nella stessa tabella sono anche riportati l’intensità di assorbimento dei vari gruppi chimici. I medicamenti dinamizzati ed il loro mezzo diluente (etanolo 90%) mostrano delle 30

Questa misura non va confusa con la frequenza di un’onda che equivale invece al numero di cicli di un’onda che avvengono in un secondo (Hz).

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differenze tra loro per quanto riguarda la lunghezza d’onda ed il numero di onde per cm-1 delle bande OH e CH. Numeri di onde/cm e lunghezza d’onda (μm) delle bande di assorbimento nell’IR Campione Stiramento Piegamento Stiramento Piegamento O-H O-H C-O C-H Etanolo (90%) 3350 cm-1 1400 cm-1 1060 cm-1 880 cm-1 2.98μ 7.14 μ 9.43μ 11.36μ (64.5%) (40.5%) (58%) (41%) Nux vomica 30 3325 cm-1 1370 cm-1 1040 cm-1 870 cm-1 (90%) (non 3.01μ 7.30μ 9.62μ 11.49μ succusso) (69.5%) (53%) (71%) (54%) Nux vomica 30 3350 cm-1 1380 cm-1 1040 cm-1 880 cm-1 (90%) (succus2.98μ 7.24μ 9.62μ 11.36μ so) (81%) (56%) (78%) (63%) Tab. 5 - Spettri di assorbimento nell’infrarosso di etanolo 90% e Nux vomica 30ch succussa e non succussa ottenuti con un uno spettrometro IR (Hitachi, modello 260-10). I valori in parentesi indicano le intensità dell’assorbimento (%).

In generale, i legami idrogeno riducono le frequenze di stiramento ed aumentano le frequenze di piegamento (Dyer, 1994). Infatti, un legame a idrogeno con un altro atomo di ossigeno aumenta la lunghezza del legame covalente OH originale, così che la frequenza di stiramento è ridotta (Vemulapalli, 1997). Spostamenti nelle frequenze dei gruppi chimici possono originare anche dall’interazione tra molecole di diverso tipo, nella fattispecie acqua ed etanolo. La frequenza di stiramento O-H dell’etanolo è fortemente dipendente dal grado di legami idrogeno, che allungano e indeboliscono il legame covalente O-H, abbassando la frequenza vibrazionale. Spostamenti nelle frequenze dei gruppi chimici causate da risonanza o effetti inter-molecolari sono molto caratteristici e utili per scopi diagnostici (Banwell e McCash, 2000). Gli spostamenti di frequenza della banda OH di medicamenti dinamizzati confrontati con il loro mezzo diluente riflettono l’esistenza di diversità nei legami idrogeno delle due soluzioni, che teoricamente sono composte dalle stesse concentrazioni di molecole di acqua e di etanolo. Ciò suggerisce che, nei medicamenti dinamizzati, si costituisce un’associazione dinamica tra molecole di etanolo ed acqua in forma di polimeri tenuti insieme dai legami idrogeno. La vibrazione di stiramento delle legame C-H rappresenta sia i gruppi metilici (CH3) sia quelli metilenici (CH2) della componente etanolica del composto o del suo mezzo diluente. Anche la posizione dell’ampiezza della vibrazioni di

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stiramento del gruppo C-H è diversa nel rimedio rispetto a quella dello stesso gruppo nell’etanolo 90%, indicando un cambiamento del legame idrogeno nel rimedio anche rispetto a questa posizione della molecola. Spettroscopia con trasformazione di Fourier (TF) Un grosso svantaggio degli spettri ottenuti con metodi convenzionali è la loro lentezza nell’esecuzione. Nel metodo convenzionale, quando si registra uno spettro, la frequenza viene cambiata poco a poco, attraverso tutta l’ampiezza delle diverse frequenze o lunghezze d’onda. Lo spettro può contenere uno o due picchi soltanto e lo spettrometro, quindi, registra solo il rumore di fondo per la maggior parte del tempo. Si sa che il rumore di fondo rappresenta una notevole limitazione della sensibilità di qualsiasi tecnica spettroscopica, anche se la media computerizzata di molti dati riduce in qualche misura il disturbo costituito dal rumore di fondo. La spettroscopia con trasformazione di Fourier (TF) consente una registrazione simultanea e praticamente istantanea di tutto lo spettro nelle regioni delle microonde e dell’infrarosso, oltre che nella risonanza magnetica. Pertanto, la combinazione della media computerizzata con la trasformazione di Fourier migliora notevolmente la qualità degli spettri (Banwell e McClash, 2000). Quindi, dato che, come si è detto, la spettroscopia all’infrarosso è uno dei metodi più promettenti per studiare la distribuzione della forza dei legami idrogeno delle molecole d’acqua in una soluzione idroalcolica, noi abbiamo provato a studiare alcuni spettri di infrarossi con trasformazione di Fourier (IRTF) di alcune potenze omeopatiche. Per convenzione, le vibrazioni sono classificate in frequenza decrescente entro il loro tipo simmetrico: - 1 per la più alta frequenza pienamente simmetrica (3651.7 cm-1) e - 2 per la frequenza più alta subito successiva (1595.0 cm-1) (Banwell e McClash, 2000). Poiché le bande vibrazionali O-H (1 e 3) dell’acqua si sovrappongono alle bande O-H dell’etanolo, lo spettro IR nella regione dello stiramento del legame non consente di indagare precisamente i legami idrogeno delle molecole d’acqua in presenza di etanolo. D’altra parte, nella regione della vibrazione per piegamento (2) della molecola d’acqua, l’etanolo non ha assorbimento, così che lo spettro infrarosso della regione del piegamento rivela più specificamente la forza del legame idrogeno delle molecole d’acqua. La frequenza della banda 2 è inversamente proporzionale alla forza del legame idrogeno delle molecole d’acqua (Mizuno et al., 1997) e questi Autori hanno osservato degli spostamenti delle bande 2 (stiramento dei legami idrogeno) verso la regione della luce blu, cosa che indica un rafforzamento dei legami idrogeno nell’acqua, confermando delle osservazioni ottenute anche con gli studi 1H della RMN.

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Gli spettri all’infrarosso con trasformazione di Fourier di etanolo 90%, Alcoholus 30ch ed alcuni medicinali omeopatici dinamizzati sono riportati in Fig. 13, ove si osserva una netta di variazione nel numero delle bande 2, della loro ampiezza, del numero di onde al cm e dell’intensità dell’assorbimento (in %) in diversi medicamenti omeopatici dinamizzati. Ciò conferma la variazione dei legami idrogeno nei rimedi omeopatici.31

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Recentemente, gli autori di questo testo hanno confermato queste osservazioni in un lavoro apparso nellalettteratura internazionale referenziata: Sukul NC, Ghosh S, Sukul A, Sinhababu SP. Variation in fourier transform infrared spectra of some homeopathic potencies and their diluent media. J Altern Complement Med. 2005 Oct;11(5):807-12. In breve, spettri nell’infrarosso con trasformazione di Fourier (FTIR) di Nux vomica 30ch, Lycopodium 30ch, Santonin 30ch, Cina 30ch, Cina 206ch, Cina 1006ch, del loro diluente etanolo 90% e Alchoholus 30ch sono differenti gli uni dagli altri e dfferenti rispetto al diluente etanolo 90% per quanto riguarda il numero delle bande 2, della loro lunghezza d’onda e della forma dello spettro nel range di 2000-1000 cm-1 a 20 gradi C. Gli autori attribuiscoono le differenze al differente numero di legami idrogeno ed allaloro forza di legame. Nello stesso lavoro si riferisce che delle pastiglie di bromuro di potassio (KBr) impregnate con la potenza omeopatica ritengono la capacità di dare degli spettri FTIR caratteristici.

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Etanolo 90%

Trasmittanza della luce (%)

Alcoholus 30c

Nux vom 30c

Lycopodiun 30c

Frequenza (n. di onde cm-1)

Fig. 13 - Spettri IR con trasformazione di Fourier (IRTF) di etanolo 90%, Alcoholus 30ch, Nux vomica 30ch e Lycopodium 30ch ottenuti con uno spettrometro IRTF Jasco, modello 420, a 20°C nella regione di numero di onde che vanno da 2000 a 1000 per cm. Tutte le potenze omeopatiche erano in etanolo 90%. Si nota una marcata variazione delle bande 2 degli spettri (attorno a 1596 cm1 ).

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3.3. Termoluminescenza La luminescenza stimolata dal calore, o termoluminescenza, è normalmente applicata allo studio della struttura dei solidi, soprattutto i cristalli. Il campione è posto a bassissima temperatura e viene attivato con energia radiante come UV, raggi X, raggi gamma, ecc., azione che crea degli spostamenti di elettroni intrappolati a diversi livelli di in energia. Il campione irradiato è successivamente riscaldato ed emette energia luminosa, che può essere di diversi colori e di diversa quantità e che è evidenziata da differenti picchi, secondo la profondità dei livelli energetici degli elettroni inizialmente intrappolati. Usando questa tecnica, Rey (2003) ha dimostrato che il cloruro di litio (Lithium muriaticum) 15ch e il cloruro di sodio (Natrum muriaticum) 15ch producono una termoluminescenza caratteristica della soluzione originale dinamizzata dei rispettivi sali, diversa dal solvente (acqua distillata). Tale effetto è stato attribuito a cambiamenti specifici nella rete dei legami idrogeno delle altissime diluizioni di ciascun sale.

3.4. Associazione molecolare e struttura dell’acqua Si è già detto che le potenze omeopatiche sono preparate in acqua o in una miscela d’acqua ed etanolo. Perciò, al fine di comprendere le basi fisiche di una potenza omeopatica, conviene approfondire la conoscenza della struttura dell’acqua e delle miscele idro-etanoliche. Le proprietà fisiche dell’acqua allo stato liquido non sono completamente conosciute (Bruscolini e Casetti, 2001). Tuttavia, si possono formulare alcune ipotesi sugli aspetti fisici dell’acqua che potrebbero giustificare la presenza di informazioni di un medicinale in diluizioni ultra-alte. L’acqua è composta da un atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno; l’ossigeno ha sei elettroni, due dei quali sono usati nei legami covalenti con l’idrogeno. Nell’ossigeno esiste un doppietto di elettroni di non legame ed attrae degli ioni caricati positivamente, come l’idrogeno, con la possibile formazione di legami idrogeno tra diverse molecole d’acqua. Diversamente dall’acqua, l’etanolo può formare legami idrogeno solo ad un estremo della molecola. Nei risultati dei test in vitro, di cui si è riferito nel capitolo 2, abbiamo notato che l’acqua pura può servire come efficace mezzo diluente per le potenze omeopatiche, ma che in presenza di etanolo l’efficacia di queste potenze è più stabile nel tempo. Perciò, il principale ruolo giocato dall’etanolo è quello di

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stabilizzare la struttura che mantiene le proprietà farmacologiche specifiche, acquisite durante il processo di dinamizzazione. Le molecole di etanolo sono anfifiliche, cioè hanno una testa polare e una coda non polare (Fig. 14) ed è ipotizzabile che la parte non polare possa preservare o promuovere la struttura dell’acqua specifica di ogni medicinale dinamizzato (Sukul et al., 2002).

Coda non polare Testa polare

Fig. 14 - Testa polare e coda non-polare di una molecola di etanolo.

Si è già detto che le molecole d’acqua si associano l’una all’altra attraverso i legami idrogeno nell’acqua pura. La stessa situazione si verifica con l’etanolo e con la miscela acqua/etanolo, dato che le due diverse specie molecolari possono formare legami idrogeno. In una potenza omeopatica preparata con etanolo in fase idroalcoolica vi è associazione inter-molecolare sia tra molecole d’acqua (acqua-acqua), sia tra molecole di etanolo (etanolo-etanolo), sia tra acqua ed etanolo (acqua-etanolo). Questi legami coinvolgono atomi di idrogeno che sono già legati ad altri atomi. Perciò il processo di formazione del legame può essere scritto come: A−H + B  A−H ··· B dove: - A è una sostanza con un atomo di idrogeno (H) legato - B è un’altra sostanza che si lega all’idrogeno di A con dei ponti idrogeno (···). I calcoli dei contributi delle diverse energie di interazione dei complessi formati con legami idrogeno suggeriscono che la componente elettrostatica sia di solito dominante, con un piccolo ma significativo contributo del trasferimento di carica. Si pensa che i legami idrogeno più forti siano primariamente elettro-

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statici, ma che i legami molto deboli abbiano una relativamente ampia componente di trasferimento di carica (Connors, 1987). Poiché la componente elettrostatica è la forza dominante nel legame idrogeno, la succussione o agitazione meccanica potrebbe contribuire all’aumento di questa forza elettrostatica, rendendo più forte il processo di associazione intermolecolare. Questo è uno dei possibili ruoli giocati dalla succussione o dalla sonicazione durante il processo di dinamizzazione di un medicinale omeopatico.

3.4.1. Struttura e forze dinamiche dell’acqua allo stato liquido Nella molecola d’acqua, l’ossigeno condivide un paio di elettroni con ciascun atomo di idrogeno. Gli orbitali elettronici esterni dell’atomo di ossigeno formano approssimativamente un tetraedro, con un atomo di idrogeno legato covalentemente a ciascuno dei due angoli e con due paia di elettroni liberi non condivisi agli altri due angoli (Fig. 15).

Fig. 15 - Rappresentazione della struttura di una molecola d’acqua con le due paia di elettroni non condivisi dell’atomo di ossigeno.

Il nucleo dell’ossigeno attrae gli elettroni più fortemente del nucleo dell’idrogeno. Tale asimmetria genera due dipoli elettrici nella molecola d’acqua, uno per ciascuno dei due legami O-H. L’atomo di ossigeno porta una carica parzialmente negativa e ciascun atomo di idrogeno una carica parzialmente positiva. Come conseguenza, si genera un’attrazione elettrostatica fra l’atomo di ossigeno di una molecola d’acqua e un atomo di idrogeno di un’altra molecola d’acqua, attrazione che viene chiamata legame idrogeno. La disposizione approssimativamente tetraedrica degli orbitali elettronici dell’atomo di

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ossigeno permette a ciascuna molecola d’acqua di formare legami idrogeno con altre quattro molecole d’acqua vicine. Molecole d’acqua associate da quattro legami idrogeno tendono a raggrupparsi insieme in gruppi più grandi, per ragioni statistiche ed energetiche. Le catene di legami idrogeno sono cooperative (Dannenberg, 2002): O−H ··· O−H ··· O−H Nell’acqua allo stato liquido a temperatura ambiente ed alla pressione atmosferica, le molecole d’acqua sono disorganizzate e in continuo movimento. Mediante simulazioni al computer è stato possibile caratterizzare e visualizzare le strutture dell’acqua, le loro proprietà dinamiche e le perturbazioni risultanti dalla presenza dei soluti. La caratterizzazione sperimentale della struttura dei liquidi in cui le molecole sono relazionate tra loro con legami idrogeno utilizza tecniche di diffrazione dei raggi X, dei neutroni e degli elettroni (Ladany e Skaf, 1993). La struttura dell’acqua è basata sulle strutture esagonali a forma di barca e di sedia del ghiaccio che esiste a pressione atmosferica. Tali geometrie possono complicarsi e ripiegarsi in tre dimensioni, formando una rete icosaedrica basata sulla disposizione regolare di 14 molecole. Sappiamo che 20 gruppi di tali unità composte da 14 molecole, per un totale di 280 molecole d’acqua, possono formare strutture icosaedriche del diametro di 3 nm, che possono anche essere stirate, con un conseguente aumento di volume (Doyles e Wales, 2001). In questo caso l’icosaedro risultante è una figura geometrica solida avente 20 facce. La stabilità della rete è finemente bilanciata, essendo capace di fluttuare tra una struttura espansa di bassa densità e una più densa, collassata, senza rompere alcun legame idrogeno, ma solo con piccoli cambiamenti della forza del legame idrogeno. Quando sono presenti forti legami idrogeno, si forma una struttura espansa con un dodecaedro centrale (Henry, 2002). Il dodecaedro è una figura solida con 12 facce. Se i legami idrogeno sono tali che le interazioni non leganti sono più importanti, i clatrati (cluster) formano una struttura parzialmente collassata, con una cavità cubica. Questi modelli sono in accordo con i dati ottenuti con la diffrazione dei raggi X (Narten et al., 1967). Ci sono molti esempi della formazione dei clatrati dodecaedrici (Sobott et al., 1999). Nella rete icosaedrica (con struttura espansa) che abbiamo appena descritto, vi è un numero enorme di possibili disposizioni delle molecole d’acqua consentite dai legami idrogeno, numero calcolato nell’ordine di 2130 x 712. Questo è in accordo con il minimo fattore entropico atteso sulla base delle possibili variazioni strutturali di ciascuna molecola (Eisenberg e Kauzman, 1969).

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Allo stato liquido, circa il 50% delle molecole d’acqua sono impegnate in 4 legami idrogeno, 30% in 3 legami e frazioni più piccole partecipano a 1, 2 e 5 legami (Ladany e Skaf, 1993). I legami idrogeno sono più deboli di quelli covalenti: l’energia richiesta per rompere un legame idrogeno nell’acqua liquida è circa 20 KJ/mol, rispetto ai 348 KJ/mol del legame covalente C-C. A temperatura ambiente, l’energia termica di una soluzione acquosa (cioè l’energia cinetica del movimento di tutti gli atomi e delle molecole) è dello stesso ordine di grandezza di quella necessaria per rompere i legami idrogeno (Nelson e Cox, 2000). È difficile stabilire il tempo di durata del legame idrogeno (τHB), perché le molecole sono soggette a velocissimi movimenti vibrazionali che possono far apparire un legame rotto, quando invece il legame è solo distorto dal suo equilibrio geometrico. A temperatura ambiente, il tempo di durata di un legame idrogeno (τHB) è stato stimato attorno a 0.8 picosecondi (Ladany e Skaf, 1993, e bibliografia ivi riportata). I legami idrogeno si rompono e si riformano continuamente. La forza di questo legame dipende dall’orientamento e dalla posizione degli altri atomi legati e non legati. Vi è un influenza reciproca tra i legami covalenti ed i legami idrogeno: quanto più forte è il legame OּּH, tanto più debole è il legame covalente O–H. L’indebolimento del legame covalente rappresenta un buon indicatore dell’energia del legame idrogeno (Grabowski, 2001). Ogni legame idrogeno formato aumenta cooperativamente la capacità delle altre molecole di formare altri legami idrogeno. La rete è praticamente completa alle comuni temperature ambientali, quando quasi tutte le molecole sono collegate per almeno un legame. I legami che si rompono probabilmente si riformano preferenzialmente nella stessa posizione (Tikhonov e Volkov, 2002). La dissociazione completa del cluster è un evento raro che avviene solo una volta ogni 1016 volte che si rompe il legame idrogeno, in tempi dell’ordine di una volta ogni 24 ore. Perciò i cluster possono persistere per tempi molto più lunghi (Higo et al., 2001). La struttura basata sui legami idrogeno trasporta a notevole distanza informazioni riguardo ai soluti ed alle superfici con cui le molecole d’acqua sono in contatto. L’effetto è sinergico, direzionale ed espansivo. Inoltre, l’effetto di trasporto informazionale è rinforzato da effetti di polarizzazione e dal trasferimento inter-molecolare risonante dell’energia vibrazionale O–H, mediato dalle interazioni dipolo-dipolo e dai legami idrogeno (Woutersen e Bakker, 1999). Poi, il riorientamento di una molecola induce corrispondenti movimenti nelle molecole vicine. Le relative proporzioni dei differenti polimeri d’acqua sono in equilibrio dinamico con le specifiche configurazioni geometriche: si ritiene che tale configurazione geometrica dinamica dei cluster d’acqua conferisca in modo collettivo la specificità ad un medicinale omeopatico. Quando in soluzione è presente l’etanolo, il tempo di riassociazione del legame idrogeno non dipende dalla

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sua concentrazione, indicando che in soluzione le sequenze di dissociazione e di associazione avvengono tra gli stessi gruppi OּּH (Bonn et al., 1996, e bibliografia ivi riportata). Molte delle speciali proprietà dell’acqua sono dovute all’esistenza di ioni idrossido (OH-) e idronio (H3O+), sempre presenti in piccole quantità nell’acqua pura. Essi possono associarsi con le molecole d’acqua formando cluster OH-(H2O)n e H3O+(H2O)n di varia grandezza secondo il grado di solvatazione (Wood et al., 1994). I cluster d’acqua sono di due tipi: - cluster “pieni” (“bulk clusters”), che sono in contatto con un sito occupato da acqua, - cluster “a guscio” (“shell cluster”), che sono in contatto con un sito occupato da un monomero di un’altra molecola. Si è visto che m molecole d’acqua appartenenti ad un dato cluster possono formare un massimo di 3m/2 legami idrogeno (Bruscolini et al., 2001). Nell’acqua, le strutture cicliche più stabili sono i trimeri, i tetrameri ed i pentameri. Per l’esamero, si è visto che una struttura concava non ciclica è la più stabile. Per l’ottamero e per i cluster più grandi sono preferite le strutture tridimensionali (Gregory e Clary, 1996, e bibliografia ivi riportata). Molti esperimenti hanno dimostrato che un cluster (H2O)2H+ si comporta come un cluster “magico”, nel senso che è più stabile dei cluster vicini in varie condizioni sperimentali. Cluster neutrali di acqua della grandezza di 20 molecole e più sono del tipo dei cluster pieni con molecole coordinate di 4 in 4 (quattro volte coordinate); i clatrati o le strutture tre volte coordinate come i fullereni sono le più alte di energia (Laasonen e Klein, 1994).

3.4.2. Fenomeni di trasporto nell’acqua Nell’acqua liquida avvengono due classi di fenomeni di trasporto di energia e di informazioni: - l’ordinaria diffusione di massa, - la particolare mobilità dei protoni. La mobilità di protoni è un processo cruciale in molte aree della chimica e della biologia. Rispetto a tutte le altre specie elettrolitiche, le mobilità tipiche dei protoni appaiono estremamente veloci, indicando che la normale diffusione degli ioni gioca solo un ruolo secondario. Infatti, la migrazione di cariche è guidata da successivi salti di protoni da un atomo di ossigeno a quello della molecola vicina (Tuckerman et al., 1995, e bibliografia ivi riportata). La mobilità protonica ha luogo sulla stessa scala temporale del riorientamento delle molecole d’acqua, mentre la diffusione è più lenta e mostra una maggiore dipendenza dalla temperatura. Questi fenomeni corrispondono agli spostamenti

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di molecole d’acqua attraverso gli spazi tetraedrici lasciati vuoti dagli spostamenti delle altre molecole, lungo distanze di circa 3.3 Angstrom. Le dinamiche dell’acqua mostrano numerosi comportamenti cooperativi, apparentemente casuali o, meglio, caotici, che sono difficili da determinare esattamente. Tuttavia, all’interno di queste complesse dinamiche si possono identificare dei movimenti semplici che sono funzionalmente importanti, come i riorientamenti delle molecole, i salti di protoni e gli spostamenti negli spazi tetraedrici, che consentono le suddette proprietà di trasporto dell’acqua (Agmon, 1996). Usando tecniche spettroscopiche, si è dimostrato che la carica defettiva in acqua è localizzata nella forma di semplici ioni acquosi a lunga emivita e cioè la molecola approssimativamente simmetrica e planare H3O+ (catione idronio) e quella lineare OH- (anione idrossido). Questi sono gli ioni capaci di trasportare le cariche nel mezzo acquoso. Pertanto, il passaggio che limita la velocità del trasporto di protoni nel liquido potrebbe essere non tanto il salto del protone da una molecola all’altra attraverso i legami idrogeno, quanto la continua formazione e rottura di legami idrogeno nel guscio di solvatazione formato dalle molecole d’acqua attorno a detti ioni. Questa è la base del modello della “diffusione strutturale”, che è stato sviluppato in dettaglio per lo ione H3O+. In accordo con l’originale descrizione di Grotthus (salti di protoni da un atomo di ossigeno a quello vicino), sarebbe questa struttura di solvatazione a migrare lungo le catene di ioni idronio e idrossido delle molecole d’acqua e non le particelle stesse (Tuckerman et al., 1995, e bibliografia ivi riportata).

3.4.3. Azione di una potenza omeopatica Alla luce di quanto detto, si può formulare l’ipotesi per cui lo schema di diffusione strutturale (formazione e rottura di legami idrogeno) sia specifico per ogni particolare rimedio omeopatico dinamizzato. Le membrane biologiche sono immerse in un film continuo di molecole d’acqua. Al momento in cui un rimedio dinamizzato è introdotto in tale mezzo acquoso, lo schema di diffusione strutturale è modificato, o meglio “resettato”, seguendo l’intrinseca struttura di quella particolare potenza omeopatica. Poiché il film acquoso aderisce alle proteine ed alle molecole oligosaccaridiche delle membrane cellulari, lo schema strutturale è stabilizzato, finché non si aggiunga una nuova struttura di diffusione. Tale riassetto dello schema strutturale innesca una cascata di reazioni biochimiche sulla membrana e di qui all’interno della cellula esposta.

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3.4.4. Struttura dell’acqua in presenza di soluti Abbiamo già notato che le potenze omeopatiche sono prodotte a partire dalla tintura madre di una sostanza medicinale. La tintura madre (TM) può contenere un singolo componente (come ad esempio cloruro di sodio) o una miscela di molte diverse componenti (come nel caso di una pianta medicinale tipo Nux vomica TM). Durante il processo di dinamizzazione, la tintura madre è diluita col solvente (acqua oppure etanolo in fase idroalcoolica) in passaggi successivi accompagnati da succussioni. Durante questo processo, le molecole originali del principio attivo sono progressivamente disperse fino ad un certo punto, approssimativamente attorno alla dodicesima potenza, in cui teoricamente non rimane alcuna molecola della sostanza di partenza. Da quel punto in poi, il medicinale dinamizzato consisterà solo di molecole del mezzo diluente, che si assume siano specificamente strutturate dalla sostanza inizialmente sciolta e mantengano la struttura specifica nei successivi passaggi di diluizione e dinamizzazione. La struttura specifica, probabilmente basata sui legami idrogeno, è conservata in diverse condizioni, persino quando il medicinale è diluito con acqua di rubinetto. Di fatto, nella pratica omeopatica, le potenze medicinali sono spesso miscelate con acqua corrente e in questo modo vengono poi somministrate ai pazienti o ad animali di esperimento mantenendo inalterata la loro efficacia. Esaminiamo ora più in dettaglio cosa avviene quando un soluto è aggiunto ad un mezzo diluente come l’acqua. L’acqua tende ad idratare molti soluti, cioè si lega ad essi in modo sufficientemente forte da divenire come parte della stessa sostanza. Il numero di molecole di acqua che si legano ad un soluto è detto numero di idratazione. Esso varia per le diverse sostanze: ad esempio, i numeri di idratazione di alcune comuni sostanze sono: - glicerolo = 2.0 ± 5 - Na+ = 3.9 ± 0.5 - saccarosio = 5.0 ± 0.5 - Ca2+ = 12.0 ± 2 - Fe3+ = 18.0 ± 2 - Al3+ = 22.0 ± 2. Le molecole d’acqua formano un guscio di idratazione attorno alle molecole del soluto. Quando le molecole del soluto attraggono molte molecole d’acqua, come nel caso di Al3+, esse si dispongono in più strati. La diffrazione dei raggi X ha dimostrato che attorno ad Al3+ è presente un secondo guscio di idratazione molto ordinato (Zavitsas, 2001).

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Sia l’acqua, sia l’etanolo sono solventi polari con cui gli ioni interagiscono fortemente causando notevoli modificazioni della struttura locale e delle dinamiche delle molecole circostanti. Le simulazioni indicano che la rete dei legami idrogeno dell’acqua è perturbata in vicinanza di cationi monovalenti. In particolare, il numero di legami idrogeno per molecola di solvente in vicinanza degli ioni Na+ è significativamente più piccolo che nel solvente puro (Ladany e Skaf, 1993). Secondo i modelli di Frank e Wen (1957) e di Bokris e Saluja (1972), citati da Dutta (1997), attorno agli ioni si formano due strati di molecole d’acqua, coordinate con lo ione e tra loro: - lo strato più vicino è formato da molecole d’acqua coordinate di solvatazione (SCW)32: esse sono come “congelate” nella forma del guscio di solvatazione attorno allo ione e si muovono insieme ad esso durante i suoi movimenti attraverso la soluzione; - altre molecole d’acqua sono coordinate ma non partecipano alla solvatazione (NSCW)33: queste ultime, benché presenti in vicinanza dello ione e con esso coordinate, non sono legate rigidamente e non vengono trascinate nei movimenti dello ione. Durante le successive diluizioni, la soluzione è progressivamente deprivata degli ioni e delle loro molecole di solvatazione (SCW), mentre la proporzione delle molecole NSCW aumenta. Secondo questo modello, nei medicinali dinamizzati sarebbe la struttura delle molecole NSCW, tenute insieme da legami idrogeno, a trattenere una sorta di specificità strutturale delle molecole originali del soluto. Simulazioni al computer mostrano che il tempo di permanenza delle molecole d’acqua nel guscio interno di solvatazione è molto maggiore per i piccoli ioni alcalini (litio, sodio: Li+, Na+) rispetto a quelli di maggiori dimensioni. Le misurazioni dei movimenti di ioni e molecole in soluzione hanno dimostrato che nel caso di sostanze di notevoli dimensioni molecolari l’accoppiamento del primo guscio di solvatazione con il solvente circostante limita i movimenti di orientamento e di rilassamento delle molecole del soluto (Ladany e Skaf, 1993). I soluti non polari sono scarsamente solubili in acqua, perché le loro interazioni con le molecole d’acqua sono molto più deboli delle interazioni tra le stesse molecole d’acqua. Gli esperimenti mostrano che, in vicinanza dei soluti non polari, le molecole d’acqua divengono più strutturate e meno mobili. Ad esempio, l’entropia di solvatazione di queste specie è alta e di segno negativo; le misure RMN e dielettriche mostrano una diminuzione di mobilità dell’acqua 32 33

SCW: Salvational Coordinated molecules of Water. NSCW: Non-Solvational Coordinated molecules of Water.

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in prossimità di soluti apolari. I legami idrogeno in vicinanza di questo tipo di molecole sono più forti che nell’acqua pura ed hanno una maggiore durata. Essi sono disposti prevalentemente secondo la tangente alla superficie dei soluti apolari, formando strutture simili a clatrati, che si riassettano sulla scala temporale di pochi picosecondi a temperatura ambiente. Gli ioni con alta densità di carica e le specie apolari rappresentano i due estremi della solvatazione acquosa. Per altri tipi di soluti le differenze tra l’acqua libera ed i gusci di solvatazione sono meno pronunciate (Ladany e Skaf, 1996, e bibliografia ivi riportata). I soluti con piccolo diametro sono più facili accettori di legami idrogeno rispetto a quelli di ampio diametro. Vi sono evidenze che anche la formazione di legami idrogeno tra il soluto ed il solvente influisce sulle specifiche caratteristiche della solvatazione (Ladany e Skaf, 1996, e bibliografia ivi riportata). Quando nell’acqua sono presenti surfattanti non ionici, il comportamento della struttura del liquido dipende dalle concentrazioni della sostanza sciolta, delineando tre possibili fasi: - nelle basse concentrazioni si ha la fase micellare (formazione di micelle), senza che ciò porti significativi cambiamenti nella struttura dell’acqua; - con maggiori concentrazioni sia ha la fase lamellare, che causa una rapida distruzione della rete dei legami idrogeno tetraedrici, poiché l’acqua è confinata tra le superfici idrofiliche delle lamelle; - aumentando ulteriormente le concentrazioni, l’acqua dimostra nuovamente la sua tendenza a formare cluster di molecole in forma tetraedrica, anche se in quantità molto piccola rispetto all’acqua pura. I risultati sperimentali con le soluzioni di surfattante sono state ottenute mediante la spettroscopia Raman (Marinov et al., 2001).

3.4.5. Triturazione e nanoparticelle Come si è detto in precedenza (capitolo 1, paragrafo 1.4), nella prima fase della preparazione omeopatica i solidi secchi e le sostanze insolubili in acqua sono inizialmente triturati al fine di rendere disponibili i principi attivi. Si stima che, per mezzo dello sminuzzamento ripetuto nel mortaio con la polvere di lattosio, le sostanze siano ridotte allo stato di nanoparticelle (10-9 m). Le nanoparticelle assumono una speciale importanza, perché rendono attive biologicamente delle sostanze che altrimenti non lo sarebbero. Nella seconda edizione del suo libro Malattie Croniche, Hahnemann raccomandò che tutte le sostanze medicinali, come i succhi vegetali, i minerali, i metalli, i sali, le bacche, fossero preparati con la triturazione fino alla terza diluizione e solo dalla quarta in poi venissero preparate per diluizione in etanolo in fase idroalcoolica seguita dalla succussione. È plausibile che, quando le potenze omeopatiche sono prodotte a partire

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dalla terza triturazione, le nanoparticelle inducano particolari strutture dell’acqua. È stato recentemente scoperto che delle nanoparticelle con specifiche strutture compaiono negli organi di pazienti affetti da varie malattie. Nanoparticelle sferiche sono state isolate dal fluido cerebrospinale di pazienti con schizofrenia. Non è chiaro se tali particelle siano responsabili dello sviluppo della schizofrenia o siano il risultato del processo patologico che avviene nel cervello dei pazienti (Wetterberg et al., 2002). Microparticelle e nanoparticelle sono state trovate in fegato e reni colpiti da granulomi da causa ignota; si tratta di particelle inorganiche di varia composizione chimica, di dimensioni relativamente grandi. È stata coniata una nuova parola, “nano-patologia”, per indicare le malattie in cui si presenta questo fenomeno (Gatti e Rivasi, 2002). Si potrebbe formulare l’ipotesi che, durante il proving omeopatico, una sostanza possa indurre la formazione di nanoparticelle, le quali a loro volta potrebbero causare lo sviluppo di sintomi di una certa malattia. Una potenza preparata con quella sostanza potrebbe migliorare o curare quella malattia che mostra sintomi simili. Poiché per preparare i nosodi si usano tessuti patologici, si può pensare che le nanoparticelle di quei tessuti, quando dinamizzate, producano l’effetto opposto di curare una malattia. Secondo questa veduta, l’isolamento di nanoparticelle dai tessuti malati potrebbe aiutare a produrre nosodi più puri e più efficaci. Comunque, da quanto si è detto, il modello che proponiamo prevede che diversi soluti producano diverse strutture nell’acqua. Nel caso di potenze prodotte da un singolo elemento come ad esempio Ferrum metallicum, Phosphorus, Argentum metallicum, Bromium, ecc., è probabile che il medicinale contenga una singola specie di struttura dell’acqua, con uno specifico intreccio di legami idrogeno e con una specifica forza dei legami stessi. Tale struttura dell’acqua dipenderebbe primariamente dal diametro dell’atomo di partenza e dalla sua carica. Potenze preparate con una miscela di diversi composti dovrebbero consistere di una miscela di diverse specie di strutture dell’acqua. In caso di nosodi preparati da proteine, lipidi, tessuti macerati, ecc. ci sarebbe una grande quantità di specie di strutture, con differenti reti e conformazioni. Pertanto, un medicinale dinamizzato, derivato da un singolo elemento, da un singolo composto o da una miscela di diversi composti, consisterebbe in una rete di strutture in forma di cluster di molecole d’acqua, legate con legami idrogeno, con una configurazione geometrica specifica rispetto alla sostanza di partenza. La specificità di tale configurazione sarebbe mantenuta anche se il rimedio dinamizzato è diluito con acqua distillata o acqua corrente.

BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI

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3.4.6. Etanolo in fase idroalcoolica come solvente Le potenze omeopatiche disponibili sul mercato in forma liquida hanno una notevole percentuale di etanolo in soluzione (in genere 80-91%). Si ritiene che l’etanolo, che ha un’ampia porzione non polare della molecola, stabilizzi le strutture e le preservi nel tempo. Abbiamo già detto che una completa dissociazione della rete di legami idrogeno avviene con un tempo dell’ordine di una giornata. Pertanto, la specificità dello schema dei legami idrogeno di un determinato medicinale in acqua pura dovrebbe degenerare completamente in pochi giorni. Abbiamo già detto nel capitolo 2 (paragrafo 4.1) che Mercurius corrosivus 30ch preparato in acqua pura e stoccato per circa un anno era incapace di alterare l’attività dell’α-amilasi in vitro. Nella miscela idro-etanolica, invece, le componenti dovrebbero preservare in qualche modo lo schema dei legami idrogeno (Skaf e Ladanyi, 1995). Gli alcoli che hanno un solo gruppo idrossilico sono caratterizzati da schemi di legami idrogeno con una disposizione prevalentemente lineare, in forma di catena. Questo schema è molto diverso dalla rete tridimensionale dell’acqua. Le proprietà dell’etanolo liquido, sia strutturali sia dinamiche, sono fortemente influenzate dai legami idrogeno inter-molecolari e la sua struttura è dominata da catene sinuose fatte da un grande numero di molecole (Saiz et al., 1997). I dati della diffrazione dei raggi X e della luce di Rayleigh indicano la formazione di complessi per associazione di molecole di etanolo idratate e non idratate. Infatti, gli alcoli, come tutte le altre ben conosciute sostanze anfifiliche, formano molti tipi di raggruppamenti o di strutture estese (Kuprin et al., 1995, e citazione ivi riportate).

Sommario Le potenze omeopatiche oltre la dodicesima centesimale (12ch) superano il numero di Avogadro e pertanto non contengono alcuna molecola di soluto, ma solo le molecole del solvente, cioè acqua ed etanolo. Tuttavia, gli studi RMN mostrano che i medicamenti dinamizzati differiscono l’uno dall’altro ed anche rispetto all’etanolo 90%, per ciò che concerne il tempo di rilassamento spinlattice (T1) e lo spostamento chimico del picco dei nuclei di deuterio. La spettroscopia infrarosso (IR) dei medicamenti dinamizzati mostra delle variazioni nelle frequenze vibrazionali delle bande O-H, C-O e C-H. Gli spettri all’infrarosso con trasformazione di Fourier (FITR) mostrano notevoli variazioni della vibrazione oscillatoria del legame O-H (banda 2). Tutti questi ri-

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sultati sono indicativi sia dell’esistenza nelle potenze omeopatiche di particolari strutture di legami idrogeno, sia della forza di questi stessi legami. L’ipotesi emergenteè che in una potenza omeopatica diluita in etanolo ed acqua ci sia una specifica associazione intra- e inter-molecolare tra l’acqua e l’etanolo, ottenuta grazie ai legami idrogeno. Poiché la componente elettrostatica è la forza dominante, si pensa che la succussione o qualsiasi agitazione meccanica possa rafforzare i legami idrogeno. Le relative proporzioni dei differenti polimeri d’acqua sono in un equilibrio dinamico, sempre però con una configurazione geometrica specifica. Questa configurazione geometrica dinamica dei cluster d’acqua conferisce in modo collettivo e cooperativo una specificità alle proprietà farmacologiche della potenza omeopatica. Una dissociazione e ri-associazione dei legami idrogeno avviene fra gli stessi gruppi O···H, con uno schema specifico per ogni particolare rimedio dinamizzato. L’acqua tende ad idratare le particelle del soluto in modo tale che le molecole di solvatazione coordinate (SCW) siano strettamente associate alle particelle di soluto ed ai loro movimenti in soluzione. Le molecole d’acqua coordinate che non partecipano alla solvatazione (NSCW), non essendo rigidamente legate, sono lasciate indietro rispetto ai movimenti in soluzione. Si potrebbe quindi pensare che durante le successive diluizioni le particelle di soluto e le loro molecole SCW siano progressivamente depletate, mentre le molecole di NSCW aumentino di numero. Sarebbero queste ultime, che conservano la loro struttura mediante la rete dei legami idrogeno, a rappresentare una sorta di specificità strutturale delle molecole del soluto iniziali e quindi ad essere responsabili degli effetti biologici. Sappiamo che per preparare un medicamento omeopatico, i solidi insolubili in acqua sono dinamizzati inizialmente mediante triturazione. Tale processo rompe finemente le sostanze fino allo stato di nanoparticelle, che sarebbero di particolare importanza per la loro specifica attività biologica. Le nanoparticelle sono presenti nei tessuti patologici da cui sono preparati i nosodi. Pertanto, la triturazione e la produzione di nanoparticelle costituirebbe la base per l’espressione di proprietà medicinali altrimenti latenti. Infine, abbiamo anche proposto che l’etanolo, caratterizzato da una larga componente non polare, sia in grado di stabilizzare le strutture specifiche dell’acqua ottenute durante la dinamizzazione di un rimedio.

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ASPETTI DEL MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI Prima di descrivere i dettagli del meccanismo d’azione delle potenze omeopatiche nei sistemi viventi, presentiamo alcuni problemi legati alle basi scientifiche dell’omeopatia come sistema medico e terapeutico. I principali punti sono la lateralità dei sintomi, le modalità temporali, il principio del simile, i sistemi non lineari, i miasmi, i policresti e la sua visione olistica.

4.1. La lateralità dei sintomi e l’omeopatia L’omeopatia ha sempre riconosciuto l’importanza della lateralità dei sintomi per la scelta del giusto rimedio. La medicina normalmente non presta molta attenzione al fatto che le eruzioni cutanee o i dolori artritici e muscolari siano localizzati sul lato destro o sinistro del corpo. D’altra parte, ci sono molti medicinali omeopatici che sono più efficaci sul lato destro che sul sinistro o viceversa. Questo aspetto viene contemplato tra le modalità di localizzazione dei sintomi. Ad esempio, Kali carbonicum, Lycopodium, Apis mellifica, Belladonna, Causticum, Mercurius solubilis, Naja, ecc., sono in generale rimedi con preferenza per il lato destro del corpo. Lachesis, Spigelia, Sulphur, Argentum nitricum, Graphites, Psorinum, Rhus toxicodendron, ecc., sono di solito dei rimedi indicati per le malattie con sintomi prevalenti sul lato sinistro del corpo. In qualche caso, poi, i sintomi migrano dal lato sinistro a quello destro (Lachesis) o dal lato destro verso il sinistro (Lycopodium). Spesso, infatti, i pazienti si domandano perché il loro omeopata si interessi tanto della lateralità dei sintomi. Possiamo chiederci se la lateralità dei sintomi abbia realmente qualche base biologica. È vero che il corpo umano, come quello della maggior parte degli animali, è simmetrico, per quanto vi siano alcune ovvie differenze negli organi interni: il fegato è localizzato sul lato destro, lo stomaco e la milza su quello sinistro. Il cervello umano, però, benché simmetrico bilateralmente dal punto di vista anatomico, mostra una notevole asimmetria nelle funzioni. Circa il 95% delle persone hanno prevalenza della mano destra ed in queste persone

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l’emisfero cerebrale sinistro gioca un ruolo predominante nella parola e nelle funzioni associative. Circa il 60% delle persone mancine hanno la rappresentazione della parola sul lato sinistro, il 20% sul destro e il 20% bilateralmente (Bannister, 1992). Bothrops, Zincum metallicum ed altri sono dei rimedi omeopatici indicati per il trattamento dell’afasia, un disordine dell’espressione verbale e della scrittura. L’afasia può insorgere specialmente per ictus cerebrale o per trauma cranico, particolarmente sul lato sinistro. Il trattamento dei pazienti con ictus cerebrale mediante gli anti-depressivi, un gruppo di farmaci che agisce inibendo la ricaptazione della serotonina, ha mostrato delle differenze di efficacia secondo la lateralità: il disordine depressivo dopo un insulto cerebrale vascolare migliora molto di più nei soggetti che hanno avuto la lesione nel lato destro (Spalletta et al., 2003). Sappiamo anche che nel caso di un danno cerebrale monolaterale dovuto a ictus o a parkinsonismo, l’emisfero intatto ha un importante ruolo nel favorire la guarigione e la compensazione delle funzioni motorie perdute (Schallert et al., 2003). Una potenza omeopatica ben scelta può facilitare la guarigione agendo sull’emisfero sano. È stato dimostrato che il cervello può modulare le risposte neurochimiche, neuroendocrine ed immunitarie verso i lipopolisaccaridi in modo asimmetrico. Tale asimmetria potrebbe essere mediata dal sistema nervoso simpatico, visto che la regolazione catecolaminergica della risposta immunitaria ha una spiccata lateralità (Dong et al., 2002 e bibliografia ivi riportata). La neocorteccia sinistra e quella destra del cervello esercitano degli effetti asimmetrici sul sistema immunitario. Si è visto, in uno studio sperimentale sui ratti, che l’influenza dell’ischemia unilaterale del sistema nervoso centrale si ripercuote sul numero e sulla funzione delle cellule della milza. L’ischemia cerebrale induce la mobilitazione di cellule del sistema immunitario dalla periferia verso il cervello, dove esse possono contribuire alla risposta infiammatoria locale. D’altra parte, è noto che l’ischemia cerebrale è seguita da un’attivazione sistemica dei linfociti T e B (Gendron et al., 2002). Un paziente con lesione ischemica nel talamo di sinistra ha mostrato delle scariche elettroencefalografiche su entrambi gli emisferi, simili a quelle che si registrano in corso di piccolo male epilettico (Inghilleri et al., 2002). Nel pollo, la formazione delle memorie associative a seguito dei test di discriminazione è di tre tipi: a breve termine, intermedia ed a lungo termine. In questo animale, la capacità di evocare la memoria acquisita mostra dei cicli con una periodicità che differisce tra l’emisfero sinistro e destro; la memoria legata all’emisfero sinistro è quella più implicata per lo svolgimento dei test di abilità e quei processi che sono coinvolti nel suo consolidamento generano le fasi della memoria (Gibbs et al., 2003).

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Durante lo sviluppo della rana Xenopus, il proteoglicano trans-membrana sindecano-2 regola lo sviluppo dell’asimmetria destro-sinistra nel mesoderma migrante e questo è un fenomeno legato all’asimmetrica espressione genica ed all’orientamento del cuore e dell’intestino. La proteina chinasi C-gamma media la fosforilazione della porzione citoplasmatica del sindecano-2 nelle cellule ectodermiche dell’animale a destra, ma non a sinistra (Kramer et al., 2002). Cameron e Minoshima (2002) hanno dimostrato che vi sono specifiche regioni cerebrali e lateralità emisferiche delle funzioni che sono associate a risposte viscerali. È quindi possibile che alcuni medicamenti dinamizzati attivino in modo differenziale e specifico le regioni del cervello dei due emisferi e quindi producano azioni specifiche sulla parte sinistra o destra del corpo. Il corno dorsale del midollo spinale, attraverso il quale gli impulsi nervosi si muovono per le vie ascendenti e discendenti, potrebbe giocare un importante ruolo in tale processo. Ciò sarà trattato ulteriormente nella sezione 4.4.

4.2. Le modalità temporali e l’omeopatia Diversamente dalla Medicina Convenzionale, l’omeopatia attribuisce la massima importanza alle modalità temporali della comparsa dei sintomi di una malattia, allo scopo di individuare il rimedio appropriato. Già Kent (1877), nel suo libro Repertorio della Materia Medica Omeopatica, fornisce numerosi esempi di aggravamento o di miglioramento dei sintomi in relazione al tempo. Ad esempio, Lycopodium mostra un aggravamento dei sintomi tra le ore 16 e 20, Arsenicum album verso mezzogiorno o mezzanotte, Rhus toxicodendron verso le ore 19-20, Kali carbonicum la mattina presto e così via. Anche qui dobbiamo allora chiederci se c’è qualche base scientifica per tali modalità temporali dei sintomi. La risposta può essere trovata considerando che quasi tutti gli organismi, compreso quello umano, hanno un “orologio interno” che scandisce i ritmi biologici. Il ritmo circadiano è disturbato in molte condizioni di malattia. La sindrome del sonno ritardato, che implica un ritardo nel coricarsi e nello svegliarsi, è tra queste. Essa può essere corretta dalla cronoterapia, che è studiata per avere degli effetti di allenamento e di adattamento sul sistema circadiano. Anche il trattamento con melatonina ha effetti positivi (Quera Salva et al., 2001). La melatonina è sintetizzata dalle cellule parenchimali della ghiandola pineale ed è secreta nel sangue e nel liquido cefalorachidiano. Ci sono variazioni diurne nella secrezione di melatonina che influenzano i ritmi circadiani attraverso i recettori del nucleo soprachiasmatico (Sharma et al., 1999, e bibliografia ivi citata). Alcuni medicamenti omeopatici potrebbero

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agire sul mesencefalo influenzando la secrezione di melatonina ed i ritmi circadiani, con effetti benefici sui disturbi del paziente. Esistono ritmi circadiani nella gravità dell’asma bronchiale e si è anche visto che l’efficacia di un farmaco broncodilatatore cambia secondo tali ritmi (Lahdensuo e Alanko, 1976). Anche la concentrazione dell’ormone tireostimolante (TSH), secreto dall’ipofisi anteriore, segue un ritmo circadiano (Lattanzi et al., 1979). Il sotalolo, un farmaco beta-bloccante, cioè antagonista dei recettori beta-adrenergici, può modificare la comparsa dei battiti ventricolari prematuri, caratteristici di alcune aritmie ventricolari, soprattutto durante la mattina (Maia et al., 1994). In sintesi, è interessante notare che la cronobiologia è stata effettivamente incorporata nelle strategie di scelta del medicamento sia nella medicina tradizionale sia nelle terapie con i rimedi omeopatici in alte diluizioni.

4.3. Il principio del simile e l’omeopatia Il meccanismo d’azione delle potenze omeopatiche implica due aspetti di base: 1 - il principio del simile, o della similitudine, 2 - l’azione dei medicamenti in diluizioni ultra-alte. Questo libro verte sul secondo dei due aspetti, ma è opportuno fare qualche cenno anche al primo principio basilare. Il fatto che si possano ottenere effetti terapeutici somministrando piccole dosi di sostanze che, di per sé, sarebbero tossiche o comunque patogene è accettato in alcune aree della medicina convenzionale e della ricerca scientifica (Schwartz et al., 2000). Alcune evidenze sperimentali a sostegno della validità del principio del simile sono state anticipate nel capitolo 2 (sezione 4). Ci sono modelli matematici che pongono il fenomeno della similitudine tra gli aspetti generali del principio di azione-reazione, nell’ambito della teoria dei sistemi dinamici (Bellavite et al., 1999; Bellavite, 2003). Un esempio sperimentale di similitudine è dato da Nux vomica che aumenta la variabilità del tracciato elettroencefalografico (EEG) di ratti sani, probabilmente per un’azione elettiva di irritazione sul sistema nervoso centrale. Lo stesso rimedio è in grado di migliorare i disordini del sonno nei pazienti, a sostegno del principio secondo cui nel malato si ottengono effetti terapeutici usando la sostanza che aveva causato quegli stessi effetti nel sano (Torres, 2003). Il principio di similitudine mostra che i medicamenti hanno due tipi di effetti biologici, in dipendenza della dose e della suscettibilità del soggetto trattato: - in alte dosi producono alcuni sintomi, - in dosi ultra basse aboliscono o migliorano gli stessi sintomi.

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Evidenze da studi tossicologici e da osservazioni cliniche confermano tale duplice azione dei farmaci. Alcuni esempi sono la stricnina, la morfina, l’arsenico, il piombo, il mercurio, ecc. (Sukul, 1997). Alcuni rimedi omeopatici producono effetti terapeutici sia nella forma della tintura madre (alla dose di poche gocce, 5-10 gocce, somministrate in acqua) sia nella forma delle loro potenze altamente diluite e gli effetti sono molto simili. Esempi sono Nux vomica, Chelidonium, Passiflora, Ranunculus bulbosus, ecc. Ciò significa che, almeno in questi casi, l’inversione degli effetti dei farmaci non dipende dalla dose ma probabilmente dalla differente sensibilità dell’organismo sano trattato rispetto a quello malato. La differenza di effetti tra alte e basse dosi di un rimedio può essere dovuta anche ad un diverso modo di azione delle due dosi. Govoni et al. (1994) hanno riportato che un trattamento prolungato con una dose molto bassa di etanolo (3%), somministrato nell’acqua da bere, produce effetti benefici nei ratti, in termini di una migliore performance dei test di apprendimento. L’effetto benefico scompare totalmente, anzi si inverte e compare un effetto patologico, con le alte dosi di etanolo. Gli Autori hanno suggerito che tra gli effetti delle basse e delle alte dosi esiste una discontinuità, nel senso che ci sarebbe una dose critica al di sotto della quale si ha l’effetto delle basse dosi ed al di sopra della quale comincia l’effetto delle alte dosi. Sembra che la dose critica per i farmaci tossici sia relativamente bassa rispetto a quella dei farmaci non tossici. Nella farmacologia tradizionale questa dose critica rappresenta il limite più basso della curva dose/risposta di un farmaco. In omeopatia, la curva dose/risposta è esattamente opposta: maggiore è la diluizione, maggiore è l’effetto. L’effetto di un rimedio al di sotto della sua dose critica dipende soprattutto dalla suscettibilità dell’individuo. La suscettibilità può essere indotta da un precedente trattamento farmacologico o da una malattia. Quanto più l’individuo è suscettibile ad un particolare rimedio, tanto più intensa è l’azione delle dosi ultra basse di quel rimedio. Quindi, il principio di similitudine rappresenta l’effetto biologico di una sostanza sui due versanti della sua dose critica: quello più alto e quello più basso. Sul lato alto della dose critica sta l’allopatia e sul lato basso sta l’omeopatia. Gli effetti delle dosi molto basse (e delle alte diluizioni) non sono così generalizzabili e non si presentano sempre, come invece fanno le dosi molto alte. Infatti, le prime sono evidenti solo in alcuni soggetti che sono detti, appunto, suscettibili alle basse dosi.

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4.4. I sistemi non lineari e l’omeopatia Sia il movimento dei fluidi, sia le reazioni biochimiche, sia i controlli fisiologici negli organismi viventi mostrano comportamenti che hanno alcuni aspetti casuali (random), altri molto ordinati e periodici, altri solo apparentemente disordinati, ma che nascondono dinamiche complesse. Esistono dei buoni modelli matematici per lo studio dei sistemi complessi, che mostrano oscillazioni irregolari generate da equazioni differenziali nonlineari. Sia i modelli teorici, sia gli studi sperimentali di questi sistemi mostrano che la storia temporale (dinamica) di un sistema complesso è sensibile alle condizioni iniziali ed alle piccole perturbazioni, così che il suo comportamento futuro è impredicibile. L’impredicibilità non dipende dalla mancanza di informazioni sullo stato attuale, ma è teoricamente insuperabile. Le traiettorie che descrivono la posizione della velocità di due sistemi dinamici, anche se inizialmente vicine ed apparentemente parallele, nel tempo divergono esponenzialmente l’una dall’altra: questo caratteristico comportamento è chiamato caos deterministico. Un parametro con andamento lineare o regolare può ad un certo punto manifestare una discontinuità, detta biforcazione (Steeb e Louw, 1986). Alcuni modelli teorici hanno individuato proprietà non-lineari persino nell’acido desossiribonucleico (DNA), la molecola che codifica l’informazione ereditaria (Daniel e Latha, 2000). I fenomeni caotici sono stati studiati nelle reti neurali e nelle cellule. I modelli non lineari sono stati applicati allo studio delle condizioni patologiche che risultano dalla instabilità di sistemi di controllo fisiologici (Thangavel et al., 2000, e bibliografia ivi citata). Ovviamente, è il cervello che ha attratto gli studi più avanzati in questo campo. Alla luce di dati clinici e di ricerche sperimentali mirate alle basi neurologiche della coscienza, è stato dimostrato che il cervello funziona in gran parte processando le informazioni in modo non-lineare e parallelo e che molteplici meccanismi intracorticali e cortico-ipotalamici sono coinvolti in molti cambiamenti intramodali dell’attenzione (Smythies, 1997). Nella medicina convenzionale, il trattamento è, nella maggior parte dei casi, malattia-specifico e/o organo-specifico. L’omeopatia, invece, tratta il paziente come entità unica, tentando di mobilitare le capacità auto-organizzative nella direzione di un migliore stato di salute. Per questo alcuni scienziati hanno sostenuto che le risposte dei pazienti ai rimedi omeopatici si conformino agli schemi dei sistemi complessi e non-lineari (Shepperd, 1994; Bellavite e Signorini, 2002). Infatti, una minima dose di una potenza omeopatica appare capace di innescare dei cambiamenti prolungati e ad ampio raggio sullo stato fisico e mentale di un paziente. Questo tipo di risposta è suggestivo del concetto di non-linearità, perché il risultato è sproporzionatamente grande rispetto alla pic-

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colezza dello stimolo (Bell, 2003, e bibliografia ivi citata). L’approfondimento teorico e l’indagine su modelli sperimentali delle tre principali proprietà dei sistemi complessi - che sono la non linearità, l’auto-organizzazione e la dinamicità - potrà consentire di comprendere meglio i fenomeni omeopatici e di aprire nuove strade per la ricerca (Bellavite, 2003). La relazione tra sistemi non lineari e omeopatia è suggestiva, ma richiede indubbiamente di essere supportata da evidenze sperimentali. Ad esempio, è necessario identificare la base fisica di uno stimolo omeopatico, il suo modo di diffusione nell’organismo ed i correlati biologici delle risposte a tale stimolo. In questo potrebbero servire gli studi di laboratorio, perché gli aspetti biologici dell’effetto omeopatico dovrebbero essere comuni a tutti gli organismi, non solo all’uomo. Fra l’altro, il riferimento alla scienza sperimentale consentirà di evitare spiegazioni “olistiche” generiche e superficiali, come anche teorie vitalistiche, che molto spesso si richiamano vagamente alla scienza della complessità. Le concezioni vitalistiche non hanno posto nella moderna biologia. D’altra parte, molti fenomeni biologici possono essere interpretati in termini di una visione olistica, o meglio sistemica. Gli animali dotati di sistema nervoso rispondono a stimoli in modo sistemico, ma anche i protozoi, costituiti da un’unica cellula, hanno reazioni che coinvolgono la globalità dell’organismo. Le piante, che non hanno sistema nervoso, rispondono agli stimoli esterni, come infezioni o ferite, in modo sistemico e integrato: se una parte della radice è infettata, le altre parti della radice e le parti aeree della pianta mostrano risposte difensive organizzate, come l’espressione di una serie di proteine specificamente indirizzate alle difese biologiche ed alla riparazione (Bowles, 1992; Ogallo e McClure, 1996, e bibliografia ivi riportata). Negli animali, il sistema immunitario e quello nervoso rispondono agli stimoli esterni in modo coordinato. La febbre si produce in risposta all’infezione da microrganismi, che spesso non sopravvivono a temperature superiori a quella della normale temperatura corporea. I meccanismi termoregolatori operano in maniera finissima, mantenendo la temperatura costante nonostante le fluttuazioni della temperatura ambientale e della produzione interna di calore. I meccanismi coinvolti consistono in recettori, posizionati nell’ipotalamo e nel midollo spinale, che effettuano un monitoraggio della temperatura del sangue e della presenza di sostanze regolatrici provenienti dal resto del corpo. Inoltre, vi sono recettori cutanei che informano sulla temperatura della pelle. L’ipotalamo è il punto di integrazione delle informazioni sensitive e delle risposte adattative. Quando è necessario che si sviluppi la febbre, il termostato interno viene modificato in modo tale che il valore termico si ponga al di sopra della normale temperatura. Ciò avviene perché l’endotossina prodotta dai microrganismi invasori (detta pirogeno esogeno) agisce su alcuni tipi di leucociti che a loro volta sintetizzano e liberano citochine tra cui interleuchina 1 (IL-1),

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un polipeptide noto anche come pirogeno endogeno. Tale sostanza raggiunge l’ipotalamo, dove causa il rilascio di prostaglandine (particolarmente PGE2) che mediano lo spostamento del termostato. Appropriati rimedi omeopatici potrebbero promuovere la sintesi di IL-1. I farmaci antipiretici, come il paracetamolo, bloccano la sintesi di prostaglandine e in questo modo riducono la febbre. Tuttavia, è ben noto che i germi che sono all’origine dell’infezione non vengono distrutti da questi farmaci, che quindi non risolvono il problema che è alla base della produzione di prostaglandine (Sukul, 1997, e bibliografia ivi citata). Discuteremo ulteriormente il concetto di olismo nella sezione 4.6.

4.5. I miasmi e le loro basi biologiche Capita con una certa facilità che i pazienti affetti da malattie croniche non rispondano ai rimedi omeopatici, anche se scelti appropriatamente. Ciò, fra l’altro, può essere parzialmente responsabile dei controversi risultati degli studi clinici su medicinali omeopatici in malattie croniche. La mancata risposta in questi casi è attribuita alle condizioni di resistenza patologica dei pazienti, chiamate “miasmi”. Secondo la tradizione omeopatica, tali condizioni possono essere corrette applicando dei rimedi “anti-miasmatici”. I miasmi sono stati discussi dettagliatamente in un precedente libro (Sukul 1997). Secondo i principi omeopatici, le malattie croniche originano da miasmi come la psora, la sicosi e la sifilide. Il principale dei tre miasmi è la psora, la cui espressione primaria consiste in un’eruzione pruriginosa della pelle. Hahnemann non diede alcuna spiegazione sulla natura patologica dei miasmi in sei stessi. Invece noi ora proponiamo un’ipotesi che concerne le basi biologiche della psora. La psora è dermatologicamente rappresentata da una sensazione di ‘prurito e solletico cutanei’. Una stimolazione relativamente leggera, prodotta con qualcosa che sfiora la superficie cutanea, produce solletico e prurito. In alcuni casi si possono identificare sulla pelle, mediante accurata mappatura, dei punti di maggior sensibilità. Come i punti dolorosi, i punti pruriginosi sono localizzati prevalentemente in quelle regioni più ricche di terminazioni sensitive formate da nervi con fibre amieliniche. La sensazione di prurito persiste insieme al dolore urente nelle prove in cui sono bloccate le fibre mieliniche e la conduzione avviene solo tramite le fibre amieliniche di tipo C. Il prurito, come il dolore, è abolito dalla sezione dei fasci nervosi spinotalamici. Il prurito si manifesta solo in pelle, occhi e certe mucose, ma mai nei tessuti viscerali profondi. Sappiamo anche che la stimolazione cutanea delle aree corrispondenti a infiammazioni

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viscerali produce qualche sollievo sul dolore viscerale profondo (Ganong, 1999). Pertanto, si vede che la manipolazione della pelle e la sensazione irritativa prodotta possono produrre qualche effetto sugli organi interni. Questa potrebbe essere la ragione per cui le malattie croniche mostrano miglioramenti dopo un rimedio fortemente anti-psorico come Sulphur. Questo rimedio, in dosi ponderali, può stimolare le fibre nervose responsabili del prurito e del solletico a livello cutaneo e quindi si potrebbe pensare che tramite questa via possa avere effetto anche su malattie interne. I neuroni afferenti per la sensazione di ‘prurito e solletico cutanei’ hanno i loro corpi cellulari nei gangli delle radici dorsali del midollo spinale o nei gangli equivalenti nei nervi cranici. Essi formano molte connessioni sinaptiche con i neuroni motori, ma anche connessioni che inviano impulsi alla corteccia cerebrale. Le vie afferenti somatiche e viscerali convergono sugli stessi neuroni spinotalamici. Quindi, le stesse vie possono essere stimolate dalle attività delle afferenze viscerali o somatiche. Il corno posteriore del midollo spinale rappresenta un sistema di controllo in cui gli impulsi delle fibre sensitive sono tradotti in impulsi per i tratti ascendenti ed il passaggio attraverso questo sistema dipende dalla natura e dallo schema degli impulsi che raggiungono le lamine laterali del corno posteriore del midollo spinale. Il controllo neurogeno, comunque, è anche influenzato da impulsi provenienti dai tratti discendenti dal cervello (Ganong, 1999). Di conseguenza, la soppressione delle eruzioni cutanee mediante pomate anti-infiammatorie può modificare il normale afflusso di stimoli sensitivi nei tratti ascendenti e discendenti e perciò influenzare le regolazioni del sistema autonomo. Ciò può portare a dei disordini della regolazione dei visceri. Secondo questa ipotesi, un rimedio anti-psorico può riportare l’omeostasi di questi sistemi regolatori, reintegrando i segnali normali.

4.6. Policresti, ricomparsa di vecchie patologie e visione sistemica I Policresti sono rimedi omeopatici che producono, durante la sperimentazione in un soggetto sano, una grande quantità di sintomi comuni a molte malattie. Questi hanno molte azioni ad ampio spettro e nell’impiego clinico si deve lasciare che esauriscano la loro azione prima di iniziare nuove somministrazioni. Esempi sono Arsenicum album, Calcarea carbonica, Causticum, Graphites,

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Natrum muriaticum, Psorinum, Silicea, Sulphur, ecc. I policresti possono agire attraverso delle reti neurali e multifunzionali collegate a vari organi. È comune esperienza dei medici omeopatici che durante il trattamento di una malattia cronica con un’alta potenza di un policresto, alcune patologie pregresse, anche apparentemente non correlate con quella attuale, ricompaiono brevemente, nella stessa sequenza ma inversa a quella che ha interessato il paziente in passato. Questo fenomeno può essere spiegato per la natura plastica dei circuiti neurali. Gli stessi neuroni fanno parte di molti diversi network funzionali, alcuni dei quali possono esistere operativamente per un breve tempo, se il comportamento che essi controllano non è stabile (Meyrand et al., 1991). Poiché gli stessi neuroni possono essere parte di diversi network funzionali, ogni cambiamento prodotto sulle connessioni tra questi neuroni da una malattia è probabile che influenzi altri network differenti, producendo una varietà di sintomi apparentemente non connessi con la malattia stessa. Ad esempio, il dolore nella regione del fegato può essere aggravato durante la corsa, può essere accompagnato o meno da costipazione, da eruttazioni frequenti, da secchezza delle fauci con sete, ecc., a seconda che i neuroni che processano gli impulsi provenienti dalla regione epatica facciano parte o meno di altri network funzionali. Un policresto appropriato per il dolore epatico potrebbe brevemente attivare in successione cronologica i neuroni di altre reti che sono connesse con i neuroni sensitivi del fegato (Sukul, 1997). Il tempo trascorso da un recente evento biologico che ha interessato alcuni organi dovrebbe essere rappresentato in qualche modo nell’attività del sistema nervoso. L’informazione analogica essenziale che descrive gli intervalli temporali potrebbe essere contenuta quantitativamente e codificata, ad esempio, dai livelli di calcio cellulare o di altre variabili dinamiche o dai cicli ad evoluzione più o meno lenta che fanno parte dei sistemi di trasduzione del segnale cellulare. È noto che nei neuroni la concentrazione del calcio è usata come una variabile computazionale per la processazione del segnale (Hopfield, 1996, e bibliografia ivi riportata). Durante la ricomparsa di sintomi e disordini fisiopatologici passati in risposta ad una potenza omeopatica, di solito ricompare anche la componente dolorosa. Il dolore è prodotto non tanto da uno stimolo diretto dalla lesione, dalla infiammazione o da altre modificazioni organiche, quanto per l’attivazione di reti neurali ampiamente distribuite nel corpo e nel cervello. Secondo la teoria della “neuromatrice”, il dolore è un’esperienza multidimensionale prodotta da schemi complessi di impulsi nervosi e generati da molti centri tra loro connessi (Melzack, 1999). Molti studi basati su imaging funzionale hanno mostrato che durante l’esperienza del dolore vengono coinvolti vari centri nervosi cerebrali, che processano l’informazione in circuiti collegati alle aree affettive, sensitive,

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cognitive, motrici, inibitorie ed autonome. Il concetto di una “neuromatrice” per l’elaborazione della sensazione dolorosa è, quindi, molto consolidato (Derbyshire, 2000). Quindi, la modifica dell’attività di una rete neurale da parte di una potenza omeopatica potrebbe alterare l’attività di altre reti, rievocando l’esperienza di dolori provati in passato. Abbiamo già accennato al fatto che l’omeopatia implica una visione olistica e sistemica della salute e della malattia. Durante la scelta di un rimedio omeopatico non vengono presi in considerazione solo i sintomi specifici della malattia, ma tutti i sintomi fisici e mentali di un paziente come se fosse un complesso unitario. L’organismo è da vedersi come una unità, con differenti qualità rappresentate centralmente nei meccanismi cerebrali sottostanti alle diverse sensazioni e sintomi, i quali a loro volta comprendono un sistema unitario che agisce dinamicamente producendo uno schema fisiologico o patologico dell’intero organismo. In ogni momento, milioni di impulsi nervosi da parte di tutti i sistemi sensitivi arrivano al cervello, dove la “neuromatrice” produce continui messaggi che ricostruiscono lo schema corporeo e mentale, influenzato simultaneamente dagli impulsi che arrivano e dalla memoria degli eventi passati. La “neuromatrice” contiene l’immagine del tutto ma anche quella di sottoripartizioni degli schemi corporei, collegati agli eventi che si svolgono nelle diverse e specifiche parti dell’organismo (Melzack, 1993). Quando inizia una malattia, la “neuromatrice” si modifica in modo tale che si manifestano dei caratteristici sintomi e delle sensazioni generalizzate di indisposizione. La totalità dei sintomi rappresenta in modo individuale ciascun paziente in un determinato momento della malattia. Il rimedio costituzionale, scelto sulla base di un certo schema di sintomi individuali, avrebbe lo scopo di modulare la “neuromatrice” coinvolta nella malattia fornendo ad essa uno schema capace di evocare una risposta coerente che vada nella direzione della condizione normale e quindi di dare al paziente la sensazione di benessere e la vera salute. In un individuo sano e sensibile, invece, lo stesso rimedio agisce sulla “neuromatrice” normale, generando una serie di sintomi simili a quelli della malattia.

4.7. Azioni chimiche e biochimiche dei medicamenti in alte diluizioni Per capire il meccanismo d’azione di una potenza omeopatica dobbiamo avere un’idea dei seguenti aspetti:

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1 - le proprietà fisico-chimiche del medicamento in questione, 2 - il bersaglio molecolare primitivo nell’organismo con cui interagisce il medicamento, 3 - i fenomeni di trasduzione del segnale nelle cellule o nei tessuti ad opera del medicamento, 4 - gli effetti terapeutici finali del medicamento nell’organismo. Abbiamo già avuto qualche idea della natura fisica e chimica di un rimedio dinamizzato che, per quello che sappiamo oggi, è rappresentato da una soluzione con una specifica struttura. Sappiamo che le strutture acquose e idroalcoliche sono probabilmente il veicolo dell’informazione inizialmente contenuta nelle molecole del principio attivo.

4.7.1. Le molecole d’acqua e l’informazione biologica Negli organismi viventi ci sono due principali tipi di macromolecole informazionali: le proteine e gli acidi nucleici. Sequenze di 20 differenti aminoacidi costituiscono un’infinita varietà di proteine. Inoltre, nelle proteine vi sono cambiamenti nelle strutture tridimensionali dovuti a differenze per gli avvolgimenti delle catene (folding) mediante ponti disolfuro. Nel caso degli acidi nucleici, un’enorme varietà di sequenze informazionali può originare da 4 nucleotidi, scelti tra adenina (A), uracile (U) o timina (T) (a seconda che si tratti di RNA o DNA), guanina (G) e citosina (C). I polisaccaridi con un solo tipo di subunità, o con due subunità alternate, non sono molecole informazionali nello stesso senso in cui lo si intende per proteine ed acidi nucleici. Tuttavia, dei brevi polimeri polisaccaridici composti da sei o più differenti tipi di zuccheri, connessi in catene ramificate, hanno una varietà strutturale e stereochimica tale da portare un’informazione riconoscibile da altre macromolecole. I più abbondanti polisaccaridi in natura, amido e cellulosa, consistono di unità ripetitive di D-glucosio. Altri polisaccaridi sono costituiti da un’ampia varietà di molecole di zuccheri derivati dal glucosio. I due mezzi diluenti delle potenze omeopatiche sono acqua ed etanolo in fase idroalcoolica. Poiché ciascuna potenza omeopatica ha proprietà caratteristiche della tintura madre della sostanza da cui è stata preparata, v’è ragione di pensare che sia l’acqua sia l’etanolo in fase idroalcoolica servano come molecole informazionali. Tuttavia, acqua ed etanolo sono molecole semplici, senza alcuna subunità, ed allora ci si chiede come possano servire da molecole informazionali. La risposta sta nel fatto che sia l’acqua sia l’etanolo possono associarsi attraverso legami idrogeno e formare dimeri, trimeri e multimeri. Per l’etanolo in fase idroalcoolica, accade che le molecole d’acqua si legano attraverso legami idrogeno con le molecole di etanolo e formano diverse strutture. Abbiamo già

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menzionato che le molecole di etanolo hanno un’ampia parte non polare che tende a preservare le strutture dell’acqua. La struttura tridimensionale degli aggregati molecolari dell’acqua porterebbe l’informazione farmacodinamica delle molecole medicamentose da cui il medicinale è stato originato mediante il processo di diluizione e dinamizzazione. Quindi, l’acqua può formare un’innumerevole varietà di configurazioni strutturali attraverso i legami idrogeno rafforzati dalla succussione o dalla sonicazione e stabilizzati dall’etanolo. Il fatto che diverse soluzioni omeopatiche producano diversi effetti biologici suggerisce che la molecola d’acqua, come le proteine e gli acidi nucleici, sia capace di servire da molecola informazionale quando assemblata con altre molecole. Nell’acqua liquida a temperatura ambiente, i legami idrogeno si rompono e si riformano continuamente. Abbiamo già menzionato nel capitolo 3 che la dissociazione dei legami idrogeno e la loro riassociazione avviene attraverso gli stessi gruppi O–H. L’ipotesi quindi è che diversi polimeri dell’acqua rimangano in un equilibrio dinamico di configurazioni geometriche specifiche, rappresentanti un particolare medicamento.

4.7.2. Le due componenti di un medicinale omeopatico Dai risultati clinici emerge l’evidenza che un rimedio omeopatico è efficace in un certo paziente solo se c’è una corrispondenza dei sintomi secondo la legge di similitudine. Di solito, nei casi acuti, le basse potenze funzionano meglio e più velocemente. Nel caso di malattie croniche, di solito vengono scelte le alte potenze, che producono anche un effetto più duraturo sui pazienti. È pertanto evidente che un rimedio omeopatico dinamizzato ha due componenti essenziali: - una costante, - una variabile. La componente costante non dovrebbe cambiare durante il processo di dinamizzazione di un rimedio sottoposto a successive diluizioni e succussioni. Questa componente veicola l’identità di un certo rimedio, perciò la chiamiamo “componente di identità”. L’agitazione meccanica e/o la diluizione non dovrebbero alterare la sua specificità. La componente variabile, d’altra parte, è rappresentata dalla caratteristica potenza (diluizione) di un certo rimedio. Tale componente va incontro a dei cambiamenti dovuti al processo di diluizione e di agitazione meccanica. Questa la chiameremo ora “componente di diluizione”. È interessante il fatto che entrambe le componenti sono capaci di produrre effetti biologici. In altre parole, sia l’identità farmacologica sia la diluizione sa-

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rebbero riconosciute dai sistemi recettori dell’organismo, dalle cellule e dalle biomolecole. Ci si può chiedere se le due componenti siano dissociabili: potrebbe essere che una sola componente molecolare raggruppi le due componenti funzionali (ad esempio avendo un sito variabile), oppure che vi sia l’associazione di due differenti unità molecolari. Poiché i legami idrogeno risultano da forze elettrostatiche, la succussione o qualsiasi agitazione meccanica potrebbe rafforzare i legami idrogeno in differenti specie di polimeri d’acqua di una potenza omeopatica. Questo tipo di effetto, cioè il rafforzamento dei legami idrogeno, potrebbe essere in relazione con la componente della diluizione. Dall’esperienza clinica emerge che un rimedio appropriato dovrebbe produrre un effetto curativo sul paziente, qualsiasi sia la sua potenza. Ciò indicherebbe che la componente di identità gioca un ruolo maggiore nel produrre l’effetto terapeutico. Se la struttura tridimensionale dell’acqua veicola la componente di identità, quale potrebbe essere la natura fisico-chimica caratteristica della componente di diluizione? Si tratta semplicemente di un rafforzamento dei legami idrogeno nella struttura dell’acqua? In uno dei nostri primi esperimenti, abbiamo osservato che Nux vomica 30ch, preparata mediante sonicazione, ha mostrato un effetto anti-alcolico più forte nei ratti rispetto a Nux vomica 1000ch preparata mediante succussione (Paul et al., 1992). Poiché la sonicazione produce un’agitazione meccanica molto più forte rispetto alla succussione manuale, i legami idrogeno nell’acqua dovrebbero essere molto più fortemente rappresentati con la sonicazione piuttosto che la succussione. Abbiamo già detto che i legami idrogeno si formano soprattutto attraverso forze elettrostatiche. La componente della diluizione potrebbe, quindi, essere il risultato di un’agitazione meccanica che contribuisce al rafforzamento dei legami idrogeno nelle strutture acquose. La questione successiva è come una potenza omeopatica o, in altre parole, una struttura acquosa stereo-specifica, sia riconosciuta nel corpo del paziente, o nell’organismo di un animale testato in laboratorio.

4.7.3. I possibili principali bersagli biomolecolari delle potenze omeopatiche Dai risultati clinici e sperimentali descritti nei precedenti capitoli, è evidente che le medicine omeopatiche agiscono nell’uomo, ma anche in altri mammiferi, come anche in anfibi, pesci, piante e batteri. I risultati dei test ex vivo ed in vitro mostrano che i medicamenti dinamizzati sono efficaci anche in organi isolati e cellule. Pertanto, i bersagli primari, con cui i rimedi omeopatici interagiscono per iniziare la loro azione, devono essere presenti in tutti gli organismi

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viventi, nei tessuti isolati e nelle cellule. Di fatto, le molecole medicamentose o l’acqua strutturata vengono in contatto prima di tutto con la superficie delle cellule. Le cellule possono essere nella mucosa orale dell’uomo e di animali, nelle foglie delle piante, nei tessuti di organi isolati e in procarioti, ecc. Dobbiamo pertanto prendere in considerazione la struttura della superficie cellulare. I rimedi omeopatici dinamizzati producono un effetto sia sui procarioti sia sulle cellule eucariote. Le cellule procariote di solito sono più piccole di grandezza (1-10 m) rispetto alle cellule eucariote (5-100 m). Organelli intracellulari come i mitocondri, il reticolo endoplasmatico, i complessi di Golgi, ecc., sono presenti nelle cellule eucariote ma assenti in quelle procariote. Ne consegue che difficilmente queste strutture possono essere bersagli primari delle medicine omeopatiche. Mentre le cellule eucariote hanno un nucleo contenente DNA con istoni e proteine non istoniche assemblate in cromosomi, le cellule procariote non hanno nucleo ed il loro DNA associato a proteine non istoniche manca di un involucro membranoso. Ciò che hanno in comune entrambi i tipi di cellule è comunque il rivestimento con una membrana plasmatica.

4.7.4. La cellula e la membrana citoplasmatica Per precisare meglio l’ipotesi sul meccanismo d’azione dei rimedi omeopatici, concentriamo ora la nostra attenzione sulle caratteristiche strutturali delle cellule eucariote, con particolare attenzione alla membrana citoplasmatica. Quest’ultima consiste di un doppio strato di lipidi (ad esempio fosfolipidi, glicolipidi, steroli), con proteine globulari inserite in esso (Fig. 16). I due strati lipidici hanno uno spessore di 5-6 nm e sono uniti lateralmente, coda con coda, mediante interazioni di van der Waals fra le loro catene profonde fatte di acidi grassi. Nelle cellule dei vegetali, c’è anche uno strato esterno che copre la superficie della membrana citoplasmatica; inoltre, i protoplasmi di cellule vicine sono connessi mediante delle strutture di comunicazione. Tale strato esterno (cell wall), fatto di polimeri di cellulosa e di altri carboidrati, è poroso in modo tale da permettere il passaggio di acqua e di piccole molecole.

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Proteina di trasporto Ioni, nutrienti

ESTERNO Acquaporina

Ligando Acqua

Canale operato da recettore

Recettore Ligando

Acidi grassi non polari

Teste polari

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Teste polari

INTERNO

Fig. 16 - Membrana citoplasmatica di una cellula. I messaggi extracellulari interagiscono con i recettori, portando alla produzione di “secondi messaggeri” all’interno della cellula, i quali, a loro volta, inducono dei cambiamenti adattativi appropriati nel citoplasma e nel nucleo.

Le molecole lipidiche del doppio strato sono anfotere, nel senso che hanno nella loro struttura delle parti idrofobiche (non polari) e delle parti idrofiliche (polari). Le due facce del doppio strato lipidico contengono, da una parte e dall’altra, le teste idrofiliche delle molecole lipidiche. Perciò le estremità idrofiliche sono esposte all’ambiente acquoso che bagna l’esterno della cellula ed al citoplasma acquoso dell’interno. I terminali idrofobici si incontrano nell’interno della membrana, dove non vi sono che poche molecole d’acqua. I principali lipidi della membrana citoplasmatica sono fosfolipidi, come la fosfatidilcolina e la fosfatidiletanolamina. Le molecole fosfolipidiche hanno due acidi grassi attaccati alla testa polare fosforilata. Nei procarioti, i fosfolipidi sono i soli lipidi di membrana, mentre negli eucarioti la membrana cellulare contiene anche colesterolo (negli animali) o altri steroli (nelle piante). La membrana non è una struttura statica, in quanto i lipidi e le proteine si muovono sul piano della membrana con un processo di diffusione laterale. Nella membrana ci sono diverse proteine, alcune sulla superficie esterna, altre in quella interna, altre infine attraversano tutta la membrana. In generale, le porzioni delle proteine idrofobiche e prive di carica sono localizzate all’interno della membrana, mentre le porzioni idrofiliche, dotate di cariche elettriche, sono localizzate sulla superficie. Alcune di tali proteine contengono lipidi (lipo-

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proteine) e carboidrati (glicoproteine). Le proteine immerse nella membrana servono da trasportatori, da recettori di segnali e da canali ionici. I trasportatori attraversano la membrana e, grazie ad un movimento della struttura secondaria e terziaria, trasportano le sostanze dentro e fuori della cellula. Alcuni trasportatori usano energia metabolica per trasferire ioni ed altre sostanze contro i loro gradienti di concentrazione. Piccole molecole, come ioni, zuccheri ed aminoacidi, possono passare attraverso dei canali proteici della membrana. Proteine più grandi, macromolecole o persino delle particelle sono trasportate all’interno della cellula per l’invaginazione di segmenti della membrana, in un processo detto endocitosi. L’endocitosi controlla l’entrata nella cellula ed ha un ruolo cruciale nello sviluppo cellulare, nella risposta immunitaria, nella nutrizione, nella neurotrasmissione, nella comunicazione intercellulare e nella trasduzione di segnali. Essa, quindi, ha un’importanza generale nell’omeostasi cellulare (Conner e Smith, 2003). Durante l’endocitosi le macromolecole o le particelle, insieme con il loro guscio di idratazione, sono trasferite all’interno della cellula. L’esocitosi è praticamente il processo opposto e consiste nel trasporto dei materiali dall’interno della cellula all’esterno. Anche i materiali sottoposti all’esocitosi hanno un guscio di idratazione acquoso. Il fluido extracellulare contiene acqua, molecole nutritive, ormoni, neurotrasmettitori ed antigeni. I recettori di segnali hanno dei siti di legame specifici per le molecole extracellulari, che per la loro funzione sono dette ligandi. Quando un ligando si lega al suo specifico recettore, quest’ultima proteina trasporta il segnale attraverso la membrana trasformandolo in un messaggio intracellulare. Quando un ligando si lega ad un recettore associato ad un canale ionico, quest’ultimo si apre lasciando entrare ioni specifici. La trasduzione del segnale da parte dei recettori può anche attivare o inibire enzimi sulla superficie interna della membrana. Una sola molecola di segnale legata ad un solo recettore extracellulare alla fine può causare l’ingresso di migliaia di ioni attraverso un canale che si apre oppure può attivare la sintesi di migliaia di molecole di un messaggero intracellulare da parte di un enzima (Nelson e Cox, 2000). Ad esempio, gli antigeni che si legano a recettori specifici posti sulla superficie dei linfociti e innescano la produzione di anticorpi. I neurotrasmettitori legati a recettori specifici iniziano una cascata di eventi cellulari connessa ad una specifica funzione del neurone. Le cellule dei vegetali contengono dei canali altamente selettivi per il potassio (K+), il calcio (Ca2+), i protoni (H+), ma contengono anche dei canali selettivi per gli anioni (come il cloro: Cl-) e per dei composti come l’acido malico (Heldt, 1997).

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Le membrane delle cellule vegetali, diversamente da quelle animali, pare non abbiano dei canali specifici per gli ioni sodio (Na+) (de Duve, 1991). Il doppio strato lipidico è essenzialmente impermeabile alle molecole idrofiliche ed agli ioni e non può mediare molti cambiamenti e scambi di materia e di informazione tra la cellula e l’ambiente che la circonda. Tali funzioni sono svolte prevalentemente dalle proteine integrali di membrana (Peoples et al., 1996). Tra queste strutture e queste molecole possiamo quindi cercare dei bersagli per le potenze omeopatiche.

4.7.5. Proteine di membrana Cerchiamo ora di esaminare i possibili candidati fra le più probabili proteine di membrana capaci di interazione con le potenze omeopatiche. Sappiamo che i trasportatori muovono soluti organici e inorganici attraverso la membrana. Ci sono trasportatori passivi e trasportatori attivi. Tutti questi aiutano il passaggio di zuccheri, aminoacidi, ioni inorganici ed acqua, necessari per le attività biosintetiche ed energetiche della cellula. I trasportatori passivi, come alcuni canali ionici ed enzimi, legano i loro substrati con specificità stereochimica in molti punti con interazioni deboli non covalenti. Il cambiamento negativo di energia libera, che è associato a queste interazioni deboli, bilancia il cambiamento positivo di energia libera che accompagna il distacco dell’acqua di idratazione dal substrato. Ciò abbassa l’energia di attivazione necessaria per trasportare composti polari attraverso il doppio strato lipidico. Durante il passaggio attraverso il doppio strato lipidico, un soluto polare è estratto dal suo guscio di idratazione ed è poi reidratato nel citoplasma (Nelson e Cox, 2000). Nel trasporto passivo, il soluto è trasportato lungo il suo gradiente elettrochimico. Il gradiente elettrochimico coinvolge la differenza di concentrazione dei soluti, più la differenza di cariche elettriche che si stabilisce attraverso la membrana cellulare. Il trasporto attivo, invece, avviene contro un gradiente e richiede l’idrolisi di ATP (adenosina 3-fosfato) o il passaggio concomitante di qualche altra specie chimica lungo il suo gradiente elettrochimico. Nel primo caso, l’enzima ATPasi scinde l’ATP, rilasciando l’energia che serve a spingere il soluto nel suo spostamento contro il gradiente.34 Nel secondo caso, il passaggio di uno ione 34

Dettagli nel testo originale: ci sono quattro tipi di ATPasi con funzioni di trasporto. Il tipo P è presente sulla membrana citoplasmatica delle cellule eucariote e di quelle procariote. Queste ATPasi hanno due tipi di subunità proteiche: alfa e beta. La subunità alfa è essenziale ed alcuni suoi aminoacidi vengono fosforilati durante il trasporto. Le ATPasi sono responsabili del trasporto di sodio, potassio, calcio e protoni. I batteri usano la ATPasi di tipo P per pompare fuori dalla cellula i metalli pesanti per loro tossici (come il cadmio

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attraverso la membrana lungo il suo gradiente elettrochimico fornisce l’energia necessaria per il cotrasporto di un soluto contro il suo gradiente elettrochimico.

4.7.6. Biomolecole in un mezzo acquoso continuo In qualsiasi caso una potenza omeopatica sia somministrata ad un organismo, sia nella cavità orale, sia sulla foglia di una pianta, sia nella coltura di batteri, essa viene prima di tutto in contatto con l’acqua che copre la superficie delle membrane biologiche. Il fluido extracellulare costituisce circa il 20% del nostro peso corporeo. Il fluido interstiziale, che costituisce il 15% del fluido extracellulare, forma l’ambiente in cui la maggior parte delle cellule del corpo sono immerse. La funzione cellulare normale dipende dalla costanza di tale fluido ed infatti esistono molti meccanismi regolatori che lo mantengono costante (Ganong, 1999). L’acqua può essere considerata come un liquido continuo nella cellula ed attorno alla cellula. Poiché le potenze omeopatiche sono rappresentate da molecole d’acqua in una particolare struttura, esse dovrebbero innanzitutto interagire con il mezzo acquoso che avvolge le superfici intercellulare e intracellulare e, attraverso questo mezzo acquoso, con le proteine e le altre molecole. Diverse forze non covalenti possono localmente modificare la struttura dell’acqua in molti modi. Ad esempio, sono operative: - le forze van der Waals (o di Lifshitz-van der Waals), - le forze acido-base (di Lewis), - le forze elettrostatiche. Tra queste, le forze acido-base sono le più importanti nei mezzi acquosi. Ciò è dovuto al fatto che vi sono forti interazioni coesive ed adesive dovute ai legami idrogeno. Forti interazioni sono date anche dall’attrazione idrofobica e dalla repulsione idrofilica (idratazione). Di conseguenza, le parti idrofobiche dovrebbero attrarsi vicendevolmente e le parti idrofiliche dovrebbero respingersi. I tre suddetti tipi di interazioni svaniscono quando le molecole si allontanano tra loro, vale a dire che le interazioni sono inversamente proporzionali alla distanza inter-molecolare. Le molecole di idratazione sulle superfici polari (idrofiliche) si organizzano in uno strato spesso e poco denso, di solito con atomi idrogeno legati alla superficie idrofilica e con gli atomi di ossigeno che protrudono all’esterno della

[Cd2+] ed il rame [Cu2+]). La membrana citoplasmatica dei tumori contiene un trasportatore ATP-dipendente capace di esportare all’esterno della cellula differenti farmaci antitumorali. Questi trasportatori sono responsabili della resistenza delle cellule tumorali alla chemioterapia. La proteina ABC1 è un membro della famiglia di questi trasportatori.

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superficie nel liquido, così che la superficie di ciascuna molecola d’acqua è perpendicolare alla superficie idrofilica (Fig. 17).

Molecole d’acqua

Superficie idrofilica (polare)

Fig. 17 - Molecole d’acqua su una superficie idrofilica (-) formanti uno strato più spesso e meno denso con atomi di ossigeno (O) che sporgono all’esterno della superficie.

Le superfici idrofiliche hanno almeno due strati d’acqua di idratazione. Le superfici idrofobiche non hanno più di un sottile strato di molecole d’acqua, trattenute attraverso forze di van der Waals deboli. Sulle superfici idrofiliche, l’acqua di idratazione è attaccata attraverso forze acido-base e van der Waals, con dominanza delle prime (Van Oss et al., 2001). Una potenza omeopatica o, in altre parole, l’acqua strutturata, dovrebbe interagire prima di tutto con una delle proteine integrali di membrana ubiquitarie, cioè presenti nei batteri, nelle piante, negli animali e nell’uomo. Una di queste proteine ubiquitarie potrebbe essere l’acquaporina. Esaminiamo pertanto la struttura e la funzione delle acquaporine, che potrebbero essere il bersaglio primario di una potenza omeopatica.

4.7.7. Le acquaporine Le acquaporine sono glicoproteine trans-membrana che permettono il passaggio dell’acqua o di piccoli soluti, ma bloccano il passaggio di ioni, per prevenire la dissipazione del potenziale di membrana (Borgnia et al., 1999; Engel et al., 2000). Benché l’acqua possa passare la membrana cellulare per diffusione, esistono molte evidenze, raccolte negli ultimi decenni, che nei tessuti in cui

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l’acqua deve attraversare la membrana cellulare in grande quantità il processo sia facilitato dalle acquaporine (Deen et al., 2000). Le acquaporine, quindi, appartengono alle proteine intrinseche di membrana che formano canali di trasporto; si trovano nei batteri, nelle piante e negli animali e in tutti questi organismi mantengono una marcata omologia di sequenza, con similitudini funzionali e strutturali (Engel et al., 2000; Hohmann et al., 2000). a) Distribuzione negli animali In diversi tessuti dei mammiferi sono state trovate 10 specie d’acquaporine (AQP): - AQP0 è espressa nel cristallino, - AQP1 nei tubuli prossimali del rene e nelle cellule delle vie biliari intraepatiche, - AQP2 e AQP3 nei dotti renali, - AQP4 nel cervello, - AQP3, AQP4, AQP7 e AQP8 nel tratto gastrointestinale, - AQP5 nelle ghiandole salivari e lacrimali, nell’epitelio corneale e nei polmoni, - AQP6 nell’epitelio renale, - AQP8 nel fegato, nel pancreas e nel colon, - AQP9 nel fegato (Ma e Verkman, 1999) e, abbondante, anche nei leucociti periferici dell’uomo. Questi leucociti sono permeabili all’acqua ed all’urea, ma non al glicerolo. Tuttavia, il ruolo dell’AQP9 nelle funzioni immunologiche dei leucociti è ancora poco conosciuto (Ishibashi et al., 1998). Questi canali per l’acqua potrebbero servire come meccanismi osmosensori responsabili di valutare i cambiamenti del volume cellulare (Venero et al., 1999; Jung et al., 1994ab). AQP4 è espressa abbondantemente nel cervello ed è localizzata nelle cellule gliali ai bordi degli spazi subaracnoidei, dei ventricoli e dei vasi sanguigni (Nielsen et al., 1997). AQP4 gioca un importante ruolo nella distribuzione dell’acqua a livello cerebrale e nell’omeostasi del potassio nelle prime fasi dello sviluppo (Wen et al., 1999). L’espressione di questa proteina è stata evidenziata nel cervello dell’embrione di pollo in parallelo con la maturazione delle barriera ematoencefalica e ciò suggerisce che c’è una stretta relazione tra trasporto d’acqua, sua regolazione e sviluppo cerebrale (Nico et al., 2001). b) Altre pompe dell’acqua Diversamente dalle cellule gliali, i neuroni non pare abbiano canali per l’acqua del tipo delle acquaporine. Il cervello umano rappresenta circa il 2% del nostro

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peso corporeo, ma consuma circa il 20% dell’ossigeno introdotto, perciò produce una notevole quantità d’acqua metabolica (circa 12 volte quella prodotta dalle cellule degli altri organi). Per rimuovere l’eccesso di tale acqua metabolica, le cellule cerebrali utilizzano un sistema di pompaggio basato sull’N-acetilL-aspartato (NAA), il più abbondante aminoacido libero che si trova nel cervello dei vertebrati. Il NAA è sintetizzato nei neuroni e idrolizzato negli oligodendrociti gliali. Esso viene ricambiato ogni 24-48 ore per un continuo deflusso dai neuroni verso gli oligodendrociti. In breve, funziona come una pompa molecolare per l’acqua che spinge l’acqua contro il suo gradiente utilizzando se stesso (il NAA) come un controtrasporto. Tali pompe molecolari per l’acqua sono presenti universalmente in Natura; esse sono correlate a funzioni normali o anche a interazioni patologiche fra le cellule o fra le cellule e l’ambiente extracellulare (Baslow, 2002). c) Acquaporine nelle piante Come si è detto prima, le acquaporine sono membri della famiglia delle proteine integrali di membrana. Nel regno vegetale, ogni pianta esprime una gran numero di omologhi di tali proteine le cui sequenze aminoacidiche sono altamente conservate: - la proteina intrinseca del tonoblasto (TIP), che è la membrana che circonda il vacuolo presente nella cellula vegetale, - la proteina intrinseca di membrana citoplasmatica (PIP), - la proteina simile alla NOD26 (NIP), - la piccola proteina intrinseca basica (SIP). Questi membri della famiglia delle proteine intrinseche di membrana si sono diversificati grazie ad un gene ancestrale prima della divergenza evolutiva delle piante superiori (Baiges et al., 2002). Mentre le PIP degli spinaci rappresentano circa il 15%, le TIP rappresentano fino al 10% delle proteine del tonoplasto (Johansson et al., 1996). Le NIP, invece, sono espresse nei noduli delle radici della soia ed anche in altre piante non leguminose (Baiges et al., 2002). Nelle piante, le acquaporine regolano il flusso dell’acqua attraverso le membrane durante la crescita, lo sviluppo e la risposta allo stress (Harvengt et al., 2000). Le acquaporine PIP1 nelle foglie di tabacco aumentano la permeabilità all’acqua, la conducibilità idrica della radice e le pompe osmotiche, garantendo in questo modo la sopravvivenza nei periodi di siccità (Siefritz et al., 2002). È stato suggerito che anche l’assorbimento di CO2 durante la fotosintesi nella foglia sia facilitato dalle acquaporine (Terashima e Ono, 2002).

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d) Acquaporine nei funghi e nei batteri La Candida albicans, un fungo patogeno dell’uomo, contiene un unico gene dell’acquaporina: AQY1. La delezione di AQY1 ha scarso effetto sulla idrofobicità della superficie cellulare e non cambia la virulenza della Candida nel topo. Il ceppo caratterizzato dalla delezione di questo gene mostra una diminuita sensibilità allo shock osmotico (Carbrey et al., 2001). Il genoma delle lievito Saccharomices cerevisiae contiene due geni dell’acquaporina, AQY1 e AQY2, ma dei due, il più importante dal punto di vista funzionale è il primo (Laizé et al., 2000). Le acquaporine dei microbi sono importanti per facilitare il trasporto del glicerolo e forse di altri soluti, oltre, naturalmente dell’acqua. Esse sono state descritte sia nei batteri gram-positivi come Clostridium acetobutylicum, Staphylococcus aureus, Lactococcus lactis, Streptococcus pneumoniae, sia in batteri gram-negativi come Escherichia coli, Haemophilus influenzae, Mycoplasma pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Salmonella typhi, Shighella flexneri, Vibrio cholerae, ecc. (Hohmann et al., 2000). Il batterio patogeno gram negativo Brucella abortus contiene una acquaporina come efficiente canale di membrana (Rodriguez et al., 2000). e) Struttura delle acquaporine L’acquaporina è una proteina relativamente piccola (circa 30 kDa) contenente sei domini trans-membrana, i primi tre dei quali sono omologhi ai secondi tre. Entrambi i terminali aminici e carbossilici sono orientati verso il citoplasma. Le due parti omologhe sono orientate a 180 gradi l’una rispetto all’altra, in modo tale che il motivo caratteristico, fatto dei tre aminoacidi asparaginaprolina-alanina (NPA), presente nelle due anse interne, vada a formare una struttura a forma di canale (Fig. 18). Tali segmenti NPA si allineano lungo il condotto attraversato dalle molecole d’acqua (Jung et al., 1994ab; Cheng et al., 1997; Walz et al., 1997). La AQP1 è un omotetramero contenente quattro canali acquosi indipendenti (Smith e Agre, 1991; Jung et al., 1994ab).

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H20

(a) Veduta del poro dall’alto

(b) Veduta laterale del poro

Extracellulare

Intracellulare (c) Veduta laterale del monomero di acquaporina

Fig. 18 - L’acquaporina, proteina-canale per l’acqua. (a) Veduta del poro dalla superficie extracellulare; (b) veduta laterale del canale; (c) veduta delle sei eliche trans-membrana del monomero d’acquaporina. Il motivo asparaginaprolina-alanina (NPA) dopo la seconda e dopo la quinta ansa si ripiega all’interno della membrana per formare il canale dell’acqua.

La fondamentale importanza delle acquaporine è suggerita anche dal fatto che la loro struttura è conservata andando dai batteri alle piante fino ai mammiferi (King et al., 2000). f) Funzione dell’acquaporina: passaggio dell’acqua Murata et al. (2000) hanno descritto, grazie alla cristallografia elettronica, un modello atomico della AQP1 con la risoluzione di 3.8 Angstrom. Il percorso delle molecole d’acqua assomiglia a quello della sabbia nella clessidra, avendo un restringimento in mezzo che è di tipo idrofobico, fatta eccezione per i due residui centrali di asparagina nei motivi NPA. Quando una molecola d’acqua attraversa tale restringimento, l’interazione dell’atomo di ossigeno con i residui asparaginici orienta i due atomi di idrogeno in modo tale che la molecola stessa possa formare dei legami idrogeno con le molecole d’acqua adiacenti. In tal

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modo si previene il trasferimento di protoni al canale stesso in questa regione. Si pensa che, oltre alle restrizioni di tipo spaziale, il poro generi anche una forte barriera dielettrica che respinge gli ioni (Murata et al., 2000). Tajkorshid et al. (2002) ha determinato la struttura della acquagliceroporina GlpF dell’Escherichia coli con acqua legata ed ha effettuato delle simulazioni dinamiche raffiguranti i movimenti di orientamento dell’acqua all’interno del canale. Le due asparagine conservate forzano la molecola d’acqua centrale a comportarsi come un donatore di idrogeno obbligato per le molecole d’acqua vicine. Questo fenomeno, assistito dal potenziale elettrostatico generato dalle due anse che attraversano la membrana, obbliga le molecole d’acqua all’interno del canale ad orientarsi in modo opposto nelle due metà del canale stesso, permettendo un rapido passaggio dell’acqua. La mobilità protonica nell’acqua liquida è spiegata dal meccanismo di Grotthus che coinvolge l’incanalamento dei protoni da una molecola d’acqua a quella vicina ed il riarrangiamento dei legami idrogeno. La mobilità protonica delle proteine avviene mediante un “filo protonico” in cui una singola catena di molecole d’acqua legate da legami idrogeno ed i gruppi polari delle proteine forniscono una via preferenziale per un efficiente trasferimento protonico (Tajkhorshid et al., 2002, e bibliografia ivi riportata). Le interazioni mediate da idrogeno delle molecole d’acqua con i residui polari delle asparagine (Asn-76 e Asn-192) nella AQP1 nei motivi di sequenza NPA sono essenziali per mantenere il flusso dell’acqua nella regione di restringimento. L’ampiezza di questa costrizione fluttua continuamente, in modo tale che la fila delle molecole d’acqua viene spezzettata in diversi frammenti (Kong e Ma, 2001). La AQP1 trasporta molecole d’acqua alla velocità di 3x109/sec per ciascun canale, richiedendo un’energia di attivazione molto bassa, approssimativamente come quella della velocità di auto-diffusione delle molecole nell’acqua liquida (de Groot e Grubmüller, 2001, e bibliografia ivi riportata). g) Regolazione della funzione delle acquaporine Poiché la maggior parte delle acquaporine, fra cui l’acquaporina 2 (AQP2), sono dei canali costitutivamente aperti ma regolabili, l’espressione genica di queste proteine ed il loro trasporto dall’interno della cellula alla membrana citoplasmatica sono fenomeni considerati importanti in fisiologia e in patologia. La AQP2 è espressa nelle cellule dei dotti renali ed è ridistribuita sulla membrana apicale in risposta ad una cascata di segnali intracellulari, iniziata dal legame dell’ormone antidiuretico vasopressina al suo recettore (Deen et al., 2000). Molte acquaporine sono regolate da variazioni del pH, fosforilazione e legame con proteine ausiliarie (Engel et al., 2000). La AQP1 può essere spostata dai siti intracellulari alla membrana citoplasmatica nei colangiociti stimolati

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con secretina (Marinelli et al., 1999). In risposta alla vasopressina, la AQP2 migra dalle vescicole delle membrane intracellulari alla membrana apicale, aumentando la permeabilità all’acqua (Nielsen et al., 1995). La funzione di canale per l’acqua di tutte le acquaporine, eccetto la AQP4, può essere inibita da composti mercuriali. Questi composti si legano specificamente ai residui di cisteina e bloccano i pori dell’acquaporina (Kuwahara et al., 1997). Il brassinolide, un ormone delle piante, è coinvolto nella modificazione del trasporto d’acqua sulle membrane cellulari della pianta Arabidopsis thaliana (Morillon et al., 2001). Vi sono altre evidenze del coinvolgimento delle acquaporine in vari processi biochimici e fisiologici.35

h) Le acquaporine in patologia Per quanto riguarda i modelli di patologia in cui sono state studiate le acquaporine, va notato, ad esempio, che il topo geneticamente privo di AQP5 (topo knockout AQP5 -/-) è caratterizzato da un aumento della broncocostrizione stimolata dall’acetilcolina e da un aumento a della resistenza al flusso polmonare con diminuzione della compliance dinamica. Ma et al. (1999) hanno anche dimostrato che la produzione di saliva stimolata dalla pilocarpina è ridotta 35

Approfondimenti sperimentali e bibliografici: il sistema renina-angiotensina gioca un importante ruolo nell’espressione delle acquaporine e quindi nella regolazione del trasporto d’acqua nel peritoneo (Imai et al., 2001). L’incubazione del tessuto parotideo di ratto con 10 μM di epinefrina ha causato un transitorio ma spiccato aumento della presenza di AQP5 sulla membrana apicale, con un massimo ad un minuto. Questo effetto della epinefrina è stato ottenuto anche con fenilefrina (alfa1-agonista), ma non con la clonidina (alfa2agonista) o con il salbutamolo (beta-agonista). Esso è poi inibito dalla fentolamina (antagonista degli alfa-adrenorecettori), ma non dal propranololo (antagonista dei betaadrenorecettori). Il risultato suggerisce che l’epinefrina, agendo sui recettori adrenergici alfa1, induce un traffico di AQP5 dalle membrane intracellulari alla membrana apicale, innescando il rilascio di calcio libero dai depositi intracellulari attraverso il messaggero inositolo-1,4,5-trifosfato. L’acetilcolina, che agisce sui recettori muscarinici M3 nel tessuto parotideo di ratto, ha indotto la traslocazione di AQP5 dalle membrane intracellulari alla membrana citoplasmatica, aumentando la concentrazione citosolica di calcio (Ishikawa et al., 1999, e bibliografia ivi riportata). Badaut et al. (2000) hanno osservato nel ratto una localizzazione cellulare comune dei recettori muscarinici colinergici e dell’acquaporina 4 (AQP4) a livello cerebrale e precisamente nella corteccia, nel corpo calloso e nelle cellule ependimali. Gli Autori hanno suggerito una correlazione funzionale tra i recettori muscarinici e la AQP4. La risposta muscarinica colinergica può influenzare molti canali dell’acqua e canali ionici. Nei ratti, la AQP4 dei vasi cerebrali è implicata nella regolazione del trasporto dell’acqua tra il sangue ed il cervello (Kobayashi et al., 2001). La protein-chinasi e la dopamina diminuiscono la permeabilità dell’acqua attraverso la fosforilazione della serina180 e ciò è dovuto probabilmente ad un effetto di cancello sul canale stesso (Zelenina et al., 2002). Krane et al. (2001) hanno osservato che l’espressione della AQP5 nel polmone del topo si trova sulle cellule di tipo I ma anche nelle cellule alveolari di tipo II, nella trachea e nell’epitelio bronchiale.

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di più del 60% nel topo knockout AQP5 -/-. La pilocarpina è un agonista dei recettori colinergici. In patologia umana, la distribuzione intracellulare di molecole di AQP5 è anormale nelle ghiandole salivari dei pazienti con la sindrome di Sjögren. Tale malattia è caratterizzata da infiltrazione infiammatoria linfocitaria nelle ghiandole salivari e lacrimali, causante una ipofunzione ghiandolare e quindi secchezza della bocca e della congiuntiva (Steinfeld et al., 2001). Nelle malattie con aumento della ritenzione renale d’acqua, l’espressione totale e di membrana della AQP2 è aumentata (Deen et al., 2000). Alterazioni nel metabolismo dell’acqua sono presenti in stati patologici come il diabete insipido, la sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico, lo scompenso cardiaco, la cirrosi e la gravidanza (Schrier et al., 2001). Una cattiva regolazione delle acquaporine, specialmente della AQP2, potrebbe essere responsabile di alcune patologie del bilancio idrico ed elettrolitico. Ad esempio, la mancanza o il difetto funzionale della AQP2 si trova nel diabete insipido primario. Una ridotta espressione di membrana è stata descritta in varie patologie associate con difetti della concentrazione delle urine come il diabete insipido nefrogeno, la poliuria post-ostruttiva, lo scompenso renale acuto e cronico. All’opposto, in condizioni in cui si ha ritenzione idrica come nello scompenso cardiaco congestizio, nella gravidanza e nell’eccesso di ormone antidiuretico, i livelli di espressione della AQP2 ed il sito bersaglio apicale della membrana citoplasmatica sono aumentati, suggerendo che tale proteina abbia un ruolo nello sviluppo della ritenzione idrica (Kwon et al., 2001). Membri della famiglia delle acquaporine sono implicati in numerosi processi fisiologici e patologici (Borgnia et al., 1999; King et al., 2000). L’induzione del diabete mellito nell’animale da esperimento è stata accompagnata da un significativo aumento di AQP2, p-AQP2 e AQP3 (Nejsum et al., 2001). Il canale per l’acqua costituito da AQP1 è espresso in modo eterogeneo nelle cellule tumorali di animali da esperimento e nel loro apparato vascolare e sappiamo che il livello di espressione è determinato non solo dall’origine cellulare del tumore stesso, ma anche dalla localizzazione del tumore nell’animale che lo ospita (Endo et al., 1999). È stato suggerito che la manipolazione dell’espressione delle acquaporine potrebbe avere un ruolo terapeutico in vari processi patologici (Connolly et al., 1998) regolando il trasporto d’acqua mediato da queste proteine. Di conseguenza, gli agenti che modificano la funzione delle acquaporine avranno un significativo potenziale terapeutico (Beitz e Schultz, 1999).

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4.7.8. Interazione tra una potenza omeopatica e le biomolecole Da tutte le prove sperimentali che sono state riportate nei capitoli 2 e 3, risulta evidente che anche se una potenza omeopatica è diluita 1:1000 o più nella soluzione-test, essa mantiene la sua efficacia. Anche quando il medicinale omeopatico viene assunto da un paziente, in poche gocce o in granuli, esso viene molto diluito nei liquidi corporei. Ciò suggerisce che un rimedio dinamizzato sia capace di influire sull’acqua del mezzo di incubazione sperimentale o dell’organismo in modo tale che quest’ultima si comporterebbe come un rimedio potenziato. Se questo è il caso, una potenza omeopatica che viene a contatto con una superficie cellulare potrebbe modificare l’organizzazione dell’acqua che copre la superficie stessa (vedi capitolo 3, sezione 6.1.b: Azione di una potenza omeopatica). Le proteine di membrana, a loro volta, potrebbero essere modificate per la loro interazione con l’acqua stessa e quindi ne verrebbe alterata l’attività di tipo recettoriale, enzimatica, di trasporto, di segnale, ecc.. Abbiamo già descritto il fatto che le potenze omeopatiche possono produrre modificazioni strutturali e funzionali di una proteina (capitolo 2 e capitolo 3). Poiché una potenza omeopatica è costituita da acqua strutturata specificamente, è probabile che essa abbia capacità di influenzare le molecole d’acqua strutturali, quelle che sono intimamente associate con le proteine e gli zuccheri, causando una modificazione funzionale di queste ultime. Yamada (2001) ha studiato l’acqua intracellulare delle cellule muscolari di rana in varie condizioni fisiologiche, mediante la risonanza magnetica nucleare ed ha scoperto che l’acqua intracellulare delle fibre muscolari è strutturata ed allineata lungo i miofilamenti e che lo stato dell’acqua intracellulare cambia secondo la condizione fisiologica delle fibre muscolari. L’acqua strutturata impedisce la diffusione dei soluti, giocando un importante ruolo nella fisiologia cellulare. Quando la cellula è in uno stato patologico, l’acqua strutturata può assumere uno stato diverso. Di conseguenza, si può ipotizzare che una potenza omeopatica appropriata possa contenere l’acqua con una struttura complementare rispetto a quella disordinata della cellula e sarebbe quindi capace di indurre cambiamenti nella struttura dell’acqua della cellula malata, restaurando lo stato normale dell’acqua. Il cambiamento della struttura dell’acqua è ottenuto mediante un cambiamento del numero e della forza dei legami idrogeno. Le proteine recettoriali o di trasporto protrudono all’esterno delle membrane citoplasmatiche. Alcune di queste, come ad esempio le acquaporine e molti recettori, formano delle molteplici anse trans-membrana. Nell’ansa della proteina rivolta all’esterno della membrana ci possono essere degli aminoacidi polariidrofilici oppure aminoacidi apolari-idrofobici. Secondo la natura delle proprietà chimico-fisiche di questi aminoacidi, cambiano gli strati di molecole d’acqua

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di idratazione. In alcune parti si verificano delle forze di attrazione per i cluster d’acqua, in altre parti vi saranno forze di repulsione. Ovviamente, per il diverso legame delle molecole d’acqua strutturate proprie del rimedio, dell’acqua di idratazione e dei diversi aminoacidi, l’intera funzione della proteina di trasporto o di recettore potrebbe cambiare. Tutto ciò porterebbe infine all’innesco o alla modulazione di vari effetti biologici da parte dei medicamenti dinamizzati sulle cellule. Anche dei brevi polimeri di zuccheri (oligosaccaridi), attaccati alle proteine o ai lipidi sulla superficie cellulare, potrebbero servire come specifici segnali di riconoscimento (Nelson e Cox, 2000). Le piante usano dei metaboliti (per esempio glucosio, saccarosio e nitrato) non solo come nutrienti ma anche come segnali utilizzati nelle strategie di sopravvivenza. Ad esempio, gli zuccheri servono come molecole segnale nello sviluppo del seme (Wobus e Weber, 1999). Alcune molecole saccaridiche entrano nella rete strutturale dei cluster d’acqua icosaedrica mediante dei legami idrogeno che permettono di sostituire un esamero d’acqua nel cluster. Dei gruppi idrossilici di questi residui saccaridici prendono strette relazioni con le molecole d’acqua, posizionandosi in modo ottimale rispetto alla formazione dei legami idrogeno (Uedaira e Uedaira, 2001). I residui di acido sialico nelle posizioni terminali degli oligosaccaridi, legati covalentemente alle glicoproteine, si trovano normalmente su tutte le superfici cellulari e possono giocare un importante ruolo nelle interazioni cellula-cellula e nei processi di riconoscimento. Le SIGLECS (Sialic-acid-binding-Immunoglobulin-like Lectins) sono delle lectine che mediano le interazioni cellulari dipendenti da acido sialico (Freeman et al., 2001). Tutto ciò suggerisce che i medicamenti dinamizzati potrebbero interagire con il guscio di idratazione degli zuccheri o delle lectine, modificando in tal modo la loro funzione di molecole segnale. Il nostro modello di interazione tra una potenza omeopatica dinamizzata e la superficie cellulare prevede quindi che le proteine di membrana o le loro parti glicosilate producano una cascata di eventi biochimici interni alla cellula a seguito del contatto con il rimedio stesso. L’effetto sarebbe propagato oltre l’area del contatto fra le biomolecole ed il rimedio e ciò avverrebbe in vari modi e secondo il tipo di recettori e di cellule. Se l’area di contatto con il medicinale è a livello dei neuroni sensitivi, la propagazione dell’effetto primario di una potenza potrebbe avvenire attraverso impulsi nervosi. I neuroni stimolati trasmetterebbero gli impulsi al cervello il quale, a sua volta, processerebbe il messaggio elaborandolo in modo da produrre una reazione appropriata attraverso vie nervose. I dettagli di questo tipo di regolazione, nell’uomo e nei mammiferi, sono stati descritti in un precedente libro (Sukul, 1997). Tuttavia, anche a prescindere dalla propagazione nervosa, l’azione di una potenza omeopatica potrebbe

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diffondersi in tutte le direzioni dal punto di contatto attraverso la continuità del mezzo acquoso dei tessuti connettivi che bagna tutte le superfici cellulari. Secondo la tradizione, le medicine omeopatiche possono curare o migliorare molte malattie infiammatorie, come i foruncoli, gli ascessi, l’artrite reumatoide, la sindrome infiammatoria dell’intestino ecc. e in queste condizioni è probabile che sia coinvolto il sistema nervoso. Esiste un legame tra infiammazione e sistema nervoso. Infatti, i lipopolisaccaridi, componenti della parete batterica, attivano i leucociti nei tessuti e nel sangue. I leucociti, in particolare i monociti, entrano nei tessuti e divengono macrofagi, che sono capaci di rilasciare molte citochine tra cui il Tumor-Necrosis Factor (TNF). Quest’ultima proteina può attivare quasi ogni tipo di cellula, inducendo l’espressione di un’ampia serie di geni che codificano per molecole infiammatorie. Il TNF ha effetti benefici quando è rilasciato in piccole dosi e nel luogo dell’infezione, ma quando diffonde tramite la circolazione può causare gravi malattie infiammatorie (Libert, 2003). Il sistema nervoso, tramite il nervo vago, può inibire significativamente e rapidamente il rilascio del TNF macrofagico e ridurre le risposte infiammatoria e sistemica. Questo meccanismo è conosciuto come via anti-infiammatoria colinergica. Le terminazioni del nervo vago rilasciano la molecola acetilcolina, che si lega ai recettori sui macrofagi e sopprime il rilascio di TNF. Il recettore nicotinico per l’acetilcolina ha una subunità α-7 che è essenziale per inibire la sintesi di questa citochina (Wang et al., 2003). Si può quindi pensare che i rimedi omeopatici dinamizzati stimolino le terminazioni del nervo vago aiutando il rilascio di acetilcolina, forse proprio attraverso la modifica della subunità α7. Libert (2003) ha suggerito in questi termini una possibile relazione molecolare tra la regolazione del processo infiammatorio e gli effetti clinici della cosiddetta medicina “complementare o alternativa”. Mentre tutte le proteine di membrana potrebbero essere, almeno teoricamente, bersaglio di una potenza omeopatica, noi abbiamo posto particolare enfasi sulle acquaporine come bersagli primari, perché tali proteine sono ubiquitarie in ogni forma di vita e sono implicate in molte situazioni fisiologiche e patologiche. Abbiamo già descritto come viene regolata la funzione delle acquaporine. Le potenze omeopatiche potrebbero influenzare questi processi regolatori alterando la permeabilità all’acqua delle membrane citoplasmatiche. Esistono alcune evidenze preliminari del fatto che alcuni rimedi omeopatici dinamizzati aumentano la permeabilità all’acqua delle acquaporine nei globuli rossi (capitolo 2, paragrafo 4.2). Quando gli ioni passano attraverso i canali di una membrana citoplasmatica, essi vengono de-solvatati (Fig. 19). Le molecole d’acqua del guscio di idratazione, ora vuoto, sono lasciate indietro e rimangono organizzate per circa un picosecondo (Van Oss, comunicazione personale). Poiché vi sono migliaia di canali ionici, ci devono essere migliaia di cluster organizzati attorno ad una

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cellula in un determinato tempo. I tipi di cluster organizzati dell’acqua ed il numero di ciascun tipo esistente in un dato momento dipendono dalla varietà dei canali ionici e dalla velocità del movimento degli ioni o delle altre molecole attraverso la membrana citoplasmatica. Come si è già detto (capitolo 3), questi cluster organizzati dell’acqua rimangano in un equilibrio dinamico. La geometria dell’equilibrio dell’acqua strutturata potrebbe essere modificata e riorganizzata mediante l’introduzione di una potenza omeopatica. La propagazione delle modificazioni dell’acqua indotte dalla potenza dovrebbe essere ottenuta mediante diffusione attraverso continuo riorientamento dei cluster e spiazzamento delle geometrie tetraedriche dei legami idrogeno (capitolo 3). In condizioni di malattia, la struttura e/o l’organizzazione delle proteine integrali di membrana sulla superficie cellulare è modificata, cosicché anche le strutture geometriche dell’acqua sono organizzate in modo diverso, sia nella superficie extracellulare sia nel citosol. Una potenza omeopatica appropriata dovrebbe tendere a riorganizzare la geometria strutturale patologica dei cluster d’acqua nella direzione della sua forma originaria, iniziando una cascata di reazioni informative all’interno della cellula. Queste modificazioni continuerebbero fintanto che venga restaurato il normale stato di salute.

Proteina di trasporto

De-solvatazione del soluto

Molecole d’acqua organizzate e lasciate indietro

Ri-solvatazione del soluto

Fig. 19 - Desolvatazione di una particella di soluto durante il passaggio attraverso il canale di una proteina di trasporto (a) e per semplice diffusione attraverso il doppio strato fosfolipidico (b).

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Abbiamo già detto in precedenza che una sola molecola di ligando può attivare un solo recettore, ma alla fine può causare l’entrata di migliaia di ioni attraverso l’apertura dei canali o la sintesi di migliaia di molecole di un messaggero intracellulare da parte di un enzima attivato (Nelson e Cox, 2000). Quindi, anche poche molecole d’acqua strutturate e legate ad un recettore possono iniziare eventi biochimici che si amplificano enormemente all’interno della cellula. In questa visione, i cluster organizzati d’acqua non funzionano come ligandi recettoriali specifici in senso stretto, ma come una chiave “master” da cui prendono forma altri cluster capaci di interagire con tutti i tipi di ligandi e con i loro recettori.

4.8. Ruolo dei carboidrati nei processi di riconoscimento

Terminale riduucente

Terminale non riducente

Abbiamo già menzionato in precedenza che, in un sistema biologico, gli zuccheri possono servire come molecole segnale e possono interagire con l’acqua. I carboidrati hanno molecole d’acqua legate e potrebbero quindi interagire facilmente con le molecole d’acqua strutturate dei medicamenti dinamizzati, iniziando eventi biochimici specifici a livello della membrana cellulare. Qui approfondiamo il possibile ruolo dei carboidrati nei processi di riconoscimento del segnale veicolato dal medicinale omeopatico. I più importanti polisaccaridi di deposito sono l’amido nelle cellule vegetali ed il glicogeno in quelle animali. Entrambi si trovano in gran quantità come aggregati molecolari o granuli. L’amido ed il glicogeno sono fortemente idratati, perché hanno molti gruppi idrossilici esposti e quindi disponibili a formare legami idrogeno con l’acqua (Fig. 20).

Fig. 20 - Una parte di catena lineare dell’amilosio, fatta di residui di D-glucosio, mostra i gruppi OH esposti per il legame idrogeno con le molecole d’acqua.

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L’amido contiene due tipi di polimeri del glucosio, l’amilosio e l’amilopectina. Il primo consiste di lunghe catene di residui di D-glucosio connessi da legami α-1-4. L’amilopectina è formata dagli stessi residui, ma è altamente ramificata. I legami glicosidici che uniscono successivi residui di glucosio nell’amilopectina sono α-1-4 nelle parti lineari e α-1-6 nei punti di ramificazione, che avvengono a distanza di circa 20-30 residui glucidici. Il glicogeno è un polimero di subunità del glucosio connesse con legami α-14 e caratterizzato da molte ramificazioni con legami α-1-6. Il glicogeno è più ramificato rispetto all’amilopectina, con una media di una ramificazione ogni 8-12 residui, ed è quindi più compatto rispetto all’amido. I polisaccaridi, chiamati anche glicani, differiscono in base al tipo di unità ripetitiva, alla lunghezza delle catene, ai tipi di legame ed al grado di ramificazioni. Gli omopolisaccaridi contengono un solo tipo di monomero, mentre gli eteropolisaccaridi contengono due o più tipi di monomeri.36 Il disaccaride lattosio, fatto da una molecola di D-galattosio e una di Dglucosio, si trova naturalmente nel latte; è quindi chiamato lo “zucchero del latte”. Il carbonio legato al residuo di glucosio è disponibile per fenomeni di ossidazione e quindi il lattosio è considerato un disaccaride riducente. Il saccarosio è un disaccaride formato da glucosio e fruttosio ed è sintetizzato dalle piante, ma non dagli animali superiori. A differenza del maltosio e del lattosio, il saccarosio non contiene degli atomi di carbonio ossidabili e quindi non è uno zucchero riducente (Nelson e Cox, 2000). Si deve notare che le potenze omeopatiche, preparate in diluizioni di etanolo in fase idroalcoolica, sono normalmente conservate in globuli di lattosio e più raramente di saccarosio (capitolo 1). Pertanto, questi due zuccheri non servono solo come dei veicoli neutri ma probabilmente giocano un ruolo attivo come molecole di informazione quando si combinano con i medicamenti dinamizzati. Le piante possono sintetizzare carboidrati durante il processo di fotosintesi, gli animali, invece, li ottengono da sorgenti vegetali. I carboidrati della nostra dieta alimentare sono prevalentemente polimeri degli esosi, i più importanti dei quali sono glucosio, galattosio e fruttosio. La maggior parte dei monosaccaridi che si trovano nel corpo sono dei D-isomeri. Il principale prodotto della digestione dei carboidrati ed il principale zucchero circolante è il glucosio, la cui concentrazione nel sangue dei mammiferi è circa 5 mM. Allorché entra nelle cellule, il glucosio è normalmente fosforilato 36

Vanno segnalati inoltre i proteoglicani, tra le principali macromolecole complesse che costituiscono la sostanza fondamentale dei tessuti connettivi, noti per la capacità di legare grandi quantità di acqua all’interno delle proprie strutture altamente ramificate. Sotto questa prospettiva, l’acqua associata ai proteoglicani potrebbe assumere una funzione non solo nel mantenimento della struttura, ma anche nel trasferimento di informazioni bologicamente significative e farmacologiche.

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a formare glucosio-6-fosfato. L’enzima che catalizza questa reazione è denominato esochinasi. Nel fegato c’è anche un altro enzima, chiamato glucochinasi, che ha una maggiore specificità per il glucosio e che, diversamente dall’esochinasi, è attivato dalla insulina ed ha una ridotta attività nel digiuno e nel diabete. Il glucosio-6-fosfato può essere polimerizzato a formare glicogeno o catabolizzato come fonte di energia (Ganong, 1999).

4.9. Acqua strutturata e la vita nascente Sin dall’inizio della vita sulla terra, gli organismi hanno incontrato vari tipi di sostanze chimiche nel loro ambiente. È oggi da tutti accettato che la vita sia originata in un ambiente acquoso, nei primi mari, laghi o stagni. Le molecole primordiali che diedero origine alle prime forme di vita erano zuccheri, alcoli, aminoacidi e, ovviamente, acqua. Le sorgenti di energia erano essenzialmente basate sulla fermentazione, perché nell’atmosfera non c’era ossigeno libero. Nella atmosfera riducente la respirazione era anaerobica, con formazione di anidride carbonica (CO2). La fermentazione dello zucchero da parte dei lieviti porta alla formazione di etanolo e di CO2 ed al rilascio di energia. L’enzima alcol-deidrogenasi è presente in molti organismi, incluso l’uomo, che sono capaci di catabolizzare l’etanolo. Nel fegato, questo enzima catalizza l’ossidazione dell’etanolo, sia quello ingerito sia quello prodotto dai microrganismi intestinali, con la concomitante riduzione del NAD+ a NADH. Alcuni vertebrati marini fermentano il glucosio ad etanolo e CO2 per generare ATP. Quindi, è probabile che, in un ambiente primitivo, delle molecole di etanolo abbiano stabilizzato strutture di molecole d’acqua formando dei particolari aggregati nell’acqua liquida. I microrganismi primordiali potrebbero avere sviluppato un meccanismo capace di sentire la presenza dell’acqua, specificamente di quella strutturata, e di orientarsi in relazione ad essa. Questo sarebbe stato un meccanismo adattativo capace di aiutarli a trovare la via per raggiungere la colonia di eterotrofili anaerobi sui quali vivere. Già nelle prime forme di vita, le sostanze chimiche utili fornivano energia per sostenere la vita, mentre le sostanze chimiche dannose stimolavano risposte difensive. Uno dei più pressanti problemi della vita acquatica è sempre stato quello di mantenere il bilancio osmotico rispetto al proprio ambiente. Inoltre, gli organismi incontravano altri organismi che potevano comportarsi da predatori oppure da patogeni. Naturalmente, gli organismi hanno sviluppato dei meccanismi di difesa contro questo tipo di pericolo. Negli organismi inferiori,

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alcune macromolecole, chiamate antigeni, hanno la proprietà di iniziare delle risposte adattative e difensive. Quindi, se i microrganismi avessero potuto sentire il pericolo incombente in anticipo – per esempio attraverso l’acqua strutturata – sarebbero stati capaci di prepararsi in anticipo ad affrontare la situazione. Questa sensibilità precoce potrebbe essere stata mediata attraverso delle proteine della membrana, probabilmente del tipo delle acquaporine, che sono altamente conservate e ubiquitarie in ogni forma di vita. Poiché i protisti primitivi sono originati ed hanno vissuto in un ambiente acquoso, la regolazione dell’ingresso d’acqua nel loro corpo era una delle priorità assolute per l’adattamento e la sopravvivenza. Perciò, le acquaporine ed i cluster d’acqua strutturata dovrebbero aver giocato un importante ruolo sin dall’inizio della vita sulla terra. Insieme, queste due entità molecolari costituiscono un’efficiente macchina di riconoscimento del segnale e di mantenimento della omeostasi in tutte le forme di vita. Si può ipotizzare che l’omeopatia sfrutti questo antico sistema naturale per recuperare l’omeostasi nei sistemi viventi sottoposti a anormali condizioni interne o esterne.

Sommario Le medicine omeopatiche dinamizzate hanno delle azioni spesso caratterizzate da una preferenza di un lato del corpo. Questo differenziale effetto della lateralità si spiega sulla base dell’asimmetria funzionale del cervello, che può modulare in modo diverso le reazioni neurochimiche, neuroendocrine e immunitarie delle parti destra e sinistra del corpo. I medicamenti dinamizzati sono spesso scelti sulla base di modalità temporali dei sintomi di una malattia. Le modalità temporali dell’azione del rimedio possono essere correlate con la presenza di orologi biologici interni o di bioritmi che sono disturbati in condizioni di malattia. La melatonina, prodotta dal cervello, ha una marcata influenza sui ritmi circadiani. Le malattie croniche originano da condizioni o disordini che gli omeopati hanno chiamato “miasmi”, i principali dei quali sono “psora”, “sicosi” e “sifilide”. La psora è il miasma più frequente e si manifesta con delle eruzioni pruriginose della pelle. È stato suggerito che la sensazione di prurito e solletico, prodotta in vario modo e in varie condizioni di malattia per la stimolazione delle terminazioni dei nervi amielinici della cute, sia il substrato fisiologico principale della eruzione psorica. Alcuni rimedi omeopatici, come i policresti, producono una grande varietà di sintomi comuni a molte malattie. Tali rimedi possono agire attraverso delle reti

MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI

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neuronali multifunzionali. Per questa ragione il trattamento di una malattia cronica con un’alta potenza di un policresto talvolta produce la ricomparsa di disturbi pregressi, specialmente delle loro componenti dolorose che sono connesse con la stessa rete neuronale multifunzionale. Secondo la teoria della “neuromatrice”, il dolore è un’esperienza complessa prodotta da un intreccio di impulsi nervosi provenienti sia dalla periferia sia da diverse aree del cervello. Il concetto di neuromatrice si accorda con l’approccio olistico e sistemico dell’omeopatia. Proteine ed acidi nucleici, che servono da molecole informazionali negli organismi viventi, sono costituite da diverse unità polimerizzate. Benché l’acqua sia una molecola semplice, anch’essa può formare diverse strutture, soprattutto mediante il legame idrogeno. Le configurazioni strutturali dell’acqua sono rafforzate dalla succussione e preservate dall’etanolo. Le strutture d’acqua rimangono in equilibrio dinamico a temperatura ambiente, perché la dissociazione dei legami idrogeno e la loro ri-associazione avvengono sugli stessi gruppi OH. Mentre la configurazione strutturale specifica dell’acqua manterrebbe l’identità del rimedio, la forza dei legami idrogeno e la complessità della struttura, aumentate dalla succussione, veicolerebbero l’informazione della sua potenza. I medicamenti dinamizzati sono applicati sulla cavità orale, sulle foglie delle piante o sulle superfici delle cellule nei sistemi sperimentali. In ogni caso, il rimedio viene in contatto con le proteine presenti sulla membrana citoplasmatica. Tutte le superfici cellulari sono bagnate da un film continuo d’acqua che mantiene una configurazione geometrica nelle normali condizioni di salute. Le forze non-covalenti che alterano localmente la struttura dell’acqua sono le forze van der Waals, acido-base ed elettrostatiche. Le forze dominanti sono quelle acido-base che si generano per una forte interazione coesiva ed adesiva delle molecole d’acqua sia tra di loro che con le macromolecole della membrana, attraverso i legami idrogeno. La struttura dell’acqua, che è presente su tutte le superfici, assume una diversa configurazione in uno stato di patologia, secondo la natura della malattia. Quando un rimedio omeopatico o, in altre parole, un’acqua strutturata in modo stereospecifico, viene a contatto con una superficie cellulare, la struttura dell’acqua in quella posizione viene modificata e di conseguenza avvengono cambiamenti strutturali sia dell’acqua che delle proteine della membrana bagnate dall’acqua stessa. Tale fenomeno, a sua volta, scatena una cascata di eventi biochimici nella membrana e nel citosol che culminano con delle modificazioni della cellula, dei tessuti e degli organi nella direzione di una salute restaurata. Benché tutte le proteine integrali di membrana siano dei potenziali bersagli di una potenza omeopatica, in quanto prendono contatto con l’acqua extracellula-

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CAPITOLO 4

re e molte di esse hanno funzioni recettoriali, enzimatiche o di trasporto, il bersaglio primario potrebbe essere una proteina ubiquitaria, la acquaporina. Questo canale proteico aiuta il passaggio dell’acqua attraverso la membrana cellulare ed ha una notevole importanza nella salute e nella malattia. Saccarosio e lattosio, che vengono spesso usati nelle preparazioni dei medicinali omeopatici, potrebbero avere anch’essi un ruolo di molecole di informazione in combinazione con l’acqua dinamizzata. Acqua, zuccheri, aminoacidi ed etanolo sono le molecole più ancestrali presenti nelle forme di vita primitiva. Le molecole di etanolo potrebbero avere stabilizzato delle molecole d’acqua, che avrebbero assunto un significato di informazione per trovare potenziali fonti di cibo. Le cellule primordiali potrebbero avere sviluppato un meccanismo con cui sentivano l’acqua strutturata specificamente e si orientavano di conseguenza. Poiché i primi protisti originarono in ambiente acquoso, la regolazione dell’ingresso dell’acqua nel loro corpo era una delle priorità dell’adattamento e della sopravvivenza. Le acquaporine e l’acqua strutturata in cluster dovrebbero aver giocato sin dall’inizio un ruolo importante nel mantenere la salute e pertanto si sarebbero conservate durante l’evoluzione. È probabile che l’omeopatia faccia parte di questo adattamento del sistema naturale all’ambiente, favorendo il recupero delle dinamiche omeostatiche negli organismi viventi che si trovano in condizioni anomale.

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Indice generale

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FINALITÀ DELLA CASA EDITRICE

Salus Infirmorum è una Società Editoriale senza fini di lucro costituita nel 1996, il cui obiettivo è diffondere informazioni scientifiche sulle medicine naturali e in particolare sull’omeopatia. Per quanto riguarda quest’ultima, l’Editore è convinto che il benessere di molte persone e il progresso futuro di questo metodo terapeutico dipendano essenzialmente da una corretta conoscenza e pratica della vera omeopatia hahnemanniana. Cosciente che si parla tanto di omeopatia, ma si fa ancora poco per dare una giusta informazione al Pubblico e per mettere i medici nella condizione di impadronirsi del metodo omeopatico corretto e integrale, l’Editore ha deciso di tradurre e di pubblicare libri, sia di tipo divulgativo che di tipo scientifico, dei principali Autori che abbiano dato un significativo contributo allo sviluppo di tale disciplina medica. Questa Editrice per precisa scelta di indipendenza culturale non ha alcuno Sponsor, né le sue pubblicazioni hanno conflitti di interesse di alcun genere.

Quest’opera è un originale contributo alla letteratura sulle basi scientifiche dell’omeopatia, di notevole interesse anche alla luce della crescente diffusione di questa disciplina medica nel sistema sanitario. Il libro è unico nel suo genere, perché spazia dalla biologia molecolare alla clinica, dalla fisica atomica alla tecnica farmaceutica, senza dimenticare di fare riferimento ai principi tradizionali e classici enunciati dai primi Maestri omeopatici. In particolare, qui si affronta la questione più “incredibile”: come è possibile un’azione farmacologica di soluzioni diluite al punto da non contenere più dosi ponderali di molecole del principio attivo? Il testo, dopo un’ampia e documentata presentazione, si svolge in quattro capitoli: Nel primo sono descritti i modi per preparare i rimedi omeopatici e per conservarli. Il secondo capitolo tratta delle evidenze cliniche ottenute a sostegno delle alte diluizioni nell’uomo, unitamente ad esperimenti di laboratorio fatti su animali, piante e tessuti o cellule. Il terzo capitolo descrive le caratteristiche fisiche dei medicamenti in diluizioni ultra-alte, così come sono evidenziate mediante la risonanza magnetica nucleare e gli spettri all’infrarosso. Nel quarto capitolo vengono discussi i possibili meccanismi d’azione delle alte diluizioni sui sistemi viventi. Rivelare i misteri dell’omeopatia, questo importante sistema terapeutico, è una sfida non solo per il biologo ma anche per il fisico e per il chimico. La ricerca scientifica sull’omeopatia aprirà certamente nuove strade per il benessere dell’umanità. Gli Autori sono ricercatori e docenti dell’Università di Visva-Bharati (India), la traduzione e la presentazione sono del prof. Paolo Bellavite, dell’Università di Verona.

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